Prima Che Sia l'Ombra

di Manto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Ora della Luna (Parte I) ***
Capitolo 2: *** L'Ora della Luna (Parte II) ***
Capitolo 3: *** La Paura Conosce Ogni Cosa ***
Capitolo 4: *** L'Altra Verità ***
Capitolo 5: *** La Notte Sa Guardare ***
Capitolo 6: *** Spada e Scudo ***



Capitolo 1
*** L'Ora della Luna (Parte I) ***


DISCLAIMER: Il personaggio di Poe appartiene solo ad Asagiri-sensei, mentre i personaggi dei quali troverete la nota sono figli del reale Edgar Allan Poe.
Solamente la rappresentazione di Virginia è una mia creazione.
La storia è stata scritta senza scopo di lucro.

 

 

 

 

Prima Che Sia l’Ombra

 

 

 

 

La Storia lo dice chiaramente: ogni città, in un periodo più o meno limitato della sua esistenza, vive momenti d’estrema oscurità.
Successe a Roma capitana di popoli come alla dorata Bisanzio, ad Atene culla di saggezza e a Parigi rivoluzionaria: dovunque passo umano sia giunto insieme a morale e norme, così lo ha fatto anche il buio strisciante — questa è una legge presente nell’essenza della pietra e del marmo, negli stessi valori che aiutano le civiltà a rimanere tali.
Così, forse non ci si dovrebbe stupire per quello che accade, anni orsono, a Richmond[1] e nelle campagne che la circondano; vicende ormai concluse, ma delle quali ancora si parla sottovoce, quasi nel timore che possano ritornare a vedere come la gente viva senza di loro.
Ciò che viene riferito da voci opportunamente lodate e aiutate nell’impresa del ricordo rivela come, improvvisamente, per quello che fu un mese — il Giugno dell’anno 20.... —, ogni mattino nacque recando in grembo sempre la stessa notizia: nelle ore del buio, un’anima innocente era stata sottratta alla città e nel cuore della mezzanotte si erano uditi sussurri incontrollati, ordini e implorazioni in lingue sconosciute, rumori di corpi trascinati per le strade dell’urbe; infine, il più profondo silenzio.
Ogni pomeriggio, prima che fosse il crepuscolo, veniva costruita una lapide e sbrigate rapide esequie su una tomba contenente i quasi irriconoscibili, sconvolti resti rinvenuti sotto il sole di un attonito mezzogiorno, a poca distanza dalle porte dell’abitato, e tutto questo nel terrore: puro, strisciante e nero come inchiostro rovesciato sopra una pagina candida, con la medesima, insaziabile fame.
Non c’era mai nessuno da incolpare per atti tanto innominabili, perché chi aveva il coraggio di affacciarsi sulla soglia di casa, non vedeva che il nulla; ed era impossibile comprendere le motivazioni dietro alle azioni se queste coinvolgevano vecchi come giovani, donne quanto fanciulli, come era difficile spiegarsi il perché potesse sparire un’intera famiglia oppure solo un membro di essa. Semplicemente, l’entità invisibile, come venne nominata, colpiva alla cieca e senza pensarci, certa della propria superiorità, vagando per le vie svuotate dalla paura dell’oscurità e di ciò che questa portava, e mietendo chi aveva la sfortuna di cadere davanti al suo occhio.
Le autorità cittadine e la polizia non sapevano come agire, ingabbiate in un caso del quale non trovavano soluzione, e il giorno contava la sparizione di qualcuno, senza mai mancare una volta.
Così, quando l’ultima luce veniva inghiottita dall’orizzonte e i corni della luna iniziavano ad affacciarsi alle finestre, le campane delle chiese suonavano all’unisono, spargendo intorno il loro cupo avvertimento in modo che nella città si chiudesse e serrasse tutto, dagli ambienti alle persone; e anche se l’idea che serpeggiava in cuori e menti parlava di una mano non umana, sospetto e diffidenza si mischiavano a essa per fendere l’innocenza e l’unità: ogni giorno liti, denunce e scontri s’intrecciavano in una morsa che non lasciava vincere nessuno ma privava tutti delle proprie forze, con il risultato di mettere a nudo qualsiasi debolezza.
Perciò, quando quel mattino sorse e Richmond si rese conto che nessuno dei suoi abitanti era scomparso, mille e più voci si levarono per cadere nel caos, e… ma davvero vi basterebbe una cronaca tanto scarna, il semplice riassunto di quanto si crede sia successo ?
Perché alcuni — persone dalla mente tutt’altro che sciocca e stupida — mormorano di più, e citano il nome di due giovani che non solo vissero tali eventi, ma si avvicinarono tanto al pericolo da averne sentito il fiato dritto in volto. Per via della fervida fantasia di uno e dell’ostinato silenzio dell’altra sulla questione, non tutti coloro che hanno udito questa versione degli accadimenti concordano sulla sua veridicità: ma stabilire i confini dei vari mondi che popolano la realtà non è affar mio, né l’intento di tale scritto.
Questa è una decisione che spetta solamente a voi.

 

 

 

I ☼ L’Ora della Luna (Parte I)

 

 

Il pomeriggio era avanzato nelle grandi sale degli Allan ormai da tempo, quando la figura ammantata sgusciò nel parco retrostante alla villa.
Per un istante, un fruscio alle sue spalle le fece temere di essere stata notata e seguita; tuttavia, la porticina dalla quale era uscita non si mosse nemmeno quando raggiunse l’angolo cieco a poca distanza da questa e qui rimase, in attesa di comprendere se fosse stato tutto frutto della sua irrequietezza o qualcuno della cricca di John Allan l’avesse presa nuovamente di mira.

Ma davvero lo credi? Sono tutti presi fin dall’alba: i preparativi per la festa non si fermerebbero nemmeno davanti a Dio in persona, figuriamoci per te.
La figura fece un leggero sorriso e scosse la testa, ridendo di sé; si strinse maggiormente nella cappa nera e lanciò uno sguardo alla borsa che teneva tra le braccia, quindi ritornò sotto l’occhio del sole.
Intorno, il vento danzava e volava sopra i sentieri del parco e le eleganti siepi, infilandosi tra i rami gravidi di gemme o dentro gli spruzzi allegri della lunga serie di fontanelle; la invitava a trattenersi in sua compagnia, e lei avrebbe ceduto volentieri al richiamo… ma.

Dai, non perdere tempo, è già tardi!
Appena oltre il sinistro cancello che divideva il regno degli Allan dal resto del mondo, le campagne le si aprirono innanzi ammantate di ogni colore immaginabile e con il ventre percorso da un bianco ventaglio di sentieri, accogliendola e già sapendo dove i suoi piedi l’avrebbero condotta; rasentando fossati e lunghe file di alberi ombrosi, sotto i quali si poteva ancora percepire l’ultima frescura primaverile, la svelta figura ebbe più volte l’impressione che i fiori avrebbero tanto voluto volgere il capino per seguire la sua corsa, parteciparvi in qualche modo o ridere di lei.
Mentre Richmond tremava in vie grigie e soffocanti, tra i quieti campi sembrava essersi rifugiata la serenità perduta con gli ultimi eventi, un mondo totalmente diverso: e anche se molti dei corpi dilaniati venivano rinvenuti su quei sentieri, quasi fossero una macabra offerta alla Natura, quest’ultima era incapace di trattenere l’Orrore.

Ma il pericolo rimane.
Attenta a ogni fruscio e quanto più veloce possibile, l’ammantata non poteva evitare di vagliare le rive e lanciare sguardi tra le fronde arboree che frammentavano il cielo in minuscole schegge d’azzurro, per poi volgere gli occhi altrove, nel timore di veder spuntare davvero qualcosa di tremendo; ma la strada pareva snodarsi senza ostacoli verso il piccolo agglomerato di pietre che s’intravedeva fin da lì, bagnato dalla luce ma freddo come coloro che ospitava.
A passo tranquillo, ci sarebbero voluti altri dieci minuti buoni per raggiungere il cimitero rurale che sorgeva a esatta distanza sia dalla città che da Villa Allan; ma lei raggiunse la meta in meno, correndo a perdifiato e completamente ignara del sudore copioso che le scivolava lungo fronte e schiena, ringraziando di sentire quel calore pesarle addosso. Rallentò solamente quando l’erba lasciò il posto a un sentiero lastricato da pietre ormai sconnesse, e un soffio carico del sentore di fiori appassiti e polvere s’insinuò sotto il mantello e le colpì il naso; allora, attese un attimo per abituarsi alla nuova atmosfera, poi avanzò.
Due file di nere cappelle ormai abbandonate, recanti sulla fronte nomi corrosi dal tempo e dallo sporco, sorgevano oltre ciò che rimaneva della cancellata; in mezzo a loro serpeggiava la strada, la quale si divideva in stretti rami laterali che raggiungevano isolati gruppi di lapidi.
Il sole, per quanto intenso, sembrava talmente lontano da aggravare la sensazione di desolazione, così che chi faceva compagnia alle tristi strutture, ai simulacri di angeli dalle ali spezzate, disseminati per il luogo come solitari fantasmi, e a tutti coloro che lì riposavano erano solamente lei e l’artefice dei suoni che udiva provenire dalla zona più evitata del cimitero, dove veniva seppellito chi non poteva permettersi nemmeno una bara del legno più scadente, o non aveva nessuno che si curasse di ciò.
Dopo aver deviato dal percorso principale per raggiungere la tomba del gentile signor Perry[2], morto qualche settimana prima dagli inizi della misteriosa strage, e averne accarezzato la lapide in un affettuoso saluto, la figura ritornò indietro e si diresse verso il borbottio a lei famigliare, riconoscibile anche nel mezzo di una tempesta.
Mentre il sentiero lastricato diveniva morbida terra e la luce non rifuggiva la pietra, bensì fosse coperte frettolosamente, il passo si faceva più sicuro, fino a quando l’ammantata si fermò e batté un colpo di tallone al suolo. Onde di terriccio smosso si levarono quasi in sincrono con la voce.
«Edgar, sono io.»
Non ci fu alcuna risposta: il mormorio continuò a fluire, indisturbato, così come il rumore ritmico di un badile.
«Edgar…»
Ancora nessuna reazione; si doveva procedere con le maniere forti.
«EDGAR ALLAN POE! Dico a te, sì, non far finta di non aver sentito! Devo venire a prenderti per i capelli, o muovi quei trampoli e mi raggiungi tu?»
Ci fu un rumore secco, come se qualcosa avesse sbattuto contro una superficie dura, seguito da un piccolo grido di sorpresa; poi, da una fossa buia come notte comparve l’alta, magra figura di un giovane dal volto coperto quasi per intero con un fazzoletto, i capelli arruffati e imbrattato da testa a piedi di ogni sorta di sporcizia. Tra il teatrale e il vero dolore, questi si stava tenendo il capo con entrambe le mani e si lamentava con voce flebile; e ci volle qualche istante prima che si voltasse verso la sua interlocutrice e si bloccasse alla sua vista.
Erta contro il sole, la borsa a terra e le mani sui fianchi in una posa degna di un condottiero, di Virginia Clemm si scorgevano solamente i grandi occhi viola e la luce che fiammeggiava in essi, privi della consueta calma e dolcezza. Era raro vederla con un piglio simile, ma suo cugino[3] era appena riuscito a farle rivelare quel lato.
«Virginia… perché sei qui?», le chiese lui avvicinandosi al ciglio della fossa, fissando la ragazzina gonfiare le guance con stizza. «Credevi che non ti avrei scoperto? Vado dai Ferrett per un saluto, e sono già passate quattro ore da quando l’hai detto: non sarò intelligente quanto te, ma neanche tanto stupida da non saper calcolare la distanza tra Villa Allan e il centro di Richmond. Come se non sapessi dove ti vai a nascondere, poi!»
«Non sei stupida, però abbastanza sconsiderata da uscire e metterti a correre fino a sudare, quando ieri avevi la febbre.»
«Sto bene; proprio ora le mie condizioni sono anche migliori delle tue.»
«Torna alla villa e riposati, non fidarti delle tue forze. Tra poco ti raggiungerò, finito qui…»
Ignorando volutamente le ultime parole, Virginia si avvicinò maggiormente alla fossa e si sporse per guardare al suo interno: quasi due metri più in basso, Edgar era in piedi accanto a uno scheletro adagiato sul suolo come un placido dormiente, che presentava alcune costole mancanti. «… È il terzo corpo che riesumi in una settimana. Ti sei messo a collezionare ossa?», disse in battuta, cercando di tenere a bada l’improvvisa sensazione di vertigini. Aveva già avuto modo di vedere uno scheletro umano e i racconti di Edgar erano molto dettagliati nel descriverli, così come i resoconti delle ultime giornate nel camposanto; ma guardare suo cugino maneggiare uno di loro, stranamente la turbò.
«Sto solamente facendo… delle indagini», mormorò il giovane in una parziale risposta. «Questo mio amico è stato seppellito non molti anni fa: i vermi lo hanno ripulito per bene, come ha fatto lui in vita con gli altri, ma niente ha potuto intaccare le ossa, che sono praticamente perfette.»
Virginia si piegò a sua volta e continuò a guardare, quindi chinò la testa di lato. «Però… la parte destra del torace sembra sfondata.»
Pur con il volto coperto dal fazzoletto, lei riuscì a notare come Edgar sorrise.

Centro, si disse mentalmente; da quell’istante, il moro sarebbe entrato in un mondo totalmente suo, dove a malapena avrebbe potuto notare la propria ombra. E non poteva negarlo: amava vedere il fuoco che lo accendeva in simili momenti, specie se la rendeva partecipe.
Quel fervore avrebbe incantato chiunque.
«Esattamente: e infatti, la causa della morte è da ricondurre al crollo della sua casa. Questa zona è piena dei corpi di chi ha perso la vita nel terremoto di sei anni fa — o almeno, di quelli che non è stato possibile riconoscere.
Tuttavia, ho accennato al fatto che fosse un ladro: questo perché all’altezza dello stomaco aveva tre anelli d’oro con le iniziali di uno dei più ricchi industriali della città; ricordo che ne denunciò la scomparsa qualche giorno prima della tragedia. È possibile che, correndo il rischio di venire scoperto, li abbia ingoiati… e il terremoto ha fatto il resto.
Inoltre, sulle ossa ha segni compatibili con incisioni lasciate da armi da taglio, il che farebbe propendere a—»
Nel cuore della città, una campana suonò cupamente, facendo sobbalzare entrambi e interrompendo il ragazzo. Un istante dopo, a quella si unì il coro di tutte le altre: non era ancora il tramonto, eppure già si mettevano in guardia gli abitanti. Nel buio, non ci sarebbero state né pietà né indulgenza.
«Sono già le quattro e mezza; tra due ore arriveranno i nostri ospiti. E tu puzzi di morte», sussurrò Virginia, lanciando un lungo sguardo al profilo di Richmond. Solamente la presenza di Edgar le impediva di rabbrividire, tuttavia scorgeva pure lui le tremule tenebre che risalivano i palazzi della città, visibili anche da quella distanza, oppure era uno scherzo della mente?

Forse i suoi racconti[4] ti piacciono anche troppo.
Intanto, Poe aveva acconsentito alla silenziosa richiesta della cugina e, promettendo al suo nuovo amico di ritornare il giorno successivo, era già risalito dalla fossa e aveva puntato lo sguardo nella stessa direzione della ragazzina, che fu veloce a volgerlo su di lui e, osservatolo bene, a scuotere il capo. «Che il cielo ci aiuti…» Un sospiro, quindi riprese la borsa e fece cenno al moro di seguirla, finendo per trascinarselo dietro. «Forza, vediamo di darti una bella ripulita e renderti presentabile. Cerca di non dare a John Allan un altro motivo per lamentarsi di te, ne ha già molti.»
Edgar sbuffò e volse lo sguardo di lato, come se avesse voluto cercare sostegno negli immobili angeli loro intorno. «Non mi potrà controllare per sempre— ahi, non tirare!»
«E tuttavia, finché abiti sotto il suo tetto, è lui che decide. Sa che sei uscito, sta controllando tutte le entrate per intercettarti per primo e darti una lavata di capo davanti a tutti: non ho voglia di vederti mettere in ridicolo, specie perché sappiamo entrambi chi ci sarà stasera.
Andiamo al Rifugio, così ti potrai lavare e sistemare con calma.»
«Ma non ho niente con cui pulirmi…»
Virginia atteggiò la bocca in un gran sorriso, quindi picchiò gentilmente sulla borsa e lanciò all’altro uno sguardo vittorioso. «Lo so; infatti ho portato tutto io, anche i vestiti per la serata. Non ho dimenticato nulla.»
Il cimitero alle spalle, il ragazzo si fermò e si tolse il fazzoletto.
La fanciulla ipotizzava che lo mettesse per questioni d’igiene, tuttavia l’attraversò l’idea che lo facesse per non sporcare l’aria del luogo, lasciare intatta la realtà dei morti; conoscendolo, non ci avrebbe visto nulla di strano in questo. Probabilmente, parlava pure con loro per chiedere perdono del disturbo che arrecava nel riportarli alla luce.
«Meglio non dire alla zia come ti stai occupando di me, o non mi permetterà più di vederti», rispose poi Poe, sorridendo a propria volta e abbassandole il cappuccio del mantello, così da liberare una cascata di lucenti riccioli bruni, «… in cambio, io non le farò sapere che mi rubi i mantelli[5]. Riescono a scaldarti, almeno?»
La ragazza annuì con sincerità: effettivamente, i quotidiani brividi di freddo erano diminuiti da quando aveva iniziato a sottrarre gli abiti del cugino, in un gioco diventato quasi necessità; solamente lei lo sapeva.
«La chiamerò appena saremo al Rifugio, qui non ho segnale. Oggi mi ha telefonato due volte, la sua preoccupazione sta diventando ingestibile… come non capirla, a dire il vero.» Un sospiro. «Si sta dando la colpa per non aver invitato te a Baltimora[6] per le vacanze, invece di mandare me da voi. Se lo avesse fatto, ora saremmo entrambi al sicuro.»
«Non potevamo prevedere questi eventi, e poi io ho pesato fin troppo sulla vostra famiglia: John conosce le vie di Baltimora a memoria, per tutte le volte che mi avete accolto dopo le mie fughe.»
Virginia sorrise quieta, gli occhi lucidi per la foga con cui giunsero i ricordi. «In verità lo hai fatto per l’ottima cucina della mamma… e per assillarmi fino allo sfinimento.»
«Sei tu che dai il tormento a me», resse il gioco Poe, «e ora puoi farlo senza limiti di tempo… ehi, Virginia, va tutto bene?»
Fu il tono del moro, mutato repentinamente in allarmato, a rendere conscia la fanciulla dell’ombra che era calata sul suo volto; e anche se fu lesta a cacciarla, ne vide il residuo negli occhi acuti del cugino. «Sì, sono solamente un po’ stanca. Hai ragione, non avrei dovuto sforzarmi dopo la febbre di ieri… ma ero arrabbiata per le tue bugie.» Bugiarda pure tu. «Non mentirmi più, va bene? Lo sai che non ho paura di questo», finì, indicando il camposanto, «e che se vuoi restare da solo, basta che tu lo dica.»
Edgar non replicò se non con un accenno di sorriso, per poi assentire; questo le bastò. «E ora… mostriamo al signor Allan chi sei davvero.»

 

 

… La lapide del signor Perry non avrebbe mai potuto trattenere il calore delle dita di Virginia; eppure, quando l’ombra strisciò fuori da una delle cappelle e scivolò fino a essa, la sentì pulsare come cuore vivo.
Avvolgendosi sulla pietra come una serpe, trasse da questa tutto il contatto che poteva prendere, lungi dall’esserne sazia; quindi, se ne staccò e strisciò verso la fossa che Edgar aveva aperto, fluendo dentro di essa come un’onda e sommergendola nel suo abbraccio. Quando le altre la raggiunsero e tutte insieme corsero lungo i sentieri che portavano alla città, del sentore dei due cugini non era rimasta alcuna traccia, completamente divorata da chi non aveva bisogno di nascondersi nella notte: ne era l’essenza stessa.

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Città della Virginia dove abitò il vero Poe insieme alla sua famiglia adottiva, gli Allan.

 

[2] Edgar A. Perry è lo pseudonimo con il quale lo scrittore si arruolò nell’Esercito degli Stati Uniti d’America, falsificando anche la propria età e affermando di avere ventidue anni, non diciotto.

 

[3] Virginia Clemm, l’amata quanto sfortunata moglie di Edgar, era anche sua cugina di primo grado, per parte di padre. Avevano quattordici anni di differenza, e lei era tredicenne quando si sposarono: non era un matrimonio comune, eppure non sembra aver suscitato grande scalpore.
In molti riportano quanto la coppia fosse legata e i due si adorassero a vicenda, chi insistendo su un tipo di relazione più fraterna che coniugale, chi ponendo l’accento sui racconti di Poe dove si trattano intensi rapporti amorosi tra cugini.

 

[4] In questa AU, l’abilità di Poe non si è ancora attivata… ma lo farà presto.

 

[5] Il riferimento è triste: dalle cronache sappiamo che Edgar e Virginia versarono per tutta la vita nella semi-povertà, così che quando la ragazza contrasse la tubercolosi polmonare, per scaldarsi dovette usare il mantello militare di Poe.

 

[6] Città del Maryland, qui Virginia nacque e visse buona parte della sua vita, sia prima che dopo essersi sposata.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Salve a tutti ♥
Questa fanfiction è interamente dedicata a Edgar, quindi non saranno presenti altri personaggi di Bungou; per loro dovrete aspettare quello che potrebbe essere benissimo il seguito.
Posso comunque dirvi che l’idea di base, per questa e la prossima storia, è un’AU dove Poe non arriva a scontrarsi con Ranpo nella prima competizione (quella di sei anni prima degli eventi canonici) e, quindi, non entra a far parte della Gilda. Tuttavia, siccome credo che le anime gemelle trovino sempre il modo per incontrarsi, saranno gli avvenimenti qui raccontati ad avvicinare Poe al suo “rivale”.
Ci tengo a precisare che quella che viene mostrata non è la vera Richmond, ma ho ripreso i paesaggi che vengono descritti nei racconti di Poe: città misteriose e ambienti naturali idilliaci, dove tuttavia si nascondono tristezza e perdita. Ci sarà tanto, sia di letterario che della vita reale, del vero Edgar in questa versione del nostro amato Poe ♥♥
Riguardo a Virginia, per la sua caratterizzazione mi sono rifatta da quanto i biografi raccontano di lei: di come amasse profondamente Edgar e le sue opere, si sedesse accanto a lui quando era intento a scrivere e tenesse in ordine la sua scrivania. Da queste ultime curiosità è nata l’idea di una ragazzina che ami essere coinvolta nelle avventure, reali o immaginarie, di Poe, e che si prenda cura di lui con dedizione. Per esigenze di trama che spiegherò meglio nella prossima storia, ho alzato l’età di Virginia e, quindi, abbassato il gap tra loro: così, invece di quattordici anni di differenza, ne hanno sette (lei è quindicenne, lui ventiduenne, come nei flashback canonici).
Spero di poter scrivere e pubblicare i prossimi capitoli in tempi non biblici, tesi permettendo; riguardo a questo, ho dovuto dividerlo in due parti perché stava diventando molto corposo, più del doppio, e le informazioni sarebbero state moltissime. Quindi, godetevi la scena con calma, prima che si passi al puro caos *^*
Ringrazio chiunque si fermerà a leggere.
Un abbraccio,

 

Manto

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Capitolo 2
*** L'Ora della Luna (Parte II) ***


II ☼ L’Ora della Luna (Parte II)

 

 

 

Se c’era una cosa che Edgar non sopportava, era il boato di una grande folla di persone: il vociare ininterrotto e disordinato, incontrollato e indefinito, era una continua stilettata alla sua timidezza, lo faceva sentire oppresso e gli instillava la voglia irrefrenabile di rifuggire tutti e trovarsi un angolo quieto dove lasciar passare la tempesta; né poteva aiutare il fatto che spesso gli argomenti trattati fossero molto lontani da qualsiasi suo interesse e quindi non riuscisse a trovare un modo per farsi coinvolgere da essi, con il risultato di venire ignorato i due terzi delle volte o essere additato come l’“inquietante”, “strano” o “incomprensibile” figlio di John Allan, quello che non faceva altro che scrivere per giorni e non permetteva quasi a nessuno di leggere quanto aveva creato, passava le notti a rimuginare su libri o storie di delitti, misteri e ombre, raramente si mostrava agli altri e solo il cielo sapeva in che genere di fatti era coinvolto.
L’esatto discrimine tra quanto ci fosse di vero in queste chiacchiere e dove iniziasse la pura speculazione, neppure Poe avrebbe saputo definirlo; ma quella sera le convinzioni di tanti avrebbero potuto vacillare, perché nonostante una metà di lui desiderasse allontanarsi dal caos crescente, l’altra non voleva staccarsi dalle stanze gremite di persone.
Rispetto a un mese fa, l’aria di Richmond era completamente cambiata a causa dei nuovi accadimenti, ma nelle ultime ore era nuovamente mutata: da quando era rientrato alla villa, la pelle di Edgar pareva sfrigolare sotto la sensazione elettrica che qualcosa sarebbe successo proprio lì, nella sua casa e durante la festa che John aveva organizzato per settimane — il felice esito di lunghi commerci va sempre onorato, e precipiti pure la città con tutte le sue pietre, i festeggiamenti si terranno! — e, nonostante lo spaventoso periodo, non voluto rimandare di un giorno[1]. In breve, sentiva che la sua presenza era necessaria, anche se si chiedeva il come e il perché.
Tormentandosi senza posa il papillon che Virginia gli aveva fatto indossare e cercando di svicolare alla curiosità di chi gli domandava se ci fosse anche la sua mente dietro i fortunati colpi di John, o se semplicemente si fosse finalmente deciso ad abbandonare un mondo di oscuri racconti per vivere nella realtà e obbedire maggiormente a suo padre[2], più di una volta gli sorse un dubbio sulle proprie percezioni; inoltre la cugina, l’unica che avrebbe potuto aiutarlo a sopportare il marasma, era stata rapita dalla signora Frances Allan e non era ancora ricomparsa, così da costringerlo in una situazione che faticava a gestire.
Probabilmente, se si fosse trovato in uno stato d’animo più disteso e meno vessato da chi gli era intorno, avrebbe notato immediatamente cosa avesse cambiato l’atmosfera, ciò che mancò per circa un’ora; oppure no, perché gli eventi hanno un modo tutto loro per manifestarsi, che nessuno può prevedere. Certo fu che, come si sussurrò senza realmente comprendere, in quell’occasione in molti ebbero l’impressione di essere osservati da un occhio invisibile e provarono l’impulso di lasciare la villa, per poi cambiare completamente idea.
Intanto, gli ambienti si stavano arroventando sempre più a mano a mano che le lancette correvano sugli orologi e i pendoli perdevano la voce tra altre mille, alleviando l’impeto di tanti e ricoprendoli di un’atmosfera sospesa, quasi irreale, dove tutto andava stemperandosi in fantasmi di luci e impressioni di un unico istante; e mentre Edgar riusciva a scovare un angolo quieto e vi si rifugiava per riprendere a respirare, si faceva strada in lui la profonda impressione di essere ancorato lì per cogliere gli uni e le altre — di essere l’unico, fra tutti, che poteva comprendere.
«Sotto certi aspetti non sei cambiato affatto, giovane Poe; ciò mi rallegra.»

L’unico, o quasi.
Il moro non riconobbe immediatamente quella voce, concentrato com’era a rincorrere quello che sentiva; ma percependo distintamente una piccola scossa attraversargli la spina dorsale — il suo cuore sapeva già chi aveva parlato — e volgendo lentamente il capo alla sua sinistra, Edgar incontrò gli occhi pieni d’intelligenza e calma di uno degli uomini che lo aveva sempre fatto tremare d’ammirazione; tra gli amici e i conoscenti di John, in assoluto il suo preferito e l’unico che sosteneva e apprezzava le sue opere, Frances e Virginia a parte. Proprio sua cugina aveva compreso bene, quindi, quando aveva udito i coniugi Allan citare il nome del distinto, alto signore che sorrideva al suo stupore: e Auguste Dupin[3] non aveva avuto alcuna esitazione nel partecipare alla festa, lasciando la sicura Parigi per addentrarsi nei misteri di Richmond.
Pensando a quanto conosceva dell’uomo, Poe si ritrovò a non esserne molto sorpreso, tuttavia perse gran parte del fiato che possedeva e riuscì solamente a sorridere a propria volta. «Monsieur Dupin», mormorò infine in un soffio facendo un piccolo inchino con la testa e il busto, subito interrotto dall’altro, che rise con garbo e lo prese per le spalle per spingerlo a rialzarsi. «In piedi, ragazzo, prima che tu mi metta in imbarazzo! Sai che non mi merito tutto questo…» Una rapida occhiata alla sala, completamente ignara di loro, «… anche se questa sera è particolare, e per più di un motivo. Stai bene, nonostante la folla che ci circonda?»
«Sorprendentemente e probabilmente solo per questa volta, la moltitudine di persone qui riunita è una brezza primaverile.» Poe fece una pausa, non volendo rivelare il pensiero che gli aveva appena attraversato la mente; ma l’acuto Dupin lo colse comunque, così che assottigliò gli occhi e questi si caricarono di luce penetrante, capace di rischiarare anche le più buie segrete dell’anima. «Non temere: non è accaduto nulla di preoccupante durante il viaggio, e non avverrà in futuro. Inoltre, un unico sguardo a questa casa e a te mi ha fatto comprendere che il mio posto sia qui. Hanno già versato…»
I lampadari tremolarono per un istante e la folla si agitò; o così sembrò al giovane, che non riuscì a comprendere le ultime parole di Dupin. Non era nelle abitudini di quest’ultimo dilungarsi in discorsi di cortesia e rimandare quanto più gli importava, ma nell’attimo in cui la realtà sembrò tremare, Edgar desiderò portare la discussione lontano da lì e dagli altri, quasi riguardasse solamente lui. Mentre osservava il volto maturo dell’altro, ebbe la certezza di non avere sbagliato del tutto — forse, nemmeno di un poco. «Come vi sentite? È da parecchi istanti che adocchiate le uscite: se vi piace, possiamo andare in giardino. Aria fresca farebbe bene a entrambi.»
In risposta, il francese rise forte, poi scosse il capo. «Questo non è un malessere fisico, ragazzo, non preoccuparti.» Una pausa, seguita da un piccolo colpo dell’elegante bastone da passeggio sui marmi del pavimento. «Ma dimmi: come sta procedendo l’opera di cui mi hai parlato? Ci siamo lasciati su un delicato caso di triplice omicidio senza testimoni e, prima di leggere la sua risoluzione, vorrei esporti la mia teoria in merito. Poi, sarai libero di confermare, oppure stupirmi.»
Edgar s’illuminò in volto nell’udire ciò, e la sua voce cambiò tono mentre invitava l’altro a esporre le proprie idee e iniziava a guidarlo lungo il corridoio che portava al proprio studio. Prima che ciò accadesse, tuttavia, fu Dupin a bloccarsi nel parlare e nel passo, lo sguardo attratto da qualcosa presente proprio nella sala.
Puntando gli occhi nella stessa direzione dell’uomo, Poe non poté che comprendere il perché dell’improvvisa immobilità né fare a meno di sorridere: leggera ed esitante come una farfalla appena uscita dal bozzolo, Virginia stava facendo il suo ingresso nella grande camera, splendendo al pari di un piccolo sole e accarezzando lievemente il dono personale di Frances — una graziosa veste cobalto dalla gonna in tulle e con il corpetto ricamato a minute spirali d’argento, che s’accompagnavano ai delicati fiori in zaffiro che le adornavano le morbide onde dei capelli. Questi ultimi, lasciati liberi dalla costrizione di qualsiasi acconciatura, finivano per arricciarsi e seguivano ogni ombra del corpo di quella che, già molto bella, prometteva di diventare meravigliosa: quella sera, la Grazia aveva deciso di toccare unicamente lei e rivelare un futuro di splendore. Le guance arrossate dalla trepidazione, lo sguardo lucente della fanciulla incontrò quello ammirato di molti e rispose con garbo a ognuno di essi, ma un più ampio sorriso le si dipinse sul volto non appena incrociò gli occhi di suo cugino e di Dupin, per poi salutare entrambi con un cenno del capo.
Da parte propria, staccando lo sguardo dalla fanciulla e ritornando al suo interlocutore, anche Dupin sorrise; quindi, posò una mano sulla spalla di Edgar e fece un lieve sospiro. «A volte mi dimentico di quanto siate cresciuti voi ragazzi… era da molto che non vedevo Virginia, e la mia mente non riesce a credere che sia già una giovane donna.»
Alle orecchie di Poe, quelle parole suonarono tanto malinconiche che la figura della cugina e il desiderio di raggiungerla si affievolirono e lo fecero protendere verso il gentiluomo, che in risposta lo prese sottobraccio e nel silenzio gli chiese il suo tempo. «Credo che per noi sia davvero giunto il momento di darsi per vinti e ritirarsi. E non abbiamo qualcosa, e anche più, di cui discutere insieme?»
Con un ultimo sguardo a Virginia e alla sua aura brillante, i due si lasciarono alle spalle le gloriose stanze e la loro ridda di colori[1], per poi dirigersi verso la camera che John, non senza esitazioni e solamente dopo lunghe discussioni con la moglie, aveva destinato a Edgar e alle sue “stravaganze”, come l’uomo le definiva, in cambio di un seppur minimo aiuto del giovane nella gestione dei commerci. Un piccolo ambiente, piuttosto angusto e oscuro in verità, dove poteva entrare solamente chi il moro desiderava, in cambio di qualche frammento della sua mente acuta: comunque una vittoria, conoscendo il carattere orgoglioso di John — una delle poche qualità, e di certo la più forte, che condivideva con il figlio —, come Dupin riconfermò quando Poe gli aprì davanti una piccola porta dalla foggia semplice e lo introdusse in un regno composto da libri dalla copertina scura, fogli e volumi intonsi accuratamente sistemati su una larga scrivania, odore d’inchiostro e fiori freschi.
«A differenza delle volte precedenti, riconosco l’opera di due persone», esordì il parigino non appena ebbe messo piede nello studio e notato l’ordine maniacale e il tocco floreale, nonché piccoli dettagli che sarebbero sfuggiti ai più a una prima occhiata, «tua e di Frances Allan, immagino?»
Edgar sorrise dolcemente e, al di sotto della cortina di capelli che gli copriva la fronte, anche gli occhi lavanda lo fecero. «Di Virginia, principalmente: deruba il giardino dei suoi tesori e me li porta, chiedendo in cambio una storia. La pulizia che vedete è opera sua.»
«Qualcuno benedica quella ragazza e l’adorazione che avete l’uno per l’altra, perché vi porterà grandi ricchezze.» Ma non c’era solamente affetto nel tono dell’uomo; oltre le tende blu che schermavano l’unica finestra del luogo, lo sguardo sembrava vagliare il tessuto dell’oscurità e penetrarvi dentro, per scoprire quanto si celava nel suo grembo e avvertire chi, in quel momento, non era ancora giunto a vederlo. La musica che aveva iniziato a sgorgare dalla sala dei festeggiamenti giungeva a loro nella forma di un’eco indefinita, nonostante la vicinanza tra gli ambienti. «Giovane Poe… ti prego di perdonarmi, ma vorrei che, prima di parlare dei tuoi progressi letterari, tu mi raccontassi quello che è successo in quest’ultimo mese. Tutto ciò che sai, nel maggior dettaglio possibile, riportando anche ciò che verrebbe ritenuto insignificante dalla gran parte delle menti.»
Edgar rimase in silenzio per qualche attimo, quindi fece segno all’altro di sedersi alla propria scrivania. «Non è una storia che si può raccontare in poco», mormorò, «spero abbiate abbastanza pazienza per ascoltare quello che posso dirvi in merito.»
Dupin declinò l’invito del ragazzo e preferì accomodarsi sulla piccola poltrona che si trovava presso la porta, sollecitando l’altro a occupare la scrivania e a rivelare i demoni che si agitavano dietro al suo sguardo. Non riversare questi su immacolata carta e, invece, esporli a viva voce non era così facile, tuttavia gli occhi del parigino attendevano: di sentire quanto lui sapesse della vicenda, forse di confermare o risolvere quanto la sua mente già aveva compreso.
Fu così che Poe si sedette e iniziò a parlare, allontanandosi lentamente dalla realtà per tornare indietro di ore e giorni, al mattino in cui le urla avevano iniziato a risuonare per le vie di Richmond e si erano aggrappate ai muri, avevano macchiato statue, finestre e porte, e tracciato una ragnatela per le strade segnandole come una mappa nera e nota solamente a chi o cosa, scacciato il sole e tornata la luna, scivolava tra gli uomini e li ghermiva, mostrando come il male avesse atteso qualche tempo prima d’iniziare a richiedere con sadica regolarità il suo pasto di sangue.
L’incubo era iniziato davvero il pomeriggio in cui Virginia, ignorando la stanchezza del lungo viaggio che l’aveva portata da Baltimora fino a lì solamente la sera prima, si era recata nella piccola e ormai abbandonata casa di Edgar A. Perry — il Rifugio, come amavano chiamarlo lei e Poe — per ripulirla dopo il tumulto dei funerali; un modo per chiedere perdono all’anziano per non essere riuscita a partecipare alle esequie, e un benché piccolo aiuto a suo cugino, che aveva subito il colpo di quella morte più di quanto immaginato e, utilizzando il mazzo di chiavi che Perry in persona gli aveva affidato anni prima, da giorni aveva preso l’abitudine di visitare le silenziose stanze e rimanervi fino al tramonto.
I due cugini si erano incontrati proprio nel momento in cui, impolverata da capo a piedi, stanca ma soddisfatta, la ragazzina lasciava la casa finalmente pulita e andava quasi a sbattere contro il moro; alle spalle di questi, la falce lunare scalava lentamente il cielo e lasciava spuntare solamente le punte da dietro la schiena di Edgar, quasi fossero ali.
Il volto del giovane, da raggiante come ogni qual volta che guardava Virginia, si era leggermente adombrato nel notare lo stato di quest’ultima, e solamente una mano più forte d’entrambi aveva frenato a poche parole l’ennesima discussione sulla sempre precaria salute della fanciulla e l’esigenza di limitare il più possibile gli sforzi fisici, nonché sulla piccola bugia con cui lei lo aveva spinto a passarle le chiavi, nascondendo le vere intenzioni dietro la scusa di una breve visita alla dimora; con un lieve sospiro e lasciando dietro di sé un intenso sentore di terra umida e fiori selvatici, Edgar era poi avanzato fino alla porta e aveva guardato all’interno della struttura. «Ecco, ora risplende!», aveva esclamato facendo un sorriso e riconoscendo gli sforzi della cugina — pur disapprovando la sua sconsideratezza —, e Virginia lo aveva affiancato. Così vicini e nonostante la differenza d’altezza, avrebbero potuto sembrare due colonne di un tempio dimenticato, rimaste a sorvegliare le tracce di una vita sfuggita. Perry era stato trovato morto in quelle stanze, quindi la sua anima, o una parte di essa, occupava tutto lo spazio tra loro.
«E anche tu lavorerai meglio, ora…», aveva mormorato la mora, prima d’infilare una mano nella tasca della leggera mantella e porgere a Edgar un volume dalle pagine completamente intessute di parole. «Questo l’ho trovato abbandonato in un angolo, tanto nascosto che quasi non lo notavo. È impossibile che tu te lo sia dimenticato: è la tua scrittura.» Una pausa e un’ombra nello sguardo, come se la ragazzina avesse visto qualcosa che al più grande, invece, era sfuggito; oppure, che aveva deliberatamente deciso d’ignorare. «Perché hai lasciato incompiuta una storia così bella? È una delle migliori che abbia mai letto.»
Il ragazzo non aveva replicato ma, preso il libro, era entrato in casa e lo aveva rimesso nel posto che per esso aveva scelto. «È lì che deve stare, Virginia», aveva detto quando era uscito, senza guardare la fanciulla, «non appartiene più a me, ora. E neanche a te.»
Lei non aveva ribattuto, colpita dal tono dell’altro e dall’implicita richiesta di non procedere oltre; dopo un tempo che era scorso lentamente, gli aveva solamente stretto un braccio, e in risposta lui le aveva circondato le spalle e allontanata gentilmente dalla porta.
La luna si era ormai alzata nel cielo, chiuso in un blu profondo, non si sarebbe potuto rimandare oltre il momento di ritornare a Villa Allan; ed era stato allora, sul verdeggiante sentiero che fino a qualche ora prima si era presentato ricolmo solo di fiori di ogni sorta ed erba rigogliosa, che Edgar aveva rinvenuto le prime tracce di sangue. Dentro tenebre calate con velocità innaturale ma non tali da cancellare completamente la realtà, la pallida regina notturna aveva fatto rilucere le gocce fresche, l’orrore appena versato, come gioielli andati ad agghindare la vegetazione; e quelle non si erano rivelate schegge di vetro o scie d’acqua lasciate da qualche animale fuoriuscito dai fossati intorno, come il giovane si era accorto notando prima la viscosità del liquido che punteggiava l’erba, poi l’orlo spruzzato di vermiglio della gonna di Virginia.
Confuso, per qualche attimo Poe aveva cercato un significato che il buio avrebbe reso irrintracciabile; e da quel momento, non era passato molto tempo prima della comparsa di un corteo di torce elettriche all’orizzonte, verso le quali i cugini avevano corso fino a quando non si erano trovati di fronte i volti di John e Frances, stravolti dalla preoccupazione e dalle notizie circolanti dentro e fuori Richmond. Quella volta a scomparire erano stati in tre — gli unici corpi non ancora rinvenuti —, e loro due erano stati considerati dei miracolati per il fatto di non essersi aggiunti alla conta; ma nei giorni seguenti, ogni abitante della città e delle terre a essa vicine avrebbe imparato a temere i più infantili racconti di mostri e fantasmi, a veder le proprie certezze vacillare e a perdere la fiducia non solo di assistere a un’altra alba, ma verso il genere umano: non si era sicuri nemmeno all’interno della famiglia, perché vi erano troppo misteri e punti oscuri, mancanze e segreti. Ed ecco il sorgere di discussioni, accuse e lotte intestine, e il pungolo interiore che chiedeva: quando verrà il mio turno?
«Perdonami l’interruzione: non una voce, però, si è ancora levata contro di te, nemmeno da parte di John… nonostante la tua fama.»
Edgar esitò un istante, perdendo il filo del discorso, per poi subito riallacciarsi a quanto Dupin aveva appena detto; un aspetto che andava considerando da qualche tempo, in verità, ma senza significative risposte. «Esattamente. Questa vicenda sembra una storia del mistero — una di quelle che potrei scrivere io —, eppure nessuno mi ha ancora attaccato per questo.»
Il parigino non aggiunse altro, annuendo. «Ma tu sai qualcosa in più rispetto a noi… o non passeresti il tuo tempo al cimitero rurale più vicino, a dissotterrare i corpi di coloro che tutti hanno dimenticato; ma solamente di quelli che hanno subito una fine violenta», sussurrò poi, mettendosi più comodo sulla poltrona.
Il moro attese un attimo prima di rispondere, poi fece un debole sorriso. «Vedo che siete sia ben informato sulle domande che pongo ai morti, sia sulle risposte che loro mi danno.»
Il francese rispose sorridendo a sua volta, per poi lasciar proseguire Edgar.
«Ieri, mentre la polizia stava portando via il corpo dell’ennesima vittima, io e John Allan — papà — eravamo presenti: il cadavere apparteneva a un suo vecchio collaboratore e lui ha ritenuto giusto essere… . Per una volta, non me la sono sentita di stargli lontano.»
«John è sempre stato coraggioso sotto questo punto di vista, ma il tuo gesto è stato comunque opportuno; inoltre, ti ha permesso di comprendere verità importanti.»
Poe si appoggiò con i gomiti alla scrivania e unì le mani, posandovi sopra il mento come se fosse sovrappensiero. Al di là di sé stesso e di Dupin, solamente il buio. «La gabbia toracica di quell’uomo si è presentata spalancata e le costole quasi disarticolate dalla violenza del colpo mortale.
A differenza delle altre vittime — di quelle che sono riuscito a vedere, almeno —, il resto del corpo non è stato fatto a brandelli: nessuna ferita su arti e volto, né alla schiena o al ventre. Così descritta sembra l’opera di una fiera d’enormi dimensioni, non di un uomo… ma il torace non ha mostrato alcun taglio o segno di qualsiasi arma d’offesa: si dovrebbe allora ipotizzare e parlare di un’entità capace di aprire, senza l’aiuto di uno strumento o di artigli, il petto di un maschio adulto, alto e robusto più della media. Abbastanza improbabile ritenere questa ipotesi verosimile senza sconfinare nei reami della pura fantasia, per non parlare del fatto che…» Una pausa, un forte respiro. Per la prima volta, Dupin vide Edgar impallidire di un poco. «… Del fatto che gli hanno tolto una parte del cuore. La metà rimasta è in stato di grave danno, quasi che l’organo sia stato strappato con violenza e in fretta, senza curarsi di asportarlo completamente. Forse l’assalitore è stato interrotto prima di finire la sua opera… ma a chi ci dobbiamo riferire?»
L’altro non replicò nell’immediato, ma si portò una mano al mento e se lo massaggiò. «Il cuore è stato estratto per metà… anche su di esso nessun segno di arma, denti o artigli?»
«Non sono riuscito a vederlo bene, a dir la verità, e ho potuto solamente notare le orribili condizioni in cui si è presentato.»
Dupin assentì. «Solo il petto dell’uomo ha mostrato tracce di violenza, che tu sostieni non essere riconducibili a un animale o a un essere umano… le testate non hanno fatto un benché minimo accenno a questo. E che cosa dicono in merito i tuoi amici del camposanto?»
«Che non ci sono eventi, traumatici e incidentali, che si mostrino così letali e puliti al medesimo tempo. L’uomo che ho dissotterrato oggi è stato vittima di uno dei peggiori terremoti della storia di Richmond ed è morto a causa di un crollo che gli ha sfondato parte del torace: ma quanto ho visto sul collaboratore di papà non è compatibile né con un trauma da schiacciamento né con una caduta dall’alto: le ossa, benché alcune disarticolate o mutate di posizione, sono apparse troppo intatte per aver subito un urto.
E poi, c’è la questione dei cadaveri: i resti vengono sempre rinvenuti in posizioni precise, ovvero le vie periferiche a est della città, le campagne che si aprono in quella direzione, e alcuni sentieri campestri a nord di Richmond. Sono tre punti che non variano mai, quasi l’assassino — o gli assassini —non possa spostarsi da lì e uccida chi percorre queste aree, che il colpevole riconosce come famigliari e dove si sente al sicuro… eppure, sappiamo che alcune delle vittime abitavano a chilometri di distanza da questi luoghi.
L’assalitore, allora, attraversa l’intera città per rapire individui che abitano in punti opposti a quelli dove opera e ripercorre la strada a ritroso con le vittime, o agisce tramite collaboratori che gli portino il tributo quotidiano?
Almeno tre volte a settimana e nonostante la situazione in cui ci troviamo, di sera, John si reca nella zona ovest della città, presso amici, clienti e altri: le sue parole potranno testimoniare quanto le vie della Richmond più agiata non siano prive di persone neppure nel cuore della notte.
Anche queste aree, così lontane dai luoghi dei macabri ritrovamenti, contano numerose sparizioni: ma è difficile rapire una persona o una famiglia sotto a occhi estranei, rendere questi ultimi testimoni, per quanto possano essere esigui, e accusatori; perciò, credo che chiunque sia dietro tali crimini, attiri le sue vittime con qualche espediente o si confonda tra chi queste conoscono per rimanere da solo con esse… e non escludo l’idea che abbia degli aiuti.
Alcune voci riportano rumori di corpi trascinati e implorazioni, anche se nessuno scorge mai nulla; quasi che i delitti avvengano in un’area coperta e chiusa, come l’interno di un’abitazione o di una struttura edilizia.»
«In questo caso, il luogo sarebbe circoscritto e più persone potrebbero riconoscerlo, quindi testimoniare e dare una direzione alle indagini.»
«Inizialmente così è stato: quando i rinvenimenti sono divenuti quotidiani, i sospetti sono caduti sugli abitanti delle zone limitrofe; le loro dimore sono state setacciate a fondo e sorvegliate per notti intere, ma i cadaveri hanno continuato ad apparire proprio in quelle medesime aree.
Allora, le accuse hanno riguardato le forze armate e i vigilanti, ma nemmeno l’uomo più stupido al mondo continuerebbe a uccidere o lasciare le tracce dei propri crimini in una zona che è sotto l’attenzione pubblica; e quindi, anche l’ipotesi di colpevolezza della polizia è caduta.
I punti oscuri sono molti, come potete vedere… e non ho una risposta minimamente razionale per spiegarli.»
Dupin rimase in silenzio un istante. Quanto il ragazzo aveva appena raccontato e ciò a cui rimandava travalicava i confini della razionalità e per questo faticava a essere spiegato lucidamente, ma dentro ogni avvenimento si celava sempre una spiegazione: si doveva solo scavare abbastanza a fondo per trovarla — in questo caso, proprio nel mezzo delle tenebre. «Sembra che tale entità non possa fare a meno di agire in questo modo e lasciare dietro di sé dei segni, che sappia bene di essere imprendibile; oppure, che non se ne curi, forse perché protetto da altre figure. Ma permettimi la domanda…»
«Quella che volete.»
«… Perché non hai voluto ultimare quella storia?» Perché hai avuto paura?
L’estraneità e imprevedibilità del quesito — sia di quello espresso a viva voce che di quanto mormorato direttamente all’anima — non riuscirono a giustificare del tutto il profondo silenzio che calò sopra e tra i due come una coperta e spinse il ragazzo a serrare lo sguardo dietro ciò che voleva apparire come calma, ma non lo era. «Aveva una trama che non reggeva», fu la risposta che diede, «avvincente, ma piena di contraddizioni.»

Ricorda quanto ha detto Virginia: sei intelligente, ma chi ti sta attorno non è stupido. E Auguste Dupin è anche più geniale di te.
«Eppure è stato apprezzato dalla critica più severa che conosca.»
«Virginia ha letto la parte migliore, ma presto si sarebbe resa conto che non ne sarebbe valsa la pena continuare.»
«La tua mente non ha trovato una soluzione efficace, quindi?»
«No, affatto.»
L’occhiata che il francese gli lanciò non lasciava trapelare alcun giudizio ma solamente bruciante curiosità, che l’uomo fu abile nell’incanalare altrove e spezzare, così, la tensione. «Va bene, va bene così. Caro ragazzo, credo che tu stia già facendo molto e abbia più informazioni dell’intera città in merito agli ultimi avvenimenti, e ti ringrazio per averli condivisi con me.
Spero non sia un problema avermi come compagno nei prossimi giorni, oltretutto dubito che tuo padre avrà da ridire se ti vedrà con me mentre ci dirigiamo verso Richmond e casualmente decidiamo di passare attraverso sentieri campestri, dico bene?»
Edgar sorrise apertamente, il volto finalmente ravvivato da una luce che proveniva dal suo interno. «La vostra compagnia è sempre un onore per me», replicò con gioia sincera, prima di alzarsi ed essere imitato da Dupin, «e forse è vero: è necessario che siate qui, per portare alla luce ciò che noi non vediamo.»
«Spero che tu non dipinga la situazione più lineare di quanto sia veramente», sussurrò il francese mentre gli si avvicinava e gli appoggiava una mano sul capo, accarezzandolo con la benevolenza di un mentore, «ma non dubitare affatto del mio aiuto, dovunque ci possa portare.»

 

 

Quando Poe rientrò nella sala dei festeggiamenti, la gran parte degli invitati aveva ormai lasciato la villa, sfidando la paura in gruppo, mentre i restanti si erano spostati verso il salone d’entrata per le ultime chiacchiere con gli ospiti: i muri parevano riposare e respirare insieme a lui, nella quiete.
Virginia era l’unica a essere rimasta nella stanza, tranquillamente seduta su uno dei divani posti presso le pareti e con gli occhi socchiusi per il sonno, ma in caparbia attesa. Non appena udì e riconobbe i passi, sollevò le palpebre e incrociò lo sguardo con quello del cugino; si sorrisero a vicenda, quindi il giovane si fermò davanti a lei. «Spero tu non ti sia annoiata.»
«No, affatto», fu la dolce risposta, «ho parlato con tutti e mi sono divertita. Spero che tu sia stato altrettanto bene con monsieur Dupin.»
Edgar allargò il sorriso e si chinò verso di lei, tendendo una mano. «E di questo ne parleremo un’altra volta… signorina, mi posso prenotare per l’ultimo giro di valzer?»
Virginia rise di cuore e i fiori nei capelli brillarono quanto i suoi occhi, facendola apparire, se possibile, ancora più bella. «Nessuno dei due lo sa ballare, finiremmo per pestarci i piedi a vicenda!»
«Almeno una giravolta, ora che non c’è nessuno e possiamo fare tutte le brutte figure che vogliamo.»
Lei chinò il viso e socchiuse gli occhi senza smettere di sorridere, quasi avesse bisogno di ponderare la richiesta; quindi lo sollevò con decisione e accettò la mano del cugino. «Perché no, allora?», esclamò mentre si alzava e Poe la conduceva al centro della sala; qui lei provò a mettersi in posizione, ma prima che potesse farlo e dopo averla osservata per qualche attimo, il cugino l’afferrò per la vita e la sollevò, facendola volteggiare. Il suono della risata sfrenata dell’altra e le richieste strozzate di metterla a terra, che la stava facendo imbarazzare e per questo l’avrebbe pagata molto cara, rischiararono l’umore del giovane, che alla fine si fermò e obbedì alla mora, stringendola in un saldo abbraccio.
Non lontano, sopra ai giardini e oltre i campi più vicini, un sottile mormorio si diffondeva per tutta la volta celeste: un suono simile allo scorrere di un piccolo torrente, ma lamentoso e triste. Richmond piangeva una notte ancora, nemmeno la festa più regale e magnifica avrebbe potuto sanare di un poco il suo dolore; e avvertendolo, Poe approfondì la stretta e quasi chiuse Virginia nel proprio corpo, come in un rifugio.
Anche lei percepì quelle lacrime e affondò il volto nel petto del cugino, respirando forte. Quando Frances giunse in sala per spegnere le luci, li trovò ancora in quella posizione, tra il silenzio della villa addormentata e il buio che lentamente impallidiva, divenendo il nuovo giorno.

 

 

 

 

 

 

Il sole bagnava la stanza di feroce lucore, divorando tutto ciò che incontrava; e nonostante ciò, la gran parte della struttura era immersa nella pace seguita ai festeggiamenti, ignara della forza dell’astro.
Fu un’ora sospesa tra immobilità e attesa quella che vide il destarsi di Dupin, che per un momento non riconobbe la stanza che lo circondava… ma che comprese immediatamente il motivo del suo risveglio.
Forse fu la sua grande e onnipresente lucidità, la fermezza di polso, a non farlo precipitare nella paura, o forse le ultime tracce di sonno; perché, quando si voltò alla sua destra, non era spaventato — non per sé, almeno.
La figura accanto al letto, dai contorni netti ma con tratti fumosi e impossibili da comprendere, rimaneva immobile e immersa nelle uniche tenebre che resistevano alla luce; oppure, era lei stessa che le emanava.
Appena si accorse di avere l’attenzione dell’uomo, questa si mosse; un istante dopo si era sporta in avanti, verso il volto di Dupin.
I raggi solari non illuminarono la sua pelle ma vi sparirono al di sotto, ingoiati da un’entità che non temeva il loro contatto, e il francese si ritrovò a fissare una sorta di volto privo di qualsiasi caratteristica, simile a una statua appena sbozzata nelle forme; si sforzò di non sbattere gli occhi, perché sapeva che appena lo avrebbe fatto la figura se ne sarebbe andata.
Infine, fu lei a sparire dopo qualche istante, quando ebbe osservato per bene l’altro: svanì nell’aria e lasciò che innocue ombre ne occupassero il posto, ma non sollevò il dubbio che fosse il parto di un sogno; no, Dupin ne era certo, lei era vera e dilaniava la logica, faceva a brandelli la razionalità.
Non per questo, però, si ritrovò a tremare e a versare un gelido sudore: perché la stanza non era la sua, lui era stato ospite di quelle pareti solamente una notte e perché il legittimo proprietario gli aveva ceduto il proprio letto… e quella se n’era accorta, e se n’era andata senza alzare gli artigli.
Perché qualunque cosa l’Ombra, il frutto della notte dell’anima e di ogni dolore, stesse cercando, non la desiderava da Auguste Dupin,
ma da Edgar Allan Poe.

 

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Così come accade ne “La mascherata della Morte Rossa”, che narra di una festa principesca tenuta in uno splendido palazzo dalle stanze dai colori diversi, mentre al di fuori di quelle mura infuria un’epidemia di peste e l’orrore non si ferma.

 

[2] I rapporti tra John ed Edgar non furono mai idilliaci: entrambi erano molto orgogliosi e talmente sicuri nelle proprie decisioni da non accettare mezze misure, e ben presto nacquero conflitti su vari fronti. John era un ricco commerciante che non vide mai di buon occhio la decisione di Poe d’intraprendere una carriera letteraria né le sue continue richieste di denaro e favori, arrivando a rimproverargli di non aver mai provato affetto per lui e sua moglie Frances (che invece Poe amava molto), e di non essergli grato per tutto quello che aveva fatto per lui; da parte sua Edgar, sempre più offeso e amareggiato dal comportamento del padre adottivo, non fece del proprio meglio per colmare il divario tra loro, arrivando anche a scrivere lettere dove si indicava John come un uomo dedito all’alcool.

 

[3] Auguste Dupin è il geniale investigatore (non professionista) parigino che risolve il caso presentato ne “I delitti della Rue Morgue”, per poi comparire anche nei racconti “Il mistero di Marie Roget” e “La lettera rubata”.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Salve a tutti!
Finalmente, finalmente sono riuscita a completare la seconda parte del primo capitolo! Ora, sono pronta a introdurre della sana azione, e un po’ di terrore; quindi, preparatevi.
Un abbraccio,

 

Manto

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Capitolo 3
*** La Paura Conosce Ogni Cosa ***


III ☼ La Paura Conosce Ogni Cosa



 

Come ogni grandiosa festa che si rispetti, anche le sue ceneri non devono passare inosservate: e quando il mattino fuoriuscì dal manto della notte, tutta villa Allan risentì dei postumi dell’evento.
I suoi occupanti si svegliarono diversi da come si erano assopiti, chi confuso e chi ancora invasa dall’allegria indotta da un momento, per quanto breve e illusorio, lontano dai terribili eventi distanti solamente pochi chilometri; e nel caso di Edgar, con un feroce mal di schiena, il frutto della decisione di dormire su uno dei divanetti della sala dei ricevimenti pur di lasciare il proprio letto a Dupin.
A parte questo, tuttavia, e mentre cercava di muoversi lentamente e soffocare i lamenti per le sue povere membra, il giovane si rese conto di possedere più energie che in altri giorni; e dopo aver sfolgorato per l’intero mattino, il sole del primo pomeriggio entrava e si disfaceva debolmente su pavimenti e pareti, fiaccato da continui veli di nubi, e i refoli di vento che penetravano da sotto i vetri appena accostati parlavano di ore che presto sarebbero state rinfrescate da un gradito temporale.
Nella villa non ci sarebbe stato molto da fare né chi si sarebbe accorto di lui, tutti colmi di sonno com’erano, e d’altra parte chiudersi immediatamente nello studio per scrivere, rimanendo così immobile per ore, non gli sembrava la migliore delle idee. L’aria fresca chiamava a sé con voce di miele: alla malia di una simile sirena non voleva contrapporsi né aveva le forze per farlo, quindi si ritrovò nel parco ancor prima di formulare tale desiderio.
Raggi frammentati dalle folte fronde degli alberi e bagliori aurei lo accolsero e gli accarezzarono il volto, scesero su di lui mentre anche le palpebre andavano abbassandosi ed Edgar diveniva simile a una creatura sospesa tra realtà e fantasia, un’entità capace di portare luce ovunque.
Ben dritto, perfettamente immobile e immerso in una profonda pace, lo trovò Frances quando fu colta dallo stesso desiderio del figlio e uscì a godersi il vento che faceva danzare le foglie. La donna sorrise dolcemente non appena lo scorse, quindi gli si avvicinò silenziosamente per osservare come il sole giocava sulla sua persona.
«Quanto sono rari questi momenti», dissero quasi all’unisono, per poi sorridere entrambi. Il ragazzo aprì gli occhi per incontrare lo sguardo della madre, quindi le porse il braccio con eleganza e quella accettò l’invito senza esitazione, e insieme si misero a passeggiare per i sentieri labirintici e tra le mille piante. 
«In tutta onestà, sono molto soddisfatta di come sia andata la serata», iniziò Frances con voce gaia, «e specialmente del tuo comportamento: hai fatto un’ottima impressione su tutti, e sai bene che ciò può essere di grande aiuto a tuo padre.»
«Anche l’essere fuggito con monsieur Dupin ha fatto buona impressione?»
Frances ridacchiò, per poi scuotere la testa. «Questo è stato notato unicamente da me e dalla piccola Virginia; e ti può essere facilmente perdonato, dato che anche io ho fatto qualcosa di simile… o almeno, ci ho provato.» Una breve pausa, il tempo di cambiare sentiero. «Stai diventando sempre più adulto e responsabile, ed è questo che si deve lodare. Non ti chiederei mai di rimanere per ore in una stanza gremita di persone, lo so quanto sia difficile per te…»
«… Ma salvare le apparenze.» E non scendere in profondità: rimanere in superficie, dove tutto è illusoriamente certo, e mai addentrarsi nel buio che s’intravede sotto quello strato tanto sottile quanto rassicurante…
«Edgar?»
Il ragazzo lasciò andare immediatamente il pensiero e ritornò alla realtà, voltandosi un poco verso Frances. Questa lo fissava con un accenno di sorriso nel volto. «Un’altra storia?»
«No, no, stavo solamente… pensando.»
«E sappiamo bene quale sarà il risultato di questo.» Picchiettandogli gentilmente sul braccio, la donna fece fermare il figlio e gli si pose di fronte, l’espressione fattasi seria e il tono percorso da una nota di severità e implorazione. «Non vanificare tutti gli sforzi che stai compiendo, Edgar. Presta attenzione a ciò che fai, specialmente in tempi come questi.» Un sospiro. «E non stare via troppo a lungo, presto calerà la sera. Mi raccomando, non compiere niente di cui potresti pentirti.
E ora, vai pure a dare un saluto alla casa del signor Perry.»
Poe si chinò verso la guancia di Frances e vi posò un bacio, quindi le sorrise. «Non credevo di essere così palese», mormorò, e a tali parole la donna rise. «Solamente quando hai misteri e ombre da scrivere», fu il sussurro di risposta, a cui il giovane rispose con un lieve rossore.
Frances lo guardò staccarsi da lei, fare i sentieri a ritroso e rientrare velocemente in casa per recuperare al volo il mantello, quindi si fece nuovamente sentire: «E, Edgar, mio caro, un’ultima cosa: per oggi lascia riposare Virginia. La sua fronte scotta un poco e ieri è stata una giornata molto pesante per lei, ha bisogno di pace e tranquillità.»
Il ragazzo fece cenno di aver compreso. «La porterò a cavalcare un altro giorno, allora.»
Una risata gentile. «Non lo sai fare nemmeno tu!»
«Come se papà mi facesse mai avvicinare ai suoi cavalli, d’altro canto.»
Frances non rispose, e il giovane non perse altro tempo: le mura lo videro passare senza far alcun rumore, recuperare quanto dovuto e poi sfuggire alle stesse stanze spesso cercate. Solamente davanti a una porta rallentò fino a fermarsi: quella della camera di Virginia, che aprì per scrutare nella penombra che invadeva l’ambiente ma lasciava intravedere un piccolo, morbido involto di coperte e lenzuola raggomitolato in un letto troppo grande. Per un attimo il giovane provò l’impulso di entrare e andare a posare un altro, lieve bacio e una carezza sulla fronte della cugina; tuttavia, il pensiero di poterla svegliare o spaventare nel sonno lo spinse a evitare, quindi la porta venne richiusa e l’ombra del ragazzo si staccò lentamente da essa mentre la figura abbandonava il corridoio in un leggero fluire di passi e fruscii.
Ben presto l’unica presenza fu quella del silenzio, così compatto e greve da dare l’impressione che nessuno vivesse più lì e tutto fosse ricordo, o evento ancora da accadere.



 

Fu immediatamente chiaro come Villa Allan non fosse l’unica realtà trasformata dall’oscurità notturna: anche la campagna che Edgar andava attraversando si mostrava in una veste nuova, sospesa in un dormiveglia che aveva cristallizzato alberi, fiori e colture in marmoree creature e lo lasciava passare senza porre alcun ostacolo né concedere carezze.
Il ragazzo alzò lo sguardo all’immensa volta estesa sopra al proprio capo, alle nubi che si rincorrevano e alle ore che galoppavano ancor più rapidamente, per poi abbassare il volto e ritornare a camminare al fianco della sua mente e delle idee che partoriva. Come un cibo mal digerito, l’abbraccio che aveva dato a Virginia e la conversazione avuta con Dupin avevano iniziato a premergli il petto e ad agitarsi in gola non appena si era lasciato la casa di John alle spalle per una dimora sì più umile, ma a lui più cara: era proprio là che quel peso lo conduceva e avrebbe assunto dimensioni ancora maggiori, perché il continuo arrovellarsi dei pensieri lo approfondiva.
Con il completo risvegliarsi di corpo e mente, era ritornata anche la forza della coincidenza che aveva legato le ultime parole scambiate con il gentiluomo francese alla dolcezza della ragazzina: la stessa, identica considerazione che aveva assunto forme d’implorazione e insegnamento.
Ciò che non muore torna sempre indietro.
Mentre Dupin gliel’aveva detto chiaramente quando era stato accompagnato alla stanza da letto e si erano congedati, Virginia lo aveva sussurrato con il volto affondato nel suo petto: in entrambi i casi, comunque, Edgar era rimasto senza una replica da offrire, solamente un silenzio che avrebbe voluto smorzare il suono di quelle voci. «Non ha funzionato a lungo», si disse il giovane mentre accelerava leggermente il passo, «se tuttora sono qui a pensarci.»
E perché trovarsi in quello stato? Perché sia l’uomo che la cugina sapevano, e chiedevano, dell’unica sua storia rimasta incompleta; e avevano tutte le facoltà per leggere oltre le bugie dietro a cui si celava.
Aveva mentito e ancora mentiva a entrambi, trovando scuse e quasi arrivando ad autoconvincersi di quanto sosteneva: ma ciò non cambiava la realtà dei fatti e non funzionava a lungo.
La verità era che la trama del lavoro aveva un chiaro filo logico, i giusti colpi di scena e trovate geniali, procedeva con chiarezza e non c’erano pecche; l’imparziale Virginia lo aveva riconosciuto fin da subito. Era anche falso dire che quell’opera non gli apparteneva più, che si era stancato di essa: ben altro lo teneva lontano dalle sue pagine, un veleno che la mente non riusciva a controllare né razionalizzare… 
… Era paura ciò che lo faceva desistere dal proseguire.
Accadeva sempre qualcosa quando scriveva quella storia: i personaggi sembravano assumere identità, corpo e indipendenza appena Edgar iniziava a delinearli, si muovevano da sé con la spontaneità dei vivi e, lentamente ma inesorabilmente, a un certo punto sembravano rifiutare di seguire il corso che il giovane costruiva per loro.
Si ribellavano alla penna: sceglievano in autonomia la propria strada e lo ribadivano ancora, ancora e ancora. 
Molte volte, nella calma della casa di Perry, Edgar si era sentito quasi osservato, giudicato o chiamato dalle sue stesse creature, gli abitanti del maledetto volume; e quelle chiedevano sempre maggiori libertà, ma senza implorare troppo. Oh, no, con il passare del tempo, era stato lui a desiderare che tali avvenimenti cessassero, a interrompere il lavoro cercando di non cedere al desiderio di porvi lucchetti, serrarlo in una cassaforte o peggio, e salutare per sempre quelle strane sensazioni.
Forse erano solamente sue suggestioni: Virginia, infatti, non era mai stata turbata dalla lettura del libro e, al contrario, ne era rimasta affascinata. Si stava illudendo su tutto, quindi? La sua era solamente stanchezza, un abbaglio della lucidità?
Edgar si fermò un istante sulla strada e riprese fiato in un roco respiro: frutto della camminata e del passo sostenuto, il sudore colava copioso lungo la schiena e gli appiccicava la stoffa della camicia al dorso e i capelli alla nuca, pizzicava e faceva prudere la pelle, fiaccava tutte le membra e sembrava determinato a togliere il senno.
Un alto, rigoglioso larice svettante presso un lato del sentiero venne in aiuto allungando la propria ombra verso il giovane, e questi fu ben contento di sedersi ai piedi del tronco e farsi accarezzare da un breve riposo; intanto, la mente e le considerazioni non si fermavano e continuavano a rimuginare riguardo all’eccentricità della storia e ai suoi inspiegabili accadimenti.
Frances e John sostenevano spesso ― l’uomo in particolare ― che passasse troppo tempo, più del necessario, distante dai contatti umani, che cugina e zia non potevano valere per tutti: che effettivamente avessero ragione e fosse giunto il momento di staccare un attimo dai misteri, dalle discese nel cuore umano e nei suoi moventi?
Forse avrebbe dovuto ascoltarli di più: seguire il loro consiglio e dare una possibilità al mondo, accettarne maggiormente il ritmo, e infine...
Infine, venne il grido. 
Edgar non lo udì subito: lo percepì quando ormai quello era sul punto di disperdersi per la campagna, tra salici e fossi, come un’eco inascoltata. Ma lui quell’eco l’aveva sentita e si era immediatamente voltato verso il punto di provenienza del prolungato, sofferente urlo che aveva ben poco di umano ma tanta tristezza da stringere il cuore; e per molto rimase in attesa, sorpreso e un po’ spaventato, a fissare l’orizzonte violetto che si estendeva alla sua sinistra, chiedendosi se fosse così stanco e tanto ottenebrato dai festeggiamenti notturni da confondere i piani di realtà e immaginazione.
Il ripetersi del grido per due volte ― l’ultima in modo semplicemente raccapricciante ― lo convinse di essere perfettamente lucido e lo fece balzare in piedi come sotto l’amorevole tocco di un tizzone ardente, ma proprio la razionalità lo portò a esitare dal gettarsi di corsa in direzione del suono, per desiderio di aiuto e curiosità.
Nel suo animo si agitavano due forze: una cauta, che gli chiedeva di riflettere bene prima di agire, vagliare con accuratezza e possibilmente non indagare oltre; e quella più viva e fremente che già lo portava lontano, nei colori della sera e da chi o cosa aveva partorito il suono, per apprendere il mistero che si celava dietro di esso. Alla fine fu quest’ultima a vincere e a spingere il giovane a dirigersi verso il viola crescente, là dove bruciante curiosità conduceva e chiamava.
Il grido non si fece più udire, ma Edgar ricordava benissimo la direzione e così continuò su uno stretto sentiero per quelli che alla fine si rivelarono pochi minuti, il tempo di ritrovarsi sulla cima di una bassa collinetta; da questa si scendeva in una depressione erbosa collegata alla collina da un sentiero ancora più stretto di quello che aveva appena percorso, fiancheggiato da una fitta fila di faggi su entrambi i lati e volto verso una meta che da quella sommità lui non riusciva a scorgere.
Non era solo in quel luogo da dove sembrava salire la velata oscurità che iniziava ad avvolgere l’ambiente: poco più avanti rispetto al giovane, una figura alta e magra avanzava lentamente sul sentiero, lenta ed elegante.
Edgar non riusciva a scorgerle il volto perché quella gli dava le spalle, ma qualcosa nella figura continuava ad attirare il suo sguardo: era lì perché, come lui, aveva udito il grido e si era sentita scuotere dallo stesso desiderio di conoscenza? Era un o una viandante senza meta, qualcuno che si era perduto o semplicemente un’anima libera, incurante dell’approcciarsi sempre più rapido dell’oscurità, tesa a un orizzonte che nessuno avrebbe potuto eguagliare?
Il giovane vide la persona fermarsi improvvisamente e volgere il capo verso un punto alla sua sinistra, su di una macchia di cespugli che sorgeva in mezzo a due alberi; la guardò avvicinarsi a essa e sporgersi in avanti per guardare meglio qualcosa al suo interno, rimanere immobile per qualche tempo… ma Edgar non riuscì a fare molto di più: un’ombra si allungò sopra di lui e lo ricoprì completamente, rapendolo alla grazia della sera. 
Il giovane non aveva bisogno di voltarsi per riconoscere chi fosse alle sue spalle, e il sospiro e lo sguardo subito incupito lo resero palese. «Perché mi hai seguito, Virginia? Mamma ha detto che stamattina avev―»
L’ombra divenuta carne lo superò senza ascoltarlo, quasi neppure lo avesse sentito, passandogli accanto in silenzio e incamminandosi sul sentiero che si srotolava giù dalla collina. 
Edgar rimase a fissarla per qualche istante con una punta di confusione nella mente; quindi, arrossì d’imbarazzo nel realizzare come essa non fosse affatto sua cugina, ma una donna che le assomigliava molto. Certo, i lunghi riccioli scuri erano identici ai suoi e anche le movenze, ma era molto più alta e magra di Virginia, e indossava abiti che la ragazzina non avrebbe mai scelto: lei non portava mai colori così violenti come il rosso scuro che tingeva la gonna della sconosciuta, né si sarebbe aggirata a piedi nudi come quella faceva. 
Eppure, non fu l’aver confuso le due persone ciò che trasformò l
imbarazzo dapprima in disagio, poi in inquietudine: dietro di sé, insieme ai veli della veste che ondeggiavano a ogni passo come scossi dal vento, la nuova arrivata lasciava una sensazione di gelo da dare i brividi. Per ignote ragioni, improvvisamente il ragazzo si trovò a pensare che ciò che le tingeva la veste fosse sangue ― sangue arterioso, zampillante dal cuore stesso ―, e tanto se ne convinse da sentirne l’odore nelle narici e il bollore sulle mani.
C’era qualcosa di enormemente sbagliato in lei, d’innaturale e brutale, quasi fosse una fiera pericolosa e nemmeno di questo mondo; una pulsione che invitava a scappare, fuggire il più lontano da lì e in fretta, ma che Edgar non riusciva ad assecondare, immobilizzato da altre emozioni: non poteva, semplicemente. 
Non fu la sua parte più razionale a vedere quel che successe dopo e a fissarlo per sempre nel suo essere, là dove il terrore si nutriva di ogni memoria, ma tutto di lui, corpo testa anima, lo sentì accadere; perché improvvisamente si trovò a volgere il capo verso la direzione opposta, la stessa disperazione con cui prima credeva di non poterlo fare a infiammargli vene e tempie.
Corri e salvati.
Nel momento del massimo orrore, della caduta finale, l’istinto si era messo in moto e aveva dato una scossa al suo corpo, facendolo alzare e costringendo le gambe a ruggire mentre la corsa si faceva più veloce e nelle orecchie si udiva solamente il boato del vento.
Via di qui, non puoi affrontarla.
Edgar sapeva: l’occhio non era stato rapido a girarsi quanto il capo e aveva intravisto ciò che sarebbe stato meglio non notare, quello che la mente aveva già compreso e non avrebbe dovuto essere confermato.
Ogni secondo di mostruosità uncinava la pelle con lo stesso accanimento con cui il sudore l’abbandonava: e non c’era la strada di casa davanti allo sguardo stravolto, ma la velocità innaturale con cui la sconosciuta era andata incontro alla figura accanto al cespuglio e, senza strappare né emettere un grido, aveva…
Scappa.
Più di una volta il giovane incespicò rischiando di cadere tra la polvere e i fruscii che salivano dietro di sé, ma il desiderio di sopravvivere lo sostenne e, seppur tra barcollamenti e atroce dolore diffuso in tutte le membra, alla fine lo riportò a Villa Allan. 
Il cielo girava piano sopra le guance solcate da lacrime improvvise, e qualche stella occhieggiava in attesa di una risposta che continuasse la sua imperturbata danza; lui non si accorgeva di nessuna di queste cose, quasi il corpo fosse stato diviso dal resto ed Edgar Allan Poe fosse divenuto solamente un’ombra.
Come lei.
Gli alberi che popolavano il parco erano quasi più confusi di lui mentre lo guardavano attraversare lentamente i sentieri e cercare la porta più vicina per intrufolarsi nella villa come un ladro e rintanarsi in un posto dove nessuno potesse trovarlo, per poi provare a…
Dupin comparve davanti al suo sguardo vacuo ancor prima che potesse rendersi conto del trambusto che agitava l’edificio. Pronunciando parole che lui non riuscì a comprendere, il gentiluomo impallidì nel vederlo quasi non si aspettasse d’incontrarlo, oppure a causa del suo aspetto che sapeva essere orrendo ― forse per entrambe le motivazioni; dopo un istante il ragazzo lo vide ricomporsi e afferrarlo per le spalle e scuoterlo, dimentico della sua abituale eleganza. C’era tensione nel suo sguardo e le mani tremavano leggermente.
La questione è davvero grave, fu il pensiero che attraversò la mente di Edgar, il quale si riscosse quel tanto per udire Dupin: «Edgar, mi senti, riesci a rispondermi? Virginia era con te? Cos’è accaduto?»
Poe rimase immobile, confuso. «… Virginia?»
L’uomo lo fissò quasi per leggergli dentro, quindi abbassò il capo e lo voltò di lato. «Terribile, è terribile. E ora che cosa fare…»
Il ragazzo trattenne il fiato, per poi avanzare di un passo e costringere Dupin a indietreggiare. Nuovi brividi gli attraversavano la nuca. «Che cosa sta succedendo qui, signore? Perché mi avete chiesto di mia cugina?»
Il francese non rispose immediatamente, ma solamente nel guardarlo Poe sentì ciò che stava per dire. Una stilettata dritta al cuore.
«Ragazzo mio… Virginia è sparita.»





 

ANGOLO DI MANTO

Salve!
Non ci speravo neanche più di riuscire ad aggiornare la storia prima della fine dell’anno, tuttavia sono riuscita a rendere alcune scene come avevo in mente (o almeno ci ho provato) e iniziare a parlare di una questione che impegnerà tutti i prossimi capitoli.
Alcune note avrebbero dovuto comparire già in questo capitolo, ma per non farvi spoiler le inserirò prossimamente.
Un abbraccio,

Manto

 

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Capitolo 4
*** L'Altra Verità ***


IV ☼ L’Altra Verità




C’era silenzio, esattamente quel tipo di assenza, quando sua zia Elizabeth se n’era andata. Nella stanza drappeggiata di tessuti neri, con le persiane serrate ― e, ciò nonostante, qualche raggio di sole a sporcare il buio di volgare oro ―, il suo corpo bianco ed esile pareva dormire: c’era serenità nel volto tanto pallido da sembrare porcellana, tutta quella sottratta alla piccola casa dei Poe, e un che di tremendamente malinconico.
Qualcosa era andato irrimediabilmente perduto, e non si trattava solamente della vita di una donna; no, la spaccatura era ancora più profonda e faceva risuonare spietatamente il vuoto venuto a crearsi, perché un intero mondo non sarebbe più stato lo stesso, perché qualcuno avrebbe sofferto anche ciò che non avrebbe meritato ― e il nome di quel qualcuno lo conosceva come le preghiere a lei più care, le stesse che recitava pensando a lui.
Come nella stanza funebre della zia, c’era la notte accanto al materasso su cui lei dormiva, bianca come lo era stata Elizabeth: le tenebre la cullavano con mani delicate, facendo dondolare un giaciglio che non era né quello di Villa Allan né quello della dimora materna; e intanto Virginia continuava a sognare di giochi nel sole e calore, conscia di farlo.
Seppur portata lontano dalle visioni oniriche e con gli occhi ben chiusi, tenuti tali da una mano invisibile che premeva sulle sue palpebre senza farle male, la ragazzina vedeva ogni cosa: i muri dell’antica camera che l’abbracciava, il grande lampadario a goccia velato da lunghe ragnatele, i ghirigori sul vetro colorato dell’unica finestra della stanza, le rose rampicanti e l’edera che risalivano la torre dove riposava e profumavano l’aria di tenue tristezza. Tutto le era sconosciuto: non aveva mai visto quelle pareti o mai sentito parlare della torre, né le era noto il letto su cui era stata adagiata. Non sapeva nemmeno dove si trovasse; ma era molto lontana sia da Baltimora che da Richmond, lo percepiva.
Inoltre, era totalmente priva di paura: non doveva averne, continuava a sussurrarle una voce dentro e fuori di lei, perché ormai niente avrebbe potuto farle male… era sola, dopotutto.
E fu proprio questo ciò che le fece vincere i sogni e la forza che la teneva ben stretta a sé, e la spinse a spalancare gli occhi: non c’era nessuno.
No, non c’era più nessuno.
Chiunque l’avesse rapita e portata in un simile luogo, l’aveva poi abbandonata senza neppure sfiorarla: quasi avesse trovato in lei un tesoro e se ne fosse appropriato unicamente per conservarlo nella sua perfezione, tenerne intatta la Bellezza e impedire che perfino il Tempo la toccasse.
Le lenzuola di fine tessuto che la ricoprivano caddero a terra senza un fruscio non appena Virginia si levò a sedere sul giaciglio, il cuore che le batteva forte nel petto e l’esigenza di lasciare la stanza: al di là della fredda pietra, fuori dalla torre silente, si apriva una larga pianura verde di alta erba, ricolma di fiori e sussurri, e questa mormorava anche il suo nome.
Se mi lascerai non tornerai, si lamentava intanto la torre, stridendo nelle sue antiche ossa, andrai nel mondo, ma sarà la tomba ad attenderti.
Stringendo a sé i propri capelli e il candido abito con cui entità sconosciute l’avevano rivestita, la fanciulla non ascoltò tali parole e si portò sul bordo del letto; le tenebre fermarono il dondolio e si ritrassero per permetterle di scendere, e lei si avviò lentamente verso la scala a chiocciola che si apriva in un angolo della stanza. Continuando a ignorare i richiami delle rovine, lasciandosi alle spalle le finestre traforate che la guardavano piangendo e i portali dai marmi rovinati, attraversando un ponte scheggiato dalla luce delle stelle, presto Virginia venne circondata dalla pianura. L’erba si spostava al suo passaggio, facendole posare le nude piante dei piedi direttamente sulla terra calda e smossa di fresco, aprendole davanti sentieri che conducevano ovunque lei volesse; ma verso queste mete andava sola, e al desiderio di trovare qualcuno non riceveva risposta.
Condotta dalla luna, la torre continuava a inseguirla con la sua ombra, cercando di afferrarla per l’orlo della veste e cingendole le spalle con il profumo delle sue rose mai putrefatte; ma non era là la sua casa, non era quello il luogo dove sarebbe rimasta per sempre.
Non era ancora il momento… e nel frattempo, qualcun altro giungeva a trattenerla con disperata energia; sì, una mano, una presenza umana che non poteva vedere ma sapeva amica, le scivolava tra i capelli e le cingeva la vita, scendeva lungo le sue gambe e le serrava le caviglie stringendole senza violenza, ma con la ferma volontà di non lasciarla proseguire.
Lei rimaneva ferma dov’era, avvolta da una tristezza amara come fiele e tuttavia non più sola, e… e il racconto finiva.

 

Virginia sbatté le palpebre con forza, e per il gesto una girandola di scintille si sprigionò davanti ai suoi occhi; ma il buio completo, intenso e silenzioso, fu lesto a ricadere sulle sue spalle, sul respiro affannato che riempiva il piccolo spazio che la circondava.
Ma dov’era? Cos’era successo? Perché i suoi piedi toccavano freddi pavimenti e non terra arsa dal sole? Era forse ritornata alla misteriosa torre per dormire ancora, o qualcuno l’aveva condotta nuovamente a quella malinconica culla per custodire il suo pianto?
La ragazza provò ad annusare l’aria, aspettandosi di percepire il sentore delle rose, sua unica compagnia visibile; invece, sentì odore d’inchiostro e libri, un profumo a lei ben più noto.
Boccheggiando per la sorpresa, indietreggiò di un passo e nella tenebra intensa andò a sbattere contro la libreria alle sue spalle; barcollò e si appoggiò alla scrivania che sapeva essere alla sua sinistra, sentendo contro i polsi e sotto le dita i tappi delle boccette ricolme di liquido nero e rosso, la puntura dei pennini o il solletichio delle piume d’oca, e nel tentativo di afferrare tutto ciò ne rovesciò al suolo una parte con un rumore agghiacciante di vetro infranto. Da qualche parte davanti a lei, attutito da una specie di barriera ― la porta! ―, dei corpi si mossero: il rumore morbido di membra in movimento, di lenti passi che andavano avvicinandosi, la spinse a protendere le mani innanzi a sé e avanzare piano per incontrare chiunque le stesse venendo incontro lì, nello studio di Edgar.
Ci fu un leggero tonfo quando chi era al di là della porta raggiunse quest’ultima; e istintivamente Virginia si fermò, uno strano brivido di paura ad attraversarle la schiena. Scappa, piccolina, fuggi!
Una mano girò la maniglia, e con un prolungato cigolio la porta si aprì.
Paralizzata da subitaneo terrore, la ragazzina si accorse di essere nuovamente indietreggiata e addossata alla libreria solo quando sentì le copertine dei volumi premerle contro nuca e scapole; ma l’altra entità non era affatto immobile, e continuava ad avanzare.
La tenebra rimaneva totale, e in essa la sua compagna si muoveva tranquillamente senza emettere più di un suono: quello dei suoi piedi, forse, che la spingevano verso la fonte del proprio risveglio e interesse.
Nel rapido crescere della propria paura, Virginia si accorse di quando la presenza si arrestò ― ormai ben poca distanza le separava ― e, aspettandosi qualcosa di terribile, si morse le labbra per non urlare. Il sapore del ferro le riempì il palato, e così fece l’odore con le narici: tanto affondò i denti nella propria carne per…
No. No, non si era aperta nessuna ferita, né era sua la gelida presa che l’aveva afferrata alla vita: l’altra l’aveva catturata e stretta a sè; e aveva forzato la sua bocca e la stava baciando… e stava riversando fiotti e fiotti di sangue nella sua gola.
Un urlo spaventoso si fece strada dentro di lei e rimbombò in ogni sua parte: ma si espresse in un gorgoglio strozzato, perché chiunque l’avesse presa aumentava la stretta fino a renderla un abbraccio doloroso, capace di spezzare il fiato. Per orrore e terrore la ragazzina sentì le gambe cedere e immediatamente quelle mani la sorressero, l’alzarono di peso.
Braccia magre e dure, ricoperte di materia viscida e rappresa, l’accolsero e l’accarezzarono accompagnandola alle soglie dell’incoscienza, e la fetida bocca che si era appropriata del suo primo bacio si staccò dalle labbra per sporgersi verso l’orecchio sinistro: «Virginia, mia dolce Virginia», chiamò il suo nome: e pareva che a parlare fosse la tomba, il triste coro dei morti che piange il sole e la carezza del vento, «non aver paura di questo dono; è la mia dote per te. Mia sposa, mi aspetterai fino a quando ci ritroveremo? Mi sarai fedele?»
Quando quella voce tanto inumana quanto disperata tacque, la ragazzina seppe che non sarebbe giunto più niente di cui avere paura; se quella era stata una prova, l’aveva appena ultimata. Senza nemmeno provare a dare un senso logico a quello che aveva appena vissuto o a ricondurlo a una realtà certa, lasciò che le forze l’abbandonassero e le permettessero di cadere in un sonno che nessuna lacrima avrebbe mai potuto scalfire.
Sentì solamente che qualcuno, molto probabilmente la sua misteriosa, innominabile compagna, la portava fuori da quella stanza per appoggiarla su una superficie soffice; poi più nulla. Finalmente era sola con sé stessa, con il sapore del sangue che ancora le riempiva la bocca e una fredda sensazione dalla risposta celata nel futuro.
Infine, sembrò essere passata un’intera vita, un secolo d’immobilità all’interno della sua culla di silenzio, quando una voce riempì le pareti con la grazia di una carezza, lambì la sua persona e spezzò il soporifero sortilegio in cui era caduta.
Virginia ebbe appena il tempo di aprire gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte, e di riconoscere la camera da letto di Villa Allan avvolta dal lucore di un lume artificiale, poi il suo sguardo incontrò una figura che la fece sorridere e sollevare sui gomiti. Si sentiva debole come un cucciolo appena nato, ma in qualche modo riuscì nel suo intento. «E-Edgar?», mormorò appena; e con sua sorpresa vide il cugino, rimasto fino a quel momento sulla porta e con la schiena rivolta verso di lei, girarsi di scatto e fissarla con l’espressione più terrorizzata che la ragazzina gli avesse mai visto in volto.
«Edgar, mi fai paura con quella faccia… cos’è successo? Stai bene?»
Ancor prima che finisse di parlare, l’altro si precipitò nella stanza e quasi piombò sul letto; confusa, Virginia si lasciò abbracciare così strettamente da provare dolore ― per quanto molto diverso da quello che aveva sentito prima… ma quando, esattamente? ― e gli accarezzò esitante la schiena mentre quello affondava il viso tra i suoi capelli e, la ragazza si rese conto di ciò con una profonda tristezza, piangeva.
«Ma dov’eri finita, eh? Si può sapere? Ero disperato! Credevo… credevo che…» Senza dar tempo alla cugina di rispondere né interrompere la tempesta di domande, il giovane lasciò la presa e la liberò da coperte e lenzuola, controllando che nemmeno un graffio la segnasse.
Sulla porta, intanto, erano apparsi anche Dupin e Frances Allan, e il trambusto che Edgar sollevava stava attirando tutti gli occupanti della dimora verso la stanza.
L’unica a non dire una parola era Virginia, incredibilmente stanca e troppo presa a rincorrere le domande di uno o dell’altra e a cercare di comprendere perché la circondassero tanti visi ansiosi o sollevati, in completo caos; per fortuna, la ferma voce di Frances riuscì infine a imporsi su quella dei restanti e a portare un poco di silenzio, oltre a darle respiro, per poi invitare tutti a lasciare la stanza, dato che la fanciulla smarrita era stata ritrovata e le normali attività potevano essere riprese.
Così, alla fine, con Virginia rimasero solo la donna, Edgar, che non aveva alcuna intenzione di staccarsi dal fianco della ragazzina, e Dupin, che aveva occupato una poltrona e osservava la scena da un angolo, un’espressione pensierosa a segnargli i tratti.
«Che cosa sta succedendo?», mormorò infine Virginia, volgendo lo sguardo verso il cugino e stringendogli una mano. Una forza dentro di lei la spingeva a cercare il calore dello scrittore, che lui non gli negò affatto.
«Tesoro mio», esordì Frances, prendendo per prima la parola, «perché hai lasciato la villa senza dire nulla? Ti abbiamo cercata per ore, dentro e fuori, e…» Un’esitazione. «Il sole è già calato da molto, è sera.»
Virginia trasalì, impallidendo. L’intera villa era in subbuglio perché la credevano scomparsa, ed era già passato il tramonto… che orribili momenti dovevano aver passato tutti. «Perdonatemi», sussurrò allora, tremando al pensiero delle notizie che giungevano dalla città e anche a quello che la gente doveva avere ipotizzato sulla sua fine. Eppure, lei era sempre stata lì tra quelle mura. O non era così? «Mi dispiace di avervi fatto preoccupare in questo modo, ma in verità io… io sono sempre rimasta qui. Mi sono svegliata nel pomeriggio e ti ho cercato, Edgar, ma Frances mi ha detto che eri andato nelle campagne; mi sentivo un po’ debole, quindi invece di venirti incontro sono andata nel tuo studio per prendere un libro, e―»
E hai letto di una torre abbandonata, di una ragazza che lì dorme e di ombre che la vegliano come una figlia.
Frances attese un attimo che la giovinetta continuasse, ma davanti al silenzio improvviso di quest’ultima finì per inumidirsi le labbra e scuotere la testa con nervosismo. «Ma, cara, sei sicura di non essere uscita neppure una volta, anche solo nei giardini? Ho controllato io stessa lo studio di Edgar, più volte, ma lì non c’eri… non ti ricordi di averlo lasciato?»
La ragazzina aggrottò la fronte e strinse ancora di più la mano del cugino, in preda a improvvise vertigini e a un senso di soffocamento che le serrava la gola come un cappio. Sensazioni ed emozioni dovute al risvegliarsi della memoria si stavano riversando in massa nella sua mente, mozzandole il respiro; non si era semplicemente immaginata tutto. «L’ultimo racconto di Edgar era lì, sulla scrivania. Quello che mi ricordo è di essermi seduta sulla sedia e di aver preso in mano i fogli, di aver iniziato a leggere… e poi…» Non riuscì a proseguire a parole, ma con i gesti indicò la stanza che la circondava, come a dire: ed ecco che, dopo un buio infinito, mi sono risvegliata qui. Buffo, eh?
Ma non c’era nulla di cui ridere, e la prima a temere era lei: tra la sua persona e quella degli altri c’era una torre, una distesa d’erba senza fine, solitudine, e una figura emersa dalla Notte per farla sua.
«Quindi non hai memoria di essere ritornata in questa stanza, signorina?»
La voce di Dupin risuonò forte e chiara, come la replica che poi giunse: «No. Mi dispiace, ma davvero non ricordo di aver mai lasciato lo studio.»
Sì, ti ricordi di qualcuno che ti ha portato via da quella stanza per adagiarti su qualcosa di morbido. La sua presenza è ancora qui.
Edgar, Dupin e Frances si guardarono brevemente, quindi la donna mormorò, cercando una risposta negli altri: «Un caso di sonnambulismo?»
«Non c’era anima di questa casa che non fosse occupata a cercarla: qualcuno l’avrebbe vista», rispose Edgar, oscurando appena lo sguardo e rivolgendosi immediatamente a Virginia, «… e d’altra parte, fino a poco fa non eri nel tuo letto, o ti avrei notato: avevo appena finito di setacciare l’intera camera quando hai chiamato il mio nome. Capisci? Mi sei comparsa alle spalle come da un’altra dimensione… e io inizio davvero a credere che per qualche tempo tu non sia stata qui con noi.»
«Edgar, ragiona», s’intromise allora Frances, la voce rotta dall’agitazione, «le persone non possono scomparire e riapparire a proprio piacimento. Virginia, io invece credo che la febbre si sia alzata e―»
«Signora Allan.» Con calma, Auguste Dupin si alzò dalla poltrona e si erse davanti al resto dei presenti, recando un silenzio assoluto. «Signora Allan, per favore, mi concederebbe un minuto con la ragazza?»
La donna esitò un istante davanti a quello che era un implicito, gentile invito ad andarsene; ma non tardò ad acconsentire con il capo, lanciando poi uno sguardo a Edgar. Seppur Dupin avesse parlato al singolare, anche lui sarebbe rimasto nella camera; e forse loro due, insieme, sarebbero riusciti a comprendere qualcosa della situazione. «Concesso», disse infine, levandosi dal letto e rivolgendosi a entrambi i signori, «ma non affaticatela troppo, per favore.»
«Abbiamo tutti bisogno di riposo, ci congederemo presto. Promesso», rispose il francese con il suo tono più affabile, seguendo Frances con lo sguardo fino a quando la donna uscì e i suoi passi si persero lungo il corridoio. «Allora, giovane Virginia», riprese l’uomo, rivolgendo un sincero sorriso alla ragazzina e sedendosi sul bordo del letto, «vediamo di ricostruire insieme le ultime ore, vuoi? I tuoi ricordi si fermano al momento in cui hai iniziato a leggere il racconto di Edgar che hai trovato sulla sua scrivania, così ci hai detto.»
Virginia annuì, e il senso di oppressione le diede un’altra scossa.
«Descrivimeli. Parlami di tutto ciò che hai fatto prima di… qualsiasi cosa sia successa in seguito.»
Lei chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi nonostante la stretta alla gola; questa si allentò di un poco mentre la lingua improvvisamente si srotolava e, senza nemmeno sapere bene perché ma come sotto una forza esterna, narrava ogni particolare del racconto che aveva letto e del sogno ― ma si era trattato di un sogno? ― o immaginazione seguito a ciò: il lungo sonno nella torre divorata dall’abbandono, gli spiriti che la proteggevano, le stelle congelate dalla distanza, la chiamata che la spingeva in terre sempre più lontane, l’abbraccio che non voleva saperne di farle compiere un viaggio così solitario, e, alla fine di tutto, anche l’entità che l’aveva assalita nell’oscuro studio di suo cugino e legata a sé ― e in che modo. La morsa si rilassò maggiormente, ma solo per spostarsi: l’anulare della mano sinistra iniziò a bruciare, e il peso di un anello s’impresse a fondo nella carne.
Inorridita e terrorizzata, Virginia si fissò il dito come se da un momento all’altro vedesse spuntarvi attorno un piccolo cerchio nero come la notte: il marchio di una promessa, una saetta lanciata nel tempo, nel futuro, e tutta sua da seguire; un’ombra in avvicinamento, i suoi stessi passi che la conducevano da lei e la voce ― propria, e di molti altri ― che mormorava un canto nuziale trasudante tristezza, ineluttabilità.
Era come sapere di non possedere più la propria vita.
«Edgar, ragazzo, stai bene?»
Fu la voce di Dupin a strapparla ai suoi cupi pensieri e a farla voltare verso il giovane scrittore; e anche lei si spaventò quando lo vide così pallido, gli occhi fissi alla parete e lo sguardo vitreo. Non era più in quella stanza, ma lontano, a rapportarsi con una realtà staccata da loro. «Edgar?», lo scosse piano per un braccio, mettendosi in ginocchio e prendendogli il viso, «che cosa ti sta succedendo?»
«Io…», mormorò Poe dopo un lungo istante, ritornando parzialmente in sé sotto il richiamo della voce di sua cugina, «io stavo pensando che… no, c’è troppo che non va. Perdonami, Virginia, come hai fatto a leggere tutto questo, o meglio, come hai fatto a saperlo? Su quella scrivania ho lasciato solo l’inizio del racconto…» Una pausa congelata dall’attesa e appena intaccata dal fruscio dei fogli che Edgar estrasse dalla tasca del suo mantello. «… Il resto è sempre stato qui, con me. L’ho ultimato ieri pomeriggio, al cimitero, e non ho più riunito le parti.»
Il silenzio che seguì tali parole poteva avvolgerli tutti al pari di una coperta, tanto era concreto; ed era così pesante da essere immediatamente spezzato. «Quindi Virginia può aver letto davvero solo della torre e della ragazza che lì dorme, mentre ciò che segue dovrebbe averlo immaginato, o sognato, tale e quale a come lo hai creato?» Ancor prima che Edgar potesse rispondere, Dupin continuò, ma la sua voce si abbassò di un tono. «Ma non tutto è parte di quel racconto… tu non hai scritto dell’entità che Virginia ha incontrato nel tuo studio, né lei fa parte di un sogno. Me lo permetti, signorina?»
La ragazzina rimase immobile mentre Auguste allungava una mano e le sfiorava il sottomento con la punta dell’indice, e quando la ritraeva una goccia di sangue gli imperlava il polpastrello. Sangue fresco, ma non proveniente da ferita o graffio; sangue che le aveva portato qualcun altro, e lasciatole in dono insieme a un bacio che odorava di suprema condanna. La realtà si rivelava essere più oscura dell’immaginazione.
«Avete ragione, monsieur», replicò Edgar, che sembrava essersi nuovamente estraniato e non aver notato ciò che Dupin aveva appena fatto, «lei non fa parte di quel racconto, eppure…»
«E io che pensavo che, tra i due, almeno Virginia fosse responsabile e corretta; ma mi sbagliavo. Il cattivo sangue dei Poe non mente.»
Come un vento di tempesta, una nuova voce interruppe il discorso e spinse i presenti a voltarsi verso la porta. Immediatamente dopo, la ragazzina chinò il capo e si morse le labbra, umiliata più dal tono che dalle parole di John Allan, il quale era appena entrato nella stanza e fissava tutti con occhi brucianti di rabbia. Alle sue spalle apparve anche Frances, un braccio teso a trattenere quello del marito e lo sguardo allarmato che saettava da questi a, soprattutto, Edgar.
Con un gesto lento e fermo, l’uomo la staccò da sé e avanzò lentamente verso il letto, tornando a concentrarsi su Virginia. «Sono appena tornato da Richmond, dove sono andato a cercarti. Ho vagato per l’intera città, chiesto di te a qualsiasi persona incontrassi, messo in pericolo la mia vita per tornare indietro con la morte nel cuore e scoprire che ti eri nascosta qui, nella mia stessa dimora, da qualche parte. 
Questa famiglia ha accolto a braccia aperte anche te, nonostante non ti si deva nulla; ed è così che ci ripaghi? Giocando con le nostre paure e l’orribile situazione in cui versa la città?
Mi viene da chiederti, Edgar, perché tu l’abbia portata sotto questo tetto. Una sorta di vendetta nei nostri confronti?»
Lo scrittore non replicò subito, ma tutti poterono notare l’ombra che gli attraversava il viso e si rintanava nei suoi occhi, resi vividi dal livore.
«Perché prendersela con lei, quando puoi benissimo sfogarti su di me?», replicò Edgar, la voce bassa e gelida, mentre stendeva un braccio davanti a sua cugina, come a proteggerla da ulteriori ingiurie. «Virginia non ha mai fatto nulla per turbarti, nemmeno in questa occasione.»
John alzò le mani al cielo con fare teatrale e la sua voce divenne canzonatoria. «E allora dov’era? Tutti dicono che sei stato tu a ritrovarla, proprio qui. Ma che strano! Apparsa dal nulla oppure, più verosimilmente, tua complice in uno scherzo di pessimo gusto?»
«John, basta, smettila. E anche tu, Edgar, non continuare, per favore.» Neanche l’intromissione di Frances, ben decisa a tenere separati marito e figlio, impedì ai due di affrontarsi in un silenzio duro, carico di accuse ancora più aspre di quanto la lingua avrebbe potuto pronunciare.
«Non ti preoccupare, mamma, va bene così», esordì infine il giovane, alzandosi in piedi e poi chinandosi verso Virginia per prenderla tra le braccia e sollevarla, parandosi davanti agli altri con lei ben stretta al proprio petto. «Ho preso una decisione che metterà d’accordo tutti: per tutto il tempo che starai a Richmond, Virginia, io e te abiteremo nella casa del signor Perry. In questo modo non rischieremo di dare problemi al signor Allan ed eviteremo l’insorgere di altre calunnie nei tuoi confronti.»
La discussione che si scatenò immediatamente dopo era inevitabile, ma destinata a essere breve: niente avrebbe potuto far cambiare idea a Edgar, anche se solamente Virginia e Dupin lo riconoscevano tanto da evitare di inserirsi nell’inutile battibecco e attendere che questo giungesse alla fine.
Non molto tempo dopo, le stelle vorticavano lente sopra la testa di Virginia. La panchina di pietra sulla quale sedeva, all’interno del parco di Villa Allan, andava rilasciando il calore accumulato durante il giorno e strisciava sotto il nero mantello che indossava, riscaldandola fin nelle ossa. La presenza di Dupin, in piedi accanto a lei e intento a fumare la sua pipa, le dava un seppur minimo senso di protezione e l’aiutava a combattere la paura che sgomitava nel suo cuore e le mordeva ferocemente l’anulare.
«Lo avrebbe fatto comunque, vero? Di lasciare la villa, intendo. Qualunque cosa sia entrata qui, seguirà Edgar. Il litigio è stato solamente un pretesto per non coinvolgere più persone di quelle già prese di mira.» La sua voce le sembrava strana, più profonda e saggia, quasi lei fosse diventata improvvisamente adulta, o consapevole della fine di un’era.
E quella era la morte della sua prima giovinezza, dell’innocenza che si allontanava giorno dopo giorno e che lei non poteva trattenere.
Auguste non rispose immediatamente, ma dall’espressione sul suo viso, che l’ora tarda non riusciva a nascondere completamente, Virginia seppe di aver ragione. «State pronti, ragazzi miei», commentò il francese, «perché qualcosa di grande si sta preparando per voi, e dovrete affrontarlo.»
«Lei non ci abbandonerà, vero? Non lascerà Edgar da solo?»
Una mano si posò sul suo capo e le accarezzò i capelli dolcemente. «Davvero dubiti del mio aiuto, piccolina?»
Lei rimase in silenzio, cercò le dita del francese e le strinse come una bambina fa con quelle del proprio genitore. Intorno a loro, il buio pulsava come un cuore in ascolto. «No», gli mormorò, «non lo farei mai. Ma certe volte è bello sentirsi ripetere ciò che già sappiamo.»




 

ANGOLO DI MANTO

 

Salve!
La storia procede più a rilento di quanto voluto, ma non temete, ho intenzione di portarla avanti fino alla fine, che comunque non è lontana perché questa è stata pensata come una fic corta.
Il racconto in cui Virginia si ritrova mi è stato in parte ispirato dalla splendida poesia The Sleeper (La Dormiente) di Poe, e l’ombra di questa vicenda continuerà a ritornare nella trama.
Altri riferimenti più nascosti sono, per quanto riguarda i racconti di Poe, a La Mascherata della Morte Rossa e alla fiaba Rosaspina dei Grimm. Insomma, chi conosce ciò che accadde alla vera Virginia Clemms già sa che cosa aspettarsi… o almeno, cosa le riserverà un futuro che questa fic non comprenderà (diamo qualche gioia a questa stellina e a chi le vuole un gran bene, vi prego).
Un abbraccio,

Manto

 

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Capitolo 5
*** La Notte Sa Guardare ***


V ☼ La Notte Sa Guardare



Edgar mantenne la sua decisione: non attese neppure l’alba per partire, ma radunati pochi averi, ciò che non poteva assolutamente lasciare alla villa, li stipò in un paio di borse e con la mano libera strinse quella di Virginia per condurla via con sé.
Prima che ciò accadesse, la ragazzina si prese il proprio tempo per preparare i bagagli e fermarsi un attimo sul letto, il respiro irregolare e un vortice di pensieri che si arrestava e poi ricominciava, abbandonandole la mente e poi rientrandovi come fumo, mentre ascoltava Frances singhiozzare lungo i corridoi e discutere violentemente con il marito.
Si sentiva sempre più debole, inquieta per gli avvenimenti di poche ore prima, e al medesimo tempo pervasa da una sorta di eccitazione che le accelerava i battiti del cuore: perché staccarsi, temporaneamente o questa volta per sempre, dalla presenza di John avrebbe voluto dire quiete e felicità per suo cugino; una libertà non certo priva di un prezzo da pagare, ma necessaria.
Una parte di sé si sentiva in colpa, in quanto riconosceva di essere stata tra le cause principali di una lite ben più grave di quanto apparisse da fuori; ma l’altra era cosciente del fatto che prima o poi quel cambiamento sarebbe dovuto accadere. La frattura che segnava i rapporti di quella famiglia, se tale era mai stata, aveva ormai perso qualsiasi possibilità di sanarsi e continuare a fingere avrebbe fatto solamente più male.
Fin da bambina, da ché ricordasse, Poe aveva vissuto più con lei e la mamma che presso gli Allan: innumerevoli volte, nel grembo della notte, aveva udito il campanello di casa suonare improvvisamente e Maria Clemm lasciare la propria camera ancor prima che fosse passato un minuto, per poi sentirla aprire la pesante porta e qualche istante dopo iniziare a dialogare con la voce del ragazzo, che risultava non più di un sussurro di fantasmi fino a quando il giovane non entrava in casa. 
Pur nel sonno profondo ― e negli ultimi tempi, ancor prima che Edgar premesse il campanello ―, lei riconosceva subito la sua presenza; e spesso, mentre si voltava nel letto e si girava verso il “fratellone di Richmond”, come adorava definirlo in casa, le dita di lui le stavano già accarezzando i capelli o scostavano le coperte per prenderla in braccio e coccolarla come una bambola.
Da quel momento iniziavano giorni di sole: sempre più di sei e meno di dieci, spesso un’intera settimana dove lei e Maria facevano a gara a chi viziava e venerava di più quel ragazzo troppo magro e lo nascondevano finché potevano ai crudi commenti di John, che, sospettavano entrambe, in verità era ben felice di avere il figlio ribelle lontano dai piedi. In quelle ore, Virginia e Edgar erano impossibili da separare: giocavano, ridevano, parlavano a lungo, litigavano anche, ma non si lasciavano mai, perché sapevano che il tempo non sarebbe mai bastato e allora continuavano a rubarlo, cogliendo occasioni che non erano state create per loro.
Tuttavia, alla fine la legge aveva ragione sui desideri e il giovane doveva ritornare a Villa Allan; e mentre attendevano che la macchina di John apparisse nel vialetto di casa, i due cugini fissavano il tramonto fianco a fianco, contemplando il dolce silenzio fino a quando una voce non diceva: «Prima o poi tutto questo avrà un termine, e non dovremo preoccuparci di minuti e secondi», e l’altra rispondeva: «Lo credi davvero?»
Forse quel momento era davvero arrivato, infine… unito anche all’urgenza di portare lontano qualunque realtà si fosse insinuata nella casa.
Come aveva detto a Dupin, l’entità che avevano percepito tutti e tre ― anche se lei era stata l’unica a parlare della sua esperienza, aveva già intuito che in quello stesso tempo qualcosa fosse accaduto sia al francese che a Edgar ― non li avrebbe abbandonati facilmente, bensì seguiti come il più terribile dei segugi, e questo era ciò che Edgar voleva.
Nonostante quello che aveva passato lì e che neanche l’amore di Frances aveva saputo arginare, suo cugino desiderava liberare la villa dalla fumosa maledizione e farsene carico: avrebbe fatto la sua parte per salvare quante persone possibili dall’ignoto, e così lei e Dupin.
Non ci sarebbe stato bisogno di chiederglielo: lo avrebbero seguito ovunque pur di aiutarlo e proteggerlo. Erano entrati in guerra aperta, ormai, e non si sarebbero tirati indietro, qualunque fossero stati i motivi.
Io non sono forte, si disse lei mentalmente, interrompendo ciò che stava facendo per stringersi nelle braccia, ma ciò non vuol dire che esiterò. Non so contro chi andremo a combattere, ma mi farò valere. Io desidero solo che… solo che Edgar…
Calde lacrime le bagnarono le gote e le caddero in grembo, e ancora piangeva quando una mano le si posò sui riccioli e li scosse piano.
«Copriti bene, stanotte la temperatura si sta abbassando velocemente. Stai bene, mia cara? Vuoi riposare un poco?»
Virginia lasciò che suo cugino le sistemasse una giacca sopra il mantello che già indossava, poi alzò gli occhi lentamente. Il viso di Edgar era stanco, tutto in lui urlava il suo essere esausto, eppure negli occhi balenava un luce febbrile: per quanto divorato dalla mancanza di forze ― forse anche da altro ―, l’urgenza di fuggire lo sosteneva come un’amica.
«Sto bene, sono pronta. Andiamo?», disse Virginia senza porre altro indugio, afferrando la mano che lui le tendeva e le sue valigie, seguendolo in silenzio per i corridoi ribollenti di ombre ondeggianti e poi nel parco intriso di rugiada. Nessuno li aveva fermati, né, al di fuori di Dupin che li aveva salutati sul cancello della villa e si era accordato con Edgar per le successive visite, avevano incontrato alcuno: tutti sembravano scomparsi, annullati dalle drastiche decisioni dello scrittore, e non potevano pretendere importanza.
La campagna che aprì loro le braccia era quieta e profumata; ma Virginia ne aveva paura, ricordando quella che aveva sognato. Pallida come un fiore gelato, quella si lasciava condurre dal cugino senza guardare dove poggiava i piedi; non vedeva proprio nulla, ma cercava di fare meno rumore possibile per udire qualsiasi cosa si muovesse insieme a loro.
Sono sicura che quella figura mi stia seguendo… lo sento nel sangue che ha versato dentro di me, nelle parole che mi ha rivolto: mia sposa, mi aspetterai fino a quando ci ritroveremo?
Ma che cosa vuole da me, da noi? Cosa ho fatto per chiamarla?
Girando appena il capo, la ragazzina lanciò un lungo sguardo a Villa Allan, sempre più lontana. Il cielo si schiariva molto lentamente, e in quel tempo sospeso tra estrema notte e prime stille del giorno l’alta e larga struttura sembrava un animale acquattato nel folto delle tenebre, in paziente attesa della preda: le sue mille finestre arcuate erano occhi ricolmi di buio, mentre le lampade che si accendevano e spegnevano nelle stanze parevano lampi fugaci, riflessi da quelle pupille nere; le due torri che svettavano ai lati opposti della casa erano i lunghi colli di animali fantastici e malevolenti, stretti alla gola dai rami degli spettrali alberi del parco, veri e propri giganti. La luce elettrica continuava ad attraversare la casa come un serpente sulle cui scaglie si snoda il sole e alcuni bagliori fuoriuscivano dalle porte, due delle quali aperte e rosseggianti al pari di un forno; e Virginia provò un altro brivido al pensiero di aver vissuto tra quelle mura così sinistre e di averle considerate un luogo sicuro.
«Hai freddo, Virginia?»
In risposta, la giovinetta si appoggiò contro il fianco di Edgar e gli strinse un braccio. «Come sempre», mormorò, guardando la villa per un ultimo istante e poi distogliendo gli occhi, cercando nel calore dell’altro la protezione che non riusciva a creare da sé.
Chi poteva sapere se la sottile tenebra che serpeggiava tra l’erba e i fiori fosse il semplice parto della notte, una sua allucinazione, oppure una compagna di ben altro genere.

 

Come Virginia aveva prospettato, da quando iniziarono ad abitare nella casa di Perry i giorni presero a scorrere più tranquillamente: i due cugini si ambientarono straordinariamente bene nella nuova dimora, riportando frescura e vita tra le piccole pareti, e il mondo non poté far altro che adattarsi alla cosa.
Perry non si era mai sposato, non aveva avuto eredi e neppure aveva lasciato un testamento, ma tutti sapevano che aveva sempre considerato Edgar come un figlio, tanto da affidargli la copia delle chiavi di casa; quindi nessuno ebbe da ridire quando, il giorno dopo essersi sistemato nel nuovo sito, il giovane si offrì di comprarlo e renderlo definitivamente suo ― specie perché questi aveva già con sé anche il denaro, e anche in più rispetto al necessario. In breve tempo l’affare venne portato a termine e allo stesso modo il cambio di domicilio, e a questo punto la rottura con John Allan divenne definitiva; così che fino al proprio ritorno a Baltimora, la ragazzina sarebbe stata l’unica compagnia costante dello scrittore… dopodiché, lui sarebbe rimasto solo.
Ma io non me ne andrò da qui fino a quando la situazione non si sarà calmata. Mi dispiace, mamma… ma non posso lasciare Edgar proprio ora.
Non potrei mai spiegarti che cosa sta facendo per me, ma sappi che io sarò degna di tutti i suoi sforzi. Non avrò paura, lo sosterrò.
Ce la faremo insieme, oppure insieme cadremo e nessuno dei due rimarrà.
E chiunque ci stia dando la caccia lo sa, lo sa.
Questo scrisse Virginia a Maria la prima sera nella nuova casa, allegando anche una foto del cugino: finalmente, lo vedeva sorridere con minor sforzo ed era giusto che tutti lo sapessero.
Il sonno la colse mentre la stava riguardando, così il telefono rimase fisso su quella schermata; e quando Edgar giunse per spegnere tutte le luci, non poté fare a meno di leggere il messaggio e rimanere in silenzio accanto al divano dove la ragazzina si era assopita, a sentire come battessero il proprio e il di lei cuore.
Ogni giorno, nelle prime ore del mattino, si occupavano insieme della gestione della struttura, dividendosi compiti, spese e lavori domestici e finendo inevitabilmente per discutere perché Virginia voleva assumersi più di quello che il suo corpo fosse capace di sostenere; ma gran parte del pomeriggio era fatto per il riposo di una e il lavoro dell’altro, così che mentre la ragazzina dormiva ― fatto che succedeva sempre più di frequente, notò ben presto Edgar ― raggomitolata sul divano che era diventato il suo letto, alla scrivania posta lì accanto lo scrittore piegava la mente e il fisico nella stesura delle storie che gli erano state commissionate, per le sue idee e in creazioni più silenziose, che non aveva il coraggio di testare; e anche in quelle che voleva dimenticare, ma che proprio tra le mura della casa di Perry lo osservavano e attendevano.
Anche se lo mascherava bene, il suo pensiero continuava ad arenarsi su quello che era successo a Virginia: come aveva fatto a sognare nel dettaglio il racconto che lui aveva scritto, anche la parte che sicuramente non aveva letto? Che cos’era successo nello studio durante la sua assenza, e in tutta la casa? Era legato a quello, qualunque cosa fosse stato, che aveva visto lui sul sentiero, o era un evento diverso?
Di questo dubitava parzialmente, perché c’era da considerare quello che era accaduto quando la ragazzina si era risvegliata e si era trovata nello studio buio; ma per quanto riguardava il prima… come Virginia aveva raccontato ciò che aveva vissuto, con tutta la dovizia di particolari…
… Sua cugina era stata forse risucchiata dal racconto?
Il pomeriggio in cui ebbe il coraggio di pronunciare tali parole ad alta voce, la ragazzina era ben sveglia davanti a lui e insieme a loro c’era anche Dupin, giunto in visita per accertarsi su come procedesse la nuova situazione e, specificatamente, per parlare della questione che premeva tutti.
Per l’ennesima volta la giovinetta raccontò agli altri ciò che aveva vissuto da quando aveva iniziato a leggere la storia fino al suo risveglio nel letto di Villa Allan, il silenzio così assoluto che si potevano sentire frusciare i fiori campestri al di là della porta; e dopo essersi fissati per qualche istante, l’uno dopo l’altro anche Dupin e Poe raccontarono ciò che era accaduto loro nell’arco del terribile giorno in cui le forze che tormentavano Richmond erano confluite a Villa Allan o nei suoi dintorni.
Nessuno rimase impassibile alle rivelazioni: dapprima Edgar e Virginia arrivarono quasi a sfinire il povero gentiluomo con domande agitate su ciò che gli aveva fatto visita nella camera da letto dello scrittore; ma dopo fu il turno di questi di essere torchiato dagli altri due e dal ricordo della figura misteriosa che su quel sentiero aveva… aveva…
Quella donna, se è di una donna che stiamo parlando, ha strappato un cuore senza che la vittima potesse reagire. Ho visto un arco di sangue sollevarsi dal petto di quel viandante, e pure da dove mi trovavo ho potuto scorgere ciò che l’assassina ha stretto nella mano; e batteva ancora… ha continuato a farlo fino a quando non se l’è portato alla bocca e ha iniziato a divorarlo.
L’immagine continuava ad apparirgli davanti agli occhi con la crudeltà di una tortura; non riusciva a levarsela dalla mente. Gli eventi dei giorni precedenti l’avevano momentaneamente allontanata, ma il racconto l’aveva ricondotta con sé, questa volta senza dargli possibilità di scampo.
Troppe cose erano successe nell’ultimo periodo per razionalizzarla, e in quel momento chiedeva il suo prezzo; così come gli occhi viola di Virginia lo fissavano con una rabbia che faceva male fin nelle ossa. Urlavano un’accusa così simile al tradimento che Edgar si trovò a pensare che avrebbero finito per dannarlo, e dovette volgere lo sguardo altrove.
Quella volta, e fino a quando il giorno non finì, Virginia non gli rivolse più la parola; in compenso, Dupin fu ben prodigo di discorsi, ed espose ai cugini la sua teoria: come Poe aveva prospettato, la ragazzina era stata rapita dal racconto e calata all’interno di esso, lo aveva vissuto da protagonista ed era rimasta intrappolata nelle parole fino al termine della narrazione. Solo in questo modo poteva essere spiegata la prima parte degli eventi, ma concesso il fatto che fosse considerata una soluzione valida e non il parto di una mente folle, c’era anche il resto da prendere in considerazione: tutti loro avevano incontrato un’entità non umana e, benché non attaccati né feriti, erano entrati in forte relazione con questa; ed essa sarebbe rimasta con loro fino a quando una delle due parti non sarebbe caduta, perché ormai erano le prossime prede.
Avrebbero dovuto pensare insieme a una strategia da seguire: una soluzione che avrebbe visto Poe come perno, in quanto obiettivo più ambito.
«Perché tutto è partito da te, non è vero, ragazzo?»
Edgar non replicò alle parole di Dupin né al suo sguardo penetrante, che subito si posò sulla libreria alle loro spalle; e neppure a quello interrogativo di sua cugina. Ciò confermò le parole del francese, che tuttavia non volle scendere nei particolari e lasciò presto la casa, la mente percorsa da pensieri e intuizioni, con la promessa di ritornare.
In seguito, ripensando a quei momenti, Edgar avrebbe sempre ricordato quel giorno e la sera che seguì ― e ciò che fece in quelle ore ― come l’ultimo della loro vecchia vita, e il principio della fine.

 

«Rientra, per favore; è molto buio qui fuori.»
Era mezzanotte passata quando Virginia comparve sull’uscio e scrutò la schiena dello scrittore, seduto sugli scalini d’accesso della loro casa, con piglio severo; non ottenendo alcuna risposta, sospirò e gli si sedette affianco, nel posto caldo che lui le lasciò immediatamente, in un invito a raggiungerlo. Insieme, nel silenzio, guardarono per qualche tempo il cielo che s’incurvava sopra le loro teste, infine Poe si volse verso la ragazzina e la fissò con lo sguardo intenso che lei stessa gli aveva rivolto poche ore prima.
Il cuore stretto dallo sgomento, Virginia si accorse immediatamente che suo cugino stava bruciando di parole non dette, e fatta svanire la stupida quanto vana rabbia provata nel pomeriggio, immediatamente si strinse al suo braccio e silenziosamente lo invitò ad aprirsi con lei.
Ai suoi occhi, Edgar non appariva come il cugino più grande, il fratellone affettuoso e protettivo dal quale rifugiarsi a chiedere consiglio o riparo dal freddo perenne nelle sue ossa; in quell’istante era lei la più forte, e replicò ciò che lui le aveva insegnato fin da bambina. «Ti devi fidare di me», gli sussurrò, «non sei solo, io sono con te. Che cosa sta accadendo?»
Il ragazzo non parlò immediatamente, quindi spostò gli occhi sulle stelle palpitanti. I denti trattennero ancora per un istante ciò che esitava a dire, ma alla fine crollò anche quell’estrema barriera: «La sera della festa alla villa, monsieur Dupin mi ha chiesto perché non abbia mai terminato la storia che ti era tanto piaciuta, quella che ho lasciato in questa casa.
Sono sicuro che ormai lui stia per scoprire il motivo reale dietro a tale ritrosia… e anche tu, in base a ciò che ti è accaduto.»
Virginia sentì le labbra tremare, e anche la sua voce era priva della solita calma quando parlò: «Ciò che è successo a me… non è stata la prima volta? Era capitato a te, prima?»
Poe non si mosse per un altro lungo, estenuante attimo. «Mentre scrivevo, avevo la costante sensazione che loro mi percepissero.
I personaggi erano vivi, troppo: li potevo sentire muovere, parlare, agire… e non avevo per essi delle belle storie, come hai potuto leggere.
Non ero direttamente con loro, dentro alla storia; ma sentivano la mia presenza, e, più di tutto, avevano percezione della propria.
Sapevano di essere… e ciò che la mia penna creava.»
«Si… si rifiutavano di obbedirti.»
Quando lo scrittore le prese un braccio e la strinse a sé, Virginia sentì un brivido scorrerle lungo la schiena; le dita erano così fredde che il loro gelo trapassava i tessuti e le davano l’impressione che suo cugino fosse divenuto di ghiaccio, o peggio.ù
In quel momento, i morti piangevano sotto la pelle di Edgar.
«Volevano di più», sussurrò questi, «desideravano che scendessi a fondo nel buio, che scavassi ancora, fino al limite del conosciuto.
Che continuassi la linea che avevo tracciato… in una strada di sangue.
Ed ero proprio lì che stavo andando, senza sapere neanche come.»
Inavvertitamente, Virginia si staccò un poco dal braccio di suo cugino, turbata, e rifletté su quanto aveva appena appreso. Leggendola, la storia non le era sembrata così diversa da molte di quelle che Edgar aveva già scritto, solamente un poco più ombrosa; ma tutto ciò le si mostrava ora diverso, com’era veramente, e la sconvolgeva.
Non diede retta nemmeno per un istante alle voci di coloro che credevano che Edgar fosse sceso a patti con i demoni per scrivere trame tanto oscure, ma era evidente che, in un certo punto del Tempo, qualcosa avesse smesso di funzionare nella Regola del mondo umano, si fosse aperta una falla in esso e qualcuno vi si fosse introdotto dentro per arrivare fino a suo cugino.
Poe non era un dannato, ma i dannati lo cercavano comunque. E lui non aveva mai aperto bocca su ciò. «Erano loro a guidarti…», soffiò Virginia, il tono stanco e pervaso da tristezza, «non è mai successo prima?»
«Mai; quella è stata la prima e unica volta.» Lo scrittore vide chiaramente il lampo fosco che attraversò gli occhi della ragazzina, e il suo viso si rabbuiò a propria volta. «Non ti sto mentendo, credimi!»
Eccolo, l’altro punto dolente: la verità che Edgar non le aveva mai detto, che andava ad aggiungersi a tutte le altre che le aveva taciuto e nascosto. Davvero si fidava così poco di lei o la reputava tanto stupida e piccola da mentirle in continuazione, da tenerla lontana dai suoi pensieri e, soprattutto, preoccupazioni?
Temeva che lei non potesse capire?
Non le importava niente di come potesse sentirsi la sua “adorata cuginetta” sapendo che solo lui portava il peso di certe cose?
No, forse gli importa anche troppo. Non vuole che soffra con lui.
Se mi tiene lontana è perché vuole proteggermi.
Mi sta sottovalutando.
Mi sta allontanando da sé.
«Virginia, credimi.»
Quasi fosse stata toccata da fiamma viva, la ragazzina scattò in piedi, spingendo il giovane lontano da sé: «Come posso fidarmi, Edgar? Non hai mai fatto il minimo accenno a questa faccenda, né alla donna che hai visto sul sentiero. E chissà a quante altre! Le dobbiamo scoprire così, quando sei troppo terrorizzato per tenerle ancora nascoste e allora le riveli, in quanto tu ti rifugi nei tuoi mondi, protetto dalle mille bugie che crei, e ci lasci fuori da essi a raccogliere le briciole che lasci dietro di te!
Prometti e non mantieni!
Che cosa pretendi dal silenzio? Che cosa chiedi alle parole che non dici ma riversi sulla carta? Perché non è servito a niente nascondere e celare, visto che siamo finiti dentro questa storia insieme.
Non puoi essere sempre solo, togliti questa idea dalla testa.
Lo sai che non te lo permetteremo mai… e nemmeno chiunque ci stia guardando proprio ora.
Che senso ha avuto tutta questa farsa?»
Poe rimase in attonito silenzio per un attimo, poi si alzò a sua volta per fronteggiare la ragazzina. «Che cosa sarebbe cambiato se te l’avessi detto? Avresti potuto fare qualcosa, magari mutare il corso di questa follia?
Probabilmente è più vecchia di me e di te; avrebbe colpito qualcun altro, sarebbe comunque avvenuta.»
«Probabilmente sì, non lo nego; e non so cos’avrei potuto fare… non lo so dire. Ma tra noi c’era un patto, e tu avevi promesso! Avevi promesso!»
Invece di risultare capricciose, le parole di Virginia suonarono come la tromba del giudizio che chiama ognuno ai propri errori; ma non solo tolsero ogni replica a Poe, bensì ritornarono anche indietro, a chiedere pegno alla loro padrona tramite la voce del giovane: «Anche tu avevi promesso di avvertirmi ogni qualvolta saresti stata male. Ma non è andata così, vero? Avevi promesso quanto me.»
Siete uguali: lo hai fatto per non dargli un dolore, perché nonostante ciò che il tuo corpo dice, tu sei forte e sei grande e non hai bisogno di condividere il male, né di far preoccupare altre persone.
Ma non è così che funziona, ipocrita che non sei altro; quindi, non dire a lui come deve comportarsi quando tu stai facendo la medesima cosa.
La ragazzina si morse un labbro, prima di volgere il viso altrove. Che cosa sarebbe cambiato… se te l’avessi detto?
Il silenzio riniziava a calare in fretta quando lo scrittore appoggiò lentamente la schiena contro lo stipite della porta, poi chinò il capo e aprì le braccia. La sua espressione faceva vacillare ogni pensiero.
«Sì: avevo promesso, ma non ho mantenuto. Perdonami: ho agito pensando anche a te, spero che un giorno tu lo possa capire… anche se non scusare. A questo punto le mie promesse sono finite, è inutile che ne faccia altre; ora, forse, smetterai di soffrire così.»
«Non era ciò che intendevo, io… Edgar!»
Il cuore di Virginia iniziò a battere precipitosamente quando il ragazzo le prese le mani che tendeva verso di lui e le scostò da sé con gentile fermezza. «Va bene, non aggiungiamo altro: direi che per stasera abbiamo riversato abbastanza parole, anche quelle che non ci meritiamo.»
Una lacrima solitaria, veloce e pesante, si affacciò agli occhi di entrambi. «Siamo troppo stanchi, e non così furbi e invincibili come crediamo. Dobbiamo fare i conti con questa realtà.»
«Edgar, per favore… Cosa?»
Entrambi si volsero verso la porta, la quale si era spalancata di scatto come sotto la spinta di una folata impetuosa, che naturalmente nessuno dei due aveva percepito; la stanza d’entrata si mostrò ai loro occhi, ma questa non era buia come Virginia si ricordava di averla lasciata, bensì immersa in un pallido lucore dorato che proveniva dal tavolo posto proprio davanti all’uscio. Qui, aperto e bene in vista, c’era il volume non ultimato, da cui si levava una lieve nuvola di polvere e materia vorticante, sconosciuta.
Le pagine parevano vibrare sotto una corrente invisibile, mentre tutto il resto era mancanza di suono, un’immobilità così intensa da angosciare.
«Non credo che questa sia opera tua, o sbaglio?», chiese Poe, rivolto alla ragazzina, in una domanda retorica; quella non rispose, impietrita dalla paura, e seguì lo scrittore dentro alla casa solamente perché lui la prese per mano e la trascinò con sé. «Allora, non è necessario aggiungere altro», rispose egli, avvicinandosi al tavolo e osservando il libro per un attimo, per poi afferrarlo e chiuderlo di scatto, ma lasciandolo lì dov’era.
Quando poi accese tutte le luci, il volume era ritornato a essere un tomo come tanti altri e così anche la casa: la luce dorata era sparita completamente e non ricomparve quando Edgar riaprì il libro per passarne le pagine. «Chiunque l’abbia messo lì, desiderava che noi lo notassimo subito: non dobbiamo dimenticare che ci osserva, ci spia e ci conosce.
Si nutre del nostro buio: ci vuole litigiosi, arrabbiati, divisi. E stasera gli abbiamo offerto lo spettacolo che desiderava.»
Virginia non tolse gli occhi dal tomo, e quando parlò la sua voce parve provenire da altrove: «Se questa creatura, i personaggi di quella storia e ciò che ho vissuto io sono tutti eventi ed entità collegati, potremmo affrontare più di un nemico; per questo dobbiamo provare a giocare con loro con la stessa intensità che usano con noi, e ad armi pari.
Se non siamo furbi, lo diventeremo.»
«Ad armi pari? E che cosa potremmo mai utilizzare, se non sappiamo nemmeno che forma hanno?»
Finalmente la ragazzina mosse lo sguardo, volgendo il viso verso suo cugino. «Scrivi una storia. Ora, subito, senza perdere altro tempo.»
Poe venne attraversato da un lampo di puro smarrimento, quindi la guardò dirigersi velocemente verso la stanza che lui usava come studio e ritornare con un libro intonso, la sua penna e l’inchiostro. «Sono uscita a cercarti perché volevo parlarti di qualcosa che mi ha accennato oggi monsieur Dupin», iniziò a parlare la giovinetta mentre appoggiava tutto sul tavolo e spostava l’altro volume non senza una smorfia, per poi far segno a Edgar di sedersi, «riguarda ciò che è mi successo nel tuo studio; o meglio, ciò che potresti aver fatto a me… involontariamente.»
Sempre più spaesato, il ragazzo si sedette e guardò la compagna in attesa di un chiarimento, che dapprima gli sorrise lievemente e si portò davanti a lui, e solamente poi si espresse: «Che cosa mi sai dire degli Utilizzatori di Abilità, cugino?»




 

ANGOLO DI MANTO

Salve!
Stanno per iniziare i capitoli finali, quelli in cui rivelerò tutti i misteri di questa storia e il meritato traguardo! Non so ancora quantificare quanti saranno, ma non manca molto!
Spero che il capitolo vi sia risultato chiaro e che vogliate continuare a seguirmi, e intanto vi ringrazio per la vostra grande pazienza 💕
Un abbraccio,

Manto

 

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Capitolo 6
*** Spada e Scudo ***


VI ☼ Spada e Scudo



 

Nella stanza non si udiva neppure un rumore; qualche volta, appena il sibilo del loro respiro lieve, timoroso, quasi quel silenzio fosse un affare sacro e inviolabile.
Virginia fissava Edgar, e questi rifletteva lo sguardo ansioso della cugina nel volto perplesso; forse non aveva compreso la domanda oppure lei aveva preteso troppo nel porla, pensando di avere una soluzione a portata di mano quando, invece, l’intera faccenda non era risolvibile così velocemente ― anche se in realtà niente era mai stato rapido, neanche giungere a una simile conclusione ― e c’era ben poco da fare, oppure…
«Te ne ha parlato monsieur Dupin?»
«Sì.» lei esitò un istante, quindi si avvicinò di più al giovane. «Sta facendo le sue indagini e prendendo in considerazione anche gli Utilizzatori di Abilità. Se ha ragione, potrebbe essere la svolta di questa storia, magari l’arma di cui abbiamo bisogno! Non… non lo pensi anche tu?»
Lo scrittore rimase in silenzio, immerso in un profondo pensiero.
I secondi iniziarono a scorrere sempre più lentamente.
«Se potessimo sfruttare ciò per salvarci…», ricominciò la ragazzina, ben determinata a spuntarla, ma con il tono incrinato dalla preoccupazione.
«Virginia, se anche fosse come voi due sostenete e io avessi davvero un’Abilità, non ci sarebbe nulla di facile e immediato. Non sappiamo neppure bene come funziona, cosa la scatena, i suoi limiti! Inoltre, se dovessi perdere il controllo su di essa? Se non andasse a buon fine? C’è bisogno di tempo per esserne sicuri…»
«E prima di tutto, bisogna provare. Se queste sono le premesse, non andremo molto lontano.» Le mani della ragazzina strinsero quelle dell’altro in una morsa disperata, implorante. «Dobbiamo tentare, partendo da qualcosa di semplice e sicuro: una storia dove non ci sia pericolo. Potrebbe essere l’unica strada che ci è rimasta.»
Lo scrittore tentò di sfuggire alla presa, e quando non vi riuscì abbassò gli occhi. «In quella dove sei finita tu, la protagonista era morta; e c’era un mistero da risolvere, proprio la causa della sua fine. Qualcuno ti ha strappato da quel mondo prima che tu risolvessi l’accaduto, quindi esiste chi può interferire con le realtà che creo.
Neanche la storia più blanda potrebbe essere un luogo sicuro.»
Virginia scrollò il capo con energia. «Non può essere peggio di questa realtà. Stiamo camminando nella bocca di un vulcano attivo, desideroso di ucciderci; prima o poi ghermirà anche noi… se glielo permettiamo.» Una pausa. «Io non glielo voglio permettere, ma devi desiderarlo anche tu.»
Edgar si alzò in piedi, lo sguardo cupo. «Basta così, ora. Sei troppo stanca per ragionare lucidamente, non riesci e non vuoi capirmi.
Ne riparleremo quando entrambi saremo più riposati.»
Dapprima, Virginia rimase immobile, attonita; quindi, sentendosi profondamente delusa e tradita, indietreggiò dal tavolo tremando in tutto il corpo. «Ovviamente», sibilò, «tu hai già deciso per tutti.»
Senza attendere una risposta, fuggì dalla stanza per rifugiarsi nella propria; ma di certo, non per dormire. Rimase ferma in mezzo alla camera per qualche attimo, pensierosa; quindi, si avvicinò alla parete alla sua sinistra, dove la libreria seguiva l’angolo ed erano state qui riposte le ultime opere scritte da Poe, e afferrò la prima su cui pose l’occhio. «Se non hai il coraggio di seguirmi… allora andrò da sola», mormorò, aprendo il volume e scorrendo le pagine, iniziando a leggere. 
Nei primi minuti non accadde nulla, ma la ragazzina continuò a procedere; tuttavia, con sua grande perplessità, niente mutò. Nessun nuovo scenario, nessuna realtà confusa, nessuna entità sconosciuta a venirle incontro.
«Avanti», sibilò, riponendo il libro e prendendone un altro, «so di avere ragione, posso farcela! Dai, cos’è che non funziona?»
«Che cosa sta succedendo qui?», intervenne Edgar, entrando in stanza e fissando la cugina.
Questa gli lanciò solo uno sguardo colmo di rabbia e non si fermò, tuffandosi immediatamente in un altro volume.
«Fermati, stai facendo una follia!», le disse lui, raggiungendola e prendendola per le spalle.
Con uno scatto, lei si liberò e lo spinse via, poi indietreggiò per allontanarsi dal cugino. «Forse sì, ma di certo non ho paura di prendermene le responsabilità!»
«Virginia, ragiona! Non sappiamo neppure―»
Passarono solamente quattro secondi, nemmeno il tempo di formulare un pensiero, dal momento in cui la fanciulla aprì il terzo libro a quello in cui venne circondata da una luce dorata che si sprigionava dalle pagine stesse.
I suoi occhi furono avvinti dalle parole, mentre fasci di lettere e frasi iniziarono a sprizzare dalla carta e a vorticare nella stanza come fiori rapiti da un tornado, e il corpo prese a sfaldarsi al pari di un soffione.
«VIRGINIA!»
Come se l’anima fosse stata divisa dalla carne e osservasse ogni cosa da fuori, lo scrittore udì la propria voce gridare e vide sé stesso afferrare la ragazzina per la vita e cercare di stringerla mentre questa gli scivolava tra le dita; subito dopo, anche il suo sguardo venne ghermito dal libro, come tutta la sua persona.
«Ma cosa…» In un estremo lampo di percezione, Edgar si rese conto che stava svanendo, catturato da una forza che lo conduceva nello stesso luogo dove stava portando Virginia, e di non sapere cosa ne sarebbe stato di loro.
Solo di questo si accorse, poi il buio; e quando la luce dorata svanì, nella casa non era rimasto più nessuno.


Edgar non vide subito le nubi, ma comprese di esservi a contatto appena sentì il forte respiro del vento e le voci che portava con sé; perché così aveva iniziato il racconto.
La città di Edina era bellissima se guardata dall’alto campanile, lo sapeva; come tale l’aveva descritta[1], e per questo non si stupì affatto quando sentì Virginia trattenere la voce per la sorpresa e tendersi verso le arcate che gettavano sull’ampio cielo e il mare che riluceva oltre le distese campestri.
Lo scrittore aprì gli occhi quel tanto per scorgere l’espressione incantata di sua cugina e trattenerla maggiormente per la vita, quindi strinse i denti e sperò, sperò a lungo e con forza, rifugiandosi nelle più disparate preghiere.
Che cosa stavano facendo lì?
Perché, perché?
Gli altri stavano già dando loro la caccia? Li avevano sentiti? Erano riusciti a entrare anche loro? E dov’erano?
«Edgar, mi stai mozzando il fiato.»
«Scu-scusami.» Lo scrittore sciolse la presa sulla ragazzina, che prese un forte respiro e avanzò di qualche passo verso l’arcata più vicina, intoccata da qualsiasi pensiero dell’altro. Due mondi diversi.
«Che meraviglia», sussurrò lei mentre si sporgeva appena, le mani saldamente ancorate a una delle colonne e nessuna paura nel corpo. 
L’aria le sollevava i riccioli con sbuffi gentili e si rapiva qualcuno dei suoi capelli per donarlo alle nuvole, e a quella vista Edgar spalancò gli occhi e le domande tacquero, seppur solo per un momento.
E se ci fossimo solamente noi due e nessuna entità ci avesse seguito?
Se stessi temendo per nulla?
«La tua capacità inventiva è spaventosa», la sentì mormorare prima che lo sguardo si volgesse al proprio, di volto, «non credo che tu te ne renda pienamente conto. Tutto questo è bellissimo.»
«Guardati intorno prima di dirlo. Valuta bene lo spazio e ciò che vi è.»
La ragazzina corrugò la fronte e si voltò per gettare una lunga occhiata al paesaggio che si estendeva pigramente sotto ai suoi piedi, così calmo nell’alba e luminoso; vagò con gli occhi lungo le strade ancora silenziose, per i viali ricchi di fiori, sui palazzi e le chiese che lanciavano i loro pennacchi verso la luna che svaniva e lasciavano che il nuovo giorno si specchiasse dentro le loro finestre dai mille colori, sulle onde lontane; e infine osservò la pietra che la circondava. «Qualcosa è successo… sì, proprio in questo luogo.»
Edgar assentì, e allora sua cugina fece un ampio sorriso. «Permetti che sia io a risolvere il mistero? Voglio scoprire quanta della tua genialità scorre anche in me. Posso?»
Il giovane fece per replicare a tutta quella euforia, ma alla fine non lo fece e, invece, annuì appena. «Almeno, concedimi di aiutarti.»
La proposta venne accettata, e senza perdere altro tempo Virginia iniziò a valutare il luogo. Il campanile non era grande; vi stavano comodamente entrambi e in posizione eretta, tuttavia quello si esauriva in pochi metri e non aveva alcun ballatoio a proteggere i visitatori da un possibile passo falso. Lo spoglio ambiente in cui si trovavano non era l’apice: la vera e propria punta, accessibile tramite una botola posta sopra il loro capo, ospitava le campane, e l’attenzione di Virginia si concentrò sulle corde di queste.
Esse erano enormi, polverose e aggrovigliate come serpi, un intreccio indissolubile che la potenza del vento riusciva a scuotere solamente di un poco; tranne una sezione, che rimaneva completamente e stranamente immobile, quasi qualcosa la stesse tenendo strettamente o appesantendo. Questo qualcosa doveva essere ben avviluppato in quel gomitolo, conservato dentro di esso come un tesoro.
La ragazzina fissò suo cugino, e questi ricambiò lo sguardo senza svelarle nulla; allora, lei avanzò e si chinò sulla matassa, iniziando a districarla e svolgerla con sempre maggiore velocità e un senso d’urgenza.
La quantità di polvere e sporcizia presente nel luogo indicava che il campanile non venisse più frequentato e che le campane erano ferme da solo il Signore sapeva quanto, parte di una chiesa abbandonata o semplicemente non più in grado di suonare; e per quanto ciò gettasse una luce meno idilliaca sul posto, Virginia non mostrava alcun segno di disgusto nel sporcarsi le mani e le belle vesti con la vita che proprio lì aveva trovato un passaggio e una sosta. Completamente rapita dal luogo, dall’idea di essere in una delle storie di suo cugino e dal fatto di aver avuto ragione sull’intera situazione, chiunque, ombra amica o presenza ostile, avrebbe potuto coglierla di sorpresa senza alcuna difficoltà; quel mondo stesso, tuttavia, sembrava guidarla con mano ferma, come se fosse stato scritto apposta per lei. Anche se non l’avesse chiesto, solamente Virginia avrebbe dovuto risolvere i misteri che le si sarebbero parati innanzi.
Come lui aveva prospettato, la ragazzina era ben lontana da questi pensieri e, nell’impeto del momento, arrivò anche a spostare una gamba dello scrittore dal suo cammino, mettendolo a lato del suo percorso e continuando a districare le corde con alacrità; ma quando l’intero involto si aprì improvvisamente e cadde con un tonfo sordo ai suoi piedi, allora qualcosa iniziò a mutare in lei: dapprima sorse un’espressione più sorpresa che spaventata dall’avvenimento, quindi il respiro prese a rallentare a mano a mano che gli occhi riconoscevano ciò che avevano davanti per quello che era davvero… e infine, dopo un istante d’immobilità, il grido.
Virginia saltò indietro come scottata da viva fiamma e retrocedette fino allo scrittore, tremante; nel volto, l’orrore che nessuna delle sue storie era mai riuscita a farle provare con tanta forza.
Edgar le circondò le spalle con un braccio e la strinse al petto, e questa volta lei non sfuggì ma, anzi, si premette contro di esso con maggior energia. «Lo so, lo so; per questo ti avevo detto di guardare bene lo spazio intorno a te. La scena importante non è il paesaggio, ma chi ci ha preceduto nel guardarlo… e che non se n’è mai andato.»
Lo scrittore catturò gli occhi dell’altra e le indicò le numerose orme impresse sul pavimento, due serie delle quali appartenenti a loro; la terza, più sbiadita, s’interrompeva per sempre vicino all’ammasso ora fin troppo chiaro. «Tutti gli elementi sono qui; li dobbiamo solamente collegare. Te la senti di proseguire?»
La fanciulla non riusciva a spostare gli occhi dalle corde, l’espressione sbarrata, e quasi si accasciò su sé stessa quando il giovane la lasciò andare e lei provò a fare un passo in avanti. «Sì… sì. Mi sono solo fatta cogliere di sorpresa, ma non capiterà più. Andiamo.»
Con lentezza e dopo essersi assicurata che Edgar la seguisse, riuscì ad avvicinarsi nuovamente a ciò che l’aveva spaventata, e qui prese un forte respiro prima di chinarsi su di esso.
Il cadavere, afflosciato come una bambola abbandonata, scivolò nella sua ombra senza lasciar fuori nemmeno un’unghia di sé; a giudicare dalle forme e dalle vesti era un corpo femminile, e solamente il colore livido della pelle, in principio di disfacimento, e una discreta macchia di sangue sul corpetto segnalava l’avvenimento finale della vita umana, mentre il fatto che fosse privo di capo venne alla luce quando le corde furono completamente spostate ― questa volta, con minor impeto di prima.
«Non vedo la testa da nessuna parte, ma credo che sia stata mozzata da un’arma estremamente affilata: la ferita non presenta slabbrature ma un taglio netto, preciso. La vittima potrebbe non essersene neppure accorta.
E manca anche quella, l’arma…», mormorò Virginia mentre osservava il cadavere e poi lanciava occhiate intorno, «l’assassino si è portato via i propri strumenti e un ricordo?»
«Se fosse stata una quarta persona, avresti visto altre orme.»
«Ma di certo non è stata l’aria, né si è decapitata da sola! E qui non vedo nulla di tagliente contro cui la vittima possa essere inciampata… né tracce di sangue, fatta eccezione per la macchia sulle vesti.»
«Qui, appunto.»
All’unisono, i due ragazzi alzarono il capo e lo fissarono sulla botola.
Virginia allungò le braccia verso l’alto, come se volesse raggiungere l’apertura; quindi, le abbassò e il suo volto assunse un’espressione pensierosa. «La vittima era alta, molto più rispetto a me… quasi quanto te, oserei dire. Se tu dovessi alzare le braccia, riusciresti a raggiungere il pavimento superiore con le mani e, dandoti una spinta, potresti issarti almeno per metà fino a lassù. Se fosse quello il luogo del delitto? 
… Edgar, da bravo, mi presteresti le tue spalle?»
Il ragazzo rimase immobile per un solo istante, quindi chinò il capo di lato. «Ne sei sicura? Potrebbe essere più pericoloso di quanto sembri.»
Virginia annuì, prima con qualche resistenza poi con sempre maggior forza. «Ne sono consapevole, ma ti ho chiesto di farmi provare a risolvere il mistero e voglio tentare, o almeno arrivare il più a fondo possibile. Non sono sola: posso farcela.»
Lo scrittore non trovò modo di replicare e, delicatamente, prese Virginia sulle proprie spalle. Se sua cugina riponeva una tale fiducia in lui, poteva dubitare? Poteva farlo più del necessario?
Intorno a loro, solamente il vento: nessuna presenza estranea, nessuna calamità se non quella rappresentata dal mistero da risolvere.
«Bene così, mi sto avvicinando con la testa alla botola… con calma. Quasi… ancora un poco… ci sono!»
Il giovane sentì le mani della ragazzina appoggiare sul pavimento superiore e il peso sulle spalle calare un poco quando, facendo leva sulle braccia, quella si sporse oltre l’apertura con tutto il busto; la immaginò volgersi intorno, intenta a valutare ogni cosa, e infine sentì il picchettio delle dita su una spalla, seguito dal tono eccitato della fanciulla. «Non ci sono solo le campane, ma anche un orologio! Si trova proprio sopra di me, tanto che lo sfioro con la testa, e le sue lancette mi pizzicano la nuca, specie quella dei minuti, e… e sembrano insanguinate!» 
«Direi che ci siamo! Vedi altro?»
Una pausa. «Sì… la testa mancante. Si trova a qualche metro da me, e dalle macchie sul pavimento sembra che sia rotolata per un pò prima di fermarsi. Ce ne sono tantissime.»
«Dove si trova quella più larga?»
«Proprio qui, dove sono io. Sotto l’orologio…»
Lo scrittore tacque, in attese che la cugina giungesse alle opportune conclusioni; e intanto sorrise tra sé e sé, ormai certo di come il sangue comune non avesse fallito nemmeno in quel caso.
«… E se è così, non esiste un colpevole umano: la vittima ha voluto, probabilmente, vedere che cosa ci fosse qua sopra e quindi ha sporto la testa oltre la botola.
La curiosità e la meraviglia del panorama le hanno impedito di accorgersi di quello che stava per accadere, oppure si è incastrata e non è più riuscita a scendere; ma è stato l’orologio a ucciderla, quando è scattata la mezz’ora e la lancetta dei minuti le ha tranciato la testa di netto!»
Appena la giovane ebbe pronunciato tali parole, la stessa luce dorata che avevano incontrato qualche minuto o ora prima avvolse l’intero campanile e lo annullò dentro di sé. Né lei né Edgar ebbero il tempo di sorprendersi: non videro più nulla e rimasero immobili per la sorpresa, e non si mossero nemmeno quando la vista si assestò e né la città né il cielo comparvero ai loro occhi, bensì la casa di Perry e il verso solitario di una civetta che si aggirava nelle campagne intorno a Richmond.
Erano ritornati indietro, a casa.
Virginia fu la prima a riaversi, sbattendo le palpebre e, immediatamente dopo, lasciando che il volto si aprisse in un largo sorriso. «Ci-ci siamo riusciti! Edgar, ce l’abbiamo fatta per davvero!»
Al contrario della ragazzina, il giovane sembrava ancora congelato e terribilmente pallido, quasi la sua anima fosse rimasta nel mondo che avevano appena lasciato, e accolse l’abbraccio impetuoso di sua cugina come un automa; messosi a sedere con l’aiuto della compagna, rimase in quello stato per ancora qualche istante, quindi respirò con forza e parve riprendersi.
«Cugino… va tutto bene? Ti porto un bicchiere d’acqua?»
«S-sì. Credo di averne davvero bisogno, ti ringrazio.»
Le ossa erano pervase da un tremito inarrestabile e la testa faticava un poco a concentrarsi e razionalizzare tutto ciò che vedeva; non provava nausea o malessere di alcun tipo, ma il senso di straniamento e la confusione gli martellavano i pensieri. Si sentiva come se avesse appena commesso qualcosa di proibito e terribile, seppure non fosse questo il caso; ma tramite quella che era la sua Abilità ― non c’era altro modo di definirla, e da quel che sapeva su di esse… sì, quella era proprio un’Abilità ―, aveva cambiato per sempre la realtà, propria e altrui.
In quella faccenda c’erano più incognite che certezze, ma se voleva venirne a capo doveva partire dai fatti più chiari: in determinate condizioni, chi leggeva i suoi scritti veniva trasportato dentro di essi.
Era ormai sicuro che a Virginia fosse successo per due volte e la ragazzina avesse dovuto vivere negli ambienti e nelle condizioni che erano stati descritti, ma il finale non era stato uguale: nel primo caso, qualcuno era penetrato nella storia e aveva trascinato sua cugina fuori da essa senza che la vicenda venisse conclusa; nel secondo, il ritorno alla realtà ― ma anche quella all’interno dei suoi libri lo era… ― era stato determinato dalla risoluzione del delitto.
Quindi, tranne che per intervento soprannaturale, chiunque fosse finito nel libro per propria o altrui volontà avrebbe potuto liberarsi da esso solamente districando la matassa del mistero? Se così fosse stato, giungere alla verità era la chiave e l’arma per combattere l’Abilità, e di conseguenza anche il suo possessore. 
Tuttavia, perché si era manifestata solo in quel momento? E come?
Ma prima… prima c’era qualcosa d’altro che doveva fare.
«Virginia?»
«Sì? Arrivo subito.»
«Io… io ti chiedo perdono. Sei stata la prima a comprendere le potenzialità della mia Abilità e a credere in essa; perché avevi ragione e ce l’hai tuttora. Dobbiamo continuare a metterla a prova e scoprire i suoi limiti, se vogliamo sfruttarla a nostro favore e sapere come farlo.» Ci fu una pausa; la ragazzina non replicò mentre usciva dalla cucina e porgeva al giovane l’acqua richiesta, e questi riprese: «Tante cose sono ancora poco chiare, ma a forza di tentare scopriremo la verità. Sono sicuro di ciò.»
«Mi hai fatto male, prima», mormorò la fanciulla, «quando mi hai messo da parte e non hai creduto in me. E peggio ancora, non hai creduto in te stesso: non hai avuto fiducia né verso l’una né verso l’altro.
In quel momento avrei potuto odiarti, se non ti volessi così bene da annientare anche il principio di un pensiero simile.»
«Lo so. Sono stato cieco.»
«E avevi paura.»
Edgar annuì, giocando nervosamente con il bicchiere. Improvvisamente si sentì meglio, al pari di un peso che si scioglie e concede finalmente riposo. «Come anche ora… ma forse non più così sciocco.»
Un sospiro. «Deve essere la piaga del genere maschile, la sciocchezza», esclamò infine Virginia, prima di aggirare il cugino e abbracciarlo da dietro, per poi solleticargli lievemente il collo. «Ma per questa volta ti perdono. Abbiamo un bel po’ di lavoro da fare… e comunque, anche io ho avuto paura prima, e ne ho tuttora.» La presa si allentò appena, per poi farsi nuovamente forte. Il tono, invece, si abbassò. «Non avevo mai visto un cadavere, solamente gli scheletri dissotterrati da te; ed è stato… strano. Inaspettato, anche più inquietante di quanto immaginassi, ma non solo. Più che altro… mi ha fatto orrore che sia morta da sola.
Così come ero sola io nella torre dove mi sono svegliata, e dopo… dopo
Edgar le strinse le mani con dolcezza, lasciando che la forza di parlare venisse meno. Andava bene così, aveva già compreso il necessario. «Ti prometto che presto tutto finirà, con il tuo aiuto», le sussurrò, «e ne usciremo insieme. Mi hai aperto gli occhi, e ora so cosa possiamo fare.
Ne usciremo insieme, sì.»
«Lo prometti davvero, Edgar Poe?»
«Con tutto il mio essere, Virginia Clemm. E se ora sei abbastanza in forze, preparati: abbiamo alcuni viaggi da fare.»
La ragazzina gli diede una leggera pacca sulla spalla, quindi lo precedette verso la libreria e guardò dentro di essa per qualche istante, prima di voltarsi verso il cugino. «Beh, in verità ora tocca a te scegliere la destinazione! Mi sembra un tuo diritto.»
Edgar sorrise, quindi armeggiò con qualcosa che teneva sulla scrivania e si affiancò alla ragazzina. «Se ti fidi di una simile guida…»
«Assolutamente, non vorrai metterlo di nuovo in dubbio!»
«Allora andiamo.»


Nessuno dei due lo vide, né forse avrebbe potuto farlo: ma dopo quelle ultime parole non furono gli unici a muoversi.
Mancava poco all’alba, e proprio per quello il cielo era immerso nella tenebra più spietata: e nelle tenebre striscianti, nel grumo informe e inestricabile quale è il mondo quando la luna si addormenta e il sole tarda a prendere il suo posto, qualcuno era in attesa e aveva occhi che vedevano a fondo, artigli per predare, una bocca per sorridere alla Sorte e al suo compimento.
Finalmente, i giochi potevano iniziare davvero.




 

NOTE

[1] Nella vicenda narrata qui ho preso spunto da un racconto specifico, “La falce del tempo”.


ANGOLO DI MANTO

Salve!
Bene, ora posso dirvi che siamo ufficialmente arrivati a *guarda la scaletta e deglutisce* al terzultimo capitolo della storia! -2 alla fine! Ovviamente, ora ci manca il botto finale.
Ovviamente, la direzione non risponde di possibili variazioni alla scaletta. Nemmeno un po’.
Un abbraccio,

Manto

 

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