Regina delle Tenebre

di Merkelig
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La regina delle tenebre ***
Capitolo 2: *** Il piano di battaglia ***
Capitolo 3: *** La Città Sotterranea ***
Capitolo 4: *** Il cimitero di pietra ***
Capitolo 5: *** Dentro la tana ***
Capitolo 6: *** Il palazzo di cristallo ***
Capitolo 7: *** Il cuore più nero ***



Capitolo 1
*** La regina delle tenebre ***


Regina delle tenebre
 
Serafina, la bellissima regina oscura, sedeva sola e al buio nelle sue stanze. Meditava, con lo sguardo fisso all'orizzonte dove stava spuntando un'alba grigia e malinconica.
Il piccolo pettirosso, cui aveva aperto il ventre di sua mano, giaceva immobile sul ripiano del tavolo di lucida ossidiana nera; Serafina aveva squarciato il soffice piumaggio con gli artigli d'argento, che portava alle dita come gioiello e insieme strumento di morte, e ne aveva infilzato il minuscolo cuore mentre ancora batteva disperato. L'antica arte della divinazione di tanto in tanto richiedeva qualche piccolo sacrificio.
Fu così che la sovrana seppe che i tempi erano ormai maturi; ben presto avrebbe appagato il desiderio suo e di suo padre, la brama che la consumava da quando era fanciulla, per un regno incantato che non era ancora nelle sue mani.
La donna si alzò e prese a camminare avanti e indietro, impaziente; le nere vesti frusciavano contro le pallide gambe nude seguendone i movimenti, in un ipnotico contrasto cromatico. Un lieve fetore di morte si levò dal piccolo cadavere, un odore a cui Serafina era fin troppo abituata per prestarvi attenzione.
Finalmente udì dei passi lungo il corridoio e Darda, il capitano delle sue guardie, bussò educatamente alla pesante porta di legno massiccio.
- Entra - ordinò freddamente la regina.
L'uomo obbedì, si inchinò brevemente e si pronunciò.
- Maestà, lo abbiamo preso.
Una scintilla accese gli occhi d'onice della regina.
- Non toccatelo. Arrivo immediatamente.
Darda si inchinò di nuovo e uscì, chiudendosi le porte alle spalle.
Con un sorriso ferino la donna si diresse al proprio guardaroba e si vestì rapidamente.
L'impresa era ben lontana dall'essere compiuta e tuttavia già si sentiva molto più vicina al successo di quanto fosse mai stata prima.
 
Le segrete erano state costruite sotto il palazzo, nelle grandi grotte naturali che secoli prima avevano ospitato gli orchi in fuga dalle persecuzioni.
Ora le pareti spoglie e umide servivano principalmente per trattenere i nemici della regina così stolti da cadere nelle sue grinfie; il freddo pungente e il totale isolamento ben presto riducevano anche i soldati più temprati a docili agnellini.
Serafina incedeva rapida per i ripidi gradini; al suo passaggio non c'era testa che non si inchinasse spinta da quella combinazione di paura e istinto di sopravvivenza che la regina apprezzava tanto.
Raggiunse Darda, che da solo sorvegliava la porta chiusa di una cella da cui filtrava un tenue bagliore. Per un preciso ordine reale nessun altro doveva avvicinarvisi, pena la condanna a morte. Serafina lasciò indietro la scorta e fece un cenno a Darda perché si allontanasse anch'egli, prima di entrare.
Al centro dell'angusto spazio gocciolante, seduto sul terreno roccioso, stava un giovane elfo che le lanciò uno sguardo sofferente.
Nonostante i lunghi capelli che ricadevano scompigliati e la ferita alla tempia che gocciolava sangue dorato sulla veste candida, ora strappata e sporca, il giovane conservava una bellezza innaturale; i grandi occhi grigi la guardavano da sotto in su, supplici, mentre il suo viso dai tratti fini e perfetti sembrava rilucere di un chiarore che veniva da dentro di lui.
Cercava di divincolarsi dalle funi con cui gli uomini di Serafina lo avevano immobilizzato; le gambe, in special modo, erano state legate più e più volte e assicurate ad un pesante blocco di piombo.
La regina si chinò su di lui. L'atmosfera nella cella diventava sempre più inebriante ma la donna pareva non risentirne affatto.
- Allora - gli disse con voce melliflua - come ti chiami?
L'elfo esitò nel risponderle, frugando i suoi occhi alla ricerca di un inganno o di tracce di compassione. Non trovò né l'uno né le altre.
- Mi chiamo Alkaid - mormorò poi - Vostra Maestà.
- Alkaid - ripeté la donna, lasciandosi scivolare il suo nome sulle labbra - Molto bene. Sai perché sei qui?
L'altro fece un cenno di negazione.
- Tu hai qualcosa che voglio. Tu conosci bene la Città Sotterranea e i suoi ingressi.
L'elfo aveva iniziato a scuotere la testa fin dalla prima affermazione.
- Tu, come ogni elfo, padroneggi i suoi percorsi. Tu mi dirai ogni cosa.
- No maestà, ve lo giuro. Io... io non so nulla. Vi prego maestà...
Le sue parole successive vennero deformate da un grido di dolore. Serafina gli aveva piantato con forza le dita uncinate nella coscia.
- Dicono che per un elfo - gli sussurrò all'orecchio, sentendo che i polpastrelli si bagnavano di denso sangue dorato - non poter più correre sia peggio della morte.
Il giovane spalancò gli occhi, muto.
- Anche voi siete fatti di carne e ossa come gli umani. Basterebbe che decidessi di recidere qui - la mano libera scese a indicare un punto dietro il ginocchio - e il tuo stesso corpo diventerebbe la tua prigione. Mai più correre nei boschi, mai più saltare da una rupe all'altra. Un uccellino con le ali compromesse per sempre.
Terrorizzato Alkaid fissò Serafina negli occhi, che erano vuoti e gelidi come pietre.
Due grandi lacrime gli bagnarono le gote e scesero fino al mento appuntito.
"Perdonami, mia dea" pensò il giovane, chinando la testa sconfitto.
 
Poco dopo Serafina uscì dalla cella e si chiuse la porta alle spalle.
Subito un servitore accorse e le porse un telo immacolato perché potesse mondarsi le mani dal sangue dell'elfo.
- Darda - chiamò.
L'uomo fu al suo fianco in un baleno.
- Sigillate questa porta. Nessuno dovrà entrare mai più e lui non ne deve uscire per nessun motivo.
- Sì maestà.
- Un'altra cosa. Fai convocare Alastor e Baeron nella sala bellica tra mezz'ora.
- Agli ordini.
Il capitano sgusciò via, efficiente e svelto come di consueto.
La donna risalì i molti gradini che l'avrebbero riportata alla luce del sole con impazienza, uno stato d'animo così insolito per il suo temperamento e tuttavia così familiare per lei in quei giorni.
All'uscita l'aspettava una sorpresa sgradita.
- Le segrete si sono arricchite di un altro prigioniero? - le chiese il suo sposo, apparentemente impassibile.
- Non vedo come potrebbe interessarti, marito mio - gli rispose lei calcando apposta il tono di voce sulle ultime due parole.
- Mi interessa perché - sibilò l'uomo, frapponendosi tra lei e il suo cammino - almeno di nome sono ancora il sovrano di questo reame.
Serafina lo incenerì con lo sguardo. Non l'aveva toccata, aveva imparato ormai da molto tempo a non farlo, tuttavia non desisteva dal voler esprimere di tanto in tanto la propria opinione.
Cosa che la donna trovava irritante sopra ogni altra.
- Tu qui non sei il sovrano di niente, Gregory - gli disse, imbevendo ogni sillaba di sonoro disprezzo - o hai bisogno che te lo ricordi?
L'uomo strinse le labbra ma non aggiunse altro. Si fece da parte, e la regina proseguì per la sua strada.
 
Quella notte, come molte altre prima di quella, Serafina rimase sveglia ben oltre il tramonto. Le luci del villaggio fuori dalla finestra erano quasi tutte spente; il palazzo era totalmente immerso nel silenzio, ad eccezione dei radi passi della ronda notturna che si udivano in lontananza.
La donna ruotò leggermente il viso verso l'altra parte del letto.
Il profilo del marito si intravedeva a malapena, baciato com'era da un raggio lunare che scivolava obliquo fin dentro la stanza.
Mentre giocherellava con un anello di rubini, che aveva scordato di riporre nello scrigno prima di indossare la veste da notte, ripensò alla prima volta che aveva posato gli occhi sull'uomo che era destinato a diventare suo marito.
Gregory era sempre stato attraente, fin da ragazzo; i riccioli color miele d'acacia e gli occhi brillanti come zaffiri rendevano il giovane principe l'oggetto dei sospiri di numerose fanciulle. Quando si era sparsa la notizia che il re intendeva dare in sposo il figlio minore all'unica erede di Obscurus, il sovrano conquistatore che era giunto fino a quel remoto angolo di mondo, molti cuori erano andati in frantumi.
Non che l'alleanza basata su quelle nozze fosse servita a lungo; Obscurus si era affrettato a tradire il patto e a invadere il regno di Gregory. E per buona misura ne aveva fatto giustiziare il padre e il fratello maggiore, caso mai a uno dei due fosse venuto in mente di tentare di riconquistarlo.
Gregory si era ritrovato unico superstite della famiglia reale alla corte nemica, e da quel momento la sua vita era stata perennemente in bilico tra una sopravvivenza defilata e una sentenza di morte.
Eppure prima delle guerre e delle ambasciate c'era stato un tempo in cui Serafina e Gregory erano stati solo due ragazzi, entrambi ignari di quello che sarebbe stato il loro futuro, che si divertivano a tirare di scherma insieme nel cortile reale e a vedere chi l'avrebbe spuntata.
Di solito si trattava della fanciulla, che poi rivolgeva al promesso sposo un inchino sarcastico. Il ragazzo di rimando le sorrideva ammirato e la sfidava ad un altro combattimento, che molto spesso finiva per perdere. Malgrado ciò non si accigliava mai, non imprecava né si stizziva, anzi apprendeva, diventando via via sempre più bravo.
Sembravano trascorsi secoli dalla loro prima notte di nozze; dalle carezze inesperte, dall'ardore dei loro corpi giovani che si sfioravano, si sfregavano e accarezzavano, ora impacciati ora eccitati.
Quel momento di appena dieci anni fa ora non era altro che uno spettro pallido, che aleggiava nell'oscurità delle notti silenziose come quella.
Molte cose erano cambiate da allora. Loro stessi erano cambiati.
La sovrana espirò e si girò su un fianco, dando le spalle al consorte.
Dopo poco riuscì faticosamente ad assopirsi.

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Capitolo 2
*** Il piano di battaglia ***


Il piano di battaglia
 
Al mattino Serafina e i suoi luogotenenti erano nuovamente riuniti nella sala bellica.
Per primo si fece avanti Baeron, il nano.
Lui e i suoi simili erano stati i preziosi alleati di suo padre e si erano adattati velocemente al cambio di regime; Baeron era un guerriero esperto e uno scavatore in gamba, ed era un anello fondamentale per la riuscita del suo piano.
- Maestà - la salutò con un inchino - vi ho portato due dei miei soldati più capaci. Amon, il mio secondo in comando, e Rian, mio figlio.
- Ti fidi di loro?
- Tanto da affidargli la mia vita, maestà.
- Bene - commentò Serafina - perché tale sarà il pagamento se non dovessero essere all'altezza.
Il nano si limitò ad annuire e a farsi da parte. I tre rimasero impassibili al loro posto, i volti muti e granitici come la roccia.
- Signori - li richiamò a sé la sovrana avvicinandosi alla tavolata su cui era stata distesa una mappa in pergamena finissima - Qui è dove scenderemo nella Città Sotterranea, che come sapete attraversa buona parte del reame di Astelera. Ci saranno molte trappole e incantesimi, dunque dovrete prepararvi a resistervi. Risaliremo in superficie qui - illustrò indicando un punto colorato sulla mappa - ed entreremo nel suo palazzo da qui. Se tutto andrà bene tra una settimana il reame degli elfi sarà nostro.
- Audace - commentò uno dei soldati di Darda. A quest'ultimo, al pari di Baeron, era stato ordinato di presentare i due sottoposti più capaci che avesse per la spedizione.
Un'occhiataccia del capitano rimise il soldato in riga, ma troppo tardi: la regina lo stava già scrutando con occhio rapace.
- Chi è costui, Darda?
- Il suo nome è Sindar, mia regina - ripose l'interpellato mentre Sindar si metteva sull'attenti - È un po' loquace a volte, ma è un'ottima spia. Lui invece è Patrel.
Serafina squadrò Sindar da capo a piedi; questi, dal momento che superava in altezza la sovrana con le spalle e con tutta la testa, cercò di rattrappirsi sul posto mantenendo al contempo lo sguardo fisso in avanti. Dopo un attento esame la donna passò al secondo uomo, più esile e giovane del primo.
Le bastò un istante per riconoscere su di lui l'odore degli elfi.  
Disgustata si scostò di un passo, estrasse la spada dal fodero e infilzò il giovane soldato da parte a parte, trafiggendogli il cuore.
Il giovane gemette e cadde al suolo, morto.
Serafina, glaciale, si rivolse a Darda mentre ripuliva la propria lama con un panno di stoffa.
- Mi auguro che la prossima volta che ti chiederò di portarmi degli uomini fidati tu sia in grado di scegliere qualcuno che non sia sotto un incantesimo elfico.
L'uomo si inchinò rigidamente.
- Perdonatemi, maestà.
La donna tornò al tavolo, non degnandolo più di uno sguardo.
- Quindi... se non ho ricevuto una stoccata al petto ritengo di aver superato il test - si lasciò sfuggire Sindar.
Serafina si bloccò a mezza strada e si voltò impercettibilmente nella sua direzione, la spada ancora sguainata.
- Se vuoi evitarlo in futuro, cerca di tenere la lingua a posto.
Il soldato si azzittì con un cenno del mento.
La regina rinfoderò l'arma e riportò lo sguardo alla mappa.
- Bene... - meditò ad alta voce - lasceremo i cavalli qui e proseguiremo a piedi. I demoni di Alastor ci copriranno per il primo tratto di strada.
Il demone si fece avanti di un passo al suono del suo nome. La sua figura fatta di tenebre e nebbia torreggiava sui presenti, suscitando occhiate apprensive o incuriosite, eppure Alastor non era grande nemmeno la metà di molti dei suoi simili; però era tremendamente furbo, e il suo cuore, spietato come quello di tutti i suoi fratelli e poco incline a cedere al fascino elfico, lo rendeva più che adatto a quell'impresa.
- I tuoi guerrieri sono pronti?
- Sì mia sovrana - la rassicurò il demone con la sua voce di tomba - i capitani delle venti legioni infernali sotto il mio comando si disporranno in attesa lungo il confine elfico, pronti ad un vostro cenno. Nei prossimi giorni il resto dei soldati li raggiungerà, muovendosi in piccoli gruppi perché i nostri avversari non si accorgano di niente.
- Quando Astelera cadrà così faranno anche gli incantesimi che ha eretto a protezione del suo regno. L'esercito demoniaco potrà avanzare senza problemi e finalmente gli elfi cadranno in mano mia.
- A questo proposito, mia regina - intervenne Alastor - mi offro volontario per uccidere la sovrana elfica. Lasciate che combatta per voi e vi porterò la sua testa.
- No - la donna ripiegò la mappa tra le pallide dita affusolate - Dovrò essere io a farlo.
Il demone fece per insistere ma ad un'occhiata della regina desistette.
- Preparatevi - ordinò secca Serafina - Partiamo al calar della sera.
Uno dopo l'altro i partecipanti di quella riunione segreta si inchinarono e uscirono.
La sovrana pensava di essere rimasta sola finché la voce di Darda non la raggiunse.
- Vostra maestà, se permettete...
- Cosa vuoi?
- Siete certa di riuscire nell'impresa?
- Come osi...?
- Maestà, non parlo certo della vostra abilità con la spada o della vostra forza. Entrambe sono indubbie. Ma sono numerose le voci che circolano su di voi e sulla regina Astelera, ed esse dicono che... c'è un legame tra voi.
- L'unico legame che ci sarà - sibilò Serafina avvicinandosi al suo capitano che si affrettò a chinare la testa - sarà tra la sua gola e questa mia spada che tengo tra le mani.
L'uomo non aggiunse altro; si inchinò brevemente e scivolò via.
La regina lo guardò uscire, poi sollevò la propria spada scintillante e la immaginò dissetarsi del prezioso sangue di Astelera.
 
Quella sera finì di vestirsi e fece l'ennesimo inventario delle armi che avrebbe portato con sé.
La sua fidata spada dalla lama nera come una notte senza luna le pendeva come di consueto al fianco; i pugnali erano al loro posto nascosti negli stivali, e appese alla schiena portava un altro paio di spade gemelle, più corte e con la lama piatta.
Era esperta nell'uso di ciascuna di queste e molte di più, grazie ai duri anni di allenamento a cui l'aveva sottoposta il padre; ma dopo tante ossa rotte, e cicatrici guadagnate, e sangue versato, la sua abilità ora conosceva ben pochi rivali.
Si guardò allo specchio per controllare che tutto fosse in ordine, e prese in mano l'ultima cosa che le serviva: una minuscola gabbietta in filigrana d'argento con prigioniera una piccola farfalla dalle ali grigie.
Studiò brevemente l'insetto e se lo assicurò alla cintura.
Poi si voltò nuovamente verso il proprio riflesso, chiuse gli occhi per concentrarsi meglio e mosse una mano; il suo aspetto stinse e mutò, la sua altezza crebbe, la sua corporatura e i suoi vestiti cambiarono. In pochi secondi un uomo sconosciuto con profondi occhi neri e un accenno di barba spruzzata su mento e guance la stava guardando dallo specchio.
Quello è ciò che avrebbe visto chiunque qualora avesse posato gli occhi su di lei; per sua volontà solo i componenti del drappello avrebbero scorto le sue vere sembianze.
Quando fu pronta convocò il marito; rese anche lui in grado di penetrare l'incantesimo per evitare spiegazioni inutili.
- Mi hai chiamato, maestà? - fece lui dopo un rigido inchino.
- Vieni qui - gli ordinò facendogli spazio davanti allo specchio.
L'uomo prese posto impassibile e la sovrana gli si piazzò di fronte, così vicino che respirando il petto di lei lo sfiorava. La donna alzò un braccio verso il suo viso.
Gregory quasi si aspettò di sentire la mano di lei sulla propria guancia; invece Serafina la allungò oltre la testa del marito e fece un cenno particolare.
Allo stesso modo la figura di Gregory si ritirò e mutò, finché una Serafina con occhi incredibilmente tristi non si ritrovò faccia a faccia con la controparte originale.
La donna si scostò di un passo per osservare il risultato. Nessuno si sarebbe mai accorto dello scambio.
- Bene - constatò, sorvolando sullo sguardo che il marito aveva assunto e che si stava affrettando a far sparire.
- Resta qui. Fingiti me, vai alle riunioni, presiedi il palio, i soliti compiti. Se qualcuno chiede di te digli che il re è indisposto. Fa chiudere la stanza da letto e piazza una guardia davanti alla porta. Entra solo tu.
- Non sono uno sciocco - disse con voce spenta, così insolita da sentire dalla bocca alla sovrana.
- Un'altra cosa: prendi una scorta di quattro o cinque soldati e fa' che ti seguano ovunque, e che ti sorveglino durante la notte.
- Perché?
- Perché te lo ordina la regina, mio re - ribatté lei, gelida.
L'uomo -la donna, in realtà- abbassò lo sguardo remissiva.
Serafina si scostò e si preparò ad operare un nuovo incantesimo.
Si avvicinò alla parete, dove la sua ombra baluginava e tremolava alla luce delle candele. Chiuse gli occhi e immerse le mani nelle tenebre, traendo una massa informe di oscurità.
La modellò con le mani e con il pensiero, finché non assunse la forma di una piccola scimmia con gli occhi di brace che prese a guardarsi intorno nel silenzio più assoluto.
La donna invitò il piccolo essere a saltare sul baule più vicino, da dove si mise a scrutare torva Gregory.
- Lei resterà con te. Ti terrà d'occhio e tornerà a riferirmi ogni cosa.
- C'è altro?
- No - rispose asciutta la sovrana. Poi fece per girare i tacchi quando la voce del consorte la fermò.
- Tu lo sai, vero? - stava mormorando Gregory, in quello che sembrava un momento in cui aveva raccolto tutto il suo coraggio - Sai che questa è una guerra inutile.
La donna gli rivolse uno sguardo sprezzante.
- Forse lo è per te - gli disse - Ma fortunatamente noi due siamo ben diversi.
Poi senza voltarsi indietro, e sotto l'occultamento del proprio incantesimo, la sovrana uscì in terrazzo e si calò in giardino con l'aiuto dei rampicanti che crescevano lungo il muro.
Darda la stava aspettando in groppa al proprio baio, con le redini uno stallone nero tra le mani.

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Capitolo 3
*** La Città Sotterranea ***


La Città Sotterranea
 
 
                       
Alle prime luci arrivarono finalmente ai margini della fitta foresta che abbracciava il regno. Serafina guidò la piccola carovana su un sentiero che si inoltrava nella vegetazione, e che andava snodandosi in direzione delle basse montagne di granito che ogni alba venivano orlate dai primi raggi del sole.
Giunta ai piedi del monte, nel punto in cui la strada polverosa iniziava a salire, la regina comandò agli altri di attenderla e prese a percorrere il cammino in solitaria.
A metà circa della scalata verso la vetta costrinse il cavallo a fermarsi di fronte ad una piccola insenatura naturale; smontò e legò le briglie ad una sporgenza.
L'animale si stava agitando, sbuffava fiato caldo dalle narici e grattava il terreno con gli zoccoli; sentiva la presenza di qualcosa di oscuro oltre quelle rocce.
Serafina tentò maldestramente di calmarlo con qualche carezza sul muso, poi scivolò dentro lo stretto passaggio.
Il buio era totale ma la sovrana si muoveva senza difficoltà attraverso le viscere della montagna, diretta al suo cuore. Il percorso le era stato stampato nella mente come se lo stesse percorrendo alla luce del giorno.
Finalmente le pareti si allargarono e dei raggi luminosi che filtravano dall'alto attraverso crepe invisibili le restituirono i contorni delle cose.
Accucciato nell'angolo più lontano da quelle deboli fonti di luce c'era un enorme drago di tenebra con gli occhi brillanti come tizzoni.
Non appena avvertì una presenza umana l'enorme fiera si fece avanti, pronta a sbranare l'intruso; ma subito riconobbe la sua padrona e tornò ad acciambellarsi, chinando il testone con fare docile.
- Eccoti qui - disse Serafina, più a se stessa che alla creatura d'ombra.
Il drago era stato l'animale più grosso che aveva mai plasmato e il prodotto più impegnativo di quel tipo di magia; a differenza degli altri Serafina non riusciva a sentire il legame con lui con la consueta facilità, ma forse, ipotizzava, questo era dovuto al fatto che il drago era anche e di gran lunga la sua creazione più longeva.
- Mostramelo - gli ordinò dunque in un sussurro.
La creatura obbediente si alzò dritta sulle zampe anteriori, esponendo il petto. Laddove avrebbe dovuto trovarsi il suo cuore mancava una squama, e nel vuoto lasciato da essa si intravedeva un battito molto più esile e minuto.
Serafina osservava quel baluginio scarlatto pulsare delicatamente e ricordò il giorno in cui era strisciata fino a quel luogo celato e aveva creato il drago, per poi strapparsi il cuore e affidarglielo.
Quel maledetto era stato la causa della sua rovina e se voleva portare a termine la sua guerra avrebbe dovuto disfarsene.
Ma non poteva non lasciare nulla dentro di sé, sarebbe stato altrettanto pericoloso: le persone si gettano su qualunque cosa per riempire il proprio vuoto. Così si affisse nel petto la scaglia che aveva strappato all'animale, e che si era fatta dura come l'acciaio, ed era riemersa dall'oscurità per rivendicare il trono che era suo di diritto.
Finché fosse rimasto lì, lontano da lei, nessun potere elfico avrebbe mai avuto presa su di lei.
Rassicurata la sovrana gettò un'ultima occhiata alla creatura e si voltò per tornare alla luce del sole.
 
Ci volle un'intera giornata di viaggio attraverso la fitta foresta, ma alla fine il drappello arrivò nei pressi delle grotte naturali che celavano l'ingresso alla Città Sotterranea.
La regina fece cenno agli altri di fermarsi e scese da cavallo.
Sapeva che Astelera aveva posto numerosi incantesimi a protezione di quell'ingresso, ma sapeva anche che la sua magia l'avrebbe aiutata a superarli.
Nessun elfo stava di guardia, ma d'altra parte la segretezza era la miglior protezione per quel passaggio.
La donna dunque avanzò sola fin quasi al nero squarcio che si apriva nelle viscere della terra, e mosse una mano in aria; si scatenò una pioggia di scintille che cadde al suolo sfrigolando. Se vi fossero passati al di sotto sarebbero stati senza dubbio arsi vivi.
Serafina rimase in ascolto ma, non percependo altro, rimontò in sella allo stallone di cui Darda reggeva le redini e fece cenno di proseguire.
All'entrata si divisero; i demoni, sotto forma di ombre prive di corpo, scivolarono via svelti in direzione del confine elfico, mentre i sei cavalieri si apprestarono a scendere nell'oscurità.
Procedettero a lungo nel buio quasi totale, trattenendo il fiato ad ogni suono che tornava loro indietro moltiplicato dall'eco.
Le rocce sembravano respirare con loro, come i polmoni di un gigante che si contraevano ed espandevano seguendone il ritmo vitale.
Fu con sollievo che i componenti del gruppo accolsero il momento in cui il dislivello del suolo cedette e prese a scorrere in piano. Tutti loro sapevano che significava che avevano raggiunto la Città Sotterranea.
Serafina schioccò le dita e una fiammella, molto più intensa delle torce con cui avevano cercato di illuminare la strada ai cavalli, si sprigionò dalle sue dita.
- Allestiamo un accampamento - ordinò con voce chiara malgrado il fatto che avesse mormorato - Domani alle prime luci ci metteremo in cammino.
Svelti, forse ansiosi di occupare le mani perché la mente non divagasse in quel luogo spaventoso, gli uomini scesero dalle cavalcature e predisposero il campo per la notte.
Montarono la tenda reale e accesero un fuoco allegro e zampillante; dopodiché estrassero le provviste dalle bisacce e apparecchiarono un banchetto rudimentale.
Per tutto il tempo Serafina era rimasta seduta composta su una roccia poco lontano, tenendo tra le mani la piccola gabbia d'argento della falena.
Quando Darda si avvicinò per riferirle che tutto era pronto la sentì bisbigliare frasi senza senso, apparentemente rivolta alla propria ombra che si stagliava allungata e guizzante ai suoi piedi..
Mangiarono con appetito, dopodiché uno alla volta i guerrieri si avvolsero nelle loro coperte e si addormentarono con le mani sull'elsa delle spade.
Serafina sola rimase vigile; scrutava nel fuoco e ripercorreva nella mente tutti i passi fatti per arrivare fin lì. Si concentrava sul fatto che ben presto avrebbe appagato la memoria di suo padre e avrebbe ottenuto la sua vendetta.
- Non dormite maestà? - chiese gentilmente Sindar venendo a sedersi vicino al fuoco.
La regina gli scoccò un'occhiata sprezzante, senza rispondere.
Dopo qualche istante di silenzio l'uomo riprese a parlare.
- Mia regina, se posso chiedere... è vero ciò che si racconta nel regno, di ciò che è successo tra voi e la regina elfica?
La donna alzò un sopracciglio sorpresa da tanta audacia, ma il suo interlocutore si limitò a scrutarla curioso.
- Hai parecchio fegato, Sindar - commentò con una nota pericolosa nella voce.
- Mi ha salvato tante volte in battaglia, vostra maestà.
- E immagino che altrettante volte sarebbe potuto essere la causa della tua rovina.
- Credo che abbiate ragione - esclamò l'uomo ridendo di cuore. La regina lo studiò attentamente.
- So bene cosa devi aver sentito. - commentò poi tornando a fissare le fiamme - Che quando conobbi Astelera me ne innamorai al punto da abbandonare il letto di mio marito per sette giorni e sette notti, e nel suo talamo profumato di rose furono molti i segreti sussurrati a fior di labbra tra una carezza e l'altra.
Serafina portò uno sguardo altero su Sindar, che deglutì a vuoto.
- Ed è vero? - le chiese in un sussurro.
- Certamente - commentò l'altra in tono freddo.
Per un po' l'unico rumore che si udì fu lo scoppiettare del fuoco.
- Fu mio padre a mandarmi da lei - affermò la sovrana in un sussurro, proprio quando l'uomo iniziava a pensare che la conversazione fosse giunta alla fine - come ambasciatrice. Molto tempo fa.
- È vero che gli elfi streghino chiunque posi su di loro lo sguardo?
- Oh sì. La loro luce ottenebra i sensi, ti acceca, ti invade la gola fino a raggiungere il cuore e colmarlo del tutto. E allora sarai per sempre in loro potere.
- Voi però siete riuscita a sfuggire all'incantesimo di Astelera.
- Il dolore per la morte di mio padre ha interrotto la malìa - affermò l'altra - e mi ha restituito la lucidità. Ma troppo tardi.
- Che volete dire?
La donna però aveva riacquistato il proprio piglio.
- Basta così - ordinò freddamente - riposa. Domani ci aspetta una lunga marcia.
L'uomo si alzò in piedi e accennò un breve inchino.
- Come desiderate, mia regina. Vi auguro una notte serena.
Serafina rimase sveglia a lungo a meditare con amarezza su quelle ultime parole.
 
Quando Serafina giudicò che in superficie fosse sorto il sole, qualche ora più tardi, svegliò il resto del gruppetto e si misero in marcia.
Tennero un passo sostenuto per buona parte della giornata, e il fatto che non ebbero incontrato alcun tranello li mise in allarme molto di più che se si fossero visti venire incontro l'esercito elfico al completo.
Ruderi di ogni genere si susseguivano monotoni: colonne spezzate e contorte intervallavano muri scheggiati che si ergevano solitari in mezzo a cumuli di polvere, e sotto gli zoccoli dei cavalli scorrevano le mattonelle erose dal tempo che un tempo avevano probabilmente fatto parte di strade e piazzali.
La volta superiore della caverna spariva nell'oscurità dando l'illusione che stessero procedendo all'infinito sotto un cielo senza stelle.
I tre nani se la cavavano meglio di tutti; il loro udito finissimo era in costante allerta, e i loro occhi abituati a penetrare le tenebre del sottosuolo li rendeva ottime sentinelle. Al contrario dei due uomini, che erano praticamente ciechi nonostante le torce che reggevano, sedevano immobili in sella lasciando che di tanto in tanto solo un guizzo delle pupille fosse indizio di vita.
Dopo una lunga marcia, resa ancor più faticosa dalla tensione costante che pervadeva loro le membra, i componenti del piccolo drappello scorsero un debole bagliore diurno in lontananza.
Stupiti alzarono la testa e intravidero un loculo circolare che si apriva nel soffitto della caverna; la luce, che scendeva come un miracolo del cielo, illuminava una vasta porzione di terreno sul quale le pietre rovinate erano state rivestite da un soffice tappeto erboso. Apparentemente molti secoli prima in quel luogo sorgeva un anfiteatro; ora le tribune in pietra grezza erano crollate miseramente, e gambi rampicanti di un verde splendente nella semioscurità avevano ricoperto le macerie disegnando sopra la pietra grezza delicati arabeschi naturali.
Guardinga Serafina fece cenno di smontare da cavallo e procedere con cautela, e Darda e gli altri eseguirono.
Camminare sull'erba verde smeraldo era una sensazione paradisiaca; gli uomini avanzavano guardandosi attorno meravigliati, ovunque giungesse la luce la vegetazione si era propagata e gli steli delicati sembravano allungarsi verso di loro al passaggio.
Era la realtà oppure un'illusione ottica?
Serafina si fermò di colpo, le pupille dilatate.
Bizzarri pollini candidi aleggiavano nell'aria come se danzassero. La donna ne catturò uno nel palmo della mano e lo scrutò con attenzione.
- Cosa c'è mia regina? - le chiese Darda avvicinandosi cauto.
L'altra non rispose. Sentiva che qualcosa non andava.
- Guardate... - commentò Sindar con voce trasognata.
Gli altri si voltarono di scatto verso l'uomo che, come in trance, stava allungando una mano verso una pianta rampicante che si era impadronita di un moncone di colonna. Le foglie sembravano emanare chiarore ed erano loro a diffondere il polline.
- Fermo! - gridò la regina allarmata, ma troppo tardi.
Non appena venne sfiorata la pianta prese vita e avvolse Sindar come le spire di un serpente.
Mentre gli altri mettevano mano alle armi Serafina lanciò un incantesimo, che bruciò la pianta e lasciò cadere al suolo Sindar, illeso.
Altri rampicanti si alzarono da quel mare d'erba, pronti a colpire.
In men che non si dica i cinque presero a mulinare furiosamente le spade, recidendo i rami che si avvolgevano affamati intorno alle loro caviglie e mozzando prontamente quelli che scattavano come strali verso il loro viso.
Serafina chiuse gli occhi e richiamò a sé il proprio potere; dalle sue labbra sgorgarono fiotti di fiamme cremisi che in pochi minuti arsero vive le piante malefiche. Queste sembrarono urlare e contorcersi dal dolore mentre venivano ridotte a spettri di cenere.
- Cos'erano quelle? - ringhiò Amon, abbassando finalmente l'ascia che grondava una linfa verdognola.
- Un incantesimo elfico - gli ricordò Serafina con un'occhiata di biasimo. Rapidamente studiò le condizioni dei suoi.
I nani non avevano subito neanche un graffio; Amon stesso aveva ancora il fiato grosso, forse per paura più che per lo sforzo fisico, mentre Baeron aveva portato una mano sulla spalla del figlio che lo stava rassicurando con un cenno della testa.
Darda aveva il viso graffiato ma non sembrava aver riportato nessun'altra ferita, mentre Sindar sembrava ancora sotto shock, ma illeso.
- Dove sono i cavalli? - chiese Darda in quel momento, allarmato.
- Maledizione!
- Sono fuggiti, spaventati da quelle piante malefiche - osservò torvo Amon.
- Li andiamo a riprendere, mia regina?
- No - decise Serafina dopo un istante di meditazione - ci impiegheremmo troppo tempo a ritrovarli. Proseguiremo senza.
Scettici gli uomini annuirono e si prepararono a rimettersi in marcia, ansiosi di mettere quanta più distanza possibile tra loro e quella tomba vegetale.
 
 

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Capitolo 4
*** Il cimitero di pietra ***


Il cimitero di pietra
 
 
 
Si accamparono alla meno peggio a ridosso di un edificio, i cui muri sbeccati offrivano un riparo dal vento proveniente chissà da dove.
Si avvolsero nei mantelli e si strinsero gli uni agli altri per conservare il calore.
Non Serafina però, che sedeva rigidamente in disparte.
Con un cenno la donna generò una tremula fiammella, sufficiente perché la sua ombra si stagliasse al suolo.
Con occhi spiritati immerse la mano nell'ombra, e quando la sollevò aggrappata alle dita aveva la scimmietta fatta di tenebre e con gli occhi rossi come tizzoni. La sovrana se l'accomodò su una spalla.
- Quali notizie da casa? - mormorò.
L'animaletto ubbidiente le mostrò attraverso gli occhi di brace ciò che aveva visto.
Assorta Serafina seguì i ricordi del suo oscuro doppione, finché questa con un guizzo della coda non si scostò e le saltò in grembo.
- Bene, bene... - meditò la sovrana passandole un dito lungo il dorso.
La prese tra le mani e la tenne sospesa sopra la propria ombra.
- Ora torna là dove devi stare. Ti riporterò qui domani e mi mostrerai altro.
La scimmietta annuì e si tuffò nelle tenebre, sparendo.
Con un soffio Serafina spense la piccola fiamma.
 
Al risveglio si misero in marcia di buona lena e ben presto il paesaggio mutò intorno a loro.
I resti di case e palazzi lentamente si diradarono fino a sparire; quello che sembrava un deserto di polvere e sabbia privo di confini si stendeva a perdita d'occhio.
Ben presto strane allucinazioni li colsero; vedevano strisciare verso di loro serpenti di sabbia che sparivano non appena voltavano lo sguardo, e udivano come mormorii appena al di fuori della loro percezione.
Statue rovinate dal tempo spuntavano dal terreno come funghi, senza un ordine apparente. Alcune mostravano busti di guerrieri privi di testa che ancora brandivano le armi, altre seguivano il loro avanzare con spenti occhi ciechi, prive ormai di uno o più arti che dovevano essere stati erosi da un vento che non aveva ragione di esistere in quel luogo.
I guerrieri si accamparono per riposare poche ore, raccogliendosi alla base di un enorme centauro di granito con gli zoccoli sbeccati.
Faticosamente chiusero gli occhi, sorteggiando chi sarebbe dovuto stare di guardia.
Dopo poco però Serafina venne destata da un rumore gorgogliante.
Subito saltò in piedi nell'oscurità più totale sguainando la spada, e incendiò la propria mano per creare della luce. Questa risvegliò anche gli altri che, alla vista di ciò che si palesò loro davanti, emisero grida e imprecazioni di spavento.
Rian, che era stato scelto per montare la guardia, era riverso a terra in una pozza di sangue e cercava disperatamente di gridare, forse per avvertirli, forse solo per il dolore, ma senza riuscire ad emettere più di qualche suono spezzato.
Una spada di roccia gli aveva trapassato la gola e il cavaliere di granito che la impugnava li fissava con torve orbite vuote mentre faceva scempio del loro compagno.
Baeron scattò all'attacco e distrusse l'avversario con un colpo potente della sua ascia.
Rapidamente la regina creò un anello di fuoco intorno a loro che si propagò nel vuoto; le fiamme illuminarono le dune di sabbia e le decine e decine di statue ammoncate che si trascinavano claudicanti nella loro direzione, le armi fra le mani e pronte a calare sulle loro teste.
Fu una battaglia durissima, che li spinse a dar fondo a tutte le loro energie.
Per quante statue distruggessero altre si facevano avanti, pronte a farli a pezzi. La pietra era resistente e rovinava il filo delle spade, mentre le schegge che sprizzavano dopo ogni colpo rischiavano di colpirli e accecarli. Le statue, chiaramente imbevute di magia, non si fermavano finché non venivano completamente sgretolate.
Serafina ne distrusse moltissime con la sua magia, le lingue di fuoco si sprigionavano dalle sue mani come fruste infernali.
Alla fine tutto tacque e i cinque rimasti caddero in ginocchio esausti.
Baeron, con il volto ridotto ad una maschera funebre, tornò dal figlio e ne prese il cadavere tra le braccia senza una parola. Gli scostò i capelli dal viso sanguinante e inerte e gli fece una carezza.
- Mi pare evidente - prese allora la parola Amon - che non siamo pronti per affrontare quello che ci aspetta in questo inferno sotterraneo.
- Hai dato la tua parola, nano - lo riprese Darda con fare autoritario - il tuo impegno è verso la tua regina.
- Una regina che non è all'altezza di questa impresa, io ritengo - dichiarò il nano con lo sguardo spiritato
Darda e Sindar scattarono in piedi con ancora le armi in pugno. Serafina alle loro spalle fissò Amon con sguardo glaciale, alzandosi lentamente dal gradino sul quale si era seduta.
- Bada, mastro nano - cercò di mediare Sindar - la regina Serafina è pur sempre la tua sovrana, a cui hai giurato obbedienza.
- Ho giurato di proteggere il regno, non di seguire questa sgualdrina fin nelle viscere della terra per conquistare un regno di mostri.
Di più non poté aggiungere; Serafina si era mossa con la rapidità del vento e lo aveva inchiodato a terra infilzandogli la spalla con la propria spada.
Allontanò con un calcio l'arma del nano e lo immobilizzò al suolo con la propria magia.
Amon ringhiò per il dolore e riversò su Serafina uno sguardo di odio.
La donna fece per pronunciare una frase velenosa, quando chinandosi su di lui una fragranza familiare non raggiunse le sue narici.
Sospettosa volse il viso di Amon da un lato e là, sul profilo della vena carotidea, intravide una piccola livido nero come la pece.
- È stato punto dalle piante di Astelera - constatò disgustata alzandosi.
- Che significa? - chiese Sindar incredulo, avvicinandosi di qualche passo.
- Che per lui è finita - dichiarò la donna freddamente - Non si tratta di una normale infezione. Le piante rampicanti sono state modificate perché rilasciassero nell'aria feromoni elfici. Chiunque venisse contagiato comincerebbe a sviluppare nel suo cuore un desiderio possessivo e geloso, una brama, per il possessore di quei feromoni.
- Astelera?
- Esattamente. In questo modo coloro che tentassero di superare la difesa delle piante verrebbero punti, e si spingerebbero fin ai piedi della regina abbattendo sul loro cammino qualunque suo nemico.
- Cosa facciamo con lui?
Serafina rifletté per qualche momento, soppesando le varie opzioni. Alla fine si avvicinò ed estrasse la spada con un movimento secco. Il nano emise un singulto di dolore ma nessun altro suono lasciò le sue labbra.
La donna ricambiò il suo sguardo sprezzante e alzò la lama sopra la sua gola.
- Aspettate!
Sindar si fece avanti alzando una mano, con fare allarmato. 
- Intendete ucciderlo?
- Dal momento che non posso guarirlo - sentenziò Serafina glaciale.
- No - si fece avanti Baeron in quel momento.
Un lampo sbigottito attraversò gli occhi della regina. Il nano si frappose tra lei e Amon e si inchinò profondamente.
- Mia regina - pregò Baeron con lo sguardo al suolo - Amon non si è dimostrato all'altezza di questo compito. Avevate detto che se ciò si fosse verificato avrei pagato con la vita: ebbene, vi imploro di tenere fede alla vostra parola.
I due uomini fissarono il nano a bocca aperta.
- Amon non può essere salvato - affermò piano la regina - Nel momento in cui lo libererò dalla magia la sua unica ragione di vita sarà inseguirci fino in capo al mondo e ucciderci. Più aspettiamo e più l'infezione avanza, e il suo desiderio lo consumerà.
- Baeron... - lo chiamò Sindar cercando di farlo ragionare.
Serafina lo guardava con occhi penetranti, tamburellando indecisa le dita sull'elsa della spada.
Il silenzio si prolungò finché la regina non iniziò ad abbassare impercettibilmente l'arma.
Con uno scatto fulmineo Darda mulinò la propria daga e la abbatté al suolo, staccando di netto la testa ad Amon.
Gli altri tre sussultarono; Baeron fu investito da un fiotto di sangue rosso scarlatto che gli dipinse il volto per metà.
- Cosa hai fatto? - gridò Sindar angosciato.
L'uomo si rialzò con calma, il volto grondante e gli occhi fermi. Aggirò il cadavere e si inginocchiò al cospetto di Serafina, accanto a Baeron che nel frattempo si era alzato di scatto e si era scostato.
- Se la mia regina ritiene che io abbia compiuto tradimento la esorto a giustiziarmi qui, io non mi opporrò. Se avrà la grazia di ascoltarmi invece, tutto ciò che desidero è dirle che ho voluto eseguire la sua volontà. Come sempre, ogni mio azione è volta al bene di vostra maestà.
Fu il suo turno di essere guardato con sgomento, mentre negli occhi di Serafina aleggiava uno sguardo indecifrabile.
Alla fine la regina emise la sentenza.
- Andiamo avanti, Darda. Alla fine dell'impresa se Baeron vorrà ancora dare via la sua vita sarà accontentato. Quanto a te, la prossima volta esegui un mio ordine dopo che io te l' ho dato, non prima - concluse freddamente.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Dentro la tana ***


Dentro la tana
 
 
 
Il gruppetto proseguì con difficoltà; Baeron in testa li guidava nel buio, dal momento che avevano esaurito le torce e Serafina conservava ogni stilla di magia nel caso di un altro attacco improvviso.
Il terreno era accidentato, il paesaggio doveva essere mutato di nuovo; ora era terra ciò che avvertivano sotto le piante degli stivali, un lungo cammino ctonio che li conduceva sempre più in profondità.
Serafina camminava dietro a tutti, quando avvertì una familiare sensazione simile ad un lieve strattone alla schiena. Schioccò le dita e una minuscola fiammella si accese; si stagliarono le sagome degli uomini davanti a lei che procedevano curvi, in fila indiana.
La donna si assicurò di distanziarli prima di richiamare la propria creatura d'ombra.
La piccola scimmia le si acciambellò sulla spalla impaziente di riferirle il suo messaggio.
Attraverso i suoi occhi Serafina si ritrovò catapultata nella sala del trono dove Gregory, con le sembianze della regina, aveva ricevuto poco tempo prima un rapporto inatteso dalle spie che stazionavano lungo il confine.
Gli elfi erano in fermento pareva; che anche Astelera avesse interpretato i segni e fosse convinta che presto sarebbe stata attaccata? Forse si stava preparando ad attaccare a sua volta?
La regina dovette prendere in considerazione questa ipotesi; portò pensosa una mano alla cintura laddove era assicurata la piccola gabbia d'argento. L'insetto al suo interno ebbe un debole frullio d'ali.
Non c'era motivo per allarmarsi; la loro impresa stava procedendo bene, e quando avrebbero colpito Astelera i demoni sarebbero penetrati nel regno e la vittoria sarebbe stata sua.
Tuttavia Serafina decise di preparare un asso nella manica. Con un breve cenno delle dita afferrò un lembo d'ombra e operò la sua magia.
Per quando la scimmietta fu tornata da Gregory la regina aveva nascosto la sua arma segreta nel corsetto e spento la fiammella incantata.
 
Non dovettero attendere a lungo; si innalzò nell'aria, inatteso, un lugubre lamento, simile al suono che dovevano produrre un migliaio di anime in pena.
Messi in allarme i quattro viandanti si bloccarono sul posto.
- Cosa è stato? - mormorò Sindar.
Nessuno di loro ebbe occasione però di rispondergli; il terreno si aprì sotto i loro piedi con la forza di una voragine e si ritrovarono a precipitare nell'oscurità.
Atterrarono su una superficie viscida e molliccia, che emanava un tanfo ripugnante.
Svelta Serafina si affrettò ad illuminare la scena e tutti e quattro si ritrovarono a rabbrividire per il disgusto.
Quello che sembrava un enorme, marcescente, serpente cieco cercava di individuarli tenendo le fauci gocciolanti aperte a metà. I monconi di due ali colossali gli spuntavano dalla schiena, pressappoco dov'erano atterrati Serafina e Baeron.
- È un Anfittero! - esclamò Sindar meravigliato.
L'animale fece scattare l'enorme testa verso la fonte della voce che aveva udito ma l'uomo fu svelto a schivarlo con una capriola.
- Giù - ordinò la regina, evitando le zanne giallastre che pronte si erano precipitate su di lei.
Più in fretta che poterono i quattro si lasciarono scivolare giù dal corpo squamoso e corsero al riparo.
Mentre l'animale tentava di individuarli Serafina si sporse in cerca di una via d'uscita.
- Là - mormorò indicando un punto sopra le loro teste.
Da quanto potevano vedere l'Anfittero era intrappolato in una sorta di avvallamento nel terreno e aveva trascinato con sé anche i resti di un palazzo imponente; questo sfiorava nel suo punto più alto quelle che sembravano le imboccature di una serie di lunghe gallerie. La loro via d'uscita.
Senza perdere tempo i quattro riposero le armi e presero ad arrampicarsi verso la salvezza.
Le pietre franavano sotto le loro mani e i loro stivali, e muoversi senza fare rumore fu estremamente difficile; eppure erano arrivati a quasi due terzi del percorso quando Darda inavvertitamente staccò un pezzo di un cornicione che cadde al suolo con un boato.
Con uno scatto delle vertebre terrificante l'Anfittero voltò il testone cieco verso di loro e si avventò su Darda con la velocità di una freccia scagliata dall'arco.
Serafina innaffiò la bestia con una cascata di fiamme ma questi parve scrollarsele di dosso come fossero acqua fresca.
La regina imprecò.
Era chiaro che, oltre alla refrattarietà alla magia tipica dei draghi, quell'animale doveva essere stato sottoposto anche a incantesimi elfici di protezione.
L'enorme creatura distolse l'attenzione dalla sua preda e la rivolse a lei. Serafina preparò un altro incantesimo, ma era chiaro che avrebbe avuto la stessa efficacia del primo.
Poi l'Anfittero gettò la testa verso l'alto con un barrito di dolore, e prese a scuoterla violentemente da una parte e dall'altra.
Quando si scostò Serafina, Baeron e Sindar riuscirono a scorgere Darda che si era gettato sul drago e gli aveva infilzato la spada nel corpo fino all'elsa.
L'animale si contorceva e strillava, cercando di togliersi di dosso l'aggressore.
- Andate! - ruggì Darda, aggrappato come poteva alle squame scivolose - Andate prima che...
Poi il mostro lo agguantò con i denti e spezzò il suo corpo a metà.
Gli altri presero ad avanzare furiosamente non preoccupandosi più del rumore; sentivano dietro di loro il suono delle ossa di Darda che si frantumavano sotto le zanne dell'Anfittero e quello del sangue che spruzzava in aria.    
Ormai erano praticamente arrivati quando l'Anfittero, terminato il pasto, non levò il muso striato di rosso verso di loro.
Prese ad arrampicarsi famelico avvolgendo le sue spire intorno alla costruzione mezza diroccata, che iniziò ad oscillare pericolosamente.
Sindar fu il primo ad arrivare e svelto si arrampicò fin dentro la galleria, per poi affacciarsi e porgere la mano a Serafina.
La regina lo seguì e Baeron si issò dietro di loro.
Cominciarono a correre lungo il condotto, quando un urlo strozzato li fermò.
Serafina e Sindar si voltarono, e con orrore videro Baeron catturato dalla lingua uncinata dell'Anfittero.
Fulminei i due si precipitarono ad aiutarlo; Sindar lo afferrò per i polsi, mentre la regina si affacciò e scatenò la potenza di un fulmine nella bocca aperta dell'animale.
Lottarono per qualche minuto, con in mezzo a loro il corpo sempre più straziato di Baeron; più l'animale testardamente tirava e più le rovine del palazzo su cui era abbarbicato dondolavano producendo suoni sinistri.
- Mia regina... - esalò Baeron, con uno dei suoi ultimi respiri.
Poi una forza improvvisa strappò il nano dalla presa di Sindar, e lui e l'Anfittero precipitarono al suolo in una pioggia di macigni.
I due si precipitarono all'imboccatura della galleria e scrutarono in basso, ma il corpo di Baeron doveva essere finito sepolto dalle rocce e da quello del drago.
Sindar colse qualcosa con la coda dell'occhio e alzò la testa, allarmato.
- Mia regina! - gridò.
Una ragnatela di crepe si disegnò sul basso soffitto di roccia.
Più in fretta che poterono i due corsero alla cieca dentro la galleria, incalzati dal rumore delle pareti che cedevano e dei massi che precipitavano. Senza dubbio l'attacco dell'Anfittero aveva compromesso l'equilibrio precario di quel luogo.
Con un ultimo balzo Serafina riuscì a sfuggire alla furia della montagna e la frana cessò con un pacifico rotolare di sassolini.
La sovrana si asciugò un rivoletto di sudore dalla tempia e si rialzò esausta, dandosi pacche sui vestiti.
Si girò scoprendosi sola.
- Sindar! - gridò, i suoni moltiplicati dall'eco delle pareti - Sindar!
Ecco che le voci che le tornavano indietro sembravano ora una canzonatura; povera piccola rimasta tutta sola, che spera che qualcuno venga a salvarla.
Con uno scatto di rabbia Serafina ruggì una corona di fiamme attorno a sé, che si spensero sfrigolando sulle rocce.
La sua attenzione fu calamitata da un particolare masso ai suoi piedi. O per meglio dire alla mano abbandonata su di esso.
Svelta la regina illuminò la caverna con la sua magia e si mise a disseppellire a mani nude il corpo inerte di Sindar.
L'uomo era ancora vivo, sebbene privo di conoscenza. Con difficoltà la regina riuscì a trascinarlo fuori dalle macerie e se lo caricò in spalla.
Poi, con solo le sue fiammelle a illuminarle la via, lasciò che fosse il suo istinto a condurla in superficie e si mise a seguire le tracce di feromoni elfici attraverso quel labirinto di gallerie.

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Capitolo 6
*** Il palazzo di cristallo ***


Il palazzo di cristallo
 
 
 
Serafina accolse il vento notturno che le accarezzò il viso con un moto di gratitudine. La luna alta nel cielo diede loro il bentornato nel mondo dei vivi, illuminando quasi a giorno la foresta vergine che celava il passaggio alla Città Sotterranea.
La regina depose Sindar a terra e gli deterse il viso pieno di sangue con una manica.
- M...Maestà... - mormorò questi aprendo faticosamente gli occhi - Ce... ce l'abbiamo fatta.
- Sì - disse solo Serafina. Improvvisamente si sentiva svuotata, esausta. Si sedette direttamente sul terreno morbido, al fianco di Sindar.
- Mettiamoci in... cammino... - fece il soldato, tentando di alzare la testa da dove era stato disteso.
- No - rispose la sovrana con sguardo distante - Tu hai fatto fin troppo. Resta qui e riposa, andrò io a conquistare il palazzo elfico. Sono io che devo farlo.
- Perché?
- Perché lo dice un'antichissima profezia - confessò a sorpresa la regina con malinconia - Solo un figlio delle tenebre può uccidere una Dea Rinata. Io e mio padre eravamo gli ultimi, e ora io solamente posso portare a termine l'impresa che lui si era prefissato.
- Ma... ma voi... la amate... non è così?
Serafina si artigliò i capelli in un moto d'ira.
- Io... io non... non lo so - finì per dire, incespicando nelle sue stesse parole.
Quando il silenzio si protrasse alzò la testa.
Sindar aveva chiuso pacificamente gli occhi e si era adagiato sull'erba soffice. Il suo petto non si muoveva più.
La regina rimase a lungo a fissare il suo volto, poi, quando si alzò in piedi con le gambe pesanti come macigni, rivolse il volto al cielo stellato.
Tutto in quel reame ispirava dolcezza; i delicati boccioli sui rami, che sprigionavano un profumo di primavera, il sussurro di un ruscello che non era in vista ma che prometteva un'acqua fresca e ristoratrice, lo scintillio delle stelle lontane nel cielo terso.
Mosse una mano e un tappeto di bianche rose selvatiche avvolse il corpo di Sindar come un sudario.
I fiori erano il frutto della sua magia, non provenivano dal reame elfico; diversi di loro avevano petali spezzati o macchiati, e il loro profumo non era altrettanto inebriante. Quasi stonavano in mezzo a tanta perfezione.
La regina gettò loro un'ultima occhiata stanca, poi raccolse ogni stilla di magia ancora in suo possesso e operò un incantesimo.
La sua figura stinse e si rattrappì, le spuntarono piume e un becco, finché una tortora dalle ali brune come la notte non spiccò il volo dalla piccola radura.
 
Serafina sorvolò la foresta intera finché i suoi occhi da volatile non individuarono il palazzo di Astelera, nel cuore dei meravigliosi giardini.
La piccola tortora scosse il capino per cacciare via la spossatezza e si preparò alla discesa.
Lasciò dietro di sé le case, i viali candidi, i giardini pendenti, ornati di fiori meravigliosi come non ce n'erano di eguali nelle terre degli uomini.
Scorse sotto di sé alcuni elfi che passeggiavano godendosi la bellezza della sera, ridendo tra loro, dandosi il braccio. Le figure leggiadre sembravano risplendere di luce propria, e la potenza della loro malìa per un attimo fece esitare il cuore della piccola tortora.
Presto il castello le si parò dinnanzi agli occhi in tutta la sua magnificenza.
L'intero edificio era stato ricavato dal quarzo più fino, lavorato in mille notti di lavoro sotto la benedizione della luce lunare. Si diceva che Astelera amasse specchiarsi in ogni superficie possibile, per questo aveva scelto il cristallo più puro del regno per costruire la propria dimora.
In cima alla guglia più alta, così che fosse possibile accedervi solo con un incantesimo, stava la stanza da letto della regina Astelera.
Serafina planò silenziosa dentro la finestra aperta e andò a posarsi in un angolo buio.
Mentre la piccola tortora si guardava attorno i dieci anni che erano trascorsi da quando aveva visto per la prima volta quel luogo sembrarono svanire come fumo.
Ecco il grande specchio nel quale Serafina tentava di spiare il volto dell'elfa quando vi era seduta dinnanzi per imbellettarsi; ecco le cento boccette di essenze profumate, che contenevano ognuna una promessa più dolce dell'altra; ecco il baldacchino, con le sue tende di pizzo candido e le colonnine d'avorio che si avvolgevano affusolate su loro stesse, su cui una pianta di rose bianche si arrampicava disegnando delicati arabeschi e spandendo un profumo inebriante.
E là, tra i morbidi cuscini, una cascata di finissimi capelli argentei rivelava la presenza di Astelera, profondamente addormentata.
Serafina uscì dalle tenebre con le proprie sembianze, senza emettere alcun suono.
Sguainò la spada e si avvicinò al talamo con passo felpato.
Poi, all'improvviso, la bellezza traditrice di Astelera le si palesò davanti in tutta il suo splendore.
La regina dormiva con una pallida mano posata sul cuore e l'altra abbandonata sul guanciale.
I piedini delicati sporgevano appena dall'orlo della veste, sfidando coraggiosi il fresco della notte privi della difesa del lenzuolo.
Le sue forme eleganti e slanciate erano magnificamente avvolte dalla più sottile e morbida delle sete, di un colore madreperlaceo che sembrava mutare sotto i raggi lunari come le onde del mare.
Senza distogliere lo sguardo da lei Serafina girò attorno al letto, fino a portarsi vicino al suo viso.
Alzò la spada, la lama oscura che bramava di dissetarsi del dorato sangue elfico, nonostante lo sforzo sembrò costarle ogni scintilla di forza di volontà che ancora le rimaneva.
Finché un particolare non attirò la sua attenzione, e la donna non si bloccò con il braccio alto sopra la testa.
Astelera aveva forse sospirato nel sonno e un pendente dall'aspetto singolare era scivolato fuori dalla sua scollatura. Un minuscolo rubino dai riflessi cupi faceva bella mostra di sé sulla pelle bianco latte della regina.
Serafina lo riconobbe immediatamente. Le pietre di sangue erano famose tra la sua gente per l'uso che se ne faceva negli incantesimi di occultamento.
La donna nel letto a baldacchino non era Astelera.
In quell'istante la porta della camera si spalancò con violenza e una mezza dozzina di elfi in armatura da battaglia si fece avanti con le armi in pugno.
A onor del vero Serafina reagì piuttosto prontamente; scagliò un incantesimo del fuoco contro gli aggressori, che lasciò lunghe bruciature sulle pareti bianche come la neve. Dopodiché ebbe inizio il duello con le spade.
La regina riuscì a uccidere quattro delle guardie prima che giungessero altri guerrieri e la sopraffacessero.
In catene venne trascinata lungo i corridoi deserti e portata fino alla sala del trono, al cospetto della vera Astelera. Là fu costretta in ginocchio da due soldati che le puntarono le picche alla gola.
La regina elfica l'aspettava assisa sul suo trono dorato. Quando si alzò elegantemente per venirle incontro a Serafina si mozzò il fiato in gola. Perfino in ginocchio, sconfitta, la bellezza di Astelera esercitava il suo fascino oscuro su di lei.
- Serafina - mormorò Astelera con voce flautata - sono passati anni dal nostro ultimo incontro.
La donna sentì che la sua forza di volontà, solitamente granitica come una montagna, iniziava a disperdersi come sabbia.
La scaglia al centro del suo petto cominciò a scavarle nella carne, obbedendo all'incantesimo che lei stessa vi aveva posto sopra; ma come poteva quel dolore competere con la delizia del suono del suo nome modulato da quelle labbra?
Astelera prese ad incedere sul pavimento niveo, come se fluttuasse.
- Sei cambiata - la adulò - quando ti conobbi non eri che un fiore ansioso di sbocciare. Guardati ora.
Serafina lottava contro la magia elfica che si insinuava nelle sue narici, nei suoi occhi, sotto la sua pelle.
- Ti ho aspettato a lungo, mia cara.
- Tu sapevi - scandì la donna con difficoltà - Sapevi che sarei venuta.
- Certamente - la mano di Astelera scese sulla sua nuca in una carezza accondiscendente e per poco Serafina non alzò la testa per la bramosia del suo tocco.
- Anch'io so leggere gli umori del cosmo - le ricordò l'elfa dolcemente - Perciò ti ho mandato un piccolo aiuto.
- L'elfo... - ricordò Serafina - Il giovane che abbiamo catturato nel nostro regno, vicino al confine. Eseguiva i tuoi ordini.
- Beh, parlare di ordini è un po' esagerato. Diciamo che l' ho convinto a sacrificarsi per un bene superiore. Il mio.
- Eri sicura che sarei venuta di persona, dico bene?
- Naturalmente. Dopo tutto sei stata tu a confidarmi della profezia tanto tempo fa. A questo proposito, ho sempre voluto chiederti... -
Astelera pose un ginocchio a terra e le accarezzò i capelli. Svelta Serafina inchiodò lo sguardo a terra per sfuggire all'incantesimo di quegli occhi grigi.
- ... come ci si sente ad essere responsabili della morte del proprio padre?
La regina tacque, mordendosi le labbra a sangue.
- Dopotutto io ti ho semplicemente accolta nel mio letto, e ho consolato le tue lacrime con i miei baci e le mie mani.
- Gli hai trafitto il cuore con una freccia... - ringhiò Serafina.
- Dopo che tu mi hai rivelato che tuo padre fosse un figlio delle tenebre. Così ho capito di doverlo uccidere prima che lui uccidesse me. E ora l'ultima figlia delle tenebre è qui in ginocchio ai miei piedi.
- Dimentichi un piccolo particolare.
Le belle sopracciglia di madreperla della regina si incupirono leggermente.
- Quale?
- Alkaid non è stato il mio unico informatore.
Sul volto tirato di Serafina si disegnò un sorriso obliquo.
- Come sta la tua sorellina?
Fu la prima volta che il viso di porcellana di Astelera si deformò per un'emozione: la collera ne stravolse per qualche istante i lineamenti perfetti.
- Sei stata tu a catturare Fawaris!
- Esattamente.
- Cosa ti ha rivelato? Dimmelo!
- La rivorresti con te? - chiese invece la donna, con un lampo negli occhi.
L'elfa si ricompose.
- Dimmi dov'è e avrai salva la vita.
Se avesse potuto Serafina avrebbe riso amaramente. Sapeva benissimo -e Astelera a sua volta sapeva che lei sapeva- che non appena le avrebbe restituito Fawaris la regina avrebbe ordinato di farla giustiziare. L'unico motivo per cui era ancora in vita era che la regina elfica aveva bisogno di sapere di quali dei suoi segreti fosse venuta a conoscenza.
Tuttavia abbassò le spalle con fare pacifico e fissò Astelera dritto negli occhi.
- La gabbietta legata alla mia cintura. Prendila.
Uno dei soldati si fece avanti, si chinò e la raccolse per porgerla alla sua regina.
Astelera studiò la piccola falena con sguardo disgustato, per poi rompere l'incanto con uno schiocco delle dita affusolate.
Una nube rosa pallido avvolse l'insetto che iniziò a crescere sempre di più, finché una giovane elfa con lunghi capelli d'argento non fece la sua comparsa. Questa prese a fissare la sorella maggiore con occhi sgranati, mentre Astelera la ricambiava freddamente.
- Se il piano era di barattare la sua vita con la tua devo constatare che sei meno astuta di quanto pensassi.
- Il piano in origine era quello, sì - ammise Serafina - Usare Fawaris come merce di scambio. Ma poi, quando ho scoperto del cattivo sangue che scorre tra voi, ho pensato; perché non trarre altri benefici dalla sua compagnia?
- Ti assicuro, sorella... - prese parola Fawaris con voce supplichevole.
- Taci - le intimò l'altra, altera - Di te mi occuperò più tardi.
- Fawaris mi ha raccontato molte cose di te. Di alcune ero già a conoscenza mentre altre sono state una sorpresa. Come gli incantesimi oscuri ai quali ti sei dedicata, che fanno sì che i tuoi poteri di seduzione non abbiano eguali in tutto il mondo. Oppure come le pratiche e i sacrifici che occorrono per diventare una Dea Rinata.
Serafina si interruppe con fare cospiratorio. Astelera strinse un lembo della veste nel pugno chiuso, senza accorgersene.
- O anche del tuo specchio, così speciale ma anche così fragile.
Astelera trattenne il fiato, paventando ormai troppo tardi la catastrofe che stava prendendo forma sotto i suoi occhi.
Si voltò di scatto.
Il suo magnifico specchio, ornato da una finissima cornice d'argento e sigillato nello schienale prezioso del trono, aveva subito improvvisamente una scheggiatura proprio al centro.
Con orrore Astelera vide una ragnatela di crepe allargarsi sulla sua superficie, mentre una piccola vespa fatta d'ombra si preparò a dare nuovamente l'assalto alla superficie cristallina.
L'elfa scagliò fulminea un incantesimo contro l'animaletto, ma troppo tardi. Il vetro si crepò e frantumò, e i vetri piovvero al suolo con un tintinnio delicato.
Serafina vide l'orrore farsi strada sul volto di Astelera unito ad una smorfia d'odio quando si voltò verso la sorella minore, con le dita ingioiellate contratte ad artiglio come se volesse stringerle intorno al suo collo.
La piccola, spaventata, Fawaris, che non era altro che l'ombra della sua magnifica sorella. Gli stessi capelli argentei ornavano le sue spalle minute come un mantello di luce liquida e il viso dall'ovale perfetto era tanto armonioso che non sarebbe sfigurato scolpito nel marmo più candido.
Ma i suoi feromoni, così dolciastri e stucchevoli, e i suoi grandi occhi grigi sempre incupiti in una smorfia supplice, davano la nausea a Serafina quando la vedeva.
Fawaris era allo stesso tempo così simile e così diversa da Astelera. Non era che una pallida copia mal riuscita dell'oggetto del suo desiderio.
Era stato molto facile spezzare le sue difese, e quando Fawaris le aveva parlato dello specchio Serafina aveva capito come avrebbe potuto battere Astelera.
La sovrana, che amava rimirare se stessa così come i suoi possedimenti, aveva stregato uno specchio di purissimo argento perché tutto il suo regno vi fosse riflesso quando ci si specchiava. In questo modo non solo poteva venire a conoscenza di ogni cosa succedesse nel regno, guadagnandosi il sacro timore dei suoi sudditi, ma poteva anche tenere sotto controllo gli incantesimi che sigillavano e proteggevano i suoi confini.
Lo specchio non era l'unica difesa del regno ma di sicuro nel tempo era finito per diventarne la chiave di volta; e ora i suoi brandelli scintillavano inutili sul pavimento candido come stelle cadute.
Impresse nelle lastre più grandi già si scorgevano sinistri bagliori rossastri.
- Cosa hai fatto? - gridò Astelera.
- Credo che i miei demoni abbiano già iniziato a farsi strada nel tuo regno, mia regina.
In un moto di collera Astelera alzò un braccio verso Serafina, pronta a colpire.
Questa scattò di lato con una capriola, evitando lo schianto per pochi centimetri, e schioccando le dita si liberò dalle catene.
Una fiammata la avvolse, allontanando le guardie.
In lontananza iniziavano già ad udirsi i ruggiti primordiali dei demoni che percorrevano le valli in lungo e in largo come lampi di buio, e le grida spaventate dei sudditi.
Il fuoco si propagò intorno alle due regine, distruggendo tutto ciò che toccava.
Fawaris raccolse la veste e fuggì, imitata dai soldati.
Le due donne rimaste sole si fronteggiarono. Serafina raccolse una spada da terra e la alzò in direzione di Astelera.
- Sembra che ci siamo - constatò questa con voce flautata.
- Sì - concordò l'altra glaciale - direi di sì.
Mulinò l'arma e la abbatté su Astelera.
Questa la respinse con la sua magia, per poi plasmarsi una lama apparentemente dal nulla.
Le due intrecciarono le spade in un duello mortale, in cui le parate e le stoccate erano simili a passi di danza. Nessuna delle due intendeva cedere terreno, e ben presto Serafina si ritrovò ad incalzare la sua avversaria finché non le strappò l'arma dalle mani e non la mise con le spalle al muro.
Tirò indietro il braccio per un ultimo affondo, dritto al cuore marcio dell'elfa.
Astelera, forse come ultima difesa, le lanciò un incantesimo negli occhi.
Serafina batté le palpebre, stordita.
All'improvviso era di nuovo nella camera da letto della regina elfica, con il baldacchino profumato e la fresca aria della sera che le solleticava la nuca.
Le grida e i rumori di crolli intorno a loro all'improvviso cessarono.
Astelera le si palesò dinnanzi avvolta in tutto il suo splendore. I lunghi capelli sciolti incorniciavano la sua figura perfetta, la pelle lattea sembrava emanare un delicato chiarore e i suoi feromoni la avvolsero portando con sé una promessa d'amore.
Era completamente nuda, ad eccezione delle collane e dei bracciali che adornavano il suo delizioso collo e i suoi polsi delicati.
A Serafina mancò il respiro.
Astelera si avvicinò con grazia.
- Come puoi farmi questo? - le chiese suadente, mormorando nel suo orecchio - Dopo tutto ciò che ti ho donato? Non lo ricordi più?
La sovrana oscura lottò contro l'incantesimo ma il suo braccio sembrava pesare come una montagna.
- Dopo che ho sciolto la mia cintura per te... - insinuò con fare malizioso.
Serafina sentì un dolore indescrivibile morderle il petto più forte che mai, ma non si trattava della sua scaglia di drago; era Astelera che l'aveva trafitta con la sua stessa spada.
La donna urlò per il dolore e, in un moto istintivo, richiamò a sé la sua magia.
Il terreno si aprì sotto i loro piedi e si trovarono entrambe a precipitare nel buio.
 
 

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Capitolo 7
*** Il cuore più nero ***


Il cuore più nero
 
 
 
Serafina riprese faticosamente conoscenza.
Intorno a sé non vi era altro che oscurità e silenzio.
Lentamente si girò su un fianco ma una fitta al petto la portò ad artigliarsi la tunica con uno spasmo di dolore.
Una lacrima di irritazione le sfuggì dall'angolo dell'occhio.
All'improvviso tese le orecchie. Quello che sembrò un mugolio soffocato aveva attirato la sua attenzione.
Sentendo la testa girare per lo sforzo si alzò seduta e creò una piccola fiamma nel palmo della mano. Dovette portare l'altra al petto quando un fiotto di sangue sfuggì alla sua ferita e le colò in grembo.
Astelera era riversa al suolo, le membra scomposte come una bambola rotta.
Con orrore Serafina si precipitò su di lei, voltandole il viso ferito verso di sé.
L'elfa respirava con difficoltà, la veste lacera e inzuppata di sangue dorato.
Le sue gambe, solitamente dalla linea incantevole e dalla pelle liscia e fresca come vetro, cadevano senza vita come appendici spezzate.
Serafina la sollevò e la adagiò contro di sé. Due grosse lacrime scesero lungo le sue guance prima che potesse trattenerle.
Astelera aprì i grandi occhi grigi con immensa sofferenza.
- Ti prego... - mormorò con voce rotta - Ti prego...
Le sue dita diafane si chiusero debolmente attorno al polso della donna.
- Possiamo curarti - le disse con voce esitante - Ci sarà un incantesimo che possa...
Astelera tossì a sangue prima di parlare, la voce melodiosa ridotta ad un sibilo roco e graffiato.
- Non per una Dea Rinata... dai qualcosa... in cambio di tutto.
Serafina lo sapeva già naturalmente, Fawaris le aveva spiegato con dovizia di particolari in cosa consistesse la nuova condizione della sorella.
Per ottenere i poteri magici di cui era stata investita Astelera aveva dovuto sacrificare qualcosa di altrettanto prezioso. Aveva legato la sua anima alle fiamme dell'inferno, e questo aveva iniziato a corrodere il suo spirito e il suo corpo.
Nessun incantesimo di guarigione l'avrebbe salvata. Forse sarebbe potuta sopravvivere ma non sarebbe mai tornata al suo splendore originale.
- Solo tu puoi farlo... - le ricordò l'elfa.
Serafina si lasciò andare ad una risata amarissima, mentre continuava a piangere lacrime che bruciavano come il fuoco.
Infilò due dita nello stivale ed estrasse il pugnale che vi aveva nascosto, l'unica arma che i soldati non le avevano confiscato al momento della perquisizione.
Guardò per l'ultima volta Astelera negli occhi e vide che erano colmi di lacrime.
La corta lama calò e accompagnò la bellissima regina elfica nella sua ultima, silenziosa, dimora.
 
Serafina non seppe mai cosa fu a guidare i suoi passi nel buio. Non istinto di sopravvivenza, di certo, né uno scopo preciso. Si muoveva semplicemente per inerzia, arrancando un passo alla volta nel niente. Tendeva le orecchie senza accorgersene, forse per sentire una voce flautata chiamarla dall'oscurità. Ma solo un ronzio di sottofondo occupava le sue orecchie stanche, e il mondo era ormai un luogo freddo e vuoto.
Metteva un piede davanti all'altro, incespicando, la testa leggera e il braccio libero che pendeva inerte. La ferita al petto sembrava quasi non dolere più.
Forse anche lei era morta.
Forse Astelera già l'aspettava in un luogo fatto unicamente di neve e profumo di rose.
Poi una luce si stagliò in lontananza e capì che no, non poteva essere già nell'Aldilà. Ne era certa, nessuna luce l'avrebbe accolta una volta passata a miglior vita.
Pian piano uscì all'aperto, tra le rocce brunite, e le si offrì la vista del reame elfico squarciato e devastato dalla potenza dell'esercito demoniaco.
Girò attorno uno sguardo indifferente. I candidi palazzi in fiamme, i giardini bruciati ormai sterili, le statue crollate e ridotte in briciole, tutto le era indifferente.
- Eccola là! - gridò una voce in lontananza.
Serafina alzò appena gli occhi.
Un manipolo di soldati scendeva precipitosamente verso di lei, arrampicandosi sugli spuntoni di roccia e sui resti del palazzo di Astelera.
- Maestà!
Riconobbe con fatica alcuni dei soldati della sua guarnigione personale, e due stregoni dai mantelli scuri che li accompagnavano.
- Cosa fate qui? - chiese loro confusa quando le si furono avvicinati.
- Sua maestà il principe Gregory ci ha mandati avanti giorni or sono - spiegò il primo che si era fatto avanti, chinandosi in segno di rispetto - Avevamo il compito di trovarla in mezzo alla battaglia e ricondurla a casa sana e salva. Il principe ha saputo che gli elfi erano in fermento, e temendo una trappola del nemico ci ha inviati qui per soccorrervi. Ci ha dovuto rivelare l'incantesimo, perché apparentemente aveva il vostro aspetto quando ci ha convocati! Abbiamo mantenuto il segreto e viaggiato con i vostri demoni. Sapevamo che sareste stata vicina al palazzo elfico, e così siamo venuti qui come prima cosa.
Serafina aveva ascoltato la spiegazione in silenzio. L'uomo si alzò cauto e le porse una mano.
- Venite con noi, maestà - le disse gentilmente.
 
Passarono venti giorni prima che la sovrana si fosse ristabilita abbastanza da poter interrompere le cure.
Ricordava bene che i soldati l'avevano condotta fino alla strada, dove li aspettavano una colonna di cavalli e una carrozza, e che gli stregoni si erano messi subito all'opera per guarire le sue ferite.
Avevano impiegato tre giorni a tornare a palazzo, e ricordava la schiera di guaritori che le si erano affaccendati attorno e Gregory che al suo capezzale la guardava con un misto di sollievo e ansia per le condizioni in cui versava.
Ricordava ogni cosa, la faccia del marito in special modo le si era stampata nella mente come un dipinto; eppure nulla di ciò le appariva reale.
Semplicemente aspettava che la vita attorno a lei si placasse per potersi rifugiare nel silenzio.
Quando finalmente il mondo tacque e scese la notte, la sovrana oscura si ritrovò sola con i suoi fantasmi.
Si alzò dal letto con un po' di difficoltà e prese a scrutare dalla finestra il mondo addormentato, sorprendendosi a pensare che nulla, né l'alba più tersa né la stella più splendente, erano abbastanza per essere paragonate alla bellezza perduta di Astelera.
La squama affissa nel suo petto non pungeva più; era come se fosse morta. 
La donna, tenendo la schiena incurvata come una vecchia, si voltò e uscì dalla propria stanza. Camminò a lungo nei corridoi silenziosi, i piedi nudi che si posavano sulle mattonelle congelate e la veste da notte che frusciava leggera.
Arrivò finalmente dinnanzi alla sala del trono e vi entrò, incedendo con la camminata di uno spettro.
Al mattino la guardia reale entrò nella sala, per disporsi lungo le pareti secondo il consueto.
Trovarono la regina seduta sul trono, in veste regale. In mano teneva la propria spada a mo' di scettro, mentre l'altro braccio era mollemente adagiato sul bracciolo di broccato.
- Mia regina - si fece avanti uno dei soldati, esitante - Voi dovreste riposare...
La donna lo trafisse con un'occhiata glaciale.
- Riposerò quando sarò sotto terra - dichiarò altera - C'è un piano di conquista da portare avanti.
 
 
 
 
 
 
FINE
 
 
 

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