À rebours

di bimbarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I tornei che si perdono ***
Capitolo 2: *** Un giorno perfetto ***
Capitolo 3: *** Il Nord è un ricordo ***
Capitolo 4: *** Favolacce ***



Capitolo 1
*** I tornei che si perdono ***


DISCLAIMER: in questa storia il pairing principale è formato da Jamie e Sansa, se a qualcuno non piace, potete scegliere altro

 

 

 

 

 

 

 

Si svegliò con la gola che gli faceva male per l'urlo intrappolato in essa, e la prima cosa che vide fu la luce.

La luce di un'alba bianchissima, che inondava Approdo del Re come se fossero tutti inzuppati in una coppa di latte. Un'alba dolce e densa, che faceva quasi male.

Soprattutto se credevi di essere appena morto.

 

Ser Jaime stava vomitando l'anima da ben due giorni. La servetta che stava rimediando a quello scempio, che nutriva una sacra paura dei cervi ma dei leoni ancora di più, non era riuscita a tacere comunque quel fatto curioso, di un uomo che era stato in salute fino al giorno prima e che adesso non si reggeva in piedi nemmeno per proteggere il Re.

“Secondo te ce la farà a partecipare al torneo per il compleanno del principino Joffrey?”

La sua compagna, al servizio della regina Cersei, fece una faccia strana, mentre continuava a pulire una montagna di padelle con frenesia nervosa.

“Dovrà farlo. Ho sentito che l'intera corte ha scommesso in suo favore. I Tyrell anche se ci danno da mangiare, nessuno li sopporta.”

Non ebbero tempo di proseguire oltre. Il re quel giorno era di ottimo umore, chiuso nelle sue stanze con un'intera compagnia di sgualdrine, e ogni volta servivano due o tre persone per portare tutto il vino necessario. Il giovane Lancel smaniava già sulla porta in attesa.

“Sto aspettando. E se aspetto io vuol dire che aspetta anche il re.”

Un leone senza criniera questo Lannister, che ruggiva borioso solo con le sguattere, i servi e i nani, lo sapevano tutti nella Fortezza Rossa.

E il Re non fu di ottimo umore solo quel giorno, anche se stavolta il vino c'entrava poco.

Al torneo per il compleanno del suo primogenito, un pugnale di acciaio di Valyria appartenuto niente di meno che al Maestro del Conio aveva trovato posto nell'armeria reale.

 

“Non te la prendere per quello stupido torneo. Rimani comunque il miglior spadaccino di Westeros.”

Tyrion stava giocando con la coppa piena di vino nel modo che usava quando doveva addolcire scomode verità con soavi bugie, facendola roteare in gesti lenti, ipnotici, felini.

Tuttavia se sperava di tirare su il morale del fratello maggiore con i suoi trucchi dialettici si sbagliava. Jaime era pallido, smunto, con gli occhi lucidi di chi non sia molto presente a sé stesso. Non lo aveva mai visto così abbattuto, e in quel momento si rese conto che c'era dell'altro.

Jaime era come se avesse subito un cambiamento, un cambiamento repentino come una frana interiore, uno smottamento dell'intera sua personalità.

“La regina e i suoi figli seguiranno nostro padre a Castel Granito, magari un po' di sana solitudine potrebbe giovarti.”

“Potrebbe, si.”

Quasi il Folletto si strozzò con la bevanda dorata di Arbor che stava trangugiando.

Quella frase e il riferimento a Cersei avrebbero dovuto svegliarlo, scatenare la sua frustrazione per il fatto di dover stare lontano dalla loro dolce sorella per qualche mese, invece...invece Jamie lo pensava davvero.

Pareva quasi furiosamente indifferente.

“Ah, sei qui fratello. E c'è anche lui.”

Tyrion si meravigliò, piuttosto che sentirsi ferito, di come la voce di Cersei potesse passare così repentinamente da un tono dolce e sensuale ad uno pieno di veleno non appena si accorse della sua presenza.

“Sono dove sono sempre stato, dolce sorella.”

Mai e poi mai Jamie si era rivolto con tale gelo verso la sua gemella, e la cosa dovette sorprenderla perché si fermò di botto senza altre ingiurie o cattiverie verso quello che considerava la nemesi della sua vita.

Tyrion li osservò, come sempre affascinato da quanto si somigliassero, con la luce del tramonto che rendeva quasi di un giallo impossibile i loro capelli, e donando ai suoi invece una sfumatura quasi spettrale, bianchissima. Da piccolo ricordava che faticava a riconoscerli, soprattutto quando Jamie non si tagliava i capelli per lungo tempo. Le cose erano cambiate quando il loro padre si era accorto che giocavano scherzi ai giardinieri e septon scambiando le loro identità fino a spaventarli. Da allora Jamie era diventato l'erede di Castel Granito e Cersei aveva cominciato ad indossare gonne scarlatte imparando a fare la civetta per il suo futuro marito.

“Sparisci, voglio parlare da sola con Jamie.”

Ci mise un po' a capire che stava parlando con lui, si sentiva immerso in una strana sensazione simile alla melassa.

“Dovresti essere più gentile con nostro fratello.”

Di nuovo quell'emozione che gli impastava la lingua. Jamie che prendeva le sue difese. Jamie che sceglieva lui e non Cersei. Qualcosa di impossibile stava accadendo davanti ai suoi occhi.

“Non importa,” tossicchiò.

Doveva uscire di lì e scolarsi un'intera caraffa di vino. C'erano molte cose da festeggiare.

 

Varys spostò il piccolo coperchio in pelle per scoprire lo spioncino.

Un fascio di luce simile ad una lama lo colpì sul volto prima di riuscire a focalizzare lo sguardo sulle due persone all'interno della stanza.

“Che cosa ti è preso prima? Non dirmi che quel...quel mostriciattolo è riuscito a metterti contro di me.”

“Non chiamarlo così. È nostro fratello che ti piaccia o meno, e in mia presenza d'ora in poi voglio che ti rivolga a Tyrion come si conviene. Spero di essermi spiegato.”

Varys strinse ancora di più la cintura di seta dell'abito sfarzoso in cui era avvolto.

Per un attimo il silenzio fu quasi una creatura viva tra i due gemelli Lannister, tanto che Varys si accorse di star quasi trattenendo il fiato in attesa -di cosa?- poi la regina bionda di Robert scrollò le spalle riempiendosi una coppa di vino rosso.

“Non voglio parlare di quel mostr...di nostro fratello, sarebbe uno spreco di tempo.” Si avvicinò languida al gemello, e anche se il Maestro dei Sussurri era abituato ad altro di ben più grave di un semplice incontro sessuale tra consanguinei, il rapporto tra quei due leoni gli metteva sempre un brivido di disagio nella schiena, come se invece che un incesto stesse assistendo ad un rituale cannibale. “E di tempo non ne avremo molto per mesi dopo che sarò partita per Castel Granito. Quindi che ne dici se ti facessi dimenticare quello stupido torneo come solo io posso fare?”

Anche da dietro un muro Varys si rese conto dell'esatto momento in cui quell'approccio venne spietatamente demolito dall'uomo, che si allontanò come se avesse accanto una manticora o un essere simile, piuttosto che la Luce dell'Ovest.

“Non credo sia opportuno. Sai cosa succederà se ci scoprono? Hai idea delle conseguenze terribili di quello che stiamo facendo?”

“Fino a poco tempo fa non avevi di questi scrupoli. Avresti mosso guerra al mondo intero pur di stare con me.” Varys sospirò di piacere nel sentire quel tono di smarrimento.

A lui la Luce dell'Ovest non era mai piaciuta. I suoi sguardi ed interessi avevano sempre puntato ad est.

Jamie cominciò a spogliarsi lentamente, ma ben lontano, notò il capo delle spie del regno, dalle grinfie della sorella.

“Tu mi stai nascondendo qualcosa, lo sento.”

“Non capisco a cosa ti riferisci, dolce sorella.”

L'attenzione di Varys si ridestò, mentre quel compiacimento inopportuno veniva accantonato per metterlo da parte ed usarlo nei momenti di sconforto che infestavano ogni essere umano prima o poi nella vita, persino un uomo come lui.

“Non dirmi che hai paura di Robert?”

“Robert, dici? Oh no, tuo marito fa paura a pochi, tipi come Lancel intendo. Sono gli altri che temo, e dovresti temerli anche tu.”

“I leoni non temono nessuno.”

Varys quasi sentì sulla pelle del naso lo strano sospiro di Ser Jamie da quanto era vicino adesso allo spioncino nascosto, tanto che si sforzò quasi di non indietreggiare.

“Dolce sorella, credimi, ci sono parecchie persone che dovresti temere, e più vicino di quanto tu possa pensare. Persone per cui noi, i Lannister di Castel Granito, siamo solo pedine. E poi,” l'uomo sparì dalla vista ridotta di Varys che riusciva solo a sentirne il timbro piatto, sinistro, “là fuori esistono creature, oh Cersei, creature che sono capaci di liberarti gli intestini soltanto udendole avvicinarsi da lontano, nel freddo.”

“Ma cosa stai dicendo, Jamie? Forse dovrei chiamare quell'idiota di Pycelle e farti dare qualcosa. Stai delirando.”

Un caldo refolo estivo sferzò delicatamente le gonne dell'abito del Maestro delle Spie, paradossalmente mettendogli i brividi.

Quando il volto di Jamie Lannister ricomparve nel suo campo visivo, l'acuta sensazione di allarme che provava da qualche giorno si intensificò.

Si stavano preparando guai, proprio ora che il ragazzo al di là del Mare Stretto era quasi pronto a prendere il posto che lui, Varys, con l'aiuto di Illyrio ed altri, gli avevano coltivato per anni.

E dire che aveva sempre pensato che Ser Jamie fosse quello più innocuo del branco, uno stupido che ragionava poco, il cui unico talento era usare la spada come un dio certo, ma incapace di giocare al gioco dei giochi dove la spada era più un mezzo che un fine.

Adesso, guardandolo bene in faccia, forse per un gioco di luci ed ombre e chissà cos'altro, pareva il custode di tutti i segreti del mondo, la chiave di una conoscenza senza prezzo, e di conseguenza il rivale più temibile con cui avesse mai avuto a che fare.

Coprì lo spioncino con cura, accertandosi che non ci fosse nessuno in giro, specialmente un certo Maestro del Conio.

Sapeva benissimo che anche Ditocorto stava imbastendo i suoi piani per puntare al trono, piani che coinvolgevano la sua pericolosa relazione con Lysa Arryn, ma non si rendeva nemmeno conto, Baelish, che ragionare con il cazzo portava sempre, sempre ad una disfatta.

Fortunatamente per lui, questo tipo di pericolo non lo aveva mai corso.

 

Come ogni notte ormai da tempo faceva lo stesso sogno.

Cullato dal rollio della nave che li stava riportando a casa da Dorne, abbracciava Myrcella come il padre che non era mai potuto essere per lei quando, abbassando gli occhi, si rendeva conto che la ragazza dal vaporoso abito rosa non era più lei.

Il biondo dei suoi capelli, il famoso biondo Lannister che si pensava Lann l'Astuto avesse rubato addirittura al sole stesso, brillava di una sfumatura ramata.

Poi due occhi verde-azzurri come il mare del Tramonto lo fissavano dolci.

“Padre, che avete?” gli chiedeva gentile quella Myrcella che non era Myrcella.

Avrebbe voluto parlare, chiederle chi fosse, ma lei sorrideva e basta, con un sorriso strano, serio eppure tenue, freddo eppure liquido, un sorriso mai appartenuto ad un Lannister.

Infine, come sempre, la voce nella sua testa, quella che lo aveva riportato indietro dai Sette Inferi il giorno della distruzione di Approdo del Re per mano di Daenerys Targaryen, cominciava a cantilenare avvertimenti, minacce, consigli.

Così doveva andare, e così andrà. Sei qui per riscrivere la storia.

 

Si svegliò come al solito sudato, spaventato, in preda al terrore meraviglioso di avere ancora la mano destra attaccata al polso.

A volte si chiedeva quale fosse la realtà, quella vera che stava vivendo o quella in cui aveva combattuto i non-morti, visto la capitale distrutta ed incontrato Brienne.

Brienne.

Chissà dov'era, forse a Tarh, o a Capo Tempesta a sognare Renly.

Si passò una mano tra i capelli, di nuovo lunghi e biondissimi e senza nemmeno un filo grigio, per poi trasalire al suono delle campane del Tempio di Baelor.

Ricordava quella giornata, con quello stesso insolito caldo appiccicoso e un cielo di una sfumatura azzurrissima, inquietante.

Il giorno in cui tutto era cambiato.

Jon Arryn era appena morto.

 

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Capitolo 2
*** Un giorno perfetto ***


“Secondo te prima di morire avrà parlato?”

Così aveva apostrofato Cersei appena lo aveva raggiunto nel Tempio di Baelor, mentre le Sorelle del Silenzio spandevano profumi e incensi attorno al cadavere di quello che fino a pochi giorni prima era il secondo uomo più potente del regno.

“Se fosse così adesso le nostre teste sarebbero sulle mura di Approdo del Re infilzate ad una picca.”

Quella scena non gli era nuova, tranne che quella frase l'aveva pronunciata lui, una volta, in un'altra vita fa.

“Non dovresti essere così serena. La Fortezza Rossa, nonostante le leggende su Maegor, non è stata costruita per tenere al sicuro i segreti.” Jamie non poté fare a meno di notare quanto Cersei fosse bella quando accantonava le preoccupazioni che sorgevano invariabilmente nella vita di corte. E Jon Arryn era di sicuro una preoccupazione accantonata. “Anzi, più questi segreti sono pericolosi, più è facile scoprirli.”

“Robert ha intenzione di andare al Nord, e proporre al suo amichetto di Grande Inverno di fargli da Mano del Re. Avrei voluto che lo avesse chiesto a te.” Sua sorella aveva scrollato le spalle all'accenno dei suoi avvertimenti. Ora aveva occupazioni più serie. “Dovrai accompagnarci, non sopporterei di stare lontana da te per così tanto tempo, lo sai.”

Si ricordava anche questo, così come il fatto che fosse stato pronto con tutto sé stesso a rassicurarla, una volta. Adesso la sola idea di tornare al Nord e rivedere quei luoghi infernali gli ribaltava lo stomaco.

Eppure sapeva che sarebbe dovuto andare, per mantenere un giuramento perso nel flusso del tempo dove il passato e il futuro non esistevano, oppure se esistevano erano intrecciati come le labbra di due amanti.

Un giuramento che riguardava una donna, la protezione delle sue figlie e la promessa di non alzare mai più la spada verso la sua casata e quella del lord suo marito.

E i Lannister pagavano sempre i loro debiti.

 

Sansa avrebbe voluto restare sotto le coperte ancora un altro po', il calore che l'avvolgeva e la coccolava sospirava persino dalle pareti piene di acqua termale per renderla languida e pigra.

Inoltre Septa Mordane per quella mattina aveva previsto una lezione di calcolo ed economia con Maestro Luwin, e lei era pessima in quel campo, al contrario di Arya.

Un raggio di sole di un giallo grigiastro afferrò il suo letto, come un invito ad alzarsi e fare il proprio dovere.

“Mi piacciono i numeri,” sua sorella era incontenibile come al solito, “se avessimo dovuto anche cavalcare oggi, sarebbe stato il mio giorno perfetto.”

“Sono felice di sentirtelo dire, piccola Arya.” Maestro Luwin cincischiò le dita con il tintinnante anello dorato della sua enorme catena. “Sai questo come l'ho ottenuto? Applicandomi e diventando un esperto proprio del loro mondo, e di quali regole seguono. Cose che anche voi due dovrete imparare.”

Sansa sbuffò, chiedendosi se anche Jonquil avesse dovuto affrontare la matematica.

“Scommetto che la bellissima Jonquil non era costretta ad imparare cose così noiose.” Jeyne aveva una strana espressione in viso mentre rispecchiava i suoi stessi pensieri, un'espressione che non si confaceva di certo ad una lady, quindi per vergogna Sansa da quel momento si impegnò come non mai a seguire la lezione. Un giorno avrebbe sposato un nobile, molto probabilmente del nord, e avrebbe dovuto amministrare il suo castello. I numeri e le loro regole si sarebbero rivelati fondamentali per un tale compito.

Improvvisamente però Maestro Luwin fu chiamato per un'urgenza -era sicuramente arrivato un corvo con notizie importanti- e tutte loro furono mandate da Septa Mordane per la lezione di ricamo finalmente.

Fu solo nel tardo pomeriggio, quando il sole era diventato grigio come il metalupo nello stemma degli Stark, che sentì rumori e chiasso provenire dal cortile.

“Sansa! Sansa! Presto corri!” La voce di Arya, che era scappata a metà della lezione, risuonò per tutti i corridoi altrettanto grigi di Grande Inverno. Pareva eccitata come non mai.

“Ti ho sempre detto che le signorine non usano questo tono. E non schiamazzano davanti al lord loro padre.”

Eddard Stark, le sue guardie, i suoi due fratelli Bran e Robb e il giovane Theon erano stranamente radunati nel cortile, in braccio degli involti sospetti che si muovevano uggiolando.

Improvvisamente a Sansa venne freddo, ma non un freddo brutale e pericoloso, più che altro un freddo famigliare, protettivo e puro.

“Hanno trovato dei meta-lupi, Sansa, uno per ciascuno dei figli del lord nostro padre.” La voce di sua sorella se poteva era divenuta ancora più squillante. “Vieni a vederli, sono bellissimi. Anche Jon ha il suo, ed è tutto bianco.”

Sansa cercò di rallentare il passo mentre si avvicinava ai cavalieri con i cuccioli di meta-lupo, eppure sentiva montare dentro di sé un'eccitazione mai provata prima, un senso di euforia che non sapeva fosse adatto o meno ad una lady.

Tuttavia quando fissò gli occhi gialli di uno dei cuccioli, una femmina che se ne stava buona buona avvolta nel mantello di Jory Cassel, qualcosa in lei si cristallizzò, si indurì, si ramificò e divenne saldo, come un castello di neve dentro il cuore.

“Ecco, mia lady, questo credo che sia adatto a voi,” Jory, il capo delle guardie del lord suo padre, si chinò verso di lei, avvicinandole quella piccola palla di pelo grigio chiaro, come se fosse fatta di neve scura.

“Posso prenderla, padre?”

Ned Stark annuì tra il rassegnato e l'orgoglioso che anche la sua figlia più introversa mostrasse così vivo interesse per le creature selvagge simbolo della loro famiglia.

Tuttavia quel giorno il sole non tramontò senza che un'altra notizia sconvolgente arrivasse a gettare la corte di Grande Inverno in uno stato di euforica agitazione.

Quasi a Sansa mancò il respiro non appena venne a sapere che il Re, la Regina, e buona parte delle loro dame e cavalieri erano in viaggio per la dimora degli Stark, e che già sua madre e tutti gli attendenti stavano preparando gli accorgimenti per accogliere un serraglio di tali proporzioni.

Finalmente anche lì, al nord del continente, sarebbero giunti bardi, poeti, belle sete e profumi, e lei avrebbe potuto ascoltare le canzoni e le ballate dai cantori della Regina stessa.

Oh, avrebbe visto la Regina!

Si diceva che fosse bellissima, e che avesse un fratello gemello bello quanto lei e un altro invece che aveva avuto la malasorte di nascere nano.

Arya infatti non parlava che del Folletto, e se era vero che anche un leone in miniatura poteva ruggire.

Per quanto riguardava lei, andò subito nelle sue stanze, seguita a ruota da una Jeyne eccitata quanto lei, e si provarono tutti i vestiti che possedevano cercando di scegliere il migliore con cui presentarsi ai sovrani.

Si, quello azzurro con il colletto impellicciato, sarebbe stato perfetto per il banchetto serale. Era il più bello che avesse, cucito con preziose sete che venivano da oltre il Mare dei Brividi, a oriente, e che starebbe stato benissimo con i capelli intrecciati come era usanza lì al nord.

“A proposito, come la chiamerai?”

Jeyne stava fissando il cucciolo accoccolato ai piedi del letto della sua nuova padroncina, che le guardava indeciso se addormentarsi o continuare ad osservare i loro lazzi e chiacchiere da adolescenti.

Sansa ci pensò bene, i meta-lupi erano creature libere, selvatiche, fiere della loro stessa natura. Eppure la sua piccola amica pareva così tranquilla, non addomesticata, questo no, bensì placida e fiduciosa di aver trovato qualcuno disposto a prendersi cura di lei, anche se in un castello fatto di mattoni e muri piuttosto che lande innevate che si perdevano oltre l'orizzonte.

Si, quel cucciolo sarebbe cresciuto tra dame beneducate e cavalieri onorevoli.

“Lady, la chiamerò Lady.”

 

Una vita prima aveva fatto quel tragitto verso il selvaggio nord in perenne frustrazione, dovendo assistere mentre Robert ogni sera si buttava su Cersei dentro quel dannato carro a due piani che trasportava la famiglia reale. Frustrazione che lo aveva condotto a quel gesto che ora, per tantissimi motivi di differente natura, odiava con tutto sé stesso.

Se lo ricordava, il piccolo Brandon Stark, gli occhi azzurri spalancati mentre si stava chiedendo se dovesse temere più lui o il vuoto, gli stessi occhi azzurri che gli avevano trapassato l'anima quando anni dopo si era presentato a Grande Inverno per combattere con i vivi e il bambino di otto anni che aveva reso storpio era diventato colui che aveva memoria di ogni evento del passato e di qualche spicchio di futuro.

Adesso, per una assurda legge del contrappasso, era lui, Jamie, ad avere la conoscenza di eventi già vissuti, un carico che lo stava distruggendo.

Ogni giorno si chiedeva il perché, il perché a lui, proprio a lui, fosse stata data una simile possibilità, o piuttosto una simile responsabilità.

E poi, chi era stato? Chi aveva avuto un tale potere di riavvolgere il nastro della vita?

Per caso i Sette, o il Dio infuocato di Essos, o persino quei rinsecchiti alberi-diga che Stark adorava tanto?

Stark.

Jamie se lo ricordava ancora, davanti al bordello di Ditocorto, accasciato dopo la sua furibonda incursione dovuta al rapimento di suo fratello, e la sua voglia di vendicarsi non solo per Tyrion ma per tutte le volte che era stato chiamato con quel soprannome detestabile -sterminatore di re- per colpa dei giudizi spocchiosi e affrettati che era stato pronto a gettargli addosso -ad un ragazzino di diciassette anni!- sporcandolo per sempre.

E ora avrebbe dovuto di nuovo vedere la sua faccia, avrebbe dovuto vedere quegli occhi grigi e freddi come quelle dannate terre dimenticate dagli dei accusarlo daccapo, e magari anche provare a difendere la sua dannata famiglia prima che si scannassero a vicenda.

 

 

 

Prima di tutto vorrei ringraziare chi ha letto e apprezzato questa storia, avere dei lettori a cui piace quello che scrivi è l'energia che serve per andare avanti, per cui avete tutta la mia gratitudine.

Ora veniamo ai disclaimer: forse lo avrete già capito, ma ho tenuto in considerazione sia gli avvenimenti dei libri che quelli della serie, senza contare che per alcune cose mi sono presa delle licenze poetiche necessarie alla trama, Spero che la cosa non vi infastidisca.

Grazie ancora

 

 

bimbarossa

 

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Capitolo 3
*** Il Nord è un ricordo ***


I lunghi capelli bianchi dell'essere intrecciato all'albero-diga che lo fissava con quel suo unico occhio rosso di tenebra scendevano fino a toccarne le radici.

Valar Dohaeris, Sterminatore di re. Perché se è vero che tutti gli uomini devono morire, è vero anche che tutti gli uomini devono servire, persino l'empio che ha alzato la spada verso il sovrano che aveva giurato di proteggere. Và Jamie Lannister, riscrivi la vita, riscrivi la morte, riscrivi la storia. Prima che la lunga Notte cali sul mondo.”

In quel momento a Jamie, sospeso tra il sonno e la veglia, sembrò di cadere da una grande altezza, forse da una torre del nord, o da un muro di ghiaccio che piangeva, o addirittura da uno di quei famigliari strapiombi che erano le scogliere di Castel Granito.

Si ritrovò madido di sudore nel grande letto messo a disposizione dai Darry nel loro viaggio verso nord, il cuore che gli scoppiava nel petto e quell'orribile sensazione attaccaticcia di vertigine che si prova stando sulla soglia di un burrone. Chissà se era questo quello che aveva provato Brandon Stark dopo che lo aveva scaraventato nel vuoto.

Eppure tutto ciò apparteneva ad una vita precedente, una vita che si era dipanata attraverso una dimensione temporale sconosciuta, scollata, che non poteva chiamarsi presente né tanto meno passato. La caduta di quel ragazzino era sospesa nella sua mente, il suo piccolo corpo ancora fanciullesco che galleggiava nei suoi ricordi diventati della stessa sostanza di vecchie profezie. Stava bene, il figlio di Eddard Stark, sicuramente in questo momento al calduccio nel suo letto, protetto da quei lupi giganti che accompagnavano i figli del signore di Grande Inverno.

Una caduta che, promise a sé stesso con ancora addosso il terrore di chi si risveglia da un brutto incubo, questa volta non sarebbe mai avvenuta.

 

Grande Inverno era esattamente come la ricordava la prima volta che ci era stato, stemmi e vessilli Stark, Baratheon e Lannister ovunque, e poi lo stesso sottile freddo che ti entrava dentro solo di sera, mentre si accampavano per la notte, un freddo ancora debole, immaturo, in attesa.

Ed eccoli, gli Stark, tutti in fila nei loro semplici e spenti mantelli foderati di pellicce, impettiti come lame e incuranti di quello strano vento proveniente da nord che metteva a Jamie brividi lungo le gambe e in fondo alla schiena.

Se li ricordava a stento. Nell'altra vita, quella che aveva già vissuto, era stato troppo occupato a pensare a Cersei, a fissare Cersei, a desiderare Cersei, per anche minimamente considerare interessanti delle persone che vivevano in un luogo così ameno e grigio, lontano dagli splendori dorati del Sud.

Ora però quelle erano improvvisamente diventate persone da proteggere, persone da cui dipendeva il suo onore. Onore che era diventato la strada che Jamie voleva perseguire a dispetto di tutto, della sua famiglia, del suo passato, e molto probabilmente del suo futuro.

Lady Catelyn lei si che se la ricordava, alta e impettita, gli zigomi dei Whent che le davano un'espressione severa ma di una severità che raramente andava fino in fondo, e quella criniera di capelli rosso fango che gli era rimasta impressa fin da subito, quando giovane e pieno di ideali aveva fatto visita a Delta delle Acque smanioso di conoscere il Pesce Nero e le sue avventure vissute nella Guerra dei Re da Nove Soldi.

Fu un pensiero minuscolo, frivolo, un granello di consapevolezza senza significato, ma Jamie si ritrovò ad ammettere che forse, se suo padre non avesse scelto Lysa ma la figlia maggiore di lord Hoster come futura sposa per il suo erede, Cersei avrebbe dovuto faticare molto di più per convincerlo ad entrare nella Guardia Reale e rinunciare a tutto quello a cui era destinato.

Quei vaneggiamenti scomodi e ormai inutili si spezzarono dentro di lui non appena il re fece il suo ingresso nel cortile; senza nemmeno togliersi l'elmo quell'idiota di Robert, faticando come il barile che era, scese da cavallo dirigendosi verso l'amico ignorando chiunque altro, e pretendendo poi, una volta finite le presentazioni, di portare i suoi rispetti alla sorella di lui nelle misteriose cripte del maniero.

Praticamente dovette trascinare via una Cersei furiosa, per essere stata per l'ennesima volta snobbata e sostituita alla ragazza Stark morta da tempo.

Spero che i vermi l'abbiano divorata con gusto, gli sussurrò digrignando i denti.

Portare alla mente Lyanna Stark era sempre stato faticoso per lui. Una ragazza bruna, pallida, la luna in confronto al sole che era Cersei all'epoca, inoltre non aveva avuto il tempo di soffermarsi per davvero su di lei, Aerys lo aveva spedito a sorvegliare un palazzo reale mezzo vuoto subito dopo averlo legato alla sua persona per sempre; l'ultimo dei suoi pensieri era mettere gli occhi su un'insignificante fanciulla del nord che non aveva niente a che fare con la sua vita.

Ancora adesso si chiedeva come avesse fatto a stravolgere le esistenze di così tante persone, e la risposta finora non era mai arrivata.

 

Il banchetto serale fu la stessa identica noia della prima volta.

Robert che si dava da fare con tutte le servette che gli capitavano a tiro, Ned Stark con il suo irreprensibile viso lungo, e poi quella gente del nord, così senza filtri nei comportamenti sboccati ma pronta subitamente a mettersi una maschera fredda, di pietra, quando ti rivolgevano la parola. O ti trovavano sul Trono di Spade con ai piedi un re cadavere.

Tanto valeva guardarsi intorno, quindi. Rivivere la storia poteva essere un buon incentivo per osservare le cose da un altro punto di vista.

Dalla piattaforma sopraelevata dove mangiavano la famiglia reale e gli Stark poteva osservare in basso i figli di questi ultimi seduti in una delle tavole più vicine alla pedana degli ospiti d'onore.

Tutti rossi di capelli come la madre tranne una, la minore delle figlie femmine, se ricordava bene. D'un tratto proprio la suddetta prese un cucchiaio, e con un slancio lo tirò addosso alla sorella più grande.

La maggior parte degli astanti che avevano visto la scena si mise a ridere mentre lady Catelyn gettò un'occhiata significativa a quello che sarebbe diventato il Giovane Lupo, Robb, che prese per le braccia quel mostriciattolo di ragazzina pestifera portandola via; Jamie dal canto suo si sorprese a provare una sorta di patetica tristezza per Sansa Stark, gli ricordava un po' Tyrion e tutte le angherie sopportate per mano di Cersei, angherie che lui raramente aveva impedito.

Con un scatto si alzò, il banchetto improvvisamente non più noioso, e proprio per questo insopportabile.

Avvicinandosi alle grandi porte di legno di quercia e ferro, si fermò indeciso. Nell'altra vita era uscito da quelle principali che davano sul cortile, dopo aver punzecchiato l'irreprensibile lord Eddard rinfacciandogli il suo carattere grigio e tetro; per ripicca invece, ora che aveva avuto il dono di poter fare altre scelte e prendere altre vie, fece proprio questo, dirigendosi sul retro lungo un corridoio debolmente illuminato.

All'inizio fu solo un'eco, come un guaito pietoso di un cucciolo di animale, solo poi divenne una specie di singhiozzo, un singulto di una ragazzina appena umiliata davanti ad un'intera corte dalla sorella più piccola.

Sansa Stark stava cercando freneticamente di pulirsi l'abito macchiato, e nel contempo strofinarsi la guancia, ormai pulita ma rigata di lacrime.

“Mia signora,” la chiamò piano, per non spaventarla.

“Ser Ja-Jamie. Credevamo che foste al banchetto.” Si guardava intorno, l'amica dai capelli scuri che le stava sempre appiccicata addosso improvvisamente sparita.

“In realtà stavo cercando proprio voi. Di là stanno suonando una canzone, una melodia molto bella e nevvero anche un po' triste, e sapete, mia lady, siete la compagna ideale per ballarla.”

Ad aiutarlo, in quel medesimo attimo, le parole del ritornello arrivarono fino a loro chiare e nette, come se avessero seguito il lungo corridoio scuro appositamente per cercarli.

Ho amato una fanciulla rossa come l'autunno, il bardo aveva una bella voce ammise Jamie, con il tramonto nei capelli.

“Posso?” le sfiorò una ciocca sfuggita alla treccia, di un rame più chiaro di quello di sua madre, pallido come una foresta di querce nella tarda estate.

Forse tutto quel freddo del nord aveva sottratto un po' di fuoco al rosso dei Tully.

La vide arrossire, mentre da vera signorina ben istruita nelle arti femminili accennava un passo di danza tra le sue braccia.

“La vostra bellezza è pari a quella di vostra madre, se posso permettermi.” Che male c'era a regalarle un po' di complimenti? Molto presto quella ragazzina avrebbe avuto un assaggio di ciò che era davvero la corte di Approdo del Re, grazie a Joffrey. E a Cersei.

“Siete molto gentile, Ser.” Balbettava quasi, una dama fatta e finita, eppure c'era qualcosa di duro in lei, piccolo e duro, qualcosa che l'aveva di sicuro aiutata a sopravvivere durante “l'ospitalità” avuta dai Lannister nell'altra vita, la stessa fibra di resilienza che aveva sostenuto lui in quella cella piena di merda in cui era stato tenuto durante la sua cattività a Delta delle Acque.

“Mio nipote sarà un re molto fortunato ad avere una regina come voi al suo fianco.”

“Davvero lo pensate, Ser? Prego che il lord mio padre accetti, è la cosa che desidero di più al mondo.”

Gli occhi le brillavano. Occhi di un azzurro profondo e trasparente come acqua di fiume.

“Se lo farà sarà sicuramente una fortuna per voi, mia lady.” Ad un tratto non aveva più voglia di prendere in giro la figlia di Ned Stark. Voleva solo uscire da quel dannato castello e respirare un po' d'aria pulita. “Adesso è meglio che io vada. Un cavaliere della Guardia reale deve innanzitutto stare vicino al suo re, no?”

Robert poteva volere tutto, tranne il fiato del suo amato cognato sul collo, rifletté tuttavia con un sogghigno interiore.

Fuori, nel cortile, se respiravi abbastanza profondamente potevi liberarti presto dell'odore pesante delle candele, dei corpi ammassati e di quello del corpo di Cersei. Sempre lei, sì, sempre lei.

Il cielo era una volta scurissima, di un blu talmente denso da sembrare quasi viola, e le stelle erano talmente tante, e di un bianco così brillante, che potevi facilmente confonderti e credere che fossero fiocchi di neve, una glaciale tempesta di neve sospesa in alto, sopra le teste di tutti loro.

Non poté farne a meno Jamie Lannister. Finalmente solo con i suoi pensieri e ricordi, si permise di guardare a nord, verso la Barriera e oltre.

Forse era solo la sua immaginazione, ma un leggero ed innaturale chiarore si innalzava dall'orizzonte settentrionale, come il respiro di un esercito di fantasmi, un esercito pronto a piombare addosso a chiunque avesse avuto la stoltezza di ignorare la loro esistenza.

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Capitolo 4
*** Favolacce ***


Fu un'alba piuttosto fredda quella che accolse gli uomini d'armi, il re e gli Stark pronti per la battuta di caccia nella Foresta del Lupo.

Jamie in un primo momento aveva pensato di unirsi a loro, per evitare tentazioni pericolose, torri diroccate e bambini con la tendenza all'arrampicata. Non che i sentimenti per Cersei fossero quelli di una volta, era abbastanza sincero con sé stesso per ammetterlo, ma l'attrattiva che esercitava su di lui non si era esaurita, e aveva il vago sospetto che non sarebbe mai morta del tutto.

Nell'altra vita Cersei lo aveva pregato di unirsi ai cavalieri pronti per la battuta di caccia, ma lui non aveva voluto sentire ragioni, si era comportato da impulsivo come sempre, e Brandon Stark era rimasto storpio per questo.

Forse trovare suo fratello e passare del tempo con lui gli avrebbe evitato di commettere azioni che si sarebbero rivelate il meccanismo scatenante per una guerra tra casate, perciò si diresse verso la biblioteca di Grande Inverno, dove era sicuro di trovarlo.

“È strano che tu mi raggiunga qui. Pensavo che i tuoi interessi fossero rivolti altrove.”

Arrampicato su una sedia che sembrava particolarmente comoda, Tyrion stava sfogliando un grosso volume su come spezzare assedi a castelli impossibili.

“Ti do per caso fastidio, fratello?”

“Assolutamente no.” Tyrion intanto si stava scolando una coppa di vino dell'estate. Il profumo di frutta arrivava persino al naso di Jamie.

“Sai, ieri sera ho fatto una strana conoscenza durante il banchetto, nientemeno che il bastardo di Ned Stark. Un ragazzo insolito, quel Jon Snow. Di sicuro ha sangue Stark, anzi, chiunque sia la madre sembra non avergli lasciato molto addosso. Ah, l'ultimo sorso è il più buono.” Tracannò le gocce di vino rimaste sul fondo attentamente, per non macchiare il libro che stava leggendo. “Mi piace.”

“Cosa? Il vino o Jon Snow?”

“Entrambi.” Stiracchiò le corte gambette e si mise comodo sulla sedia. “Tu, invece? Ad un certo punto della serata te ne sei andato.”

Jamie pensò a Sansa Stark, e al fatto che nell'altra vita lei e Tyrion si fossero sposati; una ragazzina non più grande di Tysha, e che per questo avrebbe potuto aprire o chiudere ermeticamente nei suoi confronti l'anima di Tyrion. Jamie non sapeva come sarebbe potuto andare, perché nell'altra vita Joffrey era morto, Tyrion processato e la sua giovane moglie scappata chissà dove.

“Mi sono imbattuto nella figlia più grande di Stark, sicuramente un incontro meno divertente del tuo.”

“Forse,” Tyrion prese un altro tomo, uno sulla regina Alysanne, “ma adesso dimmi, caro fratello, che cosa ti sta sconvolgendo? Sono mesi che sei strano. Forse è colpa della nostra dolce sorella? L'hai finalmente vista per quello che è?”

Una volta, nel mondo parallelo che aveva considerato realtà fino a poco tempo prima, Tyrion non si sarebbe mai permesso di chiedere delle domande simili, Jamie lo sapeva bene. Forse questa nuova esistenza aveva dato del coraggio anche al Folletto.

“Sconvolto, dici? Noi Lannister non ci sconvolgiamo facilmente. Neanche dalla neve in estate.”

Si voltarono tutti e due verso una delle finestre della biblioteca, il vetro giallastro che creava un alone ambrato grazie ai fiocchi bianchi che cadevano leggeri dall'altra parte.

“Ci pensi mai, fratello, che molta gente ad Approdo del Re non ha mai visto la neve?”

Tyrion, una volta fuori nel cortile caracollò verso la parte più vecchia del maniero, seguito da un Jamie che sapeva benissimo dove si stava dirigendo.

Era lì che aveva trovato Brandon Stark, al suo ritorno a Grande Inverno per lottare con i vivi, ad aspettarlo davanti a quell'inquietante albero-diga nel silenzio ovattato e freddo di quei giorni terribili.

Il parco degli Dei.

Entrare in quella parte del castello l'aveva sempre messo a disagio.

Alberi scuri e alti sfidavano i fiocchi di neve a volteggiarvi attorno, come delle ballerine danzanti bianchissime.

Quel posto non era per loro. Quel posto non era per nessuno tranne che per uno Stark, Jamie se lo sentiva addosso. Così come si sentiva addosso gli occhi dell'albero bianco al centro del parco, persino le sue lacrime rosse come sangue sembravano furenti, arrabbiate verso degli estranei che avevano invaso un territorio proibito.

“Guarda Bran, c'è qualcuno vicino all'albero del cuore!” Una vocetta infantile ma rude echeggiò improvvisamente nell'aria bianca, fitta di neve. Mai come in quel momento a Jamie ogni fiocco sembrava uno diverso dall'altro.

Come gli Stark, pensò divertito, prima mi sembravano tutti uguali.

Adesso invece poteva benissimo distinguere Brandon e Arya Stark, che li avevano quasi raggiunti.

Portavano entrambi delle spadine di legno, e la ragazzina anche un elmetto di sottile metallo in testa.

“Sono il Leone e il Folletto!”

Quello che era in realtà un sussurrò diventò un boato grazie alle folate di quel vento insopportabile, gelido.

“A quanto pare siamo stati scoperti.” Suo fratello aveva un tono tra il divertito e il cospiratorio. “Se ci tratterete con clemenza ci arrenderemo spontaneamente.”

Jamie non poté trattenersi dal ridere vedendo le facce buffe dei ragazzi Stark, e si rese conto che era tantissimo tempo che non rideva.

“Stavamo giocando al duello. Come fanno i veri cavalieri.” La neve tra i capelli di Brandon Stark li faceva sembrare ancora più rossi, come le foglie dell'albero che pareva li stesse osservando là vicino, guardingo e paziente. “Un giorno anche io diventerò un cavaliere, anzi, un membro della Guardia Reale come te, Ser Jamie.”

“Se verrai al Sud con tuo padre e le tue sorelle, mio fratello potrebbe davvero farti vedere le gioie e i sacrifici di una vera Guardia Reale.” Tyrion si era rivolto al ragazzo ma era lui che stava guardando, come a sfidarlo a dire qualcosa.

Le parole però a Jamie Lannister gli si erano congelate in gola.

“Soprattutto sacrifici, sì, quelli sì, ragazzino,” riuscì però a rispondere, con una lentezza che non gli apparteneva. “Come membro della Guardia Reale non avrai moglie, né famiglia, né possedimenti. Se sarai capace di rinunciare a tutto questo potrei anche prendere in considerazione l'ipotesi di farti mio scudiero.”

L'aria intorno a loro era di ghiaccio ma Jamie pensava solo che in un modo o nell'altro il destino beffardo tramite la sua mano, Brandon Stark nell'altra vita aveva comunque perso ogni possibilità di avere una donna, dei figli e una dimora tutta sua.

“Jamie, non spaventare il ragazzo, o quel grosso lupo che si porta dietro potrebbe decidere di non stare più fermo nell'ombra, laggiù. Vedo come mi guarda, vorrebbe fare di me la sua cena, ci scommetto.”

Fu solo allora che si accorse delle due creature grigie nascoste dalla neve che turbinava irrequieta.

I loro occhi splendevano come monete dorate.

“Nymeria e il meta-lupo di Bran non vi farebbero mai del male.” La ragazzina aveva una faccia tra l'irritato e il divertito. “Cosa state facendo qui?”

“Stavamo osservando l'albero-diga. È piuttosto singolare, pare che ti osservi.” Suo fratello Tyrion si strinse nelle pellicce calde.

“Alcuni dicono che sia il volto di Brandon il Costruttore.” Arya Stark aveva un tono saputo. “E che da qui protegge la sua famiglia e i suoi discendenti da migliaia di anni.”

“Senti senti, non male come storia. Noi Lannister ci siamo accontentati solo di caverne piene di leoni e lingotti d'oro.”

“Forse dovremmo tornare dentro. Ci sarà una burrasca, e anche se durerà poco, le tempeste di neve estive sono pericolose.” Il piccolo Brandon stava accarezzando il collo del suo meta-lupo, che uggiolava tra l'estatico e il guardingo. “Se arriviamo in tempo possiamo trovare la vecchia Nan nella sala grande con la merenda e le sue storie spaventose.”

“A me piacciono le storie spaventose. Siamo invitati anche noi?”

Tyrion si stava già avviando verso il chiuso, il caldo e il cibo.

Jamie non dovette nemmeno entrare per sentire l'odore di focacce al miele, panetti imburrati e torta al limone. Vicino alle panche dove la sera prima si era festeggiato il loro arrivo ora c'erano poche persone, più che altro servette, bambini e vecchi. Robert, per la sua battuta di caccia, si era portato al seguito tutti gli altri.

Fu sorpreso invece di trovare due teste bionde già pronte per buttarsi sulla merenda.

“Myrcella! Tommen! Vostra madre vi ha lasciato uscire dai vostri appartamenti per mescolarvi alla gente del nord?” Tyrion lo chiese con tale leggerezza nella voce da non riuscire offendere i ragazzi Stark che stavano ascoltando.

“Mamma ha detto che possiamo restare e mangiare. E anche per sentire le storie dei giganti e dei Figli della Foresta.”

La vecchia raggrinzita che sedeva al tavolo con loro, avvolta in varie coperte spesse per ripararsi “le vecchie ossa” sorrise. Jamie notò che le mancava la maggior parte dei denti.

“Mentre mangiate vi racconterò tutte le storie che vorrete.”

“Anche quelle che fanno paura?”

Brandon Stark aveva addentato una fetta di torta al limone.

“Certo, mio piccolo figlio dell'estate, ma lascia qualche pezzo di quella a tua sorella Sansa. Ci raggiungerà molto presto insieme alla graziosa Jeyne.”

Jamie si sentiva strano. Avrebbe dovuto e voluto essere da qualche altra parte, qualsiasi altra parte, con Cersei, con i cavalieri di Robert e Stark a caccia di cinghiali e lupi, oppure da solo, a meditare di come fosse contro natura essere lì, a Grande Inverno e pensare a tutti i modi del mondo per non buttare un ragazzino da una torre scatenando una guerra.

Però, nonostante tutto questo, si sentiva bene, insopportabilmente allegro, liberato da scomodi pesi sulle spalle, non importa se un'orda di mostri a poche leghe da lì stesse avanzando inesorabile e nessuno ne sospettasse nemmeno l'esistenza; adesso era al caldo, circondato da marmocchi, cibo caldo nello stomaco e una tempesta di neve attorno.

La fine del mondo poteva aspettare.

“Volete che vi racconti la storia del cuoco ratto?” La vecchia sdentata parlava con voce roca, come se nella sua gola ci fossero tante ragnatele, e intanto sferruzzava energicamente. “Un cuoco pieno di risentimento per un re andalo venuto in visita al Forte della Notte che lo aveva offeso decise di vendicarsi, preparando un piano diabolico per ottenere la sua rivincita. Questi con uno stratagemma riuscì ad uccidere il figlio, e poi lo servì cucinato e speziato al re. Rise molto, dentro di sé, pensando di avere finalmente ottenuto la sua vendetta, ma fu tremendamente punito per il suo misfatto, e gli dei lo trasformarono in un orribile topo bianco dalla fame insaziabile, condannato a divorare i suoi stessi figli.”

I bambini era tutti ammutoliti, anche se i giovani Stark si vedeva che avevano già ascoltato quella storia molte volte.

“Ben gli sta, a quel cuoco cattivo. Non avrebbe dovuto uccidere e cucinare il povero figlio del re.” Tommen giustamente si sentiva tirato in causa.

“Mio piccolo figlio dell'estate, gli dei non punirono il cuoco per il suo delitto di sangue, ma per l'aver violato le sacre leggi dell'ospitalità. Credetemi, questo agli occhi degli dei e degli uomini è un crimine ben peggiore. Guai e sventura agli scellerati che dovessero commetterlo!”

“Parole sagge, vecchia.” Tyrion stava ridendo addentando un panino, mentre a Jamie si era gelato il sangue nelle vene.

Nell'altra vita, quella in cui suo padre era stato ben felice di benedire il massacro che erano state le Nozze Rosse, si poteva facilmente affermare che la sua famiglia si fosse attirata le peggiori sventure addosso per quella complicità, e da come era andata a finire, erano stati puniti tutti quanti.

Ebbe una fugace visione del lord suo padre, che a cena vicino allo stufato di cipolle e al vino di Dorne, divorava la sua mano destra, o la lingua di Tyrion e gli occhi verdi di Cersei.

Ancora e ancora, per l'eternità.

“Che storie paurose raccontate qui al Nord. Lady Sansa, piacciono anche a voi?”

Myrcella scosse i riccioli dorati nel fare un cenno di benvenuto alla ragazzina Stark appena entrata.

Ho fatto e disfatto re. Sansa Stark è la mia ultima possibilità di recuperare l'onore.

Questo aveva detto a Brienne, una vita fa, affidandogli Giuramento.

Forse era per questo che ogni volta che la guardava in faccia, in quegli occhi azzurri trasparenti come acqua, sentiva qualcosa, come se qualcuno, non sapeva bene chi, lo chiamasse da molto lontano, ripetendo il suo nome alla stregua di una forma di incantesimo, o di una preghiera.

“Lady Stark, accomodatevi,” si alzò compitamente dalla panca per farle posto, a lei e alla sua amica, e cercò di non sorridere vedendole arrossire entrambe.

“Naturalmente no, a me piacciono le canzoni dei bardi, o le gesta eroiche narrate dai poeti, mia principessa.”

“Non è vero! Sei una bugiarda, anche a te piacciono le storie di paura della vecchia Nan!”

“Sta zitta, Arya!”

“È la verità. Ti ricordi quando giocavamo nelle cripte, con Jon e Robb pieni di farina che ci volevano spaventare pensando che fossero dei fantasmi? Ti sei divertita anche tu, ammettilo, nonostante ti sia spaventata come Bran.”

“Sì, è vero, dopo ci siamo ritornati più volte, a giocare nelle cripte.” Il ragazzino, Brandon, stava appollaiato sulla panca proprio come un corvo scuro.

“Che strani che siete voi Stark. Giocare in posti del genere. Più coraggiosi di te, fratello, quando ti buttavi dalle scogliere di Castel Granito.”

Jamie, a quel ricordo, avrebbe potuto giurare di sentire nelle narici il profumo della schiuma marina, un sentore simile a quello intimo di Cersei.

“Ser Jamie, da Castel Granito si vede il mare, vero? Potreste descriverlo?”

La piccola Sansa possedeva una voce armoniosa, dolce, che invogliava a risponderle.

“Il mare, dite? È vasto, sembra senza fine, e cambia colore, a volte blu come i vostri occhi, oppure nelle giornate nuvolose grigio e scuro come quelli di vostra sorella. Ma la cosa migliore è che davanti al mare è facile, persino troppo facile, sognare.”

Tutti lo stavano guardando, forse per il tono che aveva usato.

“Un giorno governerò una barca, con un equipaggio tutto mio, e salperò verso il Mare del Tramonto per vedere cosa c'è ad ovest di Westeros.”

“Il lord nostro padre ti farà sposare ad un suo alfiere, Arya, o ad un nobile del Sud. Dovrai governare il suo castello, non una barca.”

“Non ci penso proprio, Sansa. Io e Jon ci imbarcheremo insieme a Nymeria e Spettro, vedrai.”

Era strano sentire parlare di futuro i ragazzi Stark, anzi, era quasi nauseante. Sapere che di lì a poco le loro due famiglie si sarebbe sterminate a vicenda trascinando in quella miseranda faida migliaia di uomini gli serrò per un attimo lo stomaco. Forse era lì per impedirlo. O forse stava rivivendo tutto come punizione. Per aver buttato giù da una torre un bambino innocente.

“Myrcella! Tommen! Cosa state facendo qui?”

Mai la voce di Cersei gli era suonata così sgradevole alle orecchie, di solito l'aveva sempre trovata soave, seducente, irresistibile.

“Stavamo facendo merenda mentre ascoltiamo storie paurose. Sai che c'è un cuoco che ha cucinato il figlio del re e poi per punizione è diventato un topo? E lo sai che il cielo è blu perché viviamo dentro l'occhio di un gigante dagli occhi azzurri di nome Macumber? E sai anche che esiste una regina di ghiaccio prigioniera sotto questo castello?”

“Tommen, adesso basta! Vi ho dato il permesso di dividere il desco con i figli di Stark, non di ascoltare assurdità circa giganti e topi.”

Con uno scatto dorato, i due ragazzini seguirono la madre fuori dalla Sala Grande.

“”Peccato che Tommen e la principessa se ne siano andati.” Bran Stark con il taglio della mano raccolse le briciole del pane sgranocchiato e le mise da parte “per i suoi corvi”. “Vecchia Nan, raccontaci la storia della Regina della Notte, quella che vive imprigionata nelle cripte.”

 

Per quanto tentasse, Jamie non riusciva a vedere il volto della donna sotto di sé che stava possedendo.

Non aveva mai fatto l'amore così, nemmeno con Cersei.

Con lei certe volte credeva di morire, di annullarsi nel corpo della gemella, forte ma svuotato di tutto.

Con la ragazza sconosciuta invece si stava sentendo, quasi in una sorta di singolare fragilità, intero, e ansioso altresì di donare alla sua improvvisata compagna questa interezza, non importa se non avesse ricevuto altrettanto.

Spinta dopo spinta, cercando di alzare il volto per vedere chi fosse, poteva notare con la coda dell'occhio le proprie ciocche rimbalzargli sulla fronte, più corte e con qualche filo grigio nascosto nell'oro scuro.

Che cosa stava facendo e con chi?

E poi perché aveva la netta impressione che quella calda luce esotica e gialla non appartenesse a nessun luogo di Westeros?

Stava per venire, e prima che la realtà esplodesse intorno a lui come uno specchio d'acqua che si rompe gettandoci un sasso dentro, ebbe come ultima frazione di consapevolezza l'immagine di lunghi rivoli sul cuscino, capelli di un chiaro rame brunito che gli venivano addosso, mentre la sua faccia ci cadeva dentro.

Aprendo gli occhi, sentendosi accaldato e sudato, si rese conto che si trovava nei suoi appartamenti nel maniero degli Stark.

Perfetto, sono venuto facendo un sogno sconcio come un ragazzino.

Evidentemente si era addormentato davanti al fuoco, e le storie di quella vecchia strega dovevano averlo suggestionato.

“La Regina della notte, la Regina Cadavere, vive giù, nelle profondità delle cripte di Grande Inverno, dove le tombe dei primi Stark sono crollate sotto il peso del tempo. Millenni fa riuscì a far innamorare un Guardiano della notte, che giacque con lei e perse per questo la sua anima.”

Questa parte della storia né Cersei né i bambini Lannister l'avevano sentita, per fortuna. Cersei l'avrebbe trovata volgare, ma evidentemente i ragazzi Stark no, anche se Tyrion poi si era detto convinto che la lady loro madre non sapesse che tipo di racconti e lezioni i suoi figli riuscissero a trafugare grazie a quella stramba vecchina.

“Alcuni dicono che quest'uomo fosse un Bolton, o un altro lord del nord, ma era uno Stark, uno dei vostri avi miei piccoli figli dell'estate, date retta a me. E da quel momento gli Stark, per rimediare hanno intrappolato la glaciale regina costruendole un castello attorno, per non farla fuggire, di modo che non non ci sia più una Lunga Notte. Ecco perché...”

“Ci deve essere sempre uno Stark a Grande Inverno, vero vecchia Nan? Dobbiamo sorvegliare la regina della Notte.”

Arya Stark praticamente aveva saltellato sulla sedia agitando lo spadino di legno.

Quella storia inquietante e sinistra gli rimbombava ancora nelle orecchie, tanto che il vento che ululava fuori dalle grandi finestre a diamante pareva davvero molto somigliante ai lamenti di una donna intrappolata sotto i suoi piedi, laggiù nel buio del centro della terra.

Passandosi la mano destra sull'accenno di barba lungo una guancia ricordò quell'orribile giorno, sugli spalti di quello stesso posto che ora risuonava tranquillo fino alle sue viscere dove forse la Regina Cadavere attendeva in silenzio un modo per uscire, il giorno in cui i vivi avevano combattuto contro i morti, nell'altra vita a cui non sarebbe più tornato, di questo ne era sicuro.

Tutti loro, nel sud, non avevano il minimo sentore di quello che stava accadendo, del tremendo pericolo che si stava affacciando oltre la Barriera; neppure Ned Stark, se fosse andato da lui in quel momento ad avvertirlo, gli avrebbe dato credibilità, non più di quanta gliene aveva data quel giorno trovandolo seduto sul Trono di Spade con Aerys morto ai suoi piedi.

E quindi? Come poteva mettere in avviso l'umanità?

Si sentiva senza speranza, inseguito dagli incubi, e mai così solo.

 

 

 

Vorrei ringraziare coloro che hanno recensito, seguito o letto questa storia, nonostante il pairing di Jamie e Sansa non sia molto diffuso, specialmente in Italia.
Grazie davvero, mi fate felice non sapete quanto

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