Storie d'altri tempi

di _Niente_Paura_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Conte Luna Morta ***
Capitolo 2: *** La festa degli innamorati ***



Capitolo 1
*** Il Conte Luna Morta ***


Questa storia partecipa al contest fiume "Acquerelli" indetto da Juriaka nel forum di EFP


Il Conte Luna Morta


Da tempi immemori vi era una tenuta nei pressi di Vecchia Varnikem, non si sa bene quando tale stuttura fu costruita, ma di certo è assai antica e con una storia le cui radici affondano nelle origini di questo mondo.
La tenuta era di proprietà di un antica famiglia nobile della città, i Darcy. La stuttura, tutt'oggi esistente, si presentava all'epoca come una lussuosa struttura, presentava diversi elementi architettonici di diverse epoche, ciò faceva presupporre continui restauri e rinnovamenti da parte dei proprietari.
Quel di cui però dovremmo parlare non è la storia della tenuta, ma ben sì di chi vi abitava e del perchè tutti gli abitanti scapparono dalla loro città natia, trovando rifuggio in una vallata vicina, fondando così Nuova Varnikem.


Era stato tanto tempo fa, saranno passati due secoli o più, ma la leggenda del Conte Luna Morta è più viva che mai nei cuori di tutti.
La tragica storia inizia con il matrimonio tra il signor Darcy e la dama Elisabeth. La famiglia Darcy era una delle fmiglie più prestigiose all'epoca, mentre la dama Elisabeth era una donna proveniente da una famiglia di ricchi borghesi, ma non nobili.
Quest'ultimi convolarono a nozze, nonostante l'uomo fosse promesso alla regina Kniverod, la quale non prese molto bene il rifiuto, ma i due novelli sposi non badarono tanto alle ire della donna, escludendola dalla loro vita.
Da quel matrimonio nacquero tre bambini : Il primogenito Leon, la secondagenita Janette e l'ultimogenita Keira.
Gli anni passavano e tutti parevano scordarsi della Regina Rossa, eppure pian piano, viscida come una serpe, la donna strisciava vilmente nei pensieri del loro primogenito
«Te ne pentirai» aveva detto Kniverod al signor Darcy, ma questo non sembrò affatto impaurito, inconsapevole della sorte che sarebbe toccata alla sua famiglia.


Quel che più saltava all'occhio della famiglia Darcy erano i primi due figli della coppia, Leon e Janette. Entrambi possedevano una folta e brillante chioma fulva, ed è risaputo come tale colore non promettesse nulla di buono. Infatti bastava conoscerli un po' meglio per vedere degli atteggiamenti insoliti in loro. Da una parte vi era Leon, alto con un viso allungato ma con guance morbide ed occhi di un verde pallido, il cui portamento spesso era sprezzante e non era difficile che tendesse a tener lontani i propri cari; mentre dall'altra v'era Janette, anch'essa alta e da una fisionomia corposa e due grandi occhi cerulei, il suo sguardo spesso e volentieri era vacuo, non metteva forza nelle sue movenze, sembrando quasi una bambola di pezza, non era poi così strano che la ragazza rimanesse spesso ferma, sembrando quasi una fredda statua inanimata.


Leon crescendo diveniva sempre più cupo e scontroso, andando a divenire l'opposto del bambino che era. Un temperamento nervoso e freddo caratterizzava il giovane, il quale oramai parlava a stento.
Il perchè di questo cambiamento non era ben chiaro a nessun membro della famiglia, esclusa Janette, la quale godeva della posizione di confidatrice nei riguardi di Leon. Visti dall'esterno sembravano i classici fratelli inseparabili, loro due da soli contro il mondo.
«Janette, devo dirti una cosa» disse un giorno lui prendendole la mano con dolcezza, non battè ciglio Janette, non si scompose minimamente, ma v'era abituato oramai al gelo della sorella
«Io … sento delle voci, sono sempre dietro di me non stanno mai zitte» ancora una volta Janette non fece una piega, ma come sempre Leon non mollò la presa
«Loro mi bisbigliano cose, cose molto brutte ed io a volte li ascolto» deglutì nervosamente mentre l'ascoltatrice ancora non batteva ciglio, era come se fosse morta
«Per questo a volte io … faccio quelle cose … a te» lentamente la ragazza si voltò verso il fratello, un gesto freddo e macchinoso, ma non si lasciò intimorire, anzi affondò i suoi occhi verde pallido in quelli cerulei di lei
«Un giorno una signora rossa mi disse ''Queste voci sono un dono, seguile e ti condurranno alla felicità''» abbozzò un sorriso Leon, ma Janet non rise
«Capisci Janette? Io voglio essere felice» chiunque al posto di Leon avrebbe avuto il gelo nelle vene, ma non lui, quindi non ebbe alcun effetto su di lui quando la sorella si alzò dicendo una semplice frase
«Lasciami morire».


Era risaputo come Janette fosse quasi morta, ma il perchè di tale condizione nessuno sapeva dirlo con certezza. La ragazza non parlava quasi mai e quando lo faceva biascicava appena due parole, lasciando sentire un tono di voce flebile e sottile. Ci fu un momento che tutti s'erano convinti che questa s'era ammutita, ma ben presto smentì tali dubbi dicendo chiaramente
«Lasciatemi stare» ci fu un attimo di pausa, come se dovesse riprendersi da un grosso sforzo «Non capireste» ed era verissimo, ciò che teneva dentro non era possibile capirlo e forse se l'avesse rivelato avrebbe scoinvolto tutti. Solo Leon sapeva, il suo caro fratello, così tanto amato ed eppure così tanto odiato.
Guardava alcune notti dentro quelle pupille verdastre e sembrava voler perdersi dentro, nuotare in quel colore così scialbo.
Janette l'odiava eppure lo amava, v'erano momenti in cui era lei stessa a cercar la sua mano, convincendosi che ne avesse bisogno che senza di lui era persa
«La voce mi ha detto di far ciò Janette, mi dispiace» quella frase le rimbombava nella testa, l'eco del fratello l'accompagnava sempre, un po' come lui era accompagnato da quelle 'voci'.
Strizzò gli occhi, cercò di svegliarsi da quella strana condizione che l'affliggeva, eppure il suo corpo non voleva risponderle, restava flaccido e privo di vita, come se fosse morta dentro.
Perchè non riusciva ad essere normale? Cos'era che la frenava dall'esprimere emozioni? Non sapeva la risposta a nessuna delle domande che si sottoponeva, eppure la ragazza s'ostinava a farsi domande su domande.
Non era raro che questa decidesse di chiedere al fratello, ma questo le rispondeva con tutta la dolcezza del mondo
«Dovresti imparar ad accettare il mio amore» ma quel che lui non capiva è che così dicendo le stava lacerando l'anima, facendola morire.


Era notte, la luna piena riempiva con invadenza il cielo e Janette dischiuse leggermente gli occhi, aveva udito dei passi nel corridoio

No, non un'altra volta

pensò lei mentre cercava d'alzarsi dal suo letto. I passi si avvicinavano, erano lenti e poco rumorosi, sapeva benissimo a chi appartenessero, ma non volle pensarci Janette, la quale con le ultime forze si tirò giù dal letto.
Non era la prima volta che accadeva, ma era troppo stanca per far domande, era appassita dentro per poter trovare un barlume di forza, le costava già fin troppa fatica respirare.
A piedi scalzi si appiattì al muro, cercando una qualche via di fuga, tremava come una foglia e sentiva come se le gambe non la reggessero più. Il respiro della donna era divenuto irregolare e la mano scheletrica venne portata alla bocca nel vano tentativo di calmarsi.
La porta vibrò impercettibilmente, poi scricchiolò ed infine venne aperta dolcemente da una bianca mano il cui proprietario era Leon ed il cui sguardo era assorto nei suoi pensieri.
Avanzò di qualche passo con sicurezza, poi richiuse con delicatezza la porta alle sue spalle. In quel momento la ragazza cominciò a fissare il pavimento, non incrociando lo sguardo del fratello appena arrivato e con il fiato spezzato provò dirgli
«C-he se-i ve-nut-o a-a a fa-r-r-re ?» non piangeva la ragazza, ma tremava, tremava così tanto da farla cadere infine rovinosamente a terra. A tale visione sorrise il ragazzo, e lo fece con una dolcezza disarmante, la dolcezza d'un aguzzino convinto seriamente d'amare la propria vittima
«Come se tu non lo sapessi già sorellina» disse lui in un soffio chinandosi verso di lei, poi si avvicinò al suo orecchio prendendo il volto soffice ed arrossato tra le mani
«Io ti amo» era stanca Janette, infatti non oppose la minima resistenza, come un cadavere si lasciò cadere tra le sue braccia.
Distese Janette sul letto, le sciolse i capelli e sistemò la veste da notte bianca. La ragazza nel mentre era immobile e ferma come una bambola di porcellana, non un solo mugugno uscì dalla sua bocca, nemmeno quando il fratello si distese sopra di lei, le accarezzò la guancia destra, poi sorrise
«Sei veramente bella questa sera» non disse nulla la ragazza, gli occhi vacui s'erano già persi nelle iridi verdastre.
Leon afferrò i polsi di Janette e li strinse così forte da lasciarle dei lividi violacei, poi affondò la testa tra l'esile collo della sorella ed il cuscino, ed infine gemette, gemette molto forte, così come la sorella, la quale però si morse forte le labbra, fino a farle sanguinare, quasi a volerle strappare via .
Gli occhi erano secchi e spalancati, iridi cerulee che osservavano il soffitto nel tentativo di non sentire i gemiti del fratello, immaginando altro e viaggiare con la mente lontano da quel posto.


Quando ebbe finito il fratello si tolse al di sopra della fragile ragazza, allentò finalmente la presa sui polsi, lasciando intravedere quelli che erano dei lividi violacei assai scuri. Li avvicinò alle sue labbra e baciò la soffice pelle con tanta dolcezza, ma sembrava che Janette non fosse lì.
Si alzò di scatto Leon osservando la ragazza con gli occhi aperti e le labbra dischiuse, da sotto il labbro inferiore colava un rivolo di sangue rosso vivo, mentre da sotto gli occhi sgorgavano copiose lacrime silenziose
«Janette» la chiamò il fratello, le sorrise flebilmente e le accarezzò la guancia «Visto? Io ti amo» non sorrise la ragazza «Mi hai sentito? Janette sei l'amore della mia vita»
Si alzò e Leon la fece fare, poi la osservò dirigersi alla finestra con il volto completamente piatto e privo di alcuna espressione.
«Janette?» la voce di Leon s'incrinò leggermente, quasi divenne stridula.
I freddi piedi della ragazza si misero sul davanzale, poi come una foglia si lasciò andare, facendosi cullare dalla dolce brezza notturna. S'udì un tonfo e dall'alto Leon vide una pozza rossastra allargarsi da sotto un corpo inerte.
Attonito restò fermo e paralizzato per molto tempo, fissando incredulo la finestra aperta dalla quale filtravano i pallidi raggi lunari.
«Janette … perchè» disse lui ora singhiozzando «Perchè non hai capito che io t'amavo, t'amavo per davvero» copiose lacrime rigarono il volto del giovane che s'era accasciato a terra, nel mentre gracchianti risate risalivano dentro la sua mente


Fufufu! Che stolto! Come pensavi d'amarla? L'hai uccisa


«Non è vero! Io l'ho sempre amata e quel che facevo era per dimostrarlo»


E come lo hai dimostrato ingenuo? Fufufu! Le hai logorato l'anima


«Megere! Come m'avete condotto verso la rovina, non verso la felcità»


Stupido ragazzino, davvero non sei in grado di capire? Come hai potuto fiderti ciecamente? Per caso non sei in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato?


Non rispose, effettivamente non rispose più a nessuna di quelle voci, poiché queste dopo pochi attimi si volatizzarono, mentre della sua anima non v'erano che brandelli, come se fosse morto dentro come sua sorella Janette.
Era solo adesso, soffriva, soffriva mentre il silenzo assordante, mai udito in vita sua, lo soffocava.
Il dolore lo attanagliava, gli impediva di di tener lucidi i pensieri, ma poi d'improvviso non avvertì più nulla, solo la gelida morte del suo spirito.
Si alzò ed andò via da quella stanza, non v'era più alcuna espressione in viso, era come se avesse perso ogni traccia d'umanità. Non sapeva come spiegarlo, l'anima era come se si fosse spaccata irrimediabilmente, e ciò non gli permetteva in alcun modo di riuscir a sentire alcuna emozione se non un roco e secco dolore, ma non riuscendo a tollerarlo sembrò pian piano estraniarsi dalla realta.
Uscì dalla stanza, chiuse la porta con disinvoltura e si diresse verso la camera della sorella Keira, nel mentre nella sua testa echeggiava solo un fastidioso silenzio.
Una volta dentro sorrise appena, si piazzò sopra la sorella, destandola dal sonno. Quest'ultima si svegliò appena e vedendo il fratello sgranò gli occhi, ma non le fu permesso nemmeno un grido, poichè prontamente le fu tappata la bocca

Se non sei più viva Janette mia, nessuno merita d'esserlo

Le fredde mani di Leon si strinsero attorno al collo ed alla bocca di Keira, la quale con occhi sgranati e ricolmi di lacrime lo fissava, non importava quanto si dimenasse o quanto bruciasse la gola, la presa del fratello diveniva sempre più forte, fino a quando anche lei s'afflosciò tra le sue braccia, divenendo come sua sorella un cadavere.
Sentì ancora una volta uno strappo, e a tale movimento notò come egli sembrava star meglio, il dolore pareva ovattato

Ancora, ancora, voglio essere felice

Continuò ad uccidere quella notte, costringendo tutti gli abitanti di Varnikem a scappare via, il ragazzo come se fosse assetato di vite umane, uccideva chiunque si piazzava dinanzi lui, sembrava non riconoscere più nessuno, era diventato una bestia.
Il cielo da quel giorno si tinse di nero, pesanti e fitte nubi coprirono il cielo, oscurando per sempre il cieo su Vecchia Varnikem. I supertiti scapparono via e fondarono Nuova Varnikem, lasciando solo colui che non solo aveva ucciso la sua famiglia e chissà quante altre persone, ma persino la Luna, la quale non era più visibile da Vecchia Varnikem.

Tale notizia piacque alla regina Kniverod, e leggendo una lettera da parte d'una delle casate di Varnikem rise, rise come mai aveva fatto.



N.d.a.

Ciao, sono felice se stai leggendo fin qui! Spero che la storia ti sia piaciuta. Il testo è tratto da una mia bruttissima esperienza che già ho raccontato, per hanni ho provato a racchiudere il mio dolore, ma i tentativi sono stati vani.
Ringrazio Juriaka che con il suo contest mi ha ispirata ad iniziare questa raccolta, la quale mi aiuterà a definire meglio il mondo della Fiamma Nera.
Ringrazio anche Kim, senza la sua serie su Jason forse non avrei maturato un tema pesante come lo stupro, ma grazie a te sono riuscita a trovare la storia giusta che cercavo letteralmente da anni.


 

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Capitolo 2
*** La festa degli innamorati ***



 

La festa degli innamorati



Rejern è stata da sempre una città ricca non solo nel denaro, ma anche nello spirito e nelletradizioni, le quali affondano le proprie radici fino ai secoli più bui.
Tra le tante festività,una in particolare attira l'attenzione degli stranieri, così particolare e romantica da prender piede anche nelle regioni limitrofe.
La festa del girasole è una festa che si svolge all'inizio dell'estate, quando le giornate hanno raggiunto il massimo della loro durata e il girasole compie un giro più ampio.

Le origini di questa festività sono disparate, ma tutte concordano su una sola cosa : come il girasole segue il sole, Merkel seguiva Shapea.
Secoli fa, quando Rejern era assai diversa rispetto ai giorni odierni, vi erano immense distese di grano e tanti contadini che lavoravano nei campi, ora il numero delle piantagioni è considerevolmente diminuito, ma la festa è più viva che mai.
Tra i capi si narra che vi era questa giovane ragazza, Merkel. Questa aveva il viso tondo ed un naso sottile con la punta arrossata, solitamente sul suo viso v'era stampato un dolce sorriso.
Un giorno dal sud-est arrivarono delle truppe, in quegli anni si stavano svolgendo le trattative per la pace tra Rejern e Vecchia Varnikem, ma tali faccende non sembravano turbare i contadini, i quali accettavano accondiscendente qualunque realtà senza fiatare.
Quel giorno era uno come gli altri, non importava se bianchissimi cavalli sfrecciavano sulla strada sterrata, e se scintillanti armature color cianotico accecavano i passanti, Merkel doveva prendere i covoni e portarli nel fienile.

 

Era tarda sera quando Merkel era uscita fuori casa, così da poter prendere aria. I capelli li teneva sciolti, mentre il viso s'impallidiva a causa del freddo.
Stava sul portico della sua piccola casa, poco distante fra dei vicoli poteva osservare due alte figure coperti di armature in cuoio. Sentì un urletto da parte di questi e storse il naso, costatando come fossero dei soldati ubriachi di ronda, e così mettendosi mani sui fianchi andò ad affrontare i due ubriachi, convinta di far chissà cosa.

Lei era proprio una bella ragazza, non c'è dubbio e di certo non aiutava con questi energumeni che cominciarono a fischiarle contro e affibbiandole epiteti come “Bella bionda” oppure “Occhioni azzurri”, a tali avance la ragazza scappò via, mentre questi continuavano a fischiarle dietro.
La ragazzina aveva le lacrime agli occhi e correva a più non posso e quando arrivò alla porta se la tirò alle spalle.
Fu dopo il sonoro SLAM che la giovane sentì una rombante voce inveire contro i soldati.
«Voi! Soldati di questa città ubriacarvi mentre siete di ronda? Come diavolo è possibile ...» un attimo di pausa, Merkel non udì alcuna risposta, allora aprì leggermente la porta e spiò dallo spiraglio.
«Allora? Che poi non c'è cosa più disgustosa che importunare una giovane fanciulla che infondo non vi aveva fatto nulla!» sospirò pesantemente il cavaliere, la figura era alta e slanciata ed aveva dei lunghi capelli di un rosso fuoco. Il cavaliere prese con violenza le spalle degli uomini in questioni e cominciò ad avanzare verso quella che era la casa di Merkel, la quale osservando tale scena rimase impietrita ed incapace di muoversi.
Sentì bussare alla porta, pesanti nocche metalliche erano a pochi passi da lei
«Scusate, è permesso?» disse una voce imperiosa chiaramente femminile, esitò qualche istante Merkel ma appellandosi a tutto il suo coraggio aprì la porta, trovandosi dinanzi oltre ai soldati dal volto arrossato e sudato, una figura alta e slanciata e con un petto tronfio. Osservò sbalordita la figura dinanzi a lei, era una cavallerizza con una coda ben stretta ed alta, la quale teneva a bada una folta chioma rossa.

La cavallerizza diede due scappellotti ai soldati «Allora? Cosa dovete fare?» chiese questa impaziente rimirando la ragazza
«Ci scusi»
«Dovevamo fare il nostro lavoro e …» e questo dopo neanche aver completato la frase ecco che vomitò tutto sul pavimento. Fu un attimo, Merkel d'improvviso vide la cavallerizza prendere i due e scaraventarli lontano con una furia che aveva dell'indescrivibile, poi senza neanche chiedere permesso entrò in casa
«Avete un secchio vero? Devo pulire il macello di quei deficienti» sgranò gli occhietti Merkel, mentre rimirava l'alta e slanciata figura, sembrava che non riuscisse a staccar gli occhi di dosso a quel corpo racchiuso in un armatura nera intarsiata da pietre azzurre
«Oh! Che scema, non vi ho chiesto il permesso d'entrare e nemmeno sapete chi sono ...» si schiarì la voce «Sono Ser Shapea, cavaliere di Varnikem dell'ordine del Pegaso, posso entrare?» sebbene la risposta più logica fosse “Non ti sembra un po' tardivo?” questa non fu la risposta di una giovane ragazzina infatuata
«Il piacere è … è mio Ser Shapea … io … io sono Merkel … e vivo qui ...» un attimo di silenzio imbarazzante fra le due, mentre Merkel diveniva sempre più rossa e Shapea più confusa
«Allora posso prendere il secchio?» disse Shapea interrompendo il rimuginare dell'altra
«Oh! Certo! CERTO!» e così dicendo si precipitò a prendere l'occorrente per poi uscire di casa e dirigersi al pozzo, mentre dietro vi era una Shapea strillante «Si fermii!! Dannazione! Non ha capito che i soldati sono ubriachi?! Non sappiamo che intenzioni abbiano! LA PREGO!» non importava quanto si sgolasse, quella era ormai partita felicissima all'idea di aiutare la cavallerizza che neanche lei stessa poteva fermarla, doveva solo aspettare che si placasse.
Arrivata al pozzo finalmente andò a riempire il secchio, mentre Shapea la teneva d'occhio
«Da quel che vedo il lupo perde il pelo ma non il vizio, eh?»
«Cosa?»
«Ma come cosa? Lei è uscita fuori di corsa in piena notte, dopo che è fugita appena dei soldati ubriachi hanno alzato la voce … io non capisco» a tale spiegazione rise Merkel, lasciando ancora di più interdetta Shapea «Vede, spesso faccio determinate cose ma be' … le faccio senza pensarci, agisco d'impulso» alzò un sopracciglio Shapea, ma Merkel continuò «Sono troppo impulsiva delle volte e quindi finisco per combinare queste cavolate» tirò su il secchio, Shapea lo strappò dalle sue mani «Venga, andiamo a pulire quel casino» e nel dire ciò accennò un leggero sorriso.

Passarono i giorni e Merkel tirava in alto la testa, sforzandosi di vedere una folta chioma rossa, ma niente. Le giornate passavano veloci e lei come il girasole cerca il sole, lei cercava il suo di sole. Per quanto potesse sembrare assurdo lei era già innamorata di quel cavaliere, ma non poteva dirlo ad anima viva, che avrebbero detto? Non è ammissibile che una donna possa invaghirsi di un'altra donna, e poi anche se l'avesse trovata cosa avrebbe fatto? Merkel non aveva il coraggio di aprirsi, quindi era meglio lasciar correre, ma il movimento del girasole è involontario e non puoi dirgli di fermarsi e non guardare più il sole.
Erano passati venti giorni e le truppe di Varnikem se ne stavano andando, forse lei era già partita. Merkel portava i covoni di fieno e li portava al fienile, durante il tragitto si fermava ed osservava i cavalli scalpitanti calpestare la strada polverosa, quanti cavalli vide quel giorno, quanti cavalieri e soldati, eppure fra loro lei non c'era.

Arrivò il tramonto ed il sole si stava tuffando tra le montagne, e lei anche se stanca, continuava a guardare quella strada mentre portava gli ultimi covoni al fienile.
D'improvviso sgranò gli occhi e lasciò cadere quell'ammasso di fieno, dinanzi a lei tantissimi cavalieri dall'armatura nera impreziosita da intarsi azzurri sfilavano in fila indiana. Il primo aprì la sfilata con lo stendardo azzurro con un pegaso bianco, mentre dietro vi erano così tanti soldati, ma tutti indossavano l'elmo ed erano tutti uguali, impossibili da riconoscere. Con le lacrime agli occhi cominciò a strillare avvicinandosi alla filata
«Non lasciarmi!»
«Shapea non lasciarmi!»
Passò circa un ora in questo stato, le corde vocali logore, gli occhi arrossati e con le gambe tremanti, eppure nessuno s'era fermato, se n'erano andati tutti e lei s'era adagiata sull'erba, ignorando le frecciatine di ogni dove ed abbandonandosi sul tappeto erboso.

 

«Cos'è che abbiamo qui?» una voce vagamente familiare echeggiò nella testa, aprì gli occhi pigramente Merkel, poi si mise a sedere stropicciando gli occhi assonnati. Inutile dire che fu enorme la sorpresa quando dinanzi lei v'era un grosso girasole, e la mano che tendeva il fiore giallo sgargiante era proprio di Shapea.
Abbondanti lacrime cominciarono a scorrere e rigare il volto della giovane Merkel, la quale strappò via dalle mani il girasole e si fiondò tra le braccia di Shapea
«Dov'eri? Perchè non ti ho vista tra le schiere del tuo ordine? Era l'ultimo giorno e tutti i cavalieri di Varnikem dovevano scendere!» esitò un attimo «Aspetta! Mica vorresti restare qua?» sorrise amabilmente Shapea, prese la mano tremante di Merkel e s'inginocchiò
«Niente di tutto questo mia dolce signora, io scenderò a Varnikem e non sarebbe male se lei scendesse con me» restò senza parole la ragazzina, la quale fissava la cavallerizza con gli occhi lucidi ed arrossati, mentre la mano tremante stringeva il girasole.
«Ma mio padre non vorrà mai … due donne … non è … concesso» schioccò con violenza la cavallerizza rialzandosi in piedi ma continuando a stringere la mano
«Non ho chiesto nulla a suo padre, la prego mi faccia l'onore d'essere la mia compagna, prometto d'amarti e rispettarti» erano dolcissime parole, teneri versi d'amore che fecero crollare in un pianto disperato la tenera Merkel che affondava il viso nella dura armatura di Shapea.
S'allontanarono, non si seppe più nulla di loro, e mentre alcuni teorizzavano sul possibile suicidio di Merkel, altri avanzavano un'ipotesi decisamente meno macabra.
Il giorno seguente alla fuga delle due, i genitori trovarono un girasole dinanzi la porta, poco distante fermato da un sasso v'era un foglietto su cui v'era scritta la parola “Kaires”, una forma di congedo di Rejern.Il giorno seguente dietro la porta v'erano molti più girasoli, questi erano stati posti da alcuni abitanti. Il giorno dopo ancora la stessa storia, passavano i giorni e i girasoli aumentavano a dismisura.
Non v'era un innamorato di Rejern che non avesse messo un girasole dinanzi quella porta, era divenuto un simbolo e da secoli la tradizione continua, seppur leggermente variata nei secoli.

Per quel giorno l'intera Rejern si colora di giallo, viene sommersa da questi girasoli posti dagli innamorati per dichiarar il loro amore dinanzi tutti.

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