L'uke perfetto di Gem (/viewuser.php?uid=62255)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 1 *** Uno ***
Nuova pagina 1
L’uke
perfetto
UNO
… è biondo con gli
occhi azzurri: che uke carino!
Si chiama Yaoi
City e si trova negli Stati Uniti, più precisamente in una tranquilla zona del
Kentucky orientale. È una cittadina nata di recente, in seguito allo
smembramento di una città più grande che ha dato i natali anche a Yuriland e
Hentaiville. Chi sono gli abitanti? Corre voce che gli abitanti di Yaoi City si
chiamino seme e uke, ma non si riesce ancora a capire perché.
«… adesso espirate.
Piano, mi raccomando: cercate di mantenere in equilibrio ogni parte del vostro
corpo. Non appena sentite sciogliersi i muscoli, muovete delicatamente la gamba
per avvicinarla ancora alla testa. Se ci riuscite, osservate la posizione che
sto assumendo io. Si chiama Setu Bandha Sarvangasana ed è una figura tra
le più belle e complesse. Un giorno anche voi riuscirete a farla. Mentre voi
rimanete nella vostra posizione, vi racconterò un altro episodio della vita di
Siddharta Gautama, il Buddha.»
«Maestro, mi scappa
la pipì.»
«Io ho tanta sete.»
«Anch’io.»
Shaka sciolse la
posizione del ponte e fissò con occhi vuoti il soffitto.
«Posso mangiare la
merendina?»
«E io?»
Sollevò appena una
mano per assentire. Perché, perché aveva accettato di insegnare yoga a dei
bambini anziché ad anziani quel maledetto 2 dicembre, quando aveva firmato il
contratto di lavoro con la palestra
SignorShakaAbbiamoGiàInsegnantiDiYogaPerAdulti? Ah, sì. Non voleva essere il
colpevole di danni irreparabili ad anziani che rischiavano di collassare anche
solo alzando un braccio o battendo le palpebre.
«Facciamo cinque
minuti di pausa.» annunciò non alzandosi, mentre tutti i bambini gridavano
felici e correvano qua e là per la palestra.
No, non ce la faceva
più. Erano trascorsi esattamente 104 giorni, 7 ore, 16 minuti e 34-35-36 secondi
(come lo informava l’orologio sulla parete) da quando aveva apposto la sua firma
sul foglio. Una firma piccola, con quella grafia particolare che la rendeva
unica, composta solo dalle parole “Shaka Tuja”.
Era calmo, Shaka,
era calmo – o così dicevano tutti quando lo vedevano mangiare un’insalata.
D’accordo, era calmo perché spesso meditava e faceva acrobatiche posizioni di
yoga, ma in cuor suo sapeva di essere agguerrito e polemico.
L’oroscopo di quel
giorno per il segno della Vergine diceva: “È ora di prendere una pausa dal
lavoro, o avrete una crisi di nervi. Siete sempre così pignoli, ma ultimamente
distratti e confusi”.
Da buon virginiano,
Shaka non aveva creduto all’oroscopo, bensì gli aveva dato ragione. È una
differenza sottile, eh, che solo i segni di terra e d’aria possono comprendere –
gli altri credono ciecamente a tutta l’astrologia e passano metà del loro tempo
a convincere i colleghi che credere e dare ragione all’oroscopo sono sinonimi.
In ogni caso, la
crisi di nervi si stava avvicinando davvero. Shaka non ne poteva più di bambini
irrequieti che non capivano un’acca dei suoi discorsi e osavano chiamare Buddha
“Buddy”.
Distratto e confuso
erano aggettivi perfetti per il poveretto: in quella settimana aveva già
lasciato una caffettiera nella lavatrice, tentato di pagare una maglietta con la
tessera della palestra anziché la carta di credito, lavato con ammorbidente il
pavimento.
Si sollevò con
prudenza da terra e osservò amareggiato dei bambini che mangiavano merendine
accanto ai suoi libri di yoga e buddismo. Assomigliavano molto a quel buzzurro
di coinquilino che si ritrovava, sempre impegnato a mangiare qualcosa e
sbriciolarlo sui suoi oggetti e documenti, per poi tuffarsi nel letto e
addormentarsi ronfando in meno di tre secondi.
“No, è che tra due
giorni ho una scadenza e devo trovare l’ispirazione… no, puoi togliermi tutto ma
non la crostata! Shaka, dammi la crostata! Giuro che lascio in pace la statuetta
di Buddha!”.
Tsk, l’aveva beccato
mentre mangiava una fetta di crostata e usava una statua di Buddha a mo’ di
batteria, canticchiando hard rock e adducendo il motivo di tutto alla scadenza
di un racconto breve. Aveva messo la torta nella cucina chiusa a chiave, portato
lo scrittore in cerca d’estro davanti al computer e scandito: “Ci. Servono. I.
Soldi. Per. L’. Affitto.”.
Più o meno allora si
erano baciati e la scrittura era divenuta impossibile. Shaka si era innamorato
di Aiolia Anthelios per una successione di eventi improbabili che aveva dovuto
affrontare circa un anno prima.
«Il maestro è un
po’ triste oggi.» disse un bambino, annuendo con fare solenne.
«Perché non gli
cantiamo qualcosa?» propose un altro.
E così, sulle note
di Twinkle, twinkle little star, Shaka tornò a terra per osservare il
soffitto senza coinvolgimento.
«Shaka, pulcino,
dove sei? Petalo di rosa bianca… scintilla di vita eterna… lo so che sei
tornato. Hai disseminato tutta la casa con i tuoi vestiti!»
Shaka s’immerse
nell’acqua della vasca fino al naso, gli occhi sempre indecifrabili e puntati
nel nulla. Aiolia poteva chiamarlo anche per l’eternità, ma non avrebbe avuto
risposta. Perlomeno, non in quel momento, in quel contesto, in quella critica
situazione.
«Shaka?» fece ancora
Aiolia, affacciandosi alla porta del bagno. «Ma certo, stai facendo un bagno…
prima fatti parlare così ti raggiungo!»
Si accucciò accanto
alla vasca e stampò un bacio tra i capelli dell’altro, che non si mosse.
«Oggi ho ricevuto i
soldi!» esclamò, prendendo dalla tasca un assegno. «Eh? Che ne pensi? Affitto e
bollette pagati per tre mesi!»
Non ottenne risposta
e ripose l’assegno. Shaka si limitò a fare le bolle con la bocca sotto l’acqua.
«Tu fai le bolle?
Solo io faccio le bolle.» si stupì Aiolia, passando una mano davanti al volto di
Shaka. Evidentemente il suo compagno non era in perfetta forma… «Comunque mi
serve un aiuto: fra pulcino, petalo di rosa bianca e scintilla di vita eterna
qual è il soprannome migliore per un marito premuroso?»
«Li… blubabrr… to.»
Aiolia alzò un
sopracciglio sentendo i gorgoglii sotto l’acqua. Non era un comportamento
consono a Shaka, sempre così contemplativo e rigoroso.
«Hai avuto un
incidente? Hai litigato con qualcuno?» chiese sollevandogli il mento dall’acqua.
«Licenziato.» ripeté
Shaka, incrociando finalmente lo sguardo di Aiolia. «Mi sono licenziato.»
Mh. Se c’erano cose
che Shaka amava fare ovunque, erano contorcersi in posizioni di yoga e
kamasutra e parlare di Buddha. Insegnare yoga ai bambini era stato piacevole per
i primi tempi, Aiolia ricordava che Shaka tornava a casa relativamente allegro e
bendisposto ad aiutarlo con i suoi romanzi. Ultimamente non aveva fatto altro
che ritirarsi stressato e sbadato, ma nulla lasciava presagire il licenziamento.
«Mi disp-»
«Io sto benissimo,
altrimenti non mi sarei licenziato.» soffiò Shaka, issandosi e poggiando la
schiena alla parete della vasca. «Provvederò subito a cercare un altro lavoro.
Scusa per prima, ero sovrappensiero: hai detto che hai ricevuto l’assegno?
Ottimo. Trovo migliore l’appellativo “pulcino” per quel personaggio… è di quel
racconto che mi hai fatto leggere ieri sera?»
«Ehm… sì, grazie.»
replicò Aiolia, scrutando gli occhi di Shaka. Qualcosa non quadrava.
«Entra nella vasca.»
ordinò Shaka.
«Mi nascondi
qualcosa.»
«Ho detto che devi
entrare nella vasca.»
«Cos’è successo?»
«Hotiratounportapennealmiocapoperchénonvolevadarmiunaumentononostanteiomispacchiindueperlavorare.»
disse tutto d’un fiato Shaka. «Entra nella vasca, adesso.»
Aiolia sgranò gli
occhi e si ritrovò a fissare l’amante a bocca aperta. Un portapenne al capo?
Ecco, quelli erano istanti in cui Shaka s’infiammava e dava del filo da torcere
anche alla testa più calda che si trovasse in circolazione. Anche Aiolia era di
indole pacifica con improvvisi scatti di rabbia, ma la volta che s’era
arrabbiato di più aveva solamente gettato per terra un pezzo di pane.
«Al tuo capo.»
ripeté. «Non è molto educato, ma…»
«È il frutto di una
meditazione estenuante.» si giustificò Shaka, stringendo i capelli in una mano e
strizzandoli. Biondi e lunghi com’erano, si inzuppavano facilmente ed erano
difficili da asciugare. «Come diceva Buddha, se qualcuno…»
«No, Shaka. Hai
frainteso.» replicò Aiolia, sfilandosi la camicia. «Avrei voluto assistere ad
una scena del genere, perché odio il tuo capo da sempre.»
Shaka accavallò le
gambe diafane, che nell’azione affiorarono dall’acqua. «Il mio capo è tua cugina
Shaina.»
«Appunto, quella
serpe.» sbuffò, sbottonandosi i pantaloni. Ebbe qualche difficoltà con la zip,
ma fu aiutato subito da Shaka. «Da piccola mi tirava i capelli e mio fratello
non faceva nulla per aiutarmi.»
«Tra fratelli è
sempre così.» osservò giustamente l’altro, soffermandosi ad ammirare il corpo
palestrato del suo uomo. Aiolia si spogliò completamente, entrò nella vasca e si
fermò, in piedi, davanti a lui.
«Che ne dici, eh?
Anni e anni di rugby…» si vantò, facendo scorrere un dito lungo i pettorali.
«Salviamo le
tartarughe.» disse Shaka, e Aiolia scoppiò a ridere. Per qualche anno, Aiolia
aveva prestato servizio presso lo zoo della città e si occupava principalmente
di rettili, invitando i visitatori a rispettare e a salvaguardare le tartarughe
(non le stesse di cui parlava Shaka, comunque).
«A proposito di mio
fratello…» Aiolia si sedette nella vasca e cercò di attrarre a sé l’altro, con
scarsi risultati dato l’esiguo spazio. Dovette quindi accontentarsi di
accovacciarsi su di lui. «Te l’ho detto che si è trasferito in quella nuova
città, Yaoi City… beh, si è candidato a sindaco. Non trovi che abbia fatto passi
da gigante in politica? Fino a ieri vendeva patatine agli angoli delle strade
per farsi pubblicità.»
Aiolia ridacchiò, e
Shaka alzò un sopracciglio, commentando: «E tu lo aiutavi.»
«È vero…» mugugnò
Aiolia, appoggiando la testa al petto dell’altro. Gli morse un capezzolo, ed
ebbe in tal modo l’illuminazione. Alzò la testa, bloccò Shaka per le spalle e
con occhi estatici gli propose, infervorato: «Andiamo a vivere anche noi a Yaoi
City!»
Un piede gli si
stampò in volto.
«Cosa stai
farfugliando? Lasciare Chicago?» borbottò Shaka, gettando un’occhiata fuori
dalla finestra semiaperta. Spiccavano alti grattacieli, luci intermittenti di
insegne e l’aria era irrespir… cioè, non molto pura, e Shaka era un salutista di
prim’ordine…
«Un momento. Mi
cogli impreparato.» continuò, abbassando il piede.
«Ora che sei senza
lavoro, potremmo andare lì e comprare un appartamentino o una villetta…» suggerì
trasognato, portando le mani al bacino di Shaka, che sussultò. «Allora, ho
appena guadagnato 3.500 $. A te quanto spetta ancora?»
Shaka cercò di
sottrarsi alla lussuriosa presa dell’altro, mormorando: «Credo 1.200 o 1.300…»
«Facciamo i conti.
In banca ne ho altri 15.000, tu 12.000 e se invio quel libro che ho finito ma
non mi piace potrei farne altri 5.000… mio fratello potrà trovarci una casa poco
costosa, i miei genitori e i tuoi daranno in totale qualcosa come 3.000
dollari…»
«Siamo intorno ai 35
mila dollari.» fece Shaka.
«Mutuo o affitto?
Questo è il problema.» rimuginò Aiolia. Allontanò le mani da Shaka e si distese
sulla schiena, in un vago atteggiamento di eroe pensante. Poi, ebbe l’Idea e
muovendosi fece schizzare l’acqua per terra.
Shaka lo osservò
perplesso.
«Milo e Camus.»
bisbigliò Aiolia, quasi volesse tenere nascosti quei nomi. «Volevano andarsene
da Chicago, no? Camus è ricco sfondato e insieme potremmo comprare una duplex!
Wah! Oh Dio, devo chiamarli, devo chiamarli!»
Si alzò dalla vasca
e bagnò tutto il pavimento, mentre Shaka gli ricordava che erano tutte illazioni
e premesse senza fondamenti. Era troppo tardi: scivolando due o tre volte, il
nudo e contento Aiolia uscì dal bagno e raggiunse il telefono.
«Adesso sorpassiamo
imprudentemente Camus.» ridacchiò Aiolia, premendo l’acceleratore. «Tieniti
forte.»
Cosa mai spingeva
Aiolia e Shaka sulla strada statale diretta a Yaoi City, dietro la macchina di
Camus e Milo, fra i campi di tabacco del Kentucky?
Ma un trasferimento,
ovvio. Incentivato da altri tre importanti fattori: primo, una vincita alla
lotteria di Aiolia di 20.000 dollari; secondo, l’elezione di Aiolos a sindaco;
terzo, Milo e Camus avevano già comprato una piccola villetta a Yaoi City.
Anche loro avevano
finalmente una casuccia propria! Aiolos, felicissimo e gentilissimo come mai in
vita sua, aveva trovato e pagato per metà una deliziosa villa a due piani per il
fratello e il fidanzato. E aveva anche una sorpresa, ma non l’aveva ancora
rivelata ai due…
«Non farlo. Camus
odia correre.» mormorò Shaka, appoggiato ad occhi chiusi allo sportello.
«Camus odia che gli
altri corrano quando si trova anche lui in macchina. Questa volta è lui a
guidare.» gli fece notare Aiolia, e sterzando all’improvviso superò – da destra
– l’auto dei due amici. Ebbe anche modo di fare marameo al mezzo
addormentato Milo, che subito si destò e incitò Camus a raggiungerlo.
Aiolia accelerò.
«Fra un po’ c’è
l’uscita per Yaoi City.» ricordò seccato Shaka, reggendosi al sedile.
La macchina di Camus
saettò nuovamente davanti alla loro.
«State correndo su
una strada pubblica.» continuò, puntellando i piedi sul tappetino per prepararsi
alla corsa. «Prenderete una multa.»
«Medita un modo per
arrivare prima, su…» disse Aiolia, e compì una pericolosa infrazione sorpassando
di destra l’auto di Camus e accelerando per occupare la corsia di sorpasso.
Shaka vide un bauletto scivolare dal portabagagli sui sedili posteriori.
Menomale che avevano caricato pochissimo l’auto e insistito sul camion del
trasloco…
«Rallenta.» ordinò
Shaka, avvistando l’uscita per Yaoi City.
«Un attimo.» e
arrivarono ai 120 km/h.
Shaka sentì la bile
agitarsi. Non aveva mai tollerato le alte velocità. «Rallenta, Aiolia.»
«Aspetta…» e 130
km/h.
«Aiolia, Aiolia!»
gridò Shaka, e non era per la paura. Avevano appena superato l’uscita per la
città, mentre Camus con una frenata di fortuna riusciva ad imboccarla. Milo
esultò dal finestrino.
«Ops.» mormorò
Aiolia decelerando.
Fu fulminato dagli
occhi penetranti dell’ex maestro di yoga, che non esitò a dargli una sberla sul
collo.
Uscirono allo
svincolo successivo e tornarono indietro da un’altra strada, procedendo in una
strada sterrata fra le piante di tabacco. Due o tre volte degli arbusti
entrarono nell’abitacolo dal finestrino aperto di Shaka, stampandosi sul volto.
Aiolia cercò di non guardarlo per non farlo arrabbiare – e per non ridere delle
lotte di Shaka il salutista contro il nocivo tabacco.
«Ecco la villa!»
esclamò Aiolia, percorrendo Manga Street a bassa velocità. Indicò la casa
che aveva già visto su alcune foto e saltellò sul sedile. «Ma è bellissima!
Quella accanto è di Milo e Camus, quella in fondo alla via… sì, quella gialla!
Quella gialla è di mio fratello!»
Sfrecciò nel
vialetto e parcheggiò, cercando in tasca le chiavi che gli erano state
consegnate. Fra biglietti, involucri di cibo e oggettini vari esse non
comparirono, dato che Shaka aveva già provveduto a salvarle portandole nella
propria tasca. Scese dall’auto.
«Shaka! Shaka,
Aiolia! Finalmente siete arrivati!» vociò contento qualcuno dalla strada.
Aiolia scese
anch’egli dall’auto e guardò l’interlocutore, elegantemente vestito e
comodamente seduto in una decapottabile di lusso in compagnia di un uomo.
«Aiolos!!! Vieni,
fatti abbracciare!»
Aiolos raggiunse il
fratello e si abbracciarono energicamente, salutandosi come se non si
incontrassero da decine di anni. Dopo toccò al rigoroso Shaka, stretto dal
sindaco di Yaoi City con un’enfasi quasi esagerata.
«Ora che vi siete
trasferiti ci divertiremo un sacco!» trillò felicemente Aiolos, raggiunto
dall’uomo che prima era in auto. «Lia, ti devo portare a pattinare sul ghiaccio,
da piccolo me lo chiedevi sempre! E la piscina con le onde… un attimo: vi
presento una persona.»
L’uomo che stava con
lui sorrise.
«Questo è il mio
segretario, Saga Valiant.» spiegò, mentre i tre si stringevano le mani. «E…»
Saga ammiccò, e
Aiolos ne rise imbarazzato. Aiolia attese.
«Ed è anche il mio
fidanzato.» cinguettò Aiolos, baciando la guancia di Saga.
Aiolia rimase
immobile, prima di assimilare la notizia. Trattenne un respiro, sgranò gli occhi
e strinse i pugni. Da bravo romanziere, inserì il fidanzato del fratello in una
storia inventata sul momento per avere un consiglio su come trattarlo. Essendo
Aiolia molto, molto, MOLTO geloso del suo amatissimo fratello, riuscì
solo a immaginare Saga impegnato a combattere un enorme serpente con la testa di
Shaina.
«Capisco.» sibilò
tra i denti. Shaka volse altrove lo sguardo: quando faceva così, Aiolia era da
prendere a schiaffi.
«Stavamo andando ad
una festa in centro, si celebrano i primi 6 mesi di Yaoi City e in quanto
sindaco non posso mancare. Se siete stanchi perché non vi riposate un po’ e poi
venite?» propose Aiolos. «C’è tempo fino a stasera.»
«Potrete conoscere i
vostri concittadini.» aggiunse Saga, con una voce gradevole che ad Aiolia parve
un gracidare di rane.
«Volentieri.» soffiò
ancora il geloso fratello, a cui il segretario aveva appena dichiarato guerra.
La festa in centro
era dietro casa, visto che la città non era propriamente grandissima. Era stato
allestito un palco sul quale si trovavano membri della giunta comunale, Saga e
Aiolos che avevano appena tenuto un discorso, mentre nel resto della piazza si
trovavano alcune bancarelle di dolciumi e cibi vari. Aiolia camminava con fare
maestoso (aveva deciso a casa di tenerlo) per spaventare Saga, osservando
minacciosamente tre quarti dei presenti, e stringendo per le spalle un
infastidito Shaka che desiderava sistemare la casa insieme alla ditta del
trasloco appena giunta.
«Aiolia sconfiggerà
il male.» bofonchiò lo stesso Aiolia. «Inserirò Saga nel mio romanzo nelle vesti
di un povero psicolabile soggetto a crisi di identità ucciso da me.»
Shaka lo ignorò e
proseguì la camminata tra i concittadini, che osservavano la coppia sorridendo.
Nonostante la gentilezza, c’era qualcosa che non andava in quella festa e nei
suoi partecipanti… anche Aiolia, terminando di parlare a vanvera, se ne accorse.
«Mmm…» fece
socchiudendo gli occhi. «Come mai non c’è neanche una donna?»
Milo camminava alle
sue spalle, e non appena sentì la domanda rispose sospirando di felicità: «Il
paradiso, amico!»
«Anch’io me ne sono
accorto.» disse Camus, sospettoso. «Che sia una tradizione locale vietare alle
donne di festeggiare in pubblico? Il Kentucky è culturalmente indietro rispetto
all’Illinois.»
Aiolia alzò un
sopracciglio. «Certo che ne spari, di caz-»
«Lia, sei venuto!»
Aiolos, sceso dal palco, notò il gruppo e corse dal fratello, mentre tutti i
presenti lo salutavano raggianti. «Oh, Milo, Camus! Da quanto tempo! È
bellissimo riavervi tutti insieme.»
Dopo abbracci e
strette di mano, Aiolos continuò a parlare. «Allora, avete visto? Che ne
pensate?»
Mostrò muovendo il
braccio tutta la piazza in festa.
«Bel paese.»
commentò Milo. «Siamo venuti qui e…»
«No, no.» fece
Aiolos. «Che ne pensate? La prima città totalmente gay degli Stati Uniti
d’America!»
Aiolia sorseggiava
della limonata e alle parole del fratello reagì con un bagno sui presenti.
Aiolos fu investito in pieno dal liquido, Camus si bagnò i capelli rossi.
«Eh?» fu l’unico
verso emesso da Milo, che si reggeva a Shaka per lo stupore.
Aiolos si pulì con
un fazzoletto il viso. «Sì, avete sentito bene. Yaoi City è una città gay.»
I quattro nuovi
abitanti guardarono ancora i presenti.
C’era un ragazzo con
i capelli biondi e un neo sulla guancia seduto in atteggiamenti intimi su una
panchina con un albino; poi, un ragazzo alto e robusto che camminava sotto
braccio con un orientale più minuto; qualche ragazzo spaiato che lanciava
occhiate qua e là…
All’improvviso
arrivarono alle orecchie di Shaka le limpide parole: «Uno è biondo con gli occhi
azzurri: che uke carino!»
Anche Milo era
biondo con gli occhi azzurri, ma Shaka sapeva che quelle parole erano dirette a
lui perché due ragazzi gli stavano osservando… ehm, osservando il fondoschiena.
«Che cos’è un uke?»
chiese ad occhi sbarrati.
Aiolos annuì
comprensivo. «Giusto, devo spiegarvelo. Uke passivo, seme attivo. Capito? Uke
passivo, seme attivo.»
Come spiegazione era
molto essenziale. Shaka tuttavia capì che la frase di prima era quasi certamente diretta a lui.
«Los, che cavolata è
questa?» sbottò un innervosito Aiolia.
«Aiolia, modera i
termini.» lo rimproverò il fratello, che però doveva tornare sul palco. Così si
allontanò e fece un cenno di saluto: «Capirete, non preoccupatevi. A presto!»
Camus fece
dietrofront. «Torniamo a casa, Milo.»
«Seme e uke?» ripeté
Milo. «Perché dobbiamo sventolare ai quattro venti le nostre preferenze?»
Ma già si
allontanavano. Shaka stava per seguirli, ma Aiolia si bloccò esterrefatto
indicando due uomini ad una bancarella di tè inglese. Gli tremava la mano.
«Sha… ka…» balbettò.
Shaka osservò nella
direzione indicata. In effetti si stupì anche lui, vedendo Saga che baciava
sulle labbra il noto opinionista e critico letterario inglese Lord Rhadamantys
de Wyvern reggendo due tazzine di tè.
«Sta tradendo mio
fratello senza alcun ritegno con il critico che scrisse del mio romanzo “Ottima
atmosfera ed eccellente caratterizzazione dei personaggi”!» ringhiò. «Lo uccido!
Sta disonorando mio fratello e pure Lord Rhadamantys!»
Aiolia si diresse a
passo svelto verso i due e, incrociando torvamente le braccia, si bloccò davanti
a loro.
«Cosa sta facendo,
signor Saga?!»
Shaka arrivò. Saga
non indossava più gli stessi abiti eleganti di quando l’avevano incontrato
davanti casa… vestiva dei jeans strappati, una camicia stinta e teneva i capelli
legati da una fascia. Non aveva neppure lontanamente le sembianze di un
segretario… sembrava persino l’opposto dell’impeccabile Lord Rhadamantys.
«Aiolia.» lo chiamò
Shaka. Aveva capito che quell’uomo non era Saga.
«Mio fratello è
dietro di lei, su quel palco, e lei bacia un altro uomo?» continuò imperterrito
Aiolia.
Lord Rhadamantys
guardò perplesso il compagno, poi alzando le sopraccig- il monociglio che
possedeva bevve del tè .
«Lord Rhadamantys,
io sono Aiolia Anthelios e lei ha recensito anche un mio romanzo, ma non posso
permetterle di prendersi gioco di mio fratello.»
«Aiolia.» insistette
Shaka fulminandolo con un’occhiata.
«Ancora complimenti
per Mi sento un leone, è un fantastico thriller psicologico di stampo dualista.» sorrise Lord Rhadamantys. «Ma per avere ulteriori
commenti non c’è bisogno di minacciare me e il mio compagno.»
Saga si ravvivò la
fascia e bevve il suo tè.
«Sono qui pe-»
iniziò Aiolia, ma Shaka lo interruppe: «Scusateci. Abbiamo scambiato lei per
Saga.»
Il misterioso uomo
dal volto di Saga assunse un’espressione molto insolente e annuì gravemente.
«Questa è una cosa
terribile.» mormorò. «Scambiarmi per il mio gemello è sempre molto triste. Io mi
chiamo Kanon.»
Aiolia si ammutolì e
se non fosse stato abbronzato il suo volto sarebbe divenuto rosso per
l’imbarazzo. Shaka, che aveva ragione, alzò le spalle.
«Signor Anthelios,
non si preoccupi.» fece Lord Rhadamantys. «Son cose che accadono. Mi sembra di
aver capito che lei è il fratello del fidanzato del fratello del mio fidanzato?»
Kanon scoppiò a
ridere, e l’avrebbe fatto anche Aiolia se non fosse stato in imbarazzo.
«Cos’è, Beautiful?»
rise Kanon, che lo seguiva sin da quand’era bambino.
«Kanon, lascia
perdere quella soap-opera.» disse il critico. «Ne parli sempre.»
«Rhada, sei così
inglese!» lo accusò il compagno, che tornò a ridere e a bere del tè.
Shaka porse la mano.
«Piacere di conoscervi. Sono Shaka Tuja, il compagno di Aiolia.»
«Allora…» rifletté
Kanon, stringendogli la mano. «Il fidanzato del fratello del fidanzato di mio
fratello!»
Shaka non gradì la
battuta, Rhada gli strinse la mano e bisbigliò: «Lo perdoni, qualunque cosa io
dica diventa inesorabilmente motivo di derisione.»
Aiolia sospirò.
«Questo posto fa
schifo.» sbottò, all’improvviso, Kanon. «Non esiste una definizione per noi
poveri versatili! Seme, uke, Ridge, gatto Silvestro… noi, Rhada, siamo fuori dal
mondo.»
Il Lord inglese
sgranò gli occhi, imbarazzato tanto quanto Aiolia. Mormorò qualche parola di
scusa e si allontanò da Aiolia e Shaka trascinando via Kanon, che evidentemente
non assimilava bene il tè.
«Primo giorno.»
annunciò Aiolia. «Anzi, prime tre ore.»
«Aiolia, la prossima
volta che ti chiamo dimmi: “Cosa c’è, pulcino, petalo di rosa bianca, scintilla
di vita eterna?”.»
«Sì, credo che lo
farò.»
Gem racconta…
Sapete le fic di prova, quelle con cui devi abituarti al carattere di personaggi
che non hai mai gestito?
Bene. Siccome a breve – spero – arriveranno due Aiolia/Shaka a cui tengo molto,
devo trattare con i guanti i loro caratteri, perché non voglio andare OOC – se
capita qui, pazienza, NELLE ALTRE DUE
NO.
“L’uke perfetto” è liberamente ispirata al film “La donna perfetta” con Nicole
Kidman. Oh, Shaka, don’t make it bad… (?)…
Spero che la fic sia di vostro gradimento, chi ha visto il film forse avrà già
qualche idea… stia zitto, però! XD ora devo fare i compiti, per Athena. Il
computer è cattivo, oggi avrei dovuto studiare! A presto,
Gem!
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Capitolo 2 *** Due ***
Nuova pagina 1
L’uke
perfetto
DUE
… seme fighissimi
dietro di te!
Il giardino sul
retro della villetta di Aiolia e Shaka – amorevolmente battezzata “No Aiolia,
un nome alla casa no. Shaka, allora la chiameremo Senza Nome” – era
piuttosto grande, ma sfortunatamente non era curato. Il giorno dopo l’arrivo a
Yaoi City, Shaka si munì di tagliaerba e cesoie e con fermezza rese il suo
giardino una delizia. Ancor prima di mezzogiorno era riuscito a montare un
gazebo e trapiantare due alberelli accanto a questo, dopodiché osservò la sua
opera compiaciuto, afferrando un plico di fogli per sedersi e poter leggere
all’ombra.
Da quando Aiolia si
era messo in testa l’idea di scrivere un romanzo di distopia (ossia: la sera
passata), aveva stampato le prime pagine e le aveva affidate a Shaka per
un’opinione. Voleva avere i sui consigli per migliorare eventi narrati o lo
stile.
La quiete di Yaoi
City favoriva molto il provetto critico. Gettò un’occhiata verso la casa di Milo
e Camus: non era rumorosa come l’appartamento dei vicini a Chicago. Allungò
l’occhio verso la villa di Aiolos, e più lontano ancora individuò quella in cui
aveva visto entrare Lord Rhadamantys. Magari l’opinionista inglese avrebbe
favorito la scalata al successo di Aiolia…
A colazione, Aiolia
aveva chiesto a Shaka di stringere amicizia con Kanon per ingraziarsi anche il
favore del Lord. Aveva risposto no, ma aveva alcuni dubbi… Aiolia aveva talento
e adorava scrivere. Perché non fare un po’ l’opportunista?
Prese il suo tè
verde dal tavolino di legno – montato da lui, ovvio – e lo sorseggiò leggendo il
primo paragrafo.
Chiunque leggerà
questo romanzo è destinato ad essere ucciso dal grande Kasha Juta. Egli è
Verità, Egli è questo romanzo, e in quanto tale non può essere violato dai
vostri occhi infami e perversi. Egli è il Mondo su cui oggi vive l’umanità.
Shaka sospirò
nervoso. Aveva con sé un taccuino per scrivere eventuali appunti da mostrare ad
Aiolia, così non esitò a posare il tè e a prender penna.
PUNTO 1: non
anagrammare il mio nome per i personaggi.
PUNTO 2: io uccido
te se scrivi queste cose.
PUNTO 3: gli occhi
infami e perversi sono i tuoi.
Bene, ora poteva
continuare la lettura. Tornò a bere l’infuso.
Con la coda
dell’occhio notò che qualcuno si muoveva nel cortile dell’altra casa attigua
alla propria, quella che non apparteneva a Milo e Camus. Era un ragazzo che
teneva in mano un vassoio di cibo, il corpo fasciato in un grembiule giallo
sgargiante, un sorriso appena accennato rivolto indubbiamente a Shaka. Questi
ritrovò nel vicino di casa uno dei festeggianti del giorno prima.
«Buongiorno.»
salutò, affacciandosi alla staccionata.
Shaka riordinò il
plico di fogli e si guardò intorno. Se Aiolia fosse stato nei paraggi, avrebbe
potuto accogliere il vicino al posto suo… principalmente perché indossava una
tunica indiana, e l’ultima volta che l’aveva indossata a Chicago aveva ricevuto
valanghe di occhiate divertite. Si rassegnò.
«Salve.» si alzò e
si avvicinò con cautela. Solo allora notò che l’altro ciò che aveva scambiato
per grembiule era in realtà una tonaca.
«Benvenuto a Yaoi
City.» sorrise, e portò la mano oltre alla palizzata per stringere quella di
Shaka. «Mi chiamo Mu Sei e vivo qui con il mio compagno.»
Oroscopo del giorno
per la Vergine (sì, continuava a leggerlo ancora): “È ora di cambiare look.
Affidatevi ad un esperto! Farete incontri molto graditi.”
A parte le prime
fresi, poteva andare…
«Shaka Tuja.»
replicò ispezionandolo. Oh, piedi nudi, proprio come avrebbe fatto lui se il
giardino non fosse stato parzialmente pavimentato… «Il mio coinquilino
è in casa.»
«Il fratello del
sindaco Anthelios, se non erro?» chiese.
«Sì, Aiolia
Anthelios.»
«Ho letto il suo
romanzo!» esclamò. «Potrebbe autografare la mia copia? Intanto ho preparato per
voi qualcosa da mangiare… essendo arrivati ieri, ho pensato che un pranzo
potesse esservi utile.»
Mu affidò il vassoio
a Shaka, che ispezionò da buon vegetariano il contenuto. Si sorprese quando
vide…
«Tofu?»
Mu annuì. «Spero che
non sia un problema. Sono vegano.»
Vegano… ah, Shaka
era vegano prima di finire all’ospedale con sintomi di denutrizione. Da quel
giorno un medico (incitato da Aiolia) gli aveva vietato una dieta così severa
perché non riusciva a sostenerla, e Shaka aveva ripiegato su una più ampia dieta
vegetariana. Quel Mu, invece, era vegano. Quel Mu era un uomo impressionante.
«Io vegetariano.»
fece Shaka. «Grazie per il pensiero.»
«Ieri sera ho
conosciuto i tuoi – posso darti del tu? – amici Milo e Camus… ragazzi simpatici.
Purtroppo Camus non ha la mentalità di un uke… ah, che peccato.» sospirò
dispiaciuto Mu.
Shaka alzò un
sopracciglio. Cosa? La mentalità di un uke? Ovvero, esistevano mentalità diverse
tra attivi e passivi? E in che senso? A lui Camus era sempre parso un po’
rigido, scostante, ma d’animo non completamente insensibile, e Milo… non che
fosse così diverso, insomma: era rigido con chi non condivideva amicizia o
legami, e affettuoso con le persone che amava (molto più passionale, quello sì).
Poi c’era Aiolia,
che amava tutti tranne Saga – bah.
«Seme e uke, non
comprendo il significato profondo di questi termini nonostante abbia compiuto
studi su culture antiche.» ammise Shaka, corrugando la fronte. «Perché in questa
città vige la suddivisione così netta tra attivi e passivi da un punto di vista
sessuale e caratteriale?»
Mu non rispose.
Sbatté due volte le palpebre con impressionante freddezza e strinse le labbra,
come se fosse stato piccato nell’orgoglio. Parve il superbo ariete dal manto
d’oro che era stato immolato agli dèi dopo aver tratto in salvo un fanciullo.
«Posso darti un
volantino.» rispose solamente, e insospettì ancor di più Shaka. «Vado a
prenderlo in casa.»
«Grazie.»
Shaka storse la
labbra non appena Mu si fu voltato. Un volantino? Che razza di volantino avrebbe
potuto dargli attinente al loro discorso? Mentre rimuginava, un grido
vistosamente finto attirò la sua attenzione. Si girò, giusto in tempo per vedere
Aiolia che indicava sconcertato il tavolino sotto il gazebo.
«Shaka, dannazione!
Cos’è quella cosa?!» sbottò correndogli accanto. «Una cosa rosa a casa
mia?!»
Il buddista sospirò.
«È una candela a forma di fiore di loto.»
«Ma è rosa!»
«Se finirai nel
mondo delle bestie sarò contento per te.»
«Shaka, il grande
Kasha Juta vieta i colori blu, verde e rosa nei suoi domini.» Aiolia
raccolse i fogli sul tavolo e il blocco per gli appunti di Shaka. «Non hai
letto?»
Come risposta gli
affidò il vassoio e gli indicò la casa. Per una volta, il cibo sarebbe stato al
sicuro – Aiolia non mangiava tofu perché era cibo non dannoso alla salute. Gli
raccomandò di metterlo in frigorifero, e perché no, gettarsi in pasto ad un
leone.
Quando Mu uscì dalla
casa, Shaka si riavvicinò alla staccionata per avere quel fantomatico
“volantino”. Non solo Mu aveva un’espressione più severa di prima, ma teneva tra
le mani un paio di sandali.
«Temo di non avere
più le copie. Se non è un problema, possiamo chiedere ad Aphrodite.»
«Prego?»
Mu si infilò i
sandali con allucinante perfezione.
«Aphrodite abita qui
vicino.» spiegò Mu. «È un amico di vecchia data. Un uke.»
“Mhh- ohhmm… no.”
pensò Shaka. Era sempre stato additato come superiore alle cose terrene da non
accorgersi di ciò che stava intorno a lui, ma quel Mu, sebbene affascinante e
interessante, non aveva tutte le rotelle a posto (l’aria più pulita no, eh?).
«Credo che non ci
siano problemi.»
«E cosa dice il
tuo seme?»
«Cosa dovrebbe dire
il “mio seme”?»
«Che non puoi
uscire!» sbottò Mu, esterrefatto.
E Shaka ancora non
si spiegava come riuscì a giungere incolume nella villetta di Aphrodite, con Mu
che brandendo un ombrello diceva “ci stanno seme pericolosi in giro” e
consigliava a Shaka di munirsi di spray al peperoncino perché “i tuoi capelli
così biondi sono così pericolosi”.
«Ma chi abbiamo
qui!» cinguettò il padrone di casa Aphrodite, accogliendo i due ospiti con un
sorriso sfavillante. «Mu e questo delizioso uke appena arrivato in città!»
Shaka girò sui
tacchi.
«Scusate, ho le
pentole sul fuoco.»
«Aspettaspetta!»
fece Aphrodite, richiudendo la porta. «Piacere di conoscerti.»
«La meditazione
del-»
«Allora, come cazzo
ti chiami?!» sbottò quello mettendosi le mani sui fianchi. Lo squadrò nei suoi
occhi sbarrati – no, non ci credo – e gli afferrò fulmineo una ciocca di
capelli.
Aphrodite era un uke
vissuto tra seme volgari e abbastanza incivili, e Mu sospirò.
«Si chiama Shaka.»
disse al posto del buddista, la cui ultima intenzione era rispondere. «Ci
chiedevamo se avessi un volantino sugli uke…»
«Troppo biondo.»
Aphrodite storse le labbra. «Troppo silenzioso. Troppo perfetto, Cristo
santo!»
Perfetto.
Shaka sentì le
campane, ma subito dopo un mugolio identificabile con uno sbadiglio menomato di
Aiolia lo riportò alla realtà.
Un’altra parola e
l’ombrello di Mu sarebbe finito dove non sarebbe dovuto finire.
«Perfetto?» ripeté
il vegano sconcertato. «Ma se nemmeno S…!»
«Tappati quella
boccaccia, Mu!» il ringhio di Aphrodite s’infranse contro l’espressione
stupefatta, irritata, disturbata di Shaka. Si fissarono ad occhi socchiusi, neo
di Aphrodite contro bindi di Shaka, in un duello all’ultimo… grido.
«AHHH!» Aphrodite
finse un malore e si trascinò a peso verso il divano. Prese qualche decina di
cataloghi da un tavolino rococò e li prese a sfogliare con spasmi discontinui di
stupore e sconcerto. Shaka, tuttavia, aveva già compreso la splendida equazione
Aphrodite=Aiolia2, dunque incrociò le braccia e Buddha, mi è
capitato di osservare che…
«Sì, albicocca.»
sospirò Aphrodite, battendo le mani. Annuì rivolto a Mu con un’espressione molto
poco rassicurante. «Shaka, dimmi se ti piace. Ora ti faccio i capelli di un
bell’albicocca acceso, togliamo il bindi e ci mettiamo una bella frangetta rosa
shock che tiene i seme lontano chilometri (sempre che non siano così
rincoglioniti, intendiamoci).»
Afferrò un paio di
forbici da una tasca – Mu indietreggiò – e le sciorinò in aria con la destrezza
di chi ha passato buona parte della vita a fare il barman – no, non era vero, ma
a Mu dava quest’impressione.
«Facciamo un taglio
che ti liberi il collo da quest’oppressione, baby.»
E no, l’oroscopo che
aveva ancora ragione no.
«Arrivederci.» disse
solo Shaka, e sarebbe già andato via se sulla porta di casa non fosse comparso,
per l’appunto, l’altro padrone di casa, che stringeva una ventiquattrore in una
mano e un sacchetto di caramelle nell’altra.
Il sacchetto cadde,
la valigetta rimase ancorata all’uomo che pareva essere un Lupin colto in
fragrante dalla polizia.
«Minchia, no.»
rivolse un’occhiata sbigottita con i suoi occhi rossastri – era albino – ad
Aphrodite e mostrò il medio della mano libera. «No, no, Aphrodite. Io l’ho visto
X-files, mica m’inganni.»
«Oh, Shaka, potresti
aspettare un attimo in salotto?» trillò Aphrodite, saltando letteralmente dal
divano alla porta di casa, che chiuse con accurata minuzia.
Ritengo che la
sofferenza universale sia ciò che noi umani…
Mu afferrò i lembi
della propria tonaca e zampettò sino al corridoio, dando vita ad una scena così
irreale che per più volte Shaka pensò di sfondare una finestra e fuggire da lì,
oh sì.
«Rubo un attimo
Death Mask, che è lui…» disse Aphrodite, accanendosi sull’uomo in giacca e
cravatta e storcendogli in modo innaturale il dito. Comandava lui, e gestacci in
presenza di perfetti non erano ammessi.
«Io l’ho mandato in
galera ed era innocente, a quel tizio McGill… lo faccio anche con te.» minacciò
senza un particolare destinatario Death Mask, agitando la valigetta.
Shaka aveva comunque
smesso di meditare e ora pensava alla cena.
Vide il terzetto
sgattaiolare nel corridoio e nascondersi dietro il muro, ma avvertiva i loro
bisbigli frammentati e alcuni rumori imprecisati che parevano starnuti.
“Aphrodite, ti
sbatto fuori di casa… etci! … lavoro.”
“La casa è mia e ti
ho già… no, perfetto.”
“Etci! Che detersivo
usi? … rosa shock?”
“Siete allergici…
sì, dobbiamo dirgli… attraente.”
“Etci! Etci! McGill…
lista, la lista.”
“Secondo me ci ha
presi per pazzi.”
Aveva parlato il
saggio Mu.
E chi fece capolino
nel salotto, se non la testa albina e ammiccante di Death Mask? Si ritirò poco
dopo.
“Però è carino.”
“Te lo ficco in…
grazie per l’ombrello, Mu.”
“Uccidiamolo.”
“Ma anche no.”
Saggio, saggio Mu il
vegano!
Shaka si avvicinò ad
una finestra e scassinò la serratura. Insomma, a Yaoi City non era venuto per
morire.
Era pure indiano, e
con gli USA aveva ben poco a che fare: X-files, avvocati con ventiquattrore,
tinta albicocca e frangia rosa shock.
Sarebbe morto in
India, dopo aver sgozzato Aiolia, seduto sotto gli alberi di sala come il
Buddha, dopo aver sgozzato Aiolia, e le sue ceneri disperse nel
sacro Gange, dopo aver sgozzato Aiolia.
“Mu, tu cazzo ci fai
qui?”
“Non saprei. Etci.”
“Allora scrivo… ok.”
Perché erano scemi
quei tre, potevano tranquillamente parlare in salotto, si sarebbero sentiti
pressappoco come dal corridoio.
Aphrodite spuntò
così com’era andato via, con i suoi boccoli naturali e – non li aveva notati
prima, Shaka – dei polsini medici. Ah, sentiva un profumo di qualche sostanza
dal corridoio… evidentemente era quella per cui si lamentava Death Mask.
Sembrava un tantino forte, esagerata, necessitava persino l’uso dei polsini
medici?
E soprattutto,
perché Shaka si era abbassato a pensare come quei tre?!
«Scusa, questione
d’affari. Ora Death Mask va a preparare il pollo, vero che vai a preparare il
pollo?» soffiò con un sorriso molto ipocrita Aphrodite, rivolto al suo
coinquilino.
«No che non vado…»
«Eccolo che va.» e
rifilò un pugno all’avvocato, ancora munito di valigetta e cravattino.
Mu spinse Shaka
lontano della finestra, sulla quale aveva notato un tentativo di manomissione, e
lo gettò a sedere sul divano, poi non capì perché si ritrovò schiacciato da
Mu e Aphrodite, anzi, sotto Mu e Aphrodite, che gli mostravano con
avidità un volantino. Anche Mu… anche Mu portava i polsini…
«Guarda, Shaka!»
fece Aphrodite, facendo scorrere il dito su una lista. «Tu: uke non attraente.»
Shaka sbirciò, per
quanto possibile, una riga scritta a mano (un’aggiunta dell’ultim’ora, si
capiva).
Uke non attraente:
non sei attraente e forse devi lasciare la città farti i capelli
albicocca.
Mu mise da parte il
bon ton e la pacatezza per stringere le guance di Shaka e rifilargli un bacio in
fronte.
«Povero piccolo.»
Shaka sgomitò e
immaginò di avere dei laser al posto degli occhi, belli!, con cui avrebbe
potuto polverizzare tutti…
«Io uke lascivo,
molto lascivo.» mormorò suadentemente Aphrodite, poggiando come per caso una
mano sulla coscia di Shaka, che trasalì e se la scrollò di dosso. Ebbe poco
successo, giacché dall’altra parte anche Mu aveva iniziato ad allungare le mani.
«Io uke stuprabile,
dolce all’occorrenza.»
Non ho offeso le
divinità. Non ho ucciso. Non ho rubato. Non ho tenuto atteggiamenti sessuali
impuri.
Parlavano come due
robot quei pazzi assatanati e invidiosi che aveva addosso! Afferrò il volantino
e scivolò letteralmente giù dal divano, la tunica gli si sollevò per metà ma il
suo unico obiettivo era lasciare quei peccatori ai loro peccati… e come fare?!
La porta chiusa, la finestra scassinata…
La finestra
scassinata.
Era un ottimo
contorsionista.
Aphrodite che urlava
dalla finestra: «Shaka, torna qui!» divenne un vago mormorio alle sue spalle.
“Comprerò un
ombrello.” pensò scendendosi la veste oltre le ginocchia, osservato con
circospezione dai passanti. Poi, ammiccarono.
“Con la punta molto,
molto lunga.”
Ammiccarono ancora.
«Sono spiac-»
Pensava di dire
qualcosa a proposito del bene che sconfigge il male e se stesso che sconfigge
gli abitanti di Yaoi City, ma non aveva calcolato l’avvicinarsi di un uomo che
con fare amichevole gli aveva messo un braccio sulle spalle. Quel giorno erano
tutti in vena di scherzi e morte.
«Chi ti disturba,
mi niño?»
Gli mancava solo
l’ispanico a chiamarlo mi niño per quel días de fuego così
imprevisto. E così, muy caliente, Shaka tirò un pugno al naso
dell’intraprendente corteggiatore.
Lo lasciò
sanguinante, il setto nasale lievemente incrinato, senza accorgersi che le reali
intenzioni del chico latino erano di liberarlo dai passanti guardoni.
Il bel giardinetto,
quello che Shaka aveva arredato con amore e cura, era divenuto nel giro di
dieci, venti minuti un ritrovo per il coinquilino e i due vicini di casa. Il
tavolino che aveva montato era stato aggregato ad un altro molto più grande e la
tavola era stata apparecchiata come se fosse per un pranzo fastoso, sebbene
Shaka riuscisse a vedere come portate solo qualche schifezza da fast-food e il
buon tofu di Mu.
Camus aspettava di
stappare una bottiglia di spumante con impazienza. Non appena Aiolia avvistò
Shaka tornare, gli fece cenno di aprirla ed esclamò: «Brindiamo alla nuova
casa!»
Con un sonoro
plop il tappo rasentò l’orecchio destro di Shaka e andò a finire sulla
strada, proprio mentre passava un furgone. Milo si alzò e accompagnò Shaka al
tavolo – era appena confuso – e gli diede in mano un bicchiere di succo di pera,
giacché potesse brindare pur essendo astemio.
«Brindo alla mia
casa, alla vostra casa, al mio romanzo e specialmente a questo hamburger.»
sorrise Aiolia, alzando il calice – un bicchiere di plastica arancione – e
imitato prontamente da Milo.
«E a mio padre che
finalmente non mi assillerà più.» fece Camus, che sulle ginocchia reggeva le
pagine del romanzo di Aiolia.
«Oh, e ai letti!»
aggiunse Milo ammiccando.
«Alle lavatrici!»
rise Aiolia.
«Alle chat
erotiche.» farfugliò Camus bevendo, ma ancor prima che Milo svenisse, ancor
prima che Aiolia replicasse “agli ascensori”, Shaka sbatté il “catalogo degli
uke” sulla tavola, tra il suo tofu e un pacchetto di untuose patatine.
«Andiamocene da
qui.» sibilò. «Subito.»
Milo allungò
l’occhio, e la prima cosa che lesse fu qualcosa su un uke pronto sempre a
soddisfare il partner. Afferrò il foglio con avidità e proseguì nella lettura,
sgranando gli occhi mano a mano che essa lo soddisfaceva. Fissò Aiolia.
«Tuo fratello sa
cosa vuole.» ridacchiò continuando a scorrere con lo sguardo. Camus si
sporse e gettò un’occhiata, leggendo ad alta voce: «Uke stuprabile: dolce,
timido, introverso e vittima di agguati…? Attenzione che non vada a pezzi…?»
Aiolia li raggiunse
e lesse ancora: «Uke lascivo: pronto a soddisfare il suo partner in qualsiasi
momento, ma estremamente leader della coppia. Mai contraddirlo… eh?»
«Uke ribelle:
aggressivo e litigioso, violenta il proprio compagno secondo le sue esigenze.
Molto egoista ed egocentrico, attenzione! Potrebbe trasformarsi in seme.»
riprese Camus ostentando una voce anziana e saggia. Aveva le lacrime agli occhi.
Ad Aiolia parve
l’incipit di una sfuriata nervosa, a Shaka un pianto isterico e a Milo ciò che
effettivamente era.
Camus si accasciò
sulla sedia e si graffiò le nocche per non scoppiare a ridere. Non era da lui
ridere, no, ma non era da lui nemmeno leggere tali cavolate. Il romanzo di
Aiolia si sparse per tutto il giardino, mentre Camus s’infilava in bocca una
polpetta per l’astuto escamotage di trattenersi.
Toccò a Milo quindi
scoppiare a ridere e cadere dalla sedia, aggrappandosi ad Aiolia che rovinò con
lui per terra. La ridarella non contagiò Shaka, che si riappropriò del volantino
e si alzò in piedi, infastidito.
«Avete un briciolo
di buonsenso?» ringhiò fissando Camus, ormai impegnato a divorare le sue
polpette. Gli giunse come risposta un verso poco ortodosso, proveniente dai due
cosi rotolanti sul giardino.
Aiolia si asciugò le
lacrime. «Fammi leggere ancora, ti prego!»
Cercò di agguantare
il foglio, ma mise la mano su una confezione di senape che schizzò con estrema
precisione sulle polpette di Camus.
Ancora ilarità
generale, mentre Shaka si allontanava e iniziava a raccogliere il romanzo di
Aiolia.
Pazzi, anche Camus
di solito così serio, pazzi e fuori di sé. Milo lo raggiunse strisciando
e gli sottrasse il volantino, correndo da Aiolia per continuare la lettura.
«Senti qua!» rise
paonazzo. «Uke psicologicamente instabile: ha problemi d’identità, ha vissuto
esperienze drammatiche che l’hanno traumatizzato, si concede facilmente e schiva
l’amore. Ma uno psicologo no, eh?»
Aiolia si promise di
dir qualcosa al fratello. Prese la lista e cercò una definizione che non fosse
stata ancora letta. Trovò la prima, scritta in un bel rosso acceso.
«Sentiamo, va’.
L’uke perfetto: di solito si presenta biondo, dagli occhi chiari e androgino.»
ridacchiò, mentre gli occhi di Milo e Camus correvano su Shaka.
«Dal carattere
difficile, ambiguo, poco… socievole.» Aiolia alzò lo sguardo sul compagno che,
offeso, continuava a raccogliere il romanzo.
Milo mise in segno
di sostegno morale una mano sulla spalla dello scrittore.
«Appare aggressivo,
spietato, sadico, è capace di picchiare a sangue freddo.» Aiolia deglutì. «Ma…»
Shaka sistemò i
fogli evitando di gettare occhiate ai tre finché non ebbe terminato. Tacevano.
L’ultima frase
diceva: “Ma è solo apparenza, perché è più sensibile di te, stupido seme che
leggi questo catalogo per sceglierti un partner! L’uke perfetto è un’utopia.”.
Fu Camus a
soffocarsi con le polpette, e da lì ricominciò l’aria ilare che si era
interrotta per la lettura dell’uke perfetto. Aiolia squadrò Shaka,
proprio mentre un raggio di Sole gli illuminava le spalle. Era perfetto sì, ma
non perché lo diceva un insulso foglio di carta. Lo strappò.
Aiolos non aveva in
mente l’idea di fare la spesa con Aiolia e Milo finché non li vide vagare per il
centro commerciale con un carrello riempito da ogni sorta di sciocchezzuola
anziché da cibo, l’espressione spaurita e atterrita che hanno i bambini
all’asilo senza la loro mamma.
Li raggiunse
sorridendo come il Sole, porgendo ai due delle bottiglie d’acqua.
«Partiamo dalle
basi, d’accordo?» chiese senza troppa arroganza, uscendo dal loro carrello un
materassino da piscina e un hula hop. Aiolia si attaccò al fratello come una
tellina.
«Los, grazie al
cielo che ci sei tu.» mormorò. «Senza la signora Kelly temevo di morire.»
«Il padre di Camus
era buono solo a fare la spesa.» sospirò Milo, rammentando giorni ormai perduti.
Aiolos alzò le
spalle.
«La signora Kelly e
il padre di Camus non ci sono più.» disse solennemente. «È compito vostro fare
la spesa. Come farete altrimenti ad accontentare i vostri uke, se non sapete
neppure nutrirli?»
«Mh.» mugugnò Milo,
grattandosi il mento. Per quanto ne sapeva lui, Camus non era mai stato a corto
di cibo, anche se vederlo impegnato in una battuta di caccia nella giungla
(s)vestito come Tarzan non era così male…
Aiolia indicò uno
scaffale di cereali.
«La colazione è
importante.» disse solennemente.
Aiolos annuì e prese
qualche scatola. «Io e Saga adoriamo il muesli con pezzi di banana. Voi?»
«Io a colazione
mangio un panino, di solito.» ammise timidamente Aiolia, scrutando il muesli.
Milo cominciò a
frugare tra gli scaffali alla ricerca di qualcosa che contenesse fragole, ma
inavvertitamente urtò contro un ragazzo altissimo e slanciato, che si girò
fissandolo con i suoi occhi verdi dai riflessi – inaudito! – rosati. I suoi
occhi indugiarono su Milo imbambolato, quindi su Aiolia e infine sul sindaco.
«Oh, sindaco Aiolos.
Buongiorno.» sorrise, spostandosi di poco affinché si vedesse un altro ragazzo.
«Sion, buongiorno!»
replicò Aiolos con un cenno della mano. «Buongiorno anche a te, Doko.»
Tale Doko, cinto da
una tunica palesemente cinese, adocchiò lo scrittore alzando le sopracciglia
stupito.
«Suo fratello? Vi
assomigliate moltissimo.» commentò, esaminando delle confezioni di cibo, ma non
pareva soddisfatto. «C’è ogni tipo di cibo ma non il cinese, sindaco Aiolos.»
«Provvederò affinché
arrivi.» sorrise Aiolos, carezzando la spalla di Aiolia. «Questo è proprio mio
fratello Aiolia, lo scrittore più bravo del mondo, e questo è Milo. Loro sono
Sion e Doko, ragazzi.»
Dopo presentazioni e
saluti, Sion afferrò la mano di Doko e sorrise.
«Beh, allora noi
continuiamo a fare spese. Mi saluti Saga.»
«Arrivederci!»
salutò Aiolos allegramente. Non appena si furono allontanati, si voltò verso il
fratello e Milo e con un profondo sospiro si lasciò andare ad un sorriso
soddisfatto, celestiale. Socchiuse gli occhi.
«Sion e Doko sono
giovanissimi, ma si sono già sposati in Massachusetts. Stanno lottando affinché
anche in Kentucky il loro matrimonio venga riconosciuto.» la sua voce era
estasiata. «Sono la coppia ad honorem di Yaoi City, anche se vengono qui solo
per i week-end…»
«Sposati?» ripeté
perplesso Aiolia.
«Sì. Sono dei
capisaldi persino per me. Oh, le barrette ai cereali con il miele! Saga le
adora!» tinnì infilando la mano in uno scaffale.
Matrimonio… Aiolia
inventò lì sul momento una trama per una storia che avesse a che fare con un
matrimonio, quindi la inserì nel romanzo di distopia. Kasha Juta, matrimonio…
sì! Avrebbe infilato nella storia un certo Aliante Aholiosi come amante del
grande capo.
Milo, al contrario,
cercava ancora un alimento che contenesse fragole o al massimo lamponi.
«WAH! Due seme
fighissimi dietro di te!»
Milo lanciò in aria
una confezione di cornetti al cioccolato.
Alcuni ragazzi
parevano entrati in trance accanto a lui e lo fissavano a bocca aperta, gettando
ogni tanto un’occhiata anche ad Aiolia, ancora indeciso tra una storia d’amore
drammatica tra Aliante e Kasha e una pregnante ma fugace relazione. Non gli
sfuggì, in ogni caso, l’occhiolino di un ragazzo rivolto unicamente a lui. Prese
Milo sottobraccio.
«Andiamo a comprare
i surgelati, andiamo…» mormorò trascinando Milo, il carrello e l’ignaro
fratello.
Camus invidiava il
giardino di Shaka. Là avrebbe potuto studiare con estrema serenità per gli
ultimi tre esami all’università, sorseggiando qualche bevanda ghiacciata,
immergendosi nell’idilliaca quiete del gazebo tra gli alberelli rigogliosi.
Invece strinse le labbra e accavallò le gambe sull’unica sdraio del proprio
giardino, abbastanza malandata per i trascorsi subiti: una volta aveva quasi
preso fuoco, un’altra era rimasta sotto la neve, un’altra ancora era caduta
nella piscina dei vicini – no, Camus non poteva non ricordare quando il suo
infuriato padre era tornato a casa con la cosa inzuppata blaterando: «I
vicini dicono che un ragazzo con i capelli biondi e lunghi l’ha lanciata dalla
staccionata.»
… una scommessa tra
Aiolia e Milo.
«Vado dal critico
Lord Rhadamantys. Se torna Aiolia, chiedigli di sedersi sul dondolo. Non è
montato bene, potrebbe essere la volta buona che ci resta secco.» fece una voce
oltre la siepe. Si voltò verso l’unico lato confinante con una casa, essendo la
propria villetta al limite dell’isolato.
«Mh.» rispose
eloquentemente, mentre Shaka raggiungeva il marciapiede. «A dopo.»
Chinò il capo sul
libro. Tre esami, solo tre! Poi sarebbe stato accolto con tutti gli onori in una
comunità scientifica e magari avrebbe insegnato ad Harvard!
«Hola.»
… ignorò.
«Non dovresti
rimanere da solo.»
… si alzò e con
nonchalance si avvicinò all’interlocutore.
«Prego?»
«Un uke come te non
dovrebbe rimanere solo.» disse quello, appoggiandosi al cancelletto del giardino
con espressione preoccupata. «Ci sono seme malintenzionati in giro.»
Camus respirò a
fondo. Uno, due, tre…
«Di cui fai parte,
suppongo.» sibilò stringendo un pugno. L’uomo indietreggiò.
«No, no, aspetta…»
Sul naso aveva un
cerottino che si usava per frenare le emorragie. Bastò quello perché Camus
comprendesse l’animo infimo e meschino dell’uomo.
Il cerottino servì a
poco, dato che il naso riprese a sanguinare copiosamente. Camus recuperò il
proprio libro e tornò a studiare, disinteressandosi della camminata barcollante
e rassegnata del ferito, il cui unico scopo era avvertire il nuovo cittadino dei
rischi dei seme malintenzionati – ma non ne faceva parte, joder!
Kanon si dondolava
su un’amaca arancione ascoltando musica a tutto volume con le cuffie. Cadde tre
volte per terra, irrompendo in una parolaccia per “essersi disturbato”
nell’ascolto: alla quarta, mentre stava per sbraitare una poco gentile
osservazione verso le nuvole (libera interpretazione), si ritrovò davanti
il fidanzato del fratello del fidanzato di suo fratello.
«Sì?» chiese
infastidito.
«Salve, Kanon.»
salutò cordialmente Shaka, benché si trovasse lì con il solo scopo di realizzare
l’ultimo desiderio di Aiolia prima che questi tirasse le cuoia. «Desidero
parlare con Lord Rhadamantys, sempre che ciò sia possibile.»
«Oh, ma certo.»
replicò Kanon. Il suo compagno era in casa a lavorare, ma disturbarlo non
avrebbe fatto né caldo né freddo. Si affacciò dall’esterno ad una finestra del
piano terra e iniziò a conversare con il critico, che non lo degnava nemmeno di
un’occhiata. La situazione si trascinava avanti così da circa una settimana,
ovvero da quando si erano trasferiti a Yaoi City e lo studio del Lord era stato
disgraziatamente collocato accanto all’amaca di Kanon.
Shaka si avvicinò.
«… mi passi da bere?
No, dammi il tè… non te lo bere tutto, dai!»
Non se lo beva
tutto, no! Shaka, innervosito, tossì.
«Ah, Rhada, c’è qui
il nostro lontano parente Shaka… vuole parlare con te.»
«Fallo accomodare in
salotto.»
«Passami il tè,
please.»
Quando finalmente
Shaka poté incontrare Lord Rhadamantys, Kanon era tornato a dondolarsi
sull’amaca con una tazzina di tè che si rovesciò per terra alla prima
oscillazione.
Dentro casa Shaka
porse un paio di fogli al critico.
Un teinomane
vale l’altro.
«Le consiglio di
leggere questo breve racconto di Aiolia Anthelios ambientato a Siviglia
nell’anno 1936, allo scoppio della Guerra Civile spagnola. A mio parere…»
Gem racconta
Come state, lettori della parodia più spietata e folle sullo yaoi? XD una cosa
che non ho detto ed è necessaria: qui vigono i più terribili luoghi comuni sullo
yaoi, sugli uke e sui seme. Ce la farà Shaka ad abbatterli? *^* per saperlo
dovete seguire *O* preciso che le assurdità sono volute, eh.
Regina di Picche. Piccolo Muh, se tenti di molestare ancora Shaka, fallo in
privato e assicurati che non ci siano né Aphrodite né DM nei paraggi. O sappiamo
quello che può succedere (Shaka si trastullerà con DM, omg). XD
zamina. Shaka cammina su un sentiero irto di ostacoli, mente attiva in un corpo
passivo (perché gli piace, eh u_u XD). Cosa ne sarà di lui ora che è nel covo
della Viverna? *^* … berrà tè, ovvio. XD
Love_in_idleness. Hai visto che qui i vecchietti non sono così tanto vecchietti?
È ora che Sion e Doko siano i più giovincelli in circolazione. Insomma, poca
differenza da 261 anni a 18. XD
cry_chan. Kanon manda saluti dalla sua amaca, piangendo per il tè rovesciato a
terra XD grazie mille per leggere! E Manga Street avrà presto delle colleghe!
*_*
Himechan. Ciao! *porge copia di Mi sento un leone* Aiolia farà carriera tramite
il passaparola! *_* grazie mille per i complimenti! Sì, ho due Lia/Shaka, una
iniziata (il primo capitolo è già scritto) e un’altra, più lunga, che è un
lavoro a due menti. Spero di vederti presto in un’altra delle mie folli
creazioni! XD
Ringrazio chi ha aggiunto la fic ai preferiti e chi alle seguite <3 un piccolo
avviso… per un po’ di tempo mi prenderò una pausa per scrivere qualche capitolo
e tornerò ad aggiornare a fine mese le storie in corso. Il discorso non vale per
Enigma (che è conclusa) e Calliope, di cui ho un altro capitolo pronto.
Sorry ^^” ho troppi progetti in corso XD
Gem!
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Capitolo 3 *** Tre ***
Nuova pagina 1
L’uke perfetto
TRE
… sono gli uke che
mi hanno aggredito.
«Ha detto che lo leggerà? Sei sicuro?» chiese ansioso Aiolia, infilandosi in
bocca un panino intero. Shaka sperò che fosse impossibilitato a parlare, che
quelle labbra carnose si chiudessero per qualche secondo e masticassero
decentemente, ma Aiolia deglutì subito e continuò. «L’ha messo tra libri
impolverati o accanto ai suoi documenti?»
Bevette avidamente un bicchiere di latte. Se avesse miagolato, Shaka lo avrebbe
scambiato per un gattino affamato.
«L’ha tenuto in mano finché non sono andato via.» chiarì brevemente.
«Oh, un buon segno!» esclamò Aiolia, tornando a bere.
«Certo. Forse l’ha buttato nella spazzatura appena dategli le spalle, ma è un
buon segno.»
Lo scrittore impallidì.
«Cosa…?»
Un rumore di piatti echeggiò per la cucina. Shaka si era alzato e stava già
sparecchiando, portando con calma le stoviglie dal tavolo al lavello. Aiolia
spiluccava ancora, ma era un dettaglio trascurabile.
«Non è che ha dato i fogli a Kanon e quello ha fatto le barchette per giocare in
un enorme, infinita tazza di tè?!» si alzò di scatto dalla tavola e, sebbene
fosse solo mattina, aveva in viso l’espressione di uno che aveva lavorato tutto
il giorno. Sgranò gli occhi già abbastanza sporgenti dalle orbite. «Forse su
ogni barchetta ha scritto il nome di un membro della famiglia Forrester, e… oh
Dio, è andata così. Sta giocando con i miei lavori. Shaka, non mi sento bene.»
Non gli giunse risposta. Era la quarta volta che Aiolia chiedeva a Shaka di
raccontargli cosa fosse successo a casa del Lord. Al ritorno dal supermercato, e
il racconto era stato scorrevole e pacato.
A
cena, quando Shaka innervosito aveva rovesciato dell’acqua sulla pizza di
Aiolia.
A
letto, mentre Shaka si rivestiva, e anziché accendere la classica sigaretta
Aiolia aveva iniziato a piagnucolare.
E
infine a colazione, con uno strano capannello di gente nel giardino di Mu. Shaka
scostò le tende della finestra e gettò un’occhiata rapida, giusto per
assicurarsi che il suo giardino rimanesse incolume.
«Che succede?» fece Aiolia, osservando l’orologio. «Sono solo le nove.»
Solo, pensò Shaka. Lui che si alzava all’alba, meditava, faceva un po’ di
yoga, preparava da mangiare, ripuliva la casa da palle di pelo di Aiolia
(ossia tutto il disordine causato da lui), aerava le stanze, doveva sentirsi
dire “solo le nove”.
Come se prima – e dopo – fosse obbligatorio poltrire.
«Fanno un falò in cui bruceranno i tuoi libri.» rispose Shaka.
«Quello è Sion.»
«Non conosco alcun Sion.»
«Sta appendendo un manifesto… dunque, se leggo bene… “Club degli Uke”.»
Shaka tornò ad osservare dalla finestra. Un ragazzo stava inginocchiato sulle
spalle di Mu – e se Shaka non avesse avuto la certezza che ciò fosse
realizzabile, non avrebbe creduto ai propri occhi – e appendeva un cartellone
sulla grondaia, proprio sopra la porta di ingresso.
Che vicini deficienti.
No, non i vicini; non c’era solo l’abitante della casa in quel giardino, bensì
una cospicua rappresentanza di “uke” di Yaoi City, i cui sguardi sognanti erano
rivolti al manifesto. Il ragazzo sulle spalle di Mu si voltò e fece un segno con
la mano, quindi tra i presenti si levò un allegro applauso.
«Però.» commentò Aiolia. «Sion ha il potere di creare ovazioni.»
«Chiamo la polizia.» e Shaka aveva già la cornetta in mano. Non apprezzava molto
l’idea che accanto a casa sua iniziasse un rave.
«Per carità!» replicò l’altro, abbassandogli la mano. «Non vedi che è un
incontro tra amici?»
Non lo vedeva. Lasciò perdere la cura della cucina, era tempo che anche Aiolia
contribuisse alla pulizia domestica.
Slegando la treccia in cui aveva legato i capelli, uscì di casa – confusione
terribile: avanti Sion, ora scendi!, tanto non mi prendi, ma Aldebaran è in
casa?, quando arriva Saga?, Cristo santo i tuoi nuovi orecchini! – e finse
di sistemare le sedie del giardino con aria infastidita.
Come ciliegina sulla torta, qualcuno accese la radio sulle confortanti note di
“(I can’t get no) Satisfaction”.
«AHH! Shaka!» urlò l’inconfondibile voce di Aphrodite. Scattò verso la porta, ma
sciaguratamente si era richiusa e per l’anticamera del cervello di Aiolia non
era nemmeno passata l’idea di salvare il fidanzato dalla mandria di uke. Per la
cronaca, stava finendo il suo latte.
«Vieni, Shaka!»
Il corpo di Shaka si ritrovò sbalzato nel giardino di Mu. Sembrava quasi che si
fosse teletrasportato! O… no, no, aveva volato! Con amarezza, si accorse che non
aveva opposto resistenza ad Aphrodite perché era troppo impegnato a maledire
l’ignara Shaina.
«Oggi c’è la nostra riunione settimanale!» sorrise Aphrodite, il cui profumo
ricordava le penne aromatizzate di Aiolia – gli scrittori sono eccentrici. «Sei
stato attirato da un’entità sconosciuta, eh?»
Il buddista si chiese se l’aroma di mango potesse aver fatto impazzire Aphrodite
più di quanto fosse già. Si era forse dimenticato del divano, della finestra e
delle avances? Aveva resettato il suo cervello e si preparava a comportarsi da
uke lascivo o quel che era con il suo seme?
…
meglio così.
Mu li raggiunse. Non aveva più sulle spalle il ragazzo di nome Sion, ormai
intento a conversare con un altro uomo.
«Buongiorno, Shaka.» salutò educatamente. Nulla poteva lasciar trasparire la
reale indole di quel vegano. «Arrivi proprio al momento giusto.»
Ma davvero?
«Ti presento subito alcune persone.» sorrise gentile, allontanando Aphrodite. Lo
condusse da Sion e l’altro sconosciuto, che si voltarono simultaneamente.
«Questi sono il mio fidanzato Aldebaran…»
L’uomo porse la mano a Shaka. Aveva un sorriso genuino, sincero, che spinse il
buddista ad accettare la stretta di mano senza troppi indugi.
Non si poté dire lo stesso dell’altro ragazzo.
«Questo è Sion, ci conosciamo da tempo.» spiegò Mu. Cinque unghie viola,
probabilmente finte, all’estremità di dita lunghe e affusolate si allungarono
verso quelle immacolate di Shaka con una carica erotica impressionante.
Altro che stretta di mano. Sion sembrava afferrare qualcos’altro.
Questo è un sogno, e quando riaprirò gli occhi
chiederò venia al Buddha per le produzioni del mio inquietante subconscio.
«Sono vere.» sogghignò il diretto interessato. Quella mattina erano stati in
molti a rimanere sorpresi per il suo nuovissimo stile di unghie. «Tranquillo,
non graffio.»
«Fare la vostra conoscenza è stato molto utile per le mie riflessioni sull’anima
umana.» disse Shaka al limite della sopportazione, fissando Aldebaran (giacché
osservare Sion avrebbe comportato chissà quali reazioni di collera). «Se non vi
dispiace, torno in casa a sistemare gli ultimi scatoloni del trasloco.»
Sion arricciò le labbra, ma Shaka non poteva vederlo. «Non puoi. Oggi c’è la
riunione.»
«Prego?»
Aldebaran s’affrettò a zittire Sion e Mu, già a bocca aperta. «Partecipare è
pressoché obbligatorio, solo con motivazioni importanti si può evitare di
venire.»
Sion scosse la testa, Mu replicò: «Temo che il trasloco non sia un motivo
sufficiente. Tra l’altro, Aldebaran, non si sarà fatto un po’ tardi per te?
Dovresti già essere alla riunione dei seme.»
Buddha. Krishna. Gesù. Maometto.
Shaka sbuffò, piano.
«Sì, che sbadato! Io vado!» Aldebaran scoppiò a ridere, stampando un bacio sulla
fronte di Mu, di Sion, di…
Aldebaran baciò Shaka sulla fronte.
Aldebaran aveva baciato…
Sulla fronte.
«Porto con me il tuo seme e il suo amico, Shaka.» aggiunse, ma quando il
buddista riuscì a voltarsi, non vide che Milo e Aiolia salire sull’auto di
Aldebaran, e Camus con due libri in mano vagare per il giardino di Mu.
Perlomeno, nella battaglia avrebbe avuto un alleato.
«Sto studiando.» mormorò Camus, chinando il capo sui libri. «Se non è un motivo
serio, questo…»
«No!» gli soffiò in faccia Aphrodite. «Bisbetico!»
Gli estranei erano ben lungi dal chiamare Camus bisbetico. Quando quella parola
giunse alle orecchie del ragazzo, coperte appena dai capelli rossi, a Shaka
sembrò che quel giardino fosse diventato il luogo di un delitto. Gli elementi
c’erano tutti: il movente (comprensibile), le vittime (e quante!),
l’assassino (uno per Aphrodite, uno per gli altri), l’arma (le unghie),
l’alibi (il trasloco, e io studiavo).
«Come?» la voce di Camus era serenamente piatta, ma i suoi occhi tradivano una
certa irritazione.
Salvò Aphrodite l’arrivo di una decappottabile che Shaka aveva già visto. La
presenza di due gemelli a bordo, inoltre, scatenò un putiferio tra i presenti
che iniziarono a correre qua e là gridando “possiamo iniziare ora! Iniziamo!”.
Quando Saga scese dall’auto, dovette trascinare Kanon come farebbe un padre con
un figlio che non vuole andare a scuola. Più o meno in quell’istante Shaka fu
fatto sedere a forza tra Mu e Aphrodite, mentre Camus veniva gettato tra Sion e
un posto libero. Gli caddero i libri dalle mani.
«Signor Saga, oggi è in forma smagliante!» trillò un ragazzo, e tutti iniziarono
a farsi i complimenti. Sion si alzò in piedi e mostrò ancora le sue unghie,
orgogliosissimo: gli applaudirono.
«Ehi! Ma quello è il colore del lubrificante che uso io!»
Saga ebbe un malore.
Camus sgranò gli occhi.
Sion irrigidì le mani, cosicché le sue unghie parvero degli artigli affilati.
Gli occhi di tutti i presenti corsero su Kanon.
«Eh?» fece, sorpreso. «Dicevo… lubrificante per porte.»
Saga si sedette accanto a Camus, portando una mano al viso. Mu si avvicinò e gli
chiese se volesse un po’ d’acqua, ma l’altro rifiutò gentilmente.
«Non volevo essere scurrile.» continuò Kanon, ma dall’occhiata che rivolse a
Saga si comprese benissimo che tutto era stato premeditato. In effetti, in auto
Saga aveva raccomandato più volte al fratello di “non turbare l’animo degli
innocenti uke”. Suvvia, ridacchiava Kanon.
Sion strinse i pugni, risentito.
«Kanon Valiant…» tossì. «Nonostante abiti a Yaoi City da non poco tempo, non hai
mai assistito ad una riunione. Sono contento che tu abbia deciso di ascoltare
tuo fratello.»
«In realtà mi servono delle banane per il pranzo.» replicò innocentemente Kanon,
prendendo posto accanto al fratello. «Volevo preparare delle banane flambé da
incendiare, mh… come sono buone… mai provate?»
«Cerca le banane nella tua casa, Kanon.» chiuse la discussione Sion. «Non venire
a chiedere litchi altrui.»
Camus incrociò quasi per caso gli occhi di Shaka, e con un semplice sguardo gli
chiese “Di cosa stanno parlando?”. Come risposta, decifrò un “prendi un
coltello, prendi un coltello”.
«Bene, ci siamo tutti.» disse quindi Sion, e Mu gli porse un catalogo. «Ecco a
voi l’esclusiva collezione di addobbi e arredi natalizi per le nostre case!»
Wow, esclamazione che si pronuncia uào.
Né Shaka, né Camus, né Kanon avevano mai udito in vita loro un
uuuuuuuuuuuààààààààoooooooo così sonoro da rimbombare all’aria aperta.
«Guardate qua: un copriletto splendido in tema natalizio!» proseguì Sion,
indicando un elemento del catalogo. «Saga, non è simile a quello che ha lei?»
Sion era uno dei pochi che poteva permettersi una certa familiarità con il
segretario del sindaco, a causa del suo rispettabile stato civile. Era anche
quello il motivo per cui conduceva le riunioni della domenica.
«Oh, sì, è molto simile.» rispose sorridendo Saga, mentre Kanon si sporgeva ad
osservare. «Anche le decorazioni sembrano…»
«UÁO, la tavoletta del water con Babbo Natale!»
Saga strinse i denti, ma non resistette alla tentazione di far del male al
fratello. Lo tirò in piedi e con un tremante “scusate” si allontanò dal gruppo,
mollandogli in mano le chiavi dell’auto con una tale violenza da lasciargli dei
segni rossastri. Indicò la macchina.
«Vattene dal tuo Lord, hai capito? 452 N Kurumada Road, te lo ricordi,
vero?»
Kanon sospirò di gioia. Lui lo diceva da tempo, che doveva far parte del club
dei seme.
«Certo, è casa tua.» rispose.
«Bravo, vacci e cerca di non maltrattare Aiolos.» ringhiò Saga. Lo spinse verso
l’auto. «Se trovo un soprammobile fuori posto, sei morto.»
«Va bene!» cinguettò il teinomane, e festosamente montò sulla decappottabile.
«Cercherò di non graffiarti la macchina.»
E
Saga ebbe improvvisamente paura.
Aiolia scese dall’auto di Aldebaran con la nausea. Non tanto per la guida
dell’uomo, che in realtà era perfetta, ma per il considerevole numero di volte
in cui questi aveva detto: “… ma è un uke, cosa vuoi farci? Devi capirlo.”
Parlavano di fidanzati perché Milo si era accorto di aver preso le chiavi di
casa di Camus, e lasciato quel povero cristo in giro con i libri
dell’università. E in mezzo ai pazzi, avrebbe aggiunto Shaka, fornendo a
Camus un altro rifugio.
«… fissato con il bricolage, ma è un uke, cosa vuoi farci? Devi capirlo.» ribadì
in quel momento Aldebaran, ma grazie al cielo Aiolia non l’aveva sentito.
Camminava un po’ storto l’uomo dai capelli scuri e il viso pallido come un
lenzuolo che urtò involontariamente Aiolia. Portava un cerottino sul naso
(incrinato) e al suo fianco si trovava Death Mask, ancora sconosciuto allo
scrittore.
«Perdonami…» si scusò, massaggiandosi il naso. Lo scrutò attentamente,
perplesso. «Il fratello del sindaco...?»
«Sì, sono io. Aiolia Anthelios.»
«Ah.» l’uomo esitò, ed esitò parecchio. Non poteva certo rispondergli “il tuo
biondino mi ha spaccato il naso, e anche il rosso fidanzato del tuo amico”,
quindi si presentò rassegnato. «Shura Xavier, piacere di conoscerti. Ho letto il
tuo libro, complimenti. È molto interessante.»
Ad Aiolia si illuminò lo sguardo.
«Oh, grazie!» sorrise. «Sono lieto che ti sia piaciuto.»
Aldebaran, Milo e Death Mask attraversarono subito il giardino per entrare a
casa di Aiolos e Saga (che Aiolia non aveva avuto ancora modo di visitare),
mentre lo stesso scrittore si attardò con la nuova conoscenza sul marciapiede,
radioso.
«Sei talentuoso.» commentò Shura, dimenticando per un attimo i pugni che s’era
sorbito a favore di un discorso decente con quel giovane autore, che aveva
iniziato ad apprezzare. «Anzi, vorrei chiederti l’autografo prima che tu diventi
troppo famoso per concedermelo…»
Aiolia arrossì appena.
Non per l’imbarazzo, ma per la gloria.
«Potremmo chiedere a mio fratello della carta…»
«Oh, abito qui di fronte. Prendo la mia copia.» disse né troppo eccitato né
troppo impassibile. «Torno subito.»
Aiolia fremette. Come amava essere il fulcro di tanti pensieri! Osservò Shura
attraversare la strada, quindi sviò lo sguardo sulla casa del fratello, che era
una vera e propria reggia. Molto grande, di bell’aspetto e moderna: eccola,
eccola! La casa di Kasha Juta sarebbe stata ispirata a quella!
Peccato che lì vivesse anche Saga. Lo scrittore storse il naso, ma si consolò
pensando che nessuno è perfetto.
Tranne Aiolos.
Tranne Shaka.
Cosa stava facendo Shaka alla riunione degli uke? Aiolia si pose la domanda ma
non si diede risposta, giacché Shura era uscito di casa e tornava da lui.
Stava attraversando quando una decappottabile giunse sfrecciando…
Rallentando…
Ma non si fermò.
Shura cadde a terra.
Aiolia scattò a soccorrerlo, Kanon semplicemente urlò.
Una copia di Mi sento un leone era volata fino al parabrezza.
«Cazzo!» vociò Kanon, saltando giù dalla macchina di Saga. Aveva in mente uno o
due simpatici scherzetti da fare al gemello, ma non aveva mica programmato di
investire un passante!
Il fato volle che l’avesse solo urtato, e che fortunatamente non sembrava in
condizioni critiche.
Kanon si gettò in ginocchio.
«Non volevo, maledizione! Che casino!» gridò controllando l’auto. «Diamine, se
‘sto libro ha ammaccato il parabrezza, io… ma questo autore del cazzo non aveva
nient’altro da fare?»
Aiolia porse un braccio a Shura, che era pietrificato per lo shock. Conscio di
non aver subito lesioni ad organi vitali, si alzò in piedi e balbettò: «Tre… tre
sono gli uke che mi hanno aggredito… tre!»
Kanon si voltò solo una volta scongiurato ogni danno all’auto: «Tutto bene?»
Lo scrittore lo afferrò per il bavero della camicia, esagitato, e digrignò
vistosamente. In tre secondi, quanta confusione aveva combinato… quel maledetto
Saga?
«Lasci immediatamente mio fratello, dannato assassino! Porti quest’uomo in
ospedale, o… o stia attento, farò in modo che l’offesa che mi ha rivolto non
passi inosservata!»
Kanon alzò un sopracciglio: «Ma che…?»
«Mio fratello è troppo buono per stare con lei! Si vergogni!»
Il dolorante Shura si frappose tra i litiganti, tentando di allontanare Aiolia
dalla camicia di Kanon. Invano: lo scrittore si avventò ancora di più sul
gemello.
«La denuncio!»
«Smettetevela!»
«Ma cosa vuoi da me?!»
«Mio fratello merita di PIÙ!»
«Toglimi le mani di do–»
«KANON!»
Un urlo fragoroso sovrastò le voci dei tre uomini. Sembrava il ruggito di un
drago, il ruggito di una viverna: non a caso, Lord de Wyvern giunse correndo dal
giardino, sbattendo Kanon sul cofano e Aiolia e Shura per terra. Forzuto il
critico, forzuto di tempra e nel fisico.
Kanon rotolò per ultimo a terra.
Dopo aver gettato un’occhiata ai tre, sembrò che Rhadamantys fosse pronto ad
immettersi nella rissa per un motivo non ben identificato. Tuttavia, visto il
carattere profondamente nobile dell’uomo, la sua unica frase fu scontata per
Kanon, ma non per gli altri due: «Abbassate la voce, per cortesia.»
Aiolia girò il viso verso Kanon, sobbalzando. Ma quello non era…
«Tsk, è la seconda volta che mi scambi per quello stupido di mio fratello.»
mugugnò Kanon, alzandosi. Si diede una pulita ai jeans, sul fondoschiena,
scuotendo la testa rivolto al fidanzato – indifferente e ignaro di tutto. «Credo
che mi tatuerò in fronte la scritta “Kanon Il Magnifico”…»
«Cos’è successo?» chiese Lord Rhadamantys. Aiutò Shura (sembrava un cadavere, a
guardarlo bene) a rialzarsi e tornò ad osservare Kanon. «Che ci fai con la
macchina di tuo fratello?»
«Ha investito Shura.» sputò seriamente Aiolia.
«Non era sulle strisce.» replicò immediatamente Kanon. «E il libro che ha
colpito il parabrezza mi ha impedito di fare la giusta manovra.»
«Che cosa?!» tuonò l’altro. «Sciocchezze, dovrebbero toglierti la patente!»
Aiolia vs Saga&Kanon, se Aiolos vuole può dare
una mano (al fratello, si spera).
Il critico prese Kanon per un braccio e lo allontanò dallo scrittore onde
evitare ulteriori diverbi. La questione si chiuse con un raffinato: «Kanon,
vieni con me. Signor Shura, le diamo un passaggio in ospedale. Signor Aiolia, la
prego di avvertire suo fratello che per cause di forza maggiore non possiamo
partecipare alla riunione del club dei seme. Oh, Kanon, dà le chiavi della
decappottabile ad Aiolia, per piacere.»
Con un gemito di disapprovazione, Kanon tirò le chiavi ad Aiolia.
«Le dia ad Aiolos e gli dica di spostare l’auto dalla strada.» concluse. «E
arrivederci.»
Il gentleman condusse Shura sino alla propria auto e lo aiutò a salire, mentre
un Kanon incollerito si attardava ad osservare Aiolia entrare nella villa.
Sembrava proprio di essere in una soap-opera,
ridacchiò infine.
Shaka, quando sentì la porta di casa aprirsi, provò una tale gioia che si
vergognò immensamente di non averla saputa reprimere. Balzò in piedi dal divano
dov’era accucciato e corse all’ingresso, fronteggiando un Aiolia che sembrava
scosso quanto lui.
Le affinità erano palesi: sguardo esterrefatto, occhiaie, pallore, labbra
tremule, sudore, la pelle del collo continuamente smossa dal deglutire.
«Che ti hanno fatto?» chiese quasi in lacrime Aiolia, così felice di avere Shaka
ancora vivo davanti a sé. Gli pose le mani sulle guance. «Stai bene?»
Il buddista sollevò un braccio. Reggeva un volantino.
Cautamente, Aiolia glielo sfilò dalle dita e osò sbirciare, ma già sapeva cosa
fosse, di cosa parlasse, quale sventura avrebbe portato alla sua vita.
«Un’altra stupida, noiosa festa.» annuì grave. «Sì, l’hanno dato anche a me.»
Shaka scosse la testa, e sulle sue labbra marciò la fatidica parolina “no, no,
no, no…”.
Aiolia sospirò.
«Mio fratello… non posso deluderlo.»
E
questa identica frase fu pronunciata da Kanon parecchie ore dopo, durante la
festa che aveva reso Aiolia paonazzo, Milo confuso, Shaka folle e Camus
stupido (perlomeno, si dava dello stupido perché voleva tornare da Hector, e
oltre ad aver fatto arrabbiare Milo con queste parole, aveva fatto arrabbiare
anche se stesso).
«Mio fratello… non posso deluderlo.» aveva detto, dunque, Kanon.
Non era una frase poetica o pregna di affetto fraterno… proviamo ad immergerci
nel contesto generale.
Saga giocava a “colpisci il nano” in compagnia di Sion e Doko, anche se ogni
volta che il segretario si preparava a sparare verso la bancarella Sion iniziava
a urlare: «Qui! Qui!» e indicava ridendo il fidanzato. Avendo vinto per tre
volte consecutive un peluche, il tormentato Kanon – aveva in bocca un leccalecca
col quale rischiava di stuzzicare tre quarti dei presenti – s’era fatto prendere
dall’invidia e aveva distratto il fratello, impedendogli di vincere un enorme
orsacchiotto blu.
«Era per Aiolos, quello.» ringhiò nervoso.
«Anche tutti gli altri, mi risulta.» s’intromise Doko, prontamente zittito da
Kanon: «Perché, la notte non sa chi stringere? Peccato…»
Saga strinse gli occhi. Se non ci fossero stati Sion e Doko, avrebbe strozzato
Kanon per tutti i guai che aveva combinato in una sola giornata. Che uke
terribile… o meglio, che terribile versatile. Non si poteva andare avanti così…
schiuse le labbra, pensando.
Pensando che…
Sorrise diabolicamente.
«Fratellino, la notte è nostra amica.» gli porse la pistola. «Vediamo se tu
riesci a far meglio di me… non deludermi.»
E
si allontanò sogghignando. Kanon credette che qualcosa fosse cambiato in lui,
magari il cervello, o la consistenza di una certa cosa. Ma non essendoci niente
di stimolante nei paraggi (a parte il leccalecca, ma non sognava nemmeno
lontanamente l’incesto) alzò le spalle e si preparò a colpire.
«Mio fratello… non posso deluderlo.» ridacchiò, e abbatté più nani di lui. Vinse
sette peluche, di cui uno gnomo viola andò in dono ad un contentissimo Sion.
Spinto dalla voglia di ulteriori festeggiamenti, Sion portò sulla pista di ballo
Doko, iniziando a roteare con lui in una serie di dubbie mosse vagamente anni
’50. Shaka, che assisteva, sospirò.
“Siamo caduti così in basso.” pensò, battendo una mano sul ginocchio a ritmo di
musica.
Di mus-
Oh cielo, Yaoi City traviava le menti.
Sion e Doko gli fluttuarono davanti, seguiti subito dopo da Aphrodite e Death
Mask. Tuttavia alcuni particolari della seconda coppia non sfuggirono all’ex
insegnante di yoga: gli occhi di Aphrodite erano aperti fuori misura e il collo
sembrava piegato troppo innaturalmente rispetto alle spalle.
Anche Death Mask se n’era accorto… e cercava di fermare Aphrodite. Non solo
quello continuava a ondeggiare, ma era vittima di chissà quale attacco
epilettico!
Ormai la folla si era accalcata per assistere alla sconcertante scena. Aiolia si
avvicinò a Shaka e si sollevò sulle punte per vedere, e fu allora che si udì un
tonfo sordo: Aphrodite era caduto a terra.
Guidato dall’istinto, Shaka si chinò e sbirciò tra le gambe dei presenti per
vedere cosa stesse succedendo. E per terra, con il braccio che si muoveva
convulsamente e gli occhi vuoti, si trovava il ragazzo. Che fosse ferito?
Malato?
Serviva un’ambulanza, serviva…
Aiolos avanzò tra la folla, che si dispiegò nell’assoluto silenzio. Anche la
musica si era interrotta.
Si udì un crick sinistro, ma quando Shaka tornò ad osservare per terra
scoprì con raccapriccio che quel rumore proveniva dal collo di Aphrodite, ora
rimesso in piedi e accompagnato verso una sedia.
«Non c’è nulla da vedere!» esclamò Aiolos sorridendo. «Si è sentito un po’ male,
tutto qui…»
Shaka non aveva mai tremato in vita sua per la paura.
Tremò quella volta.
Scusate il ritardo!!!
Mi prostro umilmente e ringrazio chi ancora segue, nonché tutti i bei commenti
per lo scorso capitolo! <3
Regina di Picche.
Allievo, la tua recensione mi ha giovato per comprendere il funzionamento della
macchina del caffè. (?) Sono felice *w* come premio, andrò a scrivere un po’ di
GOLDEN TRIANGLE ergjkrgrjkgrwjk grwegwrjkwrjk wertgwrlglwrl <3
zamina. Oh Shaka, trascina questo Sacerdote nella tua casa, così la fuga verso
la settima sarà più facile <3 chi non adora la Lia/Shaka, specie se il primo è
un gatto ronfante e il secondo un asceta illuminato (dalla lampadina)? *C*
cry_chan.
Gemella, ecco la prima collega! Saga e Aiolos che abitano a Kurumada Road mi ha
impedito di scrivere per circa dieci minuti XD Kanon è nei nostri cuori, in
quello di Shura un po’ meno. (XD)
Himechan.
…no, è stato Kanon ad investirlo, non io! çOç io e Shura siamo sposati, al
diamine il vecchio Doko. DM potrebbe organizzare il mio divorzio (ma che sto
blaterando? Gerhjkgkk fmef) XD alla prossima recensione!
Kagura92.
hfbg tghe gerjkerk Eher Gerkgre Tu hai la febbre erghrkeg avrò messo troppa
Doko/Sion in questo capitolo? Dettagli. È l’influsso di Stagioni e delle
stagioni efghe rwgjkwerjk sei un litchi! [sapiente uso di doppi sensi <3]
Caprissima.
L’utente da lei chiamato è al momento irraggiungibile, prego riprovare più
tardi.
Ricklee.
Ciao e grazie! Eh eh… io adoro Shura, e anche qui avrà un ruolo non ai livelli
di Enigma, però… <3 a presto!
Baciotti!
Gem!
|
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Capitolo 4 *** Quattro ***
Nuova pagina 1
L’uke perfetto
QUATTRO
… urli così sono
da premio Oscar.
Shaka aveva dormito per ben
undici ore quella notte, dalla mezzanotte sino alla tarda mattinata del giorno
successivo. Quando si svegliò, ignaro della terribile verità sull’orario,
scambiò un cuscino per Aiolia e si alzò serenamente, aprendo le finestre per
lasciar cambiare l’aria. Strano, c’era un sacco di luce quella mattina… forse Mu
il vegano aveva istallato dei riflettori in giardino?
La sveglia era caduta per terra, così
lentamente Shaka si chinò per raccoglierla e la pose sul comodino. Mh… 80.11…
doveva essersi rotta, peccato. Era una bella sveglia, con la sua melodia
disarmonica gettava Aiolia giù dal letto in preda alla paura. O forse…
Osservò prudentemente l’oggetto. E se
anziché essersi rotto, fosse solo… capovolto? No, no, insomma… le 11.08! Quando
mai Shaka si era alzato a quell’ora così oscena?
Alle 11.20 Shaka si era già vestito,
lavato, aveva sistemato il letto, gli abiti del giorno precedente, alcuni fogli
sul comodino di Aiolia e aperto tutte le finestre del primo piano. Che onta
essere preceduto nel risveglio da quel caotico, pigro, egocentrico scrittore,
dannazione! Non era affatto normale una tale situazione, no.
Cos’era che aveva turbato Shaka sino al
punto di ridurlo stremato e farlo dormire per undici ore?! Neanche un neonato
avrebbe dormito così tante ore di seguito…
Raccolse due libri da terra e li poggiò
su una vetrinetta prima di scendere al pianterreno per cercare Aiolia. Forse
aveva fatto saltare in aria la TV. Forse si era addormentato sulla
lavastoviglie. Forse stava addomesticando le tarme del cibo.
Ma quando arrivò in soggiorno e diede
un’occhiata in giro, non vide altri che Camus leggere un libro sul suo divano,
sereno come non mai. Si fermò davanti a lui per ricevere spiegazioni, e
puntualmente Camus parlò, senza alzare gli occhi dalla pagina: «Milo e Aiolia
sono andati alle poste per controllare che la ricezione ai nostri indirizzi sia
valida. Prima di uscire, Aiolia mi ha chiesto di studiare qui da voi affinché
potessi assisterti, dato che secondo lui non sei in perfetta forma. Sul tavolo
della cucina puoi trovare un termometro, delle compresse per il mal di testa e
una pomata contro le irritazioni cutanee, anche se ha detto che visitandoti non
ha notato niente di insolito.»
Shaka alzò un sopracciglio.
«In caso avessi bisogno di andare al
pronto soccorso, avvolgiti in una coperta calda e fatti portare in auto dal
sottoscritto.» continuò a blaterare Camus, leggendo. «Testuali parole di
Aiolia.»
Shaka non si mosse. Sarebbe stato
intenerito da tante cure, dopotutto, se ne avesse avuto effettivamente bisogno.
Ma svegliarsi così tardi non era segno di un malanno fisico, e specialmente non
un pretesto perché Aiolia lo “visitasse” (s’appuntò mentalmente di dirgliene
quattro, una volta tornato): era tutta colpa di Aiolos, che storcendo il collo
ad Aphrodite – quel crick! – gli aveva sconvolto il sonno.
Si ricordò che con Aiolia aveva evitato
di parlarne per via del coinvolgimento del fratello. Tuttavia, prima di
addormentarsi, aveva formulato tre ipotesi intriganti:
-
Aphrodite era un robot proveniente dal
futuro;
-
Aphrodite era un robot del presente;
-
Aphrodite era un robot proveniente da
un’altra dimensione.
… ma l’aveva pensato solo perché Aiolia
gli aveva detto che Kasha Juta avrebbe avuto a sua disposizione un robot capace
di viaggiare nel tempo.
«Dimenticavo: sulla TV puoi trovare del
tofu, Aiolia esige che tu lo mangi. L’ha assaggiato e ha detto che stranamente è
buono.» aggiunse Camus, alzando finalmente gli occhi. Li sgranò, e Shaka fece
altrettanto. Che diamine aveva visto Camus di così sconcertante da cambiare la
sua solita maschera di impassibilità…?
«Hai…» il rosso s’indicò la guancia,
tornando a nascondere il viso dietro al libro. Sorrideva. «La piega del
cuscino.»
Portarsi la mano alla guancia, per
Shaka, equivalse ad uno schiaffo. E se fosse stato d’indole più melodrammatica –
come Aiolia – si sarebbe portato al muro per sbattere, ribattere e sbattere
ancora la testa e darsi dell’emerito incapace. Certa gente (cfr. Shaina) avrebbe
pagato milioni per vederlo in disordine almeno una volta nella vita (ma adesso
era Camus a ridere, sebbene segretamente).
«Sulla TV non c’è del tofu.» mormorò
solo Shaka. «È terriccio e concime biologico… lo stavo testando.»
Camus alzò appena un angolo delle
labbra, ma non replicò.
«Ma Aiolia mangia anche di peggio.»
concluse il buddista, e si sedette disorientato sul divano. Non fece neanche in
tempo a riprendersi da cotanti shock, che il campanello prese a suonare ad
intervalli regolari ricordandogli vagamente La Cavalcata delle Valchirie.
Drin drin drriiiiin drin driiin. Senza dubbio arrivava qualche
rappresentante della porzione sgradevole d’umanità.
Drin drin drriiiiin drin driiin.
Quando andò ad aprire, davanti a lui non
c’era nessuno.
Drin drin drriiiiin drin driiin.
Alla sua destra, però, Kanon –
riconoscibilissimo grazie un’orrida maglietta verde a righe arancioni e rosa –
esaminava il campanello continuando a premerlo ancora, ancora, ancora…
Drin drin
drriiiiin drin driiin.
«Il mio campanello
riproduce La Cavalcata delle Valchirie.» annunciò il fratello del fidanzato del
fratello del fidanzato di Shaka. «È più bello.»
Drin drin
drriiiiin drin driiin.
«Posso fare qualcosa
per lei?!» sibilò Shaka allontanando con un ottimo manrovescio la mano di Kanon.
Questi parve esitare qualche attimo, poi uscì dalla tasca una busta.
«Da parte di
Rhadamantys per lo scrittore.» rispose altezzosamente Kanon, ancora infastidito
da Aiolia al punto di non chiamarlo nemmeno per nome. «Ha letto il suo
manoscritto.»
Shaka si sporse
verso la busta, ma Kanon portò indietro la propria mano.
«Al momento non è in
casa.» disse cauto Shaka. «Può lasciarla a me.»
«No.» replicò Kanon.
«Informazioni riservate.»
D’accordo Shaka,
oggi evidentemente non è una giornata adatta per i rapporti interpersonali…
«Non leggerò a-»
«ARF ARF!»
No, non era Kanon ad
abbaiare (anche se Rhadamantys poteva giurare di averglielo visto fare), ma un
alano colossale che correva dal giardino di Mu e Aldebaran sino… sino…
Sino alla porta di
casa di Shaka.
«Fuffi, bel
cagnolino!» esclamò Kanon tentando di fermare la sua folla corsa. Non solo
col suo vano tentativo fu gettato per terra, ma lasciò il cane libero di entrare
dalla porta da cui, giustappunto, Shaka si era spostato per non essere investito
in pieno.
«ARF AAARF!»
Un cane in salotto.
Un cane in cucina.
Un cane in casa!
Shaka si precipitò
dentro per salvare almeno il piano superiore, ponendosi davanti alle scale a mo’
di ostacolo, ma l’alano anziché tornare indietro virò verso il soggiorno e un
boom terrificante giunse sia alle orecchie del padrone di casa, sia a quelle
di Kanon che vagava per il corridoio senza autorizzazione.
«Il libro NO!»
si udì ancora. «A cuccia!»
Quando Shaka e Kanon
s’affacciarono alla porta del soggiorno, non si aspettavano di vedere Camus
disteso a terra, prono, mentre tentava di salvare il proprio libro dalle fauci
del cane, che gli sbavava indecorosamente sulla faccia e lo sovrastava.
“Milo, un cane mi
ha molestato.”
“… dimmi chi e lo
faccio fuori.”
“Un danese.”
“… quei
monarchici del c–!”
Fu allora che Kanon
compì un gesto eroico, allungando la busta di Rhadamantys verso il cane, e
invitandolo: «Vieni qui, micio micio micio!»
Troppo faticoso
anche solo replicare che era un cane, per il povero Shaka: vide l’alano
scagliarsi sulla mano dell’uomo e mangiarsi – lacerando, sbavando, mordendo, e
poi sbavando ancora – la lettera che il Lord aveva scritto per Aiolia. Kanon ne
approfittò per afferrare il guinzaglio rotto del cane e tenerlo a bada, mentre
Camus si tirò in piedi come avrebbe fatto un gatto stizzito e si strinse il
libro al petto, sconcertato.
«Di chi è…?» soffiò,
e se avesse potuto avrebbe gonfiato il pelo.
«Questo è Fuffi, il
cane di Mu.» rispose Kanon abbassandosi ad abbracciare l’alano, che subito gli
leccò il viso. «Non pensavo che l’avesse riportato in città. Sapete, è stato in
campagna alcuni giorni per…»
«Fuffi. Un. Corno.»
soffiò ancora Camus, lasciando il libro su un tavolo. Afferrò il laccio rotto
dalle mani di Kanon e tirò – prudentemente – il cane, aggiungendo: «Mu è
passibile di denuncia. Denuncia.»
Camus sarebbe stato
un gatto perfetto. Shaka notò che ogni volta che il cane si avvicinava troppo,
Camus si scostava e alzava il labbro per mostrare il canino. E Kanon continuava
a carezzare la testa di Fuffi cercando di tranquillizzarlo, ricevendo in cambio
una leccata maestosa alla mano.
… in cucina Shaka
s’attardò a prendere una compressa per l’emicrania.
Seguì i due
controvoglia, mentre Camus sibilava incollerito: «L’alano è una razza
pericolosa. Se avesse ferito qualcuno…»
«Ha solo rotto il
guinzaglio.» notò Kanon.
«Ininfluente.» Camus
bussò due volte alla porta di Mu, ma questa era aperta e si dischiuse.
«Negligenza del padrone.»
L’alano si dimenò e
Camus fu costretto a lasciarlo andare, sparendo per chissà quale stanza della
casa. Ma l’irritato non era per nulla disposto a rimaner indifferente alla
questione, giacché chissà quante altre persone avrebbero potuto patire
dolori come i suoi per colpa di quella bestia!
«C’è nessuno?»
soffiò Camus avanzando all’interno. Al diamine la proprietà privata! Era stato
aggredito da un danese!
Shaka sbirciò nella
sala da pranzo. Era vuota.
«Forse Mu è di
sopra.» ipotizzò Kanon, avvicinandosi alle scale. Pose il piede sul primo
gradino, aggiungendo cauto: «Vado io, voi perlustrate il pianterreno.
Avvertitemi con un fischio se vedete il nemico!»
Shaka impallidì.
Perché ogni disgrazia possibile capitava a lui e non ad Aiolia, per esempio?
Aiolia era uno scrittore, no? Gli scrittori subiscono le angherie di tutti, ma
perché Aiolia faceva eccezione? Perché il suo computer contenente gli scritti
non veniva mai colpito da un missile terra-terra? Perché la sua mente non
esplodeva – anzi implodeva, era più scenografico – cancellando ogni pensiero?!
Perché?!
Camus arcuò le
labbra.
«No, salgo io.»
decise. Stava per affiancare Kanon sulle scale, quando un urlo – “ aaaaah”, non
di dolore, no, ma quelli vogliosi, lussuriosi, sconci che tutti e tre i
pellegrini conoscevano – ruppe il silenzio della casa.
Camus scattò in
avanti, puntellando i piedi per terra (le sue pupille verticali si sono
ridotte a due fessure perché lui è Catman! Aiolia so dire le stupidaggini!);
Kanon aprì la mascella talché dire che arrivava al pavimento non fosse più
un’iperbole; Shaka…
Beh, Shaka pensava.
Pensava a quant’era
bella la vita, perché un uomo nasce ingenuo, vive imparando e muore istruito, e
in tutto questo tempo ama, odia, si ferisce, sorride, piange facendo tesoro
delle sue esperienze. Forse era lui “sbagliato”, perché cercava di non mostrare
agli altri le sue emozioni, o forse era semplicemente troppo distaccato per
permettere un’analisi più dettagliata del suo carattere.
Pensava e pensava e
pensava, e i suoi occhi diventavano così vuoti da apparire sotto ipnosi.
Pensava e pensava e
pensava, e qualcuno urlò di nuovo.
Kanon si portò
entrambi le mani alla bocca, rosso il viso: trattenere le risatine fu
difficilmente inutile. Persino Camus parve vagamente imbarazzato, sebbene il
viso fosse indifferente come sempre e l’unico dettaglio fuori posto fosse il
respiro più accelerato.
Shaka, piamente,
congiunse le mani.
«Faremmo bene ad
allontanarci.» osservò. «Subito.»
AAAAHHHH.
AAAAHHHH.
«È Mu.» bisbigliò
Kanon, indietreggiando. Distratto, sbatté contro un mobile e fece cadere due
telecomandi, così il televisore della stanza si accese all’improvviso. «Quattro
urli così sono da premio Oscar. Io… Aldebaran è prestante, sì, ma io non…»
“… capisco che
diavolo sta facendo a Mu per farlo urlare come un agnellino.” il pensiero era
intuibile.
«Neanche io.»
concordò freddamente Camus.
Shaka non si lasciò
trasportare dal discorso. Ripeté: «Andiamo via.»
Aveva ancora la
bocca semiaperta quando il grido più intenso di tutti, d’una limpidezza
troppo esagerata per appartenere ad una voce umana, d’una lunghezza
esorbitante da infrangere ogni guinness mai registrato, sorprese il gruppo.
Cinque. Dieci.
Quindici Secondi. E non solo: venti, trenta. Un minuto.
Kanon rimase a bocca
aperta. Per aspera ad astra sarebbe divenuto da allora il suo motto, ah…
per arrivare alle stelle occorrono molte difficoltà! I Romani lo sapevano già,
che gran simpaticoni! E dai Romani di Kanon si passa all’Hector di Camus, che
poteva passare per poema o melodramma (Questa è la storia di un uomo omofobo
/ ignaro di Mu e delle sue grida, strano / imparar dovrà per divenir probo / che
ognuno è come il bifronte Giano), o semplicemente come pensiero sconnesso e
sconclusionato.
Shaka fu il primo a
riprendersi. Raccolse i telecomandi da terra e iniziò a premere i tasti per
spegnere la TV e scappare da quella casa di perdizione.
Gli altri due furono
invasi dallo stesso sentimento: gli si accalcarono vicino e schiacciarono più
pulsanti che poterono, bisbigliandosi solide frasi di unione quali “maledetto
cane danese”, “muori televisore, muori”, “vi proibisco di metter piede in casa
mia da oggi”.
«Perché non si
spegne?!» esclamò Kanon, visibilmente agitato.
«Mi andresti a
prendere dell’acqua, Mu?» la voce proveniva dal piano di sopra.
«Certamente.»
rispose quello.
Mentre i tre
smanettavano ancora sui telecomandi (Camus era arrivato a sbatterne uno sul
petto di Kanon), Mu iniziò a scendere le scale. Ancora qualche passo e li
avrebbe visti, se non…
Se non si fosse
immobilizzato.
«Questo telecomando
dev’essere del videoregistratore!» osservò Kanon, premendo play.
… e Mu tornò a
scendere le scale.
«Fa lo stesso.»
sibilò Camus, e schiacciò caparbiamente il tasto rewind.
… e Mu camminò
all’indietro.
«Questo non
funziona, sciocchi!» s’intromise Shaka, togliendo il telecomando sbagliato dalle
loro mani. Nell’azione, premette più tasti contemporaneamente: si udì un
frastuono provenire dalle scale, perché Mu era rotolato per terra.
Fuggire dalla
finestra divenne un’amorevole abitudine.
Aiolia sgattaiolò ad
una riunione speciale del club dei seme verso le nove di sera. Dopo aver
accertato che Shaka fosse in perfetta salute (a parte una forte emicrania che
secondo lui era solo una scusa, tsk!), aveva deciso di accettare l’invito
del fratello.
“Sì… buona idea! Oh,
d’accordo… non fa nulla, fratellone! Che bello, vengo subito!” trillava tutto
felice al telefono, mentre Shaka lo inceneriva con lo sguardo. “Davvero
parlerete anche del mio libro? Che bello!”
Così si ritrovò
seduto tutto gongolante su un divano accanto a Rhadamantys, che sorseggiava una
tazza di tè nonostante l’orario e annuiva composto alle parole degli altri
presenti. Poco dopo avrebbe parlato proprio lui in merito al racconto inedito di
Aiolia, che era stato letto in apertura di assemblea dal fratello Aiolos.
«… mi ha toccato
profondamente. Complimenti Aiolia!» sorrise Aldebaran, applaudendo, e con lui
gli altri presenti. Solo un uomo non applaudì, ostinato, perseverando a giocare
con il cellulare: Kanon. Rhadamantys, che lo aveva di fronte, gli diede un
colpetto sul piede per smuoverlo, ma fu inutile.
Quel giorno Kanon
aveva esagerato. Fiduciosamente, il critico l’aveva mandato a casa di Aiolia per
recapitare UNA lettera, sperando che sarebbe tornato in breve tempo sano e
salvo. E invece gli si era ripresentato sporco di terriccio e bava, con una
scusa che lasciava molto a desiderare: “Rhada, hai presente quella lettera, sì…
quella che dovevo dare allo scrittore scemo? Purtroppo sono stato rapito dagli
alieni, che mi hanno denudato e ripetutamente stuprato sulla loro astronave! Io
però non volevo, credimi, ti sono stato fedele fino all’ultimo! Ecco,
ricapitolando… in questo tafferuglio la lettera è caduta sotto il freno a mano
della loro astronave e non ho potuto consegnarla.”
“Really?”
aveva chiesto Rhadamantys, chiudendo biecamente un libro.
“Sì.” il bello era
che il viso di Kanon appariva sincero. Roba da matti. “Erano alieni di razza
grigia.”
«Prego, Lord
Rhadamantys.» disse allora Aiolos, dandogli l’opportunità di parlare.
Il critico posò
elegantemente la tazzina sul tavolino, alzandosi in piedi e approfittandone per
togliere dalle mani di Kanon il cellulare. Ignorò i suoi lamenti contrariati.
«Grazie. Ho avuto
modo di leggere questo racconto con più attenzione e il mio primo pensiero ha
riguardato la notevole scorrevolezza dello stile dell’autore. Fa uso di
accorgimenti ed espedienti con grande abilità.» commentò subito, le orecchie di
Aiolia tese e interessate – nonché tronfie. «Complimenti.»
Aiolos applaudì,
orgoglioso.
«Splendido anche
l’inserimento di citazioni poetiche.»
L’applauso aumentò,
Aiolia abbassò lo sguardo mentre avvampava di un rosso fiammante.
«Il riferimento a
Baudelaire era sublime.»
Nel rumore generale
rimbombò uno strano “buuuu”. Rhadamantys sgranò gli occhi.
«A me non è
piaciuto, l’ho trovato fuori luogo.» replicò Kanon, risoluto. Al contrario di
quanto si aspettava il critico, il commento del fidanzato non sembrava dettato
dalla stupidità. Aiolia sobbalzò.
«Parla pure, Kanon.»
fece Aiolos, gettando un’occhiata perplessa al Lord e al fratello.
«Non ho capito
perché ha inserito quel riferimento.» Kanon accavallò le gambe, alzando il
mento. «In questo modo ha enfatizzato un concetto già troppo evidente e l’ha
reso quasi fastidioso, mentre nel resto del racconto è pressoché assente.»
… perché Kanon era
come una spugna: ogni cosa che ascoltava finiva nella sua cultura.
E il mestiere di
Rhadamantys non faceva eccezione.
«Questo è ciò che
penso, perdonate la franchezza.» concluse. Rhadamantys rimase immobile a
fissarlo, incerto se elogiarlo per il commento o trucidarlo per averlo fatto
apparire ingenuo; ad Aiolia si spezzò il cuoricino, già abbastanza provato, e
persino Aiolos tentennò sul da farsi.
Fu un gruppo di
uomini in silenzio ciò che due occhi azzurri scorsero dalla finestra, saettando
rapidi sui presenti. C’erano tutti, sì… Kanon, Aiolos, Aiolia, Milo,
Rhadamantys, Death Mask, Shura, qualcuno che non conosceva… mancava Doko:
evidentemente lui e Sion erano già tornati nella loro città. Molto bene.
Il misterioso
scrutatore si allontanò dalla finestra del pianterreno e s’aggrappò al sostegno
su cui si abbarbicava una bella pianta di edera: sembrava abbastanza forte per
sorreggere 68 chilogrammi di persona.
Shaka si compativa.
Introdursi in case
altrui per far luce sulla vicenda di Aphrodite era qualcosa che non avrebbe mai
immaginato. Mai. Mai mai mai. Quando viveva a Chicago era più sereno, cielo,
mille volte più sereno nonostante il fardello dei bambini urlanti. Riusciva
persino ad essere orgoglioso e a volte superbo, mpf, i vecchi tempi!
Si spostò su un
cornicione. Era abbastanza largo per camminarvi sopra e il suo amore per lo yoga
gli permetteva di essere sia agile sia cauto mentre lo percorreva affidandosi al
suo provvidenziale equilibrio. Aveva adocchiato una finestra semiaperta: la
schiuse ancora, infilò una gamba e si lasciò cadere dentro.
Il suo piano
prevedeva tre importanti parti. Primo, origliare la riunione dei seme e carpire
informazioni utili. Secondo, controllare nello studio di Aiolos se vi fossero
attestati di primo soccorso o specializzazioni in robotica (che diamine aveva
fatto ad Aphrodite, insomma?). Terzo, cercare varie ed eventuali.
Il tutto senza farsi
scoprire né dai seme, né da Saga, che probabilmente era al piano superiore.
Così, quando Shaka
entrò nella stanza, reputò un ottimo segno il fatto che quello dormisse
beatamente davanti a lui. Con passi felpati, costeggiò il letto e s’avviò alla
porta.
«Los, mh… mi fai i
grattini?»
Shaka sobbalzò dalla
testa ai piedi. Si fermò all’improvviso e il suo cuore perse un battito quando
Saga, voltandosi di scatto, bloccò la mano che teneva più vicina al letto.
«I grattini…»
Saga si tirò la mano
di Shaka sul collo e sospirò contento non appena avvertì la pressione delicata
delle unghie. Il buddista benedì l’oscurità totale… e maledisse la propria mano,
costretta ad assecondare le voglie di Saga. Lentamente rarefece i grattini (non
li faccio neppure ad Aiolia, maledizione!)… con l’altra mano rimboccò le
coperte (che… che…)… zompò – letteralmente – alla porta.
Lasciata la stanza
da letto con un sospiro di commozione, avanzò lungo il corridoio con le spalle
alle pareti. Non vedeva assolutamente nulla. Solo un debole bagliore proveniva
dalle scale, ma non poteva fare passi azzardati in quella casa – la casa del
sindaco, tra l’altro.
E poi, tutto
s’eclissò in un mondo di luce: le lampade del corridoio erano state accese.
Shaka si voltò e saltò per tornare nella camera in cui dormiva Saga, ma una mano
lo bloccò al polso. Per lui era finita. Sarebbe morto in prigione. Avrebbe
passato il resto dei suoi giorni maledicendo Yaoi City.
«Che ci fai qui?»
esclamò una voce molto conosciuta. «Se ti scoprono si arrabbiano, sai?»
Per una volta, la
presenza di Kanon non indicava sciagura. Shaka ne fu quasi felice!
«devo
sapere delle cose.» bisbigliò. «Non osare dire di me agli altri.»
Kanon alzò le
spalle. «Non vedo perché dovrei, sto andando al bagno. Piuttosto… Aiolia e Milo
stavano tornando a casa. Aiolia dev’essersi dispiaciuto per il mio commento…»
Shaka sgranò gli
occhi. A casa?! Dove si sarebbe dovuto trovare? Se Aiolia non l’avesse visto nel
letto avrebbe… avrebbe… avvertito la polizia era poco.
«Torna di sotto e
bloccali!» soffiò spingendo Kanon verso le scale. Il povero gemello scivolò per
un paio di gradini prima di voltarsi per spiegazioni, ma quando poté farlo non
vide altro che una porta socchiudersi. Certa gente! Invece di ascoltarlo, andò
in bagno.
In camera Saga volle
di nuovo i grattini, ma Shaka ignorò vistosamente le suppliche dell’uomo. Uscì
dalla finestra, si gettò sull’albero vicino (temeva che sui sostegni potesse
esser visto) facendo ricorso a tutta la sua agilità e si calò a terra da un
ramo. Solo allora si rese conto che aveva rischiato la vita.
Mentre correva
svelto oltre il giardino della casa, notò che Aiolia e Milo si stavano
avvicinando all’auto di quest’ultimo. Calcolò col cuore in gola quale velocità
dovesse tenere per precederli: 100 chilometri orari.
Buddha, perché?!
Scavalcò una
recinzione e finì sui nani da giardino di qualcuno. Che usanza barbara! Il
ginocchio pulsò di dolore… il primo livido era dovuto ai nani, non alla scalata
di una casa o al salto su un albero! Ridicolo!
Continuò a correre,
era sudato come un pulcino. Urtò i panni stesi in un altro giardino, e mentre si
districava da mutande e canottiere vide con la coda dell’occhio la macchina di
Aiolia e Milo superarlo. No! No! Non poteva succedere!
C’era solo un modo
per bloccarli. Lo attuò con un sangue freddo impareggiabile.
Non appena l’auto
rallentò per un incrocio, Shaka vi corse dietro e aprì il portabagagli,
rotolando subito dopo sul marciapiede opposto. Rotolando, sì, gettandosi a terra
e lasciandosi trasportare dalle curve del terreno, cercando di non farsi
scorgere dai due perplessi uomini che erano scesi dall’auto.
Si rialzò, i capelli
ingarbugliati, la maglietta infradiciata – era finito anche in una pozza
d’acqua; riprese a correre, ormai vicino a Manga Street, saltò un’altra
staccionata: eccolo nel suo giardino.
Entrò a casa dal
retro quando ormai l’auto si fermava all’ingresso principale, lasciando scendere
Aiolia, e salì i gradini sentendo la porta di casa chiudersi.
Non c’era tempo per
darsi una pulita, non c’era tempo per infilarsi una parvenza di pigiama! Al buio
si sfilò la maglietta, la lanciò nel bagno, scalciò le scarpe di ginnastica
sporche dietro una porta – Aiolia faceva tap, tap, tap sulle scale.
Chiuse la porta
della camera e si gettò sul letto. Troppo tardi… Aiolia entrò.
Un po’ abbattuto per
l’osservazione di Kanon, ma ciò nonostante grato per la critica, scorse la
figura di Shaka in ginocchio sul letto, illuminata dalla luce della Luna piena.
Pensava che fosse già addormentato, e invece era stato così premuroso da
aspettarlo. Accese la luce.
La spense.
La riaccese.
Shaka aveva i
capelli completamente spettinati, era a torso nudo e indossava un paio di jeans
aperti. Cosa più importante, stava per spiccare un balzo dal letto.
Prima di essere
aggredito da un voglioso Shaka (che in realtà si stava solo salvando la pelle),
ebbe il tempo di dire: «Sono andato via un po’ prima…»
Poi, la bestia che
era in lui ruggì. Povero Shaka.
Kanon tornò al
pianterreno dopo esser stato in bagno e aver infastidito Saga nel sonno. Voleva
i grattini, il bell’addormentato: per tutta risposta il gemello gli aveva
puntato la sveglia alle tre di notte. Dimostrazione di affetto.
Ma, aprendo la porta
del soggiorno in cui prima tutti si trovavano, non vide più nessuno. Il tè che
Rhadamantys stava bevendo era ancora sul tavolo, il racconto di Aiolia
sparpagliato sulle sedie… si spostò nei corridoi del pianterreno, chiedendosi se
tutti se ne fossero andati via senza avvertirlo. Sbirciò fuori dalla finestra:
le macchine tuttavia erano ancora lì, Mercedes di Rhadamantys compresa.
Notò che le luci
dell’atrio erano accese. Percorse l’intero corridoio sospettoso, immaginando che
da un momento all’altro i presenti sarebbero potuti sbucare fuori per
spaventarlo: tsk, che stupidi, Kanon non era tipo da gridare terrorizzato per una
sorpresa.
Nell’atrio c’era
solo Rhadamantys, ma gli dava le spalle. Guardandosi intorno, Kanon lo raggiunse
e gli pose una mano sulla spalla.
«Dove sono andati
gli altri?» chiese.
Rhadamantys non
rispose. Teneva il capo chino.
«Rhada?» lo chiamò.
«Tutto bene?»
«Kanon, fratellino.
Cosa ci facevi nella mia camera?»
Kanon sobbalzò e si
voltò. Sul corridoio era comparso Saga, a braccia conserte ed espressione
indecifrabile. Non gli sembrò neppure di riconoscerlo, tant’era strano il
sorriso che gli percorreva il viso.
«Uno scherzo, no?»
rise spavaldo Kanon, tentando di alleggerire la situazione. La casa era
terribilmente silenziosa e Rhadamantys, dandogli le spalle, non faceva che
accrescere la sua inquietudine.
«In effetti tu,
Kanon, sei sempre stato propenso per un comportamento più sfacciato e arrogante
rispetto a Saga.» la voce di Aiolos arrivò da un altro corridoio, diametralmente
opposto a quello dov’era l’altro gemello. «Per nulla adatto ad un uke.»
Kanon si accorse di
essere stato accerchiato. Sulla porta d’ingresso s’erano disposti Aldebaran e
gli altri che poco prima si trovavano alla riunione, mentre Aiolos e Saga
bloccavano il passaggio ai corridoi. E, purtroppo, alle spalle aveva una parete.
«Cos’è, una
vendetta? D’accordo, sono stato maleducato.» ammise avvicinandosi a Rhadamantys.
«Rhada, non c’era bisogno di organizzare tutta questa farsa…»
Aiolos si avvicinò
velocemente a Kanon, fronteggiandolo. I suoi occhi solitamente limpidi
apparivano minacciosi.
«Allontanati.»
sibilò Kanon, afferrando il braccio del fidanzato. «Noi ce ne andiamo.»
«Mi dispiace,
fratellino… non puoi ancora andartene.» sogghignò Saga, appoggiandosi allo
stipite della porta. «Tra qualche minuto, forse sì.»
Kanon stava per
voltare a forza Rhadamantys, quando una mano di Aiolos si portò rapidissima
sulla sua nuca. Fu un istante, fu solo una lieve pressione: la vista gli si
appannò e le gambe cedettero. Se fosse stato cosciente, si sarebbe accorto che
Rhadamantys lo aveva afferrato prima che rovinasse a terra, con un’espressione
al limite tra il rammaricato e l’impassibile.
Shaka si passò un
dito sul braccio latteo. All’altezza dell’incavo del gomito c’era l’impronta di
un morso in rosa più scuro, e ce n’era un altro un po’ più su… e un altro ancora
sul polso. Tutto ciò indicava con vivida precisione cos’era successo quella
notte per terra, sul letto, sul muro.
E poi di nuovo sul
letto.
Andare a casa di
Aiolos era stata una pessima idea. Non aveva avuto il tempo di scoprire alcunché
e, purtroppo, era stata la causa di quella notte ai confini della follia.
Un cuscino si era
sbrindellato e pulire la stanza da tutte le piume era stata un’impresa titanica.
Per non parlare di un comodino, che si era rovesciato, e di un quadro che era
caduto per terra, col vetro infranto sul tappeto pregiato.
Così s’era rifugiato
sotto il suo gazebo, infilando il naso in un libro che non sapeva neppure di
possedere e sorseggiando dell’infuso in evidente stato di shock. Poco dopo,
Camus s’era avvicinato dal proprio giardino e silenziosamente aveva preso posto
accanto a lui, con i soliti libri per studiare.
E la fatidica
domanda: «Shaka, ti sei fatto male al braccio?»
«Una reazione
allergica.» rispose abbassando il dito. «Una nuova qualità di pomodori.»
«Capisco.» replicò
Camus, poco convinto.
Tornarono ognuno ai
propri libri. Milo, intanto, aveva preso delle cesoie e stava rifinendo alcuni
cespugli nel proprio giardino, mentre di Aiolia non si avevano tracce –
dormiva.
«Volete pranzare da
noi?» domandò ancora Camus.
«Volentieri.» Shaka
sfogliò il libro. «Se Aiolia si svegliasse, accetterei volentieri.»
«Buongiorno, Aiolia
è in casa?»
Camus alzò per primo
lo sguardo. Sul vialetto, un uomo biondo e vestito elegantemente attendeva una
risposta con compostezza e pazienza. Anche Shaka lo guardò, riconoscendo nella
figura raffinata… nientemeno che l’uomo a cui aveva fatto i grattini. Prese un
respiro.
«Signor Saga, temo
che Aiolia sia ancora addormentato.» lo informò, lasciando il proprio libro
sulla sedia e raggiungendolo. «Posso esserle utile?»
Il gemello sistemò
il colletto della camicia, che s’era inavvertitamente piegato durante la
camminata, e scosse la testa.
«No, non sono Saga.»
sorrise. «Riconoscermi è così difficile, miei cari amici uke?»
E sia Shaka sia
Camus sgranarono gli occhi.
«Io sono Kanon.»
specificò.
La sua voce era
priva dell’accento provinciale che l’aveva sempre contraddistinta. I suoi abiti
erano eleganti e belli a vedersi. E infine…
«Chiedo venia, forse
arrivo in un momento inopportuno. Passo più tardi, scusatemi ancora.» salutò
allontanandosi.
… il suo
atteggiamento era mostruosamente cortese.
Il libro che Camus
reggeva cadde a terra.
Aiolos ha la fissa del collo. Ops.
Zamina. Ecco perché mi serviva il nome di un cane, ricordi? XD Fuffi! Mamma
posso portare anche Fuffi? Fuffiiii! *cade*
Sakura2480. Ciao! Eh sì povero Shaka… e dire che le disgrazie per lui non sono
ancora finite! XD
Cry_chan. Aphrodite è sconcertante, sì, ma mai quanto Kanon composto come un
Lord. Shaka ha visto cose tremende nella sua vita. XD
Regina di Picche. Dhdjsjajbwsjawbj ejjwb sjjwb hai visto come Kanon tratta
Aiolia, eh? Lui sì che è bravo edieheownei ejuebejowb!!! <3
Ricklee. Grazie mille cara! Continua a seguire, non te ne pentirai XD
Fra76. Shura? Eh eh… chi lo sa… ma presto tornerà con un ruolo importante! ;)
Sagitta72. Grazie! Camus è così adorabile <3 non è affatto freddo, gh. È tanto
buono e polpettoso (?)
Spero di aver scritto qualcosa di comprensibile, qua sopra. Ma è difficile.
A
presto,
Gem!
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Capitolo 5 *** Cinque ***
L’uke
perfetto
CINQUE
…
centimetri sono
meglio di cinquanta.
«Aiolia,
Milo, è la verità.» mormorò
Camus, sedendosi al tavolo
della propria cucina. «Dev’essere successo qualcosa
a Kanon Valiant. Era
vestito distintamente, parlava con garbo ed era troppo
cortese.»
Shaka
gettò un’occhiata alla finestra. Faceva abbastanza
caldo, ma
nessuno si era premunito di aprirla e a regolare la temperatura ci
pensava un
condizionatore posto dall’altra parte della cucina.
«Così
non vuoi mangiare fuori perché pensi che stia succedendo
qualcosa di strano?» Milo parve piuttosto contrariato, mentre
si versava
dell’acqua. «Bah. Buon pranzo.»
«Forse Saga
l’ha obbligato a comportarsi bene.»
tentò con un certo
astio Aiolia.
Ma Shaka, che non
vedeva di buon occhio la situazione, allontanò
da sé il piatto e lanciò un’occhiata
innervosita al fidanzato. Yaoi City non
era quella bella città che avevano immaginato.
«Ricordi
Ines Olere del tuo romanzo?» sibilò, coinciso e
rigido.
«Ricordi che fine fa?»
Milo alzò
un sopracciglio e incrociò Camus, altrettanto perplesso.
Tuttavia, Shaka non diede il tempo di replicare nemmeno ad Aiolia e
proseguì.
«Decide di
cambiare perché si sente diversa. Lei è
così ingenua,
fiduciosa, ma decide di mostrarsi arrogante e spavalda per farsi
piacere. Bene,
a questo punto si uniforma con quel mondo in cui vive: la volevano in
un modo,
e lei si è adattata.»
Milo
tossì. «Shaka, ma che c’entra?»
«Aspetta,
Milo.» gli rispose Aiolia, preoccupato. Spostò gli
occhi
ancora su Shaka e abbassò la forchetta, quindi
continuò per lui. «Ines si sente
un leone. Ha tutto e tutti, ma questa sua condizione di
superiorità finisce
inevitabilmente per stancarla.»
«Sono gli
altri che decidono la sua vita. Quelli le danno un
carattere, e lei…»
«Lei
muore.»
Cadde il silenzio.
Camus fermò la mano a mezz’aria, Milo
inforcò
un pezzo di cibo e Aiolia sospirò. Già, come
dimenticare il romanzo che aveva
scritto proprio lui?
«Ma
perché Kanon dovrebbe uniformarsi alla massa e
morire?»
s’intromise Milo. «Non avrebbe senso. Mi
è sembrato un tipo così
orgoglioso…»
«No,
Milo.» fece allora Aiolia, grave, che aveva capito fin
troppo. «Sai anche tu che Ines non muore
fisicamente.»
Camus allora
abbassò la forchetta. «Muore l’anima di
Ines. È così
plagiata, che si ritrova vittime di turbe psichiche, totalmente
incapace di
intendere e di volere. Gestita dagli altri, fa quello che le viene
detto.»
Shaka, a quel punto,
gettò un’occhiata tagliente ai tre. Il concetto
era lampante, tantoché esporlo sarebbe stato superfluo.
Prese la parola Milo
che, piuttosto scettico, abbassò la forchetta e scosse la
testa.
«Sentite,
mi sembra alquanto strano che in un giorno Kanon cambi
per mano altrui. Neanche l’elettroshock darebbe simili
risultati!» esclamò,
poco convinto. «Vogliamo avventurarci nel paranormale o nella
fantascienza poi?
Se è così…»
L’affermazione
di Milo in effetti era la più sensata di tutte, ma
Aiolia, caparbio, rifletté ancora su Kanon.
«Ieri sera
era tranquillo, anzi, più pimpante del solito.»
mormorò, nervoso. Il cibo che giaceva sulla tavola, intanto,
era diventato un
puro ornamento, giacché nessuno pensava a mangiarlo.
«Pensate che abbia
sbattuto la testa? O si tratti di un caso di possessione?»
«Possessione?»
ripeté Camus, ma Shaka intervenne contrariato:
«Non
credo che si tratti di paranormale.»
Aiolia
tentò ancora: «E se fosse ossessione? Spiriti che
comandano
la mente senza impossessarsi del corpo?»
«Aiolia.»
lo richiamò Milo, sbuffando. «Quanto Ghost Whisperer hai visto
ultimamente?»
L’osservazione
fece sorridere appena lo scrittore, che finalmente
portò alla bocca del cibo.
«Tuo
fratello è in casa? Perché non lo chiami,
più tardi?» provò
Shaka. «Fatti dire cosa è successo quando siete
andati via ieri sera. Forse
Kanon si è sentito male.»
«Posso
provare.» propose Aiolia, continuando a mangiare.
«Lo
chiamo appena finiamo.»
Ore 15.15.
Così segnava l’orologio della stanza in cui Camus
studiava, bivaccato su un divanetto e attorcigliato a Milo, che
s’era
addormentato. Faceva caldo, ma le finestre della casa erano
rigorosamente
chiuse. Non perché rotte, non perché
c’erano ladri, ma perché Yaoi City
assumeva sempre più velocemente tinte losche e misteriose.
Chiuse il libro e lo
poggiò su un tavolino vicino. Non aveva
sonno, altrimenti avrebbe appoggiato la testa su Milo e avrebbe detto
momentaneamente addio a Yaoi City, a Kanon e a ogni mistero che pareva
aleggiare tra uke e seme.
Facendo ben
attenzione a non disturbare il fidanzato, si sollevò
in piedi e scese dal divano, silenzioso. Ancora nessuna notizia da casa
di
Aiolia e Shaka, che dovevano chiamare il sindaco Aiolos per
chiarimenti. Forse
non era a casa, né raggiungibile al cellulare.
Vittima di questo
pensiero, Camus si avvicinò a una finestra e
gettò un’occhiata fuori. Oltre al giardino,
qualche sporadica macchina
percorreva il viale e scompariva oltre l’isolato, e solitari
viandanti
portavano a spasso i propri cani.
Attendere troppo era
inutile. Si sentì così curioso da mettersi
una visiera in testa e scrivere, di getto, qualche parola per Milo,
prima di
uscire per le strade minacciose di Yaoi City e indagare sulla vicenda.
A
me gli enigmi non piacciono. Ci vediamo
più tardi.
Raggiunse la strada e
si girò la visiera per coprirsi dal Sole.
Avrebbe fatto meglio a spalmarsi di crema solare per colpa di quella
sua pelle
lattea, ma tornare in casa avrebbe potuto svegliare Milo e far sparire
ogni
proposito di indagine.
Si ricordò
di quel malintenzionato a cui aveva dato un pugno.
Evidentemente oltre a seme e a uke c’era una categoria di
imbecilli. Quanto
poco amava le classificazioni! E frasi stupide che si udivano
regolarmente a
Yaoi City.
Chi
sarà mai l’uke con i fiocchi? Su,
decidiamolo!
L’uke con i
fiocchi, sì. Al primo fiocco in testa, Camus avrebbe
compiuto persino un deicidio.
Mi
piacciono gli uke carini ed effeminati!
Delicati e kawaii!
Cazzo vuol dire
kawaii?! Camus non sapeva che lingua fosse, ma per
le strade di Yaoi City era un cult.
Gettò
un’occhiata verso il giardino di una casa. Non sembrava
esserci nessuno, e nemmeno dentro casa c’era una parvenza di
vita. Forse gli
uke e i seme s’erano riuniti un’altra volta? No,
no. A quest’ora Aiolos avrebbe
fatto venire subito Aiolia a casa sua, e Aiolia disperato avrebbe
trascinato Milo.
«Voltati
pure ma non prendermi a pugni.» fece allora una voce
seria, mentre Camus trasaliva. Non dovette neppure attendere troppo
prima di
capire chi fosse: si volse velocemente e indietreggiò,
riconoscendo la voce e
l’aspetto dell’uomo “maniaco”.
Dare un altro pugno
era inutile, visto che il viso di quello era
già abbastanza compromesso. Strinse i denti e
cercò di tenere un’espressione
maligna, ma il maniaco indietreggiò di qualche passo e
alzò le mani.
«Shura
Xavier.» si presentò, la voce rigida.
«Ascolta, quello che
è successo…»
Come risposta, Camus
ignorò sia la presentazione sia il principio
di discorso e si avviò nella strada, scostandosi con un
colpo secco i capelli
dal collo. Non temeva niente, dopotutto replicare a
un’aggressione sarebbe stato
automatico e in una città silenziosa come quella un urlo
avrebbe attirato
l’attenzione.
Ah, quanti futili
pensieri.
«Io vi sto
proteggendo.» sparò allora Shura gravemente,
balzando
davanti a Camus. Lo fece persino sobbalzare, perché
l’espressione sembrava
convinta delle sue parole e gli occhi sinceri. «A te e a
quello biondo. Sapevo
che per Kanon era una battaglia persa in partenza,
ma…»
«Kanon?»
s’incuriosì allora Camus.
«Come
può interessarti Kanon, quando la tua incolumità
è in
pericolo?» domandò allora Shura, sconvolto.
Con uno sibilo
innervosito, il rosso girò l’angolo e si volse a
guardare l’uomo, pallido almeno quanto lui. Forse per paura?
Certo che Yaoi
City era una città di pazzi. Mancavano solo le groupie che
andavano dietro a
una o più coppie preferite.
«Ci sono
forse tanti seme cattivi che vogliono stuprarmi?» chiese
sarcasticamente, le labbra appena curvate in un sorriso di sfida.
«Uke
invidiosi ansiosi di strapparmi i capelli?»
Shura
sgranò gli occhi.
«Forse in
questa città è possibile.» aggiunse
infine. «Dopotutto
gli uke devono avere le ciglia lunghe e i seme la pelle abbronzata,
no?»
Pago del discorso,
Camus abbozzò uno sguardo tronfio e alzò le
spalle. Quel che aveva detto, in effetti, era giusto: Yaoi City,
perdoni il
lettore la mia intrusione, è una città mille
volte più stramba della
multiculturale Babilonia. E mi perdoni ancora, se riporto la reazione
tragicomica di Shura con oggettività.
«Mio Dio,
devi tornare a casa.» gli ingiunse, afferrandolo per un
braccio. Subito Camus fece per liberarsi, ma Shura lo bloccò
con entrambe le
mani e gli soffiò, a poca distanza dal viso: «Hai
visto quello che è successo a
Kanon? Scappa prima che sia troppo tardi! Dietro al volto di un angelo
si
nasconde un demone!»
Camus dischiuse le
labbra, indietreggiando. Riuscì a farsi
lasciare, ma adesso il suo intento era quello di far parlare ancora
Shura e
fargli raccontare la verità. Evidentemente sapeva tutto, ma
era restio a
rivelarlo.
«Chi ha il
volto di un angelo?» domandò, curioso.
«Kanon?»
Urtò
contro il cofano di una decappottabile, parcheggiata male sul
marciapiede. Tuttavia non se ne curò e continuò a
fissare Shura, che sembrava
diventare pallido secondo dopo secondo. Lo vide balzare in avanti, poi
si sentì
strattonato all’indietro da due braccia e i suoi riflessi non
furono
sufficienti per liberarsi.
Una mano gli
puntellò sul viso un panno bagnato. Dapprima
tentò
una gomitata, ma quando incrociò gli occhi di Shura,
atterriti e sgomenti, non
poté fare altro che arrendersi a qualcosa che debilitava la
sua lucidità. Il
panno era bagnato, ma non d’acqua. L’odore che gli
invadeva le narici era
fastidioso, e tanto fastidiosa fu la sensazione di svenire tra le
braccia di
uno sconosciuto.
«Ma…»
fu l’ultima parola che sentì.
Le ginocchia
cedettero, ma a sorreggerlo ci pensò un elegante uomo
dai capelli biondi, che sorrideva con l’astuzia di Ulisse.
No, non astuzia: malizia
e certezza di aver agito correttamente.
«Non so
tramortire come Aiolos, purtroppo.» fece, socchiudendo gli
occhi, con quella smorfia antipatica sulle labbra. «Utilizzo
sempre un panno
bagnato di cloroformio.»
Shura
osservò ancora il pallido Camus, terrorizzato. Era arrivato
troppo tardi, e adesso non poteva davvero fare niente. Dietro al volto
di un
angelo, si nasconde un demone… e non era Kanon.
«Signor
Valiant, questo ragazzo…»
«Grazie per
il tuo involontario aiuto, Shura.» sorrise perfido
Saga, caricando Camus in auto. Davvero discreto: sembrava solo che lo
stesse
aiutando. «Per il bene di questa città tutti
dobbiamo collaborare.»
Shura non
riuscì a rispondere. Avrebbe potuto correre a casa di
Milo per informarlo, oppure intraprendere una colluttazione con Saga
per
riprendere Camus… ma si trattava comunque del fidanzato del
sindaco. Una delle
persone più influenti di Yaoi City.
«Sai, devo
aver sentito male ciò che dicevi.»
continuò allora Saga
salendo sulla decappottabile, perfido. Si carezzò una
guancia e abbozzò una
risatina fastidiosa, intenzionata solo a spaventare Shura, che doveva
tacere.
«Dopo Kanon e Camus, rimane solo il biondino. Cerchiamo di
mantenere segreto il
nostro operato, d’accordo?»
Sorrise ancora con
malizia, mentre accendeva il motore.
«Ad Aiolos
è toccato il ruolo di buono e generoso, a me quello di
cattivo e insopportabile.» affermò infine,
scoppiando in una fragorosa risata.
«Pensa che quando conobbi Aiolos gli diedi
dell’antipatico presuntuoso per tre
mesi! Ma l’opinione è labile, Shura.»
Fece un cenno di
saluto con una mano.
«Chissà,
magari quando Camus si risveglierà chiederà di
te.»
concluse. «Non vedi che ti aiuto a cercare un uke?»
L’altro
rimase immobile sul marciapiede, a fissare il ghigno di
Saga e la decappottabile che si allontanava dal marciapiede. Portandosi
una
mano al viso, riuscì solo a scorgere una ciocca di capelli
rossi fluttuare al
vento.
Lo sguardo di Shaka
era teso come una corda di violino. Mancava
solo un archetto per pizzicarlo e produrre una nota, che si sarebbe
inserita
perfettamente in quel contesto. Perché Shaka non guardava
né il giardino né un
libro, né la televisione o qualsiasi altra cosa che potesse
risultare frivola
ai suoi occhi.
Il problema era che
Aiolia sembrava allarmato più di lui, e se i
loro sguardi si fossero incontrati forse uno dei due si sarebbe davvero
lasciato prendere dal panico. Ma Aiolia fissava un mobiletto su cui
erano
sparsi diversi fogli, e teneva accanto all’orecchio un
telefono.
Di cui Shaka sentiva
da lontano i TU-TU-TUU andati a vuoto.
«Questo
è ridicolo.» osservò infine Shaka, pur
ansioso. «Se è
fuori casa, è ovvio che non possa rispondere!»
Aiolia non
sollevò lo sguardo. «Il cellulare di Aiolos
è spento.
La mignotta ha la segreteria telefonica.»
Non si
risparmiò il bel complimento a Saga.
«Da due ore
chiamo e nessuno risponde.» solo allora Aiolia
alzò
gli occhi, taglienti e collerici. «Cosa stanno
facendo?»
Il primo pensiero di
Shaka ritrasse i due beatamente distesi a
letto e lontani da qualunque impiccio con Kanon. Ma giacché
reputava questa
ipotesi meno fattibile dell’altra, strinse le labbra e si
poggiò allo stipite
della porta, incontrando adesso lo sguardo del fidanzato.
Panico? Aiolia era
pronto a dare in escandescenze.
«Stanno
continuando il lavaggio del
cervello a Kanon.» sibilò Shaka.
«È lampante.»
Il leone che era in
Aiolia tornò a
ruggire, potente e infuriato come non mai. Lasciando cadere la cornetta
sul
tavolino, percorse il salotto in due falcate e si trovò
faccia a faccia con il
serafico indiano. Beh, tanto serafico quanto sospettoso.
«Shaka, tu
credi davvero che mio fratello
sia…» Aiolia s’interruppe, squadrandolo
confuso. «Sia un criminale folle e
squilibrato…?»
Shaka alzò
un sopracciglio, Aiolia
sbiancò.
«Aiolos?
Ma… ma lui è buono come un angelo.
Mi vuole tanto bene.» tentò di difenderlo Aiolia,
scuotendo la testa. «Saga si
fa pagare troppo. Oh sì, è lui che ha traviato
mio fratello! Chissà con quali
turpi ricatti l’ha costretto a condividere il giaciglio
coniugale. Peggio di
Elena, e mio fratello ingenuo come Eracle con Deianira! Non voglio che
Gaia
raccolga il suo sangue immacolato!»
In fondo, Aiolia era
uno scrittore, e
belle immagini sapeva produrre a valanghe. Il sangue di Aiolos sulla
terra,
anche se Shaka ignorava perché dovesse morire, sembrava far
parte di un disegno
più grande, come quello in cui Elena era pedina di Afrodite
e premio di Paride.
Ma no, no.
Questo era troppo.
«Per
favore.» replicò Shaka, scostandosi
dalla porta e avvicinandosi a una finestra. «Insulta quanto
vuoi Saga, ma
Aiolos come Eracle – che non era certo un santo –
è un po’ troppo anche per la
mia sopportazione.»
Si volse verso di
lui, alzando un
sopracciglio. «Prova a chiamare ancora. Magari
risponde.»
Aiolia
annuì lievemente. Mentre si
avvicinava al tavolino, Shaka scostò le tende di una
finestra e la aprì. Bello
il Sole, bello e radioso; bella giornata benché funestata
dal mutamento di
Kanon, bello il giardino che Shaka curava. Tutto sarebbe stato bello,
se solo
non si fossero alzati degli urli terrorizzati, come quelli di una
vittima
davanti un folle carnefice.
«Che
succede?!» gridò Aiolia, perdendo la
cornetta dalle mani.
Shaka si
affacciò alla finestra,
esterrefatto, quindi si volse a destra e sinistra per capire donde
provenissero
quegli urli. Giardino di Aldebaran e Mu, silenzioso, perfetto: giardino
di
Camus e Milo, chiassoso, palco di quello spettacolo indecente; e Shaka
non si
seppe spiegare razionalmente perché Camus minacciasse Milo
con un paio di
cesoie da giardino.
«Aiolia,
prendi un rastrello ed esci
immediatamente in giardino!» soffiò balzando verso
la porta, armandosi di una
scopa lungo il corridoio. «Presto, Aiolia!»
Ok,
ok. Camus con
cesoie. Camus
con cesoie
contro Milo. C’era un limite a tutto, ma Shaka aveva molto da
ridire in merito
a questa osservazione.
«Oh Dio,
Camus!» urlò Aiolia, non appena
mise piede in giardino. Shaka, invece, senza perder tempo in
chiacchiere si
diresse correndo verso il giardino degli amici, e puntò il
manico della scopa
contro Camus.
A parte
l’assurdità della scena, c’era
davvero qualcosa che non quadrava. No, perché Camus che
faceva una cosa del
genere era più impensabile di Kanon elegante; soprattutto,
Camus che aveva metà
testa con i capelli cortissimi lasciava intendere che gli fosse
balenata in
mente un’idea insensata.
«Che
diamine sta succedendo?!» fece
Aiolia, ponendosi tra Camus e Milo, il rastrello a mo’ di
arma. «Camus, posa
quelle cesoie!»
Per tutta risposta,
Camus indietreggiò e
lanciò un’occhiata incollerita verso lo scrittore.
«Io non sto
facendo nulla.» sibilò,
stringendo meglio le cesoie. «È Milo che sta
cercando di farmi del male.»
«Io, del
male a te?»
La voce di Milo
s’incrinò pericolosamente.
Non era né rabbia né commozione, ma semplicemente
una brusca caduta di fiducia
per quella frase così avventata.
«Del male a
te?» ripeté, cercando di
avventarsi su di lui – ma Aiolia, velocemente, li divise.
«Sei tu che ti sei
puntato quelle cesoie alla testa!»
Shaka
bloccò per un braccio Milo, prima
che potesse gettarsi ancora su Aiolia e il fidanzato. Voleva far
chiarezza
sulla situazione, quindi portò Milo dietro di sé
e sillabò, poca voglia di
scherzare: «Vi sembra normale ciò che state
facendo?»
«Camus
è fuori di testa.» mormorò Milo,
una smorfia confusa in viso. «Mi sono svegliato e
l’ho trovato con quelle
cesoie puntate alla testa. Ma ti rendi conto cosa devo sopportare?! Io,
del
male a te?!»
«Cinque
centimetri sono meglio di
cinquanta.» replicò stizzito Camus, portandosi
nuovamente le cesoie alla testa.
E no, nessuno poté intervenire: le splendide ciocche rosse
che raggiunsero il
terreno sembravano scie di sangue su una distesa di smeraldi.
Milo prese a fremere
nervosamente. Aiolia
abbassò il rastrello e pose una mano sulla spalla
dell’amico, esterrefatto, ma
non riuscì né a placarlo né a
tranquillizzarlo.
Ad approfittare
dell’attimo di silenzio,
ovviamente, fu Camus.
«Che
splendida scena!» sorrise subdolo,
gettando le cesoie sull’erba. Il suo nuovo taglio di capelli
era asimmetrico e
disordinato, ma nel complesso manteneva l’eleganza del viso.
«Per renderla
ancora più bella, però, dovete rispettare alcuni
cliché.»
Shaka
abbassò la scopa, demoralizzato.
Scambiò un’occhiata con Aiolia, ma entrambi
avevano già capito che Camus aveva
subito la stessa sorte di Kanon. Ma cosa poteva esser successo?!
«Cosa
diavolo stai dicendo?!» ringhiò
allora Milo, gli occhi di un predatore.
Camus alzò
un sopracciglio, l’espressione saggia.
«Millantatori,
geni del male, principi
azzurri!» sibilò, quasi divertito dal suo stesso
elenco. «Avanti, Milo: chi
vuoi essere? Perché non ammicchi a una ragazza e la
conquisti con il tuo proverbiale
charme? Oh, sono sicuro che la tua maliarda arroganza saprà
conquistare i cuori
di tutti.»
Shaka
sgranò gli occhi, sconvolto. No, una
roba del genere il vero Camus non
l’avrebbe
mai detta, perché priva di senso e ricca, al contrario, di
insulti gratuiti e
immotivati.
Ancor prima che
l’indiano potesse voltarsi
per scorgere la reazione di Milo, Camus lo fissò negli occhi
e scosse la testa,
non disgustato ma semplicemente contrariato.
«Shaka, tu
stenti a capire. Potresti
essere perfetto, e invece…» contrasse le labbra,
lo guardò come se avesse
davanti il peggiore dei criminali. «Potresti essere lo
stereotipo migliore di
tutti. Sederti e sorridere, bere del tè mentre ascolti i
racconti frivoli dei
conoscenti; potresti persino ignorare il tuo cervello, e lasciarti
guidare dai
comandi altrui: saresti perfetto lo stesso. Ma no!»
Camus alzò
le spalle. «No, non ti va! Non
vuoi ascoltare nemmeno i discorsi di un uke ribelle.»
E questa fu la goccia
che fece traboccare
il vaso.
Se Camus, solitamente
posato e serio,
arrivava a dichiararsi con convinzione un “uke
ribelle”, allora la situazione
era critica.
«Ascoltami,
tu.» lo apostrofò Aiolia,
lasciando bruscamente Milo e avanzando. «Dove sei stato oggi
pomeriggio?»
«Era con
me!» intervenne allora Milo,
sconcertato. «Mi sono appisolato solo un attimo!»
«Un
attimo!» ripeté divertito Camus. «Il
casanova
ha una strana concezione del tempo.»
«Dove sei
stato?!» tentò ancora Aiolia.
Shaka strinse le
labbra. Viveva quel
momento come se fosse lontano millenni, come se appartenesse a
un’altra
dimensione; non riusciva davvero a spiegarsi come Camus, in poche ore,
fosse
uscito totalmente di senno e avesse modificato così
radicalmente il carattere.
Qualche ciocca di
capelli gli era caduta
sulla spalla. Ah, che bel cremisi. Un rosso così acceso
aveva infiammato l’animo
vitreo di Camus, un tempo riservato e distaccato.
L’occhio di
Shaka, tuttavia, fu richiamato
da un altro dettaglio rosso nella figura dell’amico. Dapprima
gli parvero le
maniche della maglietta, che arrivavano al polso; poi, mentre Camus
parlava di
niente e di tutto, capì che quei dettagli altro non erano
che polsini.
Polsini,
polsini…
Sgranò
lentamente gli occhi, mentre
ritornava col pensiero in casa di Aphrodite.
«Ero a
casa, come puoi negarlo? E al tempo
stesso non c’ero: puoi affermare il contrario?»
cianciò Camus. «La casa è solo
un’idea!»
«Dove li
hai presi?»
La voce di Shaka era
imperturbabile, ma
straordinariamente severa. Milo e Aiolia non capirono a cosa si
riferisse, e in
principio lo stesso Camus fu preso alla sprovvista; solo dopo si
portò una mano
al polso e sorrise con malizia, scuotendo la testa.
«Certe
cose…» mormorò alzando gli occhi su
Aiolia. «Può inventarle solo uno
scrittore.»
Shaka
s’accigliò. Evidentemente Camus
aveva voglia di dissimulare.
«Aiolia,
perché non scrivi una conclusione
degna di questo dialogo?» rise allora
“l’uke ribelle”, incrociando le braccia.
E
benché Shaka fosse già pronto a bloccare il
fidanzato, quello si seppe gestire
da solo e non aprì bocca, ma anzi gli diede le spalle e
lasciò velocemente il
giardino.
«Bravo.»
lo derise Milo, nauseato. «Hai
ottenuto molto con questa tua trovata.»
Shaka
provò a immaginare i sentimenti di
Milo, ma ovviamente non poteva comprendere appieno quanto profonda
fosse la
delusione. Tentò di giustificare Camus tramite i polsini,
tuttavia spiegare a
Milo tutta quella faccenda non avrebbe portato a nulla.
Doveva agire da solo.
«Ho un
temperamento difficile.» replicò
Camus. «Ma non voglio perderti.»
Milo, a quel punto,
rimase interdetto. Anche
per Shaka era chiaro che nessuno dei due volesse gettare
all’aria una relazione
importante (soprattutto per motivi esterni: Camus poco
c’entrava), ma preferì
stare zitto e attendere un commento di Milo.
«Va’
a casa a schiarirti le idee.» mormorò
quello, indicando la porta. Subito dopo imboccò il vialetto
e si diresse verso
casa degli amici, umiliato, ma aggiunse: «Stasera ne
parliamo.»
«Bene!»
esclamò allora Camus, tornando a
sorridere. Probabilmente era pure schizofrenico, ma Shaka, raccogliendo
la
propria scopa e il proprio rastrello, non poté fare a meno
di incenerirlo con
un’occhiata.
E Camus
tornò serio.
«Dove li
hai presi?» chiese ancora l’indiano.
Camus volse il capo.
«Non t’interessa. Non
sei ancora autorizzato a saperlo.»
Autorizzato a
saperlo, tsk. Se non fosse
stato per lui e Kanon, difficilmente avrebbe voluto
quell’autorizzazione.
Seguì
allora lo sguardo di Camus, il cui
bel rame oltrepassavano il vialetto e il marciapiede. Beh, avrebbero
potuto
fissare tante cose, il cielo, la strada o un animale: tuttavia, in quel
momento
attraversava le strisce pedonali l’uomo col cerottino sul
naso.
Shaka
batté due volte le palpebre, serio.
Shura Xavier forse
sapeva troppo.
Ma quando Shaka
tornò a guardare Camus, questi s’era allontanato,
lasciando a terra un bigliettino stropicciato che Milo non aveva letto.
A
me gli enigmi non piacciono. Ci vediamo
più tardi.
“Aiolos…
se ti dicessi Ines Olere?”
“Il tuo
romanzo, fratellino?”
“Sai, forse
avrei fatto meglio a non scrivere niente.”
911
Emercency! Hello!
I
just killed my boyfriend.
[Clicca
per vedere
una scena simile]
D’accordo,
due o tre capitoli e finisce tutto. Mi sento un po’
sollevata:
questa parodia sta diventando soffocante. È tutta roba che
nello yaoi si trova,
e che dopo un po’ diventa insostenibile.
Vabbò,
intanto guardatevi Lady Saga nel suo ultimo video (?). L’ha
girato
interamente alla Tredicesima, ci sono troppi paparazzi da eliminare!
Ringrazio
ovviamente tutti coloro che ancora seguono questa fic e la
commenteranno. <3
Sperando
che Lady Saga si proclami il mio più grande fan, alla
prossima!
Gem!
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Capitolo 6 *** Sei ***
L’uke
perfetto
SEI
… minuti e
sarà
tutto finito.
Era notte.
Dalla finestra
semichiusa
entravano i bagliori dei lampioni di Yaoi City, ma la tenda scura di
seta
fungeva da ulteriore ostacolo alla luce. Un unico raggio giungeva,
vergine, ad
illuminare un braccio nudo cosparso di capelli biondi.
La luce lo faceva
apparire
più bianco di quanto già non fosse. Come una dea
lunare, come un abitante della
notte, Shaka osservava quei pochi riflessi, catturato dal loro fascino
spettrale e quasi irreale. Né il trovarsi così
vicino ad Aiolia, né sapere che,
per restare incolumi, bisognava lasciare la città, potevano
placare la sua
insonnia, e consegnarlo tra le braccia di Morfeo.
Alzò di
poco il capo dal
cuscino. Fu sufficiente per scorgere il profilo di Aiolia, nel buio, e
contemplarlo
qualche secondo, sospeso tra i pensieri pesanti. Sì, era
vero, avrebbe potuto
lasciare la città anche subito, svegliando Aiolia e fuggendo
con la complicità
della Luna. Ma che senso avrebbe avuto abbandonare Camus in quelle
condizioni?
E Aiolos certamente li avrebbe cercati.
Passò
l’indice sulle labbra
di Aiolia. Com’erano calde, vive. E come s’erano
dovute sentite miserabili,
ogni volta che avevano lasciato uscire una parola sbagliata, una frase
di
troppo, un’offesa umiliante. Forse, doveva ancora arrivare il
momento peggiore
per loro. Se davvero il sindaco avesse nascosto un segreto terribile,
come
avrebbe reagito Aiolia?
Shaka chiuse
bruscamente il
pugno, allontanandolo dal viso dell’altro. Non poteva certo
permettere che il
rapporto tra i due fratelli s’incrinasse così, per
colpa di…
Di Saga?
Poteva davvero essere
tutta
colpa sua? E perché, poi? C’era da tener conto che
lo stesso Kanon, fratello di
Saga, era cambiato da un giorno all’altro…
Cercando di mantenere
il
silenzio, si issò e appoggiò i piedi sul
pavimento, osservando la tenda
muoversi al vento notturno. In fondo aveva poco da perdere…
no, non doveva
mentire a se stesso. L’uomo che dormiva alle sue spalle non
era “poco”.
Si alzò,
ma non volle
guardarlo. Si infilò, invece, un paio di jeans velocemente e
una maglietta,
facendo ben attenzione a non svegliare il compagno. Così
com’era entrato in
casa di Aiolos una sera passata, sarebbe riuscito a farlo anche quella
notte,
anche a condizione di uscirne totalmente cambiato.
Scese silenziosamente
per
le scale, raggiungendo la porta di casa in pochi attimi. Diede
un’occhiata a
Milo che dormiva sul proprio divano: per evitare scene simili a quella
delle
cesoie era fondamentale che si mantenesse – almeno per il
momento – lontano dal
suo fidanzato.
Osservò
anche le case intorno,
una volta fuori: la casa di Mu aveva le luci totalmente spente, quella
di Camus
invece aveva una stanza illuminata debolmente, forse da una piccola
lampada.
Quanto avrebbe voluto che Camus leggesse un libro serenamente,
com’era solito
fare!
Si immise nel
vialetto.
“Buonasera,
Aiolos. Sei un
assassino?”
Beh, no, certamente
questa
non filava. Mentre avanzava nel buio verso casa del sindaco, Shaka
rifletteva
su qualche frase adatta al contesto… anche se era sicuro che
sarebbe entrato in
quella casa di nascosto. Di nuovo.
“Buonasera,
Saga. Lei è un
assassino?”
Oh, questa filava un
po’
meglio.
“Deve
semplicemente sapere
che questa città è lo sfacelo della
civiltà umana. Vi catalogate come se amaste
i pregiudizi e le persone – leggasi: Kanon e Camus
– impazziscono.”
Notevole.
Notevole, il fatto
che Yaoi
City di notte avesse un cielo limpido e terso. Quante costellazioni,
lassù. E
chissà se Shaka era nato sotto una stella nefasta, o
semplicemente inadatta agli
uomini, con una componente divina troppo pronunciata.
Non mancava molto per
arrivare a casa di Aiolos. Tagliando per i cortili, come la notte della
folle
corsa, aveva risparmiato molto tempo. Si trovava adesso, se la memoria
non lo
ingannava, nel retro della villa antistante quella del
“cognato”.
Oltrepassò
il vialetto del
garage e si accostò alle mura della casa, mentre scrutava
all’interno di questa
tramite una finestra. C’era una lampada accesa in quello che
sembrava un
salottino, ma forse era solo una dimenticanza dei padroni di casa.
All’interno
non c’era nessuno.
Shaka si decise,
quindi, a
proseguire silenziosamente la sua strada. Non appena voltò
l’angolo, ecco
infatti apparire la casa di Aiolos, e il sostegno d’edera su
cui s’era
arrampicato. Dolci ricordi!
C’era solo
da attraversare
la strada… e sarebbe arrivato a 452 N
Kurumada Road.
Ebbe all’improvviso
l’istinto di
correre, ma non appena tentò lo slancio, si sentì
strattonato all’indietro e
finì, incredulo, contro al muro.
Era la fine?
Oh no, Shaka non si sarebbe fatto
prendere così alla sprovvista. Allungò subito il
braccio in avanti, con
violenza, per attaccare, ma subito una voce atterrita lo fece ricredere.
«No!» cadenza
nota. «Sta’ fermo!»
Shaka non ebbe dubbi. Era
l’uomo col
cerottino sul naso.
«Sono Shura
Xavier.» fece quello,
abbassandogli il braccio. «Questa è casa
mia.»
Con una smorfia infastidita, Shaka
si
liberò della presa e gettò un’occhiata
tagliente all’altro. Quell’incontro non
ci voleva proprio.
«Non
m’interessa casa tua.» tagliò
corto Shaka. «Sparisci.»
«Hanno preso Camus mentre
parlava con
me.» mormorò Shura, indicando con un cenno del
capo la casa del sindaco. «Se
sei diretto lì, cambia idea il prima possibile e lascia
questa città.»
«Cosa sai di
Camus?»
«Va’ via da
qui!»
Stringendo i denti, Shaka
afferrò per
il colletto Shura e non impiegò molto per ribaltare i ruoli,
spingendolo al
muro con evidente insofferenza.
«Non
m’interessa se parli o meno.
Stanotte sarò io a fare chiarezza su questa incresciosa
situazione.» sibilò
Shaka, determinato come non mai. «Non sono come
voi.»
«Non è
questione di…»
Ma Shaka già era
scattato verso la
strada, là dove la luce dei lampioni lo illuminava senza
offrirgli alcuna
protezione. Si girò solo un istante per controllare Shura:
lo vide là dove lo
aveva lasciato, quasi totalmente immerso nell’ombra; non
sembrava volesse
seguirlo, e l’unico pensiero che fece impensierire Shaka fu
la possibilità che
chiamasse Aiolia.
Tsk, lo facesse pure: Aiolia
sarebbe
arrivato a verità svelata.
Corse velocemente
sino all’ingresso della
villa del sindaco. Si ritrovò davanti alla porta,
c’erano pochi passi a
separarlo da… una verità, forse? Da una scoperta
sconvolgente? Quanti passi
ancora doveva percorrere Shaka per ritornare a vivere una vita
tranquilla?
Sobbalzò,
quando la porta si schiuse da
sé. Evidentemente qualcuno lo aspettava… tsk. Si
fece sfuggire un ghigno
beffardo, quindi spinse la porta in avanti ed entrò senza
esitazioni.
Un fortissimo raggio
di luce lo costrinse
a socchiudere gli occhi, stupito. Non ebbe neanche il tempo di entrare
del
tutto, che una voce lo accolse ostentando falso disinteresse.
«Shaka, sei
qui?» la sorgente della luce
oscillò qualche attimo. «Ti dispiacerebbe chiudere
la porta?»
Stringendo i denti,
Shaka portò la mano
agli occhi ed entrò, richiudendo con violenza la porta
dietro di sé. Aveva
riconosciuto il premuroso ospite… non c’era voce
più subdola e misteriosa di
quella di Saga Valiant.
«Togli
quella luce.» sibilò Shaka,
cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. «Devo
parlare con te e
Aiolos.»
«Aiolos
dorme.» rispose con nonchalance
Saga. «Ma… prima di parlare, non vorresti dare
un’occhiata a questo filmato con
me?»
Shaka fece qualche
passo in avanti,
spostandosi dal raggio di luce. Mentre i suoi occhi si abituavano al
cambio di
luminosità, iniziò ad accorgersi di cosa stesse
facendo Saga. Distinse una
poltroncina, il proprietario sedutovi; scorse anche un proiettore
appoggiato su
un tavolino di mogano, quindi, voltandosi, comprese che la luce che lo
abbagliava non era altro che un video.
«Ho pensato
che fosse più scenografico…
accoglierti così, intendo. Si vedrà un
po’ male, ma le tende sono scure, perciò
goditi la visione.»
…
a Yaoi City, la città dei
seme e degli uke.
Shaka
sgranò gli occhi. Colorate e
luminose foto della città scorrevano in quel video, come
attimi rubati di quei
profondi segreti.
Dove
nulla è lasciato al
caso… dove tutti sono qualcuno.
La voce di Saga
accompagnava persino quel
video. Tutto era stato preparato così nei dettagli che a
Shaka non sembrava
vero.
Qui
gli uke vengono aiutati
tramite dispositivi elettronici a migliorare se stessi. Potete
controllare nel
nostro catalogo le tipologie offerte: non ve ne pentirete! Ma cosa
intendiamo per
uke? Questo è il termine che diamo all’individuo
passivo di una coppia. Si
distingue per essere solitamente più basso del compagno,
più effeminato e
delicato, timido o sensibile sul piano caratteriale. Ovviamente, come
abbiamo
già accennato, vi sono varie tipologie e questi elementi
possono differire
notevolmente…
Cosa…?
Noi
ci limiteremo a
soddisfare i vostri desideri! Volete un uke ribelle? Un uke stuprabile?
Ditecelo, e noi vi accontenteremo! Impianteremo un microchip nel
cervello del
vostro uke che verrà collegato a dei polsini, serviranno per
controllare le
funzioni vitali. Tuttavia, verrete lasciati per qualche minuto soli con
il
vostro partner in anestesia totale: sarete voi a decidere quando
attivare il
microchip, senza alcun condizionamento esterno.
Shaka per poco non
scoppiò a ridere.
Bene, ora si spiegava
tutto.
Possiamo
operare anche in
casi disperati… è nostro obiettivo anche
perfezionare la creazione di androidi
intelligenti. Abbiamo salvato diversi ragazzi paralizzati da incidenti
tramite
inserimento di componenti totalmente meccaniche.
L’immagine
che questa volta apparve nel
video mostrava Aphrodite, quello che si era definito “uke
lascivo”. Era su un
letto d’ospedale, totalmente ingessato,
sì… paralizzato. E le foto che
seguirono lo ritrassero con vari tutori prima, interi esoscheletri
dopo, e
infine…
«Un
endoscheletro artificiale…» mormorò
Shaka, osservando l’ultima foto. Non aveva mai visto un
intervento chirurgico
così invasivo.
«Non sono
un criminale.» si giustificò
Saga. «Ho salvato questo ragazzo, no?»
No?
No.
Qualunque
problema voi
abbiate, noi lo risolveremo. Yaoi City offre anche un appoggio sincero
ai seme,
ossia i compagni degli uke. Tramite riunioni periodiche essi verranno
seguiti e
indottrinati verso la cultura yaoi in modo tale da comportarsi al
meglio col
proprio partner.
Shaka alzò
le spalle.
«Sembra
quasi più facile di quanto
immaginassi.» mormorò, scuotendo la testa. Non
sapeva nemmeno cosa dire… «Beh,
cosa vuoi fare adesso, Saga?»
Shaka non aveva
paura. Si volse nuovamente
verso il segretario del sindaco, che aveva poggiato il mento su una
mano e lo
fissava con i suoi occhi indagatori. I suoi pensieri apparivano
indecifrabili,
le sue reali intenzioni avevano ancora una strana patina che nascondeva
qualcosa.
E mentre il video
continuava a ciarlare,
elencando e spiegando ogni tipologia di uke, il campanello
risuonò più volte
nell’atrio, e una voce serena esclamò:
«Arrivo.»
«Aiolos!»
si volse Shaka, all’improvviso.
Per un attimo quasi sperò di incastrare Saga nel suo stesso
gioco, ma si bloccò
al vedere Aiolos sorridere e dirigersi verso la porta, come se nulla
fosse
successo.
Bastò che
gli occhi di quello
incontrassero quelli di Shaka per qualche secondo per mostrare la
complicità
tra il sindaco e Saga.
«Credo di
sapere chi suoni a casa mia nel
cuore della notte.» sorrise Aiolos, una bontà
agghiacciante nel viso, mentre
schiudeva la porta. «Oh: mio fratello.»
Shaka
sussultò. Sì, era proprio Aiolia:
era proprio Aiolia, quello che si catapultava all’interno
della casa mentre il
video lo abbagliava, mentre Aiolos chiudeva la porta a chiave, mentre
Saga si
alzava e incrociava le braccia, maliardo e insensibile.
«Scegli,
Aiolia.»
La voce di Aiolos era
rigidissima, la più
rigida che Shaka avesse mai sentito.
E lo scrittore si
bloccò a metà strada tra
Aiolos e Shaka.
«Me o
lui.»
Questo era davvero
buffo… certo che Shaka
quasi non ci credeva. Come non credé più a nulla,
quando Aiolia lo guardò con
le lacrime agli occhi e Saga scoppiò a ridere, mormorando:
«Sei minuti e sarà
tutto finito. Vedrai.»
Poteva sentire
l’aroma del tè salire sino
alle narici e disperdersi nell’aria, come il profumo
spruzzato da un mercante
in un bazar orientale. Poteva ascoltare il rumore delle dita che
ticchettavano
sulla tastiera, regolari come il cammino di una lancetta di un antico
orologio
a pendolo. Poteva vedere il Sole brillare più che mai fuori
dalla finestra,
oltre l’amaca, in una giornata che prometteva le migliori
cose possibili ed
immaginabili.
«Sto
uscendo per recarmi in banca.» lo
raggiunse dall’altra stanza una voce pacata, senza
disturbarlo. «Sarò di
ritorno tra un’ora. Controlla la bacheca, ci sono dei
messaggi per te.»
Come se volesse
stuzzicarlo, Lord
Rhadamanthys replicò: «Niente amaca,
oggi?»
«For
God’s sake, thou shall
not joke
anymore.»
fu
la risposta compunta. «I’m
flabbergasted!»
Poi la porta sbatté,
sorda.
E il critico si ritrovò
con entrambe le mani a
mezz’aria, lontane dalla tastiera del computer, ricordando
vecchi rimproveri di
nonni e lontani parenti attempati. Lì in Inghilterra
avrebbero conferito a
Kanon un riconoscimento per il suo forbito linguaggio, senza dubbio.
Osservò con un certo
timore il compagno allontanarsi
per il vialetto di casa, aggirando con accortezza l’amaca.
Vestiva ancora una
volta giacca e cravatta, e i capelli erano freschi di shampoo. Davvero
elegante, forse troppo elegante
anche
per Lord Rhadamanthys.
Tornò a fissare lo
schermo del computer.
…
un linguaggio armonioso e ricco di
grazia facilita la lettura di un testo così…
Un linguaggio
armonioso e ricco di grazia.
Grazia.
Ma perché
diamine Kanon poteva essere solo
estremamente rozzo o estremamente elegante?!
Afferrò la
tazza di tè accanto al computer
e ne bevette velocemente un sorso, con occhi sgranati e fissi davanti a
sé.
No, no,
c’era qualcosa che non andava.
Perché non
riusciva più ad accettare…
Liszt
iniziò a suonare con mani delicati
la terza parte del suo Sogno d’Amore. O quale leggiadria
nell’aria, o quale
morbida tenerezza al posto dell’irruenza delle Valchirie come
campanello…!
Rhadamanthys scosse
la testa. Era così
sovrappensiero da non essersi accorto di aver passato un’ora
tra le nuvole?
Kanon era già di ritorno…
Si alzò
con mestizia, quindi gettò
un’occhiata fuori dalla finestra. Non vedeva chi vi fosse
davanti la porta, e a
dir la verità non aveva neanche visto quando questo qualcuno
si fosse
avvicinato. Ma dando per scontato che fosse Kanon, forse tornato per
aver
dimenticato qualcosa (sempre se fosse stato possibile, conoscendo la
sua nuova
indole), raggiunse lentamente l’ingresso e tirò la
porta con rassegnazione.
Poi, si
ritrovò davvero in un
bazar orientale e fu cosparso di profumi inebrianti,
mentre guardava un orologio impazzito ticchettare troppo velocemente
sotto il
Sole cocente di un estate cipriota. Che fosse… un segno del
destino?
Sgranò gli
occhi, rinvigorito.
Perché mai
di fronte a lui non c’era Kanon
Valiant, ma…
Un plico di fogli
volteggiò nell’aria
mentre la mano di Rhadamanthys veniva agguantata come acqua nel deserto.
«Che
emozione… piacere di conoscerla!» sorrise
raggiante il misterioso arrivato, stringendo con vigore la mano del
Lord. «Ho fatto
l’autostop per raggiungere questa città. Non
volevo arrivare in ritardo il
primo giorno di lavoro!»
Rhadamanthys non
fiatò, flabbergasted. Ricambiò
la stretta di mano spinto dalla
forza dell’abitudine e squadrò l’altro
dalla testa ai piedi, sempre in
silenzio. Indossava un paio di jeans strappati e una maglietta
smanicata,
scucita sulla spalla sinistra, mentre al collo aveva un foulard rosso.
Ai piedi
portava degli stivaletti di moda negli anni 80 – questo non
importa, pensò il
Lord – ma nel complesso l’abbigliamento non
appariva trascurato come quello del
“vecchio” Kanon.
Tuttavia, tra una
massa di capelli castani
spuntava sospetta una ciocca rosa. Perfetto… un nostalgico
punk.
«Kanon ti
ha chiamato per pulire casa?» fu
tutto ciò che Rhadamanthys seppe dire.
L’arrivato
rimase immobile, quasi offeso
nel suo entusiasmo. Ma due occhi dorati pieni d’ammirazione
continuarono a
fissare quelli di Rhadamanthys.
«Ehm,
no.» rispose, spaesato. «Mi chiamo
Valentine Chocolate, del Chicago Tribune. Avevo fatto richiesta per il
ruolo di
segretario nel suo ufficio… ieri sono stato
assunto.»
Segretario, ufficio,
assunzione.
Evidentemente Kanon
aveva risposto a
qualche chiamata per lui e…
«Scusami un
attimo.» mugugnò, torvo, il
Lord, quindi si volse e raggiunse un tavolino poco distante, sopra al
quale era
appesa una bacheca. Non poteva essere vero… non doveva esserlo…
Appuntamento
in banca,
lunedì 10.30.
Appuntamento
dal dentista,
mercoledì ore 15.30.
Assunto
segretario, hanno
chiamato dallo studio per confermare.
«Hai detto
di chiamarti Valentine?» fu
tutto ciò che Rhadamanthys riuscì a dire, le mani
poggiate sul tavolino, lo
sgomento più profondo mai provato chiarissimo
dall’espressione del viso.
Kanon…
organizzava gli impegni della
settimana. Su una bacheca.
«Sì,
signor de Wyvern.» rispose l’altro,
affacciandosi alla porta di casa, mentre raccoglieva i fogli che aveva
gettato
a terra per l’euforia. «Qualcosa la
preoccupa?»
«Vedi,
Valentine, la situazione è molto grave
e non so neanche io come tutto ciò sia potuto succedere.
Normalmente so con
certezza cosa producono le mie scelte, ma questa volta pare che abbia
giocato
un po’ troppo col Fato.»
«Prego?»
ripeté Valentine, sempre più
sbigottito.
«Cosa?»
«Ha giocato
col Fato?»
La goccia che fece
traboccare il vaso.
«Valentine,
ti conosco da qualche secondo
ma ho bisogno che tu vada a casa di Shura Xavier.» il Lord
scarabocchiò
l’indirizzo su un pezzo di carta, quindi lo
consegnò tra le mani del novello
segretario. «Di’ che ti ho mandato io,
capirà. Io devo cercare un’altra
persona.»
«Certamente!»
sorrise subito Valentine,
osservando il critico indossare una giacca. «Posso lasciare
qui la mia valigia?
Non ho ancora trovato un albergo in cui soggiornare.»
Lord Rhadamanthys
riacquisì, tutt’un
tratto, la sua naturale espressione. Strinse le labbra,
corrucciò il
monociglio, gli occhi divennero due minacciose fessure. Doveva
riprendersi il
suo ego… a tutti i costi!
«Valentine!»
«Sì
signore!» scattò il segretario, ritto
sulla porta come un fedele luogotenente.
«Abbiamo
alcune stanze libere, puoi stare
qui quanto vuoi.» acconsentì Rhadamanthys, poi
squadrò ancora Valentine. Era
troppo… “particolare” per non dare
nell’occhio, perlomeno secondo lui, e questo
a Yaoi City non andava bene. «Metti questo.»
Gli passò
una giacca dall’appendiabiti,
quindi aggiunse: «Se qualcuno ti chiede se tu sia uke,
rispondi così: “No, sono
seme. Faresti meglio a non voltarti se sono nei paraggi.” E
fa’ una risatina
diabolica.»
I capelli biondi
profumavano di cioccolato.
I boccoli color albicocca che scendevano sulle spalle erano le estreme
appendici di un’alta coda di cavallo, attraversata da un filo
di perle bianche.
Quel colore così lindo ben si abbinava ai denti
dell’attraente possessore, il
cui viso, aperto in un sorriso, pareva davvero appartenere a
un’entità
sovrannaturale.
Una mano si
sollevò sino a uno scaffale.
Le unghie, lunghe e tinte di rosa confetto, indugiarono su una
confezione di
detersivo, che alla fine fu riposta in un carrello con la massima
grazia.
La musica delicata
del supermercato
aiutava quella scelta. Non metteva né fretta, né
agitazione.
«Shaka, mi
sono rotto.» si spazientì tuttavia
un ragazzo dai capelli rossi al suo fianco, sbuffando.
«Voglio tornare a casa.»
Il biondo socchiuse
gli occhi, un leggero
sorriso sulle labbra. «Camus, sei sempre così
impaziente. Abbiamo quasi finito:
cerca di comportarti in maniera educata.»
Diede
un’altra spinta al carrello,
riprendendo la marcia lungo la corsia. A tutti coloro che incrociava
Shaka rivolgeva
un raggiante sorriso, a volte un cenno di saluto con la mano sinistra.
Era
ormai abituato a tutti quegli occhi ammirati rivolti solo e unicamente
a lui.
«Ah,
smettila di montarti!» vociò Camus,
mostrando i denti a un ragazzo poco distante. «Sei veramente
stomachevole.
Prima o poi mi scoperò Aiolia, stanne certo.»
Shaka lo
ignorò. Mancava poco alla cassa,
quindi prese qualche sacchetto di plastica e iniziò a
riporre tutta la spesa
sul rullo nero. Ah, che beatitudine. Tutto era così semplice
e tranquillo. Il
Nirvana probabilmente doveva essere qualcosa del genere.
Camus si
appoggiò alla cassa, gettando
un’occhiata torva al cassiere, poi tornò a fissare
l’indiano con stizza. «Hai
capito quello che ho detto? A volte penso che gli uke perfetti siano
semplicemente
scemi.»
«Basta aver
fiducia nel proprio compagno.»
replicò allora Shaka. Continuò a sorridere senza
mai lasciare gli occhi del
cassiere, il quale sembrava ipnotizzato. «Non credo che
Aiolia cederebbe a te.
E soprattutto non credo che tu possa tradire in tale modo la fiducia di
Milo.»
«Ah!
Milo!» Camus ridacchiò e si portò
oltre la cassa, scuotendo la testa. «Quell’ameba
che dorme da voi perché ha
paura di me. Beh, se non si decide a porre fine a questa dannata
astinenza,
dovrò assolutamente trovare un altro.»
Shaka
iniziò a posare gli oggetti
acquistati nei sacchetti. Fece un sorriso più raggiante al
commesso, poi
azzardò un occhiolino e abbassò volutamente gli
occhi. Seppe di averlo in
pugno.
«Ehi.»
sussurrò quello, arrossendo. «Vuoi
qualche buono pasto?»
«Sarebbe
meraviglioso.» bisbigliò Shaka,
portando una mano al petto.
Subito gli vennero
offerti diversi coupon
e qualche blocchetto di buoni. Ah, questo era davvero incredibile.
Avrebbe
mangiato gratis per… per un
mese. Non
pensava che fosse così facile prendersi gioco degli uomini.
«Allora…
a presto.» ammiccò ancora, allontanandosi
con la spesa.
«Ciao.»
replicò il commesso, sorridendo.
Ma tutta quella
scena, rifletté Shaka, non
doveva esser sfuggita agli occhi di Camus, che ovviamente riprese a
parlare non
appena lasciato il supermercato.
«Questa
sarebbe la fiducia!» scoppiò a
ridere, appoggiandosi a un palo della luce. «Fammi il
piacere, Shaka. Devo solo
scegliere tra Aiolia e Shura, penso che sia il caso di dare un
avvertimento a
quel fallito di Milo.»
Shaka questa volta si
arricciò in una
smorfia. «Beh, per prima cosa potresti darti una regolata.
Sembri tu il
fallito.»
Camus subito
sgranò gli occhi.
«Camus.»
riprese Shaka, spostandosi una
ciocca della frangetta rosa. «Quasi mi dispiaceva dirtelo, ma
sai com’è. Pensi
che a casa nostra Milo dorma soltanto?»
Le guance di Camus
divennero paonazze, ma
Shaka continuò l’affondo. «Devo dire che
non è rimasto insensibile al mio
fascino, anzi.»
La menzogna
– non poteva essere altro –
ebbe l’effetto sperato sul rosso. Ah, che soddisfazione
vederlo così geloso e
infuriato! Le guance continuavano ad arrossarsi come se animate da vita
propria. Shaka seppe con certezza di avere una lingua perfida, quando
Camus si
staccò dal lampione e con sguardo truce avanzò
verso di lui.
«Sei una
maledetta puttana!» gridò, prima
di aggredirlo.
Shaka
bloccò subito i polsi dell’altro,
cercando di offrire resistenza a quel gatto imbizzarrito. Le buste
della spesa
scivolarono a terra, un piede arretrò di qualche centimetro
– in fondo Camus
pesava qualche chilo più di lui, e la forza fisica ne
risentiva abbastanza.
I passanti cercarono
subito di separare i
due, ma Camus sembrava veramente inferocito e oppose una strenua
resistenza ai
pacieri. «Cagne! Puttane!»
Shaka, al contrario,
trovò subito un caldo
rifugio nelle braccia di qualche seme di passaggio, ostentando paura.
Sì, di
essere stato aggredito da quel selvaggio, di non poter fare nulla per
replicare! Le risate che dovette ricacciare in gola gli avevano fatto
venire
gli occhi lucidi, interpretati dai presenti come segno di un prossimo
pianto.
Eppure non solo Shaka
non pianse, ma
continuò a passare da seme a seme facendo incollerire sempre
più Camus, quello
ridotto davvero in lacrime.
«Non
toccare Milo, hai capito?!» gridò,
liberandosi dalla presa. «Non toccarlo mai
più!»
Shaka stava per
balzargli di nuovo
addosso, ma desistette quando vide che Camus era stato preso per le
spalle da
una ben nota conoscenza. Beh, ne sarebbe stato anche felice.
«Cosa
diamine sta succedendo qui?!» urlò
il nuovo arrivato, un cerottino sul naso a piegarsi ogni volta che
apriva di
più la bocca. «Shaka, Camus, mi meraviglio di
voi!»
Shaka alzò
le spalle, sistemandosi i
boccoli. «Shura, qual buon vento…»
«Shura!»
vociò subito Camus, gettandogli
le braccia al collo. L’indiano trattenne una smorfia di
disapprovazione,
incentivata dalle successive parole del rosso: «Non puoi
immaginare come mi
tratti quell’uke perfetto. È la rovina di tutte le
coppie di Yaoi City!
Guardalo!»
Shaka strinse i denti
in un sorriso forzato.
Gettò quindi un’occhiata attorno a sé:
se tanti seme si premuravano di dargli
sostegno e aiuto, altrettanti uke lo osservavano da lontano biechi,
indispettiti, forse ingelositi e qualcuno addirittura in lacrime.
Ancora una volta, ne
fu soddisfatto e non
lasciò l’abbraccio del seme di turno.
Shura lo
guardò, prima di stringere imbarazzato
e sorpreso Camus.
Già,
Xavier, guardami bene. Pareva gridare col
pensiero Shaka. Guarda bene questi polsini,
guarda bene i
miei occhi azzurri. Non lasciarti ingannare dalle perle o dalle unghie,
guardami.
«Shaka, ho
appena saputo dal segretario di
Lord de Wyvern che il momento è giunto.»
sibilò con serietà Shura. «Per
ulteriori conferme, attendiamo questa sera.»
Shaka
lasciò che un angolo delle labbra si
curvasse verso l’alto. Era fatta.
«Che
cosa?!» urlò ancora Camus,
aggrappandosi alla giacca di Shura. «Ah, è
così? Vuole portarsi a letto pure
Lord de Wyvern? Complimenti!»
L’indiano
alzò le spalle, quasi con un
cenno di ovvietà.
«Complimenti,
puttana!» rincarò la dose
Camus, prima che Shura lo stringesse in un altro abbraccio e lo
portasse via da
quel capannello di gente.
Questo
è il penultimo capitolo! Il prossimo sarà
più lungo e conterrà
anche l’epilogo.
Mi scuso
per il ritardo, ovviamente, e anche per lo stile
“variegato” di
questo capitolo… l’ho scritto in 3 periodi
diversi… intervallati da mesi,
credo. Dio, non avevo proprio idea di cosa fosse il pov asd
Beh, a
presto!
|
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Capitolo 7 *** Sette ***
L’uke
perfetto
SETTE
… giorni
servirono a Dio per creare la Terra.
«Così
hai litigato con lui?»
La voce di Milo
rimase
sospesa nell’aria, in cerca di una risposta. Shaka, tuttavia,
gli versò nel
piatto una buona dose di funghi alla crema di tofu e fece lo stesso per
Aiolia.
Solo quand’ebbe finito quel rituale così
importante appoggiò la teglia sul
tavolo e prese posto insieme agli altri due.
«Buon
appetito.» esclamò
sorridendo. «Spero il pranzo vi piaccia.»
«Shaka, hai
litigato con
Camus?!» sbottò ancora Milo, allontanando di colpo
la sedia dal tavolo. Il
rumore fastidioso, però, non riuscì ad alterare
il pacifico indiano, che
immerse la propria forchetta in una polpetta di quinoa e sorrise ad
Aiolia.
«Pure tu
sei impazzito?!»
vociò ancora Milo. «Ti stai comportando
così per davvero?!»
«Aiolia,
per favore, digli
qualcosa.» sospirò allora Shaka, scuotendo la
testa. «È tutto il giorno che fa
così.»
Dopo un attimo di
assoluto
silenzio, durante cui l’indiano continuò a
consumare il proprio pranzo, il
tavolo tremò in maniera eclatante e un bicchiere si
rovesciò. Ah, quello era
davvero troppo.
«Per
favore.» ripeté Shaka,
tagliente, mentre gettava un’occhiata ammonitrice a Milo.
Avrebbe chiuso un
occhio sul tono della voce… ma non poteva sopportare di
vederlo sbattere i
pugni sulla tavola e alzarsi col viso stravolto dalla rabbia.
Aiolia si
pulì la bocca con
un tovagliolo, prima di voltarsi verso Milo e incupire lo sguardo.
«Siediti e
mangia.» sibilò.
«Altrimenti puoi pure lasciarci soli.»
«Aiolia,
sei impazzito
anche tu!» esclamò Milo, indietreggiando, urtando
contro la sedia su cui prima
era seduto. «Non hai visto come s’è
conciato Shaka?! Ha i capelli rosa e
arancioni e… i boccoli, le perle… ma che diamine
sta succedendo? E l’hai visto
o no che quei due là fuori ci stanno guardando da
mezz’ora?»
Shaka
appoggiò la forchetta
al piatto e, con un sospiro, si volse verso la finestra. Sapeva di
essere
osservato, se n’era accorto già mentre preparava
il pranzo. Tuttavia, facendo
ricorso a tutta la sua buona volontà, alzò una
mano in segno di saluto e
sorrise.
«Mu e
Aldebaran stanno
semplicemente pranzando in giardino.» rispose Aiolia,
raccogliendo il bicchiere
che s’era rovesciato. «Per favore, siediti e
mangia. Il pasto che ci ha
preparato Shaka è squisito.»
In quel momento
accaddero
tre cose contemporaneamente: Milo si gettò a sedere e si
portò la testa tra le
mani, in una chiara ostentazione di sbigottimento; Aiolia riprese in
mano la
forchetta, con calma, e infine il telefono iniziò a
squillare.
«Vado
io.» disse Shaka.
Provò
quasi sollievo ad
alzarsi da quella tavola tanto sfarzosa e artificiosa, ad allontanarsi
dall’attonito Milo e tentare, per quanto possibile, di
sottrarsi agli occhi di
Mu e Aldebaran. Lasciò scorrere le mani sulla cornetta e
ricercò lo sguardo di
Aiolia, in una tacita abitudine che non avrebbe mai abbandonato, prima
di falsare
tutto se stesso e aprirsi in un sorriso radioso.
«Qui parla
Shaka Tuja.
Pronto?» trillò come neanche il miglior
centralinista del mondo.
«Oh Shaka,
che piacere
sentirti!» una calda voce d’uomo lo
abbracciò, a dispetto del telefono. «Sono
Aiolos. Spero di non aver chiamato in un momento inopportuno, ma ho
davvero una
grande notizia da dare a te e mio fratello.»
Shaka si
sentì invadere di
soddisfazione. Dissimulò ancora. «Figurati! Dimmi
pure.»
«Vedi, Lord
de Wyvern mi ha
proposto di organizzare un evento per presentare al mondo intero questa
città.»
spiegò Aiolos. «Non essendoci motivi per
posticiparlo, ho ritenuto opportuno
fissarlo domani sera nel giardino della mia casa! Saranno presenti
giornalisti
di tantissime emittenti, così almeno mi ha garantito Lord de
Wyvern, e
probabilmente una trasmissione statale trasmetterà la
diretta! Non è
meraviglioso?»
Oh, sì che
lo era. Era
fantastico.
«Puoi
contare sulla nostra
presenza, caro cognato.» Shaka stavolta non riuscì
a trattenersi: un vero e
proprio ghigno gli apparve sulle belle labbra. «Parlo anche a
nome del mio
amico Milo.»
Senza attendere la
risposta del sindaco,
l’indiano riagganciò la cornetta e si volse verso
il tavolo, dove ricevette due
occhiate differenti sia per l’aspetto in sé sia
per il messaggio che
trasmettevano.
Se Milo, con i suoi
affilati occhi
azzurri, pareva semplicemente in cerca di una spiegazione per
quell’assurda
vicenda, Aiolia al contrario affidava ai suoi occhi da gatto il compito
che usualmente
spettava alla bocca.
Approvavano.
Qualsiasi cosa Shaka avesse
deciso.
«Domani
sera vi sarà un importante evento
a cui dobbiamo assolutamente presenziare.» scandì
l’indiano sedendosi
nuovamente, mentre i boccoli gli scivolavano lungo tutte le spalle.
Tollerò:
sapeva che sarebbe finito presto. «Milo, tu verrai con noi.
Avrai l’occasione
di rivedere Camus.»
Quelle parole ebbero
l’effetto di un
tornado sull’amico. Shaka lo vide rinvigorirsi e accendersi
di colore, come se
avesse appena avuto un’illuminazione.
«Ti prego,
dimmi cosa è successo oggi al
supermercato.» lo supplicò, appoggiando entrambe
le mani sulla tovaglia,
tormentandola quasi. «Cosa vi siete detti?»
Per estrema
casualità gli occhi di Shaka
incrociarono ancora quelli di Aiolia. Benché avesse
già deciso di non
proseguire il discorso, ricevette un’ulteriore conferma
dall’uomo con cui, nel
bene e nel male, aveva condiviso parte della sua vita.
E a cui doveva
moltissimo.
Portò alla
bocca una polpetta di quinoa,
la masticò lentamente, si pulì le labbra quando
l’ebbe ingoiata.
«Cosa ti
preparo stasera, Aiolia?»
Casa di Aiolos, con
la sua bella tinta
gialla e le finestre che per forza di cose Shaka conosceva molto bene,
era
illuminata da almeno sei riflettori che la facevano apparire
più grande di
quanto non fosse. Il giardino, inoltre, era talmente pieno di persone
che non
sarebbe stato difficile riconoscere qualcuno gettando semplicemente
un’occhiata.
La notte era ancora
giovane…
Shaka
lasciò scorrere il braccio sotto
quello di Aiolia, aprendosi in un sorriso tanto dolce quanto
spaventoso. Sapeva
bene che più si fingeva docile e mansueto, più il
demone che era in lui
scalciava per porre fine a quella vicenda; ogni gesto, ogni espressione
veniva
quindi a macchiarsi di un dettaglio che finiva per mostrare qualcosa di
inadeguato.
Ma a Shaka, quella
sera, proprio non
importava. Stava tutto per finire.
Se lo ripeteva
lentamente, mentre si
faceva osservare come se fosse una divinità; se lo ripeteva
mentre sconosciuti
borbottavano ad Aiolia che sì, doveva essere proprio un tipo
fortunato, per
avere un uke tanto perfetto, e se lo ripeteva come una nenia mentre
camminava
tra i giornalisti, ben conscio di avere una pettinatura
tutt’altro che
ordinaria.
«Sono
stanco di essere trattato come se
non esistessi.» sberciò all’improvviso
Milo, ponendosi di fronte a lui e
Aiolia. «Vorrei sapere cosa avete intenzione di
fare.»
Con
un’occhiata gelida, Shaka si fermò e
si guardò intorno. Grazie al cielo nessuno aveva prestato
troppa attenzione alle
parole di Milo.
«Non
è ancora il momento.» mormorò
stringendo con più forza il braccio di Aiolia.
«Per favore, continua a seguirci
senza parlare.»
«Aiolia, ti
prego, perché anche tu stai
facendo così?» esclamò ancora Milo
alzando le mani in aria, sconvolto. Ma
nessuna risposta si levò dallo scrittore, che sorrise a
Shaka e riprese a
camminare.
Il giardino ospitava
tra i tanti presenti
anche gli abitanti di Yaoi City. Shaka non si stupì, dunque,
quando si accorse
di un elegantissimo Shura che parlava con un giornalista, ma
trasalì – e anche
vistosamente – quando incrociò per sbaglio lo
sguardo di un collerico Camus
vestito completamente di rosso e nero, neanche fosse un ballerino di
flamenco.
Si fermò.
«Da questa
parte.» sibilò subito, cercando
di portare Aiolia e Milo altrove, ma era già troppo tardi.
«Che
diamine…»
Le labbra di Milo
rimasero schiuse,
tremule, mentre il suo dito si alzava nella direzione del fidanzato.
Quella proprio non ci
voleva, pensò Shaka.
Fece mente locale della situazione: era talmente vicino a realizzare il
suo
piano, che mandarlo in fumo soltanto per i capricci di Camus sarebbe
equivalso
ad abbandonare una maratona a dieci metri dal traguardo.
«Perdonami,
Aiolia.» mormorò staccandosi
da lui.
Si diresse
– o meglio: si catapultò –
verso Milo e gli gettò le braccia al collo, voltandolo in
maniera tale che
avesse Camus alle proprie spalle. Lo strinse quindi in
quell’abbraccio di
circostanza e, facendo forza affinché non si liberasse,
analizzò il
comportamento del gatto dai capelli rossi.
«Lasciami,
Shaka!» vociò Milo, cercando di
staccarselo di dosso, ma per tutta risposta l’indiano gli
bloccò il viso tra le
mani e appoggiò la propria fronte alla sua.
Gli occhi di Milo si
spalancarono.
«Io ti
amm-»
«Se dici
un’altra parola ti spedisco nel
mondo delle bestie.»
Shaka non avrebbe
voluto essere così drastico,
ma Milo certo sapeva essere fastidioso. Lo vide sgranare ancora di
più gli
occhi, guardarlo come se fosse un fantasma, cercare di ritrarsi da
quella presa
troppo intima e facilmente equivocabile. Ma Shaka non poteva mollare,
no: non
adesso, almeno, che vedeva Camus dimenarsi come una furia tra le
braccia di
Shura.
Eppure è
ben noto che le disgrazie non vengono
mai da sole.
«Ehi, ma
cosa combinate!»
Shaka
lasciò andare Milo nello stesso
momento in cui Shura e Camus scomparvero dal suo campo visivo. Non si
curò né
dell’espressione sconcertata del povero amico, né
di quella tristemente
comprensiva di Aiolia; si volse invece verso colui che aveva parlato e
congiunse le mani, come se non fosse successo alcunché.
«Aphrodite,
mio caro.» salutò, aprendosi
in un sorriso forzato. «Da quanto tempo!»
L’uke
lascivo si portò le mani ai fianchi,
ad occhi socchiusi. «Mio caro? Mpf! Finché non ti
farai tagliare i capelli, tra
di noi potrà scorrere soltanto invidia!»
Sta
per finire tutto.
Manca
poco, Shaka, poi
riporterai le cose alla normalità.
Tutti
questi ragazzi sono
nelle stesse condizioni di Camus. Pensaci.
«Allora
arrivederci.» tagliò corto Shaka.
«Salutami Death Mask.»
A passi svelti
condusse Milo e Aiolia lontano
da Aphrodite, in silenzio. Poteva scorgere con la coda
dell’occhio
l’espressione confusa del primo, ma apprezzò il
fatto che fosse rimasto zitto e
non facesse più alcuna domanda. A suo modo era una
manifestazione di fiducia.
Si fermò,
infine, tra due schiere di
giornalisti, a pochi metri da un palco allestito vicino al garage della
casa.
Dal viavai di gente che portava microfoni e sedie dedusse che da
lì a poco
qualcuno avrebbe parlato. E allora sì che si sarebbe
divertito come mai in vita
sua.
«Va tutto
bene, tesoro?» sussurrò allora
Aiolia, voltando il capo verso di lui. «Ti vedo un
po’ turbato.»
Sta
per finire tutto.
Shaka fece un altro
sorriso. Eppure,
questa volta, non era artificioso.
«Sì,
Aiolia. Non preoccuparti.»
«SIGNORI!
Benvenuti!» una voce rombante,
resa ancora più potente dal microfono, spezzò il
chiacchiericcio dei presenti e
concentrò tutte le attenzioni verso il palco. Persino Shaka
si volse a
guardare, sospirando di sollievo. Tutto stava per compiersi.
«Signori,
benvenuti a Yaoi City! Il mio
nome è Sion e sono uno dei tanti abitanti di questa
meravigliosa città!»
continuò il ragazzo mentre salutava con la mano e si muoveva
sul palco come il
più esperto dei presentatori. «Lasciate che vi
presenti Doko, ovvero mio
marito. Perché sì, amici miei, in questa
città il mio matrimonio è valido!»
Uno scroscio di
applausi si levò
all’istante. Shaka si guardò intorno, per valutare
la situazione: come
previsto, c’erano diverse telecamere più
tantissimi fotografi già all’opera.
«Sono
serviti parecchi mesi per portare a
termine questo progetto, ricordate? All’inizio esisteva
un’unica grande città,
poi smembrata grazie all’operato di due persone meravigliose:
il sindaco Aiolos
Anthelios e il suo segretario Saga Valiant!»
strepitò ancora Sion.
Shaka si volse verso
il palco, aggrottando
la fronte. Dalle scale stavano salendo sul palco, mano nella mano, i
due uomini
che Sion aveva nominato. Mpf, sembravano così
felici… non sanno ancora quello a
cui vanno incontro.
«Essi hanno
davvero votato le loro
esistenze a questa città. Sono stati lontani dalle loro
famiglie per più di un
anno!» Sion strinse la mano al sindaco, gesto plateale che
serviva solo ai
fotografi. «L’hanno progettata, l’hanno
battezzata sei mesi fa, e poi entrambi
si sono candidati a sindaco… ma hanno infine deciso di
continuare ad
amministrarla insieme! Non trovate che sia una cosa
bellissima?!»
Shaka fece scorrere
una mano lungo il
braccio di Aiolia.
«Devo
andare.» gli bisbigliò all’orecchio,
la voce assolutamente tranquilla. Lo guardò negli occhi:
vide l’assoluta
devozione. «Grazie di tutto, Aiolia.»
Lo scrittore gli
sorrise, poi gli scostò
la frangetta e gli stampò un bacio sulla fronte. Per una
volta, Shaka ignorò il
fatto di scambiarsi effusioni in pubblico.
«Vai.»
fu la risposta di Aiolia.
Staccandosi quasi a
malincuore, Shaka
indietreggiò e rivolse un’ultima occhiata al
palco, dove Aiolos stava per
prendere la parola. Era quello il momento di agire: afferrò
il braccio di Milo
energicamente e lo tirò con sé a ogni passo. Dopo
un’iniziale resistenza,
sempre nell’assoluto silenzio, riuscì a ottenere
la fiducia dell’amico e lo
condusse lontano dal palco, dall’altra parte del giardino.
Dopodiché
si volse a guardarlo.
Nessuna
pietà nei suoi occhi azzurri.
«Milo,
adesso vieni con me.» sibilò
strappandosi con un gesto deciso le perle dai capelli e gettandole a
terra.
Dannazione, quanto aveva desiderato farlo! «Spero che tu sia
ancora atletico
come un tempo.»
Milo lo
fissò come un pirata fisserebbe un
tesoro. Poi gli si gettò addosso.
«Ma allora
tu sei normale!» biascicò quasi
singhiozzando, mentre Shaka tentava di sottrarsi
all’abbraccio. «Ti prego,
dimmi cosa è successo a Camus!»
«Abbassa la
voce, sciocco.»
Shaka
afferrò Milo per un polso e lo
trascinò verso un cespuglio vicino a una finestra, dove si
acquattò. Da lì
poteva vedere ancora le ultime propaggini di folla. «Dobbiamo
prendere una cosa
dalla cantina di questa casa. Dopodiché riavrai il tuo
Camus.»
L’amico
prese ad annuire spasmodicamente,
corrugando il viso giovane in un’espressione di seria
disponibilità. Si passò
una mano sulla fronte e con l’altra si slacciò il
primo bottone della camicia.
«Come
possiamo entrare?» mormorò iniziando
subito a guardarsi intorno, accalorato. «Tutte le porte sono
visibili dal
palco…»
Shaka si sciolse
anche la coda di cavallo
e si lasciò sfuggire uno sbuffo di ovvietà.
«Entreremo
dalla finestra.»
Milo si volse a
guardare quella alle sue
spalle. «Devo romperla?»
«No!»
Shaka continuò a togliersi anelli e
bracciali, senza però trattenersi dall’assumere
un’espressione risentita. «Da
questa stanza l’unica uscita porta a un corridoio con una
vetrata dall’altra
parte del giardino, saremmo in trappola.»
«E
quindi?»
Alzando una mano,
Shaka indicò la finestra
del piano superiore. Ah, com’era felice di tutta
quell’edera…
«Sei
impazzito?!» esclamò Milo,
sobbalzando.
Shaka però
lo incastrò nel suo stesso
gioco: «Hai detto poco fa che sono normale, o
sbaglio?»
Senza nemmeno dargli
tempo di replicare,
spiccò un salto e si resse sia a una sporgenza della parete
sia al legno del
sostegno dell’edera. Non era difficile arrampicarsi, anzi, in
qualche secondo
riuscì a giungere a un cornicione e camminare sino alla
finestra, dove
finalmente si sedette.
Con grande piacere si
accorse che era
stata lasciata aperta di due dita. La schiuse del tutto, sorridendo
infervorato, quindi si concesse una prudente occhiata a Milo.
Che, per la cronaca,
non s’era mosso di un
millimetro.
«Sali!»
gli soffiò mentre scivolava
all’interno della camera. «Questo graticcio
sicuramente sostiene fino a 80
chili.»
«Ma ne peso
84!» si lamentò Milo.
Shaka diede
un’occhiata al giardino.
Grazie anche alla parziale oscurità, nessuno sembrava aver
notato i due
scalatori provetti, perciò fece segno a Milo di venir su e
– onde evitare
disgrazie – resse per quanto possibile il sostegno di legno.
Eppure notò con
sorpresa che l’amico era svelto quanto lui, se non di
più: quello infatti si
issò sul cornicione in poco più di tre passaggi e
si aggrappò agilmente alla
finestra.
«Questo
è solo per Camus.» sibilò a denti
stretti.
Shaka non
riuscì a trattenersi dall’alzare
un sopracciglio. «A quanto pare sei ancora
atletico.»
Senza tergiversare
oltre, oltrepassò il
letto di Saga e aprì la porta della camera. Ricordava ancora
quel corridoio,
perciò evitando di farsi scoprire accendendo la luce prese
per un polso Milo e
lo condusse per le scale che conducevano al pianterreno.
Nel completo silenzio
continuò a vagare
per la casa, tra fotografie mute e silenti e quadri dalle cornici
preziose. Era
incredibile quanto fosse simile a una villa normale: nulla lasciava
immaginare
cosa realmente si nascondeva tra quelle pareti ostili.
Si fermò
di fronte a una specchiera lunga
quanto un’automobile. Con la luce che entrava dalle finestre
Shaka riusciva a
scorgere debolmente il riflesso proprio e di Milo, ma non si fece
distrarre. Si
concesse solo un sospiro, lasciando il polso dell’amico.
Adesso sì che il gioco
si complicava.
«Mi hanno
portato qui.» sussurrò,
avvicinandosi alla parete, dove un telefono spezzava la monotonia della
vernice
bianca. «Ed è da qui che si accede alla
cantina.»
Milo tentò
subito di staccare la
specchiera dal muro, ma non ci riuscì.
«No,
è una porta nascosta.» spiegò subito
Shaka. All’improvviso, senza nemmeno finire di parlare, si
aggrappò con forza
al telefono e lo staccò dal muro, gettandolo a terra senza
troppi fronzoli. Non
si curò dell’espressione stupita di Milo ma al
contrario iniziò a strappare
tutti i fili che fuoriuscivano dalla crepa.
«Ma che
stai facendo?!»
A Shaka sembrava
parecchio ovvio, ma volle
dare una spiegazione ancora più esaustiva. Spingendo l’amico dentro
un’altra stanza, e
allontanandosi a propria volta, raccolse da terra il telefono e lo
lanciò
contro il vetro. Decine di frammenti schizzarono via liberando
quell’inconfondibile rumore cristallino, ma subito dopo
l’indiano tornò ad accanirsi
contro i fili nel muro arrivando addirittura a staccare pezzi di parete.
«Shaka…!»
frusciò allora Milo con voce
sconvolta, osservando ciò che si nascondeva dietro lo
specchio. Beh, Shaka
l’aveva già visto: gettò una semplice
occhiata di sottecchi a quella specie di
porta blindata, poi riuscì a staccare una grande lastra
metallica su cui erano
incastrati diversi fili.
«Così
rischi di prendere la scossa!»
quella volta Milo rese la voce più incisiva e
arrivò addirittura a bloccare i
polsi dell’altra. «Non riuscirai mai ad aprirla,
così. Rischi solo di bloccarla
del tutto.»
«Ah,
davvero?»
Shaka non era
particolarmente avvezzo a
ricevere ordini, soprattutto quando aveva già deciso cosa
fare. Si districò
dalla presa dell’amico e si portò la mano a uno
stivale, lanciandogli
un’occhiata di sfida. Un attimo dopo ne estrasse il manico di
quello che
sembrava un martello.
«Chi ti ha
detto che io voglia aprirla?»
proseguì, mentre tirava fuori dall’altro stivale
una massa. Mentre univa le due
parti della mazzetta, si compiacque di esser stato così
bravo da scalare il
sostegno dell’edera pur avendo un simile peso alle caviglie.
Di sicuro non era
un comune essere umano!
Benché
Milo lo fissasse incredulo, Shaka
proseguì nel suo intento. Gettò
un’occhiata alla più vicina finestra per
assicurarsi che la festa in giardino continuasse, quindi con rapidi
colpi iniziò
ad allargare il buco nel muro. Il rumore non era eccessivo, ma
prestò comunque
la massima attenzione.
«Sei pazzo
a prescindere, Shaka.» biascicò
a un certo punto Milo, mentre si avventava sullo squarcio e iniziava a
tirar
via pezzi di mattone a mani nude. «E se questo fosse stato un
muro portante?»
«Saresti
già morto sotto le macerie.» fu
la secca replica.
Il buco nella parete
divenne appena più
grande di un comunissimo forno a microonde. Milo strappò via
un’altra
scatoletta di giunzione, ma a quel punto Shaka lo fermò per
un polso e scosse
la testa.
Sapeva che quello che
stava per dire aveva
una certa componente di follia, ma dando un’ultima mazzata in
profondità al
muro riuscì finalmente a trovare un vano. Era il momento.
«Aiutami a
entrare.»
Milo si
portò le mani alla testa. «Tu
sei-!»
Dieci secondi dopo le
spalle di Shaka
erano incastrate nel muro. Un braccio, però, aveva
già raggiunto il vano e
cercava di spingersi in avanti aiutandosi con la mazzetta; le gambe, al
contrario, erano allacciate a qualcuno
che tentava disperatamente di farle entrare in quello squarcio.
«Spingi
ancora.» soffiò Shaka, tentando di
non pensare a quali assurdi doppi sensi potevano nascere da quella
frase. Sentì
le mani di Milo stringersi intorno ai propri polpacci e indirizzarlo
sempre più
in profondità. Il dolore fisico, Shaka, nemmeno lo
conosceva: aveva sofferto
molto di più indossando le perline tra i capelli.
A un certo punto si
sentì scivolare in
avanti nel buio più assoluto. Era fatta! Cadde a terra,
dall’altra parte del
muro, facendosi scudo unicamente delle braccia, ma fu lesto a tirarsi
in piedi e
iniziare a tastare la parete.
Alla fine
sentì una lastra metallica più
fredda del resto del muro su cui alcuni bottoni in rilievo avevano una
consistenza
diversa. Li premette tutti, esultando tra sé e sé
per quella vittoria, quindi
si affrettò a guardare con soddisfazione il retro della
porta blindata aprirsi.
Al tempo stesso, alcuni deboli neon sul soffitto si accesero e
illuminarono
finalmente quella stanza segreta.
Milo entrò
dall’ex specchiera, ma non
tardò a commentare sconvolto: «Tutto
ciò non ha senso.»
Shaka alzò
le spalle, dirigendosi verso
una rampa di scale con i vestiti totalmente strappati sulle braccia e
sul busto.
«Se
può interessarti, io sono scoppiato a
ridere quando Saga ha scritto la combinazione d’apertura sul
telefono.» sospirò
Shaka con aria di superiorità. «Avevo
già capito che il resto del muro non era
stato rinforzato. Ora sbrigati.»
Senza tergiversare
ulteriormente Shaka
scese le scale che conducevano al piano inferiore.
La luce dei neon era
ancora abbastanza
debole quando arrivò in un’altra sala,
più grande della precedente e molto più
accessoriata: a tutte le pareti erano state infatti addossate delle
scrivanie
che reggevano computer di grosse dimensioni, come se fossero processori
di sistemi
di sicurezza nazionale. Erano tutti accesi, con lo schermo che mostrava
quelli
che parevano sismogrammi; soltanto a un’occhiata
più accorta – che Shaka non si
risparmiò – si potevano scorgere nomi e cognomi di
centinaia di persone.
«Cosa
diamine…» Milo si portò una mano
alla bocca, mentre i suoi occhi sgranati correvano da un computer
all’altro.
«Credo che
Saga sia un genio.» constatò
Shaka, battendo le dita sulla targhetta di un processore che recava la
scritta CIA.
«Un genio del male. Forse troppo scomodo persino per il
governo.»
Milo
continuò a fissare i vari schermi.
«Perciò
cosa c’è di meglio di creare un
piccolo mondo su cui governare?»
Shaka si
avvicinò alla porta di un’altra
stanza. «Guarda, Milo.»
«C’è
il nome di Camus!» esclamò Milo
all’improvviso, indicando uno schermo, poi si volse verso di
lui. «Qui c’è an-»
S’interruppe.
Shaka sapeva
benissimo che gli schermi,
per quanto interessanti, non potevano competere con la stanza in cui
stava
entrando. E Milo, mpf, cos’altro avrebbe potuto fare, se non
zittirsi e
seguirlo?
Le pareti totalmente
bianche erano
occupate da grandissimi schermi blu su cui spiccavano in bianco dei
disegni
anatomici di varie parti del corpo. Ma ciò che costituiva il
nocciolo dello
stupore non era tanto quella lezione di anatomia fuori programma,
quanto tutte
le numerose componenti meccaniche che erano state inserite con
precisione nei
muscoli, nelle giunzioni neuromuscolari, in alcuni organi… e
nel cervello.
Un lettino al centro
di quella stanza,
circondato da infiniti strumenti da sala operatoria, non lasciava dubbi
di
interpretazione.
«Li hanno
completamente trasformati in
androidi…» sussurrò Milo, pallidissimo.
Shaka
annuì greve, mentre si portava
vicino a una grande lastra spessa almeno due dita su cui
v’erano oltre un
centinaio di piccole antenne. Alcune avevano la punta illuminata, altre
invece spenta.
E proprio queste non erano accompagnate da nessun nome, mentre le prime
recavano tutte un’etichetta con gli stessi nomi che poco
prima si leggevano
sugli schermi dei processori.
«Abbiamo
vinto, Milo.» disse l’indiano,
quindi lasciò la mazzetta sul lettino e prese in mano la
lastra. «Tieni.»
Milo non si fece
ripetere due volte
quell’ordine. Iniziò anche lui a guardare con
evidente sgomento le antenne e le
etichette, finché non impallidì ancora e
mormorò, alzando gli occhi: «Ma Shaka…
quell’antenna ha il tuo nome.»
Per concludere la sua
spiegazione, Shaka
prese un altro oggetto e lo puntò dritto contro di lui. Una
pistola più grande
di una comune revolver, con una canna di metallo dentellata e la punta
talmente
fine che sembrava adatta per introdurre qualcosa in un corpo umano, era
adesso
ferma a qualche centimetro dal naso di Milo.
«Saga ha
lasciato il compito di immettermi
il chip di controllo ad Aiolia. Con questa.»
sussurrò mentre i suoi occhi si
facevano più freddi del ghiaccio. «Fa credere che
la decisione finale spetti a
coloro che chiama “seme”, mentre attende
nell’altra stanza che si attivino i
parametri vitali.»
Milo
trasalì. «Ma se tu sei normale,
allora…»
Shaka
portò subito le dita intorno
all’antenna che portava il suo nome, rigido.
«Aiolia
è l’unica cosa che mi lega a
questa spregevole umanità.» mormorò
chiudendo gli occhi. «Non avrebbe mai
potuto ridurmi in quello stato.»
Staccò e
frantumò poi tra le dita il
trasmettitore.
Colto da un conato di
vomito, come se
avesse perso del tutto l’equilibrio, Aiolia
barcollò in avanti e si portò le
mani alle tempie. Fu solo un istante, perché dopo
acquisì la totale
consapevolezza di essere nuovamente libero e non dover sottostare a
nessun
ordine.
Shaka
ce l’ha fatta.
Sollevò lo
sguardo.
«Signor
Valiant, posso farle una domanda?»
Fece appena in tempo
a scorgere una mano
alzarsi, vicinissima al palco, poi distinse l’uomo che aveva
parlato. Era Lord
Rhadamanthys.
«Prego.»
rispose tranquillamente l’altro,
mentre gli faceva cenno di raggiungerlo sul palco. Un attimo dopo il
Lord fu
accanto a lui, serissimo come al solito, con le braccia incrociate.
Saga
tuttavia non gli passò ancora il microfono, ma aggiunse:
«Quest’uomo è un
critico molto famoso che ha deciso di vivere in questa
città. Il suo nome è
Lord Rhadamanthys de Wyvern! Fate un applauso!»
La folla
iniziò a battere le mani, mentre
Aiolia sgusciò più vicino al palco per incrociare
gli occhi del critico. Dovette
attendere qualche istante, ma quando intercettò lo sguardo
si fece sfuggire un largo
sorriso ferino: missione compiuta.
«Faccia
pure la sua domanda.» lo incitò
Saga passandogli il microfono.
Il Lord se ne
appropriò immediatamente.
«Grazie. Vorrei sapere, se possibile, cosa ne pensa lei del
controllo mentale.»
La folla cadde in un
gelido silenzio.
Aiolia vide Saga impallidire, diventare di un bianco quasi cadaverico;
notò
persino una scintilla di paura nei suoi occhi, subito sostituita da un
lampo di
rabbia.
«Lord
Rhadamanthys, non pensa che questa
domanda sia inappropriata all’evento?»
biascicò il vicesindaco, senza
microfono, ma a voce abbastanza alta affinché si udisse nei
dintorni del palco.
«Mi dia il microfono.»
«Ma signor
Saga.» Rhadamanthys
indietreggiò, sfuggendo alla mano di Saga. «La
prego, risponda: com’è possibile
che dopo aver letto i suoi volantini decine di ragazzi decidano
all’improvviso
di comportarsi come uke ribelli, uke lascivi, uke
stuprabili…?»
«Aiolos,
fallo smettere.» ruggì Saga.
Tuttavia, proprio in
quell’istante, Aiolia
si portò proprio sotto il palco e tra il mormorio stupito
della folla iniziò ad
applaudire con studiata lentezza, senza mai distogliere lo sguardo da
quello
del cognato. Brutta situazione, eh?
Pensò soddisfatto. Adesso ti
faccio
pentire di aver toccato mio fratello.
Saga
abbassò gli occhi proprio su di lui.
Sgranati, sgomenti, quasi lucidi; il demone si sentiva sotto scacco, a
quanto
pare. Aiolia lo vide dischiudere la bocca e, benché il
volume fosse troppo
basso per essere sentito, riuscì a capire cosa avesse detto
semplicemente leggendogli
le labbra. Shaka.
Con uno scatto
felino, il segretario si
diresse verso le scalette del palco, ma lo scrittore non era tanto
stupido da lasciarlo
fuggire. Anzi, forse per la sua naturale propensione a immaginare trame
complesse, pensò che quello avesse già intuito
l’inganno di Shaka e volesse
correre a bloccarlo.
Tsk! Aiolia lo
placcò immediatamente ma ricevette
una strenua opposizione. Saga aveva una forza davvero notevole a
dispetto dell’apparenza
raffinata, come se nascondesse dentro di sé una galassia
pronta a esplodere.
«Aiolos,
digli di lasciarmi!» vociò allora,
voltandosi verso il palco. «Lo sai che io sono nel
giusto!»
La folla allibita
iniziò a mormorare
sempre più insistentemente e numerose telecamere si
puntarono verso i due ai
piedi del palco. Sempre tenendo ben stretto il vicesindaco Aiolia
gettò
un’occhiata al fratello, sperando che facesse qualcosa, ma
quello continuava a
stare immobile a pochi passi da Rhadamanthys con
un’espressione impassibile in
viso.
Ma
perché…?
«Aiolos!»
la voce di Saga divenne un vero
e proprio grido. Gli occhi erano adesso colmi di terrore.
«Aiolos, se Shaka
riuscisse a-»
«Niente se,
Saga.»
Aiolia avrebbe
riconosciuto quella voce
ovunque. Si volse, verso la folla che non capiva e che vociava, verso
Camus che
s’aggrappava a Shura, verso Milo che reggeva una lastra di
metallo.
Verso Shaka, che
aveva in mano una pistola.
Bloccò
Saga con più forza.
«Niente se,
Saga.»
Shaka socchiuse gli
occhi. Poteva scorgere,
sebbene non fosse vicino a loro, Aiolia e Saga intenti in una
colluttazione ai
piedi del palco, e anziché crucciarsene se ne
beò: lo scrittore aveva
riacquistato la sua indole abitudinaria.
Gettò a
terra la pistola di iniezione,
mentre spostava lo sguardo prima sui vari giornalisti increduli, poi
sul
sindaco Aiolos che era in piedi sul palco, assolutamente impassibile e
col viso
spento, come se non avesse ben compreso cosa stesse succedendo.
Alzò le
spalle nella sua direzione.
«Credo che
sia ora di fare chiarezza,
Aiolos.» disse con un certo risentimento.
«L’idea è stata di Saga?»
«Aiolos,
fermalo!»
Saga gridò
in preda alla collera, ma
questa volta Aiolia lo buttò a terra e lo placcò
con più forza, tappandogli la
bocca. Sebbene non amasse simili scenari di forza bruta, Shaka non
trovò motivo
di opporsi e, avvicinandosi a Milo, staccò subito
un’antenna dalla lastra.
«Cosa
succede?!» osò chiedere un
giornalista temerario.
Ma la risposta non fu
data da Shaka. Si
udirono alcuni forti colpi di tosse provenire dalla folla, che si
dispiegò
mentre l’uomo che tossiva veniva avanti, una mano sulla
bocca, gli occhi rivolti
al palco.
Kanon Valiant era salvo.
«Come…
come hai potuto…» mormorò mentre la
rabbia tingeva il suo viso di rosso. Shaka seguì il suo
sguardo: non era di
certo Aiolos il destinatario, oh no, né tantomeno il
fratello Saga.
Lord Rhadamanthys in
fondo non era del tutto innocente.
Shaka
inasprì lo sguardo. Con un veloce
gesto, ruppe le antenne di moltissimi altri ragazzi e lasciò
che il cortile si
riempisse di gemiti, ansiti, colpi di tosse e persino urla, mentre il
mito di
Yaoi City iniziava a cadere.
Con la coda
dell’occhio vide anche Camus
staccarsi da Shura, portandosi le mani tra i capelli tagliati, e Milo
che sorrideva
in silenzio, trattenendosi il labbro inferiore con i denti. Sentiva i
mugolii
di protesta di Saga, adesso bloccato anche da altre persone, e
avvertiva come
se fossero schiaffi tutti i flash dei fotografi.
Ho
vinto.
Mancavano ormai pochi
trasmettitori.
Tuttavia, mentre li
disattivava, si
accorse che alcune etichette non erano contraddistinte da nomi,
bensì da
numeri. Si fermò quando rimasero soltanto sette antenne,
contraddistinte
proprio dai numeri da 1 a 7.
Poi Milo, davanti a
lui, sgranò gli occhi
e gli rifilò una spallata per spostarlo.
«Attento,
Shaka!»
Barcollando,
l’indiano fece qualche passo
e finì tra la folla impaurita. Si volse subito, cercando di
capire cosa fosse
successo, ma riuscì solo a scorgere Shura avventarsi
velocemente su un furioso
Death Mask.
«Fallo
smettere, Shura! Non pensi all’incidente?!»
urlò quello, mentre alle
sue spalle Aphrodite guardava la scena senza reagire. «Shura,
lo capisci che
cosa sta per fare?! Shura!
Fallo
smettere!»
Incidente.
Shaka
trasalì, vittima di un brutto
presentimento, ma non riuscì a fermarsi. Corse di nuovo da
Milo che reggeva la
lastra e afferrò i trasmettitori 6 e 7, quindi li ruppe.
Un urlo di terrore
spezzò la confusione
che s’era creata dopo l’aggressione di Death Mask.
Persino quello smise di
placcare Shura, atterrito, mentre il suo viso sbiancava vistosamente.
Non… non
c’era tempo da perdere.
Shaka
scambiò un’occhiata perplessa con
Milo, confuso quanto lui, poi avvicinò il palmo della mano
ai trasmettitori
restanti. Li ruppe tutti tranne il numero 1.
Sapeva di aver
indubbiamente fatto la cosa
migliore. Sapeva che, per mettere fine allo scempio di Yaoi City,
avrebbe
dovuto distruggere ogni cosa creata da Saga e restituire alla natura
tutte le
sue facoltà; non era forse per quello che sia Rhadamanthys
sia Shura avevano
deciso di aiutarlo?
Di conseguenza si
sorprese quando vide,
sul palco proprio davanti a sé, il giovane Sion e il suo
compagno scivolare a
terra, senza fare alcunché per limitare i danni della
caduta. Ancora qualche
urlo si levò dalla folla, ma l’attenzione di Shaka
fu calamitata da ciò che
successe a pochi passi da lui.
Death Mask lo
guardò a bocca aperta,
cereo, sconvolto, un attimo prima di afferrare Shura che scivolava a
terra come
Sion. Non staccò lo sguardo nemmeno quando sorresse
Aphrodite che, poco prima
di chiudere gli occhi, lo aveva abbracciato da dietro.
Shaka rimase immobile.
La sua mente
elaborava un’unica, terribile,
agghiacciante spiegazione.
«Shaka,
loro sono… sono m…» balbettò
Milo.
«Sono…»
In quel momento Death
Mask si sedette a
terra, stringendo i corpi dei due ragazzi esanimi, poi coprì
con una mano gli
occhi di Aphrodite e abbassò il capo.
Chi
vuol trovare la verità
si metta sulla strada del dubbio.
Ma Shaka, il dubbio,
lo aveva sentito
nascere nel cuore solo in quel momento.
«NO! FERMO!
FERMO!»
Sollevò
gli occhi giusto in tempo per
vedere Saga liberarsi da coloro che lo bloccavano, Aiolia compreso, e
correre
verso di lui. Col viso paonazzo, lo sguardo fuori di sé.
Esagitato. In lacrime.
«Fallo,
Shaka!»
La voce del sindaco
fu un tuono potente.
Quando Shaka
spezzò l’ultima antenna si
ritrovò Saga davanti, in lacrime. In lontananza invece non
vide altri che
Aiolos cadere dal palco.
«Perché…»
mormorò Milo, mentre lasciava scivolare
a terra la lastra metallica. Camus lo raggiunse, gli prese il viso tra
le mani
e glielo nascose sulla propria spalla, come se volesse proteggerlo da
quell’orribile verità; Shaka vide quel gesto,
sì, ma vide anche Aiolia portarsi
le mani alla bocca, mentre osservava il corpo senza vita del fratello.
«Shaka,
sette giorni servirono a Dio per
creare la Terra. Ho preteso troppo.»
Saga cadde in
ginocchio, mentre la folla
intorno a lui si ritraeva atterrita.
«Mi
dispiace di non poter essere io a
darti le risposte che cerchi.»
Fu troppo veloce, fu
troppo imprevisto.
Shaka ebbe solo il
tempo di notare Saga
raccogliere la pistola da terra, ma non riuscì a evitare che
si spingesse in
petto sia la punta sottile sia la stecca dentellata della lunga canna.
Kanon urlò.
EPILOGO
Appoggiando una mano
a un lampione, Shaka
si assicurò che anche l’ultimo poliziotto avesse
abbandonato il giardino che
guardava ormai da qualche minuto. Poco dopo, mentre rimaneva immobile,
due
volanti si allontanarono a sirene spente e lasciarono dietro di
sé una scia di
fumo grigiastro.
Di grigio, tuttavia,
non c’era solo
qualche gas pronto a disperdersi nell’aria. Le strade quasi
deserte, le case
silenziose, il Sole prossimo a tramontare sembravano a Shaka privi di
colore
almeno quanto il proprio stato d’animo.
Quando
ci sarà la fine del
mondo, dicevano i
catastrofisti di Chicago, io voglio
essere in Kentucky, perché ogni cosa accade lì
vent’anni dopo essere accaduta
nel resto del mondo.
Ma Shaka
l’aveva già vista, la fine del
mondo. Del suo mondo. E
l’aveva vista
proprio in Kentucky.
Si
allontanò dal lampione e varcò il
cancello del giardino, diretto verso la porta della casa davanti a
sé. Gettò
distrattamente un’occhiata alla più vicina
finestra del pianterreno, mentre i
ricordi si facevano quasi opprimenti.
Battendo la mano a
pugno solo due volte,
bussò alla porta di casa e si sfregò le scarpe
con rispetto sullo zerbino, ben
attento a non urtare i due cespugli di rose che crescevano ai suoi lati.
Si sentì
sollevato, quando la porta si
schiuse appena e un viso spuntò dallo spiraglio lasciato
aperto. Nessuno dei
due parlò per qualche secondo, poi, senza aver fretta, il
padrone di casa indietreggiò
e sparì all’interno, lasciando volutamente aperta
la porta.
Shaka
entrò in silenzio.
Benché
fuori imbrunisse, nessuna luce era
accesa e il poco chiarore proveniva da una finestra semiaperta.
Ciò nonostante,
l’indiano non ebbe difficoltà a scorgere
ciò che si trovava intorno a lui.
Un divano era stato
coperto con un
lenzuolo bianco e sopra di esso erano stati ammucchiati, confusamente,
diversi
scatoloni già sigillati. Un tavolo, invece, era stato
capovolto e alcune sedie
posizionate su di esso in modo da non sporgere oltre le quattro gambe.
Alle pareti non si
trovava appeso niente,
ma appoggiati a terra v’erano grossi rettangoli impacchettati
che avevano
l’aria di essere – o esser stati – quadri.
Soltanto un mobiletto
era ancora intatto
nella sua forma e funzione. Su di esso, però, tutte le
cornici erano state
capovolte nascondendo ogni fotografia.
«Posso fare
qualcosa per lei?» parlò
allora il padrone di casa.
Shaka gli
puntò gli occhi addosso. «Spero
di non disturbare, signor Death Mask. Vorrei farle una sola
domanda.»
Death Mask per tutta
risposta raccolse un
tappeto da terra e iniziò ad arrotolarlo.
«Scommette
che indovino?» borbottò secco,
senza esternare una singola emozione, mentre faceva scorrere le mani
sul
tessuto. «L’incidente,
vuole sapere?
Non può aspettare che la polizia finisca le indagini e le
comunichi tutto?»
«Io voglio
saperlo da lei.»
La voce di Shaka
suonò parecchio dura, ma non
si arrestò: «Lei è un avvocato,
dovrebbe sapere che la verità non sarà mai resa
pubblica. Non quando c’è di mezzo un agente della
CIA, perlomeno. O anche più
di uno.»
Death Mask si
bloccò, alzando gli occhi di
scatto.
«Mi
permetta di dirle…» mugugnò torvo.
«… che
se indovina anche quale nome si cela dietro la mia identità
fittizia, il
prossimo a lavorare alla CIA sarà lei.»
Shaka non raccolse la
provocazione, si
limitò ad alzare una volta le spalle e puntare lo sguardo
verso il divano. E
dire che proprio lì s’era consumato uno degli
episodi più assurdi della sua
esistenza.
«Cosa
c’è da spiegare?» fece allora Death
Mask, tornando a occuparsi del tappeto. Ma a Shaka non sfuggirono i
movimenti
più nervosi. «Sa, c’ero io,
c’era Saga, c’erano gli altri. Poi sono caduto a
terra. E tutto ciò che ricordo è Aphrodite con la
schiena spezzata che giaceva
accanto a me.»
L’indiano
non si concesse nemmeno il
diritto di sgranare gli occhi. Si limitò a osservare
l’altro mentre finiva di
avvolgere il tappeto e lo appoggiava accanto ai quadri,
disordinatamente.
«In questo
universo la gente nasce e muore
come se fosse polvere.» proseguì Death Mask,
sfregandosi le mani. «Non è
d’accordo?»
Shaka
esitò un attimo prima di rispondere.
Fallo
smettere, Shura! Non
pensi all’incidente?! Shura, lo capisci che cosa sta per
fare?! Shura! Fallo
smettere!
Non reputando utile
far notare la
contraddizione, si limitò ad annuire. «Anche se
mentre si è in vita si cerca di
ottenere l’amore e la gioia per superare la sofferenza, alla
fine tutto finisce
invano con la morte.»
«Sono
d’accordo.»
Con un ghigno
visibilmente forzato, Death
Mask aprì uno dei cassetti del mobiletto e iniziò
a rovistare tra il contenuto.
«Di
Aphrodite era rimasto soltanto il
viso. Tutto il resto, in quella testa, gliel’aveva sistemato
Saga.» proseguì,
strappando alcuni fogli e appallottolandone altri. «Allora
è proprio meglio che
sia morto.»
Shaka stavolta tacque
del tutto. Notando
che Death Mask era ormai impegnato a sistemare i cassetti, decise di
tener fede
alla propria iniziale richiesta di una sola domanda e si diresse verso
l’uscita.
Non c’era nient’altro da fare, se non lasciare
quell’uomo al peso delle sue
considerazioni.
Tuttavia, mentre si
voltava per chiudere
la porta, lo sorprese a sollevare una delle cornici.
Anche
se mentre si è in vita
si cerca di ottenere l’amore e la gioia per superare la
sofferenza, alla fine
tutto finisce invano con la morte, aveva detto, ma
adesso quasi si pentiva di non aver aggiunto,
forse per presunzione, che in realtà la
vita umana è come un lampo di luce.
Si diresse
velocemente verso la strada,
senza guardare indietro. Le ombre ormai lunghissime accompagnavano il
Sole che
s’avvicinava sempre di più all’orizzonte.
Quando già
s’era avviato per il viale, si
accorse con la coda dell’occhio che un’automobile
sulla strada aveva rallentato.
Riconobbe la vettura, ma ebbe una ulteriore conferma ai suoi pensieri
quando il
conducente gli fece un segnale con gli abbaglianti.
Si
avvicinò.
«Shaka, noi
partiamo adesso.» con voce
inflessibile, Camus si sporse dal finestrino smuovendo appena la corta
capigliatura. «Incontriamoci alla prima area di
servizio.»
L’indiano
gettò un’occhiata all’abitacolo,
dove Milo guardava fuori dall’altro finestrino. A giudicare
dai suoi occhi
spenti, tuttavia, era completamente sovrappensiero.
«Sì.»
rispose allora Shaka. «Ci vediamo
dopo.»
Con un cenno del
capo, Camus alzò il
finestrino e riprese la marcia lungo il viale. Shaka, al contrario,
attraversò
il giardino di una delle case per risparmiare tempo, quindi prese a
camminare
lungo la strada dell’altro isolato.
Fu qui che vide,
parcheggiata davanti una
grande villa, una decappottabile sui cui sedili posteriori
c’era una grande
gabbia per animali. Anche questa volta non dovette sforzarsi molto per
riconoscere il proprietario: uscì in quell’istante
dalla casa un uomo in jeans
strappati che portava al guinzaglio un alano di grossa taglia. Subito
dopo
altri due uomini lo seguirono correndo.
Shaka si
fermò.
«Kanon,
dove vuoi andare in quelle
condizioni?» a parlare era stato Lord Rhadamanthys,
visibilmente scosso. «Non
hai fatto altro che vomitare tutto il giorno.»
L’altro,
per tutta risposta, aprì lo
sportello della macchina e lottò per spingere il cane nella
gabbia. Quello
oppose resistenza, ma alla fine Kanon ebbe la meglio. Quindi il Lord si
avvicinò.
«Allontanati.»
replicò Kanon con
un’occhiata assassina. «Apparteniamo a due mondi
diversi. Non c’è niente su cui
discutere.»
«Ma
Sag-»
«Non
nominarlo.»
Il tono fu
così gelido che persino Shaka,
seppur lontano dal trio, trasalì.
«Non
nominare mai più mio fratello. Addio.»
Chiudendo la portiera
con uno schianto
fortissimo, Kanon balzò in auto e mise in moto senza nemmeno
allacciarsi la
cintura. Voleva andarsene, pensò Shaka. Vuole
andarsene perché non ha più niente qui, se non
una tomba su cui piangere. Vicino
a un’altra su cui piangeva e per sempre avrebbe pianto uno
scrittore che
proprio non s’immaginava un simile epilogo.
Shaka
sospirò, riprendendo a camminare in
direzione opposta. Malgrado il rombo del motore, malgrado i latrati del
cane, malgrado
le invocazioni di Lord Rhadamanthys, fu troppo facile avvertire i
singhiozzi di
Kanon perdersi nell’aria di quella soffocante
città.
La sagoma della
propria casa era ormai
visibile in lontananza.
Non contò
i passi che lo separavano da
quella meta, tutt’al più si preoccupò
di contare quante macchine stavano abbandonando
quel posto. Si trattava di un esodo lento, ma necessario.
C’era chi aveva perso
il proprio carattere e la propria dignità per mano della
persona più amata, chi
invece con l’inganno; altri, addirittura, s’erano
trovati a vivere la vita di
una mera macchina robotica.
Trovò
Aiolia appoggiato al cofano
dell’auto. Senza dire una sola parola, gli fece un cenno col
capo invitandolo a
salire e si diresse senza esitazioni verso il posto del guidatore,
quindi montò
a bordo e si allacciò la cintura.
Lo scrittore fu
più lento nei suoi
movimenti, ma una volta che Shaka ebbe messo in moto chiuse gli occhi e
si
coprì il viso con una mano.
L’uke
perfetto.
Tsk, qualcuno aveva
addirittura pensato
che il nome Shaka Tuja potesse confarsi a quella descrizione senza
controllo
mentale. Strinse i denti, indignato.
Chiunque
leggerà questo romanzo è
destinato ad essere ucciso dal grande Kasha Juta.
Accelerò non appena
imboccata la strada che conduceva
alla provinciale.
Egli
è Verità, Egli è questo romanzo, e
in quanto tale non può essere violato dai vostri occhi
infami e perversi. Egli
è il Mondo su cui oggi vive l’umanità.
Dando un’occhiata allo
specchietto retrovisore, riuscì
a scorgere il cartello segnaletico della città. La scritta
“Benvenuti a Yaoi
City” era ancora leggibile, ma qualcuno s’era
premunito di sbarrare
quell’infame nome con una vernice rosso scarlatto.
Più in alto, con lo stesso
colore, un nuovo toponimo brillava sotto gli ultimi raggi del Sole.
Egli
lottò contro il Male che sembrava
Bene e contro il Bene che sembrava il Male. Ha vinto ogni battaglia:
ciò che resta
è una tomba silenziosa in cui tutti i vivi hanno sepolto i
propri ricordi.
“Benvenuti al
Santuario”.
Okaaaaaaay,
fatemi spiegare!
Quando
iniziai
a scrivere la fanfiction non avevo assolutamente intenzione di farla
finire
così, mi sarei allontanata dal film per un lieto fine
più divertente. Anzi,
essendo una parodia dissacrante, sarebbe dovuta sfociare in un altro
dei tanti
luoghi comuni dello yaoi. Tuttavia siccome sono passati secoli dalla
stesura
del primo capitolo ho cambiato idea e mi sono detta “Oh beh,
tanto qui ho combinato
già abbastanza casini, perché non complicare
ulteriormente la situazione? In
fondo Saga l’ha fatta grossa!”.
Ed
effettivamente in questo capitolo scopriamo che, dopo un indefinito incidente che ha coinvolto sette agenti
della CIA, soltanto Saga e DM sono riusciti a sopravvivere in maniera
“naturale”. Da qui il comprensibilissimo gesto di
Saga di creare delle vere e
proprie macchine pensanti per sostituirli, e quello un po’
meno discutibile di
usare la propria abilità per piegare al proprio volere tutti
gli abitanti di
una città creata ad hoc. Ma questo l’ha capito
solo Shaka: dubito che
racconterà la verità completa ad Aiolia.
Se vi
fosse
sfuggito i numeri 6 e 7 indicavano Mu e Aldy, non a caso Kanon si porta
via il
loro cagnolone Fuffi. E molla Rhadamanthys senza nemmeno pensarci due
volte.
Anche nelle AU un saint e uno specter non possono pretendere rose e
fiori ù__ù
Comunque
in
questo capitolo ho usato molte citazioni tratte dal manga per il
dialogo
Shaka/DM; anche la frase sul Kentucky l’ho letta da qualche
parte e l’ho
inserita perché nel contesto era azzeccata.
Mh…
Grazie a
Dio è
finita. Non sapevo più gestirla
ù___ù;;;;
Perdonatemi,
nobile Shaka, per avervi coinvolto nelle mie folli idee di tre anni fa.
Accadrà
di nuovo, ma non saranno AU di questo calibro.
Tutti
a vedere La Donna Perfetta adesso!
è_____é
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