Ossessione di AthenaKira83 (/viewuser.php?uid=997427)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Extra 1 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Sei un bugiardo!
Non è vero
che dovevi lavorare fino a tardi.
Sono venuta a trovarti,
ma l'ufficio è chiuso e tu non ci sei.
Non mi piace essere
presa in giro.
Alec Lightwood allontanò il ricevitore dall'orecchio e, per
un istante, fu tentato di scaraventarlo contro il muro. Fece un respiro
profondo e cercò di scacciare l'irritazione che lo invadeva
sempre quando le decisioni venivano prese senza consultarlo.
Alec era un tipo preciso, scrupoloso, metodico. Gli piaceva controllare
le cose, pianificare tutto nei minimi dettagli e ponderare con largo
anticipo ogni mossa, anche quella successiva.
In quel momento, però, niente stava andando come voleva. Era
stato preso completamente in contropiede e, spiazzato, stava faticando
non poco a tirarsi fuori da quella situazione che l'aveva investito
come uno tsunami.
Con un altro sospiro esagerato svuotò i polmoni e si
sforzò di tenere a bada la frustrazione che gli ribolliva
nelle vene. Perdere il controllo non sarebbe servito a nulla. Non con
la persona dall'altro capo del telefono, almeno. No, con lui doveva rimanere
calmo, freddo, lucido. O non avrebbe avuto scampo e sarebbe rimasto
schiacciato dalla sua ferrea volontà di piegarlo al suo
volere.
"E cosa dovrei farmene di questa guardia del corpo?" ringhiò
Alec, tamburellando, nervoso, le dita sul piano lucido della sua
scrivania, sormontata da una montagna di fascicoli e fogli sparsi su
tutta la superficie.
C'era una pila, al suo fianco, che pendeva pericolosamente verso destra
e minacciava di franargli addosso da un momento all'altro. Quello,
però, era l'ultimo dei suoi pensieri, anzi c'era una vocina,
dentro di lui, che gli stava suggerendo che sarebbe stato meglio venire
seppellito da tutte quelle scartoffie piuttosto che affrontare la
catastrofe che stava avendo luogo. Diede un colpetto con l'indice alla
pila, per raddrizzarla alla bell'e meglio, poi prese un matita per
renderla ancora più stabile, ma con scarsi risultati. Dopo
un lungo sospiro e un'occhiata critica, scrollò le spalle,
decretando che non c'era il rischio di morire travolto da decine e
decine di fogli, non per il momento almeno, e tornò quindi a
concentrarsi sulla conversazione telefonica che gli stava
irrimediabilmente rovinando quella domenica mattina.
"E' ridicolo." continuò, appallottolando con una mano un
foglio scarabocchiato, gettandolo poi, con un gesto deciso, nel cestino
ricolmo accanto alla sua gamba.
La voce profonda di Robert Lightwood risuonò dall'altro capo
del ricevitore, calma. "Non è una guardia del corpo, Alec."
lo corresse suo padre, tranquillo. "E' più un.. custode."
specificò, dopo un momento di pausa "Sì, direi
che è la definizione più calzante."
"Ahn-ahn. Certo, come no. E io sono il Presidente degli Stati Uniti!"
lo schernì Alec, secco, roteando gli occhi a quella ridicola
spiegazione.
Suo padre stava tentando di raggirarlo. Era un artista in questo.
Solitamente usava questo trucchetto con il "nemico", ossia i suoi
avversarsi politici, ma, se necessario, non si faceva alcuno scrupolo a
sfruttarlo anche con i membri della propria famiglia, se questo
significava raggiungere il proprio scopo. In quel momento, ad esempio,
sperava di fregare Alec dando un'altra definizione a colui che, a tutti
gli effetti, in realtà era un cane da guardia che ben presto
avrebbe sconvolto la sua tranquilla vita di agente di viaggi. Lui,
però, non ci cascava.
"Alec.." sospirò Robert. "Si assicurerà solamente
che non ti succeda niente." spiegò con tono rassicurante.
"Davvero? E perché questo tizio non custodisce Jace o,
meglio ancora, Izzy? Eh? Perché non va a rompere le scatole
a lei?" chiese Alec, stizzito. "Sono certo che Izzy troverebbe la cosa
estremamente eccitante e divertente, a differenza del sottoscritto!"
"Perché loro non hanno ricevuto minacce di morte."
"Ma quali minacce, per l'angelo!" ribatté Alec, alzando il
tono di voce e sbuffando esasperato. "Stiamo parlando di una stupida
e-mail, papà! Una soltanto! Ed era indirizzata a te, non a
me!"
Suo padre esagerava. Sempre. Era il re indiscusso del dramma. Nessuno
aveva la predisposizione a ingigantire ed enfatizzare qualcosa come
Robert Lightwood e quella situazione ne era il classico esempio
lampante.
Santo cielo, solo perché un tizio, con più di una
rotella fuori posto, gli aveva inviato un'e-mail, in cui lasciava
intendere che conosceva l'attività di Alec, sembrava che, di
lì a poco, stesse per avere luogo l'Apocalisse e che i
quattro cavalieri fossero pronti a squarciare il cielo con le loro armi
da guerra e scendere sulla terra per seminare morte e distruzione.
"Alec, questo tipo di intimidazioni non vanno prese alla leggera." si
giustificò Robert.
"Papà, apprezzo la tua preoccupazione per me, davvero, ma
non sono più un bambino. So badare a me stesso! Senza
contare che si è trattato sicuramente di un brutto scherzo e
nulla di più!" rispose Alec con convinzione, evitando
accuratamente di menzionare ciò che aveva trovato sopra la
tastiera del suo PC.
Lei,
infatti, era stata lì.
Alec si rigirò, tra le dita, uno dei suoi tanti biglietti da
visita della sua agenzia di viaggi, Cacciatori di sogni.
Questo, però, era diverso da tutti gli altri: nella parte
immacolata, che si trovava sul retro del cartoncino, minacciose
lettere, scritte con inchiostro rosso, marchiavano, enormi, lo spazio
color avorio.
Non era firmato, ma Alec non aveva dubbi su chi fosse la mittente.
Lydia Monteverde gli aveva chiesto un appuntamento ogni giorno da
quando era entrata la prima volta nel sua agenzia, due mesi addietro,
per informazioni su una vacanza.
Era successo anche il giorno prima e, ancora una volta, Alec aveva
rifiutato con educazione, adducendo l'ennesima scusa per non cenare con
lei.
Trascurando il fatto che quella ragazza non era decisamente il suo
tipo, visto che Alec preferiva tratti ben più mascolini,
c'era qualcosa, nel suo comportamento, che l'aveva messo in allerta fin
dal loro primo incontro e ora sapeva che il suo istinto non si era
sbagliato: l'interesse di Lydia, nei suoi confronti, si stava
trasformando in morbosa ossessione e Alec iniziava a sentirsi davvero a
disagio per quella situazione.
Non era affatto preoccupato che gli potesse succedere qualcosa, no,
questo no, ma era spiacevole doversi continuamente "difendere" da
quegli attacchi indesiderati. Non gli era mai capitato di essere
l'interesse amoroso di nessuno, non nel senso romantico del termine
almeno, e di certo non aveva alcuna intenzione di iniziare a esserlo
ora. Soprattutto se quelle attenzioni arrivavano da una ragazza, per
l'angelo!
Incastrò la cornetta del telefono tra l'orecchio e la spalla
e strinse le labbra in una lunga linea sottile, mentre rileggeva il
messaggio delirante che aveva davanti, guardandosi poi nuovamente
attorno, con uno strano senso di inquietudine. Come diavolo aveva fatto
a entrare? La serratura era intatta e non c'era alcun segno di
effrazione. Nulla era fuori posto e tutto sembrava come l'aveva
lasciato il giorno prima, a parte il biglietto con le lettere scarlatte
scritte a caratteri cubitali, che era stato incastrato tra i tasti
della tastiera del suo computer. Il pensiero che quella donna potesse
avere accesso al suo ufficio, in ogni momento, lo infastidì
e turbò al tempo stesso.
Fissò, pensieroso, lo sguardo fuori dalla finestra, dove la
vita trascorreva tranquilla, almeno rispetto a quanto stava succedendo
dentro al suo ufficio. Un pallido sole domenicale accompagnava la
giornata dei newyorkesi, che, carichi di sacchetti colorati e
indaffarati a chiacchierare con il proprio accompagnatore o a parlare
al telefono, affollavano il marciapiede al di là del vetro.
Quell'usuale e pacifico tran-tran era in netto contrasto con
l'atmosfera che stava respirando Alec, carica di tensione ed
elettricità. Improvvisamente il moro desiderò
essere lì fuori.
Il lungo silenzio dall'altra parte della linea ebbe il potere di
riportarlo bruscamente al presente e di focalizzare la sua attenzione
su ciò che stava accadendo in quel momento. Alec sapeva
bene, infatti, che suo padre stava per passare all'attacco, ponderando
con attenzione le prossime parole che gli avrebbe rivolto.
Robert Lightwood era un uomo che raramente agiva d'impulso: il suo
autocontrollo era proverbiale e soppesava ogni parola prima di
pronunciarla, stando sempre attento ai toni e ai contenuti delle
proprie dichiarazioni. Anche per questo era uno dei favoriti, tra i
vari candidati che si sarebbero contesi l'ambita poltrona al Senato
alle prossime elezioni.
"Alec, chiunque ci sia dietro a questa faccenda, sa benissimo che il
modo migliore per colpire me è colpire i miei cari."
mormorò Robert, con un esagerato sospiro melodrammatico.
Alec irrigidì le dita attorno al biglietto da visita che
aveva in mano, intuendo la nuova tattica dell'uomo: far leva sul suo
senso di colpa. Era un comportamento sleale.. e così tipico
di suo padre!
Non sapeva se Lydia c'entrasse qualcosa o meno, ma lo sconosciuto che
aveva inviato l'e-mail a Robert non aveva rivolto nessuna reale
minaccia ai suoi familiari, perciò Alec sapeva di non essere
davvero in pericolo e trovava, quindi, assurda l'idea di vedersi
affibbiare una guardia del corpo. Non ne aveva bisogno. Era un uomo,
per l'angelo! Nel caso in cui ci fosse stato davvero un pazzo che
l'aveva preso di mira, lui era capacissimo di badare a sé
stesso. Era alto e ben piazzato e poteva stendere tranquillamente
qualsiasi aggressore osasse anche solo avvicinarsi. Non era affatto la
damigella in pericolo che suo padre si ostinava a pensare, dannazione!
Al contempo, però, c'era una parte di lui, quella diligente,
quella che faceva sempre la cosa giusta, quella che metteva la famiglia
prima di tutto, che non voleva assolutamente far preoccupare l'uomo
dall'altro capo della cornetta, che già viveva un momento
stressante, tra la gestione dell'azienda di famiglia, la corsa al
Senato e le minacce dello sconosciuto.
Suo padre non era sempre stato un genitore affettuoso e presente nella
vita dei propri figli. Votato al lavoro, aveva dedicato alla propria
società e alla propria scalata politica molto più
tempo e molte più energie di quelle che aveva riservato ad
Alec e ai suoi fratelli, ma il ragazzo sapeva che, a modo suo, voleva
loro bene e lo sentiva davvero preoccupato, forse memore di quanto
successo dieci anni prima, quando uno sconosciuto aveva assassinato il
membro più piccolo della famiglia Lightwood, Max.
Un'ondata di dolore minacciò di soffocare Alec,
trascinandolo in un abisso buio e freddo. Nonostante fosse passato del
tempo, quell'episodio l'aveva segnato nel profondo e, da quando non
c'era più Max, il moro era cambiato. Non che prima fosse
l'anima della festa ogni qual volta entrasse in una stanza, eh. No, lui
non era mai stato come suo fratello Jace, che sembrava brillare di luce
propria tanto era splendente, né tantomeno aveva il carisma
e l'autostima di sua sorella Isabelle, che sembrava avere un enorme
cartello lampeggiate sopra la testa con su scritto "Lo so! Lo so! Sono
fantastica!", ma perlomeno riusciva a sorridere alle battute e a
sostenere una conversazione che durasse più di due frasi
fatte. Dopo la scomparsa di Max, invece, Alec si era chiuso in se
stesso, diventando apatico. Per un certo periodo non gli era importato
nulla di vivere e aveva addirittura sperato di raggiungere il
fratellino, ovunque lui fosse. C'era voluto del tempo prima che,
lentamente, riprendesse i contatti con la realtà e, anche se
qualcuno (sua madre) riteneva che la sua non era comunque un qualcosa
che si potesse definire vita, ma una sorta di ritiro, di sospensione,
ad Alec non importava. Certo, gli dispiaceva moltissimo non riuscire a
toglierle quello sguardo preoccupato ogni qual volta coglieva i suoi
occhi posati su di lui, ma si sentiva impotente a cambiare quella
situazione. E, a dirla tutta, non era neanche sicuro di volerlo fare.
Prese un respiro profondo e accantonò con forza tutti quei
pensieri, riportando la sua attenzione al presente e sul fatto che
aveva il forte sospetto che Robert stesse sfruttando, forse
inconsapevolmente, la situazione in cui si trovavano in quel momento
per cercare di essere il tipo di padre che avrebbe voluto e dovuto
essere dieci anni prima.
Fin dall'infanzia, il loro rapporto era stato piuttosto anaffettivo e
sbrigativo. A causa del suo lavoro, Robert non aveva mai avuto tempo di
andare a vedere il piccolo Alec praticare il tiro con l'arco, il suo
sport preferito in assoluto, o portarlo allo Yankee Stadium a
vedere una partita di baseball della sua squadra del cuore, i New York Yankees.
Non c'erano mai stati abbracci caldi o coccole prima di andare a
dormire, né discorsi di incoraggiamento quando un compito
non era andato come avrebbe voluto, nonostante il moro avesse studiato
come un dannato. Per gran parte della sua vita, Alec aveva dovuto
combattere per affermare la propria indipendenza e le proprie
capacità. Suo padre aveva sempre preteso da lui dei
risultati assurdamente alti e non si era mai fatto scrupolo di
criticarlo aspramente ogni volta che il ragazzo non raggiungeva gli
standard richiesti.
L'entrata nella fase adolescenziale aveva incrinato maggiormente quel
fragile legame di sangue, che era peggiorato drasticamente dopo il
coming out del moro, avvenuto a diciassette anni, ed era stato quasi
del tutto reciso quando Alec aveva dichiarato, orgogliosamente, che non
sarebbe entrato nell'azienda di famiglia nemmeno per tutto l'oro del
mondo.
Per Robert era stata una mazzata tremenda scoprire che al suo
primogenito non interessava minimamente entrare in società
con lui e, soprattutto, che gli piacessero i maschi. No, era
assolutamente fuori discussione che suo figlio, sangue del suo sangue,
non solo non avrebbe mai garantito il proseguo della stirpe Lightwood,
con numerosi nipoti maschi, ma sarebbe stato addirittura condannato
alla dannazione eterna, ardendo nelle fiamme dell'inferno, a causa
della sua condotta peccaminosa e immorale.
La tragedia familiare che li aveva colpiti, però, li aveva
avvicinati come niente altro avrebbe potuto fare e, negli anni, la loro
relazione era migliorata a tal punto che suo padre aveva iniziato a
scherzare sul fatto che Alec fosse uno zitello impenitente
e che sarebbe diventato un vecchio rugoso prima di vederlo in abito
nuziale, accanto all'uomo della sua vita.
"Per favore, Alec." lo stava pregando Robert, con tono accorato. "Fallo
per me. Fallo per tua madre."
Alec sospirò profondamente. Anche tirare in ballo sua madre
era un'altra mossa sleale tipica di Robert. Suo padre sapeva benissimo,
infatti, che il moro si sarebbe strappato il cuore dal petto per Maryse
Lightwood e che non avrebbe mai fatto nulla (non intenzionalmente,
almeno) che l'avrebbe fatta soffrire o preoccupare.
Sua madre era stata la sua più preziosa alleata, insieme a
sua sorella Isabelle, nel delicato processo di scoperta del proprio
orientamento sessuale, facendogli da scudo ogni qual volta Robert
scagliava contro di lui tutta la propria frustrazione e Alec gliene
sarebbe stato sempre grato per questo. Era stata Maryse la prima spalla
su cui aveva pianto tutte le sue lacrime amare e disperate, quando
aveva scoperto di essere gay, ed era stata sempre Maryse a spronarlo a
non arrendersi alle prime difficoltà e a spingerlo a
inseguire i suoi sogni e a essere felice. Se era l'uomo che era
diventato, seppur apparentemente incompleto, lo doveva a lei.
"E va bene." concesse alla fine il moro, rassegnato, dopo un lungo
momento. "Gli permetterò di venire con me al lavoro e dare
un'occhiata veloce al mio appartamento, quando rientrerò, ma
nulla di più. Non vivrà con me."
"Perché no?" chiese Robert, sorpreso. Non contento di averla
appena spuntata sulla questione guardia
del corpo, suo padre era già passato a un nuovo
obiettivo. "Casa tua è grande abbastanza per entrambi! Ci
sarebbe sicuramente spazio anche per lui e.."
Alec roteò gli occhi. "Papà!" lo
bloccò. "Prima di tutto il mio appartamento non è
affatto grande. Per l'angelo, ci sto a malapena io e.."
"Te l'ho sempre detto che posso aiutarti a prenderne uno più
spazioso." lo interruppe Robert.
"Papà!" lo rimbeccò Alec, esasperato. "Per
favore, non riapriamo questo vecchio discorso!"
"Ma Alec.."
L'appartamento di Alec era una delle tante battaglie che suo padre
soleva intraprendere contro di lui. A Robert sarebbe piaciuto
comprargli una casa enorme, sfarzosa, moderna, con un numero infinito
di stanze e aggeggi tecnologici inutili. Il moro però aveva
sempre rifiutato: a lui piacevano le sue quattro mura sgangherate, che
sembravano stare su per miracolo, e il suo divano malconcio, pronto per
la discarica.
"E, secondo.." continuò Alec, ignorando le proteste del
padre. "..non permetterò a uno sconosciuto di gironzolare
per casa mia o per la mia agenzia. Spaventerebbe i clienti!"
"Ma per favore!" ribattè suo padre, con uno sbuffo.
Anche la sua amata agenzia di viaggi, ereditata direttamente da nonna
Phoebe Lightwood, era sempre stato uno motivo di disputa piuttosto
"infuocato". Fin dalla sua nascita, infatti, Robert aveva dato per
scontato che Alec, un giorno, avrebbe preso il suo posto
nell'attività di famiglia, ma il moro aveva sempre avuto ben
altre ambizioni. Il ragazzo, infatti, adorava il lavoro della nonna
nell'aiutare le persone a realizzare il loro sogno di viaggiare e
affiancarla, in quella particolare e magica missione, l'aveva coinvolto
fin dall'infanzia, dove, alto come un soldo di cacio, si arrampicava
sulla scrivania dell'anziana donna per rispondere al telefono e
proporre le mete più esotiche che gli venivano in mente in
quel momento.
"E comunque non è uno sconosciuto." continuò
Robert. "Te l'ho detto, è il figlio di.."
"Di quel tuo vecchio compagno d'armi in Marina. Sì, lo so.
Me l'avrai ripetuto almeno cinque volte."
"Si chiama Magnus, è un militare e dovrebbe arrivare domani
mattina, alle otto in punto. Per favore, Alec, sii gentile con lui." lo
esortò Robert, anche se quelle parole suonarono
più come un ordine che un'accorata raccomandazione.
Alec inspirò bruscamente. "Io sono sempre gentile!"
ribatté con prontezza, accigliandosi subito dopo,
palesemente risentito, quando sentì dall'altra parte della
linea la risata allegra di suo padre, malamente camuffata con un colpo
di tosse. "Ehi! Ti stai prendendo gioco di me?"
"Oh, per l'angelo, ma guarda un po' che ore sono!" esclamò
la voce divertita di Robert. "Ti devo proprio lasciare, figliolo. Ho un
appuntamento urgente." chiosò furbescamente. "Io e tua madre
non vediamo l'ora di vederti! Ci sentiamo presto! Ciao!"
"Cosa? No! Non abbiamo ancora fin.."
Si udì un clic, poi il segnale che la comunicazione era
stata interrotta. Alec mormorò un verso strozzato, mentre
fissava, attonito, la cornetta ormai muta.
Sospirò per la milionesima volta, poggiando la fronte sugli
avambracci incrociati sopra la scrivania, e tentò di
scacciare tutti i pensieri negativi su Lydia e sullo sconosciuto che,
indirettamente, gli stava creando non poche seccature. Quella giornata
era cominciata in modo davvero pessimo ed erano solo le nove di mattina.
Dopo un lungo momento di pace, il telefono iniziò a suonare
nuovamente. Alec allungò stancamente una mano e si
portò il ricevitore all'orecchio, senza neanche alzare la
testa.
"Pronto?" rispose, con voce funebre.
Era così di cattivo umore che, nonostante fosse il giorno di
chiusura, non si era nemmeno presentato con la solita frase di cortesia
che usava sempre, meccanicamente, quando il telefono dell'agenzia
squillava.
"Alec?" chiese, titubante, una voce familiare.
"Sì." confermò il ragazzo, con un tono che
arrivava direttamente dall'oltretomba.
"Stai bene?"
"Ahn-ahn."
"Sicuro?"
"Sì."
"Uhm.. se lo dici tu. Comunque, per l'angelo, è da un'ora
che cerco di chiamarti! Si può sapere che ci fai in ufficio?"
Alec sospirò, raddrizzandosi sulla poltrona e massaggiandosi
il setto nasale. "Ciao, Iz."
"Ciao?" chiese Isabelle, sul piede di guerra. "Alec, perché
sei lì?" ripeté nuovamente, con tono accusatorio.
"Sto solo sistemando alcune scartoffie e mettendo un po' a posto
l'ufficio." si difese Alec, con un sospiro stanco.
Il moro sentì, in modo chiaro, la sorella minore sbuffare
pesantemente. "Oh, Alec.. l'agenzia non andrà in rovina se
ti prendi un giorno di riposo." lo ammonì dolcemente.
Alec sorrise. Isabelle Lightwood era fatta così: nonostante
fosse il fratello maggiore, vivesse da solo da anni e decidesse della
sua vita da molto di più, sua sorella si preoccupava per
lui, sempre. Le crociate di Isabelle, contro lo stacanovismo fraterno,
erano ormai diventate una prassi domenicale e la ragazza non mancava
mai di assicurarsi che non si stancasse eccessivamente, rimproverandolo
senza indugio quando lavorava troppo.
La quantità di lavoro che si stava accumulando sopra la
scrivania di Alec, però, aumentava di giorno in giorno e, se
non avesse approfittato del suo unico giorno libero, il moro sapeva
che, di certo, tutte quelle pratiche non si sarebbero svolte da sole,
ma, anzi, sarebbero diventate una pila imponente che sarebbe arrivata a
sfiorare il soffitto. Toccava a lui portarle a termine.
E, d'altro canto, era anche giusto così. L'agenzia di viaggi
era una sua responsabilità e, a differenza dei fratelli, non
aveva alcuna vita sociale che lo aspettava dopo il lavoro: non aveva un
fidanzato con cui passare il tempo né una moltitudine
impressionante di amici con cui uscire o cose davvero interessanti da
fare. Era un tipo solitario che amava la sua tranquilla routine, il suo
lavoro, gli inviti a pranzo o a cena dei genitori e passare il tempo
con i suoi fratelli. Una vita semplice, insomma.
Per amore di cronaca, andava detto che i fratelli avevano tentato, in
più di un'occasione, di alleviare la sua solitudine,
incoraggiandolo a uscire e organizzandogli qualche appuntamento
galante, ma Alec oramai era diventato un vero esperto nel sviare tali
inviti, anche perché, quelli in cui erano riusciti a
incastrarlo, convincendolo a presentarsi, erano finiti tutti in modo
disastroso.
Sua sorella diceva che era troppo esigente, che le sue aspettative per
un semplice appuntamento spensierato erano troppo alte, ma lei non
aveva mai avuto a che fare con quegli individui, per l'angelo! Non era
colpa di Alec se quegli incontri erano finiti male: gli erano capitati
i peggiori maschi in circolazione, santo cielo! Uno viveva ancora con
la mamma, un altro aveva parlato a vanvera per tutta la sera, senza mai
fermarsi o porgli qualche domanda per sapere qualcosa di più
sul suo conto, e un altro ancora era più interessato
all'aspetto dei propri capelli che a chiacchierare con lui. Il peggiore
di tutti, però, era senza ombra di dubbio l'ultimo con cui
avevano tentato di accasarlo: un biondino che aveva passato una
mezz'ora buona ad annusarsi le ascelle, prima di schiaffargliene una in
faccia e chiedergli, dubbioso, "Secondo te, puzza?". Alec
ricordò di aver appoggiato la tazza del suo té
caldo sul tavolo e, schifato, di essersi alzato e di essersene andato
senza dire una parola.
Insomma, già era difficile essere gay, con tutto il pesante
bagaglio che ne conseguiva, figurarsi se si sarebbe accontentato del
primo idiota che quelle spine nel fianco gli spingevano a forza tra le
braccia. Non era mica così disperato! Non aveva bisogno del
loro intervento inopportuno e, il più delle volte,
imbarazzante. Se voleva, sapeva trovarselo da solo un uomo, per
l'angelo! Solo che, in quel momento, non sentiva tutta quella
necessità di appiccicarsi a qualcuno, e rinunciare alla sua
libertà, ecco.
"Avevi bisogno di qualcosa?" chiese alla sorella, per evitare la solita
ramanzina che, era certo, sarebbe arrivata da lì a poco.
"Cosa? Oh, sì!" esclamò Isabelle. "Hai sentito
Jace? Ho provato a contattarlo non so quante volte, ma è da
ieri che mi sta evitando!"
"Non ti ha ancora fornito la lista, eh?" chiese Alec, con un sorriso
che la sapeva lunga.
Jace era il loro fratello adottivo. Si sarebbe sposato tra un mese e
Isabelle si era offerta di organizzare a lui e alla fidanzata,
nonché segretaria di Alec, Clary Fairchild, una festa di
fidanzamento per il sabato seguente. Peccato che il biondino, in due
settimane, non avesse ancora fornito l'elenco dei suoi invitati a
Isabelle, dando la colpa al suo lavoro di agente di polizia, che lo
teneva impegnato costantemente ventiquattro ore su ventiquattro.
"Ho i fornitori che mi stanno con il fiato sul collo e non so
più quale scusa inventarmi, per l'angelo!"
sbraitò Isabelle, seccata. "Giuro che se non me la spedisce
entro oggi lo strangolo, anche se è un agente di polizia!"
"Gli manderò un messaggio." promise Alec, ridacchiando, per
poi tornare serio quando adocchiò nuovamente il biglietto di
Lydia. "Ah, Iz, quando parli con Simon, gli accenni per cortesia che
voglio installare un sistema d'allarme in ufficio?"
Il fidanzato di Isabelle, Simon Lewis, lavorava per una
società di sicurezza e Alec era certo di potersi fidare di
lui e della sua esperienza al fine di essere più discreto e
veloce possibile nel montare l'antifurto.
"Un sistema d'allarme?" chiese Isabelle, sbalordita. "Ha a che fare con
l'e-mail ricevuta da papà?"
Alec roteò gli occhi. "No e non voglio parlare di lui. Sai
che mi ha imposto una guardia del corpo a causa di quella stupida
e-mail?" si lagnò, stizzito. Il moro sentì
chiaramente sua sorella inspirare bruscamente e poi emettere un
singulto. Alec scostò la cornetta dall'orecchio per
fissarla, quasi avesse potuto vedere Isabelle al suo posto, poi la
riportò dov'era. "Stai.. stai ridendo?" le chiese, tra il
sorpreso e l'offeso.
"Cosa? No!" esclamò Isabelle, lasciandosi scappare un verso
stridulo.
"Non c'è niente da ridere!" ribatté Alec,
indignato. "E' inaccettabile che papà vìoli la
mia privacy in questa maniera, obbligandomi a ospitare un perfetto
sconosciuto in casa mia!"
"Aspetta, dormirà da te?" chiese Isabelle, lasciando perdere
ogni freno e ridendo apertamente. "Oh per l'angelo! Non vorrei essere
nei suoi panni!"
"Scusa?" domandò Alec, sbalordito. "E con questo, cosa
vorresti dire?"
"Oh, Alec, lo sai che ti voglio un bene dell'anima, sul serio, ma devi
ammettere che non è facile interagire con te. Ti chiudi a
riccio e mordi chiunque osi anche solo avvicinarsi a dieci metri dalla
tua persona."
"Cosa? Ma non è vero! " si difese Alec, indignato.
"Quel poveretto patirà le pene dell'inferno."
continuò Isabelle, allegra.
"Beh, nessuno lo obbliga a venire! Non ho bisogno di lui!"
Isabelle ridacchiò. "Quando dovrebbe arrivare?"
"Domani. Alle otto." rispose Alec, tetro.
"Voglio una sua foto!" pretese Isabelle, divertita.
"Cosa? No! Non gli farò alcuna foto!" protestò
Alec, scandalizzato.
"Oh, vabbè! Tanto lo vedrò comunque!"
dichiarò la ragazza, compiaciuta. "Ma, se non è
per l'e-mail, perc.. aspetta! Non dirmi che lei è
ritornata alla carica!"
Alec sospirò. Isabelle era l'unica, tra amici e parenti, a
essere a conoscenza dell'esasperante ossessione che Lydia aveva per
lui. L'aveva scoperto per puro caso, quando, un giorno in cui dovevano
pranzare insieme, aveva notato gli appostamenti della bionda davanti
alla sua agenzia di viaggi. Da quel momento, sua sorella non mancava
mai di esternare tutta la sua preoccupazione per quella spinosa
situazione ed era quindi del tutto inutile tentare di nasconderle il
biglietto che aveva trovato quella mattina. Primo, perché
sua sorella era dotata di un sesto senso che, in più di
un'occasione, gli aveva fatto venire i brividi, ed era certissimo
quindi che avrebbe fiutato la novità anche dalla cornetta
del telefono, e, secondo, perché, una volta scoperto il
tutto, si sarebbe di certo esibita in una sceneggiata epocale sul fatto
di non essere stata messa al corrente dei nuovi sviluppi.
"Sì. Non so come, ma è entrata qui dentro e.."
"Aspetta! Aspetta! COSA??? E' entrata nella tua agenzia?"
urlò Isabelle, spaccandogli un timpano.
"Iz, non serve gridare in questo modo." implorò Alec,
massaggiandosi il padiglione auricolare.
"Sì, sì, scusa." tagliò corto
Isabelle. "Come diavolo ha fatto quella tizia a entrare?" chiese,
moderando il tono di voce.
"Non lo so. Ho controllato da cima a fondo, ma non ci sono segni di
effrazione." rispose Alec, guardandosi attorno, per l'ennesima volta,
alla ricerca della più minima traccia del passaggio della
ragazza. "L'ufficio è a posto." la rassicurò. "Ha
solo lasciato un biglietto."
"Un biglietto? Che tipo di biglietto?" chiese Isabelle, preoccupata.
Alec glielo lesse. "Non è niente di serio, comunque. Non
preoccuparti." minimizzò, tentando di tranquillizzarla.
"Alec! Quella psicopatica ti perseguita da mesi! Ora è
entrata nel tuo ufficio per lasciarti un messaggio minatorio e io non
dovrei preoccuparmi?" berciò Isabelle, tornando ad alzare la
voce. "Grazie a cielo da domani hai una guardia del corpo, ma la tua
agenzia.. Ah, ma adesso ci penso io! Dirò a Simon di venire
domani stesso!"
"Ma.." protestò Alec, debolmente. "Potrebbe già
avere degli appuntamenti fissati. Sul serio, Iz, non è
urgente e.."
"Domani mattina sarà lì!" ripeté
Isabelle, con tono autoritario.
Alec sospirò. Non voleva farla preoccupare né
tantomeno seccare Simon con qualcosa che, forse, non era davvero niente
di serio, ma sapeva, però, che far ragionare Isabelle,
quando si metteva in testa una cosa, era impossibile. Era identica a
Robert! "Ti ringrazio." mormorò quindi, rassegnato.
"Ma ti pare! Ehi, ti va di venire a pranzo da noi, oggi?" gli propose,
dolcemente. "Cucino io!"
Alec sbarrò gli occhi e iniziò a sudare freddo.
"Cu-cucini tu?"
"Sì!" esclamò Isabelle, entusiasta. "Ho trovato
questa ricetta su internet, per fare la pasta al forno, che
è favolosa! Sembra davvero facile da preparare!"
"Beh.." rispose Alec, schiarendosi la gola. "Ho.. ehm.. credo.. beh..
sai.. volevo.." balbettò, alla ricerca spasmodica di una
scusa qualsiasi.
Sua sorella era strepitosa in tutto, davvero, e Alec l'amava
moltissimo, ma quella benedetta ragazza non sapeva distinguere il sale
dallo zucchero e una volta era riuscita persino a bruciare una pentola
con dentro della semplicissima acqua. Isabelle Lightwood era totalmente
negata nell'arte culinaria e ora voleva preparargli la pasta al forno?
No, Alec era troppo giovane per morire.
"Ho.. ecco.. non posso. No. Sai.. ehm.. uhm.. sì.. ecco..
ah! No, non posso! No, no! C'è questa gara di tiro con
l'arco che comincia alle undici e non so davvero quando
finirà. Ecco.. sì.. sai com'è..
ehm..sì, insomma.." Alec aveva sparato la prima cosa che gli
era venuta in mente. Il tiro con l'arco era una delle sue
più grandi passioni e, tutto sommato, non era poi
così improbabile che andasse davvero ad assistere ad una
gara. "Mi piacerebbe andare a vederla. Già. Sì,
mi piacerebbe molto. Ecco. Quindi.. ehm.. non posso, no."
"Che peccato!" rispose Isabelle, dispiaciuta. "Però, ora che
mi ci fai pensare, è meglio così!"
"P-perché?" indagò Alec, preoccupato.
"Beh, perché così possiamo cenare insieme una di
queste sere. Con la tua guardia del corpo!" dichiarò
Isabelle, prendendolo in contropiede.
"Una.. una di queste sere? Uhm.. non so.. forse.. sai.. uhm.. non credo
che.. beh.. ecco.. ehm.. dobbiamo.. sì, insomma, dobbiamo
vedere come va e.."
"Ah, sciocchezze! Vedrai che gustosa cenetta ti preparerà la
tua sorellina!" gli assicurò Isabelle, tutta felice.
"Beh.. ecco.. Iz, non credo che.." esalò Alec, stringendo
spasmodicamente il biglietto di Lydia.
"Ora ti devo lasciare! Ci sentiamo più tardi, ok? Ciao,
fratellone."
"Ciao." mormorò Alec, piano, incapace di proferire un'altra
parola.
Una spasimante ossessionata da lui, uno sconosciuto che lo minacciava
indirettamente tramite e-mail, un cane da guardia pronto a
stravolgergli la vita e ora l'invito di Isabelle. Perché
Alec non era rimasto a letto quella mattina?
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
"Guardia
del corpo?"
Ragnor
Fell rivolse all'ex collega un'espressione costernata, prima di
scoppiare a
ridergli in faccia senza alcun ritegno.
Per
quanto irritato, Magnus Bane non poté dargli torto. Se le
loro posizioni
fossero state invertite, anche lui si sarebbe sganasciato dalle risate.
Trangugiò
l'ennesima sorsata del suo drink, fingendo di ignorare le canzonature
dell'amico, e si appoggiò allo schienale del divanetto di
vinile rosso,
lasciando scivolare lo sguardo sugli altri clienti che affollavano il Taki's
Diner.
Negli
altri tavoli sedevano diverse coppie, mentre alcuni giovani, soli e con
il
bicchiere in mano, si spostavano da un gruppetto all'altro, cercando di
attaccare bottone con qualche bella ragazza. Della musica jazz, che
proveniva
da un vecchio jukebox, si propagava piacevolmente per tutto il locale,
permettendo ai clienti di chiacchierare tra di loro senza il bisogno di
alzare
la voce, mentre le cameriere, fasciate in minuscole minigonne di pelle
nera e
con gli ombelichi lasciati in bella vista da corti top di lycra rosso
fiammante, ondeggiavano su vertiginosi tacchi a spillo e tenevano in
bilico i
vassoi colmi delle ordinazioni da consegnare ai tavoli.
Una
bionda prosperosa gli fece l'occhiolino, mentre raccoglieva al volo il
suo
bicchiere ormai vuoto, e Magnus sorrise compiaciuto, sporgendosi poi
leggermente, mentre la ragazza si allontanava, per guardarle il sedere
tondo e
ondeggiante. Diavolo, avrebbe dato non sapeva cosa per saggiarne la
consistenza
e passare qualche oretta in sua compagnia.
Tornò
a far vagare lo sguardo per il locale e si soffermò sul
barista moro che,
chinato sul bancone, stava ascoltando, con sguardo attento, le
ordinazioni di
un paio di ragazze. Si leccò le labbra alla vista della
muscolatura ben
definita del petto, ingabbiata in una camicia nera, che ne accentuava
le
fattezze, con i primi tre bottoni slacciati. Magnus avrebbe scambiato
volentieri due chiacchiere anche con lui, magari appartandosi nella
stanzetta
che i dipendenti del locale usavano per riporre le proprie cose, che si
trovava
dietro il bancone. Gli sarebbe piaciuto davvero molto sganciare il
resto dei
bottoni di quella camicia e liberare finalmente quella pelle tutta da
leccare e
da mordere.
La
consapevolezza dei giorni d'inferno che lo attendevano,
però, lo deprimeva al
tal punto da inibire la sua consueta e sfacciata intraprendenza.
"Scusa,
amico." riprese Ragnor, asciugandosi una lacrima e continuando a
ridere.
"Proprio non ce la faccio a smettere."
Magnus
si incupì, riportando brevemente lo sguardo sull'altro. "Mi
fa piacere che
qualcuno trovi la cosa così divertente."
"Solo
a te possono capitare situazioni del genere!" affermò l'ex
collega, con
gli occhi neri che scintillavano dal divertimento e riprendendo poi a
ridere.
"Setan ha colpito ancora!"
"Stai
sicuro che questa è l'ultima volta che faccio loro
un
favore." borbottò Magnus, facendo cenno a una cameriera di
portargli un
altro drink e sorridendole poi, grato, quando la graziosa brunetta gli
mise
davanti un bicchiere colmo di liquido ambrato.
Poggiò
il mento sul palmo della mano, mentre i suoi occhi si spostavano
sull'ampia
vetrata del locale che si affacciava sulla strada trafficata. Anche in
quella
gelida serata di febbraio, New York pullulava di turisti. Con le
macchine
fotografiche appese al collo e le guide turistiche in mano, decine e
decine di
visitatori percorrevano a passo rilassato le vie infinite della
città,
dirigendosi verso i luoghi d'interesse più o meno famosi,
entrando nei negozi
di souvenir, che erano aperti tutto l'anno, e sperimentando i molti
ristoranti
della zona che, come i proprietari dei bar, potevano contare su un
flusso
costante di clienti che non diminuiva mai.
Magnus
adorava New York. Era cresciuto tra le sue strade colorate e brulicanti
di
vita, respirando a pieni polmoni gli odori e i profumi che ne
impregnavano
l'aria, godendosi la vita appieno. La sua amata città aveva
tutto quello che si
poteva desiderare: luci, colori, musica, feste, locali.
In
altre circostanze, Magnus avrebbe passato in rassegna questi ultimi per
tutta
la sera, per poi concludere la nottata in compagnia di qualche
newyorkese o
turista compiacente (uomo o donna, per lui non faceva alcuna
differenza), ma,
dannazione a lui, aveva accettato di fare un favore a suo padre e ora
si
trovava praticamente condannato all'ergastolo.
Tutto
era iniziato quella mattina, con la solita telefonata giornaliera da
parte dei
suoi genitori.
Ogni
giorno suo padre Asmodeus lo chiamava, prima di iniziare la propria
giornata di
lavoro, per parlare del più e del meno, conversando col
figlio di qualsiasi
argomento gli veniva in mente. Era una specie di rito mattutino, una
cosa loro
che normalmente durava dai dieci ai quindici minuti di telefonata.
Nulla di
elaborato o complicato, insomma.
Magnus
adorava quelle chiacchierate.. fino a quando non subentrava sua madre.
La
pacchia finiva nell'esatto momento in cui la donna spintonava, senza
tante
cerimonie, il marito fino a quando non riusciva a fregargli la
cornetta, o più
semplicemente l'uomo gliela consegnava con un sospiro rassegnato, per
poter
parlare con il figlio.
Non
ci sarebbe stato niente di male in tutto questo se, nel 99% delle
chiamate, sua
madre non avesse finito inesorabilmente col tentare di accasarlo con
perfetti
sconosciuti o con il figlio o la figlia di qualche collega del coniuge.
Erano
anni, infatti, che ci provava in tutte le salse e in tutte le maniere
e,
nonostante Magnus le avesse detto chiaramente, e fino allo sfinimento,
di non
voler frequentare nessuno in modo serio (figurarsi, quindi, se gli
passava per
l'anticamera del cervello anche solo ipotizzare di convolare a nozze
con
chicchessia), la donna non demordeva e continuava a scegliergli i
partner più
improbabili che trovava in giro.
Una
volta gli aveva combinato un appuntamento con una fiorista, che Dewi
trovava
davvero carina e simpatica, e alla fine Magnus aveva scoperto che la
donna non
solo era sposata, ma era anche madre di quattro figli!
E
voleva assolutamente dimenticare il giorno in cui gli aveva rimediato
un
chirurgo plastico che aveva avuto l'ardire di dire che il suo sedere
non era perfetto
e aveva insistito fino allo sfinimento per rifarglielo a un prezzo
scontatissimo. Magnus l'aveva liquidato dopo neanche dieci minuti di
conoscenza, mandandolo a quel paese.
Magnus
sapeva che sua madre lo faceva perché lo amava e voleva
esclusivamente la sua
felicità, solo che quell'esasperante ossessione di vederlo
sposato, che
rasentava ormai la maniacalità, stava diventando snervante.
Magnus
le voleva molto bene e si sarebbe buttato nel fuoco per quel
concentrato di
energia indonesiana alto appena un metro e sessanta, ma non era facile
avere a
che fare con lei.
Nonostante
fosse coniugata a uno degli ammiragli della Marina militare
statunitense più in
vista, talmente importante da essersi guadagnato sul campo la temibile
nomea di
Principe dell'inferno, Dewi
Maharani Bane non si faceva mettere i
piedi in testa da nessuno, né ambiva a giocare alla moglie
trofeo come invece
accadeva a molte compagne dei colleghi del marito, che non si facevano
problemi
a sfoggiare le proprie consorti alle varie feste a cui partecipavano.
No,
sua madre non era una bambola di plastica, muta e servizievole, ma una
donna
estremamente esplicita nell'esternare ciò che pensava e che
voleva, dicendolo
senza troppi giri di parole e aspettandosi che la gente agisse di
conseguenza,
soprattutto suo marito e suo figlio.
Logorroica
e spumeggiante, Dewi aveva fatto dell'immischiarsi nei fatti personali
altrui
una vera e propria arte, in particolar modo se quei fatti riguardavano
Magnus.
Si "interessava" della vita di suo figlio, infatti, continuamente e
costantemente, elargendo consigli non richiesti e mettendolo, il
più delle
volte, in situazioni estremamente imbarazzanti. Come quella volta, ad
esempio,
in cui si era sfiorato "l'incidente diplomatico" tra Indonesia e
Stati Uniti, quando sua madre, nel tentativo di procacciargli un
ghiotto
appuntamento a tre, aveva letteralmente sequestrato i figli del
generale
Blackthorn, i gemelli Tiberius e Livia, attirandoli nel loft di Magnus
e
rinchiudendoli poi nella sua camera da letto purché non
scappassero. Quando la
ragazza aveva chiamato il padre, raccontando il fattaccio, e l'uomo era
piombato come un carro armato nell'appartamento di Magnus, sradicando
la porta
di ingresso con un calcio poderoso (per la "gioia" di Magnus, che
aveva letteralmente tirato giù tutti i santi del Paradiso
con una sequela di
insulti e parolacce degni del Guinness dei Primati), Dewi aveva
sventolato una
mano con noncuranza e si era giustificata asserendo che la chiave si
era rotta
nella toppa e che stava giusto-giusto cercando un fabbro nella rubrica
del
telefono, per liberare i due giovani malcapitati, prima che il generale
combinasse un tale scompiglio. Asmodeus aveva dovuto usare tutta la sua
arte
oratoria per evitare che il generale e Magnus strozzassero la donna con
le loro
mani!
Eh
già, non c'era mai un momento di pace con quella donna
esigente, imprevedibile
e leggermente prepotente, che Magnus aveva ribattezzato con affetto
(senza che
lei lo sapesse, ovviamente) Setan
[ndr. Demone].
Grazie
al cielo, oltre ai tratti somatici e al colore degli occhi, l'uomo
aveva
ereditato dalla donna anche il suo carattere spudorato e la sua
incredibile
faccia tosta, che gli permetteva di cadere sempre in piedi in ogni
situazione.
I
suoi amici gli avevano suggerito, in più di un'occasione, di
affrontarla, di
farle capire chiaramente e una volta per tutte che doveva smetterla di
intromettersi nella sua vita, ma la facevano così facile
loro! Era più
probabile che, un giorno, l'inferno si ghiacciasse piuttosto che Dewi
la
smettesse con la sua ossessione nuziale.
In
generale, Magnus non aveva niente di particolare contro il matrimonio,
ma anche
se il pensiero di passare tutta la vita da solo era desolante, non lo
era
abbastanza da fargli desiderare di legarsi a un uomo o a una donna solo
per il
bisogno di compagnia. O, peggio ancora, per compiacere sua madre!
Provava
una miscela di sentimenti contrastanti quando sentiva parlare di marcia
nuziale
e compagnia bella ed era certo che tutto quello non facesse per lui.
Non più,
almeno.
Una
volta ci era andato vicino, molto vicino. Troppo. Era successo quando
era
ancora un giovane, sciocco, sognatore che credeva di aver trovato
l'amore vero
in una bellissima francese dagli incantevoli occhi verdi. Per lei, era
arrivato
addirittura a inginocchiarsi sulla sabbia umida di una bellissima
spiaggetta
delle Maldive, sporcandosi i suoi meravigliosi e costosissimi pantaloni
bianchi
Armani, nuovi di zecca, pur di offrire il suo cuore e un anello
comprato con i
risparmi di una vita. Tutto ciò che aveva rimediato,
però, era stato un bel
calcio nel sedere e una vaga spiegazione che suonava più o
meno con "Non
sono ancora pronta a impegnarmi.", che l'aveva
risvegliato
bruscamente, facendolo scontrare con la dura realtà.
Non
aveva più alcuna intenzione di ripetere un'esperienza
simile. Aveva imparato la
lezione.
Dopo
quella rottura, si era chiesto spesso se le sue aspettative non fossero
state
un po' troppo alte, se quei brividi, quel batticuore incontrollato e
quelle
mani sudate di cui aveva sempre letto sui libri, o visto nei film
romantici,
non fossero tutta un'invenzione.
Con
gli anni aveva imparato che le persone non erano interessate a lunghe
storie
d'amore, anzi non sapevano nemmeno bene cosa volessero. Nel suo caso,
ad
esempio, uscivano con lui solo per divertirsi e finora nessuno di
quelli che
aveva incontrato aveva mai pensato di instaurare un rapporto che
andasse oltre
il sesso. Avere una relazione, talmente importante da portare
addirittura a
percorrere la navata di una chiesa, quindi, era pura utopia e non
rimaneva che
svolazzare di fiore in fiore e godersi la vita.
Allo
stato attuale, poi, non aveva il minimo desiderio di diventare
l'appendice di
qualcuno e di provvedere a ogni suo capriccio. Adorava la sua vita, la
sua
libertà e la possibilità di andare a letto con
chi voleva, senza rendere conto
a nessuno e senza alcun legame che gli incatenasse cuore e anima a
un'unica
persona.
Se
mai avesse deciso di sposarsi (ed era un grosso, gigantesco, abnorme se)
voleva farlo con qualcuno che riuscisse a metterlo letteralmente al
tappeto,
che lo facesse innamorare follemente e perdutamente, come mai gli era
accaduto
in vita sua. Dal momento che era certo che una persona del genere non
esistesse, non sul pianeta Terra almeno, Magnus si sentiva
relativamente sicuro
dal cappio matrimoniale.
Tra
l'altro, restare single non era di certo la cosa peggiore che gli
potesse
capitare! Poteva contare sulla sua magnifica avvenenza, sulla salute,
sugli
amici e su un buon lavoro. Non ci sarebbe stato niente di male, quindi,
se non
avesse incontrato la persona giusta e non avesse messo su famiglia, no?
Suo
madre, però, sembrava non capirlo ed era sorda a ogni sua
rimostranza.
"Tu
spezzi il cuore di tua madre, Mags! Lo fai sanguinare!" gli aveva detto
Dewi, neanche un mese prima, con una certa enfasi, portandosi la mano
al petto
e scuotendo piano la testa e confermando al figlio una volta di
più, se mai ce
ne fosse stato bisogno, che era la regina indiscussa e imbattibile del
dramma.
"Mamma.."
aveva sospirato Magnus, alzando gli occhi al cielo. "Lo sai che non
è mia
intenzione ferire te.. o papà!" precisò,
allargando le braccia in un gesto
esasperato. "Ma tu continui a ossessionarmi con questa storia che devo
sposarmi e fare dei figli e io non sono pronto." E forse non lo sarebbe
mai stato, aveva pensato, guardandosi bene dall'esternarlo a voce alta
per non
annientare definitamente le speranze di sua madre.
"Cosa
significa che non sei pronto?" gli aveva chiesto Dewi, sgranando gli
occhi, e facendosi il segno della croce più e più
volte come se il figlio
avesse appena bestemmiato. "Mags, quest'anno compi trentanove anni! Non
stai ringiovanendo.. e nemmeno io! Se permetti, mi piacerebbe
accompagnarti
all'altare prima di diventare un vecchia rintronata che cammina a
malapena con
il bastone! Vorrei vederti sistemato prima di morire! E' chiedere
troppo?"
aveva domandato, con tono melodrammatico.
Agitare
lo spettro della morte, per farlo sentire in colpa, era uno dei
trucchetti
preferiti di sua madre e poco importava che, in realtà, la
donna avesse
compiuto da poco i cinquantasei anni e che fosse sana come un pesce. Se
le cose
non andavano come voleva lei, la morte non poteva che essere vicina!
"Mamma,
smettila! Non stai per morire!" aveva ribattuto Magnus, alzando per
l'ennesima volta gli occhi al cielo. "Sì, ho trentotto anni
e tu, alla mia
età, avevi già un figlio maggiorenne, ma io sto
bene così e devi smetterla di
tentare di pilotare la mia vita! Forse un giorno incontrerò
qualcuno.."
aveva continuato, facendo spallucce. "..ma, in ogni caso, per il
momento
non voglio avere una relazione seria. Ci sono altre cose a cui voglio
dedicarmi, prima di mettere su famiglia! Viaggiare, conoscere gente
interessante, visitare posti che non ho mai visto, avere successo nel
lavoro.
Non sono pronto a sistemarmi. Non ancora, almeno, e sono felice
così. Non è
questo che conta?"
Dewi
aveva sospirato profondamente e gli aveva preso le mani tra le proprie,
stringendole. "Tutte cose molto belle, malaikatku [ndr.
Angelo mio], davvero, ma nella vita nulla è più
importante di avere un compagno
e dei figli."
Magnus
aveva scosso piano la testa e roteato gli occhi. "Ibu
[ndr.
Mamma], i tempi sono cambiati. Le persone non sentono più
l'esigenza di
giurarsi amore eterno in una chiesa e di avere una famiglia per
sentirsi
realizzate! Tu sei felice con papà, e questo è
bellissimo, ma non è ciò che
voglio io."
"Ahhh,
voi giovani d'oggi!" aveva esclamato Dewi, mollando le mani del figlio
con
un gesto improvviso e gesticolando con le proprie con stizza. "Vi
riempite
la testa con tutti quei film e libri romantici, convincendovi che
quella è la
vita reale. Beh, Mags, non è così!" lo
apostrofò, sventolandogli l'indice
sotto il naso. "La vita vera è fatta di sacrificio, di cose
belle, di cose
che non sempre ci piacciono e anche di cose che ci fanno soffrire.
Significa
prendersi cura delle persone che si ama, assicurarsi che stiano bene e
che
abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno."
Magnus
aveva sorriso, dandole un buffetto sul naso. "Mamma, tu e
papà siete
fantastici. Non mi avete mai fatto mancare niente e non avrei potuto
chiedere
due genitori migliori, davvero. Però non puoi aspettarti che
le mie scelte e i
miei desideri siano identici ai tuoi. Non è giusto."
Dewi
aveva emesso un brontolio di disappunto, sospirando pesantemente.
"Neanche
invecchiare da soli è giusto, malaikatku."
aveva ribattuto,
accarezzandogli una guancia con sguardo preoccupato.
Magnus
le aveva baciato il palmo della mano. "Me la caverò, Ibu."
le avevo sorriso dolcemente, facendole l'occhiolino.
Dopo
quella conversazione, sua madre l'aveva lasciato respirare.. almeno
fino a
quella mattina!
Quella
domenica di febbraio, infatti, la telefonata era proceduta normalmente
e Magnus
era rimasto addirittura sorpreso dal fatto che sua madre non avesse
tentato di
combinargli un appuntamento al buio, come faceva sempre. Se lo sentiva
che era
una cosa insolita, che qualcosa non andava, ma ingenuamente non aveva
dato
ascolto al suo sesto senso. Che grosso errore aveva commesso!
"Oh,
Mags! Quasi dimenticavo.. tuo padre ha un favore da chiederti!" aveva
detto Dewi, con noncuranza, quando si erano già salutati e
il figlio stava
quasi per riattaccare. "Vero, sayang
[ndr. Tesoro]?"
Magnus
aveva sentito suo padre mormorare un rassegnato "Dewi.. no!" e aveva
alzato gli occhi al cielo, sorridendo. Si era sentito sollevato di
essersi
sbagliato sul fatto che sua madre fosse meno stramba del solito e si
era
preparato mentalmente a ricevere la solita e consueta tiritera. "Ok, di
cosa ha bisogno?" aveva risposto, con un sorriso che la sapeva lunga,
pronto a ribattere.
"Aspetta
che metto in vivavoce, puteraku
[ndr. Bambino mio]!" l'aveva
avvisato sua madre.
"Dewi..
no!" aveva sussurrato nuovamente Asmodeus.
"Ma
come no?!"
"Si
arrabbierà!"
"Ohhh,
sciocchezze!"
"Vuoi
scommettere?"
"Non
lo farà!"
"Ah-ahhh!
Vedi che non vuoi scommettere?"
"Perché
è una cosa sciocca."
"Ahn-ahn.
E allora perché non glielo dici tu?" l'aveva sfidata
Asmodeus, alzando
appena il tono di voce.
"Perché
è amico tuo, sayang!
Gliel'hai promesso!"
Magnus
aveva sentito chiaramente suo padre emettere un verso sdegnato. "Ma non
è
vero! L'hai fatto tu!" aveva ribattuto, sottovoce.
"Io..
tu.. E' stata fatta una promessa, no?" aveva tergiversato furbescamente
Dewi.
"No,
ma fate pure con comodo, eh." si era intromesso Magnus, tamburellando
le
dita sul bracciolo del divano su cui era seduto, mentre ascoltava il
battibecco
dei genitori. "Tanto non ho niente da fare." aveva borbottato, con
uno sbuffo.
I
genitori lo avevano ignorato, continuando a parlottare tra di loro,
sempre più
animatamente, fino a quando Magnus non si era schiarito rumorosamente
la voce,
tossendo più del dovuto. "Così, giusto per farvi
sapere che sono ancora in
linea e non vi ho sbattuto il telefono in faccia, come una persona con
un po'
più di amor proprio avrebbe invece già fatto da
un pezzo!" aveva spiegato,
spazientito.
"Avanti
diglielo!" aveva insistito Dewi.
"No,
fallo tu."
"No,
tu."
"Demi
surga [ndr. Per l'amor del cielo]! Dirmi cosa?"
aveva chiesto
Magnus, sbuffando sonoramente.
"Diglielo!"
aveva sussurrato imperiosamente Dewi.
"Uff!
E va bene! Glielo dico, glielo dico." aveva sospirato, rassegnato,
Asmodeus. "Mags? Ecco, sì.. a proposito del gala a cui io e
tua madre
siamo stati ieri sera.."
"Sììì..?"
"Ho
incontrato Robert, un mio ex collega."
"Ok."
aveva ribattuto Magnus, cauto. "Ma, tanto per essere chiari, sappiate
che
non uscirò con nessuno dei suoi figli!"
Suo
madre aveva sbuffato sonoramente, mentre il padre aveva ridacchiato,
prima di
continuare il suo racconto. "E' un caro amico, sai? Pensa, eravamo
commilitoni nella stessa divisione e.. ti ho mai raccontato di quella
volta
che.."
"Ayaaaah
[ndr. Papàààà]! Mi sta
crescendo la barba! Arriva al punto!" aveva
sbuffato Magnus.
"Beh,
erano anni che non ci vedevamo e.. mi ha aggiornato sugli ultimi
avvenimenti
della sua vita."
"Ahn-ahn."
"Pensa,
vorrebbe diventare Senatore!"
"Ahn-ahn."
"Mi
ha parlato del suo lavoro."
"Ahn-ahn."
"Della
sua famiglia."
"Ahn-ahn."
"Dei
suoi figli."
"Ahn-ahn."
"E
tua madre.. cioè io.." si era corretto Asmodeus, con un
verso strozzato,
dopo che la moglie gli aveva tirato una gomitata nel costato. "Io,
gli ho parlato di te.. Già.. io..
D'altra parte, quale padre non
inizierebbe a vantarsi del proprio figlio, nel bel mezzo di un'animata
conversazione sulla difesa nazionale del proprio Paese?"
Magnus
aveva ridacchiato. "La mia risposta è no." aveva poi
risposto, con
tono tranquillo.
"Mags!"
era intervenuta sua madre, indignata. "Non sai neanche cosa sta per
dire!"
"Sì
che lo so. E ve l’ho detto, non uscirò.."
"..con
uno dei suoi figli. Sì, hai già chiarito il
concetto." aveva esclamato
Dewi, con un sospiro esagerato. "Ma questa è una faccenda
molto più grave
e seria!"
"Davvero?"
aveva risposto Magnus, con un tono poco convinto.
"Sì,
davvero!" gli aveva fatto il verso sua madre.
"Comunque,
in parole povere, tua madre si è vantata di te e.. ahio! La
smetti?" aveva
sussurrato Asmodeus.
"Raccontala
bene!" aveva preteso la moglie.
Asmodeus
aveva sospirato. "Gli ho raccontato di te, che sei il miglior militare
che
la Marina abbia mai potuto vantare tra le sue fila."
Magnus
sorrise. "Ero un militare, ayah!"
l'aveva
corretto. "E non direi il migliore, vista la velocità con
cui mi hanno silurato."
"Tzè!
Solo perché quei quattro dementi, che hanno messo al
comando, sono un branco di
incompetenti con un grosso bastone conficcato nel sedere, bonekaku
[ndr. Pulcino]!" aveva ribattuto acidamente Dewi, con prontezza, mentre
Asmodeus concordava con un mormorio.
Magnus
aveva riso apertamente, sentendo il cuore scaldarsi d’affetto
per le due
persone dall'altra parte della cornetta, "leggermente" di parte. Ma
giusto un po'.
Arruolatosi
nella Marina militare all'età di vent'anni, con la seria
intenzione di seguire
le orme paterne, Magnus aveva sempre saputo di non essere adatto a
quello stile
di vita rigido e inflessibile, che ti formava e, al tempo stesso, se
non avevi
un carattere tosto e volitivo, ti schiacciava a terra come un mozzicone
di
sigaretta. Fin da bambino, però, aveva sempre voluto essere
come suo padre,
forte e coraggioso, ed era riuscito a resistere per ben dieci anni a
quella
vita dura e stressante, toccando con mano ogni sorta di bruttura:
dolore,
angoscia, tristezza, disperazione. Non era stato facile, anzi, in
più di
un'occasione si era chiesto cosa stesse facendo e perché, ma
aveva tenuto duro.
Poi
tutto era finito quando l'avevano licenziato per aver disubbidito agli
ordini
dei suoi superiori, dopo una missione disastrosa.
Non
si era mai pentito di quello che era successo, della sua decisione di
ribellarsi. Mai, neanche per un secondo. Dopo otto anni, il tempo gli
aveva
dato ragione. La sua vita aveva preso una piega soddisfacente e
gratificante e
meno dolorosa a livello emotivo: aveva trovato lavoro come mistery
client
per un'importante catena di hotel di lusso.
Era
il lavoro adatto a lui: gli piaceva da matti andare negli alberghi,
ispezionare
le camere e testare il servizio clienti. Sì, era
dannatamente portato a farsi
massaggiare da mani sapienti, a provare le varie Spa messe a
disposizione per
la clientela e a collaudare il servizio in camera che offriva l'hotel
in cui
soggiornava. Non sarebbe tornato indietro per tutto l'oro del mondo.
“Te
l’ho dico io, Mags! Quei quattro pezzi di sterco.." aveva
ripreso suo
madre.
"Mamma,
lascia perdere." aveva sorriso Magnus, scuotendo piano la testa. "E'
stato meglio così." aveva asserito, convinto.
"Uff!
Va bene! Va bene! Comunque ho accennato all'amico di tuo padre..
cioè.. tuo
padre gli ha raccontato di che fantastico figlio abbiamo." aveva
continuato Dewi, entusiasta. "Del cuore del nostro cuore, del sole del
nostro sole.."
"Mamma,
ti prego, smettila!" l'aveva interrotta Magnus, alzando gli occhi al
cielo. "Arriva al dunque!"
Suo
padre aveva sogghignato piano, prima di sganciare la bomba. "Tua madre
gli
ha promesso che avresti fatto da guardia del corpo a suo figlio." aveva
esalato, tutto d'un fiato. "Ahio! Smettila di tirarmi pugni sul
braccio!" si era poi lagnato, in direzione della moglie.
"Te
lo meriti!" aveva sentenziato Dewi.
Magnus
era rimasto in silenzio, allibito, per un lungo momento. "Tu.. voi..
COSAAA???" aveva sbraitato infine.
"Hai
visto? Te l'avevo detto che si sarebbe arrabbiato!" aveva sussurrato
Asmodeus, trionfante. "Te l'avevo detto! Te l'avevo detto!"
"Mags.."
iniziò sua madre, con voce calma, ignorando il marito.
"No!"
aveva tuonato Magnus.
"Mags.."
"N.O.
No!"
"Magnus
Bane!"
Quando
sua madre usava il suo nome per intero non era mai un buon segno, ma
Magnus era
troppo arrabbiato per badarci. "Ho detto di no. E con questo, vi
saluto."
"Per
favore, Mags!" l'aveva pregato allora Dewi, con tono accorato. "E' un
caro amico di tuo padre."
"Si
può sapere cosa ti è saltato in mente?" era
esploso Magnus. "Hai idea
di quante agenzie offrono un servizio del genere? Perché
diavolo gli hai fatto
il mio nome?"
"Perché
sei il migliore!" aveva risposto Dewi, senza indugio.
"Non
mi interessa! La mia risposta è no!" aveva ripetuto Magnus,
deciso.
"Mags.."
"No!"
aveva detto Magnus, testardo. "E non ti ha minimamente sfiorata l'idea
che
potrei aver del lavoro da fare? Che potrei avere degli impegni?"
"Certo,
ma visto che giusto ieri ci hai informato che per un po' sei libero da
qualsiasi incarico.. è perfetto!" gli aveva ricordato Dewi,
con una certa
soddisfazione.
"No
che non lo è!"
"Mags,
lo so che tua madre avrebbe dovuto consigl.. ti ho detto di piantarla
di darmi
gomitate!" aveva ringhiato Asmodeus alla moglie. "Mags, purtroppo le
minacce sono serie. Quel ragazzo è in pericolo!"
"Beh,
non mi interessa! Ora chiami il tuo amico e lo informi che si deve
rivolgere a
qualcun altro."
"Magnus
Bane!" aveva tuonato Dewi, alzando il tono di voce. "Da quando in qua
sei diventato così cinico e insensibile?"
"Da
quando mia madre mi scombina la vita obbligandomi a fare da babysitter
a un
moccioso!"
"Non
è un moccioso, Mags.
Ha ventotto anni." aveva precisato
Asmodeus.
"Fa
lo stesso. Il risultato non cambia. Sempre il babysitter devo fare!"
"Mags,
quel povero uomo non dorme la notte per la preoccupazione di ritrovarsi
il
figlio assassinato!" aveva rincarato Dewi. "Se dovessi trovarmi nella
sua situazione.. cielo, ne morirei!" aveva esclamato, con drammatica
enfasi.
"Ma
fammi il piacere!" aveva sbuffato Magnus. "Se è tanto
preoccupato,
perché non chiede a uno dei suoi scagnozzi di proteggere il
suo moccioso? Eh?
Perché? Se è vero che vuole fare il Senatore,
significa che ha un entourage con
i controfiocchi!" aveva sottolineato, irremovibile.
"Digli
qualcosa!" aveva mormorato allora Dewi al marito.
"E
cosa?"
"Qualsiasi
cosa! Convincilo!"
"Convincerlo?
Dewi, non so se tu ti sia mai resa conto che è tale e quale
a te!"
"Ohhh,
ma piantala!" aveva brontolato Dewi. "Mags.."
"NO!"
Dewi
aveva sospirato pesantemente. "Sayang!"
aveva allora
insistito, rivolta al marito.
"Così
poi tiene il muso solo a me? No!"
"Asmodeus
Bane! Ora!"
"Tiranno.."
aveva mormorato Asmodeus, rassegnato. "Per favore, Mags!" lo aveva
allora pregato suo padre. "Non te lo chiederei se non fosse
importante."
aveva mormorato, con tono accorato. "Fallo per me.
Ti
prego, Magnus!"
Se
sua madre usava il suo nome per intero per sgridarlo, suo padre lo
utilizzava
solo quando la situazione era davvero seria, al limite del drammatico.
Magnus
sapeva benissimo che quell'uomo non avrebbe più avuto un
secondo di pace, nella
sua vita, se lui non avesse accettato. Dewi avrebbe tartassato il
marito da qui
all'infinito, stressandogli l'anima per il resto dei suoi giorni, se
Magnus non
avesse detto sì!
"E
va bene!" sospirò infine, rassegnato.
"Oh,
tesoro, è fantastico!" aveva esultato Dewi, raggiante.
"Grazie,
Mags." aveva risposto Asmodeus, con un tono chiaramente sollevato.
"Sì,
sì. Prego, prego." aveva ribattuto Magnus, con il broncio.
"Quando
devo iniziare?"
Scoprire
che non solo doveva presentarsi dal moccioso-non-moccioso
l'indomani
mattina, ma anche che avrebbe dovuto convivere con quel perfetto
sconosciuto,
era stato il colpo finale per il povero cuore di Magnus. Sua madre era
certa di
morire giovane, ma Magnus era altrettanto sicuro che sarebbe schiattato
prima,
se la donna avesse continuato a intromettersi nella sua vita in quella
maniera!
Quel
che era peggio, era che i suoi genitori pretendevano che si
trasferisse, così,
senza un minimo di organizzazione, quando sapevano benissimo che gli ci
voleva
un'infinità di tempo, per preparare la valigia, anche quando
doveva partire
solo per due giorni! Come potevano pretendere che riuscisse a decidere
in meno
di ventiquattro ore quale vestiti portarsi e quali no? Era impossibile!
"Vedila
così: tuo madre smetterà di starti addosso con la
storia del matrimonio almeno
per un po'!" sorrise Ragnor, divertito, facendolo tornare al presente.
Magnus
fece una smorfia, storcendo il naso. "Ci credi che l'altro giorno stavo
cercando
una sciarpa, che mi aveva fregato, in uno dei suoi cassetti e ho
trovato una
lista di possibili mogli e mariti per me? C'era Jonathan Morgenstern su
quella
lista, te ne rendi conto? Jonathan Morgenstern!
Quel tizio è
inquietante! E' un serial killer a piede libero!"
A
Ragnor andò di traverso il drink che stava bevendo e
iniziò a ridere e a
tossire convulsamente.
Magnus
lo guardò in cagnesco. "Demi Tuhan
[ndr. Sant'Iddio]! Cosa
crede? Che sia così disperato? Ho il mio orgoglio, cazzo!"
"Beh..
è che quell'idiota respira e quindi è un
candidato come un altro!" rispose
Ragnor, scrollando le spalle e continuando a ridacchiare.
"Non
c'è niente da ridere." lo fulminò Magnus,
imbronciato. "Gliel'ho già
detto mille volte! Non voglio sposarmi! Non voglio! Non voglio! Non
voglio!" ripeté, come un bambino che faceva i capricci.
"Voglio solo
rimorchiare e fare sesso. Chiedo forse troppo?"
"Forse
dovresti provare a dirle di smetterla."
Magnus
lo guardò, scettico. "Ancora con questa storia? Hai mai
provato a dire di no
a mia madre? Ma se è persino riuscita a convincermi a fare
questa cazzata della
guardia del corpo!" dichiarò, con enfasi. "E' un rullo
compressore
che passa e spiana tutto ciò che trova sul suo cammino! Non
molla mai. Mai! Ti
sta addosso fino allo sfinimento e alla fine ti ritrovi a dire di
sì a
qualunque cosa, pur di farla smettere!"
Ragnor
scosse la testa, sorridendo. Non lo invidiava per niente. "Allora,
quand’è
che devi presentarti da questo tizio?" chiese, sorseggiando il suo
bicchiere, nel tentativo di distrarre l'amico.
"Sono
un uomo libero fino alle otto di domani mattina." rispose Magnus, cupo.
"Fantastico!"
esclamò Ragnor, entusiasta. "Allora abbiamo tutta la notte
per noi!"
"Non
devi vederti con Raph?"
"No,
lavora. Questa sera, amico mio, sono tutto tuo!" sorrise Ragnor,
brindando
nuovamente. "Ci diamo alla pazza gioia come ai bei vecchi tempi?"
Magnus
lo fissò, sorridendo. In passato, quando erano in licenza
entrambi, l'avevano
fatto un sacco di volte, anche con gli altri compagni di divisione.
Notti da
sballo in cui si divertivano a passare al setaccio i locali di mezza
città,
facendo a gara a chi si portava a letto la ragazza o il ragazzo
più sexy o a
chi si sbronzava di più, aspettando poi, ubriachi, il
sorgere del sole.
Era
passata una vita dall'ultima volta che l'aveva fatto con l'ex collega.
Più
precisamente, loro due avevano smesso quando Ragnor si era accorto di
essere
innamorato cotto di un altro loro compagno di divisione, Raphael
Santiago, ed
era quindi diventato un fidanzato assennato e responsabile. Robe che,
se non
l'avesse visto con i propri occhi, Magnus avrebbe giurato che l'amico
era stato
sottoposto a qualche tipo di lobotomia.
"Allora,
che ne dici?" chiese Ragnor, in attesa di una sua risposta, facendo
balenare i denti bianchi in un sorriso malizioso.
Un
sorriso luminoso danzò sulle labbra di Magnus.
Perché no? Avrebbe avuto il piacere
di conoscere la sua croce, di cui aveva già
dimenticato il nome, solo la
mattina successiva. Mancavano quindi ancora diverse ore allo scoccare
del suo
supplizio e quell'incarico non era uno di quelli per cui lui aveva
bisogno di
presentarsi lucido e concentrato.
"Sai,
Ragnor, ogni tanto succede anche a te di avere delle buone idee." lo
canzonò Magnus, alzando il bicchiere nella sua direzione per
brindare.
===
Note
dell’autrice
Con
questo capitolo svelo il motivo del perché ho preferito
mettere OCC
tra le note della storia: i genitori di Magnus sono liberamente
ispirati ai
miei (soprattutto Dewi) e ai lori tentativi di accasare me e i miei
fratelli
con il primo che passa ;-P
Ne
approfitto per ringraziare chi ha letto il primo capitolo, chi
l’ha commentato
e chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate e seguite.
Grazie
mille per la fiducia e spero che vi piaccia anche il secondo capitolo!
Un
bacio e a presto! :-*
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Alle otto in punto di un
gelido lunedì mattina, Alec Lightwood aprì la
porta a un uomo dall'aspetto losco, con il viso serio e cupo,
seminascosto da un grande paio di occhiali da sole scuri, e talmente
alto che sembrava occupare quasi tutto il suo pianerottolo.
Alec lo squadrò dalla testa ai piedi, diffidente. Dunque era
lui
l'agente speciale della Marina incaricato di proteggerlo? Sul serio?
No, doveva esserci di sicuro un errore.
"Che cosa vuole?" ringhiò il moro, guardingo, per nulla
intenzionato a nascondere il proprio entusiasmo
nell'aver aperto la porta a un probabile criminale.
L'uomo davanti a lui si accigliò e si portò una
mano sulla fronte. "Può abbassare la voce, per cortesia?"
mormorò, massaggiando la pelle liscia e senza neanche
un'imperfezione.
"Ma.. non stavo urlando." ribatté Alec, abbandonando il tono
aggressivo e fissandolo spaesato.
"Sì, invece. E continua a farlo." sospirò lo
sconosciuto, strofinando gli occhi sotto le lenti scure. "Cominciamo
davvero bene."
Alec sentì l'irritazione tornare a serpeggiargli lungo il
corpo e strinse con forza la maniglia della porta, indeciso: era meglio
sbattergliela in faccia così, a muso duro, o prima tirargli
un calcio all'inguine, sperando di fargli davvero male, e poi chiudere
la porta, barricandosi in casa? Lo sconosciuto era alto, questo era
vero, ma Alec era più muscoloso e sarebbe stato un gioco da
ragazzi piazzargli un calcio deciso nei testicoli.
Il nuovo arrivato fece schioccare il collo a destra e a sinistra, con
un gemito che Alec catalogò come indecente, poi
avanzò di un passo, avvicinandosi pericolosamente al moro,
sfilandosi gli occhiali e sbattendo più volte le palpebre,
come se la pallida luce del giorno gli desse fastidio.
Era davvero alto, addirittura più di Alec che superava
abbondantemente il metro e ottanta, e il moro si ritrovò a
dover alzare lo sguardo per guardarlo in volto: una rarità,
visto che solitamente era lui a spiccare su tutti e a dover sempre
abbassare la testa per parlare con il proprio interlocutore.
Lo sconosciuto aveva un fisico asciutto e longilineo e indossava un
pesante giubbotto di pelle nera con le borchie, mentre le gambe
chilometriche erano nascoste sotto un paio di jeans strettissimi che
gli fasciavano le cosce come una seconda pelle. Alec non si
fissò su quel particolare. Assolutamente no.
Aveva la pelle di una deliziosa sfumatura color caramello e i capelli
neri, le cui punte erano colorate di un rosso sgargiante, erano tenuti
su da una generosa dose di gel. A giudicare dalla quantità
spropositata di orecchini, anelli, braccialetti e collane che aveva
addosso, doveva avere un debole per quella chincaglieria.. oppure
faceva il venditore ambulante di quella roba, a tempo perso, e la
indossava come modello. Chi poteva dirlo con sicurezza?
Quando sollevò lo sguardo, dal suo attento e minuzioso
esame, e lo portò all'altezza degli occhi, dal taglio
orientale e dalle lunghe ciglia nere, Alec si ritrovò
davanti le due iridi più straordinarie che avesse mai visto:
un verde-dorato così intenso da lasciarlo quasi senza fiato
e che, ne era certo, faceva strage di cuori un giorno sì e
l'altro pure. Quegli occhi, che gli ricordavano nitidamente una
prateria irlandese inondata dal sole, erano semplicemente bellissimi,
nonostante ora lo stessero fissando appannati e iniettati di sangue,
come se il proprietario di tale magnificenza fosse andato a dormire
molto tardi. O non ci fosse andato per niente.
Alec sbatté le palpebre più e più
volte. No, era impossibile che quell'individuo, a metà
strada tra un Dio greco, sceso sulla terra per mandargli completamente
in tilt gli ormoni, e un delinquente della peggior specie, fosse l'uomo
mandato da suo padre. Magnus Bane era un efficiente e integerrimo
agente speciale della Marina Militare, non un probabile sexy serial
killer con la barba sfatta e i postumi di una sbronza colossale!
"Che cosa vuole?" ripeté Alec, assottigliando lo sguardo,
sempre più sospettoso.
Per l'angelo, e se le minacce rivolte a suo padre non fossero state per
niente uno scherzo e quel tizio era piombato lì per fargli
del male o, peggio ancora, per rapirlo o ucciderlo? Era un uomo
bellissimo, ok, ma questo non precludeva di certo che potesse anche
essere un pericoloso sicario! Improvvisamente desiderò di
aver controllato dallo spioncino, prima di spalancare con foga la
porta, e soprattutto si maledisse di non aver chiesto a suo padre una
foto del cane da guardia
che avrebbe dovuto proteggerlo, giusto per assicurarsi che quel tizio
davanti a lui fosse davvero chi dovesse essere.
"Bella domanda." rispose l'altro, interrompendo i pensieri frenetici e
deliranti del moro, con una voce profonda e roca che mandò
un lungo e inspiegabile brivido alla colonna vertebrale di Alec. "Al
momento, vorrei un paio di aspirine, una stanza buia e.. trovarmi
ovunque tranne che qui."
"Per l'angelo, che battuta spiritosa!" ironizzò Alec,
portandosi una mano al petto e stringendo maggiormente il pomello della
porta con l'altra. "Le suggerisco caldamente di cominciare dal suo
ultimo desiderio, allora." e detto questo, chiuse l'uscio. O almeno ci
provò, perché lo sconosciuto fu più
lesto di lui e infilò un piede tra lo spigolo e lo stipite.
Alec ridusse gli occhi a due fessure. "Se non toglie subito quel piede,
giuro che glielo spezzo!"
L'altro non si mosse di un millimetro. "Ricominciamo daccapo. Le va?"
"No." rispose Alec, contrariato, tornando a spingere con più
forza contro la porta.
"Mi sta facendo male."
"L'avevo avvertita, no?"
"Lei è.." iniziò l'uomo, bloccandosi subito dopo,
aggrottando la fronte. Si grattò la barba trasandata con una
mano ingioiellata, mentre con l'altra prendeva un foglietto dal
taschino del giubbotto per leggerlo. "Lei è il signor
Alexander Gideon Lightwood?"
Alec decise di ignorare categoricamente il nuovo brivido che gli diede
quella voce non appena pronunciò il suo nome per intero. "Ma
che bravo! Ha fatto i compiti!" borbottò, sarcastico. "Bene,
ora che abbiamo appurato entrambi che conosce il mio nome, anche se ha
dovuto fare lo sforzo di pensarci e recuperare poi un pezzo di carta
quando avrebbe potuto tranquillamente evitarsi la fatica leggendolo
sulla targhetta sopra al campanello.." lo schernì. "Vede?
Proprio qui!" continuò, indicando con un dito il nome
scritto in stampatello su una targhetta dorata. "Cosa stavo dicendo?
Oh, sì! Ora che si è assicurato di avermi
davanti, può anche togliersi dai piedi!" sibilò,
appoggiandosi allo stipite della porta con tutto il proprio peso,
riprovando a sbattergliela sul naso.
Era sicurissimo che sarebbe riuscito a chiudere fuori di casa quel
pazzo psicopatico, ma, ancora una volta, l'altro lo stupì e
Alec sentì improvvisamente la porta muoversi contro di lui.
Quel dannato Ercole sbronzo, e sicuramente sotto steroidi, aveva posato
una mano aperta sullo stipite, spingendolo per evitare che gli si
chiudesse in faccia, e gli bastò fare un piccolissimo sforzo
per schiudere la porta di qualche centimetro. Come poteva essere
più forte di lui? imprecò Alec, mentalmente. Lui
era decisamente più massiccio di quel corpo esile,
dannazione!
"Tenga giù le mani dalla mia porta!" ordinò,
perentorio.
"Mi chiamo Magnus Bane e.."
"Non mi interessa!" tuonò Alec, interrompendolo e
ingaggiando una lotta con quel tizio.
"..mi manda suo padre."
Quella voce bassa e roca, a causa dello sforzo che lo sconosciuto stava
compiendo per non farsi sbattere la porta sul naso, sembrò
accarezzare Alec come una piuma, tanto che il suo corpo si
irrigidì in risposta. Trasse un respiro profondo, per
calmarsi, ma fu un errore colossale: il profumo dell'uomo, un odore
intenso e speziato che Alec non riuscì a decifrare, lo
avvolse e gli invase i polmoni in modo così violento che,
preso alla sprovvista, diminuì inconsapevolmente la forza
che stava imprimendo sul pezzo di legno che stava spingendo, con
l'unico risultato che la porta, sotto la pressione del marine, si
spalancò di botto e andò a sbattere con forza
contro la parete laterale dell'ingresso.
Il rumore secco rimbombò nella testa ancora annebbiata di
Magnus, arrivando quasi a ucciderlo. Si portò entrambe le
mani alle tempie, massaggiandole nuovamente. "Sialan [ndr.
Dannazione].." farfugliò, sofferente.
Alec lo fissò, torvo, ponderando l'intera situazione: quel
tizio era ovviamente reduce da una sbornia epocale, non ispirava la
benché minima fiducia, emanava pericolo da tutti i pori e
aveva più l'aria di un drogato in astinenza che di un
militare. Sì, ok, era anche attraente, sexy e con una voce
dannatamente eccitante, e forse era addirittura l'uomo più
bello che avesse mai incontrato in vita sua, ma non era assolutamente
questo il punto! Il punto era che, per fare un piacere a suo padre,
aveva ceduto a scatola chiusa alle sue insistenze, ma qualcosa gli
diceva che, se avesse dato un'occhiata a quell'affascinante ubriacone
ambulante prima di ingaggiarlo, Robert Lightwood non sarebbe stato
così felice di saperlo solo con lui, ventiquattro ore su
ventiquattro.
Prese un bel respiro e lo fissò con lo sguardo
più truce che riuscì a fare. "Se ne vada."
ordinò, senza mezzi termini.
Il bel viso di Magnus si accigliò. "Mi scusi, eh, ma guardi
che sono qui per fare un piacere a suo padre!" comunicò.
"Credevo che le avesse spiegato la situazione." mormorò,
dubbioso.
"Oh, sì, l'ha fatto." confermò Alec, facendo
spallucce. "Solo che non mi interessa!"
"In che senso non le interessa?" chiese Magnus, sempre più
confuso.
"Senta." sospirò Alec, strizzandosi con forza la radice del
naso. "E' tutto un grosso equivoco, davvero. Non ho bisogno di lei.
Torni da dove è venuto."
"Oddio, magari potessi." esalò Magnus, alzando gli occhi al
cielo ed entrando nell'appartamento senza tanti complimenti.
"Oh, ma prego! Si accomodi pure e faccia come se fosse a casa sua!"
esclamò Alec, indispettito, con un ampio gesto delle braccia.
Magnus sorrise, procedendo nel guardarsi attorno, con blanda
curiosità, e Alec seguì il suo sguardo.
L'appartamento era minuscolo, vecchiotto e composto da una piccola
cucina, un soggiorno, due camere da letto, un bagno e un minuscolo
balcone. L'impianto elettrico era stato rifatto di recente, ma il
pavimento di legno scuro aveva bisogno di una buona levigata. Sulle
pareti, colorate di una calda tinta ocra e con qualche crepa qua e
là che il colore non era riuscito a coprire del tutto, erano
appesi diversi quadri e qualche foto era stata posta sopra ai mobili in
legno di mogano. Un divano in tessuto rosso carminio, che aveva visto
giorni migliori, era piazzato davanti a un piccolo televisore e a un
tappeto colorato e un po' sfilacciato, mentre una poltrona sbilenca,
che sembrava sul punto di rompersi da un momento all'altro e su cui vi
erano stati buttati dei vestiti alla rinfusa, era stata relegata sotto
la finestra che dava sulla strada.
Alec adorava la sua casa, che era sua, solo sua, e che non voleva
dividere con nessuno.. men che meno con uno strano individuo dalla
dubbia sanità mentale!
"Lei vive davvero qui?" chiese Magnus, sorpreso, continuando a
guardarsi attorno con aria esterrefatta.
"Sì. Ha qualche problema?" rispose Alec, piazzandosi le mani
sui fianchi e irrigidendosi tutto per quel tono che sembrava un insulto.
"Il divano è orribile e qualsiasi commento sulla poltrona
sarebbe sprecato." argomentò Magnus, spietato, senza
nascondere una smorfia. "Forse se la facesse sparire, il salotto
migliorerebbe, ma non ne sono affatto sicuro." continuò,
tamburellando l'indice sul mento, come se stesse prendendo in seria
considerazione l'idea di buttare la poltrona giù dalla
finestra. "Uhm.. no. Sono certo che farebbe prima a bruciare tutto. O a
trasferirsi." concluse, scrollando le spalle.
Alec strinse le dita, arpionando i propri fianchi, irritato. "Bene, ora
che ha potuto esprimere la sua discutibile
opinione sul mio appartamento, può anche.."
"Non c'è niente da discutere, signor Lightwood." lo
interruppe Magnus, alzando un indice con fare saputello. "Mi creda
quando le dico che il suo salotto è davvero brutto!"
esclamò, scuotendo piano la testa. "Oh! E comunque, che le
piaccia o meno, io da qui non me ne vado."
"Come osa? Il mio salotto non è affatto brutto!"
replicò Alec, indignato. "E non mi piace per niente l'idea
di averla qui!" continuò, stizzito.
"Sì, beh, se crede che al sottoscritto diverta l'idea di
vivere in questo tugur.. ehm.. in questo appartamento.." si
corresse, virgolettando l'ultima parola con le dita. "..si sbaglia di
grosso, cocco!"
ribatté Magnus, ironico.
"C-cocco?"
balbettò Alec, scioccato. "Come si permette?"
tuonò, subito dopo, ergendosi in tutta la sua altezza. "Ho
un nome, maleducato che non è altro! Non sono il cocco di nessuno,
io! Chiaro?" sottolineò con fervore.
Magnus sorrise, trovando adorabili le gote arrossate di indignazione
del ragazzo. "Ah. Quando è così, allora le chiedo
scusa." mormorò, alzando le mani in segno di resa.
"Vada a farsi fottere."
"Uhhh, siamo un po' volgari, non trova?" chiese Magnus, piegando la
testa, con un sorriso sornione. "Senta, signor Lightwood, è
bene che si ficchi in testa una cosa: per qualche tempo io e lei
dovremo vivere sotto lo stesso tetto. Questo." aggiunse, indicando il
soffitto. "Quindi veda di essere un po' più gentile."
L'espressione impertinente con cui l'uomo gli fece quel discorsetto,
irritò Alec oltre ogni misura. "Guardi che.."
iniziò, mentre l'altro gli rivolgeva uno sguardo e un
sorriso paziente, quasi stesse ascoltando le lamentele di un bambino.
"..chiamo mio padre!" esclamò, con enfasi.
"Faccia pure. E lo saluti da parte mia." rispose Magnus, scrollando le
spalle e voltandosi per dirigersi verso il divano.
Alec strinse i pugni. "Anzi, sa una cosa? Chiamerò il suo
superiore per lamentarmi del suo operato!" lo minacciò,
annuendo convinto. "Già! Ahn-ahn! Può scommettere
che lo farò! Come la mettiamo adesso? Eh?"
domandò, sfrontato.
Magnus si accigliò, mentre con l'indice e il pollice alzava
leggermente un angolo di un cuscino del divano, esaminandolo
attentamente, come se si aspettasse di veder spuntare fuori, da un
momento all'altro, qualche bestiaccia strana. "Cioè vuole
chiamare i proprietari della Fairmont
Hotels and Resorts?" chiese, sovrappensiero, continuando a
ispezionare minuziosamente il resto del sofà. "Buona
fortuna!" ridacchiò, con un sorriso canzonatorio,
lasciandosi finalmente cadere tra i cuscini del divano e allungando le
gambe davanti a sé.
Questa volta fu Alec a rimanere spaesato. "Fairmont Hotels and Resorts?"
chiese, con aria smarrita.
Magnus annuì, aggiustando il sedere, sul cuscino su cui era
seduto, con un cipiglio concentrato. "Lavoro per loro. Testo i loro
hotel di lusso in giro per il mondo e.. Dio, come diavolo fa a stare
seduto su una roba del genere?" chiese, continuando a dimenarsi per
trovare la comodità desiderata.
"Ma.. ma mio padre mi ha detto che lei è un agente speciale
della Marina Militare e.."
"Ex." rispose Magnus, distrattamente, alzandosi per sprimacciare con
energia il cuscino. "Demi
Tuhan, è pieno di bitorzoli questo coso!"
"Cosa?"
"Questo affare deve essere buttato! Ecco cosa!"
"Lasci in pace il mio cuscino!" ordinò Alec. "E.. che
significa ex?"
"Sono un ex agente speciale, signor Lightwood." precisò
Magnus, osservando con aria truce il cuscino che proprio non ne voleva
sapere di collaborare e diventare un minimo più comodo. "Sul
serio, come accidenti riesce a sedersi sopra a questa robaccia?"
chiese, rivolgendogli un breve sguardo ammonitore, mentre si piantava
le mani sui fianchi.
"Lei.. lei è un ex
militare?" chiese Alec, ignorandolo e sbarrando gli occhi a quella
scioccante notizia.
"Ahn-ahn." rispose Magnus, tranquillo, ributtandosi, poco convito,
nuovamente sul divano. "Ho lasciato il servizio più di otto
anni fa." spiegò, asciutto, sbuffando a più non
posso per la scomodità del divano. "Santo cielo,
è come sedersi per terra, su tanti piccoli sassi!"
protestò, dimenando nuovamente il sedere.
Alec trattenne il fiato. Suo padre l'aveva ingannato, quindi! O, peggio
ancora, non era a conoscenza della china presa da quell'individuo, che
non era più un militare!
Cercò di pensare velocemente a un modo per liberarsi di
quell'individuo, che si stava agitando sul suo divano come se avesse un
ragno infilato nelle mutande. "Chiamo la polizia e la faccio
arrestare!" lo minacciò a un tratto, serio.
Magnus interruppe lo scontro con il divano e sorrise, scuotendo la
testa. "E con quale scusa? La
guardia del corpo assunta da papino non mi piace? Crede
davvero che verrebbero? Andiamo!" ridacchiò, muovendosi un
altro po'. Con un sospiro rassegnato, si afflosciò sullo
schienale e sbuffando a più non posso maledisse il divano,
calandosi gli occhiali da sole sul naso e incrociando le braccia al
petto.
Alec batté un piede a terra, indispettito oltre ogni dire, e
decise quindi di passare alle maniere forti pur di sbarazzarsi di
quell'individuo irritante. "Senta, delinquente da strapazzo, alzi
immediatamente il culo dal mio divano e se ne vada o le garantisco che
la sbatto fuori a calci. E non sarà affatto piacevole!"
Magnus abbassò leggermente gli occhiali sul naso, mentre un
lento sorriso divertito nasceva sulle sue labbra. "Sono un ex militare,
signor Lightwood, mentre lei è un semplice civile. Pensa
davvero di riuscire a mettere in atto la sua minaccia?"
"Vada a farsi fottere!" sibilò nuovamente Alec, dopo un
lungo momento, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Magnus scosse la testa. "Signor Lightwood, sul serio, dovrebbe rivedere
il suo linguaggio. E' troppo scurrile." lo apostrofò, con
fare paternalistico, tornando a inforcare gli occhiali. "E, tanto per
essere chiari, mi è stato affidato un incarico.
Resterò qui fino a quando sarà necessario. Che
lei lo voglia o no."
Alec stava misurando la stanza a grandi passi e in lungo e in largo,
mentre, con il telefono incollato all'orecchio, sibilava come un
serpente a sonagli contro lo sfortunato malcapitato che si trovava
dall'altra parte della linea e che aveva avuto la iella di rispondere.
Stava fumando dalla rabbia.
Però, pensò Magnus, sprofondato nello scomodo
divano che gli stava martoriando le natiche e la schiena, con le
braccia incrociate al petto e la testa leggermente piegata di lato,
mentre lo guardava con interesse, non era niente male. Anzi, a dirla
tutta, abbigliamento da barbone a parte, era molto più che niente male!
Alexander Gideon Lightwood era un bocconcino inaspettatamente
appetitoso e.. non era decisamente un moccioso!
Non se ne era accorto subito, preso com'era dalla forte emicrania che
gli aveva martellato la testa da quando si era svegliato quella mattina
fino a dieci minuti prima, quando finalmente era riuscito a buttare
giù due pastiglie, ma ora che finalmente il dolore si era
attenuato e la nebbia nella sua mente si era diradata, vedeva tutto
più chiaramente e.. Dio, cosa non avrebbe potuto fare a quel
sedere tondo e perfetto e a quella bocca peccaminosa!
Dewi gli aveva descritto il figlio di Robert Lightwood come un ragazzo
fragile e bisognoso di aiuto, e Magnus aveva pensato di dover fare da
balia a un individuo gracilino e petulante, con il moccio al naso e
terrorizzato dalla sua stessa ombra. Invece, a giudicare dallo
"spettacolo" che si stava godendo in quel momento, il moro era tutto
fuorché una damigella
in pericolo!
Alexander viveva da solo in un orrendo appartamento in un tranquillo
quartiere di Manhattan e fisicamente era poco più basso di
lui, ma più muscoloso e con delle spalle ampie e larghe, a
cui ci si sarebbe attaccato volentieri per interessanti
attività verticali
e, soprattutto, orizzontali.
Aveva una delicata pelle color alabastro, lineamenti del viso che uno
scultore avrebbe volentieri immortalato su un blocco di marmo e
sfoggiava una folta e disordinata massa di capelli neri come
l'inchiostro, in cui moriva la voglia di infilare le mani per saggiarne
la consistenza. I fianchi snelli e le gambe lunghe erano fasciati da un
paio di jeans logori e stracciati, che Magnus non avrebbe usato neanche
per fare la cuccia a un cane randagio, e un maglione dal colore
indecifrabile, ma che, tirando a indovinare, una volta doveva essere
stato nero, e.. demi
surga, era un buco quel sfilacciamento sulla spalla?
Magnus scosse la testa e alzò lo sguardo per osservare la
parte più incredibile di quel ragazzo, ossia i suoi
meravigliosi occhi, che erano di un blu talmente vivido e intenso da
desiderare di annegarci dentro e che ti fulminavano e ti lasciavano
stecchito a terra con un battito di ciglia.
C'era poco da dire: Alexander Lightwood era davvero bello. Aveva un
pessimo carattere, una lingua affilata come un rasoio e si vestiva come
un senzatetto, certo, ma era innegabilmente attraente e sexy e.. Dio,
quel sedere l'avrebbe mandato al manicomio, ne era certo! Magnus
continuava a fissarlo avidamente, immaginando scenari, uno
più sconcio dell'altro, in cui riusciva a mettere le mani su
tutto quel ben di Dio, mentre il ragazzo, completamente ignaro della
direzione del suo sguardo, marciava da una parete all'altra del salotto.
"In riunione?" esclamò Alec. "No, senta, devo parlare con
lui. Adesso. Per cortesia, me lo passi e.. sì!
Sì, mi ha capito benissimo! Voglio parlare con lui! Ora!"
pretese, alzando di poco il tono della voce. "Cosa significa che non
può proprio passarmelo? Senta signor.. come diavolo si
chiama?" sibilò, arrabbiato. "Perfetto. Senta, David, o me
lo passa subito o giuro che entro mezzogiorno lei sarà
disoccupato. Sono stato chiaro?" minacciò, gelido. Poi una
pausa. "Sì, resto in linea. Grazie."
"E' inutile." provò a dire Magnus.
"Stia zitto. Nessuno ha chiesto il suo parere." lo apostrofò
Alec, girandogli le spalle e dando inconsapevolmente all'altro
nuovamente modo di guardargli il sedere.
"Alexander, non riuscirai a liberarti di me." lo avvertì
Magnus, allungando le gambe sul tavolinetto davanti a lui.
Visto che avrebbero vissuto insieme per chissà quanto tempo,
aveva deciso che tanto valeva entrare in confidenza fin da subito e
passare direttamente a darsi del tu, perché mantenere un
certo distacco, quando avrebbero dovuto condividere gli stessi spazi,
sarebbe stato impossibile.
Alec si girò per guardarlo, fulminandolo con lo sguardo.
"Tolga subito quei luridi stivali dal mio tavolino!"
ringhiò, feroce. "E non mi chiami Alexander!"
Magnus alzò le mani. "Ok. Ok. Non ti scaldare. Alex, allora?"
"Per lei sono il signor Lightwood!" pretese Alec, tornando a voltarsi,
in attesa di una risposta dall'altra parte della linea. Fece un salto e
gridò, sorpreso, quando si sentì sfiorare la
pelle sulla spalla. "C-cosa fa?!"
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Per tutti i diavoli! E'
davvero un buco!"
"C-cosa???"
"Il tuo maglione ha un buco!"
"Stia lontano da me!" strillò Alec, puntandogli l'indice
contro e allontanandosi bruscamente da lui.
Magnus scosse piano la testa, esterrefatto, poi tornò a
sprofondare tra i cuscini del divano. "Un barbone! Ho a che fare con un
barbone!" borbottò, scioccato.
Alec gli lanciò un'occhiata omicida, alzando il dito medio e
sventolandoglielo contro con tutta la rabbia che gli ribolliva in corpo.
Magnus ridacchiò davanti a quel gesto infantile e gli fece a
sua volta la linguaccia. "Tanto per la cronaca, guarda che ci ho
già provato anch'io a sganciarmi da questa situazione
assurda, ma è stato inutile."
Alec aggrottò la fronte. "Ci ha provato anche lei?" chiese,
abbassando la mano.
"Non penserai che mi stia divertendo, qui, vero?" chiese Magnus,
alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
Il pomeriggio prima, infatti, quando si era incontrato con suo padre
per avere tutti i dettagli della "missione", Magnus aveva provato per
più di un'ora a tirarsi fuori da quell'impegno, ma aveva
fallito miseramente. Sua madre si era intromessa come suo solito ed era
riuscita a impedirgli di scappare dalla città, con il primo
aereo, per non fare più ritorno.
Alec lo guardò, sempre più confuso, e
coprì con una mano il ricevitore del telefono.
"Perché ha accettato di venire, allora?"
"Non ho accettato. Sono stato incastrato." precisò Magnus,
intrecciando le mani dietro la testa.
"Incastrato?" ribatté Alec, incredulo.
"Fidati." lo rassicurò Magnus.
"E' proprio questo il punto. Io non
mi fido. Di lei men che meno." scandì Alec,
serissimo.
"Libero di farlo, ma sappi che, se avessi rifiutato l'incarico, sarebbe
stata la mia fine. Capisci?" gli confidò l'uomo, con un
sospiro, porgendo il labbro in un broncio infantile.
Alec lo fissò, impassibile. "Sta cercando di farmi pena? Sul
serio?"
"Funziona?" gli chiese Magnus, con un sorriso malandrino, piegando la
testa.
"No." rispose Alec, lapidario.
Magnus sospirò. "Andiamo, Alexander, non ti sembra di esag.."
"Le ho detto di non chiamarmi Alexander!"
strillò Alec, esasperato. "Se proprio vuole essere poco
professionale, mi chiami Alec." dichiarò, voltandogli poi le
spalle, indispettito. "Sì? Pronto? Sì, sono
ancora qui! Sì!" esclamò a un tratto, quando
l'interlocutore ritornò da lui. "Come sarebbe a dire che non
può proprio venire al telefono? Gli ha detto che sono suo
figlio e.. Senta, David, lei.. Cosa? No! Non ho intenzione di prendere
un appuntamento e.. Ohhh, lasci perdere, ok? Sì,
sì, le ho detto di lasciare stare. Ci parlerò
più tardi! Grazie e buona giornata." esalò,
spazientito, chiudendo la conversazione e fissando, con palese
ostilità, l'uomo che aveva preso residenza sul suo divano e
che lo guardava di rimando con un enorme sorriso stampato sul volto.
"Che ne dici di ricominciare da zero?" gli chiese Magnus, alzandosi in
piedi e porgendogli una mano. "Magnus Bane, piacere di conoscerti."
Alec incrociò le braccia al petto e fissò quella
mano come se fosse un orribile mostro a tre teste.
"Andiamo, Alec, guarda che sarebbe molto più facile per
entrambi se ti rassegnassi all'idea di avermi qui con te." lo
sollecitò Magnus, con un sorriso.
"E se la pagassi il doppio di quanto le dà mio padre, per
togliersi dai piedi?" chiese improvvisamente Alec, alzando lo sguardo e
guardandolo speranzoso. "Giuro che non lo direi a nessuno! Lei potrebbe
tornare alla sua vita di sempre e io alla mia."
Magnus lo guardò per un lungo momento, in silenzio, quasi
stesse ponderando la proposta, e Alec rimase in trepidante attesa, con
il fiato sospeso. Dopo un interminabile minuto, l'uomo scosse con
decisione la testa. "Niente da fare. Noi due resteremo insieme fino a
quando la faccenda delle e-mail minatorie non sarà
sistemata."
Alec roteò gli occhi e sbuffò esasperato.
"Allora, che ne dici? Tregua?" propose Magnus, porgendogli nuovamente
la mano.
Alec fissò di nuovo la mano tesa, mordicchiandosi il labbro
inferiore, indeciso, valutando velocemente tutti i pro e i contro di
quella situazione. Per il momento c'era ben poco che potesse fare e
continuare a comportarsi come un bambino di cinque anni non sarebbe
servito a niente, a parte rendersi ridicolo agli occhi dell'uomo
davanti a lui. Dopo un lungo momento, sospirò,
abbassò le spalle e, con aria rassegnata, gli porse la mano.
"Tregua, ma a una condizione."
"Spara." rispose Magnus, stringendogli la mano.
"Non mi tenti." ironizzò Alec, con uno strano luccichio
negli occhi, interrompendo il breve contatto che, incomprensibilmente,
gli aveva fatto partire una scarica di adrenalina lungo tutto il corpo.
Magnus sorrise divertito. "Sai che cominci a piacermi?"
"Ohhh, stia zitto o potrei montarmi la testa!" rispose Alec, roteando
gli occhi, con un accenno di sorriso storto sulle labbra.
"Accetterò la sua presenza." riprese, poi, con tono
ragionevole. "E le permetterò di venire a lavoro con me e
seguirò tutti i consigli che mi darà per
proteggermi. Durante il giorno."
"E di notte?"
"E di notte si toglie dai piedi." spiegò Alec, risoluto.
Magnus si massaggiò il mento, ponderando le parole
dell'altro. "Sarei tentato, davvero, ma devi rivedere le tue
condizioni."
"Perché?" chiese Alec, sbalordito. Gli sembrava un piano
perfetto, per l'angelo! Perché quel rompiscatole non era
d'accordo?
"Perché ho giurato di starti appiccicato come un francobollo
fino a quando non sarai definitivamente al sicuro. Ed è
esattamente quello che intendo fare."
"Ohhh, andiamo! Non è affatto necessario!" si
lagnò Alec, allargando le braccia. "Non sono in pericolo!"
"Non faccio io le regole, dolcezza." sentenziò Magnus,
scrollando le spalle.
"Non mi chiami dolcezza!"
sbuffò Alec, spazientito. "Senta, questa casa è
troppo piccola per due persone." spiegò poi, tentando di
essere convincente. "Ci daremmo solo fastidio a vicenda!"
"Ho vissuto in condizioni peggiori." replicò Magnus,
scrollando le spalle con un sorriso che la sapeva lunga.
"Non saprei dove farla dormire!" tentò, allora, Alec.
"Non hai due camere da letto?" chiese Magnus, con aria furba, inarcando
un sopracciglio.
"No!" mentì spudoratamente Alec.
Magnus sorrise. "La camera degli ospiti andrà benissimo."
"Andrà bene per lei, ma non per me!" ribatté
Alec, piazzandosi le mani sui fianchi.
"Pazienza. Il tuo parere, in questa faccenda, non conta."
"C-cosa?" esalò Alec, spalancando gli occhi, sorpreso. "Le
ricordo che questa è casa mia!"
"Sì e io sono tuo ospite."
"Contro la mia volontà."
"Non è importante."
Alec sbuffò nuovamente esasperato. Era inamovibile,
dannazione! "Detesto questa situazione." decretò,
contrariato.
"E' una cosa che abbiamo in comune." affermò Magnus,
scrollando le spalle e facendogli l'occhiolino. "Forse saremmo una
buona squadra, se seppellissi l'ascia di guerra."
"Ne dubito fortemente!"
Magnus divenne serio. "Alec, credimi, sarei felicissimo di togliermi
dai piedi.."
"E allora lo faccia, per la miseria!" gridò Alec, gettando
la testa all'indietro per l'esasperazione.
"..ma ormai sono qui." continuò Magnus, ignorandolo e
andando a sedersi di nuovo sul divano bitorzoluto. "E ci
resterò per un bel po'. Rassegnati."
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Seduto dietro la sua
scrivania, Alec cercò di ritrovare un po' di calma dopo
quell'inizio di giornata decisamente turbolento.
Chiuse gli occhi e inspirò più e più
volte nel tentativo di riacquistare la tranquillità perduta,
senza tuttavia riuscirci. Era stanchissimo, per l'angelo! Magnus Bane
riusciva a prosciugargli tutte le energie come niente e nessuno al
mondo e sembrava quasi che quell'uomo fosse stato creato appositamente
per farlo andare fuori di testa.
Anche prima di uscire di casa, ad esempio, era riuscito a bisticciare
con quel prepotente che gli aveva soffiato dalle dita le chiavi della
sua auto, con cui il moro si recava quotidianamente al lavoro,
dichiarando compiaciuto "Guido io!".
Alec aveva sospirato pesantemente, trattenendosi dall'imprecare. "No,
lei rimane qui a ripensare al suo comportamento infantile. Al mio
ritorno, pretendo più professionalità!" si era
limitato a sibilare, stizzito, con un tono che non ammetteva repliche.
Sfortunatamente, però, quel modo autoritario, che
solitamente funzionava con chiunque si relazionasse con lui, sembrava
non sortire alcun effetto sul suo cane
da guardia, anzi sembrava quasi che l'altro avesse un lato
curiosamente masochista e che trovasse estremamente divertente farlo
arrabbiare e sentirsi apostrofare in malo modo.
Magnus, infatti, non si era scomposto minimamente al suo tono
tagliente, anzi aveva sorriso ancora di più e aveva
replicato "Niente da fare, tortellino,
io vengo con te, ma, visto che ti innervosisci facilmente,
sarò gentile e ti lascerò guidare.", lanciandogli
nuovamente le chiavi e facendogli l'occhiolino.
"Ohhh, sono davvero onorato che lei mi permetta di guidare la mia macchina!"
aveva ribattuto Alec, indispettito, soprassedendo sul nuovo soprannome,
mentre Magnus faceva un inchino irriverente, indicando la porta di casa
con un plateale gesto del braccio.
Per l'angelo, era così.. così.. molesto. Dio, era
come una zanzara che continuava a ronzargli attorno senza dargli un
attimo di tregua, punzecchiandolo continuamente e urtando i suoi nervi,
già fortemente provati. Era sfiancante.
Come se tutto questo non bastasse, il suo cellulare non aveva smesso di
trillare dalle otto di quella mattina, a causa dei continui messaggi da
parte dei suoi fratelli che chiedevano maggiori dettagli sul nuovo
arrivato. Prese il telefonino e, con uno sbuffo esasperato, tolse la
suoneria per avere due secondi di pace.
No, non avrebbe mandato loro una foto di Magnus Bane, né si
sarebbe lanciato in descrizioni fisiche, che nulla avevano a che fare
con il rapporto professionale che lo legava a quel seccatore, e
tantomeno gli passava per l'anticamera del cervello di indagare
sull'orientamento sessuale di quel tipo e rivelare loro se era talmente
bello da fare comunque un giro sulla sua "carrozzeria", con o senza il
suo permesso, ficcandogli la lingua in bocca e le mani nelle mutande.
Quest'ultimo punto, poi, era sicuramente fuori discussione, visto che
Alec non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi fisicamente a quel
bellimbusto ed era fermamente deciso a liberarsi di lui il prima
possibile, pretendendo da suo padre una nuova guardia del corpo, se
proprio insisteva ad affibbiargliene una, visto che quella attuale era
assolutamente incompatibile con lui, oltre che insopportabile!
Quell'uomo ignorava platealmente le sue richieste, fingeva di non
ascoltare le sue rimostranze e lo punzecchiava costantemente su tutto.
Era un incubo, per l'angelo!
Un leggero bussare preannunciò l'arrivo di Clary, con la sua
massa di ricci rosso fuoco che fece capolino da dietro la porta. "Alec?
C'è qui Simon." gli annunciò, con un sorriso
gentile.
"Grazie, Clary. Arrivo subito." comunicò Alec, con un
leggero cenno della testa, prima di prendere un bel respiro profondo.
Si massaggiò lentamente le tempie, pressando la pelle in
ampi cerchi concentrici, nella speranza che quel gesto lo calmasse a
tal punto da uscire da quella stanza, anche se solo per il tempo
necessario ad agguantare Simon e a trascinarlo nella sua "tana", e
ignorare il suo logorroico cane
da guardia, che aveva piazzato, senza tante cerimonie, a
Clary non appena varcata la soglia dell'ufficio.
Già, perché, oltre a essere insopportabilmente
bello, quell'uomo non stava zitto un secondo e cianciava del
più e del meno, saltando da un argomento ad un altro con una
velocità tale che ad Alec era venuto un gran mal di testa
lungo il tragitto casa-lavoro in macchina!
Dopo l'ennesimo, lungo, respiro, raddrizzò le spalle,
alzò il mento in segno di sfida e uscì a passo
deciso dal suo ufficio proprio mentre Magnus stava dicendo, ai due
cognati, "Fiorellino
è così irascibile!".
Ecco, quella era un'altra cosa che lo mandava fuori dalla grazia di
Dio. Erano appena le nove e mezza del mattino e quell'idiota era
già riuscito ad appioppargli una decina di nomignoli, che
definire ridicoli era riduttivo, e, nonostante le sue accese proteste,
pareva non avere alcuna intenzione di smettere. Anzi, più i
minuti passavano e più Magnus Bane riusciva a sciorinare
soprannomi fantasiosi e incredibilmente imbarazzanti che solo la sua
mente bacata poteva elaborare.
Prese in seria considerazione l'idea di fare un veloce dietrofront e
mandare al diavolo tutto e tutti, ma sapeva di non poterlo fare.
Lydia si era rifatta viva.
Neanche quindici minuti prima, infatti, la ragazza non era entrata in
agenzia, ma Alec l'aveva vista fare avanti e indietro sul marciapiede,
quando era andato a consegnare dei documenti a Clary, fermandosi di
tanto in tanto a guardare nella loro direzione, fino a quando il
ragazzo non aveva indirizzato lo sguardo verso la vetrata e lei era
riuscita a catturare il suo sguardo. Aveva voluto lanciargli un
avvertimento? O addirittura una minaccia? Alec non lo sapeva, ma,
qualunque cosa fosse, non poteva più aspettare. Il pensiero
che penetrasse di nuovo nel suo ufficio lo turbava molto più
di quanto non volesse ammettere. Aveva davvero bisogno di quel sistema
d'allarme.
"Allora?" brontolò, con le mani sui fianchi, interrompendo
il vivace brusio. "La smettiamo?"
Quel tono secco e autoritario, che aveva sempre zittito anche il
più maleducato tra i suoi clienti, fece ammutolire
all'istante i due cognati, ma, ancora una volta, sembrò non
sortire alcun effetto su Magnus che alzò gli occhi su di
lui, tranquillo, e lo fissò con un lento sorriso divertito
che gli incurvava le labbra piene e seducenti.
Per l'angelo, cosa doveva fare con lui? Se lo insultava, gli sorrideva.
Se gli urlava addosso, gli sorrideva. Se lo zittiva in modo brusco, gli
sorrideva. Che razza di problema aveva quel tipo? Una paresi facciale?
"Simon." sbuffò, infastidito. "Per cortesia, puoi seguirmi?"
chiese, indicando con un cenno della testa il suo ufficio.
"Signorsì, signore!" esclamò Simon, facendogli il
saluto militare e facendo ridacchiare gli altri due.
"Ah. Ah. Ah." lo fulminò Alec, con il viso imbronciato.
"Clary, hai fatto quella ricerca di cui ti ho parlato prima?"
"Ho trovato qualcosa, ma.."
"Per cortesia, puoi fare più in fretta? Mi serve con una
certa urgenza, grazie." la interruppe Alec. "Quanto a lei.."
commentò, in direzione di Magnus. "..le sarei grato se la
smettesse di far perdere tempo alla mia segretaria." lo
incenerì con lo sguardo, agguantando poi il cognato per un
gomito e trascinandolo verso il suo ufficio.
"Sono nei guai?" sussurrò Magnus, accostandosi a Clary con
un cipiglio curioso.
"Credo di sì." sorrise Clary, divertita, scrollando le
spalle.
"FAIRCHILD! Al lavoro! Ora!" ringhiò Alec, voltando appena
la testa.
Clary scattò come un soldatino e tornò dietro la
sua scrivania, mentre Alec lanciava l'ennesima occhiata di fuoco a
Magnus, che roteò gli occhi, ridacchiando, prima di
soffiargli un bacio volante sulla punta delle dita, facendogli anche
l'occhiolino.
Alec si trattenne per un soffio dal fargli un'infantile linguaccia e un
inopportuno, ma sicuramente efficace, dito medio ed entrò
nella sua stanza, chiudendo bruscamente la porta.
"Stai bene?" chiese Simon, inarcando un sopracciglio.
"Sì. Grazie." tagliò corto Alec.
Il cognato gli fece un largo sorriso e si protese verso di lui,
eccitato, saltellando quasi sulla sedia. "Per tutti gli angeli, Alec!
Bel colpo! Quell'uomo è bellissimo!" affermò,
entusiasta, alzandosi lievemente per dargli un leggero pugno
compiaciuto su una spalla.
"Cosa?" chiese Alec, spiazzato.
"Il tuo nuovo ragazzo! Magnus! E' davvero un bell'uomo!"
Ad Alec andò di traverso la saliva. "C-cosa?"
esalò. "N-non è il mio ragazzo."
replicò, indignato.
"Oh. Allora Izzy deve essersi sbagliata." commentò Simon,
facendo spallucce.
"Certo che si è sbagliata, Simon!" si infervorò
Alec, paonazzo. "E' la mia guardia del corpo, non il mio nuovo ragazzo!"
"Guardia del corpo?" chiese Simon, sbalordito.
"Lasciamo perdere." replicò Alec, pizzicandosi la radice del
naso, mentre sentiva che gli stava per venire un'altra emicrania.
"Oh, per l'angelo! Avevo promesso a tua sorella che avrei fatto una
foto a Magnus!" esclamò Simon, a gran voce. "Ti spiace se
esco un attimo e.." iniziò e, senza continuare e attendere
risposta, si alzò dalla sedia con il cellulare in mano per
andare a compiere la sua missione.
"Simon!" lo bloccò Alec, inorridito. "A cuccia!"
ordinò, indicando nuovamente la sedia con un gesto
perentorio del dito.
"Ma Izzy vuole.."
"Simon.." lo interruppe Alec, esasperato, tornando a massaggiarsi le
tempie. "Non mi interessa cosa vuole quella rompiscatole della tua
ragazza che, per disgrazia divina, è anche mia sorella."
brontolò, incrociando le braccia al petto. "Possiamo, per
cortesia, passare direttamente al motivo per cui sei qui?"
"Uff. Va bene. Tanto gli farò la foto quando avremo finito
qui." sorrise Simon, facendo spallucce, tornando a sedersi, mentre Alec
gemeva sconfortato. "Allora, Izzy mi ha informato che hai bisogno di un
sistema di sicurezza. Cosa è successo?" chiese, in tono
professionale.
"Che cosa vuoi dire?" domandò il moro, alzando di scatto la
testa verso il cognato.
"Beh, hai sempre odiato i sistemi d'allarme." rispose Simon,
assottigliando lo sguardo. "Ricordo benissimo di quella volta che,
durante una cena, mi hai accusato di mettere metaforicamente in
prigione le persone! Immagino che debba essere successo qualcosa di
grave per convincerti a installarne uno."
Alec lo fissò, sorpreso. Aveva sempre pensato che il cognato
avesse troppo la testa tra le nuvole per badare a quello che diceva, ma
a quanto pare l'aveva sottovalutato.
Si mordicchiò l'unghia del pollice, nervoso. Lavorare con
Simon poteva rivelarsi più difficile del previsto,
perché era un grandissimo chiacchierone e una sua battuta,
seppur detta in modo innocente, avrebbe potuto scatenare un vero e
proprio dramma. L'ultima cosa che voleva era che la sua famiglia
venisse a conoscenza di Lydia e iniziasse a preoccuparsi per lui. Non
ce n'era motivo, davvero. Già si sentiva in colpa che lo
sapesse Izzy! Se anche gli altri avessero saputo delle minacce della
bionda, non gli avrebbero più dato un momento di pace e suo
padre gli avrebbe messo alle calcagna un branco di cani da guardia,
anziché uno solo!
Tuttavia aveva bisogno dell'esperienza di Simon e della cura, quasi
maniacale, che metteva nei dettagli del suo lavoro per liberarsi
definitivamente (almeno sperava) di Lydia.
Decise, quindi, che doveva inventarsi una storia plausibile da
raccontare al cognato e, all'occasione, anche al resto della famiglia:
si sarebbe tenuto il sistema d'allarme solo fino a quando Lydia non si
fosse stancata di lui, indirizzando le sue attenzioni ad altri uomini e
facendolo finalmente tornare alla sua solita routine, e poi se ne
sarebbe liberato.
"Beh, c'è stata una serie di furti qui nella zona."
spiegò, sforzandosi di dare alla sua voce un tono credibile.
"Ho lavorato davvero sodo per mantenere quest'attività al
top e non voglio che entrino anche qui dentro, derubandomi. E' per
questo che sono disposto a mettere da parte la mia avversione per i
sistemi d'allarme." terminò, scrollando le spalle,
soddisfatto di se stesso e battendosi il cinque mentalmente.
Simon piegò la testa, osservandolo come se stesse soppesando
le sue parole e stesse decidendo se quello che gli aveva appena detto
era la verità o una panzana colossale. Alec strinse le
labbra in una linea sottile e sostenne il suo sguardo senza alcun
tentennamento, obbligandosi a non agitarsi sulla sedia per non rivelare
l’ansia che gli scorreva dentro.
"Ok." rispose Simon infine, scrollando le spalle e abboccando alla sua
bugia. "Posso iniziare domani mattina e, intanto, do un'occhiata in
giro per rendermi conto del lavoro da fare. Va bene?"
Alec annuì, intimamente sollevato. "Ho del lavoro urgente da
sbrigare, però Clary è a tua disposizione. Non
c'è molto da vedere, ma se hai bisogno di informazioni, o
hai bisogno di qualcosa, puoi chiedere direttamente a lei."
"Ottimo." disse Simon, alzandosi dalla poltroncina. "Allora, ci vediamo
dopo! Passo a salutarti prima di andare via."
Alec annuì, allungando una mano. "Grazie, Simon!"
"Figurati!" sorrise il castano, stringendogliela, uscendo poi dal suo
ufficio e chiudendosi la porta alle proprie spalle.
"E così, Sigmund, installi impianti di sicurezza."
esclamò Magnus, mettendosi in posa per il selfie che il
cognato di Alec gli aveva chiesto di fare, manco fosse un fan in
presenza di un vip.
"Simon. Mi chiamo Simon." rispose il castano, distratto, mentre
digitava velocemente sul suo cellulare. "E, sì, installo
antifurti e telecamere di sicurezza." confermò, prima di
sorridere soddisfatto al messaggio appena ricevuto, iniziando poi ad
aggirarsi per l'agenzia in compagnia di Clary, prendendo nota dei
possibili posti dove piazzare le telecamere.
L’ex militare non poteva di certo dirsi sorpreso per
l'iniziativa presa dal moro: Robert Lightwood era stato vittima di
e-mail minatorie e trovava quindi logico che il ragazzo si attivasse
per difendere il suo posto di lavoro. Quello che proprio non riusciva a
inquadrare era perché rifiutasse così
categoricamente la sua presenza. Ok, non avevano iniziato quella
collaborazione nel migliore dei modi, e forse (ma solo forse, sia
chiaro) Magnus si divertiva un po’ troppo a stuzzicarlo,
perché adorava vedere le sue guancie assumere una deliziosa
tinta color ciliegia quando si imbarazzava e stizziva allo stesso
tempo, ma la testardaggine dell’agente di viaggi nel non
volerlo al suo fianco era davvero esagerata.
Ciondolò sul posto, con le mani nelle tasche posteriori dei
jeans, seguendo con lo sguardo il castano che prendeva nota di ogni
minimo dettaglio di quel posto. A differenza dell'appartamento del
moro, l'agenzia di viaggi Cacciatori
di sogni trasudava eleganza e buongusto: non era molto
grande, ma era accogliente e lo spazio a disposizione era stato
suddiviso in modo da dare ad Alec la giusta privacy quando doveva
accogliere i propri clienti, creando un ufficio confortevole ed
efficiente che si trovava in fondo ad un piccolo corridoio. C'era anche
un salottino, presidiato dalla postazione di Clary, che fungeva da sala
d'attesa e che aveva dei comodi divanetti in pelle nera su cui
torreggiavano vari espositori, pieni zeppi di cataloghi e riviste di
viaggi.
Era un bel posticino, ammise Magnus, osservando il tutto ed era
così diverso da quell'obbrobrio che Alec si ostinava a
chiamare "casa"! Come poteva essere il proprietario di quel posto la
stessa persona che viveva in un appartamento con le crepe sui muri?
L'uomo incrociò le braccia al petto e si
tamburellò il mento con un dito, pensoso. Forse il ragazzo
soffriva di bipolarismo? Magari era anche per quello che era
così aggressivo con lui! Si appuntò mentalmente
di chiedere a suo padre, così da poter gestire al meglio
quella situazione problematica, perché di certo non voleva
rischiare di finire con un coltello conficcato nella gola, mentre stava
dormendo, solo perché sua madre si era erroneamente messa in
testa che quel ragazzo fosse un cucciolo di panda che andava protetto a
ogni costo!
"Ok, Clary, qui ho finito." affermò Simon, al termine del
breve tour, interrompendo il flusso di pensieri dell'ex militare.
"Domani mattina arriverò con la mia squadra per cominciare i
lavori di installazione."
"Fantastico!" esclamò la ragazza, visibilmente sollevata,
congiungendo le mani al petto. "Sono così contenta che tu
sia arrivato Magnus." confessò, posandogli una mano sul
braccio e regalandogli un caldo sorriso. "E con un sistema d'allarme mi
sentirò ancora meglio."
"Davvero?" le chiese Magnus, curioso. "Perché?"
Clary si avvicinò ai due, con fare cospiratorio, arricciando
l'indice perché si abbassassero al suo livello. "E' arrivato
un messaggio minatorio." bisbigliò, lanciando un'occhiata
alla porta di Alec per controllare che non si aprisse proprio in quel
momento.
"Un messaggio minatorio?" mormorò Magnus, alzando un
sopracciglio.
Clary annuì. "Non ho idea di chi sia la mittente, ma non mi
piace per niente l'idea che entri qui e soprattutto che lasci certi
tipi di messaggi ad Alec! Nessuno si deve permettere di minacciare mio
cognato!" affermò, con tono deciso, piantandosi le mani sui
fianchi e scuotendo energicamente la testa.
Magnus si raddrizzò, sovrappensiero. Una ragazza che
lasciava messaggi minatori? Perché il moro non gliene aveva
parlato? Era per questo che aveva deciso di installare il sistema
d'allarme nell'agenzia? L'ex militare ipotizzò che dovesse
essere una cosa seria se Alec si era attivato per quella situazione
anziché per le e-mail minacciose ricevute da Robert
Lightwood.
"Alec non lo sa, ma stavo depositando nella nostra cassaforte l'assegno
di un nostro cliente e ho trovato il messaggio." continuò
Clary, in un sussurro.
"E cosa c'era scritto?" bisbigliò Simon, rapito, pendendo
dalle labbra dell'amica.
Clary guardò brevemente di nuovo verso la porta chiusa
dell'ufficio di Alec. "Volete che ve lo faccia vedere?"
Magnus e Simon si trovarono ad annuire contemporaneamente e fissarono
Clary che digitava la combinazione della cassaforte e ne estraeva il
biglietto incriminato, consegnandolo poi a Magnus, mentre Simon gli si
accostava per leggere le parole impresse nel cartoncino.
La minaccia era chiara: Alec si era rifiutato di uscire con una donna e
lei era arrivata a controllare se lui le avesse detto la
verità o meno. E ora era arrabbiata.
"Quando è stato lasciato questo messaggio?"
interrogò Magnus.
Avrebbe tanto voluto prendere le eventuali impronte digitali e mandarle
ad analizzare, giusto per essere sicuro di non avere a che fare con
qualche pazza criminale già nota agli investigatori, ma dal
modo in cui Clary aveva maneggiato il pezzo di carta, sapeva che erano
andate perse del tutto.
La rossa si strinse nelle spalle. "Sabato, quando ho terminato il
lavoro, non c'era nella cassaforte, ne sono sicura. Credo sia entrata
sabato sera, dopo l'orario di chiusura, o ieri, ma non ne ho la
certezza."
"Ha rubato qualcosa?"
Clary scosse la testa. "Ho controllato, ma non credo manchi niente. Non
di importante, almeno." replicò, stringendosi nuovamente
nelle spalle. "Credo abbia solo lasciato il biglietto ad Alec."
"Hai notato niente di strano nei giorni scorsi, prima di questo
messaggio? Qualche telefonata bizzarra? Una cliente fin troppo
particolare?"
Clary scosse nuovamente la testa. "Il solito via vai, le solite e-mail
di prenotazione e telefonate da parte dei nostri fornitori o di
compagnie aeree. Niente di insolito."
Magnus si massaggiò il mento, pensieroso. Oltre alle e-mail
inviate al padre, Alec doveva preoccuparsi anche di una stalker che lo
perseguitava. Forse poteva non essere nulla di serio, ma qualcosa gli
diceva che non era così, soprattutto considerando che la
sconosciuta era penetrata illegalmente in quell'ufficio per lasciare un
messaggio intimidatorio.
Quella situazione non gli piaceva per niente.
Chino sui suoi fascicoli, Alec alzò la testa solo quando
Simon andò a salutarlo. Dopo pochi minuti spinse indietro la
sedia e uscì dall'ufficio, sgranchendosi il collo e
stiracchiando in alto le braccia, mentre si dirigeva verso il
distributore di bevande per farsi un tè caldo.
"Oh, Alec!" lo chiamò Clary, quando si accorse della sua
presenza. "Simon mi ha informato che verrà con la sua
squadra questo pomeriggio e che già entro questa sera il
sistema d'allarme sarà funzionante."
Alec aggrottò la fronte, sorpreso. "Questa sera? Ma aveva
detto che l'avrebbe installato domani. Come mai tutta questa fretta?"
Clary arrossì di botto, guardando poi Magnus, come se stesse
cercando il suo aiuto.
"Ok. Che sta succedendo?" chiese Alec, spazientito, dopo aver seguito
quello scambio di sguardi.
"Beh.. sai com'è.. non si è mai troppo sicuri a
questo mondo e.."
"Clary.." la interruppe Alec, con una mano sul fianco e con uno sguardo
ammonitore.
"Per evitare un'altra effrazione."
"Effrazione?"
domandò Alec, sgranando gli occhi.
Clary guardò nuovamente Magnus, che annuì, come
per infonderle coraggio. "Ho trovato il biglietto minatorio nella
cassaforte e l'ho fatto leggere a Magnus e a Simon." esalò
la ragazza, tutto d'un fiato.
Alec boccheggiò per un attimo, incapace di formulare un
pensiero coerente. Poi scosse la testa, imponendosi di ricomporsi.
"Capisco." replicò, asciutto.
"Scusa! Scusa! Scusa! Non volevo ficcanasare, lo giuro, ma era nella
cassaforte e l'ho letto prima di rendermi conto di cosa si trattasse
e.."
Alec alzò una mano per interromperla. "Clary, è
tutto a posto. Davvero. Anzi, sono io che mi scuso per averti fatta
preoccupare." la rassicurò, sorridendo dolcemente.
"Oh, Alec!" esclamò la ragazza, scattando in piedi e
correndo ad abbracciarlo. "Perché non me ne hai parlato
prima? Jace e Izzy lo sanno?"
"Di cosa?" chiese Alec, ricambiando l'abbraccio, mentre fingeva di non
capire.
"Della stalker!" esclamò Clary, con foga.
Alec roteò gli occhi. "Non è una stalker."
affermò, per rassicurarla. "Si tratta sicuramente di uno
scherzo di cattivo gusto. Tutto qua."
"Eh, già. Tutto qua. E' solo uno scherzo di cattivo gusto."
mormorò Magnus, seduto sopra la scrivania di Clary con le
lunghe gambe accavallate, tutto intento a limarsi un'unghia e a parlare
da solo. "Il fatto che abbia deciso di installare un sistema d'allarme,
non c'entra niente con l'effrazione. Già."
commentò, con una smorfia eloquente.
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Qualche problema?"
Magnus alzò la testa e lo fissò, sostenendo
l'occhiataccia truce che l'altro gli stava lanciando. "Hai chiamato la
polizia?" gli chiese, a bruciapelo.
"Di sicuro non l'hai detto a Jace." brontolò Clary, con le
mani sui fianchi. "Altrimenti mi avrebbe già messo al
corrente di tutto!"
Alec roteò di nuovo gli occhi. "Smettetela! Tutto
ciò non è affatto necessario. Non è
niente di serio." replicò, determinato, mentre la sua
guardia del corpo alzava un sopracciglio, guardandolo con aria scettica.
In realtà Alec aveva chiamato la centrale di polizia
già quella domenica, giusto per togliersi il pensiero, e
l'ufficiale con il quale aveva parlato l'aveva informato che avrebbe
potuto sporgere una denuncia per molestie ed effrazione. Il moro,
però, trovava davvero esagerato quel consiglio e sperava che
il sistema d'allarme sarebbe bastato a far desistere la sua ammiratrice
indesiderata. Si rifiutava categoricamente di pensare che la cosa fosse
più seria di così.
"Alec.." tentò nuovamente Clary, visibilmente preoccupata.
"E' tutto a posto. Davvero." le sorrise Alec, dandole un paio di
buffetti rassicuranti sulla testa, come se fosse un cagnolino. "Ora
devo uscire. Chiamami se hai bisogno di qualcosa."
Clary sospirò, scuotendo con rassegnazione la testa, mentre
il cognato usciva dall'agenzia, sempre con la sua guardia del corpo
alle calcagna, per consegnare dei biglietti aerei a una coppia di
anziani, che doveva partire dopo pochi giorni per la Norvegia, e per
visitare diverse aziende che Alec sperava sarebbero divenute presto
suoi clienti fissi.
Era quasi mezzogiorno quando il moro tornò ad ammettere
l'esistenza dell'uomo che camminava di fianco a lui. Fino a quel
momento, infatti, aveva evitato di rivolgergli la parola e aveva fatto
finta di essere completamente solo, nel tentativo di mantenere una
certa distanza tra lui e l'uomo incaricato di proteggerlo.
Certo, non che fosse stata un'impresa facile, visto che, come sua
abitudine, Magnus non aveva smesso di parlare neanche per un minuto,
ciarlando del più e del meno e indicandogli, entusiasta, le
vetrine piene zeppe di vestiti che vedevano, mentre procedevano lungo
il marciapiede affollato. Per l'angelo, era come avere a che fare con
Jace e Izzy, ma al quadrato!
Alec sospirò: si stava comportando in modo infantile, lo
sapeva, ma non aveva proprio idea di cosa dirgli, senza rischiare di
risultare sgradevole o cadere in imbarazzanti silenzi dopo poche
parole, buttate là a caso.
Lui non era bravo in queste cose. Negli anni era diventato un vero
esperto nell'evitare le domande personali e canalizzare l'attenzione
del suo interlocutore sui propri interessi anziché sulla
vita privata del moro. Ad esempio, se la cavava egregiamente a parlare
di viaggi, portare avanti trattative od offrire pranzi di lavoro, ma
quando la barriera professionale cadeva e si trattava di conversare
normalmente, con perfetti estranei, si trasformava: balbettava,
arrossiva, mormorava parole a vanvera e senza senso. E se si trattava
di persone con cui non aveva alcuna particolare affinità, la
situazione peggiorava: pur di dissimulare il fastidio che provava in
loro compagnia, diventava un disastro ambulante. In un caso, o
nell'altro, il risultato finale era che si sentiva sempre enormemente a
disagio, cosa che odiava tantissimo, quindi tentava di evitare come la
peste di trovarsi in situazioni del genere.
"Hai fame?" chiese ad un tratto Magnus, interrompendo il proprio flusso
inesauribile di parole e fermandosi davanti a un ristorante
dall'insegna colorata.
La guardia del corpo sorrise quando il moro alzò gli occhi
al cielo e fece spallucce, sventolando una mano che poteva significare
tutto e niente. Ridacchiò: con Alec Lightwood si poteva
essere sicuri di non correre il rischio di sentirsi scoppiare la testa
per le troppe chiacchiere. Forse più di qualcuno sarebbe
stato felice di questo, ma a Magnus piaceva parlare ed era una
qualità che apprezzava anche nei suoi interlocutori. Poco
male, comunque: avrebbe parlato lui per entrambi, come stava
già facendo da quando era arrivato.
"Entriamo, tartufino?"
chiese quindi ad Alec, che sbuffò forte e gli
lanciò un'occhiata assassina.
Magnus rise di gusto, ignorò il muso lungo dell'altro e lo
acchiappò per un braccio, conducendolo con entusiasmo
all'interno del ristorante, che era carino e illuminato da una luce
soffusa, con tanti séparé dalle varie fogge e dai
vari colori.
Una giovane cameriera li scortò a un tavolo e
portò loro il menù, tornando, un attimo dopo, con
un cestino pieno di pane. Alec notò la sua guardia del corpo
ricambiare il sorriso timido della ragazza con uno molto più
ampio e sfacciato, che la fece arrossire come un peperone e sventolare
il viso con una mano mentre si allontanava per raccogliere
l'ordinazione di una coppia a un altro tavolo.
"Si distrae facilmente, vedo." mormorò il moro,
misteriosamente indispettito da quello scambio, sfogliando con finto
interesse il menù che aveva in mano.
"Non ero distratto." rispose Magnus, con un sorriso scaltro.
Alec roteò gli occhi. "Certo, come no. Sono curioso di
capire come riesce a guardare quanto sculetta quella ragazza e al tempo
stesso proteggermi." lo sfidò, con voce piatta, senza alzare
lo sguardo.
Magnus gli prese il menù di mano e lo posò sul
tavolo, sporgendosi poi verso di lui e fissandolo intensamente. "Mi
è piaciuto il suo sorriso." spiegò, con tono
significativo. "Sai com'è.. non ne vedo uno vero da quando
sono arrivato, se escludiamo Clary e Stuart."
"Non sapevo che fossi obbligato a sorriderle." ribatté Alec,
piccato, guardandolo a sua volta. "Forse dovrebbe fare la guardia del
corpo a un dentista." continuò, sarcastico. "E chi diamine
è Stuart?" domandò infine, allargando le braccia,
esasperato.
Magnus fece per ribattere, ma poi, con un sospiro rassegnato, ci
rinunciò, sicuro che, qualsiasi cosa avesse detto, il moro
si sarebbe comunque irritato. Scosse la testa e restituì il
menù ad Alec, appoggiando poi il mento sul palmo della mano
e guardando fuori dalla vetrata le macchine che passavano sulla strada,
senza più dire niente.
La cameriera tornò per le ordinazioni e, una volta che se
n'era andata, il moro si alzò. "Vado in bagno."
annunciò. "Per l'angelo, posso andarci da solo! Non
è necessario che mi segua anche lì!"
esclamò, con un'evidente smorfia di disappunto, quando vide
che anche Magnus aveva accennato a muoversi.
"Cinque minuti." rispose la guardia del corpo. "Poi vengo a prenderti.
Che tu abbia rimesso Alec junior nelle mutande o meno."
dichiarò, con un sorriso ironico ed eloquente.
Alec inspirò bruscamente e arrossì di botto. Si
voltò di scatto e marciò verso la toilette,
borbottando a denti stretti. Per l'angelo, quell'uomo era davvero
insopportabile, volgare, sfacciato e senza il minimo senso del pudore!
Si lavò le mani e si sciacquò il viso,
guardandosi poi allo specchio con la solita desolazione che lo invadeva
ogni qual volta incontrava il proprio riflesso. Con quella faccia da
cane bastonato e quella carnagione color mozzarella scaduta non avrebbe
mai attirato l'attenzione di nessuno, a differenza della cameriera che,
con un semplice sorriso, era riuscita a destare quella di Magnus. Non
che lui volesse suscitare l'interesse di quell'idiota, sia chiaro, ma,
per l'angelo, era deprimente rendersi conto che lui, al massimo, poteva
aspirare a disperati in cerca di compagnia o a ubriaconi che si erano
già scolati una bottiglia o due.
Con un sospirò sconsolato, uscì dal bagno e
andò a sbattere contro una montagna di muscoli con addosso
una camicia a scacchi di flanella e un berretto da baseball.
Una mano nerboruta si appoggiò bruscamente al petto di Alec
e lo spinse con forza all'indietro, mentre una zaffata di alito fetido
lo investiva. "Guarda dove cammini, stronzo."
Dita maschili si strinsero attorno al polso dell'aggressore, ma prima
che Magnus potesse fare altro, Alec passò al contrattacco
con una furia alimentata da una lunga mattinata di collera e
frustrazione. Strinse gli occhi, lanciò uno sguardo omicida
allo sconosciuto e, senza pensarci due volte, fece partire una tremenda
ginocchiata in direzione del suo inguine. L'aggressore gridò
per il dolore e la sorpresa e il moro rincarò la dose con un
pugno nello stomaco.
"Posso cavarmela benissimo da solo." sibilò Alec, con il
respiro accelerato, rivolgendosi poi a Magnus. "Quando avrò
bisogno del suo aiuto, stia pur certo che la chiamerò."
dichiarò, camminando impettito verso il loro tavolo.
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso, poi prese per il
bavero l'aggressore ansimante e lo squadrò con un sorriso
divertito. "Hai sentito? Se non ti comporti bene, ti lascio nelle sue
grinfie." lo minacciò, lasciandolo andare malamente e
seguendo poi Alec.
Improvvisamente desiderò avere un mitra con sé,
anziché la sua solita pistola, che teneva nascosta sotto il
giubbotto di pelle. Con un caratterino del genere, sicuramente portato
all'esasperazione anche a causa della sua presenza, era certo che Alec
si sarebbe fatto più di un nemico prima che quella storia
fosse terminata. D'altra parte, però, non poteva fare a meno
di ammirare il suo stile: gli mancava la diplomazia, certo, ma aveva
fegato.
Quando tornò al loro tavolo, Alec stava assaggiando la sua
insalata.
Il moro sollevò lo sguardo su di lui e parlò con
tono calmo. "Mi dispiace di essere stato scortese." si
scusò, sospirando pesantemente.
Magnus si sedette e versò della salsa sulla bistecca che
aveva ordinato. "Non è la prima volta.. e sospetto che non
sarà neanche l'ultima." commentò, scrollando le
spalle con un sorriso ironico.
Alec lasciò cadere la forchetta con un gesto indignato. "Mi
sta dando del maleducato?"
Magnus rimise a posto la bottiglia di salsa e ridacchiò.
"Forse."
"Guardi che sono una persona educatissima. Io. E' lei quello
fastidioso e irritante."
Magnus sospirò profondamente: la fragilissima, tacita,
tregua che si era instaurata quando si era seduto per mangiare era
già andata a farsi benedire. "Ok, senti, Alec.."
iniziò, posando a sua volta la forchetta. "So che non ti
piaccio e che detesti con tutte le tue forze avermi attorno.."
Alec annuì con vigore, guardandolo corrucciato.
"..ma mi è stato affidato il compito di proteggerti e,
modestia a parte, sono bravo in questo." continuò Magnus,
alzando il sopracciglio in modo eloquente.
"Non ho bisogno di essere protetto." ripeté, per l'ennesima
volta, Alec. Gli sembrava di essere un disco rotto che suona sempre la
stessa canzone.
Magnus piegò la testa e sorrise. "Forse, ma visto che tuo
padre non è della stessa idea.." rispose, mentre l'altro
roteava platealmente gli occhi. "Che ne dici di lasciarmi fare il mio
lavoro?"
Alec incrociò le braccia al petto e fissò,
imbronciato, un punto imprecisato oltre la vetrata del locale.
"Alec, sono un ex soldato. Se necessario, sono anche in grado di
uccidere una persona, qualora non avessi altra scelta. Sono stato
addestrato a farlo in qualunque momento e in ogni situazione." gli
rivelò Magnus, serio. "E tu? Sapresti fare una cosa
così estrema, pur di salvarti la vita?"
Alec riportò l'attenzione sulla sua guardia del corpo e
sbarrò gli occhi. "Per l'angelo! Non le pare di stare
esagerando? Non.."
"Come pensavo." lo interruppe Magnus, bevendo un sorso di vino. "Io,
invece, posso farlo senza pensarci due volte. Posso quindi azzardarmi a
chiederti un po' di rispetto? Non voglio che tu mi consideri superiore
a te e neanche un tuo amico, se è troppo difficile da
accettare, ma gradirei che cercassi di apprezzare la mia
capacità di fare qualcosa che tu, invece, non sai fare,
specie se consideriamo che questo può salvare il tuo bel
sedere tondo e perfetto." continuò, facendogli allegramente
l'occhiolino. "Sono fermamente convinto che sarebbe davvero un peccato
se gli capitasse qualcosa."
"Il mio sedere non ha bisogno di essere salvato da nessuno! Da lei men
che meno!" replicò Alec, scandalizzato, mentre il viso gli
andava a fuoco.
Magnus ridacchiò, tagliandosi un pezzo della sua bistecca.
"Sai, dovresti smetterla con questo atteggiamento negativo."
commentò, puntandogli la forchetta contro. "Immagino che
serva a tenere a distanza le persone, ma con me non è
necessario. Non devi temere un'intimità fisica o emotiva con
il sottoscritto. Ti sto vicino solo per ragioni di sicurezza."
spiegò, tranquillo. "Rilassati!"
"Ohhh, ma stia zitto." abbaiò Alec, massacrando la sua
insalata con la forchetta.
Magnus sospirò, scuotendo piano la testa, e fece come gli
era stato ordinato, mordendosi la lingua ogni qual volta gli veniva
spontaneo aprire bocca e intavolare una conversazione.
Finirono di mangiare in silenzio e quando terminarono, Alec finse di
tornare alla toilette, mentre, in realtà,
approfittò del momento in cui Magnus andò a
pagare il conto per uscire dal ristorante. Non voleva davvero scappare,
ma l'idea di dare una piccola lezione a quell'uomo arrogante,
dimostrandogli che non era in pericolo come si ostinava a pensare suo
padre, era una tentazione troppo forte per non essere ascoltata.
Fuori l'aria era fredda e pungente e Alec respirò a pieni
polmoni, prima di rischiare di soffocare quando una mano brutale gli
tappò la bocca, mentre l'altra lo afferrava per la vita.
"Abbiamo un conto in sospeso, stronzetto." sibilò l'uomo con
cui si era scontrato fuori dal bagno.
La sorpresa si mischiò ad una paura latente che gli corse
lungo la schiena. La mano sulla bocca gli impediva di urlare, ma Alec
tentò di divincolarsi con tutte le sue forze. L'uomo che
l'aveva afferrato, però, gli puntò una pistola
alla schiena e gli intimò di smetterla di agitarsi,
trascinandolo poi verso il vicolo dietro il ristorante, in cui Alec
vide altri due sconosciuti che li stavano aspettavano.
Alec pestò i piedi e si dimenò ancora
più forte, prima di trovarsi disteso a terra, accanto
all'uomo che l'aveva aggredito, mentre nell'aria risuonavano tonfi e
grida soffocate.
Il moro vide uno dei compari dell'aggressore descrivere un arco per
aria e atterrare sui bidoni pieni e ammaccati che si trovavano sul
retro del ristorante. Il terzo uomo, invece, gridava come un ossesso,
tenendosi una gamba piegata in modo innaturale.
Una mano sollevò Alec, aiutandolo a rimettersi in piedi e il
ragazzo riconobbe subito il tocco di Magnus.
"Muoviti." ordinò l'uomo, secco, trascinandolo fuori dal
vicolo e riportandolo nuovamente sul marciapiede che dava sulla strada
trafficata. Fermò un taxi, con un gesto imperioso del
braccio e, senza tante cerimonie, lo spinse dentro, sibilando un
perentorio e gelido "Sali!".
Alec provò a dire qualcosa, ma l'occhiata folle e omicida
che gli lanciò Magnus gli fece chiudere bruscamente la
bocca.
L'uomo gli rivolse la parola solo quando il taxi li scaricò
davanti all'agenzia. "Non so se tu sia sordo o senza un briciolo di
cervello." sibilò Magnus, arrabbiato, ficcandosi le mani,
tremanti di rabbia, nelle tasche dei jeans e guardando fisso davanti a
sé la vetrata dell'agenzia Cacciatori di sogni.
"Signor Bane.. mi dispiace." iniziò Alec, consapevole che il
suo era stato un gesto davvero avventato e stupido.
Magnus alzò l'indice per interromperlo. "Taci! Non voglio
sentire le tue scuse, soprattutto perché non sono sincere."
"Certo che lo sono!" si difese Alec.
Magnus lo squadrò con occhi glaciali. "Provaci un'altra
volta, moccioso,
e giuro che te ne pentirai amaramente."
"Non osi minacciarmi!" lo attaccò Alec, alzando la voce.
Magnus lo fissò, sorpreso. "Sei serio?" gli chiese,
allibito. "Sei palesemente dalla parte del torto e hai anche il
coraggio di urlami contro?"
Alec fece una smorfia infastidita e poi lo lasciò
là, marciando impettito verso la porta della sua agenzia.
Magnus fissò la schiena del ragazzo a bocca aperta,
incredulo. Gli aveva appena letteralmente salvato il culo e l'altro lo
trattava come se fosse colpa sua se si era ritrovato in quella
situazione.
Strinse i pugni e respirò profondamente, nel tentativo di
non farsi venire una crisi isterica. Al diavolo Alec! Al diavolo sua
madre che l'aveva incastrato in quella situazione! Al diavolo tutto e
tutti!
Chiuse gli occhi e, prima di seguire il moro, si impose di calmarsi,
vista la voglia impellente di strozzarlo con le proprie mani.
Quando finalmente il suo cuore tornò a battere normalmente,
alzò lo sguardo e fissò, cupo, l'agenzia: Alec
pensava di aver chiuso la faccenda, ma non era così. Ohhh
no! Gli avrebbe lasciato credere che la storia finiva lì,
ma, alla prossima occasione, non sarebbe stato così
magnanimo.
Era ora che l'agente di viaggi si ficcasse in quella bella testolina
chi era la persona che comandava.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Silenzioso come un
gatto, Alec percorse il soggiorno in punta di piedi, dirigendosi verso
la porta d'ingresso, con la complicità della luna che,
filtrando attraverso le tende sottili, illuminava fiocamente la stanza
e gli facilitava la fuga. Non che ne avesse bisogno, comunque, visto
che conosceva casa sua come le sue tasche e avrebbe potuto percorrerla
anche a occhi chiusi!
Quando passò davanti alla porta della camera degli ospiti,
che in quel momento era occupata dalla sua indesiderata guardia del
corpo, strinse con forza il mazzo di chiavi che teneva in una mano, per
non farle tintinnare, e trattenne il respiro per non farsi scappare
neanche il più minimo singulto.
Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo, minacciando di
esplodere, ma Alec non ci badò e continuò a
muoversi, furtivo, sentendosi come un carcerato in procinto di evadere
dalla prigione di massima sicurezza in cui era stato rinchiuso.
Oltrepassata la soglia del "demonio", sorrise, euforico: stava per
farla sotto al naso di un ex Marine. Di nuovo.
Certo, la prima volta non era andata esattamente come aveva previsto e
Magnus era dovuto accorrere in suo aiuto, salvandogli letteralmente il
culo, ma erano dettagli.
Ora era certo che non avrebbe fallito, anche se non era mai uscito di
nascosto. Gli esperti in quella particolare attività,
infatti, erano sempre stati Isabelle e Jace, che sgattaiolavano fuori
di casa, in piena notte, con disarmante facilità e
destrezza, per incontrarsi con i loro amici o i loro fidanzatini di
quel tempo. Anche i suoi compagni di scuola si erano vantati spesso di
fare lo stesso, mentre lui, quella ragazzata, non si era mai neppure
sognato di compierla. Alec era sempre stato il ragazzo con la testa
sulle spalle, quello assennato, quello obbediente, quello rispettoso
delle regole. Quello noioso.
Finalmente, però, era arrivato anche per lui il momento di
scappare alla chetichella, nonostante i suoi ventotto anni suonati che
gli garantivano il sacrosanto diritto di non chiedere a nessuno il
permesso di uscire di casa, e, ironicamente, doveva ringraziare proprio
quel piantagrane che si era barricato abusivamente nella sua camera
degli ospiti per questo! A causa delle sue restrizioni, infatti, gli
aveva servito su un piatto d'argento quella bravata adolescenziale che
Alec non avrebbe mai pensato di compiere.
Dopo quella che gli parve un'eternità, riuscì
finalmente a raggiungere la porta: girò lentamente la
maniglia fino a quando non sentì lo scatto della serratura,
che riecheggiò come una fucilata nel silenzio assordante che
regnava nell'appartamento, facendogli schizzare il cuore in gola.
Trattenne bruscamente il fiato e aguzzò le orecchie alla
ricerca del più piccolo rumore. Quando, dopo un lungo e
interminabile momento, non sentì nulla, tirò un
sospiro di sollievo e girò il pomello per aprire la porta:
il cigolio che ne seguì gli procurò un altro
piccolo infarto, ma neanche stavolta arrivarono suoni dalla camera
degli ospiti.
Sgusciò lentamente fuori dall'appartamento, girandosi per
chiudere piano la porta dietro di sè ed il debole clic, che
ne seguì, lo inorgoglì. Stava migliorando!
Un'altra fuga "proibita" o due e non avrebbe più prodotto
alcun suono, ne era certo.
Si girò nuovamente, pronto a scendere la rampa di scale che
l'avrebbe condotto verso la libertà, ma, contro ogni
previsione, andò a sbattere contro qualcosa di duro, simile
a un muro.
L'urlo acuto e perforante, che risuonò nell'aria fredda del
pianerottolo, trapanò il cervello di Magnus, tramortendolo.
Si disse che fu per questo, solo e unicamente per questo, che non
riuscì a parare la potente ginocchiata all'inguine che
seguì il grido. Non c'era altra spiegazione!
La guardia del corpo boccheggiò, oltraggiata, ma Alec, per
niente soddisfatto del primo attacco, gli sganciò un pugno
micidiale all'altezza dello stomaco che, oltre a coglierlo nuovamente
di sorpresa, gli svuotò completamente i polmoni di tutta
l'aria che aveva in corpo.
Magnus tossì ripetutamente, inspirando ed espirando con
fatica, e improvvisamente capì cosa aveva provato il tizio
con la camicia di flanella con cui Alec si era scontrato al ristorante:
il ragazzino non solo era davvero capace di difendersi, ma era anche
riuscito ad assestargli due colpi notevoli che l'avevano spiazzato
completamente, nonostante fosse un ex Marine esperto. E il peggio era
che non aveva ancora finito!
Il moro, infatti, stava per colpirlo nuovamente e questa volta, a
subire danni ingenti, sarebbe stato il suo splendido volto! Per sua
fortuna, l'istinto di sopravvivenza che albergava in lui ebbe la meglio
sull'effetto sorpresa e riuscì a evitare al suo naso di
finire maciullato dal letale pugno dell'altro.
Afferrò, per un soffio, il colpo diretto verso il suo viso,
poi strinse il pugno e torse il braccio del ragazzo dietro la schiena.
"Alec.." iniziò a dire, tentando di imprimere un tono calmo
e tranquillo alla propria voce agitata. L'altro, però, lo
ignorò, riuscì a divincolarsi dalla sua presa con
uno strattone e pestò violentemente l'alluce del suo piede,
facendolo imprecare sonoramente. "Porca puttana, Alec! Smettila! Sono
io!" gracchiò, cercando convulsamente il pulsante che
accendeva le varie luci posizionate nell'edificio, che illuminavano le
scale, e trovandolo solo dopo un'altra gomitata nel costato da parte
del moro.
Alec respirava pesantemente quando si voltò per fissarlo.
"Tu?" esalò, sgranando gli occhioni blu.
Magnus prese un altro paio di bei respiri profondi, portandosi una mano
allo stomaco. "Sì. Quindi vedi di darti una calm.."
"Fottiti!" sibilò Alec, facendo partire un altro gancio.
Magnus irrigidì i muscoli, preparandosi al colpo: nonostante
il pugno si fosse scontrato contro una superficie dura come il marmo,
facendo meno danni del primo, l'uomo riuscì comunque a
sentire l'impatto. Quel ragazzino aveva davvero una discreta forza
fisica! Diavolo, con un addestramente adeguato, sarebbe potuto
diventare un magnifico Marine!
Gli afferrò nuovamente il polso, strattonandolo verso di
sé e ingabbiandolo in una morsa d'acciaio. "Fiorellino, ti
assicuro che non è nel mio stile essere manesco, quando non
è necessario, ma prova a rifarlo e giuro che
ricambierò il favore!" lo minacciò, serio.
"Mi lasci!" ordinò Alec, inviperito.
"E tu tieni a posto le mani." brontolò Magnus.
Per tutta risposta, Alec gli tirò un calcio secco sugli
stinchi che lo fece imprecare nuovamente. Magnus sospirò,
ammettendo, a malincuore, che era colpa sua: non era una stata una
mossa intelligente lanciare all'esagitato agente di viaggi la sfida di
colpirlo nuovamente.
"Smettila di agitarti o.. sarà peggio per te!"
bleffò nuovamente, mentre l'altro gli si dimenava contro
come un'anguilla.
"Mi lasci andare, pazzo stramboide che non è altro! Mi
lasci!" ordinò Alec, tentando di divincolarsi con tutte le
sue forze. Per l'angelo, era come sperare di avere la meglio contro una
montagna! Di cosa era fatto quel dannato psicopatico? Cosa nascondevano
i ridicoli e colorati abiti che indossava sempre? Granito? Agalmatolite?
Il moro si dimenò con più forza, strusciando il
proprio corpo contro quello dell'altro, fino a quando non si
bloccò improvvisamente, scioccato. Lui e Magnus si fissarono
per un lungo attimo negli occhi, stupefatti, abbassando poi
contemporaneamente lo sguardo verso l'inguine dell'ex marine.
"P-per l'a-angelo.." balbettò Alec. "Co-cos'è quello?"
domandò scandalizzato, mentre il viso gli diventava viola
per l'imbarazzo.
"Un pene eccitato." spiegò Magnus, conciso, mentre un
sorriso divertito gli danzava sulle labbra.
Se possibile, Alec avvampò ancora di più e fece
un vistoso salto all'indietro, spalancando gli occhi che, per la
sorpresa, sembravano due pozze oceaniche.
Il sorriso di Magnus si fece più ampio. "Ti avevo avvertito,
tesoro. Ora, se non fai il bravo bambino, ti tiro giù i
pantaloni e ti sculaccio!" minacciò, piantandosi le mani sui
fianchi con un cipiglio che sperava fosse serio abbastanza da incutere
il giusto timore nell'altro.
Alec si appiattì contro il muro. "S-stia lontano da me!
Pervertito!"
Magnus gettò la testa all'indietro e rise di gusto. "Stai
tranquillo, Fiorellino.
Sarò anche bisessuale.." gli rivelò. "..ma ti
assicuro che non ho alcuna intenzione di toccarti."
"Ah, davvero?" ribatté Alec, indignato e inspiegabilmente
risentito per quel commento lapidario. "Beh, allora.. allora lo dica
anche a lui!"
berciò, puntando l'indice verso l'inguine di Magnus.
"Se non ti dimeni addosso a me, sta sicuro che non succederà
più." rispose l'uomo, con un largo sorriso.
"Bene."
"Bene."
Alec prese una serie di respiri profondi, ravvivandosi i capelli con un
gesto della mano, e tentò di ricomporsi. "Cosa.. cosa
diavolo ci fa lei qui?"
Magnus roteò gli occhi. "Potrei farti la stessa domanda,
pasticcino. A quanto pare, la lezione di oggi pomeriggio non
è servita a niente, eh? Si può sapere dove credi
di andare?" chiese, incrociando le braccia al petto e guardandolo con
espressione severa.
"Non sono affari suoi, signor Bane."
"La smetti di darmi del lei?"
"Non siamo amici, signor Bane, quindi mi rivolgo a lei nel modo
più professionale possibile! A differenza sua, non do
confidenza al primo che passa."
Magnus sbuffò quietamente, sistemandosi il maglione che gli
si era sollevato durante il corpo
a corpo col ragazzo. "Ti stavo aspettando."
"Cosa?" chiese Alec, distratto dagli obliqui dell'uomo che stavano
sparendo sotto il maglione che stava tornando al proprio posto.
"Mi hai chiesto cosa ci faccio qui, no? Ti stavo aspettando."
Alec alzò di scatto lo sguardo, spalancando gli occhi. "Mi
ha sentito?"
Magnus scosse piano la testa, con un sorriso divertito: nonostante
avesse cercato di non fare rumore, il moro era stato delicato come un
elefante in una cristalleria fin da quando aveva iniziato a muoversi
nella sua camera.
Forse in altre circostanze, e con qualcuno che non era un Marine
addestrato a dormire con occhio solo, la sua fuga avrebbe potuto avere
successo, ma per uno come Magnus, che era stato allenato a svegliarsi
da un sonno profondo ed essere immediatamente lucido, dote che gli
aveva salvato la vita in più di un'occasione, era stato un
gioco da ragazzi beccarlo in flagrante. Una volta imparati i suoni di
sottofondo dell'appartamento e di ciò che lo circondava,
infatti, quando aveva avvertito un fruscio diverso da quello che la sua
mente aveva registrato, aveva capito immediatamente che Alec si era
alzato dal letto, sentendolo poi vestirsi e lasciare la sua camera, per
dirigersi verso il soggiorno.
"Sì, ti ho sentito." rispose, facendo spallucce, senza
dilungarsi nei dettagli. Non poteva certo rivelargli che era saltato
fuori dalla finestra, era sceso di corsa giù per la scala
antincendio, aveva fatto il giro del palazzo e aveva aspettato il
fuggitivo fuori dal suo appartamento, no?
"Per l'angelo, che cos'ha? Un udito bionico?" domandò Alec,
guardandolo torvo.
"Più che altro allenato." precisò Magnus,
sorridendogli e massaggiandosi piano lo stomaco ammaccato.
Alec notò il gesto. "Le ho fatto male?" chiese, mentre lo
sguardo si illuminava di speranza.
"Mi hai solo colto di sorpresa." rispose Magnus, facendogli la
linguaccia.
"Sì, come no." ghignò Alec, compiaciuto,
massaggiandosi a sua volta il polso che l'altro gli aveva stretto.
"Tu stai bene, invece?" gli chiese Magnus, ironico, con un cenno della
testa.
"Perfettamente, grazie." rispose Alec, alzando il mento in modo
altezzoso, per poi aggirarlo e iniziare a scendere le scale che
portavano al piano terra.
"Mi fa piacere." replicò Magnus, avviandosi anche lui e
tenendosi a qualche passo di distanza, giusto lo spazio necessario per
godersi lo spettacolo del fantastico sedere dell'altro che ondeggiava
in modo peccaminoso. Era stato sincero quando aveva detto che non aveva
alcuna intenzione di insidiarlo, ma questo non significava di certo che
non potesse gustarsi l'occhio, no? E lo spettacolo era davvero
notevole, anche se era ingabbiato in un paio di logori jeans neri.
Oltre a quelli, Alec indossava un informe maglione di lana spessa dello
stesso colore e un pesante giubbotto, anch'esso nero. Magnus
spostò lo sguardo sugli anfibi che il moro portava: era un
miracolo che quelle calzature non gli avessero fracassato qualche osso,
vista la violenza che il ragazzo aveva usato quando gliene aveva calato
uno sull'alluce, senza alcuna pietà!
"C'è qualche motivo particolare per cui ti sei travestito
come un topo d'appartamento?" chiese l'uomo, tanto per fare un po' di
conversazione, riportando lo sguardo sul sedere dell'altro e tirandosi
su la cerniera del suo giubbotto per ripararsi dal freddo. "Non lo sai
che il total black è terribilmente noioso?"
Alec si voltò appena verso di lui, adocchiando velocemente
il maglione fucsia dell'uomo sparire dietro alla cerniera che stava
chiudendo. "Allora non è affatto aggiornato, come pensa. Il
look Diabolik
è parecchio in voga ultimamente."
Il tono graffiante fece sorridere Magnus. "E ce l'hai anche tu un nome
d'arte? Chessò.. il micetto
notturno?"
"Non pensavo che voi Marine foste così spiritosi."
"Hai visto? Si impara sempre qualcosa di nuovo." rispose Magnus,
allegro.
"Bene. Visto che la lezione è terminata, può
anche tornare indietro." esclamò Alec, voltandosi appena per
fulminarlo con lo sguardo.
Magnus annullò la distanza che li separava e gli si
affiancò. "Zuccherino, te l'ho già detto e
ridetto: io vado dove vai tu!"
"E io non la voglio! E la smetta con questi stupidi soprannomi!"
"E' un problema tuo, non mio." rispose Magnus, scrollando le spalle. "E
i miei soprannomi non sono affatto stupidi! Ti si addicono, mio piccolo
Calimero sempre imbronciato!"
Alec si arrestò sotto la luce di un lampione, fissandolo
mortalmente serio. "Non ho bisogno di una guardia del corpo. Se lo
ficchi in testa."
Magnus piegò la testa e si concesse qualche istante per
studiarlo attentamente: Alec Lightwood, oltre ad essere bellissimo e
intelligente, era anche testardo da morire, scattava per un nonnulla e
arrossiva come una scolaretta liceale a ogni minima allusione sessuale.
Allo stesso tempo, però, era anche maledettamente schietto,
aveva una lingua affilata pronta a colpire alla minima provocazione e
non aveva nessuna remora a usare mani e piedi quando si trattava di
menare qualcuno. Sì, forse poteva avere ragione quando
asseriva di essere in grado di cavarsela da solo, o perlomeno il suo
corpo ammaccato la pensava così, ma ormai aveva dato la
parola ai propri genitori e a Robert Lightwood che si sarebbe preso
cura del moccioso
ed era intenzionato a mantenere quella promessa.
"Solo se tu ti ficchi in testa che, in questa storia, non hai alcuna
voce in capitolo."
"Come os.."
"Ora.." lo interruppe Magnus, posandogli l'indice sulle labbra per
zittirlo. "..possiamo starcene fermi qui a discutere oppure continuare
a farlo mentre camminiamo. Decidi tu." concesse, scrollando le spalle.
Alec si tolse, con stizza, quella mano di dosso e riprese a camminare.
"Io riesco a fare due cose contemporaneamente. Lei?"
Magnus rise, divertito. "So che non mi crederai, pasticcino, ma cominci
davvero a starmi simpatico." rivelò, facendogli l'occhiolino
e dandogli una poderosa pacca sul sedere, prima di proseguire nel
cammino.
Alec avvampò, scioccato. Come aveva osato quel pervertito
toccarlo?
Prese un respiro profondo, strinse i pugni e si impose di ignorare quel
seccatore e la bruciante sensazione di calore che gli si era propagata
per tutto il corpo, incendiandogli le vene. Nonostante il tocco del
dito di Magnus, sulla sua bocca, era stato davvero fugace, le sue
labbra continuavano ad andare a fuoco nel punto in cui era avvenuto il
contatto e questo lo indispettiva non poco. Neanche ricordava quando
era stata l'ultima volta che aveva avuto una reazione tale.. per
l'angelo, era quasi certo di non averla mai provata prima e questo lo
preoccupava moltissimo. Camminò, quindi, guardando dritto
davanti a sé, ben attento a non voltarsi, neanche per
sbaglio, verso quell'irritante stramboide da strapazzo, per non
rischiare di mostrargli il proprio turbamento.
Completamente ignaro dei pensieri del moro, Magnus scollò
momentaneamente gli occhi dal sedere di Alec per guardarsi attorno e
tentare di capire dove era diretto il ragazzo.
Le strade brulicavano di gente, nonostante fosse mezzanotte passata,
ma, d'altro canto, New York era la città che non dorme mai e
Magnus l'adorava anche per questo. Gli piaceva il momento in cui il
giorno cedeva il passo alla notte, permettendo così alla
miriade di luci sfavillanti e multicolori di sprigionarsi in tutta la
loro potenza, o quando vedeva gente mai incontrata prima che parlava le
lingue più disparate del mondo, vestendo abiti dalle fogge
più strane alle più semplici e spartane. Persone
che rientravano a casa, dopo un turno massacrante di lavoro, o uomini e
donne pronti a continuare la loro serata dopo essere già
stati in uno o più locali.
Magnus respirò profondamente quella frenetica
attività notturna, felice. Gli era mancata così
tanto quando era nell'esercito!
"Dove stiamo andando di bello?" chiese al moro, che marciava tutto
impettito davanti a lui. Quando gli rispose solo il silenzio, il suo
sorriso si fece più ampio. "Uuuh! Il trattamento del
silenzio, eh? Ok, non è un problema. Converserò
io per entrambi, come sempre." comunicò, allegro. "Sai che
questo fine settimana c'è la Fashion Week? Mi piacerebbe
molto andare a vedere la sfilata di Ralph Lauren. Pensi che ci sia la
minima possibilità che tu e il tuo magnifico sedere
decidiate di accompagnarmi? Sai.."
"Vado a fare due passi, va bene?" lo interruppe Alec, stizzito,
rispondendo alla domanda fatta dall'uomo prima che iniziasse a parlare
come un treno. "Lei, invece.."
"Orsacchiotto, te l'ho già detto.." lo bloccò
Magnus. "..io vado dove vai tu. Sono la tua ombra, baby!"
dichiarò, compiaciuto.
"Le ombre non parlano." borbottò Alec, rivolgendogli una
brevissima occhiata. "E giuro che se non la pianta con questi
soprannomi le stacco la lingua!"
"Violento.. Eccitante!" mormorò Magnus, con un sorriso
malizioso e scuotendosi tutto come se un brivido gli fosse serpeggiato
lungo la schiena. "Potrei anche stare zitto, Brontolo, ma in questo
modo non diventeremo mai amici, non trovi?"
Amici. Se si escludevano i suoi fratelli, Alec non ne aveva molti e
quelli di cui si fidava ciecamente si contavano sulle dita di una mano,
non erano sinuosi ragazzi alti un metro e novanta e, soprattutto, non
gli facevano venire la pelle d'oca quando gli sfioravano le labbra con
un dito.
Alec aveva speso la maggior parte della sua vita sui libri, a studiare,
anziché socializzare o a crearsi delle amicizie. Non era mai
stato un ragazzo espansivo e, alle chiacchiere davanti a un gelato o a
un'uscita in compagnia, preferiva di gran lunga la lettura di un buon
libro. Era sempre stato il secchione della classe, quello che prendeva
i voti più alti, quello che, al college, passava tutti i
fine settimana rinchiuso in biblioteca a studiare, anziché
uscire a divertirsi.
Era andato avanti così anche all'università, fino
a scivolare nella monotonia che era la sua vita in quel momento, ma si
diceva sempre che, tutto sommato, era meglio di quello che avevano
certi suoi coetanei, già impegnati a conquistare la futura
seconda o terza moglie o a lottare per ottenere la custodia dei figli o
a sudare sette giorni su sette per mantenere una linea invidiabile che
avrebbe permesso loro di conquistare l'ennesima "vittima". Non
invidiava nessuno di loro e, in un certo senso, si sentiva addirittura
fortunato a non avere a che fare costantemente con battaglie feroci per
l'assegno di mantenimento o avvocati spietati che gli giravano attorno
come avvoltoi. Sì, c'era anche quella piccola sensazione di
insoddisfazione che ogni tanto lo assaliva, nei giorni in cui si
sentiva più stanco del solito, e che lo faceva sentire solo,
incompleto, ma la soffocava buttandosi a capofitto nel lavoro.
"Le ho già detto che non la voglio come amico."
"Perché no?"
Alec si bloccò, rifilandogli un'occhiata glaciale.
"Preferisco crepare, piuttosto che avere un amico come lei."
sibilò, maligno, prima di mordersi la lingua, pentito di
tanta aggressività.
Aveva detto una cattiveria, ne era consapevole, ma era reduce da una
giornata davvero impegnativa ed era sfinito! Quel giorno era successo
di tutto e di più! Era arrivato Magnus, Lydia si divertiva
ad appostarsi fuori dalla sua agenzia e a lanciargli occhiate
inquietanti, era stato aggredito e infine Jace era venuto a conoscenza
del messaggio minatorio e quel pomeriggio, come se tutto quello che gli
era successo fin da quando si era svegliato quel giorno non fosse
già sufficiente a sconvolgere la sua vita tranquilla, il
biondo poliziotto e il loro cognato avevano deciso di trasformare la
sua bellissima agenzia in un rave party per drogati, spargendo
polverina bianca ovunque per identificare ogni possibile impronta
digitale che riuscivano a trovare in giro per l'ufficio! E infine, come
la classica ciliegina sulla torta, Alec aveva dovuto vedersela anche
con sua sorella Isabelle, che aveva continuato a tormentarlo con
messaggini idioti in cui elogiava la bellezza di Magnus e continuava a
chiedergli se per caso non avesse voglia di rapirlo e chiudersi in una
stanzetta con lui per del sesso selvaggio.
Solitamente riusciva a contenere l'irritazione e a non rispondere male
a nessuno, nonostante avesse passato il colmo della misura da un pezzo,
ma la parlantina senza sosta di Magnus gli faceva venire il mal di
testa e lui non riusciva a ragionare lucidamente, finendo con l'essere
un maleducato di proporzioni epiche.
E lui non era così. Non lo era mai stato, per l'angelo!
Sì, era chiuso e scontroso, e il più delle volte
era brusco e forse troppo tagliente, ma non si era mai reputato una
cattiva persona, mentre a "causa" di quell'uomo irritante si ritrovava
a sputare veleno a destra e a manca ogni qual volta che apriva bocca.
Era destabilizzante.
"Senta.." sospirò, cercando di essere un po' più
gentile. "..non ho bisogno di una scorta e non ho bisogno della sua
compagnia. Perché non se ne torna a casa sua e ci vediamo
domani?"
"Ha mai funzionato con le altre persone?" chiese Magnus, infilando le
mani nelle tasche posteriori dei jeans e piegando la testa per
osservarlo con curiosità.
"Cosa?"
"Questo tono da maestrina dalla penna rossa. Gli uomini che frequenti
ci cascano? Piegano la testa al tuo volere, esaudendo ogni tuo
desiderio?"
Alec sbarrò gli occhi. "Io non.."
"Cosa?"
"Non sono affari suoi." ribatté Alec, assottigliando lo
sguardo, con tono sostenuto.
"Sono solo curioso." rispose Magnus, facendo spallucce.
"No, lei è solo un grandissimo impiccione."
ribatté Alec, voltandogli le spalle.
Magnus rise, divertito, e Alec tornò a fissarlo pensoso. Per
l'angelo, perché il suo sarcasmo maleducato, che era sempre
risultato infallibile con le persone che trovava sgradevoli, facendole
scappare a gambe levate, non riuscivano a scalfire minimamente
quell'uomo? Cosa doveva fare, per fargli saltare la mosca al naso, a
parte mettersi in situazioni idiote e pericolose?
Non aveva passato neanche un giorno in sua compagnia, ma, non per la
prima volta, si ritrovò a pensare che Magnus era diverso da
qualsiasi altra persona avesse mai incontrato in vita sua e questo lo
preoccupava molto più di quanto volesse ammettere.
Quell'uomo era una novità inaspettata e totalmente
imprevedibile. Era pericoloso.
Irrigidì la schiena e si rimise in cammino, meditabondo,
tornando a guardare dritto davanti a sé, mentre l'altro
riprendeva a seguirlo con passo tranquillo e le mani nelle tasche del
giubbotto.
La strada si fece mano a mano meno trafficata e nei condomini, che
passavano via lungo il loro tragitto, le luci provenienti dalle varie
finestre iniziavano a spegnersi. Alec usciva spesso a camminare la
sera, per farsi scivolare di dosso la pesantezza della giornata, e
nelle sue passeggiate solitarie capitava spesso che si chiedesse cosa
accadeva dietro a quelle finestre, che tipo di persone ci vivessero:
era come uno spettatore della vita altrui e trovava affascinante
osservare la quotidianità di quei sconosciuti. A volte,
però, quando sentiva il pianto di un bambino o la risata
squillante di una donna, si ritrovava a desiderare qualcuno che
aspettasse anche lui a casa, qualcuno con cui parlare, qualcuno da
abbracciare, qualcuno.. da amare.
Sì, quella sera qualcuno
con lui c'era, ma per le ragioni sbagliate e Alec non aveva mai
agognato tanto la solitudine come in quel momento.
"Lo fai spesso?" chiese ad un tratto Magnus, interrompendo i suoi
pensieri.
Alec sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Cosa?"
"Uscire di casa, la notte, per andare in giro."
"Sì." rispose Alec, scrollando le spalle con noncuranza.
"Non è molto sicuro, sai?" affermò Magnus,
osservando la zona non propriamente illuminata che stavano
attraversando. Da quando erano usciti dal palazzo non aveva smesso un
secondo di guardarsi attorno con discrezione, pronto a neutralizzare
ogni eventuale nemico fosse saltato fuori.
Alec sbuffò, alzando nuovamente gli occhi al cielo. "Non
sono un bambino, signor Bane."
"Sì, zuccherino, l'ho notato." mormorò Magnus,
fissando, con un ampio sorriso, il sedere ondeggiante del ragazzo. "E
sono pronto a scommettere che lo noteranno anche tutti i
malintenzionati che girano a quest'ora in quartieri come questo."
sottolineò, a voce più alta.
Alec si bloccò di colpo e Magnus rischiò di
andargli addosso.
"Per l'angelo!" esclamò il moro, battendo un pugno sul palmo
aperto della mano. "Ecco cosa mi sono dimenticato di prendere prima di
uscire di casa! La mia mazza da baseball!"
"Mazza da baseball?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
"Quella che mi porto sempre dietro per scoraggiare eventuali criminali
pronti a rapinarmi o ad approfittarsi di me!" rispose Alec, con tono
ovvio. "Di solito la faccio roteare, così sono sicuro che
nessuno si avvicini a me." gli confidò, abbassando la voce
con fare cospiratorio. "E' una seccatura quando fracasso il naso di un
passante qualunque, ma, ehi, la sicurezza prima di tutto!"
spiegò poi, piegando la testa ed alzando le mani.
Magnus lo fissò per un lungo momento, confuso, poi
realizzò la battuta ironica e rise di gusto.
Alec roteò gli occhi, mentre un accenno di sorriso gli
solleticava le labbra. "So difendermi." affermò nuovamente,
con sicurezza, riprendendo a camminare.
"Sì, l'ho notato, passerotto." replicò Magnus,
massaggiandosi nuovamente lo stomaco.
"Ohhh, andiamo! Sono sicuro di non averle poi fatto così
male." commentò Alec, voltandosi appena per guardarlo.
"Hai un bel pugno." si complimentò Alec.
"Grazie. E so fare anche di peggio." ammiccò, con
leggerezza, guardandogli l'inguine per una frazione di secondo.
Magnus si portò le mani sulla patta dei pantaloni.
"Sì, ho notato anche questo!"
Un sorriso storto nacque sul viso di Alec. "Gliel'ho detto che posso
fare a meno di una guardia del corpo."
"Sì, beh, può anche darsi che sia vero." concesse
Magnus, scrollando le spalle. "Ma un agente speciale della Marina
magari, e sottolineo magari, conosce qualche trucchetto in
più di quelli che già conosci tu. Non trovi?"
domandò, sporgendosi verso di lui con uno sguardo furbo e le
mani dietro la schiena.
Alec scosse la testa con un sospiro ed alzò gli occhi al
cielo, riprendendo a camminare. "Se lo dice lei."
"Oh.Mio.Dio! Hai appena indirettamente ammesso che ho ragione e che
potrei tornarti utile?" chiese Magnus, con un sorriso luminoso,
tornando a corrergli dietro. "Ora sì che ho paura."
scherzò, guardandosi attorno e fingendo di rabbrividire.
"Stia zitto." mormorò Alec, leggermente divertito.
Magnus ridacchiò. "Come mai non prendi l'auto per spostarti?
O un taxi? Sarebbe più comodo, no?" domandò, dopo
un po', affiancandolo.
"Mi piace camminare. Mi rilassa."
"E percorri sempre la stessa strada?"
"Sì."
"E' un'abitudine, quindi." mormorò Magnus, pensieroso,
massaggiandosi il mento.
"Sì. Direi di sì."
"Potrebbe essere pericoloso." commentò l'uomo,
sventolandogli l'indice contro. "Uscire tutte le sere, fare la stessa
strada.. Se qualcuno ti stesse stalkerando, saprebbe dove e quando
trovarti. Da solo. Ci hai mai pensato?"
Alec scrollò le spalle. "Non c'è nessuno che mi
sta alle calcagna, a parte lei, signor Bane, quindi non ho niente di
cui preoccuparmi."
"Non puoi saperlo con sicurezza. Alla mittente del biglietto minatorio
non ci pensi?"
Alec sbuffò. "Si è trattato solo di un brutto
scherzo, signor Bane. E poi sono sicuro che me ne accorgerei se
qualcuno mi stesse seguendo."
"Hai dei poteri magici?" gli chiese Magnus, scettico.
"No, ma.." ammise Alec.
"Se non hai dei poteri magici allora non puoi esserne sicuro al cento
per cento. Giusto?" lo interruppe Magnus, assottigliando lo sguardo.
Alec roteò gli occhi. "Giusto." concesse, scrollando le
spalle.
"Visto? Non era così difficile." rispose Magnus, con un
sorriso luminoso.
"Che cosa?"
"Ammettere che hai bisogno di aiuto." replicò l'uomo con
aria compiaciuta.
"Non ho detto questo." ribattè Alec, facendogli la
linguaccia. "Ho solo ammesso di non avere la certezza che qualcuno mi
stia pedinando o meno. Il mio istinto, però, mi dice che non
c'è nessuno nascosto nell'ombra."
"Davvero? E saresti disposto a rischiare la tua vita per una cosa di
cui non ne sei neanche certo?"
Alec gettò la testa all'indietro e sbuffò,
esasperato. Poi tornò a guardarlo. "C'è lei a
proteggermi, no?"
Magnus annuì.
"Quindi non corro nessun pericolo." commentò il moro,
alzando un sopracciglio.
"Finché ci sono io, no di certo." ribattè Magnus,
gonfiando il petto.
Alec tornò a guardare davanti a sè, tornando
serio. "Mio padre è preoccupato. E' per questo che ho
accettato una guardia del corpo. Solo ed unicamente per questo."
rivelò, piano. "Ma non ho bisogno di lei né di
nessun altro. Ho imparato da tempo a badare a me stesso."
"Abbiamo una cosa in comune, allora, coniglietto." affermò
Magnus, sorridendo, osservando di sottecchi l'altro, che aveva ripreso
a camminare con aria assorta.
Erano arrivati sulla riva di un fiume e Alec procedeva adagio, la lunga
falcata delle gambe chilometriche era rilassata, lo sguardo perso in
lontananza, verso l'acqua scura.
Incrociarono una coppietta di innamorati, intenta a baciarsi, e un uomo
che stava portando a passeggio il cane, poi non ci fu nessun altro.
Solo loro due, soli, e lo sciabordio lento e placido dell'acqua davanti
a loro.
Alec si guardò attorno, poi tornò a fissare il
fiume.
"Cerchi qualcosa?" gli chiese Magnus, curioso, guardandosi attorno
anche lui.
"No." rispose Alec, asciutto. Non voleva ammettere che, in fondo in
fondo, si era fatto suggestionare dalle parole dell'altro e aveva
voluto sincerarsi che, a parte loro due, non c'era davvero nessun altro
lì.
Magnus si dondolò sui talloni. "Come mai vieni qui?" volle
sapere, curioso.
"Mi piace l'acqua. Mi rilassa." spiegò Alec, stringendosi
nelle spalle e sedendosi sulla riva, con lo sguardo perso in lontananza.
Magnus si sedette a qualche passo da lui, posando il mento su una mano
e osservando con interesse il moro: suo malgrado, e nonostante il
comportamento scostante dell'altro, l'ex Marine si trovava ad essere
affascinato da quel ragazzo.
Era completamente diverso dall'idea che si era fatto di lui quando sua
madre l'aveva incastrato in quell'incarico: si era aspettato di dover
fare da balia ad un viziato figlio di papà, ma aveva
scoperto che non era affatto così.
Da quel che sapeva, la famiglia Lightwood era ricca. Molto ricca.
Schifosamente ricca. Nonostante questo, però, Alec indossava
anfibi neri, logori e consunti, maglioni con i buchi, jeans che avevano
visto giorni migliori, un giubbotto nero a cui mancavano due bottoni ed
era dannatamente certo che i suoi capelli neanche sapessero cosa fosse
un parrucchiere, limitandosi ad essere spuntati di tanto in tanto da un
semplice barbiere.
Per tutti i diavoli, perché quel ragazzo non faceva vita
mondana, sfoggiando vestiti esclusivi dal taglio impeccabile?
Perché non guidava una Ferrari o una Maserati al posto del
catorcio che aveva l'ardire di chiamare macchina? Perché non
frequentava l'alta società, andando a feste esclusive,
facendosi fotografare con il vip del momento?
Alec Lightwood era un vero mistero e Magnus era davvero intenzionato a
svelarlo.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Il mattino seguente,
quando entrò in cucina per fare colazione, Magnus
notò che non c'erano sacchetti di biscotti o scatole di
cereali sulla tovaglia a scacchi bianchi e rossi che ricopriva la
tavola né la minima traccia di zucchero sul ripiano di marmo
scuro o fette di pane in cassetta che abbrustolivano nel tostapane.
Niente.
Biascicò un assonnato buongiorno,
grattandosi distrattamente la pancia, e, corrucciato, andò
ad aprire il frigorifero di acciaio, guardandoci dentro. "Non hai la
pancetta?"
"No." rispose Alec, mentre rigirava, con un certo impegno, un
cucchiaino di miele nel tè.
Mescolare era semplice e sicuro. Già. Non implicava bere la
sua solita bevanda mattutina e rischiare di strozzarsi alla vista del
corpo nudo dell'uomo appena arrivato in cucina!
Magnus, infatti, era comparso con solo un paio di mutande nere
attillate, che lasciavano ben poco spazio all'immaginazione, e
null'altro addosso e per poco Alec aveva rischiato seriamente di
soffocare con il tè. La cosa peggiore, però, era
che, dopo il quasi suicidio, si era ritrovato a fissare imbambolato, e
con un'isolita cupidigia e bramosia negli occhi, la pelle dell'ex
Marine, una distesa di caramello salato tutto da leccare e toccare, per
un tempo indecentemente lungo prima di obbligarsi a distogliere lo
sguardo.
"Uova?" continuò Magnus, piegandosi per trovare qualcosa da
mettere sotto ai denti.
"No." esalò Alec, con gli occhi puntati sul sedere granitico
dell'altro, messo spudoratamente in risalto dalle mutande strette. Non
stava sbavando eh, sia chiaro. Stava solo ammirando, con occhi clinico,
un bel sedere. Tutto qua.
Magnus si raddrizzò in tutta la sua altezza, chiuse il
frigorifero e si girò a guardarlo con un sopracciglio
alzato. "C'è qualcosa di commestibile in questa casa?"
Alec gli porse qualcosa di tondo e bianchiccio che aveva la consistenza
del cartone.
"Cos'è?" chiese Magnus, guardingo, rigirandosi tra le mani
quella roba.
"Una galletta di riso." rispose Alec, tranquillo.
"Una.. una che?"
"Una galletta di riso. Può metterci sopra un po' di
confettura light alla fragola." suggerì Alec, facendo
scivolare, verso l'altro, il vasetto. "Oppure ci sono delle barrette ai
cereali in quel pensile e uno yogurt bianco magro in frigo, nascosto
dietro il cespo di insalata."
Magnus lo fissò, inorridito. "Tu.. tu mangi questa roba?"
"Fa bene alla salute." rispose Alec, annuendo convinto.
"Ti prego, dimmi che non sei uno di quei svitati salutisti tutto
centrifughe e insalate." disse Magnus, sbarrando gli occhioni
verdi-dorati.
Alec sorrise tra sé e sé. "Si sveglia sempre
così di malumore la mattina?" chiese, squadrandolo dall'alto
in basso.
L'uomo aveva i capelli sparati in tutte le direzioni e non si era tolto
del tutto la matita nera sugli occhi del giorno prima, che ora era
vistosamente sbavata. Nonostante questo, Magnus Bane era una statua
greca vivente ed era spettacolare anche di primo mattino. Dannazione.
Magnus lo guardò, assottigliando lo sguardo. "Ha parlato raggio di sole."
borbottò, ironico, stropicciandosi poi il viso con un sonoro
sospiro.
Lo sguardo di Alec cadde sui poderosi pettorali granitici che
guizzarono a causa di quel movimento e si leccò
inconsapevolmente le labbra, prima di abbassare gli occhi sul suo
tè, dandosi dell'idiota.
"Potrebbe andare a vestirsi, per cortesia?" commentò, a
bassa voce.
Magnus si liberò il viso dalle mani, abbassò lo
sguardo e si diede un'occhiata. "Ti sto eccitando, polpettina?" chiese,
ammiccando, con un sorriso malandrino.
Alec fece una smorfia infastidita. "Sa che sta dimostrando solo una
grandissima immaturità, vero?" sviò, arrossendo.
Magnus ridacchiò, gonfiando il petto in modo plateale e
compiaciuto, poi si voltò per passare in rassegna tutti gli
elettrodomestici allineati sul ripiano della cucina: c'erano un
tostapane, un frullatore, uno spremiagrumi, una centrifuga, un
microonde. Stop.
"Do-dov'è la caffettiera?" balbettò, con voce
strozzata, voltandosi di scatto verso l'altro.
"Non ce l'ho." rispose Alec, tranquillo, sorseggiando il suo
tè. "Non mi piace il caffè."
Magnus lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite,
paralizzato. "Stai.. stai scherzando, vero?"
"Se vuole, ho preparato il tè." ribattè Alec,
indicandogli un pentolino d'acciaio sopra ai fornelli.
Magnus fissò con ostilità la scura brodaglia
giallognola e la annusò con una smorfia di disgusto: era
inodore, ma dall'aspetto sembrava pipì.
"E' tè verde." spiegò Alec, roteando gli occhi e
nascondendo un sorriso dietro la tazza che stava bevendo.
"Come diamine fai a carburare al mattino senza una buona tazza di
caffè?" gli chiese l'uomo, allargando le braccia esasperato.
"Semplice. Mi sveglio, mi alzo, mi lavo, faccio colazione, mi vesto ed
esco." rispose Alec, asciutto.
"Sì.. e sei uno zombie per tutto il resto della giornata!"
"Che esagerazione!" lo contraddisse il moro, sventolando una mano. "La
caffeina è un forte eccitante che danneggia il sistema
nervoso. Lo sapeva?" domandò con tono saputello.
Magnus sbuffò. "Scommetto che non bevi neanche alcolici o
birra." esclamò, squadrandolo con un certa disapprovazione.
"A colazione?" chiese Alec, con un sorrisetto ironico, alzando un
sopracciglio.
"Ah. Ah. Ah." ribattè Magnus. "Ti piace avere sempre
l'ultima parola, eh?" ghignò, appoggiandosi al piano cucina
e incrociando le braccia al petto.
"Sempre." replicò Alec, contento, continuando a sorseggiare
placidamente il suo tè, intimamente divertito da quel
battibecco.
La prima notte di convivenza, tutto sommato, non era andata male, ma il
suo appartamento era davvero troppo piccolo per ospitare due adulti.
Lui era abituato a gironzolare per i suoi limitati spazi, da solo,
mentre Magnus sembrava occuparli tutti, non solo fisicamente, e la sua
presenza era qualcosa di tangibile anche quando non ce l'aveva davanti.
Poco prima, infatti, Alec era passato davanti al bagno e aveva sentito
lo scroscio della doccia provenire da dietro la porta: avrebbe potuto
non farci caso e tirare dritto, invece si era fermato di botto,
iniziando a immaginarsi il corpo statuario di Magnus sotto il potente
getto di acqua calda, avvolto solo da una nuvola di vapore, mentre le
sue dita lunghe e affusolate insaponavano sapientemente la pelle
caramellata del petto.
Tutto ciò era ridicolo. Primo perché quell'uomo
non era affatto il suo tipo (troppo estroverso, troppo chiacchierone,
troppo.. troppo!) e, secondo, perché quel giorno se ne
sarebbe andato.
La notte prima, infatti, quando erano rientrati dalla passeggiata
notturna, aveva provato davanti allo specchio, per una buona mezz'ora,
una conversazione che voleva fare con suo padre per disfarsi della sua
guardia del corpo. C'era voluto del tempo per trovare le parole adatte,
ma alla fine gli sembrava davvero un discorso convincente ed era certo,
quindi, che quel giorno sarebbe riuscito finalmente a sbarazzarsi
dell'ex Marine.
Si accorse che Magnus gli si era seduto di fronte e lo stava fissando,
mentre tamburellava senza sosta le dita sul tavolo.
"Che c'è?" chiese Alec, sbattendo le palpebre e ritornando
in sé.
Magnus sospirò pesantemente. "Ok, tortina al cioccolato,
sono ospite in questa casa e farò lo sforzo di adeguarmi a
tutte le tue insensate regole." concesse, alzando le mani in segno di
resa. "Ma senza il caffè io non carburo e ne ho davvero
bisogno la mattina!" dichiarò, serio.
Alec si strinse nelle spalle. "Qui a due passi, c'è un Lightwood's coffee bar
se le interessa."
Il viso di Magnus si illuminò tutto. "Davvero? Certo che mi
interessa, diavolo!" esclamò, entusiasta, battendo le mani e
saltando in piedi di slancio. "Oh.. aspetta! E' la catena di bar che
appartiene alla tua famiglia, non è vero?" gli chiese,
subito dopo, interessato.
Ecco, ci siamo!
pensò Alec, sconsolato, non appena Magnus
pronunciò quella frase, che aveva sentito ormai mille volte.
In generale, infatti, alle feste che i suoi genitori solevano dare
nella grande villa dei Lightwood, il moro veniva trattato come se fosse
trasparente, ma, non appena scoprivano chi era, si ritrovava
magicamente al centro dell'attenzione, con uomini e donne che tentavano
di sedurlo nei modi più disparati. Qualcuno era arrivato
addirittura a chiedere la sua mano, pur di mettere le mani sul
patrimonio della sua famiglia!
Ormai era allenato, quindi, e riusciva a leggere, negli occhi di questi
approfittatori, l'esatto momento in cui si facevano mentalmente il
calcolo di quanto poteva ammontare il suo conto in banca, stabilendo se
valesse la pena o meno farsi avanti e provarci con lui.
"Diavolo! Possiedi una catena di bar e non bevi caffè?" gli
chiese invece Magnus, portandosi una mano alla bocca, sconvolto,
guardandolo con occhi sgranati.
Alec si strinse nelle spalle. "Non c'entro niente con quei locali. Non
ci ho neanche mai messo piede."
"Oh, mio Dio! Neanche come cliente?" domandò Magnus, sempre
più sbalordito.
Alec scosse la testa.
"Ma sei reale? Sì?" chiese Magnus, con enfasi, toccandogli
lievemente una spalla con la punta dell'indice.
Alec si trattenne dal fargli una linguaccia.
Magnus scosse la testa, incapace di credere a quanto gli aveva appena
rivelato il moro. "Diavolo, se un mio parente possedesse una
caffetteria, sarei lì, ogni giorno, a rimpinzarmi di
ciambelle glassate e a bere ettolitri di caffè! Cazzo, me lo
inietterei direttamente in vena, se fosse possibile!"
esclamò, con aria sognante.
Alec alzò un sopracciglio, sorpreso, quando vide l'altro
dirigersi verso la propria camera da letto. "Tutto qui quello che ha da
dire?"
Magnus si fermò sull'uscio della porta, accigliandosi.
"Perché? Che cosa ti aspettavi?"
"Beh, non so.." tergiversò Alec, spiazzato. Non voleva
ammettere ad alta voce di essere piacevolmente colpito dal fatto che
Magnus non rientrasse nella categoria degli avvoltoi che solitamente
giravano attorno alla sua famiglia. "E' che.. insomma.. di solito le
persone vogliono sempre sapere quanto sono ricco e.. beh.. ecco..
sì, insomma, mi rivolgono la parola solo per avere qualcosa
in cambio e.."
"Tesoro, prima di tutto, so già quanto sei ricco." lo
interruppe Magnus, divertito. "E, secondo, se anche non ne fossi a
conoscenza, non sono di certo affari miei, no?" concluse, facendogli
l'occhiolino, prima di entrare in camera sua.
Alec rimase imbambolato con il cucchiaino in mano, del tutto spiazzato
da quell'affermazione. Fin'ora, ad esclusione dei suoi amici, aveva
conosciuto solo persone che non si facevano alcuno scrupolo a passare
sopra ai suoi sentimenti pur di arrivare al suo portafoglio. Magnus,
invece, ancora una volta si dimostrava diverso da qualsiasi individuo
avesse mai conosciuto.
Dopo una buona mezz'ora, truccato e con i capelli domati da una
generosa dose di gel, l'ex Marine uscì saltellando dalla sua
stanza, abbottonandosi i jeans ed infilandosi, in un equilibrio
precario, gli stivali neri ai piedi. "Ok, coniglietto, esco un attimo e
torno subito. Tu non muoverti e non aprire a nessuno, va bene?" si
raccomandò, indossando il giubbotto di pelle e tastandosi le
tasche dei jeans per assicurarsi di avere il portafoglio con
sé.
"Signor Bane, le ricordo che non ho cinque anni!" sbuffò
Alec, alzandosi dalla sedia e roteando gli occhi.
Magnus sfoderò un sorriso divertito. "Sai, micetto, sono
sicuro che dopo un buon caffè quel broncio adorabile
abbandonerà il tuo viso." dichiarò convinto,
puntandogli l'indice contro. "A tra poco!" lo salutò,
soffiandogli un bacio e sventolando una mano.
Alec arrossì come un pomodoro, acchiappando, per un soffio,
la tazza che, sfuggitagli momentaneamente dalle dita,
rischiò di frantumarsi al suolo.
Una volta fatto finalmente il pieno di caffeina, Magnus si sentiva
pronto ad affrontare una nuova giornata in compagnia di Alec sprizzo gioia da tutti i pori
Lightwood.
Nonostante si conoscessero da appena ventiquattro ore, aveva
già capito che trovava estremamente divertente stuzzicarlo e
portarlo fin quasi sull'orlo dell'esasperazione: provava un piacere
perverso quando il moro alzava quegli incredibili occhi blu su di lui e
lo guardava con una luce omicida nello sguardo. Era eccitante. E
masochista, certo, ma non riusciva proprio a farne a meno.
Sorrise, tra sé e sé, e piantò gli
occhi su quella che era diventata la sua visuale preferita in assoluto,
ossia il sedere sodo di Alec, seguendolo fin dentro all'agenzia:
proprio come il giorno prima, il ragazzo andò a rinchiudersi
nel suo ufficio, mentre Magnus rimase in compagnia di Clary, pronto a
un altra giornata di pettegolezzi sul moro e sulla sua famiglia.
La mattinata, tutto sommato, passò tranquillamente. Poi,
arrivò l'ora del pranzo.
Alle dodici e trenta in punto, la porta dell'agenzia si
spalancò con foga: su tacchi a spillo vertiginosi,
nonostante New York, in quei giorni, sfiorasse gli zero gradi, fece il
suo plateale ingresso un'esuberante Isabelle Lightwood, che
salutò con un radioso sorriso sia Alec che Clary, prima di
passare a scandagliare l'ufficio con lo sguardo. Il moro si
irrigidì all'istante, ben consapevole cosa (o meglio chi) stesse
cercando la sorella!
Quando finalmente gli occhi neri della ragazza trovarono ciò
che stavano cercando, un sorriso luminoso spuntò sulle sue
labbra e squadrò Magnus dalla testa ai piedi. "Finalmente ci
conosciamo! Ciao! Sono Isabelle Lightwood, la sorella di Alec." si
presentò, senza alcuna remora, agguantando la mano dell'uomo
e stringendola con energia.
Magnus la fissò interdetto per un secondo, poi sorrise,
divertito, di fronte a tanta impetuosità. "Magnus Bane. E'
davvero un piacere conoscerti, Isabelle."
"Izzy! Cosa ci fai qui?" si intromise Alec, affannato, frapponendosi
tra i due.
Isabelle si piazzò le mani sui fianchi, fissandolo severa.
"Fratellone, se avessi dovuto aspettare che me lo presentassi tu, sarei
morta di vecchiaia!" brontolò, scuotendo la testa con fare
paternalistico.
"Ma è arrivato ieri!" replicò Alec, indignato.
"Sì, sì, come vuoi!" ribattè Isabelle,
liquidando quel discorso con uno sventolìo della mano.
"Allora, siamo pronti ad andare?" domandò poi, entusiasta.
"Andare? Andare dove?" chiese Alec, visibilmente preoccupato.
"A pranzo, no?" ribattè la ragazza, tranquilla, sporgendosi
oltre il fratello per tornare a fissare Magnus. "Sei sicuro di essere
una guardia del corpo? Sei troppo bello per fare il gorilla!"
dichiarò, guardandolo dall'alto in basso con palese
ammirazione.
"Ti ringrazio, dolcezza." sorrise Magnus, compiaciuto.
"Izzy!" sbuffò Alec, schioccando le dita per riportare
l'attenzione della sorella su di lui. "Io non vado da nessuna parte! Ho
una pratica da conclud.."
"Sciocchezze!" lo interruppe Isabelle, sbrigativa. "E' ora di pranzo,
quindi andiamo a mangiare."
"Io sono pronta." esclamò Clary, sorridente, alzandosi dalla
sedia. "Jace e Simon ci stanno aspettando!"
Alec si girò velocemente verso la cognato, con uno sguardo
tradito. "Tu! Tu sapevi di questa improvvisata e non mi hai detto
niente?"
"Ohhh, smettila! Le ho mandato un messaggio neanche venti minuti fa!
Come faceva ad avvisarti, se avevi un cliente in ufficio?" si intromise
Isabelle, in soccorso della rossa. "Ora, chiarito questo, prendi il
giubbotto ed andiamo! Offre Jace!" dichiarò, con un sorriso
astuto, facendogli l'occhiolino.
Appoggiato alla scrivania di Clary, con le braccia incrociate al petto,
Magnus osservò Alec: poteva giurare di riuscire a sentire il
suo sangue ribollirgli nelle vene, mentre le guance si arrossavano
indispettite. Era certo che avrebbe tanto voluto rifilare una
rispostaccia alla sorella, ma intuiva che sarebbe stato del tutto
inutile: Isabelle era un bel peperino e di certo non si sarebbe
lasciata smontare dalle scuse che le avrebbe rifilato il fratello.
L'uomo vide le spalle di Alec abbassarsi leggermente e, con aria
sconfitta, il ragazzo esalò un "E va bene.." con la stessa
verve di un condannato a morte e provò un'ondata di simpatia
per lui. Con il carattere schivo e taciturno che si ritrovava, non
doveva essere affatto facile gestire due fratelli iperattivi e
logorroici come Isabelle e Jace, che aveva conosciuto il giorno
precedente.
Quando i quattro uscirono dall'ufficio, si divisero in due macchine.
Alec salì sulla sua vecchissima e sgangherata Ford LTD, di
un pallidissimo color celestino chiaro, che, proprio come l'agenzia di
viaggi, aveva ereditato dalla nonna e che lo lasciava a piedi una
settimana sì e l'altra pure. Represse un sorriso alla faccia
inorridita di Magnus, che si era reso conto che sarebbe dovuto salire
nuovamente su quel catorcio malconcio.
Una volta preso posto sul sedile del conducente, sbuffò
esasperato e alzò gli occhi al cielo. "Oh, per l'amor del
cielo! La vuole smettere? Le garantisco che non sta per esplodere!"
gridò alla sua guardia del corpo, che stava controllando
minuziosamente la vettura con espressione assorta. Accese la macchina e
il motore tossì e sputacchiò penosamente,
assomigliando pericolosamente a un vecchio che tenta di liberarsi del
proprio catarro.
Magnus alzò gli occhi dal paraurti e fece una faccia
schifata. Si abbassò al livello del finestrino e, scettico,
chiese "Ne nei sicuro?"
"Giuro che, se non si muove a salire, la lascio qui!" lo
avvertì Alec, indispettito.
Magnus roteò gli occhi prima di andare a sedersi sul lato
passeggeri. "Sei davvero scorbutico." borbottò, incrociando
le braccia al petto e fissando dritto davanti a sé.
"Stia zitto." lo apostrofò Alec, pigiando sull'acceleratore.
La macchina fece un vistoso balzo in avanti, poi tossì
un'altra volta e, finalmente, dopo un lungo e sinistro sibilo,
iniziò ad avanzare lentamente e con una certa
difficoltà lungo la strada.
"Che Dio mi aiuti.." mormorò Magnus, muovendosi a disagio
sullo scomodo sedile in pelle.
"Cosa ha detto?" chiese Alec, glaciale, voltando brevemente il viso
verso l'altro.
"Niente. Guida." replicò Magnus, giocherellando con
l'imbottitura che usciva da un piccolo buco del sedile per impedirsi di
farsi il segno della croce.
Pochi minuti dopo apparve, sul lato della strada, il ristorante scelto
da Isabelle e Alec entrò nel parcheggio che si trovava
davanti all'edificio.
Magnus slacciò la cintura e tirò giù
il parasole per controllare trucco e pettinatura. Sistemò il
pesante eyeliner nero sugli occhi, che si era sbavato leggermente, e
ravvivò, con un gesto veloce ed esperto, i capelli che si
stavano afflosciando. Con quel look era sicuramente meglio evitare di
fare una sfilata sul Red Carpet, ma per un pranzo tranquillo poteva
andare. Diede una veloce ripassata di lucidalabbra e, con la coda
dell'occhio, notò il moro guardarlo. "Che c'è?"
Alec roteò gli occhi, di fronte a cotanta vanità,
e slacciò anche lui la cintura. "Niente."
ribattè, scrollando le spalle.
Fece per aprire la portiera, ma Magnus lo bloccò, posandogli
una mano sul braccio. L'aveva fatto anche quella mattina, quando erano
arrivati davanti all'agenzia, e, proprio come poche ore prima, Alec si
divincolò nuovamente, irritato.
"La smette?" chiese il moro, stizzito.
Magnus lo studiò un attimo, poi replicò con calma
"Faccio il giro e ti apro io."
Alec fece una smorfia indispettita. "Assolutamente no! Le ho permesso
questa idiozia quando siamo arrivati a lavoro, ma ora basta! Le mie
gambe funzionano benissimo."
"Tesoro, le tue bellissime
gambe funzioneranno anche bene.." rispose Magnus, lanciando una lunga
occhiata agli arti fasciati da pantaloni dozzinali e spiegazzati,
sforzandosi di trattenere un sorriso. "..ma non ti allontanerai
più da me. Non voglio che si ripeta quello che è
successo ieri!" esclamò, sibillino.
Alec alzò gli occhi al cielo, esasperato. "Per l'angelo, sto
solo scendendo dalla macchina!"
"Non mi interessa." tagliò corto Magnus. "Smettila di
discutere e aspetta lì."
Alec incrociò le braccia al petto, furente, sia per quel
tono autoritario sia per il modo in cui era stato trattato, e attese
che l'altro facesse il giro della macchina e gli aprisse la portiera.
"Andiamo, Fiorellino?"
chiese Magnus, tendendogli una mano per aiutarlo a scendere.
Alec lo ignorò, scendendo da solo e marciando verso il
ristorante, borbottando come una caffettiera.
Magnus sorrise e si affrettò a raggiungerlo, guidandolo poi
verso il tavolo dove gli altri li stavano già aspettando.
Gli posò una mano sulla schiena, all'altezza dei reni, e
Alec sentì distintamente il calore che emanava il corpo
accanto a suo. Si staccò bruscamente perché lo
disturbava davvero molto il pensiero di quanto quella vicinanza
riuscisse a turbarlo.
Quando arrivarono al tavolo, sua sorella stava sogghignando e si era
accostata a Clary per sussurrarle qualcosa all'orecchio. Anche la
ragazza dai capelli rossi guardò verso di lui, sorridendo,
per poi tornare a complottare nuovamente con Isabelle.
Alec sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Stava
succedendo qualcosa. Non aveva idea di cosa potesse essere, ma le
occhiatine che quelle due comari gli stavano lanciando non gli
piacevano neanche un po'! Si sedette e aprì il
menù, anche se non aveva molta fame in quel momento, e ci si
nascose dietro fino a quando il cameriere non venne al loro tavolo per
prendere tutte le ordinazioni.
Magnus, nel frattempo, stava subendo un vero e proprio interrogatorio
di terzo grado da parte di Isabelle, che non aveva perso tempo e
l'aveva bersagliato di domande personali e non.
"Allora, come è andata la prima notte di convivenza?" stava
chiedendo la mora, sporgendosi verso l'uomo e appoggiando una mano sul
suo braccio con uno sguardo fin troppo adorante.
Cos'era tutta quella confidenza? Si erano conosciuti cinque minuti fa!
"Possiamo parlare d'altro, per favore?" brontolò Alec,
intromettendosi. "Ad esempio, come stanno andando i preparativi per la
festa di fidanzamento? Eh?" domandò, rivolgendosi al
fratello, sperando di indirizzare la conversazione su un argomento
più neutrale.
Jace alzò di scatto la testa dallo schermo del suo cellulare
e scosse, con energia, l'indice in segno di diniego. "Oh no, fratello!
Stavamo parlando di te." replicò astutamente.
"Non le hai ancora consegnato la lista, vero?" domandò Alec,
con un sorriso sibillino.
"Racconta della prima notte di convivenza." ribattè Jace,
con un sorriso mellifluo.
"Racconta della tua lista." ritorse Alec, battagliero.
Jace assottigliò lo sguardo e sostenne quello del fratello
per un lungo momento. "Ok, visto che non vuoi svelarci cosa avete
combinato voi due sporcaccioni questa notte, perché non mi
racconti della tizia che è entrata nel tuo ufficio?"
sviò Jace, furbo. "Perché non mi hai detto
niente?"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Perché, appunto,
non è niente!"
"Come puoi considerarla una cosa da nulla?" esclamò il
biondo, accigliandosi. "Non è normale che quella tizia sia
entrata nella tua agenzia e ti abbia lasciato quel messaggio minatorio,
eh!"
Alec sospirò pesantemente.
"Come si chiama? Cosa sai di lei? E' chiaro che ti conosce!"
Alec alzò nuovamente gli occhi al cielo e sbuffò.
Queste erano proprio il tipo di domande che avrebbe tanto voluto
evitare. "Ha detto di chiamarsi Lydia. Due mesi fa è venuta
nel mio ufficio per informarsi su una crociera in Europa e abbiamo
chiacchierato per circa un'ora, poi se n'è andata. Fine."
spiegò, conciso.
"Due mesi fa? Ti tormenta da allora?" chiese Jace, sbalordito. "E non
l'hai detto a nessuno?"
"Io lo sapevo." affermò Isabelle, tranquilla, sorseggiando
il suo bicchiere di vino.
"Cooosa? Tu lo sapevi e non mi hai detto niente?" la accusò
Jace, con sguardo tradito.
Isabelle si strinse nelle spalle. "Mi ha fatto promettere di non dirlo!"
"Come potete avermi tenuto all'oscuro di tutto? Eh?" si offese Jace,
guardando alternativamente i fratelli. "Sono un poliziotto, per
l'angelo! Avrei potuto risolvere la situazione tempestivamente!"
"Guarda che gli avevo consigliato di confidarsi e di non sottovalutare
la cosa, ma.." tentò di difendersi Isabelle, sistemandosi
una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Beh, guarda come è andata a finire! Quella pazza lo sta
tormentando!" esclamò Jace, infervorato. Nessuno doveva
permettersi di toccare la sua famiglia, in special modo i suoi
fratelli. Scoprire che uno di loro era oggetto di minacce, da ben due
mesi, lo innervosiva non poco.
Alec sbuffò. "Smettetela. Non mi sta tormentando! E' solo un
po' insistente. Tutto qui."
"Ha prenotato?" si intromise inaspettatamente Magnus, con voce calma.
"Cosa?" chiese Alec, accigliandosi, voltandosi verso di lui.
"Hai detto che è venuta nella tua agenzia per una crociera
in Europa. L'ha prenotata?" chiese Magnus, posando il mento su una mano.
"No, ma non significa niente. Può capitare che i clienti
vengano nel mio ufficio per informarsi sui prezzi o semplicemente per
avere delucidazioni varie sui viaggi che desiderano fare." rispose
Alec, scrollando le spalle.
"E' stato allora che ti ha chiesto di uscire?"
Alec scosse la testa. "No, l'ha fatto quando sono uscito dall'agenzia,
all'ora di chiusura. Me la sono ritrovata davanti e mi ha chiesto un
appuntamento."
"Ma lo sa che sei gay?" si intromise Jace, inarcando un sopracciglio,
perplesso.
Alec annuì. "Gliel'ho detto, ma mi ha risposto che voleva
solo uscire a bere qualcosa insieme. Qualcosa, però, nel suo
atteggiamento mi ha messo sulla difensiva."
"Cioè?" chiese Jace.
"Beh, è stata davvero insistente. Troppo. Non voleva proprio
accettare un rifiuto e.. no niente." si bloccò Alec, facendo
spallucce, piluccando un po' di pane.
"Cosa?" chiese Magnus, facendosi più attento.
"E' una sciocchezza." rispose Alec, sventolando una mano. "Quando ha
insistito per la cena, mi ha detto che aveva notato che non avevo
neanche pranzato quel giorno."
"Sapeva che non avevi pranzato." ripeté Magnus, serio. "E
questa per te è una sciocchezza?"
"Sì, perché.." Alec si interruppe, giusto il
tempo che il cameriere servisse le loro ordinazioni e se ne andasse.
"E' una sciocchezza, perché lo è. Ok?"
"Io lo trovo piuttosto inquietante, a dire la verità."
sottolineò Simon, masticando un pezzo della sua bistecca.
"Quella tizia ti ha spiato, bello!"
Alec sospirò. "E va bene. Forse è inquietante, ma
quando alla fine sono riuscito a farla desistere, ho pensato che avesse
finalmente capito che non mi interessava uscire con lei."
"E invece?" chiese Clary, addentando la sua pasta.
"Invece è tornata il giorno dopo, e quello dopo, e quello
dopo ancora. Una volta è venuta quando tu sei uscita per
pranzo, un'altra quando sei andata al bar per una breve pausa."
"Come se sapesse, ogni volta, quando ti avrebbe trovato solo."
mormorò Magnus, cupo. "E la cosa è andata avanti
per molto?"
Alec scosse la testa. "Isabelle ha iniziato a venire in ufficio
più spesso."
"Ah! Ecco perché sei quasi sempre lì all'ora di
pranzo." esclamò Clary, sorpresa.
Isabelle sorrise, compiaciuta. "Già, ma, sia chiaro, lo
faccio anche perché mi piace passare il tempo con il mio
fratellone.. oltre che tenere alla larga quella pazza psicopatica!"
asserì con determinazione.
Alec le sorrise dolcemente e le strinse una mano, ringraziandola con lo
sguardo.
"E' probabile che la situazione peggiorerà, Alec."
comunicò Magnus, serio.
"Oh, ma per favore! Sono sicuro che si stancherà presto di
me!" replicò Alec, roteando gli occhi.
Tutti si scambiarono una rapida occhiata, ma nessuno fece commenti.
Continuarono il loro pasto, poi Jace prese il suo cellulare, ci
trafficò un attimo e si rivolse ad Alec.
"Dimmi il cognome di questa donna e il suo indirizzo. Voglio fare un
controllo su di lei."
"Il cognome è Monteverde, ma non ho il suo indirizzo."
rispose Alec, spingendo da parte quel che restava del suo piatto.
Quell'argomento gli aveva tolto completamente il poco appetito che
aveva.
Magnus sbuffò. "Ovvio. Sia mai che tu ti sia preoccupato di
chiederglielo." esclamò, reprimendo una smorfia di
disappunto.
"Sta scherzando, vero?" lo fulminò Alec. "Per l'angelo, non
c'era nessun motivo perché glielo chiedessi! Nessuno! Era
venuta solo per delle informazioni." si giustificò,
iniziando a indispettirsi.
"Che aspetto ha?" si intromise Jace, ignorando il battibecco, mentre
digitava l'informazione precedente sul suo telefonino.
"Capelli biondi, occhi verdi. E' alta più o meno un metro e
settanta e ha un fisico slanciato. E' una bella ragazza. Potrebbe avere
la mia età."
"Non ci aiuta molto." mormorò il fratello, pensieroso. "Ha
qualche segno particolare?"
Alec scosse la testa.
"Sai che mestiere fa? O dove lavora?"
Alec scosse nuovamente la testa.
"Hai idea di come possa conoscere così bene le tue mosse?"
Alec negò nuovamente.
"Alec, la maggior parte della gente pensa che questo tipo di molestie
accada solo alle celebrità, ma può succedere a
chiunque." gli spiegò Jace, con cautela. "Questa situazione
potrebbe diventare pericolosa. Per favore, non sottovalutarla."
"Dio, Jace, non ti sembra di farne una tragedia di proporzioni
mondiali?" rispose Alec, scettico. "Cosa potrebbe fare? Tentare di
rapirmi? Sono il doppio di lei, per l'angelo!"
Jace scrollò le spalle. "Ti sto solo dicendo di non
sottovalutarla. Nel mio lavoro ne ho viste talmente tante che non posso
non preoccuparmi per questa situazione!"
Alec sospirò profondamente. Ecco perché si
sarebbe tagliato una mano piuttosto che informare la sua famiglia
sull'insistenza morbosa di Lydia: ora, oltre a Isabelle, c'erano altre
tre persone preoccupate per lui ed era certo che, a breve, anche i suoi
genitori ne sarebbero venuti a conoscenza. Era una cosa che avrebbe
voluto tanto evitare, ma aveva fallito miseramente.
"Alec, devi renderti conto che, forse, l'allarme, da solo, potrebbe non
bastare." lo informò Jace, piano.
Quando anche gli altri convennero con il poliziotto, Alec
alzò gli occhi al cielo. Quella conversazione era l'apoteosi
dell'esagerazione! Anche se era rimasto turbato dall'intrusione Lydia
nel suo ufficio, la ragazza era un topolino, rispetto a lui. Come
poteva fargli del male? Andiamo, era ridicolo!
"Credo sia meglio installare un sistema di sicurezza anche nel tuo
appartamento." comunicò Magnus, pensieroso, massaggiandosi
il mento.
Alec sgranò gli occhi, stupito. "Cosa? No!"
protestò, con veemenza.
"Alec, hai preso in considerazione che quella donna potrebbe
presentarsi anche a casa tua?" gli chiese la sua guardia del corpo,
piegando la testa.
Alec si morse il labbro inferiore. "Beh, no, ma.." rispose, incerto.
"Posso venire domani stesso ad installarti l'antifurto." propose Simon,
entusiasta.
"No! Non mi serve nessun sistema d'allarme!" esclamò Alec,
agitando le mani.
"Alec, è per la tua sicurezza." lo informò
Magnus, con tono calmo.
Alec strinse i pugni. "C'è lei a proteggermi, no? E, in ogni
caso, so badare a me stesso." ripeté, per l'ennesima volta,
con tono deciso.
"Alec.." sospirò Magnus, inalando a fondo per impedirsi di
perdere la pazienza. Non avrebbe ottenuto nulla, se l'avesse fatto.
"Stia zitto! So quel che dico!" ringhiò Alec, bevendo tutto
d'un fiato il suo bicchiere d'acqua.
Trovava assurdo che Lydia si presentasse alla sua porta. Era
impossibile e, di conseguenza, non aveva alcun bisogno di un aggeggio
infernale, pronto a scattare a ogni minima bazzecola, nel suo piccolo e
confortevole appartamentino. Assolutamente e categoricamente no! Aveva
già un cane da guardia insopportabile tra i piedi che gli
bastava e avanzava!
Quando riposò il bicchiere sul tavolo, sentì
distintamente Isabelle mormorare a Clary "Noti anche tu le scintille?
Uhm?", con la rossa che ridacchiava, bisbigliando "Sì,
c'è una certa elettricità!".
Alec alzò di scatto la testa e le guardò,
accigliandosi. Di cosa stavano parlando quelle due? Quali scintille?
Quale elettricità? Assottigliò lo sguardo: aveva
un brutto presentimento. Doveva assolutamente bloccare qualsiasi cosa
stessero complottando quelle due. Subito!
"Allora, Jace, hai portato la lista dei tuoi invitati per il
ricevimento?" chiese con nonchalance.
Jace iniziò a tossire, mentre Isabelle, come previsto,
dirottò repentinamente la sua attenzione sul biondo
fratello. "Già, Jace, mi hai portato quella dannata lista?"
domandò la mora, tamburellando le dita sul tavolo.
Il poliziotto roteò gli occhi ed estrasse dalla tasca un
foglio di carta stropicciato, che porse alla sorella. "Per chi mi avete
preso? Eh? Eccoti i miei invitati, sorellina." sorrise, compiaciuto.
Con grande sollievo di Alec, il discorso si spostò dalla sua
spinosa situazione al matrimonio del fratello e sui preparativi per la
festa di fidanzamento, permettendogli finalmente di tornare a respirare
normalmente.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Alec
tamburellò senza sosta le dita sul volante della sua auto.
Era in ritardo. Jace lo avrebbe ucciso, se prima non lo avesse fatto
suo padre.
Aveva dovuto aspettare i comodi della sua guardia del corpo per due
ore, due fottutissime ore, prima che finalmente fosse pronto. Per
l'angelo, nemmeno Isabelle ci metteva tanto a prepararsi quando doveva
uscire!
"La smetti?" borbottò Magnus, seduto accanto a lui, mentre
si aggiustava i polsini della camicia. "Mi rendi nervoso."
Alec gli lanciò un'occhiata omicida, pronto a sputare una
rispostaccia tagliente, ma, proprio come quando l'aveva visto uscire
dalla camera degli ospiti, il tutto scemò in un battito di
ciglia. Il mondo, a volte, era davvero ingiusto: la sua irritante,
indisponente, insopportabile guardia del corpo sembrava appena uscita
da una rivista patinata di alta moda e Alec stava letteralmente
sbavando. Magnus indossava uno smoking nero, che gli modellava le forme
del corpo come una seconda pelle, i capelli erano perfettamente curati
e tenuti su da una generosa dose di gel e il trucco smokey eyes donava
al suo sguardo un aspetto estremamente sexy. Era semplicemente
bellissimo. Dannazione.
Magnus si voltò per guardarlo a sua volta, inarcando un
sopracciglio in una muta domanda, e finalmente il moro si riscosse e
riuscì a ricordarsi chi era, dove si trovava e
perché era fondamentale riportare la sua attenzione sulla
strada.
"Se lei fosse stato pronto un'ora fa, non saremmo così in
ritardo! Avrei dovuto essere a casa dei miei già da un
pezzo, per l'angelo!" sbottò, stringendo con forza le dita
attorno al volante.
"Ma è solo una festicciola di famiglia! Se anche tardi
qualche minuto, non credo che ti fucileranno, no?"
Alec per poco non scoppiò a ridere di gusto. "Festicciola di famiglia?
Crede sul serio che sarà una semplice rimpatriata?" chiese,
con un ghigno sardonico. "Dio, come si vede che non conosce i miei!"
"Che vuoi dire?" domandò Magnus, piegando la testa, curioso.
"Signor Bane, quando danno una festa, i Lightwood invitano mezzo mondo!
Ci sarà tutta New York, come minimo!" spiegò il
moro.
Alec voleva bene ai suoi genitori, davvero, ma detestava con tutte le
sue forze quegli ipocriti ricevimenti e ci andava sempre malvolentieri.
Odiava essere costretto a imbastire insulse conversazioni con persone
antipatiche che non avrebbe rivisto fino alla prossima, inevitabile
festa, o sorridere quando era stanco morto, e tutto quello che voleva
fare era andare a casa e dormire, o, ancora, chiacchierare a tavola con
emeriti sconosciuti che non erano minimamente interessati a quello che
aveva da dire. Lo aveva fatto centinaia di volte, ma era sicuro che non
ci avrebbe mai fatto l'abitudine.
"Vede, anche se in teoria dovrebbe essere una cosa privata, che
riguarda solo la mia famiglia, per mio padre non è altro che
l'ennesima, ottima, occasione di "vendersi" per raccogliere fondi per
la sua campagna elettorale, visto che è candidato al
Senato." rivelò, sicuro. "Ci saranno sicuramente
giornalisti, telecamere e, ovviamente, le persone che più
contano nell'alta società newyorkese!"
Alec ricordava bene tutte le innumerevoli e noiose serate formali a
cui, fin da bambino, era stato costretto a partecipare con i suoi
fratelli. Suo padre pretendeva sempre che si vestissero eleganti e poi
li obbligava a presenziare a quelle feste, anche se si trattava di una
breve apparizione. Lui e i suoi fratelli erano stati addestrati a
leziosi salamelecchi e a fingere di sorridere per qualsiasi cosa gli
veniva loro detta, al fine di raffigurare un delizioso quadretto di
famiglia felice e perfetto davanti agli ospiti. Una volta finita la
farsa, venivano rispediti nelle loro stanze a cenare su un vassoio, con
la tata di turno.
Perfino le feste di compleanno erano occasioni d'oro per concludere
qualche vantaggioso contratto! Alec non ricordava una sola festa in cui
gli invitati erano concentrati unicamente sul festeggiato, ma
rammentava perfettamente che, mentre i bambini venivano intrattenuti da
clown professionisti, suo padre trattava fusioni e accordi con grossi
magnati dell'industria.
E quella sera, seppur l'occasione era diversa dal solito, l'atmosfera
sarebbe stata la stessa.
"Una cosa da niente, insomma." esclamò Magnus, ridacchiando.
"Allora vedi che ho fatto bene a mettermi in tiro?"
dichiarò, aggiustandosi il nodo della cravatta e facendogli
l'occhiolino.
Alec scosse la testa, sorridendo appena, svoltando poi verso sinistra e
oltrepassando un grande cancello in ferro battuto, su cui spiccava, su
entrambi i battenti, una L gigantesca: erano arrivati. Percorsero un
lungo viale alberato, illuminato appena da tenui lampioni che donavano
all'ambiente circostante un aspetto spettrale: i rami secchi delle
querce secolari, infatti, sembravano lunghe dita scheletriche che
parevano protendersi verso la macchina con l'intento di bloccare la sua
avanzata.
"Suggestivo." mormorò Magnus, guardando fissò
davanti a sè e intravedendo, in lontananza, le luci
dell'immensa villa dei Lightwood.
"E aspetti di vedere l'interno della casa." ghignò Alec,
divertito.
"Non sto nella pelle." sorrise Magnus, sistemandosi meglio sullo
scomodo sedile. "Però scommetto che già questo
viale era sufficiente a scoraggiare i tuoi spasimanti ai tempi della
scuola."
"Quelli dei miei fratelli." confermò Alec, asciutto.
Magnus si voltò a guardarlo, incredulo, inarcando un
sopracciglio. "Mi vuoi dire che tu non hai mai avuto un fidanzatino
alle scuole superiori?"
"No." rispose Alec, conciso, scrollando le spalle con finta
indifferenza.
In realtà, quell'argomento lo metteva estremamente a disagio
e sperava che Magnus dirottasse la sua inesauribile parlantina su altri
argomenti. Speranza vana, ovviamente.
"Oh, ma dai!" esclamò, infatti, la guardia del corpo,
dandogli una pacca sul braccio con il dorso della mano. "E' impossibile
che nessuno ti facesse il filo e... CAZZO! FRENA!"
Alec pigiò con forza il pedale del freno e la macchina si
arrestò di colpo: il suo corpo venne sbalzato in avanti, ma
la cintura lo trattenne e lo fece ricadere all'indietro. "Per l'angelo!
Si può sapere che cosa diavolo le prende, adesso?" chiese,
agitato.
Magnus lo ignorò, slacciandosi la cintura di sicurezza e
guardando con attenzione una donna che, completamente immobile, si
trovava sul ciglio della strada davanti a loro. Fino a pochi secondi
prima, invece, era esattamente al centro della carreggiata e per quel
motivo aveva gridato ad Alec di fermarsi.
La sconosciuta aveva lunghi capelli ricci e castani, che le
incorniciavano un volto pallido, e un vestito bianco che le arrivava
fino ai piedi. Gli occhi verdi erano spalancati e li fissavano
insistentemente.
Alec la guardò brevemente, poi, senza scomporsi, disse a
Magnus "Andiamo via."
Magnus si girò di scatto verso di lui, allibito. "Cosa? No!
Non possiamo lasciarla qui!" dichiarò, aprendo la portiera e
scendendo dall'auto.
"Signor Bane..."
Magnus lo ignorò e si rivolse alla donna. "Buonasera
signora. Sono Magnus Bane, mentre lui è Alec Lightwood." si
presentò, sorridendo, indicando poi il moro dentro l'auto.
"Ha bisogno di un passaggio?"
La donna gli rivolse un sorriso appena accennato e ondeggiò,
come se fosse mossa dal vento. Illuminata dai fari della macchina di
Alec, che sembravano trapassare quel corpo esile, sollevò
una mano per ravvivarsi i capelli e poi fissò Magnus con uno
sguardo talmente intenso che l'uomo sentì rizzarsi
all'istante i capelli alla base della nuca e un brivido gelido
corrergli lungo la schiena.
La donna aprì la bocca è iniziò a
parlare, ma la guardia del corpo non udì nulla. Le labbra
continuavano a formulare parole che non riuscivano a raggiungere le
orecchie di Magnus e quando finalmente si rese conto che lui non poteva
sentirla, il suo viso si intristì.
Paralizzato davanti alla macchina, Magnus continuava ad assistere a
quella scena surreale e a non capire cosa stava succedendo.
Alec scese dall'auto e si avvicinò all'altro. "Signor Bane,
andiamo." ripetè piano, impassibile.
Magnus, però, non riusciva a staccare gli occhi dalla figura
femminile davanti a lui. "La... la vedi anche tu, vero?"
"Sì." sopirò Alec.
Magnus osservò la sconosciuta ancora per qualche secondo,
poi la sua immagine iniziò a svanire piano piano, fino a
scomparire del tutto.
L'ex Marine aveva affrontato colpi di fucile e di mitra, bombe di ogni
tipo e mine antiuomo, pericoli inimmaginabili e situazioni molto
più spaventose di quelle in cui si trovava la maggior parte
della gente, ma non si era mai ritrovato faccia a faccia con un
fantasma, al buio, in una fredda notte d'inverno, su un viale
dall'aspetto lugubre. Per la prima volta in vita sua, fu davvero felice
di non essere solo.
Alec aveva detto di averla vista, quindi non se l'era sognato
né era improvvisamente impazzito. Scosse la testa, per
schiarirsi la mente, poi si girò verso il moro, che era
ritornato in macchina e si comportava come se non fosse successo nulla.
Anzi, ripensandoci, il ragazzo non aveva avuto alcuna reazione
inconsulta quando gli aveva indicato la sconosciuta e si era comportato
come se l'avesse già vista, in passato.
"Chi... chi diavolo era quella?" chiese, allibito, indicando con il
pollice il vuoto dietro di sè, prima di tornare in auto.
"Barbara Pangborn." rispose Alec, calmo.
"La conosci?" chiese Magnus, sempre più sbalordito.
"E' una mia antenata." confermò Alec, annuendo. "E' morta
più di centocinquanta anni fa su questo stesso viale."
Magnus lo fissò a bocca aperta. Di tutti gli incarichi che
gli avevano affidato, questo era di sicuro il più assurdo e
strampalato! Il suo protetto lo sopportava a malapena e aveva una
stalker che si intrufolava nella sua agenzia quando non c'era nessuno,
doveva proteggerlo da uno sconosciuto che si divertiva a mandare e-mail
minatorie a suo padre e, ciliegina sulla torta, ora doveva avere a che
fare anche con i fantasmi! Diavolo, di questo passo sarebbe uscito
fuori di testa prima che tutto quel casino fosse finito!
Una volta entrati nella villa, Alec vide che tutto era esattamente con
se l'era immaginato: la casa era pervasa da una piacevole musica di
sottofondo, tenuta a volume rigorosamente basso per non disturbare la
conversazione, e una ventina di domestici si muoveva discreta tra gli
ospiti, offrendo champagne e tartine con salmone o caviale. C'erano
persone che sostavano ai piedi dell'ampia e maestosa scalinata
circolare che conduceva ai piani superiori, molte chiacchieravano nella
grande sala dove era stato allestito il ricevimento, altre si erano
accomodate nel salottino, godendosi il calore di un caminetto acceso, e
altre ancora si erano spinte in una sala dove troneggiava un pianoforte
suonato da un musicista, ingaggiato per l'occasione, che li
intratteneva con opere di Mozart e Beethoven.
Alec fece cenno a Magnus di seguirlo, mentre si dirigeva nel salone e
sorrideva alle persone che incrociava.
La guardia del corpo emise un debole fischio. "Non stavi scherzando.
C'è il pienone qua dentro." sussurrò
nell'orecchio del moro, provocandogli un'improvvisa scarica elettrica
di piacere.
Alec deglutì a vuoto. "Gliel'avevo detto."
bisbigliò, con le guance arrossate. "Le feste dei Lightwood
non sono mai eventi per pochi intimi."
Magnus sorrise, acchiappandogli la mano e posandosela sul braccio.
Avevano stabilito che, per non dare troppe spiegazioni che avrebbero
portato solo domande su domande da parte dei più curiosi, la
guardia del corpo, per quella sera, sarebbe stata presentata come
cavaliere del moro.
Alec arrossì a quel contatto e non mancò di
notare gli sguardi invidiosi di molte signore che incrociarono lungo il
loro cammino. Effettivamente, Magnus in smoking era una visione
paradisiaca e il moro non si stupì affatto che stesse
mietendo innumerevoli vittime tra le ospiti della festa.
Si arrestarono per qualche istante sulla soglia dell'enorme salone
dagli alti soffitti e disseminato di ritratti di famiglia: anche
lì trovarono una moltitudine di persone. Alcune ballavano,
altre erano accomodate ai tavoli disposti lungo il perimetro della sala
e Magnus, guardandosi rapidamente attorno, decretò che
dovevano esserci almeno un centinaio di uomini e donne là
dentro.
"Li conosci tutti?" chiese l'uomo, a bassa voce.
"Oddio no." rispose Alec, con un sorriso appena accennato, conducendo
l'uomo dentro la sala.
Magnus si arrestò di colpo, sbarrando gli occhi e girandosi
velocemente, trascinandosi dietro il moro.
"Ma cos..." esalò Alec, stupito.
"Tipregotipregotiprego, dimmi che quello laggiù non
è il generale Blackthorn!" bisbigliò Magnus,
chiudendo gli occhi con forza.
Alec aggrottò la fronte, poi, con discrezione,
lanciò un'occhiata dietro le loro spalle. "Sì,
è il generale Blackthorn. Lo conosce?" chiese, dopo un
attimo di silenzio.
Magnus si schiarì la voce e sistemò il nodo della
cravatta. "In un certo senso. Mia madre ha tentato di accasarmi con la
figlia."
"Davvero?" chiese Alec, inarcando un sopracciglio.
Magnus annuì. "E con il figlio." mormorò. "Mi
aveva organizzato un appuntamento a tre." Il labbro di Alec
tremò e la guardia del corpo gli lanciò una finta
occhiata ammonitrice. "Non osare ridere! E' stato parecchio
imbarazzante. E quell'uomo mi ha anche distrutto la porta di casa per
"salvare" i suoi figli." gli confidò, gesticolando le
virgolette.
Alec nascose una risata dietro il pugno e Magnus sorrise a sua volta:
era così raro vedere gli angoli di quella splendida bocca
arricciarsi all'insù!
"Sua madre lo fa spesso?"
"Cosa? Organizzarmi appuntamenti?" chiese Magnus, con una smorfia.
Alec annuì, divertito.
"Più spesso di quanto sia legalmente consentito."
brontolò l'uomo.
"Devo preoccuparmi?" chiese Alec, con un sorriso storto.
"Beh, considerando che è stata lei ad incastrarmi in questo
incarico... sì, direi che faresti bene ad avere gli incubi."
gli confidò Magnus, canzonandolo.
Alec alzò un sopracciglio, sorpreso. "Sua madre? No! E'
stato mio padre a..."
Magnus scosse la testa. "Tesoro, tuo padre era solo preoccupato per te.
E' mia madre che si è messa in mezzo!" rivelò.
Alec boccheggiò, oltraggiato. Non bastava che tutta la sua
famiglia lo trattasse come un poppante! No! Ora ci si metteva pure una
signora mai vista prima!
"Ok, cerbiattino, che facciamo adesso?" chiese Magnus, intuendo il
tumulto interiore dell'altro e decidendo saggiamente di cambiare
discorso. "Andiamo a salutare i festeggiati? Ci baciamo
appassionatamente davanti a tutti, dando un po' di scandalo?"
Alec roteò gli occhi. "No, prima di tutto andiamo a salutare
mio padre." rispose, indicando, con un cenno del mento, un uomo che gli
somigliava parecchio e che si trovava sul lato opposto della sala,
mentre era impegnato a discutere con uno sconosciuto.
Anziché elargire sorrisi a destra e a manca, che solitamente
sfoggiava per favorire la sua raccolta fondi, in quel momento Robert
Lightwood aveva uno sguardo cupo e tempestoso ed era chiaro che si
stesse sforzando di controllare il tono di voce. Brutto segno.
Il ragazzo non aveva idea di chi fosse l'interlocutore del padre, ma
non significava niente, visto che non ricordava mai i volti e i nomi
delle persone che gli venivano presentate in quelle circostanze.
"Non mi interessa." stava ringhiando Robert, quando Alec e Magnus si
avvicinarono.
"Signor Lightwood, le assicuro..." iniziò lo sconosciuto,
venendo però interrotto dall'altro con un gesto imperioso
della mano.
"Non intendo ascoltare oltre." esclamò Robert, brusco. "La
mia famiglia non si piegherà mai a nessun genere di
minaccia. Sono stato chiaro?" sibilò, abbassando il tono di
voce, che non si fece per questo meno imperiosa.
"Signor Lightwood..." riprovò lo sconosciuto, agguantandogli
un braccio.
Prima che Alec potesse raggiungere suo padre, e chiedergli cosa diavolo
stesse succedendo, Magnus lo bloccò. "Resta qui,
coniglietto." disse, posandogli una mano sulla spalla, prima di
avvicinarsi ai due uomini che stavano discutendo. "Ha bisogno di aiuto,
signore?" chiese, fissando serio l'interlocutore di Robert Lightwood e
togliendo la sua mano di dosso dall'altro.
Robert alzò un sopracciglio, quasi fosse sorpreso per
quell'intervento, poi sorrise. "No, grazie. Qui abbiamo finito. Dico
bene, signore?"
L'altro trattenne bruscamente il respiro, poi rispose con un cenno
secco del capo.
"Bene. Grazie di essere venuto. Mi dispiace che debba lasciarci
così presto." ghignò Robert, alzando una mano.
Dopo pochi secondi, due energumeni, dall'aria tutt'altro che
amichevole, apparvero al fianco dello sconosciuto. "Per cortesia,
accompagnate il signore alla porta."
"Sì, signor Lightwood." mormorò una delle guardie
del corpo. "Prego, signore, da questa parte..." comunicò poi
allo sconosciuto, che aveva un'aria piuttosto contrariata.
Quando finalmente l'ospite se ne andò, Alec si fece
finalmente avanti. "Papà! Che succede?"
Robert si concesse qualche secondo per ricomporsi, prima di ritrovare
il sorriso affabile di sempre. "Ciao Alec! E' bello rivederti!" disse,
salutandolo con una serie di pacche sulle braccia, girandosi poi verso
Magnus. "E tu devi essere Magnus." sorrise raggiante, porgendogli la
mano. "E' davvero un piacere conoscerti, finalmente! Asmodeus mi ha
parlato tanto di te!"
"Davvero? Avrei giurato che a farlo fosse stata mia madre."
ridacchiò Magnus, stringendogli la mano. "Piacere mio,
signor Lightwood."
Robert rise. "Sì, diciamo che anche la deliziosa signora
Bane è stata piuttosto esaustiva nel raccontare le tue
prodezze." esclamò, divertito. "E' un vero peccato che i
tuoi non siano potuti venire questa sera. Avrei potuto ascoltare altre
fantastiche storie sul tuo cont..."
"Sì, sì, sì!" si intromise Alec,
sventolando una mano. "Magnus è fantastico e bla, bla, bla.
Ora che vi siete presentati... papà, si può
sapere che diavolo sta succedendo qui?"
"Lo scusi." rispose Robert, affiancandosi a Magnus con fare
cospiratorio. "Mio figlio, a volte, è fin troppo brusco."
"Io non sono brusco!" si indignò Alec, imbronciato,
incrociando le braccia al petto.
Robert sorrise e si rivolse nuovamente a Magnus. "Ti ringrazio per
essere intervenuto, poco fa."
"Dovere, signore" rispose Magnus, con un cenno della testa.
"Quando avete finito con queste smancerie, gradirei delle spiegazioni,
papà."
Robert sospirò pesantemente. "Alec, per favore, per oggi ne
ho avuto abbastanza di discussioni. E, inoltre, siamo qui per
festeggiare Jace e Clary."
"Oh, ma per favore! Jace non conosce nemmeno la metà di
tutte queste persone!"
"Nondimeno, è la sua festa di fidanzamento."
l'ammonì Robert.
"Ma papà..."
"Un malavitoso sbruffoncello crede di poter alzare la voce con me,
ricattandomi, ma l'ho rimesso al suo posto. Tutto qui." lo
informò Robert, sventolando la mano con indifferenza.
"Un malavitoso?!"
"Abbassa la voce, Alec!" lo ammonì suo padre, con sguardo
severo. Poi, per evitare che il figlio continuasse a tormentarlo con
quella storia, si rivolse a Magnus. "Balla con mio figlio, ragazzo."
ordinò imperioso.
Magnus alzò un sopracciglio, prima di ghignare un divertito
"Signorsì, signore. Con molto piacere."
"Cosa?" chiese Alec, stupito, guardando prima uno e poi l'altro. "No!
Aspetti! Signor Bane, si fermi!" sibilò Alec, invano, mentre
veniva trascinato in pista dalla sua guardia del corpo.
"Tesoro, so che adori avere l'ultima parola, ma, per questa volta,
lascia perdere. Dai retta a me! Tuo padre non ti dirà altro.
Non ora almeno. E continuare a discutere non porterà a
niente." disse Magnus, usando quanta più diplomazia
possibile. "Dai, balla con me."
Alec si irrigidì. "Io non ballo." ringhiò,
piantandolo in mezzo alla pista.
Magnus piegò leggermente la testa e la scosse piano,
ridacchiando divertito, poi acchiappò un flûte che
un gentile cameriere gli aveva offerto e iniziò a
gironzolare per la sala, guardando e ascoltando gli ospiti che ridevano
e chiacchieravano intorno a lui. Gli amici di Jace, riconoscibili dalla
divisa di ordinanza, erano quasi tutti degli ufficiali di polizia e
quelli di Clary provenivano per la maggior parte dal corso d'arte che
la ragazza frequentava ogni venerdì sera. Tutti gli altri
erano emeriti sconosciuti.
Salutò i festeggiati e chiacchierò amabilmente
con loro e con Isabelle e Simon, poi si presentò a Maryse
Lightwood, che lo guardò con una strana luce negli occhi,
che l'uomo non seppe decifrare, e infine tornò a vagare per
la sala, fermandosi poi ad ascoltare, con un certo interesse, il
padrone di casa che, su richiesta di un'invitata, stava raccontando ad
un gruppo di ospiti la triste storia di Barbara Pangborn, il fantasma
di villa Lightwood.
Intorno a lui c'erano coppie che ballavano, mentre altri invitati,
riuniti in piccoli gruppi, chiacchieravano sommessamente di affari o di
frivolezze varie. Queste persone sembravano divertirsi molto. Tutte,
tranne una, troppo impegnata ad assicurarsi che tutto procedesse
correttamente.
Magnus guardò Alec mentre si aggirava tra gli invitati con
grazia innata e una disinvoltura che non dimostrava spesso. Stava
salutando e stringendo mani un po' ovunque, trattava con la stessa
cordialità e cortesia sia gli amici che gli estranei e per
tutti aveva un sorriso gentile e qualche parola cordiale. Oltre a
intrattenere gli ospiti, però, stava anche ben attento a
controllare il lavoro di baristi e camerieri e apparentemente era
ignaro degli sguardi di ammirazione che si posavano su di lui, da parte
di donne e uomini che lo stavano letteralmente spogliando con gli occhi.
D'altro canto, Magnus non poteva che dar loro ragione. Molto
probabilmente c'era lo zampino di Isabelle, dietro tutto
ciò, ma quella sera Alec era semplicemente splendido.
Abbandonati gli abiti da barbone, il ragazzo indossava un completo blu
scuro con una camicia bianca, inamidata perfettamente, e una cravatta
di seta jacquard che gli donavano un aspetto divino e che avevano
portato Magnus a posare avidamente gli occhi su di lui più
spesso di quanto credesse, fantasticando su cosa ci fosse sotto quella
giacca che gli carezzava i fianchi a ogni movimento.
Era bellissimo. Ed estremamente arrabbiato con lui.
Erano giorni che, per quanto gli fosse possibile, Alec concentrava
tutte le sue energie per evitarlo o per ignorare la sua esistenza. Non
che Magnus glielo lasciasse fare, sia chiaro, e continuava a
stuzzicarlo a ogni occasione, ma non era simpatico essere considerato
alla stregua di una pulce fastidiosa.
La situazione peggiorava ulteriormente quando il moro parlava con il
padre. Aveva provato a sbarazzarsi di lui chiamando ogni giorno Robert
Lightwood, ma l'uomo si era sempre fatto negare e, dopo quelle
chiamate, lo sguardo blu di Alec diventava talmente intenso e infuocato
che sembrava sempre che fosse lì lì per
staccargli la testa a morsi.
Magnus sapeva che non potevano continuare così, quindi
decise che era ora di proporre al ragazzo una tregua. E quale occasione
migliore di una festa, con una moltitudine spropositata di gente, in
cui il moro non poteva permettersi di fare scenate?
Lasciò al ragazzo un'abbondante mezz'ora per permettergli di
sbollire l'irritazione nei suoi confronti, mentre lui continuava a
rivolgere sorrisi a ogni persona che incontrava e a rispondere alle
domande dei più curiosi su chi fosse e perché si
trovasse lì, poi passò all'attacco.
Posò il suo bicchiere, ormai vuoto, sul vassoio di un
cameriere che stava passando lì accanto e si diresse
lentamente, ma con passo sicuro, verso Alec, che si era fermato a
chiacchierare con alcuni ospiti.
Sorrise e porse la mano all'uomo dai capelli neri di fronte al ragazzo.
"Magnus Bane, molto piacere." si presentò, senza preamboli.
Alec fece appena in tempo a lanciargli un'occhiata fulminea e seccata,
prima che l'uomo con cui stava parlando stringesse la mano della
guardia del corpo, dopo un attimo di incertezza. "Maxwell Trueblood."
si presentò. "E questa è mia moglie Shelly."
"Onorato di fare la vostra conoscenza." esclamò Magnus,
baciando il dorso della mano della donna, facendola arrossire
vistosamente. "Trueblood, eh? Devo dedurre che siete imparentati con
Alec."
"Siamo gli zii." precisò l'uomo, rivolgendo al nipote un
sorriso affettuoso.
"Mentre lei è...?" chiese la donna, che, con discrezione, si
sventolò il viso accaldato.
Magnus le rivolse un sorriso abbagliante. "Sono l'accompagnatore di
Alec, per questa sera." spiegò. "Mi auguro che vogliate
perdonare la mia intromissione, ma speravo di convincere Alec a ballare
con me."
Gli zii del moro ridacchiarono.
"Alec non balla. Lo conosco da quando è nato e nessuno
è mai riuscito a convincerlo a fare due passi di fila!
Nemmeno Isabelle che, da piccola, imbastiva i suoi spettacolini
natalizi per intrattenere tutta la famiglia." gli confidò
Maxwell.
Magnus sentì distintamente Alec irrigidirsi al suo fianco e
notò, di sottecchi, che le sue guance si erano tinte di
rosso.
"Zio Max..." brontolò il giovane.
"Ma forse, con questo bel giovanotto, il nostro Alec potrebbe fare un
piccolo sforzo, no?" lo interruppe Shelly Trueblood, con un sorriso
malizioso. "In fondo, è la festa giusta per lanciarsi in
pista. Non trovi, caro?" continuò, punzecchiando il braccio
del nipote con l'indice.
Alec sbarrò gli occhi. "Cosa? No!" esclamò,
inorridito.
"Concordo con voi, signora." asserì Magnus, con un ampio
sorriso. "Volete scusarci?" continuò, con un inchino
elegante.
"Ma certamente, caro." replicò la donna, facendo
praticamente le fusa all'uomo e spintonando, senza il minimo senso del
pudore, il ragazzo verso l'altro. "Vai a ballare con il tuo bel
cavaliere, Alec. Su. Discuteremo lunedì del nostro viaggio
in Egitto." terminò, compiaciuta.
A Magnus non sfuggì la scintilla bellicosa negli occhi del
ragazzo e si augurò che le sue certezze, sul fatto che Alec
fosse troppo ben educato per fare scenate in pubblico, fossero
azzeccate o era dannatamente certo che i suoi testicoli rischiavano di
passare un gran brutto momento.
"Egitto?" gli chiese, con nonchalance, mentre lo guidava verso la pista
da ballo. "E' una bellissima meta, davvero. Ci sono stato una volta, in
missione, e..."
Alec lo ignorò, voltandogli le spalle, e, invece che verso
la pista, si diresse al buffet. Magnus colse al volo il messaggio che
il ragazzo aveva voluto lanciargli, ma non si fece scoraggiare
minimamente dall'atteggiamento dell'altro.
Lo seguì, riempiendo il proprio piatto di prelibatezze,
mentre Alec caricava il suo senza criterio, prendendo le prime cose che
gli capitavano a tiro.
"Significa che non ballerai con me, passerotto?" lo provocò
Magnus, mentre il ragazzo si dirigeva verso un tavolo vuoto,
continuando a ignorarlo, e offrendogli l'incantevole vista del suo
sedere, che ondeggiava più del solito mentre marciava con
passo spedito.
Alec posò con eccessiva forza il piatto sul tavolo e
fissò Magnus con sguardo gelido. "Lei che ne dice?"
sibilò, sedendosi di peso su una sedia vuota.
Magnus ridacchiò, andando poi a sedersi di fianco a lui.
"Eddai, gattino, non fare così."
Alec fissò duramente davanti a sè, poi
posò in modo brusco la forchetta sul tavolo. "Chi le ha dato
il permesso di interrompere la conversazione che stavo avendo con i
miei zii?" sibilò, stizzito. "E' stato parecchio maleducato,
sa?"
Magnus piegò la testa, guardandolo a sua volta. "Mi
dispiace, zuccherino! Non avevo idea che fosse una cosa così
importante."
"E' questo il problema. Lei non pensa." mormorò Alec,
arrabbiato. "E voglio che la smetta con questi soprannomi ridicoli."
"Oh, ma dai! I miei soprannomi non sono ridicoli. Ti si addicono tutti,
tigrotto!" sorrise Magnus, prima di venire fulminato da un'occhiataccia
dell'altro. "Uff... ok! Prometto di limitarmi, Fior... ehm... Alec." si corresse,
quando ricevette un calcio sul piede.
Alec iniziò a giocherellare con la sua insalata. "E la deve
smettere di prendere decisioni senza consultarmi. Non mi piacciono i
suoi metodi! Voglio che lei parli con me, anziché agire alle
mie spalle." continuò, con tono deciso.
"Quando ho agito alle tue spalle, di grazia?" chiese Magnus, sorpreso,
mentre addentava uno stuzzichino.
"Non mi tratti come se fossi stupido, signor Bane." lo
fulminò Alec, stizzito. "So benissimo che ha chiesto a Simon
di venire a installare quel dannato antifurto anche a casa mia!"
"Dio, pulcino, non ti sembra di essere un filino paranoico?" chiese
Magnus, divertito. "E, comunque, mi stai dicendo che se ti informassi
di tutte le mie mosse, in anticipo, tu non faresti discussioni?"
"Non le darò mai tutto questo vantaggio." rispose Alec,
sostenuto.
"Ecco, vedi?" ridacchiò, mettendo in bocca un bocconcino di
carne e masticando con aria pensierosa, come se stesse scegliendo le
prossime parole con cura. "Ok, prometto che limiterò i
soprannomi e smetterò con le mie azioni "sconsiderate"."
acconsentì infine, alzando poi l'indice. "Ma..."
"Ma?"
"Ma a una condizione."
"Quale?" chiese Alec, con un sospiro stanco.
"Che tu mi chiami Magnus. Basta darmi del lei." pretese
Magnus, guardando poi il piatto del moro. "Non mangi?"
Alec posò la forchetta. "Niente da fare. Come le ho
già detto, signor Bane, non siamo amici e non intendo
scendere a un livello tale di confidenza." rispose, altezzoso.
Magnus roteò gli occhi e, finito il suo piatto, si
servì allegramente di quello che l'altro aveva lasciato nel
suo. "Sai, cerbiattino, ti ho solo chiesto di darmi del tu, mica di
venire a letto con me." commentò, ammiccando e leccandosi le
labbra, in modo deliberatamente lento.
Le guance di Alec si arrossarono istantaneamente, ma era troppo
indignato per preoccuparsene. "Le ho detto di smetterla con questi
stupidi soprannomi."
"La smetto se accetti la mia condizione, altrimenti non vale, caramellina appetitosa."
replicò Magnus, con un sorriso astuto, azzannando un altro
stuzzichino. "Anche se, in cuor mio, spero tu mi dica di no,
perché ho trovato un nuovo soprannome con cui appellarti: Kallìpygos!"
"Kallì... che?" chiese Alec, allarmato.
Magnus annuì vigorosamente. "E' uno degli aggettivi con cui
viene definita Afrodite, la dea della bellezza." spiegò,
sporgendosi verso di lui e guardandolo intensamente, mentre gli faceva
scorrere lentamente l'indice sul dorso della mano. "Significa che hai
un sedere da urlo." mormorò, con voce roca.
Alec divenne viola. "La smetta immediatamente." sibilò,
ritirando la mano e tirandogli un violento calcio negli stinchi, mentre
lanciava occhiate preoccupate attorno a loro, nella speranza che
nessuno li stesse osservando o stesse ascoltando quella conversazione.
"Preferisci sedere
granitico?" chiese Magnus, con un sorriso divertito,
massaggiandosi la gamba dolorante. "O sedere marmoreo?
Anche bel culet..."
"Piantala, Magnus!"
ringhiò Alec, con il viso che gli andava a fuoco.
Magnus fece un enorme sorriso. "Visto? Non era così
difficile, Alec."
Per tutta risposta, Alec gli tirò un altro calcio secco
negli stinchi.
"Ma la smetti di essere così manesco?"
"Se tu la smetti di essere così imbecille!"
"Sposati. Sembrate dannatamente sposati voi due." esclamò
allegramente Isabelle, spuntando alle loro spalle.
Alec le lanciò un'occhiata omicida. "Che vuoi?"
Isabelle scosse piano la testa. "Per l'angelo, Magnus, devi
assolutamente darti da fare con il sesso coniugale o mio fratello
rischia di diventare una vecchia zitella acida e in astinenza."
"ISABELLE!" esalò Alec, ormai prossimo all'infarto.
Magnus rise di gusto. "Cosa possiamo fare per te, mia adorabile
signorina Lightwood?" chiese, andando in soccorso del ragazzo.
Alec lanciò a entrambi un'occhiataccia. Si conoscevano da
poco tempo, ma quei due avevano legato subito e non perdevano occasione
di fare comunella contro il moro, il che era piuttosto sfiancante.
Già era impegnativo avere a che fare con Isabelle e Jace,
quando si alleavano contro di lui... con Magnus, la situazione era
diventata praticamente ingestibile!
"Volevo chiederti di far ballare mio fratello." sorrise dolcemente la
ragazza. "I miei zii mi avevano detto che avevi promesso di farlo, ma
non vi vedo in pista e il deejay la vuole affollata! Voi due non potete
assolutamente mancare."
"Io.non.ballo." ringhiò Alec, con impeto, incrociando le
braccia al petto.
Ma che era preso a tutti, quella sera? Perché avevano questa
fissa odiosa che dovesse ballare con la sua guardia del corpo? Lui non
ballava. Punto.
"Ohhh, ma dai! Il deejay sta per suonare una canzone sdolcinata che
Clary vuole dedicare a Jace. E' un lento! Non dovrai neanche muoverti
tanto."
"No." replicò Alec, irremovibile.
Isabelle lo fissò per un lungo momento, con le mani sui
fianchi, poi si volse di scatto verso Magnus, abbassandosi verso di lui
con fare cospiratorio. "Ti ho già raccontato di quella volta
che abbiamo beccato Alec mentre pomiciava senza ritegno nella volante
di Jace?" chiese, con naturalezza. "Aveva le mani dentro i pantal..."
"ISABELLE!" urlò ancora il moro, ormai completamente
violaceo. "Smettila subito!"
Magnus si lasciò andare a una risata fragorosa, poi si
alzò e porse una mano ad Alec. "Coraggio, zuccherino,
andiamo." sorrise, incoraggiante. "A meno che tu non voglia che mi
racconti tutti i tuoi segreti più sordidi."
Alec lanciò uno sguardo da serial killer a entrambi, poi si
rese conto che non c'era alcun modo si salvarsi da quella situazione,
visto quanto stronza poteva essere sua sorella, quando ci si metteva,
quindi abbassò le spalle e, sconfitto, afferrò la
mano di Magnus, lasciandosi condurre docilmente verso la pista da ballo.
Alzò lo sguardo irritato sulla sua guardia del corpo, che
ignorò il suo umore e l'attirò a sé,
abbacinandolo con un sorriso che gli addolcì i tratti del
volto e gli illuminò gli occhi verde-oro. L'uomo gli prese
una mano nella propria e posò l'altra sulla sua schiena,
avvicinandolo di più al suo corpo e iniziando a muoversi
lentamente. Le calde note di un sassofono, che iniziarono a risuonare
nella sala, penetrarono subdolamente nella mente di Alec, oscurando la
sua razionalità e acutizzando i suoi sensi: poteva sentire
distintamente i muscoli duri come la roccia sotto la camicia candida di
Magnus, il tessuto della giacca accarezzargli il mento, il profumo di
sandalo, che avvolgeva costantemente la pelle caramellata dell'uomo,
penetrargli le narici, il respiro caldo dell'altro solleticargli una
guancia.
Un'improvvisa e inspiegabile vampata di calore gli incendiò
le vene. Gli sarebbe bastato un movimento piccolissimo
perché le loro bocche si sfiorassero e... Per l'angelo, a
cosa diavolo stava pensando? si chiese, bloccandosi sul colpo e
irrigidendosi tutto. Magnus Bane era la sua guardia del corpo! Niente
di più, niente di meno. Cosa gli saltava in mente di
fantasticare su di lui?
Magnus lo fissò accigliato per un breve istante, poi sorrise
e, nonostante i pensieri tumultuosi che gli vorticavano per la testa,
Alec non riuscì a impedirsi di guardarlo con occhi smarriti
quando l'altro lo lasciò andare lentamente, una volta che la
musica cessò.
L'ex Marine indietreggiò di un passo e gli fece segno di
tornare al tavolo, dandogli un buffetto sul naso, e Alec si
ritrovò a incamminarsi come un automa e con gambe malferme
verso la direzione che l'altro gli aveva indicato, mentre la sua
guardia del corpo gli teneva una mano alla base della schiena. Per
l'angelo, sembrava quasi che si fosse appena svegliato da un sogno e
non fosse ancora completamente in sé!
Magnus fece appena in tempo a scostare una sedia per lui e a farlo
sedere, poggiandogli dolcemente le mani sulle spalle per guidarlo,
prima che fossero raggiunti dalla fornitrice che aveva allestito il
buffet.
"Oh. Maia. Ciao!" la salutò Alec, con voce incerta. Poi
prese un bel respiro e impose al proprio corpo e alla propria mente di
tornare normali.
"Jace e Clary mi hanno confidato che sei stata strepitosa e che
intendono affidarti anche il ricevimento di nozze." affermò,
con un sorriso.
Maia Roberts sorrise, compiaciuta. "Grazie! Sono contenta che sia
andato tutto bene!" dichiarò, consegnando poi al ragazzo una
busta.
"Che cos'è?"
"Spero dei complimenti per la festa." rispose la ragazza, sorridendo.
"Qualcuno mi ha detto di consegnartela, mentre preparavamo i tavoli.
Scusami, avrei dovuto dartela prima, ma sono stata piuttosto occupata."
si scusò.
"Nessun problema, davvero." le sorrise Alec, gentile, aprendo la busta.
Maia salutò entrambi, mentre il moro era intento a leggere
il biglietto che aveva appena estratto.
Quando tuo fratello si
sarà sposato, puoi dire a tua sorella di cominciare a
programmare anche il nostro matrimonio.
Ti chiamo non appena avrò deciso la data.
A presto, tua L.
Alec trattenne il fiato e fissò, sorpreso, le parole sul
foglio. Non era mai uscito con quella ragazza, aveva rifiutato
categoricamente ogni sua proposta per un appuntamento... e ora lei
programmava il loro matrimonio? Assurdo!
Alzò lo sguardo su Magnus, il quale capì
all'istante che qualcosa non andava. Il moro gli consegnò il
biglietto senza dire una parola e attese che la sua guardia del corpo
lo leggesse.
Magnus lo guardò, alzando un sopracciglio. Non disse nulla,
ma il suo sguardo era eloquente.
"Ok, ammetto che quella ragazza non ha tutte le rotelle a posto."
concesse il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
Magnus sospirò, trattenendo un'imprecazione. "Alec, so che
sei contrario, ma è ora che tu permetta a Simon di
installare l'allarme anche a casa tua." iniziò, mentre
scrutava brevemente la sala alla ricerca di una donna bionda. Era come
cercare un ago in un pagliaio. Poi ricordò che Maia aveva
ricevuto quella busta ore prima, quindi Lydia doveva essere
già andata via da un pezzo. "Non è uno scherzo di
cattivo gusto, Fiorellino.
E' una cosa seria! Devi iniziare a prendere tutte le precauzioni
possibili." continuò, tornando a guardare il ragazzo.
"Ma..."
"Niente ma." lo interruppe Magnus, scuotendo la testa. "Alec, quella
ragazza non sta bene con la testa!"
"Dove vai?" chiese il moro, allarmato, quando vide l'altro spingere
indietro la propria sedia.
"Torno subito." gli rispose l'uomo, dandogli una leggera pacca sulla
spalla. "Voglio solo dare il biglietto a Jace. Potrebbe trovare delle
impronte e controllarle nel database."
"No! Aspetta!" lo bloccò Alec, afferrandolo per un braccio.
"Senti, Alec, sono stato accondiscendete e ho assecondato tutte le tue
stramberie, ma ora si fa a modo mio!" dichiarò Magnus,
serio. "Basta discutere!"
Alec indurì lo sguardo e si alzò per
fronteggiarlo. "Piantala con questo atteggiamento da G.I. Joe!"
sbottò, irritato. "Non siamo nell'esercito!"
"Scusa?" ribattè Magnus, incredulo.
"Hai capito benissimo." rispose Alec, sventolando una mano. "E non sto
affatto discutendo la tua decisione di dare il biglietto a mio
fratello."
"Davvero? E allora, perché..."
Alec sospirò pesantemente. "Voglio solo che tu lo faccia
più tardi."
"Cosa? Perché?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
"E' la serata di Jace e Clary. Non voglio rovinargliela con la storia
del biglietto! Le impronte possono aspettare fino a domani."
"Alec..." sospirò Magnus, pizzicandosi la radice del naso.
"Domani mattina." insistette Alec. "Per favore, Magnus. Prometto che
farò tutto quello che mi dirai di fare, se eviterai di
rovinare questa serata. D'accordo?"
Magnus rimase in silenzio per un attimo, osservandolo. L'idea di
rimandare non gli piaceva affatto, ma sapeva che Alec non avrebbe mai
ceduto, il che non gli lasciava molta scelta a riguardo.
"E va bene. Domani mattina." concesse alla fine, scuotendo piano la
testa quando vide l'altro rivolgergli un sorriso storto soddisfatto.
Ancora una volta Alec Lightwood l'aveva avuta vinta.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Magnus sentì
Alec sbuffare per la milionesima volta, nel giro di mezz'ora, non
appena gli sfuggì di mano il cacciavite che stava
utilizzando.
L'uomo aveva deciso di cambiare la serratura della porta d'ingresso
dell'appartamento e di controllare tutti i fermi delle finestre,
nonostante il parere del padrone di casa che, con le sue continue
intromissioni, ebbe da ridire praticamente su tutto.
Magnus gli ricordò del messaggio ricevuto la sera precedente
e che tutto quello che stava facendo rientrava nelle sue mansioni per
assicurarsi che non gli capitasse nulla di male, nonostante sapesse
perfettamente che una serratura nuova non avrebbe fatto
granché per fermare chiunque avesse avuto in mente di
entrare in quella casa. Il balcone, infatti, era facilmente
raggiungibile da quello adiacente, che apparteneva all'anziana vicina
di casa di Alec (assente quella settimana perché era in
visita alla sorella), poi c'erano le finestre, che avevano lastre
sottili e di vetro comune e per cui sarebbe bastata una sassata per
infrangerle, e infine le finestre delle camere da letto davano sulla
scala antincendio, a cui si poteva accedere con estrema
facilità. Alec era praticamente una preda facile per
qualunque criminale, figurarsi per la pazza che si era invaghita di lui!
Lì non era al sicuro e, se fosse dipeso da lui, avrebbe
trasferito il ragazzo altrove, in un posto segreto e difficilmente
accessibile per chiunque, ma si tenne quelle considerazioni per
sé. Era sicurissimo, infatti, che Alec si sarebbe opposto
fermamente a quella proposta, rifiutandosi categoricamente di lasciare
il suo appartamento. Era davvero testardo.
E con un corpo mozzafiato...
gli sussurrò una vocina nella sua testa.
Eh... quello stava diventando un problema. Magnus sospirò e
ripensò a quando, la sera prima, durante quel ballo lento
che il moro gli aveva concesso di malavoglia, c'era mancato davvero
poco che si impossessasse delle sue labbra.
Nella grande sala, la moltitudine di persone presente al ricevimento
continuava a chiacchierare e a ballare attorno a loro, ma Magnus, con
Alec tra le sue braccia, aveva avuto l'impressione di essere loro due
soli e, stringendolo un po' più forte a sé, aveva
avvertito il battito deciso del suo cuore contro il suo petto e il
piacevole contatto di quelle lunghe gambe che si strofinavano contro le
sue a ogni passo di danza. Il completo che il ragazzo indossava gli
stava come un guanto e metteva in risalto le curve del suo fisico,
definendone ogni dettaglio. I capelli era stati domati con pettine e
fon, ma Magnus aveva sentito l'impellente desiderio di
scompigliarglieli, affondando le mani in quella massa scura e facendoli
scivolare tra le dita. Il profumo del moro gli aveva riempito le narici
per tutto il tempo che erano stati sulla pista da ballo e l'uomo aveva
scoperto con stupore che il corpo dell'altro si adattava perfettamente
al suo abbraccio, come se Alec fosse stato modellato apposta per lui.
Aveva dovuto compiere uno sforzo sovraumano per non cedere alla
tentazione di assaltare la sua bocca, lì, davanti a tutti.
L'impulso era stato talmente forte da fargli quasi fisicamente male e
aveva dovuto obbligarsi a lasciare andare il ragazzo, prima di
commettere un gesto del tutto sconsiderato e inappropriato.
"Datti una calmata, Magnus!" borbottò a mezza voce, tra
sé e sé. "E' di sicuro l'astinenza a farti questo
effetto! Non c'è altra spiegazione."
Effettivamente non si concedeva del sano e salutare sesso da un numero
imprecisato di giorni ormai e i suoi ormoni erano in piena ribellione,
a tal punto che persino un orsacchiotto burbero e taciturno come Alec
era diventato più che stuzzicante per il suo appetito
sessuale! Sì, era sicuramente questo l'unico motivo per cui
ora più lo guardava e più lo trovava sexy
nonostante continuasse a indossare le sue solite, orribili, felpe
scolorite e sdrucite.
Continuando a borbottare, uscì in terrazza e fece scorrere
la mano sulla balaustra, girando appena il volto quando
sentì Alec discutere animatamente con Simon, che era
arrivato una decina di minuti prima per installare l'antifurto, circa
una telecamera che il castano voleva piazzare sul pianerottolo di casa.
Fece vagare lo sguardo sul minuscolo balcone dell'appartamento e si
soffermò a guardare due piccole fioriere, in cui dalla terra
cominciavano a spuntare dei virgulti verdi. Si era chiesto fin dal
primo giorno che tipo di fiori potesse mai piantare uno schivo agente
di viaggi. Non gli sembrava proprio il tipo da pollice verde.
"Tulipani." disse un'allegra voce arrochita.
Magnus alzò la testa di scatto, trovandosi faccia a faccia
con una sorridente signora di una certa età. Una nuvola di
capelli grigi e stopposi circondava un viso magro e incartapecorito, su
cui spiccavano due vispi occhi nocciola, pieni di curiosità.
Le mani ossute stringevano la balaustra del balcone su cui era
appoggiata e la donna rivolse a Magnus un sorriso sdentato. Era
l'anziana vicina di Alec.
"Scusi?"
"Tulipani. Alec, ha piantato dei tulipani. Sa, giovanotto, glieli ho
regalati io personalmente, dopo il mio viaggio in Olanda. Sissignore."
lo informò la donna, con entusiasmo. "Sa che non ci volevo
neanche andare? Ma poi mia sorella mi ha detto Molly... oh, io
sono Molly, caro!" si presentò, porgendogli una mano
rinsecchita.
Magnus gliela strinse, con un sorriso. "Magnus Bane. Piacere di
conoscerla, signora."
"Ah! Che giovanotto di belle maniere!" osservò la donna, con
gli occhi che brillavano. "Una rarità, di questi tempi!" si
complimentò. "Magnus, hai detto? E' davvero bel nome! Ti si
addice, caro." continuò, sorridendo e annuendo con
convinzione. "Ah! Cosa stavo dicendo?" disse, subito dopo, meditabonda,
battendosi l'indice sul mento con lo sguardo perso verso l'orizzonte.
"Oh, sì! Mia sorella mi ha detto Molly! Quando ci ricapita di
andare a vedere il quartiere a luci rosse? Dobbiamo approfittarne!
e così abbiamo fatto sa!"
"Quartiere a luci rosse?" ridacchiò Magnus, appoggiandosi
alla balaustra e guardando l'anziana con genuino interesse.
Molly annuì energicamente. "Alec, quel tesoro di ragazzo, ci
ha organizzato l'intero viaggio ad Amsterdam! Lo sa che nelle vetrine
di quel quartiere ci sono solo ragazze? E noi che pensavamo di veder
ballare qualche bel giovanotto in perizoma." sospirò
sconsolata, scuotendo piano la testa. "Lei balla, caro?" chiese
improvvisamente, squadrandolo dall'alto in basso con interesse.
Magnus annuì, mentre il sorriso gli diventava sempre
più ampio. "Non in una vetrina ad Amsterdam,
però." replicò, facendole l'occhiolino.
La donna rise. "E' davvero un peccato. Faresti affaroni, caro."
asserì, convinta. "Comunque... lei è il nuovo
ragazzo di Alec?" gli domandò subito dopo, a bruciapelo. "E'
la prima volta che la vedo! Sa, sono stata una settimana in visita da
mia sorella e sono tornata solo ieri sera!"
Magnus scosse la testa. "Sono un suo amico." mentì. Non
poteva di certo rivelare a quella simpatica vecchietta che, in
realtà, era la sua guardia del corpo! "Sarò suo
ospite per qualche tempo."
Il viso dell'anziana si illuminò tutto. "Un amico, eh?"
ghignò, divertita.
"Ehm... sì, signora." confermò Magnus, perplesso.
"Ah! Voi giovanotti moderni! Ai miei tempi, lo chiamavamo amante quando la
storia non era ancora ufficializzata." puntualizzò
l'anziana, gracchiando una risata allegra.
Magnus coprì una risata con un colpo di tosse. "Siamo
davvero solo amici."
"Certo, giovanotto. Certo." annuì l'anziana, roteando gli
occhi. "Beh, in effetti gli ci voleva proprio. Un amico, intendo."
precisò poi, sorridendo. "E' sempre così solo. E
non fa affatto bene stare da soli, lo sa? Uno comincia a parlare con se
stesso perché non ha nessuno e così la gente
comincia a pensare che hai perso qualche rotella." continuò,
con enfasi, scuotendo la testa. "Quando hai la mia età,
è diverso. E' normale essere un po' strambi, se lo aspettano
tutti. E poi, in fondo, ti torna comodo no? Se sei una vecchia
rimbambita, tutto ti è permesso. Non trovi, caro?" rise con
gusto.
"Beh... ecco..."
"Ehhh, ma quando si è giovani..." proseguì
imperterrita l'anziana, scuotendo nuovamente la testa. "Sai dove va a
finire un giovanotto che parla con la voce nella sua testa? Al
manicomio! Ecco dove! E Alec è troppo speciale per andare in
manicomio. Non trovi, caro?" gli chiese Molly, sbattendo le ciglia.
Magnus si ritrovò ad annuire. "Sì, signora."
"Io gliel'ho sempre detto che deve trovarsi un bravo ragazzo e...
Perché a lui piacciono i ragazzi! Lo sapevi, caro?"
Magnus annuì di nuovo.
"Ecco, sì, a lui piacciono i ragazzi e io gli ho sempre
detto che deve darsi alla pazza gioia, godersi la vita! Vivere, santo
cielo!" continuò l'anziana, alzando le braccia la cielo. "A
quanto pare mi ha dato ascolto... finalmente!" concluse, compiaciuta,
squadrando nuovamente Magnus dalla testa ai piedi con uno sguardo
carico di ammirazione. "Mi raccomando, caro, prenditi cura di lui. E'
così dolce e gentile! Un vero tesoro di ragazzo!" si
raccomandò, facendogli pat-pat sul dorso della mano.
Magnus alzò un sopracciglio. Dolce e gentile? Stava davvero
parlando di Alec non
parlarmi, non toccarmi, stammi alla larga! Lightwood?
"Sì, signora." annuì comunque, dandole corda.
"Bene! Ora torno ad occuparmi delle mie faccende." esclamò
Molly, battendo una mano sulla balaustra. "A presto, caro!" sorrise.
"Arrivederci, signora." la salutò Magnus, prima di lasciarsi
andare a una risata divertita, non appena la donna sparì
dentro casa.
Scosse la testa, tornando anche lui nell'appartamento. Si
arrestò sulla porta e vide Alec ancora seduto al tavolo
della cucina a sfogliare una miriade di carte, le stesse che stava
leggendo prima dell'arrivo di Simon. Stava palesemente ignorando sia
Magnus che il cognato e alzava lo sguardo da quei fogli solo per
lanciare loro occhiate truci di tanto in tanto, quando riteneva che
stessero facendo troppo rumore per i suoi gusti.
Magnus scosse la testa, divertito, ritrovandosi a ripensare alle parole
dell'anziana vicina di casa: il moro passava molto tempo da solo e non
aveva alcuna relazione sentimentale. Di primo acchito, visto come lo
trattava, alla guardia del corpo non riusciva difficile immaginare il
perché: Alec era una persona chiusa, introversa, che si
isolava volutamente dal mondo e forse era proprio quella sua rigida
compostezza a impedire agli uomini di accorgersi di lui, ma, carattere
spinoso a parte, era davvero strano che non avesse almeno uno
spasimante. Ok, forse non era il classico ragazzo a cui bastava uno
schiocco di dita per avere tutti ai suoi piedi e la sua era
più una bellezza sfuggente, quasi difficile da cogliere se
non lo si guardava attentamente, e, sì, si nascondeva in
abiti dal colore spento o di dubbio gusto, aveva movenze sempre calme e
misurate e passava i giorni a occhi bassi, guardando per terra
piuttosto che mostrare al mondo le sue straordinarie iridi blu, ma, se
si andava oltre il muro volutamente creato dal giovane, se ci si
sforzava di andare oltre l'apparenza, ci si trovava davanti a un
ragazzo dal fascino disarmante. La sua era una bellezza che nasceva
dalla sua forza interiore e dalla sua spiccata intelligenza, non dal
guscio di un'anima vuota.
Per Magnus era inconcepibile che nessuno si accorgesse di quanto fosse
incantevole Alec Lightwood.
Il telefono sopra la scrivania della sua camera squillò a
lungo, prima che Alec si decidesse finalmente ad alzare la cornetta. Si
era spostato nella sua stanza e stava lavorando da ore, ormai: aveva la
schiena a pezzi e gli occhi gli bruciavano, ma gli mancava poco per
terminare il tutto e non voleva andarsene a letto prima di aver finito
di leggere almeno quello che aveva tra le mani.
"Pronto?" esclamò, distratto, mentre esaminava attentamente
il bilancio del mese precedente dell'agenzia.
"Non starai mica lavorando, vero?" esordì una voce maschile,
con una lieve nota di disappunto.
Alec roteò gli occhi e sorrise. "Ciao, Hodge." lo
salutò, tornando ad analizzare i fogli davanti a lui.
Il braccio destro di Robert Lightwood, Hodge Starkweather, emise un
lungo sospiro. "Alec, sono quasi le nove di sera. Dovresti essere sul
divano a guardare la tv o a leggere un buon libro, anziché
ancora a lavoro."
"Ho quasi finito."
"Alec..."
"Come stai?" chiese Alec, per sviare il discorso.
"Sto bene, grazie. Tu, piuttosto... Alec, sul serio, devi smetterla di
trascurarti in questa maniera. Non è salutare. Non sei tuo
padre e..."
"Ho quasi finito." ripeté Alec, interrompendolo. "Oh! A
proposito di mio padre, devo assolutamente parlare con lui!"
Un altro lungo sospiro fece capolino dall'altra parte della linea.
"Smettila di sospirare!" brontolò Alec, ben consapevole che
il socio di suo padre fosse a conoscenza dell'incresciosa condizione in
cui si trovava. "Non sei tu a dover sopportare l'invadenza di uno
sconosciuto!" berciò, massaggiandosi le palpebre.
Era stanco, ma non solo a causa della lunga giornata di lavoro. La
presenza di Magnus, che girava più del solito per il suo
appartamento, l'aveva tenuto sulle spine per tutto il tempo. Anche se
la guardia del corpo aveva cercato di essere il più
silenzioso possibile, la sua presenza era impossibile da ignorare,
specie quando si piegava a novanta gradi e metteva in evidenza quel
fondoschiena da Dio greco, e quella consapevolezza gli aveva fatto
perdere la concentrazione in più di un'occasione. Era
riuscito a fare sì e no metà del lavoro che
solitamente concludeva in molto meno tempo.
"Alec..."
"Oh, no! No! Non provare a sminuire l'intera situazione! Non te lo
permetto!" blaterò il moro, alzando un indice per
interromperlo, come se ce l'avesse di fronte. "Quell'uomo
è... è... è dispotico, arrogante e
pretende di dirmi cosa fare e come farlo! Ed è sfacciato.
Terribilmente sfacciato! Non hai idea di cosa..."
"Alec..." riprovò Hodge, interrompendo il fiume di parole
indignate del ragazzo.
Alec strinse la cornetta del telefono tra le mani, sentendo
l'irritazione farsi prepotentemente strada in lui. "No!"
ripeté Alec, ignorandolo. "Dovete smetterla di trattarmi
come un bambino! Sono stato bravo per una settimana, sopportando tutto
questo, ma ora ne ho abbastanza! Non mi serve una guard..."
"E' arrivata un'altra e-mail." lo interruppe Hodge, con tono grave.
Alec chiuse la bocca e sentì lo stomaco aggrovigliarsi.
"Un'altra? Ancora? Ed è... come la prima?" chiese, la gola
che improvvisamente si seccava.
"Più o meno."
La prima e-mail ricevuta da suo padre conteneva un messaggio breve, ma
che andava dritto al punto: Ti
tengo d'occhio, Cacciatore. Una frase che poteva avere
mille significati, mille spiegazioni, ma che per un uomo come Robert
Lightwood, politicamente impegnato in una dura campagna elettorale,
significava solo una cosa: quel Cacciatore
era un chiaro riferimento all'agenzia di viaggi di Alec. Qualcuno aveva
osato minacciarlo prendendo di mira suo figlio e ciò era
inaccettabile.
Alec aveva sempre opposto un netto rifiuto a questa convinzione, ma
aveva dovuto constatare, con amarezza, che suo padre non sapeva che
farsene della sua opinione, vista la velocità supersonica
con cui gli aveva appioppato Magnus.
La polizia, nel frattempo, aveva addirittura aperto un'indagine, ma non
era affatto facile rintracciare il mittente anonimo di quella e-mail e
questo faceva preoccupare ancora di più Robert. Lo
sconosciuto sapeva il fatto suo e non era affatto uno sprovveduto.
"Cosa ha scritto, questa volta?"
Hodge esitò. "Solo quattro parole. Ti farò soffrire,
Cacciatore."
Alec inspirò bruscamente. Ok, il primo messaggio poteva
anche essere considerato uno scherzo di cattivo gusto, ma questo era
decisamente più inquietante.
"Qualcuno ha rivendicato il messaggio?"
"No, proprio come per la prima e-mail, il testo riportava solo la
minaccia e nessuna firma."
"E papà come l'ha presa?"
"Come puoi immaginare." confidò Hodge, abbassando il tono di
voce. "E' pronto a smuovere mari e monti pur di risalire all'autore del
messaggio. E' furioso, frustrato..."
"E spaventato, immagino."
"Lo conosci, Alec. Non ha paura per sé stesso, ma..."
"Per me? Oh, andiamo! Non sono in pericolo." sbuffò Alec.
"Quante volte ve lo devo dire che sto bene e..."
"Alec, non devi sottovalutare..."
"Perché me lo state dicendo tutti?" lo interruppe Alec,
stizzito.
"Perché non stai prendendo seriamente queste minacce." lo
accusò Hodge.
Alec boccheggiò. "Non le prendo sul serio perché non sono rivolte a
me, dannazione!" ribatté, battendo in modo frustrato la mano
sul tavolo.
Hodge sospirò nuovamente. "Tuo padre mi ha chiesto di
chiamarti per assicurarmi che la tua guardia del corpo sia
lì con te."
Alec gettò la testa all'indietro, posandola sulla sedia
girevole, e chiuse gli occhi. "Assicurarlo che mi sta talmente
attaccato che, a momenti, viene in bagno con me."
Una risata allegra proruppe dalla cornetta.
"Guarda che non era una battuta!" brontolò il moro, con una
smorfia infastidita.
"Oh, ma dai. Non può andare così male, no?"
domandò Hodge, divertito, ma anche un po' sorpreso.
Sentire Alec lamentarsi era un evento più unico che raro. Il
ragazzo lo faceva di rado e accettava tutto quello che la vita gli
riservava senza mai fiatare. Sbuffava se non era d'accordo, si
impuntava quando riteneva che quel determinato modo di agire non era
corretto, ma non era mai stato uno che si lagnava in modo petulante.
Affrontava i propri problemi in silenzio, risolvendoli con decisione e
determinazione, senza perdersi in scuse inutili. Ascoltare quelle
recriminazioni, quindi, era davvero una novità.
"Hodge, per l'angelo, mi aspetto davvero che, prima o poi, quell'uomo
venga a fare pipì con me!" si sfogò Alec. "E
questo non va affatto bene. Non è normale, capisci? Non mi
lascia fare niente, se non c'è anche lui. Sai che mi obbliga
ad aspettare in macchina? Già! Vuole aprirmi lui la
portiera..."
"Galante." mormorò Hodge.
"...perché si è messo in testa che... cosa?" si
bloccò Alec, scioccato. "Ohhh no! Non pensarlo nemmeno, sai?
No! Non è affatto galante,
Hodge! No! E' un gesto autoritario e prepotente." continuò,
sentendo poi l'altro ridacchiare. "Non c'è niente da
ridere." lo rimbeccò, stizzito.
"Vorrei parlargli. Me lo passi, per cortesia?"
"Perché?" chiese Alec, sospettoso. "Non ne vedo il motivo."
"Per favore. E' importante."
Alec sbuffò e, con uno sforzo enorme, si alzò
dalla propria postazione e andò in salotto, dove Magnus
stava facendo zapping con il telecomando, tranquillamente spaparanzato
sul suo divano. A malincuore passò il cordless all'uomo, che
lo osservò con un sopracciglio alzato.
"Il socio di mio padre. Vuole parlarti." mormorò, conciso,
prima di dirigersi verso il balcone.
Osservò il via vai di gente che camminava sotto di lui,
stringendo le labbra in una lunga linea sottile, assorto. Si era
costruito una vita in quel posto, così come la voleva.
Lì poteva essere se stesso, tutti lo conoscevano
semplicemente come Alec, agente di viaggi, e non come Alexander Gideon
Lightwood, rampollo di una delle famiglie più potenti e
influenti di tutta New York. Aveva studiato con impegno per ottenere
tutto ciò, per raggiungere i piccoli e grandi traguardi che
gli erano valsi la stima e il rispetto di colleghi e clienti.
Lì, Alec era libero.
Ora, però, tutto il suo mondo rischiava di frantumarsi sotto
le minacce di uno sconosciuto psicopatico che si divertiva a lanciare
addosso a suo padre frecciatine velenose che, di rimbalzo, colpivano
anche lui e gli stravolgevano la vita. Non era affatto giusto.
Il nuovo messaggio lo fece pensare. Fino a quel momento era
dannatamente convinto di non essere in pericolo e che fosse tutto un
brutto scherzo, ma adesso, forse...
"Il socio di tuo padre è preoccupato per te." disse Magnus,
alle sue spalle.
"Non è il solo. A quanto pare sono tutti in pensiero per
me." mormorò Alec, continuando a guardare sotto di
sé, con le braccia incrociate al petto.
Alcune persone si muovevano svelte, altre con più calma.
C'era chi si aggiustava meglio la sciarpa che aveva sul collo, chi si
tirava su il colletto del giubbotto per affrontare il freddo gelido che
imperversava in quella stagione. Due bambini stavano tirando la mano
dei propri genitori, per condurli a vedere chissà cosa,
mentre una coppia di innamorati camminava tranquilla, mano nella mano,
fermandosi di tanto in tanto a darsi un bacio, e c'era anche una donna
che gesticolava, inviperita, verso il proprio compagno, reo di aver
dimenticato chissà quale ricorrenza. Alec li invidiava
tutti. Loro non avevano a che fare con minacce sconosciute o uomini
prevaricanti dagli spettacolari occhi color verde-oro.
"E tu? Sei preoccupato?" domandò Magnus, in un sussurro.
Alec si voltò, per guardarlo. "Ho quasi ventinove anni,
Magnus. Sono un uomo adulto da un bel pezzo ormai, eppure vengo
trattato come un bambino che deve essere protetto dalla brutture del
mondo." spiegò, con un sospiro. "So che lo fanno
perché mi vogliono bene, ma..."
"Non hai risposto alla mia domanda." gli fece notare Magnus, in tono
gentile.
Alec scrollò le spalle. "Non sono preoccupato per me. Sono
preoccupato per mio padre e per la mia famiglia. Tutti si sono messi in
testa che quei messaggi siano indirettamente rivolti a me, ma se non
fosse così? Se fosse un trucco per sviare l'attenzione dal
vero obiettivo di quel criminale, ossia far del male a mio padre?"
mormorò, teso, stringendosi le braccia attorno al corpo.
"Sai, vorrei fosse solo un brutto sogno, vorrei che bastasse chiudere
gli occhi per un momento per far sparire tutto. So che è un
atteggiamento da codardi, ma..."
"Codardo? Tu? Ma se non vuoi neanche una guardia del corpo che ti
protegga." lo smentì prontamente Magnus, spintonandogli
gentilmente una spalla con la propria.
Alec gli fece un sorriso storto. "Eppure eccoti ancora qui."
"Sono la tua ombra, baby." confermò Magnus, dandogli un
buffetto sul naso, e ridacchiando quando vide la smorfia di disappunto
nascere sul viso di Alec per il nomignolo appena pronunciato. "Ti va
una cioccolata calda?" gli chiese, con un sorriso.
Alec gli regalò un altro sorriso storto e annuì,
seguendolo fino in cucina.
Magnus tirò fuori dal frigo una bottiglia di vino e la
posò sul tavolo.
"Ma non mi avevi offerto una cioccolata calda?" ridacchiò
Alec.
"Infatti. Tu ti bevi la cioccolata e io un po' di buon liquido che
c'è in questa bella bottiglia." sorrise Magnus, alzando il
vino. "Ne vuoi un po'?"
Alec ponderò l'offerta. Beveva raramente, ma forse un
bicchiere non gli avrebbe fatto male, anzi, forse l'avrebbe aiutato a
rilassarsi. Per quanto il nuovo biglietto di Lydia e il nuovo messaggio
minatorio l'avessero turbato, il vero motivo del suo nervosismo era la
costante presenza di Magnus e ciò che gli aveva fatto
provare durante il lento alla festa di fidanzamento. Con il suo metro e
novanta di prorompente sensualità, quell'uomo metteva
costantemente a dura prova le emozioni di Alec, che già
erano sufficientemente sotto pressione.
Con un movimento fluido, Magnus versò il vino in due calici
e ne passò uno al ragazzo seduto di fronte a lui. "Stai
bene?" gli chiese, sorseggiando poi il liquido scuro.
Alec annuì distrattamente, rigirandosi il bicchiere tra le
dita, più silenzioso e tranquillo del solito, osservando
poi, per diversi minuti, l'altro che armeggiava con un pentolino e con
il latte per preparargli la sua cioccolata calda.
"Magnus..." iniziò, fermandosi poi per un lungo momento.
"Secondo te, lo sconosciuto delle e-mail sa dove abito?"
"Non mi sento di escluderlo a priori." rispose Magnus, mescolando la
cioccolata. "Ma, più che per lo sconosciuto, io mi
preoccuperei di Lydia." confessò dopo qualche minuto. "E' un
pericolo molto più reale."
Alec alzò lo sguardo, sorpreso, appoggiando le braccia
conserte sopra la tavola. "Lydia? Sul serio?"
"Il messaggio che hai ricevuto ieri sera non è uno scherzo."
replicò Magnus. "Lei ti vuole ed è stanca di
giocare."
"Oh, andiamo..."
"Alec, quella ragazza non è razionale e non c'è
modo di sapere quale sarà la sua prossima mossa."
Alec roteò gli occhi. "Per l'angelo, sei sempre il solito
esagerato."
"So che non sei affatto convinto del pericolo che stai correndo, ma non
devi sottovalutarla solo perché è una donna."
Alec fece spallucce. "E' che... ok, mi ha lasciato quel messaggio
inquietante alla festa e, appena l'ho letto, ammetto che ne sono
rimasto sorpreso, ma... Andiamo! Cosa potrebbe mai farmi?"
"Spararti?" buttò lì Magnus, con
tranquillità, passandogli una tazza ricolma di cioccolata
calda.
Alec spalancò gli occhi. "Dici sul serio?" chiese, prima di
bere.
"Ecco, vedi? La stai sottovalutando. Se a minacciarti fosse un uomo,
scommetto che non saresti così tranquillo."
"Mi stai dando del sessista?" chiese Alec, sbalordito, posando la tazza
sul tavolo ed esibendo due vistosi baffi di cioccolata.
Magnus nascose il suo sorriso divertito dietro il proprio bicchiere.
"Un po'." ammise.
"Non sono sessista!" brontolò Alec, indignato.
"Davvero?" ritorse Magnus, alzando un sopracciglio e allungandosi verso
di lui per pulirgli gli angoli della bocca.
"Ohhh, sta zitto." borbottò Alec, arrossendo e allontanando
la mano dell'altro, prima di tornare a trangugiare un altro lungo sorso
della sua bevanda calda.
"Tesoro, ti consiglio di farle capire chiaramente che la vuoi fuori
dalla tua vita."
"Come?" chiese il moro, dubbioso. "E non chiamarmi tesoro." gli
intimò, puntandogli l'indice contro.
Magnus gli fece un'allegra linguaccia. "Beh, potresti cominciare con
una denuncia e richiedere un ordine restrittivo." gli rispose poi.
"E questo la terrà lontana?"
Magnus rimase in silenzio, facendo ondeggiare il proprio bicchiere.
"Potrebbe indurla a decidere che non vale la pena di rischiare la
galera." asserì, dopo un lungo momento, alzando lo sguardo
per guardarlo. "Ma potrebbe anche farla infuriare. I molestatori si
interessano di rado a un banale pezzo di carta che intima loro di
tenersi lontani dalla propria vittima."
Alec drizzò la schiena. "Ma se la denuncia non serve a
nulla, che senso ha sporgerla?"
"Ai fini legali, la polizia avrà qualcosa su di lei, che
potrà poi utilizzare per fermarla, qualora dovesse seguirti
o stazionare fuori dal tuo ufficio o dalla tua casa. Con il tempo, poi,
potrebbero anche arrestarla."
"Con il tempo?"
chiese Alec, aggrottando la fronte. "Questa faccenda potrebbe
continuare per settimane?"
Magnus non replicò, lasciando intendere che, in
realtà, quella situazione avrebbe potuto protrarsi anche per
mesi, se non addirittura per anni. "Per il momento ho solo cambiato la
serratura, ma secondo me dovresti comprare un nuovo portoncino
d'ingresso e mettere dei fermi più solidi alle finestre."
rispose invece, prendendo un altro sorso di vino. "Anche sostituire i
vetri non sarebbe una cattiva idea. Potremmo mettere del vetro
infrangibile... o delle sbarre di ferro."
"Cosa? No! Niente sbarre! Non sono in prigione!"
"Alec non sarai un carcerato." gli fece gentilmente notare Magnus.
"Sarai al sicuro."
"Sì... e senza un soldo." replicò Alec, secco.
"Non credo proprio che tutti questi lavori siano economici!"
"Potresti chiedere un prestito a tuo padre."
"Ma neanche per sogno!" esclamò Alec, con enfasi.
Magnus gli rivolse un sorriso gentile. "Ok, allora posso aiutarti io."
lo rassicurò. "Conosco la gente giusta che potrebbe fare
tutto questo lavoraccio a un prezzo stracciato."
"Sei molto gentile, ma devo declinare la tua offerta." lo
ringraziò Alec.
Magnus incrociò le braccia al petto. "Andiamo, Alec!
Pagheresti solo il materiale! Prometto che non ti metterò le
sbarre sulle finestre, ma tutto il resto ti serve!"
Alec sbuffò, alzando gli occhi al cielo. "E va bene."
concesse alla fine. "Grazie." mormorò poi, rivolgendogli un
sorriso storto.
Magnus fece tintinnare il suo bicchiere con la tazza del moro e
sorrise. "Prego, passerotto." replicò, ridendo per
l'evidente smorfia di disappunto per l'ennesimo soprannome. L'uomo
prese poi un blocchetto per appunti. "Ok, il sistema d'allarme
è a posto." iniziò, spuntando un'annotazione.
"Ora, come ti dicevo, servono porte nuove e vetri infrangibili."
"Perché devo cambiare la porta di ingresso?" chiese Alec,
perplesso, allungando il collo per vedere cosa stava scrivendo l'altro.
"Perché quella attuale è vuota e può
essere sfondata con estrema facilità. Dovresti sostituire
anche quella della tua camera." spiegò Magnus, calmo.
"Quella della mia camera?" chiese Alec, sbalordito.
"Alec, se qualcuno entra in casa, devi essere in grado di barricarti in
una stanza sicura, fino all'arrivo dei rinforzi. La tua camera ha anche
il telefono, da cui puoi chiamare aiuto, quindi è perfetta."
"Ma c'è l'antifurto!"
Magnus si pizzicò la radice del naso. "Mi dici quando pensi
di iniziare a considerare questa faccenda come una cosa seria?" gli
chiese, in tono grave. "Quando Lydia si presenterà con
un'arma carica?"
"Ma per favore!"
"Alec, vi siete incontrati due mesi fa e ieri è passata dal
chiederti semplicemente di uscire a pianificare il vostro matrimonio!
Non sta bene con la testa, te ne rendi conto? Cosa farà il
mese prossimo? Deciderà che, se non puoi essere suo, non lo
sarai di nessun altro? Perché guarda che può
succedere eh!"
"Non potrebbe essere solo tutto un grosso scherzo di cattivo gusto?"
arrischiò Alec, speranzoso.
Magnus scosse la testa. "No, non credo lo consideri uno scherzo. Prima
ho chiamato Jace e..."
"Jace? Perché hai chiamato mio fratello?"
"Ha inserito il nome di Lydia nel computer, per vedere se scopriva
qualcosa. Quella ragazza avrebbe potuto essere già schedata
e non sarebbe stato male sapere con chi abbiamo a che fare!"
"E..."
"E, per il momento, niente." sospirò Magnus.
"Beh, ma... non c'è la possibilità che si stanchi
e che indirizzi le sue attenzioni verso altri uomini?"
Magnus scosse nuovamente la testa. "E' una possibilità molto
remota e non starebbe organizzando il vostro matrimonio se non avesse
intenzioni serie."
Alec fissò imbronciato la sua tazza. "Non mi piace quello
che mi stai dicendo."
"Mi dispiace, tesoro."
Alec sospirò. "E' che... non capisco. Lydia sembra davvero
una ragazza normalissima."
"E' spesso così." annuì Magnus. "E' il loro modo
di pensare e di agire che non va, non il loro aspetto."
"Sì, ma Lydia potrebbe essere tranquillamente il sogno di
ogni ragazzo. E' bella, è bionda, ha gli occhi azzurri,
è spiritosa... insomma... ti giuro che non sembra proprio la
pazza squinternata che traspare dai biglietti!"
Magnus scrollò le spalle. "Prova ad immaginare una
bellissima macchina sportiva. La carrozzeria è lucida,
perfetta, senza la minima ammaccatura. Il motore, però,
è marcio. Lydia, e le persone come lei, sono
così."
Alec finì la sua cioccolata, rimuginando su quanto gli aveva
appena detto Magnus. Nonostante le sue parole, i biglietti e tutto il
resto, non riusciva davvero a farsi una ragione che quella minuta
ragazza, dal sorriso gentile, potesse fargli del male e, a differenza
della sua guardia del corpo, Alec trovava molto più reale la minaccia
dello sconosciuto che tormentava suo padre. Questo sì che lo
preoccupava.
Sbadigliò vistosamente, stanco per la lunga giornata, poi
appoggiò il mento sulle braccia incrociate sopra al tavolo,
fissando Magnus, che continuava a prendere appunti sul suo block notes.
Le dita lunghe e affusolate sembravano danzare sul foglio.
Spostò lo sguardo sulla mano, risalendo lungo il braccio,
per poi finire sul viso: osservò, con un certo interesse, la
linea elegante e dritta del naso e gli occhi verde-oro, focalizzati su
quanto stava scrivendo. Il capo era leggermente inclinato e un accenno
di lingua gli spuntava dalle labbra piene e rosee. L'accenno di barba,
che di solito portava tutti i giorni, era sparito per lasciare spazio
ad una pelle liscia e invitante, su cui spiccavano i contorni netti
della mascella, tutta da mordere e baciare.
"Faccio una telefonata." lo informò Magnus.
"Mh-mh..." fu tutto quello che riuscì a rispondere il moro.
Le palpebre avevano iniziato a farsi pesanti e, mentre Magnus parlava
al telefono, Alec sentì che faceva sempre più
fatica a rimanere lucido.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla voce profonda
della sua guardia del corpo. E'
davvero bella... pensò, assonnato.
L'ultima cosa di cui fu conscio fu sentire le braccia possenti della
sua guardia del corpo avvolgerlo e sollevarlo dalla sedia, poi Morfeo
lo accolse nel suo abbraccio.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Magnus sapeva bene che
l'ultima e-mail ricevuta da Robert Lightwood preoccupava Alec molto
più di quanto desse a vedere.
Il moro fingeva indifferenza, ma i suoi occhioni blu, di solito limpidi
e battaglieri, rivelavano ansia e turbamento e la presenza di una
guardia del corpo sembrava non bastare a tranquillizzarlo. Durante le
loro oramai abituali passeggiate serali, infatti, Alec era sempre
all'erta e si guardava attorno più spesso del solito, come
se temesse un attacco da un momento all'altro.
I giorni passavano e Magnus era costretto a stare lì, a
osservare il moro che diventava via via sempre più teso.
Per la prima volta in vita sua, l'ex Marine si sentiva del tutto
inutile, impotente. Solitamente non aveva dubbi: si prefiggeva un
obiettivo e si impegnava al massimo per realizzarlo. Questa volta,
però, il nemico era un'ombra impalpabile, che si muoveva
senza lasciare tracce e si nutriva della paura che riusciva a suscitare
con delle semplici e-mail.
E c'era anche la questione della mitomane. Lydia Monteverde non
risultava schedata in nessun database delle forze di polizia, anzi non
risultava proprio in nessuna banca dati! Purtroppo per loro non aveva
mai infranto la legge, quindi rintracciarla era praticamente
impossibile e poteva agire indisturbata, proprio come lo sconosciuto
delle e-mail.
In tutto ciò, di buono, c'era che Alec non aveva alcuna
intenzione di darla vinta a nessuno dei due. Nonostante i nervi
scoperti, andava avanti con la sua vita come se niente fosse,
rifiutandosi di ascoltare Magnus quando gli suggeriva di non
allontanarsi troppo da casa o dall'ufficio.
La guardia del corpo aveva provato a proporgli, in più di
un'occasione, di andare via da lì, nascondersi in qualche
posto sperduto, almeno fino a quando non avrebbero preso uno dei due,
ma Alec aveva rifiutato categoricamente quella soluzione e questo
rendeva il suo compito di proteggerlo ancora più difficile
di quanto già non fosse. Come poteva difenderlo da qualcosa
che non riusciva a vedere e che, quindi, non poteva né
colpire né fermare?
Era una situazione davvero frustrante e non aiutava il fatto di essere
intrappolato in quel minuscolo appartamento con il ragazzo
più cocciuto e testardo che avesse mai conosciuto. E per il
quale stava prendendo una sbandata epocale.
Si riempì una tazza di caffè, con la macchinetta
che si era appositamente comprato per affrontare ogni nuova giornata in
compagnia del moro, e guardò fuori dalla porta finestra che
dava sul terrazzino: una coltre di nubi minacciose oscurava il cielo
newyorkese in quel pomeriggio domenicale e, in lontananza, si sentiva
il brontolio di un tuono. Era una giornata tetra, proprio come il suo
umore.
Con un sospiro, bevve un sorso della sua bevanda, maledicendo l'intera
situazione. Alec lo stava spingendo oltre il punto di non ritorno e,
quel che era peggio, ci stava riuscendo senza il minimo sforzo.
Ogni sera si coricava nel letto a una piazza nella camera degli ospiti
e ogni notte giaceva sveglio, per ore, ad ascoltare ogni minimo rumore
che proveniva dalla stanza adiacente. La parete che divideva le due
camere, infatti, era così sottile da permettere all'ex
Marine di sentire tutto... ed era una vera e propria tortura fisica e
mentale!
Lo sentiva respirare, sentiva i suoi sospiri o quando tratteneva il
fiato mentre stava sognando chissà che cosa, sentiva il
fruscio delle coperte e delle lenzuola che avvolgevano il suo corpo o
quando il letto di Alec gemeva in modo insopportabile ogni qual volta
lui si girava nel sonno.
Dio, quel fastidioso cigolio era la cosa peggiore di tutte
perché lo portava a chiedersi, ogni santissima volta, in che
posizione si fosse addormentato il moro. Dormiva sulla schiena? O di
lato? O a pancia in giù? E cosa indossava per dormire? Un
pigiama di flanella? O una vecchia felpa con i pantaloni sdruciti di
un'anonima tuta? O, che Dio l'aiutasse, niente di tutto questo,
perché preferiva dormire completamente nudo?
Oramai riposava una media di quattro/cinque ore a notte e, se non fosse
stato per la macchinetta del caffè, a quest'ora sarebbe
letteralmente impazzito!
Alec Lightwood l'aveva completamente stregato e, la cosa più
dolorosa e difficile da mandare giù, era dover ammettere
che, invece, lui gli era del tutto indifferente. Forse non lo odiava
come all'inizio, visto che le occhiate omicide che abitualmente gli
lanciava erano diminuite, ma dopo quasi tre settimane insieme, il
più delle volte Alec si comportava come se lui non esistesse
oppure lo trattava alla stregua di uno scarafaggio schifoso che aveva
invaso il suo spazio.
Perché, che
cosa speravi? gli chiese la solita fastidiosa vocina nella
sua testa, che gli fece andare di traverso il caffè che
stava bevendo.
Tossì un paio di volte, dandosi qualche pacca sul petto,
maledicendosi: per la prima volta, in vita sua, qualcuno per cui
provava attrazione non smaniava per lui né moriva dalla
voglia di portarselo a letto. Il suo orgoglio era oltraggiosamente
ferito!
Purtroppo per lui, Alec non era il tipo di ragazzo con cui poteva avere
una storia basata solo sul sesso. Era certo, infatti, che volesse
qualcosa di più di una manciata di ore di passione selvaggia
e che mirasse a una relazione stabile e duratura, a differenza sua che
prediligeva le avventure di una notte, che non prevedevano alcun legame
sentimentale e che non intendevano fare nessun progetto per il futuro,
non nell'immediato almeno e, soprattutto, non con lui.
Gli era bastata l'esperienza con Camille, la sua ex. Dopo la fine di
quella storia, si era imposto di mantenere le distanze con chiunque
approcciasse. Le storie brevi erano più facili da gestire ed
erano meno dolorose, non straziavano il cuore, riducendolo a brandelli,
e, soprattutto, non lasciavano cicatrici indelebili nell'anima, che
tornavano a sanguinare quando meno se lo aspettava.
Con l'ennesimo sospiro, si girò, dando le spalle a
ciò che succedeva al di fuori della porta finestra, e
lasciò vagare lo sguardo su quella che era diventata la sua
piccola, ma, doveva ammettere, accogliente prigione: tutto era
esattamente come il primo giorno in cui era arrivato, ad eccezione
della sua macchinetta del caffè, rossa fiammante, che faceva
bella mostra di sé sul ripiano della cucina, accanto al
frullatore con cui Alec, ogni mattina, si preparava i suoi strani
intrugli salutisti e colorati a base di sedano, carote e qualsiasi
altra verdura che trovava in frigo.
Ogni giorno, infatti, mentre si beveva il suo caffè bollente
e si ingozzava di uova e pancetta o ciambelle glassate o pancake
dorati, Magnus guardava Alec, tutto felice e contento, ingoiare quella
roba insapore e priva di zuccheri per poi attaccare lo yogurt
ipocalorico o le barrette di cereali integrali. Non aveva idea di come
riuscisse a mangiare e a bere quelle poltiglie, ma a quanto pareva
quelle schifezze mollicce e tristi gli piacevano un sacco.
Erano diversissimi, sotto tutti i punti di vista! Magnus, nonostante
gli anni rigidi passati in Marina, era un concentrato di
caoticità, Alec, invece, era preciso e ordinato. Magnus
amava l'improvvisazione, Alec organizzava tutto nei minimi dettagli e
persino nel suo frigorifero disponeva gli alimenti in rigoroso ordine
di appartenenza: latticini in uno scomparto, verdure in un altro. E
ancora, Magnus era socievole e solare, Alec meno aveva a che fare con
il genere umano, meglio stava. Lui adorava vestire in modo appariscente
e stravagante, così che tutti lo notassero e ammirassero la
sua bellezza, il moro invece si nascondeva in anonimi vestiti grigi e
bigi che sarebbero stati meglio in un sacco dell'immondizia piuttosto
che su di lui. Magnus parlava, parlava, parlava e parlava, mentre
Alec... santo cielo, quando non era un fiume in piena, arrabbiato e
indignato con lui, doveva cavargli le parole di bocca con le pinze!
"Allora perché lo desideri tanto?" si chiese, ad alta voce,
con un sospiro.
"Che fai? Parli da solo?" gli rispose inaspettatamente una voce ben
conosciuta.
Magnus si voltò di scatto, quando si vide arrivare Alec da
dietro le spalle.
"E' uno dei primi sintomi della demenza senile. Lo sapevi?" chiese il
moro, alzando un sopracciglio e guardandolo in modo ironico.
Magnus roteò gli occhi. "Ah. Ah. Ah." rispose, facendogli la
linguaccia. "Allora, che facciamo di bello, oggi?" chiese, sviando il
discorso.
Alec scrollò le spalle. "Io
vado a scoccare qualche freccia con l'arco. Tu puoi stare qui."
"Io vado
dove vai tu, dolcezza." precisò Magnus, per la milionesima
volta. "Posso però permettermi di sconsigliarti questa
uscita?"
"No, non puoi." sbuffò Alec, spazientito. "Magnus, ho
bisogno di uscire! Di cambiare aria!"
"Non ti bastano più le nostre passeggiate serali? E io che
pensavo fossero speciali!" ribatté Magnus, con un finto
broncio, portandosi teatralmente la mano al petto.
"Sì, come no!" sbuffò Alec, con una smorfia.
"Non so se hai notato, ma fuori sta per scatenarsi un bel temporale."
tentò allora di dissuaderlo Magnus.
"Vorrà dire che mi bagnerò." rispose Alec,
scrollando le spalle. "O meglio, ci bagneremo." ghignò, con
un luccichìo diabolico negli occhi.
Magnus lo fissò, alzando un sopracciglio. Le donne e gli
uomini che aveva conosciuto fino a quel momento, lui compreso, non si
sarebbero mai sognati di proporre una cosa del genere o di uscire di
casa senza aver prima passato un tempo sufficientemente adeguato in
bagno, per prepararsi. Alec, invece, non si era nemmeno guardato allo
specchio per controllare se i suoi indomabili capelli neri fossero in
ordine.
Il moro sostenne il suo sguardo, senza vacillare, con le braccia
incrociate al petto, sfidandolo silenziosamente e, ancora una volta,
Magnus sentì la forza dell'attrazione che provava per lui
indebolirlo a tal punto che non non riusciva a negargli quasi
più niente.
"E va bene." concesse, infatti, infine, con un cenno della testa.
"Andiamo."
Il viso di Alec si illuminò tutto e battè le mani
contento.
Magnus gli tolse di mano il borsone nero che il ragazzo reggeva e che
conteneva l'attrezzatura per il tiro con l'arco. "Però!
Pensavo fosse più leggero." dichiarò, soppesando
il tutto.
"Che c'è? Ti serve aiuto?" chiese Alec, ironico.
"Ah. Ah. Ah." replicò Magnus, issandosi con scioltezza la
sacca sulla spalla. "Guarda, zuccherino, che ho portato carichi ben
più pesanti di questo affare qui, in mezzo a una giungla
così fitta che non riuscivi neanche a fare un passo senza
rischiare di inciampare!"
"Sei stato in missione in una giungla?" chiese Alec, curioso, chiudendo
la porta di casa.
"Molto tempo fa." rispose Magnus, conciso, ricordando la sua ultima
missione fatta di alberi fitti e impenetrabili, un fiume tortuoso e
raffiche di mitra che sembravano non terminare mai.
"Tutto qui?" domandò Alec, cominciando a scendere le scale.
"Non puoi dirmi qualcosa di più preciso?"
"Certo che potrei." rispose prontamente Magnus, seguendo il ragazzo.
"Ma poi dovrei ucciderti e sarebbe un peccato! Sei troppo carino per
morire."
Alec si arrestò di colpo e Magnus, per poco, non
andò a sbattergli addosso, rischiando di far cadere entrambi
dai gradini.
"Che fai? Perché ti sei fermato?"
"Non farlo."
"Cosa? Spararti? Passerotto, non lo farei mai!" scherzò
Magnus.
"No. Non dirmi che sono carino." ribatté Alec, secco,
guardandolo male, prima di marciare fuori dal portone.
Magnus lo fissò, stupito. "Perché no?" chiese,
correndogli dietro.
"Perché non lo sono." asserì Alec, serio,
fermandosi di botto un'altra volta. "Quindi perché non fai
un favore a entrambi e ci risparmi queste frasi fatte, ridicole e
inutili?"
Magnus piegò la testa e lo fissò, ricevendo in
cambio una delle famose occhiatacce omicide del moro. Ah! Aveva voglia
di litigare?! Bene! Anche lui era dell'umore adatto per farlo!
"Guarda che non era una frase fatta."
"No? Quante volte l'hai detta, sperando di fare colpo? Non ti sembra
fin troppo banale come approccio?" rispose Alec, battagliero,
piantandosi le mani sui fianchi e guardandolo con occhi infuocati.
"Scommetto che avresti continuato con un'altra frase a effetto, tipo,
che ne so, Ti sei fatto
molto male?, nella speranza che io ti chiedessi Quando?, in modo
che tu potessi continuare con un Ma tesoro! Quando sei caduto dal
cielo, no?." sciommiottò con la testa.
Magnus non riusciva a staccare gli occhi da quelli blu e fiammeggianti
di Alec. Il moro fremeva di rabbia per Dio solo sapeva quale recondito
motivo e stava sfogando tutta la sua frustrazione su di lui, a tal
punto che sembrava quasi sul punto di sbranarlo e mangiarselo in un sol
boccone. E Magnus non l'aveva mai trovato così sexy ed
eccitante!
"Sai, ho capito perché ti ostini ad affibbiarmi tutti questi
insulsi nomignoli." continuò Alec, stizzito, incrociando le
braccia al petto.
"Eh?" chiese Magnus, tornando a concentrarsi sulla lite,
anzichè fantasticare di sbattere Alec al muro e farlo suo in
quel preciso momento.
"Oh, sì. Pensi che sia uno stupido vero? Ma so perfettamente
qual è il tuo giochetto." lo accusò Alec,
sventolandogli l'indice contro.
"Giochetto? Io non..."
"Uomo, donna, capelli biondi, capelli mori... Che differenza fa?" lo
interruppe Alec, che ormai era partito in quarta e non dava a Magnus
nessuna possibilità di replica. "L'importante è
che respiri, no? Se poi ha anche un bel paio di tette o un pacco di
tutto rispetto, tanto meglio, no?"
"Cosa? Ehi, no, aspetta un attimo! Io..."
"No, aspetta tu!" lo interruppe nuovamente Alec, conficcandogli con
forza l'indice nel petto. "Tutti questi zuccherino di qua, dolcezza di
là, tesoro
qui, passerotto
lì... Guarda che l'ho capito! E' un modo per rivolgerti ai
tuoi partners occasionali senza doverti ricordare i loro nomi! Il tuo
è un astuto stratagemma che ti torna utile ogni qual volta
ti porti a letto la prima persona che capita, così che, al
mattino, quando ti svegli accanto a un estraneo, se gli affibbi il
primo nomignolo insulso che ti viene in mente riesci a evitare una
figura di melma colossale. Ho indovinato, vero? Eh? Ho indovinato?"
Magnus strinse forte i pugni lungo i fianchi e trasse un respiro
profondo: avrebbe voluto aprire bocca e ribattere a quell'ignobile
accusa, ma decise invece di tenerla chiusa. Avrebbe potuto spiegare a
quel zuccone che non era affatto così, che gli affibiava
tutti quei nomiglioli perché lo trovava adorabile e
gongolava come un matto quando le sue guance si arrossavano indignate
per l'ennesimo, sciocco, soprannome, ma sentiva che era inutile. Il
moro era troppo arrabbiato per ascoltare le sue parole.
A quel silenzio, Alec si irritò ancora di più
perché lo interpretò come una chiara ammissione
di colpevolezza.
Rafforzò la presa sulle braccia incrociate, trattenendo a
stento la collera mescolata alla tensione e alla frustrazione che lo
attanagliavano da tempo. Erano giorni, infatti, che faceva una fatica
tremenda a concentrare tutte le sue energie fisiche e mentali sul suo
lavoro, anziché pensare a Lydia e allo sconosciuto che
minacciava suo padre. E a Magnus.
Per quanto tentasse in tutti i modi di non farlo, infatti, Alec si
ritrovava sempre più spesso a fissarlo. Era più
forte di lui, non riusciva proprio a impedirselo, complice anche il
fatto che gli era sempre accanto ed erano davvero rari i momenti in cui
non ce l'aveva attaccato alle costole.
Sapeva di non essere il suo tipo (perché, andiamo, come
poteva un uomo come Magnus essere attratto da un disastro ambulante e
insignificante come lui?), eppure non riusciva a impedire alla sua
immaginazione di elaborare fantasie incredibilmente sconce e
inopportune che vedevano entrambi come protagonisti. Immaginava le mani
di Magnus sul suo corpo, le braccia forti che l'abbracciavano e poi, di
peso, lo trasportavano in camera da letto, dove la sua guardia del
corpo gli faceva provare sensazioni stupende.
L'ultima volta che si era abbandonato a stupidi sogni di questo tipo,
però, era andato a sbattere a trecento all'ora contro un
muro immaginario, ritrovandosi con il cuore sanguinante e a pezzi.
Quindi, no, non si sarebbe mai più fatto prendere in giro da
nessuno, tantomeno da un uomo bellissimo che gli diceva frasi carine
che non pensava sul serio.
Si ficcò le mani sui fianchi e fissò Magnus con
sguardo tempestoso. "Mettitelo bene in testa, Bane, non sono un tuo
ammiratore né tantomeno uno dei tuoi tanti amanti che non
aspetta altro che caderti tra le braccia, grazie a due moine." disse
tutto d'un fiato. "Non intendo, nel modo più assoluto,
venire a letto con te. Chiaro?"
"Cristallino." replicò Magnus, assottigliando lo sguardo.
"Bene." asserì Alec, con un cenno secco della testa.
"Bene. Ci terrei a chiarire, però, un paio di cose."
iniziò Magnus, serio. "Primo, non ti ho mai chiesto di
venire a letto con me."
Alec roteò gli occhi. "Senti..."
"Oh, no. No. Ho lasciato che ti sfogassi e sono rimasto educatamente in
silenzio. Ora, se permetti, parlo io." lo interruppe Magnus, alzando un
indice. "Secondo, non ho una moltitudine di amanti che non aspetta
altro che cadermi tra le braccia. Ho molti amici e amiche e, ok, a
volta capita che rimorchi gente conosciuta al bar e può
darsi che, ogni tanto, con qualcuno di loro ho anche il piacere di
andarci a letto..."
Alec scosse la testa con disapprovazione, ascoltando la naturalezza con
cui l'altro ammetteva candidamente di essere un dongiovanni.
"...perché, a differenza tua..." aggiunse Magnus, in tono
tagliente. "...io preferisco le persone ad arco e frecce o a scartoffie
di carta alte fino al soffitto!"
Alec sbarrò gli occhi e boccheggiò, indignato.
"Se ti faccio un complimento è perché lo penso
sul serio." continuò Magnus, implacabile. "Non ho di certo
bisogno di mentire ad un uomo o a una donna per entrare nelle sue
grazie!" dichiarò, alzando il mento con orgoglio. "Se vuoi
però credere che poco fa abbia mentito... beh... liberissimo
di farlo."
"Oh... allora mi dispiace." rispose Alec, con un sorriso di scherno,
incrociando le braccia al petto e scuotendo la testa in modo
paternalistico. "Deve essere un bel problema per te."
Il viso di Magnus divenne pura perplessità. "Che cosa?"
Alec scrollò le spalle. "Perdere la vista."
replicò, lapidario. "Sei andato a farti vedere da un
oculista, di recente?" domandò, piegando la testa e
scrutandolo attentamente.
Le sopracciglia di Magnus scattarono verso l'alto e lui si
ritrovò totalmente impreparato a una risposta del genere. Un
attimo dopo la sua bocca ebbe un fremito, poi scoppiò a
ridere di gusto. Ecco, se c'era una cosa che adorava di Alec, oltre al
corpo da sballo e quegli incredibili occhi blu, era la sua acuta
intelligenza. E la sua spudorata schiettezza. E il suo strano e
contorto senso dell'umorismo. "Sei davvero unico, mio piccolo bonbon al
cioccolato." dichiarò, divertito, asciugandosi una lacrima.
Alec lo fissò truce per il nuovo soprannome. Tesoro, dolcezza, zuccherino...
nessuno si era mai rivolto a lui usando quei nomignoli. Per tutti era
stato sempre e solo Alec e sentirseli dire adesso, quando sapeva
perfettamente che non significavano niente, lo facevano sentire
stranamente triste, quasi deluso. Sapeva di essere uno stupido a
prendersela in quel modo, a desiderare, anche solo per un attimo, che
Magnus stesse parlando sul serio, ma non riusciva a farne a meno.
Scosse la testa per scacciare quei pensieri, poi voltò le
spalle alla sua guardia del corpo e continuò a camminare.
Magnus, però, non aveva ancora finito. "Sai qual
è la verità, Alexander Gideon Lightwood?" gli
gridò dietro. "Che tu ce l'hai con tuo padre
perché non ti ascolta e ti ha messo una guardia del corpo
alle calcagna. E visto che non puoi sfogarti con lui, te la prendi con
me." lo provocò, seguendolo. "Ma è ora che tu la
smetta di arrabbiarti con il sottoscritto solo perché non
riesci a rivalerti su chi ti ha messo al mondo."
Alec si fermò e prese un bel respiro profondo, prima di
voltarsi e lanciargli un'altra occhiata glaciale. "Io non sfogo la mia
rabbia su di te!"
"No?" lo interruppe Magnus, alzando un sopracciglio. "Davvero? Beh,
effettivamente sei la gentilezza fatta persona. Già."
ironizzò, con un sorriso sardonico, incrociando le braccia
al petto. "Chi è che sta mentendo, ora? Mh?" chiese,
piegando la testa e avvicinandosi poi ad Alec, senza dargli modo di
ribattere. "Vuoi sapere, però, qual è il vero
problema, Alexander?"
soffiò, agguantando i passanti dei jeans del ragazzo e
avvicinandolo piano a sé, con un sorriso rapace sulle
labbra, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a scendere.
Alec si sentì sopraffatto dal calore del suo corpo e dal
timbro elegante della sua voce, che sembrava far vibrare l'aria intorno
a loro. Deglutì a fatica e scosse la testa, incapace di
parlare, mentre arrossiva e tremava per quel nome pronunciato in modo
così sensuale da quella bocca invitante.
Magnus gli rivolse un lento e voluttuoso sorriso, felice e incredulo
per ciò che aveva intuito. "E' che, a dispetto delle tue
dichiarazioni di poco fa, in realtà tu muori dalla voglia di
venire a letto con me." mormorò, leccandosi le labbra.
Un lampo squarciò il cielo plumbeo, seguito da un tuono
fortissimo. La pioggia iniziò a scendere all'improvviso, in
modo violento, bagnando ferocemente entrambi.
Alec sbatté le palpebre, fissando nella memoria quel
momento: Magnus Bane bagnato fradicio, con i capelli incollati al viso
e gli occhi che dardeggiavano, fieri, mentre il trucco iniziava a
sbavarsi lentamente. Era semplicemente spettacolare, per l'angelo.
Nonostante la pioggia gelata, che gli penetrava fin dentro le ossa, il
sangue di Alec iniziò a ribollirgli nelle vene e sentiva
chiaramente le dita di Magnus affondargli nelle braccia, come due
tizzoni ardenti, nonostante la barriera del tessuto. Il fiato gli si
mozzò in gola e i polmoni reclamarono prontamente una
boccata d'aria, venuta a mancare così improvvisamente e in
modo del tutto inaspettato.
Magnus si avvicinò pericolosamente al viso del ragazzo e il
suo fiato caldo solleticò le labbra di Alec, che
spalancò ancora di più gli occhi. Il profumo del
suo dopobarba gli stuzzicò le narici, avviluppandolo in una
ridda di sensazioni confuse ed eccitanti. Un brivido di anticipazione
scosse tutto il corpo del moro, prima che Magnus, a pochi centimetri
dalla sua bocca, sorridesse rapace.
"Oh, sì... mi vuoi." mormorò l'uomo, con un
sorriso abbacinante, fissandolo intensamente. "E puoi avermi." gli
rivelò, piano. Una luce maliziosa gli illuminò
gli occhi quando, prima di staccarsi lentamente da lui, gli
accarezzò lentamente le labbra con la punta delle dita. "Non
appena avrai il coraggio di ammetterlo." concluse sibillino, facendo un
passo indietro.
Una sensazione sconosciuta esplose dentro Alec, procurandogli un
piacevole dolore nel basso ventre, come se questo e le sue labbra
fossero stranamente e intimamente collegati. Ciò lo
risvegliò dal torpore: per l'angelo, si comportava come un
ragazzino alla prima cotta, quando quell'uomo impossibile si stava
semplicemente divertendo con lui!
Tremante di desiderio e di frustrazione, e in preda a una smania
inspiegabile, Alec vide Magnus ritornare sui suoi passi e aprirgli il
portone del condominio, invitandolo con un plateale gesto del braccio a
rientrare. Niente più passeggiata sotto la pioggia battente,
quindi, ma l'ennesimo pomeriggio in compagnia di quell'irritante uomo,
in quell'appartamento che sembrava farsi più piccolo ogni
giorno di più.
Dio, sarebbero state ore interminabili.
Furia e imbarazzo, però, gli diedero nuove forze e Alec
alzò il mento. La sfida non era impossibile. Poteva farcela.
Sì, sarebbe riuscito a soffocare la tenue (anzi, appena
accennata) attrazione che provava per Magnus, restandogli accanto senza
mai ammettere che ardeva dalla voglia di andare a letto con lui.
Sarebbe stato uno smacco tremendo per l'orgoglio di quell'uomo
impertinente. Oh, sì.
"Non avevi detto che non mi avresti toccato neanche con uno scafandro
addosso?" ricordò Alec, battagliero.
"Solo gli stupidi non cambiano mai idea, Alec. E, modestia a parte,
sono sempre stato consapevole di non esserlo mai stato."
replicò Magnus, facendogli l'occhiolino. "E tu? Ammetti che
mi vuoi?"
Alec fece una smorfia indignata. "Tzè! Preferisco bruciare
all'inferno piuttosto che ammettere qualcosa di così
ridicolo e assurdo." replicò, spavaldo, passandogli accanto
e marciando, tutto impettito, dentro all'androne del palazzo.
Magnus rise, divertito. "Oh, dolcezza, stiamo già bruciando.
Tutti e due." commentò fissandogli il sedere, seguendolo poi
tutto contento.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Le raffiche di vento e
gli scrosci di pioggia erano talmente forti che i vetri delle finestre
vibravano pericolosamente e, in più di un'occasione, Alec
temette seriamente che il temporale riuscisse a mandarli in frantumi.
Erano passate tre ore da quando era iniziato e il moro
maledì quel violento acquazzone che stava imperversando
fuori casa e che lo stava costringendo a stare gomito a gomito con
Magnus.
Nascosto dietro le pagine di un libro, che stava fingendo di leggere,
sbirciò con l'ennesima occhiata discreta l'uomo spaparanzato
dall'altra parte del divano, che stava guardando la televisione. Alec
era certo che la sua guardia del corpo stesse seguendo la trasmissione
con la stessa concentrazione che stava usando lui con il suo romanzo.
Da quando erano rientrati nell'appartamento, Magnus aveva iniziato il
gioco del silenzio e, con le braccia incrociate al petto, fissava
ostinatamente lo schermo, ignorando la sua esistenza. La bocca era
tirata in una lunga e imbronciata linea sottile e Alec si chiese, non
per la prima volta, come sarebbe stato se quelle labbra si fossero
posate sulle sue e se erano davvero morbide al tocco, così
come sembravano. Non l'avrebbe mai saputo.
Magnus era stato chiaro e gli aveva detto che se lo voleva doveva
essere lui a farsi avanti, ma il moro era fermamente deciso a
dimostrargli che c'erano esseri umani capaci di resistergli, senza
cadere ai suoi piedi come pere cotte. Alec era, senza ombra di dubbio,
uno di quei folli e coraggiosi temerari. Assolutamente.
Il silenzio che stava regnando nel salotto, però, iniziava a
farlo sentire a disagio. Da quando abitava da solo, era il suo compagno
ogni qual volta ritornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro e
non lo aveva mai trovato fastidioso, anzi gli piaceva quell'assenza di
suoni nel suo appartamento, c'era abituato. Da quando era arrivato
Magnus, però, con la sua ingombrante presenza e la sua
inesauribile parlantina, si era adattato a sentire perennemente la sua
voce e le sue continue chiacchiere su qualsiasi argomento gli passasse
per la testa. Quell'ostinato silenzio, quindi, cominciava stranamente a
pesargli.
"Sta smettendo di piovere." mormorò, dopo un'altra mezz'ora
passata nel mutismo più assoluto, più per
riempire quel vuoto assordante tra di loro, che per altro.
"Ti ringrazio dell'aggiornamento." replicò Magnus, asciutto,
notando, con la coda dell'occhio, la pioggia scrosciante tramutarsi
finalmente in una leggera nebbiolina.
"Non stavo parlando con te." ribatté Alec, nello stesso tono.
Magnus continuò a guardare lo schermo. "No? Allora parli da
solo? E' uno dei primi
sintomi della demenza senile. Lo sapevi?"
scimmiottò con la testa, facendogli il verso e ripetendo
quello che gli aveva detto poche ore prima, mentre cambiava per
l'ennesima volta canale con il telecomando, andando alla ricerca di
qualcosa di decente da guardare.
"Va a quel paese." borbottò Alec.
"Solo se vieni anche tu, pesciolino." rispose Magnus, prontamente,
mordendosi l'interno della guancia per reprimere un sorriso.
Alec si voltò verso di lui e lo fissò con
ostilità. "Non avevamo fatto un patto? Niente più
nomignoli idioti!"
"Non ricordo nessun patto, sua maestà." rispose Magnus,
senza neanche guardarlo. "Sa... la demenza senile avanza. Che vuole
farci." concluse, battendosi l'indice sulla tempia e scrollando poi le
spalle.
"Sai che sei l'essere più stronzo e più irritante
che abbia mai conosciuto?"
Magnus continuò a non voltare la testa. "Potrei dire la
stessa cosa di te, trottolina, ma sono una persona educata... a
differenza tua."
"Mi stai dando del maleducato?" sbottò Alec, indignato.
"Incredibile, vero?"
"Vai a farti f..."
Il suono del campanello interruppe Alec. Il moro si alzò in
piedi di slancio e marciò verso la porta, indispettito,
ringraziando mentalmente chiunque li avesse interrotti, permettendogli
di allontanarsi da quell'uomo insopportabile.
Sul serio, come era possibile che una parte di lui lo trovasse
attraente? Era totalmente impazzito? Che fosse il caso di farsi vedere
da uno strizzacervelli?
Fece per aprire la porta, ma Magnus gli posò la mano sul
braccio, bloccandolo.
Alec roteò gli occhi e sbuffò esasperato,
scrollandosi di dosso l'altro. "Per l'angelo, sarà la mia
vicina di casa!" ringhiò, irritato. "Piantala!"
"Non si sa mai. Se permetti, apro io." rispose Magnus, imperturbabile,
facendolo arretrare bruscamente.
"Santo Iddio, ma non ti stanchi mai di essere così
platealmente esagerato? Non è sfiancante?"
Magnus lo ignorò, mettendosi davanti a lui per guardare
dallo spioncino. Poi rise, aprendo di slancio la porta a quattro alti,
variopinti e sorridenti ragazzi. "E voi che ci fate qui?"
"Ciao, cazzone!" lo salutò il primo ragazzo dai capelli neri
e gli occhi blu, che somigliava ad Alec.
"Abbiamo pensato che sentissi la nostra mancanza." aggiunse il secondo
ragazzo, dai tratti orientali e capelli argentei.
"Così siamo venuti a trovarti..." cominciò il
terzo dagli eccentrici capelli verdi, sparati all'insù.
"...para ver si
todavía estás vivo." [ndr. Per
vedere se sei ancora vivo] concluse il quarto, con un sorriso ironico,
scuotendo i selvaggi capelli neri.
Magnus rise, divertito. "Idioti."
"Abbiamo portato la birra e il vino!" protestò il ragazzo
moro, con un ampio sorriso, indicando quattro confezioni da dodici di
birra gelata e otto bottiglie di vino rosso.
Alec fissò quella scena sorpreso e notò il palese
cambiamento d'umore di Magnus: la tensione di pochi minuti prima era
completamente sparita, sostituita da un'allegra euforia.
Scrutò con curiosità l'affiatamento di quel
strambo quintetto, intuendo che, per la sua guardia del corpo, quegli
uomini erano più di semplici amici.
Magnus si voltò verso di lui con un enorme sorriso. "Alec,
questi sono i mie ex colleghi della Marina. Lui è Will
Herondale." iniziò, presentando il marine che assomigliava
al moro. "Lui è Jem Carstairs." continuò,
indicando il ragazzo dai tratti orientali. "E loro sono Ragnor Fell e
Raphael Santiago." concluse, puntando l'indice contro il tizio dai
capelli verdi e quello accanto a lui.
"Ciao." li salutò Alec, alzano piano la mano e fissando i
quattro nuovi arrivati. "Volete accomodarvi?" chiese, invitando i
militari ad entrare in casa.
"Grazie." disse Ragnor, gentile.
"Carino qui." commentò Raphael, seguito da Will che
salutò Magnus con uno scherzoso pugno sulla spalla.
"Non vorremmo disturbare." mormorò Jem, entrando per ultimo.
Magnus rivolse ad Alec un sorriso grato e quando il moro fece per
allontanarsi, per lasciarli soli, l'uomo l'afferrò per la
mano e lo trascinò con sé in salotto. "So che
sembrano dei brutti ceffi, coniglietto, ma ti assicuro che non
mordono." mormorò, facendogli l'occhiolino in modo complice,
prima di raggiungere gli ex colleghi. "Allora, a cosa devo il piacere
di rivedere i vostri brutti musi?"
I quattro si accomodarono sul divano e sulle sedie prese dalla cucina.
"Beh, eravamo curiosi di capire come ha fatto questo ragazzo a
tollerarti fin'ora." rispose Ragnor, sedendosi su una sedia, con un
sorriso ironico.
"Es bueno ver que no
estás muerto!" [ndr. E' bello vedere che non
sei morto] ridacchiò Raphael, sarcastico, accomodandosi di
fianco al ragazzo dai capelli verdi.
"Ah. Ah. Ah." replicò Magnus, facendogli la linguaccia,
traducendo poi ad Alec la "simpatica" frase dell'ex collega.
"Sul serio..." esclamò Will, seduto di fianco a Jem sul
divano, rivolgendosi con fare cospiratorio al padrone di casa. "Come
hai fatto a sopportarlo fino ad oggi?"
"Beh, ecco..." tentennò Alec, non sapendo bene cosa dire.
"Non rispondere." si intromise Magnus, alzando un indice. "Per favore,
non dare a questi quattro pettegoli qualcosa su cui sparl..."
Raphael gli mise una mano sulla bocca, interrompendolo. "Non
ascoltarlo, niño.
Racconta!" esclamò, mentre Will annuiva con fervore e
passava una birra ad Alec.
Magnus si tolse la mano dell'amico dalla bocca. "No, lui non beve
alcol..." iniziò, bloccandosi attonito nel momento esatto in
cui il moro accettò con gratitudine la lattina e, con
estrema naturalezza, tolse la linguetta e ne bevve un lungo sorso.
Alec sorrise, segretamente compiaciuto di aver lasciato la sua guardia
del corpo a bocca aperta, per una buona volta, dando così
inizio alla serata più divertente che avesse mai vissuto.
Tra chiacchiere e risate, con la televisione che, rimasta accesa,
faceva da sottofondo ai vari aneddoti che venivano raccontati, il moro
rise come non gli era mai capitato in vita sua. Bevve birra fino a
sentire la testa galleggiare e mangiò un intero contenitore
di pizza, tra quelli ordinati da Magnus, con sopra di tutto un po'. Fu
una serata incredibile e Alec si sentì benissimo.
Alla quinta lattina di birra, Will gli alitò in un orecchio.
"Sssai che Sssniper
mi ha salvato la vita? Eh? Lo sai? Eh? Lo saiii?"
Alec aggrottò la fronte, ondeggiando pericolosamente sul
posto. "Ffflipper? Chi è Ffflipper?" chiese, curioso.
Will gettò la testa all'indietro, accasciandosi sul divano e
ridendo sguaiatamente. "Sniperrr! Non Flipperrr, idiota!"
biascicò, tirandogli un pugno sul braccio, prima di puntare
un tremolante indice contro Magnus. "E' lui Sssniperrr! Sissignore! Era
il suo nome in codice! Prima che venisse licenziato... sai, no?"
"Will, mangia un altro po' di pizza e sta zitto." borbottò
Magnus, ficcando nella bocca dell'amico un trancio bello grosso.
Alec alzò un sopracciglio, fissando alternativamente i due
con aria interrogativa, prima di togliere dalle fauci del Marine il
triangolo farcito con ogni ingrediente possibile. "No, non lo so, ma
voglio sssaperlo!" annuì, convinto. "Dimmi! Dimmi! Dimmi!"
"E' una bella storia!" confermò Jem, fregandosi allegramente
il pezzo di pizza conteso.
"Non è vero. Non è niente di che."
tagliò corto Magnus, roteando gli occhi e scolandosi un
bicchiere di vino tutto d'un fiato.
"Come niiiente? Ha appena detto che gli hai sssalvato la vitaaa!"
protestò Alec, con tono petulante, battendogli forte il
dorso della mano su una gamba.
"Non fare il modesto, Mags! Non ti si addice!" ridacchiò
Ragnor, accavallando le lunghe gambe, mentre Raphael annuiva concorde.
Will acchiappò il viso di Alec, costringendolo a guardarlo.
"Sssai che, se non fosse stato per questo idiota qui, a quest'ora il
mio fottutissssimo bel sedere, sodo e tondo, non sarebbe seduto su
questo divano? Eh? Lo sssai?" asserì, annuendo con vigore.
"Lo vuoi sentire?" chiese subito dopo, con sguardo appannato, alzandosi
leggermente e battendosi una pacca vigorosa nel didietro. "Senti quanto
è sodo! Senti!"
Alec stava per allungare la mano, per verificare se le parole del
Marine fossero veritiere o meno, ma Magnus gli afferrò il
braccio, guardandolo male.
"No, micetto, non si fa!" lo sgridò la guardia del corpo,
agitando l'indice come una madre esasperata. "Ti è concesso
di toccare solo il mio!" esclamò, con un broncio offeso.
Will rise. "E' solo geloso perché il mio sedere è
più bello del suo." dichiarò, ammiccando
esageratamente con le sopracciglia.
"Sì, ti piacerebbe, Herondale." replicò Magnus,
con un sorriso ironico, roteando gli occhi.
"Mi stai sfidando, Bane?" esalò Will, spalancando
teatralmente gli occhi e saltando poi in piedi per armeggiare
goffamente con la cintura. "Sta a vedere, Alec, se non ho ragione io!"
"Por el amor de Dios!"
[ndr. Per l'amor di Dio] ringhiò Raphael, bloccando con
veemenza il collega e rispedendolo con una spinta poderosa sul divano.
"Herondale tieniti su quei pantaloni, che nessuno in questa stanza ci
tiene a vedere il tuo culo!"
"Ma non è vero! Alec vuole! Vero Alec?" chiese Will, con un
singhiozzo, avvicinandosi pericolosamente al viso del moro.
"No, Alec non vuole." lo fulminò Magnus, spingendolo per una
spalla, per allontanarlo da Alec, e iniziando con lui un battibecco su
chi avesse il sedere più sodo.
"Ehi! Io voglio sssapere di Flipperrr!" dichiarò Alec, dopo
un lungo momento, frapponendosi fra i due e fronteggiando Will.
"Raccontami di Flipperrr!"
"Te l'ho già detto! Sssniper!
Non Flipper! S-n-i-p-e-r!"
rispose Will, roteando gli occhi con un sorriso.
"Fa lo stesso!" replicò Alec, sventolando una mano.
"No che non fa lo stesso!" si intromise Magnus, indignato. "Sono un ex
cecchino, non un ex delfino!" dichiarò, con una smorfia.
"Ora sai come ci si sssente a venire a-appellato con nomignoli idioti."
dichiarò Alec, ridacchiando soddisfatto, mentre Magnus
assottigliava lo sguardo e gli lanciava un'occhiata offesa. Alec gli
fece la linguaccia e tornò da Will. "Racconta! Ti ha davvero
salvato la viiita?" chiese, stupefatto, indicando con il pollice l'uomo
dietro le sue spalle.
"Assssolutamente sì!" annuì con vigore Will.
"Puoi scommetterci la tua birra!" dichiarò, picchiettando il
petto di Alec con l'indice.
"Ma vaaa! Davverooo? Perchééé? Cosa
è successo? Eh? Cosaaa?" chiese Alec, arpionandosi al suo
braccio e pendendo dalle sue labbra.
Will cominciò a parlare della loro ultima missione,
dipingendo uno scenario nitidissimo che fece venire la pelle d'oca ad
Alec e che riportò a galla i ricordi di Magnus.
Obbedire agli ordini dei propri superiori è un principio
fondamentale per ogni Marine che si rispetti, ma c'era una regola alla
quale Magnus si era sempre attenuto fin da quando aveva messo piede
nella Marina: si partiva in missione in squadra e si tornava tutti
quanti assieme. Mai lasciare indietro un compagno in
difficoltà. Mai. Anche a costo di rimetterci la vita.
La sua ultima missione era andata male fin dall'inizio. La sua squadra
era stata scelta per liberare un ostaggio: un compito semplice, che
avevano svolto numerose volte. Dovevano entrare nel luogo di prigionia,
liberare la persona rapita e andarsene in fretta. Facile. Le
informazioni ricevute, però, si erano rivelate errate e
l'ostaggio non era dove sarebbe dovuto essere, facendo perdere loro del
tempo prezioso per cercarlo, esponendoli al fuoco nemico e obbligandoli
a rivedere il piano di salvataggio. Durante la fuga si erano ritrovati
a schivare un numero impressionante di raffiche di mitra, che colpirono
Will. Nel momento concitato, però, i suoi compagni si
accorsero della sua assenza solo quando riuscirono a raggiungere il
motoscafo che li avrebbe portati in salvo. Magnus aveva informato i
suoi superiori dello smarrimento di uno dei suoi uomini, ma gli era
stato ordinato di ripartire immediatamente, senza preoccuparsi del
collega.
Un moto di collera tornò ad assalirlo, lo stesso che aveva
provato a quel tempo, di fronte alla facilità con cui quegli
uomini in divisa si divertivano a giocare con la vita dei loro uomini,
come se fossero pedine di un gioco perverso che si potevano gettare
nella spazzatura una volta raggiunto il loro scopo.
Magnus, però, era diverso. Non avrebbe mai lasciato uno dei
suoi nei guai. Non gli importava cosa gli era stato detto di fare, lui
non avrebbe abbandonato un suo amico. Una volta chiusa la comunicazione
con il suo superiore, quindi, aveva affidato l'ostaggio ai suoi
colleghi ed era tornato indietro, da solo, a recuperare Will per
riportare a casa anche le sue chiappe.
"E poooi?" chiese il moro, sgranando gli occhioni blu, mangiucchiando
distrattamente la crosta avanzata di un pezzo di pizza. "Poi, cosa
è successo?"
"Beh... l'idiota è seduto accanto a te, no? E' finita bene."
rispose Magnus, facendo spallucce, versandosi un'altra generosa dose di
vino nel bicchiere.
"Grazie al cielo!" esclamò Alec, portandosi una mano al
petto e guardando, sollevato, l'uomo che aveva vissuto quella brutta
esperienza.
Quando vide i sorrisi felici che si scambiarono i Marine tra di loro,
comprese benissimo il senso di vittoria e la soddisfazione di quegli
uomini per aver portato in salvo l'ostaggio, ma anche la rabbia che li
aveva attanagliati quando era stato ordinato loro di rientrare,
abbandonando al proprio destino il compagno ferito.
Will diede una manata sulla spalla di Magnus. "Come ti stavo dicendo,
è grazie a lui se sono ancora qui!" sorrise dolcemente. "Sniper ha mandato
letteralmente al diavolo il comandante ed è tornato indietro
a prendermi!"
"Wow! E' stato davvero coraggioso da parte tua!" esclamò
Alec, sempre più coinvolto, attanagliando il braccio di
Magnus e scuotendolo, con sguardo sbigottito.
Will annuì platealmente. "Sssignorsì! Sniper ha ignorato
gli ordini ed è venuto a salvarmi!" confermò,
trattenendo un rutto, mentre tracannava un altro bicchiere.
Magnus alzò gli occhi al cielo, pregando che il suo amico si
strozzasse con la birra che stava bevendo.
"Sai, non ero capace di camminare, quindi Mags mi ha caricato in spalla
e, sotto il fuoco nemico, mi ha portato di peso fino al motoscafo che
doveva portarci via da lì." continuò a raccontare
Will, alzandosi di scatto e abbracciando poi di slancio il suo
salvatore, rischiando di far cadere entrambi a terra.
"Per tutti i diavoli, Herondale, quanto cazzo hai bevuto?"
esclamò Magnus, impreparato, mentre l'altro lo stritolava e
tentava di baciarlo sul collo. "Staccati, brutta zecca pelosa!"
ordinò, spalmandogli una mano in faccia per allontanarlo.
Alec spalancò ancora di più gli occhi. "E hai
fatto tutto da sooolo?" chiese, tornando a guardare Magnus con sguardo
ammirato.
Per l'angelo, non aveva mai conosciuto nessuno come lui. Mai!
Alec aveva incontrato molte persone nella sua vita, sia per via del suo
lavoro sia a causa del cognome che portava. Aveva incontrato uomini che
si vantavano di gesti banalissimi, come fermare un taxi all'ora di
punta o stappare il tappo di una bottiglia di birra con i denti, e
donne che asserivano di riuscire a stregare completamente un uomo con
un semplice battito di ciglia. Ma Magnus... Magnus, con il suo animo da
vero guerriero, aveva salvato la vita a un compagno, minimizzando quel
gesto eroico con una scrollata di spalle.
Lui non era mai stato così coraggioso. Sì, sapeva
di essere in gamba nel suo lavoro, di essere bravo a organizzare viaggi
e trattare affari, ma quando doveva uscire dalla sua zona di comfort si
sentiva come un pesce fuori dall'acqua, un imbranato totale. Alle feste
a cui i suoi fratelli riuscivano a trascinarlo, ad esempio, finiva
sempre per nascondersi in qualche angolino in disparte e, alla prima
occasione, inventava una scusa per tornarsene a casa, nella sua tana,
nel suo rifugio. Passava la sua vita a tentare in tutti i modi di
celarsi al mondo, per averci a che fare il meno possibile, per non
affrontarlo. L'esatto opposto di Magnus che, nonostante quello che
aveva vissuto, si godeva la vita appieno.
"Gli hai davvero salvato la vita." sussurrò il moro,
meravigliato, portandosi le mani al petto.
Rimase a bocca aperta quando, per la prima volta da quando gli aveva
sconvolto la sua tranquilla routine, vide Magnus zero senso del pudore
Bane arrossire.
"Se si va in missione in squadra, è così. Si
parte insieme e si torna tutti quanti, nessuno escluso."
minimizzò Magnus, scrollando nuovamente le spalle.
"Ganbei!"
gridarono i quattro militari, alzando la propria lattina di birra e il
proprio bicchiere di vino.
"Cosa significa?" bisbigliò Alec, confuso, accostandosi a
Magnus.
"E' cinese. Significa svuotare
il bicchiere. Ce l'ha insegnato Jem!" spiegò
Magnus, sorridendo, indicando con un cenno della testa il soldato dai
lineamenti orientali. "Quindi, dolcezza..." continuò,
passandogli un'altra lattina di birra. "...dacci sotto!"
Alec annuì, poi aggrottò la fronte, colto da un
improvviso pensiero. "A-aspetta!" esclamò, ondeggiando e
alzando l'indice per avere la sua attenzione. "E' per questo che non
sei più nella Marina? Ti hanno licenziato perché
hai disubbidito all'ordine e sei tornato indietro a salvare un tuo
compagno?" chiese, a bocca aperta.
Magnus si limitò ad annuire e a sorseggiare il suo vino.
"Ma non è giusto!" protestò rumorosamente Alec,
indignato, battendo un pugno sul ginocchio.
Magnus scrollò le spalle. "O quello o la prigione." gli
svelò, bevendo tutto il suo bicchiere. "Ma, per amore di
giustizia, non potevo proprio scegliere la seconda opzione. Sarebbe
stato davvero scorretto, da parte mia, privare il mondo della mia
bellezza facendomi rinchiudere in una cella. No?" concluse, facendogli
l'occhiolino e scompigliandogli allegramente i capelli.
Diverse ore più tardi, Magnus era disteso nel suo letto e
fissava il soffitto. I suoi ex colleghi erano andati via da un pezzo,
ma lui non riusciva proprio a prendere sonno. Al di là della
sottile parete, sentiva Alec rigirarsi nel suo letto, il quale
continuava a cigolare a ogni suo movimento.
Per tutta la sera, Magnus aveva provato l'impellente desiderio di
saltargli addosso e baciarlo fino a levargli completamente il
respiro... oltre che segregarlo in camera sua, quando aveva avuto
l'ardire di allungare la mano per toccare il sedere di Will! Per tutti
i diavoli, lui doveva sudare sette camice per strappargli un sorriso e
a quell'idiota era bastato alzarsi e dire ad Alec di toccargli il
sedere perché l'altro lo accontentasse! Dio, quel ragazzo
l'avrebbe mandato direttamente in manicomio!
Ogni giorno, inoltre, scopriva cose del moro che fino a quel momento
aveva ignorato. Ad esempio, se qualcuno, anche solo quella stessa
mattina, gli avesse detto che il timido e taciturno Alexander Gideon
Lightwood si sarebbe trasformato grazie a qualche lattina di birra,
mettendosi addirittura in competizione con cinque Marine navigati, non
gli avrebbe mai creduto. Eppure era successo e Magnus aveva sentito la
pelle formicolare per l'eccitazione e aveva provato il forte impulso di
ficcargli la lingua in gola ogni volta che Alec lo toccava o si
accostava a lui.
Ad un certo punto della serata, infatti, Jem si era tagliato con la
linguetta di una lattina e Will aveva spintonato l'amico per un braccio
dicendo "Cosa vuoi che sia? Ti faccio vedere io uno squarcio come si
deve!", finendo per sfidare tutti su chi avesse la cicatrice
più grossa.
Il moro aveva sollevando i jeans, mostrando la sua gamba su cui
spiccava una cicatrice enorme. "Granata. Iraq." aveva spiegato, tronfio.
Raphael aveva roteato gli occhi, alzandosi poi in piedi per sfilarsi la
camicia dai pantaloni e scoprire un ventre piatto e tonico solcato da
una ferita che gli correva lungo tutta la cassa toracica. "Scheggia di
mina anti uomo, amigo.
Libia."
Poi era toccato a Ragnor e a Jem, che avevano una cicatrice importante
rispettivamente sulla caviglia sinistra e sulla spalla destra.
Anche Magnus non era stato da meno: si era alzato dal bracciolo del
divano e, guardando Alec con uno sguardo intenso e malizioso, si era
slacciato lentamente il bottone dei pantaloni, abbassando gli stretti
jeans che gli fasciavano le gambe e scoprendo pelle muscolosa e
marmorea segnata irreversibilmente da una lunga cicatrice nell'interno
coscia, che Alec conosceva bene, vista l'attitudine della sua guardia
del corpo a girare mezza nuda per casa, ma di cui non aveva mai osato
chiedere spiegazioni. "Coltello militare Fox. Siria."
spiegò, compiaciuto, ad un Alec che non distoglieva lo
sguardo dalla zona "incriminata".
Cinque paia di occhi si erano poi posate sul padrone di casa, in una
muta sfida. Alec ci aveva pensato su per un istante, prima di togliersi
un calzino e alzare la gamba destra, mostrando il tallone su cui
spiccava una vistosa cicatrice frastagliata. "Ehm... specchio in camera
di mia madre. New York." aveva detto, con un sorriso sghembo. "Vale?"
aveva domandato, titubante.
"Gambei!"
avevano gridato i militari, sollevando lattine e bicchieri in segno di
festa, rassicurando e facendo ridere di gusto il moro.
Il signor solo cibi
genuini e intrugli di verdure si era rimpinzato di cibo
spazzatura, si era riempito lo stomaco di un numero imprecisato di
litri di birra e gli aveva persino rubato il suo ultimo pezzo di pizza.
Aveva riso fino alle lacrime, ascoltando divertito i racconti e le
barzellette dei suoi ex uomini, e li aveva trattati come se li
conoscesse da una vita.
E ora, anche per questo, Magnus lo desiderava ancora più di
prima.
La rete a molle dell'altro letto cigolò di nuovo e l'uomo
iniziò a ripetersi, come un mantra, che non doveva pensarci
e che doveva dormire. Chiuse gli occhi, ma fu inutile,
perché il viso di Alec continuava a materializzarsi nella
sua mente, con quel sorriso storto, appena accennato, che tanto adorava.
"Magnus?" sentì, a un tratto.
L'uomo spalancò gli occhi e voltò di scatto il
viso verso il muro divisorio. "Sì?"
"I tuoi amici sono simpatici." disse Alec, impacciato, dopo un momento.
"Glielo dirò." sorrise Magnus. "Sai, anche loro ti trovano
simpatico."
"Davvero?"
"Ma certo!" asserì Magnus, convinto. "Lo trovi
così strano?" chiese, aggrottando la fronte al tono sorpreso
dell'altro.
"Beh... sì."
"Perché?"
"Beh... non sono un tipo simpatico, quindi immaginavo che anche loro
l'avrebbero pensato." mormorò Alec, con un sospiro.
Magnus fissò la parete, sbalordito. "Chi ti ha detto che non
sei simpatico?" chiese, sentendo poi uno sbuffo divertito dall'altra
parte della parete.
"Mi vorresti dire che non è vero?"
"Tartufino, guarda che il tuo senso dell'ironia è qualcosa
di unico al mondo!" ridacchiò Magnus, intenerito.
Alec rise. "Anche tu non sei malaccio. Nomignoli idioti a parte."
ammise, dopo un lungo silenzio.
"Oh, cielo! Era un complimento quello che ho appena sentito?" chiese
Magnus, trattenendo il respiro.
"Forse." confermò Alec, piano. "Ma non montarti la testa."
Magnus rise, felice. "Ok, lo terrò presente."
Era passato dall'essere completamente odiato a non essere malaccio.
L'uomo sorrise, trionfante. Stava facendo progressi!
"Se ti dico una cosa, prometti di restare lì, in camera
tua?" chiese Alec, la voce appena udibile.
"Non prometto mai niente se prima non conosco il motivo per cui devo
farlo." rispose Magnus, alzandosi sul gomito e fissando intensamente la
parete, quasi riuscisse a vederci attraverso.
"Prometti e basta." insisté Alec.
Magnus sospirò. "E va bene. Prometto."
Passarono diversi minuti, tanto che l'uomo pensò che Alec
avesse cambiato idea, prima che il moro parlasse di nuovo.
"Avevi ragione tu. Prima." mormorò infine, esitante.
"Oh per tutti i diavoli! Prima mi fai un complimento e ora mi stai
dando ragione?" esclamò Magnus, baldanzoso. "Dei del cielo,
domani si scatenerà una bufera di neve su tutta New York!"
scherzò.
"Idiota." fu la replica divertita di Alec.
Magnus rise e si ributtò sul cuscino, chiudendo gli occhi.
"Su cosa avevo ragione, ciliegina?"
"Non chiamarmi ciliegina!" brontolò subito Alec.
"Ok." rise Magnus. "Su cosa avevo ragione, Alec?"
"Oggi." mormorò Alec, dopo un po', titubante.
"Oggi?"
Alec sospirò. "Oggi pomeriggio. Quando eravamo fuori..."
"Sììì?"
"Hai... hai detto... Sai no? Quella cosa..."
"Quale cosa?"
"Hai detto... beh... che forse... volevo una certa cosa..."
"Non c'era nessun forse
nella mia frase, tesoro." lo stuzzicò Magnus, con un ampio
sorriso, mentre il cuore aveva iniziato a battere come un tamburo. "Ma
continua."
Alec rimase in silenzio talmente a lungo che Magnus temette che ci
avesse ripensato.
"Alec?" lo chiamò dolcemente.
"Avevi ragione." pigolò il moro, in un sussurro, prima di
schizzare seduto quando la porta della sua camera si
spalancò di colpo. Rosso come un peperone, tirò
la coperta a sé e rivolse uno sguardo tra lo sbalordito e
l'accusatorio a Magnus, fermo sull'uscio. "Avevi promesso che saresti
rimasto in camera tua!" protestò, indignato.
Magnus sorrise, rapace, e si leccò lentamente le labbra. "Ho
mentito, micetto."
===
Note dell'autrice
Anche se il momento non è dei migliori, spero che voi e le
vostre famiglie stiate bene e, con questo capitolo, ne approfitto
per farvi tanti auguri di buona Pasqua! :-*
Un bacio e a presto!
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Alec saltò
giù dal letto, tirandosi dietro la trapunta che lo avvolgeva
come un bozzolo caldo e fissò Magnus con aperta
disapprovazione. Oltre che con lussuriosa cupidigia.
Il fisico statuario dell'uomo lo stava chiamando a sé,
peggio di una sirena incantatrice: i muscoli marmorei e definiti del
torace erano davvero invitanti e la pelle caramellata assumeva la
tonalità del miele dorato alla luce gelida della luna che
entrava dalla finestra. Seguì, rapito, la sottile linea di
peluria che spariva all'interno dei jeans, sbottonati, per poi
spalancare gli occhi e distogliere repentinamente lo sguardo non appena
si accorse che quel pervertito non indossava le mutande. Il cuore
iniziò a battergli nella cassa toracica come un tamburo e
sentì chiaramente le sue guancie andare a fuoco.
"A-avevi promesso!" annaspò, in seria difficoltà,
imponendo al suo cervello di non fissarsi assolutamente su quel
particolare che avrebbe potuto portare a fantasie che era meglio non
esplorare. "Ti credevo un uomo di parola."
"Lo sono, quando si tratta di cose grosse."
"Beh, questa lo è!"
"Grazie, tesoro." rispose Magnus, con un sorriso devastante.
Lo sguardo di Alec tornò per una frazione di secondo sulla
patta aperta dei pantaloni. "Non intendevo dire questo!"
brontolò, scandalizzato, distogliendo nuovamente lo sguardo.
"Ne sei sicuro?" chiese Magnus, alzando un sopracciglio, dubbioso.
"Sei... sei impossibile, ecco!" esclamò Alec, esasperato.
"Me lo dicono in tanti." replicò Magnus, tranquillo,
scrollando le spalle e avanzando di un piccolissimo passo nella stanza.
"Cosa... cosa fai?!" sputò Alec, spalancando gli occhioni
blu e alzando una mano per bloccarlo.
Si rese conto, con sgomento, che stava tremando. Per l'angelo,
quell'uomo aveva un effetto devastante sui suoi nervi! Fino a quel
momento, non si era mai reso conto di quanto potesse essere pericoloso!
No, Alec non temeva che gli facesse fisicamente del male, sapeva che
non gli avrebbe mai torto un capello. Era il suo cuore che stava
rischiando grosso!
Non voleva invaghirsi di Magnus né iniziare a provare
qualcosa per lui che assomigliasse anche solo vagamente all'affetto.
Quell'uomo era lì solo perché gli era stato
ordinato di proteggerlo e, una volta scontata la sua condanna, come
soleva chiamarla i primi giorni di permanenza a casa sua, se ne sarebbe
andato, dimenticandosi di lui e tornando alla sua vita di sempre.
Sebbene ci fosse una parte di Alec che voleva oltrepassare quella linea
immaginaria e godersi ciò che Magnus era disposto a
concedere, l'altra, quella decisamente più intelligente e
saggia, gli stava proibendo tassativamente di cedere a un errore del
genere. Non poteva permettere al suo cuore di tornare a battere. Non di
nuovo. Non per uno come Magnus.
Si maledì per quello slancio di sincerità avuto
pochi minuti prima. Cosa gli era saltato in mente di essere
così schietto e ammettere che voleva andare a letto con
Magnus? Perché non si era morso la lingua,
anziché confidare quel segreto proprio al soggetto dei suoi
desideri? Il suo cervello doveva avere avuto un momento di black out o
doveva essere ancora preda dei fumi dell'alcool, non c'era altra
spiegazione!
Prese una serie di respiri profondi, poi indicò la porta con
un gesto secco del braccio e ordinò, imperioso, "Fuori!"
Magnus non si mosse dalla soglia. "Tecnicamente, tesoro, non sono
ancora entrato. Ho solo messo un piede oltre l'uscio. Per essere
completamente dentro, dovrei almeno mettere anche l'altro piede."
rispose, ironico.
"Non ti azzardare a farlo!"
Magnus gli rivolse un sorriso sornione. "Hai detto che mi desideri."
"No, non l'ho fatto." replicò Alec, stringendosi ancora di
più addosso la trapunta. "Ho solo affermato che avevi
ragione."
Magnus piegò la testa, divertito. "Sai che sei davvero un
tipo contorto?"
"E tu sei davvero un maniaco sessuale!"
Magnus rise rumorosamente, appoggiandosi di peso con una spalla allo
stipite della porta e incrociando le braccia al petto. I suoi muscoli
guizzarono e Alec trattenne il fiato, sentendo chiaramente come l'aria
nella camera si stesse arroventando, diventando praticamente
irrespirabile. Doveva mandarlo via da lì. Subito.
Magnus, però, sembrava non avere alcuna intenzione di
collaborare, anzi si staccò dallo stipite e
avanzò tranquillamente di un altro passo nella stanza. Il
cuore di Alec mancò un battito, prima di tornare a pulsare
furiosamente nel petto.
"Sai, in realtà non ti ho mentito." disse Magnus,
continuando a fissarlo con uno sguardo rapace. "Non ti mentirei mai
sulle cose importanti."
Alec roteò gli occhi. "Eppure sei qui, quando mi avevi dato
la tua parola che te ne saresti rimasto in camera tua!" lo
accusò.
Magnus scrollò le spalle. "Mi hai strappato quella promessa
con la forza. Non vale."
"Ma non è vero!" si indignò Alec. "Ah! E avevi
anche giurato che non mi avresti toccato neanche se avessi avuto uno
scafandro addosso." gli ricordò per l'ennesima volta, con
l'orgoglio ferito.
"Tenevo le dita incrociate." continuò Magnus, facendogli
l'occhiolino.
Alec si accigliò, nervoso. "Cos'hai? Dieci anni?"
"Qualcuno di più."
"Davvero? Perché non si direbbe!"
"Sfogliatina, te l'ho già detto. Solo uno stupido non cambia
idea e ammetto che, quando ho detto che non ti avrei mai toccato, non
sono stato del tutto onesto."
"Ahn-ahn! Hai visto!" esclamò Alec, soddisfatto, puntandogli
l'indice contro.
"La promessa di prima però me l'hai strappata con la forza,
quindi non è valida."
"Come non è valida? Sì che è valida!"
"Bene, direi che ci siamo chiariti sulla questione." tagliò
corto Magnus, sorridendo.
"Ma non è vero!"
"Quindi ora possiamo passare al resto." continuò Magnus,
ignorandolo e avanzando ancora di qualche passo nella camera.
Alec si appiattì contro il muro dietro di lui, inspirando
bruscamente. "Ti ho detto di non entrare in camera mia!"
"Tecnicamente, Alexander,..."
"Tecnicamente
un corno! Sei
in camera mia, per l'angelo!"
Magnus si fermò, incrociando le braccia. "Ti avevo detto che
avresti dovuto chiedermelo."
"E infatti ti sto chiedendo di uscire." replicò Alec,
indignato.
Magnus ridacchiò. "Non cambiare discorso, Alexander."
"Non sto cambiando discorso." replicò Alec, stizzito. "E
smettila di chiamarmi così."
Magnus aggrottò la fronte. "Ma è il tuo nome."
"No, il mio nome è Alec. Punto."
Magnus lo fissò sempre più perplesso. "Sai che
sei davvero il ragazzo più strano con cui ho mai avuto a che
fare in vita mia?"
"Vorrei dirti che ne sono lusingato, ma so che il tuo era un insulto
bello e buono."
Magnus scosse la testa, sorridendo. "Oh, no. Al contrario. Era un
complimento, Alexander."
"La smetti?"
Magnus piegò la testa, fissandolo a lungo, per poi
illuminarsi. "Non ti piace il tuo nome!" affermò, sorpreso,
intuendo i pensieri del moro. "Per Lilith, come fa a non piacerti Alexander? E' un
nome bellissimo!" esclamò, scandalizzato.
Alec arrossì. "No, non lo è. Quindi smettila."
tagliò corto, nervoso.
Non gli piaceva quel nome. Cioè forse, ma solo forse, un po'
gli piaceva come lo pronunciava Magnus, ma non era questo il punto.
Quel nome lo utilizzava sempre suo padre quando ancora non avevano il
rapporto che avevano ora, dandogli una cadenza autoritaria e
prepotente, quasi cattiva. Alec aveva finito con il non sopportare
più quelle nove lettere, perché erano il chiaro
emblema dell'insoddisfazione paterna. Era da una vita che nessuno lo
chiamava più così e, anche se rabbrividiva ogni
qual volta la voce roca e sensuale di Magnus lo pronunciava, preferiva
lasciarlo seppellito dov'era.
"Ok, come desideri." annuì Magnus, dopo un lungo momento,
alzando le mani in segno di resa. "Dove eravamo rimasti?"
domandò, battendosi un dito sul mento e fingendosi
pensieroso. "Oh, sì... Su, coraggio, tartufino pregiato, fai
un bel respiro e chiedimelo."
"Cosa?" chiese Alec, momentaneamente spaesato. "Esci?!"
Magnus roteò gli occhi, con un sorriso divertito. "L'altra
cosa, polpettina."
"Ma manco morto." esalò Alec, ricordandosi l'argomento.
Inspirò di nuovo a fondo, ingoiò il nodo che gli
serrava la gola e ordinò a se stesso di ritrovare il proprio
autocontrollo. Per l'angelo, si stava comportando come un idiota e non
andava affatto bene! Doveva tornare immediatamente nei panni del freddo
e distaccato Alec.
Purtroppo, però, era più facile a dirsi che a
farsi. Il suo corpo vibrava e si protendeva verso quello di Magnus come
se avesse una volontà propria, si sentiva le ginocchia molli
e gli girava la testa.
Se fosse stato un po' più lucido, gli avrebbe intimato di
nuovo e con più convinzione di andarsene, ma una vocina
fastidiosa nella sua mente continuava a ripetergli Perché no?.
Erano entrambi maggiorenni, l'attrazione a quanto sembrava era
reciproca (il che, per Alec, era una cosa assurda. Come diavolo faceva,
Magnus, a provare interesse per lui?) e avevano un disperato bisogno di
scaricare la tensione che si era accumulata fino a quel momento.
Era facile, sarebbe bastato ammettere che voleva andare a letto con lui
e Magnus avrebbe esaudito il suo desiderio. Doveva solo dire cosa
voleva. Doveva solo...
"No." ripeté, dopo un respiro profondo, alzando il mento con
orgoglio.
Magnus scosse la testa. "Perché ti fai questo, mio piccolo
bigné alla crema? Mh? Perché non segui
semplicemente il tuo istinto?"
"Oh, ma lo sto facendo." mentì spudoratamente Alec.
"Non mentire, Pinocchietto."
sorrise Magnus, piegando la testa, consapevole della verità,
come se riuscisse a leggergli la mente.
"Seguire l'istinto raramente porta a qualcosa di buono."
confidò Alec, serio.
Magnus lo guardò, perplesso. Al contrario del moro, lui
ascoltava sempre il suo istinto, agendo di conseguenza, e una delle
cose che più adorava della sua vita era l'aspetto fisico di
un incontro amoroso. Era un sentimento di cui non si era mai
vergognato, perché per lui il sesso era
un'attività salutare, liberatoria, gratificante. Se fatta
con un partner che ti metteva in subbuglio gli ormoni, poi, era
addirittura paradisiaca.
"L'ho fatto una volta." continuò Alec. "Ed è
stato un disastro." concluse, non volendo annoiare l'altro con gli
stupidi particolari della sua prima e ultima importante cotta.
"Non è detto che andrà male anche questa volta."
Alec squadrò Magnus dalla testa ai piedi, con occhio
critico. "Oh, ma dai! Io e te? Per favore."
"Perché no?"
"Perché siamo come il giorno e la notte, Magnus! Non
potrà mai esserci niente di serio tra..."
"Fiorellino,
chi ha mai parlato di una relazione seria?" chiese Magnus, alzando un
indice per bloccarlo. "E' solo sesso!" concluse con un'alzata di spalle
e un sorriso malandrino, avanzando pericolosamente verso di lui.
Lentamente, come una pantera pronta a balzare sulla sua preda, Alec lo
vide avvicinarsi e sentì la gola seccarsi, senza
più un briciolo di saliva. La ragione gli gridò a
pieni polmoni di andarsene, di scappare, perché, se l'altro
l'avesse anche solo sfiorato, tutti i suoi buoni propositi dichiarati
fino a quel momento sarebbero andati a farsi friggere.
"Guarda che ero serio." mormorò Magnus, a un passo da lui.
"R-riguardo a c-cosa?" balbettò Alec, alzando lo sguardo per
incontrare quello dell'altro e sentendo il corpo andare completamente a
fuoco.
"Che dovrai chiedermelo." rispose Magnus, con un sorriso divertito,
fissando voracemente le sue labbra.
"Non... io, non..." Alec si impose di inghiottire, prima di farsi
andare di traverso la saliva e morire soffocato.
"Sì, ok, forse non ora. Ma me lo chiederai."
mormorò Magnus, a un soffio dalle sue labbra, guardandolo
intensamente. "Oh, sì... prima o poi, me lo chiederai."
Alec fissò, ipnotizzato, gli occhi verde-oro dell'altro,
perdendocisi dentro. Nonostante fosse l'arroganza fatta persona, in
fondo al suo cuore sapeva che aveva ragione: se avesse continuato ad
averlo attorno, prima o dopo, avrebbe ceduto. D'altro canto, chi
avrebbe mai potuto resistere al fascino dirompente di uno come Magnus?
L'uomo fece un vistoso passo indietro, allontanandosi dal moro.
"Allora, lui chi era?" chiese inaspettatamente, con tono tranquillo e
colloquiale.
"C-cosa?" chiese Alec, sbattendo le palpebre più volte,
portandosi una mano al petto e tornando finalmente a respirare in modo
decente.
"Lui. Chi era?"
"Lui... lui chi?"
"Quello per cui hai seguito l'istinto ed è stato un
disastro." spiegò Magnus, con il tono di uno che la sapeva
lunga.
Alec scrollò le spalle. "Nulla di importante."
"Oh, andiamo, zuccherino, sì che lo è."
dichiarò Magnus, con convinzione, saltando sul letto e
incrociando le gambe. "Dai, racconta. Sono tutto orecchi." lo
incoraggiò, battendo una mano sul materasso per spronarlo a
sedersi accanto a lui.
Alec lo fissò con disapprovazione e si guardò
bene dall'andargli accanto. "No. Non sono affari che ti riguardano."
"Cipollina, sono sicuro che ti sentiresti meglio se sfogassi tutta
questa energia negativa che ti scorre dentro." gli consigliò
Magnus, gesticolando verso il suo corpo con il palmo aperto di una mano.
Alec lo fissò, infastidito. "Non ho alcuna energia negativa
che mi scorre dentro."
"Pinocchietto."
ripeté Magnus, ridacchiando.
"Smettila."
"Mai, mio dolce Ferrero
Rocher."
"Ok, facciamo un patto." dichiarò Alec, pizzicandosi la
radice del naso. "Te lo dico solo se la smetti con questi insulsi
nomignoli."
"Ok."
"Mani bene in vista, Bane. Niente dita incrociate!" ringhiò,
puntandogli l'indice contro.
Magnus rise di gusto e alzò le mani in segno di resa.
Alec sospirò, appoggiando la testa al muro. Nonostante il
tono di voce rassicurante di Magnus, non voleva rivangare il passato e
disseppellire quella storia che tanto l'aveva fatto soffrire. "Andrew
Underhill Quarto." mormorò, controvoglia. "Mi sono preso una
cotta per lui che non era corrisposta. Fine." tagliò corto.
"Dal nome deduco che sia il classico figlio di papà."
scherzò Magnus, con una smorfia buffa, piegando la testa.
Alec annuì. "Suo padre è un membro del
Congresso." spiegò, scrollando le spalle.
"E quando è successo?"
"Cosa?"
"Quando hai capito di essere innamorato di Andy?"
Alec accennò un sorriso storto. "Nessuno l'ha mai chiamato
così."
Magnus sorrise. "Davvero? Neanche durante il sesso non ti è
mai scappato un Ohhh,
sì, Andy! Sììì! Proprio
lì!" gridò, facendo ondeggiare
platealmente il bacino e toccandosi lascivamente il petto.
Alec arrossì di botto. "No! Io... non... no!"
ribatté, indignato. "Pervertito!"
Magnus rise. "Dai, continua."
Alec aggrottò la fronte. "Cosa dovrei raccontare ancora? Ti
ho già detto come è andata."
"Perché vi siete lasciati?"
Alec sbuffò. "Non ci siamo lasciati. Non siamo mai stati
neanche insieme. Non ufficialmente, almeno." replicò,
scrollandosi le spalle. "E, soprattutto, non sono affari che ti
riguardano." ripeté, stringendosi di più addosso
la coperta, come se l'imbottitura riuscisse nell'impresa di tenere
fuori la tristezza che, lo sapeva bene, era ancora lì,
sopita e nascosta in un angolino del suo cuore.
Magnus piegò la testa, guardandolo dolcemente. "Se non siete
mai stati insieme, come può averti sconvolto tanto?"
Alec si accigliò. "Non mi ha sconvolto, infatti."
mentì.
"Sai che se fossi davvero Pinocchio, a quest'ora il tuo naso sarebbe
arrivato come minimo alla porta d'ingresso?" scherzò Magnus.
"Non sono affari che ti riguardano." ripeté, per l'ennesima
volta, Alec.
"Ok, allora inizio io con le confidenze!" dichiarò Magnus,
con fare cospiratorio. Alec lo guardò, stranito e l'uomo gli
rivolse un sorriso soffice. "Sai, dieci anni fa mi sono perdutamente
innamorato di una donna e le ho chiesto di sposarmi."
confidò, sottovoce, come se stesse raccontando un segreto al
suo migliore amico.
Alec spalancò gli occhi. "Non è vero!"
Magnus rise apertamente. "Credici, dolcezza. Proposta, anello... il
pacchetto completo, insomma." rivelò, allegro. "Pensa, mi
sono inginocchiato sulla sabbia di una splendida spiaggietta delle
Maldive e, mentre il sole tramontava, le ho detto Camille, ti amo! Vuoi sposarmi?"
esclamò, mettendosi in una posa teatrale .
Alec trattenne il respiro. "Stai mentendo."
"Ti giuro che è vero."
"E lei? Lei che cosa ti ha risposto?"
"Di no, ovviamente." sorrise Magnus. "Vedi? Nessuna fede nuziale al
dito!" continuò, alzando la mano sinistra per mostrargliela.
Magnus scoprì, sorpreso, che raccontare quella storia ad
Alec non lo faceva più soffrire come un tempo. C'era voluto
un po', ma finalmente riusciva a ripensare a quel momento con
più leggerezza, senza sentire la morsa della delusione
attanagliargli il cuore. Quell'attimo cristallizzato nella memoria,
bellissimo e doloroso al tempo stesso, era ormai diventato solo un
altro tassello della sua vita che l'aveva reso quello che era
diventato. Nulla di più, nulla di meno.
"Allora ero ancora un Marine e lei non sapeva che farsene di un uomo
con un misero stipendio come il mio e di una vita piena di incertezze e
di tanti Spero di
tornare vivo dalla prossima missione!" spiegò,
scrollando le spalle. "Con il senno di poi, non posso darle torto. La
vita militare non è difficile solo per chi parte, ma anche
per chi resta. Non è affatto semplice essere costretti ad
affrontare la vita di tutti i giorni da soli, mentre il tuo compagno
è al fronte, ed essere costantemente in ansia e in attesa di
sue notizie." continuò, con sincerità.
"Così ci siamo lasciati e ognuno ha continuato per la sua
strada." concluse, sereno. "Ok, ora tocca a te."
Alec fissò Magnus, invidiandolo tantissimo... e sentendosi
un perfetto idiota. La sua storiella non era niente paragonata alla
relazione seria che aveva avuto Magnus. Come poteva stare
così male per una storia che credeva reale, ma che in
realtà, per lo più, si era sviluppata solo nella
sua testa, mentre l'uomo di fronte a lui riusciva a parlare della
rottura di una relazione vera
e propria come se niente fosse, addirittura scherzandoci
su?
Abbassò lo sguardo, pensieroso, e, dopo un lungo momento,
tornò a guardare Magnus, che sorrideva e aspettava
pazientemente il suo racconto. "Ci siamo conosciuti nove anni fa a una
delle numerose feste date a casa Lightwood." iniziò, in un
sussurro. "Nessuno sapeva di noi, a parte Izzy e Jace,
perché... beh, suo padre era al Congresso, il mio
già pensava a candidarsi al Senato e... sì,
insomma... sarebbe stato complicato rendere pubblico il nostro flirt,
ecco. Cioè, questo è quello che disse Andrew
e..." si bloccò, scrollando poi le spalle. "Comunque un
giorno gli ho chiesto di andare a vivere insieme. Come due semplici
amici, intendo, visto che non voleva..."
Magnus sbarrò gli occhi. "Oh.mio.Dio!"
Alec lo guardò, stranito. "Cosa... cosa c'è?"
"Gli hai chiesto di andare a convivere?!"
"Beh... sì." rispose Alec, incerto.
"Oh.mio.Dio!" esclamò nuovamente Magnus, scioccato,
portandosi una mano al petto in modo teatrale. "Per Lilith, eri
giovanissimo!"
"Avevo ventidue anni. Ci conoscevamo da due anni e..."
"Oh.mio.Dio!"
"Ma la smetti?" disse Alec, guardandolo male.
"Per tutti i diavoli! Tu volevi convivere a ventidue anni? Sul serio?"
chiese Magnus, sempre più strabiliato.
"Lo dici come se avessi commesso chissà quale crimine!"
brontolò Alec, indispettito.
"Santo cielo, Alec, a ventidue anni dovresti solo pensare a divertirti
e a scoparti ogni bel ragazzo che incontri! Non blindarti il pisello e
concederlo unicamente a un idiota che si nasconde agli occhi del mondo!
Andiamo!"
Alec accennò un sorriso. "Tu l'hai fatto." gli
ricordò.
"Avevo la tua età!" esclamò Magnus, infervorato,
sventolandogli l'indice contro. "E' diverso!"
"Se può consolarti, ho blindato il mio... beh... insomma...
l'ho fatto solo per due anni, ecco. Poi è finita."
"Sei improvvisamente rinsavito e hai capito che scoparti un solo uomo,
a quell'età, era uno spreco?" chiese Magnus, speranzoso,
unendo le mani in segno di preghiera.
Alec ridacchiò. "No."
"Oh." mormorò Magnus, scuotendo la testa e fingendosi
deluso. "E allora cosa è successo?"
Alec fece spallucce, abbassando lo sguardo. "Non volevamo le stesse
cose." mormorò, in un soffio. "Cioè, lui le
voleva, ma non... non con me. Preferiva... sì, insomma...
preferiva averle con una donna."
"Oh. Mi dispiace." disse Magnus. "Quindi volevi blindarti il pisello
per uno stronzo bisessuale?" scherzò, punzecchiandolo.
Il moro accennò un sorriso storto. "Non è
bisessuale." precisò.
Magnus inarcò un sopracciglio. "Ancora peggio, pasticcino!
Dio, davvero hai blindato il pisello per un gay represso che finge di
essere eterosessuale?"
Alec fece una smorfia contrita, al pensiero di quanto era stato stupido.
Ricordava benissimo il giorno in cui la sua storia con Andrew era
finita: erano andati, ufficialmente come amici, ad una festa dell'alta
società. Alec si stava annoiando da morire e tutto quello
che voleva fare era andare a casa. Il suo ragazzo "segreto",
però, sembrava sparito nel nulla, nonostante l'avesse
cercato ovunque. L'unico posto in cui non aveva ancora guardato era il
giardino.
"E l'hai trovato?" chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
Alec riaprì gli occhi e scoprì, con sorpresa, che
la presenza dell'altro in qualche modo riusciva a mitigare la delusione
di quello che era successo.
"Sì." rispose Alec, scrollando le spalle. "Era seduto sotto
un gazebo, che parlava con Lindsay Vanderbilt."
"Uhhh, anche lei deve essere un gran bel pezzo da novanta!"
commentò Magnus, sarcastico.
Alec fece un sorriso sghembo. "La sua famiglia è
"leggermente" ricca, sì."
Magnus scosse la testa, con una smorfia di disgusto, sventolando poi
una mano per farlo continuare.
"Quando mi sono avvicinato, Andrew si stava scusando con Lindsay per l'incresciosa
situazione in cui si trovavano, garantendo che mi frequentava solo
perché aveva pietà di me, ma che si sarebbero
sposati presto e avrebbero avuto tutti i figli che lei desiderava."
concluse, fingendo un'indifferenza che in realtà non sentiva.
Per Alec era stato un colpo al cuore sentire di essere solo un peso e
un fastidio per la persona che era convinto di amare. Tutte le frasi
carine, tutti i baci dati, tutti i momenti divertenti e speciali che
aveva vissuto con il suo "ragazzo" si erano sciolti come neve al sole,
lasciando solo un grande vuoto dentro di lui.
"E tu che cosa hai fatto?" chiese Magnus, arrabbiato, quando vide
l'espressione ferita del moro.
Alec scrollò le spalle. "Li ho raggiunti sotto il gazebo, mi
sono scusato con Andrew per tutto il disagio che gli avevo creato fino
a quel momento e gli ho detto che poteva ritenersi libero da qualsiasi
impegno pensava di avere con il sottoscritto."
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Tutto qui? Non hai fatto
nessuna scenata? Nessun calcio ben assestato negli zebedei? Niente?"
Alec fece spallucce. "No."
"Perché no?"
"Perché non sono un tipo manesco." spiegò Alec,
con tono ovvio.
"Scusaaa?" esclamò Magnus, stupito. "Ma se con il
sottoscritto non ti risparmi né calci né pugni!"
Alec gli rivolse un sorriso sadico. "Tu risvegli i miei istinti
omicidi."
"Ah! Quindi ammetti che sono un tipo speciale!" rispose Magnus,
ammiccando esageratamente.
Alec rise, grato che l'altro stesse facendo di tutto per tirargli su il
morale.
"Comunque, in tutta questa storia, chi ci ha guadagnato di
più, sei tu, no? Ti sei liberato di un emerito bastardo e
sei potuto tornare a folleggiare con tutti i bei bocconcini che ti
capitavano a tiro!" tentò di sdrammatizzare.
"Sì... è quello che mi ha detto anche Izzy."
mormorò Alec, divertito. "La prima parte, intendo."
"Davvero?" esclamò Magnus, fingendosi sorpreso. "Che strano!
Avrei giurato che la deliziosa Isabelle ti avesse suggerito la seconda
opzione." ridacchiò, facendogli l'occhiolino. "Quindi questo
significa, però, che non ti sei lanciato su ogni bel ragazzo
che incontravi?"
Alec roteò gli occhi, sorridendo. "Non tutti sono dei
maniaci sessuali come te, Magnus."
Magnus rise e gli fece la linguaccia. "Sai, ogni volta che pensi a lui,
dovresti ripeterti incessantemente che l'hai scampata davvero bella e
che ora puoi scoparti il mondo intero, anziché quel pisello
moscio." lo incoraggiò, compiaciuto.
Alec rise di nuovo e l'uomo si sentì davvero orgoglioso per
essere riuscito a strappargli ancora una volta quel suono tanto bello.
"Lo terrò presente."
"Il mio, invece..." continuò Magnus, alzandosi di slancio
dal letto. "...è tutt'altro che moscio, cioccolatino." gli
comunicò, baldanzoso. "Quindi, quando vorrai scoprire se sto
mentendo oppure no, sarò felice di dimostrarti che non ti ho
detto una bugia." esclamò, facendogli l'occhiolino e
sorridendo alla vista delle guance infuocate del ragazzo. "Ok...
sarà meglio che torni in camera mia." concluse, dandogli un
buffetto sul naso e avviandosi verso la porta. "Buonanotte, Alec."
"Notte." sorrise Alec. "Oh... e... Magnus?" lo chiamò,
quando era ormai sulla soglia.
"Sì?" chiese l'interpellato, girandosi.
"Grazie." mormorò il moro, con un sorriso storto.
"Di niente, biscottino." gli sorrise l'uomo.
"Avevi promesso!" gli ricordò Alec, guardandolo male.
Magnus rise. "In realtà non l'ho fatto! Ti ho detto solo
"Ok"." sviò, con un sorriso furbo, mentre l'altro gli
lanciava la solita occhiata truce. "E poi davvero, cucciolotto,
è più forte di me." spiegò, facendogli
la linguaccia e uscendo dalla camera, per poi tornare subito dopo sui
suoi passi.
"Che c'è?" chiese Alec, vedendoselo di nuovo davanti, mentre
stava per chiudere la porta.
"Sono notti e notti che mi tormento." sospirò Magnus, con un
sorriso giocoso. "Ti prego, fammi felice, e dimmi cosa c'è
sotto quel piumone. Un pigiama o il tuo bellissimo corpo tutto nudo?"
ammiccò, indicandogli con un cenno della testa la coperta
che il moro stava stringendo.
Gli occhi di Alec si illuminarono per la sorpresa, le guance si tinsero
di rosso e lui scoppiò a ridere di gusto. "Non te lo
dirò mai!" gli comunicò, avvolgendosi ancora
più strettamente nella trapunta.
"Ohhh, andiamo!" lo supplicò Magnus, unendo le mani davanti
al viso.
Il moro gli rivolse un sorriso gigantesco. "Buona notte, signor Bane."
lo salutò, chiudendo piano l'uscio.
"Sai che sei davvero crudele?!" urlò Magnus alla porta,
accigliato, piantandosi le mani sui fianchi.
La risata allegra che sentì dietro lo spesso pannello scuro,
però, gli impedì di rimanere imbronciato
più dello stretto necessario.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
La tensione sessuale,
nei giorni seguenti, non fece che crescere e, ovviamente, era tutta
colpa di Magnus.
Erano passati cinque giorni, ormai, da quando Alec e la sua guardia del
corpo avevano avuto quella conversazione separati solo dalla sua
trapunta e quell'uomo, tanto attraente quanto esasperante, aveva
iniziato a giocare sporco.
Con una finta innocenza che non gli apparteneva affatto, infatti, aveva
iniziato ad aggirarsi per casa, ogni volta che ne aveva la
possibilità, con solo un paio di mutande striminzite addosso
oppure faceva finta che gli cadessero degli oggetti di mano per
piegarsi in modo provocatorio in avanti, stando ben attento a sporgere
esageratamente il sedere.
Magnus non aveva più accennato al loro discorso,
né aveva tentato di approcciarlo in alcuna maniera, e di
questo Alec gliene era grato, ma il moro sentiva addosso il suo sguardo
magnetico dalla mattina alla sera e il suo profumo sembrava essere
diventato un tutt'uno con lui, avvolgendolo costantemente come una
seconda pelle.
In definitiva, stava lentamente impazzendo!
Ogni volta che ricordava ciò che era successo nella sua
camera, la parte irrazionale di Alec gli dava del gigantesco idiota per
non aver colto al volo ciò che Magnus aveva da offrirgli,
suggerendogli ogni due per tre di spalmarsi addosso alla sua guardia
del corpo ogni qual volta l'uomo gli si avvicinava. Ci pensava la sua
parte razionale, però, a rimetterlo in riga, rimproverandolo
di aver confidato un pensiero tanto intimo proprio a colui che gli
metteva in subbuglio gli ormoni e congratulandosi per aver fatto la
cosa giusta, non cedendo alla tentazione, sicura che, prima o poi, gli
sarebbe passata quella ridicola infatuazione.
Era una situazione assurda, confusa, eccitante e frustrante allo stesso
tempo.
A peggiorare ulteriormente le cose ci aveva pensato la furiosa lite che
avevano avuto quella mattina e che non aveva fatto altro che accrescere
l'elettricità che scorreva tra di loro.
"Per l'angelo, questo sì che è un
caffè come si deve. Altro che quella brodaglia che si
ostinano a rifilarci continuamente al commissariato!"
sospirò Jace, contento, allungando le gambe sopra al bordo
dell'angolo della scrivania di Alec. "Grazie, Magnus!"
esclamò, grato, voltandosi verso l'uomo che gli aveva
portato il caffè e alzando il bicchiere di cartone in segno
di ringraziamento.
"Figurati." rispose l'interpellato, sorridendo, mentre scorreva con il
pollice di una mano lo schermo del cellulare e reggeva il suo
cappuccino con l'altra, sorseggiandolo di tanto in tanto.
Alec spostò appena gli occhi dallo schermo del computer. "Se
non metti giù quei piedi, te li taglio." fulminò
il fratello, glaciale.
Jace svirgolò le sopracciglia, sorpreso. "Uhhh, qualcuno si
è svegliato nervosetto questa mattina, eh?"
domandò, tornando a poggiare prudentemente i piedi a terra.
"Ehi! Cosa gli hai fatto?" chiese a bassa voce a Magnus, rifilandogli
una leggera gomitata.
"Niente." rispose l'uomo, scrollando le spalle con
tranquillità, con gli occhi incollati al telefonino. "Non
ancora, almeno." mormorò dopo un attimo, con un sorriso
sibillino, alzando appena lo sguardo per fare l'occhiolino al moro.
"Perché non sei a lavoro?" sviò Alec,
infastidito, ignorando la sua guardia del corpo e ponendo fine a una
pericolosissima conversazione che quei due avrebbero potuto intavolare
su cosa intendesse o non intendesse dire Magnus con quell'ultima frase.
"Ma lo sono!" ribatté prontamente Jace, sorseggiando un
altro po' di caffè. "Ho raccolto le prove e, appena torno in
centrale, porto questo in laboratorio." continuò,
sventolando platealmente il secondo biglietto di Lydia, diligentemente
custodito in una busta di plastica. "Si può sapere
perché hai aspettato tutto questo tempo prima di
consegnarmelo?" lo rimproverò.
Magnus espirò rumorosamente dal naso e Alec roteò
gli occhi, evitando di alzare lo sguardo.
"Te l'ho già detto. Non volevo rovinarti la festa e poi...
beh, me ne sono dimenticato." mentì il moro, con tono
tranquillo e un'alzata di spalle.
"Sì, certo." lo schernì piano Magnus, mentre
pigiava velocemente sullo schermo del cellulare.
"Piantala." ringhiò Alec, secco.
Quel dannato biglietto che Lydia gli aveva fatto recapitare alla festa
di fidanzamento del fratello era il motivo per cui aveva bisticciato
ancora prima di fare colazione. Quando Magnus aveva scoperto che Alec
l'aveva nascosto, senza preoccuparsi di consegnarlo al poliziotto, era
andato su tutte le furie e l'aveva minacciato di punizioni memorabili
se non si fosse deciso a contattare Jace, per informarlo della mossa
della sua stalker.
Alec si ripeté, per la milionesima volta, che il brivido che
gli correva lungo la schiena, ogni volta che gli balenavano in mente le
parole di Magnus e ciò che avrebbe potuto fargli, era dovuto
esclusivamente al fatto che quell'uomo era davvero capace di
sculacciarlo davanti a tutti, come aveva giurato di fare, e farlo
vergognare da morire. Non c'entrava assolutamente niente quell'oscura
smania di essere punito, perché, sì, era stato un
bambino davvero, davvero cattivo.
"Novità sul primo messaggio?" chiese Magnus, voltandosi
verso il poliziotto.
Jace scosse la testa. "No, non abbiamo trovato niente di rilevante e,
come ti ho già detto, non risulta schedata." rispose,
imbronciato. "Sto ancora attendendo il file completo. Forse, scavando
un po' più a fondo, i miei colleghi riusciranno a scoprire
qualcosa anche se non risulta in nessuna banca dati. Ci
vorrà del tempo, però, perché in
questo periodo siamo tutti impegnati con il lavoro. Il crimine,
purtroppo, non va mai in vacanza!"
"E' davvero un peccato che non sia già schedata. Ci sarebbe
tornato utile." sospirò Magnus, sorseggiando la sua bevanda
calda, tornando poi al suo cellulare per leggere l'ultimo messaggio che
gli era arrivato.
"La prossima volta che incontro qualcuno, sarà mia premura
chiedergli vita, morte e miracoli della sua esistenza, va bene?"
abbaiò Alec, piccato.
Jace alzò un sopracciglio, sorpreso, e tornò a
guardare Magnus, che continuava a chattare sul suo cellulare,
imperturbabile. "Ok... Non serve che ti arrabbi!" rispose il biondo,
titubante. "Sul serio, cosa gli hai fatto?" sussurrò,
aggrottando la fronte e accostandosi all'uomo.
"Sono solo stanco, Jace." sviò Alec, stropicciandosi a lungo
gli occhi.
"E' comprensibile." annuì il fratello, conciliante. "La tua
stalker è una bella spina nel fianco. Quando sono arrivato
ho dato un'occhiata in giro, ma non ho visto nessuno che corrispondeva
alla sua descrizione. Si è più fatta vedere
ultimamente?"
Alec scosse la testa. "Forse si è stancata."
esclamò, speranzoso.
"Ne dubito. Persone come lei, difficilmente desistono tanto
facilmente." ribatté Jace, massaggiandosi il mento.
"Comunque non devi preoccuparti! Terrò sotto controllo
l'agenzia."
Alec annuì stancamente. "Grazie."
"Figurati." rispose il fratello, finendo il suo caffè. "Ok,
vado. Ti chiamo non appena so qualcosa di più." concluse,
alzandosi e salutando il moro e la sua guardia del corpo.
Il silenzio calò nella stanza e Alec lanciò
un'occhiata obliqua a Magnus, che, con le lunghe gambe accavallate,
continuava a starsene tranquillamente seduto sulla poltroncina davanti
a lui e a tenere gli occhi incollati al cellulare, ridacchiando
sommessamente di tanto in tanto quando leggeva i messaggi che gli
arrivavano. Probabilmente stava messaggiando con qualche spasimante.
Anzi, sicuramente lo stava facendo.
Alec iniziò a pigiare i tasti del computer con
più forza del dovuto, infastidito. Perché poi
fosse così irritato, solo il cielo lo sapeva. Per una volta
che quel logorroico rompiscatole non lo investiva con la sua
incontenibile parlantina, doveva fare i salti di gioia
anziché sentirsi tanto contrariato!
Il cellulare di Magnus vibrò nuovamente e il nuovo messaggio
lo fece ridere un po' più forte.
"Non hai niente da fare?" borbottò Alec, continuando a
pestare sui tasti del PC.
Un lento sorrise fece capolino sulle labbra carnose di Magnus. "Sai che
la frustrazione sessuale è deleteria per il fisico?" lo
informò tranquillamente, senza alzare lo sguardo.
"Va a quel paese."
"E aumenta l'aggressività." continuò l'uomo,
allegro, puntando finalmente gli occhi verde-oro in quelli blu del
moro. "Vuoi che ti aiuti a ridurre la pressione, cioccolatino?" gli
chiese, alzando un sopracciglio e ammiccando con fare cospiratorio.
"Quello che voglio è che tu esca da qui. Devo lavorare e il
continuo trillo del tuo telefonino mi disturba." rispose Alec, secco.
Magnus sorrise, scosse piano la testa e si alzò in piedi.
"Ai tuoi ordini, guanciotte dolci."
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Se non la smetti con questi
soprannomi, giuro sulla mia famiglia che ti faccio fisicamente del
male."
Magnus rise, per nulla colpito dalla minaccia, e poggiò i
palmi sulla scrivania del moro, protendendosi verso di lui con aria
divertita. "Che c'è, ciliegina? Fremi dalla voglia di avere
un incontro
corpo a corpo con il sottoscritto?" sussurrò, con voce roca,
leccandosi lentamente le labbra.
Alec inghiottì a vuoto. "Non sarai più
così baldanzoso quando ti avrò fatto un occhio
nero e strappato qualche ciocca di capelli."
"Sai, pasticcino, dovresti davvero fare qualcosa per il tuo
caratteraccio." gli suggerì Magnus, mettendosi di nuovo
diritto e facendogli l'occhiolino. "Ok, vado a fare la
pipì!" comunicò, lanciandogli un bacio volante e
uscendo dalla stanza.
"Sai, forse sarà una notizia incredibilmente sconcertante
per te, ma posso sopravvivere tranquillamente anche se non mi comunichi
tutti i tuoi spostamenti!" gli gridò dietro Alec,
continuando a massacrare i tasti del PC.
La risata allegra di Magnus gli arrivò distintamente alle
orecchie e il moro fece una smorfia esasperata. Per l'angelo,
quell'uomo l'avrebbe portato sull'orlo di una crisi di nervi, prima o
poi!
Aveva bisogno d'aria, di uscire un po'. Se fosse riuscito a svignarsela
prima che Magnus tornasse dal bagno, forse avrebbe potuto avere un
margine di vantaggio e fare quattro passi in libertà, come
faceva sempre prima che tutta quell'assurda storia iniziasse.
Senza pensarci oltre, si alzò velocemente dalla sua
postazione, afferrò il giubbotto e volò verso
l'entrata dell'agenzia, sussurrando a Clary, che aveva alzato uno
sguardo incuriosito su di lui, un frettoloso "Torno subito!"
Magnus si sarebbe sicuramente arrabbiato, avrebbe sbraitato e l'avrebbe
minacciato di morte, ma non gli importava. Ormai si era abituato alle
sue sfuriate! E poi aveva davvero bisogno di stare da solo per qualche
minuto. Che male avrebbe potuto fare una passeggiata?
Si mosse a passo spedito, seguendo il flusso delle persone che
camminavano sul marciapiede trafficato, poi, mano a mano che si
allontanava dall'agenzia, diminuì l'andatura, inspirando ed
espirando profondamente.
Dopo una manciata di minuti, si permise di sorridere, compiaciuto. Ce
l'aveva fatta! Dopo due tentativi falliti, era finalmente riuscito a
sfuggire alle grinfie della sua guardia del corpo! Gli sarebbe tanto
piaciuto alzare le braccia, in segno di vittoria, ma l'avrebbero di
sicuro preso per pazzo, quindi si limitò a sghignazzare come
un idiota.
Camminò, guardandosi attorno, del tutto disabituato a essere
di nuovo solo, con i suoi pensieri. Per l'angelo, aveva dimenticato
quanto fossero belle le sue passeggiate solitarie senza avere
costantemente la voce di Magnus che gli trapanava le orecchie.
Una volta tornato in agenzia, doveva assolutamente prendere da parte la
sua guardia del corpo e mettere dei paletti: volente e nolente,
quell'uomo doveva capire che doveva lasciargli i suoi spazi, farlo
respirare. Cielo, lo trattava sempre come un bambino! Era decisamente
ora di finirla.
Scontrò distrattamente la spalla contro un altro passante,
un bel ragazzo dalla pelle olivastra che gli chiese subito scusa. Alec
gli sorrise, si scusò a sua volta e continuò a
osservare, assorto, le varie vetrine che si trovavano lungo il
marciapiede.
Si fermò davanti a una libreria: da quanto non leggeva un
buon libro? Da quando era arrivato Magnus, aveva iniziato e messo via
un numero imprecisato di romanzi, senza mai concluderne uno. Decise
quindi di entrare e riprendersi quel suo passatempo, così a
lungo trascurato.
Passò in rassegna i vari volumi esposti, toccò
con le dita le copertine lucide che profumavano di nuovo,
sfogliò pagine di romanzi più o meno
pubblicizzati, indeciso su quale libro comprare. Soppesò due
tomi voluminosi, scuotendo poi la testa e decidendo che non facevano al
caso suo.
Nel momento in cui posò entrambi, colse, con la coda
dell'occhio, un movimento insolito. Qualcuno si era repentinamente
nascosto dietro uno dei numerosi scaffali presenti nella libreria non
appena il suo volto si era girato verso la sua direzione.
Alec aggrottò la fronte, poi scosse con noncuranza le spalle
e tornò, tranquillo, a girare per il negozio. Si stava di
certo facendo influenzare troppo da Magnus e dalla sua mania di vedere
pericoli ovunque si girasse.
Sorpassò, a passo lento, un espositore, poi un altro ancora,
ma quella stranissima sensazione di essere seguito non si decideva ad
abbandonarlo.
Si fermò davanti a un altro scaffale e nel suo campo visivo
comparve nuovamente la figura indistinta di uno sconosciuto che
sembrava osservarlo da lontano. Non appena, però,
girò il volto verso quella direzione, trovò il
nulla e si diede quindi una manata sulla fronte, dandosi un'altra volta
dello stupido.
Dio, stava davvero diventando paranoico! E, come sempre, era colpa di
Magnus! Per l'angelo, prima del suo arrivo, non era affatto
così! Era un ragazzo normalissimo, che faceva cose
normalissime. Ora si guardava costantemente attorno e si agitava per
cose che esistevano solo nella sua testa. Stava impazzendo, non c'era
altra spiegazione!
Scelse un libro e, dopo aver girovagato un altro po' per il negozio,
oltrepassò un ragazzo, dai lineamenti vagamente familiari,
che stava studiando attentamente il retro copertina di un romanzo. Una
manciata di secondi dopo sentì uno spostamento d'aria dietro
di lui.
Si voltò di scatto e sbarrò gli occhi: Magnus
aveva agguantato lo sconosciuto, che lui aveva appena superato, per un
braccio e gliel'aveva piegato dietro la schiena, mentre un grido
femminile riecheggiava poco distante da loro. Il moro fece appena in
tempo a vedere svolazzare via dei capelli biondi, tenuti ordinatamente
raccolti in una sbarazzina coda di cavallo, prima di sentire lo
sconosciuto imprecare con veemenza. La sua guardia del corpo l'aveva
spinto, infatti, verso un espositore e lo stava schiacciando con il
proprio corpo contro il legno duro.
Fu allora che Alec lo riconobbe. La persona che Magnus aveva appena
bloccato era il ragazzo con cui si era scontrato sul marciapiede
affollato neanche dieci minuti prima.
"Magnus..." mormorò Alec, incredulo.
"Taci." abbaiò la sua guardia del corpo, afferrando ancora
più saldamente il malcapitato che si stava dimenando,
appoggiandosi con tutto il suo peso contro di lui. Lanciò
un'occhiata di fuoco verso la porta del negozio, ormai vuota, e
tornò a guardare in cagnesco la sua preda, che tentava in
tutti i modi di sfuggirgli.
"Magnus..."
"Ti ho detto di stare zitto." sibilò Magnus, furente, mentre
sfilava il portafoglio dello sconosciuto e lo lanciava a un Alec sempre
più allibito. "Prendi la sua patente e fai una fotocopia."
ordinò, perentorio.
Alec sbatté le palpebre un paio di volte, attonito e
incapace di muoversi. "Magnus..." sussurrò nuovamente, come
se quel nome fosse l'unica cosa che riuscisse a tenerlo ancorato alla
realtà in quella scena surreale.
Magnus lo ignorò, avvicinando la bocca all'orecchio del
ragazzo che continuava a dimenarsi. "Il tuo nome." intimò,
minaccioso.
"Lasciami andare, figlio di..."
"Il.tuo.nome." ringhiò Magnus, scandendo le parole e
stringendo il braccio in una presa ferrea.
L'altro non rispose, limitandosi a guardare intensamente Alec, che se
ne stava lì, impalato, a fissare la scena a occhi aperti,
con i piedi che si rifiutavano di muoversi, neanche avessero messo
delle radici.
Magnus notò la direzione di quello sguardo e
voltò violentemente verso di sé il ragazzo. "Stai
lontano da lui, dalla sua casa e dalla sua agenzia."
comandò, arrabbiato. "Giuro che se ti rivedo di nuovo, ti
uccido. Sono stato chiaro?"
Lo sconosciuto continuava a non rispondere, mentre i suoi occhi neri
rimanevano incollati alla figura di Alec.
Magnus sbuffò adirato e afferrò per la gola il
ragazzo, certo che, ora, avrebbe finalmente attirato la sua attenzione.
"Sono.stato.chiaro?" scandì di nuovo, ferocemente.
Il ragazzo spostò finalmente lo sguardo e fissò
Magnus con aperto odio. La guardia del corpo strinse più
forte finché Alec non gli arpionò il braccio,
strattonandolo.
"Magnus!" implorò il moro, quando vide lo sconosciuto gemere
e diventare paonazzo. "Magnus, fermati!" lo supplicò. Quando
però vide l'altro ignorarlo, Alec gli strattonò
il braccio con più fermezza. "Magnus, ti prego! Lo
ucciderai!"
Magnus inspirò profondamente, chiudendo gli occhi e
rilasciando un pesante sospiro, poi, dopo un lungo e interminabile
momento, lasciò con deliberata lentezza il collo dello
sconosciuto, che si piegò su se stesso e iniziò a
tossire convulsamente.
"Chiama Jace." ordinò Magnus, voltandosi appena verso Alec e
prendendogli il portafoglio dalle mani. "Digli che ho preso uno dei
tuoi stalker."
"Ma non ha senso!" ripeté Alec, per la milionesima volta,
rannicchiato sul suo divano, con le gambe strette al petto. "Magnus..."
lo chiamò, titubante.
Magnus strinse maggiormente la presa sui manici della pentola e lo
ignorò, guardando fisso il riso che stava scolando.
Era arrabbiato. Dio, se era arrabbiato. Non era mai stato
così arrabbiato in vita sua. Mai.
Quando aveva scoperto l'ennesima fuga del moro, un'ondata di panico gli
si era insinuata sotto la pelle. Aveva sempre avuto una grande
capacità di controllo e più la situazione era
difficile, più in Magnus scendeva una calma glaciale che gli
permetteva di valutare le possibilità rimaste e trovare una
soluzione al problema. In quel momento, però, aveva
completamente perso quell'abilità, invaso com'era da una
paura latente.
Poi era subentrata la furia, che l'aveva spronato ad agire. Quel
piccolo furbetto pensava di averla fatta franca, di averlo seminato,
del tutto ignaro che, invece, Magnus aveva installato un'applicazione
sul suo cellulare per poterlo localizzare in ogni momento. Non era
corretto, lo sapeva bene, ma aveva dovuto prendere provvedimenti
già dopo il suo primo tentativo di allontanarsi da lui...
quello o farsi installare un catetere e girare perennemente con sacca e
tubo di plastica per non lasciare solo il moro neanche per un secondo!
Aveva infilato in fretta e furia la pistola nella fondina sotto il
giaccone pesante e, spinto dall'apprensione, si era fiondato fuori
dall'ufficio sulle tracce di Alec. Quell'idiota non se ne rendeva
conto, ma senza la sua protezione, poteva succedergli di tutto.
Mentre correva nella direzione indicata dal segnale che lampeggiava
sullo schermo del suo cellulare, che rivelava la posizione del moro, la
tensione l'aveva afferrato in una morsa, spingendolo a chiedersi se la
persona che lo perseguitava fosse già accanto a lui o se
stesse studiando la prossima mossa, pronto a balzare su Alec da un
momento all'altro e fargli qualsiasi cosa la sua mente malata fosse in
grado di partorire, senza che lui potesse intervenire.
Lanciò un'occhiata obliqua al ragazzo, che, bianco come un
cencio, stringeva le mani attorno alle ginocchia. Gli occhi, resi
ancora più grandi a causa di tutta l'agitazione che gli
scorreva in corpo, lo fissavano pieni di aspettativa e di attesa.
Si girò per continuare a preparare la loro cena, sentendo,
nel frattempo, la rabbia evaporare lentamente. Per quanto ci provasse,
quando lo guardava così, con quegli occhioni da cucciolo
abbandonato, non riusciva a tenergli il muso troppo a lungo.
Diede un'ultima mescolata alla salsa sambal, si
assicurò di spegnere gli altri fuochi per non rischiare di
bruciare la sua ricetta e si mosse dalla sua posizione, andando a
sedersi accanto a lui con l'ennesimo sospiro. Un giorno o l'altro
Alexander Gideon Lightwood sarebbe stato la sua rovina, ne era certo.
Prima o poi quel dannato ragazzino dagli straordinari occhi blu e la
testa dura come la roccia gli avrebbe fatto venire i capelli bianchi o,
peggio ancora, glieli avrebbe fatti cadere tutti. O, ipotesi molto
più probabile, gli avrebbe fatto venire un infarto!
Sì, un micidiale colpo al suo già provato
miocardio e tanti saluti al magnifico e splendido Magnus Bane!
Lo attirò a sé e appoggiò il mento
sulla sua testa. "Stai bene?" gli chiese dolcemente, accarezzandogli
piano la schiena.
"Sì." rispose Alec, in un sussurro. "Pensavo che l'avresti
ucciso." mormorò, con una leggere nota di accusa.
Magnus roteò gli occhi. "Sì, ci sono andato
vicino." ammise, senza il minimo rimorso.
In effetti, avrebbe tanto voluto farlo. Ripensandoci, l'uomo si
stupì nel ricordare l'ondata di rabbia che l'aveva pervaso
quando aveva raggiunto Alec e aveva visto Lydia e quel ragazzo dalla
pelle olivastra, che rispondeva al nome di Raj, pedinare e spiare le
mosse del moro all'interno della libreria. Il pensiero di Alec in
pericolo lo aveva fatto andare fuori di testa, soprattutto
perché lui non era lì a proteggerlo, nonostante
fosse il suo compito. Non aveva mai provato un sentimento del genere,
così feroce e destabilizzante.
"Mi dispiace di averti spaventato." si scusò l'uomo. "Ma ho
pensato che se fossi riuscito a terrorizzarlo abbastanza da farsela
sotto ti avrebbe lasciato in pace."
Alec alzò appena la testa e lo guardò. "Non mi
hai spaventato." replicò, spavaldo.
Era una bugia, ma non era necessario che l'altro lo sapesse. Fino a
quel momento aveva considerato le abilità di Magnus come un
qualcosa di astratto, di impalpabile. Solo quando aveva scorto la furia
omicida negli occhi verde-oro della sua guardia del corpo, aveva
finalmente realizzato di cosa era capace di fare l'ex Marine,
ricordando distintamente la conversazione avuta settimane prima, quando
gli aveva comunicato, senza battere ciglio, che, a differenza sua, lui
era capacissimo di togliere la vita a qualcuno.
"Mi fa piacere." sorrise Magnus, dandogli un buffetto sul naso,
fingendo di credere alla piccola frottola dell'altro.
Alec scostò la mano, con una smorfia. "E non credo che abbia
funzionato." continuò, scuotendo piano la testa.
"No, non lo credo neanche io." sospirò Magnus, infastidito.
Non l'aveva mai detto ad Alec, per non impensierirlo ancora di
più, ma aveva notato quel ragazzo gironzolare fuori
dall'agenzia di viaggi fin dal suo primo giorno di lavoro. Il moro
aveva sempre pensato che ci fosse una sola persona a spiare le sue
mosse, a perseguitarlo. In realtà gli stalker erano due e, a
differenza di Lydia che era più furba e si faceva vedere
raramente, quel tizio era molto più sfacciato e non si
faceva alcuna remora a essere ovunque ci fosse anche Alec.
Magnus se l'era ritrovato davanti perfino alla festa di fidanzamento di
Clary e Jace, dove lavorava come cameriere, e ricordava bene gli
sguardi che quel Raj aveva lanciato a un ignaro e bellissimo Alec, che
si muoveva, elegante ed etereo, per la sala durante il party, e i suoi
tentativi di flirtare con lui (se così si potevano
descrivere quegli approcci patetici e infruttuosi), servendolo sempre
per primo e riservando al moro dagli occhi blu gli stuzzichini
migliori. Quando Maia aveva consegnato il secondo biglietto di Lydia ad
Alec, Magnus aveva guardato in giro per la sala non solo per vedere se
scovava una donna dai capelli biondi, ma per verificare dove si era
cacciato il ragazzo dalla pelle olivastra che, ovviamente, era sparito.
Scosse la testa per scacciare il pensiero di quel fastidioso seccatore
e si alzò dal divano. "Hai fame?" chiese, quando
sentì lo stomaco dell'altro brontolare. Alec fece spallucce
e Magnus sorrise, afferrandolo poi per le mani e tirandolo su. "Dai,
vieni ad aiutarmi." gli disse, conducendolo verso i fornelli, nel
tentativo di distrarlo da quanto successo quel pomeriggio.
Alec prese una ciotola per versarci dentro l'insalata fresca, mentre
Magnus riprendeva il comando della sua postazione.
"Cosa cucini di buono?" chiese il moro, annusando l'aria pervasa da un
delizioso profumo.
"Nasi goren.
E' un piatto indonesiano." spiegò Magnus, tagliando gli
ingredienti con fare esperto e iniziando a farli saltare nel wok.
"Dove hai imparato a cucinare?" chiese Alec, curioso, tagliando a fette
il pomodoro da aggiungere all'insalata. "I soldati hanno tempo da
dedicare alla cucina?"
"Fin da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato ad arrangiarmi, nel
caso ne avessi avuto bisogno." gli confidò Magnus,
mescolando il cibo all'interno del tegame. "Quando ho lasciato la
Marina, ho anche frequentato un corso di cucina."
"Davvero?"
Magnus annuì, sorridendo. "Certo, tesoro! Saper cucinare
bene è una dote che torna molto utile, soprattutto quando
vuoi fare colpo e conquistare qualcuno." dichiarò,
aggiungendo il riso bollito e facendogli l'occhiolino.
Alec gli fece un sorriso storto. "Mi stai dicendo che stai tentando di
fare colpo su di me?" chiese, compiaciuto, con le guance leggermente
arrossate.
Magnus rise, spegnendo il fuoco sotto il tegame. "Forse." ammise,
allungando una mano per prendere un paio di piatti. Riempì
abbondantemente quello di Alec, servendosi poi a sua volta, e
posò tutto sul tavolo. "Buon appetito, fagiolino."
"Sai..." iniziò Alec, con la bocca piena, dopo aver
trangugiato con entusiasmo due forchettate di cibo. "...potrei
seriamente prendere in considerazione l'idea che tu, in fondo, in
fondo, non sia una dannata spina nel fianco, se la piantassi con questi
nomignoli."
Magnus rise e scosse la testa. "Niente da fare, frittatina."
Alec si imbronciò. "Avevi promesso." gli ricordò,
con tono accusatorio.
"Non l'ho mai fatto." ribatté prontamente l'altro, con un
enorme sorriso.
"Sì, invece!" replicò indignato il moro, facendo
ridere la sua guardia del corpo.
"Ahn-ahn!" rispose Magnus, scuotendo l'indice. "Ti ho solo detto ok."
dichiarò, con aria furba.
Alec gli fece una pernacchia rumorosa, poi scrollò le spalle
e riprese a mangiare con gusto, mentre Magnus lo faceva ridere
raccontandogli alcuni aneddoti sul suo corso di cucina che aveva
seguito, degli impacciati esordi e sull'esito disastroso di una cena
che aveva preparato per una sua ex, quando, per fare il dolce, aveva
utilizzato il sale al posto dello zucchero.
"Anche Izzy lo fa spesso." confessò Alec, asciugandosi una
lacrima.
"Davvero?"
"E' negata!" confermò Alec, scuotendo affettuosamente la
testa. "Una volta ha messo a scaldare una pizza surgelata sulla griglia
del forno, senza posarla su un piatto, e la base e il condimento sono
colati sul fondo! Un'altra ancora ha bruciato la pasta, facendola
attaccare alla pentola!" gli raccontò, con trasporto. "E
lasciamo perdere le volte in cui ha distrutto il forno a microonde!"
"Tu, invece, ho visto che sai cucinare."
Alec annuì. "Con il lavoro di mio padre, i miei genitori
erano a casa raramente, così io mi occupavo dei miei
fratelli o aiutavo i domestici nei lavori di casa."
Magnus sorrise teneramente all'idea di un piccolo Alec calato nel ruolo
del responsabile fratello maggiore e fu felice di vederlo mangiare
voracemente e raccontare allegramente i suoi di aneddoti, ben sapendo
che, presto, quel sorriso sarebbe sparito dopo quello che doveva ancora
raccontargli su quanto aveva scoperto Jace. Detestava l'idea di
spegnere l'aria distesa e serena che aveva in quel momento, ma sapeva
che non sarebbe servito a niente procrastinare la discussione.
"Ho dato a tuo fratello il numero di patente di quel Raj."
iniziò, alzandosi da tavola e cominciando a sparecchiare.
"E...?" chiese Alec, vedendo che l'uomo continuava a trafficare con i
piatti, senza guardarlo.
Magnus si bloccò e fece un respiro profondo, prima di
parlare di nuovo. "E' stato arrestato due anni fa per aver picchiato il
suo ex fidanzato. Lui lo aveva lasciato e, da allora, il tuo stalker ha
iniziato a molestarlo." lo informò, caricando la
lavastoviglie.
Alec spalancò gli occhi, alla notizia. "Lo molestava?"
"Lo seguiva ovunque andasse, lo tempestava di lettere e telefonate a
tutte le ore, andava di notte a casa sua a urlare sotto la sua finestra
oscenità e insulti."
"Per l'angelo..."
"Dal rapporto che mi ha inviato Jace, sembra che Raj sia un tizio molto
possessivo e anche violento. Ha fatto a pugni con un uomo che aveva
"osato" parlare con il suo ex e ha minacciato anche i colleghi di
lavoro di quest'ultimo." rivelò Magnus, tetro, mentre
strofinava con energia il wok con una spugna. "Avrebbe dovuto vedere
uno psicanalista, come parte dell'accordo per gli arresti domiciliari,
ma non so se, alla fine, ci sia andato. Jace mi ha scritto che
verificherà anche questo."
"Quando..." iniziò Alec, ingoiando un nodo di saliva.
"...quando è stato denunciato, ha smesso di tormentare il
suo ex?"
Magnus si bloccò, girandosi poi per guardarlo. "Il suo ex se
ne è andato di casa e non è più
tornato. Non si sa dove sia, ora."
Alec sentì il cuore balzargli nel petto. Che gli fosse
successo qualcosa, a causa di Raj? E se anche la sua situazione si
fosse fatta così critica, come gli aveva sempre detto
Magnus? E se quel Raj si fosse fissato con lui come aveva fatto con il
suo ex? Cosa avrebbe fatto? E Lydia? Che rapporti aveva con quel
ragazzo, spuntato all'improvviso sulla scena?
"Non devi preoccuparti." lo rassicurò Magnus, quasi fosse
capace di leggergli la mente.
Alec alzò lo sguardo e incrociò quello della sua
guardia del corpo.
"Ci penso io a proteggerti." affermò l'uomo, deciso. "Non
permetterò mai a nessuno di farti del male, Kallìpygos."
concluse, facendogli l'occhiolino.
L'espressione sul viso di Alec, da preoccupata, si trasformò
in un'occhiata da serial killer. "Se ti pago, la smetti?"
Magnus gli rivolse un sorriso abbacinante. "Mai. Neanche per tutto
l'oro del mondo, mio dolce tartufino pregiato."
Il campanello suonò proprio nell'attimo in cui Alec
rivolgeva un indispettito dito medio a Magnus, che rideva allegramente.
"Stai aspettando qualcuno?" chiese la guardia del corpo, aggrottando la
fronte.
Alec scosse la testa, seguendo l'uomo che si stava dirigendo verso la
porta. Quando vide suo fratello Jace e la sua collega, Aline Penhallow,
fermi sulla soglia, in divisa ufficiale, e, soprattutto,
notò la loro espressione, intuì che qualcosa non
andava.
"Jace?!" esclamò il moro, sorpreso.
"Ciao ragazzi."
"Come mai sei qui?"
Jace non rispose, guardando Magnus, che accennò un sorriso.
"Credo siano qui per me, tesoro." lo informò la guardia del
corpo, rispondendo al posto del biondo poliziotto. "Giusto?"
domandò, piegando la testa.
Jace annuì. "Magnus devi venire con noi in centrale."
"Cosa?" si intromise Alec, sorpreso. "Perché?" chiese,
mettendosi davanti all'uomo, quasi avesse voluto proteggerlo.
"C'è un avviso di garanzia a suo carico."
"Un avviso di garanzia?" chiese Alec, sempre più scioccato.
"Ma... per cosa?"
"Aggressione."
"Aggressione?" domandò Alec, allibito. "Aggressione verso
chi?"
"Raj." intuì Magnus, conciso.
Alec fissò prima l'uomo poi suo fratello, con gli occhi
spalancati. "Raj? Ma... è lui il molestatore, per l'angelo!
Come può denunciarti?!"
Magnus scrollò le spalle e gli rivolse un sorriso
rassicurante. "Non preoccuparti, dolcezza. Sistemerò la
faccenda in breve tempo e poi ternerò subito da te."
affermò, voltandosi verso gli agenti di polizia. "Mi date
due minuti che gli spiego come funziona il sistema d'allarme?"
Jace annuì, entrando in casa e facendo segno alla collega di
seguirlo. "Vieni, Ally. Andiamo a berci una buona tazza di
caffè intanto."
"Ma..." mormorò Alec, guardando prima i due poliziotti
recarsi verso la sua cucina e poi la sua guardia del corpo, che si
stava allontanando da lui. "Ehi! Magnus!" lo chiamò,
seguendo l'uomo che si stava dirigendo verso la camera da letto del
moro, puntando a un pannello posto accanto alla porta.
"Ascoltami bene, passerotto." iniziò Magnus, serio,
spiegandogli poi la procedura per inserire e disinserire l'antifurto,
compito che, fino a quel momento, aveva sempre svolto lui. "Ti prego
non uscire per niente al mondo, ma, se proprio decidi di farlo e,
mentre rincasi, qualcuno ti spunta all'improvviso alle spalle,
costringendoti a entrare con forza in casa, fingi di aver dimenticato
il codice e lascia scattare l'allarme, va bene?" si
assicurò. "Quando verrai contattato dal servizio di
sicurezza, comunica loro il codice e aggiungi una P alla fine del
numero."
"Una P?"
"Per pericolo."
spiegò Magnus. "In questo modo, sapranno che c'è
qualcosa che non va e avviseranno subito la polizia. Ok?"
Alec annuì, poi incatenò gli occhi ai suoi.
"Vengo con te." asserì, deciso.
Magnus sorrise. "Orsacchiotto, sai che adoro averti appiccicato a me in
ogni momento della giornata, ma non credo sia il caso."
replicò dolcemente, posandogli una mano sulla guancia e
accarezzandogliela con il pollice. "Quando sarò uscito
inserisci l'allarme, va bene? Se dovessi averne bisogno, c'è
una pistola sotto il mio cuscino."
Alec spalancò gli occhi, sbalordito. "Una pistola?"
"Usala solo se dovessi averne bisogno, ok?" ripeté Magnus,
stringendogli una spalla. "Non voglio che tu ti ferisca sparandoti a un
piede per sbaglio!" scherzò.
Alec annuì, mentre Jace e la collega si avvicinavano
nuovamente a loro. "Andiamo, Magnus?"
L'uomo annuì, voltandosi poi verso il moro. "Ci vediamo
più tardi, tortino di mele." lo salutò,
protendendosi per posargli un bacio leggero sulla fronte. "Fai il
bravo, ok?" sussurrò dolcemente. "E non dare alcuna festa
scatenata in mia assenza, intesi?"
Alec non poté fare altro che annuire, come un automa, le
braccia inermi lungo i fianchi.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Vedere Magnus uscire di
casa, scortato dalla polizia, fu un colpo duro per Alec.
Non avrebbe mai immaginato che, un giorno, quell'insopportabile,
logorroico, impertinente gli avrebbe fatto fremere il cuore per la
preoccupazione, eppure era successo.
Non era passata neanche mezz'ora da quando il trio aveva lasciato il
suo appartamento che il telefono di casa aveva iniziato a squillare.
"Pronto?" chiese, nella speranza che fosse quell'idiota della sua
guardia del corpo che lo rassicurava che era tutto risolto.
"Ah! Bane ti lascia rispondere nonostante tu sia a casa tutto solo
soletto?" esclamò, con tono di scherno, una voce femminile.
Alec si accigliò leggermente. "Chi..." iniziò a
chiedere, per poi bloccarsi, colto da un'improvvisa illuminazione.
"Lydia?" domandò, sorpreso.
"Proprio io, amore." tubò la ragazza.
Alec sentì il sangue ribollirgli nelle vene al pensiero di
ciò che quella donna, in combutta con Raj, aveva fatto a
Magnus. "Che cosa vuoi?" chiese, tagliente.
"Voglio che tu stia lontano da lui. Tu sei mio. Solo mio."
sibilò Lydia. "Digli di togliersi dai piedi. Sono stata
chiara?"
Alec pigiò con decisione sul tasto che chiudeva la
comunicazione, furioso, ma non fece in tempo a poggiare la cornetta sul
tavolino in ingresso che il telefono riprese a suonare. Indeciso se
rispondere o meno, alla fine accettò la chiamata
perché c'era sempre la possibilità che fosse
Magnus che lo informava che aveva sistemato tutto e che stava tornando
a casa.
"Pronto?" domandò, secco.
"Amore, è inutile che mi sbatti il telefono in faccia. Lo so
che ti eccita tutta questa situazione." mormorò, civettuola,
la voce di Lydia. "E so che odi avere intorno quel pazzo psicopatico!
Dio, lo spettacolo di oggi è stato davvero patetico, non sei
d'accordo? Chi crede di essere? Frank
Farmer?" rise, sprezzante.
"Non osare prenderti gioco di lui!" ringhiò Alec, protettivo.
Lydia rise, divertita, mentre Alec stringeva la cornetta, sempre
più arrabbiato. Ok, forse lui e Magnus avevano iniziato con
il piede sbagliato e il più delle volte (cioè
praticamente ogni giorno) lo faceva andare fuori di testa con il suo
comportamento, ma nessuno doveva arrogarsi il diritto di insultare la
sua guardia del corpo, men che meno una pazza squilibrata che si era
invaghita di lui. Solo ad Alec spettava questo privilegio. Se l'era
guadagnato sul campo, per l'angelo! Soprattutto perché
Magnus l'aveva costretto a guardare quel dannato film, passando il
tempo a vantarsi che lui era molto meglio di Kevin Costner e ad
asserire, con convinzione, che Alec era la sua Rachel Marron,
nonostante fosse stonato come una campana.
"Comunque, amore, volevo anche dirti di iniziare a cercare il tuo
vestito nuziale. Tra non molto ti comunicherò la data del
nostro matrimonio. Sarà favoloso, vedrai!"
"Perché io?" gridò Alec, esasperato. Quella
ragazza era pazza, non c'era altra spiegazione! Era davvero convinta
che l'avrebbe sposata? "Non mi conosci nemmeno e non voglio avere
niente a che fare con te!"
"Oh, amore... perché ti ho voluto dal primo momento in cui
ti ho visto." sussurrò Lydia, estasiata, prima di
riagganciare con una risata argentina.
Il telefono tornò a suonare nuovamente dopo pochi minuti, ma
Alec si rifiutò di rispondere e lasciò scattare
la segreteria telefonica, spegnendo anche il telefonino nel caso in cui
quella squinternata avesse trovato il suo numero e iniziasse a
chiamarlo anche lì.
A un certo punto aveva staccato anche il telefono di casa e, dopo
un'ora, il campanello iniziò a suonare insistentemente. Il
cuore di Alec cominciò a battere come un forsennato, mentre
si accostava, titubante, allo spioncino: che Lydia avesse deciso di
venire personalmente da lui, visto che non rispondeva più
alle sue chiamate?
Sorpreso, aprì subito dopo la porta a due agenti speciali
della Marina che conosceva bene: Ragnor Fell e Raphael Santiago.
"Niño!
Dannazione, perché non rispondi al telefono?"
brontolò Raphael, scuotendo la testa con disapprovazione. "Sniper è
fuori di sé dalla preoccupazione!"
"Raphael! Ragnor!" esclamò Alec, stupito. "Cosa ci fate qui?"
"Ciao, Alec." lo salutò Ragnor, con un sorriso gentile.
"Scusaci per il disturbo, ma Magnus ci ha chiamati e..."
"Vi ha chiamati?" lo interruppe il moro, sbalordito.
Ragnor annuì. "Non rispondevi al telefono e ci ha chiamati."
ripeté.
"Perché avrebbe dovuto chiamarvi?" chiese Alec,
accigliandosi. "Ohhh, no! No!" ringhiò subito dopo,
piantandosi le mani sui fianchi, indispettito. "Per l'angelo, la dovete
smettere di trattarmi tutti come un bambino! Sono capacissimo di
restare da solo! Non ho bisogno di altri babysitter!"
Raphael roteò gli occhi. "Gliel'abbiamo detto, niño."
rispose, con un sorrisetto divertito. "Ma conosci quell'idiota! Sai
benissimo quanto può essere insopportabilmente insistente."
Alec fissò con aria truce entrambi, liquidandoli poi con un
gesto stizzito della mano e voltando loro le spalle. Si diresse verso
il soggiorno per raccogliere il portafoglio e il cellulare e
ritornò sui propri passi, andando verso la porta di casa.
"Dove credi di andare?" chiese Ragnor, accigliandosi e agguantandolo al
volo per un gomito.
"Vado ad aiutare Magnus... ma soprattutto a dirgliene quattro!"
"Alec, non serve che..." iniziò Ragnor, gentile.
"Sentite, ero là! Spiegherò agli agenti come sono
andati i fatti e sistemerò le cose!" lo interruppe Alec,
sbrigativo.
Raphael scosse la testa. "Niño
non devi preoccuparti. Tessa è già lì."
"Tessa?"
"Theresa Gray . E' la fidanzata di Will. E l'avvocato di Mags."
spiegò Ragnor, con un sorriso.
"Coraggio, niño,
perché non ti siedi, tranquillo? Mh?" gli suggerì
Raphael, spintonandolo con decisione verso il divano.
Alec lo ignorò. "Se volete mettervi comodi, fate pure."
replicò, scansando il Marine e tornando a dirigersi verso la
porta. "Io vado in centrale. Ci vediamo al mio ritorno!"
Ragnor gli sbarrò la strada, incrociando le braccia al
petto. "Alec, per cortesia, siediti." ordinò in tono
gentile, ma fermo.
Alec sostenne lo sguardo dell'uomo dai capelli verdi, senza cedere di
un millimetro. "Spostati o sarà peggio per te."
Ragnor sospirò. "Alec..." tentò, conciliante.
"Spostati.ho.detto." scandì Alec, determinato.
"Querido,
[ndr. caro] non credo riusciremo a fargli cambiare idea."
commentò Raphael, massaggiandosi il mento. "Che dici? Lo
accompagniamo? Sono certo che non rimarrà traumatizzato
vedendo una centrale di polizia."
"E va bene." concesse Ragnor dopo un lungo momento, alzando gli occhi
al cielo. "Andiamo."
"Non ho bisogno..." tentò di obiettare Alec.
"Non sfidare la sorte, niño!"
esclamò Raphael, picchiettandogli l'indice contro il petto
con finta aria minacciosa.
Alec sbuffò e alzò gli occhi al cielo. "Andiamo.
Ma ribadisco, visto che tutti a quanto pare se ne dimenticano fin
troppo facilmente, che non ho cinque anni!" borbottò,
spingendo i due soldati, che ridacchiavano divertiti, fuori dalla porta.
Giunti a destinazione, non poterono far altro che aspettare, seduti in
sala d'attesa, assistendo all'attività frenetica, tipica di
una centrale di polizia, che si svolgeva attorno a loro: criminali in
manette scortati da poliziotti dall'aria seria, ufficiali di polizia
che chiacchieravano dei casi in corso, sparendo dietro porte con vetri
spessi e smerigliati, e semplici cittadini dall'aria trafelata che
andavano avanti e indietro, in attesa di essere ascoltati.
"Magnus sa sempre come tirarsi fuori dai guai." asserì, a un
certo punto, Ragnor, tranquillo, dando una pacca rassicurante al
ginocchio di Alec che si agitava tutto a causa del nervosismo del suo
proprietario.
Il moro annuì distrattamente, poi si alzò e
cominciò a marciare su e giù per il corridoio,
torturandosi l'unghia del pollice con i denti. Un poliziotto dall'aria
gentile gli aveva detto che avrebbe informato suo fratello che era
lì e gli aveva assicurato che sarebbe tornato presto con
notizie sulla sua guardia del corpo. Peccato che fosse sparito dietro
quelle porte dai vetri traslucidi e non fosse più tornato!
Passò più di un'ora prima che Magnus facesse la
sua comparsa da dietro una di quelle misteriose porte della centrale,
che conducevano chissà dove.
"Magnus!" esclamò, sollevato, quando lo vide.
L'uomo era splendido come sempre e gli andò incontro come se
stesse facendo una sfilata di moda, con i primi cinque bottoni della
camicia slacciati che lasciavano abbondantemente scoperto il petto
color caramello e il giubbotto buttato mollemente su una spalla,
anziché tornare da un estenuante interrogatorio durato ore e
ore. Alec, invece, aveva il pollice di una mano martoriato e inondato
di saliva, stava sudando come un maiale allo spiedo, aveva i vestiti
stazzonati, i capelli sparati in tutte le direzioni e sembrava che
avesse appena finito di correre la maratona di New York,
anziché attendere notizie della sua guardia del corpo in una
saletta anonima della centrale di polizia. La vita era davvero ingiusta.
"Gracias a Dios!"
[ndr. Grazie a Dio!] esclamò Raphael, alzando gli occhi al
cielo. "Giuro che stavo per legarlo alla sedia pur di smettere di
vederlo andare avanti e indietro!"
Magnus lanciò ad Alec e ai suoi due ex colleghi
un'occhiataccia. "Perché lui è
qui? Vi avevo chiesto di tenerlo d'occhio. Nel suo appartamento."
brontolò, infilandosi il giubbotto di pelle.
Alec sbuffò. "Loro non c'entrano. Sono io che ho deciso di
venire e loro sono stati tanto gentili da accompagnarmi."
"Dovevi rimanere a casa." sbottò Magnus, incrociando le
braccia al petto.
"Ehm... direi che il nostro compito l'abbiamo svolto, no?" disse
Ragnor, voltandosi verso Raphael. "Andiamo, chico [ndr.
piccolo], credo che li possiamo lasciare soli." continuò,
con fare cospiratorio, alzandosi e posando poi una mano sulla spalla
dell'ex collega, dandogli una serie di pacche amichevoli.
"Pórtate
bien, tonto!" [ndr. Comportati bene, idiota]
esclamò Raphael, facendogli la linguaccia e dandogli un
leggero e scherzoso pugno sul petto.
Magnus li liquidò con un'occhiataccia che non era truce
nemmeno la metà di quanto sperava, poi si voltò
nuovamente verso Alec, guardandolo male. Con lui ci riusciva molto
meglio.
Alec sostenne il suo sguardo senza battere ciglio e si
piantò le mani sui fianchi. "Grazie, Alec, per esserti
preoccupato per me!" scimmiottò, agitando la
testa. "Oh, prego Magnus. Era davvero il minimo che potessi fare."
continuò, con aria compiaciuta, sventolando una mano.
Magnus lo fissò, interdetto, poi scoppiò a
ridere. "Grazie, Alec, per esserti preoccupato per me." gli sorrise,
divertito.
"Prego." rispose Alec, con un cenno della testa e un sorriso storto.
"Com'è andata?"
Magnus scrollò le spalle, incamminandosi verso l'uscita e
prendendo il moro sottobraccio. "Devo presentarmi in tribunale tra un
mese." comunicò, tranquillo. "Jace, intanto, sta continuando
le sue ricerche e lunedì mattina richiederà
un'ordinanza del tribunale che intimerà a Raj di starti
lontano. Dopo ciò, distribuiremo le sue fotografie sia nel
tuo palazzo che tra i tuoi vicini d'ufficio, così che, se si
farà vedere di nuovo, verrà arrestato."
Una volta ritornati a casa, Magnus guardò serio il moro.
"Reinserisci l'allarme. Voglio che ti abitui a disattivarlo e a
riattivarlo ogni volta che esci o entri a casa."
Alec gli lanciò un'occhiata perplessa. Il tono di voce
dell'altro era urgente, come se temesse che lui dimenticasse quel
dettaglio importante, e poteva sentire il suo corpo vibrare per la
rabbia repressa, come se bastasse un niente per farla esplodere.
Alec sapeva che Magnus era arrabbiato per l'intera situazione, lo era
anche lui dopotutto, ma aveva come la sensazione che la sua irritazione
e la sua agitazione fossero causate anche da qualcosa di molto
più profondo.
Si diresse verso la sua camera e fece come gli era stato detto, poi
tornò da in salotto.
"Stai bene?" chiese il moro.
"Sì. Perché me lo chiedi?" domandò
Magnus, accigliandosi e trafficando in cucina.
"Sembri... strano." notò Alec, facendo spallucce e
raggiungendolo.
"Ero preoccupato di lasciarti solo." ammise Magnus, posando due
bicchieri sul tavolo.
"So badare a me stesso." ripeté Alec, per la milionesima
volta da quando si conoscevano, roteando gli occhi.
Magnus sorrise appena, stappando con esagerata attenzione la bottiglia
di vino che aveva preso dal frigo, ed evitando di fare commenti, cosa
che insospettì ancora di più il moro.
"C'è dell'altro, vero?" chiese Alec, piegando la testa e
sedendosi di fronte a lui.
Magnus versò una dose generosa di vino in entrambi i
bicchieri e sorseggiò il suo con calma, senza dire un
parola. Il moro ignorò il liquido rosso e attese, paziente,
di sapere cosa nascondesse l'altro che, dopo interminabili minuti,
finalmente si decise a rompere il silenzio.
"Ho quasi perso Cat, la mia migliore amica, a causa di un molestatore."
spiegò, a bassa voce. "Credevo fosse innocuo e l'ho
sottovalutato."
"Hai semplicemente commesso un errore di valutazione. Può
capitare." commentò Alec, nel tentativo di incoraggiarlo.
"E' stato un errore che poteva costare la vita a qualcuno. Mi sono
distratto e non doveva succedere."
"Ma... la tua amica ora sta bene, no?"
Magnus bevve un lungo sorso. "Non grazie a me. Le dissi che quel tizio
si sarebbe stancato presto, che avrebbe smesso di ronzarle attorno da
un giorno all'altro, che non era poi così pericoloso. Mi
sbagliavo."
"Magnus, non è colpa tua." lo consolò Alec,
picchiettandogli una mano.
Magnus scrollò le spalle, come se volesse scacciare quei
ricordi molesti, e lo fissò intensamente. "Non
commetterò lo stesso errore due volte." comunicò,
deciso. "Da questo momento, esigo che tu esegua tutti i miei ordini. Se
ti dico di fare una cosa, mi aspetto che tu ubbidisca. Chiaro?"
Alec inarcò un sopracciglio, poi, con una calma che non
credeva di possedere, rispose "No." e sostenne con
tranquillità lo sguardo infuocato dell'altro.
"No?" ribatté Magnus, sorpreso.
"No." ripeté il moro, annuendo con convinzione.
"Senti, Alec..."
"Magnus, sarai anche la mia guardia del corpo, ma non sei il mio
padrone." spiegò Alec, sicuro.
"Alec, è per la tua sicurezza."
"Non ne dubito, ma..."
"Niente ma! Farai come ti dico!" esclamò Magnus, battendo,
con forza, il palmo della mano sul tavolo.
"Senti, Magnus..." iniziò Alec, prendendo un respiro
profondo e imponendosi di fare l'adulto ragionevole. "So che la
situazione è esasperante..."
"Voglio che qualcuno sappia sempre dove sei, se io non ti sono
accanto." lo ignorò Magnus. "Non voglio che tu vada da
nessuna parte da solo e, se pensi che qualcuno segua te e chi ti
accompagna o se ti si avvicina un tizio dall'aria strana, voglio che
fai in modo di avere sempre testimoni attorno, qualcuno che ti
garantisca un minimo di protezione."
"Sei serio?" chiese Alec, pensando che l'altro stesse esagerando come
al solito.
Magnus indurì l'espressione del viso. "Alec, quello che
è successo oggi cambia completamente le carte in tavola.
Devi adeguarti alle mie nuove disposizioni. Che ti piaccia o meno, la
tua vita è cambiata nel momento esatto in cui Lydia
è entrata nel tuo ufficio e oggi le cose sono precipitate.
Non so che rapporto ci sia tra lei e Raj, ma è chiaro che i
due sono complici e non si tratta più di avere a che fare
con una ragazzina bionda ed esile, che tu credi innocua."
Alec strinse le mani a pugno, inspirando ed espirando a fondo, nel
tentativo di tenere a bada l'irritazione. Magnus gli stava praticamente
ordinando di mettere da parte la sua indipendenza, mettendogli delle
immaginarie manette ai polsi e proibendogli di vivere liberamente la
sua vita, ma se pensava di mettere in atto quella sua idea
scellerata... beh, se lo poteva scordare!
"No!" rispose, con tono sicuro, alzandosi in piedi.
"Sialan
[ndr. Dannazione], voglio solo proteggerti! Perché deve
essere sempre tutto così complicato con te?"
sbottò Magnus, alzandosi a sua volta.
"Perché tu vuoi comandarmi a bacchetta!" protestò
Alec, stizzito, marciando avanti e indietro. "Per l'angelo, con te mi
sembra di tornare adolescente, quando mio padre mi costringeva a
sottostare alle sue regole e disapprovava e correggeva ogni mia mossa!"
"Ti giuro che non è questo il mio intento."
ribattè Magnus, sorpreso, addolcendosi un po'.
"Sì, beh, ti assicuro che le tue sembrano più
critiche su come voglio vivere che un'offerta di aiuto!"
"Perché tu ti ostini a non capire la gravità
della situazione!" ribattè Magnus, allargando le braccia,
esasperato.
"Non sono stupido, Magnus." sibilò Alec, fermandosi di
scatto e rivolgendogli uno sguardo tagliente.
"Non ho detto che lo sei." replicò Magnus, piantandosi le
mani sui fianchi.
"Ma lo pensi."
"No che non lo penso!" rispose Magnus, spazientito.
"Sì, certo!" lo schernì Alec.
"Ok, a volte ti comporti in modo avventato, senza pensare alle
conseguenze, ma..."
"E' colpa tua!"
"Mia???"
"Mi fai arrabbiare con i tuoi modi dispotici e prepotenti!" lo
accusò Alec, riprendendo a fare avanti e indietro. "E
quindi, di conseguenza, smetto di pensare con lucidità!"
"Oh, scusami se tento di salvarti il culo da due stalker e un mitomane
che manda e-mail minacciose!" lo schernì Magnus, con una
smorfia.
"Non te l'ho mai chiesto! E' stato mio padre ad assumerti! Io..."
"Tu sai
badare a te stesso." concluse Magnus, per lui, scimmiottandolo. "Ohhh,
sì! Ho visto, oggi, come ci riesci! Sei talmente bravo a
badare a te stesso che non ti sei neanche accorto che gli stalker sono
due, che ti hanno seguito e che ce li avevi entrambi a un palmo dal tuo
naso!" commentò, con un sorriso di scherno.
"Vai a farti fottere!"
"Solo se lo fai tu, tesoro." replicò prontamente Magnus,
sorridendo sinceramente.
Alec sentì le guance scaldarsi, ma era troppo irritato per
badarci. "Piuttosto la morte!" esclamò di slancio, con tono
melodrammatico.
Magnus sigillò le labbra in una lunga linea sottile, pur di
non ridere.
"Non c'è niente di divertente!" lo redarguì Alec,
sempre più arrabbiato. "So che tutti pensano che abbia
bisogno di aiuto, che non sappia cavarmela da solo! Tu, mio padre, la
mia famiglia... per l'angelo, anche i tuoi colleghi hanno sentito
l'esigenza di venire a farmi da babysitter, invece di mandarti al
diavolo!" ringhiò, esasperato. "Beh, io invece posso
dimostrarvi che sono capace di difendermi da solo!"
"Alec..." lo interruppe Magnus, con tono dolce. "Sei una brava persona,
gentile e altruista. Vivi per conto tuo da quasi dieci anni, sei bravo
nel tuo lavoro e hai un'agenzia di viaggi che va a gonfie vele. La tua
famiglia sa quanto vali. Non devi dimostrare niente a nessuno."
"Davvero?" lo schernì Alec, cupo. "Tu non hai vissuto anni
della tua vita con il terrore di sentirti inadeguato, di sbagliare di
continuo, di essere una spina nel fianco per tuo padre. Avevo
dimenticato questa sensazione orribile, ma poi arrivi tu, con il tuo
modo di fare autoritario e prepotente, e... Dio, quanto ti odio!"
La guardia del corpo piegò la testa e lo fissò
attentamente. Finalmente capiva perché Alec si ostinava a
rifiutare il suo aiuto in modo così testardo ed energico.
Senza rendersene conto, si era comportato proprio come Robert
Lightwood. Magnus si detestò per questo.
"Mi dispiace, Alec. Sul serio." si scusò, con
sincerità. "Ti giuro che non era questo il mio intento.
Voglio solo proteggerti."
"Simon mi ha installato un efficientissimo impianto di sicurezza sia
qui che in ufficio. Ho tutto ciò di cui ho bisogno per non
morire domani mattina." argomentò Alec, con convinzione. "Se
vuoi continuare a essere la mia guardia del corpo, voglio che tu
allenti la presa e mi lasciami respirare o giuro sul bene che voglio
alla mia famiglia che ti farò sostituire domani stesso." lo
minacciò, guardandolo mortalmente serio.
"Ti faresti proteggere da qualcun altro?" chiese Magnus, sorpreso da
quell'ultimatum.
"Certo." confermò Alec, senza alcuna esitazione.
Quelle parole ebbero il potere di zittire Magnus. Vide la furia
battagliera e determinata negli occhi del moro e capì che
parlava seriamente.
La guardia del corpo sapeva che le misure che intendeva adottare erano
estreme e che l'altro avrebbe fatto fatica a "comprendere", ma quel
benedetto ragazzo doveva anche capire che non poteva continuare a fare
come se niente fosse. Per il suo bene doveva adattarsi, "piegarsi",
fino a quando tutta quella assurda situazione non fosse finalmente
risolta.
"Hai idea di quello che ho passato oggi, con la tua fuga?"
mormorò Magnus, incapace di credere che il moro fosse pronto
a sostituirlo senza battere ciglio.
Lui aveva passato ore a preoccuparsi per lui, prima quando era
"scappato" e dopo quando non rispondeva al telefono, e quest'ultimo gli
stava praticamente chiedendo di smettere di farlo e voleva che facesse
un passo indietro, altrimenti l'avrebbe licenziato? No, Magnus non era
fatto così e non poteva smettere di preoccuparsi del moro
con un semplice schiocco delle dita, nonostante la minaccia di
interrompere il loro rapporto.
"Senti, Magnus, voglio che tu la smetta di trattarmi come una bambola
di porcellana! Ho quasi ventinove anni, per l'angelo! Sono un uomo! Non
ho alcuna intenzione di sottostare alle tue stupide regole e sappi
che..." stava continuando Alec, nervoso, prima di venire interrotto
bruscamente da Magnus che, con un unico e rapido movimento, lo
acchiappò, lo strinse in un abbraccio deciso e lo
baciò.
Da qualche parte, una vocina preoccupata, nel suo cervello,
sgridò Magnus, asserendo che non era affatto corretto quello
che stava facendo e che questa volta avrebbe potuto farsi davvero male,
uscirne a pezzi, quando Alec gli avrebbe dato un prevedibile e
meritatissimo benservito, ma lui la respinse, deciso, perché
quello gli sembrava l'unico modo sensato per far capire a quella
testaccia dura come il marmo quello che provava.
Saperlo in pericolo lo destabilizzava come niente altro, nella sua
vita, era mai riuscito a fare. Lui, l'ex Marine dalla mira infallibile
e micidiale, che aveva affrontato di tutto e di più, che non
si faceva spaventare da niente e nessuno, era in completa balia di
un ragazzino cocciuto che si rifiutava di ascoltare i suoi consigli e
che lo contrastava come se il nemico da sconfiggere fosse la sua
guardia del corpo e non Lydia, Raj e il tizio misterioso delle e-mail.
Se non avesse installato sul suo telefonino quella App che localizzava
il cellulare del moro, se non fosse arrivato in tempo da lui... avrebbe
potuto trovarlo ferito, avrebbe potuto perderlo.
Tenendolo stretto tra le braccia, però, si rese conto che,
invece, ad essersi perso era lui e che lo voleva con una forza e una
disperazione così intense da fargli male.
La guardia del corpo sentì la bocca di Alec aprirsi, forse
per lo shock, forse per protestare, e lui ne approfittò per
assaporare appieno le sue labbra, quasi volesse assicurarsi, una volta
di più, che era lì, sano e salvo e tutto intero.
Dopo un attimo di smarrimento, sentì Alec rispondere al
bacio, cautamente, quasi stesse pensando che non stesse succedendo per
davvero.
Sentì il corpo del moro sussultare e fremere, quando le loro
lingue si intrecciarono, e le sue dita allacciarsi alle sue spalle
dapprima timide, quasi esitanti, per poi farsi decisamente
più determinate quando lo strattonarono a sé.
La sua vicinanza gli incendiò i sensi e spostò le
mani per prendergli il viso tra i palmi, mentre la sua bocca si
muoveva, bramosa, sopra quella dell'altro.
Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, ma non fu
così. Lo lasciò andare, con riluttanza, solo
quando sentì il fiato mancargli e i palmi delle mani di Alec
spingere contro il suo petto, forse alla ricerca d'aria anche lui.
"Ora dimmi che non ti importa di farmi sostituire o di cosa ho passato
oggi." ansò Magnus, a corto di fiato, accarezzando piano le
labbra gonfie di un Alec in trance. "Per Lilith, sei così
melodrammatico!" ridacchiò poi, euforico. "Giuro sul bene che voglio alla
mia famiglia che ti farò sostituire domani stesso!"
scimmiottò, con un sorriso abbacinante e roteando gli occhi
che ardevano di desiderio. "Sai..." continuò, prima di
sbuffare fuori tutto il fiato che aveva in corpo a causa della
devastante ginocchiata arrivata come un fulmine sul suo inguine.
Iniziò a tossire convulsamente e si piegò
lentamente su se stesso, come a rallentatore, gemendo ad alta voce.
"S-sei im-impa... s-sei... s-sei imp-impazz... s-sei..."
boccheggiò, tenendosi la patta dei pantaloni e spalmandosi
sul pavimento, dolorante. "S-sei..."
"Così impari, pervertito!" ringhiò Alec, rosso in
viso, con il petto che gli andava su e giù come uno
stantuffo, prima di girare i tacchi e uscire di casa, sbattendo
violentemente la porta.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Alec sentì il
gatto prima di vederlo.
Stava marciando lungo il marciapiede, quasi correndo, pur di
allontanarsi il più possibile da casa sua. Da lui.
Quel bacio... per l'angelo, quel bacio era stata la cosa più
pazzesca e scioccante che avesse mai provato in vita sua. Era bastato
che le labbra di Magnus si posassero sulle sue perché la
parte razionale della sua mente si bloccasse di colpo, andando
completamente in tilt.
In un ultimo momento di lucidità, ricordava di aver
dischiuso le labbra per protestare, per chiedere a quell'idiota cosa
diavolo stesse facendo, o meglio, perché
lo stesse facendo, ma quello sfacciato impertinente ne aveva
approfittato per intrufolare la lingua nella sua bocca e il suo
raziocinio gli aveva fatto ciao-ciao con la manina, partendo per altri
lidi e lasciando il suo corpo in balia di quell'assalto inaspettato e
infuocato.
Il suo corpo si era incendiato quando la sua lingua si era intrecciata
a quello dell'altro e sensazioni mai provate prima l'avevano travolto
con un'intensità tale da sconvolgerlo.
Le sue dita si era aggrappate a Magnus con una tale violenza da
sorprenderlo. In un primo momento l'aveva fatto titubante, quasi stesse
chiedendo il permesso di poggiarsi a lui alla ricerca disperata di
equilibrio (perché, per l'angelo, era dannatamente certo che
se non si fosse spalmato addosso a quel corpo muscoloso, le sue gambe
di gelatina avrebbero ceduto e sarebbe caduto come una pera cotta... e
non era proprio il caso!), ma poi la parte più
indisciplinata e selvaggia della sua mente aveva fatto la ola,
urlandogli con entusiasmo "Prendilo! Spoglialo! Fallo tuo!" e a lui non
era rimasto altro che avvinghiarsi a Magnus con una presa talmente
ferrea da avergli di sicuro sgualcito in modo irreparabile la camicia.
La bocca dell'ex Marine si era mossa sulla sua dapprima decisa, dura,
quasi prepotente, poi si era fatta dolce, morbida, toccando e
risvegliando sensi che Alec credeva ormai sopiti da tempo,
costringendolo ad abbandonare ogni resistenza e facendolo arrendere
totalmente quando Magnus gli aveva passato lentamente una mano tra i
capelli, piegandogli leggermente la testa per approfondire maggiormente
il bacio, mentre con i pollici gli accarezzava dolcemente gli zigomi.
Aveva scoperto che, sì, quelle labbra piene e invitanti
erano davvero morbide come aveva sempre pensato e ricordava che il suo
cuore aveva iniziato a battere così forte che era certo che
fosse questione di attimi prima che schizzasse fuori dalla cassa
toracica.
Non aveva mai provato niente di simile. Mai. I baci dati fino a quel
momento erano stati nulla in confronto a quello che aveva ricevuto.
Neanche Andrew, per l'angelo, era mai riuscito a sconvolgerlo
così tanto. E sì che ne era innamorato (o,
almeno, pensava di esserlo)!
Ricordare il suo ex, e quello che gli aveva fatto, gli aveva dato la
forza e la determinazione di posare le mani sul petto sodo di Magnus e
spingere per liberarsi dal suo abbraccio.
Non poteva e non voleva lasciarsi coinvolgere da uno come Magnus. Non
era un esperto di relazioni amorose, come i suoi fratelli, ma era
convinto che la sua guardia del corpo fosse il tipo d'uomo capace di
farlo innamorare perdutamente e lui non poteva permetterselo, non dopo
quanto successo con Andrew.
Certo, il bacio era stato qualcosa di assolutamente incredibile, la
cosa più pazzesca ed eccitante e sconvolgente che gli fosse
mai successa in vita sua, ma si era ripromesso che non avrebbe mai
più commesso l'errore di affidare il suo cuore a qualcuno.
Iniziare una relazione, anche solo fisica, con Magnus, quindi, avrebbe
potuto spezzarlo definitivamente. E sarebbe stata la fine.
Scosse la testa, quasi volesse cancellare con un colpo secco la ridda
di emozioni che gli si agitavano nel petto, rilasciò il
fiato che non si era neppure reso conto di trattenere e si impose di
concentrarsi sul miagolio, chiedendosi distrattamente se avesse
immaginato quel suono.
Si guardò attentamente attorno, ma non c'era anima viva. Poi
lo sentì nuovamente, basso e implorante, provenire da un
punto imprecisato sull'argine del fiume.
Tornò a scrutare attentamente l'ambiente circostante,
scandagliò la riva e finalmente lo vide: un batuffolo bianco
e grigio che si muoveva, cauto, tra i fili d'erba alti e incolti.
Alec si accucciò, chiamandolo piano, dolcemente. "Ehi,
micetto! Ciao! Dai, vieni qui!" disse, allungando una mano.
Il gatto rispose con un debole miagolio, avanzò di qualche
passo verso di lui, poi tornò indietro, appiattendosi in
mezzo all'erba.
Il moro si alzò lentamente, con cautela, evitando movimenti
bruschi che potessero spaventare l'animale, e si fece avanti, a piccoli
passi. "Dai, vieni qui! Su, micio-micio! Vieni!" lo chiamò,
a voce bassa." Non avere paura. Non ti farò del male."
Il gatto lo fissava, teso e pronto a scappare via. Era magro, aveva il
pelo sporco e arruffato, sembrava stanco ed esausto e non staccava i
grandi e diffidenti occhi giallo-verdi da lui neanche per un secondo.
Alec sbuffò dal naso quando si rese conto che il colore di
quelle iridi era praticamente identico a quello degli occhi di un
individuo a cui non voleva assolutamente pensare in quel momento! E che
diamine! Quell'idiota lo perseguitava anche in versione felina!
Scosse nuovamente la testa, con un verso infastidito, e poi si
concentrò nuovamente sul micio, chiamandolo ancora.
Alec non se ne intendeva granché, ma non sembrava un gatto
selvatico. Probabilmente era stato abbandonato da qualche proprietario
crudele che non sapeva più che farsene di lui, lasciandolo
solo al mondo. Il che era anche peggio. Qualcuno aveva osato illuderlo,
donandogli amore e una cuccia calda, per poi lasciarlo al suo destino,
quando si era stancato di lui.
Sentì un'inspiegabile affinità con quel piccolo e
sfortunato felino e gli sembrò vitale prenderlo per
coccolarlo, nutrirlo e fargli capire che, invece, c'era qualcuno che
poteva volergli bene, che poteva amarlo incondizionatamente, se glielo
avesse permesso.
"Coraggio, micio-micio, vieni qui." lo incoraggiò Alec,
avvicinandosi un altro po'.
Il gatto si appiattì ulteriormente al suolo, poi
scattò, correndo lungo l'argine del fiume. Si
fermò un attimo, guardandosi indietro, per poi scomparire
tra l'erba alta.
Alec si alzò in piedi e, senza alcuna esitazione, lo
seguì.
Magnus fece leva sulle braccia traballanti e, con indicibile fatica, si
alzò lentamente da terra, inanellando una sequela rabbiosa
di improperi e insulti.
Si piegò cautamente sulle ginocchia, respirando a fondo
più e più volte, prima di raddrizzarsi e
imprecare nuovamente, quando sentì una fitta lancinante
all'inguine. Quel dannato figlio di buona donna gli aveva frantumato i
suoi spettacolari gioielli di famiglia! Maledetto!
"Lo uccido." rantolò, senza fiato, all'appartamento vuoto e
silenzioso, chiudendo gli occhi e tentando di regolarizzare il respiro,
nella speranza che il dolore si attenuasse. "Giuro che questa volta lo
uccido!"
Indossò il giubbotto di pelle, si diresse, con cautela,
verso la porta dell'appartamento e se la richiuse dietro di
sè con violenza. Trafficò con il cellulare per
localizzare il fuggitivo e zoppicò, dolorante,
giù per le scale, continuando a lanciare, ad ogni nuovo
passo, un insulto colorito nei confronti del moro. Questa volta non
l'avrebbe passata liscia! Non aveva ancora idea di come l'avrebbe
punito, ma sarebbe stata una vendetta esemplare!
Ci mise un'eternità per arrivare nel luogo in cui il segnale
lampeggiante, sullo schermo del suo cellulare, indicava la presenza di
quello di Alec e dovette fermarsi più di una volta a causa
dell'inguine che pulsava come un tamburo, ma alla fine
arrivò a destinazione, pronto a dare una lezione a quel
fottutissimo ragazzino manesco e piantagrane.
Non aveva idea di dove si trovasse e il buio non lo aiutava a
orientarsi, ma era di sicuro in qualche parco della città.
In giro non c'era anima viva e i pochi lampioni presenti donavano a
quell'area verde un aspetto tetro e sinistro.
Per Lilith, certo che quell'idiota non aveva il minimo senso di
autoconservazione, eh! Non solo aveva la fissa di andare a camminare
dopo cena, per giunta da solo se non ci fosse stato Magnus con lui, ma
ora si metteva pure a gironzolare a mezzanotte in un parco desolato e
spettrale, incurante del fatto che avrebbe potuto rimanere coinvolto in
qualche brutta situazione o incontrare qualche balordo pronto a fargli
del male per sottrargli il portafoglio! Dei del cielo, come poteva
essere così sconsiderato e non rendersi conto dei pericoli
in cui si cacciava?
Si guardò attorno alla ricerca del moro, fino a quando non
sentì la sua voce, che avrebbe riconosciuto ovunque,
rantolare un soffocato e stizzito "Lasciami!"
La paura tornò a impossessarsi di lui e nella sua mente
iniziarono ad accavallarsi immagini poco rassicuranti di criminali
dall'aspetto losco che trascinavano via, con la forza, un disarmato e
recalcitrante Alec.
Magnus tirò fuori la pistola e, dimenticando il dolore
all'inguine, corse verso la direzione in cui aveva sentito la voce del
moro, pronto a fare fuoco e a neutralizzare chiunque gli stesse facendo
del male.
Si bloccò, sorpreso, quando vide Alec, sospeso a tre metri
da terra, lottare strenuamente con una quercia: il suo pesante maglione
nero e infeltrito si era impigliato in un ramo e, per il momento,
sembrava che l'albero stesse avendo la meglio.
"Lasciami ti ho detto!" sibilò Alec, arrabbiato,
strattonando con decisione il maglione, nel tentativo di districarsi.
La quercia lo lasciò andare solo dopo uno strappo davvero
violento che lo fece sbilanciare, facendogli perdere l'equilibrio.
Magnus sbiancò e si vide il moro spiaccicato a terra, con il
sangue che gli fuoriusciva a fiotti dal corpo. Rimase sbalordito quando
fissò il terreno e non vide niente. Alzò di nuovo
la testa e trovò il ragazzo aggrappato al ramo
più basso della quercia, con le gambe a penzoloni e le
braccia attaccate disperatamente all'albero.
Magnus strinse le labbra in una lunga linea sottile, indeciso se ridere
a crepapelle o se arrabbiarsi ancora di più. Scosse la testa
con fare paternalistico e mise via la pistola. Prese un bel respiro
profondo, strinse i pugni lungo i fianchi e, a passo di marcia, si
diresse fin sotto la quercia, alzando poi la testa e guardando il moro
con espressione mortalmente seria.
Alec lo stava fissando di rimando, i suoi grandi occhioni blu
sembravano due fanali nella notte. "Cosa... cosa ci fai qui?"
pigolò, in un soffio.
"Lasciati andare." ordinò Magnus, ignorando la sua domanda.
"Cosa? No!"
"Lasciati andare, ti ho detto." ripeté Magnus, allargando le
braccia. "Ti prendo io."
"Ma ti schiaccerò."
Magnus roteò gli occhi, riportando le braccia lungo i
fianchi. "Va bene, resta lì e arrangiati."
replicò, lapidario, facendo per allontanarsi.
"A-aspetta!" lo supplicò Alec, tentando faticosamente di
aggrapparsi meglio al ramo, dopo essere scivolato di qualche centimetro.
Magnus sospirò nuovamente, poi tornò sotto di lui
e attese. Riuscì a sopportare il primo impatto del corpo di
Alec, evitando che si sfracellasse al suolo, poi lo trascinò
con sé a terra, a causa della violenta spinta.
Alec rotolò subito via da lui e si mise in ginocchio. "Stai
bene?" chiese, ansante e preoccupato.
Magnus respirò profondamente e lentamente: l'inguine era
tornato a pulsare con forza e la rabbia era tornata a invaderlo come un
fiume in piena. Piantò gli occhi in quelli del moro e lo
fissò con ostilità.
"Com'è che ora mi chiedi se sto bene, quando fino a neanche
un'ora fa non ti sei fatto alcuno scrupolo a spappolarmi i testicoli?"
domandò, con tono acido.
Alec vide la collera incupirgli gli occhi, rendendoli tempestosi, e si
allontanò leggermente da lui, reputando saggio mettere una
piccola distanza tra loro.
"E' stata colpa tua." rispose, tranquillo, togliendosi un ciuffo di
capelli dagli occhi.
Magnus lo fissò, inarcando un sopracciglio, scioccato,
dimenticando improvvisamente tutto l'astio che provava nei confronti
dell'altro. "Mia?"
Alec fece spallucce e, con noncuranza, iniziò a togliersi
rametti e foglie incastrati nel suo maglione. "Hai iniziato tu.
Aggredendomi."
"A-aggredendoti?" chiese Magnus, incapace di credere alle proprie
orecchie. "Ma... diavolo, ti ho solo baciato!"
Alec riportò lo sguardo in quello dell'altro. "E non ti ho
dato alcun permesso di farlo." sentenziò, sicuro. "Quindi,
è stata un'aggressione in piena regola. Io mi sono solo
difeso. Tutto qua." concluse, scrollando le spalle con sostenuta calma.
Magnus lo fissò a bocca aperta, incredulo, poi strinse le
labbra in una lunga linea sottile, mordendosi la lingua a sangue pur di
non ribattere per le rime. Mai nessuno l'aveva accusato di avergli
"violato" le labbra con un semplice bacio, specialmente se era stato
consensuale! Ok, aveva iniziato senza il suo permesso, questo era vero,
ma, che potesse bruciare all'inferno se non era così, dopo
un attimo di smarrimento, Alec aveva ricambiato eccome!
Arricciò le mani, strappando alcuni fili d'erba, e prese un
lungo e respiro profondo. Magnus lo desiderava da impazzire e il modo
in cui il moro aveva risposto al bacio dimostrava che anche lui provava
lo stesso, ma visto che si ostinava a non volerlo ammettere, non
restava altro che fare marcia indietro e rispettare la sua scelta. Non
si sarebbe mai perdonato se l'avesse costretto a fare qualcosa che non
voleva o per cui non era pronto. Avrebbe aspettato. Era bravo in
questo. Nei lunghi anni passati nei Marines, infatti, aveva imparato e
coltivato la raffinata arte della pazienza
e con Alec valeva la pena metterla in atto.
"Ti chiedo scusa." mormorò quindi, dopo un lungo momento.
"Non succederà più."
Alec spalancò gli occhi, sorpreso da quella risposta pacata
e remissiva. Si sarebbe aspettato una battuta sardonica, una
rispostaccia tagliente, una reazione plateale. Invece aveva ricevuto
delle scuse composte e sincere e del tutto inaspettate. Era
incredibile... e spiazzante.
"Oh... grazie! Accetto le tue scuse." rispose il moro, titubante. "E...
io ti chiedo scusa per... ecco... per... sì, insomma...
sì... per... quello,
ecco." si scusò, indicando con un breve cenno del capo la
patta dei pantaloni dell'altro. "Mi dispiace."
Magnus annuì, sospirando profondamente, poi tornò
a fissarlo, curioso. "Come ci sei arrivato lassù?" chiese,
indicando con gli occhi i rami sopra di loro.
"Oh... ho inseguito il gatto!" rispose Alec, con ferrea logica.
"Quale gatto?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
Alec indicò il ramo sopra quello a cui era rimasto appeso.
"Lui."
Magnus sollevò lo sguardo e vide un gatto bianco e grigio
che li osservava dall'alto. Era magro e spelacchiato e sembrava sul
punto di spiccare un balzo suicida pur di darsela a gambe.
"Volevo prenderlo." spiegò Alec, imbronciato.
"Non mi pare che abbia molta voglia di essere preso, sai?"
replicò Magnus, piegando la testa per osservare meglio
l'animale. "E' salito addirittura su un albero pur di riuscire a
sfuggirti." gli fece notare, sarcastico.
"Perché teme che voglia fargli del male! E' spaventato!"
rispose Alec, con il naso all'insù. "Guardalo! E' magrissimo
e sicuramente sta morendo di fame!"
Magnus scosse la testa, alzandosi e pulendosi l'erba dai pantaloni.
"Sono sicuro che se la caverà. Andiamo a casa."
"Non me ne vado senza il gatto." ribatté Alec, risoluto.
"Il gatto starà benissimo."
Alec si alzò, incrociò le braccia al petto e gli
lanciò l'occhiata più gelida che riuscisse a
fare. "Io torno solo con lui." replicò, testardo.
Magnus gli si avvicinò e lo guardò con quello
sguardo serio e glaciale che, anni prima, faceva scattare sull'attenti
i suoi uomini e li induceva a eseguire immediatamente i suoi ordini.
"Andiamo.a.casa."
"No." si impuntò Alec.
"Alexander Gideon Lightwood, ho detto..." sibilò Magnus,
scuro in volto.
"No!" lo interruppe Alec, indurendo lo sguardo.
Non gli importava di morire per mano della sua guardia del corpo, che sembrava sul punto di stringere le sue lunghe dita ingioiellate sul suo collo, né gli interessava la sfuriata che stava sicuramente per arrivare. Salvare quel micio era diventato
importante per Alec, quasi essenziale. Non se ne sarebbe andato senza
quel gatto. Non l'avrebbe abbandonato. Non anche lui, come invece aveva
fatto il suo ex proprietario.
Magnus lo fissò per un lungo, interminabile, momento, poi
sospirò. "Dannazione!" imprecò ad alta voce,
pestando un piede e gettando in alto le mani, con esasperazione. "E va
bene! Prendiamo questo dannato gatto!" mugugnò, voltandogli
le spalle e dirigendosi verso l'albero.
Il viso di Alec si aprì in un sorriso felice. "Davvero?"
esclamò, muovendosi svelto verso di lui.
"Sì, davvero." borbottò Magnus, piantandosi le
mani sui fianchi e guardando il gatto con aria decisa. "Allora, vieni
giù con le buone o devo arrabbiarmi anche con te?" chiese,
con tono fintamente burbero.
Il gatto miagolò debolmente, ma rimase dov'era, mentre Alec
guardava prima l'uno e poi l'altro con trepidante aspettativa.
Magnus iniziò a battere la punta del piede sull'erba, come
una madre esasperata. "Senti, signorino, non ho tutta la sera per stare
qui ad aspettare i tuoi comodi." lo informò. "O scendi
subito o ti lasciamo qui. Certo, non vorrei arrivare a tanto,
perché sei davvero un bel micio, ma non ho alternative. E'
mezzanotte passata, sono stanco e voglio andare a letto."
elencò con un cipiglio serio.
"Non credo che funzionerà." sussurrò Alec,
accostandosi a lui. "Perché non provi a essere
più gent..."
"Shhh." lo interruppe Magnus, con gli occhi piantati sull'animale.
"Vedi? Persino lui capisce quando è ora di ascoltarmi!"
esclamò, con un sorriso divertito, quando vide il micio
scendere cautamente, muovendosi lentamente da un ramo all'altro. "E'
intelligente!" a
differenza di qualcun altro di mia conoscenza
pensò, reputando saggio evitare di dirlo ad alta voce.
Alec spalancò gli occhi, sorpreso, e si risentì
quando vide il gatto farsi tranquillamente prendere in braccio da
Magnus, una volta arrivato a terra. Lui non era riuscito neanche ad
avvicinarsi a quella palla di pelo spelacchiata, mentre alla sua
guardia del corpo erano bastate due moine e l'animale gli era
praticamente svenuto tra le braccia! Dio, se lo odiava!
Magnus si voltò verso di lui e sorrise allegro. "Ok,
torniamo a casa." annunciò, con il gatto stretto al petto.
"Certo che sei un incredibile ingrato." borbottò Alec, dopo
un po', lanciando un'occhiata truce al gatto che ronfava, beato, tra le
braccia di Magnus. "Io mi sono quasi rotto l'osso del collo per te e,
come ricompensa, non solo vengo snobbato alla grande, ma fraternizzi
pure con il nemico!"
La guardia del corpo rise, allegra. "Che ci vuoi fare. Il mio fascino
è irresistibile e questo cucciolo ha ottimi gusti!"
dichiarò compiaciuto, grattando il gatto dietro un orecchio
e ricevendo, in cambio, un'espressione deliziata e un concerto di fusa.
"Chi è il più bel micetto del mondo? Eh? Chi
è?" tubò Magnus, strofinando il naso sul pelo
sporco dell'animale. "Sei anche il più puzzone, ma ora ci
pensa papà a pulirti per bene, Presidente Miao."
"Papà?"
ripeté Alec, allibito. "Ma se fino a due minuti fa lo volevi
lasciare sull'albero!" gli ricordò, risentito. "E che razza
di nome è Presidente
Miao, per l'angelo?!" continuò, con una smorfia
indignata sul viso.
Magnus lo ignorò. "Ora papà ti porta a casa e ti
da tanta pappa buona. Sei d'accordo? Mh?" chiese, ottenendo in risposta
un miagolio soddisfatto.
Alec sbuffò, incrociò le braccia al petto e mise
il broncio. Era ingiusto. Era stato lui a trovare il gatto, a
rincorrerlo e a rischiare la vita per tirarlo giù
dall'albero. Magnus neanche lo voleva e, nonostante questo, riceveva
fusa e occhiate adoranti.
Con lo sguardo puntato fisso davanti a sé, si blocco di
colpo e mise una mano sul braccio di Magnus per far fermare anche lui:
un uomo dai capelli neri e la pelle olivastra osservava il palazzo dove
abitava il moro. Era infagottato in un giubbotto di una taglia
più grande e aveva un'enorme sciarpa che gli copriva il
volto, ma Alec lo riconobbe all'istante.
Magnus intanto continuava a vezzeggiare il gatto. "Ma senti quanto
siamo coccoloni! Oh sì! Siamo tanto, tanto coccoloni!"
tubò, mentre le fusa del gatto diventavano sempre
più forti.
Alec agguantò il braccio dell'uomo e, senza dire una parola,
fece velocemente marcia indietro, trascinandoselo dietro.
Guardò brevemente alle sue spalle, ma sembrava che l'altro
non li avesse notati.
Magnus alzò finalmente lo sguardo, stupito. "Diavolo, Alec,
che modi sono?"
Alec sembrò non sentirlo e continuò a camminare
spedito fino a quando non svoltò improvvisamente in un
androne di un palazzo.
"Si può sapere che ti prende?" chiese Magnus, alzando un
sopracciglio al comportamento bizzarro dell'altro, che spiava
furtivamente la strada.
"C'era... c'era quel Raj!" spiegò Alec, con il fiatone,
tornando a guardare Magnus.
L'espressione di Magnus si indurì. "Raj? Dove?"
"Da-davanti al mio portone." balbettò Alec, tentando di
riprendere fiato e sputando per poco un polmone.
"COSA? Perché non me l'hai detto?" sbottò Magnus,
uscendo dall'androne.
"Dove credi di andare?"
"Da quel psicopatico! Ecco dove!" sibilò Magnus, arrabbiato.
"Evidentemente la lezione di oggi non è stata recepita!"
Alec gli afferrò il braccio in una mossa ferrea. "No!"
"No? Come no?!" chiese Magnus, stupito e stizzito allo stesso tempo.
"Non puoi rischiare un'altra denuncia!"
"Alec, quel dannato figlio di buona donna è sotto casa tua!"
ringhiò Magnus, allargando il braccio, mentre con l'altro
teneva saldamente stretto al petto il gatto, che aveva interrotto le
fusa e, con gli occhi spalancati, guardava alternativamente i due
uomini, rigido. "Sa dove abiti, cazzo!"
"Ma non mi dire." rispose Alec, sarcastico.
Qualcosa, nel tono di voce del moro, mise in allerta Magnus, che
aggrottò la fronte. "Sapevi che sapeva?" domandò,
con tono sospettoso.
Alec scrollò le spalle. "Lydia mi ha chiamato. Se conosce il
mio numero di casa, conosce anche il mio indirizzo. E visto che loro
due sono amici..."
Magnus premette le labbra in una lunga linea sottile. "Lydia ti ha
chiamato?"
"Sì, dopo che Jace ti ha portato in centrale." rispose Alec,
con noncuranza, sventolando una mano.
"CAZZO!! ALEC!!" urlò Magnus.
"Che c'è?" chiese Alec, sulla difensiva.
"Perché non me l'hai detto?"
Alec roteò gli occhi. "Perché non c'è
stato il tempo di farlo e... insomma... tu sei così plateale
e tendi a esagerare quando ti agiti. Come adesso." spiegò,
indicandolo con un gesto della mano. "E ti arrabbi in modo
spropositato!"
Magnus lo guardò a bocca aperta. "Demi Tuhan [ndr.
Sant'Iddio], sei davvero il più gigantesco idiota con cui
abbia mai avuto a che fare!" lo accusò, esasperato. "E mi
arrabbio perché mi nascondi le cose importanti! Ti rendi
conto di quanto è seria questa cazzo di situazione? Una ti
perseguita al telefono e l'altro si apposta sotto casa tua!"
gridò, irritato.
"Smettila di urlarmi contro e di insultarmi!" ribatté Alec,
altezzoso, alzando il mento e incrociando le braccia al petto.
Magnus fece un verso incredulo, poi si pizzicò la radice del
naso, chiudendo gli occhi per la frustrazione. "Ok, ora basta."
sentenziò, dopo un lungo momento. "Andiamo."
"Andiamo? Andiamo dove?" chiese Alec, stranito.
"A casa mia. Dove posso tenerti al sicuro." dichiarò Magnus,
deciso, prendendo per mano Alec e trascinandoselo dietro.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
"Tu vivi qui?"
Alec stava guardando, sbalordito, l'elegante palazzo in mattoni color
rosa antico davanti a lui. Si trovavano lungo il viale alberato Monroe
Place, in uno dei quartieri più eleganti e rinomati di New
York: Brooklyn Heights.
Alec amava quella zona in cui si respirava un'atmosfera d'altri tempi,
con la sua grande varietà di stili architettonici, le sue
chiese antiche, i suoi edifici storici, le case a schiera in pietra
arenaria o in stile neoclassico o gotico, i viali pittoreschi e
verdeggianti, la magnifica Promenade
che offriva una vista da cartolina su Lower Manhattan e le stradine
illuminate, la sera, dalle luci giallognole dei caratteristici lampioni
a gas.
Quando aveva deciso di andare a vivere per conto proprio,
più per sfizio che per altro, aveva dato un'occhiata ai
prezzi degli appartamenti in affitto in quel delizioso quartiere da
sogno e si era reso conto che, per permettersene uno, forse non sarebbe
bastato vendere un rene al mercato nero degli organi!
La sua guardia del corpo sorrise, compiaciuta, e strinse Presidente
Miao un po' di più a sé. "Sì, vivo
qui." rispose, dirigendosi poi verso il portone d'ingresso. "Dai,
vieni." lo sollecitò, con un cenno della testa.
L'ex Marine salutò calorosamente il portiere del palazzo,
poi guidò Alec fino all'ascensore e schiacciò il
pulsante che li avrebbe condotti all'ultimo piano.
Arrivati a destinazione, Magnus appioppò al moro il gatto e
iniziò ad armeggiare con le chiavi della porta del suo loft,
ignaro della faida a suon di sguardi che si stava svolgendo dietro le
sue spalle.
Presidente Miao, infatti, non appena si ritrovò tra le
braccia sconosciute e indesiderate di Alec, si irrigidì
all'istante e arpionò, con le sue piccole unghiette
affilate, il maglione malandato sotto le sue zampe, arrivando a
graffiare la pelle dell'umano che l'aveva inseguito e braccato come un
indemoniato.
Alec lanciò al felino un'occhiataccia risentita,
strattonando il braccio per sottrarlo alle grinfie di quella dannata
palla di pelo che, ne era certo, ora lo stava guardando con uno sguardo
di malcelata soddisfazione per essere riuscito a scalfirgli
l'epidermide e a provocargli del dolore. Per l'angelo, quel gatto era
davvero un fottutissimo ingrato!
"Prego, accomodati." esclamò Magnus, aprendo la porta e
invitando il moro ad entrare con un ampio e plateale gesto del braccio.
Alec mosse un paio di passi, sorpassando la soglia di casa, ma poi si
bloccò, attonito, quando scorse una coppia di una certa
età intenta a ridacchiare e a scambiarsi un abbraccio
decisamente carnale sul divano del salotto.
"Oh.mio.Diooo!" gridò Magnus, quando, seguendo lo sguardo
del moro, si accorse di chi c'era in casa sua. "Demi Tuhan [ndr.
Sant'Iddio], cosa cazzo state facendo sul mio divano?"
"Magnus Bane, modera il linguaggio!" berciò prontamente Dewi
Bane, puntando un indice minaccioso contro il figlio e sciogliendo
l'abbraccio dal marito. "Sai che non mi piacciono le parolacce
gratuite." gli ricordò, mettendosi seduta e ravvivandosi i
capelli con naturalezza, come se non l'avessero appena beccata a
pomiciare selvaggiamente sul divano immacolato del suo unico figlio.
"Ciao Mags!" lo salutò Asmodeus, con un sorriso sghembo,
mettendosi seduto anche lui. "Come mai a casa?" chiese in tono
colloquiale, abbottonandosi la camicia e tentando di dare una parvenza
d'ordine ai vestiti spiegazzati.
"Oh.mio.Diooo!" scandì nuovamente Magnus, con una smorfia
inorridita. "Giuro che se mi avete macchiato il divano vi uccidoooo!"
"Ohhh, piantala di essere così melodrammatico!" rispose
Dewi, alzandosi e rassettandosi la gonna, prima di rivolgere ai due
giovani un sorriso radioso. "Siamo due adulti responsabili. Cosa credi?
Non è mica la prima volta!" rivelò al figlio,
facendo spallucce e andandogli incontro. "Ciao, malaikatku!" [ndr.
angelo mio] mormorò teneramente, abbracciandolo stretto.
"Ibu! [ndr.
Mamma!] Mi soffochi!" brontolò affettuosamente Magnus,
ricambiando comunque l'abbraccio. "Ehi! Aspetta un attimo! Cosa
significa Non
è mica la prima volta?" indagò,
assottigliando lo sguardo e guardando alternativamente sua madre e suo
padre, che si scambiarono un'occhiata complice. "Perché?
Quante volte è successo? E dove? E... No! Lasciate perdere!
Non mi dite niente! Non voglio saperlo o dovrò igienizzare
l'intero appartamento con la candeggina... o dargli fuoco!"
Dewi ridacchiò, sciogliendo leggermente la presa. "Sei
dimagrito, malaikatku!"
esclamò, preoccupata, afferrandogli le guance con i palmi
delle mani e voltandogli il volto a destra e a sinistra per
analizzarlo. "E hai le occhiaie! Non va affatto bene."
mormorò, contrariata, scuotendo la testa. "Sayangku [ndr.
Tesoro mio] dormi abbastanza? Mangi a sufficienza?"
"Sì, mamma." sospirò Magnus, alzando gli occhi al
cielo.
Dewi gli baciò velocemente una guancia, prima di guardare
Alec. "Tu devi essere Alexander Lightwood, caro." sorrise dolcemente.
"Sono Dewi Bane, la mamma di Magnus. E' un piacere conoscerti." si
presentò, porgendogli la mano.
"P-piacere mio, signora Bane." balbettò Alec, rosso in viso
a causa dell'imbarazzante situazione di beccare i genitori di Magnus in
atteggiamenti intimi e capendo finalmente da chi la sua guardia del
corpo aveva preso tutta la sfacciataggine del mondo.
"Oh, tesoro, chiamami Dewi!" rispose la donna, sventolando una mano,
prima di abbracciarlo di slancio. "E questo piccolino qui, chi
è?" chiese poi, incrociando lo sguardo del gatto che Alec
teneva in braccio e accarezzando piano la sua testa.
"E' un trovatello che abbiamo recuperato questa sera. L'ho chiamato
Presidente Miao." spiegò Magnus, compiaciuto, facendo le
presentazioni. "Da oggi vivrà con me."
"Davvero? Ma è dolcissimo!" esclamò Dewi,
appropriandosi del gatto e iniziando a coccolarlo. "Vero che sei
dolcissimo? Ohhh, sì che lo sei!" cinguettò, con
il micio che faceva le fusa.
"Guarda che non te lo porti a casa! E' mio! Mio e di Alec!" la
avvisò Magnus, piantandosi le mani sui fianchi e guardando
con disapprovazione il gatto che si faceva accarezzare senza alcun
pudore da sua madre.
Alec sbattè più volte le palpebre, davanti a
quella scena surreale, prima di trovarsi di fronte a sé il
padre di Magnus che gli tese una mano e, senza tante cerimonie, gliene
acchiappò una delle sue per stringerla saldamente.
"Asmodeus Bane." esclamò l'uomo, dopo aver lanciato
un'occhiata quasi rassegnata alla moglie e al figlio, che
battibeccavano per il micio. "Piacere di conoscerti, Alec. Tuo padre mi
ha parlato tanto di te." lo informò, con un sorriso.
"Piacere, signor Bane." rispose Alec, stringendogli la mano.
"Anche Magnus ci racconta spesso di te, quando ci sentiamo per
telefono." si intromise Dewi, allegra.
"Da-davvero?" chiese Alec, imbarazzato.
"Oh, sì!" annuì la donna, con entusiasmo. "Ha
descritto i tuoi occhi come due zaffiri preziosi, caro. E aveva
ragione!"
"MAMMA!" esalò Magnus, con espressione tradita.
Alec sentì le guance farsi di brace, ma almeno era in buona
compagnia. Non gli sfuggì, infatti, che anche quelle della
sua guardia del corpo erano arrossite immediatamente.
Magnus guardò alternativamente i genitori con un cipiglio
severo, nel tentativo di nascondere l'imbarazzo. "Perché
siete qui?" domandò nuovamente.
"Malaikatku,
che modi sono? Abbiamo un ospite e lo lasci sulla porta di casa?
Invitalo ad entrare no?" lo rimbrottò Dewi, spintonandolo e
scuotendo la testa con disapprovazione.
"Io ho un
ospite. Voi,
invece, non avete un ospite, perchè voi non abitate
qui!" le ricordò Magnus, indispettito. "Vieni, Alec.
Accomodati." disse, subito dopo, addolcendo la voce e posando una mano
sulla schiena del moro, per spingerlo piano dentro casa. "Ripeto per
l'ennesima volta, visto che a quanto pare siete diventati
improvvisamente sordi entrambi: perché siete qui?" chiese
poi ancora, tornando a guardare male i suoi genitori.
"Tu perchè sei qui?" ritorse Asmodeus, alzando un
sopracciglio. "Non dovresti essere a casa sua?"
Magnus alzò gli occhi al cielo, con un sospiro stizzito. "Il
suo secondo stalker, Raj, si è appostato davanti al
palazzo." spiegò, scrollando le spalle con aria stanca. "Ho
pensato che portarlo qui potesse... Ehi! Non cambiare discorso!"
brontolò poi, puntando l'indice contro il petto di suo
padre. "Perché ci stavate dando dentro sul mio divano?"
"Magnus Bane!" esclamò Dewi, fingendosi scandalizzata.
"Ohhh, no! No! Non ci provare, eh! Nessun Magnus Bane!"
scimmiottò Magnus, sventolandole l'indice contro con
disapprovazione. "Dovrò far disinfettare il divano, per
colpa vostra!"
Dewi roteò gli occhi e scosse la testa. "Alexander..."
iniziò, ignorando volutamente il figlio, e voltandosi verso
il moro.
"Alec." la corresse automaticamente quest'ultimo.
Dewi sorrise dolcemente. "Alec, tesoro, ti va una tazza di cioccolata
calda? Vieni, caro, dev'essere stata una giornata lunga e faticosa."
mormorò, prendendolo sottobraccio e conducendolo verso la
cucina.
Magnus guardò suo padre con uno sguardo eloquente,
allargando le braccia in modo esasperato, e Asmodeus
sghignazzò, battendogli poi una mano sulla spalla,
comprensivo.
"Perché stavate facendo sesso sul mio divano!"
bisbigliò Magnus, irritato. "E' l'una passata! Non ce
l'avete una casa tutta vostra dove fare i vostri porci comodi?
Cos'è? Un nuovo, perverso, gioco di ruolo?"
"Non stavamo facendo sesso..." disse Asmodeus, divertito, a bassa voce.
All'occhiata scettica del figlio, si affrettò a correggersi.
"Non ancora almeno." mormorò, giocoso. "Ci avete interrotti
sul più bello!"
"Terima kasih Tuhan!"
[ndr. Grazie a Dio!] sibilò Magnus, indignato. "Non voglio
neanche pensare a cosa sarebbe successo se fossimo arrivati dieci
minuti più tardi!" rabbrividì, immaginando
vestiti sparpagliati ovunque e lembi di pelle e sederi nudi che non ci
teneva a vedere per niente.
"Stavamo tornando da una cena di gala e volevamo solo assicurarci che
qui fosse tutto a posto." si giustificò Asmodeus, scrollando
le spalle. "Poi... sai com'è... ci siamo lasciati
trasportare e..."
"Non.una.parola.di.più." scandì Magnus,
poggiandogli un indice sulle labbra. "Non voglio sapere! Ho
già sufficienti ricordi di voi due che vi infilate la lingua
in gola a vicenda, testando ogni superficie della casa!"
Asmodeus rise di gusto, cingendo le spalle del figlio e baciandogli una
tempia. "Andiamo a salvare Alec dalle grinfie di tua madre, sayang." [ndr.
tesoro] esclamò, divertito.
"Che esperienza terribile deve essere stata." stava dicendo Dewi,
mentre posava una tazza fumante di cioccolata calda davanti ad Alec.
"Sarai sconvolto!"
Il moro si strinse nelle spalle, non osando rivelare che, in
realtà, era molto più scosso per come aveva
conosciuto i genitori di Magnus che per quello che era successo quel
giorno con i suoi stalker.
"Magnus ci ha informati che quel tizio, Raj, l'ha denunciato per
aggressione. Che faccia tosta!" esclamò Dewi, scuotendo la
testa con palese disgusto. "Guardalo, Alec! Come si può
denunciare una meraviglia simile? Eh?" dichiarò con
convinzione, afferrando di slancio il viso del figlio, che le si era
avvicinato, e scuotendolo tutto. "Non è meraviglioso?"
Alec si trovò ad annuire energicamente, sotto la pressione
di quello sguardo intenso che lo stava sfidando a osare dire il
contrario.
"Lui è il nostro orgoglio, sai?" spiegò Dewi,
estasiata, guardando suo figlio con amore. "E se solo si sposasse e
avesse dei figli... anche adottati..." mormorò, voltando
brevemente lo sguardo verso Alec con uno strano luccichìo
negli occhi. "...sarebbe perfetto in tutto e per tutto!" concluse, con
il figlio che scappava dalla sua presa con uno sbuffo rassegnato e il
capo rivolto verso l'alto.
"Mamma..." gemette Magnus.
Dewi sventolò una mano, ignorandolo. "La famiglia
è importante! Non sei d'accordo, Alec?"
"Ehm... sì." rispose il moro, sbattendo le lunga ciglia.
Dewi piegò la testa e lo osservò dolcemente. "E
tu, caro? Hai un fidanzato che concorda che la famiglia è
importante?" domandò a bruciapelo, nonostante sapesse
perfettamente che il moro era single, avendo letto il fascicolo che
Robert Lightwood aveva passato al marito.
Ad Alec andò di traverso la cioccolata calda e
iniziò a tossire convulsamente, mentre il suo viso assumeva
una preoccupante sfumatura violacea.
"Mamma!" "Dewi!" esclamarono all'unisono gli uomini Bane, con Magnus
che batteva delicatamente sulla schiena del moro, allarmato.
"Che c'è? Era una semplice domanda." si difese Dewi. "Non
volevo metterti in imbarazzo, caro." disse subito dopo, picchiettando
la mano di Alec per rassicurarlo. "Deduco, comunque che non hai il
ragazzo." mormorò, sorridendo furbescamente. "Sai che sei in
buona compagnia? Anche il mio Magnus è single."
buttò lì poi, con un lungo sospiro melodrammatico.
"MAMMA!" protestò Magnus, alzando il tono di voce.
"Che c'ééé?" sbuffò Dewi,
allargando le braccia e fingendosi sorpresa. "Ho detto la
verità. Sei single. E bisessuale." buttò
lì, con calcolata casualità e un sorriso
luminoso. "Già. Il mio Magnus è single e
bisessuale. Esce con le ragazze. E con i ragazzi.
Già-già". ammiccò, con spudorata
sfacciataggine, verso un Alec che era tornato a strozzarsi, questa
volta con la sua saliva.
"Papà, per cortesia puoi far vedere la stanza degli ospiti
ad Alec." mormorò Magnus, mentre fissava intensamente sua
madre.
"Cosa? Oh! Sì! Sì, ma certo!" esclamò
Asmodeus, notando la conversazione silenziosa che stava avvenendo in
quel momento tra suo figlio e sua moglie. "Vieni, Alec. Ti mostro la
tua camera." disse, in tono gentile, conducendo il moro verso la stanza
degli ospiti.
"Smettila." sussurrò Magnus, indispettito, in direzione di
sua madre, una volta che gli altri due si erano allontanati.
"Di fare cosa?" replicò, con lo stesso tono di voce, Dewi.
"Sai benissimo cosa." sibilò Magnus, piazzandosi le mani sui
fianchi. "Smettila!"
Dewi alzò gli occhi al cielo, con un sospiro rassegnato. La
verità era che, sentimentalmente parlando, non era affatto
contenta della direzione che aveva preso la vita di suo figlio.
Non che si stesse lamentando del suo prezioso Magnus, sia chiaro, ma
quel benedetto ragazzo avrebbe compiuto trentanove anni a dicembre e
Dewi aveva sempre pensato che, arrivati a quel punto, suo figlio
avrebbe avuto una famiglia tutta sua e lei dei nipotini da coccolare e
viziare. La vita, però, era stata profondamente ingiusta con
il suo bambino.
Le occasioni non erano mancate, questo era vero, ma, pensandoci bene,
Dewi aveva finito col realizzare che nessuna delle "frequentazioni" di
Magnus era adatta a creare una famiglia con lui. Era stato sfortunato,
purtroppo. Tra le persone che aveva scelto lui e quelle che aveva
"sponsorizzato" lei, infatti, non ce n'era nessuna che fosse degna del
suo malaikat
[ndr. angelo].
Alcuni flirt erano troppo pieni di sé, altri troppo perbene
e remissivi. Certi erano insignificanti, altri troppo giovani e
immaturi. C'era chi era troppo smanioso di compiacere Magnus in ogni
suo capriccio e chi trovava divertente ignorarlo e lasciarlo cuocere
nel suo brodo.
Poi c'era stata Camille. Suo figlio non era felice con lei, ma non se
ne rendeva conto. Dewi però lo sapeva, il suo cuore di mamma
glielo gridava ogni volta che li vedeva insieme. Eppure Magnus aveva
portato avanti la storia, nonostante le perplessità materne
e tutte le difficoltà di quella relazione complicata, e la
donna ricordava ancora con sgomento il giorno in cui suo figlio le
aveva annunciato di voler sposare quella ragazza egoista e viziata.
L'unica cosa buona che Camille aveva fatto era stata quella di
rifiutare la proposta. Certo, aveva spezzato e calpestato il cuore
buono e generoso di suo figlio e, se non fosse stato per Asmodeus che
le si era parato davanti, impedendole di commettere qualche gesto
sconsiderato, quella disgraziata l'avrebbe pagata cara, ma una
piccolissima parte di lei le era anche grata di averlo lasciato andare.
Il suo malaikat
meritava solo ed esclusivamente il meglio del meglio.
Dopo tutti quei disastri amorosi, Dewi era giunta alla conclusione che
suo figlio avesse bisogno di qualcuno con un carattere forte, che
sapesse farsi rispettare da Magnus, ma che, allo stesso tempo, gli
portasse rispetto. Che lo amasse incondizionatamente e che si lasciasse
amare in altrettanta maniera.
E Dewi era convinta di aver finalmente trovato quel qualcuno.
L'idea le si era insinuata nella mente dapprima come un eco lontano,
indistinta e impalpabile, poi si era rafforzata giorno dopo giorno,
grazie ai racconti di suo figlio che, inconsapevolmente, aveva acceso i
riflettori su un ragazzo dai meravigliosi occhi blu a cui le foto nel
fascicolo non gli rendevano affatto giustizia.
Alexander Gideon Lightwood era bellissimo e, da quel che le raccontava
Magnus durante le loro telefonate giornaliere, aveva anche un bel
caratterino deciso, aveva un intelligenza arguta e brillante ed era
anche dolce e gentile. Era perfetto.
"Malaikatku,
sto solo cercando di rendermi utile." cinguettò Dewi, con un
sorriso sbarazzino. "Sai ci stavo proprio pensando questa mattina,
caro! In tutti questi anni abbiamo scelto proprio male."
"Abbiamo?"
domandò Magnus, inarcando un sopracciglio.
"Tutti quei ragazzi e quelle ragazze non erano affatto giusti!"
continuò Dewi, ignorandolo e scuotendo la testa. "Tu hai
bisogno di qualcuno che ti tenga testa, ma che sappia anche quando
è il momento di "cedere"... o almeno di fartelo credere."
ridacchiò, divertita. "Solo così avrai un
matrimonio felice."
Magnus iniziò a ridere istericamente. "Giuro che mi farai
impazzire prima o poi!" gracchiò, pizzicandosi la radice del
naso.
"Voglio solo aiutarti a trovare la persona giusta!" obiettò
Dewi.
"Mamma, mettitelo bene in testa: non.voglio.sposarmi!"
"Oh, sayangku,
non essere così drastico! Sei stato solo sfortunato! Non hai
mai trovato quello giusto con cui condividere la vita e ammetto di aver
contribuito spingendoti nella direzione sbagliata." mormorò
Dewi, accarezzandogli dolcemente una guancia. "Ma questa volta penso di
aver individuato il tipo perfetto per te." ammiccò
esageratamente.
Magnus la fissò, interdetto, e rimase a bocca aperta per un
lungo momento. "No!" bisbigliò poi, irruento. "Lascia Alec
fuori da tutta questa storia!"
Dewi sorrise, con l'aria di chi la sapeva lunga. "Curioso che tu non mi
abbia chiesto di chi stessi parlando, ma hai pensato subito che mi
stessi riferendo a lui." mormorò, piegando la testa.
Magnus boccheggiò.
"E, comunque, stai tranquillo. Non ho bisogno di alzare un dito, questa
volta. Farete tutto voi." ridacchiò Dewi, compiaciuta.
"Di che diavolo stai parlando?" chiese Magnus con veemenza.
"Lui ti piace." mormorò Dewi, raggiante. "E tu piaci a lui.
Lo so. Lo vedo."
"Mettiti un paio di occhiali, ibu."
la schernì Magnus, con un sorriso ironico. "Ci sopportiamo a
malapena!"
"Non essere sciocco, malaikatku!
Vi guardate come se non aspettaste altro di essere soli per saltarvi
addosso e spogliarvi a vicenda." sogghignò Dewi, maliziosa.
"Ma non è vero!" mentì Magnus, indignato. "Vedi
cose che vuoi vedere solo tu! Non c'è niente tra di noi,
mamma!"
Ok, forse Magnus guardava Alec con occhi affamati e moriva dalla voglia
di entrare nel suo letto, ma non c'era bisogno che sua madre lo
sapesse. Anche perché, tempo una settimana, e avrebbe di
sicuro iniziato a organizzare il loro matrimonio! E non era proprio il
caso!
Dewi rise. "So quello che dico. Voi due fate scintille! E, in
più, quel ragazzo è proprio un bel bocconcino, malaikatku.
Tienitelo stretto!" gli consigliò, facendogli l'occhiolino.
"Mamma!" la redarguì Magnus, spalancando gli occhi e
arrossendo.
Dewi rise, guardandolo dolcemente. "Sono sicura che formerete una
coppia perfetta." sussurrò, compiaciuta, mentre il marito
tornava con Alec in cucina.
"Ok, ora basta." dichiarò Magnus, spazientito, ad alta voce.
"Portala a casa." ordinò, rivolto verso suo padre. "E'
tardi. Alec è stanco. Io sono stanco. Anche Presidente Miao
è stanco. Siamo tutti stanchi." asserì, convinto,
spingendo con decisione i genitori verso la porta. "Quindi ciao, vi
voglio bene, ci sentiamo domani, buonanotte e state attenti per
strada." li salutò, tutto d'un fiato.
"Ma Magnus..." protestò debolmente suo padre, aggrottando la
fronte.
"Sayang,
credo sia ora di andare." ridacchiò Dewi, divertita,
prendendo il marito sottobraccio e facendogli un occhiolino complice.
"Vogliono stare da soli." gli mormorò all'orecchio,
alzandosi in punta di piedi.
"Oh. Ohhhh!" esclamò Asmodeus, quando capì
ciò che gli voleva dire la moglie.
"Cos.. Ehi! No! Noi..." iniziò a giustificarsi Magnus.
"Alec, tesoro, è stato un piacere conoscerti. Sono certa che
ci vedremo presto." lo salutò Dewi, con un sorriso
raggiante. "Ciao, cintaku
[ndr. Amore mio]." mormorò poi, baciando teneramente il
figlio sulle guance.
"Ciao, Mags!" lo salutò suo padre, con un sorriso divertito,
battendogli la mano su una spalla.
"Ehi! No! Aspettate..." tentò ancora Magnus, inutilmente,
quando vide i genitori ridacchiare tra loro e dileguarsi oltre la porta
di casa.
Gettò la testa all'indietro, chiuse gli occhi e
sbuffò quietamente, prima di tornare a guardare Alec con un
sorriso sconsolato e divertito allo stesso tempo.
"Scusali." mormorò l'uomo, tornando dal moro, che, sempre
più frastornato, fissava il punto ormai vuoto dove, fino a
pochi momenti prima, i signori Bane stavano spettegolando su loro due.
Spettegolavano. Su loro due. I genitori di Magnus spettegolavano su
loro due, per l'angelo! Alec era sul punto di morire per l'imbarazzo.
"Sono... uhm... come dire... particolari,
ecco." spiegò Magnus, roteando affettuosamente gli occhi.
"Ci vuole molta pazienza con loro. Non ti hanno spaventato, vero?"
chiese, sorridendo.
Alec si ridestò dalla sua trance e tornò a
guardare Magnus, scuotendo la testa con un sorriso sghembo. "No. Sono...
simpatici." Escludendo il fatto che spettegolavano su loro due.
Magnus ridacchiò. "E' un modo gentile per non dire pazzi squinternati?"
scherzò, divertito.
Alec gli rivolse un sorriso storto. "No, sono... originali."
Magnus rise, fregandogli la tazza di cioccolata e bevendone un sorso.
Ale roteò gli occhi, scuotendo piano la testa e guardandosi
poi attorno. "E' davvero bello qui!"
L'appartamento occupava interamente l'ultimo piano del palazzo e dalle
vetrate si intravedeva una vista spettacolare di New York. L'ampio
soggiorno era dotato di un caminetto in marmo, un grandissimo
televisore a schermo piatto e due enormi divani ad angolo in tessuto
bianco, con sopra una moltitudine colorata di cuscini. Il pavimento era
lucido e formato da grandi listoni in quercia, su cui spiccava un
grosso tappeto color tortora, mentre alle pareti erano appesi numerosi
quadri con illustrazioni astratte.
Alec era impressionato: il salotto sembrava uscito direttamente da una
rivista patinata e l'appartamento, in generale, somigliava a una
reggia, se messo a confronto con la sua umile e striminzita tana.
"Grazie." rispose Magnus, piegandosi per accarezzare il gatto che si
stava strusciando tra le sue gambe. "Hai fame, Presidente? Vediamo se
ho qualcosa per te!" mormorò, aprendo e chiudendo un paio di
stipiti. "Porta pazienza, ma il frigo è vuoto
perché sto facendo da babysitter a lui." scherzò,
indicando Alec con il pollice.
"Ehi!" si lamentò il moro, risentito, allargando le braccia,
quando si sentì chiamato in causa.
Già quel gatto lo odiava, non c'era bisogno di dargli
ulteriori motivi per farlo diventare ancora più antipatico
ai suoi occhi!
Come se gli avesse letto nel pensiero, Presidente Miao lo
guardò brevemente, assottigliando lo sguardo, e Alec era
sicurissimo che quel felino lo stesse giudicando e fissando con biasimo.
"Ma non preoccuparti!" continuò Magnus, battendo le mani e
continuando a cercare. "Ora ci pensa papà!"
esclamò, sorridendo trionfante quando riuscì a
recuperare una scatoletta di tonno.
Il gatto mosse sinuosamente la coda e rivolse a Magnus uno sguardo
adorante, tornando poi a strusciarsi tra le sue gambe e riprendendo il
concerto di fusa.
Alec rivolse ad entrambi il dito medio, si alzò e
voltò le spalle alla sua guardia del corpo e a quel gatto
subdolo e ingrato che guardava il suo salvatore con
ostilità, ma che si scioglieva come neve al sole per una
carezza di colui che voleva lasciarlo al suo destino, e andò
a sedersi di peso sul divano, scoprendo che era come stare su una
nuvola. Ora capiva perchè i genitori di Magnus si erano
messi comodi,
pensò, sentendo le guance scaldarsi di nuovo per l'imbarazzo.
Il telefono di Magnus suonò e il moro lo sentì
parlottare velocemente e a bassa voce con il suo interlocutore, prima
che lo raggiungesse in salotto con un asciugamano umido e un vecchio
maglione tra le mani, che ormai non usava più
perché completamente passato di moda, e che usò
per fare una cuccia improvvisata in una scatola di scarpe al nuovo
arrivato.
"Domani ti compro una cuccia come si deve." annunciò al
felino, mentre si sedeva accanto ad Alec. "Ma per il momento... che
dici, Presidente? Ti piace?"
Il gatto annusò, circospetto, la scatola, poi si
arrampicò sulle gambe di Magnus e andò ad
acciambellarsi sulle sue ginocchia, iniziando a fare le fusa, contento.
La guardia del corpo ridacchiò, iniziando a passare
lentamente e con cautela il panno umido sul pelo e grattando, di tanto
in tanto, la testa del felino.
"Ingrato! Ti ricordo che ti ho trovato io!" borbottò Alec,
imbronciato, fissando con un'occhiataccia il micio. "Lui voleva
lasciarti sull'albero!"
Presidente lo ignorò, mettendosi a pancia in su e
continuando a ronfare per le carezze di Magnus, che rise, allegro,
continuando a strofinare piano il pelo arruffato dell'animale.
"Domani ti portiamo dal veterinario e poi a fare una bella
toelettatura. Vedrai quanto diventerai bello!" assicurò
l'uomo, con convinzione, prima di girandosi verso il moro. "Jace
è andato a casa tua, ma Raj era già sparito. Tuo
fratello ha perlustrato la zona, ma di lui nessuna traccia ed
è tornato in centrale per segnalare l'accaduto." lo
informò.
Alec sospirò pesantemente. "Conoscono il numero di telefono
di casa e sanno dove abito." mormorò, giocando con il bordo
del proprio maglione. "Secondo te, come hanno fatto? Non sono
nell'elenco!"
Magnus scrollò le spalle. "Possono averlo scoperto in molti
modi. Uno dei due può aver rovistato tra la tua spazzatura
oppure ti ha seguito o ha pedinato i tuoi fratelli, che lo hanno
portato fino a casa tua."
"Per l'angelo, significa quindi che dovrò controllare tutto
quello che faccio e controllare persino quello che butto via?!"
esclamò Alec, in tono amaro.
"Perché non ne parliamo domani? Mh?" propose Magnus,
picchiettandogli gentilmente la mano. "Ora hai bisogno di una bella
dormita."
Alec gettò la testa all'indietro e chiuse gli occhi,
adagiandosi sullo schienale del divano e sentendo improvvisamente
piombargli addosso tutta la stanchezza e la frustrazione accumulate
fino a quel momento.
"Andrà tutto bene." lo rassicurò Magnus,
dolcemente, arruffandogli scherzosamente i capelli.
"Come lo sai?" chiese il moro, senza aprire gli occhi.
"Beh, perché hai la guardia del corpo più
meravigliosa che ti potesse mai capitare!" esclamò Magnus,
convinto. "Lo dice anche mamma che sono meraviglioso!"
continuò, divertito.
Alec accennò un piccolo sorriso storto.
"Dai, vieni, andiamo a letto." lo esortò, alzandosi dal
divano.
Alec tornò a guardarlo. "Grazie, Magnus." mormorò.
Magnus sorrise e gli fece cenno con la testa di seguirlo.
"Secondo te, cosa succederà ora?" chiese Alec, rassegnato,
alzandosi faticosamente.
"Domani penseremo a un piano d'azione." lo rassicurò Magnus,
accompagnando il moro nella camera degli ospiti. "Per ora, cerca di
dormire." gli sorrise, gentile. "Buonanotte, Alec."
"Notte." rispose Alec, con un sospiro stanco, avvicinandosi al letto e
cadendoci sopra pesantemente.
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Era buio.
Alec non riusciva a
vedere a un palmo dal suo naso e non aveva idea di dove si trovasse e
come fosse finito lì.
Agitato,
allungò le braccia attorno a lui: entrambe le mani toccarono
la superficie dura di un muro ai lati del suo corpo. Avanzò
di qualche passo, facendo scorrere i palmi sullo spazio ruvido sotto le
sue mani, e capì di essere in un corridoio stretto e che gli
dava un senso di claustrofobia.
Iniziò a
camminare a passo svelto, continuando a toccare la superficie per avere
un punto di riferimento, sperando di vedere, da un momento all'altro,
uno spiraglio di luce che gli suggeriva l'uscita da quel tunnel.
Aveva percorso pochi
metri quando sentì distintamente dei passi dietro di lui che
si avvicinavano sinistramente.
Si voltò di
scatto, capendo che qualcuno lo stava seguendo. Alec non lo vedeva, ma
percepiva la sua oscura presenza e sentiva il suo respiro farsi via-via
sempre più pesante, mano a mano che si avvicinava a lui.
Tornò a
voltarsi e iniziò a correre.
Doveva scappare. Doveva
arrivare assolutamente alla fine del corridoio e trovare la porta che
l'avrebbe condotto fuori da lì o sapeva che per lui sarebbe
stata la fine.
Più tentava
di sbrigarsi, però, più gli sembrava di muoversi
a rallentatore, mentre l'ombra alle sue spalle era sempre
più vicina.
Era troppo lento,
dannazione. Di questo passo lo sconosciuto dietro di lui l'avrebbe
raggiunto e...
"Cazzo!" urlò Alec, ansando come uno stantuffo, mentre
lottava come un disperato contro qualsiasi cosa l'avesse preso e lo
stesse stringendo.
Un'ondata di panico lo invase, mentre il cuore iniziò a
pompare sangue e adrenalina lungo tutto il suo corpo, spingendolo a
dimenarsi ancora di più. Quando gli sembrò di non
avere più aria nei polmoni, sbarrò gli occhi e si
alzò di scatto a sedere, liberandosi finalmente della
coperta che l'aveva avviluppato fino a togliergli quasi il respiro.
"Alec!" esclamò Magnus, scapicollandosi in camera sua. "Stai
bene? Che succede?"
Alec continuò a respirare pesantemente e annuì,
ancora frastornato, con lo sguardo perso nel vuoto.
Un incubo. Era stato solo e soltanto un incubo.
Si posò un mano sul petto e prese un'altra serie di respiri
profondi, prima di alzare lo sguardo e guardare Magnus, con
l'intenzione di rassicurarlo. Le parole, però, gli morirono
in gola e la sua mente si bloccò di colpo, dimenticando
tutto, anche come si respirava. Il viso gli andò
completamente a fuoco e si coprì immediatamente gli occhi.
"P-p-per l'angelo!!" balbettò, colto completamente alla
sprovvista. "MAGNUSSSS!! COPRITIIII!!" gridò, sul punto di
morire per l'imbarazzo.
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso, poi guardò
verso il basso e rise. "Scusa. Ho l'abitudine di dormire nudo."
"Copritiiii!" ordinò nuovamente Alec, tenendo gli occhi
saldamente chiusi e prossimo a una sincope.
"Oh, ma dai! Non è niente che non abbia anche tu." lo prese
bonariamente in giro Magnus, prendendo comunque uno dei cuscini
ornamentali che posava sempre sul letto degli ospiti. "Ok, mi sono
coperto."
Alec attese qualche secondo, poi aprì, titubante, un occhio
e, quando vide che l'altro non gli aveva mentito, aprì anche
l'altro.
"Per tua informazione, comunque, sappi che sta abbastanza bene,
nonostante tu abbia tentato di uccidermelo!" lo informò
l'uomo, con tono solenne. "Vuoi vedere?" chiese, togliendosi di slancio
il cuscino. "Guarda qua che roba! Ho i testicoli viola a causa della
tua ginocchiata!"
"MAGNUSSSS!!!" gridò Alec, tornando a coprirsi gli occhi e
sentendo le guance incendiarsi.
Magnus rise di gusto. Aveva giurato che si sarebbe vendicato per la
micidiale botta che l'altro gli aveva rifilato, ma sapeva che, alla
fine, non gli avrebbe fatto niente. In quel momento, però,
scoprì che poteva avere la sua piccola rivincita
semplicemente facendo morire d'imbarazzo quell'anima pudibonda e
adorabile davanti a lui. Ridacchiò, tornando a coprirsi e
decidendo che poteva bastare così.
"Ok. Ok. Mi copro!" esclamò l'uomo, con un sorriso
divertito. "Buongiorno." lo salutò poi, quando l'altro
tornò ad aprire gli occhi.
"Idiota!" replicò Alec, guardandolo male, con il viso che
non accennava minimamente a tornare normale.
Magnus piegò la testa e lo guardò dolcemente.
"Come stai? Ti ho sentito urlare! Hai fatto un brutto sogno, per caso?"
"Sì. No. Non è niente." sospirò Alec,
sventolando una mano e minimizzando l'incubo con una scrollata di
spalle.
Magnus intuì la bugia e sentì l'impellente
bisogno di abbracciarlo: fece un passo in avanti e alzò un
braccio, pronto a consolarlo, ma poi si ricordò che il moro
non gradiva il suo tocco, o almeno così andava blaterando,
quindi lo riabbassò.
Alec lo guardò, confuso, e la guardia del corpo gli sorrise,
rassicurante: si accucciò e prese con gentilezza, in una
mano, Presidente Miao, che era accorso per vedere cosa stava succedendo
e perché c'era tutto quel trambusto, e lo piazzò
dolcemente tra le braccia del moro.
"Garantisco io per lui, Presidente." asserì Magnus, alzando
un indice e facendo a entrambi l'occhiolino, quando sia Alec che il
gatto lo guardarono sorpresi e terrorizzati allo stesso tempo per
quella vicinanza forzata e del tutto inaspettata. "E' un brontolone e
una testaccia dura, ma vedrai che, se ci fai amicizia, ti
piacerà." sorrise, accarezzando con l'indice il piccolo naso
del felino. "Su, fagli tornare il sorriso, mentre io vado a preparare
la colazione." gli sussurrò piano, in un orecchio, mentre il
campanello di casa suonava.
La guardia del corpo si voltò per uscire dalla stanza e Alec
andò nuovamente in iperventilazione.
"MAGNUSSSS!" urlò il moro, alla vista del sedere nudo
dell'altro.
La guardia del corpo rise di gusto e gli lanciò un'occhiata
maliziosa da sopra la spalla. "Ti piace quello che vedi, Fiorellino?"
chiese, ammiccando e sporgendo esageratamente il sedere, prima che Alec
gli tirasse dietro il cuscino, facendolo uscire dalla camera.
Il moro si portò una mano alle guance, sentendole bollenti,
e abbassò poi lo sguardo sul gatto che lo stava fissando,
anzi, no, Alec era fermamente convinto che lo stesse giudicando e lo
stesse reputando un imbecille patentato. Forse lo era. Sicuramente lo
era.
"Che c'è?" chiese, agitato e a disagio sotto quell'occhiata
intensa.
Non si sarebbe stupito affatto se, da un momento all'altro, quel
gattaccio ingrato si fosse avventato sul suo viso per cavargli entrambi
gli occhi per pura goduria felina.
Presidente Miao piegò leggermente la testa e lo
guardò a lungo con quegli occhietti giallo-verdi che
somigliavano incredibilmente a quelli della sua guardia del corpo:
sembrava quasi lo stesse soppesando attentamente e stesse tentando di
capire perché il suo adorato Magnus frequentava un impiastro
simile.
Alec sentì l'impellente urgenza di spiegarsi, di
giustificarsi, di dirgli che l'ex Marine non era lì per
un'opera di carità, ma era stato ingaggiato da suo padre per
fargli da guardia del corpo, ma Presidente si mosse, accomodandosi
meglio su di lui, e il moro non osò aprire bocca.
Dopo interminabili secondi, in cui Alec trattenne addirittura il fiato
pur di non infastidirlo e rischiare di vedersi strappare via mezza
faccia a causa di quelle malefiche unghiette affilate, il gatto
sospirò e miagolò debolmente, scosse piano la
testa (sì, l'aveva fatto! Il moro avrebbe potuto giurarlo
sulla sua famiglia!) e spiazzò totalmente Alec iniziando a
strusciarsi sul suo petto e a fare le fusa, guardandolo di tanto in
tanto, in attesa di una carezza.
Alec lo fissò a bocca aperta, incapace di credere a quanto
stava succedendo, poi un'ondata di gioia lo travolse e gli sorrise,
raggiante. Non aveva idea di come fosse successo, ma a quanto pareva
aveva finalmente passato il silenzioso esame del felino e ora non lo
trattava più alla stregua di boli di pelo appena vomitati.
Accarezzò il gatto cautamente, con estrema lentezza, per
interi minuti, felice come non lo era da tempo, prima di decidersi ad
alzarsi. Doveva assolutamente dire a Magnus che la palla di pelo
spelacchiata aveva deposto gli artigli e non c'era più
pericolo che gli strappasse il cuore dal petto mentre stava dormendo...
o almeno lo sperava!
Quando aprì la porta della sua camera, fu investito da un
piacevole aroma di caffè e dal suono di voci maschili.
Sorrise, respirando a fondo il profumo che si era propagato per tutto
l'appartamento.
Magnus era in piedi, davanti ai fornelli, e indossava solo un paio di
jeans stretti che sembravano urlare "Hai visto che sedere? Eh? Hai
vistooo?" (e, sì, Alec l'aveva visto perfettamente a
distanza ravvicinata, sì!) e, quando lo sentì
arrivare, si voltò verso di lui e gli fece un giocoso
occhiolino, prima di tornare a trafficare con le padelle.
Alec sbuffò, maledicendosi intimamente perché le
sue guance si erano colorate all'istante, e distolse lo sguardo,
reputando saggio rivolgere la sua attenzione all'uomo seduto al tavolo:
Will Herondale era spaparanzato su una sedia, con i piedi appoggiati su
di un'altra, e alzò la sua tazza di caffè in
cenno di saluto.
"Buongiorno, Alec." esclamò, con un sorriso.
"Ciao, Will." rispose Alec, con un cenno della testa. "Come stai?"
domandò educatamente.
Avere a che fare con Will lo faceva sentire irrequieto: fisicamente gli
somigliava tantissimo, ma, a differenza sua, il Marine era
più coraggioso, più spigliato, più
simpatico, più chiacchierone, più... tutto. Ad
Alec sembrava di avere a che fare con una sua copia, ma riuscita
meglio, e questo lo metteva a disagio.
"Bene, grazie, anche se piuttosto assonnato." ribatté Will,
alzando le braccia in alto e stiracchiandosi lentamente. "Non sono
ancora andato a letto." spiegò, facendogli l'occhiolino.
Alec si irrigidì, certo che la causa di quella nottata in
bianco fosse Raj. "Cos'è successo?"
Will lanciò una breve occhiata a Magnus, che
annuì, incoraggiandolo a proseguire. "Raj deve essersi
stancato di fare da spettatore e ha deciso di passare all'attacco. Due
volte." spiegò Will, bevendo un sorso di caffè.
"Ha fatto scattare l'allarme una volta verso l'una e mezza e un'altra
verso le quattro."
Alec si sedette di peso su una delle sedie. "Ha cercato di entrare in
casa mia?" chiese, scioccato.
Will scrollò le spalle. "Secondo me, la prima volta voleva
solo accertarsi che tu fossi in casa. La tua vicina, infatti... tra
l'altro una signora molto simpatica e piuttosto chiacchierona..."
sorrise, divertito, il soldato "...comunque mi ha detto che batteva i
pugni contro la tua porta, gridando il tuo nome. Purtroppo è
scappato prima che noi arrivassimo."
"Noi?"
chiese Alec, aggrottando la fronte, mentre Magnus gli metteva davanti
una spremuta d'arancia.
Will annuì. "Quando scatta l'allarme viene inviato un
messaggio sul cellulare di Magnus, che lo avvisa della probabile
intrusione e, in più, vengono avvisati anche l'agenzia di
sicurezza per cui lavora tuo cognato e la polizia."
"Davvero?" chiese Alec, stupito.
Magnus annuì. "E' importante che, in casi del genere, la
polizia sia informata tempestivamente e che intervenga ogni volta che
scatta l'allarme." spiegò, mescolando il suo
caffè con un cucchiaino.
"Casi di stalking, vuoi dire." borbottò Alec, fissando la
sua spremuta.
Magnus annuì nuovamente. "La polizia stila un rapporto e
ogni volta che un indiziato tenta qualcosa, la documentano."
"Anche se si tratta di falso allarme?"
"Non è il tuo caso, ma, sì, anche in caso di
falso allarme."
"Fantastico." ribatté Alec, roteando gli occhi. "Quindi il
mio "efficiente" allarme di sicurezza disturba inutilmente la polizia
perché quel ragazzo si è fissato con me."
Magnus piegò la testa e sorrise dolcemente. "Tesoro, non
disturba nessuno. E' il loro lavoro."
"Ahn-ahn. Sì, certo." borbottò Alec, sarcastico,
pizzicandosi la radice del naso.
"Jace ha già stilato un rapporto e ha documentato ogni
cosa." lo informò Magnus.
Alec agguantò il suo cellulare, aspettandosi mille chiamate
e messaggi da parte del fratello, ma ce n'erano parecchi solo di sua
sorella e di sua madre che volevano tutti i dettagli di quello che era
successo il giorno prima.
"Come fai a saperlo?" chiese, quindi, dubbioso.
"Ci siamo sentiti prima." rispose Magnus, scrollando le spalle e
azzannando una ciambella glassata che Will gli aveva gentilmente
portato.
"Ti ha chiamato?" chiese Alec, sempre più sbalordito.
"Perché parla di queste cose con te e non con me?"
"Passerotto, credo che semplicemente non voglia farti preoccupare."
rispose Magnus, gentile. "E' parecchio arrabbiato per non essere
riuscito ad acciuffarlo."
"Beh, ma ora può arrestarlo, no?" domandò Alec,
speranzoso. "Voglio dire, ha chiaramente passato il segno!"
"Non è così semplice." mormorò Magnus,
scuotendo la testa. "Da questa mattina, Raj è irreperibile.
Jace è andato nel suo appartamento e l'ha trovato vuoto."
Alec gettò la testa all'indietro e sbuffò forte.
Tutto ciò era ridicolo. Ma che aveva? Una calamita
invisibile per gli psicopatici?
Magnus diede un altro po' di tonno a Presidente Miao, che si strusciava
con insistenza sulle sue gambe, poi posò sulla tavola un
piatto, su cui aveva disposto tutto quello che Will gli aveva procurato
prima di venire a casa sua: una decina di ciambelle glassate, un
cestino di brioches fragranti, un bricco di caffè e una
caraffa di spremuta d'arancia.
"Serviti pure, Fiorellino."
sorrise, allargando le braccia e sedendosi poi accanto a lui.
Con un sospiro, Alec piluccò distrattamente una brioche. Era
davvero buona, ma lui aveva lo stomaco chiuso in una morsa. Quello che
lo preoccupava più di tutto, infatti, era che se
già con Lydia e lo sconosciuto delle e-mail la sua
libertà e la sua indipendenza erano state fortemente
limitate, ora rischiava seriamente di finire come un carcerato!
"Eddai, Alec! Ti ho visto mangiare e puoi fare meglio di
così." lo stuzzicò Will, piazzandogli un'enorme
ciambella glassata tra le mani.
"Andrà tutto bene, vedrai." lo rassicurò Magnus,
picchiettandogli una mano, intuendo la sua preoccupazione.
Il moro sospirò nuovamente e addentò il dolce
zuccherato. Era da una vita che non mangiava una bomba calorica come
quella e non la ricordava così buona, così, una
volta finita quella, ne addentò un'altra e poi un'altra
ancora.
"Così si fa!" esclamò Will, contento, battendogli
un'energica pacca sulla schiena.
Ad Alec andò di traverso un pezzo di ciambella e
iniziò a tossire convulsamente, facendo ridere i due ex
colleghi.
Un attimo dopo, il cellulare di Magnus suonò e lui rispose.
Parlò con l'interlocutore con parole brevi e concise, poi
riattaccò, mentre Alec e Will lo guardavano in trepidante
attesa di notizie.
"A quanto pare il nostro Raj è più temerario di
quanto pensassi." riferì la guardia del corpo, tamburellando
l'indice sulla tavola, meditabondo. "E' salito per la scala antincendio
e ha distrutto la finestra delle tua camera." mormorò,
trattenendo a stento la rabbia. "Vai a vestirti, coniglietto."
consigliò al moro, guardandolo risoluto. "Andiamo a vedere
cosa ha combinato."
Alec richiuse, con un tonfo secco, il libro che stava leggendo e si
alzò dalla sedia.
Will Herondale stava dormendo beatamente sul suo divano, mentre Magnus
stava trafficando in camera sua per piazzare dei nuovi sensori.
Dopo aver fatto sostituire il portoncino d'ingresso con uno molto
più pesante e blindato, la guardia del corpo aveva dato
ordine, ad una ditta specializzata che conosceva, di sostituire tutte
le finestre dell'appartamento e ora Alec poteva vantare vetri
infrangibili che costavano un occhio della testa e che erano a prova di
proiettile.
Con una lunga ed estenuante telefonata, inoltre, era riuscito a
ottenere l'ordinanza del tribunale che impediva a Raj di avvicinarsi ad
Alec e aveva fatto consegnare le foto del molestatore anche ai suoi
vicini di casa e di agenzia, in modo che, se si fosse fatto di nuovo
vivo, i suoi amici e conoscenti sapevano con chi avevano a che fare.
Per Lydia, purtroppo, non era riuscito a fare altrettanto e Alec sapeva
che Magnus era parecchio infastidito per questo.
Infine, l'uomo gli aveva dato da leggere dei libri che trattavano
l'argomento molestie, in modo che fosse preparato a quello a cui andava
incontro, e il quadro che si prospettava non era affatto roseo: i
criminali di quel genere, infatti, erano considerati irrazionali,
ossessivi e del tutto privi di scrupoli. Molti di loro diventavano
violenti quando non ottenevano ciò che volevano e, visto che
il suo nuovo stalker aveva già usato le maniere forti con il
suo ex fidanzato, era chiaro che la notte prima aveva perso la pazienza
davanti all'appartamento di Alec.
Il moro si avvicinò alla porta finestra che dava sul
terrazzo con lo sguardo perso verso l'orizzonte. Cosa sarebbe successo
se lo sconosciuto che inviava e-mail minatorie a suo padre non fosse
mai esistito e, di conseguenza, Magnus non fosse mai piombato nella sua
vita? Che cosa avrebbe fatto se quel psicopatico avesse tempestato di
pugni la sua porta e urlato il suo nome nel cuore della notte, mentre
lui stava dormendo nel suo letto? E quando, una volta stanco di
giocare, lo stalker avesse rotto la finestra della sua camera? Sarebbe
stato in grado di reagire? Sarebbe riuscito ad affrontare tutto quello
da solo, perché, conoscendosi, non avrebbe coinvolto nessuno
della famiglia?
Alec non possedeva una mazza da baseball con cui scoraggiare eventuali
topi d'appartamento, figurarsi una pistola con cui proteggersi da
criminali psicopatici! Sì, aveva un discreto gancio e buone
gambe che potevano colpire i punti giusti nel caso in cui fosse stato
in pericolo, ma davanti alla minaccia di un'arma tutto ciò
era inutile. In passato aveva avuto lunghe discussioni sia con suo
padre che con suo fratello su questo argomento, ma si era sempre
rifiutato di prendere la licenza per il porto d'armi perché
non si sarebbe mai perdonato se avesse tolto la vita a qualcuno, fosse
anche una persona dedita alla delinquenza.
Sospirò, poggiando la fronte sul vetro della porta finestra,
prima di decidere di uscire sul terrazzo. Aveva decisamente bisogno di
respirare aria fresca.
Posò una mano sulla maniglia e fece per tirare, ma una voce
assonnata lo bloccò.
"Non farlo." mormorò Will, a occhi chiusi.
Alec si voltò verso il Marine e aggrottò la
fronte. "Come sai cosa sto per fare se stai dormendo?"
Il viso di Will si aprì in un sorriso consapevole. "Regola
numero uno, Fiorellino..."
lo canzonò, senza aprire gli occhi. "...dormire sempre con
un occhio aperto quando fai da babysitter." spiegò,
allungando le braccia per stiracchiarsi come un gatto.
"Babysitter?" chiese Alec, indispettito.
Will aprì finalmente gli occhi e si mise lentamente a
sedere. "A Magnus sarebbe venuto un infarto se avessi fatto scattare
l'allarme." ridacchiò, sgranchendosi il collo. "E'
attivato." spiegò, all'occhiata perplessa dell'altro.
"Dannato aggeggio infernale." borbottò Alec, stizzito,
incrociando le braccia al petto.
"Sì, beh, sono sicuro che, con il tempo, imparerai ad
apprezzarlo." assicurò Will, facendogli l'occhiolino e
raggiungendolo. "Ok, dico a Magnus di disinserire l'allarme e poi
possiamo sederci fuori."
"Possiamo?"
chiese Alec, inarcando un sopracciglio minaccioso.
Will annuì. "Non puoi andare lì fuori tutto
solo." si giustificò, indicando con il pollice il terrazzo
al di là della porta a vetri. "Troppo pericoloso. Non
sappiamo quanto siano pazzi i tuoi stalker! Potrebbero spararti
dall'edificio di fronte!" spiegò con tono tranquillo,
scrollando le spalle.
Alec allargò le braccia, esasperato. Ora non poteva nemmeno
più sedersi sul suo balcone? Assurdo! pensò,
fumante di rabbia. Tanto valeva che lo chiudessero in una gabbia, no?
Stava per rifilare una rispostaccia a Will, ma lui, anticipandolo,
alzò un indice e gli sorrise. "Prendere o lasciare."
Il moro si morse il labbro inferiore e, stizzito, fece un cenno con la
testa. "Ok. Sediamoci
fuori." ringhiò, risentito.
Nonostante la temperatura fredda, su tutta New York splendeva il sole e
anche se il suo calore non arrivava a scaldargli la pelle, Alec si
sentì molto meglio e per un attimo si dimenticò
di tutti i suoi problemi, di tutte le sue paure e volle illudersi che
la sua vita era ritornata magicamente come prima dell'arrivo di Lydia.
Poi Will parlò, riportandolo alla realtà.
"Come mai ti piace tanto stare all'aperto? Magnus mi ha detto che ti
piace camminare da solo, anche di notte, e di certo non lo fai per
abbronzarti." lo canzonò, punzecchiandolo con l'indice su
una guancia pallida.
Alec si trattenne dal fargli la linguaccia e si limitò a
scostargli la mano. "Mi piace l'aria fresca. Odio restare tutto il
giorno chiuso in casa o in ufficio. Mi rende nervoso. Preferisco di
gran lunga fare passeggiate, sentire il vento sul viso..."
"A me invece piace prendere il sole." dichiarò Will,
incrociando le dita dietro la testa.
"Davvero? Guardandoti non si direbbe." osservò Alec,
sardonico.
Will rise. "Che ci vuoi fare? Colpa di papà."
replicò, allegro.
"Tuo padre?" chiese Alec, interessato.
Will annuì brevemente. "Era inglese. Sono nato e cresciuto
lì, prima di trasferirmi qui in America." spiegò,
con un sorriso. "E laggiù il tempo non è sempre
clemente con noi amanti del sole." continuò, con un sospiro.
"Odio la pioggia e il freddo. Fosse per me, dovrebbe essere estate
tutto l'anno." sorrise, chiudendo gli occhi e protendendo il viso verso
il sole. "Anche perché è più bello
giocare a basket all'aria aperta."
"Ti piace il basket?"
"Sì! Ogni tanto riesco a trascinare in uno scontro uno
contro uno anche Sniper."
sorrise Will.
"Magnus gioca a basket? Sul serio?" chiese Alec, stupito, svirgolando
le sopracciglia.
Per il moro era una sorpresa. Davvero la sua guardia del corpo, che era
capace di farsi anche dieci docce al giorno quando aveva la sensazione
di sentirsi anche solo lontanamente sudato, praticava uno sport che ti
faceva inzuppare la maglietta dopo appena cinque minuti di gioco e in
cui bisognava perennemente correre avanti e indietro?
"E' più tipo da poker..." rivelò Will, divertito
"...ma quando vuole un favore dal sottoscritto mi sfida a basket. E
perde tutte le volte."
Alec si ritrovò a ridere di gusto agli aneddoti sportivi
raccontati da Will e sorrise quando scoprì che,
sì, Magnus poteva anche perdere ogni partita a basket, ma
stracciava regolarmente il suo ex collega ogni volta che si sedevano
attorno ad un tavolo da gioco.
Fu solo quando Magnus varcò la soglia della terrazza, che il
moro si rese conto che Will, che fisicamente assomigliava sì
a lui, ma caratterialmente gli ricordava tantissimo suo fratello Jace,
l'aveva intrattenuto piacevolmente per più di un'ora,
facendogli dimenticare momentaneamente tutti i suoi problemi. Forse
poteva cominciare a sentirsi meno strano in sua compagnia. Forse.
Magnus sorrise ad entrambi, sollevando un vassoio carico di pasticcini,
un bricco di caffè e una caraffa di spremuta. "E' l'ora
delle merenda, bambini miei!" esclamò, allegro.
Will ridacchiò, acchiappando un paio di pasticcini per
ficcarseli in gola. "Come procede, dentro?" chiese, con la bocca piena.
"Tutto bene." assicurò Magnus, sedendosi su una sedia e
allungando le lunghe gambe sopra la ringhiera del balcone. "Ho
sistemato sensori praticamente ovunque."
"Quindi ora che facciamo?" chiese Alec, mentre la sua guardia del corpo
gli porgeva un pasticcino.
Magnus scrollò le spalle. "Continui la tua vita di sempre,
solo con ancora più attenzione di prima."
decretò, bevendo un lungo sorso di caffè, mentre
Presidente Miao gli saltava in grembo, iniziando a fare le fusa.
Alec fece un verso stizzito. "Sì, come no..."
"Che ne dici se stasera ti preparo un altro dei miei deliziosi piatti
indonesiani? Mh?" domandò Magnus, sorridendo gentilmente,
cambiando discorso.
"A me sembra fantastico." esclamò Will, alzandosi in piedi e
stiracchiando le braccia verso l'alto. "Vado a dormire un altro paio di
orette e poi sono dei vostri." asserì, dando una carezza
veloce al gatto.
"L'hai invitato tu?" scherzò Alec, alzando un sopracciglio,
indicando il Marine con il pollice e con un sorriso accennato.
"Fiorellino..."
lo canzonò Will. "...non ho bisogno di inviti. Non quando
cucina Magnus." sorrise, allegro, puntandogli l'indice contro. "Non
sarà un grande giocatore di basket, ma è
imbattibile a poker e a cucinare. Inoltre, prenoto fin d'ora tutto
quello che lascerai nel piatto." concluse, facendogli l'occhiolino e
rientrando in casa.
Alec tentò di trattenere un sorriso, ma fallì.
"E' un idiota, ma... un idiota simpatico." rise Magnus.
Alec annuì. "A parte il suo atteggiamento alla Jace..."
iniziò, mentre Magnus, ridendo, si strozzava con il
caffè. "Sì, direi che non è male."
sorrise, tornando poi serio. "Secondo te.. le cose diventeranno
difficili come è scritto nei libri che mi hai dato da
leggere?"
"E' probabile." ammise Magnus, con riluttanza, mangiando un altro
pasticcino.
"I criminali di questo
genere sono considerati irrazionali, ossessivi e del tutto privi di
scrupoli." citò Alec, a memoria, corrucciato.
Magnus annuì, con un sospiro.
"Molti di loro diventano
violenti, quando non ottengono ciò che vogliono."
continuò Alec, stringendo il bicchiere di spremuta che aveva
in mano.
"Tesoro, ti assicuro che prenderemo tutte le precauzioni neces..."
"Sì e devo comunque sperare che quei due esagitati non siano
più intelligenti di te e delle tue precauzioni!" lo
interruppe Alec, con un verso di scherno. "Sul serio, come posso
affrontare due pazzi che hanno una visione tutta loro della
realtà? Che non sono razionali, ma soprattutto che agiscono
indisturbati, sfasciandomi casa e mandandomi messaggi minatori?"
"Non lo fai." rispose Magnus, deciso. "Lo faccio io per te, mentre tu
ti tieni fuori dalla loro zona di tiro." gli sorrise dolcemente.
"E come?" chiese Alec, allargando le braccia, esasperato.
"Tenti di evitare ogni possibile incontro." rispose Magnus, con logica.
"E' uno dei motivi per cui ho tanto insistito perché tu
stessi a casa mia, anziché qui."
"Non voglio lasciare il mio appartamento!" obiettò Alec,
posando il bicchiere e incrociando le braccia al petto.
"Ok. Ok." rispose Magnus, alzando le mani in segno di resa
perché non voleva litigare. "Ma purtroppo non c'è
niente che possiamo fare per cambiare la mente contorta dei tuoi
stalker." argomentò, con un sospiro. "Ti consiglio, quindi,
di iniziare a documentare tutto, come, ad esempio, le registrazioni
nella tua segreteria telefonica o se ti arriva qualche e-mail o
messaggio strani."
Alec fissò dritto davanti a sé, sbuffando. Sapeva
che Magnus aveva ragione e, a meno che non optasse per la fuga, come
aveva fatto l'ex di Raj (se poi era davvero scappato), doveva
momentaneamente "adeguarsi" a quel nuovo stile di vita, visto che non
aveva alcuna intenzione di abbandonare la sua città, la sua
famiglia e il suo lavoro!
Il suono del campanello lo riportò al presente, mentre
Magnus si alzava per andare ad aprire. Quando spalancò la
porta, trovò Molly, l'anziana vicina di casa di Alec,
spalmata sullo stipite, mentre respirava con affanno e fatica.
"Oh, per fortuna siete in casa, cari!" esalò la donna,
paonazza, portandosi una mano al petto.
"Signora Kinsley!" mormorò Alec, sorpreso e preoccupato allo
stesso tempo, protendendosi verso di lei per condurla in casa e farla
accomodare. "Sta bene? Cosa le è successo?"
L'anziana sventolò una mano, come se non avesse tempo da
perdere con quelle ciance e quelle premure. "La macc... la macchina!"
"La macchina?" chiese Magnus, aggrottando la fronte. "Quale macchina?"
"La macchina!" ripeté Molly, picchiettando con il palmo il
petto di Alec. "Oh, caro! La tua macchina!"
Alec sbarrò gli occhi e si gelò all'istante. "La
mia macchina? Che è successo alla mia macchina?" chiese,
mentre un brutto presentimento lo scuoteva tutto.
"Oh, caro! Ti hanno distrutto la macchina!" pigolò
l'anziana, inspirando a fondo.
Alec e Magnus fissarono la donna, attoniti, per un lungo momento, poi
si mossero in simultanea: scesero in fretta le scale e arrivarono di
fronte al posto auto dove Alec parcheggiava sempre la sua sgangherata
Ford LTD.
I finestrini erano stati spaccati e i frammenti di vetro erano ovunque,
dentro e fuori il veicolo. Le gomme erano state tagliate, la
carrozzeria era piena di ammaccature e, sul cofano, erano state scritte
le parole Lui
è mio con della vernice rosso sangue.
"Sial..."
[ndr. Cazzo] mormorò Magnus, impressionato, mettendosi le
mani sui fianchi.
"Raj!" sibilò Alec, stringendo con forza i pugni lungo i
fianchi, mentre sentiva montargli dentro una rabbia folle.
"Non credo." rispose Magnus, battendosi l'indice sul mento.
"Lydia?" domandò Alec, stupefatto, voltandosi di scatto
verso la sua guardia del corpo.
Magnus iniziò a camminare attorno alla macchina, pensieroso.
"Sì, secondo me è opera sua." asserì,
fermandosi di fronte al cofano. "Vedi?" chiese, indicando la scritta
rossa. "La calligrafia assomiglia molto a quella di entrambi i
biglietti."
Alec allargò le braccia, esasperato.
"Dubito che abbia lasciato delle impronte." lo avvisò
Magnus. "Non ha avuto bisogno di toccare niente per combinare tutto
questo casino." commentò, corrucciato. "E anche se qui
c'è il corpo
del reato..." continuò, sporgendosi oltre uno
dei finestrini distrutti da cui, sul sedile, si intravedeva una mazza
da baseball. "Non credo che sull'impugnatura troveremo delle impronte."
"Mi ha distrutto la macchina!" abbaiò Alec, arrabbiato, a
voce alta. "Ti rendi conto? Mi ha distrutto la macchina!"
Magnus annuì, comprensivo. "Sarà meglio chiamare
Jace." suggerì, dandogli una veloce pacca rassicurante sulla
spalla.
Quando il biondo poliziotto arrivò, annotò tutto
su un taccuino e documentò la scena con numerose foto.
"Oh, a proposito!" esclamò Jace, mentre esaminava le
istantanee che aveva scattato. "Ho parlato con lo psicologo che aveva
in cura il nostro caro
Raj e mi ha riferito che ha saltato tutte le ultime sedute." li
informò.
"Grandioso." commentò Magnus, sarcastico.
"Il dottore mi ha anche detto che, secondo la sua opinione
professionale, quel ragazzo è tanto brillante, quanto
squilibrato." continuò Jace.
"Fantastico!" rispose Alec, con un verso di sdegno. "E' un piacere
sapere che ho a che fare con due individui folli, ma geniali!"
"Inoltre..." riprese Jace, guardando il fratello con sguardo
comprensivo. "Ho scoperto che anche l'ex di Raj è moro e con
gli occhi blu."
"Uau! Sei una continua fonte di buone notizie!" esclamò
Magnus, sardonico.
"Mi dispiace fratello!" sospirò Jace, contrito.
Alec sventolò una mano. "Non è colpa tua."
mormorò, voltandosi per rientrare in casa.
Magnus lo guardò oltrepassare il portone d'ingresso e non
gli sfuggì né il modo stanco con cui si muoveva
né il tono spento della sua voce. La cosa non gli piacque
per niente.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Il sole brillava alto
nel cielo, ma il sentiero sassoso di montagna, che stavano percorrendo
da oltre un'ora, era riparato dalle fronde degli alberi e uno sfinito e
spossato Alec non notò affatto la radice di un pino che
sbucava, infida e insidiosa, dal terreno ricoperto di sassi e foglie.
Il moro inciampò e cadde pesantemente in ginocchio,
lanciando un grido sorpreso. Si sarebbe di sicuro spalmato interamente
a terra se non fosse stato per Magnus, che l'aveva agguantato giusto in
tempo per il colletto della maglia e gli aveva evitato di sfracellarsi al suolo.
Si rialzò faticosamente in piedi e quando notò la
macchia sui jeans, all'altezza delle ginocchia, imprecò
sonoramente. Possibile che non gliene andasse bene una? Una, per
l'angelo!
Magnus sorrise, alzando gli occhi al cielo e scuotendo piano la testa,
prima di piegarsi per spolverargli i pantaloni e togliergli la terra di
dosso, come avrebbe fatto un genitore con il proprio bambino.
"Guarda che ero capacissimo di farlo anche da solo."
borbottò Alec, burbero.
"Non c'è di che, zuccherino." ritorse Magnus, con un sorriso
divertito. "Vuoi che ci fermiamo un attimo?" propose, in tono gentile.
"Non ne ho bisogno." rantolò Alec, sventolando una mano e
prendendo una serie di respiri profondi.
Magnus ridacchiò. "Ne sei sicuro? Sembra che stai per avere
un infarto!" osservò, divertito, riprendendo comunque a
camminare.
"E' solo una tua impressione." sbuffò Alec, continuando a
seguire l'altro lungo l'impervio sentiero. "Manca ancora molto?" chiese
poi, asciugandosi stancamente il sudore della fronte con la manica
della maglia.
"Ohhh andiamo, pasticcino! Dov'è il tuo spirito di
avventura?" chiese Magnus, allegro, voltandosi e iniziando a camminare
all'indietro. "Sei un agente di viaggi, no?"
"Appunto!" ansò il moro, indicando il suo viso
disastrosamente arrossato e madido di sudore a causa dello sforzo
disumano che stava compiendo.
Alec non era mai stato un tipo propriamente atletico. Sì,
praticava il tiro con l'arco e andava a camminare, ma quando gli amici
gli proponevano una partitella a basket, o facevano escursioni, il moro
rifiutava sempre, preferendo la lettura o il lavoro a qualsiasi
attività motoria che prevedesse sudore ed eccessiva fatica.
"Ti sembro uno scalatore?" continuò, a corto di fiato, con
il cuore che pompava come un indemoniato nella cassa toracica.
Magnus rise e roteò gli occhi. "Passi troppo tempo con me,
cipollina!" affermò, con un largo sorriso. "Non stiamo mica
scalando una montagna! Stiamo solo facendo una bella e tranquilla
passeggiata."
"Tra-tranquilla?" esalò Alec, guardandolo male.
Magnus annuì. "Visto quanto sei flaccido, dovresti farlo
più spesso, sai?"
"F-flaccido?" balbettò Alec, ansimando pesantemente.
Magnus annuì nuovamente. "Sai, confettino, dovresti proprio
smetterla di stare dietro una scrivania e muoverti di più."
scherzò, punzecchiandolo su un fianco con l'indice. "La
signora Molly ti avrebbe già superato da un pezzo. Lo sai,
vero?"
"Io non sono flaccido!" replicò Alec, oltrepassandolo di
slancio per dimostrargli quanto si sbagliasse e far vedere a
quell'idiota chi era Alec Lightwood!
Iniziò a inerpicarsi su per il sentiero in salita, pestando
con forza i piedi per darsi più stabilità, ma
quella dannata stradina era davvero ripida e stava faticando non poco
per non retrocedere o, peggio ancora, cadere all'indietro.
"P-per l'angelo! Perché non hanno costruito un sentiero
più agevole?" ansimò, a corto di fiato, bloccandosi quando aveva fatto solo pochi passi in più della
sua guardia del corpo.
"Oh, ma c'è!" dichiarò Magnus, con un sorriso
sibillino, poggiando i palmi aperti sul sedere dell'altro per spronarlo
a proseguire.
Alec saltò in avanti e si esibì in un grido ben
poco virile, mentre l'altro gli fissava spudoratamente il sedere.
"Dio... è davvero sodo come ho sempre pensato che fosse."
sospirò sognante Magnus. "Hai mai pensato di fare il modello
per intimo maschile?" continuò, piegando la testa e
guardando avidamente le linee rotonde fasciate dai jeans dozzinali che
indossava il moro.
Alec si coprì il sedere con le mani e si voltò a
fronteggiarlo. "Piantala." sibilò, imbarazzato e con il viso
paonazzo, prima di rimanere senza fiato quando finalmente le parole
pronunciate in precedenza dalla sua guardia del corpo fecero breccia
nella sua mente. "C-cosaaa?" chiese poi, a bocca aperta.
"Hai un sedere perfetto e dovresti fare il modello di intimo."
asserì Magnus, con tono deciso e che non ammetteva repliche.
"Anche se io ti preferirei indubbiamente senza niente."
continuò, ammiccando e guardandogli sfacciatamente l'inguine.
Alec gli tirò un pugno deciso sulla spalla.
"Ahio!" si lamentò Magnus, massaggiandosi la zona dolorante.
"C'è un altro sentieroooo?" domandò Alec,
ignorandolo e alzando il tono di voce.
Magnus inarcò un sopracciglio, poi gli fece un occhiolino
giocoso e rise, sorpassandolo agilmente con le sue gambe lunghe e
muscolose che sembravano essere nate per camminate impervie come quella.
Alec lo seguì con lo sguardo, deciso ad ucciderlo e a
nascondere il corpo sotto rami e foglie marce. Tanto chi l'avrebbe mai
trovato lì, in mezzo al nulla?
Magnus sembrò intuire i suoi pensieri e rise di gusto,
allontanandosi ancora di più. Quello che il moro non sapeva,
infatti, era che c'era una stradina che portava tranquillamente alla
destinazione in cui l'ex Marine aveva deciso di condurlo. Magnus,
però, aveva pensato che farlo camminare poteva essere un
buon modo per distrarlo e fargli smettere di pensare alla situazione in
cui si trovava, quindi aveva optato per quel sentiero proibitivo,
anziché il tranquillo e monotono percorso principale. In
più si stava divertendo come un matto a vedere l'altro
sudare, imprecare e borbottare come una caffettiera, mentre si
arrampicava su per il sentiero, così come si stava godendo
al massimo la magnifica vista del suo sedere che si contraeva sotto i
jeans logori.
"T-ti u-uccido!" gracchiò il moro, boccheggiando, prima di
affiancarlo e piegarsi sulle ginocchia per riprendere fiato quando
finalmente arrivarono in cima.
"Che ne dici, dolcezza?" lo ignorò Magnus, chiudendo gli
occhi, allargando le braccia e inspirando a pieni polmoni.
"Dico che sei lo stronzo più stronzo che abbia mai
incontrato e... oooh..." mormorò Alec, incantato, quando
finalmente notò la visita spettacolare che si dipanava
davanti ai loro occhi.
Magnus sorrise. Era la reazione che aspettava da quando aveva deciso di
portarlo lì.
L'ex Marine amava quel posto, che avevano scoperto Ragnor e Raphael, e
il meraviglioso panorama che spaziava su miglia e miglia di foreste
intatte e colline verdi che sembravano andare a fuoco quando il sole
iniziava a calare.
"Allora? Ne valeva la pena, trottolina?" chiese l'uomo, spintonando
gentilmente la spalla del moro con la propria.
"Idiota." ritorse Alec, continuando comunque a guardarsi in giro,
sbalordito ed estasiato.
Magnus trattenne un sorriso, guardando con aria soddisfatta la casetta
di legno che sorgeva, tra gli alberi, in fondo alla radura. Erano
arrivati finalmente.
Dopo l'ultimo attacco, avvenuto quindici giorni prima e che aveva visto
soccombere la sgangherata Ford LDT del moro, gli atti di vandalismo
erano continuati: qualcuno aveva danneggiato altre auto e lasciato
scritte oscene e minacciose sui muri del palazzo, senza mai essere
colto sul fatto.
Magnus aveva visto Alec spegnersi lentamente e inesorabilmente, senza
che lui potesse fare qualcosa. Il moro, infatti, si era completamente
rinchiuso in se stesso, la notte non dormiva e aveva iniziato a
mangiare poco o niente. Anche se andava al lavoro tutti i giorni, non
provava più piacere in quello che faceva e le uniche volte
che sembrava uscire da quella apatia, in cui era caduto, era quando
incontrava la sua famiglia.
Magnus aveva capito che non potevano più continuare
così nell'esatto momento in cui Alec non aveva protestato,
come aveva sempre fatto, quando gli aveva proposto di andarsene da New
York per qualche giorno.
Negli ultimi tempi, a dirla tutta, non aveva mai contestato nessuna
delle decisioni della guardia del corpo e se un tempo Magnus avrebbe
pagato oro per quell'atteggiamento, ora era deprimente vederlo
così docile e remissivo. Era come se una parte importante di
Alec, la sua stessa essenza, stesse scivolando via, lentamente e giorno
dopo giorno, dal corpo del giovane e l'uomo non poteva sopportarlo.
Magnus aveva sentito l'urgenza di fare qualcosa, di dare una scossa al
ragazzo e aveva deciso di portarlo lì, tra i boschi, in
mezzo al nulla. Sapeva quanto Alec amasse la natura, gli spazi aperti e
l'aria fresca sulla pelle: in quel posto era certo che poteva tornare a
sentirsi libero e sereno, senza la costante paura di essere assalito da
pazzi ossessionati da lui.
"Sei sicuro che i tuoi amici siano d'accordo?" chiese Alec, dubbioso,
inarcando un sopracciglio.
"Te l'ho già detto, a Ragnor e Raph non dispiace se usiamo
il loro nido d'amore per un po'." confermò Magnus, con un
sorriso allegro, sventolando una mano e facendogli l'occhiolino.
"Andiamo, tesoro?" chiese, indicando, con un cenno della testa, la
casetta fatta di tronchi.
Alec sospirò, stanco, e seguì la sua guardia del
corpo. Sbiancò quando vide i cinque scalini che conducevano
a un portico aperto fatto di legno. In un altro momento, quei scalini
avrebbe potuto farli di slancio e in un unico colpo, ma ora sembravano
una montagna invalicabile.
"Lasciami qui." dichiarò, con tono melodrammatico,
inginocchiandosi sfinito sull'erba. "Per favore, gettami una coperta e,
ogni tanto, del cibo, giusto per non lasciarmi morire di fame."
Magnus rise di gusto, rovistando nelle tasche del giubbotto alla
ricerca della chiave. "Sto avendo davvero una terribile influenza su di
te, passerotto." asserì, aprendo la porta. "Allora, vieni o
devo portarti in braccio come una novella sposina?" domandò,
lanciandogli un'occhiata maliziosa.
Alec scattò in piedi, inciampando sui suoi stessi passi, e
si affretto a raggiungere Magnus prima che attuasse la sua "minaccia",
mentre l'altro rideva allegramente.
La casa era piccola, ma pulita e dotata di tutte le comodità
necessarie. I mobili in legno erano semplici e c'era un grande
caminetto posizionato davanti a un divano e a un piccolo televisore al
plasma. Alle pareti erano state appese delle foto in bianco e nero e
dei quadri con paesaggi naturali, mentre un grande tappeto nero
decorava il pavimento.
"E' carino qui." mormorò Alec, guardandosi attorno.
"Lo dirò a Ragnor e Raph." sorrise Magnus, controllando che
i due amici avessero rifornito la credenza con tutte le cibarie di cui
avevano bisogno, come da sue indicazioni.
Il moro continuò la perlustrazione: aprì una
delle due uniche porte, che si trovavano all'altra estremità
del salottino, e vi trovò il bagno, mentre l'altra era una
camera in cui c'erano una cassettiera, un armadio e un grande letto
matrimoniale, che occupava quasi interamente la stanza e su cui stava
dormendo una palla di pelo che non era più spelacchiata,
come quando era stata adottata, e che Alec conosceva bene.
"Presidente!" esclamò, sorpreso, quando il gatto
alzò il muso assonnato verso di lui. "Perché
Presidente è qui?" chiese, voltandosi verso Magnus.
"Perché fa parte della famiglia!" spiegò Magnus,
con tono ovvio, mentre controllava le notifiche sul suo cellulare.
"Quale famiglia?" chiese Alec, sconcertato, aggrottando la fronte.
"La nostra, no?" ridacchiò Magnus, facendogli l'occhiolino.
Alec lo fissò, spiazzato, sentendo le guance scaldarsi e un
improvviso, quanto inspiegabile, calore nel petto, poi scosse la testa
con fare paternalistico. La sua guardia del corpo era impazzita, non
c'era altra spiegazione!
Entrò nella camera e accarezzò teneramente il
gatto, che ricambiò con un concerto di fusa, prima di
bloccarsi, colto da uno strano presentimento.
"Chi si prende la camera?" chiese, dubbioso, tornando sull'uscio della
porta.
"La dividiamo, cerbiattino." rispose Magnus, distrattamente, mentre
rovistava nel frigorifero alla ricerca di uno spuntino.
"La divid... No! Non esiste!" replicò il moro, allarmato.
Magnus sorrise, mentre si preparava un sandwich. "Tesoro, il divano
è troppo piccolo sia per me che per te."
Alec fissò con astio il pezzo di mobilio che l'altro gli
aveva indicato con un breve cenno del capo: effettivamente potevano
sedersi lì a malapena entrambi per guardare la televisione,
figurarsi dormire.
"Beh... allora... allora dormirò per terra! Ecco."
annuì con convinzione, incrociando le braccia al petto.
Magnus azzannò il panino e lo guardò con sguardo
birichino. "Sei sicuro? Guarda che mi comporterei bene! Ti darei
giusto qualche palpatina qua e là e basta." rispose,
ammiccando e con un largo sorriso. "Ok, fai come vuoi."
continuò, scrollando le spalle, divertito, dopo
l'occhiataccia del moro. "Ne vuoi un po'?" chiese poi, porgendogli il
sandwich con un sorriso.
Alec roteò gli occhi e si rinchiuse in camera da letto,
iniziando a disfare il suo bagaglio.
Non poteva dormire con Magnus! Per l'angelo, già averlo
vicino, ogni giorno, era un continuo attentato alla sua
sanità mentale, già ogni volta che lo sfiorava
casualmente sentiva il sangue pulsargli nelle vene a una
velocità esorbitante... scendere a un tale livello di
intimità... Dio, solo a pensarci gli andava a fuoco il viso,
figurarsi mettere in atto quell'invito!
No, non poteva! Assolutamente e categoricamente no! pensò,
nuovamente, diverse ore più tardi, mentre fissava Magnus
che, con un sorriso divertito, gli suggeriva di chiudere gli occhi.
"P-perché?" chiese Alec, a disagio.
"Perché sto per spogliarmi, zuccherino." lo
avvisò l'altro.
"Beh... vai in bagno a cambiarti, no?"
Magnus fece spallucce. "Tanto non devo mettermi il pigiama."
"In che senso non metti il pigiama?" chiese Alec, aggrottando la
fronte, genuinamente confuso.
Magnus gli rivolse un sorriso abbacinante e, senza alcuna esitazione,
alzò le braccia per sfilarsi il maglione e rimanere a petto
nudo.
"Cosa fai?" chiese Alec, inghiottendo a vuoto e con la voce che
tremava, quando notò che l'altro era passato a sbottonarsi i
jeans.
Magnus si bloccò, inarcando un sopracciglio. "Mi preparo per
andare a letto?" domandò retoricamente, facendo scendere la
zip.
"E perché ti stai togliendo i jeans?"
"Perché mi preparo per andare a letto." ripeté
Magnus, come se stesse spiegando un concetto difficile a un bambino.
"Quindi voltati... a meno che tu non voglia goderti lo spettacolo. E lo sai anche tu che è un gran bel spettacolo!" sorrise, spavaldo.
"Non dormirai nudo!" protestò Alec, indignato, con il viso
che iniziava a scaldarsi.
Magnus rise. "Tranquillo, mio innocente agnellino dall'anima candida e
pura. Prometto che mi tengo la biancheria intima." affermò,
facendogli l'occhiolino e ancheggiando sinuosamente per sfilarsi i
jeans e rimanere con solo delle mutande nere, semplici e prive di
fronzoli, che catturarono immediatamente l'attenzione del moro.
"Per l'angelo! Quelle sono mie!" lo accusò Alec, sorpreso,
puntandogli l'indice contro e spalancando gli occhioni blu.
"Già" confermò Magnus, tranquillo, guardando
verso il basso e giocando con l'elastico dei boxer. "Ho scoperto che
sono molto più comode delle mie." spiegò,
scrollando le spalle con un sorriso divertito.
"Toglile immediatamente!" pretese Alec, di slancio, alzando il tono di
voce.
Magnus non aspettava altro e ubbidì all'istante,
abbassandosi i boxer alle caviglie. "Contento?" chiese, con un sorriso
che gli divorava la faccia.
Alec arrossì immediatamente, ma strinse i pugni e sostenne
il suo sguardo. "Sei.un.imbecille."
"Ma me l'hai detto tu di toglierle." lo stuzzicò Magnus,
ridendo di gusto.
"Dio, se ti odio!" ringhiò Alec, sentendo il viso
completamente infuocato.
"Allora posso rimettermele?"
"Vai a quel paese!"
"Lo prendo per un sì." esclamò Magnus, allegro,
rinfilandosi le mutande e saltando con un balzo sul letto. "Allora?
Cosa hai deciso, tortino di mele? Vieni?" chiese, battendo la mano sul
posto vuoto accanto a lui.
"Ma manco morto!" replicò Alec, con voce acuta, alzando il
mento in modo altezzoso. "Vado a dormire davanti al caminetto!"
"Ahn-ahn." ribatté Magnus, scuotendo la testa e l'indice, in
segno di diniego. "Se dovesse succedere qualcosa, voglio averti vicino
per riuscire a proteggerti."
"Ma se a casa mia dormiamo in due stanze separate!" obiettò
Alec, stizzito.
"Sì, ma a casa tua non siamo circondati da boschi sperduti e
silenziosi in cui potrebbero nascondersi pazzi squilibrati pronti a
smembrarti con una motosega! Demi
Tuhan [Sant'Iddio], non li guardi mai i film horror?"
chiese l'uomo, inarcando un sopracciglio. "Mai dividersi in questi
casi! Mai!" continuò, con tono saputello. "Quindi o dormi
con me sul letto o..."
"Il pavimento andrà benissimo." lo interruppe Alec, secco,
sventolando una mano.
"Come preferisci, ma ti voglio qui." rispose Magnus, indicando il
tappeto sul suo lato del letto, prima di intrufolarsi sotto il piumone
pesante e le coperte calde.
Alec sbuffò forte, ma era troppo stanco per continuare a
litigare, quindi lo accontentò coricandosi velocemente in
uno dei sacchi a pelo che aveva trovato nell'armadio.
Armeggiò con la lampo e la richiuse fino al mento.
"Comodo?" chiese Magnus, ironico, osservandolo dal letto.
"Comodissimo." mentì Alec, con tono sicuro.
Il pavimento era fastidiosamente scomodo, duro e freddo, ma dividere il
materasso con la sua guardia del corpo era una prospettiva assai
più difficile da affrontare, quindi si impose di chiudere
gli occhi e rilassarsi. Cosa che, ovviamente, non funzionò.
"Buonanotte." mormorò Magnus, spegnendo la luce.
"Notte!"
Dopo pochi minuti, Alec lo sentì respirare in modo calmo e
regolare, segno che si era addormentato. Ah, se fosse stato
così facile anche per lui!
Cercò di pensare a immagini belle, che gli davano una
sensazione di benessere e tranquillità, come una prateria
verde o una distesa di mare calmo, ma non funzionò e
iniziò a girarsi da una parte all'altra, sbuffando e
sentendo i muscoli gridare pietà per quella situazione
disagevole.
"La smetti?" bisbigliò Magnus, facendo sobbalzare il moro.
"Pensavo dormissi!"
"Con te che ti dimeni come un indemoniato nel sacco a pelo?
Sì, certo, come no!"
"Non mi sto dimenando." mentì il moro, cambiando nuovamente
posizione e stendendosi a pancia in sotto, scoprendo, però,
che era anche peggio che dormire supino.
Gemette quando sentì una fitta tremenda ai polpacci e
picchiò piano la testa sul pavimento, stanco e sfinito.
"Stai bene?" chiese Magnus, preoccupato.
"Sì." mentì nuovamente Alec, con una smorfia.
Magnus accese la lampada sul comodino e lo guardò dall'alto.
"Non è vero."
Alec si voltò e sostenne il suo sguardo, poi
sospirò, stremato. "E va bene. Mi fa male tutto e la schiena
e le gambe sono in condizioni pietose."
Magnus piegò la testa e lo osservò per un lungo
attimo, prima di roteare gli occhi e mettersi seduto. Si sporse per
rovistare nel primo cassetto del comodino di fianco a lui ed estrasse,
con un sorriso di trionfo, un tubetto di crema per i massaggi. La
sventolò verso Alec, si alzò e si
inginocchiò di fronte a lui.
"Cosa fai?" chiese Alec, quando l'uomo iniziò ad abbassare
la cerniera del sacco a pelo con un gesto deciso.
"Gamba." ordinò Magnus, pratico, porgendogli il palmo della
mano.
"No!" protestò Alec, indignato.
"Fiorellino,
non riuscirai ad addormentarti se ti fanno male le gambe, quindi
smettila di fare il pudico e lascia fare a me!"
Alec lo fissò a bocca aperta, oltraggiato. "Non faccio il
pud.." iniziò, prima di venire bruscamente interrotto dalla
presa gentile, ma ferma, della sua guardia del corpo che, senza tante
cerimonie, gli aveva afferrato una gamba, tirato su il tessuto dei
pantaloni della tuta e iniziato a massaggiarlo con gesti lenti e
metodici, dalla caviglia fino al ginocchio, sciogliendo la tensione e
calmando il dolore.
"L'altra gamba." ordinò dopo un po', tornando a spalmarsi la
crema sulle mani.
Alec, completamente ipnotizzato, fece come gli era stato detto senza
aprire bocca, godendosi il tocco caldo dell'altro che sembrava fare
magie sui suoi arti doloranti.
"Sai, dovresti fare più esercizio, tortellino."
dichiarò Magnus, divertito.
Alec sbuffò dal naso, ma evitò di commentare,
troppo preso com'era a guardare le mani dell'altro che dolcemente, ma
con sapiente precisione, ridavano vita alle sue gambe martoriate.
Improvvisamente non poté fare a meno di immaginare quelle
lunghe dita muoversi in carezze più audaci, passando dai
polpacci a tutto il corpo, e un lungo brivido lo scosse violentemente.
Magnus alzò il viso, sorpreso. "Scusa! Ti ho fatto male?"
chiese, preoccupato, lasciandolo andare delicatamente e allontanando le
mani.
Alec scosse la testa, mentre le guance si imporporavano. "No,
è... cioè era una contrattura. Sì...
una contrattura! Già-già. Solo una contrattura.
Ora è tutto a posto, comunque." si affrettò a
rassicurarlo, sventolando una mano. "Grazie."
Magnus gli sorrise affettuosamente. "Mi fa piacere. Vuoi che ti
massaggi anche la schiena?" chiese poi, ammiccando esageratamente.
Alec arrossì ancora di più e ritirò in
fretta la gamba, nascondendola, al sicuro, nel sacco a pelo. "No,
grazie! Sono a posto così. Davvero" assicurò,
imbarazzato.
Magnus ridacchiò, alzandosi per andare in bagno a lavarsi le
mani. Quando ritornò, Alec si era già disteso
nuovamente sul pavimento, tirando questa volta la cerniera del sacco a
pelo fin sotto agli occhi.
La guardia del corpo scosse la testa, divertita, prima di tornare a
letto e spegnere di nuovo la luce. "Buonanotte, Fiorellino."
augurò per la seconda volta.
"Notte!" replicò Alec, quando la stanza tornò di
nuovo buia.
Il dolore alle gambe si era attenuato tantissimo, grazie al massaggio,
ma il pavimento continuava a rimanere scomodo. Riprese a girarsi a
destra e a sinistra, frustrato.
"Ti giuro che se non vieni sul letto, ti ci butto io di peso."
mormorò Magnus, con la voce attutita dalle coperte.
Alec tornò supino e spalancò gli occhi, fissando
il soffitto buio. "Sto... sto bene qui." balbettò, sentendo
il cuore accelerare. "Sono solo agitato per la nuova sistemazione."
"Pinocchietto."
lo canzonò Magnus, divertito, accendendo di nuovo la lampada
sul comodino. "Su, coraggio, vieni qui con me. Prometto che
terrò le mani a posto e non tenterò né
di palparti né di approfittarmi di te mentre dormi."
scherzò, facendo capolino dalla sponda del letto.
"Sto bene qui." ripeté Alec, con uno sbuffo.
"Ok, basta così. Ti avevo avvertito." dichiarò
l'uomo, gettando via le coperte.
"Cosa fai?" esclamò il moro, lottando con la cerniera a
lampo e mettendosi a sedere con fatica.
"Ti prendo di peso e ti butto sul letto." lo informò la
guardia del corpo, alzandosi in piedi e torreggiando su di lui.
"Non pensarci neanche!" replicò Alec, puntandogli l'indice
contro.
"Allora o lo fai di tua spontanea volontà o lo
dovrò fare io." sentenziò Magnus, con un sorriso
diabolico, piazzandosi le mani sui fianchi. "A te la scelta,
passerotto."
Alec sentì le guance arrossarsi e strinse con forza il
tessuto del sacco a pelo.
Magnus inclinò la testa e continuò a osservarlo.
"Allora?" chiese, piegandosi sulle ginocchia e mettendosi al suo
livello. "Vieni da solo o devo alzarti di peso e buttarti sul letto?"
lo stuzzicò, picchiettandogli la fronte. "Personalmente
preferisco la seconda opzione, così ho la
possibilità di toccarti tutto e palparti di nuovo il
sedere." mormorò, leccandosi le labbra e ammiccando in
maniera sfrontata.
"Ohhh, e va bene! Vengo da solo!" borbottò Alec, rapido,
uscendo dal sacco a pelo e alzandosi con difficoltà.
Magnus ritornò diritto e osservò Alec che faceva
il giro del letto e poi, meditabondo, fissava il posto vuoto accanto al
suo come se fosse un orribile mostro a tre teste.
Presidente Miao, acciambellato tra i due cuscini presenti sopra il
letto, aprì appena un occhio e lanciò un'occhiata
assonnata a entrambi, poi, decidendo che era una situazione che i due
umani potevano tranquillamente gestire e risolvere per conto proprio,
tornò a dormire.
"Beh?" chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
Alec non rispose, guardandosi attorno con occhi smarriti, poi il suo
sguardo si illuminò e, contento, raccattò tutti i
cuscini che trovò sparsi per la camera e che sapeva esserci
anche dentro l'armadio.
Cominciò a impilarli meticolosamente in mezzo al letto,
formando un muro di gommapiuma che andava dalla testata ai piedi. Una
volta conclusa l'operazione, osservò la sua opera d'arte e
annuì soddisfatto, prima di infilarsi sotto le coperte.
"Resta dalla tua parte." ordinò, voltandogli le spalle e
chiudendo gli occhi con un sorriso beato sulle labbra.
Magnus fissò la scena a bocca aperta, poi rise di gusto,
scuotendo la testa e tornando sotto le coperte. "Ok,
cercherò di non tirarti calci o di buttarti giù
dal letto." lo prese in giro, divertito. "Buonanotte, Fiorellino."
mormorò poi, per la terza volta.
Il timbro caldo e profondo della voce di Magnus riempì il
moro di uno strano piacere rassicurante.
"Buonanotte, Magnus." rispose Alec, piano, sistemandosi meglio sul
comodo materasso e sospirando sereno.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Alec aveva caldo.
L'aria, nella camera da letto, si era surriscaldata in fretta da quando
si era accoccolato sotto le coperte e il piumone e ora gli sembrava di
essere in una sauna. La sua pelle accaldata era in ebollizione e
sentiva il viso bruciare. Se non avesse escogitato qualcosa al
più presto, si sarebbe di certo sciolto come neve al sole.
Era di sicuro quello il motivo per cui non riusciva a dormire. L'unico
motivo. Già. Non c'era altra spiegazione. Nessunissima altra
spiegazione.
Per l'angelo, no, non c'entrava assolutamente niente il fatto che
stesse dormendo nello stesso letto di Magnus e che quest'ultimo avesse
valicato per ben tre volte il muro di cuscini, lanciando il braccio
sopra di essi e sfiorando casualmente la schiena del moro con la punta
delle dita.
Non lo stava facendo apposta per metterlo in imbarazzo, Alec lo sapeva.
Semplicemente la prorompente vitalità di Magnus si
manifestava anche quando dormiva e tendeva ad essere un idiota
prevaricante anche quando era tra le braccia di Morfeo.
Dopo neanche dieci minuti che si era addormentato, infatti, l'ex Marine
si era appiattito contro il muro di gommapiuma e aveva tentato
inconsciamente di abbatterlo per avere più spazio. Alec gli
aveva lanciato un cuscino in faccia, onde evitare che sconfinasse
troppo, e l'altro si era svegliato di soprassalto, borbottando qualcosa
di indecifrabile, prima di sospirare profondamente e tornare a dormire
come se non fosse successo nulla.
Era stato in quel momento che erano iniziati gli assalti del braccio.
Visto che il suo corpo era confinato nella piazza del letto a lui
destinata, Magnus aveva aggirato l'ostacolo della "costrizione"
abbracciando dapprima il muro di cuscini, per poi oltrepassarlo,
invadendo così, dall'alto, lo spazio di Alec, che si stava
impegnando al massimo per tenerlo a bada e respingere i suoi attacchi.
Per l'angelo, era così sfiancante!
Sbuffò, accaldato, e si asciugò con una mano il
sudore dalla fronte, togliendosi dagli occhi un ciuffo di capelli
particolarmente molesto, poi sgusciò lentamente e cautamente
fuori dal letto e si fece aria sul viso, con entrambe le mani, una
volta in piedi.
I pantaloni della tuta gli si erano tutti attorcigliati sui polpacci e
la maglietta si era alzata, lasciando l'addome scoperto. Per una
frazione di secondo, Alec valutò l'idea di fare come Magnus
e dormire con solo le mutande addosso, ma poi scosse energicamente la
testa, dandosi dell'idiota, e si sistemò nuovamente i
pantaloni e la maglietta, facendoli ritornare al proprio posto.
Aprì la finestra per rinfrescare la stanza e
tornò sotto le coperte. L'aria fredda, ora, gli sfiorava
piacevolmente la fronte e Alec chiuse gli occhi, contento, sicuro che
finalmente si sarebbe addormentato in un batter d'occhio.
Una cacofonia di rumori, però, raggiunse le sue orecchie,
facendogli sbarrare gli occhi e aggrottare la fronte. Per l'angelo, i
boschi, di notte, non avrebbero dovuto essere silenziosi?
Riconobbe il canto dei grilli e il richiamo di una civetta, ma non
riuscì a decifrare gli altri sibili e ronzii e non volle
neanche sapere chi era il proprietario di quel borbottio sommesso che
sentiva nell'oscurità.
Trattenne il fiato, ascoltando attentamente gli altri rumori e... Per
l'angelo! Cos'era quello scricchiolio sinistro che arrivava dalla
finestra?
Alec si sentì raggelare. E se qualche animale selvatico
avesse deciso di entrare, alla ricerca di cibo? O, peggio ancora, se
fosse arrivato un orso affamato che non desiderava altro che papparsi
lui, Magnus e Presidente Miao in un sol boccone?
"Sial [ndr.
Cazzo], che problemi hai adesso?" borbottò Magnus, con voce
assonnata.
"Sento qualcosa." bisbigliò Alec, con lo sguardo puntato
verso la finestra aperta, aspettandosi, da un momento all'altro,
l'apparizione di un bestione peloso di circa duecento chili.
"Sono sicuramente io che sto per soffocarti con un cuscino."
replicò Magnus, sbadigliando sonoramente.
Alec lo ignorò. "Tu non lo senti?" insisté,
stringendo il piumone tra le dita e tirandolo fin sotto al naso.
"Sentire cosa? Non c'è niente." mormorò Magnus,
dandogli le spalle e sospirando pesantemente.
Alec trattenne il fiato quando il rumore si ripeté. "Hai
sentito? Eh? Hai sentito?" domandò, oltrepassando il muro di
cuscini con un braccio per scuotere con forza la sua guardia del corpo.
"Sialan..."
[ndr. Dannazione], borbottò Magnus, esasperato, ficcandosi
il piumone sopra la testa.
"Magnus, sono serio! C'è un orribile scricchiolio! Come fai
a non sentirlo?"
Magnus accese la luce sul comodino e voltò il viso verso il
moro. "Alec, tesoro, sarà solo un ramo mosso dal vento..."
spiegò, con voce calma e ragionevole.
"Un ramo? Davvero?" ritorse Alec, scettico.
Magnus annuì, gli occhi che si chiudevano per il sonno.
"Chiudi la finestra - che tra l'altro non so neanche perché
è stata aperta - e torna a dormire." mormorò, con
voce impastata.
"Ho caldo." spiegò Alec, prima di scuoterlo di nuovo per
evitare che si addormentasse. "Vai a controllare." ordinò,
serio.
Magnus aprì un occhio e lo guardò con uno sguardo
appannato. "Cosa?"
"Vai a controllare." ripeté di nuovo Alec, determinato. "E'
stata tua l'idea di venire qui, in mezzo al nulla, no? Quindi ora vai a
controllare che non ci sia un orso nascosto tra i cespugli!"
"Alec, non c'è niente là fuori!"
sussurrò Magnus, accoccolandosi al muro di cuscini.
Il moro lo ignorò, mettendosi seduto. "Eccolo di nuovo! Hai
sentito? Non puoi non averlo sentito!"
"Fiorellino,
è normale che ci siano dei rumori. Siamo in mezzo ad un
bosco." borbottò Magnus, con voce attutita perché
si era girato sulla pancia e aveva sepolto la testa sotto al cuscino.
"Almeno alzati e ascolta bene!" insisté Alec, caparbio,
schiaffeggiandolo sulla schiena.
Magnus gridò da sotto al cuscino, poi riemerse e
alzò la testa per ascoltare attentamente. "Non sento
niente." dichiarò dopo un attimo, tornando a coricarsi.
"Stai mentendo!" lo accusò Alec, indignato. "Devi averlo
sentito!"
Magnus sospirò. "Non sarai soddisfatto finché non
mi alzerò per controllare, non è vero?"
"Esatto." annuì Alec, incrociando le braccia al petto e
guardandolo con uno sguardo battagliero.
"Se lo faccio, mi prometti che poi ti calmerai e ti metterai a dormire?"
"Mi metterò tranquillo, sì." annuì
Alec, piccato, perché l'altro non lo stava prendendo sul
serio.
Magnus sospirò pesantemente, scostò le coperte e
si alzò per dirigersi verso la finestra.
Alec lo seguì con lo sguardo, mordicchiandosi l'unghia del
pollice per la tensione del momento, e Magnus si sporse
dall'intelaiatura per guardare fuori.
Alec era così agitato che quasi non riuscì ad
apprezzare il modo in cui le sue mutande nere aderivano alla curva sexy
del sedere della sua guardia del corpo, leggermente piegata in avanti.
Quasi.
"Tesoro, non c'è niente... uahhh!" gridò l'uomo,
venendo risucchiato all'esterno.
"MAGNUSSSS!" urlò Alec, sbarrando gli occhi per il terrore,
certo che l'orso, che si era sicuramente appostato sotto la finestra,
avesse afferrato l'ex Marine per papparselo.
Il suo grido svegliò anche Presidente Miao, che
balzò sul letto, spaventato.
Alec lo ignorò e si alzò di scatto, correndo
verso la finestra: nessuno poteva mangiarsi la sua guardia del corpo,
per l'angelo! Men che meno un bestione peloso che non aveva niente di
meglio da fare che andare in giro la notte a spaventare poveri umani
che tentavano di dormire in una camera da letto con una temperatura che
si aggirava sui cinquanta gradi!
Alec si appoggiò di slancio alla finestra e
scandagliò l'esterno, alla ricerca disperata di Magnus.
Qualsiasi cosa l'avesse preso, lui era pronto a combattere per
riprendersi il suo idiota rompiscatole!
Trovò il suddetto idiota seduto per terra, sull'erba, che lo
guardava con un sorriso enorme e rideva come un bambino.
"Scusa! Non ho saputo resistere." sghignazzò Magnus,
divertito, quando vide la sua faccia.
Alec assottigliò lo sguardo, strinse con forza il telaio
della finestra e lo guardò con furia letale, prima di
voltarsi e lasciarlo lì, senza dire una parola.
"Eddai, pasticcino, era solo uno scherzo!" ridacchiò Magnus,
alzandosi, pronto a scavalcare la finestra per rientrare in casa.
Un cuscino lo prese violentemente in pieno viso, facendolo sbilanciare
e ricadere di nuovo per terra.
Magnus fissò, scioccato, la bomba di gommapiuma che era
stata scaraventata sul suo naso, prima di alzarsi in piedi e guardare
il moro con espressione esterrefatta. "Non l'hai fatto davvero!"
Alec lo fissò, furente. "Sei." gridò, tirandogli
un nuovo cuscino. "Un." altro cuscino. "Grandissimo." nuovo cuscino.
"Idiotaaaa!" concluse, distruggendo il muro di gommapiuma sul letto per
lanciargli una raffica di cuscini.
Magnus schivò agilmente quei soffici "proiettili" senza
battere ciglio e sorrise quando l'altro smise di tirarglieli.
"Hai finito le munizioni?" chiese, ironico, inarcando un sopracciglio.
Alec aveva il fiatone, ma reagì prontamente e gli
schiaffò contro quello dell'uomo, che era l'ultimo rimasto
sul letto. "Vai a farti fottere, brutto imbecille patentato!"
"Ehi!" si lamentò Magnus, schivando anche l'ultimo cuscino.
"Sarò anche un imbecille, ma non sono brutto!"
dichiarò, imbronciato, prima di raccogliere tutto quello che
l'altro gli aveva gettato contro.
Alec gli voltò le spalle, prese il sacco a pelo che giaceva
sul pavimento e, sotto lo sguardo attonito di Presidente Miao, che
stava guardando entrambi gli umani come se fossero letteralmente
impazziti, si diresse a passo di marcia fuori dalla camera.
"Eddai, Alec! Ti ho chiesto scusa!" urlò Magnus, rientrando
dalla finestra e gettando sul pavimento tutto quello che aveva raccolto
per correre dietro al suo permaloso agente di viaggi.
Non aveva neanche oltrepassato del tutto l'uscio della porta della
camera che uno dei cuscini del divano lo colpì con forza in
pieno volto.
"Cazzo!" gridò Magnus, spiazzato. "Mi hai spaccato il naso!"
gemette, tenendosi il setto nasale dolorante.
"Ti sta bene!" replicò Alec, iniziando a tempestarlo di
cuscinate. "Sei.un.idiotaaaa!" gridò ancora.
Lui era morto di paura quando l'aveva visto cadere fuori dalla
finestra, temendo seriamente che gli fosse successo qualcosa, e
quell'idiota si divertiva a fare il buffone alle sue spalle! Non
l'avrebbe mai perdonato! Mai!
Magnus si riparò con le braccia, tentando di evitare i colpi
e borbottando delle deboli scuse, poi passò all'azione e
agguantò velocemente il moro per la vita.
"Ora basta!" sentenziò, issandosi, senza alcuno sforzo, il
ragazzo su una spalla e dandogli uno schiaffo leggero sul sedere.
Alec urlò per l'indignazione, poi iniziò a
tempestargli di pugni la schiena e a scalciare, mentre Presidente Miao
li guardava sempre più sbalordito.
Il gatto roteò gli occhietti giallo-verdi, scosse piano la
testa con fare paternalistico e balzò giù dal
letto, reputando saggio rifugiarsi sul divano e lasciare i due umani
alle loro beghe infantili.
"Lasciami, brutto pervertito! Lasciamiiii!" ordinò il moro,
inviperito.
L'intenzione di Magnus era di scaricarlo sul letto e fargli una bella
ramanzina su quanto fosse sbagliato il suo essere così
manesco nei suoi confronti, ma l'impetuosità dei movimenti
di Alec lo fecero sbilanciare e finì disteso sul letto,
sopra di lui.
Magnus si sostenne sui gomiti, per non gravargli completamente addosso,
ed entrambi si fissarono ansando.
"Hai finito?" gli chiese l'uomo, inarcando un sopracciglio e
trattenendo un sorriso.
"Fottiti!" sibilò Alec, agitandosi sotto il suo corpo solido
e piantandogli una mano sul viso per allontanarlo.
"Io non mi muoverei così tanto, fossi in te." sorrise
Magnus, sibillino. "Sai com'é... al piano inferiore,
qualcuno si sta eccitando." mormorò, mordicchiandogli il
palmo della mano.
Alec si immobilizzò, spalancò gli occhioni blu e
allontanò immediatamente la mano, diventando paonazzo.
Sentì distintamente un'ondata di calore infiammarlo dalla
testa ai piedi, il respiro farsi affannoso e l'inguine contrarsi al
suono di quelle parole maliziose.
Magnus lo guardò, leccandosi le labbra in modo
sfacciatamente lento, prima di ridacchiare e fare leva con le braccia
per alzarsi. "Tranquillo, trottolina, mi tolgo subito."
Alec notò i muscoli guizzare a causa dello sforzo e in un
battito di ciglia si ritrovò libero dal peso dell'altro.
Fissò il soffitto, inebetito, chiedendosi cos'era quella
strana fitta di "insoddisfazione". Magnus gli aveva promesso che non
avrebbe più violato le sue labbra ed era stato di parola. In
un frangente simile avrebbe potuto tranquillamente poggiare la bocca
sulla sua e baciarlo, ma non l'aveva fatto e Alec avrebbe dovuto essere
contento di questo. Già. Ma allora, per l'angelo, cos'era
quella sensazione che serpeggiava lungo il suo corpo?
Magnus si gettò di fianco a lui e voltò il viso
per guardarlo. "Mi dispiace, per prima. Non era mia intenzione
spaventarti." asserì, in tono dolce, stuzzicandolo per un
fianco con la punta dell'indice.
Alec sbuffò, capendo che era inutile tenere il broncio. "A
me dispiace di averti preso a cuscinate." si scusò, deciso a
fare la persona matura. "E di averti rotto il naso."
continuò, tentando di reprimere un sorriso storto, ma
fallendo miseramente.
Magnus gli fece la linguaccia, toccandosi poi cautamente il setto
nasale. "E' a posto. O almeno credo."
Alec ridacchiò, tornando a fissare il soffitto e sospirando
pesantemente.
"Lo senti ancora quell'orrido
rumore?" chiese Magnus, sorridendo ironico.
Alec trattenne il fiato, ascoltando attentamente. "No." ammise, con uno
sbuffo. "Ma ti giuro che c'era."
"Ti credo." annuì Magnus, in tono gentile. "Ma qualunque
cosa fosse, se n'è andata e ti assicuro che ora
là fuori non c'è niente. Non ci sono orsi
inferociti né qualche animaletto strano pronto a saltarti
addosso." dichiarò, ridacchiando al viso imbronciato
dell'altro. "Torniamo a dormire? Che dici?"
"Ok." sospirò Alec, alzandosi per gattonare di nuovo nella
sua parte del letto e gettandosi sul materasso in modo del tutto privo
di grazia.
Magnus ridacchiò, alzandosi a sua volta per raccattare di
nuovo tutti i cuscini sparsi sul pavimento e portarli sul letto.
Consegnò ad Alec quelli che servivano ad entrambi per
dormire e, sotto il suo sguardo attento e sbalordito, impilò
diligentemente, uno sull'altro, quelli che rimanevano per formare
ancora una volta il muro di gommapiuma.
"Fatto." affermò l'uomo, annuendo soddisfatto, una volta che
ebbe finito, e infilandosi poi nuovamente sotto le coperte.
Alec fissò il muro, perplesso. Era convintissimo, infatti,
che l'altro avrebbe approfittato della situazione per avere
più spazio di manovra sul letto, magari avvicinandosi
addirittura a lui per abbracciarlo nel sonno o intrecciare casualmente
le gambe con le sue nel cuore della notte. Invece lo aveva sorpreso
ricostruendo il muro, eliminando così ogni
possibilità di contatto.
Ancora una volta sentì quell'inspiegabile fitta di
"insoddisfazione", quasi di "scontentezza", corrergli lungo il corpo,
ma decise di ignorarla cacciandosi le coperte sopra la testa e
ordinandosi di dormire.
Alec si girò sulla schiena ed emerse lentamente da un sonno
profondo, ma agitato.
Ancora prima di aprire gli occhi, i pensieri abituali e automatici, che
solitamente gli affollavano la mente la mattina, quando doveva ancora
connettere con la realtà, cominciarono a formarsi nella sua
testa: doveva alzarsi, fare velocemente una doccia, mangiare qualcosa e
correre in ufficio per fissare gli appuntamenti della settimana
successiva e incontrare i clienti di quella giornata.
Intrecciò le dita delle mani e, ad occhi chiusi, le
stiracchiò pigramente verso l'alto. Un crampo improvviso
saettò lungo tutto il suo corpo, scuotendolo da capo a piedi
e facendolo gemere ad alta voce.
Aggrottò la fronte, confuso. Per l'angelo, perché
i suoi muscoli dolevano in modo così fastidioso?
Aprì un occhio, poi l'altro, fissando in alto. Quello non
era il soffitto della sua camera! pensò, sempre
più scombussolato. Roteò lentamente gli occhi,
guardandosi attorno e trovandosi in una camera da letto che non era la
sua.
La realtà gli piombò addosso come un tir: non era
nel letto del suo appartamento, ma a chilometri di distanza, sperso nei
boschi con Magnus e Presidente Miao, in attesa che i suoi stalker si
stancassero di lui o, meglio ancora, fossero catturati dalla polizia.
Gemette nuovamente, sia per la situazione che per la stanchezza fisica
e mentale. Il giorno prima, Magnus l'aveva fatto scarpinare per
interminabili ore e adesso i suoi muscoli indolenziti gridavano
pietà.
Stiracchiò le gambe, con un sonoro sbuffo, prima che l'aroma
di caffè e di qualcosa di appetitoso giungesse alle sue
narici. Sentì lo scoppiettio del fuoco nel caminetto, il
lieve tintinnio metallico di padelle e posate e una voce sommessa che
canticchiava un motivetto e che gli fece spuntare un sorriso storto e
spontaneo sul viso.
Si sgranchì le braccia ancora una volta e voltò
la testa sul lato opposto del letto: Magnus era sparito, ma, oltre il
muro di cuscini, trovò Presidente Miao che lo osservava
attentamente, muovendo morbidamente la coda a destra e a sinistra.
"Ciao." mormorò, con voce roca e un sorriso sghembo.
Il gatto miagolò debolmente, prima di alzarsi, inarcare la
schiena per stiracchiarsi per bene e poi balzare agilmente sul suo
petto, accucciandosi sulle zampe e iniziando a fare le fusa.
Alec ridacchiò, accarezzandolo e grattandolo dietro a un
orecchio. Da quando Magnus aveva assicurato alla palla di pelo che lui,
tutto sommato, non era una brutta persona, Presidente Miao l'aveva
preso in simpatia e non mancava di strusciarsi tra le sue gambe o
saltargli in braccio ogni volta che ne aveva l'occasione.
"Buongiorno, dormiglione!"
Alec spostò lo sguardo verso la porta: Magnus era appoggiato
con una spalla contro lo stipite e lo guardava con un sorriso
divertito. Indossava solo un paio di jeans stretti e nient'altro, come
se il freddo che ancora imperversava in quella stagione non lo
sfiorasse minimamente e il suo calore corporeo fosse regolato
perennemente su estate.
"Dormito bene?" chiese l'uomo, allegro.
Alec gli rivolse un sorriso storto e annuì, distogliendo lo
sguardo dal petto nudo dell'altro.
"Meglio che sul pavimento?" lo stuzzicò la guardia del corpo.
"Sì, decisamente meglio." ammise Alec, facendogli la
linguaccia.
Magnus rise. "Pensi di alzarti o vuoi che ti porti la colazione a
letto?" chiese, piegando la testa.
"Lo faresti davvero?" ritorse Alec, inarcando un sopracciglio.
"Certo, mio dolce principe azzurro." confermò Magnus, con un
enorme sorriso, guardando le guance dell'altro arrossarsi di un
delizioso color rosso ciliegia.
Alec si mise lentamente seduto, scuotendo piano la testa e
appoggiandosi alla testiera. "Mi alzo." annunciò, con un
sorriso storto.
"Non sai cosa ti perdi." asserì Magnus, facendo spallucce e
voltandosi per tornare in cucina. "Vorrà dire,
però, che lo farò dopo la nostra prima notte di
sesso sfrenato." dichiarò, ammiccandogli da sopra la spalla,
prima di sculettare via.
Alec spalancò gli occhi, sentendo il viso andare a fuoco,
mentre Presidente Miao piegava la testa e lo guardava con uno sguardo
carico di consapevolezza.
"Guarda che non è assolutamente come pensi!" si difese Alec,
in difficoltà.
Perché poi sentisse tutta questa esigenza di giustificarsi
davanti a quel felino, che ora stava ridacchiando sotto i baffi (Alec
lo vedeva benissimo che stava ridendo!), solo il cielo lo sapeva. Era
un adulto, per l'angelo! Non doveva rendere conto a nessuno, men che
meno a una palla di pelo che era convinta che ci fosse del tenero tra
lui e il suo adorato Magnus e che lo sbeffeggiava silenziosamente!
Imbronciato, posò il gatto sul letto e si alzò
per andare in bagno e sciacquarsi il viso con energia.
Magnus stava sorseggiando il proprio caffè, appoggiato ai
fornelli, quando lo sentì arrivare: i movimenti erano rigidi
e imbarazzati, ma aveva le guance rosee e gli occhi splendevano. Era
bellissimo.
"Pancake!" annunciò, posandogli il piatto davanti con un
gesto teatrale. "Se vuoi ci sono anche uova e pancetta, ma so che
preferisci le cose dolci... come me." concluse, ammiccando e
sporgendosi leggermente verso di lui.
"Allora che si fa oggi?" sviò Alec, ignorandolo e mangiando
con gusto i suoi pancake, dopo averli inondati con una generosa dose di
salsa al cioccolato, mentre i suoi tristi frullati ipocalorici
sembravano solo un lontano ricordo. "Esploriamo i dintorni? Raccogliamo
more selvagge? Stuzzichiamo qualche orso?" chiese, con la bocca piena.
Magnus rise e si abbassò per accarezzare Presidente Miao,
che aveva accompagnato Alec in cucina. "Beh... potremmo fare il bagno
nudi nel ruscello che c'è qui vicino!" rispose, rimettendosi
dritto e guardandolo intensamente, mentre sorseggiava il
caffè con calcolata lentezza.
Ad Alec andò di traverso il succo che stava bevendo e
iniziò a tossire. Il sorriso di Magnus si ampliò.
"Ci saranno quindici gradi là fuori!" replicò il
moro, dopo un lungo momento, portandosi una mano al petto e ostentando
una tranquillità che non provava.
Magnus piegò la testa e lo guardò furbescamente.
"Ah! Ma allora lo faresti il bagno nudo con me, se la temperatura fosse
più alta!"
Alec tagliò, con meticolosa precisione, un pezzo del suo
pancake, evitando di alzare lo sguardo. "Preferisco di gran lunga farmi
sbranare da un orso." replicò, scrollando le spalle. "Poi
però sono davvero curioso di vedere come spieghi a mio padre
che sono diventato il pasto di un grande e grosso animale selvaggio."
"Tesoro, sono io il tuo unico, grande e grosso animale selvaggio qui in
giro! Grrrr!" ringhiò scherzosamente, muovendo le dita e
artigliando l'aria.
Alec roteò gli occhi, scuotendo la testa, e
continuò a mangiare.
"E comunque non credo gli direi niente, visto che probabilmente morirei
nel tentativo di salvarti." rispose Magnus, facendo spallucce e
sorseggiando un altro po' di caffè.
Alec bloccò la mano con cui si stava versando dell'altro
succo d'arancia nel bicchiere. Sapeva che Magnus stava scherzando e che
si divertiva a punzecchiarlo, ma, proprio come la sera precedente,
l'idea che il suo logorroico, idiota rompiscatole morisse, pur di
proteggerlo, gli parve ancora una volta insopportabile.
"Promettimi che non lo farai mai." intimò il moro,
diventando improvvisamente serio.
Il sorriso giocoso di Magnus svanì.
"Se si dovesse arrivare a tanto, giurami che non metterai mai a
repentaglio la tua vita per me!" insisté Alec, con un nodo
in gola.
"Alec, è il mio lavoro." ribatté Magnus, piegando
la testa e guardandolo con un sorriso dolce.
Il moro strinse i pugni e lo fissò con un cipiglio severo.
"Non mi interessa. Non voglio! E sono dannatamente certo che sarebbero
d'accordo con me anche le persone che ti vogliono bene."
"Ho fatto una promessa a tuo padre e ho tutta l'intenzione di
mantenerla." replicò Magnus, irremovibile.
Alec abbassò lo sguardo, giocando con i rimasugli del suo
pancake. "Non voglio che ti succeda qualcosa." mormorò a
bassa voce.
Magnus sorrise dolcemente, felice, e si sporse poi verso di lui per
scompigliargli ancora di più i capelli già
scarmigliati. "Ti stai preoccupando per me, mia dolce colombella?"
Alec alzò lo sguardo e gli lanciò la consueta
occhiataccia omicida.
Magnus rise di gusto. "Tranquillo, polpettina. Sono seriamente
intenzionato a salvare il tuo meraviglioso sedere e, visto che ci sono,
a evitare che anche il mio faccia una brutta fine." ribatté,
facendogli l'occhiolino.
Alec roteò gli occhi e gli rivolse il dito medio,
intimamente grato, però, che l'altro fosse riuscito ad
alleggerire la tensione con la sua consueta sfacciataggine.
"Allora, questa passeggiata?" chiese poi, finendo la sua colazione e
iniziando a riordinare la cucina.
"Andiamo, marmellatina zuccherosa!" confermò Magnus,
entusiasta, battendo le mani.
Alec abbasso le spalle e sospirò stancamente. "La smetterai
mai?"
"Mai, mio dolce strudel di mele." sorrise Magnus, compiaciuto.
"Tu hai seri problemi. Prendi appuntamento da un psicologo!"
sentenziò Alec, scuotendo piano la testa e dirigendosi fuori
dalla casetta di legno, seguito dalla risata allegra della sua guardia
del corpo.
Camminarono per oltre mezz'ora nel folto bosco di pini e cedri, fino a
quando non giunsero a un ruscello che scorreva placido, con l'ex Marine
che aveva chiacchierato allegramente del più e del meno per
tutto il tragitto.
"E per fortuna che questo fiumiciattolo si trovava vicino alla casetta
di legno." sbuffò Alec, sedendosi di peso sull'erba e
sventolandosi il viso arrossato con una mano.
"Flaccido." mormorò Magnus, con un sorriso divertito,
scuotendo piano la testa.
"Cosa hai detto?" lo fulminò Alec, lanciandogli
un'occhiataccia.
Magnus rise, sedendosi di fianco a lui. "Che sei uno zuccherino
zuccheroso."
Alec gli tirò un pugno sulla spalla e sorrise, soddisfatto,
quando l'altro si lamentò delle sue maniere brusche.
Chiuse gli occhi ed espose il viso al sole, respirando a pieni polmoni
l'aria fresca e pulita. Alzò le braccia in alto e
stiracchiò i muscoli indolenziti, sgranchendo poi il collo.
Era stanchissimo, ma paradossalmente si sentiva anche bene.
Sorrise per quella stramba bizzarria, prima che Magnus lo schiacciasse
al suolo, coprendolo con il proprio corpo, e gli sibilasse
all'orecchio "Non muoverti!"
La guancia di Alec era premuta contro l'erba e un'ondata di panico lo
travolse quando sentì un lieve movimento tra la vegetazione,
mentre Magnus armeggiava con la fondina, tirando poi fuori la pistola.
Il trambusto si face sempre più vicino e Alec fece vagare
gli occhi attorno a loro in modo frenetico. Che Lydia, Raj o lo
sconosciuto delle e-mail li avesse trovati?
Il moro trattenne il respiro, rilasciando poi un verso strozzato quando
un cervo si palesò tra i cespugli, avanzando lentamente e
con cautela.
Sopra di lui, Magnus imprecò tra i denti, rimettendo subito
la sicura all'arma che aveva in mano, mentre l'animale si avvicinava al
ruscello con movimenti aggraziati.
La bocca di Alec tremò e il ragazzo se la coprì
con entrambe le mani, mentre Magnus lo liberava dal peso del proprio
corpo e gli lanciava un'occhiata fulminante.
"Non osare!" lo avvertì la guardia del corpo, in un
sussurro, sedendosi e puntandogli l'indice contro, con una luce
divertita negli occhi e trattenendo a stento un sorriso.
Alec scoppiò a ridere, attutendo il suono con le dita,
rotolando sull'erba e mettendosi supino.
"Avrebbe potuto essere uno squilibrato!" si giustificò
Magnus, a bassa voce, gesticolando con le mani.
Alec rise ancora di più, sentendo le lacrime scendere
lentamente lungo le guance.
"Guarda che non è Bambi! Potrebbe anche caricarti, sai?"
continuò Magnus, roteando gli occhi, mentre l'animale
tornava dentro al bosco.
Alec tolse le mani e rise, incapace di fermarsi: più l'altro
tentava di discolparsi più lui rideva.
"Ma tu guarda che roba! Uno non può neanche fare il macho
man a causa di un cervo che viene platealmente sbeffeggiato."
Alec rise più forte, rotolandosi sull'erba, e Magnus gli
fece una giocosa linguaccia.
Il moro aveva i capelli arruffati e lo scoppio di ilarità
gli aveva fatto scintillare gli occhi: era semplicemente bellissimo e
Magnus dovette fare uno sforzo titanico per non abbassarsi su di lui e
baciarlo fino a togliergli del tutto il respiro.
"Non muoverti!"
lo scimmiottò Alec, ignaro del tumulto interiore dell'altro,
asciugandosi le guance con i palmi delle mani. "E poi, bam! Cervo!"
esclamò ilare, riprendendo a ridere.
La guardia del corpo gli fece una pernacchia rumorosa, prima di
distendersi accanto a lui e guardare il cielo terso sopra di loro.
"Magnus?" sussurrò Alec, appoggiando un braccio sulla fronte
una volta che la risata gli si era finalmente placata nel petto.
"Mh?"
"Grazie." mormorò semplicemente Alec, con un lungo sospiro e
un sorriso storto.
Non ricordava neppure quando era stata l'ultima volta che aveva riso
così tanto. Forse addirittura mai con tutto quel trasporto.
Scoprì che era liberatorio.
"Prego, cerbiattino."
sorrise Magnus, voltando il capo verso di lui.
Alec gli tirò un leggero pugno sull'addome e Magnus sorrise,
contento e soddisfatto. Era bellissimo sentirlo ridere: già
non accadeva spesso, figurarsi nell'ultimo periodo! Si sarebbe reso
ridicolo in ogni occasione possibile, pur di sentire quel suono ancora
e ancora e ancora.
Osservarono il cielo, in silenzio, fino a quando iniziò a
colorarsi di rosa e arancione, mentre il sole spariva dietro un picco
lontano.
"Torniamo indietro?" mormorò Magnus, stiracchiandosi
pigramente. "Presidente Miao si starà chiedendo che fine
abbiamo fatto."
"Ok." concordò Alec, mettendosi a sedere. "Per tua
informazione, comunque, non credo mi faccia bene fare tutte queste
passeggiate." osservò, massaggiandosi un polpaccio che aveva
ripreso a dargli fastidio.
Magnus si alzò e rise, porgendogli una mano. "Perché
sei flaccido." scherzò, divertito. "Ma vedrai che
più fai esercizio e più le tue belle gambe si
abitueranno a camminare e smetteranno di farti male."
Alec accettò l'aiuto, lanciandogli un'occhiata in tralice.
"Non riderai più quando anche stanotte ti terrò
sveglio e dovrai giocare di nuovo al dottore!" l'ammonì,
altezzoso, prima di bloccarsi e arrossire completamente quando si rese
conto del doppio senso e dello sguardo grondante malizia che gli stava
rivolgendo Magnus. "N-non... io... non intendevo..."
L'uomo rise di gusto. "Oh, tesoro, se solo mi permettessi di giocare
davvero al dottore..."
lo provocò, facendo scivolare lentamente, dall'alto verso il
basso, la punta dell'indice per tutta la lunghezza del maglione che
indossava il moro, mentre si leccava sfacciatamente le labbra.
Alec sentì il viso incendiarsi, mentre Magnus rideva
deliziato e iniziava a incamminarsi lungo il sentiero per tornare alla
casetta di legno.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
"Ti va una cioccolata
calda?" chiese Magnus, dirigendosi ai fornelli con un sorriso che la
sapeva lunga, ben conscio, infatti, di quale sarebbe stata la risposta
dell'altro, senza che neanche si disturbasse ad aprire bocca.
Alec annuì comunque, sorridendo di rimando e appoggiando una
grossa ciotola piena di pop-corn sul tavolino davanti al divano.
Era passata più di una settimana da quando erano arrivati
lì e, se si escludeva il fatto che la sua vita era
minacciata da ben tre psicopatici, non se la stava passando affatto
male.
Quando la sua guardia del corpo era riuscita a convincerlo a
villeggiare in quel posto, mollando la sua agenzia di viaggi nelle mani
fidate di sua sorella Isabelle, non avrebbe mai creduto che potesse
essere una buona idea, ma adesso, mentre si metteva comodo sul divano e
allungava le lunghe gambe sul pouf davanti a lui, doveva ammettere che
era molto meglio di quanto si aspettasse. Riusciva a dormire
più di sei ore ogni notte, aveva ripreso a mangiare con
appetito e faceva lunghe passeggiate che lo calmavano e rilassavano.
Si stava divertendo, insomma. Con Magnus. Incredibile, ma vero.
Era sempre il solito idiota rompiscatole, sia chiaro, ma la sua guardia
del corpo iniziava comunque a piacergli pericolosamente ogni giorno di
più.
In quei giorni, infatti, aveva scoperto molte più cose
sull'ex Marine di quante ne avesse apprese da quando era piombato nella
sua vita. Cose che gli stavano facendo cambiare velocemente e
inesorabilmente idea su di lui.
Aveva imparato curiosità e vezzi che fin'ora aveva ignorato,
troppo preso ad odiarlo e a interessarsi del proprio lavoro e della
situazione in cui si trovava piuttosto che spulciare nella vita
dell'altro o a chiedergli qualcosa di più sul suo conto.
Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma, per l'angelo, oltre ad essere
fisicamente bellissimo, Magnus era una persona intellettualmente
stimolante e coinvolgente!
Alec si era accorto che pendeva dalle sue labbra ogni qual volta l'uomo
gli raccontava un pezzettino della sua vita, narrando qualche avventura
vissuta quando ancora era nella Marina Militare. Il moro trovava
lodevole il fatto che fosse sempre riuscito ad uscire da ogni
situazione pericolosa con ingegno e astuzia e ammirava tantissimo il
suo coraggio.
Magnus si stava rivelando anche una persona con una pazienza infinita.
Sbuffava e borbottava quando non era d'accordo con qualche sua idea, ma
alla fine assecondava ogni suo capriccio e lo accontentava sempre,
anche quando la situazione era assurda o rischiosa, come recuperare
dalle acque agitate del ruscello il cappellino da baseball che gli
aveva regalato suo padre per il suo decimo compleanno. Alec aveva
provato a dissuaderlo quando aveva visto i vortici d'acqua impetuosi, a
dirgli che, pazienza, ormai era andato, nonostante ci tenesse
tantissimo a quel dono, ma Magnus gli aveva sorriso con spavalderia e,
senza battere ciglio, si era tuffato in acqua per salvare il cappellino
prima che sparisse tra i flutti.
Alec aveva scoperto che la sua guardia del corpo era un finto permaloso
e che si divertiva a mettere il broncio quando in realtà non
si sentiva minimamente toccato dalle parole che venivano pronunciate
con l'intento di offenderlo. Il moro aveva già intuito
questa sua caratteristica quando, in più di un'occasione,
l'aveva apostrofato in malo modo e lui aveva sempre risposto con un
sorriso indulgente a ogni insulto, ma dopo qualche battibecco, accaduto
in quei giorni, aveva finalmente capito che l'uomo raramente si
offendeva per qualcosa, a meno che non fosse detta con palese
cattiveria.
Magnus era creativo. Questa non era una novità, sapeva
già che era una persona estrosa e fantasiosa, ma Alec non
avrebbe mai pensato che la sua guardia del corpo avrebbe preso a cuore
l'impegno di inventarsi ogni giorno qualcosa per distrarlo e tirargli
su il morale, facendolo ridere fino ad avere i crampi alla pancia e le
lacrime agli occhi. Era un buffone, ma un buffone dolce e generoso.
L'ex Marine era innamorato dello shopping, aveva talmente tanti vestiti
e gioielli da poter mettere su una propria boutique personale (nel suo
appartamento, per l'angelo, aveva un'intera stanza dedicata al suo
guardaroba!) ed era un vero e proprio patito della filatelia. In una
cassetta di sicurezza che aveva in banca, infatti, possedeva una
collezione di francobolli che valeva come minimo cinquanta mila dollari
e che era il suo orgoglio.
Gli piaceva l'arte, in tutte le sue forme, e adorava partecipare alle
sfilate di moda o alle mostre di autori eccentrici e ancora poco
conosciuti, divertendosi a fare il critico in compagnia di Ragnor.
Alec aveva anche scoperto che aveva addirittura provato a imparare a
suonare il charago, uno strumento musicale sudamericano simile alla
chitarra, per fare colpo su un suo ex, ma i risultati erano stati
così disastrosi che, dopo essere stato scaricato da tale
Imasu, Magnus aveva lasciato perdere, buttandosi sugli scacchi e sul
poker, in cui era praticamente imbattibile.
Quando Will gliene aveva parlato, Alec aveva pensato che, ok, era
bravo, ma onestamente non avrebbe mai immaginato che lo fosse ad un
livello tale che avrebbe potuto tranquillamente diventare un giocatore
professionista. Da quando erano arrivati alla casetta di legno, il moro
aveva sperimentato, sulla propria pelle e in più di
un'occasione, quel particolare talento della sua guardia del corpo e,
dopo essere stato battuto la prima volta, Alec ne aveva fatto una
questione di orgoglio e aveva sfidato l'altro ancora e ancora e ancora,
finendo sempre col perdere miseramente. Per sua fortuna le puntate al
gioco consistevano in patatine e noccioline, anziché soldi
veri, o si sarebbe trovato presto sul lastrico. Senza contare che
doveva ringraziare il suo istinto per avergli suggerito di evitare di
giocare a strip poker, quando Magnus gliel'aveva proposto con falsa
nonchalance, o avrebbe di sicuro perso tutti i suoi vestiti e avrebbe
dovuto girare nudo per casa!
Alec ghignò, scuotendo affettuosamente la testa, quando
ripensò al broncio adorabile che Magnus aveva messo su
quando lui si era rifiutato di provare almeno una volta, una sola,
quella modalità di gioco. L'ex Marine gli aveva tenuto il
muso per ben un'ora, prima di tornare a parlargli con la sua consueta,
inesauribile, loquacità!
Alec ridacchiò tra sé e sé e
osservò Magnus arrivare in salotto con un enorme sorriso e
due tazze piene di cioccolata calda.
"Ecco qua, mio dolce ciuffetto di panna montata."
"Grazie." lo ringraziò Alec, roteando gli occhi e sbuffando
rassegnato.
Ci aveva rinunciato. Già. Ormai aveva abbandonato ogni
tentativo di dissuadere l'altro ad affibbiargli nomignoli idioti,
perché era un po' come lottare contro i mulini a vento.
Aveva addirittura pensato di ripagarlo con la stessa moneta, smettendo
di chiamarlo Magnus e interpellandolo solo e unicamente con soprannomi
sciocchi, ma al primo "cioccolatino", pronunciato con
altezzosità, era poi immediatamente arrossito come un
pomodoro maturo e aveva battuto in ritirata, lasciando perdere e
chiudendosi in camera per l'imbarazzo, con grande dispiacere di Magnus
che si era illuminato come un albero di Natale per quel nomignolo del
tutto inaspettato.
Scosse la testa e riportò l'attenzione sulla sua guardia del
corpo, che stava frugando tra i numerosi DVD che Ragnor e Raphael
avevano impilato in uno scaffale di fianco al televisore, mentre
muoveva ritmicamente il sedere, andando a tempo con una canzone che
stava mormorando sottovoce.
"Allora, cosa vuoi guardare questa sera, tesoro?" chiese, passando
attentamente in rassegna i vari titoli con la punta dell'indice.
"E' indifferente." mormorò Alec, con gli occhi incollati sul
sedere dell'altro, mentre Presidente Miao gli si acciambellava in
braccio in cerca di coccole.
Quella era un'altra cosa che aveva scoperto in quei giorni di
convivenza ancora più forzata del solito. Ci aveva provato,
eh, questo andava detto, aveva tentato di resistere con tutte le sue
forze, ma non riusciva più a fermare il proprio sguardo e
sempre più spesso si ritrovava a guardare Magnus di
sottecchi, studiando le linee armoniose e scolpite del suo corpo e il
suo sorriso irriverente e dolce al tempo stesso, che era sempre pronto
a fare capolino su quelle labbra carnose e tutte da baciare.
Non sapeva se fosse perché oramai vivevano praticamente in
simbiosi ventiquattro ore su ventiquattro o se l'astinenza patita in
tutti quegli anni iniziava a farsi sentire pesantemente, ma stava
diventando un problema continuare a ignorare quella voglia smaniosa di
saltargli addosso.
"Guardiamo una storia d'amore? O un altro thriller come ieri sera? Un
film horror?" cominciò a elencare Magnus, ignorando lo stato
d'animo dell'altro. "O un classico tipo Casablanca?
Oppure... Ohhh! Ok, fermo là! Ho trovato!"
esclamò, trionfante, alzando la custodia di un DVD.
"Che cos'é?"
"La storia fantastica
di Rob Reiner."
"Mai sentito nominare." rispose Alec, scrollando le spalle e
accarezzando Presidente che rincorreva la sua mano con il muso.
Magnus lo guardò a bocca aperta. "Stai scherzando, vero?"
domandò, stupefatto. "Hola.
Mi nombre es Iñigo Montoya. Tu hai ucciso mi padre,
preparate a morirrrr!" recitò, con aperta
teatralità, mimando il gesto di una spada che colpiva il
petto di un ipotetico rivale.
Alec e Presidente Miao alzarono contemporaneamente un sopracciglio e lo
fissarono come se fosse improvvisamente impazzito.
"Ohhhh, ma dai! Westley
e Bottondoro?
Lei che, all'inizio del film, è tutta altezzosa e stronza e
gli ordina di fare qualunque cosa le passi per la mente, mentre lui
è un puccioso cioccolatino di Lindor che le risponde sempre
e solo Ai tuoi ordini...,
quando in realtà vuole dirle Ti amo?"
insistè Magnus, portandosi le mani al petto, con un sospiro
e un'aria sognante. "Niente?" chiese ancora, inarcando un sopracciglio.
Alec scosse lentamente la testa, guardandolo come se fosse un alieno.
"Ma dove hai vissuto fin'ora?" si imbronciò Magnus, roteando
gli occhi. "E' un film bellissimo! Ci
sono lotte, duelli, torture, vendette, giganti, mostri, inseguimenti,
evasioni, grandi amori, miracoli!" citò a
memoria, con un sorriso estatico.
"Ce n'è di roba!" mormorò Alec, ironico, facendo
sorridere l'altro perché aveva ripetuto, senza saperlo, una
battuta del film.
"Puoi ben dirlo!" asserì la guardia del corpo, spegnendo la
luce e andando a sedersi accanto a lui.
"Perché hai spento la luce?" chiese Alec, aggrottando la
fronte e muovendosi a disagio sul cuscino del divano.
Magnus lo guardò con un luccichìo malizioso negli
occhi. "Perché, mio dolce marshmallow, visto che
è sabato sera, fingiamo di essere seduti
nell'ultima fila di un cinema. Sai questo cosa significa, no?"
mormorò, posando un braccio sullo schienale del divano e
arricciando ripetutamente e sfacciatamente le labbra.
Alec lo guardò con gli occhioni spalancati, sentendo
distintamente le guance scaldarsi. Per darsi un tono, si
ficcò una generosa dose di pop-corn in bocca e, quando
sentì le dita dell'altro sfiorargli casualmente (o forse
no?) la pelle del collo, ringraziò mentalmente che la stanza
fosse completamente al buio, ad eccezione della fioca luce che arrivava
dal televisore, e che celasse così il suo viso in piena
combustione.
"Idiota." borbottò, a mezza voce, inghiottendo faticosamente
i pop-corn.
Magnus ridacchiò, arruffandogli i capelli, e gli
intimò poi gentilmente di fare silenzio posando un indice
sulla sua bocca. Alec sentì le labbra andargli a fuoco.
Dopo circa un'ora e mezza abbondante, in cui il moro aveva tentato in
tutti i modo di non rilassarsi più del dovuto sullo
schienale del divano, onde evitare che le dita dell'altro lo toccassero
più marcatamente, la sua guardia del corpo si
girò verso di lui con occhi scintillanti.
"Allora? Ti è piaciuto?"
"Non male." rispose Alec, con un sorriso storto.
"Oh, andiamo, pasticcino! E' molto più di non male!" lo
rimbeccò Magnus, punzecchiandolo con l'indice su un fianco,
prima di alzarsi e riaccendere la luce.
Alec gli rivolse un sorriso storto, scuotendo piano la testa e
poggiando delicatamente un addormentato Presidente Miao su un cuscino,
alzandosi poi a sua volta per portare la ciotola dei pop-corn e le
tazze sporche di cioccolata, ormai vuote, nel tinello.
Il suo cellulare iniziò a suonare e Magnus lo
acchiappò, gridando, allegro, "E' Jace! Rispondo io!",
mentre si spostava in camera per iniziare a prepararsi per la notte.
"Ehi!" protestò Alec, allargando le braccia per
l'esasperazione e correndogli velocemente dietro. "Chi ti ha dato il
permesso di prendere il mio..." iniziò a brontolare,
bloccandosi poi di colpo e irrigidendosi nell'istante esatto in cui
vide l'espressione della sua guardia del corpo diventare sempre
più cupa e seria man mano che la conversazione telefonica
proseguiva.
Il cuore prese a battergli furiosamente nel petto e, anche senza
sentire cosa stava dicendo suo fratello, avvertiva che qualcosa non
andava.
Magnus stava rispondendo a monosillabi, guardandolo con uno sguardo
serio e preoccupato, e, quando riattaccò, Alec non perse
tempo.
"La mia famiglia sta bene?" chiese, con voce angosciata, arpionandogli
un braccio.
Magnus annuì, piano, prendendolo poi dolcemente per un
gomito per condurlo verso il letto e farlo sedere sul materasso. "Il
tuo appartamento è stato vandalizzato." spiegò,
diretto e conciso.
"Co-cosa?" balbettò il moro, sgranando gli occhi.
"Qualcuno è entrato in casa tua e l'ha distrutta. Ha anche
appiccato un incendio nella tua camera, ma per fortuna sono riusciti a
spegnerlo prima che potesse divampare per tutto l'appartamento e
diventare quindi ingestibile." lo informò Magnus,
prendendogli una mano tra le sue e intrecciando le loro dita.
"L'appartamento ha riportato danni notevoli e la tua camera da letto
è completamente bruciata." sussurrò, dispiaciuto.
"Jace mi ha comunicato..."continuò, ma Alec non lo ascoltava
più.
Distrutta.
La sua casa era stata distrutta. Il suo appartamento che non era
spazioso né particolarmente bello, che aveva crepe sui muri
e che in inverno aveva le tubature che si ghiacciavano, creandogli non
pochi problemi con l'acqua calda, ma che, nonostante tutto, Alec
comunque amava, era stato devastato. Per dieci anni era stato il suo
nido, la sua tana, il suo rifugio, mentre ora era un cumulo di macerie
e distruzione.
Chiuse gli occhi e, con l'immaginazione, andò da una stanza
all'altra, riportando alla memoria i suoi oggetti e i suoi mobili. Vide
i quadri che adornavano i muri, le foto sparse per il salotto, gli
scaffali pieni di libri, il divano sgangherato che aveva comprato con
il suo primo stipendio, il piccolo tavolo della cucina, la macchinetta
del caffè rossa fiammante di Magnus che brillava
sfacciatamente accanto agli altri elettrodomestici di un colore neutro
e che sembrava gridare "Guarda quanto sono bella!".
Percorse il corridoio e arrivò fino alla sua camera, arsa
dal fuoco: immaginò il mobilio distrutto, le pareti
annerite, il pavimento rovinato. Il petto gli si strinse in modo
insopportabile quando, voltando ipoteticamente il viso dove una volta
c'era la sua cassettiera, non vide più niente. Tutto era
stato ridotto in cenere. Anche il soldatino di Max.
Spalancò gli occhi e iniziò ad annaspare.
"..."
L'ossigeno si rifiutò di arrivare ai polmoni.
"...ec..."
Iniziò a soffocare.
"...ec..."
Dei suoni ovattati giunsero fino a lui, ma Alec non riuscì
ad afferrarli.
"ALEXANDER!" gridò forte Magnus, scuotendolo con
preoccupazione e riportandolo alla realtà.
Alec spalancò gli occhi e iniziò ad ansimare, a
corto di fiato, come se fosse riemerso da una lunga apnea.
"Ok, respira, tesoro." mormorò Magnus, piano, stringendogli
le spalle. "Inspira. Espira. Inspira. Espira. Così. Bravo, Fiorellino. Stai
andando benone." lo incitò dolcemente.
Alec seguì le istruzioni, guardandolo come un automa e
tornando gradualmente a respirare.
"Non c'è più." mormorò Alec, affranto,
chiudendo nuovamente gli occhi, ma continuando a inspirare e a espirare
come gli aveva detto di fare Magnus.
"Mi dispiace, tesoro." sussurrò Magnus, poggiandogli
gentilmente una mano sulla guancia e accarezzandola con il pollice. "Ma
non devi preoccuparti! Lo risistemeremo e ritornerà come
prima. Anzi no! Il tuo appartamento diventerà ancora
più bello!" dichiarò, con un sorriso dolce e
rassicurante.
Alec scosse la testa, disperato. "Non capisci. Il soldatino..."
"Il soldatino?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
Alec annuì. "Non c'è più."
"Quale soldatino, tesoro?" chiese Magnus, perplesso, continuando ad
accarezzargli la guancia.
"Il soldatino. Sulla cassettiera." mormorò Alec, angosciato,
sentendo che stava nuovamente per mancargli il respiro.
Magnus aggrottò la fronte, confuso, poi ricordò
che c'era un piccolo soldatino di legno sopra al mobile nella stanza
del moro, un giocattolo che aveva un'aria consunta e che sembrava aver
visto giorni migliori. L'uomo non aveva mai posto domande a riguardo e
la prima volta che l'aveva notato l'aveva catalogato come un ricordo
d'infanzia di cui l'altro non voleva disfarsi, tutto lì.
"E' importante per te quel soldatino?" domandò in tono
gentile Magnus, tentando di capire.
Alec annuì, il labbro inferiore che tremava. "Era di Max."
rispose, con un filo di voce, prima di scoppiare in un pianto isterico.
Era di Max.
Magnus versò una generosa dose di Bourbon in un
bicchiere e ritornò in camera da letto: Alec era disteso sul
letto, rannicchiato su se stesso in posizione fetale e in stato
catatonico. Magnus pensò che forse avrebbe fatto bene anche
a lui un goccetto, se voleva aiutare l'altro ad uscirne.
Il moro aveva smesso di piangere, ma qualche lacrima sfuggiva ancora
dai suoi occhi e rotolava giù, fino a inzuppare il cuscino,
e fissava un punto fisso davanti a sé.
Magnus si sedette nuovamente accanto a lui e gli prese la mano,
avvolgendo le sue dita attorno al bicchiere. Alec scosse la testa e
provò a respingerlo, ma l'ex Marine non demorse.
"Bevi. Ti farà bene." asserì, deciso.
"Odio il Bourbon." mormorò Alec, con una smorfia.
Magnus accennò un sorriso, scompigliandogli i capelli.
"Sì, lo so. Ma bevi lo stesso."
Alec obbedì, alzandosi appena e mandando giù il
liquido ambrato a piccoli sorsi. Sentì immediatamente un
calore intenso propagarsi per tutto il corpo e si aggrappò a
quello per ristabilire l'equilibrio perduto.
"Ora sto bene. Grazie." disse il moro, posando il bicchiere sul
comodino.
Magnus piegò la testa osservandolo per un lungo momento.
"Parlami di Max." mormorò, in tono dolce, scostandogli un
ciuffo di capelli dalla fronte, anche se già sapeva che il
fratellino di Alec, Maxwell Joseph Lightwood, era morto assassinato
dieci anni prima per mano di uno sconosciuto.
Non aveva mai collegato il soldatino di legno a quel bambino che oramai
non c'era più, ma ora capiva perfettamente la disperazione
del moro. Nelle varie missioni che avevano caratterizzato il suo ex
lavoro, infatti, aveva visto morire colleghi che considerava come
fratelli e comprendeva quindi molto bene il dolore immenso che derivava
dal perdere un membro della propria famiglia o anche solo un oggetto a
lui collegato.
"Non posso." dichiarò Alec, scuotendo la testa e stringendo
le labbra in una lunga linea sottile.
Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, mentre si asciugava,
con la manica della maglia, le lacrime sporadiche che continuavano a
bagnargli le guance.
Magnus sentì il cuore stringersi e si coricò di
fianco a lui, tirandoselo addosso e stringendolo forte in un abbraccio
spaccaossa. "Sai, credo che ti sentiresti meglio se ne parlassi."
disse, accarezzandogli lentamente la schiena.
Sentì la testa di Alec muoversi a destra e a sinistra sopra
il suo petto, in segno di diniego.
"Perché non mi racconti del soldatino?" provò
allora Magnus, gentile, immergendo le dita nei capelli del moro e
baciandogli la fronte.
Alec tirò su con il naso, sentendo che le lacrime
minacciavano di travolgerlo nuovamente. Tutto il suo corpo era teso e
intorpidito dal dolore. "Era di Max." ripetè in un sussurro.
"Ma ormai è bruciato. Non c'è più.
L'ho perso per sempre."
Magnus aveva come la sensazione che, più che del giocattolo,
il moro si riferisse al fratellino. "Parlami di Max."
insisté, cercando le dita dell'altro e intrecciandole
saldamente alle proprie.
Alec trattenne il respiro, mordendosi con forza il labbro inferiore e
sentendo il corpo tendersi come una corda di violino. "E' stata colpa
mia." dichiarò, con voce spenta e incolore.
"Raccontami." sussurrò piano Magnus.
"Non posso. Andrò in pezzi." gli confidò Alec,
con voce rotta, alzando il volto verso l'altro.
Magnus lo guardò a sua volta, stringendolo ancora
più forte a sé. "Ti terrò insieme io."
promise, serio.
Alec sapeva che l'ex Marine parlava sul serio. Era un'altra cosa che
aveva imparato in quei giorni nella casetta sperduta nei boschi: Magnus
Bane manteneva sempre le sue promesse.
Tornò a posare la testa sul petto della sua guardia del
corpo, fece un paio di respiri profondi e guardò fisso
davanti a sé. Aveva seppellito così profondamente
quel ricordo che riportalo di nuovo a galla gli costava un dolore
tremendo, ma la mano di Magnus, stretta alla sua, e il braccio
dell'uomo, avviluppato alla sua vita, in qualche modo lo
tranquillizzavano e gli davano la forza di scavare nella memoria per
riportare alla luce quell'episodio.
"Comincia dal soldatino." gli suggerì Magnus,
accarezzandogli lentamente il dorso della mano con il pollice.
Gli occhi di Alec diventarono vaghi, remoti, e la sua mente
tornò indietro di oltre quindici anni. "Il soldatino era di
Jace." cominciò, a bassa voce. "E' stato adottato quando
aveva dieci anni ed è arrivato a casa Lightwood con quel
soldatino. Se lo portava sempre dietro, non se ne separava mai. Ci
faceva addirittura il bagno insieme!" rammentò, divertito.
"Non ricordo quando è successo, ma un giorno il soldatino
era nelle mani di Jace e quello dopo ce l'aveva Max. Jace gliel'aveva
regalato. Non so il motivo. Forse perché lui era troppo
cresciuto per continuare a giocarci o forse perché nostro
fratello gli chiedeva continuamente se poteva prestarglielo. Fatto sta
che da quel giorno il soldatino è diventato un giocattolo di
Max. Stravedeva per Jace, sai?" affermò, con un sorriso
triste. "Io ero il fratello noioso e rompiscatole, quello che tentava
di farlo ubbidire agli ordini dei nostri genitori, quello che lo
sgridava quando combinava qualche marachella, quello che lo faceva
piangere. Isabelle, invece, era la sorella simpatica e riusciva sempre
a farlo ridere, coccolandolo anche quando faceva i capricci. Era
davvero brava con lui. Mentre Jace... beh, Jace era l'idolo indiscusso
di Max! In qualsiasi pasticcio Jace si cacciasse, Max gli sgambettava
dietro per imitarlo, perché Jace era fantastico, forte e
coraggioso e quando gli regalò quel soldatino divenne
definitivamente il suo eroe." continuò, stiracchiando le
labbra al ricordo. "Max amava alla follia quel giocattolo e anche lui,
proprio come Jace, se lo portava sempre dietro. Dove c'era lui, c'era
anche il soldatino e, anche quel giorno, erano insieme..."
Alec inspirò bruscamente, stringendo spasmodicamente la mano
stretta in quella di Magnus, come se quel ricordo fosse talmente
insopportabile da avere bisogno della forza dell'ex Marine per
continuare il racconto.
Magnus sentì il cuore stringersi. In quel momento, avrebbe
tanto voluto avere dei poteri magici e cancellare, con uno schiocco di
dita, tutto quel dolore che il moro si portava appresso, ma sapeva che,
purtroppo, l'unica cosa che poteva fare era tenergli la mano e
confortarlo quando avrebbe finito la storia.
"E poi? Cosa è successo, Alec?" sussurrò l'uomo,
rafforzando la presa sull'altro.
"Eravamo stati invitati a un ricevimento." riprese il moro, le dita
inermi in quelle dell'ex Marine. "Cioè... mio padre era
stato invitato. Io, mia madre e i miei fratelli fummo costretti ad
accompagnarlo perché voleva pavoneggiarsi e mostrare a tutti
gli invitati quanto fosse bella la sua famiglia e quanto dovessero
invidiarci. Nonostante tutto, però, la serata era stata
davvero piacevole, sai? Il padrone di casa aveva una splendida villa
sul lago Seneca e io non mi sono neanche annoiato, come accadeva ogni
volta che mio padre mi costringeva a presenziare a un ricevimento." la
voce di Alec si spezzò un attimo, poi tornò a
parlare in tono angosciato. "A fine serata, mentre tornavamo a casa,
mio padre sbagliò strada. Si confuse ad un
incrocio, svoltò nella direzione sbagliata... non so cosa
sia successo. So solo che, ad un certo punto, stavamo percorrendo una
stradina deserta e lui ha frenato bruscamente, imprecando con forza e
facendoci sbalzare violentemente tutti in avanti. Ricordo la voce
agitata di mia madre, che si era voltata verso mio padre per chiedergli
cosa diavolo stesse facendo. Ricordo Jace e Izzy che, spaventati, ma
curiosi, si sporgevano verso i sedili anteriori per vedere cosa stava
succedendo, mentre io stringevo forte a me Max, che stava dormendo
appoggiato sul mio fianco, per evitare che venisse sballottato
più del dovuto. E' stata questione di secondi, forse anche
meno, poi iniziò l'inferno. Una detonazione ruppe il
silenzio e tutto cominciò a precipitare."
Alec sembrava non avere più aria nei polmoni e Magnus non
poté fare altro che continuare a stringerlo nel tentativo di
consolarlo, anche se sapeva che nulla avrebbe potuto alleviare il
dolore che stava per arrivare.
"Non... non avevo capito. Non avevo idea che quel rumore fosse uno
sparo, neanche quando qualcosa mi passò, sibilando, a pochi
centimetri dalla testa. Poi quella detonazione si ripeté
ancora e ancora e ancora e ancora. Non so quanto durò.
Minuti, forse secondi. Non lo so. So solo che gli spari sembravano non
finire mai."
Alec ricordava che suo padre aveva gridato disperatamente
"Giù!", mentre il rumore sordo delle pallottole sovrastava
il suo comando, e che il tempo aveva iniziato a scorrere a
rallentatore. Quando finalmente la pioggia di proiettili smise di
martoriare l'auto, il silenzio che seguì tutto quel
frastuono fu glaciale.
Alec ricordava il pianto disperato di sua madre, di Izzy e anche di
Jace, mentre suo padre era accasciato sul volante, immobile, forse
morto. Ricordava il flebile lamento provenire al suo fianco, lui che si
voltava verso quella direzione e che fissava, inorridito, la camicia
bianca di Max colorarsi velocemente di rosso scuro. Ricordava che aveva
gridato, disperato, il nome di suo fratello, mentre il peso del suo
corpicino, ormai inerme, gli gravava addosso. Ricordava di aver tentato
di fermare il sangue, tamponando tutti i fori che riusciva a vedere, ma
inutilmente. Ricordava la quantità mostruosa di sangue che
aveva continuato a sgorgare senza sosta dal corpo del bambino,
inzuppandogli le mani senza che lui potesse farci nulla. Ricordava le
grida disperate e sempre più forti di sua madre e dei suoi
fratelli che gli trapanavano il cervello. Ricordava lui che cullava
Max, tra le braccia, continuando a ripetere incessantemente "Non
morire. Per favore, non morire.", mentre il soldatino scivolava via
dalle dita immobili del bambino, cadendo sul tappetino dell'auto
crivellata di colpi. Ricordava che fu solo in quel momento che
capì di averlo perso, perché Max adorava il
soldatino di legno e non se ne sarebbe mai separato, mai.
Il moro alzò lo sguardo verso Magnus con gli occhi pieni di
orrore. Le lacrime scendevano copiose e la voce oramai era ridotta a un
sussurro. "Non l'ho protetto. Se gli avessi fatto da scudo con il mio
corpo, se avessi capito che stavano sparando, se..."
"Oh, tesoro." mormorò Magnus, con gli occhi lucidi,
stringendolo forte a sé. "Non è stata colpa tua."
"Sì, invece." asserì Alec. "Non l'ho protetto."
"Alec, tesoro, non sei stato tu a sparare, ma quello sconosciuto. E'
lui il responsabile della morte di Max non tu." affermò
Magnus, con decisione e sicurezza.
"Sono il fratello maggiore! Era mio dovere proteggerlo."
ribadì Alec, con voce spenta.
"Tesoro, sono sicuro che hai sempre fatto del tuo meglio per svolgere
questo compito alla perfezione, ma, in questo caso, non potevi fare
niente di più di quello che hai fatto." sostenne Magnus, con
convinzione, baciandogli la fronte. "Questa cosa non sarebbe dovuta
succedere, ma purtroppo è accaduta e tu non potevi
prevederlo."
"Dopo la sua morte, ho continuato a vederlo e a sentirlo."
confidò Alec, in un sussurro. "La mia famiglia, soprattutto
mia madre, dopo anni passati a vegetare, ha cominciato a dirmi che
dovevo riprendere in mano la mia vita, che dovevo andare avanti. E io
ci provavo, ci provavo davvero, ma non ci riuscivo."
continuò, asciugandosi gli occhi con la manica della maglia.
"Non riuscivo a perdonarmi di non averlo protetto. Vedevo Max correre
per casa, lo sentivo ridere e giocare. Ogni mattina, però,
quando mi alzavo e andavo nella sua stanza, lui non c'era
più."
Alec ricominciò a piangere silenziosamente e Magnus lo
lasciò sfogare. Gli venivano in mente tante frasi banali e
di circostanza che avrebbe potuto dirgli, frasi piene di futili parole
di conforto, ma sapeva che in quel momento non sarebbero servite a
niente. Tutto quello che poteva fare era stringere forte il moro e
lasciare che piangesse tutte le sue lacrime.
Presidente Miao balzò sul letto, annusando curioso l'aria
attorno a loro, prima di accoccolarsi anche lui sul torace di Magnus.
Alec si asciugò gli occhi e accennò un sorriso,
quando vide il felino osservarlo quasi preoccupato. "Sai che avevamo
anche noi un gatto?" ricordò in tono affettuoso, grattando
il micio dietro un orecchio.
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso, scostandogli i capelli sudati dal
viso e baciandogli a lungo la fronte.
Alec annuì. "Un persiano grigio di nome Church."
Magnus iniziò ad accarezzargli la schiena e
ascoltò, in silenzio, il moro, mentre gli raccontava,
divertito, di quel grosso gatto snob e altezzoso che odiava tutti e che
soffiava a chiunque provasse a toccarlo o a prenderlo in braccio. La
voce del ragazzo si fece sempre più flebile mano a mano che
procedeva con i ricordi di quel gatto ciccione, fino a spegnersi del
tutto nel bel mezzo di un episodio piuttosto movimentato.
Magnus sorrise appena, chiuse gli occhi e appoggiò il mento
sulla testa di Alec, addormentandosi anche lui.
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Alec si
svegliò con la sensazione di essere stato travolto da un
camion. Gli faceva male tutto il corpo, aveva le spalle indolenzite,
gli occhi pesanti che bruciavano e la gola secca.
Si trovò davanti al naso Presidente Miao che dormiva
profondamente e aggrottò la fronte, confuso.
Roteò gli occhi, senza accennare minimamente a muoversi, e
si guardò attorno per cercare di capire dov'era e cosa stava
succedendo. Ad un tratto divenne cosciente del corpo solido a cui era
appoggiato, del petto che si alzava e abbassava sotto le sue dita e del
battito tranquillo e cadenzato di un cuore che batteva sotto il suo
orecchio.
Sollevò lentamente la testa, incontrò due occhi
verde-oro che lo guardavano con dolcezza e ricordò tutto.
Tornò a nascondere il viso sul petto di Magnus e
grugnì, imbarazzato. "Scusa. Mi dispiace."
mormorò, con le guance arrossate, tentando goffamente di
alzarsi.
Magnus lo tenne stretto a sé e sorrise teneramente,
infilando le dita nei capelli del moro e arruffandoglieli ancora di
più. "Per che cosa? Perché ti manca tuo fratello
e ti fa ancora soffrire la sua morte?"
Alec sospirò, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro
inferiore. "Se fossi riuscito a fargli da scudo..."
"Alec, non è stata colpa tua." ripeté ancora una
volta Magnus, interrompendolo con tono deciso.
Il moro si mise a sedere, accarezzando distrattamente Presidente Miao
che aveva alzato il muso assonnato verso di lui e lo guardava con aria
interrogativa.
"Tesoro, so che fa male, farà sempre male, ma Max non
c'è più. Continui a vivere nel passato e a darti
la colpa per ciò che è successo, ma hai fatto
tutto quello che hai potuto per salvarlo. Devi smetterla di
colpevolizzarti. Devi andare oltre ciò che non puoi cambiare
e vivere la tua vita meglio che puoi." affermò Magnus,
guardandolo con comprensione e accarezzandogli un braccio. "Max
farà sempre parte di te, sarà sempre nel tuo
cuore, ma non è giusto che ti chiuda a riccio, lasciando il
resto delle persone e del mondo fuori."
Alec fece spallucce. "Il mondo e le persone, il più delle
volte, fanno schifo." disse schiettamente, disegnando figure astratte
sul copriletto sotto di lui.
Magnus ridacchiò, togliendosi di dosso Presidente Miao e
poggiandolo sulla coperta. "Sì, concordo, ma ci sono anche
persone fantastiche che fanno cose fantastiche per rendere fantastico
questo mondo." replicò, mettendosi a sedere. "Come il
sottoscritto." dichiarò, con un sorriso sbarazzino. "E se
solo mi chiedessi una certa cosa,
scommetto che mi daresti ragione e che, dopo, ti sentiresti molto
appagato e soddisfatto." concluse, sfacciato, spingendogli la fronte
con l'indice.
Alec gli rivolse il primo, vero, sorriso da quando avevano ricevuto la
telefonata di Jace. "Sì. Certo. Come no." rispose, roteando
gli occhi, divertito.
Magnus si finse oltraggiato, portandosi una mano al petto. "Oh.mio.Dio!
Mi stai accusando di mentire?"
"Beh, hai quasi quarant'anni. Fare cilecca è un attimo. Non
so quanto ne uscirei appagato
e soddisfatto alla fine." affermò Alec,
scrollando le spalle con noncuranza e mordendosi l'interno delle guance
pur di non ridere.
Fallì miseramente e rise di gusto quando vide Magnus
sgranare gli occhi, totalmente spiazzato e stupito.
"C-cilecca?" balbettò l'ex Marine, indignato e offeso. "Io
non faccio cilecca!"
Alec rise ancora più forte e gli piazzò una mano
sul viso, spingendolo scherzosamente all'indietro, per poi alzarsi di
slancio dal letto.
"Vado a preparare la colazione." dichiarò, divertito,
stiracchiando le braccia in alto.
Si sentiva svuotato ed emotivamente esausto... e anche un po'
imbarazzato per essere scoppiato a piangere come una ragazzina (cosa
che non gli capitava mai, visto che aveva imparato, fin da piccolo, a
controllare le proprie emozioni e a gestire ogni situazione. La
chiamata di Jace, però, aveva cambiato tutto e alla fine si
era ritrovato del tutto esposto e vulnerabile), eppure non si era mai
sentito così bene dalla morte di Max.
Aveva raccontato la sua "colpa" a Magnus e lui non l'aveva condannato,
anzi l'aveva stretto e consolato come nessuno era riuscito a fare fino
a quel momento. Era incredibile come quell'idiota rompiscatole
riuscisse ogni volta a fare breccia nella sua corazza e a tirargli su
il morale con le sue parole e la sua presenza.
"Ehi! Non scappare!" lo rimbrottò Magnus, rimettendosi a
sedere e tirandogli un cuscino addosso.
"Pancake?" domandò Alec, schivando il "proiettile" con un
enorme sorriso.
Magnus si ributtò all'indietro con un sonoro sbuffo. "Che
fine hanno fatto i tuoi yogurt magri e i tuoi frullati ipocalorici?
Mh?" lo punzecchiò, inarcando un sopracciglio e incrociando
le mani dietro la testa.
Alec gli fece il dito medio, prima di uscire dalla camera, seguito
dalla risata allegra della sua guardia del corpo.
Preparò l'impasto e stava giusto rischiando di bruciare
completamente la prima frittella, quando Magnus apparve, prese una
tazza vuota e si versò una generosa dose di caffè.
"Sai che, dopo tutto questo tempo, è la prima volta che mi
prepari la colazione?" domandò, con un sorrisetto
compiaciuto. "Che c'è? Vuoi fare colpo su di me, dolcezza?"
lo stuzzicò, facendo scontrare gentilmente il suo fianco con
quello dell'altro.
Alec roteò gli occhi e versò l'impasto nella
pentola per una seconda frittella, trattenendo un sorriso. "Non ho
bisogno di fare colpo su di te."
"Sì, questo è vero." concordò Magnus,
baciandogli una guancia e rubandogli la frittella bruciacchiata.
"Ehi!" protestò Alec, lanciandogli un'occhiataccia e
fingendosi irritato, pur di nascondere il rossore che gli aveva
colorato il viso.
Magnus ridacchiò.
"Per l'angelo, sei davvero..." iniziò il moro, imbronciato,
venendo però interrotto dell'altro che gli aveva agguantato
il braccio in una presa ferrea.
Alec lo guardò, aggrottando la fronte, ma l'uomo stava
fissando, con sguardo serio, fuori dalla finestra.
"Che c'è?" chiese il moro, preoccupato, seguendo lo sguardo
dell'ex Marine.
"Lo senti anche tu?" mormorò Magnus, teso.
Alec alzò un sopracciglio, confuso, poi sentì il
rumore. Era un ronzio lontano, quasi indistinto, ma stava diventando
sempre più forte.
"Sembra... una moto?" mormorò il moro, accigliato.
"Esatto." concordò Magnus, spegnendo il gas e prendendo il
ragazzo per un gomito, per condurlo in camera.
La guardia del corpo aprì il grande armadio e fece cenno al
moro di entrare, poi prese Presidente Miao, ancora addormentato sul
letto, e glielo consegnò.
"Non muovetevi e non fate rumore, ok?" si raccomandò Magnus.
"Dovrei riuscire a sbrigarmela in fretta. Se ci fossero problemi e
dovessero entrare, però,..."
"Se dovessero entrare, significa che ti hanno messo ko." lo interruppe
Alec, preoccupato, mettendo un piede fuori dall'armadio, deciso a
uscire con la sua guardia del corpo. "Voglio venire con te! Voglio..."
"Fa' come ti ho detto." ordinò Magnus, con fermezza,
spingendolo di nuovo nell'armadio. "Lo affido a te." mormorò
al gatto, con un sorriso, prima di baciare entrambi sulla fronte e
chiudere le ante.
Circondato dal buio, Alec sbuffò forte, mettendosi seduto e
stringendo il micio a sè. Tese l'orecchio, sperando di
captare quanto stava succedendo là fuori e, dopo pochi
minuti, sentì il rombo di due motori che si fermavano
proprio davanti alla casa.
Magnus era appoggiato allo stipite della porta con calcolata
naturalezza, quando le motociclette si arrestarono davanti a lui. Stava
sorseggiando con calma il caffè, non perdendo di vista,
neanche per un secondo, i quattro uomini, due per ogni moto, che erano
appena arrivati. La pistola era nascosta dietro la schiena e la guardia
del corpo sentiva il freddo metallo dell'arma premere contro la sua
pelle calda.
I forestieri sembravano quattro gemelli: erano vestiti di nero dalla
testa ai piedi e anche la stazza era pressoché identica. I
due che conducevano le moto pesavano di sicuro oltre i centotrenta
chili e anche quelli che stavano seduti dietro erano di solida
corporatura. Magnus era sicuro che tutti e quattro nascondessero
un'arma sotto il pesante giubbotto di pelle nera.
"Buongiorno." li salutò tranquillo, alzando la tazza. "Bella
giornata per un giro in moto."
Uno dei due passeggeri si tolse il casco e offrì a Magnus un
sorriso sdentato e smagliante. "L'hai detto amico!" rispose, scendendo
dalla moto e asciugandosi il sudore della fronte con il dorso della
mano. "Bella casa! E' tua?"
Magnus annuì.
"Piuttosto solitaria." continuò lo sconosciuto, guardandosi
attorno e vedendo solo alberi.
Magnus si strinse nelle spalle. "Mi piace così."
"Non c'è nessuno per chilometri." osservò uno dei
due guidatori, inarcando un sopracciglio e appoggiandosi al manubrio
della moto.
"Beh, voi siete qui." replicò Magnus, nascondendo una
smorfia dietro la tazza e facendo sorridere tutti e quattro i
motociclisti.
"Ci siamo persi." dichiarò l'uomo che era sceso dalla moto.
"Non riusciamo a ritrovare la strada principale. Non è che
ci offriresti un buon caffè?"
"Volentieri, ma purtroppo questa era l'ultima tazza."
mormorò Magnus, esibendo una smorfia fintamente dispiaciuta.
I quattro si scambiarono un'altra occhiata, meno divertita della prima,
e anche l'altro passeggero scese dalla moto.
"Bel posto." commentò, camminando avanti e indietro, mentre
osservava la casetta di tronchi.
"Grazie." rispose Magnus, sorseggiando lentamente il suo
caffè.
"E' un posticino davvero romantico..." continuò il
motociclista, fermandosi davanti all'ex Marine. "Adatto a portarci
qualcuno." insinuò, infilandosi le mani nei jeans.
Fece per salire gli scalini, ma Magnus lo fermò con un gesto
deciso della mano.
"Stop." gli intimò, serio.
"Ehi! Non sei molto socievole." esclamò lo sconosciuto,
divertito, alzando le mani in segno di resa.
"Sono un eremita, che vuoi farci." rispose Magnus, scrollando le spalle.
Il motociclista avanzò comunque di un altro passo, con uno
sguardo sfrontato e le mani nelle tasche del giubbotto.
Magnus gli andò incontro. "Non farlo." ordinò,
con tono di voce neutrale e sostenendo lo sguardo dell'altro senza
alcun timore. "Seguite il sentiero per cui siete venuti e scendete la
collina." spiegò poi. "Troverete la via per la strada
principale dall'altra parte del ruscello."
"Grazie dell'indicazione." rispose uno dei due guidatori, mentre gli
uomini che erano scesi dalle moto risalivano sul sedile posteriore.
"Di niente." replicò Magnus, con un cenno della testa.
L'ex Marine li vide superare il portico e voltare la moto, dirigendosi
lentamente da dove erano venuti, poi colse il movimento che aspettava,
ossia il gesto casuale di uno dei passeggeri che allungava la mano
verso una guaina fissata alla caviglia.
Magnus fece un balzo felino e si rifugiò dentro la casa,
prima che una raffica di spari investisse il primo gradino della
scaletta che portava al portico, massacrandolo. Grandioso! Ragnor e
Raphael l'avrebbero ucciso di sicuro, se non lo avessero fatto i
quattro motociclisti!
Si appostò alla finestra che dava sul portico, prese la mira
e sparò a uno dei due passeggeri... o almeno ci
provò, visto che il tamburo della sua pistola
girò a vuoto e produsse un semplice e inquietante clic.
Magnus fissò, scioccato, la pistola, ma non ebbe il tempo di
chiedersi perché diavolo non ci fossero proiettili in canna
dal momento che i motociclisti ripresero a sparare in direzione della
casa, colpendo, questa volta il secondo gradino della scaletta.
"Sial!"
[ndr. Cazzo!] urlò, frustrato, gettando via la sua pistola.
Si accucciò e si diresse fino alla camera da letto,
alzandosi solo quando ebbe oltrepassato la soglia. Aprì con
veemenza le ante dell'armadio e si ritrovò davanti un Alec
che tremava visibilmente e che lo guardava con due pozze oceaniche al
posto degli occhi.
"Vieni. Andiamo." sussurrò, prendendo Presidente Miao tra le
braccia e facendo alzare gentilmente, ma con decisione, il moro.
Alec non disse niente, limitandosi ad annuire e a eseguire gli ordini
di Magnus. Uscirono dalla finestra della camera e corsero in direzione
degli alberi, addentrandosi velocemente nel bosco, mentre il ronzio
degli spari non si quietava.
Dopo pochi metri, nella fretta di stare dietro all'ex Marine, Alec
inciampò e cadde con un grido acuto. Magnus l'aiuto a
rimettersi in piedi, poi tese l'orecchio per ascoltare i rumori che
arrivavano dalla casetta di legno e che avevano trasformato quel
mattino assolato e tranquillo in un inferno.
"Andiamo." incitò l'ex Marine, prendendo per mano il moro.
Alec iniziò ad ansimare penosamente dopo neanche mezz'ora
che stavano correndo nel bosco e riuscì a tenere il passo di
Magnus per pura forza di volontà. Non osò,
però, chiedergli di rallentare... anche perché
doveva risparmiare il fiato per correre!
Magnus gli lanciò un'occhiata e si fermò,
comprendendolo come solo lui riusciva a fare. "Scusami. Dimentico
sempre che sei un flaccido agente di viaggi." scherzò,
arruffandogli i capelli.
Alec avrebbe tanto voluto rispondergli per le rime, ma rischiava
seriamente di sputare entrambi i polmoni da un momento all'altro,
quindi si limitò a sventolargli il dito medio davanti al
viso e a sbuffare forte, mentre cercava di incanalare quanto
più ossigeno possibile.
Magnus ridacchiò piano, accarezzando anche Presidente Miao
per assicurarsi che stesse bene, nonostante tutto quel trambusto, poi
tornò serio. "Quando sei pronto, dobbiamo riprendere il
cammino. Più ci allontaniamo, più
possibilità abbiamo di sfuggirgli."
Alec annuì, mentre continuava a inspirare e a espirare
pesantemente. "Tu-tutto questo è assurdo!"
gracchiò, dopo un lungo momento. "Chi.. chi diavolo sono
quelli?"
Magnus tese l'orecchio, notando che gli spari erano cessati. "Non lo
so." bisbigliò, contrito. "Ma dobbiamo andare. Senti? Non
sparano più! Significa che tra non molto verranno a
cercarci."
"Ok, andiamo." concesse Alec, quando sentì il cuore
rallentare un poco.
Magnus gli sorrise e gli afferrò una mano, conducendolo nel
folto del bosco.
Alec costrinse Magnus a fermarsi solo quando sentì i propri
polmoni scoppiare.
Intorno a loro il sottobosco si stendeva fitto tra cedri e abeti
talmente alti da avere i capogiri se si alzava lo sguardo. La
vegetazione era densa e compatta e la luce scarseggiava, ma Magnus
procedeva spedito, senza alcun tentennamento, come se riuscisse ad
orientarsi perfettamente anche in quel posto selvaggio.
"Stai bene?" chiese l'ex Marine, gentile, inarcando un sopracciglio.
Alec annuì, respirando con fatica e alzò un
indice proprio quando l'altro, divertito, stava per fare sicuramente
una battuta sagace sulla sua flaccidità. "Non.una.parola."
gracchiò, senza fiato.
Magnus rise e riprese la marcia, trascinandoselo dietro, mentre
Presidente Miao, appeso all'ex Marine come uno scaldacollo peloso, gli
lanciava uno sguardo preoccupato. Alec era sicuro che si stesse
chiedendo se sarebbe schiattato prima che tutta quella storia finisse.
"Per l'angelo, è così fitto, qui, che non si
riesce quasi a camminare." si lagnò il moro, schivando per
un soffio un ramo destinato a schiantarsi sul suo naso.
"Siamo fortunati." commentò Magnus, facendosi largo tra la
vegetazione. "Sarà impossibile per loro seguirci a bordo
delle moto. Abbiamo più possibilità di
sfuggirgli."
"Oh... E' vero!" realizzò Alec, sollevato.
Seguì Magnus per oltre un'ora, senza più aprire
bocca, fino a quando il dolore al fianco, che era iniziato come una
semplice fitta, divenne insopportabile. Il moro costrinse nuovamente
Magnus a fermarsi, prima di piegarsi su se stesso e massaggiarsi il
fianco.
"Ok. Sono flaccido." mormorò, contrito e senza fiato.
Magnus ridacchiò, facendolo sedere e iniziando a
massaggiargli lentamente la zona dolorante con dita esperte, mentre
Alec si sentiva invadere da un'ondata di sollievo mista a eccitazione.
Avrebbe dovuto protestare, dirgli che non era necessario, ma il tocco
delle sue mani era così meraviglioso che non se la
sentì proprio di chiedergli di smettere.
"Te la stai cavando molto meglio di quanto pensassi." si
complimentò l'ex Marine, scompigliandogli i capelli.
"Davvero?" esclamò Alec, sorpreso e compiaciuto allo stesso
tempo.
Magnus annuì. "E' da più di un'ora che non ti
lamenti."
"Non avevo abbastanza fiato per farlo." rivelò Alec, con un
sorriso storto.
Magnus rise di gusto, coprendosi la bocca con una mano per attutire la
voce, prima di continuare a massaggiarlo per fargli passare il dolore.
"Meglio?" chiese, dopo un po'.
Alec annuì.
"Ok, cerbiattino, allora dobbiamo continuare." affermò la
guardia del corpo, tenendo una mano al moro per aiutarlo a rimettersi
in piedi. "Non so quanto vantaggio abbiamo su di loro, ma
sarà meglio mettere quanto più distanza possibile
tra noi e quei brutti ceffi."
"Non per essere pessimista..." iniziò Alec, alzandosi di
malavoglia e seguendolo. "...ma come pensi di sbarazzarti di quegli
uomini armati?"
"Zuccherino, se la mia dannata pistola avesse avuto i proiettili, come
doveva essere - attento alla buca..." lo avvertì Magnus.
"...a quest'ora li avrei fatti fuori tutti, sialan!" [ndr.
dannazione]
Alec saltò sopra a una grossa tana di un animale di cui non
voleva conoscere l'identità e continuò a seguire
la sua guardia del corpo.
"L'hai pulita e ti sei dimenticato di ricaricarla?" chiese il moro,
distrattamente, mentre guardava in basso e faceva attenzione a dove
metteva i piedi, prima di finire addosso a Magnus, che si era fermato
di colpo.
"Per chi mi hai preso?" chiese l'uomo, indignato, lanciandogli
un'occhiata in tralice.
Alec scrollò le spalle. "Può capitare, eh!"
Magnus roteò gli occhi, non degnandolo di una risposta, e
riprese la marcia.
"Ehi! Aspettami!" berciò Alec, arrancandogli dietro, prima
di rischiare di cadere come una pera cotta a causa di una radice che
era sbucata dal nulla e che gli aveva fatto lo sgambetto.
Magnus lo prese per un soffio, sorridendo e stringendolo a
sé. "Tutto ok, tartufino?"
Alec sbuffò via un ciuffo di capelli che gli si era
incollato sulla fronte e annuì, arrossendo. "Secondo te..."
iniziò, schiarendosi la voce per darsi un tono. "...quanto
tempo ci metteranno a capire da che parti siamo andati?"
Magnus scrollò le spalle, aiutandolo a scavalcare un enorme
tronco che bloccava il passaggio. "Se sono bravi a seguire le tracce, a
quest'ora potrebbero già essere vicini, altrimenti abbiamo
un'ora, forse due, di vantaggio."
"Quindi c'è la possibilità che, tra non molto,
saremo due contro quattro." constatò Alec, pensieroso,
scostando un ramo.
Magnus sorrise tra sé e sé, compiaciuto e
orgoglioso al tempo stesso. Alec era fuori allenamento e stava sudando
come un maiale allo spiedo, eppure non avrebbe esitato a combattere,
mettendo a rischio la sua vita, pur di aiutarlo nel momento del bisogno.
"So cosa stai pensando." brontolò Alec, roteando gli occhi.
Magnus alzò un sopracciglio e gli lanciò
un'occhiata divertita. "Davvero?"
Alec annuì, imbronciato. "Che la mia flaccidità
mi impedirà di aiutarti al momento giusto."
Magnus rise di gusto e Alec roteò gli occhi. Era convinto
che, sotto-sotto, persino Presidente Miao stesse sghignazzando sotto ai
baffi.
"Non c'è niente da ridere, eh." li redarguì Alec,
mettendo su un finto broncio e sventolando l'indice in segno di
ammonimento.
Magnus gli arruffò i capelli e gli baciò, di
slancio, una guancia. "Sei unico, tesoro. Davvero." rispose, con tono
dolce, mentre il moro arrossiva vistosamente. "Sai.."
continuò poi, prima di bloccarsi e guardare, serio, dietro
le proprie spalle.
"Che c'è?" sussurrò Alec, sentendo il cuore
balzargli in gola e alzandosi sulle punte per scrutare la vegetazione
dietro alla sua guardia del corpo.
Magnus si portò un indice alle labbra, esortandolo a fare
silenzio, poi lo prese per mano e si guardò attorno, alla
ricerca di un riparo abbastanza fitto da nascondere qualcuno. Lo
trovò in un cespuglio di felci, sotto a un pino dai rami
bassi e vi condusse Alec, spingendolo dentro e passandogli Presidente
Miao.
Il moro lo lasciò fare, prima di rivolgergli uno sguardo
preoccupato quando l'altro cominciò a disporre le fronde in
modo da coprire completamente solo lui e il gatto.
"E tu?" sussurrò Alec, in tono concitato. "Dove vai? Cosa
vuoi fare?"
"Rimani immobile." gli ordinò Magnus, a bassa voce. "E non
fare rumore. Qualsiasi cosa succeda. Hai capito?"
Alec annuì a quella raccomandazione inquietante, tentando di
non farsi prendere dal panico, mentre l'altro si arrampicava agilmente
su un albero e spariva velocemente dalla sua vista.
Dopo pochi minuti due uomini si fermarono sul sentiero davanti al suo
nascondiglio e il moro si mise le mani sulla bocca per evitare che
uscisse anche il più piccolo suono, sperando che neanche
Presidente Miao si lasciasse scappare il minimo sospiro.
"Li abbiamo persi!" affermò uno dei due, ansimante. "Sei
sicuro che siamo sulla strada giusta?"
"Certo che sono sicuro!" ribatté l'altro, oltraggiato,
guardandosi attorno. "Dove sono gli altri?"
"E io che ne so! Non sono mica la loro madre!"
"Imbecille! Resta qui, che vado a vedere dove si sono cacciati!"
Un paio di gambe, strette in stivali da motociclista neri, passarono di
fronte al nascondiglio di Alec e si allontanarono lungo la fitta
boscaglia, mentre l'altro uomo camminava avanti e indietro, fumando
nervosamente una sigaretta.
Alec stava per sentirsi male: aveva iniziato a trattenere il fiato, per
paura di essere scoperto, fin da quando era cominciata la conversazione
e ormai era al limite della sopportazione.
La testa cominciò a girargli proprio nel momento in cui
sentì un tonfo e un grido soffocato. Poi il motociclista
crollò sul sentiero e il viso di Magnus comparve,
sorridente, tra le fronde. Alec tirò un lungo e felice
respiro e contraccambiò il sorriso.
"State bene?" sussurrò Magnus, dando un buffetto sul naso al
moro e a Presidente Miao.
Alec abbassò lo sguardo sul gatto che non aveva emesso un
verso e se ne stava tranquillamente appollaiato tra le sue braccia e
poi annuì verso l'altro.
Magnus sorrise. "Mi aiuti a nascondere il nostro "amico", prima che
arrivino i suoi compari?"
Alec annuì freneticamente e gli diede una mano a trascinare
il corpo, privo di sensi, nel folto della felce. Non fu affatto
un'operazione facile, visto quanto pesava il tizio e lo spazio di
manovra esiguo, ma alla fine lo nascosero davvero bene.
"E se si sveglia?" mormorò Alec, preoccupato.
"Quando succederà, noi saremo già lontani." lo
rassicurò Magnus, facendogli l'occhiolino e fregando la
pistola al motociclista.
L'ex Marine verificò che l'arma fosse carica, si
issò nuovamente Presidente Miao sulle spalle, prese per mano
il moro e ricominciò a muoversi per la vegetazione.
Alec gli arrancò dietro per un tempo che gli parve infinito.
Ad un certo punto i polmoni cominciarono a bruciare, la gola a fargli
male e le tempie iniziarono a pulsare. Il respiro si fece sempre
più pesante, le gambe iniziarono a muoversi ad un ritmo
sempre più irregolare e i piedi sembravano intrappolati in
due enormi blocchi di cemento. Gli sembrava di avere un coltello da
macellaio conficcato nel fianco e un martello pneumatico in testa.
Stava per morire, insomma.
Non aveva intenzione di cedere però, perché c'era
la possibilità che gli altri tre scagnozzi avessero trovato
il loro compare e fossero di nuovo sulle loro tracce più
arrabbiati di prima.
Magnus gli lanciò un'occhiata preoccupata da sopra la
spalla, prima di fermarsi di colpo.
"P-perché t-ti s-sei f-fermato?" balbettò Alec,
svenendogli praticamente tra le braccia. "Posso continuare!"
Magnus gli scostò i capelli sudati dalla fronte, prima di
baciargliela e guardarlo dolcemente. "Lo so che puoi."
ribatté, senza alcuna esitazione.
Il petto di Alec andava su e giù in modo concitato ed era
certo che, da un momento all'altro, gli sarebbe venuto un colpo
apoplettico. "G-giuro c-che s-se s-sopravviviamo, v-vado i-in
p-palestra." rantolò, senza fiato.
"E io sarò lì ad incitarti, passandoti una
bottiglietta d'acqua e un asciugamano tra un esercizio e l'altro,
dolcezza." affermò Magnus, divertito, prima di voltare di
scatto il volto verso un punto imprecisato dietro di lui. "Vieni."
sussurrò, facendolo nascondere dietro ad un enorme cespuglio
e mettendogli in mano la pistola, prima di posare Presidente Miao per
terra. "Userò lo stesso trucchetto di prima, ma questa volta
sono in due. Se non funziona e uno dei due mi mette ko, spara."
mormorò, con tono sicuro.
Alec sbarrò gli occhioni blu. "Ma... ma non sono capace..."
"Spara!" ripeté Magnus, con tono deciso, baciandogli la
punta del naso e abbassandosi per accarezzare il gatto, prima di
sparire tra la vegetazione.
Alec sentì il cuore balzargli in gola. Presidente Miao
alzò il muso, guardandolo preoccupato, e il moro gli rivolse
un sorriso tremulo, ricacciando indietro l'ondata di panico che
minacciava di sommergerlo. Magnus si fidava di lui. Non l'avrebbe
deluso e tradito per nulla al mondo.
Poco dopo sentì la voce familiare del motociclista che aveva
lasciato indietro il compare per andare alla ricerca degli altri
scagnozzi: sembrava addirittura più stremato di lui e
parlava a scatti, come se non riuscisse a riprendere fiato.
Nascosto dietro al cespuglio, Alec vide i due uomini piegarsi in mezzo
al sentiero, a una decina di passi da lui, e ansimare pesantemente,
alla ricerca disperata di ossigeno. Uno dei due tirò fuori,
dalla tasca del giubbotto, un fazzoletto lercio e si asciugò
la fronte madida di sudore.
"Al diavolo Victor e le sue idee del cazzo! Quell'uomo è
matto come un cavallo!" borbottò uno dei due, prendendo dei
lunghi respiri profondi. "Inseguiamoli!
E che sarà mai!" scimmiottò, con una
smorfia contrita. "Cazzo! Non erano questi gli ordini! Voglio tornare
alla moto e andarmene da qui!"
"Sì... e poi ci parli tu con il capo." rispose l'altro,
roteando gli occhi.
"Sarà già incazzato perché il piano
concordato è andato a rotoli!" replicò il primo
uomo, scrollando le spalle. "Ora basta. Me ne vado."
"Sei pazzo!"
"Mai quanto Victor!" asserì il motociclista, voltandosi e
puntando dritto verso il nascondiglio di Alec.
Magnus, nascosto sopra un albero, sentì un brivido corrergli
lungo la schiena quando lo vide dirigersi a passo spedito verso il
punto in cui aveva lasciato il moro e Presidente Miao, ma lo
scacciò subito, ripetendosi che il ragazzo aveva la pistola
e che avrebbe avuto il buon senso di puntarla addosso all'assalitore,
tenendolo a bada per un po', mentre lui metteva ko l'altro tizio, che
stava passando proprio sotto di lui.
Si aggrappò a un ramo, facendo poi un balzo felino verso il
basso e colpì alla testa il motociclista, che ora si trovava
ai piedi dell'albero, con tutta la forza acquisita durante la sua
permanenza nella Marina Militare: l'uomo cadde a terra come una pera
cotta e Magnus sorrise, soddisfatto.
Si voltò per andare a sistemare anche l'altro, ma
ciò che vide gli fece sbarrare gli occhi e gli fece venire
un altro brivido lungo la schiena: il punto in cui avrebbero dovuto
esserci Alec e Presidente Miao era vuoto.
Si guardò attorno, concitato, ripetendosi che se il tizio
che si stava dirigendo verso il moro l'avesse preso, Alec avrebbe
gridato, protestato, imprecato e lui l'avrebbe sentito. Non era
accaduto nulla di tutto questo, quindi tentò di calmarsi,
ripetendosi che il ragazzo e il gatto erano al sicuro.
Sentì il rumore metallico di un'arma che si caricava proprio
dietro alle sue spalle e imprecò mentalmente. Aveva perso
secondi preziosi a domandarsi che fine avessero fatto Alec e
Presidente, anziché concentrarsi sul tizio ancora in
circolazione. Il vecchio Magnus, comandante implacabile e inflessibile
di un manipolo coraggioso di agenti speciali della Marina Militare,
l'avrebbe preso a sberle, ne era certo.
Si voltò lentamente e si trovò di fronte il viso
sogghignante del motociclista che aveva voluto giocare con il fuoco e
salire gli scalini del porticato della casetta di legno.
"Ci si rivede, amico."
Magnus valutò velocemente quanti colpi poteva sparare
quell'uomo prima che lui potesse avventarglisi contro e strappargli la
pistola dalle mani.
"Dov'è lui?"
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso. Dunque aveva visto
giusto: non l'aveva preso. Alec era al sicuro.
Sorrise, contento, ma l'euforia durò solo un attimo,
perché ricordò che il moro non sapeva muoversi
tra i boschi e non aveva idea di come arrivare alla strada principale
per chiedere aiuto. Doveva guadagnare tempo. Permettere ad Alec di
allontanarsi il più possibile da lui e dai motociclisti.
Fissò il tizio che aveva di fronte: quante
possibilità aveva di uscirne vivo? Sarebbe riuscito a
togliergli l'arma, prima di finire a terra, morto stecchito?
"Dov'è finito il tuo ragazzo?" chiese il motociclista.
"Di chi parli?" fece in tempo a chiedere Magnus, ostentando una finta
indifferenza, prima che l'altro sbarrasse gli occhi, boccheggiando come
un pesce fuori dall'acqua.
Un colpo partì dalla pistola che il motociclista teneva
puntata contro l'ex Marine, prima che il criminale cadesse esanime a
terra.
L'ex Marine spalancò gli occhi, sorpreso, quando
sentì la pallottola conficcarsi, bruciante, nel suo braccio
sinistro e quasi cadde per l'impatto, mentre il dolore gli ottenebrava
la mente.
"MAGNUS!" gridò Alec, disperato.
L'ex Marine cadde sulle ginocchia e si tamponò la ferita con
una mano. Alzò lo sguardo e vide il moro davanti a lui,
ansante e con le lacrime agli occhi, mentre tra le mani teneva un
enorme bastone di legno.
"Magnus!" gridò ancora Alec, lasciando cadere il bastone e
scavalcando velocemente il corpo privo di sensi del motociclista, prima
di inginocchiarsi accanto alla sua guardia del corpo. "M-mi d-dispiace!
M-mi d-dispiace t-tanto!" balbettò, piangendo disperato.
"Alec, tesoro, è solo un graffio." lo
tranquillizzò Magnus, stringendo i denti per non farsi
sopraffare dal dolore e per non spaventare il moro.
Tolse la mano insanguinata dal braccio ed esaminò la ferita:
la pallottola era passata da parte a parte e, flettendo le dita,
constatò che non aveva riportato danni gravi.
"Ecco. Vedi?" affermò Magnus, rivolgendo al moro un sorriso
rassicurante e asciugandogli con la manica della maglia gli occhi
rossi. "Sto bene, zuccherino."
Alec tirò su con il naso, mordendosi il labbro inferiore.
"M-mi d-dispiace! E' stata tutta colpa mia!" mormorò,
angosciato.
Magnus lo fissò, sorpreso, poi capì che si stava
addossando la colpa per qualcosa che non aveva fatto, come con Max. No,
non poteva permetterlo.
"Non pensarlo neanche!" l'ammonì quindi, con sguardo severo,
togliendosi a fatica la maglia e facendosi un bendaggio improvvisato al
braccio. "Mi ha sparato quello stronzo là!"
dichiarò, con tono sicuro, indicando con un cenno della
testa il motociclista. "Tu, invece, mi hai appena salvato la vita."
affermò, sorridendogli dolcemente e sporgendosi per
baciargli la fronte. "Grazie, Fiorellino"
bisbigliò, accarezzandogli una guancia.
Il labbro inferiore di Alec tremò. "L'ho... l'ho visto
arrivare." spiegò, trattenendo un singhiozzo. "Mi sono
nascosto bene e quando lui si è fermato, vicino a me, ha
fatto marcia indietro perché ti ha sentito colpire l'altro.
Quando sei arrivato da questa parte, si è nascosto dietro a
un albero per sorprenderti, così ho pensato di fare lo
stesso."
Magnus alzò gli occhi al cielo, indeciso se essere furioso o
sollevato. Di primo acchito avrebbe voluto sgridarlo perché
era rimasto là, rischiando la sua vita anziché
scappare, ma era anche felice di vedere che stava bene.
"Lo so, avrei dovuto sparargli." continuò Alec, abbassando
lo sguardo e torturandosi le mani. "Ma non sono capace di farlo e avrei
potuto colpire te, anziché lui." si difese, passandosi
stancamente una mano sul viso. "Non volevo farti male. Invece..."
Magnus scosse la testa, sentendo un'ondata di euforia scorrergli per
tutto il corpo, mentre il dolore veniva momentaneamente accantonato in
un angolo della mente. Il moro teneva a lui. Sorrise e
afferrò di colpo il viso del ragazzo, facendo scontrare le
loro labbra per un bacio breve e fugace.
"Grazie, Alexander."
sussurrò, posando la fronte contro quello dell'altro e
guardandolo dolcemente, prima di lasciarlo andare.
Alec sbatté le palpebre e arrossì all'istante.
"Oh... prego... sì... insomma... prego... sì."
mormorò, incapace di dire altro.
Magnus gli rivolse un enorme sorriso, afferrò Presidente
Miao, che era sbucato fuori da un cespuglio, e lo affidò ad
Alec, prima di alzarsi faticosamente e tendere una mano verso il moro.
"Andiamocene da qui."
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Alec lanciò
un'imprecazione colorita quando rischiò di inciampare
nell'ennesima radice dell'ennesimo albero presente in quel bosco.
Presidente Miao, che zampettava davanti a lui, si voltò a
guardarlo. Alec avrebbe potuto giurare che il gatto gli stesse
lanciando un'occhiata preoccupata ed esasperata allo stesso tempo e
avesse appena sospirato in tono melodrammatico. Quella palla di pelo
passava indubbiamente troppo tempo con Magnus.
"Tutto a posto." lo rassicurò il moro. "Guarda che dico sul
serio!" grugnì, all'occhiata scettica che Presidente
continuava a rivolgergli, mentre sistemava meglio la presa delle sue
mani sulle cosce di Magnus, che pressò maggiormente il petto
alla sua schiena e ridacchiò sommessamente contro la pelle
del suo collo, facendogliela accapponare.
Il gatto miagolò brevemente, roteando gli occhi, poi riprese
ad annusare attentamente il terreno e l'aria circostante, avanzando con
passo sicuro e voltandosi di tanto in tanto per assicurarsi che lo
stesse seguendo e non si perdesse in quel dedalo di alberi e
vegetazione selvaggia.
Alec sbuffò. Era ufficiale: persino quella palla di pelo non
aveva la benché minima fiducia in lui e pensava che non
sarebbe uscito vivo da lì se non avesse avuto qualche anima
pia che gli indicasse la strada per la salvezza. Il che era ridicolo.
Totalmente e assolutamente ridicolo.
Per l'angelo, ma con chi pensavano di avere a che fare? Sia Magnus che
Presidente Miao dovevano solo ringraziare il fatto che avesse l'ex
Marine zavorrato sulle spalle, che lo rallentava nei movimenti,
altrimenti avrebbe dimostrato a quei due rompiscatole chi era Alec
Lightwood! Poco, ma sicuro!
Insomma, che ci voleva a camminare per il bosco e a tornare sulla
strada principale? Ok, ogni tanto inciampava in qualche radice e
può darsi che, la prima e unica volta che aveva perso di
vista Presidente Miao, mentre Magnus si era appisolato sulla sua
spalla, avesse svoltato nella direzione sbagliata e avesse camminato
per cinque minuti buoni alla cieca, fino a quando il gatto, mosso a
compassione, era tornato a riprenderlo con uno sguardo di sufficienza
negli occhi, ma, insomma, questo non significava assolutamente che lui
non fosse capace di portare in salvo il felino e la sua guardia del
corpo! E che diamine!
Sentì il sorriso di Magnus sulla sua pelle e si
indispettì ancora di più. L'ex Marine doveva
proprio smetterla di avere quell'irritante e inquietante abitudine di
leggergli nella mente. Neanche nella sua testa aveva più la
giusta privacy, per l'angelo!
Quando lanciò un'occhiata al bendaggio di fortuna, che
tamponava la ferita al braccio di Magnus, però, il suo
broncio sparì immediatamente, venendo sostituito da una
smorfia angosciata: la maglietta era zuppa di sangue e il respiro
dell'uomo si stava facendo sempre più pesante. Aveva persino
smesso di parlare. Brutto segno.
"Magnus..." mormorò Alec, preoccupato.
"Sto bene, tesoro." sussurrò Magnus, stringendosi a lui.
Alec sapeva che stava mentendo. E non lo stava facendo neanche tanto
bene.
Non aveva idea da quanto tempo stessero camminando per quei boschi, ma
di una cosa era sicuro: doveva portare Magnus in ospedale al
più presto o... Scosse la testa con decisione, scacciando
quel pensiero molesto, e strinse le labbra in una lunga linea sottile.
Nonostante fosse stanco morto e portasse il peso non indifferente
dell'ex Marine sulla schiena, non poteva assolutamente permettersi di
farsi prendere dal panico proprio in quel momento! Non voleva neanche
pensare all'ipotesi di non riuscire a uscire da lì. Ce
l'avrebbero fatta. Punto.
Presidente Miao, che li precedeva di una decina di passi,
miagolò forte, voltandosi a guardarli.
"Che c'è?" chiese Alec, fermandosi per sistemare meglio
Magnus sulla sua schiena, che grugnì piano. "Scusa."
mormorò, dispiaciuto, riportando poi l'attenzione sul felino.
Il gatto miagolò di nuovo, poi zampettò lungo il
sentiero, voltandosi nuovamente e muovendo la coda con frenesia, come
se lo stesse sollecitando a seguirlo.
"Ok. Ok. Aspettami." affermò Alec, riprendendo a seguirlo.
Svoltò verso la direzione dove Presidente Miao era sparito e
si ritrovò davanti la strada principale su cui erano passati
per arrivare alla casetta di legno. Alec si permise finalmente di
tirare quel sospiro di sollievo che gli era rimasto incastrato in gola
fin da quando erano fuggiti dalla casetta di legno.
"Magnus! Guarda!" mormorò, stringendo le dita sulle cosce
dell'uomo.
La guardia del corpo alzò di poco la testa dalla spalla del
moro e sorrise. "Sapevo che ce l'avresti fatta, Fiorellino."
Alec sorrise, compiaciuto. Ok, gran parte del merito era di Presidente
Miao, ma, insomma, lui aveva portato Magnus! Aveva contribuito!
Sbuffò via un ciuffo di capelli, che gli copriva la visuale,
proprio nel momento in cui giungeva un'automobile a tutta
velocità, che si fermò davanti a loro con un
forte stridìo.
"Malaikatku!
Alec!" [ndr. Angelo mio]
"Oh, Tuhan..."
[ndr. Oh, Signore...] sussurrò Magnus, alzando faticosamente
la testa. "Mamma?" gracchiò poi, stupito, mentre lui e il
moro venivano travolti in un goffo abbraccio dall'uragano asiatico alto
un metro e sessanta che si era praticamente catapultato fuori dall'auto
non appena si era fermata davanti a loro e che aveva seriamente
rischiato di farli cadere per terra.
"Mags! Stai bene?" esclamò Asmodeus, uscendo di corsa anche
lui dalla macchina.
"Papà?" mormorò Magnus, sempre più
sorpreso.
"Malaikatku!
Cosa ti è successo?" gridò Dewi, portandosi le
mani alla bocca, quando vide il braccio bendato e insanguinato.
Magnus non si sarebbe affatto stupito di apprendere che anche il resto
dell'America l'aveva sentita urlare, dato il tono di voce che aveva
usato.
"Incidente di percorso." minimizzò l'ex Marine, con un filo
di voce.
"Gli ho sparato io." spiegò Alec, conciso, sotto lo sguardo
scioccato dei signori Bane.
"Alec..." lo ammonì Magnus, schiaffeggiandogli piano la
spalla.
"Che c'è? E' vero!"
"E' stato un incidente." chiarì Magnus, verso i suoi
genitori.
"Un incidente?" domandò Dewi, stupita.
"Alec mi ha salvato la vita." asserì Magnus, con un debole
sorriso.
Il moro scosse piano la testa. "Non è vero. Lui l'ha salvata
a me! Quattro malviventi, in motocicletta, ci hanno attaccato alla
casetta di legno e hanno tentato di ucciderci!" spiegò, in
tono concitato. "E ora ci stanno inseguendo!"
"Dobbiamo andarcene in fretta da qui, allora." affermò
Asmodeus, disfando poi cautamente il bendaggio al braccio del figlio e
accigliandosi vistosamente quando vide la ferita. "Muovi il braccio."
lo sollecitò dolcemente.
Magnus fece come gli aveva chiesto il padre, mentre il dolore si faceva
più intenso. Con quel movimento, però, aveva
nuovamente avuto conferma che muoveva correttamente sia il braccio che
la mano.
"Niente di grave. E' solo una ferita superficiale." affermò
Asmodeus, scrollando le spalle, mentre guardava suo figlio con uno
sguardo d'intesa.
Magnus sapeva che lo stava facendo per Alec e per Dewi, che erano
bianchi come un cencio e avevano il panico negli occhi. Decise di
recitare la sua parte.
"Visto? Che vi avevo detto? Un graffio!" mormorò con voce
flebile, senza capire, in realtà, perché avesse
la voce tanto debole.
Tornò a posare la testa sulla spalla del moro, che aveva
scoperto essere davvero comoda e sospirò, contento. Poteva
rilassarsi, finalmente. Alec e Presidente Miao erano al sicuro, ora che
c'erano i suoi genitori a proteggerli. Loro si sarebbero occupati di
tutto. Erano arrivati giusto in tempo.
Colto da quel pensiero, tornò ad alzare leggermente la
testa. "Che ci fate qui?" chiese, aggrottando la fronte, curioso di
capire perché il loro tempismo era stato così
straordinariamente perfetto.
"Non rispondevi alle nostre chiamate e ci siamo preoccupati."
spiegò Asmodeus, mentre cambiava la fasciatura al braccio
con mani gentili, fasciando poi la ferita con una sua maglietta trovata
nel bagagliaio della macchina. "E' da questa mattina che proviamo a
contattarti!"
"Dobbiamo portarlo da un dottore! Subito!" interruppe Dewi, con tono
stridulo, girando attorno al marito e ad Alec con fare agitato. "Il mio
bambino sta male!" berciò, dirigendosi poi verso la macchina
e aprendo la portiera posteriore con un gesto deciso. "Salite!"
ordinò, sbrigativa, prima di accucciarsi e sollevare tra le
braccia Presidente Miao.
Asmodeus aiutò Alec a caricare Magnus in macchina. Il moro
salì sul sedile accanto all'ex Marine e gli fece appoggiare
la testa sulle sue gambe.
Magnus accennò un sorriso. Sentire le mani di Alec sulla sua
pelle era una bella sensazione. Così come le gambe sotto la
sua testa. Una volta guarito, avrebbe di certo chiesto ad Alec di
diventare il suo cuscino personale.
"Magnus..." sussurrò il moro.
L'ex Marine sentì la sua voce come un'eco lontana. Era
così stanco. Il dolore stava crescendo, così come
la debolezza. E la sonnolenza. Dio, era da una vita che non provava una
spossatezza del genere. A malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e
a muoversi. Chiuse gli occhi.
"Accidenti a te! Guardami!" ordinò Alec, con voce insistente
ed esigente.
Magnus lo fece. Il moro aveva un vistoso graffio sul viso, era
visibilmente sudato e accaldato e i capelli erano così
scarmigliati che sembrava che un uccellino vi avesse fatto il nido.
Sorrise alla vista di quel meraviglioso disastro.
Alec scosse la testa e ricambiò il sorriso, afferrandogli
una mano e stringendogliela quasi volesse infondergli la sua forza.
"Non azzardarti a morire tra le mie braccia." mormorò a
bassa voce, con un cipiglio fintamente severo, accarezzandogli una
guancia. "Hai capito, brutto imbecille?"
Il sorriso di Magnus si fece ancora più ampio. "Ai tuoi ordini..."
mormorò, prima di chiudere gli occhi e perdere conoscenza.
Alec sbattè le palpebre una, due, tre volte.
"Stai bene, caro?" chiese Dewi, voltandosi per controllare il figlio e
lanciando uno sguardo curioso al moro.
Alec riuscì soltanto ad annuire, il viso completamente in
fiamme.
Magnus si svegliò al tocco di una mano calda che teneva la
sua e ne accarezzava lentamente il dorso.
Aprì gli occhi e vide un soffitto bianco sopra la sua testa.
Al suo fianco, qualcuno inspirò bruscamente e Magnus
voltò lo sguardo per incontrare il paio di occhi blu
più belli del mondo e un sorriso storto che gli fece
sciogliere la spina dorsale.
"Ciao." sussurrò Alec, stringendogli la mano con
delicatezza. Gli occhi erano sospettosamente lucidi.
Magnus ricambiò il sorriso e la stretta. "Ciao."
L'odore di disinfettante impregnava la stanza e gli pungeva le narici,
il braccio gli faceva male, il letto era scomodo e sentiva l'impellente
bisogno di farsi una doccia, ma non avrebbe barattato quel risveglio
nemmeno per tutto l'oro del mondo. Alec era accanto a lui, sano e
salvo. Era a posto così.
Cercò di muoversi e di mettersi seduto, ma scoprì
che era più debole di quanto pensasse e la flebo al braccio
gli impediva grossi movimenti.
"Stai giù!" ordinò Alec, con decisione, alzandosi
dalla sedia e bloccandolo sul letto con un gesto delicato, ma fermo.
Magnus alzò un sopracciglio e gli rivolse un sorriso
grondante malizia. "Sai che uno dei miei film porno preferiti inizia
proprio in questa maniera?" mormorò, arricciando
sfacciatamente e ripetutamente le labbra.
Alec si trattenne dal dargli una sberla in testa, limitandosi ad
arrossire come un pomodoro maturo e a guardarlo male.
"Dio, le tue battute d'abbordaggio peggiorano ogni giorno di
più." sospirò una voce femminile dietro le spalle
del moro.
Magnus sorrise ancora di più, sporgendosi leggermente con la
testa oltre il corpo di Alec. "Ciao, puffetta!" mormorò, con
voce roca.
Catarina Loss, infermiera del Beth Israel Hospital, roteò
gli occhi e scosse affettuosamente la testa, avvicinandosi al suo
migliore amico e tastandogli il polso. "Come ti senti?" chiese,
ravvivandogli i capelli.
"Come dopo una sessione intensa di sesso sfrenato." affermò
l'ex Marine, con voce roca e un sorriso malandrino, guardando la
ragazza trafficare con la sacca della flebo.
Catarina alzò gli occhi al cielo. "Sul serio, come hai fatto
a sopportarlo per tutto questo tempo?" chiese, piazzandosi una mano sul
fianco e guardando Alec con uno sguardo fintamente esasperato.
"Il 99% delle volte lo ignoro... o gli rispondo male."
rivelò il moro, con tranquillità, scrollando le
spalle.
Magnus gli rivolse una rumorosa pernacchia.
Catarina sorrise, mentre misurava la pressione dell'amico. "Ok, ti
teniamo in osservazione per qualche giorno, giusto per escludere
infezioni o complicazioni, e poi ti rispediamo a casa." gli
comunicò, scribacchiando qualcosa sulla cartella clinica
dell'uomo e spiegandogli come l'avevano ricucito.
Alec forzò un sorriso di circostanza, mentre ascoltava
Catarina parlare a Magnus dell'operazione che aveva subito. Se il colpo
fosse penetrato un po' più a destra, avrebbe potuto colpire
il cuore. Avrebbe potuto uccidere Magnus.
Strinse le mani in grembo e abbassò lo sguardo, mentre il
senso di colpa gli strisciava sottopelle e iniziava a propagarglisi per
tutto il corpo.
Non aveva idea di chi fosse il mandante che aveva assodato i quattro
motociclisti, ma non aveva dubbi che la sua intenzione fosse quella di
uccidere sia lui che Magnus. E c'era quasi riuscito, seppur
indirettamente.
Rabbrividì pensando che quell'incubo non era ancora finito.
La polizia, infatti, aveva perlustrato la zona boschiva che avevano
attraversato lui e Magnus, ma i quattro aggressori sembravano spariti
nel nulla. Erano ancora lì fuori, quindi, da qualche parte,
in attesa di nuove istruzioni e di attaccare di nuovo.
E tutto per colpa sua.
Alec si morse con forza il labbro inferiore. Se suo padre non avesse
ricevuto quell'e-mail, infatti, Magnus non sarebbe mai entrato nella
sua vita e ora non si sarebbe trovato in un letto d'ospedale a causa
sua, con il braccio ferito per un colpo d'arma da fuoco che era partito
perché lui era stato così stupido da giocare a
fare l'eroe.
A che cosa stava pensando, per l'angelo? Perché non aveva
lasciato che Magnus se la sbrigasse da solo? Perché era
stato così idiota da intervenire, quando non aveva la
più pallida idea di che cosa stava facendo?
Magnus aveva sempre fatto di tutto per proteggerlo. Non si era mai
preoccupato per la propria sicurezza, ma sempre e solo della sua e lui
come lo ripagava? Con avventatezza e stupidità!
Dio, come aveva potuto essere così sconsiderato?
"Alec?"
Il moro alzò lo sguardo. Catarina l'aveva salutato e se
n'era andata dalla stanza, senza che lui la sentisse e la ricambiasse,
e ora Magnus lo stava guardando con occhi preoccupati.
"Sei silenzioso..." notò l'ex Marine. "Stai bene, tesoro?"
Alec abbassò di nuovo lo sguardo e annuì,
tornando a torturarsi le mani in grembo. "Sono solo preoccupato."
Magnus sorrise, intenerito. "Per me?"
Alec giocò con il bordo della propria maglia e
annuì di nuovo.
"Oh, cielo! Non starai mica dicendo che tieni a me, vero?" lo
stuzzicò Magnus, sorridendo.
Alec alzò lo sguardo e gli lanciò un'occhiataccia.
Magnus ridacchiò. "Dai, Fiorellino,
vieni qui." mormorò, con un sospiro contento, battendo la
mano sana sul letto e muovendosi con difficoltà per fargli
spazio.
Alec tentennò, torturandosi il labbro inferiore, ma poi
Magnus lo incoraggiò, picchiettando nuovamente la mano sul
materasso, e allora si alzò e andò a coricarsi
accanto all'ex Marine, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
Magnus gli mise un braccio intorno alle spalle e l'attirò
più vicino, immergendo le dita nei suoi capelli e
baciandogli la fronte.
"Sto bene." sussurrò l'ex Marine, con tono rassicurante.
Alec strinse la labbra, scacciando le lacrime che minacciavano di
sgorgare. Aveva rischiato di perderlo. Per sempre.
C'erano così tante cose, di Magnus, che gli sarebbero venute
a mancare se fosse morto: la sua forza, il suo coraggio, la sua
esuberanza, la passione che metteva in ogni cosa che faceva, il modo in
cui lo guardava o lo prendeva scherzosamente in giro. Per l'angelo, gli
sarebbe mancato persino il fiume di parole con cui lo investiva
quotidianamente! E lui non gliel'aveva mai detto.
"Mi dispiace." mormorò Alec, stringendo con forza, tra le
dita, il tessuto del camice che indossava l'ex Marine. "Mi dispiace
tanto."
"Non è stata colpa tua." ripetè per l'ennesima
volta Magnus, nascondendo il viso tra i capelli del moro.
Per l'uomo era importante che Alec lo capisse. Fondamentale. Non gli
avrebbe mai permesso di assumersi la responsabilità di
qualcosa che non aveva fatto.
"Sì, invece."
"No, invece."
"Sei qui a causa mia."
"Sono qui perché quello stronzo mi ha sparato."
"Ti ha sparato, perché io l'ho colpito."
Magnus sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Ok. E' stata
colpa tua e ti odio profondamente! Dio, com'è che non stai
già bruciando all'inferno? Eh?"
Alec alzò di poco la testa e lo guardò,
preoccupato e angosciato, prima di rendersi conto che l'altro lo stava
prendendo in giro.
"Non c'è niente da ridere." borbottò il moro,
tornando a posare la testa sulla spalla sana dell'ex Marine. "Hai
rischiato di morire."
"E' successo tante volte. E in situazioni ben peggiori."
minimizzò Magnus, facendo spallucce e arruffandogli i
capelli. "Una cicatrice in più mi rende solo più
sexy." affermò, sicuro, alzando lentamente l'arto
danneggiato per verificarne le condizioni. "Visto? E' solo un graffio."
assicurò, quando aprì e chiuse la mano a pugno un
paio di volte.
"Magnus..."
"Alexander, giuro che se ti scusi un'altra volta ti tiro un calcio e ti
butto giù dal letto!" sbottò Magnus, con veemenza.
Alec alzò di poco la testa e nascose un sorriso sghembo tra
le pieghe del camice dell'uomo, gustandosi il suono del suo nome
pronunciato per intero dalla voce roca dell'altro. "Volevo solo
chiederti se ti fa male."
"Oh... in tal caso, no, non eccessivamente." rispose Magnus, con un
sorriso divertito, togliendogli poi un ciuffo di capelli dagli occhi.
"Dovresti dormire un po', sai? Hai un aspetto terribile." lo
stuzzicò, strofinando il naso con il suo.
Alec lo fissò con sguardo impassibile. "Ti sei guardato allo
specchio?" ritorse, alzando un sopracciglio.
Magnus sorrise ancora di più. "Sono sicuro che ho comunque
un aspetto migliore del tuo." rispose, facendogli la linguaccia.
Alec gli ficcò un dito nel costato, facendolo sobbalzare di
scatto.
"Ehi!" si lagnò subito Magnus, scandalizzato. "Sono debole!
E malato!"
"E insopportabile come al solito. Direi che ti stai riprendendo alla
grande." sentenziò Alec, con un sorriso soddisfatto,
muovendosi per alzarsi.
"Dove vai?" chiese Magnus, stringendo la presa sulle sue spalle.
"Mi hai detto che ho un aspetto terribile, no? Quindi vado a casa, a
dormire." bleffò il moro, alzandosi su un gomito e
guardandolo con un'espressione mortalmente seria.
"Ma... ma... Non resti qui? A farmi da infermiere personale?"
domandò Magnus, sporgendo le labbra in un broncio infantile.
"Ma per favore! Non hai bisogno di me." asserì Alec,
mettendosi seduto e picchiettando la mano sull'addome dell'uomo. "Hai
un intero ospedale che può occuparsi di te. E c'è
Catarina."
"Oh.mio.Dio! Non posso credere che mi abbandoni così!"
esclamò Magnus, portandosi teatralmente una mano al petto.
"Mi sono preso una pallottola per te!"
"Sei sempre così melodrammatico! E' solo un graffio,
no?" scimmiottò Alec, sventolando una mano con tono
fintamente indifferente. "E io ho bisogno di dormire nel mio letto."
"Non ce l'hai un letto! E' bruciato!" esclamò d'istinto
Magnus, prima di mordersi la lingua a sangue. "Mi dispiace! Mi
dispiace! Mi dispiace!" mormorò, non appena si rese conto
della cattiveria detta.
Il viso di Alec si contorse in una smorfia triste e il divertimento
scemò completamente dai suoi occhi. "Non devi scusarti. E'
la verità. Non ho più una camera da letto. E
neanche una casa, a dirla tutta." esalò con un sorriso
amaro, abbassando lo sguardo.
"Alexander, mi dispiace! Sono un idiota!"
"Magnus..."
"No! Davvero! Sono un idiota! Il più grande e gigantesco
idiota del mondo!" affermò Magnus, contrito. "Mi dispiace,
tesoro! Mi dispiace tanto!"
Un sorriso sghembo fece lentamente capolino sulle labbra di Alec.
"Sapevo che mi avresti dato ragione, prima o poi." affermò,
con tono solenne, piantandogli un altro dito nel costato.
Magnus sobbalzò vistosamente. "Ehi!" protestò,
imbronciato, prima di tirarlo nuovamente giù per ingabbiarlo
nel suo abbraccio. "Mi dispiace." mormorò, stringendolo e
baciandogli la fronte.
"Ti ho sparato ad un braccio. Direi che siamo pari."
sussurrò Alec, tornando a posare la testa sulla spalla sana
dell'ex Marine.
Magnus sorrise. "Ok, siamo pari, mio dolce profitterol!"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Idiota." mormorò,
chiudendo gli occhi e pressando la fronte sul collo dell'altro.
Magnus ridacchiò, baciandogli i capelli e chiudendo gli
occhi a sua volta. Stava quasi per addormentarsi quando un pensiero
improvviso gli attraversò la mente.
"Dov'è il nostro bambino?" chiese, trattenendo
drammaticamente il fiato e aggrottando la fronte.
Alec si sistemò meglio accanto a lui, passandogli un braccio
sull'addome per stringerlo meglio. "Dai nonni." sussurrò,
con voce assonnata. "Tua madre l'ha sequestrato e sinceramente ho seri
dubbi che ce lo restituisca."
"Non esiste! Dovrà passare sul mio cadavere!"
esclamò Magnus, con tono deciso e indignato.
Alec sorrise, divertito, prima di cadere lentamente in un sonno
profondo.
Una mano calò sul lucido tavolo di mogano con una tale
violenza che tutto ciò che c'era sopra la superficie
tremò visibilmente.
"Vi ha dato di volta il cervello? Non erano questi gli ordini!"
sbraitò l'uomo seduto dietro la scrivania, fulminando con
uno sguardo omicida i quattro individui vestiti completamente di nero,
in piedi davanti a lui.
Tre di loro erano piuttosto malconci. Uno portava addirittura una
vistosa fasciatura alla testa.
"Vi avevo dato istruzioni precise!" gridò l'uomo, sempre
più adirato, fissandoli negli occhi, uno dopo l'altro.
I quattro uomini non riuscirono a sostenere quello sguardo gelido e
sentirono l'esigenza di abbassare gli occhi pur di sfuggire all'ira che
si leggeva chiaramente nelle iridi della persona seduta dietro la
scrivania. Dire che era arrabbiato era un semplice eufemismo.
In un lampo di folle coraggio, Victor prese fiato, pronto a mormorare
una patetica giustificazione che discolpasse il suo operato, ma Alaric
fu più lesto di lui e gli piantò un gomito nel
costato, fulminandolo con un'occhiata ammonitrice che ridusse l'altro
al silenzio.
Non gli avrebbe permesso di difendersi. Se l'intera operazione era
andata a puttane, infatti, era esclusivamente a causa di quella testa
vuota di Victor che si era fatto prendere dalla smania della "caccia",
trascinando con se anche quei due idioti di Theo e Jordan.
Quando Magnus Bane e Alec Lightwood erano scappati nel bosco, Alaric
aveva ordinato di smetterla di sparare e di ritornare indietro. Victor,
però, con un ghigno inquietante e folle, aveva esclamato
"Inseguiamoli! E che sarà mai!", sparendo nel folto del
bosco. Theo e Jordan, il cui quoziente intellettivo si avvicinava
pericolosamente allo zero, gli erano corsi dietro come i due perfetti
idioti quali erano.
Victor era stato il primo a cadere per mano di Magnus Bane. Alaric,
quando l'aveva saputo, aveva sorriso ampiamente, compiaciuto. Theo e
Jordan erano state le "vittime" successive.
Dio, come avevano anche solo potuto pensare di dare la caccia a Magnus Bane?
Quell'uomo era stato uno dei migliori soldati che la Marina Militare
statunitense avesse mai avuto e, nonostante fosse stato congedato, si
parlava ancora di lui come una specie di leggenda vivente. Era
coraggioso, leale, un genio nel progettare piani e ricalcolarli
velocemente, quando qualche imprevisto li mandava a monte, ed era il
cecchino più infallibile e letale di cui avesse mai sentito
parlare. Nell'ambiente militare, c'era addirittura chi pensava che
fosse uno stregone,
perché riusciva dove ogni altro essere umano falliva e
sembrava fare magie nelle situazioni più pericolose. Era
l'apoteosi della perfezione, insomma.
E quei tre idioti pensavano di... Dio, Alaric non aveva neppure idea di
cosa pensavano di fare!
"E invece per poco non li ammazzavate entrambi!" continuò
l'uomo seduto dietro la scrivania, completamente fuori di sé
dalla rabbia.
"Veramente sono loro che per poco non ammazzavano noi."
borbottò Jordan, con un filo di voce, incapace di trattenere
le parole, mentre si massaggiava il bernoccolo che quel teppista di
Lightwood gli aveva provocato con quella bastonata in testa.
"Che cosa hai detto?" chiese l'uomo dietro la scrivania, con voce bassa
e mortalmente seria, mentre si alzava lentamente dalla poltrona di
pelle.
Gli occhi brillavano così sinistramente da mettere paura e
l'uomo sembrava sul punto di saltare addosso a Jordan e staccargli la
testa con le proprie mani. Alaric era certo che le sue mani tremassero
così vistosamente perché si stava trattenendo con
tutte le sue forze pur di non aggredire fisicamente quella testa vuota.
Jordan trattenne bruscamente il fiato e fece un vistoso passo indietro,
mordendosi forte il labbro inferiore e scuotendo energicamente la
testa, che doleva in modo fastidioso.
Alaric alzò gli occhi al cielo e trattenne un sospiro
esasperato. Jordan aveva confermato, una volta di più, che
non aveva un briciolo di sale in zucca. Già
perché, se ce l'avesse avuto, oltre a stare zitto avrebbe
anche trovato il modo di sparire dalla faccia della terra visto che
aveva ferito Magnus Bane, seppur accidentalmente, provocando l'ira
funesta dell'uomo dietro la scrivania.
"Uscite da qui! Non voglio vedervi più!"
urlò l'uomo, gelido, guardando Victor, Theo e Jordan.
Alaric rimase impassibile, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso
davanti a sé.
Quando i tre idioti uscirono dall'ufficio, l'uomo dietro la scrivania
prese un respiro profondo, prima di rivolgersi a lui. "Cosa cazzo
è successo in quel bosco?"
"Victor." rispose semplicemente Alaric, scrollando le spalle, certo che
quella risposta fosse sufficientemente esaustiva.
L'uomo dietro la scrivania annuì, passandosi una mano tra i
capelli con uno sguardo rassegnato. "Dì a Blondie di venire
nel mio ufficio." ordinò, prima di sedersi con un tonfo
sulla poltrona di pelle.
Alaric annuì con un gesto secco, prima di voltarsi e uscire
dalla stanza.
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
"No!"
"Malaikatku..."
[ndr. Angelo mio]
"No!"
"Magnus..."
"No!"
"Magnus Bane!"
"Ti ho detto di no! Non lascerò l'incarico! Ho preso un
impegno e intendo portarlo a termine!"
Magnus fissò, imbronciato, sua madre che, a sua volta,
sosteneva il suo sguardo con un cipiglio severo. Non erano neanche
ventiquattro ore che era rinchiuso in quella stanzetta d'ospedale,
anche se a lui sembrava di essere costretto in quel letto da
un'eternità, che sua madre se ne usciva con
quell'assurdità, mettendo a dura prova i suoi nervi,
già fortemente provati.
"Sei stato ferito! Non permetterò che accada di nuovo!"
berciò Dewi, piazzandosi le mani sui fianchi e guardandolo
con uno sguardo battagliero.
"Sono un ex Marine, sial!"
[ndr. cazzo]
"Modera il linguaggio, ragazzino!" gli intimò Dewi,
puntandogli minacciosamente l'indice contro.
Magnus alzò gli occhi al cielo. "Ibu, [ndr. Mamma]
farmi male era all'ordine del giorno quando ero nell'esercito!"
"Appunto! Era!"
"Non lascerò Alec da solo!"
"Astaga!
[ndr. Oh mio Dio] Non sarà da solo! Tuo padre può
sempre chiedere a un altro soldato di tenerlo d'occhio!"
esclamò Dewi, gettando le braccia in alto.
Magnus la fissò, a bocca aperta, scioccato, non credendo
alle proprie orecchie. La sua mano strinse con così tanta
forza il lenzuolo del letto che rischiò di strapparlo.
Un'altra guardia del corpo? Demi
Tuhan [ndr. Sant'Iddio], sua madre era improvvisamente e
completamente impazzita, per caso? Come poteva anche solo pensare che
fosse d'accordo con un'idea tanto insensata?
Grazie alla sua fervida immaginazione, il suo cervello
cominciò a giocargli brutti scherzi e nella sua mente
iniziarono a disegnarsi scenari piuttosto inquetanti. Un altro uomo, un
altro Marine, che prendeva il suo posto. Qualcuno che scortava Alec a
lavoro o nelle sue passeggiate notturne. Che gli dava il buongiorno
ogni mattina e gli augurava la buonanotte ogni sera. Che lo proteggeva
da qualsiasi pericolo e diventava il suo punto di riferimento a cui
chiedere aiuto, in caso di necessità. Che faceva il
cascamorto con lui, nel caso non fosse stato propriamente etero. No,
era follia pura. Non poteva sopportarlo.
Cominciarono a mancargli l'aria e a fischiargli le orecchie. Un sibilo
acuto, stridente, fastidioso. Minuscoli puntini neri sfarfallarono
davanti a lui, appannandogli la vista. Si rese conto che non vedeva
più dalla gelosia.
"NO!" tuonò, verso sua madre, proprio nel momento in cui
Alec rientrava timidamente nella camera.
"Scusate..." mormorò il moro, guardando Magnus e Dewi con le
guance arrossate. "Non volevo interrompervi... Torno dopo!" disse,
pronto a fare dietrofront.
"Non interrompi niente, Alec." affermò Magnus, addolcendo il
tono della voce e rivolgendogli un sorriso rassicurante. "Mia madre
stava giusto andando via. Vero, Ibu?"
chiese, indirizzando a sua madre uno sguardo arcigno.
Dewi alzò gli occhi al cielo e scosse piano la testa, con un
sospiro rassegnato, prima di abbassarsi sul figlio per lasciargli un
bacio sulla guancia. "Ci vediamo domani, sayang [ndr.
tesoro]." lo salutò, accarezzando poi il braccio di Alec con
un sorriso gentile, mentre usciva dalla stanza.
"Tutto ok?" chiese il moro, posando sul piccolo comodino, accanto al
letto di Magnus, la rivista che aveva finto di dover comprare quando
Dewi aveva chiesto di parlare con suo figlio.
Magnus annuì, imbronciato, iniziando a giocare con il bordo
del lenzuolo sgualcito.
"Ne sei sicuro?" chiese Alec, inarcando un sopracciglio.
Magnus fece spallucce, continuando a torturare il lenzuolo.
"Non mi vuoi dire cosa è successo?" insisté Alec,
sedendosi sulla seggiolina di plastica color verde pallido, di fianco
al letto.
"E' una cosa stupida." borbottò Magnus, con tono infantile.
"Davvero?
"Mia madre vuole che lasci l'incarico!" sbottò Magnus, con
veemenza, gonfiando le guance per l'indignazione. "Ti rendi conto? E'
assurdo!"
"Oh." mormorò Alec, sorpreso.
"Non ho alcuna intenzione di farlo!" si affrettò a
rassicurarlo Magnus, con tono deciso.
"Beh... non è una richiesta così assurda."
affermò Alec, con calma, dopo un lungo momento.
Magnus alzò le sopracciglia, stupefatto. "Non lo
è?"
Alec si mordicchiò il labbro inferiore, meditabondo. "No.
Sei suo figlio. E sei stato ferito. E' comprensibile che sia
preoccupata per te."
"E' solo un graffio!" sbuffò Magnus, alzando gli occhi al
cielo per l'esasperazione. "Sono un ex Marine! Ho vissuto di peggio!
Perché lo state dimenticando tutti?"
"Magnus, quel colpo avrebbe potuto ucciderti."
"Ma non è successo."
"Ma sarebbe potuto accadere!"
Magnus si accigliò. "E quindi?"
Alec prese un respiro profondo. Era la sua occasione di fare la cosa
giusta. Magnus si era sempre preso cura di lui, anche a costo della
vita, e, anche se detestava l'idea di ferirlo, era arrivato il momento
di restituirgli il favore e liberarlo di lui e del pericolo che
incombeva sulla sua persona. Non avrebbe più permesso che
gli succedesse qualcosa.
"E quindi l'idea di tua madre non è poi così
stupida." rispose Alec, risoluto.
"Stai scherzando?" esclamò Magnus, sdegnato.
Alec fissò l'ex Marine con sguardo mortalmente serio e
scosse la testa con decisione.
Magnus sgranò gli occhi, poi li assottigliò,
sospettoso. "Stai mentendo."
Alec sospirò. "Sei fuori uso, Magnus." affermò,
usando un tono volutamente duro e indicando con un gesto eloquente il
braccio fasciato. "Come puoi proteggermi in queste condizioni? Ci
faresti ammazzare entrambi!"
"Sono stato addestrato a combattere in qualsiasi situazione."
ribatté Magnus, ostinato.
"Non lo metto in dubbio, ma resta il fatto che sei ferito e non mi puoi
essere di nessuno aiuto."
Magnus sbuffò un verso di scherno. "Sono comunque il
migliore. E lo sai."
"Davvero?" lo sbeffeggiò Alec, scuotendo piano la testa. "Ma
se sono dovuto intervenire io e stendere quel motociclista con quella
bastonata! Se non l'avessi fatto, cosa ti sarebbe successo? Eh?" gli
ricordò, gesticolando con le mani.
"Si può sapere che ti prende? Perché fai
l'antipatico?" chiese Magnus, perplesso.
"Non sto facendo l'antipatico. Sto solo dicendo la verità."
affermò Alec, allargando le braccia. "In questo momento, non
sono al sicuro con te. Non lo sei neanche tu, per l'angelo, con quel
braccio ferito!"
"Sai che non é vero." insistè Magnus, stringendo
il lenzuolo tra le dita.
Alec sospirò profondamente, poi alzò lo sguardo,
pronto a scoccare la freccia che, ne era certo, avrebbe centrato il
bersaglio. "Magnus, qualcuno vuole uccidermi. E, da quel che ho capito,
non si fermerà davanti a niente e a nessuno. Sono
già indaffarato a non morire per mano di questo
psicopatico... non ho tempo di preoccuparmi anche di te e del tuo ego
smisurato."
Magnus spalancò gli occhi e lo fissò a bocca
aperta, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
Per qualche istante il silenzio nella stanza fu totale e il mondo parve
fermarsi di colpo.
"Ok. Chiamerò mio padre più tardi."
mormorò alla fine l'ex Marine, abbassando lo sguardo.
"Senti, Magnus..."
"Non preoccuparti. Gli dirò di assicurarsi che la nuova
guardia del corpo sia estremamente competente e professionale." lo
interruppe l'uomo, con un sorriso amaro. "Ora, per cortesia, puoi
uscire e chiamare Cat? Il braccio inizia a farmi male e vorrei un altro
po' di antidolorifico."
Alec strinse forte le mani in grembo, per impedire loro di tremare
vistosamente. Annuì, prima di alzarsi e uscire dalla stanza.
Fino a pochi minuti prima, aveva creduto che l'attacco dei motociclisti
fosse una delle cose più traumatizzanti che gli fosse
capitato nella vita, insieme alla morte di Max. Non avrebbe mai pensato
che lasciar andare Magnus potesse essere ancora più
difficile da affrontare.
La giornata si prospettava lunga e monotona. Come tutte le altre da
quando aveva "licenziato" Magnus del resto, rifletté Alec,
seduto al tavolo della cucina, con il mento appoggiato sul palmo di una
mano e lo sguardo perso nel vuoto.
Affondò distrattamente il cucchiaino che teneva tra le dita
nello yogurt magro e senza zucchero posto davanti a lui, poi lo
alzò e lasciò colare l'alimento di nuovo nel
vasetto. Ripeté l'operazione ancora. E ancora. E ancora.
La sua vita era così "piatta" da quando aveva cambiato
guardia del corpo. Dio, era sempre stata così, prima
dell'arrivo di Magnus? Una fastidiosa vocina gli ricordò che
solo pochi mesi prima avrebbe pagato oro per ritrovarsi in quella
situazione, ma Alec la scacciò con uno sbuffo. Ora gli
sembrava tutto così sbagliato, tutto così fuori
posto.
Era passata più di una settimana e l'ex Marine non l'aveva
mai chiamato, neanche per sincerarsi che il suo sostituto, scelto da
Asmodeus, fosse all'altezza della situazione. Non che Alec si
aspettasse una telefonata entusiastica, ma, insomma, un messaggino in
cui Magnus lo rassicurava che la nuova guardia del corpo era un tipo a
posto... beh, avrebbe anche potuto inviarglielo eh!
Woolsey Scott, il suo nuovo cane da guardia, era un bellissimo ragazzo
dai capelli biondi e gli occhi verdi. Slanciato e con un
fisico invidiabile, l'uomo era a capo di una
società che gestiva servizi di sicurezza e sapeva il fatto
suo. Una guardia del corpo estremamente
competente e professionale come promesso, insomma.
Era anche un ex compagno di Magnus. In tutti i sensi.
Woolsey, come la persona che l'aveva preceduto, era un ex Marine dalla
parlantina facile e Alec aveva imparato fin da subito che uno dei suoi
argomenti preferiti era proprio Magnus Bane. Già.
Se ne avesse avuto la possibilità, infatti, Woolsey avrebbe
parlato dell'uomo dagli occhi verde-oro per ore e ore e proprio durante
uno dei suoi tanti monologhi su quanto fosse eccezionale Magnus come
uomo, su quanto fosse fantastico Magnus come Marine e su quanto fosse
formidabile Magnus come cecchino, Alec aveva scoperto che i due avevano
avuto una relazione... o una cosa simile, visto che era stato solo
qualcosa di fisico.
Estremamente fisico, come aveva tenuto a precisare Woolsey, con un
sorriso estasiato che gli andava da un orecchio all'altro. "Quell'uomo
é un mago a letto! Un mago! Fa certe cose con la lingua e
con quelle sue dita lunghe e sottili che..."
Alec l'aveva stoppato bruscamente, calando con forza una mano sul piano
della sua scrivania e ordinandogli di uscire dal suo ufficio
perché doveva lavorare. Non voleva sapere. A lui non
interessavano certi pettegolezzi. Nel modo più assoluto.
Gestiva un'agenzia di viaggi, per l'angelo, mica il salone di una
parrucchiera!
Il fatto che, udendo quelle parole, avesse sentito l'inspiegabile
esigenza di tirare un pugno a Woolsey e di cancellare quel sorriso
irritante dalla sua faccia non significava proprio niente. Niente di
niente. Dopotutto, era una persona seria, lui. E matura. E per niente
incline alla gelosia. Assolutamente.
Di buono c'era che il biondino non gli stava attaccato alle costole
ventiquattro ore su ventiquattro. Da quando il suo appartamento era
bruciato, infatti, Alec si era stabilito da Isabelle e la sua guardia
del corpo lo sorvegliava solo quando era al lavoro o usciva per delle
commissioni. Una volta che varcava la porta di casa di sua sorella,
Alec era libero... se si poteva definire libertà essere
rinchiuso in un appartamento di circa 200 mq con Isabelle e Simon!
Suo padre si era offerto di prendergli in affitto un nuovo alloggio, ma
Alec aveva rifiutato. Aveva sempre considerato la sua
libertà solitaria e indipendente come una manna dal cielo,
ma ora rientrare, dopo una giornata di lavoro, in una casa deserta in
cui lo aspettava solo la segreteria telefonica, bene che gli andava,
era una prospettiva angosciante e deprimente. Aveva scoperto di
desiderare di più. Di volere di più. Quando era
uscito dall'ospedale, quindi, aveva chiesto ospitalità a
Isabelle, che l'aveva accolto a braccia aperte, mentre Robert
tappezzava il palazzo e il quartiere di uomini pronti a sorvegliare
l'appartamento e i suoi preziosi figli.
Magnus gli mancava, più di quanto si aspettasse, ma Alec
sapeva di aver fatto la cosa giusta. La situazione era diventata troppo
pericolosa e non si sarebbe mai perdonato se gli fosse successo
qualcosa.
E, in fin dei conti, prima o poi sarebbe comunque dovuto finire tutto,
no? Una volta che tutta quella storia fosse conclusa, infatti, Magnus
non gli avrebbe comunque più preparato gustosi manicaretti
dai nomi esotici né l'avrebbe più accompagnato
durante le sue passeggiate notturne. Non gli avrebbe più
augurato il buongiorno e la buonanotte né l'avrebbe
più punzecchiato con i suoi commenti arguti e ironici. Alec
aveva solo accelerato l'inevitabile fine di quel rapporto. Tutto qui.
Spalancò improvvisamente la bocca e sbadigliò
sonoramente. La notte dormiva poco o niente. Si girava e rigirava nel
letto perché, oltre a Magnus, gli mancava anche Presidente
Miao che, quando era ora di andare a letto, aveva preso l'abitudine di
accoccolarsi accanto alla sua testa, accompagnando il moro nel mondo
dei sogni a suon di fusa. Ora che non c'era più,
addormentarsi era diventato molto faticoso e, quando finalmente ci
riusciva, cadeva preda di un sonno agitato. Ogni mattina, poi, si
svegliava e si ritrovava solo nel letto. Quello era sicuramente il
momento peggiore di tutti.
Ma, si disse, non doveva era triste: aveva già avuto tanto e
doveva essere contento così. Magnus era stato una breve,
inaspettata, pazza, travolgente parentesi nella sua vita a cui, un
giorno, avrebbe sicuramente ripensato con affetto e un pizzico di
nostalgia.
"Perché non lo chiami?"
Alec voltò la testa verso la porta della cucina: Isabelle
era appoggiata allo stipite, in pigiama e con i lunghi capelli neri
scarmigliati, e lo guardava con un sguardo serio e risoluto.
"Chi?" chiese Alec, fingendo di non capire, mentre sorseggiava il suo
frullato ipocalorico.
Fece una smorfia quando lo mandò giù. Aveva
deciso di ritornare ai suoi cibi e frullati a basso contenuto calorico
da ben quattro giorni, ma questi avevano misteriosamente perso
qualsiasi gusto. Davvero c'era stato un tempo in cui non solo beveva
litri e litri di quella brodaglia, ma gli piaceva pure? Bah! Gli
sembrava impossibile!
Isabelle non replicò, limitandosi a lanciargli un'occhiata
penetrante a cui il moro pensò bene di sfuggire fingendo di
smistare la posta che era sopra al tavolo.
"Però! Guarda qua! Ne hai di corrispondenza!"
commentò il ragazzo, con nonchalance, prendendo in mano una
grande e anonima busta gialla.
"Sei un idiota! Lo sai, vero?" lo accusò Isabelle, scuotendo
la testa con fare paternalistico, mentre andava a versarsi un po' di
caffé nella sua tazza rosa confetto.
Alec la ignorò, lacerando la carta con le dita per esaminare
il contenuto della busta e aggrottò la fronte quando
scoprì che consisteva in una semplice e solitaria
fotografia. La prese, curioso, prima che un'ondata di stupore lo
travolgesse. Il cuore gli balzò in gola e venne assalito da
un lacerante senso di nausea.
"Anzi! Sai che ti dico?" continuò Isabelle, prendendo il
sacchetto dei biscotti al cioccolato e azzannandone uno. "Che
è un idiota anche lui! Siete due grandissimi idioti! Ecco!
L'ho detto!" berciò, voltandosi, stizzita, verso il
fratello. "Alec?" lo chiamò, preoccupata, quando lo vide
impallidire sempre di più.
Alec era come paralizzato: la fotografia ritraeva la sua camera da
letto, arsa dal fuoco.
Nonostante non avesse ancora voluto vedere i danni riportati dal suo
appartamento, la riconobbe subito: il letto era ridotto a un cumolo di
detriti e sui muri erano visibili i segni delle fiamme e del fumo che
avevano avviluppato la stanza.
Alec sentì la rabbia ribollirgli nelle vene.
Perché gli avevano fatto questo? E perché gli
avevano inviato la fotografia? Cosa volevano ottenere, mostrandogli
quell'immagine? Quale messaggio volevano fargli pervenire? Volevano
vantarsi? Volevano che si rendesse conto fin dove erano capaci di
spingersi? Volevano farlo soffrire?
"Per l'angelo..." mormorò Isabelle, sconvolta, appoggiandosi
alle spalle del fratello. "E' la tua camera!"
Alec annuì, rimettendo la foto dentro la busta gialla e
alzandosi per gettare il tutto nella spazzatura. Non avrebbe permesso a
colui che si celava dietro quello scatto di rovinargli la giornata.
Aveva delle commissioni urgenti da fare, telefonate e e-mail da
spedire. Il misterioso "fotografo" poteva pure andare a farsi fottere.
"Stai bene?" chiese Isabelle, abbracciandolo.
Alec ricambiò l'abbraccio e annuì. "Devo andare a
lavoro." le disse, guardando l'orologio, prima di baciarle la fronte.
"Woolsey mi starà aspettando di sotto. Ci vediamo stasera."
Isabelle lo strinse ancora per un attimo, prima di lasciarlo andare con
un sospiro e guardare la busta gialla nella spazzatura. "Forse dovremmo
avvertire..."
"No." la interruppe Alec, risoluto. "E' solo una foto. Niente di
più. Niente di meno."
"Ma, Alec..."
"Ci vediamo stasera, Iz!" ripeté il fratello, salutandola e
uscendo dall'appartamento.
Woolsey, che lo aspettava fuori dal portone, lo accompagnò
in ufficio, dove Alec si buttò a capofitto nel lavoro. La
sua intenzione era di concentrarsi unicamente su quello che doveva fare
e non pensare più alla fotografia.
Ci riuscì fino alle sette di sera, quando la sua bionda
guardia del corpo lo riportò a casa.
Alec, seduto nella macchina dell'ex Marine, osservò,
silenzioso, la strada scorrere davanti a lui. "Woolsey?"
"Mh?"
"Possiamo fare una piccola deviazione?"
Woolsey lo guardò brevemente e annuì.
Dopo neanche dieci minuti, era di fronte al suo palazzo. Ad Alec
sembrava che fosse passato un secolo dall'ultima volta che era uscito
dal portone per andare in mezzo ai boschi con Magnus.
"Torno subito." disse Alec, slacciandosi la cintura di sicurezza.
"Vengo con te."
"No, non serve." lo fermò Alec. "Giuro che ci metto poco."
Woolsey tamburellò con le dita sul volante della sua auto
sportiva. "Ok. Ti do cinque minuti, Lightwood. Poi vengo a prenderti."
lo avvertì.
Alec alzò gli occhi al cielo e sbuffò, prima di
annuire.
Fece gli scalini due a due ed ebbe un tuffo al cuore quando si
ritrovò davanti alla porta del suo appartamento, danneggiata
dai vigili del fuoco che l'avevano presa d'assalto per entrare in casa.
Prese un respiro profondo, come a farsi coraggio, e girò la
chiave di riserva che aveva dato a Isabelle quando aveva comprato
quell'appartamento. Un sinistro clic annunciò l'apertura
della porta e il moro la spinse delicatamente per entrare.
La prima cosa che avvertì fu l'odore, che gli
aggredì l'olfatto: era acre, pungente, intenso, nauseante.
Alec tossì violentemente, prima di coprirsi naso e bocca con
una mano e avanzare di qualche passo all'interno del corridoio.
Sbarrò gli occhi quando vide lo spettacolo desolante davanti
a sé: il salotto era in condizioni disastrose e
ciò che era riuscito a salvarsi dalle fiamme era andato
irrimediabilmente danneggiato dall'acqua utilizzata dai vigili del
fuoco.
Avanzò cautamente e iniziò a guardarsi attorno,
sentendo l'angoscia assalirlo ogni secondo di più. Non c'era
niente che si poteva salvare. Niente.
Si morse con forza il labbro inferiore, accarezzando delicatamente lo
scheletro del suo amato divano, prima che un rumore, proveniente dalla
camera da letto degli ospiti, lo congelasse sul posto.
Il cuore gli schizzò in gola in modo talmente rapido che
rimase senza fiato per un momento.
Si guardò freneticamente in giro, alla ricerca di qualcosa,
qualsiasi cosa, che avrebbe potuto usare per difendersi. La scelta
ricadde sul telecomando deformato del televisore. Non era
granché, ok, ma poteva sempre lanciarlo in testa a un
eventuale intruso e poi scappare a gambe levate.
Si avvicinò alla stanza, quatto quatto, e, in
prossimità della porta, alzò il braccio per
colpire qualsiasi cosa si trovasse dietro di essa, con la speranza di
fargli davvero male.
Lanciò un urlo acuto quando vide un uomo materializzarsi
davanti a lui e, senza perdere altro tempo, gli scagliò
addosso il telecomando con tutta la forza che aveva in corpo.
"SIAL!"
gridò la figura nera.
Alec stava già per battere in ritirata quando si
bloccò sui suoi passi, sorpreso di sentire quella parola,
che conosceva bene, ma, soprattutto, quella voce.
"Magnus?" domandò, sbalordito, voltandosi di scatto.
"Sì..." mormorò l'uomo, uscendo dalla stanza,
mentre si massaggiava la fronte con una smorfia. "Cazzo, hai davvero
una mira micidiale! Se ti fossi arruolato nell'esercito, saresti stato
un cecchino formidabile!"
Alec arrossì, imbarazzato. "Scusa! Non l'ho fatto apposta!"
Magnus gli rivolse un sorriso divertito. "Davvero? Comincio a credere
di essere il tuo bersaglio preferito."
"Ma non è vero e... Aspetta!" si interruppe Alec,
accigliandosi. "Cosa ci fai qui?"
"Potrei farti la stessa domanda."
"L'ho chiesto prima io!"
Magnus sorrise, scrollando le spalle. "Ero venuto a vedere se potevo
recuperare qualcosa. Tu?"
"Lo stesso." confessò Alec. "Trovato niente?"
Magnus scosse la testa, contrariato. "I miei vestiti sono tutti da
buttare." rivelò, con una smorfia. "Ma non importa. Ne
comprerò altri, ancora più belli."
dichiarò, annuendo con decisione.
Alec accennò un sorriso. Non lo vedeva da più di
una settimana, ma era sempre il solito Magnus. Un po' meno appariscente
e decisamente acciaccato, forse, ma sempre lui. I capelli neri erano
privi di gel ed erano così arruffati che lo facevano
sembrare un ragazzino. Il braccio ferito era stato fasciato con una
vistosa benda colorata e, anziché i soliti indumenti
sfarzosi e sgargianti, indossava una semplice maglietta bianca e un
paio di pantaloni da tuta neri, vagamente familiari.
"Per l'angelo! Quelli sono miei" esclamò il moro, dopo un
lungo momento, stupito, spalancando gli occhi e indicando l'indumento
con l'indice.
"Già" confermò Magnus, divertito per quel
déjà-vu. Guardò verso il basso e
giocò maliziosamente con l'elastico che gli avvolgeva la
vita. "Ho scoperto che sono molto più comodi dei miei jeans
attillati." affermò, fornendo la stessa spiegazione che
aveva usato con i boxer del moro, quando si trovavano nella casetta di
legno in mezzo ai boschi. "Vuoi che me li tolga?" mormorò,
inarcando un sopracciglio e leccandosi sfacciatamente le labbra.
Alec avvampò immediatamente. "Oh.mio.Dio! No!"
gridò con veemenza, mentre alzava i palmi delle mani.
Magnus rise, mostrandogli la lingua, poi si guardò attorno.
"Dov'é Woolsey?" domandò, guardando oltre le
spalle del moro. Alla smorfia del ragazzo, l'uomo aggrottò
la fronte. "Non gli avrai mica fatto qualcosa, vero?"
Alec lo fissò a bocca aperta, prima di assottigliare lo
sguardo. "Perché pensi che gli abbia fatto qualcosa?"
Magnus alzò un sopracciglio, mordendosi l'interno delle
guance per non sorridere, e indicò in modo eloquente la
propria fronte.
"Oh per l'angelo! Te l'ho detto! Non l'ho fatto apposta! Credevo fosse
il pazzo che mi ha incendiato casa!" sbuffò Alec,
piantandosi le mani sui fianchi.
Magnus non rispose e con un sorriso ironico indicò anche il
proprio braccio ferito.
"E' stato un incidente!" esclamò Alec, con fervore, alzando
gli occhi al cielo. "L'hai detto anche tu! E' stato il motociclista a
spararti! Io l'ho solo colpito alla testa!"
Il sorriso di Magnus si ampliò.
"Si può sapere che hai da sorridere tanto?"
borbottò Alec, con una smorfia infastidita, incrociando le
braccia al petto.
Magnus fece spallucce. "Sono contento che finalmente l'hai capito."
mormorò semplicemente.
"Che cosa?" chiese Alec, perplesso, aggrottando la fronte.
"Che non è stata colpa tua." rispose Magnus, piegando la
testa e rivolgendogli un dolce sorriso.
Alec si morse il labbro inferiore, sentendo un inspiegabile nodo in
gola. "Guarda che l'ho sempre saputo." ribatté, ostentando
un'indifferenza che in realtà non provava.
Magnus ridacchiò, allungando il braccio per scompigliargli i
capelli e il cuore di Alec si strinse. Gli era mancata così
tanto la sua risata che... Per
l'angelo! pensò, con orrore. Si stava
comportando come un adolescente con gli ormoni impazziti! Doveva
assolutamente darsi un contegno!
"Fingerò di crederti." asserì Magnus, con un
sorriso sbarazzino. "Allora, che ne hai fatto di Woolsey? Hai dato una
botta in testa anche a lui e sei scappato?"
Alec gli lanciò un'occhiata impassibile, pronto a rispondere
con una battuta sagace, quando sentì i passi di qualcuno
fare velocemente le scale del palazzo.
"I cinque minuti sono passati, Lightwood!" gridò Woolsey,
entrando in casa. "E' ora che ti riporti... Per tutti i diavoli! MAGS!"
esclamò, illuminandosi tutto quando vide l'uomo dagli occhi
di gatto. Si precipitò verso i due, scansò il
corpo Alec con un gesto deciso della mano e si fiondò
sull'ex compagno d'armi, abbracciandolo forte. "Come stai, vecchia
carcassa? Tuo padre mi ha detto che il ragazzino ha provato a farti
fuori." affermò, ridendo, indicando con il pollice il moro
dietro di lui.
"E' stato un incidente!" sbuffò Alec, alzando gli occhi al
cielo e allargando le braccia con fare esasperato, infastidito dal
comportamento della sua nuova guardia del corpo.
Magnus rise, allegro. "Ciao Woolly!" lo salutò, ricambiando
l'abbraccio. "Ti trovo bene!"
"A meraviglia, fratello!" affermò il biondo, dandogli una
pacca sulla spalla sana. "Tu, invece, stai invecchiando! Farsi colpire
da un moccioso che non ha neanche mai preso in mano una pistola..." lo
prese in giro, scuotendo la testa.
"Per l'angelo! E' stato un incidente!" ripetè ancora una
volta Alec, indispettito.
Magnus e Woolsey lo guardarono per un momento, scoppiando poi a ridere
nello stesso istante.
"Ohhh andate al diavolo! Tutti e due!" berciò Alec,
incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
I due ex Marine sghignazzarono ancora più forte.
"Quando ti hanno dimesso?" chiese Woolsey, con un largo sorriso.
"Ieri." rispose Magnus. "Sial,
non vedevo l'ora di uscire da lì!" confidò, con
uno sbuffo.
Woolsey rise. "Ti credo! Scommetto che hai fatto impazzire
metà ospedale e hai flirtato con l'altra metà!"
Magnus rise, allegro, e Alec decise che ne aveva abbastanza. Non era
affatto geloso della loro complicità. Assolutamente no. Solo
che lui era venuto per vedere la sua casa, per scoprire se c'era
qualcosa che poteva salvare, per dire simbolicamente addio alle sue
cose... e quei due idioti rompiscatole, con le loro ciance stucchevoli
e i sorrisetti sdolcinati che si rivolgevano, gli stavano rovinando il
momento! Non era affatto giusto.
"Dove vai?" chiese Magnus, quando si accorse che il moro era quasi
arrivato sulla porta.
Alec sventolò una mano, con noncuranza. "Non sono tenuto a
dirtelo. Non sei più la mia guardia del corpo."
Magnus sorrise, alzando la mano sana in segno di resa, mentre Woolsey
sghignazzava divertito.
"Pensavo di essergli antipatico io..." affermò il biondo,
tirando una gomitata complice all'ex collega e abbassando la voce, ma
non al punto tale che il moro non potesse sentire. "Ma é
proprio stizzoso di natura."
"Vai a farti fottere, Woolsey!" berciò Alec, irritato,
rivolgendogli il dito medio.
Il biondo ex Marine sorrise, radioso. "Non è affatto una
brutta idea, Lightwood!" concordò, voltandosi poi verso
Magnus e facendogli scivolare maliziosamente la punta dell'indice lungo
tutto il torace. "Che ne dici, Mags?" domandò, con voce
roca. "Portiamo a casa il bambino e ci rintaniamo nel tuo appartamento
a ricordare i bei vecchi tempi?" mormorò, leccandosi le
labbra.
"Tzè!" esclamò Alec, indignato.
"Che c'é Lightwood? Sei interessato a una cosa a tre?"
chiese Woolsey, voltandosi verso il moro con un sorriso provocante.
"Ma neanche per idea!" sbottò Alec, arrossendo vistosamente.
"Pervertito!"
Magnus e Woolsey risero, divertiti, mentre Alec li mandava nuovamente a
quel paese con il dito medio e si incamminava fuori dal suo
appartamento.
"Adoro farlo arrabbiare!" confessò Woolsey, con un enorme
sorriso.
"Guarda che ti ho sentito, idiota!" borbottò Alec,
ritornando sui suoi passi per lanciare un'occhiata fulminante i due ex
militari.
"Rivolgeva anche a te questi epiteti così dolci e carini?"
chiese Woolsey, ironico.
"Sempre." annuì Magnus, divertito.
"Ah... E io che mi illudevo di essere speciale." sospirò
Woolsey, con finto rammarico. "Lightwood, così mi spezzi il
cuore!" mormorò, portandosi teatralmente una mano al petto.
"Guarda che dovrei essere io quello amareggiato." ridacchiò
Magnus, fintamente esasperato. "Speravo di essere l'unico a venire
trattato come una pezza da piedi."
"E invece devi dividere questo onore con me." sorrise Woolsey, complice.
"Sul serio, andate a quel paese. Tutti e due." ringhiò Alec,
serrando i pugni lungo i fianchi.
Woolsey sventolò una mano, ignorandolo. "Oh! E nascondeva
anche a te le cose?" continuò, accostandosi maggiormente a
Magnus.
"Del tipo?"
"No, ma fate pure come se non ci fossi eh!" brontolò Alec,
nel tentativo di distrarre Woolsey da quello che stava per dire.
Woolsey, ancora una volta, ignorò il ragazzo. "Isabelle,
quella santa ragazza, mi ha riferito che oggi ha ricevuto una foto."
"Una foto?" chiese Magnus, rivolgendosi ad Alec. "Che tipo di foto?"
"Niente." rispose Alec, sulla difensiva.
"Alec."
"Non é niente."
"Alexander Gideon Lightwood!" lo avvertì Magnus.
Alec alzò gli occhi al cielo e sbuffò
sonoramente. "Qualcuno mi ha inviato una foto della mia camera da
letto, così com'é ora. Tutto qua."
Magnus lo fissò intensamente. "Woolly?" disse infine, dopo
un lungo attimo di silenzio. "Puoi lasciarci soli un momento?"
Woolsey sghignazzò e annuì. "Qualcuno
è nei guai." cantilenò all'orecchio di Alec,
prima di uscire dall'appartamento.
Alec gli lanciò un'occhiataccia e gli sventolò
sotto al naso il dito medio, mentre l'altro rideva di gusto.
"Che c'è?" chiese poi a Magnus, sulla difensiva, incrociando
le braccia al petto.
"Smettila." brontolò l'uomo, guardandolo con un cipiglio
severo.
"Di fare cosa?"
"Di nascondere le cose. Perché non hai detto a Woolsey della
foto? Non te l'ho assegnato perché ti faccia le treccine o
ti racconti la favola della buona notte!"
Alec sgranò gli occhi. "Sei... sei stato tu? Ma...
credevo..."
"Certo che sono stato io!" lo interruppe Magnus, alzando gli occhi al
cielo, esasperato. "Non potevo mica lasciarti nelle mani del primo che
capita! Mi fido di Woolsey!"
"Tzè! Ma certo che ti fidi di lui." borbottò
Alec, risentito.
Magnus aggrottò la fronte, perplesso. "Che vuoi dire?"
"Niente." rispose Alec, scrollando le spalle con finta noncuranza.
Magnus lo fissò per un lungo momento, poi sorrise,
divertito. "Ah. Te l'ha detto."
"Cosa? Che tu e lui facevate certe acrobazie in camera da letto che, a
confronto, John Holmes e compagnia bella erano dei principianti?"
Il sorriso di Magnus minacciò di divorargli il volto.
"Perché? La cosa ti crea problemi?"
Alec sputacchiò un verso stizzito. "Tzè!
Assolutamente no! Non sono affari miei!" rispose, altezzoso. "E, per la
cronaca, sappi che posso tornare all'appartamento di Isabelle anche da
solo. Tu e Woolsey potete pure andare a casa tua a fare i vostri porci
comodi!"
"Sento una non tanto velata nota di gelosia, Fiorellino."
mormorò Magnus, compiaciuto, avvicinandosi al moro.
"Geloso? Io? Ma per favore! E non chiamarmi Fiorellino!" lo
redarguì Alec, puntandogli l'indice contro.
"Io e Woolly siamo solo amici." lo informò Magnus, con un
sorrisetto divertito.
"Sì. Certo. E lui lo sa?" lo sfidò Alec,
guardandolo con uno sguardo carico di sufficienza.
"Certo che lo sa!"
"Davvero? Perché non si direbbe affatto!" ribatté
Alec, piccato, scimmiottando con l'indice la carezza lasciva del biondo
sul petto dell'ex guardia del corpo.
Magnus rise.
"Non c'é niente da ridere!" borbottò Alec,
stizzito.
"Mi sei mancato, lo sai?" affermò Magnus, con un dolce
sorriso.
Alec strinse maggiormente le braccia al petto. "Tu no."
"Lo sai, vero, che dovrei essere io quello arrabbiato con te e non il
contrario?" domandò Magnus, con un sorriso divertito.
"Arrabbiato per che cosa?"
"Mi hai dato il ben servito!"
"Perché sei ferito!"
"Quando mi hai steso con quella micidiale ginocchiata nelle palle, non
mi pare che tu ti sia fatto tanti problemi per la mia momentanea
inabilità a proteggerti, eh."
Alec boccheggiò, preso alla sprovvista. "E'... é
diverso!"
"Davvero?" chiese Magnus, con un sorriso allegro, inarcando un
sopracciglio. "A me pare che siamo nella stessa situazione. Tu attacchi
e io le prendo."
"Non é la stessa cosa!" insisté Alec,
imbronciato. "Non hai rischiato di morire, in quella occasione."
Magnus lo fissò con uno sguardo eloquente. "Alec,
c'é mancato poco che diventassi un eunuco!"
Alec sentì le guance scaldarsi. "Ma non é vero!
Sei sempre il solito esagerato!"
Magnus si piazzò una mano sul fianco e gli lanciò
un'occhiata maliziosa. "Vuoi che ti ricordi in che condizioni erano i
miei testicoli? Mh?"
Il viso di Alec andò a fuoco. "Non osare..."
Magnus scoppiò a ridere, prima di sporgendosi verso il moro
per baciargli una guancia e piazzargli qualcosa di solido e duro nella
mano abbandonata lungo il fianco.
"Ho un regalo per te, Fiorellino."
sussurrò l'uomo, con voce roca.
Alec sbatté le palpebre, sentendo una scarica elettrica
propagarsi lungo tutta la spina dorsale, prima di abbassare lo sguardo
e rimanere senza fiato: il soldatino di Max lo stava guardando con un
ghigno sfrontato e vittorioso. Aveva bisogno di una bella ripulita, ma
era sicuramente lui ed era perfettamente intatto.
Il moro alzò gli occhi e sentì le lacrime
minacciare di travolgerlo, mentre Magnus sorrideva dolcemente.
"Come... dove..." balbettò Alec, ingoiando il nodo alla gola.
"Se ne stava lì, nascosto tra la cenere, in attesa del tuo
ritorno. Ha resistito a fuoco e fiamme. E' un tipo tosto!"
spiegò Magnus, intenerito.
Alec tirò su con il naso e sorrise, stringendo forte il
soldatino nel palmo della mano, prima di fiondarsi tra le braccia di
Magnus, che rise, felice, e gli baciò i capelli arruffati.
"Ho dato un'occhiata alla tua camera." sussurrò Magnus,
posando il mento sulla tempia del moro. "Non è un bello
spettacolo. Purtroppo é bruciato tutto e non é
rimasto più niente. Mi dispiace, tesoro." si
scusò, stringendo ancora di più a sé
il moro.
Alec fece spallucce, nascondendo il viso nel collo di Magnus. "Non
importa. Ho il soldatino."
Magnus gli baciò la fronte.
"Magnus?"
"Mh?"
"Mi dispiace."
Magnus sorrise, rafforzando la presa sulle spalle del moro. "Lo so."
"E... ho mentito."
"So anche questo."
"Non voglio che ti succeda qualcosa."
"Lo so."
"E non voglio neanche un'altra guardia del corpo che non sia tu."
Magnus ridacchiò. "Ohhh, lo so. E' per questo che ti ho
mandato Woolsey." mormorò, divertito.
Alec alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. "In
che senso?"
Magnus sorrise, scostando un ciuffo di capelli dalla fronte del moro.
"Beh, prima di tutto é un amico. Sapevo di metterti in mani
fidate." affermò dolcemente. "E poi ero sicuro che ti
avrebbe parlato di noi due." mormorò, divertito,
mostrandogli la lingua.
Alec assottigliò lo sguardo, irrigidendosi. "Cioé
mi hai mandato il tuo ex appositamente
per farmi ingelosire."
"Forse." confessò Magnus, ridendo.
Alec lo fulminò con un'occhiata assassina. "Sei fortunato ad
avere un braccio ferito." sibilò, staccandosi da lui. "Sei
una persona orribile, sai? Orribile! Non azzardarti mai più
a fare una cosa simile e..."
Magnus sorrise, felice, prima di agguantarlo per un passante dei jeans
e tirarlo verso di lui. "Ai
tuoi ordini..., Alexander." mormorò, ad un
soffio dalle sue labbra.
Alec tentò di rimanere imbronciato, ci provò
davvero. Poi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa con
un sospiro fintamente esasperato, prima di agguantare con un gesto
deciso il viso di Magnus e baciare quel sorriso irritante, ma contagioso.
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Presidente Miao
stava ringhiando.
Alec si svegliò stordito, prima che la coda del gatto si
abbattesse con frenetica urgenza sulla sua faccia, costringendolo a
destarsi completamente. Sputacchiò qualche pelo che gli si
era appiccicato alla lingua e spostò malamente la coda
pelosa del felino dal suo viso. Per l'angelo, quel gattaccio stava
assomigliando pericolosamente ogni giorno di più a Magnus:
se non otteneva subito quello che voleva, Presidente iniziava a
diventare fastidioso e molesto, proprio come il suo padrone!
Lanciò, seccato, un'occhiata alla sveglia sul comodino, che
segnava le due e trenta di notte, e sbuffò forte, prima di
sentire di nuovo quel ringhio rimbombargli nella cassa toracica.
Presidente era seduto sul suo petto, in allerta. Il muso puntava verso
la porta, le orecchie erano dritte e la coda si muoveva a scatti,
avanti e indietro.
Alec corrugò la fronte. Che problemi aveva, adesso? Forse
Magnus stava combinando qualcosa di strano in giro per il loft?
Presidente non avrebbe mai reagito in quel modo con il suo adorato
padrone, il moro lo sapeva bene, ma, forse, era stato svegliato da
qualche rumore improvviso e ora era arrabbiato. Quel gatto era
così esageratamente melodrammatico, a volte!
Il ragazzo sospirò, posando poi una mano sulla schiena
morbida del felino per accarezzargli dolcemente il pelo. "Che
c'è, Presidente? Mh?" sussurrò, tentando di
calmarlo con qualche grattatina dietro le orecchie.
Il gatto, lo ignorò. Si sollevò dal suo
petto e iniziò a miagolare piano, in modo
inequivocabile: era decisamente irritato. La coda roteava e frustava
l'aria con una tale energia che sembrava quasi che Presidente si stesse
apprestando a domare una belva feroce.
Alec lo posò con delicatezza sul materasso e si
alzò dal letto, deciso a capire cosa stava succedendo al di
là della porta. Ok, quel gatto era un animale un filino
"particolare", e il più delle volte rasentava la
megalomania, ma... c'era un limite a tutto!
Quando raggiunse il soggiorno, con Presidente alle calcagna, che a
momenti lo fece inciampare sui suoi stessi passi, sentì uno
spostamento d'aria dietro di lui e, subito dopo, una mano forte gli
chiuse la bocca.
"Torna in camera e resta lì." mormorò Magnus al
suo orecchio. "Prendi Presidente e portalo con te."
"Perché?" sussurrò Alec, quando l'altro
iniziò a spingerlo gentilmente verso la camera da letto.
"Che cosa succede?"
"Ci sono dei rumori strani sul pianerottolo. Vado a controllare."
spiegò Magnus, in tono sbrigativo.
Il moro fu sul punto di protestare, ma l'ex Marine non gliene diede
modo.
"Torna in camera e chiuditi dentro con Presidente." ordinò
nuovamente Magnus, con la pistola stretta nella mano sana, avviandosi
verso la porta d'ingresso.
Alec prese tra le braccia Presidente Miao e se lo strinse al petto,
mentre il cuore gli batteva all'impazzata: Raj era là fuori,
ne era certo. Aveva smesso con gli atti di vandalismo nel momento
stesso in cui aveva licenziato Magnus, come se la sua rabbia si fosse
temporaneamente sgonfiata da quando il moro non aveva più
accanto a lui la sua fidata guardia del corpo, ma ora, proprio quando
erano ritornati insieme, ecco che quel pazzo tornava all'attacco.
Andò in camera e si sedette mestamente sul letto,
coccolando e rassicurando Presidente Miao, che sedeva rigido tra le sue
braccia. La poca luce prodotta dalla sveglia sul comodino gli
permetteva di distinguere la sagoma della pistola di riserva che Magnus
aveva lasciato lì, in caso di necessità.
La fissò a lungo, quasi in trance, poi prese un respiro
profondo, posò il gatto sul letto e si alzò
nuovamente in piedi: non poteva starsene seduto lì, con le
mani in mano, senza fare niente. Doveva assolutamente andare in aiuto
di Magnus... e al diavolo i suoi ordini! Tanto non sarebbe stata la
prima volta che disubbidiva!
Presidente Miao alzò il muso di scatto, le orecchie si
mossero come se stesse captando qualcosa, poi balzò
giù dal letto e corse velocemente verso la porta della
camera, iniziando a ringhiare nuovamente.
Alec afferrò la pistola di riserva senza ulteriori indugi e,
nel momento esatto in cui aprì la porta, udì uno
sparo e una serie di voci concitate.
L'ansia del moro crebbe fino a togliergli completamente il respiro.
Doveva andare da Magnus. Doveva assicurarsi che stesse bene. Per
l'angelo, poteva essere ferito! Aver bisogno di lui!
Presidente Miao, ai suoi piedi, lo guardò con uno sguardo
preoccupato, agitando la coda e miagolando debolmente, e Alec
sentì il suo cuore iniziare a battere così forte
da sembrare sul punto di sfondargli il petto, in un ritmo incalzante
che sembrava sussurrargli "Presto! Fai presto!".
Corse verso la porta d'ingresso e, quando vi giunse, Alec
sentì il suo cuore smettere completamente di battere.
Udì distrattamente dei passi, lungo la tromba delle scale,
che si allontanavano velocemente dall'appartamento, ma la sua
attenzione era totalmente calamitata sulla figura afflosciata sul
pianerottolo.
Magnus lo stava guardando, ma c'era qualcosa di terribilmente e
orribilmente sbagliato in quello scambio di sguardi. Lo scintillio e il
colore unico e inconfondibile delle iridi dell'ex Marine erano stati
sostituiti da uno sguardo vitreo e immobile.
Alec fissò, impietrito, l'enorme coltello che spuntava dal
petto dell'uomo, all'altezza del cuore, e il sangue che macchiava,
copioso, la maglietta bianca che la guardia del corpo indossava.
La pistola di riserva gli scivolò via, lentamente, dalle
dita inermi e sentì chiaramente il suo cuore spezzarsi
quando realizzò cosa era successo.
La vista si appannò e il respiro si fece accelerato, mentre
il groppo in gola minacciava di sopraffarlo. Aria. Aveva bisogno
d'aria. Non riusciva a respirare. Aprì la bocca e
boccheggiò alla ricerca di ossigeno, ma non successe niente.
Sentì che stava soffocando. Poi tutto divenne buio.
Un attimo dopo spalancò gli occhi di scatto e
annaspò, alla ricerca spasmodica d'aria. Riuscì a
trovarla solo quando si tolse, dal viso, la pancia pelosa di Presidente
Miao, che aveva pensato bene di addormentarsi sulla sua faccia.
"Dannato gattaccio!" rantolò Alec, respirando affannosamente
e incanalando quanto più ossigeno possibile, mentre il cuore
gli batteva come un tamburo nel petto.
Presidente Miao sbuffò piano e roteò gli occhi,
stiracchiandosi pigramente e andando poi ad appallottolarsi contro la
testa di Magnus, con un sospiro scocciato.
Alec gli lanciò un'occhiata in tralice e, dopo quella che
gli parve un'eternità, riuscì finalmente a
calmarsi e a scacciare la sgradevole sensazione dell'incubo che aveva
appena vissuto. Nonostante i brutti sogni fossero ormai diventati una
costante nelle sue notti agitate, soprattutto da quando Raj gli aveva
incendiato l'appartamento, non riusciva proprio a farci l'abitudine.
Con un sospiro, si voltò verso Magnus, che dormiva
placidamente accanto a lui, ignaro di tutto.
Dall'ampia finestra filtrava un leggero riverbero della luna, eppure,
anche con quella poca luce, Alec poteva vedere un sorriso accennato e
rilassato sulle labbra dell'uomo, il viso simile a un ingannevole
specchio d'innocenza. Alec sapeva bene, infatti, che era tutta
apparenza: Magnus Bane era la persona più smaliziata e
sfacciata che avesse mai incontrato in vita sua!
Puntellandosi su un gomito per osservarlo, un sorriso storto gli
incurvò le labbra mentre guardava il ritmico alzarsi e
abbassarsi del petto color caramello davanti a lui, nascosto da una sua
maglietta logora e sbiadita.
Sebbene non fossero andati più in là di una calda
sessione di baci infuocati e decisamente memorabili, Alec aveva
scoperto che Magnus era un amante paziente e appassionato... e
decisamente intraprendente e fantasioso. Le sue dita e la sua bocca
riuscivano a compiere certe magie, sul suo corpo, che il moro si
chiese, non per la prima volta, se quell'uomo, sotto-sotto, non fosse
uno stregone in incognito.
I suoi occhi si spostarono sullo stato in cui versavano i capelli
dell'ex Marine: solitamente ordinati e impeccabili, ora erano
totalmente arruffati e sparati in tutte le direzioni e Alec
sentì le guance scaldarsi ricordando che erano state le sue
dita, agitate e impazienti, a causare un tale scompiglio.
"Perché hai le guance rosse, mio delizioso pomodorino
maturo?"
Alec incrociò gli occhi di Magnus e un brivido gli corse
lungo la schiena. L'innocenza del sonno era sparita completamente,
lasciando spazio a una luce sensuale negli occhi verdi-dorati e nella
piega della sua labbra che sembravano disegnate da un artista.
Il moro gli pizzicò il naso, imbronciandosi. "Smettila con
questi soprannomi idioti!" borbottò, schiarendosi la gola.
Magnus ridacchiò piano. "Mai." sussurrò,
avvicinandosi maggiormente a lui. "Soprattutto quando fai pensieri
sconci sul sottoscritto."
Alec lo guardò, indignato. "Non sto facendo pensieri sconci
su di te!" si difese, arrossendo ancora di più.
Magnus rise, divertito, baciandolo a stampo sulle labbra. Aveva atteso
così a lungo per farlo, ma adesso che sapeva che anche il
moro lo desiderava, non c'era più motivo di trattenersi o
tirarsi indietro.
Con infinita lentezza, lo baciò di nuovo, cominciando dalla
fronte, per poi scendere verso gli occhi, la linea dritta del naso e la
mascella. Gli sfiorò le labbra una, due, tre volte, con baci
leggeri come piume, finché il moro non gli passò
una mano tra i capelli, fermandolo a pochi centimetri dal suo viso e
guardandolo imbronciato e spazientito.
"Che c'è?" sorrise Magnus, baciandogli la punta del naso.
Alec sbuffò e roteò gli occhi. "Idiota."
borbottò, prima di tirarselo addosso con cautela e baciarlo
con decisione, aprendogli la bocca e affondandovi dentro la lingua.
Magnus emise un gemito soffocato, prima di ridere rumorosamente nel
bacio, e il moro esalò un sospiro quietamente esasperato,
stringendolo più forte e baciandolo con più
slancio, mentre entrambi registravano distrattamente che Presidente
Miao stava scendendo dal letto con un brontolio contrariato.
Le labbra di Alec erano irruenti, ma gentili sulle sue e Magnus chiuse
gli occhi, felice, assaporando la dolcezza della bocca del moro. Fece
scivolare una mano lungo la schiena solida del ragazzo, per poi
risalire sollevandogli la maglietta. Gli si contorse lo stomaco quando
le sue dita vennero a contatto con la pelle nivea dell'altro e il
sangue che gli scorreva nelle vene raggiunse temperature piuttosto
elevate.
Alec era caldo e morbido e sembrava fatto apposta per stare tra le sue
braccia. Il modo in cui gli si premeva addosso, gli avvolgeva il
braccio attorno al corpo e muoveva la bocca sulla sua era
più di quanto avesse mai cercato e trovato in vita sua in un
uomo o in una donna. Più di quanto avesse mai sperato.
Cominciò a strusciarsi lentamente contro il bacino del moro,
mentre le mani del ragazzo presero a esplorare la sua schiena,
scendendo verso il basso. Le sue dita si intrufolarono audacemente
sotto l'elastico dei pantaloni del pigiama dell'ex Marine e Magnus lo
sentì trattenere bruscamente il fiato quando i suoi
polpastrelli incontrarono altra pelle dove, invece, avrebbe dovuto
trovare il tessuto dei suoi boxer (che lui si ostinava allegramente a
rubargli).
Magnus interruppe il bacio e sorrise ampiamente. "Sto più
comodo senza." bisbigliò, facendo spallucce, allo sguardo
stupito dell'altro.
"Dio, quanto sei idiota!" gemette Alec, alzando gli occhi al cielo,
prima di posare le sue labbra sul collo dell'ex Marine e succhiare la
sua pelle caramellata.
Magnus reclinò il capo all'indietro e gracchiò
una risata rauca, stringendoselo addosso ancora di più.
"A-aspetta! La tua spalla..." gemette Alec, quando il suo bacino si
scontrò con quello dell'uomo.
Magnus gli sollevò il mento con una presa gentile, ma
decisa. "Non azzardarti a fermarti!"
Alec accennò un sorriso storto. "Ma..."
"Niente ma, Kallìpygos!
Su Datti da fare!" lo zittì Magnus, schiaffeggiandogli il
sedere sodo con un sorriso a trentadue denti.
Alec si alzò sui gomiti e lo guardò con uno
sguardo omicida. "Giuro che se non la pianti con questi soprannomi..."
Magnus rise, euforico, prima di far scivolare le sue dita sulla nuca
del moro per tirarlo giù, contro la sua bocca, baciandolo
con forza, affamato e in preda a una smania incontrollabile. Il suo
cuore, che già batteva a un ritmo forsennato,
accelerò ancora di più, invadendogli anche le
orecchie. Sollevò i fianchi, facendo scontrare nuovamente i
loro bacini, e udì Alec emettere un suono gutturale che lo
eccitò ancora di più.
Staccò le labbra da quelle del moro solo quando ebbe bisogno
di riprendere fiato e sorrise, raggiante, quando incontrò
gli occhi blu di Alec e vi lesse la stessa lussuria che, ne era certo,
si poteva scorgere anche sul suo viso.
Si leccò lentamente le labbra, famelico, prima di tornare a
baciare selvaggiamente il moro, artigliandogli una natica e allacciando
le gambe attorno al suo corpo.
Magnus si svegliò con la spalla che pulsava.
Nonostante ciò, sorrise, felice e decisamente appagato. Il
dolore non riusciva minimamente a offuscare il ricordo dei momenti di
estasi vissuti poche ore prima con Alec.
Stiracchiò pigramente il braccio sano verso l'alto,
allungando lentamente anche il resto dei muscoli lungo tutto il suo
corpo, poi tornò a rilassarsi tra le lenzuola e
sbadigliò, stropicciandosi una guancia.
Il suono di fusa accanto a lui lo fece voltare e sorridere teneramente:
Alec giaceva addormentato nell'altra metà del letto,
rannicchiato contro di lui su un fianco, e stringeva tra le braccia
Presidente Miao, che ronfava beato.
Da quando quei due si erano ricongiunti, il gatto era diventato l'ombra
del ragazzo e gli correva dietro ovunque andasse, anche in bagno, quasi
temesse che potesse sparire di nuovo da un momento all'altro. Non
sapeva che Magnus non l'avrebbe più permesso.
Era stato così sciocco a non capire subito che qualcosa non
andava, a credere che il moro non lo volesse davvero più al
suo fianco e lo considerasse un fastidioso impiccio, anziché
qualcuno di cui fidarsi e a cui affidare la propria vita. Poi, quando
finalmente l'antidolorifico aveva fatto effetto e il dolore alla spalla
aveva smesso di ottenebrare la sua mente, Magnus aveva analizzato
quanto successo nella sua stanza d'ospedale e aveva capito (o meglio,
sperato) che quello che gli aveva detto Alec fosse tutta una
messinscena per allontanarlo da lui e dal pericolo che lo minacciava.
Ecco perché aveva ingaggiato Woolsey il giorno stesso. Era
decisamente ora che Alexander Gideon Lightwood si ficcasse in
quell'adorabile e contorta testolina che si ritrovava che non poteva in
nessun modo liberarsi di lui.
Sì, avrebbe potuto chiedere a Ragnor o a Jem di prendersi
cura del moro, ma se da un lato i suoi amici erano due Marine
eccellenti, dall'altro non avevano una propria agenzia di sicurezza, i
cui servizi erano richiestissimi ed estremamente efficienti, e
soprattutto non erano ex amanti con cui aveva avuto un'intensa e
soddisfacente intesa sessuale né tantomeno erano due comari
pettegole che spifferavano allegramente i dettagli piccanti di
ciò che facevano sotto le lenzuola. Per stanare Alec, a
Magnus serviva Woolsey e il suo zero senso del pudore nel raccontare
cosa avevano fatto entrambi in camera da letto... e non solo!
E, a giudicare dalla scenata melodrammatica che Alec gli aveva fatto il
giorno prima, e quello che ne era conseguito, Magnus aveva fatto centro.
Con un sorriso compiaciuto, grattò con la punta delle dita
la testa di Presidente, che sospirò nel sonno e si
acciambellò meglio contro il petto di Alec, aumentando il
volume delle fusa, poi si sporse per baciare delicatamente la fronte
del moro, prima di scostare le lenzuola e, con cautela, appoggiare i
piedi a terra.
Si mosse lentamente, deciso a non svegliare nessuno dei due, e, senza
preoccuparsi di rivestirsi, andò in cucina, alla ricerca
delle pillole che gli avevano prescritto in ospedale. Trovò
il flacone sul tavolo, accanto al soldatino di Max e sorrise, mentre
inghiottiva una pastiglia.
Con la mano sana iniziò a preparare la colazione. Non fu
un'operazione semplice: sparse zucchero un po' ovunque, si
versò addosso qualche goccia di spremuta d'arancia e si
scottò le dita con la macchinetta del caffè, ma
riuscì comunque a posizionare le cose che aveva nel
frigorifero e nella dispensa sul vassoio, senza ulteriori intoppi. Lo
considerò un notevole passo in avanti rispetto al giorno
precedente, quando aveva bruciato il pane tostato, si era schiacciato
un dito nel cassetto delle posate e aveva rovesciato la sua tazza di
caffè sul tavolo, inondandolo completamente.
Sollevò il vassoio con un leggero grugnito e
camminò lentamente verso la sua camera da letto, ben attento
a non inciampare e a non far cadere niente. Aprì la porta
della camera con il piede e poggiò il tutto sulla
cassettiera, spostando con forza qualunque cosa ci fosse sopra. Il
barattolo della crema viso, che applicava ogni giorno sulla sua pelle
liscia e perfetta, cadde a terra con un sonoro bam!
Alec rotolò sulla schiena, sospirando rumorosamente, e
aprì faticosamente gli occhi. "Cosa stai facendo?"
mormorò con voce roca, mentre anche Presidente Miao alzava
il muso, assonnato.
Magnus sorrise. "Come promesso, ti ho portato la colazione, mio dolce
pasticcino!" annunciò, indicando con un gesto plateale del
braccio il vassoio accanto a lui.
Alec si stiracchiò, seguito a ruota da Presidente Miao che
inarcò la schiena. "Promesso?" mormorò, confuso,
con un sonoro sbadiglio.
"Ma come? Non ricordi? Ti avevo promesso che te l'avrei portata dopo la
nostra prima notte di sesso sfrenato." continuò Magnus, con
un enorme sorriso che gli divorava il volto. "Quindi... tadaaan!"
Alec divenne paonazzo e iniziò a tossire spasmodicamente, a
causa della saliva che gli era andata di traverso.
Il sorriso di Magnus aumentò. "Sapevo che sotto-sotto eri
una tigre tra le lenzuola, mio sublime profiterole al cioccolato!
Roarrrr!" ammiccò sfacciatamente, artigliando l'aria con le
dita.
Le guance di Alec si fecero di brace, mentre lanciava uno sguardo
imbarazzato al gatto, che lo fissava a sua volta e sembrava sorridergli
sornione. "Smettila!" gracchiò poi, lanciando con forza il
suo cuscino verso l'altro. "E v-vestiti! Per l'angelo!"
Magnus rise, divertito, schivando agilmente il guanciale. "Se ricordo
bene..." mormorò, battendosi l'indice sul mento con fare
pensieroso. "...ieri sera non mi hai chiesto di smettere. Anzi, mi hai
pregato di continuare.." ammiccò, leccandosi le labbra in
modo volutamente provocante.
Alec ridusse gli occhi a due fessure, con il viso scarlatto, mentre
Presidente sbuffava un suono simile a una risata. "Sei un pervertito!"
Magnus ridacchiò, allegro, avvicinandosi al letto.
"Sì, lo so." confermò compiaciuto, piegandosi poi
verso il ragazzo per lasciargli un bacio sulle labbra. "Buongiorno, Fiorellino."
Alec sospirò rumorosamente, prima di rivolgergli un sorriso
fintamente imbronciato e allontanarlo da lui, spingendolo via con la
mano sul viso. "Buongiorno, idiota."
Magnus sogghignò. "Dormito bene, Kallìpygos?"
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Ti ho detto di smetterla!"
ordinò, mettendosi seduto, per poi sorridere, contento,
quando Magnus gli mise tra le mani il soldatino di Max.
"Gli ho dato una ripulita." lo informò l'uomo. "Ora
é come nuovo!"
"Grazie." mormorò, mentre Presidente Miao gli si sedeva in
braccio e osservava anche lui il piccolo oggetto tra le mani del moro.
"E' un gran bel giocattolo!" affermò Magnus, accomodandosi
accanto al ragazzo e cingendogli le spalle con il braccio sano.
Alec sbuffò una risata dal naso. Alzò la testa e
guardò l'ex Marine, inarcando un sopracciglio di fronte a
quella palese bugia. Il soldatino di Max, infatti, poteva essere
definito in molti modi, ma di certo l'aggettivo "bello" non rientrava
tra questi: era consunto, gli mancava una mano e i lineamenti del viso
erano ormai andati perduti da tempo immemore.
"Sei serio?" chiese Alec, palesemente divertito.
"Ma certo!" annuì Magnus, con fervore. "Insomma...
guardalo!" esclamò, indicando il soldatino con un gesto
eloquente della mano.
Alec esaminò il giocattolo con occhio critico, rigirandolo
nella mano, mentre con l'altra accarezzava distrattamente Presidente,
poi scosse la testa, sorridendo.
"Astaga!
[ndr. Oh mio Dio] Come fai a dire che non é bello?"
continuò Magnus, guardandolo con disapprovazione. "Ha
fascino da vendere e un'aria da duro che non deve chiedere mai!"
Alec rise, posando la testa sul collo dell'uomo. "E' carino." cedette,
con un sorriso divertito, stringendo il giocattolo.
"Carino? Solo carino?" sbuffò Magnus, allegro, arruffandogli
i capelli.
"E' il massimo che posso concedere." affermò Alec, con un
sorriso storto.
"Tzè! Lascia che te lo dica: voi giovani d'oggi non sapete
apprezzare la bellezza delle cose vissute!"
lo rimbeccò Magnus, alzando il mento in modo baldanzoso.
"Sì, forse hai ragione." concordò Alec,
scrollando le spalle. "Deve essere per questo che ti ho ignorato
così a lungo e ho ceduto per sfinimento."
considerò, pensoso, sollevando la testa per guardarlo con
una smorfia buffa.
Magnus spalancò gli occhi, trattenendo il fiato e scostando
il moro da lui. "Stai... stai dicendo che sono vecchio?"
domandò, portandosi teatralmente la mano al petto.
"Hai quasi trentanove anni." spiegò Alec, scrollando le
spalle e lanciandogli una lunga occhiata eloquente.
"Guarda che tu ne hai solo dieci meno di me, eh!"
"Questo é vero, ma resta il fatto che sei più in
là con gli anni del sottoscritto... tesoro."
sghignazzò il moro, divertito.
"Oh.mio.Dio!" boccheggiò Magnus, indignato, spingendo
l'altro lontano da lui. "Ritira subito quello che hai detto!"
""Ehhh, la verità può essere dolorosa, Magnus."
affermò Alec, picchiettandogli una mano in modo comprensivo.
"Oh, per l'angelo! Guarda qua! Sono rughe, queste?" domandò,
fingendosi sorpreso, mentre assottigliava gli occhi ed esaminava
accuratamente il viso dell'altro.
Gli occhi verde-oro di Magnus si dilatarono per lo stupore. "Ritira
subito quello che hai detto!" berciò nuovamente, stridulo.
Alec rise rumorosamente, accasciandosi sul materasso.
Magnus alzò un sopracciglio, poi afferrò
dolcemente il gatto per la pancia e lo posò a terra.
"Presidente, va in cucina a fare colazione. Papà deve dare
una lezione di buone maniere a daddy!" mormorò
assottigliando lo sguardo.
Alec rise più forte e tentò di allontanarsi
dall'uomo.
Magnus lo bloccò con il braccio sano e si sedette sopra il
moro, poi scattò, iniziando a fargli il solletico.
"No! Fermo!" ansò Alec, ridendo forte, mentre tentava di
sottrarsi alle dita dell'altro.
"Ritira quello che hai detto!" ripeté ancora una volta
Magnus, facendo scorrere le dita sul costato del ragazzo.
"Mai!" rise Alec, con le lacrime che iniziavano a scendere lungo le
guance.
"Moccioso impertinente!" mormorò Magnus, sorridendo giocoso
e muovendo le dita sempre più velocemente fino a quando non
udì l'altro gracchiare Pietà!.
Magnus rise, compiaciuto, mentre liberava il corpo di Alec e si
stendeva accanto a lui per riprendere fiato. "Splendido, attraente,
meraviglioso e soprattutto giovane
trentottenne vs moccioso impertinente: uno a zero, palla al centro."
ansò, alzando il braccio sano verso l'alto, in segno di
vittoria.
Alec rise di gusto. "Non vale!"
"Certo che vale!" ritorse Magnus, allegro, sventolando l'indice. "E con
un braccio solo, per giunta!"
"Tu sei un ex Marine, mentre io..."
"Sei un flaccido agente di viaggi." completò la frase
Magnus, divertito, punzecchiandolo su un fianco sodo e tornito.
"Sì, lo so, mio delizioso panzerotto ripieno."
Alec voltò la testa e lo guardò truce. "Smettila
di dire che sono flaccido!"
Magnus rise, aumentando il tono di voce quando l'altro
iniziò a schiaffeggiarlo a palmo aperto sul ventre piatto,
mentre gli ordinava, con sguardo tempestoso e per l'ennesima volta, di
piantarla con tutti quei soprannomi.
"Sei insopportabile!" asserì Alec, mettendo il broncio.
Magnus ridacchiò. "Sì, lo so."
mormorò, accostandosi a lui e cingendolo in un morbido
abbraccio.
"Idiota." borbottò Alec, facendo il sostenuto.
"Hai perfettamente ragione." convenne Magnus, stuzzicandogli la pelle
delicata dietro l'orecchio con labbra esperte.
"Magnus, il tuo braccio..." lo avvertì Alec, corrugando la
fronte, ma inclinando comunque la testa per dargli più
spazio di manovra.
"Mh-mh." mormorò Magnus, scendendo con la lingua lungo la
giugulare del ragazzo.
Alec aprì la bocca per ricordare all'ex Marine, che tutto
sembrava tranne che un uomo con un braccio ferito da un colpo di
pistola, di fare attenzione ai punti, già messi sotto
pressione la notte precedente, ma Magnus fu più veloce e
colse l'opportunità di baciarlo e infilargli la lingua in
bocca.
Alec gemette nel bacio e si mosse sotto l'ex Marine, desideroso di un
contatto ancora più stretto, più intimo. Magnus
emise un gemito di soddisfazione e pressò le labbra su
quelle del ragazzo con ancora più entusiasmo, fino a quando
il moro interruppe bruscamente il bacio e lo spinse via.
"Hai... hai sentito?" balbettò in un bisbiglio il moro, a
corto di fiato, aggrottando la fronte e tendendo le orecchie in ascolto.
"Sentito cosa?" mormorò Magnus, scendendo a baciargli il
collo e tracciando una scia umida fino alla scollatura della maglietta
che il moro indossava.
"C'è qualcuno in casa!" bisbigliò Alec, teso,
arpionando la spalla sana dell'ex Marine.
Magnus strattonò il bordo della maglietta del moro, per
tentare di levargliela. Dio, perché si era rivestito dopo la
loro notte di passione?
"E' sicuramente Presidente che ha rovesciato i croccantini." lo
liquidò, riuscendo finalmente a sfilargli l'indumento e
iniziando a leccargli il petto.
Alec avrebbe voluto controbattere, ma ondate di piacere iniziarono a
percorrergli la spina dorsale e gli era davvero difficile
pensare razionalmente quando l'altro lo stava "torturando"
così sapientemente con lingua e denti. Inarcò la
schiena per offrirsi completamente e affondò le dita nei
capelli dell'uomo, dimenticando tutto ciò che lo circondava
e lasciando che quella sensazione paradisiaca gli penetrasse nelle
vene. Nulla aveva importanza, in quel momento, se non il tocco delle
labbra peccaminose dell'ex Marine che stavano proseguendo la loro
discesa verso il bordo dei suoi pantaloni del pigiama.
Magnus slacciò il nodo del cordoncino dell'indumento e lo
abbassò per poter lambire con la lingua la porzione di pelle
che aveva esposto, al di sopra dei boxer neri.
"Malaikatku?
Sei q... opsss!" cinguettò una voce squillante, entrando
come un uragano nella camera da letto.
Alec lanciò un grido acuto e ben poco virile. Con il viso
completamente in fiamme, spintonò via Magnus con forza
brutale e per poco non lo buttò giù dal letto,
poi si coprì alla bell'e meglio con il lenzuolo color
bordeaux, sperando ardentemente di riuscire a mimetizzarsi tra le sue
pieghe.
L'ex Marine, con il sedere nudo all'aria, gemette forte nel cuscino e
inanellò una sequela di insulti incomprensibili, ma che Alec
ipotizzò fossero in lingua indonesiana.
"A quanto pare abbiamo trovato i due piccioncini, Ketua!" [ndr.
Presidente] berciò l'intrusa, divertita, grattando il gatto
sotto il mento. "Vi aspetto in cucina, ragazzi! Fate con comodo!"
gridò, allegra, facendo dietrofront e uscendo dalla stanza
con il felino che stava sghignazzando sotto ai baffi (Alec avrebbe
potuto giurarlo! Quel gattaccio stava ridendo dell'intera situazione,
ne era certo!).
Magnus imprecò con veemenza e rotolò sulla
schiena, cercando nella sua memoria quale peccato così
atroce avesse commesso nella sua vita per meritarsi una tortura simile
che rispondeva al nome di Dewi Maharani Bane.
"Almeno non è saltata nel letto con noi per spettegolare o
per raccontarci del suo ultimo sogno strambo." mormorò
l'uomo, con tono sconfitto e con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
Alec, a corto di parole, girò il volto di scatto e lo
guardò a bocca aperta.
"Ohhh sì. Credici. L'ha fatto." confidò Magnus,
sospirando in modo eloquente. "Almeno tu hai ancora addosso le
mutande." rise istericamente, coprendosi gli occhi con il braccio sano,
mentre il moro sprofondava nel cuscino con uno sguardo terrorizzato e
il suo viso assumeva un'intesa sfumatura violacea.
===
Note
dell’autrice
Chiedo venia per il vergognoso ritardo con cui pubblico questo nuovo
capitolo, ma sono stata travolta dal lavoro e vi assicuro che mettermi
al pc,
di nuovo, una volta a casa, dopo una giornata estenuante e mentalmente
massacrante, era l'ultimo dei miei pensieri XD
E'
da un mese che sto scrivendo questo benedetto capitolo, che ho
modificato, corretto, integrato e cancellato mille volte, e spero che
il risultato sia di vostro gradimento! :D
Ne approfitto per augurarvi un anno pieno di felicità e
soprattutto salute! :-*
Un bacione e a presto
:D
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
"Sono contento che tu
sia venuto, ayah
[ndr. papà]!" mormorò Magnus, lanciando
un'occhiata furtiva sopra la spalla del padre.
Sua madre non era nei paraggi. Bene.
Chiese di nuovo mentalmente scusa ad Alec per non averlo salvato dalle
grinfie materne, quando Dewi l'aveva trascinato, senza tante cerimonie,
nella camera da letto del figlio per costringerlo a disfare i bagagli e
a sistemarsi come più la soddisfaceva, ma doveva
assolutamente risolvere quella faccenda e suo padre era il suo alleato
più prezioso. Se non addirittura l'unico.
Non poteva permettere che Alec si allontanasse nuovamente da lui. E,
questa volta, per un motivo totalmente diverso dalla spinosa situazione
in cui si trovavano!
"Mi dispiace di averti costretto a disdire il tuo appuntamento per
farti venire di corsa qua."
Asmodeus Bane sventolò la mano con noncuranza, mentre
sceglieva il prossimo ingrediente con cui farcire il suo enorme e
gustoso sandwich. "Tranquillo, malaikatku
[ndr. angelo mio]! Sai che ho sempre tempo per te." rispose l'uomo,
allegro, posizionando con cura delle fette di pomodoro sulla pila
davanti a lui. "Hai del tacchino?"
"No." rispose Magnus, sbrigativo. "Senti, papà, dobbiamo
parlare." iniziò, con un cipiglio serio e determinato.
"Bacon?" chiese Asmodeus, aprendo l'enorme frigorifero in acciaio per
analizzarlo minuziosamente.
Magnus alzò gli occhi al cielo. "Pa', devo parlarti di una
cosa davvero importante! Anzi, in realtà la situazione
é ai limiti dell'emergenza!" borbottò,
continuando ad adocchiare, di tanto in tanto, la porta della sua camera
da letto.
"Addirittura?" esclamò distrattamente Asmodeus, guarnendo
ulteriormente il suo panino con del prosciutto e altra maionese. "Hai
del formaggio cheddar?"
Magnus alzò nuovamente gli occhi al cielo e
sospirò rumorosamente, posando poi una mano su quella del
padre per guadagnarsi la sua attenzione. Asmodeus tendeva a distrarsi
esageratamente quando c'era del cibo in giro.
"Ayah, devi
fare qualcosa per la mamma!"
"Perché? Che cosa ha fatto questa volta?" chiese Asmodeus,
annusando con aria deliziata il suo panino.
Magnus incrociò le braccia al petto, sulla difensiva. "Oltre
a irrompere come una pazza nella mia camera da letto nel momento meno
opportuno della storia, intendi?"
Asmodeus per poco non si strozzò con il boccone che aveva
addentato, pur di trattenere la risata che gli era salita in gola.
Magnus gonfiò le guance, indispettito. "Ayah, non
c'è niente da ridere! E' un miracolo che Alec non sia morto
per l'imbarazzo o non sia scappato a gambe levate!" esclamò,
accalorato.
"Andiamo, Mags! Non può essere stato così
tremendo." minimizzò Asmodeus, in tono bonario, con un
sorrisetto canzonatorio.
"Papà, ero nudo." sibilò Magnus, avvicinandosi al
genitore e assottigliando lo sguardo.
Asmodeus gli scoppiò a ridere in faccia, sputacchiando pezzi
di cibo un po' ovunque. Poi iniziò a tossire convulsamente,
mentre qualche lacrima divertita scappava dalle sue ciglia.
"Non. C'è. Niente. Da. Ridere." ringhiò Magnus,
imbronciandosi ancora di più, mentre si toglieva dalla
guancia un pezzettino di pomodoro. "Non è affatto piacevole
che tua madre veda il tuo sedere nudo, sebbene sia la fine del mondo."
Asmodeus si piegò in due, tenendosi la pancia e continuando
a ridere a crepapelle.
"Papà!" lo richiamò all'ordine Magnus, pestando
un piede a terra. "Sono serio! La mamma, questa volta, ha davvero
passato il segno!" si lamentò con veemenza. "Oltretutto so
per certo che sta organizzando un piano che prevede Alec e il
sottoscritto percorrere una navata gremita di tulle e addobbi
floreali!" continuò, abbassando il tono di voce e lanciando
un'altra occhiata di fuoco verso la porta della sua stanza.
Asmodeus si asciugò le lacrime e sorrise. "Ne sei sicuro?"
"Certo che ne sono sicuro! Ha piazzato riviste di abiti da sposo per
tutto l'appartamento e mezz'ora fa l'ho beccata che confabulava al
telefono con un'agenzia di catering perché le invii un
preventivo!" continuò Magnus, indignato. "Ayah, devi
assolutamente ordinarle di smetterla subito!"
Asmodeus posò una mano sulla guancia del figlio e gliela
accarezzò dolcemente con il pollice, guardandolo con
tenerezza, quasi con compassione. "Sai che non posso farlo, malaikatku."
Magnus trattenne bruscamente il fiato, fissandolo con uno sguardo
tradito. "Ma papà!"
Asmodeus gli picchiettò la mano sana con uno sospiro
sconsolato che non prometteva nulla di buono. "Mags, sai bene che ho
tentato in tutti i modi di farla ragionare. Le ho detto più
e più volte di non impicciarsi della tua vita amorosa e
l'ultima volta che ho osato farlo mi ha letteralmente mandato al
diavolo!" rivelò, in tono esageratamente melodrammatico.
"Non posso fare niente per te. Lo sai com'è, quando si mette
in testa qualcosa."
"Senti, papà..."
"Mags, tua madre ha un'idea fissa quando si tratta della tua
felicità. Lei vuole che tu ti sposi e che abbia tanti bei
bambini che lei poi potrà coccolare e viziare." gli
ricordò Asmodeus, gesticolando con una mano. "Sai che non
sarà contenta finché non raggiungerà
il suo obiettivo. E' testarda. La conosci, no?"
"Io. Non. Voglio. Sposarmi." scandì Magnus, determinato,
stringendo i pugni.
Asmodeus gli sorrise dolcemente, afferrandogli la punta del naso per
scuoterla in modo giocoso. "Neanche con Alec?" bisbigliò,
sporgendosi verso di lui con fare cospiratorio.
Magnus sentì le guance arrossarsi. "C-cosa? No! Certo che
no!" balbettò, in seria difficoltà.
Asmodeus ridacchiò, intenerito, raddrizzandosi e facendogli
l'occhiolino, prima di tornare al suo sandwich e addentarlo con
entusiasmo. "Tua madre è convinta che tu e Alec siate
perfetti l'uno per l'altro. E la vuoi sapere una cosa, malaikatku? Lo
credo anch'io." sussurrò, a bocca piena, con uno sguardo
malizioso.
"Papà!" berciò Magnus, facendo un vistoso passo
indietro e sentendo il viso farsi ancora più caldo.
Asmodeus rise rumorosamente, pizzicandogli con affetto una guancia.
"Oh mio Dio!" esclamò Magnus, gesticolando in modo teatrale.
"Io ti chiedo di dissuadere mamma dal suo ennesimo, folle, piano
matrimoniale e tu ti allei con la nemica!"
affermò, in tono scioccato, allargando le braccia e
lasciandole poi penzolare lungo i fianchi.
"Non mi sto alleando con la nemica."
precisò Asmodeus, con un sorriso ironico. "Sto solo dicendo
che tu e Alec formate una bella coppia."
"Sì, lo so." concordò Magnus, gonfiando il petto
e pavoneggiandosi giusto un po'. "Ma questo non significa che dobbiamo
sposarci!" affermò subito dopo, piantandosi la mano sana sul
fianco. "Abbiamo appena iniziato a fare sesso, demi surga [ndr.
per l'amor del cielo]!"
Asmodeus rise, allegro, alzando gli occhi al cielo e scuotendo piano la
testa, prima di posare il suo panino e farsi serio. "Sai, Mags, mi
sento in parte responsabile di questa sua ossessione."
sospirò, pulendosi le mani su un canovaccio. "Quando io e
tua madre ci siamo sposati non abbiamo potuto permetterci un matrimonio
in grande stile, ma solo una cerimonia semplice e spartana. All'epoca
non avevo soldi e non potevo regalarle il matrimonio che desiderava e
credo che adesso voglia sperimentare quelle cose che le sono mancate e
organizzare un matrimonio da sogno. E' come se avesse l'occasione di
rifarsi, grazie a te." spiegò, tornando ad accarezzare la
guancia del figlio.
Magnus incrociò le braccia al petto e mise il broncio. "Mi
dispiace, papà, ma non è affatto giusto che io
assecondi questa sua pazzia. Voglio un bene sconfinato a mamma, lo sai,
e, negli anni, ho sempre cercato di minimizzare e ignorare le sue idee
folli di "rendermi felice". Tuttavia non ho alcuna intenzione di farlo
ancora. Non posso. Basta. La deve smettere."
"Tua madre ti ama troppo, malaikatku.
Tutto qui." sorrise Asmodeus, continuando ad accarezzargli dolcemente
la guancia.
"Sì, beh, dille che riversi tutto questo amore su di te!"
sbuffò Magnus, imbronciato. "Ehi! Perché non le
tagli i fondi e non le sequestri le carte di credito? Eh? In questo
modo avrebbe meno spazio di manovra e forse la smetterebbe di
organizzare qualsiasi cosa le frulli in testa!" si illuminò
improvvisamente, battendo la mano sana sul piano cucina.
"Oh, malaikatku,
ho già minacciato di farlo, in passato." rispose
tranquillamente Asmodeus, scrollando le spalle e riprendendo in mano il
suo sandwich.
"Davvero? E lei che cosa ha detto?"
Asmodeus posò nuovamente il suo panino con calma serafica.
"Che se mi azzardo a fare una cosa del genere, chiede immediatamente il
divorzio." rivelò, alzando gli occhi al cielo con un sospiro
drammaticamente esasperato. "Mi ha addirittura incolpato di non essere
un buon marito e un buon padre, visto che non mi interesso della
felicità di mio figlio. Senza contare che mi ha anche
accusato di essere tirchio!"
Magnus chiuse gli occhi, stringendosi forte il setto nasale e
respirando profondamente, prima di raddrizzarsi, colto da una nuova,
improvvisa, folgorazione. "E se le dicessi che sto frequentando di
nuovo Camille? A mamma non è mai piaciuta e forse si
arrabbierebbe a tal punto da smettere di parlarmi... almeno per un po'!"
Asmodeus scosse la testa, sventolando con disapprovazione l'indice
sotto al naso del figlio. "No, Mags. Le spezzeresti il cuore. Per lei
sarebbe peggio che vederti scapolo a vita e io non potrei mai stare
dalla tua parte. Verrei immediatamente bandito dal mio letto o, peggio
ancora, dalla mia casa!" sospirò, stringendogli la mano. "Malaikatku, le
bugie non portano mai a nulla di buono."
"Ma la mamma non vuole ascoltare la mia
verità!" borbottò Magnus, mettendo nuovamente il
broncio. "Io continuo a dirle che non voglio sposarmi e lei non mi
ascolta! Non posso più andare avanti così, ayah! Quella donna
mi farà impazzire, prima o poi!"
Asmodeus sorrise dolcemente e abbracciò di slancio suo
figlio, stringendolo forte a sé e baciandogli una tempia.
"Sono certo che troverai un modo per tenerla a bada. Sei mio figlio,
dopotutto. E suo." ridacchiò, divertito.
Magnus ricambiò l'abbraccio con un sospiro sconfitto e
chiuse gli occhi, inalando il profumo familiare e rassicurante della
colonia di suo padre. "Forse dovrei farmi prete." mormorò,
dopo un lungo momento, tetro.
Asmodeus scoppiò in una risata fragorosa, prima di scostare
suo figlio da sé per guardarlo in volto. "Davvero? Saresti
disposto a tanto?" chiese, divertito, inarcando un sopracciglio.
Magnus annuì, imbronciato, facendo spallucce.
"Sì, ma non un prete protestante, eh!" affermò
subito dopo, alzando l'indice. "Un prete cristiano a cui è
proibito sposarsi!"
Asmodeus gettò la testa all'indietro e rise di gusto,
arruffando poi i capelli del figlio. "Ma poi ti sarebbe proibito anche
fare sesso." sussurrò giocosamente al suo orecchio, tornando
poi al suo panino.
Magnus spalancò gli occhi e trattenne bruscamente il
respiro. "Oddio! E' una prospettiva orribile!" esalò,
portandosi una mano al petto e facendo nuovamente ridere suo padre.
"Concordo." annuì Asmodeus, facendogli l'occhiolino e
addentando con entusiasmo il suo prelibato sandwich.
"Alec, no! Non è saggio sistemarti nella stanza degli
ospiti." berciò Dewi, in un tono che non ammetteva repliche,
uscendo dalla camera da letto del figlio, mentre stringeva
possessivamente il moro per un braccio. "Non è sicuro.
Capisci, caro?"
Entrambi gli uomini Bane si voltarono verso le due figure che li
stavano raggiungendo.
"Ma..." protestò debolmente Alec, con un filo di voce,
mentre veniva letteralmente trascinato da quella piccola donna asiatica
con un'insospettabile forza fisica.
Magnus provò una fitta al cuore quando vide in che
condizioni versava il ragazzo: era pallido come un fantasma e sembrava
un condannato a morte pronto al patibolo. Effettivamente, passare anche
solo dieci minuti in compagnia di Dewi, per chi non era abituato alla
sua "prorompente vitalità" (se così la si voleva
gentilmente chiamare), poteva portare a un esaurimento nervoso.
"Ibu [ndr.
mamma]! Lascia stare Alec!" la rimproverò Magnus, andando in
soccorso del ragazzo per strapparlo alle grinfie materne.
"Gli sto solo spiegando che non è saggio che dorma nella
stanza degli ospiti!" replicò Dewi, alzando gli occhi al
cielo con uno sbuffo.
"Ciao, Alec. Come stai?" chiese Asmodeus, con un caldo sorriso,
sventolando il suo sandwich a mo' di saluto.
Alec stiracchiò le labbra in quello che, con una buona dose
di fantasia, poteva considerarsi un fantasma di sorriso. Magnus lo
sentì irrigidirsi non appena gli posò una mano
sulla schiena per condurlo al sicuro, lontano da sua madre, e, quando i
loro sguardi si incrociarono, il moro lo fissò con uno
sguardo vacuo e vuoto. Magnus, però, non si fece ingannare
neanche per un secondo. Oh sì, bisognava ammettere che la
stava mimetizzando davvero bene, ma l'ex Marine l'aveva scorta
chiaramente la scintilla di puro e autentico odio che brillava negli
occhi del moro. Sapeva che era rivolta a lui e che stava solo
aspettando il momento opportuno per scatenarsi in tutta la sua potenza
(con tutta probabilità, non appena Dewi, e ora anche il
padre di Magnus, avessero avuto la grazia di togliersi dalle scatole).
Effettivamente, guardandolo dal punto di vista del moro, quello che
Magnus aveva fatto, neanche venti minuti prima, poteva considerarsi
alto tradimento o forse addirittura la peggior pugnalata alle spalle
della storia. Ma Magnus l'aveva fatto per loro! Solo per loro! O,
almeno, quella era l'intenzione. Che poi suo padre, in
realtà, non fosse stato di nessun aiuto... beh, quello era
un altro discorso!
Dopo che sua madre li aveva interrotti sul più bello,
infatti, entrambi avevano fatto colazione in un clima di mastodontico
imbarazzo, con il moro che aveva fissato, per tutto il tempo, la sua
tazza di cereali, forse sperando di potercisi annegare dentro, mentre
Dewi aveva tenuto banco, blaterando del più e del meno e
facendo, di tanto in tanto, battutine maliziose, e del tutto
inopportune, su ciò che aveva visto quella mattina.
Era stato in quel momento che l'ex Marine aveva deciso di chiedere
l'aiuto di suo padre. Per questo, solo per questo, quando Dewi aveva
costretto Alec a seguirla per fargli disfare le valigie, visto che non
l'aveva ancora fatto, lui non si era opposto, ma, anzi, aveva
incoraggiato la cosa. Non avrebbe mai dimenticato gli occhi smarriti,
traditi e completamente terrorizzati di Alec.
Magnus sospirò. Quella giornata era iniziata così
bene, prima che Dewi la mandasse completamente in malora! Invece, era
passato dalla prospettiva di fare del sano e appagante sesso, con
l'agente di viaggi più sexy che avesse mai incontrato in
vita sua, a quella che, con tutta probabilità, sarebbe stata
la peggior sfuriata della sua intera esistenza.
Alzò gli occhi al cielo e mentalmente maledisse, per
l'ennesima volta, il momento in cui aveva consegnato una copia delle
chiavi del loft ai suoi genitori, prima di sentire un inquietante
gemito strozzato vicino a lui e tornare quindi a prestare attenzione a
ciò che stava succedendo nella sua cucina.
"Che? Cosa?" chiese Magnus, guardandosi attorno, confuso.
Alec si stava fissando i piedi e il suo viso era talmente rosso che
l'ex Marine iniziò seriamente a preoccuparsi. Che stesse per
avere un infarto? In fondo, Dewi era capacissima di procurarne uno con
la sua sola presenza.
"Cosa..." iniziò Magnus, sempre più stranito,
guardando subito i suoi genitori.
Suo padre stava sghignazzando alla grande, rischiando addirittura di
strozzarsi con il suo panino, mentre sua madre gli sorrise
amorevolmente, dandogli un buffetto sulla guancia.
"Che c'è?" chiese Magnus, in allerta.
"Ho detto che è un bene che tu abbia finalmente deciso di
indossare i boxer anziché quegli obbrobri improponibili che
ti ostini a spacciare per mutande." disse Dewi, in tono compiaciuto.
"B-boxer?"
Dewi annuì, tutta contenta. "Sai, stamattina, quando...
beh... sai, no?" iniziò, abbassando il tono di voce e
accostandosi a lui con fare cospiratorio. "Ho notato per terra dei
boxer e visto che Alec i suoi ce li aveva di sicuro addosso..."
Magnus sentì accanto a lui un altro gemito preoccupante. Era
Alec. L'uomo ipotizzò che il ragazzo stesse tentando di
suicidarsi con la sua stessa saliva, in modo da poter finalmente porre
fine a quella tortura.
"Malaikatku,
indossare un intimo comodo va tutto a tuo vantaggio! Te l'ho sempre
detto!" affermò Dewi, sventolandogli l'indice sotto al naso,
con l'aria di una che la sapeva lunga.
"Eh?" esalò Magnus, ancora più confuso.
"Sono davvero contenta che finalmente mi hai dato retta!" si
complimentò Dewi, felice, picchiettandogli la spalla sana.
Magnus corrugò la fronte e guardò prima Alec, che
fissava il pavimento con una tale intensità che sembrava
quasi che sperasse ardentemente che si aprisse una voragine per
inghiottirlo in un sol boccone, e poi suo padre, che oramai era piegato
in due e aveva le lacrime agli occhi da quanto stava ridendo.
"Io... io non..." balbettò Magnus.
Dewi gli accarezzò entrambe le guance e gli sorrise con
amore. "Tesoro, sono solo contenta che tu tenga così tanto
ad Alec da aver finalmente abbandonato quelle orribili mutande
attillate che danneggiano la tua resa sessuale e basta! Te l'ho sempre
detto che lui
deve stare comodo, se vuoi che faccia il suo dovere! Deve poter
respirare! Non essere costretto in mutande strette che lo schiacciano e
minano la sua funzionalità!" berciò, annuendo con
convinzione, guardandogli l'inguine.
Magnus spalancò gli occhi, guardò brevemente
Alec, che stava chiaramente tentando il suicidio per autocombustione, e
tornò a fissare a bocca aperta Dewi, prima di sentire le sue
guance farsi di brace. Dio santo, sua madre era l'unica persona al
mondo che se ne poteva uscire tranquillamente con un argomento del
genere, neanche stesse parlando del meteo, e, allo stesso tempo, farlo
vergognare come un bambino. Mai, mai come in quel momento, avrebbe
tanto voluto che davvero una voragine si aprisse sotto i loro piedi per
inghiottirli tutti.
"F-fuori!" balbettò Magnus, a corto di parole, indicando la
porta con un gesto secco del braccio.
Asmodeus si asciugò le lacrime, mentre rideva come un
ossesso, e cinse il corpo minuto della moglie con un braccio e un
sorriso enorme stampato sul volto. "Credo sia ora di andare, sayang!"
sussurrò, baciandole una guancia e indirizzando saggiamente
la donna verso la porta d'ingresso del loft.
Dewi alzò gli occhi al cielo e scosse piano la testa, prima
di sorridere maliziosamente. "Hai ragione, sayang. E' meglio
lasciare soli i due piccioncini. Così potranno concludere
quello che ho interrotto questa mattina." ridacchiò, giuliva.
"FUORI!" urlò nuovamente Magnus, con voce stridula, mentre i
due genitori sgattaiolavano via, ridacchiando tra di loro come due
bambini dopo una marachella.
"Ah! Vi ho ordinato la pizza per pranzo!" comunicò Dewi,
prima di chiudere del tutto la porta del loft.
Magnus fissò la porta chiusa con il respiro affannoso,
neanche avesse appena finito di correre la maratona di New York. Poi si
voltò verso Alec, con sguardo preoccupato.
"Mi disp..." iniziò, prima di venire interrotto da una
tremenda cuscinata sul viso che per poco non gli ruppe il naso. "SIAL [ndr. cazzo]!"
gridò a pieni polmoni.
"Come. Hai. Potuto. Lasciarmi. Da. Solo. Con. Tua. Madre!"
scandì Alec, furioso, colpendolo con un cuscino del divano
ogni volta che gridava una parola.
Magnus si accasciò sulla poltrona, travolto dalla forza
bruta del moro e tentò di parare i colpi con il braccio
sano, ma invano. "Alec! Mi stai facendo male al braccio..." gemette
poi, sperando di impietosire il ragazzo.
"Ti. Odio!" gridò Alec, colpendolo ancora una volta sulla
testa, prima di fermarsi con il fiatone.
"Mi dispiace, ok?" si scusò Magnus, rimettendosi
faticosamente in piedi, sapendo benissimo a quale agonia aveva
costretto il moro.
"Vai a farti fottere!" urlò Alec, lanciandogli addosso il
cuscino. "Hai idea di quello che ho passato?"
"Oh, andiamo, non può essere stato così male,
no?" tentò di rabbonirlo Magnus, mentendo spudoratamente e
schivando il cuscino.
"Non può
essere stato così male?" sibilò
Alec, prendendo un altro cuscino dal divano con uno sguardo omicida.
Magnus alzò le mani in segno di resa. "Ok, hai passato
l'inferno. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace." si scusò,
sbattendo le ciglia dei suoi occhioni verdi-dorati e sporgendo il
labbro in un broncio infantile, nella speranza di far passare
l'arrabbiatura al moro. "Vedila così: hai passato un po' di
tempo con la "suocera"!" scherzò, sorridendo.
Alec sbarrò gli occhi. "Cosa?"
"Beh, ora che stiamo insieme..."
"Ma noi non
stiamo insieme!" replicò Alec, indignato.
"No?" chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
"No!"
"Ah! Quindi mi hai usato solo per il sesso." constatò
Magnus, piazzandosi una mano sul fianco e scuotendo la testa con finta
disapprovazione. "Come se fossi una prostituta."
Alec boccheggiò, preso completamente in contropiede.
"C-cosa? No! Io... no!" balbettò, rosso in viso,
stringendosi al petto il cuscino.
Per l'angelo, come era finiti a parlare di quello? Fino a un minuto
prima era così furioso con Magnus da volerlo uccidere e ora
quell'infame era stato capace di ribaltare la frittata e metterlo
talmente in difficoltà da non riuscire neanche a pronunciare
una frase di senso compiuto.
Guardò Magnus a corto di parole. Aveva una tale confusione
nella sua mente.
Ok, avevano fatto sesso ed era stato fantastico, assolutamente e
incredibilmente fantastico, a tal punto che i brancicamenti rapidi e
furtivi che aveva avuto con Andrew erano qualcosa di imbarazzante e
assolutamente da dimenticare, se messi a confronto. Magnus gli aveva
acceso un fuoco nelle vene che gli mandava in ebollizione l'intero
corpo, la chimica tra loro due era innegabile e, ora che aveva trovato
quella magia con lui, non aveva la più pallida idea se
avrebbe più potuto farne a meno, perché
quell'idiota era riuscito a portarlo a tali picchi di piacere da fargli
toccare il cielo con le dita. Tuttavia, non poteva e non doveva
lasciarsi governare dal testosterone. Doveva essere razionale.
Per l'angelo, cosa mai poteva avere in serbo, per loro, il futuro?
Erano così diversi... Magnus aveva un carattere forte e
aveva la tendenza a prevaricare, mentre per Alec era importantissimo
mantenere la propria indipendenza e non farsi comandare a bacchetta da
nessuno, men che meno da quell'idiota. Lo spaventava a morte l'idea che
la loro vita insieme avrebbe potuto trasformarsi in una continua
battaglia, tra Magnus che spingeva e lui che si ritirava.
"Senti, Magnus..." iniziò il moro, in seria
difficoltà, prendendo un respiro profondo. "Non...
sì, insomma, non ti pare di correre un po' troppo?"
"No." affermò Magnus, in tono sicuro.
"Beh, ma... non credi che ti stai lasciando dominare dall'ormone e
dall'eccitazione del momento? Dal fatto che siamo in pericolo?
Cioè... che cosa succederà quando le nostre vite
non saranno più minacciate e dovremo occuparci della
quotidianità di tutti i giorni?"
Magnus piegò la testa e lo fissò con un sorriso
enorme. "Vivremo felici e contenti. Ovvio, no?"
Alec inarcò un sopracciglio, scettico. "Davvero? Hai la
sfera di cristallo, per caso?" chiese, esasperato.
Magnus scrollò le spalle. "Non ho bisogno di avere la sfera
di cristallo per sapere che ti amo e che, se me lo permetterai,
passerò il resto della mia vita a renderti felice."
dichiarò, alzando il mento in segno di sfida.
Alec spalancò gli occhi e boccheggiò, totalmente
spiazzato, mentre le sue guance assumevano un'accentuata
tonalità di rosso.
Per l'angelo, era la prima volta che qualcuno gli diceva che lo amava
(nel senso romantico del termine, almeno). Andrew, ad esempio, non
gliel'aveva mai detto. Mai, neanche una volta, nonostante Alec ci
avesse sperato fino all'ultimo. E ora, così, all'improvviso,
come un fulmine a ciel sereno, Magnus Bane glielo dichiarava con una
naturalezza e una semplicità tali da sconvolgerlo da capo a
piedi.
"Io... tu..." balbettò, totalmente nel pallone.
Magnus sorrise ancora di più, posandogli dolcemente l'indice
sulle labbra per zittirlo. "Vado a vedere cosa ha combinato mia madre
in camera nostra."
lo informò, baciandogli dolcemente una guancia. "Tu,
intanto, pensa a quello che ti ho detto." concluse, facendogli
l'occhiolino, prima di dirigersi verso la sua stanza.
Alec lo fissò allontanarsi, inebetito, e si sedette di peso
sul divano, con il cuore che gli batteva all'impazzata e il viso
completamente in fiamme. Per l'angelo, Magnus lo amava! Magnus! L'uomo
più irritante e dispotico dell'intero universo amava lui!
Alec Lightwood! La persona più anonima e scialba del mondo!
Sentì la pelle del viso tirare e, confuso, si
toccò le guance. Stava sorridendo! Per l'angelo, stava
sorridendo come un idiota! Era fottuto.
In quel momento suonarono alla porta.
Come un automa, Alec afferrò il portafoglio e
attraversò il soggiorno per andare ad aprire. Doveva essere
sicuramente il fattorino della pizza che aveva ordinato la mamma di
Magnus.
Attraverso lo spioncino, vide un uomo con una maglietta di cotone
grigia e con il logo della pizzeria stampato sul taschino. Aveva un
berretto da baseball abbassato sulla fronte e la testa chinata a
studiare il biglietto con l'ordinazione.
Alec estrasse un biglietto da venti dollari e spalancò la
porta, prima di gelarsi sul posto: Raj lo stava fissando con gli occhi
iniettati di sangue, un coltello in mano e un sorriso inquietante sul
volto.
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
Alec rimase a bocca
aperta per lo stupore. Fece un passo indietro, pronto a correre via, ma
Raj lo afferrò con una morsa d'acciaio per il polso e
l'attirò contro il suo torace, puntandogli il coltello alla
gola.
Un dolore acuto saettò lungo il braccio del moro, che
tentò di liberarsi, invano. Si bloccò solo quando
sentì la lama fredda del coltello sfiorargli la pelle nivea
e delicata del collo e un brivido gelido gli corse su per le vene non
appena si rese conto del pasticcio in cui si trovava.
"Dov'è?" sussurrò Raj, contro il suo orecchio.
Alec boccheggiò, incapace di parlare e di pensare
razionalmente.
"Lui.
Dov'è, lui?" sibilò Raj, in un bisbiglio rabbioso.
Alec spalancò gli occhi, quando finalmente recepì
le parole dell'aggressore. Magnus. Raj voleva uccidere Magnus. Anzi,
con tutta probabilità voleva uccidere entrambi. Doveva
assolutamente fare qualcosa per evitare che questo accadesse.
"N-non è qui." balbettò Alec, con un filo di
voce. "E'... é andato a fare la spesa."
Raj gli contorse il polso, strappandogli un gemito di dolore.
"Stai mentendo." ringhiò l'uomo. "So benissimo che non ti
toglie gli occhi di dosso! Chiamalo!" ordinò, stringendo
ancora di più la presa sul suo polso.
Quando Alec non ubbidì, Raj premette la lama del coltello
più vicino al suo collo. Il moro inspirò a
fatica, mentre la sua mente era alla ricerca spasmodica di un modo per
avvertire Magnus. Aveva sentito i rumori dalla camera da letto? Si era
accorto che Raj era lì?
"Chiamalo!" intimò di nuovo Raj.
"M-Magnus..." mormorò Alec, con la voce arrochita. Si
schiarì la gola e riprovò. "Magnus? Amore..."
Alec sperò che quel vezzeggiativo, che non aveva ancora
avuto modo di provare ad assaporare sulle sue labbra, potesse far
capire a Magnus che qualcosa non andava.
Raj lo strinse a sé con più violenza. "Digli di
venire qui."
Alec deglutì a fatica. Per l'angelo, cosa stava facendo
Magnus? A quel punto, doveva di certo averli sentiti! Che stesse
escogitando qualcosa? Forse una trappola? Doveva essere
così. Sperava fosse così.
E lui? Cosa avrebbe potuto fare, lui, per essere d'aiuto? Se avesse
agito in modo sbagliato, avrebbe potuto mettere in pericolo entrambi!
"Chiamalo!" abbaiò Raj, a denti stretti.
"Magnus? Amore, puoi venire qui un momento?" berciò Alec,
con voce stridula, mordendosi poi il labbro inferiore per la tensione.
"Visto? Te l'avevo detto che non era qui!" esclamò, subito
dopo, ad alta voce, deciso a convincere l'aggressore che erano solo
loro due in casa e far guadagnare così tempo a Magnus. Era
certo, infatti, che a quel punto l'ex Marine l'avesse sentito e che
avesse intuito cosa stesse cercando di fare.
Raj diede un calcio al contenitore della pizza sul pavimento. "E' qui,
invece. Questa è una extra-large. Non avresti mai ordinato
una pizza così grande solo per te."
"Che ne sai, tu, di quanto mangio?" rispose Alec, stizzito.
Raj rise sguaiatamente. "Ne so molto più di quanto immagini,
amore." lo
derise, spingendolo con forza dentro l'appartamento e girandosi
brevemente per richiudere la porta con un calcio.
Alec pensò che fosse la sua occasione: approfittò
della momentanea distrazione dell'altro per spostare tutto il suo peso
contro l'aggressore, in modo da fargli perdere l'equilibrio.
Funzionò e, insieme, caddero a terra, uno sopra l'altro.
Lottarono brevemente, con Alec che tentò in tutti i modi di
liberarsi dalle grinfie dell'aggressore. Ci riuscì
piazzandogli una gomitata sul costato. Il moro non perse tempo a
crogiolarsi e, con uno scatto repentino, rotolò di lato e si
alzò sulle ginocchia. Raj lo acciuffò nuovamente
per il polso, nel tentativo di impedirgli di alzarsi e scappare, ma
Alec gli sferrò un rabbioso pugno allo stomaco che fece
mollare la presa all'aggressore e lo fece imprecare sonoramente.
Il moro si alzò in piedi e, ansando come uno stantuffo,
fronteggiò Raj, che l'aveva seguito a ruota.
"Dannazione! Tu sei mio!" ringhiò Raj, alzando
minacciosamente il coltello. "Non ti lascerò andare!
Specialmente con lui!"
La sua voce trasudava odio e il moro lo vide tremare dalla rabbia.
Da dietro la porta della sua camera, Magnus stava assistendo allo
scontro tra Alec e il suo stalker. Strinse nella mano sana la sua
fedele pistola, trattenendosi dal sparare perché Alec era
proprio davanti a Raj, oscurandone la vista. Normalmente non sarebbe
stato un problema, avrebbe preso la mira e avrebbe sparato anche in
quelle condizioni, ma con una spalla fuori non voleva assolutamente
rischiare di colpire il moro, neanche di striscio.
C'era un rivoletto di sangue sul collo candido di Alec e Magnus
giurò a se stesso che quel vigliacco di Raj l'avrebbe pagata
cara per questo.
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo e si impose di calmarsi,
anche se tutto quello che voleva fare, invece, era uccidere Raj,
strappandogli il cuore dal petto con le proprie mani. Razionalmente,
però, sapeva che doveva mantenersi freddo e lucido, se
voleva salvare Alec ed evitare che venisse ferito.
Accanto a lui, anche Presidente Miao osservava la scena con le orecchie
dritte e gli occhi puntati sull'aggressore. La coda sferzava l'aria con
violenza e dalla gola gli usciva un borbottio sommesso e decisamente
arrabbiato.
"Shhh.." sussurrò Magnus, per calmarlo.
Non poteva permettere che Raj si agitasse ancora di più,
facendogli commettere qualche gesto inconsulto, come lanciarsi contro
Alec con quel coltellaccio che teneva tra le mani.
Il gatto continuò a ringhiare, appiattì le
orecchie e iniziò ad avanzare verso il soggiorno, con passo
felpato.
"Presidente! No!" bisbigliò Magnus, nascondendosi subito
dopo dietro la porta, quando Raj voltò brevemente la testa
in direzione del rumore. L'aveva visto? Aveva intuito che lui era
lì, in attesa del momento giusto per attaccarlo?
Raj rise, sprezzante, quando si accorse del felino. "E questa pulce da
dove arriva?" domandò, tirando un calcio al gatto, nel
tentativo di colpirlo e allontanarlo.
"Non toccarlo!" gridò Alec, avventandosi contro l'aggressore.
Raj rise di nuovo e puntò velocemente il coltello contro il
petto di Alec. "Non un altro passo." sibilò, con sguardo
cattivo, prima di acchiapparlo di nuovo per il polso e stringerlo di
nuovo a sé. "In camera da letto. Ora." ordinò,
con un imperioso cenno del capo.
"Perché?" chiese Alec, allarmato.
Magnus era lì dentro e il moro non voleva che gli accadesse
nulla di male. Avrebbe tanto voluto che gli desse un segnale, che gli
facesse intuire cosa aveva in mente di fare, ma sapeva che non era
possibile.
Raj condusse Alec verso la porta della camera e si fermò per
un lungo momento, prima di spalancare l'uscio con un calcio violento,
mandando a sbattere con forza la porta contro la parete. Quando fu
certo che nessuno si nascondesse lì dietro, spinse Alec
all'interno della stanza, verso il letto ancora sfatto.
"Avete dormito insieme!" gridò Raj, notando le lenzuola
sgualcite. "Sei un fottuto traditore! Ti avevo detto che tu sei mio!"
urlò, facendo cadere Alec sul letto, con uno spintone
violento, e avventandosi sopra di lui.
Il moro scalciò e si dimenò, prima che, con la
coda dell'occhio, vedesse un lieve movimento alla sua sinistra: era
Magnus, dietro la porta del bagno, con il braccio alzato e la pistola
puntata contro Raj.
L'aggressore seguì la direzione dello sguardo di Alec, poi,
girando su se stesso, lo usò come scudo.
"Metti giù la pistola." intimò a Magnus, con voce
carica di rabbia e disprezzo, puntando nuovamente il coltello contro il
collo del moro. "Mettila giù o giuro su Dio che gli taglio
la gola!"
Magnus obbedì con riluttanza e posò l'arma sulla
cassettiera al suo fianco, alzando la mano sana in segno di resa. "Per
favore, lascialo andare." mormorò, con voce pacata, nella
speranza di calmare l'aggressore. "Tu lo ami, no? So che non vuoi
fargli del male."
Raj non rispose, ma strinse maggiormente a sé Alec e
premette, con ancora più decisione, la lama del coltello
alla gola del moro quando Magnus iniziò ad avvicinarsi.
"Sono io quello che vuoi. Sono io quello a cui vuoi fare del male."
continuò Magnus, avanzando in modo infinitamente lento.
Alec spalancò gli occhi. "No!" sussurrò,
scuotendo la testa, comprendendo che la sua guardia del corpo era
fermamente decisa a prendere il suo posto. All'improvviso, gli
tornò in mente il terribile incubo della notte precedente e
si sentì morire al pensiero di poter perdere Magnus.
Sentì Raj irrigidirsi dietro di lui, tuttavia la stretta
attorno al suo torace si allentò, anche se di poco.
Intuì che stava per attaccare Magnus e immaginò
quest'ultimo ferito a morte, nel tentativo di salvarlo. Non poteva
assolutamente permettere un'atrocità del genere.
Gettò la testa all'indietro e sferrò una feroce
testata sul naso del suo aggressore, che gridò per il dolore
e cadde all'indietro, liberando Alec dalla sua morsa.
Un sorriso orgoglioso spuntò sul viso di Magnus, che si
avventò sulla pistola che aveva lasciato sulla cassettiera.
Prima di riuscire a prendere la mira, però, Raj
spostò con una spinta rabbiosa il moro davanti a lui e
saltò addosso all'ex Marine, facendo ruzzolare entrambi a
terra.
Il coltello che l'aggressore aveva in mano riuscì a colpire
il polso di Magnus, che per l'impatto e la sorpresa lasciò
andare la pistola.
Iniziò una lotta concitata, in cui Raj riuscì a
infliggere diverse ferite al suo nemico, prima che Presidente Miao si
avventasse improvvisamente sul viso dell'aggressore, artigliandogli la
pelle e graffiandogli rabbiosamente gli occhi.
Raj ruggì per il dolore. Imprecò veemente e si
staccò con forza il gatto dalla faccia, lanciandolo nel
vuoto. Presidente Miao atterrò sulle zampe e
soffiò forte, rizzando il pelo e gonfiando la coda.
Magnus approfittò di quel piccolo tafferuglio per mettere a
segno un paio di pugni duri e potenti con la mano sana, che stesero
l'avversario.
Il coltello cadde dalla mano di Raj, che piombò a terra,
privo di sensi.
Respirando a fatica, Magnus alzò la testa e cercò
Alec con lo sguardo, trovandolo davanti a lui con le braccia alzate e
la pistola puntata verso i due lottatori: gli occhi blu erano colmi di
panico e tremava visibilmente, ma l'uomo era dannatamente certo che non
avrebbe esitato a sparare, se solo non avesse avuto paura di colpire la
persona sbagliata.
Presidente Miao era ai piedi del moro, con la coda che si muoveva
concitata avanti e indietro. Gli occhi giallo-verdi erano puntati
fissamente su Raj, astiosi, quasi lo stesse sfidando a osare rinsavire.
Magnus era sicuro che non avrebbe avuto alcun timore a partire
nuovamente all'attacco e, questa volta, a cavargli davvero gli occhi,
senza alcuna pietà.
"E' finita." sussurrò Magnus, con un sorriso, strisciando
verso il ragazzo che si era accasciato a terra. Si sedette accanto a
lui e gli tolse l'arma dalle mani, posandola sul pavimento.
"S-sei ferito." balbettò Alec, inebetito, allungandosi per
prendere il primo pezzo di stoffa disponibile, la maglietta che Magnus
gli aveva sfilato quella mattina, e che utilizzò per fermare
il sangue che scorreva copioso sul braccio e sul petto della sua
guardia del corpo.
Tirò su con il naso, mentre tamponava le varie ferite che
Raj aveva inferto all'ex Marine. Quel maledetto aveva tentato di
portargli via Magnus, prima che lui potesse dirgli quello che provava!
Magnus sorrise, vedendo la delicatezza e la dolcezza con cui l'altro lo
stava medicando. "E' solo un graffio, tesoro." mormorò in
tono rassicurante, picchiettandogli una mano.
"Sì, certo. Lo dici ogni volta." brontolò Alec,
concentrato ad avvolgere delicatamente il polso sanguinante con la
maglietta, nel tentativo di fermare il sangue.
Magnus ridacchiò piano, stringendo i denti per il dolore e
fingendo indifferenza, mentre Presidente Miao gli si acciambellava in
grembo e lo guardava preoccupato. "Tranquillo, amore di
papà. Sto bene. Davvero." sorrise, premendogli, in modo
scherzoso, il naso umido.
Con la coda dell'occhio percepì un movimento: Raj stava
tentando di rialzarsi. Magnus si chinò rapidamente e
afferrò la pistola al suo fianco, sparando un singolo colpo
e colpendo l'aggressore alla spalla, che ricadde sul pavimento, con un
tonfo, gemendo per il dolore.
Un attimo dopo, come un segnale convenuto, Jace fece irruzione nella
camera da letto, con la pistola spianata, berciando a pieni polmoni
"Mani in alto! Che nessuno si muova!".
Era un bel giorno per un matrimonio.
I passeri cinguettavano felici tra i rami degli alberi intorno alla
chiesa e il sole del tardo pomeriggio riscaldava l'aria con i suoi
raggi. L'aria era calda, ma non afosa. Era una serata perfetta.
La chiesa era piena di invitati e odorava di fiori e candele. Un vivace
brusio echeggiava tra le sacre mura, in attesa dell'inizio della
cerimonia.
Alec alzò gli occhi al cielo e trattenne a stento un sorriso
quando l'affascinante promesso sposo al suo fianco, tutto sorrisi
giganteschi e sospiri nervosi nel suo elegante smoking di Armani,
spostò il proprio peso da un piede all'altro, aggiustandosi
il nodo della cravatta per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti.
Dopo essere passato a torturare entrambi i gemelli ai polsi, Jace si
voltò verso Alec con un sorriso raggiante e lui gli sorrise
di riflesso.
Sua madre, seduta sulla panca in prima fila, era già
scoppiata a piangere due volte e ora si stava asciugando le lacrime con
un fazzolettino di pizzo, ben attenta a non rovinare il trucco
impeccabile. Suo padre, invece, camminava avanti e indietro per la
chiesa, elargendo enormi sorrisi, pacche decise e strette di mano a
destra e a manca, neanche fosse a uno dei suoi tanti comizi politici.
Alec alzò nuovamente gli occhi al cielo, scuotendo
affettuosamente la testa con un sospiro rassegnato.
Incrociò gli occhi magnetici di Magnus, seduto in seconda
fila accanto ai suoi genitori, e un sorriso storto spuntò
sulle sue labbra. Era passato più di un mese
dall'aggressione e la sua oramai ex guardia del corpo era guarita del
tutto e splendeva nel suo abito da cerimonia di Zegna.
Gli avvenimenti di quel fatidico giorno tornarono ad affollare la testa
di Alec, come accadeva sempre quando permetteva alla sua mente di
ricordare quanto successo.
Dopo lo sparo, tutto si era fatto concitato e Alec aveva perso la
cognizione del tempo. L'appartamento di Magnus era stato invaso da un
numero imprecisato di poliziotti, i quali entravano e uscivano dalla
camera da letto in un continuo andirivieni, facendo fotografie e
parlottando tra loro. Due agenti armati, poi, erano stati piazzati a
guardia della porta d'ingresso, per assicurarsi che entrasse solo il
personale autorizzato.
Alec aveva osservato il tutto mentre era seduto sul divano di Magnus,
come se quella che aveva davanti fosse la scena di un film e non la
realtà, prima che Jace gli si inginocchiasse di fronte e gli
tamponasse delicatamente la piccola ferita alla gola con un fazzoletto.
"Lui sta
bene." aveva mormorato il biondo poliziotto, stringendogli
affettuosamente un ginocchio. "Ha solo qualche graffio qua e
là. L'hanno già medicato e ricucito." l'aveva
rassicurato, con un sorriso. "Ha la pellaccia dura!"
Alec aveva fissato il fratello, annuendo come un automa e rivolgendogli
un sorriso forzato. "Raj?" aveva chiesto poi, rabbuiandosi.
"L'ambulanza l'ha portato via un quarto d'ora fa. Ne avrà
per un bel po' in ospedale e poi sarà pronto a passare un
tempo decisamente più lungo in galera!" aveva affermato
Jace, con tono deciso. "E' tutto finito."
Alec aveva scosso la testa. "C'è ancora Lydia..."
Jace gli aveva stretto nuovamente il ginocchio, con fare rassicurante.
"Con Raj in custodia, sono certo che troveremo presto anche lei."
Non era stato così. Durante i vari interrogatori, Raj aveva
sempre dichiarato di non avere la più pallida idea di chi
fosse Lydia e, sebbene fosse stato torchiato a lungo e in modo
estenuante dalla polizia, l'uomo non aveva mai cambiato la sua
versione. La bionda, quindi, era ancora là fuori, sebbene
non si fosse più fatta viva e sembrasse scomparsa nel nulla.
Era come se, con l'arresto di Raj, in un certo senso fosse stata messa
fuori gioco anche lei.
Alec, tuttavia, non se ne preoccupava. Con Magnus al suo fianco, non
aveva più paura di niente e di nessuno.
Il grande organo a canne iniziò a suonare le prima note
della marcia nuziale e il moro seguì, con lo sguardo, il
tappeto rosso lungo tutta la navata fino al portone d'ingresso, dove
sua sorella Isabelle, in veste di damigella d'onore, fece la sua
apparizione con un bouquet di rose bianche, seguita dalla sposa al
braccio del padre adottivo che calamitò l'attenzione di
tutta la
chiesa
.
Clary era semplicemente radiosa, mentre si dirigeva verso l'altare, e
Alec sorrise, intenerito, quando sentì suo fratello
trattenere bruscamente il fiato quando la vide avvicinarsi.
Quando il prete cominciò il rituale, Alec iniziò
a pensare che non gli sarebbe affatto dispiaciuto ritrovarsi al posto
di suo fratello. Forse un giorno. Chissà.
Come due calamite che lo stavano richiamando a sé,
incrociò di nuovo gli splendidi occhi verdi-dorati di
Magnus, che lo stavano guardando in un modo che gli tolse il fiato.
Se qualcuno, all'inizio di quella storia, gli avesse detto che il suo
cuore avrebbe iniziato a battere all'impazzata per quell'idiota
prepotente e con zero senso del pudore, lui gli avrebbe riso in faccia
così sguaiatamente da farsi venire di certo un colpo
apoplettico.
Una cosa impossibile. Impensabile. Assurda.
Eppure era successo. E, quel che era "peggio", aveva scoperto di essere
così stupidamente innamorato di quell'idiota da faticare
quasi a riconoscersi. Rideva come uno sciocco alle sue battute (che
definire stupide era un eufemismo), arrossiva come un pomodoro a ogni
complimento dell'uomo (e la situazione peggiorava quando l'idiota non
si faceva alcun problema a elogiarlo pubblicamente, mettendolo in
mostruoso imbarazzo) e si ritrovava a sospirare come una scolaretta
alla prima cotta ogni qual volta pensava a lui.
Con Magnus aveva iniziato ad assaporare una libertà che non
aveva mai sperimentato in vita sua e non si sentiva più il
brutto anatroccolo che era sempre stato. Si sentiva bello, brillante,
sexy. Bastava che Magnus lo sfiorasse, anche solo casualmente, e lui
andava a fuoco. Lo guardava e il sangue gli si incendiava nelle vene.
Lo baciava e lui si scioglieva tutto. Non avrebbe scambiato quel
sentimento per nulla al mondo. Tanto meno avrebbe barattato il modo in
cui lo guardava Magnus ogni volta che i loro sguardi si incontravano. I
suoi occhi lo avvolgevano di calore dalla testa ai piedi, lo
divoravano, lo facevano sentire bello e desiderato. Lo adoravano. E
Alec, per la prima volta in vita sua, si sentiva davvero amato da
qualcuno che non fosse la sua famiglia.
Dopo il colpo infertogli da Andrew, e prima di conoscere Magnus, Alec
era giunto alla conclusione di non essere il tipo di persona per cui un
uomo potesse perdere la testa e si era arreso a passare la sua
esistenza da solo. Si era convinto che non avrebbe mai trovato la sua
anima gemella e che non avrebbe mai avuto una famiglia sua e dei figli,
come invece segretamente sognava da ragazzino. Poi l'ex Marine era
piombato nella sua vita tranquilla, solitaria, organizzata e meticolosa
e tutto era cambiato. Ora, tutto gli sembrava possibile.
Qualcuno gli toccò un braccio, riportandolo alla
realtà. Jace lo stava guardando con un sopracciglio alzato,
un sorriso canzonatorio sul volto e con il palmo teso, in attesa. Alec
ricambiò lo sguardo con occhi smarriti.
"Quando hai finito di mangiarti Magnus con gli occhi, mi passi gli
anelli, per cortesia?" lo canzonò il biondo poliziotto.
Alec sbarrò gli occhi e arrossì furiosamente,
prima di mettersi la mano in tasca e passare al fratello le fedi
nuziali. Sentì l'intera chiesa ridacchiare sommessamente e
fulminò Jace con lo sguardo. Il biondo non si scompose
minimamente e gli fece l'occhiolino, prima di tornare a rivolgere la
sua attenzione all'adorata sposa.
Alec alzò gli occhi al cielo, chiedendosi, non per la prima
volta in vita sua, cosa aveva fatto di male per meritarsi un impiastro
simile come fratello.
Qualcuno si schiarì la gola e Alec lo riconobbe all'istante.
Riportò gli occhi in quelli di Magnus, che si
leccò con sfacciata lentezza le labbra, prima di
indirizzargli un bacio volante e rivolgergli un sorriso raggiante.
Alec alzò nuovamente gli occhi al cielo, chiedendosi
distrattamente se anche lui aveva lo stesso sorriso idiota sulle
labbra. Scoprì che era così.
Dopo la cerimonia, gli invitati raggiunsero il luogo del ricevimento.
La sala era inondata di champagne e rose bianche e i camerieri giravano
per il salone offrendo calici di vino e stuzzichini vari prima della
cena, che si sarebbe tenuta di lì a poco.
Gli ospiti brindarono rumorosamente agli sposi, quando fecero il loro
trionfale ingresso in sala, mentre alzavano le braccia ed elargivano
sorrisi felici ed euforici a chiunque incrociasse il loro sguardo.
Qualche metro più in là, Robert Lightwood
applaudì fragorosamente, prima di tornare a tenere banco con
un gruppetto di invitati, a cui stava raccontando, per la milionesima
volta in vita sua, la storia della loro antenata, Barbara Pangborn, di
cui si credeva fermamente che il fantasma infestasse la grande e
sfarzosa villa dei Lightwood. Alec lo vide agitare le braccia e
raccontare animatamente la leggenda, in cui si narrava che la donna,
prima ancora di arrivare alla porta di ingresso, fosse stata investita
sul viale che portava alla villa proprio il giorno in cui avrebbe
dovuto prendere servizio come governante. Dopo tutti quegli anni, si
credeva che il fantasma stesse ancora cercando di arrivare alla porta
dei Lightwood, senza tuttavia riuscirci.
Si guardò attorno, fino a quando riconobbe la risata
argentina di Magnus, che spiccava anche in mezzo al chiacchiericcio del
ricevimento. I suoi occhi lo individuarono subito e lo seguirono mentre
avanzava verso di lui con due flûte colmi di liquido dorato e
un sorriso stampato sul volto.
Per un attimo lo champagne, la musica e gli ospiti scomparvero dagli
occhi di Alec. Magnus creava una musica tutta sua, originale e
perfetta, con la sua sola presenza.
"Cosa fai qui tutto solo soletto, in un angolo, pasticcino?" chiese
l'ex Marine, porgendogli il bicchiere.
"Ti guardo." ritorse Alec, con un sorriso storto, accettando il calice
di champagne.
Magnus rise, sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia. "Non
dovresti socializzare un po'? Sei il fratello dello sposo!"
Alec roteò gli occhi. "L'ho fatto!"
Magnus scosse affettuosamente la testa. "Chiedere ai camerieri di
assicurarsi di rifornire costantemente il rinfresco, non è
socializzare."
Alec gli fece la linguaccia.
Magnus rise. "Guarda tuo padre! Lui sì che non ha alcun
problema a parlare con la gente." scherzò, bevendo un sorso
di vino.
Alec seguì lo sguardo dell'uomo, facendo ondeggiare il
liquido nel suo bicchiere. "La vuoi sapere una cosa buffa?"
"Certo, mia deliziosa tartina prelibata." mormorò Magnus,
cingendogli la vita con un braccio e baciandogli una guancia.
Il moro alzò gli occhi al cielo e sospirò. Per
quanto ci avesse provato a dissuaderlo (arrivando perfino a negargli il
sesso in più di un'occasione), Magnus provava un piacere
perverso a chiamarlo con i nomignoli più idioti e senza
senso che gli venissero in mente e Alec si era oramai rassegnato a
sopportarli tutti. O almeno ci provava.
"Il fantasma di Barbara, dopo tutti questi anni, sta ancora cercando di
arrivare alla villa, come se non desiderasse altro che entrare in
quella casa." mormorò Alec, con lo sguardo fisso su suo
padre. "Io, invece, non vedevo l'ora di scappare da lì."
Magnus sorrise teneramente, stringendoselo forte contro. "Beh, ce l'hai
fatta, tesoro." affermò con ammirazione, alzando il
bicchiere in suo onore. "Sei andato a vivere per conto tuo e ti sei
creato una tua vita lontano dallo sfarzo e dal lusso della tua
famiglia. E l'hai fatto con le tue sole forze. Senza l'aiuto di
nessuno."
Alec bevve un sorso dello champagne, nascondendo un piccolo sorriso
dietro il bicchiere. "Ti stai divertendo?"
"Non sviare il discorso, signorino." scherzò Magnus,
premendogli il naso con la punta dell'indice. "Sei meraviglioso e
sarebbe ora che tu lo capissi." sentenziò, con decisione,
baciandogli dolcemente le labbra.
Alec sentì le guance scottare e Magnus rise, tornando a
sorseggiare altro vino.
"Comunque, per rispondere alla tua domanda, mio adorato bon bon alla
crema: sì, mi sto divertendo. Tu?" chiese l'uomo, inarcando
un sopracciglio.
Alec sospirò, spostando il proprio peso da un piede
all'altro. "Se proprio lo vuoi sapere, queste scarpe mi stanno
uccidendo."
Il sorriso di Magnus si allargò. "Perché te ne
stai nascosto qui, in piedi, da solo, invece che venire a ballare con
me."
Alec sorseggiò il suo calice, scuotendo la testa.
"In compenso, sei bellissimo." affermò Magnus, squadrandolo
dall'alto in basso con sguardo famelico e facendolo arrossire tutto. "E
quando torniamo a casa, mi offro volontario per un massaggio ai piedi."
Alec tossicchiò, imbarazzato. "Stai molto bene anche tu."
esalò, bevendo tutto d'un fiato il suo vino.
Magnus sorrise, malizioso. "Sarà merito di quello che
indosso sotto i pantaloni." sussurrò all'orecchio del moro,
sibillino.
Alec corrugò la fronte, prima di far scivolare lentamente la
mano attorno alla vita dell'uomo per scostare lievemente il tessuto dei
pantaloni per vedere. Era certo che gli avesse fregato un altro paio
dei suoi boxer.
Sbarrò gli occhi e arrossì quando si accorse che
era in errore. "P-per l'angelo! Sei senza mutande!"
Magnus gongolò, sorseggiando il suo champagne. "Ho dei
progetti per dopo la festa..." confidò, facendogli
l'occhiolino. "Anche se ti confesso che non sarebbe affatto male fare
qualcosa anche durante
la festa." ammiccò sfacciatamente.
Alec si guardò attorno, con fare circospetto e con il viso
in fiamme. "Non faremo sesso al matrimonio di mio fratello!"
bisbigliò furiosamente.
Magnus ridacchiò, allegro. "Sei proprio un guastafeste,
polpettina." sospirò, prendendogli il bicchiere vuoto dalla
mano per posarlo, insieme al proprio, sul vassoio di un cameriere che
passava di lì. "Almeno mi concedi un ballo? Qui stanno
ballando tutti tranne noi due." chiese poi, con un dolce sorriso,
porgendogli la mano.
Alec corrugò la fronte, restio. "Ma se la maggior parte
degli ospiti si sta ingozzando di cibo."
Magnus sporse il labbro inferiore, in un broncio infantile. "Per
favore?"
Alec esalò un finto sospiro esasperato, prima di stringere
la mano del suo cavaliere. "Un ballo. Uno solo."
Magnus rise, felice. "Ok, puffo brontolone. Uno solo." promise,
conducendolo in mezzo alla pista e prendendolo tra le braccia.
Alec posò la mano sinistra sulla spalla e si
lasciò condurre docilmente sulle note del lento che stava
suonando la band in quel momento, muovendosi rigido e sentendosi come
un ciocco di legno.
"Vuoi che provo a dirti qualcosa per distrarti e non farti pensare che
stai ballando in mezzo a questa moltitudine di gente con l'uomo
più sexy e aitante di tutta la cerimonia?"
Alec gli rivolse un sorriso sghembo. "Tipo?"
"Uhm... vediamo... Che sei bellissimo te l'ho già detto."
affermò Magnus, baciandogli velocemente la punta del naso.
"L'idea di fare sesso peccaminoso me l'hai bocciata senza se e senza
ma..." continuò, imbronciandosi leggermente.
Alec roteò gli occhi, ridacchiando piano e facendo scivolare
la sua mano più in alto, fino a cingere il collo dell'uomo.
Magnus lo strinse un po' di più a sé, sporgendosi
poi verso il suo orecchio. "Ok, niente sesso, ma che ne dici se..."
"Alec? Ciao, Alec!"
Magnus corrugò la fronte e si raddrizzò per
guardare l'uomo che li aveva interrotti, mentre percepiva distintamente
il corpo del moro irrigidirsi tra le sue braccia e diventare un blocco
di ghiaccio.
Entrambi si voltarono verso la coppia che si era fermata di fianco a
loro: l'uomo era alto più o meno quanto Alec, aveva i
capelli biondi e gli occhi blu e sfoggiava un sorriso a trentadue denti
che era troppo perfetto per essere sincero. La donna accanto a lui era
molto carina: i capelli scuri erano perfettamente acconciati e
indossava un raffinato abito da sera, così semplice ed
elegante che era sicuramente un capo d'alta moda. Il suo sguardo,
però, era freddo, calcolatore.
"Ciao, Andrew." esordì Alec, con un cenno secco del capo,
rivolgendogli un sorriso affettato.
Le sopracciglia di Magnus svettarono verso l'alto, per la sorpresa. E così,
pensò l'ex Marine, analizzando l'uomo davanti a
sé, quello
era l'ex di Alec. Il bastardo che gli aveva spezzato il
cuore.
"E' bello vederti. Ti trovo bene." disse Andrew, con tono fin troppo
entusiasta. "Non trovi anche tu, Lindsay?"
Anziché rispondere, sua moglie continuò a fissare
sfacciatamente Magnus, squadrandolo dall'alto in basso e rivolgendogli
uno sguardo rapace. "E lei è...?"
Magnus alzò un sopracciglio, poi sorrise, sardonico. "Ohhh,
io sono estremamente grato a entrambi!" esclamò euforico,
agguantando il fianco di Alec e stringendoselo addosso con entusiasmo.
"Scusi?" chiese Andrew, aggrottando la fronte.
"Beh, sì, in effetti sarebbe anche ora che porgessi le tue
scuse ad Alexander." affermò Magnus, guardando dolcemente il
moro e baciandogli una guancia con riverenza. "Anche perché
sono certo che, oramai, ti sarai perfettamente reso conto dell'enorme
errore che hai commesso."
"Errore? Quale errore?" chiese il biondo, sempre più confuso.
"Andrew, Lindsay... vi presento Magnus Bane." si intromise Alec, con le
guance imporporate e con tutta l'intenzione di interrompere quel
pericoloso scambio di battute, lanciando poi occhiate furtive e
imbarazzate attorno a loro, nella speranza che nessuno li stesse
ascoltando.
"Non vedevo l'ora di conoscerti, Andy!"
riprese Magnus, con un sorriso mellifluo, usando volutamente quel
nomignolo che, ne era sicuro, avrebbe irritato il suo interlocutore.
Di fronte a quel palese insulto, Andrew strabuzzò gli occhi.
"Come, scusi?"
Magnus ridacchiò, sventolando la mano con noncuranza.
"Suvvia, Andy, non c'è bisogno che ti scusi ancora."
sogghignò. "Sei perdonato."
"Io non..."
"Magnus..." bisbigliò Alec, stringendo il braccio dell'uomo
attorno alla sua vita.
Magnus lo zittì posandogli dolcemente l'indice sulle labbra,
baciandogli poi con tenerezza una guancia, prima di continuare. "Del
resto, Andy bello, se non fossi stato così dannatamente
stupido, a quest'ora io non sarei in compagnia di questo meraviglioso
ragazzo." affermò, guardando il moro con sguardo adorante.
"Perciò ti ringrazio davvero tanto di essere un'emerita
testa di cazzo." continuò, diventando improvvisamente serio
e guardando il biondo con brutale ferocia.
L'impulso di prendere a cazzotti quel verme era così forte
che Magnus dovette ripetersi più volte che, in fin dei
conti, non ci sarebbe stato nessun gusto a farlo. Primo,
perché non voleva mettere in imbarazzo né Alec
né la sua famiglia, e secondo perché era certo
che sarebbe caduto a terra, come una pera cotta, al primo pugno.
Scosse la testa e prese un bel respiro, prima di rivolgere alla coppia
un sorriso assolutamente finto. "Vi auguro una buona serata e a mai
più rivederci." li liquidò, voltandosi poi verso
Alec con un tenero sorriso. "Vogliamo andare, tesoro?"
mormorò, baciandogli il dorso della mano, prima di voltare
sui tacchi e marciare il più lontano possibile dai quei due,
trascinandosi dietro il moro.
"Per l'angelo! Non posso credere che tu l'abbia fatto davvero!"
esclamò Alec, divertito ed esaltato allo stesso tempo,
quando l'uomo lo condusse fuori, in giardino, sotto un grazioso gazebo,
in quel momento deserto, che era adornato da una moltitudine di lucine
colorate.
"Ohhh, io invece non riesco a credere che tu ne sia sorpreso, mio dolce
cupcake alla Nutella." rise Magnus, abbracciandolo.
Alec gli rivolse un enorme sorriso, prima di baciargli con frenesia le
labbra. "Grazie." mormorò, grato.
Magnus se lo strinse contro e lo abbracciò più
forte, come se avesse paura che lui potesse scappare. Ma Alec non
voleva andare da nessuna parte. Per la prima volta, in vita sua, aveva
finalmente trovato l'unico posto al mondo dove voleva stare.
"E' stato un vero piacere, Alexander." sussurrò Magnus,
guardandolo dolcemente.
Alec sorrise. Gli piaceva moltissimo sentirlo pronunciare il suo nome
per intero, soprattutto quando la sua voce era arrochita dalla
passione. Gli sembravano passati secoli da quando, invece, detestava
quando lo faceva.
Seppellì il viso contro il collo di Magnus e, a occhi
chiusi, si lasciò cullare dal battito calmo del suo cuore.
"Dimmi che stai rivalutato l'idea di fare sesso peccaminoso al
matrimonio di tuo fratello." sussurrò Magnus, baciandogli
una tempia e accarezzandogli lentamente la schiena.
Alec gettò la testa all'indietro e scoppiò a
ridere di gusto.
Dietro l'ampia vetrata, che dava sul giardino, qualcuno spiava i due
innamorati con aria compiaciuta. Finalmente le cose erano andate al
loro posto, come avrebbero dovuto essere fin dall'inizio.
Quando aveva proposto l'idea di far incontrare i due giovani (dopo che
Dewi aveva elogiato il figlio Magnus e l'aveva dipinto come il miglior
partito che qualcuno potesse mai desiderare per il proprio figlio o per
la propria figlia), non avrebbe mai immaginato che ne sarebbe scaturita
tutta quella serie di eventi tragicomici né che Alec sarebbe
stato davvero in pericolo a causa di uno psicopatico ossessionato da
lui.
L'iniziale idea della finta stalker era partita da Dewi Bane e Robert,
elettrizzato, aveva rincarato la dose aggiungendo anche il finto
mitomane. Lei e Asmodeus Bane avevano tentato di opporsi, ma avevano
dovuto desistere di fronte all'entusiasmo di quei due pazzoidi.
La situazione, ad un certo punto, era addirittura sfuggita di mano
quando i soldati inviati da Asmodeus, su suggerimento (pessimo) di
Robert che aveva ideato il piano per tentare di far avvicinare ancora
di più i due ragazzi, erano improvvisamente impazziti,
arrivando perfino a ferire l'ex Marine. Si mormorava che i coniugi Bane
avevano fatto tremare i muri dell'intera base militare, dopo aver
trovato il figlio esanime.
Fortunatamente, l'altra soldatessa, Lydia, aveva svolto il suo compito
alla perfezione. Era stata una presenza silenziosa, ma costante e, nel
frattempo, aveva anche tenuto d'occhio i due giovani quando era entrato
in scena Raj. Purtroppo non era riuscita a neutralizzare l'attacco
finale di quel pazzo, ma non gliene si poteva fare una colpa sua, visto
che era stata convocata per una missione urgente.
Riportò l'attenzione sui due innamorati e osservò
Alec ridere per qualcosa che Magnus Bane gli aveva appena sussurrato
all'orecchio.
Maryse Lightwood sorrise dolcemente di riflesso, mentre sorseggiava il
suo calice di champagne. Il suo bambino era finalmente felice.
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Capitolo 26 *** Extra 1 ***
"Penso che dovremmo
sposarci."
Magnus appoggiò con forza, sul fornello, la grossa pentola
piena d'acqua bollente, per evitare di farsela cadere su un piede e
ustionarsi tutto, e si voltò verso Alec a una tale
velocità che per poco non si spezzò l'osso del
collo, mentre Presidente Miao alzò per un attimo il muso,
guardandolo con uno sguardo canzonatorio e ridacchiando sotto i baffi,
prima di tornare a mangiare con gusto la sua scatoletta di tonno.
Magnus stava preparando il Nasi
Padang secondo la ricetta di sua madre, nella speranza di
fare colpo sul suo ragazzo con le sue doti culinarie. Ma a quanto pareva
ci era già riuscito alla grande. Fin troppo, forse.
Lui e Alec vivevano insieme da quasi un anno e, fino a quel momento,
era andato tutto a meraviglia. Quando non lavoravano, passavano ogni
momento libero insieme e, quando non erano fisicamente vicini,
spendevano ore e ore al telefono a parlare di tutto e di niente.
Non avevano mai toccato l'argomento proibito, forse
complice anche il fatto che sua madre stava velatamente diventando ogni
giorno più insistente e fastidiosa, portando Magnus a
maturare, di contro, un'allergia sempre più grande nei
confronti del sacro rito nuziale. Gli veniva l'orticaria anche solo a
sentire nominare la parola matrimonio!
Ecco perché quella proposta l'aveva completamente spiazzato.
Fissò, con sguardo stralunato, il suo ragazzo, ma questo se
ne stava tranquillamente accoccolato sul divano a ingozzarsi di
patatine e guardava con interesse un quiz televisivo, come se non
avesse neanche parlato.
Magnus gli lanciò un'occhiata dubbiosa, chiedendosi se per
caso non si fosse immaginato tutto. Ormai era prossimo ai quaranta.
Stava invecchiando. Poteva benissimo essere, quindi, che la
senilità avesse fatto un mostruoso balzo in avanti e avesse
intaccato le sue sinapsi. O forse iniziava a sentire le voci nella sua
testa. Chissà.
Scrollò le spalle e si diede mentalmente dell'idiota,
tornando a prestare attenzione alla cena che stava preparando. Prese in
mano il bicchiere di vino che aveva appoggiato accanto ai fornelli e ne
bevve, con gusto, un lungo sorso. Sì, doveva sicuramente
essersi sbagl..
"Penso che dovremmo sposarci."
Magnus sputò il vino e iniziò a tossire
convulsamente. Il suo corpo si piegò in due, scosso da
tremiti violenti, mentre grosse lacrime gli bagnavano le guance.
"Tutto ok?" chiese Alec, precipitandosi verso di lui, con sguardo
sbalordito, e iniziando a massaggiargli premurosamente la schiena.
Magnus si raddrizzò e si asciugò la bocca con il
dorso del mano. "Uhm... Sì, grazie." biascicò,
con tutta la dignità che riuscì a racimolare.
Alec sorrise, asciugandogli le guance con le proprie dita.
Magnus si appoggiò contro il piano cottura. "Ehm..."
iniziò, tamburellando nervosamente le dita contro il mobilio.
"Sììì?"
"Ehm..." mormorò nuovamente Magnus, in seria
difficoltà.
Per la prima volta, in vita sua, era a corto di parole. Lui, che non
stava mai zitto e parlava anche nel sonno, non riusciva a pronunciare
una frase di senso compiuto. Era preoccupante.
Fissò il suo ragazzo con gli occhi sbarrati e il suo cuore
iniziò a battergli nel petto così forte da
sembrare quasi voler sfondare la cassa toracica. Forse gli stava per
venire un infarto. Dubitava, però, di essere così
fortunato.
Alec sorrise dolcemente e lo abbracciò. "Penso che dovremmo
sposarci." affermò nuovamente, con sguardo calmo, ma deciso.
"D-davvero?" balbettò Magnus, con un groppo in gola che
sembrava ingrandirsi ogni secondo di più, impedendogli di
respirare.
"Ahn-ahn." rispose Alec, baciando l'uomo sulle labbra.
"P-perché?" farfugliò Magnus, iniziando a sudare
freddo.
"Perché ti amo." affermò Alec, con ferrea logica.
"Questo lo sai, no?"
Magnus annuì.
"E tu ami me." continuò Alec, in tono sicuro. "Giusto?"
Magnus annuì freneticamente.
Alec sorrise, soddisfatto della risposta. "Bene. Quindi penso proprio
che dovremmo sposarci." ribadì, in tono convinto. "Ci ho
pensato a lungo e mi sembra la cosa giusta da fare."
"Ehm..." mormorò Magnus, inghiottendo a vuoto.
"Perché aspettare?" chiese Alec, pragmatico, facendo
spallucce. "Siamo innamorati. E normale desiderare di fare il passo
successivo, no?"
Magnus fissò il suo ragazzo per un lungo momento, poi si
diede un pizzicotto particolarmente aggressivo sulla pelle. Stava
sicuramente sognando. Doveva
essere un sogno, diavolo!
Dal dorso della sua mano, però, partì una scarica
di dolore che gli fece realizzare che non stava affatto dormendo e che
quella proposta era dannatamente reale.
Inghiottì nuovamente a vuoto, la mente completamente nel
panico.
Non che quella proposta non gli facesse piacere, sia chiaro (anzi,
qualche volta aveva addirittura accarezzato l'immagine di loro due che
si giuravano amore eterno davanti a un officiante e a un numero
esorbitante di invitati), ma così, all'improvviso, senza
neanche un minimo di avvertimento... Magnus credeva di non essere
affatto preparato a un passo così importante. Non ancora
almeno.
Lo stuzzicava però l'idea che, se avesse sposato Alec,
almeno avrebbe risolto definitivamente l'enorme problema con sua madre.
D'accordo, non era un nobile motivo per sposarsi, ma perlomeno meritava
una certa considerazione.
Alec piegò la testa e sorrise dolcemente, guardandolo come
se sapesse perfettamente cosa gli stava passando per la testa.
"Non voglio una risposta adesso, Mags." affermò il moro,
accarezzandogli una guancia e baciandogli la punta del naso.
"Ah no?" chiese Magnus, sorpreso.
Alec rise allegramente. "No." confermò, baciandogli le
labbra. "Ma sappi che, fino a quando non avrò una risposta,
metterò in atto tutte le mie arti per convincerti."
sussurrò, facendo scorrere un dito lungo il petto dell'uomo.
Magnus inarcò un sopracciglio e sorrise, sentendosi come se
un enorme peso gli fosse appena stato tolto dalle spalle. "Arti, eh?"
mormorò, malizioso, accarezzandogli lentamente la schiena
fino ad arrivare a palpargli il sedere sodo e tornito.
Alec ridacchiò, passandogli le braccia attorno al collo e
baciandolo appassionatamente. "Già." annuì, con
un sorriso. "Ma non ho alcuna intenzione di rivelarti le mie strategie
in anticipo. Preferisco farti una sorpresa." concluse, mentre
trascinava l'uomo sul divano, la cena ormai dimenticata.
Magnus non aveva idea del guaio in cui si era cacciato fino al mattino
seguente, quando, di buon'ora, subì l'assalto di sua madre.
Alec era uscito di casa giusto cinque minuti prima, millantando di
commissioni urgenti da fare e lavoro arretrato da sbrigare.
Quando si ritrovò la donna davanti al naso, Magnus
ripensò a quel "Preferisco
farti una sorpresa" che il suo ragazzo gli aveva
sussurrato la sera precedente, prima di gettarlo sul divano e farlo
suo. Quel figlio di buona donna!
"Malaikatku
[ndr. angelo mio]!" berciò Dewi, abbracciando
stretto-stretto il corpo di suo figlio. "Ho appena saputo la
meravigliosa notizia!" affermò, mentre irrompeva in casa sua
alle otto del mattino.
Magnus sbarrò gli occhi e iniziò a sudare freddo.
"Q-quale notizia?" balbettò, terrorizzato di conoscere la
risposta.
Dewi prese il viso di suo figlio tra le mani e gli baciò
dolcemente le labbra. "Oh, malaikatku,
mi hai resa così felice! Le mie preghiere di madre sono
finalmente state ascoltate." sorrise, facendosi il segno della croce
per ringraziare il Signore di averle finalmente rivolto le sue
attenzioni.
Magnus sentì una stretta allo stomaco. "Chi te l'ha detto?"
indagò, ben conoscendo la risposta.
Dewi sorrise, raggiante. "Il mio futuro genero! Chi
sennò?"
Magnus ridusse gli occhi a due fessure maledicendo pesantemente, in
silenzio, il suo ragazzo. Che era sulla buona strada per diventare ex.
"Quel meraviglioso ragazzo mi ha informato questa mattina che ti ha
fatto la proposta!" sospirò Dewi, congiungendo le mani con
aria sognante.
"Mamma..." sospirò Magnus, stringendosi il setto nasale.
"Sì, sì, so che non gli hai ancora dato una
risposta." lo interruppe Dewi, sventolando una mano con noncuranza. "E'
per questo che la tua adorata ibu
[ndr. mamma] è qui!" affermò, spalancando le
braccia. "Sono venuta per aiutarti a prendere una decisione."
Magnus alzò gli occhi al cielo e si voltò per
dirigersi verso la cucina. Caffè. Aveva un disperato bisogno
di caffè. O avrebbe commesso un matricidio.
"Malaikatku,
sai benissimo qual é la cosa giusta da fare."
berciò Dewi, tallonando suo figlio. "Devi sposarlo. Alec
é stupendo. E' perfetto per te. Non troverai nessun altro
come lui." affermò, con convinzione. "Ohhh,
chissà quanti bei bambini adotterete!" sospirò,
con un sorriso estasiato.
Magnus si appoggiò contro il piano cottura, sorseggiando con
calma il suo caffé e fissando davanti a sé con lo
sguardo perso nel vuoto. Un mese senza sesso. Sì, quella era
di sicuro la giusta punizione da infliggere ad Alec. Quello stronzo non
avrebbe visto il suo pisello e il suo sedere per trenta fottuti giorni!
"Malaikatku,
Alec ti ama e tu ami lui. Si può sapere di cos'altro hai
bisogno per dirgli sì?" chiese Dewi, piazzandosi le mani sui
fianchi e iniziando a battere la punta del piede sul pavimento.
Magnus continuò a fissare il vuoto, meditabondo. Ok, forse
un mese era una punizione troppo crudele per il suo pasticcino alla
crema. Una settimana. Ecco, sì, una settimana senza sesso
era una vendetta perfetta.
"Mi dispiace di essere stata così opprimente con te, in
passato, tesoro. Solo adesso mi rendo conto che é stato un
errore." mormorò Dewi, picchiettando la mano del figlio con
un sospiro esagerato. "Ma devi sapere che pensavo di fare la cosa
giusta per te e credevo che ti comportassi così solo
perché sei un po' testardo."
Magnus si morse il labbro inferiore, accigliandosi appena. Certo,
però, che anche sette giorni erano una penitenza ardua da
scontare. Il suo dolce Fiorellino
avrebbe potuto andare in crisi di astinenza senza i suoi baci e le sue
coccole! Magnus non poteva proprio permettere una cosa del genere. Lo
amava troppo!
"Oh, malaikatku,
sono così felice!" urlò Dewi, abbracciando di
slancio suo figlio, prima di afferrargli le guance e baciargli la punta
del naso. "Ora devo andare!" annunciò, dirigendosi verso la
porta con un sorriso beato. "Ho appuntamento con i proprietari di
alcuni servizi di catering tra meno di un'ora. Uno é un po'
più costoso degli altri, ma che importa? Non si
può risparmiare su un matrimonio!" affermò, in
tono sicuro, facendogli l'occhiolino. "Oggi pomeriggio, invece,
vedrò il fiorista e devo anche ordinare gli inviti."
continuò, picchiettandosi il mento con fare meditabondo.
"Oh, e dobbiamo anche scegliere il sarto per l'abito! Hai
già idea di dove vorresti andare a prenderlo? La signora
Penhallow ha già promesso di farmi uno sconto favoloso se ci
rivolgiamo a lei!" proseguì, sempre più
entusiasta. "Ti chiamo più tardi per aggiornarti, malaikatku!"
berciò, lanciandogli un bacio volante, prima di scomparire
dietro la porta.
Magnus assottigliò lo sguardo. Oh, sì. Il suo
tartufino pregiato avrebbe dovuto impegnarsi seriamente per farsi
perdonare... o niente sesso per ben ventiquattro ore!
"Questa tonalità di verde é orribile. Non mi
piace per niente. Dovremo cercare qualcos'altro, Magnus. Qualcosa con
un po' più di personalità."
Magnus lanciò alla sua migliore amica, Catarina Loss, uno
sguardo infastidito, mentre la ragazza si voltava verso lo specchio per
nascondere un ghigno divertito. L'uomo sapeva che la ragazza lo stava
punendo per averla trascinata in quella pazzia che sua madre aveva
messo in piedi in neanche due ore, ma visto che Cat era stata eletta
come sua damigella d'onore, non aveva potuto fare niente per sfuggire a
quella follia.
Con un sospiro drammaticamente esagerato, Magnus chiese alla commessa
del negozio Penhallow's
Bridal, una bisbetica donna sulla settantina, con un
vistoso paio di baffi sotto le narici e un cespuglio cotonato al posto
dei capelli, di mostrare loro degli altri vestiti da damigella.
"Cosa c'é che non va nel verde? A me piace il verde!"
obiettò Dewi, piazzandosi le mani sui fianchi. "La damigella
d'onore della figlia dei Blackthorn era vestita di verde ed era
bellissima. E poi, io sto benissimo in verde. Lo dicono tutti!"
Cat scosse la testa. "Non è vero, signora Bane. Lei ha la
pelle olivastra e il verde la fa sembrare slavata."
Dewi fissò la ragazza con occhi terrorizzati e si
precipitò verso lo specchio più vicino, per
sincerarsi delle sue parole.
Magnus alzò gli occhi al cielo, sentendo un principio di
emicrania farsi strada nella sua testa. "Cat, puffetta mia adorata, hai
già posto il veto al rosa, al turchese e ora al verde. Ti
prego, non puoi semplicemente dirmi quale colore preferiresti
indossare?" chiese, esasperato.
"Che ne dici di un bel rosso carminio?" rispose Cat, con un sorriso
divertito.
La madre di Magnus si voltò a guardarla scandalizzata e si
fece il segno della croce. "Rosso carminio? Sei matta? Il rosso
é sconveniente per un matrimonio!"
Cat sventolò una mano con noncuranza. "A me piace. Tutti
quei colori pastello che si usano di solito sono terribili."
affermò, scrollando le spalle. "E poi il rosso le starebbe
divinamente addosso, signora Bane." sorrise, con l'aria di una che la
sapeva lunga. "Senza contare che creerebbe un bel contrasto con il tuo
abito, Mags."
Per quanto lo riguardava, Magnus avrebbe solo voluto andarsene a casa a
concedersi un bel bagno caldo, con un bicchiere di vino rosso di fianco
alla vasca e il suo cuore di panna, dall'animo subdolo e infame, seduto
dietro di lui, che gli massaggia le spalle e gli bacia la pelle del
collo.
Invece sua madre l'aveva praticamente costretto a forza ad
accompagnarlo in quel negozio per trovare l'abito nuziale adatto, dopo
averlo coinvolto nella scelta del catering. Poco importava che Magnus
non avesse ancora dato una risposta ad Alec, che sembrava sparito nel
nulla, negandosi addirittura al telefono. L'inarrestabile macchina
organizzativa indonesiana era stata messa in moto e nessuno poteva
più fermarla.
"Forse io e Alec dovremmo semplicemente scappare e non tornare mai
più." mormorò Magnus, pensieroso, fissando il suo
riflesso nello specchio.
Aveva gli occhi spiritati, il suo eyeliner si stava sbavando e il mal
di testa aveva iniziato a tormentarlo da un minuto buono. Era sfinito.
"Scappare? Demi surga
[ndr. per l'amor del cielo]! Non ti sembra di stare esagerando?"
sbottò Dewi, alzando gli occhi al cielo. "Mi spezzeresti il
cuore se lo facessi, malaikatku,
lo sai benissimo." esalò, portandosi una mano al petto, con
fare melodrammatico. "Su, non dire stupidaggini. Troveremo il colore
giusto per la tua damigella d'onore e tutto si sistemerà."
"Certo, ibu."
sospirò Magnus, massaggiandosi la fronte.
"Sapete di cosa avremmo bisogno tutti, in questo momento?" propose Cat,
battendo le mani per attirare l'attenzione di madre e figlio.
"Di una buona seduta psichiatrica?" ribatté Magnus, con un
sorriso sarcastico.
Cat rise di gusto. "No, stupido. Di un buon pranzetto che ci rimetta in
forze." affermò, sorridendo, mentre prendeva sottobraccio il
suo migliore amico. "Giusto, signora Bane?" chiese, facendole
l'occhiolino.
"Ma... ma... e il tuo abito da damigella?" rispose Dewi, guardando la
commessa, che sembrava anche più confusa di lei.
"Lo sceglieremo un altro giorno." dichiarò Cat, guardando la
donna con uno sguardo significativo e sfidandola a osare contraddirla.
Magnus si sporse verso l'amica e le baciò la guancia, grato.
Diverse ore più tardi, l'ex Marine entrò nella
cucina dei suoi genitori e trovò suo padre vicino ai
fornelli, intento ad assaggiare (e solo assaggiare, aveva giurato il
più anziano dei Bane) la cottura dello stufato per la cena.
Il profumo della carne e della cipolla riempiva l'ambiente.
"Ciao, ayah
[papà]." bofonchiò Magnus, sedendosi pesantemente
su una sedia.
Asmodeus accolse suo figlio con un gigantesco sorriso. "Ecco il mio malaikat [ndr.
angelo] preferito! Ho sentito della bella notizia." lo
salutò, festoso, stampandogli un bacio sulla fronte. "Come
mai da queste parti? Credevo fossi a fare spese con tua madre..."
Magnus gli lanciò un'occhiataccia. "L'ho lasciata dal
fiorista." rispose laconico, dopo essere stato abbandonato da Cat a
fine pranzo e aver passato un pomeriggio d'inferno con la propria madre.
Asmodeus ridacchiò, arruffandogli i capelli e dirigendosi
verso la credenza. "Ho quello che fa per te." annunciò,
porgendogli poi un pacco di biscotti al cioccolato.
Magnus sospirò, piluccando un dolcetto con aria pensierosa.
"Cosa ti preoccupa, malaikatku?"
chiese Asmodeus, sedendosi di fronte al figlio.
Magnus fece spallucce, continuando a sbriciolare il suo biscotto. "Non
gli ho ancora detto sì." mormorò, con un sospiro.
Asmodeus sorrise dolcemente. "E questo é un problema?"
"Forse." rispose Magnus, titubante. "E' da questa mattina che non
risponde alle mie chiamate. Ha spento il cellulare."
Asmodeus gli strinse affettuosamente una mano. "Mags, tesoro, sono
certo che non ti sta affatto evitando. Ci sarà sicuramente
una buona ragione per cui il suo telefonino é spento."
Magnus fece nuovamente spallucce. Si stava comportando come un bambino,
ne era consapevole, ma era sfinito, dopo una giornata con sua madre, e
tutto quello che voleva fare era tornare a casa e vedere Alec. E
scoprire se il fatto che non gli avesse ancora dato una risposta fosse
diventato improvvisamente un problema.
"Sai, malaikatku,
non devi sposarlo per forza." affermò improvvisamente
Asmodeus, sgranocchiando un biscotto al cioccolato.
Magnus guardò suo padre, sorpreso. "Cosa?"
Asmodeus sorrise teneramente, accarezzando una guancia del figlio. "Malaikatku, se hai
tutti questi dubbi, forse é il tuo istinto che ti suggerisce
di non farlo." suppose, piegando la testa.
Magnus si morse il labbro inferiore, meditabondo. Non é che
stesse pensando di dirgli di no, ecco, ma non voleva neanche dirgli di
sì semplicemente perché era terrorizzato all'idea
che Alec lo lasciasse.
"Per quanto tua madre desideri moltissimo vederti percorrere la navata,
stai pur certo che né io né lei vogliamo che tu
trascorra il resto della tua vita con una persona con cui non vuoi
legarti in un vincolo tanto importante. Saresti infelice."
continuò Asmodeus, picchiettandogli la mano.
"Ma Alec mi rende felice. Tanto felice. Immensamente felice."
ribatté Magnus, con fervore.
Asmodeus sorrise. "Sono contento di sentirtelo dire, Mags, ma se non ti
senti ancora pronto, allora dovresti dirgli di no. L'unica cosa che io
e tua madre abbiamo sempre desiderato é la tua
felicità, lo sai."
"E dei nipotini."
Asmodeus rise, allegro. "E dei nipotini, sì. Ma la tua
felicità viene al primo posto. Qualunque sia la tua
decisione definitiva riguardo al matrimonio, sappi che noi saremo
sempre al tuo fianco."
Magnus sorrise, baciando il dorso della mano del padre. "Grazie, ayah."
mormorò, prima di rubargli il biscotto da sotto al naso e
addentarlo con gusto.
Magnus si fermò davanti alla porta del loft e trasse un
respiro profondo, come a infondersi coraggio.
Per tutto il giorno, non aveva fatto altro che pensare al momento in
cui avrebbe rivisto Alec. Gli era mancato davvero tanto. Ma che cosa
avrebbe trovato al di là della porta? Delle valigie
già pronte? O, peggio, un freddo e striminzito biglietto di
addio?
Magnus non voleva neanche pensare a un'ipotesi tanto orribile. In tutto
quel tempo passato insieme, il moro gli era diventato indispensabile
come l'aria che respirava e non aveva problemi ad ammettere di essere
innamorato cotto di lui. Alec era l'uomo che aveva aspettato per una
vita intera. Come aveva potuto non dirgli subito sì?
Si diede una manata in fronte, dandosi dell'imbecille, ed
entrò nel loft, titubante. Non c'erano valigie all'ingresso
e questo era già un buon segno. Un'intensa zaffata di odore
acre, però, gli aggredì le narici non appena
varcò la soglia. Qualcosa stava decisamente bruciando in
quella casa.
"Alec?" chiamò, allarmato, gettando le chiavi in una ciotola
posizionata su un mobile posto all'ingresso.
Il moro balzò fuori da dietro il bancone della cucina, con
gli occhi sbarrati. "Per l'angelo! Sei qui? Perché sei
già qui?" chiese, completamente nel panico.
Magnus inarcò un sopracciglio e fissò il suo
ragazzo, che era in condizioni disastrose. Il grembiule che indossava
era macchiato vistosamente da Dio solo sapeva cosa, il viso era unto di
farina e i capelli sembravano essere diventati il rifugio di qualche
uccellino, tanto erano sporchi e arruffati.
"Stai bene?" chiese Magnus, sinceramente preoccupato.
Alec si morse il labbro inferiore e sembrava sull'orlo di una crisi di
nervi. "V-volevo prepararti la cena." pigolò, in un tetro
balbettio. "Ma... ma l'arrosto é bruciato e..."
"Volevi prepararmi la cena?" chiese Magnus, sorpreso, avvicinandosi a
lui.
Alec annuì mestamente. "Volevo fare una cosa carina per te."
mormorò, abbassando lo sguardo. "N-non per convincerti a
sposarmi eh!" precisò subito dopo, alzando le mani. "Solo...
volevo... io volevo farmi perdonare e... ma l'arrosto é
bruciato, e..." esalò, tirando su con il naso e
scompigliandosi ancora di più i capelli con un gesto
esasperato. "Per l'angelo, è stata una giornata tremenda!
Tremenda! A lavoro non ho avuto un attimo di respiro, il cellulare mi
é caduto a terra, spaccandosi in mille pezzi, e ho provato a
chiamarti con il telefono dell'ufficio, ma c'era un guasto nella linea
telefonica che non sono ancora riusciti a riparare." iniziò
a elencare, respirando appena tra una frase e l'altra. "E poi... mi
dispiace davvero tanto di aver detto a tua madre della proposta. Giuro
che non l'ho fatto apposta e..."
Magnus sorrise e piegò la testa, fissando il volto stravolto
e angosciato del suo ragazzo. Scosse la testa e rise, intenerito. Non
aveva bisogno di sapere altro. Con due sole falcate, lo raggiunse e lo
strinse forte tra le sue braccia, assaporando la sua vicinanza, la sua
forza e il suo amore. Affondò il naso nel collo del moro,
chiudendo gli occhi e inspirando a pieni polmoni il suo odore. Quello
era il suo posto, la sua casa.
"Ti amo." sussurrò l'uomo, felice.
"Anch'io. Tanto." rispose Alec, allacciando le braccia al collo
dell'ex Marine.
"Alexander?" sussurrò Magnus, dopo un lungo momento, le
labbra pressate sulla pelle della clavicola.
"Sì?"
Magnus si scostò appena da lui. "Chiedimi di nuovo di
sposarti." mormorò, con un sorriso luminoso.
Alec spalancò gli occhi, sorpreso, poi gli rivolse un
sorriso gigantesco. "Che c'é? Devo chiederti di sposarmi
mentre ti faccio un pompino?" domandò, quando l'altro
indicò verso il basso con l'indice.
Magnus gettò la testa all'indietro e rise di gusto, prima di
tuffarsi sulle labbra del ragazzo e baciarlo con passione. Non c'era
alcun dubbio: quello era l'uomo giusto per lui. L'unico.
Alec rise nel bacio, felice, prima di liberare Magnus dal suo abbraccio
per inginocchiarsi ai suoi piedi. Questa volta, l'avrebbe fatto nel
modo giusto.
===
Note dell'autrice
E con questo piccolo extra, la storia é davvero giunta al
termine. Giuro! :D
Chiedo scusa per i tempi biblici che ho impiegato per concludere questa
fanfiction, ma il CoVid ha stravolto la mia vita lavorativa e a un
certo punto ho deciso di abbandonare momentaneamente la scrittura,
perché, davvero, arrivavo a casa stremata e l'ultima cosa
che volevo fare era mettermi nuovamente davanti a un computer.
Chi scrive fanfiction lo sa bene: non é per niente facile.
Ci vuole impegno, concentrazione e ricerca (almeno nel mio caso, che
consulto internet ogni due per tre per cercare dettagli che inserisco
nelle mie storie, visto che voglio che queste siano quanto
più possibili vicine alla realtà).
Ma soprattutto ci vuole tempo. Tanto tempo. Un'infinità di
tempo. Ad esempio, io spendo ore e ore a rileggere quello che scrivo,
nella speranza che fili tutto come voglio, e soprattutto a eliminare
quanti più errori e strafalcioni possibili. (se ne trovate,
non fatevi nessuno scrupolo a farmelo notare!)
Perdonatemi, quindi, se ci impiego una vita a postare una fanfiction
completa XD (soprattutto in questo caso, in cui si é messa
di mezzo anche questa terribile pandemia)
Detto questo, permettetemi di ringraziarvi! *___*
Grazie a chi ha recensito (siete troppo gentili, davvero! *___*).
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, tra le ricordate e
tra le seguite.
Grazie ai lettori silenziosi e a chiunque ha perso del tempo per
leggere questa fanfiction.
Grazie! Grazie! E ancora grazie!
Un bacio e a presto! ;-*
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