Murder on the Riviera Express

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Selezione OC ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 - Sarà un Natale di merda! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 - Ci sono troppi gatti su questo treno ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 - E' una strana strega, quella ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 - Alla fine tutti avevano ciò che meritavano ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 - Mai fidarsi di una francese! ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 - Qui qualcuno ci sta prendendo per il culo ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 - Ratatouille ***
Capitolo 10: *** Capitolo 8 - Dove hai trovato tutte queste decorazioni? ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 - Buona vigilia! ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 - Merry Catmas ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11 - Quale pizza sei? ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12 - Prospero ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13 - Non mi stupirebbe se l'avesse uccisa lei ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14 - Se solo questi gatti potessero parlare ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15 - Alexandra (Parte I) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Murder on the Riviera Express

MURDER-ON-THE-RIVIERA-EXPRESS
 
 
Prologo
 
 
Notte tra il 21 e il 22 dicembre, Germania
 
 
Asriel Morgenstern odiava i treni.
Terribili marchingegni, diavolerie traballanti che correvano ad alta velocità inventate dai Babbani due secoli addietro per trasportare merci, bestiame e infine persone al fine di coprire lunghe distanze.
Erano passate quasi sue decadi, eppure ricordava benissimo il suo primo viaggio in treno: aveva da poco compiuto 11 anni, e si accingeva ad andare ad Hogwarts per la prima volta. L’idea lo emozionava, ma aveva lanciato un’occhiata perplessa al treno a vapore rosso mentre suo padre gli caricava i bagagli, chiedendo con titubanza alla madre se quell’affare fosse sicuro.
Asriel ricordava chiaramente il modo in cui la donna avesse riso per poi rassicurarlo, ma non fu comunque particolarmente entusiasta di salire sull’Espresso per Hogwarts negli anni seguenti.
 
Così come non lo era stato quando, una settimana prima, il suo capo lo aveva gentilmente informato di volerlo spedire nella gelida e grigia Berlino in prossimità del Natale per una breve missione, approfittando del fatto che parlasse fluentemente il tedesco, e che al ritorno lui e il suo partener avrebbero dovuto fermarsi a Nizza. Dove sarebbero giunti dopo un intero giorno passato in treno.
 
In un primo istante, Asriel credette di essersi svegliato a causa dei movimenti della diavoleria dove era stato costretto a salire e che gli procuravano da sempre una fastidiosissima nausea, ma ben presto realizzò di aver udito dei rumori fuori dalla sua cabina, nel vagone della Prima Classe.
Maledicendo gli idioti che lo avevano svegliato l’Auror, stretto nella branda a causa della sua considerevole stazza, si girò sul fianco e cercò di rimettersi a dormire, rammentandosi di capire chi l’avesse svegliato e di conciarlo per le feste il mattino seguente.
 
*
 
Sedette sulla branda della sua cabina-letto dopo essersi vestito e armeggiò col suo Zippo d’argento per accendersi una sigaretta, maledicendo i movimenti del treno che avevano quasi del tutto vanificato i suoi tentativi di dormire per tutta la notte, così come i suoi vicini da cabina. I cartelli che vietavano di fumare erano ovunque, ma l’Auror non era intenzionato a prestarci molta attenzione: fumava una sigaretta  appena si alzava ogni giorno da anni, e non aveva intenzione di rinunciare al suo unico vizio solo perché lo avevano costretto a prendere un maledetto treno e a restarci rinchiuso per un giorno intero.
 
Era partito da Berlino il giorno prima, riuscendo a prendere il treno per un soffio, e ora lui e il suo partener si accingevano a raggiungere Nizza prima di tornare in Inghilterra, a Londra.
Oltre ai treni, Asriel odiava anche i francesi. Non stupiva che quell’incarico gli fosse stato assegnato a seguito di una lite con il suo superiore, ma la nota positiva era che almeno il viaggio sul Riviera Express, per di più in prima classe, era pagato dal Dipartimento.  
Traballando sulla branda a causa dei movimenti del treno, Asriel imprecò a denti stretti prima di riuscire, finalmente, ad accendere l’unica sigaretta che, ogni giorno, si concedeva.
Stava per godersi quei pochi momenti di relax quando, all’improvviso, udì un forte trambusto fuori dalla sua cabina, come se qualcuno stesse correndo e urlando.
Il mago ebbe appena il tempo di far sparire la sua sigaretta con la magia quando udì qualcuno bussare con impazienza alla porta della sua cabina, e si alzò per aprirla facendo sfoggio della sua espressione più seccata: che diavolo volevano, da lui, a quell’ora? Non aveva neanche fatto colazione.
 
“Sì?”
Il mago aggrottò la fronte nel trovarsi davanti un giovane inserviente del treno, la divisa verde con bottoni dorati addosso e un’espressione quasi terrorizzata sul volto mentre balbettava qualcosa in inglese:
“Lei è l’Auror?”
“Sono io, sì.”
“Mi segua, presto.”
 
Asriel si pentì di non aver negato per far sì che se ne occupasse il suo partner, che probabilmente stava ancora beatamente dormendo, ma di qualunque cosa si trattasse si vide costretto a seguire il ragazzo dai capelli color sabbia e il forte accento tedesco lungo il corridoio, finchè non giunsero davanti ad una cabina infondo al vagone della prima classe, la numero 3.
 
“Per la barba di Merlino…”
La cabina lussuosa era in uno stato a dir poco disastroso, con le tende fatte a brandelli, il letto sfatto e diversi oggetti riversati sul pavimento, molti dei quali in frantumi.
Ma a colpirlo non fu il disordine. Quanto più il corpo di una donna dai lunghi capelli biondi che giaceva immobile sul pavimento, i capelli sparsi sul parquet e il braccio destro sollevato accanto alla testa.
 
Asriel mosse un passo per avvicinarsi al cadavere, facendo attenzione a non toccare niente, e una seconda consapevolezza lo assalì: gli occhi azzurri del mago indugiarono sul bel volto della donna che aveva davanti prima che tutto il corpo dell’Auror si irrigidisse, e numerosi ricordi risalenti ad anni lontani riaffiorarono all’improvviso.
 
“Porca Morgana.... Dica al capotreno di fermare tutto.”
Il ragazzo indugiò, ancora sconvolto, e Asriel si voltò di scatto verso di lui prima di parlare con lo stesso tono perentorio con cui si rivolgeva ai ragazzi dell’Accademia:
 
“ADESSO.”


Il giovane trasalì ma annuì, e sempre più pallido e spaventato corse via lasciandolo solo. Asriel scavalcò il vassoio della colazione che doveva essere caduto dalle mani del ragazzo quando aveva aperto la porta e si avvicinò alla strega, inginocchiandosi accanto a lei per studiarne il volto rilassato ma privo di vita, gli occhi chiusi e le rosee labbra carnose dischiuse.
 
Che cosa ci faceva quell’arpia di Alexandra Sutton morta sul pavimento della sua cabina?
Merlino, quel viaggio di ritorno era appena diventato ancor più seccante del previsto. Senza contare che, con ogni probabilità, la persona che aveva programmato di “conciare per le feste” la notte precedente aveva anche scagliato l’Anatema che Uccide sulla vittima.
 

 
 
 
 
21 dicembre, ore 20.40, Stazione di Berlino Centrale
 
 
Alexandra Sutton, in piedi al binario 12, stringeva con la mano guantata di rosso il manico della sua preziosa valigia. Un facchino le si era avvicinato chiedendole cordialmente se voleva lasciarla a lui, ma la strega aveva declinato l’offerta: dentro quella valigia c’era praticamente tutta la sua vita. Senza contare che era una pur sempre una Vuitton, non l’avrebbe mai lasciata in mani altrui.
 
Il treno, il Riviera Express blu, nero e rosso con il nome e quello della ricchissima e prestigiosa compagnia belga impresso in oro (Compagnie Internationale des Wagons-Lits), era già al binario, e la strega lo osservava con attenzione mentre finiva di fumare la sua sigaretta.
Il suo breve soggiorno a Berlino era finalmente giunto al termine – odiava la Germania, soprattutto nei mesi più freddi, quando tutto diventava grigio e gelido – e ora doveva solo raggiungere Nizza per trascorrere lì il Natale, nella sua casa sulla Côte d’Azur, come ogni anno.
La visita al suo cliente, seppur breve, era stata davvero estenuante. Alexandra moriva dalla voglia di potersi concedere, finalmente, un po’ di riposo.
L’orologio della stazione battè le 20.42: mancavano esattamente 3 minuti alla partenza del treno, e la strega gettò i resti della sua sigaretta nel cestino più vicino prima di dirigersi verso la porta della Prima Classe, dove ovviamente avrebbe viaggiato.
 
Se doveva trascorrere un’intera giornata e una notte in treno, tanto valeva farlo con ogni comfort possibile.
Stava per salire i due gradini che le avrebbero permesso di montare sul treno – ignorando la mano che un inserviente vestito in verde e oro le porse –, in bilico sui tacchi a spillo, quando udì una voce urlare qualcosa nella sua lingua.
Incuriosita, la strega si voltò, e spalancò gli occhi con sincera sorpresa quando dalle scale del sottopassaggio che collegavano la stazione ai binari emerse la figura alta e ben piazzata di un uomo che conosceva, avvolto in un lungo cappotto scuro: Asriel Morgenstern, l’Auror più testardo con cui avesse mai avuto a che fare. Nonché il più affascinante, peccato che sembrasse totalmente immune al suo fascino fin da quando erano studenti di Hogwarts.
 
Le labbra carnose della strega si piegarono in un sorriso mentre saliva sul treno - ignara di essere osservata - portando la preziosa valigia di pelle marrone con sé, lasciandosi accompagnare alla sua cabina mentre si ripeteva che quel viaggio, con Asriel Morgenstern a bordo, si sarebbe di certo rivelato molto più piacevole e pieno di sorprese.
 
 



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Angolo Autrice:
 
 
Ho due storie in corso, e non dovrei assolutamente essere qui a pubblicare un Prologo, ma disgraziatamente anche se gli anni passano su certe cose non cambio proprio mai.
Allora, la storia prende chiaramente ispirazione da “Assassinio sull’Orient Express” di Aghata Christie, se non l’avete letto correte subito a farlo, e sarà interamente ambientata sul Riviera Express, un treno realmente esistente che ricopre la distanza Berlino-Nizza e che fa sempre parte della compagnia belga di treni di lusso che possiede il famoso Orient Express.
Si parla di “ispirazione” per l’ambientazione e gli eventi, ma sottolineo che Asriel è distante anni luce dal personaggio di Hercule Poirot e che il finale del libro a cui mi ispiro, in caso lo conosciate, non sarà ovviamente lo stesso della storia.
 
Regole:
  • Le iscrizioni sono aperte fino al 23/12, avete tempo fino alle 19 per mandarmi le schede. Lo dico sempre e lo ripeto: vi prego, se vi rendete conto di non riuscire a mandare la scheda o di non averne voglia avvisatemi, non fatevi risucchiare da un buco nero. Vi fate una miglior figura e mi facilitate la vita, non sbranerò nessuno che dovesse ritirarsi.
  • Potete partecipare con due OC al massimo che possono essere estranei come amici, parenti, colleghi di lavoro in viaggio o una coppia.
  • Non accetto Vampiri, Licantropi, Veela, Animagus e chi più ne ha più ne metta.
  • L’età degli OC dev’essere compresa tra i 25 e i 30 anni e TUTTI, per un motivo o per l’altro, devono conoscere la vittima almeno di sfuggita
  • Poiché ci troviamo su un treno che va da Berlino a Nizza, se volete potete mandarmi un paio di OC tedeschi o francesi che non abbiano studiato ad Hogwarts, ma a Beauxbatons o Durmstrang. Accetterò solo un paio di casi al massimo ovviamente, e badate che comunque devono avere un possibile movente per la morte di Alexandra, quindi scegliete in modo consapevole. 
  • Dovrebbe essere scontato, ma non accetto Mary Sue o Gary Stue e neanche personaggi con grave patologie mentali.
  • Le schede vanno inviate tramite mp – non recensione –, e se metteste come oggetto del messaggio “Scheda OC” ve ne sarei molto grata.
  • Vi chiedo la cortesia, se decidete di partecipare, di farvi vivi ogni due capitoli. Che sia per recensione per commentare in maniera articolata il capitolo, che sia per mp per discuterne in privato con me o anche su Instragram poco importa, ma dovete farvi vivi in uno dei seguenti modi.
 
Considerando che si tratta di una storia dove non mi è possibile riaprire le iscrizioni per ovvi motivi, poiché non è molto plausibile che fino al settimo capitolo un sospettato sia rimasto chiuso in bagno (Grazie Bri per la brillante idea <3), vi prego di cercare di non darvi alla macchia se doveste essere scelti. Se avete già intenzione di sparire dal sito prossimamente, evitate di partecipare a prescindere, così da non compromettere la storia e quindi anche altre persone.
NB: ho bisogno di un personaggio che ricopra il ruolo di partner di Asriel (può essere uomo o donna, non importa), ma solo e soltanto uno, quindi per favore prima di richiedermelo controllate quante richieste mi sono già arrivate.
 
Scheda:
Nome:
Età:
Ex Casa: (se non ha studiato ad Hogwarts, indicate la scuola)
Stato di sangue:
Prestavolto:
Aspetto fisico:
Segni particolari:
Personalità:
Lavoro:
Storia e Famiglia:
Descrivere a grandi linee il suo percorso scolastico:
Perché viaggia sul Riviera Express:
In che vagone viaggia (I, II o III classe?): (si parla di un treno di lusso, dove viaggiare in prima classe costa parecchio, quindi riflettete sulla condizione economica/familiare del vostro OC)
Passioni/Talenti:
Fobie/Debolezze:
Bacchetta:
Amicizie/Inimicizie:
Relazione e orientamento sessuale: (se ne ha già una, descrivere il partner)
Se lo conosce, rapporto con Asriel:* (punto molto importante per il suo collega)
Rapporto con Alexandra e possibile movente:*
Animale, se lo ha: 
Altro:
 
 
*: manderò ai partecipanti dei trafiletti per entrambi, ma intanto ve li presento brevemente.
 
 
Asriel Jörg Morgenstern, 30 anni, Auror, ex Corvonero, eterosessuale
(Pv: Chirssone Evans)
Asriel
 
Madre inglese e padre tedesco, Asriel nasce e cresce in Inghilterra e fin da ragazzino decide di voler diventare un Auror, diplomandosi col massimo dei voti. Poco estroverso e socievole, è dotato di una sottile vena cinica e di un sarcasmo tagliente, ma anche di uno spiccato acume. Non parla molto, il suo mantra è “vivi e lascia vivere”, ma è un ottimo osservatore che prende il suo lavoro molto seriamente.
 
 
 
Alexandra Sutton, 29 anni, Magiavvocato, ex Grifondoro, bisessuale
(Pv: Amber Heard)
Alexandra
 
Ex studentessa mediocre, ma solo per impegno mancato, Alexandra dopo il diploma ad Hogwarts, dove colleziona uno screzio dietro l’altro a causa della sua inclinazione a dire sempre ciò che pensa, intraprende la carriera di Magiavvocato. Dotata di un fascino e di un’ars oratoria invidiabili, diventa ben presto una professionista eccezionale che vince quasi tutte le proprie cause, ma allo stesso tempo si ricopre della cattiva fama di difendere chiunque per un lauto compenso.
 
 
Grazie in anticipo a chi vorrà partecipare, a presto e buona giornata! (E per chi partecipa a WOTR, ci vediamo stasera)
Signorina Granger

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Capitolo 2
*** Selezione OC ***


Murder on the Riviera Express 



Selezione OC
 
 
Non solo era stato spedito in quella maledetta, grigia e gelida Berlino a ridosso del Natale.
Non solo era stato costretto a viaggiare in treno per un giorno intero e una notte compresa.
Non solo gli era stato accollato un partner molto più giovane e inesperto di lui.
No, ora qualche maledetto stronzo decideva di assassinare una dei Magiavvocati più celebri della Gran Bretagna proprio mentre la suddetta strega viaggiava sul suo stesso treno.
 
Quando si dice che la fortuna è cieca, ma che la sfortuna ci vede benissimo.
 
Mentre attraversava il vagone della Prima Classe a passo di marcia, furioso, con metà del personale che correva da una parte all’altra in preda al panico e il treno che iniziava ad arrestare fino a fermarsi del tutto in mezzo al nulla, circondati da chilometri e chilometri coperti da neve in un angolo remoto della Germania, Asriel Morgenstern venne colto da un’improvvisa consapevolezza: sarebbe stato un Natale di merda.
 
“HAMPTON! SVEGLIATI!”
Fermatosi dinanzi alla cabina accanto alla sua, l’uomo prese a bussare con foga, ma senza ottenere risposta. L’Auror, che non aveva né tempo né voglia di aspettare, si vide costretto ad estrarre la bacchetta dalla tasca interna della giacca del completo di tweed che indossava:
Merlino, fa che non abbiano ucciso anche lui…”
Quando la serratura scattò grazie ad un rapido Alohomora non verbale, Asriel aprì la porta quasi temendo di trovare un secondo cadavere: ci mancava solo un duplice omicidio di cui occuparsi, dopodiché la sua sequenza di sfortune sarebbe giunta al capolinea.
Fortunatamente però, il suo partener era vivo, vegeto, illeso e anche profondamente addormentato, coperto fino al naso dalla trapunta rossa della branda, steso scompostamente sul materasso e un braccio ciondolante.
“Per le sottane di Morgana… Hampton, alzati.”
 
Asriel avanzò e si piazzò accanto alla branda dopo aver riposto la bacchetta, le braccia muscolose strette al petto e gli occhi chiari fissi, perentori, sul collega che ancora era cullato dalle braccia di Morfeo.
Hampton, non ho intenzione di farti da babysitter e di darti un bacio per svegliarti, MUOVITI!”
“Eh? Bacio? No, grazie…”


James aprì pigramente gli occhi, lanciò un’occhiata vacua al collega e poi gli diede le spalle girandosi sul fianco, ancora mezzo addormentato. Gli ci vollero alcuni istanti per realizzare, sentendosi pervadere da una dose considerevole di puro orrore, che lo sguardo truce di Asriel Morgenstern era davvero fisso su di lui, che non stava dormendo e che l’Auror si trovava nella sua cabina.
“Porca… S-scusami Asriel, sono sveglio, giuro.”
Il giovane mago scattò in piedi, incespicando tra le lenzuola, e Asriel alzò gli occhi al cielo di fronte al pigiama a righe dell’altro prima di parlare con tono piatto:
 
“Piccolo, o forse non tanto, inconveniente. Hanno trovato un cadavere in una delle cabine della Prima Classe, il treno è stato fermato e stanno cercando di mettersi in contatto col Ministero tedesco.”
“Un cadavere? QUI? Com’è successo? Suicidio?”
“No. Omicidio, per di più di una donna britannica, quindi di certo ci accolleranno il caso anche se è avvenuto in terra straniera. Vestiti, Hampton, a meno che tu non voglia incontrare il Capotreno e il personale in pigiama.”
Ignorando l’espressione attonita del giovane Auror – reduce da non troppo tempo dal Diploma dell’Accademia – Asriel girò sui tacchi e uscì dalla stanza senza aggiungere altro, chiudendosi la porta alle spalle prima di sospirare, scuotere la testa e tornare nella sua cabina.
 
Stava morendo di fame, ma qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto attendere ancora un po’ per fare colazione.
 
James, rimasto solo, si grattò la testa e si domandò chi fosse la suddetta vittima: aveva visto solo alcuni degli altri passeggeri del treno la sera prima, nel vagone ristorante, ma la donna in questione poteva essere chiunque.
Decise però che ci avrebbe pensato più tardi e di darsi, invece, una mossa per vestirsi: del resto avrebbe visto la vittima con i suoi occhi di lì a breve, e l’ultima cosa che voleva al mondo era far aspettare Asriel Morgenstern.
Solo quando stava per uscire dalla cabina James si rese conto che il treno si era fermato e che si trovavano in mezzo alla neve, tra il limitare di un bosco di conifere coperte da una coperta di neve e un’apparente landa desolata.
 
Il bel volto del ragazzo venne, all’improvviso, attraversato da una smorfia e da una tetra consapevolezza: era il 22 dicembre, quindi mancava solo un giorno al suo compleanno. Se non fossero ripartiti in fretta, avrebbe compiuto 25 anni su quel treno, e forse anche trascorso il Natale.
 
 
 
Asriel, dal canto suo, era tornato brevemente nella sua cabina per darsi una sistemata – lungi da lui incontrare il capotreno con i capelli in disordine – quando una terribile consapevolezza lo invase: il piccolo trasportino bianco poggiato sul pavimento era vuoto, la porticina socchiusa.
“Zorba?!”
Non gli ci volle poi molto, guardandosi attorno nella piccola cabina, per rendersi conto che il suo gatto non c’era.
Doveva aver aperto, ancora una volta, la gabbietta con le unghie.
 
“Porca Puttana, ci mancava solo questa… ZORBA! Qualcuno ha visto un adorabile gatto nero?!”
 
Affacciatosi in corridoio, disperato, Asriel prese a guardarsi attorno con foga alla ricerca dell’animaletto, intercettando lo sguardo attonito del ragazzo dai capelli color sabbia che lo aveva condotto da Alexandra Sutton poco prima:
 
“Ma Signore, è stato trovato un cadavere!”
“ME NE FREGO DEL CADAVERE, la donna è già morta e può aspettare, il mio gatto no, e devo trovarlo! James!”
 
“S-sì?”
James, appena uscito dalla sua cabina, sobbalzò e pregò di non aver già fatto qualcosa di sbagliato mentre Asriel, serissimo, gli si rivolgeva con un ordine perentorio:
“Io vado dal capotreno, tu trova il mio gatto.”
“Zorba? Ma… Non è nella sua gabbietta?”
“E’ scappato, e non ho intenzione di lasciarlo in libertà con un assassino sul treno. Povero piccolo…”
 
Povero me, semmai…”
“Come?”
“Nulla, lo cerco subito, Asriel!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Buonasera e buon Natale a tutti, per quanto possibile vista la situazione odierna.
Ringrazio di nuovo tutti coloro che si sono iscritti e che mi hanno mandato la/e scheda/e, e anche le persone che hanno provveduto a ritirare per tempo la propria partecipazione alla storia.
Non ho scelto come mio solito moltissimi personaggi, e spero che nessuno che non è stato selezionato se la prenda: oltre al mio non voler prendere troppi OC è stata una selezione un po’ complessa, non dovevo prendere solo personaggi che mi piacessero, ma che avessero anche dei buoni moventi, e alcuni erano più deboli di altri.
Comunque, se qualcuno volesse delucidazioni, sono più che disponibile come sempre per un confronto educato (sottolineo EDUCATO, se dovete venire ad insultarmi lasciate pure perdere in partenza, non riceverete risposta).
Detto ciò, ecco la lista dei fanciulli scelti:
 

 
 
James Jonah Hampton, 25 anni, ex Tassorosso, Auror, Mezzosangue, Demisessuale Biromantico
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Elaine Primrose Fawley-Selwyn, 26 anni, ex Tassorosso, cantante, Purosangue, Eterosessuale
Elaine-2  
 
Lenox Augustus Flint, 30 anni, ex Tassorosso, insegnante, Purosangue, Eterosessuale
Lenox  
 
Clodagh Garvey, 28 anni, ex Tassorosso, Auror, Mezzosangue, Eterosessuale
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May Hennings, 26 anni, ex Grifondoro, Obliviatrice, Mezzosangue, Bisessuale
May-2  
 
Reneè Astrid Ollivander, 25 anni, ex Grifondoro, Fabbricante di Bacchette, Mezzosangue, Eterosessuale
Rene-1  
 
Finn Amine Murphy, 29 anni, ex Corvonero, scrittore, Purosangue, Bisessuale
Finn  
 
Delilah Yaxley, 29 anni, ex Serpeverde, Fotografa, Purosangue, Eterosessuale
Delilah-1  
 
Prospero Lucifer Mac Gregor/De Aureo, 29 anni, ex Serpeverde, Mercante, Mezzosangue, Pansessuale
Prospero  
 
Corinne Leroux, 29 anni, ex studentessa di Beauxbatons, Atleta, Purosangue, Bisessuale
Corinne  
 
Clara Odette Picard, 28 anni, ex studentessa di Beauxbatons, ex Spezzaincantesimi, Mezzosangue, Eterosessuale
Clara-1  
 
Ruven Schäfer, 27 anni, ex studente di Durmstrang, Chef del Riviera Express, Mezzosangue, Eterosessuale
 
Ruven-1
 
 
E questo è Zorba, il gatto di Asriel e vero e unico protagonista della storia (scherzo, o forse no): 
Zorba

Inoltre, ho già una "domanda", se così si può definire, per voi: se vi va, potete mandarmi dettagli sull'abbigliamento del vostro OC. Moltissime persone già ne hanno fatto cenno nella scheda, ma se volete approfondire anche con immagini (qui o su Instagram) fate pure.  
Prima di chiudere, vorrei sottolineare la necessità che voi non spariate. Non posso riaprire le iscrizioni, eliminare i personaggi è difficile in un contesto del genere e per quel che ne sapete il vostro OC potrebbe essere il colpevole. Se avete deciso di partecipare, di mandarmi la scheda e di mettervi in gioco, vi prego cortesemente di non sparire, perché farlo nuocerebbe alla storia stessa e a tutti gli altri. Per favore, un po’ di educazione, avete la bici, ora pedalate e fatela andare.
Perdonate il francesismo, ma ultimamente la mia pazienza è stata messa davvero a dura prova.
Piccola nota per quanto riguarda le coppie: non so quante se ce ne saranno. Di norma mi diverto moltissimo a crearne, ma capirete che la trama di questa storia segue un’altra direzione e che ci troviamo in un contesto un po’ particolare. Inoltre, la storia non sarà particolarmente lunga per ovvi motivi, quindi anche il mio tempo materiale a disposizione per crearne non è molto.
 
Come potete vedere, ho scelto due Auror. La colpa è di Em e di Bea, perché li ho amati troppo entrambi per scegliere… Il partner di Asriel per il caso sarà James, mentre la presenza di Clodagh sarà spiegata più avanti, non temete.
 
Detto ciò, vi comunico che nella fase iniziale la storia potrebbe andare un po’ più a rilento rispetto al mio solito: non mi manca moltissimo per concludere un’altra storia che ho in corso, e quando avrò finito WOTR mi potrò dedicare con maggior dedizione a questa. Cercherò comunque di farvi avere presto il primo capitolo, promesso, ma intanto volevo farvi avere la Selezione come piccolo regalo di Natale.
Buone feste a tutti, abbuffatevi per bene e se già non lo fate vi consiglio di seguirmi su IG, così non vi perdete niente.
A presto!
Signorina Granger

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 - Sarà un Natale di merda! ***


Capitolo 1 – “Sarà un Natale di merda!”
 
 
22 Dicembre, mattina

 
 
Delilah aveva faticato non poco a prendere sonno, quella notte. I movimenti del treno, infatti, non avevano fatto altro che peggiorare le difficoltà a dormire che la strega già riscontrava da sempre, da quando era bambina.
Non c’era da stupirsi, quindi, se la fotografa era ancora immersa nel mondo dei sogni a mattina inoltrata, rannicchiata sulla branda della sua cabina in II classe con il piumino a coprirla fino al mento.
O almeno finchè una lunga sequenza di suoni non la svegliò, costringendo la strega ad aprire pigramente gli occhi color nocciola e a guardarsi attorno con iniziale smarrimento, chiedendosi dove diavolo fosse.
Ben presto, ripresasi dal sonno, Delilah si mise a sedere massaggiandosi il retro del collo rammentando di essere in viaggio per Nizza, ma la canzone che l’aveva svegliata, cantata in una lingua che non conosceva e suonata da un’orchestra, le impedì di appurare che il treno non si stava più muovendo.
 
“Chi cazzo è che ascolta questa roba all’alba delle dieci!?”
 
Sbuffando, la strega si scostò il piumino blu notte di dosso e infilò i piedi pallidi nelle pantofole nere. Infine si alzò e aprì con mala grazia la porta della cabina, permettendo alla musica di solleticarle l’udito con maggior violenza.
“Si può sapere chi sta ascoltando questa roba a quest’ora?!”
“Ma signorina, sono le dieci passate…”
 
Il facchino in divisa verde con dettagli in oro, tra cui i bottoni della giacca a doppio petto e le cuciture del berretto piatto, tacque di fronte allo sguardo torvo che la strega gli rivolse. Era già pronta a fare visita ad alcuni dei suoi vicini per chiedere all’appassionato di lirica di farsi un giro in mezzo alla neve quando la porta della cabina accanto alla propria si aprì, rivelando la figura alta e longilinea di un ragazzo dagli ondulati capelli neri e, a differenza di Delilah, vestito di tutto punto.
 
Delilah che, ferma sulla soglia della sua cabina, si voltò verso il suo “vicino” in contemporanea con il mago, ritrovandosi a scordare momentaneamente la sua avversione per la lirica di prima mattina quando i suoi occhi indugiarono su un viso molto familiare.
“Laila?!”
“Ro-Ro?!”
 
Delilah e Prospero si studiarono per una frazione di secondo, prima che le labbra sottili del mago si incurvassero in un sorriso allegro, chinandosi verso la strega per stritolarla in un abbraccio.
“Che diavolo ci fai qui, pestifera?”
“Potrei chiederti lo stesso, ma sono felice di vederti. E’ da secoli che non ci incrociamo!”
Delilah sorrise di rimando, assestando all’ex compagno di scuola e di Casa un buffetto sul braccio quando Prospero sciolse l’abbraccio, guardandola divertito.
La strega stava per chiedergli se fosse sul treno per farsi una vacanza in Francia quando, all’improvviso, la sua fronte si aggrottò: Ro era suo vicino di cabina, a quanto sembrava. Dunque viaggiava in II classe.
“Aspetta un secondo… tu… tu viaggi in II classe?”
 Delilah lo scrutò, accigliata e seria in volto, ma non gli diede il tempo di rispondere: un istante dopo un sorrisetto iniziò a farsi largo sul volto pallido della strega, che guardò l’amico con occhi luccicanti.
Che cosa diavolo nascondi, Ro-Ro?”
“Un uomo non può viaggiare in II classe, per caso?”
 
Prospero aggrottò la fronte e guardò l’amica dall’alto in basso simulando un’espressione offesa mentre Delilah, sbuffando e incrociando le braccia al petto, ricambiava divertita:
“Non se è ricco quanto lo sei tu! Oh, beh, lo scoprirò, il mio lavoro stesso mi impone di essere ficcanaso in certe circostanze.”
“Come preferisci, piccola detective. Facciamo colazione insieme?”
“Volentieri, muoio di fame, anche se penso che prima dovrei darmi una sistemata…”
L’ex Serpeverde chinò lo sguardo sul suo pigiama nero dal taglio maschile mentre Prospero, ridacchiando, le assicurava che l’avrebbe aspettata.
La porta si era appena chiusa alle spalle della strega quando un’altra figura nota fece il suo ingresso nel vagone, attraversando il corridoio preceduto da un inserviente del treno.
Prospero guardò, attonito, Asriel Morgenstern passargli davanti senza apparentemente accorgersi della sua presenza, superandolo con un’espressione poco benevola impressa sul volto dai lineamenti marcati e coperto da un leggero strato di barba non fatta.
Dopo un iniziale momento di smarrimento, Prospero abbozzò un debole sorriso: aveva la sensazione che il viaggio sarebbe proseguito in modo molto poco ordinario.
 
*
 
“Zorba? Merlino, dove ti sei cacciato? Certo, tanto poi Papà Brontolo se la prende con me, non col suo amato gattino!”
James parlò con un sospiro mentre esaminava con cura il vagone della II classe, pregando affinché il micio non si fosse infilato in qualche cabina: non aveva nessuna intenzione di bussare alle porte dei passeggeri di prima mattina, specie considerando che a breve si sarebbe disseminato il panico misto alla frustrazione per l’interruzione del viaggio.
 
Quando individuò un gatto nero raggomitolato sotto ad un termosifone per scaldarsi, James provò un immenso moto di sollievo. Avvicinandosi, tuttavia, si rese conto che il gatto – che gli lanciò un’occhiata diffidente con i grandi occhi verdi – non aveva il collarino rosso di stoffa con sonaglietto che Zorba portava sempre.
Il giovane Auror si chinò leggermente, mettendosi i palmi sulle ginocchia mentre osservava il felino di rimando:
“Mh, no, non mi sembri Zorba. Di questo passo dovrò Appellarlo…”


“Mon chère, Qu'est-ce que tu fais ici? » *
 
Udendo una dolce voce femminile ammorbidita da accento francese James alzò lo sguardo appena in tempo per vedere una strega – che ad occhio doveva avere un paio d’anni più di lui – dagli ondulati capelli color cioccolato e grandi occhi da cerbiatta, contornati da lunghe ciglia scure.
“Excuse moi, Monsieur.”
Incurvando le labbra carnose in un sorriso cordiale la strega rivolse un cenno del capo al gatto e James, intuendo che fosse lei la proprietaria, si affrettò ad annuire e a fare un passo indietro per permetterle di prendere il micio in braccio.

“Oh, certo. Scusi.”
“Oh, Anglais. Scusi lei, il mio gatto è un po’… come si dice, turbolento.”
 
James abbozzò un sorriso – evitando di informarla di essere alla ricerca di un gatto dal carattere molto difficile e di essere a sua volta proprietario della gatta più impossibile mai esistita – prima di chiederle, aggrottando la fronte e ringraziando mentalmente che la strega parlasse inglese, se per caso avesse visto un altro gattino nero in giro.
“No Monsieur, je suis desolè. »
La ragazza scosse il capo, dispiaciuta, e James, che intuì il significato delle sue parole, sospirò prima di annuire con un debole sorriso:
« Grazie comunque. Arrivederci. »
 
Il ragazzo la superò per andare a setacciare la III classe e Clara, rimasta sola con Loki, il suo gatto, lo seguì brevemente con lo sguardo prima di lanciare un’occhiata alla grande vetrata che aveva di fronte. Il treno si era inequivocabilmente fermato.



*
 
 
“Monsieur, esigo di sapere perché il treno è fermo. Dovevo essere a Nizza entro stasera tarda!”
“Sono desolato Miss Leroux, ma non posso… non possiamo ancora farne parola con i passeggeri, mi dispiace molto.”
 
Corinne Leroux, una dei passeggeri della I classe, sedeva nella zona del vagone ristorante adibita ai fumatori tenendo pigramente una delle sue Gauloises Blondes Bleues tra le dite. Le gambe pallide accavallate con disinvoltura e i capelli biondi perfettamente pettinati, la strega teneva i penetranti occhi azzurri fissi sull’inserviente che aveva davanti, un ragazzo della sua età che, però, ricambiava il suo sguardo quasi con un che di intimorito.
“Lei sa quanto ho speso per questo biglietto, vero? E adesso ci fate arrivare in ritardo a Nizza?! Alla faccia del rigore di voi tedeschi.”
“Miss Leroux, sono sicuro che la Compagnia provvederà a rimborsare tutti i passeggeri, se il ritardo dovesse essere molto consistente.”


Corinne sbuffò piano e distolse lo sguardo, liquidando il giovane con un rapido gesto della mano che impugnava con grazia la sigaretta.
Non erano i soldi, infondo, a preoccuparla. Di quelli ne aveva a sufficienza. Ma l’idea di passare il Natale e le sue agognate vacanze in un angolo remoto della Germania, bloccata su un treno, non la rallegrava per niente.
La strega si era alzata presto e aveva già fatto colazione: la tazza, il piccolo bricco e il piattino che aveva davanti infatti erano già vuoti. Stava per andare a ritirarsi nella sua cabina – anche se la musica lirica che proveniva dal suo stesso vagone non accennava ad arrestarsi, facendole quasi venire voglia di restare nel vagone ristorante – quando una voce familiare e che parlò la sua lingua madre la costrinse a voltarsi di scatto dal finestrino:
“Coco!”
Erano ben poche, al mondo, le persone che la chiamavano con quel dolce soprannome. Soprannome che le provocò un sorriso istintivo, seppur colmo di stupore, quando posò lo sguardo su chi l’aveva salutata.
“Clara! Qu'est-ce que tu fais ici? »
«Beh, che domande, vado a Nizza. Tu invece… mi sorprende non vederti a qualche convegno, ricevimento o cose del genere. Non viaggi con Èole?”
L’ex compagna di scuola le si avvicinò sfoderando un amabile sorriso, e Corinne si alzò per abbracciare l’amica e salutarsi con il consueto doppio bacio sulle guance prima di scuotere la testa e ricambiare il sorriso, mostrando così il diastema dentale che la caratterizzava fin dalla nascita.
“No, per un viaggio del genere ho preferito il treno, questa volta. Devi fare colazione? Io ho già finito, ma ti faccio volentieri compagnia… E’ da quasi un anno che non ci vediamo.”
“Non per colpa mia, non sono io la bella star sempre troppo impegnata!”
 
Un sorriso colpevole incurvò dolcemente le labbra di Corinne, che ignorò deliberatamente l’occhiata scandalizzata che l’amica riservò alle sue gambe completamente nude, lasciate scoperte dalla gonna del suo elegante vestito nero.
“Mon dieu, ancora non hai imparato cosa siano le calze, Coco?! Morirai assiderata!”
“Via, non fare la tragica… Monsoir? Porti alla mia amica tutto ciò che vorrà, è mia ospite.”


 
*
 
“Porco di un Merlino, le sue mutande e il suo cappello, ma quando finirà?! Hai dei tappi per le orecchie da prestarmi, Ro?”
“No Laila, sono desolato. Puoi sempre andare a sfondare la porta della cabina, però, oserei dire che la musica provenga alla I classe.”
Prospero abbozzò un sorriso divertito mentre entrava nel vagone ristorante insieme all’amica dopo aver aspettato che Delilah si vestisse. Ora la strega, che presentava come suo solito una mise total black, si stava rassettando distrattamente i capelli color pece con le dita, e sbuffò sonoramente alle parole dell’amico, lanciandogli un’occhiata eloquente:
“Credi che non ci abbia pensato? Ma poi mi butterebbero fuori dal treno, figuriamoci! Sarà sicuramente una sorta di… passeggero di tutto rispetto a cui tutto il personale leccherà i piedi.”
“In effetti mi sorprende vederti in II classe, Laila.”
 
La strega ignorò deliberatamente il commento divertito dell’amico, facendo scorrere lo sguardo sui tavolini apparecchiati e sui pochi passeggeri presenti. In effetti, visto il periodo, era piuttosto certa che la locomotiva fosse poco affollata.
C’erano due ragazze della sua età che chiacchieravano animatamente in francese infondo a destra. Il volto della bionda le era particolarmente familiare, ma decise che ci avrebbe ragionato una volta messo qualcosa sotto i denti: stava morendo di fame.
Trascinò così Prospero verso il tavolo più vicino e poco dopo, mentre ordinava una quantità industriale di leccornie – “Offri tu, vero Ro-Ro?” –, una strega mora, pallida e con addosso una buffa sciarpa gialla e arancione prese posto nel tavolo dietro al loro, osservando il menù a sua volta.
 
“Allora, De Aureo! Che mi racconti, che ci fai sul treno? Lavoro, immagino.”
Poco dopo Delilah chiuse il menù con un gesto secco e, poggiati i gomiti sul tavolo, appoggiò il mento sulle proprie dita intrecciate per osservare l’amico con curiosità:
“Come sempre, ormai temo di essere prevedibile. Tu invece? Cosa ci facevi, a Berlino?”
“Mh, scusa Ro, non posso dirtelo, lavoro top secret.”
“Foto compromettenti su qualcuno?”
Prospero, che le sedeva di fronte tenendo le mani intrecciate in grembo e gli intelligenti occhi scuri fissi su di lei, abbozzò un sorrisetto divertito, chiedendosi chi fosse andata a pedinare l’amica fino in Germania.
“Diciamo di sì, sì… Ma temo sia meglio non rivelare l’identità del cliente, sai, ci tengono alla privacy.”


“Oh, certo, comprendo benissimo.”
 
*
 
Oramai James era disperato: non aveva trovato Zorba da nessuna parte, restavano solo il vagone ristorante e le zone dove tecnicamente non avrebbe dovuto mettere piede, come la cucina.
Il giovane si diresse sconsolato verso l’ala ristorante con un sospiro tetro e trascinando i piedi, chiedendosi dove si fosse cacciato il prezioso gattino del suo collega.
Era da tanto che desiderava di essere assegnato ad una missione insieme ad Asriel, che era uno degli Auror più stimati del Dipartimento, e ora di certo si sarebbe fatto una pessima figura.
 
Stava quasi per prepararsi un discorso dove annunciava al collega di non aver trovato il gatto quando, aperta la porta di vetro scorrevole, qualcosa di piccolo, nero e veloce gli sfrecciò accanto con uno scampanellio, intrufolandosi nel vagone sotto il suo sguardo sconcertato.
“Z-ZORBA! Ma dove diavolo eri?!”
James guardò attonito il gattino trotterellare verso uno dei pochi tavoli occupati, dove sedeva sola una strega mora. James non le poté scorgere il volto, visto che teneva il menù praticamente sollevato davanti al viso, ma in compenso vide Zorba miagolare e strusciarlesi su una gamba.
 
“Oh, che carino!”
Delilah, scorto il gattino, sorrise intenerita mentre il micio faceva le fusa sulla gamba della strega, che chinò lo sguardo e gli diede una carezza con un sorriso. L’ex Serpeverde avrebbe voluto fare altrettanto, ma l’occhiata eloquente di Ro la costrinse a desistere mentre aspettava la colazione:
“Laila, devo ricordarti che effetto fai ai gatti?”
“Oh, non è giusto, io vorrei solo dargli affetto e invece loro mi odiano! La vita è ingiusta, Ro!”


“Sì Laila, hai ragione, terribilmente ingiustissima.”
 
 
“Zorba, vieni qui subito!”
James – sforzandosi di apparire minaccioso, per quanto il maglione coi fiocchi di neve ricamati glielo permettesse – fece un passo avanti per acciuffare il gatto, ma Zorba fu più rapido e scattò via con un miagolio, correndo verso una porta che doveva condurre alle cucine.
“Oh, ma andiamo! Perché devo fare il cat-sitter?!”
 
“Che succede con quel gattino?”
Corinne aggrottò la fronte e lanciò un’occhiata scettica al gatto e al ragazzo che lo stava inseguendo mentre Clara, sorridendo quasi intenerita, parlava divertita:
“Oh, quel ragazzo lo cercava anche prima, dev’essere suo.”
“Bah. Anglais. Ehy!”
Era bastato un attimo, un solo istante di distrazione: Corinne aveva distolto lo sguardo e Clara, velocissima, le aveva sfilato la sigaretta dalle dita per poi farla Evanascere, sfoggiando un adorabile sorriso innocente di fronte all’occhiata torva dell’amica:
“Lo faccio per te, ti fanno male, il fumo uccide!”
“Ne ho tre pacchetti, Clara, non puoi farle sparire tutte una ad una.”
“Vogliamo forse scommettere?”
 
*
 
“Due porzioni di pancake, bacon, uova, caffè, sciroppo d’acero… Ma quanta roba mangia questa gente?”
 
Ruven guardò il foglietto con la comanda con gli occhi chiari fuori dalle orbite, chiedendosi con che razza di stomaco avesse a che fare.
Stava per mettersi al lavoro prendendo la pastella già preventivamente preparata quando un gatto nero entrato di soppiatto insieme al cameriere saltò sul bancone, guardando con curiosità lui e poi tutte le leccornie in preparazione con sguardo famelico.
“Oh, un ospite. Scusa carino, ma la cucina per i mici non è ancora aperta, dovrai tornare più tardi.”
Ruven, la giacca nera da chef a doppio petto addosso e una bandana bianca e nera allacciata sulla fronte, riservò un’occhiata divertita al gatto prima di sollevarlo e grattargli la testa, affrettandosi a toglierlo dal bancone mentre un ragazzo apparentemente esasperato entrava in cucina ignorando le proteste dei camerieri.
“Fatela finita, non parlo tedesco, è inutile! Devo prendere il gatto, chiedo scusa…”
“Non c’è problema, adoro i gatti. Ne ho uno anche io, starò gironzolando da qualche parte.”
Ruven, parlando in un inglese dal marcatissimo accento tedesco, consegnò il gatto tra le braccia di James, che sospirò sollevato e lanciò al micio un’occhiata di rimprovero:
“Ti sembrano cose da fare? Sparire dopo il ritrovamento di un cadavere? Brontolo avrà i nervi a fior di pelle e non vogliamo che il suo gattino sparisca, no?”
Zorba miagolò in segno di protesta, e cercò di sottrarsi alla presa di James, che però non aveva alcuna intenzione di farselo scappare mentre Ruven, guardandolo attonito, gli chiedeva di che diavolo stesse parlando.
“Ops, non dovevo dirlo! Beh, a breve lo sapranno tutti immagino… Grazie per il gatto, ma devo proprio andare, il lavoro chiama!”
 
Il giovane sfoderò un sorriso di scuse prima di affrettarsi ad uscire dalla cucina, lasciando lo chef a prendere il mestolo per la pastella con la fronte aggrottata, improvvisamente serio.
 
*
 
 
Le note di “Tutto cangia, il ciel s’abbella” riempivano la cabina dalle modeste dimensioni, ma il grosso gatto dal lungo pelo nero e dagli occhi eterocromi non sembrava prestarci attenzione, quasi ci fosse abituato: stava infatti acciambellato su una sedia, gli occhi chiari, uno verde e l’altro azzurro, fissi sulla sua padrona.
Canticchiando la melodia a bassa voce, Elaine stava finendo di vestirsi.
La sua branda era ricoperta dal gran numero di abiti che la giovane strega aveva portato con sé, ma tutto sarebbe presto tornato in ordine con un suo semplice colpo di bacchetta.
Elaine, in piedi davanti allo specchio, si stava ravvivando i lunghi capelli rossi dopo essersi truccata con estrema cura. Un paio di scarpe rosse dalla particolare suola del medesimo colore dotate di un tacco non indifferente stavano sul pavimento, in attesa che dei piedi le calzassero.
 
“Hai visto che bella giornata, Ailuros? E’ davvero una bellissima giornata.”
Le labbra dipinte di un tenue rosa antico della strega si incurvarono in un sorriso mentre, dopo essersi voltata verso di lui dando le spalle allo specchio, allungava una mano per sfiorare con le dita pallide il morbido pelo del gatto, che la lasciò fare senza smettere di guardarla placidamente.
 
Continuando a canticchiare a mezza voce le note del brano rossiniano, la strega sedette sul bordo del letto per infilarsi le scarpe e finire di prepararsi.
Come di consueto, si lanciò un’ultima occhiata allo specchio prima di aprire la porta, controllando di essere in ordine. I suoi capelli ramati, così come il tono acceso delle scarpe che indossava, spiccavano come lanterne nell’oscurità sul costosissimo completo nero che indossava sopra ad una camicia bianca di seta.
“Vieni Ailuros.”
Elaine rivolse un debole cenno al gatto, che come sempre obbedì e, dopo essere balzato giù dalla sedia, la seguì facendo ondeggiare la lunga coda pelosa. La padrona spense il giradischi e, raccolta la propria bacchetta, uscì dalla cabina in compagnia dell’inseparabile animale, che si stiracchiò mentre Elaine lanciava un’occhiata alla porta, chiusa, della cabina accanto alla sua.
 
Si era svegliata molto presto, in effetti, ma aveva passato del tempo stesa sulla branda a rimuginare, osservando la neve cadere placida e silenziosa oltre il finestrino.
Non aveva potuto fare a meno di udire un urlo strozzato, delle imprecazioni e poi dei passi davanti alla sua cabina. Infine, aveva sentito delle voci parlare nella sua lingua riferendosi alla sua vicina di cabina che, a quanto sembrava, era stata disgraziatamente trovata priva di vita.
 
“Su, andiamo a fare colazione. Avrai fame, tesoro.”
Elaine s’incamminò con grazia verso il fondo del vagone con l’enorme gatto al seguito, per niente stupita dal fatto che il treno fosse fermo.
 
 
*
 
 
 
“Conosceva la donna morta, Signor Morningstar?”


Morgenstern. Si, di sfuggita, ma non ho idea del perché si trovasse sul treno. Non l’ho vista a cena ieri, io mangio tardi ed è probabile che avesse già mangiato. Avete mandato un gufo al Ministro?”
Asriel, seduto nella cabina del capotreno, accettò di buona grazia la tazza di caffè – il suo stomaco ancora reclamava la colazione – che il tedesco gli rivolse, guardando il mago annuire prima di lanciare un’occhiata tetra alla distesa di neve in mezzo a cui si trovavano.
“Sì, lei ha fatto altrettanto?”
“Ho scritto al capo del Dipartimento, immagino che ci penserà lui a riferire. Penso che finchè non avremo risposte il treno dovrebbe restare fermo, Signore.”
“I passeggeri non ne saranno felici.”
Asriel aggrottò la fronte prima di bere un sorso di caffè liscio, come a voler dire che dell’opinione dei passeggeri non gliene importava un bel niente, prima di borbottare qualcosa con tono neutro:
“Tra i passeggeri o tra il personale c’è un assassino, Signore, penso che se ne faranno una ragione. Anzi, credo che dovrebbe convocare tutti nel vagone ristorante per spiegare perché il treno si è fermato.”
 
“Come vuole. E’ sicuro che sia stata uccisa?”
“Secondo lei non riconosco i segni dell’Anatema che Uccide? Dovrò requisire le bacchette di tutti, e dico tutti i presenti. E voglio una lista completa dei passeggeri a bordo. La vittima è una persona molto conosciuta, in Inghilterra, la notizia farà scandalo.”
 
Poggiata la tazza ormai vuota sul tavolino di legno, Asriel colse il sospiro cupo e il pallore sul volto del capotreno, ma decise di non farci caso: di certo la Compagnia avrebbe subito perdite molto consistenti dopo una notizia del genere, ma al momento il suo unico interesse era capire cosa fosse successo. E perché quell’arpia della Sutton fosse stata uccisa.

Stava rimuginando sulla scena del crimine quando, dopo aver udito bussare alla porta, un giovane facchino l’aprì rivolgendosi serio al Capotreno in tedesco, comunicandogli che un ragazzo voleva parlare con il “Signor Morningstar”.
 
Per i baffi di Merlino, è MOR-GEN-STERN! Come diavolo fate a sbagliarlo, siete tedeschi, per Morgana!”
“Scusi, Herr Morgenstern, essendo britannico pensavamo…”
“Lasciamo perdere. Chi mi vuole parlare?”
 
Il facchino in divisa si spostò permettendo ad un James sorridente di entrare nella visuale di Asriel, che parve illuminarsi quando scorse un ammasso di pelo color pece tra le braccia del più giovane:
“Zorba, eccoti! Dove ti eri nascosto?”
Asriel rivolse il più amorevole dei sorrisi al gattino quando lo prese tra le braccia, guardandolo fare le fusa mentre James sorrideva soddisfatto, pronto a ricevere le lodi che si era meritato:
“L’ho trovato in cucina, a dire il vero, mi ha fatto dannare!”
 
“Un gatto? Nella cucina del MIO treno?”
 
Ops, non dovevo dirlo
 
James sfoderò un piccolo sorriso di scuse al Capotreno, che parlò con un tono scandalizzato che fece immediatamente voltare Asriel verso di lui. L’Auror più vecchio ridusse gli occhi chiari a due fessure, lanciandogli un’occhiata raggelante prima di sibilare qualcosa a mezza voce:
“Considerando che dovrò togliervi da questo immenso casino, sono sicuro che il mio gatto potrà andare dove gli pare e piace. Corretto?”
“C-certo, Signor Morgenstern.”
“Bene. C’è un medico a bordo?”
“Non che io sappia, ma le farò avere al più presto la lista completa dei passeggeri… Sono piuttosto sicuro che ci sia una certa “Ollivander”, però. Non sono i vostri fabbricanti di bacchette? Magari potrà esservi utile.”
 
*
 
Renée si chiuse la porta della cabina alle spalle prima di infilare le mani nelle tasche dei pantaloni blu polvere del tailleur e lanciando al contempo un’occhiata obliqua al paesaggio innevato che circondava lei e il treno in cui, almeno fino a qualche ora prima, stava viaggiando.
La strega si avvicinò al finestrino e, ravvivandosi distrattamente i capelli biondi sciolti sulle spalle grazie al suo riflesso, udì una voce a lei familiare e dal tono preoccupato esprimere i suoi medesimi pensieri:
“Perché l’avranno fermato, secondo te?”
“Sarà un semplice guasto, che vuoi che sia… sono certa che ripartiremo presto, May.”
 
L’Obliviatrice, dal canto suo, lanciò all’ex compagna di scuola – che aveva incontrato per puro caso la sera prima nella stazione di Berlino, sulla banchina, scoprendo di dover prendere il medesimo treno – un’occhiata dubbiosa mentre si avvicinava a sua volta al finestrino. Tormentandosi la collanina d’oro che indossava sopra al dolcevita nero, May si guardò attorno senza trovare traccia di alcun riferimento particolare: non aveva idea di dove si trovassero, tutto ciò che poteva scorgere era semplicemente ricoperto di neve.
 
“Colazione? Ho davvero fame… non ho dormito molto, ieri notte.”
“Sì. Neanche io, di norma non faccio colazione così tardi… Beh, andiamo, forse potremmo chiedere a qualcuno di darci qualche spiegazione.”
May annuì e, quasi invidiando la calma placida dell’amica, s’incamminò assieme a lei attraverso il vagone della I classe dove Renée alloggiava per raggiungere il vagone ristorante.
“Ah, mi sono scordata di chiedertelo ieri sera, a cena… Come sta la piccola Pearl?”
Renée rivolse un debole sorriso all’amica, che parve scordarsi momentaneamente dei pensieri che l’affliggevano e ricambiò vivacemente:
“Bene, non vedo l’ora di rivederla! L’ho lasciata coi miei genitori, non potendo portarla con me, un po’ già mi manca.”
“Non so davvero come tu faccia, a badare ad una bambina piccola e a far conciliare quella parte della tua vita con il tuo lavoro… per quanto adorabile Pearl sia, ovviamente. Insomma, mi ci vedi?”
Renée aggrottò elegantemente la fronte e rivolse all’amica un’occhiata sinceramente dubbiosa, guardando May trattenere a stento una risatina mentre scuoteva il capo: no, decisamente faticava a figurarsi Renée Olivander, con il suo aspetto sempre impeccabile, i suoi bei vestiti su misura e la passione smodata che nutriva per il suo lavoro, a correre dietro ad una marmocchia.
 
*
 
“Grazie per aver trovato Zorba, ero preoccupato.”
Asriel chinò lo sguardo sul micino che stava facendo le fusa tra le sue braccia, e James si appuntò mentalmente di segnarsi quella data sul calendario prima di sorridere, allegro:
 
“Non c’è di che! Io ho chiuso Alpine nella mia cabina per evitare che scappi, anche se penso che non ne sarà molto felice…”
Il giovane Auror sospirò tetro, preparandosi alla terribile accoglienza che la sua gatta gli avrebbe riservato mentre Asriel, grattando distrattamente le orecchie del suo gattino, gli proponeva di fare colazione:
“Muoio di fame, e gradirei godermi un pasto in santa pace prima che la notizia del… tu sai cosa si diffondi. Al momento lo sa solo il personale, speriamo che non trapeli anche tra i passeggeri.”
“Pensi che dovremmo occuparcene noi?”
“Pf, è ovvio! Giacché siamo qui di certo ci accolleranno le indagini, non ho dubbi. Lo dicevo, io, che prendere il treno era un’idea di merda!”
 
James fece per rispondere, ma si ritrovò a riservare un’occhiata perplessa ad una donna che gli dava le spalle, appena uscita dalla sua cabina in II classe: era la stessa che aveva visto quella mattina, a colazione, a giudicare dalla sciarpa che indossava. Quella a cui Zorba aveva fatto le fusa.
Ora che ci pensava, era molto raro vedere quel gatto essere affettuoso con qualcuno che non fosse il suo padrone.
 
“Asriel, per caso conosci quella ragazza? Zorba le faceva le fusa, quando l’ho trovato… Strano, no?”
Il superiore aggrottò la fronte, perplesso e pensando la stessa cosa mentre la scrutava senza riuscire a scorgerla in volto, considerando che gli dava le spalle e stava chiedendo qualcosa ad un facchino.
Gli occhi chiari e ormai avvezzi ai dettagli di Asriel indugiarono sulla sciarpa gialla e arancione della donna, trovandola sinceramente orribile, e sui suoi capelli scuri, lunghi e lisci.
Ma fu quando vide il facchino congedarsi e allontanarsi che l’Auror scrutò, come scorgendolo solo in quel momento, lo zaino che la strega portava sulle spalle.
 
No. Era assolutamente impossibile.
Doveva essere un caso.
 
Un orribile zainetto di pelle colorato nella maniera più obbrobriosa, con alcune tasche color verde acido e altre fucsia, arancio fluo e turchese.
C’era solo una persona al mondo capace di indossare, alla faccia del buon gusto, un oggetto simile.
 
“Tienimelo un momento, per favore.”
Prima di avere il tempo di dire qualsiasi cosa James si ritrovò di nuovo Zorba tra le braccia. Il gatto miagolò offeso in direzione del padrone e il giovane guardò, sempre più confuso, Asriel attraversare a passi di marcia il corridoio, raggiungere la suddetta strega e prenderla per un braccio.
 
“Noi due adesso parliamo.”
“EHY!”
Sentendosi strattonare per un braccio la strega si voltò, scandalizzata, ma non riuscì a liberarsi dalla presa ferrea di Asriel, che spalancò la porta della sua cabina e quasi ce la trascinò al suo interno, ignorando gli strilli della strega:
 
“Scusate, un uomo grande e grosso mi sta trascinando in una stanza vuota contro la mia volontà! Nessuno ha intenzione di fare niente, davvero?!”
 
James, attonito, seguì la scena senza riuscire a muoversi per alcuni istanti.
Che buffo, anche se l’accento era decisamente strano c’era come qualcosa di familiare, in quella voce.
 
*
 
“AHIA, LASCIAMI SUBITO!”
“Non prendermi per idiota! Cos’è, hai una parrucca?!”
 
Asriel, sbuffando spazientito, afferrò i capelli della strega cercando di toglierle la parrucca, ma lei lo allontanò con una spinta poderosa con uno strillo prima di incrociare le braccia al petto, scoccandogli un’occhiata velenosa:
“Non ho nessuna parrucca, idiota!”
“Se volessi davvero passare inosservata dovresti smetterla di portarti appresso quello zaino che insulta ogni forma di arte e di bellezza concepita dall’uomo, Clodagh!”
“Sei il solito brutto scimmione, Brontolo! Per poco non mi mandi al diavolo la copertura!”
Copertura? Quale copertura, persino una doppia testa sarebbe più facile da camuffare del tuo accento irlandese! Che diavolo ci fai qui?”


Asriel imitò la collega stringendo al petto le braccia muscolose e coperte dalle maniche di tweed della giacca mentre Clodagh, estraendo la bacchetta spazientita, la puntava contro i suoi stessi capelli.
Stavano prendendo una particolare sfumatura ramata, accorciandosi al contempo, quando la porta si aprì e James, più confuso che mai, fece capolino sulla soglia:
“Asriel, ma che succede? … CLO! Ma che ci fai qui?!”
“JJ, ciao!”
La strega sorrise calorosamente al ragazzo, abbracciandolo con entusiasmo mentre Asriel li osservava spazientito, la fronte pericolosamente aggrottata nell’attendere una risposta.
 
Sì, sì, è bello ritrovarsi tutti insieme e appassionatamente per questa scampagnata con omicidio incluso, ma gradirei sapere che cazzo ci fai qui e perché andavi in giro parlando con un accento assurdo – pessimo, oltretutto – e con i capelli neri.”
“Si dia il caso che io sia coinvolta in un lavoro top secret e di grande importanza, Brontolo.”
Clodagh, dandosi una ravvivata ai corti capelli rossi tornati alla loro vera forma, incrociò le braccia al petto e parlò alzando il naso per aria, lanciando al collega un’occhiata di sfida mentre Asriel, sempre più scettico, la guardava senza capire:
 
“Lavoro top secret? Fammi capire, Potter ti ha mandata nel nostro stesso treno e non si è neanche degnato di avvisami? Io lo vado dicendo da anni, che è un idiota!”
“Sono incaricata di controllare una persona che guarda caso viaggia sul treno, tutto qui, è una strana coincidenza, credo. Nemmeno io sapevo che vi avrei trovati, ma ho riconosciuto il piccolo Zorba questa mattina.”
Clodagh rivolse un sorriso affettuoso al gattino, che le si avvicinò miagolando e strusciandosi sulle sue gambe come poco prima mentre James spostava lo sguardo da un collega all’altro, assistendo allo scambio di battute senza osare intromettersi:
“Beh, almeno ora si spiega perché Potter non ci ha assegnati allo stesso caso come al solito. Ma perché ha mandato te? E chi devi controllare?”
Asriel inarcò un sopracciglio, scettico, e guardò la collega e partner di lunga data stringersi nelle spalle:
“Doveva venirci Weasley, a dire il vero, ma gira voce che sua madre sia piombata al Dipartimento con delle lasagne per Potter e che lo abbia convinto a non mandare Ronald…”
“Certo, figurati se manda in missione il cognatino e amico del cuore a Natale! Patetico… Ma si può sapere perché ti sei cambiata i capelli, comunque? Non penso che chiunque tu debba controllare ti conosca abbastanza bene da riconoscerti, e potevi anche essere in viaggio per vacanza.”
Benchè si conoscessero da anni – anche troppi, per i suoi gusti – Asriel aveva la costante sensazione di non riuscire mai ad afferrare e a comprendere fino in fondo le scelte e i pensieri di quella strega bizzarra. Clodagh infatti si strinse nelle spalle con un debole sorriso, guardandolo con aria colpevole:
Oh, beh sai, volevo fare un esperimento per vedere come starei se cambiassi colore di capelli e ne ho approfittato, ma non sono molto convinta, il nero mi incupisce un po’ secondo me… Tu che dici JJ?”
“Mh, sì, stai meglio rossa Clo.”
 
“Mi dispiace interrompere la vostra discussione profonda da salone di bellezza, ma c’è stato un omicidio e soprattutto IO HO FAME. Clodagh, per caso dovevi seguire la Sutton? Perché è stata uccisa ieri notte.”
“No, in realtà no… Ohhh! E se fosse stata uccisa dal mio obbiettivo?!”
Clodagh spalancò gli occhi chiari, ma invece che sembrare inorridita sfoderò un debole sorriso, quasi la prospettiva la emozionasse mentre il collega si stringeva nelle spalle:
“Beh, lo scopriremo. Ma prima dovrai farci l’onore di dirci il nome, di grazia!”
 
“Merlino Brontolo, sei proprio scorbutico! Dovresti bere latte e miele, io lo dico da anni.”
 
*
 
Lenox sedeva con la sua cagnolina Polly, un’adorabile quanto turbolenta Cavalier King Charles Spaniel dal pelo blenheim, sulle ginocchia, carezzandole dolcemente la testa per sopperire al perenne desiderio di coccole della cagnolina.
Tutti i passeggeri del treno erano stati convocati nel vagone ristorante, e ora il mago aspettava aggiornamenti con trepidazione: il treno era fermo da un paio d’ore e sembrava che nessuno ne conoscesse la ragione.
Tutto ciò che sembrava noto ormai a tutti era che una cabina in I classe era stata sigillata, vietando l’accesso persino agli inservienti del treno e destando così un chiacchiericcio non indifferente tra i passeggeri.
 
Finn, seduto dall’altra parte della sala, teneva le braccia strette al petto. Un’espressione accigliata, quasi torva, gli oscurava il bel volto dalla pelle color caffelatte e coperto da un leggero strato di barba non fatta che il mago andò a sfiorarsi sovrappensiero.
Jessa glielo ricordava spesso, di tagliarsela, sfiorandogli il viso con un sorriso divertito ad illuminarle il volto. Non era raro che in assenza dell’amica Finn quasi scordasse di sistemarsela, e in quel momento più che mai si pentì di non averla accanto, incupendosi ancora di più.
Era salito su quel treno solo perché sapeva che ci sarebbe stata anche lei, ma Jessa non l’aveva seguito, decidendo di tornare a casa per le feste.
 
 
Lenox continuava a guardare fuori dal finestrino più vicino, irrequieto, quasi desiderasse che la locomotiva riprendesse a muoversi da un momento all’altro pur sapendo che non sarebbe stato possibile.
Quando un paio di persone, precedute dal Capotreno in divisa, fecero il loro ingresso nel vagone con tutti i passeggeri e i membri del personale presenti l’ex Tassorosso stava già iniziando a sentire una fastidiosa sensazione di calore opprimente, portandolo a sbottonarsi i primi bottoni della camicia che indossava sotto alla giacca.
Fu con lieve sorpresa, in effetti, che scorse la figura a lui nota – e impossibile da non riconoscere, vista la sua stazza non troppo comune – di Asriel Morgenstern, Auror di cui leggeva spesso sulla Gazzetta del Profeta e che soprattutto aveva condiviso con lui i banchi di scuola ad Hogwarts.
Serissimo come suo solito e vestito di tutto punto, era seguito da un ragazzo più basso di una decina di centimetri e visibilmente più giovane di qualche anno che Lenox non conosceva. Di certo aveva un’aria molto più affabile rispetto all’Auror, che scrutava i presenti quasi trapassandoli con lo sguardo.
 
“Mi dispiace per l’inconveniente, immagino che tutti i passeggeri abbiano dei piani da rispettare… ma temo che il treno non ripartirà a breve. Una dei passeggeri della I classe è stata ritrovata morta stamani, e il Ministro tedesco ritiene che non debba ripartire prima di scoprire cosa sia successo… Mi chiamo Asriel Morgenstern, sono un Auror e mi è stato affidato il caso. Verrete tutti interrogati, naturalmente, da me e dal mio collega. Nessuno lascerà la locomotiva finchè non avrò consegnato il colpevole alle autorità tedesche, potete starne certi.”


“Chi è la vittima?”
Finn parlò aggrottando la fronte, serissimo e gli occhi chiari fissi su Asriel, che rispose senza scomporsi mentre mormorii confusi e preoccupati in tedesco, inglese e francese si diffondevano tra i presenti
“E’ una donna britannica, e ho idea che tutti i passeggeri nostri concittadini la conoscano. Alexandra Sutton.”
 
Lenox deglutì e si trattenne dal sbottonarsi completamente la camicia alla presenza del personale e di tutti gli altri passeggeri, Auror inclusi. Iniziava decisamente a fare caldo, lì dentro.
 
 
Delilah, invece, sbuffò sonoramente, spazientita:
“Dovremo passare il Natale QUI, quindi? Porca Morgana, sarà un Natale di merda!”
 
 
 

*: "Che cosa ci fai qui?"
 
 
……………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Bonsoir!
Eccomi finalmente con il primo capitolo vero e proprio, mi auguro che lo abbiate gradito 😊
Il prossimo capitolo sarà strutturato come questo, ma è probabile che dal successivo io inizi ad approfondire un OC alla volta, quindi ogni volta vi chiederò di votare tra una piccola lista di personaggi.
Piccola piccola nota: chiaramente quando, ad esempio, Clara e Corinne parlano tra loro immaginatevi che lo facciano in francese, così come quando Asriel parlerà con Ruven o con altri membri del personale del treno, ovviamente in tedesco. Mi piacerebbe essere più realistica, ma penso che scrivere interi dialoghi in altre lingue sarebbe per voi abbastanza disagevole.
Spero che i vostri OC per quel che sono apparsi vi siano piaciuti, in caso fatemelo sapere ovviamente!
 
 
Prima di chiudere, ecco la carrellata di alcuni animaletti dei vostri OC (inauguro la Fiera del Gatto):
 
Loki (Clara)
Loki  
Artemis (Renée)
Artemis  
Neko (Ruven)
Neko  
Alpine (James)
Alpine  
Ailuros (Elaine)
Ailuros  
Kichona-kin (Prospero)
Kichona-kin  
Scottish (Lenox)
Scottish  
Polly (Lenox)
Polly  
 
 
A presto e, ovviamente, buon anno!
Signorina Granger


Ps. Ricordate quando ho detto che non ci sarebbero state coppie? Mentivo, scordavo che la Zoriel è già più che Canon.

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 - Ci sono troppi gatti su questo treno ***


Capitolo 2 – Ci sono troppi gatti su questo treno
 
 
Una settimana prima
Londra, Ministero della Magia, Dipartimento Auror
 
James Hampton stava tentando di riordinare la sua disastrosa scrivania, la cui visione era sufficiente a causare ai visitatori e agli Auror più pignoli piccoli attacchi di cuore.
Ricoperta da matite di ogni colore e fantasia, piume, calamai vuoti o pieni a metà, un paio di fotografie e gomme “troppo carine per essere adoperate” ricoprivano il ripiano del mobile leggermente traballante ininterrottamente.
Quel giorno il suo proprietario, di umore ancor più allegro del solito visto l’avvicinarsi del Natale e del suo compleanno, nonché alle vacanze, si era messo d’impegno facendo pulizia persino nei cassetti, cercando di liberare la scrivania da vecchie cianfrusaglie. L’unico oggetto che non veniva mai spostato era la targa d’ottone che riportava “James J. Hampton”, di cui il ragazzo andava più che fiero e che lucidava due volte a settimana.
 
“JJ.”
Il giovane Auror alzò lo sguardò dalla sua collezione di matite e sfoderò un largo sorriso nel trovarsi davanti una delle colleghe che in assoluto preferiva, nonché vecchia compagna di Casa ad Hogwarts, seppur Clodagh avesse qualche anno più di lui.
“Ciao Clo! Sto ordinando la scrivania, sono stufo di tutti quei commenti...”
“Lasciali perdere, sono solo dei barbosi dai gusti troppo convenzionali… C’è gente che trova i miei berretti orrendi, ma io non smetto certo di metterli. Ad ogni modo, sono venuta a darti una notizia.”
L’ex Tassorosso si fece improvvisamente seria – per quanto riuscisse a dare quell’impressione, vista la giacca giallo senape che indossava e che faceva a pugni con i suoi corti capelli ramati – e James la guardò attonito e preoccupato: doveva essere qualcosa di terribile, se Clodagh parlava con quel tono.
“Che cosa?! Oh no, non dirmi che mi fanno fare di nuovo da babysitter alla figlia del capo! Lily è carina, ma è sfiancante starle dietro.”
“No James, si tratta di un lavoro. Il capo mi ha dato un incarico per il periodo natalizio, ma ho sentito che vuole spedire Asriel da qualche parte.”
“Ma… ma voi andate sempre insieme ovunque.”


Una piccola ruga fece capolino sulla fronte aggrottata del più giovane, che guardò la collega senza capire dove volesse arrivare. Clodagh però, ancora mortalmente seria, allungò entrambe le braccia sopra la scrivania e gli poggiò le mani sulle spalle senza smettere di guardarlo dritto in faccia:
 
“Sì, ma io questa volta ho quell’altra cosa, quindi con Brontolo ci andrà qualcun altro. E ho sentito che Potter vuole mandare te.”
“Veramente?”
 
All’improvviso James spalancò gli occhi chiari, e un largo sorriso gli illuminò il volto sbarbato. Ben presto un’espressione gioiosa si fece largo su di lui, in netto contrasto con lo sguardo serio della collega, che lo guardava come fosse destinato al patibolo.
“Sì, JJ.”
“Ma perché hai questa faccia, mi stavi spaventando! Io non vedevo l’ora di andare in missione con lui, evviva!”
“No JJ, tu non capisci. Conosco Brontolo… Cioè, Asriel, da un sacco di tempo. E lavoriamo insieme da un sacco di tempo… non sarà facile. Ma se userai questo, tornerai a casa illeso.”
 
Dalla tasca interna della giacca gialla, la strega estrasse un foglio piegato in quattro che consegnò al ragazzo con fare solenne, guardandolo afferrarlo e aprirlo sempre più confuso.
“Ma che cos’è?”
“Questo è “Il Vangelo secondo Clodagh” su Asriel Morgenstern. Segui quello che ti dico, e ti prometto che te la caverai.”
“Ma dai Clo, lo conosco Asriel, non è così terribile!”
 
“Tsk, Tsk… regola numero uno del Vangelo: non sottovalutare quanto quell’uomo possa essere lunatico. Soprattutto quando è costretto a fare qualcosa che non gli va, e sono più che certa che non sarà affatto felice di questo incarico. E’ tremendamente abitudinario, non sarà felice di dover cambiare partner… anche perché, non per vantarmi, ma infondo mi adora!”
 
 
“Sono bloccato in mezzo alla neve e al nulla, mancano tre giorni a Natale, c’è un cadavere due cabine più in là della mia e non solo, ora salta fuori l’Evidenziatore umano, quindi oltre che di James e del caso dovrò occuparmi anche di lei! Ma insomma, ci dev’essere qualcuno che mi odia, in giro!”
Asriel sbuffò sonoramente mentre borbottava con fare sommesso, camminando lungo il corridoio del vagone della I classe con Zorba stretto tra le braccia.
Il gattino miagolò e il padrone annuì, serio in volto e con gli occhi azzurri che vagavano nello scompartimento come a voler cercare qualche possibile traccia.
“Per fortuna che tu mi capisci, piccolo. Adesso prima di iniziare le indagini ti porto in cabina, e non scappare di nuovo!”
L’Auror aprì la porta della sua cabina lanciando uno sguardo d’ammonizione al micio quando Zorba tentò di impietosirlo spalancando gli occhioni, intimandogli di non tentare di persuaderlo mentre, alle sue spalle, James si dirigeva verso la cabina di Alexandra con la chiave in mano: l’avevano tenuta sigillata fin da quando Asriel l’aveva esaminata brevemente, ma ora che tutti erano al corrente dell’accaduto potevano ispezionare a dovere la sua cabina e il cadavere.
 
 
Quando aprì la porta le labbra di James vennero incurvate da una piccola smorfia: la morte era qualcosa a cui ancora non aveva fatto l’abitudine, vista l’esperienza poco vasta che aveva in quel campo.
Il giovane mosse, titubante, un passo in avanti mentre alzava lo sguardo dal corpo della vittima per guardarsi attorno. La cabina era praticamente identica alla sua, anche se era più grande e lì regnava il caos: sembrava che la donna morta e il suo assalitore avessero discusso prima del tragico epilogo, perché la moquette ai piedi della piccola cassettiera era coperta da gioielli e cosmetici, come se Alexandra li avesse messi sul mobiletto prima che questo venisse urtato bruscamente. I cassetti erano chiusi, ma la valigia di pelle marrone della vittima era aperta, appoggiata accanto al letto sfatto. Le tendine delle finestre erano strappate e giacevano al suolo, e il grande specchio dalla cornice dorata era andato in frantumi.
 
“Bene, vediamo di vederci più chiaro.”
La voce profonda alle sue spalle suggerì al ragazzo che Asriel lo aveva raggiunto nella cabina, e in effetti voltandosi James lo vide già senza la giacca grigia e impegnato ad arrotolarsi le maniche della camicia bianca fino ai gomiti, sfoggiando un paio di poderosi avambracci coperti da una leggera peluria.
Voltandosi di nuovo verso l’interno, James non riuscì a trattenere un piccolo sorriso: lo aveva visto fare quei movimenti decine di volte, sembrava essere quasi si trattasse di un rituale. Si toglieva la giacca e si arrotolava le maniche liberando le braccia, guadagnandosi sguardi sognanti ed ipnotizzati da tutta la fauna femminile del dipartimento (e anche, in alcuni di casi, di quella maschile).
L’unica immune a quell’incantesimo sembrava essere Clodagh, che passava il tempo a sfottere le colleghe che tanto la invidiavano per la sua costante vicinanza ad Asriel, talvolta finendo col scimmiottarlo arrotolandosi le maniche allo stesso modo e scatenando occhiate torve da parte del mago.
 
“La sua bacchetta?”
“E’ laggiù.”
James indicò la bacchetta di Alexandra che giaceva sul pavimento, accanto a lei. Stava per chinarsi e raccoglierla quando Asriel gli intimò provvidenzialmente di non farlo: l’Auror estrasse la propria e, puntandola verso quella della vittima, mormorò un “Wingardium Leviosa” appena percettibile.
“Meglio non toccarla per il momento, potrebbe essere una prova importante. Puoi far comprare un sacchetto di plastica? Disgraziatamente non ho niente con me, d certo non ero preparato a dovermi occupare di un caso di omicidio.”
“Certo. Tieni.”  
James annuì e, fatto apparire un sacchetto trasparente, lo porse al collega prima di guardarlo farci planare dentro la bacchetta di Alexandra. A quel punto Asriel la chiuse con un sospiro sommesso, borbottando che avrebbe custodito tutto lui nella sua cabina, per il momento.
“Che altro c’è?”
“Beh, non sembra che il colpevole abbia rovistato, i cassetti sono chiusi… la valigia è aperta, ma mi sembra che il contenuto sia abbastanza in ordine. Ma lo specchio è rotto, forse un incantesimo lo ha colpito.”
“E anche le tendine… forse prima di essere uccisa la nostra vittima ha provato a difendersi ed è volato qualche incantesimo… Hai sentito nulla di strano ieri notte?”
James scosse la testa mentre Asriel apriva i cassetti, trovandoli tutti completamente vuoti.
 
“Niente. O la Sutton non ci ha messo nulla, o il colpevole si è intascato qualcosa. Prendiamo la valigia, la esamineremo più tardi in un posto più spazioso, qui dentro in due si soffoca.”
 
James avrebbe voluto fargli notare che lui da solo riempiva metà dello spazio stando semplicemente in piedi, ma qualcosa gli disse di non farlo e guardò il collega Appellare la valigia marrone prima di chiuderla.
 
“Doveva guadagnare parecchio. Quella valigia nel mondo Babbano costa un patrimonio.”
“Davvero?”
Inginocchiato sulla moquette color crema per chiudere la zip della Vuitton, Asriel lo guardò con la fronte aggrottata e James annuì con una stretta di spalle: aveva un vago ricordo di sua madre e di come ne avesse voluta una simile per anni, ma suo padre le aveva sempre ribadito quanto fosse inutile spendere tutto quel denaro in una valigia.
 
“Beh, la Sutton di certo guadagnava bene. Di sicuro più di noi e degli altri passeggeri. O meglio, quasi tutti…”
 
*
 
“Ro-Ro, ma dovevi viaggiare in II classe proprio quando ci incontriamo sullo stesso treno? Avrei potuto scroccare un po’ di relax in I classe da te, e invece… Ho sentito che ti fanno anche il servizio in cabina.”
“Scusami Laila, sono davvero costernato, la prossima volta viaggerò in I classe solo per la remota possibilità di incontrarci su un treno che va da Berlino a Nizza…”
Prospero accennò un sorriso mentre teneva il suo gatto maculato di razza giapponese sulle ginocchia, carezzandogli il pelo morbido. Seduto sulla poltroncina nera posta sulla parete opposta alla branda, il mago guardò l’amica sedersi sul piumino blu con un sospiro, accavallando le gambe magre coperte dai jeans neri prima di guardarsi attorno con discreta curiosità.
“E così è morta quella donna, eh… Un Natale triste per la sua famiglia.”
“Già, ma come hai elegantemente sottolineato a tua volta per noi non andrà meglio, visto che lo passeremo su questo treno.”
Prospero sfoderò l’ennesimo sorriso, scoccando all’amica un’occhiata divertita mentre Delilah, gettandosi all’indietro per distendersi sul letto del ragazzo, sbuffava piano:
 
“Hai ragione, che schifo. E abbiamo Asriel Manzo Morgenstern ad occuparsi del caso… se non altro potremo rifarci gli occhi.”
“Credo che sia molto… risoluto, nel suo lavoro. Ho idea che sarà un osso duro con cui confrontarsi, Laila.”
“Mh, forse hai ragione. Ci pensi? Un assassino su un treno del genere… chi l’avrebbe mai detto. Ora sì che non dormirò più definitivamente!”
 
Delilah sfoggiò una smorfia, atterrita, ma Prospero le sorrise prima di assicurarle che avrebbe tenuto le orecchie ben tese anche per lei e che di certo l’avrebbe salvata da ogni possibile pericolo.
 
“Ah, mio eroe! Scherzi a parte, abbiamo fatto bene a filarcela, di là si stava scatenando il putiferio! Eppure qualcuno con la coda di paglia deve esserci… non sappiamo come è morta, ma è sembrato chiaro che parlasse di omicidio.”
“Piccola Laila, chi meglio di noi sa filarsela al momento più opportuno? E’ nel nostro DNA di serpi.”
 
Il mago si sporse per darle un colpetto sul naso pallido con l’indice, facendola sorridere mentre Kiki, il gatto Iriomote di Prospero, gli dava un colpetto sul suo braccio con la zampetta reclamando attenzioni.
 
“Come sta Cecil, comunque?”
“L’idiota sta benone, gli porterò i tuoi saluti. Oh, Merlino, non posso nemmeno scrivergli, non ho un dannato gufo con me, e non so dove siamo…”
“Il Ministero inglese sa che siamo qui, sono certo che penseranno loro ad informare le nostre famiglie, Laila.”
“Non è questo il punto Ro… Chi diavolo la sente poi, mia madre, per essermi persa il Natale?!”
 
Prospero scoppiò a ridere mentre grattava le orecchie del micio, che sembrò felice di aver ritrovato le attenzioni del padrone. Delilah, invece, si fece del tutto seria e si issò su un gomito per guardare l’amico dritto in faccia, scrutandolo con attenzione:
 
“Dimmi una cosa, Prospero… Avresti preferito trovare Cecil o sei felice di aver incontrato me, su questo treno?”
Prospero esitò, prendendosi un istante di riflessione prima di rispondere. Il mago si tamburellò un dito sul mento con studiata teatralità mentre l’amica lo osservava ordinandogli silenziosamente di darle la risposta corretta: lei e il fratello gemello Cecil discutevano su chi fosse, tra i due, amico più stretto di Prospero fin dal secondo anno ad Hogwarts.
“Mi avvalgo del diritto di non rispondere.”
“Non te lo permetto, parla!”
“No, non lo farò.”
“E invece sì!”
“Kiki, difendimi, Delilah mi vuole affatturare!”
 
Il mago afferrò Kichona-kin e lo sollevò provvidenzialmente verso la strega, che di fronte allo sguardo torvo del gatto arretrò d’istinto maledicendo l’amico e tutti i mici del mondo – che sembravano odiarla e sempre pronti ad attaccarla – insieme a lui.
 
*
 
 
“Nella valigia è tutto in ordine, effettivamente. Si direbbe che non si sia trattato di un tentativo di furto andato male, dopotutto.”
“Quindi pensi che qualcuno sia entrato nella cabina col preciso intento di ucciderla?”
 
James, seduto sul bordo del letto di Asriel, guardò il collega sgranando gli occhi chiari e chiedendosi perché mai qualcuno avesse dovuto fare qualcosa di simile.
Asriel invece, seduto su una delle due poltrone blu petrolio poste davanti ad un tavolino, scrutava la lista dei passeggeri che gli era stata fatta recapitare poco prima.
“Così sembra, ad una prima occhiata. Ma visto che la Sutton è stata uccisa da un incantesimo, dobbiamo interrogare tutti e soprattutto ritirare ogni singola bacchetta presente su questo treno. Possiamo provare con l’Incantesimo Reversus, ma in caso dobbiamo farlo subito.”
 
Il mago si alzò, attraversò la cabina a grandi passi e, aperta la porta, ordinò senza tanti giri di parole al povero facchino di quella mattina – che stava passando, ignaro, davanti alla porta e che sobbalzò sentendosi chiamare in causa – di dire a Renèe Olivander che necessitava urgentemente di vederla.
O almeno così suppose James, visto che dalle sue parole in tedesco aveva potuto carpire solo il nome della sua ex compagna di scuola.
Che non gli era nemmeno mai andata troppo a genio, tra l’altro.
 
Asriel si chiuse la porta alle spalle con uno sbuffo, borbottando qualcosa sul fatto di star morendo di fame mentre Zorba giocava con una delle sue pantofole blu notte.
James, dal canto suo, a quelle parole si sentì raggelare: all’improvviso riuscì quasi a sentire la voce di Clodagh.
“Seconda regola: quando non mangia per alcune ore, diventa terribilmente intrattabile. Quindi assicurati sempre che mangi!”
 
A proposito.
Dov’era Clodagh?
 
*
 
 
“E’ tardissimo, perché non mi preparo mai niente la sera prima di partire, perché?!”
May sospirò esasperata mentre appellava una gran quantità di vestiti verso la valigia aperta sul letto, guardandoli planarci dentro alla rinfusa mentre una bambina bionda e – a differenza sua – già vestita di tutto punto seguiva la scena con una valigetta rosa in mano e un cappello di lana bianco calato sui capelli color grano.
 
“Io te l’ho detto ieri, ma tu hai detto che l’avresti fatto dopo cena. Ma non l’hai fatto perché hai guardato la tv!”
“Lo so, lo so! Dov’è Brutus, devo portarvi dai nonni prima di partire… BRUTUS! E dov’è il suo guinzaglio, dannazione!”
 
“Ce l’ho io. Hai il … spassasporto?”
Pearl le porse il guinzaglio nero del loro cane, un enorme Bovaro del Bernese che entrò scodinzolando nella camera da letto della padrona mentre May chiudeva la valigia.

Non era sicura di aver preso tutto, ma poco male, non aveva assolutamente tempo per una revisione, così prese il guinzaglio e lo allacciò al volo alla pettorina rossa di Brutus mentre Pearl lo distraeva con delle carezze.
“Bene, voi siete pronti. E… sì, ho il Passaporto. Passaporto tesoro, non spassasporto. Oh Merlino, ho il Passaporto?”
“La nonna dice sempre che a fare la valigia non sei brava.”
Pearl ridacchiò mentre la guardava controllare freneticamente in borsa, ma la strega sospirò di sollievo prima di lanciarle un’occhiata di rimprovero e prenderla per mano:
“Lo so, ma guai a te se le dici che eravamo in ritardo. Forza ciurma, in marcia verso il piano di sotto!”
“Non glielo dico, ma tu devi portarmi un regalino!”
La bambina di cinque anni sfoderò un sorrisino furbo che May non ricambiò, sbuffando prima di darle un buffetto affettuoso sulla testa:
“Va bene, va bene patatina, ma adesso andiamo… Brutus, vieni.”
 
  
May, seduta su una delle panche foderate davanti ad un tavolo del vagone ristorante, si lasciò sfuggire un piccolo singhiozzo mentre Renèe, sedutale accanto, le dava dei colpetti incoraggianti su una spalla.
Elaine, seduta di fronte alle due, si lasciò sfuggire un debole sospiro prima di estrarre un fazzolettino di seta dalla borsetta e passarlo alla bionda, accompagnando il gesto da un’occhiata quasi compassionevole:
 
“Tieni cara. Non piangere, ti si sbava il trucco.”
“Scusate, lo so che sembro una stupida, ma non ho mai passato un Natale senza Pearl, non vedevo l’ora di tornare a casa e abbracciarla… Sarà furiosa con me per averla lasciata sola.”
“Su, dai, Pearl starà benissimo con i tuoi genitori e Brutus, e tutto questo non è certo colpa tua. So che ti manca, ma vedrai che torneremo presto a casa. Non possono trattenerci in eterno, stanne certa.”
 
Mentre May si soffiava il naso Renèe lanciò un’occhiata estremamente torva al capotreno, che stava parlottando animatamente con una donna dai corti capelli rossi e un eccentrico completo giacca-pantalone blu di velluto addosso.
 
“Ridicolo, come se davvero potesse essere stato uno di noi ad averla uccisa. Non c’è nessun medico a bordo, come diavolo fanno a sapere che non ha avuto un attacco cardiaco, o che so io?”
“Beh, immagino che lo scopriremo presto… Una considerevole fortuna, avere un paio di Auror a bordo. Se davvero Alexandra Sutton è stata uccisa, posso solo immaginare come debba sentirsi il suo assassino ora.”
“E cioè, Elaine?”
Renèe guardò l’ex compagna di scuola inarcando un sopracciglio e con papabile scetticismo, ma la rossa non si scompose, anzi: continuando a carezzare il lungo pelo nero del suo enorme Maine Coon, che le si era accucciato accanto sulla panca, con una mano e a giocherellare con un bicchiere con l’altra, la cantante lirica piegò le labbra carnose in un sorriso quasi divertito.
“Come un topo in trappola, probabilmente.”
 
 
“Chiedo scusa. Renèe Olivander?”
Renèe aveva sempre risposto affermativamente a quella domanda con un sorriso estremamente soddisfatto sulle labbra, quasi fiera di rivangare la sua appartenenza ad una famiglia il cui ruolo era fondamentale per tutta la comunità magica inglese.
Quel giorno però, Renèe si voltò e lanciò un’occhiata sinceramente scocciata al facchino che aveva davanti, guardando il ragazzo dai capelli color sabbia con evidente disappunto negli occhi castani prima di rispondere freddamente:
“Sì, sono io.”
“Il signor Morgenstern vuole vederla.”
“Che diavolo vuole da me?!”
“N-non saprei signorina, ma è sembrato molto… impaziente.”
Il ragazzo, che ad occhio sembrava più giovane di lei, deglutì a fatica quasi l’idea di tornare dall’uomo a mani vuote lo terrorizzasse. Provando quasi compassione per lui Renèe annuì e si alzò con un piccolo sbuffo, rivolgendosi alle altre due streghe un’ultima volta:


“Va bene, vado dall’Auror. May, stai tranquilla, sarai a casa in un batter d’occhio.”
 
Dopo essersi scambiata un rapido sorriso con l’amica, che annuì poco convinta, l’ex Grifondoro si lasciò guidare fino al vagone di I classe, ritrovandosi davanti alla porta della cabina accanto alla propria.
Se non altro, si disse la giovane strega mentre bussava con impazienza, avrebbe avuto qualcosa di bello grosso da raccontare una volta tornata a casa.
E a lei stare al centro dell’attenzione non era mai dispiaciuto.
 
*
 
“Coco! Coco, aspetta, per favore, dimmi qualcosa!”
Clara si era alzata e non aveva esitato a seguire Corinne neanche per un istante quando l’aveva vista uscire dal vagone ristorante quasi di corsa.
La sua amica non era tipo da condividere o manifestare le proprie emozioni con facilità, ma Clara la conosceva abbastanza bene da saper riconoscere quando era sconvolta.
“Coco!”
Erano già nel vagone della I classe quando la mora riuscì finalmente ad afferrare la mano dell’amica, costringendola a fermarsi e a voltarsi verso di lei. Gli occhi di Corinne non erano pieni di lacrime – non che Clara si fosse aspettata il contrario – ma il volto della nota campionessa francese aveva comunque qualcosa di diverso rispetto al solito: trasudava un mix di emozioni e riportava uno sguardo che mai le aveva visto.
“Scusami Clara, preferisco stare sola adesso.”
“Corinne, Alexandra è stata appena trovata morta, non penso che dovresti stare sola.”
 
L’espressione risoluta dell’amica ed ex compagna di scuola quasi riuscì ad addolcire e convincere Corinne, ma la bionda si ostinò comunque a scuotere la testa mentre faceva scivolare la mano pallida dalla presa dell’amica, mormorando che ne aveva urgente bisogno prima di sparire dietro la porta della sua cabina.
Rimasta sola a sua volta nel corridoio, a Clara non restò che sospirare rumorosamente, maledicendo la testardaggine dell’amica tanto quanto la memoria della vittima che era appena stata rinvenuta su quel treno.
 
*
 
I suoi stivaletti color cuoio affondavano nella neve, ma Clodagh – bardata fino al naso dal cappotto e dalla sciarpa gialla e arancione abbinata al suo berretto col pompon – non ci faceva caso, proseguendo imperterrita accanto al treno fermo sulle rotaie.
Superato l’enorme veicolo, la strega lo raggirò per raggiungere le finestre della cabina della vittima, che le era stata indicata come la più grande del treno dopo quella occupata da una certa Corinne Leroux.
Corinne Leroux. Dove aveva già sentito quel nome?
L’Auror scosse il capo, dicendosi che ci avrebbe pensato più tardi mentre, finalmente, individuava la finestra giusta.
 
“Quindi non pensa che il colpevole possa essersi Smaterializzato?”
“No Signorina, dentro il treno non ci si può Smaterializzare o Materializzare… e il treno era ancora in movimento quando la Signorina è morta.”


Le finestre erano tutte sigillate dall’esterno, così aveva detto il capotreno. Senza contare che, col treno in movimento ad alta velocità, l’ipotesi che il colpevole potesse essersi lanciato dal veicolo erano pressochè assurde, anche con mezzo metro di neve ad attutire la caduta.
 
Gli occhi di Clodagh vagarono fino alla finestra della cabina del suo obbiettivo. Non erano nello stesso vagone.
Poteva forse essere coinvolto con la vicenda? Avrebbe potuto raggiungere la cabina della Sutton dall’esterno?
 
“Se è chiusa dall’esterno poteva aprirla… ma non aprire quella della sua cabina.”
La strega aggrottò la fronte coperta dalla lana del berretto, borbottando tra sé. Si stava giusto arrovellando su un possibile legame tra la vittima e il suo obbiettivo quando, all’improvviso, una finestra del vagone di I classe si aprì permettendo ad una figura alta, dalle spalle larghe e fastidiosamente attraente di rivolgerle un sorrisetto:
“Ah, sei lì, ti avevo quasi scambiata per la carota che si mette come naso ai pupazzi di neve… Ho fatto chiamare la Olivander per esaminare le bacchette, dovresti venire.”


“Non hai ancora bevuto latte e miele, vero Morningstar?”
 
Clodagh ricambiò il sorrisetto del collega, parlando a mo’ di cantilena mentre Asriel le abbaiava contro di non storpiargli il cognome. La strega, per tutta risposta – e sentendosi insultata per l’essere stata paragonata ad una carota – agitò la bacchetta, e un’enorme palla di neve schizzò dritta verso la faccia di Asriel.
 
“Brutta befana, azzardati a mettere piede nella mia cabina e ne pagherai le conseguenze!”
“Oh no, Ariel la principessa degli abissi mi ha giurato vendetta, come potrò continuare a vivere con il peso di un simile terror-“
Clodagh non ebbe modo di finire di parlare, perché una raffica di palle di neve iniziò a colpirla.
 
 
“Asriel, ma il capotreno non ha detto che le finestre erano sigillate dall’esterno?”
“Mi sono fatto aprire la mia, vantaggio dell’essere il povero idiota che dovrà tirare fuori la più ricca compagnia ferroviaria d’Europa da questo macello.”

 
Asriel sfoggiò un sorrisetto mentre parava con la magia l’ennesima palla di neve lanciatagli contro da una Clodagh furibonda, che gli ordinò di rimangiarsi l’appellativo di “Befana” mentre la porta della cabina veniva spalancata: nessuno dei due Auror al suo interno aveva udito bussare.
Renèe si fermò sulla soglia e, vagamente perplessa, guardò Asriel Morgenstern – l’inscalfibile Auror che terrorizzava i poveretti che si ritrovava ad arrestare o ad interrogare prima di sbatterli ad Azkaban – bisticciare con qualcuno attraverso una finestra aperta.
Da lì non riusciva a vedere granché, ma aveva la sensazione che stesse facendo a palle di neve con qualcuno.
 
James Hampton, che conosceva di vista sin da quando frequentava Hogwarts, stava in piedi accanto a lui e sembrava rassegnato a divertito allo stesso tempo.
 
“Chiedo scusa. Credevo di essere stata convocata da degli Auror, non ad un asilo nido.”
 
“Crucco dei miei pompon!”
“Solo a metà, Befana irlandese! Oh, scusa Renèe. Prego, siediti, stavo solo cacciando una… barbona di passaggio.”
Asriel chiuse la finestra con un gesto secco e deciso – lasciando gli insulti di Clodagh, che aveva udito l’epiteto che aveva usato per definirla, all’esterno della cabina – prima di fare cenno alla strega di sedersi.
Renèe, che se da una parte era quasi orgogliosa di essere stata chiamata dall’Auror, dall’altra voleva chiuderla in fretta, obbedì e prese posto di fronte a lui su una delle due poltroncine di velluto.
James si fece comparire una sedia e sedette accanto ad Asriel mentre questi, senza dire una parola, le porgeva la lista dei passeggeri e degli inservienti del treno:
 
“Devo ritirare ogni singola bacchetta. Voglio che mi aiuti a catalogarle, descrivendomele una ad una. Puoi farlo, no?”
“Chiaramente posso, ma pensi davvero che tutta questa gente ti consegnerà la propria bacchetta? Con la paura scaturita da un annuncio del genere? Per favore, si aggrapperanno alle proprie come calamite.”
 
Per un istante, James si domandò perché quei due si dessero del tu. Guardò il collega, che sul lavoro era sempre estremamente formale – eccetto che per le discussioni con Clodagh – e poi la bionda, chiedendosi che cosa potessero avere in comune.
Disgraziatamente Asriel Morgenstern era la persona più riservata che avesse mai incontrato, ma poteva sempre chiedere a Clodagh.
 
“Ho l’aria di uno a cui importa? Una di quelle persone è l’assassino, ergo la cosa migliore è sequestrare ogni bacchetta. Del resto siamo su un treno, non penso che vi possano servire a molto, no? Ma sei libera di non aiutare le indagini, ovviamente, nessuno ti costringe. Il problema è che risulterebbe un tantino sospetto, non credi anche tu?”


Asriel sorrise, guadagnandosi un’occhiata torva da Renèe, che sedeva tenendo le braccia esili strette al petto, visibilmente sulla difensiva. Per qualche istante i due si scrutarono – mentre il mago accarezzava distrattamente il micino nero che gli si era accoccolato sulle ginocchia con aria beata – senza dire una parola, finchè la giovane non annuì con un debole sbuffo:
 
“Bene, lo farò.”
“Eccellente, essere collaborativi è sempre la cosa migliore per tutti, alla fine. Direi che possiamo tornare dagli altri passeggeri e condividere con loro la notizia.”
Asriel si alzò, e sembrava talmente quasi di buon umore che James lo guardò stupito. Del resto però, le regole di Clodagh (che lo definivano “più volubile del tempo”) gli imposero di non abbassare la guardia, e uscì insieme ai due osservando poco convinto la schiena fasciata dalla camicia e dal panciotto del collega.
 
*
 
C’erano decisamente troppi gatti, su quel dannato treno.
Finn scoccò un’occhiata decisamente malevola e sospettosa al gatto dal pelo maculato che gli passò accanto, portandosi istintivamente una mano a tastare la tasca esterna della sua giacca, occupata da un piccolo rigonfiamento.
Il grosso gatto ricambiò l’occhiata, ma non si fermò e proseguì dritto, trotterellando tranquillamente come se conoscesse perfettamente l’ambiente e sapesse dove andare.
“Ma insomma, in quanti siete?!”
L’ex Corvonero si fermò e, messe le mani sui fianchi, sospirò quando scorse un gatto nero accoccolato sotto un termosifone, i grandi occhi chiari puntati su di lui con diffidenza.
Il suo topolino, Alfaar, scelse esattamente quel momento per fare capolino dalla tasca della giacca del padrone, che lo coprì con una mano con un sospiro:
“Non ora Alfaar, se non vuoi fare da cena ad uno dei troppi felini che viaggiano su questo treno. Se almeno venissero tenuti nella loro cabina come dovrebbe essere…”
 
“Mi scusi, ha qualcosa contro il mio chat?”
Voltandosi, Finn incrociò lo sguardo di una ragazza mora che aveva intravisto poco prima nel vagone ristorante e che era uscita seguendo la sua amica.
Ad occhio doveva avere la sua età, e lo guardava con le braccia strette al petto, la fronte aggrottata e i grandi occhi castani carichi di rimprovero.
 
Finn, però, di certo non era tipo da farsi intimidire da una graziosa francesina dagli occhi da cerbiatta, e fece lo stesso prima di accennare al gatto alle sue spalle, impassibile:
“Se con chat intende il gatto, direi di sì. Credo che vadano tenuti nella propria cabina, non lasciati a piede libero su un treno di lusso.”
“E’ appena stata trovata morta una mademoiselle, dubito che qualcuno avrà da ridere per il mio Loki. E’ allergico ai gatti?”
Clara aggrottò la fronte mentre si chinava per prendere il gatto in braccio dopo che Loki era sgusciato fuori dal suo nascondiglio per raggiungerla, guardando Finn lanciare al micio un’occhiata più che torva mentre scuoteva la testa.
“No, ma non voglio che il mio topo faccia da cena al suo Loki!”


“Pardon, il suo cosa?”
Intuendo che la strega non avesse compreso, Finn si limitò a prendere delicatamente Alfaar con una mano e a mostrarlo alla ragazza, che guardò il piccolo topolino grigio squittire spaventato alla vista di Loki per poi affrettarsi a correre sulla manica della giacca del padrone, arrivando ad appollaiarsi sulla sua spalla per mettersi al sicuro dalle grinfie del felino, che lo guardava immobile.
 
“Ahh, un souris! Capisco. Ma… ma non le fa… come si dice… schifo?”
 
Clara aggrottò la fronte mentre osservava il mago che aveva davanti, chiedendosi con la più sincera perplessità come potesse una persona sana di mente desiderare un topo come animale domestico. La reazione dell’ex Corvonero però non si fece attendere, e Finn sgranò gli occhi verdi – offeso – prima di mettersi nuovamente Alfaar in tasca e scoccare alla strega un’occhiata fiammeggiante:
 
“Detto da una che mangia lumache e cosce di rana, è tutto dire.”
Clara avrebbe voluto informarlo, piccata, che a lei le escargot non erano mai piaciute, tantomeno le cosce di rana, ma il mago girò sui tacchi e si allontanò prima di darle il tempo effettivo di farlo, sparendo in fretta dietro alla porta scorrevole che separava i vagoni.
 
“Pff, Anglais. Sai che ti dico, mon chère? Qui ci vuole una fetta di Tarte Tatin, andiamo.”
 
*
 
Ma chi diavolo poteva aver ordinato pancakes con sciroppo d’acero a mezzogiorno inoltrato?
 
Ruven, sbuffando come una ciminiera e con la bandana bianca e nera allacciata sulla fronte, teneva la ciotola di vetro sottobraccio contenente gli albumi mentre li montava energicamente con la frusta, dando al contempo ordini a destra e a sinistra affinchè tutti gli ordini del pranzo venissero preparati.
Cadavere o non cadavere, i passeggeri avevano comunque un gran appetito, a quanto sembrava.
 
“Chef, una passeggera dice che la Tarte Tatin era poco cotta!”
“E tu dille che non è possibile, perché IO non ho mai cotto male una Tarte Tatin in tutta la mia vita.”


Ruven aggrottò la fronte e rivolse un’occhiata torva al cameriere prima che questi girasse sui tacchi per riportare il messaggio, sinceramente offeso e desideroso di dirne quattro a quella cliente criticona. Come si permetteva di criticare la sua torta di mele?
Stava girando i primi pancake, furioso per quell’ordine atipico che gli stava facendo perdere un mucchio di tempo, quando lo stesso cameriere, un ragazzo dai capelli biondi e brillanti occhi azzurri, tornò deglutendo prima di balbettare qualcosa con tono sommesso, quasi temesse che Ruven potesse prendersela con lui:
“H-ha detto che se pensa che quello sia cuocerla bene a-allora ha cotto male Tarte Tatin per tutta la vita e che cosa può mai saperne un tedesco di come si prepara una torta francese…”
“Ha detto CHE COSA? Questo è troppo. August, fammi questi cazzo di pancakes.”
 
Il suo Sous-Chef si affrettò a prendere il suo posto davanti alla piastra per controllare i pancake mentre Ruven usciva dalla cucina a passo di marcia e con gli occhi ridotti a due fessure: non sarebbe di certo stata una passeggera con la puzza sotto al naso ad insegnarli come preparare una dannata Tarte Tatin.
 
*
 
“Per me del roast beef con patate, grazie. Per il mio amico… lui prende il panino più pieno e grondante di grasso che potete fargli, con formaggio, pancetta e contorno di patate fritte, più salse ci sono meglio è, ma non quella barbeque, la odia. Grazie.”
Clodagh consegnò il menù al cameriere sfoggiando un piccolo sorriso cortese sotto allo sguardo attonito di James, che le stava seduto di fronte mentre attendevano che Asriel li raggiungesse per pranzare dopo essere andato a ritirare le bacchette del personale, ignorando le proteste e le lamentele per poi zittirle con gli sguardi più raggelanti di cui era capace.
 
“Sai anche a memoria quello che magia?”
“E’ la cosa che ama mangiare di più al mondo. Se c’è qualcosa che lo mette di buon amore, è mangiare quelle schifezze, credimi. Dovresti segnartelo, è un ottimo trucchetto.”
“Vi conoscete meglio di quanto credessi, se devo essere onesto.”
 
“Io e Asriel ci ritroviamo spesso a dover condividere i pasti, che sia quando siamo fuori per una missione come ora, o quando siamo alle prese con un caso a Londra, e per non perdere tempo mangiamo senza smettere di lavorare.”
Clodagh si strinse debolmente nelle spalle mentre giocherellava con un pezzo di pane e i suoi occhi chiari vagavano distrattamente tutt’attorno a sé, sui passeggeri presenti. Sembrava che nessuno volesse stare solo, dopo la notizia, e più o meno tutti erano riuniti nel vagone ristorante a mangiare, chi solo e chi in compagnia.
“Vedo che hai rinunciato ai capelli neri.”
“Ah, sì, penso che debba restare con i miei capelli naturali, almeno per il momento. Ah, eccoti.”
 
Asriel era entrato nel vagone accompagnato da Renèe, che si diresse a passo di marcia verso il tavolo occupato da May ed Elaine senza degnare l’Auror di un’occhiata. Asriel però non sembrò farci caso, anzi la imitò e si diresse verso i due colleghi prima di sfilarsi la giacca, appoggiarla sullo schienale della sedia e infine prendere posto accanto a James.
Mentre si sistemava le maniche della camicia, James avrebbe potuto giurare di scorgere gli sguardi di tutte le presenti catalizzarsi su di loro. Ma fu solo per un istante, poi sembrò tornare tutto normale e il collega addentò un grissino con un sospiro cupo:
“Meno male, ho così fame che a breve avrei iniziato ad addentare una sedia.”
“Sarai felice di sapere che ho ordinato per te il tuo piatto preferito come offerta di pace. Cercherò di non storpiare il tuo cognome. Fino a domani, è ovvio.”
Clodagh allungò una mano sopra al tavolo, porgendola al collega che, dopo un istante di esitazione, annuì e la strinse con la propria, almeno il doppio più grande.
“E io non ti darò della befana irlandese per altrettanto tempo, accetto.”
 
 
“Ma quella ragazza non è quella che si vede sempre nelle foto con Asriel Morgenstern?”
May lanciò un’occhiata carica di curiosità al tavolo occupato dai tre Auror mentre Renèe prendeva posto davanti a lei, ordinando una porzione enorme di fish and chips per tirarsi su di morale.
“Sì, è la sua partner abituale, Clodagh Garvey.”
La giovane fabbricante di bacchette annuì con un gesti vago, giocherellando distrattamente con i propri capelli biondi mentre osservava fuori dal finestrino accanto al quale erano sedute, cogliendo di sfuggita l’occhiata meravigliata che l’amica le rivolse:
“Quelli sono Morgenstern e Garvey, allora? Leggo sempre le cronache sui loro casi, sono fenomenali!”
“Conosci l’Auror?”
Questa volta fu Elaine a parlare, che guardò l’ex Grifondoro aggrottando appena percettibilmente la fronte, lo sguardo carico di curiosità mentre May, di fronte a loro, fantasticava mentalmente su quando emozionante dovesse essere la vita da Auror.
 
“Vagamente, sì. Ma non chiedetemi il motivo, è imbarazzante e non intendo dirlo.”
“Peggio per te Renèe, ora hai stimolato la mia curiosità e non ti darò pace.”
La maggiore sfoderò un sorrisetto divertito, quasi gongolando all’idea di poter tormentare l’amica per estorcerle l’informazione mentre Renèe, lanciandole un’occhiata cupa, tamburellava le dita sul tavolo in attesa del suo pasto.
“May, non cominciare, ti avverto.”
 
“Me lo puoi presentare almeno? Ti prego, è da anni che voglio incontrarli, sono un duo celeberrimo al Ministero!”
“Merlino, no. May, lascia stare, tu sei adorabile, e lui è la persona più scorbutica che io abbia mai conosciuto. Dammi retta.”
 
*
 
“Grazie.”
Lenox accolse i suoi pancake grondati di sciroppo e frutta con un sospiro di sollievo: di certo era un’ordinazione piuttosto atipica per un pranzo, ma in quel momento, con tutto il nervosismo accumulato – ora girava voce che volessero persino sequestrare a tutti le bacchette – aveva solo bisogno di gustarsi il suo piatto preferito.
 
Stava per iniziare a tagliare la pila di frittelle quando, all’improvviso, qualcuno gli domandò di poter prendere posto allo stesso tavolo. Alzato lo sguardo sul suo inaspettato interlocutore il mago annuì, guardando Finn Murphy sederglisi di fronte con un debole sospiro, borbottando qualcosa a proposito di gatti e padrone suscettibili.
 
“A dire il vero, temo di essere colpevole a mia volta sull’avere un gatto… ma è in cabina, giuro.”
Lenox si sforzò di sorridere di fronte all’occhiata cupa e terribilmente seria che l’altro gli rivolse, guardandolo aggrottare la fronte prima di fare cenno all’adorabile cagnolina che mangiucchiava qualcosa ai piedi dell’ex Tassorosso.
“Viaggi con un cane e un gatto? Coraggioso.”
“Non potrei mai lasciare Polly a casa da sola, le spezzerei il cuore. E non mi fido a lasciare solo neanche Scottish, ma per fortuna vanno abbastanza d’accordo.”
Lenox abbassò lo sguardo sulla Cavalier King e le diede una carezza affettuosa sulla testa, guardandola rivolgergli un’occhiata adorante mentre Finn, dal canto suo, si ritrovava a pregare mentalmente per l’incolumità del suo topolino, che aveva chiuso nella sua gabbietta nella cabina di III classe prima di sigillarne la porta.
Poteva solo sperare che nessun felino riuscisse ad intrufolarsi lì dentro.
 
“Mangi pancakes per pranzo? Questo sì che è curioso.”
“Emh… già.”
 
Lenox stava per chiedergli che cosa volesse mangiare quando, all’improvviso, si scordò di Polly e di come la cagnolina stesse reclamando attenzioni colpendogli leggermente un ginocchio con la zampetta. Si scordò persino del cadavere di Alexandra Sutton in I classe, quando vide quello che aveva tutta l’aria d’essere lo chef uscire dalla cucina e dirigersi a passo di marcia verso il tavolo occupato da una ragazza che sedeva sola dopo esserselo fatto indicare da un cameriere.
Lenox guardò lo chef – che pareva tutto fuorché allegro e affabile – e poi il ragazzo che aveva davanti, ritrovandosi a sgranare gli occhi prima di parlare, confuso:
 
“Per caso hai un… cugino che ti somiglia molto?”
“No, perché?”


Perché lo chef è la tua copia sputata!”
 
Finn seguì la direzione indicatagli da Lenox e lanciò una rapida occhiata scettica a Ruven prima di scrollare le spalle e scuotere la testa, liquidando il discorso con un gesto rapido della mano:
“Ma no, non mi somiglia per niente.”
“Per niente?! Un estraneo potrebbe scambiarvi per la stessa persona!”
“Sono sicuro che non accadrebbe ad anima viva.”
 
 
“Salve. Io sarei quello che non sa cuocere una dannata Tarte Tatin.”
Clara dovette, suo malgrado, alzare lo sguardo dal libro che teneva in mano quando sentì qualcuno rivolgerle la parola. La vista del ragazzo che aveva di fronte, vestito da chef con tanto di giacca a doppio petto, le fece però strabuzzare gli occhi scuri, perplessa:
“Ma lei è quello del souris!”
 
“Non so che sia un souris, signorina.”
Ruven aggrottò la fronte a sua volta di fronte all’occhiata confusa che la strega gli rivolse, costretto a doversi ricredere. Non sapeva bene perché, ma si era immaginato una vecchia zitella rompiscatole con la puzza sotto al naso. Quella che aveva di fronte, invece, era una sua deliziosa coetanea con granchi occhi scuri, lineamenti dolci e con un completo grigio scuro sopra ad un maglione a collo alto chiaro.
“Ah, tedesco. Pardon, è incredibile quanto le somigli… beh, ad ogni modo, sì, la Tarte Tatin. Non era proprio cotta a dovere.”
“Eccome se lo era, nessuno si è mai lamentato!”
“La gente è troppo educata, allora.”
 
Le labbra carnose di Clara si inclinarono in un sorrisetto mentre chiudeva il libro e accavallava le gambe, guardando lo chef piegando leggermente la testa.
Era evidente che stesse gongolando, e Ruven si vide costretto a rivedere la parte in cui l’aveva definita “deliziosa”.
 
“Del resto, cosa si può pretendere da un tedesco che cucina francese…”
Clara abbassò lo sguardo sulle unghie della mano sinistra, studiandosele con studiata noncuranza mentre una vena pulsava pericolosamente sul collo dello chef, che strinse lo strofinaccio che teneva in mano per trattenersi dal mandare il tavolo per aria.
“Ah, davvero? Vuole farmi la cortesia di dirmi come la si prepara a dovere, la sua dannata torta?”
 
“Con piacere Chef. Le darò una lezione base di pasticceria quando vuole. Au revoir!”
 
Ruven avrebbe voluto sbraitare che mai, nessuno avrebbe toccato la sua cucina, ma la “francesina” – così decise che l’avrebbe soprannominata – si alzò e si allontanò con disinvoltura prima di dargliene il tempo, lasciandolo di stucco e terribilmente offeso.
 
*
 
Corinne non aveva pranzato, ma non aveva affatto fame.
Stesa sul proprio letto da una piazza e mezza nell’enorme cabina, la strega osservava qualcosa che, per qualche strano motivo, non si era mai decisa a buttare e che da anni le capitava all’occhio quando prendeva in mano i suoi documenti.
Una fotografia che la ritraeva, qualche anno prima, sulla bellissima Costa Azzurra, dove era cresciuta, in una casa che dava sul mare.
Accanto a lei, sorridente allo stesso modo, un’altra ragazza bionda.
 
Corinne esitò per qualche istante, continuando a fissare quell’immagine. Infine, l’appallottolò nella sua stessa mano e la gettò dall’altro lato della stanza.
Di Alexandra Sutton non voleva più saperne niente.
 
*
 
“Spero che vi siate gustati il pranzo signori, perché questo pomeriggio cominceremo ad interrogarvi. Uno ad uno, nella mia cabina in I classe… Io, il Signor Hampton… e prima non ho avuto modo di presentarvela, ma con me c’è anche la mia collega, la Signorina Garvey. Prima degli interrogatori, ognuno di voi dovrà consegnarci la bacchetta. Nessuna eccezione.”
 
Un mare di proteste iniziarono a sollevarsi, ma Finn non ci fece troppo caso, gli occhi chiarissimi fissi sulle tre persone che aveva davanti.
Facevano quasi ridere, messi vicini, quei due Auror: lui altissimo, spalle larghe, completo elegante grigio e serio. La strega, invece, aveva vivaci capelli rossi e indossava un completo di velluto di un brillante blu, e sorrideva allegra quasi avesse l’aria di divertirsi.
Non avrebbero potuto essere più diversi, quegli Auror.
 
Ma a preoccuparlo, era ciò che aveva appena sentito.
Morgenstern e Garvey.
Aveva letto molto, su quella coppia di Auror, tra cui il fatto che insieme avessero risolto un numero esorbitante di casi.
Il mago sospirò e spostò lo sguardo sulla tovaglia del tavolo a cui era seduto, certo che il primo di cui avrebbero sospettato chi sarebbe stato, se non un ex detenuto di Azkaban?
Avrebbe fatto meglio a tirare fuori dal cilindro un alibi più che convincente, perché di tornare dentro quelle mura Finn non ne aveva la benchè minima intenzione.
 
*
 
 
Caro diario,
Alla fine Clodagh è saltata fuori sul treno. Assurdo, ma è così. Lei e Asriel sono un po’ strambi, ma infondo credo che si stiano simpatici a vicenda. Credo.
Comunque, la donna morta era molto importante, e secondo Asriel è stata uccisa intenzionalmente… dice anche che aveva di certo un sacco di nemici a causa del suo lavoro.
Alpine è furiosa con me, l’ho ignorata tutta la mattina per cercare Zorba – ma Asriel mi ha fatto i complimenti, quindi ne è valsa la pena – e mi ha riempito di graffi… E’ proprio una palla di pelo viziata.
 
James interruppe brevemente la scrittura sul suo quadernino dalla copertina coperta da pupazzi di neve, bastoncini di zucchero e abeti addobbati per lanciare un’occhiata storta alla sua gatta, un bellissimo esemplare di Sacro di Birmania che lo stava ignorando da mezz’ora.
Non solo, la furbetta era saltata in braccio ad Asriel non appena lui si era seduto, facendogli le fusa mentre prendeva appunti sulle bacchette, annotando tutto ciò che Renèe diceva sulla loro composizione.
 
Zorba, dal canto suo, guardava furioso la gatta bianca come a volerle ordinare di levarsi dal padrone, ma Alpine si limitava a guardarlo sdegnosa, il collarino rosa coperto da brillantini che luccicava sotto il lampadario.
“Tranquillo Zorbino, ti coccola Zia Clodagh!”
 
Clodagh prese il gattino, se lo mise in grembo e iniziò a dargli grattatine sulla pancia mentre James, abbozzando un sorriso, si chiedeva cos’altro potesse scrivere puntellandosi la matita con i pupazzi di neve sul mento.
 
Comunque, credo proprio che ne verremo a capo. Lo spero, domani è anche il mio compleanno… Asriel e Clodagh sono molto bravi, anche se strambi, e di sicuro posso imparare un mucchio di cose da loro.
Spero solo che non si ammazzino a vicenda, e che Alpine la smetta di graffiarmi!
 
“Clodagh, pensa alle indagini invece di arruffianarti il mio gatto!”
“Sei solo geloso, perché Zorba vuole bene anche a Zia Clodagh! E poi hai poco da parlare, tu, hai Alpine in braccio!”
 
La suddetta gatta, che si stava leccando una zampetta, lanciò un’occhiata sdegnosa anche a lei prima di girarsi con fare di superiorità, dando le spalle a tutti i presenti, e strusciarsi invece sul petto di Asriel, che le carezzò istintivamente la testa senza smettere di scrivere.
 
“JJ, la tua gatta è proprio una snob, e guarda come si arruffiana Asriel!”
“Lo so, mi sono ritrovato Minù degli Aristogatti… solo che lei graffia.”


 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Tardi come sempre, ma alla fine giungo con questo capitolo super gattaro.
Piccola premessa: vorrei mandare in frantumi le speranze di chi aveva idea di trovarsi di fronte ad un giallo serio. Ecco, dovete perdonarmi, ma io ad essere seria a lungo non ce la faccio, senza contare che molti OC che mi sono arrivati hanno un potenziale comico impossibile da non sfruttare.
Spero che a nessuno turbi la cosa!
Detto ciò, grazie a tutti per le recensioni e per sopportare i miei Tornei idioti su Instagram.
Ora però veniamo alle cose serie: i capitolo introduttivi sono finiti, a breve inizieranno gli interrogatori, ergo io inizierò ad approfondire gli OC.
Siete pregati, quindi, di scegliere uno tra questi nomi e di farmelo avere qui o su Instagram in forma privata:
 
Delilah
May
Clara
 
Grazie in anticipo, buonanotte e a presto (avviso preventivamente che il seguito arriverà dopo lunedì prossimo, visto che il 18 ho un esame)!
Signorina Granger

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Capitolo 5
*** Capitolo 3 - E' una strana strega, quella ***


Capitolo 3 – E’ una strana strega, quella
 
 
“Molto bene, ho espressamente richiesto che il vagone ristorante venisse fatto sgomberare per darci la possibilità di iniziare gli interrogatori. Le bacchette del personale sono già state tutte ritirate, le terrò io nella mia cabina… ora ci faremo dare anche quelle dei passeggeri. Renèe ci aiuterà a catalogarle.”
Asriel, seduto su una sedia con le gambe accavallate e la giacca di tweed appoggiata sullo schienale, parlò accennando alla scatola di legno con lucchetto appoggiata sul tavolo che aveva davanti. Il vagone ristorante era totalmente vuoto e silenzioso, fatta eccezione per lui, Clodagh e James, entrambi in piedi davanti a lui.
 
“L’idea di farcele catalogare da una sospettata non mi fa impazzire, ma capisco che non abbiamo scelta. Pensavi all’Incantesimo Reversus?”
Clodagh aggrottò la fronte, dubbiosa, e Asriel annuì mentre si rigirava la propria bacchetta tra le dita:
“Esattamente. Dopodiché inizieremo ad interrogarli uno ad uno… e vi prego, vi prego. Per una volta, cercate di essere seri, ne va della reputazione di tutto il Dipartimento e del Ministero britannico!”
 
 
Dieci minuti dopo Renèe sedeva accanto ad Asriel dietro ad un tavolo mentre gli altri passeggeri – tutti in fila davanti a loro – si apprestavano a consegnare agli Auror la propria bacchetta. Clodagh controllava stando in piedi a lato del tavolo dispensando sorrisi a tutti, mentre James – un maglione pieno di omini di marzapane addosso – spuntava la lista dei passeggeri consegnatagli dal capotreno man mano che le bacchette passavano nelle mani di Renèe e infine nella scatola che Asriel avrebbe tenuto.
“Che rottura di palle… Già devo dormire nello stesso treno di un assassino, e ora devo liberarmi pure della mia bacchetta!”
Delilah sbuffò sonoramente mentre aspettava il suo turno, imbronciata e con Prospero che le teneva entrambe le mani sulle spalle, conducendola gentilmente verso il tavolo e con un debole sorriso stampato sulle labbra:
“Credo che nessuno impazzisca all’idea, ma se nessuno ha la propria bacchetta penso che saremmo, paradossalmente, tutti più al sicuro.”
“E le armi Babbane, allora? Ridicolo.”
 
 
“Bacchetta di Tasso, 12 pollici e mezzo, piuma di… di Grifone?”
Dopo aver esaminato e tastato la bacchetta Renèe aggrottò leggermente la fronte e alzò lo sguardo su May, che abbozzò un debole sorriso e annuì, consapevole della particolarità del nucleo della propria bacchetta.
“Sì… in effetti tuo nonno disse che ormai se ne fabbricano ben poche, di bacchette come la mia.”
“A me non è ancora mai capitato, non sapevo nemmeno che usassimo questo nucleo… beh, non si finisce mai di imparare. Grazie May. May Hennings.”
 
Renèe lasciò la bacchetta nella scatola rettangolare di legno e lanciò un’occhiata ad Asriel, che aveva scarabocchiato ciò che la più giovane aveva detto accanto al nome dell’ex Grifondoro.
“Hennings?”
L’Auror esitò e all’improvviso alzò lo sguardo su May come se la vedesse per la prima volta, riconoscendola solo in quel momento mentre la bionda annuiva. L’Obliviatrice non disse nulla, limitandosi a spostarsi dalla fila per permettere anche a Delilah di consegnare la propria bacchetta ad Asriel.
Renèe guardò l’amica e poi l’Auror che le sedeva accanto chiedendosi perché la strega si fosse quasi incupita leggermente alla domanda di Asriel, ma venne richiamata al presente quando Delilah le porse controvoglia la bacchetta.
In effetti Renèe dovette esercitare una considerevole pressione per sfilarla dalle mani della proprietaria, che mormorò qualcosa di indistinguibile mentre Ro continuava a tenerla per le spalle.
 
“Grazie. Nome?”
Delilah… mphf… Yaxley.”
 
“Bene… ebano, corda di cuore di drago, 11 pollici e mezzo, mediamente rigida.”


 
*
 
“Lailaaa… dove sei finita?”
Cecil Yaxley aprì piano la porta della vecchia biblioteca di suo nonno rabbrividendo per gli spifferi e l’aria gelida che si respirava lì dentro. Cercando di ignorare il cigolio sinistro della porta il bambino di otto anni mosse un passo all’interno dell’ampia stanza cercando la sorella con lo sguardo.
“Laila, vieni fuori!”
Cecil deglutì a fatica mentre si guardava attorno intimorito, sperando che la gemella non si fosse nascosta dietro qualche angolo buio per saltargli addosso e spaventarlo a morte come era solita fare.
 
Fu quando udì un debole “click” metallico che il bambino si rilassò, avvicinandosi al punto da dove il suono era uscito prima di sentire la voce squillante della sorella intimargli di stare fermo:
“Per le mutante di Merlino Cecil, sei dentro la mia inquadratura! Spostati!”
“Ma dove sei?”

 
Cecil si guardò attorno con la fronte aggrottata, cercando di individuare la sorella e sospirando quando finalmente il viso pallido e magro di Delilah apparve sul ballatoio coperto da scaffali di vecchi libri polverosi:
“Qui, e stavo cercando di fotografare quella vecchia armatura, prima che ti mettessi in mezzo!”
“Che barba, stai sempre a fare foto da quando ti hanno regalato quella cosa… andiamo a giocare?”
“A che cosa vuoi giocare?”


La bambina si mise a sedere sul bordo del ballatoio, le gambe magre che penzolavano nel vuoto lasciate scoperte dal vestitino marrone scuro che Delilah indossava sopra una camicetta bianca a maniche corte, una macchina fotografica appesa al collo sottile.
“Non lo so, ma andiamo fuori per favore.”
“Hai paura della biblioteca, Cecil? Sei proprio un bamboccio!”
Delilah indicò il gemello scoppiando a ridere, e Cecil la guardò dal basso incrociando le braccia al petto e scoccandole un’occhiata torva, asserendo che non era un bamboccio e ricordandole che avevano la stessa età.
 
“Beh, io non ho paura della biblioteca, anche se è buia e polverosa. Ma va bene, andiamo a giocare fuori se vuoi. Fifone!”
Cecil le fece la linguaccia e poi uscì dalla stanza, offeso, mentre la risatina della gemella lo seguiva, impossibile da scacciare.
 
*
 
“Bene, da chi vogliamo iniziare per gli interrogatori?”
James chiuse a chiave la scatola con le bacchette e poi parlò con un sorriso allegro, consegnando la piccola chiave ad Asriel quando il collega gli fece cenno di passargliela.
“Nessuno sostiene di aver parlato con la vittima da quando è salita a bordo e ancora non sappiamo se qualcuno avesse rapporti particolari con la Sutton… non vedo quale criterio potremmo seguire.”
Asriel aggrottò la fronte, pensieroso, e fu Clodagh a prendere la parola, in piedi accanto al collega con addosso il suo sgargiante completo blu di velluto:
 
“Delilah Yaxley.”
“Perché proprio lei?”   Asriel aggrottò la fronte e anche James rivolse alla collega un’occhiata carica di curiosità, ma l’ex Tassorosso si limitò a stringersi nelle spalle e a sfoderare un sorrisetto enigmatico:
“Fidati di me… C’è una cosa che dovremmo chiederle.”
 
“Come vuoi, ma vi ribadisco la mia preghiera di essere seri. Non pretendo che incutiate timore, considerando che persino Zorba farebbe più paura di voi due, conciati così… ma siate professionali.”
Il più vecchio dei tre lanciò un’evidente occhiata di sbieco al maglione con gli omini di James, che si portò le mani al petto sfoderando la sua espressione più oltraggiata:
“Ehy, è Natale!”
“Stendiamo un velo… Clodagh, chiama la Yaxley, per favore. James, tu trascriverai le sue risposte, e fa attenzione… è una strana strega, quella.”
 
*
 
Delilah sbuffò mentre guardava Cecil sfilarsi il Cappello Parlante e poi andare a sedersi al tavolo dei Serpeverde, rimasta sola in mezzo ai tavoli di Corvonero e Tassorosso e con le braccia strette al petto: moriva dalla voglia di scoprire quale sarebbe stata la sua Casa da mesi, e ora che finalmente quel giorno era arrivato aveva dovuto aspettare un’eternità mentre tutti gli altri bambini venivano assegnati ad uno dei tavoli da quel vecchio cappello bitorzoluto.
 
“Yaxley, Delilah.”
Sorridendo, sollevata, la ragazzina sedette sullo sgabello e si lasciò mettere il Cappello dal Vicepreside lanciando un’occhiata fugace al gemello, che la guardava con curiosità: forse non l’avrebbe mai detto a Cecil, ma una parte di lei sperava ardentemente di essere Smistata nella sua stessa Casa.
 
Quando, poco dopo, la streghetta raggiunse il tavolo dei Serpeverde chiudendo la cerimonia dello Smistamento venne accolta da un applauso e dal caloroso sorriso del gemello, che l’abbracciò quando gli sedette accanto.
“La mamma lo diceva, che saremmo finiti insieme… sei contenta Laila?”
“Mh, sì, tanto ormai sono abituata ad averti attorno.”
 
*
 
Cabina di Corinne, I classeRc168a2ff0c62f18684e5b1b3011ff0c8
 
 
“Corinne? Posso entrare?”
Corinne aveva lasciato la sua cabina in I classe solo per lasciare la sua bacchetta nelle mani degli Auror, e ci era tornata senza dare il tempo a Clara di parlarle o chiederle come stesse. Per questo motivo ora l’ex studentessa di Beauxbatons stava davanti alla porta della cabina, attendendo pazientemente e con un po’ di preoccupazione che l’amica le desse il permesso di parlarle.
“Vieni pure.”
 
Fu con un sospiro di sollievo che Clara aprì la porta, ritrovandosi nell’enorme e lussuosa cabina prenotata da Corinne per il viaggio.
“Volevo sapere come stessi.”
 
Clara si chiuse la porta alle spalle e si addentrò nella cabina, camminando sulla moquette blu notte prima di posare lo sguardo su Corinne, comodamente spaparanzata sul letto sfatto, appoggiata allo schienale foderato di velluto e una Gauloises Blondes Bleues accesa tra le dita.
“Sto bene, chérie.”
Corinne parlò senza scomporsi e senza guardarla, gli occhi chiari fissi su uno degli ampi finestrini che davano sul paesaggio innevato. Clara fece per raggiungerla, ma esitò quando calpestò qualcosa che si trovava sul pavimento: chinando lo sguardo scorse brevemente un pezzo di carta appallottolato, ma non ci fece troppo caso e proseguì fino a sedere sul bordo del letto a due piazze.
“Non dovresti fumare se non puoi nemmeno aprire la finestra… E qui è tutto di legno, Coco.”
 Clara parlò aggrottando leggermente la fronte e guardandosi attorno con un che di preoccupato nello sguardo, quasi temendo che l’amica soffocasse nel suo stesso fumo mentre la bionda le sorrideva divertita, gli occhi azzurri luccicanti e il diastema dentale in evidenza:
“Tranquilla, non ho intenzione di dare fuoco alla mia cabina. C’è da dire però che sarebbe una fine estremamente teatrale… quasi mi sorprende che Alexandra non se ne sia andata così. È il genere di cose che avrebbe apprezzato molto.”
 
Sentendo pronunciare il nome della vittima Clara deglutì, guardando l’amica picchiettare la sigaretta sul posacenere appoggiato sul comodino prima di mormorare che a breve sarebbero iniziati gli interrogatori.
“Bene. Prima capiscono cosa è successo, prima ce ne andiamo a Nizza.”
La bionda si portò di nuovo la sigaretta alle labbra sotto allo sguardo dell’amica, che allungò una mano per prendere la sua e ricordarle che avrebbe potuto parlarle in qualsiasi momento.
 
“Chérie, sei un tesoro come sempre, ma sto bene, davvero. Ammetto che è stato un po’ uno shock, ma infondo io e Alexandra non ci vedevamo da tanto… Posso sopportarlo. Mi chiedo solo come sia successo.”
“Beh, lei, insomma… era in una posizione… non andava a genio a molte persone.”
Questa volta fu Clara a distogliere lo sguardo, e l’ex compagna di scuola la guardò inarcando un sopracciglio perfettamente curato:
 
“Quindi pensi davvero che sia stata uccisa?”
“Beh, l’ha detto l’Auror, no?”
 
Clara fece scivolare la mano da quella dell’amica e si alzò, stringendo le braccia al petto mentre si avvicinava al finestrino per guardare il panorama. O forse per non guardare Corinne, che la seguì con lo sguardo e mormorò qualcosa dopo un istante di silenzio:
 
“Mi perdonerai mai davvero, chérie?”
“Non c’è nulla che io debba perdonarti, Coco.”
 
Benchè Clara si fosse sforzata di parlare con il tono più pacato possibile, l’amica riuscì comunque a scorgere una lieve nota dura, quasi risentita nella sua voce di solito estremamente dolce.
Le labbra della maggiore si piegarono in un sorriso quasi malinconico mentre Corinne scuoteva la testa, mormorando che mentiva e che lo sapevano entrambe.
 
*
 
“Ro, stai fermo! Fermo... Anzi, muoviti a destra. Ok, così… no, torna indietro. Ecco, va bene. Non ti muovere!”
“Laila, il tuo debito sta salendo, aggiungo una scatola di Cioccorane ai tre sacchetti di Api Frizzole e Gelatine, sappilo.”
 
Prospero alzò gli occhi al cielo mentre l’amica, dopo averlo costretto a salire letteralmente su un piedistallo e a mettersi in posa, lo circondava da piante e altre diavolerie mentre Cecil, seduto in un angolo dell’aula vuota, se la rideva sgranocchiando Calderotti alla zucca.
 
“Quella veste ti dona Ro, dovresti metterla anche a lezione!”
“Mh, sì, è vero, il viola mi dona, ma non lo farò, poi rischierei di far sentire inferiori gli altri mostrando la mia bellezza.”
Prospero si strinse nelle spalle, ignorando la risata dell’amico mentre Delilah impugnava la macchina fotografica facendo un cenno impaziente al “modello”:



“Sì, sì, sei meraviglioso, adesso rimettiti come prima… Cecil, non lo distrarre, o ti fotografo con un vestito rosa confetto addosso.”
“Devi solo provarci, Laila!”
“Pf, siete degli ingrati! Quando sarà una fotografa famosa questi scatti varranno un sacco di soldi, e allora verrete a scusarmi e a chiedermi di farvene ancora, ma io non lo farò.”
 
*
 
“Tesoro, volevo dirti che… che forse non tornerò a casa per Natale.”
May si morse il labbro mentre si stringeva il cappotto color panna addosso, in piedi sulla “terrazzina” posta alla fine del treno: aveva provato a telefonare a suo padre per mezz’ora senza risultati prima di rendersi conto che l’unico punto in cui la linea sembrava prendere era lì, e non all’interno del treno.
“Ma me l’hai promesso!”
Udendo la vocina di Pearl farsi allarmata e quasi accusatoria la strega annuì cupa, mormorando che lo sapeva mentre sentiva Brutus abbaiare forsennatamente dall’altro capo della linea, come a volerla rimproverare a sua volta per la promessa mancata.
“Lo so patatina, ma a volte anche i grandi fanno promesse che non riescono a rispettare. Non dipende da me, sai che vorrei essere a casa con te.”
“Non è giusto, me l’avevi promesso!”
“Lo so…”
May annuì piano mentre si portava una mano sul viso, strofinandosi stancamente la fronte mentre sentiva Pearl dire alla nonna di essere arrabbiata con lei e di non volerle più parlare.
 
“Tesoro?”
Udendo la voce della madre, che prese il telefono al posto della nipotina (che se ne andò sbattendo i piedini per andare a sedersi in un angolo con Brutus e ululare di odiare quel Natale) May si tranquillizzò un poco, sospirando demoralizzata:
“Ciao mamma… è tanto arrabbiata?”
“Abbastanza, ma gliela faremo passare preparando i biscotti di natale, non preoccuparti per noi. Pensa a tornare in fretta, piuttosto.”


L’Obliviatrice sollevò la testa per guardare il cielo coperto da nubi grigie: aveva la sensazione che a breve avrebbe ripreso a nevicare.
“Non ne sono tanto certa, mamma.”
 
 
Aveva deciso di uscire dal treno per fumare, ma non aveva tenuto in conto che Polly gli scappasse dopo aver visto un grosso gatto dal pelo maculato, cercando di inseguirlo abbaiando come una forsennata.
“Polly, smettila! E dire che con Scottish sei molto più educata!”
Lenox sospirò mentre lanciava un’occhiata di rimprovero alla cagnolina, guardando il Cavalier King Charles Spaniel sollevarsi sulle zampette posteriori e raschiare la porticina dietro alla quale il gatto era astutamente scomparso per seminarla.
Fortunatamente presto la cagnolina sembrò scordarsi del felino, perché abbaiò allegra prima di trotterellare fuori dal treno e avvicinarsi ad una ragazza bionda e con un lungo cappotto chiaro addosso.
 
“Oh, ma ciao.”
Nonostante la conversazione appena conclusa – sapeva che era solo una bambina e che avrebbe dimenticato tutto presto, ma sapere che Pearl ce l’aveva con lei era comunque sempre difficile da mandare giù – May rivolse un sorriso alla cagnolina mentre Polly le annusava i piedi, chinandosi per accarezzarla mentre lei scodinzolava allegra.
 
“Polly, ma cos’hai oggi? Hai intenzione di disturbare tutto il treno?”
Lenox aggrottò la fronte mentre si fermava sulla soglia della porta a vetri e si sforzava di scoccare un’occhiata di rimprovero alla cagnolina, che però lo ignorò bellamente mentre May, ridendo, le grattava le  lunghe e pelose orecchie fulve.
“Non importa, a me non dà certo fastidio… amo i cani. Ne ho uno anche io a casa, ma era decisamente fuori taglia per viaggiare in treno. Tu sei fortunata, piccola.”
“Lei è convinta di essere un gigante, attacca briga con tutti i cani grandi che vede. Vero signorina?”
 
Lenox abbozzò un sorriso mentre estraeva il suo zippo dalla tasca interna della giacca blu insieme ad una sigaretta, e Polly gli si avvicinò abbaiando a issandosi sulle zampe posteriori per mettergli quelle anteriori su un ginocchio mentre May si rialzava:
“Allora è una fortuna che io abbia lasciato a casa il mio Bovaro. May.”
 
La bionda sorrise e porse una mano guantata all’ex Tassorosso, che la strinse prima di accendersi la sigaretta.
“Lenox.”
“Hanno già iniziato… gli interrogatori? Io stavo cercando di telefonare.”
“Mh, sì, mi sembra di sì. Hanno chiamato una ragazza.”
 
Lenox aveva un vago di ricordo di Delilah a scuola, avendo solo un anno di differenza… così come di suo fratello Cecil. E doveva ammettere che anche se non l’aveva mai conosciuta bene gli aveva sempre dato l’impressione di essere un po’… nel suo mondo.
 
*
 
“Allora, Signorina Yaxley… Conosceva Alexandra Sutton?”
Delilah aggrottò la fronte nel sentirsi fare quella domanda, più che altro chiedendosi perché diavolo Asriel Morgenstern le stesse dando del lei per la prima volta, ma presunse che fosse una formalità dovuta alle indagini e si affrettò a rispondere con una scrollata di spalle, impassibile:
 
“Poco e nulla. Eravamo dello stesso anno a scuola, ma eravamo in Case diverse, come ricorderai. Non ci ho mai avuto a che fare, ad Hogwarts.”
“E dopo il diploma?”
“I nostri lavori non si conciliavano, dunque non ci ho avuto a che fare personalmente neanche dopo.”
Asriel, seduto di fronte a lei dall’altro lato del tavolo, la guardò con attenzione mentre James scribacchiava le sue risposte e Clodagh, seduta sul tavolo, la osservava a sua volta.
“Le ha parlato sul treno?”
“No.”
“E sapeva che avrebbe viaggiato qui?”
Le labbra di Delilah si incurvarono in un sorriso mentre sollevava entrambe le sopracciglia, assumendo l’espressione più angelica di cui era capace:
 
“Non vedo come avrei potuto.”
 
*
 
“Laila, sei proprio una strega. Perché hai fatto copiare a Ro il tuo compito di Erbologia e a me no!”
“Perché lui mi farà copiare a Difesa contro le Arti Oscure, che domande!

 
Laila sorrise, dandosi il cinque con l’amico mentre Cecil sbuffava e borbottava qualcosa a proposito di preferenze scorrette. I tre stavano andando a pranzo, di ritorno dalle serre, quando lo sguardo curioso e attento della strega venne attirato dalla figura familiare di una Grifondoro loro coetanea.
Delilah non aveva mai avuto problemi a fare amicizia, ma Alexandra Sutton non le era mai stata per niente simpatica. Di solito tendevano ad ignorarsi pacificamente, ma non era raro che la Serpeverde desse scappellotti al gemello quando lo sentiva dire che la Grifondoro fosse molto carina.
 
“Quella non me la racconta giusta, guai a voi se vi fate abbindolare come pesci lessi dalla sua faccia, sono stata chiara?”
Così aveva minacciato Ro e Cecil un pomeriggio, dopo aver assistito ad una scena in corridoio che quasi l’aveva inorridita: Alexandra aveva lasciato il suo attuale ragazzo davanti a tutti, e con le parole più perfide che le avesse mai udito pronunciare.
Di sicuro l’ultima cosa che voleva al mondo era che suo fratello e il suo amico più caro patissero la stessa sorte… per fortuna Ro le aveva giurato solennemente e con un che di teatrale che il suo cuore apparteneva solo a lei. Ma lo stesso non si poteva dire di suo fratello.
 
*

 
Cabina di Elaine, I classeVSOE-ACC-SUI-Istanbul
 
 
Renèe tamburellava le dita sul tavolo con impazienza, già sentendo la mancanza della propria bacchetta mentre Artemis, la sua Scottish dal morbido pelo chiaro, giocava sul pavimento insieme ad Ailuros, l’enorme Maine Coon nero di Elaine.
“Che fine ha fatto May?”
La rossa aggrottò la fronte mentre, in piedi davanti alla sua valigia aperta sul letto, passava in rassegna i vestiti – la maggior parte dei quali firmati “Armani” – che aveva portato con sé per decidere cosa indossare più tardi, per cena.
 
“L’ultima volta in cui l’ho vista malediceva il treno e la landa sperduta in cui ci troviamo cercando… campo, o una cosa simile. Per telefonare a suo padre.”
“La piccola sarà molto triste di non averla a casa per Natale. Mi ricordi quanti anni ha Pearl?”
“Cinque. Sono inseparabili, Pearl detesta quando May deve spostarsi per lavoro… no, non credo che ne sarà contenta.”
“Oh, beh, i bambini sono volubili. Sono certa che le passerà e che quando May tornerà sarà felicissima di riabbracciarla.”
Questa volta Elaine si voltò verso la bionda, abbozzando un sorriso che la fabbricante di bacchette ricambiò sollevando le sopracciglia, quasi divertita.
“Non sapevo che la grande cantante, la ragazza prodigio, fosse esperta di bambini.”
Il sorriso si congelò sulle labbra carnose di Elaine, che si voltò lentamente – facendosi improvvisamente seria – di nuovo verso la valigia prima di mormorare che ne sapeva qualcosa, anche se non aveva tutta l’esperienza di May.
 
“Comunque la capisco, in fin dei conti tutti noi non vediamo l’ora di arrivare a Nizza per ciò che avevamo in programma… Spero che il mio povero zio non debba aspettare troppo a lungo il mio arrivo, gli avevo promesso che avremmo passato il Natale insieme come sempre.”
 
*
 
“No, Loki, smettila di farmi gli occhi dolci, non ti darà un pezzo di torta.”
Alle parole della padrona il gatto nero miagolò offeso, lanciandole un’occhiata torva mentre Clara sedeva sul pavimento fuori dal vagone ristorante e con un piatto in mano, intenta a sbocconcellare una fetta enorme di tarte tatin mentre rimuginava.
 
“Oh, ciao. Qu’avons-nous là ?
"(Chi abbiamo qui ?)
Le labbra carnose della strega si incurvarono in un sorriso quando vide un grosso gatto dal pelo maculato avvicinarlesi con curiosità, guardandola con i grandi occhi chiari prima di lasciarsi accarezzare il musetto dalle dita della francese:
“Scommetto che sei un ruffiano anche tu che vuole un po’ di torta, vero?”
Clara sorrise, divertita, e lanciò un’occhiata a Loki, che guardava il secondo gatto con diffidenza e che gli si avvicinò guardingo mentre l’altro aveva l’ardire di farsi accarezzare dalla sua padrona.
“Su, Loki, da bravo, sii un gentilgatto!”
 
 
“Non ha detto che era poco cotta, la tarte tatin?”
“E’ pur sempre il mio piatto preferito… e tutti mangiano per sfogare la tensione.”
Clara si strinse nelle spalle mentre si portava alle labbra un altro boccone di torta alle mele e Ruven lanciava un’occhiata a Neko, il suo gatto, che trotterellò verso di lui per strusciarglisi sulle gambe.
Lo chef – che si era tolto la giacca nera lasciandola nella sua cabina, visto che avevano letteralmente “bandito” dalla cucina lui e il resto del personale per quegli stupidi interrogatori – si chinò e accarezzò il gatto mentre un altro micio nero gli si avvicinava.
“Ciao bello.” Ruven abbozzò un sorriso al gatto, che si lasciò accarezzare brevemente prima di trotterellare dalla padrona, che guardò i due gatti quasi con aria divertita:
“C’è chi pensa che ci siano troppi chats su questo treno… in effetti ne ho visti parecchi. Non le saccheggiano la dispensa?”
“Oh, no. Chi entra nella mia cucina senza permesso ne paga le conseguenze, anche se Neko viene sempre a scroccare qualcosa dopo il servizio. A proposito, quella dove l’ha presa?!”
 
Solo allora lo chef si domandò dove diavolo la strega avesse preso la torta, ma Clara si limitò a rivolgergli un sorrisino furbo prima di alzarsi con il piatto ormai ripulito in mano e stringersi nelle spalle, parlando con aria angelica:
“Segreto, Monsieur Le Cuisinier. Vieni Loki.”
Dopo aver fatto cenno al gatto di seguirla Clara lo superò e si allontanò infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni grigi del completo. Solo una volta rimasto solo Ruven si rese conto che la passeggera gli aveva mollato il piatto vuoto tra le mani senza che se ne accorgesse.
“Ma che diavolo… Neko, ma come ha fatto?!”
Neko si limitò a guardarlo di traverso, come a volerlo rimproverare per essersi fatto letteralmente intortare da una francese.
 
*
 
“Laila, sai che per me sei speciale e che ti adoro, ma mi hai davvero fatto rimandare un viaggio d’affari in Giappone per… per controllare Cecil?!”
“Shh! Non lo stiamo seguendo, stiamo solo controllando chi va al negozio. E’ molto diverso.”
Delilah, in piedi dietro ad un angolo accanto a Prospero, teneva sott’occhio l’ingresso del negozio di manufatti di suo fratello, il “Borgin & Burkes”  – ereditato dai loro genitori, visto che suo padre aveva sposato una Burke, che per anni aveva cercato di convincerla a prenderlo in gestione insieme a Cecil, ma senza successo vista la passione irrefrenabile della ragazza per la fotografia –, controllando sospettosa il via vai di clienti.
C’era qualcosa di strano in suo fratello da qualche tempo, e lei lo conosceva meglio di chiunque altro. Sua madre era certa che avesse una ragazza, e Delilah aveva l’orrenda sensazione di sapere di chi si trattasse… le serviva solo una conferma.
 
Prospero alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché dopo più di quindici anni di amicizia ancora si lasciasse trascinare in tutte le folli trovate dell’amica, che per l’occasione sfoggiava la solita mise total black, con un cappotto a doppio petto dal bavero sollevato ad arte.
“Dillo che l’hai fatto solo per avere la scusa di vestirti così…”
“Non so di che parli, Prospero, la tua fantasia viaggia fin troppo. Oh porca Morgana… LO SAPEVO! Guarda! E’ lei!”
Prospero stava per chiedere, banalmente, “Lei chi?”, ma non ce ne fu bisogno: la figura alta e longilinea di una bella strega bionda apparve infondo al vicolo opposto, un paio di tacchi a spillo vertiginosi ai piedi e un’elegante giacca blu petrolio addosso.
“Alexandra Sutton? E allora? Che c’è di strano?”
“Ti sembra forse una avvezza a frequentare Nocturne Alley, quella?! Anche se per portare scarpe del genere è evidente che faccia uso di qualche magia oscura… Oh no, Ro, non dirmi che mio fratello si è fatto intortare da lei come un fesso!”
 
*
 
“Ha parlato con qualcuno prima di stamattina? Ha notato… qualcosa di strano?”
“No, ho cenato tardi e non c’era quasi nessuno nel vagone ristorante a quell’ora. Ho intravisto una delle due francesi, la bionda, e basta. Stamattina ovviamente ho incontrato Prospero, ma ho parlato solo con lui. E’ l’unico che conosco bene, qui.”
Delilah si strinse nelle spalle, e Asriel spostò brevemente lo sguardo su Clodagh, che annuì senza dire nulla, prima di tornare a rivolgerlesi con tono serio:
 
“E ieri notte… ha sentito qualche movimento?”
“Non dormo molto, ma non mi sembra proprio. Del resto Alexandra viaggiava in I classe, in un altro vagone.”
 
Delilah intensificò leggermente la presa sulle proprie mani intrecciate, sforzandosi di restare impassibile mentre gli sguardi dei famigerati “Morgenstern & Garvey” la trapassavano da parte a parte.
Non le restava che sperare che quei due non potessero leggere nel pensiero senza impugnare una bacchetta.
 
*
 
Disteso sulla propria branda con Alfaar che gli zampettava sul petto coperto dal maglione blu scuro che indossava, Finn osservava il soffitto completamente assorto nei suoi pensieri.
Ne erano a conoscenza, del suo passato burrascoso. Soprattutto Asriel, che aveva avuto modo di conoscere abbastanza bene ai tempi di Hogwarts.
Già si era stupito quando non avevano deciso di iniziare gli interrogatori direttamente da lui: al loro posto lui l’avrebbe fatto, considerando che non aveva la fedina pulita, tutt’altro.
Non ci avrebbero messo molto a sospettare di lui. Specie venendo a conoscenza del suo particolare legame con la vittima.
All’improvviso gli venne in mente il volto, il bellissimo volto di Alexandra Sutton. Con quel tremendo sorrisetto beffardo che molte volte aveva sognato di cancellarle per sempre.
“Se non stiamo attenti finiremo nei guai un’altra volta, vero Alfaar?”
L’ex Corvonero chinò il capo per lanciare un’occhiata cupa al topolino, sfiorandolo con un dito mentre le parole di Jessa gli tornavano in mente: gli aveva sconsigliato vivamente di prendere quel treno, ma lui come sempre non aveva voluto sentir ragioni, deciso a raggiungere Alexandra.
 
Cerca solo di non fare niente di stupido, Finn.”
Ricordava di aver sbuffato udendo le parole dell’amica, ricordandole che non era uno stupido e che di rado, negli ultimi anni, aveva fatto qualcosa di avventato.
Forse, a rigor di logica, avrebbe dovuto darle ascolto come al solito.
 
*
 
Che Alexandra non fosse interessata a Cecil ma solo al suo negozio e a tutto ciò che conteneva, a Delilah era stato chiaro fin dall’inizio. L’unico a non volersi convincere era proprio il gemello, che aveva finito con l’innamorarsi perdutamente dell’avvocatessa senza voler sentire le ragioni della sorella.
Disperata, Delilah aveva deciso di fare l’unica cosa possibile in quei casi: assillare Prospero, riempiendolo di lettere cariche di lamentele e chiedendogli come potesse essere tanto egoista da andarsene in giro per il mondo lasciandola sola ad affrontare quella situazione.
 
“Bolo, ma perché mio fratello è così scemo? Insomma, siamo gemelli, pensi che sia possibile che l’intelligenza sia andata tutta nella mia sacca? Mmh, no, a scuola aveva buoni voti… allora non si spiega!”
Delilah scosse il capo con disapprovazione mentre dava acqua alle innumerevoli piante che pullulavano nel suo appartamento e rivolgendosi in particolare a quello che suo fratello definiva “uno scherzo della natura”: Bolo, la sua adorata pianta ibrida frutto di alcuni esperimenti botanici condotti dalla strega.
Che Alexandra si fosse avvicinata a Cecil per via della loro famiglia, era totalmente impensabile: anche se il loro restava un nome di spicco, la sua famiglia aveva via via perso quasi tutti i loro averi nel corso degli anni, specie dalla fine della guerra contro Voldemort.
L’unica cosa di valore che ancora possedevano era, di fatto, il negozio. Negozio che ormai da qualche tempo veniva gestito da Cecil. Delilah sapeva benissimo che cosa si celava dietro quegli scaffali polverosi, o ancor meglio nel seminterrato, e aveva la sensazione che Alexandra Sutton volesse solo una cosa: ficcare il naso dove non doveva.
 
“Cecil proprio non vuole ascoltarmi, e Ro ultimamente è sempre in viaggio… per fortuna ci sei tu, Bolo. Tu si che mi vuoi bene!”
La giovane fotografa rivolse un sorriso carico d’affetto alla pianta – un assurdo incrocio tra una Mandragola e un Tranello del Diavolo –, sfiorandola con affetto mentre questa, invece, sembrava quasi sibilare qualcosa sofferentemente.
Chiaramente però Delilah non ci fece caso, prendendo il tutto come segni dell’affetto che la pianta di sicuro nutriva per lei.
 
 
*
 
“Avrei un’ultima domanda… perché è sul treno?”
“Per motivi di lavoro sono dovuta andare a Berlino… dovevo fare un servizio fotografico per un cliente.”
 
 
“Delilah, sei impazzita?! Non puoi seguire Alexandra a Berlino!”
Cecil la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, in piedi nel suo appartamento mentre la gemella faceva frettolosamente le valige. Delilah però non si lasciò impressionare, lanciandogli un’occhiata torva mentre infilava i suoi preziosi obbiettivi in una borsa.
“Certo che posso, considerando quello che quella stronza vuole fare a te e alla nostra famiglia! E non cercare di fermarmi, Cecil. Non ci sei mai riuscito.”
 
 
“E lo ha fatto?”
“Certamente. Se volete posso farvi vedere gli scatti. Sono ancora da sviluppare, ovviamente.”
 
Delilah abbozzò un sorriso, e Asriel mormorò che le avrebbe volute vedere quella sera stessa mentre la fotografa pregava mentalmente che quella strana tortura finisse presto.
Probabilmente Asriel l’avrebbe anche congedata, ma Clodagh glielo impedì, sporgendosi verso il collega per mormoragli qualcosa all’orecchio. L’uomo aggrottò la fronte e i due si scambiarono qualche parola mentre James e Delilah li guardavano perplessi, prima che l’ex Corvonero si schiarisse la voce e tornasse a rivolgersi alla fotografa:
 
“Dimenticavo una cosa, Signorina Yaxley. Che cosa mi può dire su Prospero De Aureo?”
“Ro?”
Delilah inarcò un sopracciglio, scettica, ma si affrettò a tornare a sfoggiare un’espressione placidamente annoiata prima di stringersi nelle spalle, anche se Clodagh la guardò attentamente stringersi le braccia al petto.
“Che cosa devo dire? Siamo molto amici, fin dal primo anno ad Hogwarts, eravamo in Casa insieme.”
“E siete rimasti in rapporti così stretti anche dopo il diploma?”
“Direi di sì, anche se il suo lavoro lo porta spesso in giro per il mondo e ci vediamo meno di frequente. Perché me lo chiedete?”
 
Nessuno degli Auror rispose, e Delilah aggrottò la fronte prima di sporgersi leggermente verso di loro, parlando con tono risoluto:
“Ro non c’entra niente con questa storia, se è questo che pensate. Assolutamente niente.”
“Questo è tutto da vedere, Signorina Yaxley.”
 
Quando Delilah venne congedata e si alzò per uscire dalla stanza, si ritrovò ad indugiare suo malgrado sulla porta. Dopo aver esitato per un istante la strega si voltò, lanciando un’occhiata torva ad Asriel prima di parlare:
“Posso dirvi una cosa su Prospero De Aureo. Se fosse stato lui, di certo non avreste trovato nessun corpo.”
 
Quella era esattamente ciò che avrebbe chiamato “un’uscita di scena drammatica”, ma quando si chiuse la porta alle spalle Delilah sospirò, quasi rabbrividendo e non riuscendo a sorridere quando scorse Ro infondo al corridoio.
“Fogliolina, ti stavo aspettando! Com’è andata? Sei viva e vegeta? Non hai molestato Asriel, vero?”
L’amico la raggiunse e le strinse le spalle sorridendole con calore, guardandola scuotere piano la testa mentre lo guardava con un’espressione strana.
“No.”
 
Delilah aveva mentito in più di un’occasione, parlando con gli Auror. Ma di una cosa era certa, ossia ciò che aveva detto prima di uscire dal vagone ristorante.
Eppure c’era qualcosa a cui non riusciva a smettere di pensare già da quando la notizia del ritrovamento del corpo si era sparsa, ossia i rumori e i movimenti che aveva udito nella cabina affianco la notte precedente, quando non riusciva a dormire.
 
“Che c’è fogliolina? Stai male?”
Il sorriso di Prospero sparì, lasciando il posto ad un’espressione quasi preoccupata mentre Delilah scuoteva la testa, abbracciandolo senza dire nulla con gli occhi color nocciola carichi di preoccupazione.
 
*
 
“Alcuni di loro si conoscono, sono addirittura amici. Sai che si proteggeranno a vicenda.”
Clodagh, ancora seduta sul tavolo come era solita fare ovunque si trovasse, estrasse dal suo zainetto di pelle un sacchetto di noccioline salate che porse ad Asriel quasi in un gesto automatico, guardandolo prenderle come se fosse la cosa più naturale ed ovvia del mondo mentre Zorba gli faceva le fusa sulle ginocchia.
“E allora come facciamo?”
James aggrottò la fronte mentre Asriel, leggendo le risposte di Delilah, abbozzava un sorriso prima di alzare lo sguardo, sfoggiando un’espressione quasi divertita che il più giovane non gli aveva mai visto sul volto:
 
“Semplice: prima gli instilliamo il dubbio. Poi li facciamo dubitare. Adesso proviamo l’Incanto Reversus sulle bacchette… vediamo se hanno qualcosa da raccontarci in più rispetto ai loro proprietari.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Scusate l’ora tarda, ma chi già mi conosce sa che sono tristemente avvezza alle pubblicazioni ad orari improbabili.
Chiedo anche scusa per averci messo più del dovuto a sfornare questo capitolo, ma alla fine la scorsa settimana ho sostenuto due esami anziché uno, quindi la scrittura è stata un po’ posticipata.
Questo capitolo è molto meno demenziale del precedente, un po’ me ne dispiaccio ma del resto ho pur sempre una dignità da mantenere intatta (credici) e sono certa che gli Auror, Delilah e Prospero e la triade Ruven/Clara/Torte continueranno a darci gioie.
Ma tornando a noi, grazie a tutti per i voti e per le recensioni, questa volta vi chiedo di farmi un nome tra:
 
Corinne
Renèe
Ruven
 
 
Buonanotte e a presto, spero, con il seguito!
Signorina Granger
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 4 - Alla fine tutti avevano ciò che meritavano ***


Capitolo 4 – Alla fine tutti avevano ciò che meritavano
 
 
 
22 Dicembre, ore 17 pm
 
 
Caro diario,
a breve ci sarà il secondo interrogatorio, ma prima abbiamo provato l’Incanto Reversus su tutte le bacchette ritirate. Purtroppo nessuna di loro ci ha svelato granché. Credo che il prossimo che verrà interrogato sarà il cuoco, e Clodagh sta prendendo in giro Asriel perché dice che ha deciso così solo per dargli poi il tempo per preparare la cena.
Alpine oggi è proprio antipatica, fa le fusa ad Asriel e non mi considera neanche! Persino Zorba è arrabbiato con lei, e la sta guardando malissimo.
 
James alzò lo sguardo dal suo diario di viaggio – un quadernino con la copertina coperta da fiocchi di neve e pupazzi, tutto a tema natalizio – per lanciare un’occhiata torva alla sua gatta.
La bellissima Alpine, un’adorabile quanto viziata esemplare di Gatto di Birmania, non aveva lasciato le ginocchia di Asriel sin da quando il mago si era seduto per provare le diverse bacchette, facendo le fusa e lanciandogli occhiate stucchevoli con i grandi occhi azzurri. Ogni tanto lanciava anche sguardi di sfida a Zorba, che se ne stava acquattato in un angolo guardandola con stizza.
 
Oltre ai gatti, lui e Asriel nella cabina c’era anche Clodagh: la strega si era comodamente sistemata sul letto di Asriel, e dopo aver estratto un thermos dal suo zainetto stava sorseggiando del thè in tutta calma.
 
– “Che c’è?!” – Aveva risposto perplessa di fronte allo sguardo torvo del collega – “E’ l’ora del thè, e la cucina è chiusa!” –.
Dal canto suo, Asriel aveva sospirato, mormorando che avrebbe ucciso pur di avere un caffè prima di provare e riprovare ogni bacchetta, senza che nessuna si rivelasse quella giusta.
 
“Probabilmente l’assassino sapeva che qualcuno avrebbe potuto controllarla. Chiunque può aver fatto qualche altro incantesimo subito dopo per coprire le tracce. Immagino che sarebbe stato troppo semplice.”
“Ma l’assassino non sapeva che ci sarebbero stati degli Auror sul treno. James, puoi smetterla di scrivere le tue memorie e darci una mano?”
 
Sfoderando un sorriso colpevole, James si era affrettato a chiudere il diario e a metterlo da parte, tutto sommato felice che Asriel volesse il suo contributo:
“Sì, beh, magari lo sapeva. Chi può dire che non ci avesse visto? Non indossavamo la divisa, ma quasi tutti i passeggeri sono inglesi e… e tu e Clodagh siete piuttosto famosi, Asriel. Possono averti riconosciuto.”


“Senza contare che non sei uno che passa inosservato, anche se io ho modestamente i capelli più belli del Dipartimento.”


Clodagh annuì, passandosi distrattamente una mano tra i folti e brillanti capelli rossi mentre Asriel, ignorandola deliberatamente, annuiva piano e grattava le orecchie di Alpine con un’espressione pensierosa impressa sul viso.
“Sì, può essere andata così. Non penso che dovremmo comunque restituire loro le bacchette: c’è pur sempre un assassino in giro.”
“Sono d’accordo, anche se penso che non ne saranno felici.”
 
Clodagh, finito il suo thè, ripose il thermos mentre Zorba attraversava la cabina e saltava sul letto, stanco di essere ignorato. La strega lo aveva appena preso in braccio per coccolarlo quando Asriel, sbuffando, si era alzato sistemandosi distrattamente gli straccali neri sulle spalle:
“Coloro che avranno qualche rimostranza da fare, saranno liberissimi di venire ad esporle a me.”


Il suo tono era così serio che James si vide costretto a trattenere un risolino, certo che nessuno si sarebbe sognato di farsi avanti. Alpine, sfrattata dalle gambe di Asriel, si allontanò muovendo sinuosamente la lunga coda e ignorando il padrone, sistemandosi in un angolo senza guardarlo.
 
“Sei insopportabile oggi!”
 
James, esasperato dal comportamento viziato della gatta, incrociò le braccia al petto e ruppe il silenzio che si era appena creato: sia Clodagh che Asriel lo guardarono esterrefatti, e in particolare sul viso dell’uomo iniziò a dipingersi un’espressione più che mai scandalizzata.
“Chi, io?!”
“N-no, non tu Asriel, tu sei fantastico, intendevo Alpine!”
 
James avvampò, affrettandosi a gesticolare in segno di diniego mentre Clodagh ridacchiava con Zorba in braccio: mai avrebbe creduto di ritrovarsi coinvolta in un caso con quei due, ma doveva ammettere che era piuttosto divertente.
 
“Non dire così, è così dolce e carina!”
L’espressione seria di Asriel si trasfigurò e l’Auror rivolse un sorriso dolce alla gatta, che lo guardò adorante mentre James sfoderava una smorfia, trattenendosi dal rendergli note le sue rimostranze a riguardo.
 
“Bene, adesso andiamo ad interrogare il cuoco.”
“Come mai proprio il cuoco, tesoro?”
 
Lasciato Zorba sul letto, Clodagh si alzò in piedi rassettandosi i vestiti e lanciando uno sguardo divertito al collega, che la superò uscendo e infilandosi la giacca al contempo, ignorando il suo tono volutamente eloquente:
 
“Per nessun motivo in particolare.”
 
“Come no…” 
Mormorò Clodagh al più giovane mentre uscivano dalla cabina, che venne sigillata da un incantesimo di Asriel;
Vuole interrogarlo subito così poi può dargli il permesso di aprire la cucina e preparare la cena, dammi retta.”
 
*
 
Sa da una parte l’idea di essere il primo membro del personale a dover subire quella tortura – e perdita di tempo – lo infastidiva, Ruven entrò nel vagone ristorante ripetendosi che quanto meno facendolo subito poi non avrebbe più dovuto preoccuparsene.
Mentre sedeva sull’unica sedia pota di fronte al tavolo occupato dagli Auror, lo chef non potè fare a meno di chiedersi se non volessero interrogarlo per primo tra i colleghi perché sapevano qualcosa.
 
“Buonasera Signor Schäfer.”
Ruven si limitò a rispondere con un cenno, passando silenziosamente in rassegna i tre maghi che aveva di fronte con gli occhi verde chiaro. Non era propriamente un esperto in materia di Auror, ma doveva ammettere che fossero un trio piuttosto insolito: dalla strega con vestiti accesi tanto quanto i suoi corti capelli rossi e un sorriso dolce sulle labbra, al barbuto ed elegante collega con le braccia strette al petto e l’aria cupa seduto al centro e per finire il ragazzo più giovane, maglione natalizio addosso e l’aria più allegra e innocente che mai.
 
“E’ un problema se le chiedo di parlare in inglese? Io non ho difficoltà col tedesco, ma i miei colleghi non lo parlano e preferirei che sentissero anche loro.”


Ruven non si scompose, limitandosi ad annuire alla domanda in tedesco di Asriel, che parve soddisfatto. In cucina aveva sentito alcuni camerieri mormorare a proposito di un Auror che parlava tedesco, preoccupati perché avrebbe potuto comprendere le loro conversazioni facilmente, e apprendendo i nomi dei tre Sherlock Holmes di turno non aveva avuto dubbi su chi si trattasse, visto il cognome tanto inconsueto per un britannico.
“Bene. Il Signor Schäfer è disponibile a rispondere in inglese, così potrete seguire anche voi.”
James annuì alla spiegazione del collega, prendendo in mano la stessa penna usata qualche ora prima per l’interrogatorio di Delilah mentre Clodagh allacciava le mani sul tavolo, osservando il cuoco con curiosità.
 
“Dove è nato, Signor Schäfer?”
“A Berlino, nel 1992. Ho frequentato Durmstrang, ovviamente.”


“E lavora come cuoco da molto?”
Ruven non rispose alla domanda di Clodagh, spostando lo sguardo su di lei con sincera perplessità: non perché non volesse rispondere, ovviamente, ma semplicemente non ne fu in grado.
“Come, scusi?”
Lo chef parlò aggrottando la fronte, confuso e chiedendosi che cosa gli avesse chiesto, e Asriel roteò gli occhi prima di rispondere con un vago gesto della mano:


“Le ha chiesto se lavora come cuoco da molto. La Signorina Garvey è irlandese.”
Davvero non si capisce quando parlo?!”
 
Clodagh si sporse in avanti e si rivolse a James con sincera preoccupazione, guardando il collega sorriderle e rassicurarla che, nonostante l’accento e certe espressioni bizzarre, si facesse capire perfettamente.
 
“Oh, scusi, non avevo capito. Ho iniziato appena finita la scuola, e lavoro qui da circa un anno e mezzo… Prima sono stato un po’ ovunque.”
 
*
 
“Ahia! Mamma, lasciami, mi fai male cazzo!”
Ruven si pentì dell’epiteto non appena ebbe finito di parlare, visto che quella scelta di linguaggio sembrò solo peggiorare la situazione: sua madre Gela, dopo averlo trascinato fino alla porta di casa per un orecchio, concluse la sua opera assestandogli uno scappellotto sul coppino, facendolo gemere sommessamente.
Hilda, la sua sorellina di sette anni, non sembrò particolarmente colpita da quello spettacolo ormai abituale e continuò a colorare il suo quaderno pieno di principesse e castelli standosene distesa sul tappeto davanti al divano.
 
“Non parlare così davanti a tua sorella! E se non la finisci di andartene in giro a fare vandalismo ti rinchiudo in camera tua!”
“Non è vandalismo, non faccio male a nessuno! E’ arte, sei tu che non lo capisci!”


Il ragazzino di quattordici anni, a casa per le vacanze estive, lanciò un’occhiata di sfida alla madre mentre stringeva le braccia al petto, maledicendola mentalmente per aver interrotto il suo bel graffito nel vicolo accanto.
 
“Se quella è arte io sono la Regina d’Inghilterra. Non mi piacciono neanche un po’ i ragazzi che frequenti, tesoro.”
La strega scosse la testa con disapprovazione e il primogenito alzò gli occhi al cielo. Hilda, che fino a quel momento era stata in silenzio, ridacchiò e asserì che gli amici del fratello fossero dei “brutti scimmioni”.
 
“Meglio delle tue amichette pettegole!”
“Non è vero!”
Hilda gli fece la linguaccia, e Ruven ricambiò prima di essere spedito a lavarsi da parte della madre, che gli intimò di non far rumore:
“Tuo fratello sta facendo il riposino, e tra poco tuo padre sarà a casa… Non farlo innervosire più di quanto già non sia.”
 
Ruven sbuffò sonoramente ma obbedì, borbottando che non serviva che glielo ripetesse ogni santo giorno: lo sapeva benissimo da solo, quanto suo padre tornasse stanco dal lavoro.
 
*
 
Tornato nella sua cabina dopo aver consegnato la propria bacchetta e dopo aver chiesto a Delilah del suo interrogatorio, Prospero si chiuse a chiave la porta alle spalle prima di avvicinarsi ad uno dei suoi bagagli: una piccola valigetta di pelle nera con inserti d’oro e con ben tre lucchetti a tenerla sigillata.
Il suo gatto dal pelo maculato, un regalo fattogli da un certo prestigioso cliente giapponese, era acciambellato sulla poltroncina e gli lanciò un’occhiata pigra mentre guardava il padrona appoggiare la valigetta sul letto e aprirla.
Il felino ovviamente non fu in grado di decifrare l’espressione stupita e, soprattutto, carica d’orrore quando la valigetta si rivelò contenere solo documenti e rotoli di pergamena. Del suo carico più prezioso, nessuna traccia.
 
 
Una stecca di liquirizia stretta tra le labbra, Delilah girovagava per il treno preda della noia più totale.
Non c’era nulla da mangiare, e non sapeva cosa fare. Aveva recuperato la macchina fotografica che aveva portato con sé, e si lasciò sprofondare su un divanetto con un debole sbuffo prima di iniziare a passare in rassegna le ultime foto scattate.
Foto di Berlino, Berlino, Berlino. Ancora Berlino. Ogni tanto faceva la sua comparsa uno scatto che ritraeva un’avvenente e alta strega bionda, strega che aveva sperato ardentemente di riuscire ad incastrare con qualcosa di compromettente.
Ma così non era stato. Che gli affari di Alexandra Sutton non fossero propriamente limpidi era un fatto noto, ma doveva ammettere che la strega era tutto fuorché sprovveduta. Pur seguendola, non era riuscita a trovare niente contro di lei.
Sbuffando piano, Delilah cancellò la foto. Poi un’altra, e un’altra ancora, finchè degli scatti che ritraevano l’avvocato non rimase nulla, solo foto di Berlino.
Non era riuscita a scoprire, di preciso, che cosa l’ex Grifondoro fosse andata a fare nella capitale tedesca. Di sicuro, da quel viaggio Alexandra non avrebbe più fatto ritorno.
 
*
 
Quando Ruven tornò a casa, una sera, con un enorme livido sulla parte sinistra del viso, sua madre dovette fare una scelta: completare l’opera e ucciderlo con le sue mani, oppure fare la madre premurosa e accudirlo.
Anche se le urla scossero la casa – e svegliarono il piccolo Siard, di quattro anni, che stava dormendo al piano di sopra – alla fine Gela si arrese, e fece sedere il primogenito sul divano per mettergli del ghiaccio.
 
“Si può sapere con chi te le sei date?!”
“Con un imbecille senza cervello! Ma non preoccuparti, lui è ridotto peggio. Ahia! Perché mi picchi, mamma?!”
Gela accompagnò il solito scappellotto con un’occhiata torva, sibilando di non voler neanche sentire certi dettagli:
“Ruven, so che non sei un cattivo ragazzo, ma la devi smettere con queste cazzate.”
“Mamma, hai detto una parolaccia!”
 
La vocina di Hilda fece ridacchiare il fratello maggiore, che ammonì a sua volta la madre scimmiottando il suo tono di rimprovero.
“Scusa piccola, hai ragione. Ruven, sono seria! Non metterti in guai seri, per favore.”
All’improvviso l’espressione della strega si fece meno arrabbiata e quasi apprensiva, e il figlio le sorrise prima di annuire e abbracciarla, parlandole con tono rassicurante:
“No, mamma. Non preoccuparti, non voglio… dare altri pensieri a te e a papà. Vedila così, a Durmstrang ci tengono sempre in riga, almeno a casa devo pur divertirmi un po’!”
 
*
 
 
“Ro-Ro?”


Erano in pochi a chiamarlo “Prospero”. Quel nome tanto particolare e altisonante riscuoteva sempre lieve smarrimento nel suo interlocutore, tanto che per il mago era ormai diventata un’abitudine farsi chiamare solo “Ro” un po’ da chiunque.
L’unica ad avergli affibbiato un soprannome diverso era stata la sua probabilmente più cara amica della scuola: Delilah, per qualche inspiegabile motivo, aveva sempre preferito chiamarlo “Ro-Ro”.
Udendo quel singolare appellativo, seguito dal bussare alla porta, l’ex Serpeverde smise di misurare l’interno della cabina a grandi passi e si fermò, guardando la valigetta ancora aperta sul letto e infine la porta.
Con un piccolo sospiro, il mago chiuse la ventiquattrore nera e la ripose sotto al letto, poi si stampò in faccia il suo sorriso migliore e aprì la porta mentre Kiki lo osservava pigramente dalla sua poltroncina:
 
“Ciao fogliolina. Bisogno di qualcosa?”
Al cenno dell’amica Prospero si fece da parte, mettendosi di lato per lasciarla passare. Delilah, una macchina fotografica appesa al collo – ma di questo il mago non si stupì –, entrò e si lasciò sprofondare sul letto senza ricambiare il suo sorriso, guardandolo seria in volto.
“Ti devo chiedere una cosa.”
“D’accordo.”


Chiusa la porta, Prospero esitò prima di andare verso la poltroncina foderata di velluto, sollevare il gatto e sedersi mettendoselo sule ginocchia. Prese ad accarezzarlo osservando l’amica con attenzione, guardandola osservarsi la punta delle scarpe stringate nere prima di mormorare qualcosa:
 
“Sai quando ti ho chiesto cosa nascondessi?”
“Sì.”
“Scherzavo, ovviamente. Insomma, è insolito sapere che viaggi in II classe. Ma poi è saltato fuori un cadavere e gli Auror mi hanno chiesto di te.”


Delilah alzò lo sguardo per rivolgersi all’amico, osservandolo con attenzione. Prospero non battè ciglio e non si scompose, continuando ad accarezzare la testa di Kiki tenendo le gambe accavallate.
“Che cosa ti hanno chiesto?”
“Se siamo ancora amici come a scuola, se ci vediamo di frequente, se sapessi perché sei qui… Perché credi che mi abbiano chiesto di te?”
 
“Beh, sapranno che siamo amici. No?”
Sul viso di Prospero si fece largo un placido sorriso, e il mago parlò inclinando leggermente la testa di lato senza smettere di guardare l’amica, che ricambiò il suo sguardo senza sorridere, annuendo piano.
“Sì. Immagino di sì. Ro-Ro… credo che dovresti dirmelo, se davvero nascondi qualcosa di importante.”
“Laila, tesoro, non farti impressionare dalle loro domande. Non nascondo un bel niente.”
 
Prospero si strinse nelle spalle, sorridendole calmo. Delilah annuì prima di alzarsi, ma invece di uscire subito dalla cabina gli si fermò accanto e gli parlò un’ultima volta:
“Gli ho detto che è impossibile che sia stato tu, Ro-Ro. Però io ti conosco meglio di chiunque qui dentro… posso mentire a loro, ma tu non puoi mentire a me.”
“Pensi che sia stato io, fogliolina?”
 
Il mago alzò la testa per guardarla e l’espressione di Delilah si rilassò, abbozzando un sorriso prima di scuotere appena il capo:
“No, certo che no. Chi mai vorrebbe credere che il suo più caro amico è un assassino? Ma quando vorrai dirmi la verità, sai dove trovarmi.”
“Tu glielo hai detto, il vero motivo per cui sei qui?”
 
Prospero inarcò un sopracciglio, guardandola eloquente e senza smettere di sorridere, dandole un buffetto affettuoso sul braccio quando la vide aggrottare la fronte, dubbiosa:
 
“Fogliolina. Neanche tu puoi mentire a me.”
 
*
 
Nella lettera, sua madre gli comunicava che il padre aveva perso il lavoro a causa di dei tagli di personale nell’azienda berlinese magica dove lavorava da anni come macchinista. Ruven la lesse seduto sul proprio letto, ormai al sesto anno a Durmstrang, e dovette trattenersi dal prendere la lampada sul suo comodino e scagliarla sul pavimento.
Adorava e ammirava suo padre più di chiunque altro: Fulbert era un Magonò, non aveva potuto frequentare Durmstrang e aveva sposato una donna che era stata diseredata dalla sua famiglia per la sola colpa di aver amato uno come lui.
Sapeva che era stato un sollievo, per lui, vedere i primi segni della magia in tutti e tre i loro figli: di certo lui e Gela avrebbero amato lui e i suoi fratellini incondizionatamente, ma Ruven era certo che il padre avesse avuto il timore di vederli patire un destino simile al proprio.
 
Senza esitare, il ragazzo prese rotolo di pergamena, penna e calamaio e iniziò a scrivere una lettera per il padre senza curarsi della possibilità di sporcare il letto con l’inchiostro. Mentre era a scuola la sua famiglia gli mancava sempre terribilmente – anche se non l’avrebbe mai detto apertamente ad Hilda, che ormai aveva nove anni ma che lui continuava a chiamare “nanetta” – e in quel momento l’unica cosa che poteva fare era dar loro un po’ di supporto, anche solo a distanza.
 
*
 
“Come si trova a lavorare qui?”
“Bene. Mi è sempre piaciuto viaggiare, e lavorare su un treno te ne dà la possibilità. E si incontrano molte persone diverse, in treni come questi.”

 
Ruven si strinse nelle spalle, guardando l’Auror donna – non riusciva proprio a ricordarne il nome, se non qualcosa di vago e con uno stranissimo suono – voltarsi verso il collega e dirgli qualcosa a bassa voce.
Il tedesco inarcò un sopracciglio, trattenendosi dal farle notare che non era necessaria tanta riservatezza: di certo avrebbe faticato a comprendere le sue parole in ogni caso, per quanto parlasse correttamente l’inglese.
 
“La scorsa notte… ha sentito qualcosa di strano, o ha sentito qualche suo collega dire qualcosa a proposito della vittima?”
“No. Noi viaggiamo nella parte opposta del treno, oltre le cucine, quindi sono molto lontano dalla I classe. E nessuno ha dato cenno di conoscere quella donna.”
“Lei la conosceva?”
“No. Non l’ho neanche vista, lavoro in cucina. Di norma chi lavora in cucina non esce a fare conversazione, da molti è ritenuto disdicevole.”


Il bel volto del mago venne trasfigurato da una piccola smorfia di pura disapprovazione, ma Ruven si astenne dal fare commenti mentre Asriel inarcava un sopracciglio, parlando serafico:
 
“Strano.”
“Perché è strano?”  
Il cuoco mosse la testa di scatto, aggrottando la fronte e facendosi ancor più serio di prima mentre scrutava l’Auror di rimando. Asriel, invece, non si scompose e sorrise debolmente, stringendosi nelle spalle:
“Strano che non l’avesse mai sentita nominare. E’ famosa.”
“Non ne so nulla di legge, Herr Morgenstern.”
 
Il volto dello chef si rilassò, e il mago si strinse nelle spalle mentre James annotava diligentemente le sue risposte. Prese anche a fare il disegnino di un adorabile gattino in un angolo del foglio, ma l’occhiata di Asriel lo costrinse a sorridere innocentemente prima di affrettarsi a cancellarlo.
 
*
 
“Renèe…”
“No.”
“Ma potremmo….”
“Ti dico di no.”
“Ma uffa, mi annoio!”


May si lasciò sprofondare nella poltrona con uno sbuffo carico di disapprovazione, incrociando le braccia al petto e scoccando un’occhiata torva all’amica: Renèe, comodamente stesa sul proprio letto nella cabina in I classe in cui viaggiava, si stava limando le unghie curate mentre Artemis, la sua Scottish dal morbido pelo chiaro, giocava sulla moquette.
 
“May, lo so che sei curiosa, ma credimi, è una cattiva idea. Tra l’altro, stanno interrogando lo chef.”
“Per fortuna, oserei dire, così poi potrà cucinarci la cena. Muoio di fame. Che cosa è una cattiva idea, comunque?”


Elaine sedette sul bordo del letto di Renèe scalciando con grazia le scarpe dalla singolare suola rossa prima di rivolgere un sorriso ad Artemis, facendole cenno di avvicinarsi.
“Ma che graziosa signorina abbiamo qui… Ciao piccola.”
Accavallando le gambe avvolte nei pantaloni del costoso completo, l’ex Tassorosso si chinò e sollevò la gatta prendendola tra le braccia, carezzandole la testa.
 
Osservandola e chiedendosi come potesse risultare sempre così aggraziata, elegante e composta, May – che si era raccolta alla buona i capelli sulla nuca in un disordinato chignon – scoccò un’occhiata di rimprovero in direzione di Renèe, parlando con giocoso tono d’accusa:
“Renèe è diventata noiosa e non mi lascia divertire.”
“E che cosa vorresti fare?”
 
Elaine le rivolse un placido sorriso gentile, guardandola quasi con leggero divertimento sbuffare mentre Renèe, accanto a lei, roteava gli occhi con fare teatrale:
“Beh, quante volte ti capita nella vita di restare bloccato su un treno dove è stato commesso un omicidio? Sembra uno scenario uscito da un libro! Mi sembra il minimo cercare di cogliere i pochi lati positivi della situazione e cercare di distrarci indagando. Così avrò qualcosa di avvincente da raccontare a Pearl quando tornerò!”
“Detective May Hennings alla riscossa… May, lo dico per te, Asriel Morgenstern non è tipo da apprezzare le intromissioni quando lavora. Lo dice sempre anche mio fratello. Nel, diglielo anche tu!”
 
Renèe gesticolò con la limetta in mano in direzione della Tassorosso, che fece spallucce e ammise che un po’ di dramma non le sarebbe dispiaciuto.
“Un po’ di dramma? E’ stato trovato un cadavere in un treno di lusso, non ti sembra che ce ne sia già a sufficienza, di dramma?”
 
“Un momento… tuo fratello! Ecco perché conosci l’Auror! Confessa!”
 
May indicò l’amica con fare accusatorio, raggiante per aver svelato l’arcano mentre Elaine aggrottava la fronte, leggermente perplessa dalla piega presa dalla conversazione anche se aveva imparato a non sorprendersi delle stramberie di quelle due già quando andavano a scuola e lei e May condividevano lo stesso tavolo ad Erbologia.
Dal canto suo, la giovane fabbricante di bacchette arrossì, asserendo di non sapere di cosa l’altra stesse parlando mentre May, alzandosi, sorrideva divertita:
“Io credo che tu lo sappia invece. Non posso credere che tu non me l’abbia detto!”
 
Ridacchiando, la bionda si avvicinò al letto per punzecchiare l’amica, che si difese brandendo un cuscino mentre Artemis seguiva la scena rassegnata dalle braccia di Elaine, che parlò sfoderando la sua espressione più perplessa:
“Chiedo scusa, temo di essermi persa… di quale tra i numerosi fratelli di Renèe stiamo parlando?”


“Achilles, il più grande. E’ uno dei pochi Ollivander a non essere rimasto negli affari di famiglia… Infatti è un Auror, e conosce il nostro Signor Belle Braccia. Tempo fa non mi hai detto che lui e tua madre si erano intestarditi per presentarti qualcuno e tu ti eri infuriata? Porco Godric, non dirmi che era il Signor Belle Braccia!”
May scoppiò fragorosamente a ridere e Renèe le lanciò contro un cuscino diventando dello stesso colore della sua vecchia divisa, borbottando che era sulla buona strada per diventare una vecchia pettegola.
 
“Senti senti… e lui come ha reagito?”
Cercando di non ridere e continuando a coccolare Artemis, Elaine sorrise divertita mentre l’ex Grifondoro sbuffava, parlando a bassa voce e lanciando un’occhiataccia a May.
Oh, credo che volesse prendere mio fratello e ucciderlo.”
 
“Ma non ce l’ha una ragazza? Strano, è così bello!”
Tornata a sedersi – e riuscita a smettere di ridere – May guardò l’amica sfoggiando un’espressione sinceramente perplessa, mentre Renèe riprese a controllarsi le unghie laccate di rosa stringendosi nelle spalle:
“Stando a quello che dice Achilles, no. Del resto, pare che abbia un carattere un po’… difficile. E poi, mio fratello dice che al Ministero gli fanno tutte gli occhi dolci, ma che lui non le considera per nulla.”
“Magari gli piacciono gli uomini.”
 
Elaine parlò con tono vago e facendo spallucce, rimettendo Artemis sul pavimento per lasciarla tornare a giocare con un gomitolo mentre May sgranava gli occhi inorridita:
Merlino, speriamo di no! Sarebbe una gravissima perdita per tutta la componente femminile non omosessuale dell’umanità! Aspetta… e se fosse… magari è già innamorato di qualcuno e nessuno lo sa!”
Sul volto di May si dipinse un’espressione raggiante, quasi sentisse di aver svelato un altro mistero e morendo dalla voglia di indagare a riguardo. Questa volta, tuttavia, il turno di ridere fragorosamente fu di Renèe, che annuì come se l’amica avesse detto qualcosa di estremamente divertente:
 
“Sì, certo, Asriel Morgenstern innamorato… al massimo del suo gatto!”
 
*
 
“Come stai?”
“Bene.”
Seduto di fronte al padre, Ruven guardò l’uomo sforzarsi di sorridergli prima di sporgersi verso di lui e abbracciarlo, stringendolo più forte che poteva.
“Mi dispiace papà.”
“Non è certo colpa tua se la causa non è andata come speravamo.”
Ruven annuì mentre nascondeva il viso contro la spalla del padre, cercando di trattenere le lacrime. Di sicuro non avrebbe potuto aiutarlo mettendosi a fare la femminuccia.
“Adesso sono a casa e ci resterò. Andrà bene. Ti aiuterò, ok? Te lo prometto.”
Ruven si staccò dal padre per guardarlo in faccia, stringendogli le spalle con entrambe le mani mentre l’uomo annuiva piano, guardandolo con la solita espressione triste, quasi vuota, con cui lo vedeva da circa un anno.
“Lo so. Ti voglio bene.”
“Anche io ti voglio bene, papà.”
 
Ruven lo abbracciò di nuovo, e per quanto avrebbe voluto chiedergli di tornare quello di un tempo non se la sentì di farlo, restando in silenzio.
Si limitò a domandarsi perché lo sentisse sempre più distante, anche mentre lo stringeva.
 
*
 
“Ciao Finn.”
In piedi all’esterno del treno, appoggiato alla ringhiera di ferro della “terrazza” posta al limitare del veicolo, Finn stava osservando il paesaggio innevato non potendo fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello, non fosse stato per la situazione a dir poco spiacevole in cui si trovavano.
Sentendosi chiamare da una familiare voce profonda l’ex Corvonero si voltò, abbozzando un piccolo sorriso quando vide Asriel in piedi davanti a lui, le mani sprofondate nelle tasche di un cappotto nero a doppio petto.
 
“Salve Signor Morgenstern. E’ venuto ad interrogarmi?”
“No, al momento siamo alle prese col cuoco… piccola pausa. Ora che ci penso…”
Sul volto di Asriel si dipinse un’espressione perplessa, ritrovandosi a guardare l’ex compagno di Casa e rendendosi conto di quanto lui e Ruven Schäfer si somigliassero.
 
“Ti sei accorto che sembrate fratelli separati alla nascita?!”
“Non sei il primo a dirlo, ma onestamente non mi sembra proprio.”
Finn, ripensando alle parole e all’espressione attonita di Lenox, si strinse nelle spalle mentre Asriel, osservandolo dubbioso, estraeva da una tasca uno zippo d’argento e un pacchetto di sigarette.
“Non ne fumavi solo una al mattino e basta?”
“Sì, ma questa mattina non ne ho avuto modo… sai, ritrovamento di cadavere a sorpresa.”
 
Asriel si avvicinò all’ex compagno di Casa mentre si portava la sigaretta alle labbra, accendendola prima di parlare senza guardarlo, scrutando a sua volta la distesa di conifere e di neve in mezzo a cui si trovavano:
“Ovviamente interrogheremo anche te, ma volevo chiederti perché sei qui, Finn.”
“Lavoro, come te.”
Il mago si strinse nelle spalle e ignorò l’occhiata scettica che l’Auror gli rivolse, parlando a bassa voce.
“Quindi non sapevi che lei era qui?”
“E come diavolo avrei potuto?”
 
Finn parlò inarcando un sopracciglio e con il tono più gelido di cui era capace, intercettando l’occhiata dubbiosa che l’altro gli rivolse prima di parlare di nuovo, scuotendo la testa:
 
“Cerca solo di non finire nei guai un’altra volta.”
“Lo so. Ci sto lontano, dai guai. Credimi.”
 
 
Appoggiata al lato interno della porta scorrevole lasciata socchiusa, Corinne aggrottò la fronte. Era uscita dalla sua cabina per andare a prendere un po’ d’aria e fumare un’altra sigaretta, ma sentendo quelle voci – tra cui quella dell’Auror – si era fermata.
Specialmente quando li aveva sentiti rivolgersi indirettamente ad Alexandra.
 
Perché sembrava che tutti, su quel treno, la conoscessero? E lei che aveva pensato, inizialmente, di essere l’unica ad averci avuto a che fare.
Si stava chiedendo come Alexandra e quel ragazzo potessero conoscersi – di sicuro lei non aveva mai fatto il suo nome in sua presenza – quando scorse una quarta figura avvicinarsi lungo il corridoio. Teneva già la sigaretta in mano, pronta a fumarla, ma la strega si ridestò e la ripose rapidamente prima di allontanarsi, ricambiando con un cenno il sorriso cordiale che la seconda donna le rivolse quando le passò accanto.
 
“Asriel? Se vuoi possiamo riprendere.”
Clodagh si affacciò osservando Finn con curiosità – era quasi insolito vedere il suo collega intrattenersi in chiacchiere –, e il mago ricambiò brevemente il suo sguardo prima di lanciare un’occhiata perplessa all’Auror, che fino ad un attimo prima teneva la sigaretta in mano.
Dove diavolo era finita?
“Arrivo, Clodagh. Stavo… salutando Finn.”
 
Impassibile, Asriel stava per seguire la collega nuovamente dentro al treno quando la rossa ridusse gli occhi a due fessure e incrociò le braccia al petto, guardandolo carica di sospetto:
“Stavi fumando, Asriel?”
“No, certo che no. Lo sai che ne fumo solo una al giorno.”    Il mago non si scompose, stringendosi nelle spalle con noncuranza mentre Finn tratteneva a stento un sorriso: l’abilità di Asriel a mentire spudoratamente inventando di tutto su due piedi lo aveva sempre divertito non poco, sin da quando andavano a scuola.
“E già così non va bene per niente, se ti becco a sgarrare te la vedrai con me! Ti devo ricordare che cosa ne sarà dei tuoi polmoni?”
 
L’espressione severa di Clodagh non sembrò scalfire particolarmente l’altro Auror, che salutò Finn con un cenno prima di seguire la collega dentro al treno, ascoltando con noncuranza la sua ramanzina.
 
Osservandoli allontanarsi, Finn non poté fare a meno di pensare a a tutti i casi che avevano risolto, i criminali sbattuti ad Azkaban. Eppure, guardandoli lavorare da vicino, doveva ammettere che i due brillanti Auror costituivano davvero una strana accoppiata.
 
 
“Prima di rientrare… hai notato quanto si è innervosito, quando ho insinuato che fosse strano che non conoscesse la vittima?”
Asriel si fermò accanto alla porta del vagone ristorante assieme a Clodagh, che annuì mentre si attorcigliava distrattamente una ciocca di capelli rossi attorno ad un dito:
 
“Assolutamente sì. Credi che mentisse?”
“O ha un’enorme coda di paglia… oppure è solo molto nervoso per il contesto. Può succedere, ovviamente, ma non mi sembra il tipo che si fa intimidire da un interrogatorio. Beh, entriamo e continuiamo.”
 
Il mago aprì la porta e fece cenno alla collega di precederlo, guardandola sbattere le ciglia e ringraziarlo con lo stesso tono civettuolo che usavano le segretarie o le colleghe più giovani in ufficio.
“Clo, smettila di prendermi in giro.”
“Perché? Non posso chiamarti Asrielino come fanno loro?”
 
“Qualcuno deve solo permettersi di chiamarmi così e lo spedisco a lavorare in Burundi!”
 
*
 
“Non piangere, Siadr.”
Ruven teneva il fratellino di cinque anni in braccio, sentendolo singhiozzare contro la sua spalla mentre la fossa dove avevano calato al bara veniva lentamente ricoperta.
Anche Hilda piangeva mentre stringeva la madre, ma come lui Gela aveva gli occhi e il viso asciutti: entrambi avevano esaurito tutte le loro lacrime già prima del funerale.
 
Ruven non avrebbe mai potuto dimenticare il giorno in cui, un paio di mesi dopo essersi diplomato, era entrato in casa e aveva trovato il padre appeso al soffitto della cantina con una lettera lasciata sul pavimento. L’unica cosa di cui si rallegrava era di essere entrato in casa per primo, riuscendo così ad impedire ad Hilda di vedere prima di chiamare l’ambulanza in stato di shock.
 
 
Quella sera, Gela andò a dormire presto portando Siadr con sé, mormorando che difficilmente sarebbe riuscita a chiuderci occhio stando da sola ancora per molto tempo.
Era molto tardi quando, invece, Ruven sentì il familiare e leggero tocco della sorellina bussare alla porta. Un attimo dopo il faccino arrossato dalle lacrime di Hilda apparve dietro la porta, e Ruven la guardò esalando un sospiro carico di disapprovazione:
“Dovresti dormire, nanetta. Sei piccola per stare sveglia a quest’ora.”
“Non voglio stare da sola, ma con la mamma c’è già Siadr… puoi dormire tu con me?”
 
Hilda non glie l’aveva mai chiesto in tutti i suoi 10 anni di vita, ma Ruven quella sera, dopo il funerale, accettò senza remore, facendosi da parte per permettere alla bambina di infilarsi sotto le coperte accanto a lui.
“Ruven? Tu non farai come papà, vero?”
“No nanetta, resterò a romperti le scatole e a rubarti le bambole in eterno, non temere.”
 
*
 
 
“Un momento!”
“Che cosa c’è JJ?”
 
Clodagh stava rileggendo in tutta calma il resoconto dell’interrogatorio quando la voce del più giovane la distrasse, portandola ad alzare lo sguardo per posare su di lui gli occhi celesti.
Anche Asriel – che stava mangiando nervosamente un secondo sacchetto di noccioline portogli dalla collega – lo guardò, incuriosito, e James strabuzzò gli occhi prima di alzarsi in piedi, l’immancabile maglione con gli omini di marzapane addosso:
“Non abbiamo controllato tutte le bacchette!”
“Come sarebbe? Sì invece, le abbiamo ritirate tutte. Tranne le nostre, ovviamente, ma sebbene io nutra dubbi sui gusti cromatici di Clodagh non la riterrei mai capace di uccidere qualcuno, a parte il buon gusto.”
“Ehy! Guarda che mi riprendo le noccioline!”
 
 “No, non parlavo delle nostre… non abbiamo controllato quella della vittima!”
 
Un breve silenzio tombale seguì le parole di James, mentre Asriel e Clodagh lo guardavano immobili. Poi, dopo una rapida occhiata scambiata fugacemente, entrambi si alzarono, accompagnati da un’imprecazione da parte del più vecchio:
“Porca puttana… andiamo a prenderla. Clodagh, perché non me l’hai ricordato?!”
“IO? E tu invece, perché non ci hai pensato?”
“Io stavo controllando le altre, eri tu quella che beveva il thè pomeridiano! Volevi anche i biscottini per caso?”
“Le solite scuse! E proprio tu parli, che tra un interrogatorio e l’altro stai sempre a mangiare noccioline!”
 
 
Per una volta, James non si fermò ad ascoltare i loro bisticci, ma girò sui tacchi e uscì di corsa dal vagone ristornate con i due al seguito, diretti verso la cabina di Asriel.
Estratta la bacchetta, l’ex Tassorosso fece scattare la serratura ed entrò nella stanza, Asriel subito dietro.
 
“Accio.”
Il sacchetto contenente la bacchetta di Alexandra uscì dalla sua valigia e planò dritto verso l’Auror, che lo prese prima di rivolgere un muto cenno del capo a Clodagh: la strega, presa a sua volta la bacchetta, fece uscire quella della vittima – lunga, e piena di incisioni a forma di ghirigori – e la tenne sospesa a mezz’aria.
Prior Incatatio.”
 
Quando qualcosa iniziò ad uscire dalla punta della bacchetta, James trattenne il fiato. Alpine si avvicinò incuriosita, mentre Zorba si acquattò diffidente accanto alla gamba del padrone, osservando una sorta di rivolo di fumo perlaceo uscire dalla bacchetta e riversarsi in mezzo ai tre Auror, fluttuando lentamente nell’aria.
Clodagh sospirò, capendo ancor prima che il fumo divenisse verdastro: non era la prima volta in cui l’Incanto Reversus produceva quell’effetto su una bacchetta, nelle numerose indagini che aveva svolto.
James, invece, osservò colpito prima che Asriel annullasse l’incantesimo con un cenno della propria bacchetta, osservando quella di Alexandra con un po’ di rassegnazione:
“Beh, almeno sappiamo quale bacchetta ha ucciso la Sutton. Peccato che il suo carnefice sia stato così accorto da usare la sua.”
“E ovviamente questo non ci porta da nessuna parte.”


Clodagh aggrottò la fronte, guardando accigliata il collega rimettere via la bacchetta. James stava per chiedere se per caso non avrebbero potuto rilevare delle impronte come nelle serie tv Babbane quando Asriel gli assestò una sonora e poderosa pacca sulla schiena:
“Bravo James.”
 
Certo di avere la spalla slogata e rimasto senza fiato, James deglutì e si sforzò di sorridere, mormorando un “grazie” soffocato mentre il collega si chinava per prendere Zorba in braccio.
“Bene, propongo di aspettare la cena esaminando le informazioni che abbiamo raccolto fino ad ora… continueremo con gli interrogatori domani. Dovremmo anche scrivere al Ministero per farci mandare informazioni dettagliate sui sospettati, ci faremo prestare un gufo.”
“Scrivo io a Potter, tu non gli stai simpatico. Comunque fa’ attenzione Asriel, per l’amor del cielo, hai quasi ucciso il povero Jamie!”
 
Clodagh massaggiò la schiena dell’ex compagno di Casa con fare apprensivo e lanciando all’amico un’occhiata di rimprovero che venne ricambiata da un’espressione sinceramente sorpresa, quasi leggermente dispiaciuta:
“Oh… scusami tanto James.”
“F-figurati.”
 
*
 
“Hilda è a Durmstrang, tra pochi mesi ci andrà anche Siadr e adesso tu te ne vai… di questo passo resterò sola!”
In piedi davanti al figlio, che aveva già sistemato i pochi bagagli nel bauletto della sua Honda nera, Gela parlò con un sospiro mentre Siadr saltellava attorno al veicolo chiedendo perché non poteva andare col fratello maggiore.
“Perché sei un nanetto che non ha nemmeno una bacchetta, e i nanetti non vanno in moto.”
“Non sono un nanetto!”
 
Il bambino sfoderò la sua espressione più offesa, lanciando un’occhiataccia al maggiore prima che Ruven lo zittisse con un buffetto affettuoso sulla testa.
“E soprattutto, devi badare alla mamma per me. Intesi? Adesso sei tu l’uomo di casa.”
All’improvviso il bambino sorrise, gonfiando il petto e guardando la madre con gli occhi chiari luccicanti:
“Bello! Comando io, mamma?”
“Quando sarò nella bara! Vai a fare i compiti.”

 
Gela alzò gli occhi al cielo e spedì il figlio minore dentro casa ignorando le sue proteste, sorridendo a Ruven prima di abbracciarlo:
“Mi mancherai tesoro. Non fare cazzate, capito?! Perché in caso lo saprò e verrò a prenderti per un orecchio come ho sempre fatto.”
“Le mie orecchie infatti implorano pietà da dieci anni, grazie al tuo tocco amorevole.”
Il ventiduenne aggrottò la fronte, lanciando un’occhiata torva alla madre prima di stringerle le mani nelle sue, promettendole di scriverle spesso e di mandarle del denaro ogni mese.
“Ruven, non devi dare quasi tutto a noi, lo sai… devi tenere qualcosa in più per te.”
“No. Siete la mia famiglia, e ne avete più bisogno voi. Soprattutto per Hilda e Siadr.”
 
“D’accordo… quando torni, tesoro?”
Ruven sorrise prima di stringersi nelle spalle, avvicinandosi alla moto per prendere il lucido casco nero:
“Quando avrò visto un po’ di tutto, a cominciare dall’Europa. E quando sarò un cuoco ancora più bravo e famoso, soprattutto.”
 
 
*
 
 
“A chi scrivi, chérie?”


Corinne sedette accanto a Clara e accavallò le gambe lasciate nude dalla gonna del vestito con rapidi movimenti fluidi, soprassedendo come suo solito sull’occhiata attonita che l’amica lanciò alle sue gambe.
“George.”
La mora rispose senza guardarla in faccia, distogliendo lo sguardo per tornare a concentrarsi sulla lettera che stava scrivendo. Corinne non disse nulla, irrigidendosi leggermente sulla sedia mentre le parole le morivano in gola.
Anche la bionda distolse lo sguardo, osservando con insistenza le proprie mani allacciate in grembo mentre l’amica mormorava qualcosa spezzando il silenzio:
“Sai, per dirgli… che non so quando riuscirò a tornare.”


“Sono sicura che entro un paio di giorni al massimo saremo a Nizza. Chissà, forse verrà fuori che la morte di Alexandra è stata un assurdo incidente.”
“Lo credi davvero?”
 
Questa volta l’ex Spezzaincantesimi si decise a guardare l’amica, rivolgendole un’occhiata piuttosto dubbiosa: di norma non aveva mai dubbi sul fatto che Corinne potesse avere ragione, ma in quel caso si sentiva di poter dissentire.
“Non lo so. Onestamente non lo so. E’ davvero… assurdo. Chissà che cosa ci faceva su questo treno, poi.”
 
“Quindi non sapevi che l’avresti incontrata qui?”
“Cosa? No, santo cielo. Pensi che volessi vederla dopo tutto quello che è successo?”
 
Corinne parlò piegando le labbra in una smorfia quasi disgustata, sorpresa nel sentire udire quelle parole. Tuttavia, non si stupì quando vide l’amica prendere la lettera che stava scrivendo e alzarsi mormorando qualcosa a bassa voce:
 
“Averci a che fare dopo quello che aveva fatto a me non ti disgustava tanto, cinque anni fa.”
“Clara, ti prego… se vuoi ne possiamo parlare una volta per tutte.”
 
La bionda sospirò, parlando con tono quasi implorante mentre allungava una mano per sfiorare quella dell’amica, che però scosse il capo e la ritrasse prima di girare sui tacchi e allontanarsi.
Corinne non si alzò e non cercò né di fermarla né di seguirla: si limitò a guardarla allontanarsi, fuggendo da una conversazione che probabilmente rimandavano da troppo tempo, prima di maledire mentalmente quella stronza della sua ex fidanzata.
Anche se, dopotutto, sapeva che la colpa non era stata solo di Alexandra: la stupida a fidarsi infondo era stata lei.
 
 
Pardon, Monsieur.”
Clara accennò un lieve sorriso con le labbra quando passò accanto a Lenox per attraversare il corridoio e raggiungere la propria cabina e lui si spostò per farla passare, rivolgendole un debole sorriso a sua volta e un cenno del capo.
 
L’ex Tassorosso lanciò un’occhiata incerta alla porta scorrevole chiusa del vagone ristorante, chiedendosi come sarebbero proseguiti gli interrogatori.
Dal canto suo, non era particolarmente impaziente del suo turno: conoscendosi, avrebbe finito col mettersi in un mare di guai, e tutto per colpa di quel suo stupido problemino con il caldo, i vestiti, l’agitazione e un opprimente senso di soffocamento che lo attanagliava quando si sentiva sotto pressione.
 
“Dici che mi prenderanno subito per il colpevole e che mi sbatteranno ad Azkaban, Polly?”
Il mago abbassò lo sguardo sulla cagnolina che lo seguiva fedelmente prima di chinarsi e prenderla in braccio, carezzandole la testa con un piccolo sorriso.
 
“Beh, per fortuna ho te, vero piccolina?”
La cagnolina, tutto ciò che gli rimaneva della sua ex moglie, abbaiò e gli diede un paio di leccatine su una mano, dimostrandogli come sempre tutto il suo affetto.
Lenox le sorrise con calore prima di guardare un’ultima volta la porta chiusa del vagone, dopodiché si diresse nuovamente verso la propria cabina: aveva pensato di uscire a fumare, ma aveva la sensazione che avrebbe finito con l’incontrare qualcuno, e in quel momento preferiva rimanere solo.
Soprattutto considerando che c’era un assassino in circolazione.
 
*
 
Ruven mise piede nella sua amata, familiare cucina con un sorriso sollevato: gli sembrava di non entrarci da secoli, e quel posto aveva un che di terribilmente rassicurante.
 
“Bene, assassinio o meno penso che quelli avranno comunque una gran fame, quindi meglio mettersi al lavoro.”
Lo chef s’infilò la sua adorata giacca a doppio petto nera dopo aver dato una carezza a Neko, il suo adorato gatto trovato per caso durante un viaggio in Giappone che come al solito se ne stava in un angolino aspettando il suo consueto spuntino.
 
 
“Signor Schäfer? Volevo dirle un’ultima cosa.”
Ruven era sulla soglia, quando lo aveva sentito chiamarlo. Sentendosi raggelare – che si fosse lasciato sfuggire qualcosa su quella grandissima stronza? Possibile? – il cuoco si era voltato lentamente, sforzandosi di apparire impassibile.
Il sollievo che aveva provato quando aveva visto Asriel Morgenstern accennargli un sorriso, non avrebbe mai potuto descriverlo:
 
“Il pranzo era ottimo.”
“Grazie. Mi fa piacere.”
 
Aveva sentito la strega ridere e accusare bonariamente il collega di essere il solito mangione, ma Ruven non ci aveva prestato troppa attenzione, uscendo dal vagone sentendosi più leggero che mai.
Forse per il momento era davvero riuscita a scamparla.
 
Mentre iniziava a fare avanti e indietro dalla dispensa e dalla cella frigorifera, Ruven pensò alla donna morta. Una strega che aveva incontrato sei anni prima, quando aveva intentato una seconda causa ai danni di chi aveva causato la rovina, la depressione e il suicidio di suo padre.
Del processo, non avrebbe mai potuto scordare che una cosa: il sorriso, il volto e l’espressione compiaciuta dell’avvocato avversario dopo aver vinto la causa. Avvocato che aveva quasi aggredito, fuori di sé, fuori dall’aula di tribunale.
Sorridendo appena, Ruven prese in mano un coltello e prese ad affettare le verdure. Alla fine tutti avevano ciò che meritavano.
 
*
 
Un’ora dopo, quando uscirono dalla cabina per andare a cena, Clodagh alzò lo sguardo su Asriel e gli si rivolse con un tono insolitamente preoccupato:
“Asriel?”
“Sì?”
Perplesso nel scorgere l’espressione affranta della strega, l’Auror la guardò quasi con leggera preoccupazione, rilassandosi e cercando di non ridere quando Clodagh gli chiese l’ultima cosa che si sarebbe aspettato:
 
“Ma tu mi capisci quando parlo, vero?”
“All’inizio ho dovuto farmi l’orecchio, ma sì rossa, ti capisco anche troppo bene.”
Rincuorata, Clodagh sorrise e gli circondò la vita con un braccio mentre lui faceva lo stesso poggiandole un braccio sulle spalle, lamentandosi di avere fame e facendola scoppiare a ridere di conseguenza:
 
“Maledetto spilungone atletico, potessi io mangiare tutto quello che mangi tu!”
“Cosa pensi, che un cervello come il mio si tenga in azione da solo? No signora!”


 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Chiedo scusa per il ritardo, di solito mi metto alla tastiera e i capitoli mi escono molto rapidamente, ma questa volta non è stato così.

Come ho fatto per Wars of the Roses, ho pensato di fissare le pubblicazioni con cadenza precisa, così da potermi organizzare meglio (anche se in realtà vale anche per voi, alla fine, visto che così saprete sempre quando aggiornerò): i capitoli dovrebbero arrivare ogni 10 giorni, quindi il prossimo salvo imprevisti arriverà venerdì 19 febbraio. A me andrebbe bene fare anche un capitolo alla settimana, ma ho paura che poi qualcuno possa avere difficoltà a stare dietro agli aggiornamenti…
In sostanza, ditemi voi che ne pensate e se un capitolo ogni 10 giorni vi aggrada. In caso di imprevisti, ovviamente vi informerò preventivamente su Instagram.
 
Ed ecco i nomi di oggi, andiamo su tre fanciulle:
 
May
Clara
Corinne
 
Considerando che dovrei aggiornare tra dieci giorni, vi pregherei di farmi avere il nome entro non più di una settimana.
 
A presto!
Signorina Granger

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 - Mai fidarsi di una francese! ***


Capitolo 5 – Mai fidarsi di una francese!
 
22 Dicembre, 22:30 pm
 
 
Ce l’aveva fatta. Leggere era stato pressoché impossibile negli ultimi giorni, tra il lavoro a Berlino e il manufatto da consegnare al Ministero tedesco, il treno che gli dava la nausea, l’omicidio e i primi interrogatori.
Ma dopo quella lunga giornata finalmente Asriel ci era riuscito: si era coricato dopo aver magicamente ampliato il letto e aveva ripreso in mano il libro che aveva portato con sé con Zorba acciambellato accanto a lui sopra al piumino bianco latte.
Finalmente avrebbe scoperto l’identità del pluriomicida di Nigger Island.
 
Sull’isola erano rimasti solo in due, e Asriel si stava chiedendo se avesse indovinato o meno la risoluzione del mistero quando qualcuno iniziò a bussare alla porta.
Sentendosi raggelare – chi violava la sua quiete a quell’ora?! –, l’Auror non rispose: possibile che non poteva permettersi neanche un’ora di pace per leggere?
Poco male, si disse il mago con una scrollata di spalle: c’erano altri due Auror sul treno. Che facessero affidamento su di loro, per una volta. Insomma, non doveva sempre pensare a tutto lui.
 
Eppure, di chiunque si trattasse, la persona oltre la porta della cabina – sigillata dallo stesso Auror con un incantesimo, vista la situazione – non si arrese e riprese a bussare con maggior veemenza, tanto che lo stesso Zorba si svegliò con un sussulto, spalancando i grandi occhi gialli, e prese a stiracchiarsi.
Esasperato, Asriel stava per alzarsi e andare ad aprire quando la cabina venne scossa da una piccola esplosione che fece saltare la serratura della porta, che venne spalancata con tanta violenza da farla quasi uscire dai cardini.
 
“Ma che cazzo…”
Zorba, spaventato, corse a nascondersi sotto al letto mentre Asriel scattava in piedi e afferrava la bacchetta, pronto ad affrontare il suo visitatore. Quello che però aveva momentaneamente identificato come l’assassino di Alexandra Sutton venuto a sistemarlo si rivelò essere Clodagh, che gli si parò davanti con la bacchetta sguainata prima di spalancare gli occhi chiari a sua volta, sbigottita:
 
“ASRIEL?”
“CLODAGH? Che cazzo stai facendo?!”
“Brutto idiota, perché non rispondi? Pensavo ti avessero ucciso!”
 
“Sto leggendo Dieci piccoli indiani e non voglio essere disturbato!”


Asriel, imbronciato, indicò il libro abbandonato sul letto e Clodagh alzò gli occhi al cielo, dandogli del cretino prima di afferrare un cuscino e colpirlo sulla spalla, non badando al fatto che il collega fosse nella sua tenuta notturna, che prevedeva pantaloni del pigiama e niente maglietta:
“Ma bravo! E se qualcuno fosse stato in pericolo di vita? Clodagh Garvey, uccisa brutalmente, il suo partner non interviene in suo soccorso. Motivazione: stava leggendo.”
Il collega sbuffò e le afferrò il cuscino dalle mani, colpendola a sua volta prima di scoccarle un’occhiata torva. Zorba invece fece timidamente capolino da sotto al letto del padrone, controllando guardingo che fosse tutto a posto prima di correre da Clodagh per strusciarsi sulla sua gamba.
“Non essere assurda, so benissimo che non eri in pericolo. Che ci fai qui?”
All’improvviso l’espressione della strega mutò, facendosi adorabilmente sorridente come suo solito prima di accennare alla porta del bagno della cabina. In effetti, solo all’ora Asriel si rese conto che la collega aveva un asciugamano verde lime e il suo pigiama giallo sottobraccio.
“Volevo chiederti se posso scroccare il bagno.”
“Hai fatto saltare in aria la mia cabina per farti la doccia?!”
“Beh, come ho detto pensavo fossi in pericolo, devi prenderlo come un gesto di estremo affetto!”
 
 
 
In tutti i suoi anni di vita, era capitato ben di rado che Elaine Primrose Fawley-Selwyn non si mostrasse assolutamente impeccabile in pubblico: da piccola era sua madre ad insistere, ma crescendo la stessa strega aveva sviluppato una certa attenzione al proprio aspetto e al proprio abbigliamento, cercando in tutti i modi di essere sempre elegante e in ordine.
Avvolta nella sua immancabile vestaglia di seta, Elaine stava scrivendo a suo zio: era in viaggio per la Francia per passare il Natale con lui, ma di quel passo era probabile che non sarebbe riuscita a fare in tempo.
Niente la faceva soffrire come l’idea di lasciare solo l’uomo per il suo primo Natale senza la moglie, ma si sentiva quantomeno in dovere di avvisarlo. Ailuros già sonnecchiava nella sua cuccia, sistemata come sempre accanto al letto della padrona, ma un acuto boato fece svegliare di scatto il felino e sobbalzare Elaine, che urtò il calamaio versando un po’ d’inchiostro sulla pergamena.
“Merda!”


Una signorina per bene non parla in questo modo!


Mandando mentalmente al diavolo la fastidiosa voce della madre Elaine si alzò, rimettendo a posto il calamaio e cercando di salvare la lettera. Stava per sistemare il danno con un rapido “Gratta e netta”, quando rammentò di non avere la bacchetta con sé.
Sbuffando amareggiata, la strega si chiese cosa stesse succedendo e lasciò la lettera sullo scrittoio prima di dirigersi verso la porta allacciandosi la vestaglia, cercando di non pensare al fatto di essere già senza trucco e con i capelli raccolti sulla nuca.
 
 
 
Corinne, chiedendosi cosa stesse succedendo, aprì la porta della sua cabina con la camicia da notte azzurra addosso e si guardò attorno, spaesata: si stava togliendo il trucco quando per poco lo specchio appeso alla parete non era caduto sul pavimento a causa di un tonfo sordo che aveva quasi fatto tremare la sua cabina Anche la porta accanto si aprì, e lei ed Elaine si scambiarono due occhiate stranite prima che James uscisse dalla propria in un pigiama azzurro coperto da fiocchi di neve, la bacchetta in mano e tenendo una Alpine tremante in braccio.
“Non ho sentito solo io quel boato, vero?”
“Direi proprio di no.”
Elaine, accigliata e leggermente preoccupata, scosse la testa mentre James si voltava verso la porta della cabina di Asriel.
“Credo proprio venisse dalla cabina del suo collega.”
 
In un inglese perfetto e privo di sbavature, Corinne accennò alla cabina di Asriel proprio mentre James si rendeva conto dello stato disastroso in cui verteva la porta, spalancando gli occhi chiari allarmato:
Oh merda
“Brontolo!”
 
 



Clodagh s’infilò la bacchetta in tasca e si strinse nelle spalle mentre Asriel, rassegnato, si passava una mano tra i capelli con un sospiro. Annuì, borbottando che poteva fare quello che voleva, pur di lasciarlo leggere, quando la voce di James giunse preoccupata dalla soglia della stanza:
“Asriel, va tutto bene? Abbiamo sentito rumori strani…”
“Tutto bene James, Clodagh è solo esagerata e per poco non ci fa esplodere tutti.”
“Tutto perché tu sei troppo prezioso per rispondere quando qualcuno ha bisogno di te!”
“Ci sono sempre quando hai bisogno di me, ma avevi bisogno della doccia!”


Clodagh, offesa, asserì che l’igiene era importantissima prima di chiudersi in bagno, e James parve rincuorarsi: alla fine erano solo Asriel e Clodagh che facevano Asriel e Clodagh, dopotutto.
“Meno male, temevo fosse successo qualcosa… Beh, allora buonanotte. Risolvi tu qui?”
James accennò alla porta scardinata e Asriel annuì torvo, guardandolo uscire prima di riparare il danno.
Il più giovane, uscito dalla cabina, sorrise imbarazzato quando scorse le espressioni curiose di Corinne ed Elaine, entrambe in attesa di risposte, in pigiama e con gli occhi puntati su di lui:
“Ecco… i miei colleghi. Solo un piccolo equivoco.”
“Petit? Mon dieu, questi inglesi…”
 
Corinne scosse la testa con disapprovazione prima di voltarsi e tornare nella sua cabina, premurandosi di chiudersi a chiave. Elaine invece ridacchiò, augurando educatamente la buonanotte a James prima di fare altrettanto.
L’ex Tassorosso sorrise al suo enorme Maine Coon prima di dargli una carezza, asserendo che quelli fossero gli Auror più strambi che le fosse mai capitato di incontrare.
 
*
 
“PORCA PRISCILLA, COSA C’E’ ANCORA?”
 
Era tornato a letto, aveva ripreso il libro in mano. Sconvolto, lo aveva quasi finito. Gli mancava solo l’epilogo, le ultimissime pagine, la lettera dove finalmente avrebbe trovato le sue risposte… finchè qualcuno non aveva bussato alla porta.
 
Chiedendosi cosa dovesse fare un povero Auror per riuscire a finire un libro, Asriel si era alzato, aveva raggiunto la porta a passo di marcia e l’aveva spalancata abbaiando poco garbatamente al povero cameriere che aveva davanti.
Il ragazzo, quasi impallidendo di fronte all’espressione truce dell’Auror in pantaloni del pigiama blu a righe grigie, balbettò che gli aveva portato il servizio in camera e accennò al vassoio coperto da cloches che teneva in mano.
“Ma io non ho ordinato niente.”
 
Asriel aggrottò la fronte, perplesso, e si chiese cosa diavolo stesse succedendo su quel treno quando la porta del bagno si aprì, e una voce cristallina pose fine ad ogni suo dubbio: ma certo. Clodagh.
 
“L’ho ordinato io!”
“E come?”
“Dal telefono del bagno, che domande! Molte grazie!”
 
Ormai in pigiama, Clodagh lasciò i vestiti sul letto del collega prima di prendere il vassoio dalle mani del cameriere con un sorriso, ignorando il profondo sospiro che lasciò le labbra di Asriel.
“Danke. Gute Nacht.”
 
Richiusa la porta, Asriel pregò di non ricevere altre visite prima di lanciare un’occhiata dubbiosa alla collega, chiedendosi cosa diavolo avesse ordinato a quell’ora.
“Ma la cucina è ancora aperta?”
“No, ma è uno dei vantaggi di essere una di quelli che risolverà il caso. Vuoi un sandwich?”
 
La strega, seduta sul bordo del letto, porse il piatto di sandwich al tacchino ad Asriel, che esitò prima di prenderne uno con un borbottio sommesso.
“Lo hai finito il libro, in ogni caso?”
“Sì, mi manca solo…”
 
Asriel stava per dire “l’epilogo”, ma non ne ebbe il tempo: Clodagh lo interruppe sul nascere, annuendo pensierosa e sbocconcellando il suo sandwich.
“Sorprendente, vero? Io ero davvero sconvolta quando ho scoperto che si trattava di…”


Asriel impallidì, senza parole, e guardò la collega restando perfettamente immobile. Incuriosita da quel silenzio insolito, Clodagh si voltò verso l’amico, impallidendo a sua volta scorgendo la sua espressione prima che Asriel iniziasse a balbettare:
“Tu… io… Non l’avevo finito, porca puttana!”
“Ma… ma hai detto di sì!”

“Mi mancava la lettera finale, irlandese mangia-sandwich scroccona di docce!”
 
Stizzita, Clodagh avrebbe voluto correggerlo e ricordargli che lei era nata in Irlanda del Nord, ma Asriel la colpì di nuovo con un cuscino, zittendola sul nascere mentre Zorba si leccava una zampa incurante, ormai abituato a quel genere di teatrini.
 
*
 
 
23 dicembre, 8:30 am
 
 
“Salve! Volevo sapere se è riuscito a preparare la torta.”
Accigliato, Ruven alzò lo sguardo dal pane che stava per infornare per rivolgersi alla strega dai capelli rossi che aveva davanti. Non era sicuro di aver compreso ciò che gli aveva appena chiesto, ma decifrando la parola “torta” intuì che volesse sapere se era pronta. La sera prima lei e il collega alto e barbuto gli avevano fatto visita chiedendogli di preparare una torta di compleanno per il terzo collega.
O meglio, la strega glielo aveva chiesto. L’altro si era limitato a borbottare sommessamente.
 
 
“Sì, è in frigo.”
Lo chef annuì e accennò al frigo prima di lasciare la teglia piena di pagnotte di impasto, pulirsi le mani su uno strofinaccio e infine aprirlo per mettere la torta glassata al cioccolato a due piani sul bancone, scatenando un largo sorriso da parte dell’Auror:
“Grazie, è bellissima! Gli piacerà da matti.”
Lo aveva implorato di metterci degli omini di marzapane, e in effetti la superficie della torta era coperta da omini sorridenti e bastoncini di zucchero colorati sparsi qua e là.
“Prego. La rimetto in frigo, intanto.”
 
Clodagh annuì, allegra, e lo ringraziò di nuovo prima di uscire dalla cucina sotto lo sguardo accigliato dello chef, che si domandò sinceramente con che razza di Auror avesse a che fare, tra omini di zenzero, bastoncini di zucchero e abiti variopinti al limite dell’immaginabile.
 
*
 
Prospero stava facendo colazione sorseggiando una tazza di caffè, gli occhi scuri fissi sul vetro del finestrino appannato per il freddo e i capelli tendenti al riccio raccolti sulla nuca. Le lunghe gambe accavallate e il braccio sinistro appoggiato con grazia sul bracciolo della sedia, il mago nascose un sorrisetto dietro alla tazza di ceramica bianca quando scorse con la coda dell’occhio l’arrivo del “tornado”.
 
“Ro-Ro!”
“Buongiorno fogliolina, cosa posso fare per te quest’oggi?”


Prospero lasciò che un sorriso gli incurvasse le labbra mentre voltava la testa verso l’amica, che gli sedette di fronte tenendo la sua macchina fotografica appesa al collo e lisciandosi distrattamente la frangetta corvina.
“Numero 1: muoio di fame.”
“Ordina quello che vuoi.”
“Numero 2: ho provato ad accarezzare una bellissima gatta bianca, ma mi ha riempita di graffi, guarda!”
La fotografa sollevò sconsolata la mano destra, piena di sottili graffi rossastri, e Prospero simulò la sua miglior espressione dispiaciuta prima di prendergliela con delicatezza e depositarci un bacio sopra, chiedendole se pensava di poter sopravvivere.
Ignorando la sua domanda, Delilah prese il menù, ordinò dei pancake allo sciroppo d’acero e caffè e poi si rivolse nuovamente all’amico puntando risoluta i gomiti sul tavolo.
Prospero avrebbe potuto riconoscere la sua espressione cospiratoria tra mille, e seppe che l’amica stava per trascinarlo nella loro ennesima impresa folle ancor prima che Delilah aprisse bocca:
“Numero 3. Stanotte non riuscivo a dormire, non per niente ho delle orribili occhiaie…”
“Ma che dici, non si vedono!”
“Certo, ci ho messo due tonnellate di correttore!”
“Davvero? Fantastico… Poi dimmi la marca, così lo provo anche io.”
“Sì, poi te lo mostro…
ma non è questo il punto. Mentre non riuscivo a dormire ho attentamente riflettuto sulla situazione, e sono giunta alla conclusione che voglio tornare a casa il più presto possibile. Motivo per cui dobbiamo capire chi è stato a fare fuori la stronza!”
 
“Tesoro, non penso che additare in pubblico la vittima “la stronza” sia una buona idea per togliersi dalla lista dei sospettati…”
“Ah, hai ragione. Dobbiamo trovarle un nome in codice. La chiameremo “La panterona”.
 
Prospero tossicchiò, cercando di non farsi andare il caffè di traverso per le troppe risate prima di sorridere all’amica, divertito:
“Ci sono non uno, ma ben tre Auror in circolazione. Pensi che potremo essere detective migliori?”
“Pf, chi meglio di me per ficcanasare? Ieri dopo l’interrogatorio mi annoiavo e ho fatto un po’ di foto a tutti.”
“E io che credevo di essere il tuo modello prediletto.”  Prospero scosse il capo con disapprovazione mentre l’amica gli passava la macchina fotografica, inarcando un sopracciglio quando scorrendo le foto s’imbatté in una lunga sequenza di foto di Asriel Morgenstern:
“Fogliolina, perché tutti questi zoom sulle braccia di Asriel?”
“Mh? Le avrò fatte per sbaglio…”
 
*
 
Dopo aver ricevuto le telefonate di auguri da parte delle sue sorelle maggiori – che si premurarono di chiedergli apprensive se mangiasse e se stesse bene, facendogli alzare gli occhi al cielo – James aveva raggiunto il vagone ristorante per fare colazione.
E anche per capire di preciso cosa fosse successo la sera prima.
Clodagh e Asriel erano già seduti, e se il secondo teneva le braccia strette al petto, Zorba sulle ginocchia e aveva l’aria più scontrosa che mai, Clodagh lo accolse con un sorriso e un abbraccio, facendogli calorosamente gli auguri prima di mostrargli un’enorme e colorata torta al cioccolato piena di omini di marzapane.
“E’ per me? Grazie Clo, è bellissima!”
Sorridendo emozionato James abbracciò di nuovo la strega, che si autodefinì la collega migliore del mondo con evidente soddisfazione. A quelle parole Asriel grugnì, lanciandole un’occhiataccia prima di fare a sua volta gli auguri a James con tono pacato.
 
 
“Ragazzi, ma cosa è successo ieri sera?”
Seduto al tavolo e con un’norme fetta di torta davanti, James spostò confuso lo sguardo da un collega all’altro. Clodagh distolse lo sguardo imbarazzata, mentre Asriel ne approfittò per lanciarle un’altra occhiata velenosa e risentita:
“Clodagh mi ha spoilerato Dieci piccoli indiani! Non ti perdonerò mai!”
“Non l’ho fatto apposta, è stato un incidente!”
“Tieni Asriel, prendi un’altra fetta di torta.”
 
Rammentando le sagge parole del “Vangelo Secondo Clodagh”, James si affrettò a porgere un’enorme fetta al collega, che l’accettò e parve rincuorarsi leggermente tra un boccone grondante panna e cioccolato e l’altro.
 
“Comunque sia… Ho telefonato a Collins per chiedergli di spiegare a Potter la situazione e mandarci appena possibile quello che trovano sui sospettati… se avessi mandato un gufo ci avremmo messo molto più tempo.”
Clodagh raccolse un po’ di panna con la forchetta da dessert e James annuì, convenendo che fosse stata una buona idea mentre Asriel, infilzando un omino di marzapane sfogando su di lui tutto il suo risentimento, borbottava qualcosa sulle stranezze dei telefoni babbani.
“Non ho ancora capito come diavolo funzionino.”
“Occhioni belli, mi sembra di sentire mia nonna… Se non parlasse solo gaelico te la presenterei, sei il suo uomo ideale.”
“Io oggi con te non ci parlo.”
 
*
 
Lenox scartò la sua Cioccorana pieno di speranze che vennero bruscamente disilluse quando trovò l’ennesima figurina di Albus Silente: del noto ex Preside di Hogwarts negli anni doveva averne collezionate almeno una quindicina.
“Non riuscirò mai a completare la collezione, vero piccola?”
Sconsolato, l’ex Tassorosso addentò il cioccolato lanciando un’occhiata a Polly, che seduta accanto a lui guardò avidamente la rana prima che il mago scuotesse il capo con vigore, intimandole di non pensarci nemmeno e di fare la brava cagnolina.
“Lo sai che il cioccolato ti fa male, non fare l’ingorda. Te lo diceva anche la mamma.”
Polly sollevò la testa per guardare il padrone quasi afflitta, facendolo sospirare mentre portava una mano ad accarezzarle il collo coperto di pelo bianco e fulvo:
“Lo so, non fare quella faccia, ha abbandonato anche me, ricordi?”
 
Talvolta quasi scordava che in realtà a comprare Polly era stata sua moglie Amelie. Ma la donna, quando aveva affermato di non volerne più sapere di lui, se n’era andata e non aveva accettato di vederlo neanche per riprendere con sé la cagnolina, che quindi era rimasta con lui. Non che se ne dispiacesse, ovviamente, visto l’affetto che nutriva per Polly e viceversa: all’inizio la cagnolina aveva dimostrato di sentire visibilmente la mancanza della padrona, ma pian piano aveva smesso di guaire sulla porta di casa e come lui aveva smesso di soffrirne.
Forse però, si disse amaramente Lenox mentre si portava alle labbra l’ultimo pezzo di cioccolato, infondo lui a differenza di Polly quell’abbandono se l’era meritato.
 
*
 
Quando Clara entrò nel vagone ristorante Corinne stava già facendo colazione, seduta da sola ad un tavolo e con un libro in mano. Dopo una breve esitazione la strega si avvicinò al tavolo occupato dall’amica, abbozzando un sorriso:
“Bonjour Coco.”
Corinne alzò lo sguardo dal libro e ricambiò il sorriso, facendole cenno di sedersi.
“Pare che oggi vogliano partire con me.”
La bionda chiuse il libro – un’edizione in lingua originale di “Le affinità elettive” – e parlò senza battere ciglio, limitandosi a volgere lo sguardo fuori dal finestrino mentre Clara, al contrario, la guardò sorpresa:
“Pensi che sappiano…”
“Forse. Ma immagino che se l’avessero saputo avrebbero iniziato da me fin dal principio, no?”
Corinne si strinse nelle spalle con un sospiro prima di vuotare la tazza di caffè sotto lo sguardo dell’amica, che le chiese se l’idea dell’interrogatorio la preoccupava.
“Suppongo che non sarà facile, ma almeno mi toglierò l’impiccio. Come se potessi averla uccisa io.”
“Beh, il partner è sempre il primo sospettato.”
“Tra me e lei è finita da anni, come ben sai.”
Corinne aggrottò la fronte, quasi infastidita nel ripensare alla relazione passata con Alexandra mentre Clara si stringeva nelle spalle incrociando le braccia al petto, osservandola con un sopracciglio inarcato:
Io questo lo so, ma loro no. Glielo dirai?”
“Se non lo facessi lo scoprirebbero comunque, suppongo. In tal caso risulterebbe sospetto se non l’avessi detto… quindi sì, immagino di sì. Tu che ne pensi?”
“Penso che sia la cosa migliore, anche se di certo ti faranno molte domande.”
 
Corinne annuì ma non disse nulla, accarezzando la copertina liscia del celebre romanzo di Goethe che stava leggendo in lingua originale per affinare il suo tedesco. La celebre fantina parlò nuovamente solo quando Clara stava ormai gustando la sua colazione, osservando l’amica con attenzione:
“Non pensi che possa essere stata io, vero chèrie?”
Clara stava per portarsi la tazza di thè alle labbra quando udì la domanda dell’ex compagna di scuola, esitando prima di sollevare lo sguardo su di lei e infine scuotere la testa:
“No Coco. Sai quanto poco mi piacesse, ma non vedo comunque perché avresti dovuto accanirti tanto… e poi non penso che ne saresti capace.”
Le parole di Clara sembrarono rilassare Corinne, che annuì sfoggiando un debole sorriso: non poteva che sperare che anche gli Auror fossero dello stesso avviso.
 
*
 
 
“A destra, a destra… Ho detto a destra!”
“Ho capito, cazzo! Ma perché diavolo non l’avete fatta comparire DENTRO la cabina, questa dannata lavagna? E perché ci serve una lavagna?!”
 
Asriel, sorreggendo l’estremità della lavagna magnetica bianca che James e Clodagh avevano ritenuto “assolutamente indispensabile” per lo svolgimento del caso, imprecò mentre cercava di farla passare dalla porta della sua cabina con l’aiuto di James, mentre Clodagh assisteva dando quelle che a detta di Asriel erano “pessime indicazioni di supporto”.
La strega aggrottò la fronte alla domanda del collega, chiedendosi perchè non ci avessero pensato prima, prima di sorridere e stringersi nelle spalle:
“Asriel, la lavagna è indispensabile per riordinare le idee, la usiamo sempre al Dipartimento!”
“Questo lo so, peccato che ci troviamo su un fottuto treno in mezzo alla neve, non in ufficio! Ok, forse ci sono… James, vai a sinistra. Ma perché dobbiamo occupare la mia, di cabina, per la vostra lavagna?”
 
“Perché io sto in seconda classe, voi avete più spazio! E la mettiamo da te… perché sì.”


Asriel avrebbe voluto informare l’amica che quella risposta non lo soddisfaceva per nulla, ma decise di lasciar perdere mentre riusciva finalmente a far entrare la lavagna nella cabina indietreggiando. Zorba assistette alla scena dalla poltroncina foderata in velluto e lanciò un’occhiata scettica al padrone, quasi chiedendosi cosa stessero combinando.
“Dove la mettiamo, la dannata lavagna?”
Sbuffando, Asriel appoggiò la base della lavagna sul pavimento e si mise le mani sui fianchi, guardandosi attorno con scetticismo mentre Clodagh seguiva lui e James più arzilla che mai.

“Asriel, non parlare con quel tono di Geraldine!”
“Chi diavolo è Geraldine?! Anzi, no, non voglio saperne nulla. Muovetevi, andiamo ad interrogare la francese. E occhi aperti, mai fidarsi di una francese!”


“Perché odia i francesi?”
James si rivolse a Clodagh con un sussurro mentre seguiva il collega fuori dalla cabina, guardando l’amica stringersi nelle spalle con nonchalance, affermando di non averne idea ma di chiederselo a sua volta da diverso tempo.
 
*
 
“Ci sono ci sono ci sono! E’ stata la cantante lirica!”
“Lo dici solo perché ti ha svegliata ieri mattina! Perché diamine avrebbe dovuto farlo?!”
 
“Uffa Ro, sei barboso! Ok, va bene… CI SONO! Uno dei passeggeri uomini l’ha uccisa perché… perché è un suo ex amante!”
Delilah, in piedi davanti a Prospero nella sua cabina, sorrise raggiante mentre smetteva momentaneamente di misurare la stanza a grandi passi per rivolgersi speranzosa all’amico, che si limitò ad inarcare un sopracciglio con evidente scetticismo:

“Tra questi rientro anche io?”
“No Ro-Ro, anni fa mi hai giurato di starle alla larga, e se sapessi che come mio fratello ti sei fatto abbindolare dalla panterona ti toglierei il saluto.”
“Tesoro, siamo soli, puoi chiamarla per nome.”
“Nah, così mi piace di più. Allora, che ne pensi della mia geniale teoria?”
“Dico che è meno originale di un tubino nero.”
“C0s’hai contro il nero?!”


Delilah si portò entrambe le mani al maglione nero che indossava quasi si sentisse offesa, guardando l’amico scuotere la testa con un sorriso divertito prima di rassicurarla:
“Nulla Laila, scherzavo. Ma non pensi che il delitto passionale sia banale?”
“Beh, è un luogo comune, ma i luoghi comuni nascono da un fondo di verità, no? Chi può saperlo, magari ha fatto la stronza con altri, oltre che con mio fratello… e magari non tutti sono dei tonti come lui, qualcuno potrebbe aver reagito male.”
“Hai considerato una cosa? … e se l’ex amante… fosse donna?”


*
 
Corinne prese posto davanti ai tre Auror senza battere ciglio, guardandoli parlare tra loro seria in volto e rigidamente seduta sulla sedia.
Avrebbe ucciso per potersi fumare una sigaretta, ma qualcosa le diceva che non era il caso di interromperli chiedendo il permesso, così si limitò ad attendere in silenzio.
 
“D’accordo Signorina Leroux… è un problema per lei parlare in inglese?”
“No.”
Corinne rispose abbozzando un piccolo sorriso divertito, astenendosi dall’informare Asriel di parlare perfettamente quasi tre lingue, oltre al francese.
 
“Dov’è nata?”
“In Costa Azzurra, vicino a Nizza.”
“Quindi stava tornando a casa?”
Corinne annuì, e quando Asriel le chiese perché fosse stata a Berlino la strega gli spiegò di aver accompagnato il “carico” destinato alla vendita ad un ricco mago tedesco.
“Si chiama Lothar Von Alten, potete verificare, confermerà quanto dico.”
“Che genere di carico?”
“Cavalli alati, ovviamente. La mia famiglia alleva esemplari di Abraxan, Granio ed Etone da anni. Il nostro Haras (scuderia) è molto famoso in Europa.”
Corinne sorrise, leggermente compiaciuta, e fu allora che Clodagh realizzò perché il viso della strega le era familiare: l’aveva visto sui giornali.
“Ecco dove l’ho vista… lei è la campionessa!”
Corinne annuì, ringraziandola con un debole sorriso:
“Lo ero, a dire il vero ho smesso da due anni.”
“Perché? E’ giovane.”
“Ero stanca, gareggiavo nelle corse di cavalli alati da quando ero una bambina, praticamente. Ora collaboro con la vendita di cavalli insieme ai miei fratelli.”
 
*
 
Célestine, non correre!”
Ignorando i richiami della madre Pauline, che stava in disparte tenendo in braccio Cyril, il piccolo di casa di soli due anni, Célestine continuò a correre tra le gambe degli Abraxan, zigzando in mezzo agli alti cavalli alati. Corinne, al contrario della sorella gemella, teneva ubbidiente un secchio pieno di whisky di malto come il padre le aveva mostrato, lasciando che un paio di cavalli lo bevessero.
“Miel (Miele in francese Nda) è bellissima, vero papà?”
Corinne alzò la testa e sorrise al padre, indicando la cavalla palomina che aveva davanti. Gaston, in piedi accanto alla bambina di otto anni, annuì accarezzandole la testa prima di sfiorare il collo color crema dello splendido animale.
“Sì Coco… penso che la venderemo molto in fretta.”
“Perché vuoi venderla?! Non le vuoi bene?”
“Certo tesoro, ma è quello che facciamo… anche la scuola dove tu e Célestine studierete acquista Abraxas da noi, sai?”
Corinne annuì, dubbiosa, e sollevò una mano per accarezzare il muso della cavalla, che la lasciò fare placidamente scuotendo la lunga goda dorata e le grosse ali bianche.

“Dopo posso provare a montarla?”
“Lo facciamo insieme, d’accordo tesoro?”

Il padre le sorrise e Corinne ricambiò prima di appoggiare il secchio vuoto sul prato e dare un’altra carezza a Miel, che le diede un colpetto affettuoso sulla spalla con il naso.
Di certo, si disse la bambina con fermezza, sarebbe riuscita a convincere il padre a non vendere la cavalla, che lei stessa aveva battezzato Miel per via della particolare e calda sfumatura dei suoi occhi.
Corinne guardò fiduciosa l’animale, certa che sarebbe rimasta nella loro scuderia ancora per molto tempo: riusciva sempre ad ottenere quello che voleva.
 
*
 
“Ha viaggiato sola?”
“No, ero con Jerome, il mio assistente, ma dopo la vendita è tornato subito in Francia e io sono salita sul treno da sola. Anche lui potrà confermare quanto dico.”
“Conosce qualcuno sul treno?”
“Clara Picard. Eravamo compagne di scuola a Beauxbatons.”
“E conosceva Alexandra Sutton?”
Corinne esitò, guardando James scrivere la sua ultima risposta. Ripensò alla sua conversazione con Clara, e a tutte le volte in cui avevano discusso per colpa della strega. Infondo aveva sempre avuto ragione lei, fin dal principio.
 
“Sì.”
 
Corinne era la prima ad ammettere candidamente di conoscere la vittima, tanto che Asriel, Clodagh e James ne furono quasi sorpresi. Tuttavia, ripresasi in fretta dallo shock iniziale, Clodagh si affrettò a chiederle come l’avesse conosciuta e se sapesse della sua presenza sul treno.
“Non ne avevo idea, non ci parlavamo da molto tempo. Ho scoperto che viaggiava qui solo quando mi è giunta la notizia… beh, del decesso.”
“Alexandra Sutton viaggiava in Prima Classe, come lei. Davvero non l’ha vista sul treno? Alloggiava ad una cabina di distanza dalla sua.”
Asriel aggrottò la fronte, scettico, ma Corinne non si scompose e si limitò a ricambiare il suo sguardo prima di rispondere in tutta calma:
“Lei l’aveva vista, Monsieur Morgenstern? Prima di scoprire che era morta.”
“No.”
“Anche lei viaggia in prima classe. Dunque è plausibile che neanche io l’avessi incrociata. Sono sempre rimasta nella mia cabina per tutta la sera.”
 
Clodagh si voltò verso Asriel con un sopracciglio inarcato, guardandolo osservare la bionda prima di limitarsi ad annuire.
Era raro che qualcuno lo lasciasse senza parole. L’ex Tassorosso abbozzò un sorriso prima di passare alla domanda successiva, dicendosi che quella strega le piaceva.
 
*
 
“Parti di nuovo, principessa Coco?”
“Ho una gara importante. Non vieni a vedermi?”
Corinne, che stava sistemando con cura dei vestiti all’interno di una piccola valigia di cuoio italiano, si voltò verso la sorella gemella, che stava sfogliando un libro seduta sul suo letto.
“Non posso, domani c’è il test di Pozioni, ricordi? Non tutti hanno il privilegio di poterli recuperare quando vogliono andando e venendo.”
“Guarda che la Preside Apolline tratta con riguardo anche te, non solo me.”
Corinne fece la linguaccia alla gemella, che alzò gli occhi chiari al cielo e si strinse nelle spalle prima di alzarsi, osservandola con le braccia strette al petto:

“Solo perché comprano cavalli da noi. Dovrai accontentarti del tifo di Cyril.”
“Cyril ha 9 anni, non è la stessa cosa.”
Célestine si strinse nelle spalle prima di iniziare ad aiutarla a piegare i vestiti, chiedendole perché diavolo se ne portasse così tanti per stare via solo una notte prima che qualcuno bussasse alla porta della camera. Voltandosi Corinne sorrise nel vedere Clara entrare, guadando la compagna asserire di essere venuta a farle gli auguri:
 
“Ho visto che stanno sellando il tuo cavallo, sei pronta?”
Clara sorrise all’amica prima di abbracciarla, e Corinne ricambiò la stretta mentre la gemella esaminava il suo bagaglio:

“Oh, quasi Clara, prima sta mettendo in valigia tutto l’armadio. Ehy, ma quel vestito è mio, ladruncola!”
La maggiore delle due gemelle sollevò indignata un vestito azzurro che Corinne cercò di afferrare con una risata, implorandola di prestarglielo mentre Célestine lo teneva sollevato fuori dalla sua portata, asserendo categorica che poteva anche scordarselo.
 
*
 
“Come conosceva la Signorina Sutton?”


Asriel detestava Alexandra Sutton. Se gli avessero chiesto cosa pensava della strega, avrebbe candidamente risposto che l’aveva sempre ritenuta una vera stronza.
Non gli era mai piaciuta nemmeno a scuola, quando la Grifondoro si aggirava tra i corridoi con aria altezzosa. Non avrebbe mai dimenticato quando Alexandra, ritenuta dai suoi coetanei una delle studentesse più avvenenti del castello, gli aveva fatto delle avances chiedendogli di andare con lei ad Hogsmeade. Il rifiuto di Asriel era stato piuttosto brusco – vedeva come scaricava di continuo poveri ragazzi troppo ingenui – e sospettava che l’ego della ragazza non lo avesse mai perdonato.
Divenuti rispettivamente Auror e Magiavvocato, Asriel l’aveva vista spesso in delle aule di tribunale, impegnata a far assolvere maghi che lui stesso aveva acciuffato. Una mattina di un anno prima, dopo aver assistito disgustato e furioso all’assoluzione di un criminale che lui e Clodagh ci avevano messo settimane a stanare, si era dovuto trattenere dall’urlarle contro davanti a tutto il Wizengamot, o a lanciarle contro una fattura quando gli era passata accanto sorridendogli soddisfatta.
 
“Stronza di merda…”
“Asriel.”
Clodagh, seduta accanto a lui, gli aveva afferrato la mano e lo aveva guardato scuotendo vigorosamente il capo, intimandogli di lasciar perdere. Così Asriel era rimasto seduto, profondamente amareggiato, finchè la collega non aveva appoggiato la testa sulla sua spalla e gli aveva proposto laconica di mangiare una pizza per consolarsi.
 
Dovette fare appello a tutta la sua professionalità per chiamarla “Signorina Sutton”, osservando Corinne esitare prima di parlare con un debole sospiro, chinando lo sguardo sulle proprie mani curate.
“Io e Alexandra abbiamo avuto una relazione, alcuni anni fa.”
 
*
 
“E’ davvero bellissimo. E’ veloce?”
Corinne accarezzò il collo del cavallo grigio che aveva davanti, osservandolo affascinata mentre suo padre la guardava con le braccia strette al petto e un sorriso sulle labbra, curioso di assistere alla sua reazione.
“Velocissimo. Ne ho visti pochi di così, in tutti questi anni.”
“Beh, sono certa che andrà a ruba, faranno offerte da capogiro per averlo, una volta addestrato a dovere.”

Corinne sorrise all’animale, dandogli una pacca sul lungo collo mentre Gaston le si avvicinava, mettendole una mano sulla spalla:
“A dire il vero non pensavo di venderlo.”
La figlia si voltò e lo guardò confusa, capendo quando decifrò il sorriso divertito del padre:
“Vuoi dire che…”
“Io e tua madre pensavamo di farti un regalo. Dopo la tua serie di vittorie dell’anno scorso, ci sembra il minimo.”
Corinne spalancò gli occhi azzurri prima di sorridere radiosa e abbracciarlo, ringraziandolo a ripetizione e promettendogli di trattare più che bene il cavallo.
“Grazie papà! Ti voglio bene.”
“Anche io Coco. Prometti di vincere anche il prossimo campionato?”
“Che domande, è ovvio. Io e Éole faremo faville insieme, ne sono sicura.”
Corinne, le braccia ancora strette attorno al collo di Gaston, volse lo sguardo sul cavallo all’interno della scuderia con un sorriso luminoso, guardandolo compiaciuta.

“Éole? Mi piace.”
 
*
 
“Come vi siete conosciute? E quanto è durata?”
In quel momento Corinne aveva la più completa attenzione dei tre Auror, e se in altri contesti le avrebbe fatto piacere in quel momento si limitò a distogliere lo sguardo, continuando a tormentarsi le mani l’una con l’altra.
“L’ho incontrata quando ha comprato una grande casa vicino a Nizza, non molto lontano da quella della mia famiglia. E’ durata due anni. L’ho lasciata io, alla fine. Mi aveva colpito il suo carisma, il suo carattere forte… la sua bellezza. Ma non era come sembrava, negli ultimi mesi discutevamo spesso.”
“E lei come l’ha presa?”
“Non bene.” Un sorriso amaro increspò le labbra dell’ex fantina, che si affrettò a continuare e a spiegarsi meglio:
“Provò a riavvicinarsi a me, ma non glie l’ho mai permesso. Immagino che non fosse avvezza ai rifiuti, se l’avete conosciuta potete immaginarlo.”


Asriel si trattenne dall’emettere una risata sprezzante, immaginandolo anche troppo chiaramente mentre osservava la francese, curioso dalla piega inaspettata che l’interrogatorio aveva preso.
 
“Alla fine decise di vendicarsi… la nostra relazione era rimasta segreta, al di fuori della mia famiglia, avevo insistito io. Volevo un po’ di privacy, per una volta. Alexandra pensò bene di spiattellare un mucchio di dettagli… privati alla stampa. Casa mia e l’azienda di famiglia sono state invase dai giornalisti per settimane, i miei genitori non l’hanno presa bene. E gli affari ne hanno risentito parecchio.”
 
“Come mai?”
“Eravamo due donne, suppongo che non tutta la società magica francese sia ancora… abbastanza aperta di fronte a certe questioni. E Alexandra, suppongo sempre per ripicca, divenne il consulente legale del nostro principale rivale in Francia. Da allora gli affari gli sono andati a gonfie vele.”


Corinne accennò ad una piccola smorfia con le labbra, chiedendosi ancora una volta come avesse potuto innamorarsi di un’arpia simile. Forse avrebbe dovuto parlarne a Clara fin dal principio. Magari lei le avrebbe aperto gli occhi come anche sua sorella aveva cercato di fare molte volte.
 
*
 
Finn scarabocchiò sulla frase che aveva appena finito di scrivere con uno sbuffo, ripetendosi che non andava bene prima di provare a rimetterla per iscritto. Alfaar faceva come sempre capolino dalla tasca della sua giacca, ma si nascose quando vide arrivare un piccolo ammasso di pelo bianco e fulvo.
Udendo la cagnolina abbaiare l’ex Corvonero alzò lo sguardo prima di abbozzare un sorriso e allungare una mano per accarezzarla, udendo al contempo il sospiro rassegnato di Lenox, che raggiunse Polly tenendo le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni blu notte del completo che indossava:
“Devi abbaiare ad ogni animale che incontri, Polly? Scusa se ti ha disturbato.”
“Non fa niente, non riuscivo a scrivere nulla di soddisfacente comunque.”
 
L’ex Corvonero accennò con disapprovazione al suo quadernino nero e Lenox inarcò un sopracciglio con curiosità, chiedendogli cosa stesse scrivendo.
“Oh, il mio secondo libro di critica al pessimo sistema giudiziario magico attuale.”

Per un istante, mentre Finn giocava con Polly, Lenox si domandò se non fosse il caso di dirgli di aspirare alla carriera di avvocato fin da quando si era diplomato ad Hogwarts e di essere riuscito a raggiungere quel traguardo di recente, ma decise che probabilmente era meglio soprassedere.
 
*
 
“Per Godric, certo che questo treno è pieno di mici! Peccato che non ci sia anche qualche cane. Mi manca Brutus! Chissà se sta mangiando…”
 
May sospirò tristemente mentre sferruzzava ai ferri con della lana bianca, intercettando l’occhiata perplessa che Renèe – che teneva Artemis in braccio – le rivolse:
“May, dubito che il tuo colosso di cane possa smettere di mangiare… Che cosa stai facendo?”
“Una sciarpa per Pearl, o almeno ci provo. Di certo dovrò farmi perdonare per l’assenza quando torneremo… Cosa potrei regalarle?”
“Non sono esperta di gusti di bambine di cinque anni… una bambola? Alla sua età mi rendevano sempre felicissima. Anche io devo pensare ad un regalo per mio nipote.”
Renèe parlò aggrottando la fronte, accarezzando distrattamente il morbido pelo chiaro di Artemis mentre May ridacchiava pensando ai numerosissimi fratelli dell’amica:
“Ti ci vedo proprio, zia amorevole di un mare di nipotini!”
“Mi piacciono i bambini, ma spero che i miei fratelli non trasformino il negozio di famiglia in un asilo. E riempirsi di marmocchi sarebbe un po’ un impedimento per il nostro lavoro.”
Renèe lasciò Artemis sul pavimento, permettendole di andare a giocare con un sonaglietto rosa prima di voltarsi nuovamente verso l’amica, cogliendo così l’espressione sul suo viso cosparso di lentiggini e maledicendosi mentalmente:
“Oh, scusami May. A volte ho una boccaccia, lo sai.”
La minore scosse la testa e le si avvicinò, sedendo accanto all’amica che però si strinse nelle spalle e sorrise debolmente, continuando a sferruzzare.
“Non importa. Lo sai che amo tantissimo Pearl, e il mio lavoro non mi dispiace. Avrei preferito fare altro, certo, ma è andata così… non serve a nulla guardarsi indietro.”
“Se potessi farlo… cambieresti qualcosa?”
May smise di intrecciare la lana, esitando prima di scuotere la testa con un piccolo sorriso nel pensare alla dolce e fin troppo sveglia bambina che aspettava con ansia il suo ritorno a casa:
“No. Non rinuncerei a lei nemmeno per fare tutto ciò che avrei desiderato. Posso sempre fotografare per hobby, no? E chissà, magari viaggerò di più quando sarò più vecchia… Un po’ come te, che hai lasciato la danza solo come una passione.”
Renèe annuì, sorridendole di rimando prima darle un buffetto affettuoso sul braccio:
“Sì, immagino di sì. Se sei felice, allora va bene così. E anche se devi migliorare le tue tecniche di lavoro a maglia, io e Pearl ti vogliamo bene lo stesso.”
 
*
 
 
“Coco. C’è… C’è Clara. Vuole vederti.”


Da quando avevano vent’anni, Corinne e la gemella si erano trasferite nella dependance con piscina presente nell’enorme tenuta sul mare di famiglia. Corinne, in piedi davanti alla finestra lanciando occhiate d’odio puro allo stuolo di paparazzi appostato oltre i cancelli, si voltò di scatto sentendo la voce della sorella: stava per implorare Célestine di dire all’amica che non era in casa – non era assolutamente pronta per vederla, non ancora – quando accanto alla gemella, più seria che mai, apparve la silhouette familiare dell’ex compagna di scuola, che la guardò stringendo qualcosa in mano e con i grandi occhi scuri lucidi.
 
“Clara…”
“Pensavi di dirmelo, prima o poi?! Ti rendi conto che ho dovuto scoprirlo leggendo un giornale?!”
Probabilmente Corinne aveva temuto quel momento sin da quando la relazione tra lei e Alexandra, tenuta segreta per due anni, era finita su tutti i giornali e le riviste magiche francesi. In due anni, non aveva mai avuto il coraggio di dire la verità alla sua più vecchia amica.
“Clara, ti assicuro che è finita, l’ho lasciata io. Si è vendicata spifferando tutto alla stampa, quella…”
Corinne mosse un passo verso l’amica, che però non la lasciò finire e scosse la testa con vigore, lanciandole contro il giornale prima di stringere le mani pallide a pugno lungo i fianchi, quasi tremando di rabbia.


“Non mi importa. Non mi importa chi ha lasciato chi, m’importa che sei stata per due anni con quella stronza e non ti sei neanche sognata di dirmelo. Dopo quello che ha fatto alla mia famiglia, tu… tu ci sei stata insieme? Che razza di amica sei?”
Corinne volse lo sguardo sulla gemella quasi in cerca di supporto, ma Célestine rimase in silenzio in disparte, le braccia strette al petto e il capo chino. Probabilmente infondo la pensava come Clara, visto che non aveva mai approvato quella relazione e Alexandra non le era mai piaciuta.
“Lo so. Mi dispiace tanto. Non ne vado fiera per niente. Ma ti assicuro che non ne voglio più sapere di lei.”
“No m’importa Corinne. Forse invece vi meritate a vicenda.”



Pietrificata dalle parole traboccanti disprezzo dell’amica, Corinne non riuscì a cercare di trattenerla quando Clara, lanciatole un’ultima occhiata gelida, girò sui tacchi e uscì dalla stanza con i lunghi capelli scuri che le ondeggiavano sulle spalle.
Quando udì la porta d’ingresso sbattere con veemenza la strega sospirò, lasciandosi scivolare su uno dei divani bianchi e prendendosi la testa tra le mani.
 
“Ha ragione, vero?”
“No Coco, è solo arrabbiata ed è più che comprensibile, ma sono certa che risolverete. Tu sei migliore di lei. Capito?”

Célestine sedette accanto alla sorella e le prese le mani, costringendola a guardarla prima di abbracciarla, mormorando che avrebbero risolto anche quell’insidiosa situazione.
 
*
 
“Com’è andata?”
Corinne trovò Clara ad aspettarla nel corridoio che collegava il vagone ristorante ai vagoni delle cabine, stringendosi nelle spalle prima di asserire di aver bisogno di una sigaretta.
L’amica alzò gli occhi al cielo, ma decise di lasciar perdere – lei e la famiglia di Corinne tentavano di persuaderla a smettere da anni, ma senza successo – e accettò l’invito dell’amica ad accompagnarla all’esterno del treno.
“Gli hai… raccontato di lei?”
“Sì. Ovviamente ho sottolineato che non sapevo che avrebbe viaggiato qui e che non c’entro nulla. Spero che mi abbiamo creduto. Bonjour.”
 
Uscita sulla terrazza, Corinne rivolse un cenno di saluto a Ruven, che stava fumando a sua volta. Anche Clara guardò lo chef, abbozzando un sorriso divertito:
“Bonjour, Monsieur Le Cuisinier.”
“Devo ancora capire se mi prende in giro o meno.”
“Ci mancherebbe. La colazione era ottima, comunque.”


Ruven si voltò e le lanciò un’occhiata dubbiosa, come a voler comprendere se fosse seria o meno, ma vedendola sorridere gentilmente si persuase che fosse sincera e la ringraziò pacatamente prima di tornare a concentrarsi sulla sua sigaretta.
Corinne si appoggiò alla ringhiera e accese la sua sotto lo sguardo di Clara, che sospirò e si ritrasse per evitare di essere investita dall’olezzo:
“Prima o poi mi spiegherai perché ti ostini a fumare sapendo che fa male… E sei anche una sportiva. C’est de la folie!” (E’ una follia)
“Vorrà dire che mi assisterai al capezzale, chèrie.”
 
*
 
 
Terminato il colloquio con Corinne, Asriel aveva lasciato momentaneamente il vagone ristorante per chiamare un altro passeggero. Nel farlo attraversò il vagone della I classe, fermandosi di colpo di fronte alla porta della sua cabina. Socchiusa.
Non era uscito per ultimo quando lui, James e Clodagh l’avevano lasciata meno di un’ora prima, ma era certo che avessero chiuso la porta dietro di lui.
Eppure, un terribile dubbio s’insinuò rapido nella sua mente: l’avevano sigillata con un incantesimo?
 
Dopo una breve esitazione, Asriel prese la bacchetta e aprì la porta, trovando però la cabina completamente deserta.
 






 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
So che il capitolo doveva arrivare ieri, ma purtroppo qui il WiFi ogni tanto decide di fare sciopero -.-
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per le recensioni e per i voti super puntuali <3
Il prossimo dovrebbe arrivare il 1 marzo, e vi chiedo di votare tra:
 
Lenox
Renèe
Clara
 
Una piccola precisazione che già ho fatto ad alcune persone in privato… Non ci saranno capitoli di approfondimento sugli Auror, visto e considerato che non sono indagati e che non hanno un movente per la morte di Alexandra.
A presto!
Signorina Granger
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 6 - Qui qualcuno ci sta prendendo per il culo ***


Capitolo 6 – Qui qualcuno ci sta prendendo per il culo


 
“Siete assolutamente sicuri di aver chiuso la porta prima di uscire?”


Asriel stava in piedi al centro della cabina, Zorba in braccio e gli occhi puntati sui colleghi, entrambi seduti sul bordo del suo letto. James annuì, confermando di averlo fatto mentre Clodagh sbuffava piano, borbottando di essere stata un’idiota nello scordarsi di non sigillarla magicamente.
James allungò una mano per sfiorare il gomito dell’amica, assicurandole che era colpa di entrambi in egual misura mentre Asriel scuoteva il capo, deciso di risolvere in fretta la questione:
“Clo, non ha senso pensarci adesso, dobbiamo capire che cosa hanno fatto qui. Sembra tutto in ordine, ma potrebbero aver preso qualcosa.”
“Le bacchette?”
“Sono al loro posto. Per fortuna ho incantato la serratura, e siamo gli unici muniti di bacchetta in tutto il treno ormai. Penso che sia superfluo invitarvi a non perdere mai di vista le vostre.”
 
Clodagh annuì con scarsa convinzione, e James sorrise prima di accennare alla lavagna bianca ancora perfettamente immacolata:
“Per fortuna che su Geraldine non avevamo ancora scritto nulla!”
Asriel alzò gli occhi al cielo – il giorno in cui si sarebbe abbassato a chiamare una lavagna “Geraldine” avrebbe rassegnato le sue dimissioni a Potter – prima di rivolgersi a Zorba con un sorriso carico di sollievo, accarezzandogli la testa con due dita:
“Per fortuna che non ti hanno fatto niente, vero piccolo?”
 
James lo guardò aggrottando la fronte, leggermente perplesso dall’inflessione particolarmente zuccherosa che la voce di Asriel aveva preso. Anche il collega dovette rendersene conto, perché si affrettò a schiarirsi la voce prima di proporre ai due di aiutarlo a setacciare la cabina prima di passare all’interrogatorio successivo.
 
*
 
“Asriel, sei sicuro che delle tue cose non manchi nulla?”
“Sì, sicuro… la bacchetta della Sutton c’è?”
 
James annuì e Asriel sbuffò, guardandosi attorno mentre l’ex Tassorosso proponeva che magari l’intruso avesse cercato di recuperare la propria bacchetta senza successo.
“Sì, ma non avrebbe avuto molto senso prendere la propria, lo avremmo beccato subito. Clo, passami la valigia.”
Clodagh prese la Vuitton di Alexandra e la mise sul letto di Asriel, guardando il collega aprirla in silenzio prima di restare interdetta di fronte a ciò che vide.
“Che cos’è?”
Accigliato, James guardò Asriel allungare una mano verso una sorta di sfera di cristallo completamente nera, cambiando idea all’ultimo e prendendo la bacchetta per farla fluttuare a mezz’aria.
“Non ne ho idea. Ma di certo so che non c’era fino ad un’ora fa. Qui qualcuno ci sta prendendo per il culo.”
 
Clodagh non disse nulla per qualche istante, limitandosi ad osservare la sfera – le ricordava fastidiosamente quelle usate a Divinazione a scuola, ma il colore le conferiva una sorta di aria sinistra che quelle di Hogwarts di certo non avevano – prima di rivolgersi ai colleghi con decisione:
“Parliamo con De Aureo.”
“Ma volevamo interrogare Clara Picard, l’amica della francese.”
Asriel, continuando a tenere sospesa a mezz’aria la sfera – e consigliando vivamente a James di tenere a freno la curiosità e di non toccarla, per il momento – si voltò verso l’amica per guardare Clodagh annuire con decisione, più seria che mai:
“Lo so, solo cinque minuti. Sono piuttosto certa che quest’affare sia suo.”
“… D’accordo. Questa viene con noi.”
Asriel rimise la sfera al suo posto, chiuse la valigia e uscì dalla cabina portandosela appresso. Questa volta sigillando la porta prima di andare a chiamare l’uomo dalla reputazione più confusa di tutto il treno.
 
*
 
Prospero stava discutendo amabilmente con Delilah nella sua cabina, passando in rassegna tutte le teorie strampalate dell’amica, quando il bussare deciso alla porta portò il mago a sollevare una mano per zittire l’ex compagna di scuola, che si voltò verso la porta appena in tempo per guardarla aprirsi.
“Signor De Aureo, potrebbe venire con me? Solo per qualche minuto, non vogliamo interrogarla.”
Clodagh, ferma sulla soglia, si rivolse al mago priva della sua solita allegria contagiosa, osservandolo accigliata sorriderle prima di alzarsi e sistemarsi i vestiti con naturalezza.
“Certamente. Laila, riprendiamo dopo, ok? Kiki, non importunare Laila.”
Sfiorata la testa del gatto con una mano, Prospero seguì Clodagh fuori dalla cabina dopo aver rivolto un sorriso rassicurante a Delilah, che lo osservò senza dire nulla e con le braccia esili strette al petto.
Era sicura che il suo amico nascondesse qualcosa. Che gli Auror l’avessero scoperto?
Rimasta sola Delilah si morse il labbro, combattendo la tentazione di andare ad origliare avendo l’immagine di un Asriel furioso come monito.
“Kiki, che ha combinato Ro?”
Peccato che il gatto non potesse parlare, si disse la strega mentre allungava quasi timidamente una mano per accarezzarlo: di certo, viaggiando e vivendo con Ro, ne avrebbe avute parecchie di storie da raccontare. Non raccontava tutto nemmeno a lei, e anche se all’inizio la cosa l’aveva fatta un po’ soffrire, col tempo ci era scesa a patti e aveva smesso di fargli troppe domande dettagliate sul suo lavoro e sui suoi viaggi.
Fu con estremo stupore che vide Kiki sollevare la testa e farsi sfiorare senza soffiare o graffiarla, e Delilah quasi trattenne lacrime di commozione pentendosi di non avere la macchina fotografica a portata di mano: Ro e quel tonto di Cecil non ci avrebbero mai creduto.
 
*
 
“A cosa devo il piacere? La valigia? Oh, molto bella, ma non è mia, non amo le Vuitton, preferisco Prada.”
Prospero, seduto di fronte ad Asriel, Clodagh e James, sorrise amabilmente e con tutta la tranquillità di quei era capace, guardando la strega scuotere la testa e accennare alla costosa valigia prima di parlare con tono neutro:
“Non è qui per la valigia, sappiamo che non è sua. Questa valigia è della Signorina Sutton, e si trovava nella cabina del Signor Morgenstern. Poco fa, dopo che qualcuno è entrato nella cabina, abbiamo trovato qualcosa della valigia.”
Clodagh fece cenno ad Asriel di aprirla, e sollevata la parte superiore Prospero poté posare lo sguardo sulla sfera di cristallo nera adagiata su una pila di vestiti e che luccicava sotto la luce artificiale del vagone ristorante.
Prospero non disse nulla, limitandosi ad osservare brevemente il curioso oggetto – e mascherando la sorpresa – prima di rivolgersi a Clodagh come se nulla fosse, un sopracciglio inarcato e un sorriso amabile sul volto:
“E perché avete voluto parlare con me, se posso chiedere?”
“Perché sospetto che questa sfera, di qualsiasi cosa si tratti, sia sua, Signor De Aureo.”
 
*
 
“Renèe, ti dico che sta succedendo qualcosa di strano! Gli Auror sono nervosi, e James ha portato un passeggero nel vagone ristorante, ma non credo che l’abbiano interrogato perché è uscito poco dopo…”


May, che per calarsi nell’”aura natalizia” aveva indossato un maglione bianco con fiocchi di neve rossi ricamati sul davanti, si picchiettò il mento con l’indice della mano destra mentre Renèe, alzando gli occhi al cielo, alzava lo sguardo dalla rivista che stava leggendo per sconsigliare caldamente all’amica di curiosare:
“Penso che se ci mettessimo in mezzo alle indagini finiremmo defenestrate dal treno prima di darci il tempo di dire “Quidditch”.”
“Che barba, c’è stato un omicidio, succede qualcosa e non possiamo nemmeno metterci in mezzo… Lo sapevo, morirò senza aver vissuto niente di interessante e all’ora incolperò te!”
La maggiore si lasciò scivolare su una poltrona con fare drammatico, facendo sospirare l’amica: per quanto le volesse bene e le fosse affezionata, a volte Renèe si domandava dove trovasse tutto quell’entusiasmo per ogni singola situazione. E anche se talvolta un po’ la invidiava, in altre pregava che la viva curiosità dell’amica non la facesse finire nei guai.

“May, il fatto di trovarsi sullo stesso treno di un assassino dovrebbe intimorirti, non esaltarti!”
Sei troppo giovane e carina per far infuriare Asriel e pagarne le conseguenze… e poi chi baderebbe a Pearl?!
 
“Via, dubito che potrà esserci un altro omicidio. Non c’è da preoccuparsi.”
Le parole di Elaine – che fino a quel momento era stata così silenziosa da far quasi scordare alle due bionde la sua presenza nella stanza – attirarono immediatamente l’attenzione di May, che si mise a sedere ben diritta contro lo schienale foderato di velluto e guardò la rossa con sincera curiosità:
“Perché lo pensi Nel?”


“Non credo che sia stata una morte casuale… Dubito che sul treno ci sia un pazzo pronto ad ammazzarci tutti. Probabilmente qualcuno voleva la vittima morta. E poi, la presenza degli Auror farà sicuramente da monito per altri potenziali omicidi.”
“Quindi sarebbe stato un omicidio premeditato?”
Renèe aggrottò la fronte, dubbiosa, e guardò Elaine alzarsi e stiracchiarsi con grazia prima di piegare le labbra in un debole sorriso, sollevando le mani curate come a voler dire di non poterlo sapere:
“Non ne ho idea. Forse sì, o forse qualcuno è salito su questo treno, l’ha vista… e aveva qualcosa contro di lei a tal punto da portarlo a fare quello che ha fatto. Infondo era molto conosciuta, no? E aveva una posizione abbastanza scomoda. Merlino, è una vera seccatura che per questi interrogatori la cucina sia spesso chiusa, non so cosa darei per uno spuntino.”
 
 
Elaine accarezzò Ailuros, il suo enorme Maine Coon nero dagli occhi eterocromi, quasi invidiandolo per l’enorme quantità di croccantini che aveva portato con sé sul treno e che il gatto poteva gustare in ogni momento. In effetti, a volte si ritrovava a pensare che il suo amato gatto conducesse un’esistenza molto più comoda della sua.
 
*
 
“Sa perché sono qui, su questo treno, Signor De Aureo? Ho ricevuto indicazioni dai piani alti di seguirla, e lei mi ha condotto fin qui. Qualcuno pensa che il suo ultimo viaggio abbia avuto qualcosa di illecito, e questo singolare oggetto potrebbe confermarlo.”
“Pensate che sia mio e che l’abbia messo io nella valigia della vittima? Ridicolo. Perché avrei dovuto farlo?”
Seduto con le gambe accavallate e il gomito destro poggiato sul ginocchio, Prospero si rivolse a Clodagh senza smettere di sorridere placidamente, calmo e rilassato come nessuna delle altre persone che avevano occupato quella sedia.
“O magari qualcuno glie l’ha preso. E magari la nostra compianta vittima” – Clodagh lanciò un’occhiata di sbieco ad Asriel alle parole del collega, soprattutto quando l’uomo marcò particolarmente la parola “compianta” – “sapeva di che cosa si trattasse. Pare che sapesse troppe cose su molte persone, la Signorina Sutton.”
“Potete parlare con Delilah, sono rimasto con lei nella mia cabina fino ad ora. Non l’ho messa io nella valigia, Signor Morgenstern. E con questo non confermo che mi appartenga. Immagino che ne parleremo meglio quando vorrete interrogare anche me.”
Sorridendo pacato, Prospero si alzò senza aspettare di venire congedato, dirigendosi verso la porta prima di essere richiamato dalla voce di Asriel:
“Sa che cosa ha detto la sua amica? Che se fosse stato lei non avremmo mai trovato il suo corpo.”
Prospero si fermò udendo quelle parole, la mano a poco centimetri dalla maniglia della porta. Sorrise prima di voltarsi, sentendosi quasi orgoglioso della sua amica:
“Oh, Delilah a volte ha questa… vena drammatica, sì. L’ha presa da me.”
 
L’amabile sorriso di Prospero si spense non appena ebbe varcato la soglia del vagone ristorante, lasciandosi alle spalle le espressioni confuse e poco convinte di Asriel, Clodagh e James.  Il mago esitò per un istante prima di dirigersi a passo di marcia verso la propria cabina con le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni serrati, chiedendosi accigliato chi fosse l’imbecille ad avergli sottratto la merce e messa nella valigia della vittima.  
La cosa peggiore era che di certo Alexandra l’avrebbe trovato estremamente divertente.
 
 
“Pensate che sia sincero?”
“Basterà chiederlo a Delilah Yaxley, se è davvero rimasto con lei allora non può aver messo questa… cosa nella valigia della Sutton. Ma appartiene a lui per forza, sono certa che scopriremo di che si tratta molto presto.”
Clodagh chiuse la valigia con delicatezza, appoggiandola cautamente sul pavimento prima che James si proponesse allegro di andare a chiamare Clara. Asriel annuì senza dire nulla, limitandosi a rivolgergli un cenno mentre fissava torvo la sedia che gli stava di fronte.
“A che pensi?”
Rimasti brevemente soli, Clodagh sedette sul bordo del tavolo in modo da rivolgersi ad Asriel, guardandolo inclinando leggermente la testa di lato come faceva sempre quando gli poneva quella domanda.
“Che non mi piace essere preso in giro. E qui qualcuno si fa beffe di noi. Se non fosse morta, giurerei che è opera della megera incipriata.”

*
 
“Ci vediamo dopo.”
Clara salutò Corinne con un cenno cupo prima di seguire James di nuovo all’interno del treno, chiedendosi se l’amica avesse fatto cenno ai suoi trascorsi con Alexandra durante il proprio interrogatorio.
Corinne non la seguì, limitandosi ad osservarla allontanarsi prima di gettare il mozzicone della sigaretta tra la neve, chiedendosi che cosa le avrebbero domandato. Se per lei parlare di Alexandra non era stata una passeggiata, di certo non lo sarebbe stato nemmeno per Clara.
“Anche lei la conosceva?”
 
Accigliato, Ruven si voltò verso la francese chiedendosi dubbioso se stesse effettivamente parlando con lui, ma considerando che erano soli e che Corinne aveva parlato in tedesco non c’era spazio per molti dubbi.
“Perché?”
“Sembra che la conoscessero tutti, su questo treno.”
Corinne strinse la presa sulla gelida ringhiera di ferro, osservando cupa e quasi amareggiata il paesaggio circostante mentre lo chef, dopo una breve esitazione, scuoteva il capo prima di distogliere a sua volta lo sguardo.
“No. Non la conoscevo.”
 
Corinne non disse altro, aspettando qualche altro secondo prima di tornare all’interno del treno. Ruven la seguì poco dopo, chiedendosi se la strega avesse intuito che mentiva.
 
*
 
Quando Clodagh gli aveva proposto di essere lui a fare le domande scambiandosi i ruoli – lanciando un’occhiata eloquente ad Asriel, portandolo a borbottare un assenso che aveva reso il giovane collega più entusiasta che mai – James si era dovuto trattenere dall’abbracciare lei e Asriel (che di certo non avrebbe gradito) davanti a Clara, che sedeva in silenzio e in attesa.
 
Un paio di minuti dopo James si schiarì la voce mentre Asriel incantava una penna affinché prendesse appunti da sola, preparandosi ad assistere in silenzio mentre i grandi occhi scuri contornati da lunghe ciglia di Clara si spostavano inquieti da un Auror all’altro.
“Allora, Signorina Picard… Il suo nome completo?”
“Clara Odette Picard.”
“E dove è nata?”
“A Parigi. Nel 1991. Vivo ancora lì.”


“La Signorina Leroux ci ha detto che vi siete conosciute a Beauxbatons e che siete amiche. È così?”
Clara annuì, seppur dopo una breve esitazione nel ricordare i mesi in cui non aveva voluto saperne di vedere Corinne, che ci aveva messo parecchio tempo a convincerla di incontrarla per riappacificarsi.
La penna rimase sospesa a mezz’aria non avendo nulla da riportare sulla pergamena, e Asriel le lanciò un’occhiata prima di chiedere garbatamente alla strega di rispondere verbalmente per avere un quadro completo del loro colloquio.
“Oui.”


“E sapeva che avrebbe viaggiato sul suo stesso treno?”
“No. È stata una sorpresa vederla.”
“E lei perché sta andando a Nizza, Signorina?”


“Per lo stesso motivo di Corinne, passare il Natale con la mia famiglia. I miei genitori vivono a Cannes da qualche anno, da quando mio padre è andato in pensione. Ero a Berlino per lavoro al Ministero tedesco, mi sono dovuta occupare di un caso di uova di drago non registrate e commerciate illegalmente.”
 
Clara si strinse nelle spalle, spiegando di lavorare all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche del Ministero francese. Fu quando James le chiese se avesse sempre lavorato lì che la strega esitò, chinando il capo prima di mormorare un diniego stringendosi l’orlo del blazer color castagna che indossava.
“No. Una volta facevo la Spezzaincantesimi.”
 
*
 
Parigi, Opéra Garnier
 
Clara sedeva seminascosta su una delle centinaia di poltrone rosse che popolavano il teatro più famoso di Parigi, sgranocchiando le patatine che suo fratello le aveva dato di nascosto mentre assisteva alle prove dell’orchestra.
Per Clara i teatri erano ormai una sorta di seconda casa: suo padre era un direttore d’orchestra molto conosciuto e apprezzato, e quando sua madre era impegnata all’ospedale magico parigino capitava spesso che Antoine portasse con sé la figlia minore.
A Clara piaceva molto la musica, e anche assistere agli spettacoli dietro le quinte: ormai non c’era attore o cantante dell’Opéra che non la conoscesse, e i membri dell’orchestra l’adoravano e la coccolavano di continuo.
La bambina di sei anni si portò una patatina alle labbra, leccandosi distrattamente il sale dalla bocca mentre cercava di sollevarsi e vedere meglio: stavano suonando il pezzo della Fata Confetto dello Schiaccianoci, il suo preferito. Suo padre una volta le aveva detto di averla chiamata Clara Odette proprio per le opere di Tchaikovsky – nome che per quanto si sforzasse la bambina non riusciva a pronunciare correttamente, scatenando risate intenerite da parte di Antoine e anche dell’orchestra –, e sapere di chiamarsi come la bellissima protagonista l’aveva resa particolarmente orgogliosa.
 
“Non ci credo… te le sei pappate tutte!”
Voltandosi, Clara sfoderò un sorriso colpevole in direzione del fratello maggiore, guardandolo sospirare rassegnato prima di sedersi accanto a lei.
“Potevi sempre prenderne delle altre Georgie.”
“Certo, così poi ti saresti mangiata anche quelle. Per fortuna che Maman non c’è.”
Clara annuì senza smettere di sorridere, polendosi le mani sporche di sale su una salviettina prima di chiedere al fratello se dopo le prove avrebbero potuto prendere un gelato.
“Gelato e patatine? Va bene, lo chiediamo a papà, ma non diciamolo a Maman.”
George, a casa per le vacanze estive, sorrise complice alla sorellina prima di zittirsi di fronte all’occhiata eloquente che il padre lanciò loro, sfoderando un sorriso angelico identico a quello che si palesò sul visino di Clara.
 
*
 
“Perché ha smesso?”
Clara esitò, mormorando che aveva dovuto farlo per “motivi personali”.
 
“Signorina Picard, è pregata di rispondere.”
“Che cosa c’entra il mio lavoro con l’omicidio, Monsieur?”


Clara si rivolse ad Asriel inarcando un sopracciglio, guardandolo stringersi nelle spalle e parlare con naturalezza mentre sosteneva il suo sguardo con fermezza:
“Niente, all’apparenza. Ma ci serve un quadro completo, anche vista la situazione poco consona in cui ci troviamo a dover condurre le indagini.”
La strega esitò, osservandolo per un istante – quanto ci avrebbero impiegato, una volta spiegato come e perché avesse cambiato lavoro, a trovare il collegamento con la vittima? – prima di annuire stringendo le labbra carnose:
Bien. Sono stata obbligata a lasciare il mio lavoro per motivi per lo più economici. Dovevo aiutare la mia famiglia, e quello che faccio ora è meglio retribuito.”
“E’ solo questo il motivo?”
Clara sospirò, scuotendo debolmente il capo prima di mormorare qualcosa che aveva sperato di non ritrovarsi a dover spiegare:
“… No. Mia madre insisteva perché lo facessi. Non voleva che continuassi quella strada, era preoccupata per me. Anche mio fratello faceva lo Spezzaincantesimi, e quattro anni fa ha avuto un incidente in Egitto.”
 
*
 
“Maman è fuori di sé, lo sai vero?”
“Lo so fin troppo bene.”
Seduta sul letto del fratello, Clara abbozzò un sorriso mentre la sua mano e quella di George giocavano l’una con l’altra, cercando di afferrarsi il pollice a vicenda come quando erano piccoli.
Anche George sorrise, ma dopo essere riuscito – come sempre – ad averla vinta le strinse la piccola mano nella sua e guardò la sorellina facendosi improvvisamente serio:
“Un po’ la capisco, Clara.”
“Stai dicendo che vorresti anche tu che lasciassi il lavoro? Non sono più una bambina, non trattarmi come tale.”
“Lo so che non sei una bambina, ma non voglio che tu finisca come me. O peggio.”
George distolse lo sguardo per lanciare un’occhiata cupa alle proprie gambe, immobili sul letto e destinate a non muoversi più per tutto il resto della sua vita.

“Non è stata colpa tua. Tu eri bravissimo, il migliore. È colpa di quel connard fils d‘un chien…”
“Clara, se Maman ti sentisse parlare così ti taglierebbe la lingua.”
George rise, e Clara lo imitò prima di abbracciarlo, appoggiando la testa sul petto del fratello e accoccolandosi su di lui come quando era piccola. Mentre il maggiore le accarezzava i capelli Clara chiuse gli occhi scuri, mormorando che avrebbe lasciato il lavoro anche solo per potersi prendere cura di lui.
 
*
 
 
“Che genere di incidente?”
“Non sono state seguite le procedure corrette. Come forse saprete, è un lavoro delicato. Sono state attivate delle maledizioni di protezione che hanno avuto ripercussioni su tutta la squadra incaricata, e mio fratello George ha subito gravi danni alla spina dorsale.”
“La responsabilità è stata di suo fratello?”
Clara non si mosse, seduta immobile e composta sulla sedia, ma il modo in cui le sue labbra carnose andarono ad incurvarsi verso il basso formando una smorfia risentita non passò inosservato né a James né ad Asriel, che osservava a sua volta la strega senza badare a ciò che la penna stava riportando.
“No. Del cliente.”
 
*
 
“Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che ti prepari il pranzo?”
“Clara, sono un mago, posso fare da solo. Vai a casa a riposarti, sei qui da due giorni di fila.”
George fece leva sulle ruote della sedia a rotelle per girare su sé stesso e rivolgersi alla sorella minore, che però sorrise e affermò di non essere per niente stanca.
“Clara, hai 25 anni, ed è quasi un anno che mi fai da balia. Dovrei essere io a occuparmi di te, sono il fratello maggiore.”
Vedendo George rabbuiarsi Clara sorrise, avvicinandosi al fratello e mettendo le mani sui braccioli della sedia per inginocchiarsi davanti a lui:
“Lo hai fatto per 24 anni. Da chi correvo quando avevo gli incubi? O quando la mamma mi sgridava? O quando avevo problemi a scuola? Dal mio fratellone infallibile.”
Abbozzando un sorriso, George le diede una carezza prima di mormorare di volerla vedere vivere la sua vita, e non trascorrerla stando appresso a lui.
 
“Non poi tanto infallibile. Ho 32 anni, me la posso cavare da solo. Sei sempre la benvenuta quando vuoi venire a salutarmi, ma non voglio che continui a farmi da balia. Ok?”
“… Ok. Ma se cadi e non riesci a rialzarti?!”
“Ma chérie, parli come Maman.”
 
*
 
“Posso chiederle una cosa su Corinne Leroux?”
“Oui.”
“Pensa che avrebbe potuto uccidere la sua ex fidanzata?”
Clodagh, seduta accanto a James, osservò la strega con curiosità, guardandola scuotere il capo e rispondere senza alcuna esitazione:
“No. Coco mi disse di non volerne più sapere di lei, ma non è una persona che porta rancore. E quando abbiamo saputo che era morta mi è sembrata sinceramente scossa. È una bonne personne.”


*
 
“Non devi rinunciare a fare ciò che ami, non è giusto! Non puoi abbandonare tutto per i soldi, dopo tutta la fatica che hai fatto per riuscire ad arrivare dove sei arrivata.”
Corinne, seduta di fronte all’amica al tavolino all’aperto del loro cafè parigino prediletto con un paio di costosi occhiali da sole sugli occhi e i capelli biondi perfettamente in ordine attorno al viso, parlò con fervore e sventolando con foga la sigaretta accesa che teneva in mano. Clara, dopo averle dolcemente consigliato di stare ferma per evitare di dar fuoco a qualcuno di passaggio, strappò un pezzo di croissant per portarselo alle labbra con un sorriso malinconico:
“Coco, je t’adore, ma non tutti hanno il lusso di poter fare esattamente ciò che desiderano.”
 
Corinne questo lo sapeva, sapeva quanto era stata fortunata a nascere e crescere in una famiglia benestante e che aveva assecondato più che volentieri i suoi desideri e le sue ambizioni.
Sospirando e portandosi gli occhiali sulla nuca, la bionda spense la sigaretta sul posacenere di vetro e si rivolse all’amica più seria che mai, guardandola con gli occhi chiari carichi di determinazione:
“Oui, je sais. Ma non per questo devi buttare tutto al vento. So che avete investito un sacco di denaro per le cure per George e per la causa, ma non devi rinunciare a niente. Basta chiedere, lo sai. Non me ne faccio niente di tutti questi occhiali Chanel.”
 
Corinne accennò ai proprio occhiali scuri con uno sbuffo, portando l’amica – scandalizzata – ad intimarle severamente di non insultare Santa Chanel prima di allungare una mano e prendere la sua sfoderando un sorriso gentile:
“Sei la persona più generosa che io conosca, ma non voglio che mi aiuti in alcun modo.”
“Ma…”

“Niente ma, Coco. Ce la farò da sola. Vorrà dire che andrò a lavorare con bestie di ogni genere. Ti direi di venirmi a trovare al lavoro, ma temo che i tuoi bei vestiti firmati sarebbero a serio rischio.”


All’improvviso Clara immaginò l’amica e i suoi vestiti eleganti alle prese con un piccolo di drago e scoppiò fragorosamente a ridere, certa che Corinne fosse fatta per graziosi cavalli alati e non per bestie sputafuoco.
 
“Sei testarda come un mulo, Clara. Fammi almeno offrire la colazione… Prendi pure quanti croissants vuoi.”
“Non tentarmi, o mi ritroverò con cinque kg in più!”
 
*
 
“E Alexandra Sutton, la conosceva?”
“… Non.”
 
*
 
George, seduto di fronte alla tavola apparecchiata e pronto per pranzare, guardò la sorella minore stracciare l’ennesima lettera e gettare i frammenti in un cestino prima di chiederle, preoccupato, se fosse ancora Corinne.
“Oui. E non ho voglia di sapere cos’ha da dire.”
“Clara, so che sei arrabbiata, ma tu e Corinne siete amiche da quando eravate piccole… è stata la tua prima amica a Beauxbatons. So che le vuoi bene.”
“Certo che le voglio bene, ma ne voglio di più a te. Ed è stata per due anni con quella brutta… non lo voglio dire.”
Clara prese posto di fronte al fratello e infilzò con odio una foglia di insalata, guardandolo sospirare e mormorare che un giorno se ne sarebbe pentita, se non avesse risolto le cose con Corinne.
“Le ho detto IO di farsela con quella stronza arrivista in tacchi a spillo?! Non. E infatti è finita tutto fuorché bene… magari se si fosse degnata di dirmelo avrei potuto convincerla a lasciarla subito evitandosi lo scandalo e le perdite finanziare, ma non, ha dovuto tenersi i suoi stupidi segreti.”


“Clara, aveva solo paura di sapere come l’avresti presa.”
“IO non sarei mai uscita con qualcuno che aveva contribuito a creare problemi alla sua famiglia, George. Mai.”

Clara sollevò la forchetta e la puntò minacciosa contro il fratello, che alzò gli occhi al cielo e si chiese come era finito a farsi zittire dalla sorellina a cui aveva insegnato ad andare in bicicletta.
 
*
 
“Che cosa volevano gli Auror? Dimmelo, Ro. Ti tartasserò finchè non cederai, sai che lo farò.”


Delilah, in piedi davanti all’amico con le braccia strette al petto, parlò con il tono più risoluto di cui era capace mentre guardava Prospero rigirarsi pensieroso l’anello che portava al dito.
Era vero, neanche lei era stata del tutto sincera con lui, ma era determinata a farsi dire la verità dall’amico: non era abituata a vedere Ro nasconderle le cose, ed era una novità che non gradiva per nulla.
 
“Hanno trovato una cosa nella valigia della Sutton, qualcosa che prima a quanto pare non c’era. Mi hanno chiesto se è di mia proprietà e se ce l’ho messa io.”
“Se l’hanno trovata ora non ce l’hai messa tu, sei stato con me per tutta la mattina. Glie l’hai detto?”
“Certo, fogliolina. Ma non è questo il punto. Pare che Clodagh Garvey sia qui per tenere d’occhio me.”


Mentre Delilah si dimostrò sorpresa, spalancando colpita i grandi occhi nocciola, Prospero non si scompose e parlò limitandosi a guardare dubbioso fuori dal finestrino ripensando alle parole della strega e a ciò che era sparito dalla sua valigia per poi apparire in quella della vittima.
“Quindi ti seguiva? Porca Morgana Ro, che cazzo hai combinato?!”
“Non ho combinato un bel niente, Fogliolina. Sono qui solo per… consegnare un pacco. Come si dice, ambasciator non porta pena. L’oggetto in questione non mi appartiene, devo solo consegnarlo.”
“E dove lo hai preso? Scommetto che è illegale.”
 
Delilah si mise le mani sui fianchi, sentendosi improvvisamente sua madre quando rimproverava lei e Cecil per delle malefatte, e quasi segretamente compiaciuta: infondo per una volta era piacevole essere quella che faceva la predica, invece di subirla.
“Ad essere onesti viene dal Cile, e lì non è illegale. Il problema è averlo portato in Europa, ovviamente. Non sono uno stupido, Fogliolina, ho fatto ricerche molto accurate prima di accettare l’incarico. Considerando che l’oggetto non mi appartiene e che in teoria potrei non sapere di preciso di che cosa si tratti, se anche scoprissero che è arrivato su questo treno insieme a me le conseguenze per me sarebbero pressoché nulle. Certo, se qualcuno lo attivasse per sbaglio potrebbe essere un problema, sì.”
 
Sul volto pallido di Ro fece capolino un piccolo sorriso colpevole che Delilah conosceva molto bene, portandola a guardarlo inorridita e con preoccupazione crescente:
 
“Perché? Che diavoleria è?”
“Mh, diciamo che… contiene una piccolissima maledizione vecchia di un secolo e creata in Russia durante il regno Zarista… ma nulla di grave, no.”
“Mi prendi per il culo?! Vai dagli Auror e digli come maneggiarla, prima di farci uccidere tutti!”
 
Prospero scosse il capo, alzandosi in piedi e muovendosi pensieroso per la cabina tenendo le braccia strette al petto riflettendo sul da farsi: se avesse ammesso che la sfera era sua, anche se era impossibile dimostrare che l’aveva messa lui nella valigia di Alexandra, di certo lo avrebbero messo al primo posto della lista dei sospettati. Evidentemente qualcuno sul treno sapeva perché si trovava lì, e voleva che l’attenzione venisse concentrata su di lui.
“Fogliolina, qualcuno sapeva che avevo con me qualcosa di illecito, e quel qualcuno l’ha fatto sparire dalla mia valigia mettendolo in quella di Alexandra.”
“Non puoi avercela messa tu, però.”
“Certo, ma quando capiranno che è mia capiranno anche che avevo qualcosa da nascondere. Qualcosa di cui, per quel che ne sanno loro, forse Alexandra era a conoscenza. Un movente, in pratica.”
“… E Alexandra ne era a conoscenza, Ro?”


Prospero non rispose, limitandosi a mormorare che doveva scoprire chi aveva preso la sfera: il suo cliente non sarebbe stato molto soddisfatto se non l’avesse consegnato, e ora c’era il rischio che gli Auror lo sequestrassero. L’unica speranza era che non capissero di che cosa si trattasse, prendendolo solo come un cimelio qualsiasi.
E soprattutto, che non l’attivassero accidentalmente.
“C’è solo una cosa che non capisco… Perché hanno mandato l’Auror a seguirmi? Come facevano a saperlo?”
 
*
 
Corinne sedeva ad un tavolo vicino alle enormi finestre che ricoprivano l’intera parete, inondando la sala del ristorante di luce.
Era sempre stato il suo preferito a Nizza, e Clara non si era affatto sorpresa quando l’ex compagna di scuola le aveva scritto di volerla incontrare proprio lì.
 
Facendosi coraggio, Clara si fece avanti dirigendosi con passo deciso verso il tavolo quadrato, guardando Corinne voltarsi nella sua direzione udendo i passi avvicinarsi e sfoggiare un piccolo sorriso:
“Ciao. Non ero sicura che venissi.”
“Oui, neanche io.”


Clara sedette senza aspettare di ricevere un invito, evitando di guardarla in faccia finchè la bionda, sospirando, non le chiese scusa con un mormorio:
“Avrei dovuto almeno dirtelo. Mi dispiace. Non ne vado affatto fiera, Clara.”
“E a me dispiace per quello che ha fatto passare alla tua famiglia.”
“I paparazzi se ne sono andati, alla fine. Ma a tuo fratello nessuno ridarà l’uso delle gambe.”
Corinne parlò con una debole scrollata di spalle e Clara annuì, mormorando che era stato lui a convincerla ad accettare l’invito.
“Allora lo dovrò ringraziare. Pensi di potermi perdonare, Clara?”
 
La mora esitò, osservando l’amica brevemente prima di accennare un piccolo sorriso con le labbra, asserendo che l’avrebbe fatto solo se le avesse offerto una fetta gigantesca di Tarte Tatin per dessert.
“Una fetta? Te ne prendo una intera, se necessario.”
Anche Corinne sorrise, e la sua espressione si rilassò mentre allungava una mano per prendere quella dell’amica, promettendole che non le avrebbe più nascosto alcunché.
“Non ne dubito. Solo, magari la prossima volta scegliti una fidanzata più carina, che ne dici?”
 
*
 
“Com’è andata?”
“Bien.”


Clara si strinse debolmente nelle spalle mentre sedeva sul bordo del letto di Corinne, che la guardò dubbiosa – la sua espressione diceva tutt’altro che “bien” – prima di chiederle se avesse ammesso di aver conosciuto Alexandra.
 
“No. Infondo è vero che non la conoscevo di persona. L’ho vista solo un paio di volte in aula.”
“Lo so Clara, ma… se scopriranno di chi fosse l’avvocato potrebbero risalire all’incidente e a tutto il resto.”
La bionda le sedette accanto con un sospiro, allungando una mano per prendere quella dell’amica che invece non si scompose, parlando con un filo di voce mentre osservava il pavimento della cabina.
“Sai, mi hanno chiesto se pensassi che potessi essere stata tu. Ho detto di no, ovviamente. Coco, so che una volta eri innamorata di lei, ma non posso fare a meno di pensare che forse se l’è meritato. Credo che come alla mia famiglia abbia causato danni a molte altre persone… Magari anche peggiori.”
 
*
 
“Finchè non scopriremo di che si tratta voglio che nessuno tocchi quella roba. Capito, James?”
 
James, che stava guardando la piccola e lucente sfera nera con curiosità, sobbalzò e si affrettò a rivolgersi ad Asriel annuendo, assicurandogli che non l’avrebbe fatto mentre Clodagh la riponeva delicatamente in un cofanetto di legno che aveva appena fatto apparire, sigillandolo con un incantesimo.
“Clodagh, non ci hai detto perché Potter ti ha mandata a seguire De Aureo. Come faceva a saperlo?”
“Tengono d’occhio la sua famiglia da qualche tempo, e pare che abbiano ricevuto alcune informazioni un paio di settimane fa. Non so altro.”
Asriel aggrottò la fronte, chiedendosi da chi il Dipartimento avesse avuto la soffiata mentre James, sorridendo allegro, impugnava un pennarello blu per iniziare a completare la lavagna:
 
“Intanto possiamo annotare le informazioni più imputanti delle persone con cui abbiamo parlato. Peccato non poter avere delle foto… beh, faremo dei disegnini!”
Disegnini?! Che nessuno ne faccia parola quando torneremo a Londra, o nessuno mi prenderà più sul serio.”
 
 
*
 
 
“Nel?”
“Sì May?”


“Se pensi che qualcuno abbia ucciso Alexandra perché la odiava… Chi pensi che possa essere stato?”
“Mi piacerebbe avere tutte le risposte, ma lascerò che ci pensino gli Auror a scoprirlo. Dopotutto, non possiamo sapere chi la conosceva bene o chi aveva motivi per odiarla. Di certo non tu o Renèe, siete troppo adorabili per fare qualcosa del genere.”
Elaine parlò stringendosi nelle spalle mentre accarezzava dolcemente il lungo pelo nero di Ailuros, e May le sorrise – quasi sollevata che l’ex compagna di scuola non la ritenesse capace di uccidere qualcuno – prima di mormorare che Pearl non le avrebbe mai creduto quando le avrebbe raccontato per bene perché ci aveva messo tanto a tornare a casa.
 
“Ti manca?”
“Sì, molto. Spero che non sia troppo arrabbiata per il Natale, ma cercherò di farmi perdonare.”
“Quando Adele era arrabbiata con me chiedevo a Wonky, la mia Elfa, di farci vedere come fare i biscotti.”
Elaine parlò abbozzando un sorriso e senza smettere di coccolare Ailuros, acciambellato sulle sue ginocchia. Sentendo nominare la bambina May esitò – Elaine non la menzionava mai –, deglutendo prima di chiederle timidamente quanti anni avesse.
“Quattro. Goditi Pearl quando torni a casa, May. Io se potessi lo farei.”
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………………..
Buongiorno!
Sì, il capitolo è abbastanza breve e sono in ritardo anche questa volta, scusate, il semestre è iniziato ieri e sono già sommersa da lezioni, lavori extra, laboratori e professori molto meno simpatici e carini di quelli della storia del Camp -.-
Spero che il capitolo non sia quantomeno pieno di errori, avrei voluto rileggerlo meglio ma sono a lezione fino alle 18 e non volevo farvi aspettare ulteriormente fino a stasera, quindi sto pubblicando adesso abusivamente.
Ecco la lista per il prossimo capitolo:
 
Finn
May
Renèe
 
 
Ci vediamo il 12 marzo con il prossimo, e auguri a chi come me è tornato a farsi risucchiare l’anima dalle lezioni universitarie.
Byeee *corre via*
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 7 - Ratatouille ***


Capitolo 7 – Ratatouille
 
 
Cucine del Riviera Express, 1 pm
 
“Ma quanto cazzo mangiano questi inglesi?! Chi ha ordinato due contorni più il dolce?!”
“L’Auror. Quello che parla tedesco.”
 
L’espressione tesa di Ruven si addolcì nel sentir nominare l’Auror, che era entrato nelle sue simpatie dopo avergli fatto i complimenti per la sua cucina. Chinato lo sguardo sulla comanda che aveva davanti lo chef annuì con un borbottio, intimando al suo Sous-Chef di preparare gli spinaci mentre lui pensava alla carne.
Chissà, magari servendogli pasti su pasti lo avrebbe tolto dalla lista dei sospettati.

 
*

 
“Più tardi chi interroghiamo?”
Seduto di fronte ad Asriel ad un tavolo vicino al finestrino – appartato rispetto agli altri per evitare che i passeggeri origliassero le loro conversazioni – James sorrise allegro mentre infilzava con la forchetta uno degli smile di patate che aveva sul piatto: ancora non riusciva a credere che fossero riusciti a prepararli apposta per lui. Tra la torta di quella mattina, l’interrogatorio portato avanti da lui e ora il suo piatto preferito per pranzo, quel compleanno tanto atipico sembrava molto meno triste rispetto alle sue aspettative.
Clodagh non rispose, continuando a mangiare in silenzio e a ripensare alla porta aperta della cabina di Asriel mentre il collega – gustandosi la sua tagliata particolarmente al sangue – asseriva di dover ancora decidere:
“Prima preferisco fare un punto della situazione. Che ne pensi?”
Rivolgendosi alla collega Asriel si voltò a guardare Clodagh, che dopo un breve silenzio parve ridestarsi e annuì, mormorando distratta che andava bene sotto lo sguardo perplesso di James e scettico di Asriel, che le chiese se stesse bene aggrottando leggermente le sopracciglia color biondo cenere.
“Sì, tutto bene. Stavo solo pensando alla faccenda della porta. Mi dispiace.”
Il tono cupo, l’espressione grave e dispiaciuta della strega stupirono non poco il più giovane del trio, poco avvezzo a vedere Clodagh priva del suo contagioso sorriso. Asriel invece accennò per un rapido istante un lieve sorriso con le labbra, dandole un colpetto affettuoso sul braccio come a volerla rincuorare:
“Lo so. Non preoccuparti, non è successo niente di grave. Per fortuna Zorba sta bene.”
Le parole del collega sembrarono rilassare la strega, perché l’espressione tesa di Clodagh si ammorbidì e accennò un sorriso un sua volta prima di annuire e riprendere a pranzare: avrebbe voluto far notare ad Asriel che più che per Zorba lei si sarebbe preoccupata per la sua di incolumità, ma decise di lasciar perdere.
James stava per rassicurare l’ex compagna di Casa asserendo che quella distrazione era stata di entrambi, ma Asriel fece qualcosa che gli fece scordare ciò che avrebbe voluto dire: chiedendogli se poteva assaggiare uno smile, l’Auror allungò la forchetta verso il suo piatto e ne infilzò uno esattamente al centro.
James strabuzzò i limpidi occhi azzurri mentre guardava come al rallentatore Asriel portarsi la crocchetta alle labbra e poi addentarla, sentendosi più che mai offeso e tradito mentre Clodagh, cogliendo il repentino cambiamento nel giovane collega, aggrottava confusa la fronte.
“Buone, ma preferisco quelle al forno.”
Senza badarci, Asriel masticò pensieroso prima di accennare al piatto quasi vuoto di patate al forno che aveva ordinato e invitare garbatamente James a prenderne una, ma il più giovane rimase immobile e continuò a guardarlo stringendo le mani a pugno sul tavolo e una piccola ruga a fare capolino sulla fronte.
“Mi hai rubato uno smile!”
“Scusa, non li avevo mai assaggiati… Puoi prendere una delle mie se vuoi.”
“Ma mi hai rubato uno smile! Non ci si può fidare più di nessuno!”
“Dai James, è solo una crocchetta…”
“No, è il mio piatto preferito!”
Asriel stava per replicare, ma Clodagh si intromise con un sospiro mettendogli una mano sul braccio e rivolgendosi pacatamente ad entrambi: essendo cresciuta con un mare di fratelli, era più che avvezza a risolvere stupide diatribe.  
“Bambini, basta, abbiamo un caso da rivolvere. Fatevi una linguaccia, mangiamo il dolce e procediamo. Asriel, fai l’adulto.”
“Io fare l’adulto? Ha venticinque anni, non è un ragazzino nemmeno lui!”
Clodagh scosse il capo, asserendo che “essendo il più vecchio del gruppo doveva essere più maturo” e Asriel si limitò a sbuffare e a borbottare qualcosa di poco comprensibile prima di mangiare un’enorme fetta di torta lanciando occhiate torve ad entrambi.
Su quel dannato treno pieno di pazzi solo Zorba lo capiva.

 
*
 

“Questa faccenda degli interrogatori è davvero snervante, stavo morendo di fame! Senza contare che posso bere caffè solo all’ora dei pasti, non è affatto corretto!”
Delilah infilzò un boccone di gâteau di patate con risentimento mentre Prospero, sedutole di fronte, non toccava cibo e teneva invece gli occhi scuri fissi sui tre Auror impegnati a discutere per furti di patate. O almeno così gli sembrava, ma era così ridicolo che si convinse di aver frainteso.
“Come se tu avessi bisogno di caffeina…”
“Lo dice sempre anche Cecil, ma non capisco cosa vogliate intendere. Non mangi, Ro?”
“Non ho molta fame. Sto pensando a… quella cosa.”
“Continuo a pensare che dovresti andare dagli Auror, confessare che appartiene a te e specificare di non toccarla senza le giuste accortezze. Vorrei almeno arrivare ai trenta, prima di passare a miglior vita e porco Salazar, non ci tengo a raggiungere quell’arpia della Sutton.”
“Nessuno ci tiene, dolcezza.”
Prospero tornò a concentrarsi sull’amica, sorridendole prima che la strega venisse colta da un pensiero improvviso: nella foga del misterioso ritrovamento nella valigia della panterona e di andare a pranzo si era completamente dimenticata di aggiornare Ro sulla novità.
“Mi stavo scordando… Non immagini che cosa è capitato mentre parlavi con gli Auror! Kiki si è fatto accarezzare!”
“Intendi il mio Kiki? Il mio gatto? Un gatto si è fatto accarezzare da te? Non scherzare, fogliolina.”
“Sono serissima! E’ successo davvero!”
Delilah, più seria che mai, annuì con decisione agitando la forchetta a mezz’aria sotto lo sguardo dubbioso dell’amico, che la osservò brevemente prima di distendere le labbra in quello che Laila chiamava “il sorrisetto da sberle” e parlare con una voce fastidiosamente zuccherosa:
“La mia piccola Laila cerca attenzioni, per caso?”
“Che cosa? No, è successo davvero! Perché nessuno mi vuole credere quando – una volta ogni dieci anni – un gatto si fa accarezzare da me? La prossima volta farò una foto, così avrò prove schiaccianti e le sbatterò in faccia a te e a Cecil, stanne certo!”
Prospero annuì cercando di non ridere e Delilah – non potendo fare nessuna uscita di scena drammatica causa il rifiuto di lasciare il pranzo a metà – infilzò solennemente un altro pezzo di gâteau.

 
*
 

“Clara, pensi di riuscire a non coccolare ogni chats che ti passa davanti?”
Corinne non aveva bisogno di guardare l’amica per sapere che cosa stesse facendo, quindi continuò a mangiare la ratatouille che aveva ordinato senza alzare lo sguardo dal proprio piatto. Clara, seduta di fronte a lei, aveva già finito di mangiare e si stava prodigando a dispensare carezze e pezzetti di pane a Loki, il suo gatto nero, come al gatto rosso e a quello dal pelo color sabbia maculato che le si erano avvicinati per elemosinare un po’ di cibo.
“Coco, lo sai che mi reputo destinata a rimanere una femme à chats vieille fille! Tanto vale che mi ci abitui.” [Gattara zitella]
“Clara, ne sois pas ridicule.”  [Non essere ridicola]
La bionda parlò roteando gli occhi chiari al cielo, ma l’amica non le badò e continuò ad accarezzare i gatti sorridendo loro con calore: mai avrebbe pensato di ritrovare così tanti felini a bordo di un treno, ma di sicuro non si lamentava.
“Ad Alexandra piacevano i gatti?”
“Non le piacevano gli animali.”
Se non quelli trasformati in articoli da viaggio
 
Corinne parlò con una tiepida scrollata di spalle e spezzando a metà un grissino prima di portarselo alle labbra, sorridendo divertita di fronte all’espressione seria che il volto dell’amica assunse subito dopo:
“La cosa non mi sorprende. Chi non ama gli animali ha sempre qualcosa da nascondere, credimi. Questo credo che sia il chat dello chef… scommetto che sei abituato a scroccare cibo, vero piccolo?”
Clara accarezzò la testa di Neko con un sorriso, guardando il suo Loki scoccare un’occhiata torva all’”intruso” mentre il bel gatto si lasciava viziare piacevolmente insieme a Scottish.
“So che ami i chats, ma a tutto c’è un limite. Quando torniamo a casa ti trovo un ragazzo.”
Corinne parlò liquidando il discorso con un rapido gesto della mano mentre spostava lo sguardo sul panorama innevato – aveva nevicato per tutta la notte precedente, e ogni conifera era coperta da una soffice coltre candida fin dove la vista si estendeva –, ignorando lo sgomento dell’amica:
“N’y pense même pas!” [Non pensarci nemmeno]
 
*

 
“Allora, non avendo foto a disposizione dovremo fare dei disegni che ci permettano di identificare i sospettati. Qualcuno dotato di una particolare vena artistica?”
Clodagh, seduta sulla poltroncina di velluto blu dopo essersi sfilata le scarpe e tenendo le ginocchia strette al petto, scosse il capo asserendo che la sua vena artistica si fermava al mondo musicale. Asriel invece – dopo essere stato costretto dai due colleghi a sedersi sul letto con Zorba, visto che a sentir loro occupava troppo spazio ovunque si mettesse –  non rispose, limitandosi a sbuffare e a sottolineare cupo che prima di tutto dovevano mettere la vittima al centro.
“Ah, certo. Allora metteremo Alexandra qui… Ecco.”
Armato di pennarello blu, James disegnò un omino stilizzato al centro – premurandosi di aggiungerci una lunga chioma e una valigia di fianco – prima di rivolgersi allegro ai due colleghi, guardando Asriel osservare il suo capolavoro aggrottando la fronte con visibile scetticismo:
“Perché la valigia?”
“Beh, ho pensato che fosse un elemento chiave per identificarla. Adesso mettiamo tutti quelli che abbiamo interrogato fino ad ora.”
Spostandosi sull’estremità destra della lavagna magnetica, James scarabocchiò un altro omino mentre Asriel, alzatosi in piedi, prendeva il pennarello nero e scriveva qualcosa sopra “Alexandra”, guadagnandosi un’occhiata eloquente da parte di Clodagh:
“Splendore, sii serio.”
“E meno male che mi dici sempre di non essere noioso…”
Sbuffando, Asriel cancellò “megera incipriata” e scrisse il vero nome della vittima mentre James, allegro, indicava il suo ultimo lavoro:
“Questo è lo chef!”
“Lo Chef? E come dovremmo capirlo che si tratta di lui?”
“Ma come, non vedete che ha un cappello da chef in testa?”
“Ma non sono più… voluminosi di così? E comunque lui non lo porta, l’ho visto in cucina.”
Clodagh si prese il viso tra le mani osservando dubbiosa il disegnino, ma James scosse il capo con decisione asserendo di esserne assolutamente certo: aveva visto quei cappelli in Ratatouille, dopotutto.
Ratatouille? Che c’entra la cucina francese adesso?”
“E’ un film Asriel, parla di un topo nella cucina di un ristorante francese…”
“Un topo in cucina? Io l’ho sempre detto, che i francesi sono degli zozzoni travestiti da perfettini!”(1)

 
*

 
May non riusciva a stare ferma: seduta nella cabina di Renèe, continuava a far dondolare ritmicamente il piede sinistro dopo aver accavallato le gambe e a tamburellare le dita sul bracciolo della poltrona. Prima di lasciare il vagone ristorante Asriel l’aveva informata che era la prossima con cui intendevano parlare e sapeva che era questione di poco prima che venissero a chiamarla.
“Non essere nervosa May, sei la persona più adorabile che conosca. Nessuno penserà davvero che tu possa essere l’assassina!”
“Credo che tecnicamente siamo tutti sospettati allo stesso modo… Conoscendomi potrei fare un disastro dicendo un mucchio di cose stupide! E se mi chiedono di Morgan, Renèe? Non voglio parlare di lei.”
May parlò con un sospiro, chinando a disagio lo sguardo sulle proprie scarpe mentre Renèe le sedeva accanto, sorridendole rassicurante e promettendole che non avrebbe combinato alcun disastro:
“Rispondi semplicemente alle domande e andrà tutto bene. So che è difficile parlare di Morgan, ma puoi farcela… E Asriel la conosceva, no? Probabilmente non avranno bisogno di chiederti granché.”
“E’ quello che spero. Lo so che ormai è passato qualche anno, ma è ancora difficile ricordarla.”
Renèe non rispose, ma pensò alle sue numerose sorelle e al rapporto complicato che aveva con ognuna di loro, in particolare con la maggiore: lei e Corinne non avrebbero mai potuto vantare il legame quasi simbiotico che aveva tenuto unite Morgan e May fin da piccole. Anzi, la giovane fabbricante di bacchette era sicura che la maggiore, ma anche le più giovani Nova e Nora, provassero una cocente invidia nei suoi confronti per essere l’unica figlia femmina a lavorare nell’attività di famiglia e il conseguente riguardo che padre e nonno nutrivano per lei.
“Lo immagino. Noi siamo sette fratelli, ma non ho un rapporto stretto con nessuna delle mie sorelle… Però so che se perdessi Elian mi sentirei come priva di una parte di me. Mi dispiace per quello che hai passato.”
“Per fortuna ho il mio angioletto. Che al momento probabilmente mi detesta, ma mi farò perdonare con una bambola nuova.”
May abbozzò un debole sorriso che Renèe imitò, lieta di vedere l’amica meno giù di corda mentre le stringeva affettuosamente una mano.

 
*
 

Prospero De Aureo nei suoi 29 anni di vita aveva viaggiato in lungo e in largo, aveva vissuto le più disparate esperienze e soprattutto aveva avuto a che fare con ogni genere di individuo.
Eppure, mai aveva avuto modo di incontrare qualcuno di anche solo vagamente simile alla sua migliore amica.
Lui e Delilah Yaxley erano amici da 18 lunghi anni. Quasi due decadi, praticamente due terzi della sua vita. Lo erano diventati praticamente per caso, quando erano finiti a lavorare allo stesso tavolo ad Erbologia durante la prima settimana di lezione. Avevano combinato un disastro e perso i loro primi punti, ma si erano divertiti come non mai e sancito l’inizio di un’amicizia che sarebbe perdurata nel tempo, anche ben oltre il Diploma ad Hogwarts.
In quei 18 anni, Prospero aveva imparato a conoscere la strega come le proprie tasche. Eppure, anche dopo tutto quel tempo non era ancora perfettamente in grado di udire i suoi movimenti felpati.
“Porco Salazar Laila, mi hai spaventato!”
Il mago era sobbalzato quando, accomodato nella propria cabina a riflettere, era stato sorpreso dal saluto allegro dell’amica, che era entrata senza fare il minimo rumore.
“Tranquillo, sono io. E comunque, dubito che l’assassino colpirebbe in pieno giorno.”
Prospero alzò lo sguardo sull’amica con un sospiro, strabuzzando gli occhi scuri quando scorse Delilah: i capelli corvini sciolti sulle spalle, della liquirizia tra le labbra e le braccia esili strette al petti. Nulla di strano, a parte il maglione rosso che la strega indossava.
“Delilah… cosa ti sei messa?!”
“Questo? Beh, ho pensato di onorare il clima natalizio, altrimenti mi deprimerò ancora di più. Tranquillo, presto tornerò al nero, è solo questione di tempo. Sono venuta per ribadire la necessità di scoprire chi ha ucciso la panterona, non possiamo stare con le mani in mano!”
Le mani della strega andarono a stringere i propri fianchi esili, parlando con tono di rimprovero mentre Prospero – superato lo shock iniziale nel vedere l’amica indossare un colore diverso dal nero – la guardava inarcando un sopracciglio con papabile scetticismo:
“Ma se ti ho vista spaparanzata su un divanetto a guardare foto mezz’ora fa.”
“Quello era il passato Ro, adesso dobbiamo unire le nostre menti brillanti e trovare una soluzione al caso. Devo tornare a casa al più presto, come farà Bolo senza di me?! Allora, chi voleva morta la stronza?”
“Credimi. Un sacco di gente.”
“Allora intanto capiamo chi cazzo ha preso la tua sfera di cristallo esplosiva, bellezza.”
Dopo 18 anni, forse Prospero non era poi così sicuro di aver compreso del tutto Delilah Yaxley. Ma le voleva terribilmente bene in ogni caso.

 
*
 

Dopo che il vagone ristorante era stata svuotato per permettere agli Auror di continuare le indagini, May sedette sulla solita sedia posta davanti al tavolo occupato da James, Asriel e Clodagh con leggero nervosismo, ricambiando debolmente il sorriso gentile che il più giovane dei tre le rivolse.
“Allora, Signorina Hennings… se per lei va bene possiamo cominciare.”
Clodagh le sorrise e May annuì, stringendosi le mani in grembo mentre ripensava alle parole di Renèe: non ti preoccupare.
“Quanti anni ha?”
“26, sono nata nel 1993. Mio padre è Babbano e mia madre una strega, Nata Babbana.”
“Ad Hogwarts in che Casa era?”
“Grifondoro.”
 
*

 
“Piccola, mi spieghi che cosa stai facendo?”
Dinah Hennings non seppe se mettersi a ridere o preoccuparsi quando un pomeriggio, dopo averla portata a casa dall’asilo, trovò la minore delle sue figlie impegnata a spalmarsi malamente del fondotinta sul visino coperto di lentiggini.

May era stata di cattivo umore per tutto il tragitto fino a casa e non aveva risposto a nessuna delle domande della madre: giunte a casa, la bambina di cinque anni era andata dritta in bagno e non aveva risposto ai richiami per la merenda, scatenando la curiosità di Dinah. Ora la strega, sulla soglia del bagno, guardava divertita la bambina in piedi sullo sgabello davanti al lavabo che di solito usava per lavarsi i denti.
“Mi sto truccando.”
“Questo lo vedo, ma perché ti stai truccando? Le bambine piccole non lo fanno.”
Come al solito la bambina tenne a ricordare alla madre di non essere più una bambina piccola, visto che ormai era all’ultimo anno di asilo. Non rispose però alla domanda della donna, chinando lo sguardo sulle mani sporche di fondotinta prima di mormorare di non voler vedere le sue lentiggini.
“Perché dici così? Le tue lentiggini sono bellissime, amore.”
Dinah si avvicinò alla figlia circondandola con un braccio e sorridendole affettuosamente mentre le accarezzava i capelli biondo cenere, invitandola a lavarsi le mani. Mentre le strofinava sotto il getto d’acqua con il sapone, May mormorò che i suoi compagni la prendevano in giro e che le lentiggini non le piacevano più.
“Tesoro, tutti vengono derisi almeno una volta per qualcosa che non possono cambiare… ma le tue lentiggini sono bellissime, ti rendono speciale. Non ti riconoscerei più se non le avessi.”
Sorridendo teneramente alla figlia, Dinah prese il pacchetto di salviette struccanti e prese a strofinarne delicatamente una sul viso della figlia, togliendole a poco a poco l’enorme quantità di trucco che la bambina si era spalmata sulla pelle.
“Non puoi toglierle tu con la magia, mamma?”
“No tesoro, e non lo farei nemmeno se potessi. E nemmeno tu tenterai mai di farlo quando avrai una bacchetta, intesi?”
Aveva vaghi ricordi di compagne di scuola che aveva tentato di apportare piccoli cambiamenti al proprio aspetto con incantesimi e pozioni, e i risultati erano sempre stati disastrosi. Fortunatamente May annuì obbediente e Dinah si rilassò, sorridendole prima di gettare la salvietta nel cestino accanto al lavabo.
“Bene. Adesso facciamo merenda, poi andiamo a prendere anche Morgan a scuola… Domani, se qualcuno ti deride, non badarci e gioca con qualcun altro. Così la smetteranno.”
May era un po’ titubante, ma la prospettiva della cioccolata calda per merenda la rasserenò, e si convinse ad ascoltare la madre ricordando ciò che il padre ripeteva sempre: la mamma aveva sempre ragione.

 
 
*

 
“E conosceva Alexandra Sutton? Eravate compagne di Casa.”
May esitò, mordendosi il labbro inferiore prima di annuire: mentire non aveva alcun senso. Senza contare che i suoi rapporti con Alexandra a scuola erano stati sporadici e poco significativi.
“Poco, lei aveva tre anni più di me, e a scuola tre anni sembrano tantissimi.”
“E che opinione aveva di lei?”
“Io… non saprei. Era difficile averne un’opinione precisa. Da un lato non mi piaceva affatto come a volte si comportava con alcuni dei nostri compagni, ma aveva una sicurezza e un carisma che forse un po’ invidiavo.”
Lo sguardo di May indugiò sulla mano di James, osservandola trascrivere le sue parole mentre la Grifondoro ripensava alla bellissima ex compagna di scuola. Era vero che non l’aveva conosciuta molto bene, ma aveva omesso di specificare di essersi presa un’immensa cotta per lei al terzo anno. Alexandra era stata la prima ragazza che le fosse mai piaciuta.
“Alexandra non era molto gentile con tua sorella.”
 

*

 
Il giorno in cui salutò i genitori e partì per Hogwarts, May era semplicemente al settimo cielo: finalmente avrebbe visto il castello di cui madre e sorella parlavano tanto. La vita dei Babbani le piaceva, ma era rimasta affascinata dai maghi fin da quando aveva messo piede a Diagon Alley per la prima volta qualche anno prima, e non vedeva l’ora di imparare a fare magie.
In particolare, tuttavia, May era felice di andare ad Hogwarts perché finalmente avrebbe potuto stare vicino a sua sorella: nonostante Morgan avesse ben quattro anni più di lei la bambina aveva sviluppato un forte senso di protezione nei confronti della maggiore, infinitamente più timida ed introversa rispetto al suo temperamento energico.
La mattina di quel particolare primo settembre May salutò i genitori con la mano finchè non li vide sparire dietro una curva, rivolgendosi subito dopo alla sorella con un enorme sorriso radioso sul volto cosparso di lentiggini:
“Sei felice che ci sia anche io, Morgan? Io non vedevo l’ora, voglio imparare a fare tutte le cose che sai fare tu! Spero di essere nella tua stessa Casa!”
“Lo spero anche io, ma non rimanerci male se così non fosse, ok? Staremo molto insieme in ogni caso.”
Morgan le accarezzò i capelli e sorrise paziente alla sorellina, salutando attraverso la porta di vetro un ragazzo alto che passò davanti al loro scompartimento.

“Va bene, ma io ci spero comunque. Quel ragazzo è nella tua Casa?”
“Sì.”

“E’ bello, è il tuo fidanzato?”
“May, no che non lo è!”

May rise mentre la sorella, ormai avvezza alla tremenda curiosità della sorellina, le dava un pizzicotto sul braccio senza però riuscire a non sorridere.
Alcune ore più tardi i desideri della ragazzina non vennero esauditi e giunta nella Sala Grande insieme ai suoi coetanei venne Smistata a Grifondoro. Mentre prendeva posto al lungo tavolo di legno posto all’estrema destra della sala illuminata May intercettò lo sguardo della sorella, che le sorrise incoraggiante dal tavolo dei Corvonero, seduta accanto al ragazzo che avevano visto in treno. La minore – nonostante la delusione – ricambiò il sorriso, ripetendosi che avrebbero potuto passare molto tempo insieme in ogni caso.
 

*

 
Il tagliente commento di Asriel la ridestò, portando a deglutire e a ricambiare lo sguardo gelido dell’Auror prima di annuire e tornare a guardarsi le mani: non era pronta a parlare di sua sorella, tantomeno con qualcuno che l’aveva conosciuta bene.
“Lo so, per un periodo quando ero ai primi due anni si divertiva a prenderla in giro. Le nascondeva i compiti, era davvero spiacevole con lei. Morgan non ci faceva caso, ma a me dava molto fastidio. Per fortuna poi smise.”
Asriel avrebbe voluto specificare che se la strega aveva smesso di prendere Morgan Hennings di mira era stato solo perché lui le aveva intimato di smetterla minacciando di riferire al Direttore della sua Casa qualche piccolo particolare sulla tendenza di Alexandra ad infrangere le regole e ad usare passaggi segreti per andare ad Hogsmeade senza permesso, ma evitò di inferire sul già evidente disagio di May quando Clodagh, curiosa, gli lanciò un’occhiata perplessa:
“Conosci sua sorella?”
“Eravamo compagni di Casa. C’è altro su Alexandra?”
Asriel appoggiò i gomiti sul tavolo, sporgendosi appena verso di lei mentre la strega deglutiva, chiedendosi se essere sincera o meno. Probabilmente non sarebbe contato niente, si parlava di più di un decennio prima, ma aveva comunque timore che gli Auror potessero vederla come una cosa più grande di quanto realmente non fosse.
“Ammetto di essermi… presa una cotta per lei, a scuola, per qualche tempo. Ovviamente non c’è mai stato niente, Alexandra mi considerava a malapena.”
“E ha avuto contatti con lei, dopo Hogwarts?”
“Dopo il diploma ho fatto diversi corsi di fotografia, poi ho iniziato a lavorare e per un paio d’anni ho viaggiato molto. Non ho più saputo nulla di lei per diverso tempo.”
Era la pura e semplice verità e May si strinse nelle spalle, ricordando quei primi anni dopo Hogwarts con una morsa allo stomaco. La sua vita era stata meravigliosa. O almeno finchè non aveva compiuto 21 anni e qualcosa era irrimediabilmente cambiato.
“Quindi fa la fotografa anche lei?”
“No, sono Obliviatrice. Ho dovuto smettere qualche anno fa… ho una bambina piccola di cui occuparmi e non potevo stare troppo a lungo fuori casa.”
Nell’alludere a Pearl May si ritrovò a sorridere quasi senza volerlo, rasserenandosi mentre Clodagh e James, invece, la guardavano con sincero stupore: era davvero giovane per avere una bambina.
“E quanti anni ha sua figlia?”
Asriel si alzò scostando rumorosamente la sedia sul pavimento, dando le spalle a tavolo, colleghi e a May per guardare fuori dal finestrino infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Clodagh gli rivolse una breve occhiata prima di tornare a concentrarsi su May, che spalancò gli occhi azzurri e scosse la testa con lieve imbarazzo:
“Oh, no, non mi sono spiegata bene… Pearl non è mia figlia.”
“Non è sua figlia? Ma allora…”
“E’ figlia di Morgan.”


*

 
“Non posso credere che tu non me l’abbia detto. Anzi, non posso credere che nessuno me l’abbia detto, è ridicolo!”
“May, quando sei partita ancora non lo sapevo… e temevo che dicendotelo saresti tornata di corsa abbandonando la cosa più importante, ossia il tuo lavoro.”

“Pensi che sia quella, la cosa più importante? Siete tu, mamma e papà ciò che amo di più, Morgan.”
Quando era tornata dall’Europa scoprendo che la sorella maggiore era incinta e vicina alla scadenza, May si era infuriata. Si era sentita presa in giro, quasi tradita dalla sua stessa sorella, che non le aveva mai nascosto nulla da quando erano bambine.
La più giovane sedette sul divano per abbracciarla, mormorando che le dispiaceva non esserle potuta stare vicino in tutti quei mesi.
“Non importa tesoro, la mamma mi ha aiutata tantissimo. E non devi certi pagare tu per un mio stupido errore…”
“Ti prego, dimmi che non hai intenzione di crescerlo con quel verme, perché se è così andrò personalmente da lui a prenderlo per le…”
Morgan rise di fronte al cipiglio determinato e quasi minaccioso della sorellina, guardandola con affetto prima di scuotere la testa:

“Non ce ne sarà bisogno, me ne sono andata mesi fa e gli ho detto di non cercarmi mai più. Non avrà mai nulla a che fare con lei… sì, è una femmina. Pensavo di chiamarla Pearl, ti piace?”
Il sorriso dolcissimo di Morgan riuscì come sempre a toglierle qualsiasi dubbio e malumore, e May sorrise emozionata prima di abbracciarla di nuovo, asserendo di non veder l’ora di conoscere la sua nipotina.
 

*
 
“Esatto. Mia sorella maggiore è morta quattro anni fa, io sono la madrina di Pearl e ne detengo la tutela legale.”
James smise di scrivere, guardando la ragazza quasi senza fiato: aveva un ricordo piuttosto chiaro di May a scuola, una ragazza sempre molto energica, divertente e socievole. Non ricordava che avesse avuto una sorella, e di certo non avrebbe mai immaginato che l’avesse persa ritrovandosi a dover crescere sua nipote.
All’improvviso l’Auror pensò alle sue sorelle, tutte e tre più grandi di lui di molti anni e che praticamente lo avevano cresciuto, soprattutto Josephine, la maggiore. Josie gli aveva praticamente fatto da madre e Johanna, la secondogenita, era sempre stata uno dei suoi più grandi punti di riferimento.
Senza una di loro nella sua vita si sarebbe semplicemente sentito incompleto.
Anche Clodagh sembrava turbata, e guardò May senza dire una parola finchè Asriel, voltandosi nuovamente verso la passeggera, tornava a parlare:
“Il padre non si è mai fatto vivo?”
“In effetti sì, quando Pearl aveva circa un anno e mezzo… Morgan era morta da qualche mese.”
 

*
 
Morgan era morta da due settimane, quattordici giorni che May aveva passato quasi ininterrottamente fuori casa. Correre, non faceva altro che correre. Aveva sempre amato l’attività fisica e l’aria aperta, ma da quando aveva seppellito la sorella maggiore la strega aveva passato pochissimo tempo dentro casa, lasciando Pearl alle cure dei genitori.
Si sentiva un’egoista perché conscia che anche loro stavano soffrendo – forse anche più di lei – ma non riusciva a fare altrimenti: stare in loro compagnia, vedere Pearl senza sentire la voce e la risata di Morgan era ancora troppo doloroso.
La giovane strega bionda si fermò sul prato e si lasciò cadere in mezzo al parco, osservando il cielo limpido sopra di lei col respiro affannoso e Brutus, l’inseparabile cucciolo di Bovaro del Bernese, che abbaiava allegro mentre le girava intorno. Si portò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore e deglutì mentre iniziava a respirare normalmente, quasi non badando a Brutus che aveva iniziato a darle leccatine sul braccio sinistro per reclamare la sua attenzione e giocare.
Era inutile: qualsiasi cosa facesse, continuava a pensare a Morgan.
Prima di rendersene conto May scoppiò in lacrime, immobile e in silenzio sull’erba mentre si prendeva il viso tra le mani e Brutus, preoccupato, guardava la padrona dandole colpetti col naso sulla spalla lasciata scoperta dalla canottiera.
Erano passati quattordici giorni, e a volte prendeva ancora in mano il telefono per scriverle un messaggio o chiamarla, dimenticandosi della malattia che glie l’aveva portata via.
Rimase lì a lungo, decisa a sfogare le sue emozioni e a versare tutte le sue lacrime prima di tronare a casa dai genitori e da Pearl: se avesse pianto davanti a sua madre non avrebbe fatto altro che farla sentire peggio, ed era l’ultimo dei suoi desideri.
 

*

 
“Posso chiederle perché ha lei la tutela e non il padre della bambina?”
Clodagh, ripresasi dalla sorpresa, si schiarì la gola e giunse le mani sopra alla tovaglia di lino bianco che copriva il tavolo mentre James riprendeva la piuma in mano e Asriel, in silenzio e ancora in piedi, si limitava ad osservare May.
“Mia sorella lo ha lasciato quando ha scoperto di essere incinta. Io ero in Europa, mi è solo stato raccontato… E’ un mago anche lui, e prese a trattare Morgan molto male. Lei voleva tenere il bambino e lo lasciò, decisamente non era in grado di crescerne uno… Dopo che lei morì infatti perse la causa, riuscimmo a provare che era stato violento sia con mia sorella sia con altre donne.”
“E l’avvocato del padre della bambina era per caso Alexandra Sutton?”
May esitò, tornando a fissare le proprie mani pallide e piene di lentiggini prima di annuire mestamente. Ricordava ancora fin troppo bene l’inizio della causa, di come avesse chiesto ad Alexandra di farle da legale e di come la strega avesse rifiutato per un compenso migliore.
Eppure, nemmeno lei era riuscita a vincere e a portare via Pearl a lei e ai suoi genitori.
 

*
 
May stava dando da mangiare a Pearl, guardandola ridere seduta sul seggiolone mentre il cucchiaio di plastica rosa si librava da solo a mezz’aria per farle l’aeroplanino. La giovane strega le stava pazientemente pulendo la bocca con un lembo del bavaglino quando sua madre si Materializzò nella stanza, facendola quasi sobbalzare sulla sedia mentre si voltava di scatto:
“Mamma, mi hai spaventata! E se Pearl dormiva?”
“Scusa tesoro, lo so… ciao piccolina. E’ importante May, è arrivata questa.”
May si alzò per prendere la lettera aperta che la madre le porgeva, chiedendole che cosa fosse successo vedendo la donna così tesa e preoccupata.
“Leggi.”
Dinah scosse il capo e superò la figlia stringendo nervosamente le braccia al petto, avvicinandosi alla nipotina per darle una carezza sulla testa bionda e un altro cucchiaio di pappa mentre May apriva la lettera, indirizzata alla madre dall’ex fidanzato di Morgan.
Per un paio di minuti gli unici rumori nella stanza furono i versetti e le risate di Pearl, finchè May, furiosa, gettò la lettera sul tavolo voltandosi verso la madre:
“Che cazzo significa?! Non può spuntare nel nulla dopo più di un anno, non esiste! Sapeva che Morgan era incinta, non glie l’ha tenuto nascosto sparendo nel nulla.”
“Ma tecnicamente è stata Morgan a lasciarlo, e ora che non c’è più credo che ne abbia il diritto. Non lo so tesoro, purtroppo non ne so nulla di diritto.”

“Non mi interessa. Spiegheremo perché Morgan lo ha lasciato e nessuno si sognerà mai di affidargli una bambina. Non possiamo perdere Pearl mamma, è tutto ciò che ci resta di lei.”
Dinah, seduta su una sedia, annuì senza dire nulla mentre alcune lacrime iniziavano a solcarle il viso pallido. May aveva visto sua madre piangere solo quando Morgan era morta, ed era una vista che non aveva gradito affatto: era strano vedere i suoi genitori, sempre reputati infallibili e forti, in quelle condizioni. Era doloroso.

Forse, per la prima volta in vita sua, era lei a dover essere abbastanza forte anche per loro.
“Non preoccuparti mamma. Nessuno affiderà mai una bambina ad una persona violenta, anche con tutto il denaro del mondo. Stai tranquilla.”
La ragazza si sforzò di sorridere mentre sedeva acanto alla madre, abbracciandola più forte che poteva mentre Pearl, momentaneamente abbandonata a se stessa, si agitava sul seggiolone reclamando il suo pranzo.
 

*
 
“Quindi Alexandra Sutton per poco non riusciva a portarle via sua nipote… e ha rifiutato di assisterla legalmente. Perché è su questo treno, Signorina Hennings?”
“Quando mia sorella morì mi avevano proposto di allestire delle mostre dei miei reportage in alcune città Europee. All’epoca non potei farlo tra il funerale, il processo, Pearl così piccola, il nuovo lavoro… la possibilità si è concretizzata solo di recente, stavo andando a Nizza a per questo. Ovviamente ho dovuto posticipare ancora, visto come sono andate le cose.”
“E sapeva che Alexandra viaggiava qui?”
“Assolutamente no. Non abbiamo mai avuto contatti, non avrei potuto saperlo. So che io e lei abbiamo una sorta di trascorso, ma voglio solo tornare a casa da mia nipote il prima possibile. Lei è tutto per me.”
La decisione con cui May pronunciò quelle parole sembrò convincere Clodagh, perché dopo aver scambiato un’ultima occhiata con Asriel le sorrise e le assicurò che per il momento poteva andare.
“Approfondiremo e in caso le faremo qualche altra domanda. Per ora è tutto, Signorina Hennings.”
May annuì e si alzò, congedandosi con un cenno educato ma esitando sulla porta prima di lasciare il vagone: voltatasi nuovamente verso gli Auror, parlò un’ultima volta rivolgendosi direttamente ad Asriel.
“Volevo ringraziarla, Signor Morgenstern. Per aver sempre difeso mia sorella quando io non potevo.”
 

*

 
“Sei contenta di restare con la zia, patatina? Sì che sei contenta!”
May sorrise raggiante mentre tirava fuori Pearl dal lettino con le sbarre per prenderla in braccio e darle un bacio sulla guancia, accarezzando dolcemente la fascetta di lana lilla che aveva fatto apposta per lei la settimana prima e che copriva parzialmente la testa della bimba.
Visto che aveva già dormito May lasciò la nipotina sul suo tappetino rosa in mezzo ai giochi, controllandola dal divano mentre riprendeva il coniglietto di lana a cui aveva iniziato a lavorare da un paio di giorni. La bambina, che stava iniziando a camminare abbastanza stabilmente, dopo qualche minuto lasciò perdere il trenino colorato con i numeri sui vagoni e raggiunse May sul divano incespicando leggermente e con le braccine tese, sorridendole mentre appoggiava le manine sulle ginocchia della zia – e, dal giorno prima, tutrice legale a tutti gli effetti –.
L’ex Grifondoro ricambiò teneramente il sorriso della nipotina – che diventava sempre più simile a Morgan – prima di mettere da parte il lavoro a maglia e mettersela sulle ginocchia, stampandole un sonoro bacio su una guancia mentre la bimba giocherellava con la sua collanina:
“La zia non permetterà mai che ti succeda niente, intesi? Non l’ho fatto con la tua mamma, ma con te ci riuscirò.”
 

*

 
Ruven si annoiava. Si annoiava a morte. Poteva stare in cucina solo per poche ore, visto che al di fuori dell’orario dei pasti veniva chiusa e il vagone ristorante veniva lasciato a completa disposizione degli Auror. A quel punto tutto il personale della cucina e della sala, dopo aver tirato a lucido ogni singola superficie, veniva congedato.
Ruven non era affatto abituato a stare sul treno senza dover passare ore ed ore in cucina – nella sua cucina – e se in un primo momento poteva aver gradito un po’ di riposo extra, alla lunga tutte quelle pause iniziavano a dargli noia.
Disgraziatamente lì sul treno non poteva dedicarsi a nessuna delle sue passioni, al di fuori della cucina: di certo non poteva imbrattare il treno, e neanche boxare. Di uscire a fare una passeggiata neanche a parlarne anche se il treno era fermo, visto che nessuno aveva il permesso di lasciare il veicolo tranne gli Auror e il capotreno.
“A volte mi chiedo se non ti annoi, tutto il giorno a dormire, mangiare, curiosare in giro o farti coccolare.”
Disteso sulla sua branda, Ruven sorrise mentre accarezzava dolcemente il pelo color sabbia maculato di Neko, che come suo solito – quando non era impegnato a gironzolare per il treno, cercare di infilarsi nella dispensa o a fare compagnia ai macchinisti – si stava godendo le attenzioni del padrone e gli si era acciambellato accanto.
Dopo essersi incontrati a Nara, in Giappone, quando Neko aveva pochi mesi ed era solo un gattino magro e abbandonato, erano diventati inseparabili: il gatto era l’unica cosa a cui Ruven non avrebbe mai potuto rinunciare in nessuno dei suoi viaggi o nel suo lavoro, tanto che il micio l’aveva accompagnato in lungo e in largo.
“No che non ti annoi, conduci una vita da far invidia… Speriamo di ripartire prima di dare fondo alla dispensa, vero piccolo? Non mi va proprio di morire di fame su un treno fermo in mezzo alla neve. Per di più a Natale.”
 Con il suo lavoro Ruven era ormai avvezzo a trascorrere le feste lontano dalla madre e dai suoi fratelli, ma Hilda e Siatr, ormai a casa per le vacanze natalizie, gli mancavano in ogni caso. Lo chef prese delicatamente il gatto e mentre si metteva a sedere sulla branda lo strinse al petto, grattandogli affettuosamente le orecchie e ignorando la sua smorfia contrariata per averlo disturbato mentre sonnecchiava.
 

*

 
“Porco Godric, siamo super in ritardo! Pearl mettiti le scarpe, dobbiamo andare all’asilo!”
May attraversò il salotto appellando la sua giacca e quella della nipotina, che entrò nella stanza tenendo un paio di piccoli scarponcini bianchi in mano e con Brutus al seguito:
“Te l’ho detto che facevi tardi con la doccia, zia.”
“Niente te l’avevo detto, in questa casa è vietato. Hai bisogno che ti allacci le scarpe?”
“No, ho già imparato, basta fare le orecchie del coniglietto.”
La bimba sedette sul tappeto e s’infilò gli scarponcini, allacciandoseli abilmente sotto lo sguardo orgoglioso della zia, che le schioccò un bacio sulla testa prima di infilarle il berretto di lana un po’ bitorzoluto che aveva fatto qualche settimana prima:
“La mia bambina bravissima! Cosa ho fatto per meritare una piccola sveglia come te?”
May le sorrise mentre raccoglieva la borsa da una poltrona, i capelli legati in uno chignon disordinato sulla nuca – al contrario di quelli perfettamente pettinati di Pearl, che ormai insisteva per vestirsi da sola al mattino – e il viso completamente privo di trucco: non aveva mai più cercato di nascondere le sue lentiggini.
“La maestra dice che sono molto procace zia, sto imparando a leggere un po’.”
La bambina – finito di allacciarsi le scarpe – si alzò in piedi parlando con aria di superiorità prima di prendere la mano che May le porgeva cercando di non ridere:
“Spero che tu intenda precoce, e dovrò fare due chiacchiere con la maestra… Vieni Brutus, accompagniamo Pearl all’asilo e poi vado al lavoro. Su, in marcia!”
Allacciato il guinzaglio alla pettorina del cane May condusse lui e Pearl verso la porta di casa, ignorando le lamentele della bambina su quanto molti dei suoi compagni di scuola fossero “ancora infantili e si mettessero le dita nel naso”.
“Che cosa vuol dire procace, zietta?”
“Ti ricordi Jessica Rabbit? Lei è procace. Adesso andiamo, su!”

“La nonna dice che lei non faceva mai arrivare te e la mamma tardi all’asilo.”
“Ma la nonna aveva il nonno a preparare la colazione, qui devo fare tutto io, signorinella!”
 

*

 
Caro diario,
Oggi è il mio compleanno! All’inizio l’idea di passarlo qui sul treno era molto triste, ma infondo non posso lamentarmi: alloggio in prima classe, e stamani Clodagh e Asriel mi hanno fatto fare una torta bellissima, sono stati davvero carini. Andrò a ringraziare lo chef più tardi. Comunque, anche se Asriel mi ha rubato uno smile – non ci si può fidare più di nessuno quando c’è del cibo di mezzo – fino ad ora è stata una bella giornata: mi hanno anche fatto interrogare una dei passeggeri. Prima abbiamo interrogato una ragazza che ricordo vagamente a scuola, era un anno davanti a me e sembra adorabile, spero che non sia lei l’assassina… Ha una storia davvero triste, poverina, ma Asriel e Clodagh si chiedono se non abbia qualcosa a che fare con Alexandra.
Alpine stamattina si è fatta coccolare un po’, forse ha capito che era il mio compleanno e ha voluto farmi un regalo?
 
“Allora, questa è Corinne Leroux, ho scritto le sue iniziali e per essere ancora più chiaro ho disegnato un cavallo alato vicino a lei.”
“Ah, è un cavallo alato? Pensa che a me sembrava un drago…”
James alzò lo sguardo dal suo “diario” pieno di fiocchi di neve, bastoncini di zucchero e allegri pupazzi sorridenti per lanciare un’occhiata a Geraldine e al disegno di Asriel. In effetti non somigliava molto ad un cavallo, ma a differenza di Clodagh decise di non denigrare le doti artistiche del collega – anche se dopo l’affronto del furto subito poco prima se lo sarebbe anche meritato – e chiuse il quadernino prima di alzarsi e proporsi di disegnare May.
“Altrimenti potremmo sempre chiedere alla fotografa se per caso ha con se una macchina istantanea, riflettendoci.”
“E’ quello che ho detto, ma Brontolo non vuole.”
Clodagh, seduta sul letto a sgranocchiare noccioline sotto lo sguardo attento di Zorba, che aspettava solo di vederne cadere una per acciuffarla, parlò con una stretta di spalle mentre Asriel – cancellando nervosamente il disegnino per ritentare il cavallo alato – borbottava qualcosa contrariato:
“Mi rifiuto di chiedere qualcosa alla Yaxley, ieri continuava a fotografarmi le braccia, ne sono assolutamente certo.”
“Secondo me sei solo paranoico, chi mai dovrebbe fotografarti le braccia?”
“Ti dico che è così, ma lasciamo perdere.”
 
“Senti Ro, dici che queste foto potrei venderle, quando torniamo a casa? Non mi farebbero male introiti extra, sai…”
“Sì, ma sarebbe ancora meglio beccarlo senza maglia, dobbiamo lavorarci su.”
 
“Allora, che cosa sappiamo? Seguiamo l’ordine degli interrogatori… Delilah Yaxley.”
Asriel cerchiò il nome della prima sospettata – disegnata con quella che secondo James era evidentemente una macchina fotografica in mano – con il pennarello nero mentre Clodagh, abbandonate le noccioline e facendosi improvvisamente seria, prendeva il rotolo di pergamena dove fino a quel momento avevano segnato i resoconti degli interrogatori e iniziava a snocciolare informazioni ai colleghi:
“29 anni, ex Serpeverde, fotografa… Famiglia un tempo molto ricca, decaduta dopo la guerra… Ha un fratello gemello, Cecil. Se non ricordo male era Serpeverde anche lui. Gestisce il negozio di famiglia, lo so perché ogni tanto ci arriva qualche segnalazione su presunta merce illegale, ma non abbiamo mai trovato nulla.”
Clodagh finì di parlare con evidente scetticismo, più che certa che fossero semplicemente molto abili a nascondere ciò che non andava messo in vetrina più che completamente innocenti mentre Asriel, chinandosi leggermente, scarabocchiava il nome del fratello e del celebre negozio accanto al nome della strega.
“Che cosa ha detto sulla Sutton?”
“Che la conosceva di vista, nulla di più. Comprensibile, stesso anno ad Hogwarts ma evidentemente molto diverse, e apparentemente le loro professioni non hanno particolari connessioni. Per saperne di più dovremo aspettare che arrivino le informazioni da Londra, temo.”
“Persone sul treno che conosce… Prospero De Aureo.”
Per quello Asriel non aveva bisogno di conferme, e scrisse il nome del passeggero accanto a quello di Cecil Yaxley, sottolineandolo con veemenza.
“Pensi che possano essere complici? Non è un mistero che si conoscano bene… Ma Delilah ha detto che ignorava la presenza di Prospero qui.”
James parlò incrociando le braccia al petto, osservando Geraldine con lieve scetticismo mentre Asriel sbuffava, asserendo che non potevano esserne sicuri e che avrebbero dovuto sentire anche la versione del mago.
“Sicuramente De Aureo per ora è il più sospetto, siamo praticamente sicuri che ciò che abbiamo trovato nella valigia della Sutton sia suo, vista la presenza di Clo qui. Ma perché incriminarsi da solo?”
“De Aureo dice che non può aver messo la sfera nella valigia perché è stato tutto il tempo con Delilah, ma sono amici, è una testimonianza che regge fino ad un certo punto… e non è da escludere che siano complici, come abbiamo detto. O è stato lui ad uccidere la Sutton, qualcuno ne è consapevole e ha messo quella… cosa nella valigia per darci una spintarella in quella direzione, oppure l’assassino ci vuole indirizzare verso di lui. Manca però un collegamento tra la Yaxley e la Sutton.”
Tra i nomi delle due streghe – con quello della vittima posto al centro della lavagna – Asriel disegnò un grosso punto di domanda prima che James accennasse al nome del negozio di famiglia della strega:
“Qualcosa che abbia a che fare con il Borgin & Burkes? Magari Alexandra sapeva qualcosa… mi sembra evidente che quella donna sapesse davvero un po’ troppo su molte persone.”
“E’ una possibilità, sì. Peccato che usare il Veritaserum sia illegale, avremmo già risolto tutto dieci minuti dopo aver trovato il corpo.”
Asriel osservò la lavagna mettendosi le mani sui fianchi coperti dai pantaloni grigi, spostando lo sguardo dal nome della vittima a quello di Delilah con la fronte aggrottata mentre Clodagh, alle sue spalle, sorrideva allegra:
“Ma se così fosse noi Auror non avremmo motivo di esistere, Asriel. Passiamo allo chef…”
Il cappello che ho disegnato è davvero carino! E anche il mestolo che gli ho messo in mano.”
Sì James, dovresti proprio darti all’arte… Ruven Schäfer, se non ricordo male 27 anni, nato a Berlino… Studente di Durmstrang, purtroppo è uno di quelli di cui possiamo saperne ben poco.”
“Ho parlato con il capotreno, e pare che sul lavoro sia molto apprezzato, ha buoni rapporti con tutti e non ha mai dato problemi. Il padre è morto suicida una decina di anni fa, da allora ha iniziato a lavorare per aiutare sua madre a mantenere i fratellini. Poverino.”
L’espressione di Clodagh si rattristò, osservando dispiaciuta le parole che James aveva trascritto durante l’interrogatorio mentre Asriel riportava sinteticamente ciò che la collega aveva detto.
Lei aveva avuto la fortuna di crescere in una famiglia numerosa, caotica e molto unita, una famiglia che l’aveva sempre sostenuta – anche se la sua anziana nonna Babbana insisteva a chiamarli tutti “pagani”, ma infondo era entusiasta dell’avere nipoti magici – e che non le aveva mai fatto mancare nulla. A volte, quando lavorando si scontrava con realtà così diverse da quella che lei stessa aveva vissuto provava quasi una sorta di senso di colpa. Così come poco prima, udendo le parole di May, aveva cercato di chiedersi come l’avrebbe fatta sentire perdere sua sorella Aoife.
La strega provò una fastidiosa morsa allo stomaco, cercando di non pensarci mentre Asriel, voltatosi verso di lei, le chiedeva se andasse tutto bene.
“Sì, benissimo, scusa Asriel. Dicevo… ha sostenuto di non conoscere la vittima, e così su due piedi non abbiamo nessuna prova del contrario, immagino.”
“Beh, spero che non sia lui il colpevole. Sarebbe un peccato visto che cucina così bene… Passiamo alla francese cavallerizza.”
“Asriel, scusa se te lo chiedo, ma come mai detesti tanto i francesi?”
James abbozzò un sorriso, sostenendo a disagio l’occhiata terribilmente cupa che Asriel gli rivolse. Anche Clodagh guardò curiosa il partner, visto che in tanti anni di conoscenza, collaborazione e infine amicizia non era mai riuscita a comprendere il motivo del profondo disprezzo di Asriel per i francesi.
Asriel che strinse le labbra ed esitò prima di tornare a guardare la lavagna, mormorando che le sue opinioni personali non avessero nulla a che fare con il caso prima di chiedere a Clodagh di ripetergli le informazioni salienti del suo interrogatorio:
“Ha avuto una relazione con la vittima, direi che questo la mette al primo posto dei sospettati.”
Clodagh annuì e tornò a concentrarsi sugli appunti, ma non prima di aver scambiato un’occhiata delusa con James: ancora una volta la loro curiosità non era stata soddisfatta, e all’improvviso la strega si chiese perché, dopo tuti quegli anni, ancora sapesse così poco del suo amico.
 

*
 
“Corinne ha detto che è stata lei a lasciare Alexandra, ma che lei non l’aveva preso molto bene.”
“Non mi sorprende affatto, non era molto avvezza ai rifiuti. Quando fui io a rifiutarla non mi rivolse la parola fino al diploma.”
“Non mi avevi mai detto che la nostra avvocatessa preferita ti avesse fatto delle avances!”
Clodagh guardò il collega stupita e divertita al tempo stesso, ma Asriel liquidò il discorso con un gesto e le fece cenno di tornare a concentrarsi su Corinne e sui loro appunti.
“D’accordo… pare che Alexandra abbia pensato bene di spifferare tutto alla stampa, casa di Corinne è stata assalita dai paparazzi e anche l’azienda di famiglia… le vendite sono andate in calo… e ciliegina sulla torta, la nostra vittima è diventata il legale della concorrenza. Beh, direi che non era affatto una donna rancorosa!”
“Ma pensate davvero che possa essere stata lei? Sicuramente può averla odiata per ciò che ha fatto, ma da qui ad uccidere qualcuno…”
“E’ vero, ma può esserci altro che Corinne non ci ha detto. E di sicuro è la persona che ha avuto un legame più stretto con lei su questo treno, non possiamo ignorarlo. E ora veniamo alla sua amica, che sostiene fermamente la sua innocenza.”
Asriel disegno una piccola freccia tra i nomi delle due francesi, che James osservò tenendo le braccia strette al petto e con la fronte leggermente aggrottata nel ripensare a ciò che le due streghe avevano detto l’una sull’altra ai loro interrogatori:
“Possono essere complici.”
“Sì, ma apparentemente Clara Picard non ha legami con la vittima, così come lo chef.”
“Apparentemente. Ci ha parlato dell’incidente del fratello, che a lui è costato le gambe e a lei un lavoro che amava e che aveva fatto di tutto per ottenere. Potrebbe essere stata coinvolta con l’incidente.”
Clodagh si strinse nelle spalle e James sorrise allegro, schioccando le dita come se fosse stato appena colto da un’illuminazione:
“O magari in realtà Clara è segretamente innamorata di Corinne e ha ucciso Alexandra per gelosia! Oppure si sono messe d’accordo!”
Voi due guardate troppi film.”
“Ma potrebbe essere come in quel libro della Christie, dove i colpevoli sono gli amanti segreti!”
“Quale libro? Anzi no, non dirmelo, non voglio altri spoiler.”
 

*

 
“Come è morta esattamente la sorella di May? Non glie l’ho mai chiesto. Mi sembrava indelicato.”
“Si è ammalata, l’hanno contagiata alcuni pazienti. Ha vissuto qualche mese e poi è morta.”
“Dev’essere stata molto dura per lei.”
Renèe annuì mentre accarezzava distrattamente il morbido pelo chiaro di Artemis, la sua gatta che le stava in grembo e giocherellava con alcuni dei braccialetti d’oro che la padrona portava al polso. Anche se erano passati quattro anni ricordava ancora fin troppo bene lo stato di profonda sofferenza che la perdita della sorella aveva gettato sulla sua solare amica. In tutti quegli anni, non ricordava di averla mai vista versare tutte quelle lacrime o smettere addirittura di uscire di casa per giorni interi, intervallando allenamenti e corse estenuanti ad interi pomeriggi passati chiusa in camera da letto.
“Erano molto legate, May stravedeva per Morgan. Nonostante fosse la sorella minore era convinta di dover essere lei a proteggerla dagli altri, Morgan era più timida e introversa.”
“Posso immaginare.”
Elaine parlò chinando lo sguardo su Ailuros, il suo Maine Coon dal lungo pelo nero. Sembrava che il grosso gatto volesse saltarle in grembo proprio come Artemis aveva fatto con Renèe, ma Elaine si limitò a sorridere dolcemente mentre gli carezzava la testa, consapevole che fosse ormai troppo grosso per poterlo tenere comodamente in  braccio.
“Dev’essere terribile perdere improvvisamente una persona così cara senza poter fare nulla.”
Pensare alla sua amica serviva a Renèe a ricordarsi quanto fortunata fosse ad avere una grande ed intatta famiglia come la sua, una famiglia che seppur non perfetta l’avrebbe sempre sostenuta.
La bionda incrociò lo sguardo calmo e rilassato di Elaine, che accennò un sorriso amaro prima di mormorare che lo era.
 

*

 
“Eravate molto amici, tu e la sorella di May?”
“Sì, anche se quando si è ammalata non la vedevo da un po’, mi ero diplomato da poco all’Accademia e avevo sempre da fare.”
“Che malattia aveva?”
Clodagh sedette accanto ad Asriel sul bordo del letto guardandolo con curiosità, cercando di ricordare qualcosa di Morgan Hennings ad Hogwarts ma senza grandi risultati.
“Faceva la Curatrice al San Mungo, si prese un’assurda malattia infettiva da alcuni pazienti… è morta dopo pochi mesi.”
“Mi… mi dispiace Asriel.”
Asriel non rispose, limitandosi ad osservare il pennarello nero che ancora si rigirava distrattamente tra le dita mentre i ricordi del funerale della vecchia compagna di scuola tornavano a farsi vivi dopo molto tempo:
“Mi ricordo di May al funerale, anche se sul momento non l’avevo riconosciuta. Teneva in braccio quella bambina così piccola, aveva solo un anno o giù di lì. Dev’essere orribile non poter nemmeno conoscere la propria madre.”
“E il padre?”
“Morgan riuscì a lasciarlo prima che la bambina nascesse. Glielo dicevo da mesi di farlo, era un pezzo di merda… Preferisco non parlarne. Odio il fatto che la cucina sia chiusa, ucciderei anche io per un caffè!”
Di norma Clodagh lo avrebbe ammonito di assumere troppa caffeina al giorno e gli avrebbe consigliato passare a qualche thè rilassante, ma vedendolo così nervoso decise di non interferire e fece l’unica cosa che le venne in mente: visto che il collega non era un tipo di molte parole, si sporse verso di lui e lo abbracciò.
Asriel non aveva mai amato il contatto fisico fin da bambino, e di certo non era avvezzo agli abbracci. Tuttavia, dopo un’iniziale esitazione ricambiò debolmente la stretta dell’amica e appoggiò la testa contro la sua, chiedendole con un mormorio di non farsi mai ammazzare in missione.
“Tranquillo, se sono sopravvissuta alla tua ira post-spoiler nulla potrà scalfirmi. Nessuno riuscirà a liberarti della mia presenza.”
Clodagh parlò con un sorriso e Asriel la imitò, sperando che avesse ragione.
 

*

 
“Non voglio più andare all’asilo, i bambini sono stupidi! E Jimmy mi tira sempre i capelli, è uno stupido!”
“I bambini non sono tutti stupidi, ricorda che sei una bambina anche tu.”
May ridacchiò udendo le parole della nipotina, facendo attenzione a non scottarsi mentre apriva i cartocci di alluminio in cui aveva cotto le patate nel forno. Pearl, seduta di fronte a lei con le braccine strette al petto e particolarmente imbronciata, guardò la zia imburrarne le cavità al centro e cospargerle di erba cipollina pregustando la cena mentre Brutus osservava famelico la padrona.
“Ma la nonna dice che io sono molto sveglia, quindi è come se andassi già alle elementari.”
“Sai, un volta dissi anche io alla nonna di non voler più andare all’asilo: alcuni bambini mi prendevano in giro per le lentiggini. Ma la nonna mi ci mandò comunque, e mi vietò di nascondere le lentiggini. Quindi continuerai ad andarci anche tu, piccola, e dirai a Kevin di smetterla di tirarti i capelli.”
“La vita è ingiusta!”
Pearl sbuffò e fece un teatrale movimento con le braccia che fece annotare mentalmente a May di farle vedere più film per bambini e meno roba per adulti, dopodiché la strega intimò alla nipotina di mettersi il tovagliolo prima di servirle un paio di Jacket Potatoes calde e profumate.
“Lo so piccola, ma cerca di sfogare la tua grande sofferenza sul cibo, se ti riesce.”
Pearl annuì, asserendo seria che ci avrebbe provato senza notare i tentativi della zia di non mettersi a ridere: a volte May – così come la madre – si chiedeva chi fosse la vera adulta di casa.
 

*

 
Finn era disperato: non trovava Alfaar da nessuna parte. Era raro che il topolino si separasse da lui, e con tutti quei dannati felini sul treno temeva per l’incolumità del suo piccolo animaletto.
“Signorina, per caso ha visto un topo?”
Intercettata Elaine, che al solito si muoveva con quell’enorme gatto nero al seguito e con quell’aria composta ed elegante, Finn si affrettò a fermarla più agitato che mai. La strega per tutta risposta deglutì e sbarrò gli occhi, facendosi preoccupata tanto quanto lui.
“Un topo? Merlino, no per fortuna! Perché? Ci sono dei topi?”
“No, il topo è mio!”

 
 
*

 
Dopo pranzo Lenox si era ritirato nella sua cabina insieme a Scottish e a Polly, che si era subito appisolata nella sua piccola cuccia mentre il gatto rosso gli si era acciambellato sulle ginocchia.
Avendo finito di leggere entrambi i libri che aveva portato con sé, Lenox decise che per combattere la noia bisognava ricorrere a soluzioni drastiche, così aveva Evocato momentaneamente una tv.
Insieme a Scottish, ormai abituato a quelle visioni, stava guardando un vecchio film in bianco e nero quando qualcosa attirò la sua attenzione: c’erano dei rumori, o meglio dire delle voci, provenienti dal corridoio.
Incuriosito, il mago mise in pausa il film su un primo piano di Laurence Olivier e si alzò, aprendo la porta della cabina per capire che cosa stesse succedendo.
“Che cosa succede?”
“Alfaar è sparito, non lo trovo da nessuna parte! Sarà caduto vittima di qualche gattaccio!”
Finn, in piedi in mezzo al corridoio, gesticolò disperato mentre Elaine, in piedi di fronte a lui, sbarrava gli occhi quasi inorridita:
“Lei ha un topo come animaletto?! Santa Tosca, sono tutti pazzi su questo treno! Vieni Ailuros, andiamo a nasconderci in cabina.”
Elaine si allontanò con stizza – chiedendosi come fosse possibile avere un topo come animale di compagnia – e Finn avrebbe voluto informare la strega che il suo Alfaar era un topolino adorabile, non certo un ratto uscito dalle fogne, ma decise di non aver tempo per quelle sciocchezze e corse verso il vagone ristorante.
Se la cucina era aperta, era probabile che Alfaar fosse andato verso la dispensa.
“E ora dove vai?”
Incuriosito – e sempre più perplesso dagli eventi bizzarri che quel treno sembrava concentrare su di sé – Lenox guardò l’ex Corvonero superarlo trafelato e visibilmente preoccupato:
“A cercare Alfaar in cucina, sperando che non abbia fatto da pasto a sua volta!”
L’ex Tassorosso volse lo sguardo su Scottish, che si stava leccando una zampetta con noncuranza. Per un attimo il mago si domandò se non fosse stato lui l’artefice di una disgrazia, ma infondo non l’aveva mai perso di vista, anche quando il micio si era avvicinato ad una delle passeggere francesi per farsi viziare.
Chiusa la porta, Lenox abbozzò un sorriso mentre si rivolgeva al gatto, dandogli una carezza sulla testa prima di tornare a sederglisi accanto:
“Speriamo che Finn trovi Alfaar… Non so se sarei in grado di salvarti dalla sua ira, se fossi stato tu.”
Le immagini in bianco e nero tornarono presto a muoversi, catapultando nuovamente Lenox all’interno del mistero di Max De Winter(2) e permettendogli di non pensare, almeno per un po’, ad omicidi e sparizioni di topolini.

 
 
*

 
“Chef, che facciamo?!”
“Come cazzo ci è entrato un topo nella mia cucina?! Siamo passati da Assassinio sull’Orient Express ad un film Pixar? Che nessuno si muova!”
Ruven aveva appena messo piede in cucina – era riuscito a farla momentaneamente aprire per iniziare a preparare gli ingredienti per il servizio successivo – quando lui e il suo sous-chef avevano scorso l’incubo di ogni cuoco: un topo in cucina.
E per quanto gli fosse sempre piaciuto Ratatouille, di sicuro non era qualcosa che poteva accettare.
 
Lo chef, che teneva un ampio scolapasta di acciaio in mano come fosse stato un’arma da fuoco, avanzò lentamente verso l’isola dove si trovava il topo.
“Non. Fate. Movimenti. Bruschi.”
Lo chef parlò a denti stretti e scandendo molto lentamente le parole, pronto a mutilare e ferire gravemente chiunque avesse fatto scappare il topo, che avevano attirato con un pezzetto di formaggio.
Alfaar stava sgranocchiando ignaro il suo groviera. Ruven stava per intrappolarlo sotto lo scolapasta, chiedendosi dove accidenti fossero tutti i gatti del treno quando c’era bisogno di loro.
Infine la porta si aprì con un improvviso scatto metallico, facendo sobbalzare i cuochi e Ruven in primis:
Salve, c’è lo chef? Volevo ringraziarlo per la…”
“ALFAAR! Non uccidete il mio topolino!”
Da dietro James – sbigottito per la scena che gli si prospettava davanti agli occhi – apparve Finn, che senza indugi oltrepassò l’Auror per correre all’interno della cucina e raccogliere il topolino con sollievo, ignorando le imprecazioni in tedesco di Ruven;
“Avevo detto niente movimenti bruschi! Il topo sarebbe suo? Lo tenga lontano dalla mia cucina!”
Ruven, furioso, ridusse gli occhi verdi a due fessure e agitò minaccioso un mestolo per spaghetti contro il topolino, che andrò a nascondersi nella taschina della camicia di Finn mentre il padrona lo accarezzava sollevato:
“Mi dispiace molto, è scappato… Per fortuna non ha incontrato nessun gatto.”
L’ex Corvonero emise un sospiro di sollievo mentre James, alle sue spalle, quasi non credeva ai propri occhi: incredibile, aveva praticamente assistito ad una scena live action di Ratatouille! Peccato che Clodagh non avesse potuto assistere.
Certo Ruven non somigliava molto a Skinner o Finn a Linguini, ma ci si accontentava.
 
“Mi scusi Chef, ero venuto a ringraziarla per la torta di oggi… Ehy, ma voi due siete identici!”
Era la prima volta in cui James aveva modo di osservare i due da vicino contemporaneamente, e spostò sbigottito lo sguardo da un mago all’altro mentre chef e scrittore si scambiavano occhiate assorte, studiandosi scettici a vicenda.
“Continuano a dirlo tutti… a me non sembra. Lei che ne pensa, chef?”
“Nah, non sembra nemmeno a me. Io ho gli occhi più verde chiaro.”
“E’ vero, e la mia mascella ha una forma più dolce.”
“Sì ma… siete identici comunque! Non è che per caso siete parenti separati alla nascita?”
“Che io sappia non ho origini crucche, quindi lo escluderei.”
“Questo teatrino è stato affascinante, signori, ma ora vi chiederei di levare le tende dalla mia cucina, se non è di troppo disturbo. E il prossimo topo che trovo lo do in pasto a Neko, siete tutti avvisati.”
Più allegro che mai per aver assistito a quella scena, James lasciò la cucina insieme a Finn, che abbassò lo sguardo su Alfaar chiedendosi perché nessuno comprendesse il suo affetto per quella dolce creaturina.
 

 
*

 
“Amore mio, ciao! Come stai? Mi mancate tanto tu e Brutus.”
“Bene, prima io e la nonna abbiamo fatto gli omini di pan di zenzero.”
Sentire la voce di Pearl era esattamente ciò di cui sentiva di avere bisogno dopo essere stata costretta a parlare di Morgan, e udendola così serena e allegra – che avesse scordato l’arrabbiatura nei suoi confronti? – May non poté far altro che sorridere mentre stringeva il cellulare con la mano guantata, in piedi al freddo all’esterno del treno.
“Mi piacerebbe poterli assaggiare… Una volta proviamo a farli anche noi, che ne dici?”
“Va bene. Quando torni, zia?”
“Spero presto piccola… ma per farmi perdonare avrò un sacco di cose da raccontarti. Sai, prima mi hanno interrogata come nelle serie tv che guardiamo.”
“Wow! Perché?”
“Diciamo che qui è successa una cosa strana, e stanno interrogando tutti. Ma presto tornerò a casa da te e Brutus, te lo prometto. Fai la brava con i nonni.”
“Io sono sempre brava!”
May sorrise, annuendo anche se la bambina non poteva vederla e assicurandole affettuosamente che lo sapeva prima di salutarla e chiudere la telefonata. Prima di riporre il telefono nella tasca del cappotto bianco ne osservò lo schermo, dove sullo sfondo faceva capolino una fotografia cha la ritraeva con una Pearl di pochi mesi in braccio e Morgan a stringere entrambe in un abbraccio: era una delle poche foto a ritrarle tutte e tre insieme che aveva, e come la nipotina – che da un anno le chiedeva spesso di vederla e faceva molte domande sulla madre – non si sarebbe mai stancata di guardarla.
Un debole sorriso increspò le labbra della strega, che sfiorò lo schermo prima di riporre il telefono e rientrare all’interno del treno sperando di riabbracciare presto il suo angioletto.
 
 
 
 
 
 
 
 
(1):Tengo a precisare che non è mia intenzione offendere nessuno e che mi dissocio dal pensiero sui francesi del mio figliolo.
(2): Il film che guarda Lenox è “Rebecca la prima moglie”. Ovviamente l’originale di Hitchcock, non la ciofeca di Netflix.
 
 
……………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Per dirla alla Asriel, Guten Morgen a tutti.
So di essere decisamente in ritardo, scusatemi, tra università, ansie e qualche malessere mi sono presa indietro un po’ con tutto… C’è da dire che il capitolo è il più lungo della storia fino ad ora, quindi spero di essermi parzialmente fatta perdonare così.
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie per le recensioni. Scusate se spesso non vi rispondo, ma fatico a trovare il tempo.
Per il prossimo vi chiederei di votare tra:
 
Lenox
Finn
Elaine
 
Per favore, cercate di votare entro una settimana, altrimenti non prenderò i voti in considerazione.
 
A presto,
Signorina Granger

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Capitolo 10
*** Capitolo 8 - Dove hai trovato tutte queste decorazioni? ***


Capitolo 8 – Dove hai trovato tutte queste dichiarazioni?
 
23 dicembre, 11 pm, I classe
 
 
“Pensi che la soluzione possa essere come quella del libro, Zorba?”
Nonostante fosse passato qualche anno da quando lo aveva letto, Asriel manteneva un vivissimo ricordo della più celebre avventura di Hercule Poirot partorita dalla mente di Agatha Christie. Avventura che, assurdamente, sembrava essersi recentemente proiettata nella sua vita.
Disteso sul proprio letto e in procinto di dormire, l’Auror fissava il soffitto della sua lussuosa cabina mentre con una mano carezzava distrattamente il pelo nero di Zorba giocherellando con il gattino, che cercava di afferrargli un dito con le zampine.
“No… no, troppo assurdo. Molte delle cose che scriveva la Christie non succedono nella vita vera. Troppo contorte.”
Non avendo più niente da leggere, l’Auror stava per spegnere la luce e mettersi a dormire quando udì qualcuno bussare alla porta. Questa volta l’idea di ignorare il visitatore non gli passò nemmeno per la testa – se avesse fatto sfondare nuovamente la porta, di sicuro il capotreno non ne sarebbe stato molto contento – e si affrettò ad alzarsi, lasciando momentaneamente Zorba solo sul letto per andare ad aprire la porta.
Con sua somma sorpresa, sull’uscio non trovò nessuno. La bacchetta di noce nero stretta in mano, Asriel si guardò attorno aggrottando le sopracciglia senza però riuscire ad individuare nessuno nel corridoio debolmente illuminato da alcune luci poste sul soffitto.
Fu quasi per caso che abbassò lo sguardo, rilassandosi leggermente prima di chinarsi e raccogliere l’oggetto che gli era stato lasciato davanti alla porta. Rientrato all’interno della cabina e sigillata la serratura con un incantesimo, Asriel ripose la bacchetta e sedette sul letto togliendo delicatamente il vistoso post-it giallo che era stato attaccato sulla copertina di un libro.
Carte in tavola”, recitava il titolo rosso sangue.
Asriel girò il libro, che ancora non aveva mai letto, e diede una rapida occhiata alla trama prima di tornare a guardare il post-it giallo e la faccina sorridente riportataci sopra.
Chiaramente il post-it così orrendamente giallo non lasciava spazio a molti dubbi, ma Asriel si ritrovò comunque a sospirare con leggera disapprovazione: era così terribilmente tipico di Clodagh fare cose gentili e poi svignarsela per non prendersi meriti, lodi o ringraziamenti.
Messo da parte il post-it, Asriel aprì il libro mentre Zorba si acciambellava sulla sua cuccetta, pronto a dormire. Il suo padrone, invece, decise che avrebbe rimandato il sonno ancora per un po’.
 

 
*
 
 
24 dicembre, 8.30 am
 
 
Certo era bloccato su un treno dove per di più era stato commesso un omicidio, ma James non poté fare a meno di svegliarsi di ottimo umore quella mattina: era la Vigilia di Natale. Ed ovunque si trovasse, James Jonah Hampton amava il Natale con tutto se stesso.
Volto lo sguardo sul finestrino, il giovane Auror realizzò che stava nevicando. La cosa migliorò ulteriormente il suo umore e si alzò dal letto con un gran sorriso sulle labbra, avvicinandosi al trasportino di Alpine per verificare che la gatta fosse sveglia.
“Ciao bellissima! Domani è Natale, non sei contenta? Solo, temo di aver lasciato a casa il tuo regalo, scusa… pensavo che saremmo tornati a casa in tempo.”
Il ragazzo si alzò tenendo la gatta bianca e nera in braccio, guadagnandosi un’occhiata particolarmente stizzita dai grandi occhi blu di Alpine, che voltò sdegnosa la testa dall’altra parte e sembrò non gradire affatto la prospettiva di un Natale senza regali.
“Dai, non mettere il muso… Te ne prenderò un secondo per recuperare quando torneremo. E mentre sei qui puoi sempre farti coccolare da Asriel.”
Alle parole del mago la gatta drizzò le orecchie pelose e saltò sul pavimento, trotterellando muovendo sinuosamente la coda in direzione della porta prima di iniziare a grattarla leggermente con le zampe anteriori: se proprio non doveva avere regali da quello screanzato del suo padrone, almeno avrebbe recuperato facendosi coccolare dal suo bel collega.
“Alpine, aspetta, mi devo vestire! No, non grattare la porta, non sei a casa tua! Fai la signorina educata, su.”
Le sue parole sembrarono colpire ulteriormente la gatta, che gli lanciò un’occhiata velenosa prima di tornare nel suo trasportino, decisa ad ignorarlo per un po’ per lenire il suo orgoglio ferito di gatta oltraggiata: lei era sempre una signorina educata, come osava il suo umano metterlo in dubbio?

 
*

 
La porta della cabina era chiusa a chiave, ma aprirla non fu affatto un problema. E pensare che quando aveva impiegato giorni ad imparare ad aprire le serrature con delle forcine per capelli Cecil lo aveva addirittura deriso. Era sicuro che sarebbe tornato utile, prima o poi.
Prospero s’infilò silenziosamente nella cabina, chiudendosi dolcemente la porta alle spalle prima di posare lo sguardo sul letto, dove esattamente come aveva previsto la sua cara Fogliolina dormiva ancora.
Non riuscendo a trattenere un sorriso, il mago si avvicinò silenziosamente al letto prima di estrarre qualcosa dalla tasca interna della giacca color crema che indossava.
Andare a disturbare il sonno di Delilah ad ogni Natale era stata una sacra tradizione per tutti i loro anni ad Hogwarts. Ora che si ritrovavano di nuovo, contro ogni aspettativa, a dormire a poca distanza l’uno dall’altro non poteva permettersi di venir meno ai suoi doveri.
 
*
 
 
Dopo aver dato da mangiare a Zorba ed essersi vestito, Asriel lasciò la sua cabina con uno sbadiglio: aveva letto fino a tardi arrivando praticamente a finire il libro in un paio d’ore, ma ora ne pagava le conseguenze.  Stava finendo di allacciarsi il gilet di tweed beige, dirigendosi affamato e desideroso di caffè verso il vagone ristorante, quando una voce allegra e una pacca sulla spalla turbarono la sua quiete:
“Buongiorno Stella del Mattino splendente! Dormito bene?”
“Per la barba di Merlino Clodagh, dovresti avvisare prima di farti vedere così di primo mattino… Ma che ti sei messa addosso?!”
Ancora assonnato, Asriel si affrettò a distogliere lo sguardo dall’accecante vista del maglione verde foresta di Clodagh con disegnato un albero di Natale con tanto di decorazioni. Il problema era che le luci si accendevano davvero.
“Questo? È il mio maglione di Natale preferito, ti piace?”
“Preferisco astenermi, o risulterei sgradevole.”
Clodagh stava per dirgli di non fare il Grinch e di smetterla di criticare il suo abbigliamento quando i due, all’improvviso, si zittirono: un suono improvviso e particolarmente acuto giunse alle loro orecchie, costringendoli a fermarsi nel bel mezzo del corridoio per scambiarsi un’occhiata dubbiosa.
“Che cos’era?”
“Non ne ho idea, se non fossi stata qui con me avrei giurato che fosse opera tua…”
“Tante grazie! Comunque, sembrava una specie di trombetta da stadio, ma è assurdo che…”
Clodagh non finì di parlare, interrompendosi quando i due colleghi udirono una forte ed indistinta serie di imprecazioni giungere dalla II classe, esattamente da dove il suono era sembrato provenire.
Un paio di attimi dopo lo sportello che collegava i due vagoni si aprì, permettendo a Prospero De Aureo di attraversare di corsa il corridoio in un turbinio di risatine, svolazzi color crema e ricci scuri.
“Che cazzo sta succedend-“
“TI UCCIDO DE AUREO!”
Prospero li aveva appena superati quando nel corridoio apparve Delilah Yaxley, in pigiama, arruffata e visibilmente incazzata. La strega non badò minimamente ai due Auror, seguendo di corsa l’amico lungo il corridoio con il preciso intendo di strangolarlo mentre Asriel spingeva provvidenzialmente Clodagh verso la parete che dava sulle cabine con un braccio.
“Io te l’ho detto, questo treno è una gabbia di malati di mente.”
“Forse hai ragione, ma pensa positivo: tra due anni penseremo a questo Natale e ne rideremo, ne sono certa.”
Asriel non ne era poi così convinto, ma lasciò che la collega lo prendesse sottobraccio per condurlo verso il vagone ristorante rincuorandosi col pensiero della colazione che stava per fare.
“Ah, Clo? Grazie per il libro.”

 
*
 

“Renèe! Renèe dai, aprimi!”
quella mattina May si era alzata dal letto con il sorriso sulle labbra: certo Pearl le mancava terribilmente, ma era pur sempre la Vigilia. Il Natale era alle porte e la strega era decisa a goderselo, per quanto le fosse possibile. A cominciare da una bella colazione di tutto rispetto.
Renèe, trascinatasi giù dal letto con sbuffi sommessi, si sfilò la mascherina di raso rosa antico dagli occhi prima di strofinarseli e allacciarsi la vestaglia dello stesso colore sopra alla camicia da notte, ciabattando verso la porta con uno sbadiglio:
“Buongiorno May. Che cosa posso fare per te?”
Per un attimo May indugiò con lo sguardo sulla mascherina da notte sulla fronte dell’amica e sulla sua costosa vestaglia con inserti in pizzo, ma si ridestò in fretta e le sorrise allegra, già vestita e con un maglione azzurro pastello con fiocchi di neve addosso:
“Volevo fare colazione con te. Pensi che potremmo riuscire a convincere gli Auror a farci uscire, oggi? Vorrei fare un pupazzo di neve, se smette di nevicare…”
“Io ad Asriel non lo chiedo, ma se ci tieni puoi sempre tentare. Vieni dentro, mi devo vestire.”
“Il tuo pigiama è più bello della maggior parte dei miei vestiti, Renèe.”
E probabilmente la cosa valeva anche per il prezzo.
May seguì l’ex compagna di scuola nella cabina osservando la vestaglia con la fronte aggrottata, udendo Renèe ridere mentre si toglieva la mascherina posandola sul letto. A dire il vero May era serissima, ma non glielo fece sapere e sedette sulla poltroncina mentre guardava l’amica prendere dei vestiti a sparire all’interno nel bagno.

 
*

 
“Questa mattina chi interroghiamo? Ieri pomeriggio dopo May interrogando buona parte dello staff non mi sembra di aver annotato nulla di troppo interessante.”
James si portò un pezzo di pancake alle labbra mentre Asriel, sedutogli di fronte come al solito, tagliava distrattamente le sue uova, parlando solo dopo qualche breve istante di esitazione:
“Lenox. Ho voluto aspettare un po’ per parlare con lui per… beh, lo vedrete coi vostri occhi.”
James aggrottò la fronte, confuso, e guardò Clodagh in cerca di risposte. Anche la strega sembrò tuttavia non comprendere le parole del collega, che bevve un sorso di caffè prima di sorridere quasi con leggero divertimento:
“Come ho detto, lo vedrete.”
“Lo conosci bene?”
“No, non direi proprio benissimo, ma era del mio anno e me lo ricordo molto bene ad Hogwarts… è una persona tranquilla, difficilmente lo vedrei capace di uccidere qualcuno. Certo, ovviamente le impressioni possono ingannare. Vedremo che cosa ci dirà.”
James non ne fu del tutto sicuro, ma ebbe la seria impressione che Asriel avesse trattenuto a stento un sorrisetto prima di bere un altro sorso di caffè. Eppure, quando appoggiò di nuovo la tazza sul tavolo, il collega era di nuovo perfettamente serio.
Chissà, forse lo aveva solo immaginato.
Oh, a proposito Clo… bel maglione!”
“Grazie JJ, anche il tuo! Pensa che questo Grinch me lo ha criticato, che maleducato!”
Clodagh scosse il capo con simulata disapprovazione, colpendo Asriel con una leggera gomitata prima che il mago, sbuffando, borbottasse qualcosa contrariato:
“Perché su questo treno nessuno dei miei colleghi si degna di chiamarmi col mio nome? Prima Ariel, poi Brontolo, ora questo Grinch… non so neanche chi siano queste persone!”
James avrebbe voluto parlare e rivelare al collega che si trattava, nell’ordine, di una Principessa Sirena con manie di accumulo, un nano scorbutico e infine un’indistinta e orrenda creatura verde pelosa. Fortunatamente, dopo una breve esitazione e uno scambio di sguardi con Clodagh, decise di lasciarlo nella sua ignoranza.
Fu quando Asriel si alzò per raggiungere Lenox e la sua pila di pancake, impegnato a leggere un libro con uno Scottish soddisfatto sulle ginocchia, che James si sporse sul tavolo verso Clodagh celando a malapena un sorriso divertito:
“A proposito… a Berlino gli ho preso di nascosto un maglione natalizio. Glielo diamo domani?”
“Mi sembra ovvio! Non vedo l’ora di vedere la sua faccia!”
Clodagh rise prima di finire di bere il suo thè, improvvisamente ancor più di ottimo umore. Doveva solo ricordarsi di chiedere a Delilah Yaxley di prestarle la macchina fotografica in prestito.

 
*

 
“Non fare cazzate.”
Polly sollevò la testa con leggera curiosità, osservando il padrone come chiedendosi se stesse parlando con lei e che cosa avesse fatto per meritarsi un rimprovero. La cagnolina inclinò la testa bianca e fulva contornata dalle lunghe e morbide orecchie che le valevano sempre grandi complimenti da chiunque, e guardò il padrone in piedi davanti allo specchio.
Le braccia strette al petto in una morsa rigida, Lenox lanciò un’occhiata quasi implorante al proprio riflesso, parlando con un sospiro:
“Non. Fare. Cazzate.”
Non era del tutto sicuro di riuscire nel suo intento evitando di fare il solito teatrino. Poteva solo sperare che Asriel, conoscendolo, avrebbe capito.

 
*

 
“A fronte di accurate e meticolose riflessioni, è con estremo piacere che ti comunico che ho risolto il caso.”
“Salazar salvaci tu…”
“Silenzio prego, per intervenire bisognerà alzare la mano. Detto questo, veniamo ai fatti.”
La giornata di Delilah era iniziata davvero col piede sbagliato: stava sognando di essere fidanzata con un attore bellissimo e miliardario quando, all’improvviso, quel demente del suo migliore amico l’aveva svegliata. Fregandosene dell’essere in pigiama, la strega aveva inseguito il suddetto demente per mezzo treno, riversandogli addosso violente minacce di morte.
Si era data una calmata solo di fronte agli sguardi sospettosi e spaventati dello staff e degli altri passeggeri: forse andarsene in giro a fare minacce nel corso di un’indagine per omicidio non era una scelta molto saggia per sviare i sospetti.
Le loro diatribe non sopravvivevano mai al quarto d’ora fin da quando avevano undici anni e l’ascia di guerra era così stata seppellita, ma per punizione la strega aveva costretto Prospero ad ordinarle una pila abnorme di pancake per colazione, dopodiché lo aveva trascinato nella sua cabina per illustrargli i ragionamenti fatti la sera prima, quando non riusciva a dormire rigirandosi tra le lenzuola.
Prospero, seduto sul proprio letto con le gambe accavallate e le mani pallide e affusolate strette sul ginocchio destro, aggrottò la fronte e fece per ricordare all’amica che in quella stanza c’erano solo loro e che di conseguenza alzare la mano per intervenire non sarebbe stato di grande utilità, ma decise di soprassedere mentre, accanto al suo amato Kiki, guardava Delilah indicare la bacheca e una delle foto sopra riportate con un puntatore che fino a due minuti prima non c’era.
“Dove diavolo l’hai presa quella?!”
“Basta con le interruzioni, insomma! Le domande alla fine. Allora. Il treno parte la sera del 21 dicembre, ed è quindi attorno alle 20 che Alexandra Sutton, la vittima – che noi chiameremo “La Panterona” – sale sul treno. Né tu né io la vediamo per tutta la sera, probabilmente La Panterona cena direttamente nella sua cabina visto che viaggia in I classe – maledetta nababba –. Ma è proprio durante la notte, non sappiamo bene quando, che la viscida perde la vita.”
Delilah indicò con solennità la foto al centro, foto che ritraeva la suddetta vittima con addosso occhiali da sole dalla spessa montatura nera e un lungo cappotto a doppio petto in fantasia Pied de Poule nera e bianca camminare su un marciapiede.
“Quella foto glie l’hai fatta tu a Berlino?”
“Nah, è di quando l’ho pedinata una volta a Londra, quelle di Berlino le ho cancellate tutte per non dare sospetti. Torniamo a noi. La letteratura giallista spesso ci insegna che il colpevole è sempre quello meno sospettabile, motivo per cui non puoi essere tu, mio caro amico, che agli occhi di tutti sei il più sospetto.”
Grazie tante.”
“A fronte delle mie profonde riflessioni notturne, sono giunta alla conclusione che le colpevoli sono le francesi! È OVVIO che si siano coalizzate! Guarda come sono sospette mentre accarezzano gatti. E perché quei bastardi si fanno accarezzare da delle assassine e non da me, maledetti…”
“Mi scusi, Detective Yaxley, perché proprio le Mademoiselles?”
Prospero – che stava iniziando a divertirsi – sorrise amabilmente all’amica mentre Delilah si dava colpetti soddisfatti con il puntatore sulla mano sinistra certa di stupire l’amico con le sue brillanti riflessioni:
“La faccia della bionda non mi era nuova, e poi ho capito perché. L’atleta, Ro, la cavallerizza di cavalli alati. Perché la conosco? Perché quando la Panterona girava attorno a Cecil e al nostro negozio, mi sono messa a cercare informazioni su di lei, ed è saltata fuori una relazione che in Francia aveva dato scandalo. Una relazione con questa qui!”
Delilah indicò teatralmente una foto di Corinne seduta nel vagone ristorante con la lunga bacchetta, sorridendo soddisfatta mentre Prospero, al contrario, incrociava le braccia al petto quasi con vago divertimento:
“Beh, ammetto che questo può essere interessante, dolcezza, ma non hai prove.”
“E invece è andata proprio così! La Panterona sale sul treno, va nella sua canina. Corinne, che chiameremo qui “La Bionda”, alloggia a sua volta in Prima Classe. Le due si vedono, forse discutono, forse fanno cosacce, non lo so, ma alla fine finisce male e La Bionda, presa dal risentimento, la fa fuori in un perfetto omicidio passionale. A quel punto è disperata, quindi corre dalla sua amica – che chiameremo “La Gattara” –“ Delilah indicò la foto di Clara, rappresentata con il suo gatto nero in braccio “e le confessa tutto. La sua amica decide di aiutarla, quindi fanno finta di nulla fino alla mattina dopo, quando fingono di essere sorprese di vedersi. A quel punto, forse è proprio mentre La Bionda viene interrogata che La Gattara entra qui, ti ruba la palla della morte e si defila. La nasconde nella propria cabina, non sa bene cosa sia ma SA che è qualcosa di importante. A quel punto si scambiano i ruoli, e mentre viene interrogata La Gattara La Bionda mette la sfera nella valigia della Panterona nella cabina di Manzo Apocalittico.  Ed è esattamente così che è andata, i conti tornano alla perfezione.”
Prospero alzò la mano sforzandosi di apparire più serio che mai, perdendo la parola al cenno d’assenso che l’amica gli rivolse:
“Scusi Detective, ho delle riserve sui nomi in codice. Vorrei farle notare che su questo treno siamo un po’ tutti gattari.”
È vero, ma tu sei Bei Riccioli, io sono la Bella Detective Misteriosa, Asriel è ovviamente Manzo Apocalittico… ah, e poi c’è La Bacchettona.”
Delilah indicò solennemente la foto di Renèe, costringendo Prospero ad aggrottare le sopracciglia scure e a cercare di trattenere una risatina:
“Laila, Bacchettona non significa creatrice di bacchette…”
“Uffa, provaci tu a trovare nomi in codice per tutti, non è mica facile! Piuttosto, oggi interrogano Flint. Non capisco perché non interroghino TE, onestamente.”
“Che domande, il meglio va sempre tenuto per il finale, mia cara. Perché pensi che il dessert sia il fine pasto?”
 

 
*

 
“Mamma, perché papà non fa mai colazione con noi?”
Tra Maya Reeves e suo figlio Lenox era nata una sorta di tacita tradizione: la domenica mattina si faceva colazione insieme con i pancake allo sciroppo d’acero che il bambino adorava.
Mentre versava un’abbondante seconda dose di sciroppo sulle frittelle, Lenox sentì la gentile carezza della madre sulla testa bionda e i suoi occhi su di sé. La strega, una Purosangue canadese di ricca famiglia che aveva sposato Caius Flint anni prima per meri motivi finanziari, esitò prima di rispondere alla domanda del bambino con un lieve sorriso:
È uscito presto per andare a controllare una cosa al lavoro. Non sei felice di stare con me, tesoro?”
“Sì. Dopo possiamo andare a vedere i cavalli?”
Gli occhi chiari del bambino si spostarono sulla madre mentre si portava alle labbra un pezzo di frittella grondante sciroppo, sporcandosi il mento che venne ripulito dalla donna in un gesto ormai automatico:

“Certo piccolo.”
Lenox sorrise allegro, e finì di fare colazione dimenticandosi dell’assenza del padre e assillando la madre con le sue domande sugli Abraxan, animali che la famiglia materna allevava e vendeva in Canada da decenni.
Come sempre Maya rispose con pazienza alla curiosità del figlio, quantomeno sollevata che quelle domande distraessero il bambino dalla maggiore attenzione che il marito riservava alle sue pozioni piuttosto che a lui.
 
 
*

 
Fu un con bel respiro profondo che Lenox sedette sulla sedia davanti ai tre Auror, slacciandosi il primo bottone della camicia grigia in un gesto praticamente automatico.
Ecco. Iniziava alla grande.
“D’accordo Lenox… Farò le stesse domande che abbiamo fatto agli altri. Rilassati.”
Asriel, serio in volto come suo solito, guardò l’ex compagno di scuola annuire mestamente mentre Clodagh, accanto a lui, osservava confusa il collega: vedere Asriel cercare di mettere a proprio agio un sospettato soggetto ad interrogatorio non le era mai capitato.
“So già le risposte, ma te lo devo chiedere… Nome completo, dove sei nato e quando.”
“Lenox Augustus Flint, Londra… nato nel 1989. A scuola ero Tassorosso.”
“Se non sbaglio sei figlio unico.”
Sì.

 
*
 
Lenox aveva otto anni quando, inaspettatamente, la sua famiglia si allargò con la nascita di una sorellina. Qualche anno prima aveva chiesto un fratellino, ma pensava che ormai i genitori se ne fossero dimenticati.
All’inizio, per quanto felice fosse, dividere la attenzioni di una madre che adorava con tutto se stesso con la piccola Morgan fu difficile, ma ben presto il bambino imparò a voler bene alla sorellina.
Morgan aveva i suoi stessi capelli color biondo cenere, gli stessi occhi azzurri e i medesimi lineamenti dolci. Maya ripeteva sempre quanto i due figli si assomigliassero, certa che crescendo la secondogenita sarebbe diventata una bambina dolce tanto quanto il fratello maggiore.
“Lenox,  non correre così, lei non riesce a starti dietro!”
Maya, seduta su una sedia in giardino, rise mentre guardava il figlio correre sul prato e Morgan che cercava di seguirlo con i riccioli biondi che le ondeggiavano sulle spalle e un coniglietto di pezza sottobraccio.
“Enox, ‘pettami!”
Voltatosi e colto il broncio sul visino della sorellina il bambino di dieci anni si fermò, allungando una mano verso la bambina di due anni:
“Va bene… dai, dammi la mano.”
Morgan la strinse con la propria e gli sorrise, seguendolo docilmente all’inseguimento di una lucertola sotto lo sguardo della madre.
“Non ha dato nessun segno ancora, vero?”
“Non credo che sia così strano. Ci sono piccoli maghi più precoci di altri, suppongo.”
La strega volse lo sguardo sul marito che, in piedi accanto a lei, scrutava i figli giocare insieme con cipiglio serio.
“Lenox ha fatto la sua prima magia ad un anno, ricordi?”
“Certo che ricordo, ci prendemmo un colpo vedendo i piatti sollevarsi sulla tavola. Ma i bambini non sono tutti uguali, Caius.”
Il marito non rispose, limitandosi ad un cupo borbottio prima di voltarsi e tornare dentro casa. La moglie lo seguì brevemente con lo sguardo prima di tornare a rivolgersi ai figli, guardando Lenox aiutare dolcemente la sorellina a rialzarsi dopo essere inciampata con leggera preoccupazione.
 
 
*

 
“Come mai ti trovi sul treno?”
“Ho lavorato in Germania per qualche anno, facevo l’insegnante in una scuola magica specializzata in legge nei pressi di Berlino.”
“D’accordo… e perché stai andando a Nizza?”
“Sto andando in Francia a “ritirare” un regalo per mia madre. In effetti, dovrei prendere un Abraxan nella scuderia della Signorina Leroux. Ho i documenti in valigia, posso mostrarteli.”
Asriel annuì, asserendo che li avrebbe controllati prima che Clodagh prendesse la parola aggrottando le sopracciglia color rame:
“Una curiosa coincidenza che lei si trovi sullo stesso treno di Corinne Leroux.”
“Sì, ammetto che lo è, ma so che la Signorina viaggia molto per il ruolo che ricopre nell’Haras. Non sorprende che stia tornando a casa sua per Natale, dopotutto.”
“Quindi stavi tornando in Inghilterra dalla Germania ma prima ti saresti fermato a Nizza per il cavallo. Corretto?”
Lenox annuì, stringendosi nelle spalle quando Clodagh osservò che molto spesso era la stessa famiglia di allevatori a consegnare i cavalli in prima persona:
“Mio nonno, Marcel Reeves, ha fatto il medesimo lavoro per tutta la vita, ha gestito il più grande allevamento di Abraxan del Canada. Me ne intendo abbastanza di quelle creature e mi ha insegnato che è sempre meglio vederli prima di persona.”
Il mago sfoderò un debole sorriso, ripetendosi che per il momento stava andando bene mentre Clodagh, dopo una breve esitazione, annuiva: le spiegazioni di Lenox non facevano una piega.
“Prima hai detto che facevi l’insegnante. Non è più così?”
Dopo aver lanciato una breve occhiata a ciò che stava scrivendo James Asriel riportò lo sguardo su Lenox, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita delle mani le une con le altre.
“No. Non insegnerò più.”
 
 
 
Il primo settembre dell’anno 2000 la vita di Lenox Flint cambiò radicalmente.
Fu il giorno in cui partì per Hogwarts per la prima volta, ma negli anni a venire non sarebbe stato quello il ricordo più vivido di quel giorno tanto particolare.
Sua madre lo aveva appena svegliato per fare colazione, vestirsi e ultimare i preparativi per la partenza quando suo padre era uscito portando Morgan con sé.
“Ci vediamo dopo, devi salutarmi prima che vada via!”
Lenox aveva sorriso alla bambina dalle scale, guardandola fargli ciao con la mano sorridendo da sopra la spalla del padre e stringendo al petto il suo solito coniglietto di pezza.
Il ragazzino, emozionatissimo all’idea di andare ad imparare come usare la sua nuova bacchetta, aveva ripreso a prepararsi dimenticandosi momentaneamente dell’assenza del padre e della sorellina: la madre gli assicurò che li avrebbero raggiunti alla stazione, e a Lenox questo bastò.
Due ore dopo, giunto al Binario 9¾, Lenox salì sul treno in procinto di partire senza smettere di chiedere alla madre dove fossero il padre e la sorellina. Salutare Caius – che gli incuteva una certa soggezione fin da quando era piccolo, vista la rigida severità dell’uomo – era, in realtà, meramente secondario: ciò che il ragazzino realmente voleva era abbracciare la sorellina e prometterle di rivedersi presto.
Il treno stava per partire quando, finalmente, Caius uscì dalla colonna magica raggiungendo la moglie. Lenox sorrise nel vederlo, sorriso che si spense quando non vide traccia di Morgan e del suo tenero sorriso infantile.
“Dov’è Morgan papà? Avevate promesso di portarla!”
I genitori non risposero, e Maya si limitò a lanciare un’occhiata incerta a Caius prima che il marito, schiarendosi imperturbabile la voce, informasse pacatamente Lenox che da quel giorno sarebbe stato figlio unico.
“COSA? Che cosa le è successo?! È… È…”
Lenox deglutì, le mani strette sul bordo del finestrino aperto con tanta veemenza da far perdere colore alle nocche. Non riuscì a dar voce agli orribili pensieri che presero ad affollargli la mente alla rinfusa, provando un moto di sollievo quando il padre scosse secco il capo:
“No Lenox, sta bene. Ma non farà più parte della famiglia.”
 Le imploranti richieste di spiegazioni non vennero accolte, e quando l’Espresso per Hogwarts partì il bambino era ormai in lacrime. L’ultima cosa che disse ai genitori prima di allontanarsi, sporgendosi sul finestrino, fu ripetere a gran voce e con le guance rigate di lacrime di odiarli entrambi.
 
 
*

 
“Ho ricevuto un’offerta da uno studio legale in Inghilterra e… beh, è quello che ho sempre voluto fare, così ho accettato e mi sono dimesso.”
Lenox parlò sfoggiando un sorriso sollevato, sentendosi più che mai soddisfatto della piega inaspettata che la sua vita aveva finalmente preso: insegnare non gli dispiaceva, ma non si era mai perdonato di aver chiesto l’aiuto del padre e della sua influenza per ottenerlo.
“Oh, bene, buon per te. Adesso vediamo… Alexandra Sutton. Che rapporti avevi con lei?”
La mano destra di Lenox andò al secondo bottone della camicia che indossava al di sotto della giacca blu notte, slacciandolo prima di deglutire e schiarirsi la voce sotto lo sguardo attento di Clodagh:
“Beh, ad Hogwarts non ci ho mai avuto molto a che fare, ma forse te lo ricordi.”
“Sì, non mi sembra che tu le piacessi molto.”

 
*

 
La scarsa considerazione che il padre aveva avuto nei suoi confronti per tutta l’infanzia culminò con lo Smistamento di Lenox, quando il Cappello Parlante lo assegnò tra le fila dei Tassorosso. A Lenox però i suoi compagni piacevano: erano tutti davvero gentili e bendisposti nei suoi confronti, e ben presto si abituò piacevolmente al senso di calore e di familiarità che la sua Sala Comune emanava.
L’averlo allontanato a forza da Morgan segnò indelebilmente il giovane mago, che si ripromise di non chiedere mai nulla ai genitori, se non strettamente necessario. Un giorno si sarebbe diplomato, sarebbe diventato maggiorenne e non avrebbe più avuto bisogno di loro. Forse sarebbe persino riuscito a ritrovare Morgan, prima o poi.
Crescendo chiese spesso, implorò i genitori di vedere la sorella, che era stata portata in un orfanotrofio magico quando aveva solo tre anni. Ma Lenox riceveva solo dinieghi, e col tempo si convinse che probabilmente la bambina doveva essersi dimenticata di lui. Forse vederlo l’avrebbe fatta soffrire e basta, ricordandole di non essere come lui e di non avere il dono della magia, ciò che aveva spinto i genitori ad allontanarla.
Caius gli ripeteva che ormai era un figlio unico a tutti gli effetti, e il giovane mago iniziò a rispondere automaticamente in quel modo quando i compagni di scuola gli chiedevano se avesse dei fratelli o meno: parlare della sorellina era troppo doloroso per lui. Piano piano i ricordi della bambina svanirono facendosi sempre più vaghi e confusi, arrivando a ricordare solo un paio di grandi occhi azzurri come i suoi che gli sorridevano da dietro la spalla del padre mentre la portava via per sempre.

 
*

 
“Le avevo chiesto gentilmente se voleva una mano in Trasfigurazione e lei pensò che la mia fosse  supponenza, che posso farci? E poi non so come venne a sapere della mia figuraccia a lezione di Storia e lo raccontò in giro.”
L’espressione di Lenox s’incupì non poco mentre Asriel, invece, chinò il capo mal celando l’accenno di una risata che non sfuggì all’interrogato:
“Non dirmi che glielo hai detto tu, Asriel!”    L’ex Tassorosso spalancò orripilato gli occhi azzurri e parlando con tono d’accusa nei confronti dell’Auror, che si affrettò a tornare serio schiarendosi la voce e a giurare solennemente sulla sua innocenza.
James, dal canto suo, era sbalordito: un sospettato aveva chiamato Asriel per nome e lui non l’aveva affatturato. Non era mai successo, al Dipartimento.
“Giuro che non c’entro. Figuriamoci, non sarei mai andato a rivolgerle la parola. Ma tralasciando il tuo involontario mezzo spogliarello in classe, torniamo alla Sutton. Ci hai più avuto a che fare dopo Hogwarts? Volevi lavorare nel suo stesso campo dopotutto.”
“Diciamo di sì… volevo ottenere un posto in uno studio legale molto famoso, ma… lo diedero a lei, alla fine.”

 
*

 
Lenox Flint si innamorò per la prima e ultima volta a sedici anni. Amelie Edwards era una Serpeverde del suo stesso anno ma non aveva mai avuto modo di approfondire la sua conoscenza fino al quinto, quando entrambi divennero Prefetti.
Amelie era carina, arguta ed intelligente, ma soprattutto in lei il giovane mago rivedeva qualcosa che a lui era sempre mancato: forza d’animo e determinazione. Qualcosa che lui non aveva avuto nemmeno nei confronti della sua stessa sorellina.
“Perché sei sempre così nervoso prima delle riunioni?”
Lenox, che si stava sistemando ansiosamente il nodo della cravatta gialla e nera della divisa, sobbalzò udendo la voce di uno dei suoi colleghi: Asriel, appoggiato mollemente alla parete dell’anticamera, lo guardava con le braccia strette al petto ampio e con sincera curiosità.

“Non sono nervoso, Asriel.”
“Ti sei fatto il nodo tre volte.”
“Beh, voglio solo che sia dritto, sai com’è…”
Il Tassorosso seppe di non averla data a bere al perspicace compagno, ma si limitò a sforzarsi di sorridergli finchè non udì un’allegra voce femminile alle sue spalle:
“Ciao ragazzi! Scusate il ritardo, mia sorella mi ha tallonata per cercare di estorcermi gli ingressi dei passaggi segreti.”
Lenox guardò la strega bionda senza dire nulla, distogliendo lo sguardo mentre Morgan, sorridendo ad Asriel, si complimentava con l’amico per la partita di quella mattina.
Morgan Hennings sembrava una ragazza dolcissima e molto gentile, ma Lenox non era mai riuscito ad approfondirne la conoscenza. Ogni volta in cui la vedeva o la sentiva nominare pensava a sua sorella.
Un paio di minuti dopo li raggiunse anche Amelie, sbuffando e scusandosi con i “colleghi” prima che i Caposcuola dessero inizio alla riunione:
“Scusate ragazzi, ho beccato i gemelli Yaxley e De Aureo ad usare la Sala dei Trofei come set fotografico, credo.”
Lenox avrebbe voluto chiederle cosa fosse un set fotografico, ma come al solito sentì la lingua arricciarsi, lo stomaco fare le capriole e la salivazione azzerarglisi, così tacque e seguì silenziosamente Asriel nell’aula vuota.
Tre quarti d’ora dopo, al termine della riunione, Lenox era stato messo a fare i turni del mese seguente insieme ad Amelie. Felice da un lato, era certo che avrebbe finito col fare una figuraccia dietro l’altra.
Fu uscendo dall’aula che Asriel lo guardò sfoderando uno dei suoi rari sorrisetti sghembi, asserendo di aver capito perché fosse sempre così nervoso alle riunioni.
Disgraziatamente, quel ragazzo era terribilmente perspicace.
 
 
*

 
“E non hai provato ad esercitare altrove, successivamente?”
“No. Ho avuto qualche… problema familiare. Sai, il divorzio…”
Lenox distolse lo sguardo, a disagio nell’accennare alla ex moglie mentre si sollevava distrattamente le maniche della giacca sugli avambracci.
“Ah, sì, tu e Amelie. Mi dispiace.”
Erano passati quasi quindici anni, eppure a Lenox sembrava fossero passati pochi attimi da quando entrava alle riunioni dei Prefetti insieme ad Asriel e alla sua futura moglie. Come aveva fatto a mandare tutto a rotoli in quel modo?
 

 
*
 
 
“Asriel, secondo te come posso avvicinare Amelie?”
“E io che diavolo ne so? Boh, chiedile di uscire, non so.”
“Ma sei matto? E se poi mi succede come all’interrogazione di Storia?”
Asriel fece di tutto per restare serio e non ridere al ricordo dell’interrogazione di due giorni prima, quando Lenox aveva rischiato di svestirsi davanti a tutta la classe per l’ansia.
I due stavano percorrendo un corridoio quando il Corvonero si fermò, voltando la testa verso un arazzo.
“Che cosa hai sentito?”
Il Tassorosso si avvicinò curioso al compagno di ronda, che scostò l’arazzo prima di sbuffare e alzare gli occhi al cielo:
“Sutton, vattene a dormire.”
“Dio, che palloso che sei Morgenstern!”
La punta della bacchetta accesa, la Grifondoro uscì dal nascondiglio rassettandosi distrattamente la gonna della divisa e scoccando un’occhiata torva al Corvonero, che le ribadì di tornare nella sua Sala Comune.
“Ci vado, ci vado… per caso uno di voi bei ragazzi ha idea di dove si trovi la Stanza delle Necessità? La cerco da SECOLI!”
“Se anche lo sapessi non lo direi a te. Buonanotte, e venti punti in meno a Grifondoro.”
Asriel superò la bionda con un placido sbadiglio, ignorando le imprecazioni della studentessa. Lenox la seguì incuriosito con lo sguardo prima di rivolgersi di nuovo al collega, chiedendogli se lo sapesse o meno.
“Ma per favore, l’ho trovata al secondo anno. Quella ragazza non mi piace per niente, ma toglierle punti è divertente.”
Asriel si portò le mani dietro la nuca, lamentandosi per il turno notturno mentre Lenox, invece, pensava ad Alexandra. Che fosse molto bella era inopinabile, ma ad essere del tutto onesti non ispirava troppa simpatia nemmeno a lui.
 
 
*

 
“E hai parlato con Alexandra, sul treno?”
“No. Ammetto di averla intravista sulla banchina quando sono salito, ma non ero del tutto sicuro che fosse davvero lei e onestamente non avevo alcun interesse a parlarle. Non siamo mai stati amici.”
Lenox ricambiò lo sguardo di Asriel, che lo studiò con attenzione indugiando sulle mani dell’ex Tassorosso appoggiate sulle ginocchia. Avrebbe immaginato di vederlo sfilarsi la giacca, ma ciò non avvenne e Lenox restò impassibile sotto alla sua analisi.
Infine, l’Auror annuì e gli rivolse un cenno pacato, asserendo che per il momento poteva bastare. Quelle parole ebbero un effetto fortemente liberatorio sul futuro avvocato, che accennò un sorriso prima di alzarsi, salutare educatamente i presenti e poi dileguarsi frugando nella tasca interna della giacca: Merlino, se aveva bisogno di una sigaretta.
“Di che scenata parlavate durante l’interrogazione, scusa?”
“Quando è nervoso Lenox… beh, ha caldo e si sente soffocare, quindi tende a liberarsi dei vestiti, per così dire. Oggi non l’ha fatto.”
“Allora magari non aveva nulla di cui preoccuparsi.”
James ripose la piuma prima di osservare soddisfatto il suo lavoro. Clodagh, invece, prese il thermos dallo zaino decretando di avere bisogno di thè per riflettere mentre Asriel, osservando assorto la sedia ormai vuota, annuiva piano.
“Sì, evidentemente sì.”
 
*
 
Anche se il loro primo appuntamento fu quasi disastroso a causa del “problemino” di Lenox, miracolosamente Amelie accettò di passare di nuovo del tempo insieme a lui. Un paio di mesi dopo erano a tutti gli effetti una coppia di giovani fidanzati e persino i suoi genitori non sollevarono obbiezioni per la non purezza di sangue di Amelie.
Mentre andavano a lezione mano nella mano, Lenox sorrideva e si sentiva felice come non mai. Sembrava che piacesse davvero ad Amelie, che era persino l’unica a ridere alle sue orribili battute di pessimo gusto.
Tutto sembrava andare per il meglio, aveva anche deciso quale carriera intraprendere dopo Hogwarts e la fidanzata lo appoggiava in pieno. Probabilmente i due ultimi anni ad Hogwarts e quelli che seguirono il diploma furono i più felici della sua vita.
Deciso a diventare Magiavvocato, Lenox fece domanda per un ambito posto in un celebre studio legale e quando seppe di aver ottenuto il posto contando solo con le sue forze, rifiutandosi come si era ripromesso da bambino di chiedere l’aiuto del padre, chiese ad Amelie di sposarlo.
Per un attimo gli sembrò di avere davvero tutto. Ma l’idillio avrebbe avuto vita breve, anche se ancora non ne era consapevole.
 
 
*
 
 
“May, ma mi spieghi DOVE hai trovato tutte queste decorazioni e ghirlande?!”
Renèe, accigliata, sollevò un festone dorato mentre Elaine si avvolgeva con nonchalance una ghirlanda scarlatta attorno alle spalle a mo’ di boa di struzzo e May, al settimo cielo, sistemava un filo di luci sopra ai finestrini del corridoio della II classe.
“Stavo andando a chiedere ad Asriel di farmele apparire facendo leva sul suo affetto per mia sorella, ma poi mi sono imbattuta nei suoi colleghi, che si stavano giusto lamentando dell’assenza di atmosfera natalizia sul treno. Così ho colto la palla al balzo, ho chiesto loro di aiutarmi e ed ecco il risultato! James ha detto che ci avrebbe anche aiutate ad addobbare.”
“Meno male, perché senza bacchette ci metteremmo un bel po’… La mia mi manca terribilmente.”
Renèe abbassò lo sguardo sulla propria mano destra con un sospiro, pensando alla sua amata e preziosa bacchetta mentre May, sorridendo allegra, asseriva che ad addobbare con la magia ci si divertiva solo la metà:
“Noi a casa lo facevamo sempre senza magia.”
“Bah, da me usiamo la magia per tutto da sempre… da te, Nel?”
“Mh? Oh, mia madre si sarebbe uccisa piuttosto che addobbare personalmente… no, delegava un povero Elfo al suo posto, figuriamoci. E tutte le decorazioni costavano un patrimonio, quindi a me non era permesso toccare nulla.”
Elaine sollevò non nonchalance una grossa palla argentea, specchiandosi distrattamente sulla superficie lucida mentre May, non riuscendo ad immaginare il Natale di una bambina senza poter decorare alcunché, sorrideva porgendole uno scatolone:
“In tal caso, a 26 anni è arrivato il momento di rimediare.”
Elaine esitò, ma infine ricambiò debolmente il sorriso della bionda e prese lo scatolone, osservando le decorazioni luccicanti dicendosi che male non avrebbe potuto farle.
“Dite che devo togliermi i tacchi, quindi?”
“Assolutamente sì. Ma come fai a portarli tutto il giorno, si può sapere? Io ne morirei!”
“E’ solo forza di volontà, dolce May. Solo ferrea forza di volontà. Come stare a dieta.”
“A me manca anche quella per la dieta, figuriamoci per mettere quegli strumenti di tortura…”

 
*

 
“Non ti allontanare, Polly.”
Lenox mosse qualche passo sulla neve infilandosi le mani nelle tasche del cappotto e osservando attentamente la cagnolina, che sembrava al settimo cielo per essere potuta uscire brevemente e si stava rotolando sulla neve.
Dopo l’interrogatorio aveva chiesto ad Asriel il permesso di portare brevemente fuori Polly, e anche se gli era stato accordato era assolutamente sicuro di essere osservato per controllare che non si Smaterializzasse.
Il mago estrasse dalla tasca uno zippo d’argento, tastandone dolcemente la superficie liscia e lucida e abbozzando un sorriso nell’osservare l’oggetto a cui teneva di più: gli era stato donato molti anni prima da suo nonno Marcel, probabilmente l’unico membro della famiglia che lo avesse capito veramente e che, come lui, era rimasto disgustato dalla decisione presa da figlia e genero.
Con l’accendino Lenox accese la sigaretta che teneva tra le braccia, e stava per riporlo quando estrasse lentamente dalla tasca anche un piccolo foglio di carta, osservandolo brevemente con attenzione prima che gli abbai di Polly lo distraessero.
Era sollevato di non aver dovuto approfondire l’argomento del suo divorzio. Anche dopo diversi anni, ricordare il modo in cui Amelie lo aveva allontanato faceva ancora troppo male.

 
*

 
“A saperlo mi sarei portata un cane anche io… così almeno potevo mettere piede fuori dal treno.”
Delilah sbuffò mentre, la mano protesa al di fuori della ringhiera, faceva cadere un po’ di cenere sulla neve prima di riportarsi la sigaretta accesa alle labbra.
Prospero, in piedi accanto a lei, distolse lo sguardo da Lenox per rivolgersi all’amica dopo averla appena raggiunta, chiedendole curioso dove avesse trovato la sigaretta: in genere Delilah era solita affermare di non fumare per poi andare a scroccare sigarette in giro.
“Me l’ha data la francese. Anzi, La Bionda.”
“E tu accetti una sigaretta da quella che ritieni un’assassina? Sei una detective sconsiderata, Laila.”
Prospero ridacchiò prima di voltarsi verso il panorama, appoggiandosi con i gomiti sulla ringhiera mentre l’amica, accanto a lui, agitava la sigaretta con uno sbuffo:
“Via, non si può uccidere nessuno con una sigaretta! Al massimo loro uccidono te.”
“Non fa una piega. Allora Fogliolina, sei pronta per il Natale? Un altro Natale insieme come ai vecchi tempi, sei felice?”     Il mago rivolse un sorrisetto pregno di divertimento all’amica, che alzò gli occhi al cielo prima di parlare accennando una debole smorfia:
“Da morire, mi si stanno riempiendo gli occhi di lacrime di gioia… speriamo almeno che Asriel decida di fare un regalo a tutti e di farsi vedere senza camicia, domani.”

 
*
 

Seduta nella sua cabina, Clara stava leggendo un libro mentre Loki giocava sul pavimento con un sonaglietto quando udì bussare alla porta. La strega stava per alzarsi e andare ad aprire ma il suo visitatore sembrò essere impaziente, perché si fece avanti senza aspettare una risposta:
Corinne, una sigaretta spenta stretta mollemente tra le labbra e un libro sottobraccio, le rivolse un’occhiata cupa prima di sfilarsi la sigaretta dalle labbra e parlare con un sospiro esasperato:
“Ciao chèrie. Ti dispiace se ti faccio compagnia? Ne ho abbastanza di stare sola dopo quello che è successo e i passeggeri non fanno che rivolgermi occhiate stranite, non ne posso più.”
“Certo Coco… che genere di occhiate, scusa?”
“Temo che la notizia che io abbia avuto una relazione con la vittima si sia diffusa e ovviamente questo fa di me la persona più sospettabile di tutto il treno.”
Corinne scosse la testa con disapprovazione prima di chiudere la porta e raggiungere l’ex compagna di scuola, sedendo sul bordo del suo letto e accavallando le gambe prima di riportarsi automaticamente la sigaretta alle labbra:
“Scordatelo di fumare qui dentro, Coco. Non riempirai di puzza di fumo la mia cabina.”
“Lo so, è l’abitudine…”
La mora roteò gli occhi prima di accennare al libro che l’amica aveva appena aperto, accennando un sorriso:
“Come va il tuo tedesco?”
“Bene. Se riesco a leggere Goethe dovrei essere in grado di fare qualsiasi cosa, dopotutto.”
“Se ce l’ho fatta io a masticare il tedesco per il lavoro, ce la farai anche tu. Sei sempre stata bravissima con le lingue.”
“Merci chèrie. Troppo gentile come al solito. A proposito, sapevi che qui fuori stanno addobbando il treno?”
Corinne parlò senza sollevare lo sguardo dal libro, non potendo così notare l’espressione stupita che si fece largo sul volto dell’amica prima che Clara sfoderasse un largo e allegro sorriso:
“Davvero?! Perché non l’hai detto subito? Dobbiamo andare a dare una mano!”
Non, Clara, s’il vous plait…”
Clara si alzò ignorando l’espressione quasi implorante dell’amica, sorridendole prima di prenderla per mano e costringerla ad alzarsi a sua volta. L’ex fantina avrebbe voluto obbiettare ma infine si arrese con un sospiro mesto, fin troppo consapevole di quanto testarda fosse la sua amica.

 
*
 

“Un po’ più a destra… no, sinistra. Ok, così è perfetto!”
May sorrise allegra mentre guardava la ghirlanda verde, rosso e oro che James aveva fatto apparire e che ora, in piedi accanto a lei, stava appendendo con la magia sopra alla porta che conduceva al vagone ristorante.
L’Auror osservò soddisfatto il suo lavoro prima di rivolgersi alla bionda, chiedendole quante ne avessero ancora da appendere. May, incerta, si voltò verso Renèe ed Elaine, incaricate di fare “l’inventario delle decorazioni.”
“Ragazze, quante ne mancano di ghirlande?”
“Ancora tre. Ne volete mettere una nel vagone ristorante?”
Renèe sollevò una ghirlanda particolarmente grande e la mostrò a May, che si rivolse a James chiedendogli cosa ne pensasse. Il giovane tentennò, indeciso sul da farsi più che altro per la reazione che avrebbe potuto avere Asriel:
“Non so quanto sarà felice Asriel di interrogare in una stanza piena di decorazioni… tu che ne pensi Clo?”
James si voltò verso la collega, seduta in un angolo con la chitarra tra le braccia ed impegnata ad accordarla. Sentendosi chiamare in causa Clodagh guardò prima il collega e poi la ghirlanda, abbozzando un sorriso prima di suggerire ai presenti di fare quello che volevano:
“Conosco il nostro Brontolo, infondo è un tenerone. Magari si lamenterà un po’, ma poi smetterà di fare caso alle decorazioni. Solo, avete chiesto il permesso del capotreno?”
“May lo ha assillato così tanto che alla fine ha ceduto, credo. Come dire di no a quel faccino angelico e al suo entusiasmo…”
Renèe parlò scuotendo la testa ma senza riuscire a trattenere un sorriso mentre guardava l’amica, impegnata a discutere con James su quali ghirlande appendere nel corridoio tra quelle oro e argento.
“Nel, tu ancora non ti decidi a toglierti i tacchi?”
“E perché dovrei? Non stiamo correndo la maratona! Però ci vorrebbe qualcuno di alto per appendere queste luci… peccato non poter chiedere all’Auror.”
Elaine, seduta sul pavimento e impegnata a districare intricati fili di luci, lanciò un’occhiata dubbiosa al soffitto mentre Clodagh, accanto a lei, cercava di non ridere immaginando il collega impegnato a decorare il treno con plausibili assassini.
Anzi, moriva dalla voglia di vedere la sua reazione a ciò che stavano facendo.

 
*

 
Quando Ruven mise piede fuori dalla cabina che condivideva con altri tre membri dello staff per poco non rimase accecato dalle luci e dai festoni luminosi che illuminavano il corridoio.
Per un istante si domandò dove accidenti si trovasse, prima di scorgere un gran via vai di persona dentro e fuori il vagone ristorante.
“Che cazzo succede adesso…”
Incuriosito, lo chef decise di andare a vedere. Fermatosi sulla soglia, si spostò per far passare una ragazza bionda che reggeva fili di luci, guadagnandosi un sorriso allegro e un vivace ringraziamento.
“Prego. Che cosa fate?”
“Decoriamo il vagone ristorante nella speranza di rendere questo Natale meno deprimente. Bonjour Monsieur Le Cuisinier!”
A rispondergli fu una sorridente Clara, che lo salutò prima di superarlo reggendo uno scatolone pieno di palline colorate e ghirlande.
All’interno dell’ampia stanza, James aiutava Renèe e May ad appendere le decorazioni in alto essendo l’unico dotato di bacchetta, mentre Clodagh strimpellava canzoni natalizie in un angolo con addosso il suo maglione con le luci.
Per un attimo guardando gli Auror Ruven aggrottò la fronte, dicendosi che di quel passo avrebbero lasciato il treno con l’inizio dell’anno successivo. All’appello mancava solo quello alto e barbuto che parlava tedesco.
Chissà dov’era.

Il suo flusso di pensieri venne interrotto da Clara, che dopo aver consegnato le decorazioni a James gli si avvicinò sfoderando il suo sorriso più adorabile:
“Monsieur Le Cuisinier, ci serve qualcuno di abbastanza alto… potrebbe darci una mano?”
“Non ho niente di meglio da fare mentre la cucina è ancora chiusa. Posso sapere perché mi chiama così?”
Lo chef aggrottò la fronte, guardando dubbioso la passeggera che invece si strinse nelle spalle sorridendo innocentemente:
“Letteralmente significa “Signor Cuoco”, non è niente di offensivo, lo giuro. Il suo chat è adorabilmente carino, comunque.”
Sentendo nominare l’amatissimo Neko Ruven si addolcì un poco, abbozzando persino un sorriso prima di seguire la francese per appendere le ghirlande.

 
*

 
Finn non sapeva, di preciso, come fosse successo. Sapeva solo che un attimo prima si stava facendo gli affari propri appuntando cose sul suo rotolo di pergamena e poi, all’improvviso, un branco di streghe lo aveva trascinato nel vagone ristorante per appendere decorazioni natalizie in giro.
Prima di rendersene conto l’ex Corvonero si era ritrovato ad aiutare lo chef – che tutti sostenevano essere identico a lui – ad appendere fili di luci colorate e ghirlande.
“E’ stato costretto anche lei, Chef?”
“Non proprio, ma immagino debbano sfruttare i pochi passeggeri uomini… Il suo topo dov’è?”
“Al sicuro in cabina.”
Finn parlò sfoderando un debole sorriso rilassato, lieto di sapere Alfaar al sicuro dalle grinfie dei fin troppi felini presenti sul treno. Mentre aiutava Ruven a fissare le luci al soffitto – e May e James, alle loro spalle, si lamentavano per l’assenza di un albero di Natale – lo scrittore si chiese che cosa avrebbe detto Jenna vedendolo appendere decorazioni colorate in giro. Probabilmente lo avrebbe deriso e glielo avrebbe rinfacciato in eterno, suggerendo che si fosse fatto abbindolare da un branco di streghe determinate.
All’improvviso, Finn guardò l’ingresso del vagone sperando ardentemente che Asriel non facesse la sua comparsa: di sicuro vedendolo in quelle condizioni lo avrebbe deriso a sua volta.
Ruven invece stava litigando con una ghirlanda quando, all’improvviso, udì qualcosa che lo fece raggelare: alle sue spalle, alcune passeggere stavano parlando di un “karaoke” insieme all’Auror donna con la pronuncia incomprensibile.
Avrebbero dovuto minacciarlo di morte, prima di fargli cantare canzoni natalizie davanti a tutti.

 
*

 
Asriel non aveva rivolto particolari richieste ai colleghi: quando non interrogavano o studiavano il caso potevano fare ciò che volevano, non gli interessava.
“Cercate solo di essere seri, per favore. Se ci rendiamo ridicoli perdiamo credibilità, e ne va della reputazione del Ministero inglese!”
Queste erano state, due giorni prima, le uniche raccomandazioni che aveva rivolto loro.
Raccomandazioni che sfumarono nel nulla quando mise piede fuori dalla sua cabina per andare in cucina ad implorare per avere un caffè.
La prima cosa che notò fu che il corridoio si era improvvisamente riempito di luci e ghirlande. Per un attimo si domandò come e quando fosse accaduto – quanto diavolo era rimasto nella sua cabina a leggere e a riflettere sul caso? – me le domande vennero spazzate via udendo qualcosa di fin troppo familiare: una di quelle orribili canzoni che intasavano le radio ad ogni Natale.
Laaaaast Christmas I gave you my heart, but the very next daaaay you gave it awayyy. Thiiiiiiiis year, to save me – ciao Asriel! – from tears, I’ll gave it to someone speciaaaal…”
Asriel s’immobilizzò sulla soglia, orripilato mentre Clodagh gli passava davanti imbracciando una chitarra e cantando con James al seguito.
“Ma cosa… MA CHE STATE FACENDO?
“Non vedi, cantiamo canzoni natalizie mentre addobbiamo il tren- Ehy!”
Clodagh smise bruscamente di suonare quando Asriel la prese per un braccio, trascinando a forza lei e James all’interno della sua cabina ignorando le loro sonore proteste.
Chiusa la porta, li fece sedere sul letto e prese la chitarra dalle mani della collega per appoggiarla contro il muro prima di piazzarsi loro di fronte con le braccia strette al petto, pronto alla ramanzina:
“Ascoltatemi bene, Marzapane-Man e Miss Marple variopinta…”
James si portò offeso le mani al petto – coperto dal suo maglione preferito con gli omini di marzapane – mentre Clodagh invece sorrise allegra dando una gomitata al giovane collega:
“Mi ha paragonato alla più famosa detective donna di sempre! Grazie Asriel!”
“Clo, ma Miss Marple non era vecchia e pure zitella?”
“Cavolo, hai ragione… Asriel, sei un villano!”

Clodagh incrociò le braccia al petto e lanciò un’occhiata torva al collega, che però ricambiò e riprese a parlare senza lasciarsi impressionare:
“E voi smettetela di fare i bambini! Dobbiamo portare a termine un’indagine per omicidio, non fare il karaoke di Natale appendendo roba in giro! Volete passare anche il Capodanno qui dentro o volete tornare a casa?!”
Clodagh avrebbe voluto dirgli di aver organizzato il karaoke per il giorno seguente giusto mezz’ora prima, ma si morse provvidenzialmente la lingua e fece finta di nulla.
“Va bene Asriel, ma capiscici, è Natale! Dobbiamo portare un po’ di gioia in questo mortorio.”
James parlò con gli occhi azzurri carichi di malinconia per i piani natalizi disillusi, rendendosi conto appieno di ciò che aveva detto solo di fronte alle occhiate eloquenti di Asriel e Clodagh:
“Beh, insomma, non volevo dire proprio mortorio… cioè, non in senso letterale… però avete capito, insomma!”
“Sentite, non ho un bel niente contro il Natale. Certo ritengo che sia tutto fin troppo commerciale e che entusiasmarsene particolarmente dopo i 10 anni non abbia molto senso, ma non sono qui per giudicare nessuno in tal senso. Solo, se dovete cantare con addosso maglioni fluorescenti o vestiti da elfi almeno fatelo con discrezione!”
Per un attimo nella mente di James si figurò l’immagine di lui e Clodagh vestiti da Elfi e Asriel da Babbo Natale. Stava quasi per condividerla quando l’occhiata torva del collega lo costrinse a tacere e a distogliere rapidamente lo sguardo: che Asriel sapesse leggere nella mente?

 
*

 
Rientrata all'interno del treno, Delilah stava tornando nella sua cabina per riposarsi dopo la notte passata praticamente in bianco con Ro e Kiki al seguito, ma il mago fu costretto a fermarsi quando Delilah gli si bloccò di colpo davanti:
“Laila? Che succede?”
Confuso, Prospero osservò la nuca coperta dai lisci capelli corvini dell’amica prima che Delilah, immobile, accennasse a qualcosa posto nel passaggio tra I e II classe:
“Chi cazzo è che ha messo del vischio in giro?”
Prospero sollevò il capo a sua volta, aggrottando la fronte nello scorgere la pianta sopra di loro e asserire di non averne idea.
Dopodiché abbassò lo sguardo sull’amica, che si voltò verso di lui prima di venire colpita dallo stesso pensiero. I due s’irrigidirono, spalancarono gli occhi con orrore e poi si ritrassero disgustati all’unisono:
“Porco Salazar che schifo… Io non ti bacio neanche morta!”
“No, io non bacio te nemmeno morto. Fammi passare, prima che qualcuno ci veda e ci costringa a baciarci!”
Prospero si affrettò a superare l’amica, che gli corse dietro verso la propria cabina guardandosi ansiosamente attorno in cerca di altro vischio:
“Baciare te sarebbe come baciare Cecil… Che immagine orrenda, ma t’immagini baciare Cecil? Bleh!”
Delilah aprì la bocca simulando un conato di vomito e le sue parole fecero quasi rabbrividire l’amico, che sfoggiò una debole smorfia a sua volta:
“No tesoro, non passo il mio tempo libero ad immaginare di baciare i miei migliori amici! Immaginati però la fortunata che si potrebbe trovare sotto il vischio con Tu-Sai-Chi…”
Mentre infilava la chiave nella serratura della propria cabina Prospero ridacchiò, sperando vivamente di assistere ad una scena simile entro la fine delle indagini prima di cogliere l’espressione confusa con cui l’amica lo stava guardando:
“Non Voldemort Laila. Intendo Asriel!”
 
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………
Angolo Autrice col cuore spezzato:
 
Insomma, ditelo che vi siete tutte organizzate: Renèe ha una sorella di nome Corinne,  sia May che Lenox hanno una sorella di nome Morgan e i fatti che hanno portato Corinne – nonché il suo lavoro – e Lenox sul treno si intrecciano alla perfezione. La faccenda è abbastanza intripposa, poveri i nostri Auror.  E povera me costretta a scrivere di queste cose. Anna, il prossimo OC lo voglio vedere correre felice nei prati come Georgie dell’omonimo anime, sappilo.
Il Natale si avvicina, e anche la fine degli interrogatori… nel mentre la nostra Bella Fotografa Misteriosa è giunta ad una personalissima conclusione del caso, vedremo se ha ragione, se ha sbagliato o se sta perculando tutti e in realtà La Panterona l’ha fatta fuori proprio lei.
Oggi vi chiedo di votare tra:
Renèe
Finn
Elaine
 
Riuscirà Asriel a sopravvivere a questo Natale? Lo scopriremo nel prossimo capitolo.
A presto!
Signorina Granger


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 - Buona vigilia! ***


Capitolo 9 – Buona vigilia!
 
 
“Allora, pensate di riuscire a tenere a freno il vostro… Emh… spirito natalizio giusto in tempo per questo interrogatorio? Vi prometto che dopo per oggi avremo finito, quindi potrete anche saltellare in giro vestiti da elfi, per quanto mi riguarda.”
Attorcigliandosi distrattamente una ciocca attorno al dito Clodagh asserì che di certo con i suoi capelli sarebbe stata la migliore elfa in circolazione, e James – che indossava il suo amato maglione coperto da omini di marzapane – sorrise e promise al collega che si sarebbero impegnati al massimo.
“Bene, allora faccio entrare Finn. Certo che mi sento un po’ ridicolo a fare il serio in questa stanza, adesso…”
Asriel si alzò e raggiunse l’ingresso del vagone guardandosi attorno con vivo scetticismo: i passeggeri – aiutati dai suoi colleghi, ovviamente – avevano letteralmente trasformato il vagone, che ora somigliava particolarmente al laboratorio di Babbo Natale ed era pieno di ghirlande e festoni. Clodagh si disse in disaccordo e asserì che ora il vagone aveva “molto più carattere” prima di darsi il cinque con James, e ad Asriel non restò che alzare gli occhi al cielo, scuotere la testa e aprire la porta.
Finn lo aspettava fuori, le braccia strette al petto, un’espressione torva sul volto e l’aria di chi preferirebbe trovarsi in qualsiasi altro posto.
“Ciao Finn. Vieni pure, non… non badare alle decorazioni.”
Finn seguì l’Auror all’interno del vagone – astenendosi dall’informarlo di essere stato costretto a dare una mano a decorare – e quando incrociò lo sguardo dell’ex compagno di scuola Asriel accennò appena percettibilmente ai colleghi prima di scuotere la testa.
“Siediti pure.”
Asriel gli fece cenno di sedersi davanti al tavolo che avevano occupato e Finn obbedì, spostando lentamente lo sguardo da Clodagh a James – che stava scegliendo quale penna usare tra quella con il pupazzo di neve, quella con la renna e quella col bastoncino di zucchero – mentre anche l’Auror tornava a sedersi.
“Posso parlare io o dici che nemmeno lui riuscirà a comprendermi?”
Clodagh si rivolse ad Asriel accennando ironicamente all’interrogato, che aggrottò la fronte e informò la strega di essere cresciuto in Irlanda a sua volta.
“Fantastico, allora se a te va bene parlo io.”
Clodagh sfoderò un sorriso allegro e Asriel annuì prima di mettersi comodo sulla sedia: si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia al petto osservando il suo vecchio compagno di scuola con curiosità, chiedendosi che cosa lo avesse portato su quel treno. Conosceva le risposte di molte delle domande che Clodagh gli avrebbe fatto, ma era sinceramente curioso di sapere che cosa ci facesse lì Finn Murphy.
Nel mentre James aveva scelto di usare la penna con la renna, e rivolse un cenno a Clodagh prima che la strega, facendosi improvvisamente seria, intrecciasse le dita delle mani tra loro per rivolgersi a Finn.
“Allora… mi dice il suo nome completo, per favore?”
“Finn Amine Murphy.”

 
*

 
“Oscar, mi racconti qualcosa della mamma?”
Da quando Nolan Murphy era rimasto vedovo, quattro anni prima, il mago non aveva mai risposto a nessuna delle domande dei figli sulla defunta moglie. 

Finn, il piccolo di casa, non aveva nemmeno avuto modo di conoscerla: Hafsa era morta pochi giorni dopo averlo partorito, e al piccolo mago erano rimaste solo alcune foto di quella bellissima e sorridente strega dalla pelle color caffellatte a cui tanto somigliava e i ricordi sbiaditi dei suoi fratelli maggiori.
Tuttavia Roy, il primogenito, non rispondeva mai alle domande del fratellino: il padre non amava che si parlasse della moglie ed era solito scacciare Finn in malo modo quando il bambino gli si avvicinava chiedendo qualcosa sulla madre. Finn aveva allora iniziato a rivolgersi speranzoso ad Oscar, più grande di lui di cinque anni e di indole molto più dolce e mite rispetto al fratello maggiore.
Avvolto nell’oscurità della camera che condividevano, Finn cercò di sporgersi il più possibile verso il letto inferiore del letto a castello stringendo un orsetto di peluche al petto. Oscar, che dormiva sotto di lui, sospirò stancamente prima di mormorare qualcosa che il fratellino si sentiva ripetere di continuo da che aveva memoria:
“Non può mancarti qualcuno che non hai conosciuto, Finn.”
“Non è che mi manca, voglio solo sapere qualcosa! Tu e Roy ve la ricordate e io no, non è giusto!”
“Ero piccolo quando è morta, non mi ricordo tanto. Era gentile, ci dava sempre tanti abbracci e tanti baci… anche papà era più gentile quando c’era la mamma.”
Finn si rimise supino sul materasso e fissò il soffitto buio cercando di immaginare ciò che Oscar stava dicendo: suo padre era quasi sempre di cattivo umore e pronto a sgridarli, immaginarlo “gentile” era davvero difficile.
“Forse papà non parla della mamma perché manca anche a lui.”
“Forse sì. Roy dice che è morta perché sei nato tu, ma papà non dice mai niente.”
A quattro anni, Finn non capiva come potesse la sua nascita aver ucciso la sua mamma: sporgendosi nuovamente dal letto, il bambino sbraitò al fratello maggiore che non era stata colpa sua e poi si rimise disteso premendo il visino contro il cuscino per nascondere le lacrime, restando ostinatamente in silenzio finchè entrambi non si addormentarono.

 
*

 
Il gatto rosso sedeva tranquillo sul pavimento, leccandosi una zampa.
Poteva farcela, doveva solo mantenere la calma. Non fare movimenti bruschi.
Mordendosi il labbro inferiore, Delilah si chinò avvicinandosi lentamente al gatto, che alzò la testa e la osservò curioso con i grandi occhi chiari.
“D’accordo piccolo, voglio solo accarezzarti… ti prego, sii buono… sei tanto carino, fai il bravo…”
Scottish la osservò senza muovere un muscolo, ma quando la mano della strega stava per sfiorarlo – e Delilah si era appena permessa ingenuamente di sorridere per la riuscita del suo intento – il micio scattò, facendo un balzo di lato dopo averle graffiato la mano.
“AHI! Ma perché mi graffiate tutti, CHE COS’HO CHE NON VA?”
Insomma, chiedeva solo di poter accarezzare un tenero gattino. Era forse chiedere troppo dalla vita?
La strega si mise sconsolata a sedere sul pavimento mentre Scottish correva verso Lenox, appena rientrato dopo aver fumato una sigaretta. L’ex Corvonero guardò confuso il gatto, che si mise dietro di lui, e poi la strega seduta sul pavimento e il vistoso, lucido graffio che le adornava la mano destra.
“Ti ha graffiata?”
“Già…”  Delilah annuì sbuffando mentre Lenox, invece, spalancava stupito gli occhi chiari prima di tornare a guardare il gatto: Scottish non aveva mai graffiato nessuno, prima di quel giorno.
“Mi… mi dispiace moltissimo, non so cosa gli sia preso, non lo ha mai fatto prima. Cattivo, Scottish!”
Lenox si rivolse al micio col tono più severo di cui era capace, e Scottish lo guardò abbassando le orecchie mentre Delilah si rialzava in piedi rassettandosi i pantaloni neri:
“Tranquillo, non è il primo e di sicuro nemmeno l’ultimo. I gatti mi odiano!”
“Sono sicuro che non è possibile…”
“Sì invece, mi graffia ogni gatto che incontro! Qualcuno deve avermi fatto una maledizione quando ero piccola… e sì che dal Manzo Apocalittico si fanno tutti coccolare, questi infami…”
Delilah aggrottò la fronte, pensierosa, e si chiese se per essere amati dai gatti non si dovesse essere muscolosi e prestanti come l’Auror mentre Lenox, invece, la guardava aggrottando le sopracciglia:
Manzo Apocalittico… Ah, Asriel! Sì, lui ha sempre avuto un debole per i gatti.”
Ripensando agli anni ad Hogwarts, quando il compagno di scuola si fermava ad accarezzare ogni gatto che incontrava sulla sua strada, Lenox non riuscì a trattenere un sorrisetto mentre Delilah, invece, incrociava stizzita le braccia al petto:
“Anche io, ma io ricevo graffi invece di affetto. Brutti ruffiani. E non posso nemmeno bere un caffè per consolarmi… chi stanno interrogando adesso?”
“Credo Finn Murphy.”
“Praticamente l’unico non gattaro del treno, insomma.”

 
*

 
“Sono cresciuto in Irlanda con mio padre e i miei fratelli. Mia madre è morta pochi giorni dopo la mia nascita, non l’ho mai conosciuta.”
Finn parlò senza guardare direttamente gli Auror, gli occhi chiari fissi con insistenza su una luccicante ghirlanda color argento e la gola annodata come accadeva sempre quando parlava della sua famiglia. Sopra ad ogni cosa, il mago non sopportava di parlare della madre: quando menzionava il non averla mai conosciuta c’era sempre un fugace cambiamento nel suo interlocutore, che almeno per un istante si mostrava sempre colpito per le sue parole e lo guardava quasi con compassione.
Odiava quello sguardo. Fin da quando era bambino.
“E prima di salire sul treno cosa faceva?”
“Ero a Berlino per lavoro.”
“Ovvero?”
“Un tour di conferenze. Non ero solo, viaggiavo con una mia amica e collega, potete scrivere a lei e chiederle una conferma.”
Finn parlò senza battere ciglio, restando impassibile e senza mostrare alcuna emozione particolare. Per quanto si sforzasse, non era mai riuscito a perdere quell’abitudine che suo padre gli aveva inculcato a forza fin da quando era piccolo.
Guardò Clodagh aggrottare leggermente la fronte, e chiedergli perché la sua collega non lo avesse seguito. A quella domanda Finn esitò, ma infine ripeté esattamente ciò che si era prefissato di dire:
“Lei si è spostata verso la Polonia per una conferenza a Cracovia, mentre io ho ovviamente preso il treno per la Francia.”
“E perché vi siete divisi?”
“Abbiamo convenuto fosse meglio così. Per risparmiare tempo.”
Finn ricambiò lo sguardo di Clodagh senza battere ciglio, impassibile. James scriveva e Asriel lo osservava a sua volta, ma il mago si stava concentrando solo sulla strega evitando di guardarlo.
“Signor Murphy, posso chiederle che lavoro fa?”
Questa volta l’ex Corvonero si permise di abbozzare un sorriso: quella era una domanda molto più semplice a cui rispondere.

“Scrivo.”
 

 
*

 
Finn Murphy aveva 8 anni quando decise che avrebbe odiato profondamente suo fratello maggiore Roy: il ragazzino non faceva altro che disturbarlo, picchiarlo e dargli fastidio, rubandogli e rompendogli i giocattoli e nascondendogli i vestiti.
La cosa peggiore era che suo padre non sgridava mai il primogenito, a detta di tutti il suo prediletto e l’unico dei tre figli a somigliargli caratterialmente. Quanto ad Oscar, lo stesso Finn – per quanto gli volesse bene – aveva iniziato a sgridarlo per il suo lasciarsi maltrattare e mettere costantemente i piedi in testa da Roy.
Lui non sarebbe stato come Oscar, non si sarebbe lasciato trattare in quel modo per sempre. Ma finchè restava un bambino, non poteva nulla contro il fratello di ben sette anni più grande.
“Finn, perché piangi?”
“Roy è uno stronzo, mi ha spinto dalla bici!”
Il bambino, seduto sull’asfalto con ginocchia e gomiti sbucciati e sanguinanti e occhi pieni di lacrime, tirò su col naso e indicò con risentimento il fratello maggiore, che dopo averlo spinto si era defilato ridendo a bordo del suo skateboard.
“Non devi dire stronzo a tuo fratello. E soprattutto non devi piangere per queste stupidaggini. Dai, alzati e soffiati il naso, non serve a nulla frignare.”
Nolan lo prese per le braccia e lo aiutò a rialzarsi prima di ordinargli di rimettere in piedi la bici. Finn obbedì tirando su col naso e cercando di ricacciare indietro le lacrime mentre rimontava sul sellino: non solo odiava dare soddisfazione al fratello maggiore, ma sapeva anche quanto il padre detestasse vedere i figli “fare le femminucce”. Di sicuro Nolan non era il tipo di padre con cui ci si poteva sfogare o parlare di sentimenti.
Spesso essendo il più piccolo Finn era anche il figlio meno considerato, ma assistendo alle sgridate che Oscar riceveva quasi quotidianamente aveva iniziato a considerarla una fortuna.
 

*
 
 
“Scrivo articoli, principalmente… non col mio vero nome.”
“Perché questa scelta?”
Alla domanda di Clodagh Finn abbassò lo sguardo sulle proprie mani, accorgendosi di starsi torturando le dita quasi senza rendersene conto. Il mago esitò, conscio che Asriel conoscesse la risposta e di non poter far altro che dire la verità, così si schiarì leggermente la voce prima di parlare:
“Sono… sono stato ad Azkaban per qualche anno. Immagino capisca che se usassi il mio vero nome sarebbe solo controproducente, per me.”
James smise di scrivere e sollevò la testa per guardare, esterrefatto, l’interrogato. Anche Clodagh sembrò spiazzata da quella rivelazione, e prima di fare un’altra domanda si rivolse ad Asriel, voltandosi verso di lui per parlare con un concitato filo di voce:
“Perché cavolo non mi hai detto che è un ex galeotto?!”
Che Asriel conoscesse bene Finn, Clodagh lo sapeva. Ciò che la strega non capiva era perché il collega non le avesse detto di avere un criminale nella lista dei sospettati: non solo era un’informazione molto rilevante, ma lei e il partner non si nascondevano mai nulla all’interno di un caso. Se non fossero stati nel bel mezzo di un interrogatorio probabilmente Clodagh gli avrebbe fatto la ramanzina e gli avrebbe fatto sapere quanto si sentisse offesa per quell’omissione.
“Chiedigli com’è andata.”  
Asriel non sembrò particolarmente toccato dalla sua domanda, né dal suo sguardo torvo, e la strega sbuffò piano prima di tornare a rivolgersi a Finn, che la guardava come se si fosse aspettato quella reazione: di certo essere reduce da Azkaban non lo aiutava a trovarsi in fondo alla lista dei sospettati, ma non avrebbe potuto negare la verità con Asriel a gestire il caso.
“Perchè è stato ad Azkaban, signor Murphy? E quando è uscito? Vorrei che fosse molto, molto dettagliato.”
“Allora dovreste mettervi comodi, signori. È una storia lunga.”

 
*
 
Finn fu felicissimo di andare ad Hogwarts, una volta compiuti undici anni: era stanco di sentire Roy pavoneggiarsi sbandierando tutto ciò che imparava, e da quando era diventato maggiorenne era diventato ancora più insopportabile, facendo magie davanti a lui solo per indispettirlo.
Roy e Oscar non erano andati ad Hogwarts, ma lui aveva sempre sognato di studiare nella famosa scuola di magia scozzese. Il ragazzino ancora si chiedeva come ci era riuscito, ma aveva finito col convincere Nolan a permettergli di andare, al contrario dei suoi fratelli maggiori. Aveva dovuto fare leva su come, andando a scuola, avrebbe imparato molte più cose. E se avesse imparato di più, sarebbe stato più utile: Finn sapeva come ragionava suo padre, e convincerlo non era stato poi così difficile.
La prospettiva di stare interi mesi lontano da casa non lo spaventava affatto: benchè avesse solo 11 anni Finn sapeva cavarsela da solo già da tempo – suo padre non era certo tipo da stare particolarmente appresso ad un bambino – e l’idea di stare lontano dalle angherie dell’insopportabile e violento fratello maggiore lo rendeva particolarmente entusiasta.
In piedi davanti al finestrino, Finn se ne stava con palmi e naso premuti contro il vetro, entusiasta e affascinato: era buio, ma il castello era illuminato e riusciva finalmente a vederlo. Era enorme, affascinante e bellissimo persino da lontano, e il giovane mago fremeva dalla voglia di vedere com’era all’interno. 
L’unica cosa che ancora non riusciva a capire era ciò che Oscar aveva cercato di dirgli la sera precedente, quando lo aveva preso da parte prima di dormire:
“A scuola non sarà come dice papà, Finn.”
“Che vuoi dire?”
Il ragazzino volse lo sguardo su Oscar con aria interrogativa, ma dal fratello ricevette solo un debole sorriso mesto:

“Lo capirai. Cerca di comportarti bene, d’accordo?”
Chiedendosi di che cosa stesse parlando il fratello Finn annuì, realizzando il significato delle parole di Oscar solo alcune settimane più tardi: dopo aver frequentato le prime lezioni e aver osservato studenti e insegnanti, non gli fu difficile notare quanto quella magia fosse diversa da quella usata dal padre e da quella che Nolan insegnava ai suoi fratelli. Tuttavia tenne i propri dubbi per sé, evitando di farne parola con chiunque: prima di partire Nolan lo aveva preso da parte e gli aveva fatto promettere di non parlare mai con nessuno delle persone che vedeva entrare in casa e di ciò che lui e Roy facevano, e Finn non aveva alcuna intenzione di mettersi nei guai.

 
*

 
“I miei fratelli non andarono ad Hogwarts, mio padre li educò a casa. Insegnò loro… cose che ad Hogwarts non si imparano, diciamo.”
“Intende magia oscura?”
“Sì. Io lo convinsi ad andare dicendogli che sarei stato molto più utile ai suoi affari se avessi avuto un’educazione più completa. Mio padre sfruttava i miei fratelli, e poi anche me, per i suoi traffici illegali. È per questo che sono stato ad Azkaban, mi hanno arrestato a 21 anni.”
Quando Clodagh gli chiese di parlarne più dettagliatamente Finn sospirò – aveva raccontato quella storia così tante volte, nei processi e a Jessa, da perdere il conto –, annuendo quando colse l’occhiata eloquente che Asriel gli rivolse da dietro il tavolo:
“Mi trovavo in Inghilterra, mio padre e i miei fratelli erano in Irlanda quando, ancora non so spiegare come, scoppiò un putiferio: immagino che qualcuno avesse parlato, ma i traffici di mio padre, e di una delle famiglie con cui lavorava, vennero a galla. Mio padre e mio fratello maggiore Roy sono fuggiti subito dal paese con una Passaporta, mentre mio fratello Oscar è stato arrestato. Il giorno dopo sono risaliti a me e ho avuto la stessa sorte. Sono stato ad Azkaban fino al processo, e mi hanno dato 12 anni. Mio padre se n’era andato con tutti i soldi, a me e mio fratello non era rimasto niente per la difesa.”
“E l’altra famiglia di cui parlava prima?”
“I Conrad sono pieni di soldi, se la sono cavata grazie a quelli, come sempre. Il sistema giudiziario fa schifo, se la cava solo chi ha i mezzi per farlo.”

 
*
 
 
“Papà, non posso usare la magia fuori da Hogwarts, mi espelleranno e mi toglieranno la bacchetta per sempre!”
“Lo so benissimo questo, ma è ora che ti renda utile anche tu, non sei più un bambino. Visto che non puoi usare la magia, per ora preparerai le pozioni che mi servono. Intesi?”
Trascinato in cantina dal padre, il ragazzo fece vagare lo sguardo sui tavoli pieni di calderoni arrugginiti, libri rilegati in cuoio dalle pagine ingiallite e gli scaffali pieni di barattoli, bottiglie e fialette. Sapendo di non poter rifiutare Finn annuì, mormorando che avrebbe fatto quello che voleva e ricevendo come gratifica un raro sorriso da parte di Nolan.
Sfogliandoli, a Finn non ci volle molto per realizzare che quei libri contenevano ricette di pozioni che mai avrebbe dovuto preparare ad Hogwarts, vista la loro evidente illegalità. Quando, tornato a scuola dopo le vacanze, il Professor Lumacorno gli fece i complimenti per i grandi progressi fatti rispetto all’anno precedente Finn si limitò a ringraziarlo chinando il capo, chiedendosi che cosa avrebbe detto il professore sapendo la verità.

 
*

 
“Prima ha detto che le hanno dato 12 anni, quindi è uscito prima. Come è successo?”
“Quando ero ad Azkaban ho conosciuto Jessa, è la donna con cui viaggiavo. Faceva la rieducatrice per alcuni detenuti meno pericolosi, e quando le ho raccontato la verità mi ha convinto a tornare a processo. Senza di lei non sarei mai uscito prima del tempo, e non so se avrei mai iniziato a scrivere.”
Citando la strega la voce di Finn si ammorbidì appena, e il mago sfoderò anche un piccolo sorriso che non sfuggì ad Asriel o a James, che accennò in direzione del collega il sorrisetto di chi la sa lunga mentre Clodagh, invece, aggrottava la fronte dopo aver riflettuto sul nome della strega:
“Lei parla di Jessa Freeman la scrittrice?”
“Sì. Prima faceva l’educatrice ad Azkaban.”
Finn si mosse sulla sedia, un po’ a disagio, prima che Asriel si schiarisse eloquentemente la voce. I due ex compagni di Casa si scambiarono un’occhiata e alla fine l’interrogato, cogliendo lo sguardo dell’Auror, sbuffò piano:
“Va bene. In realtà “Sotto la toga” è opera mia… sto scrivendo il seguito, al momento. Jessa si offrì di farlo pubblicare a suo nome per non farmi avere altri guai.”
“Ma i guai li ha avuti lei, con tutte le storie che sono venute a galla.”
La strega parlò inarcando un sopracciglio, scettica, e Finn annuì chinando lo sguardo e stringendo le braccia al petto: a volte avrebbe voluto tornare indietro e impedire a Jessa di mettere il suo nome sul libro, ma la sua amica aveva insistito a tal punto da essere riuscita a convincerlo, alla fine. Per qualche motivo – e con sua grande irritazione – Jessa non solo l’aveva sempre vinta, ma quasi sempre finiva anche col dimostrare di avere ragione.

“Lo so benissimo e mi sento molto in colpa per questo, ma lei dice che le sta bene, che non è un problema. Pensa che l’importante sia fare la cosa giusta, e scrivere una denuncia allo schifo di sistema giudiziario che ci ritroviamo lo è di certo. Gradirei che la cosa non uscisse da questa stanza, se è possibile.”
“Apparentemente non ha rilevanza con il caso, quindi per ora posso assicurarle che ce lo terremo per noi, anche se Asriel sembrava già saperlo…” Clodagh rivolse una seconda occhiata di sbieco ad Asriel, che però fece finta di nulla e la lasciò tornare a concentrarsi su Finn con lo stesso tono pacato:
“A questo punto, Signor Murphy, le chiederei di Alexandra Sutton. La conosceva?”
Finn guardò Asriel, che ricambiò il suo sguardo senza muovere un muscolo. Mai in quel momento lo scrittore maledisse la presenza dell’Auror sul treno: non poteva mentire spudoratamente, non con lui nella stessa stanza.
“… Sì, diciamo di sì.”

 
*

“Finn, devi ascoltarmi… lo dici sempre anche tu che non c’erano prove per arrestarti. Il caso può essere riaperto.”
“Da quando sei un’esperta di legge, Jessa?”
Seduto sulla branda della cella semibuia, Finn parlò tenendo il capo appoggiato contro la parete e gli occhi chiari fissi sull’unica finestra della cella, un piccolo quadrato sbarrato che permetteva ad una debole quantità di luce di illuminare l’interno della stanza.

Dicevano che un tempo, quando a sorvegliare Azkaban c’erano ancora i Dissennatori, l’isola fosse perennemente immersa in forti tempeste e avvolta da un’oscurità quasi perenne. Dopo la fine della guerra e la loro cacciata la vita nella prigione magica era diventata più sopportabile e i detenuti potevano essere inseriti in programmi di riabilitazione. Era così che Finn aveva conosciuto la sorridente Jessa Freeman, un’educatrice che sembrava aver visto qualcosa di buono in lui, dietro l’espressione cupa e i silenzi che caratterizzavano il mago.
“Non lo sono, simpaticone, ma mi sono informata perché ho a cuore il tuo futuro.”
“Commovente da parte tua.”
“Finn, puoi smetterla di fare lo stronzo e chiedere ad Amine se è disponibile per parlare con me?”
Malgrado tutto le parole della strega – che spesso sosteneva come il mago fosse dotato di due facce, il serio e acido Finn e il sensibile, curioso e gentile Amine – lo fecero sorridere, e Finn posò lo sguardo su Jessa prima di scuotere la testa:
“Jessie, mi fa piacere quello che fai per me. Davvero, nessuno si è mai preso così a cuore le mie sorti… ma è inutile. Mi hanno condannato una volta e lo rifarebbero. Solo chi è pieno di soldi riesci ad evitarsi la prigione. ”
“Tuo padre e tuo fratello sono scappati facendo ricadere tutta la responsabilità su di te e su Oscar, e i membri di quell’altra famiglia si sono evitati la prigione solo per l’eccellente difesa che TU non hai potuto permetterti. Come fai ad accettarlo?”
“Sono qui da un anno, non importa a nessuno di me o di Oscar, Jessie.”

L’ex Corvonero sospirò e tornò a guardare fuori dalla finestra con un nodo alla gola mentre Jessa, esasperata, si alzava dalla sedia per avvicinarsi al detenuto:
“Non posso credere che tu ti sia arreso. Non sei arrabbiato per quello che hai passato?”
“Sono arrabbiato da tutta la vita, Jessa. Sono pieno di odio per mio fratello per come mi ha trattato e per mio padre per ciò che ci costringeva a fare praticamente da sempre. Ma a volte penso che in fondo sia anche colpa mia. Potevo rifiutarmi, ma non l’ho fatto. Ho fatto ciò che voleva mio padre.”
“Eri un ragazzino ed era la tua famiglia, che altri potevi fare?”
Finn non rispose e la strega, dopo una breve esitazione, sedette sul bordo dell’estremità del letto. Per un paio di minuti nessuno dei due disse nulla, finchè Jessa non tornò a guardarlo parlando quasi con una punta di compassione:
 “Finn Amine Murphy, da quando faccio questo lavoro ho avuto a che fare con ogni genere di persona… ne ho visti tanti di criminali e posso assicurarti che tu non lo sei. Sei scontroso e antipatico per la maggior parte del tempo, ma un criminale no.”
“Oh, scusami tanto Jessa se stare ad Azkaban non ha incrementato la mia simpatia, scusa davvero.”
“Chiudi il becco e dammi retta: il caso può essere riaperto, lo so per certo. E la tua pena può essere ridotta di molti, molti anni. Forse per Oscar non c’è speranza, e mi dispiace davvero per tuo fratello, ma per te è diverso.”
Finn non rispose, limitandosi ad osservare la strega e a ripensare alla sua famiglia, ai commerci illeciti di suo padre e a tutto ciò che lui, Roy e Oscar erano stati costretti a fare fin da ragazzini. Nolan e Roy se l’erano cavata fuggendo in Brasile, e a pagare le conseguenze di tutte le scelte sbagliate del capofamiglia erano stati lui e Oscar, gli unici a non averci mai creduto. La prospettiva di uscire di prigione mentre Oscar, che non era mai riuscito a sottrarsi alle richieste del padre, avrebbe trascorso in cella tutta la sua giovinezza gli provocava una fastidiosa stretta allo stomaco. Ma era anche stanco di pagare per le azioni della sua famiglia.
“D’accordo. Ti ascolto. Tanto ormai non ho un cazzo da perdere.”
Un largo sorriso si fece strada sul volto di Jessa, che annuì con soddisfazione e si disse felice vederlo “sempre meno zuccone e indisponente”.

 
*

 
E poi le domandavano perché preferisse di gran lunga i cani ai gatti.
Semplice: i cani non rubavano gomitoli di morbidissima e costosissima lama alle povere ragazze innocenti che cercavano solo di fare una sciarpa alla propria nipotina di cinque anni!
“Torna subito qui, quello non è un gioco! Brutto ladro!”
Ailuros, il Maine Coon di Elaine, l’aveva vista fare la maglia, si era avvicinato furtivo al suo cestino e aveva preso un gomitolo color panna prima di darsi alla fuga. May aveva immediatamente abbandonato ferri e aspirante sciarpa e si era data all’inseguimento del grosso felino fino alla I classe.
La strega su fermò in mezzo al corridoio e si guardò attorno mettendosi le mani sui fianchi, chiedendosi sbuffando dove accidenti si fosse cacciato il ladro: ecco un altro punto a favore dei cani, il suo Brutus quando combinava una malefatta era impossibilitato a nascondersi grazie alla sua stazza e aveva l’agilità di una tartaruga.

 
Elaine si chiuse la porta alle spalle ravvivandosi i lunghi capelli rossicci: dopo tutte quelle ore passate chiusa all’interno del treno, aveva avuto proprio bisogno di una boccata d’aria.
La bella cantante sorrise istintivamente quando vide il suo amato micio avvicinarlesi muovendo allegro la lunghissima coda pelosa, e si inginocchiò per accarezzarlo quando Ailuros la raggiunse:
“Ciao tesoro mio… ma… Che cos’hai lì? Fammi vedere.”
Ailuros cercò di ritrarsi, ma Elaine gli prese quasi a forza il gomitolo, che il gatto stringeva mollemente tra i denti quasi fosse un trofeo.
“Ma dove lo hai trovato questo?!”
L’ex Tassorosso aggrottò la fronte prima di fare molto rapidamente due più due: c’era solo una persona su quel treno che poteva avere gomitoli di lana di quel genere. E di certo non era la padrona di uno dei tanti gatti.
“Porca Tosca Ailuros… May mi ammazzerà! Ma non ti ho cresciuto da gentilgatto, io?!”
La strega scosse la testa con disapprovazione mentre si rialzava in piedi, e scoccò un’occhiata severa al gatto nero prima di farle cenno di seguirla. Ailuros obbedì a testa bassa, offeso per aver perso il suo nuovo gioco: la sua umana era davvero noiosa, quel giorno. .
 
*
 
“Io e Alexandra avevamo la stessa età, ho qualche ricordo di lei ad Hogwarts… non mi piaceva molto, era una di quelle belle ragazze che si sentono superiori a chiunque per il loro aspetto. Insomma, non era proprio una persona alla mano.”
Finn parlò accennando una smorfia che Asriel condivise, e James all’improvviso si chiese se non dovesse ritenersi fortunato nel non aver mai avuto a che fare direttamente con la vittima: la conosceva di fama e l’aveva vista in tribunale in qualche occasione, ma da quando avevano iniziato ad interrogare i passeggeri ne aveva sentite di ogni sorta sul suo conto. E tutte storie poco lusinghiere.
“E l’ha più rivista dopo Hogwarts?”
“Beh, lei era un avvocato di successo, io sono stato due anni in cella e poi, prima di scrivere articoli e pubblicare il libro, ho lavorato al Serraglio Stregato. No, direi che non abbiamo frequentato gli stessi ambienti, Signorina Garvey. Ho avuto a che fare con lei solo quando… al processo.”
“Al processo? Ma lei all’epoca aveva 21 anni, non esercitava ancora. Giusto?”
Dubbiosa, Clodagh si rivolse ad Asriel, che annuì prima di parlare a Finn per la prima volta da quando avevano iniziato l’interrogatorio:
“Se non sbaglio stava ancora facendo praticantato. Ed era l’assistente dell’avvocato di quei tizi, giusto?”
“Sì, era l’assistente dell’avvocato dei Conrad, la vidi in tribunale. Era giovanissima, ma era… eccezionale. Non ho mai sentito nessuno parlare in quel modo.”
Era dura ammetterlo, ma Finn sapeva che sarebbe stato un ipocrita a negarlo: in qualche modo Alexandra Sutton la fama di avvocato infallibile se l’era meritata.
 
*


 
“Perché vuoi prendere quel treno per Nizza?”
“Perché la gente prende i treni? Per andare in dei posti, presumo.”
Finn fece per dare le spalle all’amica stringendo il manico del suo bagaglio e con Alfaar appollaiato sulla spalla come sempre, ma la mano di Jessa che gli strinse il braccio lo trattenne: il mago si voltò e rivolse una placida occhiata esasperata all’amica, chiedendole silenziosamente che cosa volesse mentre gli occhi castani di Jessa lo scrutavano attentamente.
“Falla finita. Ti conosco meglio di quanto pensi. So che non me lo dirai, ma so che non prenderesti mai un treno del genere senza motivo. Non fare cazzate, Murphy. Se combini altri casini dopo tutta la fatica fatta per tirarti fuori dai guai, ti prenderò personalmente a calci sul Mare del Nord fino ad Azkaban.”
“Perché sei così convinta che mi metterò nei guai? Non sono nemmeno libero di prendere un treno per andarmene in Francia? Puoi andare in Polonia da sola, Jessa. Oppure torna a casa, decidi tu. Ci vediamo presto in Inghilterra.”
Finn si liberò delicatamente della presa dell’amica, che per nulla convinta mosse comunque un passo verso di lui chiamandolo di nuovo quasi con tono implorante:
“Finn…”
“Non essere paranoica, Jessa. Andrà tutto bene.”
Il mago le concesse uno dei suoi rari sorrisi e la strega si rilassò un poco, ma lo guardò allontanarsi verso la stazione provando una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco.
Considerava sinceramente Finn un amico e aveva fiducia in lui, ma aveva avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano per tutto il viaggio. E ora che il mago decideva di punto in bianco di andare in Francia cambiando il loro itinerario senza darle chiare spiegazioni, Jessa non poteva fare a meno di sentirsi all’oscuro di qualcosa.
 
*
 
“Non ha altro da dirci?”
Finn esitò, tre paia di occhi chiari fissi su di lui e pronti a giudicarlo. Per un breve istante quasi si chiese se fosse la cosa giusta da fare, ma finì con l’annuire senza che nessuna emozione particolare gli trapelasse dal volto:
“No, direi di no.”
“Allora puoi andare Finn. Grazie.”
Lo scrittore rivolse un ultimo cenno ad Asriel  prima di alzarsi e uscire dal vagone sentendosi più sollevato rispetto a quando era ci aveva messo piede: per il momento era andato tutto bene.
 
“Asriel, mi dici perché non ci hai detto subito che abbiamo a che fare con un ex galeotto?!”
Finn aveva appena lasciato il vagone quando Clodagh si rivolse al collega con tono di rimprovero, guardandolo torva stringersi nelle spalle:
“Perché so come è andato il processo, so che faceva solo ciò che suo padre gli ordinava. Non per niente quando tornò a giudizio gli accorciarono notevolmente la pena, dandogli solo un altro paio d’anni.”
“Sì, beh… cerca solo di non farti influenzare perché conosci alcune di queste persone.”
Leggermente offesa nel profondo per essere stata lasciata all’oscuro di un’informazione importante dal suo partner – situazione che tra lei e Asriel non si verificava mai – Clodagh riservò al collega un’occhiata eloquente che lo indispettì non poco, portandolo a spalancare gli occhi chiari con lieve indignazione:
“Ma per favore, sai che non lo farei mai.”
Punto sul vivo, Asriel ricambiò lo sguardo dell’amica con un’occhiata piuttosto torva che mise James leggermente a disagio: il modo migliore per indispettire il collega era criticare Zorba o mettere in dubbio la sua professionalità, lo sapeva bene, ma non aveva mai visto lui e Clodagh discutere e la prospettiva di dover fare da paciere tra quei due non lo allettava per niente, così il più giovane del trio si affrettò a sorridere allegro e a prendere la parola:
“Dovremmo proprio andare, dovranno iniziare a preparare la cena e a rimettere a posto i tavoli. Possiamo riflettere su quello che abbiamo raccolto fino ad ora in cabina usando Geraldine.”
“D’accordo, non voglio far tardare la cena.”
Asriel si alzò scostando rumorosamente la sedia sul pavimento e sistemandosi i polsini della camicia bianca sotto lo sguardo divertito di Clodagh, che lo imitò alzandosi prima di mettere da parte lo sdegno e lanciargli un’occhiata eloquente:
“Lo dici perché non vuoi vedere lo chef infuriato o perché hai fame?”
“Entrambe le cose.”
 
*
 
Aveva acquistato il biglietto ed era salito sul treno appena in tempo, ma sulla banchina c’era ancora qualche ritardatario.
Appoggiato contro il finestrino con Alfaar sulle ginocchia e il bagaglio accanto, Finn osservò l’alta strega dai lunghi capelli biondi che le ricadevano in morbide onde sulle spalle in piedi davanti al treno. La valigia di pelle con inserti color oro – che probabilmente costava quanto un biglietto in I classe – accanto, Alexandra fumava quasi con aria annoiata stringendo la sigaretta con il guanto di pelle rossa che le fasciava la mano. Sembrava non rendersi conto dell’imminente partenza del treno, o più probabilmente poco le importava: si limitava ad osservarlo pensierosa tra una boccata e l’altra.
Probabilmente, concluse Finn scrutandola con la fronte aggrottata e le mani strette a pugno, si riteneva troppo importante perché il treno potesse partire senza di lei. Poteva permettersi di farsi attendere.
Quando aveva comprato il biglietto sapeva che l’avrebbe vista a bordo del treno, ma trovarsela davanti faceva tutto un altro effetto.
 
*
 
“May? Penso che questo sia tuo.”
Quando la bionda vide Elaine raggiungerla tenendo un gomitolo di lana in mano e un sorriso colpevole sulle labbra, May sospirò di sollievo e si avvicinò alla cantante per riprenderlo:
“Sì, grazie… il tuo gatto me lo ha preso dal cestino.”
La strega rivolse un’occhiata torva al grosso gatto nero, che ricambiò stizzito – non era abituato ad essere rimproverato dalla sua padrona – da dietro le gambe di Elaine.
“Spero che non la lana non sia troppo rovinata, prometto che Ailuros non lo farà più. Vero piccolo?”
L’ex Tassorosso scoccò un’occhiata ammonitrice al gatto, che ricambiò torvo – no, essere rimproverato non faceva proprio per lui – prima di allontanarsi pieno di sdegno.
“Ecco perché preferisco i cani. Mordono le pantofole, ma almeno la mia lana è sempre sana e salva.”
“Mi dispiace, temo che tu qui sia una dei pochi a pensarla così. Andiamo a prepararci per cena? Sono curiosa di vedere il tuo outfit natalizio.”
Le labbra carnose di Elaine si distesero in un sorriso, e la strega prese May sottobraccio per condurla nella propria cabina mentre l’altra, il gomitolo ancora in mano, sorrideva allegra di rimando:
“Ho in serbo un maglione meraviglioso! Ma sono davvero curiosa di vedere che cosa indosserà James… sono sicura che ci stupirà.”
“Considerando che indossa maglioni natalizi da quando siamo partiti… lo penso anche io.”
 
*
 
Ascolta Ro, non cominciamo a discutere, perché sarebbe inutile. Il MIO maglione è molto più bello del tuo, fine del discorso.”
Delilah, in piedi nel corridoio del vagone della II classe, aspettava fuori dalla sua cabina che anche Ro si cambiasse: la strega aveva deciso di abbondare momentaneamente il total black e per la sera della Vigilia, che ormai si avvicinava, aveva sfoggiato un maglione rosso acceso con trama invernale e un enorme gatto al centro.
“Credi davvero che il tuo maglione col gatto sia migliore del mio splendido ed unico lama natalizio? Sei un’illusa, Fogliolina.”
La strega, che stava mangiucchiando della liquirizia, alzò gli occhi al cielo e esalò un verso di scherno mentre aspettava l’amico stringendo le braccia al petto.
Un paio di istanti dopo la porta della cabina finalmente si aprì, e Ro fece la sua uscita sorridendo allegro e indicando il maglione rosso – con un lama al centro – che aveva indossato per l’occasione:
“Vedi? Hai mai visto forse un lama natalizio? No, e sai perché? Perché è unico ed inimitabile, proprio come me!”
“Oppure perché sei l’unico sciroccato che mette qualcosa con un lama a Natale…”
Delilah sfoderò un sorrisino, ma le sue parole non sembrarono scalfire nemmeno lontanamente Ro, che fece spallucce e la prese sottobraccio senza badarci troppo:
“Tsz, sei solo invidiosa… un gatto natalizio è molto meno originale di un lama!”
“Ma i gatti sono carini, e non sputano in faccia alla gente!”
“In compenso graffiano, però.”
Questa volta il turno di sorridere fu di Prospero, che però cercò in tutti modi di mostrarsi serio e dispiaciuto quando l’amica si portò una mano sul cuore e lo accusò drammaticamente di rivangare quella che per lei era “una ferita aperta”. In tutti i sensi, visti i numerosi graffi che la fotografa sfoggiava sulle mani e sui polsi.
Scusa Fogliolina, hai ragione… non ci pensare, su.”
Il mago la circondò affettuosamente con un braccio cercando di consolarla con il tono più gentile di cui era capace, ma mentre si dirigevano insieme verso il vagone ristorante Delilah scosse comunque la testa e sospirò rassegnata:
“Non è affatto giusto, i gatti del treno si fanno coccolare da tutti tranne che da me!”
“Lo so, lo so tesoro, la vita è proprio ingiusta… Quando torniamo ti regalo un peluche molto realistico, potrai coccolare quello.”
“Beh, meglio di niente…”
 

*

 
“Si può sapere quando arrivano le informazioni che abbiamo chiesto? Senza di quelle non possiamo sapere che ciò che abbiamo appreso dai passeggeri corrisponde al vero oppure no. Che cosa fanno al Ministero, dormono?!”
“Magari stanno avendo difficoltà a reperirle… O magari si tratta di un sacco di informazioni!”
“Fantastico, così avremo fascicoli enormi da leggere… scommetto che a quest’ora Potter, Weasley  e tutto il Dipartimento si sta abbuffando, mentre noi ce ne stiamo qui in mezzo al nulla.”
Asriel, seduto sul proprio letto con Zorba tra le braccia, fissò torvo un punto di Geraldine immaginando la sgradevolissima scena mentre Clodagh, che stava giocando all’impiccato insieme a James su un punto bianco della lavagna, sospirava chiedendosi che cosa stesse facendo la sua famiglia in quel momento:
“Scommetto che mia madre e mia nonna hanno cucinato per un esercito… che invidia. JJ, tu che cosa avresti fatto questa sera?”
Una volta completata la parola misteriosa scelta da Clodagh – assurdo, stava per perdere con il cognome di Asriel, che per quanto strano fosse sentiva pronunciare quasi ogni giorno da anni – James rimise a posto il pennarello blu e si passò una mano tra i capelli chiari mormorando cupo che avrebbe cenato con la sua famiglia.
“Assurdo, sarebbe stata la prima volta… e mi ritrovo bloccato su un treno.”
“Come mai la prima volta?”
“Non credo di aver mai trascorso un Natale con i miei genitori e le mie sorelle tutti insieme… loro sono tutte molto più grandi di me, mia madre le ha avute quando era molto giovane dal suo primo marito, e ormai hanno tutte la loro vita e la loro famiglia. Mia madre quando ero piccolo pensava più alla sua carriera al Ministero che ad occuparsi di un figlio che non aveva pianificato e non era spesso a casa.”
“Mi dispiace JJ.”
Dispiaciuta – e impossibilitata ad immaginare un Natale senza la sua enorme e caotica famiglia – Clodagh sedette sul bracciolo della poltrona che James aveva occupato e lo circondò affettuosamente con un braccio, accennando un sorriso quando il collega più giovane alzò lo sguardo su di lei. Dopo una breve esitazione James la imitò, determinato a non farsi rovinare la sua festa preferita per quanto gli era possibile:
“Beh, quest’anno mi avevano convinto a provarci e a stare tutti insieme, ma evidentemente non era destino. E tu Asriel?”
“Da una parte non posso dire di potermi lamentare: dovevo tornare a Berlino subito dopo la missione per vedere la famiglia di mio padre. Se non altro ho avuto la scusa ideale per evitare di vedere mio cugino Amadeus. L’ho sempre detestato.”
L’Auror parlò sfoggiando una sincera smorfia – realizzando di essersi evitato una riunione di famiglia doveva ammettere di aver quasi gioito, anche se dopo qualche giorno su quel treno iniziava a dubitare dell’euforia iniziale – e continuando a coccolare Zorba, che si godeva felice le attenzioni del padrone lanciando occhiate di sfida ad un’Alpine particolarmente imbronciata e acciambellata vicino a Geraldine.
“Come si fa a detestare un parente stretto?”
“Credimi James, è possibile. Specie quando tuo cugino è solo un borioso idiota senza cervello.”
Imbronciato, Asriel si alzò e iniziò a girovagare per la stanza continuando ad accarezzare distrattamente Zorba e fissando torvo davanti a sé, la sgradevole immagine del cugino impressa nella mente. Mentre ripercorreva mentalmente aneddoti della sua infanzia, James si rivolse a Clodagh in un sussurro appena percettibile:
“Non sapevo avesse un cugino, non parla mai della sua famiglia.”
“Fino alla primavera scorsa non lo sapevo nemmeno io, non gli piace parlarne… ma credimi, ha ragione, l’ho visto al funerale del padre di Asriel. Davvero orribile. In tutti i sensi, credo sia invidioso perché tutta la bellezza e l’eleganza della famiglia è spettata ad Asriel, ma quello zuccone non se ne rende conto.”
Clodagh scosse la testa con aria comprensiva – ricordava benissimo di essersi dovuta trattenere dall’affatturare o dal dare un pugno sul naso al suddetto cugino quando aveva iniziato a dare il tormento ad Asriel quando suo padre era appena stato seppellito – e James udendo le sue parole spalancò inorridito i grandi occhi chiari. Il suo sguardo rimbalzò rapidamente su Asriel (impegnato ad osservare pensieroso le scritte e i disegni che affollavano Geraldine, compreso il suo cognome scritto sotto ad un omino stilizzato e quasi impiccato) e poi tornò sulla collega prima di mormorare qualcosa con tono allarmato:
“Stai dicendo che questo è il suo primo Natale senza suo padre?! Ma è orribile! Dev’essere molto triste!”
“Non ci avevo pensato… hai ragione.”
Deglutendo, Clodagh riportò a sua volta lo sguardo su Asriel sentendosi improvvisamente la gola secca e una fastidiosa sensazione alla bocca della stomaco. Nella frenesia delle indagini e dell’omicidio, non aveva minimamente collegato le due cose. Benchè sapesse bene quanto il suo partner preferisse evitare di parlare di sentimenti o della sua famiglia, all’improvviso si sentì quasi in colpa per non avergli chiesto come si sentisse.
Quando, poco dopo, Asriel distolse la sua attenzione dalla lavagna per rivolgersi ai colleghi trovò entrambi a fissarlo quasi con vaga compassione. Perplesso, l’Auror ricambiò i loro sguardi aggrottando le sopracciglia e chiedendosi se non avesse qualcosa di strano tra i capelli:
“Beh? Perché mi fissate? È ora di cena, andiamo.”
Clodagh e James lo seguirono senza obbiettare e con un tono persino più gentile del solito. All’improvviso, mentre lo prendevano ciascuno per un braccio, Asriel si sentì in dovere di preoccuparsi: di sicuro quei due gli avevano organizzato un pessimo scherzo Natalizio, non c’erano dubbi.
 

*
 

 
“Forza Coco, sono proprio curiosa di vedere la tua mise di Natale.”
In piedi davanti alla porta della cabina dell’amica e tenendo in braccio Loki – che indossava un cappellino da Babbo Natale e sembrava tutto fuorché allegro della cosa(1) – , Clara bussò per la seconda volta invitando Corinne ad uscire con il sorriso sulle labbra: i look natalizi di Corinne erano sempre meglio ogni anno che passava.
Quando finalmente la bionda fece la sua uscita dalla cabina, i grandi occhi scuri di Clara indugiarono sul suo rossetto rosso acceso e sulla parte superiore del vestito dell’amica, nero e piuttosto semplice, con scollo a barchetta e maniche a tre quarti. Fu la gonna a farla scoppiare a ridere, mentre invece l’ex fantina si mise le mani sui fianchi e le rivolse un’occhiata di rimprovero:
“Clara Odette Picard, stai forse sminuendo il mio vestito?”
“No, no, non mi permetterei mai mon amie… trovo che sia fenomenale.”
Sorridendo, Clara accennò alla gonna nera del vestito coperta da immagini di renne, fiocchi di neve e pupazzi, e Corinne lisciò il tessuto con aria sostenuta prima di stringersi nelle spalle:
“Io e la mia famiglia a Natale ci vestiamo sempre coordinati, mia sorella ne ha uno uguale con i disegni sulla parte superiore e mio fratello la giacca. Peccato, saremmo stati davvero carini.”
“Vorrà dire che sarà per il prossimo anno. Ti piace il mio maglione?”
Clara accennò al suo maglione blu, pieno di fiocchi di neve e con al centro un gatto con tanto di fiocco e berretto da Babbo Natale. Corinne guardò prima l’indumento e poi Loki, che sembrava molto contrariato, e domandò all’amica perché avesse conciato il gatto in quel modo:
“Che domande, per essere coordinati! Tu ti coordini con i tuoi fratelli, io con Loki.”
“Ah, certo, perché è esattamente la stessa cosa… comunque, no avevo mai visto un maglione natalizio con un gatto. Solo tu avresti potuto scovarlo.”
Non sapendo se ridere o scuotere la testa con rassegnazione Corinne si limitò a sorridere divertita e a prendere l’amica sottobraccio, che la informò più seria che mai che – Natale o meno – un gatto era come il nero: stava sempre bene con tutto.
 

*

 
Viaggiando e lavorando nel mondo della ristorazione da quando era giovanissimo, Ruven era ormai avvezzo a trascorrere il Natale lontano da casa, soprattutto da quando lavorava su un treno che percorreva lunghe tratte come il Riviera Express.
Ciononostante, ogni anno non poteva fare a meno di sentire comunque la mancanza di sua madre, dei suoi due fratelli minori… e ovviamente di suo padre.
Il servizio era finalmente terminato, e dopo aver cucinato per un esercito e fatto tirare a lucido la cucina Ruven si stava riposando: seduto sul pavimento pulito con ancora la casacca addosso e la bandana arrotolata e legata sulla testa, lo chef si stava finalmente permettendo di cenare.
Neko aveva fatto la sua comparsa alla fine del servizio per cercare di scroccare qualche avanzo, e ora si era accoccolato sul pavimento accanto al padrone godendosi carezze e, di tanto in tanto, un bocconcino.
“Sembra che anche questo Natale saremo solo io e te, vero? Anche se ormai ci siamo abituati.”
Il mago accennò un debole sorriso mentre grattava dolcemente le orecchie del micio, che chiuse gli occhi e miagolò soddisfatto mentre Ruven pensava alla madre e alla sua ultima lettera: quando l’aveva informata di un “contrattempo” e di come il treno sarebbe rimasto fermo per qualche giorno – soprassedendo accuratamente sulla faccenda omicidio – Gela non si era dimostrata particolarmente entusiasta, gli aveva intimato di farle visita una volta tornato a Berlino e soprattutto di smetterla di mandarle ogni mese parte del suo stipendio. Era una filastrocca che Ruven udiva da anni, ma aveva smesso di farci caso e continuava imperterrito a fare di testa propria.
 
“Chef?”
“Sì Adrian?”

Sentendosi chiare Ruven sollevò lo sguardo e lo puntò sul cameriere in piedi sulla foglia della cucina. Il ragazzo indugiò, a disagio, e infine parlò schiarendosi rumorosamente la voce:
“Emh, sa quando ci ha detto di pulire il vagone ristorante quando i passeggeri se ne fossero andati? Beh, non possiamo.”
“Come sarebbe a dire?!”

“Non accennano a volersene andare. Pare che vogliano, emh, fare…”
Il cameriere indugiò, quasi terrorizzato all’idea di pronunciare quella parola davanti al capo, che ridusse gli occhi a due fessure e gli intimò di parlare già immaginando quegli inglesi da strapazzo a mettere a soqquadro il vagone:
“Emh… fare il karaoke.”
“… Beh, se pensano di cantare Jingle Bell nella mia cucina prima dovranno passare sul mio cadavere. Appena finisco qui chiudo a chiave.”
Già immaginava i passeggeri fare razzia nella sua dispensa. Se ci avessero provato, ci sarebbe stato sicuramente un altro cadavere.
 

*
 

 
“Suppongo che tu non prenderai parte al karaoke.”
“No, in effetti la Signorina Garvey mi ha chiesto di fare da giudice. Beh, sarà divertente!”
Seduta sul divanetto a forma di ferro di cavallo che circondava un tavolo, un elegante vestito rosso addosso e un bicchiere di champagne in mano, Elaine sorrise divertita mentre May, seduta accanto a lei, osservava dubbiosa il microfono che Clodagh aveva fatto allegramente apparire dal nulla.
Non sapeva se l’idea di cantare canzoni di Natale davanti a tutti la divertiva o la imbarazzava a morte.
“Tu canti, Prospero?”
Elaine si rivolse con un piccolo sorrisetto a Prospero, che sedeva sull’altro lato del divanetto, e lo guardò rigirarsi il bicchiere tra le dita prima di accennare un debole sorriso a sua volta:
“Sono pieno di doti e di talenti, ma il canto non è tra queste, quindi credo che mi limiterò ad osservare.”
“Oh, no, tu canti eccome. Ho appena segnato entrambi per fare un duetto.”
Delilah – dopo aver incrociato Clara ed essersi scambiate entusiasti complimenti per i loro maglioni natalizi gattari – apparve accanto all’amico con il maglione rosso addosso e una ciotola di popcorn in mano. La strega costrinse con un cenno Ro a farle spazio per sederglisi accanto e l’amico, rassegnato, le lanciò un’occhiata di sbieco:
“E che cosa dovremmo cantare, Fogliolina?”
“Che domande, ovviamente Feliz Navidad.”
L’ex Serpeverde si portò alle labbra una manciata di popcorn sotto gli sguardi perplessi degli altri tre: evidentemente la scelta della canzone era ovvia solo per lei, e Delilah se ne rese conto spostando i grandi occhi nocciola da uno all’altro, chiedendosi sinceramente come potessero non arrivarci.
“Beh, che c’è? È ovvio perché in quella canzone c’è la parola “prospero”! È  perfetta!”
“Ah, certo… perdonaci Fogliolina, non siamo tutti arguti come te.”
“Lo so, lo so, lo posso comprendere. È naturale.”
 
“May, tu che canti?”
“Beh… la canzone di Natale preferita di Pearl è Jingle Bell, credo che canterei quella. Vorrei telefonarle, ma prende da schifo e Asriel ha detto che non possiamo uscire!”
“In che senso?!”
Elaine spalancò interdetta gli occhi verdi e spostò lo sguardo sull’ingresso del vagone pensando ad Ailuros, che aveva lasciato nella sua cabina prima di andare a cena: se fosse rimasto solo lì dentro a lungo di sicuro il suo amato gatto l’avrebbe accolta molto poco felicemente.
May spiegò che Asriel li aveva praticamente chiusi dentro al vagone fino alla fine della serata, e Delilah aggrottò leggermente la fronte mentre spostava lo sguardo sul suddetto Auror, che stava parlando con Lenox dall’altra parte della sala mentre James e Clodagh si godevano i complimenti per i loro sfolgoranti look natalizi.
Rinchiusa in una stanza con Asriel Morgenstern… non so dire se sia una punizione o meno…”
Delilah aveva creduto di averlo solo pensato, ma dovette ricredersi quando Prospero, trattenendo una risata, le si rivolse con aria divertita:
“Come dici Fogliolina?”
“Nulla, nulla, commentavo le decorazioni. Scalda le corde vocali Ro-Ro, dobbiamo assolutamente vincere!”
“Ma se siamo entrambi stonati?!”
“Fa nulla, conta l’impegno!”
 
*
 
“Carino il tuo maglione, Asriel.”
Lenox si portò il bicchiere alle labbra per celare un sorrisetto mentre osservava il maglione azzurro, bianco e rosso che indossava l’Auror: Asriel, sedutogli di fronte, gli lanciò un’occhiata torva e sibilò di non fare commenti mentre si chiedeva cosa avesse fatto di male per meritarsi quel maglione.
“No, sul serio, quando ti ho visto entrare con quello mi è preso un colpo. Dove lo hai preso?!”
“Me lo ha regalato James stasera. Volevo non metterlo, ma Clodagh mi ha costretto per non ferire i suoi sentimenti.”
“La A sta per Asriel immagino.”
Accigliato, Lenox osservò il maglione celeste dell’ex compagno di scuola – mai in vita sua avrebbe pensato di vederlo indossare un colore così chiaro – dotato di una vistosa A, una stella al centro e tanti fiocchi di neve attorno e alberelli attorno. Sulle maniche c’erano anche due scudi rossi, bianchi e blu di dubbia origine.
“In realtà pare che stia per un certo “Captain America” fittizio… James dice che gli assomiglio.”
Dubbioso, Asriel chinò il capo sul maglione che indossava: quando lo aveva visto gli era quasi venuto un colpo, ma Clodagh gli aveva dato un calcio sotto al tavolo ed era stato costretto a sorridere per celare il dolore allo stinco. Per lo meno, non aveva mai visto James così allegro.
“Non posso confermarlo, ma ti sta proprio bene.”
Lenox ridacchiò mentre si portava il bicchiere di whiskey alle labbra e Asriel, irritato, accennò sbuffando alla maglietta rossa e grigia con gatto al centro che l’avvocato indossava:
Pensa alla tua maglietta col gatto!”
“Ehy, la mia maglietta è splendida!
Mai quanto la gatta di James, però.”
L’ex Tassorosso accennò ad Alpine, che trotterellava in giro in cerca di attenzioni e complimenti con un paio di mini corna in testa e una specie di cappottino rosso e bianco addosso: James l’aveva vestita da renna per l’occasione, mentre a Zorba era spettato un sorta di mini cerchietto in tartan con tanto di fiocco.
Quando aveva visto il suo gattino ridotto in quello stato da Clodagh Asriel aveva ricevuto l’ennesimo colpo della giornata – cominciava a chiedersi se sarebbe arrivato illeso alla fine del viaggio –, ma alla fine aveva dovuto arrendersi ed ammettere che il micio fosse terribilmente adorabile. Con grande disappunto di Delilah che cercava invano di accarezzare lui e Alpine, imprecando quando i mici di davano alla fuga.
“Ma se non ti piace il maglione perché non lo togli?”
Non posso, ho chiuso tutti dentro per non perdere di vista nessuno e da bravo imbecille ho dato la chiave a Clodagh, ora quella sadica irlandese non me la vuole dare per non farmelo togliere.”
L’Auror lanciò un’occhiata torva in direzione della collega e Lenox, sempre più divertito, decise di dargli il colpo di grazia con una delle sue celeberrime quanto orrende battute che, lo sapeva, Asriel aveva sempre mal sopportato.
“Asriel, visto che ami i gatti, sai qual è il cane più cattivo?”
Il tono cantilenante di Lenox fece immediatamente inorridire l’Auror, che intuendo la risposta gemette e lo pregò di non dirglielo senza venire minimamente ascoltato:
“La can-aglia.”
“Dopo aver sentito questa ho seriamente bisogno di alcol.”
 

*

 
“James, ma dove lo hai trovato questo completo?”
Mentre Corinne tornava al suo posto dopo aver cantato, raggiungendo una Clara quasi piegata in due dalle risate dopo averle fatto un video col telefono, May si rivolse a James osservando curiosa il suo vistoso abbigliamento: il ragazzo indossava un completo verde coperto da tanti Babbi Natale.
L’ex Tassorosso sorrise, più allegro che mai, e lo indicò pieno di orgoglio prima di asserire di averlo tenuto da parte per la vigilia un anno intero.
“Per fortuna l’ho messo in valigia prima di partire!”
Il giovane sorrise, probabilmente non udendo il verso di scherno appena soffocato che Asriel emise quando passò alle sue spalle per raggiungere Clodagh e convincerla a farlo uscire: la strega era appena sgattaiolata nella sua cabina per prendere la chitarra, e si era appena chiusa la porta alle spalle quando scorse il collega, sorridendogli amabilmente:
“Oh, ciao Asriel. Ci delizierai anche tu con la tua voce soave?”
Piuttosto mi getto nella neve in mutande. No, voglio uscire e cambiarmi.”
“No, non credo proprio. Che peccato, tocca a me e devo proprio andare!”
La strega si allontanò in tutta fretta senza dargli il tempo di protestare, e l’Auror imprecò a mezza voce mentre la collega raggiungeva il microfono e sedeva su uno sgabello imbracciando la chitarra.
Alla lista delle persone di cui diffidare dopo i francesi doveva aggiungere assolutamente le irlandesi con i capelli rossi.
 

“Non vale, lei è maledettamente brava!”
Delilah sbuffò mentre – stravaccata sul divano con le gambe appoggiate sulle ginocchia di Prospero – si portava una manciata di popcorn alle labbra ascoltando Clodagh cantare First Noel. L’amico le sorrise, giurandole che avrebbero fatto faville in ogni caso mentre Finn, seduto al tavolo accanto, si massaggiava le tempie con le dita: a saperlo prima, che sarebbe finita così, avrebbe seguito Jessa in Polonia senza fare storie e mandando la Sutton al diavolo.
“Ciao Finn! Com’è andato l’interrogatorio?”
“Ciao… quello bene, questo show canoro un po’ meno. Per lo meno lei non mi sta uccidendo l’udito.”
Finn rivolse una rapida quanto cupa occhiata a Clodagh, rifiutando il bicchiere di whiskey che Lenox gli offrì e facendo cenno, invece, alla tazza fumante che aveva davanti:
“No, grazie, non bevo più da anni. Ormai sono consacrato al thè verde. Pensi che Asriel ci farà uscire da qui tra molto?”
Lenox gli sedette accanto e sfoggiò un debole sorriso prima di stringersi nelle spalle e accennare a Clodagh, che Asriel stava fissando torvo con le braccia strette al petto e il maglione celeste ancora addosso:
“Al momento è prigioniero a sua volta, credo che la situazione gli sia sfuggita di mano. Ciao Scottish, eccoti qui!”
Il sorriso del mago si allargò a vista d’occhio quando il suo gatto gli si avvicinò, strusciandoglisi sulla gamba e miagolando mentre il padrone lo accarezzava con affetto. Finn, invece, lo osservò sospettoso portandosi la tazza di thè alle labbra e sperando vivamente che Alfaar restasse nella sua cabina: con tutti quei gatti in giro non ci si poteva fidare proprio di nessuno.
A saperlo prima, di ritrovarsi a viaggiare con tutti quei gattari, lo avrebbe affidato alle cure di Jessa.

 
*

 
Ruven, appoggiato alla parete, lanciò un’occhiata torva al grande orologio appeso al muro senza smettere di tamburellare il piede sul pavimento: ovviamente l’onere di sistemare tutto quel casino sarebbe spettato allo staff, e lo chef moriva dalla voglia di levarsi i passeggeri canterini dai piedi per poter pulire e, alla fine, andarsene a dormire. Si era tolto la casacca poco prima e si era infilato un maglione con un tenero orsetto ricamato al centro, intimando ai subordinati che il primo che avrebbe riso avrebbe pulito da solo tutto il vagone.
Persino Neko lo aveva tradito e abbandonato, e ora il gatto stava giocando contendendosi un festone con un altro micio dal pelo maculato che lo chef aveva adocchiato spesso.
Stava osservando – scettico – il proprietario del suddetto gatto e la sua stramba amica cantare (vestiti degli stessi colori, nemmeno si fossero messi d’accordo) Feliz Navidad quando un tenue miagolio attirò la sua attenzione: lo chef chinò lo sguardo e si ritrovò a sorridere alla vista di una gatta bianca dai grandi occhi blu che, vestita da renna, lo fissava come in attesa di qualcosa.
“Oh, ma che graziosa renna, ciao piccola.”
Ruven si inginocchiò per accarezzare Alpine, che sembrò soddisfatta delle ritrovate attenzioni dedicatale – aveva accettato di farsi conciare in quel modo solo per gli elogi – mentre lo chef sorrideva: da quando lavorava sul treno non aveva mai visto tanti gatti sul Riviera Express, il che costituiva praticamente l’unico lato positivo di quell’assurdo viaggio.
 
“Hai visto Loki per caso? Qui è pieno di chats, ma non trovo mai il mio!”
Sarà in un angolo a cercare di distruggere il cappellino che gli avevi rifilato, povero piccolo…”
Corinne si portò un salatino alle labbra dipinte di rosso guadagnandosi un’occhiata torva da parte dell’amica, che la informò di come “i gatti vestiti a tema natalizio” fossero ritenuti adorabili da chiunque.
Ancora non riuscendo a comprendere la smania degli altri passeggeri per i piccoli felini Corinne si limitò a roteare gli occhi chiari mentre si sfilava le scarpe, mormorando di odiare i tacchi mentre Clara si guardava attorno pensierosa:
“Non trovi che sia strano? Stare qui quando… beh, quando una persona è morta. Senza contare che ad ucciderla è stato, molto probabilmente, qualcuno che si trova in questa stanza.”
“Stavo giusto cercando di non pensare al fatto che mi trovo nelle vicinanze dell’assassino della mia ex Clara, grazie per avermelo ricordato. Sono due giorni che non dormo, me ne voglio tornare a Nizza.”
Reggendosi il capo con una mano, Corinne prese a giocherellare distrattamente con una ciocca di capelli biondi mentre si guardava distrattamente attorno, osservando le persone che la circondavano. Dopo averla osservata brevemente Clara la imitò e quando Clodagh, terminata la canzone, si allontanò dal microfono con la chitarra in mano e un sorriso sulle labbra, Delilah afferrò Prospero, lo costrinse ad alzarsi e quasi lo spinse verso il centro della stanza.
La francese li osservò curiosa, chiedendosi quali storie celassero tutte quelle persone e soprattutto che cosa li legasse ad Alexandra: aveva l’inspiegabile sensazione di non essere l’unica passeggera ad averci avuto a che fare, oltre a Corinne.
 

*

 
Era mezzanotte passata quando, finalmente, Asriel era riuscito a mettere piede fuori dal vagone ristorante con James appresso: il più giovane stava facendo allegramente gli auguri a tutti quando il collega lo aveva trascinato con sé verso l’uscita intimandogli di “non fare amicizia con potenziali assassini”.
“Hai ragione, a volte quasi mi scorso che uno di loro è l’assassino della Sutton… sembrano tutte persone normali.”
Aggrottate vistosamente le sopracciglia, Asriel avrebbe voluto dissentire, ma decise di non perdersi in ulteriori chiacchiere mentre camminava con Zorba al seguito e una mano stretta sulla spalla di James:
“Lo sembrano quasi sempre. Buonanotte James, domani ci si alza presto, voglio finire di parlare con tutti il prima possibile.”
“D’accordo. Buon Natale Asriel!”
Fermatosi davanti alla sua porta, James accennò un sorriso in direzione del collega, che ricambiò debolmente mentre, alle loro spalle, Delilah li superava tenendo le alte decolleté rosse in mano e Prospero – che stringeva a sua volta un ultimo bicchiere di vino – al braccio, lamentandosi di “sentire la mancanza della sua amata pianta Bolo”.
Asriel si gettò una rapida occhiata alle spalle, confermando che no, quei passeggeri non sembravano affatto normali, prima di tornare a rivolgersi al collega:
“Già… Buon Natale. Vieni Zorba.”
Il gatto lo seguì all’interno della cabina e James, una volta rimasto solo nel corridoio con Alpine in braccio, sorrise mentre apriva con la magia la porta della propria: poteva dire ciò che voleva, ma era sicuro che alla fine di quel caso sarebbe riuscito a conquistarsi la simpatia di Asriel.
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Com’è che un Loki contrariato perché viene conciato a tema natalizio da una strega mi suona familiare? 
 
……………………………………………………………………………………….
Angolo di un’Autrice piena di vergogna:
Ve lo giuro, non è un miraggio, sono proprio qui con questo capitolo.
Mi scuso profondamente, non so di preciso quanto tempo sia passato – e non ho il coraggio di andare a controllare – ma spero che nessuno abbia dubitato sulle mie intenzioni di continuare la storia. Figuriamoci se mollo i gattari, ormai sono parte di me. (Al massimo per farmi perdonare vi intaso IG con foto di Asriel, poi vediamo)
Vorrei dire che non è colpa mia ma pur avendo una vita, impegni, esami ed imprevisti lo è, quindi dirò solo che mi dispiace e prometto che non vi farò aspettare tanto tempo una seconda volta.
Detto ciò, spero che il capitolo tanto atteso vi sia quantomeno piaciuto – in caso siete autorizzati a prendermi a trote in faccia –.
Ringrazio tutte le persone che hanno sempre votato e sono state super puntuali e partecipi, ma visto che i personaggi da indagare sono ormai pochissimi da questo momento non vi chiederò più di farlo e deciderò io.
A presto (promesso) con il seguito e ancor prima con il Camp a chi partecipa anche lì <3
Signorina Granger

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 - Merry Catmas ***


Capitolo 10: Merry Catmas
 
25 dicembre, 8.15 am
 
 
Quando venne svegliato dal bussare alla porta della sua cabina, Asriel stava facendo un sogno meraviglioso: era circondato da teneri e morbidi gattini – tutti con addosso, per qualche strano motivo, cappelli da Babbo Natale – che non chiedevano altro che essere coccolati.
Proprio per questo motivo quando si ridestò dal sonno l’Auror aprì gli occhi chiari e si guardò attorno spaesato prima di realizzare con un sospiro cupo di essere ancora su quel treno pieno zeppo di possibili assassini: quell’indagine sembrava non avere mai fine.
Asriel scostò le coperte con un sonoro sbuffo, si alzò in piedi e borbottò alla sua visita che stava arrivando prima di afferrare, alla cieca, una maglietta da mettersi. Se l’era appena infilata quando aprì la porta della cabina, non stupendosi per nulla quando incontrò il candido e allegro sorriso di Clodagh, condito dai brillanti capelli rossi della strega e dal suo maglione a tema natalizio.
“Buongiorno, stella splendente!”
Qualsiasi cosa Clodagh dovesse dirgli, la strega la dimenticò quando concentrò la propria attenzione sulla maglietta che il collega indossava. Asriel, in piedi sulla soglia, aggrottò la fronte mentre guardava la strega strabuzzare gli occhi, indicare il suo petto e infine sorridere più allegra che mai, trattenendo a stento una risata:
Porca Tosca, non ci posso credere… ma allora te la sei messa!”
“Che cosa?”
“Come sarebbe “cosa”, la maglietta che ti ho regalato l’anno scorso per Natale!”
Confuso, Asriel chinò lo sguardo e fu con orrore che scorse cosa si era infilato nel buio della sua cabina: era vero, indossava proprio la maglia che Clodagh gli aveva regalato l’anno prima. Una maglietta nera dove faceva capolino il disegno di uno scatolone pieno di gattini stilizzati e la scritta “Merry Catmas”. Ricordava benissimo quanto avesse riso quando l’aveva vista per la prima volta, ma non era decisamente il caso di farsi vedere da tutto il treno con quella addosso.
“Già, a quanto pare sì… ma preferisco toglierla prima che qualche sospettato mi veda con addosso questa. Senza offesa, Clo.”
“Nessuna offesa, so che ci tieni a dare un’impressione professionale.”
La strega si strinse nelle spalle senza smettere di sorridere, soddisfatta di essere riuscita a vederlo indossare la sua maglietta mentre Asriel se la sfilava dalla testa. L’Auror stava per tornare nella cabina e mettersi qualcosa di più dignitoso per continuare la conversazione quando udì un familiare ed inconfondibile click metallico.
Yaxley! Smettila di fotografarmi!”
Ridotti gli occhi a due fessure e le mani strette a pugno, Asriel si trattenne dal lanciare la maglietta che ancora stringeva contro la fotografa, che era appena apparsa nel vagone della prima classe ma che, per qualche assurdo motivo, non teneva in mano nessuna macchina fotografica.
“Non so di che cosa stai parlando. Sai Mr Auror, dovresti proprio sgonfiare il tuo ego… solo perché sei un bell’uomo non significa che tutti smanino per fotografarti!”
Mentre Clodagh faceva di tutto per non scoppiare a ridere, Delilah superò lei e Asriel stringendo il braccio di Prospero, un bastoncino di liquirizia tra le labbra e scoccando all’uomo l’occhiata più sostenuta di cui era capace. Tuttavia, una volta superati gli Auror – percependo lo sguardo torvo di Asriel fisso sulla sua schiena – la strega sfoderò un sorrisetto udendo il mormorio che l’amico le rivolse:
“Lo hai preso?”
Mi prendi per una pivella? Ovvio che l’ho preso.”
“Brava la mia ragazza. Ora abbiamo il nostro regalo di Natale.
Anche Prospero sorrise, divertito, e allungò il pugno verso l’amica per far sì che lei lo facesse scontrare con il proprio.
La giornata iniziava proprio per il verso giusto.

 
*

 
“Clo, smettila di ridere!”
“Scusa, ma trovo troppo divertente il fatto che tu venga paparazzato in giro neanche fossi una diva del cinema…”
Asriel alzò gli occhi al cielo e Clodagh ridacchiò mentre lo seguiva nel vagone ristorante. Lì trovarono James con una pila altissima di pancake davanti e Alpine – che sembrava essersi svegliata di buon umore e si stava facendo accarezzare docilmente dal padrone – sulle ginocchia.
“Ciao JJ!”
Clodagh rivolse un largo sorriso al collega, che ricambiò e rivolse loro un cenno appena prima che Alpine, scorto Asriel, saltasse sul pavimento e gli corresse incontro.
“Ciao bellissima.”
Ritrovando all’improvviso un po’ di buon umore, Asriel si inginocchiò sorridendo e diede delle carezze alla bella gatta bianca, che sollevò la testa e si lasciò grattare le orecchie soddisfatta mentre James li osservava sconsolato:
“Era troppo bello per durare… prima gli smile, ora la gatta, Asriel mi ruba ogni cosa.”
“Su, non è colpa sua questa volta, è Alpine che va da lui…”
Clodagh sedette accanto all’amico dandogli dei colpetti consolatori sulla spalla, e James annuì tetro mentre osservava la gatta fare le fusa ad Asriel.
Ruffiana di una gatta.

 
*

 
Elaine versò un po’ di tè nero nella tazza bianca che aveva davanti, aggiungendoci un goccio di latte prima di mescolarlo leggermente. Stava per prendere uno scone dall’alzatina per dolci che aveva davanti quando gli occhi chiari della strega indugiarono sulla ragazza che le sedeva di fronte.
Il sopracciglio destro di Elaine arrivò quasi a sfiorare l’attaccatura dei suoi capelli ramati quando si ritrovò a guardare, accigliata, May con il suo telefono stretto in una mano e l’altra, invece, impegnata a portarsi alle labbra tutte le cose più caloriche presenti sulla tavola elegantemente apparecchiata.
“Hai stretto un patto col diavolo?”
“Come?”
L’ex Grifondoro alzò lo sguardo dallo schermo del telefono – con il quale stava litigando incessantemente da quando si era svegliata – per rivolgere un’occhiata confusa ad Elaine, che parlò prima di portarsi la tazza alle labbra e scoccarle un’occhiata indagatrice.
“È  l’unica soluzione che mi viene in mente, vedendoti mangiare così tanto pur restando in forma perfetta.”
“Sai, me lo dice sempre anche mia madre. Ma è solo allenamento. Mai provato?”
Era una fortuna, per May, che la strega avesse sempre adorato l’attività fisica. Fin da quando era piccola sua sorella le aveva sempre chiesto dove trovasse l’energia per fare tutto quello sport, ma per lei non era mai stato un peso. E cosa più importante, poteva mangiare a volontà.
Posso farlo con le Jimmy?”
“Meglio di no.”
“Allora lascio l’allenamento a te. Sempre niente campo?”
La cantante appoggiò con delicatezza la tazza sul suo piattino e addentò lo scone prima di pulirsi educatamente le labbra con il tovagliolo candido, guardando May scuotere il capo sconsolata:
“No, niente. Dopo proverò ad andare fuori, volevo chiamare Pearl e farle gli auguri… e chiederle se Babbo Natale le ha portato tutti i regali anche se ha passato il Natale in un altro posto. Era preoccupata che lui non la trovasse.”
Un sorriso tenero incurvò le labbra dell’ex Grifondoro, come capitava sempre quando nominava la nipotina. Poteva solo sperare che il set di Barbie veterinaria e l’orso di peluche gigante avrebbero indotto la bambina a perdonarla per aver saltato il Natale.
“Ha già dato qualche segno? Di poteri magici, intendo.”
“No, non ancora. Mia madre è preoccupata che possa essere una Maganò, ma io continuo a dirle di non agitarsi. Sono sicura che Pearl sarà una strega brillante come sua madre.”
“È piccolina, c’è ancora tempo direi. Io non so di preciso quanto avessi al mio primo incantesimo… di sicurò avrà fatto impazzire mia madre con qualche guaio, anche se se fossi stata Maganò mi avrebbe defenestrata più rapidamente di Era con Efesto.”
May rise, ma Elaine non la imitò mentre prendeva un altro sorso di tè, scura in volto. Non era mai stata così seria in vita sua.

 
*
 

“James, no. Non faremo una battaglia a palle di neve. Abbiamo del lavoro da fare.”
Amareggiato, James infilzò un pezzo di pancake coperto di sciroppo d’acero borbottando che quel Natale si prospettava il più noioso di sempre mentre la faccina creata con lo sciroppo sul pancale lo guardava sorridente.
“Lavorare il 25 Dicembre dovrebbe essere contro la legge.”
“Disgraziatamente anche uccidere qualcuno è contro la legge, e tocca a noi occuparcene. E poi, se anche giocassimo ne uscireste terribilmente umiliati e voglio risparmiarvi la pena.”
Asriel si portò la tazza di caffè alle labbra per celare un sorriso soddisfatto mentre Clodagh, invece, gli scoccò un’occhiata eloquente da sopra una tazza di tè verde fumante:
“Oh, come sei magnanimo… Grazie Asriel. Pensi davvero che potresti battermi? Non credo proprio.”
“Ti prego, tu non porti i guanti, ti congeleresti le mani in mezzo minuto e poi diventeresti completamente inerme. Non farmi ridere.”
Asriel rivolse alla collega un sorrisetto che Clodagh non ricambiò, guardandolo torva mentre James spostava stupito lo sguardo da una collega all’altro:
“Non ti facevo un tipo competitivo, Asriel.”
Udendo quelle parole Clodagh rischiò di scoppiare a ridere e di mandarsi il tè di traverso, tossicchiando un paio di volte prima di rimettere la tazza al sicuro sul piattino e rivolgere un sorriso al più giovane:
“Dici così perché TU non hai frequentato l’Accademia insieme a lui, e forse non ricordi le mazzate che dava ai giocatori avversari durante le partite di Quidditch. Ascolta un consiglio, JJ. Non giocare mai con quest’uomo a Cluedo e non avvicinarti quando c’è un Bolide nei paraggi.”
Clodagh si era presto pentita di aver insegnato a giocare al suo collega: ogni volta in cui tiravano fuori il gioco da tavolo, la partita sfociava in litigate piuttosto accese.
“Ti rode solo perché perdi sempre, invidiosa!”
“Ma non farmi ridere, prima o poi riuscirò a provare che trucchi i dadi con qualche incantesimo.”
 
Impotente, James stava guardando i due colleghi discutere sulle partite passate – il giovane Auror si ripromise di non proporre mai a quei due di fare una partita a qualche gioco da tavolo – quando un cameriere raggiunse il tavolo. Tuttavia, invece di sparecchiare il ragazzo si chinò leggermente verso Asriel, mormorando qualcosa in tedesco che né James né Clodagh poterono comprendere.
L’uomo rimase impassibile mentre ascoltava, gli occhi chiari fissi davanti a sé prima di annuire, mormorare un “Danke” e infine lasciare il tovagliolo candido sul tavolo prima di alzarsi:
“Devo andare a parlare col capotreno. Cercate di non far saltare in aria niente, né di… natalizzare tutto e tutti prima che io ritorni. Ah, e dite a Elaine Fawley-Selwyn che voglio parlare con lei stamani.”
 
James e Clodagh guardarono il collega allontanarsi fino ad uscire dal vagone ristorante, salutando Lenox quando incrociò uscendo l’ex Tassorosso.
“Cosa pensi che debba dirgli?”
“Magari ci sono sviluppi… in ogni caso, lo scopriremo presto. Io vado ad informare la nostra celebrità.”
Vuotata la tazza con un’ultima sorsata di tè, Clodagh si alzò rassettandosi il maglione a trama natalizia e i corti capelli ramati prima di dirigersi verso il tavolo occupato da Elaine e da May.
Quando Clodagh si fermò davanti al tavolo entrambe le streghe sollevarono lo sguardo su di lei, ascoltandola senza dire nulla. Mentre Elaine, per nulla sorpresa, annuiva con un lieve cenno del capo lo sguardo di May scivolò alle spalle di Clodagh fino a posarsi su James, indirizzando all’Auror un sorriso e un complimento in labiale per il suo maglione.
James ricambiò il sorriso, sentendosi improvvisamente un po’ più allegro: finalmente qualcuno che condivideva il suo spirito natalizio!
 
 
*

 
Mon Dieu, vedo che non hai ancora abbandonato le tue vesti natalizie…”
Joyeux Noël anche a te, Coco. Visto e considerato che posso indossare questo maglione solo un paio di giorni all’anno, ne approfitto. Loki però ha distrutto il suo adorabile cappellino, quelle tristesse…”
Corinne alzò gli occhi al cielo, astenendosi dall’informare l’amica di comprendere pienamente i sentimenti del suo micio mentre chiudeva il libro che stava leggendo e lo appoggiava su un lato del tavolo.
L’espressione affranta di Clara – che aveva impiegato giorni di assidua ricerca per trovare un cappello da Babbo Natale formato mignon per il suo Loki – tuttavia si rasserenò in fretta: lei e Corinne avevano appena ordinato quando Prospero e Delilah, passando loro accanto dopo aver fatto colazione, si complimentarono con la strega per il suo maglione.
Clara sorrise, improvvisamente di buon umore, ringraziandoli prima di tornare a rivolgersi all’amica con un aria soddisfatta:
Merci! Visto, Coco? Les anglais apprezzano i gatti natalizi, a differenza tua.”
“Io vorrei solo poter scendere dal treno e fare una passeggiata… e comprare delle dannate sigarette. Le sto quasi finendo, e non va affatto bene!”
Innervosita a causa delle sigarette sempre più sporadiche che poteva concedersi – temendo di finire le scorte prima di giungere a Nizza, Corinne stava razionando sempre di più le sue preziose Gauloises Blondes Bleues – Corinne giocherellò nervosamente con una manica della camicia bianca che indossava mentre Clara, sedutale di fronte, osservava distrattamente fuori dal finestrino.
“Un giorno senza quello schifo potrà solo farti bene.”
“Facile dirlo per una che non ha mai fumato in vita sua…”
“E ne vado anche fiera.”
“Beh, ti avviso che potrei diventare vagamente intrattabile, forse entro la fine del viaggio rimpiangerai le mie sigarette.”


Le due streghe stavano facendo colazione quando un cameriere, appena entrato nel vagone ristorante, si avvicinò ad Asriel per parlargli in tedesco a bassa voce.
Corinne non era mai stata tipo da origliare le conversazioni altrui: lo aveva sempre trovato terribilmente maleducato, nonché di pessimo gusto. Tuttavia, la mattina di quel particolare Natale l’ex fantina si ritrovò ad infrangere una delle sue regole: stava imparando il tedesco, e sedendo nel tavolo davanti a quello occupato dagli Auror non fu difficile cogliere alcune delle parole che il giovane cameriere rivolse ad Asriel, che sedeva dandole le spalle.
La strega si bloccò sulla sedia tenendo la tazza di caffè a mezz’aria, la testa leggermente ruotata per sentire meglio.
“Coco? Che succede?”
Corinne non rispose, restando perfettamente immobile e in ascolto di quella brevissima conversazione. Quando Asriel ringraziò il cameriere e si alzò in piedi la francese si affrettò a rimettersi dritta sulla sedia, rivolgendosi nuovamente ad una Clara sempre più confusa.
La bionda aspettò che Asriel se ne fosse andato e che Clodagh si fosse alzata per andare verso un altro tavolo, poi si sporse leggermente verso Clara per mormorare qualcosa in francese:
Credo che sia arrivato qualcosa che ci riguarda.”
“Intendi informazioni su di noi?”
Dovranno pur confermare ciò che gli abbiamo detto. C’è da chiedersi quanto a fondo riusciranno a scavare.”
Corinne si rimise seduta dritta sulla sedia con un sospiro, rigirandosi nervosamente il braccialetto d’oro bianco che portava al polso sinistro mentre Clara, deglutendo, spostava lo sguardo dall’amica fino a Clodagh, che stava parlando con Elaine.

Merde
 

 
*

 
Quella mattina Renée aveva lasciato la sua cabina ed aveva varcato la soglia del vagone ristorante più tardi del solito: la notte precedente non aveva quasi chiuso occhio, ed alzarsi presto le era risultato praticamente impossibile.
Elaine e May dovevano aver già fatto colazione, perché l’ex Grifondoro non le trovò nel vagone ormai quasi vuoto, tanto che un paio di camerieri stavano mettendo a posto alcuni tavoli chiacchierando a bassa voce.
Seduta vicino al finestrino, la strega bevve il suo tè pensando alla sua famiglia – era pur sempre Natale, e di sicuro sua madre si stava già adoperando per il pranzo costringendo i suoi fratelli ad apparecchiare e a mettere in ordine – e in particolare a sua sorella maggiore Corinne. Dire che le due non avevano un buon rapporto sarebbe stato un eufemismo, ma aveva comunque mandato una lettera a casa – storcendo il naso quando gli Auror avevano voluto leggerla prima che venisse spedita – per informare la sorella che Alexandra Sutton era deceduta.
Le due si conoscevano molto bene, e si chiese come l’avrebbe presa sua sorella.
Dubbiosa, Renée lanciò un’occhiata in tralice ai camerieri che chiacchieravano con fare concitato, come se si stessero scambiando informazioni importanti. Mai come in quel momento si pentì di non aver studiato tedesco: aveva la netta sensazione che qualsiasi cosa fosse successa riguardasse lei e gli altri passeggeri.
 

 
*

 
“Hans, Caspar, finitela di giocare, sapete che dobbiamo mettere a posto in fretta per lasciare posto agli Auror.”
Il bonario rimprovero di Ruven – visto che era Natale aveva deciso di essere più buono del solito, anche se minacciato tutti di morte quando i camerieri gli avevano proposto per scherzo di mettere un cappello da Babbo Natale al posto della sua solita bandana nera – non sembrò colpire particolarmente i due camerieri, che avevano riportato in cucina vassoi pieni di stoviglie sporche per poi iniziare a lanciarsi i bicchieri da lavare da una parte all’altra della cucina.
“Scusi chef. E oggi avranno anche parecchio da fare.”
Mentre prendeva un vassoio per iniziare a riempire la lavastoviglie, Hans rivolse al collega un sorriso complice che Ruven, non riuscendo ad interpretare, accolse aggrottando confuso la fronte:
Che cosa intendi? Hans, parla, non fare il furbo con me, lo sai come va a finire.”
Preferendo vuotare il sacco piuttosto che pulire la cucina da cima a fondo da solo – per di più senza magia – il ragazzo si affrettò a parlare:
Prima Johann è stato fermato dal capotreno, gli ha chiesto di dire qualcosa all’Auror. Pare che sia arrivato qualcosa per gli Auror dall’Inghilterra. Qualcosa che riguarda l’omicidio e i sospettati.”
In condizioni differenti Ruven avrebbe sbuffato e rimproverato il cameriere per aver origliato, ricordandogli che in sala doveva fare il suo lavoro e non ascoltare le conversazioni altrui. In quel preciso istante, tuttavia, il pensiero non lo attraversò neanche lontanamente.
Lo chef s’irrigidì, quasi impallidendo mentre spalancava gli occhi color verde chiaro. Caspar, in piedi accanto a lui, guardò il superiore con leggera preoccupazione prima di chiedergli se si sentisse bene.
Benissimo. Datevi una mossa a finire, tra mezz’ora voglio che tutto sia in ordine, fatemi risparmiare le lamentele degli Auror.”
Ridestandosi e cercando di contenere il nervosismo, Ruven girò sui tacchi e uscì dalla cucina in fretta e furia, camminando a passo spedito verso la cabina che condivideva con alcuni degli altri inservienti mentre si sbottonava nervosamente la casacca da chef.
Che cosa poteva essere arrivato dall’Inghilterra che riguardava l’omicidio, se non informazioni utili al caso? Nella migliore delle ipotesi si trattava di informazioni sulla vittima, nella peggiore gli Auror avevano fatto in modo che qualche loro collega indagasse sul conto dei presenti sul treno.
Avrebbe pagato fiumi di galeoni, tutto ciò che guadagnava in mesi e mesi di lavoro, per mettere le mani su ciò che era arrivato quella mattina. E all’evenienza far sparire qualsiasi cosa che avrebbe potuto metterlo in cattiva luce.

 
*

 
Halleluja, il Dipartimento è riuscito a mandarci qualcosa su queste persone… se la sono presa comoda. C’era anche un biglietto dove Collins ha scritto che manderanno altre informazioni il prima possibile.”
Asriel varcò la soglia della cabina dopo che Clodagh aveva aperto la porta con la magia, uno scatolone di cartone tra le braccia.
“Via, è pur sempre Natale… e non era una distanza da poco. Quei poveri gufi erano stremati.”
La strega lo seguì con la bacchetta in mano e un lieve sorriso sulle labbra, guardando il collega lasciare il pacco sul letto prima di voltarsi verso Geraldine e osservare ciò che avevano scritto e appuntato fino a quel momento.
Natale un cavolo, noi siamo bloccati qui mentre Potter e Weasley, ieri sera, si abbuffavano di lasagne. Li esamineremo dopo, prima voglio parlare con la cantante.”
“Stanno sgomberando il vagone ristorante, a breve potremo iniziare. Pensi che leggere questa roba ci aiuterà?”
L’ex Tassorosso diede le spalle alla lavagna per avvicinarsi al letto, accennando alla scatola mentre Asriel osservava il pacco speranzoso:

“È quello che spero. James dov’è?”
“Si è fermato a chiacchierare con May Hennings.”
“Tipico, quel ragazzo sarebbe capace di attaccare bottone anche con la maniglia di una porta. Dai, andiamo, se non ci muoviamo passeremo qui anche il prossimo Natale.”
Asriel si diresse verso la porta della cabina infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni grigi, e Clodagh lanciò un’ultima occhiata allo scatolone prima di seguirlo abbozzando un sorriso:
“Finiremmo le scorte di cibo ben prima.”
“Tanto peggio per voi allora, sai come divento quando non mangio.”
“Allora sarà meglio risolvere il caso in fretta, prima che questo treno si trasformi in uno scenario da film dell’orrore. Sono davvero curiosa di sentire che cos’ha da dire quella ragazza.”
“Perché?”
Mentre sigillava la serratura con un Colloportus non verbale, Asriel volse lo sguardo sull’amica per lanciarle un’occhiata pregna di curiosità, guardandola alzare gli occhi al cielo prima di sospirare:
“Ma non li leggi, i giornali?”
“Certo, ma non perdo tempo sugli articoli di gossip, e non sono un patito di lirica.”
“Beh, capita spesso che scrivano su di lei, è una delle vittime preferita di quella deficiente della Skeeter…”
Nel pensare a quella donna, Asriel sentì chiaramente un conato di vomito risalirgli la gola, ma fece del suo meglio per non pensare a quella palla al piede che era solita scrivere di lui evidenziando i suoi addominali e la sua faccia anziché i suoi successi professionali.
“… ma in realtà di quella strega e della sua vita privata da qualche anno a questa parte non si sa quasi niente, pare sia riservatissima. Assolutamente niente, da quando ha lasciato Hogwarts.”
“In tal caso, andiamo a farci un po’ di affari altrui.”
 

 
*

 
Quando Lenox era uscito per fumare una sigaretta si era imbattuto in Corinne e Clara, che stavano discutendo fitto fitto in francese mentre la bionda – che evidentemente non aveva saputo resistere dopo la notizia appresa quella mattina – stringeva una sigaretta tra le dita.
Dopo aver rivolto alle due streghe un educato cenno, il mago aveva tirato fuori il suo zippo d’argento dalla tasca interna della giacca e aveva acceso una sigaretta a sua volta, in piedi ad un paio di metri di distanza dalle due passeggere.
Certe di poter conversare indisturbate, Corinne e Clara parlavano senza curarsi particolarmente della presenza di Lenox, gesticolando e, nel caso della bionda, agitando nervosamente di tanto in tanto la mano che teneva la sigaretta tra una boccata e l’altra.
Non era abitudine di Lenox origliare, nel modo più assoluto, ma a causa della vicinanza non poteva fare a meno di sentire che cosa le due si stessero dicendo, e né Clara né Corinne potevano immaginare che il mago comprendesse ogni singola parola grazie a suo nonno, che da fiero canadese aveva insistito per insegnargli il francese.
 
“Che cosa gli hai detto, di preciso? È importante.”
“Gli ho detto dell’incidente di mio fratello, del perché ho cambiato lavoro… non gli ho detto della causa.”

“Non gli hai detto della causa?!”
“Non gli ho detto che era coinvolta lei. Mi hanno chiesto se la conoscessi e ho detto di no.”
“In pratica hai mentito.”

“Non ho propriamente mentito, in fondo non la conoscevo personalmente… ho omesso di averci indirettamente avuto a che fare, questo sì. Merde…”
Sbuffando, Clara colpì nervosamente la sbarra di metallo a cui era appoggiata mentre Corinne, sospirando, annuiva:
“Puoi ben dirlo, mon amie. Avresti dovuto dire la verità.”
“E così chissà che cosa avrebbero pensato! Tu che cosa hai detto?”
“Non potevo mentire sulla mia relazione con Alexandra… sono famosa in Francia e di noi si parlò per giorni, ci avrebbero messo cinque minuti a scoprirlo. No, ho detto la verità. Potrei non aver citato proprio tutte le conseguenze di quelle sue stupide confessioni alla stampa, ma non credo sia troppo grave.”
“Coco, sei stata insieme a lei. Non sono pratica di indagini per omicidio, ma oserei dire che la cosa ti mette automaticamente al primo posto nella lista dei più sospettabili.”
“Lo so, per questo non ho mentito, sono già in una posizione di merda. Puoi solo sperare che non scoprano di tuo fratello e di Alexandra, Clara.”
 
Pochi minuti dopo, quando le due rientrarono sul treno, Lenox le seguì brevemente con lo sguardo stringendo la sigaretta tra le dita. Gli occhi chiari fissi su Corinne, si chiese quasi con una nota di disgusto come si potesse aver amato quella donna. Quando aveva sentito la strega citare la sua relazione con Alexandra aveva dovuto fare del suo meglio per mascherare la sorpresa, o avrebbero capito che aveva compreso tutto ciò che si erano dette. Pensando invece a ciò che aveva detto l’altra strega, Lenox non poté fare a meno di chiedersi quante famiglie avesse rovinato, oltre alla sua.

 
*

 
“Signorina Fawley-Selwyn…”
“Può chiamarmi Elaine.”
Seduta compostamente sulla sedia davanti al tavolo occupato dagli Auror, Elaine parlò stringendo le mani in grembo, le gambe accavallate e ricambiando placidamente lo sguardo di Asriel, per nulla a disagio dalla situazione e perfettamente in ordine come sempre.
L’Auror esitò, titubante – non era solito chiamare le persone con cui aveva a che far per lavoro per nome, ma trattandosi di una richiesta esplicita doveva fare un’eccezione – ma infine annuì e riprese a parlare con calma:
“D’accordo. Che cosa l’ha portata su questo treno, Elaine?”
“Avrei dovuto raggiungere mio zio per passare il Natale insieme. Vive vicino a Nizza, è francese. Se volete potete verificare scrivendogli.”
“E che cosa ci faceva a Berlino?”
“Un concerto al Staatsoper Unter den Linden, l’ultimo prima delle feste, per me.”
“Questo è un periodo strano per non lavorare per un’artista.”
Come sempre, Elaine non si scompose, limitandosi ad una stretta di spalle appena accennata mentre si sfiorava la lunga ed elaborata treccia alla francese che le ricadeva sulla spalla destra con le dita smaltate di rosso.
“Ho promesso a mio zio che sarei stata con lui e che mi sarei presa una breve pausa. Lui ha solo me.”

 
*

 
“Mamma, mi vergogno. Non credo di volerlo fare… e se sbaglio una nota?”
“Motivo in più per non sbagliare, Elaine. Pensa alla figura che ci faresti fare!”
Seduta davanti alla toeletta bianca della sua enorme camera, Elaine si stava facendo pettinare i capelli dalla sua Elfa, Wonky, mentre guardava nervosamente la madre attraverso lo specchio ovale che aveva davanti agli occhi. Elaine aveva preso lezioni di piano, di canto e di danza fin da piccolissima per volere della madre, e anche se la bambina apprezzava moltissimo la musica e adorava esercitarsi e prendere lezioni, si sentiva sempre molto a disagio quando i suoi genitori la facevano esibire davanti ai loro amici, tutti pronti ad applaudirla tanto quanto a giudicarla.
Quando Juliet lasciò la sfarzosa stanza della figlia per andare a controllare che la sala da pranzo fosse in ordine, Elaine si rivolse con un sospiro carico di nervosismo all’Elfa mentre faceva dondolare ritmicamente le gambe dallo sgabello imbottito e si tormentava l’orlo del vestitino rosso.
“Wonky, secondo te sarò brava?”
“Certo Signorina, lei è bravissima!”
“Vorrei almeno che ci fossero gli zii, loro sono così gentili. Ma la mamma non li invita mai. Tu sai perché non vuole bene a zia Theodora?”
La bambina si girò, stringendo lo schienale della sedia per poter guardare l’Elfa Domestica negli occhi. La Creatura, spiazzata da quella domanda, si dondolò avanti e indietro e si guardò nervosamente attorno – appurando che la madre della bambina era uscita dalla stanza e non a portata d’orecchio – prima di sussurrare qualcosa alla padroncina:
“Perché… Perché il Signor Duplessis è Mezzosangue, Signorina Elaine.”
“Che cosa vuol dire?”
“Che non ha tutti e due i genitori maghi e Purosangue. Non come lei, Signorina Elaine, e non come sua madre e sua zia. I suoi nonni non ne furono molto contenti, no no.”
“Ma la mamma dice che è importante sposare un uomo ricco e lo zio è ricco. Non va bene comunque?”
La bambina spalancò innocentemente gli occhi verdi, chiedendosi quanti requisiti dovesse quindi avere un uomo per andare bene a sua madre. Di sicuro, considerato il carattere di suo padre, Elaine constatò che la simpatia non rientrava nella lista.
“No Signorina Elaine, per questo ai suoi genitori non piacciono molto i suoi zii. Ma non dica a sua madre che glie l’ho detto!”
Sorridendo, Elaine giurò all’Elfa che avrebbe mantenuto il segreto e che non sarebbe stata punita. Mentre l’affezionata Wonky finiva di acconciarle i capelli rossi in una treccia a corona, Elaine osservò la propria immagine riflessa nello specchio chiedendosi che cosa avesse di sbagliato lo zio Armand.
Lei gli voleva bene, e del suo sangue non le era mai importato. Come a sua zia Theodora.
 
 
*

 
“Deve averle dato parecchio fastidio restare bloccata qui per Natale, in tal caso.”
All’improvviso, l’espressione della strega si fece più seria, quasi accigliata, e l’ex Tassorosso annuì mentre cercava di non pensare all’amato zio costretto a trascorrere le feste da solo per la prima volta.

“Infatti, sì. Spero che riusciate a venirne a capo in fretta.”
“Si fidi, è quello che speriamo anche noi. Potrebbe darci il nome di suo zio e il suo indirizzo, così possiamo contattarlo?”
“Armand Duplessis. È… era il marito della sorella di mia madre.”

 
*

 
Elaine Fawley-Selwyn trascorse la sua prima sera ad Hogwarts nascosta dietro le tende di quello che sarebbe stato il suo letto a baldacchino per i successivi sette anni. Un foglio di pergamena davanti e una penna in mano, la giovanissima strega scriveva quasi in lacrime una lettera indirizzata a sua zia materna Theodora e a suo marito Armand.
Sentiva le voci allegre delle sue compagne, tutte impegnate a commentare la stanza, la Sala Comune e a chiedersi che cosa avrebbero imparato durante le primissime lezioni del giorno successivo. La piccola Elaine, invece, si sentiva tutto fuorché emozionata: era arrivata al castello di cui aveva tanto sentito parlare piena di meraviglia nei grandi occhi chiari, ma al momento dello Smistamento si era letteralmente sentita morire dentro.
Il Cappello Parlante l’aveva tenuta inchiodata su quello sgabello per quelle che alla giovane strega erano sembrate delle eternità, anche se una sua compagna le aveva giurato che fossero stati solo cinque minuti, che era comunque un arco di tempo non indifferente per gli standard dello Smistamento. Elaine aveva sperato che il Cappello decidesse di smistarla a Corvonero, visto che era indeciso tra quella Casa e Tassorosso, ma alla fine aveva optato per la Casa di Tosca.
Impassibile e celando il suo sgomento, la ragazzina si era sfilata il Cappello dalla testa e poi aveva raggiunto la tavolata senza udire gli applausi: l’unica cosa che la strega sentì furono le voci dei genitori, che di certo non avrebbero gradito la notizia.
Quando sua madre, giorni prima, aveva espressamente dichiarato di rifiutarsi di pensare alla sua unica figlia tra i Tassorosso, Elaine si era rivolta a sua zia Theodora chiedendole che cosa avesse quella Casa di così sbagliato. Il marito della zia aveva studiato a Beauxbatons, quindi la donna era l’unica a cui la piccola Elaine poteva permettersi di chiedere tutto ciò che le passava per la testa senza preoccuparsi del giudizio dei genitori. Theodora aveva riso e le aveva assicurato che fossero tutte inutili paranoie dei suoi genitori e che ogni Casa fosse splendida, ma Elaine non ne era così convinta.
Nella lettera, Elaine comunicò agli zii l’esito dello Smistamento chiedendo loro di non dire nulla ai suoi genitori. Non aveva nemmeno bisogno di chiedere a sua zia se pensava che sua madre sarebbe stata delusa dalla notizia, perché Juliet glielo aveva espressamente detto prima di vederla partire per Hogwarts.
Ci sarebbero volute settimane prima che Elaine, dopo essersi ritrovata costretta a dirlo ai suoi genitori, si rendesse conto che appartenere a quella Casa non aveva nulla di sbagliato. C’erano molte persone gentili che condividevano il Dormitorio e la Sala Comune con lei. In fondo, i Tassorosso non sembravano poi così male.
 
 
*

 
“Conosceva la vittima?”
“Ci ho avuto a che fare, ma non la conoscevo bene. Me la ricordo bene a scuola, ma non siamo mai state amiche. Onestamente, non credo che io le piacessi molto, all’epoca.”
E la cosa era reciproca, pensò la strega accennando una smorfia appena percettibile con gli angoli delle labbra carnose.

“E perché mai?”
“Se ha conosciuto anche vagamente Alexandra sa quanto fosse egocentrica. Convinta che tutto e tutti dovesse sempre ruotare attorno a lei. Mi prese in antipatia perché convinta che io “la copiassi” o una stupidaggine simile.”
“Ed era vero?”
Alla domanda di Asriel Elaine si accigliò, guardandolo come se improvvisamente si sentisse offesa:
“Merlino, no. Io non tratto le persone come faceva lei, Signor Morgenstern. Il fatto che anche io fossi una persona sicura di me non implica che io “la copiassi”.”

 
*
 
 
Per tutti gli anni che lei e Alexandra condivisero ad Hogwarts, la giovane Tassorosso non si avvicinò mai alla Grifondoro, più grande di lei di ben tre anni. Se fin dai primi, difficili mesi di scuola Alexandra aveva colpito la giovane strega, Elaine si era sempre sentita frenata dall’avvicinarsi a lei. C’era qualcosa, a pelle, che della bella Grifondoro non la convinceva.
Ciononostante, Elaine non poteva fare a meno di ammirare da lontano il carattere forte della compagna, e sopra ad ogni cosa la sua evidente sicurezza in se stessa. Lei, che si era sempre sentita fuori posto per colpa dei suoi genitori e del modo in cui era stata cresciuta, non poteva che invidiarla.
“Hai sentito della lite tra la Sutton e Jennifer Bailey? Pare che Jennifer l’abbia chiamata… beh, hai capito, e lei le ha gettato la borsa giù dalle scale… al terzo piano!”
Elaine vagava per gli scaffali della Biblioteca alla ricerca di un volume per un compito di Pozioni mentre May, seguendola passo passo, bisbigliava concitata.
“E tu le hai viste?”
Incuriosita dalla faccenda – e in parte sicura che Alexandra si fosse meritata l’insulto, anche se ammirava il modo in cui la Grifondoro aveva reagito senza farsi mettere i piedi in testa – Elaine si fermò in mezzo al reparto dedicato alle pozioni e rivolse un’occhiata carica di curiosità a May, che però scosse la testa con un debole sbuffo:
“Purtroppo non ero nei paraggi, me l’ha detto mia sorella! Mi sarebbe piaciuto assistere, ne parlano tutti.”
Elaine non ebbe modo di rispondere, perché un’irritata Madama Pince le zittì con la più gelida delle occhiate quando passò davanti agli scaffali dove le due giovani streghe si erano fermate. Abbozzato un timido sorriso di scuse in direzione della bibliotecaria, Elaine tornò a rivolgersi all’amica mentre si alzava in punta di piedi per cercare di prendere il libro che cercava.
“Non mi piace molto quella ragazza, non è affatto gentile.”
“No, è vero. Però vorrei avere il carisma e la sicurezza che ha lei.”
May parlò con un sospiro cupo e l’amica annuì, mordendosi al contempo in labbro inferiore mentre si sforzava di prendere il libro. Dopo diversi sforzi la ragazzina riuscì a tirarlo giù dallo scaffale, sorridendo sollevata prima di tornare a rivolgersi all’amica:
“Hai ragione, ma tu non hai niente da invidiarle. Io, casomai, sono un mezzo disastro…”
Mentre tornavano al loro tavolo, May rimproverò l’amica intimandole di non essere così dura con se stessa. Elaine ascoltò distrattamente le parole della Grifondoro pensando invece ad Alexandra: era vero che non le ispirava particolare fiducia, ma era anche vero che per certi versi le sarebbe piaciuto essere come lei.
 
 
*


“L’ha vista, quando è salita sul treno?”
“Sì, a cena. Non ci siamo rivolte la parola, i camerieri possono confermarlo.”
“Lei viaggia in I classe, come la vittima. Ha sentito niente, durante la notte?”
“Mi risulta difficile dormire in treno, e credo di aver sentito delle porte che si aprivano e chiudevano, ma non so dire se fosse la porta della sua cabina, in I classe alloggiano anche Renèe e la Signorina Leorux. E voi.”
“Che ora era?”
“Non molto tardi, prima di mezzanotte.”

 
*

 
Negli anni trascorsi ad Hogwarts Elaine si sentì, per la prima volta, libera di essere se stessa al 100%. Lontana dagli sguardi e dai giudizi dei suoi genitori, che non le avevano mai fatto mancare nulla – fuorché un affetto sincero – ma che l’avevano sempre fatta sentire fuori posto, iniziò a maturare una crescente disinvoltura e sicurezza in se stessa. Forse in parte era stata effettivamente la figura di Alexandra ad ispirarla, ma Elaine continuò a tenersene a debita distanza.
Per Julius e Juliet, aridi di sentimenti, la loro unica figlia era stata per lo più qualcosa da esibire, e da piccola Elaine si era sempre detta che se si fosse comportata bene e se fosse stata una “brava bambina” si sarebbe guadagnata un sorriso, un abbraccio e il loro affetto. Era ormai entrata nell’adolescenza quando la giovane strega si rese conto che non avrebbe mai potuto riuscire in quell’impresa: poteva essere perfetta ed eccellere in qualsiasi cosa, ma i suoi genitori non l’avrebbe mai apprezzata e amata come era invece per i suoi zii, o per i genitori delle sue amiche che inviavano loro decine di lettere ogni anno e che le accoglievano a braccia aperte di ritorno dalle vacanze – che lei spesso e volentieri trascorreva in Francia con i suoi zii –.
Giunta al quarto anno ad Hogwarts, i suoi genitori iniziarono a parlarle di matrimonio. Elaine di sposarsi non ne voleva sapere, tantomeno con qualcuno scelto dai suoi genitori. Scartando e ignorando un ragazzo dietro l’altro, la giovane e sempre più bella strega ribadiva a se stessa che se mai si sarebbe sposata lo avrebbe fatto solo per amore, come sua zia Theodora. Sua madre si compiaceva sempre di più della bellezza della figlia e Elaine era perfettamente consapevole che per i suoi genitori lei rappresentava solo un proficuo investimento.
Fu sua zia l’unica a vera figura materna nella vita di Elaine, e fu Theodora a farle conoscere e apprezzare la musica lirica.
Compiuti i 17 anni e tornata a casa per le vacanze di Natale durante il suo ultimo anno ad Hogwarts, Elaine si decise a comunicare ai suoi genitori la sua volontà di intraprendere una carriera nel mondo Babbano, creando il punto di rottura definitivo con Julius e Juliet.
A seguito di una furiosa litigata come mai se ne erano sentite dentro quelle mura, Elaine ricordò a suo padre che era maggiorenne, che le sue minacce di diseredarla non la spaventavano e che avrebbe fatto della sua vita ciò che desiderava. Giunta nella sua stanza, la strega si chiuse la porta alle spalle lasciandosi indietro le urla furiose di Julius e trascinò il baule già pronto fuori da sotto il letto.
“Wonky!”
L’Elfa apparve nella stanza mentre Elaine prendeva la sua bacchetta, riponendola con cura in tasca prima di rivolgersi alla Creatura quasi tremante e con i grandi occhi verdi fissi su di lei:
“Sì, Signorina?”
“Wonky, io me ne vado stasera, volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me. Ma non meriti di restare a farti maltrattare dai miei genitori, quindi…”
La strega afferrò uno dei due guanti bianchi di velluto che aveva appositamente lasciato sul comodino, inginocchiandosi e porgendone uno all’Elfa sotto i suoi occhi increduli:
“Se lo desideri, da stasera sarai libera anche tu. E mi renderesti davvero molto felice se accettassi di venire con me. Da Elfa libera, ovviamente.”
“Ma Signorina… Lei… Lei non può dire sul serio.”
“Certo che dico sul serio. Lo avrei fatto anni fa, ma ti voglio bene e egoisticamente non volevo che mi lasciassi.”

Elaine accennò un sorriso di scuse all’Elfa, che guardò incredula il guanto che la strega le porgeva prima di allungare una mano tremante e prenderlo timidamente.
“Se mi vuole Wonky viene con lei, Signorina.”
“Meraviglioso. Grazie, Wonky. Andiamo.”
Sorridendo soddisfatta, Elaine si rimise in piedi e porse una mano all’Elfa mentre con l’altra afferrava il manico del baule. Stringendo il guanto bianco a sé come se si fosse trattato di un tesoro inestimabile, la creatura le strinse delicatamente la mano prima di lanciarle un’occhiata apprensiva:
“E dove andiamo, Signorina?”
“In Francia, Wonky. E appena arriviamo ti farò avere dei vestiti veri, ovviamente.”

 
*
 
 
“Ha avuto a che fare con la vittima dopo il suo diploma ad Hogwarts?”
“Non l’ho vista letteralmente per anni. L’ho incrociata in tribunale, in qualche occasione… tempo fa era impegnata in un processo che ha coinvolto parte della mia famiglia.”
“I suoi genitori?”
“Mio zio e mia zia. Non vedo i miei genitori da anni. Mio zio intentò una causa contro un medico accusandolo di negligenza durante un ricovero e lei lo difese.”
Di quella storia, Elaine non ne aveva praticamente mai parlato ad anima viva. Riportare a galla il periodo più difficile della sua vita fu quasi più doloroso di quanto non si fosse aspettata, ma si impose di darsi un tono e di non far trasparire il disagio che provava: era consapevole di dover parlare della sua famiglia durante l’interrogatorio, e si era ripetuta più volte di non fare scenate.
Se c’era una cosa che la sua anaffettiva madre le aveva insegnato e che le era tornato utile quando era diventata una celebrità, era proprio questa: tenersi tutto dentro.

 
*

 
Non ci vollero molti anni perché Elaine e la sua voce diventassero famose in Inghilterra, in Francia e poi lentamente in buona parte d’Europa. Sul palco, il giovane talento scrutava sempre la platea prima di iniziare, cercando i volti dei suoi zii. Quando scorgeva Armand e Theodora sorriderle, Elaine scordava l’ansia, il nervosismo e come quando era bambina si imponeva di non pensare a tutte quelle paia d’occhi su di sé.
Forse, guardandosi indietro, costringerla ad esibirsi per renderla un trofeo era l’unica cosa di cui doveva essere grata ai suoi genitori: se non altro quelle serate l’avevano temprata a dovere.
 
“Sei stata meravigliosa, mon amour!”
Dopo averle depositato un enorme mazzo di gigli tra le braccia Armand le aveva stretto le spalle e le aveva scoccato il tipico doppio bacio alla francese sulle guance, facendo sorridere la giovane cantante:
“Merci zio.”
“Assolutamente meravigliosa. Siamo davvero molto fieri di te, tesoro.”
Il turno di abbracciarla e di farle i complimenti era poi stato di sua zia, che le aveva sorriso pronunciando parole che mai Elaine rammentava di aver udito dai suoi genitori.
“Grazie. Andiamo a cena? Muoio di fame, prima di esibirmi non mangio per il nervosismo.”
“Una cena mi sembra il minimo che possiamo offrirti, dopo questa esibizione. Ma sai che non approvo questi digiuni, tesoro, prima dei concerti dimagrisci troppo.”
Elaine incassò l’occhiata di rimprovero di Theodora sfoggiando un sorriso di scuse mentre Armand, prendendola sottobraccio, asseriva che avrebbero risolto il problema costringendola ad una cena di tre portate.
Vivendo con gli zii e viaggiando insieme a loro e a Wonky per l’Europa per i suoi concerti, quelli furono senza dubbio gli anni più felici della vita di Elaine. All’epoca la ragazza di certo non avrebbe potuto immaginare quanto poco sarebbe durata quella vita praticamente perfetta.
 

*

 
“Vinse la causa?”
“Non esattamente, l’imputato accettò di patteggiare. Credo che lei la reputasse una delle più grandi delusioni della sua carriera. Prima che me lo chieda, no, non ho avuto stretti contatti con lei in quel periodo. La vedevo in aula, nulla di più, non le ho nemmeno mai rivolto la parola. Dalla fine del processo non l’ho rivista fino a qualche giorno fa, sul treno.”
Quando Elaine finì di parlare Asriel la osservò, cercando di cogliere qualche segnale paralinguistico che potesse suggerire che la strega stesse mentendo ma che, tuttavia, non si palesò. La strega si limitò a ricambiare il suo sguardo, impassibile e perfettamente calma senza lasciar trasparire il minimo segnale di disagio.
“Può, andare. Per ora non ho altro da chiederle.”
 
Elaine aveva appena lasciato il vagone ristorante quando Clodagh, che era rimasta in religioso silenzio fino a quel momento stringendo le braccia al petto e osservando attentamente l’interrogata, parlò osservando pensierosa la sedia lasciata vuota dalla strega:
“Mi è venuta in mente una cosa.”
“Ovvero?”                                                                                   
“La cabina di Alexandra era abbastanza in disordine, no? Come se qualche incantesimo fosse stato scagliato nella stanza, prima che lei morisse…. Sappiamo che è stata uccisa per mano della sua stessa bacchetta, quindi prima dev’essere stata disarmata, probabilmente Alexandra e il colpevole hanno lottato.  Come è possibile che nessuno abbia sentito nulla, con tutta la confusione che c’è lì dentro? Nemmeno voi, che dormivate lì vicino.”
“Magari il colpevole ha usato un incantesimo per insonorizzare la cabina non appena è entrato.”
Dubbioso, James volse lo sguardo su Asriel per sentire che cosa ne pensasse il collega, che tuttavia si limitò a sospirare e a rigirarsi distrattamente una penna tra le dita:
“Questa è una fantastica domanda. Disgraziatamente, se conoscessi la risposta probabilmente avrei già chiuso il caso.”
 

*

 
In aula, Elaine sedeva vicino a suo zio. La strega gli stringeva la mano per dargli conforto, ma i suoi occhi chiari erano fissi davanti a sé, indugiando sul tavolo a cui sedeva l’imputato. L’uomo le dava le spalle e Elaine poteva solo osservarne la nuca coperta da folti capelli scuri e il profilo quando si voltava per avvicinarsi e scambiare qualche parola con il suo avvocato.
Alexandra si scostava i capelli quando si chinava verso il suo cliente, gettandoseli sulla spalla sinistra e permettendo così ad Elaine di poterla osservare meglio.
Avrebbe voluto alzarsi, chiederle davanti a tutti quanto era disposta a scendere in basso e a farsi pagare pur di difendere persone orribili. Non era la prima volta, e di certo nemmeno l’ultima, Elaine lo sapeva. Invece Elaine restava seduta, impassibile, lo sguardo gelido fisso su quelle persone per non lasciare la mano tremante di suo zio.
 

*

 
Delilah si annoiava, e dopo aver ponderato attentamente sul da farsi aveva deciso di ripiegare su uno dei suoi più antichi passatempi: andare a disturbare il suo migliore amico.
Ferma davanti alla porta della cabina di Prospero, la strega bussò un paio di volte prima di aprire la porta udendo l’invito dell’amico. Sbuffando debolmente, la fotografa stava per implorare l’amico di fare una partita a Spara Schiocco per salvarla dalla noia quando i suoi occhi scivolarono su ciò che Prospero, seduto sul suo letto, stringeva tra le mani.
“RO! Ti sei completamente ammattito? Cosa stai facendo?”
“Sto… pulendo le mie cose. È un problema per te?”
Accigliato, Prospero lanciò un’occhiata stranita all’amica mentre Delilah, in piedi sulla soglia della cabina, spostava allibita lo sguardo dal viso del ragazzo al coltello d’argento che teneva in mano e che stava lucidando con un panno.
“Stanno indagando su un omicidio e tu vai in giro a lucidare coltelli? Idiota!”
Ripresasi dallo sconcerto, Delilah si avvicinò all’amico per strappargli il coltello dalle mani stringendone il manico d’avorio. Prospero, incrociando le braccia al petto, sospirò esasperato prima di alzare lo sguardo e incrociare così quello torvo della strega:
“Non me ne sto “andando in giro”, sono nella mia cabina. E ti ricordo che la Sutton è stata uccisa da un incantesimo, non a coltellate. Non c’è nessuna arma del delitto da cercare, qui. Se anche gli Auror dovessero vedermi a lucidare coltelli, non sarebbero affari loro.”
“Ah, è vero. Beh, mi pare comunque una brutta idea. Mi spieghi perché te li sei portati?”


In piedi davanti a lui, Delilah parlò agitando nervosamente le mani prima di lanciare un’occhiata schifata al coltello che teneva in mano, affrettandosi ad appoggiarlo sul tavolino e borbottando in direzione dell’amico di tenerli lontani da lei. Prospero se ne riappropriò in tutta calma, finendo di lucidarlo prima di riporlo con cura nella fodera che ne conteneva altri 5, tutti della stessa misura ma con i manici diversi.
La particolare passione di Prospero per le lame, Delilah non era mai riuscita a comprenderla e a condividerla, e lo guardò maneggiarle con una leggera apprensione che sparì solo quando il mago ebbe chiuso il fodero di tessuto e le rivolse il solito, candido sorriso di sempre.
“Preferisco tenere con me le cose di cui sono geloso. Ti serviva qualcosa, Fogliolina?”
Prospero la guardò con un sorriso, le lunghe gambe accavallate e la sua solita espressione gentile impressa sul volto pallido. Ancora leggermente a disagio, Delilah si dondolò leggermente avanti e indietro stringendo le mani dietro la schiena e lanciando un’ultima occhiata al fodero nero prima di rispondere:
“Mi annoio, volevo stare un po’ con te. Il Natale si passa con le persone che amiamo, no?”
“Certamente.”
Alzatosi in piedi, e superata così l’amica in altezza di quasi trenta centimetri, Prospero le sorrise dolcemente prima di circondarle le spalle con un braccio, stringendola affettuosamente a sé mentre Delilah ricambiava debolmente il sorriso:
“Sai, da una parte sono felice che sia successo tutto questo… era da parecchio che non passavamo tanto tempo insieme come ai vecchi tempi. E di sicuro non sentirò la mancanza di Alexandra.”
“Oh, nemmeno io. Su questo non ci piove.”
 

*

 
“Ah, eccoti. Com’è andata? Eravamo un po’ in pensiero.”
Quando Renèe aprì la porta della sua cabina, sorrise nel trovarsi davanti Elaine. L’ex Grifondoro si fece da parte per far passare la rossa, osservandola dubbiosa prima di chiuderle la porta alle spalle. May, seduta sul divanetto con i ferri e della lana in mano, stava cercando di finire la sciarpa nuova per Pearl.
“May si preoccupa sempre troppo.”
Mentre si inginocchiava sul pavimento per accarezzare Artemis, la Scottish di Renèe che le andò incontro per strusciarsi sulla sua gamba, Elaine accennò un debole sorriso in direzione di May, che ricambiò prima di lanciare un’occhiata stranita ai vertiginosi tacchi dell’amica: se lei avesse solo azzardato a chinarsi con quei trampoli ai piedi, di sicuro ci sarebbe voluto un tir per rimetterla in posizione eretta.
“Sicura che vada tutto bene? Non ti hanno tenuta molto.”
Le braccia strette al petto, dove era allacciato un blazer a doppio petto color malva, Renèe guardò dubbiosa l’amica rialzarsi in piedi e rassettarsi la giacca nera del completo Armani:
“Questo perché non avevo molto da dire, non conoscevo Alexandra personalmente. Credo proprio che la prossima sarai tu, quindi tieniti pronta.”
Prima di andare a sedersi accanto a May, Elaine rivolse un’occhiata eloquente a Renèe, che accennò ad una debole smorfia con le labbra, per nulla entusiasta di quella prospettiva anche se consapevole che ormai fosse una dei pochi passeggeri a non aver ancora parlato con gli Auror.
“Sono davvero stanca di stare qui. Mi manca suonare il piano tutte le mattine… e continuo a pensare a zio Armand solo a Natale. È il primo Natale senza la zia, dev’essere orribile per lui restare solo oggi.”
Elaine si sfilò le scarpe per raccogliere le gambe contro il petto, poggiandosi il mento sulle ginocchia mentre May metteva da parte la lana per avvicinarsi all’amica e metterle una mano sulla spalla:
“Penso che iniziamo tutti ad essere esausti della situazione. Tu come ti senti, invece? È il primo Natale senza di lei anche per te. Sappiamo quanto tieni a tuo zio, ma dovresti pensare anche un po’ a te stessa.”
“Io sto bene. Davvero. Se non altro tutta questa situazione assurda mi tiene la mente impegnata. È l’unico lato positivo.”
Chinatasi per prendere Artemis in braccio, Renèe accarezzò il soffice pelo della gatta mentre ripensava al Natale precedente, quando si era lamentata con i suoi fratelli Achilles ed Elian per essere costretta a passare del tempo con le sorelle.
“Un anno fa ascoltavo quella spocchiosa di Corinne(1) pavoneggiarsi insieme alle gemelle e mia madre tessere le loro lodi… dissi ad Elian che avrei preferito trovarmi ovunque piuttosto che seduta a quella tavola, ma a ripensarci forse non mi era andata tanto male, l’anno scorso.”
“Nora e Nova sono sempre le fotocopie di Corinne?”
“Oh, sì… la imitano in tutto fin da quando erano piccole. Parlano come lei, vestono come lei, fingono di avere un ridicolo accento francese perché hanno studiato a Beauxbatons, anche se sono cresciute in Inghilterra come tutti noi… Ridicole.”
Renèe sedette tirando le labbra sottili in una lieve smorfia, la gatta tra le braccia che faceva le fusa mentre Elaine – che essendo figlia unica di rapporti fraterni ne sapeva e comprendeva ben poco – riservava un’occhiata in tralice all’amica:
“Perché si comportano così?”
“Perché io sono la preferita di nonno Garrick e perché lavoro nell’attività di famiglia, a differenza di Corinne. L’invidia è una gran brutta malattia.”
Renèe accennò un sorriso quasi soddisfatto e Elaine, accigliata, si domandò come potessero esistere rapporti tra sorelle meravigliosi come quello che aveva legato May e sua sorella e allo stesso rapporti quasi distruttivi come quello tra Renèe e le sue sorelle. O, ancor peggio, quello tra sua madre e la sua defunta zia.
 

*

 
“Nessuna delle bacchette dei passeggeri ha lanciato un incantesimo per insonorizzare gli ambienti e nemmeno un Expelliarmus, ancora una volta queste non hanno assolutamente niente da dirci. Come è possibile che non abbiamo sentito nulla, quella notte?!”
Asriel rimise malamente l’ultima bacchetta che aveva controllato, quella di May, nel bauletto insieme alle altre. Dopo averlo richiuso l’Auror si accasciò sulla poltroncina, sospirando e passandosi stancamente una mano tra i capelli chiari mentre James, seduto con Alpine in braccio, parlava con aria pensierosa:
“Magari… magari ci hanno infilato qualcosa nel cibo per farci dormire molto profondamente?”
“Parleremo di nuovo con lo chef, che per inciso ho la sensazione che non la racconti giusta… Ma nessuno poteva sapere che avremmo preso questo treno, o l’assassino se ne va in giro con la valigia piena di droghe per ogni evenienza, o non abbiamo ingerito un bel niente. Ho la sensazione che su questo treno ci siano molte più persone che hanno avuto a che fare con la vittima di quanto non sembri.”
“Non le hai provate tutte. Manca quella della vittima.”
Dubbioso, Asriel guardò Clodagh aggrottando le sopracciglia: aveva seri dubbi che fosse andata in quel modo, o comunque non avrebbe avuto il benchè minimo senso. Tuttavia, decise di dare ascolto alla collega e annuì, puntando la propria bacchetta verso la valigia di Alexandra:
Accio.”
La valigia di Louis Vuitton di Alexandra, appoggiata in un angolo della cabina, si aprì e la bacchetta della vittima si librò in aria prima di planare dritta sul palmo aperto di Asriel, che la osservò brevemente prima di utilizzare sulla bacchetta l’incantesimo Reversus per la seconda volta. Invece di fermarsi all’ultimo incantesimo lanciato dalla bacchetta, Asriel, Clodagh e James la guardarono aspettando che mostrasse loro anche il ricordo del penultimo.
 
“Oh.”
A disagio, James si mosse sulla poltrona stringendo Alpine tra le braccia e spostando con leggera apprensione lo sguardo su Asriel, quasi temesse di vederlo esplodere da un momento all’altro dopo aver visto e riconosciuto il fantasma del penultimo incantesimo lanciato dalla bacchetta.
“Non ho mai detestato l’idea di avere ragione come in questo momento.”
Seduta sul bordo del letto di Asriel, Clodagh si lasciò cadere sulla coperta con un sospiro, le braccia abbandonate sopra la testa e gli occhi chiari fissi sul soffitto mentre Asriel faceva appello a tutto il suo autocontrollo per non imprecare e non spezzare a metà la bacchetta della vittima.
“Non ha… non ha un cazzo di senso! Perché dovrebbe essere stata lei a farlo?! Se anche solo una minuscola parte di lei pensava di poter essere in pericolo non avrebbe mai fatto qualcosa di così idiota!”
“Evidentemente non lo pensava. Evidentemente non considerava una minaccia chi l’ha uccisa.”
“Allora doveva essere qualcuno che conosceva, o comunque qualcuno che non riteneva pericoloso. E si ritorna al fatto che più o meno tutti, qui, stanno dicendo mezze verità.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Per riassumere e per non lasciare spazio a fraintendimenti, visto che in questa storia metà dei nomi si ripetono: sia May, sia Lenox avevano una sorella di nome Morgan; Clodagh ha un fratello di nome Finn e Renèe ha una sorella di nome Corinne.
 
 
…………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Devo ammettere che scrivere un capitolo ambientato il giorno di Natale mentre il tuo corpo va lentamente verso la liquefazione causa 8000° all’ombra fa un certo non so che.
Detto questo, grazie a Phoebe che mi ha fornito la meravigliosa maglietta di Asriel che dà il titolo a questo capitolo. Ne è estasiato.
Grazie come sempre a tutte per le recensioni, e visto che siamo verso la fine se volete avanzarmi teorie sul colpevole fate pure, le leggerò con piacere <3
A prestissimo, spero, con il Camp per chi partecipa anche lì!
Signorina Granger

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Capitolo 13
*** Capitolo 11 - Quale pizza sei? ***


Capitolo 11: Quale pizza sei?
 

 
“Penso che questa sia la fine. Sì, Asriel esploderà in mille pezzi, e noi lo seguiremo.”
James parlò con pacata rassegnazione, annuendo mesto mentre fissava il vuoto e teneva Alpine stretta tra le braccia. Davanti a lui fuori dalla cabina del collega, Clodagh si massaggiò nervosamente il collo mentre osservava pensierosa fuori dal finestrino.
“Sul fatto che si incazzerà di brutto non ci sono dubbi. Non vorrei davvero essere nei panni dei nostri colleghi, quando torneremo.”
“Se torneremo. E nel frattempo la sua ira dovremo subirla noi, quindi è noi due che dovresti compatire!”
James non poteva davvero accettare di tirare le cuoia proprio quel giorno: passare a miglior vita a Natale, nel suo momento dell’anno preferito, così giovane e pieno di cose da vedere e da fare. Eppure, che Asriel avrebbe ucciso qualcuno era cosa certa, e di sicuro dovendo scegliere tra lui e Clodagh quello sacrificabile sarebbe stato lui, il novellino.
 
“Ci sarà qualcosa che possiamo fare per placarlo… sto pensando. Qui è pieno di gatti, potremo prenderli tutti e farci una sorta di scudo… No, non abbiamo il tempo.”
“Tu lo conosci bene, qual è la sua altra debolezza, oltre ai gatti?”
“I gatti che indossano cappelli buffi!”  Clodagh sorrise e schioccò le dita con l’aria soddisfatta di chi ha azzeccato una risposta, guardando però il collega scuotere la testa:
“Oh sì, sono adorabili… ma qui non ne abbiamo. Qualcosa al di fuori del mondo felino?!”
“Beh…”
 
Come si fosse ritrovato ad origliare due volte nell’arco dello stesso giorno, Lenox non seppe proprio spiegarselo. Grattandosi la testa ripetendosi di doverci proprio dare un taglio – per un istante si disse che sua madre lo avrebbe aspramente rimproverato per quella mancanza di educazione, ma scacciò immediatamente quel pensiero – l’ex Tassorosso si avvicinò ai due Auror e si schiarì la voce prima di sfoderare un piccolo sorriso di scuse:
“Scusate, non volevo origliare, ma passando non ho potuto fare a meno di sentire che parlavate di Asriel e di gatti. Cercate qualcosa per placarlo?”
“Già, ma non abbiamo molte idee.”
Clodagh parlò con un sospiro affranto e scuotendo la testa mentre invece Lenox, appurato di averci visto giusto, sorrise divertito:
“Beh, ci sarebbe una cosa… Non posso garantire nulla, ma quando perse la finale di Quidditch del sesto anno contro Grifondoro solo perché l’altro Battitore era troppo impegnato a salutare le ragazze in platea per giocare bene funzionò e salvò il poverino da morte certa.”
“Quindi ne uscì illeso?”
Clodagh aveva l’impressione di ricordare quella partita – quando per lei Asriel Morgenstern era solo il bel ragazzo più grande che tanto piaceva alle sue amiche –, ma l’idea che quel Battitore si fosse salvato dal rifiuto di Asriel per le sconfitte era abbastanza surreale. E infatti Lenox si passò una mano tra i capelli chiari, sorridendo colpevole:

“Non proprio, Asriel lo colpì accidentalmente con la mazza prima che toccasse terra, ma se la cavò pur sempre con poco. C’è solo una cosa che dovete procurarvi.”
Pochi minuti dopo, mentre si allontanava insieme a Clodagh sotto lo sguardo divertito dell’ex compagno di Casa, James giurò a se stesso che se avesse funzionato avrebbe reso grazie a Lenox Flint in eterno.

 
*

 
“D’accordo, è stata dura ma sono riuscita a procurarmelo. Come ha detta anche Lenox, è di vitale importanza darglielo al momento giusto.”
Confuso, James abbassò lo sguardo sull’involucro che Clodagh gli porgeva prima di deglutire a fatica e lanciare un’occhiata carica di preoccupazione alla collega:
“Pensi davvero che sia così grave?”
“Non hai imparato a memoria “Il Vangelo secondo Clodagh”, e soprattutto non hai sentito quello che ha detto Lenox Flint? Meglio prevenire che curare. Credimi, è la cosa migliore per il bene di tutti noi… Ma devi fare attenzione a quello che ti dico e darglielo al momento giusto, è chiaro?”
“Ma non puoi farlo tu?”
Il giovane Auror gemette, tormentandosi le dita delle mani mentre guardava ansiosamente ciò che la collega gli porgeva. Clodagh però non desistette, scuotendo il capo con decisione e continuando imperterrita a porgergli l’involucro.
“Tocca a te questa volta. Ti sarà da lezione per il futuro, un giorno mi ringrazierai.”
Sospirando, James si vide costretto ad accettare con riluttanza ciò che la collega gli porgeva, osservando tetro ciò che stringeva tra le mani mentre Clodagh, sorridendo soddisfatta, gli dava una pacca incoraggiante sulla spalla.
“Ma è esattamente ciò che si dice prima di costringere qualcuno a fare qualcosa di orribile!”
“JJ, dammi retta, guardi troppi film. E adesso che siamo pronti, possiamo andare. Ricorda, esattamente quando te lo dico.”
“Va bene…”
 
Una mano sulla spalla del collega – per infondergli coraggio ma anche per impedirgli la fuga – Clodagh pilotò James attraverso la I classe verso il vagone ristorante con passo sicuro, ignorando il leggero tremolio che si era impossessato delle mani dell’ex compagno di Casa.
Giunti sulla porta, Clodagh fronteggiò James prima di mettergli entrambe le mani pallide sulle spalle, gli occhi azzurri fissi sul suo viso:
“Sei pronto collega?”
“No!”
Perfetto, andiamo. Vedrai, tu ascoltami e andrà bene… sarò il tuo Gandalf!”
Sorridendo allegra, Clodagh aprì la porta e lo condusse all’interno del vagone mentre James, disperato, biascicava qualcosa sul non aver meritato di portare quel fardello.
 
Udendo la porta aprirsi Asriel sollevò la testa, distogliendo lo sguardo dalla piccola sfera di vetro che avevano trovato nella valigia di Alexandra e che stava galleggiando a mezz’aria davanti a lui, sopra al tavolo davanti a cui era seduto.
“Ciao Asriel! Trovato qualcosa di interessante?”
La mano serrata sulla spalla di James in una presa ferrea, Clodagh sorrise vivacemente al collega mentre Asriel, spostando lo sguardo da uno all’altro, scuoteva lentamente il capo.
C’era evidentemente qualcosa di strano: nessuno dei due lo aveva salutato con qualche diminutivo ridicolo e imbarazzante, entrambi sorridevano troppo e James teneva le mani dietro la schiena. Senza contare l’evidente preoccupazione del ragazzo malcelato dietro al sorriso plastico che sfoggiava.
“Niente. Ho provato qualche incantesimo, ma onestamente ho paura di attivare qualcosa di pericoloso… Dovremmo farla vedere a Clara Picard?”
“Potrebbe essere un’idea. Ora, io e James abbiamo dato una rapida occhiata al pacco che ci è arrivato stamani… E abbiamo una buona e una cattiva notizia. Quale vuoi prima?”
Il sorriso di Clodagh si allargò mentre Asriel, invece, sospirava con rassegnazione: ci avrebbe scommesso.
“Prima la cattiva, sempre.”
Asriel parlò mettendo da parte la bacchetta e intrecciando le dita delle mani, invocando tutta la pazienza possibile mentre si preparava psicologicamente ad una sfuriata: era evidente che se quei due si stavano comportando in quel modo era perché erano sicuri che avrebbe perso le staffe.
“Bene, allora… abbiamo dato un’occhiata a ciò che ci hanno mandato, e in mezzo ai fascicoli abbiamo trovato un biglietto di Collins che dice che non sono ancora riusciti a reperire informazioni dettagliate su tutti i passeggeri e che quindi, emh, ce le invieranno presto.”
“CHE COSA?!”     
Esattamente come i due Auror avevano previsto, la reazione di Asriel non si fece attendere: l’uomo si alzò in piedi, i palmi ben piantati sulla superficie del tavolo. James ringraziò mentalmente che non avesse preso in mano la bacchetta mentre il collega continuava ad imprecare contro i “colleghi nullafacenti”:
“DOPO TUTTO QUESTO TEMPO? Che cosa hanno fatto fino ad oggi quegli idioti, una partita a briscola?! Adesso mando un bel Patronus a Potter e lo mando a fare in…”
“Presto, dagli il panino!”
Al sussurro concitato di Clodagh James sobbalzò, avvicinandosi di corsa ad Asriel e lasciando il panino avvolto nella carta stagnola sulla scrivania:
“Ti abbiamo portato questo Asriel.”
Senza dare al collega il tempo di replicare – gli occhi di Asriel mandavano lampi, e James per un attimo ebbe il terrore che potesse incenerirlo o ridurlo in pietra – il più giovane del gruppo si allontanò dal tavolo andando a posizionarsi dietro a Clodagh, che sorrise dolcemente accennando al panino:
“Sì Asriel, mangialo e ti sentirai meglio.”
Asriel abbassò lo sguardo sul panino, lanciandogli un’occhiata torva prima di chiedere in un borbottio se ci fosse la maionese.
“Certo, è il tuo preferito.”
Sibilando che il Dipartimento di Londra fosse pieno di idioti, Asriel tornò a sedersi e scartò il panino strappando la carta con gesti bruschi. Clodagh e James aspettarono che l’ebbe addentato nervosamente prima di avvicinarglisi, osservandolo rilassarsi visibilmente man mano che mangiava il panino mentre Clodagh continuava a sussurrare a James di non fare movimenti bruschi.
“Grazie. È buono. Quando ho finito chiamatemi la Ollivander, mi sono rotto di parlare con queste persone e voglio chiuderla.”
“Ma certo. Prospero lo teniamo per ultimo?”
“Sì, ho la sensazione che De Aureo ci prenderà parecchio tempo.”
Voltandosi verso Clodagh, Asriel le domandò se per caso non avesse anche delle noccioline salate. Quando la strega tirò fuori l’ennesimo sacchetto dallo zaino a velocità record James strabuzzò gli occhi, chiedendole in un sussurro quanti sacchetti si fosse portata e ricevendo come risposta solo una debole scrollata di spalle.

 
*

 
Seduta vicino a Prospero nel corridoio del vagone della II classe, appoggiati di schiena contro la porta della sua cabina e le gambe lunghe distese sulla moquette, Delilah continuava a lanciare occhiate torve a quel demente del suo migliore amico, che non la smetteva di ridacchiare da diversi minuti:
Mi spieghi che cazzo ridi a fare, pezzo d’idiota?! Stanotte ho sognato che saltavamo tutti in aria, Porco Salazar!”
“Dai Fogliolina, sei troppo melodrammatica oggi… Fidati di me, andrà tutto bene. Mi sto solo immaginando i poveri Auror che cercano di venirne fuori in tutti i modi e di scoprire di che cosa si tratta.”
Le parole di Prospero non sembrarono rassicurare affatto l’amica, che sbuffò senza smettere di tamburellare nervosamente le dita pallide sul pavimento, gli occhi nocciola fissi sull’ampio finestrino che avevano davanti mentre scenari apocalittici prendevano vita nella sua mente.
“Se per caso dovessero fare qualcosa di sbagliato…”
“Non lo faranno, è pressoché impossibile che scoprano di che cosa si tratta, e attivarla per sbaglio è terribilmente difficile se non sai come farlo. Certo lanciando qualche incantesimo troppo potente potrebbero attivarsi dei meccanismi di difesa, ma sono certo che non siano così idioti da provarci.”
Delilah invidiò terribilmente la sicurezza che l’amico sfoggiava, lanciandogli un’occhiata in tralice prima di arruffargli i capelli scuri sibilando che fosse il solito idiota senza speranze:
“Sappi che se finirà come quando, al quinto anno, hai trascinato me e Cecil nella Stamberga Strillante giurando che non ci fosse nulla di cui avere paura non te la caverai con poco, mio caro.”
“E infatti non c’era proprio nulla di cui avere paura! Non c’era l’ombra di un fantasma, erano tutte vecchie superstizioni per tenere le persone alla larga da qualcosa, ne sono certo.”
Prospero liquidò il discorso con un gesto annoiato della mano, come volesse scacciare un insetto fastidioso, mentre sbadigliava pigramente. Delilah, al ricordo della loro “gita fuori porta” nella casa abbandonata più famosa di tutta la Scozia, rabbrividì con una smorfia di disgusto:
“In compenso era pieno di scarafaggi giganti, che schifo! Per non parlare di quando volesti fare l’escursione nella Foresta Proibita al terzo anno… c’erano ragni grandi come insalatiere! Meglio se non ci ripenso.”
“Ma non dicevi che volevi vedere piante pericolose? Lì era pieno, mi dovresti ringraziare!”
“Intendevo nella serra riservata al VII anno, idiota! Quando hai detto che “mi avresti portato a vederle in un luogo dove non avremmo dovuto avere accesso” non pensavo intendessi una foresta infestata!”
Prospero scosse il capo con disapprovazione, asserendo che l’amica “non vedeva il lato divertente delle loro avventure” mentre Delilah alzava gli occhi al cielo. Certo, non poteva negare che vedere Cecil preso di mira da una pianta carnivora era stato l’evento più memorabile di tutto il terzo anno, ma si premurò di non dare all’amico quella soddisfazione.
“Laila, fidati di me: andrà tutto bene. Ce la siamo sempre cavata, questa volta non sarà diverso. Dici che dovrei spuntarmi i capelli?”
Giocherellando, dubbioso, con le punte dei propri capelli scuri tendenti al riccio, Prospero parlò osservandoseli distrattamente mentre l’amica, osservandolo di rimando, scuoteva la testa:
“No, vanno bene così. Sai, stavo pensando che quando dici di fidarmi di te e che “andrà tutto bene” spesso finisce in tragedia. Scarafaggi, ragni giganti, piante carnivore… l’hai detto anche quando sono venuta a dirti che quel tonto di Cecil si era fatto fregare dalla Sutton, e guarda un po’ com’è finita! Cadavere e bloccati su un treno a Natale come sospettati.”
“Dimmi, preferivi forse ritrovarti Alexandra seduta a tavola al pranzo di Natale con la tua famiglia in veste di cognatina?”
Udire quella parola ebbe il potere di far rabbrividire la strega ancor più del ricordo degli scarafaggi giganti, scatenando un sorrisetto divertito sulle labbra del suo migliore amico:
“Per i tanga di Morgana no, preferirei avere come cognata una pianta carnivora! Senti, ma perché restiamo qui, non possiamo stare nella tua cabina?”
“Vorrei tanto, ma purtroppo ho scordato la chiave dentro, quindi siamo bloccati fuori.”
“Che rottura… Io il mio letto non te lo cedo Ro, sei avvisato.”

 
*

 
Quando Clodagh si era avvicinata a Clara chiedendole gentilmente di seguirla nel vagone ristorante, la francese aveva guardato l’Auror sollevando entrambe le sopracciglia con evidente stupore. Scambiatasi una silente occhiata dubbiosa con Corinne, l’ex Spezzaincantesimi si era alzata dalla poltroncina a conchiglia foderata di velluto che aveva occupato per seguire Clodagh senza proferire parola.
Clara sapeva che mancavano ancora un paio di passeggeri da interrogare, e si chiese per quale motivo volessero nuovamente parlare con lei. Tormentandosi nervosamente le dita affusolate e pallide, la francese si domandò se non avessero trovato qualcosa sul suo conto senza osare chiedere all’Auror il motivo del bisogno di parlare nuovamente con lei.
Osservando l’amica allontanarsi anche Corinne, ripensando alla conversazione che avevano avuto solo poco prima fuori dal treno, si fece le stesse domande. Loki, che dopo essere stato sfrattato dalle ginocchia della padrona giaceva acciambellato sulla poltroncina, si leccò una zampa sotto lo sguardo torvo di Corinne:
Je paierais de l’or pour avoir ta vie…(1)
 
 
“Ci dispiace disturbarla Signorina Picard, ma vorremmo chiederle un consulto.”
Terminato di mangiare il suo panino, Asriel parlò pulendosi le dita su un Kleenex allungatogli da James e rivolgendosi pacatamente a Clara, che lo osservava dubbiosa. Tuttavia, udendo quelle parole la strega si rilassò all’istante, trattenendo un sospiro di sollievo e cercando di restare impassibile:
“Un consulto a riguardo di cosa?”
Sinceramente incuriosita da che cosa potessero volere da lei, Clara sedette quando Asriel le accennò alla sedia, la stessa che aveva occupato anche quando era stata interrogata.
“A proposito di questa.”
Con un movimento della bacchetta Asriel fece fluttuare la piccola sfera nera verso Clara, che la guardò brevemente aggrottando la fronte prima di puntare nuovamente i grandi occhi scuri sull’Auror:
“Non faccio più quel lavoro, come vi ho già spiegato.”
“Lo sappiamo, ma temo che su questo treno lei sia l’unica che può aiutarci a cercare di capire di che cosa si tratti.”
“Dove l’avete trovata?”
“Nella valigia della vittima. No, non apparteneva ad Alexandra.”  - Si affrettò a precisare Asriel cogliendo l’espressione sorpresa della strega – “O almeno non è arrivata su questo treno insieme a lei, dal momento che l’abbiamo trovata solo in un secondo momento.”
“Sta dicendo che qualcuno ce l’ha messa.”
“Proprio così.”
“Forse doveva acquistarla. Forse è salita sul Riviera Express per questo, per incontrare qualcuno che glie l’avrebbe dovuta vendere. Certi oggetti non si trasportano per diletto, sono sicura che questo manufatto andasse venduto.”
Clara distolse lo sguardo dal volto di Asriel per concentrarsi sulla sfera, sporgendosi leggermente verso l’oggetto per osservarlo più da vicino. C’erano delle ombre che si muovevano all’interno, e non le fu particolarmente difficile immaginare di che cosa potesse trattarsi.
“Credo che possa contenere una maledizione. Di che cosa si tratti è difficile dirlo… senza la mia bacchetta non posso fare praticamente nulla, Monsieur Morgenstern.”
Rimessasi dritta sulla sedia, gli occhi scuri di Clara tornarono ad indugiare sull’Auror parlando con il tono più pacato e inespressivo di cui era capace. A quelle parole Asriel sbuffò e Clodagh, in piedi accanto a lui, guardò la strega tenendo le braccia strette al petto:
“Temo che darle una qualsiasi bacchetta sia impossibile, Signorina Picard.”
“Che cosa pensate che possa fare? Non posso Smaterializzarmi qui dentro, e non mi sognerei mai di affrontare tre Auror. Senza contare che se facessi qualcosa di stupido firmerei una dichiarazione di colpevolezza.”
“Non le daremo la sua in ogni caso.”
“Una bacchetta inefficiente genera un lavoro inefficiente. Signori, immaginate che cosa potrebbe succedere se malauguratamente qualcosa andasse storto? Probabilmente non ci sarebbe più alcuna indagine per omicidio da risolvere. Usarne un’altra è troppo rischioso. O la mia o niente.”
 
Sostenendo fermamente lo sguardo di Asriel, Clara non aggiunse altro. Seduti uno di fronte all’altra con solo il tavolo a dividerli, i due si studiarono in silenzio mentre James osservava nervosamente la scatola di legno con lucchetto che conteneva le bacchette dei passeggeri e di tutti gli inservienti del treno.
“Bene. James, dagliela.”
“Sei sicuro?”
“Sì. E tieni la tua a portata di mano, non si sa mai.”


Anche se con leggera riluttanza, James obbedì: facendo scattare il lucchetto con un incantesimo non verbale, l’Auror cercò la bacchetta giusta mentre un “non mi fido di una francese” non detto aleggiava silenziosamente nell’aria.

 
*

 
“Si può sapere che stanno facendo? Dovevano interrogare la ragazza bionda, perché non si danno una mossa! Ho del lavoro da fare anche io!”
Sbuffando, Ruven misurò a grandi passi la cucina mentre Hans, uno dei camerieri, sbirciava quello che poteva del colloquio in corso attraverso l’oblò della porta che collegava la cucina alla sala.
“C’è la ragazza francese. Ma non l’avevano già interrogata?”
“Credo di sì. Quale, la bionda?”
“No, quella mora, carina.”
“Ah, quella della torta.”
 
Ruven, che si era legato al dito l’appunto della strega sulla sua Tarte Tatin, scoccò un’occhiata velenosa al cesto di mele che aspettavano di essere lavate. Quella sera il menù prevedeva nuovamente la celebre torta di mele francese, e lo chef era pronto a tirare fuori i guantoni da boxe alla prima critica.
“A me era piaciuta la sua torta chef.”
Sorridendo, Hans si voltò verso il superiore, raggelandosi quando Ruven gli scoccò la sua occhiata più truce con gli occhi verdi ridotti a due fessure:
“Ecco dov’erano sparite le fette avanzate…”
Sbiancando, il ragazzo si affrettò a balbettare di averne mangiata solamente una e che le altre se le erano smerciate i camerieri, ma Ruven sbuffò e liquidò il discorso con un rapido gesto della mano:
“Al diavolo quella stupida torta, fammi vedere che stanno combinando.”
“Ma le stanno dando una bacchetta! Perché?” 
Hans strabuzzò gli occhi quando vide “l’Auror donna con l’accento strano” allungare una bacchetta alla francese, mentre Ruven gli si avvicinò per scollarlo dall’oblò e vedere la scena con i suoi occhi:
“Come faccio a saperlo, ho l’aria di un indovino? Spostati, voglio vedere anche io.”
 

 
*

 
Quando Clodagh Garvey aveva chiesto a Clara di seguirla, Corinne era rimasta sola in compagnia di Loki – che aveva cercato di saltarle sulle ginocchia, ma l’ex fantina l’aveva respinto intimandogli di non azzardarsi a rovinare con le unghie il suo vestito nuovo – e del suo libro.
Decisa a migliorare il suo tedesco, la strega si era cimentata nella lettura di Goethe in lingua originale. Accigliata a causa di un periodo pieno di espressioni bizzarre e di certo non più in auge che non riusciva a comprendere – Clara le aveva chiesto perché si fosse imbarcata nell’impresa suicida di leggere Goethe in tedesco, ma Corinne non aveva intenzione di desistere – la strega si rese conto a malapena che qualcuno aveva occupato la poltrona a conchiglia sistemata davanti alla sua, vicino al finestrino dove aveva iniziato a depositarsi una buona dose di ghiaccio.
Loki, visibilmente scontento di aver perso il diritto alla sua poltrona, se ne andò trotterellando sdegnato mentre Renèe osservava curiosa la copertina del libro e quel lunghissimo titolo in tedesco.
 
Est-ce intéressant à lire?” (2)
Sentendosi rivolgere la parola in francese, Corinne interruppe momentaneamente la lettura. Stava istintivamente per rispondere quando si rese conto, accigliata, che la ragazza che aveva di fronte le si era rivolta in francese. Un francese pressoché perfetto e privo d’accento. Era la prima volta che un altro passeggero le si rivolgeva nella sua lingua madre, a parte Clara.
“Oui.”
[Nda: Da qui il dialogo procede idealmente in francese, ma scriverò in italiano per non dovervi riempire di note con la traduzione]
Incuriosita, Corinne chiuse il libro osservando la strega che aveva di fronte prima di complimentarsi con lei per il suo ottimo francese. Renèe accennò un sorriso, ringraziandola prima di spiegarle che sua madre era francese.
“Le mie sorelle hanno studiato a Beauxbatons.”
“Davvero? Tu no?”
“No, i nostri genitori ci hanno permesso di decidere… io ho scelto Hogwarts. Mio fratello maggiore me ne parlava sempre, e non volevo separarmi da lui di nuovo. Mia sorella maggiore si chiama come te. Corinne. Corinne Ollivander, la conosci per caso?”
Corinne sbattè le palpebre, osservando la ragazza che aveva di fronte e chiedendosi come avesse potuto essere così stupida: certo che conosceva Corinne Ollivander, e aveva sempre saputo quale fosse il cognome di Renèe. Eppure non aveva mai fatto due più due, dicendosi che probabilmente erano cugine o parenti alla lontana.
Di norma non ci si aspetta che due sorelle studino in scuole diverse.
“Sì. L’ho conosciuta a scuola, ha solo un paio d’anni meno di me. E compro molto spesso i miei vestiti da lei, non pensavo foste sorelle.”
“Non ci somigliamo molto. Quindi conosci anche le gemelle.”
Corinne annuì, ricordando le sorelle gemelle minori che lavoravano insieme ad una delle sue sarte predilette. Dal sorriso di Renèe – che parve quasi dispiacersi per lei – l’ex fantina intuì che la giovane venditrice di bacchette non andasse particolarmente d’accordo con le sue sorelle.
“Sì, vagamente. Come mai tu lavori nell’attività di famiglia e loro no?”
“Hanno seguito le orme di mia madre, anche lei creava vestiti… io ho seguito la strada paterna. Anche Alexandra acquistava vestiti da mia sorella. Ci siete mai andate insieme?”
Conoscendo già la risposta a quella domanda – sua sorella non perdeva mai l’occasione di sottolineare come la celebre atleta Corinne Leroux adorasse i suoi vestiti, e anche la sua ex fidanzata inglese – Renèe osservò Corinne con attenzione. Quando lei e Alexandra si erano lasciate sua sorella era stata tra i primi a sapere i dettagli: Alexandra era andata a farle visita per prendere delle misure, e le aveva raccontato ogni minimo particolare mentre sceglievano colori e stoffe. A qualche km di distanza, nel frattempo, Corinne Leroux si ritrovava in un’abitazione assediata dai giornalisti.
Renèe non si era stupita quando aveva appreso che sua sorella e Alexandra andavano molto d’accordo e che spesso si vedevano anche al di fuori dell’atelier. A Renèe Alexandra non era mai piaciuta, così come sua sorella maggiore. Lei e Corinne avevano molto in comune.
Sì, lo facevamo. Diverso tempo fa.”
Corinne distolse lo sguardo mentre stringeva il libro sulle ginocchia, consapevole di aver bisogno di una sigaretta. Pochi istanti dopo si alzò, scusandosi educatamente con Renèe prima di allontanarsi frugando nella tasca della sua giacca.
Tanto valeva approfittarne, mentre Clara era impegnata in chissà quali questioni e non poteva ricordarle quanto schifosi sarebbero diventati i suoi denti e la sua pelle un giorno.
Seguendola con lo sguardo finchè le fu possibile, Renèe si domandò come avesse fatto quella strega dall’aria così educata e gentile a stare con un tipo come Alexandra. Certe relazioni sapevano essere a dir poco inconcepibili.

 
*

 
Fu con una buona dose di ansia che James guardò Clara Picard sfiorare quella piccola sfera inquietante con la punta della propria bacchetta, mormorando un incantesimo a lui completamente sconosciuto. Non sapeva di preciso che cosa lo preoccupasse: che esplodesse? Che li accecasse tutti con un fiotto di luce?
Clodagh aveva sibilato qualcosa a proposito di Indiana Jones e di aver un brutto presentimento, e James poteva capirla perfettamente. Al contrario di Asriel, che aveva semplicemente ricevuto dalla collega la promessa di mostrargli tre film a proposito di un tipo armato di frusta una volta tornati a casa.
Come mai solo tre?”
“Perché il quarto fa schifo JJ, non ne contemplo nemmeno l’esistenza.”
I due colleghi stavano per iniziare ad interloquire sull’ultimo film, ma l’occhiata raggelante di Asriel li costrinse a tacere e a riportare nervosamente lo sguardo su ciò che stava facendo Clara. Quando la sfera iniziò a vibrare e le ombre al suo interno si intensificarono, James trattenne l’impulso di andare a scrivere in tutta fretta le sue memorie, sudando freddo mentre la strega, invece, aveva l’aria concentrata ma rilassatissima.
Come faceva certa gente a fare lavori di quel genere, James non se lo sarebbe mai spiegato.
 
“È senza dubbio una maledizione. Ben sigillata, direi, ma una persona inesperta potrebbe attivarla accidentalmente. L’avete toccata?”
“No, mai.”
“Bene. Continuate a non farlo.”
“Perché una cosa del genere dovrebbe trovarsi su un treno?”
“Come ho detto, per essere venduta. Non serve che vi dica quanto è comune il contrabbando di manufatti illegali, e questo va persino oltre la semplice illegalità. Chiunque possegga qualcosa del genere avrebbe molto potere. La paura fa fare qualsiasi cosa alle persone. Dovreste portarla con voi al Ministero e farla esaminare e sigillare definitivamente.”
Dopo essere tornata ad osservarla brevemente, Clara sollevò di nuovo lo sguardo su Asriel aggrottando leggermente le sopracciglia: per quanto Alexandra fosse sgradevole, era comunque difficile immaginarla minacciare il prossimo con un’antica maledizione. O forse no?
“Siete sicuri che Alexandra volesse comprarla?”
“Non ne abbiamo idea. Se anche fosse, non ha fatto in tempo a completare la vendita.”
“Magari la voleva la persona che l’ha uccisa.”
“E allora perché non tenersela, perché farcela avere?”
Asriel scosse la testa: c’era qualcosa che non gli tornava affatto. Anche da morta, il pensiero di Alexandra Sutton compiaciuta per avere tutta l’attenzione su di sé gli faceva saltare i nervi.
Prima di avere il tempo di dire altro, Clara sentì la bacchetta scivolarle dalle dita: Appellata da Clodagh, la bacchetta planò sul tavolo sotto lo sguardo quasi malinconico della sua proprietaria, che ne sentiva la mancanza quasi si trattasse di un vero e proprio arto.
“Grazie per il suo aiuto, Signorina Picard. Può darci qualche consiglio su come conservarla?”
“Non provate incantesimi particolarmente potenti, con tutto il rispetto, non avete le competenze adatte. Non può attivarsi spontaneamente, quindi non dovrebbero esserci problemi facendo attenzione. Posso andare?”
Clodagh annuì e Clara si alzò, salutando educatamente prima di andarsene. Mentre si alzava, i suoi occhi vagarono sulla porta della cucina e scorsero un movimento attraverso l’oblò. Sicura che qualcuno avesse seguito il suo colloquio fino ad un istante prima, la strega inarcò leggermente un sopracciglio prima di girare sui tacchi e dirigersi verso l’uscita senza proferire parola a riguardo.
 
“A che cosa pensi, Brontolo?”
Rimasti nuovamente soli – James parve immensamente sollevato – Clodagh incrociò le braccia al petto e si rivolse ad Asriel, così pensieroso da quasi non udire l’odiato nomignolo:
“Che se il cadavere non fosse nel vagone accanto giurerei che è tutta una sua messa in scena. Di sicuro sarà felice che la sua morte riceva tanta attenzione. James? Chiama Renèe.”

 
*

 
“Sto morendo di noia… Ro, smettila di ignorarmi e intrattienimi, per Morgana!”
“Scusa tesoro mio, sto finendo il test “Quale pizza sei”. Una panna e salmone?! Che oscenità! Come minimo volevo una capricciosa!”
Schifato, Ro guardò con disapprovazione il risultato del suo test dopo aver finito di riempire di crocette la rivista che teneva aperta sulle ginocchia. Era una fortuna che avesse fatto scorta di letture superflue prima di partire, era sicuro che gli sarebbero tornate utili.
“Ma io mi annoio, al diavolo la pizza!”
Delilah si pentì immediatamente di aver parlato: sconvolto, Prospero si voltò di scatto verso di lei esalando un verso sgomento, dopodiché le tappò la bocca con una mano e alzò lo sguardo al cielo. Mormorato qualcosa in italiano che la strega non capì – “Perdonala nonna, non sa quel che dice!” – il mago le porse una delle sue riviste patinate:


“Tieni, qui c’è il test “Quale stagione sei”, intrattieniti così.”
Riappropriatasi della propria voce e liberata dalla morsa di Ro, Delilah accettò con riluttanza la rivista e anche la matita che l’amico le porgeva, osservando con un sopracciglio inarcato il secondo oggetto: color verde foresta e con una gommina fucsia all’estremità, la matita era piena di piccoli e soffici lama, con tanto di scritta “No Prob-Lama.
“Ma hai la fissa dei lama o cosa ultimamente?!”
“Beh, adoro Le Follie dell’Imperatore…”
Mentre l’amica sfogliava la rivista alla ricerca del suo test, Prospero fece spallucce accingendosi ad iniziare quello successivo: forse “Quale torta sei” gli avrebbe dato più soddisfazioni di una tremenda pizza con la panna. Era una fortuna che sua nonna fosse lontana miglia e che non potesse saperne niente.

 
*

 
“Perché ci mettono così tanto a farmi chiamare? Non sopporto più quest’attesa.”
Sprofondata sul bordo dell’enorme letto della sua cabina, Renèe addentò nervosamente un quadretto della cioccolata bianca alla rosa di Ladurée che aveva portato con sé: mai, durante i suoi tanti viaggi, Renèe si era spostata senza almeno una di quelle costosissime tavolette in valigia. Fino a due anni prima, quando Elian ancora l’accompagnava, ne poteva sempre in più ben sapendo che il fratello avrebbe finito con l’elemosinarne la metà.
“Staranno discutendo sul mio interrogatorio… rilassati. Presto toccherà a te e poi non dovrai pensarci più.”
Distesa sul divanetto con gli occhi verdi rivolti verso il soffitto, Elaine parlò con un pigro sospiro mentre May – sospirando e pensando alle patatine fritte che si sarebbe volentieri gustata – accarezzava il soffice pelo chiaro di Artemis, la gatta di Renèe. Quest’ultima rivolte un’occhiata carica di nervosismo alla cantante, invidiandola per il suo aplomb.
“Ti hanno chiesto molte cose?”
“Non molto, hanno capito che io e Alexandra ci conoscevamo a malapena. Ma è così anche per te, quindi non preoccuparti, Renèe. Tua sorella era amica sua, non tu.”
“Non so ancora se scrivere a Corinne. Insomma, ormai penso che l’abbia già saputo dai giornali, di certo la notizia è trapelata al Ministero.”
“In tal caso è una fortuna essere qui, almeno ci siamo evitate gli articoli della Skeeter. Porca paletta, non pensate che una volta a casa ci perseguiteranno per scrivere degli articoli dettagliati sull’accaduto, vero?”
 
Impallidendo alla sola idea di ritrovarsi sotto i riflettori e con i giornalisti ad infestarle casa, dando così modo a Pearl di farle un’infinità di domanda – era più che decisa a tenerle nascosta ogni cosa e a far passare il suo viaggio per una vacanza più lunga del dovuto – May parlò spalancando gli occhi chiari con orrore. Un sorrisetto invece incurvò le labbra di Elaine, che le si rivolse con aria divertita:
“Porca paletta?”
“Vivo con una bambina di cinque anni, ho dovuto adattare le imprecazioni, non giudicatemi. Uno molto in voga in autunno era “Porco Principe Hans”.”
May fece spallucce e per la prima volta quel giorno Elaine rise. Renèe la imitò, sentendo un po’ di tensione sparire nel nulla appena prima che qualcuno bussasse alla porta.
 
“Suppongo che sia finalmente ora.”
Richiuso l’involucro di carta rosa della cioccolata, Renèe si alzò, lasciò la barretta sul tavolino accanto alla poltrona che aveva occupato May e infine andò ad aprire la porta. Non si sorprese affatto quando si trovò davanti James Hampton, che le rivolse un debole sorriso:
“Salve Renèe. Posso chiederti di venire con me? Ciao May!”
Salutando allegramente l’ex Grifondoro da sopra la spalla di Renèe, James le rivolse un sorriso che May ricambiò, rivolgendogli un cenno mentre Renèe annuiva mesta:
“Non credo di avere molta scelta. Ci vediamo dopo, ragazze.”
Rivolta un’ultima occhiata alle sue amiche – Elaine le indirizzò un “Buona fortuna” in labiale e May uno dei suoi sorrisi più radiosi – l’ex Grifondoro seguì James fuori dalla cabina e si chiuse la porta alle spalle. Elaine aveva ragione, lei e Alexandra quasi non si conoscevano. Gli Auror non avrebbero potuto trattenerla a lungo.

 
*

 
Prima che Renèe compisse undici anni e andasse ad Hogwarts capitava spesso che suo padre, Oakley Ollivander, la portasse nel negozio di famiglia a Diagon Alley. I suoi fratelli maggiori Achilles, Elian e Corinne erano già a scuola e sua madre Nadia aveva già il suo da fare con le piccole di casa, così Renèe passava spesso le sue mattinate curiosando nel negozio e nella bottega dove venivano fabbricate e vendute le loro bacchette.
Quando era piccola c’era ancora suo nonno Garrick al comando dell’attività e Renèe adorava guardare suo nonno vendere le bacchette ai clienti. A volte alcuni futuri studenti di Hogwarts impiegavano ore a trovare quella giusta, ma suo nonno non si scomponeva o indispettiva mai, sfoggiando una pazienza pressoché infinita.
Renèe sentiva spesso suo padre e suo nonno discutere sulla gestione e sul futuro della nota bottega, discussioni a cui sua madre non era solita prendere parte. Quando una sera, incuriosita, la piccola strega aveva domandato a Nadia perché non parlasse di lavoro con il padre e con il nonno, la donna le aveva sorriso e le aveva spiegato che in quanto Babbana non poteva saperne nulla, di bacchette.  Aveva poi sottolineato, dopo averle rimboccato le coperte e averle dato il bacio della buonanotte, che da quanto ne sapeva nessuna strega si era mai occupata della gestione della bottega.
Rimasta sola e avvolta dall’oscurità della camera, Renèe aveva stretto il suo coniglietto di peluche e aveva sollevato lo sguardo sulle stelline adesive luminose che costellavano il soffitto. In famiglia davano tutti per scontato che sarebbe stato suo fratello maggiore Achilles a lavorare con suo padre, un domani, ma all’improvviso la piccola strega si domandò se magari le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa: a lei piaceva stare nel negozio del nonno. Magari un giorno avrebbe lavorato anche lei insieme a lui.
 
 
*

 
Seduta con le gambe esili accavallate e le mani curate, dalle unghie smaltate di un tenue rosa cipria, in grembo Renée teneva gli occhi scuri fissi su Asriel, Clodagh e James, in attesa.
Il suo piede destro continuava a colpire ritmicamente il pavimento, tradendo un’impazienza che Renée stava tentando di celare con non poca difficoltà: prima di lei era toccato a praticamente tutti gli altri passeggeri e col passare delle ore il suo nervosismo non faceva che aumentare.
“Allora Signorina Ollivander… può dirci perché sta viaggiando su questo treno?”
Renée si sentì quasi sollevata nel sentire Asriel rivolgerle finalmente la parola, e accennò un piccolo sorriso mentre si metteva dritta sulla sedia, rispondendo prontamente:
“Avevo del lavoro da fare in Germania, ci sono rimasta da fine novembre. Stavo andando a Nizza per poi raggiungere Parigi e infine tornare in Inghilterra con le mie sorelle.”
“Le sue sorelle abitano lì?”
“Tre di loro. La più piccola, Sadie, sta studiando per diventare Auror a Londra.”
“E che cosa ha fatto in Germania per quasi un mese?”
“Ho costruito delle bacchette per dei clienti tedeschi. Le creo su commissione per i clienti esteri. Potete scrivere a mio nonno, se volete avere conferma.”
“Lo faremo, e anche ad Achilles per assicurarci che sia vero anche il resto.”
Renée non si scompose, limitandosi ad annuire, anche se dovette trattenersi dal far notare che non era così stupida da mentire con un fratello al Dipartimento degli Auror che avrebbero potuto contattare in qualsiasi momento.
“Conosceva la vittima, Signorina Ollivander?”

 
*

 
Il momento dell’anno che Renèe preferiva in assoluto, da piccola, era il ritorno a casa dei suoi fratelli per le vacanze estive. Nora e Nova, le sue sorelline di quattro anni, non le erano di grande compagnia: Renèe trovava giocare con loro terribilmente noioso,  non facevano che spazzolare i capelli alle loro bambole e a cambiarle. E poiché l’ultimogenita, Sadie, aveva solo due anni e voleva stare sempre e solo con la madre Renée era sempre piuttosto impaziente di accogliere suo fratello Elian quando il ragazzino faceva ritorno da Hogwarts.
“Che cosa hai imparato? Fammi vedere!”
Un largo sorriso sul volto pallido e gli occhi scuri luccicanti, Renèe saltellava impaziente attorno al fratello prediletto mentre Elian, sbuffando, scuoteva la testa con pazienza:
“Non posso, se faccio magie rischio di essere espulso. Però posso farti vedere la bacchetta.”
Sorridendo orgoglioso, Elian mostrava la bacchetta che aveva aiutato suo nonno a creare alla sorellina, che la prendeva piena di entusiasmo. Capitava spesso, quando suo padre era immerso nel lavoro, che i due rubassero la bacchetta di Oakley per far sì che Elian potesse insegnare alla sorellina alcune delle semplici magie che aveva imparato durante il suo primo anno ad Hogwarts.
 
“Con te mi diverto molto di più che con Corinne… lei sta sempre con la mamma a guardare vestiti o a cucire. La mamma ha provato a insegnarlo anche a me, ma non so se sono capace.”
Con quelle parole Renèe mostrava scettica al fratello le dita piene di cerotti per colpa della sua scarsa capacità di maneggiare l’ago, sbuffando e facendogli la linguaccia quando il maggiore la derideva per la sua goffaggine.
“Non mi serve cucire, da grande farò e venderò le bacchette come il nonno insieme a te. O magari tu le farai e io le venderò. Il nonno dice che sono portata.”
Indispettita, la bambina parlava sollevando il naso per aria mentre il fratello, ridacchiando, le prendeva la bacchetta del padre dalle mani:
“Certo, non stai mai zitta… Intanto devi ancora imparare un semplice Wingardium Leviosa. Domani ci riprovi, adesso rimettiamola a posto prima che lo scopra.”
 
Renèe seguiva Elian fino al retro della bottega, infilando la bacchetta nella cartella di cuoio del padre senza farsi notare fantasticando sugli incantesimi che avrebbe imparato e su come, un giorno, si sarebbe resa utile nell’attività di famiglia. Corinne poteva tenersi ago, filo e i bei vestiti che le piaceva tanto provare e guardare insieme alle gemelle: a lei sarebbero bastate le celebri bacchette Ollivander.
 

*
 

 
Non proprio. A scuola non le ho mai rivolto la parola, anche se è difficile non ricordarsi di lei. Lavoriamo… o meglio, lavoravamo, in ambiti molto diversi e non ci ho mai avuto a che fare per motivi professionali. Leggevo di lei sui giornali e la incrociavo a Diagon Alley, nulla di più.”
“L’ha mai vista nel vostro negozio?”
“In un paio di occasioni è venuta a fare qualche domanda a mio nonno e a mio padre su certi meccanismi che regolano il comportamento delle bacchette, immagino per i suoi casi. Ma con me non ha mai parlato, io sono quasi sempre all’estero.”


Renée si strinse nelle spalle e Asriel annuì, esitando prima di riprendere a parlare:
“Una volta credo di aver sentito suo fratello dire, a proposito della vittima, che lei e una delle sue sorelle si frequentavano. Di chi parlava?”
“Immagino di mia sorella maggiore. Corinne è una sarta e le vendeva molti vestiti.”
“Quindi non si riferiva a lei, parlando di una delle sue sorelle?”
Quell’insinuazione la colpì e per la prima volta una vera e propria emozione si palesò sul volto pallido di Renée, che tirò le labbra sottili in una smorfia: lei, amica di Alexandra?
“Merlino, no. Non ci ho mai avuto niente a che fare. Se non mi credete scrivete ad Achilles, vi confermerà che parlava di Corinne.”
Confuso, James smise di scrivere per lanciare un’occhiata perplessa a Clodagh: Corinne non era anche l’ex fidanzata di Alexandra? Sembrava che su quel treno tutti condividessero il nome con il fratello di qualche altro passeggero.
“Quindi lei e sua sorella erano amiche. Questo le ha permesso di conoscerla meglio?”
“Non direi. Mia sorella vive a Parigi, io viaggio molto, ci vediamo di rado. Negli ultimi anni devo aver incontrato Alexandra Sutton dal vivo poco più di un paio di volte.”
 

*
 

 
                                                          “Renèe? C’è tuo fratello, vuole parlarti.”
Ferma sulla soglia di una delle camere del Dormitorio femminile, lo sguardo di May indugiò sull’unico letto a baldacchino dove le pesanti tende scarlatte erano state tirate.
“Che cosa vuole?”
“Mi ha detto che dovevate vedervi mezz’ora fa e mi ha chiesto dove fossi. Te ne sei scordata?”
Inclinando leggermente la testa, May si avvicinò al letto fino a poter toccare le tende, tirandone un lembo per poter gettare un’occhiata sull’amica: non era da lei scordarsi un appuntamento con suo fratello, né tantomeno non voler parlare con Elian.
La ragazzina sedeva sul copriletto color cremisi a gambe incrociate e stringendo il suo cuscino tra le braccia, il mento appoggiato sulla federa bianca e un’espressione cupa sul viso.
“Che cosa è successo?”
“Niente, te lo dico dopo… vado da Elian, prima che inizi ad urlare dalle scale.”
Sbuffando piano, la giovane Grifondoro si alzò, scivolando fuori dal letto e rassettandosi distrattamente le pieghe della gonna della divisa prima di dirigersi verso l’uscio sotto lo sguardo dubbioso di May.
“Si può sapere che cos’hai? May dice che sei chiusa qui dentro da dopo pranzo.”
Come da previsione Renèe trovò suo fratello maggiore Elian – ormai giunto all’ultimo anno – seduto su una delle poltrone della Sala Comune con le braccia strette al petto e lo sguardo indagatore.
“Non ho un bel niente, solo non sto molto bene. Scusa se mi sono dimenticata, non volevo farti perdere tempo.”
Senza guardare il fratello, Renèe scivolò sulla poltrona più vicina alla sua e non aggiunse altro, reggendosi mollemente il capo con la mano e fissando assorta gli stendardi che aveva davanti.
Al maggiore, tuttavia, bastò una rapida occhiata per comprendere che cosa fosse preso alla sorella: cresciuto con ben quattro sorelle minori, Elian Ollivander poteva ormai considerarsi un esperto nel riconoscere una ragazzina nel pieno di una delusione amorosa.

“Renèe, smettila di piagnucolare e fare la bambina e dimmi che cosa c’è.”
“Non sono più una bambina.”

Di fronte allo sguardo torvo e offeso che ricevette dalla sorella Elian sorrise, lieto di essere riuscito ad attirare la sua attenzione mentre la giovane strega, sbuffando piano, abbassava lo sguardo sulla propria gonna tormentandone le pieghe con una mano:
“Pensavo di piacere a Ryan, ma Jake dice che era solo curioso sulla nostra famiglia. È perché siamo ricchi?”
“E stai piagnucolando per quel bamboccio? Renèe, la nostra è una famiglia molto nota e su cui girano tante storie… non penso che sarà la prima e ultima volta che ti capiterà di essere delusa dalle persone che ti circondano, ma non devi darci troppo peso. E neanche starci male, è solo un ragazzino idiota.”
“Non è un idiota, a me piaceva!”
Quando Elian simulò un conato di vomito Renèe lo colpì sul braccio con tutta la forza che i suoi tredici anni le consentivano, strappando al ragazzo una risata:
“Ma se non sa neanche allacciarsi bene la cravatta… Io e Achilles diciamo sempre che Corinne ha dei gusti orribili, ma neanche tu scherzi.”
“Neanche quello che piaceva a te a inizio anno si allacciava bene la cravatta.”
Il sorriso svanì rapidamente dal volto di Elian, che alle parole della sorella la guardò più serio che mai. Stava per aprire bocca per ammonirla quando la tredicenne, sorridendo, lo precedette:
“So che non vuoi che lo dica a nessuno. Prometto che non lo farò, se la smetterai di prendermi in giro.”
“Lo farò quando la smetterai di disperarti per dei ragazzini idioti. Vieni, andiamo a cercare Ryan… posso metterlo in punizione, se ti va.”


Per Elian quello era l’ultimo anno ad Hogwarts, mentre la sua sorella prediletta ne aveva ancora quattro davanti a sé. Mentre lasciavano la Sala Comune e Renèe lo implorava di non immischiarsi, il ragazzo le circondò le spalle con un braccio chiedendosi come se la sarebbe cavata da sola la sorella a partire dall’anno successivo: aveva la netta sensazione che ci sarebbero stati altri Ryan nel futuro di Renée.
 

*

 
“L’aveva vista, sul treno?”
“Devo averla vista a cena, ma non me ne sono curata particolarmente… Come ho detto, non avevamo nessun tipo di legame. Ho incontrato May Hennings sulla banchina, prima di salire, non ci vedevamo da parecchio e ho parlato con lei tutta la sera, non ho prestato molta attenzione ad Alexandra. Immagino che anche lei viaggiasse spesso per lavoro, quindi la sua presenza non mi ha particolarmente stupita… e credo che mia sorella una volta abbia detto che aveva una casa in Costa Azzurra.”
“Quindi non vi siete rivolte la parola?”
“No.”
“È sicura?”
“Sì. mi avete forse vista parlarle, o qualcuno ve lo ha riferito?”
Renée parlò inarcando un sopracciglio con evidente scetticismo e Asriel, dopo una breve esitazione, negò pacatamente.
“È rimasta con la Signorina Hennings tutta la sera?”
“Abbiamo cenato insieme e poi siamo rimaste un po’ nella mia cabina… ci siamo fatte portare qualcosa da bere, abbiamo chiacchierato, poi lei è andata a dormire e io ho fatto altrettanto. È tutto.”
“Che ora era?”
“Le undici passate, prima di mezzanotte.”
“La sua cabina è vicina a quella della vittima. Ha sentito niente di strano quella notte?”
“Ho dormito fino al mattino, non mi sono mai svegliata. Non ho sentito nulla.”
Asriel si voltò verso James, che annuì come a voler dire di aver scritto tutto. Restare chiusi dentro quel treno, fare continuamente le stesse domande stava diventando sempre più estenuante. L’anglo-tedesco – così come, ne era sicuro, anche i suoi colleghi – moriva dalla voglia di mettere fine a quegli interrogatori e, se possibile anche alle indagini. Disgraziatamente la vittima aveva del tutto l’aria di qualcuno che in molti potevano voler vedere morta.
“Se non ha altro da dirci può andare. Se avremo altre da chiederle glielo farò sapere.”
 
Un minuto dopo, quando Renée fu uscita dalla stanza, Clodagh allungò istintivamente verso Asriel il sacchetto di noccioline che non avevano finito prima di parlare con Clara:
“Noccioline?”
“Una vagonata. Dopo ricordatemi di dire allo chef che per cena voglio l’hamburger più grande che abbia mai cucinato. Manca De Aureo, gli parliamo stasera o domani mattina?”
Sbuffando – e per nulla invogliato ad intavolare l’ennesimo interrogatorio, soprattutto con un tipo così bizzarro – Asriel affondò la mano nel sacchetto mentre Clodagh ne lanciava un altro a James, che lo aprì stringendosi nelle spalle:
“Stasera, almeno ci leviamo il pensiero. Anche se penso che ci prenderà parecchie energie.”
Dubbiosa, Clodagh lanciò un’occhiata in tralice ad Asriel, certa che per fargli affrontare l’interrogatorio con Prospero avrebbero avuto bisogno di molte, moltissime noccioline.
Mentre sgranocchiava noccioline James si ricordò, all’improvviso, di qualcosa che Prospero De Aureo gli aveva dato mentre andava a chiamare Renée: lo aveva incrociato in corridoio insieme a Delilah Yaxley, impegnati a discutere sull’effettiva utilità delle forcine per capelli per aprire le serrature. Tirata fuori una rivista, il giovane Auror sorrise allegro ai colleghi:
“Vi va di fare il test “Quale pizza sei”?”
 
 
*

 
Sua madre era andata a fare visita alla boutique di Corinne per ritirare il vestito che si era fatta confezionare per Natale, e aveva trascinato con sé anche Renée. La giovane aveva cercato di rifiutarsi, ma la madre aveva insistito, sottolineando che viaggiava sempre con Elian per promuovere e vendere bacchette e che ormai le sue sorelle non le vedeva praticamente mai.
Nadia non aveva torto, ma Renée si era dovuta trattenere dal farle sapere che a lei le cose andavano benissimo così come stavano: vedeva Corinne praticamente solo a compleanni, Natale e Pasqua, ed era più che abbastanza. Senza contare che la sua amorevole sorella maggiore non perdeva mai l’occasione di fare commenti più o meno taglienti sul suo abbigliamento e di ricordare a tutti che Renée non aveva mai acquistato un abito da lei.
Era la verità: Renée avrebbe digiunato per due giorni piuttosto che farsi confezionare un vestito da sua sorella.
Mentre Nadia – visibilmente felice di essere tornata brevemente in Francia e di poter fare una compere a Parigi – chiacchierava con Nova e Nora, Renée curiosava pigramente in giro, facendo di tutto per evitare le sue sorelle e per non restare intrappolata in domande imbarazzanti sulla sua vita privata. Sembrava che tutte le sue sorelle, a parte la piccola e innocente Sadie, non perdessero mai l’occasione per chiederle come mai non avesse un fidanzato.
Stava osservando schifata un orrendo abito verde pisello – ma a quale essere umano poteva donare un colore simile? – quando sentì la voce della sorella maggiore e quella di un’altra donna che non riconobbe.
 
“Continuo a leggerne sulle riviste, sai? Ne parla mezza comunità magica qui. Lei e la sua famiglia sono molto famosi.”
“Lo so.”
Accigliata, Renée si chiese con chi stesse parlando sua sorella: era raro sentire Corinne parlare in inglese con delle clienti. Anzi, la strega adorava sfoggiare il suo finto accento francese persino quando tornava in Inghilterra per le feste.
Avvicinandosi leggermente al bancone senza farsi notare – per lo meno tutti quei vestiti servivano a qualcosa – Renée scorse sua sorella parlare con un’alta strega dai lunghi capelli biondo grano. Mentre Corinne parlava sporgendosi sul bancone con i capelli biondi che sfioravano la superficie di quarzo, la sua cliente britannica stava di profilo e indossava due vistosi guanti di pelle color cremisi.

Riconoscerla non fu difficile, dal momento che negli ultimi mesi l’aveva visto spesso sulla Gazzetta del Profeta. Anche se viaggiava spesso, a Renée piaceva tenersi informata e a aveva anche seguito diversi dei suoi casi… per non parlare di quella fastidiosa e totale ammirazione che sua sorella provava per lei: adorava la sua celebre amica tanto quanto detestava la sua stessa sorella minore, e parlava di lei tanto spesso da far sanguinare le orecchie a tutta la famiglia.
“Ho visto tua madre. È venuta a trovarti?”
Alexandra parlò scostandosi distrattamente i capelli dal viso, e Renèe poté vederla meglio mentre l’avvocato tamburellava distrattamente le dita sul bancone. Davanti a lei c’era una pila considerevole di porta abiti: doveva averne ordinati parecchi, ma Corinne diceva sempre che per il suo abbigliamento Alexandra non badava a spese.
“È venuta a prendere un vestito con mia sorella. Renée.”
Nel pronunciare il suo nome la voce di Corinne assunse un tono quasi amaro, e Renée accennò una smorfia con le labbra – che cosa avesse fatto per meritarsi quel disprezzo, a parte decidere di lavorare nell’attività di famiglia, non lo avrebbe mai compreso – mentre Alexandra, invece, pareva quasi divertita:
“Voi due litigate sempre?”
“Non esattamente. Ci sediamo ai lati opposti del tavolo e ci parliamo quando è strettamente necessario, nonno Garrick detesta che si litighi a tavola e cerchiamo di non farlo innervosire. Tu hai sorelle?”
“Grazie al cielo no. Il che è un bene, perché condividere non è mai stato il mio forte. Come sopravvivi con tutti quei fratelli?”
“I miei fratelli non sono un problema. Achilles ha la sua vita, Elian si fa gli affari suoi… Nora e Nova mi adorano e Sadie, la più piccola, è un vero tesoro. L’unica con cui non vado d’accordo è Renée, ma lei è la cocca di papà e di nonno Garrick, quindi…”
L’amarezza nella voce della sorella era papabile, e Renée dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non palesare la sua presenza ricordando alla sorella che non aveva mai chiesto di essere la preferita del nonno paterno: entrambe erano state libere di scegliere la loro strada, i loro genitori non avevano mai imposto nulla a nessun figlio.
“Beh, la tua famiglia ha un’attività di un certo livello, e suppongo che un giorno la gestiranno a tutti gli effetti Elian e Renée. È comprensibile che una prospettiva del genere facesse gola a tua sorella, di sicuro tuo nonno saprà a chi lasciare una buona fetta di eredità. Grazie per i vestiti, ci vediamo tra due settimane.”
Sportasi sul bancone, Alexandra e Corinne si scambiarono il consueto doppio bacio sulle guance alla francese mentre Renée, circondata da tutti quei bei vestiti, quasi stentava a credere alle sue orecchie: il suo pensiero non era mai stato quello dell’eredità. L’attività di famiglia l’aveva sempre affascinata, ma non per il denaro. Chi era quella spocchiosa Alexandra Sutton per fare certe insinuazioni sul suo conto?
 
La campanella sull’entrata aveva appena tintinnato quando Renée, incapace di resistere, quasi si gettò sul bancone e sulla sorella maggiore, guardandola furiosa:
“Quindi è così? Ti fai mettere idee in testa da una sconosciuta?”
“Stavi origliando? Che cos’hai, 8 anni? Cresci e fatti gli affari tuoi, Renée. E Alexandra è una mia amica.”
“Bell’amica! Non mi conosce, che cosa ne sa di quello che faccio e che cosa voglio? Se sei gelosa è un tuo problema, ma evita di farti mettere idee in testa sulla tua stessa famiglia da gente che non ne sa nulla. Dei soldi non mi interessa, ma immagino che parli per esperienza personale, vista la sua parcella.”

Corinne sospirò e le diede le spalle, allontanandosi a passo svelto come se stesse cercando di ignorare un insetto fastidioso, ma Renée non demorse e la seguì senza smettere di dar voce ai propri pensieri:
“Hai mai pensato che forse è amica tua solo per la famiglia di cui fai parte? Magari estorcere qualche segreto interessante su come si costruiscono le bacchette, o come reperire il tanto costoso crine di unicorno. Sono sicura che le farebbe comodo, dovrà pur pagarsi questi bei vestiti in qualche modo.”
“Finiscila. Parli di cose che non conosci, come sempre.”

“Ma hai visto che cosa ha fatto alla famiglia della sua ex fidanzata? Immagina che cosa farebbe a te! Non ha nessun riguardo.”
Corinne continuò ad ignorarla, allontanandosi verso la madre e le sorelle minori, che stavano esaminando un modello verde petrolio ancora incompiuto. Questa volta Renée non la seguì, limitandosi a guardarla sorridere a Nadia e prenderla affettuosamente sottobraccio prima di iniziare a scherzare con lei e con le gemelle. In qualche modo Renée si era sempre sentita un po’ tagliata fuori da quella sorta di legame esclusivo che quelle quattro, simili sotto molti aspetti, avevano.
Sbuffando, la giovane strega girò sui tacchi e si allontanò cercando di rincuorarsi al pensiero di rivedere May il giorno dopo e di stare un po’ con suo nonno e con Elian durante le feste. Anche se si rifiutava di ammetterlo Corinne era semplicemente gelosa di lei, ma non aveva nessuna intenzione di inseguire o di cercare di riparare un legame inesistente.
 

*

 
Congedata dagli Auror, Clara non aveva trovato Corinne seduta dove l’aveva lasciata – e nemmeno Loki, tanto che la strega sospirò al pensiero di quanto avrebbe dovuto dannare per trovare il gatto, che era ancora offeso dopo il cappellino da Babbo Natale che gli aveva fatto mettere – e così era andata a cercarla nella sua cabina. Aveva bussato alla porta, e non ottenendo alcuna risposta non aveva faticato ad immaginare dove potesse essere: recuperati cappotto e guanti dalla sua cabina, Clara si era diretta verso la terrazza esterna del treno, ed era esattamente lì che aveva trovato la sua amica.
Con sua scarsa sorpresa Corinne non era sola: impegnata a fumare, l’ex fantina stava parlando con uno dei passeggeri inglesi, anche lui con una sigaretta in mano.
Oltre a loro, leggermente in disparte e appoggiato alla ringhiera di metallo, c’era lo chef del treno, leggermente imbronciato e fumando a sua volta.
Cercando di non pensare a quanto fumo passivo avrebbe inalato uscendo su quella terrazza, Clara li seguì e rivolse un sorriso allegro allo chef:
“Ma salve. Giurerei di averla vista in cucina poco fa.”
“Magari non ero io.”
“Sì, magari non era lei… probabilmente un altro chef alto come lei e con occhi chiarissimi, del resto ce ne sono tanti su questo treno.”
Clara fece spallucce e Ruven, colpito e affondato, borbottò qualcosa a mezza voce:
“Non volevo farmi gli affari altrui, ho solo trovato strano che le avessero dato la bacchetta. Che cos’era quella cosa strana?”
Ti hanno dato la bacchetta? Perché?”
Accigliandosi, Corinne smise di parlare di cavalli alati e di gare con Lenox per rivolgere la sua attenzione sull’amica, che però di nuovo si limitò a stringersi nelle spalle:
Mi hanno chiesto di esaminare una cosa Coco, se la sono subito ripresa.”
“Non ci capisco niente se parlate in francese.”
Ruven sbuffò sonoramente – appuntandosi mentalmente di non andare a lavorare più in treni che ricoprivano tratte in quel Paese, ne aveva le tasche piene di passeggeri che non sapevano l’inglese e con cui doveva comunicare a gesti – e Lenox, guardandolo, si trattenne dal proporsi gentilmente di tradurgli, ricordandosi appena in tempo che così facendo avrebbe fatto sapere a Clara e a Corinne di aver compreso perfettamente la loro recente conversazione in quello stesso luogo.
Fortunatamente a fare da interprete ci pensò Corinne, che senza battere ciglio gli tradusse in tedesco ciò che lei e l’amica si erano appena dette.
“Penso che lei sia la prima passeggera francese che parla tedesco di questo treno. Che cos’era quella sfera inquietante?”
“Credo sia meglio che non si sappia, a dire il vero.”
Accigliata, Clara si sistemò i guanti ripensando a ciò che le avevano dato da esaminare gli Auror: non sapeva come fosse finita sul treno, ma di sicuro non aveva intenzione di seminare ulteriore panico tra gli altri passeggeri.
“Clara, ora sono curiosa, devi dirmelo!”
“Ma anche io voglio saperlo! Se lo dice a lei deve dirlo anche agli altri.”
Spenta nervosamente la sigaretta sulla ringhiera e gettata sulla neve, Ruven incrociò le braccia al petto e scoccò un’occhiata di sfida a Corinne, che però non si scompose particolarmente e continuò a prendere boccate:
“Beh, io sono sua amica da più di quindici anni, si metta in fila.”
“E io sono quello che sfama tutti, come la mettiamo?”
“La sua cucina è eccezionale ma sapremmo sfamarci anche senza di lei, Chef. Cioè, io no, ho sempre avuto qualcuno pronto a cucinare per me, ma Clara sì e di sicuro non mi farebbe morire di fame.”
Corinne accennò all’amica stringendosi nelle spalle mentre Lenox, dietro di lei, rifletteva su quale potesse essere la propria utilità sul treno, ma dovette tristemente giungere alla conclusione che non gli venne in mente granché.
“Beh… io conosco bene Asriel, magari lui me lo direbbe.” 
Lenox sorrise allegro e Corinne, sbuffando, gesticolò animatamente verso di lui con la mano che reggeva la sigaretta accesa:
“E allora che aspetta, vada a chiederlo al suo amico!”
“Ma non posso, starà interrogando la Signorina Ollivander… e di sicuro non voglio interromperlo mentre lavora, ci tengo alla mia salute.”
Rabbrividendo solo immaginando a quale destino sarebbe andato incontro interrompendo il lavoro di Asriel, Lenox si strinse istintivamente nel cappotto blu notte che indossava mentre Clara si rivolgeva a Ruven con tono cantilenante:
“Magari se mi prepara qualcosa di buono le dico che cosa succede…”
“Stasera a cena c’è la Tarte Tatin per dessert.”
A quelle parole il volto di Clara si illuminò e la strega, sorridendo, guardò lo chef con occhi scintillanti:
“Dice davvero? Me ne tiene da parte una fetta extra?”
“Forse, ma alla minima critica la do al gatto, è avvisata.”
 

*

 
“Questa lavagna è tutta traballante… non potevate evocarne una di più stabile, almeno?”
Armeggiando con le gambe instabili della lavagna, Asriel sbuffò mentre Clodagh dava da mangiare a Zorba e James era impegnato a mettere delle crocette su una rivista con una delle sue matite natalizie:
“Asriel, non sfogare la tua frustrazione su Geraldine, non ti fa bene.”
“Qualcuno mi spiega perché una lavagna deve chiamarsi Geraldine? È un nome orrendo.”
“Ehy!”  A quelle parole Clodagh, sollevato di scatto lo sguardo da Zorba – che continuava a strusciarsi sulle sua gambe girandole intorno –, si rivolse in tono d’accusa verso il collega incrociando persino le braccia al petto e scoccandogli l’occhiata più torva di cui era capace:
Mia nonna si chiama Geraldine!”
“Cazzo, è vero… Scusa Clo, me l’ero scordato. Geraldine è un nome assolutamente meraviglioso.”
Il sorriso di scuse dell’amico fece sbuffare la strega, che si chinò per dare una grattatina sulla testa di Zorba senza smettere di guardarlo di traverso:
“Vorrei ben dire. E tua nonna come si chiama, visto che hai tanto da criticare?”
“Mia nonna paterna si chiamava Adelfriede…”
“Ah, beh, certo, questo sì che è un gran bel nome… ti dà proprio l’idea di qualcuno pronto ad invadere la Polonia…”
Mentre Clodagh – borbottando in gaelico – sedeva sul letto per rileggere il resoconto dell’interrogatorio di Renèe, Asriel si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a rivolgersi, invece, in direzione di James, presissimo dalla sua rivista: di discussioni su quanto ciascuno trovasse, rispettosamente, orrendi i nomi irlandesi e quelli tedeschi i due ne avevano già avute un’infinità, e decise di lasciar perdere.
“James, ti dispiacerebbe lasciar perdere quella rivista e aiutarmi e controllare le informazioni che ci hanno mandato quegli inetti dei nostri colleghi?”
“Ma sto finendo il test “Che tipo di patata sei”…”
“Ma dove l’hai presa?”
“Me l’ha data Prospero.”
“Sfere contenenti antiche maledizioni misteriose, riviste inutili pieni di test da bambine di sei anni… c’è qualcosa che quel tipo non si porta in valigia?!”
 
“Ro, ce l’hai un piede di porco? Abbiamo una serratura da scassinare.”
“Cavolo, l’ho lasciato in valigia! Però ho un coltellino svizzero, prova con questo.”

 
Sollevato di essere risultato una patatina fritta riccia (non avrebbe retto la delusione di risultare una comunissima patata lessa) James abbandonò la sua rivista sulla poltrona per andare ad aiutare Asriel, rovistando nello scatolone alla ricerca del fascicolo su Renèe.
“Eccolo! Mi sembra sottile, evidentemente non hanno trovato un granché.”
Incuriosito, James lo aprì sedendo sul bordo del letto di Asriel, che si vide costretto ad imitarlo: quando si ritrovavano tutti e tre nella cabina con tanto di Geraldine, l’Auror non sapeva mai dove mettersi.
“Dimentichi che al Dipartimento ci lavora anche suo fratello Achilles… spero vivamente che Potter abbia avuto il buonsenso di tenerlo lontano da una raccolta di informazioni sulla sua sorellina, ma da uno che si è imboscato nella Foresta Proibita a 12 anni seguendo ragni non mi aspetto granché.”
Asriel si sporse verso il collega per leggere il contenuto del fascicolo di cartoncino marrone da sopra la spalla di James mentre Zorba gli saltava in grembo per acciambellarsi sulle sue ginocchia.
“C’è la sua pagella dei MAGO e dei GUFO… Ricordo che era una delle migliori del nostro anno, prendeva voti davvero altissimi. Ci sono un mucchio di vecchi articoli della Gazzetta del Profeta su di lei, pare che sia la prima strega ad avere un ruolo così in primo piano negli affari della sua famiglia.”
“Siete dello stesso anno. Per caso ricordi se ha mentito riguardo ad Alexandra e se le hai mai viste insieme ad Hogwarts?”
“In realtà no, ma io e Renèe non siamo mai stati amici… e poi Alexandra era parecchio più avanti di noi, a scuola quattro anni sono un vero e proprio abisso.”
“Ha ragione. E Alexandra non era tipo da considerare gli studenti più piccoli, a meno che non le potessero essere utili a qualcosa. Renèe veniva da una famiglia famosa e interessante, ma penso che Alexandra la vedesse solo come una ragazzina. Rivolgeva a malapena la parola a noi, che avevamo solo un anno in meno di lei.”
Clodagh alzò lo sguardo dal resoconto dell’interrogatorio di una dei passeggeri più giovani accennando una smorfia con le labbra nel ricordare l’atteggiamento di superiorità che la vittima era solita sfoggiare nei corridoi. Non l’aveva mai potuta sopportare.
 
“Qui c’è un articolo con delle parti sottolineate…”
“Un’intervista ad Alexandra? Solo quella deficiente della Skeeter poteva scriverla, mi chiedo chi abbia corrotto o incantato per lavorare ancora in una redazione.”
“Ce l’hai con lei per quella volta in cui ha scritto del processo di Gustav Eriksen sottolineando il modo in cui i tuoi muscoli si tendevano sotto la giacca del tuo completo, parlando dei tuoi begli occhi e ignorando il nostro duro lavoro per acciuffarlo?” 
Clodagh parlò sbattendo vistosamente le ciglia e con un tono civettuolo che poco le si addiceva, ridacchiando quando il collega grugnì qualche insulto in tedesco prima di borbottare sommessamente: una delle cose che Asriel non tollerava era quando le persone si concentravano più sul suo aspetto che sul suo rendimento professionale.
“Dovevo immaginarlo che si era seduta dietro di noi per un motivo… Megera pitonata.”
“Credo che la borsa fosse di coccodrillo.”
“Sempre uno schifo era, e sempre di rettili orrendi si parla. James, tralasciando la Skeeter, hai letto di che cosa parla?”
“Sì, la nostra cara Rita ha chiesto ad Alexandra dove comprasse tutti i suoi abiti meravigliosi – Asriel sospirò rumorosamente, chiedendosi perché mai si dovesse fare una domanda così assolutamente inutile ad un’intervista ad un avvocato brillante – e lei ha risposto che gran parte sono fatti su misura da una sua amica che fa la sarta in Francia… Corinne Ollivander.”
“Almeno sappiamo che Renée non ha mentito. C’è qualcosa su questa Corinne?”
“È la sorella maggiore di Renèe e ha studiato a Beauxbatons. Ha 27 anni.”
“Allora forse le nostre passeggeri francesi la conoscono. Pare che dovremo convocarle di nuovo.”
“Ne saranno estasiate…”
 

*
 

 
“Fammi indovinare, l’idea del panino l’hai suggerita tu a Clodagh e a James.”
“Non so di che panino parli, ma spero che fosse di tuo gusto.”
Sorridendo allegro, Lenox allungò una sigaretta ad Asriel, che però la rifiutò con un educato cenno della mano. Poco prima Clodagh e James lo avevano incastrato ad una specie di estenuante e raccapricciante presentazione sugli effetti nocivi del fumo usando Geraldine, e ora gli era scaduta persino la sola sigaretta al giorno che di norma si concedeva.
“Estremamente di mio gusto. Tu pensa, era il mio preferito.”
“Che bella coincidenza!”
“Oh sì, una vera coincidenza. Ho un vago ricordo di qualcuno che, finita la finale del VI anno, corre da me con quello stesso panino in mano. Non è che per caso eri tu?”
Asriel continuò a parlare senza guardare l’ex compagno di scuola, potendo comunque immaginare chiaramente il suo sorriso prima che Lenox parlasse con il tono più vago di cui era capace:
“Non mi ricordo di quella finale, se devo essere sincero. Perdeste?”
“Già. Sai Lenox, penso davvero che sarai un ottimo avvocato.”
Lenox non rispose, però sorrise comunque: da quando Amelie non faceva più parte della sua vita, era difficile trovare qualcuno che credesse nella sua carriera forense. Ancora stentava a credere che stesse finalmente per avere inizio.
“Magari ti troverò in aula coinvolto in qualche caso a cui avrò lavorato, chissà. Ma non metterti a difendere quelli che arresto come faceva Alexandra, o un panino non riuscirà a salvarti.”
 
 
 
(1): “Pagherei oro per avere la tua vita”
(2): “È interessante da leggere?”



 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buonasera a tutti.
So che probabilmente avete pensato che fossi sparita dalla circolazione e mi scuso tantissimo per questa lunga attesa, ma devo dire che una pausa estiva mi ci voleva.
Una nota veloce per informarvi che Finn è stato regredito al ruolo di personaggio secondario, temo di non avere modo di eliminarlo nel vero senso della parola in un contesto simile e smettere di menzionarlo arrivati a questo punto non avrebbe alcun senso rispetto alla trama. Ergo, Finn verrà menzionato e apparirà a seconda delle esigenze narrative ma non avrà più spazi dedicati esclusivamente a lui.
Sperando di non dover allungare la lista dei personaggi falciati – già dovendo “eliminare” Finn mi trovo in difficoltà per motivi narrativi, ma ormai ci sono abituata a dover modificare le idee mentre una storia è in svolgimento – ringrazio come sempre tutti quelli che hanno commentato e invito chi non si fa sentire spesso a palesare la propria presenza. Anche ricevere un commento in privato e non per forza una recensione sarebbe cosa gradita, altrimenti poi non venite a lamentarvi se il vostro personaggio non è troppo presente.
Detesto risultare pesante e sono sempre estremamente gentile e comprensiva, ma ci sono persone che metà delle volte non mi hanno nemmeno mandato i voti, attività per la quale era necessario spendere circa 5 secondi di tempo e un quarto di caloria. Evidentemente lo sforzo che chiedo è troppo eccesivo, ma mangiatevi un KitKat e vi assicuro che recupererete subito le forze dopo questo abissale impiego di energie.
Per quanto riguarda il Camp: salvo picchi di ispirazione e produttività improvvisi temo che aggiornerò dopo il 17, superato lo scoglio di un esame. Il 22 ho un intervento quindi spero di aggiornare nella finestra tra le due date.
Buona serata e a presto, spero, con il capitolo di Ro Ro.
Signorina Granger

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Capitolo 14
*** Capitolo 12 - Prospero ***


Capitolo 12 – Prospero
 

 
25 Dicembre, 8.30 pm
 
 
“A cosa pensi?”
La voce di Delilah lo riportò bruscamente alla realtà, distogliendolo dal turbinio di pensieri che gli affollavano la mente. Le esili braccia coperte da un maglione nero incrociate, i gomiti appoggiati sulla tovaglia bianca, Delilah teneva gli indagatori occhi nocciola fissi sul suo migliore amico che le sedeva di fronte.
Abbozzando un sorriso, Prospero infilzò con la forchettina da dessert un pezzo della sua fetta di Tarte Tatin servita con gelato alla vaniglia – Delilah aveva spolverato la sua porzione nell’arco di pochi minuti – mentre riportava lo sguardo sull’amica:
“Al fatto che a breve godrò del sommo privilegio di stare nella stessa stanza da solo con Asriel Morgenstern.”
“Nei tuoi sogni, forse. Ci saranno anche gli altri Auror.”
“Ah, vero. Che disdetta…”
Prospero si portò il pezzo di torta alle labbra esalando un sospiro affranto, dichiarando le sue speranze disilluse mentre Delilah accennava al maglione dell’amico con puro scetticismo:
“E avevi seriamente intenzione di incontrarlo conciato così?”
Il mago chinò lo sguardo sul suo maglione – di un intenso rosso sangue, dove spiccava un lama con occhiali da sole e una ghirlanda di luci natalizie avvolta attorno al collo – prima di portarsi la mano destra sul cuore e dare sfogo alla sua miglior espressione offesa e addolorata:
“Stai insinuando che il mio set di maglioni natalizi coi lama sia brutto e che mi renda poco avvenente, Laila?”
Un set? Perché, ne producono addirittura più di uno di maglioni natalizi coi lama?!”
“Fingerò di non aver sentito nulla, del resto la tua è tutta pura invidia.”
Prospero distolse lo sguardo e liquidò il discorso con un gesto, fingendosi sostenuto mentre l’amica lo scrutava dubbiosa: a dire la verità la sua era sinceramente invidia, ma non tanto per il possedere o meno un maglione simile quanto più per la capacità di Ro di indossare con classe qualsiasi cosa. Anni prima lei e Cecil gli avevano regalato un pigiama coperto di alci, ma a nulla era servito il loro tentativo di renderlo ridicolo: Prospero aveva dichiarato di adorarlo e si era aggirato con quel tremendo pigiama addosso per la Sala Comune per tutto l’inverno senza che nessuno osasse prenderlo in giro.
“Hai ragione, sogno da sempre di indossare cotanta bellezza, peccato non averne ancora mai avuta l’occasione!”
Delilah allungò la forchetta da dessert per cercare di sottrarre all’amico l’ultimo boccone di torta di mele, ma Prospero fu più rapido e bloccò la forchettina sulla tovaglia utilizzando la sua.
“Dai Ro, non fare il tirchio!”
Il tono lamentoso e implorante della strega non fece breccia nel cuore dell’amico, che anzi la guardò sbigottito sollevando entrambe le folte sopracciglia scure:
Tirchio?! Ma se quando vieni a trovarmi a Roma ti faccio trovare sempre un vassoio di maritozzi! E quella volta che mi hai svegliato in piena notte lagnandoti che volevi una pizza e ho messo in moto la cucina solo per te?!”
“Ma io voglio la torta di mele… Dammela, dai.”
“Non pensarci neanche!”
 
Seduta a qualche metro di distanza, Clodagh osservava scettica l’ultimo, enigmatico passeggero da interrogare in compagnia della sua migliore amica e impegnato in una sorta di duello con le forchettine da dessert per difendere il suo ultimo pezzo di torta.
Quell’indagine assumeva toni più assurdi ogni ora che passava.
“Prima di parlare con De Aureo voglio chiedere alle francesi di parlarci della sorella di Renèe e del suo rapporto con Alexandra, vediamo se qualcosa non torna. James, hai scritto a Achilles?”
“Ho già spedito la lettera, gli ho chiesto di risponderci con urgenza. Pensi che Renée mentisse?”
“No, ma meglio esserne sicuri. Vado a chiedere alla Signorina Picard e alla Signorina Leroux di fermarsi per qualche minuto a parlare con noi quando tutti avranno finito di cenare.”
Asriel appoggiò il tovagliolo candido vicino al piatto ormai vuoto – James non aveva mai visto nessuno spolverare un hamburger enorme con tanta rapidità – e si alzò scostando leggermente la sedia dov’era seduto. Il più giovane lo guardò avvicinarsi al tavolo dove Clara e Corinne stavano discutendo fitto fitto in francese – la mora si stava gustando la seconda fetta di torta –  prima di rivolgere la sua attenzione a Clodagh, impegnata ad osservare pensierosa Prospero De Aureo e Delilah Yaxley.
“Stai pensando a cosa chiedere a Prospero, Clo?”
“Sì e no. Stavo pensando alla sfera che abbiamo trovato nella valigia di Alexandra. E al motivo per cui mi trovo qui.”
Osservando la collega e amica, James si rese conto di non averle mai chiesto in modo approfondito perché l’avessero incaricata di seguire Prospero sul treno. La sorpresa nell’incontrarla sul Riviera Express era stata enorme, e l’entusiasmo che ne aveva conseguito gli aveva quasi fatto scordare di chiederle come fossero andate le cose.
Quando gli era stato detto che avrebbe dovuto accompagnare Asriel in Germania, James ne era stato sorpreso ed entusiasta allo stesso tempo: era rarissimo che l’Auror viaggiasse con qualcuno che non era la loro pimpante collega dai capelli ramati e subito l’ex Tassorosso si era chiesto il motivo di quel cambiamento, ma era così felice all’idea di poter imparare qualcosa da Asriel che di certo non si era sognato di fare troppe domande a Potter.
“Quando mi hanno dato l’incarico mi sono chiesto perché avessero scelto me e non te. Mandano sempre te e Asriel insieme. In effetti quando l’ha saputo Brontolo non era poi così felice.”
No, Asriel di certo non aveva ricambiato l’entusiasmo di James: appresa la notizia del suo cambio di partner, era entrato nell’ufficio di Potter per uscirne più di mezz’ora dopo e con un’espressione così furente che nessuno aveva avuto il coraggio di rivolgergli la parola o di intralciare il suo cammino per tutto il resto della giornata.
“Te l’ho detto, è una persona estremamente abitudinaria. Non ama i cambiamenti, soprattutto quelli improvvisi.”
Clodagh accennò un sorriso divertito mentre giocherellava con la sua forchetta, lanciando un’ultima occhiata a Prospero prima di sporgersi sul tavolo verso James:
“Pare che sapessero che avrebbe dovuto vendere qualcosa.”
“E come?”
“Questo Potter non me l’ha detto. Era strano, molto strano.”
 
 
“Clodagh, ho bisogno che tu tenga d’occhio una persona. Salirà su questo treno tra pochi giorni, ti ho fatto procurare un biglietto per seguirlo.”
In piedi davanti alla scrivania del suo superiore, Clodagh allungò una mano pallida per prendere la busta che Harry le porgeva. Aprendola, la strega estrasse il biglietto ferroviario leggendo con un sopracciglio inarcato la stazione di partenza e quella d’arrivo:
“Berlino-Nizza? Di chi si tratta?”
“Prospero De Aureo. Lo conosci?”
“Mi ricordo di lui a scuola, è una di quelle persone… difficili da dimenticare. Che cosa ha fatto?”
Curiosa, Clodagh richiuse la busta e la infilò con cura nella tasca interna della sua giacca mentre qualche vago ricordo di un gentile, alto e sorridente Serpeverde dai capelli scuri tornava a farle visita. Prospero De Aureo. Era tanto tempo che non sentiva quel nome.
“Niente, per ora. Sospettiamo che viaggi trasportando qualcosa che deve vendere, qualcosa di illegale e di potenzialmente pericoloso.”
“Ovvero?”
“Non ne abbiamo idea.”
“Devo recuperare qualcosa di cui non so assolutamente nulla, Signore?”
Non era sua intenzione risultare scettica o irrispettosa, ma Clodagh non poté fare a meno di inarcare un sopracciglio con perplessità mentre Harry, dietro la scrivania e con le mani intrecciate, accennava un sorriso:
“La cosa più importante è impedirgli di vendere, Clodagh. Per quello che ne sappiamo Prospero è piuttosto innocuo, ma nelle mani sbagliate ciò che De Aureo possiede potrebbe diventare un grosso problema.”
 
 
 
“Come faceva Potter a sapere di quella specie di maledizione?”
“Questo non me l’ha detto. Ma da quando ho visto te e Asriel sul treno continuo a chiedermi se la nostra adorabile vittima non fosse coinvolta in qualche modo. Forse era lei l’acquirente e lei e Prospero si sono accordati per viaggiare sullo stesso treno come copertura.”
“Ma Alexandra non l’ha comprata… anche se avesse voluto, non ne ha avuto il tempo. Anche se Prospero avesse pianificato di tenersi la maledizione per sé e di ucciderla lo scambio non è avvenuto e non ha avuto il denaro, perché ucciderla senza prima essersi fatto pagare?”
“Farsi trovare con dei soldi avrebbe alimentato i sospetti su di lui. Ma se l’avesse uccisa per tenersi la maledizione perché farcela trovare? Avrebbe dovuto nasconderla, non mettercela sotto al naso.”
Le braccia strette al petto, Clodagh scosse la testa mentre fissava il suo piatto da dessert vuoto senza realmente vederlo, troppo concentrata sul mistero che legava il suo iniziale incarico, l’omicidio di Alexandra e quella misteriosa maledizione.
Era impossibile che Alexandra e Prospero non fossero legati in qualche modo, si sarebbe trattato di una coincidenza troppo assurda per poter essere reale. Doveva solo capire quale fosse il nodo da sciogliere.
 

*

 
May, avvolta nel secondo maglione natalizio che aveva portato con sé, attraversò il vagone della I classe per bussare con leggero nervosismo alla porta della cabina di Elaine: dopo aver lasciato il vagone ristorante, terminata la cena più frettolosamente del solito sotto esortazione degli Auror, la strega era tornata nella propria cabina cercando di far passare il tempo in solitudine, ma invano.
Pearl e Brutus e la loro vita di tutti i giorni cominciava a mancarle troppo, persino le mattinate in cui si prendeva a letto e accompagnava in ritardo Pearl all’asilo, guadagnandosi gli sguardi velati di disapprovazione delle maestre, persino le alzatacce all’alba quando la nipotina si ammalava ed entrava in camera sua per svegliarla, scuotendola e mormorando di sentirsi male.
 
“Zia! Zia, Brutus sta male!”
“Cosa? Che cos’ha?!”
May sedeva a gambe incrociate sul proprio letto, impegnata a leggere il mensile dedicato al Quidditch a cui si era abbonata, ma gettò la rivista e scattò in piedi quando la nipote fece irruzione nella stanza decretando che il suo cane, il suo amatissimo Brutus, stava male.
L’ex Grifondoro guardò la bambina con gli occhi azzurri sgranati e terrorizzati ma Pearl, calmissima, annuì seria prima di indicare fiera lo stetoscopio giocattolo rosa che teneva allacciato attorno al collo:
“Respira male, ma se vieni ti faccio vedere che gli do la medicina.”
“Ah sì?”
“Sì, vieni.”
Sollevata – anche se una parte di lei maledisse la nuova vocazione della nipotina, che da quando lo aveva ricevuto perseguitava chiunque le capitasse a tiro col suo stetoscopio rosa – May lasciò che Pearl la prendesse per mano e la conducesse in salotto, dove trovò il povero Brutus completamente disteso sul pavimento e con l’aria di chi non ne può più di fare da cavia.
“Tranquillo Brutus, adesso ti curo.”   Talmente seria da risultare quasi comica, Pearl frugò nella sua borsetta da veterinaria in erba e sedette accanto al cane tenendo in mano una siringa giocattolo arancione. May, promettendo silenziosamente al cane un biscottino extra, sorrise mentre si chinava per accarezzare dolcemente la testa dell’animale:
“Per fortuna che c’è lei Dottoressa Hennings, Brutus sta visibilmente male.”
Due minuti dopo Pearl asserì che Brutus stava di nuovo benissimo, e congedò il suo paziente – che corse in cucina alla velocità della luce, illudendosi di potersi nascondere nonostante la sua stazza – prima di iniziare a chiedere alla zia se poteva avere un camice della sua misura. Piuttosto certa che non li producessero, qualche giorno dopo May le allungò una camicia bianca che non portava più col nome della nipote ricamato su un lato e con le maniche accorciate di diversi centimetri. Fortunatamemte Pearl non si accorse di nulla e lo accolse con entusiasmo, ma May si ritrovò con un altro problema da risolvere quando la bambina iniziò a non volerselo togliere neanche per fare la doccia.
 
 
Quando Elaine aprì la porta e la guardò con sincera curiosità negli occhi verdi egregiamente truccati, all’ex Grifondoro non restò che accennare un sorriso colpevole mentre stringeva nervosamente le mani dietro la schiena:
“Ciao Nel. Ti disturbo? Non mi va di stare da sola, senza bacchetta mi sento troppo indifesa… ed è ancora Natale, mi rattrista passarlo da sola.”
“Certo che non disturbi, entra pure.”
Elaine ricambiò il sorriso dell’ex compagna di scuola e si fece da parte, facendole cenno di entrare. May non se lo fece ripetere due volte e accettò ben volentieri l’invito, superandola per addentrarsi nell’enorme cabina della cantante.
“Ogni volta che vengo mi sembra che la tua cabina si allarghi e la mia rimpicciolisca… dici che è possibile?”
Entrando May lasciò che Ailuros le facesse l’onore del suo comitato d’accoglienza, strusciandolesi brevemente sulle gambe, prima di andare a sedersi sul bordo del letto rifatto dell’amica, facendo attenzione a non creare troppe pieghe mentre Elaine chiudeva la porta.
“A me sembra sempre uguale, a dire il vero. Vuoi qualcosa?”
Elaine accennò al frigo-bar ma la bionda scosse il capo, declinando educatamente la proposta mentre osservava l’amica:
“No, grazie, non bevo più vino e superalcolici. Sai, avevo quasi scordato che senza tacchi sei più bassa di me… è strano vederti senza i tuoi trampoli.”
May sorrise mentre indicava le costosissime Christian Louboutin rosse dell’amica sistemate con cura accanto alla porta, ridacchiando quando scorse la smorfia sul volto della Tassorosso mentre Elaine apriva il mini frigo per versarsi qualcosa da bere:
“Detesto mettere le scarpe basse… sono così scomode, ma come fa la gente a portarle?!”
 
Elaine non vedeva spesso la sua unica zia materna, ma ogni volta non poteva che ammirare le bellissime scarpe che Theodora sfoggiava con tanta eleganza. Anche sua madre era piena di abiti e scarpe meravigliosi, ma alla piccola Elaine non era permesso di toccare assolutamente nulla. La prima volta in cui andò a trovare lei e lo zio Armand, Theodora le mostrò il suo enorme, gigantesco armadio ridendo di fronte all’espressione di pura meraviglia della nipote e invitandola a prendere tutto quello che voleva.
“Posso toccare?”
Certa di aver capito male Elaine sollevò la testa e guardò confusa la zia, indicando l’interno della cabina-armadio con una piccola luce di speranza negli occhi chiari. Sorridendo, Theodora annuì dandole una lieve carezza sui capelli ramati:
“Certo. Non che qualcosa possa starti, ma se vuoi giocare e provarti qualcosa sei libera di farlo.”
Elaine ignorò i bei vestiti colorati della zia, correndo dritta verso gli scaffali che contenevano una lunga serie di scarpe di ogni genere. Restò lì dentro a provarsele e a incespicarci dentro per più di un’ora, finchè la voce di sua madre non la richiamò alla realtà ordinandole di scendere per tornare a casa.
“Quando sarai grande ti regalerò un paio di scarpe bellissime se ti piacciono tanto, ok?”
“Ok. Grazie zia!”
Sorridendo piena di entusiasmo, Elaine sedette sul pavimento e si rimise le proprie per tornare dai genitori un po’ più felice rispetto al solito. mentre usciva stringendo la mano della madre e salutando gli zii con quella libera, la bambina si domandò ancora una volta perché ai suoi genitori Armand e Theodora non piacessero: per lei erano le persone migliori del mondo.
 
 
Scossa la testa con evidente disapprovazione, Elaine prese una minuscola bottiglietta di vodka – sembrava quasi un complemento della cucinetta giocattolo di Pearl, solo che doveva costare il triplo, pensò May – e ne versò il contenuto in un bicchiere di cristallo dall’aria costosissima – May ormai aveva in casa quasi esclusivamente bicchieri di plastica, o al massimo coperti da pinguini e fiorellini colorati, tanto che guardò l’oggetto sentendosi ormai disabituata alle cose costose e da adulti –.
“Renée come sta?”
“Non mi sembrava particolarmente turbata dopo l’interrogatorio, a cena, quindi immagino che sia andato bene… ma ho preferito non disturbarla, mi ha detto che voleva riposarsi un po’. Penso che la sua famiglia le manchi molto, non ha modo di vederli molto spesso durante l’anno e di solito torna sempre a Londra per le feste, è uno dei pochi periodi che passano tutti insieme.”
Elaine, sedutasi sulla poltroncina foderata di velluto color terra bruciata accavallando le gambe fasciate dai pantaloni di raso del pigiama, si portò brevemente il bicchiere alle labbra mentre osservava distrattamente fuori dall’ampio finestrino che aveva accanto:
“Io non ricordo molti Natali passati tutti insieme, ai miei genitori non piaceva passare il tempo con mia zia e mio zio. Mi dispiace solo che lui sia solo, adesso.”
L’espressione della strega si rabbuiò, stringendo il bicchiere che teneva tra le dita. Persino da morta Alexandra era riuscita a infliggere sofferenza a lei e a suo zio, tenendoli separati durante il primo Natale senza sua zia.
May, gli occhi chiari fissi sull’amica, si mordicchiò a disagio il labbro inferiore prima di chinare lo sguardo sulle proprie mani, tormentandosele prima di mormorare qualcosa a bassa voce:
“Mi dispiace molto, Nel. A me Morgan manca sempre molto più del solito, a Natale… suppongo che sia normale. Un po’ invidio Pearl che non può sentirne la mancanza.”
Elaine si voltò, guardandola senza dire nulla mentre l’ex Grifondoro si stringeva debolmente nelle spalle: si rendeva conto che non aveva assolutamente nulla da invidiare ad una bambina che sarebbe cresciuta senza madre e senza padre, ma una piccola parte di lei non poteva fare a meno di pensare a quanto fortunata fosse sua nipote a non soffrire ad ogni Natale o a tutti i compleanni di Morgan. Soprattutto, sua nipote non doveva sentire sua nonna piangere di nascosto ad ogni festività trascorsa senza la figlia maggiore.

“So che è orribile da dire, perché non ha avuto la possibilità di conoscerla… ma a volte vorrei avere la sua spensieratezza. Io amo il Natale, tantissimo, da quando ero piccola, ma non poterlo condividere con mia sorella lo renderà sempre meno speciale.”
“Un giorno finirà. Un giorno ti chiederà di tua sorella e ne sentirà la mancanza, anche se non l’ha mai conosciuta. Per certi versi nemmeno io e mia madre ci siamo mai conosciute davvero. Certo tua sorella non sarebbe stata come Juliet, lei sarebbe stata una madre affettuosa.”
Una smorfia carica di disprezzo piegò le labbra carnose di Elaine prima che la strega vuotasse il contenuto del bicchiere, decisa a relegare il più possibile sua madre in un angolo molto remoto della sua memoria. May, guardandola e pensando alla sua infanzia, non poté far altro che rabbrividire all’idea che Pearl, un giorno, pensasse a lei con lo stesso disprezzo che Elaine riversava su sua madre nelle rarissime occasioni in cui la nominava.
“Sì, lo sarebbe stata. Mia madre continua a ripetere che presto Pearl comincerà a chiedere sempre di più di Morgan.”
Elaine annuì mentre si alzava, attraverso la breve distanza che le divideva per sedersi accanto a lei sul bordo del letto e metterle una mano sulla spalla con un sorriso comprensivo:
“Beh, è normale, sta crescendo. Sono sicura che sarà difficile parlarne e condividere i tuoi ricordi con Pearl, ma magari attraverso di lei riuscirai a riavere un pezzetto di Morgan. Non saranno mai la stessa persona, certo, ma avete ancora qualcosa che vi lega… e sono sicura che tua sorella sarebbe commossa da tutto l’amore che dai a sua figlia. Io vorrei averlo ancora, un pezzetto di zia Theodora. Sei fortunata, May.”
May annuì, sorridendo senza volerlo nel pensare alla sua vivace e intelligentissima nipotina che, ne era sicura, l’avrebbe riempita di soddisfazioni. Era la zia più fortunata del mondo con una nipote del genere, lo sapeva.
“Lo so. Dopo che Morgan morì tutti ripetevano che Pearl era fortunata ad avermi, ma io ho sempre pensato che fossi io ad essere fortunata… sarebbe stato molto più difficile superare il lutto senza lei a tenermi impegnata. Ma se ci tieni ogni tanto puoi farmi da babysitter tra un concerto e l’altro.”
Le sue parole riuscirono a strappare una risata dalle labbra di Elaine, che annuì con gli occhi verdi leggermente più sereni mentre May le appoggiava, felice di averle sollevato il morale, la testa sulla spalla:
“Ti farò sapere quando avrò una settimana libera. Magari viene anche Renée.”
“Voi due e i vostri abiti di lusso sareste ridicole come babysitter… sai quante volte Pearl mi ha tirato il cibo o mi ha sbavato addosso?”
“Bleah. Non ci tengo a saperlo, grazie.”
 

 
*


Détends-toi, Coco.”(1)
Il sussurro di Clara non aiutò Corinne a tranquillizzarsi, o a smettere di far dondolare nervosamente la gamba destra accavallata sulla sinistra. Le due streghe sedevano una accanto all’altra nel vagone ristorante che ancora non era stato sgomberato: i tavoli della cena da sparecchiare erano ancora tutti al loro posto, e le due sedevano a quello dove gli stessi Auror avevano cenato.
Dopo essere stata convocata per due volte dagli Auror nel giro di un paio d’ore nemmeno Clara si sentiva poi così tranquilla, ma si sforzò di mantenere un contegno più disinvolto mentre sosteneva con decisione lo sguardo di Asriel, che si schiarì la voce prima di parlare con tono annoiato e tenendo gli occhi chiari fissi sulla bacchetta che si stava rigirando tra le dita:
“Signorine, v’informo che la mia collega, qui, parla francese, quindi vi sconsiglio di parlare tra voi pensando di non essere capite e dire cose che potrebbero mettervi nei guai.”
Asriel accennò a Clodagh senza guardarla e con un pigro cenno del capo mentre James, perplesso, aggrottava le sopracciglia e lanciava un’occhiata piuttosto stranita in direzione della collega, chiedendosi da quando in qua parlava francese mentre Clara stringeva nervosamente le labbra e Corinne borbottava mestamente un assenso.
In un primo momento anche l’irlandese fu colta dallo stesso pensiero – chiedendosi quando avesse scordato di aver imparato il francese –, ma fortunatamente le bastò un istante per capire le intenzioni del collega, e complici anni di collaborazione alle spalle non dovette nemmeno guardare Asriel per stamparsi un sorriso sulle labbra e annuire.
“Precisamente. Signorina Picard, Signorina Leroux, vi abbiamo convocate per chiedervi se avete qualcosa da dirci su Corinne Ollivander. Ha frequentato Beauxbatons nei vostri stessi anni e pare che fosse amica della vittima.”
Oui. Corinne ha un anno meno di me, se non sbaglio. Al momento possiede una boutique a Parigi.”
“La conosce, Signorina Picard?”
Clodagh rivolse la sua attenzione sull’ex Spezzaincantesimi, parlandole con gentilezza mentre Clara scuoteva la testa e Corinne si fissava in silenzio la punta delle scarpe tenendo la mascella serrata.
“Non in maniera particolare, a scuola non ci siamo mai frequentate e non ho mai acquistato uno dei suoi abiti. Trop coûteux… Come si dice… troppo costosi.”
“Quindi non la vede da anni?”
“Abito a Parigi anche io e qualche volta mi è capitato di incontrarla al Ministero o in qualche locale per maghi… ma niente di particolare. Sapevo che era amica di Alexandra perché me l’ha detto Coco e le ho viste insieme a teatro una volta, ma non ho altro da dirvi.”
Clara parlò stringendosi leggermente nelle spalle e Clodagh, annuendo lentamente, la osservò per un istante prima di rivolgere la sua attenzione su Corinne:
“E lei, signorina Leroux? La vittima e la Signorina Ollivander erano amiche e voi stavate insieme. Ha da dirci qualcosa in più su di lei?”
“Non siamo mai state amiche, a scuola. Onestamente non la trovavo molto simpatica, da ragazzina. Ho acquistato diversi vestiti da lei negli ultimi anni, ma ho smesso… dopo che tra me e Alexandra è finita.”
“Perché?”
“Sapevo che erano amiche. Molto amiche. Mi metteva a disagio, con tutto quello che Alexandra avrà detto di me in giro.”
Corinne strinse le labbra mentre si stringeva nervosamente le mani, cercando di reprimere la frustrazione che la colpiva ogni volta in cui ripensava a come erano andate le cose tra lei e la sua ex mentre Clodagh, Asriel e James continuavano ad osservarla.
“Sa come si sono conosciute lei e Alexandra?”
Oui, è stato grazie a me. Alexandra mi chiedeva sempre dove comprassi i miei vestiti e un giorno l’ho portata alla boutique delle Ollivander. Si sono conosciute così e hanno legato subito. Alexandra conosceva il fratello maggiore di Corinne che aveva studiato ad Hogwarts ed era affascinata dalla sua famiglia.”
Perché la cosa non mi sorprende?”
Clodagh ignorò il sarcastico borbottio di Asriel – Clara invece accennò un sorriso con le labbra, non potendo fare a meno di trovarsi d’accordo –, parlando senza smettere di osservare l’ex fantina:
“Per quel che ne sa lei erano ancora in buoni rapporti al momento del decesso?”
“Non ho motivo per pensare il contrario. E prima che me lo chieda no, della sorella minore di Corinne presente sul treno non so assolutamente niente. Non credo che siano in buoni rapporti dai discorsi che ricordo di aver sentito tra Corinne e Alexandra o tra Corinne e le loro altre due sorelle, ma non so nulla di preciso sulla famiglia Ollivander.”
“Allora le chiedo solo la sua opinione, Signorina Leroux. Lei conosceva molto bene la vittima, pensa che fosse amica di Corinne Ollivander per un affetto sincero o per saperne di più sui segreti della sua famiglia?”
Corinne esitò, fissandosi la punta delle scarpe per qualche secondo prima di sollevare lo sguardo e incontrare gli occhi azzurri dell’Auror che la osservavano in attesa. Non l’aveva mai chiesto ad Alexandra, non direttamente, ma Clodagh aveva ragione nel dire che l’aveva conosciuta bene, forse meglio di chiunque, e proprio per questo motivo si era posta quella domanda più di una volta.
“Ad Alexandra Corinne piaceva molto, ne sono sicura. Ma mi sono spesso chiesta anche io la stessa cosa.”
“Quindi è più propensa verso la seconda opzione?”
“Credo di sì.”
Clodagh annuì, e le sorrise come se avesse ricevuto esattamente le informazioni che si aspettava. Dopo essersi rivolta brevemente ad Asriel e a James parlando a bassa voce mentre lei e Clara si scambiavano una silenziosa occhiata dubbiosa, Corinne guardò l’Auror tornare a rivolgerlesi con il suo solito sorriso garbato:
“Grazie per il vostro tempo, per ora potete andare.”


Lasciato il vagone ristorante – entrambe nettamente sollevate rispetto a pochi minuti prima – Clara si chiuse la porta scorrevole alle spalle prima di rivolgere all’amica un’occhiata dubbiosa:
“Come pensi che sia andata?”
“Non ho idea di che cosa pensassero o di cosa volessero sentire, ma abbiamo detto la pura e semplice verità, questo conta. Non avevo mai visto Renée Ollivander prima di salire su questo treno, e se ci sono stati attriti tra lei e Alexandra o tra Alexandra e gli Ollivander io non ne ho mai saputo nulla.”

 
                                                                                                                                         *   
     
 
Quando Prospero aveva appreso di non doversi fermare a parlare con gli Auror subito dopo la fine del servizio serale aveva esposto a Delilah le sue lamentele: si era dato tanta pena per sistemarsi i capelli, si era fatto la barba, insomma era pronto per il suo colloquio con l’Auror più bello del Dipartimento britannico e invece si era ritrovato a dover aspettare.
Dopo aver bevuto l’ultimo caffè della giornata Delilah, dal canto suo, aveva deciso di fare compagnia all’amico, aspettando insieme a lui fuori dal vagone ristorante. I due avevano occupato il divanetto a due posti, e la strega stava mangiucchiando della liquirizia con la sua macchina fotografica tra le mani, impegnata a scorrere le foto contenute nel rullino mentre Prospero, accanto a lei, tamburellava le dita sul bracciolo senza smettere di lanciare occhiate alla porta scorrevole dietro le quale erano sparite le francesi.
“Di che cosa staranno parlando con gli Auror, secondo te?”
“Mpf, alla fine verrà fuori che sono state loro, te lo dico io.”
“Ah, certo, la tua brillante teoria dell’altro giorno, come dimenticarla…”
No, Prospero non avrebbe scordato facilmente l’immagine della sua migliore amica impegnata ad esporgli la sua teoria sull’omicidio della Sutton utilizzando foto scattate appositamente per l’occorrenza e un puntatore che non era sicuro di aver capito come si fosse procurata.
“Certo che non la dimenticherai, anche perché alla fine capirai che ero nel giusto. Ro, ma mi spieghi COME fai ad uscire bene in ogni singola foto?!”
Sconcertata, Delilah prese a scorrere più rapidamente il rullino, in particolare tutte le foto che aveva scattato all’amico nei momenti di noia dei giorni precedenti. Aveva provato di tutto, persino a fotografarlo mentre mangiava o in procinto di starnutire, ma niente: Ro appariva perfetto in ogni scatto.
Fogliolina cara, per me è geneticamente impossibile venire male in foto. È un superpotere che ho sviluppato nel tempo.”
Prospero sorrise, sistemandosi i capelli compiaciuto mentre l’amica, decisa a credere che dovesse esserci una sorta di incantesimo sotto, gli scoccava un’occhiata assai sospettosa.
“Qui stavi sbadigliando, io… io ti ho visto! COME è possibile che tu nella foto stia sorridendo se stavi sbadigliando?”
“Magari tu sei semplicemente la più meravigliosa dei fotografi, amica mia.”
Delilah gli assestò una poderosa gomitata, agitando la macchina fotografica per intimargli di non provare a fregarla con le moine mentre l’amico spalancava gli occhi scuri in tutta la sua innocenza, asserendo di non sapere di cosa stesse parlando.
La strega stava per dirgli che un giorno avrebbe scoperto il segreto dietro le sue pose e i sorrisi smaglianti – si sentiva decisamente satura dopo vent’anni di foto in cui l’amico appariva puntualmente perfetto mentre lei, accanto a lui, sfoggiava sempre espressioni improbabili e decisamente poco attraenti, come la foto di fine sesto anno quando Cecil le aveva praticamente starnutito addosso e lei era stata immortalata per l’eternità voltata verso il gemello e impegnata ad imprecare sonoramente – quando dal vagone ristorante uscirono Clara e Corinne parlando tra loro in francese.
Delilah avrebbe pagato fiumi di Zellini (no, non disponeva di una somma sufficiente di Galeoni per sperperarli in quel modo) per sapere che cosa si stessero dicendo le due, e le guardò allontanarsi dubbiosa prima che Asriel facesse la sua apparizione sulla soglia.
Bastò quella visione per far scordare ad entrambi la faccenda delle foto, e i due ex Serpeverde sorrisero imbambolati mentre Asriel invece li guardava impassibile:
“Può seguirmi, Signor De Aureo?”
Se me lo chiede lei, come rifiutare?”
Asriel alzò gli occhi al cielo, facendo dietro front per tornare all’interno nel vagone mentre Prospero si alzava sbattendo le lunghe ciglia e Delilah, indignata, lo guardava sentendosi tradita nel profondo:
Ehy, mettiti in fila!”
Delilah scoccò un’occhiata torva all’amico, intimandogli di fare la fila per entrare nelle grazie di Manzo Apocalittico. Prospero tuttavia le indirizzò lo stesso sorrisino che gli aveva visto sulla faccia tutte le mattine in cui, ad Hogwarts, le aveva soffiato i dolci migliori prima di seguire l’Auror salutandola con un lieve movimento delle dita, lasciando la fotografa sola con la sua macchina fotografica e privata della sua compagnia.
“Che noia… Anche da morta rompi le palle, stupida panterona.”

 
*

 
“Allora Signor De Aureo…”
“Può chiamarmi Prospero.”
“Preferirei chiamarla per cognome.”
“Come preferisce.”
Un sorriso amabile e garbato addolcì i bei lineamenti di Prospero, che sedeva di fronte agli Auror con gli occhi scuri – visibilmente divertiti – fissi su Asriel e le gambe accavallate con eleganza. La mano destra stretta sul ginocchio corrispondente e il gomito sinistro sistemato mollemente sul bracciolo della sedia, l’ex Serpeverde sembrava più a suo agio di tutti gli altri passeggeri, tanto che Asriel quanto Clodagh e James si domandarono se quello fosse o meno il suo primo interrogatorio.
“Ci può dire il suo nome completo, per favore?”
“Il mio nome completo è un po’ complicato, Signor Morgenstern.”
“Allora provi a semplificarlo.”
Il timbro della voce di Asriel rimase immutato, ma l’Auror strinse leggermente gli occhi con un principio di nervosismo: era tardi e non aveva nessuna intenzione di tirarla per le lunghe, anche se con lo strano mago che aveva davanti aveva la pessima sensazione che si stava solo illudendo.
“In tal caso, urge fare una piccola premessa. Sono nato a Roma, mia madre è una strega Purosangue italiana… mio padre è un Nato Babbano inglese, ma le sue origini non ci sono del tutto chiare.”
Prospero chinò lo sguardo, spolverandosi distrattamente i pantaloni fatti su misura – si lamentava spesso di avere le gambe troppo lunghe e che molti pantaloni fatti in serie gli andassero corti, e si era già sorbito le battutine di Delilah sull’acqua alta ad Hogwarts, con i pantaloni della divisa troppo corti di alcuni centimetri – mentre James si massaggiava confuso il mento: aveva le terribile sensazione che trascrivere quell’interrogatorio sarebbe stato estremamente confusionario.
“In che senso?”
“Non ho idea di chi sia mio nonno. Nessuno lo sa, mia nonna se lo porterà nella tomba.”

 
*

 
Prospero non ci aveva messo molto tempo, da bambino, per capire qualcosa di semplice quanto fondamentale: la sua era una famiglia strana. Dopotutto tutti non facevano che ripetere quanto il bambino fosse sveglio per la sua età, ed era deciso a non deludere le aspettative di nessuno.
Sua nonna Lucinda era inglese, beveva litri di tè e aveva un accento molto marcato. A Prospero sua nonna Lucinda piaceva, tranne quando lo tormentava con le buone maniere e perché stesse seduto dritto a tavola. Per non parlare di quei tremendi sandwich coi cetriolini che gli rifilava a merenda, una vera schifezza. Nonna Lucinda era sposata con nonno August, che aveva origini scozzesi e un accento ancora più strano. Prospero non avrebbe mai dimenticato la volta in cui l’aveva visto indossare una gonna e aveva fatto il madornale errore di scoppiare a ridere: il nonno si era offeso parecchio e aveva minacciato di dargliele di santa ragione. I suoi nonni inglesi vivevano in Italia da prima che nascesse – anche se nessuno gli diceva perché –, ma suo padre aveva studiato ad Hogwarts, e a quanto sembrava anche lui ci sarebbe andato.
I suoi nonni di Hogwarts non ne sapevano proprio nulla: i nonni paterni erano entrambi Babbani, e quelli materni non avevano studiato in Scozia. Gli unici racconti su cui Ro poteva fare affidamento erano quelli di Harrison, suo padre, che a quanto pareva era stato un Tassorosso profondamente atipico, annoverato tra gli studenti con più risse alle spalle di tutta la storia. Nonno August diceva fiero che erano le origini scozzesi, e Prospero non capiva perché nonna Lucinda alzasse gli occhi al cielo ogni volta. Forse non le piacevano gli scozzesi, aveva dedotto il bambino.
Sua madre, Cornelia, era italiana ma amava viaggiare e parlava e capiva tantissime lingue, lingue che stava facendo insegnare anche al suo unico figlio. Prospero sognava di seguire i suoi genitori nei loro viaggi come nient’altro, e si dedicava con impegno ed obbedienza a tutte le lezioni che gli venivano impartite.
E poi c’era l’altra nonna, nonna Filomena. Lei per fortuna non gli rifilava i cetriolini e quando lo portava fuori gli comprava gelati e maritozzi ignorando la disapprovazione della figlia, che le intimava di non dare troppi zuccheri al bambino. Nonna Filomena lo guardava mangiare asserendo di vederlo sciupato: Prospero non sapeva cosa volesse dire, ma finchè la nonna gli dava i dolci era ben felice di esserlo.

 
*

 
“Mia nonna è una Babbana inglese e ha origini nobiliari. Quando viveva in Inghilterra lavorava per la famiglia reale ed ebbe mio padre fuori dal matrimonio. Il padre biologico di mio padre è di sicuro un qualche nobile facoltoso che comprò il suo silenzio, ma non ha mai voluto svelarne il nome a nessuno di noi. Ad ogni modo, dopo lo scandalo che seguì la nascita di mio padre mia nonna si trasferì e iniziò a lavorare all’ambasciata a Roma, ed è lì che ha conosciuto mio nonno, che ha adottato mio padre. De Aureo è il cognome di mia madre, Mac Gregor quello di mio padre. O meglio, quello di suo padre adottivo. Mio padre ha studiato ad Hogwarts, quindi ho avuto diritto ad iscrivermi anche io, nonostante sia nato in Italia.”
“Perché si firma solo col cognome di sua madre?”
Prospero allacciò le lunga dita delle mani pallide in grembo, facendo dondolare leggermente il piede destro mentre si stringeva placidamente nelle spalle:
“Il cognome di mia madre lo uso nel mondo magico… la sua famiglia si occupa di vendere tesori da tempo ed è molto noto nel nostro settore, quindi è piuttosto utile. Quello di mio padre lo uso quando ho contatti col mondo Babbano, è un cognome meno altisonante e che mi risparmia dalle domande dei curiosi.”
“Ci può parlare meglio del suo lavoro, Signor De Aureo?”
Un piccolo sorrisetto simile ad un sogghigno si fece largo sulle labbra di Prospero, che annuì divertito:
“Con piacere.”

 
*
 
Prima di andare ad Hogwarts Prospero viaggiava con i suoi genitori, guardandoli vendere cose bellissime che aveva quasi paura di toccare, per circa sei mesi all’anno. Sapeva di essere fortunato e di poter imparare più di ogni altro suo coetaneo, ma la nostalgia dei nonni e di Roma era sempre tanta, e Ro era sempre ben felice di tornare a casa.
Il viaggio che più lo colpì in assoluto fu la sua prima trasferta in quello che un giorno sarebbe diventato il suo Paese preferito: il Giappone. Prospero tornò in Italia con la promessa di Cornelia di insegnargli presto la lingua e pieno di regali e racconti per i suoi nonni, ma l’accoglienza fu molto diversa rispetto alle sue aspettative: Ro aveva attraversato di corsa la galleria di marmo che lo avrebbe condotto nel salotto dove le nonne stavano bevendo il tè, ma quando fece irruzione nella sala con un enorme sorriso ad illuminargli il volto la nonna materna si portò inorridita le mani alla bocca.
A quanto pareva il viaggio in Giappone lo aveva reso, secondo Filomena, ancor più sciupato del solito. Quella sera, a cena, a Prospero non fu permesso di lasciare la tavola senza prima aver finito una porzione di carbonara più grande di lui.
“Nonna, ma perché la mamma sta sempre attenta alla dieta e io invece mangio così tanto?”
“Perchè tu devi crescere!”
“Mamma, è già alto quasi quanto me e ha solo 10 anni!”
Esasperata, Cornelia guardò con disapprovazione la minestra che sua madre le aveva fatto preparare prima di lanciare un’occhiata carica d’invidia alla pasta del figlio. Tuttavia, constatò la donna, le era comunque andata meglio rispetto al pasto a base di interiora dei suoi suoceri, verso i quali Filomena lanciava occhiate disgustate.
“Prospero non mangerà mica quella schifezza ad Hogggwars, vero?”
“Hogwarts Nonna.”
Sorridendo allegro, Prospero arrotolò con cura un’enorme quantità di spaghetti mentre Cornelia, accanto a lui, mordeva un grissino integrale sospirando:
“Non so mamma, non ci sono stata, ricordi?”
“Harry, caro, come si mangia ad Hogwarts?!”
“Rispetto a qui, veramente di merda.”
Mentre Lucinda intimava al figlio di parlare come si doveva a tavola e August ridacchiava Filomena, inorridita, si appuntò mentalmente di spedire scorte di cibo al suo preziosissimo nipotino ogni mese. Di sicuro non poteva permettere che quei britannici glielo sciupassero!

 
*

 
“Mia madre viaggiava molto, prima sola, poi con mio padre. La sua famiglia è una grande estimatrice d’arte e di tutto ciò che è bello in generale. Adorano collezionare e sfoggiare cimeli e opere d’arte… forse siamo un po’ esibizionisti, dopotutto. Ho iniziato a studiare molte lingue fin da subito per poter seguire la sua strada, e prima di andare ad Hogwarts viaggiavo tantissimo… ho visto cose che i bambini normali neanche si sognano.”
“Noi cerchiamo cose antiche, cose di valore, magiche e non. Le troviamo, le facciamo nostre e poi le vendiamo a chi, come noi, ama circondarsi di cimeli.”
“Esattamente come le “fate vostre”?”
Il sarcasmo nella voce di Asriel fu così palpabile da far sorridere l’interrogato, che lo guardò divertito prima di rispondere con la sua consueta, pacata dolcezza:
“Al giusto prezzo si può trovare qualsiasi cosa. Non c’è nulla che non si possa comprare, Signor Morgenstern. Ad ogni modo, io di solito mi occupo dell’Oriente, non opero spesso in Europa o in America, al fronte Occidentale pensano mio zio o alcuni dei miei cugini.”
“E allora che cosa ci fa su questo treno, Signor De Aureo? Che cosa l’ha portata Berlino?”
“Disgraziatamente non mi prendo spesso il lusso di viaggiare per diletto… sono qui per lavoro. Come ho detto, di norma il mio itinerario va più che altro dal Giappone alla Turchia, ma per certi incarichi particolari la mia famiglia fa un’eccezione. Sono appena tornato dal Giappone, mi sono fermato a Cracovia per recuperare un manufatto per un cliente importante che vive a Nizza.”
“E il manufatto in questione lo ha con sé, al momento?”
Di nuovo sarcasmo, ma Prospero non si scompose, fingendosi persino offeso:
“Le sue parole mi feriscono. Io non affido un oggetto che devo vendere a terzi. Non mi separo mai dalla merce, mi ritengo un “corriere” estremamente affidabile.”
“Allora quando avremo finito non sarà un problema mostrarci ciò che deve vendere, suppongo e dirci a chi sta consegnando cosa.”   Questa volta fu Asriel a sorridere e Prospero, asserendo qualcosa sui vincoli del contratto e sulle restrittive condizioni di privacy che la sua famiglia garantiva per tutelare i clienti, ricambiò senza battere ciglio:
“Non posso fare nomi o mostrarvi granché, ma finito qui farò il possibile. Volete chiedermi qualcosa sulla vittima, adesso?”
“Prima vorrei sapere se oltre a Delilah Yaxley c’è qualche altro passeggero che ritiene di conoscere bene.”
“No.”
“Non è un’incredibile coincidenza che lei e la sua amica vi siate incontrati casualmente su un treno?”
“Direi di sì, ma io e Delilah siamo incapaci di stare lontani troppo a lungo, in un modo o nell’altro finiamo sempre per incontrarci. No Signor Morgenstern, non avevo idea di trovarla qui e ne so quanto voi, ovvero che fosse a Berlino per scattare delle foto per lavoro.”
“Ci parli di lei.”
“Di Delilah? Non dovrei parlare della vittima?”
Per la prima volta Prospero apparve vagamente confuso, guardando l’Auror smettendo di muovere il piede e aggrottando le folte sopracciglia scure. Asriel però scosse la testa, osservandolo con minuziosa attenzione:
“No. Voglio sapere se la ritiene capace di uccidere qualcuno, visto che vi conoscete così bene.”
Dopo aver parlato Asriel provò un piccolo moto di soddisfazione, reprimendo a fatica un sorrisetto: le sue parole colpirono nel segno, perché finalmente l’eterna compostezza di Prospero svanì nel nulla.
 

 
*
 
“Buona questa roba, come hai detto che si chiama?”
“Maritozzo.”
“Maritoccio?!”
“Ma-ri-toz-zo.”
“Mh, buono, beato te che hai tutta quella roba.”
Delilah, la bocca piena di panna, si gustò il dolce paradisiaco che l’amico le aveva offerto mentre Ro vuotava il pacco che nonna Filomena gli aveva spedito, tutto pieno di cibo e di maglioni: la donna aveva sentito che in Scozia faceva molto più freddo che dalle sue parti e gli aveva fatto avere un set di maglioni ai ferri fatti a mano in quattro e quattr’otto. Ro sapeva che sua nonna era una strega e che era anche schifosamente ricca, ma era anche sicuro che dovesse avere qualche ignoto superpotere.
Il ragazzino si stava domandando, sconcertato, come avesse fatto la nonna ad infilare nel pacco un’intera scrocchiarella perfettamente sopravvissuta al viaggio mentre Cecil e Delilah si aggiravano per la stanza osservando le sue cose e facendogli domande a ripetizione, chiedendogli da dove venissero, quanto fossero costate e quanto le aveva comprate.
“Quello me l’ha portato la mamma dal Portogallo… ero piccolo e mi lasciava ancora a casa con i miei nonni, ma fino all’anno scorso andavo sempre con i miei genitori in giro per il mondo.”
Prospero indicò il gallo di Barcelos di ceramica dipinto a mano che Delilah stava sfiorando con gli occhi scuri luccicanti, desideroso di tornare presto a vedere il mondo mentre la ragazzina riportava curiosa lo sguardo su di lui:
“E non ti dà fastidio dover stare qui dopo tutto quello che hai visto?”
“Un po’, ma devo imparare la magia, no? E mio padre dice che adorerò stare qui.”
“Beato te, noi non siamo mai andati da nessuna parte! Ma un giorno lo faremo, vero Cecil?”
“Penso di sì.”
“Beh, io ci andrò in giro per il mondo, con o senza di te.”
“Magari ci andiamo insieme, io parlo tante lingue e posso essere utile.”
Delilah annuì e indicò il compagno di Casa al gemello, asserendo che Prospero le piaceva di più ogni giorno che passava. Ro fino a quel  momento di tempo per farsi amici veri non ne aveva avuto molto, spesso in viaggio con i suoi genitori, e sorrise pieno d’orgoglio.
“Volete assaggiare la scrocchiarella?”
“Che cos’è?”
Sconcertato, si domandò come i gemelli fossero sopravvissuti fino a quel momento. Nonna Filomena dunque aveva ragione, quando guardava i consuoceri mangiare schifata e gli allungava i soldi per il gelato: gli inglesi, di cibo, non ne dovevano capire granché.

 
*

 
“Non è stata Delilah.”
A Prospero non piaceva affatto innervosirsi. Gli venivano le rughe, e sapeva di non risultare affatto piacevole quando era nervoso. Eppure, l’insinuazione che la sua cara Fogliolina potesse aver ucciso qualcuno era assolutamente inaccettabile, e le parole gli uscirono più in fretta e con più rabbia di quanto non avrebbe voluto.
“Era con lei la notte dell’omicidio?”
“No, l’ho vista solo la mattina dopo, non ci siamo incontrati per tutta la sera, e nemmeno sulla banchina. La cosa non mi sorprende, probabilmente è salita sul treno appena in tempo prima che partisse.”
Chissà perché, l’immagine di Delilah che correva per la stazione in ritardo e urlando ai tedeschi di spostarsi dalla sua traiettoria non era difficile da contemplare.
“Allora come fa ad esserne tanto sicuro, Signor De Aureo?”
Asriel parlò rigirandosi la bacchetta tra le dita, guardandolo amabilmente mentre James, accanto a lui, si arrendeva e incantava la penna affinché prendesse appunti da sola: tutto quel parlare gli aveva mandato la mano fuori uso. Prospero, improvvisamente rigido sulla seria, parlò a denti stretti e con le mani strette sui braccioli, le nocche bianche:
“Non è stata Delilah.”
“Ha un qualche suggerimento su chi possa essere stato, allora?”
“Come ho detto, non conosco bene nessun altro dei presenti. Non ho idea di come possano essere andate le cose, o non starei qui a perdere le poche ferie che ho… Ma di certo non è stata lei. Non aveva motivo di farlo, e al massimo sarebbe in grado di uccidere involontariamente una povera pianta.”
“Come le ho già detto, qualche giorno fa ho chiesto la stessa cosa alla sua amica, ricorda? E lei ci ha detto una cosa molto interessante.”
Asriel allungò una mano verso James, facendogli un cenno senza staccare gli occhi da Prospero. Il collega gli passò rapidamente un foglio che Asriel prese, leggendo senza esitare una riga che aveva sottolineato più volte:
“ - Se fosse stato Prospero, non avreste mai trovato il corpo -. Non la trova un’affermazione curiosa, riferendosi al proprio migliore amico? A quanto pare lei non ritiene la Signorina Yaxley capace di uccidere, ma lei non pensa lo stesso.”
“A Delilah piace scherzare, e come vi ho già detto a volte sfoggia una sottile vena drammatica. Dubito che lo pensi davvero, e se anche fosse un copro lo avete, mi pare.”
Prospero mentiva: Delilah lo pensava davvero, lo sapeva. Non era sicuro, tuttavia, di come si sentisse a riguardo.
 

*
 
 
Un limpido cielo terso sovrastava la Città Eterna, dove il caldo estivo aveva iniziato a farsi sentire da poco meno di una settimana. Seduto sul bordo di pietra della piccola fontana, Prospero osservava l’acqua resa scintillante dal fondo ricoperto di monete d’oro che si erano accumulate nel tempo. La mano destra del mago scivolò all’interno della tasca dei pantaloni che indossava, estraendone una moneta d’oro lucidissima e rigirandosela distrattamente tra le dita senza smettere di osservare il luccichio che la luce del Sole produceva sull’acqua riflettendosi sull’oro.
Di tutta la sforzosa, immensa e ricca d’arte residenza della sua famiglia, quello era forse il suo posto preferito, nonché il più semplice di tutti, forse perché uno dei più tranquilli e silenziosi. Prospero lanciò la moneta, riprendendola distrattamente al volo mentre il rumore di passi leggeri sulla ghiaia che circondava la fontana presagiva l’arrivo di qualcuno.
“Signore?”
Prospero non rispose, limitandosi a voltarsi per accennare un sorriso educato al maggiordomo, che si schiarì la gola prima di parlare:
“Abbiamo individuato i suoi amici, ma pensiamo che stiano avendo qualche difficoltà nel trovare l’ingresso.”
“Davvero? E dire che gli avevo dato istruzioni dettagliatissime.”
Per nulla seccato – al contrario, sorridendo divertito – Prospero scivolò con grazia dal muretto che circondava la fontana, sistemandosi distrattamente la camicia di lino bianco che indossava prima di assicurare all’uomo che ci avrebbe pensato personalmente. Allontanandosi, il mago si lanciò la moneta alle spalle, udendo il leggero tonfo quando quella entrò a contatto con l’acqua senza voltarsi indietro: i suoi parenti, da generazioni, lanciavano una moneta quando ritenevano di aver bisogno di fortuna.
Quando si trattava dei suoi migliori amici Prospero sapeva di aver sempre bisogno di un po’ di aiuto dalla provvidenza. Ma cavolo, quanto gli erano mancati gli Yaxley.
 
 
“Le istruzioni di Ro-Ro fanno schifo! Non capisco un cazzo!”
Sbuffando come una ciminiera, Delilah strapazzò la cartina di Villa Borghese che teneva in mano mentre camminava nervosamente in tondo e Cecil, appoggiato mollemente ad un albero, si faceva aria con la mano:
“Questo caldo mi uccide, ma come fa la gente che abita qui?!”
“Io avevo detto a Ro che forse dovevamo venire in autunno ma lui noooo, no Laila, dovete vedere Roma in estate! Peccato che moriremo qui e che non lo troveremo mai, visto che non sto capendo nulla!”
Ormai vicina ad una crisi di nervi, Delilah trattenne l’impulso di stracciare la cartina piena di annotazioni e freccette che Ro le aveva spedito la settimana prima mentre Cecil si lamentava sommessamente:
“Ma eravamo partiti così bene… Cosa avremmo sbagliato?”
“Qui dice di arrivare a quel Tempio di Sputacchio del cavolo…”
“Di Esculapio.”
 “… Attraverso il ponticello e l’abbiamo fatto… e poi di fare 300 metri a sud-ovest.”
“E il sud-ovest sarebbe…”
Dubbioso, Cecil guardò la sorella aggrottando la fronte mentre Delilah, sbuffando, imprecava mentalmente contro la famiglia dell’amico: naturalmente vivere in un posto normale con una normale casa in vista come le persone normali non faceva per i De Aureo, no, a loro i numeri civici non piacevano e dovevano costruirsi la residenza segreta piena di ingressi segreti per impedire qualsiasi contatto umano.  
Quei tizi dovevano proprio essere dei gran misantropi, constatò la strega prima di inveire contro il gemello, asserendo che non era un marinaio e che non aveva la più pallida idea di dove fosse il sud-ovest.
“E poi che accidenti vuol dire 300 metri? Secondo lui giro con un metro da sarta?!”
“Non pensi che la casa possa avere un ingresso subacqueo, vero?!”
Cecil lanciò un’occhiata dubbiosa alla distesa d’acqua che circondava l’isolotto e Delilah, inorridita, spalancò gli occhi nocciola pregando che il gemello si sbagliasse: aveva fatto la piega il giorno prima e non aveva nessuna intenzione di farsi una nuotata.
 
“La mia famiglia ha molti pregi, ma siamo ancora lontani dal sviluppare le branchie, temo.”
In tutta la loro vita, Cecil e Delilah Yaxley non furono sollevati di sentire la bassa e rassicurante voce del loro migliore amico come in quel caldo giorno di giugno.
I due si voltarono, meravigliati, sorridendo alla vista dell’amico che li osservava con le mani in tasca e un placido sorriso sulle labbra, un scintillio profondamente divertito negli occhi scuri.
“Ro!”
I gemelli corsero simultaneamente ad abbracciare l’amico, che sorrise e ricambiò con piacere la stretta prima che Delilah, abbandonato il ricongiungimento strappalacrime, arrotolasse la sua cartina per colpirlo sulla spalla – alla sua testa ricciuta non era in grado di arrivarci, disgraziatamente –:
“Ma che razza di istruzioni del cavolo mi hai mandato, si può sapere?! 300 metri a sud-ovest… al massimo saremmo finiti ad Atlantide!”
Sbuffando, la strega indicò l’acqua mentre Prospero, sospirando, le prendeva la cartina dalle mani e la dispiegava, indicandole la traiettoria che aveva disegnato e che indicava di fare il giro del Tempio che Delilah naturalmente non aveva visto:
“Avreste dovuto andare a sud del Tempio di Esculapio, Laila… ho disegnato tutto quanto con cura ma non fa nulla, per una volta è bello fare da guida. Venite.”
Sorridendo allegro, Prospero fece cenno ai due di seguirlo mentre Cecil si avvicinava alla sorella per mormorarle qualcosa all’orecchio, confuso:
“Ma da dove è saltato fuori?!”
“Ci sarà una botola da qualche parte… Ma come mai non c’è nessuno qui?!”
Delilah parlò affrettando il passo, cercando di sostenere l’ampia falcata di Prospero mentre l’amico li conduceva dietro al tempio, rispondendole senza voltarsi.
“Perché l’accesso è vietato. Una vera fortuna, a noi i visitatori inaspettati non piacciono.”
“Ma come fa il postino a mandargli le bollette da pagare?!”
“Lo sanno tutti che i ricchi restano tali evadendo il fisco, Cecil.”
 
Dieci minuti dopo, dopo aver attraversato un buio e gelido tunnel sotterraneo a cui si accedeva attraverso un vano nel tempio – Delilah aveva sospirato per tutto il tragitto, asserendo che con quell’umidità di sicuro la sua piega sarebbe andata a farsi benedire – i tre amici giunsero finalmente a destinazione. Prospero non poté far altro che ridacchiare nel guardare le mascelle dei suoi due ospiti snodarsi, sorridendo mentre il suo braccio disegnava un ampio arco verso l’immensa residenza, tutta archi, colonnati, portici, marmi e affreschi.
“Benvenuti nella mia umile dimora.”
“Prospero! Figlio di buona donna, vivi in un posto simile e ci hai messo dieci cazzo di anni ad invitarci?!”
Delilah asserì che mai, mai gli avrebbe concesso il suo perdono. Qualche ora dopo, tuttavia, distesa in un gigantesco letto a baldacchino con addosso una vestaglia di seta e una scatola di cioccolatini costosissimi in mano, decretò che dopo una pizza avrebbe anche potuto ripensarci.
 

*
 

 
“Signor De Aureo, che rapporti aveva con la vittima?”
“L’ho conosciuta ad Hogwarts, naturalmente. Avevamo un rapporto civile, ma non le sono mai piaciuto.”
“Perché?”
Prospero sapeva benissimo perché. Per anni si era sentito ripetere quanto la sua presenza nella Casa verde-argento fosse insolita. Per anni si era sentito ripetere che fosse un Serpeverde atipico, che forse sarebbe stato meglio in un’altra Casa, magari proprio quella che molti suoi compagni erano soliti denigrare e che anni prima aveva accolto anche suo padre. Ironico, dal momento che Harrison era stato un Tassorosso assolutamente atipico a sua volta.
I suoi parenti avevano previsto che sarebbe stato Smistato a Corvonero – i suoi cugini erano soliti definirlo “il secchioncello” della famiglia –, ma le aspettative di tutti erano state disilluse. A volte persino Delilah lo diceva, che era un Serpeverde troppo educato, troppo gentile, troppo paziente.
Ma Alexandra no. Alexandra, quando si ritrovavano allo stesso tavolo nelle serre o nell’aula di Pozioni, quando si incrociavano nei corridoi o anche nella stessa Sala Comune del ragazzo, lei lo guardava con fastidio dirompente, dicendogli silenziosamente che non avrebbe mai potuto ingannare lei.
La gente non capisce niente, è troppo stupida. Tu ti trovi esattamente dove devi essere, De Aureo.”
“La gente mi ha sempre definito una persona gentile, direi. Alexandra sosteneva che fingessi di essere qualcosa che non ero e che facessi il carino per nascondere qualcosa.”
La cosa più difficile era riconoscere che quell’odiosa strega aveva per certi versi sempre avuto ragione. Prospero e sentimenti come l’ira e il rancore viaggiavano su due linee distanti ma che talvolta si incrociavano, e quando accadeva Prospero non guardava in faccia niente e nessuno, implacabile. Forse la prima a comprenderlo davvero era stata sua madre, quando i bambini che non volevano giocare con lui o che lo prendevano in giro correvano a casa piangendo per essersi fatti male o per aver perso i loro giochi, ma non ne aveva mai parlato a voce alta.
A volte Prospero si chiedeva come avesse fatto a scorgere un lato di lui che persino Delilah, a volte, si rifiutava di vedere.
“E ritiene che avesse ragione?”
“Certamente non sono un santo, ma ritengo anche che Alexandra non mi abbia mai conosciuto abbastanza bene per poter esprimere giudizi precisi su di me. Non ci facevo caso, sputare sentenze le è sempre piaciuto… negli ultimi anni, quando ci vedevamo le suggerivo sempre di intraprendere la carriera di Giudice, le sarebbe calzata bene.”
 
*
 
 
“Posta per lei, Signor Prospero.”
“Grazie Matilda.”

Prospero si sporse sulla scrivania e rivolse un candido sorriso cortese all’anziana cameriera, prendendole lo spesso plico di buste dalle mani prima di abbandonarsi nuovamente contro lo schienale della sedia girevole nera.
“Allora… Vediamo chi ci cerca, piccolo?”
Rimasto solo nello studio, Prospero diede una leggera carezza sulla testa del suo inseparabile gatto, che si era sistemato sulle sue ginocchia abbandonando la testina sulla sua gamba sinistra, prima di iniziare a sfogliare rapidamente le lettere leggendo i nomi dei mittenti.
Grafie, nomi e lingue diverse, lettere dall’Italia, dall’Inghilterra fino all’Asia. Si stava domandando da qualhe questione avrebbe iniziato quando i suoi occhi scuri indugiarono sulla penultima busta.
Prospero seppe da chi proveniva la lettera ancor prima di leggere il nome del mittente: conosceva quella grafia da quasi vent’anni, quando lui e la sua proprietaria facevano i compiti seduti nella buia Biblioteca di Hogwarts, le teste vicine mentre ridacchiavano, bisbigliavano e disturbavano i vicini.
“Fogliolina. È tanto che non la vediamo, vero Kiki?”
Mentre abbandonava le buste sulla scrivania di mogano, il mago rivolse un sorrisetto in direzione del suo gatto: Kiki sollevò la testa, lanciandogli però un’occhiata piuttosto torva mentre il padrone, ridendo, prendeva il tagliacarte dal cassetto:
“Via, non fare così… dovresti proprio darle una possibilità, sai?”
La “maledizione felina” della sua amica – così l’aveva definita Cecil molti anni prima, quando ancora erano studenti di Hogwarts – costituiva per lui una fonte di grande ilarità da molti anni, anche se si era ritrovato spesso a consolare Delilah quando il gatto di turno – Kiki compreso – la graffiava o comunque rifiutava le sue attenzioni.
Prospero sorrideva quando aprì la lettera, curioso di leggere ciò che la sua amica aveva da dirgli. Man mano che procedeva con la lettura, tuttavia, l’espressione di Prospero si fece sempre più tesa, la fronte aggrottata, fino a concludere la lettera con un’espressione livida sul volto.
 

*

 
II classe
 
Stesa sul letto della sua cabina – piuttosto in disordine, con la valigia aperta sotto al finestrino semi ghiacciato, vestiti neri sparsi ai piedi del letto e una lettera indirizzata a Cecil lasciata a metà dal giorno precedente finita sul pavimento – Delilah teneva gli occhi fissi sul soffitto, impegnata a pensare a suo fratello, al suo migliore amico, alla sua quasi cognata (un brivido le percorreva la schiena ogni volta in cui formulava quel pensiero) venuta a mancare.
Avrebbe voluto dormire con tutta se stessa, vista la fatica che impiegava a prendere sonno da quando si trovava sul treno, ma Delilah sapeva che le sarebbe risultato completamente impossibile vista la miriade di pensieri e idee che le affollavano la mente.
Fuori era già buio da un pezzo, e la strega non faceva che pensare al fratello gemello rimasto a Londra e al suo migliore amico, che a soli un paio di vagoni di distanza stava parlando con gli Auror.
Delilah pensò alla lettera indirizzata a Cecil che stava cercando di scrivere senza successo – che cosa si dice al proprio gemello per consolarlo dopo la dipartita della sua fidanzata? Soprattutto quando la suddetta fidanzata non ti è mai piaciuta e non hai mai provato a nascondere la disapprovazione per la loro relazione… - chiedendosi se non fosse la più orribile delle sorelle. Per una volta nemmeno Ro poteva aiutarla, dal momento che non aveva fratelli.
Si stava domandando come se la stesse cavando suo fratello quando qualcuno bussò freneticamente alla porta chiedendo il permesso di entrare. Confusa, la strega si sollevò per mettersi a sedere sul letto e guardare la porta della cabina con la fronte aggrottata: nessuno, a parte Ro, le aveva mai fatto visita da quando era salita sul treno.
“Sì?”
Alzatasi in piedi, la strega raggiunse l’entrata della cabina e aprì la porta piena di curiosità, ritrovandosi a guardare un facchino dall’aria nervosa che le parlò con un marcatissimo accento tedesco:
“Signorina Yaxley?”
“Sono io.”
“C’è una telefonata per lei.”
“Una telefonata per me?!”
Frastornata, Delilah si domandò se per caso non avesse frainteso – del resto l’accento del ragazzo era così marcato che poteva anche aver capito male –, ma il facchino annuì e le fece cenno di seguirlo lungo il corridoio.
“Ma chi è che mi ha telefonato? Me lo dice o no?! Stupidi crucchi…”
Sbuffando, la strega si chiuse la porta alle spalle e seguì spazientita il facchino lungo il corridoio chiedendosi chi accidenti le stesse telefonando nel bel mezzo di un’indagine per omicidio, bloccata su un treno circondato dalla neve.

 
 
*

 
“Non ho tempo da perdere per visite fuori programma, tantomeno se si tratta di una visita sgradita.”
“Non ti ruberò molto tempo.”
In piedi davanti alla finestra, Prospero sollevò un piccolo mappamondo da scrivania per osservarlo da vicino. Era fatto di vetro soffiato, ogni Continente modellato con un colore diverso. Era un oggetto delizioso, e il mago lo posizionò al suo posto con cura mentre Alexandra, seduta dietro la scrivania, gli chiedeva stizzita di non toccare le sue cose.
“Bellissimo. Un regalo? Non ti ci vedo a comprare qualcosa del genere.”
“Non sono affari tuoi. Dimmi che cosa vuoi. Se un tuo cliente è nei guai, digli che non ho tempo al momento.”
“Non sono qui per lavoro. È personale.”
prospero fece il giro della scrivania per sedersi di fronte all’Avvocato, che lo guardò stralunata mentre il mago la scrutava. Da che lo conosceva Alexandra non lo aveva mai visto così serio, e si vide costretta a distogliere lo sguardo per la soggezione prima di parlare:
“Tra me e te non ci sarà mai niente di personale.”
“Io credo di sì.”  
Alexandra sapeva di non piacere a Prospero, ma non le era mai importato. Tuttavia, l’ex compagno di scuola le si era sempre rivolto con garbo, con i suoi soliti sorrisi gentili che mostravano i denti bianchi e che ispiravano simpatia e fiducia a tutti. Prospero, così magnetico ed elegante, era sempre riuscito a conquistare praticamente chiunque. Un po’ come lei, seppur in modo differente. Forse era per quel motivo che si disprezzavano in silenzio da sempre.
In quel momento non v’era alcuna traccia di sorriso sulle labbra sottili di Prospero, che per la prima volta la guardava comunicandole i suoi veri sentimenti nei suoi confronti: Alexandra era abituata ad essere guardata con odio e con disprezzo, ma fino ad allora non c’era stato quasi nessuno in grado di farla rabbrividire.
 
Quindici minuti dopo Prospero lasciò che il pesante portone gli si chiudesse alle spalle mentre finiva di abbottonarsi il Belstaff Mildorf che indossava. Allacciatasi la sciarpa di cashmere attorno al collo sbuffando contro il pessimo clima britannico che affatto gli era mancato, Prospero si passò distrattamente una mano tra i capelli neri prima di sollevare lo sguardo sulla finestra dell’ufficio che aveva appena lasciato.
Coma da previsione, Alexandra lo fissava attraverso il vetro, forse con lo sguardo più truce che le avesse mai visto, le braccia strette al petto e per nulla preoccupata che lui l’avesse vista. Affatto sorpreso o impressionato – ci voleva ben altro che Alexandra Sutton per impressionarlo – Prospero sorrise dolcemente prima di portarsi le dita alle labbra e scoccarle un bacio.
Livida in volto, la strega rispose sollevando il dito medio nella sua direzione scatenando una genuina risata da parte del mago, che scosse il capo e si allontanò sul marciapiede in tutta calma mentre la bionda tirava le tende per levarselo dalla vista.
Fatti alcuni metri, il sorriso gentile e rassicurante che riusciva a conquistare la fiducia di chiunque lentamente svanì dal volto pallido di Prospero.

 
 
*

 
“Non so praticamente niente di come funzionino questi cosi, ma sono qui da dieci minuti ad aspettare! Se i Babbani li usano ogni giorno da decenni non dovrebbero andare meglio di così?”
“Signorina, il telefono è vecchio e le condizioni atmosferiche non aiutano. Senza contare che per due volte è stata la persona che ha telefonato a riattaccare senza motivo.”
Delilah alzò gli occhi al cielo, domandandosi con un borbottio chi fosse l’idiota che stava cercando di contattarla mentre stava in piedi nella stanza del capotreno, in attesa che quel dannato telefono squillasse di nuovo dopo ben tre tentativi di rispondere alla chiamata andati a vuoto.
Per nulla abituata ai telefoni, la strega sobbalzò quando quello strano affare riprese a squillare, prendendo la cornetta nera con leggera titubanza quando il facchino che l’aveva accompagnata glielo porse:
“Tenga. Deve premere qui, ha capito questa volta?”
“Non mi parli come se fossi scema, non ne ho mai usato uno!”
Offesa, Delilah avrebbe voluto ribadire che non solo era una strega Purosangue poco avvezza alle tecnologie Babbane, ma che quel telefono doveva essere più vecchio di lei e che non c’era da stupirsi se non ne aveva mai usato uno.
La strega accostò la cornetta all’orecchio destro mentre il facchino, borbottando in tedesco qualcosa che Delilah non comprese ma che non suonò particolarmente lusinghiero, usciva per lasciarla sola qualche minuto.
“Pronto?! Chi parla?!”
“LAILA?”
La strega sussultò e allontanò di scatto la cornetta dal suo orecchio, imprecando per il suo udito irrimediabilmente compromesso mentre suo fratello, dall’altro capo del telefono, continuava imperterrito ad urlare il suo nome.
LAILA? CI SEI?”
“Ma che cazzo… Cecil, che cazzo urli?!”
In parte felice di sentire la voce del gemello e in parte esasperata, la strega si tenne a debita distanza dalla cornetta mentre Cecil continuava imperterrito ad urlare:
PRONTO?”
“Cecil, smettila di urlare, non capisco niente e mi stai fracassando un timpano!”   spazientita, la strega abbaiò al gemello di abbassare il tono – non era ancora diventata sorda – chiedendosi perché mai Cecil avesse deciso di cimentarsi nelle telefonate quando evidentemente non aveva del tutto chiaro come funzionavano.
“Ah, scusa. Allora mi senti?!”
Finalmente Cecil prese a parlare con un tono di voce normale, sembrando quasi stupito che la gemella riuscisse a sentirlo e di essere finalmente riuscito a mettersi in contatto con lei. Delilah, invece, sospirò stancamente mentre si attorcigliava il filo nero del telefono attorno all’indice:
“Ti hanno sentito anche i morti nell’oltretomba, Cecil. Ma da dove mi chiami?!”
“Scusa, è solo la seconda volta che uso questo coso e continuo a chiudere la chiamata per sbaglio. Provo a chiamarti da mezz’ora e stavo perdendo le speranze, è da ieri che cerco di mettermi in contatto con te!
Delilah alzò gli occhi al cielo quando sentì il gemello sospirare, trattenendosi dal rifilargli una battuta scortese solo per via del suo lutto recente:
“Sono dieci minuti che cerco di capire chi mi sta chiamando. Che telefono stai usando?!”
“Ti ricordi che tempo fa ne avevo fatto mettere uno nel magazzino? Sento delle strane interferenze… PRONTO?!”
Di nuovo, Delilah imprecò allontanandosi di scatto la cornetta dall’orecchio, chiedendosi perché suo fratello avesse preso un telefono col solo scopo di rompere i timpani alla gente:
“Sì Cecil, sono qui, finiscila di urlarmi nell’orecchio! Sì, mi ricordo. Io sto bene, se chiami per questo. Mi… mi dispiace per Alexandra.”
Delilah chinò il capo, fissando a disagio il filo del telefono mentre lo tormentava nervosamente. Sperava che Cecil non l’avesse chiamata solo per avere una spalla su cui piangere e sospirò quando udì il fratello piagnucolare dall’altro capo del telefono:
“Oh Laila, è terribile! Il mio bignè non c’è più! Sono a pezzi!”
Il tono lacrimoso del fratello avrebbe dovuto addolorarla, ma sentirlo chiamare Alexandra Sutton in quel modo le provocò solo un’ondata di reflusso gastrico e un conato di vomito che andò a strozzarlesi alla base della gola:
“Se la chiami di nuovo così morirò stecchita anche io, Cecil. Perché mi hai chiamato?!”
“Laila, è terribile. Sono venuti da me, da mamma e papà, ci hanno fatto un sacco di domande su di te e ci hanno elencato i nomi degli altri passeggeri chiedendoci se conoscessimo qualcuno.”
Accantonato il dolore per la perdita di Alexandra il timbro della voce di Cecil mutò, facendosi quasi tremante mentre la sorella aggrottava le sopracciglia:
“Sì, c’è Ro.”
“Laila, devi ascoltarmi, sono due giorni che provo a contattarti per dirtelo, sono preoccupatissimo per te!”
All’improvviso la sincera preoccupazione – per non dire il terrore – nella voce di Cecil la colpì, e la strega si sforzò di mostrarsi abbastanza sicura per entrambi, sorridendo anche se il gemello era troppo distante per vederla:
“Dirmi cosa? Cecil, non ti agitare, va bene c’è un assassino sul treno ma ci sono gli Auror, e c’è anche Ro con me, andrà tutto benissimo.”
Sarebbe andato tutto benissimo? Delilah non aveva chiuso occhio per tutte le notti precedenti, il pensiero del cadavere di Alexandra troppo ingombrante nella sua mente e la consapevolezza di trovarsi vicino ad un assassino troppo terrificante per riuscire a prendere sonno. Fino a quel momento non avrebbe giurato che tutto sarebbe andato per il meglio, ma all’improvviso la consapevolezza di non essere sola, che con lei ci fosse Ro, le diede una sicurezza del tutto nuova.
Del resto era sempre stato così: niente poteva andarle storto, se c’era Ro con lei.
Lo disse per tranquillizzare se stessa e anche Cecil, che però non reagì come si sarebbe aspettata: suo fratello gemette gravemente, e all’improvviso a Delilah parve quasi di poterlo immaginare, seduto stringendo nervosamente un oggetto che non sapeva usare mentre deglutiva a fatica e il labbro inferiore gli tremava. Cecil era terrorizzato, sinceramente terrorizzato.
“Laila, lui l’ha vista! Due giorni prima che morisse, lui l’ha vista!”
“Chi ha visto chi, Cecil?”
La stretta di Delilah sulla cornetta si intensificò e la strega, gli occhi che fissavano il vuoto, parlò mentre un principio di senso di nausea iniziava a risalirle lo stomaco.
“Prospero! Prospero ha visto Alexandra, Laila, a Londra! È venuto a Londra senza dirci niente e l’ha vista, non capisci?!”
“Ro non è mai venuto a Londra senza dircelo.”
La gola secca, la mente improvvisamente vuota, incapace di realizzare appieno ciò che suo fratello le stava dicendo, Delilah parlò così piano che la stupì che Cecil avesse udito la sua voce, ma quando parlò di nuovo la voce agitata del fratello le giunse sempre più distante, come se non si trovasse davvero lì. Il suo corpo era lì, fermo accanto al telefono, ma la sua mente vagava lontana sul suo migliore amico, su Alexandra e su tutto ciò che gli aveva sentito dire da quando lo aveva incontrato su quel dannato treno.     

“Non è questo il punto Laila, non capisci?! Si sono visti e Alexandra era terrorizzata, ha scritto che…”
“Che cosa ha scritto?”
Questa volta anche la sua voce tremò un poco, ma Delilah non ebbe il tempo di udire la risposta del gemello: un brivido gelido le attraversò la schiena quando una mano s’impossessò del telefono, strappandoglielo con dolcezza mentre una seconda mano andava a posarsi con delicatezza sulla sua spalla.
“Facciamo che questo adesso lo prendo io, va bene Fogliolina?”
Delilah lasciò impotente che le prendesse il telefono, alzando lentamente lo sguardo su di lui mentre udiva Cecil chiamarla preoccupato prima che Prospero riagganciasse. A quel punto l’ex Serpeverde chinò il capo verso l’amica, indirizzandole il più gentile dei suoi sorrisi:
“Penso proprio che dobbiamo parlare.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): “Rilassati, Coco”
 
 
 
…………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Buonasera!
Eccoci finalmente al tanto atteso capitolo di Prospero, che naturalmente ho voluto tenere per ultimo – o me lo avreste votato tutte alla prima occasione disponibile se ve ne avessi data la possibilità – che chiude i capitoli dedicati ai vostri OC. Naturalmente i flashback non sono finiti e nemmeno i colloqui tra gli Auror e i sospettati, ma dal prossimo ci saranno più flashback su più personaggi in uno stesso capitolo, a differenza dei precedenti.

Mi scuso se questo capitolo presenta più flashback rispetto ai precedenti, non è mia intenzione creare disparità tra le rappresentazioni dei personaggi, ma come avrete capito su Ro c’era parecchio da dire, spero che nessuno si sia offeso, e già così ho dovuto tagliare tantissime cose della sua scheda T.T (Phoebe perdonamiii)
Detto ciò vi saluto, a presto con il seguito o su altri lidi!
Signorina Granger  

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 13 - Non mi stupirebbe se l'avesse uccisa lei ***


E dopo eoni rieccomi anche qui, scusate il ritardo T.T
Due parole veloci per comunicarvi che anche Renée non farà più parte della storia, salvo nominarla per esigenze di trama.
Buona lettura (spero)
Irene
 
 

Capitolo 13 – Non mi stupirebbe se l’avesse uccisa lei

 
 
Delilah Yaxley era praticamente sotto shock mentre attraversava i vagoni in compagnia di Prospero, che le camminava accanto tenendole gentilmente una mano sulla spalla, un po’ per pilotarla verso le cabine e un po’, probabilmente, per impedirle di darsi alla fuga.
Eppure la strega quasi non la percepiva, la stretta della mano dell’amico, troppo occupata a ripensare alla recente telefonata del fratello e a ciò che Cecil le aveva detto.
 
Prospero era stato a Londra prima di salire sul treno?
Prospero aveva parlato con Alexandra?
Prospero aveva ucciso Alexandra?
 
Delilah sollevò la testa per guardare l’amico, sbattendo ripetutamente le palpebre mentre l’immagine di Ro che ammazzava la Panterona prendeva forma nella sua mente.   Per qualche motivo, e la cosa non le fece piacere, immaginare Ro che uccideva qualcuno non le risultò poi così arduo. Si sentì persino in colpa per questo, e scosse la testa con un movimento appena percettibile mentre si rifiutava categoricamente di credere alle insinuazioni del gemello.
No, era assurdo, Cecil doveva aver detto una valanga di stronzate.
Ro non avrebbe mai fatto fuori la Panterona.
Eppure, era indubbio che le avesse mentito.
Ro era stato a Londra senza farle visita e soprattutto senza dirle nulla. Ed era andato da Alexandra senza fargliene mai parola in tutto il tempo che avevano trascorso insieme sul treno.  Perché?
All’improvviso, prendendo atto che il suo più caro e vecchio amico, quello che considerava da sempre alla stregua di un fratello, le aveva mentito spudoratamente per giorni su una cosa così importante, Delilah sentì la rabbia montare dentro di sé, e quando si voltò nuovamente verso Prospero lo fece guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure e la mano destra pronta ad assestargli un deciso colpo sulla collottola.
Era ridicolo anche solo pensare di aver paura di Prospero. Lei non aveva paura di Prospero. Lei avrebbe ucciso Prospero, se davvero aveva avuto la brillante idea di uccidere a sua volta la ex di suo fratello in un treno brulicante di Auror.
Brutto coglione, se davvero l’hai fatta fuori tu ti prendo e ti attorciglio quelle gambette e ci faccio un fiocco prima ancora che gli Auror ti prendano!”
“Ma che… Ma che ti prende adesso?! Vieni dentro e smettila di urlare.”
Piuttosto destabilizzato dal cambiamento repentino e dall’”aggressione” dell’amica, Prospero spalancò la porta della sua cabina e ci spinse dentro Delilah mentre la strega continuava, imperterrita, a schiamazzare minacce e di come invece di aiutarlo ad evadere da Azkaban gli avrebbe fatto visita in cella solo per prenderlo a ceffoni.
Come ti permetti di far fuori avvocati stronze e bionde e non solo di non dirmi nulla, ma di farti indagare per omicidio?! E io da chi vado in vacanza in Italia, se ti arrestano, ehh?!”
Sospirando rumorosamente Prosperò si voltò per chiudere la porta della cabina, ma Delilah ne approfittò per rendergli nota la sua ira colpendolo a ripetizione sulla schiena. Non sapeva se sentirsi più tradita per le sue bugie, terrorizzata all’idea che avesse potuto uccidere qualcuno, o furiosa perché rischiava di perdere il suo migliore amico.
“Ci hai pensato al fatto che se ti arrestano io resterò senza il mio migliore amico?! Ti rendi conto, dovrò fare lo shopping del Black Friday con Cecil! E lui ha un gusto di merda!”
Prospero stava iniziando a spazientirsi e quando si voltò di nuovo verso di lei aveva intenzione di intimare seccamente all’amica di sedersi, fare silenzio e ascoltarlo, ma si ritrovò a vacillare e ad addolcirsi quando scorse i grandi occhi lucidi di Delilah fissi su di lui, quasi implorandolo di dirle che le aveva mentito per un buon motivo e che non aveva ucciso nessuno.
Si era detto che non condividere con l’amica la sua visita ad Alexandra fosse la cosa migliore fin da quando l’aveva incontrata per caso sul treno, ma all’improvviso il senso di colpa che covava da giorni affiorò. Accennato un sorriso di scuse, Prospero fece l’ultima cosa che Delilah si aspettava: si chinò verso di lei e la strinse in un abbraccio, tornando ad essere per lei lo stesso amico rassicurante di sempre mentre la strega, spiazzata, se ne stava rigida con gli occhi spalancati dalla sorpresa e la guancia premuta contro il petto dell’amico.
“Delilah, ti prometto che non andrò ad Azkaban, ma adesso ci calmiamo, che ne dici? Ti siedi e parliamo.”
Liberatasi delicatamente dalla stretta dell’amico Delilah annuì, sollevando seria lo sguardo sul suo viso eternamente rilassato – ma forse solo all’apparenza – per rivolgergli un’occhiata gelida:
“Ok. Ma Ro, sii convincente e non dirmi stronzate, perché se mi menti e l’hai uccisa ti rado i capelli nel sonno.”
“Ti dirò le cose come stanno, a patto che lo faccia anche tu. So che non mi hai detto la verità nemmeno tu, quando ti ho chiesto che cosa avessi fatto a Berlino. Penso sia arrivato il momento di essere sinceri, Fogliolina.”
Con quelle parole Ro si voltò e si chinò sul pavimento per aprire la sua valigia, armeggiando brevemente nell’infinità di cose che era solito portarsi appresso mentre Laila, alle sue spalle, gli chiedeva accigliata che cosa stesse cercando.
“L’essenziale per fare due chiacchiere, ovviamente.”
Più serio che mai, Prospero ruotò su se stesso e tornò a rivolgersi all’amica tenendo in mano un fornello da campeggio, una moka enorme e due tazze. Stava cercando anche il sacchetto del caffè dopo aver sistemato il tutto su una sorta di tavolo pieghevole quando Delilah, gli occhi e le labbra spalancati in un misto di stupore e di indignazione, parlò assumendo lo stesso tono minaccioso di poco prima:
Porco Salazar… Hai avuto una moka e il caffè per tutto il tempo e non me hai mai offerto uno?! Ma non ti vergogni neanche un po’?! Non hai una coscienza?”
“Io porto sempre la moka con me, pensi davvero che uno nato e cresciuto in Italia possa sopravvivere a lungo all’estero bevendo brodaglia? Per chi mi hai preso?!”

 
*

 
Se qualcuno, chiunque, avesse messo piede nel vagone ristorante di sicuro sarebbe ammutolito di fronte al caos che aveva preso possesso dell’ambiente. E nessuno dei tre Auror che aveva occupato il vagone per dedicarsi con calma alle indagini avrebbe potuto dargli torto.
“Qui sembra che sia esplosa una bomba… Qualcuno vuole altro tè?”
Seduta di fronte a James al tavolo che erano soliti occupare per i pasti, Clodagh prese il lucido bollitore nero e lo sollevò con un sospiro, chiedendosi quando quell’eterno viaggio avrebbe trovato una fine. Nel versarsi l’ennesima tazza di tè, l’unica cosa che le consentiva di andare avanti nella lettura dei fascicoli sui passeggeri e sui membri dello staff, la strega gettò un’occhiata dubbiosa in direzione dei suoi due colleghi: James si stava dedicando all’attenta lettura di tutti i resoconti degli interrogatori, confrontandoli tra loro per accertarsi che le dichiarazioni collimassero, mentre Asriel si stava prendendo una pausa tenendo Zorba stretto tra le braccia.
La piccola testa nera appoggiata sull’incavo del gomito del padrone e gli occhi chiusi, il micio si stava godendo appieno le coccole mentre Asriel gli accarezzava gentilmente il capo con due dita, guardandolo adorante e mormorando frasi melense:
Chi è il gattino più dolce e buono del mondo?”
“Asriel, o dai una mano o prendi una stanza per te e per Zorba!”
Quanto sei carino… Sono in pausa caffè, non vedi?! E il caffè è la mia linfa vitale quando c’è un caso, dovresti saperlo meglio di chiunque altro.”
Seccato, l’Auror tornò rapidamente in modalità Brontolo e riportò lo sguardo sulla collega prima di indicare torvo la tazza di caffè che aveva davanti: quando Clodagh aveva chiesto ad un cameriere di portarle un bollitore pieno d’acqua, Asriel ne aveva approfittato per procurarsi il caffè che agognava da circa mezza giornata.
L’unica nota positiva di quella situazione, dopotutto, era avere tutto quello staff a disposizione.
“Si dia il caso che io lo sappia, dimentichi chi ti ha regalato quella tazza?”
Come si permetteva Brontolo di mettere in dubbio le sue capacitò mnemoniche quando si parlava delle abitudini del suo scorbutico partner? Offesa, Clodagh indicò la tazza da caffè bianca – che riportava la scritta “Leave me alone! I’m only speaking to my kitty today” – che il collega aveva davanti mentre James, distolta a sua volta la propria attenzione dal lavoro, annuiva serio:
“È assolutamente il regalo più adatto a te che si possa immaginare, Asriel.”
Sì, adoro questa tazza. Ma ciò non toglie che la pausa caffè sia sacra.”
“Pf, la usi come scusa per coccolare Zorba. Lo so che è carino, ma abbiamo bisogno di Asriel Concentrato, non Asriel Tenerone!”
“Hai ragione, ma è così adorabile… Va bene, scusa piccolo, ma devo lavorare e il tuo musino mi distrae.”
Sospirando, Asriel si vide suo malgrado costretto a prendere il micino e a lasciarlo delicatamente sul pavimento, pregandolo silenziosamente di perdonarlo con un’occhiata piena d’affetto mentre Zorba, dopo essersi leccato brevemente una zampa, trotterellava via per dedicarsi ad un’attenta esplorazione del vagone.
Soddisfatta, Clodagh allungò al collega un voluminoso pacco di fogli, resoconto dei casi in tribunale più recenti di Alexandra, e lo incaricò allegra di passarli in rassegna tutti mentre James, che nel frattempo era tornato a concentrarsi sulla lettura, rileggeva dubbioso la prima parte dell’interrogatorio di Delilah Yaxley.
 
Delilah aveva affermato di aver cenato tardi, la sera dell’omicidio, e di non essersi attardata a parlare con nessuno. Conosceva soltanto Prospero De Aureo sul treno, ma lo aveva incontrato solo il mattino seguente, prima di apprendere della morte di Alexandra.
Aveva cenato tardi, da sola, quando il vagone ristorante era deserto. L’unica persona che aveva visto, prima di tornare nella sua cabina, era stata Corinne Leroux.
 
James rilesse le frasi che lui stesso aveva scritto un paio di volte, mentre una piccola ruga faceva capolino nello spazio tra le sue sopracciglia: qualcosa non gli tornava. Le affermazioni della strega erano chiare, ma c’era qualcosa in quelle righe che non riusciva a convincerlo del tutto.
Dubbioso, il giovane Auror sfogliò irrequieto i resoconti degli interrogatori degli altri passeggeri finchè non ebbe tra le mani quello della stessa Corinne, rileggendone le prime righe come aveva appena fatto con quello di Delilah.
La ruga sparì dalla fronte di James, ma in compenso gli occhi azzurri gli finirono quasi fuori dalle orbite mentre spostava lo sguardo da un foglio all’altro, incredulo. Come aveva fatto a non farci caso prima?
“Porca miseria! Siamo stati degli idioti! … Non tu Asriel, scusa, tu sei fantastico.”
“Smettila di arruffianartelo, di che cosa parli JJ?”
Sbuffando, Clodagh liquidò rapidamente le moine di James con un gesto sbrigativo della mano, puntando seria gli occhi chiari sul collega più giovane senza più degnare di uno sguardo i fogli che aveva davanti. Cercando di reprimere un sorriso soddisfatto – avere l’attenzione di entrambi i colleghi lo riempiva di orgoglio, ma fece del suo meglio per non darlo a vedere – James sollevò le dichiarazioni di Delilah, indicando la prima parte del foglio mentre Asriel e Clodagh lo studiavano con attenzione:
“Delilah Yaxley ha detto di non aver parlato con nessuno la prima sera, di non aver mai visto la vittima sul treno, ma in compenso ha detto di aver visto Corinne Leroux. E allora perché Corinne ha detto di non essere mai, mai uscita dalla sua cabina, quella sera?!”

 
*

 
“Che cosa ti ha detto Cecil?”
“Che sei stato da lei pochi giorni prima di salire sul treno. Quindi tutta la storia del viaggio era falsa?”
“No, ho solo fatto una… breve sosta a Londra. Davvero molto breve, sono semplicemente andato da lei, per questo non te l’ho detto. Ricordi quando mi hai scritto raccontandomi di tutta la storia di Cecil e del negozio?”
Delilah annuì mentre allungava la tazza che teneva in mano verso Prospero, guardando l’amico versarle una generosa dose di caffè prima di versarsene un po’ a sua volta. Considerata la sua nota semi dipendenza per quella bevanda era probabile che Prospero gliela stesse rifilando solo per rabbonirla, ma ne aveva così bisogno che decise di lasciarlo fare senza però mai smettere di fissarlo, dubbiosa.
“Certo.”
“È per questo che sono andato da lei, quel giorno. Le ho detto di lasciar perdere te e tuo fratello.”
“E me lo puoi dimostrare?”
“No. Temo che dovrà bastarti la mia parola, perché la nostra amica Alexandra non è più qui per fare altrettanto. Non l’ho uccisa, Laila.”
Prospero accennò un sorriso gentile prima di portarsi la tazza alle labbra e bere un sorso di caffè, riprendendo a parlare in tutta calma mentre faceva dondolare lentamente un piede e si guardava attorno con fare distratto:
“Credo che nessuno mi conosca meglio di te. Pensi che se l’avessi uccisa sarei stato così stupido da andare da lei solo pochi giorni fa? Sicuramente qualche Auror è già andato nel suo studio per farsi dare il registro delle visite, quindi a breve lo sapranno anche Garvey, Morgenstern e Hampton.”
“Te la vedrai brutta, quando lo scopriranno.”
“Non preoccuparti, me la caverò, come sempre. Mi interessa di più quello che pensi tu, al momento.”
Di nuovo, Prospero le sorrise senza smettere di stringere la tazza tra le lunghe dita pallide e affusolate, dondolare il piede e osservarla con gentilezza, in attesa di una sua reazione. Delilah lo osservò di rimando per qualche lungo istante, conscia che l’amico avesse ragione: se proprio doveva pensare a Prospero che uccideva qualcuno, era da escludere che potesse fare una mossa così stupida, del resto lo reputava da sempre la persona più intelligente che avesse mai conosciuto.
Alla fine, forse spinta anche dall’affetto smisurato che nutriva nei suoi confronti, la strega decise di credergli, mormorando qualcosa a bassa voce senza smettere di fissarlo attentamente di rimando:
“Non sei un idiota. Non saresti andato da lei, se avessi avuto intenzione di ucciderla. Ma che cosa le hai detto?”
“Scendere nei dettagli non è di nessuna utilità, ma potrei essere stato vagamente imperativo. Solo un po’.”
“Non dirmi che l’hai minacciata!”
“Mh, minacciare è una parola grossa. E comunque, a quanto sembra aveva nemici ben più agguerriti di me.”

 
*

 
“Una delle due deve aver mentito per forza. Ma perché la Yaxley dovrebbe inventarsi di averla vista? Che ci risulta, non si conoscono neanche.”
“Delilah non pronunciò il suo nome, disse di aver visto “la francese, quella bionda”, quindi per forza parlava di lei… ma se non sapeva nemmeno come si chiamasse, perché mentire sul suo conto?”
James indicò il punto dove aveva annotato le precise parole della fotografa, che aveva parlato come se non avesse idea di chi fosse Corinne Leroux. Aggrottando dubbioso le sopracciglia, Asriel si fece passare il foglio dal collega per studiarlo a sua volta mentre Clodagh incrociava le braccia al petto e si appoggiava allo schienale imbottito della panca dove era seduta, parlando con una scrollata di spalle:
“Forse sapeva benissimo di chi si trattava, invece. Corinne è famosa, no? Se Delilah ha ucciso Alexandra, può averlo detto per far ricadere i sospetti su di lei… Forse non solo sapeva benissimo chi fosse, ma anche della sua relazione con la vittima. Il coniuge, amante o partner che sia è sempre il primo sospettato… anche nel caso di un ex.”
“Parliamo con entrambe, una alla volta. Vado a chiamare la Yaxley.”
Asriel si alzò prima di dare il tempo ai colleghi di avanzare rimostranze, dirigendosi a passo di marcia verso l’uscita del vagone mentre Clodagh e James lo seguivano con lo sguardo, la prima del tutto rilassata e il secondo invece piuttosto scettico. Erano appena rimasti solo quando Clodagh, stiracchiandosi sollevando le braccia sopra la testa, sorrise con un luccichio divertito nei brillanti e arguti occhi chiari:
“Oh, beh, almeno siamo sicuri che verrà di corsa.”

 
*

 
Quando aveva bussato alla porta di Delilah Yaxley nessuno aveva risposto, e nessun rumore proveniente dall’interno della cabina aveva fatto intendere che la strega si trovasse effettivamente lì. Ciononostante Asriel, piuttosto determinato a parlarle, non si era fatto scoraggiare e si era rivolto senza esitare alla porta accanto, ovvero quella della cabina di Prospero De Aureo.
Dove altro poteva trovarsi la fotografa, se non dal suo amichetto del cuore?
 
Non a caso Asriel non si stupì affatto quando udì chiaramente delle voci, una maschile e una femminile, provenire da dietro la porta; voci che cessarono all’improvviso dopo che ebbe bussato.
“Signor De Aureo, avrei bisogno di parlare con la Signorina Yaxley. È con lei?”
Armatosi di pazienza, l’Auror sospirò e allacciò le mani dietro la schiena mentre udiva chiaramente Delilah rivolgersi all’amico con fare concitato. Non riuscì a decifrare le sue parole, ma udì una curiosa serie di tonfi e imprecazioni soffocate, come se qualcuno avesse rischiato di rovesciare qualcosa più di una volta.
 
“Ah, vuole parlare con me, non con te!”
Al suono della voce di Asriel Delilah era saltata in piedi – quasi fosse stata dotata di molle invisibili –, rischiando di rovesciare caffè, moka, fornello e tavolo pieghevole. Eppure, mentre Prospero si prodigava per salvare la cabina dal disastro, il sorriso esultante si congelò sul viso pallido della strega fino a sparire e cedere il posto ad un’espressione puramente allarmata:
“Per tutti i rullini, vuole parlare con me?! Perché vuole parlare con me?! Ro, che faccio?!”
“Laila, stai calma. Non hai ucciso Alexandra, andrà tutto bene, ok? Ora va’, sii fantastica e rendimi fiero.”
 
Delilah stava per pigolare che non era pronta, che era impossibile, che non si era nemmeno incipriata il naso, ma Ro la spinse verso la porta prima di spalancarla a tradimento, figurare davanti ad Asriel con un sorriso smagliante e stringendo le spalle dell’amica con un braccio:
“Salve! Eccola, è qui, tutta per lei.”
Delilah deglutì a fatica, chiedendosi dove fosse finita la sua saliva mentre lo sguardo gelido di Asriel la trapassava da parte a parte, scrutandola mortalmente serio.
“Mi segua per favore, Signorina Yaxley.”
Senza aggiungere altro l’Auror girò sui tacchi e si allontanò con Delilah al seguito dopo che Ro ebbe quasi spinto l’amica dietro all’ex Corvonero, al quale non risparmiò un ultimo commento zuccheroso:
“Mi raccomando, me la riporti tutta intera.”
 
Prospero e Delilah, dopo setti anni passati a darsi suggerimenti durante test ed esami vari, avevano sviluppato un’abilità nella lettura del labiale senza precedenti. Per questo, quando l’amica si voltò verso di lui, il mago riuscì chiaramente a decifrare la sua implorante e semi disperata richiesta di aiuto.
Per tutta risposta Ro si strinse nelle spalle sollevando le mani, come a chiederle che cosa avrebbe potuto fare prima di ripeterle silenziosamente di stare tranquilla. Delilah sbuffò prima di voltarsi e seguire Asriel verso la I classe, borbottando che per lui era facile parlare.
La colpa, ovviamente, come sempre era tutta di Cecil. Lui e i suoi gusti di merda in fatto di donne.

 
*

 
“Signorina Yaxley, sarò chiaro. C’è qualcosa nelle sue dichiarazioni che non collima con quelle di un altro passeggero.”


Merda, qualcuno sa di Cecil e della Panterona. Stupido Cecil. Dovevo eliminarlo quando potevo, nella culla.
 
“Ha dichiarato di aver scorto la Signorina Corinne Leroux la prima sera, prima dell’omicidio. È corretto?”
Delilah si aspettava domande su suo fratello, sul perché fosse sul treno, non certo su un’altra passeggera di cui sapeva poco e nulla. Visibilmente interdetta, la strega spostò perplessa lo sguardo da Asriel, che le sedeva di fronte, a Clodagh fino a James – tutti con gli occhi fissi su di lei –  prima di annuire senza capire il motivo di quel quesito:
“Io… Sì. Credo di averlo detto. È la verità, l’ho vista.”
“Prima o dopo aver cenato? È importante che sia precisa.”
“Dopo. Stavo tornando nella mia cabina e l’ho vista in I classe, devo passare da lì per forza per andare nella II dal vagone ristorante.”
“Che ora era?”
“Non lo so di preciso, le dieci passate o qualcosa del genere. Perché me lo chiedete?”
 
“Perché la Signorina Leroux afferma di non essere mai uscita dalla sua cabina, quella sera. Ne dedurrà che c’è un problema e che evidentemente una di voi due mente, Signorina Yaxley.”
 
Sempre più confusa, Delilah spostò attonita lo sguardo da un Auror all’altro mentre i suoi dubbi non facevano che duplicarsi: quando Asriel l’aveva cercata si era detta che di certo avevano scoperto che aveva mentito, ma di sicuro non si aspettava che l’accusassero di aver inventato storie su una passeggera che nemmeno conosceva.
“Cosa? Io… Io non conosco Corinne Leroux. Perché dovrei aver mentito su di lei?!”
Delilah non sapeva un bel niente di Corinne Leroux, solo che come Cecil era una sventurata ex della vittima.
 
Ehy, ma quella aveva il fetish per i gemelli o cosa?
 
“Se l’ha uccisa lei sarebbe comodo affermare di averla vista in giro.”
Alle parole di Clodagh Delilah si sentì avvampare e aprì la bocca senza emettere un suono, scandalizzata, sforzandosi di parlare mentre i suoi peggiori timori prendevano rapidamente forma.
“Io non ho ucciso nessuno! Chiedete alla francese che cosa ci faceva in I classe, se ha affermato il contrario!”
“Non si preoccupi, è quello che faremo. Ma prima… sa descrivermi qualcosa della Signorina Leroux relativamente a quella sera?”
“L’ho vista di sfuggita, non sono stata lì a fissarla…”
Delilah strinse nervosamente le braccia al petto e si abbandonò contro lo schienale della panca, sospirando mentre Clodagh, sorridendole gentilmente, le allungava un foglio e una delle penne a tema natalizio di James:
“Ma lei è una fotografata, sono sicura che sia attenta ai dettagli. Scriva quello che le viene in mente, per favore.”
 
Dopo una breve esitazione Delilah annuì, mormorando un assenso prima di prendere carta e penna. Mentre cercava di ricordare qualche dettaglio dell’aspetto dell’ex fantina, che aveva solo incrociato di sfuggita nel vagone della I classe, la fotografa scorse Clodagh avvicinarsi leggermente ad Asriel e mormorargli qualcosa all’orecchio. Lui annuì, serio, e Delilah deglutì prima di tornare a fissare con insistenza il pezzo di carta che aveva davanti.
Pensa Laila, pensa.

 
*

 
“Signorina Leroux, considerando che ha avuto una relazione con la vittima penso che non serva che io le ricordi quanto sia difficile la sua posizione. È pregata di dirci la verità.”
“Non vi ho mentito. Ho ammesso i miei trascorsi con Alexandra e ho detto la verità sulla rottura e sul perché mi trovo su questo treno. Tutto quello che ho detto su di lei è vero.”
“Forse, ma qualcuno afferma di averla vista la sera dell’omicidio. In I classe. Lei alloggia lì, e non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che lei, Signorina, ha affermato di non aver lasciato la cabina. C’è un testimone oculare, intende forse negare?”
 
Merde
 
Chi poteva averla vista? Corinne esitò, gli occhi chiari fissi su Asriel e le labbra serrate. Non avrebbe mai glissato sulla sua visita ad Alexandra se avesse immaginato che qualcuno l’aveva vista. Quella bugia non faceva altro che metterla in una posizione ancora più difficile.
“Chi è il testimone?”
“Le domande non le fa lei, qui.”
“Io… sono andata da lei. Ma non… Non l’ho uccisa, lo giuro. Non l’ho detto perché mi avreste accusata senza nemmeno darmi il tempo di spiegare, so benissimo che sono l’assassina più plausibile, qui. Vi dirò che cosa è successo ma voglio sapere chi mi ha vista.”
“La persona con cui abbiamo parlato afferma di averla vista nel vagone della I classe mentre faceva ritorno dal vagone ristorante. Pare che le sia letteralmente passata davanti.”
“Come?”
Improvvisamente Corinne parve non capire, e spostò confusa lo sguardo da un Auror all’altro mentre Asriel, sedutole di fronte, la guardava torvo.
 
Ecco, vedi a fidarsi dei francesi!
 
“Le è passata davanti, Signorina Leroux, quindi è difficile immaginare che non l’abbia riconosciuta o confusa con qualche altra passeggera, vero?”
“Lei non capisce, Monsieur Morgenstern. Non c’era nessuno. Né quando sono uscita dalla cabina di Alexandra, né quando sono uscita dalla mia per bussare alla sua porta. Se qualcuno mi fosse passato davanti sarebbe stato impossibile per me non vederlo, non le pare?”
“Sta mentendo.”
Rifiutandosi categoricamente di accettare che le parole di Corinne corrispondessero al vero, Asriel parlò stringendo i bordi del tavolo con tanta intensità da farsi sbiancare le nocche, la voce resa tremante dalla rabbia. Corinne però non si scompose, come sempre, e si limitò a guardarlo torva mentre inarcava un sopracciglio biondo e perfettamente curato:
“Che motivo avrei? Ho ammesso di essere andata da Alexandra. Perché dovrei mentire su questo? Non c’era nessuno nel vagone, lo giuro.”
Disgraziatamente Corinne aveva ragione, non aveva senso mentire. Chiedendosi perché quel caso diventasse sempre più assurdo, Asriel fece del suo meglio per trattenere un’imprecazione mentre Clodagh si alzava improvvisamente in piedi senza dire nulla, il foglio che poco prima aveva dato a Delilah in mano.
“Torno subito, scusatemi.”
“Dove stai andando Clo?”
“Devo parlare con una persona, non ci metterò molto. Lei resti qui, Signorina.”
Senza dare ulteriori spiegazioni Clodagh uscì decisa dal vagone ristorante, gli sguardi perplessi dei colleghi e di Corinne puntati addosso. Tuttavia, pur non sapendo che cosa avesse in mente Clodagh – né con chi volesse parlare – Asriel decise di affidarsi alla collega prima di tornare a rivolgersi, glaciale, alla francese:
“Ci dica perché è andata da lei. E che cosa è successo. Non si azzardi a mentire ancora, o avrò modo di vedermi in modalità sgradevole e le assicuro non le piacerà per niente.”
Chissà perché, Corinne non ebbe alcun dubbio sulla veridicità delle parole dell’Auror.

 
*

 
Dopo aver bussato Clodagh aspettò pazientemente sulla soglia, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre sperava che i suoi dubbi si rivelassero fondati. Quando la porta si aprì l’irlandese sorrise, rivolgendosi gentilmente alla bella ragazza dai grandi occhi castani che aveva davanti:
“Mi dispiace molto disturbarla, Signorina Picard. Avrei bisogno del suo aiuto, le dispiace se le rubo un momento?”
“Oh, no. Vuole entrare?”
“Grazie.”
Sorridendo, Clodagh accettò l’invito e superò la francese per entrare nella cabina mentre Clara, confusa e preoccupata, le chiudeva lentamente la porta alle spalle.
Quella novità delle “visite a domicilio” non le piacque nemmeno un po’, ma si rilassò quando l’Auror le porse il foglio piegato a metà che teneva in mano:
“Questa è una descrizione sommaria che ci è stata fatta della sua amica, la Signorina Corinne. Lei la conosce bene, no?”
Oui, direi molto bene.”
“Fantastico. Può dirmi se pensa che sia appropriata? Se c’è qualcosa che non la convince me lo dica, per favore. Ci pensi bene. E me lo dica se non capisce qualcosa.”
Clara annuì, aprendo il foglio per leggerne il contenuto sotto lo sguardo attento e speranzoso di Clodagh, che prese a tormentarsi le mani durante l’attesa.
Fortunatamente non era passato che un minuto quando Clara, accennando un debole sorriso, riportò gli occhi su di lei scuotendo il capo:
“Posso sapere chi ha scritto queste cose?”
“Perché?”
“Beh, non è molto… fedele, come descrizione. O meglio, forse dovrei dire verosimile. Non mi convince del tutto.”
Clara sventolò leggermente il foglio chiedendosi perché fosse tanto importante e soprattutto chi avesse descritto quel particolare ritratto della sua amica. Dall’espressione dell’Auror però, che mosse un passo verso di lei senza smettere di guardarla con impazienza, intuì che fosse molto importante.
“Sotto quale aspetto?”
“Oh, è una sciocchezza. Vede, qui c’è scritto che Corinne indossava un vestito con dei collant… Il fatto è che lei non porta mai le calze, da sempre, l’ho sempre presa in giro dicendo che un giorno si sarebbe presa la polmonite.”
Clodagh esitò mentre i suoi occhi chiari saettavano pensierosi sul foglio che Clara teneva in mano. Si sforzò di ricordare se le fosse mai capitato di vedere la francese indossare un vestito con delle calze, ma ben presto si rese conto che Clara aveva ragione: le era persino capitato di indugiare con lo sguardo sulle gambe nude dell’ex fantina e domandarsi come potesse resistere al freddo in quel modo.
“Venga con me, Signorina Picard.”

 
*

 
“Perché ha deciso di andare da Alexandra?”
“Non sapevo che si trovasse sul treno quando sono salita, su questo voglio sia chiaro che non ho mentito. Ma quando uno dei facchini ha preso i miei bagagli per portarli nella cabina l’ho sentito parlare con un altro ragazzo… Gli ha detto qualcosa sui bagagli della “Signorina Sutton”. Ho pensato ad un caso di omonimia, ovviamente, anche se ero già certa che fosse lei considerando che ha – aveva, scusate – una casa a Nizza, come sapete… ma poi ho visto la valigia. Era inequivocabilmente la sua.”
“Come ne era così sicura? È una valigia comune, seppur costosa, se ne vedono diverse in giro.”
Corinne non rispose subito, guardandosi distrattamente le unghie curate delle mani mentre ripensava al momento in cui aveva posato lo sguardo sulla valigia di Alexandra, riconoscendola all’istante.
“Perché quella valigia glie l’ho regalata io. Avete notato le iniziali vicino al manico? L’avevo fatta personalizzare perché era il genere di cosa che lei adorava… l’idea che quello che possedeva fosse unico. Quindi ho capito che si trovava sul treno, come me, e ho sentito il numero della cabina. Ci ho pensato parecchio, ma alla fine ho deciso di farle visita.”
“Perché?”
Conscia che a quel punto mentire non avesse senso, Corinne sospirò e decise di dire la verità mentre sollevava seria lo sguardo su Asriel, osservandolo impassibile e senza che nessuna emozione particolare trasparisse dal suo volto:
“Perché ero arrabbiata, Monsieur Morgernstern. Vi ho detto che cosa ha fatto a me alla mia famiglia, dopo che l’ho lasciata. Non l’avevo più vista, volevo che mi guardasse in faccia e mi chiedesse scusa. Naturalmente non l’ha fatto, non chiedeva mai scusa. Ma ribadisco, non l’ho uccisa. Era viva quando sono uscita.”
Rammentando lo stato in cui versava la cabina della vittima quando vi avevano messo piede, James si accostò leggermente al collega per suggerirgli con un filo di voce di chiedere a Corinne qualcosa a riguardo. Per un istante il ragazzo temette che il collega lo mandasse a quel paese, ma Asriel si limitò ad annuire continuando a tenere gli occhi fissi su Corinne prima di chiederglielo.
 
“Le tende erano strappate, lo specchio rotto… è stato a causa sua?”
A giudicare dalla reazione della strega, sembrò che Corinne non avesse sinceramente idea di che cosa stessero parlando: aggrottò entrambe le sopracciglia, osservando dubbiosa l’Auror prima di scuotere il capo con decisione, senza esitare.

“Assolutamente no. Abbiamo discusso, o meglio, io mi sono infuriata e lei mi guardava annoiata con una sigaretta in mano, ma non ho tirato fuori la bacchetta e non ho rotto niente. Lo giuro.”

 
“Perché vuoi che ti chieda scusa? Ho iniziato a rappresentare il vostro competitor, e allora? La Francia è un Paese libero, no? Devo chiederti il permesso prima di accettare un cliente, forse?”
Comodamente seduta sul divanetto dell’enorme e lussuosa cabina, Alexandra si versò un goccio di whisky dalla bottiglia di cristallo che le era stata fatta trovare su un vassoio tenendo mollemente la sigaretta appena accesa tra le labbra e senza degnare Corinne di uno sguardo.
La francese, che stava in piedi davanti a lei con le braccia strette al petto in una morsa ferrea, la scrutò
“Non parlo solo di quello e lo sai benissimo. Come sai benissimo quanto tu abbia danneggiato pubblicamente me e l’Haras di famiglia spifferando della nostra relazione ai quattro venti! Potevi anche risparmiartelo!”
“Beh, visto che era finita ho pensato che non fosse più un segreto. Ho fatto male?”
Alexandra riuscì a fatica a celare un sorriso mentre spalancava teatralmente i grandi occhi chiari, la sigaretta che le penzolava dalle labbra mentre guardava Corinne con innocente stupore. Infine, accennando un sorriso, l’ex Grifondoro afferrò la sigaretta con due dita prima di muoverla distrattamente verso Corinne, osservandola inclinando la testa e con un’espressione divertita che tante volte la francese le aveva visto in faccia prima di decidersi a lasciala.
“Ti vedo agitata, sicura di non volere una sigaretta?”
Corinne rifiutò la sigaretta, limitandosi a mandarla al diavolo nella sua lingua madre prima di voltarsi, aprire la porta della cabina e andarsene con il fastidioso eco della risata divertita della sua ex alle spalle.

 
 
“Signorina Leroux?”
Riscossasi, Corinne tornò a fissare Asriel sbattendo ripetutamente le palpebre, cercando di arginare i ricordi mentre cercava di rammentare, invano, che cosa l’Auror le avesse chiesto.
“Mi scusi. Può ripetere la domanda, Monsieur?”
“Le ho chiesto come le è sembrata. Se era agitata, o nervosa, o se ha accennato di star aspettando qualcuno.”
“Non era agitata, tutt’altro. Non so se aspettasse qualcuno, mi è solo sembrata sorpresa di vedermi, quando ha aperto la porta. Però…”
All’improvviso un dettaglio rimasto sopito riaffiorò nella memoria di Corinne, che aggrottò brevemente la fronte mentre i tre Auror la guardavano, speranzosi e in attesa, e Asriel si allungava appena verso di lei senza smettere di stringere il bordo del tavolo:
“Però cosa?”
“… Teneva la bacchetta in mano, quando mi ha aperto. Poi l’ha appoggiata sul tavolo, ma quando mi ha aperto la teneva in mano.”

 
*

 
“Tutto questo non ha il benchè minimo senso. Una afferma di averla vista, l’altra ammette di essere andata dalla vittima ma che non ci fosse nessuno nel vagone. Perché la Leroux dovrebbe negare di essere stata vista se ha ammesso di essere andata da lei? Non ha senso.”
“Forse l’ha uccisa lei e, emh, cerca di mettere in dubbio la credibilità di Delilah per farci sospettare di lei? In effetti è molto contorto…”
Piuttosto dubbioso, James parlò sbattendo nervosamente le palpebre mentre ripensava, accigliato, ai colloqui appena avuti con le due streghe, dove ognuna affermava cose diverse creando un quadro totalmente insensato.
Asriel, seduto accanto a lui mentre aspettavano che Clodagh tornasse, sospirò rumorosamente mentre fissava, torvo, il tavolo ingombro:
“Le possibilità sono tre. Primo, la Yaxley si è inventata tutto per mettere in cattiva luce la Leroux, ma per un’assurda coincidenza ci ha preso e lei è davvero uscita dalla sua cabina, quella sera. Secondo, la Yaxley ha le allucinazioni, ma sempre per un’assurda coincidenza la Leroux si è davvero trovata nel vagone della I classe, ad un certo punto. Terzo, la Leroux nega l’evidenza per far perdere credibilità all’altra. Perché diamine non ci sono telecamere, su questi treni?! Non ci sono altri testimoni, non possiamo confutare una delle due versioni!”
“Peccato che non ci sia un Legilimens, sarebbe davvero facile scoprire la verità… Non possiamo scoprire chi mente con un incantesimo? Il Veritaserum è illegale, ma si può utilizzare la Legilimanzia per le indagini, no? Ti ho visto farlo solo qualche mese fa, con quel tizio che usava la Maledizione Imperius per costringere i Babbani a dargli soldi o cose gratis…”
“Solo se ci sono prove schiaccianti e non è questo il caso, non possiamo usare la Legilimanzia su quelle due, ci potrebbero dare una sospensione. Dove è finita Clodagh? Forse è meglio se vado a cercarla.”
Sperando che la collega non si fosse cacciata nei guai e chiedendosi che cosa fosse andata a fare con tanta fretta Asriel fece per alzarsi e lasciare il vagone ristorante quando la porta si aprì e Clodagh, sorridendo, fece la sua provvidenziale apparizione sull’ingresso:
“Scusate ragazzi, mi era venuta in mente una cosa e pare che io dopotutto abbia ragione. Venga Clara, si sieda.”
“Perché sei andata dalla Signorina Picard?”
Mentre Clodagh li raggiungeva con una Clara visibilmente confusa tanto quanto loro al seguito, James spostò perplesso lo sguardo da una strega all’altra mentre Asriel, accanto a lui, bofonchiava qualcosa sui francesi.
Dopo aver invitato con un cenno gentile Clara a prendere il posto precedentemente occupato prima da Delilah e poi da Corinne Clodagh sfoggiò un sorriso allegro, rivolgendosi ai colleghi con aria visibilmente soddisfatta:
“Ho mostrato alla Signorina Picard quello che ha scritto Delilah, lei conosce particolarmente bene Corinne… e secondo lei, questa descrizione ha qualcosa di strano.”
“Davvero? Riguardo a che cosa?”
Tornando serio e dimenticando momentaneamente le sue rimostranze sulle origini della strega Asriel si mise improvvisamente dritto sulla sedia e catalizzò tutta la sua attenzione su Clara, che indugiò brevemente con lo sguardo su Clodagh prima di rispondere in sincro con l’Auror:
“I collant.”
Non era esattamente la risposta che Asriel si aspettava. Lui e James si scambiarono un’occhiata stralunata, dopodiché l’ex Corvonero tornò lentamente a guardare Clara e poi Clodagh, indeciso se infuriarsi, scoppiare a ridere o prendere il tavolo a testate. E perché Clodagh sorrideva? Forse stavano tutti perdendo definitivamente il senno.
“… Cioè tutto questo… dipende da un paio di calze?!”
“Beh, sai come si dice, no? Il diavolo sta nei dettagli.”
Forse doveva prendere in considerazione il ritiro dalla carriera, dopotutto.

 
*

 
“Io non capisco proprio… Mi hanno chiesto di Corinne Leroux. Quando mi hanno interrogata ho detto di averla vista in I classe, la prima sera, ma lei aveva affermato di non essere mai uscita dalla sua cabina. Mentiva, ovviamente, e pare che adesso abbia ammesso di essere andata dalla Panterona, ma afferma anche che io non posso averla vista perché nel vagone non c’era nessuno quando lei è uscita! Non ha assolutamente senso, Ro!”
Delilah stava misurando nervosamente a grandi passi la sua cabina, facendo avanti e indietro mentre Prospero la osservava dal letto dell’amica, seduto con Kiki in braccio e gli attenti occhi scuri fissi su di lei mentre cercava a sua volta di comprendere la situazione:
“Ma tu l’hai vista, Laila?”
“Certo che l’ho vista, perché dovrei mentire su questo? È lei che sta mentendo! Non mi stupirebbe se l’avesse uccisa lei.”
Delilah si fermò per sbattere nervosamente un piede sul pavimento, chiedendosi perché la francese negasse l’evidenza. Ro prese ad accarezzare il soffice pelo maculato di Kiki mentre fissava assorto il finestrino della cabina dell’amica, mormorando che naturalmente le credeva:
“Sono sicuro che tu l’abbia vista, Laila… Forse vuole metterti in cattiva luce. Considerando che è la ex della vittima, se gli Auror credono a lei potrebbero pensare che tu l’abbia uccisa per poi indirizzarli sulla colpevole più plausibile.”
“Ma non possono pensare che sia stata io! Cioè, io non posso andare ad Azkaban! No, no, io non ci vado, vedi di aiutarmi a fuggire in Messico se le cose dovessero mettersi male.”
“Non ce ne sarà bisogno, credimi.”
 
Sentendosi più che mai vicina ad una crisi di nervi, Delilah si passò le mani tra i capelli color pece mormorando che, una volta scesa da quel treno, avrebbe categoricamente smesso di festeggiare il Natale. Non solo, non sarebbe mai più salita su un treno, né tantomeno avrebbe mai messo più piede a Berlino.
“La cosa peggiore è che Cecil me lo ha detto, di non farlo. Mi ha detto di non seguirla. Perché non ho ascoltato Cecil l’unica volta in 29 anni in cui ha detto una cosa sensata, Ro?!”
“Perché sei testarda come un mulo, e perché gli vuoi bene. Come gliene voglio io… forse ho sbagliato anche io, ad andare da lei. E soprattutto a non dirtelo. Ma ormai non ha senso rimuginare, l’importante è uscire da questa situazione.”
Chiedendosi come facesse l’amico a restare così calmo, Delilah stava per domandargli cosa sapesse del clima messicano quando qualcuno bussò insistentemente alla porta, facendo raggelare la strega.
“Signorina Yaxley? Dobbiamo parlare con lei.”
“Ancora? Merda, mi vorranno accusare? Mi sta per venire un attacco cardiaco, me lo sento, ho male al braccio sinistro…”
Sospirando, Ro si alzò e intimò con un sussurro all’amica di stare tranquilla prima di stamparsi un sorriso sulle labbra, attraversare la distanza con la porta con due sole, lunghe falcate e infine aprirla trovandosi Clodagh davanti.
“Salve. Senta, non è che per caso potrei venire con Delilah?”
“Scusi Signor De Aureo, non è il caso. Venga Signorina, dobbiamo chiarire una cosa con lei.”
Imprecando con un filo di voce, Delilah seguì l’Auror fuori dalla cabina e si allontanò dopo essersi voltata verso l’amico per sillabare la parola “MESSICO”, facendolo sospirare. Prospero guardò le due allontanarsi prima di chinare lo sguardo sul suo gatto, sospirando rumorosamente:
“Possibile che quella strega ci crei così tanti problemi anche da morta, Kiki? Forse sarebbe stata una minor seccatura da viva, dopotutto.”
 

 
*

 
“Signorina Yaxley, a quanto pare è pressoché impossibile che lei abbia realmente visto Corinne Leroux fuori dalla sua cabina.”
“Come scusi?! Mi sta prendendo in giro?! Ha ammesso di essere uscita!”
“Sì, ma la sua descrizione non è molto realistica… ha detto che indossava delle calze?”
“Sì, avevano una fantasia strana, me le ricordo per questo. Ho pensato che non le avrei mai acquistate perché detesto le calze con la fantasia. Che c’è di strano nelle calze?”
Che cosa gliene fregava agli Auror delle calze?! La situazione si stava facendo quasi tragicomica, se doveva discutere di collant col Manzo Apocalittico a proposito della morte della Panterona, ma Asriel sembrava mortalmente serio, come se la questione fosse di particolare rilevanza.
“Pare che la Signorina non porti le calze. Mai. Nessuno di noi l’ha mai vista con quelle addosso da quando siamo sul treno, e lo conferma anche la sua amica.”
“E vi affidate alle parole della sua amica? Molto comodo.”
“Abbiamo controllato il bagaglio e la cabina della Signorina. Niente calze. Zero. Potrebbe averle gettate via, ma non ne abbiamo trovato traccia nemmeno tra i rifiuti. Non può averle bruciate, né fatte sparire con la magia. E ha detto che il suo vestito era rosso, vero?”
“Sì.”
Delilah annuì, le mani strette nervosamente sui bordi della banca mentre ripensava, senza capire, all’incontro fugace che aveva avuto con la strega. Non stava mentendo né inventando nulla, ma perché ciò che aveva visto sembrava non coincidere con la realtà?
“Non abbiamo trovato nemmeno quello. Ora, a meno che non ci sia una sorella gemella di Corinne Leroux che è andata a zonzo per il treno con abiti che non appartengono a Corinne Leroux e che non abbiamo trovato, ci viene da pensare che lei non stia dicendo la verità, Delilah.”
 
Delilah aprì la bocca per abbaiare ad Asriel che non stava mentendo e che non le importava un bel niente dei vestiti della francese bionda, sapeva quello che aveva visto. Tuttavia le parole dell’Auror, seppur evidentemente sarcastiche, le fecero venire in mente qualcosa. La strega serrò lentamente le labbra e fissò le parole che lei stessa aveva impresso su quel foglio di carta mentre una possibilità che non aveva ancora considerato di faceva rapidamente strada nella sua mente.
“Ecco… ci sarebbe un’altra possibilità che spiegherebbe tutto, a dire il vero.”
“Di che cosa parla?”
“Io ho della… Pozione Polisucco, in valigia. Se qualcuno l’avesse presa potrebbe aver preso le sembianze di Corinne. Non sto mentendo, ma forse non lo sta facendo nemmeno lei.”
Mentre i tre la guardavano increduli Delilah chinò il capo, a disagio, evitando di ricambiare i loro sguardo prima che Asriel, superato lo sbigottimento iniziale, prendesse a parlare scandendo le parole in maniera preoccupantemente lenta:
“Delilah Yaxley. Lei ha… della Pozione Polisucco in valigia e non ha mai pensato di dircelo? Non ha pensato che forse avremmo dovuto sequestrarla dopo un omicidio? Restate qui, io vado a cercarla.”
Ormai deciso a darsi all’apicultura una volta tornato in Inghilterra e aver sistemato il responsabile di quel casino, Asriel si alzò e uscì deciso dal vagone sibilando imprecazioni metà in tedesco e metà in inglese. Rimasti soli con Delilah, Clodagh e James si scambiarono un’occhiata inquieta – entrambi sperando che il collega non devastasse il treno – prima che l’irlandese tornasse a rivolgersi a Delilah con un basso sospiro:
“Qualcuno sapeva della Polisucco, Delilah?”
“No.”
“Nemmeno Prospero De Aureo?”
“Non l’ho detto neanche a lui, no. Nessuno dovrebbe saperlo.”
“L’ha usata?”
“No.”
“Perché l’ha portata con sé? È andata a Berlino per lavoro, no?”
“Può servire, nel mio lavoro.”
Delilah si strinse nelle spalle, evitando di guardare Clodagh mentre ripensava all’esatto momento in cui aveva messo la fialetta in valigia. Non si poteva mai sapere.
L’Auror invece sospirò mentre osservava l’ex Serpeverde, per qualche motivo certa che non avesse a che fare con l’omicidio.
“Delilah, sa che è illegale, vero?”
“… Lo so. Ma non potete provare che l’abbia prodotta io.”
Delilah sollevò il capo per ricambiare lo sguardo dell’Auror, che dopo una breve esitazione accennò un debole sorriso e annuì. Era certa che l’avesse realizzata lei, ma in fin dei conti la fotografa aveva ragione, non potevano provarlo.
“Ma non l’ho bevuta. E ne ho portata davvero poca, se qualcuno l’ha presa per assumere le sembianze di Corinne non ne sarebbe rimasta per me. E viceversa, se l’avessi usata a scopi personali prima di salire sul treno, non ne sarebbe rimasta per chi ha preso il posto di Corinne.”
 
Mentre aspettavano che Asriel facesse ritorno James e Clodagh si allontanarono dal tavolo per discutere della situazione lontano dalle orecchie di Delilah e James, avvicinatosi all’amica, accennò in direzione della fotografa prima di parlare con tono dubbioso:
“Dovremmo arrestarla per la Polisucco?”
“Ha ragione, non possiamo provare che l’abbia realizzata lei, e se davvero non l’ha bevuta tecnicamente non ha infranto la legge… Forse, considerando che ci sta aiutando con la questione dell’omicidio, potremmo anche chiudere un occhio.”
“Ma bisognerà convincere Asriel, non sarà facile.”
“A Brontolo penso io.”
 
 
Una decina di eterni minuti dopo – che Delilah trascorse a tormentarsi le mani pallide e James ad accarezzare Zorba, commosso dal fatto che finalmente un gatto gli dimostrasse affetto abituato com’era ad Alpine – Asriel fece finalmente ritorno nel vagone ristorante, a mani vuote e con l’espressione peggiore che Clodagh gli avesse mai visto sulla faccia da diverso tempo a quella parte.
Cavolo, ha la stessa faccia di quando finirono i brezel al chiosco… Non promette bene. Trovato qualcosa, caro?”
“Niente. Niente Polisucco. O la qui presente signorina l’ha usata, oppure se ne è liberata. Potrebbe anche averla messa in qualche altra cabina per indirizzare i sospetti altrove.”
“Che cosa?! Oh, insomma, ma mi avete presa per Cercei Lannister?! Mi si sta friggendo il cervello con tutti questi sotterfugi assurdi!”
“Chi è costei?!”
Asriel parlò aggrottando le sopracciglia, chiedendosi di chi stessero parlando mentre Clodagh e James sospiravano rumorosamente, alzando gli occhi al cielo e manifestando la loro incredulità di fronte all’ignoranza del collega:
“Oh, Dio Asriel, è quella del Trono di Spade, ma insomma!”
“Non ho tempo di spiegare, è una serie che guarda Ro, ma non sono così machiavellica, posso assicuralo. Sentite, so che avrei dovuto dire di averla, ma è una pozione illegale e volevo evitarmi i guai. Ma se qualcuno ha preso le sembianze di Corinne deve averci avuto a che fare in qualche modo, altrimenti non avrebbe potuto usarla. Cercate qualcuno che abbia parlato con lei o che le si sia avvicinato prima che la Panterona morisse!”
“Ha ragione, dobbiamo parlare con Corinne. Ehy, mi piace Panterona, ci sta bene!”
Clodagh si volò verso Delilah con un sorriso allegro, decidendo di adottare a sua volta l’appellativo mentre Asriel sospirava e Delilah, invece, annuiva e giocherellava con una ciocca di capelli neri con fare sostenuto:
“Grazie, sono molto brava coi soprannomi, modestamente…”
“Va bene, non abbiamo tempo per le chiacchiere. James, tu parli con Corinne, torchiala finchè non ti dice qualcosa di utile. Clodagh, voglio che tu metta a rovescio ogni angolo di questo cazzo di treno per cercare tracce di quella dannata Pozione. E quanto a lei…”
Dopo aver snocciolato ordini Asriel puntò gli occhi su Delilah, che sorrise e si mise improvvisamente dritta sulla sedia mentre lo guardava speranzosa:
“Io vengo con lei?”
“No. Lei se ne va nella sua cabina, si chiude dentro e se ne sta lì mentre io deciderò se denunciare o meno la sua maledetta Polisucco. Pensa che lei e il suo amico possiate riuscire a stare fuori dai casini per qualche ora?”
“Beh, faremo il possibile.”
“Bene. Io faccio uscire tutti dalle cabine e cerco quel fantomatico vestito rosso. Da qualche parte deve pur essere.”
 

 
*

 
“Ma sei sicura di non aver visto Delilah Yaxley nel vagone, prima o dopo essere andata da lei?”
Clara e Corinne aspettavano insieme fuori dal vagone ristorante, la mora seduta su una panca con le gambe accavallate e la bionda, invece, impegnata a fare avanti e indietro davanti all’amica, incapace di stare ferma. Alla domanda di Clara Corinne sbuffò esasperata, annuendo con vigore mentre agitava una mano con fare infastidito: se qualcuno le avesse fatto di nuovo quella domanda sarebbe stata perfettamente in grado di defenestrarlo dal treno.
“Ti dico di sì, se mi fosse passata davanti attraversando il vagone come avrei potuto non accorgermi di lei? Se mi fossi resa conto che qualcuno mi aveva vista non avrei mentito agli Auror, non sono una stupida. Non capisco che cosa sia successo, quella sera.”
Clara si prese qualche istante per osservare l’amica, guardandola fare avanti e indietro davanti a lei. Il fatto che Corinne avesse mentito anche a lei, soprassedendo sulla sua visita ad Alexandra prima che morisse, la infastidiva non poco, ma decise di mettere da parte i suoi sentimenti e di concentrarsi, invece, sulla situazione spinosa dell’amica:
“Ho letto quello che la fotografa ha scritto di ricordare su di te, e francamente non mi è sembrato un quadro realistico. Non porti mai le calze… e ha detto che indossavi quelque chose de rouge.”
Rouge? Non ho praticamente niente di quel colore in valigia!”
“Allora il mistero si infittisce.”
Accigliata, Clara prese ad osservare pensierosa fuori dal finestrino a lei più vicino mentre Corinne riprendeva a fare avanti e indietro nello spazio ristretto a sua disposizione, borbottando in francese. Lei e Clara avevano cercato di intercettare Asriel per capire che cosa stesse succedendo quando l’Auror era uscito dal vagone, ma lui le aveva superate senza battere ciglio, visibilmente seccato e limitandosi ad intimare alle due di aspettare prima di sparire verso la I classe.
Quando finalmente la porta del vagone ristorante si aprì nuovamente Corinne smise di camminare e Clara volse lo sguardo sulla porta aperta, osservando con impazienza Asriel e Clodagh, seguiti da Delilah, uscire dal vagone.
“Allora?! Ci dite che cosa succede?”
“Signorina Leroux, il mio collega le deve parlare, per favore torni dentro. Signorina Picard, lei venga con me. Clo, fai uscire tutti, per favore. E lei faccia quello che le ho detto, tanto la sua cabina l’ho già controllata io.”
Mentre Clodagh, dopo aver rivolto un cenno di muto assenso al collega, si allontanava per spostarsi verso le cabine e far uscire tutti i passeggeri, Delilah sbuffò debolmente e seguì l’Auror per tornare nella sua cabina tenendo le braccia esili strette al petto e borbottando che sperava quantomeno che Asriel non avesse devastato le sue cose.
Clara e Corinne non accolsero con particolare entusiasmo l’idea di dividersi, ma si limitarono a scambiarsi un’occhiata dubbiosa prima che Clara si alzasse per seguire Asriel e Corinne, invece, rientrasse nel vagone ristorante. Ad aspettarla c’era James, che le sorrise allegro e le chiese gentilmente di sedersi mentre la bionda, sbuffando, si chiudeva la porta alle spalle:
“Spero che sia l’ultima volta, oggi, questa situazione inizia a diventare ridicule.”
“Lo capisco Signorina, ma crediamo di aver capito che cosa è successo. È assai probabile che qualcuno abbia preso le sue sembianze con la Pozione Polisucco e che la Signorina Yaxley non abbia visto lei, ma qualcuno che l’ha… impersonata. Sa come funziona la Pozione Polisucco?”
Conscio di aver catturato la completa attenzione della strega, James guardò Corinne sederglisi di fronte e scrutarlo con attenzione di rimando prima di annuire, dubbiosa:
“Vagamente. Non è illegale?”
“Sì, ma abbiamo appena scoperto che quando il treno è partito ce n’era una fiala a bordo… e adesso è sparita, quindi immaginiamo che le cose siano andate così. Per prendere le sue sembianze c’era bisogno di avere il suo DNA, come un capello o cose del genere… Ha idea di chi possa essere stato? Qualcuno che deve averle parlato, o esserle stato vicino, prima dell’omicidio.”
“Non mi viene in mente nessuno in particolare, dei passeggeri.”
“Nemmeno la sua amica?”
La domanda di James, seppur posta nel modo più gentile possibile, sembrò far irrigidire Corinne, che strinse le labbra prima di rispondere con fermezza, senza esitazioni:
“Ho visto Clara la mattina dopo, a colazione, quando il treno si era fermato. Non sapevo fosse a bordo, come vi ho già detto, prima di quel momento.”
“Non deve proteggerla, Signorina Leroux.”
“Non lo faccio. Non l’ho vista prima che Alexandra morisse, di conseguenza non può essermi stata vicino. E se fosse stata lei, che motivo avrebbe avuto di instillarvi il dubbio che quella che la Signorina Yaxley ha visto non ero io? Avrebbe avuto più senso confermare, no?”
Il ragionamento della strega non faceva una piega, e James la guardò accigliato mentre lei, impassibile, ricambiava il suo sguardo senza battere ciglio. Era un vero peccato buona parte delle persone che si ritrovava ad interrogare non fossero intelligenti tanto quanto quella strega, gli avrebbero immensamente facilitato il lavoro.
“Allora, ammettendo che non abbia avuto nessun contatto con Clara Picard prima della mattina seguente… è sicura di non aver parlato con nessun passeggero, quella sera?”
Oui. Ho cenato nella mia cabina, non ho visto nessun altro. Di sicuro qualche facchino ha toccato il mio bagaglio per spostarlo, ma non ho parlato con nessuno.”
“Ne è sicura?”
“Sicurissima.”
Dubbioso, James osservò brevemente la strega prima di appuntarsi sbrigativamente le sue risposte, certo che non sarebbero piaciute affatto ai suoi colleghi dal momento che non contribuivano affatto a fare chiarezza sul mistero della “sosia” di Corinne.

 
*

 
“Asriel, perché dobbiamo restare qui? Polly, fai la brava!”
Dopo aver ricevuto inviti più o meno gentili da parte di Clodagh e Asriel a lasciare le proprie cabine per permettere ai due Auror di fare le proprie ricerche senza essere disturbati, quasi tutti i passeggeri si erano radunati in uno dei vagoni. Mentre seguiva May Hennings e Elaine Fawley-Selwyn all’interno, Lenox indugiò sull’ingresso per rivolgersi ad Asriel senza smettere di stringere tra le braccia la sua cagnolina, che stava abbaiando in direzione del grosso Maine Coon della cantante lirica.
L’ammonizione e la distratta carezza che il padrone le rivolse fecero zittire Polly, che sollevò la testa verso Lenox per osservarlo con la lingua di fuori e senza smettere di scodinzolare, quasi morisse dalla voglia di tornare sul pavimento, libera di correre in giro e giocare. Lenox però non badò alla sua amata cagnolina, rimanendo invece concentrato sull’ex compagno di scuola che si rigirava la bacchetta tra le dita e controllava torvo che tutti entrassero nel vagone.
“Dobbiamo perlustrare le vostre cabine, non so quanto ci vorrà e preferisco che restiate quasi tutti nello stesso posto per facilitarmi le cose. Il tuo gatto dov’è?”
“Non lo so, penso che si sia infilato da qualche parte a curiosare… fammi sapere se lo trovi. Polly, smettila di dimenarti!”
L’espressione tesa di Asriel parve rasserenarsi magicamente nel sentire nominare il gatto di Lenox, e assicurò all’ex Tassorosso che in caso l’avesse trovato glielo avrebbe riportato mentre Polly continuava ad agitarsi per poter andare ad elemosinare carezze dagli altri passeggeri.
Arreso, Lenox si chinò per rimettere la cagnolina sul pavimento, seguendola all’interno del vagone dopo aver salutato Asriel. Mentre la cagnolina schizzava verso May, che aveva occupato un sedile insieme ad Elaine, Lenox si lasciò scivolare sul posto davanti alle due streghe rivolgendo un impacciato sorriso di scuse alla bionda:
“Scusi, è una gran ruffiana, oltre che viziata e giocherellona. Polly, lasciala stare!”
Conscio di parlare a vuoto ma abbastanza testardo da volerci provare ad oltranza, Lenox si rivolse alla cagnolina con un sospiro esasperato, pur non riuscendo a risparmiarle un’occhiata adorante mentre May, sorridendo allegra, si allungava per riempire Polly di carezze e permetterle di leccarle la mano.
“Non c’è problema, adoro i cani, e il mio è grande circa cinque volte lei, quindi sono abituata ad assalti di gran lunga peggiori… Ciao bella signorina!”
“Dillo, che speravi che venisse qui… Ailuros, fai il bravo.”
Elaine, dopo essersi sistemata il grosso gatto nero sulle ginocchia, gettò un’occhiata in tralice alla cagnolina mentre Ailuros si agitava nervosamente tra le braccia della padrona senza smettere di fissare Polly con attenzione, guardingo.
“Non si preoccupi, è abituata ai gatti, ne ho uno anche io. Anche se non so dove sia finito…”
Accigliato, Lenox si domandò con sincera preoccupazione dove si fosse cacciato Scottish – sperando che non fosse riuscito a sgusciare fuori dal treno per farsi un giretto in mezzo ai metri di neve che li circondavano – mentre Elaine, posati i grandi e seri occhi verdi su di lui, lo guardava continuando imperterrita a stringere il gatto e senza battere ciglio:
“Si figuri, non sono preoccupata per Ailuros, al massimo mi preoccupo per il suo cane. May tende ad innamorarsi a prima vista di tutti i cani che incontra, fossi in lei la terrei d’occhio che non rischiare che cerchi di rubarla.”
“Nel, come osi darmi della ladra di cani? Stavo scherzando quella volta in cui ti proposi di aiutarmi a rubare quel golden retriever! Non ruberei mai un cane!”
Terrorizzata all’idea che Lenox potesse additarla come “ladra di cagnolini”, May si affrettò a rassicurarlo posando i preoccupati occhi chiari su di lui, ma l’ex Tassorosso la rassicurò con un sorriso – la ragazza che faceva la maglia non aveva proprio l’aria della criminale – mentre Elaine, alzati gli occhi al cielo, si adagiava contro lo schienale del sedile prima di spostare pigramente lo sguardo sul finestrino.
“Certo. Come no. Pensate che staremo qui a lungo? A saperlo avrei portato le carte, avremmo almeno potuto fare una partita a bridge…”
“E io ho lasciato la lana e i ferri in cabina, cavolo!”
May si accasciò affranta contro lo schienale del sedile mentre Lenox, cercando di non sorridere, infilava una mano nella tasca interna della giacca per estrarre un paio di Cioccorane che porse gentilmente alle due streghe.
I dolci occhi scuri di Polly vennero scossi da un guizzo alla vista dei dolci, e subito la cagnolina prese ad uggiolare e a cercare di afferrarli mentre il padrone, impassibile e ormai abituato agli “attacchi” della cagnolina, scansava abilmente i suoi tentativi.
“Ohh, Cioccorane… da quanto non ne mangio una. Posso?”
Quasi emozionata da quella generosa offerta, May guardò incredula prima i dolci che non comprava mai – in teoria per non cariare i denti di Pearl, in pratica perché altrimenti avrebbe preso a rotolare per casa – e poi Lenox con gli occhi chiari praticamente colmi di commozione, quasi le avesse offerto il migliore dei regali. Per tutta risposta il mago le sorrise, divertito, annuendo mentre Elaine si allungava per prendere una delle due scatole blu e oro.

“Certo.”
“Cioccolato. Lo tiene sempre in tasca?”
“Diciamo di sì.”
Mentre scartava il dolce – che ovviamente sua madre le aveva sempre negato, da piccola – Elaine annuì piano, osservando brevemente Lenox con sguardo pensieroso prima di rivolgersi serissima a May:
“Mi piace questo tipo. Dovremmo imitare la sua filosofia.”

 
*


Dopo essere stata congedata dagli Auror a Delilah non era rimasto che tornare nella sua cabina, trovandola a soqquadro dopo il passaggio di Asriel e con Ro impegnato a mettere a posto mentre Kiki lo guardava annoiato dall’angolo in cui si era acciambellato.
Il ragazzo stava cercando di chiudere la voluminosa valigia nera dell’amica – ma quante foto di Bolo si era portata?! Per di più incorniciate, e di foto con lui neanche mezza, che sciagurata – quando si rese conto che Delilah era tornata e che lo stava fissando stralunata dalla porta aperta della cabina. Voltatosi verso l’amica, Prospero si mise le mani sui fianchi assumendo quella che alla strega ricordò paurosamente la posa sfoggiata da sua madre quando lei e Cecil tornavano da una sessione di gioco all’aperto coperti di fango:
“Laila, mi dici che cosa stava cercando l’Auror più bello mai esistito?! Ho provato ad estorcerglielo, ma persino le mie fantastiche tecniche di persuasione hanno fallito, il che è tutto dire.”
“Cercava una fiala con della Polisucco, e ovviamente non l’ha trovata.”
Scavalcando l’abat-jour che era finita sul pavimento, Delilah si addentrò nella cabina rimpiangendo più che mai la sua bacchetta – le sarebbe toccato sistemare da sè come i Babbani, che orrore – mentre si guardava intorno e Prospero, invece, la guardava perplesso:
“Perché cercava… TU avevi della Polisucco?! E non me l’hai detto?!”
L’espressione dell’amico si fece sgomenta e offesa allo stesso tempo, indicandola come se si fosse macchiata del peggiore dei tradimenti, ma Delilah non fece particolare caso alla vena drammatica di Prospero e sbuffò mentre raccoglieva la lampada dal pavimento:
“Carino, non sei nella posizione di recriminarmi cose non dette, ti ricordo. Almeno si spiega la faccenda della Leroux… evidentemente quella che ho visto non era lei, ma qualcuno che mi ha preso la Polisucco.”
“Non ti sei accorta che era sparita prima di oggi?”
“No, non mi è mai servita e non mi è mai venuto in mente di controllare. Forse avrei dovuto, quando ho saputo che la Panterona era morta… sono stata stupida, Ro-Ro. E con ogni probabilità la persona che ho visto è la stessa che l’ha uccisa. Qualcuno deve essere entrato qui mentre cenavo…”


 
*

 
“Salve! Avrei bisogno di perlustrare la cucina, quindi se fosse così gentile da darmi le chiavi… Mi hanno detto che le ha lei e che la serratura è protetta con un incantesimo, quindi non posso aprirla da me.”
Clodagh si rivolse a Ruven con un sorriso cordiale e tutta la dose di gentilezza di cui era capace, cercando di non badare all’espressione puramente accigliata con cui lo chef stava ricambiando il suo sguardo. Aveva tutta l’aria che lei stessa assumeva quando sentiva Asriel parlare tedesco, ovvero quella di chi non sta capendo assolutamente niente.
“Ma perché hanno mandato lei?! Che cosa sono quei suoni che le escono dalla bocca? Tu hai capito che vuole?!”
Chiedendosi perché accidenti non fosse andato il suo collega mezzo crucco a parlare con lo chef tedesco, Clodagh guardò rassegnata Ruven rivolgersi al cameriere che stava in piedi alle sue spalle e che l’aveva accompagnata da lui – per fortuna “chef” era universale e farsi capire era stato sorprendentemente semplice – mentre il povero Hans, dietro di lei, balbettava sempre in tedesco che probabilmente “la donna Auror con l’accento strano” voleva andare in cucina.
Ruven, sentendo che Clodagh voleva profanare la sua amata cucina, tornò a rivolgersi alla strega asserendo, questa volta in inglese e con sguardo truce, che non se ne parlava. L’aria minacciosa del ragazzo entrava in netto contrasto con il bel gatto dagli occhi verdi e il pelo maculato che teneva in braccio ma Clodagh, abituata ad Asriel, quasi non ci fece caso. Sollevata di essere riuscita, in un modo o nell’altro, a farsi capire – aveva sinceramente temuto di dover fare ricorso a Geraldine la lavagna e fare un disegnino, o alla peggio chiamare Asriel con un fischio –  Clodagh sorrise soddisfatta prima di assumere l’aria più autoritaria di cui era capace, totalmente vanificata dal maglione natalizio che indossava:
“Stiamo facendo delle ricerche, Signor Schäfer, non è autorizzato a dirmi dove posso andare e dove no. Il treno non è di sua proprietà, e se anche fosse è in corso un’indagine. Mi dia la chiave, per favore. Prometto che avrò cura della sua cucina.”
In un modo piuttosto contorto, questa volta Ruven riuscì a comprendere parte del discorso della strega e capita l’antifona si vide costretto, seccato, ad alzarsi per recuperare il suo mazzo di chiavi e consegnarlo con reticenza all’Auror. Neko, il suo gatto, guardò curioso il padrone con i grandi occhi verdi mentre Clodagh accennava un sorriso soddisfatto:
“Grazie.”
Ruven non rispose, limitandosi a guardarla torvo mentre la strega, sorridendo, gli dava le spalle per lasciare il vagone dello staff e dirigersi in cucina. Non si era tuttavia allontanata a sufficienza per non udire il borbottio dello chef, che sibilò qualcosa tra i denti che non suonò particolarmente lusinghiero.
“Qualsiasi cosa abbia detto, chiederò la traduzione al mio collega. A dopo chef!”
 
“Hai idea di che cosa abbia detto, Hans?”
“No.”
“Grandioso. Magari ci ha chiesto le chiavi del bagno e le abbiamo dato quelle della cucina per niente.”

 
*

 
“Io… Io ho visto l’assassino. Io sono passata davanti all’assassino… Non posso crederci. Pensa se avessi sentito qualcosa! Pensa se… se fossi arrivata dieci minuti dopo! Forse sarei morta anche io! Mi sento male.”
Incapace di stare ferma, Delilah stava misurando ininterrottamente la sua cabina a grandi passi mentre Kiki, il gatto di Ro, la guardava annoiato dal pavimento. Il suo padrone, invece, sedeva sul letto dell’amica quando la prese per un braccio ed esercitò su di esso una lieve pressione per costringerla a raggiungerlo.
“Siediti.”
Delilah obbedì senza opporre la minima resistenza, troppo impegnata ad immaginare scenari catastrofici mentre allungava quasi istintivamente una mano pallida – se possibile ancora più del solito – verso la tazza e la moka che Ro le aveva portato per riprendersi dopo il colloquio con gli Auror. Prevedendo le sue intenzioni, tuttavia, il mago le prese saldamente la mano e la scansò dalla direzione del caffè, scuotendo serio il capo e parlandole con decisione:
“No, basta caffè. Vieni qui.”
Prospero l’abbracciò per la seconda volta nell’arco di un’ora, accarezzandole un braccio con fare rassicurante mentre l’amica appoggiava mesta il capo sulla sua spalla, mormorando di voler tornare a casa.
“Andrà tutto bene. Te lo prometto. Forse non sono sempre sincero al 100%, ma mantengo sempre le promesse.”
 

 
*

 
“Come procedono le ricerche?”
Clodagh si fermò sulla soglia della cabina di Alexandra mentre guardava Asriel ribaltare il letto che la vittima non aveva nemmeno avuto modo di utilizzare dopo aver aperto e ispezionato tutti i cassetti. L’Auror sentendo la voce della collega non si voltò, gettando i cuscini sul pavimento per sollevare il materasso mentre un sonoro sbuffo amareggiato si librava dalle sue labbra:
“Male… Spero che a te vada meglio.”
“Temo di non aver trovato traccia della Polisucco o di una qualche fiala vuota… Ma direi che non ho cercato a vuoto, dopotutto.”
Asriel conosceva la sua partner così bene che riuscì a percepire la soddisfazione nella sua voce senza nemmeno guardarla, rinunciando momentaneamente ad ispezionare quello che avrebbe dovuto essere il letto di Alexandra per indirizzare tutta la sua attenzione verso Clodagh. Con sommo stupore Asriel appurò che la strega non si era presentata da lui a mani vuote, osservando allibito l’oggetto inequivocabilmente cremisi che Clodagh teneva in mano.
“Dove lo hai trovato?”
“In cucina. Nella cella frigorifera, per l’esattezza… Vuoi che chiami lo chef, immagino. Anzi, fallo tu, non capisce una parola di quello che dico e c’è il rischio che pensi che lo stia invitando a cena, probabilmente. Ammetto che non mi dispiacerebbe, se non fossimo nel mezzo di un’indagine…”
 
Asriel non disse nulla, limitandosi ad attraversare la cabina per raggiungere la collega mentre alzava silenziosamente gli occhi al cielo. Dopodiché, assicuratosi di aver chiuso la porta e di aver sigillato la serratura con un incantesimo, fece cenno a Clodagh di seguirlo per andare a fare una rapida, o forse no, chiacchierata con lo chef.
 

 
*

 
Dopo non essere riuscito a ricavare nemmeno uno straccio di nome da Corinne, James aveva finito col congedare la francese per continuare a dedicarsi alla lettura di tutto ciò che i loro colleghi avevano mandato da Londra sui passeggeri e sullo staff del treno.
Era un lavoro incredibilmente noioso e l’ex Tassorosso avrebbe fatto carte false pur di fare a cambio con Clodagh o Asriel e impiegare il tempo a setacciare il treno, ma di lamentarsi con Brontolo non se lo sognava e aveva finito con l’adeguarsi al suo barboso e solitario compito.
Fuori dal finestrino si era fatto buio pesto quando James, sbadigliando, aprì l’ennesimo fascicolo sui membri dello staff tenendo una penna in mano, pronto a sottolineare o ad appuntarsi le informazioni più importanti. Stava leggendo le – poche – informazioni sul passato di Ruven Schafer, lo chef, quando un nome attirò la sua attenzione. Inizialmente incredulo, il giovane Auror s’irrigidì e rilesse le stesse righe per più di tre volte prima di afferrare l’articolo di giornale e correre fuori dal vagone ristorante.
Qualcosa gli diceva che i suoi colleghi avrebbero trovato particolarmente interessante ciò che aveva da mostrargli.
 




 

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Capitolo 16
*** Capitolo 14 - Se solo questi gatti potessero parlare ***


Ahimè, temo che la ben poca credibilità che mi era rimasta con questo capitolo andrà inesorabilmente a farsi friggere. *Risate alle sue spalle le fanno capire che la sua è una mera illusione e che la credibilità l’ha persa del tutto da tempo*
Ma non potevo, davvero non potevo, non inserire delle scene dal punto di vista dei nostri cari amici felini in almeno un capitolo di questa storia.
Disagio a parte, rivolgo una menzione speciale a due di voi che hanno perfettamente previsto e riassunto il contenuto di questo capitolo – e di quelli a venire –. Phoebs che ha saggiamente profetizzato l’incazzatura cronica che colpirà Asriel nello scoprire il mare di cazzate che gli sono state rifilate, e Bea che si è giustamente domandata perché in questa storia ci siano degli Auror, quando ci sono Prospero e Delilah.
Buona lettura!
 
 
 
Capitolo 14 – Se solo questi gatti potessero parlare


 
Zorba si leccò brevemente la zampetta anteriore sinistra prima di rimettersi seduto sul pavimento e scoccare un’occhiata di traverso al suo padrone, guardandolo discutere con Zia Clodagh mentre agitava qualcosa con la mano destra. Qualcosa di rosso.
Chissà perché suo padre sembrava così di pessimo umore. Forse perché era da molto che si trovavano su quel treno? Ad Asriel i treni non piacevano, Zorba lo sapeva bene.
A lui invece non dispiacevano: prima di quel momento Papà Asriel non lo aveva mai portato su uno di quegli affari, ma era stata pur sempre un’esperienza del tutto nuova ed interessante, ed era stato bello vedere anche Zia Clodagh. Certo non si aspettava che sul treno avrebbero trovato così tanti altri gatti, ma alcuni si erano rivelati simpatici. Naturalmente li aveva sempre tenuti d’occhio, potevano solo sognarsi di guadagnarsi l’affetto del suo padrone, tsz. Senza contare che ingraziarsi lo chef era stato facilissimo, e poteva scroccare avanzi tutte le volte che voleva.
L’unica parte del tutto spiacevole di quel viaggetto era la presenza di quella brutta smorfiosa sovrappeso di Alpine. Non solo era tremendamente vanesia, ma cercava tutte le buone occasioni per soffiargli le coccole di Papà Asriel. Come si permetteva, lei col suo ridicolo collare rosa brillantinato?!
Il suo cordoncino rosso con sonaglietto era immensamente più carino, nonché meno pacchiano.
 
Quasi come se con l’avesse evocata con la forza del pensiero, Zorba guardò pieno di disappunto la bella gatta trotterellare verso Asriel e Clodagh muovendo la coda vaporosa, di certo intenzionata ad arruffianarsi il mago.  Prevedendo le sue intenzioni, Zorba corse verso Asriel e gli strusciò con insistenza la piccola testa nera contro la gamba, facendo le fusa ma senza perdere di vista i movimenti della gatta.
Stizzita, Alpine si fermò davanti a lui e lo studiò brevemente con aria di superiorità, osservando torva il rivale aggiudicarsi le coccole del padrone prima di sollevare la testa verso i due Auror e iniziare a miagolare per attirare la loro attenzione.
Come da manuale Asriel e Clodagh smisero di parlare, chinarono lo sguardo su di loro ed iniziarono una serie di sproloqui melensi su quanto la gatta fosse adorabile. Innervosito dall’espressione trionfa di Alpine, Zorba soffiò in direzione della gatta e le agitò contro una zampetta per invitarla a sloggiare:
 
Inutile che ci provi, vai dal tuo di padrone a farti fare le coccole!
Io sono molto più carina di te, lo pensa anche Asriel. È sprecato per un gattaccio non di razza come te.
 
“Zorba, non soffiare contro Alpine, comportati bene!”
Il rimprovero del padrone ferì sinceramente Zorba, che sollevò dispiaciuto i grandi occhi chiari su di lui mentre Alpine girava soddisfatta attorno agli Auror. Accettò malvolentieri le carezze di Clodagh – umpf, lei mirava ad Asriel, non alla tizia variopinta! – ma si sforzò di apparire il più buona possibile per rimanere nelle grazie del suo bell’umano prediletto. Zorba scoccò un’occhiata pregna di risentimento alla gatta, pianificando di eliminarla dai radar il più rapidamente possibile:
 
Perché non capisci che ti manipola, perché?! Guarda cosa hai fatto, Papà non mi rimprovera mai, lo ha fatto per colpa tua!
Evidentemente comincia a capire che io sono più degna di lui di te.
 
Quando Asriel si chinò per accarezzare la morbida testa candida di Alpine la gatta chiuse gli occhi soddisfatta, orgogliosa di aver portato a termine la sua missione in tempo record. A quella vista Zorba decise di andarsene, ferito e offeso: no, quello spettacolo non sarebbe più riuscito a sopportarlo.
Quando è troppo è troppo, io me ne vado! Se qui non mi apprezzano saranno quello alto alto e la sua amica a farlo!
 
Pianificando la sua vendetta – avrebbe rubato il gomitolo di lana rosa della smorfiosa, eccome se l’avrebbe fatto! – e deciso ad andarsene altrove dove lo avrebbero apprezzato maggiormente – del resto quel posto era pieno di amanti dei gatti, gli bastava miagolare per avere una fila infinita di gente inebetita pronta a coccolarlo – Zorba trotterellò via dopo aver scoccato un’ultima occhiata risentita alla cicciona pelosa e al suo papà traditore. E pensare che lui avrebbe potuto porre facilmente fine alla fastidiosa vicinanza di quella smorfiosa col suo umano… Gli sarebbe bastato poter dire a Papà Asriel ciò che aveva visto qualche giorno prima. Non solo sarebbero tornati alla loro casetta, ma di certo sarebbe stato molto fiero di lui e lo avrebbe riempito di doni e coccole.
Che disdetta non saper parlare!

 
*

 
Zorba giunse nel vagone della II classe guardandosi attorno e muovendo sinuosamente la lunga coda nera, domandandosi perché ci fosse improvvisamente tanto silenzio e soprattutto dove fossero finiti tutti gli umani.
Dov’erano i dispensatori di carezze quando servivano?!
 
Il micio stava prendendo in considerazione di continuare altrove la sua esplorazione quando scorse un familiare gatto dal pelo maculato seduto sul parquet davanti ad una porta e impegnato a leccarsi distrattamente una zampetta. Riconoscendolo, Zorba zampettò rapido verso di lui facendo tintinnare il sonaglietto prima di chiedergli dove fossero il suo umano e la sua amica.
Kiki smise di leccarsi la zampa, guardandolo esasperato prima di miagolare qualcosa a proposito del suo umano e di come non ne potesse più di quella situazione. Per non parlare della sua amica Delilah, che in quei giorni era ancora più strana del solito.
Anche Zorba sperava che la situazione si risolvesse in fretta: la presenza di Alpine lo aveva ammorbato a sufficienza. Stava discutendo con Kiki della possibilità di riuscire ad informare il suo umano su ciò che aveva visto a proposito della morte della “sciattona”, come era solita apostrofarla sdegnosamente Alpine, quando la porta davanti alla quale si trovavano i due venne spalancata.
 
“Mi era sembrato di sentire miagolare! Guarda Ro, c’è il gatto di Asriel, com’è tenero!”
I due gatti sollevarono in sincro gli occhi chiari su Delilah, che quasi pianse di gioia quando riuscì ad accarezzare la morbida testa di Zorba: non si era mai lasciato accarezzare da lei, ma in quel momento avrebbe accettato le attenzioni di chiunque.
“Kiki, ti sei fatto un amico? Bravo piccolino!”
Quando alle spalle di Delilah apparve anche un Prospero sorridente Kiki scoccò un’occhiata adorante al suo umano mentre Zorba, lasciandosi accarezzare dalla strega, gli lanciava un’occhiata interrogativa:
 
Ma perché sembra così emozionata?!
Delilah ama i gatti, ma quasi tutti la rifiutano, è un evento raro e si commuove ogni volta… Mah, è un po’ strana, ma Ro la adora e quindi me la devo tenere, sai com’è. Vieni, gli altri umani sono nell’altro vagone, andiamo a farci riempire di attenzioni.
 
Kiki gli suggerì di svignarsela e Zorba non se lo fece ripetere due volte, correndo insieme a lui verso il vagone dove, stando alle parole del gatto giapponese, si trovavano quasi tutti i passeggeri. Un covo di gattari equivaleva per forza ad una dose di coccole così abbondante che alla fine non solo lo avrebbe nauseato, ma gli avrebbe anche fatto scordare il torto subito dal suo umano.
 
“Ehy, ma dove vanno?!”
“Temo che il tuo momento di gloria abbia avuto una vita inesorabilmente breve, Laila.”
“Già, e tu anche questa volta non hai pensato di immortalato per mostrarlo a Cecil, ma bravo!”
 

 
*
 

Quando James trovò Clodagh e Asriel e li vide impegnati in una discussione non provò particolare stupore: l’ex Tassorosso si disse che probabilmente la collega aveva apostrofato Asriel con uno dei suoi consueti nomignoli ad alto contenuto imbarazzante e che l’altro se la fosse presa come da manuale, ma cambiò repentinamente idea quando notò ciò che il collega stringeva tra le mani.
“Porca Tosca, avete trovato il vestito?! Dov’era?”
“In cucina. O meglio, nella cella frigorifera, motivo per cui vogliamo andare a parlare con lo chef, stiamo cercando di accordarci su come procedere. Ci stavi cercando?”
Superato lo stupore iniziale dettato dalla vista del fantomatico vestito rosso, James riprese improvvisamente coscienza del motivo che l’aveva spinto a mettersi alla ricerca dei colleghi e si affrettò ad annuire prima di allungare il vecchio foglio di giornale che teneva in mano verso Asriel:
“Oh, sì. Credo che prima di parlargli dovreste leggere questo.”
“Che cos’è?”
Asriel gli strappò rapido il foglio di mano con il vestito stretto nell’altra, apprestandosi a leggerne rapido il contenuto mentre Clodagh si accostava al collega alzandosi in punta di piedi per riuscire a vedere a sua volta, accigliata tanto quanto lui.
“Un vecchio articolo della Gazzetta del Profeta dove compare il suo nome. O meglio, di un certo Fulbert Schäfer e di Alexandra Sutton. Pare che fosse suo padre.”
“Qui non cita i nomi di nessun parente, dice solo che suicidandosi ha lasciato moglie e tre figli… Può sempre essere un caso di omonimia.”
“Sì, ma ho trovato questo post-it che riporta inequivocabilmente l’orrenda grafia di Collins. Pare che abbiano controllato e che sia proprio Ruven Schäfer, uno dei tre figli.”
Nel parlare James sollevò la mano sinistra, mostrando ai colleghi un post-it giallo pastello scarabocchiato a caratteri cubitali con un pennarello indelebile rosso che aveva rinvenuto pochi minuti prima tra un documento e l’altro. Allibiti, Asriel e Clodagh lo fissarono interdetti prima di scambiarsi una rapida occhiata e poi fissare all’unisono il vestito rosso.
“Quindi… abbiamo trovato il vestito nella cella frigorifera… e ora scopriamo che il padre dello chef si è suicidato dopo aver perso il lavoro.”
 
Mentre fissava assorta il vestito Clodagh si domandò sinceramente se non avessero realmente finito col giungere allo snodo fondamentale del caso, concedendosi persino di provare un inizio di quel familiare brivido di eccitazione che preannunciava la risoluzione di tutti i casi a cui aveva lavorato.  
Asriel pensò lo stesso, ma decise di non concedersi il lusso di farsi illusioni e si limitò ad annuire cupo mentre ripiegava sbrigativamente l’articolo.
“E che al processo l’avvocato dell’azienda che lo licenziò era la nostra vittima. Vittima che lo chef ha affermato di non aver mai sentito nominare. Sorprendente, questa sequenza di coincidenze e di come Ruven Schäfer soffra di Alzheimer precoce a soli 27 anni. Io vado a parlarci, voi continuate a cercare in mezzo a tutta la roba che ci hanno mandato da Londra.”
“Sicuro di volerci parlare da solo?”
Clodagh non parve convinta dalla proposta dell’amico, studiandolo dubbiosa tenendo le braccia strette al petto mentre Asriel, invece, abbandonava momentaneamente l’espressione cupa per abbozzare un sorriso rilassato:
“È senza bacchetta, non mi preoccupa, al massimo potrebbe tentare di aggredirmi con una griglia da carne incandescente… E poi preferisco parlarci in tedesco, quindi voi due comunque non capireste una parola. Senza contare che non capisce quello che dici, quindi non credo che saresti di grande utilità in ogni caso.”
Le parole e il sorrisetto divertito di Asriel sembrarono rilassare la collega, che ricambiò debolmente il sorriso prima di assentire e invitare James a seguirla prendendolo sottobraccio.
Sorridendo, James seguì Clodagh verso il vagone ristorante sentendosi quasi a mezzo metro da terra, immensamente soddisfatto di aver contribuito enormemente a fare un considerevole passo avanti nelle indagini. Però, dovette ammetterlo, anche se forse Ruven Schäfer era un assassino un po’ si dispiacque per i brutti minuti che lo attendevano: a giudicare dalla faccia di Asriel, che mutò in modo repentino non appena Clodagh gli ebbe dato le spalle, quella tra loro non sarebbe stata una conversazione dai caratteri idilliaci.

 
*

 
[Nda: Idealmente il dialogo tra i due avviene interamente in tedesco, ma disgraziatamente io di crucchese non so un’h e penso che sarebbe stato alquanto scomodo anche per voi ritrovarvi un intero paragrafo in un’altra lingua con traduzione annessa, quindi limitiamoci a fare finta]
 
 
“Signor Schäfer, ricorda di aver dichiarato apertamente di non conoscere la vittima, né tantomeno di averla mai sentita nominare?”
“Sì.”
“Legga questo, per favore. È in inglese, ma non sarà un problema visto che lo parla molto bene.”
Ruven guardò dubbioso l’Auror appoggiare un pezzo di carta spiegazzato sul tavolo al quale erano seduti prima di spingerlo verso di lui, permettendogli di dare un’occhiata al titolo di quello che lo chef riconobbe immediatamente come un articolo di giornale. Benchè fosse sicuro di non averlo mai letto prima, Ruven sentì immediatamente un forte senso di oppressione al petto quando intuì di che cosa e di chi parlasse.
Per qualche istante il tedesco si limitò a fissare l’articolo, le braccia strette al petto in una morsa ferrea mentre si sforzava di deglutire normalmente.
“A voce alta.”
Ruven riportò gli occhi verdi su Asriel, rispedendo il pezzo di giornale verso di lui con un movimento brusco. Era perfettamente consapevole di non trovarsi nella migliore delle situazioni, ma non si sarebbe fatto tormentare sulla morte di suo padre per nulla al mondo.
“Non serve torturarmi. Parla di mio padre, ma questo già lo sa.”
“Sappiamo che l’uomo citato era suo padre, sì. E onestamente ritengo davvero molto poco credibile che lei non ricordasse il nome dell’avvocato che prese le parti dell’azienda a cui la sua stessa famiglia ha fatto causa. Adesso, Signor Schafer, esigo che mi racconti la verità su di lei e su quella donna, ma prima forse vorrà dirmi qualcosa riguardo a questo.”
Di nuovo, Ruven guardò l’Auror mettergli qualcosa davanti sul tavolo, ma questa volta l’espressione dello chef mutò, facendosi accigliata mentre studiava il mucchio di stoffa cremisi che aveva davanti.
“Che roba è?”
“Me lo dica lei, la mia collega l’ha trovato nella cella sua frigorifera. Onestamente non mi sembra il suo genere, quindi ero curioso di saperne di più.”
 
“No, effettivamente i vestitini rossi non sono il mio stile. Che cosa c’entra con me questo vestito?!”
Ruven sollevò il vestito di qualche centimetro e lo rispedì seccato verso l’Auror, fissandolo torvo mentre Asriel lo osservava di rimando appoggiandosi allo schienale della sedia e senza battere ciglio.
“Pare che chiunque abbia ucciso Alexandra Sutton abbia indossato un vestito rosso, che abbiamo trovato nella cella frigorifera dove nessuno ha accesso più di lei appena prima di scoprire che ha mentito sul suo legame con la vittima fin dall’inizio. Pensa di voler iniziare a spiegare o posso chiamare direttamente i miei superiori e il Dipartimento degli Auror di Berlino?”
 
Asriel provò un leggero e sadico moto di soddisfazione nel vedere lo chef perdere la faccia di bronzo e impallidire un poco, permettendosi persino di accennare un sorriso mentre si metteva più comodo sulla sedia e, la bacchetta in tasca pronta ad essere afferrata, intrecciava le mani poggiandosele in grembo. La parte migliore, quando si rendevano conto di aver mentito e di aver raccontato stronzate al cretino sbagliato, era guardare le loro facce.
“Prego. L’ascolto.”
 

 
*

 
“A che cosa stai pensando? È da troppi minuti che non parli e la cosa inizia ad angosciami vista la situazione.”
Seduta sul bordo del suo letto con un bastoncino di liquirizia in mano e una foto di Bolo stretta al petto, Delilah parlò agitando nervosamente la liquirizia in direzione del suo migliore amico, che se ne stava in piedi e in silenzio accanto al finestrino da una quantità di tempo esasperante.
“Penso che dovresti dire la verità. Tutta la verità.”
Certo Delilah voleva che l’amico le dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa, tranne quella. La strega smise immediatamente di muovere la mano mentre guardava allibita l’amico voltarsi con calma averso di lei, studiandola di rimando più serio che mai mentre la fotografa si domandava seriamente se non avessero finito col drogarle l’amico e mettere così fuori gioco la sua sola e unica ancora di salvezza.
“Vuoi scherzare? Ti sei ammattito, Ro?!”
“Senti, sanno della Polisucco, pensi che se scoprissero da soli il vero motivo per cui sei qui, il vero motivo per cui eri a Berlino, la prenderebbero bene? Al momento, vista la faccenda della francese, credo che tu ti sia fornita un ottimo alibi e che non sospettino di te, ma penso che dovresti dire la verità.”
Ro incrociò al petto le lunghe braccia fasciate dalla giacca nera del completo senza staccare gli occhi scuri dal viso pallido dell’amica, che boccheggiò guardandolo incredula e stentando a credere alle proprie orecchie:
“Ma… Ma non pensano che sia stata io. Giusto? Cioè, perché avrei dovuto dirgli della Polisucco se fossi stata io?!”
“Potrebbero pensare che hai aiutato qualcun altro, la persona che ha concretamente ucciso Alexandra, e che tu abbia raccontato quelle cose per ripulirti. E indovina chi è il miglior candidato per essere il tuo complice in un omicidio, se non il tuo migliore amico?!”
Prospero si auto-indicò con l’indice destro roteando esasperato gli occhi scuri – perché su quel treno sembrava che agli occhi di tutti il più sospetto fosse stato lui sin dal primo giorno?! – per nulla allettato all’idea di sentirsi rivolgere tale accusa mentre Delilah lo guardava poco convinta.
“Io e te che uccidiamo qualcuno? Io e te che facciamo fuori la Panterona?! È più facile immaginarci correre la maratona di New York.”
La sola idea le apparve talmente ridicola che Delilah non rise solo per l’estrema gravosità della situazione, guardando l’amico sospirare torvo prima di iniziare a misurare la stanza a grandi passi, finendo con l’esaurire lo spazio con giusto un paio di falcate a causa della sue gambe chilometriche.
“Questo io lo so benissimo, ma quelli no Laila, non lo sanno. È tutta colpa degli stereotipi sugli italiani, ovviamente, siamo sempre o mafiosi o impegnati a mangiare la pizza, non sorprende che tutti pensino che sia stato io dal giorno 0!”
“Hai scordato questo, nei film fate sempre così…”
Delilah sollevò la mano destra congiungendo le dita e muovendola maldestramente avanti e indietro, guardando l’amico sbuffare e indispettirsi ancora di più prima di mostrarle il modo corretto di farlo.
“Si fa così, che cos’è quella roba che fai tu, vile mangiatrice di pasta al ketchup?!”
“Uffa, che palle, vedi di adottarmi così divento italiana, ricca e posso imparare come si deve, invece di lagnarti! È tutta colpa di Cecil!”
“Che c’entra Cecil adesso?!”     Di nuovo, Prospero agitò la mano a sacchetto in direzione dell’amica, questa volta spontaneamente e non per farle il verso, guardandola sbuffare sonoramente prima di agitare le mani in aria esasperata:
“Quando sono nella merda è sempre colpa di Cecil, mi conosci da 20 anni e ancora non l’hai capito?! Pare che “è stato Cecil” siano state le mie prime parole.”
“Qui stiamo divagando. Andiamo dagli Auror.”
Esasperato, Prospero stava per prendere l’amica per un braccio, invitarla gentilmente ad alzarsi e condurla al di fuori della cabina, ma Delilah bloccò le sue intenzioni sul nascere riprendendo rapida possesso del dizionario inglese-spagnolo tascabile che aveva arraffato poco prima dal bagaglio dell’amico, iniziando a sfogliarlo con impazienza:
“Dammi 5 minuti, finisco di imparare come si domanda “Potrei avere un piatto di paella” in spagnolo. Mi servirà, se dovessi fuggire in Messico.”
“Guarda che la paella è spagnola, non messicana… lasciamo perdere.”

 
*

 
“Chiedo scusa, ma il mio collega non le aveva chiesto di restare nella sua cabina senza combinare casini con il suo amico per il più lungo arco di tempo possibile?”
Clodagh spostò accigliata lo sguardo da Delilah a Prospero, entrambi in piedi davanti a lei e a James. Ma mentre Prospero sorrideva rilassato – o almeno apparentemente – stringendo le spalle dell’amica con un braccio, quest’ultima aveva tutta l’aria di volersi dare alla fuga il più rapidamente possibile.
Probabilmente era per quel motivo che lui la teneva per le spalle, giudicò Clodagh.
 
Visto che l’amica esitava a rispondere, Prospero decise di darle una leggera spinta di incoraggiamento stringendo eloquentemente la presa sulle sue spalle, costringendola a borbottare qualcosa con aria poco convinta.
“Emh, sì. A dire il vero io sarei qui per…”
“Delilah ha delle cose da dire. Emh, il Signor Morgenstern non c’è?”
Più falsamente disinteressati che mai, i due ex Serpeverde presero a guardarsi attorno con la stessa finta nonchalance che ormai Clodagh conosceva bene: era la stessa aria che avevano le parenti dei suoi colleghi quando fingevano di essersi recate in ufficio per salutarli e non per ammirare Asriel.
“Sta parlando con un altro passeggero, ma di qualsiasi cosa si tratti potete riferirla a me o al Signor Hampton.”
Clodagh accennò a James con un lieve movimento del capo senza però mai smettere di osservare i due, guardandoli incuriosita e con una lieve punta di divertimento mentre Delilah, illuminandosi improvvisamente, si affrettava a sorridere e a cercare di defilarsi:
“No, sa che c’è, allora passiamo più tardi quando ci sarà anche il Man- il Signor Morgenstern. Vieni Ro, togliamo il disturbo.”
Decisa a cogliere due piccioni con una fava – scamparsi la gogna e tornare solo per almeno rifarsi gli occhi – Delilah cercò di battere la ritirata trascinandosi appresso l’amico, che però restò malauguratamente ben piantato dov’era. Scoccatogli un’occhiataccia, Delilah stava per minacciarlo di “trovarsi un altro modello prediletto” quando Clodagh, sorridendo amabilmente e alzatasi in piedi, le si rivolse distruggendo le sue ultime speranze:
“Non c’è bisogno, e credo che il mio collega avrà da fare per un po’. Dica pure, Signorina Yaxley, la prego.”
 
Quel “la prego” aveva ben poco di un invito cortese e molto di un’esortazione vagamente perentoria, tanto che Delilah, dopo una breve esitazione, si vide costretta a sedersi nuovamente di fronte agli Auror.
Quella giornata sembrava destinata a non finire mai.
“Signor De Aureo, lei può aspettare fuori.”
Quando vide Prospero affrettarsi a prendere posto accanto all’amica Clodagh si premurò di invitarlo a lasciarli soli parlando con tono piatto e osservandolo dubbiosa – c’era qualcosa, in lui, che non la convinceva affatto –, ma il mago non le diede ascolto e anzi accavallò con disinvoltura le lunghe gambe prima di sorriderle affabile:
“Oh, no, io rimango qui con lei. Non è un interrogatorio formale, quindi non penso che possiate impedirmelo. Può portare a portarmi fuori di peso, se vuole, ma le sconsiglio di sprecare energie.”
Prospero sfoderò il migliore dei suoi sorrisi sotto lo sguardo scettico di Clodagh, che rifletté brevemente sull’elevata statura del mago prima di sospirare e decidere di lasciarlo perdere per tornare a concentrarsi su Delilah.  
“D’accordo… Allora, Signorina Yaxley, di che cosa vuole parlarci? Sì è ricordata qualcos’altro?”
“No, emh… vorrei parlarvi del… vero motivo per cui sono qui.”
 

 
*
 
 
“Mio padre era un Magonò, mia madre invece è una strega nata in una famiglia benestante. I miei nonni materni non volevano che lei sposasse un Magonò, per di più nemmeno ricco, e quando lei ha deciso di farlo comunque l’hanno diseredata. Mio padre ha sempre fatto di tutto per mantenerci, me e i miei due fratelli, faceva il macchinista per un’azienda di Berlino. Ha perso il lavoro quando avevo 16 anni dall’oggi al domani, senza motivo.”
“Quando ne avevo 17 si è… beh, lo ha già letto. Comunque, qualche anno dopo, quando ne avevo 21, ho conosciuto Alexandra. Volevo fare ricorso contro l’azienda e informandomi lessi di lei praticamente ovunque, sembrava quasi… un prodigio, anche se giovanissima. Volevo chiederle di aiutarmi.”
“Ma non lo ha fatto. Era l’avvocato dell’azienda, no?”
 
Ruven annuì senza smettere di evitare in tutti i modi di incrociare lo sguardo di Asriel, i chiarissimi occhi verdi piantati sul tavolo che li separava e sul quale ancora giaceva l’articolo che parlava della morte di suo padre e del processo che l’aveva seguita, coinvolgendo la nota azienda tedesca presso cui Fulbert Schäfer aveva prestato servizio per quasi un ventennio.
“Sì. Disse che era un “caso inconsistente”, e che non le interessava. Ma poi qualche settimana dopo la rividi in aula. Evidentemente l’avevano assunta pagandola parecchio, più di quanto non potesse fare la mia famiglia.”
“E la cosa l’ha fatta arrabbiare?”
La domanda di Asriel spinse finalmente Ruven a guardare l’Auror: prima di rispondere lo chef sollevò la testa e piantò gli occhi verdi sul viso dell’altro, scrutandolo serio.
“È ovvio. Lei come si sarebbe sentito? Avevo la possibilità di fare qualcosa per la memoria di mio padre, e non ci sono riuscito. Lui per noi ha fatto qualsiasi cosa, non ho mai conosciuto nessuno che abbia lavorato tanto, e nessuno se l’è mai ricordato. Non ha avuto niente di quello che meritava.”
 
Asriel non rispose. Per qualche istante si lasciò trasportare lontano da quel vagone, dal treno, dalla Germania stessa. Fino a ritrovarsi a Londra, al Dipartimento degli Auror, davanti ad una teca di vetro davanti alla quale passava più volte ogni giorno e dove, da qualche mese, in mezzo agli altri nomi figurava anche quello di suo padre, inciso su un piccolo scudo dorato e accompagnato da due date.
Suo padre aveva ricevuto il riconoscimento dovuto per i suoi anni di servizio. L’idea che le cose sarebbero potete andare diversamente non gli piacque affatto.
 
“So che difficilmente ci crederà. Ma non l’ho uccisa io. Lavoro qui da quasi due anni, pensa che io abbia iniziato a cucinare per la compagnia ferroviaria prevedendo che un giorno, forse, Alexandra Sutton sarebbe salita sul Riviera Express? O magari che io sia un veggente che aveva previsto tutto e che si è fatto assumere solo per ammazzarla?”
“No, non lo ritengo molto probabile. Ma potrebbe aver saputo facilmente della sua presenza a bordo. Potrebbe aver ricordato cose spiacevoli e aver deciso di parlarle. Magari non voleva ucciderla, all’inizio. Magari è stato un impulso momentaneo, accade più spesso di quanto si pensi, che la gente si lasci trascinare dall’ira.”
Asriel si strinse nelle spalle, giocherellando distrattamente col bordo del vestito scarlatto mentre Ruven, sedutogli di fronte, sospirava piano prima di protendersi sul tavolo verso di lui:
“Senta, io quel vestito non l’ho mai visto. E come avrei potuto rubare la Polisucco e prendere le sembianze della francese? Io sono uno chef, non lascio quasi mai la cucina e non interagisco mai con i passeggeri, quando e come avrei rubato qualcosa ad uno di loro?”
“Può aver trovato un suo capello in un piatto. E un cameriere può averla aiutata, o un altro membro dello staff.”
“Io non resto solo spesso, qui. Può chiedere ai ragazzi, almeno uno di loro è sempre stato con me, quella sera, non mi sono mai allontanato dal servizio. Non avrei potuto prendere le sembianze di nessuno.”
 
Ruven si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto, fissando torvo l’Auror mentre Asriel lo osservava dubbioso di rimando. Infine, dopo istanti di silenzio che allo chef sembrarono durare un’eternità, Asriel si alzò scostando rumorosamente la sedia sul pavimento e decretando che avrebbe parlato con tutti i camerieri.
“Ah, un’ultima cosa… la cella frigorifera prima era chiusa a chiave. È sempre stato così, da quando il treno è partito?”
“Di giorno la teniamo aperta per comodità, la chiudo io alla fine del servizio, dopo cena.”
“Grazie. Può andare, mi mandi tutti quelli che lavorano in cucina con lei.”

 
*

 
“Quindi la Signorina Sutton stava con suo fratello.”
“Sì. Io ovviamente glielo avevo detto, a Cecil, che la faccenda aveva qualcosa di strano. Insomma, la Panterona era decisamente troppo bella per lui, e lo dico con tutto l’affetto possibile.”
“Non credo che vogliano sapere questo…”
Prospero si accostò leggermente all’amica, parlando in un sussurro appena percettibile mentre Delilah, annuendo, si affrettava a procedere con il racconto:
“Oh, sì, certo. Insomma, sì, sono stati insieme per un po’, ma a me la cosa non ha mai convinto. Lei era particolarmente interessata al lavoro di Cecil e all’attività di famiglia, sapete…”
“Oh, certo Signorina Yaxley, sappiamo molte cose sull’attività della sua famiglia.”


Il tono sarcastico di Clodagh fece comparire un accenno di sorriso sulle labbra di Delilah, che però si affrettò a farlo sparire e a riprendere da dove si era interrotta per evitare di soffermarsi più del dovuto sul negozio di famiglia e su tutti i manufatti illegali che conteneva.
“Beh, io ero sicura che stesse con lui solo per quel motivo, e infatti ben presto lo ha dimostrato. Cominciò a chiedere dei favori a mio fratello, di darle degli oggetti, diciamo. Ma quando lui ha iniziato a rifiutarsi di farlo lei non l’ha presa bene.”
Delilah fu particolarmente tentata di aggiungere qualcosa su come lei avesse sempre ragione, ma decise di astenersi dal farlo quando vide Clodagh accostarsi leggermente a James e mormorargli qualcosa all’orecchio.
La strega non era del tutto sicura di voler continuare e di fornire agli Auror un fantastico movente con cui poterla incriminare, ma l’occhiata che le lanciò Ro la convinse a proseguire. Tanto valeva raccontare tutto, a quel punto.
“Che cosa intende con il fatto che non l’ha presa bene?”
“Ha iniziato a ricattarlo. Poteva davvero metterci nei guai, Cecil in primis. Naturalmente lui me ne ha parlato, non sapeva che cosa fare, e io ho…”
Delilah stava per concludere la frase asserendo di aver “deciso di farla smettere” ma si rese conto che il senso di quelle parole avrebbe potuto essere facilmente travisato e si affrettò a salvarsi in extremis:
“… deciso di fare qualcosa. Non potevo stare a guardare, si parla della mia famiglia. Ero sicura che nemmeno gli affari di Alexandra fossero leciti al 100%, si sa che gli avvocati sono delle false sanguisughe, così ho deciso che avrei scoperto qualcosa di scomodo su di lei e l’avrei usato per costringerla a lasciare in pace Cecil.”
“E ci è riuscita, Signorina Yaxley?”
“Non esattamente. L’ho seguita a Berlino, ma non ne ho ricavato granché.”
Delilah si strinse nelle spalle, evitando accuratamente di guardare Clodagh e James. Tuttavia, pur sentendosi profondamente a disagio e consapevole di essersi appena messa in una pessima luce agli occhi degli Auror, Delilah si sentì anche improvvisamente più leggera. Era quasi un sollievo aver detto la verità, finalmente.
Non guardando gli Auror la strega non notò il rapido, quasi impercettibile cambiamento nell’espressione di Clodagh, che sembrò sinceramente sorpresa nell’udire quella confessione. Prospero invece, osservandola con attenzione, notò accigliato gli occhi chiari della strega spalancarsi leggermente e le sue labbra stringersi per un breve istante prima di tornare a rivolgersi alla sua amica con il medesimo tono neutro di poco prima:
“Quindi ammette di aver mentito e di non essere qui per lavoro, ma di aver effettivamente seguito la vittima dall’Inghilterra fino a Berlino per poi prendere questo treno?”
“Sì. So che non gioca molto a mio favore, ma sarei l’assassina più deficiente mai esistita se fossi stata io e venissi a dirvi tutto questo.”
“Lei lo sapeva?”
Clodagh non conosceva bene Prospero De Aureo, ma gli scoccò comunque un’occhiata obliqua e il suo fintissimo sorrisetto innocente non la convinse per nemmeno un decimo di secondo. Figurarsi se non lo sapeva, si disse aspramente la strega.
“Sapevo di Alexandra e Cecil ovviamente ma non conoscevo i dettagli, anche se ero sicuro che Laila non fosse qui propriamente per lavoro. Non è facile per lei nascondermi le cose.”
Delilah scoccò un’occhiata torva all’amico, astenendosi dal ricordargli seccamente che lo stesso discorso valeva anche per lui mentre James controllava che la sua penna prendiappunti avesse annotato tutto ciò che era stato detto dalla fotografa. Quando il ragazzo le ebbe rivolto un rapido cenno d’assenso, Clodagh si voltò di nuovo verso Delilah:
“Signorina Yaxley, la vittima si era resa conto che la stava seguendo? O l’aveva vista sul treno?”
“No, non credo proprio che si fosse accorta di me. Sono brava a non farmi notare, quando è necessario. E sono piuttosto certa che non mi abbia nemmeno vista sul treno, o credo che sarebbe venuta a chiedermi che cosa ci facessi qui.”
Delilah guardò nervosamente i due Auror avvicinarsi e scambiarsi qualche parole, pregando mentalmente che non la spedissero in un’aula di tribunale del Wizengamot. Fortunatamente, quando Clodagh tornò a rivolgerlesi accennò un sorriso e invitò lei e Prospero ad uscire:
“Per ora potete andare, ne parleremo con Asriel e vedremo che cosa fare. Nel frattempo vorrei che andaste con tutti gli altri passeggeri, così saremo sicuri che non potrete andarvene a zonzo. James, puoi accompagnare i signori?”
“Certo, torno subito. Seguitemi per favore.”
James si alzò con un sorriso allegro, invitando gentilmente i due ex Serpeverde a seguirlo. Anche se controvoglia i due si alzarono e obbedirono, sfilando fuori dal vagone dietro a James bisbigliando tra loro con fare concitato sotto lo sguardo di Clodagh.
Rimasta sola, la strega rilesse distrattamente la trascrizione della confessione di Delilah Yaxley, pensierosa. Mai come in quel momento, da quando aveva messo piede su quel treno, si sentì tanto stupida.
 
 
“Li ho chiusi dentro, tutto a posto. A cosa stai pensando? Pensi che abbia detto la verità?”
James tornò a sedersi accanto a lei in attesa che Asriel si rifacesse vivo con qualche novità, osservando curioso l’amica mentre Clodagh, seduta con le braccia strette al petto, scuoteva nervosamente la testa:
“Non vedo perché inventarsi tutto. No, credo che sia tutto vero, al massimo potrebbe esserci qualcosa che ha evitato di farci sapere… Dio, che stupida sono stata.”
“Che vuoi dire? Non potevi saperlo, come nessuno di noi.”
Clodagh non rispose, osservando accigliata il rotolo di pergamena dove la piuma incantata aveva annotato le parole di Delilah prima di invitare il collega a riprendere a controllare i documenti che avevano davanti. James non se la sentì di ribattere e obbedì, pur chiedendosi a che cosa stesse pensando la collega mentre prendeva un fascicolo lanciandole una rapida occhiata pregna di curiosità.

 
*

 
“C’è qualcosa che non mi convince del tutto. Ruven Schäfer ha il movente, aveva la possibilità… ma il vestito nella cella frigorifera. Non lo so, troppo stupido come errore. E tutti quelli che lavorano in cucina hanno confermato che non è mai rimasto solo a lungo, quella sera. È difficile credere che avrebbe potuto rubare la Polisucco e usarla.”
“Pensi che lo abbiano messo per spingerci nella sua direzione? Lo penso anche io. O forse è davvero stato lui.”
“Forse, sì. Ma non sono così convinto da rivolgergli un’accusa formale… Merlino, c’è qualcuno su questo dannato treno che ha detto la verità?!”


Clodagh non rispose, limitandosi a guardare fuori dal finestrino e ad accarezzare dolcemente Zorba, che poco prima le era saltato sulle ginocchia e si era acciambellato snobbando Asriel per punirlo del suo recente quanto imperdonabile tradimento.
I due stavano riflettendo in silenzio, ognuno per conto proprio, quando Clodagh si voltò verso il collega guardandolo seria:
 
“Asriel…”
 
Asriel ricambiò il suo sguardo osservandola accigliato di rimando ma Clodagh non riuscì ad andare avanti, perché di nuovo James sopraggiunse di corsa sventolando qualcosa e col fiatone per aver attraversato il treno in mezzo minuto netto:
“Clara… Cavolo che corsa, devo riprendere a fare jogging quando torniamo… Clara Picard!”
“Clara Picard cosa?! Non dirmi che c’è un altro morto!”
Ci mancava solo una francese morta per farlo finire in riabilitazione, ma fortunatamente Asriel e Clodagh guardarono il collega scuotere il capo prima di allungargli ciò che teneva in mano:
“No, non è morta… il fratello di Clara Picard. Disse che ha avuto un incidente sul lavoro qualche anno fa, ricordate? È vero, ho trovato un articolo di un giornale francese che parlava di George Picard, per fortuna ci hanno mandato la traduzione o non avrei capito nulla… Comunque, è confermato. Ma ha omesso di dire chi era l’avvocato del deficiente che ha causato l’incidente di suo fratello e al quale la famiglia di Clara fece causa.”
“Perché ho la sensazione che fosse, alta, bionda e con la passione per la pelletteria di lusso?”
Asriel allungò una mano e arraffò il giornale dalle mani di James, che si sentì soddisfatto e intimorito al tempo stesso a causa del tono e dello sguardo truce del collega, che borbottò torvo qualcosa a proposito di come la Sutton fosse diventata onnipresente e di come ormai la ritrovassero ovunque:
“Possibile che ogni volta in cui mi giro compare la Sutton spuntando come un cazzo di fungo?! Quante persone ha difeso e quanta sofferenza ha portato, quella cazzo di megera incipriata?!”
 

 
*
 

“Gli hai detto di averla vista, quindi?”
“Sì. Non so se mi abbiano creduto, ma Alexandra era decisamente più che viva e vegeta, quando sono uscita dalla sua cabina. E non mi è nemmeno sembrata particolarmente in ansia, anche se quando mi ha aperto aveva la bacchetta in mano… Sul momento non ci ho fatto caso, mi è tornato in mente parlando con gli Auror.”
“Pensi che avesse paura di qualcuno?”
Corinne scosse la testa smuovendo leggermente i capelli color grano, gli occhi chiari fissi sul pavimento del vagone mentre si sforzava di ricordare più dettagli possibili sul suo ultimo incontro con Alexandra.
“Non lo so. Che io sappia non conosceva bene nessuno degli altri passeggeri, ma sono sicura che si siano tantissime cose che non sapevo e che non saprò mai di lei.”
Clara sedeva accanto a Corinne su uno dei sedili imbottiti del vagone e con il suo gatto nero sulle ginocchia, ad un paio di file di posti di distanza rispetto agli altri passeggeri. Sembrava che nessuno fosse in vena di chiacchiere, e le due francesi erano le uniche a rivolgersi la parola oltre a Prospero e Delilah, gli ultimi arrivati, seduti vicini a loro volta e impegnati a scambiarsi mormorii e sussurri concitati.
Loki si era acciambellato sulle gambe della padrona e si godeva le coccole facendo le fusa, ma Clara continuava ad accarezzargli il soffice pelo nero quasi meccanicamente, troppo tesa e concentrata sulle parole di Corinne e sui recenti avvenimento per prestargli particolare attenzione.
 
“Su questo non ho dubbi. Ma di chi o che cosa poteva aver paura, Coco?”
“Non ne ho idea.”
Nessuna delle due streghe ebbe il tempo di formulare alcuna ipotesi, perché la porta di vetro scorrevole del vagone fino ad all’ora sigillata venne fatta scorrere e tutti i presenti rivolsero la propria attenzione su Asriel, in piedi sulla soglia con sguardo decisamente poco benevolo.
 
“Che faccia… Spero che non voglia parlare con me.”
Il sussurro di Elaine, seduta accanto a May mentre Ailuros fissava senza sosta una Polly stretta tra le braccia di Lenox, venne ampiamente condiviso anche dall’amica, che mormorò preoccupata qualcosa in proposito ad una sua eventuale fuga dal finestrino qualora l’Auror avesse annunciato di voler parlare con lei.
“Non ha un debole per i gatti?! Puoi sempre usare Ailuros come esca per farci fuggire.”
May si accostò all’amica parlando con un filo di voce e quasi non muovendo le labbra, temendo che Asriel potesse sentirla e incenerirla con un’occhiata, ma Elaine non sembrò condividere la sua proposta e la guardò scandalizzata prima di asserire che mai e poi mai avrebbe usato il suo amato gatto come esca.
 
“Signorina Picard? Mi segua.”
Le parole di Asriel, che gettò una rapida e gelida occhiata in direzione di Clara e Corinne prima di girare sui tacchi e allontanarsi, permisero a quasi tutti i presenti di tornare a respirare normalmente. Tutti tranne Delilah e Prospero che ormai, a detta della prima, avevano collezionato più incontri con gli Auror di un abbonato e che quasi non avevano battuto ciglio alla vista dell’ex Corvonero.
“Porca Tosca, meno male, stavo già rimpiangendo di non aver fatto testamento…”
Elaine sospirò di sollievo prima di tornare a dispensare carezze ad Ailuros, che sembrò gradire e strusciò la testa contro la mano della padrona con affetto mentre May, accanto a lei, decretava di quasi provare pena per la francese.
“May, hai scordato che su questo treno c’è un assassino?”
“Lo so Nel, ma hai visto che faccia aveva?! Io avrei iniziato a scavarmi la fossa!”
 
May scosse la testa con decisione, asserendo che in quel preciso momento non avrebbe augurato un colloquio con Asriel nemmeno a Jack lo Squartatore. Lenox invece, seduto di fronte alle due, guardò Clara mormorare qualcosa a Corinne prima di alzarsi e, impassibile, seguire il suo ex compagno di classe fuori dal vagone.
Lenox dovette riconoscere che la strega aveva un aplomb invidiabile. Era piuttosto sicuro di conoscere Asriel meglio di chiunque, lì dentro, e probabilmente se l’Auror avesse chiesto a lui di seguirlo con quel tono e quello sguardo truce avrebbe accolto il suggerimento di May Hennings e avrebbe usato l’enorme gatto della cantante lirica come scudo dietro al quale ripararsi.

 
*

 
“Signorina Picard, sarò breve e verrò subito al dunque perché ritengo di star già perdendo abbastanza ore della mia vita su questo treno. Quando l’abbiamo interrogata ha omesso di dire che quando la sua famiglia ha fatto causa all’uomo che ha causato l’incidente di suo fratello, George Picard, costringendolo sulla sedia a rotelle, il suo avvocato era la Signorina Sutton.”
Clara sedeva di nuovo di fronte agli Auror, le gambe accavallate e le mani sul grembo. Le parole di Asriel non sembrarono tangerla particolarmente, e anzi si limitò ad inarcare un sopracciglio mentre spostava lentamente i grandi occhi da cerbiatta da lui, a Clodagh e a James.
“Ve lo ha detto Corinne?”
“Non le deve interessare. Vorremmo sapere, invece, perché non lo ha detto e ha persino affermato di non conoscere Alexandra Sutton.”
Naturalmente da quando avevano scoperto la parte di storia che Clara Picard aveva omesso di raccontare Asriel non aveva avuto il minimo dubbio che Corinne Leroux ne fosse, invece, perfettamente a conoscenza.
Era decisamente saturo di quei passeggeri che mentivano, omettevano dettagli e per di più si coprivano anche le spalle a vicenda.
La pazienza di Asriel, già pericolosamente agli sgoccioli, subì l’ennesimo colpo quando Clara, invece di manifestare un qualsiasi segno di disagio o di sorpresa, accennò un sorriso rilassato:
“Monsieur, non ho mentito.”
“Come sarebbe a dire che non ha mentito?”
Paralizzato, Asriel guardò la strega con gli occhi chiara sgranati, rifiutandosi di credere a ciò che aveva udito. Come si permetteva, quel branco di mentecatti, di prenderlo apertamente per cretino negando l’evidenza e offendendo così mortalmente la sua intelligenza?
Intuendo che uno scoppio d’ira fosse vicino James si mosse a disagio sulla sedia e gettò un’occhiata preoccupata a Clodagh, seduta tra lui e Asriel, ma l’amica si limitò a rivolgergli seria un cenno appena percettibile con il capo, come a dirgli di non preoccuparsi.
“Mi avete chiesto se la conoscessi, la riposta è stata no. Ed è così, io non la conoscevo.”
“Lei e la sua amica sono state insieme. Per degli anni. E afferma ancora di non averla conosciuta?”
 
Incredulo, Asriel guardò la francese sbattendo le palpebre. Probabilmente lo chef aveva trovato il modo di drogarlo durante il loro incontro. Non c’era altra spiegazione.
“Vuoi che continui io?”
Clodagh si accostò leggermente all’amico parlandogli con tono pacato e sfoggiando un accenno di sorriso, ma Asriel scosse la testa senza smettere di fissare Clara, che si strinse debolmente nelle spalle mentre sosteneva impassibile il suo sguardo:
 
“Corinne non mi ha detto della relazione per molto tempo. Temeva la mia reazione. In effetti, Corinne non me lo ha mai confidato, l’ho scoperto leggendo i giornali quando tra loro era già finita.”
“E perché temeva la sua reazione? Perché non avrebbe approvato. Perché lei odiava Alexandra Sutton.”
Asriel la guardò quasi sfidandola a negare ma Clara, continuando imperterrita a non smuoversi dalla sua posizione, scosse seria il capo e sollevò una mano per prendere la parola:
“Io non odiavo Alexandra Sutton. Io odiavo l’avvocato che ha fatto vincere la causa a quel… ce connard(1) che ha fatto perdere il lavoro e danneggiato irreparabilmente la salute di mio fratello. È stata colpa sua in ogni modo possibile, non ha rispettato le procedure, non ha rispettato le indicazioni degli Spezzaincantesimi e a pagarne le conseguenze è stato George. Ma è comunque riuscito a passarla liscia e a non dover dare nemmeno un risarcimento in denaro alla nostra famiglia, denaro con cui mio fratello avrebbe potuto pagarsi delle cure grazie alle quali oggi starebbe meglio. Grazie a lei. Ma io di fatto Alexandra Sutton non l’ho mai conosciuta, non ci ho mai scambiato una parola e non avevo idea che avrebbe preso questo treno. Non avete nessuna prova che io fossi a conoscenza del suo viaggio, vero Monsieur?”
Questa volta Clara sorrise, piegando leggermente gli angoli delle labbra carnose verso l’alto mentre Asriel la guardava livido stringendo le braccia al petto e consapevole che la strega avesse ragione.
 
“Inoltre, vi ho detto perché sono qui, ero diretta dalla mia famiglia per passare le feste con loro a Cannes dopo essere stata a Berlino per lavoro, e potete verificarlo scrivendo al Ministero tedesco o ad un mio superiore, se non l’avete già fatto.”
“Lo abbiamo fatto e hanno confermato la sua versione. Ma questo non le avrebbe comunque impedito di fare in modo di trovarsi qui insieme alla vittima, potrebbe aver organizzato tutto in modo da avere una copertura ideale.”
“Solo poche ore fa ho contribuito a stabilire che la persona che è stata vista da una passeggera davanti alla cabina della vittima non era Corinne. Se fossi stata io a ucciderla, perché fare in modo di togliere qualcun altro dal primo posto della lista dei sospettati? Corinne è la sua ex e per questo motivo era già la più sospettata, immagino, ma se avessi confermato la versione di Delilah Yaxley sareste stati a tanto così da poter accusare formalmente Corinne. Non sarebbe stato comodo, per me, lasciarvi credere che si trattasse di lei se fossi stata io ad ucciderla?”
“O magari lei e la sua amica siete d’accordo. Spiegherebbe perché la Signorina Leroux si è premurata di non rivelarci il suo legame con la vittima.”
“Quando mi avete interrogata ho detto che Corinne è una brava persona. Lo è davvero. Credo che si senta tutt’ora in colpa per essere stata con Alexandra alle mie spalle. Rivelarvi del mio cosiddetto “legame” con la vittima non avrebbe alleggerito la sua coscienza… Per questo non lo ha fatto. Evidentemente anche lei non ritiene possibile che possa essere stata io.”
 

 
*

 
“Clara Picard ha ragione. Ha fottutamente ragione, può dimostrare di essere salita su questo treno per un valido motivo, e che si trovasse a Berlino per lavoro è confermato.”
“Potrebbe aver organizzato il lavoro all’ultimo, dopo aver saputo che Alexandra avrebbe viaggiato qui?”
James era chino sul registro delle visite e degli appuntamenti di Alexandra che i loro colleghi rimasti a Londra avevano preso dallo studio della vittima, ma sollevò la testa per azzardare dubbioso un’ipotesi mentre guardava Asriel fare avanti e indietro per il vagone ristorante. Dopo aver congedato Clara non era rimasto seduto o fermo nello stesso punto per più di cinque secondi di fila
“Da Berlino ci hanno risposto che l’hanno chiamata con urgenza due giorni prima che partisse per la Germania. Clo, la Sutton quando ha comprato il biglietto per il treno?!”
“Stando ai registri della compagnia ferroviaria, dieci giorni prima della partenza. Il 10 dicembre. Alexandra ha lasciato Londra per recarsi a Berlino il 14, così ha assicurato la sua assistente. Ci è rimasta per circa una settimana, dopodiché è salita sul Riviera Express per passare il Natale in Francia, o almeno questa è la versione ufficiale.”
“Quando il treno è partito tutti si trovavano a Berlino, per un motivo o per un altro, qualcuno più a lungo degli altri ma comunque erano tutti in Germania… è possibile che qualcuno l’abbia incontrata prima? Forse è successo qualcosa appena prima che tutti noi salissimo sul treno…. Può essere successo qualcosa a Berlino, e non tanto sul treno. Alexandra apre la porta a Corinne Leroux con la bacchetta in mano. Forse era preoccupata. Forse ha incontrato qualcuno dei presenti prima di salire sul treno, qualcuno che l’ha minacciata.”
Quando sentì il collega menzionare la capitale tedesca James si sentì letteralmente raggelare: in tutto il trambusto provocato dalle recenti scoperte sul conto di Clara Picard, la faccenda riguardante Delilah Yaxley e suo fratello gli era completamente passata di mente.
L’ex Tassorosso deglutì a fatica mentre riportava lo sguardo su Asriel, ancora impegnato nelle sue elucubrazioni. Preparandosi a Disarmare il collega o, alla peggio, ad evocare delle funi per legarlo il più giovane del trio si schiarì la voce mentre Clodagh, intuendo le sue intenzioni, si rigirava con finta nonchalance la bacchetta tra le mani per lo stesso motivo.
“Ecco, emh, a questo proposito Asriel… stavamo per dirtelo ma poi è saltata fuori la cosa di Clara Picard… Delilah Yaxley ha confessato di aver seguito Alexandra a Berlino perché lei… ricattava suo fratello, pare.”
“Chi ricattava il fratello di chi?”
“A-Alexandra. Il f-f-fratello di Delilah Yaxley. Cecil Yaxley.”
“Sì, Asriel, te lo ricordi, il ragazzo ce stava sempre con Prospero De Aureo a scuola, sai, Serpeverde, un anno più giovane di te…”
Clodagh annuì mentre prendeva a dondolarsi nervosamente sulla sedia, la bacchetta in mano e gli occhi chiari puntati sul collega. Che disdetta non avere nessun panino a portata di mano.
Mentre il colorito di Asriel iniziava ad assumere toni pericolosamente vicini al scarlatto James si guardò attorno terrorizzato, chiedendosi perché Alpine e Zorba fossero entrambi improvvisamente spariti dalla circolazione e, in generale, nessuno dei numerosissimi gatti presenti sul treno fosse nei paraggi. Dov’erano i gatti quando servivano?!

“SO BENISSIMO CHI E’ CECIL YAXLEY, NON HO L’ALZHEIMER! Vado a prendere la fotografa. Ho intenzione di chiederle come mai le è sorta solo ora questa mistica illuminazione…”
Ecco, forse faresti bene a chiamare anche De Aureo.”
“E perché mai?! Me ne basta una alla volta, di ex Serpeverde stramba!”
Asriel si fermò sulla soglia del vagone per trafiggere James con un’occhiata furente, costringendo il collega a farsi piccolo piccolo sulla sedia prima di sollevare timidamente il registro che aveva davanti e pigolare qualcosa in risposta:
“B-beh, qui risulta la firma di P. L. De Aureo nell’elenco delle visite allo studio di Alexandra prima che lasciasse Londra…”
“… CHE COSA?! Torno. Subito.”
 
Dopo aver parlato scandendo in maniera pericolosamente lenta le parole Asriel aprì la porta, uscì dal vagone e se la richiuse alle spalle con tanta veemenza da far comparire delle vistose crepe su buona parte del vetro. Senza perdere tempo Clodagh si alzò si gettò subito all’inseguimento del collega, riparando la porta con un distratto movimento della bacchetta mentre lo pregava di non seppellire vivi i due passeggeri sotto un cumulo di neve.

 
*

 
Delilah e Prospero, per non morire di noia, avevano deciso di ammazzare l’attesa in modo decisamente originale.
Clara aveva infatti appena lasciato il vagone in compagnia di Asriel quando Prospero aveva estratto con nonchalance un mazzo di carte dalla tasca interna della giacca nera che indossava, chiedendo a gran voce se qualcuno fosse interessato a giocare una partita a briscola.
Disgraziatamente nessuno dei presenti sembrava intenzionato a giocare con un gruppo di possibili assassini, così il ragazzo si era visto costretto a riporre deluso le carte. Tuttavia, un attimo dopo Prospero aveva tirato fuori un secondo mazzo da un’altra tasca sotto lo sguardo sempre più sgomento di Delilah – ma perché, poi, continuava a stupirsi?! – informando serio l’amica che avrebbe ingannato l’attesa leggendole i tarocchi.
 
Ma lo sai fare almeno?!”
“L’ho visto fare da mia nonna e delle sue amiche, tanto difficile non potrà essere! E poi, non c‘è nulla che io non possa fare, Fogliolina cara.”
Delilah avrebbe voluto smentirlo, ma si rese conto di non avere le argomentazioni adatte, così si limitò a guardare l’amico mischiare i tarocchi con maestria prima di invitarla serio a prendere una carta dal mazzo.
“Sai, ti ci vedo proprio con un turbante in testa e pieno di opali, puoi prenderlo in considerazione come secondo lavoro…”
“Lo terrò a mente, grazie, anche se scialli e opali li lascio alla Cooman. Forza, scegli una carta.”
“Quante carte devo prendere?!”
“Tre.”
“Come fai a saperlo?!”
“Perché c’è sempre il tre di mezzo, il tre è il numero perfetto, quindi tre andrà bene.”
 
Delilah non era del tutto convinta, ma decise di affidarsi e prendere per buone le parole dell’amico e si affrettò a scegliere una carta dal mazzo, mostrandola a Ro.
Entrambi osservarono accigliati l’illustrazione per una frazione di secondo, finchè la strega non lesse il nome della carta e la indicò con un gran sorriso:
“La ruota della fortuna! Sicuramente vorrà dire che sarò molto fortunata.”
“A dire la verità l’hai presa a rovescio. Quindi, se non sbaglio, dovrebbe significare sorte avversa.”
 
E ti pareva. Ok, ne prendo un’altra, magari la situazione migliora…”
Poco convinta ma per nulla sorpresa dalla prima carta, Delilah si affrettò a prenderne una seconda sotto lo sguardo critico di Ro. Del resto, peggio della prima non poteva andare.
“La… La Papessa. A rovescio anche questa.”
“Che significa?! Che diventerò una persona importante?!”
“No, a rovescio sta per… insidia da parte di una donna molto intelligente…”
 
Udendo le parole di Prospero Delilah trasalì e si portò una mano pallida alla bocca, guardando prima la carta e poi l’amico con gli occhi sgranati:
“LA PANTERONA! Ma allora questa storia delle carte non è del tutto una arci-stronzata!”
 
“Prendine un’altra.”
“Ok… questa volta dovrebbe andarmi meglio, spero. Prendo questa.”
Delilah scelse una carta senza pensarci troppo, indicandola all’amico prima che Prospero la prendesse e gliela mostrasse impassibile:
“L’eremita.”
Grandioso, adesso mi dirai che sono destinata a passare la vita sola soletta sul cocuzzolo di una montagna Himalayana!”
“No Laila, hai… beh, credo che sia un record, ma hai preso al contrario anche questa.”
“E quindi che significa?!”
“Significa… non avere ancora capito come in realtà stanno le cose e di chi potercisi fidare.”
“Grazie tante, è un fottuto caso per omicidio, se non lo sanno gli Auror come dovrei saperlo IO come sono andate le cose?! Queste carte non hanno capito un piffero.”
 
La strega incrociò le braccia al petto e scoccò un’occhiata offesa alle carte prima di voltare indignata la testa dall’altra parte, ignorando l’amico quando Prospero le propose di pescarne altre per, magari, salvare il salvabile. Delilah fece per assicurargli di averne avuto abbastanza e di aver colto l’antifona sulla sua evidentissima sfiga eterna quando il ritorno di Asriel le fece morire le parole in gola.
Di norma la strega si sarebbe soffermata mentalmente sulla bellezza invidiabile e assolutamente illegale dell’Auror, ma non in quel momento. In quel momento tutto ciò che Delilah notò fu l’espressione incazzata sfoggiata dal mago. Che guardava, manco a dirlo, proprio lei.
 

 
*

 
Naturalmente Asriel aveva ritenuto di dover parlare a sua volta con Delilah Yaxley e Prospero De Aureo, chiedendo alla prima – assai poco gentilmente – di raccontargli per filo e per segno i suoi trascorsi con la vittima e al secondo spiegazioni a proposito della sua visita allo studio di Alexandra appena pochi giorni prima che la strega morisse.
Clodagh sedeva assistendo in religioso silenzio insieme a James, gli occhi chiari che indugiavano prima sulla stramba coppia di passeggeri e poi sul suo collega, in piedi davanti a loro.
 
“Delilah mi aveva detto che cosa stesse facendo Alexandra a Cecil. Sono andato da lei e le ho detto di smetterla. Delilah non ne ha saputo nulla fino a pochissimo tempo fa, non ha cercato di coprirmi in nessun modo.”
“E quella è stata l’ultima volta che l’ha vista?”
“Sì.”
“E voi due volete davvero farmi credere che non eravate a conoscenza della presenza l’uno dell’altro su questo treno. Lo stesso treno dove era presente anche, guarda caso, la Sutton.”
“Non ne avevo idea. Ci sono salita perché ci è salita la Pant- Alexandra, ma non sapevo di Ro. Non sapevo nemmeno che fosse andato da lei a Londra, come ha appena sottolineato lui, e lui non sapeva che io fossi a Berlino e che la stessi seguendo, che motivo avevo di dirgli che avrei preso questo treno?”
Delilah parlò gesticolando nervosamente, rimpiangendo amaramente di aver finito le sue scorte di liquirizia mentre Prospero, al contrario, sedeva placido e rilassato accanto a lei limitandosi ad osservare Asriel mentre faceva dondolare la gamba destra.
“Quindi lei è andato dalla vittima appena prima che lei lasciasse Londra. L’ha minacciata…”
“Non ho mai usato quella parola.”
Prospero sorrise ma Asriel non lo ascoltò, ignorando l’interruzione prima di procedere con il suo discorso:
“… è andato da lei e casualmente poco dopo si ritrova sul suo stesso treno. Davvero pensate che questa storia sia credibile?! Signor De Aureo, abbiamo motivo di credere che la vittima fosse spaventata da qualcosa, quando è salita sul treno. Ritiene possibile che ciò fosse dovuto a lei e alla sua visita di cortesia?”
“Beh… Forse.”
 
Prospero piegò le labbra in un sorriso colpevole che fece sospirare rumorosamente Delilah, che dovette trattenersi dall’insultarlo a voce alta e si limitò invece a spalmarsi una mano sul viso mentre Asriel fissava torvo il mago:
 
“Sicuro di essere qui per lavoro, Signor De Aureo?”
“Sicurissimo. Sono pieno di consegne da fare. Ho un pacco dalla Polonia.”
Prospero sorrise dolcemente, allegro come sempre, senza che lo sguardo torvo dell’Auror lo scalfisse:
“Già, la maledizione che abbiamo rinvenuto nella valigia della vittima. convinto di non avere idea di come ci sia finita lì dentro, Signor De Aureo?”
“Perché avrei dovuto mettercela? È stata solo una sciocca mossa per smuovere le carte e per indirizzare altrove la vostra attenzione.”
Prospero sbuffò e liquidò il discorso con un pigro gesto della mano, quasi stesse scacciando un insetto fastidioso. Forse era proprio così che vedeva Alexandra, in effetti. Ed era tremendamente stanco di perdere tempo parlando di lei.


“Sentite, lei non mi piaceva, e io non piacevo a lei. Ci incontravamo di tanto in tanto perché avevamo clienti comuni, tutto qui. Le ho suggerito caldamente di lasciare in pace i miei amici, nulla di più, e a Berlino non l’ho mai incontrata. È possibile che mi abbia visto sul treno, certo, ma non posso esserne sicuro… Sappiamo tutti che si era fatta molti nemici, potrebbe anche aver avuto paura di pressoché chiunque, qui. L’ultima volta che l’ho vista è stato a Londra.”
 
Asriel esitò, ma dopo averlo osservato brevemente decise di concentrarsi temporaneamente su Delilah: aveva bisogno di sapere se fosse successo qualcosa a Berlino, prima che il treno partisse. E forse nessuno, a parte lei, era in grado di dirglielo. L’Auror si appoggiò al bordo del tavolo, restando in piedi davanti ai due passeggeri e tenendo gli occhi azzurri fissi sulla strega. Delilah ricambiò il suo sguardo con gli occhi nocciola velati di preoccupazione, ma sembrò rilassarsi quando lui le si rivolse gentilmente:
“Signorina Yaxley, ho bisogno che lei sia sincera e molto precisa. Ha detto di averla seguita, no? Voglio che mi dica per filo e per segno tutto ciò che ha visto a Berlino. Le persone che ha visto, le cose che ha fatto, i posti dove è andata… tutto quanto.”
 
Delilah mormorò un assenso, dopodiché iniziò a snocciolare tutto ciò che aveva avuto modo di vedere e di apprendere durante il breve soggiorno a Berlino della ex del gemello.
Prospero invece rimase immobile e in silenzio, seduto accanto all’amica e limitandosi a stringerle gentilmente un braccio con la mano, quasi a volerla confortare.
Eppure i suoi penetranti occhi scuri non guardavano Delilah, e nemmeno Asriel.
 
“Lei, ad un certo punto, è sparita per un po’. Una ventina di minuti al massimo, mi sembra. Non ho idea di che cosa abbia fatto o se abbia incontrato qualcuno, è sparita grazie ad un passaggio magico, ma non sono riuscita a capire come funzionasse e non ho potuto seguirla.”
L’amarezza di Delilah era chiaramente percepibile, anche se erano trascorsi diversi giorni dall’episodio.
“Ce lo descriva. Meglio che può.”
 
 
 
Alexandra aveva viaggiato molto e aveva avuto modo di vedere buona parte delle grandi città europee, ma Berlino restava una di quelle che meno sopportava. Soprattutto alle porte dell’inverno.
La strega si portò la mano sinistra, fasciata da un guanto di pelle rosso firmato Ralph Lauren, al bavero del lungo cappotto nero che indossava, stringendoselo addosso mentre attraversava a passo spedito una piccola piazza semi deserta. Del resto chi mai si sarebbe sognato di mettere piede fuori, a quell’ora e con quel gelo?
Mentre camminava rapida piccole nuvole di vapore scandivano i suoi respiri, e il suono regolare prodotto dai tacchi a spillo degli stivali sulle pietre levigate i suoi passi.
 Alexandra si gettò una rapida occhiata attorno mentre stringeva il manico della sua valigia con la mano destra, muovendosi con la sicurezza di chi sa perfettamente dove andare e fermandosi solo quando si ritrovò davanti ad un muro di pietra quasi del tutto coperto da edera rampicante.
Dopo essersi assicurata che nei paraggi non ci fosse nessun Babbano – l’unico lato positivo di avere appuntamento così presto – Alexandra estrasse la bacchetta e si avvicinò alla parete, picchiettando tre volte la punta su uno dei mattoni.
 
Fu con sollievo che Alexandra si immerse nel tepore dell’edificio, lasciandosi il gelo alle spalle mentre il passaggio si chiudeva rapido dietro di lei.
La strega esitò nell’ingresso dall’altissimo soffitto a cupola di vetro e pareti color avorio mentre si ravvivava nervosamente i lunghi capelli biondo con la mano guantata, gettando un’occhiata torva all’uomo che, letteralmente spuntato dal nulla, le si avvicinò.
“Mi stanno aspettando.”
Se c’era una cosa che Alexandra detestava quella era perdere tempo, tanto che informò il tizio del motivo della sua visita prima ancora di dargli il tempo di aprire bocca. Fortunatamente quello le sorrise, indicandole con il braccio una delle tre aperture ad arco dell’enorme stanza vuota e invitandola a prendere quella direzione.
“Grazie.”
 
 
 
“Era vicino al centro storico della città, c’era questo muro di pietra ammuffito quasi del tutto coperto d’edera rampicante. Lei si è avvicinata, ha preso la bacchetta, ha eseguito non so quale combinazione strana ed è entrata. Un po’ come a Diagon Alley.”
“Niente parola d’ordine?”
“No, non le ho sentito dire nulla. Mi sono avvicinata, ma non riuscita a capire come funzionasse. Era un posto protetto da qualche incantesimo, comunque, perché ad un certo punto mi ha persino respinta, quella stupida parete. Dopo ho pensato che forse c’era bisogno di una sorta di “invito”, per entrare, ma non ne sono sicura.”
 
 
 
Il suono generato dai suoi stivali si fece ancora più forte grazie all’eco della stanza, ma Alexandra non ci fece caso e attraversò rapida l’ingresso fino ad oltrepassare l’arco e ritrovarsi in un’enorme corridoio pieno di porte, tutte chiuse e perfettamente identiche.
“Dove diavolo dovrei andare?!”
Seccata, la strega si voltò per chiedere delucidazioni al mago che l’aveva accolta, ma appurò con disappunto che era sparito.
“Grandioso…”
 
Sospirando, l’ex Grifondoro tornò a guardare il corridoio che aveva davanti dicendosi che probabilmente avrebbe dovuto aprirle tutte fino a trovare quella corretta, ma per sua fortuna la terza sulla destra si aprì da sola in un muto invito ad oltrepassarla.
Sollevata, la strega la raggiunse e ne varcò la soglia, ma non fece in tempo a voltarsi per chiedersela alle spalle che quella lo fece da sé. Osservando dubbiosa la porta chiusa, Alexandra stava riflettendo su quanto quel posto fosse assurdo quando una voce attirò la sua attenzione:
“In effetti mi era sembrato di sentire in inequivocabile suono di tacchi a spillo, avevo immaginato che fossi arrivata.”
 
 
Delilah Yaxley non aveva le allucinazioni. Aveva chiaramente e inequivocabilmente visto la Panterona sparire dietro a quel vecchio muro di pietra coperto da piante rampicanti. In piedi davanti alla parete con le braccia strette al petto e il cappotto nero che sfiorava il suolo, la fotografava la perlustrò con occhio critico chiedendosi che posto fosse e, soprattutto, come accederci.
Aveva provato degli incantesimi, aveva provato a toccare sequenze a caso di mattoni come per entrare a Diagon Alley ma niente, non aveva idea di che cosa avesse fatto la Panterona per aprire il passaggio.
Risentita e frustrata per la succosissima occasione mancata – qualcosa le diceva che dietro quella parete si trovasse qualcosa di importante e che magari le avrebbe fatto molto comodo scoprire – la strega aveva finito col prendere a calci la parete maledicendola in modo colorito, generando la cocente indignazione di un paio di vecchiette di passaggio, che l’avevano superata a passo spedito e borbottando qualcosa in tedesco contro i turisti pazzoidi che ormai popolavano Berlino.
 
“Ma come cazzo ha fatto la Panterona?! Cos’è, ti apri solo se la persona che hai davanti è bionda?! C’è una sorta di dress-code da seguire?! Apriti, maledetta!”
Delilah picchiettò furiosa la parete con la bacchetta, insultandola in tutte le salse. Quella però non la prese bene, perché generò un’ondata di magia invisibile che fece arretrare la strega di cinque metri e rischiò di farla capitombolare al suolo.
“Brutta stronza di una parete…”
 
 
Clodagh ne aveva avuto abbastanza. Superata la soglia del suo limite di sopportazione, la strega interruppe il racconto di Delilah.
“Ok, basta. Ha mentito spudoratamente.”
“Ma non è vero, mi ha davvero quasi spedita per terra!”
Delilah guardò la strega spalancando gli occhi scuri e aprendo la bocca scandalizzata, chiedendosi perché mai avrebbe dovuto raccontare una finta gaffe facendo una figuraccia con l’Auror più bello mai esistito prima che Clodagh la rassicurasse scuotendo il capo e liquidando il discorso con un gesto spazientito della mano:
“No, non lei, Signorina Yaxley. Lui sta mentendo. Lui l’ha vista, a Berlino. So che vi siete visti, Signor De Aureo, so che le ha parlato!”
Clodagh accennò a Prospero prima di sospirare e rimettersi seduta appoggiandosi allo schienale della sedia, ricambiando torva lo sguardo del mago. Asriel invece smise di concentrarsi su Delilah per guardare allibito la collega, imitato da James.
Il ragazzo stava per chiedere esterrefatto all’amica come facesse a saperlo ma Prospero, che aveva continuato a fissare Clodagh da quando era entrato nella stanza, lo precedette: all’improvviso le labbra sottili del mago si allargarono mostrando un sorriso, e Prospero scoppiò a ridere prima di battere le mani un paio di volte e senza smettere di fissarla di rimando.
 
“Fantastico. Aspettavo che lo dicesse. Era proprio ora, Signorina Garvey.”
 
 
Delilah aveva ormai rinunciato a seguire la Panterona nel “covo segreto” di dubbia origine quando, una ventina di minuti dopo, vide la strega uscirne così come vi era entrata, attraverso un’apertura della parete. Nascosta dietro un’auto, Delilah borbottò un mezzo insulto nei confronti del muro che le aveva negato l’accesso mentre seguiva attentamente la bionda con lo sguardo, osservandola incamminarsi verso la direzione da cui era venuta continuando a stringere saldamente la sua valigia.
Chi accidenti aveva incontrato e che cosa aveva fatto, lì dentro?!
 
Delilah aspettò un paio di minuti, dopodiché riprese a seguirla tenendosi a debita distanza. Allontanandosi, non vide la seconda persona che uscì poco dopo dall’edificio tramite il medesimo passaggio.

 
*

 
Alexandra lasciò perdere la porta e si voltò verso l’interno del salotto in cui si trovava, soffermandosi solo brevemente sull’enorme camino di marmo acceso e sulle altissime librerie stracolme. Ad attirare la sua attenzione fu invece la persona che stava in piedi davanti ad una delle suddette librerie e alle spalle di un divano rosso, un libro aperto in mano.
La strega non rispose, soffermandosi brevemente con lo sguardo sulla giacca verde foresta che la persona con cui aveva appuntamento indossava e poi sulla sua coltre di brillanti capelli ramati.
Clodagh chiuse il libro e si voltò verso di lei, sorridendole prima di lanciare con un gesto pigro il volume e permettergli così di tornare da solo al suo posto su uno degli scaffali.
 
“Ci hai messo un po’.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): “Quello stronzo”
 
 
 
……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Clo, ma che cosa mi combini con la Panterona?! Ah, se Asriel lo viene a sapere…
 
Ne approfitto per sottolineare la mia totale ignoranza in fatto di tarocchi, la mia conoscenza in materia si ferma ai nomi delle carte, nulla di più. Quindi se tra chi leggerà il capitolo dovesse esserci un appassionato/esperto che dovesse notare errori/stupidaggini non se ne sorprenda e sappia che è una cosa assolutamente voluta, giusto per tenere alto il livello di credibilità di questa storia.
Detto questo, due parole veloci solo per ricordare che il mese scorso, spinta dalla curiosità, vi ho chiesto di indicarmi il vostro personaggio preferito della storia tramite un sondaggio su IG. Ebbene, non c’è stato un solo nome che si è ripetuto, ognuno mi ha fatto un nome diverso. Devo dire che mi ha sorpreso, ma mi fa piacere perché significa che tutto sommato ho gestito decentemente i vostri OC.
Quindi che dire, bravi e belli tutti. <3 Ma in fondo sappiamo che il vero fulcro di questa storia sono e saranno sempre i gatti, quindi forse la cosa non avrebbe dovuto stupirmi più di tanto. No Alpine, non parlo solo di te, togliti la corona e smettila di complottare alle spalle di Zorba.
 
Ci vediamo tra una settimana circa con il prossimo capitolo del Camp, per chi vi partecipa, e tra un paio di settimane con il seguito di questo.
Buona serata e grazie come sempre per le recensioni!
Signorina Granger

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Capitolo 17
*** Capitolo 15 - Alexandra (Parte I) ***


Buongiorno!
So di arrivare un po’ in ritardo rispetto a quanto avevo programmato, in più vi avviso che il capitolo è abbastanza corto avendo deciso di dividerlo per far sì che la lettura non diventasse estenuantemente lunga e pesante, diciamo che è una fase di passaggio prima di arrivare alle battute di arresto della storia. Quindi riassumendo sono in ritardo, il capitolo non è lungo e a mio parere pure profondamente brutto, quindi avete la mia benedizione per denunciarmi/linciarmi/rifiutarvi di commentarlo.
Ci sentiamo prestissssimo con l’ultimo capitolo del Camp, buon sabato!
Signorina Granger





Capitolo 15 – Alexandra (Parte I)

 
 
A seguito delle parole pronunciate da Prospero nel vagone calò un breve, tesissimo silenzio.
Incredulo e certo di aver frainteso le parole del passeggiero James si voltò verso Clodagh guardando la collega strabuzzando gli occhi azzurri; Delilah fece altrettanto nei confronti di Prospero, guardando l’amico con le labbra dischiuse mentre il mago continuava invece imperterrito a fissare l’Auror con un accenno di sorriso. Quanto ad Asriel, restò in religioso silenzio osservando imperscrutabile la collega con la fronte aggrottata mentre Clodagh, le braccia strette al petto, fissava con astio Prospero di rimando.
Alla fine, dopo un’intermimabile manciata di secondi, Delilah sbottò:
“E tu… tu che cazzo stai blaterando, Ro?!”
L’amico non rispose, limitandosi a continuare ad osservare Clodagh mentre James, come Delilah, cercava inutilmente di venire a capo della situazione. La strega sospirò rumorosamente, sibilando qualcosa a proposito di “non starci più capendo un’emerita fava” mentre Asriel, distolto lo sguardo dalla collega, tornava a fissare Prospero riducendo gli occhi azzurri a due fessure:
“È come dice la mia collega? Ha visto la vittima a Berlino, sì o no?! Sono saturo delle cazzate di tutti i presenti, ma di voi due più di chiunque altro, quindi le consiglio di dire le cose come stanno.”
Delilah non poté fare a meno di offendersi nel sentirsi prendere in causa, e se non fosse stato per l’espressione a dir poco truce di Asriel, o per il fatto che a differenza sua fosse munito di una bacchetta, gli avrebbe ricordato stizzita che a raccontare l’ennesima frottola non era stata lei, ma il suo amico. La strega decise quindi di restare in silenzio, limitandosi a sbuffare mentre Prospero sfoderava la sua espressione da bravo bambino innocente.
“In effetti è così, solo una volta. Ma non serve che mi chieda che cosa ci siamo detti io e la vittima, glielo potrà benissimo dire la sua collega, visto che sa del mio incontro con Alexandra solo ed esclusivamente perché è stata proprio lei a parlargliene. Non è così, Signorina Garvey?”
Clodagh non rispose, continuando a fissare l’ex Serpeverde come se stesse morendo dalla voglia di estrarre la bacchetta e affatturarlo. Disgraziatamente Prospero De Aureo era disarmato e in quel momento non costituiva alcuna minaccia fisica per lei o per nessuno dei presenti, quindi colpirlo le avrebbe procurato una spiacevolissima sospensione. Non curandosi affatto dell’espressione della strega il mago continuò a parlare, stringendosi nelle spalle mentre sorrideva spostando lo sguardo da lei fino ad Asriel.
“Mi spiace aver mentito, volevo solo che sapeste come sono andate veramente le cose, visto che evidentemente la Signorina Garvey non è stata totalmente sincera.”
Prospero sguainò il suo amabile sorriso, dondolando piano il piede sinistro mentre Delilah, reprimendo l’impulso di prendere la parete più vicina a testate, gli suggeriva con un’occhiata di levarsi quel sorrisetto irritante dalla faccia: Asriel aveva tutta l’aria di uno pronto a prendere qualcuno per il collo.
“Hai mentito spudoratamente solo per spingerla ad ammetterlo?!”
Dapprima sbigottita, Delilah dovette presto ricordarsi che si trattava, effettivamente, di un comportamento assolutamente degno del suo migliore amico. Le restava solo l’indecisione: prenderlo a ceffoni per averle, di nuovo, nascosto parte della verità, oppure congratularsi per il suo ingegno.
Propendeva per la prima opzione, ma prima che potesse dare inizio ad una valanga di insulti la voce pericolosamente piatta e fin troppo calma di Asriel la precedette:
“James, accompagna questi due fuori, per favore.”
James si aspettava come minimo che il collega insultasse Prospero prima di chiedergli spiegazioni più dettagliate su quanto accaduto a Berlino e sentendosi prendere in causa sussultò, ma invece di obbedire esitò, restando immobile sulla sedia mentre spostava dubbioso lo sguardo da Prospero e Delilah fino ad Asriel.
“Ma…”
“Per favore.”
Asriel parlò senza guardarlo, continuando a fissare Prospero e Delilah, e con un tono che non ammetteva repliche. In qualunque altra situazione James non si sarebbe mai sognato di obbiettare ma esitò, guardando Clodagh mentre si sforzava di capire, senza successo, come fossero realmente andate le cose tra lei, Prospero e Alexandra.
“D’accordo. Seguitemi, per cortesia.”
Seppur di malavoglia e con aria da cane bastonato, James si alzò e rivolse un cenno cupo ai due ex Serpeverde, precedendoli verso la porta senza aggiungere altro. I passeggeri non se lo fecero ripetere e lo seguirono – in particolare Delilah, che sembrava oltremodo impaziente di defilarsi – ma non appena l’Auror ebbe chiuso la porta scorrevole alle spalle di Prospero udì una sfilza di insulti:
“Mi sono rotta, rotta delle tue merdate! Che cazzo ne sai tu dell’Auror e della Panterona?! C’è altro che non mi hai detto?! Dimmi la verità o ti tagliuzzo tutte le giacche, sei avvisato!”
“No, le giacche no! AHIA!”
Allibito, James guardò Delilah assestare una sonora manata sul retro del collo dell’amico, minacciandolo di trascinarlo per tutta la lunghezza del treno tenendolo per un orecchio mentre Prospero implorava pietà per le sue belle giacche fatte su misura.
“S-Signorina Yaxley, non picchi il Signor De Aureo!”
“C’è una sorta di legge che impedisce ad un sospettato di gonfiarne di botte un altro?!”
Delilah puntò gli occhi nocciola su James, scrutandolo più seria che mai, e Prospero si fece momentaneamente più pallido del solito mentre l’Auror aggrottava le sopracciglia, dubbioso: Asriel di certo lo sapeva, si disse, ma era altresì vero che se solo si fossero azzardati a rimettere piede nel vagone e interrompere il suo colloquio con Clodagh lui li avrebbe defenestrati uno ad uno dal treno.
“Beh, a dire la verità non saprei dirle, non me lo hanno mai chiesto… Ma non lo picchi comunque, la prego! Forza, venite con me.”
 
James non era famoso per il suo cipiglio autoritario, ma riuscì comunque a impedire a Delilah di malmenare l’amico e a trascinarli verso il vagone dove erano stati precedentemente radunati tutti gli altri passeggeri. Naturalmente anche l’innato carisma e l’impeccabile ars oratoria di Prospero fecero la loro parte, e il ragazzo tentò prontamente di salvarsi ricordando all’amica che se lo avesse ucciso nessuno avrebbe più potuto ospitarla gratuitamente nella sua immensa residenza e pagarle tutte le cene e i pranzi che voleva.
“Hai ragione, accidenti. Ma se scopro che ci sono altre cosette che hai dimenticato accidentalmente di raccontarmi io… io scriverò a tua nonna!”
Delilah puntò minacciosa l’indice contro Prospero, sorridendo soddisfatta quando l’espressione dell’amico si fece improvvisamente tesa, per non dire quasi terrorizzata: anche se per pochi istanti il mago sembrò perdere il suo aplomb, strabuzzando orripilato gli occhi scuri mentre il suo bel viso sbiancava per la seconda volta.
“Non oseresti!”
“E invece sì! Anche se non parlo mezza parola di italiano... Beh, comunque un modo lo troverei!”
“Guarda che la nonna capisce l’inglese…”
“Allora è perfetto!”
James sospirò e per la prima volta da quando aveva messo piede su quell’infausto treno si ritrovò a concordare con l’opinione che Asriel aveva dei passeggeri.
 
 
Rimasti soli all’interno del vagone, Asriel concentrò tutta la sua attenzione su Clodagh, guardandola per la prima volta da diversi minuti a quella parte. Seppur a disagio la strega ricambiò lo sguardo del collega, guardandolo sedersi prima di parlare lentamente:
“Gradirei che tu mi spiegassi. E in fretta.”
 
Per certi versi Clodagh avrebbe preferito sentirlo alzare la voce: il suo sguardo carico di delusione fu peggio delle urla. Anche nel bel mezzo di tutte le loro precedenti e numerose discussioni Asriel non l’aveva mai guardata in quel modo.
“Ho detto di essere su questo treno per seguire Prospero De Aureo, ed è la verità. Pensavamo di essere sulla strada giusta per dimostrare l’illegalità del commercio di alcuni manufatti perpetuato da anni dalla sua famiglia, per questo mi è stato chiesto di stargli addosso… Quello che ho omesso di condividere con te e James è stata la parte che riguardava Alexandra.”
“Che cosa c’entra con te Alexandra Sutton, Clodagh?!”
Alexandra Sutton e Clodagh Garvey costituivano, nella mente precisa e rigorosamente ordinata di Asriel Morgenstern, due unità nettamente distinte, nonché collocate su due linee parallele che mai si sarebbero potute incrociare. Lo sguardo deluso dell’Auror improvvisamente mutò, assumendo una sfumatura preoccupata e furiosa al tempo stesso. Tollerare che la sua collega, ma soprattutto amica, gli avesse nascosto qualcosa era difficile, ma pensare addirittura ad una sorta di legame tra lei e Alexandra era semplicemente assurdo. Per Asriel Alexandra Sutton non era stata altro che un’insopportabile arrivista che spesso e volentieri aveva intralciato il suo lavoro; Clodagh Garvey invece era la sua infallibile partner piena di abiti fin troppo variopinti, dotata di un tremendo accento irlandese e con un pessimo gusto in fatto di nomignoli.
Che cosa mai poteva avere a che fare Clodagh con la vittima del loro caso?
“Aveva deciso di aiutarci a incastrare Prospero. Il giorno in cui mi è stato dato l’incarico l’ho vista, al Dipartimento.”
Clodagh chinò lo sguardo sulle proprie mani, rammentando il giorno in cui era stata incaricata di seguire Prospero, lo stesso giorno in cui si era imbattuta nell’ultima persona che si sarebbe sognata di incrociare in uno degli uffici del Dipartimento.
 

 
*
 
 
14 dicembre 2021
Londra, Ministero della Magia
 
“Clo, il Capo ti vuole vedere.”
Sentirsi dire che la sua presenza era richiesta altrove fu un vero sollievo per Clodagh Garvey, che accennò un piccolo sorriso prima di defilarsi dal corridoio dove un paio di colleghi l’avevano inchiodata qualche minuto prima per chiederle, come al solito, di contribuire ad organizzare la Festa di Natale del Dipartimento. In fin dei conti per una volta all’Eggnog potevano anche pensarci da soli, si disse l’irlandese mentre avanzava sorridendo verso l’ufficio del Capo.
Di Brontolo ancora nessuna traccia, quella mattina, e la strega bussò educatamente alla porta dell’ufficio dando per scontato che avrebbe trovato il suo collega direttamente all’interno della stanza: di sicuro c’era un caso che aspettava solo Morgenstern e Garvey.
Invece, quando Potter le diede il permesso di entrare, Clodagh vide un’altra persona seduta davanti alla sua scrivania.
Sedeva con le lunghe gambe accavallate e dandole le spalle, una lunga zazzera di capelli color grano sulla schiena fasciata dalla giacca rossa del costoso completo.
“Buongiorno Clodagh. Siediti, per favore.”
“Ma Asriel…”
La mano pallida stretta sul pomello, Clodagh esitò sulla soglia mentre spostava lo sguardo dal suo capo fino alla loro visita inaspettata. O almeno era inaspettata per lei, visto che il Capo non sembrava particolarmente sorpreso o agitato mentre la invitava garbato a sedersi con un debole sorriso:
“Questa mattina mi basti tu.”
Anche se non aveva la più pallida idea di che cosa stesse succedendo Clodagh non se la sentì di obbiettare, e si ritrovò a chiudersi lentamente la porta alle spalle mentre i suoi occhi chiari scivolavano dubbiosi sulla loro visita.
Anche Alexandra volse lo sguardo su di lei, osservandola indifferente per qualche breve istante prima di tornare a rivolgere altrove il proprio sguardo, parlando annoiata:
“Peccato. Speravo in quello bello.”
 
Quando Clodagh lasciò l’ufficio un quarto d’ora dopo era totalmente destabilizzata e in buona parte incredula. La strega si fermò davanti alla porta chiusa nel tentativo di rielaborare tutte le informazioni appena assimilate mentre Alexandra Sutton, in piedi accanto a lei, si infilava con noncuranza il lungo cappotto nero.
“Beh, suppongo che ci rivedremo presto. Chi l’avrebbe mai detto…”
Sistematasi i lunghi capelli biondi sulle spalle, l’ex Grifondoro si infilò una sigaretta spenta tra le labbra carnose mentre gettava un’occhiata all’Auror, guardandola dall’alto in basso grazie ai tacchi alti che indossava.
“Già. Chi l’avrebbe mai detto.”
Naturalmente non era la prima volta che le capitava di vedere Alexandra lì dentro, ma in tutte le occasioni precedenti si era sempre trattato di motivi profondamente diversi dalla natura del loro recente incontro. Ancora leggermente frastornata, Clodagh rimase immobile mentre guardava la strega allontanarsi rapida verso gli ascensori, alcune delle parole che Potter aveva pronunciato ancora perfettamente impresse nella sua mente.
Non parlarne con nessuno. Neanche con Asriel.

 
*

 
“Tu… No, aspetta. Mi stai dicendo che Alexandra è venuta spontaneamente al Dipartimento e si è resa disponibile a collaborare per incastrare la famiglia di De Aureo?! È una barzelletta, o cosa?! Ci ha sempre reso la vita impossibile, e quei due hanno persino dei clienti in comune!”
“Ha senso, invece. Era il 14 dicembre, Asriel, il giorno stesso in cui sappiamo che Alexandra ha lasciato Londra per andare in Germania, lo ha confermato anche la sua segretaria… E dai registri delle visite sappiamo che Prospero è andato da lei esattamente quella mattina. Non capisci?! Alexandra ha deciso di farlo dopo che Prospero era andato a fare quella gentile chiacchierata con lei, esattamente lo stesso giorno. Io penso che si sia spaventata, o infuriata, o entrambe le cose. E ha deciso di darci un taglio e di cercare di togliersi l’impiccio di De Aureo.”


Incapace di continuare a restare seduto Asriel si alzò, iniziando a fare lentamente avanti e indietro davanti alla collega mentre si passava nervosamente le mano tra i capelli lisci, gli occhi azzurri puntati sul pavimento.
“Ok, posso capire perché lo ha fatto. Quello che non capisco è perché io non sia stato messo al corrente, perché abbiano incaricato te da sola e soprattutto per quale motivo non ne ho mai saputo niente prima di questo momento!”
Il mago si fermò e si voltò di nuovo verso la collega, scrutandola mortalmente serio dall’alto in basso prima che Clodagh, gli occhi chiari spalancati, si alzasse in piedi guardandolo sgomenta:
“Tu non… Tu non pensi che io possa centrare qualcosa con la sua morte, vero?!”
Asriel non rispose, limitandosi ad osservarla di rimando mentre l’espressione della strega si faceva quasi inorridita: Clodagh dischiuse le labbra, guardandolo sollevando entrambe le sopracciglia, offesa.
“Merlino Asriel, so che sei deluso, ma mi conosci da anni e passiamo fin troppe ore al giorno insieme da non so quanto tempo, non puoi davvero pensare che io abbia a che fare con il delitto!”
“Immagino che tu non avessi nulla da ricavare dalla sua morte, e so che l’unica cosa che avrebbe potuto spingerti ad eliminarla sarebbe stato vederla gironzolare con una borsa fatta di pelle di Snaso, ma non è questo il punto. Perché hanno incluso soltanto te?!”
Asriel incrociò le braccia muscolose al petto, fissando torvo la collega mentre la sua mente vagava lontano, fino a Londra e al Ministero della Magia. Sapeva di non rientrare propriamente nelle simpatie del Capo, ma assegnare un lavoro alla sua partner e estrometterlo totalmente era il colmo. In un primo momento Clodagh, inorridita, fece per chiedere al collega se davvero esistessero borse fatte con pelle di Snaso, ma intuì presto che Asriel aveva semplicemente parlato con ironia e rispose invece alla sua domanda:
“Perché tutti al lavoro sanno quanto tu la detestassi. Il Capo disse che sarebbe stato meglio se fossi stata io, a dover lavorare con lei. Sono andata a Berlino e ho incontrato Alexandra un paio di volte perché mi aggiornasse sulla faccenda di De Aureo e del suo “pacco speciale”, dovevano incontrare entrambi uno dei loro clienti comuni e si sono incontrati, lo so per certo. Ovviamente De Aureo ha mentito, ma non capisco come sapesse che io ero in contatto con lei…”
La strega parlò aggrottando la fronte e distogliendo lo sguardo dal collega, cercando di riordinare i ricordi dei suoi brevi incontri con Alexandra. Avevano parlato di Prospero, ovviamente, ma lei non lo aveva mai visto con i suoi occhi.
“Quello sa sempre troppo, se non fosse che cerchiamo di cogliere irregolarità nel suo commercio da tempo potremmo quasi ingaggiarlo come consulente. Aspetta, quindi è stata Alexandra a mandare quel biglietto anonimo? Quello che parlava di Prospero e della sua “consegna speciale”?! Ma quello è arrivato prima del 14, prima che lei si rendesse disponibile a collaborare…”
Se fossero riusciti a dimostrare che a mandare il biglietto al Dipartimento era stata Alexandra rivolgere un’accusa formale a Prospero sarebbe stato semplicissimo, ma Clodagh mandò all’aria le speranze di Asriel di essere sul punto di chiudere il caso scuotendo cupa la testa:
“Non penso sia stata lei. Glielo abbiamo chiesto, ha negato, e anche se sappiamo che era una bugiarda abituale negare di essere stata lei ad informarci non avrebbe avuto alcun senso, a quel punto. Se non è stata lei, significa che qualcun altro sapeva del lavoro di Prospero.”
“Qualcuno che sapeva della sua presenza sul treno e quella di De Aureo… Qualcuno che ha fatto in modo che sul treno ci fosse un Auror, perché?”
“Penso che Alexandra non sia morta per un impulso momentaneo, Asriel, credo che sia stato tutto accuratamente premeditato. Qualcuno voleva che ci fosse un Auror sul treno alla morte di Alexandra per far sì che si indagasse sull’accaduto e spingerci a credere che fosse stato Prospero ad ucciderla. Sempre che non sia stato effettivamente Prospero, naturalmente, perché non sono ancora sicura di poterlo escludere.”
Asriel annuì, convenendo con la collega. Stavano entrambi riflettendo silenziosamente sul loro ambiguo passeggero commerciante di merce illecita quando un’idea si impossessò improvvisamente della mente di Asriel, che puntò di nuovo gli occhi azzurri sul viso di Clodagh, osservandola dubbioso:
“La maledizione. L’hai messa tu nella valigia?”
Clodagh apparve sinceramente spiazzata da quella domanda, guardando con tanto d’occhi il collega prima di scuotere la testa e incrociare le braccia al petto:
“Che cosa? No, anzi, ero convinta che fosse stato lo stesso Prospero a mettercela… Quando è morta ho dato per certo che fosse stato lui ad ucciderla ed ero anche sicura che Alexandra avesse mentito e che fosse stata lei ad avvisare il Dipartimento, giorni prima… Ma ora non ne sono così sicura. È possibile che non sia stata lei ad informarci e che ad ucciderla non sia stato lui, ma qualcun altro, Asriel.”
“Forse. Ma perché non hai parlato con me e James di tutta questa faccenda prima?!”
“Quando è morta ero assolutamente certa che fosse stato lui, speravo di chiudere la faccenda in fretta senza che tu lo scoprissi e ti infuriassi… e poi il Capo mi aveva chiesto di non parlarne. Mi dispiace, Asriel.”
Clodagh si strinse debolmente nelle spalle mentre gettava un’occhiata speranzosa al collega, quasi pregandolo di non infuriarsi. Asriel avrebbe voluto sbraitarle contro e darle della pessima partner con tutto se stesso, ma la ferrea volontà di chiudere il caso il più rapidamente possibile unita al suo leggero lasciarsi impietosire dallo sguardo rammaricato dell’amica lo spinse a decidere di accantonare momentaneamente la questione:
“Cerchiamo di risolvere questo dannato caso e di mettere da parte la cazzata colossale che hai fatto non parlandomi di questa storia, avrò tempo di arrabbiarmi con te come si deve quando saremo tornati a Londra.”
“Quindi come pensi di procedere?”
“Se scopriamo chi ha scritto al Dipartimento troviamo l’assassino, credo. Concentriamoci su questo.”

 
*

 
Clodagh aveva appena fatto dono a James Jonah Hampton del “Vangelo Secondo Clodagh”, accuratissima guida su come non inimicarsi ma soprattutto arruffianarsi Asriel Morgenstern, quando si presentò davanti alla scrivania del suo partner con un sorriso smagliante sulle labbra e una scatola di cartone fucsia.
“Guarda cosa ti ha portato la tua adorata collega perfetta… Ciambelle!”
La strega sollevò il coperchio come se si fosse trattato del più eclatante numero di prestigio mai concepito, continuando a sorridere mentre Asriel studiava dubbioso prima i dolci glassati pieni di zucchero e poi lei, guardandola sospettoso:
“Che cosa hai combinato? Ti giuro che se mi hai organizzato un appuntamento al buio…”
“No caro, sono venuta a darti una terribile notizia e ho pensato di allietarti con un po’ di zuccheri. Ecco, tieni.”
La strega prese una salviettina, vi avvolse un donut al cioccolato e poi lo porse ad Asriel prima di sedersi come suo solito sul bordo della scrivania del collega, che addentò la ciambella prima di guardare preoccupato il dolce: era davvero deliziosa. E più i dolci che gli rifilava Clodagh erano buoni, più sarebbe stata tremenda la sua incazzatura.
“Allora… Pare che ci sia un nuovo incarico.”
“Oh, fantastico, è da quando abbiamo beccato quella non tanto innocente vecchietta che aveva avvelenato tutti i suoi quattro mariti che non abbiamo niente di interessante da fare. Di che cosa si tratta?”

Asriel parlò guardandola pieno di curiosità e pulendosi le labbra con una salviettina, chiedendosi il motivo delle ciambelle se si trattava solo di un nuovo caso: forse si trattava di qualcosa che detestava. Poteva solo sperare che non si trattasse di un’altra giovane vedova che non lo avrebbe mai preso sul serio e avrebbe passato il tempo a fargli inutilmente gli occhi dolci, procurandogli le solite prese in giro dei colleghi.
Visibilmente a disagio, Clodagh scosse la testa e invitò con un cenno il collega ad addentare nuovamente la ciambella, schiarendosi la voce mentre puntava gli occhi chiari sulle proprie ginocchia: non voleva correre il rischio che Asriel intuisse qualcosa guardandola.  
“C’è un lavoro per me e uno per te, pare.”
“In che senso?”
Asriel smise lentamente di masticare, guardandola incredulo mentre Clodagh, al contrario, continuava imperterrita a fare del suo meglio per non ricambiare lo sguardo del collega.
“Nel senso che Potter vuole che vada da sola, questa volta. A te affiderà qualcun altro.”
“Vuoi dire… vuoi dire che non vengo con te e a me accollano qualcun altro?! Che senso ha, noi lavoriamo sempre insieme!”
“Non questa volta, pare.”
Clodagh accennò un sorriso al collega, che la guardò serio di rimando per un istante prima di alzarsi scostando rumorosamente le gambe della sedia sul pavimento e dirigersi a grandi passi verso l’ufficio del Capo.
“Asriel, no, non fare o dire cose di cui poi ti pentirai… ASRIEL, TORNA QUI! Maledizione, avrei dovuto prendere le patatine…”
 
Clodagh scivolò rapida dalla scrivania e corse dietro al collega, impedendogli di andare ad insultare il loro capo mentre James li guardava incuriosito dalla sua scrivania appena riordinata e dove ora faceva capolino anche il Vangelo Secondo Clodagh. Chissà di che cosa stavano parlando. Li vide parlottare e gesticolare animatamente, infine Clodagh indicò nella sua direzione e Asriel si voltò lentamente verso di lui, gettandogli un’occhiata che fece immediatamente sparire il sorriso dalle labbra di James.

 
*
 

“Ro, io ti voglio davvero molto bene, lo sai, e sto davvero facendo di tutto per estromettere dal mio cervello l’idea che tu possa aver fatto fuori la Panterona di pelli di animali vestita, ma non me la stai rendendo un’impresa facile. Quindi adesso raccontami dettagliatamente di Berlino!”
Delilah accompagnò l’ordine perentorio con un’occhiata truce che fece sorridere l’amico, che annuì rilassatissimo mentre le sedeva nuovamente accanto:
“Mi sorprende che tu non lo sapessi, visto che sei stata in Germania per starle alle costole.”
“Sì, ma non ho potuto seguirla proprio ovunque, come quel giorno in quel posto del cazzo che non mi ha fatto passare… Eri tu la persona che ha incontrato, quindi?!”
“No tesoro, era Clodagh Garvey… Che mi ha seguito fino a salire su questo treno. Devo dire che ci ho messo un bel po’ prima di rendermene conto, è stata brava, ma poi ho parlato con Alexandra, l’ultima volta che l’ho vista, e ho capito.”
Delilah invece no, non aveva capito assolutamente niente. Era un po’ come tornare a lezione di Storia della Magia, quando la voce soporifera del Professor Rüf le friggeva la rete neuronica. Il sorriso di Prospero al contrario si allargò di fronte all’evidente perplessità dell’amica, spiegandole con calma senza smettere di guardarla divertito:
“Clodagh mi seguiva per via del pacco. Alexandra doveva recarsi a Berlino per incontrare uno dei nostri comuni clienti, e questo lo so per certo perché è in quell’occasione che ho avuto modo di incontrarla… ma è stata stupida, perché è venuta a parlarmi, quel giorno. Non mi rivolgeva mai la parola, a meno che non fosse assolutamente costretta a farlo, e dopo la nostra ultima chiacchierata sapevo che non sarebbe mai venuta a parlarmi. Né tantomeno mi avrebbe fatto domande.”
Delilah capì, ripensando con astio alla strega, forse la persona più egocentrica che avesse mai conosciuto, prima di annuire e mormorare piano:
“A meno che non avesse un secondo fine.”
“Esatto, Fogliolina.”
 
 
Berlino
 
Alexandra aveva lasciato la stanza pochi minuti prima, dopo aver ottenuto le firme che le servivano e aver terminato il colloquio. Nel farlo aveva lasciato Prospero De Aureo solo con il loro cliente, come da lui richiesto. Per tutto il tempo in cui erano rimasti nella stessa stanza i due non si erano praticamente degnati di un’occhiata, né si erano rivolti la parola.
Tecnicamente Alexandra aveva adempito ai suoi doveri: avrebbe potuto tranquillamente uscire dall’edificio e di norma era esattamente ciò che avrebbe fatto, ma non quel giorno. Quel giorno si attardò nell’atrio del complesso di uffici dove aveva messo piede circa un’ora prima, aspettando che Prospero la raggiunse.
“Oh, ti sei fermata per salutarmi. Che carina. Non dovevi.”
Alexandra non rispose, limitandosi a voltarsi in direzione dell’ex compagno di scuola tenendo una sigaretta spenta tra le labbra, impaziente di uscire e di poter finalmente fumare. Che cosa si era ridotta a fare, per colpa di quello stronzo.
La strega gli gettò una rapida, pigra occhiata, scrutandolo da capo a piedi e soffermandosi sulla grossa valigia che Prospero si portava appresso, dotata di ben cinque serrature. A giudicare dalla valigia e dal soggetto di cui si parlava, non poteva che contenere qualcosa di molto interessante.
“Interessante valigia. Come mai te la porti ovunque? Qualcosa di interessante?”
Prospero si fermò accanto alla strega, approfittandone per sistemarsi la sciarpa di cashmere blu notte che gli avvolgeva il collo e abbottonarsi con una mano il cappotto a doppio petto, il tutto senza posare la valigia nemmeno per un istante. Le sorrise, guardandola divertito e perfettamente consapevole che così facendo l’avrebbe solo fatta innervosire. L’idea, se possibile, lo allietò ancora di più e contribuì ad allargare il suo sorriso:
“Trovo comodo avere sempre tutto ciò di cui ho bisogno facilmente a portata di mano. Prima ti attardi per aspettarmi, poi mi fai domande sulle mie cose… devi fare attenzione Alexandra, di questo passo potrei anche darmi delle arie e pensare che sto iniziando a fare colpo anche su di te.”
Questa volta Alexandra ricambiò il sorriso, che però non si estese agli occhi chiari della strega mentre osservavano gelidi Prospero:
“Non potrai mai fare colpo su di me. Io lo so da anni, come sei davvero, non scordarlo. Parli con tanto affetto dei tuoi amici, ma dimmi, loro esattamente sanno che cosa combini davvero? O che cosa saresti capace di combinare. Io almeno non mi nascondo dietro a falsi sorrisi e ad una falsa gentilezza.”
“La mia non è affatto falsa gentilezza. Io sono estremamente gentile, educato e amabile, a differenza tua… e tengo molto ai miei amici. Solo, non consiglierei a nessuno, soprattutto a te, di sperimentare la mia compagnia quando non mi va più di essere gentile, educato e amabile. Credo di avertelo già spiegato qualche giorno fa, non insulterò la tua intelligenza ripetendomi, spero che tu non abbia scordato ciò che ti ho detto la scorsa volta. E questa bella valigia, o ciò che contiene, non è affar tuo. Ci vediamo presto, ho altri posti dove andare e oggetti da recapitare.”
Dopo averle fatto dono del sorriso più falso del suo repertorio Prospero superò la strega, rivolgendole un pigro cenno con la mano libera mentre si dirigeva verso l’uscita del palazzo e la bionda lo fissava con astio:
“Spero di no.”
“È reciproco, era solo per essere gentile. Quella cosa che a te è totalmente sconosciuta.”
 
 
*

 
“Questo stupido viaggio mi sta uccidendo, spero almeno che ne valga la pena… Ho appena incontrato De Aureo.”
Alexandra attraversò la stanza con lunghe falcate, lasciandosi infine cadere sul divano imbottito dopo aver appoggiato la pesante valigia accanto a sé. La bionda sospirò stancamente, prendendo una sigaretta dal pacchetto mentre Clodagh si affrettava ad avvicinarsi Appellando con un incantesimo non verbale un rotolo di pergamena e la penna prendiappunti che aveva portato con sé.
“Se tutto va bene, sarà così. Spiegami accuratamene dove vi siete visti e la natura dell’incontro.”
Clodagh sedette accanto ad Alexandra prima di sporgersi verso di lei e strapparle la sigaretta dalle labbra, ignorando la sua occhiata truce e sorridendo amabile mentre si stringeva nelle spalle:
“Detesto il fumo, e non sei qui per rilassarti, ti ricordo.”
“Come se me lo potessi dimenticare. E che razza di posto strano è questo?!”
“È l’ambasciata magica inglese, credevo che una cervellona come te se ne fosse resa conto… Avanti, dimmi di Prospero.”
Alexandra sbuffò, ma il desiderio di uscire da lì il più rapidamente possibile la spinse a collaborare. Quello unito al desiderio di vedere il fastidiosamente perfetto Prospero De Aureo e la sua faccia sorridente finire nei guai, certo.
“Abbiamo dei clienti in comune, e l’ho incontrato poco fa, come avevo immaginato… Non mi ha rivolto la parola finchè non siamo usciti, ovviamente. Mi sono fermata sulle scale di proposito e lui mi ha raggiunta, così gli ho parlato. Per una volta speravo che mi desse corda, e lo ha fatto. Figuriamoci, è troppo compiaciuto da se stesso per non cercare di mettermi a disagio.”
Clodagh non fece caso all’espressione profondamente amareggiata di Alexandra, per nulla interessata alle sue opinioni personali o al suo legame, di qualsiasi assurda natura fosse, con Prospero De Aureo: per quanto la riguardava quei due potevano scannarsi quanto volevano, l’unica cosa che le interessava era fare il suo lavoro. Anche quando, come in quel caso, si trattava di un incarico che non gradiva affatto.
“Ha menzionato la sua visita al tuo studio?”
“Non proprio. Si è detto stupito di rivedermi così presto, e poi ha aggiunto che sperava vivamente che non avessi dimenticato il nostro ultimo incontro.”
Alexandra parlò piegando le labbra carnose in una smorfia, ripensando con astio al suo ex compagno di classe e alla sua recente, inaspettata e totalmente sgradita visita a Londra mentre Clodagh controllava che la penna stesse trascrivendo ogni sua parola.
“Gli hai chiesto il motivo della sua presenza a Berlino?”
“Mi ha detto di essersi solo fermato brevemente prima di dirigersi altrove… ha un pacco da consegnare, ovviamente. Qualcosa di deliziosamente illegale che se venisse scoperto lo farebbe finire nei guai, spero.”

“Forse non dal punto di vista legale, ma di sicuro se si venisse a sapere la sua famiglia perderebbe molti clienti... e avrebbero un cliente molto arrabbiato da gestire.”
Clodagh parlò con tono neutro mentre continuava ad osservare la piuma, senza curarsi del sorriso e dell’espressione sognante che aveva fatto capolino sul viso di Alexandra nell’immaginare i guai in vista per Prospero e la sua famiglia.
“Sarebbe meraviglioso. Non avrei mai pensato di ritrovarmi a collaborare con voi, ma in fin dei conti è decisamente per una buona causa.”
Il tono sprezzante di Alexandra non piacque particolarmente a Clodagh, che smise di osservare distrattamente la penna e le rivolse un’occhiata seccata, lasciando che tutto l’astio e il risentimento che nutriva nei suoi confronti trasparisse dalle sue parole:
“La cosa è reciproca. Stiamo incollati alla famiglia di Prospero da anni ma fino ad ora nessuno è mai riuscito ad incatastarli… Forse questa è la volta buona, e anche se devo avere a che fare con qualcuno che non mi piace affatto e mentire al mio partner io prendo sempre estremamente sul serio il mio lavoro.”
“Pensi che per me non sia così? Nessuno prende il proprio lavoro più seriamente di me, Garvey, la carriera è l’unica cosa di cui mi curo realmente. Ti prego, non iniziare con i sentimentalismi, non me ne frega assolutamente niente del tuo dispiacere perché hai mentito o non so che altro al tuo amichetto del cuore…”
Clodagh si impose di non rispondere, cercando di tenere a mente la posizione che Alexandra occupava nel suo incarico. Era utile per l’indagine, si disse, non sarebbe servito a nulla Schiantarla o farla levitare a testa in giù. Si limitò a scoccarle l’ennesima occhiataccia, per nulla interessata a cercare di nascondere l’antipatia che provava nei suoi confronti, prima di bloccare l’opera della penna incantata.
“Sai, Alexandra, non conosco personalmente Prospero De Aureo e non so di preciso che cosa ti spinga a non sopportarlo. Ma che anche lui non possa vederti, questo lo capisco perfettamente.”

 
 
“Perciò la Panterona aveva deciso di collaborare con gli Auror, ed è stata lei a spingere il Dipartimento a mandare qualcuno a seguirti in giro per l’Europa?”
“Non ne posso avere la certezza, ma suppongo che sia andata così. La mia visita deve averla indispettita. La cosa non mi sorprende, è sempre stata così permalosa…”
Prospero fece spallucce portandosi una mano alle labbra per celare uno sbadiglio, apparentemente per nulla stressato dalla situazione in cui si trovavano mentre Delilah, invece, continuava senza sosta ad arrovellarsi, gli occhi nocciola puntati sul pavimento e la fronte aggrottata.
“Però ancora non capisco la faccenda della… della palla della morte. Mi giuri che non sei stato tu a metterla nella valigia?!”
“Lo giuro. E comunque sono sempre stato con te, ricordi? Poiché non ho ancora sviluppato l’ubiquità, non avrei potuto nemmeno volendo, Fogliolina.”
Prospero le sorrise gentilmente e la strega, anche se dubbiosa, fu infine costretta a credergli: almeno su quell’aspetto era certa che le stesse raccontando il vero, visto e considerato che prima che venisse trovata non erano mai stati a lungo separati.
“Allora chi è stato?! Se l’è messa nella valigia da sola prima di passare al creatore?!”
“No, se l’avesse presa l’avrebbe data agli Auror… O è stata la stessa persona che l’ha uccisa, oppure è stata Clodagh Garvey perché pensava che il colpevole fossi io.”
“Ma allora la persona che l’ha fatta fuori probabilmente sapeva di… di quella roba.”
“Sì, probabile… Ancora non sono riuscito a capire come, ma ci arriverò, abbi fede. Sai, all’inizio è stato davvero divertente, ma ho del lavoro da sbrigare altrove e se non torno a Roma per Capodanno Nonna Filomena mi concerà per le feste, se non si sbrigano a venirne a capo forse sarà il caso di dargli una spintarella.”
Con quelle parole Prospero distese più che poteva le lunghe gambe nello spazio ristretto che li divideva dalla fila di sedili che avevano davanti, si portò le mani giunte in grembo e chiuse gli occhi sotto lo sguardo di Delilah, che fissò sconcertata l’amico come se non riuscisse a credere ai propri occhi:
 
“Ma… Ma ti sembra questo il momento di metterti a ronfare, Ro?!”
“Non sto dormendo, sto pensando!”
“Ah, scusa.”

 
*

 
“Perché dobbiamo, emh, scrivere su questo rotolo di pergamena?”
La piuma che James le aveva offerto in mano, May spostò dubbiosa lo sguardo dal rotolo di pergamena che aveva davanti fino al viso dell’Auror, che le sorrise con il suo consueto fare rassicurante mentre Lenox, seduto di fronte alla bionda, faceva di tutto per non addormentarsi e Elaine, accanto all’amica, celava di continuo sonori sbadigli con le mani curatissime.
“Vogliamo solo dare un’occhiata alle vostre grafie, tutto qui… Basterà che ognuno di voi scriva il proprio nome.”
“D’accordo…”
Accigliata, May tornò a guardare il rotolo di pergamena trattenendo faticosamente l’impulso di chiedere maggiori spiegazioni all’Auror: moriva dalla voglia di sapere di quale utilità potessero essere le loro grafie, ma memore delle numerose occasioni in cui Elaine le aveva suggerito di non lasciarsi prendere dalla sua “curiosità patologica”, come la definiva spesso l’amica, decise di astenersi. Stava scrivendo con cura il proprio nome con la piuma, incantata per vibrare qualora il possessore si sforzasse di modificare il proprio modo di scrivere, quando Elaine, stiracchiandosi, si rivolse a James con un sospiro tetro:
“Potremmo avere una vaga idea di quanto tempo ancora dovremmo passare qui? Non ne posso più di stare seduta…”
“Mi dispiace… Penso che tra un’ora al massimo vi lasceremo andare.”
James rivolse un’occhiata dispiaciuta in direzione di Elaine, che accennò una smorfia piegando all’ingiù gli angoli della labbra carnose prima di prendere la penna e il rotolo di pergamena che May le porgeva:
Un’ora?! Si mette male… Chi è che prima aveva proposto una partita a carte?!”
L’ex Tassorosso scarabocchiò con noncuranza il proprio nome prima di sporgersi verso Lenox e passargli il tutto, rivalutando improvvisamente la possibilità di intrattenersi a carte pur di non morire di noia.
“Temo che il Signor De Aureo stia dormendo, attualmente…”
Prima di imitare le due streghe scrivendo il proprio nome Lenox gettò un’occhiata accigliata in direzione di Prospero – chiedendosi come si potesse dormire tanto pacificamente quando ci si trovava in una situazione del genere – immobile sul suo sedile da una quantità di tempo indefinita, ma subito la voce dell’ex Serpeverde lo corresse:
Non sto dormendo, sto pensando!”
“Grazie al cielo, era immobile da così tanto che per un attimo ho temuto fosse morto…”
Un sorriso sollevato fece capolino sul bel viso di May, che guardò rilassata il mago tornato immobile e in religioso silenzio – mentre Delilah si era inesorabilmente addormentata con la testa appoggiata sulla spalla dell’amico – mentre Elaine, accanto a lei, appoggiava la fronte contro il vetro del finestrino mormorando mestamente qualcosa:
“Qui a breve saremo tutti morti di noia, May.”
“Vorrei dirti che non è il caso di fare certe battute Nelly, ma in fondo hai ragione, sapevo che avrei dovuto portare i ferri!”
May si accasciò affranta contro il proprio sedile, pentendosi amaramente di non aver pensato di portare con sé i suoi fidati ferri per fare la maglia mentre Lenox le scoccava un’occhiata piuttosto perplessa – indeciso se etichettare la strega come un’amante della maglia o una fredda assassina che usava i ferri come armi letali – e Elaine sospirava rumorosamente prima di rivolgere un cupo cenno di assenso in direzione del mago:
“Sì, lei si diverte così. Non le chieda niente o si ritroverà ad un seminario su tutti i tipi di punti esistenti e sulle tecniche per fare la maglia…”
“Guarda che fare la maglia è un hobby fortemente sottovalutato, Nelly!”
“Fortuna che la Sutton è stata uccisa con la magia, o tu e i tuoi ferri sareste in cima alla lista dei sospettati.”
Di nuovo, Elaine sbadigliò, pentendosi amaramente di aver fatto quella pessima battuta quando vide l’amica impallidire e portarsi le mani sul viso, singhiozzando che lei non avrebbe mai fatto del male a nessuno e che voleva solo tornare a casa dalla sua piccola Pearl. La cantante sospirò, affrettandosi a cercare di consolare l’amica e a scusarsi mentre faceva di tutto per non ridere di fronte alla surreale immagine di May Hennings che minacciava e cercava di uccidere qualcuno con uno dei suoi ferri.
“Merlino… Scusa May, scherzavo, qui nessuno pensa che tu possa uccidere qualcuno, sei così gentile e carina! Vero?!”
Mentre massaggiava gentilmente la schiena dell’amica per confortarla Elaine gettò un’occhiata in tralice a Lenox, che si affrettò ad annuire e ad assecondarla prima di iniziare a frugarsi nelle tasche per cercare altro cioccolato:
“Emh, sì certo, non ha affatto l’aria di poter uccidere qualcuno. Vuole un’altra Cioccorana?”

 
*

 
Confrontare le grafie dei passeggeri e dei membri dello staff con la lettera recapitata giorni prima al Dipartimento degli Auror e che i loro colleghi avevano provveduto a fargli avere insieme a tutto il resto non era servito a molto: la lettera era stata scritta a mano, ma la grafia non corrispondeva a nessuna di quelle dei presenti.
I tre Auror quindi non aveva potuto fare altro che rigettarsi nell’attenta lettura di tutte le informazioni di cui disponevano, confrontare le versioni fornite dai passeggeri durante gli interrogatori in cerca di discrepanze e, nel caso di Asriel, cercare conforto in litri e litri di caffè nero.
Il sole era tramontato da diverse ore, cedendo il posto ad una notte gelida e nuvolosa, quando Clodagh sorrise eccitata sollevando un pezzo di carta, risvegliando i colleghi dal torpore:
“Ho trovato qualcosa!”
“Fammi indovinare…”
Asriel sollevò esausto la testa dalla pila di fogli che aveva davanti per lanciare un’occhiata a Clodagh, sistemandosi gli occhiali neri sul naso e reprimendo a fatica uno sbadiglio prima di prendere la sua tazza – riempita per l’ennesima volta di caffè caldo – per il manico:
“La megera incipriata ha avuto a che fare con il processo che ha procurato danni fisici, economici o psicologici al cugino della cognata della sorella di uno dei passeggeri.”
“Il cugino… della cognata… della sorella…”
Troppo stanco per cogliere il sarcasmo del collega, James aggrottò la fronte e si puntellò la matita con i bastoncini di zucchero sul mento per cercare di venire a capo di quell’enigma, ma inutilmente: era davvero troppo tardi – o troppo presto, a seconda del punto di vista – per mettersi a fare ragionamenti di quella natura, e James rinunciò presto a decifrare il filo del discorso di Asriel mentre Clodagh, sorridendo, gli allungava il foglio:
“In parte, sì, ma ancora meglio, perché questo ha a che fare con uno dei nostri cari passeggeri in primis.”
Asriel lesse senza dire una parola sotto lo sguardo di Clodagh e quello avido di sapere di James, che osservò impaziente il collega prima che questi gli allungasse il foglio senza aprire bocca, fissando accigliato la superficie ingombra del tavolo.
“Visto come stanno le cose, direi che posso andare a chiamarlo.”  
Clodagh si alzò sentendosi quasi sollevata di dover andare a chiedere di seguirla ad un passeggero che, ne era sicura, avrebbe capito senza problemi qualunque cosa avesse da dirgli, al contrario dello chef tedesco. La strega uscì rapida dal vagone lasciandosi Asriel e James alle spalle mentre il più giovane, leggendo la lettera, spalancava sorpreso gli occhi azzurri:
“Cavolo, questo è davvero… inaspettato. Pensi che possa essere stato lui?”
Il più giovane guardò curioso il collega, che sbuffò piano prima di appoggiarsi stancamente allo schienale del sedile e gettare la penna sul tavolo.
“Non lo so.”
 
*
 
Clodagh aveva fatto ritorno poco dopo con uno dei passeggeri, visibilmente teso e preoccupato, al seguito. Uno dei passeggeri che, in effetti, Asriel conosceva meglio.
L’Auror aveva guardato tetro il suo unico ex compagno di Casa presente sul treno entrare insieme alla collega e sedersi di fronte a loro per la seconda volta, ascoltando senza fiatare quello che avevano da dirgli prima di ritrovarsi costretto, suo malgrado, ad ammettere ciò che aveva accuratamente omesso di raccontare fin da quando l’indagine aveva avuto inizio.
 
 
 
“Quindi Finn Murphy stava facendo seguire Alexandra da settimane e ha comprato il biglietto perché era venuto a conoscenza della sua presenza qui.”
Dopo il loro lungo e snervante colloquio con Finn Asriel si era premurato di scortarlo personalmente fino alla sua cabina in III classe, intimandogli seccamente di chiudersi dentro prima di tornare, sempre più esausto, dai colleghi. Una volta fatto ritorno nel vagone ristorante, il mago si lasciò nuovamente scivolare sul sedile che aveva occupato per tutta la sera prima di gettare un’occhiata sconsolata al proprio orologio da polso e all’orario vergognoso in cui ancora erano costretti a lavorare.
“Sì, il Dipartimento ha fatto controllare le case dei passeggeri inglesi, e a quanto pare i nostri colleghi hanno trovato della corrispondenza tra lui e un investigatore privato che al momento stanno cercando di rintracciare senza successo. Pare che abbia informato Finn della presenza di Alexandra sul treno prima di sparire nel nulla. Almeno ha ammesso subito di essere salito sul treno solo ed esclusivamente per seguirla, ma è stato stupido mentire e nascondercelo… qui è l’unico ad essere già stato incriminato e ad aver passato del tempo in cella, questo non contribuirà a metterlo in buona luce.”
Clodagh parlò stringendosi nelle spalle mentre James, seduto accanto a lei, si strofinava stancamente gli occhi e Asriel, sbuffando, giocherellava distrattamente con la propria piuma:
“Non aveva molta scelta, a quel punto, è stato decisamente meglio confessare. Giura che la stesse seguendo solo per cercare qualcosa di scottante, un po’ come faceva la Yaxley, per il libro di denuncia sul sistema giudiziario che sta scrivendo. Il che può anche essere credibile, ma potrebbe anche averla seguita per ucciderla.”
“O magari non voleva farlo prima di salire sul treno, ma poi… hanno discusso, ha perso il controllo e l’ha uccisa?”
James faticò a scandire le parole a causa dell’ennesimo sbadiglio, ormai rinunciando a fingere di essere perfettamente sveglio e in parte poco consapevole di ciò che gli usciva dalle labbra.
“Non penso che sia andata così, penso che tutto sia stato programmato con cura… Perché prendere le sembianze della sua ex se non si aveva intenzione di ucciderla? Chiunque sia stato voleva che Alexandra non si facesse problemi a farlo o farla entrare nella sua cabina e voleva ucciderla.”
“Ma Finn ci ha mostrato il biglietto, riporta la data e l’ora in cui è stato acquistato, lo ha comprato appena prima che il treno partisse, era a tanto così dal perderlo… Come ha fatto a premeditare tutto, se ha saputo della presenza di Alexandra a bordo appena in tempo per poter comprare un biglietto?”
“Forse lo sapeva già e ha preso il biglietto all’ultimo apposta per dare quest’impressione, Clo.”
“Sì, ma che mi dici della Polisucco? Corinne Leroux sembra sicura che lui non si sia mai avvicinato a lei. E dovrebbe anche aver rubato la pozione dalla cabina di Delilah Yaxley. Come faceva a sapere della pozione?!”
“Non ne ho idea. Entrambi la seguivano, che Finn si fosse accorto di Delilah e sapesse di quello che si portava appresso? Non lo so, ma penso che si stia facendo davvero troppo tardi per continuare a pensarci, di questo passo non andremo da nessuna parte, stanotte. Propongo di chiudere i passeggeri nelle loro cabine e di fare altrettanto per riprendere domani mattina. Cioè tra poche ore.”  

“Mozione accolta…”     
James annuì, si alzò e trascinò i piedi verso quella che credeva essere l’uscita ma che era invece la cucina, lasciando che Clodagh lo pilotasse gentilmente verso la direzione corretta tenendolo per le spalle mentre Asriel si alzava gettando un’occhiata critica al disastro di fogli, calamai e piume che aveva preso possesso di quasi metà del vagone.
“D’accordo, dormiamo tre ore e poi riprendiamo, lasciamo le cose qui e chiudiamo la porta a chiave così nessuno potrà entrare, nemmeno il personale, mi sono fatto dare tutte e tre le copie esistenti.””
 
 
 
Quando i tre raggiunsero il vagone dove avevano fatto radunare i passeggeri fu con scarsa sorpresa che trovarono alcuni di loro già profondamente addormentati: Delilah farfugliava nel sonno frasi sconnesse che avevano a che fare con “francesi”, “sospette”, “gatti” e “Panterona”, Corinne dormiva senza essersi resa conto che Loki, il gatto di Clara, le si era acciambellato sulle ginocchia e May sonnecchiava appoggiandosi alla spalla di Elaine.  Tutti parvero molto sollevati nel sentirsi dire di essere finalmente liberi di andare, e Elaine cercò di svegliare l’amica il più gentilmente possibile, scrollandola piano:
“May, svegliati, possiamo andare nelle nostre cabine finalmente.”
 
Se la bionda aprì quasi immediatamente gli occhi e, sorridendo sollevata, una volta compresa la situazione si affrettò ad alzarsi, lo stesso non si poté dire di Delilah, che mise a dura prova la pazienza di Prospero mentre l’amico cercava inutilmente di svegliarla. Prima tentò gentilmente, ma dopo alcuni minuti di vani tentativi il mago iniziò a scrollare l’amica tenendola per le spalle:
 
“Cecil, non rompermi!”
Gli occhi ancora chiusi, Delilah agitò una mano e quasi assestò un ceffone involontario all’amico, cercando invano di girarsi sul fianco mentre Prospero, spazientito, passava all’ultima spiaggia assestandole un leggero pizzicotto sul braccio:
“Non sono Cecil, sono Ro, svegliati o ti lascio qui!”
“AHIA! Perché l’hai fatto?!”
“Perché non riuscivo a svegliarti, Aurora!”
“Io?! Ma se sono rimasta sveglia e vigile per tutto il tempo, che scemenze vai dicendo, pf!”
La strega si stiracchiò prima di alzarsi, sbadigliare e dirigersi verso l’uscita cercando di appiattarsi i capelli neri sotto lo sguardo profondamente esasperato dell’amico, che alzò gli occhi al cielo prima di alzarsi e seguirla all’esterno del vagone, ancora perfettamente sveglio e vigile.
Di dormire Prospero non ne aveva alcuna intenzione, a prescindere da che ora fosse.
L’ultima ad uscire dal vagone fu Elaine Fawley-Selwyn. La bella strega, tuttavia, dopo aver aspettato che tutti i presenti la precedessero all’esterno, si fermò sulla soglia piazzandosi seria davanti agli Auror, guardandoli impassibile:
“Se per voi va bene, avrei delle cose da dirvi, signori.”
Asriel guardò l’ora, dopodiché riportò lo sguardo sulla strega, che ricambiò imperscrutabile il suo sguardo. Era una fortuna che fossero nel bel mezzo di un’indagine, che lui si trovasse in veste ufficiale e soprattutto che mai e poi mai si sarebbe sognato di affatturare una donna senza motivo, altrimenti per lei quella notte non si sarebbe conclusa nel migliore dei modi.
“Beh, il suo tempismo è veramente ammirevole, Signorina Fawley-Selwyn, non c’è che dire.”
Esattamente come quando l’avevano interrogata Elaine non sembrò farsi minimamente tangere dal tono sarcastico o dallo sguardo torvo dell’Auror, osservandolo seria di rimando e limitandosi a sollevare leggermente le curatissime sopracciglia ramate:
“Eravamo chiusi dentro dall’esterno, Signor Morgenstern, anche volendo non avrei potuto venire spontaneamente a chiedervi di ascoltarmi prima di questo momento.”
Disgraziatamente Asriel dovette riconoscere – silenziosamente, s’intende – che la strega aveva ragione, e si limitò a sbuffare piano prima di gettare un’occhiata cupa in direzione di James e Clodagh, entrambi con gli occhi fissi su Elaine.
“Voi due andate pure, non è necessario che restiamo tutti.”
“Sei sicuro?”
No, Asriel non era sicuro, avrebbe anzi voluto mettersi a dormire in quello stesso istante, ma preferiva privarsi di un’altra mezz’ora di sonno e avere dei colleghi leggermente più riposati piuttosto di avere a che fare con degli zombie, quindi annuì e borbottò cupo un assenso:
“Sì, dormite un po’, ci aggiorniamo tra qualche ora. Venga, Signorina Fawley-Selwyn.”
Elaine detestava profondamente il suo cognome, l’unico elemento della sua vita che ancora la legava ai suoi genitori, ma si guardò bene dal correggere l’Auror per evitare di infastidirlo prima di tornare a sedersi mentre lui, dopo averla seguita all’interno del vagone, si chiudeva a porta scorrevole alle spalle.

 
*
 

“Di che cosa pensi che debba parlare Elaine con Asriel?”
“Non ne ho idea, ma sarà la prima cosa che gli chiederò dopo aver dormito un paio d’ore, prima che mi si spappoli definitivamente il cervello. Ma se sarà qualcosa di grave ce ne accorgeremo, stanne certo, Asriel farà tremare il treno.”
James annuì, conscio che la collega avesse ragione, mentre lui e Clodagh si fermavano davanti alla porta della sua cabina, nel vagone deserto e silenzioso della I classe. Il ragazzo esitò prima di aprire la porta con la magia e entrare, rivolgendosi all’amica. Non era sicuro di che cosa volesse dire, ma fortunatamente Clodagh lo precedette, sorridendogli gentilmente come faceva sempre:
“Prometto che domani ti spiegherò, JJ. Spero di non aver deluso te e Brontolo.”
“Non credo che saresti mai in grado di farlo, e parlo anche per lui. Magari il fatto che tu gli nasconda qualcosa può ferirlo, ma solo perché ti vuole bene, non deluderlo.”
Clodagh gli sorrise prima di abbracciarlo, stringendolo con affetto e assicurandogli che fosse “il ragazzo più dolce del mondo” mentre James, imbarazzato, arrossiva copiosamente. Profondamente lusingato ma allo stesso tempo poco avvezzo ai complimenti, balbettò un ringraziamento prima che Clodagh lo lasciasse andare, sorridendogli di nuovo mentre gli stringeva entrambe le spalle con le mani:
“Allora buonanotte. Cioè, è già mattina, ma sai cosa intendo. Ci vediamo tra poco, cerca di dormire un po’.”
“Sì, ci proverò. Non ho trovato Alpine, probabilmente è da qualche parte a cercare di architettare un piano per liberarsi di Zorba e farsi adottare da Asriel.”
James gettò un’occhiata malinconica al vagone deserto mentre Clodagh si allontanava ridacchiando, per nulla consapevole che l’amico non stesse affatto scherzando ma che fosse invece assolutamente serio.

 
*
 

“Di che cosa mi vuole parlare, Signorina Fawley-Selwyn? Sa qualcosa su qualcuno degli altri passeggeri?”
“No, non conosco la maggior parte di loro e non ho alcuna informazione da darle. Ciò che voglio dirle riguarda me.”
Elaine era tornata ad occupare lo stesso sedile di poco prima, solo che questa volta di fronte a lei invece di Lenox sedeva Asriel, che la osservava attentamente tenendo le gambe accavallate e le mani strette sul ginocchio destro.
“Quando mi avete interrogata ho accennato al fatto che, in tempi abbastanza recenti, ho avuto indirettamente a che fare con la vittima per via di un processo che ha coinvolto la mia famiglia… Ma non sono scesa nei particolari.”
La strega fece una pausa ma Asriel decise di non interromperla, limitandosi ad osservarla mentre l’ex Tassorosso aggrottava leggermente la fronte e distoglieva lo sguardo, quasi avesse bisogno di concentrarsi o di farsi forza per raccontare quella storia. Infine, dopo qualche istante di silenzio, la strega si schiarì la voce e riprese a parlare con lo stesso tono fermo di sempre:
“Vi ho accennato al fatto che mio zio, Armand Duplessis, fece causa ad un medico per negligenza.”
“Sì, è corretto. E Alexandra lavorava per il suddetto medico.”
“Sì.”
Elaine annuì con un appena percettibile cenno del capo, interrompendosi di nuovo prima di gettare un’occhiata fuori dal finestrino. Sono in quel momento si rese conto di averne mai parlato ad alta voce con nessuno, prima di quel momento. Nemmeno con May. Cercando di non pensare dolorosamente a suo zio, costretto a passare il primo Natale senza sua zia da solo, Elaine si sforzò di continuare il racconto:
“Per me è difficile parlarne, Signor Morgenstern, e ho preferito non scendere nei particolari della vicenda. Ma a fronte dei recenti sviluppi, che mi hanno dato modo di appurare che molti degli altri passeggeri hanno mentito o omesso parti di verità e che lei e i suoi colleghi alla fine siete comunque riusciti a scoprire il quadro completo, ho pensato di risparmiarle la fatica e di raccontare spontaneamente ciò che ho omesso la scorsa volta.”
“Non si trattò di semplice negligenza, il medico fu radiato dall’albo e si risparmiò una pena più consistente solo perché la Signorina Sutton gli consigliò caldamente di accettare il patteggiamento. Mio zio fece causa perché la “negligenza” ha portato alla morte di sua moglie, la sorella di mia madre.”
“Perché me lo sta dicendo? Lo sa che possiamo considerare questa storia un movente, vero?”
“Ne sono consapevole, ma sono anche troppo intelligente per negare a me stessa che presto avreste finito col scoprirlo da soli, e a quel punto per me sarebbe stato peggio.”
Asriel la guardò stringersi nelle spalle, seria come sempre. All’improvviso l’Auror si chiese se l’avesse mai vista sorridere o mostrare una qualsiasi emozione particolare attraverso la mimica facciale. La risposta sarebbe stata negativa, ma Elaine, quasi percependo i suoi pensieri, vi porve rimedio accennando un debole sorriso con le labbra:
“E poi, Signor Morgenstern, sarei davvero l’assassina più sciocca del mondo se venissi a spiattellarle il mio movente in faccia, non crede anche lei?”

 
*

 
Quando Asriel, poco più tardi, congedò Elaine e fece finalmente ritorno nella sua cabina in I classe erano quasi le tre del mattino. Dopo aver chiuso a chiave la porta l’Auror accese la luce e si avvicinò al letto con un sospiro tenendo Zorba in braccio dopo aver trovato il gatto impegnato a gironzolare liberamente e a curiosare per il treno.
Il mago sedette sul materasso prima di appoggiare il gatto sul pavimento, sorridendogli debolmente e accarezzandogli la testa prima di sfilarsi le scarpe e abbandonarsi supino sul letto inchiodando gli occhi azzurri sul pavimento. Era stanco, sì, ma come spesso gli succedeva quando si trovava nel pieno di un’indagine allo stesso tempo troppo preso dal caso per dormire.
Quello appena passato era stato di gran lunga il peggiore e più assurdo Natale della sua vita. Bloccato su un treno con un cadavere – sul quale avevano lanciato un incantesimo per conservarlo prima di coprirlo – a poca distanza, un mare di passeggeri che non raccontavano la verità e i suoi colleghi. Tra i quali la sua stessa partner abituale, e persino lei era riuscita a nascondergli qualcosa, si ritrovò a constatare amareggiato e anche un tantino ferito.
Chissà se anche Hampton nascondeva qualcosa, si domandò assorto l’Auror, ma subito dopo l’immagine dell’innocente volto sorridente del suo giovane collega si fece nitida nella sua mente, e si disse con un tiepido sbuffo che l’unica cosa che quel ragazzo sarebbe mai stato capace di nascondere era una scorta di caramelle, probabilmente.
“L’anno prossimo andrà meglio, vero Zorba? Porca Priscilla, lo spero proprio.”
Aveva spesso immaginato, nei mesi precedenti, come sarebbe stato il primo Natale senza suo padre. Di sicuro tutti gli scenari che aveva finito con il figurarsi, tutti ugualmente deprimenti, non avevano minimamente raggiunto il livello di atrocità che la realtà era riuscita a fargli toccare.
 

 
*

 
Alla fine gli Auror si erano visti costretti a “liberare” i passeggeri per la notte, intimando a ciascuno di loro di chiudersi nelle proprie cabine dall’interno.
Prospero De Aureo però non dormiva: se ne stava disteso sulla brandina tenendo gli occhi scuri inchiodati al soffitto, più attenti e vigili che mai. Le mani pallide intrecciate e poggiate sul petto, Prospero stava riflettendo e di dormire non gliene importava, in fondo avrebbe avuto tutto il tempo di farlo una volta lasciata la Germania e quel maledetto treno nello specifico.
Merlino, non aveva intenzione di rimettere piede in quel dannato paese per un bel po’ di tempo, dopo quell’assurdo viaggio.
 
Quando il costosissimo orologio svizzero del mago segnò le due del mattino Prospero De Aureo si sollevò, mettendosi a sedere sul letto e destando così dal sonno Kiki, il suo gatto, che aveva avuto la malaugurata idea di acciambellarsi ai suoi piedi. Il felino miagolò stizzito e saltò giù dalla brandina prima di scrollarsi e andarsi a sistemare in un angolo della cabina, profondamente offeso con il padrone.
Ma Prospero De Aureo non ci fece caso. Anzi, sorrise nell’oscurità della sua cabina.
 
Erano le quattro del mattino del 26 dicembre, Alexandra Sutton, la strega più insopportabile che avesse mai avuto la sventura di incontrare, era morta da quattro giorni. E lui credeva di sapere chi l’aveva uccisa.




 

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