Bassai dai di fortiX (/viewuser.php?uid=112604)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una verità tra le macerie ***
Capitolo 2: *** Buio ***
Capitolo 3: *** Misteri ***
Capitolo 4: *** Amore e guerra ***
Capitolo 5: *** Natale ***
Capitolo 6: *** Preludio ***
Capitolo 7: *** Amici? ***
Capitolo 8: *** Confessione ***
Capitolo 9: *** Fiducia angelica ***
Capitolo 10: *** Attesa ***
Capitolo 11: *** Rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Alba ***
Capitolo 13: *** Colori spezzati ***
Capitolo 14: *** Confusione ***
Capitolo 15: *** Trascorsi ***
Capitolo 16: *** Evelyn ***
Capitolo 17: *** Alleati ***
Capitolo 18: *** Famiglia ***
Capitolo 19: *** Segreti ***
Capitolo 20: *** Sacrificio ***
Capitolo 21: *** Divisi ***
Capitolo 22: *** Fuga ***
Capitolo 23: *** Tormento ***
Capitolo 24: *** Confronto ***
Capitolo 25: *** Assalto ***
Capitolo 26: *** Takara ***
Capitolo 27: *** Viaggio (Parte I) ***
Capitolo 28: *** Viaggio (Parte II) ***
Capitolo 29: *** Liberazione ***
Capitolo 30: *** Pace ***
Capitolo 31: *** Determinazione ***
Capitolo 32: *** Padri ***
Capitolo 1 *** Una verità tra le macerie ***
Non credevo
che potesse mai capitare una situazione simile. Dopo Meteor, dopo il
Geostigma, non pensavo davvero che il mio cuore potesse finalmente
liberarsi della SUA ombra. Ora, il mondo continua ad andare avanti,
come se nulla fosse mai accaduto. Certo, le cicatrici del passato sono
parte persistente di ognuno di noi, anche perché sono
davanti ai nostri occhi ogni santo giorno come monito ai potenti. A
volte mi fermo a pensare e credo che, in un modo perverso e distorto,
LUI avesse in un qualche modo ragione. Chi era lui se non il
più grande errore dei potenti? Ho odiato Sephiroth
più di qualunque altra cosa al mondo e così lo
sarà per sempre, ma, se mi guardo intorno, vedo e respiro
una grande pace; una libertà mai assaporata a Midgar.
Midgar… per un provinciale di Nibelhim fu uno shock sapere
che esistessero città così imponenti. Mi prese un
colpo al cuore la prima volta che la vidi: ero schifato e attratto
nello stesso tempo da quell’agglomerato di acciaio e luci. La
peculiarità che più mi affascinava era il Piatto.
Come poteva una città così grande non toccare il
terreno? Una genialata ingegneristica da paura. E per un povero
contadinotto come me era qualcosa d’inconcepibile. Mi sentii
così piccino e… impotente. Avevo in mente le
montagne del mio paese, quindi ero abituato alla grandezza; ma quella
città fu un vero trauma. Le strade gremite all’ora
di punta, i grattacieli, la rotaia, i giganteschi reattori e poi il
palazzo della ShinRa. La colonna portante del piatto, il centro
nevralgico della città, il cuore del mostro. Si respirava la
pura potenza tra quelle mura. Dietro ogni porta il progresso con la P
maiuscola si compiva senza che nessuno fosse in grado di fermarlo. La
ShinRa imbrigliava letteralmente la potenza della Natura e la scatenava
contro il mondo, spacciandola come risorsa energetica pulita per un
pianeta dilaniato. Questa bugia se la bevvero in molti. E Sephiroth era
l’incarnazione della potenza, l’essenza stessa
della compagnia, la più grande bugia mai raccontata. Alla
gente comune piacciono i vincitori e lui lo era. Oh sì, io
lo adoravo. Reincarnava l’esempio che ogni uomo avrebbe
dovuto seguire. Non avendo avuto un padre decisi di
“adottarlo” come genitore. Quante notti a
immaginarmi a compiere le sue stesse gesta! Quanti allenamenti con la
spada per cercare di raggiungere almeno la superficie del suo smisurato
talento. Avrei dato qualunque cosa per diventare come lui.
Ma la notte in cui tutto cambiò, i nostri destini si unirono
in un modo che non avrei mai potuto lontanamente prevedere. Se mi
avessero raccontato che io, un misero ragazzo di campagna, sarei
diventato il nemico mortale di uno dei più grandi SOLDIER
della storia, probabilmente gli avrei riso in faccia.
Dicono che una persona non la conosci, finché non ci
combatti. Beh, posso dire di conoscerlo meglio di chiunque altro.
Tuttavia, sento che lui avesse un’anima molto più
complessa di quanto io possa credere. Mi fermo a pensare, talvolta,
nell’inconscio della notte, perché avesse agito in
quel modo. Anch’io scoprii la sua stessa verità, a
suo tempo, ma non mi sognerei mai di distruggere il mondo per
chissà quale fantomatico viaggio. Quand’ero
ragazzino conoscevo ogni singola mossa di Sephiroth. Seguivo la sua
vita quasi fossi la sua ombra; sapevo a memoria ogni sua intervista
rilasciata ai media riguardo la guerra in Wutai; apprendevo ogni suo
colpo di spada nemmeno fosse un libro di arti marziali: mettendo
insieme le informazioni apprese nella mia adolescenza, posso affermare
che lui non era tipo da lasciarsi andare alle emozioni. Aveva una mente
analitica e distaccata; come poteva un uomo aver perso il controllo di
se stesso in quel modo, quando un ragazzino fu più
assennato? La risposta si perde poi nelle pieghe del sonno. La mattina
giungo alla stessa conclusione: Sephiroth era un pazzo sanguinario.
Punto. Difficile dimenticare un uomo come lui, ma sono deciso ad andare
avanti. La mia vita si è ridotta ad un tranquillo tran tran
a consegnare la posta per la regione, ad accompagnare e riprendere i
bambini a scuola, portare Tifa fuori per qualche cena galante e serate
con i ragazzi della vecchia guardia al 7th Heaven. Piano piano sto
ritrovando la mia serenità, anche senza andare tutti i
giorni alla chiesa o alla rupe dove morì Zack. Ho accettato
la loro morte e sono felice di saperli in pace. A volte li sogno, non
ricordo mai come o dove, ma rammento stralci di conversazioni. Credo di
mancare loro e che vogliano un resoconto della mia giornata per non
sentirsi del tutto esclusi.
La situazione con Tifa è migliorata: ora siamo una famiglia
a tutti gli effetti e lei è fiera di questo. Sono contento
di averle dato ciò che voleva.
Con queste certezze nel cuore, la mia vita non potrebbe andare meglio.
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E’ un giorno come gli altri. Le consegne sono finite e,
siccome è mezzogiorno, decido di fermarmi in un chiosco
appena fuori Edge. Il tizio è un tipo simpatico, molto amico
di Denzel, e mi fa sempre lo sconto. “In nome di
ciò che hai fatto per noi”, dice sempre.
Chissà se anche a LUI facevano gli sconti… Scuoto
la testa. Basta tornare al passato. Ordino un panino e mi siedo in un
tavolino distante dal bar, in modo tale da tenere d’occhio la
Fenrir -dopo quello che è successo con Denzel cerco di
controllarla più spesso, un altro dei miei buoni propositi-.
Afferro un giornale, abbandonato sul tavolo, e cerco la pagina
sportiva. C’è la notizia di Gioro e il suo Chokobo
nero. Mi ero svegliato alle due di notte per vedere la gara. Una
scarica di adrenalina fantastica, quella corsa! Arriva il mio panino e
inizio a sgranocchiarlo, mentre leggo la classifica dei fantini. Non
arrivo oltre al podio che il mio cellulare squilla. Un tempo avrei
lasciato trillare, ma, con grande stupore di tutti, ho deciso di
rispondere a tutte le chiamate. Sulla schermata
c’è scritto “Reeve”. Ecco uno
che non sa del mio cambio di pagina. Mi diverte avvertire lo stupore
dei miei amici davanti al mio comportamento: non vogliono proprio
capacitarsene.
“Pronto?”
“Cloud?! E tu da quando rispondi al telefono?”
“Da un bel po’, Reeve.”, rispondo
semplicemente. Le conversazioni non sono ancora il mio forte.
“Davvero? Stavo per riagganciare, perché credevo
che avrei dovuto parlare con la tua segreteria. Di nuovo.”,
scherza l’uomo.
Ridacchio, anche se quello che esce dalle labbra sembra più
un grugnito impaziente, “Cosa vuoi, Reeve?”,
chiedo, cercando di sembrare cordiale.
La sua voce si fa stranamente seria. “Io e i ragazzi abbiamo
trovato una cosa che dovresti vedere.”
Mi allarma il suo tono, “Cos’è
questa… cosa?”, chiedo sospettoso.
“Non è prudente parlarne al telefono. Raggiungimi
alle coordinate che ti
invierò.”>click<
Allontano il cellulare dall’orecchio e
l’apparecchio mi segnala il ricevimento di un messaggio.
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Mi fa sempre uno strano effetto vedere Midgar accartocciata su se
stessa come una lattina arrugginita paragonata all’opulente
splendore dei miei ricordi. La vecchia sede della ShinRa svetta
imperturbabile sopra il mucchio indefinito delle miriadi di vite
spezzate, simile ad un’erba parassita crescente a scapito
degli altri. Anche se dopo l’ultima apparizione di Sephiroth,
sembra più distrutta del solito, sebbene rimanga in piedi
testardamente. Imbocco la solita strada che mi condurrebbe verso la
chiesa di Aerith –altra costruzione rimasta in piedi dalla
furia del nemico-, poi giro a destra seguendo il segnale GPS del
navigatore. Attraverso un’ampia strada scavata nei rottami ed
è incredibile vedere come un folle pazzo come Sephiroth sia
riuscito a portare tutti gli abitanti sullo stesso piano in un colpo
solo. Denzel ci racconta spesso di come la sua prospettiva di vita sia
cambiata lontano dagli agi a cui era abituato fino a quel momento.
Forse non è stato del tutto un male. Continuo ad avanzare
immerso nei miei pensieri, finché un grosso cartellone
incenerito sovrasta tutta la strada. C’è scritto
sopra LOVELESS. C’era una sola zona della città ad
avere un grosso cartellone pubblicitario di quel libro: Settore 1.
Mi vengono i brividi a pensare che quelle strade erano state calcate
dal mio peggior nemico. Sapevo che in onore dei servigi offerti per le
sue gesta, la città gli aveva regalato un attico nel palazzo
più lussuoso di Midgar, il Golden Building. Durante la mia
permanenza in città, mi capitava spesso di osservare quelle
finestre oscurate, nella speranza di scrutare il mio idolo; sebbene
sapessi che non ci abitava mai. Ricordo che, talvolta, scompariva dalla
circolazione e i comandanti dicevano che si era ritirato in biblioteca
o l’avevano mandato in missione. Mi piaceva pensarlo
lassù.
Ora che ci faccio caso il segnale mi sta portando proprio
lì.
Poco dopo raggiungo le macerie del Golden Building, o almeno quello cui
riesco a decifrare, poiché mischiate con i quelle dei
bassifondi e del Piatto. Intravedo una squadra della WRO intenta a
cercare chissà quale utopia o segreto scabroso tra i
calcinacci. Sotto di loro un gruppo di persone fanno camporella attorno
a Reeve. Parcheggio la Fenrir e li raggiungo.
“Allora, cosa dovevi mostrarmi?”, dico io senza
convenevoli.
Il gruppo si apre verso di me, rivelando la figura del moro. La sua
espressione é un misto tra preoccupazione e allegria. Ha un
libretto sgualcito in mano e lo tiene come fosse una reliquia preziosa,
quasi avesse paura di toccarlo. Egli accenna ad un sorriso come mi
vede.
“Ciao Cloud. E’ un bel po’ che non ci si
vede! Come va?”, saluta con frasi di circostanza che non
fanno altro che aumentare la mia ansia.
“Sto bene, grazie. Cosa hai trovato di tanto
interessante?”, rispondo, mantenendo a stento la mia
curiosità.
Reeve non dice nulla e mi porge il libro. Lo osservo con noncuranza.
“E’ un vecchio libro impolverato e sgualcito. Tu mi
chiami per questo? Tifa non sarà contenta se le
dirò che mi fai perdere t…”
“Non è un libro qualunque, Cloud!”,
m’interrompe Reeve con foga.
Io non capisco, scuoto la testa confuso. L’uomo sospira e
apre la prima pagina.
Avrei riconosciuto quella calligrafia ovunque.
“Il diario di Sephiroth…”, bisbiglio.
Un saluto al
popolo di EFP tutto! Ebbene sì, Sephiroth aveva un diario
nella mia folle idea. E’ da un po’ che volevo
dipingere una Sephiroth diverso dal solito, ma non trovavo mai il modo
di porlo. Poi una mattina ecco la rivelazione! Un diario! Un diario che
il suo peggior nemico ci farà leggere! Questa fic
sarà un doppio viaggio nell’anima delle due icone
del capitolo più mitico di tutto il videogiochismo! Cosa
imparerà Cloud del suo peggior nemico? Era davvero
l’uomo che credeva di conoscere? Ma soprattutto, quanto
è cambiato Sephiroth per la pazzia e quanto di Sephiroth
c’è nel One Winged Angel? Spero di non aver fatto
il passo più lungo della gamba XD. Enjoy!
Besos
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Capitolo 2 *** Buio ***
Sono
sbigottito. Non credo ad una sola singola parola uscita dalla mia
bocca. Eppure quel libro non può essere altro. La sua
firma… L’avevo vista centinaia di volte. Perfetta,
elegante, precisa. Né una sbavatura, né una
lettera fuori posto, il tutto scritto con una maestria sublime, come
era solito ad usare con la spada. Una firma di quel genere,
però, era facilmente contraffabile. Faccio un passo avanti,
incerto. Studio meglio quella scrittura nero pece, massaggiandomi il
mento. Ne seguo con lo sguardo ogni curva, ogni avvallamento, ogni
punto, ogni riga. Pare autentica, ma io non sono un dattilografo: posso
sbagliarmi. Per un attimo penso che sia tutto uno scherzo di Reeve e
del suo staff.
“Sei sicuro?”, chiedo alla fine.
L’uomo mi guida con lo sguardo verso un gazebo dove stanno
alcuni uomini che trafficano su un tavolo pieno di scartoffie. Una
persona di queste accoglie il suo sguardo, dice qualcosa a quello di
fianco e si avvia verso di noi.
“Cloud, questo è il professor Goro Farey, un
ex-crittografo della ShinRa. Ora, lavora per noi in qualità
di esperto di documenti, ormai, storici.”
Questo Goro ci raggiunge e subito noto come le enormi lenti sul suo
naso adunco lo facciano assomigliare a quel pazzo del Dottor Hojo, ma
con un’occhiata più attenta mi accorgo che, dietro
la spessa montatura, si nascondono due occhietti vispi e intelligenti.
Anche il suo aspetto fisico è molto più rilassato
e aperto rispetto allo scienziato.
“Cloud Strife! Che onore conoscervi!”
Accenno un sorriso di cortesia, anche se la mia mente è
tutta proiettata sul libricino davanti a me. Reeve, capendo i miei
pensieri, chiede al professore riguardo la presunta firma di Sephiroth.
Una parte di me prega di essermi sbagliato; anche se una minima parte
di me spera nell’autenticità del documento. Se mi
avessero sventolato in faccia il diario del mio idolo quando ero un
ragazzino, avrei dato il mio rene destro pur di leggerne anche solo una
pagina.
“Quando lavoravo per la ShinRa, la guerra richiedeva metodi
esatti nel riconoscere al volo i falsi documenti redatti dal nemico e
impedire che girassero tra gli ufficiali. Prevenire le false
informazioni era vitale. E Sephiroth era un problema. La sua scrittura
era facilmente contraffabile a causa della sua paranoica ossessione per
la precisione.”
“Volete dire che studiaste la sua scrittura per riconoscerla
dai falsi?”, sovvengo io
“Sì. Non è stato un lavoro facile, ma
riuscii ad individuare una peculiarità unica nella sua
firma.”
Sto pendendo letteralmente dalle sue labbra.
“Quale peculiarità?”
Goro si avvicina e inizia a scorrere il dito sull’inchiostro
impresso sulla pagina. Noto che i polpastrelli seguono delle
impercettibili ombrature che contornano le lettere.
“Sephiroth era mancino. E ogni mancino si porta dietro
l’inchiostro quando scrive. Lui non era diverso da questo
punto di vista.”
Il crittografo inizia a sfogliare le pagine del diario. Faccio una
fatica terribile per non leggere ciò che
c’é scritto. Non voglio sapere
null’altro di lui. Basta! Ma la curiosità
é molto più forte del mio desiderio di fuga. Per
questo motivo riesco a notare gli aloni grigiastri
dell’inchiostro. E’ scritto molto fitto e, in
alcune pagine, delle parole o intere frasi svettano in modo molto
particolare. Forse in quei frangenti ci metteva molta più
foga del normale.
No! Basta, Cloud! Smettila di continuare ad affondare nel passato! Ho
sofferto e perso troppo per colpa di un solo uomo. La mia vita, per cui
così tanti si sono sacrificati, devo viverla fino in fondo!
Devo smetterla di farmi condizionare ancora da lui come se fosse ancora
tra noi. Sephiroth è morto, Cloud. E non ha più
nulla da spartire con questo mondo. Sta bruciando all’Inferno
e IO ce l’ho mandato. Finché continuerò
a ritornare da lui, le sue pene non saranno mai abbastanza.
Mi ritiro da quella tentazione suadente, testardamente, ripensando ad
Aerith e al suo sacrificio per assicurarci una vita migliore. Lei
è morta per permettere a noi di vivere oltre la follia di
quell’assassino. Non permetterò che
l’ennesima testimonianza del suo passaggio su questo Pianeta
mi distragga.
Ma una parte di me è attirata verso quel libricino
sgualcito. Sono combattuto tra le due metà del mio essere.
Mi sento sfaldare, aprire in due, come se la mia metà
contaminata dal mako avesse un disperato bisogno di agganciarsi a quei
residui di quel passato iniettato nelle vene. Sospiro, cercando di
ritrovare ordine nella mia testa. Il mio combattimento interiore
sembra, però, essere colto dagli interlocutori, i quali mi
guardano incuriositi.
“Tutto bene, Cloud?”, mi chiede un apprensivo
Reeve.
“Sì. Ma credo che sia per me il momento di
andare.”
Faccio per avviarmi verso la Fenrir, quando l’uomo mi chiama.
“Aspetta!”
Mi fermo all’improvviso e stringo i pugni. Sento Reeve che mi
si avvicina alle spalle. Mi irrigidisco, cercando di resistere alla
tentazione di scappare. Percepisco quel dannato affare pericolosamente
vicino a me. So che non riuscirò a dire di no. La mia
curiosità mi ucciderebbe ogni giorno e ogni notte. Penso a
Tifa e alla vita che stiamo solo ora costruendo insieme. Quel libricino
potrebbe rovinare tutto, me lo sento nelle viscere. Tutto quello che
LUI ha toccato andrà distrutto. E inevitabilmente anche
questo. LUI non mi può più dare niente, se non
dolore e miseria. Era un uomo vuoto, cosa può credere di
darmi che io non abbia già capito da solo? Eppure
è proprio questo ad incuriosirmi. Spesso Zack parlava di lui
come una persona virtuosa e quand’ero ragazzino lo vedevo
tale. Forse in quel diario c’è la spiegazione
della sua follia.
“Volevo chiederti se potresti farlo recapitare ad un mio
collega a Modeoheim. Lui è uno studioso e i segreti dei
SOLDIER sono il suo pallino.”
Mi irrigidisco. Questo vuol dire che me lo dovrò tenere in
casa per almeno un mese. In questo periodo ci sono abbondanti nevicate
da quelle parti e le città a nord della Citta Dimenticata
sono praticamente inaccessibili. Dipendono solo da Icicle per andare
avanti. Prendo fiato e cerco una via d’uscita.
“Perché non usi la posta elettronica?”
Reeve mi guarda come se avessi bestemmiato.
“Cloud, sai cosa succederebbe se Rufus ShinRa venisse a
sapere di questo diario?”
Me lo sventola davanti e sento il cuore battere
all’impazzata. Maledizione, perché mi vado sempre
ad impelagare? Reeve me lo porge e percepisco una paura tremenda
attanagliarmi le viscere. Tutto quello che ho toccato di suo a contatto
con me non ha ma destato dei begli effetti. Esito.
“Avanti, Cloud, è solo un libro!”,
sbuffa l’uomo roteando gli occhi.
Mi prende la mano e me lo sbatte sul palmo. Un brivido gelido lungo la
spina dorsale mi immobilizza e, d’istinto, chiudo gli occhi,
pronto a sentire la sua voce o la sua spada conficcata da qualche
parte. Mi fischiano le orecchie e, forse, percepisco la voce di Jenova,
ma mi accorgo che sono solo gli stridii metallici di uno scavatore atto
a togliere metri di ciarpame da terra. Nulla. Nessuna stilettata di
dolore, nessuna voce inquietante… Incredulo, apro gli occhi
e guardo la copertina nera del diario. E’ sulla mia mano e ne
percepisco la pelle rovinata e ruvida. Accarezzo il frontespizio con
l’altra palma, togliendo un po’ di polvere. Poggio
il pollice sul fianco aperto del libro e distinguo la ruvidezza della
carta ingiallita dal tempo. E’ dura e i suoi lati sono
più taglienti del normale, ma non pericolosi. Apro la
copertina e leggo quel nome.
Chi sei in
realtà?
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Torno a casa a pomeriggio inoltrato. Parcheggio la Fenrir nel garage e
tendo l'orecchio, prima di scendere dal sellino. Dal vociare intenso al
piano di sopra, capisco che il bar è parecchio affollato.
Bene, Tifa sarà occupata con i clienti per le prossime ore.
Conoscendola mi avrà sentito arrivare.
L’interrogatorio è solo rimandato. Peggio di una
spia industriale, mi inerpico su per le scale che conducono in casa.
Non so perché lo stia facendo, ma inconsciamente non voglia
farmi scoprire con quella dannata cosa nella borsa. Passo davanti alla
camera dei bambini. Mi affaccio un momento e noto con piacere che
è vuota. Sicuramente sono con Tifa al bar. La fortuna mi
arride. Finalmente, raggiungo il mio ufficio. Serro la porta, poggio la
tracolla sul tavolo e tiro fuori il diario. Rimango imbambolato a
guardarlo, in piedi in mezzo alla stanza, quando mi accorgo di quanto
mi senta idiota a postporre la mia famiglia ad un oggetto appartenuto
alla persona che odio più nell’intero universo.
Reeve non me l’ha lasciato affinché io lo legga,
ma che lo consegni. Sbuffo e lo sbatto nel cassetto delle consegne;
dove decido che rimarrà per un mese.
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E’ l’una di notte e non riesco a dormire. Ripenso
di continuo al ritrovamento di oggi, sbattuto nella mia scrivania e
rimasto un segreto per Tifa. Già, perché
nonostante le 36 (e non scherzo) domande fatte oggi pomeriggio, sono
riuscito a mantenerlo tale. Non so ancora come ho fatto ad inventarmi
una bugia di sana pianta e renderla credibile…
Mi volto verso di lei. E’ così bella quando dorme.
Il mio angelo. Mi sento uno schifo a mentirle così, ma non
voglio assolutamente farle venire a conoscenza che in casa nostra
c’è un oggetto appartenuto a Sephiroth. Lui ha
ucciso suo padre e lo odia quasi quanto me. Tifa, a differenza mia, non
ha potuto sfogare la sua rabbia su di lui. Inoltre, anche Barrett mi
ucciderebbe per aver esposto i bambini a questo rischio. Tutti questi
pensieri mi stanno facendo scoppiare la testa. Mi alzo. Le doghe del
letto gemono qualche decibel di troppo e mi blocco. Lentamente mi volto
verso Tifa. Ha mugugnato e si è girata dall’altra
parte. Tiro un sospiro di sollievo. Non avevo voglia di spiegarle dove
stessi andando.
A passo felpato, raggiungo il mio ufficio e chiudo la porta. Mi getto
sulla sedia e mi massaggio la faccia.
Ma che sto facendo?
Apro il cassetto e trovo il diario ad aspettarmi. Esito.
Che sto facendo?
Lo afferro e lo butto sulla scrivania.
Che diamine sto facendo?
Spalanco la prima pagina e inizio a leggere.
Ecco l’ho
fatto.
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12 settembre XXXX
Piove. L’acqua
lambisce i vetri dell’enorme porta –finestra che
dà sul balcone dell’attico. Mi sento come un pesce
in un acquario. Guardo il mondo da dietro una lastra di ialino vetro e
quello che vedo è solo un agglomerato di luci e ombre.
Soprattutto ombre. Già, perché la mia vita
è una sola unica, triste, gigantesca ombra. Vivo
all’oscuro da me stesso, il quale non è altro che
un artifizio della ShinRa. Hanno preso la mia anima e l’hanno
plasmata come volevano. Straziandola e lacerandola in mille modi. Solo
una piccolissima parte non è stata intaccata ed è
quella che non mi fa crollare nel baratro della pazzia. Ho poco
più di 20’anni e sono già stanco di
vivere. I ragazzi alla mia età si godono i piccoli piaceri
della vita, assaporandoli fino all’ultimo attimo. Io non ho
mai avuto questo privilegio. Li vedo questi giovani: si divertono tra
loro, ridono, giocano e scherzano. Trovano
l’amore… Un sentimento che desidero dal
più profondo del mio cuore. Ma non l’amore sporco
e sfuggevole dettato dall’istinto; cerco quello vero, quello
per una madre per il figlio, quello per un marito e una moglie. Io non
sono sicuro di averlo mai provato. Anzi, ne sono certo. Nemmeno quello
più normale e naturale che lega un figlio ad un padre.
Odio da morire questo appellativo, come odio la persona a cui
è collegata. La mia mano trema di rabbia anche in questo
momento. Sto stringendo la penna più del dovuto e la sento
gemere sotto la mia presa.
Ora, mi sono calmato. C’è così tanta
rabbia nel mio cuore che ucciderebbe il mondo se solo decidessi di
lasciarla andare. Grazie al cielo, sono addestrato a non perdere mai la
calma, il che alla mia età è davvero curioso. Mi
sovviene ora che io non sono mai la persona che ci si aspetta che io
sia. Ecco un esempio lampante: dicono che io sia un soldato votato alla
guerra e che non lascia mai il suo posto, ma non sanno che io adoro
leggere e che il mio libro preferito è ‘Christmas
Carol’. Già. Amo le favole; mi fanno ricordare i
momenti passati con il professore. Lui sì che mi trattava
come un bambino dell’età quale ero. Mi faceva
sentire quel calore che non ho mai trovato da nessuna parte e che
disperatamente sto cercando ora nel mondo. Ma so già che la
mia ricerca non avrà un buon fine. La ShinRa ha fatto in
modo di tarparmi le ali prima ancora che nascessi. Attorno alla mia
figura sono nate una miriade di leggende. E alcune non so nemmeno come
possano essere nate. E’ davvero demotivante. Per questo
motivo ho il terrore del mondo esterno.
E’ possibile che una persona debba avere paura di
se stesso? Paura delle sue stesse leggende?
Io non sono
affatto la persona forte e coraggiosa che credono. Io sono
solo un bambino che sta cercando un punto di riferimento in questo
luogo di matti. Una luce brillante nel buio più denso. Non
ho nulla a cui agganciarmi, a parte la guerra e la morte, le uniche
compagne a cui io sia riuscito a trovare un senso. L’unica
cosa certa nella mia vita è la strada che ALTRI hanno scelto
per me. Sono solo una particella in un universo in continuo
cambiamento.
A volte mi sembra d’impazzire, quindi mi rifugio qui. La
città di Midgar mi ha donato questo attico per i miei
servigi “ai salvatori
dell’umanità” per aver permesso loro di
portare la tecnologia mako ovunque. Che ironia! Mi premiano per aver
ucciso persone innocenti, persone che volevano una vita tranquilla
nella loro terra. Le sogno spesso quelle facce e ogni volta una morsa
di nausea mi artiglia lo stomaco. Non ho mai fatto un sonno tranquillo
da quando ho memoria. Quand’ero piccolo passavo intere notti
in bianco per i dolori. A volte era per gli esperimenti; altre volte
per la crescita troppo veloce. Poi è arrivata la guerra e da
lì non credo di aver mai fatto più di tre ore di
sonno a notte. Non riesco a capire come il mio cervello non si sia
ancora trasformato in una poltiglia rossastra.
Mi guardo intorno per calmare la mia mente. Questo
“acquario” è l’unico posto in
cui io possa essere me stesso. La pioggia ha aumentato
l’intensità, a giudicare dai torrenti che scendono
lungo la porta-finestra. Osservo quel quieto scorrere e mi sento
rasserenato.
La grande sala principale è praticamente vuota, fatta
eccezione per il divanetto di pelle nera al centro di essa e su dove
sono io ora, il tavolino di vetro e gli scaffali con la mia biblioteca
personale. Vado molto fiero di quei libri. Adoro collezionare opere
dell’uomo, mi fa capire quanto io mi sia perso votando la mia
vita alla guerra e quanto ho portato via al mondo io stesso. Gli
iniziai a collezionare a 13 anni, di nascosto dai miei tutori. Ora sono
più di 150. E li ho letti tutti.
Nonostante i colori caldi delle pareti, questa casa
è così fredda e triste senza altri mobili, ma non
saprei come renderla altrimenti, perché probabilmente
anch’io mi sento così. O forse è un
fatto logistico, poiché tutte le volte che metto il piede
qui dentro sento la mia mente svuotarsi piano piano. I miei pensieri
riempiono gli spazi vuoti e trovano libero sfogo attraverso questo
inchiostro.
Credo mi faccia bene sfogare le mie riflessioni. Mi sento molto
più leggero. Il diario è una bella invenzione per
coloro che non hanno amici con cui parlare…
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Sento gli occhi lucidi e un profondo senso di colpa, mentre leggo
quelle righe così piene di tristezza e solitudine. Sephiroth
era un uomo molto più profondo di quanto credessi. Sono
tentato di andare avanti, ma sento dei passi in corridoio. Chiudo il
libro e lo nascondo più in profondità che posso
nei recessi del cassetto.
Rieccomi con
un nuovo capitolo! Molto più lungo di quello precedente come
è giusto che sia. Ero tentata di dividerlo in due, ma mi
sono messa nei vostri panni e credo che sarei impazzita
nell’attesa di leggere nella testa del bel platinato J(anche
perché si sapeva che Cloud l’avrebbe letto,
altrimenti la fic non avrebbe senso d’essere, no?)
Quindi eccovelo qua sul piatto d’argento, il vostro Sephy!
Ringrazio Manila, mia grande sostenitrice e manager
d’immagine (ahahaha), e la tifax, altra intrepida a darmi la
carica per continuare con la sua recensione breve ma energizzante.
Grazie ai lettori che leggono zitti zitti, spero che questo capitolo vi
convinca.
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 3 *** Misteri ***
Trattengo
il respiro per un tempo in parvenza infinito, mentre il rimbombo dei
passi in corridoio pugnalano il mio cuore ad ogni battuta. I miei occhi
sono fissi sulla maniglia della porta, pronti a far reagire il mio
corpo al solo accenno di movimento. Getto un’occhiata
sfuggevole al cassetto alla mia destra: la mia mano è
poggiata su di esso, come a sottolineare il nascondiglio delle mie
bugie. Sarei un vero imbecille farmi scoprire così. Appena
faccio per spostare la mano da lì, mi accorgo di
un’eco lontana di quei passi che hanno destato il mio
allarme. Non sono sicuro di aver udito bene, ma spero vivamente che le
mie speranze non abbiano iniziato a farmi strani scherzi mentali.
Riprendo a respirare con parsimonia e mi avvicino alla porta. Apro
l’uscio quel tanto che basta per permettere al mio occhio di
sbirciare oltre lo spiraglio. Nessuno. Il corridoio è
immerso nella penombra della luce lunare che filtra dalla finestra e
l’unica cosa a tenermi compagnia è un triste
vasetto bianco sul tavolino di fronte il mio ufficio. Tiro un sospiro
di sollievo, il quale mi ritempra anima e corpo, quando uno
scricchiolio attira nuovamente il mio allarme. Qualcuno sta salendo le
scale. Chiudo più che posso la porta per impedire alla luce
della lampada di rivelare la mia presenza, ma, al contempo, vedere di
chi si tratta. Il mio animo si quieta appena scorgo la testolina
arruffata di Denzel. Sta letteralmente dormendo in piedi, quanto i suoi
occhi sono chiusi e il corpo accartocciato su se stesso. Non si
accorgerebbe nemmeno di Behemoth, tanto è assonnato. Mi
sfugge un sorriso a quella vista dolce e ironica nello stesso tempo. Ho
imparato ad apprezzare molto di più i bambini di recente.
Non aveva mai capito quanto fossero straordinari e quanta
felicità possono trasmetterti. Ho imparato ad usufruire
della loro energia e allegria, quando mi sento un po’
giù; invece di scappare in qualche angolo recondito di
Midgar ad autocommiserarmi. Mi siedo con loro e mi presto ai loro
giochi. E’ davvero rigenerante.
Denzel scompare nella
sua cameretta e dichiaro il cessato pericolo. Mi sporgo
dall’uscio per controllare la porta della camera matrimoniale
che divido con Tifa e noto che è serrata. Vorrei
tornare accanto a lei, ma il richiamo irresistibile di
quell’oggetto mi attira di nuovo nell’ufficio.
Dopotutto, non ho ancora finito di leggere la prima giornata. Chiudo la
porta alle mie spalle e mi ci appoggio per lasciar scaricare la
tensione di poco prima. Ora che la mia mente si è calmata,
posso pensare freddamente a queste prime parole impresse sulla carta
dal mio peggior nemico. Il solo pensiero mi riempie il cuore di una
profonda tristezza. Quando prestavo servizio alla ShinRa lo incontravo
spesso, ma non sembrava così depresso. O forse a me piaceva
pensarla così, perché il leggendario eroe SOLDIER
non aveva problemi. Non POTEVA avere problemi. Santo Bahamuth, quanto
mi sento idiota a credere a una scemenza simile! Ora che ho avuto un
solo assaggio della mente di Sephiroth capisco il suo odio per
l’umanità. Lo abbiamo rinchiuso dentro ad una
gabbia dorata di gloria e perfezione fino a farlo impazzire. Io, in
primis, mi sento in colpa. Lo vedevo come un Dio in terra, capace di
tutto, tranne che di sbagliare. E quanto si sentiva solo per questo.
Sephiroth non poteva avere amici, non ne aveva bisogno. Lui era al di
sopra di qualunque cosa, tanto era forte. Ma senti! Che boiate! Come si
fa a recludere così una persona solo perché la
credi una divinità? Mi rendo conto che il vero burattinaio
tra noi due, sono io. Io e tutta l’umanità lo
hanno voluto così. Lui non ha fatto altro che conformarsi
completamente al suo mito, con tutte le conseguenze che ne derivano. Mi
accorgo che siamo stati noi a creare il mostro.
Affondo il viso tra le mani e mi do una scrollata: il sonno comincia a
farsi sentire, ma non abbastanza per indurmi al letto caldo. La scarica
di adrenalina mi ha dato una bella sveglia e credo di andare avanti
ancora per qualche minuto. Sospirando, ritorno alla scrivania, tiro
fuori il diario dal suo nascondiglio e mi rimetto a leggere.
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Il
diario è una bella invenzione per coloro che non hanno amici
con cui parlare. Mi sovviene in questo momento di non essermi mai
presentato ad anima viva. Tutti sanno chi sono io. Sephiroth,
l’eroe di SOLDIER. Detesto questo titolo pomposo e ingiusto.
Io non sono un eroe, io non salvo la gente, la uccido. I veri eroi sono
i soldati sacrificatosi per i loro compagni, la madre che salva il
figlio dalla fiamme, il marito che lotta contro la crisi finanziaria
per portare la pagnotta dalla sua famiglia, un malato terminale di
cancro che si gode la vita. Mi viene da mettermi le mani nei capelli
quando sento il Presidente presentarmi ai suoi ospiti con
quell’aggettivo. Mi verrebbe da fracassare loro il cranio.
Sento sempre una grande rabbia pervadere il mio essere quando sono a
contatto con le persone. Mi schifano con la loro ipocrisia e i loro
sorrisi falsi. Avverto il loro timore, quando mi tendono la mano per
presentarsi a me. Io mi rifiuto toccarli. Farò la figura del
cafone, ma non mi importa. Uno dei pochi lati positivi di essere una
celebrità è che c’è sempre
qualcuno pronto a prendere le mie difese. Le ragazzine di
13’anni, ad esempio. Per loro, il mio modo distaccato e
anti-antropico è dannatamente affascinante. Non ne
concepisco il motivo. Sono venuto a conoscenza che molte donne adulte
lo pensano. Sospiro rassegnato tutte le volte. Sarò una
frana con i rapporti sociali, ma personalmente io non mi tratterei male
tutto il tempo. Bisogna anche precisare che quel poco che so sulla
sfera femminile proviene dalle voci delle camerate. E con questo ho
spiegato tutto. Quand’ero un giovane SOLDIER, sentivo i miei
compagni parlare spesso di femmine. Anche se all’epoca avevo
più o meno l’età delle stesse ragazzine
che oggi mi corrono dietro. Non si facevano scrupoli a sventolarmi in
faccia le riviste pornografiche comprate sottobanco durante i turni di
guardia e farmele trovare nei posti più impensati. Si
divertivano a vedermi arrossire come un pomodoro davanti a quelle
ragazze ritratte in posizioni scabrose. Era praticamente un bambino
all’epoca, vissuto recluso in casa fino a pochi minuti fa e
l’unica compagnia femminile che avessi mai avuto era la
professoressa privata di matematica. Con tanto di baffoni e sedere
dalle misure astrofisiche. Mi monta un nervoso indescrivibile pensare a
quel periodo. E’ incedibile come l’umano possa
essere crudele con un esemplare più giovane, solo
perché più esperto in certi aspetti della vita
naturale (e per alcuni nutro corposi dubbi). Era imbarazzante per me
vedermi sbattuti in faccia momenti della vita che dovrebbero essere
privati e speciali. Non era tanto la vista di organi sessuali (tra i
mie tanti libri ce ne è uno di anatomia), ma era
più che altro pudore. Concetto che ai miei compagni più
grandi era
sfuggito. Poi un giorno, mi fecero uno scherzo molto più
pesante del solito (mi ero trovato un’escort nel letto)e a
quel punto feci capire loro che la mia pazienza aveva un limite non
consigliabile da superare. Ne mandai quattro all’ospedale per
lesioni multiple al petto e… uno ci rimise le penne. Fu la
prima volta che tolsi la vita ad un essere umano. Fu
un’esperienza agghiacciante. Quel ‘toc’
secco di un collo che si rompe rimbomba ancora nelle mie orecchie.
Ricordo la frenesia che annebbiò la mia mente
all’udire quel suono. Rimembro il piacere provato a spezzare
la sua giovane vita. Poi vidi solo rosso e una furia cieca travolgere
gli altri aggressori. Quando finì tutto, mi sentii talmente
male da vomitare sangue sui loro corpi. Per le successive settimane di
addestramento non uscii mai dalla mia stanza. Durante
quell’isolamento, compresi il pericolo di stipare i miei
sentimenti. Sono come una bomba ad orologeria: se mi carichi troppo,
esplodo e devasto tutto quello che si trova sul mio cammino.
E’ terribile vivere così. Con la paura costante di
liberare la mia rabbia, di non potersi lasciare andare. La sento
grattare sotto al mio petto, come una bestia che ti rode
dall’interno per farsi strada verso l’esterno.
Quella bestia è potente, perché l’ho
nutrita fin da bambino attraverso l’odio che provo per quella
frattaglia umana di mio padre. Quante volte ho cercato la sua
pietà, quando mi infilzava l’unico millimetro di
pelle ancora sana in mezzo ad un tripudio di fori viola. Tante volte ho
pianto disperato chiedendogli di smettere, cercarlo
d’intenerirlo chiamandolo
‘papà’; ma credo che ci provasse un
gusto perverso nel vedermi piangere. Spesso i suoi assistenti
prendevano le mie difese, sopraffatti dalla pietà che
provavano verso di me, e cercavano di fermare quella sadica frenesia;
ma quel vecchio bastardo li faceva cacciare fuori dal laboratorio dalle
guardie SOLDIER generosamente offerte da quel viscido del Presidente.
Poi, il giorno dopo se ne presentavano altri diversi. Ogni nuova
generazione di assistenti diventava sempre più fredda e
distaccata, tanto che ad un certo punto rimase solo il Professore a
salvarmi. Quando era presente ci pensava lui alle mie infusioni di
mako. Era terribilmente doloroso comunque, ma lui non la smetteva un
secondo di rassicurarmi e cercava di essere più delicato
possibile. Mi raccontava storie fantastiche per distrarmi dal dolore.
Non sapevo come facesse ad inventarsene una nuova ogni volta, ma mi
piace pensare che si ispirasse alla sua famiglia. Invidiavo moltissimo
sua figlia. Quando se ne andava, mi ritrovavo a pensare che al posto di
quella bambina ci dovevo essere io. La invidiavo profondamente e la
invidio tutt’ora.
Aerith
Oh,
si è fatto tardi. Tra un po’ devo partire per una
missione. E’ bene che mi prepari.
////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Mi si gela il sangue
nelle vene a leggere il nome di Aerith scritto dal SUO pugno.
E’ elegante, ricalcato più volte, in molti punti.
Sembra quasi che ci tenesse a vederlo stilato in modo impeccabile. Mi
immagino Sephiroth chino sul tavolo di vetro a rimuginare sul lavoro
fatto. A contemplare quel nome. Credo che in un qualche modo percepisse
il legame fatale che li legava e, di conseguenza, se ne sentiva
attratto. Almeno è così che la vedo io, ma tutto
mi lascia pensare a questo. Le altre parole sono redatte,
sì, in maniera impeccabile con eleganti ghirigori e lettere
allungate; ma su QUELLA parola si è concentrato molto di
più. Ma forse sono io che alle tre di notte comincio a
vedere complotti immaginari scaturiti dalla mia mente stanca.
M’incuriosisce, però, il fatto che
l’abbia scritto a capo, lontano dalle altre frasi e molto
più in grande. Forse l’ha scritto per imprimere un
pensiero complicato o un’emozione profonda in una sola
parola. Da come è scritta sembra quasi sospirata…
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Mi sveglio tardissimo
e mi ritrovo a tastare il materasso dalla parte di Tifa, alla sua
ricerca; ma quel posto è vuoto. Lei non è accanto
a me. E’ già sveglia, sovvengo. Fortunatamente,
è giovedì. E giovedì non lavoro, a
meno di consegne straordinarie. Si sente silenzio in casa e nessun
vociare proviene dal bar. Mugugnando mi giro verso il comodino e cerco
la sveglia. Il display segna le 14:30. Grugnisco. Ho dormito un sacco.
Odo dei passi in corridoio, ma, stavolta, non destano il mio allarme;
anzi li riconosco: sono leggeri e soavi. Se non avessi
l’udito potenziato dagli esperimenti eseguiti da Hojo,
probabilmente non l’avrei sentita arrivare. Fa di tutto per
non svegliarmi. La sento accostarsi alla porta, respirando piano per
non far rumore. Sorrido. I suoi sospiri sono una musica delicata per le
mie orecchie. E poi mi diverte vedendola prendere tutte le premure per
non destarmi, quando io sono già arzillo. Vedo le sue dita
sottili spuntare dall’uscio, lasciato accostato, e chiudersi
sul legno con attenzione. Mi metto supino e attendo. Una leggera
pressione con entrambe le mani e ,finalmente, vedo spuntare il suo
viso. Il mio sorriso si allarga appena incontro i suoi occhi e si
trasforma in un ghigno divertito appena vedo la sua espressione stupita.
“Ma
sei sveglio!”
Inizio a ridere e mi
tiro appena su, puntellandomi con i gomiti. Tifa entra nella stanza e
la inonda con la luce del sole. La sua figura snella e perfetta si
staglia contro di essa, gettando un’ombra su si me. Poggia i
pugni sui fianchi e mi guarda falsamente offesa, con la bocca
semiaperta e gli occhi fessurati. Adoro quell’espressione, mi
fa avvampare letteralmente. Rimaniamo a guardarci per qualche secondo,
durante i quali la sua espressione si addolcisce sempre più
e il mio desiderio aumenta costantemente. Poi lei si getta tra le mie
braccia, ridendo felice. Mi stringe a sé e io rispondo al
suo abbraccio. Ridendo come due adolescenti ci rotoliamo nel letto,
buttando all’aria tutte le coperte. Iniziamo a giocare e Tifa
inizia a prendermi a cuscinate.
“Non”-cuscinata-“prendermi”-“
altra cuscinata -“in”- terza cuscinata
-“giro!”, scandisce, tra una risata e
l’altra.
L’ultimo
colpo riesco a pararlo e afferro la federa con forza, strappandola
dalle sue mani.
“Ah! Ora
tocca a me!”, dico con fare minaccioso.
“No, ti
prego! Aaaaaaaaah!”
Mi scaglio contro di
lei e inizio a calare le mie cuscinate sul suo corpo, mentre Tifa urla
e ride. Ad un certo punto cerca di scappare, ma con un rapido blitz le
cingo la vita col braccio e la tiro a me, gettandola poi sul letto. Le
salgo sopra, immobilizzandola. Ansimiamo entrambi. Tifa mi guarda con
uno sguardo pieno di gioia e amore. So che questo mio nuovo
comportamento la rende felice. E anche me. Mi sento appagato nel
donarle l’allegria attraverso gesti e situazioni che prima
non sarei mai stato in grado di creare. L’ombra di Sephiroth
e la morte di Aerith non avevano precluso solo la mia di
felicità, ma anche quella delle persone intorno a me. E io
non me ne ero mai accorto. Credevo che fosse un fardello solo mio, ma
non mi ero reso conto che l’avevo proiettato anche su di lei.
Mi sento in colpa per questo, perciò sto cercando di aprirmi
di più con Tifa e donarle queste piccole cose solo nostre.
Inoltre, credo che la mia voglia di vivere sia derivata
all’iniezione di tristezza proveniente da questa notte. Ho
visto a cosa può portare il non godersi alla vita, quindi
credo sia uno stimolo in più tenermi stretta la donna che
amo.
Inconsciamente,
stringo Tifa più forte verso di me. Lei mi accarezza la
guancia con la leggerezza di una piuma; poi scende e poggia il dito
nell’incavo tra le clavicole. Inizia a picchiettare, mentre
alza uno sguardo malizioso sulla mia espressione studiosa.
“Sai,
il bar apre tra mezz’ora e i ragazzi sono a
scuola…”
Io sorrido e colgo la
richiesta celata. La osservo per qualche altro istante, inebriandomi
nella sua bellezza. Poi, infine, la bacio.
Questo
sì che è un buongiorno.
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Oggi la giornata
è volta al termine troppo presto, quindi sebbene sia quasi
mezzanotte non ho un minimo di sonno. Amoreggiare con Tifa oggi
pomeriggio mi ha rigenerato e mi sento una grande energia addosso. Mi
sento ottimista e, sinceramente, non mi va di leggere le memorie
depresse del mio nemico. Anche se… il velo
d’inquietudine, che si è avvolto attorno a me
riguardo a quel nome sospirato tra le pagine di un diario, non mi ha
abbandonato per tutta la giornata. E’ la curiosità
e il fascino del mistero che mi riportano nel mio ufficio, invece di
lasciarmi sulla poltrona a guardarmi le prove libere della corsa
motociclistica a Icicle. Mi siedo e tiro fuori il diario. Lo contemplo
per qualche secondo, tenendolo in verticale davanti a me.
Sei
davvero sicuro, Cloud?
Forse
dovrei davvero seguire il suo consiglio e godermi le piccole cose,
invece di rimestare le acque torbide di un passato che va via via
dimenticandosi.
Sono
pensieri privati. Era il suo unico sfogo.
Sì,
dopotutto che diritto ho io di leggergli nella mente? Ho capito dove ho
sbagliato, il perché sia diventato così rabbioso;
come l’umanità lo ha costretto a vivere.
C’è
dell’altro. Che rapporto c’era tra lui e Aerith?
Faccio per aprire il
diario e un pezzo di carta cade dalle pagine centrali, finendo sul
pavimento. Mi chino per raccoglierlo e… ciò che
vedo mi lascia senza fiato!
Ecco
qua, una nuova sfornata di allegria per voi! Bene, per ora il nostro
Sephiroth sembra più triste che mai, mentre Cloud sempre
più felice (per la situazione CloTi super-zuccherosa, prego
picchiare Manila XD). Un capitolo pieno di misteri questo. Cosa
c’è di sopito e nascosto tra Aerith e Sephiroth?
Cosa ha trovato di sconvolgente il nostro Cloud, sbucato fuori dal
diario del nemico? Ve lo direi adesso, ma necessito di un foglio
immacolato, un matita, dei colori e uno scanner. Quindi, saprete tutto
nella prossima puntata, signori miei!
Ringraziamenti:
one winged angel: per le sue recensioni precise e accurate;
Serith: pignola (a detta sua), ma dispensatrice di importanti consigli
(da non perdere la sua “Sfumature”!);
Manila: la folle pazza autrice delle Dis-avventure, a cui io ho rubato
la vena CloTi. Se vi vengono le carie è colpa della sua
influenza! No, carissima ragazza e brava scrittrice!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 4 *** Amore e guerra ***
Una donna.
Una donna bellissima mi guarda attraverso la carta fotografica
ingiallita dal tempo. Noto subito una chioma di capelli neri lasciati
liberi nel vento entrare in contrasto con il chiarore fiammante di un
tramonto morente tra imponenti montagne innevate; i cui raggi si riflettono su quel crine con mille
sfumature rosse e gialle, accompagnate dal barluccichio ondulato del lago che si estende alle sue spalle. Lei e la perfetta beltà del piccolo paradiso lacustre sembrano ancora muoversi, nonostante qualcuno l’abbia
impressionata per sempre su questa foto. Il nero intenso dei capelli contorna perfettamente il suo viso tondeggiante, risaltando una carnagione
pallida come la porcellana. I suoi lineamenti sono fini, dolci, morbidi.
Assomiglia ad una bambola. Sorride flebilmente. Le sue labbra rosse
sono carnose, compatte, accoglienti. Mi inducono a baciarla senza
remore. Sembra attirarmi verso di sé, infiammando ogni parte
di me. E’ così strano. Poi i suoi occhi. Oh,
quegli occhi! Grandi, profondi, luminosi e… verdissimi. Un
verde spettacolare, molto, ma molto simile a quello di Aerith. Fatico a
cogliere la sua fisionomia, poiché essa si stringe in quello che sembra essere la parte superiore di un kimono di
parecchie taglie superiori al suo corpo. Non credo sia suo, sembra
quasi da uomo… Le fibre di seta finissima che si districano e s'incrociano tra loro, formando una trama sinuosa e morbida, riflettono i raggi solari, trasformando un semplice indumento in un magnifico fiume d'argento, da cui questa splendida donna sembra nascere. Perfino il sole dietro di lei sembra inchinarsi a quella
bellezza suprema, alla purezza perfetta di quella luce. Ora che ci
penso, anche Aerith mi provocava la stessa sensazione. E anche Tifa.
Faccio caso solo ora che quella donna assomiglia in modo impressionante
alle due ragazze della mia vita. La chioma nera mi ricorda la
morbidezza scabra avvertita dai miei polpastrelli quando accarezzo i
capelli del mio angelo; mentre quegli occhi verdi mi rimembrano lo
sguardo materno della Cetra. Sembra quasi che le due ragazze si siano
unite per dare vita ad un’altra persona. Osservo quella donna
a lungo e colgo certe caratteristiche che mi aiutano a capire la sua
provenienza. Mi accorgo del taglio degli occhi leggermente obliquo,
degli zigomi alti e smussati, il viso tondo; tutto ciò sta a indicare una sola cosa: Wutai. Yuffie ha tratti molto simili ai suoi, se non fosse per
quegli occhi verdi… Esper santissimi! Non credo di aver mai
visto uno sguardo così pieno e luminoso. Anche se le sue
labbra accennano un minuscolo sorriso, quelle iridi sprigionano un
amore grandissimo.
Smetto di respirare.
Amore grandissimo?
Cosa ho appena pensato?! Chiudo gli occhi con forza e scuoto la testa.
La mia mano passa sulla fronte, cercando di scacciare quel pensiero,
senza risultato. Alzo le palpebre e guardo la fotografia, mentre la mia
palma si ferma sulla mia bocca e tutta la mia figura si accascia sulle
ginocchia. La rivelazione sembra schiacciarmi. Il mio respiro si
è fatto più affannoso e nella mia mente
c’è una gran confusione.
No.
Non riesco ad accettare quello che la mia testa mi sta propinando.
Non è
possibile che lui…
Ripercorro mentalmente le informazioni rinchiuse nei miei
ricordi come fossero dati di un computer, alla ricerca di un indizio
che confermasse la mia ipotesi.
Non
ho mai sentito nulla, nessuno ne ha mai parlato.
I media o i fan non potevano essersi lasciati scappare una tale
notizia! Ma nulla, nella mia mente, mi conferma di voci di corridoio o
di pettegolezzi su una storia d’amore.
Seguivo la sua vita come
fossi la sua ombra.
Sapevo tutto di lui, qualunque cosa: che shampoo usava,
qual’era il suo cibo preferito, quale numero di scarpe
indossava, quante volte andava nella sala addestramenti a combattere,
il numero di battaglie a cui aveva partecipato… TUTTO!
Possibile che una cosa così ovvia e importante sia riuscito
a nasconderla? Improvvisamente, capisco che io non ho compreso niente
di niente, che quelle informazioni a cui ero gelosamente attaccato
quand’ero ragazzino non erano altro che una copertura per la
sua vita reale. Ci ho combattuto così tante volte da
arrivare a dire di averlo conosciuto davvero. Che illuso! Ripenso
all’ultima volta che ci siamo scontrati. Gli sputai in faccia
queste parole:
I pain you. You just don’t gettin’ at all!
[Mi fai
pena. Non capisci niente! FFVII:ACC]
Sospiro. Con quale presunzione, poi? Credendo di sapere tutto di lui,
decretato che non avesse più nulla da darmi, lo ho
condannato come una bestia da macello. L’ho accusato di non
avere sentimenti, di non provare nulla, di essere… vuoto.
Guardo quella foto e vedo che, all’ombra nera del potente
Generale SOLDIER, c’era un uomo. Un uomo che amava ed era
amato a sua volta. Da una donna bellissima, tra l’altro. Una
Wutai, probabilmente. Una donna di quello stesso popolo che la ShinRa
ha fatto di tutto per raderlo al suolo e piegarlo al suo volere. Di
quel popolo di cui la gente comune aveva paura e sperava di vederlo
sprofondare nei flutti del proprio sangue attraverso le sferzate
esperte della Masamune. Tutti i popoli al di là del mare di
Wutai si erano schierati dietro quella figura fasulla di onnipotenza,
senza pensarci nemmeno un attimo. Come pecore ignoranti abbiamo odiato
un’intera popolazione solo perché rigettavano la
tecnologia mako e osavano mettersi contro la grande ShinRa, ovvero
contro il Dio Sephiroth. Già, perché
all’epoca i due erano praticamente sinonimi.
Mi accorgo dell’ironia della loro sorte: lui così
disperato da andare a trovare conforto tra le braccia del nemico. Credo
che abbia visto un’affinità in quella donna,
un’ancora di salvezza su cui sfogare il suo bisogno di amore.
Dalla sua espressione e dalla sua posa eretta, mi sembra un persona
sicura di sé, forte e decisa. Anche se il suo sguardo
tradisce una grande umiltà e le sue gote arrossate una certa
timidezza. Immagino si trovasse in imbarazzo quando venne scattata
questa foto. Come diamine ha fatto a tenerla nascosta a tutto il mondo?
A volte leggevo sulle riviste di gossip di mia madre che
c’erano ragazzine che riuscivano ad intrufolarsi fino agli
spogliatoi del piano SOLDIER, pur di sperare d’incontrarlo
sotto la doccia e fotografarlo. Non so quanto fossero veritiere quelle
notizie, ma non escludo che ci abbiano provato davvero. Mi scappa una
risata mesta. Sephiroth era una cavia da esposizione, obbligata a
vivere sotto i riflettori di una vita mai voluta, a denigrare se stesso
solo per il giubilo del popolo. Frustante, davvero. Non riesco ancora a
capacitarmi del fatto che lui avesse una compagna. Sempre se fosse
così, ma non trovo altra spiegazione del perché
una foto di una donna sconosciuta possa trovarsi nel suo diario. Forse
lei era una persona importante in Wutai. Dovrei mostrarla a Yuffie, ma
credo che mi tempesterebbe di domande sul come e sul dove che farebbero
cadere, come un castello di carte, le mie bugie. Conoscendola, lei
sarebbe perfettamente in grado di estrapolarmi ogni informazione
possibile dalla bocca, nemmeno fosse una dentista che strappa i denti
dalle gengive. E, ovviamente, non riuscirà a tenere per
sé questi segreti e li andrebbe a spifferare subito a
qualcuna delle ragazze, se non direttamente a Tifa stessa. A quel
punto, potrei davvero considerarmi morto e sepolto. Mi immagino una
situazione del genere e mi ritrovo a desiderare che, forse,
è meglio combattere Sephiroth mille volte,
anziché affrontare l’ira di Tifa e le fucilate di
Barret. Scaccio quei pensieri e torno a studiare la foto. Non riesco a
capire dove possa essere stata scattata. Forse Costa del Sol, ma non
credo che lui possa essere stato così imprudente da portarla
in un luogo così affollato e così vicino a
Midgar. La osservo ancora per un altro po’, cercando di
estrapolare più informazioni possibili, ma alla fine arrivo
alla conclusione che è tra le pagine del diario che
troverò le risposte alle mie domande. Purtroppo, non so da
che pagina possa essere caduta, quindi decido di andare con ordine e
tenermi la curiosità, finché non
arriverò al punto.
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
20 Dicembre
XXXX
Oggi è la
prima volta che riesco a concedermi un minuto libero fuori dalla
ShinRa. Sono due mesi che non faccio altro che presenziare a riunioni
tattiche, scartabellare fascicoli di reclute, analizzare mappe,
studiare gli allenamenti dei nuovi arrivati, incoraggiare truppe ed
elemosinare nuovi soldati dal popolo attraverso stupide
pubblicità. Il Presidente e il Direttore SOLDIER hanno
pensato bene di sobbarcarmi tutto il lavoro, mentre loro si concedono
il “meritato riposo” a giocare a golf. Santo cielo,
sono a pezzi! La testa è così piena
d’informazioni che, se non fossi riuscito a rintanarmi qui e
vomitarle nel diario, con certezza matematica mi sarebbe esplosa. Sono
giorni che non dormo. Ci sono sempre dei problemi… I miei
Comandanti sono degli incapaci, mentre gli altri Generali pensano bene
di mettermi i bastoni tra le ruote. Dannati bastardi, spero che la
guerra vi travolga! Spero vivamente di vedervi crepare sotto le armi da
fuoco di North Corel. Mi scappa una risatina malefica al pensiero che
sono l’unico a sapere che le armi dei nostri nemici vengono
fornite da mercanti d’armamenti della resistenza di Corel.
Tutti loro sono convinti che ci troveremo ad affrontare una massa di
contadini con torce e forconi. Poveri illusi! So che dovrei essere
più collaborativo con i miei “compagni”,
ma non li posso sopportare. Quelli sono gli stessi imbecilli che mi
facevano impazzire durante l’addestramento. Non riesco a
capacitarmi che siano diventati generali. Mi si gela il sangue nelle
vene al pensiero di quanti uomini manderanno al macello, questa volta.
Solo perché loro sono più vecchi di me, credono
di essere più in gamba. Durante la guerra di conquista, ho
dovuto lottare sia contro i nemici che contro i miei stessi alleati per
impedire manovre strategiche atte solo al massacro dei nostri. Molti
uomini dovrebbero essermi grati di avere ancora un vita da vivere. La
cosa gratificante è che alcuni se lo ricordano il ragazzino
dai capelli argentati che si è opposto agli ordini stupidi
dei Capitani. Parecchi di loro hanno chiesto di combattere sotto di me
questa nuova guerra. Sanno che io farò di tutto
perché ci siano meno perdite possibili, sia da un lato che
dall’altro. Sono delle brave persone e molti di loro hanno
anche una famiglia; credo di doverglielo. La guerra è
orribile, ma sono felice che stia per scoppiare. Non solo
perché sono un soldato e il sangue è la mia
vocazione; il motivo principale è la possibilità
di liberare i miei istinti nel modo più cruento possibile.
La mia bestia sarà grata di questa ora d’aria.
Durante la guerra precedente, mi capitava di gettarmi a capo chino
contro i miei nemici, preso da una frenesia folle. Sentivo il mio corpo
quasi esplodere dalla violenza con cui i miei istinti si liberavano.
Tutti i miei sensi si acuivano e i miei movimenti non erano mai stati
così fluidi. Il sangue ribolliva nelle vene come se un
calderone bollente bruciasse ed eruttasse lava incandescente. Ma la
sensazione che mi impressionava di più era il mio cuore. Lo
percepivo battere ovunque: nella testa, nel petto, nel ventre. Ovunque.
Sospingeva la lava in ogni angolo del mio corpo con una potenza
impressionante. Mi sentivo bruciare, letteralmente. Alla fine di un
combattimento particolarmente intenso, evocavo sempre un Hell Firaga
per liberarmi del fuoco che mi stava consumando. E tutti i miei nemici
con me. Quando la follia scemava, il bollore si raffreddava e lo
stridio nella mia testa si affievoliva, vedevo con orrore lo sfacelo
compiuto. Centinaia di corpi abbrustoliti, impressi nell’atto
della morte violenta. Le loro pose erano agghiaccianti. Mani nei
capelli urlanti; cercavano di proteggersi dietro al braccio; altri
erano stati semplicemente annientati dalla rassegnazione alla fine. Una
volta rasi al suolo un intero villaggio. I miei compagni erano riusciti
a salvarsi, ma i ribelli mi impedivano di avanzare. Mi avevano
intrappolato. So che può sembrare ridicolo per uno che
desidera la morte più di qualsiasi altra cosa, ma in quei
frangenti è impossibile non pensare di sopravvivere ad ogni
costo. A volte vengo influenzato dalla mia stessa leggenda. Non
sopporto l’idea di morire in modo così ignobile,
sapendo di avere le capacità per uscire dalla situazione.
Arrendersi non fa parte della mia natura. O, semplicemente,
è un concetto che mi hanno inculcato fin
dall’infanzia. Se non avessi avuto questa tenacia,
probabilmente, un giorno mi avrebbero trovato impiccato ad una trave o
nella vasca con le vene tagliate. Odio così tanto la vita
che trovo piacere nel toglierla agli altri. Credo che in modo perverso
stia facendo loro un favore. Ma poi la mia coscienza rimorde.
E’ la mia vita che fa schifo, non quella degli altri. Spesso
ho ucciso uomini davanti alle loro famiglie. Era in quei frangenti che
capivo quanto errore ci fosse nella mia teoria. Ma un giorno
dovrò pagare per i miei errori e spero che sia qualcuno a
cui abbia ucciso un famigliare, o un amico. Forse così i
miei incubi avranno fine. Per loro, però, non ci
sarà la stessa soddisfazione che provai io,
perché uccideranno un uomo solo e triste. Nessuno
verrà a piangere sulla mia tomba, nessuno
cercherà vendetta per me.
Accidenti, quanto sono depresso. Fortunatamente, nessuno
leggerà queste righe, ma se mai capiterà spero di
non essere lì per assistere. Mi sentirei dannatamente
patetico. Ho assoluto bisogno di un amico. Anche un animale, ma i miei
impegni mi impedirebbero di prendermi cura di lui. Dovrei smollarlo
alla vicina, ma sono dell’idea che se una persona decide di
tenere un animale deve pensarci il padrone al suo sostentamento. Come
quei genitori che lasciano i figli ai nonni, perché non
hanno tempo per loro. Forse quella sera era meglio se andavate al
cinema, se non avete tempo di occuparvi della vostra creatura.
Queste riflessioni sono davvero ridicole! Ma la mia mente è
così stanca che pensare in modo logico e congruo le
è impossibile. Avrei anche bisogno di mangiare qualcosa, ma
tutti i miei pensieri mi chiudono lo stomaco. Durante
l’ultima visita medica è risultato che sono
sottopeso di 4 chilogrammi. Sto scomparendo…
La dottoressa che segue i miei casi mi sgrida con fare materno quando
vede gli effetti dello stress sulla bilancia. E’ una brava
professionista, oltre che essere una bella donna. E’ gentile
e si preoccupa per me. Scuote la testa e comincia chiedermi se ho
bisogno di parlare con qualcuno. Vorrei tanto risponderle di
sì, ma credo che mi spedirebbe nel reparto di psichiatria
appena scoprirebbe quello che c’è nella mia testa.
Preferisco tenere per me i miei problemi, purtroppo ho una reputazione
da difendere.
Santo cielo, che nervoso!
Perché mi ritrovo sempre a tornarea quel punto?!
Questa povera penna non resisterà a lungo, ha
già macchiato la pagina con uno sputo d’inchiostro
a causa del mio impeto. Fortunatamente, la vista variopinta della
città addobbata per il Natale quieta un poco il mio animo.
Mi ritrovo a studiare quelle luci rosse, bianche e verdi. Spuntano
caparbie in mezzo ai fumi di mako rilasciati dai reattori, proprio per
dimostrare che in questo mondo marcio c’è ancora
la voglia di allegria e pace. Di quest’ultima,
però, di qui a poco ce ne sarà davvero poca. La
guerra in Wutai inizierà presto. La missione diplomatica di
due mesi fa non è andata per niente bene. Goro Kisaragi non
ha la benché minima intenzione di scendere a compromessi.
Nemmeno il Presidente. Ho ascoltato l’acceso dibattito tra i
due da fuori la sala del trono. C’era
d’aspettarselo, dopotutto. Erano mesi che i rapporti si
inasprivano sempre più. La guerra era inevitabile.
Sarà dura. L’area di Wutai è
un’enorme trappola per topi. Foreste, montagne,
paludi… Un vero incubo per un esercito invasore. Senza
contare che dovremo lottare anche per creare un avamposto sulla costa
per far atterrare i nostri aerei ed elicotteri. I Wutai sono un popolo
fiero: combatteranno fino all’ultimo sangue per pochi
centimetri di terra. Prevedo una lunga guerra di logoramento e
guerriglia. Un sacco di morti.
Sospiro al pensiero di quanto sangue bagnerà quella terra.
Quanto sangue innocente verrà sparso! Lo so già
che prima o poi i nervi dei nostri uomini cederanno. Vorranno le loro
donne e uccideranno i loro bambini. E io con loro. So anche che questa
guerra sarà la mia nona sinfonia.
Il mio canto del cigno.
La chiusura a doppia mandata della mia gabbia di gloria.
////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Rimango un po’ deluso dal fatto che le mie domande restano e
molte altre si fanno strada. Ma dopotutto, come potevo anche solo
sperare che mi avrebbe spiegato tutto. Sono tentato di saltare le
pagine per arrivare ai punti che interessano a me, ma non mi sembra
rispettoso. Ogni suo pensiero merita di essere letto, anche se devo
ammettere che sono turbato. Sembra quasi che sentisse cosa sarebbe
accaduto. Mi inquieta il fatto che sia stato così
lungimirante. Che dentro al suo cuore sapesse?
Guardo l’orologio. Sono le due di notte. Domani lavoro, sono
stato sveglio anche troppo. Anche se non so se riuscirò a
dormire con tutte queste domande che mi si affollano nella testa.
La foto della donna mi guarda sorridente. La contemplo per qualche
minuto.
Chi sei tu?
Ecchime! Tranquilli non
sono morta! E’ che ho avuto un sacco da fare, tra i post del
Gdr e l’uni, non ho avuto molto tempo. Mi
scuso anche per non essere riuscita a postare la "foto" della donna
come anticipato nello scorso capitolo. Ho
fatto degli abbozzi poco soddisfacenti, ma mentre scrivevo mi
é venuta in mente la
versione definitiva XD (Bah, pensa te, quando dovrebbe essere il
contrario...nda). Meno male che ho scritto,
perché avevo sto capitolo in testa e lo dovevo assolutamente
liberare!
E così l’identità del misterioso
foglietto è stata svelata! Un’amante? Ma, come..?!
Eheh, non temete la situazione peggiorerà!
Ringrazio le sante donne che hanno la pazienza di leggere i deliri del
nostro bell’argentato e della pare del biondo
chockobo.
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 5 *** Natale ***
Finalmente,
il cullante languore del sonno mi assale e piano piano sprofondo verso
quel mondo in bilico tra incoscienza e realtà. Degusto
appena il sapore del meritato riposo, quel diletto dolce e avvolgente,
quando… La dannata sveglia mi desta con la sua odiosa
suoneria gracchiate e nervosa. I miei sensi esplodono, cogliendo ogni
singola sfaccettatura del mondo reale, impedendomi di concentrarmi.
Mugugnando, affondo la faccia nel cuscino. Non ho la minima voglia di
alzarmi, tantomeno di andare a lavorare. Il ‘cra
cra’ dell’aggeggio mi trapana la testa e mi tenta a
mettere fine la sua esistenza con un volo fuori programma. Alzo i lati
del cuscino sulle mie orecchie martoriate e affondo la testa ancora di
più nelle sue morbide curve. Cerco di ignorare quel suono
odioso e concentrarmi a riprendere il sonno perduto, quando una
delicata mano mi accarezza la schiena, provocandomi brividi di piacere
dalla testa fino ai piedi. Sento i miei peli rizzarsi (e non solo
quelli) e il cuore battermi all’impazzata. La palma scivola
con tocco leggero, come un sospiro, e sale tra le scapole; poi sul
coppino, fino a posarsi tra i miei capelli. Percepisco le dita
affusolate scompigliarmi la pettinatura arruffata del primo mattino,
sempre con la delicatezza che solo loro sono in grado
d’imprimere. I miei tentativi di riaddormentarmi vanno
letteralmente al diavolo. Sospiro ed esco dal mio pertugio, ruotando la
testa verso sinistra. La mano mi si appoggia sulla guancia, non appena
i miei occhi incontrano quelli ancora chiusi del mio angelo. Tifa mi
accarezza la gota col pollice. Ha capito che sono sveglio. Mugugna e
inizia ad agitarsi.
“Cloud,
spegni quella sveglia.”, mi ordina con voce stizzita, sebbene
la sua irritazione sia perfettamente nascosta dal tono assonnato.
Mi ero dimenticato che
quell’aggeggio malefico stava suonando già da una
quindicina di minuti buoni. Con fatica, assecondo il desiderio di Tifa
e lo metto a tacere. La sento sospirare di sollievo. E anche la mia
testa mi ringrazia. Mi volto verso di lei. La sue palpebre sono ancora
chiuse, contornate dalle sue lunghe ciglia nere. La sottile pelle
subisce degli spasmi di tanto in tanto, permettendomi di individuare le
curvatura degli occhi sottostanti. Alzo lo sguardo e contemplo i
capelli corvini che le cingono il viso. Per quanto siano arruffati, per
me, sono sempre perfetti. Un flash lampeggia nella mia mente,
collegandomi alla foto della donna misteriosa. Ora che Tifa ha gli
occhi chiusi, mi sembra quasi di essere sdraiato di fianco a
un’altra donna. La somiglianza è davvero
impressionante! La vedo lì, viva e serena, trovare conforto
sulla mia pelle, attraverso una delicata carezza. Il suo sorriso
è leggermente accennato, come nella foto. Anche se non lo
sta dimostrando, so che sta amando con tutta se stessa colui che
è coricato accanto a lei. E’ rilassata, sa di
poter contare su quell’uomo. Lo desidera, lo percepisce
attraverso un singolo contatto, il quale la fa sentire completamente
appagata. Di conseguenza, inizio a pensare cosa avrebbe fatto Sephiroth
al mio posto, a chiedermi se anche lui provasse quella
felicità immensa di svegliarsi al fianco della donna che
ama. Mi è davvero difficile immaginarmelo alle prese con una
ragazza. Era un uomo così analitico e distaccato, troppo
freddo per provare una sensazione così calorosa. Grugnisco.
Devo smetterla di credermi così superiore a lui; dopotutto
anch’io ho passato un momento della mia vita, in cui non
m’importava di niente e nessuno. Tifa e gli altri hanno
sofferto tanto per questo. Io, a differenza sua, ho avuto la
possibilità di rimediare; possibilità a lui
preclusa per causa mia, tra l’altro. Dal suo diario ho
imparato che spesso l’apparenza inganna. Credevo che un eroe
del suo calibro potesse avere qualsiasi cosa. Quando, invece, mancava
un dettaglio indispensabile nella vita di una persona:
l’amore. Anche se non ho mai conosciuto mio padre, ho sempre
avuto comunque qualcuno che mi trasmettesse quell’affetto da
sentirmi protetto e felice. Lui aveva un padre, ma non era da
considerarlo nemmeno tale. Hojo era un pazzo, un essere davvero
terrificante. Mi chiedo come abbia fatto Sephiroth a convivere con la
convinzione di essere suo figlio. Infatti, lo odiava a morte. Anche se,
leggendo tra le righe, ho potuto notare un dolore celato dietro a
quella rabbia. Credo che una parte di sé desiderasse
sanificare quell’unico rapporto famigliare. Dopotutto, come
si può odiare completamente l’uomo che ti ha messo
al mondo?
Tutti i miei pensieri
mi alienano dal mondo e rabbuiano la mia espressione, allarmando Tifa.
“Cloud?
Tutto bene?”
Mi ridesto. Ora che
è sveglia e incontro le sue iridi colore del cioccolato,
vedo la donna di prima svanire per lasciare posto alla mia unica,
insostituibile Tifa. Essa si è girata verso di me e mi sta
accarezzando il collo, giochicchiando ogni tanto con qualche ciocca dei
miei capelli. Ha la testa piegata di lato e mi studia attentamente.
Sento di essermi pericolosamente esposto, quindi recupero con un
sorriso stanco.
“Tranquilla,
Tifa. E’ la mattina che mi stronca.”, la prima
scusa che mi viene in mente.
Lei sembra rilassarsi:
posso tirare un sospiro di sollievo.
“Se la sera
non andresti a letto così tardi, non avresti questi
problemi.”
Cosa?!
Il fiato mi si blocca
in gola e sento i miei occhi sgranarsi. La mia reazione sembra
allarmarla e decide di andare più a fondo, porgendomi la
domanda più pericolosa che una donna può fare ad
un uomo.
“Cosa hai
fatto ieri notte?”
La mia mente cerca
disperatamente di trovare una scusa plausibile.
“Ehm…
Ieri notte… c’era…
c’era… la gara!” Sì, questa
può andare. “Sono stato a guardarla fino a
tardi.”
Tifa non sembra
soddisfatta, mi guarda ancora con sospetto. Io cerco di sostenere il
suo sguardo e controllare il rossore che mi sta infiammando le gote.
Decido di rincarare la dose e autoconvincere anche me stesso.
“Inoltre,
avendo dormito tantissimo ieri non avevo molto sonno quando sei andata
a letto. Inoltre, su canale 7 ritrasmettevano… le gare che
hanno fatto la storia del motociclismo. Come potevo non
perderle?”
Grazie al cielo, mi
è venuta in mente questa chicca, letta di sfuggita
sfogliando il giornale.
Trattengo la mia
esultanza, quando Tifa alza gli occhi al cielo e scuote la testa,
sospirando.
“Ah, sei il
solito. Quando si tratta di sport, non c’è orario
che tenga!”
Si getta prona sul
materasso e si stiracchia, lasciandosi scappare un sonoro sbadiglio.
Getta uno sguardo svogliato all’orario. Sono quasi le sei. La
ragazza si porta le mani al viso e sbuffa.
“Oh. Devo
darmi una mossa. Tra poco devo aprire il bar. Vai tu a portare i
bambini a scuola, appena esci?”
Annuisco , recuperando
un colore umano, e le rivolgo un flebile sorriso. Lei lo ricambia con
uno molto più bello e luminoso, per poi avviarsi verso il
bagno.
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Questa giornata di
lavoro è stata terrificante. Avrò sbagliato
quattro o cinque volte a consegnare ai destinatari i pacchi a loro
spediti, oltre che rischiare varie volte di prendere l’uscita
sbagliata per i vari paesi. Fortunatamente non c’era molto da
fare e sono rientrato a Edge per pranzo. La mancanza di sonno si
è fatta sentire per tutta la giornata, la quale mi ha
portato a commettere un errore astronomico: mi sono dimenticato di
andare a prendere i bambini a scuola. Sono entrato al 7th Heaven,
ridotto peggio di uno straccio e con un bisogno assoluto di caffeina.
Mi sono trascinato fino al bancone pregustando un bel caffè
forte, ma faccio per alzare gli occhi e vedo Tifa che mi guarda con gli
occhi fuori dalle orbite.
“Dove sono
Marlene e Denzel?”
La osservo come se mi
stesse parlando in aramaico, poi alla fine realizzo. Come se non
bastasse, alla mia dimenticanza hanno assistito Shera, Cid, Yuffie e
Barret.
“Che @!X*?,
Cloud? Dov’è mia figlia?”
Sbarro gli occhi e per
un momento il mio cuore si ferma. I
ragazzi…
Tifa appoggia il bicchiere e si porge pericolosamente verso di me.
“Te li sei
dimenticati?”, soffia tra i denti e il fuoco negli occhi.
Mi guardo intorno
sconsolato, implorando aiuto dagli altri, ma tutti mi stanno dilaniando
con lo sguardo. Barret mi avrebbe già trasformato in un
colabrodo se solo si trovasse in un luogo aperto, mentre Shera mi
osserva con severità da maestrina. Solo Yuffie e Cid
sembrano trovare divertente quella situazione, i quali potrebbero
scoppiare a ridere da un momento all’altro. Ritorno da Tifa.
Il suo sguardo iracondo è davvero agghiacciante.
“Dannazione,
Cloud! Come diamine hai fatto a dimenticarteli!? Si può
sapere che cos’hai per la testa?”
Sento
all’improvviso che la mia ragazza non abbia del tutto creduto
alla montagna di bugie che le sto propinando in questi giorni. Queste
piccole frecciate, queste domande trabocchetto, mi destano allarme. Io
non amo mentire e non sono nemmeno tanto bravo, ma quel dannato diario
e tutto quello che sto scoprendo tra quelle pagine vale il rischio.
Ormai sono troppo coinvolto per lasciare perdere tutto. Chiedo alla mia
mente addormentata uno sforzo sovraumano per trovare
l’ennesima storiella valida per salvarmi la pelle; quando un
tintinnio attira l’attenzione dei presenti. Sulla porta,
avvolto in un mantello rosso sangue, vi è Vincent
accompagnato da Denzel e Marlene.
“A quanto
pare sono arrivato giusto in tempo… Dovresti dormire un
po’ di più. Non hai una bella cera.”
Mi stupisce sempre
quanto Vincent possa cogliere con una sola occhiata. Decido di prendere
la palla al balzo e approfittare dell’intuito
dell’ex-Turk.
“Già!
Ero talmente stanco che non ce la facevo proprio a passarli a prendere.
Ho chiesto a Vincent di sostituirmi. Giusto, VINCENT?”
Enfatizzo il suo nome
con uno sguardo languido ed implorante. Ti prego,
Vincent, reggimi il gioco. Il pistolero mi osserva per
un lungo minuto, in silenzio, imperturbabile come una statua. Devo
ringraziare mille volte la sua faccia di cera e il suo self-control.
“Sì,
giusto.”, risponde alla fine con tono piatto, anche se nei
suoi occhi leggo un velo di sospetto.
Non è da me
mentire così, eppure l’ho fatto volontariamente,
davanti a tutti e coinvolgendo perfino qualcun altro. Credo abbia
intuito che c’è qualcosa di diverso in me. Ed
è vero: mi sto talmente abituando a dire bugie per
proteggere QUEL segreto che sto proiettando questa abilità
pure nella vita reale. Ma non ho assolutamente voglia di cedere ai
tentativi di Tifa di fare breccia nei miei intrighi nascosti. So che ne
soffrirebbe. So che mi odierà per aver accettato di
conservare un oggetto appartenuto all’assassino di suo padre.
Non mi perdonerà mai per questo. E io non voglio perderla,
non ora che abbiamo cominciato a vivere.
La ragazza mi osserva
di sottecchi ancora per un po’, finché i bambini
non attirano l’attenzione di tutti.
“Tifa!
Abbiamo fame! Cosa ci hai preparato?”
Maledetto
Sephiroth. Questa me la paghi! ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ho deciso di
concedermi una pausa dal diario, giusto per riprendermi dalla mancanza
di sonno dei giorni scorsi, costatami una ramanzina da parte di Tifa.
Ovviamente, mi ha sgridato su altri argomenti, ma questo è
un altro discorso. Finché riusciamo a mantenere il quieto
vivere in casa nostra, nonostante quell’affare nel mio
ufficio, ritengo ogni giornata una piccola vittoria. Anche se
l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.
Vincent. Un altro che si è aggiunto alla lista dei possibili
scopritori del mio segreto. Non mi preoccupa, però.
E’ un uomo discreto, semai decidesse d’indagare lo
farà con il massimo tatto e sono certo che non si
scandalizzerà più di tanto, ma
cercherà di capire il motivo delle mie azioni. Mi
è capitato parecchie volte di pensare di confessargli tutto,
ma la mia parte prudente mi consiglia di non essere avventato. Stiamo
parlando di Sephiroth, dopotutto. Devo dire, però, che il
pistolero è l’unico a cui il nemico abbia fatto un
torto. Vincent si è unito a noi solo perché quel
pazzo sanguinario stava per distruggere il Pianeta, per il resto cosa
aveva da recriminare a LUI? Forse Vincent è
l’unico ad aver visto il lato innocente di Sephiroth, sebbene
all’epoca non fosse ancora nato. Ha conosciuto sua madre,
l’ha amata. Si potrebbe dire di comprendere il figlio di
Jenova attraverso Lucrecia? Chissà che tipo di uomo sarebbe
diventato se l’avesse conosciuta.
Per ora mi accontento
di apprendere le sfaccettature del suo animo tormentato attraverso
l’inchiostro.
E’ sabato
sera, domani non si lavora. Devo trovare un modo di armonizzare la mia
vita diurna con le letture notturne per ovviare a inconvenienti che
potrebbero avvicinarmi pericolosamente al baratro. Venerdì
ne è stata la prova. Sospiro. Tifa è molto stanca
e si è già addormentata accanto a me.
L’attività del bar la affatica parecchio. Quando
questa storia finirà e le nevi di Modeheim si saranno
sciolte, la porterò in vacanza. Solo io e lei. Rinsalderemo
il nostro rapporto e lo renderemo ancora più stretto di
quanto non lo sia ora. E magari prima o poi le darò quel
famoso anello che lei tanto desidera. Ma ora come ora, ho
un’ombra difficile da scacciare che mi perseguita. Volente o
dolente, Sephiroth continua a essere presente nella mia vita. E
finché quell’ultimo nodo non sarà
sbrogliato quella matassa non potrà mai essere filata per
una nuova forma. Osservo le curve morbide che si elevano da sotto le
coperte, desiderando con tutto me stesso di cavalcarle. Mi piace la sua
silhouette, così sensuale e piena; mi perderei ore ad
accarezzarla. Mi ricorda le strade di montagna dai tornanti
vertiginosi, in un giorno di sole, fresco e ventoso. Ideale per un giro
adrenalinico in moto. Mi sdraio accanto a lei e le cingo i fianchi
affossati con il braccio. La stringo a me con delicatezza per evitare
di svegliarla. Mi elevo sopra la sua testa e vedo il suo profilo
perfetto. Sorrido. Le labbra sono appena dischiuse e da esse esce un
flebilissimo sospiro. Appoggio le mie sulla sua guancia e guardo la sua
bocca mentre s’increspa in un inconscio sorriso.
Sguscio dolorosamente
fuori dal letto e mi dirigo verso l’ufficio. Tiro fuori il
diario, provocando meno rumore possibile, e lo apro. La foto della
donna svetta da sopra la pagina su cui l’avevo adagiata, come
segnalibro. Era davvero stupenda. Devo dire che non mi stupisce il
fatto che sia riuscita a sciogliere il cuore del freddo Generale
SOLDIER. Una bellezza del genere è impossibile da ignorare.
Mi ritrovo ad osservare la mano magra e noto quanto la sua pelle sia
perfetta. Sembrava ricoperta di seta. Morbida, liscia seta finissima.
Non era di certo una contadina o, comunque, una lavoratrice in un
settore pesante. Per la finezza dei suoi tratti avrebbe potuto
appartenere a qualunque cosa legata alla nobiltà.
Sarà stata una figlia di qualche proprietario terriero di
Wutai. Oppure la moglie… Scuoto la testa. Vacci
piano, Cloud.
E’ inutile fare strane constatazioni di tradimenti e di
rocambolesche fughe d’amore da mariti cornuti.
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24
Dicembre XXXX, poche ore dalla mezzanotte
La Vigilia di Natale. Una
festa tanto amata dai bambini di tutto il mondo, i quali attendono in
trepidazione l’arrivo di Babbo Natale. Di tutti, tranne di
uno. Io, tanto per cambiare. Da bambino non ho mai provato
quell’allegria, quell’ agitazione, quella
curiosità di aprire un regalo portatomi da un anziano
barbuto vestito di rosso e bianco. Per Hojo, Natale era un giorno come
un altro. La prima volta che vidi la civiltà sotto questo
periodo, mi chiesi perché la gente appendesse in ogni dove
pupazzi di uomini in vermiglio nell’atto di arrampicarsi sui
tetti. Lo chiesi a mio padre e lui mi disse di non interessarmi delle
frivolezze di un mondo che non conoscerò mai. Secondo lui,
io dovevo solo apprendere i segreti della realtà militare. E
basta. Il resto
era sciocca, frivola, inutile illusione. Queste furono le sue
lapidarie parole. Le ricordo tutt’ora, sebbene siano passati
più di 10’anni. Da ingenuo infante quale ero non
indagai più di tanto; anche se ero attrattissimo da quelle
luci e l’atmosfera felice che si respirava per la
città. Passavo ore a guardare fuori dalla finestra a
studiare la gente scambiarsi regali e auguri. E poi mi divertivo
osservare le luminarie colorate riempire di luce l’atmosfera
fuori e dentro un’abitazione.
Mi ricordo di una casa
in particolare. Era in fondo la via in cui abitavo e ogni anno veniva
addobbata completamente, con luci che seguivano la sagoma della
costruzione, pupazzi semovibili di renne e Babbo Natale, palline
colorate, addobbi pelosi e chi più ne ha più ne
metta. Era davvero spettacolare nella sua opulenza. Un anno i
proprietari organizzarono perfino una sfilata di cori natalizi per la
città e andavano a bussare porta a porta, compiacendo la
gente col loro canto. Ovviamente, passarono anche da noi, ma Hojo non
fu contento di ricevere quella visita, quindi li fece cacciare via. Io
ero fermo sulle scale che portavano all’ingresso ad osservare
inerme quel triste spettacolo. Avrei tanto voluto ascoltarli. In vita
mia ho sempre voluto tante cose, ma, a differenza di altri bambini,
ciò che desideravo non poteva essere comprato. Quando
cominciai ad apprendere lo spirito natalizio attraverso le mie annuali
osservazioni, mi feci più ardito con Hojo. Chiedevo cose
semplici, come un filo di luci, un alberello da tenere in camera mia;
insomma qualcosa che desse un po’ di colore a quella triste
casa spoglia e asettica. Una battaglia infinita e mai vinta. Ancora
oggi provo quella paura recondita nei suoi confronti. Eppure ora sono
il doppio del suo fisico magro e rachitico, ma il suo ascendente su di
me è sempre quello di quando avevo 6 anni. Non so
perché, ma Hojo è in grado di mettermi in
soggezione. Per quanto lo odi in modo viscerale, non riesco a impormi.
Vorrei ribellarmi, ora ne ho il potere e le capacità, ma una
parte di me vuole mantenere una tregua con lui. Forse sono talmente
assuefatto dalla sua presenza che ormai lo sopporto per inerzia.
Dopotutto, Hojo è l’unico a conoscere il mio vero
io. Anche se ha fatto di tutto per cambiarlo a suo piacimento. Non
credo ami il mio essere “umano”. Vorrebbe che io
fossi più freddo, più analitico, più
distaccato. Vorrebbe che fossi un robot, probabilmente. Una macchina
spietata e senza sentimenti. Come se non bastasse per farmi sentire
più in colpa, mi ripete che mia madre era esattamente come
lui. Dice che non riesce a spiegarsi il mio comportamento. Io non credo
ad ogni singola parola. Il Professore mi dipingeva un altro tipo di
donna, sebbene ne parlasse molto svogliatamente. Credo che avesse paura
delle conseguenze di quello che usciva dalla sua bocca. Sospetto ci
fosse lo zampino di Hojo.
Jenova…
Quel nome è
la mia unica ancora di salvezza. Quando sono giù, mi ripeto
quel nome all’infinito, lasciando la mia mente delineare
l’aspetto di quella figura a me sconosciuta. Immagino una
donna bellissima che mi guarda con occhi pieni di amore. Riconosco me
stesso in quelle iridi verdi. Mi somiglia tanto e sorride. Sorride
tanto. Un sorriso radioso che mi appaga completamente. Sogno di
abbracciarla e chiamarla. Lei risponde al mio abbraccio e sospira il
mio nome con la sua voce leggera e calda.
Avrei voluto tanto
conoscerla, ma purtroppo la mia nascita ha messo fine alla sua vita. La mia
prima vittima… Devo dire che il mio arrivo in
questo mondo non poteva avvenire sotto peggior auspicio. Spesso mi
sento come perseguitato da un destino nefasto. A volte, mi pare che la
mia vita non sarebbe mai dovuta essere così, come se dentro
di me vivessero due persone: una sono io, il risultato fatale del parto
di mia madre; mentre l’altra è
l’esistenza alternativa se lei fosse ancora viva. Mi chiedo
spesso come sarebbe diversa la mia esistenza con l’affetto di
una mamma. Forse sarei una persona migliore, molto più
aperta e spontanea. Forse lei mi avrebbe permesso di dare sfogo alla
mia curiosità e mi avrebbe spiegato i segreti del mondo
della gente normale. Forse avrei fatto parte di loro.
Ho sempre desiderato
essere come tutti gli altri. Invidio profondamente la
quotidianità del tranquillo via vai di Midgar. Tutte quelle
persone che vivono alla giornata, affrontando difficoltà,
problemi, ostacoli. Io non ho questo privilegio e mi sono sempre
limitato ad osservarlo come fosse una chimera irraggiungibile.
Osservare… Non ho mai fatto altro, perfino ora
dall’attico guardo la vita svolgersi davanti a me, sentendomi
uno spettatore di quel miracolo meraviglioso, quale è il
Lifestream. Io mi sento al di fuori di quel flusso vistale che soffia
su questo Pianeta. Mi pare di appartenere ad un altro mondo, come la
piccola Aerith.
La mia concorrente per
l’affetto del Professore. La bambina che mi precludeva
l’unica possibilità di scampo dalla
realtà terribile che mi imprigionava. Ogni tanto mi dirigo
alla chiesa nei bassifondi del Settore 5 e la trovo sempre
lì, intenta a curare quegli strani fiori. Mi saluta
porgendomi un sorriso così luminoso da abbagliarmi. Sebbene
sia solo una ragazzina è davvero bellissima. E’
sempre contenta di vedermi e mi viene ad abbracciare, saltellando sulle
sue gambette magre. Io avvampo d’imbarazzo tutte le volte,
perché è così strano per me tutta
questa profusione di affetto. Devo ammettere, però, che la
cosa non mi dispiace per niente. Sono felice di rendere gioiosa una
persona con la mia sola presenza. Spesso quest’ultima non
è altro che sinonimo di morte. Provoca in me una tenerezza
infinita, guardare i suoi boccoli castani ballonzolare da una parte
all’altra del suo viso a ogni movimento. Provoca in me una
certa ilarità che dimostro increspando appena le labbra.
Vorrei essere più aperto, ma mi è difficile.
Già, il sorriso è un grande passo avanti per me.
Comunque, Aerith riesce a percepire il tumulto nel mio animo e ci
basta.
Vedo nei suoi occhi il
riflesso del Lifestream e non posso fare a meno di pensare a quanto
siamo simili, eppure diversi. Entrambe le nostre iridi si illuminano
della luce del Flusso Vitale. Il suo così naturale e caldo,
il mio artificiale e gelido. Lei vede le anime che IO ho strappato da
questo mondo e le consola con parole dolci, raccontando loro storie
bellissime. Io spesso cerco di non mostrarmi subito al suo cospetto,
nascondendomi dietro alle colonne con fare felino, proprio per rivivere
quei momenti passati col Professore. Molte delle sue storie le conosco
già, ma mi fa sempre piacere riascoltarle.
Anche oggi ho avuto il
piacere d’immergermi nel mondo delle fiabe. Ogni Natale mi
dirigo laggiù per porgerle i miei auguri e consegnarle il
suo regalo. Non avendo la più pallida idea di che cosa
regalare ad una bambina, le dono sempre delle ridicole bambole vestite
con motivi floreali, aggrappandomi alle uniche certezze in campo
infantile: è una bambina e le piacciono i fiori. Le mie
abilità decisionali arrivano qui. Forse lei è
stanca del solito regalo, ma non lo dà a vedere; anzi tutte
le volte si mostra eccitata all’apertura del pacchetto.
Probabilmente, strappare la carta da regalo è molto
divertente per un bambino. Non saprei dire, dal momento che non ho mai
aperto un dono in tutta la mia vita. Nemmeno la piccola mi fa questo
immenso favore, donandomi vasi di fiori, trapiantati con le sue manine.
Anche quest’anno sono tornato a casa con queste piantine. Dal
mio libro di botanica, risultano appartenere alla famiglia delle
Liliacee. Ci sono vari paragrafi sul come tenerli in vita, ma tutto
ciò che passa per le mie mani è destinato a
morire. Senza contare che la guerra è alle porte. Il
Presidente ha permesso ai nostri soldati di passare , quelle che per
molti saranno le ultime, le feste natalizie in tranquillità
e in compagnia con le proprie famiglie. L’atmosfera di questo
Natale è più pesante del solito. Nonostante si
cerchi di nasconderlo, l’aria macabra del conflitto imminente
aleggia su tutti noi. Il pensiero non può non andare a
ciò che accadrà. Io attendo con ansia la
partenza, ma credo che se avessi una famiglia vorrei fermare il tempo e
far sì che sia sempre Natale. Purtroppo non
c’è nessuna famiglia ad aspettarmi una volta di
ritorno. Nessuna donna mi attende impaziente e piangerà sul
mio petto quando apparirò da quella porta.
L'orologio di Midgar
riempie l'aria con il suo scandire cadenzato, ridestandomi dai miei
tetri pensieri. E' Natale. Un altro triste Natale passato in solitudine.
Ah!
Ecco qua un nuovo capitolo fresco fresco di stampa! Allora, Cloud deve
cominciare a stare in campana, perché Tifa non dorme mai!!
Ora ci sarà anche Vincent a sospettare qualcosa.
Riuscirà il nostro eroe leggersi in pace le memorie del
bell’argentato? Per ora sembra di sì. Ancora
nessuna notizia della donna misteriosa, anche se si evince che sia una
persona altolocata… Uhm… Intanto, vi ho dato un
assaggio dell’altro mistero riguardo a Aerith e assodato con
tristezza che Sephy non ha avuto un’infanzia degna di questo
nome. Povero caro! Finalmente, ho anche postato il famoso disegno della
donna misteriosa. Non mi convince moltissimo (purtroppo è
colorare che mi frega… Quanto desidero una tavoletta grafica
T.T), ma cmq vi dà un’idea, nel caso la mia
descrizione non sia stata chiara. Se volete vederlo è
all’inizio del precedente capitolo.
Vi saluto e me ne vado a nanna perché è
tardissimo, ma per voi questo ed altro signorine mie^^
Alla prossima
Besos
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Capitolo 6 *** Preludio ***
Sono
perplesso. Rileggendo le sue memorie capisco quanta falsità
ci fosse nella sua vita. Per anni ha creduto che QUEL nome fosse
correlato alla sua misteriosa genitrice. Si era costruito un sacco di
castelli in aria attorno a quella figura. Davvero ironico col senno di
poi. Insomma, l’unico pensiero in grado di renderlo felice e
farlo sentire protetto era falso. Anche se non so quantificare il grado
di bugie. Sephiroth era un esperimento, era stato creato attraverso
l’iniezione di cellule aliene mentre si trovava ancora
nell’utero materno. Le cellule di Jenova. Ma…
Lucrecia si sobbarcò l’impegno di fare da
incubatrice. Lui è come se avesse avuto due madri. Una che
gli ha donato l’intelligenza e la forza, mentre
l’altra il suo grembo e, probabilmente, l’amore che
gli mancava. A questo punto mi chiedo: cosa vuol dire Madre?
E’ colei che si accomuna al figlio attraverso la semplice
genetica o qualcosa di più? Io ho avuto la
possibilità di conoscere, anche se per poco, Lucrecia.
All’epoca non ci aveva fatto caso, ma ora che ci ripenso noto
una certa comunanza tra i due. Entrambi hanno lasciato che gli eventi
stravolgessero le loro vite senza un minimo di opposizione, hanno
permesso a terzi di utilizzare i loro stessi corpi come fossero
marionette. E sia Lucrecia che Sephiroth non hanno combattuto.
Non
hanno combattuto.
E’ beffardo
pensare che un uomo nato per la guerra non sia in grado di lottare per
se stesso. Che cosa gli passava per la mente? Perché ha
permesso questo scempio? Forse era molto simile a sua madre
più di quanto credesse. Paradossalmente, il più
forte della famiglia era quel vecchio rachitico di Hojo. Rimembro la
frase che lessi pagine addietro: “Io non sono affatto la persona
forte e coraggiosa che credono” e mi accorgo di
quanto sia tragicamente vera. Lui si nascondeva dietro alla sua figura
fasulla di onnipotenza e trovava nella spirale di follia della
battaglia la sua bolla protettiva. Cercava disperatamente luoghi e
situazioni inaccessibili per chiunque e ci si gettava senza esitazione.
Per questo gli venivano sempre affidate missioni senza ritorno. Non
solo perché era l’unico in grado di portarle a
termine, ma poiché sarebbe stato solo ad affrontare ogni
pericolo. Libero da ogni cosa. Libero di essere se stesso.
Però questo non gli bastava. Lui scappava anche da
ciò che desiderava. Fuggiva dalla normalità, dai
suoi sogni, dalla sua felicità per evitare di soffrire, a
causa della perdita di queste. Sapeva di non essere come tutti e che la
ShinRa avrebbe fatto di tutto per portargliele via, affinché
diventasse un accessorio esclusivo SOLDIER.
Stava scappando.
Mi gratto la testa. Perché? Perché è
stato così pavido? Mi è davvero difficile
immaginarlo spaventato a morte dal vecchio. Devo ammettere che Hojo ha
un lato oscuro davvero terrificante. Le sue risate folli e
schizofreniche fanno ancora da sottofondo a parecchi miei incubi, oltre
alle fiamme di Nibelhim. E’ l’unica cosa che non
riesco tuttora a dimenticare del mio periodo di prigionia assieme a
Zack. Posso immaginare il terrore di un bambino davanti a quegli
occhietti malefici e crudeli, mentre colui che dovrebbe proteggerti
esegue esperimenti di dubbia moralità sul tuo corpo. Un
trauma infantile davvero impressionante. E se lo è portato
dietro fino all’età adulta. Forse i traumi subiti
durante l’infanzia sono il motivo principale della sua
follia. Non c’è altra spiegazione. Non aveva
nessuno che credeva nella sua umanità ed arrivò a
pensare che, per ottenere ciò che voleva, doveva uccidere il
mondo intero. Si era convinto che tutto il mondo si sarebbe opposto al
suo volere, quindi sarebbe diventato un Angelo dall’Unica Ala
per giungere al suo obiettivo. Una soluzione davvero malata. Ma, in
fondo, quando non si hanno certezze nella vita non si può
certamente pretendere di riuscire a controllare i sentimenti come una
persona normale. Inoltre, lo scienziato ha fatto di tutto per
estirparglieli dall’animo. Sephiroth ha visto troppo presto
il marciume del mondo e ciò a contribuito a chiuderlo ancora
di più in se stesso. Desiderava, però, la
normalità, ma la tempo stesso ne era spaventato. Sapeva che
si sarebbe sentito fuori luogo e temeva di non essere più
capace di provare sensazioni. Comprovare di aver perso
l’unica cosa che ci rende umani lo terrorizzava.
Sospiro. Capisco all’improvviso quanto il suo piccolo mondo
gli fosse stretto. L’umanità che gli aveva donato
Lucrecia era più un peso nella realtà orrida
della ShinRa, ma, nonostante questo, se la teneva stretta.
Sorrido.
Forse c’era
ancora coraggio nel suo cuore.
Forse era l’unica caratteristica che non lo accumunava a
quella bestia di Hojo. Mi pare di capire tra le righe del diario che
Sephiroth abbia cercato di cambiare suo padre. Credo che abbia provato
testardamente a mantenere quella moralità, quello spirito di
giustizia, non solo per mantenere in vita lo spirito della madre, ma
anche per infonderla in parte al padre. Desiderava fosse un uomo
migliore, compito che aspetterebbe alla moglie dell’uomo.
Immagino che lui si fosse identificato in sua madre, vedendo in quella
sua disperata caparbietà parte di lei. Capisco quanto amasse
quella donna misteriosa e il suo morboso desiderio di sapere tutto su
di essa. E il terribile senso di colpa che lo attanagliava. Quella
frase mi ha colpito particolarmente. Mi fa capire quanto fosse coscio
del suo macabro ascendente nei confronti della Vita. Anche se credo che
avesse esorcizzato la cosa, immaginando di aver colto l’anima
morente di sua madre e che lei in quel momento vivesse in lui. A questo
era dovuta la sua bontà d’animo e la coscienza del
Bene. A queste, egli aveva legato tutte le cose rette che gli erano
capitate: il Professor Gast e Aerith. Quest’ultimo legame mi
ha sbalordito. Non credevo che loro si conoscessero così
intimamente.
Aerith non me ne ha mai
parlato.
E da come è descritto comprendo che si tratti di un legame
che si avvicina molto a quello simbiotico e fraterno. Il pensiero mi
inquieta. Il mio punto di vista riguardo la morte della Cetra cambia
completamente. Da sempre sono stato convinto che la fioraia si fosse
sacrificata per salvare il mondo e fermare il folle figlio di Jenova,
portando così avanti una guerra rimasta sopita per millenni
sotto le spoglie del Pianeta. E se… E se Aerith avesse
deciso di morire per salvare l’anima di Sephiroth? Lei lo
conosceva più di tutti noi. Aveva visto il SUO vero io.
Erano amici di vecchia data. Fratelli, legati da un destino millenario.
Entrambi ospitavano l’essenza del Pianeta. Erano
l’uno l’ombra dell’altra. La Morte e la
Vita, le due facce della medaglia dell’esistenza.
L’unica differenza tra loro era che Aerith era ben conscia
del suo compito e lo aveva accettato di buon grado; mentre Sephiroth
no. Lui era una creatura delle Tenebre che anelava alla Luce, di cui
aveva avuto tanti piccoli dolci assaggi. Essi avevano mitigato il
pesante fardello che il destino aveva posato sulle sue spalle. E, alla
fine, come ci si può accontentare della Luna, quando si
è visto il Sole?
Guardo la donna della foto posata di fianco al diario, sul tavolo.
Forse tu sei stata il
suo Sole. Per questo non voleva più crollare nelle Tenebre.
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Oggi è il 4° anniversario della Liberazione . Edge
si riempie improvvisamente di gente in pellegrinaggio verso le rovine
di Midgar, precisamente in direzione della chiesa di Aerith, dove
ancora sgorga la sua acqua. Si recano là a pregare e a
cercare il miracolo che quella sorgente puntualmente dona. Nel
frattempo, la città viene addobbata da festoni e lanterne,
le quali fanno da tetto ai numerosi mercatini e baracconi che
accompagnano l’evento. Edge si ravviva di colori, grazie ai
prodotti tipici dell’anniversario: i fiori. La terra di
Midgar è ancora sterile per ospitare forme vegetali, quindi
fiorai da tutto il mondo convergono qui portando semi, terreni,
fertilizzanti e tutto ciò legato al giardinaggio.
E’ importante che tra l’acciaio di questa
città ci sia un po’ di verde, affinché
la vita possa finalmente rinascere definitivamente. Ci vorrà
del tempo, perché la ShinRa, durante il suo lungo domino, ha
defraudato questa terra della sua linfa molto in profondità.
Dovranno trascorrere parecchi anni prima che da questo deserto spunti
spontaneamente una sola piantina. Comunque, intanto tutti cercano di
creare il proprio giardino personale. Anche Tifa ci prova, ma purtroppo
il suo pollice verde è piuttosto scarso. Mi fa tenerezza
vedere il suo bel viso imbronciato davanti a quattro steli rinsecchiti.
Non lo fa apposta, ma a volte i suoi impegni le fanno dimenticare di
prendersi cura della piantina. Tutte le volte si sente in colpa, quindi
io le dico che questo è successo, perché ha
dovuto innaffiare e curare vite molto più importanti: le
nostre. Spesso non si rende conto di quanto i bambini ed io dipendiamo
da lei, di quanto siamo delicati, di quanto potremo morire senza la sue
premure, senza l’amore che ci dona tutti i giorni. Non
sarà come Aerith, cioè in grado di far crescere
giardini rigogliosi, ma Tifa ha la capacità di far fiorire
le persone. E’ grazie a lei che mi sto impegnando a diventare
un uomo migliore. Anche perché se lo merita.
Questa sera, dopo cena, siamo andati a fare una passeggiata digerente
per le vie illuminate e colorate di Edge. La sera solitamente la
temperatura scende parecchio, ma questa sera è piacevolmente
fresco, dopo una torrida giornata nel deserto. I bambini corrono da una
bancarella all’altra, seguiti di tanto in tanto dal nostro
sguardo, attratti come mosche sul miele dai profumi emanati dalla
miriadi di specie vegetali che svettavano colorati da ogni dove. A
volte Marlene afferra la mano di Tifa e la trascina verso una delle
bancarelle per mostrarle fiori che l’hanno particolarmente
colpita e che potrebbero interessare anche alla mora. Io le aspetto
pazientemente in disparte con le mani in tasca, mentre cominciano a
chiacchierare con il fioraio. Cerco Denzel con lo sguardo e vedo che si
è fermato a parlare con una sua amichetta. Mi rilasso contro
il palo e lascio che la mia mente vaghi. Questa festività,
da quando è stata costituita, non mi ha mai giovato del
tutto. Non amo il pensiero di commercializzare in questo modo un luogo
così importante per me. Certo da un lato mi piace tutta
questa esplosione di colori, ma dall’altro è solo
un’occasione per guadagnare guil extra. Almeno per alcunii.
Inoltre, gli altri anni non poteva fare a meno di ripensare al
Geostigma, a tutto quello che avevamo patito sinora. Il SUO pensiero
negativo era ancora vivido in me, nonostante questa festa fosse
dedicata a LEI. Non potevo non pensare che, solo a poco tempo fa, la
sorgente non esisteva, ma è a causa di Sephiroth che lei si
è dovuta presentare. Non potevo non pensare che avremmo
potuto morire, io e Denzel. Così come tanti altri.
E’ impossibile dimenticare ciò che abbiamo dovuto
passare per salvarci. Questa festa era stata costituita per rallegrare
gli animi col pensiero che tutto si era risolto, che il nemico era
stato sconfitto definitivamente. Ma non per me. Non facevo altro che
rimembrare il grande combattimento finale contro Sephiroth,
lassù sull’apice del palazzo ShinRa. La sua ultima
frase non faceva altro che ronzarmi nella testa.
“I will never be a memory”
[Non sarò mai un ricordo, FFVII:ACC]
Devo ammettere che quel suo ammonimento non poteva rivelarsi
più vero, anche se mi aspettavo di peggio. Lui non
sarà mai un ricordo, è vero, ma credo che quel
diario mi permetterà di ricordarlo in modo completamente
differente. Sto cambiando lentamente punto di vista, anche se del
rancore recondito e persistente è ancora nutrito nei suoi
confronti. E’ difficile dimenticare il dolore che ha
provocato a tutti noi, a ciò che ci ha tolto a causa della
sua infelicità; ma almeno potrò capire meglio il
motivo del suo disastro.
I miei pensieri vengono improvvisamente interrotti da
un’ombra rossa e silenziosa accanto a me. Mi volto e vedo
Vincent fermo ad osservarmi profondamente. Ci fissiamo per qualche
istante e mi chiedo chissà da quanto tempo è
lì impalato ad aspettare che io mi accorgessi di lui.
“Ciao Vincent.”, saluto rompendo il ghiaccio.
“Mi devi delle spiegazioni.”
Mi faccio sfuggire un sospiro. Dovevo immaginarlo che non era
lì per cortesia. Lancio un’occhiata fugace a Tifa
e Marlene, le quali sono ancora impegnate a chiacchierare con il
negoziante. Anche Denzel si è unito a loro.
“Cosa le stai nascondendo?”
Vincent si appoggia al palo, dandomi le spalle, e incrocia le braccia
al petto. Non mi stupisco di quella domanda. Avevo già messo
in preventivo che il pistolero avrebbe indagato.
“Niente di pericoloso.”
“Mh… Dipende se sei in grado di
maneggiarlo.”, si volta verso di me e mi fissa con le sue
iridi penetranti.
“Tu lo sei, Cloud?”
Sostengo il suo sguardo, cercando di carpire le sue conclusioni.
“Tu che dici?”
Gli occhi del pistolero si assottigliano e mi squadrano dalla testa ai
piedi; dopodiché mi ridà le spalle.
“Dico che dovresti pensare alla tua famiglia,
finché ne hai una. Qualunque cosa sia, devi lasciarla
perdere.”
Faccio per replicare, ma lui era già scomparso. Cerco tra la
gente un mantello rosso, ma niente. E’ più
silenzioso di un gatto quell’uomo. Mi trovo a pensare che non
fosse altro un’illusione della mia mente: la mia coscienza
che demorde, ma, non so per quale motivo, mi sento in dovere di
continuare nella lettura. Sento che è la cosa giusta da
fare, anche se una parte di me non è affatto
d’accordo e teme le conseguenze che potrebbero ricadere su
coloro che conosco. Ripongo la mia attenzione sulla mia famiglia. Mi
strappano un sorriso sincero, vederli così felici e
soddisfatti del piccolo acquisto. Scopro di amarli tantissimo.
Ciò mi fa male, se penso che potrei perderli.
Forse LUI è
in grado di portarmeli via davvero?
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In questo periodo di feste, ho le serate libere per dedicarmi ai legami
famigliari e abbastanza tempo notturno per leggere le memorie di
Sephiroth. Dopo quello che ho scoperto tra le pagine del libro, credo
che sia più che lecito avanzare e scoprire di più
sul mio mito giovanile. Anche se un’aria di incertezza
aleggia nel mio cuore.
Sono davvero in grado di
gestire questa cosa?
Mi strofino la faccia con l’asciugamano e mi guardo allo
specchio, puntellandomi al lavandino con le mani. Sento i bambini
ridacchiare nella camere, nonostante abbiamo intimato loro ad
addormentarsi il prima possibile. Ci siamo dilungati un po’
troppo alla fiera e hanno incontrato un sacco di amici, con cui hanno
giocato per un po’. Sono troppo eccitati per dormire. Li
capisco, anch’io sono troppo incuriosito per assopirmi. Le
musiche e il vociare intenso all’esterno penetrano
prepotentemente attraverso le finestre, nonostante esse siano serrate.
Questo sottofondo mi fa piombare in cupi pensieri. Percepisco
l’aria allegra attorno a me e questa non fa altro che
amplificare il turbamento del mio animo. Le parole di Vincent non
accennano ad andarsene e il dubbio insinuato in me non mi lascia pace.
Forse Vincent ha
ragione. Dovrei pensare alla mia famiglia.
Ma non riesco fare a meno di ignorare quella sensazione. E’
come se quel dannato aggeggio mi stia attirando verso di sé.
Mi sta implorando di continuare. Non riesco ad ignorare quel disperato
grido di soccorso. Alzo la testa e guardo il mio riflesso.
Forse è di
questo che si tratta.
Lui aveva affidato a quelle pagine ingiallite ciò che
restava della sua umanità, i suoi dolori, le sue paure, le
sue angosce. Improvvisamente capisco che questo ritrovamento non
è stato un caso. Sephiroth non è e non
sarà mai un ricordo, ma semai lo divenisse credo che lui
voglia essere rimembrato in un determinato modo. Non come eroe. Non
come mostro. Ma come essere umano.
Quel diario è
una bottiglia con un messaggio, affidata al mare del tempo.
Faccio per infilarmi nell’ufficio, ma Tifa mi ferma.
“Cloud? Non vieni a letto?”
Maledizione!
“Ehm, più tardi. Ora, ho del lavoro da
sbrigare.”
La ragazza mi osserva perplessa. Percepisco la sua fiducia vacillare. Ti prego dammi un po’
di tempo. Vorrebbe replicare e andare più a
fondo, ma la vedo abbassare gli occhi e sorridermi.
“Okay, capisco. Non fare troppo tardi. Lo sai che non mi
piace addormentarmi senza averti a fianco.”
Mi lascia ad un palmo dal naso, imbambolato in corridoio con il senso
di colpa trafiggermi il cuore. Nelle sue parole c’era un velo
d’amarezza difficile da nascondere. Lei sa che le nascondo
qualcosa, ormai è palese, ma non ha il coraggio di
affrontarmi. A quanto pare è nella mia stessa situazione:
dovrebbe fare la cosa giusta, ma ha paura di quello che potrebbe
succedere. Dannazione, mi sento davvero un verme farla soffrire
così, dopo tutta la fatica fatta per cambiare, finisco
sempre per rovinare tutto. Mi pare di essere davanti ad un bivio, dove
ogni mia azione, giusta o sbagliata che sia, comunque non
porterà il nostro rapporto verso il baratro. Una strada
è più lunga dell’altra, ma
giungerò sempre allo stesso destino.
Povera Tifa. Chi te lo
fa fare di sopportare un tipo come me? Tu che potresti avere chiunque?
Con questo pensiero, mi rintano nel mio pertugio, dove il grido di
aiuto di Sephiroth è sempre lì che mi aspetta. La
foto mi osserva, soddisfatta. Questo sorriso mi sembra ogni volta che
lo vedo più luminoso, come se ogni passo eseguito lontano
dalla mia vita fosse una piccola vittoria per questa donna. Sembra che
lei VOGLIA che io conosca il suo uomo per farlo di nuovo rinascere,
affinché loro possano rivedersi nei ricordi di
quest’ultimo.
E’ questo
quello che vuoi?
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Combattere.
Cadere.
Rialzarsi.
Combattere ancora.
Morire.
Questo è
essere soldati.
I soldati vengono ricordati per il loro numero. La differenza che fanno
tra la vittoria e la sconfitta. A nessuno importerà di loro.
A nessuno verrà in mente di citarli tutti. A lungo andare
perfino i famigliari si dimenticheranno dei caduti. Al massimo verranno
ricordati come un’accozzaglia di pietre senza nome e senza
data.
Ma voi, voi tutti, fratelli miei, che state in piedi davanti a me, nei
vostri occhi leggo determinazione, forza, coraggio. Voi, non temete la
Morte. Non temete quello che ci aspetta oltre quel mare sconfinato. Non
temete il Nemico. Voi volete una cosa soltanto: venire ricordati.
E, io, vi dirò come fare.
Lasciate dietro di voi ogni timore, ogni dubbio, ogni indecisione.
Seguite la mia lama. Vi giuro che non vi tradirà mai.
Ricordate, però, che lei è un limite.
E ogni limite DEVE essere superato.
Se cadrete, vi rialzerete.
Se verrete feriti, continuerete a correre.
Se verrete accerchiati, non vi arrenderete.
Se morirete, vuol dire che almeno cento di loro saranno caduti.
Combattere.
Uccidere.
Andare oltre ogni limite.
Non fermarsi mai.
E quando incontrerete la Morte, sorridetele,
perché lei vi dirà di essere entrati nella
Leggenda.
Questo è essere SOLDIER.
Ed è ciò che pretendo da voi.
12 Febbraio XXXX
Non mi ricordavo nemmeno di aver scritto qui il mio discorso
d’incoraggiamento alle truppe, prima della partenza per
Wutai, due mesi fa. E’ davvero patetico. Come avrò
fatto a inculcarlo nella mente dei soldati e indurli a seguirmi
è un autentico mistero. Me li ricordo quei soldatuncoli da
strapazzo, tutti belli allineati sotto al palco a guardarmi con
ammirazione, con le loro belle divise tutte pulite e inamidate. E tutto
vidi, tranne che determinazione, forza e coraggio. Ricordo paura. Tanta
fredda, buia paura. Tanti giovani uomini pendevano dalle mie labbra,
mentre sputavo su di loro sentenze di morte. In molte orbite io vedevo
ancora l’innocenza di un cantuccio e il calore di una
famiglia. Nessuno aveva una mezza idea di quello aspettava loro. Quelle
piccole reclute erano state pescate nella rete dei media come tante
piccole alici. Vedevo inutile speranza. Speranza di ritornare, quando
invece l’avrebbero dovuta perdere. Molti di loro non erano
per niente adatti alla vita da soldati; i loro test erano stai pessimi,
ma la ShinRa aveva bisogno di uomini per affrontare questo nuovo
massacro. Lo sguardo mi cadeva sui miei luogotenenti , allineati
davanti a quella schermaglia di caschi e uniformi blu, e vedevo la
certezza della fine. La paura vera del cui inebriante fetore la stanza
ne era intrisa. Adoro quella sensazione! Per qualche perverso motivo mi
provoca una certa eccitazione nell’osservarla e assaporarla
negli occhi degli uomini. Quando tolgo loro la vita, una frenesia
maligna mi attanaglia i sensi e mi svuota completamente la mente. Quasi
fosse una droga. Avevo dimenticato questo lato dell’uccidere.
Era parecchio che non toglievo una vita ad un essere vivente: devo
ammettere che cominciava a mancarmi. So che è
un’azione orribile, ma quell’onnipotenza mi appaga
completamente. Mi fa illudere di essere in grado di controllare il mio
destino. Anche se so perfettamente che la mia libertà mi
è stata preclusa dal momento stesso in cui misi la testa
fuori dal grembo di mia madre. Quel dannato momento in cui nacqui,
contemporaneamente morii. Immagino mio padre alzarmi al cielo e ridere;
ridere come un pazzo, pregustando quell’istante in cui mi
avrebbe trasformato in una macchina senza cuore. Non sono mai stato suo
figlio, ma una cavia da uccidere e assemblare a piacimento;
ciò mi uccide più di una pugnalata nel petto.
Forse è per questo motivo che continuo a cercare situazioni
pericolosamente vicino al fatale baratro in cui buttarmici senza alcuna
esitazione. Sentirmi così vicino alla morte, mi fa sentire
così vivo. Lanciarsi dall’elicottero in fiamme,
mentre esso rotea senza controllo e gettarmi in pasto ai nemici
è una sensazione unica. Avverto l’adrenalina
pompare nelle vene, la quale mi dona quel discernimento distaccato dal
reale. La mia mente e il mio corpo diventano due entità
separate. Vuoto, finalmente, senza nessuna preoccupazione, dal momento
che tutti i miei movimenti sono così naturali e fluidi che
seminare morte viene da sé. Come uno spettatore esterno, il
cervello registra gli avversari che corrono verso di me, i cecchini che
mi mirano dalle loro postazioni sulle torri, i mitraglieri che sparano
dai loro bunker. La mia spada si muove da sola, parando ogni singolo
proiettile. Le mie orecchie ascoltano i rumori miscelati e li
suddividono in categorie, affinché possano essere processati
per permettermi di capire la direzione e la lontananza dei tiratori
scelti. Adoro competere con loro. Per quanto possano essersi nascosti
non potranno mai sfuggire al mio giudizio. Nessuno può. Che
sia cecchino, o berseker, o invocazione tutti verranno travolti dalla
mia bestia. Ripenso a quando ero un giovane SOLDIER, del terrore che
provavo nell’osservare lo sfacelo compiuto, il sangue
sporcarmi i vestiti e inzuppare il terreno, i resti umani ai miei
piedi. Rimanevo immobile ad osservare con lo sguardo vuoto e incredulo;
mentre la mia mente mi riproponeva le mie azioni come fosse una
moviola. Per me dimenticare è impossibile. Per quanto mi
possa sforzare niente sfugge alla mia memoria. Quelle azioni divengono
ricordi, quei ricordi incubi limpidi e lampanti. Nessun dettaglio viene
risparmiato e quello che doveva essere una liberazione diventa
un’ossessione. La mia stessa droga si ritorce contro di me
facendomi provare quella colpa e quella pietà che avrei
dovuto provare durante la battaglia. Mi sono impegnato a controllarmi,
ma non ci riesco. All’inizio temevo le battaglie, temevo di
fare del male a qualcuno dei miei compagni; ma col tempo mi sono
accorto di quanta precisione siano macchiati i miei misfatti. Non so
come faccia. Ci sono tante cose che non so di me. Tante domande mi
ronzano nella mia testa, quando rivaluto le mie azioni. Come
è possibile che io solo sia capace di tanta perfezione?
Perché io solo così forte? Cos’hanno
gli altri che io non abbia già? Cos’hanno gli
altri di meno?
Hojo mi ripeteva spesso di quanto io sia speciale e magnifico, ma non
sono mai riuscito a comprendere quelle sue parole. E’ sempre
stato molto criptico nelle risposte, sebbene fossi arrivato da solo
alla mia caratteristica di unicità. So bene di non essere
come gli altri: sono sempre stato troppo alto per la mia
età; la mia chioma argentata non si é mai vista
da nessuna parte; i miei occhi verde ghiaccio sono un colore troppo
particolare per appartenere ad un essere umano. E poi ci sono le mie
capacità: la forza, la sagacia, l’intuito,
l’intelligenza. Quest’ultima è quella
più difficile da trattenere, poiché è
davvero troppo spiccata per essere limitata ad un’unica
sfaccettatura del mondo. La mia curiosità morbosa, la mia
inesauribile voglia di sapere, l’ossessiva ricerca di
qualcosa sono sempre state parte integrante della mia vita. Hojo si
è battuto molto per impedirmi di dare libero sfogo a questa
mia qualità, ma so che sarei morto se mi fossi arreso.
Fortunatamente, c’era il Professore che mi permetteva di
sfogare la mia mente compressa intrattenendola con qualche gioco
complesso, come gli scacchi; oppure mi passava sottobanco qualche gioco
enigmistico di livello avanzato. Spesso ci divertivamo a proporci degli
indovinelli inventanti sul momento. Alcuni erano davvero complessi, ma
la difficoltà non è mai stato uno scoglio
insormontabile per me, quindi non c’era mai pericolo di
situazioni imbarazzanti. Entrambi ci comportavamo spontaneamente e ben
presto, ricordo, venne a formarsi quella magnifica
complicità padre-figlio che mi manca tuttora. Nemmeno con i
suoi collaboratori notai un tale affiatamento. Questo rapporto
così speciale mi faceva sentire parte di qualcosa,
considerato, amato. Il Professore fu l’unica persona in grado
di donarmi queste sensazioni. Nessun’altro, nemmeno sua
figlia, è in grado di fare breccia nel mio cuore martoriato,
ma forse, il motivo è da ricondurre al trauma dovuto alla
scomparsa del mio mentore. Quando mi vennero a dire che lui era venuto
a mancare, sentii il mondo crollarmi addosso. Vidi passarmi davanti
agli occhi tutti i momenti passata insieme, l’affetto, il
calore in ogni suo gesto, la sua gentilezza, i nostri
giochi… tutto quello che c’era di bello in quella
mia infanzia triste e fredda. In quel momento odiai la mia sagacia;
odiai il modo in cui capii perfettamente quello che il Turk mi stava
dicendo; odiai non essere ingenuo. In quel secondo capii quanto poco di
infantile ci fosse in me. Mi resi conto di aver perso la mia innocenza,
o meglio di non averla mai posseduta. Sebbene avessi solo 10 anni, ero
già un adulto. Non una lacrima scese dal mio viso, nessuna
emozione trasparì dai miei occhi. L’odio per me stesso
aveva coperto ogni altra emozione. Guardai verso Hojo e
lo vidi sorridere flebilmente. Percepii una grande rabbia montarmi nel
petto: aveva vinto. Nonostante gli sforzi del Professore, quella bestia
aveva avuto la meglio, estirpandomi pietà ed emozioni con
anni di terribili abusi. Abbassai lo sguardo, capitolando come il Re
sottoposto allo scacco matto. Da quel momento in avanti, decisi di
chiudere il mio cuore dentro una lastra di ghiaccio spessissimo e di
non legarmi più a nessuno; nonostante il mio grande
desiderio di amicizia. Soffrii tanto per la sua morte, senza avere la
possibilità di sfogare il mio dolore. Tuttora sento migliaia
di emozioni agitarsi nel petto. Le sento comprimersi in uno spazio
sempre più stretto. Prima o poi esploderanno, creando un
macello inimmaginabile.
Poi arrivò la guerra e lì trovai il mio posto:
nel grembo della Morte e della Desolazione. In quel piccolo mondo tutto
era più semplice. Una sola legge imperversava: uccidere o
venire ucciso; niente legami, nessuna sofferenza. La mia
libertà. Il mio sfogo. Quello che Hojo voleva, quello di cui
ho bisogno. Mi accorgo di non essere altro che una pedina nel suo
grande e misterioso piano, così che lui possa usare il suo
ascendente su di me per costringermi ad assecondare ogni capriccio del
Presidente. Sono stanco di essere usato, ma se dovessi lasciare la
ShinRa, cosa farei? Dove andrei? Con chi andrei? Ormai sono talmente
assuefatto a ricevere ordini che scandiscono la mia vuota vita da non
riuscirne più farne a meno. Il mio rifugio si sta
trasformando in una trappola per topi.
Guardo le splendide scogliere di Wutai sotto un tramonto infuocato che
spuntano dalla finestrella della mia tenda e trovo una certa pace in
quello spettacolo. Il disco solare scende lentamente, tingendo le
placide onde con una pennellata dorata di una fredda giornata di
metà inverno. Vedo uno stormo di uccelli levarsi in volo e
puntare verso il sole. Quanto
vorrei avere le ali. Desidero scappare dallo sterminio
appena compiuto. Questi due mesi non sono stati altro che un massacro
dopo l’altro. La resistenza locale è tenace e
combatte strenuamente per proteggere le posizioni; le quali vengono,
però, difese a carissimo prezzo, sebbene siano destinate a
cadere. Ho già contato più di 100000 morti tra
noi e loro e la nostra area copre solo l’1% della tabella di
marcia prevista. Come avevo immaginato. Odio non stupirmi
più di niente; la mia freddezza non giova al morale dei miei
uomini, i quali cercano in me conforto e speranza. Ma io sono solo in
grado di dare loro la cruda verità dei fatti, la reale dura
situazione. Molti di loro mi odiano per questo. I miei luogotenenti
sopperiscono alle mie mancanze, ma, quando c’è da
rovistare tra i cadaveri , io non mi faccio scrupoli e li esamino come
fossero poco più che pezzi di carne sul banco di un
macellaio. Vedo la rabbia nei loro occhi quando sposto il corpo di un
camerato in modo poco gentile. Ma rimangono in silenzio nel loro odio,
troppo impauriti di scatenare la mia ira. Io vorrei tanto dire loro di
non temermi, ma la mia leggenda non prevede che io sia una spalla su
cui piangere. Mi sento stritolare dal senso di colpa per come i loro
visi stanchi, impauriti e provati mi osservano con quel timore misto a
rabbia. La cosa terribile è che io pretendo da loro la
stessa mia freddezza e disciplina. Pretendo che loro non lascino le
proprie posizioni; che non discutano i miei ordini; che non si lascino
andare agli istinti. Quest’ultimo punto è il
più difficile da far rispettare. Molti di loro sono solo
ragazzini in piena crisi ormonale e la visione di una bella ragazza
provoca in loro reazioni poco consone alla nostra figura di liberatori.
Molti di loro assaltano le giovani fanciulle dei poveri paesi di
pescatori per assecondare i loro desideri repressi. Odio le violenze
sui civili, soprattutto nei confronti delle donne. Sono innocenti che
si vedono distruggere la propria casa, la propria vita; non meritano
che venga portato via anche l’onore di essere uomini. I
soldati non lo capiscono e credono di potersi prendere quello che
vogliono, come la ShinRa, ma finché io avrò
respiro proteggerò quei poveri innocenti dalla follia di
SOLDIER. Come sempre mi trovo tra l’incudine e il martello; a
trovare armonia tra la mia figura d’onnipotenza, il mio
essere tormentato e il Demone Argentato. Quest’ultimo
è il nuovo soprannome che i Wutai mi stanno affibbiando.
Nella loro lingua si traduce Ma
gin. In soli due mesi ho già appreso la base
della loro grammatica e imparato molti vocaboli d’interesse
militare e civile. Non è molto, ma è sufficiente
per ora. Molti comandanti rimangono perplessi al pari degli abitanti
stessi, nel sentirmi interrogare i prigionieri nella loro lingua. Ma
come ho detto prima, il mio desiderio d’imparare non conosce
confini e il mio cervello è una spugna capace di assimilare
tutto quello che percepisce.
Devo ammettere, però, che non sono l’unico ad aver
imparato l’idioma di Wutai. Qualche giorno fa sono passato
nei pressi di un falò dove vi era accampato un gruppo di
fanti. Uno di essi sbraitava in wutaniano, incitato dai compagni, i
quali erano piegati in due dalle risate. Sono rimasto ad osservarlo a
lungo e, sebbene alcuni termini fossero del tutto storpiati a causa
dell’ebrezza alcolica, il discorso grammaticale era molto
corretto. La maggior parte dei termini erano scurrili e molto rozzi, ma
devo ammettere che non è facile articolare un discorso in
una lingua sconosciuta da ubriachi. Colpito da quella interessante
perfomance, ho guardato il file di quel soldato. Il suo nome
è Genesis Rhapsodos di Banora. Ragazzo altolocato, figlio di
uno dei più importanti proprietari terrieri e fornitori di
accidenmele del paese. Noto con sorpresa che ha la mia stessa
età. Quello che leggo successivamente, più
precisamente nei parametri fisici rilevati durante
l’addestramento simulato, aumenta il mio stupore: sono
altissimi, ben oltre la media di un soldato normale. La cinestesia e i
riflessi di base si avvicinano molto ai miei, pur rimanendo leggermente
inferiori, ma comunque è un risultato straordinario per un
fante semplice. Mi stupisce che non sia già in Seconda
Classe. Mi sovviene di un altro file che mi aveva stupito
all’epoca del reclutamento; quello di un tale Angeal Helwey.
Se la memoria non m’inganna, anch’egli proviene da
Banora.
Controllo sul computer.
Come pensavo.
Questo soldato è un po’ più grande di
me e i suoi parametri si avvicinano ed eguagliano le mie performance.
Devo dire che rileggendo questo file, mi sento rinfrancato al pensiero
di non essere l’unico in grado di raggiungere quei livelli di
potenza. Forse non sono così unico e speciale come tanto
decanta Hojo. Questo Angeal sembra promettere molto, anche se noto una
certa trattenuta nelle prestazioni. Credo sia capace di molto di
più, ma probabilmente non dà il massimo negli
allenamenti. Non mi resta che scoprire se per scelta o semplicemente
perché è uno sbruffone. Come quel Genesis.
L’impressione che mi ha lasciato non è molto
positiva, nonostante le sue indubbie capacità, ma credo sia
uno di quei tipi viziati e fanfaroni, del tutto inaffidabili. Dalle
note che leggo nel suo fascicolo informatico, apprendo numerosi
richiami di scarsa disciplina e oltraggio a ufficiale in comando. Non
avevo dubbi, probabilmente il ragazzo crede ancora di essere nei suoi
campi di accidentmele. Stranamente anche Angeal sembra un autentico
seminatore di zizzania, ma noto che la lista di misfatti è
pressoché identica, se non fosse per quella parentesi. Essa
declama “Prende le difese del soldato 58390-A”.
Genesis.
Forse i due si conoscono; ma ritengo improbabile che il figlio di un
contadino e quello di un proprietario terriero abbiano contatti tra
loro. Non è detto, anch’io non credevo che
esistessero persone così simili a me.
Apro un’altra cartella. Una lista infinita di e-mail
provenienti dal GQ appare davanti a me. Vado all’ultima voce.
Mi hanno affidato una missione particolarmente rischiosa, la quale
potrebbe fare al caso mio. Credo che se l’intenzione di
Genesis fosse quella di attirare la mia attenzione, devo ammettere che
ci è riuscito. Forse non come voleva lui…
Yeeeeeeee!!! Ce
l’ho fatta!! Scusate il terribile ritardo, ma scrivere questi
capitoli d’intermezzo a importanti parti della vita
dell’argentato non è facile, poiché la
mia mente tende a lavorare più su quegli avvenimenti che su
quello che effettivamente serve -.-‘. Inoltre, il calo
creativo non mi aiuta molto ad inventarmi sempre nuove situazioni per
Cloud, anche contando che mi sono infilata in una circostanza davvero
difficile in cui trovare l’intimità della lettura.
Maledetta la mia precisone! Cooooooomunque, gettiamo le basi di una
delle più famose e tempestate amicizie di sempre e vediamo
che miscela esplosiva ne verrà fuori! Come saranno gli
inizi? Tre caratteri completamente diversi sappiamo che si
amalgameranno bene; ma è sempre andato tutto a gonfie vele?
Non ci resta che attendere il prossimo capitolo!!!
Alla prossima!
Besos!
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Capitolo 7 *** Amici? ***
Angeal e
Genesis… Dove avevo già sentito questi nomi? La
mia mente iniziò a scartabellare le mie memorie, alla cerca
di un qualunque indizio che mi portasse a far cessare quel fastidioso
campanello trillante in testa. Il primo nome mi sovvenne quasi subito.
Merito di Zack, non faceva altro che parlare di lui. Era stato il suo
mentore, mi raccontò. Un uomo onesto e giusto, dai saldi
principi, molto legato dall’onore. La Buster Sword era
appartenuta proprio a lui. Quella spada fu forgiata dalla famiglia
Helwey, quando il giovane rampollo divenne SOLDIER First Class. Zack mi
raccontava che Angeal non utilizzava mai la spada, a meno che non fosse
stato strettamente necessario. Non voleva che si sfilasse o si
arrugginisse. Non era un fatto di avarizia, ma il motivo andava
ricercato nel significato racchiuso tra gli intarsi
d’acciaio. Quell’arma rappresentava
l’onore su cui la famiglia Helwey aveva costruito i suoi
saldi principi; gli stessi principi che avevano guidato Angeal e
trasmessi da lui stesso a Zack. Quest’ultimo gli
passò a me. Ricordo che lui ammirava moltissimo
quell’uomo, tutto quello che sapeva gli era stato insegnato
da quella figura stoica e incorruttibile. Ricordo che un giorno Zack mi
raccontò di quando SOLDIER cadde in disgrazia per la prima
volta. Disse che molti soldati di Seconda e Terza, seguirono la follia
di uno dei Prima. Non mi disse quel nome. Angeal e Sephiroth riuscirono
a tenersi fuori da quella storia per un primo momento, ma Zack mi
diceva che comunque notò una profonda paura scuotere i loro
animi. Soprattutto nell’argentato, il quale, mi
rivelò il ragazzo, cercò perfino di evitare
qualunque scontro con questa persona, inviando al suo posto Zack
stesso. All’epoca non ero in grado di reagire, ma se fossi
stato in me, avrei storto il naso davanti a questa realtà;
ma ora, col senno di poi, sono sicuro che il moro mi avesse raccontato
la verità. Sephiroth era un pavido, lo ha ammesso lui
stesso, però sono davvero curioso di sentire la sua versione
al riguardo. Sono certo che da qualche parte tra questi fogli, lui mi
racconterà di quel periodo. Poi arrivò la crisi e
tutto il mondo che i due SOLDIER conoscevano crollò sotto i
loro piedi. Solo Angeal riuscì a risalire da quel baratro e
ritrovare la forza di aiutare le persone che amava. Una forza che,
quando morì, trasmesse a Zack attraverso la Buster Sword.
Ora che ci penso, credo che quella spada fosse stata forgiata per un
destino molto più alto di quello per cui era stata pensata
all’inizio: combattere Jenova. E ogni persona che
l’avesse impugnata sarebbe stato destinato a sconfiggerla. Io
contro Sephiroth, Zack contro il Prima impazzito e Angeal contro se
stesso. Rileggo le ultime righe di quella giornata e comprendo
l’identità del terzo SOLDIER: Genesis.
L’amico di Angeal. Il figlio del ricco proprietario terriero
di Banora. Zack non me ne parlò mai, ma quel nome mi era
famigliare e dovetti spremere ogni mia cellula cerebrale per ricordare
dove l’avessi già sentito. Poi,
l’illuminazione.
Il Trio.
Mi diedi una pacca sulla fronte. Il pensiero dei racconti di Zack mi
avevano offuscato la memoria, impedendomi di focalizzarmi sulle figure
dei due SOLDIER. Quand’ero poco più di un
dodicenne, vidi in televisione un’esibizione di combattimento
eseguita da tre agenti d’élite. Il tutto era
sponsorizzato dalla ShinRa. Non ricordo il motivo di quello spettacolo,
però, dato il periodo di piena guerra contro Wutai, ho il
sospetto si trattasse di una manovra pubblicitaria per rimpolpare le
truppe della compagnia. Fu la prima volta che vidi Sephiroth in azione.
Sono cresciuto inseguendo il suo mito, ma la televisione a Nibelhim era
un vero lusso all’epoca. La compagnia aveva speso un bel
po’ di soldi per far arrivare l’informazione
ovunque pur di invadere le giovani menti delle potenziali bestie
sacrificali sull’altare di quella guerra assurda. Ricordo
Sephiroth al centro e, appena dietro di lui a guardargli le spalle, un
tizio massiccio dallo sguardo severo dipinto sul viso alla sua destra,
mentre a sinistra un tipo vestito di rosso dall’espressione
furba. Il gigante indossava la divisa d’ordinanza nera dei
Prima e impugnava la tipica spada di infima fattura che la ShinRa dava
ai suoi soldati. Era molto anonimo, se non fosse stato per
l’enorme spada che spuntava da dietro le sue spalle. La lunga
elsa rossa sfavillava sotto il sole cocente di quel pomeriggio arido di
Midgar. Aveva un viso dai lineamenti duri e decisi, nessun capello
corvino andava a nascondere la sua espressione seria. Dava tutta
l’impressione di un perfetto soldato, obbediente e fedele.
L’unica nota di “ribellione” era la
Buster Sword; sebbene fosse una spada molto semplice, i cui unici fregi
erano le linee ritte che incidevano il forte, la piastra bucata al
centro per alleggerire la struttura e la guardia cinta da un manicotto
dorato, abbellito da bassorilievi ondeggianti. Comunque, era in ottime
condizioni: il metallo brillava in tutta la sua bellezza e nessun
graffio grava sul quel materiale perfetto. Sembrava che non fosse mai
stata usata. Appena il cameraman la inquadrò, il possente
padrone si voltò e lo osservò di sottecchi, con
sguardo quasi feroce. A quanto pareva non amava che fosse nemmeno
guardata, quella spada. Il presentatore chiamò il nome del
SOLDIER e lui si mise sull’attenti.
Angeal, il suo nome era
Angeal.
Egli piantò la spada d’ordinanza a terra e, mentre
avanzava, sfilò la grande arma con un gesto fluido, senza
apparente fatica, e se la portò alla fronte, afferrandola
con entrambe le mani. Si raccolse in meditazione per un secondo,
chiudendo gli occhi e la rinfoderò dietro alle spalle, senza
troppe cerimonie. Un gruppo di ragazzi dietro di me, iniziò
ad esultare, accompagnato dai sospiri di alcune ragazze, probabilmente
innamorate del gigante. Uno strano mormorio nervoso iniziò
ad aleggiare nel bar del padre di Tifa.
L’altro, invece, era la perfetta contraddizione del primo e
la copia stravagante di Sephiroth; come quest’ultimo,
indossava un cappotto di pelle, ma, invece di nera, di un rosso acceso.
A differenza dell’argentato, il quale teneva il petto nudo
sotto le spesse bretelle di cuoio incrociate sul cuore, egli vestiva
una maglia nera a collo alto sotto al cappotto lasciato aperto. Le
spalle erano protette da un tipo di spallacci di forma romboidale,
lunghi fino a quasi al gomito. Essi erano di metallo, ma la faccia
esterna era rinforzata da uno strato di pelle nera, tenuto in sede da
borchie d’acciaio disposte per tutto il bordo. Infine, due
orecchini argentati pendevano rifulgenti dai lobi, appena nascosti dal
taglio sbarazzino dei capelli rossicci. A differenza degli altri due,
dalle fattezze e abbigliamento abbastanza anonime, lui donava un
po’ di colore ad un trio che sarebbe stato solo bianco e
nero. Perfino la sua spada era qualcosa di davvero spettacolare: lunga
almeno quanto la Masamune, si trattava di uno stocco dalla lama rosso
sangue su cui erano incise formule magiche in una lingua sconosciuta.
L’elsa era poi qualcosa di meraviglioso! Il metallo della
guardia era stato lavorato affinché prendesse la forma di
due ali spiegate. Al centro di esse risplendeva una pietra viola
incastonata nel metallo. Al di sotto di essa, il ponticello si
congiungeva alla guardia, divenendo una piccola ala dotata solo dei
contorni metallici, molto fine ed elegante. Al termine
dell’elsa vi era un prolungamento metallico che portava
all’elaborato pomolo di pietra. Le altre due spade sembravano
così rozze a confronto a questa. Si capiva bene che quel
tipo avesse un gusto artistico e una personalità molto
spiccati. La telecamera, infatti, si soffermò molto su
quell’oggetto, affinché la gente a casa potesse
ammirarne la bellezza, poi l’inquadratura salì
fino al viso del rosso, il quale ne approfittò per regalare
un sorriso ammiccante.
Alcune ragazzine iniziarono a sbraitare come lo videro. Poi, fu un
pesante schiamazzo appena venne detto il suo nome.
Genesis, sì
proprio così.
Alla chiamata, egli avanzò con superbia, roteando la mano
libera. Appena il polso fece un mezzo giro, lui bloccò
l’arto e s’inchinò al pubblico. Quando
tornò eretto, portò la spada alla fronte per un
raccoglimento veloce e, con gesto secco, fendette l’aria,
sprezzante. Un sorriso sadico gli deformò il volto. Si
leggeva la voglia di sangue, incontenibile, impellente.
I gruppi di prima iniziarono a battibeccare tra loro, riguardo ai gesti
di saluto.
Mi ricordo che scossi la testa. Non capivo cosa ci trovassero in quei
due tipi, quando per me c’era un solo SOLDIER per cui valeva
la pena morire. Tutto il mio essere fremeva per vedere il mio idolo.
La sua presentazione fu lunghissima. L’ annunciatore
iniziò ad usare termini senza alcun senso per cercare di
descrivere la grandezza dell’uomo che stava per avanzare:
Sephiroth non aveva bisogno di tutta quella solfa. Bastò il
suo nome e il suono acuto della Masamune fendere l’aria, che
l’intero Pianeta tremò a causa del potente boato
di acclamazione scatenato dalla folla impazzita. Da Midgar a Nibelhim,
tutti si alzarono in piedi, unendo le voci a quello degli altri per
osannare quel Dio supremo e perfetto. Ricordo che mi voltai verso i
gruppetti spaesati, osservandoli con aria di soddisfatta. Nonostante
Sephiroth fosse la metà di Angeal e molto meno appariscente
e scenografico di Genesis; la sua fama indiscussa, la sua aura di
gloria attiravano molti più fan di quanti quei due avrebbero
mai trovato in mille vite. Per tutti noi era lassù, nel
Pantheon degli eroi, intoccabile.
Santi Esper, quanto ci
sbagliavamo!
Dopo qualche altra spiegazione, la folla attorno a loro
scomparì in mille pezzi. Di primo acchito rimasi di stucco
da quello spettacolo, ma il telecronista spiegò che i tre
SOLDIER si trovavano nella sala addestramenti e che la folla era in
realtà una ripresa della piazza esterna al palazzo.
Rincuorati, la dimostrazione ebbe inizio e un nuovo fondale venne
ricostruito. Non ricordo bene di che cosa si trattasse, ricordo solo
centinaia di mostri saltare fuori da ogni anfratto di quel luogo
digitale. E poi loro. Il Trio. Perfettamente coordinati. Non aveva
nemmeno bisogno di parlare, né di guardarsi. Bastava che uno
muovesse appena la spada per attaccare un mostro, che subito
l’altro s’infilava per coprirgli le spalle o per
attaccare a sua volta. Pur combattendo fianco a fianco, in un marasma
indistinto di sangue e metallo, ognuno di loro manteneva la propria
individualità. Angeal combatteva con forza, mantenendo la
posizione, spazzando via i nemici con fendenti ben assestati e
difendendo strenuamente il proprio spazio. Si muoveva rapidamente, ma,
rispetto agli altri, era molto più statico. Di rado
utilizzava le magie. Comunque, era calmo e rilassato, ma estremamente
concentrato sul combattimento e i suoi compagni. Genesis, invece,
faceva largo uso della Materia, infondendola nella lama per potenti
attacchi magici, per poi combinarli con la sua potenza fisica. Inoltre,
copriva uno spazio molto più ampio di quello del moro,
saltando da una parte all’altra collaborando con Sephiroth
per una serie di evoluzioni. Quest’ultimo, beh, si prestava
ad ogni tipo di combattimento, dal difensivo all’offensivo,
divenendo la vite portante della strategia di gruppo. Non aveva alcun
problema a cambiare ritmo, girandosi una volta verso Angeal e la volta
dopo verso Genesis. Era così preciso e pulito che sembrava
si muovesse al rallentatore , volteggiando elegantemente sul terreno,
quasi a sfiorarlo, e calando spietato la sua Masamune dove esattamente
doveva, anche dovesse essere uno spazio di un solo centimetro. Ben
presto capii il ruolo che aveva ognuno: il moro difendeva il gruppo a
terra, mentre il rosso la fase aerea. L’argentato coordinava
il tutto, muovendosi dove era necessario e gli altri si spostavano di
conseguenza. Visto da fuori sembrava una strategia semplice da capire,
ma i tre erano così veloci e letali che, nel tempo da me
impiegato, avevano già fatto fuori migliaia di mostri. E
anche se fossi stato in grado di capire prima era pressoché
impossibile avvicinarli. Quella strategia semplice era talmente
efficace da diventare una vera fortezza e, con a capo uno stratega come
Sephiroth, sarebbe stata impossibile da espugnare. Era uno spettacolo
unico, quei tre erano la perfetta reincarnazione della VERA potenza
della ShinRa. Quelle lame erano quelle che stavano conquistando
l’Occidente, con i loro barlumi abbacinanti bianchi e rossi.
Il Presidente stava facendo bella mostra dei suoi gioielli
più preziosi, dimostrando quanto la Compagnia non avesse
rivali contro niente e nessuno. Sephiroth, Angeal e Genesis erano il
futuro, una promessa di gloria eterna e potere assoluto su tutto il
Pianeta. La forza della Scienza. Durante l’esibizione venne
intervistato il vecchio Presidente, il quale passò la parola
a Hojo. I suoi occhietti neri a malefici brillavano di puro orgoglio,
mentre parlava alla telecamera. Resta da chiedersi se fosse fiero del
figlio o dell’esperimento.
Presi un profondo respiro e arrivai alla triste conclusione che quel
vecchio pazzo sbavasse per i dati rilevati dai sensori della sala
d’addestramento, che per l’eccellenza raggiunta dal
figlio.
Come si può ignorare così la persona che ha
sacrificato tutto affinché venisse coronato il suo sogno di
gloria? Io non sono un padre, ma credo sia naturale pensare al bene
della prole, prima del proprio. Scuoto la testa.
Dannazione, si sta
parlando di Hojo! Quando mai ha fatto una cosa naturale?
Mi chiedo come abbia fatto Sephiroth a mantenere la sua
lucidità così a lungo, convivendo con un
individuo simile. Quattro anni in sua presenza e io sono quasi
diventato un vegetale; LUI deve averci trascorso almeno almeno
quattordici anni.
Sopirai.
A volte penso che la sua follia fosse il suo disperato grido di aiuto.
Leggendo il suo diario, mi sono trovato a pensare che abbia fatto
così tanto male al mondo proprio per indurre la gente a
odiarlo fino a ucciderlo. Credo fosse convinto che l’odio
fosse il motore di tutto, quella forza disperata, contrapposta alla
speranza, la quale sprona la gente a spezzare i propri limiti.
Sono talmente concentrato nei miei pensieri che non mi accorgo del
leggero pigolio dei cardini che slittano l’uno
sull’altro e dello sguardo attento che mi contempla. Solo
quando la voce si leva, infrangendo il silenzio, mi ridesto.
“Cloud? Ma cosa stai facendo?”
La mia spina dorsale si ghiaccia all’istante, inviando
brividi in tutto il corpo. Il cuore mi batte così forte che
potrebbe spaccarmi il petto da un momento all’altro. Rimango
senza fiato e, sebbene i polmoni cerchino disperatamente di far fluire
l’aria, io testardamente smetto di respirare. Un altro
richiamo, un'altra capriola cardiaca.
“Cloud? Mi senti?”
Rischio l’infarto quando la sento avvicinarsi. Devo reagire!
Ingoio a vuoto e mi volto, cercando di sorridere e controllare il
tremolio nervoso della voce, acquisendo un tono sicuro e tranquillo.
“Sì, scusa Tifa.”
Cerco di mantenere la mia esultanza, quando si ferma a pochi passi da
me. Il suo sguardo indagatore mi spaventa, poiché tenta di
oltrepassare la mia figura per vedere i fogli sparsi sulla mia
scrivania. Fortunatamente, io sono sempre stato un vero disordinato e,
nonostante mi sia ripromesso di ripulire quella dannata scrivania, per
un motivo o per l’altro ho sempre rimandato il lavoro. Mi
ritrovo a ringraziare la mia pigrizia un migliaio di volte.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, poi Tifa capitola e mi
affronta direttamente.
“Ti sto aspettando da mezz’ora. Cosa stai
facendo?”
Ok, un bel respiro,
Cloud. “Te l’ho detto, ho del lavoro
da sbrigare.”
“Di che cosa si tratta esattamente?”
Mi faccio davvero
schifo. Sento le budella ribellarsi. “Niente di
che. Sto controllando gli ordini e tracciando gli itinerari delle
consegne.” Il
discorso fila logico e incorruttibile. Mi darei una pacca sulla spalla.
”Se ne sono accumulati un bel po’per questo ci sto
mettendo tanto.” Ciliegina
su questa torta di scemenze.
La fisso sicuro dritto negli occhi, duellando con quelle iridi dolci e
bellissime. Mi accorgo che le sto mentendo orribilmente e ho pure il
coraggio di guardarla negli occhi. Mi viene quasi da vomitare. Odio
queste cose. Dal più profondo del mio cuore.
Ti odio,
Sephiroth.
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Abbiamo litigato per un’ora buona. Tifa ha fatto di tutto per
intrufolarsi nei miei cassetti privati e scovare il misfatto. Sapeva
benissimo di avermi colto in fallo, ma la paura di perderla era ben
superiore alla sua fame di sapere. Non voglio assolutamente che scopra
Sephiroth nella nostra casa e che io, deliberatamente, l’ho
lasciato entrare dalla porta principale. E’ da tre giorni che
non ci parliamo, ma so di essere nel giusto. So di averle mentito, ma
è per il suo bene. Scusami Tifa, devi avere un po’
di pazienza. Comunque, sono arrivato alla conclusione che lasciare il
diario in casa, soprattutto ora che riprendo a lavorare, è
troppo pericoloso. Tifa rivolterebbe tutto l’appartamento pur
di trovarlo. Ho deciso, quindi, di portarmelo nella borsa delle
consegne e leggerlo nelle pause pranzo. E’ l’unico
modo per non incorrere in situazioni sgradevoli. Anche
perché vorrei tornare nel lettone. Il divano è
davvero troppo scomodo.
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24 Febbraio XXXX
La missione è
andata a buon fine, ovviamente, ma un senso di soddisfazione risalta
tra le righe elettroniche del rapporto inviato al GQ. Naturalmente, mi
sono limitato a informare i miei superiori solo riguardo agli aspetti
tecnici. Non ho assolutamente rivelato nulla riguardo al mio piccolo
esperimento.
Ma andiamo per gradi.
Prima di partire, ho fatto chiamare Genesis e Angeal nella mia tenda:
avevo bisogno di confermare le mie impressioni e approfondire meglio il
loro carattere. Non volevo che la mia smania di conoscere qualcuno
simile a me mi portasse a compiere una mossa avventata. Farsi
accompagnare da due fanti semplici in una missione da Generale non
sarebbe stato molto responsabile. Dovevo assicurarmi al 100% di potermi
fidare di quei due ragazzi. Anche perché non è
che ci tenessi molto a dover compilare una missiva di cordoglio alle
famiglie dei due sodati e precisare che erano morte per colpa di una
mia svista. Non credo ci avrei dormito la notte. Detesto perdere
soldati sotto al mio comando. Lo percepisco come un fallimento da parte
mia. Non so perché ma mi sento in dovere di proteggerli.
E’ mio preciso compito vincere la guerra, ma è mio
dovere farlo con meno perdite possibili. E’ una delle mie
tante ossessioni.
Comunque, quando i due entrarono al mio cospetto, a stento repressi
l’istinto di scoppiare a ridere davanti a loro, sebbene
parlassero sottovoce. Poco prima che loro entrassero, udii i loro
discorsi trapelare attraverso il pesante telo facente funzione di porta
divisoria tra l’entrata della tenda e il mio, per
così dire, alloggio. Discutevano sul fatto di essere stati
richiamati dal Comando Centrale e cercavano di carpirne il motivo. Era
davvero esilarante! Una voce severa e profonda fu la prima a colpire il
mio udito, formulando frasi di accusa con tono evidentemente
preoccupato. La difesa non si fece attendere e la voce giovanile e
spaccona dell’altro interlocutore si levò con
qualche decibel di troppo, richiamando l’attenzione del mio
attenente, il quale riportò il silenzio con un ordine
autoritario. I due ragazzi tacquero subito, ma, poco dopo,
ricominciarono a bisbigliare tra loro. Cared, l’attenente,
entrò seguito dai miei obiettivi. Il trio si fece
sull’attenti, non appena furono dentro. Io già gli
osservavo imperturbabile, anche se dentro di me c’era una
certa trepidazione. Feci cenno all’intruso di andarsene ed
egli si congedò. I minuti successivi furono carichi di
tensione. Studiai attentamente i due fanti ritti davanti a me: entrambi
se ne stavano impettiti in completo silenzio, ma vedevo nei loro occhi
sentimenti contrastanti. Angeal era furioso, mentre Genesis sembrava
quasi sfidarmi con quel sorrisetto mezzo accennato. Il denominatore
comune, comunque, era il terrore. Avevo sentito storie davvero
fantasiose girare tra i soldati, riguardo i miei colloqui. Si diceva
che tenessi sul tavolo una zanna di Behemuth, imbevuta col veleno del
Basilisco, e che pugnalassi al cuore con quell’oggetto
chiunque osasse interrompermi. Oppure un’altra raccontava che
la mia tenda era completamente ingombra da rastrelliere reggenti
qualunque arma, dalla più convenzionale alla più
bizzarra, con le quali compivo i più terribili orrori e
torture. Altri parlavano di membra dei nemici uccisi da cui prendevo
l’inchiostro per firmare i rapporti; di piume di Fenice e
frattaglie di animali mitici… Insomma, ce ne era per tutti i
gusti. E l’origine di ognuna mi sfuggiva. Molti soldati
entravano ed uscivano incolumi dalla mia tenda, ma a quanto pareva non
era sufficiente. Molti soldati rischiavano il collasso quando si
presentavano davanti alla mia figura. Perché mi devono
temere così? Anche Angeal e Genesis non
facevano eccezione, ma devo ammettere che si sforzavano parecchio per
nascondere il timore. Dopo averli studiati notai sguardi rapidi e
fugaci scambiarsi reciprocamente tra loro (colti con una certa
difficoltà devo ammettere), i quali erano sinonimo di
un’ammonizione silente da parte del moro e una disperata
supplica dal rosso. Probabilmente, Angeal non aveva intenzione di
mentirmi per coprire il compagno per l’ennesimo misfatto.
Feci per alzarmi e Genesis sbottò, con un energetico passo
in avanti, la cui foga mi lasciò spiazzato. Nessuno aveva
mai osato fiatare senza il mio permesso. La cosa
m’infastidì parecchio. Mi disse che qualunque cosa
fosse successa la colpa era tutta da attribuire a lui medesimo. Lo
sguardo allucinato di Angeal fu impagabile: dovetti richiamare a me
tutta la forza di volontà per mantenere la
serietà. Decisi, quindi, di concentrarmi su quella testa
calda del rosso e gli andai a brutto muso, piantandogli dritto nelle
orbite il mio sguardo assassino. Vidi i peli rizzarsi dal brivido
gelido che gli provocai, ma, nonostante questo, sostenne il mio
sguardo. Potevo percepire il suo cuore battere all’impazzata,
inebriare il mio udito col suo ritmo incalzante. Un sorriso sadico mi
si dipinse sul volto, mentre l’altro stringeva i denti. Ben
presto divenne una sfida tra noi due. Genesis non aveva intenzione di
distogliere lo sguardo e, quando capì il mio intento,
assottigliò gli occhi, assumendo un’espressione
divertita. Dopo circa un minuto Angeal s’intromise nella
nostra silente sfida, afferrando il rosso per una spalla. Egli perse la
concentrazione e distolse lo sguardo verso l’amico. Le iridi
del soldato s’infiammarono, ma un ammonimento gelido da parte
del moro spense ogni protesta. Fu in quel momento che capii il forte
legame che li univa e della cui potenza mi dimostrarono nei giorni
successivi.
Come affermato all’inizio di questo paragrafo della mia vita,
la missione è andata a buon fine. Molto buono, sotto ogni
punto di vista. Ciò è dovuto non solo alla mia
esperienza decennale in questo genere di incursioni, ma anche dai
partners che mi ero scelto. Al di là delle loro
straordinarie abilità nel combattimento, ciò che
ci ha permesso di sopravvivere è stato il grande
affiatamento che li univa. La mia analisi iniziale si rivelò
errata: ho scoperto, infatti, che Angeal e Genesis si conoscono da
anni, sono come fratelli dai caratteri completamente opposti. Il primo
ha un carattere molto simile al mio, forse anche influenzato ad un
profondo rispetto verso il mio grado; mentre il secondo è il
genere di persona dalle mille sfumature. Forse è questo che
mi incuriosisce del ricco soldato di Banora: egli ha un carattere
complesso, pieno di intrighi e sensazioni, ma dietro a questa facciata
percepisco un oscuro segreto. Mi sfugge quale. Il mio istinto mi dice
di non fidarmi fino in fondo, ma la mia mente è
così incuriosita da questa percezione che m’induce
a ignorare la prudenza. Inoltre, Genesis è riuscito a
strapparmi un sorriso sincero in più di
un’occasione, grazie alla sua spensieratezza. Riesce sempre a
vedere il lato positivo delle situazioni e ho già capito che
non smetterà mai di punzecchiarmi. Angeal interviene
scocciato da quel comportamento poco onorevole nei miei confronti, ma
gli ho comunicato che preferisco così. Finalmente
c’è qualcuno che mi tratta come una persona
normale. Accettato questo, il moro si è aperto
un po’ di più, sciogliendo quella tensione che il
rosso da un paio di notti cercava di sciogliere. Quella sera abbiamo
chiacchierato amabilmente quasi tutta la notte. Non credevo di riuscire
ad intrattenere una discussione così lunga e articolata,
andando anche a ripescare nelle memorie che custodisco così
gelosamente. Non amo parlare di me, ma loro sono riusciti a sfogare un
po’ del mio strazio interiore. Non è molto per
alleviare anni e anni di accumulo emotivo, ma ho conosciuto il mio primo sonno tranquillo
da quando ho ricordo. Devo ringraziare la sfacciataggine di Genesis:
egli non ama ricevere ordini, soprattutto da un suo coetaneo. Ha
aggiunto, inoltre, che ha capacità superiori a quelli della
maggior parte dei suoi camerati e che potrebbe aspirare anche al mio
grado. A quelle parole credo di essere scoppiato a ridere come mai
nella mia vita, mentre Angeal lo prendeva amichevolmente a botte,
ammonendolo di scarso rispetto. A quel punto, accolsi la sua sfida:
l’indomani avrebbe guidato la nostra incursione nella base
nemica e raccolto documenti importanti per aiutarci a stanziare una
base stabile qui sulle coste di Wutai. Il brillio che vidi nei suoi
occhi mi rabbuiò. L’oscuro segreto viene a galla.
La sua smania di uccidere non la invidio; se fosse per me lascerei
queste terre per ritirarmi su un’isola deserta. Nonostante io
abbia questo terribile talento, io non cerco il sangue, anzi lo rifuggo
dove è necessario. Quella scura scintilla mi spaventa. Temo
di essermi lasciato sopraffare dalla mia bestia sanguinaria, quando
proposi quella sfida. Genesis ha la capacità di estrapolare
l’ego rinchiuso dalle persone. Da un lato non vorrei che
fosse altrimenti, poiché forse un giorno potrò
liberarmi dall’enorme peso che mi affligge lo stomaco; ma
dall’altro mi sfida in continuazione, costringendomi ad
andare oltre ogni mia inibizione per dimostrargli che il mio grado
è stato guadagnato duramente. Ad un costo altissimo, per
giunta. Sono combattuto: vorrei lasciare perdere le sue provocazioni,
ma il mio orgoglio non conosce remore. Per quanto il mio desiderio di
uguaglianza sia forte, non riesco a scrollarmi di dosso
l’individualità. Forse perché non fanno
altro che ripetermi quanto io sia speciale e unico… Non lo
so. La mia bestia è più subdola di quanto
pensassi. Mi ritrovo a scoprire che qualunque legame io
potrò mai formare, ella lo inquinerà, spezzandolo
in mille pezzi. Per quanto quella serata sia stata piacevole, mi ha
lasciato una profonda inquietudine nel cuore. Guardavo i due amici
scherzare. Era una cosa così semplice… Cosa c’è che
non va in me?
Prima di assopirci, Genesis mi confessò che mai
avrebbe sperato di trovarsi così a stretto contatto con me.
Mi disse che mi vedeva come una figura lontana e di irraggiungibile
perfezione. Ammise che quest’ultima fu, per lui, una fonte
d’ispirazione per fare del bene al villaggio di Banora. Mi
ricordò, inoltre, di una lettera inviatomi anni fa, prima
che lui entrasse in SOLDIER, in cui descriveva gli straordinari
progetti realizzati da se stesso per la sua terra natia. Rimembro
quella missiva. Ricordo distintamente che provai una fitta
d’invidia. Una raccapricciante, terribile fitta al cuore. Lo
odiai per quello, per affondare ancora di più la lama nella
ferita. Un ragazzo della mia età, con alle spalle una
famiglia che lo amava, un gruppo di persone riconoscenti e amiche
strette attorno a lui. Percepii quel calore solo immaginandolo. Tra
l’altro, quella maledetta lettera arrivò il giorno
dell’anniversario della morte del Professore. L’ira
che mi causò fu enorme. Avrei voluto mandare una task force
a distruggere quell’insulso villaggio e strappare le budella
a quel ragazzino petulante. Strappai la flebile carta e ne bruciai i
frammenti. Me ne pentii quasi subito, appena la rabbia
sbollì. Ricordo che mi chiesi perché.
Perché proprio a me? Esistono così tante persone
e infinte possibilità per ognuna. Quale formula statistica
può stimare la sfortuna che mi ha colpito?
Spesso mi trovo a fare calcoli su calcoli per darmi una risposta
razionale. La mia mente rifiuta la possibilità del destino,
non voglio pensare di avere queste capacità
perché sono nato nel posto giusto al momento giusto. O posto
sbagliato al momento sbagliatissimo, per quanto mi riguarda. Non voglio
assolutamente assumere che una forza superiore si diverta a giocare con
la mia vita. Voglio i dati, le prove empiriche, gli algoritmi precisi.
Aerith ride di me su questo concetto. Lei dice che prendo troppo la
vita troppo sul serio, che dovrei godermi ciò che ho e non
rincorre ciò che mi manca. Poi mi sgrida, affermando che la
vita non è un ammasso di numeri e probabilità, ma
qualcosa che va oltre la fredda scienza. Mi mostrava i suoi fiori,
invitandomi a toccarli per saggiarne la morbida consistenza e
l’estrema delicatezza. Non è la stessa cosa. I
vegetali hanno un’esistenza molto più semplice di
un essere umano; non hanno preoccupazioni, se non quella di crescere e
fotosintetizzare. La piccola sospira sconfitta, poiché io
non riesco a cogliere i suoi insegnamenti sottintesi. Mi è
difficile pensare in modo così innocente e ottimistico. Ho
visto troppe cose che lei non può nemmeno immaginare nei
suoi incubi peggiori. Alla mia domanda ‘Allora
cos’è la vita?’, non sa darmi una
risposta soddisfacente. E’ ancora una bambina, nonostante una
spiccata saggezza. Non posso pretendere domande esistenziali a cui fior
fior di filosofi non sono ancora riusciti a venirne a capo. Ma io
voglio capire. Voglio capire il motivo per il quale io sono quel che
sono, sapere da dove viene la mia bestia, comprendere perché
non sia capace di stringere nemmeno i legami più semplici.
E’ come se mi trovassi in una bolla di ghiaccio e tutto
quello con cui entra in contatto scivola su di essa, impendendo di
aderire e tenerla con me. Io non ho un carattere facile, difficilmente
mi fido di qualcuno e non amo il contatto fisico; tendo a chiudermi in
me stesso e allontanare la gente contando sul mio ascendente su di
loro. Come ho spesso ribadito tendo ad interfacciarmi col mondo esterno
utilizzando la facciata dell’eroe e assassino sanguinario.
Diciamo che mi scavo la fossa da solo, anche se, probabilmente,
è un fatto inconscio. Sono stato punito molte volte per aver
mostrato pietà o anche solo un accenno di debolezza. Hojo mi
ha talmente terrorizzato a mostrare i miei sentimenti che li ho
dimenticati. O meglio, fatico a mostrarli. Non so mai bene come
interagire con altre persone. Nella mia ignoranza, la mossa
più logica è dire la verità, ma spesso
non è vista di buon occhio. Col tempo ho capito che la gente
vuole sentire quello che vuol sentire e che una conversazione non
è nulla più di un duello con le parole.
Crescendo, ho capito come usarle a mio vantaggio con la maggior parte
dei miei interlocutori. Raramente rimango senza parole per
controbattere: gli unici in grado di vincermi sono la piccola Aerith,
con la sua innata capacità di leggere nel cuore umano, e
Hojo, con il quale ho rinunciato a discuterci.
Chissà se i due SOLDIER sono in grado di tenermi testa in
uno scontro del genere? Punto molto su Angeal, in cui rivedo la stoica
saggezza popolare della figlia del Professore. Percepisco un uomo molto
intelligente e compassionevole, sotto le spoglie ordinarie del soldato
fedele. Sento che riuscirà a trasmettermi quei valori
rassicuranti e famigliari di cui ho un’impronta molto
flebile. Piano piano mi sta insegnando l’altruismo e il
quieto vivere, oltre che lo spiccatissimo senso dell’onore.
Per lui questo concetto non è solo una parole, ma
bensì un duro stile di vita, secondo cui ogni uomo dovrebbe
fare affidamento. Non potrei essere più d’accordo
e sono davvero impaziente di saperne di più. Purtroppo, di
questa pratica ne sono completamente digiuno, poiché sono
cresciuto in un luogo dove ogni mezzo, lecito o illecito che sia,
è fondamentale per raggiungere il risultato. Vivendo a
stretto contatto con uomini completamente privi di qualunque etica
morale, ho sempre pensato che tutto il sangue versato sia stato
necessario per raggiungere un Bene superiore. Conversando con lui, ho
capito quanto fossi in fallo e quanto i miei sforzi per razionalizzare
i miei crimini fossero inutili. Ora comprendo il motivo per il quale
faticavo a prendere sonno dopo uno sterminio. In cuor mio sapevo. Ho
sempre saputo. Ammetto che mi rincuora apprendere che non ho perduto la
mia umanità, dopo tutti questi anni. Sorrido al pensiero che
Hojo non l’ha ancora vinta su di me. L’ho illuso di
avermi vinto. Forse non sono così debole; forse ho ancora
una speranza…
Il periodo passato in compagnia dei fanti mi ha donato del tempo per
stringere una legame più profondo della semplice gerarchia.
Non so quanto potrà durare, ma abbiamo molte cose in comune
e, nonostante la loro grande amicizia, ho intuito che siano disposti a
riservare un piccolo spazio anche per me. Non credo di aver mai
combattuto così in sintonia con altre persone. Sono gli
unici a stare dietro ai miei movimenti felini e alle mie strategie
mutevoli. La nuova situazione non mi ha fatto rimpiangere le mie
missioni solitarie, poiché mi muovevo nel campo di battaglia
senza incontrare ostacoli; anzi erano loro che spesso li toglievano al
giudizio della Masamune. Fu una sensazione unica poter condividere
quell’orrore artistico. Il mio animo è
più leggero e ho meno volti da ricordare. L’unico
che non riesco a dimenticare è quello di Genesis. Quella
scintilla mi preoccupa, sebbene Angeal cercasse di smorzarla
strappandogli potenziali vittime dalla traiettoria dalla sua spada.
Spero che non si lasci trasportare da quella vena sadica. Spero che la
mia vicinanza possa aiutarlo a reprimerla, insegnandogli a controllarsi
e riflettere sulle proprie azioni. Questo è uno dei motivi
per cui ho promosso loro di grado.
L’altro, invece, è che ho visto una luce alla fine
di questo tunnel.
Amicizia
E un Alleluja si leva dal
pubblico. Scusate, ma questo periodo, tra le feste e
università, non avevo tutto questo tempo per scrivere. Io di
solito scrivo in treno, ma erano già due settimane che
venivo a casa in macchina, quindi non ho potuto continuare.
Ma cianciamo le bande e
seriamo le parole! (*facepalm*… siete autorizzati a
picchiarmi)
Ahi ahi, il nostro Cloud
comincia a vedere la sua vita incrinarsi. Prima il divano e poi? Di
contro, Sephiroth comincia a vedere la fine dei suoi tormenti. La
situazione si sta piano piano ribaltando per i due eterni nemici. Caso
o coincidenza?
Ringrazio le mie donne
per le recensioni e tutti coloro che leggono.
Grazie tantissime!
E infine do il benvenuto
a Marciux che ha cominciato a leggere la mia fic (ora dovrò
continuare anche con la tua, abbi pazienza!).
Alla prossima!!!
Besos
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Capitolo 8 *** Confessione ***
Mi sono
fermato in un punto di
ristoro in mezzo alla campagna delle Crosslands. Un posto abbastanza
sperduto, lontano da occhi indiscreti e dalla vena principale che
collega Midgar con questa regione. I proprietari sono una coppia di
anziani che mi hanno servito un pranzo con i fiocchi. Erano felici di
avermi con loro: probabilmente non vedono molti visitatori. Dopo aver
ordinato un caffè forte, mi concedo un momento di
riflessione,
osservando la natura sterminata davanti a me. Respiro una ventata
d’aria fresca, sia dal punto di vista dell’anima
che da
quello del corpo. L’ossigeno buono di campagna è
una delle
cose che più mi manca della mia infanzia e sapermi alla luce
del
giorno con questa dannata cosa tra le mani mi fa sentire libero. Il
proprietario non lo ha degnato nemmeno di uno sguardo; anche
perché la sua attenzione era tutta rivolta alla mia Fenrir.
Credo avesse voglia di chiedermi della moto, ma quando mi ha visto
troppo impegnato a leggere ha continuato con le sue faccende.
L’ultima parola scritta da Sephiroth mi fa sorridere: dopo
pagine
e pagine di buia tristezza finalmente riesco a respirare con
più
leggerezza. Il nodo alla gola si sta pian piano allentando.
Allora non era
così vuoto come ho sempre creduto.
La cosa, da un lato, mi riempie di allegria; ma, dall’altro,
una
sensazione di disagio s’insinua nelle ossa. Lui conosceva i
valori dell’amicizia, dell’onore e della giustizia,
allora
perché sono venuti a mancare proprio nel momento in cui ne
aveva
più bisogno? Che cosa si è spezzato nel suo animo
tormentato da costringerlo ad agire in quel modo?
Rileggo le righe in cui racconta della bestia rinchiusa in lui.
L’ha spesso citata, ma non ha spiegato mai cosa fosse per
l’esattezza. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lui,
tuttavia
sentiva che c’era qualcosa di oscuro e terribile sepolto nel
suo
animo, più ruggente di un leone e più sanguinario
di un
esercito. Credo che in un qualche modo percepisse Jenova dentro di
sé e che lui in primis cercasse di limitarla;
però il suo
potere era così superiore alla sua volontà, tanto
da
sovrastarlo e plasmarlo a suo piacimento. In un modo o
nell’altro, lui fu manipolato da qualcuno. Prima Hojo e poi
Jenova. Quella maledetta notte di Nibelhim , lui era solo a combattere
lo scontro finale contro i suoi fantasmi.
L’unica
battaglia che abbia mai perso.
Quando ero affetto dal Geostigma percepivo spesso la sua voce gelida
trivellarmi il cranio e la sua lama affilata trafiggermi la carne. Una
delle sensazioni più orrende che abbia mai passato. Spesso
mi
svegliavo nel cuore della notte in preda a visioni raccapriccianti, un
dolore terribile dal braccio si dipanava fino alla testa e quella
sibilante voce mi bisbigliava ossessiva nel cervello. Fu un periodo da
incubo, perciò capisco il suo stato d’animo. Non
deve
essere facile convivere con quell’alieno maledetto che ti
sussurra nella testa.
Gli grattava da sotto il
petto.
Questo particolare mi ha scosso parecchio. Io mi immagino un artiglio
nero e affilato grattare convulsamente e ossessivamente lo sterno,
consumandolo pian piano. Una visione da far accapponare la pelle.
Immagino Jenova intenta a scavare le fondamenta della sua prigione di
carne, facendosi strada attraverso le cellule del figlio, intercedendo
dalle sensazioni. Lei gli stuprava la mente ogni dannata volta; gli
afferrava il cervello e ci giocava come fosse un pallone da basket fino
a stordirlo attraverso una follia cieca che solo lei era in grado di
suscitargli. Quando ogni sua difesa era crollata, l’aliena
guidava il suo corpo verso gli orrori più sanguinosi e
terrificanti. E lui non era in grado di reagire. Osservava, osservava
il sangue schizzare, la Morte, la Paura negli occhi delle sue vittime.
Non poteva dimenticarle. Capisco dal suo diario quanto questa
situazione lo tormentasse e quanto ne fosse impaurito; ma, soprattutto,
quanto inconsciamente temesse per gli altri. Era combattuto dalle due
eredità che giacevano in lui: Jenova e Lucrecia.
Quest’ultima, ne sono certo, non ha mai smesso di
proteggerlo,
sorreggendolo nei momenti del bisogno, quando ogni speranza era
perduta. Lo aiutava a vedere quei valori così ovvi per la
gente
comune, ma sconosciuti ad un bambino che ha sempre vissuto in mezzo al
sangue. Mi pare quasi di vederla: il suo spirito etereo e invisibile
accarezzargli la testa o asciugargli una lacrima, mentre parole dolci e
sussurrate, lambiscono una frustrazione troppo grande per
quell’animo di fanciullo cresciuto troppo in fretta.
Quell’eroe, quella figura di magnifica gloria non era altro
che
l’ombra distorta di un bambino rannicchiato in un angolo
buio,
intento a leggere il mondo con solo a disposizione una flebile candela.
Questo piccolo ammasso di cera rappresenta la sua curiosità,
quell’intelligenza genuina di chi capisce che là
fuori,
oltre gli abusi e le punizioni, c’è qualcosa di
buono. Non
sa bene cosa sia, ma sa che c’è.
DEVE esserci! Altrimenti
la vita non merita di essere vissuta.
Sospiro. Nemmeno un valore così indispensabile come
l’amicizia gli è stato concesso. Ad Hojo non
importava
nulla se non della sua macchina da guerra umana. Non credo di aver mai
conosciuto una persona così priva di scrupoli e
umanità…
Mi blocco… Una fulminazione! Inizio a ridere da solo. Una
risata
triste e mesta, davvero di cattivo gusto. Alla fine il figlio
è
diventato come il padre. Un’ironia terribile, se ci si
riflette
un attimo. Sephiroth ha lottato tanto per tentare di cambiare il
vecchio e, al contempo, studiare i difetti del genitore per evitarli il
più possibile. Il SOLDIER che conosco è lo
specchio dello
scienziato, la sua copia sputata. Crudele, spietato,
disumano…
Un mostro. Esper santi!
Mi passo la mano fra i capelli, costernato.
L’umanità ha
costretto questo bambino a vivere in una leggenda effimera,
precipitandolo in un abisso di aspettative e pressioni strangolanti,
dove ogni sua azione veniva soppesata e criticata dall’uomo
che
avrebbe dovuto sedersi accanto a lui e indicargli il percorso. Non
c’era amore nei suoi ragionamenti, non voleva il bene
dell’infante, ma solo la gloria che
quell’esperimento gli
avrebbe portato. Lo ha creato e gettato in pasto ai demoni. Non sono
bravo in matematica, ma alla domanda posta dal Generale, direi che la
probabilità sfortunata è parecchio elevata; anche
se,
ripesandoci, ci sono un paio di fattori che vanno fuori scala.
Sephiroth non è mai stato solo, bene o male, nella sua
esistenza
c’è sempre stato qualcuno capace di sostituirsi
alla
pessima figura paterna. Questo professore che cita spesso - il quale
presumo si tratti del padre di Aerith, il Professor Faremis Gast - ,
è un lampante esempio. Sono d’accordo con
l’opinione
di Aerith che traspare tra le righe: lui vedeva solo il bicchiere mezzo
vuoto. Devo dire che un’aura di vittimismo aleggia sulla
carta
ingiallita dal tempo. Non gli posso dare torto, in fondo. Tutto quello
che era riuscito a conquistare gli fu sempre strappato via. Quel
presagio di morte lo accompagnò per tutta la vita, come se
Jenova stessa lo deviasse verso l’oscurità
più
profonda, spegnendo ogni lume di speranza.
Contemplo la parola finale della giornata e mi ritrovo a sperare che
non si sia tratta di una fervida illusione. Mi rendo conto che sto
riflettendo su fatti passati e che la storia è
già stata
scritta, ma… E’ come vedere un film per la
tredicesima
volta e sperare che alla fine riescano a sopravvivere tutti: la
sensazione è la stessa. Prego che Angeal e Genesis possano
avergli dato quello che disperatamente stava cercando e che la loro
amicizia possa essere durata a lungo. So perfettamente che circostanze
tragiche porteranno i tre amici a separarsi, però io sono
fiducioso!
Tiro fuori la foto della donna.
Come posso pensare che
tutto vada a rotoli?
Aveva degli amici e, forse, anche l’amore… Come si
può credere che le cicatrici che ho sul corpo siano state
fatte
da una persona che aveva tutto? Ho quasi paura di continuare con la
lettura. La curiosità mi dilania, ma sono spaventato da
ciò che potrei scoprire.
La donna e la sua luce mi illuminano il viso, mentre mi sovviene alla
mente Tifa. In questi giorni di lontananza mi manca terribilmente. Il
solo pensiero di perderla mi terrorizza. Amo il mio angelo
perdutamente, più della mia stessa vita e so che se
lei…
insomma… se lei… Ah! Non riesco nemmeno a pensare
quella
parola. Mi si rivolta lo stomaco alla visione di un altro vuoto nel mio
cuore. Ci ho impiegato anni a trovare la forza per andare avanti dopo
aver visto morire Aerith tra le mie braccia, infilzata dalla follia di
quel dannato assassino. Il mio cuore non reggerebbe un altro colpo
così. Ho avuto una seconda possibilità e non me
la
lascerò sfuggire per nulla al mondo.
Per questo motivo, ho
paura di continuare e sapere cosa ti è successo, donna della
foto.
So cosa si prova perdere la persona amata e non credo di reggere lo
strazio di mille lame che si conficcano nel petto. No! Il pessimismo di
Sephiroth mi sta contagiando… Devo credere che
ciò che
sto reggendo non sia solo un ricordo, ma una sorta di macchina del
tempo, in cui furono impresse le gioie e le aspettative di una storia
magnifica. Voglio pensare che tu sia ancora viva e che odi
l’uomo
che ti ha abbandonata almeno quanto me. Preferisco venire a conoscenza
che vivi nel rimorso di una storia finita male; anziché
sapere
che sei la causa di un lutto sfociato nella pazzia.
Forse questi pensieri così profondi, o forse per la sua
capacità di prendermi alle spalle ogni volta, non lo
saprò mai; ma comunque mi accorsi della presenza di Vincent
Valentine, solo grazie al servilismo della padrona del locale.
-Desiderate un tavolo, signore?-
-No, grazie.-,rispose una voce piatta.
Poche sillabe e il mio cuore per poco non mi abbandona. Dovevo
aspettarmelo che non mi avrebbe dato pace, finché non mi
avesse
sorpreso con le mani nella farina fino alle spalle… Alzo lo
sguardo colpevole, cercando di assumere un’espressione
fredda.
Senza riuscirci, ovviamente. Ingoio a vuoto e mi dico: Avanti, Cloud, è solo
Vincent. Forse è il male minore.
Ci squadriamo per qualche minuto, durante il quale la signora ci
osserva nervosa. In effetti, l’ex-Turk non è che
sia
esattamente la persona più raccomandabile per chi non lo
conosce. La tensione tra noi è palpabile e sembra che stia
per
scatenarsi il finimondo, ma poi Vincent afferra la sedia e si siede di
fronte a me.
-Un caffè. Ristretto. Senza zucchero.-
Al suo ordine, la signora si riprende e scappa dentro al locale.
La mia mente mi sta urlando di prendere il diario e scappare, ma il mio
corpo è paralizzato come un imbecille. Vorrei
almeno
nascondere la foto che tengo in mano, ma Vincent è
più
veloce e me la strappa dalle mani. Non reagisco. Mi sento
così
stupido. Smetto di respirare, mentre il pistolero la osserva con
attenzione. Grugnisce e alza la sua attenzione verso di me. Non credo
di aver mai sudato così tanto.
-Chi è?-
Bella domanda…
-Non lo so…-, rispondo io con un filo di voce. E’ la
verità, tutto quello che so su di lei proviene solo dalle
mie supposizioni. Non
so niente per certo, aggiungo mentalmente.
Vincent non si scompone. Probabilmente si aspettava una risposta del
genere. Intanto, la signora ci raggiunge e consegna il caffè
al
pistolero, il quale le rivolge un’occhiata di sfuggita. La
bevanda fumante non viene nemmeno calcolata.
-Sai, Marlene ci ha detto che avete litigato. Barret ha ritenuto
opportuno trivellarti le chiappe, ma fortunatamente per te, sono
riuscito a dissuaderlo.-
Mi lascio scappare un sospiro. Poveri piccoli. Per loro deve essere
dura vederci di nuovo come due estranei. Inconsciamente, lancio
un’occhiataccia al libro sotto di me, la quale viene
ovviamente
colta da Vincent. Egli segue il mio sguardo e lo concentra sulle
memorie di Sephiroth. Una strana scossa di gelosia percuote il mio
animo. Non so perché, ma ritenevo quel segreto solo nostro,
un
momento esclusivo in cui io avevo potere su di lui.
La marionetta controlla
il burattinaio.
-Ma credo che il problema non sia legato a lei.-,alza la foto e me la
ripassa,-Ma piuttosto a quel libro.-
Sento una magnifica sensazione di sollievo nel comprendere che nemmeno
Vincent immagina cosa stia nascondendo.
-Sei disposto a mentire spudoratamente davanti ai tuoi amici e alla tua
ragazza per proteggerlo. Hai detto che non è pericoloso. Ma
come
posso crederti?-
E io non posso dargli torto. Ultimamente quello che dico non riflette
la realtà, tanto da scomodare Vincent a farmi la paternale.
Inizio a sondare le varie possibilità che mi si pongono
davanti:
davanti a me c’è un amico che si sta sorseggiando
un
caffè amaro, pronto ad ascoltarmi. Lo conosco meglio di
chiunque
altro negli AVALANCE, so che non darà le escandescenze se
scopre
quello che ormai ha intuito. Non ci è arrivato completamente
per
il semplice fatto che il diario dell’assassino di mia madre e
di
Aerith sarebbe l’ultima cosa che leggerei.
Dall’altro lato
potrei inventarmi una storia di sana pianta, ma, semai riuscissi a
persuaderlo, prima o poi tutti i nodi verranno al pettine e a quel
punto avrei sprecato l’unica occasione di
sincerità.
Prendo un profondo respiro e apro la prima pagina.
Mi è capitato di rado vedere un’emozione trapelare
dagli
occhi sanguigni di Vincent Valentine, ma credo che quel nome avrebbe
fatto sobbalzare perfino una statua di marmo. Sbatte le
palpebre
un paio di volte, come per accertarsi di non aver letto male, e noto
un’espressione di smarrimento misto incredulo comparire alla
sua
faccia. Vincent è il tipico uomo che non rimane mai senza
parole, è sempre in grado di sopraffarti con le sue frasi
taglienti e dirette; mai avrei pensato di assistere a un tentennamento.
Questo momento, però, dura molto meno di quanto credessi e la sua
espressione torna la solita maschera di cera.
-Ora si spiegano molte cose…-,dice, alzando lo sguardo su di
me.
Sento che vorrebbe chiedermi di più, la sua
curiosità
è palpabile, ma si limita a non deviare dal discorso
originario.
-Quindi tu stai mettendo da parte le tua famiglia… per
leggere le memorie del tuo nemico mortale?-
Noto un certo conflitto nel pistolero: la sua voce tradisce il tono di
un uomo che non approva per niente la situazione; ma la sua postura, lo
sguardo che va a pennellare quel nome impresso su una pagina
rinsecchita, le dita che ne tormentano i lati come se volessero
tuffarsi in quel mondo segreto e tormentato, dimostrano un certo
interessamento. Sembra quasi che voglia dirmi: Vai avanti con la tua
vita e lascia i frammenti del suo passato a me. A volte penso che
Vincent veda Sephiroth come una sorta di figlio adottivo. Credo provi
un grosso rimorso per non averlo salvato, di non aver avuto la forza di
strappare lui e sua madre dagli artigli opprimenti di Hojo. So
pochissimo di che tipo fosse prima degli esperimenti subiti, ma sono
certo che avrebbe dato a quel bambino una vita dignitosa da vivere;
anche senza tutta la fama e la gloria. Senza contare le migliaia di
persone strappate al Lifestream.
Dev’essere un
peso duro da portare. Sarebbe bastato un semplice gesto…
-Anch’io all’inizio la pensavo come te, ma, ti
giuro, qua
dentro c’è molto di più di quanto
credi.-, ribatto
io.
-E’ strano sentirtelo dire. Dicevi sempre che lui fosse vuoto
e senza cuore.-, la sua voce è piatta.
Strano, credevo di sorprenderlo. A quanto pare si aspettava
un’affermazione del genere.
Forse è
davvero possibile conoscere il figlio di Jenova attraverso Lucrecia?
-Ho sbagliato…-, ammetto.
Una strana sensazione di leggerezza mi pervade appena quella frase esce
dalle mie labbra. Mi accorgo solo ora della grandezza della mia
ammissione, nonostante sia un pensiero fisso che mi accompagna da
settimane. Abbasso lo sguardo allibito sul diario. Non ci posso
credere… Gli sto dando un’altra
possibilità!
Quell’aggeggio infernale mi sta incasinando la mente, mi sta
manipolando. Ma come è possibile? Forse Reeve si sbagliava.
Non
è un libro come gli altri.
Un moto di rabbia s’impossessa di me. Afferro malamente il
diario, senza dare la possibilità a Vincent di reagire, e
faccio
per gettarlo lontano.
No!
Mi blocco a metà del gesto, quando la foto mi passa davanti
agli
occhi. Quello sguardo…
quell’espressione…
così… così… tormentata.
Ma che mi
starà mai succedendo?
Una mano artigliata mi afferra la spalla, riportandomi nel mondo reale.
Giro lo sguardo verso gli occhi vermigli dell’ex-Turk.
-Cloud, il tuo segreto è al sicuro come me. Ti
aiuterò a
mantenerlo tale e a riallacciare il tuo rapporto con Tifa.-
Leggo un altro pensiero nelle sue iridi: Ti prego non abbandonare
ciò che rimane di Lucrecia.
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15 Maggio XXXX
E’ da
parecchio che non mi
concedo un momento di riposo, affinché io possa tuffarmici e
lasciare che la quiete dilavi l’adrenalina e il sangue
versato.
Stranamente, però, questo periodo frenetico non mi
è
pesato in modo particolare. Devo ammettere che la vicinanza dei miei
due nuovi compagni hanno un effetto benefico sulla mia psiche, oltre
che sull’esito delle missioni. La conquista della costa di
Wutai
è avanzata esponenzialmente in soli due mesi da quando
Genesis e
Angeal combattono al mio fianco. Il trio che abbiamo formato
è
davvero imbattibile e la sintonia creatosi tra di noi è
straordinariamente letale. Ovviamente la loro preparazione a certi tipi
di situazioni incide ancora molto sui loro nervi, i quali non si sono
ancora abituati alle cruente scene che la guerra generosamente regala
ogni maledetto giorno. Io, ormai, ci ho fatto il callo da anni. Spesso
Genesis mi invidia per il mio sangue freddo, desidera ardentemente
avere la mia capacità decisionale nei momenti in cui la
paura e
la morte sembrano l’unica scelta possibile. Non si rende
conto di
che cosa bisogna passare per affinare questa, se così
vogliamo
chiamarla, “capacità”. Uno che
è sempre
vissuto nel confortante calore dell’amore di due genitori
innamorati del proprio figlio, in una casa accogliente e piena di vita,
libero di uscire all’aria aperta quando più lo
desidera,
non può assolutamente capire cosa vuol dire guerra.
Guerra quotidiana contro l’oppressione; con solo un nome a
cui
aggrapparsi nei momenti di sconforto; nessuno disposto a tendere la
mano per aiutare a rialzarsi dopo che iniezioni ed esperimenti hanno
dilaniato il corpo; vivere nella costante paura di sbagliare;
spettatore inerme dell’agghiacciate eccitazione di due occhi
crudeli che brillano ad ogni sofferenza. Con un’infanzia
così è facile diventare freddi calcolatori
assassini… La prima volta che vidi il campo di battaglia
avevo
quattordici anni. Poco più di un bambino. Avevo
già
ucciso, ma non ero preparato a quel tipo di cruenta violenza. Ricordo
il rumore. Il fracasso delle bombe, il ritmo incessante e metallico
delle mitragliatrici, le urla agghiaccianti degli uomini spappolati
dalle esplosioni. Ricordo che rimasi bloccato ad osservare quello
spettacolo. Per la prima volta nella mia vita non sapevo cosa fare,
frastornato da quella miriade di suoni assordanti. Non avevo paura, non
ne ero capace di provarne, ma mi sentivo sospeso in un limbo di calma,
mentre attorno a me si agitava il caos. E fu in quel momento che capii
per che cosa mi avevano preparato. Capii il motivo di ogni punizione,
di ogni sopruso, di ogni vergata nella schiena. Sin da quando ho
memoria non ho mai conosciuto una giornata di pace. Mio padre era la
mia ombra, il mio incubo. Ancora oggi mi sta addosso come un avvoltoio
su un cadavere, pronto a ghermire la mia carne martoriata per spremere
l’essenza ormai prosciugata; ma, grazie al cielo, la mia
carriera
di SOLDIER mi tiene spesso lontano dal suo ossessivo controllo. Respiro
un po’ d’aria pura, finalmente; anche se questa
libertà è soltanto una prigione senza pareti. La
sua
eredità continua a perseguitarmi; la reputazione da lui
costruita mi sbatte le porte in faccia. Quel generale freddo e
calcolatore che si aggira nel campo non sono veramente io. L’inchiostro
sono io.
In questo diario è racchiuso il mio vero ego e prego tutti i
numi conosciuti e sconosciuti affinché non mi sia portato
via.
Ho bisogno di un’ancora di salvezza, un punto fisso in questo
mondo vorticante che definisca la mia identità; ovvero
quella
parte fragile e passionale rinchiusa nel mio cuore freddo e straziato.
E’ la mia più grande paura: dimenticare. Non so che farei se un giorno
lasciassi la mia umanità bruciare in un focolaio
d’iracondo odio.
Tutti, là fuori, cercano di spingermi nell’oblio.
Ah, cosa
darei per lasciarmi andare almeno una volta… Ma so
già
come andrebbe a finire: il demone che risiede in me prenderebbe il
sopravvento. Ogni volta che mi abbandono ad un’emozione
particolarmente intensa, quella frenesia s’impossessa della
mia
mente, trasformando ogni sentimento in violento odio. Uno dei tanti
motivi per cui non riesco ad avvicinarmi a nessuno. Soprattutto alle
donne. La compagnia mi spinge spesso verso la ricerca di una compagna,
propinandomi relazioni assurde con sciacquette dello spettacolo viziate
e stupide. Il Presidente afferma che sfogare i miei istinti non possa
farmi altro che bene, ma so perfettamente che è tutta una
questione di soldi. La mia vita privata sbattuta sulla prima pagina di
uno squallido giornalino di gossip. Che schifo. Inoltre, la cosa che mi
rattrista di più è pensare che ci sono centinaia
di
ragazze disposte ad accettare una vita sotto i riflettori.
Sarà
che mi sono stancato di svilirmi in continuazione e per questo motivo
non vedo la cosa di buon occhio. Non saprei. Senza fraintendimenti,
m’imbatto quasi sempre in donne dalla bellezza e classe
superbe,
ma ciò che cerco va oltre il semplice piano fisico e
sessuale.
Desidero tanto poter discutere liberamente delle mie idee con qualcuno
che capisca il mio animo, che vada oltre alla divisa nera di SOLDIER e
ai miei successi militari. Vorrei mostrare a quella persona gli aspetti
di me che tengo gelosamente nascosti nel mio attico del Golden
Building. Desidererei rivelarle i miei libri, il mio amore per la
cucina e per l’arte; aspetti che nessuno penserebbe mai di
attribuirmi. Alla fine di ciò, potermi specchiare nei suoi
occhi
e vedere davvero la mia immagine riflessa… Ma so che questo
non
potrà mai accadere. La mia reputazione di freddo SOLDIER
sanguinario affascina le donne, ma le spaventa al contempo. I media
hanno pensato bene di mettere sotto i fari dell’informazione
quel
lato disumano e terribile di me. La mia bestia, appunto. Tutto il
popolo del Pianeta crede che la mia ira sia spaventosa, quanto facile
da scatenare. Pochissimi hanno capito quanto io possa essere paziente.
Il problema è che nel corso degli anni ho accumulato
così
tanta rabbia che, quando raggiungo un limite, essa viene scatenata per
un nonnulla. Fortunatamente, grazie ai due banoriani, ho la
possibilità di avere una doppia valvola di sfogo. Come
dicevo
all’inizio, la loro vicinanza mi fa bene. Passo molto tempo
in
loro compagnia; tempo che investiamo in parecchie attività
stimolanti, come divertenti combattimenti a tre e sfide frivole e,
talvolta, pericolose. Quest’ultime sono la risultante dei
nostri
battibecchi, soprattutto tra me e Genesis. Ogni minimo argomento, anche
il più banale, può essere una fonte di guai.
Angeal cerca
di smorzare questa caratteristica, cercando, invano, di farci
ragionare; ma ho notato che i nostri caratteri hanno la malata tendenza
a scontrarsi. Credo che il motivo principale sia da ricercare nelle
nostre educazioni: entrambi siamo stati abituati a dare ordini, a
guardare il mondo dall’alto verso il basso, senza compromessi
e
discussioni. Genesis mi parla spesso della sua tenuta a Banora e di
come sia cresciuto nel lusso più sfrenato- sua detta, tende
ad
esagerare alle volte- con camerieri e maggiordomi a servirlo e
riverirlo. Immaginavo fosse un tipo del genere, ma non che, una volta
entrato in confidenza, si permettesse certe libertà. Non ha
il
senso della disciplina. Per quanto riguarda me, sebbene abbia passato
una buona parte della mia vita a eseguire comandi inflessibili, fin da
bambino, mi è stata inculcata l’idea della potenza
derivata dal comando. Quello scienzatucolo da strapazzo ne è
l’esempio lampante. Non è un segreto che abbia
approfittato della nostra parentela per diventare capo del Reparto
Scientifico. Mi si accappona la pelle alla consapevolezza che
è
grazie ai miei successi militari se lui si crogiola tra le
più
importanti cariche della compagnia, quando il suo posto dovrebbe essere
tra il marciume del buco più profondo e orrido
dell’Inferno. Maledetto bastardo, arriverà il
giorno in
cui ti vedrò strisciare tra i frammenti dei tuoi sogni
infranti!
Gli stessi sogni che mi hai strappato e fatto tuoi, mentre le tue
parole taglienti mi laceravano ogni giorno di più.
E’
così ingiusto… Perché devo soffrire
così a causa di mio padre?
Angeal ci parla molto dei suoi genitori. La parte che mi piace di
più -e che invidio intensamente- è quando ci
racconta dei
tanti sacrifici che hanno fatto i genitori per permettergli di
trasferirsi a Midgar. La sua famiglia non è per niente
ricca,
eppure, due poveri coltivatori di accidentmele, hanno cresciuto un uomo
straordinario, oltre che un bravo soldato. Il rispetto e la
generosità nei confronti della vita sono doni che ho visto
ben
poche volte fluire davanti agli occhi. Angeal è capace di
farmi
apprezzare e godere delle piccole cose; oggetti e situazioni anche
scontati e banali, ma se valorizzati nel modo giusto possono
illuminarti la giornata. Ci dice che questa visione è uno
dei
lati migliori della povertà. Genesis lo deride quando ci
elargisce queste perle di saggezza, ma a me fanno pensare. Non vorrei
scadere nel filosofico, ma anche la povertà spirituale
può avere anche dei risvolti positivi? Forse gli
insegnamenti
offerti dalla piccola Aerith non sono frutto della sua visione
infantile del mondo, ma di fatti appurati. Devo, però,
tenere in
conto di variabili molto importanti che incidono particolarmente
sull’esito di questa analisi. Angeal e Aerith, per quanto
grandi
o piccole le privazioni subite, hanno sempre avuto qualcuno a loro
fianco. La seconda forse è quella che conosce alti livelli
di
sofferenza, come la perdita di entrambi i genitori, ma ha
l’amore
di Elmyra, l’amicizia di tutti gli Slums, il profumo dei suoi
fiori, la serenità dei giocattoli e poi, beh, ha me. Mi
considera quasi come un fratello maggiore –anche se spesso mi
bacchetta come una maestrina- e, per quanto io possa essere una frana
con i rapporti interpersonali, le voglio molto bene. In effetti, questo
affetto è pur sempre qualcosa: è troppo poco per
cucire
le ferite, ma è abbastanza per non farmi crollare nella
disperazione. Ora che ci penso, io mi reco da lei quando sono
particolarmente abbattuto, proprio per cercare un po’ di
quella
purezza fanciullesca che mi è stata strappata anni addietro.
Sebbene non la senta parte integrante del mio animo sanguinante e il
mio cervello la considera perduta per sempre, mi ostino a cercarla
testardamente. Inconsciamente, SO che ne ho bisogno. SO che senza
quell’infusione periodica di innocenza, impazzirei.
All’improvviso, mi accorgo che Angeal ha ragione. Devo
smetterla
di autocommiserarmi. Ho avuto tanto, molto più di quanto
credessi. Ripenso al Professore. I momenti passati con lui erano
centellinati, ma è ciò che meglio emerge dai miei
ricordi. Ridevo sempre
con lui.
Mi sentivo… bambino, ecco. Il Professore non si aspettava
mai
niente da me e, quelle rare volte che riusciva a battermi nei nostri
giochi, ricevevo comunque la ricompensa che avrei ottenuto in caso di
vittoria, così da non farmi sentire un fallito. Ricordo che
quando entrava per quella porta le mie ansie sparivano e il mio stomaco
si spalancava. Quando succedeva, trangugiavo tanto di quel cibo
arretrato che non sapevo come facessi a stiparlo tutto in quel
minuscolo sacchetto. Rimembro il suo sguardo preoccupato, mentre
osservava quello spettacolo: lo sapeva che non mangiavo da
giorni… Conosceva il motivo di quelle cicatrici, di quei
lividi,
di quei bozzi sulle braccia. Non glielo ho mai detto, ma percepivo i
suoi occhi studiosi scrutarmi e la preoccupazione nel suo animo.
Sebbene cercasse di non coinvolgermi nei suoi pensieri, io sentivo la
rabbia pervadere tutto il corpo. Tante volte ho udito le furibonde
litigate con mio padre, rannicchiato nel mio letto con un cuscino a
coprirmi le orecchie. Chiudevo gli occhi e cercavo di trattenere le
lacrime di paura che, ostinate, volevano uscirmi dagli occhi. Non
volevo piangere, se Hojo fosse entrato in quel momento mi avrebbe
punito; ma la mia più grande paura non era ricevere
l’ennesima punizione, bensì udire uno sparo. Quel
vecchio
pazzo non era la prima volta che freddava qualcuno con la pistola che
teneva nascosta nel camice. Non ne ero mai stato testimone, ma era
questa la voce che girava tra gli assistenti. Avevo il terrore che mio
padre avrebbe fatto del male al Professore. E per cosa? Per qualche
livido? I lividi e le ferite guariscono, la morte no. Perché
rischiare per delle sciocchezze del genere? Ricordo che stringevo il
cuscino e mi arrabbiavo col Professore: non volevo che perdesse del
tempo a discutere con quel muro; desideravo che quel tempo lo passasse
assieme a me. Per questo che le volte dopo, quando lo vedevo arrivare,
cercavo di vestirmi con maglioni due taglie più grandi. Non
volevo che vedesse il mio corpo straziato e, durante i pasti, cercavo
di resistere ai morsi della fame, piluccando porzioni decenti dalle
portate sul tavolo. Ma, era tutto inutile. Il Professore era troppo
furbo e capiva che dall’ultima discussione non era cambiato
assolutamente niente. Le litigate si fecero più furibonde,
finché il Professore non venne più. Quando chiesi
il
motivo a mio padre, mi disse queste esatte parole: “Il
suo lavoro di testare le tue abilità è finito.
Sei diventato troppo in gamba per lui. Non che ci volesse molto.” Poche, lapidarie
frasi pronunciate con malcelato disprezzo mi rimbombano ancora nella
mente.
Ricordo una rabbia enorme eruttare dai flussi più profondi
della
delusione e per poco non strappai la stoffa del divano a cui le mie
dita si erano artigliate. Lui mi dava le spalle, ma sapevo che godeva
come un maiale. Avrei voluto piangere, ma l’ira spaventosa
che mi
cresceva in corpo non mi permetteva di provare nessun altro sentimento,
se non un senso nauseante di odio della migliore qualità.
Ogni
cosa si offuscò e uno stridio trafisse la mia mente,
stordendomi. Ricordo che la mia vista si distorse e poi
diventò
tutto nero. Quello fu il primo incontro con la bestia che alberga in
me. Quando mi svegliai, mi dissero che ero rimasto in coma per quattro
giorni. Il mio cervello si era difeso spegnendosi. Per la prima volta
nella mia vita, vidi mio padre seriamente preoccupato per me. Era
accanto al mio capezzale quando mi ridestai, e ci rimase
finché
non mi ripresi. Ricordo come il suo comportamento cambiò
radicalmente: mi stava sempre accanto e non era spiacevole; anzi, ci
cimentavamo in brevi, ma combattute chiacchierate e giocavamo a scacchi
o a carte per intrattenerci nelle lunghe ore di degenza. Ovviamente non
si è mai lasciato andare a moine e tenerezze, ma comunque
avevamo un rapporto più profondo del semplice
scienziato-oggetto
di ricerca. Sebbene ci fosse una certa tensione tra noi, i momenti
insieme non erano malvagi; anzi, ogni tanto ci scappava anche un
sorriso timido. Nel gioco e nel parlare, Hojo era un osso duro, una
sfida degna di nota e aveva una mente davvero brillante. Era divertente
confrontarsi con lui, perché quando si entrava nel vivo
della
situazione si dimenticava con chi avesse a che fare e mi parlava come
se dialogasse con una persona qualunque. Appresi molto del suo pensiero
e registrai ciò che c’era di buono nei suoi
consigli. Le
mie capacità con le parole le appresi proprio quel giorno.
Insomma, fu un’esperienza illuminante e piacevole. Per quanto
fosse strano, m’illusi che, forse, c’era una minima
possibilità di ricominciare da capo quel rapporto
padre-figlio
che ho disperatamente ricercato nel vecchio. Forse il Professore non mi
sarebbe mancato. Ma come spesso accade, le mie aspettative vanno sempre
in frantumi. Avrei dovuto immaginarlo che tutti quegli stimoli ludici
erano per controllare che lo shock non avesse compromesso le mie
facoltà mentali. Quanto fui stupido a credere che lui fosse
capace di agire senza un fine! Nonostante la delusione, tuttavia, il
ricordo di quel breve momento lo serbo gelosamente nel cuore,
nell’incrollabile speranza che un giorno la situazione possa
cambiare. Sarà dura lavare via l’odio profondo che
la sua
persona ieratica e nervosa mi suscita ad ogni incontro, ma sono pronto
a perdonarlo. Voglio credere che, in un modo distorto e ottuso, quello
che mi ha fatto sia stato spinto dal desiderio di donarmi una vita
migliore della sua, approfittando della sua posizione di luminare e
della richiesta di SOLDIER della compagnia. Mi sto autoconvincendo del fatto che mio padre volesse che fossi il migliore. Quale genitore non
desidererebbe crogiolarsi nella gloria del proprio figlio? Lui aveva le
conoscenze, le capacità , gli agganci… Chi non ne
avrebbe
approfittato?
Mi sto illudendo… Perché continuo a raccontarmi
bugie? Lo
conosco troppo bene. Nessun essere umano soprassederebbe sulla
sofferenza di un bambino. Io lo vedevo il suo disinteresse, il suo
distacco, il suo spaventoso sadismo… Lo vedo ancora oggi.
Ciò mi uccide. Io, che ho sacrificato gli anni
più belli
della mia vita, nascosto i miei interessi al mondo, represso TUTTI i
miei istinti, eseguito azioni terrificanti, non vedo fierezza nei tuoi
occhi… Perché mi devi ignorare così?
Sono
diventato il simbolo di una compagnia che sta dilaniando il Pianeta,
quello che tu desideravi che io diventassi, e ora non valgo
più
niente? Ora che il tuo lavoro è finito non sono
più tuo
figlio? Ritieni la Shin-Ra una famiglia in cui un ragazzo possa vivere?
Queste domande mi hanno fatto venire l’emicrania, oltre che
avermi scacciato la fame. L’ala di pollo che avevo piluccato
dal
piatto mi si sta rivoltando nello stomaco. Sono sfibrato, sia
fisicamente che mentalmente, ma il sonno non ha intenzione di
accogliermi. Ci sono così tanti pensieri che si convulsano
nella
mente e mi rattrista il fatto che, partendo da un pensiero positivo,
arrivo sempre a sprofondare nella miseria della mia infanzia. Non
faccio altro che guardarmi indietro, quando so bene che dovrei puntare
verso il futuro. Neanche pochi mesi fa, non vedevo altro che un
infinito abisso davanti ai piedi, quando, voltandomi, vedevo tante
piccole fievoli luci rappresentanti i pochi momenti gioiosi; ma, ora,
la luce brillante che intravedo alla fine del baratro mi attira e
m’induce ad avanzare.
Sono restio a proseguire, però. Per quanto curioso
d’intraprendere l’esperienza
dell’amicizia, un
terribile presentimento mi blocca. Sento che c’è
qualcosa
di distorto e oscuro nascosto sotto tutto quel brillio. Non voglio
cadere in preda ad una nuova illusione. Il mio cuore è
saturo di
vivere di false speranze, tanto saturo da essersi indurito fino a
diventare di pietra: forse è per questo che fatico a fidarmi
del
tutto di Genesis e Angeal. L’essere umano mi ha sempre
sfruttato
per i suoi scopi e, per quanto possano sembrare innocenti i due
ragazzi, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che stiano
facendo leva su di me per raggiungere le alte cariche del comando. Mi
sento terribilmente in colpa ad avere questi pensieri, ma…
da
quando ho rischiato di morire per colpa di un traditore, ho perso la
poca fiducia che riserbavo per ogni mio compagno. Successe tutto quando
avevo sedici anni, ero in missione a Corel per trafugare degli
importanti documenti da una filiale della Corel Enterprises, la
principale rivale di allora della Shin-Ra. Eravamo uno sparuto gruppo
di uomini, capitanati da un SOLDIER di Prima. Lui era un wutaniano che
era riuscito a fare carriera tra le fila dell’esercito e,
nonostante i lievi attriti tra Midgar e Wutai, non sembrava
importarsene della politica dei due Paesi, ma solo di combattere. Era
un uomo incredibile e mi aveva preso sotto la sua ala protettrice,
aiutandomi ad affinare l’arte della katana e a controllare i
miei
istinti sanguinari. Lo vedevo come un maestro e aveva la mia totale
fiducia. La missione riuscì benissimo e il piano di fuga era
quello di separarci: lui sarebbe scappato con l'obiettivo per
consegnarlo ai Turk d'appoggio, mentre io e il resto degli uomini
avrebbe depistato i nemici, fungendo da esca. La sera prima, studiai la
mappa dell'edificio che lui mi aveva consegnato e mi basai su quella
per guidare gli uomini all'esterno attraverso la via più
veloce.
NOn sapevo, però, che quella mappa era falsa e che ci
avrebbe
condotto dritti dritti ad un vicolo cieco. Quando capì cosa
stava succedendo
fu troppo tardi: il palazzo esplose, crollandoci addosso. Non seppi mai
come, ma riuscii a sopravvivere dalle pesanti macerie che gravano su di
me. Nessuno dei miei compagni si salvò. Spinto dalla forza
della
disperazione, mi scavai un varco verso la superficie, da cui spuntai
più morto che vivo. Con la polvere di calcinaccio che
m’impediva di respirare, lasciai fare all’istinto e
mi
trascinai lontano da quella desolazione. Non so come feci a raggiungere
la periferia della città, ma so solo che la sorte volle
farmelo
incontrare. Avevo perso l'orientamento, quindi, credendo di essere al
sicuro, gli urlai
aiuto. Non scorderò mai il suo sguardo sbalordito nel
vedermi
ancora vivo. Crollai contro un muro e tesi la mano verso di lui. Mi
fidavo, credevo mi avrebbe salvato. Ma poi degli uomini apparirono
dalla nebbia. Vidi i documenti che avevamo trafugato nelle loro mani. E
capii. Ero troppo provato per reagire. Fu così che quel
SOLDIER
mi trafisse lo stomaco. Un colpo, secco, preciso di katana. Una lunga
katana. La stessa katana che gli mozzò la testa quando lo
andai
a cercare per vendicarmi. La stessa katana che ora sta mettendo a ferro
e fuoco l’intero Wutai. La mia fida Masamune… Fin
dal
primo momento che la impugnai percepii un legame mistico stringersi tra
l’anima e l’acciaio. Col tempo è
diventata il
prolungamento del mio braccio e senza di lei mi sentirei…
vuoto.
Per quanto possa sembrare assurdo, ho un’infatuazione
ossessiva
per la mia spada, poiché mi prendo cura morbosamente di ogni
suo
singolo pezzo, anche il più insignificante. Il suo acciaio
è uno dei migliori che abbia mai avuto l’onore di
maneggiare. Spero che questa guerra mi aiuti a comprendere di
più dell’antico mondo dei samurai. Il suo
precedente
padrone discendeva da un’antica stirpe di signori della
guerra
del Wutai occidentale, la quale è andata a disperdersi dopo
la
caduta del governo feudale. La Masamune è l’unica
testimone di quei tempi. La storia e la cultura di Wutai mi affascinano
immensamente e trovarmi qui mi mette addosso una certa eccitazione.
Sono impaziente di terminare il mio piano di assedio alla
città
di Garyo. In soli due mesi siamo riusciti a conquistare una buna fetta
della costa e in molte cittadine siamo riusciti a costruire della basi
operative stabili, dove molti plotoni dell’esercito regolare
e
membri dell’Intelligence hanno stanziato i loro GQ. Noi
SOLDIER,
invece, siamo ancora dei vagabondi, poiché ci spostiamo di
villaggio in villaggio con un duplice obiettivo: stanare cellule
ribelli potenzialmente pericolose e creare una testa di ponte con una
delle città dell’entroterra. E’,
inoltre,
indispensabile cominciare a incidere pesantemente sul morale nemico,
prendendo possesso dei punti strategici del potere e della cultura del
Paese. Il mio obiettivo è colpire dritto al cuore,
perché, se c’è una cosa che ho imparato
nella mia
lunga carriera di stratega, niente incide più sul morale di
una
truppa di una perdita d’identità. Per questo ho
messo gli
occhi su Garyo. Essa è la sede culturale di tutto il Wutai,
assieme ai centri di Dashiro e Meijin. Colpiremo il triangolo della
tradizione wuataiana, fiaccando le loro forze e le loro speranze.
Triangolo. Tre angoli. Tre reggimenti, capeggiati da tre capitani. Uno
di essi sarò io e m’impossesserò di
Garyo e della
sua biblioteca di antichi testi Wutai. Sto già iniziando a
studiare la loro grammatica e gli ideogrammi per prepararmi al momento
in cui avrò quei tesori tra le mani. Sono impaziente di
sapere
di più su questo mondo segreto. Può sembrare
sacrilego,
ma sono così affascinato dal loro attaccamento a queste
tradizioni rimaste tali da tempi antichi; le sfoggiano con una tale
fierezza che è impossibile non innamorarsi. Inoltre, la
guerra
non solo cancella le vite, ma anche ciò a cui sono
correlate. La
nostra avanzata è cadenzata dal progresso. I piccolo
villaggi di
pescatori e contadini diventeranno periferie di metropoli di mako; le
foreste lasceranno il posto al deserto; le montagne innevate
all’acciaio dei reattori; le casupole di riso ai grattacieli.
La
Shin-Ra devasterà questa terra e io ne sono responsabile. IO
guido questo scempio. Quel che è peggio mi rendo conto delle
conseguenze delle mie azioni, tuttavia continuo nel mio efficiente
operato. Mi odio da
morire.
Per questo motivo cerco di dilavare parte del senso di colpa,
trafugando tesori della loro cultura. Voglio preservarli dalla
distruzione e nasconderli nella mia collezione privata; poi, quando
morirò, riconsegnare il maltolto al legittimo proprietario.
Gli altri due Comandanti s’identificheranno , quando saranno
pronti, nelle persone di Angeal e Genesis. Loro non lo sanno, ma li sto
addestrando per diventare degli ufficiali di alto rango e, sinora,
stanno dimostrando un talento spiccato per questo ruolo. Entrambi sanno
farsi rispettare e raramente si lasciano andare alle emozioni,
mantenendo il ritegno e la freddezza richiesti dal comando. Sono ancora
acerbi, però sto lavorando intensamente sulla loro
preparazione
psicologica, spesso in modo a dir poco brutale. Vorrei pianificare una
preparazione meno traumatica, ma il tempo a mia disposizione sta
finendo. Sto cercando di ritardare gli attacchi principali il
più possibile, sviando l’attenzione su obiettivi
secondari
non necessari; tuttavia la penuria di uomini sta diventando sempre
più incalzante. I Wutai non immaginano nemmeno cosa ho in
serbo
per loro, però combattono come se non ci fosse un domani per
ogni singolo straccio di terra. Richiedo rinforzi quasi tutti i mesi e
il Presidente non intende pazientare oltre. Per quanto mi secchi,
dovrò rischiare. Rischiare la vita dei miei amici e degli
uomini
a loro affidati. DEVO fidarmi, per quanto mi sia duro ammettere.
Ho studiato intensamente le reazioni dei due soldati e ho notato che
Angeal è molto più pragmatico e razionale di
Genesis, il
quale tende ad agire d’istinto e abbandonarsi in massacri
sanguinari spesso inutili. Prende tutto come un gioco e si crogiola nel
divino gesto dell’omicidio. Questa vena sadica mi preoccupa,
sebbene ci abbia lavorato parecchio per smorzarla almeno un
po’.
Capisco cosa prova, la stessa frenesia s’impossessa della mia
mente, però c’è un limite a tutto e non
concepisco
che un ufficiale si conceda tali, sanguinose libertà. DEVE
assolutamente imparare a controllarsi, con le buone o con le cattive io
riuscirò a domare quella bestia che si cela nel suo animo.
Non
sarà un lavoro facile, poiché ciò che
più
mi disturba è il fatto che si vanti di questa
caratteristica,
accumunandola erroneamente ad un indice di onnipotenza. Ha una
coscienza così infima da non riuscire a provare
pietà per
un bambino che piange sul corpo martoriato e violentato della madre?
Sembra quasi che non abbia un cuore. Lui mi dà
dell’ipocrita quando glielo faccio notare, rinfacciandomi il
fatto che nemmeno io mi scompongo di fronte a scene cotali. Ah, se solo
sapesse la verità… E’ solo grazie ad
Angeal che
riacquista un po’ di buonsenso. Spero che la consapevolezza
di
essere responsabile della vita di migliaia di soldati freni quegli
istinti spaventosi e non si abbandoni all’ebrezza del
comando.
Sarà solo a combattere contro questa voglia di sangue. Prego
che
non usi i miei uomini per compiere orrori di ogni tipo e che le
schermaglie a cui ha partecipato lo ispirino ad una condotta retta.
E’ la mia testa che andrà al rogo per gli orrori
commessi
in guerra, quindi gli conviene comportarsi bene; altrimenti gli
farò comprendere meglio il significato della parola TERRORE.
Comunque, per non correre rischi gli sarà affidata la
città meno importante del triangolo: Meijin. E’
quella
più industrializzata, ci saranno meno oggetti di legno da
bruciare e meno abitanti su cui infierire.
Pensare alle battaglie ha riaperto la bocca stomaco. Il pollo si
è raffreddato, ma non importa, ora come ora mangerei anche
una
carcassa. Mi sovviene ora che è parecchio che non faccio un
pasto decente: meglio approfittare del momento propizio. La luna alta
nel cielo notturno è testimone di questo piccolo miracolo e
mi
regala la bellezza della sua luce soffusa. Percepisco il mio animo
nutrirsi dello straordinario silenzio di questa notte libera dai
conflitti; mentre gli ultimi pensieri prendono forma sulla carta. Non
c’è niente di meglio che sentire il cuore leggero
e lo
stomaco pesante. E’ una situazione che mi è
capitato di
provare di rado.
Credo sia il momento di mettere al corrente dei miei piani i due
banoriani e indire un consiglio di guerra per domattina presto. Sono
davvero curioso di vedere le loro espressioni appena vedranno appuntati
sui loro petti i gradi di Second Class…
Salve a
tutti!!!!! Perdono,
perdono per il ritardo, ma gli esami e lo studio intensivi non lasciano
molto spazio alla fantasia (questi dannati capitoli
d’intermezzo!!! Uffa, Seph, quand’è che
combini
qualcosa di audace??). Comunque, sono viva e vegeta, anche se un
po’ esaurita, ma ci sono e sono presente a me stessa.
YEEEEEEEEEEEEEE. Alloooooora, cosa si può dire di questo
capitoletto? A Cloud stanno succedendo degli strani fatti mentali e,
forse, quel libro non è così innocente come
credeva il
buon Reeve. Speriamo non sia qualcosa di grave (SPERIAMO DI
Sì!
NOI VOGLIAMO SEPHIROTH!!!ndsephfan)! Anche i momenti tra vita e lettura
cominciano a mescolarsi, dando come l’impressione che ormai
il
biondo chokobo legga in modo quasi morboso le memorie del nemico. Come
si evolverà la cosa?
Nel mondo della cellulosa, invece, Sephiroth sembra quasi scombussolato
dalla ventata di novità, è indeciso se concedere
fiducia
ai cari Genesis e Angeal; oppure continuare nella sua triste
solitudine. I ricordi non conoscono requie e i traumi che
l’hanno
forgiato sembrano più un peso che un vantaggio in questo
tipo di
rapporti. Cosa deciderà è noto a tutti, ma
sarà un
passaggio così facile? Non ci resta che far lavorare il mio
cervellino e continuare nella lettura.
Faccio notare a tutti che le finestre temporali di dilateranno
parecchio, in quanto direi di aver parlato abbastanza del rapporto di
Seph con la guerra e poi vorrei arrivare in fretta ad un punto che non
vedo l’ora di scrivere e, per voi, di leggere. Sto smorzando
i
dettagli per renderlo più realistico possibile, spero di non
deludervi. Non assicuro che si tratti del prossimo capitolo, eh, quindi
trattenete l’entusiasmo! Io vi ho avvertito, non voglio
nessuno
sulla coscienza XD
Va bene, ho straparlato anche troppo e vi rubo un attimo del vostro
tempo per ringraziare l’empatica e dolcissima the one winged
angel
che non manca mai una recensione e la carissima e folle Manila, la
quale le mando un grosso in bocca al lupo per una tesi che la sta
facendo impazzire! Tieni duro, bella!!
Infine, ringrazio quei santi che leggono, ma apprezzano in silenzio!
GRAZIE!!!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 9 *** Fiducia angelica ***
Vincent non
smetterà mai di stupirmi. Per quanto la sua esperienza in
fatto di donne possa essere paragonabile alla mia, se non minore; non
so perché, ma riesce sempre a essere molto più
cavaliere di tutti i membri dell’AVALANCE messi assieme.
Anche se, devo dire, non che nella squadra vantiamo dei gran esempi di
galanteria. Personalmente, credo che sia un miracolo vero e proprio il
solo fatto che Cid sia riuscito a trovar moglie. Nulla da togliergli,
è un tipo divertente e simpatico, un buon amico; ma la sua
rudezza, spesso, può essere un forte deterrente per
qualsiasi tipo di rapporto. Gli sono amico da tanti anni, ma a volte i
suoi comportamenti mi fanno salire il sangue alla testa, tanto che mi
viene da prendergli la faccia spiaccicargliela contro la paratia della
sua aeronave. Shera è davvero una santa donna! Poi
c’è Barret… beh, lui ha sacrificato gli
anni della gioventù per combattere contro la Shin-Ra e,
quando avrebbe potuto rilassarsi, gli è capitato tra le mani
un piccolo dono dal cielo di nome Marlene. A quel punto, la bambina
è diventata l’unica donna della sua vita. Diciamo
che il grande uomo-mitragliatrice ha bruciato le tappe, arrivando
direttamente al ruolo di genitore. E poi ci sono io. IL disastro del
genere maschile, come piace chiamarmi Cid. Non ha tutti i torti, in
effetti, ma c’è da dire che praticamente la mia
adolescenza è andata a farsi benedire nel momento stesso che
ho messo piede tra le file dell’esercito Shin-Ra. Ero un
ragazzino all’epoca e non è che nelle camerate ci
fossero molte ragazze con cui far “pratica”.
Togliendo anche il fatto che sono sempre stato un tipo molto timido e
taciturno, era logisticamente impossibile avere a che fare con qualche
femmina che non avesse almeno il triplo degli anni
dell’età media dei soldati. Perfino Zack ha
fallito nell’intento di trovarmi una ragazza. E lui non era
tipo da farsi scoraggiare, ma ha capito ben presto che la mia testa era
dura quanto le montagne di Nibelhim. Sono certo che ora, vedendomi
finalmente quasi accasato, sia fiero di me. Me lo immagino sorridere,
quando io e Tifa ci rubiamo qualche bacio durante la giornata; o ci
scambiamo dolci effusioni accoccolati sul divano o nel letto. Mi scappa
da ridere al pensiero delle sue reazioni quando ci troviamo in
intimità… Spero vivamente che ci lasci un
po’ di privacy, almeno in quei momenti!
Comunque, pensieri scabrosi a parte, non credo di aver mai conosciuto
un tipo così diplomatico come può esserlo Vincent
in certi casi. E’ incredibile la sua capacità di
domare anche i caratteri più intrattabili. Tifa diventa una
belva quando si arrabbia e, spesso, mi fa più paura di mille
Jenova messe assieme. Lui non si lascia scoraggiare dalle terribili
sfuriate della ragazza, mantenendo il suo solito contegno. Non so
proprio da dove prenda quella pazienza. Io dopo poco trovo un modo per
defilarmi il più lontano possibile dagli strilli e dalle
accuse più o meno ingiuste. Probabilmente ci è
abituato: dopotutto non è impresa facile sopportare la corte
spietata di Yuffie, a meno che non si è in possesso di nervi
d’acciaio.
Fatto sta che mi ha stupito la capacità
dell’ex-Turk di quietare l’ira di Tifa, quando le
ha chiesto di perdonarmi. Sulle prime la ragazza non ne voleva proprio
sapere, accusandomi di fatti accaduti, ma solo nella sua mente gelosa.
Era stra-convinta che io avessi un’altra, dal momento che non
si spiegava il motivo del mio comportamento schivo o delle mie
permanenze in ufficio a orari assurdi. Credeva che le stessi
nascondendo chissà quali lettere d’amore. Certo,
non ne ho mai scritte in vita mia e comincio ora con
l’amante. Ah, donne…
Quando mi ha visto varcare la porta di casa mi ha lanciato una delle
sue occhiate agghiaccianti. Da quando abbiamo litigato ormai mi saluta
così tutte le volte che rientro nel suo campo visivo e,
sinceramente, dopo una giornata in giro a consegnare posta, non
è proprio quello che mi serve. Di tutta risposta me ne vado
in bagno, il tempo di una doccia, e poi esco a fare due passi, i quali
mi trasportano inequivocabilmente fuori Edge e l’unico a
tenermi compagnia è il diario del mio peggior nemico.
Paradossale!
Solo ora mi rendo conto della situazione creatosi, ovvero dopo aver
finalmente ammesso il mio errore. Era da un po’ di giorni che
percepivo una strana presenza accompagnare ogni mio passo, la quale mi
sussurrava ossessivamente nella mente di scappare lontano dalle
preoccupazioni; sentivo una mano delicata stringere la spalla appena il
pensiero del rapporto compromesso con Tifa mi schiacciava. Che
Sephiroth fosse lì a sostenermi? A indurmi a leggere le sue
memorie straziate per dimostrarmi che la vita può essere
infinitamente peggio? E’ davvero incredibile cosa mi sono
trovato a pensare in questo periodo! Senza contare il clou di oggi
pomeriggio, quando ho confessato di aver sbagliato. Di aver
malgiudicato. Lui. Quell’assassino, quel mostro! Ancora non
ci credo!
Dopo che Vincent se ne fu andato, lasciandomi di nuovo solo in quelle
lande verdi, ho letto un altro capitolo della SUA vita. Non avrei
dovuto farlo, ma… avevo un terribile senso di colpa che mi
attanagliava. Mi fa paura. Mi ero illuso di poterlo controllare, ma ho
la netta sensazione che stia accadendo il contrario. Questa percezione
la sento agitarsi fin dentro le viscere: SO che
c’è qualcosa in quel diario, però
è impossibile per me smettere di leggere. Sta diventando
un’ossessione, una droga di cui non posso fare più
a meno. Il solo pensiero di perderlo o che mi venga rubato mi uccide.
Ho paura…
Una paura terribile, come mai provata prima d’ora.
E’ strano. Ho affrontato la definizione stessa di terrore
un’infinità di volte; ormai dovrei saperlo di che
cosa si tratta... No, questa, questa è diversa. Mi induce a
continuare, ad andare contro il mio istinto, ad allontanarmi dagli
aiuti, dagli amici, dalla famiglia…
Un momento! In questi capitoli, Sephiroth ha denunciato paura e
sfiducia verso l’intero genere umano. Emozioni che lo hanno
portato ad allontanare chiunque e chiudersi nella sua corazza di
rimpianti! E se… e se questo libro mi stesse trasmettendo
piano piano quegli stessi pensieri, quelle stesse sensazioni che gli si
agitavano la mente mentre scriveva quelle righe? Ogni volta che giungo
alla fine di un capitolo rilevo un moto di profonda tristezza scuotermi
il corpo e il cervello, per poi sparire nell’oblio della vita
quotidiana.
No, è assurdo, mi sto autosuggestionando! Forse la mente sta
cercando un modo di motivare quell’ammissione sconvolgente,
propinandomi fatti assurdi e sovrannaturali. La parte meschina di me
non vuole accettare che quel mostro avesse un’anima. DEVE
credere che, in vita, avesse sofferto ogni dolore umanamente
concepibile e che, in quell’Inferno di infinito Male in cui
è stato confinato, il suo patema continuasse e continuasse
fino alla fine dei giorni. E’ questo che tutti gli abbiamo
augurato, quando lo abbiamo visto scomparire nelle viscere del Cratere
Nord.
Ma allora perché mi sento così male? Ogni volta
che ho questi pensieri sento delle stilettate dritte al cuore, mentre
la coscienza rimorde. Rimango a guardare vuotamente quelle pagine
ingiallite, quella copertina consunta, quella calligrafia sanguinante;
il cui insieme compone quel piccolo mondo fragile, e migliaia di
domande mi sovvengono, affogando qualunque altra idea.
Cos’altro vuoi
da me? Cos’è che vuoi farmi sapere? Cosa hai
nascosto nei recessi del tuo cuore di ghiaccio?
Troppe, troppe domande, tanto da farmi sperare in un suo ritorno per
trovare le risposte che ossessivamente sto andando a cercare.
Solo ora mi è venuto in mente che abbiamo usato mille modi
per ucciderlo, ma nessuno per salvarlo. Nessuno di noi ha mai pensato
di fermarsi un attimo e capire il motivo del suo comportamento folle.
Nessuno si è mai chiesto da dove scaturisse tutto
quell’odio.
Quando lo affrontai la prima volta non feci domande, andai
all’attacco, guidato dall’astio e dalla vendetta,
senza ancora sapere cosa v’era stato tra lui e Aerith. Se
quest’ultima fu come una sorellina per Sephiroth, come ha
potuto arrivare a tanto? Cosa lo ha guidò verso questo gesto
estremo? E se fosse stato tutto programmato fin dall’inizio?
Se fosse stata Aerith stessa a volere quella morte per mano
dell’Angelo dalla Sola Ala?
Scuoto la testa e mi massaggio la fronte. No, non ha senso. Mi rifiuto
di credere che il burattinaio fosse LEI. Lei… La prima donna
che avessi mai amato… mi ha manipolato per la salvezza di un
altro. Inconcepibile. Ormai non so più che cosa
pensare… Illazioni, teorie assurde quanto insensate, lui,
lei…
Nella testa ho un vortice confusionario che mi toglie il sonno. Nemmeno
la vista di Tifa che dorme lieta e tranquilla accanto me è
in grado di tergere le mie preoccupazioni. Una volta mi piaceva
guardarla dormire, così bella e distesa; però
ora… Quella donna misteriosa. Non posso fare a meno di
vedere quel fantasma sdraiato accanto a me. Mi è capitato
varie volte nei giorni scorsi, ma non me ne sono mai preoccupato. Ora
che mi sono accorto degli effetti provocati dalla lettura di quelle
memorie, ho ancora più paura di perdere il MIO angelo. Vedo
un’altra donna al posto della mora e, quel che peggio, mi
sento di amare quella figura misteriosa più di ogni altra
cosa. Quella foto è ciò che più mi
ossessiona. Sta diventando il mio chiodo fisso. Se davvero quel diario
mi sta trasmettendo le sensazioni di Sephiroth, ho paura di sapere cosa
mi succederà quando arriverò a conoscerne
l’identità, dal momento che solo una semplice foto
dal soggetto ignoto mi sta facendo impazzire.
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Oggi è il compleanno di Marlene. E’ già
da un po’ di giorni che noi e i ragazzi
dell’AVALANCE stiamo organizzando i preparativi per una festa
a sorpresa. L’idea è scaturita da Barret, il quale
ha sfoderato per l’occasione il suo lato femminile e materno,
coinvolgendoci – o meglio costringendoci – a
realizzare la sua utopia dannatamente adorabile. Almeno a detta delle
ragazze. A quanto pare il pensiero di addobbare il bar con pizzo e raso
rosa ha un certo ascendente su di loro; il quale ha scatenato una
cascata di idee spaventose, una più terrificante delle
altre. Noi maschietti eravamo allibiti quando ci hanno spedito a
cercare tutte quelle idiozie in giro per Edge. Tutti, tranne Barret,
poiché egli è rimasto con le altre a confabulare
sulla disposizione e l’organizzazione della festa. Grazie al
cielo! Non ne potevo più di ascoltare quei discorsi
così zuccherosi. Devo aggiungere, inoltre, che mi fa un
certo effetto vedere un omone grande e grosso con una mitragliatrice al
posto della mano destra parlottare di nastri rosa e servizi da
tè per bambine. Comunque, sono felice di fare qualcosa per
lei, dopo tutto quello che le abbiamo fatto passare io e Tifa. Anzi,
è inutile che continuo coinvolgere la mora: la colpa
è tutta mia. Leggere quel diario è stato un
errore su tutta la linea, ma, in un senso distorto e malato, sono grato
di aver compreso parte del pensiero e della vita che è stato
costretto a passare Sephiroth. L’aspetto che mi ha colpito di
più è quella fragilità umana che
nessun giornale gli ha mai attribuito. Saperlo in fin di vita,
appoggiato ad un muro di un sobborgo malfamato di Corel, in una pozza
di sangue denso, il respiro rantolato, gli occhi raggelati dalla
certezza della fine… Insomma, mi è difficile
immaginarlo in quello stato pietoso, dopo averlo visto morire tre volte
senza nemmeno battere ciglio.
Quattordici anni: così giovane e già non aveva
paura di uccidere.
Sedici anni: così giovane e già aveva assaporato
il freddo metallo di una lama che dilania la carne.
Nel suo cuore non c’era già più nulla.
Solo oscenità e disperazione. Nessuno lo accettava, nessuno
voleva essergli amico, tutti lo usavano. Ha vissuto in quella
realtà dove cinismo ed egoismo erano l’ordine del
giorno. Tutti mangiavano su tutti pur di ottenere una fetta di spazio
vitale. E lui… lui era l’ago di quella bilancia.
Troppo forte per sprofondare, ma non abbastanza per scappare. Un
fardello pesantissimo.
Come ha fatto a
resistere così a lungo?
Non riesco a immaginarmi una vita del genere, con la paura costante di
essere pugnalato alle spalle dalla prima persona a cui si ha la decenza
di donare un po’ di fiducia. E per che cosa poi? Per i soldi?
Per degli ideali non tuoi? Durante il dominio Shin-Ra, la vita aveva
perso ogni ragione d’essere, il suo valore era crollato,
sostituita da ideali fittizi e vuoti. Eppure, lui, in tutto questo, ha
conservato quella speranza un po’ ingenua nei confronti del
mondo marcio in cui è cresciuto; nonostante esso gli abbia
sempre dimostrato che al peggio non c’era mai fine. Lo ammiro
per questo.
Non poteva fidarsi di
nessuno.
Ciò che mi fa rabbia, è il fatto che riserbasse
quella fiducia sfibrata in un’utopia irraggiungibile, un
sogno irrealizzabile, una realtà impossibile: perdonare
Hojo. Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?
Perché saresti pronto a delegittimare il tuo giusto odio per
l’uomo che più ti ha sfruttato per i suoi luridi
scopi? Per quello stesso uomo che ti ha privato della
dignità e della felicità? Per quel padre che non
ti ha mai amato?
Perché?
Perché lo avresti fatto?
La sua disperata ricerca di un legame, di qualcuno con cui condividere
il pesante fardello che la vita ha messo sulle sue forti spalle, doveva
averlo portato a sperare di trovare la luce là dove non ce
ne era nemmeno un fotone. Spesso mi fermo a riflettere sul Destino. Se
dicessi di non crederci, mentirei; ho questa convinzione riguardo il
fatto che ogni cosa non accade per puro caso. E Sephiroth ne
è l’esempio più eclatante. Sembra quasi
che non avesse altro Fato se non quello della solitudine; pare che
questa vita grama e vuota fosse stata scritta esattamente per lui.
Perché? Il motivo di cui mi sto pian piano convincendo
è questo: lui era il più forte di tutti noi, dal
momento che ha sopportato dolori e traumi che avrebbero schiacciato
qualunque normale essere umano; è andato avanti,
meraviglioso e superbo come un lupo solitario, superando ostacoli e
muri invalicabili; testardamente, ogni giorno, ha resistito ai colpi
con cui la vita gli sferzava la pelle lattea.
Lui é un angelo, anzi, l’Angelo maledetto dalla
Sola Ala. Non so per quale punizione, ma credo che gli abbia valso il
Paradiso. La sola ala rimasta mutò; quelle candide piume si macchiarono
di oscura pece a causa del dolore e dell’odio con cui
fu a contatto ogni giorno la sua anima pura.
Quest’ultima si appesantì di fiducia e speranza, fardelli
inutili in un mondo straziato. Non poteva volare,
l’umanità lo teneva inchiodato qui, impedendogli di
scappare. E quando avrebbe potuto andarsene, il Paradiso non
lo volle. Troppo sovraumano per i mortali, troppo umano
per i divini. Lui non era né carne, né
pesce. Non avrebbe mai trovato il suo posto nel mondo, se non tra gli
istinti più cruenti e basali dell’esistenza.
Questa era la sua punizione: l’unicità.
Comprendo ora l’incredibile solitudine che lo accompagnava ad
ogni passo. Mi guardo attorno, nelle vie gremite di un tranquillo
sabato pomeriggio a Edge, e vedo tante famiglie felici passeggiare tra
i negozi ad assaporare la fantastica sensazione di libertà
dall’oppressione e dal terrore costituiti dalla Shin-Ra e
tutti i suoi loschi segreti. Alcuni bambini si fermano e mi indicano,
altri mi sorridono e mi ringraziano con gli occhi. Ho salvato loro la
vita e ne sono fiero di questo. Qui, in questo sobborgo in espansione,
siamo tutti una grande famiglia; ognuno aiuta gli altri a costruire una
casa o avviare un’attività. Sanno di essere la
sicuro, perché sono certi del fatto che io e i miei amici
siamo lì a vegliare su di loro.
Midgar era diversa: non era una famiglia, ma solo una
matassa di migliaia di vite arrovellate e contorte che si snodavano in
ogni angolo della città. Esse succhiavano
l’essenza vitale del Pianeta come una piaga e lottavano
simili alle carogne per prevalere l’una sull’altra.
Tante piccole formiche che si uccidevano per miseri tozzi di pane. E
Sephiroth? Lui era un’ombra invisibile che fluiva tra quelle
esistenze, in silenzio, lambendo con un delicato tocco quella
realtà che non gli apparteneva. Tergeva gli animi delle
persone che credevano in lui, con falsi sogni e aspettative,
uccidendoli lentamente con piccole dosi di veleno. Non era quello che
voleva, ma era la Shin-Ra che gli macchiava le mani e non poteva far
altro dispensare morte là dove egli desiderava ci fosse la
vita.
Ricordo che LUI non si vedeva mai passeggiare tra la gente. Mai avevo
sentito che frequentasse la losca vita mondana della borghesia del
Settore 1. Quando non lo si vedeva in giro per il Piano SOLDIER era
recluso in qualche angolo recondito del globo. Lui, per i giornali di
gossip, era un autentico incubo. Difendeva la sua privacy con tutto se
stesso, tanto da riuscire a nascondere al mondo intero un suo
coinvolgimento amoroso. Scelta azzeccata, se si tiene conto delle
ripercussioni sulla guerra: di certo un fidanzamento tra un SOLDIER e
una wutaiana avrebbe delegittimato la campagna di terrore che Midgar
cercava d’imprimere nei confronti di Wutai. Ma quando
s’innamorò non credo che si preoccupò
dell’immagine della compagnia, ma più che altro a
voler proteggere la donna che amava.
Sono davvero curioso di apprende di più su quel rapporto
segreto; anche se ho la netta sensazione di esserne a conoscenza. In
quei momenti d’incoscienza , dove la mente non è
in grado di distinguere il sogno dalla realtà, quando mi
avvicino alla donna che amo; mi pare quasi di sentire una presenza
sorridere nei recessi del mio cuore. Una curiosa aura di amore mi
avvolge e mi induce a desiderare la mia Tifa più di ogni
altra cosa. E’ come se la stessi amando…
doppiamente. Non so, è una sensazione strana.
Io credo che Sephiroth abbia amato quella donna misteriosa
più della sua stessa esistenza. Non posso a fare a meno di
pensare che lei lo abbia aiutato a risalire da quell’abisso
profondo scavato negli anni. Sono sinceramente felice per loro. Anche
se non riesco proprio ad immaginarmi che tipo di donna potesse aver
attratto come una mosca sul miele un tipo distaccato e freddo come
Sephiroth. E’ una ragazza bellissima, impossibile non venirne
attratti, ma lui ha confessato di non desiderare solo un rapporto
fisico: voleva di più. Un rapporto molto più
profondo, un legame che si può costruire solo con la
compagna per la vita. E se lei riuscì a intrufolarsi tra le
pagine della sua memoria attraverso una semplice foto, per forza doveva aver
conquistato il suo cuore e non solo i suoi istinti. Non vi è
altra spiegazione.
Ma che genere di donna
può sciogliere un cuore di pietra?
-Cloud!-
Una voce mi richiama alla realtà con decisamente poco tatto.
Mi sono accorto solo ora di trovarmi davanti ad una vetrina, impalato
come uno stoccafisso a guardarne vuotamente il contenuto. Rivolgo la
mia attenzione verso il proprietario di quel richiamo e scopro che si
tratta di Cid.
-Tutto bene, Spikey? Da quando i negozi da donna sono così
interessanti?-
Lo guardo senza capire per poi seguire il suo sguardo eloquente verso
quel vetro. Mi accorgo, in effetti, che si tratta di un negozio
d’abbigliamento femminile. Il preferito di Tifa tra
l’altro. Un’idea mi balena per la testa. Sorrido. Perché no, in fondo?
-Stavo pensando che quel vestito non starebbe male addosso a Tifa.-
Il pilota non sembra dello stesso avviso, a giudicare dal sopracciglio
alzato e da come maciulla lo stuzzicadenti tra le mascelle.
-Ho detto qualcosa che non va?-, a volte i ragionamenti di Cid mi
sfuggono. Cosa posso
aver detto di sbagliato?
-Sei proprio un disastro…-, sentenzia, infine, afferrando il
ponte del naso.
La mia faccia è un enorme punto interrogativo. Vedendomi in
balia di una crisi esistenziale, Cid si avvicina e mi prende
sottobraccio, dondolandomi come se fossi un bambinetto ingenuo. Forse
è così.
-Cloud, Cloud, Cloud… Possibile che ancora non hai imparato
gli insegnamenti dello zio Cid?-
Mi si gela il sangue nelle vene: questa frase non presagisce mai nulla
di buono, ma quando si appella allo “zio Cid” la
tragedia è assicurata. Sotto al suo braccio villoso non mi
sento per niente sicuro, vorrei scappare il più lontano
possibile…
-Quante volte ti devo dire e ripetere che non si regala nulla di
coprente alla propria donna?! Un vestito se lo comprano da sole. Cosa
credi che serva loro uscire in massa a litigare per quattro straccetti
che noi maschi non noteremo mai? Togliamo anche il fatto che
è un sacrilegio vestire Tifa-, E te pareva? A
volte credo che si faccia delle fantasie non proprio caste sulla mia
ragazza. Chissà
come la prenderebbe Shera se lo sapesse?-, ma
c’è una regola fondamentale da osservare SEMPRE:
loro, in realtà, sai che cosa vogliono?-
Ho paura di scoprirlo e la pausa d’effetto di Cid non
presagisce nulla di buono,
- Vogliono essere viste come delle por…-
Smetto di ascoltare e sbuffo mentalmente. Ecco la classica circostanza
in cui lo prenderei a calci da qui fino a Corel. Odio quando mi tratta
come un ritardato; senza contare che certi suoi discorsi riguardanti le
donne sono davvero da Paleolitico! E non mi va che paragoni la mia
ragazza a come ha appena definito il genere femminile in toto. Mi fa
salire il sangue alla testa. Sento i muscoli irrigidirsi e pugni
chiudersi. Un’incontenibile voglia di fracassargli il naso mi
pervade pericolosamente. Non odo più alcun suono attorno a
me, se non la sua voce lontana e ovattata, ma ancora abbastanza limpida
da carpirne il discorso. Un ragionamento terribilmente maschilista,
odioso, snervante. So che probabilmente sta scherzando, ma non posso
fare a meno di detestarlo.
-…e quindi, Cloud, un bel completo intimo di lattice
è quello che ci vuole per far sentire Tifa una VERA donna.
Eheh.-
-NO!- , sbotto fuori di me.
Mi divincolo dalla sua presa e gliela ritorco contro, inducendolo a piegarsi davanti a me con il braccio torto in modo quasi innaturale.
Cid si lascia scappare un gemito.
-Ma che fai? AH! Lasciami!-
Fermo Cloud.
-Non ti permettere mai più di riferirti a Tifa in quel modo!
Lei è una brava ragazza e quello che accade tra noi tra le
mura domestiche non è affar tuo!-
Lo sento lottare contro la torsione, ma io rincaro la dose e sibilo un
agghiacciante “Chiaro?”
-S-sì… Ora lasciami!-
Esito davanti alla sua sofferente richiesta: una strana sensazione di
sadico potere mi incita a spezzargli il braccio e, per un solo
minuscolo istante, mi lascio quasi trasportare.
FERMATI CLOUD!
Riprendo il controllo e libero il braccio del pilota.
Quest’ultimo cade in ginocchio e alza lo sguardo stupito
verso di me. Ci guardiamo per un attimo, in un silenzio pieno di
tensione. Ansimo. Ma
che mi è preso?
Inaspettatamente, il Capitano sbotta in una risata sguainata, la quale
mi lascia di sasso.
-Ahahahahahah! Bravo, ragazzo! Era ora che qualcosa entrasse in quella
testaccia! Ahahahahahahahah!-
Io lo osservo rialzarsi. La sua espressione divertita stona in modo
impressionate con i grossi segni rossi che la pressione da me
esercitata ha lasciato sull’arto muscoloso. Sono sconvolto,
ma lui non sembra notare il mio turbamento.
-Rilassati, ragazzo, con un duro così al suo fianco, la tua
ragazza non ha nulla di cui preoccuparsi. Su, riprendiamo la ricerca di
quei *!@§ di nastrini.-
Lo osservo imbambolato andarsene fischiettando per le vie di Edge con
il suo passo rilassato e le mani in tasca. Niente in lui tradisce un
minimo turbamento. Che il suo intento fosse sempre stato quello di
indurmi ad assalirlo?
-Sai-, mi dice, voltandosi, senza smettere di camminare,- per un
momento ho davvero pensato che mi stessi per spezzare il braccio.-
Anch’io.
Anch’io l’ho creduto. Per un terribile istante.
-Ma non è accaduto, dimostrandomi che sei in grado di
reggere la tentazione. So che Tifa può contare su di te.-
Senza dire nient’altro, volta l’angolo e sparisce.
Un brivido di terrore mi sale lungo la spina dorsale: che sappia? No,
impossibile, Vincent non oserebbe mai tradire la mia fiducia.
O sì?
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
2 Giugno XXXX
Sono fuori di me. Un
fuoco mi sta consumando dall’interno e stento appena a
scrivere in modo comprensibile, poiché ho
un’irresistibile voglia di fare a pezzi tutto, qualunque cosa
mi capiti a tiro. Ho già buttato all’aria il
tavolo strategico, rovesciando sul pavimento mappe e pedine.
E’ un disastro che non ha fatto altro che gettare benzina sul
fuoco. La stanza è uno sfacelo ed è un miracolo
che si tenga ancora in piedi, tanto questi muri di carta di riso sono fragili. Dopo essermi fermato un attimo, ho
realizzato che facendo a pezzi il luogo dove dormo – si fa
per dire- e lavoro non è un’idea di cui andare
fiero. Grazie al cielo sono in possesso di questo diario, il quale
è sempre pronto a sopportare la vagonata di sentimenti
repressi che gli scarico sulle pagine ogni volta che viene aperto.
Nonostante la cartacea pazienza di questo oggetto, non riesco a
calmarmi: il pensiero nauseante di tutti quei civili massacrati mi
rivolta lo stomaco, lasciandomi in bocca un amaro sapore di assoluta
sconfitta e rancoroso astio.
“Abbiamo vinto”, dice un gongolante Presidente alla
radio, rivolto alle truppe che in questo mese hanno lottato
strenuamente per conquistare Garyo, Meijin e Dashiro.
Abbiamo vinto… Abbiamo vinto?! ABBIAMO VINTO?!
Ho voglia di urlare. Di bruciare. Di distruggere. Tutto. Desidero
andarmene, mollare questa stupida vita. Morire. Mi sento
così impotente. Schifosamente debole.
Stupido, invasato, subdolo figlio di... Ah, non merita
nemmeno i miei insulti!
Quando Genesis mi ha contattato, non riuscivo a crederci. E’
successo tutto pochi minuti dopo che Garyo era stata conquistata. I
miei uomini non hanno nemmeno odorato una goccia di sangue civile,
grazie al buon senso del daimo della città. Vi è
stata giusto una piccola battaglia- se si può definirla
tale, poiché, dal punto dal mio punto di vista era da considerarsi poco
più di una scaramuccia- all’esterno delle mura
cittadine contro l’esercito regolare della città;
ma una volta ucciso il Generale-reggente, è stata solo una
questione politica. Contro ogni mia aspettativa, quindi, i Wutai hanno
optato per un approccio più diplomatico e ci hanno permesso
di prendere il controllo dell’agglomerato, offrendomi la
carica vacante del defunto Generale; in questo modo, io mantengo il
controllo militare, mentre Sasuke Natsu, conserverà la sua
carica politica e amministrerà la vita civile di Garyo, come
ha sempre fatto sin da prima del nostro arrivo. Nulla di più
semplice. Egli ci ha perfino permesso di stabilire la base SOLDIER nei
vecchi stabili dell’esercito nemico. Semplicemente perfetto.
In poche ore, il GQ era operativo e io ero pronto a dare la buona
notizia a Midgar, dopodiché attesi risposte dagli altri
bersagli. Angeal fu il primo e le notizie erano ottime. Dashiro era
nostra, ma vi erano state grosse perdite sia da una parte che
dall’altra, a causa di un’ inaspettata resistenza.
Comunque, il resoconto era molto buono. Poche perdite civili.
Ma poi, la tragedia: alla radio mi giunse la voce di Genesis che mi
comunicava della completa distruzione di Meijin.
Ero felice,
perché deve sempre andare tutto storto?
Quando l’elicottero atterrò sul luogo del
misfatto, fu il banoriano a giungere per accogliermi. Ero allibito. Al
posto di quella città operosa e del suo storico castello
risalente all’epoca feudale, v’era solo un cumolo
di grigie macerie. L’aria era ancora calda e il puzzo di
carne carbonizzata impregnava i vestiti. Guardai il cielo nero e vidi i
nostri apparecchi tagliare le plumbee nubi con quelle pale demoniache.
Come avvoltoi di metallo sorvolavano quel cratere di morte distribuendo
una pioggia di cenere.
Come aveva osato? Perché ordinare un attacco aereo? Il rosso
mi osservava devastato. Quando posi i miei occhi su di lui, capii. Vidi
la Morte in quelle pupille dilatate, la pelle contratta dal Terrore.
Credo che se avessi parlato avrebbe vomitato seduta stante. Se non era
stato lui, allora chi aveva dato l’ordine? Chi si era
macchiato le mani del sangue di migliaia di innocenti? La risposta non
tardò ad arrivare e apparì dalle viscere di un
elicottero atterrato poco lontano.
Rufus
Shinra…
Quello spocchioso bambino viziato. Tutto elegante e sorridente ci
raggiunse e si congratulò con me per la vittoria a Garyo,
estendendo la sua ammirazione anche all’assente Angeal. Come
se nulla fosse successo, come se accanto a noi ci fossero prati verdi e
arcobaleni.
Lo sapevo, lo sapevo che prima o poi sarebbe successo. Quel moccioso
impertinente non vede l’ora di prendere il posto del vecchio
e scalpita come un puledro in preda ad una crisi epilettica al fine di
contribuire sull’esito di questa guerra assurda. La carica di
Vice-presidente non ha fatto altro che sciogliere le briglie della sua
fantasia malata. Abbiamo la stessa età, ma nella sua intera
persona non c’è nemmeno un quarto
del valore che pervade l’unghia del mio dito mignolo. Credo
di aver già un’anteprima della sua politica quando
salirà al potere: conoscere i miei ordini ed eseguirne il
contrario, facendo ricadere la colpa sulla mia testa. Si é
sempre divertito prendermi in giro in questo modo, fin da quando
eravamo bambini. Lui è cresciuto con l’idea che io
non valgo molto più del suo scendiletto. Ci prova un gusto
quasi perverso nel punzecchiarmi. Sa perfettamente che non tollero
interferenze nel mio operato, però, puntualmente, quel
lattante ne combina una delle sue. Ricordo perfettamente la prima volta
che ci incontrammo. Rimembro i capelli perfettamente pettinati e
ordinati, tagliati a scodella; la divisa grigia della Midgar Prestige
Elementary School cucita a mano e fatta su misura con seta pregiata di
Wutai; mocassini in pelle così ben lucidati da risplendere
di luce propria. Insomma, la piena opulenza della nobiltà
fatta a bambino. In confronto, scavato ed emaciato com’ero,
io sembravo un galletto spennato al cospetto di un pavone. Appena mi
vide mi squadrò dalla testa ai piedi, schifato, come se
avesse davanti a sé un rifiuto nauseabondo.
Dall’altro canto, tutta la mia persona fremeva eccitata nel
vedere un mio coetaneo, dopo un’infanzia di solitudine. Ero
sinceramente felice di conoscerlo, per questo motivo rimasi un
po’ spiazzato davanti al suo sguardo superbo. Devo
sottolineare il fatto che all’epoca ignoravo
l’esistenza di altre realtà al di fuori della mia
avvilente infanzia, credendo che tutti i bambini a otto anni si
allenassero per diventare SOLDIER. Il Presidente ci presentò
e, come se non bastasse, egli sottolineò molto chiaramente
al figlio il fatto di essere un mio diretto superiore e di come io, un
giorno, avrei dovuto obbedire ad ogni loro ordine. La sua espressione
schifata mutò all’istante, divenendo
pericolosamente sadica. Per
la prima volta nella mia vita, realizzai il futuro che mi si
prospettava dinnanzi: un giocattolo. Da torturare e tormentare.
In generale, egli é cresciuto nella convinzione di essere
libero di utilizzare le risorse della Compagnia per il suo personale
diletto, divertendosi nell’ osservare le mie reazioni. Adora
guardarmi con sufficienza dall’alto verso il basso. Odio da
morire la sua superbia e quell’odio è una delle
poche cose che condivido con mio padre. Perfino ad un essere abbietto
come Hojo, il “futuro” della Shin-Ra risulta
insopportabile. Certo, il nostro astio scaturisce da sorgenti diverse:
per me è un fatto personale, mentre per la frattaglia umana
è la paura di vedere la sua posizione andare in frantumi al
primo capriccio del moccioso. Rufus e lo scienziato non si sono mai
visti di buon occhio, ma, finché io sarò tra le
fila di SOLDIER, il vecchio sarà intoccabile. Lui
è l’unico in grado di controllarmi,
l’unico che ha l’ardire di sfidare la mia ira. Come
ho spesso ribadito, non riesco a impormi sullo scienziato e lui
approfitta di questa mia debolezza. Non immagina nemmeno lontanamente
il motivo della mia completa quiescenza e non credo che gliene importi.
L’importante è controllarmi. Null’altro
conta.
Fermo il flusso dei miei soliti orrendi ricordi, davanti ad
un pensiero che mi raggela: cosa dovesse mai succedere il giorno in cui
vedremo lo scambio generazionale ai vertici della Compagnia? Come
cambieranno gli equilibri del potere tra i grandi reparti scientifici e
militari? Ma, soprattutto, come verranno utilizzati? E’
questo che mi spaventa: se con il controllo del padre, Rufus ha il
potere di distruggere un’intera città, cosa
accadrà quando avrà il potere assoluto? Cosa mi
costringerà a fare?
L’immagine raccapricciante di me stesso incatenato al
pavimento di una cella umida a schiumare e desiderare sangue mi
attraversa la mente. A Rufus Shinra mi ha sempre adulato per la
facilità con cui strappo la vita ad un essere umano. Ma
ancora di più piace vedermi annientato davanti alla
desolante distruzione del suo tremendo operato. Alla mia richiesta di
spiegazioni, la risposta è sempre questa: “La
priorità della Compagnia di mio padre non è fare
opere di misericordia, ma finire la guerra. I civili non sono altro che
un serbatoio inesauribile di scarafaggi belligeranti. E’
questo il fine, bruciare il serbatoio!” Io, io non ho
parole.
Non so quale divinità interviene tutte le volte a trattenere
la mia lama. Se solo non fossi il figlio del Presidente…
Arriverà il giorno in cui pagherai i tuoi crimini e spero
sia doloroso. Oh sì, sarà doloroso, una
sofferenza senza fine, un terrore inconcepibile, un’agonia
infinita. Spero di essere lì a guardare il tuo corpicino
pulito contorcersi tra i più atroci dolori. E
riderò. Oh, quanto riderò. Sarò
l’ultima cosa che sentirai, la mia mesta, orrida,
agghiacciante risata. Quella stessa risata che ti gela il sangue nelle
vene ogni volta che la odi. Diventerò
il tuo incubo. Vedrai il mio sguardo accusatore ovunque.
Purtroppo per me e fortunatamente per tutti gli altri, quel giorno
tarderà ad arrivare. Io dipendo da loro. Questo lo capii fin
dal primo istante. Capitava spesso che il Presidente Shinra si recasse
nella tenuta dove crebbi, ovvero lo stesso luogo in cui Hojo portava
avanti i suoi esperimenti disumani, inasprendo l’agonia della
mia solitudine. Il motivo delle sue visite erano finalizzate al
controllo sull’avanzamento dei lavori scientifici e,
soprattutto, per vedere me. E’ sempre stato interessante
osservare le reazioni del vecchio. Ancora oggi, come tanti anni fa, non
sa mai come approcciarsi nei miei confronti ,ma, quand’ero
bambino, il suo comportamento era ancora più comico.
Indeciso se considerarmi come un bambino o ignorarmi completamente come
un oggetto, era elettrizzante osservare come la sua baldanza e superbia
crollavano davanti alla freddezza e serietà di un ragazzino
di otto anni. Mi teme, mi ha sempre temuto. Sa che potrei lasciarlo in
mutande se solo volessi. E lo sa che spesso questa idea mi accarezza;
deve solo ringraziare Hojo per avermi fatto il lavaggio del cervello.
Sono talmente assuefatto dall’andazzo del mio schifo di vita
che non saprei cosa fare altrimenti. Come anticipato prima, con
l’andare del tempo si è creata una sorta di
simbiosi: la Compagnia, o meglio la famiglia Shinra, approfitta della
necessità di sfogare i miei istinti sanguinari,
convogliandoli contro il Pianeta per soddisfarela loro inesauribile
sete di conquista. Entrambi i nostri istinti diventano sempre
più impellenti e incontrollabili, tanto da formare un
circolo vizioso. Il rapporto tra me e la Compagnia non sarà
mai come quello tra un datore di lavoro e un dipendente, ma tra uno
spacciatore e un drogato. Loro mi danno la liberazione, in cambio
ricevono devastazione. Quest’ultima diventa ogni anno sempre
più terrificante. Ho davvero paura di dove mi possa portare,
questa bestia. La Shin-Ra vuole il mondo… Forse sono destinato a
distruggerlo.
Ho un terribile mal di testa. Una rabbia inestinguibile mi sta
sfibrando. Non sopporto nulla. Odio tutto, ogni cosa che mi circonda,
perfino la più insignificante. Non riesco a togliermi dalla
testa la figura di Rufus stappare champagne sulla terra da lui
devastata. Abbiamo vinto… Non si rende conto di quello che
si è perso. Quante giovani vite sono state spezzate? Quanti
speranze? Quanti sogni? Non è giusto. Non è
giusto che il mio cuore privo di amore batta e quello di una coppia
innamorata sia fermo per sempre. Non è giusto che le mie
gambe camminino verso un futuro vuoto e quelle di un bambino pieno di
sogni siano bruciate. Non è giusto che i mei occhi stanchi
vedano solo tristezza e quelli di una giovane donna siano velati dalla
cenere. Non merito di vivere con la consapevolezza che una volta
esistevano esseri umani meritevoli molto più di me del dono
della vita. Persone che si godevano l’attimo, sorridevano
ogni giorno, proiettavano i loro sogni verso un futuro radioso.
Perché solo io mi rendo conto di questo? Nemmeno Genesis
è stato di conforto. Cito testualmente quelle amare parole:
“Era solo una città nemica.
E’ stato fatto più di quanto fosse davvero
necessario, ma era pur sempre una città nemica.”
No, non è una scusa. Non serve a nulla nascondersi dietro a
un dito, quando l’evidenza è lampante. Nessuno
merita di morire così. Nessuno. Mi pare quasi di udire
l’eco di migliaia di sogni spezzati elevarsi al di sopra del
boato delle bombe, del crepitio del fuoco, dell’urlo
disperato di migliaia di persone bruciare vive. Quel suono mi trapassa
il cuore, stringendolo nel petto fino a soffocare ogni contrazione. Mi
sento schiacciato dal senso di colpa. Ho sbagliato a rischiare.
Me lo sentivo che sarebbe finita così. Dovevo aspettare,
dovevo dare retta al mio istinto, dovevo ignorare le pressioni del
Presidente che mi intimavano ad attaccare. Forse, se avessi adottato
una strategia diversa, avrei potuto evitare questa tragedia. Ho il
potere di salvare Meijin dalla follia di un bambino capriccioso,
perché non lo ho usato? Perché? Perché
promuovere due novellini, quando avrei potuto sovraintendere ogni
battaglia come di sovente? Perché sono stato così
egoista?
Nemmeno la compagnia dei miei amici provati dalle battaglie e dagli
orrori compiuti alleggeriscono il mio peso. Ci siamo stanziati a Garyo
e domani riceveranno i gradi di First Class da parte del
Vice-Presidente e del neo- eletto Direttore SOLDIER Lazard Deusericus.
Anche quest’ultimo mi ha inviato un’e-mail in cui
confessava il completo disaccordo con il crimine di guerra appena
commesso e ha cercato di spendere due parole di consolazione per lenire
il mio cordoglio. Inutili. Le azioni militari sono tutte da imputare al
grande Generale, colui che non sbaglia, colui che sa sempre come e
quando agire, il solo che decide… La Compagnia non si
può permettere di condannare il figlio del Presidente. Non
adesso. La colpa di ogni orrore va a ricadere sempre su colui che
è in grado di sopportarla. Anche se la mia anima
è stanca di tutto questo strazio. Sono stanco di dover
sopportare il peso di un mondo che non fa altro che usarmi e amare un
idolo fittizio. Sono stanco di dovermi sempre nascondere, di sopportare
in silenzio; quando dovrei uscire e urlare il mio sdegno al cielo.
Certe volte l’insano pensiero di bruciare il mondo mi
accarezza come una nuvola di seta. E’ così
allettante l’idea di spazzare via tutto il marciume da questo
Pianeta dilaniato e prosciugato da un cancro incurabile. La Shin-Ra sta
uccidendo tutto. Aerith sente la sofferenza del mondo, me ne parla in
continuazione. Elmyra mi dice che spesso la bambina urla nel sonno. So
che mi sogna. So che vede le anime degli uomini e delle donne che
uccido. So che parla con loro. Le racconteranno della follia nei miei
occhi, della freddezza della mia lama, del mio sorriso perverso, del
sangue che bagna la mia pelle contratta. So che dovrei fermarmi,
Aerith, ma non posso. Non riesco. E’ più forte di
me. Ciò che mi porto dentro è troppo potente per
essere contenuto in un corpo e in una mente ormai fiaccate dalle tante
battaglie. Sono stanco. Voglio farla finita. I miei compagni cercano di
tirarmi un po’ su, ma in questo momento vorrei solo
sprofondare nel buco che l’Inferno ha riservato per la mia
lurida anima.
Gli occhi dei parenti e degli amici dei defunti abitanti di Meijin mi
schiacciano. Sono io il Demone, la bestia sanguinaria responsabile e
promotore di ogni orrore di cui questa terra si sta macchiando. Mi
odiano, sebbene non sappiano la verità. Mi guardano con un
astio così profondo… Io volevo salvarli.
Mi sto convincendo, ormai, che effettivamente la colpa è
tutta da reputare a me, sebbene Genesis continui a ripetermi il
contrario. Perfino gli inviati da Midgar parlano indignati di un nuovo
massacro da parte delle truppe SOLDIER. Raccontano di come la battaglia
fosse così cruenta ,quanto inutile, tanto da indurre l'Alto
Comando, ovvero il sottoscritto, a ordinare un massiccio attacco aereo
per velocizzare l’espansione Shin-Ra verso
l’entroterra nemico. Condannano le mie azioni senza sapere la
verità, ma ciò che mi fa più rabbia
è come cercano di smorzare la gravità della
situazione, inventando scuse del tutto false. E poi, nei comunicati
successivi, insabbiano il fatto raccontando allegramente de ‘Una
nuova triplice vittoria di Sephiroth’.
Né Angeal, né Genesis sono menzionati. Sia il
merito che la colpa delle riprovevoli azioni effettuate ricadono su di
me. La voce radiofonica di Rufus lancia moniti ai nemici, proclamando
la completa spietatezza del Ma gin.
Mi accascio sul tavolo. La mia mano trema.
Sconfitta.
Completa sconfitta.
Ho fallito.
Non gli ho protetti.
Come posso andare avanti ora?
L’ira si sta spegnando e oramai non é altro che un
carburante consumato fino al midollo.
Rivolgo gli occhi al cielo. Non c’è nemmeno una
stella ad accogliere il mio sguardo sfiduciato. In effetti, non lo
merito. La purezza dell’universo è troppo perfetta
per essere macchiata dall’onta della sconfitta.
Sconfitta…
Sfiducia…
Verso la mia stessa gente. Verso me stesso.
Se gli angeli esistono:
dov’è il mio?
E poi, quando ogni speranza è andata perduta un petalo di
sakura s’insinua nella mia stanza, posandosi sul diario. Quel
tocco di pallido rosa sembra deridere l’oscuro inchiostro
dell’amarezza. Come richiamato da una voce irresistibile,
volgo la mia attenzione di nuovo verso l’esterno. Centinaia
di migliaia di petali turbinano nel vento e sembrano avere un effetto
benefico. Mi pare quasi che quella brezza non trasporti i petali in
sé, ma che raccolga i pensieri della gente e li tramuti in
fiori fluttuanti. Seguendo la scia di un gruppetto, poggio
l’occhio sulla strada avvolta da quella candida coltre di
neve rosa, su cui nere ombre della notte sfilano, incuranti dello
spettacolo che la natura ci sta gentilmente offrendo. Solo una ha
l’ardire di uscire dal riparo offerto dall’ombrello
di carta di riso e alzare lo sguardo verso l’alto. Non
credevo che il mio cuore potesse fermarsi davanti a una cosa
così scontata come la visione di una bella donna, sebbene
non creda che il termine sia adatto a definire quell’eterea
meraviglia. I petali di sakura sembrano quasi sbiaditi e rinsecchiti
rispetto alla perfezione di quella pelle pallida. Le piccole carnose
labbra sono inarcate flebilmente, mentre osserva trasognata lo
sfarfallio delicato che la circonda. Sembra un fiore…
Ad un certo punto, volge quelle iridi brillanti nella mia direzione.
E’ in basso rispetto a me, ma io mi sento così
minuscolo, così insignificante rispetto alla grandezza
scatenata da quegli occhi. I nostri sguardi s’incontrano un
solo istante. Un’istante infinito, un’istante vuoto
e pieno contemporaneamente. Non so descrivere ciò che provo,
poiché è tutto così confuso. Le
emozioni si accavallano l’una sull’altra
completamente impazzite. Il mio cuore e il mio respiro non sono mai
stati così rapidi. Non ho mai sentito così caldo.
Mi sorride e credo di morire. Il mio corpo si paralizza, a malapena
riesco a scrivere queste righe, ma non posso desiderare altro che
quel gesto. Non avevo mai visto tanta sincerità genuina e
anche un po’ ingenua, mischiata a una tale
solennità.
Un angelo…
E come un angelo è scomparsa di nuovo tra le ombre; ma la
sua figura rimane scolpita nella mia mente, tergendo il dolore
lancinante che mi ha squartato il petto in queste ultime ore.
Forse è lei la risposta alla mia domanda. Non voglio
illudermi, però rivederla è ciò che
più desidero in questo momento. Probabilmente
ricadrò nuovamente nel solito tranello, ma, come dice
Angeal, rischiare e fallire è sempre meglio che non averci
mai provato.
E ce la fa!!!! Oddio,
sono diventata mamma di un bellissimo capitoletto XD. No, davvero, un
parto. Alla fine direi che la situazione si è definita bene
e sono soddisfatta. Ho scritto queste righe in ogni luogo possibile,
treno, autobus, nave, aereo, astronave… veramente ho cercato
di darmi una mossa, ma tra le vacanze, gli esami e il gdr, mi sono un
attimo bloccata. Ma ora sono tornata con un altro capitolo, in cui si
comincia ad andare più a fondo nella psiche del biondo e
intravedere l’ammore nella vita dell’argentato. Per
il primo ho cercato di delineare bene gli impatti psicologici accennati
precedentemente. Sono allarmanti, ma nulla di pericoloso (almeno
finché non si rischia di spezzare un braccio al buon Cid).
Per quanto riguarda Seph, si ha avuto un crollo dell’umore
che nemmeno i cari Genesis e Angeal sono stati in grado di risollevare.
Nulla che non può scacciare la vista della fantomatica donna
misteriosa. E’ solo un attimo, ma è
così d’impatto, in un momento di piena
fragilità che non può non sortire degli effetti.
Almeno in un capitolo ho messo da parte Hojo, il quale ormai stava
cominciando a stancarmi. E’ come il prezzemolo!!! Maledetto
babbuino. Comunque, è sostituito da non più
infido Rufus Shinra in pieno delle sue facoltà. Va beeene,
è ora di lasciare parlare un po’ voi, cari
lettori! Ringrazio le mie solite pazienti donne e tutti voi timidoni!!
Alla prossima!!!
Besos
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Capitolo 10 *** Attesa ***
Attesa
Sono
rintanato in un cunicolo laterale appartenente alla trafficata strada
dello shopping di Edge con l’impellente bisogno di leggere.
Ho scoperto che gettarmi tra le braccia tormentate di Sephiroth aiuta
molto a calmare le ansie. Sento la mente svuotarsi e lascio che sia
l’argentato a riempirmela. Non che questo fatto sia positivo,
soprattutto dopo l’aggressione ai danni di Cid, ma la
confusione che si agitava nel cervello doveva essere domata
all’istante. Ho perfino iniziato a dubitare della discrezione
di Vincent; di quella stessa persona che mi ha sempre dimostrato
fedeltà e fiducia. Forse le ultime parole enunciate dal
Capitano erano riferite a qualcos’altro, ma un dubbio folle
non fa altro che martellarmi nella mente. E’ sempre di LUI
che si parla, di quella serpe maledetta capace d’insinuarsi
nelle pieghe della psiche e plasmarla a suo piacimento. Anche ora sta
giocando con me. Di nuovo gli sono in pugno. Mi ha illuso con
l’idea di poterlo controllare, di gestirlo, di fare le sue
idee mie e così facendo ho spalancato le porte del mio ego,
lasciandolo entrare deliberatamente in me. Le sue emozioni sono
potenti, impresse con tale forza sulla carta che l’eco del
suo strazio risuona ancora oggi tra le righe nere
dell’inchiostro. Questo diario è una supernova.
E’ solo questione di tempo che diventi un buco nero.
Nonostante questo eccomi qui, appoggiato al freddo muro di acciaio
protetto dall’ombra dei palazzi, mentre sulla strada
illuminata centinaia di persone si gettano in pasto
all’ennesima giornata afosa. Ogni rumore mi fa sobbalzare: la
paura di essere di nuovo sorpreso con questo libro in mano mi
perseguita, ma, ben presto, ciò che sto leggendo mi
risucchia completamente in quella stanza distrutta. Mi sembra quasi di
vederla: l’alloggio semplice, ma importante, di Generale
wutaniano sconfitto, il cui ricordo è stato barbaricamente
distrutto dalla follia del nuovo proprietario. Cocci e schegge coprono
il pavimento, il quale, come le pareti, è segnato da
sferzate pulite e ben delineate. Sferzate gemelle di quelle che
appaiono sul mio corpo. Mi chino verso rimasugli di ceramica bianca e
li scosto per cercare di capire di che cosa si tratta. Era una
bottiglia da saké, a giudicare dall’odore e da
quello che sono riuscito a decifrare dalle forme dei cocci. Mentre la
bottiglia è stata frantumata contro il muro, il vassoio poco
lontano è stato rovesciato, andando a distruggere anche i
bicchieri. Il fantasma di Sephiroth appare, effimero e fumoso,
nell’atto di scaraventare il recipiente contro il muro e
calciare malamente il tavolino su cui il vassoio era poggiato. Come un
cagnolino, lo inseguo in un’altra stanza, la cui porta a
soffietto viene divelta, come se un uragano l’avesse
attraversata. Lì, lo spettro dà il peggio di
sé, squartando cuscini e ribaltando l’ampio
tavolino, su cui una mappa con pedine era stata aperta. Nemmeno la
sacralità di un altare di legno dedicato a qualche antenato
samurai, di cui l’armatura distrutta e profanata ne
testimonia, viene risparmiata. Mi sovviene di come quel Poltergeist
strida terribilmente con la persona innamorata di quella cultura
millenaria, come confessato poche pagine addietro. “Mi odio
da morire”, aveva scritto di se stesso. Capisco solo ora il
significato di quelle parole, di quanto il conflitto interiore fosse
esteso e cruento. La guida ectoplasmica scompare appena varchiamo una
camera da letto. E’ stata svuotata completamente. Poco o
nulla del vecchio proprietario è sopravvissuto, se non
qualche libro contenente appunti, riflessioni e tutto quello che un
uomo può trascrivere su carta. Sono miracolosamente scampati
alla furia del SOLDIER che ne detiene l’appartenenza. Una
torcia al centro della stanza illumina fievolmente
l’ambiente, permettendomi di scorgere una radio e un
portatile satellitare abbandonati in un canto. Il pavimento
è morbido, costituito da fibra di riso. E’ strano
notare la spartanità della tradizione wutaniana accostata
alla complessità della tecnologia orientale. Due mondi
così lontani e diversi, due modi di vedere il mondo in
aperto conflitto. C’è molto di LUI in questa
stanza, anche se gli appartiene da poco tempo. Un brillio ben noto
attira la mia attenzione: la punta fatale della Masamune mi scruta
dalla penombra, come una fiera guardinga. Mi soffermo su quella spada,
i cui segni sono marchiati a fuoco sul mio corpo, e non posso non
pensare quanto essa descriva il suo proprietario in modo
così esatto. Perfetta e meravigliosa nel suo insieme,
sembrerebbe una normale katana, ma la sua lunghezza spropositata e quel
curioso flusso di mako che dona a quell’acciaio strani
riflessi bluastri, la rendono ancora più preziosa. E
inquietante… Il mako si agita, inasprito dalla mia presenza,
chiama il suo padrone, vuole il suo tributo di sangue. I fiumi che ha
assaporato oggi ancora non le bastano. Sospiro e alzo lo sguardo.
Un’ombra appena lambita dalla fredda luce della torcia
morente giace accanto alla Masamune.
Eccolo: LUI…
Accoccolato nel suo angolo buio, su un sacco a pelo vecchio e sfibrato,
intento a rovesciare i suoi pensieri turbinosi sul diario. Un quadrato
di Garyo spunta dalle imposte lasciate spalancate al suo fianco.
Prendono una grossa fetta del muro e lui può agevolmente
guardare all’esterno. Quella minuscola lampadina illumina a
malapena la stanza, ma per lui non è un problema: un sottile
cerchio luminoso contorna le iridi gelide, squarciando
l’oscurità. La sua mano si muove frenetica sulla
carta, mentre la mascella si contrae nervosamente. Scorgo tra i capelli
argentati, la fronte aggrottarsi, creando rughe innaturali per la sua
giovane età. Ad un certo punto, alza il viso nella mia
direzione. Non mi sta effettivamente guardando, sembra fissare un punto
dietro di me; ma io mi sento travolgere comunque da quello sguardo.
Vedo ira, soprattutto, ma anche rancore e disperazione. Un dolore senza
fine mi trafigge il cuore come solo la lama della Masamune saprebbe
fare. Sento il respiro mozzarsi all’altezza della gola da un
nodo troppo stretto per permettermi di fiatare. Abbiamo la stessa
età, ma non vedo niente che ci possa accomunare. Quegli
occhi sono stanchi, sfiduciati, morti.
Sono gli occhi di un
vecchio…
Poi come sono apparsi, quei bulbi si velano e ricadono nella vergogna
di un capo pronto per il patibolo. La chioma fluente gli copre il viso,
nascondendo l’onta della sconfitta.
E’ solo un
ventenne…
Vorrei avvicinarmi, confortarlo, ma sono reticente. La parte meschina
di me gode nel vederlo così. Sono combattuto. In fondo lui
non voleva fare del male a nessuno. Desiderava solo finire
quell’ennesima guerra e tornarsene a casa.
Sì, ma QUALE
casa?
Ricordo che quando arrivammo a Nibelhim, lui disse di non avere
né una casa, né una famiglia a cui tornare. Mi
chiese cosa provassi in quel momento, nel rivedere il luogo da cui
provenivo. Ricordo che non ebbi il cuore di rispondergli: come potevo
dirgli che avevo paura? Che avrei preferito che il mio corpo venisse
dilaniato dai mostri del Monte Nibel piuttosto che essere
lì? Sputargli in faccia che in quel momento stavo morendo
dalla vergogna, quando mi ero riproposto che sarei ritornato al mio
paese come SOLDIER di Prima Classe? Mi avrebbe odiato.
Chissà se ebbe mai la possibilità di chiamare un
luogo “casa”? Disse di non sapere cosa significasse
quel termine… Mi guardo intorno e assumo che
quell’affermazione non può essere più
vera: solo gli oggetti indispensabili sono stati tirati fuori dallo
zaino militare, il quale è stato abbandonato in un angolo
buio. Giusto un giaciglio su cui riposare e il necessario per rimanere
in contatto con le truppe. La Masamune pronta ad essere afferrata e
scatenata contro qualunque avversario.
Sempre in viaggio,
sempre pronto a partire, sempre a guardarsi le spalle. Stava fuggendo.
Non faceva in tempo a legarsi ad un luogo che già doveva
andarsene. Non oso immaginare una vita senza radici. Quando partii per
Midgar, ho sempre dato per scontato che il mio inutile paesino tra le
montagne sarebbe sempre stato lassù ad attendere il mio
ritorno. Anche se fossi tornato dopo tanti anni, lo avrei ritrovato
tale quale lo avevo lasciato. E così mia madre, la mia casa,
i miei amici… Tuttavia, in cuor mio, -quel cuore da superbo
ragazzino di sedici anni- mi vergognavo delle mie frugali origini,
invidiando i miei camerati provenienti dalle grandi città
del continente. Avrei dato qualunque cosa per rinascere a Junon, o
Costa del Sol, se non addirittura Midgar stessa. Ma no, io ero un
misero contadinotto di campagna, il cui paese era famoso per ospitare
uno dei primi reattori costruiti dalla Shin-Ra. Mi vergognavo come un
ladro, anche perché i miei compagni non facevano altro che
deridermi, chiamandomi “scrosta
reattori”. Poi conobbi Zack e capii che non
erano le origini a definire una persona, bensì cosa ne fai
della vita donata da quelle radici. Lui era un SOLDIER proveniente da
un paese insignificante come Gongaga, eppure era un uomo straordinario.
Grazie a lui, imparai a infischiarmene delle loro derisioni e mostrarmi
fiero della mia piccola Nibelhim.
Per questo odio quell’essere immondo che si dispera davanti a
me: ha bruciato le mie radici e ora mi sento come un albero morente.
Non ho nulla che mi tenga ancorato al suolo e l’unica cosa
che tiene in vita sono i ricordi della mia infanzia. Per il resto,
niente. Niente! Un moto d’ira mi attraversa e mi avvicino
minacciosamente al futuro artefice della morte di centinaia di persone
innocenti. Vorrei ucciderlo ora, nel suo momento di massima debolezza,
so che non incontrerei nessuna resistenza da parte sua. La sua nuca
è alla mia mercé. Basterebbe un solo colpo secco
e preciso in quel punto per fargli perdere i sensi. Sarebbe
dannatamente facile.
E’ solo un
ragazzo. Solo e disperato.
E poi, una sola scintilla e l’impalcatura di legno
prenderebbe fuoco in un solo istante, bruciando il suo corpo maledetto.
Si sveglierebbe giusto il tempo per urlare di dolore e incrociare il
mio sguardo gaudente.
Non ha una casa. Nessuno
che lo ami.
Il solo pensiero mi dipinge un sadico sorriso sul volto e assaporo fino
all’ultimo ogni sfumatura della sua morte. La morte che ho
sempre sognato per lui. La magnifica sensazione della vendetta
compiuta. Il mio pugno è sempre più vicino al suo
argenteo obiettivo.
Credi davvero che questa
sia la fine che egli merita? Hai sbagliato, lo hai ammesso tu
stesso…
Un’incredibile flusso di pensieri mi distrae dalla bassezza
che sto per compiere, impedendomi di assaporare fino in fondo il dolce
sapore della vendetta e rallentando le mie azioni. Un petalo rosa mi
svolazza davanti, bloccandomi. Seguo le sue evoluzioni aeree come un
micetto curioso, fino a quando non si posa delicatamente sul diario. La
mia vittima alza la testa e per me è troppo tardi. La
frenesia che ha sequestrato il mio cervello pochi secondi fa
è scomparsa completamente, lasciando un senso generale di
stordimento. Intanto, lui guarda fuori dalla finestra e rimane
pietrificato. Odo il suo respiro mozzarsi e il battito frenetico del
suo cuore. Incuriosito, mi sporgo anch’io e le stesse sue
emozioni mi assalgono come un fiume in piena non appena la vedo.
Aveva ragione.
Un angelo.
Rimaniamo impalati simili a baccalà a fissare lo splendore
di quella figura d’eterea bellezza nascente dai petali
danzanti dei sakura in fiore. I Wutai credono che quegli alberi svelino
il destino della gente, accogliendo amorevolmente i desideri degli
uomini per tramutarli in realtà. Lei… lei non
può che appartenere al mondo degli Spiriti, tanto magnifica
e perfetta. Comprendo ora quanto la foto che custodisco gelosamente non
è altro che un misero assaggio di quella donna. I sentimenti
di Sephiroth mi si agitano nell’animo, impazziti, e io non
sono in grado di contrastarli. Me ne sento completamente avvolto,
incapace di scappare da quei flutti burrascosi. Volgo la mia attenzione
su di lui e ciò che mi salta subito all’occhio
sono le sue iridi. Non credo di averle mai viste così
splendenti e agitate da un sì intenso fuoco di passione. Ero
abituato ad associare il suo sfolgorio di innaturale verde mako a
un’ira spaventosa e bruciante, per poi perdersi nel baratro
di una pupilla piena di oscuro odio. Sono questi i soli sentimenti che
ho sempre e solo saggiato in lui; ma stasera… Stasera sono
testimone di un miracolo straordinario. Per la prima volta nella mia
vita, ho potuto assistere all’apparizione del misterioso lato
umano del mio peggior nemico. L’aura d’onnipotenza
e divina che lo avvolgeva con quella cupola di ghiaccio spessissimo si
è infranta, trafitta dritta al cuore da uno sfuggevole
sorriso. Del grande Generale non c’è
più nulla, la vecchiaia precoce ha abbandonato quel corpo,
svelando tutta quella gioventù da troppo tempo rimasta
sopita. Sorrido davanti al leggero rossore delle gote. Esso tradisce
un’emozione fortissima, la quale ha scaldato quel cuore di
pietra fino a liquefarlo in lava bollente. Quest’ultima non
è letale; anzi, è un dolce balsamo per
un’anima straziata da dolore e solitudine. Egli sorride
flebilmente, incredulo di esserne ancora capace, e i suoi occhi
s’illuminano della stessa luce dei miei, quando poggio lo
sguardo su Tifa.
Un colpo di fulmine. Non
credevo che LUI potesse cedere ad un attacco così
diretto…
Una vibrazione all’altezza delle anche mi riporta alla
realtà, strappandomi brutalmente da quel piccolo angolo buio
di Wutai. Mi guardo attorno spaesato e riconosco a malapena la fredda
parete di acciaio che si erge di fronte a me e mi giunge ovattato il
brusio della gente che passeggia sulla strada. Il sogno resiste ancora
un po’, aiutato dall’oscurità gettata
sul vicolo, permettendomi di contemplare ancora per pochi istanti il
giovane Sephiroth innamorato; ma poi un’altra vibrazione
infrange anche quell’immagine. La mia mano corre alla tasca
dei pantaloni ed estrae il cellulare. Il display recita a caratteri
cubitali “7th Heaven”.
Parli del
diavolo…
“Pronto?”
“Cloud! Dove sei?”
“In Wut…ehm, volevo dire, in strada.”,
il sogno mi ha lasciato parecchio confuso. Sento Tifa esitare riguardo
al mio lapsus, ma un vociare indistinto dietro di lei la induce a
lasciare perdere.
“Hai preso quello che ti avevamo chiesto?”
Ora sono io quello che esita. Che
cosa dovevo comprare? Percepisco la mora innervosirsi
dall’altro lato della cornetta.
“Ti sei dimenticato?”, chiede a denti stretti, dopo
qualche secondo di attesa.
Probabilmente se mi avesse davanti mi strozzerebbe. Perfino il vociare
di sottofondo si blocca, tendendo le orecchie verso la mia ennesima
magra figura. Grazie al cielo, il mio cervello riprende a funzionare e
mi salva dal disastro.
“No, no, Tifa. I festoni a forma di Carbuncle gli ho appena
comprati.” Ennesima bugia, se ci fossero degli specchi nei
dintorni si spaccherebbero, e prego che quei dannatissimi affari
esistano davvero. Tifa si rilassa, sospirando soddisfatta.
“Bravo. Allora muoviti che stiamo aspettando solo te. A
dopo!”>click<
Prendo un profondo respiro e mi adagio contro la parete. Lancio
un’occhiata al diario.
Spero che ne sia valsa la pena,
Sephiroth.
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Non riesco ancora a capacitarmi del fatto della reale esistenza di quei
festoni. Sono davvero orgoglioso di me stesso per essere riuscito a
trovarli così all’ultimo momento e in un
negozietto sperduto nei recessi di Edge. A volte la paura dà
degli sprint davvero inaspettati! Mi sento davvero gasato del successo
e, per una volta, la coscienza è in pace. Inizialmente ho
mentito, è vero, ma alla fine si è risolto tutto
per il meglio. Tifa non ha sospettato di nulla e, comunque, era troppo
impegnata a cucinare i dolci per la festa per far caso alle mie
stranezze. Mi sono dato da fare ad aiutare in giro, anche se, forse,
sarebbe stato meglio filarsela appena possibile. Per tutto il resto
della giornata non ho fatto altro che corre da una parte
all’altra della casa completamente in balia delle richieste
di aiuto delle ragazze. Chi mi chiamava per reggere la scala; chi per
sostenere i festoni e valutarne la disposizione con sguardo critico
–nemmeno fosse un quadro, dico io-; chi per inchiodare i
festoni alle travi e tutti quei lavori che, secondo loro, sono da
uomini. Ora capisco perché, quando sono arrivato, dei
ragazzi non c’era nessuno. I soliti furboni.
Come se non bastasse, oggi ho fatto un full-immersion del mondo
femminile, sorbendomi discorsi sugli argomenti più
disparati, come scarpe, vestiti, trucchi, profumi, cerette e tutto il
repertorio. Santo cielo… Il mio cervello è morto.
Ad un certo punto si è spento e vagavo per la stanza come
uno zombie senza volontà. Fortunatamente, dopo poco
arrivarono gli altri dell’AVALANCHE e le mie
facoltà mentali ringraziarono per questo.
Il bar addobbato sembra una bomboniera con tutto questo rosa. Non credo
che una bambina tosta come Marlene possa apprezzare
quest’esplosione di femminilità, ma potrei
sbagliarmi. In fondo a chi non piacciono i Carbuncle e i Moguri? Anche
se devo ammettere che la bambina mi ricorda molto l’Aerith
descritta dall’inchiostro di Sephiroth : fanciulla
dall’innocenza innata, ma che dietro di essa si nasconde una
saggezza incredibile, in grado di conferire la forza necessaria per
reagire contro le avversioni. Quando mi ammalai del Geostigma, sentii
il mondo crollarmi addosso. Realizzai il poco tempo che mi rimaneva e
che non sarei mai stato in grado di espiare i miei peccati. Ero un
morto che camminava e un’anima destinata
all’Inferno. Mi immagino LUI pregustare il momento in cui mi
avrebbe avuto tra le sue grinfie per l’eternità e
rabbrividisco: ancora oggi un terrore senza fine mi gela la spina
dorsale e comprendo quanto il contributo di Marlene sia stato prezioso
per farmi rinsavire. E’ una bambina straordinaria, capace di
rallegrare la giornata con il suo sorriso furbetto, donando voglia di
vivere a chiunque le stia attorno. Inoltre, ciò che la rende
unica è la sua particolare testardaggine . Lei
s’impunta su certi argomenti e ci martella finché
non ottiene ciò che vuole. Non lo fa per cattiveria, ma
perché SA che solo così può spronare
le persone a dare il meglio di sé; soprattutto nei confronti
di testoni come il sottoscritto. Merita davvero tutto questo amore,
perché lei è l’anima del nostro gruppo,
quella colla che ci tiene uniti, l’eredità di
Aerith.
Gli invitati si sono tutti accomodati in zone strategiche del tavolo
devoluto a buffet, in trepida attesa dell’apertura del pasto.
Nel frattempo che aspettiamo l’arrivo di Barret con la
festeggiata, mi dirigo verso la cucina, dove Tifa è stata
confinata tutto il tempo. Mi affaccio alla porta e la vedo intenta ad
osservare il forno, da cui proviene il delizioso profumino della sua
formidabile torta al cioccolato e vaniglia.
Silenziosamente, mi appoggio allo stipite e l’ammiro.
E’ così bella quando è assorta nei suoi
pensieri; adoro quel suo sguardo concentrato e i lati della bocca che
si contraggono flebilmente ad ogni riflessione. Indossa un vestito nero
di cotone con scollo a barca, stretto in vita da una cintura bianca e
dotato di un’ampia gonna lunga fino alle ginocchia. Amo il
modo in cui è capace di rendere qualunque capo dannatamente
sensuale. Forse sono io che la osservo con gli occhi
dell’amore, ma bisogna ammettere che Tifa è una di
quelle persone dall’eleganza innata. Anche Aerith aveva la
stessa caratteristica.
Mi sento sfolgorare: anche LEI, la donna senza nome. Mi ritraggo dalla
visuale di Tifa per nascondere la mia espressione sconvolta e la nausea
crescente.
Quante altre cose avremo
in comune io e LUI?
All’arrivo di Marlene e dei suoi amichetti, i festeggiamenti
ebbero inizio. Ho provato a scordarmi per un momento i bui pensieri
legati alle tremende coincidenze che legano la mia vita con quella
parallela che si sta svolgendo in un libricino sgualcito nascosto nei
recessi del mio ufficio, ma…
Non ce l’ho
fatta.
La mia attenzione veniva continuamente attirata verso Cid e Vincent. Mi
sembrava quasi che stessero soppesando ogni mia mossa, come per
comprovare una chissà quale possessione da parte di
Sephiroth.
Sto diventando
paranoico, ma forse hanno ragione a dubitare di me.
Addirittura, al culmine della mia pazzia, mi è sembrato che
tutti mi stessero squadrando dalla testa ai piedi. Non facevo altro che
vedere occhi su occhi, i quali mi stavano intrappolando in una spirale
soffocante di dubbio e sfiducia. La nausea mi aveva attanagliato le
viscere contorcendole come spire di un serpente morente e non ho
resistito oltre. Bianco come un cencio, mi sono lasciato trasportare e
i piedi mi hanno condotto proprio nell’ultimo posto in cui
avrei desiderato trovarmi: nel mio ufficio, davanti a quel cassetto
maledetto. Come il vaso di Pandora, attendeva di essere aperto e
lasciare che il suo letale contenuto avvelenasse col suo tocco delicato
la mia fragile mente. Ormai sono alla sua mercé. Sephiroth
mi ha catturato un’altra volta e, stavolta, mi
sarà impossibile liberarmi, dal momento che sono io stesso
che continuamente torno da lui. Mi ha drogato. Le sue memorie mi stanno
completamente assorbendo e, quel che peggio, io me ne rendo conto,
però non sono in grado di ribellarmi.
Ma non posso fermarmi.
Non adesso.
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Autunno XXXX
Ho perso il conto dei
giorni, ormai. Dopo la distruzione di Meijin, la rappresaglia dei
nostri nemici si è scatenata come uno tsunami di sangue.
Un’ondata di cruenti stermini e vermiglie vendette ha
investito il Paese gettandolo nel caos più totale. Una
rabbia scatenata con una potenza tale da costringere Angeal,
neopromosso al rango di SOLDIER First Class e combattente
straordinario, e le sue truppe ad abbandonare Dashiro. La
città è stata la prima testimone della follia di
Wutai. Una follia che nemmeno la potenza di SOLDIER, tanto declamata
dal Presidente, è riuscita a contenere e il fuoco di
vendetta che, da tempo immemore si agitava nei cuori wutaniani , ha
avuto il suo tragico epilogo, trasformando questo pacato Paese in un
focolaio belligerante di odio. E’ diventato impossibile
spostarsi per la Nazione. Il simbolo di SOLDIER o Shin-Ra sono un
bersaglio disegnato dietro la testa; non ci si può muovere
senza essere vittima d’imboscate sanguinose. Ogni albero,
ogni foglia, ogni fiume, ogni grotta può nascondere una
trappola e sono parecchi mesi che questa storia va avanti. Dal primo
giorno, non c’è stato un attimo di pace: gli
attacchi si fanno ogni giorno sempre più furiosi, le truppe
nemiche sempre più potenti e numerose, la loro sete di
sangue più impellente che mai. La vittoria a Dashiro ha
rinvigorito il loro morale, a tal punto di osare sfidare la mia
potenza. Inseguendoci come faine schiumanti hanno tentato un assedio ai
danni di Garyo. Ho dovuto dar fondo a tutte le mie conoscenze
strategico-militari e mobilitato migliaia di uomini per non perderla.
Questa città è MIA e voi,
miserabili selvaggi assetati di sangue innocente, non me la porterete
via!
Non credo di aver mai lottato con così tanta tenacia in
tutta la mia vita. La mia bestia sanguinaria ha dato il peggio di
sé in quei giorni. Se c’era una minima
possibilità di una risoluzione pacifica alla guerra aperta,
direi che ce la siamo giocata. Il Ma gin ha colpito ancora, dimostrando
la sua sanguinaria spietatezza. I Wutai mi hanno offerto la guerra?
Ebbene è quello che avranno. La Guerra Vera, quella senza
esclusione di colpi, quella straziante pratica dove ogni istinto
buonista viene condannato con la Morte. La semplice legge della Natura:
il debole muore, il forte vive. Quel che è peggio quei cani
non mostrano alcuna pietà nemmeno per il loro stesso popolo.
Nell’erronea convinzione di considerarci simili alla peste,
loro danno fuoco qualunque cosa sia stata toccata da mani Shin-Ra,
compresi gli abitanti. Condannano civili innocenti solo per essere
stati conquistati. Uccidono donne e bambini proclamando di purificarli
dal nostro sangue.
Dashiro data alle fiamme… Uno spettacolo agghiacciante a cui
ho avuto la sfortuna di assistere. Genesis ed io intervenimmo appena la
notizia dell’attacco giunse al GQ, ma l’azione fu
così inaspettata e rapida che non riuscimmo a giungere in
tempo. Ordinai a Genesis di coordinare le operazioni di evacuazione e
corsi a dar man forte alla debole linea di difesa creata da Angeal, il
quale combatteva con tutto se stesso per coprire la fuga dei civili e
dei militari. Quando arrivai la battaglia infuriò ancora
più sanguinosa di quanto non lo fosse già
precedentemente. Appresi che le truppe inviate a combattere contro
SOLDIER non erano plotoni regolari dell’esercito ribelle, ma
bensì la Crescente, l’élite di Wutai.
Ne avevo sentito parlare, ma non credevo fossero così
potenti. O forse eravamo noi del tutto impreparati a una tale
rappresaglia. Non saprei. Come non so come riuscimmo a contenere il
dilagante arrivo di nemici, donando così giusto il tempo di
ritirare le truppe definitivamente. Avevamo poco tempo e molte persone
non erano ancora riuscite a scappare, troppo sconvolte da quegli
avvenimenti o troppo deboli per stare al passo con gli altri. Bambini,
vecchi, donne con neonati, uomini carichi di beni della propria casa,
commilitoni che si aiutavano a vicenda, moribondi… Il caos
più totale si agitava impazzito attorno alle mura
fiammeggianti di quella città, mentre da una parte i civili
tentavano invano di scappare e dall'altra la battaglia ricominciava ad
imperversare. I ribelli ci furono nuovamente addosso come belve feroci,
uccidendo tutto quello che capitava loro a tiro. Proiettili e bombe che
esplodevano da ogni parte, gettando la folla terrorizzata nel panico.
Ad un certo punto fu impossibile controllare quell’ammasso di
fuggitivi. Molti civili sono morti per essere stati calpestati dalla
calca in fuga. I miei uomini e quelli di Angeal erano troppo pochi per
scortare al sicuro un’intera città e
contemporaneamente combattere contro i ribelli. Il pianto e le urla
disperate di donne e bambini mi rimbombano ancora nelle orecchie e,
come una macabra melodia, fa da sottofondo ai miei incubi peggiori. Non
riesco a dimenticare quei volti rigati dalle lacrime, mentre civili
innocenti guardano la loro casa bruciare nell’ira della loro
stessa gente. Vedevo bambini guardarsi intorno spaventati a morte,
chiamando genitori che mai più avrebbero risposto loro. In
mezzo a quella spirale di convulsa follia, una goccia di calma
attirò la mia attenzione, estraniandomi per un momento da
quella realtà orribile.
Una bambina, avrà avuto sette-otto anni, vestita di un
piccolo kimono ridotto in brandelli, il colorito chiaro cozzava
pesantemente con la fuliggine nera che le sporcava la pelle sudata, la
treccia che le tratteneva i capelli avrebbe retto
l’accozzaglia indefinita e corvina ancora per poco, le
lacrime le rigavano il viso sporco… Ella era ferma,
completamente immobile e fissava la città andare in
frantumi. Ma ciò che mi perseguita non è la
figura misera nel suo insieme, ma ciò che lessi nei suoi
occhi. Annientamento.
Totale e completo annientamento. Piangeva? Sì. Era
spaventata? Era vero. Però non si trattava di paura
irrazionale scatenata da una situazione incomprensibile,
bensì realizzazione.
Quella piccola bambina, appena affacciata la vita, aveva compreso la
grandezza di ciò che era successo, la gravità di
ciò che era andato perso. Vidi la sua innocenza svanire
sotto i miei occhi. In quel momento, mi specchiai nella sua apatia di
fronte al dolore, alla miseria, alla Morte.
L’ho uccisa… Ho permesso che un altro essere mano
cresca con la mia stessa condanna.
E’
l’unica cosa che sono capace di fare.
Non ho fermato la spirale di bellica follia con Rufus a Meijin e non
l’ho fatto nemmeno ora con i ribelli a Dashiro. E i soldati e
i civili che ho strappato dalle grinfie del nemico continuano a
chiamarmi eroe.
Eroe?! Perché la gente ancora si ostina a definirmi tale?
Perché continuano ad adularmi come un idolo sacrilego? Mi si
rivolta lo stomaco ogni maledetta volta che mi sento ripetere la
stessa, odiosa, insensata frase: “Sono entrato
in SOLDIER per diventare un eroe come te.”
Dannazione! Per quale arcano motivo la gente è
così schifosamente superficiale? A volte mi piacerebbe
osservare me stesso con gli occhi di questi individui con
l’intento di capire se sono io con il mio comportamento e le
mie azioni a dare questa idea di me; oppure finalmente apprendere che
è proprio la gente incapace di un minimo
d’introspezione. Da un lato ringrazio che esistano persone
così ottuse, perché senza di loro questi mesi di
battaglie senza fine sarebbero stati problematici a causa della penuria
di uomini, ma mi sento dannatamente in colpa per averli illusi
così. Molti sono solo ragazzini in fuga da una
realtà di miseria e abusi, i quali vedono nella mia figura
di eroe indistruttibile l’Esempio, il Giusto, la Speranza.
Che amara ironia. La speranza è un sentimento che ho
abbandonato da anni, ormai non so nemmeno cosa voglia dire
‘sperare’. Sperare che gli esperimenti abbiano una
fine, sperare in un sorriso paterno, sperare per un regalo di
compleanno, sperare nell’amore…
Amore
Questo sentimento mi ha spesso accompagnato nelle lunghe ore di
solitudine. Il pensiero di quella donna continua a farmi visita quando
meno me lo aspetto e nemmeno gli orrori della guerra sono riusciti a
offuscarne il ricordo. Mi si è scolpita nella mente e non
riesco a dimenticarla. Credo perfino che la spietata tenacia dimostrata
in difesa di Garyo sia scaturita dal desiderio di proteggerla. Ho visto
cosa fanno i ribelli alle loro stesse donne e non permetterò
assolutamente che LEI riceva lo stesso trattamento.
E’ così strano: non so nemmeno come si chiami,
dove abiti, che lavoro faccia; perché mi ostino a pensarla?
Perché la sua memoria non scivola via e si va ad unire
all’accozzaglia di facce anonime che abitano i miei incubi?
Anche se, in effetti, è meglio così. Almeno, la
mattina quando mi sveglio e la notte quando mi corico, la sua visione
celestiale scaccia per un solo, meraviglioso attimo i demoni
raccapriccianti dei miei ricordi. Possibile che sia stato
così facile farmi capitolare ai suoi piedi?
No, non voglio credere di aver ceduto ad una cosa così
sciocca e scontata come un colpo di fulmine. Ma allora
perché la mia mano trema e il mio corpo avvampa?
Perché, quando la sogno, ho bisogno di una doccia fredda?
Sta diventando una nuova ossessione, ma non vorrei che fosse
diversamente. Sento il mio viso stanco tirarsi in un sorriso aperto, le
preoccupazioni della guerra scivolarmi via, una calma mai provata
abitare il mio animo turbolento. Potrei essere alla mercé di
qualunque assassino in questo momento, ma ho fatto un silente
giuramento: non
intendo morire senza averla prima rivista. Forse
è per questo che la mia foga battagliera si è
acuminata ancora di più in questo periodo. Prima mi gettavo
in battaglia spinto ormai dall’inerzia della routine,
infischiandomene della mia incolumità. Devo confessare che
ho spesso desiderato che qualche malcapitato mi trafiggesse il vuoto
nel cuore; e poi capitava che la frustrazione prendesse il sopravvento
su di me e infierissi sul corpo del prescelto per aver fallito il mio
intento. Davvero patetico…
Ora, invece, è tutto diverso: in questo momento combatto per
qualcosa, o meglio per qualcuno. Ho un obiettivo ben preciso, il quale
mi ha donato la forza di reagire. Una strana volontà di
vivere mi pervade per la prima volta nella mia oscura esistenza. Vedo
una luce brillante alla fine di questa spirale vermiglia. Prego che non
si tratti dell’ennesima sciocca illusione e che aver
abbandonato i miei pensieri suicidi ne valga la pena.
Aerith riderebbe di me se sapesse che provo dei profondi sentimenti per
una donna che nemmeno conosco, però credo anche che sarebbe
contenta per me. Ricorderò sempre quella volta che,
scherzando, lei mi chiese di sposarla. Lì per lì,
sentii le mie gote andare letteralmente in fiamme di fronte a quella
proposta indecente, ma poi realizzai e scoppiai a ridere. La piccola
s’illuminò e freddò la mia
ilarità con una frase sconcertante: “Darei
qualsiasi cosa per essere più grande. Solo così
potrei vederti sorridere sempre.”
Piccola mia, non serve che tu sia più grande, queste frasi e
la tua solarità mi rendono già felice, forse non
te lo dimostro ogni giorno, ma sappi che sei l’unica capace
di darmi un po’ di sollievo in questo mondo marcio. Un
sollievo minimo, ma pur sempre meglio che vagare nelle tenebre.
A volte sono tentato di leggerle queste pagine, ma non ho il coraggio
di scoprirmi così tanto, nemmeno di fronte a lei. Non voglio
che sappia ciò che si cela nel mio animo. Ne comprende parte
già da sola, non voglio che sprofondi nello stesso buio
pozzo assieme a me. Già il fatto che mi conosca e si sia
affezionata alla mia persona è deleterio per la sua
infanzia, ma, non so perché, non riesco ad allontanarmi, ad
abbandonarla. Non sono il tipo che si lega morbosamente alle persone,
eppure lei mi attrae come un’ape sul miele, in senso
puramente platonistico, sia chiaro. Non so cosa mi spinga a mantenere
quest’amicizia così dolorosa con la figlia
dell’unico uomo che mi abbia mai trattato come un essere
umano. Mi uccide vedere quello stesso sguardo compassionevole, quelle
iridi così identiche a quelle dei miei ricordi, il sorriso
ugualmente dolce e paterno. Forse il moribondo bambino che è
in me cerca ostinatamente di mantenere in vita la memoria di
quell’uomo virtuoso, ricercandolo nella figura di Aerith.
Probabilmente è così, ma sento che
c’è qualcos’altro, qualcosa di molto
più tenebroso, nascosto negli oscuri recessi del mio animo.
Questo sentore è legato a un sogno. Un sogno tanto sibillino
quanto terribile. Inizia con una visuale confusa su quella che sembra
un’intricata rete di rami splendenti. Conosco ogni centimetro
di questo mondo, ma non riesco a riconoscere nulla di ciò
che mi circonda. La visuale diventa offuscata quando si rivolge al
percorso che si apre di fronte a me, il quale mi appare come un
abbagliante cono di luce. Sto correndo come un dannato verso un luogo a
me sconosciuto; tuttavia, capisco che, da come mi sto precipitando, so
perfettamente dove andare. Odo il mio cuore battere
all’impazzata, i passi concitati su un manto di foglie, ma
non riconosco la voce affannata che esce dalla mia bocca. Quel corpo
non è il mio, eppure mi appartiene. Continuo a correre,
finché non giungo ai piedi di una scalinata bianca, al cui
apice riconosco Aerith. Non è più una bambina, ma
una donna matura e bellissima, impegnata nell’atto di
preghiera. Il corpo non mio, ma che sento tale, si precipita verso di
lei. Percepisco le labbra e la lingua articolare il suo nome, ma nessun
suono esce dalla gola. Salgo le scale, però verso
metà del percorso, un’ombra nera ingoia la
ragazza. Un’ondata di sangue sporca la mia vista di vermiglio
e l’ultima cosa che vedo è la punta della mia
Masamune trafiggere l’addome di quella figura innocente e i
miei occhi brucianti di violento odio e contornati da un sadico, quanto
spaventoso, sorriso. Il terrore senza fine suscitato da quella visone
distorta mi attanaglia la gola e mi mozza il respiro. Quando mi sveglio
stento a respirare e cerco di sciogliere quel nodo artigliandomi il
collo. La mia voce è ridotta ad un rantolo ansimante, mentre
la vista stenta a disperdere le immagini cruente di quel sogno. Una
volta mi svegliai urlando in presenza dei miei amici. Li vidi fare
camporella attorno al mio letto, osservandomi con gli occhi fuori dalle
orbite, assaltandomi con domande idiote sul mio stato di salute. Li
cacciai in malo modo, rifiutandomi di spiegare loro la situazione;
anche se so molto bene che prima o poi torneranno
sull’argomento. Dev’essere una caratteristica di
Banora la testardaggine, acquisita in maniera impeccabile nel rosso,
per grande danno ai miei nervi. Genesis non mi molla un attimo durante
la notte. La scusa ufficiale é per la mia protezione, dal
momento che sono in cima alla lista nera dei ribelli; ma so
perfettamente che desidera tenermi compagnia e assistermi in caso di
altri incubi. All’inizio era snervante, ma ormai mi sono
abituato alla sua invadente presenza; anche se non è di gran
compagnia durante la notte. Non so come faccia ad essere
così in pace con la coscienza. Forse sono io che mi faccio
troppi scrupoli. Comunque è confortante non sentirmi
completamente solo contro i fantasmi della notte, anche se gli incubi
rimangono. In particolare, quest’ultimo che ho trascritto mi
perseguita da parecchio tempo ed è stato scatenato da un
fatto ben preciso: la morte della madre di Aerith sulle scale della
stazione del Settore 7, negli Slums. Avevo appena compiuto 14 anni e quella fu una delle tante missioni di routine: rincorrere e stanare degli esperimenti scappati dai laboratori del piano 68. Il laboratorio di mio padre. Egli mi mandava spesso alla caccia di quelle povere cavie: odiavo quei compiti, mi facevano sentire un infame schiavista; poiché, nonostante anch’io subii lo stesso loro destino e capissi i loro stati d’animo, comunque portavo a termine la missione ordinatami. Uno dei tanti tipici esempi di completa sottomissione nei confronti del vecchio…
Fui il primo a trovarle, fortunatamente, e, quando appresi la loro
identità, l’odio per quella bestia abominevole
venne rinnovato. Non potevo permettere che un altro bambino subisse il
mio stesso trattamento. Condussi madre e figlia verso gli Slums, ma
appena raggiungemmo la stazione, la donna crollò a terra.
Era intossicata dal mako, sarebbe morta lì sul momento se
avessi tentato un incantesimo di Cura; perciò corsi a
cercare aiuto, ma incappai nelle squadre di ricerca capitanate da Hojo
stesso. Tentai una resistenza di fronte alla sua ira , però
alla fine cedetti alla paura e confessai il luogo in cui si trovavano
le donne. Temendo una mia reazione di fronte alla cattura di
quest’ultime, il vecchio ordinò che mi
conducessero nel mio tugurio al Palazzo ShinRa e di farmici restare. A
tarda sera, mio padre irruppe nella stanza e mi punì
severamente, mentre m’interrogava sull’ubicazione
della bambina. Io non capivo: le avevo lasciate sugli scalini della
stazione, dove poteva andare una bambina così piccola da
sola? Solo dopo mezz’ora di furiose fustigate, Hojo capii che
non avevo idea di dove fosse Aerith. Mi lasciò sul pavimento
rantolante, mentre mi sputava in faccia la notizia della dipartita
della donna. Questa fu la frustata più dolorosa di tutte.
Avevo promesso ad Aerith che avrei salvato sua madre…
Invece, l’ho
delusa.
Lei non mi ha mai incolpato per l’accaduto, ma non riesco a
perdonarmi di non essere stato lì a consolarla. Aveva
bisogno di me e io non c’ero; come un codardo sono scappato
dalle mie responsabilità, lasciando che la Morte fosse la
sua sola compagna. Non riesco a perdonarmi il fatto di essere stato un
debole, cedendo alle punizioni di un vecchio sadico bastardo, quando
avrei dovuto dare la vita per proteggerle. Aerith sospira sconsolata
tutte le volte e mi assicura che è stato fatto tutto il
possibile per sua madre; anzi aggiunge anche che io ho fatto molto
più di quanto ci si potesse aspettare da un giovane SOLDIER.
Sì, ma per me non è abbastanza. Non è
MAI abbastanza. Ho così tanto potere nelle mani, ma non sono
in grado di utilizzarlo.
Oggi come allora sono impotente…
Impotente davanti alla follia dell’Uomo, incapace di salvare
vite, impossibilitato a reagire di fronte agli eventi.
Forse ha ragione Hojo: sono un fallito. La grandiosa figura
dell’eroe onnipotente non è altro che una misera
facciata per il marciume di uomo celato dietro essa. Sono il sinonimo
della vita moderna: tanto luccicante fuori, ma sterco fumante dentro.
Vorrei essere diverso, trovare la forza di ribellarmi alle ingiustizie
che costellano la mia giornata, mostrare al mondo il mio vero io; ma
quell’ombra nera che mi accompagna dalla nascita non me lo
permette. Lei vuole nutrirsi del sangue di chi mi sta accanto. E io
glielo consento. Ho un carattere troppo remissivo, o forse sono stanco
di lottare contro una nuvola di fumo. Forse dovrei arrendermi
definitivamente alla bestia e lasciare che essa mi guidi verso il mio
reale obiettivo. Talvolta la sento sussurrare come una ninna nanna
nell’inconscio della dormiveglia, mostrandomi immagini
confuse e spaventose. Non ne comprendo il soggetto, ma ho il sentore
che lo scoprirò molto presto.
Chi o cosa sei? Cosa vuoi da me? Perché mi costringi a
indicibili orrori? Per divertimento? Per fama? Cosa? COSA?!
Sono a pezzi. La pioggerellina leggera e picchiettante di inizio
autunno non fa altro che amplificare la mia ansia. La tenda
è fredda e fradicia. Ogni rumore della foresta non fa altro
che destare il mio allarme, impedendomi di riposare. Quei bastardi
potrebbero essere ovunque, anche se Veld mi ha assicurato che in questa
zona non sono state rilevate attività ribelli da mesi; ma se
c’è una cosa che ho imparato in
vent’anni di servizio è MAI, e dico MAI, fidarsi
di un Turk. Loro non sono squadre d’azione, ma mammolette
capaci soltanto a guidare elicotteri e firmare scartoffie; non hanno
idea di che cosa voglia dire passare una notte in balia del nemico,
domandandosi se la gola arriverà integra al mattino
successivo. Loro si basano sulle statistiche, prendendo in
considerazione soltanto quello che i nostri satelliti vedono; come se i
Wutai o la Crescente fossero così stupidi da farsi rilevare
dai segnali GPS. Non mi stupirei se quella roccia ricoperta di muschio
sia in realtà un uomo avvolto in un mantello, o una
mitragliatrice a terra.
No, non mi fido di loro. Anche perché sono il reparto
più in stretto contatto col Presidente e darebbero qualunque
cosa per baciargli il didietro. Pensano soltanto alla loro carriera e
poi… non sono guerrieri, ma macchiette in giacca e cravatta
che giocano a fare i soldati speciali. Non dico che SOLDIER sia il
miglior reparto della Compagnia, ma almeno noi, il nostro lavoro, lo
sappiamo fare. Forse fin troppo bene, ahimé. Il mio istinto
non mi lascia un attimo di requie e continuo a guardarmi intorno,
sebbene il mio turno di guardia sia finito da ore. Osservo le
sentinelle pattugliare il perimetro del piccolo campo improvvisato
della mia squadra e vengo investito da un’ondata di intenso
terrore. Hanno paura. Lo sento. I nostri sensi ci permettono di vedere
al buio, di ascoltare nel silenzio più assoluto, di
percepire odori flebilissimi; ma ancora non possiamo prevedere cosa
accadrà delle nostre vite nell’immediato futuro.
Ogni secondo può essere l’ultimo. Questo
è essere SOLDIER. Questo è essere soldati.
Mi concentro su un soldato poco lontano. Si è tolto il casco
per osservare meglio il perimetro oltre la foschia della foresta. Il
suo respiro, tramutatosi in nuvolette grigie appena in contatto con
l’aria esterna, è affannato. Odo il cuore battere
all’impazzata. Quel giovane Terza lo ricordo. Era in prima
fila, il giorno del mio discorso, prima della partenza. Era uno di
quello con l’argento vivo addosso, con gli occhi pieni di
speranza, la sicurezza di tornare. Ora tutta quella baldanza si
è spenta, sostituita da una preghiera, una flebile richiesta
di uscire vivo da questa notte tormentata e gelida. Alzo lo sguardo
verso la macchia di plumbeo cielo che sovrasta questa piccola radura e
lascio che la pioggia mi accarezzi la pelle. Chiudo gli occhi e
immagino delle dita delicate e morbide sfiorarmi il viso, scendere
lungo il collo per poi sostare sul mio petto. Abbasso la testa e
incontro i suoi occhi smeraldini.
La vedo.
Lei.
Quel meraviglioso angelo è qui accanto a me e mi sorride.
Morirei per rivedere quel sorriso ogni giorno della mia vita.
Affido al diario la mia preghiera.
Aspettami
Una ola per me!!!
OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOLEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!! E anche questo capitolo
è andato. Uff, non trovavo mai la voglia di scriverlo,
perché non sapevo assolutamente cosa metterci, ma poi alla
fine, mi sono legata alla sedia e mi ci sono messa, anche a costo di
non studiare per gli esami e perdermi giornate di mare. E’
una questione di principio, ormai era diventata una questione
personale! Per voi, miei adorati lettori, questo ed altro ;). Anche se
credo di avervi un po’ deluso, poiché immagino che
aspettavate questo capitolo con ansia per leggere finalmente il
fatidico incontro con sta santissima donna misteriosa, eh? E invece no!
Ho deciso di farvi soffrire ancora un po’,
BUAHAHAHAHAHAHHA!!! Eh, insomma ragazzi, la Shin-Ra ha fatto saltare
un’intera città e i Wutai dovevano stare
lì a guardare? Eh no! Quindi il nostro Seph ha preso armi e
bagagli ed è andato a picchiare un po’ di ribelli,
mentre la sua bella rimane avvolta nel mistero. Meno male che
c’è Cloud che ci tiene un po’ sulle
spine. Diciamo che la salute mentale del nostro Chocobo sta andando a
farsi benedire…
Dai, ancora un po’ di pazienza e potrò finalmente
accontentarvi!
Ringrazio tutti per le recensioni e le visualizzazioni!
Alla prossima!
Besos!
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Capitolo 11 *** Rivelazioni ***
Sono
raggelato.
Quel sogno… Quel
sogno che ha descritto…
Lui… Lui SAPEVA.
Lo ha visto!
Ha visto la Bestia…
L’Artefice della morte
di Aerith
Ha previsto ME!
Mi ha sentito…
La mia disperazione.
Ha… Ha visto la morte
dell’unico essere su questa maledetta terra capace di
scaldare quel freddo cuore di ghiaccio.
Amava quella bambina, era
affascinato dalla donna che sarebbe diventata: perché?
Ha guardato attraverso i miei
occhi i suoi e ha saggiato ciò che più cercava di
evitare: odio, ira, follia...
L’oblio. Lui non voleva
dimenticare, è scritto qui! Non voleva dimenticare
ciò che era.
Non voleva abbandonare
l’unica cosa che lo rendeva umano; quindi mi chiedo: se
sapeva, allora, perché?
Perché lo ha fatto?
Perché la sua
infallibile memoria non è intervenuta poco prima che la
Masamune trafiggesse il fragile corpo di Aerith?
Perché non ha capito?
Mille pensieri esplodono nella mia testa, come una tempesta perfetta,
non appena il gelo abbandona il mio corpo. Tante domande. Nessuna
dannata risposta. Sono sconvolto.
Giaccio immobile sulla sedia. I miei occhi sono fuori dalle orbite e
quel senso di nausea si sta piano piano tramutando in uno stimolo
sempre più impellente di vomitare. Ogni respiro sembra
uccidermi. La mia mano trema impazzita e stenta ad articolare i pochi,
semplici movimenti per girare le pagine di quella trappola mortale.
Sento l’agitarsi forsennato di emozioni all’altezza
del petto. Esse pesano sul mio stomaco, lo schiacciano, lo rivoltano,
lo squarciano. Il fatto che capisco subito che molte di quelle
sensazioni non sono mie: Sephiroth è di nuovo qui.
Improvvisamente, uno strano sapore metallico s’imprime nel
palato. Non faccio in tempo a capire da dove possa venire, che un urlo
terrorizzato mi spacca i timpani, facendomi sobbalzare di almeno tre
metri dalla sedia. Mi volto di scatto, ma il mio sguardo si perde nel
pigro fascio di luce che taglia il mio ufficio.
Nulla…
Il cuore sembra uscirmi dal petto, tanto batte forte. Appoggio una mano
su di esso nella speranza di riacquistare un po’ di
autocontrollo e inizio a guardarmi attorno. Ho paura ad alzarmi. Gli
occhi si appoggiano su ogni ombra sospetta, senza accorgersi che, in
realtà, mi sembrano TUTTE sospette. Percepisco una presenza
malevola camminare per questa stanza, balzando di angolo buio in angolo
buio, rifuggendo la luce. Il terrore di rincontrare quelle iridi gelide
mi tiene inchiodato alla sedia, mentre LUI passeggia guardingo e
schiumante attorno alla muraglia che la luce del giorno sta innalzando
per me. O contro di me? Se questo fascio non è altro che un
muro della mia prigione? In effetti le uniche vie d’uscita
sono al di là di questa linea bianca, dove LUI mi aspetta.
Mi accorgo di un tremendo dettaglio: non sento più alcun
rumore provenire dal resto della casa. Il panico mi attanaglia. Non gli
resta che attendere la notte per ghermirmi. Il respiro si fa sempre
più pesante, tanto che le vie aeree cominciano a chiudersi e
ogni fiato diventa un marchio di fuoco dritto nei polmoni. Il cuore mi
sta esplodendo nella mano. Sento la falce spietata della Morte
respirare sulla mia spalla, pronta a raccogliere la mia anima pavida. O
è la Masamune a sbavare impaziente che io esali
l’ultimo respiro?
Perché provo
così tanta paura?
Ad un certo punto, un nuovo odore mi spalanca le narici. Il profumo
denso e pungente di un umido sottobosco muschioso…
E’ una ventata gelida, ma non in senso cattivo; anzi,
è inebriante e lambisce ogni cellula del mio essere
tremante. Una calma senza precedenti va ad acquietare la mia anima,
similmente a quella suscitata dalle gentili carezze che mi regalava mia
madre poco prima di addormentarmi. Percepisco i muscoli rilassarsi,
l’ossigeno fluire nei polmoni, il cuore regolarizzare il
battito. Mi accascio contro lo schienale, le braccia cadono sul mio
grembo e lascio cadere la testa all’indietro.
L’aria è diventata pesante e umida. Il gelo mi
entra nelle ossa. Tutto attorno a me è confuso da una fitta
nebbia. La pelle è accarezzata da una sottile pioggia
autunnale; ma non sono infastidito da queste sensazioni, anzi mi
rilassano ancora di più. Assaporo ogni sfumatura di quel
profumo che mi circonda e trovo nel desolante cielo plumbeo la mia
pace. Fisso incessantemente le nuvole grigie sfilare sopra di me,
mentre il vento scuote le foglie degli alberi nascosti dalla nebbia,
celando qualunque altro rumore del sottobosco. Quest’ultima
conclusione mi mette una certa agitazione addosso, ma scaccio quel
pensiero non ben identificato e chiudo gli occhi. Percepisco la
condensa del mio respiro solleticare le labbra, le quali si dischiudono
liberando un profondo sospiro, per poi tracciare un sorriso appena una
voce angelica mi sussurra nella mente. Non capisco cosa dice, ma io
reagisco subito a quel richiamo. Alzo la testa e incontro due grandi
occhi smeraldini, illuminati da un sorriso abbagliante. Il mio cuore si
apre e tutto il mio animo esplode di felicità.
LEI…
Articolo qualcosa con le labbra. Un nome? Non lo so, il mio cervello
non è in grado di registrare nulla di quello che mi sta
accadendo. So solo che lei annuisce e mi accarezza la guancia.
E’ così strano: mi rendo conto di ciò
che sto facendo, però ogni azione è estranea a
me, come se fosse un’altra vita, un altro tempo…
Un altro me. Osservo le sue labbra muoversi:
-Mi sei
mancato…-
-Anche tu.-,
rispondo IO di rimando.
-Perché? Non
ti conosco nemmeno! -, urla la mia voce. La visione
traballa e una strana forza mi ricaccia indietro, riacquistando il
controllo del mio corpo.
Il suo viso si rattrista e sento il mio cuore perforato da quella
sofferenza.
Ma che sta succedendo?
Perché non riesco a udire la sua voce? Con chi sta parlando?
-Lascialo
andare… Non è ancora l’ora.-
Come? L’ora
per cosa?! Cosa sta succedendo?!
La vista si offusca ancora, ma non a causa della forza di prima.
Sembrano quasi… lacrime!
Sospiro pesantemente. Il pensiero di andarmene mi devasta. Darei
qualunque cosa per passare ancora qualche secondo con lei, ma quella
voce strepitante non mi permette di trattenermi oltre. Maledetto, maledetto!
-Ti amo, E…-
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
-CLOUD!-
Due ceffoni ben piazzati sulle guance mi riportano brutalmente alla
realtà, la quale mi accoglie con gli occhi rossi del
pistolero. Lo riconosco, ma a quanto pare a lui non sembra sufficiente;
poiché Vincent afferra le mie spalle e mi scuote ancora.
-Cloud, rispondimi!-
La sua voce è apprensiva. MOLTO apprensiva. TROPPO
apprensiva. Comincio a preoccuparmi. Lo vedo alzare lo sguardo e
lanciare un’occhiata di fuoco al diario. Vincent… che succede?
Poi delle voci dal corridoio attraggono l’attenzione del
moro. Distinguo la voce di Tifa svettare sulle altre. Vengo preso dal
panico: Il diario! Il
diario é aperto sulla scrivania! Vincent presto fa qualcosa!
Come se mi avesse sentito, il pistolero asseconda il mio desiderio ed
eclissa quel libro nei tanti nascondigli celati dal mantello rosso.
Sorrido grato alla sua scaltrezza. Almeno credo. Mi accorgo solo ora
che c’è qualcosa che non va, ovvero appena Tifa
trasale terrorizzata sull’uscio e si precipita verso di me,
travolgendo per poco un preoccupatissimo Vincent. Ella mi afferra i
lati della testa e mi scuote, finché non si accascia ai miei
piedi, sconfitta. Non sento più nulla, nemmeno la sua voce
chiamarmi disperata, mentre grosse lacrime scendono dai suoi occhioni
color resina.
Non piangere, angelo mio. Non ti
lascerò mai sola.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Non devi morire
adesso…
Non abbandonarmi!
Cloud.
Resisti!
Non arrenderti!
Cloud.
Svegliati!
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Apro gli occhi di scatto e un
soffitto meramente grigiastro è tutto ciò che mi
si presenta alla vista. Ovunque mi trovi, sembra essere un posto
oscuro. Non percepisco né il profumo di fiori di Aerith,
né la rassicurante presenza di Zack. Qualunque sia questo
posto, sicuramente non è il Paradiso.
Alla fine i miei peccati
mi hanno raggiunto.
Faccio giusto in tempo a terminare questo pensiero che una valanga di
sensazioni mi travolge. Dapprima il dolore: incessante, profondo,
ovunque, mi dà la certezza di non essere ancora morto; poi
l’odore macabro di disinfettante e lenzuola sterilizzate mi
svela il luogo in cui sono disteso. Non del tutto certo delle mie
supposizioni, tuttavia, provo a girare la testa, ma una fitta
terrificante al collo mi blocca a metà del gesto,
lasciandomi giusto il tempo di distinguere uno schermo nero su cui una
linea verde ha dei singulti regolari. Infine, l’udito si
risveglia e mi permette di ascoltare il rumore incessante e fastidioso
di quel dannatissimo elettrocardiogramma.
Bip………………………...bip…………………….bip………………………….bip………………………..bip…………………….
Santissimi Esper! Impazzirò se dovrò ascoltare
questo odioso suono per tutto il giorno, senza contare il feroce mal di
testa che mi sta suscitando. Grugnisco nervoso e cerco di muovere la
mano alla ricerca del campanello d’emergenza, quando, tra la
ruvidezza delle lenzuola, non sfioro la morbidezza e il calore della
SUA pelle.
Tifa…
Sobbalza, appena percepisce la mia mano attorno al suo braccio,
svegliandosi di soprassalto. Stava dormendo. Bip…………….bip…………..bip…………bip……………bip………….bip………….bip……………..bip…………….
Si guarda attorno confusa. Povera Tifa, sembra invecchiata tutta
d’un colpo; a giudicare dalle rughe che increspano la fronte
e i lati della bocca e le grosse borse che segnano gli occhi gonfi.
Appena il neon sopra al letto la illumina, noto che le sue guance sono
segnate da vecchi corsi di lacrime cristallizzate. Mi sovviene
l’ultima immagine che ho di lei e mi stringe il cuore.
Chissà per quanto ha pianto da quando sono
svenuto…
Appena incrocia il mio sguardo dispiaciuto, un sorriso meraviglioso si
allarga sul suo viso straziato, scacciando via ogni traccia di
tristezza e disperazione. Con un solo gesto Tifa torna la ragazza
splendida e bellissima di cui sono sempre stato innamorato, facendomi
sentire subito meglio. Bip………..bip…………bip…………bip………..bip…………….bip…………….bip………….bip………..bip…………..bip………
-Cloud!-
Solo il mio nome proferito dalla sua voce angelica e mi sento
rinvigorire. Mi accorgo appena della sfumatura roca e della nota
stonata donata dall’emozione. Le sorrido e stringo la sua
mano, per quanto i miei muscoli indolenziti mi permettano. Lei ricambia
con vigore a entrambi, mentre lacrime di felicità iniziano a
scenderle dagli occhi.
-Tifa…-, sospiro io, esausto.
Ride.
Bip…bip….bip….bip….bip…………….bip……bip…..bip…..bip……bip……bip…..bip…..bip…..bip….
Si alza dalla scomoda sedia di metallo e mi abbraccia, facendo
attenzione a non strappare tutti i fili che mi si attorcigliano sul
petto. Mi stringe fortissimo a lei e la sento piangere silenziosamente,
incavata nel deltoide. Chiudo gli occhi e lascio che il suo profumo
lavi via quello impersonale e sterile dell’ospedale di Edge.
Mi concentro su di lei. Vorrei abbracciarla a mia volta, ma non ne ho
la forza. Sono spossato fino alle ossa. Mi trovo a chiedermi come ci
sia finito qui. Ho solo dei ricordi confusi: voci, visi, immagini,
lettere, sensazioni convulse in un vortice indistinto di oblio incerto.
Ma poi ogni certezza torna ad illuminare la mia mente, non appena Tifa
torna a guadarmi. Nei suoi occhi ci sono tante emozioni: sollievo,
felicità, stanchezza, solarità, amore. Tanto
amore.
Sono qui con te, angelo
mio. Per nulla al mondo ti lascerò andare via.
Tifa appoggia la fronte contro la mia e ci guardiamo a lungo
l’uno nelle iridi dell’altra; nel frattempo che le
sue mani mi accarezzano i capelli e il viso.
Sospira profondamente. E’ sollevata nel vedermi ancora vivo;
ma poi il suo sguardo si abbassa e si rabbuia. Mi chiedo cosa le
abbiano detto i dottori per spaventarla così…
Alla fine, mi guarda di nuovo e quella luce risplende ancora. Avvicina
le sue labbra alle mie e mi bacia.
Bip…bip…bip….bip….bip…bip…bip…bip…bip…bip…bip…bip…bip…bip…
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
-Una settimana?!-, esclamo incredulo.
Vincent annuisce gravemente senza distogliere il suo sguardo studioso.
Senza pensarci mi guardo attorno nella speranza d’incrociare
gli occhi di Tifa, ma mi rendo conto che non si trova nella stanza. Per
la prima volta, da quando sono stato ricoverato, la mia ragazza non
è accanto a me. Ed è anche la prima volta che
parlo con qualcuno di come sono arrivato qui e perché.
-E ritieniti fortunato. I dottori non avrebbero scommesso mezzo guil
sul tuo risveglio.-
-Ero messo così male?-
-Mh… Ogni tuo orifizio vomitava sangue. Giudica tu.-
Alzo il sopracciglio: sempre molto delicato Vincent Valentine.
Concentro lo sguardo su un punto indefinito e cerco di focalizzarmi
sugli avvenimenti di quel giorno. Sento che c’è
qualcosa d’importante sepolto nelle mie memorie, ma sembra
quasi che mi sia stato cancellato. Mi sovvengono stralci di dialoghi,
ma nulla che possa ricondurmi al malore subito. Sicuramente
c’è lo zampino di Sephiroth in questa
storia…
-Ora devo andare. Ci vediamo domani.-, si accomiata Vincent.
-Un momento!-
Il pistolero si blocca: anche se l’alto colletto e i capelli
corvini m’impediscono di vedere il suo viso, so per certo che
ha smesso di respirare. SA cosa sto per chiedergli e sperava che me ne
fossi dimenticato. Forse poteva essere la volta buona per portarmi via
l’oggetto a cui tengo di più nell’intero
universo.
-Il diario. Ridammelo.-, la voce è uscita più
intimidatoria di quanto volessi, però è del tutto
lecito. Quel diario maledetto mi sta svelando segreti a cui non riesco
a staccarmi. Anche a costo della mia vita, scoprirò ogni
più infimo segreto del mio peggior nemico.
-Cloud…-, Vincent lascia la maniglia della porta e mi
rivolge il suo sguardo più afflitto,- questa cosa ti ha
quasi ucciso. Credi che sia saggio continuare con questa follia?-
-E’ solo un incidente di percorso. E’ solo un
dannatissimo libro.-
Io sono il primo a non credere a queste parole, anche se risuonano da
un passato non troppo lontano, a cui avevo dato un bel po’ di
credito. E probabilmente avevo ragione. C’è
qualcosa in quel libro che mi spinge ad affezionarmici morbosamente e
io voglio capire perché.
-Non è vero. Guarda cosa ti ha fatto! Cosa sta facendo alla
tua famiglia!-
Rimango basito davanti agli strepiti di Vincent: non l’ho mai
visto così furioso, così…
così… umano. Allora anche lui teme Sephiroth,
teme il suo potere e le sue capacità come tutti noi. Sto
scoprendo così tante cose anche su di lui ultimamente.
Sospiro stanco.
-Vincent, capisco che tu voglia proteggere me e gli altri da me stesso,
ma è una cosa che DEVO fare.-
-Perché?-, ruggisce.
-Perché sento che questa è la cosa giusta da
fare. Ho capito molte cose leggendo quel diario. Cose che non si
perdonano, cose che andranno perdute per sempre. Era un uomo diverso di
quello che noi tutti abbiamo conosciuto: aveva degli amici
e… una donna!-
A quella rivelazione, Vincent sobbalza.
-Già. Voglio sapere chi fosse e, soprattutto, se
è ancora viva.-
Quella possibilità lascia spazio ad un pensiero ancora
più terrificante, il quale viene svelato dal pistolero
stesso.
-Non solo…-, la sua sicurezza va a spegnersi di fronte a
ciò che sta per proferire, tanto da aspettarmi che lasci la
frase a metà,- E se ci fosse anche un erede?-, rivela tutto
d’un fiato.
Una possibilità da far accapponare la pelle. Un erede. Il
primo di una stirpe maledetta. Un gelo senza fine s’insinua
nelle nostre ossa al pensiero che il suo sangue permane ancora su
questa terra e chissà quante donne o uomini ne sono stati
infettati. Un fruscio attira la mia attenzione, interrompendo la linea
dei miei ragionamenti. Il pistolero svetta accanto al mio letto e mi
porge il diario.
-Stai attento.-
Annuisco e afferro il libro, ma incontro una certa resistenza quando
faccio per tirarlo a me. L’ex-Turk è restio a
restituirmelo, la sua espressione angosciata parla per lui, ma alla
fine decide di ridarmelo. Mi allarma la profonda sensazione di sollievo
nel riaverlo tra le mie mani. Senza indugiare, lo apro e la SUA
scrittura mi accoglie con tutta la sua perfetta bellezza. Mi era
mancata…
-Cosa racconterai a Tifa riguardo tutto questo?-, mi chiede una voce.
Alzo la testa di scatto e vedo il moro guardarmi, in attesa. Tifa? O sì!
-Qualcosa m’inventerò…-, rispondo,
alzando le spalle con aria menefreghista, mentre i miei occhi ritornano
famelici alla lettura. Ora che il diario è qui con me non
c’è più nulla di cui
preoccuparsi…
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12 Dicembre XXXX
Non credo di aver mai
desiderato la neve con così tanto ardore, per quanto possa
sembrare paradossale. Dopo un autunno rosso, finalmente quel balsamo
bianco cala dalle alte montagne e segna l’inizio di una breve
tregua da questa nera follia. Negli ultimi mesi, gli uomini hanno
ritrovato la volontà di combattere e siamo riusciti a
mettere a segno molte vittorie importanti, tanto da spegnere i desideri
ardenti e sacrileghi dei nostri nemici. Anche se non è stato
per nulla semplice sedare totalmente la loro voglia di sangue.
E’ stato necessario l’arrivo di un precoce e rigido
inverno per indurre la resistenza a smettere questo genocidio insensato
e vile. Ora che i valici sono chiusi dalle abbondanti nevicate, i Wutai
si sono rintanati nelle loro fortezze montane ad attendere e
pianificare gli attacchi primaverili. La priorità, ora,
è riorganizzare i territori conquistati e impostare le
difese in previsione delle battaglie future. Ho deciso di stabilire la
sede Centrale di tutte le operazioni qui a Garyo, pertanto sono in atto
i lavori di ampliamento e aggiornamento del vecchio stabile militare e
della zone circostante. Pian piano vedo questo edificio trasformarsi
sempre più e osservo con profonda tristezza lo svanire della
sua bellezza antica. I giardini privati, con i loro splendidi pratini
verdi, le lanterne di legno, i ponticelli sospesi su piccoli
fiumiciattoli, sono scomparsi, lasciando posto alle sale mensa e i
capannoni che ospitano le camerate. Grazie al cielo, l’area
militare copre una grossa fetta di Garyo ed è localizzata
nella periferia della città, altrimenti avremmo dovuto
costringere molte persone ad abbandonare la propria casa. Ho fin troppi
sfollati di cui occuparmi, sarebbe sciocco procurarmene degli
altri… Già molte persone sono state evacuate qui,
dopo la distruzione di Meijin e Dashiro, e molte altre se ne sono unite
nei mesi successivi. Il daimo ha fatto istituire dei campi profughi
nella zona Est della città, ma le strutture fornite sono del
tutto insoddisfacenti per una dignitosa esistenza per quella gente.
Spero che con la cessazione delle battaglie si possa iniziare a
migliorare quelle zone, istituendo ospedali e scuole. Intanto, sto
dando a quegli uomini e a quelle donne un lavoro, invitandoli ad
aiutare i miei soldati nella realizzazione dei miei progetti. Molti
giovani si sono uniti alle Squadre del Controllo Cittadino e, grazie
alla grossa campagna pubblicitaria voluta dal Presidente stesso,
iniziano a vederci come dei salvatori. Non possono essere più
lontano dalla realtà. Abbiamo rubato la loro
terra, la loro dignità, la loro casa… e ci devono
pure ringraziare? Che schifo di ipocrisia! Quanto è facile
abbindolare quelle sciocche, sognanti, stupide menti! Per quanto la
maggior parte mi additi ancora come un mostro sanguinario, molte di
quelle giovani reclute iniziano a guardarmi come un esempio da seguire,
il guerriero secondo in cui ogni uomo debba trovare la sua strada. La
reincarnazione dello spirito Wutai. Non posso far altro che chiudere
gli occhi e passare avanti, fingendo di non aver sentito. Cosa ne
è stato del vostro onore? Delle tradizioni che proteggete
con sì tenace caparbietà? Perché vi
abbassate al nostro miserabile livello? Voi che discendente da
magnifiche stirpi di potenti guerrieri che hanno dato la vita
affinché la vostra cultura viva negli eoni a seguire,
perché volete imparare da noi, un popolo che ha fatto
dell’estorsione e della menzogna la sua religione? Come di
sovente sono impotente di fronte alla stupidità
dell’uomo. Non c’è altro da fare che
approfittare di questa gente disperata e lasciare che siano loro, e non
i miei soldati, a rischiare la vita sul posto di lavoro, alla
mercé delle intemperie. In un modo o nell’altro,
caduti su caduti si vanno ad aggiungere alla lunga lista di fallimenti
personali. Questa guerra mi sta costando molto più di quanto
il mio cuore possa reggere.
Finora la costituzione di torrette difensive lungo il
perimetro del solo Distretto Rosso hanno richiesto la vita di 100
persone, la costruzione di guarnigioni disseminate in tutto il nostro
territorio 220, la realizzazione di efficienti linee di comunicazione
1500, l’ampliamento della rete satellitare 200,
l’edificazione di eliporti 500, e potrei continuare per
pagine e pagine. La maggior parte delle morti sono causate dagli
attentati di cellule ribelli dure a morire, mentre il resto
è dovuto alle condizioni precarie in cui questa gente
è costretta a lavorare e, soprattutto, dalla fame.
Quest’ultima è una piaga che sta decimando
più persone della guerra stessa. Il territorio di Wutai
è un territorio duro in cui sopravvivere, richiede completa
dedizione e armonia: una lezione che ho imparato a duro prezzo. La
guerra ha scombussolato tutto. I campi sono stati bruciati, le case
distrutte, la gente ammazzata, le acque inquinate dai cadaveri. Il lago
Kyo, ovvero il più grande bacino di questa regione,
è ora una distesa di acque rosse e macilente, oltre che
essere testimone di una delle più cruente battaglie a cui io
abbia mai partecipato. Credo che quella di Kyo entrerà negli
annali della storia, come il coronamento di una carriera dedita allo
sterminio e alla Morte. I giornali, in patria, ne hanno parlato per
settimane, così mi è giunta voce. E ancora oggi i
suoi effetti si ripercuotono su di noi: la più vicina scorta
d’acqua è contaminata dal sangue di centinaia di
cadaveri putrefatti e molti dei pochi sopravvissuti a quel massacro
hanno disertato per motivi psicologici. La follia che devono aver letto
nei miei occhi non credo che se la dimenticheranno facilmente. Perfino
Angeal e Genesis stentavano a riconoscermi quel giorno. Non so
perché, ma in quella battaglia venne riversato tutto
l’odio e il rancore che serbavo da giorni nel cuore. Meijin,
Dashiro, Faryu, Honjiku, Valico Kenji, Sin’tei…
Tutta la tensione accumulata in quella serie di schermaglie
interminabili si è sfogata quel giorno. La belva grattava
sotto lo sterno da troppo tempo; da troppo tempo odorava il sangue
senza assaggiarlo davvero. Ho tentato di tenerla a bada per tutto
l’autunno per conservare la lucidità necessaria di
creare strategie, combattere con saggezza, salvare più
uomini possibili; ma alla fine ho ceduto. Sarebbe stata
l’ultima battaglia dell’anno e gliel’ho
concessa. Mi stava lentamente consumando: se non avesse avuto il suo
tributo di sangue subito, lo avrebbe reclamato da me. Ho
chiesto perdono al cielo, un perdono che non credo arriverà
mai… Sono una bestia troppo demoniaca per osare tanto.
Possibile che nessuno recepisca questo grido di aiuto?
Preferisco non pensarci, non voglio rivedere quelle orrende immagini
che hanno abitato i miei incubi per notti intere. I miei amici hanno
cercato di capire il motivo di tanta rabbia, ma mi rifiuto di metterli
al corrente di quale demone è celato nel mio animo. Non
voglio che provino pietà per me. Non la merito.
L’unica cosa di cui ho bisogno è starmene in
compagnia di me stesso, a meditare. Dopo tanta azione ho bisogno di un
po’ di calma; il fatto è che non amo stare con le
mani in mano, quindi ora mi sto dedicando ad un lavoro che avrei dovuto
fare molto tempo prima: stilare la lista dei caduti. Ho le loro
piastrine qui davanti a me, recapitate da ogni angolo sanguinante di
Wutai dai compagni sopravvissuti; il portatile collegato con il
database centrale SOLDIER a Midgar, affinché la Compagnia
informi le famiglie della morte di questi uomini e il mio fedele diario
pronto a raccogliere le angosce che questo affliggente compito mi
suscita. Il pensiero di quelle famiglie spezzate mi riporta alla mente
un ricordo che da tanto tempo non rimembravo:
l’immagine della madre di un mio camerato accartocciata sugli
averi del figlio morto, i quali mi ero incaricato di restituirle una
volta tornato da Corel. Il singhiozzo disperato di quella povera donna
sola e vedova davanti alla mia cruda freddezza della verità
fa da accompagnatore al triste tintinnio delle piastrine metalliche.
Joy Akerman, era il nome di quel soldato. Non saprei dire se
l’avessi mai considerato un amico, ma so per certo che lui si
era affezionato a me. All’inizio lo odiavo. Era un bullo
nato. Adorava alla follia sfottere chi era più debole, anzi,
chi temeva di più. Naturalmente, un quattordicenne schivo e
solitario non poteva che essere la sua preda preferita. Aveva un
seguito davvero enorme che mi rese il periodo
dell’addestramento un vero inferno. Per quanto non lo
sopportassi, lo invidiavo molto per la spontaneità con cui
riusciva a stringere amicizia. Io non ci riuscii mai, per quanto mi
impegnassi, finivo sempre col litigare con qualcuno. Li trattavo con
sufficienza, dicevano. Ma l’amicizia, per quanto forte possa
essere, non ti salva dalla Morte certa. Joy era pieno di
“amici”, eppure, quel giorno, tornai io indietro a
salvarlo dai proiettili nemici; fui io a trasportarlo in spalla fino al
punto di raccolta, mentre attorno a noi esplodeva il finimondo; fui io
a curare la ferita che aveva reciso l’arteria femorale. IO,
quello strano ragazzino che prendevi sempre di mira, ti
salvò la vita. Si ravvide per il suo comportamento e
giurò di ricambiarmi il favore. Per quanto gli ripetessi che
non era necessario, lui fece sempre come voleva. Mi ricorda molto
Genesis con un pizzico di Angeal, ora che ci penso. In battaglia mi era
sempre alla costole e il suo debito nei miei confronti salì
esponenzialmente, siccome aveva la malsana tendenza di non pensare
prima di agire o di essere sempre nel posto sbagliato al momento
sbagliato. Sebbene lo ripresi molte volte, la sua schifossissima
testardaggine riuscì a saldare il suo conto. Ma, come
sempre, salvare la mia vita richiede un prezzo altissimo. Si prese una
pallottola al posto mio. Una pallottola che gli colpì il
cuore. Morì sul colpo. Non potei far nulla per salvarlo,
quella volta.
Quando tornai in patria, svuotai il suo armadietto e una fitta di
nostalgia mi artigliò la gola. Constatai in quel momento che
non piansi mai per lui. Ai miei occhi era solo un vecchio bullo
testardo che usava il nastro nascente di SOLDIER per pararsi il
fondoschiena durante le battaglie; ma forse il vero egoista ero io. Ero
così abituato a evitare qualsiasi rapporto con i miei
commilitoni da non credere nemmeno un momento che uno di loro volesse
davvero essermi amico. L’ho trattato peggio di una suola da
scarpe per vendicarmi dei suoi odiosi dispetti, però mi
è sempre stato accanto, nonostante il mio brutto carattere.
Non l’ho apprezzato quando ne ebbi la possibilità
e, lì, davanti al suo armadietto svuotato e sigillato, il
nome strappato via e già sostituito con un altro, compresi
il vuoto che aveva lasciato nella mia triste esistenza. Ricordo che
abbassai lo sguardo sui suoi effetti personali, ammassati ordinatamente
in uno scatolone da ufficio ai miei piedi, e rimasi immobile per
qualche secondo a contemplarli. C’erano così tante
cose in quello scatolone, tanti ricordi, tante speranze, tanti sogni.
Mi sentii in colpa di essere vivo. Non potei fare a meno di pensare:
“Se lui si fosse arreso e quella pallottola mi
avesse colpito, cosa troverebbe nel mio armadietto?”
Nulla. Ecco cosa avrebbe trovato. E poi… A CHI avrebbe portato quello
scatolone vuoto? A nessuno. Ecco la risposta. Spesso mi
chiedo cosa avrebbe pensato di me, se fosse toccato a lui.
Probabilmente che non ne era valsa la pena rischiare la sua preziosa
vita per uno che la vita non sa nemmeno che cosa sia…
Stupido Joy Akerman! Perché mi hai messo una tale colpa
sulle spalle? Perché mi rinfacci tutte le cose belle che
avevi? Perché salvare la vita di uno spocchioso ragazzino
dal carattere indomabile? Cosa ha visto in me di così
prezioso da proteggere?
Come questa sfilza di nomi: molti di loro non so nemmeno che faccia
abbiano, dove sono nati, dove sono morti, come hanno vissuto; eppure
sono morti per inseguire il mio mito… Anche se una cosa
è certa: hanno decisamente avuta una vita migliore del loro
idolo. Molte di queste piastrine mi sono state recapitate singolarmente
da compagni d’arme che le raccolsero direttamente dal corpo
rigido e gelido dell’amico caduto. Ogni nome inciso su questo
metallo racchiude la disperazione per la perdita di una forte amicizia,
la terribile realizzazione di speranze infrante, promesse che non
potranno mai essere mantenute. Non
oso contare quanti nomi sto trascrivendo. Mi sembrano
infiniti. Questa montagna di metallo non accenna ad abbassarsi e la
lista è già lunga una decina di pagine. Alcuni
nomi non sono nemmeno certo di averli decifrati bene, tanto alcune
piastrine erano rovinate dalla ruggine e dal sangue incrostato.
Chissà quante famiglie verranno contattate erroneamente
oppure quante non verranno informate affatto? Non voglio pensarci.
A volte mi capita di chiedermi che farei se dovessi essere privato
della compagnia dei miei unici amici. Come reagirei? Sarei in grado di
farmene una ragione? Avrei il coraggio di rivedere lo strazio di una
madre privata del figlio? Ritroverei la forza per affrontare la triste
realtà del mio terrificante destino? Tanti dubbi di cui
spero di non avere mai le risposte.
L’odore pungente di carne carbonizzata mi distrae un attimo
dal mio lavoro e mi induce a osservare la colonna di fumo che sale dal
cortile della caserma. Intravedo altri falò in lontananza,
verso i distretti principali della città. La fame e la
miseria hanno portato una nuovo piaga, la quale sta dilagando
rapidamente in tutti Distretti: un’epidemia. Noi SOLDIER
d’alto rango siamo immuni alle malattie, ma i fanti non
ancora: il mako nei loro corpi non è ancora sufficiente da
potenziare in modo così esponenziale il sistema immunitario.
Gli ospedali militari e quelli civili sono presi letteralmente
d’assalto da ammassi di morti che camminano. Le medicine non
bastano per tutti, sebbene sempre più associazioni di
medicina volontaria raggiungono le zone colpite dalla guerra. Sono
sempre più di aiuto della Compagnia. Quei maiali dei piani
alti, pensano bene a tenere i loro sporchi guil sotto al cuscino invece
di devolverli alle casse militari. Quel moccioso viziato e quello
spilorcio di suo padre non fanno altro che incitarmi allo sterminio
della loro sudicia famiglia. “Non siamo
crocerossine, tantomeno una mensa per poveri. Degli animali se ne
devono occupare gli animali. Lasciali morire e non chiedermi
più finanziamenti per queste sciocchezze.” Quella che ho appena
trascritto è la definitiva risposta del Presidente al fronte
della richiesta da parte dell’Ufficiale Medico Gunt Ryan di
altri finanziamenti per l’ospedale Honi di Garyo. Quando si
presentò da me con questa e-mail ero indeciso se spaccare il
portatile o tornare a Midgar di volata per ammazzare con le mie mani
quel vecchio, grasso porco. Grazie al cielo, Angeal era lì.
Ormai mi conosce, sa ben individuare i segni premonitori di una
sfuriata ed è intervenuto giusto in tempo, chiedendo a
Genesis se suo padre avesse ancora da parte quel gruzzolo delle grandi
occasioni. Grazie a quell’intuizione, la situazione sanitaria
è migliorata, grazie all’intervento di Rhapsodos
Segnor, del quale ho avuto l’onore di conoscere. Ovviamente,
Genesis ne ha approfittato per chiedere al padre di raggiungerlo. Come
il figlio, è sicuramente un tipo stravagante, ma
è acuto, molto acuto. Ho compreso che ha studiato medicina
in gioventù e che, contro il parere del padre, gli anni
successivi alla laurea gli abbia passati con i medici della Missione
Sanità Mondiale. In pratica, non è la prima volta
che si reca in territori caldi a portare speranza e salute alle
persone. Ora ha anche i mezzi finanziari per mandare avanti una
missione tutta sua ed è ciò che ha fatto.
Ciò gli rende davvero onore.
Avessi io un padre così…
Tra l’altro, il rosso ha approfittato della visita del padre
per farsi recapitare un libro epico: LOVELESS. Anch’io lo
lessi tempo fa, ma non mi prese più di tanto. Ora sono
praticamente costretto a impararlo a memoria: Genesis ne cita un pezzo
almeno venti volte al giorno… Uno strazio! Almeno aggiunge
un senso di poeticità in una realtà dove
ignoranza e superstizione fanno da padrone. Se non fosse per uomini
come il padre del rosso, saremmo in balia di belve depravate come Don
Corneo. Questo mafioso pervertito ha pensato bene di ampliare il suo
sporco traffico anche qui in Wutai, approfittando della disperazione di
tante giovani donne. Purtroppo la cultura maschilista di questo
Continente non dà molte rosee prospettive alle genere
femminile. Se non vengono fustigate dai loro stessi uomini per motivi
vari e futili, molte di loro si concedono ai palati affamati dei nostri
soldati, con o senza volontà; oppure vengono accalappiate da
organizzazioni criminali e costrette a prostituirsi lontano dalle loro
famiglie e dalle loro case. Vorrei fermare questo abominio, ma questo
Paese ha così tanti problemi che non ho l’organico
sufficiente per fermare ogni singola ingiustizia. Vorrei avere il dono
dell’ubiquità… Fortunatamente,
c’è chi lotta per queste donne. Mi è
giunta voce che proprio qui a Garyo vivano le più grandi
geishe del Paese. Donne dalla nobiltà e bellezza tali da
essere desiderate perfino da un Re. Non ci giurerei, alla fine non sono
altro che prostitute d’alto rango, che hanno trovato nella
camera da letto dei grandi capi del Paese la loro vocazione. Fuori
saranno anche bellissime, ma dentro non credo che valgano molto
più delle prostitute che si portano a letto i soldati. Non
approvo la scelta cosciente di queste donne a disonorare
così il proprio corpo. Comunque, il capo di questa, se
così vogliamo chiamare ,“resistenza”,
una tale Sakura, mi ha invitato a udienza segreta per discutere della
sua richiesta. Non conosco i dettagli, anche perché mi
è stata recapitata in un modo alquanto singolare: attraverso
un fiore di sakura, volato sul davanzale della finestra. Gli ideogrammi
erano incisi sui singoli petali con una tale maestria da essere
riuscito perfettamente a capire cosa ci fosse scritto. Devo ammettere
che questa donna mi ha stupito, anche se da un lato sono allarmato.
Potrò fidarmi? Se è così abile da far
giungere un fiore sull’orlo della mia sfera privata,
cos’altro sarà in grado di fare? Stranamente,
però, non sono preoccupato: più guardo quel
fiore, più ho come la sensazione di avere un
dejà-vu.
Che sia…?
No, non può essere LEI… Mi rifiuto di credere che
un tale splendore possa essere alla portata di tutti. Che io abbia
ceduto alle lusinghe di una meretrice. No, mi rifiuto di crederlo!
Ho finalmente finito di trascrivere tutti i nomi delle targhette. Il
file è di una grandezza sconcertante… Inviarlo
via e-mail richiederà tutta la notte, almeno. Genesis
è partito stamattina come scorta di suo padre e dei medici
della Missione Loveless – naturalmente, non può
uscire altro nome dalla bocca del rosso- alla volta di un villaggio di
pescatori vicino Bodika; mentre Angeal l’ho trasferito di
stanza a Kyo, a sovraintendere le operazioni di risanamento del lago.
Ho bisogno di altri uomini fidati da inviare come miei rappresentanti
nelle zone strategiche del territorio. L’idea di creare
un’élite dell’élite di
SOLDIER mi accarezza da parecchio tempo e questo periodo di rodaggio
nell’Inferno deve aver pur dato alla luce qualche diamante
grezzo.
L’ora dell’appuntamento con questa Sakura
è vicino. Non è da galantuomini far aspettare una
signora, se così la si può definire.
13 Dicembre XXXX
Ho tanto caldo. La mia testa è così leggera. Il
mio stomaco si sta ribellando. Il mio cuore ha smesso di battere
già da ore.
Era davvero lei…
Dei del cielo… Finalmente una delle mie preghiere
è stata accolta.
Sakura
Come i fiori che hanno permesso ai nostri destini
d’incrociarci, quella notte di fine primavera. E oggi come
allora, ella è giunta nel mio momento più buio
per illuminare con la sua solare bellezza la mia anima nera e scaldare
con la sua voce incandescente il mio cuore ghiacciato.
E’ ancora più bella di quanto mi ricordassi.
Quegli occhi e quel sorriso… Santo Esper! Da vicino sono
ancora più meravigliosi di qualsiasi altra cosa.
Quelle labbra rosse sono una tentazione troppo forte per resistere:
l’avrei baciata all’istante, se solo avessi potuto.
Quando mi apparve davanti agli occhi, sentii il cuore perdere un
battito. Chiusa nel suo kimono bianco, pareva una di quelle regine
medioevali raffigurate spesso a fianco dei testi di madrigali scritti
in lode alla bellezza. Lei le superava tutte; non sarebbero bastati
1000, 10000, 100000 canzoni per descrivere quanto fosse meravigliosa
questa sera. Eppure era così semplice: le sue vesti non
erano di seta di prima qualità, ma lei avrebbe reso prezioso
anche un’armatura di ferro arrugginita; una coda di lato
chiudeva i lunghi capelli corvini che le cadevano lungo un lato del
corpo; nessun trucco copriva quella splendida pelle lunare; le labbra
splendevano con la loro naturale arrossatura.
Non riesco a togliermi dalla testa quel sorriso… E quegli
occhi. Verdi. Verdi come due smeraldi purissimi. Similissimi a quelli
di Aerith, anche se quelli di Sakura splendono di una luce che mi ha
sfolgorato sin da subito: determinazione. Cruda e fredda determinazione
di raggiungere un preciso obiettivo. Era straordinario il fascino che
suscitava in me nell’udire la sua calda voce spiegarmi il
motivo della sua chiamata e osservare i suoi eleganti e misurati
movimenti nel servirmi il tè. Forza ed eleganza in una sola
persona, in un solo gesto. Non mi è passato nemmeno
nell’anticamera del cervello la possibilità che la
bevanda potesse essere avvelenata, tanto la sua aurea era travolgente.
Avrei potuto morire, ma farmi uccidere da lei sarebbe stata una
dolcissima morte. Non avrei potuto desiderare un modo migliore per
andarmene: il profumo di gelsomino e il suo sorriso. Niente di
meglio…
Questo spiega la strana energia che percepii tra me e lei la prima
volta, e che ha permeato tutto l’incontro . Qualcosa ci ha
legato, indissolubilmente, per l’eternità.
La voglio.
La desidero più di ogni altra cosa. E’ stato
dannatamente difficile concentrarsi sul semplice discorso. Di solito,
quando mi affidano una missione, non m’importa dilungarmi
troppo sui dettagli. Le mie uniche domande sono quando e dove. Ma
questa volta no. Questa volta sarei stato tutta la notte in sua
compagnia; anche perché, oltre che essere bellissima,
è molto intelligente, accorta ed educata. E’
capace di centrare il punto del discorso con estremo tatto, senza
scadere nel banale o nel volgare. E’ attenta a tutte le
parole e fa di tutto per mettere l’interlocutore a proprio
agio, risultando perfino troppo umile – per tutto il tempo mi
ha dato del Voi e mi chiamava col mio titolo militare-. Di solito tendo
a mettermi sulla difensiva, innalzando un muro impenetrabile
cosicché le parole mi scivolino addosso come acqua corrente;
con lei non mi è successo, anzi tutto l’opposto:
avrei potuto dirle ogni segreto della Compagnia se solo me lo avesse
chiesto. Inoltre, è una straordinaria osservatrice, in
quanto più di una volta è stata capace di
anticipare una mia domanda o una mia mossa. Mi sono sentito…
compreso.
Per la prima volta nella mia vita, lei è riuscita a farmi
sentire normale.
Tutte qualità che non fanno altro che aumentare il mio
interesse nel conoscerla più profondamente.
Il suo profumo impregna ancora il mio odorato e la sua voce mi
accarezza ancora la mente. Come vorrei averla ancora qui con me.
Una doccia gelida mi ha ridonato quel minimo di sanità
mentale per pensare a freddo su questa faccenda. Forse quel
tè mi dato alla testa. Rileggendo le righe addietro,
arrossisco violentemente: mi vergogno di me stesso. Questi sono i
pensieri di uno sciocco ragazzino abbagliato da una cotta colossale.
Non farti strane illusioni, Sephiroth, è una geisha.
E’ NATA per manipolare i desideri degli uomini. Ogni
movimento, ogni parola, ogni odore è studiato per traviare
ogni ragione e deviarti ad assecondare le sue brame. Le geishe sono
donne scaltre. Non cercano l’amore negli uomini, ma solo i
loro soldi.
Desidera il mio aiuto per eliminare quella piaga di Don Corneo.
E’ il mio stesso volere. Abbiamo lo stesso obiettivo, ma per
interesse diverso: per me sarebbe un problema in meno di cui
preoccuparmi, per lei un concorrente in meno sulla piazza.
Una volta completata l’operazione, ognuno per le sua
strada…
Allora, perché il pensiero di non vederla più mi
terrorizza? Perché non faccio altro che pensare ai movimento
morbidi dei suoi capelli e alla fossetta nella guancia destra?
Perché non riesco a pensare castamente
a lei? Perché sorrido se ripenso al suo commiato?
“Spero di rivedervi ,
Generale.”
EVVAIIIIIIIIIIIIIIIII!!!! CE L’ABBIAMO FATTA!!!
PEPEPEPEPEPEPEEEEEEEEEPEPEPEPEPPEEEEEEEEEEEEE!!!! E finalmente, anche
l’ultimo nodo è stato sbrogliato! Dopo 11 capitoli
di agonia, la donna misteriosa ha un nome (più o meno)! E
anche un lavoro… diciamo… particolare.
Già immagino le vostre facce
(O____________________________________________o), ma non temete ci
sarà una spiegazione anche per questo, quando si
andrà a scoprire meglio il passato della nostra bella
geisha. Che dire di Cloud… beh, dire che gli succedono delle
cose strane è un simpatico eufemismo. Non sono certissima
che farlo finire all’ospedale a questo punto della storia sia
una buona idea, ma, sinceramente, a me piace così, tanto
è Vincent che si preoccupa ^^ (-.-‘, umpf,
ndvinny). Va bene, vi lascio in compagnia di questo capitolo per tutto
il resto dell’estate, perché si prospettano per me
dei mesi di mare su mare (che schifo la vita di una biologa ^^). Spero
che vi faccia compagnia!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 12 *** Alba ***
Perplessità.
Ecco ciò che provo. Null’altro. Il che
è strano, poiché avrei scommesso la mia
cagionevole salute su un ennesimo devastante transfert
emotivo…
Che mi sia finalmente
liberato di LUI?
Questo pensiero da un lato mi rallegra, ma dall’altro riempie
il mio animo di una solitudine profonda, mai provata. So che
è pura follia, però avvertire quella presenza,
per quanto oscura e terribile, mi faceva sentire… come
dire… sicuro. Potevo dirigermi nei luoghi più
spaventosi, così vicino all’oblio, cavalcando
situazioni così disperate da persuadere chiunque, uomini e
creature, a continuare in quella pazzia; ma lui no. Lui mi avrebbe
perseguitato fino in capo al mondo. Nessun luogo sarebbe stato troppo
pericoloso e nessun tempo troppo lungo per l’Angelo Nero.
Sephiroth sarebbe stato sempre la mia ombra, il punto focale nei miei
ricordi. Non mi avrebbe mai lasciato andare, per quanto io possa
impegnarmi, lo avrei trovato sempre ad attendermi al prossimo bivio che
la vita mi avrebbe sottoposto. Il fiato caldo e avvelenato sul mio
collo, mentre giudica ogni passo che compio; sgambettando per farmi
crollare, parandosi davanti per impedirmi di avanzare; insinuandomi
dubbi su dubbi. Ero arrivato ad abituarmi a quella presenza, fino a
trovare nel suo freddo tocco la mia calma, la risoluzione a tutti i
miei problemi.
Forse è per
questo che non mi sono mai preoccupato delle persone che mi stanno
accanto?
Mi passo una mano sulla fronte e scaccio quei pensieri. Ripenso a
ciò che è successo una settimana fa, alle lacrime
di Tifa, alla paura nella voce di Vincent… Sospiro
pesantemente e nascondo il viso tra le mani.
Di nuovo. Sta accadendo
di nuovo.
Sono un fallito. Possibile che sia solo capace di far del male ai miei
amici? Di far soffrire la donna che amo? E tutto per cosa? Per venire a
conoscenza che la fiamma del grande Generale Sephiroth, eroe di
SOLDIER, garante della pace, protettore dei deboli, idolo indiscusso
delle folle, non era altro che una geisha! Una geisha… una
geisha…
Freno la mia rabbia e mi rendo conto di un particolare.
Che
cos’è esattamente una geisha?
Mi sovviene subito un discorso affrontato tempo fa, quando ancora
prestavo servizio alla Shin-Ra, con un vecchio commilitone che aveva
partecipato alla guerra in Wutai. Ricordo che ci raccontava un sacco di
aneddoti interessanti, ma il suo preferito era quello sulle donne
wutainiane: “Un
popolo bello strano non c’è che dire. Pieno di
contraddizioni. Prendi le donne, ad esempio: fuori fredde come il
ghiaccio, ma se sapevi giocare bene le tue carte o se avevi abbastanza
soldi, dentro erano calde come lava bollente. Sono stato di stanza in
parecchie città del Continente Occidentale, ma nessuna era
come Garyo. C’erano vicoli interi dove, sia da una parte che
dall’altra, c’erano case di piacere aperte ad ogni
ora del giorno e della notte. Poi, se si andava nella parte alta, in
quella ricca, le donzelle chiedevano delle cifre pazzesche, ma ti giuro
che non ho mai speso così bene il mio denaro, ragazzo!
Eheh… E poi c’erano quelle che noi chiamavamo
“stellette”, ovvero quelle che se la facevano con
gli ufficiali. Mi diceva il mio comandante che bisognava sborsare un
bel po’ per farsela dare e capitava che non fosse quel gran
che. Spesso e volentieri ti rifilavano delle verginelle impaurite e
incapaci, quando quelle che avresti davvero voluto non ti calcolavano
nemmeno, sebbene avessi del denaro sudato per pagarle. Con tanti
sorrisi e belle parole ti mandavano in bianco senza che tu te ne
accorgessi, scoprendo che i guil che hai speso era solo per
un’ora di berciata. Una ragazza con cui sono stato mi ha
detto che quelle loro le chiamano “geishe”,
artiste, credo significhi, non ricordo, ma credo sia probabile: quelli
fanno di tutto un’arte, perfino il sesso. Eheh,
già… Comunque, mi ha spiegato di tenermi lontano
da loro , perché, ha detto: se pensi di avere a che fare con
delle galline ammaestrate ti sbagli, perché, sotto quei bei
kimono e quei graziosi faccini, si nascondono feroci e velenose serpi. ”
Scuoto la testa e interrompo il ricordo. Gli uomini in tempo di guerra
diventano degli animali e perdono ogni creanza nei confronti del
prossimo. Sarebbe stato interessante se Sephiroth fosse stato
lì ad ascoltare: chissà come l’avrebbe
presa? Sospiro pesantemente e prendo la foto. Ormai conosco ogni
singola sfaccettatura di quest’immagine, ma ogni volta mi
pare di vedere una persona diversa. E’ così
bella… Impossibile non venirne attratti. Possibile davvero
che potesse essere così alla portata di tutti? Una misera
sgualdrina? O una serpe infida?
Non sembri quel tipo di
donna…
Infatti non credo lo sia, a giudicare da come la descrive LUI. Attenta,
accorta, perspicace, educata, decisa, intelligente… forse
non era una novellina, una di quelle verginelle che venivano rifilate
agli ufficiali bonaccioni. Forse sapeva bene come ottenere
ciò che voleva; come circuire la furbizia e la freddezza del
Generale, fino a raggiungere l’ingenuo e innocente bambino
affamato d’affetto nascosto nelle profondità di
quell’anima buia. Egli definisce, infatti, questa categoria
come: “donne
che hanno trovato nel letto dei potenti del Paese la loro vocazione”.
Donne dai facili costumi con l’unica differenza che sono
talmente belle e raffinate da puntare in alto. Ciò,
tuttavia, non toglie il fatto che questo dettaglio mi suscita una
grande perplessità. Il ritratto che Sephiroth ha dipinto di
se stesso è di un uomo profondamente moralista: mai e poi
mai si concederebbe a un affare sporco come il sesso per denaro. Anzi,
dalle informazioni che ho potuto acquisire durante la lettura, in quel
periodo si stava impegnando a evitare che quella piaga dilaniasse per
il Paese appena conquistato, frapponendosi a Don Corneo e tutti i suoi
colleghi. Non sapevo che il mafioso avesse dei traffici anche da quelle
parti, ma dopotutto la guerra è un piatto ricco da cui ogni
tipo di feccia spilucca la propria parte. Forse è proprio
per questo che è entrata in azione questa Sakura. Rileggo
una frase curiosa: “mi
è giunta voce che proprio qui a Garyo vivano le
più grandi geishe del Paese”. Il
Generale ha spesso ribadito come questa città fosse il
fulcro della cultura Wutai. E ciò è davvero
curioso che dei traffici del genere s’inviluppino tra le sue
strade… uhm, c’è un punto che mi
sfugge.
Inoltre, mi è difficile credere che Sephiroth, dopo aver
scoperto l’identità di quella donna sorridente
sotto la pioggia di petali, passi sopra ad un dettaglio del genere. In
effetti, nelle ultime righe, trapela che la cosa lo turbi, ma non
quanto avessi creduto. Sembra davvero completamente infatuato di questa
ragazza, come se di colpo il suo cuore avesse ripreso a battere,
risvegliando degli istinti a lungo sopiti. In effetti è
esattamente ciò che lei suscita negli uomini. Come ha detto
il Generale è la peculiarità più
pericolosa di una geisha,-anche se, detta alla Cid, è una
caratteristica di tutte le donne-. Ma sento che
c’è qualcosa di più.
C’è una curiosa energia che aleggia tra queste
pagine, mentre parla di Sakura. Sembra quasi che qualcosa sia accaduto,
legando i loro destini in quella fatidica notte. Egli dichiara che non
si è mai sentito più compreso se non in quella
stanza da tè assieme alla donna che desidera. Credo che lei
abbia le capacità di andare oltre le apparenze dello
spietato Generale SOLDIER e cogliere il morente ragazzo che
c’è in lui, donandogli quei caldi sorrisi e quelle
occhiate dolci. Dopotutto, non è così difficile
rendere felice un uomo che nella vita non ha mai avuto nemmeno le cose
più semplici… Sakura lo ha capito fin troppo bene
ed è quello che ha affascinato Sephiroth fin
dall’inizio.
Mi scappa una risata mesta: la serpe ha colpito dritto al cuore e non
credo che sia stato solo un caso.
-EHI CLOUD!-
La stridula vocetta della Principessa Wutai mi scuote brutalmente dai
miei pensieri, facendomi per poco prendere un infarto. Ho comunque, la
freddezza di nascondere la foto nel diario e chiuderlo di scatto. Con
il cuore in gola, cerco di articolare qualcosa che sembra un
saluto…
-Y-Yuffie? Che ci fai qui?-
… fallendo miseramente.
La ninja assume un’espressione offesa, piantando i pugni sui
fianchi nudi con cipiglio quasi regale.
-Non ti fa piacere che ti sia venuta a trovare?-
Cerco di mettere in ordine nella mia mente e provo ad essere cordiale.
-No, anzi… Scusami, è che ero sovrappensiero.-,
mi sforzo di sorriderle, -Sei molto gentile a esserti preoccupata per
me.-
Yuffie sembra lieta della risposta e sorride soddisfatta, mentre
trotterella nella mia direzione. Con indifferenza copro il libro con le
coperte, pregando ogni divinità possibile che la ragazza non
se ne renda conto. Devo stare ben attento con lei, sembra una ragazzina
ingenua e con la testa fra le Materie, ma è una ladra
matricolata e ha un’incredibile capacità: riesce a
notare tutto. Sebbene non sembri, Yuffie è la più
pericolosa dei miei amici… e l’ultima persona che
avrei voluto vedere in questo momento. Senza fraintendimenti,
è una cara amica, capace di donare un po’ allegria
alla nostra combriccola, ma se ci mette può essere
terribilmente tediosa.
-Allora,- esordisce, mentre si siede sul letto.
Non so perché, ma quell’
‘allora’ pronunciato con lentezza non fa altro che
aumentare la mia ansia. Grazie
al cielo mi hanno tolto l’elettrocardiogramma,
penso appena mi accorgo degli effetti dello stress sul mio cuore,
- come va?-
Ok, rilassati e fai
finta di niente. - Bene, grazie.-
Quegli occhioni neri e profondi mi scrutano attentamente. Mi sembra di
essere sottoposto ad una TAC.
-Sono contenta! Ci hai fatto prendere un bello spavento. Io ero quasi
sull’orlo di una crisi di panico, quando ti hanno portato
via. E Tifa… non ne parliamo! Poveretta… Ma i
medici cos’hanno capito di quello che ti è
accaduto?-
Alzo le spalle. Qualche
idea ce l’avrei, ma non lo vengo a dire certamente a te.
La ninja distoglie lo sguardo e assume una posa meditabonda, con il
dito indice appoggiato sulle labbra e le braccia incrociate. Mi muovo
sul letto a disagio. Cosa
dannazione starà pensando quel cervellino?
Il tono cospiratorio che assume dopo qualche secondo di
silenzio mi fa perdere un battito.
-Certo che è strano… Un ragazzo forte e in salute
come te, quasi stroncato da un malessere così grave da
costringerlo a letto per giorni.-
-Beh, non è poi così strano. Dopotutto, sono
stato sottoposto a esperimenti che mi hanno incasinato la mente e reso
un vegetale per un certo periodo. Poi ho contratto il Geostigma.
Insomma, non sono mai stato proprio sanissimo. Magari questo malore
sono i rimasugli del mio passato.-
La bocca ha parlato da sola e l’ho lasciata fare. Ne
è uscito un vero capolavoro. Chi mai potrebbe non credere a
una storia così? Ora sono io a studiare la ninja, la quale
è tornata a far lavorare quel cervellino diabolico. Non è ancora convinta.
-Mh… I medici non ti hanno trovato niente?-
E come potrebbero?
E’ tutto nella mia dannata testa. Questo
pensiero me lo risparmio e scuoto il capo. Sephiroth non è
così stupido da lasciar tracce così evidenti. A
parte per il Geostigma, ma quella è un’altra
storia. Il suo intento, stavolta, è ben diverso. Vuole
mostrarmi il suo passato, vuole che lo conosca meglio; ma per quale
motivo non mi è ancora dato a sapere. Istintivamente,
abbasso il mio sguardo sulle coperte che celano il diario.
Perché
proprio adesso?
Siamo stati uniti per molto tempo e non si è mai sognato di
mostrarmi ciò che mi sta mostrando ora; lui non ha mai
voluto condividere nulla con me, solo piegarmi al suo volere come un
ramoscello inerme. Ha sempre cercato di uccidermi nel più
crudele dei modi, strappandomi un pezzo alla volta, allontanandomi
dalle persone della mia vita, manipolandomi la mente. Avevo a che fare
con un mostro sanguinario, senza coscienza e pietà.
La bestia.
Un’altra illuminazione. Ma certo! Non c’era bisogno
di conoscere Sephiroth alla perfezione per capire quanto quella dannata
notte egli cambiò. Eravamo arrivati a Nibelhim in compagnia
di uomo martoriato dalle pesanti responsabilità che erano
crollate sulle sue spalle in quegli ultimi giorni. Lazard era
scomparso, SOLDIER si trovava sull’orlo del caos, mostri
sanguinari comparivano ovunque, Avalance stava muovendo i suoi primi
passi verso una terribile rivolta… insomma, la Shin-ra non
navigava in acque tranquille. Lui era l’unico rimasto in
grado di far fronte a quei problemi.
E ’sempre
stato il più forte, nonostante tutto.
In quel periodo il Generale passava la maggior parte del suo tempo
rinchiuso nell’ufficio del Direttore o negli archivi. Zack mi
disse che qualcosa lo turbava, ma, nonostante tutti i suoi sforzi per
capirlo, il moro non seppe mai cosa esattamente. Cercava di aiutarlo,
diceva, ma Sephiroth era tornato a rinchiudersi nel suo guscio. E poi
arrivò quella notte. Egli scoprì la
verità sulla sua origine, la risposta definitiva alla sua
unica domanda. La Bestia approfittò di quel momento di
debolezza per trafiggerlo dritto al cuore. Il Generale morì
quella notte e la Bestia, finalmente, avrebbe creato il suo regno di
sangue.
Ma che ne fu di LEI?
Se era così innamorato, perché non è
riuscito a reagire per tornare dalla donna che lo amava e che lui amava
a sua volta?
-Clooooooooouddddddddddddddddd! Pianeta chiama Cloud!-
Yuffie mi richiama alla realtà, mentre l’ultima
domanda si perde nell’oblio. Alzo gli occhi e incontro quei
pozzi enormi guardarmi sgranati a pochi centimetri dal volto. Sento la
sua mano serrarsi tra i capelli e scuotermi la testa.
-Sì, sì, ci sono!-
-E’ da due ore che ti sto chiamando e tu non davi segno di
vita. Cominciavo a preoccuparmi.-
Non stento a crederlo. Noto solo ora l’angoscia che ha
deformato il volto tondo: l’ultima volta che non ho risposto
a una chiamata stavo per morire.
-Perdonami, ero sovrappensiero.-
La vedo calmarsi e riprendere le distanze. Cerca di sorridermi,
tentando di riprendere la sua consueta allegria.
-Sei sempre così distratto!-, dice ridendo,-Che cosa
nascondi, Cloud Strife?-
La domanda mi colpisce come uno schiaffo. Il fiato mi si mozza in gola
e percepisco tutti i miei muscoli irrigidirsi. Gli occhi li sento
sgranarsi così tanto che credo che mi cadano dalle orbite da
un momento all’altro. Noto la sua espressione furbetta
deridermi, mentre constata gli effetti di quella domanda su di me. Non posso cavarmela adesso.
E’ stato il suo piano fin dall’inizio.
Piccola bastarda!
Una terrificante, improvvisa, incontrollabile rabbia mi esplode nel
petto. Vedo rosso. Sento rosso. VOGLIO rosso. Tutto il mio essere
scatta verso di lei con una sola intenzione: uccidere. Non
c’è altro che io voglia, solo uccidere; vedere il
suo sangue spillare dalle vene; la sua vocetta fastidiosa implorare
pietà; le mie mani spaccarle quel piccolo cranio corvino; il
suo sorrisetto esplodere in una macchia di sangue e saliva e le guance
solcate dai bulbi liquefatti. Lacrime, saliva e sangue.
Vai via.
Le immagini di quella terrificante efferatezza ondeggiano,
permettendomi di sovrapporla all’immagine di una pimpante
Yuffie, in attesa di una risposta. Non riesco a recepire la voce, ma
capisco le sue parole.
-Vai via.-
Mi ritrovo a ripeterle come un pappagallo. Non so perché lo
stia facendo, ma credo che il motivo debba andare ricercato nella paura
di vedere realizzate quelle immagini.
-NON senza una risposta!-
La ninja è determinata. L’ira si solleva di nuovo,
ma di nuovo viene calmata da quella voce.
Vai via.
-Vai via.-
Stavolta lo ripeto con un tono più eloquente. Il tono che mi
esce dalle labbra ha un che di famigliare. Noto Yuffie sbiancare
entrando in netto contrasto con i grandi pozzi neri dei suoi occhi
allucinati. Le sue labbra si sono fatte sottili e sembra
sull’orlo di una crisi di panico. Terrore è
ciò che le leggo nelle pupille. Le immagini si sono
dissipate, lasciandomi con un forte amaro in bocca. Ma come posso solo
pensare di farle del male? Mi accorgo definitivamente della sua
reazione e credo che da un momento all’altro cada dal letto
svenuta, tanto è bianca.
Ma che le prende?
-Yuffie, tutto bene?-
-Ti… ti….-, inizia a dire, dopo aver ingoiato a
vuoto per una decina di volte,-Ti sei sentito?-
Corrugo la fronte e sbatto le palpebre, senza capire.
-Sentito cosa?-
-La tua voce…-
-Non ha niente di strano.-
La ragazza scuote la testa.
-Non adesso, prima. Quando hai detto ‘Vai via’.-
Continuo a non capire. Mi rendo conto che non ho memoria di averle
detto di andare via.
-Io non ti ho mai detto di andare via, Yuffie.-
-Infatti non sei stato tu!-
Yuffie sta diventando di un pallore quasi mortale. E’ davvero
spaventata, ma parlare per enigmi non mi sta aiutando a farla stare
meglio. Sono preoccupato, ma la situazione mi sta innervosendo. E
spaventando. A morte.
-Che cosa stai dicendo? Yuffie, se è uno scherzo, giuro
che…-
-Non è uno scherzo! Tu hai parlato, ma quella che
è uscita dalle tue labbra non era la tua voce!-
E poi sono io il pazzo.
Mi scappa uno sbuffo derisorio e scuoto la testa. Mi sto nascondendo
dietro ad un dito. Certo
che sono io il pazzo! Sono io quello che sente voci di gente morta da
anni! Ma l’orgoglio m’impedisce di
mostrarmi preoccupato di fronte alla principessa, celandomi dietro una
maschera d’indifferente derisione.
-E di chi sarebbe stata questa voce?-
La mora abbassa lo sguardo sulle mani tormentate, mentre si morde il
labbro, poi sposta lo sguardo verso un punto indefinito della stanza,
evitando il mio sguardo. Borbotta qualcosa.
-Come?-
Prende fiato e trova il coraggio di guardarmi di nuovo negli occhi. E
di dire quel nome tanto temuto.
-Sephiroth.-, ingoia quell'enorme rospo con fatica, ma ha laforza di
aggiungere,- Come é possibile, Cloud? Che ti sta
succedendo?-
Sospiro. Ormai non mi stupisco più di niente. Afferro le sue
dita intrecciate con una presa sicura e confortante. Ora sono io a non
avere il coraggio di incrociare il suo sguardo. Avrei potuto ucciderla.
Il furore cieco che mi ha annebbiato la mente pochi istanti fa
è scomparso del tutto, lasciandomi un freddo senso di
inquietudine insinuato nelle ossa. Improvvisamente, sento le membra
pesanti, i muscoli indolenziti. Sono distrutto, come se avessi
combattuto per tutto il giorno. Le tempie iniziano a pulsarmi. Per
quanto mi sforzi non riesco a ricordare cosa sia successo dopo
l’attacco d’ira; similmente come non riesco a
ricordare cosa mi è successo prima del malore. Mi sento come
un dopo una sbornia colossale. Getto un’occhiata al
rettangolo di coperta che cela il diario poggiato sulle mie gambe.
Che farebbe LUI al mio
posto?
-Yuffie.-
La principessa mi scruta, la paura ancora dilaga nel suo sguardo. Io
stringo la presa su di lei, ma continuo a fissare quel rettangolo.
-Io risponderò alla tua domanda, se tu risponderai alla
mia.-
La ragazza si sporge verso di me, incuriosita. A quel punto, alzo lo
sguardo verso di lei, fissandola con determinazione.
-Qual’è la cosa che ritieni più
preziosa?-
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1° Gennaio XXXX
E’
l’alba e la maggior parte della caserma è ancora
immersa nel sonno, mentre solo pochi coraggiosi affrontano la morsa del
gelo, cantando a squarciagola canzoni oscene dettate
dall’ebbro. I festeggiamenti per l’anno nuovo si
sono protratti fino a poco più di un’ora fa e, in
certe parti della città, ancora continuano, in barba alle
gelide sferzate dell’inverno di Wutai. Per una notte loro si
sono dimenticati della guerra, della carestia e della malattia, issando
bicchieri di champagne da quattro soldi e saké scadente, in
compagnia di qualche accompagnatrice di dubbia moralità.
Brindavano a tante cose, quei soldati, alle prostitute, al cibo, al
bere, alla famiglia, alla speranza di rivederla e alla consapevolezza
che molti di loro non l’avrebbero mai più rivista.
I toni calarono in fretta, fino a che la musica non ha preso il
sopravvento e ognuno si è dimenticato delle proprie paure e
si è gettato in bocca alla futilità del momento.
Hanno ballato, riso, bevuto, baciato, fatto l’amore,
litigato, ancora bevuto, mangiato… Si sono divertiti,
lasciando che l’oblio accogliesse loro nel suo abbraccio
alcolico. Sono crollati in un sonno senza sogni o ne stanno ancora
vivendo uno. Credono davvero che quest’anno sia migliore di
quello passato, spergiurando propositi di cui solo un terzo verranno
mantenuti, con o senza volontà.
L’alba sfida il mio pessimismo, dipingendo le nubi scure con
un carminio tendente al rosa, mano a mano ci si avvicina
all’estremo Est. Il disco solare irrompe subito dopo e
brutalmente tra di esse, ergendosi sull’orizzonte
frastagliato delle montagne acuminate; la sua luce ci inonda come un
dorato mare irruente. Il bianco abbacinante della neve mi induce a
fessurare gli occhi, ma mi costringo a guardare gli avvallamenti
ricoperti di polvere diamantata, baciata dalla luce del nuovo giorno.
Ora il silenzio è assoluto, come se la solennità
di questo evento abbia risucchiato tutti i suoni, affinché
si possa contemplare questo spettacolo nella pace più
completa. Perfino il vento ha taciuto. Il sole continua a levarsi,
allungando le sue braccia dorate sui fianchi delle montagne, come se
volesse farsi strada tra la ostile e fredda roccia granitica e godersi
il triste spettacolo che noi umani offriamo ogni giorno con la nostra
vile esistenza. Quest’anno non sarà migliore di
quello andato, anzi, sarà molto peggiore. La guerra non
intende allentare la sua stretta morsa e il suo colpo di frusta ci ha
risvegliato da un profondo sopimento.
Natale. I Wutai non festeggiano questa ricorrenza e il 25 Dicembre
è solo un giorno come un altro; sebbene sappiano
perfettamente quanto quella data è importante per
l’invasore. Mi aspettavo che avessero qualche carta segreta
da giocare, ma i loro Generali sono stati più furbi di
quanto pensassi. Tutte quelle schermaglie, quegli attentati…
avrei dovuto capire che erano solo dei diversivi per far volgere il mio
occhio attento altrove. Sono stati messi tutti a morte, senza nemmeno
interrogarli, senza ascoltare la loro voce. Giustizia del Ma gin, la
chiamano; giustizia della ShinRa, la chiamo io. Spesso sogno le facce
grottesche di quei condannati ridere sguaiatamente, seppellendomi sotto
una valanga di scherno. Chiudo gli occhi e quando gli riapro quelle
facce hanno assunto le fattezze di Rufus Shinra e di quel vecchio
grassone di suo padre. Vorrei trafiggerli, ma non riesco a muovermi.
Vedo le loro teste staccarsi dal collo con un ghigno malefico stampato
in volto, rotolare ai miei piedi e ridere, ridere, ridere. Mi risveglio
pieno di furore e rabbia, nel cuore di molti notti , scosso come un
nervo scoperto; vado alla mappa e la guardo e riguardo, non credendo
delle linee e delle pedine disposte su di essa. Frecce nere si
dipartono dal confine Nord-Ovest e dal monte Geti inizia il loro
avanzare. Aggirano i nostri confini, una lunga linea nera
contrassegnata da una croce rossa, trapassando da un versante
all’altro la montagna, nei pressi di un piccolo villaggio di
pescatori, in prossimità delle cascate Nashai. Hanno ucciso tutti, senza
pietà. Da lì, le frecce si dividono
in sei tronconi, come tante piccole serpi striscianti, e avanzano,
avanzano, avanzano, simili a tante lame nella notte. Sopra quelle linee
nere, numeri. Per segnare quanti morti, quell’acciaio
maledetto, ci è costato.
Un mignolo, una stretta e sottile falange , divide l’apice di
quelle frecce da Garyo.
“25 Dicembre: tutte le sei guarnigioni
dell’Esagono difensivo avvistano Wutai in avvicinamento
fuoriuscire dalle foreste dello Spiazzo.”
Quel messaggio è un colpo al cuore.
Circondati.
Il mio attenente stava ancora salutando la famiglia in videochat da
Junon, quando è arrivato il comunicato radio. Ricordo di
aver incrociato il suo sguardo incredulo e impaurito, cercando nel mio
stupore un briciolo di conforto. La voce preoccupata di sua madre
chiedere che succedeva, mentre l’allarme iniziò a
suonare per tutta la caserma, mi strinse il cuore.
“Niente, mamma… E’
un’esercitazione. Io… io devo andare. Ti voglio
bene.”
Ti voglio bene, ha detto.
“Come se un misero ‘ti voglio bene’ possa
servire a confortarla quando le verranno a dire che suo figlio non
c’è più”, ho pensato, pieno
di rabbia. Fortunatamente per quella povera donna, il suo soldatino
è tornato dalla battaglia sano e salvo, molte ferite, ma
nessuna grave. Ringrazierà gli Déi per questo, ma
suo figlio le dirà di ringraziare il Generale. Stupidi
idioti… Non si rendono conto che il mio contributo
è ben misera cosa messa a confronto con il coraggio dei
soldati. Per quanto spaventati, i miei uomini non si fermano davanti a
niente, nemmeno quando la situazione si fa disperata. Non dovrebbe
essere altrimenti: SOLDIER ha come simbolo l’antico
ideogramma Cetra della forza e il giuramento proferito al momento
dell’entrata nelle file d’élite lo
conferma: “Sono lo scudo dei deboli, la spada
della patria, i muscoli della Pace. Metterò la mia forza al
servizio imperituro della Giustizia. Mai barcollerò davanti
all’adempimento del mio dovere. Sulla mia spada e sul mio
onore, lo giuro.”
Il giuramento che pronunciai a 14 anni… Non so
perché mi è tornato alla mente, anche se non ho
mai creduto a quelle parole e, ora che le vedo trascritte, mi sembrano
ancora più vuote. Onore: che onore c’è
nel servire i potenti, nell’essere i loro macellai? Dovremmo
proteggere gli oppressi, non combatterli; dovremmo rovesciare la ShinRa
e liberare il Pianeta dal loro crudele dominio. Invece... sono qui, a
fare la parte dello schiavista. In fondo, che scelta ho? Io sono nato
per combattere. Io ho
BISOGNO di combattere. Solo con una spada in mano, il
vortice vermiglio della battaglia e il sangue bollente sulla mia pelle
posso definirmi IO. Sono libero in mezzo al caos. Nessuno mi giudica,
nessuno mi respinge, nessuno mi ama. Tutti mi odiano, e io odio loro.
Se non fosse per quel dannato senso di colpa…
perché? Perché provo questo rimorso?
Perché non riesco semplicemente a odiare il mio nemico?
I raggi del primo sole di quest’anno raggiungono le mura
della città, sorgendo una seconda volta su di esse. Questa
volta, però, il loro cammino è accompagnato
dall’alternarsi di lunghe ombre nere, le quali si allungano
come dita scheletriche su tutta la città. Il loro macabro
contenuto mi strappa un gemito. Migliaia di corpi in putrefazione
osservano sconsolati, con le loro orbite dilaniate dai corvi,
l’ultimo sprazzo di vita del vecchio anno. Osservano una vita
che avrebbe potuta essere la loro, se solo avessero deciso di passare
l’inverno con la loro famiglia. Non oso pensare quante mogli
e figli, attendono un ritorno che mai avverrà. Nemmeno la
decenza di riavere le ossa dei loro cari è stata concessa
loro: il furore scatenato da quegli uomini è stato feroce.
Volevano vendetta per aver rovinato quella festa tanto importante, per
aver causato la morte di tanti loro commilitoni proprio a Natale, di
aver costretto loro di versare sangue in quel giorno di pace. Non
sarebbe mai bastato uccidere quei corpi ancora e ancora, volevano
denigrarli, privarli della loro dignità, concedere loro il
riposo eterno. Non volevo che si arrivasse a tanto, ma ci sono momenti
in cui bisogna indossare quella maschera che odio con tutto il mio
cuore: il Demone, il Generale d’Acciaio, l’Eroe;
non m’importa con che nome venga identificata quella
facciata, in ogni modo la si guardi, egli è un mostro.
E, mentre proferivo l’ordine di appendere qui corpi alle
picche, ho potuto sentire i suoi aghi affondare nella carne e cucirmi
addosso quella maledetta maschera. Ho pianto lacrime amare sotto a
quegli occhi fieri, ho urlato fino a squarciarmi la gola sotto a quel
sorriso derisorio, ho graffiato le guance dalla disperazione, mentre le
mie false mani s’incrociavano davanti all’enorme
peso che gravava sul mio stomaco. Ancora quel senso di
colpa… girai la mia attenzione su Angeal e Genesis. Quei due
non sono più semplici amici per me, ma sono diventati i due
lati della mia coscienza, quegli estremi di bontà e
malvagità che mi mancano o non mi è permesso
dimostrare. Sono così dissimili e hanno concetti di
giustizia del tutto differenti, eppure amici per la pelle. Come me,
anche loro tergono i loro difetti, attingendo dalle virtù
dell’altro. A volte Angeal dimostra di essere un uomo
inflessibile e rigido nelle sue decisioni, ma quella sua
inflessibilità mi dona sicurezza. Lui non cederà
mai alle tentazioni del sangue, conservando il suo prezioso onore,
come, invece, ci si getta Genesis. Lui è più
istintivo, più crudele e più infido: un demonio,
certe volte; ma abbastanza intelligente da riuscire a dosare questo
veleno che si porta dentro. Inoltre, la sua totale mancanza di scrupoli
e la leggerezza con cui affronta qualsiasi cosa, mi aiuta a
giustificare le terribili decisioni che sono costretto a prendere.
Stanno diventando un punto fisso della mia vita. Mi sono scoperto del
tutto perso senza di loro, anche se, a volte, mi verrebbe da ucciderli
con le mie mani. Quando chiedo loro consiglio, iniziano a battibeccare
tra loro: uno inizia a parlarmi di dignità e rispetto e
tutte quelle diavolerie da avvocato del diavolo; mentre
l’altro mi accusa di codardia, inveendo contro il primo per
le idiozie scaturite dalla sua bocca, ricordandogli che siamo guerrieri
e non pacifisti del… beh, Genesis tende a diventare scurrile
quando si scalda, facendomi nascere dubbi sulla sua effettiva
discendenza nobiliare. Loro mi parlano in modo franco, andando diretti
al punto, dimenticando spesso di avere davanti a loro il Generale. Con
loro, la mia maschera si sfalda e sento le mie oppressioni allentare
pian piano la presa; però, quel giorno, mi fecero sentire
lacerato. Genesis era accanto a me, sorridente e fiero di
sé, i suoi occhi di mako brillavano di un’orribile
luce sadica, mentre i soldati innalzavano quei macabri stendardi.
Più in ombra, stava Angeal, circondato dai suoi
uomini-uomini a cui aveva impedito di prendere parte a quella
crudeltà gratuita, contravvenendo ai miei ordini-, mi
fissava con sguardo truce e accusatorio. Uno sguardo. Un solo singolo
sguardo per farmi sentire sporco fino al midollo. Lui lo sa bene, mi
conosce. Lo sa bene che aborro queste cose, me lo ha detto, eppure nel
mio masochismo continuo imperterrito. Il motivo è uno solo,
un motivo che Angeal non capirà mai: è
ciò che ci si aspetta da me. I media mi hanno forgiato come
una macchina senza cuore, un mostro spietato che trae piacere dalle
sofferenze altrui, il terrore di ogni uomo e il sogno di ogni donna. Mi
hanno addestrato, picchiato, torturato per diventare così.
La tua innocente ingenuità contadina non è in
grado di capire ciò che io ho imparato quando ero ancora un
bambino in fasce: la reputazione é tutto ciò che
un uomo ha. Tu hai avuto la fortuna di costruirtela da solo, di
scegliere il tipo d’uomo che vorrai essere per il resto della
vita, d’insegnare ciò che vuoi ai tuoi uomini e,
se ne avrai, ai tuoi figli. Io ho seguito il tuo stesso percorso, con
l’unica differenza che il mio è stato creato da
terzi. In primis, da mio padre e poi dalla Compagnia. Il vero carattere
é remissivo quanto basta per permettere a costoro di
piegarlo al loro volere, ma abbastanza forte da resistere e
tormentarmi. Angeal, spero che tu mi perdonerai, vorrei avere il
coraggio di dirti ciò che ho appena trascritto, ma temo il
tuo ferreo giudizio più della Morte stessa.
Osservo una donna sgattaiolare fuori da una delle camerate, prima di
essere afferrata al braccio da un soldato. La tira a sé e la
bacia appassionatamente. Lei ride e lui la stringe più
forte. Sono felici. Un uomo e una donna stretti l’un
l’altro, si amano, credo, e non c’è
altro posto in cui vorrebbero stare se non sotto a quel portico, in
questa giornata invernale.
Mi scappa un profondo sospiro.
Sakura…
Una delle ultime volte che la vidi… Meravigliosa e
magnifica, ella svettava al di sopra della massa indistinta del
popolino, circondata dalla sua ammaliante aura di dolce candore. Non si
era accorta di me, troppo intenta a dare conforto ad una sua collega,
mentre i miei soldati indicavano alla massa di dirigersi verso i centri
di raccolta. La calma abbandonò la mia mente e realizzai
improvvisamente che stavo andando a combattere. Stavo andando a morire...
Non avrei mai più potuta rivederla; ciò era
inaccettabile. Uno strano tremore cominciò ad attraversarmi
il corpo, rendendomi difficile anche il solo rimanere eretto. Perfino
respirare stava diventando impossibile. Tensione, paura, insicurezza.
Mille pensieri iniziarono a vorticarmi nella mente, mille dubbi sulla
strategia che avevo approntato iniziarono a nascere,
un’improvvisa voglia di urlare e scavarmi una fossa in cui
nascondermi. Sentivo il mio stomaco in subbuglio, a causa del
nervosismo incessante, lo stava squartando, stirando, stracciando.
Avrei potuto vomitare l’anima, se lei non si fosse accorta di
me. Percepii ogni paura dissolversi, appena ci guardammo. Aveva paura
anche lei, ma, nel vedermi, ogni suo dubbio svanì e il
sorriso solcò di nuovo il suo volto stanco. Si fidava di me,
la speranza illuminò i suoi occhi. Sentì le mie
labbra incurvarsi inconsciamente e mi dissi che era per lei che avrei
combattuto. E’
per lei che avrei vissuto.
La mia consueta calma tornò a quietare le membra tremanti,
assieme ad una ferma determinazione e una strana voglia di vivere. Non
era la prima volta che lei mi scatenava quelle sensazioni in vista di
una battaglia, ma era la prima volta che mi rendevo cosciente di quelle
meravigliose emozioni.
Oh, Sakura… Se solo non fossi una geisha, potrei avere
l’ardire di amarti fino in fondo? E tu, ameresti una bestia
sanguinaria come me?, ricordo che pensai.
No, inutile farmi illusioni. Lei si fa uso di me per allontanare la
mano di Don Corneo dal corpo delle giovani fanciulle della
città. Ha bisogno che io metta disposizione alcuni maestri
d’armi per addestrare il suo piccolo esercito di ragazzine e
che i miei uomini intervengano in suo favore in caso di scontro con gli
scagnozzi di Corneo. E’ questo l’accordo. Non vuole
null’altro da me…
Osservo ancora quella coppietta che sta salutandosi. Lei gli ha
lasciato un pezzo del suo kimono. L’espressione da ebete di
quel soldato mi fa sorridere e piangere allo stesso modo. Povero
illuso… Conosco quella ragazza, è una delle sue
accolite. Una geisha o una maiko, non importa, non potrà mai
essere tua. Lo so fin troppo bene…
Dopo la battaglia, il numero di feriti superava di gran lunga la
capacità degli esigui e inadeguati ospedali della
città, quindi ogni okyia di ogni hamanachi mise a
disposizione le strutture e le ragazze come infermiere. Gli uomini
vennero suddivisi nelle case più consone al loro rango.
Anch’io venni ferito in quella battaglia-nulla di grave, solo
un taglio poco profondo al costato, più qualche altro taglio
al viso-, ma, su insistenza dei miei amici, decisi di sottopormi ad una
visita. Quando Sakura si rese disponibile a farmi da infermiera, il mio
cuore perse un battito e dovetti lottare con tutte le mie forze per
evitare di arrossire. Mantenendo il mio ritegno da ufficiale, la seguii
verso le sue stanze, dove mi fece accomodare. Non v’erano
posti in cui sedersi abbastanza in alto per farmi visitare, tranne il
letto, il quale era posato su un rialzo abbastanza alto da fungere da
sedia. Sospirai e mi diressi lassù, sperando di non sembrare
troppo inopportuno. Appena mi sedetti, lei mi aiutò a
liberarmi dalle protezioni delle spalle e del cappotto, lasciandomi a
petto nudo. Non mi ero mai spogliato davanti ad una donna che non fosse
un dottore… Lei sembrò non accorgersi del mio
imbarazzo e iniziò ad esaminare la ferita. Aveva le mani
così morbide e calde: percepire il suo calore sulla mia
pelle mi causò un moto di eccitazione che tentai di
reprimere stringendo i denti. Sentivo la testa fluttuare e un curioso
sfarfallio all’altezza dello stomaco. Un istinto primordiale
mi stava nascendo all’altezza del petto, dilagando fino al
basso ventre. Continuavo a ripetermi che si trattava solo di una
visita, che lei era lì solo per curarmi, per assistermi,
per… per… baciarmi. Accarezzarmi. Possedermi. Non
so cosa scattò in me, so solo che non riuscii a controllare
le mie mani. Esse le afferrarono il viso e lo trascinarono verso le mie
labbra. Quando le nostre bocche si unirono, percepii una scossa
attraversarmi da capo a piedi, seguita subito dopo da una vampata di
calore, come se un fuoco mi fosse esploso dentro. Ero inebriato dalle
sensazioni che percepivo dai miei sensi acuiti: la morbidezza delle sue
labbra, il dolce odore del gelsomino tra i suoi capelli, il suo respiro
caldo che mi solleticava il labbro superiore. Le mie mani si strinsero
ancora sul suo viso, avvicinandola ancora più verso di me.
Il sangue bollente scaldava la pelle, arrossandola. Mi resi conto che
baciare una donna era come scendere in battaglia: tutto si offuscava e
la ragione scompariva. Sentivo la mente, fievole e lontana, urlarmi
‘No, no, no, NO!’, mentre il corpo, pulsante e
bramoso, gridava ‘Sì, sì,
sì, Sì!’ Per un attimo esitai. Mi
sembrava di trovarmi in mezzo alle discussioni con Genesis e Angeal:
ascoltare il peccato e lasciare che l’istinto facesse il suo
corso, o riprendermi e scusarmi del gesto? La risposta non
tardò ad arrivare, ma non per mia volontà. Sakura
mi riportò alla realtà con un sonoro e deciso
ceffone. Devo ammettere che ha un bel destro, mi duole ancora la
guancia da quel giorno.
A parte mio padre, nessuno si era mai sognato di alzare un solo dito su
di me, anche perché, chiunque lo avesse fatto, se ne sarebbe
amaramente pentito. Il primo istinto, infatti, fu quello di rispondere
alla provocazione. Repressi a stento la fiammata di passione trasmutata
in rabbia cieca, litandomi a fissarla, iracondo. Ma la mia rabbia si
spense quasi subito, quando incrociai le sue iridi ardenti. Era
furiosa...e spaventata. Due sensazioni che non facevano altro che
renderla ancora più bella e, al contempo, terribile. Quella
figura emanava un’energia così travolgente da
farmi sentire del tutto indifeso, come un bambino in fasce. Mi pareva
di essere schiacciato da quello sguardo, così straziante;
tanto da indurmi a capitolare, coperto di vergogna. Io, che con una
sola occhiata ho gelato il sangue di coriacei guerrieri e perfidi
dittatori, in quel momento mi ritrovavo a guardare il pavimento, dopo
essere stato preso a schiaffi da una donna, tra
l’altro.
Mi ha umiliato, eppure non ho avuto il coraggio di risponderle, di far
valere le mie ragioni. Me ne sono stato lì, come un idiota,
a guardare quel maledetto pavimento, la voce finita in fondo alle
scarpe, il mio orgoglio gettato nelle latrine della vergogna.
Che razza di uomo sono?!
Ritrovai il coraggio solo quando la sentii girare i tacchi. Scattai in
avanti e le afferrai il polso, ma lasciai quasi subito la presa, quando
mi freddò con i suoi occhi e percepii il tremore dei suoi
muscoli. Prima che la voce mi sparisse di nuovo, riuscii a bofonchiare
un misero ‘Mi dispiace’. La udii sospirare.
Silenziosa, s’inginocchiò con grazia e
allungò la sua mano verso di me. Con quelle dita affusolate,
riaccese un piccolo falò di passione. I polpastrelli
sfilarono per tutta la lunghezza della mascella, fino a riunirsi appena
sotto il mento. Con una leggera pressione, m’indusse ad
alzare la testa e guardarla. Quelle iridi erano tornate soavi e
gentili, come la prima volta che le vidi. Così materni e
appaganti, sono gli occhi che avrebbe mia madre, se solo lei esistesse
davvero… Mi sorrise e, per un minuscolo attimo, sperai che
continuasse ciò che avevo iniziato. Ma lei, con la solita
compostezza tipica della sua infida razza, smontò ogni mia
aspettativa.
“Accetto le vostre scuse, Generale-sama, e
confido nel vostro buonsenso di non ritentare di nuovo. Se mai vi
avessi dato prova di una certa disponibilità da parte mia,
vi prego di perdonarmi: non era mia intenzione forviarvi. Né
lo è stato colpirvi, perdonatemi anche per questo. Non
voglio ferire i vostri sentimenti, ma l’unica cosa che mi
potete offrire sono il vostro supporto alla causa. Capite anche voi che
sarebbe disonorevole per entrambi intrattenere un altro tipo di rapporto.”
Lasciai l’okiya con la coda fra le gambe, umiliato e
sconfitto. E la ferita aveva ripreso a sanguinare, ma non quella al
costato, una molto più profonda e ben più
dolorosa.
Attraversai le strade di Garyo in preda a quell’ubriachezza
furibonda dettata dalla più profonda delusione: desideravo
solo che quell’okiya bruciasse assieme a tutti gli altri.
Avrei voluto vedere ogni geisha scomparire dalla faccia del Pianeta,
affinché il mondo fosse libero dalle loro meravigliose
illusioni, dalla loro infida bellezza, dai loro occhi smeraldini, da
quella pelle così liscia e morbida, quelle labbra
accoglienti…
Quello non era un bacio qualunque: lì era racchiuso tutto il
mio mondo segreto, il mondo che ero pronto a donarle, assieme a tutto
me stesso. Ero suo, non desideravo altro.
Ma lei lo ha rifiutato, credendo, probabilmente, che si trattasse di
uno sporco atto istintivo. Forse ha avuto paura… paura che
le facessi del male, che la prendessi con la forza; forse è
per questo che mi ha allontanato con tanta veemenza. Nella sua testa
dovevo apparire come il Demone di Wutai, colui che uccide, impala e
disonora il suo popolo. Ha avuto sicuramente paura di me, ma nemmeno
voleva arrendersi. Fossi stato un uomo diverso, probabilmente, quello
schiaffo non avrebbe fatto altro che eccitarmi di più. Ha
rischiato moltissimo. Avrei potuto farle del male… La Bestia
avrebbe potuto… Se solo lei non mi avesse
fermato…
Il suo sangue sulle mie dita… No, non l’avrei
sopportato. Non avrei mai potuto vivere con quella colpa.
In fondo sono grato che sia finita così. Almeno ora sa cosa
aspettarsi da parte mia, può starne lontano o avvicinarsi
piano piano. A lei affido le mie speranze… E’ il
minimo che possa fare.
Getto un’ultima occhiata alla luce del nuovo giorno.
No, non è cambiato nulla, così come non
cambiò nulla dall’anno prima ancora, e quello
prima ancora, e ancora prima.
Ogni anno non fa altro che portarmi la stessa cosa: speranze. Speranze
che aspettano solo di essere infrante.
*si affaccia alla
finestra della camera e osserva preoccupata la folla inferocita con
torce e forconi*… Ehm, saaaalve, miei cari lettori! *schiva
una mela marcia, lanciata da chissà chi*
Sìsì, lo so, lo so, vi avevo detto che con la
fine della vacanze estive sarei tornata in grande stile con un nuovo
capitolo, ma *prende un faccia una torta alla panna acida*umpf,
grazie… Dicevo, ho avuto parecchie robe da fare e quando
avevo la possibilità di andare avanti, Okami mi attirava a
sé e mi sequestrava per tutto il giorno *si copre le
orecchie per attutire i fischi che si levano dalla folla*; oppure ci
pensava il moroso ad allontanarmi dai miei doveri *if you know what I
mean, dice qualcuno* Già, già, comunque la
difficoltà non era solo trovare il tempo (che ne avevi,
quindi niente scuse! Nda Seph e Cloud)* FATEVI GLI AFFARI VOSTRI!, dice
picchiando i due bonaccioni con il pc, poi si schiarisce la voce e
riprende contegno* dicevo, non ha aiutato il calo creativo, dovuto alla
grande domanda: eeeeee adesso? *.*
Cloud è all’ospedale, dopo che QUALCUNO *guarda
Seph con sguardo accusatorio* gli ha sconquassato quel cervellino da
chokobo depresso, quale tortura psicologica m’invento
stavolta? Seph ha appena incontrato l’amore della sua vita,
ma come farli avvicinare in modo verosimile?
Sì,sì, lo capisco dalle vostre facce sconsolate:
a giudicare da questo capitolo sembrerebbe che mi sia scavata la fossa
da sola, ma non temete miei prodi, il mio cervello non si è
del tutto congelato dal gelo della mia stanza e ho una mezza idea di
come sviluppare il tutto :) (andiamo bene -.-', nda Cloud).
Bene, Cloud credeva di essersi liberato del One Winged Angel, ma si
sbagliava di grosso. Piano piano sembra entrare sempre di
più nei suoi panni, arrivando ad assumere la sua voce
(figherrima tra l’altro, il caro George Newbern <3),
spaventando a morte la povera Yuffie. Notare lo stacco cattivo sul
diario: ormai quei due sono talmente fusi assieme che stanno diventando
una cosa sola.
Oh, voi penserete che odi a morte il bell’argentato, ma
sappiate che più adoro un personaggio, più gliene
faccio passare di tutti i colori. Mettiamoci il cuore in pace: Seph
deve soffrire! BUAHAHAHAHAHAH! *T.T me tapino, nda Seph*; inoltre mi
servono un po’ più di situazioni per farvi capire
che tipino focoso è la nostra Sakura. Il primo bacio non
è andato esattamente benissimo, ma non temere ci
sarà un’altra occasione *sarà meglio
per te!, sfodera la Masamune e la punta alla gola
dell’autrice* Glom… ehm, oook, meglio chiudere qui
che questi commenti sono più lunghi della storia stessa, a
momenti (e prima che Seph mi faccia fuori…).
Spero che questo capitolo sia valsa l’attesa (in caso
contrario, vi ricordo che tra un po’ è Natale e
quindi bisogna essere più buoni, anche con gli svogliati
lettori, quali la sottoscritta :D)
A parte gli scherzi, colgo l’occasione per augurarvi Buon
Natale e (se non ci vediamo prima) Buon Anno!
Abbraccio forte forte l’unica impavida che, per ora,
recensisce le mie storie, one winged angel, e la cara Manila che le
auguro di riprendersi presto e di tornare a farci compagnia!
A tutti gli altri, tanti bacioni e tantissimi AUGURIIIII!!!
Alla prossima
Besos
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Capitolo 13 *** Colori spezzati ***
-Che vuoi dire?-
-Una ‘cosa’? No… no, un
‘chi’.-
-Cloud?-
-Un ‘chi’, vero? E credo anche di sapere quale
particolare ‘chi’…-
Yuffie sgrana gli occhi. Ora quell’iride enorme è
profondo pozzo nero, la quale cozza irrimediabilmente contro
l’allucinante pallore della sua pelle esangue. Sembra che
faccia molto più freddo in questa stanza…
-Non oserai…-, bisbiglia per nascondere la voce tremante e
resa acuta dal pianto, il quale stava facendo capolino ai lati degli
occhi. Normalmente, mi sarei sentito in colpa per aver scatenato le
lacrime di una ragazza, ma in questo momento, un’assordante
spietatezza mi attanaglia il corpo con la sua fredda calma. Non ho mai
provato una tale sensazione: mi sento in grado di fare qualunque cosa
e, soprattutto, non m’importa un bel niente delle conseguenze
delle mie azioni. SO di essere nel giusto, SO che questo è
necessario affinché mi possa liberare di questa seccatura
con le gambe, SO che è per il bene di tutti che sto agendo
in questo modo.
E’ necessario,
continuo a sentirmi ripetere da una voce sepolta nel fondo del mio
animo.
Sephiroth…
Non se ne è andato per niente: è qui. Ha preso il
controllo della situazione ed è padrone di se stesso, o
meglio, di ME stesso. E’ forse per questo che sento che le
mie gambe sono più lunghe del normale, il busto
più alto o il solettichio di lunghi capelli lungo la schiena
nuda?
-Oh, oserei…-
-E’ un tuo amico!-
La ninja prova a ribattere con veemenza, combattendo contro le lacrime,
nel vano tentativo di ricacciarle indietro. Crede che con questa frase
possa davvero intenerirmi? Di intenerire LUI? Povera sciocca, se solo
sapesse con chi sta parlando veramente…
-E lo continuerà ad essere se tu terrai la bocca
chiusa…-
Avverto le mie lunghe e affusolate dita torcersi attorno alla minuscola
mano della principessa, strappandole un gemito, ma non ha il coraggio
di staccarmi gli occhi di dosso. Quello sguardo… mi ferisce
così profondamente da dilaniarmi. Non dovrei farlo, eppure
continuo ad ascoltare quella vocina:
E’ necessario,
è necessario, è necessario…
Come un disco rotto, ella mi
bisbiglia nella mente e soffoca ogni altro mio pensiero. E’
come se quella voce sia l’unica cosa che importi,
l’unica opinione che conti in questo piccolo mondo sventrato
tra il mio stanco ego e l’anima parassita del Dio caduto; una
realtà dilaniata dall’infinita guerra per la
supremazia. Percepisco il mio io battersi con tutte le forze per
scacciare l’intruso, incurante di quella diabolica vocina, ma
è il secondo che sta vincendo… e per lui quella
vocina è TUTTO. Lo percepisco, avverto le sensazioni che
dilagano impazzite; come me, anche lui vorrebbe evitare di manifestarsi
così pericolosamente, ma un desiderio folle, quanto
disperato, lo spinge sul ciglio del baratro. Ucciderebbe per quella
voce; ucciderebbe per poterne anche solo scorgerne il volto.
Ucciderebbe anche me, se potesse, squartarmi la pelle ed evadere da
questa prigione di carne, pur di raggiungerla. Di fronte a queste
emozioni, sono tentato di capitolare, ma non posso assolutamente
permettere che Sephiroth sia libero di controllarmi di nuovo. Non mi
arrendo senza combattere! Anche perché percepisco il pulsare
furibondo di una forza terrificante, tenuta a stento confinata nei
recessi del mio animo. La sento grattare, urlare, mordere, contorcersi;
sempre più furiosa, sempre più determinata a
spezzare le sue catene. A ogni suo assalto, mi sento sconquassare ogni
cellula del corpo. Serro la mascella fino a udire le ossa incrinarsi,
nella speranza che questo nuovo dolore mi faccia dimenticare quello
vecchio. La difesa eretta per proteggere il mio misero involucro di
sangue si fa sempre più sottile. E’ solo questione
di tempo che quella forza si liberi… Credo che sia per
questo motivo che Sephiroth è intervenuto così
palesemente.
La mia volontà da sola non basta, ne serve una
più forte.
-Vattene ora, Yuffie. Sono stanco e vorrei riposare…-
Libero la piccola mano dalla mia ferrea presa e raddrizzo la schiena,
posando le mani sopra a quel maledetto quadrato di coperta,
incrociandole con fare quasi difensivo. La mia testa è ritta
sul collo, con il mento leggermente rivolto vero l’alto, in
modo tale da osservare Yuffie dall’alto in basso, il petto
gonfio, le spalle rilassate. E’ una posa che non mi
appartiene, troppo superba e intrisa di orgoglio, fatta per sfidare e
intimidire. Fatta per Sephiroth.
Egli studia i suoi movimenti con un’attenzione predatoria,
seguendo morbosamente qualsiasi mossa della ninja. I muscoli tesi
pronti a scattare, pronti a difendere il diario a qualunque costo.
E’ necessario….
La ragazza si massaggia la mano. Sembra concentrarsi
sull’azione, però so che sta pensando a
tutt’altro.
Dopo qualche istante di silenzio, la ninja si alza e mi guarda con una
freddezza che mai le avrei attribuito.
Preda e predatore si fissano per un lungo istante, respirando la
tensione crescente. Posso quasi sentire il puzzo della paura
proveniente da Yuffie… o da me? Che il predatore abbia paura
di questa piccola ragazzina scheletrica? O che quello che credo il
predatore non è altro che un misera preda terrorizzata da
qualcosa di molto più mostruoso?
Un’altra scossa. Questa volta più travolgente
delle altre, tanto che mi provoca una stilettata di dolore dalla punta
dei piedi fino al centro della testa. Non riesco ad ignorarla: mi
sfugge una smorfia sofferente. Sento le dita stringersi in pugno.
Vattene, Yuffie, ti prego!
La ragazza nota la mia sofferenza. Apre la bocca come per dire
qualcosa, ma poi la richiude. Il suo sguardo si fa sorpreso per poi
virare verso la comprensione.
Sì, Yuffie. Scappa!
Indugia ancora qualche istante, incespicando in un muto discorso. Vedo
domande che nascono sulle sue labbra per poi svanire in un vortice di
confusione. Un altro colpo. Mi mozza il fiato. Tutta la sicurezza
ostentata vacilla, ma caparbiamente Sephiroth mi sorregge, anche se la
sua presa si fa sempre più debole. Tutto il mio essere
trema.
Tipregotipregotiprego!
-Vado a chiamarti un dottore!-
E finalmente, la ragazza scappa fuori. Appena la porta si richiude, il
dolore cessa improvvisamente. La Bestia se ne è andata. E
assieme a lei anche Sephiroth.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Mi accascio contro il cuscino e sospiro pesantemente, mentre le mie
dita giochicchiano con i lati dei fogli impilati all’interno
del diario. Nonostante gli sforzi, non riesco a dimenticare
ciò che è successo poche ore fa, in questa
stanza. L’espressione di Yuffie… raramente
l’ho vista tremare in quel modo, per non parlare del suo
colorito così terribilmente esangue. Sembrava quasi che
tutto il plasma che aveva nel corpo le fosse stato succhiato via. Mi
sento così in colpa per aver traumatizzato in questo modo
una mia amica, ma sto cercando di convincermi che tutto ciò
era assolutamente necessario. Quella voce… quella
meravigliosa, seducente, ammaliante voce. So di conoscerla,
è chiaro come il sole, sebbene ormai fatichi a trascendere
tra i miei e i SUOI ricordi, e, anche se ne fossi in grado, sono
così frammentati e fumosi che mi è impossibile
carpirne il soggetto. Ormai è certezza: da quella dannata
volta che gli permisi di prendere il possesso della mia mente,
Sephiroth si è attaccato ad essa come un’edera
velenosa; così tenacemente e così profondamente
da renderne impossibile l’ estirpazione. In fondo mi accorgo
di averlo sempre saputo: la nostra battaglia non è una
classica lotta tra Bene e Male. Non lo è mai stata.
Combattiamo per sopravvivere. Io voglio liberarmi del parassita e
lui... beh, lui non vuole morire.
Hai paura, vero? Anche
se l’hai cercata per anni, in fondo al tuo cuore sapevi che
non avresti retto di fronte al passo estremo.
In fondo, quanti anni aveva quando morì? Poco meno
della mia età attuale, direi *. Un uomo dotato di
capacità così straordinarie avresti detto che
sarebbe vissuto in eterno. Ma Sephiroth non era un uomo normale: lui
era… più,
è vero, ma anche meno.
“Nel momento
in cui nacqui, contemporaneamente morii.”,
così ha scritto pagine addietro. Lui non ha mai avuto una
vita. Respirava, ma il suo fiato era secco come le fiamme di Nibelhim,
il suo cuore arido come il deserto di Midgar, la sua anima nera come
l’inchiostro con cui scrive. In una parola: maledetto. Senza
nemmeno aver avuto la possibilità di vivere. Condannato dai
suoi stessi genitori, marchiato dalle cellule di un mostro alieno,
additato dal Pianeta col titolo funesto di Figlio di Jenova;
tutto questo quando ancora era solo un embrione, un essere indifeso,
senza volontà, senza voce. Mi torna alla mente
ciò che mi raccontò Denzel riguardo a quando
Kadaj lo rapì assieme agli altri orfani per portarli alla
Città Dimenticata. Stavo lavorando alla Fenrir e lui era in
officina con me a farmi da assistente meccanico –almeno ci
provava. E’ un tale distratto, a volte!- ; mentre si
ciondolava, seduto sul tavolo da lavoro, improvvisamente mi chiese:
“Cloud, il
Pianeta ci ama, vero?” Ricordo che lo guardai
come se avesse bestemmiato. Il Pianeta è Aerith per me. Da
quando è entrata a far parte del Lifestream, lei
è diventata tutto il buono che ci circonda; è la
Madre di ogni vita che caparbiamente sfida la Distruzione della sua
crudele controparte aliena. E’ per questo motivo che lanciai
a Denzel uno sguardo quasi omicida: come poteva dubitare
dell’amore di una persona che aveva dato la sua stessa vita
per la salvezza di tutti noi? Di un persona così importante
per me? Lo rimproverai chiedendogli come gli fosse venuto in mente un
dubbio così grave. Timidamente, il bambino iniziò
a raccontarmi del discorso che sentì sputato dalle labbra
velenose di Kadaj.
“We have to
fight… against a Planet that torments humanity.”
[Noi dobbiamo
combattere… contro un Pianeta che tormenta
l’umanità; cit. Kadaj, FFVII:ACC]
Quella frase mi fece salire una tale rabbia che, se avessi di nuovo
avuto quel rimasuglio jenoviano tra le mani lo avrei fatto a pezzi.
Come aveva osato insinuare un tale dubbio nella mente ingenua di un
bambino?! “Non
è il Pianeta a tormentarci, ma Sephiroth”,
ricordo che sputai con disprezzo. Denzel rimase in silenzio per un
po’, meditabondo, finché non proruppe con una
domanda a cui, all’epoca, non trovai risposta: “Ma allora perché il
Pianeta ha permesso la sua nascita?”
Già, perché? Perché confinare Jenova
in un strato roccioso vecchio di 2000 anni in stato vegetativo per poi
permettere la nascita del suo legittimo erede? Che ci voleva far morire
quel bambino di intossicazione da mako e farlo rientrare nella
statistica dei casi falliti? Che piani aveva il Pianeta per lui? E per
le persone ad egli collegate, come me?
Mi massaggio le tempie, nella speranza che quelle domande fluiscano via
dalla mia mente, ma essa non viene ascoltata. La paranoia di Sephiroth
sta contagiando anche me. Sospiro pesantemente e butto indietro la
testa, scivolando verso il basso per farla affondare nel cuscino.
Chiudo gli occhi.
Mi ritrovo a chiedermi se Aerith fosse mai stata al corrente dei piani
del Lifestream. Questo dubbio mi ossessiona da quando ho scoperto che
l’Antica intratteneva un rapporto simil-fraterno col mio
peggior nemico. Come avrebbe potuto essergli amica se avesse saputo
cosa le avrebbe fatto di lì a pochi anni? Sperava forse che
tergendogli la sofferenza con la delicata pezza della sua
luminosità, lui l’avrebbe risparmiata? Quel sogno
riferito agli eventi della Città Dimenticata, lo faceva
anche lei?
Non lo so, non lo so,
non lo so!
Afferro la testa tra le mani. Il cervello mi scoppia, troppi
pensieri, troppa confusione. Mi sento accartocciare, stringere,
soffocare. DEVO uscire da questa stanza!
Mi affretto verso l’uscio, ma la porta si chiude di schianto
con una tale violenza che i vetri esplodono in mille pezzi. Faccio
giusto in tempo a gettarmi all’indietro e proteggermi il
viso, prima che centinaia di schegge appuntite mi trafiggano.
Mh-mh-mh-mh-mhahahahahah!
Quella risata…
SCAPPA!
Ascolto quel suggerimento superfluo urlato nella mente, senza nemmeno
fare attenzione a chi appartiene: mi alzo e scatto verso la porta
cavalcando l’energia di quel grido, incurante dei vetri che
mi tagliano i palmi dei piedi. L’uscio è a pochi
metri da me, eppure mi sembra che stia correndo da secoli. Le ferite
rallentano la mia corsa, costringendomi a zoppicare; mentre
l’uscita mi sembra allontanarsi sempre di più. Il
terrore mi attanaglia; avverto le pareti stringersi e inscurirsi
attorno a me, fino a formare un tunnel, la cui fine non mi è
permesso vedere. I piedi mi stanno uccidendo: è come se ogni
ferita venga pugnalata di nuovo ad ogni passo. Mi sembra di poggiare su
un cumulo di carne spappolata. Mi volto all’indietro e vedo
il mio letto, vicinissimo.
Forse dovrei tornare a
letto… Riposare un po’.
No! Non tornare
là dentro! E’ una trappola!
Ma è
così lontano... Ti prego…
-CLOUD, AIUTAMI!-
TIFA!
Rivolgo la mia attenzione verso l’estremità del
tunnel e vedo Tifa tendere la mano verso di me. Il suo viso
è una maschera di dolore. No… Una
forza nuova dilaga nel corpo e inizio ad avanzare nelle tenebre, senza
staccare gli occhi dal mio angelo. Ogni passo è una tortura:
nuove ferite si aprono sotto i miei piedi;
l’oscurità mi afferra come
un’entità appiccicosa e mi tira
all’indietro; la gravità si fa sempre
più pressante. A metà strada cado in ginocchio.
Il dolore mi sopraffà e l’oscurità ne
approfitta per stendermi a terra. Con un guizzo porto le mani in avanti
e impedisco alle schegge di penetrarmi nella carne del petto fino al
cuore.
–Cloud… ti prego!-
Tifa…
resisti! Aerith, aiutami ti pr-
Sì, Cloud,
supplica ancora!
Sento la viscida consistenza dell’oscurità
trasformarsi in ami acuminati, i quali li percepisco affondare
così in profondità da grattare l’osso.
Essi mi sollevano e mi tirano indietro. Stringo i denti, reprimendo il
grido che mi stava nascendo in fondo alla gola. La voce di Tifa
continua a chiamarmi, ma si fa sempre più flebile. I suoi
singhiozzi mi inducono a combattere contro quella forza, ma ormai sono
completamente alla sua mercé. Tento comunque. Metto un piede
avanti e spingo, ma più forza metto nel resistergli,
più dolore egli mi procura. Non mi importa. Tifa. Spingo con
vigore e la pelle mi si stacca dalle ossa.
Urla, Cloud!
Mi sveglio di soprassalto, annaspando disperatamente alla ricerca
dell’aria ferma della stanza. Il cuore lo sento in gola e un
terrore gelido mi sconquassa il corpo fino alle ossa. Inizio a
guardarmi intorno, febbrile, muovendomi meccanicamente da una parte
all’altra, senza però vedere niente. Il solo
sondare ogni centimetro di questa trappola sembra l’unica
cosa in grado di calmarmi. Mi fermo solo quando incontro la mia
immagine riflessa, sul vetro della finestra. Ciò che vedo
è offuscato ed effimero a causa della luce, ma comunque
riesco a distinguere la misera figura specchiata. Occhi spiritati, bava
alla bocca, occhiaie nere e profonde, pelle bianca da far invidia alle
lenzuola… Sembro un pazzo. Non riuscendo a sopportare un
secondo di più quella vista, distolgo lo sguardo. Non oso
chiudere gli occhi: non dopo l’ultima volta che
l’ho fatto. Quanto tempo è passato? Un ora? Un
secondo? Qualche minuto? Giorni? Secoli?
Calma, Cloud!,
inizio a dirmi, picchiettandomi la fronte con i pugni. Mi sforzo a
scacciare dalla mente quelle terribili immagini e ignorare
l’ombra del dolore lancinante provato poco prima. Era tutto
così dannatamente reale. Il mio corpo venire squarciato in
due, i singhiozzi della donna che amo, la fredda oscurità
che mi circondava, il vetro sotto i miei piedi… Alzo la
testa e guardo verso il pavimento, dove mi aspetto di trovare centinaia
di schegge di vetro. Intonso. Alzo lo sguardo verso la porta. Intatta.
C’è un 7A o un A7, non ricordo, stampato sulla
superficie esterna. E’ la mia stanza. Una normalissima stanza
di ospedale. Dalla finestra entra un brillante fascio di sole che
illumina questo rettangolo bianco di una luce benefica, in grado di quietare
le mie ansie. Affrancato, rivolgo il mio sguardo verso il comodino,
dove trovo ad osservarmi le foto di famiglia e i visi fantasiosi e
improbabili dei disegni dei bambini. Faccio per afferrare una delle
cornici che avverto una superficie rugosa strisciare sulla pelle. Il
momento di felicità in cui mi sono immerso viene spezzato
via con solo quel contatto.
Il diario...
Lo sento gravare sulle cosce, freddo e pesante come un
macigno. Lancio un’occhiata circospetta all’entrata
per assicurarmi che non stia per arrivare nessuno e lo scopro, gettando
le coperte di lato con un gesto secco, come se dovessi sorprenderlo a
lordarsi di chissà quale misfatto. Ma è solo un
dannato libro. Se ne sta lì, fermo, immobile, innocente.
Grugnisco indispettito.
-Lo so che sei là dentro. Non sei innocente, non lo sei mai
stato!-
Un vulcano di rabbia, frustrazione, impotenza e ogni sorta di
sensazione negativa mi esplode nel petto. Stampo un pugno sulla
copertina.
Non gli bastava
distorcere la realtà attorno a me e allontanarmi dai miei
amici; ora anche nei sogni deve seguirmi!
-COSA DANNAZIONE VUOI?!-
Mi pento subito di quell’urlo e mi copro la bocca, mentre i
miei occhi corrono a scrutare il corridoio su cui si affaccia la parete
a vetro. Grazie al cielo, nessuno si è accorto della mia
sbroccata. La stanza è insonorizzata dai rumori
dell’ospedale, così da permettere agli infermi di
riposare in pace. Tutti, tranne me. Lascio cadere la mano e sospiro,
rigettandomi stancamente sul cuscino e piegando il ginocchio destro
così che la gamba mi faccia da leggio. Fisso il diario
poggiato sull’anca sconsolato, nella speranza di vedere
apparire la risposta alle mie domande, invano. Mi sento improvvisamente
stanchissimo, come se ogni energia si fosse dissipata attraverso
l’ultima sfuriata.
Ora ti capisco,
Sephiroth, capisco la rabbia che provi. Capisco la tua frustrazione, la
tua paura, la tua insicurezza.
Ora, mi è chiaro e lampante il motivo di tutte quelle
domande, del perché le rimarcava, della ragione per cui lo
rendevano infelice. Lo posso vedere, mentre imprimeva quei quesiti su
carta nella vana speranza che, vedendoli trascritti, potessero in un
qualche modo rendergli più facile la risoluzione. Tutto
vano. Rimaneva per ore piegato su quella domanda, con la testa in
fiamme, il fegato roso e il cuore vuoto. Senza nemmeno pensarci apro il
libro sul segno che avevo lasciato. Non so perché, ma inizio
a scrutare le pagine con più attenzione e noto un
particolare a cui non avevo mai prestato attenzione. Quando me lo
consegnarono, mi spiegarono che l’autenticità del
documento era data dalle sbavature dell’inchiostro, dovute
allo sfregamento del fianco della mano con cui Sephiroth scriveva. Ma,
solo ora mi accorgo di minuscole sbavature circolari, celate dalle
ripassate d’inchiostro. Sfoglio le pagine
all’indietro. Rileggo quelle domande strazianti, quei dubbi
amletici, quelle torture a forma di punto interrogativo.
Realizzo.
Lacrime.
-Ma se il Pianeta ci ama
perché ha permesso la sua nascita?-
Per distruggere le sbarre
dell’illusoria prigione dorata costruita dalla famiglia
Shinra.
Per mostrare loro
l’umiltà di una vita martoriata alla sofferenza.
*Cloud ha attualmente 27
anni, in quanto la vicenda si svolge 6 anni dopo gli eventi di FF7.
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29 Febbraio XXXX
Gli anni bisestili, in
bilico tra rovina e fortuna. Tanto si è detto e tanto si
dirà su questa particolare ricorrenza. Molti additano questo
giorno in più come un fautore di sventure, un anno in cui
ogni sciagura è possibile e di prossima realizzazione;
altri, di contro, raccontano della benevolenza e della smisurata
fortuna derivata da queste 24 ore additive, le quali si ripercuoteranno
su tutto l’anno. Personalmente sono incline a credere alla
prima affermazione: il 29 Febbraio è solo un giorno in
più con cui convivere assieme alla mia sofferenza. Come se
365 giorni all’anno non fossero una condanna abbastanza
lunga… Ho sempre cercato di evitarlo come la peste,
rinchiudendomi nel mio guscio solitario ed evitare ogni contatto per 24
ore, ma Genesis ha pensato bene di forzare il database SOLDIER e
scoprire il motivo del mio umore nero dei giorni che precedevano questa
data. La sua cocciutaggine ha avuto la meglio, scoprendo che la mia
avversione nei confronti di questo giorno era da attribuire a
ciò che successe, tanti dolorosi anni fa: la mia nascita.
Ogni quattro anni il mio senso di colpa viene rinnovato, pensando che,
senza di me, molti innocenti sarebbero stati risparmiati dalla furia
sanguinosa della Bestia. In primis, mia madre. Mi manca moltissimo,
anche se non l’ho mai conosciuta. Non so che aspetto abbia,
che suono potesse emettere la sua voce, di che colore abbia avuto gli
occhi; ma SENTO
che dentro di me c’è una voragine, la quale SO che solo lei
potrebbe colmare. O qualcuno simile a lei. Se non fosse stato per me
lei sarebbe ancora viva e, magari, in questo momento si starebbe
crogiolando nella gioia derivata dai miei fratelli mai nati.
Perciò mi chiedo: perché dovrei celebrare la mia
funesta esistenza?
Fino al compimento dei quattro anni non ero a conoscenza della
tradizione chiamata ‘compleanno’.
All’epoca il mio mondo era ristretto, triste e buio; e
così lo sarebbe stato per sempre, se fosse dipeso da mio
padre. Grazie al cielo, c’era il Professore a mitigare questo
dogma crudele attraverso l’ infinita compassione provata nei
miei confronti. Egli mi aiutò a ingrandire quel mondo,
insegnandomi la capacità di guardare oltre gli umidi, grigi
muri della magione; oltre la fredda e accecante luce delle lampade del
laboratorio; oltre il dolore e la sofferenza: a immaginare un’
esistenza totalmente diversa. Per permettermi di ampliare la mente e
acquisire gli elementi per creare questa realtà fittizia,
egli iniziò a leggermi delle storie; le quali risvegliarono
una famelica curiosità e un’infinita voglia di
sapere di cui non credevo di esserne provvisto. Ben presto, tuttavia,
ero sempre meno soddisfatto dagli sporadici racconti che il Professore
mi concedeva quelle rare volte che si tratteneva fino alla messa letto,
perciò mi vidi costretto a cercare un modo per non dipendere
più da lui. Avevo solo tre anni, quando imparai a leggere da
solo, cominciando con i libri più semplici, per bambini,
concessi dal Professore stesso, fino a divorarmi interi tomi da
migliaia di pagine della biblioteca della magione. Nacque
così la mia passione per la lettura che riuscii a mantenere
segreta fino a quando non venni avviato all’istruzione
elementare. Più la mia sapienza cresceva, più gli
elementi che costituivano il mio mondo inventato diventavano variegati
e dettagliati. Arrivai a sentire il bisogno di vedere quella creazione
con i miei stessi occhi: immaginare non mi bastava più.
Cominciai a rubare fogli, matite, gomme, pennarelli, tutto
ciò che mi capitava a tiro. Ero in grado di scrivere, ma mi
risultava ancora difficile e doloroso vedere impresse le parole che
descrivevano i miei stati d’animo. Sfogarmi mi spaventava,
perciò preferii il disegno. Disegnai su centinaia di fogli,
a volte perfino sulle pareti, in punti che nessuno potesse vedere
oppure celati dalla carta da parati ammuffita; crogiolandomi nella
falsità creata dalla mia mente. E fu proprio questa
consapevolezza – quel mondo finto,
dalle albe perlacee e l’erba viola-, a farmi desiderare di
più. Quei colori, quei luoghi, quelle parole divennero
un’ossessione. Desideravo vedere il verde brillante dei
prati, il blu scintillante del mare, il giallo splendente del sole;
udire il frinire dell’erba scossa dal vento, le onde
infrangersi contro gli scogli, percepire il tepore accogliente sulla
mia pelle di un pomeriggio d’estate. Desideravo sentire,
percepire, vivere.
Il freddo, il grigio, il duro cominciarono a farmi impazzire. Diventai
instabile e intrattabile. Hojo non capiva il motivo del mio mutamento.
Ciò lo mandava in bestia:” il genio del Reparto
Scientifico non era in grado di gestire un poppante di tre
anni”, era questo che si sussurrava nei laboratori. Mi fa
ghignare il pensiero di quel vecchio a scervellarsi sui libri e sui
risultati delle analisi nel vano tentativo di capire cosa in me fosse
andato storto, mentre gli assistenti se la ridevano alle sue spalle.
Quel bastardo ottuso non è abbastanza intelligente per
arrivare alla conclusione che solo parlando con quel bambino avrebbe
potuto snodare il bandolo della matassa. Ma ciò avrebbe
significato abbassarsi a conversare con una cavia, un essere inferiore.
Così mi vedeva, così mi ha sempre visto e sempre
mi vedrà. Non una persona, tanto meno un bambino; solo un
involucro da imbottire di droghe e mako per poi mandarlo a macellare
innocenti. La sua frustrazione raggiunse livelli tali da arrivare
addirittura alle punizioni corporali; le quali, di lì a
poco, diventarono la regola di quella casa e l’unico modo di
comunicare tra noi. Così, per ripicca, una notte spaccai
tutte le finestre della magione, nella speranza di vedere quei colori
che tanto mi ossessionavano, ma non vidi altro che buio. Oltre al danno
anche la beffa. Una piccola sortita, che non fece altro che spargere
benzina su un campo di fiamme. Quel gesto, infatti, sancì
l’inizio di una guerra: Hojo contro il Professore. Una guerra
che sto continuando io tutt’ora, in memoria di
quell’uomo virtuoso. Il contrattacco venne sferrato qualche
giorno dopo quell’episodio. Il Professore venne nella mia
stanza e mi disse che era giunto il momento di vivere, di nascere una
seconda volta. Senza dire nulla a Hojo, egli mi fece varcare quella
soglia tanto agognata. Per la prima volta vidi cosa c’era al
di là di quel legno spesso, di quei quadrati di cellophane
impolverato che calavano pesanti sulle finestre spaccate, di quelle
mura fredde e sterili che mi si stringevano attorno ogni giorno di
più.
Ricordo il bianco, immacolato, perfetto, ininterrotto, e il freddo,
puro, pulito, penetrante.
Ricordo che mi ritrassi. Luce, freddo, bianco. Esperimenti, dolore,
paura. Era questa la mia realtà e, quando mi resi conto che
anche l’esterno combaciava ad essa, mi sentii deluso.
Profondamente. Il Professore mi aveva raccontato così tante
cose sul mondo al di fuori di quella porta… avevo letto di
quei colori, del caldo, dei profumi… Ma, in
realtà, l’esterno era anche più freddo
e più bianco e più immobile del laboratorio di
mio padre.
Ricordo quegli occhi sorridenti comprendere e l’uomo che
afferrava quella coltre bianca e lanciarla in aria. Sembrava farina, ma
molto più fine e leggera. E poi brillava. Ad ogni giro del
vortice il timido sole baciava quei fiocchi candidi e li faceva
brillare come diamanti.
Ricordo che lo imitati e vidi quel materiale sbriciolarsi tra le dita.
Ricordo che guardai in alto e vidi fiocchi finissimi cadere dal cielo
pallido. Neve, così si chiamava.
Ricordo che risi per la prima volta da quando avevo memoria.
Il Professore m'informò che le sorprese non erano finite e
mi condusse, mano nella mano, fino al villaggio più vicino.
La neve mi arrivava al polpaccio. Non ero ancora abbastanza forte a
quel tempo.
Ricordo che mi prese in braccio. Ero leggero, mi disse. Come la neve.
Già da parecchio sentivo delle voci squillanti arrivare da
valle, ma rimasi comunque piacevolmente sorpreso nel vedere altri
bambini, scorrazzare nelle vie del villaggio. Afferravano quella neve e
se la lanciavano contro, oppure altri costruivano strani esseri
umanoidi con sassi e carote al posto degli occhi e del naso; oppure
sfrecciavano su strani marchingegni di legno, gettandosi da cumoli
nevosi alti quanto una casa.
Ricordo che tutti ridevano, la felicità aleggiava
nell’aria. Passeggiamo per un po’,
finché qualcuno non mi colpì la schiena con una
palla di neve.
Ricordo una bambina, i suoi colori brillanti, occhi grandi del colore
del mare profondo e capelli dorati come il sole d’estate; il
suono cristallino della sua risata così vibrante e
meraviglioso da lasciarmi senza fiato. Era graziosa e gentile, un
po’ più grande di me. Mi chiese se volessi giocare
con lei e i suoi amici. Mi nascondevo dietro al Professore, intimidito
da quella situazione così strana a sconosciuta, ma lei non
si scoraggiò.
Ricordo che mi chiese come mi chiamassi, ma non le risposi, vinto dalla
timidezza. Lei mi battezzò con il nome di Cloud; per cognome
scelse Strife, come il ragazzo che le piaceva. Cloud e Claudia. Strife
e Strauss. Nessuna associazione più banale, ma, per una
volta, fu bello non essere Sephiroth. Come Cloud Strife mi sentii un
bambino qualunque, che festeggiava i suoi quattro anni in questo mondo,
giocando e ridendo. Mi dimenticai degli esperimenti, della triste
magione in cui la mia vita scorreva lenta e spaventosa, del buio
pesante che gravava su ogni respiro, del puzzo di candeggina che
impregnava ogni tessuto e della voce gracchiante del vecchio che
echeggiava in ogni angolo di quella casa maledetta. C’era
solo luce, allegria e giochi. C’era un’infanzia.
Uno dei miei piccoli desideri era stato esaudito. Il Professore non
avrebbe potuto farmi un regalo più bello… fino a
che qualcuno decise di riportarmi alla realtà: un sasso mi
colpì dritto alla tempia, la forza fu tale da farmi
capitolare a terra.
Ricordo il sangue, caldo, dilagante, orribile. Sporcava col suo rosso
cupo la delicatezza della neve. Non feci in tempo a realizzare cosa
stava accadendo che un altro si andò a schiantare sulla
schiena. Poi un altro e un altro ancora, scagliati da una folla
inferocita.
Ricordo che mi chiamarono abominio,
mostro, bestia, impuro. Parole terrificanti che mi
perseguitano ancora oggi, marchiate a fuoco negli occhi dei miei
nemici.
Ricordo che mi chiesi il motivo di tanto odio. Stavo solo giocando:
cosa c’era di tanto sbagliato?
Il Professore tentò di fermare quella follia, frapponendosi
tra me e i villici, ma avrebbero fatto del male anche a lui se non
fossero intervenuti i soldati della Shin-Ra, arrivati come seguito di
un infuriato Hojo.
Ricordo che incrociai lo sguardo di Claudia, mentre mi trascinavano al
sicuro. Piangeva spaventata, provando pietà per quel bambino
così strano e taciturno di cui non avrebbe mai saputo il
nome. Lessi nel suo sguardo un grosso interrogativo: perché?
Osservava la folla, quella gente che conosceva da sempre, impazzire e
prendersela con un ragazzino di quattro anni. Perché?
Ricordo che cercai una spiegazione, ma più insistevo,
più botte prendevo; e più botte prendevo,
più piagnucolavo; e più piagnucolavo,
più forti erano le botte. Un circolo vizioso che ci misi
particolarmente molto a fissarmelo in testa. Dopotutto, ero solo un
bambino spaventato: come avrei dovuto reagire , secondo lui? Anche se,
in fondo, non mi importava: avevo visto l’esterno, avevo
saggiato i colori del mondo e avevo assaporato il dolce miele
dell’infanzia… Che cosa avrei mai dovuto
desiderare di meglio? Oh, c’era molto di più da
desiderare! Me ne accorsi di lì a pochi mesi, quando i
ricordi di quel giorno vennero inghiottiti dalle profonde tenebre del
regno asettico di mio padre.
Ricordo che giurai a me stesso che mi sarei piegato, ma mai spezzato.
Avrei rivisto il mondo, in un modo o nell’altro. Avrei
lottato fino a consumare ogni goccia vitale, pur di essere libero. Un giorno, lo sarei stato,
mi dissi dall’alto della mia superbia infantile.
Ma quel giorno deve ancora arrivare, sebbene nel frattempo abbia girato
praticamente tutto il mondo- anche se non come avrei voluto-. Parte del
mio desiderio si è compiuto, ma l’evolversi degli
eventi sta cambiando pian piano le mie prospettive. Mi sto rapidamente
piegando e sento di essere prossimo a spezzarmi.
La voce di Genesis che bestemmia al piano di sotto mi ha destato dai
miei pensieri. Ha organizzato una festicciola con tanto di torta per
celebrare il mio compleanno, ma io l’ho mandato malamente al
diavolo. Abbiamo litigato furiosamente e abbiamo rischiato di arrivare
alle mani, ma quel santo protettore di Angeal si è frapposto
tra noi, sgridandoci come nemmeno fossimo dei bambini. Mi ha
infastidito questo fatto, ma mai come l’odiosa abitudine di
ficcanasare negli affari altrui del rosso. Io non lo sopporto! Gli
è così dannatamente difficile farsi gli affari
suoi?! Ci sono cose di me che non voglio si sappiano e, puntualmente,
quell’idiota va a scavare e cercare, a forzare e scovare;
come se fossi un tesoro, un trofeo da dissotterrare. Glielo ho chiesto
miliardi di volte di stare fuori da cose che, perfino io, a malapena
comprendo. Ma lui no! Lui non mi ascolta mai, fa sempre di testa sua e
non ha nemmeno l’umiltà di ammettere
l’errore. Stupido moccioso viziato! Ormai le lente giornate
della caserma vengono ravvivate dalle nostre litigate, delle quali ne
possono scoppiare anche cinque o sei nel giro di poche ore.
L’indolenza, la noia e gli spazi ristretti, non fa bene al
morale delle truppe, tanto meno al mio, di umore. Mi sono sempre tenuto
ben lontano dagli altri esseri umani e , questi ultimi, hanno sempre
rispettato le distanze, chi per rispetto, chi per timore; ma i due
banoriani, soprattutto Genesis, sono diversi. Loro sono miei amici,
così dicono. Io sono titubante nel definirli tali, ma forse
il mio inconscio già li considera parte del mio piccolo
mondo. Altrimenti perché passare sopra ai loro comportamenti
del tutto inopportuni?
Ascolto la voce del rosso giungermi dal piano di sotto. Ha abbassato di
qualche decibel la sua isteria e capisco che Angeal è
riuscito a calmarlo. Probabilmente, tra poco entrambi verranno
quassù e ricominceremo a chiacchierare come se nulla fosse
successo. Già, succede sempre così con Genesis.
Ho misurato il mio sfogo con le dita ed esso non misura più
di mezza spanna. Un altro punto in comune tra lui e me: siamo come
vulcani esplosivi, eruttano tanto fumo; ma nessuna sostanza. Tutto
quello che rimane del nostro passaggio è qualche bruciatura.
Tutta la nostra energia viene dissipata nel tentativo di soverchiare
l’altro fino a lasciarci senza forze per andare oltre. Alla
fine, ritorniamo a essere amici; senza scuse o moine. Siamo troppo
orgogliosi per arrivare a questo: è molto più
facile far girare il Pianeta al contrario che sentire la parola
‘scusa’ abbandonare le labbra di Genesis o mie.
Perfino evocare il perdono di Angeal è stata una prova dura
da superare. Non avevo mai chiesto scusa a nessuno, ma perdere un amico
fidato come il moro valeva la pena abbandonare quell’orgoglio
così ingombrante. Ho scoperto che non è
così difficile come Genesis lo fa sembrare, ma temo che il
suo ego sia molto più smisurato del mio. Sono arrivato alla
conclusione che il rosso non conosca la parola umiltà.
Ciò che ne deriva è una visione
dell’amicizia un po’ distorta, oltre che essere del
tutto in contrapposizione con certe sue affermazioni. Quando cerca di
estrapolarmi i segreti con la sua fastidiosa insistenza non fa altro
che ripetere: “gli amici condividono tutto”. E sono pienamente
d’accordo su questo, tanto che all’inizio e dal
basso della mia completa ignoranza su come funzionano i suoi complicati
e viscidi meccanismi mentali, davo credito a questa frase,
concedendogli ciò che voleva. Ma quando lui si ritrova nella
mia situazione… beh, cavare sangue da una rapa non
è del tutto un’utopia rispetto a ciò
che bisogna passare per farsi dire anche solo una mezza
verità. Genesis non solo non si spezzerà mai, ma
non si piega nemmeno. Se non fosse per la premura con cui mi
infastidisce, lo avrei cacciato da SOLDIER da un bel po’ di
tempo. E’ un bisbetico viziato, insopportabile, fastidioso,
litigioso, orgoglioso, lunatico… ma, nonostante tutto, non
riesco a fare a meno della sua compagnia. Ormai ho capito che
è questo il suo modo di dimostrare il suo affetto nei
confronti degli amici, come entrare barbaricamente nella mia privacy.
Angeal mi ha spiegato che, anche se non sembra, Genesis è
una persona generosa. “E’ in grado di
percepire le sofferenze della gente”,
ha detto il moro, una volta, “per questo ha
lavorato tanto per risollevare Banora. Ed è per questo
motivo che ti tormenta. Dice che soffri e si preoccupa per te. E ti da
dell’imbecille, perché non gli concedi nessuna
possibilità. Dimmi, Sephiroth, ti è
così difficile farti aiutare?”, ha aggiunto alla
fine, guardandomi con quello sguardo severo, ma comprensivo. Non ho
potuto fare altro che rivolgergli uno dei miei sorrisi enigmatici.
Angeal. Anche se non lo dimostra in modo ossessivo come
l’amico, anche lui ha questa natura da crocerossina.
Dà molto credito al rosso quando si tratta di aiutare la
gente. Non posso che dargliene atto, dopotutto sono amici da
sempre… Ma io no. Perché
non capiscono? Il solo pensiero di tentare di arginare la
furia della Bestia mi rivolta le viscere. Non ho la benché
minima intenzione di mettere a repentaglio la loro vita per il
capriccio di un ragazzino viziato. So che quel mostro li divorerebbe
nemmeno fossero due stuzzichini da aperitivo, conditi da tanti buoni
propositi. Inoltre, aprirmi mi risulta ancora tanto doloroso, perfino
quando scrivo su queste pagine, percepisco le vecchie ferite aprirsi e
sanguinare copiosamente. Il passato è ancora troppo vicino.
Questa vita è così stagnante, un ciclo continuo
di battaglie, guerre, odio, freddo, grigio e sangue. Il mondo
continua ad assomigliare al laboratorio in cui ho sprecato i primi anni
della mia vita; sebbene abbia viaggiato in lungo e in largo, niente
è cambiato, tutto è uguale. I miei occhi non sono
più in grado di vedere i colori, la mia lingua non
percepisce nient’altro che il sapore del sangue, il mio
odorato fiuta solo la Morte. Passo ore ad osservare, nel vano tentativo
di recuperare quelle facoltà perdute, ma gli orrori vissuti
mi hanno strappato ogni sensibilità. Ormai non sono
più in grado di stupirmi, di meravigliarmi… mi
sono reso conto che non
riesco più ad immaginare. Ricordo che
quand’ero piccolo capitava che mi perdessi nei miei pensieri
e la mia mano iniziasse a muoversi da sola, liberando quei pensieri
dalla loro prigione per iniziare una nuova vita su quel foglio bianco.
Ricordo che riempivo d’orgoglio il Professore, quando gli
sottoponevo il mio lavoro. Mi sorrideva e mi scompigliava i capelli,
mentre mi diceva di conservare quell’abilità
gelosamente. Crescendo, però, ho abbandonato quella via;
prendendone una meno convenzionale: ora la mia matita è la
Masamune e i miei fogli sono le persone che uccido. Spesso mi sono
sentito elogiare per la mia capacità di trasformare una
carneficina in capolavoro… credo che per un modo distorto e
malato, abbia conservato quella vena artistica. Stranamente, la cosa
non mi rallegra; ma sembra deliziare i miei fans e, ho scoperto, alcuni
dei miei avversari. Recentemente mi sono imbattuto nel diario del
Generale Ryu, l’uomo che sconfissi sotto le mura di Garyo e
di cui oggi ne occupo gli appartamenti. Nelle sue ultime pagine egli mi
ha menzionato spesso, confessando una certa trepidazione
nell’incontrarmi. Una frase che mi ha colpito è
stata questa: “Dicono che si muova con tale
regalità ed eleganza da rendere la morte del più
miserabile soldato degna di un sovrano. Non potrei chiedere un
avversario migliore a cui chiedere una morte onorevole.”
Generale reggente Yama Ryu. Rammento il giorno in cui lo affrontai.
Arrivò perfino a fermare la battaglia, affinché
tutti vedessero il nostro scontro. Un uomo coraggioso, temerario, un
vero samurai. I suoi occhi neri risplendevano della realizzazione della
fine che tanto aveva sognato: morire con una spada in pugno sul terreno
sanguinoso della battaglia. Non chiedeva altro che confrontarsi con me,
affrontare una leggenda, un… shi no tenshi,
angelo mortale – così mi chiamò prima
che la mia lama calasse sul suo collo magro, staccandogli la testa-. Si
lanciò all’attacco con furia, urlando con tutto il
fiato che aveva in corpo, la spada rivolta verso il cielo, la sua
armatura che lanciava riflessi sanguigni al sole dello zenit ad ogni
passo, il viso barbuto deformato in una maschera di rabbiosa fierezza.
Avrei potuto concedergli un confronto più spettacolare, in
cui lui avrebbe dimostrato il suo valore, ma sapevo che sarebbe stata
solo una misera farsa. Inoltre, i suoi occhi non lasciavano dubbi: non
voleva la mia pietà. Gli falciai le gambe, arrestando la sua
corsa, senza dargli nemmeno la possibilità di sferrare un
fendente. Il suo urlo di dolore si è stampato nella mia
memoria e, a volte, mi sembra quasi di sentirlo riecheggiare nello
spiazzo all’esterno delle mura di Garyo; come se le pareti lo
avessero intrappolato nei loro anfratti. Ogni volta mi convinco che
sono solo delle allucinazioni uditive, ma dentro di me SO che non
è così. Il suo spirito guerriero è
parte del Lifestream, ora, e mi perseguiterà fino alla
morte, vendicando il suo popolo nella maniera più crudele
possibile. E per farlo ha deciso di non uccidere la mia carne, ma
bensì il mio cuore. Attraverso LEI: Sakura. Ho scoperto,
infatti, che quell’uomo era non poco di meno che il suo
amante. Non un semplice protettore, o danna, come dicono i Wutai. Si
amavano e stavano progettando un matrimonio segreto per non scatenare
uno scandalo. Avrebbero dovuto sposarsi il giorno di Natale…
lo stesso giorno di quel bacio. Se penso che, in quel momento, lei
avrebbe potuto trovarsi in quello stesso letto sposata con un altro
uomo… non dovrei pensarlo, ma sono quasi felice di aver
ucciso il Generale Yama Ryu. Non posso, tuttavia, ignorare lo
straziante senso di colpa che mi devasta il cuore nei confronti di
Sakura. Stava per coronare il suo sogno d’amore, lasciare
l’okya e la sua vecchia vita da geisha, per appartenere per
sempre all’uomo di cui era innamorata. Ma un Demone
d’Argento ha infranto quel sogno. Glielo ha strappato via,
distrutto, spezzato, tranciato, esploso in migliaia di pezzi. Se Yama
mi ringraziò per avergli concesso la morte, sono certo che
lei stia ancora maledicendo la mia nascita.
Mi odia.
Lo so che è così, perché scacciarmi in
quel modo, altrimenti? Perché illudermi, per poi sputarmi in
faccia che non vuole niente da me?
Sakura si nasconde dietro ad una maschera di cortesia, fatta di sorrisi
meravigliosi e sguardi languidi; quando in realtà vorrebbe
uccidermi nel modo più cruento possibile. No, non uccidermi,
distruggermi.
Non fisicamente, le sarebbe impossibile, ma psicologicamente.
E’ entrata nella mia mente, abita i miei sogni, è
diventata il centro dei miei pensieri. Non c’è
notte che me la immagini nei modi più animali possibili; non
c’è giorno che non pensi a quel maledetto bacio.
E io me ne rendo conto, ma non riesco a fare nulla per
impedirlo…
E’ lei che mi spezzerà, ne sono certo.
Eppure continuo a lasciarglielo fare...
Una chiamata inaspettata ha rotto il flusso della mia ansia: Aerith.
E’ da così tanto tempo che non ascolto la sua
vocina piena di brio… Mi chiama per augurarmi buon
compleanno e anche buon Natale in ritardo. Ride come solo lei sa fare e
sento il mio cuore illuminarsi. Piccola mia. L’unica donna
che mi ami davvero… Lei non oserebbe mai respingermi;
tantomeno picchiarmi. Lei forse avrebbe risposto a quel bacio, si
sarebbe fatta abbracciare, si sarebbe arresa alle mie carezze. Lei mi
avrebbe sorriso e mi avrebbe detto ‘Ti amo’.
Lei mi avrebbe perdonato.
Ma Aerith è solo una bambina. Non conosce il grigiume del
mondo, men che meno la sua freddezza. Anzi, ripensare alla sua figura
accoccolata al centro del suo miracoloso campo di fiori, sotto alla
luce tenue e pura che filtra dal soffitto sfondato della chiesa dei
Bassifondi, mi fa scappare un sorriso tirato. Quei colori che tanto
sognavo da bambino, la piccola li sfoggia attraverso il suo profumato
pantheon floreale. Mi illudo che questo possa depurare la mia anima
nera da tutto il sangue e l’odio riversatosi su di me.
Un’illusione fittizia è sempre meglio di niente;
come immaginare un mondo migliore mitiga la sensazione di soffocamento
causata dalle spire di questa realtà che ogni giorno si
stringono sempre di più attorno al mio collo.
Aiutano a non spezzarsi… Sì,
ma per quanto ancora?
Scialveeeee!!! Come al
solito, chiedo perdono per il ritardo, ma i cali
d’ispirazione e mancanze di tempo sono i nemici giurati degli
scrittori! Meno male non lo faccio di professione, eheheheh…
ehm *si schiarisce la voce* ok, basta divagare. Dunque, dunque, questo
è un capitolo un po’, come dire, stantio, nel
senso che la storia non va fondamentalmente avanti, ma diciamo ne ho
approfittato per mettere un po’ di approfondimenti, tipo
spiegare cosa è successo dopo quella frase detta da Cloud
alla povera Yuffie; come se la passa il biondo in ospedale da solo; un
po’ d’info interessanti su Seph, come un caro tuffo
nel passato vecchio stile (mica ci possiamo dimenticare del vecchio
babbuino, no?) che hanno svelato il lato artistico del Generale
d’Argento, il rapporto d’amore-odio con Genesis,
una piccola sortita nella storia di Sakura, ecc… tutto
ovviamente meravigliosamente inventato. Sta poi a voi, cari lettori,
giudicare quanto queste cose possano essere verosimili o meno.
Ringrazio le mie donne per il sostegno morale che mi danno attraverso
le recensioni che mi rilasciano, chi assiduamente (one winged angel) e
chi meno (Manila e Serith). Vi voglio bene ragazze mie! Spero di non
annoiarvi troppo con questa solfa, ma se avrete pazienza
riuscirò ad arrivare al punto che interessa tutte noi. Come
dice il saggio: non è importante l’arrivo, ma il
viaggio che ti ha portato ad esso… *Seph e Cloud si guardano
poco convinti* *che c’è?!* ehm, ehm, dopo questa
massima direi che… VI SALUTO!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 14 *** Confusione ***
Oggi sono
stato dimesso. I medici non hanno trovato altri motivi per tenermi
ancora chiuso là dentro; nonostante le proteste di Yuffie,
la quale continuava a insistere sul completo contrario. Ha tentato di
opporsi in tutti i modi, ma nessuno le ha dato credito, dal momento che
non era in grado di spiegare il motivo di quell’affermazione.
Alla fine, è arrivata a pensare di essersi inventata tutto,
che quello che successe in quella stanza non sia mai accaduto; che
Sephiroth non si fosse impossessato di me. Il nostro rapporto si
è incrinato, fatica a rivolgermi la parola per paura di
lasciarsi scappare qualche frase di troppo e di mettere in pericolo la
vita dell’uomo che ama. Non farei mai del male a Vincent.
Come potrei? Egli è l’unico che sia al conoscenza
del mio segreto e l’unico che mi sostenga, nonostante
preferirebbe di gran lunga prendere quel diario e riservargli lo stesso
trattamento che il proprietario riservò a Nibelheim. Anche se
ho come la sensazione che prima preferirebbe leggerlo. Credo che abbia
accettato di aiutarmi non solo per la mole di pericolosità
derivata dall’oggetto- la quale è impossibile da
sostenere da solo-, ma anche per la remota possibilità di
conoscere il figlio della donna che amava e che volentieri avrebbe
accettato nella sua vita, crescendolo come suo. Sono certo che avrebbe
dato a quel bambino tutto l’amore che quest’ultimo
denuncia sentire mancare in queste pagine.
Mi fermo un attimo e mi lascio trasportare dalla fantasia: mi immagino
una tranquilla cittadina amena, in mezzo al verde; una calda estate;
una casa accogliente, fatta di legno, piena di luce; un giardino invaso
di giochi e fiori. In mezzo ad essi vedo una donna annaffiare le piante
che s’innalzano, fiere della loro colorata bellezza, dalle
aiuole. Ella non stona tra di essi: la sua grazia scaturisce dal grande
sorriso che solca le labbra carnose, dagli occhi pieni di
felicità, dalla pelle chiara e perfetta. I lunghi capelli
castani le scendono liberi lungo la spalla fino alle anche, baciati dal
sole e dalla leggera brezza, i quali dipingono di riflessi dorati le
ciocche ondeggianti. Improvvisamente, una voce squillante la chiama. Mamma, dice. Il
viso della donna s’illumina, appena incrocia le iridi verdi
di un bambino che sfreccia nel giardino per raggiungerla. Ella accoglie
il bimbo tra le sue braccia, sollevandolo con grazia. Gli stampa un
bacio sulla fronte; dopodiché ci appoggia sopra la sua. I
loro profili sono esattamente identici: naso dritto, labbra a bacio,
lunghe ciglia, strana frangia che scende sinuosa lungo il viso, pelle
chiara. Solo che i capelli dell’infante sono del colore
dell’argento. Percepisco un forte affiatamento tra i due,
notando il modo con cui la donna lo culla e lo accarezza, da come lui
stringe ciocche castane e se le rigira tra le dita, da come entrambi
dilatano le narici per percepire l’odore
dell’altro. Niente e nessuno potrebbe infrangere
quell’enorme amore; a parte, forse, una terza figura, la
quale s’insinua tra loro con discrezione, senza osare
dividere madre e figlio dall’abbraccio. Afferra con
delicatezza le spalle della donna e le posa un delicato bacio sulla
guancia. E’ un Vincent molto diverso da quello che conosco:
è un giovane moro dal viso disteso e pieno di vita; gli
occhi scarlatti brillano di un amore incondizionato e profondissimo nei
confronti della donna che stringe a sé e al bimbo che
allunga la mano verso di lui alla ricerca di un contatto. Vincent
afferra quella manina minuscola con presa salda e sicura, dando a quel
bambino un’ancora di salvezza, un punto fermo su cui sempre
contare. Come per ringraziarlo, egli rivolge all’uomo una
singola parola, ma dal significato così grande da appagarlo
completamente: Papà.
Vincent gli scompiglia la capigliatura, ridendo. E’ una scena
meravigliosa, ma ciò che più mi attrae
è lo sguardo che la donna rivolge all’uomo: esso
è pieno di riconoscenza. Lo ringrazia con quegli occhioni
nocciola ogni giorno, ogni momento, ogni respiro per aver salvato lei e
suo figlio, donandogli il merito di quella bolla di felicità
in cui sono inglobati. Sento il cuore traboccare di un calore intenso
che mi scalda il corpo e la mente, fino a che un pensiero amaro non lo
raggela.
Questa non è
la realtà.
La realtà è ben diversa: la realtà
è crudele,
la realtà è fredda,
la realtà è morte.
E’ solo frutto della mia immaginazione: esiste solo un trio
di vite spezzate. Un amato senza amore, una madre senza il figlio e un
figlio senza famiglia, naufragati in un mare di disperazione. Piangono
e urlano, aggrappandosi ad una barca che imbarca acqua, nel disperato
tentativo di salvarsi. Ma solo Vincent riesce a sfuggire, martoriato
dall’esperienza, ma vivo. Anche se sembra una parola grossa
per uno come lui, però in fondo, se solo riuscisse a
perdonarsi, avrebbe la possibilità di ricominciare. Ora
capisco perché ha rinunciato a cogliere le occasioni che gli
sono presentate: ha abbandonato quella nave, condannando due innocenti
a sprofondare in quelle acque. Solo Sephiroth è riuscito a
risalire, ma cos’ha ottenuto? Nient’altro che
velenoso, corrosivo odio. Odio per un mondo che lo ha sempre tradito,
sfruttato, umiliato e lui, nella sua solitudine, non ha fatto altro che
alimentare quel seme mefistofelico, fino a che non gli ha squartato il
cuore e putrefatto l’anima. E pensare che il mostro spietato
nato da quel seme, sia lo stesso neonato scalciante, innocente, vittima; di cui
Vincent si sarebbe fatto volentieri carico, dandogli un vero padre, una
vera famiglia, una vera
vita.
E invece… Quel bambino è stato abbandonato a
lottare contro quel cancro che gli ha divorato ogni singola goccia di
umanità e compassione e nessuno è mai riuscito a
capirne l’esistenza. O, meglio, nessuno se ne è
mai interessato, perché, se si avesse avuto la decenza di
tendere meglio le orecchie, si sarebbe potuto sentire che, dietro a
tutto quell’odio, c’era ancora il pianto disperato
di quel neonato.
Sorrido mesto.
Lo hai nascosto fin
troppo bene… Sei sempre stato bravo in questo.
Questi pensieri lugubri s’interrompono appena avverto un
tocco delicato sulla spalla. Mi volto di scatto e mi ritrovo a
specchiarmi negli occhi di Tifa. Rimaniamo a guardarci in silenzio per
qualche secondo, fino a che il ricordo di quel sogno riaffiora e,
istintivamente, la lego in un abbraccio, stringendola con forza. Il
pensiero di vivere quell’ esperienza onirica mi terrorizza
più di qualsiasi cosa. Non potrei sopportare che le venga
fatto del male.
-Cloud… Che cosa c’è?-
La sua voce è un misto tra dolcezza e stupore, con un
pizzico di allarme. Non si aspettava una mossa simile da parte mia: non
sono tipo da dispensare abbracci gratuiti. Io non rispondo subito,
lascio che la frustata dovuta al ricordo del sogno si allievi,
altrimenti so che potrei degenerare in una scenata isterica. Respiro il
suo profumo di caffè e sapone alla vaniglia, mi lascio
accarezzare dalla sua pelle liscia e vellutata, ascolto il suo respiro
corto, mi abbandono al suo abbraccio. Tutte queste sensazioni mi
riempiono il cuore e la possibilità di perdere tutto questo
mi risulta inaccettabile. Sono arrivato a scuoiarmi oniricamente pur di
salvarla. Lei è troppo importante per abbandonarla al suo
destino… Uno strano moto di tristezza mi avvolge e sento gli
occhi pizzicarmi.
Perdere la persona
più importante della mia vita.
Affondo ancora di più la testa nella sua spalla e la
avvicino ancora di più.
Lasciarla vagare nel
Lifestream.
Riempio i polmoni del suo odore.
Sola, abbandonata,
spaventata.
Mi scappa un gemito.
Ha bisogno di me.
Il pizzicore si trasforma in lacrime.
Sola…
spaventata.
Tifa cerca di guardarmi in viso, ma la mia stretta le impedisce di
muoversi più del necessario; tuttavia ha avvertito il fiume
salato bagnarle la pelle.
-Ma, Cloud? Stai…-
La sua determinazione riesce a far penetrare una mano attraverso la
stretta muraglia eretta dal mio abbraccio e raggiunge la guancia. Con
grazia, mi accarezza e m’induce a uscire allo scoperto. Mi
osserva sconcertata e le sue dita vanno ad asciugare quel poco di
dignità che avevo in corpo.
-Perché piangi? E’ successo qualcosa?-
E’ successo
che stavo per morire; è successo che il diario del mio
peggior nemico non fa altro che tormentarmi; è successo che
potresti essere in pericolo; è successo che ho paura, che
non so dove tutto questo mi porterà; è successo
che probabilmente abbiamo ucciso la persona sbagliata!,
penso con stizza.
-No… sono solo felice di tornare a casa.-, rispondo, invece,
cercando di controllare il tremore della voce.
La mia ragazza mi guarda ancora più sconcertata, ma
l’ombra di un sorriso si allunga attraverso le sue labbra.
Rincaro la dose e mi accorgo che lo dico più per me che per
lei.
-Sono davvero felice di tornare a casa nostra. Di tornare da te. Mi sei
mancata, amore mio.-
Le rivolgo il sorriso più sincero che ho, rendendomi conto
quanto in realtà sia così schifosamente falso, e
avvicino il mio viso al suo. Tifa mi rivolge un sorriso incerto.
-Quello strano malore non ti ha lasciato del tutto incolume, ma se
questi sono gli effetti… Dovrebbero venirtene più
spesso!-
La mia ragazza ride, ma io no. Almeno, non sinceramente; ciò
che mi scappa è solo una risata nervosa. Se solo sapesse…
Non sono mai stato un tipo da romanticismi, né
da sdolcinatezze, per questo temo che quelle parole non siano farina
del mio sacco. Solo ora me ne rendo conto e, prima che la mia maschera
si sfaldi, mi getto sulle labbra accoglienti di Tifa, ma…
non ho mai saggiato un bacio più amaro di questo.
Gli ultimi giorni di permanenza all’ospedale sono state un
via vai di dottori, amici, infermiere, famigliari così fitto
da impedirmi di andare avanti con la lettura. E’ stata dura
perfino tenerlo nascosto! Il dottore mi ha raccomandato qualche giorno
di convalescenza, quindi in questo periodo mi aggiro nella casa vuota
in preda alla noia. Odio stare con le mani in mano, quindi, anche se
non dovrei, ho deciso di prendermi cura della mia unica figlia, la
Fenrir. Sono spesso tentato di rinchiudermi nel mio ufficio, ma, dopo
quello che è successo, Tifa si fida più a
lasciarmi da solo in quello stanzino. Come se permettermi di stare
delle ore in officina con cacciaviti, chiavi inglesi, cassette pesanti
una tonnellata, fiamme ossidriche, seghe circolari, taniche di benzina
e una bestia nera e oro da 800 CV non sia abbastanza pericoloso. Senza
contare che non è il luogo a definire le mia salute, ma
l’umore altalenante riversato in quel libricino diabolico.
Quest’ultimo, l’ho lasciato un po’ da
parte, ma neanche troppo. Lo tengo con me giù in officina e,
sebbene concentrandomi sulla moto mi aiuti a non curarmene, lo avverto
chiamarmi. Mano a mano che passano le ore quella presenza non fa altro
che sussurrarmi ossessivamente nell’orecchio, accompagnandomi
verso il cassetto. Appena lo apro, raccolgo quel poco di spina dorsale
che mi è rimasta e mi sforzo a richiuderlo. Ma ogni volta
diventa sempre più dura. Come nel sogno: resisto, resisto,
resisto, fino a che LUI non mi sventrerà. Tendo
l’orecchio e ascolto le voci provenire dal piano di sopra:
avverto il vociare dei clienti del bar e, sopra a tutti, la parlantina
affabile di Tifa. Essa mi salva contro quel demone maligno, relegandolo
nel suo nascondiglio buio e polveroso. Ma appena lo faccio egli giura
vendetta e la volta dopo sono ancora lì a osservarlo con
occhi vogliosi. Ogni volta mi avvicino sempre di più, sempre
di più la mia mano si allunga per afferrarlo, sempre di
più le mie notti vengono tormentate da sogni terribili, di
cui la mattina mi rimane solo una traccia flebile. Lotto con tutte le
mie forze per non far preoccupare Tifa, ma il mio fisico sta dando
chiari segni di cedimento. Ogni volta che mi guardo allo specchio
stento a riconoscermi: sembro un drogato in crisi di
astinenza… Perché non riesco a disintossicarmi?
Perché non riesco a lottare contro questa follia? Sono
arrivato a pregare che questi giorni di mutua finiscano,
affinché possa finalmente fuggire da questa città
e rifugiarmi nei luoghi più oscuri per leggere quel diario.
Devi aver pazienza,
Sephiroth… Presto, presto tornerò da te. Ti
prego, fammi passare in pace questi pochi giorni con la mia famiglia.
Abbi pietà, SO che sei capace di provarne.
Nel frattempo, cerco di concentrarmi su un particolare che mi ha
lasciato senza parole la prima volta che lo lessi: non riesco ancora a
credere che Sephiroth avesse conosciuto mia madre. Lei non mi ha mai
menzionato di questo fatto. Mi sto autoconvincendo che lei fosse troppo
piccola per ricordare un bambino conosciuto un 29 Febbraio di tanti
anni prima; ma qualcosa nella mia paranoia mi indica che
c’è dell’altro. Insomma, non esistono
molti umani con i capelli argentati e gli occhi colore del mako! Senza
contare che di lì a pochi anni, quel bambino sarebbe
diventato uno dei più famosi SOLDIER della storia di questo
Pianeta.
Mi fermo un attimo e sospiro. Non ci posso credere! Perfino di mia
madre non riesco più a fidarmi… Non faccio altro
che vedere complotti ovunque; inizio a dubitare della
sincerità delle persone che mi circondano; ogni cosa
l’avverto contro di me. Mi scappa un altro sospiro e
realizzo: Sephiroth mi sta trasmettendo la sua stessa paranoia. Egli ha
sempre saputo che c’era qualcosa che non andava in
sé e la sua frustrazione l’aveva portato a credere
che l’intero mondo gli stesse tenendo nascosta la
verità. Nemmeno dei suoi unici amici riusciva a fidarsi
completamente: nella sua testa erano tutti burattinai; esseri gretti il
cui unico scopo della vita era sfruttare per il proprio tornaconto i
“doni” dei quali era dotato. L’unica ad
avergli dimostrato sincerità è stata proprio la
donna che lo ha respinto. Forse è per questo motivo per cui
non riesce a togliersela dalla testa. Non so perché, ma
più leggo del loro allontanamento, più ho come
l’impressione che in realtà si stanno avvicinando
sempre di più. Vedo due grossi e imponenti iceberg levarsi
al di sopra dei neri flutti del mare di mediocrità dei loro
rispettivi mondi, presi in consegna da una corrente che li fa orbitare
intorno l’uno all’altra, senza mai scontrarsi. Una
corrente fatta di convenzioni sociali, sogni infranti, guerra,
pregiudizi, un passato oscuro, diffidenza, senso di colpa, che
trasforma la distanza di un bacio in una voragine infinita; ma, allo
stesso tempo, li tiene così vicini da sfiorarsi. Quelle
carezze li sgretola pian piano, trasformando la loro forma, adattandoli
alla corrente, cambiando le carte in tavola. Piano, piano il loro
comportamento nei confronti della corrente cambia.
Li allontanerà
ulteriormente o li farà cozzare fino a fonderli insieme?
E’
questa domanda che tormenta la mia curiosità: tutto lascia
presupporre che siano destinati a non incontrarsi mai e che quella foto
non sia altro che un gesto disperato di un uomo imprigionato in un
amore platonico. Eppure, io non sono d’accordo con
l’affermazione lapidaria di Sephiroth. La
mentalità dei Wutai è diversa dalla nostra: per
loro morire in battaglia è il coronamento di una vita dedita
all’onore e al dovere. Yuffie ce ne parla spesso. Durante la
guerra, ci raccontava, le donne accettavano la morte dei propri mariti,
era dura, ma onoravano la decisione di quegli uomini di morire per una
causa di cui della giusta veridicità erano convinti, andando
avanti con forza e volontà d’acciaio. La loro
cultura è improntata sull’onore della vittoria e
la vergogna della sconfitta va lavata col sangue, è
risaputo. Quindi, se il Generale Yama fosse rimasto al sicuro con la
sua donna dietro alle sottane di Garyo, probabilmente, non avrebbe
retto quest’onta e si sarebbe ucciso. In pratica, non
c’erano molte speranze per quell’uomo. E credo che
Sakura ne fosse cosciente. Era un soldato, un samurai fino al midollo,
avrebbe sicuramente onorato la vecchia via. Curioso che Sephiroth non
ci avesse pensato. Forse era troppo accecato dalla disperazione di un
amore non corrisposto per riuscire a ragionare lucidamente. Dopotutto,
in questo diario, sono impressi ragionamenti spesso sconnessi e del
tutto irrazionali che denunciano una certa instabilità
mentale. Credo che nel cuore dell’iceberg di Sephiroth ci
fosse un universo compresso di emozioni e impulsività
ardente come le fiamme stesse dell’Inferno. Ogni giorno che
passava sul ghiaccio superficiale si formavano crepe profondissime che
lo attraversavano parte a parte, da cui, talvolta, uscivano sbuffi di
fumo ardente che colpivano i malcapitati attorno a lui, disgregandoli.
Solo Sakura aveva resistito-e reagito- ad una di quelle eruzioni,
spegnandola con il suo ghiaccio chiaro e sconosciuto. Sembra che lei
sia in grado di portare ordine e calma nella sua anima, sebbene, ora,
sia la causa di tanta instabilità. Sakura è
lontana da Sephiroth e, quindi, i suoi sentimenti incontrollati fanno
il diavolo a quattro al di sotto del ghiaccio. Malcapitati di questa
situazione sono i poveri Angeal e Genesis. Subiscono le angherie di una
follia latente in paziente silenzio, il primo, e superba insofferenza,
il secondo. Il ghiaccio del moro è malleabile e resistente,
si piega accondiscendente e si rimodella in modo tale da contenere
quell’eruzione violenta; mentre il rosso combatte il fuoco
con il fuoco, consumandolo più in fretta di quanto si formi.
Mi rendo improvvisamente conto di quanto, effettivamente, Sephiroth sia
stato instabile fin dall’inizio. Quell’iceberg era
una bomba a orologeria, un vulcano ghiacciato pronto ad esplodere da un
momento all’altro. E’ stato solo grazie alle poche
persone che gli sono state accanto a metterlo in sicurezza. Ma, a
Nibelheim, non c’era nessuno delle sue garanzie. I suoi amici
erano morti, Aerith era lontana e Sakura chissà che fine
aveva fatto. L’unico, forse, era Zack, ma lui non conosceva
il Generale così a fondo da capire cosa stava accadendo nel
suo cuore impazzito. Jenova non poteva trovare occasione migliore per
infiammare il rancore, l’odio e l’ira da troppo
tempo rinchiuse là dentro. Non aveva avuto scampo. Come
tutti noi, del resto.
Non si era mai sentito così solo e abbandonato come in quel
sotterraneo degli orrori…
Solo…
Abbandonato…
Il Destino si era compiuto.
-Cloud!-
Mi sveglio di soprassalto e una tosse incontrollata mi scuote il corpo.
Avverto i polmoni in fiamme e il dolore si dipana per tutta la cassa
toracica. Fatico a respirare e sento la testa leggera, come se fosse
immersa in una cassa d’acqua che gira vorticosamente. La mia
visuale è costellata da una cascata di stelline che
m’impediscono una vista chiara e definita. Al mio orecchio
arrivano rumori ovattati di cui non riesco a capire il senso. In fondo
alla mia gola avverto uno sgradevole odore di gas di scarico. Ma che è successo? Poi
avverto qualcuno stringermi così forte da impedirmi di
riprendere a respirare. Ci metto un po’ a capire che si
tratta di Tifa. Mi guardo intorno e capisco di trovarmi nel cortile sul
retro, fuori dal garage, da cui escono rivoli di fumo nero.
-Ma che è successo?-, il mio pensiero viene trasferito alla
bocca non appena la mia mente smette di girare.
Osservo la mia ragazza in cerca di risposte e ricevo uno sguardo
allucinato.
-Come? Non ti sei reso conto di quello che stavi facendo?-
Odio quando mi parlano
per enigmi: se ho fatto una domanda è perché non
conosco la risposta!
La mora sospira, carpendo il fastidio dalla mia espressione eloquente.
-Hai fatto partire il motore di quella diavoleria, creando un casino
infernale. Il pranzo era pronto e ho provato a farmi sentire.
Così sono venuta giù e ti ho trovato a terra,
immerso in una nuvola di gas di scarico. Così ti ho preso e
ti ho portato fuori.-
Sgrano gli occhi… Non ricordo di aver fatto partire il
motore. L’ultima cosa che ricordo è che stavo
lavorando alla marmitta e poi… e poi… Possibile
che non mi sia nemmeno accorto di essere svenuto?
La ragazza mi abbraccia.
-Perché lo hai fatto?-
La domanda mi colpisce come uno schiaffo e i singhiozzi di Tifa
giungono alle mie orecchie, rinnovando l’odio per quel diario
maledetto.
-Io…-
Che rispondere? Come spiegare che quello a cui sono appena
sopravvissuto non è un tentativo di suicidio, ma un tentato
assassinio. O forse, inconsciamente, voglio veramente morire. Scuoto la
testa. No, non è possibile. Io voglio vivere. Voglio
condividere la mia vita con Tifa, sposarmi, avere dei figli miei,
invecchiare assieme a lei e morire nel mio letto, libero da peccati e
rimpianti.
L’instabilità di Sephiroth è
disarmante: perché rendermi dipendente dalle sue memorie e
poi sfiancare il mio istinto di sopravvivenza? Non riesco a capire
più niente…
-Vado a chiamare un ambulanza.-
La ragazza fa per lasciarmi, ma io le afferro il polso.
-Non è necessario. Sto bene.-
-Non è vero! Hai tentato di…-
-NO! Non sono stato io! E’ stato…-
Mi blocco e mi mordo il labbro. La folle rabbia si spegne
improvvisamente e mi rendo conto che sto per tradirmi. Tifa mi si
avvicina e mi guarda con sospetto.
-‘E’ stato’?-
Tifa mi sfida a completare la frase. Lo sa, sa che in me
c’è qualcosa che non va. Sospetta qualcosa e il
mio sesto senso mi dice che non ha ignorato del tutto le accuse
sconclusionate di Yuffie- che tanto sconclusionate non sono, in
verità-. Ma non posso dargliela vinta proprio adesso.
Abbasso lo sguardo e mormoro.
-Un incidente. Non voglio mettere fine alla mia vita, davvero. Credevo
che i condotti d’areazione avrebbero risucchiato i gas.-
Tifa alza il sopracciglio e poi sospira.
-Cloud, i condotti d’areazione in garage sono rotti da mesi.
Come fai a dimenticarti sempre tutto?-
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20 Marzo XXXX
Primo giorno dell’equinozio di Primavera. Un evento
importante per la natura, un giorno come tanti per noi uomini. La
tregua è terminata già da settimane, quindi
questo giorno di rinascita è stato sporcato col tributo
rosso della guerra, distruggendo la consueta ventata di speranza che le
brezze primaverili portano con loro. Le battaglie hanno ripreso a
infuriare più sanguinose di prima, reduci da un lungo
inverno carico di rabbia e disprezzo ristagnanti. Tutto quello che
avevamo costruito nell’arco di una difficile stagione, le
battaglie lo hanno divelto in un batter d’occhio. Wutai
è tornato arido e senza vita come antecedente alle nevi. Il
sangue ha ricominciato a scorrere a fiumi nelle acque limpide e pulite,
la bombe hanno preso il posto dei tuoni e le urla degli uomini
moribondi sono diventate l’unica lingua parlata. Il regno
della Morte è ritornato sulla Terra. I nemici sono tornati
più forti e organizzati, riuscendo a mettere in conto
vittorie molto importanti a costo delle truppe dell’esercito
regolare Shin-Ra; finché non è entrato in gioco
l’invalicabile muro di SOLDIER. Il Presidente ha richiesto
espressamente il nostro intervento immediato e, per sveltire la pratica
il più in fretta possibile, ha insistito per passare il
comando dell’esercito sotto SOLDIER. In pratica, il vecchio
Heidegger si è visto sfilare il posto da sotto le sue grosse
chiappe da dirigente da Lazard e da me. Quanto avrei voluto esserci per
godermi lo spettacolo! Naturalmente, al giurassico, non è
andata a genio la decisione di mettere il suo prezioso, quanto inutile,
esercito nelle mani, a detta sua, ‘di un
rachitico psicopatico e di un damerino incipriato’. Quel dinosauro non
ha mai visto di buon occhio il reparto d’élite,
affermando che ‘non è con spade
magiche e sfere colorate che si vincono le guerre, ma con i bombe e
proiettili. E perché no? Anche con qualche macchina!
Ghahahahahah!’.
E’ fortunato a trovarsi a Midgar durante le riunioni
strategiche: altrimenti gli avrei già fatto ingoiare la sua
stupida risata da tempo. Lui e Scarlet spingono per inviare
l’artiglieria pesante qui in Wutai. Grazie al cielo, il
Presidente non si è lasciato ancora convincere da quei due
guerrafondai e, per una volta, ringrazio l’ascendente che mio
padre ha creato su di lui, il quale sostiene che nessuna macchina
può eguagliare abilità maturate in anni di
addestramento. Quei robot da battaglia farebbero molti più
danni di quanto ne risolverebbero, soprattutto su un terreno come
questo. Sarebbero una facile preda per le imboscate e metterebbero a
rischio la vita di molto soldati. Ma il continuo arruolamento di uomini
e i costi in ascesa per il loro sostentamento stanno iniziando a far
vacillare le ragioni di Hojo. Il Presidente comincia a spazientirsi: la
guerra gli sta costando molto più di quanto aveva previsto.
Ho dovuto richiamare tutta l’esigua forza di
volontà per evitare di rinfacciargli di averlo messo in guardia
riguardo alla sua utopica idea di guerra-lampo; mentre urlava e batteva
le mani sul tavolo, gettando all’aria centinaia di estratti
conto. Ad un certo punto ha proferito una frase molto inopportuna:
“Se voi SOLDIER non costaste così
tanto, non ci penserei due volte a mandarvi tutti al macello contro
quei miserabili!”
Rimasi perplesso, non tanto per il fatto di mandarci a morire
indiscriminatamente, ma ciò che mi colpì fu la
prima parte della frase: siamo arrivati a considerare la vita umana
così infima da essere definita da un libro mastro fatto di
perdite e guadagni?
Indignato, chiesi spiegazioni e ciò che sentii mi
lasciò uno strano gelo nelle ossa: “Mettiamola
così. Abbiamo fatto degli investimenti importanti su di te e
altri ufficiali di alto rango. Tu sei quello su cui abbiamo puntato la
maggior parte dei capitali e vorrei che mi restassi in vita il
più a lungo possibile! Non c’è giorno
che ripensi a Corel. Quindi, o finisci questa guerra in fretta o la
farò finire io in un modo o nell’altro. Non voglio
mettere a rischio importanti capitali per un lavoro che potrebbe fare
una macchina. E più rimanete laggiù,
più il rischio sale e meno tempo ho per sostituirti.”
Sostituirmi…
E’ così strano sentirmi rivolgere quel verbo. Per
quanto mi senta stanco, vecchio e demoralizzato, la mia età
anagrafica non farebbe mai pensare ad un evento del genere. In fondo,
sono solo pochi anni che esercito questa professione a pieno ritmo,
nonostante mi sembrino millenni. Se non avessi le capacità
che ho, probabilmente, dal punto di vista dei miei pari, sarei visto
come il novellino raccomandato, tanta teoria e nessuna esperienza.
Disgraziatamente, sono esattamente l’opposto, sebbene abbia
appena superato i venti. E’ bizzarro: da un lato mi offende
il fatto che i miei superiori pensino seriamente ad una mia
sostituzione, dal momento che solo adesso la mia vita è
abbastanza stabile da poter essere vissuta; dall’altro
avverto una morsa di terrore serrarmi il cuore al pensiero di quanto
l’esistenza sia così fragile ed effimera.
Non
sono invincibile
Un solo, unico pensiero che rievoca tutti gli eventi in cui ho sfiorato
la fredda mano della Morte. Il primo fra tutti: Corel. La mia mano si
porta inconsciamente all’altezza dello stomaco, sfiorando la
cicatrice gibbosa che solca la pelle in un raccapricciante zigzag.
Improvvisamente, mi pare di risentire il morso della Masamune
attraversarmi da parte a parte; gli occhi neri dell’uomo che
avevo creduto essere un mentore, una persona fidata, guardarmi freddi,
spietati… distanti; l’aria gelida di quella notte
nebbiosa mandarmi a fuoco i polmoni; il sudore freddo scendermi lungo
la schiena e la fronte; il sapore metallico del sangue che mi sgorgava
dalla bocca.
Stranamente non ero spaventato. La delusione e la rabbia erano
così dirompenti da assordare ogni altro sentimento. Una
persona normale avrebbe cercato di aggrapparsi
all’umanità del proprio assassino chiedendo il
motivo delle sue azioni tra un rantolo e l’altro, ma io no.
Mi sono limitato a guardarlo in quelle iridi da traditore, giurandogli
vendetta. Doveva sperare che non sarei mai più rialzato da
quel marciapiede; doveva assicurarsi di aver spezzato per bene la mia
spina dorsale o che i liquidi gastrici sciogliessero gli organi
limitrofi: doveva assicurarsi di avermi ucciso. Non ricordo bene cosa
successe nelle ore successive, dal momento che mi ritrovai a vagare in
un limbo tra coscienza e incoscienza, ma rimembro bene di aver scritto
il nome di quel traditore con il mio sangue. Per ore sono stato a
fissare quel nome; per ore mi sono immaginato vari scenari in cui avrei
potuto incontrarlo; per ore ho rosicato sull’errore commesso;
per ore ho maledetto quel nome…
Per ore… e ore, e ore…
Avrei potuto lasciarmi andare e scivolare nell’oblio, ma
dentro di me avvertivo un fuoco dirompente incendiarmi
l’animo, un urlo di disprezzo così terrificante da
sconquassarmi da capo a piedi. Mi rendo conto solo ora che: la Bestia mi ha salvato.
Ella ha stretto il mio cuore nella sua presa gelida e lo ha aiutato a
pompare; dopodiché non lo ha più lasciato,
rinchiudendolo all’interno di una prigione di ghiaccio
spessissimo. Dopo essermi ripreso dall’incidente, io e lei
lavorammo con una perizia spietata al nostro piano di rivalsa. Io misi
la lucidità investigativa e lei… il terrore. La
sera mi osservavo allo specchio e non mi riconoscevo in quel
terrificante riflesso: nei miei occhi c’era una luce
sinistra, un rabbia incontenibile, un odio così profondo che
avrei potuto crollarci dentro se mi fossi soffermato troppo a
guardarlo. Avevo paura di me stesso, del mostro che stavo lentamente
liberando dalla sua prigione. Quando uccisi il soggetto dei miei
incubi, giurai di non lasciare mai più che lei prendesse il
sopravvento su di me, ma sapevo bene che, in realtà, era
già troppo tardi. Infatti, non molti anni dopo, mi ritrovai
a fronteggiare un gruppo di disertori che avevano tradito i loro
compagni abbandonandoli nelle grinfie dei soldati nemici. Non era un
fatto che mi riguardasse direttamente, ma sentì
quell’antica furia levarsi di nuovo nel mio petto come un
vulcano in eruzione. Diedi loro una punizione esemplare, uccidendoli
come maiali destinati al macello. Ciò che più mi
raccapriccia è il senso nauseante di divertimento che mi
inebriò mentre vedevo la vita spegnersi negli occhi dei
traditori e l’incontenibile desiderio di ucciderli ancora e
ancora.
Non capisco il motivo di tale accanimento contro i traditori.
E’ vero, sono la razza peggiore di peccatori, tanto che Dante
li ha condannati a venire divorati vivi per
l’eternità da Satana in persona, ma è
strano il modo con cui la Bestia si scateni contro di loro. Sembra
esserci qualcosa di personale nelle sue azioni, come se avesse un conto
in sospeso con chiunque abbia l’ardire di commettere il
peccato di tradimento all’interno della sua sfera
d’azione. Perfino quando Aerith si lagnava con me per
un’amichetta che aveva spifferato in giro un segretuccio da
bimbette, mi assaliva quella stessa rabbia; tanto che, una volta, le
chiesi se voleva che mi occupassi di quella traditrice. Lì
per lì, la bambina mi guardò stranita con i suoi
occhioni verdi sgranati, poi si mise a ridere, credendo che scherzassi.
Ma no, mi accorsi, non stavo scherzando, anche se glielo lasciai
credere. La Bestia aveva parlato per me. Da quel momento non volli
più sapere dei problemi con le sue amichette: se fossi
andato avanti così sarei arrivato al punto di occuparmi
davvero di quelle bambine innocenti. Proprio per questo motivo mi sono
isolato, cercando di minimizzare ogni rapporto con le persone con cui
entro in contatto ogni giorno e, se proprio non ne posso fare a meno,
non approfondire troppo il legame con esse. Ho imparato a non fidarmi,
anche se, per migliorare davvero la sicurezza verso gente che mi sta
accanto, dovrei rendermi indipendente dagli altri. Purtroppo,
è insito nella natura umana ricercare la compagnia degli
altri membri della specie. L’unione e la collaborazione
rendono la nostra specie vincente, ma, agli occhi della Bestia, questa
è solo debolezza, una facile leva su cui forzare quando
è il momento di distruggere.
E’ così straziante assecondare quel demone,
soprattutto quando provo a ignorarlo per ricercare la compagnia dei
miei camerati, ovvero di essere me stesso, per un solo minuscolo
attimo. Quando mi è concesso godere della loro presenza,
spesso mi fermo a studiare i due banoriani. Sono due uomini simili a
me, insondabili e pieni di segreti, i quali, nonostante la lunga e
forte amicizia, rimangono un mistero sia per l’uno che per
l’altro. Eppure, si fidano reciprocamente in modo
incondizionato. Se chiedessi a uno dei due di gettarsi giù
da un precipizio e assicurassi che l’altro lo
salverà prima di sfracellarsi al suolo; sono certo che
accontenterebbero la mia richiesta. La fiducia che covano tra di loro
è qualcosa d’inconcepibile per me. Per quanto
affetto possa provare per quei soldati, non mi sognerei mai di mettere
la mia vita nelle loro mani, a meno che non abbia scelta. Anche se
collaudata, un’amicizia nasconde sempre qualche insidia e il
tradimento è sempre dietro l’angolo. Ogni volta
che condivido con Angeal e Genesis un qualche segreto o qualunque altra
cosa che richiede un certo affidamento, la visione di quella notte fa
capolino nella mia mente, come se la Bestia cerchi di mettermi in
guardia su ciò che sto facendo. Non si fida di nessuno,
è continuamente guardinga, vede il sospetto ovunque, mi
mette in guardia su qualunque cosa non le vada a genio, rendendomi
così paranoico e ossessivo. Come ho detto prima, sono
straziato da questa fissazione, non solo dal punto di vista personale,
ma anche professionale. Se le dessi retta, lei mi allontanerebbe da
tutto e da tutti, facendo inevitabilmente a pugni con ciò
che la società esige dall’Eroe, ovvero quella
figura perfetta e impavida che non si ferma di fronte a nulla pur di
conquistare la gloria. Sempre più spesso mi ritrovo nel bel
mezzo di una guerra interiore, indeciso tra l’essere prudente
o agire senza pensare alle conseguenze. Ma l’indecisione non
è un lusso che mi posso permettere, soprattutto in guerra, e
che non sono mai stato abituato a prendermi. Grazie al cielo, sono
dotato di una mente capace di processare rapidamente le informazioni in
mio possesso e prendere quasi sempre la decisione giusta, la quale si
trova quasi sempre come compromesso tra le tre parti del mio essere.
Sì, tre. In tre condividiamo un solo corpo e ognuno di noi
ha tre idee differenti della realtà, ma solo due hanno
effettivamente il controllo della situazione: la Bestia, il
più pericoloso, quello che si risveglia durante le
battaglie, colei che veicola i miei sentimenti verso un oblio fatto di
rabbia e disprezzo; e l’Eroe, la mia fortezza creata dalla
società, colui che cela il terrore della sua controparte con
la sua maschera di fredda indifferenza. E in mezzo, tra subconscio e
super io, c’è ancora quel bambino tenace e
testardo che ancora insegue quel desiderio reso irraggiungibile dal
mondo in cui vive: essere normale.
Alla mia età, i ragazzi vanno
all’università per rincorrere il loro sogno di
diventare qualcuno; stringono amicizie, inimicizie, amori… ;
litigano, si riappacificano, fanno l’amore. Si ribellano
contro i precetti imposti dalla società e cercano la loro
strada attraverso le esperienze che più li hanno segnati,
vedono lontano e sognano ancora più in là. Sono
pieni di speranza e aspettativa, vedono il bicchiere sempre mezzo
pieno. Fanno errori, ma si risollevano con l’aiuto delle
persone care, dei genitori, delle fidanzate, delle mogli. Amano e sono amati.
Non pretendo tutto questo, vorrei solo essere accettato in tutti i miei
difetti e mostri da una persona che sappia veramente
chi è Sephiroth. Genesis e Angeal mi conoscono meglio di
chiunque altro, ma non così a fondo come vorrei. Per quanto
riguarda Aerith, lei è troppo innocente, perché
quel briciolo di coscienza che mi è rimasto le permetta
l’accesso alla giungla dei miei pensieri. Ma, in fondo, credo
che la loro vicinanza mi stia aiutando a comprendere quella
realtà a me negata da sempre, permettendomi di far crescere
quel bambino, rimasto da troppo tempo assoggettato dalla Bestia e
dall’Eroe.
Però, ora, non c’è spazio per un
ragazzino in questo bagno di sangue. Le nuove responsabilità
derivate dall’aver preso il comando dell’esercito
regolare aggiungono un’ulteriore montagna di problemi alla
montagna di problemi derivante alle mille responsabilità che
mi hanno appioppato nel corso di questa guerra. A quanto pare sono
l’unico ad avere una mezza idea di come vincerla e mi
esortano a metterla in opera in fretta. Ai piani alti credono che oltre
che essere infallibile, sia anche onnipresente. Ho accumulato tanto
stress e l’unico modo per sfogarlo è riversarlo
nel diario, dal momento che Genesis e Angeal sono di stanza,
rispettivamente, a Hanwai e Jedo, due cittadine che ci permettono di
avere il controllo d’importanti passi montani nella regione
del Wutai Settentrionale, l’attuale fronte. In teoria, la mia
sede operativa sarebbe proprio da quelle parti, ma il Presidente, il
suo inutile figlio e il loro intero entourage di idioti aziendali si
stanno recando a Garyo per consolidare il loro potere agli occhi dei
wutainiani, mostrando loro che la conquista della Shin-Ra non
è solo illusione, ma pura realtà. Essi hanno
richiesto la mia presenza all’interno del loro corpo di
guardia. Sono riuscito a dissuaderli nel richiamare anche i miei
compagni: fosse per loro avrebbero fatto rientrare l’intero
corpo di SOLDIER per proteggere il loro dorato deretano. Mi dispiace
che i due banoriani non siano qui a farmi compagnia, ma qualcuno dei
Comandanti doveva rimanere a controllare l’andamento del
fronte. Rimaniamo in contatto ogni sera e mi faccio inviare rapporti di
continuo: voglio essere al corrente di che cosa accade
lassù. Torniamo sempre al solito discorso della fiducia,
dopo quello che è successo a Meijin voglio occuparmi
personalmente di ogni singola questione.
Il prefetto sta tirando la città a lucido per
l’arrivo dei capi della Compagnia. Migliaia di disperati
vengono allontanati dalle loro fatiscenti dimore, affinché
esse vangano distrutte per risanare la zona dall’orrida
povertà portata dalla guerra. Chi non può
permettersi di trovare rifugio nei centri di accoglienza in periferia
–strapieni, oltretutto- viene espulso dalle mura della
città o, se crea problemi, ucciso su due piedi, come sancito
dalla legge marziale. Come ho detto qualche pagina addietro, tutto
quello che sono riuscito a costruire nei brevi mesi di tregua,
è andato inevitabilmente distrutto. Con
quest’evento e il caos derivato c’è chi
ne ha approfittato per aumentare la propria presa sulla
città. Don Corneo è tornato alla carica,
convincendo il prefetto a suon di gil di concedergli qualche
attività per dimostrare al Presidente che non tutti i Wutai
sono dei ribelli testardi, ma che molti di loro hanno iniziato a
commerciare con noi. Quella mossa ha scatenato l’ira degli
okya. Per quanto m’infastidisca essere stato messo con le
spalle al muro da un essere abbietto come il mafioso, sinceramente, non
era mia intenzione intervenire in un problema secondario come la
gestione cittadina di Garyo, in quanto, tecnicamente, non mi compete.
Ma la mia alleata non la pensa così.
E’ stato un colpo al cuore rivederla, dopo quello che
è successo ciò che mi sembra una vita fa. Proprio
quando cominciavo a farmene una ragione e ricadere nella mia frustrante
autocommiserazione, lei ricompare, bella e magnifica come sempre, a
destrutturare il momento di stabilità che ero riuscito a
ricostruire nel mio stretto mondo solitario. Mille sentimenti
contrastanti tra loro iniziarono a vorticarmi nella mente. Tutti
lì, tutti in quel preciso istante, tutti a rivoltarmi lo
stomaco vuoto da giorni; proprio a causa di questo faticai a definire
ciò che provai nel rivederla. Il ricordo meraviglioso di
quel bacio, la memoria bruciante di quello schiaffo, la scoperta del
suo precedente fidanzato, il senso di colpa per averlo ucciso.
Nonostante tutto lei era lì, di fronte a me, a chiedermi
aiuto. Mi sorrise, mi versò il tè,
s’informò del mio stato di salute, conversando
amabilmente come se nulla fosse accaduto. Forse davvero nulla
è accaduto: forse nella mia testa un semplice gesto si
è ingigantito fino a farmi impazzire. Ella è una
delle donne più desiderate del Paese, cosa vuoi che sia un
bacio rubato per una geisha d’alto rango? Mi sto comportando
come un ragazzino in preda a una cotta colossale, senza la
benché minima idea di come destreggiarsi nei confronti del
soggetto del suo amore.
Ora capisco come si sentono le persone con cui mi rapporto, quando
cercano di capire cosa mi passa per la testa. Sakura è come
me: remota, insondabile, mascherata; ma infinitamente più
infida e scaltra. L’alter ego con cui ho a che fare, infatti,
non lascia trasparire nulla, a meno che non lo voglia, ed è
spaventosamente efficiente a penetrare nell’animo di colui
che le sta di fronte. Ogni sua mossa è studiata fin nei
minimi dettagli, con meticolosa, ossessiva precisione. Comprende me
stesso meglio di me: sa che argomenti evitare e su quali insistere,
comprende come attirare la mia attenzione e, soprattutto, usa la mia
infatuazione contro di me. Mi ha letteralmente estrapolato la mia vena
complottista, inducendomi a elaborare una contromossa contro Don Corneo
e il suo nascente impero del sesso. Quel viscido essere è un
caro amico della famiglia ShinRa e, quindi, per quanto lo disprezzi,
non mi è possibile torcergli un solo capello. Mettermi
contro di lui in favore di una nemica, è il miglior modo per
firmare un atto di tradimento… ma, naturalmente, il
Presidente non metterebbe mai a repentaglio il suo “costoso
investimento” al fine di proteggere un delinquente, per
quanto amico possa essere. Non a questo punto della guerra. ShinRa sa
fare bene i suoi conti. E anche Sakura.
Appena le esposi quest’idea, vidi un lampo di soddisfazione
attraversarle quegli occhi di smeraldo, per poi scomparire sotto
l’insondabile maschera della cortesia.
Era la sua idea fin dall’inizio, voleva solo un pretesto per
metterla in atto. Quando lo capii era ormai troppo tardi: non potevo
rimangiarmi ciò che avevo appena proferito, avrei fatto la
figura dell’idiota. Mi aveva messo nel sacco, facendo in modo
che mi fregassi con le mie stesse mani. Sapeva che se avrebbe recitato
la parte della donzella disperata, io sarei andato in suo soccorso. Mi
ha raggirato magistralmente e la Bestia non ha potuto accettarlo:
l’ ho potuta percepire esplodere nella cassa toracica e
cominciare la sua risalita verso il cervello. Ma, invece, Sakura si
è premunita di arginare quella nuova, terrificante eruzione
di follia rabbiosa, inferendo il colpo di grazia, il perfetto
coronamento del perfetto inganno: un bacio. Sfuggevole, delicato; per
una meravigliosa manciata di secondi la mia mente – assieme
al mio corpo – è andata in subbuglio. La Bestia
che si contorceva sotto lo sterno è stata incredibilmente
domata dalla felicità immensa dovuta a quel dolce gesto.
Forse le sue intenzioni non erano sincere, ma l’effetto che
mi ha procurato è stato… interessante. Un momento
prima la Bestia impazzava, cercando di manipolare il mio corpo per
veicolarlo verso un nuovo orrore, e quello dopo solo Sakura. Quelle
labbra tanto desiderate erano di nuovo sulle mie e, stavolta, senza
alcuna forzatura. Quando ci staccammo, utilizzai il momento di calma
per osservare il suo viso sorridente. Dal basso della sua prigione, la
Bestia mi sussurrava quando quella donna fosse malvagia e falsa, di
come mi aveva manipolato per i suoi scopi, del modo in cui mi aveva
trattato l’ultima volta. Ma io continuo a chiedermi: come
può una creatura così bella essere tanto crudele?
Io credo che in realtà sia solo spaventata. Spaventata da un
mondo sconosciuto che cerca di strapparle via tutto ciò per
cui ha combattuto, al fine di gettarlo in pasto alle grandi masse. Non
può permettersi di sbagliare: troppi pagheranno per i suoi
errori. Ma lei è solo una donna. E geisha, per giunta. Non
può competere con le capacità d’azione
che possono avere gli uomini. Nessuno si scandalizzerà a
vedere due uomini che chiacchierano amabilmente in un ristorante. Ma
che dire di un’autorità conversare con una geisha
nel medesimo ristorante? Lei deve creare sotterfugi, attendere il
momento migliore, trovare sistemazioni non compromettenti.
Ciò richiede molto più tempo di una mazzetta
passata sottobanco, durante un lauto pranzo. E, probabilmente, le
mazzette non le basterebbero. Gli uomini vogliono sempre qualcosa di
più da una donna. Sakura lo sa. Forse è per
questo che mi ha baciato: ho ricevuto la mia mazzetta. E’
fortunata che mi accontenti di così poco.
Siete
una persona buona ,Generale
Sorrido ancora nel vedere impresse quelle parole sussurrate. Quattro
parole in grado di lavare via il puzzo di ogni nefandezza compiuta, di
ogni singola goccia di sangue caduta sulle mie mani, di ogni lacrima
che ho causato. Sono frasi come queste che mi fanno capire che il
bambino dentro di me non è ancora stato inghiottito dalle
lunghe ombre dell’Eroe o dalle zanne crudeli della Bestia.
Timidamente emerge, di tanto in tanto. E’ una visione fugace
e rarissima; pochi sono così fortunati da vederla. E Sakura
è una di queste. Questo è il motivo per cui non
riesco a lasciarla andare: lei sarà la mia salvezza o la mia
rovina. Ma non m’importa.
Io la amo
Ed ecco un altro capitolo
fresco fresco! Si cominciano un po’ a muovere le acque!
Scusate l’attesa, ma in questo periodo ho iniziato la tesi e
non ho avuto molto tempo per scrivere, senza contare che
l’avrò riscritto mille volte, perché
c’era sempre qualcosa che non quadrava. Direi di avercela
fatta, anche perché la mia mente era già
proiettata sul prossimo capitolo, il quale finalmente ne vedremo delle
belle!
Una piccola comunicazione di servizio: dal momento che il mio rating
non lo permette, ho deciso che, prima del capitolo successivo,
pubblicherò una sorta di “capitolo
integrativo” come one-shot a parte, dove
descriverò delle scene un po’…
diciamo… “scottanti” (chi ha orecchie
per intendere, intenda). Non era mia intenzione farlo, ma QUALCUNA lo
ha chiamato a gran voce; quindi, anche se l’argomento
è un po’ hot, vorrei cimentarmi in un altro stile
di narrazione, in prima persona, sempre andando
sull’introspettivo. E’ anche un ottimo modo per
conoscere un personaggio che ci sta molto a cuore e che non vediamo
l’ora che entri in azione ;)
Bene! Ringrazio tutti quelli che mi seguono.
Alla prossima
Besos
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Capitolo 15 *** Trascorsi ***
Dolci
sussurri. Ansiti strillanti. Gemiti soffocati. Schiocchi di baci.
Carezze fruscianti. E follia. Pura follia.
Un gracile corpo mi è avvinghiato addosso, stringendomi i
fianchi con le sue sottili gambe setose e conficcando le sue unghie
nella mia schiena. Avverto il suo calore bollente sulla mia pelle, i
suoi baci soavi, la sua voce chiamarmi. Ma non è il mio nome
quello che esce dalla sua bocca, eppure le rispondo.
-Sakura…-
I suoi occhi brillano di pura
passione. Esper santi, quanto sono meravigliosi! Quello sguardo
conturbante mi inebria, la desidero sempre di più. Afferro
la sua bocca e la bacio quasi con ingordigia. Mordo la sua pelle
morbida come un animale affamato di lussuria. Quanto è
delizioso il suo sapore! Lei addenta dolcemente il mio orecchio e di
nuovo sussurra quel nome, dando a esso un tono dannatamente sensuale.
Le rispondo ancora. Perché le rispondo ancora?
-Sakura…-
Ci uniamo in un intrico
impazzito di passione. Ogni senso ormai è offuscato da lei.
Sulle mie dita sento la sua pelle incandescente, sulla mia lingua
avverto il gusto delle sue labbra, il mio odorato è riempito
del suo profumo dolcissimo, la mia vista s’inebria del suo
corpo perfetto e, infine, il mio udito è accarezzato dalla
sua voce gaudente. Essa mi incita, mi sprona, mi eccita, mi
chiama…
E io rispondo. Continuo
a rispondere.
-Oh, Sakura…-
Tutto inizia farsi
offuscato. C’è tanto caldo. Sudo. Il mio respiro
è velocissimo, il mio cuore martella impazzito nel petto. E
lei, è sempre più bella, più golosa,
più bramosa. Ho raggiunto il limite: voglio sentirla
gridare!
-Oh sì… così, Sakura…-
Parole scritte con
inchiostro nero su fogli bianchi sopraggiungono dalla mia memoria,
dando vita ad un unico, pazzo, folle pensiero: Io la
amo…
-Sakura… Ti amo…-
-Cloud…-
Alzo la testa e la
guardo in viso, confuso.
-Cloud…-
Ripete quel nome. Un
nome che stento a riconoscere, tuttavia che sento appartenermi. Lo
preferisce con così tanta passione…
-Cloud…-
-Clooooud!-
Un’altra voce
si sovrappone alla sua. Essa è meno matura, più
squillante, più allegra. E mi sembra di
conoscerla…
-Clooooooooooooooooooooooud!-
Mi sveglio di soprassalto, con il cuore in gola. La visione del sogno
viene squarciata brutalmente dalla realtà offuscata e
sconosciuta che mi circonda. Annaspo alla ricerca d’aria,
finché una vocina squillante non richiama la mia attenzione.
-Era ora che ti svegliassi!-
Sono ancora totalmente stordito e impiego qualche secondo a mettere a
fuoco la figura gracile e graziosa che mi osserva con la sua
espressione corrucciata. La conosco. Si tratta di Marlene. Preso atto
di questo, piano piano inizio a identificare il luogo in cui mi trovo.
Sono in salotto, sdraiato sul divano, la televisione accesa trasmette
un programma culinario. Mi guardo attorno con espressione vacua,
prendendo mano a mano consapevolezza della miriade di ricordi contenuti
in questa casa. Sono vecchi oggetti, quelli scontati sempre sotto agli
occhi di tutti, di cui ormai non ci si fa più tanto caso,
che attirano maggiormente la mia attenzione, poiché mi
rievocano memorie che, da tempo, non si risvegliavano. Vecchie foto
ingiallite e rovinate, scampate al fuoco di Nibelheim; soprammobili
orribili frutto di uno sfrenato shopping vacanziero; gli improbabili
regali fatti dai bambini a scuola; un balocco abbandonato durante una
precedente sessione di giochi; le tende che tanto odio, ma che sopporto
per amore della quiete domestica; quadri appesi alle pareti dentro cui
abbiamo sistemato le immagini più belle della nostra
famiglia, della nostra nuova vita. L’attenzione cade su una
fotografia di me e Tifa. Mi ricordo di quel weekend. Marlene e Denzel
erano andati con Barret a Costa del Sol e noi ne avevamo approfittato
per fare qualcosa insieme. Avevamo deciso di cambiare aria,
allontanarci dall’acciaio e dall’arsura di Edge, e
rivedere il verde sconfinato delle praterie, l’imponenza
delle montagne, la bellezza dei boschi: insomma, ricordare la nostra
infanzia. Abbiamo, quindi, preso la moto e ci siamo diretti verso la
campagna. La fotografia ci ritrae durante una delle pause. Il panorama
era bellissimo e lei, ricordo, aveva insistito tanto per immortalare il
momento. In questo quadro, lei è appoggiata a me ed io, a
mia volta, gravo sul sellino della Fenrir. Sullo sfondo, una splendida
veduta del passo Healin, con le sue colline verde brillante e il cielo
azzurro terso, libero dalle nuvole. Io la sto stringendo a me, mentre
tento di assumere un’espressione lieta, fallendo miseramente.
La mia ragazza è decisamente più sciolta in
questo genere di situazioni, a giudicare dal sorriso luminoso che
sfoggia con tanta leggiadria. Mi ritrovo a studiare la sua figura
vestita di pelle nera, la quale si contrasta con il sfolgorante pallore
della sua pelle luminosa. La mia attenzione ricade sulle sue mani, le
quali sono incrociate alle mie, all’altezza della vita. Mi
sovviene il calore e la morbidezza del suo corpo perfetto rilassarsi
contro il mio, le carezze sfuggevoli sulle mie dita, i suoi capelli
profumati scossi dal vento, la sua risata lieta. Sorrido.
Io la amo…
Dopo aver formulato questo pensiero, un lampo sovrappone la figura
preponderante di Tifa con quella più flebile della donna
che, ahimè, sto imparando a conoscere fin troppo bene.
Così
dannatamente simili.
Un senso di angoscia mi gela le membra.
Perché
continuo a fare paragoni? Tifa non è come Sakura! Io non
sono come Sephiroth! Sono due vite, due realtà, due storie
completamente diverse! Perché continui a sviarmi?
Perché mi vuoi allontanare da lei?
Avverto la rabbia deformarmi il viso in un ghigno furente e le mie mani
vengono strette in pugno fino farmi sbiancare le nocche.
-Cloud?-
Guardo i due bambini accanto al mio capezzale. Mi scrutano con sguardo
spaurito, Denzel, e leggermente sospettoso, Marlene. La mia attenzione
viene canalizzata verso quest’ultima e la fisso per un lungo
istante. Il sospetto che lei abbia capito qualcosa s’insinua
nella mia mente, scatenando in essa mille paranoie.
Marlene è una
bambina sveglia. Sembra tanto innocente, ma è proprio
quell’innocenza a renderla ancora più pericolosa.
E questa come mi è saltata fuori?!
Maledizione, stai zitto!
Quello che dici non è la verità, la tua
è solo una fissazione! Stupida insensata fissazione! Il
nostro segreto è al sicuro!
Un tocco delicato sul braccio e Marlene mi ridesta dalla mia lotta
interiore, permettendomi di rendermi conto che i miei folli cambi di
umore sono sotto gli occhi dei due orfani. Questa realizzazione scaccia
via la brutale invadenza di Sephiroth, facendomi riacquistare il
controllo delle mie emozioni. Sospiro e mi volto verso i bambini,
mettendomi seduto sul cuscino, mentre tento di assumere
un’espressione, per quanto possibile, tranquilla e
disponibile.
-Ciao bambini! Come è andata a scuola?-
Denzel e Marlene si scambiano un’occhiata interrogativa.
-Cloud, stai bene?-, mi domanda Denzel.
-Certo! Mai stato meglio!-
L’affermazione proferita dalla mia bocca non convince nemmeno
me, figuriamoci loro. Come volevasi dimostrare, Marlene mi si avvicina
e appoggia la manina sulla mia fronte, assumendo un cipiglio clinico.
-Sicuro? Sei così pallido… e hai delle occhiaie
così scure. Dormi abbastanza?-
No, per niente.
–Certo.-, rispondo, invece, sostenendo pure lo sguardo
scaturito da quelle iridi del colore del cioccolato.
La bambina mi studia attentamente e silenziosamente per un lungo
istante, senza cambiare posizione. A quanto pare spera di carpire
qualcosa valutando la temperatura della mia fronte, oppure vuole creare
una sorta di contatto? Non so che fare e, quando decido di alzare la
mano e coccolare la sua, la voce imperiosa di Tifa
m’interrompe a metà del gesto.
-Denzel! Marlene! E’ pronto il pranzo!-
Mentre il primo scatta verso le scale, la seconda interrompe il
contatto, portandosi l’arto al petto. Sul suo visino tondo si
è dipinta un’espressione contrita e…
delusa. L’impulso di stringerla a me si fa impellente, ma lei
fugge via, inseguendo il fratellino. Io l’ accompagno con lo
sguardo, mentre una morsa di disperazione mi trapana il cuore.
Mi dispiace, Marlene,
riesco solo a pensare, abbassando lo sguardo sulla punta dei piedi, e
mi do del codardo per non avere il coraggio di proferire quella frase
ad alta voce. Fortunatamente, la bambina si ferma poco prima del primo
scalino e si volta nella mia direzione. Gli occhi trasmettono una
tristezza senza eguali, oltre che a una profonda preoccupazione. SA che
c’è qualcosa che non va in me e teme che questo mi
porterà a isolarmi di nuovo. Glielo leggo in faccia questo
timore. Ormai era abituata ai miei allegri bentornato, con tanto di
abbracci e sorrisi, più o meno spontanei. Ora, si rende
conto che è in corso una cocente, devastante, regressione da
tutti i piccoli traguardi che ero riuscito a raggiungere.
E la colpa… la colpa… la colpa
é… é…
Mia…
Solo ed esclusivamente mia. Quel diario, per quanto strani e
controversi siano gli effetti che mi causano, alla fine non
è altro che la mera esposizione di fatti di una vita vissuta
da un uomo. Al Sephiroth che sto conoscendo non importava fare del
male, anzi, dov’era possibile lui avrebbe voluto fare solo
del bene. Quel libro è stato solo una valvola di sfogo in
cui riversare la SUA frustrazione, la SUA rabbia, la SUA delusione per
quei torti a cui non era stato capace di porre rimedio. Io mi sto
facendo coinvolgere troppo da queste memorie. Forse, la mia,
è tutta autosuggestione…
-Cloud.-
-Sì, Marlene?-
-Chi è Sakura?-
Quella domanda mi tronca il fiato, come se un pugno mi fosse arrivato
in pieno stomaco. Avverto i miei occhi sgranarsi e il cuore perdere un
battito. Un brivido mi sale lungo la schiena, rizzando ogni singolo
pelo del mio corpo. Intanto, un groppo alla gola m’impedisce
di parlare e mi ritrovo a boccheggiare come un pesce fuor
d’acqua. Nella mia mente, migliaia di pensieri si arrovellano
impazziti, impedendomi di ragionare lucidamente e trovare una scusa
valida per salvarmi da questo estremo pericolo; ma quei dubbi sono
scatenati da un sola singola, tagliente domanda, la quale offusca ogni
altro pensiero.
Come la sa?
Sono sempre stato attento a non tradirmi mai, a non lasciare il diario
in bella vista, a non portarlo nella stessa stanza con altre persone, a
nasconderlo da luoghi dove chiunque avrebbe potuto ficcarci il
naso…
Come è
possibile che questa bambina sappia… di LEI?
Cos’altro sa? Come lo ha trovato? Quando lo ha trovato?
-Lo hai sussurrato nel sonno.-, spiega semplicemente, come se mi avesse
letto nella mente.
Dapprima, un enorme sollievo mi abbraccia, permettendo ai miei muscoli
tesi di rilassarsi. Ma, subito dopo, un dubbio mi artiglia con la sua
fredda morsa di pura paura.
E se lo avessi sussurrato stanotte accanto a Tifa?
Un altro brivido mi gela la spina dorsale, al solo pensiero di quello
che avrebbe potuto accadere in una circostanza simile. Dire che Tifa
non l’avrebbe presa troppo bene è un simpatico
eufemismo… L’immagine di lei accecata dalla
gelosia fa capolino nella mia mente, rendendomi spaventato e triste
nello stesso tempo. La posso immaginare assaltarmi, nella perfetta
intenzione di farmi del male, urlando parole che mai mi rivolgerebbe.
Ma dietro a tutta quell’ira ci sarebbe una grande delusione,
la realizzazione che potrei appartenere a un’altra donna, la
consapevolezza che quell’uomo con cui ha diviso gioie e
dolori non è più esclusivamente suo.
Conoscendola, mi caccerebbe da casa, ergendosi sopra una muraglia fatta
di forza e indifferenza, ma saprei che al di là di quella
fortezza vi sarebbe una donna a terra, morta, vuota. Il solo immaginare
vederla in quello stato mi spacca il cuore. Non devo assolutamente
permettere che accada. D’ora in avanti dovrò stare
ancora più attento a ciò che sogno.
Gli occhioni della bambina gravano ancora su di me, mentre formulo
quest’ultimo pensiero, il quale mi scatena uno sbuffo
divertito. Marlene vorrebbe approfondire la stranezza a cui ha appena
assistito, ma un richiamo dal piano di sopra la intima a imboccare le
scale. La piccola sospira, decretando la sua sconfitta e scappa via,
senza alcuna risposta.
Sorrido nel vederla allontanarsi e ciò mi fa sentire un
miserabile verme. Sospiro affranto e mi rigetto sul divano.
Fare attenzione a
ciò che sogno…
Quest’affermazione ha dell’inverosimile! Come si
può controllare, ciò che non è
controllabile per definizione? Come questi ricordi, che tanto
impunemente affollano la mia testa, sembrano procedere veloci, ben
oltre la lettura, impazziti, irrefrenabili. Sembra quasi che il livello
di sincronia tra me e il mio nemico si stia alzando sempre di
più, fondendo completamente le nostre menti, come
è accaduto sei anni fa. Stavolta, però,
è diverso: lui vuole mostrami disperatamente qualcosa, ma,
celato nei recessi di quelle memorie esiste qualcos’altro.
Qualunque cosa essa sia, si batte strenuamente per impedirmi di
rivangare in quel passato remoto ed estrarre la verità.
Altrimenti non si spiegherebbero tutti gli strani fenomeni riversatosi
su di me. Non capisco da dove provenga questa forza misteriosa; del
perché stia facendo di tutto per uccidermi nel peggiore dei
modi. Eppure, io non riesco a staccarmi da quel diario, è
come se, dal primo momento in cui posai i miei occhi su quelle
maledette pagine, avessi firmato col sangue una sorta di patto
indissolubile.
Perché ha
creato questa potente assuefazione?
Forse la risposta è molto più semplice di quanto
pensi: non gli avrei mai creduto, altrimenti. Sephiroth, per quanto
folle e spietato egli sia, ha sempre avuto una fredda consapevolezza
delle sue azioni. Niente era mai lasciato al caso, sapeva perfettamente
come e quando agire nel migliore dei modi, affinché il suo
piano si svelasse esattamente nel modo in cui lo aveva progettato. Non
per niente era stato un grande stratega all’epoca, un
Generale accorto ed efficiente, il miglior ufficiale che SOLDIER abbia
mai avuto. Non era un segreto la sua straordinaria intelligenza. A ogni
domanda, Sephiroth aveva sempre pronta la risposta giusta. SEMPRE.
Qualunque fosse stata la situazione, sapeva come tirare fuori il meglio
dai suoi uomini e motivarli a compiere imprese che mai si sarebbero
detti capaci. Per questo, quindi, non credo che tutto quello che mi sta
accadendo sia un caso e ha bisogno che io non smetta di leggere.
Ma, allora,
perché tentare di uccidermi?
Ero già arrivato ad una conclusione riguardo il suo stato
mentale, confermata poi dalle affermazioni dello stesso Generale. Egli
era in aperto conflitto con le tre metà del suo essere, in
particolare con la Bestia. Probabilmente, è proprio lei la
mandante dei malori e degli incubi. Non vuole che sappia chi era
veramente Sephiroth. Dopotutto, è logico. Lei ha fatto di
tutto per eliminare la strenua resistenza adottata dal suo portatore e,
ora che è libera nel Lifestrem, non rinuncerà a
quella libertà per nulla al mondo. Jenova non si
farà confinare nella sua teca di cristallo per colpa di
pochi fogli di carta scritti da un figlio in lacrime.
Ma è una
minaccia così grave da indurre l’essere
più potente nell’universo a palesarsi
così pericolosamente?
Sono più confuso che mai… E ora, come se non
bastasse, mi metto perfino a chiamare quella donna nel sonno! A
chiamarla… Perché l’ho fatto? Cosa
diavolo mi dice il cervello? O forse non ero io a farlo, ma Sephiroth.
Che abbia di nuovo parlato con la sua voce? No, i bambini lo avrebbero
notato e a quel punto sarei stato VERAMENTE nei guai.
Sospiro profondamente e cerco di recuperare il sogno, nel vano
tentativo di capire cosa mi abbia portato ad agire in quel modo, ma
esso è ormai dissolto.
A parte…
Abbasso lo sguardo sul cavallo dei pantaloni e noto
un’intumescenza cilindrica elevarsi poco sotto la cucitura
che solca la stoffa da parte a parte. Appena realizzo di che cosa si
tratta, emetto un sonoro gemito e getto la testa
all’indietro, facendola sprofondare nel bracciolo. Mi porto
le mani alla faccia, schiaffeggiandola con fare esasperato.
Non ci credo…
non posso credere di aver sognato proprio QUEL momento!
Alzo calzoni e mutande quasi con timore e, appena vedo il soggetto dei
miei dubbi, un altro gemito abbandona le mie labbra e la mia testa
crolla di nuovo sul bracciolo.
Sì, ho
decisamente sognato QUEL momento…
Ma per quanto possa essere profano e indecoroso il pensiero, constatare
che Sephiroth abbia assaggiato, almeno una volta nella sua travagliata
e triste vita, il dolce sapore della passione, mi fa sorridere. Mi
rendo conto di essere veramente contento per lui. Non tanto per il
gesto, ma per la costanza e la pazienza con cui ha inseguito il suo
desiderio, nonostante le regole che la società gli imponeva;
nonostante la sua moralità che non accettava il mestiere di
Sakura; nonostante l’odio della Bestia. Finalmente, ho visto
la figura forte e potente che ammiravo da ragazzino:
quell’uomo invincibile capace di stroncare le catene che lo
legavano ad una realtà che non gli appartiene e lottare per
i suoi desideri, i suoi sogni.
“Embrace
your dreams and, whatever happens, protect your honor as
SOLDIER.”
[Abbraccia
i tuoi sogni e, qualunque cosa accada, proteggi il tuo onore di
SOLDIER; cit. Zack Fair, FFVII: Crisis Core]
Sì, LUI era l’essenza di quell’onore di
cui tanto vaneggiava Zack. Per tanti anni aveva permesso ad altri di
scegliere al suo posto, finché Sakura non è
entrata nella sua vita. Dal primo momento in cui, quella fatale notte,
quel petalo si è delicatamente posato sulle pagine del suo
diario, Sephiroth nacque di nuovo. Aveva DECISO che era il momento di
reagire e rivedere le proprie priorità. E di lottare per
esse. Sì, lui stava scoprendo quell’onore
insegnatogli da Angeal, quella forza di imporsi imparata da Genesis e
quell’amore incondizionato e disinteressato scambiato con
Sakura.
Ora lo vedo: questo giovane uomo non è altro che
l’embrione di quel demone sanguinario contro cui ci siamo
scontrati negli ultimi anni. All’inizio, tutti questi valori
erano nella mani del Bambino, l’essenza di Sephiroth
più pura e innocente, ben mascherati da quelle doti fittizie
create dall’Eroe. Ma qualcosa, a Nibelheim, ha infranto
quelle protezioni e la Bestia si è impadronita di quelle
qualità, trasformandole in spaventose armi di distruzione di
massa. Oppure, in una visione più distorta e malata, egli ha
esasperato gli insegnamenti imparati, estendendoli fino al limite
estremo.
Il mondo era marcio e decadente, la Shin-Ra sempre più
ingorda di energia mako, il Pianeta sempre più sofferente.
Tutto stava morendo: virtù, onore, vita… La
Compagnia stava devastando l’essenza stessa
dell’umanità. E il Pianeta non era in grado di
fronteggiarlo.
Ci voleva un uomo in grado di sostenere l’opprimente peso dei
peccati derivati da un genocidio.
Un uomo che aveva raggiunto una consapevolezza tale da non temere il
sangue che lo avrebbe inghiottito nel suo vortice vermiglio.
Un uomo pronto a morire per le persone che amava.
Quell’uomo era Sephiroth.
Dovevi tenere alto
l’onore di una vita dedita alla Pace e alla Giustizia,
sostenendo quei valori dimenticati con forza e coraggio. Per LEI. Tutto
per LEI.
Ora realizzo davvero quanto sia stato meschino e superbo nei confronti
di quell’Eroe immortale.
Io non capisco niente.
Io
faccio pietà.
Io
gli ho portato via ciò che di più prezioso
possedeva.
On
your knees.
I want you to beg for forgiveness.
[Inginocchiati.
Voglio che tu chieda perdono; cit. Sephiroth, FFVII:ACC]
///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
22 Aprile XXXX
Il disco solare si eleva
totalmente al di sopra dell’orizzonte sconfinato della brulla
pianura di Garyo, annunciando l’inizio di un nuovo giorno. Il
Pianeta lentamente si sveglia, mentre io sono desto già ore.
O meglio, non mi sono mai addormentato. Sono rimasto per ore sdraiato
in un letto ad osservare un angelo dormire. Ho studiato ogni minimo
particolare di quel corpo protagonista dei miei dolci incubi, ma,
stavolta, ho potuto toccarlo veramente. Allungando la mia mano non ho
incontrato la fredda sensazione del vuoto, ma, bensì, il
candido calore emanato da liscia pelle priva di alcuna imperfezione. Il
mio palmo ha potuto accarezzare realmente quelle curve perfette,
seguire quella silouette così armoniosa, palpare la
morbidezza di quei rilievi tondeggianti. L’ho potuta
stringere a me, avvertire la sua pelle sulla mia, affondare il mio naso
nei suoi capelli, affinché i miei polmoni potessero
riempirsi del suo profumo. Quest’ultimo lo posso sentire
ancora aleggiare nell’aria, impresso a fuoco in ogni singolo
poro dell’epidermide e sull’uniforme. Respiro
profondamente, stando ben attento a non tralasciare alcuna molecola di
quella fragranza. Mi sembra quasi di avvertire ancora le sue mani soavi
accarezzarmi, le sue braccia sottili avvolgermi, le sue gambe guizzanti
accogliermi e la sue labbra carnose baciarmi. Mi viene quasi voglia di
alzare le braccia e cingere a mia volta questo fantasma fumoso, tanto
la desidero ancora. Il mio occhio cade sul mio riflesso, specchiato
nell’acciaio tagliente della Masamune, e noto delle curiose
macchie violacee spiccare sui lati del collo.
Allora, non sono l’unico ad essermi nutrito,
stanotte…
Le labbra si allargano in un ampio sorriso, mentre valuto i segni
lasciati da quell’angelo vorace. Inoltre, osservandomi con
più attenzione allo specchio ho notato delle evidenti tracce
di unghiate solcarmi il deltoide da parte a parte. Seguendo con le dita
il tracciato di quei segni, ho constato averne molti altri marchiarmi
il dorso. Non amo osservare quello che rimane della mia schiena, eppure
sono stato una mezz’ora buona a studiare quelle dolci ferite.
Nemmeno in guerra riporto così tanti acciacchi…
La lussuria di quella donna è davvero dirompente!
Ma preferisco di gran lunga succhiotti e graffi rossi, che bozzi
nerastri e frustate sanguinanti. I primi sono i segni della passione,
mentre i secondi sono quelli dell’odio. E io sono stanco di
conoscere solo quest’ultimo. E’ solo grazie a quel
meraviglioso angelo salvatore che quella fame di affetto che mi
attanagliava l’anima è stata finalmente
soddisfatta. Anche se, però, un nuovo appetito si
è risvegliato, invogliandomi a ricercare cibi più
concreti e carnali. Ed
è insaziabile. Staccarmi da lei, infatti,
questa mattina, è stato a dir poco straziante. Alle prime
luci dell’alba, la magica bolla in cui ci eravamo rifugiati
è stata dissolta dai crudeli raggi vermigli della
realtà. Mi ha preso alla sprovvista l’improvviso
bagliore esploso tra le architravi e i tetti spioventi
dell’hamanachi, distraendomi dall’ intensa
contemplazione della donna coricata al mio fianco. A quel punto, tutti
i miei pensieri sono tornati a galla. La guerra, primo fra tutti. Il
mio dovere mi stava chiamando verso il passo di Jedo, tra il gelo delle
montagne nevose, assieme ai miei uomini, a braccetto con la morte,
lontano da lei. Una fitta violenta mi ha artigliato il cuore,
stringendolo così forte da farmi provare un dolore
indescrivibile. Ho
commesso un errore madornale, fu il mio secondo,
devastante, pensiero. La felicità in cui mi ero crogiolato
pochi secondi prima era svanita, accartocciando il mio corpo su se
stesso. Entro poche ore sarei dovuto trovarmi qui, in caserma, per
l’adunata del mattino, poi partire alla volta del fronte con il
primo elicottero disponibile. Il tutto mentre lei assaporava il
guadagnato sonno ristoratore nella convinzione di avere ancora un uomo
al suo fianco. Si sarebbe svegliata e io non ci sarei stato. Sono stato
seriamente tentato a mandare tutto all’Inferno, svegliarla e
portarla via con me; ma una vocina nella mia testa continuava a
sussurrarmi che questo non era un comportamento degno di un Generale
SOLDIER. No, non sarebbe stato degno nemmeno dell’ultimo
infimo essere umano sulla faccia del Pianeta. Per quanto ami quella
donna e per quanto felice mi abbia reso questa notte, io
svolgerò il mio compito. Non avrei trovato mai pace, se mi
fossi permesso di abbandonare migliaia di uomini alla mercé
della furia di Wutai, senza la mia sapiente guida. Sebbene ci siano
ufficiali validi nell’esercito, la mia sparizione non solo
avrebbe fatto crollare il morale delle truppe sotto le scarpe, ma
avrebbe eliminato l’effetto terroristico suscitato dalla mia
esistenza. I ribelli mi temono, sanno di non avere alcuna speranza
quando il Generale SOLDIER scende in campo. Il terrore che leggo nei
loro occhi mi suscita una sensazione molto simile a ciò che
ho provato questa notte.
Comunque, in aggiunta, avrei fatto pagare a Shinra tutto quello che mi
ha costretto a subire nel corso del mio servizio, ma il conto avrebbe
richiesto un resto troppo rosso da indurre la calma nella mia
coscienza. Troppi avrebbero pagato per i peccati di un solo uomo.
Duramente, alla fine, mi sono convinto e mi sono alzato, senza,
però, prima salutarla con un ultimo bacio. Dopotutto,
pensai, più in fretta questa guerra finirò, prima
potremo di nuovo stare insieme. E non solo come segreti amanti, ma
forse anche qualcosa di più.
Non correre, Sephiroth…
Non illudere la tua mente con assurde speranze senza fondamento. Sakura
ti ha concesso un grande privilegio, il quale può essere
senza problemi anche l’ultimo. In fondo, nessuno dei due si
è sbilanciato con frasi sulla falsariga del ‘ti
amo’, sebbene i nostri sguardi e i nostri sorrisi lo
urlassero a gran voce. Mentre mi rivestivo, lei si è
svegliata, mi ha chiamato a sé e ho potuto godere della sua
compagnia ancora per qualche istante. La bolla si ricompose,
permettendomi di crogiolarmi ancora nella delizia di quel corpo. Ma,
nonostante il tempo mi abbai fatto dono della sua preziosa e sfuggevole
essenza, io ne approfittato solo a blaterare di vuote ciance, quando
avrei dovuto appagarla con quelle due splendide, spaventose, parole.
Non le ho detto ti
amo…
Perché non l’ho fatto? Da mesi ho questa frase in
mente e, quando avrei potuto finalmente rivelarla, mi sono tirato
indietro. La potevo avvertire solleticarmi le labbra; tuttavia le ho
tenute serrate, nonostante leggessi negli occhi di Sakura
un’attesa spasmodica, l’agognata speranza di
essersi concessa ad un uomo che non si accontenti solo della sua carne,
ma anche del suo cuore. Ma forse quell’uomo, ha avuto
paura…
Sì, ho avuto paura, lo ammetto. Paura
d’instillarle false speranze, paura di non riuscire a
mantenere le promesse proferite, paura di deluderla. Ammettere di
amarla avrebbe significato incatenarsi l’un l’altra
per sempre. Così facendo, l’avrei costretta ad una
vita fatta di attese, incertezze e, prima o poi, morte. Quando le ho
donato una ciocca dei miei capelli come commiato, ho potuto vedere
un’ombra di rassegnazione fare capolino nei suoi occhi. Era
conscia del fatto che, nonostante tutto, io non avrei mai sciolto le
catene che mi tengono legato al dovere nei confronti della mia patria.
Nonostante lei mi abbia fatto dono della sua virtù
più preziosa, Sakura non sarà MAI una
priorità, ma solo una dolce distrazione. Mi ha fatto male
vedere quella certezza nella sua espressione affranta, ma questa
è la terribile realtà. Io la amerò
fino alla fine dei miei giorni e impegnerò ogni energia a
mia disposizione perché lei possa vivere in un mondo sicuro
e condurre un’esistenza felice. Anche se questo volesse dire
facilitare un altro pretendente. Se è questo
che dovrà accadere, sono pronto ad accettarlo. Ho rinunciato
a così tante occasioni per compiere il mio dovere,
perché con lei deve essere differente?
Dopotutto, la guerra non guarda in faccia a nessuno quando si tratta di
reclamare il proprio tributo di sangue. Un lezione che
s’impara molto in fretta. Perfino le mie precedenti fidanzate
si resero subito conto di quanto può essere dura concedere
la propria felicità a un militare. Io ne sono stato sempre
conscio, tanto che non mi sono mai impegnato più di tanto a
far funzionare il rapporto; mentre loro si costringevano a non
pensarci. Dopo qualche mese di relazione, la loro frustrazione arrivava
a livelli tali da additandomi con così tanti insulti da
perderci il conto: troppo incostante, troppo freddo, troppo rabbioso,
troppo superbo, troppo distaccato; oppure poco presente, poco gentile,
poco dolce, poco protettivo, poco responsabile, poco interessato.
Troppo in negativo e poco in positivo, quando sarebbe dovuto essere il
contrario. C’è da sottolineare un punto,
però: quelle donne, io, non le ho mai amate. Erano solo un
mucchio di galline ammaestrate dalla Compagnia per ottenere
chissà quali favori. Stranamente, infatti, nel periodo in
cui i giornaletti di gossip sbattevano in faccia all’intero
Pianeta la nostra relazione; la loro carriera, qualunque essa fosse,
decollava esponenzialmente, per poi frenare bruscamente
all’interruzione del fidanzamento. Di solito ero io a
cacciarle, siccome pretendevano di stravolgere la mia vita e
trasformarmi nella loro scimmia ammaestrata. Si credevano
già praticamente sposate con me. Portato al limite
dell’omicidio, chiedevo loro di andarsene e trovarsi un altro
idiota da comandare, dal momento che io non ne avevo la minima
intenzione di farmi mettere in piedi in testa da ragazzine che non
sapevano distinguere un libro da un beauty case. Ognuna di loro,
nessuna esclusa, mettevano in scena una poco credibile tragedia in cui
mi rinfacciavano tutte le mie mancanze come fidanzato. Quegli insulti
mi passavano sopra come acqua corrente, senza toccarmi minimamente. Ma,
ripeto, non le amavo, non m’importava conoscerle
più del necessario e nemmeno loro sembravano tanto per la
quale.
Però, Sakura è diversa. Lei ha sempre cercato di
leggermi nel profondo, comprendendomi, assecondandomi, deliziandomi.
Forse, il motivo delle sue azioni non sono molto diverse da quelle
delle mie ex, ma almeno lei non ha mai cercato di cambiarmi; anzi, si
è impegnata a carpire la mia essenza per poterla sfruttare.
Ma, senza accorgersene, lei mi ha migliorato. Io non ho mai dovuto
combattere per conquistare una donna, mentre Sakura mi indotto proprio
in quella direzione. Non ho mai sofferto per amore, diversamente lei mi
ha ferito più e più volte. Sono sempre stato io
l’indifferente, ora le parti si sono invertite. Ora comprendo
ciò che le mie ammiratrici provano nei miei confronti.
Sakura mi ha messo al loro livello, mi ha spogliato della mia
dignità e mi ha spezzato in mille pezzi; per poi riforgiarmi
più forte e determinato di prima.
E’ così assurdo, l’amore. Che logica
perversa ci può essere dietro al crescente desiderio nei
confronti di una cosa che può ferire così
profondamente? Eppure è un connubio che mi eccita da morire.
Il motivo, forse, è che l’impresa di conquistare
Sakura la assomiglio all’espugnazione di una città
o di una fortezza, per fare un esempio più calzante.
Sì, lei è una fortezza, asserragliata dietro a
eleganti kimono e bocche vermiglie. Escogitare piani
d’assalto è sempre stata la mia parte preferita,
molto più che metterli in atto. Anche se lei è
stata ancora più abile di me: io avrò conquistato
il suo corpo, ma lei ha occupato la mia mente, il mio cuore e la mia
anima. Mi ha piegato completamente al suo volere con una maestria
straordinaria, sfolgorandomi col suo sguardo conturbante, penetrandomi
nella testa. Da lì, ha infestato i miei pensieri come
un’edera e si è fatta strada fino al mio cuore,
dove poi si è radicata così profondamente che
risulterebbe impossibile estirparla. Ci ho provato tante volte a
dimenticarla, ma, proprio quando stavo per lasciarmi
l’infatuazione alle spalle, lei giungeva a stringermi ancora
di più tra le sue spire.
Non so esattamente cosa voglia da me, ma, con questa notte, Sakura mi
ha legato a doppia mandata. Mi sento consacrato a lei, come se fosse
una Dea in terra, a cui dovrò rispondere di ogni mia azione.
Mi sorge il dubbio che possa essere stato il suo piano sin
dall’inizio; ma… sinceramente? Non m’importa.
Che la Bestia pensi pure quello che le pare di Sakura, che mi metta
pure in guardia per assecondare le sue paranoie, che cerchi pure di
farle del male, di allontanarmi da lei, d’instillare il
dubbio tra di noi… che ci provi! Sono stanco di starla ad
ascoltare, di perdere il controllo, di temere per la vita delle persone
che mi stanno intorno. Voglio essere libero dalla sua influenza e
quella donna che tanto odia è l’unica in grado di
seppellire questo demone maligno nelle profondità del mio
animo. L’unica a tergere le ferite del mio passato,
l’unica a rendermi davvero felice, l’unica con cui
avverta una certa affinità. Anche se tutto questo
sarà solo una mera illusione, anche se dovesse elevarmi
così in alto per poi spingermi nel più profondo
dei barati della disperazione; anche se dovrà accartocciare
il mio cuore, o pestarlo, o spezzarlo: non m’importa, io
serberò il ricordo del nostro momento insieme per sempre,
poiché, stanotte, lei mi ha regalato l’emozione
più bella della mia vita. E non posso che esserle grato per
questo.
Così grato da sentirmi letteralmente esplodere,
tenermi all’inverosimile, come il pallone di una mongolfiera.
Come quest’ultima, mi sento così leggero, capace
di volare oltre le nuvole, fino a toccare le stelle. Ora capisco il
senso dell’espressione “toccare il cielo con un
dito”. Non potrebbe essere più calzante per
descrivere il mio stato d’animo. Avverto il mio petto
ampliarsi, al fine di contenere tutta la letizia che questa notte
meravigliosa mi ha donato, ma è così eccessiva da
distribuirla a tutto il corpo. E’ una sensazione
meravigliosa, tanto da impedirmi di smettere di sorridere. E’
da quando ho lasciato l’okya, un’ora fa circa, che
ho stampata in faccia un’espressione ebete. E’
stato terribilmente difficile riprendere il mio solito cipiglio
composto davanti alla sentinella in guardiola. Avrei voluto
abbracciarla con tutte le mie forze e urlare alla città
ciò che si era appena compiuto all’interno delle
sue mura.
Non ho mai percepito una tale profonda sintonia con
nessun’altro; tranne, forse, con Genesis e Angeal, durante le
battaglie. Anche se la situazione è completamente opposta,
le sensazioni sono molto simili: pulsioni primordiali impadronirsi del
patrocinio delle mie azioni. Ma la grande differenza è che,
mentre l’odio, la guerra, il sangue risucchia
l’anima verso un’ insoverchiabile rovina;
l’amore, la passione, l’atto, eleva
l’anima verso una completa realizzazione. E’ questo
ciò che ho provato quando mi sono liberato in lei. Avevo
compiuto il compito che la natura assegna ad ogni essere vivente:
creare la vita. Per tanto tempo, la mia sola esistenza è
sempre stato presagio di morte, fin dalla nascita. La mia lunga ombra
nera è calata su centinaia di vite, strappandole crudelmente
con un solo, unico, secco colpo. Quanti occhi ho visto svuotarsi,
quanti respiri ho sentito esalare, quanto sangue ho visto sputare.
Tanti. Troppi, perché la notte possa portare pace nel mio
sonno.
Sono stato solo con un’altra donna nella mia vita, ma non
c’era amore tra noi. Era solo uno dei tanti modi per sfogarmi
dalla cocente sconfitta di Corel. Almeno all’inizio.
Era un’infermiera famosa per la sua facilità di
concedersi a chiunque. Ogni SOLDIER che era passato in quel reparto,
era passato anche su di lei. Ho spesso ribadito di non aver mai visto
di buon occhio le donne che disonorano il proprio corpo, ma era un
brutto periodo per me. Avevo rischiato di morire, la Bestia si stava
impossessando della mia vita, ero frustrato, non mi fidavo di nessuno,
ero rimasto senza amici. Mi ero perfino allontanato dalla piccola
Aerith per paura di contagiarla con la mia negatività. Mi
sentivo così umiliato dal mio onore infangato che avevo
pensato seriamente di uccidermi. Ma, le avances di quella donna
affasciante, ma molto più grande di me, mi fecero capire che
c’erano diversi modi per toccare il fondo. Il meglio del
peggio era concedere la propria verginità a una prostituta,
o una femmina con quella fama. Per un paio di mesi, a ogni visita di
routine, quel triste stanzino degli inservienti veniva serrato per
un’ora o due. A volte, allungavo i miei allenamenti serali
fino a quando il 49 non si svuotava completamente, e ci incontravamo
negli spogliatoi, oppure direttamente nella sala allenamenti. Insomma,
dove capitava. Era una tristezza infinita, anche perché
avevo incominciato ad affezionarmi a quella ragazza. Avevo iniziato a
farle piccoli favori, come prestarle i soldi per l’affitto,
lasciarla dormire nella mia stanza, quando faceva tardi, offrirle il
pranzo e, peggio di tutti, coprirla quando marinava il lavoro per darsi
da fare con un mio camerato. Quest’ultimo fatto mi portava
spesso a scatenare delle risse spaventose, poiché venivo
accecato dalla gelosia. Una sensazione insensata e stupida da provare
per una come lei, ma ho sempre visto il sesso come un atto talmente
profondo da suggellare un legame indissolubile tra due persone.
E’ così che vedevo il nostro rapporto. Il pensiero
che andasse con altri uomini mi mandava letteralmente in bestia. Avevo
iniziato una sorta di crociata contro tutti coloro che se ne
approfittavano di lei, facendo terra bruciata attorno alla sua figura.
Era mia e nessuno me l’avrebbe portata via. Ma lei non era
d’accordo. Litigammo.
Mi disse che non mi dovevo permettere di controllare la sua vita.
Io non volevo controllarla, ma solo migliorarla. Potevo, dal momento
che, nonostante la giovane età, guadagnavo un lauto
stipendio.
Non ne voleva sapere.
Mi accusò di averle mentito.
Aveva scoperto la mia vera età: io le avevo raccontato di
essere maggiorenne.
Mi definì patetico, miserabile, pretenzioso.
Si era resa conto di essere caduta così in basso da cercare di gettare la sua perversione su di me,
rinfacciandomi tutti i miei gesti gentili e riscrivendoli sotto una
chiave di lettura negativa.
Ero arrivato a essere io una creatura perversa e malata. Su quel
concetto, ella formulò un insulto rivolto
all’unico argomento su cui non transigo: la
moralità di mia madre. Il pugno che le sferrai fu talmente
potente da maciullarle metà faccia. Cadde a terra con un
sonoro tonfo e, ciò che restava della sua testa, esplose in
un agglomerato sanguinolento di cervella e sangue. Ricordo che provai
un brivido di soddisfazione per averle strappato quel lurido ghigno
dalla faccia e aver liberato i miei camerati da quella piaga impestata
dal sudore di centinaia di uomini. Ma poi, quando mi resi conto di
ciò che avevo appena compiuto, dei sentimenti che provavo
per lei, dei progetti che avevo redatto per aiutarla, delle notti
meravigliose passate insieme, di ciò che aveva significato
per me; mi sentii investito da una terrificante realizzazione: lei non c’era
più. Mi guardai le nocche e vidi il suo sangue
grondare dalle mie mani. Come mi accadde a Corel, la freddezza
diventò il mio sostegno, spegnendo ogni ovvio sentimento di
fronte a un efferato omicidio.
Quel che è
fatto, è fatto, mi disse la gelida, crudele,
malvagia voce della Bestia. E io, l’ho ascoltata senza
battere ciglio.
Occultai cadavere e prove con una minuzia quasi da assassino seriale.
Nessuno seppe mai che fine avesse fatto quell’infermiera. Si
diceva che fosse scappata da Midgar con un riccone del Settore 1, o che
fosse diventata una delle mogli di Corneo, o che se avesse
semplicemente lasciato la città. Nessuno pianse per lei, a
nessuno mancò, tranne ai soldati, forse, ma solo
perché ora toccava pagarle, le prostitute. Venne dimenticata
presto da quasi tutti. Sì, quasi, perché io non
dimentico coloro che uccido, soprattutto le persone con cui ho avuto
dei trascorsi. Loro sono il mio monito, un insegnamento da conservare,
affinché un’oscenità simile non si
ripeta più.
Per questo, con Sakura, andrò con i piedi di piombo. Io non
sono certo dei suoi sentimenti, ma di una sola cosa sono sicuro:
Sono
tuo , Sakura
Tuo. Solo tuo. E se non dovessi volermi più, io mi
ritirerò. Non potrei mai sopportare altro sangue di donna
bagnarmi le nocche… non farai mai la fine di quella povera
ragazza.
A proposito, com’era il suo nome?
Evelyn.
Il suo nome era Evelyn.
FINALMENTE!!! L’HO FINITO! Oddio, che fatica, sto capitolo!
Questi intermezzi sono micidiali, non so mai cosa inventarmi. Senza
contare che non ho mai avuto tempo per scrivere, perché tra
lavoro, tesi, uscite, moroso, poca voglia, non trovavo mai tempo per
mettermi lì e andare avanti. Ma oggi, ho detto: NO! Adesso
si fa il capitolo o si muore! *Garibaldi mi guarda stranito*. Bene,
bene, bene, signore e signori, dopo il capitolo integrativo Bassai sho
(che non tutti potranno leggere in quanto è sotto rating
rosso per gli argomenti espliciti), ecco la continuazione di Bassai
dai. Ho cercato di collegarmi all’integrazione per poter dare
a tutti un piccolo assaggio dell’opera, ma ovviamente certe
cose rimangono un segreto, come ad esempio i sentimenti della bella
geisha. In Bassai sho, sono spiegati, in quanto è stato
suddiviso in atti, in cui si alternano le impressioni di Sephiroth e di
Sakura. Però, pazienza, sarà più
divertente scoprire se l’amore è ricambiato o
è solo un gioco per lei.
In questo capitolo, iniziamo col botto, in cui il nostro amato/odiato
chokobo si immedesima completamente col suo peggior nemico nel suo
momento di massima intimità. Il diario gli sta facendo
sempre più male. Meno male che c’erano i bambini
ad ascoltarlo e non Tifa, altrimenti sarebbe stata una vera tragedia!
La situazione si sta avvicinando sempre di più al baratro,
per la felicità di qualcuno (vero, michan? XD).
Dal canto suo, Seph è contento come una Pasqua, ma i lugubri
pensieri non lo abbandonano nemmeno in situazioni come queste. Povera
crocerossina… lo so, lo so, magari quest’idea non
può andare a genio a tutti, ma sono convinta che da giovane,
Seph qualche pazzia l’abbia fatta, e credo anche che,
nonostante il DNA alieno che gli infesta le cellule, il platinato sia
il personaggio più umanamente erratico del videogioco. Per
questo lo amo alla follia <3 <3 <3 *Seph fa due
passi di lato con espressione proeccupata.*
Vi saluto, gente!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 16 *** Evelyn ***
Evelyn?
Evelyn…
Perché
mi sembra così dannatamente famigliare?
Io la
amo…
Evelyn…
Eve…
E…
Una carrellata
d’immagini apparentemente sconnesse tra loro mi affolla la
mente, fino a farmela scoppiare. La sequenza è
così veloce da riuscire a carpire solo qualche scena qua e
là.
Un lago avvolto da una
fitta foresta.
Montagne innevate.
Una casetta
fasciata dalla calma boschiva.
Un sorriso angelico.
Due smeraldi
sfolgoranti.
Una chioma corvina
scossa dal vento.
Sete fruscianti scorrere
su pelle lattea.
Il tutto accompagnato da
rumore schizzi d’acqua, flebili sospiri, stralci di
chiacchierate, canti e, soprattutto, risate. Tante risate, liete e
sincere, che, come miracoli, costellano quei ricordi. Tutto
ciò mi fa sentire felice, come mai nella mia vita. Ogni cosa
è intrisa della SUA angelica presenza. Non esiste luogo
migliore in cui non voglia trovarmi adesso, se non qui, sopra le sue
roventi labbra.
Improvvisamente, un
boato terrificante. La letizia viene squarciata dal fuoco. Il calore mi
avvolge e mi consuma con il suo morso incandescente. Apro la bocca per
urlare, ma il devastante straccio delle fiamme incenerisce la mia gola,
fino ai polmoni.
Non riesco a
respirare...
Non riesco a respirare! Avverto la gola in fiamme. La mia mano va
automaticamente ad artigliarla. Mi stupisce il fatto che la mie pelle
abbia una temperatura normale, nonostante il fuoco esploso nella
laringe. Esso m’impedisce di prendere fiato, come se qualcuno
mi avesse infilato in gola un pezzo di brace.
Annaspando, mi alzo e scappo in bagno. Non riesco a precedere dritto,
andando, di conseguenza, a sbattere contro ogni angolo che incontro sul
mio cammino. La mia riserva di ossigeno si sta rapidamente esaurendo.
La testa inizia ad alleggerirsi pericolosamente, la vista si rabbuia
sempre di più. Grazie alle infusioni di mako dovrei essere
in grado di vedere perfettamente al buio, ma, ora come ora, sono
guidato solo dalle mie memorie e dalla disperazione. Sembra che il
bagno sia a mondi di distanza. Pare quasi una visione miracolosa appena
fa capolino attraverso la nebbia della quasi incoscienza. Mi getto sul
lavandino e apro l’acqua, per poi berla avidamente. La
freschezza del liquido dà gli effetti sperati:
l’incandescente nodo che mi serra la gola si scioglie pian
piano. Quando riesco a calmarmi, sono senza forze e mi lascio cadere
sul bordo della vasca. Non oso alzare lo sguardo sullo specchio: se
è opera di Sephiroth, non voglio vedere che razza di giochi
mentali si è inventato stavolta. Mi gira la testa, ma pian
piano mi sto riprendendo, tanto che, ad un certo punto, mi accorgo
della presenza di qualcuno sostare sullo stipite della porta. Il suo
sguardo allucinato e preoccupato mi scandaglia dalla testa ai piedi, in
spasmodica attesa di una mia reazione.
-Scusa.-, riesco a biascicare tra un ansimo e l’altro.
Come ridestata da un brutto sogno, la donna s’inginocchia
accanto a me e inizia ad accarezzarmi. Il suo tocco gentile
è un balsamo.
Oh, Tifa.
-Oh, Cloud…-
Lei mi stringe a sé, accompagnando la mia testa verso il suo
morbido petto. Il tepore del suo accogliente corpo mi calma
completamente. Rimaniamo fermi per qualche minuto in quella posizione;
poi Tifa m’induce a guardarla in viso.
-Mi hai fatto prendere un colpo. Cosa ti è successo?-
Con quei suoi grandi occhi nocciola, mi scruta attentamente. Devo avere
proprio un brutto aspetto… Mi sforzo di sorriderle.
-Nulla, Tifa. Solo un brutto sogno.-
La mia ragazza sospira, assumendo un’espressione dolcemente
compassionevole.
-Hai sognato Nibelheim, vero?-
Dopo Meteor, dopo la battaglia nel Northen Crater , durante il
Geostigma, capitava spesso che mi svegliassi nel cuore della notte,
completamente zuppo di sudore e con le lacrime agli occhi. Rivedevo e
rivedevo continuamente quel giorno nei miei incubi. Il corpo di mia
madre venire squarciato in due con un solo colpo di spada; gli stivali
immondi di quel mostro camminare con noncuranza sul sangue della sua
vittima; il cadavere della donna che mi aveva messo al mondo venire
assaltato dalle crudeli fauci di quel fuoco affamato di morte; il grido
di disperazione dei miei compaesani; gli occhi di
quell’assassino spietato ardere di una rabbia così
spaventosa che, al confronto, l’incendio reale era
paragonabile alla fiamma di un fiammifero; l’espressione di
puro piacere perverso stampata sul viso dell’uomo che
idolatravo; l’eco altissimo del mio cuore spezzato in
migliaia di pezzi. Quell’uomo…
quell’uomo che avevo scelto come guida, come mentore, come
maestro, mi aveva ingannato. Aveva ingannato tutti. Aveva fatto credere
a tutti noi di essere l’Eroe, il Paladino, il Protettore dei
deboli. In realtà, era tutta una menzogna. La Shin-Ra ci
aveva ingannato con le sue pompose parole, ci aveva gettato il fantasma
fumoso di quella bestia in faccia, ci aveva uccisi tutti…
Ma, noi non eravamo gli unici a essere stati traditi. La prima vittima
di quelle bugie fu proprio l’artefice della stessa
carneficina che affollava i miei incubi. Per anni, egli si era fidato
delle parole fallaci di quegli uomini che si divertivano a manipolarlo,
credendo di trovare la pace nelle loro risposte. Una pace mai arrivata,
ho scoperto; ma la verità era più dolorosa di
quanto potesse credere. Sapeva di essere speciale, però mai
avrebbe creduto di essere frutto di disumani esperimenti e condividere
buona parte del proprio DNA con quello di un alieno distruttore.
LUI voleva essere
normale… Nemmeno quella speranza gli hanno
concesso…
L’incubo di stanotte, però, è stato
diverso dai soliti. Non ero a Nibelheim; anzi non credo nemmeno si
trattasse dello stesso continente. Le immagini del sogno permangono
ancora nella mia memoria, permettendomi di mettere a fuoco i luoghi
mostratami: quelle montagne, quel lago, quelle foreste, quella casetta.
I primi mi sono dannatamente famigliari, ma è
l’ultima, con i suoi tetti incurvati e le pareti di carta di
riso, a farmi capire dove avessi già visto quegli scorci: la
foto. Quel luogo era Wutai.
Alzo gli occhi verso Tifa. Leggo nel suo sguardo lo spasmodico
desiderio di essermi in un qualche modo di conforto, di aiutarmi a
superare questo difficile momento e , soprattutto, di sapere
disperatamente cosa diavolo mi sta succedendo. Lo vedo dalle profonde
occhiaie che circondano i suoi tristi occhi, da rughe mai viste
solcarle la fronte sempre corrugata, dai lati delle labbra perennemente
rivolti verso il basso.
Bahamuth santo, che darei per liberarmi di quell’influenza
maligna e tornare a vederla sorridere…
-Sì, è ricapitato ancora.-, mento con un filo di
voce.
Mentre la mia ragazza si lascia scappare un gemito e mi lega in un
coccolante abbraccio, la tentazione di vuotare il sacco mi solletica la
punta della lingua, ma, in cuor mio, so che non mi è
permesso. In molti hanno provato ad avvicinarsi al diario e la Bestia
me l’ha fatta quasi sempre pagare. Solo con Vincent non mi
è accaduto niente. Che Sephiroth avverta
un’affinità celata dietro a quelle coltri rosse?
Che il rapporto tra Lucrecia e l’ex-Turk abbia dato vita a
QUEL frutto?
No, impossibile. Hojo confermò la paternità del
bambino prima di scomparire. Però… lo scienziato
disse anche che Sephiroth ignorasse l’esistenza di quel
legame di sangue. Allora, perché nel suo diario dichiara il
contrario? Probabilmente, egli era a conoscenza della
verità, ma il vecchio sarebbe morto piuttosto che dargli la
soddisfazione di comprovare quei dubbi. Eppure, quel rapporto insano
era l’unica motivazione che impedisse al Generale di essere
divorato dal rimorso: ogni efferatezza compiuta, ogni bagno di sangue,
ogni ora di sonno persa, ogni donna respinta; ogni azione era stata
compiuta per tentare di sanare quel legame padre-figlio corrotto fino
al midollo. Tutto il mondo lo vedeva e lo adorava, tranne suo padre.
Sebbene la sua mente non lo accettasse, il suo cuore ricercava
quell’utopica approvazione disperatamente. Per questo motivo
non riusciva a trovare la forza di ribellarsi: che ne sarebbe stato
della sua famiglia se avesse mollato? A questo proposito, mi sovviene
di un discorso che fece Zack, durante il travagliato viaggio verso
Midgar. Fu pochi giorni prima la sua morte.
“Sai, poco
prima di partire per Nibelheim, lui mi chiamò
nell’ufficio del Direttore SOLDIER. Di fronte a me si
stagliò un uomo che non aveva niente a che fare col freddo
Generale d’acciaio che la Shinra aveva inculcato
nell’immaginario collettivo. Fu in quel frangente che mi resi
conto di quanto poco lo conoscessi. Non v’era fierezza nel
suo atteggiamento, né orgoglio nelle sue parole,
né allegria nel sorriso sghembo che mi rivolse dopo avermi
confessato che, quella per cui stavamo partendo, sarebbe stata la sua
ultima missione. ‘La fine di un’epoca’,
ricordo che pensai. Non immaginavo, però, che questa storia
terminasse così. Credevo di assistere alla sua ultima
discesa lungo la scalinata nell’atrio centrale, sfoggiando la
solita postura fiera e intrisa di orgoglio, l’uniforme nera
tirata a lucido e la Masamune dondolare discreta al suo fianco, diretto
verso l’uscita dello Shinra Building. Sarebbe stato uno
spettacolo pieno di solennità, te lo garantisco! Lui era
bravo a donare gravità a ogni situazione. Sono sicuro che
molti uomini sarebbero scoppiati a piangere. Probabilmente, anche tu!”
Ricordo che rise di gusto, finché un pensiero non gli
balenò nella mente, spegnendo la sua consueta allegria.
“SOLDIER era
la sua famiglia. Sarebbe rimasto fedele alle insegne fino alla fine, se
solo la follia non gli avesse devastato la mente. Sono sicuro che
gettare fango sul reparto non era sua intenzione. Aveva lottato
duramente per mantenere alto l’onore di SOLDIER, perfino
più caparbiamente di me e Angeal messi insieme. Non voglio
giustificare i terribili crimini di cui si è macchiato,
ma… Era stanco, Cloud. Qualcosa gli aveva svuotato
l’animo fino al midollo, tanto da costringerlo ad abbandonare
tutto ciò per cui si era battuto. Forse è per
questo che non riesco a odiarlo come meriterebbe.”
Pensai che Zack fosse troppo buono per odiare qualcuno. Col senno di
poi, posso dire che la sua non era bontà, ma compassione.
Compassione per un uomo che aveva perso ogni volontà di
combattere. Il motivo di questo forfait nei confronti della vita temo
di conoscerlo. Nemmeno l’affetto di Tifa è
riuscito a scacciare il senso di disagio che mi si è
instaurato nelle ossa. Togliendo le terribili sensazioni suscitate dal
rogo, in tutta questa storia c’è un fatto che non
torna: Sephiroth non è mai rimasto vittima di un incendio.
Perché allora ho sognato di essere consumato dalle fiamme?
Cosa c’entra con i ricordi del Generale?
Dopo la notte travagliata, la sveglia è una maledizione
sonora. Vorrei poter rimanere ancora un po’ tra queste
lenzuola per riprendermi dalla mancanza di sonno, ma non basterebbe
un’era intera, tanto esso è arretrato. Inoltre, mi
sento in dovere di partecipare all’economia della casa.
Sebbene il bar sia sufficiente a mantenere la nostra famiglia, Tifa non
può fare tutto da sola. Anche se non guadagno molto, con
quei pochi gil, la mia ragazza si può permettere di tenere
chiuso l’esercizio in periodi che non siano le solite feste.
E poi, qualche soldo extra può essere messo da parte per un
eventuale matrimonio. Dopo la sconfitta dei Deepground, è
un’idea che mi ha stuzzicato la mente per un bel
po’, tanto da arrivare quasi a convincermi. Quasi. Ce
l’avrebbe fatta, quel pensiero, se non mi fosse arrivato
questo maledetto diario tra le mani. Maledetto come il suo tempismo.
Similmente al comportamento di Sakura, lui arriva precisamente nel
momento in cui decido di cambiare vita; come un pescatore che tira
brutalmente il pesce verso riva dopo avergli dato troppa lenza. E come
un amo quel sogno mi ha artigliato la mente e non riesco più
a scrollarmelo di dosso. A nulla sono valse le coccole di Tifa per
farmi passare il terrificante ricordo di quel rogo. Era così
dannatamente reale, come se lo stessi subendo in quello stesso momento.
Non mi è mai capitato di provare sensazioni così
intense.
Era diverso da tutte le altre memorie… e non credo
appartenga a Sephiroth. Conosco il suo modus operandi: lui distrugge la
mia psiche attraverso i dubbi, tormentando la mia anima con mille
domande. Il suo è un tocco delicato e velenoso. Quello di
ieri notte era chiaro, lampante, preciso. Ho potuto riconoscere Wutai
attraverso la costruzione di legno e collegare il panorama alla foto in
mio possesso. Ho percepito, visto, udito LEI. Sakura. Scorci di una
realtà perduta da tempo, ma così radicati nei
ricordi da richiamare ogni cosa a loro connessi. Ogni oggetto appariva
nei minimi dettagli e suscitava emozioni ben precise. Questa volta,
VOLEVA farmi capire. Farmi capire la felicità, la
spensieratezza, l’amore, fino al dolore più
atroce. Quest’ultimo, inoltre, non mi ha suscitato il
classico terrore, ma una sensazione che, ahimè, conosco
troppo bene: la perdita. Me ne sono reso conto quando, tornando a
letto, ho ripensato al mio corpo in fiamme. Mi sono reso conto che il
dolore non si dipanava ovunque, ma si concentrava nel cuore. Ripensai
ad Aerith, a mia madre, a Zack, ma nemmeno tutti quei dispiaceri messi
assieme erano in grado di eguagliare quello che mi attanagliava il
cuore. Mi sentivo devastato, perso, vuoto…
“Qualcosa gli
aveva svuotato l’animo fino al midollo…”
Inchiodo. Le ruote della Fenrir stridono sull’asfalto,
lasciando una lunga striscia nerastra sulla scia. Le macchine si
gettano ai lati nel tentativo di schivarmi, imprecando con i loro
sonori clacson. Ma io non me ne curo. Sono troppo stordito dal pensiero
che mi ha attraversato la mente nell’ultimo secondo.
Sono un intermediario...
tra due amanti dannati.
Non ci ho mai fatto caso, ma, i problemi hanno iniziato a sorgere nel
preciso istante in cui ho scoperto l’esistenza di quella
donna. Ora ne capisco il motivo: due anime separate dal Destino cercano
di riunirsi disperatamente. Mi stanno mostrando quanto si amassero e di
quanto brutalmente lei gli sia stata strappata via. Sephiroth
è disperato, vede la possibilità di
ricongiungersi all’amore della sua vita, ma io glielo
impedisco attraverso la ritrosia che provo verso la sua persona.
Sebbene abbia imparato a comprenderlo, ancora lo odio. Lo odio a morte!
Una parte di me gode nel vederlo piegato dal dolore, a implorarmi in
ginocchio di aiutarlo, ad avere pietà della sua anima
marcia.
Accosto e mi affaccio al di fuori del parapetto che cinge la
superstrada di Edge. Dietro di me, il traffico borbottante e assonnato
del mattino fa da rumoroso sottofondo al mio basso intento. Da lontano
mi arriva il boato soffuso di un tuono. Sta per piovere.
Piangi, maledetto,
piangi per l’eternità!
Guardo la copertina nera del diario, la quale mi osserva austera.
Non avrai una seconda
possibilità. Tu non me l’hai mai
concessa…
Spazio con l’occhio l’infinta e brulla pianura
polverosa. Il temporale si fa sempre più vicino.
La giusta tomba per
un’anima arida…
Alzo il braccio e carico il tiro.
Non meriti nessuna
pietà!
Una goccia di pioggia mi colpisce la guancia come uno schiaffo. Mi
blocco.
Non diventare come lui, Cloud.
Aerith?
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Mi sento risucchiato
verso un luogo onirico, in cui il profumo dei fiori riempie ogni mio
senso. Davanti a me, intenta a curare le piante di quello sterminato
giardino, la Cetra. Sento il mio cuore venire stretto in una morsa.
-Non credi che abbia sofferto abbastanza?-
La voce dell’Antica risuona cristallina per tutto quel limbo
floreale. C’è rimprovero nel suo tono, il quale mi
fa sentire così minuscolo rispetto a lei. E colpevole.
Abbasso lo sguardo sui fiori, senza rispondere.
La sento sospirare, affranta.
-Hai compiuto atti terribili, fratello mio. Ma, contro di te, il
Pianeta ne ha commessi molti altri.-
Di scatto, alzo gli occhi. COSA?!
Una figura eterea abbandona il mio corpo e si va avanti. Il cuore perde
un battito appena mi si staglia davanti Sakura. La mia mente va
completamente in confusione.
-Lo chiami ‘fratello’. Eppure, proprio tu hai
firmato la sua condanna.-
La voce della geisha risuona distorta, piena di disprezzo e odio.
Completamente diversa dal timbro angelico a cui sono abituato.
Solo a quel punto, Aerith abbandona il suo lavoro e si volta. Il suo
sguardo è triste. Le mani incrociate sul grembo, si
stringono nervose.
-Il dolore e la follia hanno divorato la sua ragione. Ho DOVUTO farlo.
Il Pianeta mi stava implorando di fermarlo!-
-Il Pianeta?!-
Il modo con cui Sakura pronuncia quella parola è
terrificante. E’ un graffio all’udito, colmo di
rancore.
-Guarda! Guarda cosa mi ha fatto il tuo prezioso Pianeta!-
Lingue di fuoco prorompono dalla figura diafana di Sakura, ferendo i
nostri occhi, abituati alla tenue luce del limbo. La colonna di fiamme
si eleva verso il cielo bianco e incenerisce ogni cosa attorno a
sé. Il calore è insopportabile, implacabile,
spietato. Quando riapro le palpebre, la scena che mi si pone davanti ha
un che di apocalittico. Il delicato giardino di Aerith è
scomparso, lasciando il posto a un terreno incandescente e senza vita.
Il cielo è avvolto da un’oscurità densa
e fitta. Ma ciò che più mi sgomenta è
la figura che si frappone tra me e la fioraia: un moncherino ustionato.
Osservo l’intrico incandescente delle scure fibre muscolari
risplendere sopra le ossa, le quali spuntano di tanto in tanto nelle
zone dove il fuoco si è accanito con più vigore.
Non c’è traccia della chioma setosa e corvina, di
cui avverto il tocco gentile sulle mie dita; la pelle pallida e
delicata è stata completamente consumata, il cui profumo
è stato sostituito da quello acre e raccapricciante della
carne bruciata. Rimango imbambolato a fissare quella devastazione,
quando lei inizia a voltarsi nella mia direzione. Non voglio vedere il
suo viso. SO di non avere il coraggio per sopportare quella vista, ma
una forza m’impedisce di distogliere lo sguardo.
Sephiroth vuole vedere…
Sento il cuore esplodere in mille pezzi, appena i nostri occhi
s’incrociano; o almeno i miei la fanno, quelli di Sakura sono
due pozzi neri, infiniti, vuoti. Posso vedere il suo cranio spiccare da
sotto la carne annerita, all’altezza dell’arco
sopraccigliare, degli zigomi, della mascella, del cuoio capelluto. Il
naso è stato consumato completamente e al suo posto sorgono
due piccole narici triangolari. Sotto di esse, dove una volta
c’erano carnose e accoglienti labbra, una dentatura ricoperta
di cenere, distorta in un agghiacciante, tetro sorriso. La guancia
destra è scomparsa, nemmeno i tendini sono riusciti a
resistere alla furia del fuoco, mentre quella sinistra è
chiusa da un lasso intrico di fibre giallastre.
La mia gola viene squarciata da un urlo disumano, svuotandomi di ogni
forza. Crollo a terra, piangendo disperato.
-Solo per averti amato, mio dolce Generale… E’
questa la giustizia di Gaia.-, la sento rivolgersi verso Aerith,- La
giustizia dei Cetra.-
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Lo scrosciare della pioggia mi riporta a me stesso. Sono zuppo dalla
testa ai piedi, una pozzanghera profonda si allarga sul marciapiede.
Sono prostrato contro il parapetto della superstrada, stringendo il
tubo d’acciaio con tutta la forza che ho. Mi accorgo che non
tutte le gocce che solcano il mio volto sono dolci.
Sospiro, ma ciò che abbandona le mie labbra è un
gemito. Subito dopo, il mio corpo viene scosso da un singulto. Mi porto
una mano agli occhi e la figura di LEI, ustionata, privata della sua
bellezza, fa di nuovo capolino nella mia mente. Non riesco a
trattenermi: il pianto si fa inarrestabile. Abbandono il parapetto e mi
accascio sulle ginocchia. Mi stringo le braccia al petto e piego il
busto in avanti, fino a quasi toccare il cemento con la fronte.
Non è
giusto… non è giusto…,
continuo a ripetermi. Non so bene a cosa i miei pensieri si
riferiscano, ma sento che ogni mia certezza si è infranta
completamente. Mi rendo conto di essere sempre stato una marionetta.
Fin dal momento della mia nascita, ogni azione che ho compiuto era
predestinata. Il Pianeta sapeva bene che uso fare di me.
Così come Sephiroth. Per questo motivo non siamo in grado di
stringere i legami più semplici: noi non siamo umani, ma
armi. Jenova e i Cetra ci hanno fatto nascere per portare avanti la
loro guerra.
Alzo lo sguardo, ricolmo di determinazione e rabbia, e osservo la bruma
nebbiosa calata sul deserto. Il mio respiro si è fatto lento
e regolare. Sbuffi di condensa escono dalle narici. Con calma
innaturale, mi rimetto in piedi. Perle di pioggia esasperano i miei
movimenti, schizzando in ogni dove. Il diario stretto nella mia mano.
Dopo qualche istante di contemplazione, rivolgo la mia attenzione sul
libro. Con l’altro palmo ne accarezzo la copertina,
scacciando i residui di acqua. Indugio su di essa, stringendo il pugno.
-Andiamo, Sephiroth.-sussurro, alla fine,-Andiamo mettere fine a questa
storia…-
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
20 Ottobre XXXX
Erano mesi che non
rientravo nella società civile. Il monotono tran tran della
vita quotidiana, la lentezza delle tristi giornate piovose, la
solitaria tranquillità della pace; abituato
all’azione e al trambusto della battaglia, tutto questo mi
suona insopportabilmente stonato. Ma forse è solo la voce
della mia indole guerriera, la quale si appresta ad andare incontro al
tramonto del suo mandato, a suggerirmi questa melodia. La guerra,
infatti, sta ormai svolgendo al termine. La capitale, Wutai,
è prossima alla resa, dopo un estenuante assedio, mentre il
resto del continente è in mano alla Shinra. Solo alcune
città del meridione ancora insorgono e resistono. La
Crescente non intende arrendersi nemmeno di fronte
all’evidente sconfitta, tuttavia il popolo non li sostiene
più come fino a pochi mesi fa. La gente è stanca
di assistere alla morte dei loro figli, dei loro mariti, dei loro
padri, dei loro fratelli. Molti villaggi si arrendono senza nemmeno
combattere, troppo stremati dalla fame e dalla malattia. Vogliono solo
la pace, contrariamente all’Imperatore. Lui incita ancora i
pochi ribelli a combattere, ma la piaga della diserzione si allarga
sempre più ogni giorno che passa. La voce di Godo non
è mai stata così flebile. Perfino la figlia non
lo ascolta più. Gira voce che la Principessa Yuffie abbia
abbandonato gli agi del palazzo e se ne vada a zonzo per il Paese nel
vano tentativo di risollevare il morale delle truppe. Forse
è proprio lei a fomentare le rivolte al Sud, ma è
solo una ragazzina scheletrica privata del sostegno del suo stesso
popolo: le sue azioni servono solo ad allungare l’agonia di
questo Paese. I reattori hanno già iniziato a sfregiare le
bellezze di questa terra, succhiando l’essenza vitale del
Pianeta senza pietà. Il processo sta iniziando e non
sarà un pugno di invasati a fermarlo.
A buona parte del reparto SOLDIER è stata concessa la
licenza di ritornare a Midgar, ma, un commando ben nutrito composto dai
migliori agenti, dovrà rimanere per sovraintendere la
sicurezza dei cantieri, almeno fino a quando le acque non si saranno
calmate. Inoltre, mi è stato ordinato di procedere
all’addestramento delle promesse di SOLDIER, giovani che si
sono distinti in battaglia. Uno di essi sembra essere sulla strada
giusta per diventare un 1st. Il suo nome è Zack Fair di
Gongaga. Un ragazzino spigliato ed energetico, dal carattere solare,
con cui è entrato nelle grazie di Angeal. Il banoriano adora
quel fante iperattivo, per cui gli ho assegnato il compito di
addestrarlo. Ritornerà a Midgar e gli concederò
un periodo di licenza da passare a Banora. Sono certo che
sarà felice di rivedere la sua famiglia, specie dopo la
morte del padre. La notizia arrivò pochi giorni dopo
l’apertura della breccia attraverso la catena Geti. Avrei
voluto rimandarlo indietro subito, ma il moro non ha voluto sentire
ragioni. “Combattere è il mio dovere.
E compiere il mio dovere, onora le mie azioni, le quali mi condurranno
ad abbracciare i miei sogni. E’ quello che mio padre mi ha
insegnato e io così intendo onorare la sua memoria.”, questo mi disse per
mettere a tacere le mie insistenze. Non potei far altro che accettare
le sue volontà. Dopotutto, ognuno ha il suo modo per
affrontare un lutto. Per il moro è stato un duro colpo, ma
ha cercato di non farlo pesare sul suo operato, trovando nella
battaglia il sostegno per non crollare.
Io non so come reagirei se mio padre dovesse morire. Probabilmente,
sarebbe l’unico giorno in cui la gente mi vedrebbe ballare
dalla felicità. La sua lunga ombra ieratica e nervosa, che
da sempre mi ricopre col suo gelido abbraccio, si dissolverebbe
permettendomi di nascere veramente. Sarei
libero. Libero di essere me stesso, libero da questo
ingombrante ruolo che svolgo in questa insulsa società,
libero di aiutare il prossimo, libero di amare chi voglio…
Ma finché quel sadico bastardo respira, la catena che mi
tiene legato alla famiglia Shinra mi torcerà il collo ogni
giorno sempre più strettamente, tappandomi la bocca come una
sorta di museruola. Alla stregua di un cane. Già,
è quel che sono, in fondo. Rufus non ha tutti i torti quando
mi chiama ‘mastino’ o, più
all’amicizia, ‘cane’. Non ha mai smesso
di inculcarmi qual è il mio posto nel mondo. Fin da bambini,
quando s’intrufolava nella cucina dello Shinra Masion e
sostituiva il mio piatto personale con la ciotola di Dark Nation.
Oppure, quando si sentiva più audace, mi buttava i
croccantini mezzi mangiucchiati dall’animale nel mio pasto.
Spesso, però, erano giorni che non toccavo cibo, quindi,
preso dai morsi della fame, mangiavo ogni cosa che mi capitava nel
piatto. Quanto se la rideva, quell’infido mostro. E io non
potevo far altro che sperare si strozzasse con il cibo appena inserito
nella bocca. Una volta capitò. Non dimenticherò
mai l’espressione di puro terrore sul quel bel visino tondo,
il quale virava rapidamente verso il violaceo; la sua bocca spalancata
alla ricerca d’aria; la mano stringere la gola.
Ciò che però riempì la mia anima di
puro piacere furono i suoi occhi. In essi era presente una disperata
supplica di salvarlo. Ricordo che, di tutta risposta, rimasi a
guardarlo senza muovere un muscolo, godendo nel vederlo lentamente
scivolare nell’oblio. Mi venne detto che assunsi
un’espressione terrificante: un ghigno spietato aveva
deformato il viso, assomigliandolo a quello di un demone, mentre il mio
occhio destro brillava di un’inquietante luce rosata. Non ho
memoria di questa azione, ma, a quanto pare, anche la Bestia stava
partecipando allo spettacolo. Comunque, sarebbe un bene per tutti se
Hojo morisse e con lui anche gli Shinra.
Però, come dice un vecchio adagio, sono sempre i migliori ad
andarsene. Come il padre di Angeal. Io non l’ho mai
conosciuto, ma grazie al figlio ho potuto farmi un’idea
piuttosto precisa di che tipo d’uomo si trattasse, dal
momento che il mio compagno ne ha assorbito completamente
l’indole. Basti solo pensare che è morto per
pagare i debiti maturati dalla famiglia per forgiare la Buster Sword.
Avrebbe potuto chiedere aiuto ad Angeal, ma non voleva far gravare i
suoi problemi sul figlio impegnato in guerra. Contrariamente a mio
padre, il signor Helwey ha dato tutto, perfino la vita, per il suo
unico erede. Inconcepibile e stupido, lo definirebbe
quell’omuncolo da strapazzo.
Ma ora che la guerra volge al termine, insisterò che il moro
si prenda la giusta pausa. Dopotutto, sua madre ha bisogno di lui, ora.
Mi sento meschino invidiarlo perché ha una madre da
consolare, ma non riesco a farne a meno. Darei qualunque cosa per
averla qui con me…
Comunque, passare un po’ di tempo nel suo villaggio natale e
poi a Midgar in compagnia del suo rampollo avrà effetti ben
più benefici sul suo umore rispetto a quelli che potremmo
dargli Genesis o io, soprattutto dopo l’inasprimento della
nostra rivalità, la quale ha raggiunto livelli davvero
insopportabili per una pazienza debilitata come quella di Angeal.
Sarà difficile senza di lui, ma spero seriamente di
trattenermi nell’ammazzare il rosso.
Tutto questo astio è scaturito dalla crescente
popolarità che i due banoriani hanno acquisito nel corso di
questa guerra, raccogliendo frotte di fan in patria. Sono diventati la
punta di diamante del nostro esercito, i migliori guerrieri che il
mondo abbia mai visto, coloro che hanno conquistato il Continente
Occidentale e guidato la Compagnia verso il successo. Tutte queste
definizioni non hanno fatto altro che gonfiare il già enorme
ego di Genesis. Desidera sempre più attenzione, sempre
più gloria, sempre… più.
Si è messo in testa che, nonostante i suoi sforzi, la sua
fama è ancora ostacolata dalla mia ombra.
All’inizio, lui ha cercato di imitarmi. Indossava lo stesso
modello di uniforme con cui mi equipaggio io, si è fatto
forgiare uno stocco della stessa lunghezza della Masamune e si stava
perfino lasciando crescere i capelli; fino a che, un giorno, dei membri
di quello stupido fan club di idioti che mi idolatrano, la Silver
qualcosa, lo hanno accusato di essere solo una misera copia e che non
valeva nemmeno un quarto di me. Quelle parole sputate alla televisione
hanno fatto scattare qualcosa in lui. Non mi parlò per
giorni, nonostante cercassi di scusarmi in nome del fan club, ma era
convinto che fossi stato io a fomentare quei dubbi. Non poteva essere
più lontano dalla realtà: ero contento che avesse
iniziato a seguire le mie orme, affinché il terribile demone
che risiede in lui potesse essere alfine domato. Ma ora è
sfuggito al mio controllo. Ha creato questa…
questa… macchietta, la quale non è altro che lo
specchio dei suoi peggiori difetti: vanesio, superbo, orgoglioso,
testardo, sbruffone. Ha stravolto l’uniforme, andando in giro
vestito di rosso come un pagliaccio; ha pagato fiori di gil il reparto
armamenti, richiedendo importanti modifiche su Rapier,
dimodoché la spada sia in grado d’incanalare
l’energia mako così da triplicare la sua forza
fisica; e, cosa più grave, dipende totalmente
dall’opinione pubblica. Si è conformato a
ciò che la gente pensa di lui, trovando
nell’approvazione degli estranei il proprio piacere,
ignorando completamente il parere delle persone che VERAMENTE lo
conoscono. Mi sfida apertamente ogni volta che ne ha
l’occasione, ignora i miei ordini, si fa beffe di me; eppure
continua a ripetermi che siamo amici. Non mi è
più consentito parlargli sinceramente, dal momento che
prenderebbe i miei consigli come atti di sfida. E io sono stanco di
umiliarlo davanti a tutti e minare la sua autorità. Ha un
grande potenziale, ma ancora non è in grado di gestirlo.
E’ 1st solo da pochi mesi, dovrebbe avere più
pazienza, ma, ahimè, il rosso non conosce il significato di
questa parola. Sono arrivato alla conclusione che, se c’era
una minima speranza di domarlo, quella è sfumata nel preciso
istante in cui decisi di trattarlo amichevolmente.
Maledetto me!
Angeal mi ha rivelato che, a dispetto di tutta la baldanza ostentata,
Genesis è la persona più insicura che abbia mai
conosciuto. Non è la prima volta che lo vede in quello
stato. “Gli passerà. Lo so che non
è il tuo forte, ma devi avere pazienza.”
Pazienza… Io ne ho da vendere di pazienza, ma
quell’uomo è in grado di bruciarmela tutta in men
che non si dica. C’è qualcosa in lui che mi fa
uscire dai gangheri per un nonnulla…
Per questo ho sempre evitato di raccontargli di Sakura. A scapito
dell’elevata formazione, la mentalità chiusa e
superficiale tipica dei paesini di campagna ha impresso
un’impronta molto forte nella sua psiche.
Dopo il non proprio felice epilogo del nostro primo bacio, avrei voluto
confidarmi con i miei amici per trovare conforto nelle loro parole.
Pensavo di fidarmi, tanto che, una sera, ero arrivato così
vicino a rivelare quel segreto. Come spesso capitava, cenavamo nel mio
alloggio. Stavamo parlando di donne, come al solito, e attesi il
momento in cui avrei confessato loro il mio amore per Sakura. Si
virò verso l’argomento geishe e ciò che
scaturì da quella discussione mi fece salire su tutte le
furie. Entrambi sputavano sentenze senza sapere cosa fosse una geisha
in realtà, mettendole alla stregua delle normali prostitute;
anche se è da Genesis che arrivarono i commenti
più crudeli e dettati dall’ignoranza. Ripensavo a
lei, così bella e fragile, e stringevo i denti per non
sbottare in frasi che mi avrebbero compromesso. Nella mia mente si
defilava l’immagine di Genesis deridermi, inferendo sulla
sconfitta. Potevo immaginarmelo ridere fino a rimanere senza fiato.
Ridere di me. Di lei. Di quella vana speranza che mi tiene assieme.
Forse è patetico quanto in basso mi possa spingere per
trovare un minimo di affetto, ma, quassù, in questo Olimpo
di sterco dorato, non c’è posto per sentimenti
così puri. Sono visti come debolezza, il capriccio di un
bambino, la capitolazione di un uomo senza spina dorsale; quando,
invece, sono tutto l’opposto. Dopo quella notte, infatti, lei
mi ha cambiato: la furia spaventosa che mi offuscava la ragione ogni
volta che spargevo sangue non si è impadronita quasi mai
delle mie azioni. Non uccidevo uomini semplicemente perché
me lo avevano ordinato, ma ogni nemico sconfitto mi avrebbe avvicinato
di un passo a lei. Non
era un peccato, ma un sacrificio.
Sono passati sei mesi dall’ultima volta che la
vidi. Ho tentato di scriverle così tante volte che perso il
conto, ma non ho mai avuto il coraggio di inviarle una sola lettera.
Chissà se avesse apprezzato avere mie notizie? O solo sapere
che la pensavo e che attendevo con ansia il giorno in cui ci saremo
rivisti? O confessarle di amarla?
Scoprirmi…
Questo mi terrorizza più di qualsiasi altra cosa. Eppure
bramo questa azione da sempre. Ogni volta che un assistente mi trattava
con gentilezza, ogni volta che un camerato mi dava una pacca sulla
spalla, ogni volta che una donna mi sorrideva sincera. Ogni volta che
qualcuno mi dimostrava un po’ di attenzione, la voglia
irreprimibile di confidarmi giungeva potente come un tuono. Ma poi,
l’assistente veniva scacciato, il compagno moriva e la donna
se ne andava.
Perdita…
Non riesco tenermi salde le persone a cui tengo. Mi sfuggono dalle dita
come esili bolle. Riesco a controllare interi eserciti, ma non poche,
piccole, fragili vite. Le vedo allontanarsi da me ogni giorno, simili a
barche alla deriva.
Per questo mi ritengo un patetico sciocco sperare che questa storia
folle funzioni. Non potrebbe essere più complicato di
così. Morale, pregiudizi, etnia, ideologie, cultura, tutto
contro di noi. Eppure, io continuo ad assecondare la speranza che
quella notte non sia stata solo frutto dell’istinto, ma
qualcosa di più elevato abbia guidato l’unione dei
nostri corpi. Anche se un po’ mi spaventa l’idea,
una parte di me auspica che da quell’atto sia nato qualcosa
di più di un semplice amore. Non ho mai pensato seriamente
ad avere dei figli, non sono nemmeno sicuro che possa averne dopo tutto
quello che mi hanno fatto, ma immaginarmi Sakura corrermi incontro col
ventre gonfio e scalciante, riempie il mio cuore di una sensazione che
non riesco a esprimere. E’ comunque molto positiva. Mi fa
sorridere.
Oggi, infatti, quando mi presentai all’okiya con la scusa di
controllare l’addestramento della guardia personale di
Sakura, avvertivo una certa trepidazione. Mi sentivo tremare
dall’emozione, le gambe farsi molli, la testa leggera e il
cuore imbizzarrirsi. Non fu facile prestare attenzione al rapporto del
sergente-istruttore. I miei sensi erano tutti concentrati a percepire
la presenza dell’oka-san. Ma lei non era lì, mi
dissero. Si era recata a Ren’oi, una cittadina a trenta
chilometri a Sud-Est di Garyo. Solo dispiacere mi avrebbe suscitato
questa notizia, se non fossi stato a conoscenza che il Presidente aveva
fatto costruire proprio lì la sua nuova residenza, nei mesi
in cui i suoi fedeli soldatini devastavano e uccidevano poco sopra alla
sua testa. E io sapevo che lui era là da qualche settimana.
Un terrore sordo e una furia spaventosa mi avvolsero le membra,
irrigidendole. Tentando di controllare il tremore della voce, chiesi
cosa l’aveva portata in quel luogo.
Cerimonia
di consacrazione al Danna…
Le parole gracchiate da quella vecchia ancella mi trafiggono ancora il
cuore.
Lo sapevo… lo sapevo che sarebbe finita così.
Sapevo che quel vecchio porco me l’avrebbe portata via,
appena i suoi laidi occhi si fossero posati su quella splendida
bellezza. Sapevo che era un errore presentargliela, anche se era
l’unico modo per salvare Sakura e le sue ragazze dalla
criminalità midgariana.
Lo sentivo che qualcosa non andava in lei quella sera, ma io ero troppo
accecato dalla passione pulsante per accorgermene. Me ne sono
infischiato dei suoi sentimenti e l’ho presa, prima che
potesse farlo qualcun’altro. Le sono saltato addosso come un
animale assatanato, costringendola a capitolare e tenere per
sé le sue preoccupazioni. Voleva parlarmi, ma io
l’ho interrotta bloccandola contro la parete. E
perché? Perché la VOLEVO. La voleva
assolutamente, in quel preciso istante, quando lei avrebbe desiderato
confidarsi. Sono stato egoista, dimostrandole di essere una bestia
lussuriosa esattamente come tutti gli idioti con cui lei ha a che fare
ogni giorno. Un pensiero che in un’altra circostanza mi
avrebbe rallegrato, invece mi deprime ancora di più.
L’ho lasciata
sola.
Ho preso solo il peggio dall’umanità.
Forse non sono così tanto migliore di Shinra…
Lo vedo, chino sul tavolino, illuminato dalla luce della luna. Sembra
quasi una visione, una creatura divina circondata da un’aura
candida, cui è sacrilegio anche solo poggiare gli occhi su
di essa.
Sta scrivendo, credo. La sua schiena copre completamente la visuale,
come una barriera eretta per proteggere qualcosa di estremamente
prezioso. E’ così assorto da non rendersi ancora
conto della mia presenza. Ne approfitto per contemplare la sua figura
possente, resa quasi eterea dai tenui raggi lunari. Questi ultimi
rischiarano la sua chioma, la quale la rassomiglio a una cascata di
argento liquido che, sinuosa, si appoggia dolcemente a terra, creando
onde perlacee sul pavimento scuro.
Perfetti.
Inconsciamente, la mia mano va ad accarezzare la ciocca donatami prima
della sua lunga assenza. Sono riuscita a farne un ciondolo, il quale lo
porto sempre all’altezza del cuore. Solo così
reprimo il desiderio di raggiungere quei capelli e accarezzarli di
nuovo.
Avverto il suo respiro lento e regolare, agitato di tanto in tanto da
profondi sospiri. Mi accorgo di quanto mi sia mancato quel suono
così rassicurante. Sorrido tristemente. E’ in pena
per me. Natsu mi ha riferito di avergli raccontato della cerimonia.
Sono consacrata a un altro uomo, ora.
Abbasso la testa, appesantita dalla vergogna. Non dovrei trovarmi qui,
ma dopo sei mesi senza avere sue notizie volevo rivederlo almeno
un’ultima volta. Volevo stringerlo a me, trovare conforto tra
le sue forti braccia, avvolgermi nella sua voce baritonale, perdermi
nei suoi occhi. Un’ultima volta. Prima che l’incubo
mi risucchi nel suo nero abisso.
Muovo un passo all’interno della sua stanza e lo vedo
scattare. Senza nemmeno rendermene conto, il filo tagliente della
Masamune incombe affamato sul mio collo. Trattengo il respiro e stringo
le mani, ma non distolgo lo sguardo da quelle giade illuminate dal
mako. Si blocca giusto in tempo, a pochi millimetri dalla mia pelle. Un
lampo di riconoscimento fa virare la sua espressione da ostile a
sorpresa. Sorrido apertamente, contenta di rivedere quel viso angelico.
Mi rendo conto solo ora di quanto lui sia reale.
E’
qui… Non è un sogno.
-Sakura?-, domanda sorpreso, abbassando la katana.
Chiudo gli occhi, assaporando il tono del mio nome d’arte
pronunciato da quella voce così avvolgente. Sento le lacrime
spingere prepotentemente per uscire.
Quanto mi sei
mancato…
Lo rivaluto meglio. E’ dimagrito molto. Il suo viso
è emaciato, pallido, spento. Gli zigomi appuntiti perforano
quasi la pelle, la quale si stende tesa sulle guance scarne. Sotto i
suoi occhi, profonde borse grigiastre si allargano fino a quasi
metà naso. Mi domando da quanto tempo è che non
dorme. Abbasso lo sguardo verso il petto, dove posso seguire facilmente
la linea delle clavicole sporgere al di sopra dei pettorali possenti.
Lo strato di grasso è così esiguo da permettermi
di studiare il disegno composto e organizzato dei muscoli che
s’intersecano all’altezza dello sterno. Sposto
l’attenzione sulle mani nude. E’ possibile
riconoscere ogni nocca, ogni tendine, ogni singola parte
dell’arto, tanto la pelle è sottile. Mi scappa un
gemito. Ecco il risultato di mesi e mesi di privazioni. La guerra
succhia via ogni energia, arrivando a piegare perfino il guerriero
più forte.
Ma almeno è
vivo.
Oh sì, lo è.
Le lacrime iniziano a scendere.
-Siete tornato…-, proferisco, riuscendo a stento a vincere
l’emozione.
Lui sembra confuso. E’ da quando si è accorto
della mia presenza che lo vedo impegnato in una lotta interiore. La
voglia di stringermi a sé è palpabile, ma la
lealtà verso il suo signore lo blocca. Sa che potrebbe
compromettere tutto il lavoro fatto, se solo osasse anche solo
sfiorarmi. Sa che non avrebbe più la forza di lasciarmi
andare, se si concedesse ora.
-Perché… sei qui?-, chiede, la voce ridotta a un
soffio flebile.
Il suo viso è una maschera di sofferenza, come se lo stessi
torturando con il solo fatto di esistere. La sua domanda, infatti,
suona come una supplica disperata, una richiesta implicita di liberarlo
da questo tormento. In realtà vorrebbe chiedermi:
Perché?
Perché mi fai questo? Perché non mi lasci
andare?, avrei voluto chiederle. Che il Presidente l’abbia
mandata per prendersi gioco di me? Oppure è la
personificazione della vendetta di Wutai, intenzionata a tormentarmi
per tutta la vita? Avrei voluto crollare ai suoi piedi e implorarla di
lasciarmi in pace. La solitudine non è un prezzo abbastanza
alto da pagare per le sofferenze che sto causando? Cosa vuole ancora il
Pianeta da me?
Mi accorgo di essere crudele, alimentando sciocche speranze racchiuse
nel suo cuore solitario; mi accorgo che, continuando a tornare, lo
distruggo un pezzo alla volta; mi accorgo che lui si è
rassegnato al suo destino di solitudine.
Ma io no. Non accetto che il mio destino sia veicolato da altri,
nemmeno dal Pianeta stesso.
Con questa convinzione nel cuore, mi dirigo rapidamente verso di lui.
Alzo le braccia e mi spingo con la punta dei piedi, così da
raggiungere il suo collo.
E’
così alto, penso.
Faccio leva e dirigo la sua testa verso il basso. Non incontro nessuna
resistenza: non saprei dire se sia sorpreso o stia assecondando il
nostro desiderio.
Appena le nostre labbra si toccano, una frenesia da troppo a lungo
trattenuta esplode, impadronendosi dei nostri corpi: entrambi
aspettavamo questo momento da sei, lunghi, interminabili mesi.
Corse verso di me, una
strana luce negli occhi. Mi tirò a sé. Nonostante
lei sia molto più bassa di me, non le fu difficile piegarmi
verso di lei. Ero senza forze, rassegnato al fatto che lei mi avrebbe
usato ancora una volta. Decisi di lasciare che la passione mi
consumasse, affogare il mio sincero amore nelle sue carni lussuriose,
uccidere la mia dignità a ogni bacio.
Lui spalanca la bocca e la sua lingua s’insinua tra le mie
labbra, rapida, inaspettata, prepotente. Le sue mani mi artigliano
decise e mi stringono a lui. Dimenticavo quanto forte potesse essere e
di quanto mi piacesse il dolce dolore impresso dalla sua passione
repressa. Mi solleva con una facilità disarmante e si getta
contro la parete più vicina, facendo cozzare la mia schiena
contro il legno. Rimango per un momento senza fiato, schiacciata tra lo
stipite e il suo corpo, ma lui continua imperterrito, sfilando uno per
uno i lacci del mio kimono con movimenti precisi, esperti, veloci. Come
i suoi baci che, voraci, stanno divorando il mio collo.
Avvertire...
avvertire il suo respiro affannato, il galoppare impetuoso del suo
cuore, la forza rassicurante dei suoi muscoli, il profumo penetrante
della sua pelle.
Guardare…
guardare i suoi occhi colmi di passione, l’espressione
maliziosa e concentrata distorcere i suoi lineamenti perfetti, le sue
labbra arrossate dal sangue che scorre impazzito nelle vene, i suoi
capelli argentati venire stravolti dalle mie mani.
Sentire…
sentire il suo intero essere vibrare di un’ energia
primordiale, la turgida promessa di vita, la sua presenza in ogni parte
di me.
Rispondere... rispondere
al richiamo dell’esistenza, al suo tocco, al suo desiderio,
ai suoi baci.
Vivere…
vivere il momento. Con lui. Uniti per sempre.
-Ti amo…-, proferisco, tra gemiti e sospiri.
Sono parole che mi tengo dentro da troppo tempo, a cui non ho dato
giustizia sei mesi prima. Ma ora sono esplose dalle mie labbra e il
loro dolce suono sembra irrompere per tutta la città,
sebbene siano solo un sussurro.
Lui si ferma e mi fissa. Un’intricata rete di sensazioni si
agitano in quelle pupille innaturalmente allungate. Le trovo
così affascinanti, così particolari; eppure
terrorizzano gli uomini più della morte. Sephiroth si
puntella con le braccia al pavimento e solleva il busto nudo,
mortalmente denutrito e massacrato da troppe nuove cicatrici. Non
c’è spettacolo più bello e perfetto,
tuttavia.
Incrocio il suo sguardo. Tutta la passione ostentata si è
spenta. Mi osserva in silenzio, un’espressione indecifrabile
sul viso. Allungo la mano verso la sua guancia scarna e la accarezzo
delicatamente. Lui non cerca, né allontana quel gesto; la
sua freddezza, tuttavia, mi preoccupa.
‘Ti
amo’, he detto. Nel momento più alto
dell’amplesso, lei ha dichiarato di amarmi. Non so
perché, però, quel pensiero non mi
rallegrò come avrebbe dovuto; anzi mi spaventò a
morte. Aveva deciso di legarsi definitivamente a me, di condividere
ogni cosa, di conoscermi fino in fondo. Non ero mai arrivato a questo
punto in una relazione. Improvvisamente, mi resi conto che presto,
troppo presto, mi sarei dovuto scoprire, confessarle ogni mio segreto,
mostrarle il lato più profondo e oscuro del mio essere. Ogni
mia sicurezza crollò: non ero pronto per un passo
così grande. Aprirmi, parlarle del demone, dei mei incubi,
degli atti orribili che ho compiuto, delle sconfitte, degli abusi,
degli esperimenti… il peso di tutte quelle esperienze
divenne di colpo intollerabile. Il terrore
s’impossessò di me, insinuato attraverso un solo
unico pensiero: se
saprà chi sono, la perderò.
-Tutto bene?-, chiedo, nascondendo la mia inquietudine dietro alla
dolcezza.
-Hai detto che mi ami…-, constata, dopo qualche altro
secondo di silenzio.
Noto una strana sfumatura nella sua voce. Che sia… paura?
Sollevo il busto anch’io, puntellandomi con il gomito e
continuando ad accarezzargli il viso. Lo studio qualche istante da
vicino. Sebbene non voglia darmelo a vedere, posso avvertire la sua
angoscia, attraverso il battito accelerato del suo cuore, la sovente
contrazione della mascella, la rapida pulsazione del suo petto.
-Di cosa hai paura?-, domando, guardandolo dritto negli occhi.
Ma lei sapeva
già tutto. Aveva colto i miei tormenti fin
dall’inizio. Lei non mi guarda, mi vede, comprende ogni mossa, ogni
guizzo, ogni cambio di espressione come se le stessi spiegando per filo
e per segno cosa mi sta passando per la testa. Non ho bisogno di
parlarle, lei mi capisce con un solo sguardo. Appena realizzai questa
verità, ogni mia difesa crollò. E lasciai che
tutto il male che mi ero tenuto dentro per così tanti anni
fluisse verso l’esterno. Non ho memoria dell’ultima
volta che piansi così tanto. Credo di non averlo mai
fatto…
S’irrigidisce. Apre la bocca per ribattere, ma non proferisce
nessun suono; anzi, sembra rendersi conto solo ora di chi ha davanti.
Vedo il ghiaccio nei suoi occhi spezzarsi, liberare tutti i timori,
tutta la rabbia, tutta la frustrazione, tutta la tristezza che da
troppo tempo gravavano sul suo cuore.
Abbassa la testa: non vuole che lo veda in quello stato pietoso.
Mi afferra la mia mano e la stringe con forza: ha bisogno di
aggrapparsi disperatamente a qualcosa per non crollare.
Io ricambio la stretta: sarò il suo sostegno, qualunque cosa
accada.
Sfilo da sotto di lui, piego le gambe sotto al mio corpo, gravando
sulle ginocchia. Lo accolgo dolcemente tra le mie braccia e lascio che
poggi la sua testa sulla mia spalla. Le sue lacrime calde mi bagnano la
pelle.
-Io sono un mostro.-, afferma, improvvisamente, tra i singhiozzi.
Sospiro profondamente.
-Mio dolce Generale… per troppo tempo ti hanno chiesto di
essere forte, perfetto… divino. Nessuno si è mai
reso conto di quanto tu sia fragile e… umano. Il vero
mostro è colui che ti ha fatto questo.-
Gli accarezzo una di quelle raccapriccianti cicatrici, la quale solca
la sua schiena da un fianco all’altro, senza interruzioni,
spietata e diretta. Posso quasi sentire la forza impressa in quel colpo
e il dolore derivato. E lui lo affrontato senza dire una parola, posso
scommetterci.
Sephiroth alza gli occhi e lo lascia vagare la sua attenzione per la
stanza, fino a quando non incontra il riflesso della Masamune. Fa una
smorfia di disgusto e si volta verso di me. Il suo sguardo è
colpevole.
-Ho distrutto il tuo popolo, le tue tradizioni, la tua cultura. Tutto.-
-La Shinra ha voluto questo. Non tu.-
-Ti ho consegnata a quell’uomo, permettendogli di farti
questo.-
Accarezza le impronte nerastre delle dita grassocce del Presidente che
spiccano sui miei avambracci. L’ira agita il riflesso mako
dei suoi occhi. Scaccio l’immagine di quell’uomo
sovrastarmi con insensata brutalità inaudita e mi concentro
sul Generale.
-Arriverà il giorno in cui quella gente pagherà
per le sofferenze che hanno causato. Ora possiamo solo resistere,
sostenendoci l’un l’altra.-
Per la prima volta, in questa serata, Sephiroth si apre in un sorriso.
E’ triste e un po’ sghembo, ma rappresenta un
grande passo per uno come lui.
-Non c’è niente che possa portarti a odiarmi?-
Mi lascio scappare una piccola risata sommessa e fingo di ponderare le
sue parole seriamente. Lo squadro da cima a fondo, inebriandomi nella
sua assoluta, sofferta, perfezione. Guardo quel corpo vigoroso, pieno
di un’energia travolgente e venefica, la quale è
la chiave della sua forza inumana e della sua incredibile resistenza.
La sua maledizione.
Malnutrito, torturato, umiliato, eppure si erge con fierezza di fronte
a me, in barba alle privazioni subite.
La sua benedizione.
-No, nulla.-, rispondo sorridendogli.
Lui finalmente fa apparire quell’arco tanto amato, mostrando
la dentatura bianchissima. Una nuova luce illumina il suo sguardo:
speranza. E felicità, quella vera, quella tanto agognata.
Rivolta l’abbraccio, stringendomi contro al suo petto, e mi
sussurra quelle splendide parole.
-Ti amo anch’io, Sakura.-
-Non voglio che tu mi chiami con quel nome fasullo.-, dico, stringendo
i pugni, per arginare l’odio che provo per
quell’appellativo.
La mia prigione, la mia seconda, detestata, falsa, identità.
Io non sono quella geisha perfetta e spietata, io sono ben altro. E lui
imparerà a conoscere la vera me.
-E come ti chiami in realtà?-
-Evelyn.-
Mi irrigidii. Non potevo
credere di aver sentito QUEL nome proferito dalle sue labbra. Le ho
chiesto di ripetermelo, pregando tutti gli Dei possibili di aver capito
male, ma lei ha confermato i miei dubbi, inconsapevole. E’
stato una pugnalata al cuore, sapere che lei, la donna che ho imparato
ad amare nonostante tutto il mondo sia contro di noi, porti il nome di quel
peccato. L’immagine terrificante del corpo senza vita di
quell’infermiera mi attraversò la mente come un
lampo, rivoltandomi lo stomaco. Per un attimo mi sembrò di
ritornare in quello stanzino maledetto, con il sangue raggrumato che mi
sporcava le mani, le orbite vuote di quella donna fissare il nulla e la
bocca spalancata in un grido sordo e agghiacciante. Mi sentì
crollare di nuovo, ma, stavolta, a sostenermi, non c’era la
Bestia, bensì Saku..., anzi Evelyn. Mi ha stretto le braccia
e ha continuato a supportarmi, nonostante pesi il triplo di lei.
E’ la donna più forte che abbia mai conosciuto. E
la più determinata. Nessuna si era mai prodigata in questo
modo per me. Nessuna mi aveva mai compreso così
profondamente. Nessuna mi aveva mai considerato un semplice, normale,
ordinario uomo.
E’ un fiore prezioso che proteggerò a ogni costo e
non ci sarà Presidente o Imperatore capace di portarmela
via.
Nessuno!
E anche questo giro ce la
faaaaaaaa! Salve a tutti! Naturalmente, io finisco di scrivere a un
orario indecente questo capitolo mooooooooolto particolare. Vedo facce
perplesse tra di voi. Tranquilli, ora spiego tutto, ma prima una
piccola informazione di servizio. Vi ricordate il disegno che pubblicai
nel terzo capitolo, quando Cloud entrò in contatto per la
prima volta con la nostra Sakura/Evelyn? Ebbene, scordatevelo. Quando
riuscirò a trovare il tempo e, soprattutto la voglia, lo
colorerò e modificherò anche la descrizione,
perché, come avete potuto capire dalla visione di Cloud, il
luogo non è più un mare sconfinato, ma un lago
tra le montagne. E poi Evelyn, in quel disegno non è resa
come vorrei. In questo è decisamente meglio, anche
perché assomiglia di più al modello che avevo in
mente, che è quello di Hatsumomo di ‘Memorie di
una geisha’. So che magari non sta simpatica a tutte, ma io
adoro quella donna e la trovo bellissima. Io sono l’autrice a
faccio quello che voglio, ecco XD!
Cooooooooomq, la storia inizia a farsi incasinata, eh? Perfino Aerith
ci si mette ora! Ma la nostra Evelyn la fronteggia difendendo il suo
uomo a spada tratta! Taci fioraia da strapazzo, BUAHAHAHAHAHAH! *ma che
ti ho fatto T.T, nda Aerith*
No, aspetta che? Ma nel diario non c’è la Bestia?
Che c’entra Evelyn adesso *.*? Eh sì, signori
miei, la nostra bella geisha non è una persona del tutto
normale, me credo che i più svegli se ne siano accorti. Dai,
so che ce la potete fare! Come volevasi dimostrare, ella interferisce
pure nella lettura, spiegando il suo punto di vista. Una piccola chicca
sperimentale che spero apprezziate. Volevo approfondirla di
più e, siccome fare 30000 appendici di Bassai dai (anche
perché i kata dello Shotokan sono 26), ho escogitato questo
trucchetto che verrà spiegato meglio nel prossimo capitolo
dal nostro chokobo-medium.
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 17 *** Alleati ***
>Hai.
Tre. Nuovi. Messaggi. <
>Messaggio.
Numero. Uno.<*bip*
-Ehi, Cloud! Sono Reeve. Meno male che avevi
iniziato a rispondere al telefono da un bel po’, eh? Beh,
spero che tu sia
impegnato con qualcosa di più importante. Comunque, ti
chiamavo per ricordarti
di consegnare ‘quel pacco’ al mio amico di
Modeoheim. Le nevi sono ormai
sciolte e lui è molto impaziente di averlo tra le mani. Ok,
ci sentiamo, stammi
bene!-
Emetto
uno
sbuffo mestamente divertito: avevo dimenticato l’inizio di
questa storia.
Pensare che questo diario sarebbe dovuto rimanere rinchiuso nel mio
cassetto
per settimane mi fa morire dal ridere. Meglio di piangere, comunque.
Nemmeno
ricordo l’ultima volta in cui ho passato una giornata
“normale”. Sembrano
passati secoli. Ciò che credevo normalità era
solo una mera illusione. Il
respiro profondo prima di un lungo salto verso l’oblio. Non
so più chi sono,
ormai. Ho creduto di essere un SOLDIER di Prima Classe, ho creduto di
essere un
peccatore, ho creduto di essere un redento,
ho creduto di essere un uomo normale… Ma ora?
Ora chi sono io? Ho tanti
ricordi, ricordi alieni, che mi si affollano nella mente. Frasi che non
ho mai
detto, azioni che non ho mai fatto, paesaggi che non ho mai visto;
eppure
eccoli qui, a tormentarmi. Non so più nemmeno chi
è che controlla chi. Evelyn,
Sephiroth, Jenova, il Pianeta… Aerith?
Io… io non so
più niente. Ciò che credevo essere fatti
appurati, questo diario gli ha
sradicati e maciullati. Ormai, l’unica cosa certa a mia
disposizione sono le
visioni, le quali diventano ogni giorno più nitide e
dettagliate. E più
dolorose. E’ così travolgente e immenso questo
senso di vuoto e solitudine che
non riesco più a sopportarne l’esistenza. Mi viene
quasi voglia di staccarmi il
cuore dal petto, pur di levare queste lame che lo trafiggono, ogni
giorno,
sempre più in profondità. Devo trovare il modo di
farle smettere; non solo per
la sofferenza che mi instillano, ma anche perché sento che
è la strada giusta
da imboccare. E’ un desiderio antico che guida le mie azioni,
il quale non sono
in grado di fermare.
>Messaggio.
Numero. Due< *bip*
-Cloud… Dove sei finito?
Perché non rispondi
più al telefono? Ti prego, Cloud, richiamami…-
Rimango
immobile, in attesa dell’ultimo messaggio. Mi concentro sul
mio respiro, nel
tentativo di arginare il fiume di emozioni scatenate dal tono
preoccupato di
Tifa. Lei è l’unica a risvegliare il mio fiacco
io, messo in scacco da volontà
molto più potenti e determinate. Ma ho fatto la mia scelta,
da cui è
impossibile tornare indietro.
>Messaggio.
Numero. Tre.< *bip*
Silenzio…
Per lunghi istanti avverto solo il rumore di sottofondo di una chiamata
muta,
tanto da indurmi a pensare che si tratti di un errore. Improvvisamente,
un profondo
sospiro e un singhiozzo rompono la calma.
-Perché te ne sei andato?
Perché non vuoi
affrontare i problemi assieme a me? Se credi che così
facendo mi farai meno
soffrire, ti sbagli. Non c’è nulla di peggio che
rimanere nell’ignoranza. E io
sono stanca di essere sempre messa da parte. Non credo di meritarlo.-
Un momento
di pausa. Posso immaginare Tifa passarsi la mano sul viso nel misero
tentativo
di arginare le lacrime. Non ci riesce. La sua voce è
spezzata dal pianto, anche
se vorrebbe sembrare ferma, come se le parole che sta per pronunciare
facciano
più male a lei che a me.
-Ti do 24 ore, Cloud. Se non sarai a casa ad
affrontare le tue responsabilità…-
Sospira
profondamente per prendere coraggio, mentre io comprendo
l’enormità delle
parole che sta per sentenziare.
-Puoi anche non presentarti.-
>click<
>Non.
Ci.
Sono. Nuovi. Messaggi.< *bip*
Lapidario.
Esattamente come una condanna.
Allontano il
dispositivo dall’orecchio e osservo il display.
C’è una foto di me e Tifa
insieme come sfondo, appartenente ad un lontano tentativo di costruire
una vita
normale. Ma ho appena scoperto che la mia vita non sarà MAI
normale. Almeno, non
finché un amore interrotto barbaricamente da un Pianeta
spietato riceva la sua
fetta di giustizia, poi chissà… chissà
cosa rimarrà di me alla fine di questa
storia. Non saprei dire se mi sto dirigendo a capofitto verso un
baratro o
l’agognata redenzione. Ora come ora, propendo per la prima
ipotesi…
Chiudo il
telefono con uno scatto e me lo metto in tasca. La mia mano permane
qualche
istante di troppo in quella fessura, rischiando di essere vinta
dall’impulso di
comporre quel numero e tornare indietro. Poi, un delicato tocco di seta
mi
avvolge il polso, inducendomi a sfilare, titubante, l’arto
dalla tasca. Avverto
le mie dita venire avvolte da altre molto più sottili e
delicate. La loro
dolcezza spezza la mia resistenza e mi lascio stringere il pugno. Alzo
lo
sguardo, ma incrocio solo la desolante bruma mattutina calante sulle
gelide e
scivolose strade di Kalm.
Nessuno.
Sospiro e
canalizzo l’attenzione sull’ultimo piano del
palazzo di fronte a me. Scruto la
finestra centrale nel tentativo di scorgere qualche movimento
all’interno
dell’appartamento, ma, da quaggiù, non vedo altro
che finestre scure, le quali
non significano necessariamente che il proprietario non sia in casa.
Per questo
motivo, scendo da Fenrir, diretto verso il portone del palazzo. Noto
con
sorpresa che è stato lasciato socchiuso. Mi scappa uno
sbuffo divertito.
Difficile prenderlo alla sprovvista,
penso.
Il
pianerottolo che mi si presenta è semibuio, tagliato in due
da uno spietato
fascio di luce bianca proveniente dalla finestra in fondo alla stanza.
La polvere
danza impazzita all’interno di quel coltello luminoso,
sollevandosi dal
pavimento ormai lurido. Dev’essere da parecchio che la
portinaia non si fa
viva… Chiudo la porta e mi dirigo verso le scale appena
lambite dalla scarsa
illuminazione filtrante dai lucernari. Mano a mano che avanzo, mi
guardo
attorno e noto i lampadari distrutti, mentre le porte dei vari
appartamenti sono
chiodate da assi incrociate o, addirittura, sfondate. La carta da
parati è
stata divelta, rivelando pareti crepate e ammuffite. In alcuni punti
sono state
pure ammantate dal fuoco e dal sangue. Sangue e distruzione: la firma
inequivocabile di Deepground.
Raggiungo
l’ultimo piano e non mi sorprendo constatare che
l’unica porta ancora intatta sia
spalancata, come chiaro invito ad entrare. Varco l’uscio. Non
ho mai visitato
questa casa, eppure l’impronta del suo proprietario
è inequivocabile ed è
esattamente come me la immaginavo: essenziale, oscura e impersonale.
Aggiungerei anche vuota e triste, se non fosse per il sole che ha
iniziato a
fare capolino dalla grande finestra a parete della sala. La luce
irrompe
prepotentemente all’interno del monolocale, ferendomi quasi
gli occhi e non
posso fare a meno di essere, per un momento, trasportato in una
città a
migliaia di chilometri da qui, in un tempo molto remoto, durante
un’antica
guerra.
-Sei
arrivato.-
La voce dura
e baritonale di Vincent mi riporta alla realtà. Svetta
silenzioso e
imperturbabile al di sotto dello stipite che introduce alla camera da
letto; il
mantello a nascondere la sua figura dietro a una cascata di sangue, il
capello
corvino calato sul viso per celarne l’espressione, eccezion
fatta per i suoi
occhi, i quali, penetranti, mi scrutano fin dentro all’anima.
Solitamente il
suo sguardo era sempre in grado di mettermi in soggezione, ma oggi io
lo
sostengo con una facilità e
un’intensità che mai avrei pensato di avere.
Sei così determinata?
-Ti
aspettavi che arrivassi fino a questo punto?-
-No, mi
aspettavo che arrivassi in questo stato.-
Ridacchio.
Sempre il solito rude, Vincent Valentine. Egli ignora la mia
ilarità e se ne ritorna
nella camera da letto. Anche se sembra più un loculo, se
posso dirla tutta.
Stretto e impolverato, pieno di ragnatele che scendono dal soffitto,
assomiglia
molto al luogo in cui lo trovammo, nei sotterranei della Shinra Masion.
L’unica
cosa che lo differenzia da quell’antro degli orrori sono le
finestre, da cui la
luce entra senza freni. Noto, infatti, che i vetri sono
l’unica cosa veramente
pulita in questa casa. Lo osservo mentre si siede sul letto, gamba
piegata e
artiglio appoggiato sopra al ginocchio, a scrutare le strade di Kalm.
Non posso
fare a meno di sovrapporre questa figura a quella che Evelyn mi ha
impresso
durante la sua ultima incursione nella mia testa, e mi rendo conto che,
effettivamente, questi due uomini sono molto simili tra loro.
Insondabili e
nostalgici, entrambi hanno osservato lo svolgersi degli eventi da
dietro una
fragile parete fatta di illusioni e speranze. E poi, quando quel muro
sottile è
andato in frantumi, la loro vita è completamente crollata
sotto i loro piedi.
Chissà come
sarebbe stata riscritta la storia se Vincent fosse stato più
risoluto?
-Allora? Hai
scoperto qualcosa di più su quella donna?-
Mi è tornato
alla mente per cui sono venuto sin qui, abbandonando tutto e tutti:
l’ex-Turk è
l’unico capace di distrarmi dai pensieri che mi si affollano
prepotentemente
nella mia testa, silurandomi con le sue domande senza preamboli.
E’ un aiuto
prezioso per far fronte alla folle impresa in cui mi sto cacciando.
-Sì, in
effetti.-
Passeggio
per la camera, studiandola come se fosse il luogo più
interessante del mondo,
ma, in realtà, sto cercando di temporeggiare, al fine di
attirare la sua
attenzione e dare più peso alle informazioni che ben presto
gli rivelerò. Lo
stratagemma funziona e avverto il suo sguardo seguirmi, trepidante.
Ancora non
mi è chiaro se voglia aiutarmi per proteggermi o per
imparare a conoscere quel
figlio che non ha mai avuto; tuttavia non posso permettermi di
abbassare la
guardia: in entrambe le ragioni, lui potrebbe essere da ostacolo ai
NOSTRI
piani.
Dannazione, perché diamine sto
parlando al
plurale?
-Quindi,
Cloud?-
Il pistolero
ha abbandonato la sua finestra e ora sta puntando me. Posso vedere un
profondo
sospetto agitare quelle iridi vermiglie, mentre egli mi scansiona da
capo a
piedi. Non è del tutto sull’attenti: probabilmente
si aspettava un
comportamento strano da parte mia. Sta sondando il terreno…
Meglio non scoprirsi troppo.
-Cos’è che
vuoi sapere?-
-E’ viva?-
La domanda è
un colpo all’anima. Avverto i coltelli affondare ancora di
più nella carne. La
mia mano va a chiudersi sul petto, il guanto di pelle scricchiola;
così come i
miei denti, serrati per trattenere un gemito di dolore. Ricordare fa
dannatamente
male e rivedere lo stato in cui è costretta a vagare quel
disperato fantasma
ancora di più. Quasi non mi accorgo
dell’inflessione tesa e preoccupata
impressa sulla voce di Vincent. Curioso.
-So che è
morta, bruciata viva durante un incendio. Credo sia stato un duro colpo
per
lui. L’amava così tanto…-
Mi blocco,
appena noto la reazione inaspettata del pistolero. Credevo si limitasse
a
mostrarsi rinfrancato nel sapere che non ci sarà nessuna
fantomatica stirpe di
piccoli Sephiroth a minacciare il Pianeta, ma, invece, lo vedo sbarrare
gli
occhi e, per quanto possibile, sbiancare. Per un momento mi faccio
prendere dal
panico, credendo di aver parlato con la voce di qualcun altro;
fortunatamente
le preoccupazioni dell’ex-Turk sono ben altre.
-Cosa ha
provato esattamente? Dimmelo, Cloud!-
Vincent si
alza dal letto e si precipita verso di me, come preso da una strana
frenesia.
Mi afferra le braccia con foga inaspettata, tanto da ferirmi la pelle
con i
suoi artigli. Io non reagisco al dolore, poiché sono troppo
stordito dal suo
stranissimo comportamento. Quelle domande pronunciate con quel tono
così
concitato, quell’espressione così
angosciata… non è da lui perdere il controllo
delle proprie emozioni in questo modo.
-Vincent,
che ti prende?-
I suoi occhi
s’infiammano, il suo viso è una maschera di
rabbia, la sua voce sembra quasi un
ringhio; tanto da farmi temere l’arrivo di Chaos da un
momento all’altro.
-Dannazione!
Voglio sapere cosa ha provato mio figlio! DIMMELO! ADESSO!-
Cosa?
Cosa?!
COSA?!
-T-Tuo… figlio?-
L’espressione
di Vincent vira improvvisamente dall’iracondo al
terrorizzato, appena realizza
ciò che ha rivelato. Il fuoco nei suoi occhi si ghiaccia
all’istante, la sua
stretta si scioglie e si allontana incespicando nei propri passi.
Avverto rigoli
di sangue scendermi lungo il braccio, ma non me ne curo: tutta la mia
concentrazione è diretta nel tentativo di realizzare che
l’affidabile compagno
di mille battaglie, l’uomo su cui ho sempre riposto una
fiducia completa, il
combattente capace di infondere calma e sicurezza
è…
SUO padre…
Tutti noi
eravamo al corrente della triste storia vissuta con la madre di
Sephiroth, ma
non credevo che… no, impossibile! Hojo era così
convinto… No, Vincent non può
aver dato vita a un mostro del genere! Mi rifiuto di crederlo! Eppure,
tutto
torna. La sorpresa davanti alla verità proferita dallo
scienziato; il disprezzo
nella sua voce, come a sottolineare un’altra tesi,
un’altra verità; il suo
tentennamento davanti all’impresa che gli stavamo proponendo.
Gli ho chiesto di uccidere suo figlio.
Io non
riesco a dominare le mie emozioni. Da un lato avverto l’eco
del più completo
tradimento fare a pezzi ciò che rimane di me;
dall’altro avverto un profondo
sollievo dissolvere un peso enorme che da una vita gravava sul petto.
Sephiroth ora SA.
Fatico
ancora a crederci, eppure, guardando Vincent con occhi completamente
nuovi,
noto quanto gli somigli. Stesso taglio degli occhi, stesso naso, stessi
lineamenti, stessa prestanza fisica… tutto! Togliendo le
contaminazioni Jenova,
Sephiroth è la sua copia sputata!
Intanto, il
pistolero non riesce a guardami negli occhi e crolla a terra,
sopraffatto da un
mare di emozioni che da troppo tempo si teneva dentro. Il flash
suggerito da
Evelyn di quella notte in cui vide il Generale piangere sulla sua
spalla mi
mette di fronte anche alle analogie del loro carattere: scorza
durissima e
impenetrabile fuori, ma fragili e distrutti dentro; legati al passato;
portatori di segreti sconvolgenti.
-Vincent…-,
proferisco, alla fine, con un filo di voce,-Perché,
non…?-
-Secondo te,
perché, Cloud? Pensaci un attimo! Come avrei potuto rivelare
di essere il padre
dell’uomo che stavate andando ad uccidere?-
-Avresti
potuto farti da parte. Dire che non eri interessato a…-
-A salvare
il Pianeta?-
Mi zittisco.
Vincent mi guarda con uno sguardo fin troppo famigliare, il quale mi
suscita
una disagiante soggezione. Lo stesso, identico sguardo severo che
Sephiroth
rivolgeva ai noi fanti, quando combinavamo casini durante le missioni.
Nessuno
degli spiriti che mi tormentano si fa avanti per fronteggiare
quell’occhiata,
come se nutrissero un profondo rispetto per quest’uomo. Mi
hanno lasciato
completamente solo. Mi ero così abituato al loro sostegno da
sentirmi
completamente vulnerabile senza. Non posso far altro che rispondere
come ho
sempre fatto di fronte a occhi del genere: abbassare lo sguardo sulle
scarpe e
scusarmi per la mia stupidità.
-Hai
ragione… Scusami.-
Lo sento
sospirare pesantemente. La voce ha ripreso la sua inflessione neutra e
calma.
-No, scusami
tu. Avrei dovuto essere franco sin dall’inizio,
probabilmente.-
Lo osservo
rialzarsi con movimenti fluidi e misurati. Rivedo il solito Vincent,
anche se
mi sarà difficile accettare la sua vera identità;
ma, effettivamente, egli è
davvero l’unico ad avere il diritto di aiutare Sephiroth ed
Evelyn.
Questo diario è caduto nelle mani
sbagliate,
temo.
Nel
frattempo che vago con i miei pensieri, il moro si avvia verso la
cucina e
inizia ad armeggiare con le ante. Lo vedo prendere delle tazze, un
bollitore e
delle bustine d’infusi. Appoggia tutto sul piano di lavoro,
dopodiché afferra
il bollitore e lo inizia di riempire con acqua di rubinetto.
Ha ragione,
ammetto, meglio rilassarsi un attimo; per cui mi vado a sedere su una
delle
sedie in salotto. Rimaniamo in silenzio, ognuno perso nei suoi
pensieri, mentre
lui prepara uno dei suoi strani intrugli.
-Dal momento
che siamo in vena di rivelazioni-, esordisce, versando il liquido nelle
tazze,-
devo confidarti che ho letto qualche pagina, mentre eri in coma
all’ospedale. Camomilla?-
O forse no…
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
E’
quasi
mezzogiorno, quando finisco il mio racconto. Vincent non ha quasi
proferito
parola, se non per qualche sporadica domanda nei passaggi
più ostici. Non credo
di averlo mai visto così interessato a una conversazione,
almeno non
direttamente. Tiene davvero tanto a quel figlio che è stato
costretto a
conoscere nel suo aspetto peggiore. Ora comprendo realmente quanto
è stata dura
per Vincent vedersi coinvolto in un conflitto del genere: vedere
Sephiroth,
braccato e disprezzato, solo e disperato battersi fino alla morte, alla
stregua di una bestia feroce ferita, per la propria sopravvivenza.
Dev’essere
stato un colpo devastante per un padre che avrebbe voluto solo
stringere il
proprio figlio a sé e portarlo al sicuro. Lui aveva ancora
impresso nella mente
quel pancione tondeggiante che di tanto in tanto scalciava, come unica
fonte di
felicità per una donna stroncata da una gravidanza sbagliata
e la solitudine
creata dai suoi errori. Egli soffre solo sentir parlare della triste
vita a cui
quella bestia di Hojo ha costretto a vivere quel povero ragazzo. Quella
vita
che avrebbe potuto salvare.
Improvvisamente,
un senso di realizzazione s’insinua nella mia mente, trovando
nell’apparente
insensato sadismo dello scienziato una spiegazione terribile quanto
ovvia:
vendetta. Siccome non poteva punire i genitori per l’onta
subita, quel folle
fece ricadere ogni castigo sul bambino. Uccidere Vincent e distruggere
Lucrecia
non era abbastanza per quell’insulso essere, voleva che
soffrissero a oltranza
attraverso la loro prole; nascondendo il suo vero intento dietro alle
necessità
di trasformare quel bambino in una macchina senza cuore. Ma Sephiroth,
di
cuore, ne aveva da vendere e anni di sottomissioni e umiliazioni non
sono
bastati a offuscarlo. Solo Evelyn è riuscita a
strapparglielo dal petto, con la
sua solita dolcezza, per poi riempirlo con qualcosa di completamente
contrapposto all’odio. Quell’amore permane ancora,
tanto che lei non si è
abbandonata al Lifestream, ma è rimasta in questo mondo,
legata alle memorie
dell’uomo che ha amato, e lì ha atteso. Atteso me
per tutti questi anni. Chissà
perché proprio il suo nemico mortale, poi…
-Devo sapere
chi era lei, Vincent. Sento che questa donna è la chiave di
tutto.-
-Sephiroth
non ne parla nel suo diario?-
-Altroché,
ma si concentra soprattutto su se stesso, scrivendo dubbi e sensazioni.
La ama,
ma non capisce perché, con tutte le donne che poteva avere,
si è invaghito in
modo così morboso. Sente che c’è
qualcosa di particolare in questa donna da
attirarlo come un’ape al miele.-, faccio una pausa,
così da prendere un po’ di
coraggio per esprimere questo dubbio che mi assilla da giorni,- So che
sembra
assurdo, ma… io credo che Evelyn… che questa
ragazza…-
-Sia una
Cetra?-, completa Vincent per me con un tono che non lascia repliche.
Rimango per
un attimo interdetto, poi annuisco debolmente.
-Credevo che
Aerith fosse l’ultima della sua specie.-, sottolinea il
pistolero.
-Tutti noi
lo credevamo. Ma bisogna tenere conto che la Shinra non si è
preoccupata troppo
della preservazione di Wutai, quindi una Cetra particolarmente furba
potrebbe
essere rimasta nascosta senza troppi problemi.-
-E con tutti
i SOLDIER che imperversavano per il Paese, proprio del discendente
diretto di
Jenova doveva innamorarsi? Un po’ troppo fortuita come
coincidenza.-
Come al
solito, Vincent ha centrato il punto.
-Esatto. Per
questo dobbiamo saperne di più. Il diario è un
aiuto prezioso, dal momento che,
quando Sephiroth scrive di lei, Evelyn mi mostra il suo punto di vista.-
-Che vuoi
dire?-
-Che io
divento lei. Rivivo le situazioni in cui loro sono insieme. Vedo, sento
e tocco
come se stessi vivendo in quel momento ciò che sto leggendo.
E’ difficile da
capire, lo so, ma da quando ho scoperto il suo vero nome ha acquisito
molta più
forza e mi usa per manifestarsi.-
Vincent sta
pendendo letteralmente dalle mie labbra e sembra affascinato e timoroso
nello
stesso tempo nel comprendere con che cosa stiamo avendo a che fare.
-Incredibile…
Sei diventato una sorta di medium. Non ti pagano abbastanza a fare il
postino?-
Diversamente,
l’umorismo di pessimo gusto di Vincent
gli avrebbe fatto guadagnare come risposta una sequela di
bestemmie,
come minimo, ma, data la situazione, lo prendo come un tentativo un
po’ idiota
di tirarmi su il morale. Sono talmente messo male che gli rispondo a
tono,
perfino.
-Già,
l’altra scelta era diventare addestratore di Behemoth, ma ho
deciso che il mio
cervello non era incasinato abbastanza.-
Già, molto male…
Ridacchiamo.
Siamo due imbecilli, ma almeno l’atmosfera si è un
po’ alleggerita, così da
riacquistare un po’ di fiducia.
-Sai,-esordisce
Vincent, ritornando serio,- non ho letto molto su di lui, ma capisco
perché la
sua donna ha scelto proprio te per aiutarli.-
Io lo
osservo con aria interrogativa.
-Ho visto
molto di te in lui. So che potresti interpretarlo come
un’offesa, ma, ti prego,
non farlo. Sephiroth ha fatto cose orribili, è vero, ma
è stata una naturale conseguenza
della sua solitudine a trasformarlo nel mostro sanguinario che
conosciamo.
Quella “Bestia”… è stata lei
a ucciderlo.-
-Ti sbagli.-
Prendo la
foto di Evelyn e la fisso per qualche istante. Con angoscia, la mia
mente
ritorna sull’autostrada di Edge, sotto alla pioggia
più dolorosa che abbia mai
solcato la mia pelle.
Era così bella…
Arsa viva, devastata, ridotta in cenere…
Non doveva rimanere nulla di lei.
“Qualcosa gli aveva svuotato l’animo fino al
midollo.”
-Secondo te
chi è stato, allora?-
-La morte di
lei-, rivolgo la foto nella sua direzione, assumendo
l’espressione più
determinata che ho,- E’ stata la sua rovina. Per questo devo
sapere cosa le è
successo esattamente. Per questo io e te andremo in Wutai.-
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23 Dicembre XXXX
Un altro Natale
è alle porte, mentre la fine
della guerra ancora fatica ad arrivare. I fanatici rimasti sono di un
numero
esiguo, eppure fastidioso. Sono più difficili da
identificare e stanno
trasformando questo conflitto in una guerriglia del terrore. Alcune
cellule
arrivano addirittura oltreoceano, aiutati da nascenti organizzazioni
anti-ShinRa , celate dietro alla facciata del filoambientalista.
Durante il
clou della guerra, queste ultime si limitavano a proteste in piazza
contro lo
sfruttamento del mako e marce pacifiste, ma ora stanno acquisendo
sempre più
potere, grazie all’assoldamento di una fetta sempre
più consistente di una
popolazione malcontenta e stremata dai continui conflitti. Ho sentito
anche che
molti ex-soldati della Compagnia hanno disertato e si sono uniti a
queste
organizzazioni, portando loro armi, tanto da trasformarle in gruppi
terroristici. Mi è giunta voce che una in particolare sta
mettendo in seria
difficoltà l’esercito regolare della Compagnia: la
chiamano AVALANCHE. Secondo
i rapporti, inviatomi come informazione preventiva per volere del
Presidente,
questa organizzazione si è sviluppata nei sobborghi di Corel
e si è fatta
avanti fino alle porte di Midgar. Lì hanno trovato il
supporto della
popolazione degli Slums, da sempre nemici giurati della Shinra.
I Bassifondi… la rappresentazione perfetta
della sua controparte superiore. Lurido, povero, marcio,
infettato fino
al midollo da odio e risentimento. Un luogo in cui gli uomini diventano
perfino
peggio degli animali pur di sopravvivere tra quelle lamiere arrugginite
e
pattume decomposto. E’ l’unico luogo
semi-civilizzato in cui vigono le leggi
della natura. L’altro è il campo di battaglia.
Prostituzione, case d’azzardo,
spaccio di droga, disordini civili, lavoro infantile, analfabetismo,
guerre tra
gang… e potrei continuare per pagine e pagine, tanto
è il lerciume di cui è impregnato
il cuore degli abitanti. E’ un postaccio in cui vivere ed
è uno dei pochi
luoghi in cui perfino un SOLDIER del mio lignaggio rischia la pelle. Se
non
avessi le capacità che ho sicuramente non ne uscirei vivo
tutte le volte da
quel girone dell’Inferno. Ho visto morire tanti commilitoni
laggiù, durante i
disordini. La gente dei Bassifondi non ha nulla da perdere e arriva a
infischiarsene
della propria vita, fino a gettarsi a capofitto su soldati addestrati a
uccidere. La loro follia… no, la loro disperata follia
rende quelle
persone invincibili.
Una di quelle mischie fu la mia prima
missione. Ero solo un quattordicenne, fresco di investitura, ma
ciò che vidi e
provai quel giorno mi segnò nel profondo. Doveva essere una
spedizione
punitiva, atta a sedare delle teste troppo calde per essere spente con
la
diplomazia. Serviva un lavoro rapido e pulito, prima che altri
infervorati si
unissero alla causa. Eravamo una piccola
squadra, formata per lo più da novellini. Il Capitano
dell’operazione, tale Jim
Sanders, ci aveva assicurato sulla facilità
dell’operazione e che sarebbe stata
un’ottima occasione per farsi le ossa. Quanto si sbagliava.
Difficilmente
dimenticherò il suo cranio venire trapassato da parte a
parte da un calibro 12.
Non se ne accorse nemmeno di essere morto, probabilmente. Fortunato.
Quei bifolchi ci tesero un’imboscata, usando
la nostra stessa sicurezza come trappola. Credere di vincere un
confronto
quando il nemico spara da una posizione sopraelevata e circonda la
posizione, è
da folli. O da idioti completi. Spuntavano fuori da ogni anfratto tra
le
lamiere e ci vomitavano addosso tonnellate di piombo. Sembrava una
pioggia di
mezza estate: spietata, fitta, perforante. Fu uno spettacolo
incredibile.
Ricordo che il tempo si dilatò, permettendomi di saggiare
ogni minima sfumatura
di quei brevi, importantissimi istanti. Vedevo i miei commilitoni
cadere sotto
il fuoco nemico, venire colpiti in più parti del corpo
dieci, cento, mille
volte; il sangue spillare dalle vene in perfette tondeggianti gocce
vermiglie;
la nebbia creata dalle armi nemiche ammantare il mondo con la sua
incandescente
coperta; il colpi fiammeggiare al di là della bruma, simili
a tanti lampi
rossi, seguito subito dopo dai rimbombi martellanti degli spari. E,
infine,
come funereo sottofondo, urla. Urla di
morte. Disperate, terrificanti, piene di dolore e rimpianti.
Qualcosa che si
può ascoltare fino alla nausea, ma che ogni volta trafiggono
ogni singola,
insignificante cellula del corpo come migliaia di aghi acuminati.
E’ possibile
percepire i loro gelidi corpi penetrare lentamente nella pelle, nel
cervello,
nei muscoli… Si avverte l’organismo reagire di
conseguenza: il cuore galoppa
impazzito, i polmoni si occludono, la vescica si spalanca. Si hanno
pochi
secondi in cui ritrovare un minimo di reazione, dopodiché
sopraggiunge il panico. Quello che
non lascia scampo,
quello che uccide. Un tanfo paralizzante, insormontabile, fatale, che
ammanta
gambe e braccia, impedendo loro, le uniche fonti di salvezza, di
muoversi.
Rimani immobile, nel tuo stesso liquame, a osservare inerme la Morte
calare la
sua falce su ogni pezzo di carne che esplode in mille pezzi. E preghi
di non
essere tu il prossimo.
Ricordo che, in quei secondi, ebbi la
freddezza di abbassarmi, per poi immobilizzarmi per
un tempo in parvenza infinito; nel
frattempo che corpi
su corpi mi cadevano
addosso, il sangue m’inzuppava da capo a piedi e migliaia di
proiettili mi
sibilavano a pochi millimetri dalla testa. Ero paralizzato dal terrore.
Tutte
le nozioni, tutti gli addestramenti che mi avevano inculcato fin da
quando
avevo memoria, si volatilizzarono. Non assomigliava a nessuna delle
situazioni
a cui ero abituato. Ci avevano fatto credere che le battaglie simulate
rendessero un’idea precisa di quello che si sarebbe andati ad
affrontare nella
realtà, ma non è affatto così.
C’è una cosa che non è possibile
simulare, ma
che in una vera schermaglia ne forma le fondamenta stesse: la morte.
Accorgersi
di essere dannatamente inadatti alla situazione, impotenti
davanti
alla furia nemica, vulnerabili e mortali, ti uccide
prima ancora che lo
facciano i proiettili avversari. Giurai
di
non provare mai più sensazioni del genere. E che non sarei
morto in quel buco
schifoso. La Bestia accolse famelica la mia richiesta, risvegliandosi
dopo mesi
di sfibrante clausura. Di ciò che accadde dopo, ho ricordi
molto confusi. So
soltanto di essermi accanito così tenacemente contro i
rivoltosi da ribaltare
la situazione e ridonare coraggio ai pochi membri rimanenti della mia
squadra.
Dopo poco, arrivò il team di supporto a darci man forte. Una
manna dal cielo,
inneggiarono alcuni.
I ricordi si fanno bruscamente più nitidi
nel momento in cui infilzai l’ultima vittima di quel giorno.
Il primo aspetto
che rimembro sono due grandi occhi blu, i quali mi fissano sgranati.
Poi la
visione di allarga, permettendomi di vedere la totalità del
viso. La prima caratteristica
che mi salta subito all’occhio sono i lineamenti. Noto con
orrore quanto siano
acerbi, tondeggianti, sgraziati… giovanili. Un ragazzino. Le
efelidi sono il
secondo aspetto che attirano la mia attenzione. Esse punteggiano buona
parte di
quella pelle bianca col loro colorito rossastro. Rossastro come il
ciuffo
d’ispidi capelli che spuntano dal cappellino blu, simile alle
sue iridi. Non è
bello, constato: ha la faccia larga che lo fa sembrare un rospo; il
naso
sproporzionatamente piccolo e le orecchie a sventola incredibilmente
grandi. Infine,
la visuale scende verso la bocca. Larga, come la faccia, le labbra
sottili, i
denti sporgenti colorati di rosso.
In
quel momento colgo il terzo aspetto: saliva mista a sangue cola
attraverso
quelle labbra assottigliate e le ampie fessure tra i denti cavallini.
Seguo i
rivoli di liquido vermiglio colare verso il mento, lungo il collo,
giù verso il
centro del torace. Ed è lì che la vedo: la mia
spada. Conficcata fino all’elsa
nel suo cuore. Una nuova ondata di panico va a bloccare le mie dita,
impedendo
loro di staccarmi da quell’orrore, come a sottolineare la mia
colpa. Ad un
certo punto, la sua mano si appoggia sulla lama, svegliandomi dal
torpore in
cui ero caduto. Alzo lo sguardo alla ricerca dei suoi occhi, ma essi
sono
rivolti in direzione della ferita al petto. Tossisce e sputa altro
sangue;
dopodiché raggiunge il mio sguardo. Non vedo rabbia nelle
sue iridi, né odio;
ma il perfetto specchio dei miei: orrore, paura, sogni infranti,
infanzia
spezzata. Entrambi ansimiamo, immobili come se un singolo movimento
possa
compromettere il precario equilibrio in cui ci troviamo. Ad un certo
punto, le
sue mani si artigliano alle mie braccia con una stretta disperata.
E’ più gracile
e basso di me, ma ha la forza di frantumarmi in migliaia di pezzi.
Leggo nei
suoi occhi l’implicita richiesta di aiuto. Essa mi spezza il
cuore e devasta
l’anima.
Gli ho
trafitto il cuore, inizio a pensare.
Non c’è
speranza di salvarlo.
E’ morto.
IO l’ho
ucciso, è l’ultimo
pensiero lucido che
riesco a concepire.
“Mi
dispiace.”, gli dico. Vedo la
speranza
svanire e i suoi occhi velarsi, mentre la sua forza si affievolisce
sempre di
più. Ossessivamente, comincio a ripetere quelle due parole,
mentre la sua vita
scivola via dalle mie mani. Lentamente si accascia. Non crolla solo
perché io
lo sorreggo con la mano libera e la spada. Avverto le lacrime scendere
dalle
guance.
Mi dispiace,
mi dispiace, mi
dispiacemidispiacemidispiacemidispiacemidispiacemidispiace…
Continuo a ripeterlo anche quando lui
è
inginocchiato ai miei piedi e fissarmi con quelle angoscianti orbite
vuote. Le
gambe mi cedono e crolliamo a terra. Io in ginocchio e lui riverso.
Quella
maledetta spada conficcata nel suo dannato cuore.
Urlo.
Un urlo disperato, inconsolabile… e rabbioso.
Lo stesso urlo che emetto durante gli incubi
a una decina di anni di distanza.
Non ho mai saputo come si chiamasse quel
ragazzino, ma so bene cosa raffigura nel grande disegno che il destino
crudele
e beffardo ha creato apposta per me: la morte della mia orrida,
spaventosa
infanzia. Quel briciolo d’innocenza che credevo di avere
è morta assieme a quel
bambino, quel giorno. Negli anni successivi, mentre il mio corpo
s’affannava a
rimettersi in pari, la mia anima e la mia mente erano già
diventate quelle di
un uomo. Ora come ora, non c’è operazione capace
di spaventarmi, o morte capace
di fermarmi. Perfino la Bestia è arrivata a piegarsi al mio
controllo, il più
delle volte. La paura, tuttavia, non è completamente
debellata dalla mia
esistenza. Le preoccupazioni, le priorità, le esigenze sono
cambiate e, con
esse, i timori da esse derivate. Ho smesso di preoccuparmi per la mia
persona e
le mie angosce si sono rivolte verso la sfera sociale, mondo del tutto
sconosciuto. Aprendomi in questa direzione, un’infinita rete
di possibilità mi
si è districata di fronte; tuttavia non sono in grado di
gestirla. Esattamente
come il giorno della mischia, mi ritrovo a osservare, immobile, la
realtà
evolversi rapidamente attorno a me. Sono in grado di coglierne ogni
sfaccettatura,
in certi casi, addirittura, sono vicino a saggiarne
l’essenza; ma sono
paralizzato. Ciò che osservo svanisce, devastato dai
proiettili del destino. E,
appena, riesco ad afferrare qualcosa, esso mi muore piano piano tra le
braccia.
Mi accorgo solo dopo che sono stato io a distruggerlo con le mie stesse
mani. Ogni
cosa che tocco, perisce. L’ho potuto constare con i fiori di
Aerith, una volta.
Dopo aver ucciso Evelyn, mi rifugiai alla chiesa. Avevo bisogno di
sentire la
sua risata innocente e cristallina, di avvertire il suo tocco delicato
sulla
pelle, di crogiolarmi nel suo sorriso solare. Ma lei non era
lì. Iniziai a
vagare per le navate in preda alla più funesta disperazione,
fino a che non
adocchiai il prato fiorito. Non avevo mai avuto l’ardire di
avvicinarmi: una
parte di me mi suggeriva di starmene lontano, anche se non ho mai ben
compreso
il motivo di quella spiacevole sensazione. Fino a quel giorno. Mi tolsi
i
guanti, altro grave errore, illudendomi che se avessi saggiato, anche
per un
solo attimo, il mondo della bambina, avrei trovato un po’ di
pace; ma, appena
la mia pelle sfiorò la corolla, il fiore si
annerì e si disgregò tra le dita.
Rimasi senza parole. Non potevo credere che quella pianta si fosse
disintegrata
con un solo tocco, quindi provai a coglierne un altro, e un altro
ancora, e un
altro, e un altro, e un altro… il
risultato non cambiò: tutti i fiori si trasformarono in
cenere. Terrorizzato da
quel raccapricciante spettacolo e dall’ironia troppo sottile
del fato, impazzii
e mi gettai sul prato fiorito strappando e incenerendo quanti
più fiori potevo.
Se dovevo essere un emissario della Morte, allora perché
permettere a creature
così inutili di vivere su un Pianeta che stava morendo? Mi
accanii con tale
rabbia da corrompere perfino il terreno su cui quelle piante
crescevano. Ancora
oggi, la bambina è costretto a bonificarlo, attingendo ad
ogni singola goccia
del suo potere per contrastare il veleno. Mi odia ancora per
ciò che ho fatto,
ma cerca di non dimostrarmelo, ma io so che è
così. E’ difficile da credere, ma
sì, lei è capace di odiare e proprio io sono
riuscito a tirare fuori la sua
parte peggiore.
Mi chiamò ‘mostro’. Per anni la gente mi
ha
additato con quell’appellativo, ma quella volta fu
più dolorosa del
solito. L’unica persona in grado di
rimarginare le ferite inferte da una vita maledetta, mi considerava
ciò per cui
lottavo ogni giorno per non diventarlo. Inutilmente, ho imparato. Forse
non
m’impegno abbastanza; oppure, semplicemente, non si
può cambiare ciò che si è:
sono nato mostro e mostro morirò, probabilmente.
L’unica amara consolazione è
che un mostro non è la causa dei patimenti del Pianeta, ma
proprio coloro a cui
cerco di assomigliare da tutta una vita: le persone normali.
Normale è
meglio, dice spesso la piccola. Ma chi
accetterebbe di convivere con la consapevolezza di essere la causa
della
propria autodistruzione?
Il mondo sta rapidamente impazzendo e
quell’odio mefitico nato dalla guerra si sta spargendo a
macchia d’olio nel
cuore delle fette più deboli della società.
Inizia sempre così: fratello contro
fratello, padre contro figlio, marito contro moglie; il tutto per
preservare
l’egoistico desiderio di sopravvivenza. Questa
umanità vuole troppo e questo
Pianeta malato non è più in grado di sostenere la
sua ingordigia. La ShinRa lo
sta rapidamente svuotando dei proprio doni, i quali presto di
esauriranno,
lasciandoci in un mondo arido e marcio. Non c’è
bisogno di essere un Cetra per
comprendere tutto questo, eppure quella gente ha gli occhi coperti da
montagne
di gil per accorgersene. Basterebbe solo sollevare la testa al di sopra
di
quelle cime dorate per notare la terrificante desertificazione che
subiscono i
luoghi dove i reattori vengono costruiti. Anche qui in Wutai quel
processo sta
iniziando, inesorabile. Ciò mi ferisce profondamente. Questo
Paese ha smosso
qualcosa dentro di me, qualcosa che credevo di aver perduto anni
addietro: il
calore. Mi sono innamorato di Wutai. Amo i suoi paesaggi immoti, su cui
aleggia
una timida, pacifica bellezza; la quale è in grado
d’infondermi una grande calma
interiore, ritrovata attraverso la contemplazione del delicato
frusciare dei
campi di frumento, l’allegro vociare delle risaie,
l’austera grandezza delle
foreste, il deciso scrosciare della pioggia, la leggerezza soave della
neve, il
limpido tramonto tra le grandi montagne. Amo ogni singola tradizione
che
costella la giornata di un wutainiano, dalla cerimonia del
tè alla scrittura
con il pennello; amo il loro senso dell’onore e del dovere,
il loro orgoglio,
il loro profondo patriottismo. Amo la loro storia, la loro
architettura, la
loro filosofia. Ma, soprattutto, amo una donna appartenente a questo
straordinario popolo, conosciuta durante la Yozakura, la notte in cui i
ciliegi
sakura sfioriscono e liberano i loro petali nell’aria.
Era… Perfetta,
come i fiocchi rosati che le danzavano attorno. A volte, mi fermo a
guardarla e
non posso fare a meno di associarla a quell’immagine scolpita
nella mia mente.
-Perché
mi
guardi così?-
Il sorriso
appare sul viso meditabondo del mio Generale, inducendomi a
rispondergli nello
stesso modo. Lui non asseconda subito la mia domanda con una risposta
verbale,
ma si limita ad accarezzarmi la guancia col dorso della sua grande
mano. La sua
pelle sembra velluto, quanto è delicato il suo tocco. Le
labbra si allargano
ancora di più e copio il suo gesto, andando a sfiorare i
suoi zigomi, a
contornare i suoi occhi, ad arricciare i suoi capelli. Avverto una
grande
felicità esplodere nel mio petto. Non credo esista luogo
migliore di questo
letto sconvolto, cinta dalle forti braccia dell'uomo più
straordinario che
abbia mai conosciuto.
-Ricordi la
prima volta che c’incontrammo?-
Come
dimenticarlo? Come dimenticare quel ragazzino sperduto, osservatore
rapito dai
petali di Sakura? Oppure quello sguardo affascinato capace di trapanare
l’animo
fino al midollo? Come dimenticare quegli occhi disperati chiedermi
aiuto?
-Eri meravigliosa.
Tutta vestita di seta rosa, con l’ombrello di carta che ti
proteggeva dalla
pioggia di petali, le ciocche sfuggite dall’acconciatura,
scosse dal vento, che
ti lambivano il viso… il sorriso che mi
rivolgesti… era la cosa più bella che
avessi mai visto.-
Mi lusinga
venire a conoscenza di quanti dettagli si ricordi del nostro primo
incontro.
Avverto le gote avvampare e gli occhi pizzicare. Nessuno mi ha mai
rivolto
parole del genere, se non per corteggiarmi. Adoro questo aspetto degli
uomini
orientali: sentirsi in dovere di adulare la propria donna. Cosa
inconcepibile
per un wutainiano. Non ci sono abituata a tanta dolcezza. Sento il mio
cuore
sciogliersi come burro e lacrime di felicità solcarmi le
guance. Il mio
Generale si allarma.
-Evelyn…-,
evoca con tono preoccupato, asciugandomi una goccia col pollice,-ho
detto
qualcosa che non va?-
Istintivamente,
sguscio via dalla sua rassicurante stretta e ripristino le distanze,
andandomi
a rifugiare nell’angolo destro del letto. Abbasso lo sguardo
e scuoto la testa,
cercando di riprendere un po’ di contegno.
-Perdonami.
E’ che... è una situazione così strana
per me. Chiedo umilmente scusa.-
Lui sospira
paziente e viene a sedersi accanto a me, cingendomi le spalle con un
braccio e
facendo aderire i nostri fianchi. Mi irrigidisco e cerco di ritrarmi
ancora, ma
lui non desiste e inizia a rassicurami, accarezzandomi il braccio,
lisciando
lievemente la pelle con quelle dita di velluto.
-Ehi,- la
sua mano s’insinua discreta sotto il mio mento e, dolcemente,
fa pressione così
da indurmi a guardarlo in quegli occhi meravigliosi,-non
c’è bisogno che ti
scusi. Anche per me è strano… e nuovo.
E’ normale esserne spaventati.-, fa una
piccola pausa, durante la quale mi dona il suo splendido sorriso,-Io
volevo
solo dirti quanto è importante la tua esistenza nella mia
vita. E che ti amo,
Evelyn. Ti amo dal più profondo del mio cuore.-
Il mio
labbro inferiore freme. Le lacrime di nuovo riempiono i miei occhi.
Rimango
immobile a fissare quelle iridi del colore della giada. Sono gli occhi
più
belli e particolari che abbia mai incrociato e constatare che essi
brillano
soltanto per me, mi riempie di fierezza. Mi fissano con tale
intensità e
attenzione da farmi prendere consapevolezza di un fatto: io sono una donna. Non una geisha, non un oggetto di
piacere, non un’oka-san; ma una donna. Lui ha imparato a
vedere Evelyn, ad
amarla, a consolarla, a proteggerla… a rispettarla. Nessuno
si era mai spinto
così in profondità dentro di me, scavando nel mio
essere, fino a cogliere la
mia reale essenza. Il mio Sephiroth… Getto le mie braccia al
suo collo e lo
stringo con tutta la forza che ho, affondando la testa
nell’incavo della
spalla. Prendo un profondo respiro, riempiendo i miei polmoni del suo
profumo
così dolce e penetrante. Dopo poco, le mie labbra scivolano
lungo il suo collo,
fino a raggiungere la decisa linea della mascella, dove inizio a posare
soavi
baci sulla pelle morbida. Lo odo ridacchiare e le mie orecchie esultano
ascoltando la meravigliosa musicalità di quella voce
rombante. Incoraggiata
dalla sua ilarità, apro la bocca e afferro il suo lobo tra i
denti, per poi
massaggiarlo attraverso lenti movimenti della mandibola. Le sue mani
iniziano a
spostarsi, accarezzando ogni centimetro della mia pelle. Le sue carezze
mi
suscitano una serie di brividi eccitanti. Inizio a stuzzicare il suo
orecchio
con la lingua, strappandogli gemiti e mugolii, i quali non
fanno
altro che aumentare il mio desiderio. Di rimando, lui comincia a
poggiare dei
baci sul mio collo. Allorché, la mia mano destra abbandona
la gemella e
comincia a scendere. Accarezzo la sua spalla; liscio il suo pettorale,
su cui
mi soffermo per percepire il battito possente del suo cuore; mi
destreggio tra
le onde sode del suo ventre scolpito; fino ad avvolgere…
-Oka-san!-
Una voce concitata
dall’altra parte della porta c’interrompe. Ci
voltiamo entrambi in quella
direzione, allarmati dall’intrusione inaspettata di Natsu.
Non è da lei
infastidirmi quando sa bene che ho ospiti, perciò vengo
avvolta da una scossa
di terrore: so cosa sta per accadere. E mi accorgo che lo sa anche
Sephiroth. La
dolcezza nei suoi occhi è svanita, sostituita da uno
spaventoso sguardo
omicida. Un’ira indomita avvampa nelle sue pupille, divenute
improvvisamente
serpentine. Funeste sfumature rosate screziano il verde
dell’iride sinistra. I
suoi lineamenti si sono induriti, le sue labbra assottigliate, la
mascella così
stretta da far scricchiolare i denti. Vedo i suoi muscoli tendersi e
ingrossarsi, come una belva pronta a scattare sulla preda, e noto con
orrore
che la sua attenzione si è spostata dalla porta alla
Masamune. Stringo i suoi
enormi bicipiti e lo scuoto, al fine di farlo tornare in sé.
Mi spaventa quando
si estrania in questo modo dalla realtà, assecondando quegli
istinti bestiali.
Lui non è un demone, né una bestia, né
un mostro, come tanti altri lo hanno
etichettato; è un uomo. Il MIO uomo.
-Torna da me.
Ti prego, non arrenderti al male dentro di te. Tu non sei
così. Sei buono,
pacifico, dolce. Sephiroth, ti prego, ascoltami!-
Continuo ad
afferrare la sua attenzione con parole e carezze, senza riuscire a
trattenerla,
ma non mi arrendo. Alla fine, riesco a fargli distogliere gli occhi
dalla
spada. Vedo i suoi lineamenti distendersi, così come i
muscoli, e i suoi occhi
tornare normali. Ma ciò che mi rivolge è uno
sguardo pieno di risentimento,
trafiggendomi l’anima peggio di una lama.
-Non farlo,
ti supplico.-, implora con la voce rotta dalla rabbia e dal dolore.
Natsu bussa
concitatamente per esortarmi a predisporre tutto il necessario per
accogliere
LUI. Il mio temuto, odiato danna. Il solo pensiero mi rivolta lo
stomaco e
darei qualunque cosa per scomparire ora. Perfino da Sephiroth. In
questo
momento, desidero solo rimanere da sola; senza un amante innamorato da
ferire,
un danna manesco da soddisfare e un okiya ingombrante da salvare.
Vorrei solo
rannicchiarmi su me stessa e piangere. Piangere e urlare fino a
squarciarmi la
gola, fino a che non ho più forza di fare nemmeno quello. Ma
non posso. Devo
essere forte. Forte per Sephiroth, forte per Natsu, forte per le
novizie, forte
per le maiko, forte per le sorelle maggiori.
-Scappiamo
insieme.-, propone, improvvisamente, il mio Generale, afferrandomi
bruscamente
le braccia, così da guardarlo in viso.
Che
alettante tentazione… Ma tutto quello che posso fare
è sfuggire il suo sguardo
e divincolarmi dalla sua stretta, la quale, stavolta, è
più determinata e
ferrea che mai.
-Non posso
più sopportare questa situazione! ANDIAMOCENE!-, mi urla
addosso, tirandomi a
sé, contrapponendosi al mio rigetto.
Le sue dita,
solitamente così delicate, ora assomigliano più a
degli artigli, i quali mi
stanno dilaniando la pelle.
-Mi fai male.
Lasciami!-, ordino, dolorante.
Lui non mi
ascolta, continua a ripetere che dobbiamo scappare, mentre avverto la
sua
stretta far scricchiolare i miei omeri. E’ sconvolto dalla
gelosia e non si sta
rendendo conto di stare usando troppa forza. Se non reagisco adesso, mi
spezzerà le braccia.
-Basta!
BASTA! BASTA!-
Inizio a
schiaffeggiarlo in pieno viso, fino a che non molla la presa. Crollo su
letto,
gemente, e inizio a massaggiarmi gli arti, sui quali spiccano degli
orribili
lividi violacei. Lo avverto ansimare, sfinito. Alzo lo sguardo su di
lui e lo
vedo appoggiato alla colonna del letto, le braccia abbandonate sulle
lenzuola e
lo sguardo sconfitto perso nel vuoto. E’ una scena a cui
nessuna donna dovrebbe
assistere: il proprio uomo annichilito. Attanagliata dai sensi di
colpa, faccio
leva sulle braccia doloranti e mi avvicino a lui. Alzo una mano con
l’intenzione di posargliela sulla guancia, ma lui la scosta
malamente. Non osa
nemmeno incrociare i nostri sguardi. Ora la presa del rimorso sul mio
cuore si
fa più stretta, occludendomi la gola.
-Sephiroth…-,
riesco solo a proferire.
Senza
lasciarmi il tempo di scusarmi, lui afferra malamente i miei arti,
strattonandoli, e li cura con un incantesimo; dopodiché mi
spinge via,
facendomi crollare sul materasso come fossi un oggetto divenuto
inutile. Con la
morte nel cuore, lo osservo alzarsi e rivestirsi, il tutto in un
ostinato
silenzio. E’ diventato freddo e distante. Rimango spiazzata
dalla sua capacità
di cambiare completamente carattere, appena la situazione lo richiede.
Schiudo
la bocca con l’intento di aprire una breccia in quello scudo
di ghiaccio, ma
Natsu mi fredda sul nascere.
-Oka-san,
spero siate pronta. Shinra-sama, sarà qui a momenti!-
-Dammi
qualche minuto, Natsu. Sono alle prese con i capelli.-
-D’accordo,
ma fate presto!-
Quando mi
rigiro, Sephiroth è già completamente vestito e
si sta avviando verso la botola
che conduce al passaggio segreto, il quale collega la mia stanza qua
all’okiya
alla sua, in caserma. Una soluzione che ideò Ryu, tanto
tempo fa, quando non
c’erano ancora guerre e Presidenti. Quando non
c’era ancora lui…
-Io ti amo…-,
dichiaro tra i singhiozzi.
Si ferma un
momento, durante il quale prego che mi rivolga una qualsiasi parola,
anche un
grugnito, ma ciò che ricevo è soltanto silenzio.
Attanagliante e gelido
silenzio.
Tuttavia, quel
meraviglioso angelo salvatore
non mi appartiene completamente. L’ho ceduta al Presidente,
un uomo che la sta
distruggendo pezzo per pezzo, giorno per giorno. Vorrei salvarla, ma
lei si
limita a scappare tra le mie braccia, quando quel porco è
andato troppo oltre;
ad accontentarsi dell’avermi accanto, mentre il mondo attorno
a noi cade a
pezzi; a concedersi per alleviare le mie colpe. Mi dice che il Pianeta
vede e
provvede, che bisogna pazientare, che bisogna apprezzare ciò
che si ha; ma io
sono stanco. Stanco di vedere sempre nuovi lividi sul suo corpo, di
forzare i
suoi sorrisi per riceverne altri sempre più spenti, di
rendermi conto che la
lucentezza nei suoi occhi sono soltanto lacrime troppo ostinate per
uscire.
Quella luce splendida che mi colpì la prima volta si
affievolisce ogni giorno
che passa, fino a che non arriverà a spegnersi. Evelyn
è forte, ma presto,
troppo presto, lo farà. Io non posso starmene a guardare,
mentre la donna che
amo muore in agonia. Nonostante le mie insistenze, lei non vuole
andarsene da
Garyo, tantomeno abbandonare quelle serpi irriconoscenti che le vivono
attorno.
Quel che è peggio non vuole estinguere il legame del danna,
continuando così a
subire le angherie di quel porco pervertito. Io non riesco
più sopportare di
vederla in quello stato, di udirla piangere, di percepire la sua forza
scivolare via dalle mie mani. Ma, lei continua imperterrita, rifiutando
le mie
offerte di fuga. Per l’onore, dice. Mi sembra di sentir
parlare Angeal. “E’
pesante fardello, ma qualcuno lo deve pur portare. E’ il mio
compito, una mia
responsabilità”. La sua
condiscendenza
nei confronti del suo arido futuro mi provoca un’ondata di
frustrazione, la
quale, sempre più spesso, sfocia in
un’incontrollata smania furiosa. Diventa
sempre più difficile arginarla. Se questa situazione
continuerà ancora a lungo,
temo che prima o poi potrei esplodere, mettendo a serio repentaglio la
sua
vita. Sto ponderando la possibilità di lasciarla,
così da proteggerla da me
stesso. Anche se… il solo pensiero mi spezza il cuore.
Ma la colpa non è solo sua. Ciò che subisce,
lo sopporta per salvare le donne di Garyo dalla mala. Fuggire insieme
è solo
una delle tante soluzioni ed è quella più
egoistica. E più semplice. So bene
cosa dovrei fare per mettere fine a questa storia, ma… non
ne ho il coraggio. Ciò
mi fa sentire lurido, colpevole. Io
ho permesso tutto questo, io ho portato avanti questa guerra, io
ho vinto.
Io. Io. IO! E non m’importa se vengo giustificato con frasi
del tipo: “hai
fatto il tuo dovere”, oppure “c’erano
degli ordini da eseguire”. No! IO sono un debole. Vedevo, sentivo
la
sofferenza e la devastazione che portavo in questo Paese, eppure non ho
fatto
nulla. Avrei dovuto ribellarmi, fare leva sulla mia autorità
e convincere i
miei uomini a seguirmi fino al tradimento. So che l’avrebbero
fatto. Molti di
loro mi seguirebbero fino nel girone più profondo
dell’Inferno, se glielo
chiedessi. Senza contare Angeal e Genesis, i quali preferirebbero
scontrarsi contro
il mondo piuttosto che fronteggiarmi sul campo di battaglia. Tutto
sarebbe come
lo voglio io. Mi sembra quasi di vederlo: un meraviglioso caos
sconvolgere le
fondamenta stesse del Pianeta; la
Compagnia collassata senza colpo ferire; il sangue di Hojo sporcare le
mie
mani; i corpi senza vita del Presidente e suo figlio prostrati ai miei
piedi e,
infine, come una gloriosa Fenice, un nuovo ordine mondiale sorgere
dalle ceneri
di un passato decadente. Il popolo inneggia il mio nome, proclamandomi
suo
salvatore; ogni crimine pagato; ogni ingiustizia raddrizzata; ogni
umiliazione
lavata via. E poi, lei, al mio fianco, libera.
Dai suoi doveri, da quell’uomo, di amarmi…
Mi
odio.
Mi odio dal più profondo del cuore.
Perché,
con tutto il potere che ho, non ho la forza di lottare per
ciò che ritengo
importante, se non vitale? Evelyn è la mia donna, eppure
permetto al Presidente
di approfittare di lei quando e come vuole. La logica conseguenza di
quell’azione è quella di strappargli ogni
estremità del corpo, lasciando la
testa come ultima così da fargli ingoiare i suoi stessi
pezzi.
Come al solito, la mia mente malata vaga
verso i recessi più animaleschi del mio essere, mostrandomi
immagini da
brivido, ma che mi accorgo di condividere appieno. Comunque,
finché rimangono
ben racchiuse in quell’angolo oscuro possono sbizzarrirsi
come vogliono. E’
terrificante constatare a quali orrori sarei in grado di dare vita,
soprattutto
quando i protagonisti delle mie violenze sono persone a cui tengo.
Tante volte
mi è capitato rischiare di arrendermi alla voglia di strozzare Evelyn,
oppure di
massacrarla di botte fino alla morte. Quando ero più
piccolo, nemmeno mi
accorgevo del momento in cui la visione diventava realtà;
spesso mi ritrovavo
completamente zuppo di sangue, senza capire da dove provenisse, fino a
che non
guardavo verso il basso, dove, il più delle volte, incappavo
in corpi devastati
o, addirittura, resti maciullati e irriconoscibili. Solo in quel
momento
prendevo consapevolezza di essermi arreso nuovamente alla Bestia che
risiede in
me. Col tempo ho imparato a riconoscere i segni premonitori della sua
furia e
decidere quando più opportuno lasciarla a briglia sciolta.
Anche se non è
facile. Spesso la fiamma della rabbia divampa quando meno me lo aspetto
e devo
richiamare ogni singola goccia di volontà per trattenere la
Bestia. E il più
delle volte non basta nemmeno quello.
Temo tanto per la vita di Evelyn. Dice di
fidarsi di me, ma come farà quando non saprò
controllarmi? Perché io non mi
limiterò a imprimerle qualche ematoma sui polsi e sulle
gambe. Io la ucciderò
o, se le andrà bene, la lascerò in fin di vita.
L’ho fatto una volta e posso
rifarlo. Ogni volta che voglio…
Mostro
SCIALVEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!! Sono le
ore 03:16 e io ho finito di scrivere! Non. E’. Possibile!
Sono completamente
fuori fase come i nostri cari protagonisti! Evvivaaaa -.-‘ !
Coooooooooooooooooooooooooooooooooooooomq….
SCIALVEEEEEEEEEEE di nuovo, miei
amati lettori! Richiamate pure ‘Chi l’ha
visto?’, che la fortiX è tornata!
Prima che tiriate fuori torce e forconi, mi scuso un sacco per il
tremendamente
tremendissimo ritardo, ma quest’estate ho avuto O tempo per
scrivere, oltre che
O idee da sviluppare per il nostro argentato, soprattutto. Con Cloud la
situazione si sta definendo e cominceremo andare spediti, quindi ci
saranno più
dialoghi e più azione, mentre con Seph siamo in zona
intermezzo, boia deh!!!!!
Come avrete notato già dall’altro capitolo, la
lunghezza è aumentata per dare
spazio al punto di vista di un altro personaggio e, nello stesso tempo,
approfondire ciò che il diario non dice, ma fa solo
intendere. Con questo la
lunghezza aumenterà ancora, perché Cloud
avrà un compagno di disavventure
(Yay!) e parlerà un po’ di più (*con
Vincent… wow, posso immaginare che razza
dialoghi. C:I just…, V:… ndSeph*; *Ehi! ndCloud*;
*…. ndVinny*;* come volevasi
dimostrare. Non ti smentisci mai, papi ^.^ ndSeph*; *SILENZIO DIETRO LE
QUINTE!
ndA*)
Quindi, vi è piaciuto il colpo di scena da
sballo? Evelyn un Cetra? WTF?!?!? Eeeeeeeeh sì, ma non
è tutto! Ho intenzione
di fare un po’ di giustizia qua dentro, quindi aspettatevi
delle belle!
Intanto, il povero Seph ha la sua bella, ma
se la spupazza anche il Presidente. Direi che quell’infilzata
nel gioco originale
sarà qualcosa di personale, voi che dite?
Va bene, sono stanca morta!
Alla prossima!
Besos
P.S.=sono le 03:40
e tutto va beneeeeeeeeeeeeee!!!
Ad ora devo finire di mettere a posto due cosine, quindi
posterò tra qualche
ora, cioè nel momento in cui vedrete la storia XD Ok, non
iniziamo a parlare di
paradossi temporali che se no qua non vado più a letto!
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Capitolo 18 *** Famiglia ***
La
nave
cavalca le brezze dal sapore di primavera dirette verso il tetro Nord,
destando
questa terra eternamente gelata dalla morsa invernale. Avanziamo
lentamente
lungo il buio mare di Icicle, rompendo la debole resistenza di
un’acqua
insolitamente piatta. Il cielo è limpido, cristallino,
sormontato da un tenue
sole capace di donare un tepore discreto, per niente fastidioso.
E’ una
giornata mite, perfetta per rilassarsi sulle sdraio disposte a file
ordinate
sul ponte e correre allegramente su e giù per questo mostro
d’acciaio
galleggiante, con il cui rumore assordante strappa la patina di calma
ammantante questo paesaggio austero e solenne. Ha un certo fascino il
continente settentrionale, devo ammetterlo. Se non fosse per
l’inquietante
voragine che ne sfregia il paesaggio: lassù, al polo, come
una bestia
dormiente, il Northern Cave Crater troneggia indisturbato su quei
luoghi
inospitali, celando al mondo intero i terribili segreti ivi racchiusi.
Il mio
sguardo è rivolto sull’orizzonte, a ricordami il
preciso istante su cui
poggiammo gli occhi sulla bellezza mozzafiato della murata di cristalli
di
mako, tomba perfetta di un Angelo caduto. Istintivamente, i ricordi
virano più
a Sud, indirizzati verso la Città Dimenticata e un dolore
sordo e mai attenuato
mi stringe il cuore, accompagnato da un eco lontano di una sofferenza
passata.
Mi massaggio il petto e prendo un profondo respiro. Fa sempre
più male.
Ricordare. Quasi quasi mi manca credere di essere Zack. Era tutto
più semplice:
non c’erano legami, né paure, né
rimpianti. Solo il desiderio della battaglia e
la dorata ricompensa alla fine della giornata. Superficiale e meschino,
lo
ammetto, ma decisamente meno doloroso. Come lo fu per Sephiroth, quando
diventò
il mio omonimo, un bisestile di quasi trent’anni fa. Che
beffe che fa il
destino a volte…
Il mio
silenzioso compagno di viaggio mi fa quasi prendere un colpo,
comparendo
all’improvviso nel mio campo visivo.
-Vincent…-,
lo apostrofo,-Devi toglierti questa brutta abitudine di comparire
quando meno
me lo aspetto!-
L’ex-Turk
non dice nulla, ma posso vedere i suoi occhi brillare di una sottile
luce
divertita. Da quando mi ha rivelato chi egli sia veramente, nella sua
scorza
dura si è aperto un piccolo spiraglio, da cui ogni tanto
è possibile
comprendere ciò che prova. Grugnisco e ritorno a contemplare
quei flutti così
riappacificanti.
-Non credevo
fosse così facile prendere alla sprovvista un SOLDIER-, mi
fa notare.
-Io non sono
un SOLDIER. Non lo sono mai stato.-, ribatto con un filo di malinconia.
Mi sembra
quasi una vita fa, quando non riuscivo a rimanere eretto per
più di un secondo
su un qualsiasi veicolo in movimento; oppure a tenere in mano
un’arma senza
farla cadere almeno cinquanta volte al minuto. A causa della mia
goffaggine
diventai lo zimbello di tutto il reparto e questo contribuiva a minare
irreversibilmente la mia già bassissima autostima. Ero
partito da Nibelheim per
diventare come Sephiroth, ma ben presto mi resi conto di non essere per
nulla
tagliato per quella vita. SOLDIER richiedeva disciplina, attenzione,
precisione
ferree, tutte qualità che non ho mai avuto, nonostante i
tanti rimproveri di
mia madre. L’unico punto a mio favore erano le
abilità nel combattimento corpo
a corpo, maturate durante le numerose risse per i bar del paese, ma
ciò che il
reparto d’élite richiedeva, in aggiunta, era
mancanza di scrupoli e nervi
d’acciaio, oltre che una totale abnegazione nei confronti dei
superiori.
Eravamo dei cani, in fondo. Cani addestrati a uccidere.
Ma io non
ero pronto. Non ero pronto a vedere la vita spirare dagli occhi della
mia
vittima; riascoltare ogni notte la sua silente supplica; avvertire
l’odore acre
del sangue sgorgante dalla sua bocca. Non credo sarei stato in grado di
vivere
un minuto di più dopo aver piantato una spada nel cuore di
un mio coetaneo,
indipendentemente da quanto rivoltoso egli fosse. Ho potuto solo
immaginare il
terrore sordo che ha dominato il giovane Generale in
quell’istante e mi ha
stupito il modo in cui ha razionalizzato l’orrore compiuto.
Sephiroth era ben
conscio dell’infausto ascendente esercitato nei confronti
della vita, ma non
poteva immaginare la portata della sua maledizione. Arrivare a farsi
odiare da
una ragazza dolce e paziente come Aerith è
un’impresa da pochi. Non riesco
proprio ad immaginare il suo giardino completamente carbonizzato, LEI
che ci
stava così attenta… Ma degli istinti
così bestiali rendono possibile,
l’impossibile. Come sopraffare un Eroe omicida e
scaraventarlo nel Lifestream,
privandolo dell’uso
delle gambe. Mi
accorgo con orrore di quanto fu dannatamente facile piantare una spada
nel
corpo di un altro essere umano. Forse perché, ai miei occhi,
LUI era un mostro.
Uccidendo la mia infanzia, era stato spogliato di ogni singola goccia
di
ammirazione che provavo nei suoi confronti e del grande Generale ormai
non
v’era più nulla. Era solo un altro mostro da
abbattere, né più, né meno dei
mostri affrontati negli Slums. Non sono stato meglio di lui…
-Eppure,
dopo tutte le tue imprese, dovresti esserlo ad
honorem.-
Sbuffo
divertito. Se ripenso a ciò che mi disse Zack la prima notte
a Nibelheim
riguardo alla mia intenzione di entrare in SOLDIER, questa affermazione
non mi
inorgoglisce più di tanto.
“SOLDIER is like a den of monsters. Don’t
go inside.”
[SOLDIER
è un covo di mostri. Non
entrarci; cit. Zack Fair, FFVII: Crisis Core]
In fondo,
cosa sono più di LUI? Nient’altro che un sacco
fatto di carne e mako, senza
sentimenti, senza volontà, senza ricordi. E per cosa?
Barattare la mia umanità
per la fama, la gloria e il potere? Per quanto mi riguarda, da
ragazzino avrei
dato l’anima per uno scambio del genere. Ero così
accecato dal mio desiderio di
rivalsa da non rendermi conto delle gioie preziose di cui ero in
possesso.
Avevo una famiglia, degli amici e io che cosa ho fatto? Ci ho sputato
sopra per
un fine così effimero e futile. Solo quanto Sephiroth mi ha
portato via tutto,
mi sono reso conto di quanto fossi ricco rispetto ad un uomo che di
dorato
aveva solo la facciata. Ho ucciso un uomo già morto, quella
notte. E io dovrei
diventare un SOLDIER d’onore? Che onore
c’è nel consacrare la propria vita alla
morte, abbandonando valori solidi e
basilari che costituiscono le fondamenta di un uomo giusto?
Sephiroth
era un uomo giusto, nonostante abbiano cercato in tutti i modi di
forviarlo.
Non si è fatto accecare dal potere e dalla fama, guardando
al di là di quella
cortina fallace, così da scorgere il tesoro più
prezioso di tutti: l’amore. Ma
non quell’amore ristretto che lega un uomo e una donna, ma
quello più generale
e variegato che lega ogni essere umano all’altro, fino ad
abbracciare tutto il
Pianeta. Lui vedeva la grandezza nelle piccole cose, come un sorriso o
una
carezza; non gl’importava compiere grandi imprese, quando gli
sarebbe bastato
la semplice vista di un sorriso sul viso delle persone che amava. Non
aveva
nemmeno la presunzione di essere la fonte di quella
felicità, poiché sapeva che
prima o poi gli sarebbe stata portata via. Il Pianeta aveva altri
progetti per
lui. Lo sentiva, lo sapeva; tuttavia non ha voluto rinunciare
all’illusione
dell’amore, anche a costo di una grande sofferenza.
Studio di
sottecchi Vincent e ripenso a quanto abbia perso a causa di Lucrecia.
Ci ripete
spesso quanto forte fosse il suo desiderio di vederla sorridere
sempre…
Tale padre, tale
figlio…
-Sei fiero
di lui, Vincent?-
E’ una
domanda uscita di getto, senza preavviso, non so nemmeno se sia un
pensiero
formulato di mia iniziativa. Avverto il Turk trattenere il fiato e la
veste di
pelle crepitare sotto la sua stretta. Percepisco il suo sguardo
sbigottito
gravare sulla mia figura, cercando, come me, di comprendere se la
domanda è
stata rivolta dall’amico o dal figlio. Non abbiamo
approfondito molto questo
argomento da quando abbiamo lasciato Kalm, ma, in effetti, parecchie
domande mi
sono sorte durante il viaggio. Mi è difficile capire se sono
spinto dalla mia
stessa curiosità o da quella di Sephiroth. Forse
è di entrambi, in fondo. Il
moro rilascia il fiato con un sonoro sospiro e abbandona le braccia
lungo i
fianchi, il quale si trasmette come un flebile scostamento del
mantello. Il
peso della sua attenzione scompare, diretta, probabilmente, verso
l’orizzonte
limpido e netto del cupo mare di Icicle.
-Non posso
rispondere a questa domanda…-
Il suo tono
è affranto e posso notare una sfumatura spaventata pervadere
quella voce
solitamente inespressiva.
Se da un
lato mi aspettavo una risposta del genere, dall’altro rimango
deluso. Vincent
non si è mai sbilanciato in questo senso, aggrappandosi
all’oggettività della
situazione, così da impedire al suo istinto paterno di non
prendere alcun
sopravvento sulle sue decisioni. Ma ora… ora suo figlio
vuole sapere, sta
ricercando quell’approvazione che ha inseguito per tutta la
vita. Se c’è
qualcuno col diritto di definirlo, nel bene o nel male, quello
è Vincent. So
quanto egli tema il proprio passato, forse quasi più di me,
però, prima o poi,
i fantasmi vanno affrontati. E Sephiroth è pronto ad
accettare qualunque cosa
gli verrà detta. Lo posso sentire fremere, quasi implorarmi
d’insistere.
-Eppure sei
l’unico ad aver il diritto di rispondere.-
-Il diritto
l’ho perso quando ho permesso a sua madre di tornare da quel
verme.-
-Eppure è
stato per riacquistare quel diritto che ti sei preso una pallottola nel
cuore.-
I nostri
sguardi s’incrociano e una tempesta metaforica di fulmini e
saette esplode fra
noi. Vincent mi sta letteralmente uccidendo con gli occhi. Se non fosse
provvisto di un eccezionale self-control, probabilmente mi ritroverei
la
mascella lussata, senza contare la furia di Chaos, con la quale mi
farebbe a
pezzi. Incurante, tuttavia, io continuo a sfidarlo apertamente,
guardandolo dal
basso all’alto, comodamente appoggiato al bordo della nave.
Dal canto suo, il
pistolero riassume la sua classica posizione di chiusura, incrociando
le braccia
al petto; come se lo potessero difendere da quell’attacco
sconsiderato ai
recessi più profondi del suo animo. Quei recessi che sperava
aver sepolto,
assieme ai suoi peccati. Ma quelli ritornano sempre a galla, spietati e
crudeli, pronti a piegarti l’ennesima volta.
-Fa male
ricordare. Nessuno lo sa meglio di me, Vincent.-, esordisco,
abbandonando la
mia espressione truce con una più conciliante,- Ma fidati
quando ti dico che
tuo figlio ha sofferto abbastanza per vedersi respinto perfino dopo la
morte.-,
rimango in silenzio un momento così da donare peso alle mie
parole,- Io non
intendo giudicarti. Per quanto ancora faccia fatica a credere chi in
realtà tu
sia, giuro che non ti metterò in croce. Se ci pensi, sono
stato il primo ad
ammettere l’errore.-
L’ira negli
occhi di Vincent va via via a scemare ad ogni parola che proferisco,
fino a che
il suo sguardo non vira di nuovo al di là della nave,
meditabondo. Alla fine,
sospira, sconfitto. Le braccia si sciolgono e raggiungono il bordo
metallico,
fungendo da sostegno per il corpo. La sua espressione è
più distesa e
più…umana, tanto da lasciare trapelare una certa
agitazione. L’ex-Turk non
parla subito, ma rimane qualche minuto a contemplare la natura immota
attorno a
noi, così da riordinare i pensieri che gli si agitano
nell’animo.
-Non sono il
miglior padre che un uomo possa avere. Forse questo è
riconducibile al fatto
che nemmeno io abbia avuto un grande esempio da seguire. Mio padre,
infatti, non
fu molto presente nella mia vita, ma lo ammiravo molto per il grande
lavoro che
stava svolgendo al servizio dell’umanità. Almeno
credevo all’epoca. Per quel
motivo, a quindici anni, decisi di seguire le sue orme. Quando gli
comunicai la
notizia, vidi per la prima volta un barlume di fierezza splendere nelle
sue pupille.
Mi sentii…considerato. Quel giorno capii che la scienza era
l’unico argomento
in grado di elevarmi ai suoi occhi.
Studiavo
alacremente, giorno e notte, al fine di ottenere il massimo dei voti in
ogni
materia. Non volevo assolutamente che quella luce si spegnesse. Era
diventata
il mio chiodo fisso, il centro del mio mondo. Passavo intere notti a
pregustare
il momento in cui il mio nome sarebbe svettato, accanto a quello di mio
padre,
nella Storia della Scienza. Già lo vedevo: Valentine senior
e junior,
benefattori dell’umanità. Un sogno che mi
permetteva di sopportare i lunghi
silenzi di mio padre; il quale, ben presto, venne infranto, verso il
quarto anno
di liceo, dal maledetto Progetto Omega. A causa di questo, le sue
già rare
visite, si azzerarono, mentre i rapporti si limitarono a qualche
sporadica
lettera contente l’essenziale. Quando, poi i
risultati degli esperimenti diedero i loro
frutti , ottenendo così i finanziamenti della Shinra,
perfino la corrispondenza
venne troncata. Cercai di razionalizzare la sua mancanza, confidando
nelle sue
abilità di brillante scienziato, ma, dentro di me, sentivo
la mia famiglia
lentamente distruggersi. Le mie paure ebbero le prime conferme qualche
giorno
dopo la cerimonia del diploma, quando, dopo un anno e mezzo di
silenzio, mio
padre ricomparve. Per giorni, abbiamo cercato di capire il motivo di
quell’improvvisa scomparsa, ma lui ci raccontava ogni volta
una versione
diversa, oppure cercava di evitare l’argomento. Alla fine,
mia madre cedette e
mi chiese di fare altrettanto, pregandomi di mostrare rispetto per
tutti i
sacrifici compiuti da mio padre per darci una vita agiata e un futuro
radioso. Ci
provai, per un primo periodo, ma la sensazione che lui tramasse
qualcosa non mi
abbandonava mai. Egli s’interpose tra me e mia madre, notai,
come un muro
impenetrabile: da una parte chiudeva lei all’angolo, mentre
dall’altra io
venivo ricacciato indietro. Ingenuamente, credetti che lui volesse
recuperare
il loro matrimonio, pericolosamente in bilico a causa della lunga
lontananza.
Ma nemmeno questa spiegazione calmava le mie ansie.
L’ennesima
conferma dei miei sospetti giunse quando lui mi propose di andare a
studiare in
un’università estera. Non aveva senso.
Perché andare così lontano, dal momento che
l’università migliore era
praticamente dietro casa? Ero titubante davanti alla
possibilità di lasciare la
mia famiglia appena riunita, ma i miei genitori fecero fronte comune
pur di
convincermi. Alla fine, cedetti, nonostante migliaia di campanelli
d’allarme mi
trillassero in testa. Avrei dovuto ascoltare l’istinto,
poiché, dopo la mia
partenza, non ebbi più modo di contattarli. Erano scomparsi,
senza lasciare
nessuna traccia. Nessuno dei nostri vicini li aveva visti partire e
nessuno dei
colleghi di mio padre sapeva dove fossero andati. Chiesi aiuto alle
autorità,
ma, dopo mesi di ricerche, non si ebbe alcun risultato. Mi dissero di
temere un
rapimento, ma pure quella teoria venne sfatata dal tempo. Intanto,
abbandonai
gli studi e mi arruolai nei Turks, nella speranza di aver accesso agli
archivi
segreti della Shinra, nella speranza di trovare notizie su di loro.
Speranza
vana, poiché, il secondo anno di addestramento,
arrivò la notizia della loro
morte.-
Vincent
sospira profondamente, lasciando trasparire tutto il disagio suscitato
da
questo ricordo. A quanto pare nemmeno la sua infanzia è
stata immune
dall’amarezza.
-La Shinra
fu la causa di tutto e non si preoccupò mai di spiegarmi le
circostanze in cui
i miei genitori morirono. Ero disgustato, ma, dopo un altro anno, ebbi
la
possibilità di mettere le mani sui segreti più
laidi della Compagnia. -, si
volta verso di me, fissandomi con degli occhi che sembrano aver visto
il
demonio in persona,-Non hai idea di quanti orrori si è
macchiata la Shinra durante
il suo terribile dominio; di quanta
gente è stata sacrificata nel nome del
“Progresso”; di quanta sofferenza ne è
stata causa. Quella via che credevo sacra e pura, non è
altro che la fonte del
potere corrosivo e distruttivo di una Calamità peggiore di
Jenova stessa, piegata
ai biechi scopi di schifosi porci
senz’anima. E quella via è stata lastricata dal
sangue dei miei genitori, di
Lucrecia, di mio figlio e di tutti quegli innocenti sacrificati sul
lurido
altare del dominio assoluto.-
Io sono
scioccato, sebbene penda letteralmente dalle sue labbra. Non mi sarei
mai
aspettato che Vincent Valentine mi raccontasse la storia della sua vita
di sua
spontanea volontà; non dopo quasi averlo preso a schiaffi
per farmi dare una
risposta monosillabica, la quale, tra l’altro, sarebbe la sua
specialità. E mi
sconvolge il disprezzo quasi viscerale che trabocca da ogni sua frase.
Non è da
lui mostrare ciò che ha dentro. Ma, in fondo, chi sono io
per dire di conoscere
davvero Vincent Valentine? Alla fine, realizzo: la creatura in rosso
nasconde
in piena vista lo specchio di un giovane uomo, pieno di passioni e
rimpianti,
desideri e delusioni, aspettative e amarezze. Non è diverso
da me, o da Cid, o
da Barret, o da Tifa o da qualunque altra persona sulla faccia del
Pianeta.
“E’
una visione fugace e rarissima; pochi
sono così fortunati da vederla.”
-E per
tornare alla tua domanda, sì, io sono fiero di lui,
perché è riuscito dove io
ho fallito. Ha messo la famiglia più potente del Pianeta in
ginocchio, ripagandoli
con la loro stessa moneta.-, noto un brivido di soddisfazione
acutizzare un
angolo della sua bocca, neutralizzato subito dopo da un altro
pensiero,- Ma
finché Jenova esisterà, loro saranno sempre in
grado di rialzarsi. E’ per
questo che LUI ritorna. Per stroncare ogni volta il loro orgoglio. E
per farlo
deve poter rifluire al Lifestream, così da non cadere vivo
nelle mani di Rufus.
E tu sei l’unico capace di odiarlo abbastanza da
sconfiggerlo.-, prende fiato e
torna ad osservare il mare, malinconico,-Lui ama fino a distruggere
tutto. Può
sembrare una maledizione, lo so, ma, a volte, la distruzione
è il modo migliore
per ricominciare.-
La veemenza
con cui proferisce quelle frasi e la luce affascinata in quegli occhi
vermigli
c’inorgoglisce sempre più. Sephiroth esplode di
fierezza nel comprendere che
suo padre lo conosce molto meglio di quanto credesse; mentre io non
posso far
altro che sentirmi ammaliato dall’incredibile carisma di
quest’uomo.
E’ come TE, penso, mentre un largo
sorriso increspa le mie labbra.
-Che cosa
hai da sorridere?-
Scuoto la
testa e mi metto a ridacchiare.
-Se avevo
dei dubbi, ora non ne ho davvero più. Sei proprio il padre
di tuo figlio.-
Vincent mi
rivolge un sorriso mesto e un rapido flash compare, sovrapponendo la
figura di Sephiroth
con quella dell’ex-Turk. Evelyn non è riuscita a
trattenere il suo stupore, rivedendo
le stesse espressioni del suo amato in un altro uomo.
Si assomigliano
così tanto,
mi sussurra
il vento.
-Vorrei
poterlo conoscere abbastanza per convincermi di questo fatto.-
-Beh, potrei
dire lo stesso di te. E’ la prima volta che ti sento parlare
per più di dieci
minuti di fila.-
Il pistolero
sorride, liberando anche uno sbuffo divertito; dopodiché
rimaniamo qualche
minuto in silenzio, a contemplare la lenta discesa del sole verso
l’orizzonte
immoto, il quale comincia ad assumere le sfumature del fuoco.
-Credi che
sia saggio mostrare un oggetto del genere a uno sconosciuto?-
-No, ma non
abbiamo altra scelta. Tutto quello che abbiamo sono una foto e stralci
di memoria.
Wutai è immenso. Questo posto potrebbe essere ovunque. E
poi, non dobbiamo
destare sospetti. Se Reeve sapesse del mancato recapito potrebbe
indagare e io
non voglio che Tifa e gli altri sappiano dell’esistenza di
quel libro.-
-Anche
perché ti spellerebbero vivo.-
-Probabile.-
-Se Yuffie
non fosse così chiacchierona, avremmo potuto chiedere a lei.-
Il pensiero
della ninja mi avvolge come un gelido fazzoletto di dispiacere. Mi fa
capire
quanto la situazione sia tragica, se nemmeno lei riesce a concedersi un
sorriso. E spegnere la sua esuberanza non è da tutti! Anche
se ora spero che
questa sia tornata e l’abbia messa al servizio di Tifa. Posso
solo immaginare
la disperazione che alberga in lei, in questi giorni. Spero solo non le
venga
in mente di mobilitare tutti i membri degli AVALANCHE per rincorrerci
per tutto
il Pianeta, sebbene il suo messaggio di qualche giorno fa non lasciasse
presagire quest’intenzione; ma lei non è tipo da
resa. E’ una ragazza
incredibilmente forte, piena di risorse, combattiva, fiera…
una strana
sensazione di dejà vu mi pervade, strappandomi un sorriso.
Come te, Evelyn.
Già, solo
un
tipo di donna può sopportare di stare accanto a un eroe.
Donne capaci di stare
in disparte, ma comunque in grado di far sentire la propria presenza.
Sono loro
la fonte della nostra forza, l’unica motivazione che ci
spinge a superare ogni
limite, le uniche a ricomporre i legami che cerchiamo di recidere, con
amore e
pazienza. Sono sicuro che Tifa non si sia arresa al mio silenzio e, ben
presto,
saremo braccati dall’AVALANCHE e dalla WRO, posso
scommetterci. Per questo, io
e Vincent cerchiamo di mantenere un basso profilo e viaggiare secondo
mezzi
alternativi.
La nave
emette un lungo fischio rombante, ridestandomi dai miei pensieri. Mi
volto verso
prua e scorgo una lunga sagoma scura stagliarsi frastagliata per tutto
l’orizzonte. Icicle Area.
-E’ ora
sbarcare, amico mio. Prossima tappa: Modeoheim.-
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14 Aprile XXXX
Hanami, tradizionale usanza wutaniana di
godere della bellezza della fioritura degli alberi di ciliegio, o
sakura.
Così sterilmente, il dizionario mi
spiega il
significato di questa parola. Eppure, passeggiando per
l’hanamaci nobiliare,
“hanami” acquisisce tutt’altro tono.
Sebbene sia stato molte volte in Wutai
durante la pace, non ebbi mai occasione di ammirare la bellezza e la
delicatezza di quei fiori così meravigliosi. La durata della
loro vita è breve,
fugace, effimera, eppure ogni goccia di vitalità viene
sfruttata fino
all’ultimo istante. Ogni alba, ogni impollinata, ogni risorsa
può essere
l’ultima per queste dame della Primavera, ma loro,
imperturbabili all’ironia
del tempo, mostrano al mondo tutta la loro bellezza, senza risparmiare
nulla;
perché la vita è un dono così prezioso
quanto fragile, il quale va goduto fino
all’ultimo respiro. Un insegnamento che in tanti hanno
provato a inculcarmi, ma
io non ne ho mai compreso appieno la ragione. Solo oggi, passeggiando
tra
quegli splendidi alberi in fiore, ho potuto capire. Ho lasciato che le
mie
preoccupazioni fluissero via dalla mia testa, abbandonandole, per un
attimo,
all’abbraccio del vento. Esso mi accarezzava la pelle con un
tocco delicato,
quasi timido, appagando il mio odorato con il profumo dolcissimo e
fresco dei
sakura attorno a me. Mi sono sentito rigenerato, spensierato. Raramente
ho
provato una tale sensazione di leggerezza, non dopo una vita intera di
doveri e
responsabilità. Sarebbe stato tutto perfetto se solo avessi
avuto la
possibilità di lasciarmi andare ad un riso liberatorio. Se
solo avessi avuto
una persona con cui condividere tutto questo al mio fianco…
Una persona che non
mi giudica dalla divisa nera o dalla Masamune intrisa di sangue. O dal
muro
d’indifferenza che ergo contro il mondo…
Ma, quella persona, non c’è più. E io
non ho
mosso un dito per riprendermela; anzi direi di aver fatto tutto il
possibile per
allontanarla da me. Era così degradante per un uomo del mio
status strisciare
nel buio della notte per stare con la donna amata, soprattutto quando
sentivo
di meritarla più di qualunque altro; invece ero costretto a
fuggire di fronte a
un omuncolo insulso e viscido. Io, il Generale
dell’élite SOLDIER, abituato a
camminare a testa alta tra l’ammasso di grigiume e
mediocrità che costella questo
Pianeta morente, mi nascondevo, come un topo di fogna, nei vicoli bui e
luridi;
mentre un’immeritevole bestia lussuriosa mostrava le sue
conquiste alla luce
dei riflettori. Era un’umiliazione insopportabile, ma il
disperato Bambino
bisognoso di amore sopperiva là dove l’Eroe e la
Bestia avrebbero preferito
arrendersi, nutrendosi di ogni goccia di bellezza ed eleganza che
Evelyn era in
grado di donarci ogni giorno. E, per quanto sia frustrante non poter
più godere
della sua compagnia, anche il solo starle accanto è
abbastanza per quel
piccolo, sciocco orfano. Ma, l’uomo, avrebbe voluto di
più.
Oggi, tra quei petali grondanti di vita, il
mio occhio è stato attirato, inevitabilmente, verso di lei.
Agli occhi di un
inesperto, quella geisha, fluttuante all’interno di uno
splendido kimono
candido e innocente, sarebbe sembrata allegra e lieta
nell’osservare che le
bellezze della sua terra non sono andate perdute a causa della guerra,
ma hanno
continuato il loro corso più forti e determinate che mai.
Avrebbe visto una
luce risplendere in quei suoi occhi di giada, mentre rivolgeva uno
sguardo
languido al suo annoiato accompagnatore; oppure avrebbe frainteso la
risata
cristallina scatenata da uno stupido commento fuori luogo. Ma io so. So
cosa
c’è dietro a tutta quell’ostentazione di
quietudine e spensieratezza. Non mi
sono sfuggiti i suoi sospiri o le sue espressioni buie. Nemmeno le
rapide e
discrete occhiate dirette nella mia direzione, ghermite dai famelici
pozzi di
mako. So che avrebbe voluto che il suo braccio fosse avvolto attorno al
mio,
che i suoi passi fossero sincroni ai miei, che la persona da
meravigliare e
istruire fossi io. Il dispiacere era tale da non impedire a lacrime
amare
troppo ostinate solcare la sua guancia incipriata, che lei,
rapidamente, si
premuniva a scacciare discretamente dal viso con un movimento fluido e
sensuale.
Dopodiché, distoglieva lo sguardo e celava la sua mestizia
dietro la maschera
mozzafiato dell’infallibile geisha Sakura, la quale ha ben
poco del piccolo ed
effimero fiore omonimo. La rassomiglio più a
un’edera velenosa, un parassita
infestante stretto attorno al fragile animo di una donna sempre
più sopraffatta
dagli eventi. La sto lasciando appassire tra le cure di un uomo che di
dolce ha
solo il conto in banca.
Non sono mai stato un gran giardiniere. In
fondo, la vita è affare che non rientra nelle mie
competenze, nemmeno se sono
io stesso a crearla.
+
Quella croce mi si è marchiata a fuoco
nella
mente, strappandomi il fiato dalla gola peggio di una spada tra le
budella. La
vedo ovunque, come una persecuzione o un infausto presagio che mi
accompagna ad
ogni passo compiuto, che abita i miei incubi, che m’impedisce
di mangiare. Eppure,
il suo significato non potrebbe essere più
differente…
-Sephiroth?-
Qualche settimana
dopo il nostro litigio,
passate in
missione, ritornai a farle
visita, al fine di porgere le mie scuse e chiarire i fraintendimenti
del nostro
rapporto. Non le avevo in alcun modo fatto sapere del mio rientro,
così da
evitare il tanto temuto rifiuto. Lei, infatti, non mi stava attendendo
e la sua
stanza era vuota. Iniziai a passeggiare in tondo, ripassando
mentalmente il
discorso preparato durante il viaggio di ritorno; quando, ad un certo
punto, la
mia attenzione venne attirata verso il bagno, la cui porta era stata
lasciata
aperta. Il particolare su cui i miei sensi si focalizzarono fu una
piccola
striscia bianca svettare sul pavimento di legno, ai piedi del lavabo.
Avvertii
un disagiante senso di gelo attanagliarmi le ossa, un segnale ben
preciso che,
però, decisi d’ignorare. Sapevo di stare andando
incontro alla mia rovina, ma
quel minuscolo stick bianco mi chiamava a sé, nemmeno fosse
stata una calamita.
Mi fermai proprio sopra di lui e lo fissai per un lunghissimo istante.
Il
destino aveva voluto che quel dannato affare fosse atterrato proprio
dalla
parte del responso rivolta verso l’alto.
Dentro di me il significato di quella croce
era lampante come 2+2 fa 4, ma il mio cervello non riusciva, anzi, non
VOLEVA
elaborarlo.
Lo raccolsi, nell’esatto momento in cui lei
rientrò.
-Che
cos’è
questo?-
Evelyn mi fissava sbigottita,
incredula che
io, alla fine, mi fossi arreso e avessi strisciato al suo cospetto a
invocare
il suo perdono. Credo che sarebbe stata felice
dell’iniziativa, soprattutto
dopo settimane di ostinato silenzio, peccato per il tempismo. Avvertii
distintamente
il suo fiato mozzarsi, osservandomi emergere dal bagno con quella bomba
in
mano.
-Io…
Non ti
aspettavo! Oh, devo essere un disastro… Devo…-
Mi rivolse un sorriso nervoso,
così da
distogliere la mia attenzione sulle gote imporporate, solcate da
lacrime di
mascara nere. Gli occhi, pesti e sbigottiti, erano rossi e rigonfi,
coperti da
lunghe ciocche corvine, scappate all’acconciatura
improvvisata e disordinata. I
suoi abiti assomigliavano a un’accozzaglia di stracci dalla
foggia preziosa e
raffinata, tanto erano scompigliati e indossati alla bell’e
meglio. Quella
figura mi confondeva: riconoscevo i pezzi di quel mondo misterioso e
bellissimo
costruito dall’eleganza di una danza, lo sciabordio
voluttuoso di sete
pregiate, la melodia ticchettante di uno shamisen accompagnato da un
dolcissimo
e soave canto; ma, in quel momento, non mi erano mai sembrati
così dissonanti,
così imperfetti, così… terreni.
Sotto
il mio sguardo silenzioso, l’angelo, regnante perfetto del
nostro mondo di
sospiri, si dissolse, mostrandosi in tutta la sua crudezza. E mai, come
in quel
momento, avvertii la profonda affinità che ci legava
l’un l’altra. Avrei voluto
correre da lei e stringerla a me, sussurrarle che sarebbe andato tutto
bene,
baciarla, accarezzarla, ricambiare l’affetto donatomi mesi
prima; ma qualcosa
si sarebbe interposto tra noi, indesiderato. Ella si gettò
davanti allo
specchio da toilettatura e cominciò ad armeggiare con
trucchi e pettini; ma le
sue mani tremavano così tanto da non riuscire ad afferrare
nulla. Mi dava le
spalle, tuttavia, la mia attenzione rimbalzava sullo specchio e la
fissava
dritta negli occhi. Ruppe una boccetta di profumo maldestramente e
rovesciò
l’intero vasetto di cipria bianca, prima di affrontarmi. La
vidi portare la
mano al viso, nel vano tentativo di darsi un ritegno. Si
lasciò scappare un
singhiozzo, prima di appuntare lo sguardo sul mio riflesso.
-Non
guardarmi…-
Era straziata. Vulnerabile.
Scoperta.
Pericolosamente esposta. Una belva in trappola, la quale tenta in ogni
modo di apparire
forte anche quando è chiusa all’angolo. Mascherare
le difficoltà dietro a una
realtà di falsa perfezione. Sakura le è entrata
nell’animo molto più in
profondità di quanto Evelyn non riesca ad ammettere.
-NON
GUARDARMI!-
Mi
urlò contro, strozzata, tentando di
mostrare una determinazione di cui non ne possedeva nemmeno un
briciolo. Si
voltò, guardandomi direttamente negli occhi, ma la sua
rabbia cedette sotto la
pesantezza del mio sguardo. Capì di non avere più
scampo: ogni suo segreto era
stato svelato, ogni sfumatura del suo animo studiato, ogni sentimento
compreso
e catalogato. Inaccettabile. Lacrime incontrollate iniziarono a cadere
sul
pavimento, mentre lei crollava su se stessa, in un ultimo atto di
pudore. La
sua fortezza di bugie era stata infranta e distrutta con un solo unico,
lungo,
severo sguardo. E, quello stesso sguardo, è penetrato nel
suo animo, violando
selvaggiamente i suoi preziosi segreti. Una scena quanto mai simile a
uno
stupro efferato…
Evelyn si
portò una mano al viso per
preservare quel minimo di dignità rimastole e
l’altra… non saprei dire se
quell’azione venne dettata da un preciso intento o fosse solo
un riflesso
condizionato, ma quelle dita appoggiate su quel grembo mi scatenarono
un
brivido gelido lungo la schiena. Strinsi lo stick con più
veemenza e deglutii
più e più volte. Sebbene avessi in mano la prova
definitiva, quel gesto
costrinse il mio cervello a non ignorare più
l’evidenza.
Incinta
Appena
quella parola attraversò il cranio,
il cervello, che fino a quel momento era rimasto ammutolito, esplose,
riversando sul corpo una dirompente ondata di ansia, la quale, per
poco, non mi
stroncò. Mi resi conto che, chiunque sia il padre, quel
bambino non era il
benvenuto. Il Presidente non si sarebbe mai sobbarcato
l’onere di crescere un
figlio concepito con una, come la definisce lui, “cagna con gli occhi a
mandorla”. Se, invece,
il nascituro fosse mio…
Un senso devastante di
nausea mi attanagliò
-e mi attanaglia ancora- le viscere al solo pensiero di quello che
potrebbero
fargli… Ucciderlo. O peggio…
Il fiato si
appesantì, mentre il mio stomaco
si attorcigliava su se stesso. Tante opzioni, tante
possibilità, tanti bivi si
profilavano nella mia mente e tutti portavano verso a una conclusione
peggiore
della precedente. Il pensiero che quel bambino potesse subire il mio
stesso
identico destino, se non peggiore, diventò un macigno
insopportabile. Non
potevo accettarlo. Era semplicemente inconcepibile; quindi, per quanto
mi
ferisse quella decisione, c’era solo una cosa logica da
fare…
-Abortisci-
Quella parola rimase sospesa nell’aria
come
il riverbero di una lama. Mi resi conto solo dopo pochi istanti che il
silenzio
piombato sulla stanza era dovuto al fatto che entrambi smettemmo di
respirare.
Mi pentii subito della condanna decretata, ma dentro di me sentivo che
era
l’unica soluzione. Sapevo anche che Evelyn non l’
avrebbe mai accettata.
Come volevasi dimostrare, lei sollevò
lentamente il viso e, appena i nostri sguardi s’incontrarono,
vidi l’Inferno
trasudare da quegli occhi smeraldini.
-Come
puoi
chiedermi questo?-
La consueta voce angelica era
svanita, distorta
da un rabbia e un disprezzo infinito, i quali mi penetrarono nel cuore
alla
stregua di un coltello. Lentamente, avvertii il senso di colpa
dilaniarmi la
carne, spaccare le ossa, sventrare gli intestini, artigliarmi il
cervello. Come
potevo aver formulato una richiesta cotale? Che diritto avevo io di
dirle come
comportarsi per far fronte a questa situazione? Non lo so, ma
razionalizzai il
disagio considerando Evelyn incapace di pensare lucidamente, come
dimostravano
le mani incrociate sul quel grembo marchiato da un destino nefasto. Mi
aggrappai disperatamente a questa constatazione, così da non
cedere alla pietà.
Quell’ammasso di cellule incontrollate era un errore.
Un errore che
avrebbe distrutto tutte le macchinazioni, tutti gli intrighi, tutti gli
accordi
redatti per proteggere la
fragilità di
questo piccolo mondo di donne; entro il quale la nostra bolla di
vacillante
felicità viene sospinta dai flutti crudeli del marciume del
Pianeta, diretta
chissà verso quale destino. Concetti che Evelyn sembrava
aver dimenticato. Forte
di queste certezze, mi distaccai, divenendo sordo e cieco a qualunque
sentimento di compassione o misericordia. Spietato, freddo,
calcolatore: l’Eroe
aveva costruito la sua barriera.
-Io non
te
l’ho chiesto. Te l’ho ordinato.-
L’ira di Evelyn si
spense rapida,
così come
era nata, lasciando spazio allo stupore. Boccheggiò per
qualche istante,
incredula. Vidi i suoi occhi squadrarmi da cima a fondo, alla ricerca
di un
qualunque tentennamento; ma, dalla sua espressione rabbuiata, capii che
non ne
trovò. Nessuna crepa nel gelido muro eretto contro di lei,
nessun supporto alla
sua causa persa in partenza, nessun interesse nei confronti della vita
che
cresceva all’interno del suo ventre. Eppure, qualcosa, dentro di me,
urlava il proprio
disprezzo.
Quante vite incolpevoli ho spezzato senza
alcuna ragione precisa?
Quante volte del sangue innocente ha
sporcato le mie mani?
Quanti bambini gravano sulla mia coscienza?
Centinaia, se non migliaia. E io avrei
dovuto farmi degli scrupoli per un indefinito ammasso di cellule? Non
sarebbe stato
nemmeno definibile “essere umano”, pertanto
sprovvisto di una qualsiasi volontà
di vivere o coscienza di sé. Non credo si rendesse conto di
essere vivo.
Allora, perché quel senso di disagio corrodeva le mie
certezze dall’interno?
-Non stai
dicendo sul serio…-
Di
fronte al
suo gelido silenzio, lacrime di disperazione inondano nuovamente le mie
guance.
Studio, incredula, il viso imperturbabile e remoto dell’uomo
di fronte a me,
nella speranza di carpire un minimo segno di cedimento, ma capisco che
di
umano, in lui, non v’è più nulla. Un
Dio impietoso si è sostituito all’uomo che
amo, unica roccia a cui aggrapparmi, decretando, senza alcuna
pietà, il destino
del mio bambino. Mi sento impotente, incapace. E sola. Terribilmente
sola. Incrocio
quelle spietate iridi risplendenti nella penombra della stanza e una
domanda
assurda, quanto inaspettata, si delinea nella mia mente, spazzando via
tutta la
nebbia d’insicurezza che mi aveva ammantato la mente:
chissà se anche lui avrà
degli occhi simili? A quel punto, mi rendo conto di essere al cospetto
del
potenziale aspetto che potrebbe avere mio figlio e avverto il mio cuore
perdere
un battito.
Sarebbe un
bambino semplicemente stupendo… Dai capelli color della luna
e gli occhi di
giada, magari con il mio sorriso ad adornare i suoi lineamenti
leggermente
occidentali. Già me lo immagino, sorridente e spensierato,
giocare nell’acqua
di un lago o scorrazzare per le vie di un piccolo paese di montagna,
mentre
ride come solo lui sa fare. Sarebbe un bambino dolce e affettuoso,
pieno di
energie e curiosità. E lo amerei con tutte le mie forze,
fino alla fine dei
miei giorni.
Perché per
suo padre non è così? Che cosa spinge un uomo a
rinunciare al dono più bello
che la vita può regalargli? Forse non si rende conto di
quanto questa creatura
sia reale, di quanto sia dirompente la sua voglia di lasciare un segno
nel
mondo. Ne ho potuto constare la potenza già dalle prime
nausee, dalle prime
strane voglie, dalla primo test di gravidanza. Non è solo un
ammasso di
cellule, ma un essere vivente che cresce, mangia e ama.
Perché, allora,
negargli il diritto inalienabile della vita? Questo bambino non ha
colpe: non
riesco a vederlo nemmeno come un errore. Dopotutto, per anni i dottori
mi hanno
detto che, a causa degli abusi subiti nell’infanzia, non
avrei mai potuto avere
dei figli. E ora, come un miracolo, quel sogno creduto irraggiungibile
è
diventato realtà.
Avrò un
bambino… e io sarò sua madre, colei che ha il
dovere di proteggerlo, a
qualunque costo.
Appoggio le
mie mani sul grembo e posso avvertire un’impercettibile
scossa pervadermi le
dita. Sorrido. Non sono sola… Non lo sarò mai
più.
-Se
le cose stanno così, allora fate conto di non avermi mai
conosciuto. Sparite dalla mia vista e non osate cercarmi
più...-
Quella fu la nostra ultima discussione, la
quale decretò la fine del nostro rapporto. Finalmente, lei
era libera. Libera
dalla mia paranoia, dalla mia gelosia, dalla mia violenza latente. Alla
fine,
il problema ero io, fin dall’inizio.
Non ho saputo mettere da parte l’orgoglio,
anteponendo il mio benessere al suo.
Ho sempre sminuito lo sforzo enorme che lei
compiva per incastrare e armonizzare tutti gli aspetti della sua vita,
con la
presunzione che le sue priorità non fossero importanti
quanto le mie.
Pretendevo che lei fosse solo mia, quando
era evidente che non lo sarebbe stato mai. Ero così
ossessionato dall’invasione
del Presidente, da non rendermi conto che lei mi aveva già
posto al centro del
suo mondo.
Ero la sua roccia, il suo faro nelle
tenebre, l’unica persona capace di donarle il conforto
necessario per
affrontare ogni nuovo giorno, e, quando mi ha dato la
possibilità di diventare
qualcosa di più, ho avuto paura e le ho voltato codardamente
le spalle,
ferendola nei modi più cruenti possibili.
Lei ho chiesto di abortire… le ho chiesto di
uccidere il frutto del nostro amore. Ho chiesto a una donna, dichiarata
infeconda da numerosi medici, di uccidere l’unica
possibilità di adempire il
ruolo per cui la natura l’ha destinata. Lei aveva bisogno di
me. Stava
piangendo quando l’ho sorpresa rientrare. Era spaventata, non
sapeva come fare
a risolvere la situazione. Io ero lì, nonostante gli attriti
sorti nei giorni
precedenti, io ero tornato per stare con lei. Invece, l’ho
delusa. Le ho
sputato letteralmente in faccia di arrendersi. La soluzione a tutti i
suoi
problemi era la resa. Ma lei non l’ha mai accettato.
E’ una guerriera. Era la
mia guerriera. La mia roccia. Il mio faro.
Ora c’è solo oscurità. Non importa
quanto
colorate siano le insegne al neon dei locali nei sobborghi di Midgar;
quanto
intense siano le luci intermittenti dei lampioni ordinatamente
allineati tra le
vie trafficate della città; quanto attenti siano i fasci
bianchi dei riflettori
di sicurezza; quanto meravigliosi siano i giochi di luci utilizzati
nelle
fontane del Settore 1. Non importa quanto la Compagnia elettrica Shinra
dispensi
energia sanguinante e marcia, ma, senza di lei, il mio mondo
è piombato in
un’oscurità densa e vischiosa, la quale mi corrode
pezzo per pezzo ogni giorno
passato lontano da Wutai. La Morte stessa alberga nel mio cuore
straziato dal
senso di colpa, facendosi beffe delle vie alberate straripanti di vita,
nell’unico
giorno di lietezza dopo quattro mesi di sofferenza.
Ho potuto starle accanto un’ultima volta, ma
non ho potuta sfiorarla, se non con lo sguardo.
Era meravigliosa, esattamente come la prima
volta che la vidi, avvolta da una delicata pioggia di petali,
trasportati dal
vento fresco e profumato della Primavera.
E oggi, quello stesso crudele vento, ha
sospinto le ali candide di quell’angelo verso un luogo a me
precluso.
Un luogo dove il mio errore verrà dato alla
luce.
*una mano sporca e scheletrica irrompe dal
terreno, affondando poi le luride unghie affilate nella terra smossa e
scura.
La mano fa forza, aiutando un corpo mezzo decomposto ad uscire dalla
sua tomba.
Un lupo ulula alla luna piena, la quale si specchia sulla superficie
perfettamente levigata della lapide di pietra. Su di essa è
inciso un nome:
fortiX, autrice scomparsa.*
OOOOOOOK, so che è un po’ tardi per
l’atmosfera halloweeniana (?), ma si addiceva alla mia lunga
assenza, di cui mi
scuso! Le scuse sono sempre le solite: mancanza di tempo, voglia e
ispirazione,
sono state le principali cause del ritardo, poi se ci si aggiunge la
tesi, le
varie lauree a cui ho partecipato, il Lucca Comix, è un vero
miracolo che sia
riuscita a scrivere un intero capitolo! *si da una pacca sulla spalla
da sola*
Questo capitolo non è lungo come i
precedenti (si ritorna ai soliti standard), perché cmq, qua
la storia si ferma
un attimo.
Per Cloud, cercherò di rallentare un po’
gli svolgimenti, così da mettersi in pari con Seph, anche
perché i suoi saranno
capitoli che userò per far luce su tutta la folle situazione
in cui il nostro
caro chokobo sguazza da ben 18
simpatici
capitoli (evvivaaaa-aaa -.-‘, ndCloud).
Per Seph, beh, la delicata situazione
richiedeva un occhio di riguardo in più. Qui, ho lasciato il
fantasma di Evelyn
un po’ in disparte, così da goderci la frittura
del cervello del Generale in
tutta la sua bellezza! (gentile -.-‘ ndSeph). Ora capite, mie
signorine, come
mai la povera Evelyn è stata tutta bruciacchiata?
Inoltre… fatevi due conti. La
guerra in Wutai sta per finire!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 19 *** Segreti ***
Improvvisamente, qualcosa mi colpisce
dall’interno.
E’ un colpo secco, deciso, quasi prepotente, atto ad attirare
l’attenzione.
Potrebbe essere un comportamento fastidioso, ma non riesco ad impedire
ai lati
delle mie labbra di alzarsi. La patina di malinconia si dissolve,
appena poso
la mia mano sul punto in cui il colpo ha impattato. Lo accarezzo,
mentre la
pelle si tende e si gonfia sotto al palmo, scaldando il mio petto
inaridito
dalla delusione. Non riesco a pensare a null’altro, se non al
futuro che mi
attende, al grandioso atto che tra poco affronterò. Al solo
pensiero, il mio
corpo freme da capo a piedi, caricato d’aspettativa. E di
timore. Il mio
sorriso si spegne, non appena un viso odiato e amato nello stesso tempo
affiora
dalle memorie più remote e, senza risultato, dimenticate.
Alzo gli occhi in
direzione delle montagne, le quali s’ergono possenti verso il
cielo terso e
limpido. Come cancelli austeri e impenetrabili, m’illudo che
possano
proteggermi dal caos e dal male che impesta e avvelena le
realtà là fuori.
Ma per quanto ancora?
La roccia non resisterà per sempre. La
roccia può indebolirsi, la roccia può
corrompersi… la roccia
può crollare.
Come LUI…
LUI che sfidava
apparentemente
impavido l’alba sanguigna all’indomani della Morte.
LUI che soffriva nel
buio e gelido silenzio della sua prigione dorata.
LUI che amava fino a
distruggere.
LUI che ci ha
abbandonato.
Potrò
mai perdonarlo?
Una
luce
fioca e malata irrompe nella camera d’ostello in cui io e
Vincent abbiamo
deciso di alloggiare al riparo da questa fredda notte senza luna. Siamo
entrambi stanchi e sfiancati da questo lungo viaggio verso Modeoheim;
non tanto
per la lunghezza del peregrinare, ma più che altro per la
gravità delle amare
confessioni che quel diario rivela a ogni pagina. Diventano sempre
più pesanti,
quelle parole, sempre più cariche di risentimento
e… rimpianto. Ve ne è
talmente tanto da spaccare un cuore letteralmente in due. Benedico ogni
giorno
il mio saggio istinto, il quale mi ha consigliato la
necessità di avere un
compagno d’avventure. Da solo, mi sono accorto, non ce
l’avrei mai fatta. Forse
questa idea non è stata del tutto farina del mio sacco, ma
qualcos’altro mi
abbia guidato verso quella scelta. Probabilmente, o Sephiroth o Evelyn
sapevano
che la mia già debilitata salute non avrebbe retto alla
mente del Generale.
Essa è troppo profonda e troppo oscura per sopravviverci.
Perfino il
proprietario soccombette a se stesso.
Sospiro
pesantemente, mentre l’ultimo quesito posto da Evelyn mi
lambicca il cervello.
Mi rendo conto che le sofferenze che io e lei abbiamo subito a causa di
Sephiroth non sono poi così differenti l’una
dall’altra. Entrambi vedevamo in
lui un motivo per osare, ben consci che, in un modo o
nell’altro, lui sarebbe
sempre stato accanto a noi, a spronarci. Lui era il nostro modello, la
nostra
indistruttibile roccia a cui ancorarci in caso di bisogno, certi che
avrebbe
retto a qualunque cosa. Ma sia io che Evelyn non ci eravamo accorti di
quanto
le voragini e le fratture scavate da anni e anni di colpi mancini ne
avessero
compromesso la struttura apparentemente solida e temprata.
In
realtà,
non poteva essere più fragile di così. Infatti,
pian piano la roccia ha
iniziato a franare; pezzi sempre più consistenti hanno
abbandonato la cima fino
ad accumularsi a valle, fino a che… tutto crollò.
E il male in essa contenuto
ha distrutto tutto, fino alla più piccola luce di
bontà.
Potrò mai perdonarlo…
E’ una domanda a
cui trovare risposta è difficile. Perdonare un uomo capace
di azioni così
mostruose sarebbe logico infliggergli una pena atroce e spietata per
l’eternità, però, se si guarda con
più attenzione, si può dire che non è
stato
l’uomo a non volere quegli atti, bensì il mostro
che risiedeva in lui. Troppi
traumi e sconfitte hanno portato l’essere umano alla
prostrazione. Se ripenso
alle sue imprese, noto con quanta cura egli s’impegnava a
danneggiare meno vite
umane possibili. Le proteggeva a ogni costo, come se ne andasse della
sua
stessa esistenza.
Anche
un’altra persona teneva un comportamento simile.
Aerith.
Forse
non
erano così diversi l’uno dall’altra:
semplicemente, lui usava un altro modo per
proteggere la vita. Un modo distorto e, alle volte, nemmeno definibile
vitale,
in quanto distruttivo e disumano, ma… se ci si pensa bene,
un vulcano distrugge
ogni cosa sul suo cammino, però il terreno lavico non
è forse quello più
fertile di tutti?
Amava fino a distruggere…
Probabilmente
è per questo che ti ha lasciata. Egli si rendeva conto di
non essere in grado
di curare una vita così preziosa. Una vita che,
miracolosamente, era riuscito a
creare lui.
Era
riuscito
a creare… E’
un verbo che non gli si
addice per niente. La prima cosa che mi viene in mente appena il suo
ghigno
demoniaco fa capolino tra le mie memorie è sangue, seguito
poi da una sequela
cruenta di morti violente e distruzione gratuita… E infine,
odio. Odio puro e
avvolgente, molto simile a quello che risplendeva in quelle malefiche
iridi
serpentine, mentre il sangue della donna che mi ha messo al mondo
bagnava
quella pelle di porcellana, su cui i riflessi del fuoco creavano un
intrico di
luci e ombre che distorcevano quei lineamenti solitamente
così imperturbabili e
granitici.
Scuoto
la
testa nel tentativo di dimenticare quel viso e la ragione per cui non
dovrei
lasciare tutto e tornarmene alla mia vita. Sempre che ne abbia avuta
una…
-
Non
crucciarti, Cloud. Domani arriveremo a Modeoheim e tutte le nostre
domande
potrebbero trovare risposta. Ora, riposati. Ci aspetta un lungo viaggio
in
pullman. -
La
voce
atona e calma di Vincent scaccia via, per un attimo, tutti i brutti
pensieri
formulati sinora. Automaticamente annuisco e mi dirigo verso il letto,
mentre
il pistolero, con la cura di una mamma premurosa, chiude le tende,
così da far
piombare nel buio assoluto l’intera stanza. Questa
oscurità dovrebbe aiutarmi
ad addormentarmi, invece non fa altro che amplificare la mia angoscia
nei
confronti del bambino. Quello stesso bambino di cui mi pare di
avvertire l’eco
della sua presenza attraverso le sensazioni trasmesse da Evelyn. Temo
che non
sarò in grado di trattenere la mia spada. Temo che il
Pianeta voglia usarmi per
eliminare l’ultimo respiro del Generale con un solo, secco,
colpo della Buster
Sword, la spada ideata per eliminare Jenova e tutti i suoi figli.
Normalmente
non mi farei troppi scrupoli nell’eliminare quei rimasugli
malati e marci da
questo mondo, ma… questo è diverso. Ho fatto i
calcoli e ad oggi dovrebbe avere
tredici anni. Poco più di un bambino, il cui crimine
più grande è discendere da
una stirpe di distruttori. Non lo si può nemmeno definire
abominio, anzi, credo
che potrebbe essere la prova vivente che Jenova e Pianeta possono
vivere in
perfetta sintonia.
Apro
gli
occhi e mi alzo di scatto, abbandonando il tormentato dormiveglia.
-
Cloud! Che
ti è preso?!-
-La
morte di
Evelyn non è stata un incidente! -
-Cosa?
-
-Pensaci,
Vincent. Sephiroth, la reincarnazione più perfetta della
Calamità, ingravida
una Cetra…-
-Non
siamo
sicuri che lo sia stata…-
-Non
importa! Se questo bambino ha davvero visto la luce, come auspichiamo,
sarebbe
la prova definitiva che, in realtà, è il Pianeta
a essere il male che da anni
cerchiamo di combattere. -
-La
mancanza
di sonno non ti sta facendo bene, Cloud. Stai dicendo davvero che
Aerith è il
male e Sephiroth è il bene? -
Rimango
un
attimo interdetto, rendendomi improvvisamente conto di quanto il mio
punto di
vista possa essere cambiato in queste settimane. Ero partito da odiare
profondamente quell’uomo con ogni goccia di forza disponibile
che ho in corpo,
fino ad arrivare a rinnegare perfino le grandiose azioni compiute dalla
donna
che ho amato. Ma, anche una nuova consapevolezza ha preso corpo e
mente:
nessuno merita così tanto dolore. Nemmeno Sephiroth, il
quale si è sempre
prodigato per un Pianeta che voleva solo la sua caduta.
La
mia
espressione si fa seria e il mio sguardo si carica di una
determinazione che
nemmeno credevo di avere:
-
Bene.
Male. Sono solo parole. Punti di vista che cambiano come il giorno e la
notte.
Un metodo di comparazione un po’ troppo fumoso, non trovi? E
se considerassimo
solo quello che un uomo può fare e ciò che non
può? Sephiroth avrebbe potuto
distruggere il Pianeta ben prima della mia nascita, invece ne ha
sopportato le
crudeltà, gli squallori, i marciumi di una realtà
in lenta decadenza. Ha
osservato in silenzio l’odio, la rabbia e il dolore che gli
riversavano
addosso, quando avrebbe potuto eliminarli un volta per tutte. Ha amato
persone,
certo che prima o poi lo avrebbero abbandonato, quando avrebbe potuto
isolarsi
dal mondo intero. Ha resistito, quando avrebbe potuto mollare. Lo hai
detto tu
stesso: ama fino a distruggere. E lui ha distrutto se stesso,
affinché il
Pianeta potesse essere purificato dagli orrori compiuti dalla Shinra
durante il
suo lungo dominio. Aerith ha riabilitato la natura, mentre Sephiroth
gli uomini.
Ha donato loro la sua compassione, la sua volontà, la sua
forza, affinché
imparassimo a rispettare il nuovo mondo creato per noi. –
Quando
finalmente finisco di parlare, vedo sul volto pallido di Vincent
svettare un
enorme sorriso. Sembra quasi commosso e fiero di sapere che io, il
peggiore
nemico di suo figlio, lo rispetto e lo ammiro.
Mio
malgrado
mi accorgo che LUI è e sarà sempre, in un modo o
nell’altro, il mio idolo.
-
Capolinea!
Modeoheim! –
La
voce
greve e strascicata dell’autista mi sveglia dal sonno senza
sogni in cui ero
piombato, maledicendolo con grugniti irritati. Avverto le mie membra
contratte
tentare di reagire alla contorta posizione in cui sono stato per non so
quanto
tempo, lanciando stilettate di dolore in segno di protesta. Giro la
testa e
tendo i muscoli del collo e posso quasi avvertire ogni singola fibra
stiracchiarsi fino a quasi la spalla. L’aria umida del
pullman fa il resto,
permettendo al gelo in entrata dalla porta di penetrare fino alle ossa.
Mentre
attendiamo che gli altri passeggeri scendano, lascio vagare il mio
sguardo
assonnato sul paesaggio attorno a me.
Modeoheim
è
una città rinata. L’ultima volta che la visitai
era solo un ammasso di rottami
arrugginiti ricoperti da una spessa coltre di neve. Non so bene di
preciso cosa
fosse successo, ma probabilmente le estrazioni mako nella zona avevano
compromesso le benefiche fonti di acqua sulfurea, distruggendo
irrimediabilmente il turismo termale della zona. La Bath House aveva
chiuso i
battenti, segnando la morte della città. E ora, dopo la
rivitalizzazione del
Pianeta da parte del Lifestream, le risorse naturali circostanti sono
tornate
permettendo anche alle piccole cittadine montane di ritornare ai fasti
di un
tempo. Le strade sono piene di gente, turisti e non, alle prese con le
faccende
di ogni giorno. I mercati fioriscono sotto la neve appena posata,
vendendo la
loro merce artigianale ai turisti in cerca di ricordi; i negozi
brillano come
le monete sonanti che entrano ed escono ogni secondo che passa, in una
frenesia
impazzita di scambio e ricambio; le luci natalizie adornano le vie in
attesa di
rischiararle non appena il sole morente terminerà il suo
arco discendente al di
là dell’orizzonte. Osservo famiglie dirigersi
verso le piste da sci oppure alla
ricerca di ninnoli da portare ai parenti a casa; giovani coppie
destreggiarsi
mano nella mano tra le bancarelle dei mercatini, oppure stringersi
teneramente
sulle panchine, incuranti del freddo; bambini giocare con la neve,
correndo di
qua e di là, aizzando contro di loro l’ira dei
genitori per la loro noncuranza
nei confronti del traffico o delle altre persone. Scene di vita
quotidiana che
mi donano un po’ di speranza e confermano la bontà
insita nelle azioni di
Sephiroth.
-Su,
scendiamo. –
Obbedisco
e
mi alzo lentamente, avvertendo torpore all’altezza del
fondoschiena e i muscoli
della gambe tendersi all’inverosimile. Nota personale: mai
più viaggi in
autobus.
Appena
metto
piede sulla neve un vento caldo mi avvolge da capo a piedi, mentre
l’odore
penetrante di acqua termale mi dilata le narici e si posa in fondo alla
gola.
Rimango un attimo spiazzato, durante il quale la mia vista un
po’ stravolta
adocchia la fonte di quel curioso vento benefico: sono i fumi
provenienti dalla
ciminiera della Bath House. Lavora a pieno regime a quanto pare. In
effetti,
vedo molta folla dirigersi in quella direzione, chi su mezzi, chi a
piedi. Un
flash mi attraversa la mente, mostrandomi le misere condizioni in cui
versava
in passato. Una baracca arrugginita, devastata dal tempo e dalle
intemperie;
tubi marci e mattonelle rotte, macchiate dal sangue di un uomo giusto.
Piume
bianche e lacrime ricoprono un corpo in decadenza. Il sorriso su quel
viso
stoico si allarga, nel frattempo che il fedele soldato abbraccia la
morte,
conscio di non aver reso orfano il mondo dei suoi insegnamenti. Essi
sono stato
raccolti dal suo aguzzino. Egli è solo un ragazzo, un
cucciolo, un innocente
dal viso sfregiato dalla disperazione di un mostro indesiderato, la
quale lo ha
reso uomo tutto d’un colpo. Fa male, perché
sarebbe dovuto toccare a te, un
tale enorme onere.
Abbasso
lo
sguardo, mentre il dolore mi assalta il cuore.
Amico mio,
perdonami,
perché ti ho deluso.
Mi
sento
strattonare da una parte, lontano dalla folla,
all’improvviso, da un tocco che
non definirei dei più delicati. Senza capire, vengo
spintonato contro il muro
di un vicolo buio e bloccato contro di esso.
-
Ma che ti
salta in mente?! Vuoi farti scoprire o cosa? –
Vincent
è
fuori di sé dalla rabbia, lo posso vedere dalle iridi
sanguigne che fiammeggiano;
tuttavia la sua voce è appena un sussurro. Dal canto mio, lo
osservo con aria
spaesata, scuotendo la testa in segno di diniego.
Il
pistolero
sospira rassegnato, abbassando il capo. La stretta sulle mie spalle si
allenta
e io ringrazio il cielo, perché quei dannati artigli mi
stavano sventrando la
carne. Lo sguardo preoccupato del moro ritorna su di me.
-
Non ti sei
accorto di aver cambiato voce? –
Ora
sono io
a sospirare rassegnato. Di nuovo…
-
No.-, e
rivolgo la mia attenzione verso i piedi,- E non è la prima
volta che mi capita.
Sembra che cancelli dalla mia memoria i momenti in cui lui
s’impossessa di me.
Ho detto qualcosa di compromettente? –
-
No, hai
solo portato il pugno sinistro al cuore e hai detto… -
-
“Amico mio, perdonami,
perché ti ho deluso.”
Lei non lo definisce un comportamento compromettente signor Valentine?
–
Ci
voltiamo
di scatto entrambi nella direzione della voce, pronti a sfoderare le
nostre
armi. Almeno Vincent lo fa, io mi ricordo all’ultimo momento
di essere
disarmato. Lo abbiamo deciso prima di partire, poiché
avrebbe potuto essere
pericoloso per l’incolumità di entrambi mettermi
un’arma in mano, visto la mia
precaria sanità mentale. Inoltre, sarei stato molto meno
riconoscibile senza i
miei giganteschi spadoni appresso. Mi rendo conto, tuttavia, di
sentirmi
completamente inadeguato in assenza un’elsa tra le dita e che
odio dipendere
dagli altri per proteggermi. Comunque, in questo caso, non sono
necessarie
misure drastiche, in quanto il nostro avversario non sembra
così propenso alla
lotta, a giudicare dalle mani alzate e il leggero singulto scappato
subito dopo
il nostro scatto. Anche il suo aspetto non è minaccioso.
Forse un po’ torvo, se
si osserva il vestiario scuro e l’espressione corrucciata
dipinta dietro degli spessi
occhiali da studioso.
-
Oh sì, ora
sì che ragioniamo, signori. Una sparatoria in pieno centro
di Modeoheim è
l’espediente perfetto per non farsi scoprire. –
Lo
straniero
ci canzona con quel tono da maestrina saccente e, in effetti,
l’idea di
sparagli non è così male. Sfortunatamente,
Vincent non è del mio stesso avviso,
in quanto, saggiamente, rinfodera la Cerberus nella fondina, tornando a
nascondersi dietro alla cascata di sangue, celata da un altro e
più ampio
mantello del colore della notte. L’uomo abbassa le mani e
noto solo adesso che
tiene in mano un bastone da passeggio, su cui la sua magra figura
ingobbita si
sostiene. Lo osservo a lungo e sembra affetto da una qualche malattia,
perché
non sembra anziano, a giudicare dalla capigliatura ordinata e nerissima
che
spunta dal cappello di lana. La sua pelle è relativamente
liscia, se si
escludono le rughe più profonde che solcano la fronte ampia,
la base del naso
adunco e gli angoli della linea tirata della bocca. Nemmeno la sua
magrezza
gioca punti in favore della sua età: le guance sono scavate,
gli zigomi
protrudono dal viso rendendolo quasi mostruoso e le orbite sono
così profonde e
scure che gli occhi sembrano quasi cadere dalla loro sede. Essi sono
veramente
inquietanti, a causa del colore nerissimo delle iridi, che li fanno
assomigliare a due grossi pozzi scuri, che, severi, scrutano il mondo
circostante.
Ha
un
aspetto molto famigliare…
-
Chi sei
tu? –
-
Un
intermediario del professor G. Ho il compito di portarvi da lui, quindi
non
perdiamo tempo e andiamo.–
La
voce
dell’uomo ha un tono sbrigativo e diretto. Si capisce subito
che non gli
piacciono i convenevoli e che vorrebbe decisamente trovarsi nel suo
scantinato
a sezionare chissà quale bestia. Io e Vincent ci scambiamo
una lunga occhiata,
ma l’uomo nemmeno aspetta la nostra risposta e si avvia con
la sua claudicante,
ma lesta, andatura.
-
Non mi
piace, Vincent. –
-
Nemmeno a
me, ma se avessero voluto prenderci ti assicuro che lo avrebbero fatto
molto
prima di arrivare qui. –
-
Già. Non
resta che fidarci. Andiamo! –
Ci
lanciamo
dietro quell’uomo e lo seguiamo per un buon quarto
d’ora, durante il quale
attraversiamo un sacco di vicoli e strettoie, fino a quando non
giungiamo a un
grosso pick-up nero, parcheggiato in una piazza secondaria del tutto
deserta.
Ci
fermiamo
a pochi metri da esso, mentre il tizio ci apre il portellone posteriore
e ci fa
cenno di entrare. Noi rimaniamo immobili.
-
Ok,
“intermediario”, chi è questo G? Che
cosa vuole da noi? –
-
Questo non
è il luogo né il momento per le domande. Salite
e, una volta a destinazione, vi
sarà chiarito tutto. -
La
destinazione si trovava a qualche chilometro dalla periferia di
Modeoheim, tra
le fitte foreste di conifere alla base della montagna e la raggiungiamo
quando
il sole è tramontato già da un bel pezzo. Si
tratta di un’enorme villa,
circondata da uno spesso muro di cinta con tanto di telecamere ad ogni
angolo.
L’unico punto d’entrata un pesante cancello nero di
ferro battuto anti
intrusione, con tanto di campanello a lettura ottica e scanner
facciale. Sembra
di stare per varcare la soglia di una base militare…
Attraversiamo il lungo
viale alberato, fino a raggiungere un ampio spiazzo entro cui il
pick-up fa
manovra e si posizione proprio di fronte alla scalinata che porta
all’ingresso
principale. Esso è l’unica parte della casa ad
essere illuminata, a parte una
finestra al piano di sopra, da cui una fioca luce bluastra fa capolino
attraverso lo spiraglio tra le tende. A quanto pare il padrone di casa
ci sta
aspettando davvero impazientemente.
All’interno,
la casa è spoglia ed essenziale. L’atmosfera
è fredda e quasi ospedaliera e una
snervante sensazione di asettico s’intrufola sottopelle,
causandomi un’improvvisa
nausea mista a una sensazione che non riesco a indentificare. Sembra
trepidazione…
Perché? Chi è l’uomo che ci vuole a
tutti i costi qui? Inconsciamente, la mia
mano si stringe attorno alla tasca interna del giubbotto, dove nascondo
il
diario.
Dovranno passare sul mio cadavere per
averti…
La
nostra
guida si ferma di fronte alla scala che conduce al piano di sopra e
inizia a
spiegare.
-
Secondo
piano, terza porta a destra. E’ lì che il
professor G aspetta. –
Muovo
un
passo e Vincent mi fa eco, ma veniamo subito bloccati.
-No,
signor
Valentine. Solo il signor Strife. –
Il
pistolero
fa per protestare, ma io gli faccio cenno di lasciare perdere.
-
Va tutto
bene. –, e tocco la tasca dove tengo il libro, - Non sono
solo. –
Il
pistolero
si rilassa e mi dona un sorriso tirato. Anche se un po’
timoroso, mi avvio da
solo a conoscere questo fantomatico Professor G.
Raggiunta
la
porta indicatomi, giro la maniglia ed entro. L’interno
è fiocamente illuminato
come presagito dall’esterno, ma tutto mi sarei aspettato,
tranne che una stanza
d’ospedale. Ora capisco perché al proprietario non
importa molto
dell’arredamento della casa o della cortesia dei suoi
collaboratori. Il
professor G, almeno quello che credo sia l’uomo steso sul
lettino, riversa in
uno stato comatoso abbastanza serio, a giudicare dalla
quantità di macchine per
il mantenimento delle funzionalità vitali schierate in ogni
lato della stanza.
Cerco di distinguere le fattezze dell’uomo, ma i numerosi
fili e macchinari
m’impediscono la visuale. Cerco di avvicinarmi di lato,
finché non incappo in
un impianto molto inusuale per una camera di un uomo in coma. Vedo tre
proiettori disposti a triangolo in un punto vuoto della stanza, alla
destra del
paziente, collegati a una sorta di elaboratore nei pressi dello
schienale del
letto. Quest’ultima cosa m’incuriosisce e faccio
per avvicinarmi, quando,
improvvisamente, l’impianto si avvia e la figura di un uomo
vestito di un
camice bianco e l’espressione affabile si materializza alle
mie spalle.
Quasi
cado
all’indietro, poiché incappato in un filo vagante,
ma, grazie ai miei riflessi
riesco a rimanere in piedi, anche se le gambe rischiano di cedermi
dalla
sorpresa che pervade il mio animo. Non conosco quell’uomo, ma
Sephiroth lo
riconosce immediatamente.
-
Pro-
professore… ? –
L’ologramma
sorride, provocandomi un lungo brivido lungo la schiena nel constatare
che,
nonostante i baffoni castani, l’espressione è
identica a quella di Aerith.
-
Felice di riverti... Sephiroth. –
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20 Agosto XXXX
Rigiro e rigiro tra le dita questo fiore in
decadenza, sopravvissuto per miracolo a un lungo viaggio in elicottero,
ma che
ora è nella mia morsa mortale si sta lentamente
rinsecchendo. Lo appoggio sul
tavolo e, non so se per mia impressione o realmente, mi sembra quasi
vedere i
petali rivitalizzarsi. Non mi stupirei tanto di questo fatto, dal
momento che è
esattamente così che funzionano i miei rapporti. Perfetti e
rigogliosi
all’inizio, irrespirabili e pesanti poi. Lei, infatti, sembra
rinata da quando
la Shinra è uscita dalla sua vita. Stando ai rapporti di
Tseng, si è trasferita
in un ameno villaggio, dimenticato tra le montagne della catena Hourei,
dove la
guerra non sembra essere arrivata. E’ una piccola
comunità di pescatori sorta
sulle rive di un lago che gli abitanti chiamano Onjin,
‘Benefattore’ nella
nostra lingua. Il tempo lassù sembra essersi fermato
all’epoca feudale. Non c’è
traccia di tecnologia, se non qualche radio vecchia e poco funzionale e
gli
unici rapporti che quella gente lega con l’esterno sono di
tipo commerciale,
scambiando il loro pesce con grano e riso. Hanno una
mentalità molto chiusa e
fortemente tradizionalista, perciò non sembrano molto
inclini ad accogliere gli
stranieri. Tseng, tuttavia, mi ha assicurato che Evelyn è
stata ben accolta,
nonostante l’insorgere si qualche malelingua sul suo stato.
“Ha
raccontato che il padre del bambino è stato ucciso in
battaglia. La gente le ha
creduto e, a quel punto hanno smesso di parlare.
Mi
dispiace,
Sephiroth.”
Questo è il sintetico messaggio
inviatomi da
Tseng, assieme a tutti i file richiesti. Mi ha stupito il modo in cui
egli si
sia preoccupato del mio stato d’animo. Non credevo che dietro
a quella maschera
di completa indifferenza si nascondesse un animo così
sensibile e umano. Non
molto diverso da me in effetti. Ho sempre ribadito il concetto che
fidarsi di
un Turk è l’azione più sbagliata che un
uomo possa fare; tuttavia egli si è
mostrato una persona estremamente corretta e riservata. Sebbene sapesse
di
Evelyn e me, non si è mai sognato di rivelare
alcunché al Presidente. A meno di
non trasformarmi in una pericolosa minaccia per la salute del vecchio,
ovviamente. Compie un ottimo lavoro di sorveglianza per Aerith, per cui
l’ho
ritenuto perfetto per i miei interessi. Tuttavia, non mi sento
tranquillo. Mi è
difficile inquadrarlo. La sua maschera lascia trasparire solo una
minima parte
dell’uomo che è in realtà e, sebbene
finora non mi abbia dato ragione di
dubitare di lui, l’infrenabile voglia di mettere sotto
controllo quell’uomo è
uno dei tanto motivi per cui non riesco più a dormire
più di due ore a notte.
Oltre all’abitudine presa durante la guerra, il primo
pensiero e l’ultimo della
giornata va a quella famiglia che ho creato, ma che non
potrò mai avere. I
fiori che Tseng mi passa sottobanco sono tutto quello che ho per sapere
che
stanno bene e gli scatti criptati inviati a un indirizzo email
superprotetto
sono l’unico modo per vedere il viso di Evelyn e, quando
nascerà, quello di …
Non riesco a trovare il coraggio di scrivere
una parola del genere. Non sento di meritare un dono simile, anche
perché, in
fondo, non lo ho mai accettato. Anzi, credo di aver fatto tutto
ciò in mio potere
per allontanarmene il più possibile, sebbene ora lo rincorra
come un cane con
la sua coda. E’ strano: in me si agitano due diversi istinti,
i quali
combattono come belve rabbiose per avere la meglio. La conseguenza di
ciò è
l’assunzione di un comportamento al limite tra il lunatico e
il bipolare. E,
come tutte le guerre, la sofferenza fa da padrona. Quelle foto che mi
accompagnano alla fine della giornata, mi uccidono ogni giorno che
passa.
Vorrei poter essere lì, accanto a quella donna meravigliosa,
tenerla per mano,
inebriarmi nella sua espressione radiosa e in quegli occhi ricolmi di
speranza;
mentre le nostre mani s’incrociano all’altezza del
suo grembo tondo, impazienti
e nervose. Vorrei parlare a quel ventre, lasciare che le minuscole
orecchie della
creatura all’interno si abituino alla mia voce,
così potrò sorridere davanti
alla sua espressione concentrata, mentre analizza il mio viso, quando
finalmente c’incontreremo. Gli tramanderei le storie
raccontate dal Professore,
così da assicurarmi che la sua infanzia sia piena di colori
e magia; gli riferirei
dei luoghi che ho visitato, delle persone che ho conosciuto, delle
meraviglie a
cui ho assistito. Farei tutto ciò in mio potere per
assicurargli una vita
completamente diversa dalla mia. Eviterei di raccontargli delle mie
riprovevoli, ingloriose imprese. Lo terrei fuori da tutto lo squallore
che ha
rimarcato la mia esistenza, tra cui i parenti a cui sarebbe legato. E,
soprattutto, non avrà alcun rapporto con la Shinra o
SOLDIER. A questo
controverso punto che la mia odiosa razionalità entra in
gioco. Io sono parte
di quei divieti, in quanto io ho contribuito a forgiare il mondo entro
il quale
non voglio che quella creatura viva; per cui, per evitare ogni singola
contaminazione è logico che mi faccia definitivamente da
parte. So cosa vuol
dire crescere senza uno dei genitori, ma conosco Evelyn, e sono certo
che lei
saprà riempire egregiamente il vuoto da me lasciato. In
fondo, è meglio così:
io non sono fatto per amare in modo così incondizionato,
finirei solo per
soffocare entrambi con le mie paranoie. Forse potrei essere un padre
peggio del
mio…
No, lei è libera ora e non voglio
rovinare
la sua ritrovata serenità nel nuovo mondo che sta per
rinascere dalle ceneri
della guerra.
La presa della Shinra sul Paese si fa sempre
più serrata e poco manca al definitivo attacco finale che
porrà finalmente fine
a questo conflitto sanguinoso. L’imperatore sta cedendo alle
lusinghe del
Presidente e il popolo wutainiano sta lentamente accettando
l’industria mako
nella propria vita, volgendo gli occhi il più lontano
possibile dalla
distruzione della propria cultura. Ho visto città
completamente ricostruite,
copie tutte uguali di Junon o Midgar stessa. “L’era
dei guerrieri in spada
e armatura sta per volgere al termine. Oh no! Ci siete ancora voi
SOLDIER. Beh,
qualche rimasuglio di samurai ce lo possiamo anche tenere! Ghaa hahah
ahahah!”
Non posso descrivere le torve occhiate che
ci siamo scambiati Genesis, Angeal ed io, dopo questa battuta fuori
luogo da
parte di quell’imbecille di Heidegger. Tutta la sala a
deriderci, mentre dentro
di me il fuoco esplodeva. Quegli insulsi, inutili, marci, schifosi,
miserabili,
decadenti pezzi di fango. Parlano di vittoria, di potere, di profitti;
ma non
hanno la minima idea di quello che hanno costretto a compiere a
centinaia di
uomini. Li vedo quei soldati, nei miseri e inefficienti
–perché
all’ingratitudine non c’è mai limite-
ospedali militari. Mutilati, nel corpo e
nella mente; incapaci d’inserirsi in una società
che non riconoscono più;
tormentati dalle persone che hanno ucciso; traumatizzati dai compagni
visti
cadere nei modi più truculenti, terrorizzati da ogni singolo
rumore. Molti di
loro impazziscono e vengono spediti in fatiscenti manicomi o
abbandonati nei
Bassifondi, come carne da macello. Per quei pochi che ancora riescono a
tenersi
insieme, stento a riconoscerli. Erano ragazzini immaturi e pieni
d’entusiasmo
quando li vidi la prima volta e, ora… ora sono uomini,
veterani, duri come la
roccia e spietati come belve. Molti di loro non riescono a vivere
lontano dal
campo di battaglia, tanto che hanno preso residenza allo Shinra
Building, tanto
necessitano di respirare l’aria militaresca. Si gettano nelle
missioni a
capofitto e non riescono a stare fermi per più di
un’ora di fila. Anche se
nascondono questa voglia dietro a patriottiche frasi di
libertà e indipendenza,
io posso vederne la vera natura: loro vogliono uccidere.
Lo so. Perché
anche noi 1st la proviamo, per quanto cerchiamo di nasconderla,
è lì, annidata
nel nostro animo pronta a esplodere. Prego che la mia maledizione non
sia
genetica, altrimenti non potrei mai perdonarmi di aver condannato un
innocente
a un tale terribile fato. Speranza quanto mai vana, dal momento che
sono a
conoscenza di parecchie sindromi legate a figli nati da agenti SOLDIER,
dovute
molto probabilmente all’elevata quantità di mako
contenuta nelle nostre
cellule. Molti bambini, infatti, nascono con gravi deformazioni
corporee o
ritardi mentali; in altri casi avvengono aborti spontanei durante i
primi mesi
di gravidanza; oppure, nelle manifestazioni più gravi,
portano alla morte sia
della madre che del feto. La chiamano “SPIM-
Sindrome Prenatale da
Intossicazione da Mako”, ma
volgarmente
ha un nome molto più semplice e spietato: “Bacio
del SOLDIER”. Addirittura, nelle
aree rurali, dove
l’ignoranza dilaga, viene chiamata “Bacio
di Sephiroth”. Come se io fossi il
responsabile della morte
dei loro figli...
E’ terribile essere il protagonista di
così
tante spietate folkloristiche credenze. Sembra quasi che io sia il
fautore di
ogni male che aleggia nel mondo…
Forse è così…
In fondo, che cosa ho fatto di giusto nella
mia vita? Combattuto guerre in nome di una compagnia interessata solo
ad
ampliare il proprio impero, infischiandosene del benessere del Pianeta
da cui
risucchia l’essenza vitale, spacciandola per energia pulita e
sana. Ma non c’è
nulla di pulito, né di sano, perché
quell’energia puzza. Puzza di
sangue, decomposizione e morte. Se si tende l’orecchio si
possono sentire i
versi macabri dei corvi, i quali banchettano su migliaia di corpi
sventrati
riversi nel proprio sangue raggrumato. Essi ringraziano la belva che,
sopra di
loro, vestita del plasma delle proprie vittime osserva trionfante il
lavoro
compiuto. E il pianto silenzioso di un ragazzino, impotente davanti
alla
distruzione, riascolta le suppliche e le urla delle vite a cui ha
imposto la
fine.
Una
macchina. Non molto
diversa da
quelle che il Reparto Armamenti sforna ogni giorno. Perfino il mio modo
di
pensare non è così diverso da quei freddi pezzi
di metallo. L’unica differenza
è che chi mi manovra è una mente molto
più assennata.
“Macchina.
Mostro. Perché continui ad affibbiarti delle parole
così brutte? Tu hai fatto
una cosa bellissima. La cosa più umana che potessi fare.
Forse non ti senti
tale, a causa del fatto che ti sei arreso?”
La piccola Aerith, l’altra persona a cui
ho
rivelato il mio segreto, riesce sempre a centrare il punto. Anche se
così
piccola non lo è più. E’ cresciuta,
diventando una splendida signorina, sebbene
abbia conservato quell’innocenza e quella dolcezza che la
contraddistingue
dalle altre bambine. E dal resto dell’umanità, ma
questo perché lei non
appartiene a questa riprovevole razza. La sensibilità degli
Antichi non l’ho
mai riscontrata nemmeno nell’umano più
buono…
Anzi, forse solo in Evelyn… Forse io la
guardo con gli occhi dell’amore, ma, in effetti, lei
è l’unica donna di cui
posso dire di essermi VERAMENTE innamorato. Non ho mai provato emozioni
così
meravigliose e così profonde nel solo osservare la sua
espressione assorta
durante la toilettatura mattutina; il movimento lento e accorto della
sua mano
nel mettersi i capelli dietro alle orecchie; il leggero sorriso mentre
leggeva
un libro. Il solo pensiero mi fa sorridere e sospirare malinconico. Mi
manca
tutto questo, mi manca il suo respiro lento solleticarmi il petto, il
tocco
delicato dei suo polpastrelli sulla pelle, il profumo dei suoi capelli,
il
brillio dei suoi occhi. Mi manca svegliarmi all’alba di una
missione e trovarla
ad attendermi, sveglia da chissà quante ore, accanto alle
mie cose pulite e
pronte da essere indossate. Mi manca l’espressione
preoccupata dipinta sul suo
viso, il suo silente ‘non andare’ dietro ogni lenta
azione di vestizione,
l’ostinata determinazione a mostrarsi forte e fiduciosa. Mi
manca il
travagliato addio e qualcuno che mi dica ‘ti
aspetterò’. Mi manca avere un
abbraccio e un sorriso al mio ritorno. Mi manca sentirmi dire
Ti
ho aspettato
Ma io no. Non ho aspettato che il Presidente
si stancasse del suo giocattolo wutainiano, non ho aspettato che la
rivolta di
AVALANCHE diventasse così seria da indurre gli interessi
della Compagnia ad
abbandonare Wutai, non ho aspettato…
“Perché
non
torni da lei?”
Perché so che non mi vorrà.
L’ho delusa
troppo perché mi possa amare ancora.
“Non
lo puoi
sapere.”
Non hai visto la sua espressione, Aerith. Le
ho chiesto di uccidere nostro figlio…
Figlio
Avverto il mio stomaco accartocciarsi, una
strana nausea attanagliarmi la gola, i polmoni completamente svuotati
da ogni
fiato, il cuore accelerare il battito.
L’ho scritto… Ho scritto
quella parola e il
mio senso di colpa si serra ancora di più attorno al mio
cuore. Il mio dito si
muove da solo e va a recuperare quelle foto nascoste in una cartella
protetta
da password. La digito e subito dopo una sfilza d’immagini
appare nello
schermo. In ognuna di esse c’è lei.
Bella come il sole, cammina per la
cittadina, fa la spesa, parla, ride. Sembra felice, spensierata. Sembra. E poi c’è
quello scatto, quello
che mi pugnala e rigira la lama del rimorso nel cuore: una lacrima
scende dal
suo viso, mentre osserva assorta il ventre. Il suo sguardo è
triste, pieno di
rimpianto. Cosa stia pensando, non è difficile da intuire,
in quanto Tseng è
riuscito a introdurre una cimice in quella casa. Apro il file audio che
ormai
avrò riascoltato centinaia e centinaio di volte.
-
Baba. Io
non riesco più a mentire. –
-Che
vuoi
dire, onee-chan? –
-
Ogni volta
che racconto che Sephiroth è morto, mi sento morire a mia
volta. -
Un sospiro rauco dalla nota divertita.
Immagino Natsu sorridere comprensiva.
-
Lo ami
ancora, vero? –
Silenzio protratto per una lunghissima
manciata di secondi. Mi pare quasi di sentire il fiato di Evelyn
mozzarsi,
mentre si rende conto della realizzazione.
-
Sì… -
E’ appena un sussurro, ma capace di
rompermi
letteralmente in due.
-
Perché,
baba? Perché non riesco a odiarlo come meriterebbe?
–
Un fruscio di vesti riempie il sonoro,
mentre, immagino l’anziana donna alzarsi stancamente per
raggiungere e
consolare la figlioccia con la sua saggezza.
-
Probabilmente perché il tuo cuore sa che lui ha agito per il
bene di entrambi.
–
Un bassissimo frusciare di vesti indica che
l’anziana donna ha posato una mano sul ventre gravido, come a
sottolineare silentemente
quell’ ‘entrambi’ appena proferito,
mentre pazientemente continua a spiegare.
-
Il male là
fuori è ancora presente. Che ne sarà del mondo se
il suo eroe non sarà lì a
proteggerlo? Dovresti essere orgogliosa di portare un tale seme nel tuo
grembo,
il quale ha germogliato in un modo che chiamarlo miracoloso
è dir poco. Dev’essere
un segno, bambina. –
Di nuovo il silenzio fa da padrone, anche se
la tensione si è palesemente allentata, lasciando spazio
alla ponderazione
delle parole di Natsu.
Un segno…
La riproduzione s’interrompe qui. Sono
felice nell’apprendere che le mie iniziali supposizioni
fossero sbagliate:
Evelyn prova ancora qualcosa per me e, nel profondo, ella desidera
ricomporre
la nostra famiglia. Potrei assecondare questo desiderio, ma, come Natsu
ha
ribadito, il mondo non è ancora pronto per il mio ritiro. E
forse non lo sarà
mai. Ci sarà sempre qualcuno pronto a fronteggiare la Shinra
e io lo dovrò
combattere, giusto o sbagliato che sia. In effetti, è per
questo che sono nato:
Hojo è sempre stato molto chiaro su questo. Crearmi una
famiglia o farmi degli
amici non era previsto nel suo grande e perfetto piano. Se non sapessi
che
sarebbe capace di strappare quel bambino direttamente
dall’utero materno con i
suoi infernali attrezzi chirurgici, mi divertirei a guardare la sua
espressione
disgustata, mentre cullo mio figlio e bacio la mia sposa. Dopotutto,
per lui,
ogni cosa da me compiuta che non avesse a che fare con sangue o
squartamenti
era una debolezza, un fallimento a cui era necessario porre rimedio.
Quel minuscolo,
insensibile, bestiale uomo disprezza il fatto che il mio tempo libero
non lo
passi più solo, chiuso nella mia asettica stanzetta o nella
sala addestramenti,
ma in compagnia delle uniche persone che abbia mai definito
‘amici’. Fortunatamente,
quel disprezzo trapela solo da torve occhiate scoccate da sotto le
lenti di quegli
odiosi occhialetti da presbite, poiché non tutti sono
così pazienti come il
sottoscritto. Soprattutto, un irascibile nobiluomo di Banora. Per
quanto il
nostro rapporto di amicizia sia sporcato dalla rivalità,
Genesis è sempre il primo
a prendere le mie difese, quando lo ritiene necessario. Non ho mai
visto
nessuno fronteggiare così spavaldamente Hojo, nemmeno il
Professore; tuttavia,
quel vecchio pazzo è riuscito a lanciare la sua stoccata
finale prima di
andarsi a rintanare nel suo laboratorio degli orrori.
“Goditi
il tempo
che ti rimane, galletto, perché il tuo canto non
durerà molto a lungo.”
Sebbene Genesis non ci abbia badato,
decretando che quella frase fosse frutto della demenza senile, io so
per certo
che Hojo è tutto, meno che demente. Inoltre, lo scienziato
non conosce il senso
dell’umorismo, per cui quelle che la gente scambia per
battute o frecciate,
sono generate da un determinato ragionamento.
Cosa voleva dire con “il tuo
canto non
durerà a lungo”?
Non credo si riferisse al rischio di morire
in battaglia, perché Hojo è uno dei pochi a
ritenere gli agenti SOLDIER di alto
rango praticamente intoccabili. No, il riferimento è legato
a qualcosa di più naturale.
Il dubbio che lui sia effetto da qualche malattia è stato
fugato da una piccola
curiosata tra gli scaffali dell’archivio medico del Piano 49.
Anche se in
quelle cartelle ho trovato un sacco di strani dati, il più
criptati. Spinto
dalla curiosità ho provato a forzare le protezioni, ma
invano. I firewall utilizzati
per proteggere quelle cartelle sono impenetrabili. L’unica
cosa che sono riuscito
a scoprire è che il Professor Hollander, uno dei capi del
Reparto Scientifico
assieme a Hojo, è il fautore di quei dati, raccolti sotto la
dicitura Progetto
G.
G come… Genesis?
Genesis è un progetto scientifico?
Segreto,
stando alle protezioni erette in difesa di quei file.
O forse è un protocollo di sicurezza per
proteggere le informazioni sui trattamenti mako sui SOLDIER in
carriera, in
caso d’invasione del palazzo o intrusione di spie nemiche, e
io sono un
paranoico senza speranza.
Anche se… non ha senso. Dovrebbero
essere
dati personali, altamente variabili da individuo e individuo. Non
è detto che
gli stessi trattamenti che hanno reso Genesis l’agente che
è abbiano effetto su
altri soggetti. Quella stranezza ha acceso la scintilla della mia
curiosità
compulsiva e sono andato a ripescare le cartelle cliniche di Angeal e
le mie.
Ma le stranezze erano ben lungi dal finire. Le cartelle cliniche di
Angeal e
Genesis erano praticamente uguali, vergate dalla stessa mano. Le mie,
invece…
erano normali. Niente sezioni criptate o protezioni. Agli occhi di un
ingenuo
sarebbe potuto sembrare un fatto del tutto irrilevante, ma per chi
conosce Hojo,
quello era un palese atto di occultamento. La sua firma era evidente,
lampante.
Sapeva che prima o poi sarei arrivato a curiosare, come quando, da
bambino, m’intrufolavo
nel suo studio a cercare notizie di mia madre, e ha pensato bene di
nascondere
tutti le briciole che mi avrebbero portato alla verità. Quel
dubbio… quel
dubbio che da sempre mi attanaglia è tornato a tormentarmi.
Sono o non sono
umano?
E ora sembra che non sono stato l’unico a
subire potenziamenti di dubbia origine. Non può essere una
coincidenza che due
dei più potenti SOLDIER della storia, abbiano preso parte
allo stesso progetto.
Ho controllato altre cartelle di agenti promettenti, come Zack Fair, ma
non ho
trovato nessun riferimento ad alcun progetto. Ho esaminato perfino
cartelle di
ex-SOLDIER, tra cui l’uomo che fu il mio maestro,
però nemmeno lui sembrava aver
preso parte ad alcunché.
Solo Genesis, Angeal e io…
Cosa siamo in realtà?
Perché tenerci all’oscuro?
Cosa diamine ci hanno fatto?
Che razza di demonio
metterò al mondo?
SALVE!!! *riceve pomodori, uova, e lattuga marce
in faccia, lanciate da una folla inferocita* Aspettate, aspettate!!! Lo
so, lo
so, lo so! Orribile ritardo, sono imperdonabile! Ma lasciate che vi
spieghi. Il
capitolo sarebbe dovuto essere pronto alla fine di Gennaio, era finito,
perfetto, bellissimo. Mi arriva una mail e io la apro. C’era
un virus dentro
che mi ha fottuto (sì, fottuto, so che è rating
verde, ma una parolaccia me la
potete concedere) completamente il computer e tutti i dati ivi
contenuti. E
siccome sono una completa imbecille ovviamente non l’ho
salvato da un’altra
parte. Quando il computer mi è tornato dopo una settimana,
purtroppo non avuto
neanche una briciola di tempo per dedicarmi completamente alla
riscrittura del
capitolo, perché:
1.
Ho dovuto tenere dietro a mia mamma che si
era slogata una caviglia;
2.
Nevicata colossale, niente corrente per 3
giorni;
3.
Dovevo prepararmi per partire per la
Turchia;
Ora, sono qui, in Turchia, ad Antalya, per
la precisione, un sacco di tempo libero, tra una boat survey e una land
survey
a rincorrere i delfini per tutto il bacino levantino, e finalmente ho
trovato
la mia tranquillità e l’ispirazione. Il capitolo
è venuto meglio di quello che
avevo scritto precedentemente e sono riuscita a mettere tutto quello
che
volevo. Stiamo entrando in area CC, quindi preparatevi che tra poco si
ballerà!
E sì, il professor Gast è
vivo (più o meno)
e sarà interessante vedere il nostro Cloud in preda alle
crisi esistenziali
(quanto sono crudele, BUAHAHAHAHAH!!!).
Mi dispiace ancora per avervi fatto aspettare
così tanto, ma vi giuro che era mia completa intenzione
aggiornare prima della
mia partenza, ma la sfortuna non conosce limiti.
Alla prossima!
Besos
|
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Capitolo 20 *** Sacrificio ***
20. Sacrificio
-Un segno, dici? Che finalmente il Pianeta
abbia rotto il suo silenzio? –
Mentre proferisco questa frase, più a me
stessa che alla mia interlocutrice, mi avvio verso l’uscio,
dove la porta a
soffietto è stata lasciata aperta, affinché il
fresco vento in discesa dalle
montagne rinfreschi i rimasugli del caldo pomeriggio estivo. La mia
attenzione
vaga sul lago che, placido, accoglie i morenti raggi solari, colorando
le
proprie sponde di un appagante dorato. Mi appoggio allo stipite e
avverto il
bambino muoversi, cambiare posizione, stiracchiarsi. Appoggio la mano
sul punto
in cui la sua schiena viene accolta dalle morbide coltri del mio utero
e
accarezzo la pelle con dolcezza. Mio piccolo, dolce tesoro, quanto
vorrei che
tuo padre fosse qui per vederti nascere… Avverto una lacrima
seguire il profilo
della mia guancia.
- Da quanto tempo è che non lo
percepisci,
ormai? –
La domanda di Natsu mi riscuote dai tristi
pensieri e, senza voltarmi, le rispondo, greve.
- Da quando mi sono unita a Sephiroth la
prima volta. All’inizio la voce del Pianeta mi giungeva
lontana e distorta,
fino a scomparire del tutto quando sono rimasta incinta. –
Il bambino si muove ancora, lasciandomi per
un momento senza fiato a causa di un deciso calcio diretto allo
stomaco.
Piccolo birbante…
- Sembra una sorta di interferenza. Forse il
mako…-
-No.-
Tronco
il discorso della mia fida ancella con forse troppa durezza, infatti la
sento
trattenere il respiro, imbarazzata per aver osato a insinuare una
teoria, a mio
gusto, troppo supponente. Il silenzio aleggia nella stanza, denso
d’attesa.
Distolgo l’attenzione dalle acque placide
e
la rivolgo alla dispettosa collina tondeggiante del mio ventre.
Accarezzo ancora il mio piccolo tesoro e
sorrido. Il mako avrà riabilitato il mio fisico, ma
l’amore ha fatto sì che tu
venissi concepito. Poi, un pensiero spegne la piccola luce di gaiezza
sotto cui
mi ero rifugiata: una confessione infausta che potrebbe distruggere le
speranze
riposte nel futuro di mio figlio.
“Mia
madre è
morta dandomi alla luce. L’unica cosa che so di lei
è il suo nome.”
“E
qual’era?”
-La causa di questo silenzio è opera di
LEI.
-
Di
Jenova.
Il
ricordo
piano piano va sbiadendosi, mentre poggio il diario sul petto. La
nostra
iniziale supposizione era esatta. Evelyn era in grado di percepire il
Pianeta,
esattamente come Aerith; anzi forse il legame era anche più
profondo data l’età
più avanzata della donna. E, soprattutto, conosceva Jenova.
Posso solo
immaginare la sorpresa pervadere quel volto di porcellana nel sentire
pronunciare quel nome nefasto dalle labbra del suo amato. A questo
punto una
domanda sottile e tagliente s’insinua sottopelle:
perché non gli ha raccontato
la verità? Forse rivelata dalla donna di cui era innamorato
quella versione dei
fatti sarebbe sembrata più dolce. Oppure sarebbe stata Garyo
a subire lo stesso
destino di Nibelheim… Probabilmente, non ha avuto il cuore
di distruggere le
uniche certezze che Sephiroth avesse mai avuto, per quanto false e
fittizie
esse fossero. Per un attimo, lei mi mostra un Generale dallo sguardo
trasognato, mentre racconta quanto quel nome gli sia stato di
consolazione durante
la sua terribile infanzia.
Un bambino nel corpo di un uomo.
Posso
sentire quella verità solleticarle le labbra, mentre il
rimorso le spacca il
cuore.
Perdonami, amor mio…
Lo
hai
abbracciato, interrompendo il flusso dei suoi ricordi, nella speranza
di
mettere a tacere la crudeltà appena compiuta e, nello stesso
tempo, donargli
quell’affetto che, sei sicura, è più
vero di qualsiasi cosa sia stata nella sua
vita.
L’odio
e la
rabbia prorompono in quel cuore forte e compassionevole, mentre
desideri vedere
la Shinra sotterrata sotto metri di fiamme. E tu con loro,
perché volente o
dolente, stai facendo il loro gioco. Tu non lo riesci ad accettare e
l’impeto
lo stringe maggiormente a te. Lui non capisce e l’eco lontano
della sua domanda
a malapena raggiunge le tue orecchie, assordate dalla furia. Ti specchi
nel tuo
riflesso e quasi perdi un battito. Atterrita, noti come le tue pupille
abbiano
mutato aspetto, divenendo lunghe e sottili, e di come la tua iride
sinistra brilli
di deboli screziature rosate. Un brivido di terrore ti scuote da capo a
piedi,
richiamando la preoccupazione del tuo amato. Ti rifugi nel rassicurante
incavo
della sua spalla e ti ancori con le dita alle sue ciocche argentate.
Infine,
LEI ti ha raggiunto. Ti ha aggirato magistralmente facendo leva sulla
debolezza
della tua metà umana. Quella bellezza che è stata
fatale per la tua razza ti ha
sconfitto ancora una volta; tuttavia, mentre avverti quelle mani grandi
e forti
accarezzarti per donarti conforto, ti rendi conto che lui non
è come la sua
antenata. E’ così fragile, così umano,
così sensibile. Senti che non sarebbe in
grado di reggere la verità che gli è stata
taciuta sin dalla nascita. Prima o poi la
scoprirà, ti suggerisce
una voce ammaliante e crudele. A quel punto, la consapevolezza ti dona
una
nuova determinazione. Non sarà
solo. Liberi
il tuo amato dalla morsa in cui lo avevi costretto e lo baci. Leggi nei
suoi
occhi un interrogativo, ma lo ignori.
Un giorno, capirai, amore mio. E finalmente
potremo stare insieme…
Avverto
le
mie palpebre sbattere, segno chela mia volontà sta
risvegliandosi dal torpore.
Un altro sogno ad occhi aperti. Ormai capita sempre più
spesso che realtà e
ricordi si confondano tra loro, senza che riesca ad accorgermene. La
verità non
è poi così lontana, dopotutto.
- Sephiroth? Credo ci sia un errore. –
Il Professore si acciglia appena,
scrutandomi con quelle iridi verdi così famigliari e
calorose. Dopodiché, il
suo sguardo si stringe e inizia a lisciarsi i grandi baffoni castani.
-Interessante. –
Non mi piace essere guardato in quel modo
clinico. E ancora meno ascoltare le valutazioni sui miei mutamenti.
-Cosa c’è interessante,
esattamente? –
Sbotto io, cercando di nascondere il mio
disagio dietro un’armatura di spavalderia. Invano.
L’uomo non smette di
fissarmi, di valutare, di catalogare. Sebbene
sia molto meno inquietante di Hojo, la soggezione pervade in egual
misura il
mio animo.
-I suoi cambiamenti repentini di
personalità
sono interessanti, signor… Strife? -
Aggrotto le sopracciglia preso alla
sprovvista. Cambiamenti di personalità? La mia attenzione
viene catturata da un
monitor posto alle spalle dell’ologramma, accomodato in un
angolo. Su di esso
posso vedere un tracciato muoversi concitatamente a singulti su uno
sfondo
verde, mentre numeri e lettere scorrono al suo fianco. Non sembra
essere
collegato a nessuna della macchine che lo tengono in vita, quindi
deduco si
tratti di uno strumento per analisi di altro tipo.
-Cos’è quell’affare?
–
Chiedo, indicando col mento. L’ologramma
si
volta, gettando un’ondata svogliata all’oggetto in
questione, poi lo riappunta
su di me, spiegando con voce affabile.
- Solo uno scanner per il rilevamento dei
parametri vitali. Nel caso lei avesse un altro tracollo potremo agire
tempestivamente. –
Rimango per un attimo interdetto. Cosa ha
appena detto?
-Come fa a saperlo? –
-Il signor Tuesti mi ha riferito della sua
visita all’ospedale di Edge. A quanto pare quel diario ha
degli effetti su di
lei. Dico bene? –
Una stretta di paranoia artiglia il mio
cuore, mentre la mia mente metabolizza l’informazione appena
ricevuta. Quindi,
Reeve mi teneva sotto controllo… Alla faccia del
“Andiamo, Cloud, è solo un
libro!”. La paranoia si trasforma in sgomento appena realizzo
che probabilmente
quello scarto di Shinra sapeva tutto fin dall’inizio. La
rabbia fa il resto,
mostrando i miei umori chiari e lampanti sul monitor.
-Si calmi, signor Strife. Io sono qui per
rispondere a tutte le sue domande. –
- Davvero? Allora, mi spieghi,
“Professore”,
se eravate a conoscenza delle conseguenze che leggere quel libro mi
avrebbe
causato, perché me lo avete consegnato? E non dite che
speravate che non
l’avrei letto, perché ho la netta sensazione che
sia stato il vostro obiettivo
fin dall’inizio. -
Prima che Gast potesse rispondermi, la
realizzazione mi colpisce a come un fulmine a ciel sereno. Una risata,
una
risata lugubre e ultraterrena mi nasce dal profondo della mia furia.
Ma
certo.
Siamo sempre topi di laboratorio, in fondo…
- Quel libro non proviene davvero da Midgar.
Non è mai stato sotto le macerie del Golden Building. O
sbaglio? –
Lo scienziato distoglie lo sguardo liquido
di vergogna, lasciandolo vagare per la stanza. Le sue dita
s’incrociano,
nervose. Anche Aerith si comportava così quand’era
in imbarazzo.
- No, è stato trovato nella Shinra
Masion di
Nibelheim. –
Avverto un moto di stizza pervadere ogni
singola cellula del corpo, la voglia incontenibile di abbandonare
questa casa e
riprendere il mio viaggio verso Wutai. O, in alternativa, distruggere
tutto e
guardare le fiamme incandescenti fare a pezzi ogni cosa sul suo
cammino. Scuoto
la testa, accantonando l’ultimo pensiero, il quale stava
iniziando a dare segni
allarmati sul monitor.
- E’ sempre stato in vostro possesso?
–,
domando, perseverando nella mia furiosa immobilità.
L’ologramma ancora non trova il coraggio
di guardarmi
negli occhi e annuisce con un lento movimento della testa. Il suo
silenzio,
tuttavia, mi ottunde le orecchie. Voglio sapere di più!
Sbotto.
-RISPONDETE! –
Il tracciato registra picchi impazziti e
fuori scala, mentre il monitor s’infiamma pericolosamente,
attivando allarmi
sonori. Il professore sobbalza, come punto da un ago incandescente e
torna a
fissarmi con occhi sgranati. Il suo terrore si riflette nei miei occhi.
Mi
porto le mani alla bocca, ponendole entrambe su di essa, sebbene
rimanga
spalancata, vuoi per lo stupore, vuoi per la paura.
E’ la prima volta che mi rendo conto di
aver
ascoltato la voce di Sephiroth lasciare le mie labbra. Ora capisco
perché tutti
sbiancano appena la odono. Non c’è traccia della
gelida calma che solitamente
ammanta quel tono baritonale e perentorio, fatto per comandare; o la
maliziosa
follia che accarezza ogni lettera come un’amante, fatta per
insinuarti il
terrore direttamente sottopelle, sottolineando il poco tempo che ti
è rimasto
per vivere. Dietro all’esigenza dell’eroe e
all’ira della Bestia, c’è la
disperazione e la sofferenza di un bambino. IL Bambino, il vero
Sephiroth.
L’uomo sensibile e dolce che Evelyn ha amato.
L’uomo fragile e martoriato
oppresso da un Pianeta spietato. L’uomo speranzoso e buono
distrutto da una
verità troppo grande per lui.
LUI che desiderava solo essere normale.
LUI che bramava VIVERE.
LUI che anelava la REDENZIONE.
Ancora scioccato, lascio cadere le mani
lungo i fianchi e indietreggio verso il lettino, senza staccare gli
occhi
dall’ologramma. Mi appoggio alle difese con tutto il corpo,
appuntandomi con le
mani ad esse. I miei occhi vuoti ora lasciati vagare sul pavimento
liscio.
Abbasso le palpebre e prendo un profondo respiro.
Le
hai
giurato che non l’avresti mai lasciata andare. Ciò
ti uccide più della Morte stessa,
vero?
Il
dolore…Fallo
smettere, ti prego.
Sollevo le palpebre di scatto, spiazzato da
quella supplica sussurrata dai recessi della mia mente. Una morsa di
pietà mi
stringe il petto, mentre gli occhi iniziano a pizzicare. Mi porto il
pugno
all’altezza del cuore, massaggiandolo. Senza fiato, appunto
lo sguardo sul viso
scarno e pieno di tubi del vero professore. Un’altra
stilettata che va a
deformare il mio viso per un doloroso secondo.
Questa è la fine a cui vanno
incontro coloro che amo…
Mi mordo il labbro per ricacciare indietro
il gemito di dolore nascente dalla gola e le lacrime. Le spire del
senso di
colpa si stringono ancora di più. Ha ragione, è
un dolore insopportabile. Ingiusto.
-Ditemi tutto quello che sapete di LEI. -,
proferisco, senza muovere un muscolo, la voce inaspettatamente roca.
Con la coda nell’occhio osservo
l’ologramma riscuotersi
e annuire, compassionevole, mentre si sistema gli occhiali, si liscia i
baffi e
scandisce la voce. Movimenti così famigliari…
Non è cambiato.
Mi pare quasi di vedere un sorriso triste e
malinconico impresso in quella osservazione. Ricordi fugaci fanno
capolino
nella mia immaginazione, disegnando fantasmi fumosi attorno a quella
figura
digitale. Una libreria, una scrivania, una lampada, un timer e una
scacchiera.
E una falsa e dolce verità.
“Tua madre si chiamava Jenova. Ti amava,
Sephiroth. Più di quanto tu possa immaginare.”
Sospiro di rimando.
- Il suo nome completo era Evelyn Harisawa. Nata
da Hiroshi Harisawa, un pescatore Wutai originario del Sud- Ovest del
Paese e Tanya
Joyfill, una modesta fioraia di Junon. –
-Fioraia? A Junon? –
Il professore annuisce, greve, mentre un
sorrisetto appare da sotto i baffi.
-Esatto. Sua madre apparteneva alla stirpe
degli Antichi. –
-Come ha fatto la Shinra a non scovarla? –
- Anche se non sembra Evelyn aveva qualche
anno in più di Sephiroth. E’ nata prima che il
Progetto S prendesse il via. E,
di conseguenza, prima che io scoprissi l’esistenza della
Terra Promessa. A quel
tempo, i suoi genitori si erano trasferiti a Yohaido, una remota
cittadina sul
mare di Wutai, paese natale del padre, al di fuori del controllo della
Shinra. –
Apro la cerniera della giacca e infilo la
mano all’interno, alla ricerca della tasca interna, al fine
di recuperare il
diario. Spiego le pagine e lei è lì, nella sua
torreggiante perfezione ad
osservarmi, splendida; come se nulla, né guerre e battaglie,
fossero mai
accadute.
- E quindi alla fine avevo ragione. Lei
è
un’Antica. -
- E non un’Antica qualsiasi. –
Alzo lo sguardo dalla fotografia e lo
appunto all’ologramma, famelico e curioso.
- In che senso? –
- Lei discende dall’eroe che
confinò Jenova
nella sua prigione di cristallo. –
La mascella cade letteralmente a terra,
appena sento quella frase. E credo che nemmeno Sephiroth lo sapesse,
tanto che
avverto la sua curiosità morbosa invadermi.
- Nientemeno? –
-Già, ma la storia è ancora
più complicata
di così. -, fa una pausa, durante la quale io pendo
letteralmente dalle sue
labbra, - Deve sapere, signor Strife, che non tutti i Cetra si
ribellarono a
Jenova. –
A quella affermazione un brivido di
anticipazione mi gela la spina dorsale. Temo di sapere dove
andrà a finire
questa storia. E ciò spiegherebbe un bel po’ di
cose. Nel frattempo, l’ologramma
scompare in una pioggia di pixel per poi trasformarsi in una sequela
d’immagini, la cui forma è determinata dai
concetti esplicati dalla voce
digitale.
- Come ben sa, le leggende Cetra raccontano
che Jenova condivise la sua sconfinata conoscenza con gli Antichi, al
fine di
celare le vere intenzioni. Lei voleva soggiogarli, indurli ad accettare
che il
Pianeta su cui vivevano doveva essere distrutto, perché
macchiato dalla piaga
degli Umani. Alcuni saggi riuscirono a scoprire il suo piano e
combatterono per
impedirle di metterlo in atto. Tuttavia, non era sola. Ella raccolse
attorno a
sé moltissimi accoliti, i quali le mostrarono come avere
accesso al cuore del
Pianeta, la fonte di tutto il Lifestream. La Terra Promessa, appunto.
Ifalna mi
disse che quegli uomini e quelle donne vennero bollati come traditori
e, dopo
la sconfitta della Calamità, sterminati. –
Jenova caduta dal cielo, il cuore del
Pianeta, il Lifestream e, infine, immagini raccapriccianti dello
sterminio di
un intero villaggio, recuperato probabilmente da un antico
bassorilievo, dato
la grossolanità dei disegni. Tuttavia, un dettaglio cattura
la mia attenzione:
la sagoma di una donna urlante inseguita da un manipolo di soldati.
Sebbene la
figura non sia particolarmente dettagliata, posso distinguere un
secondo
profilo stagliarsi all’altezza del suo petto. Un neonato. Non
so perché, ma
quel bambino m’impedisce di distogliere lo sguardo e, tutto
d’un tratto, mi
sento risucchiare in una sorta di limbo. Sento nella mia testa antiche
canzoni,
in una lingua che non riesco a riconoscere, risate, dialoghi. Tutti
suoni
tipici delle febbrile vita quotidiana di un villaggio. Essi si fanno
sempre più
frenetici, come se qualcuno avesse azionato la riproduzione veloce.
Come una
nenia quei suoni mi stordiscono e m’ipnotizzano,
permettendomi quasi di
intravedere scorci di una realtà perduta da tempo
appartenenti a un’epoca
dimenticata. Quando credo di essere in grado di vedere cosa
c’è oltre alla
patina dei tempi, essa viene squarciata dal fuoco e da urla di morte.
-Signor Strife! -
La voce elettronica del Professore mi
strappa da quell’incubo a occhi aperti e lentamente
ricomincio a prendere
coscienza della realtà. La prima cosa che percepisco
è la mia guancia premuta
sul pavimento.
- Cloud, mi sente? –
Mi guardo intorno e noto che la prospettiva
è drasticamente calata.
- Steven! Steven, venga qui! –
Ci metto qualche secondo a unire le due
informazioni per giungere all’ovvia conclusione. Sono
svenuto. E sono pure
caduto in grande stile a giudicare dal male che mi si propaga per tutta
la
faccia. Emetto un sonoro sbuffo di rassegnazione.
Devi
trovarlo molto divertente vedermi svenire come una donnicciola.
Non posso rispondere di no.
Trattengo l’offesa gratuita che mi stava
per
nascere dalla bocca e risparmio energia per alzarmi. Solo allora mi
accorgo che
il monitor che mostra i miei parametri vitali sta virando da un
pericoloso
rosso a un acquietante verde. Anche i valori vanno via via
abbassandosi.
Dopodiché, appunto la mia attenzione
sull’ologramma, il quale mi fissa con aria
sgomenta. E impotente. Gli rivolgo un sorriso tirato.
- Non preoccupatevi, Professore. Sto bene.
Svenire è ormai ordinaria amministrazione. –
Vedo il viso di Gast distendersi e
sorridermi di rimando, sollevato.
- Mi dispiace. Temo di aver innescato
qualcosa mostrandole questa immagine. I Sephera sono molto sensibili ai
ricordi. –
-I che? –
- Sephera. E’ il termine con cui gli
Antichi
additavano coloro che si sottoposero a Jenova. A quanto pare, la
connessione
tra lei ed Evelyn è più forte di quanto pensassi.
–
Mi rimetto in piedi, senza l’ausilio di
un
piccolo aiuto da parte delle difese del letto, ed emetto uno sbuffo
divertito.
- Oh, siamo molto intimi, ormai. –
Una stilettata di dolore mi pervade tutto il
corpo, accompagnata da una voce dal timbro graffiante molto famigliare.
Attento a te.
L’ammonimento di Sephiroth non passa
inosservato nemmeno al Professore, il quale nota tutto dal suo scanner.
Egli
ridacchia.
- Qualcuno è molto geloso a quanto pare.
–
Grugnisco. Simpatico come
sempre…
- Umpf. Diceva? –
Il Professore per la seconda volta in quella
serata si sistema gli occhiali e si liscia i baffoni, riprendendo il
suo solito
cipiglio affabile.
- Come stavo dicendo, Sephera fu il termine coniato
per indicare coloro che si unirono volontariamente a Jenova. Scritti
Cetra
raccontano di Sephera in grado di soggiogare il Lifestream al loro
volere, usandolo
come arma. La vicinanza con Jenova, inoltre, gli aveva resi capaci di
manipolare
le menti delle persone. La loro specialità erano i ricordi.
Giocavano con la
memoria degli avversari, rievocando le rimembranze più
dolorose o spaventose
fino a portare il malcapitato alla pazzia. -
-Un po’ come sta succedendo a me.
–
Il professore s’interrompe un attimo e
annuisce, poi riprende a spiegare.
- Erano estremamente potenti e molti di loro
diventarono le macchine da guerra spietate di Jenova, i suoi
più fedeli
servitori. –
L’ologramma si fermò, sia con
le parole che
con il corpo; la sua espressione si fece triste. Rimase un
po’ in silenzio,
mentre la mia curiosità mi divorava dall’interno.
- Essi vennero sterminati e i fautori di
quel genocidio furono proprio gli umani. –, una mesta pausa
con annesso tutto
il peso di una colpa maturata in 2000 anni di nefandezze, - La vendetta
mosse i
nostri cuori, in quanto i Sephera, durante il dominio della loro
signora, si
macchiarono di molti crimini contro l’umanità. Non
ebbero pietà di loro,
nemmeno di colui che li salvò. -
M’irrigidisco. Le mie dita si artigliano
alle difese con più veemenza, mentre trattengo il fiato. Un
fuoco m’infiamma il
torace. I miei denti scricchiolano, mentre l’eco di
un’antica onta ottunde il
mio udito. Sono schifato, ma devo continuare. Lei me lo chiede.
- Continui. -, soffio a denti stretti.
- Il nome si è dimenticato, cancellato
dall’odio e dal disprezzo, ma si sa che fosse il Sephera
più potente, uno dei
primi ad accettare il volere della Calamità caduta dal
cielo. Nonché, suo
braccio destro. –
Mi scappa uno sbuffo divertito. Non poteva non
essere una coincidenza. Ciò spiegherebbe il disprezzo di
Jenova nei confronti di
Evelyn. Il destino è davvero beffardo, alle volte. E
schifosamente conveniente.
- Se tutto è andato perduto, come ha
fatto a
risalire alla discendenza di Evelyn? –
Il professore sorride, soddisfatto.
-Questa è davvero una bella domanda,
signor
Strife. –
L’ologramma scompare, lasciandomi a un
palmo
dal naso. Improvvisamente, dei movimenti meccanici attirano la mia
attenzione
sulla parete dinnanzi a me. Non vedo altro che buio, però;
perciò decido di
avvicinarmi. Appunto le mie braccia agli stipiti e allungo la testa
oltre la
soglia, sbirciando alla ricerca di una risposta alle mie domande. La
tenue luce
della stanza di Gast basta solo ad illuminare i primi gradini di quella
che
sembra essere una scala diretta verso le viscere della casa. Rivolgo il
mio
sguardo famelico di risposte verso il lettino. Delineo
l’immota figura del
Professore e sospiro, per poi riappuntare l’attenzione sul
tunnel oscuro che mi
si apre dinnanzi. La curiosità spinge il mio corpo ad
avanzare, ma un forte
timore impedisce alla mia mente di avanzare. Sono tentato a ritornare
in dietro
per avere delle spiegazioni, quando qualcosa mi attraversa da parte a
parte.
Avverto un sospiro echeggiare nella testa e un fuoco attraversarmi da
capo a
piedi. Alzo lo sguardo e… il mio cuore perde un battito.
Evelyn, il suo candido
spirito mi osserva silenzioso, sorridendomi dolcemente. Rimaniamo a
fissarci
per attimi infiniti, fino a quando lei non si volta e inizia a
fluttuare verso
il basso, lambendo gli scalini con le coltri diafane del suo kimono.
Automaticamente, la seguo, dimentico di ogni timore o paura, fidandomi
completamente della sua luminosa guida. Non saprei dire per quanto
tempo
c’inoltrammo nelle tenebre squarciate, ma so solo che ad un
certo punto lei
scomparì, abbandonandomi per un terrificante momento nel
buio. Appena i miei
occhi si abituarono alla scarsità luminosa, noto
un’ondeggiante luce verde
provenire da dietro l’angolo. Percorro gli ultimi scalini e
sfocio in una
cripta. Non è molto grande, quasi claustrofobica, semplice,
senza incisioni
alle pareti di roccia nuda. Perfino il pavimento non è stato
ricoperto. L’unico
dettaglio di parvenza artificiale è una teca di cristallo
avvolta dal
Lifestream, posta al centro della stanza. Al di là di essa,
ad attendermi
silenziosa, c’è Evelyn. Ha il viso triste e
rivolto verso l’interno della teca.
Senza pensarci, adocchio il contenuto del cristallo, ma le curvature
del
materiale rendono impossibile vedere attraverso ad esso. Alzo lo
sguardo verso
lo spirito e trovo i suoi occhi ad attendermi. Avverto il mio cuore
sciogliersi
e freddarsi da un gelida fitta di nostalgia. Per un attimo mi pare di
vedere la
sua espressione dolce incresparsi, come attraversata da
un’onda, e deformarle
il viso in una maschera di dolore, per poi tornare esattamente come
prima. Non
faccio in tempo a realizzare ciò a cui ho appena assistito
che lei alza la mano
e mi fa segno di avvicinarmi. Obbedisco e ho la possibilità
di vedere cosa
questa teca cela al suo interno, in quanto il coperchio della teca e
perfettamente scevro da ogni imperfezione. Ma ciò che trovo
ad attendermi per
poco non mi fa morire dalla sorpresa. Salto all’indietro
indignato e sconvolto.
IO… dentro a quella bara di cristallo ci sono io.
-Che significa? –
Evelyn non risponde subito e lascia vagare
il suo sguardo sotto di sé.
- Il principio. –
-Cosa?!-
Poi alza le sue iridi brillanti e mi
trafigge letteralmente, come a intimarmi al silenzio.
Sephiroth
ha
ragione: quegli occhi fanno davvero paura.
- E tu sei l’epilogo. –
Sotto la pesantezza di quegli occhi, cerco
di riprendere un po’ di contegno, sebbene la visione
precedente abbia minato
pericolosamente il mio autocontrollo.
- Non capisco. Cosa vuoi dire? –
- Che tu sei la reincarnazione del mio
antenato, lo strumento dell’entità che ora chiami
Pianeta. Vedi? Il Lifestream
ti ha guidato da lui. –
Guardo per terra e vedo il Flusso Vitale
lambirmi i piedi con le sue sottili fibre e fluire verso la bara
cristallina.
Titubante mi riavvicino e osservo di nuovo attraverso il cristallo. Il
corpo è
avvolto completamente dalle fibre di Lifestream, come se la stessa
entità
nascesse da quest’uomo. Emetto uno sbuffo divertito,
attirando su di me uno
sguardo incuriosito e severo.
-La cosa ti diverte? –
-Diciamo che ho sempre avuto la sensazione
che il mio destino non mi appartenesse. –
Evelyn accenna un sorriso tirato, senza
scomporre la sua espressione severa.
-Come quello di tutti noi… -
Quelle parole aleggiarono nel silenzio,
pesanti, pieni di rabbia e, soprattutto, rimpianto.
- Questo dolore deve finire. -, proferisce
dopo poco Evelyn, la voce ridotta a un soffio flebile, -Ma prima
è necessario che
io ti chieda di aiutarmi a compiere un ultimo sacrificio. –
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30 Settembre XXXX
E’ una nottata uggiosa.
Distrattamente, osservo le ampie gocce di pioggia battere
insistentemente sulle
vetrate, proiettando lunghe ombre e cerchi grigiastri lungo il
pavimento, il
tavolo, la pareti. Come umide dita, esse vanno a insinuare il gelo
nelle mie
ossa, mentre, trepidante, attendo. Non sono mai stato così
agitato in vita mia.
Ho sempre mantenuto un ritegno, una calma tale da avermi fatto
guadagnare
l’appellativo di Generale di Ghiaccio. Qualunque fosse stata
la situazione.
Questa volta, tuttavia, non riesco a fermare il tremolio nervoso della
gamba
sinistra, il contrarsi ridicolo delle mie dita, la pesantezza del mio
respiro.
Cammino avanti e indietro per la stanza, fermandomi ogni tanto, per
appuntare
qualche pensiero sulla carta. Sembro un pazzo alle prese con una crisi
isterica.
Una donna scende dalle scale,
affannata, i panni bianchi pieni di sangue. Mi manca un battito. La mia
attenzione viene veicolata direttamente al piano di sopra, di cui
riesco ad
adocchiare solo le scale inghiottite dal buio. Mi avvio verso di esse,
ma la
donna di prima mi sfreccia davanti, tagliandomi la strada. Sale le
scale
rapidamente, senza curarsi di me. Tra le sue mani un secchio
d’acqua calda.
Urla soffocate mi giungono alle orecchie, prima di essere smorzate
dalla porta
interposta tra noi. Mi chiedo per l’ennesima volta
perché non posso stare lassù
anch’io, ma mi accorgo che potrei essere solo
d’impiccio. Non riesco a calmare
me stesso, come posso pretendere di calmare LEI? Prendo un profondo
sospiro. E’
in buone mani. Spero. Mi guardo intorno
alla ricerca di qualcosa che possa aiutarmi ad ammazzare
l’attesa e,
soprattutto, farmi pensare ad altro. Ma non c’è
nulla. Questa casa è così
misera… Non c’è alcun tipo di sistema
avanzato di riscaldamento, se non un
focolaio domestico alla portata di chiunque; non
c’è acqua calda corrente, se
non quella che sgorga da una fonte termale nel cuore della foresta; non
c’è
alcun tipo di elettricità, la luce è lasciata
nella mani di pericolose lampade
a olio, alcune nemmeno ben fissate alle pareti. Di legno. O in fibra di
riso,
in alternativa. Crepate, in certi punti, l’intonaco
è crollato rivelando l’intelaiatura
ammuffita all’interno. Passo il palmo su quel punto e noto
che, in effetti, è
zuppo d’acqua. Ci dev’essere
un’infiltrazione dal tetto probabilmente. Si
capisce che sono anni che nessuno mette piede qui dentro. Come si
può pensare
di far crescere un bambino in un luogo così retrogrado e
miserabile? Forse il
lusso della mia infame vita da eroe mi ha fatto scordare
l’umiltà. O il
semplice rimboccarsi e maniche per migliorare la propria condizione. Lo
stile
consumistico di Midgar sta cominciando ad infettare la mia
capacità di
sopportare la miseria. Sono portato più a distruggere e
ricostruire da capo a
piedi quest’abitazione, piuttosto che perdere del tempo a
rattopparne gli
infiniti difetti. Ma, come direbbe Angeal, nulla va sprecato,
soprattutto in
tempi come questo. Anche se la guerra è ancora in corso, le
ricche città
dell’Oriente sono ben lontane dallo spettro della miseria.
L’ideologia del
consumismo la fa da padrona, fregandosi le mani in attesa de momento in
cui
perfino l’ultimo baluardo dell’Anti-Shinra
finalmente capitolerà ai loro piedi.
Non voglio che mio figlio cresca
con questa mentalità. Voglio che sappia apprezzare
ciò che ha e che sviluppi la
capacità di aggiustare qualunque cosa. Ho visto fin troppo
bene l’epilogo a cui
vanno incontro coloro che si avviano sulla via del vizio. Le gente
diventa
superficiale e superba, convinti che il mondo sia loro dovuto. Non
conoscono né
il rispetto, né la disciplina. E soprattutto, sono persone
vuote. Vittime dei
beni materiali e dell’apparenza, esse trascurano
l’anima, fino a che la loro
esistenza non si trasforma in un guscio vuoto di tristezza e
solitudine. Non
voglio questo per mio figlio, in quanto non c’è
nient’altro che desideri se non
la sua felicità. La felicità che non ho mai
avuto. La donerò a lui. O a lei.
Credo sia il minimo per aver donato alla mia prole un DNA nefasto.
Almeno da
quanto ho evinto dalla strana catena di eventi avviatosi dopo aver
scoperto
l’esistenza del Progetto G. Non sono andato molto in fondo
alla faccenda,
poiché sono stato impegnato a delineare la strategia per
l’assalto finale a
Forte Tamblin, l’ultimo baluardo della resistenza Wutaniana;
tuttavia la mia
curiosità è ben lungi dal dirsi sedata;
soprattutto dopo ciò che è accaduto a
Genesis quasi un mese fa. Come di consueto, Angeal, lui ed io ci
riunimmo nella
Sala Addestramenti del piano SOLDIER, subito dopo che i 2nd e i 3rd si
erano
avviati verso le docce. Era una routine ideata dallo stesso Genesis,
con
l’obiettivo di risollevarmi il morale dalle torture
psicologiche a cui mi
sottoponevo ogni giorno, ascoltando le registrazioni di Evelyn od
osservare le
foto inviatomi da Tseng. Tutta quell’infelicità e
quel senso di colpa mi
risucchiava ogni energia. Ero diventato un automa: pensavo solo a
svolgere il
mio lavoro per poi tornare a casa a farmi del male. Ci vollero mesi per
convincermi, ma l’insistenza del rosso su questo genere di
faccende è
leggendaria. Il secondo passo era stimolarmi ad uscire
dall’apatia e c’è solo
un modo per farmi reagire: intaccare l’orgoglio. E
questo al rosso
viene dannatamente bene. Fu facile cascare nella sua trappola. Quel
giorno, lui ha salvato me e la mia famiglia, donandomi la forza di reagire. Una
forza che
pensavo di aver perduto per sempre, sotto una valanga di dolore e
delusione. A
volte penso che avrei dovuto ringraziarlo. In quante occasioni avrei
potuto
farlo…
Ma è proprio quando credi di aver
tempo che il destino gioca la sua carta peggiore. Era un giorno come
gli altri,
tra ispezioni e riunioni strategiche, la Compagnia ci aveva assegnato
gli
incarichi da svolgere e gli obiettivi da raggiungere per porre fine
alla
guerra. L’idea ci elettrizzava. Finalmente, di lì
a pochi mesi, tutti quegli
inutili spargimenti di sangue sarebbero giunti al termine. Anche se, in
cuor
mio, questa spirale vermiglia non avrebbe mai trovato fine. E
probabilmente
avevo ragione, ma evitai di rompere l’idillio in cui i miei
commilitoni si
erano immersi. Loro, in fondo, avevano una terra a cui tornare, una
famiglia ad
aspettarli, con cui spendere i gironi di meritata licenza. Mi incupii.
Sapevo
che Evelyn mi amava ancora, ma lo avrebbe ammesso davanti a me? Mi
avrebbe
permesso di vedere nostro figlio o si sarebbe vendicata nel peggiore
dei modi?
Venni ridestato dai miei pensieri dalla campana degli impiegati. La
giornata
lavorativa era finita. E ciò voleva dire solo una cosa: sala
d’Addestramento
libera. Spiammo da dietro un angolo, tutti i 3rd e i 2nd che uscivano
sudati e
stanchi dalla stanza digitale, mentre pungenti commenti fioccavano a
più non
posso, strappando una risatina o due. Quando la strada fu libera,
entrammo.
Armeggiammo con i settaggi delle simulazioni, impostandole al livello
più alto;
incuranti dei rischi. In fondo, cosa sarebbe mai potuto succedere a tre
SOLDIER
First Class affrontarsi al massimo delle loro potenzialità?
Per quanto
nettamente inferiori al sottoscritto, i due banoriani si sono sempre
dimostrati
eccellenti combattenti, gli unici in grado di fronteggiarmi. Gli unici
da
quando sono stato costretto a unirmi al corpo
d’élite. Gli unici.
La dicitura ‘Progetto G’ fa di nuovo capolino nella
mia
mente, interrompendo il flusso dei ricordi sostituito da un infernale
vortice
di domande. Quei dubbi che mi hanno accompagnato per tutta
l’infanzia, quando
un assistente aveva paura anche solo toccarmi, e
l’adolescenza, quando spaccai
l’osso del collo a un mio commilitone con la forza della sola
mia mano sinistra,
sono tornati anche nell’età adulta. Proprio quando
iniziavo a credere di non
essere unico. Non sono più tanto sicuro
che sia stata una buona cosa
aver conosciuto i due banoriani. Loro non hanno fatto altro che
rafforzare i
miei sospetti, anziché fugarli. Inoltre, non riesco a
scrollarmi di dosso la
sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere. O forse sta
già
accadendo, avviato da quegli eventi che sto raccontando proprio ora, a
cui non
sono stato in grado di riconoscerne l’effettivo pericolo.
Un urlo più forte degli altri mi
ridesta, ricordandomi di avere problemi molto più immediati
di cui tenere
conto. Mi faccio attento, ma solo gracchianti incitamenti arrivano alle
mie
orecchie. E’ ancora
presto…
Forse siamo solo al primo atto di
una storia di cui il finale risulta incerto. Questo fatto
m’inquieta, agitando
i miei sonni da incubi terrificanti, riducendo drasticamente le ore di
riposo. Fin
da bambino ho sempre saputo cosa avrei fatto nella vita, dove sarei
andato,
cosa avrei fatto, come mi sarei comportato. La vedevo sfilare davanti a
me ogni
giorno nella sua assoluta perfezione, come un ingranaggio ottimamente
oliato
all’interno di un meccanismo dalla precisione assoluta. Poi,
piano piano,
piccoli granelli di realtà hanno cominciato a incastrarsi
nei denti
dell’ingranaggio, causando dapprima lievi rallentamenti, fino
a sfociare in
veri e proprie disfunzioni. Mi sono arruolato in SOLDIER credendo che
sarei
morto esattamente come ero vissuto: vuoto e pieno di rimpianti. Ora, mi
sto
rendendo conto che, da quando ho permesso a questi granelli
d’inquinare i miei
ingranaggi, un meccanismo complementare si è avviato,
dirigendomi verso un
futuro diverso, ignoto. So, però, da cosa è
iniziato: fuoco. E’ questo
l’elemento portante di questa via. Come la dolcezza di quelle
labbra rosse; il
colore di quel kimono che fluttuava a ritmo di una melodia remota e
trasportante; la passione che mi ha consumato per mesi fino a sfociare
nella
notte più meravigliosa della mia vita; come i brucianti
sensi di colpa per aver
deluso ed abbandonato la donna che amavo e il figlio che portava in
grembo. Da
qui in avanti, la fiamma di quel fuoco sembra spegnarsi, gettando il
mio mondo
in un buio infinito; fino a che, prepotenti come lampi durante una
tempesta,
testardi banoriani irrompono, riportandomi alla luce. Ricordai il
calore e il
colore di quelle fiamme, le quali si presentarono a me in diverse
forme: tramonto
sullo sfondo del Sister Ray di Junon; Rapier infusa di mako; inferno
dentro cui
venni intrappolato; furia contro ragione; ira scatenata
dall’orgoglio ferito. Ci
volle il coraggioso intervento di Angeal per fermare la nostra follia.
Almeno
la mia, perché Genesis non aveva alcuna intenzione di
arrendersi e si scagliò
di nuovo contro l’amico. Stavolta, però, i suoi
intenti vennero bruscamente
bloccati. Fu un attimo, eppure mi sembrò che il tempo si
stiracchiasse, caricandosi
di una tensione di cui non seppi decifrarne il motivo. Vidi la lama
sanguigna
di Rapier brillare in tutta la sua bellezza, carica di mako e
disprezzo,
spezzare il debole acciaio della spada d’ordinanza brandita
da Angeal. Sentivo
che quell’azione avrebbe innescato una reazione a catena,
eppure non ebbi la
coscienza d’intervenire. Rimanemmo immobili a guardare la
lama spezzata
schizzare all’indietro e colpire Genesis tra capo e collo,
letteralmente. L’urlo
del rosso sembrò spezzare quell’incantesimo in cui
eravamo caduti. Mi resi
conto che la realtà era prepotentemente entrata nella
simulazione,
distruggendola. Era troppo tardi, anche se ancora nessuno dei tre ne
era
completamente conscio. In fondo, era solo un graffio. Quante volte era
capitato
di incorrere in ferite come quella, se non più gravi?
Ciò che più bruciava a
Genesis, infatti, era l’ennesima sconfitta per mia mano, ma,
come sempre, le
sue arrabbiature duravano meno di un battito di ciglia.
L’unico che sembrava
ancora oltraggiato dalla nostra irruenza –e dal fatto di
essere stati
richiamati dal Direttore in persona per rispondere della quasi completa
distruzione della Sala Addestramenti-
fu
Angeal, il quale per giorni ci tormentò con i soliti suoi
discorsi sull’onore,
la disciplina e i sogni. Dev’essere una
peculiarità banoriana ripetere i
concetti fino alla nausea.
Di nuovo, la ragazza di prima
interrompe il flusso dei miei pensieri, correndo rapida giù
dalle scale con un
secchio vuoto in mano. Rimpiombo di nuovo nella paranoia. Quanto tempo
ci vuole
ancora? Sembra che sia lassù da secoli. Vorrei placcare la
ragazza e
interrogarla, ma purtroppo non sarei in grado di capirla, in quanto
parla solo
una variante del wutaniano tipica della zona di Hourei. Un dialetto a me
completamente incomprensibile. Per quanto mi sforzi sembra
un’altra lingua.
Perfino Evelyn stessa spesso fatica a capire cosa dicono i suoi
compaesani. E
per l’ennesima volta in questa serata, la giovane scarrozza
un altro secchio d’acqua
fumante verso i piani superiori. Mi chiedo a cosa possa servire. Poco
prima di
scomparire al di là del soffitto, la fanciulla mi rivolge un
sorriso stanco.
Avverto il mio cuore perdere un battito. Forse ci siamo? O forse voleva
solo
rassicurami? Un brivido d’anticipazione mi scuote da capo a
piedi, presagendo
l’ennesimo moto d’agitazione. Manca davvero poco,
calcolo. E un’altra stretta
rinchiude il mio stomaco nella sua morsa. Le mani ricominciano a
tremare da
un’emozione che a fatica riesco a catalogare. No! Devo
calmarmi, resistere
ancora per qualche minuto. Mi affido ai miei ricordi, a ciò
che successe poco
tempo dopo quella maledetta simulazione.
Era stata una giornata infernale.
Non solo per il caldo asfissiante, come solo la terra inaridita e
l’acciaio di
Midgar sono in grado di donare, ma per averla passata a versare sangue
nelle
vie arrugginite e luride degli Slums. Mi si rivolta lo stomaco al solo
pensiero
dell’odore nauseabondo che si respira là sotto. Il
caldo, catalizzato
dall’acciaio e dall’asfalto proveniente dal Piatto,
rende quei luoghi
praticamente invivibili. L’aria è così
calda e pesante da rendere quasi
impossibile l’attività respiratoria. Molti anziani
e bambini, infatti, muoiono
ogni anno a causa di questo. La situazione è peggiorata
dalla realtà
igienico-sanitaria della zona. Niente fogne, niente cimiteri, animali
morti per
strada, topi ovunque. Condizioni disumane come poche ho potuto
incontrare nei
miei belligeranti viaggi. Nemmeno i soldati provenienti dalle campagne
non
hanno mai visto un’emergenza umanitaria di questa portata.
Oltre che uno
squallore simile. Si tratta di dignità. La gente degli Slums
vuole solo che la
Shinra si accorga della loro esistenza e del loro disperato grido
d’aiuto. Per
questo insorgono, nel vano tentativo di far ascoltare la propria voce.
Quando,
tuttavia, si ha un esercito di uomini, il cui cervello è
stato reso schiavo
dalla fame di distruzione, diventa facile fraintendere un grido
d’aiuto in un
atto d’offesa. E ora che l’ideologia di AVALANCHE
inizia a insediarsi nei cuori
sfibrati degli abitanti degli Slums la loro ritrosia sembra essere
aumentata
ancora di più, incendiata da estati sempre più
calde ogni anno che passa. Segno
inequivocabile che il nostro Pianeta sta lentamente morendo annegando
in un’agonia
infinita. Un’agonia che sembra aver colpito anche Genesis. Da
quando è stata
inferta, quella ferita non ha mai smesso di sanguinare. Il rosso ha
fatto di
tutto per nascondercelo, anche se avremo dovuto intuirlo dal colorito
pallido e
dal netto calo di prestazioni. Rientrava alla base sempre senza fiato,
svuotato
di ogni energia anche dalla missione più semplice. Diedi la
colpa al caldo,
burlandomi della sua delicata costituzione dovuta alla vita agiata
vissuta a
Banora. Era talmente debole da non avere la forza nemmeno di ribattere.
Piuttosto inusuale per lui, dal momento che ogni occasione era buona
per
attaccare briga, ma pensai che magari avesse imparato un po’
di umiltà, per una
volta. La verità, sfortunatamente, era ben diversa. Avevo
appena dato l’ordine
di raccogliere i caduti e i feriti che Angeal si diresse da me con
Genesis in
braccio. Mi accorsi appena del colorito mortalmente pallido della sua
pelle,
dell’angosciante e disperato movimento del petto e dei suoi
occhi spenti;
poiché la mia attenzione venne catalizzata
dall’enorme macchia di sangue
rappreso che dal polso destro si allargava fino alla spalla,
esattamente là
dove poco più di una settimana prima avrebbe dovuto quello
che il Comandante
definì un graffio. Uno squarcio enorme tagliava nettamente
quella pelle
normalmente candida e immacolata, dal quale una quantità
incredibile di sangue
usciva senza alcun freno. Pensai che lo avessero colpito nello stesso
identico
punto e molto più profondamente, ma i miei dubbi furono
sventati da rimasugli
di bende che circondavano il petto. Inoltre, i lembi della ferita
avevano
assunto un colorito insano, il quale cominciava ad espandersi ai
tessuti
vicini. Era un tipo d’infezione che, tuttavia, non avevo mai
visto. La pelle
sembrava squamarsi, raggrinzirsi, sfaldarsi come se si
stesse… degradando. Non
ebbi il tempo
d’indagare che Angeal mi riscosse ricordandomi che uno dei
miei due unici amici
stava morendo dissanguato sotto i nostri occhi. L’impotenza
di fronte alla
sofferenza fu un’agonia. Esattamente come questo momento.
Da quando sono diventato così
emotivo? Che fine ha fatto il mio disinteresse nei confronti di tutto e
tutti?
Forse è esattamente come dice Hojo: “
Ti sei rammollito, Sephiroth. Da
quando ti fai degli scrupoli per quei topi di fogna?”
Una volta tanto, le parole del
vecchio mi hanno aiutato a scoprire una verità su me stesso.
Mi sono reso
conto, infatti, di non più capace di uccidere freddamente
come un tempo. Che
fosse, soldato, vecchio o anche bambino, ai miei occhi non erano altro
che
carne da macellare. Erano solo sassolini che s’interponevano
tra me e la mia
missione. Poi le emozioni e il senso di colpa mi avrebbero tormentato,
ma solo DOPO
aver commesso quegli atti orribili. Ora, quel discernimento, quel senso
di
giustizia e pietà, a volte, viene a galla ben prime e blocca
la mia lama; le
preghiere disperate delle mie vittime raggiungono le mie orecchie e,
talvolta,
le esaudisco e risparmio loro la vita. E’ strano, eppure,
appagante. Forse
l’affetto degli amici e la prospettiva di un figlio in arrivo
mi hanno colpito
molto più in profondità di quanto pensassi,
aprendo una piccola frattura nella
mia prigione di ghiaccio. Posso a malapena descrivere lo strazio
nell’assistere
medici e infermieri militari gettarsi su Genesis nel disperato
tentativo di
salvarlo. Il momento peggiore fu quando lo dovettero defibrillare. Quel
corpo
s’inarcava e si alzava di qualche centimetro da terra, i
muscoli rigidi come
marmo, quel torace che non voleva saperne di muoversi. E di nuovo,
altre
scariche sempre più potenti, ennesimo ciclo di ventilazione.
Invani. Per un unico, terrificante
istante pensai: E’ morto.
Mi sentii
accartocciare, nauseato dal senso di colpa. Era colpa mia. Se mi fossi
controllato, se avessi ignorato le sue stupide provocazioni, se avessi
mostrato
la maturità degna del mio rango, nulla di tutto
ciò sarebbe successo. Guardai
Angeal accanto a me. Era inginocchiato a terra; il busto piegato in
avanti,
sorretto miracolosamente dalle braccia, le cui dita stringevano
convulsamente
la stoffa dei pantaloni della divisa. Credetti che l’avrebbe
strappata prima o
poi, dal momento che a un paio di colpi di defibrillatore avvertii
distintamente il tessuto sull’orlo del cedimento. Solo in
quel momento notai
del liquido calare sulla pelle dei guanti, lavando via il sangue.
Piangeva. Era
un genere di pianto che avevo visto tante, troppe volte nella mia vita.
Un
pianto a cui mai avrei creduto di esserne toccato. Mi guardai le mani
sporche
di sangue e un paio di lacrime caddero sul palmo destro, mentre la
sensazione
di essere risucchiato all’interno di un vortice pervadeva
ogni angolo del
corpo. Proprio quando credetti di crollare come Angeal, proprio
quest’ultimo mi
riscosse, chiamando l’amico d’infanzia. Riuscii a
malapena a vedere i suoi
occhi aprirsi per un attimo e guardarci. Mi sentii rincuorato
nell’accertarmi
che quella scintilla superba tanto odiata non si fosse spenta per
sempre. Ma
era debole, troppo. Non sarebbe rimasta a lungo tra noi, pensai. Provai
l’istinto di raggiungerlo e scusarmi con lui prima che fosse
troppo tardi, ma i
medici non persero tempo e lo trasferirono sull’ambulanza
diretta verso lo
Shinra Building.
Angeal ed io attendemmo notizie
all’esterno della sala operatoria per ORE. Ore interminabili,
durante le quali
nessuno ci sognò di dirci alcunché. Una scena
identica a questo esatto momento,
con l’unica differenza che in quell’occasione ho
costretto me stesso a
mantenere un ferreo contegno. Fu una tortura non poter scatenare tutta
quella
tensione; in quanto costretto a perseverare immobile, in silenzio, in
uno stato
di apparente calma. Non mi era concesso perdere il controllo, non con
un Angeal
così sconvolto al mio fianco. Ci mise un’ora buona
a riacquistare un minimo di
lucidità. Il resto del tempo lo passò a fare la
spola tra la parete di acciaio
del corridoio e il centro dello stesso, a fissare la luce rossa con la
scritta
bianca EMERGENCY affissa al di sopra dello stipite della porta; dove,
al di là
di essa, Genesis lottava tra la vita e la morte. Se le cose si fossero
volte al
peggio, era mio dovere essergli in un qualche modo di supporto, in
qualità di
amico e responsabile dell’accaduto. Quest’ultimo
pensiero continuò ad
accompagnarmi per tutte le lunghe ore di attesa.
SE fossi stato più indulgente.
SE fossi stato più attento.
SE fossi stato più previdente.
SE fossi stato più paziente.
SE… SE… SE…
SE… SE… SE!
Ero stato cieco e stupido e, per
colpa del mio orgoglio, non abbi il coraggio di ammetterlo con lui.
Sarebbe
morto senza sapere che, in fondo, io apprezzavo quell’impegno
tedioso e
asfissiante nell’aiutarmi a esprimere i miei sentimenti.
Senza volerlo, lo
ammetto, lui mi stava rendendo un uomo normale.
Solo in quel momento
realizzai la grandezza dei suoi piccoli e irritanti gesti, dei suoi
plateali
capricci, delle sue continue frecciate. Ha reso la mia vita piena e
inaspettata
senza che me ne rendessi conto, troppo accecato dalla mia superbia. In
quel
momento, ho capito: non sono solo io a dover cambiare il mondo, ma devo
anche
permettere al mondo di cambiare me. Io
non sono solo. Quante volte mi è stato ripetuto,
ma dal basso della mia
autocommiserazione non volevo ammetterlo! Genesis, Evelyn, il
Professore,
Aerith, per citare i più importanti, ma io non ho mai colto
i loro
insegnamenti. Troppo testardo per ammettere i miei tormenti e troppo
superbo
per accettare consigli. E piano piano li stavo perdendo tutti. Non
potevo
permetterlo. Ho sofferto troppo e troppo a lungo per lasciarmi sfuggire
quest’agognata felicità. Sarà anche
un’illusione, un’effimera e transitoria fase
e il Fato, il Destino, la Predestinazione, gli Esper, il Karma, o chi
per loro,
possono anche portarmela via nel modo più doloroso
possibile; ma è sempre
meglio che fingere che non ci sia mai stata. Quando morirò,
almeno, non avrò
rimpianti e potrò dire di aver combattuto, di aver avuto un
onore. Quell’onore
di cui Angeal tanto farfuglia, di cui il piccolo Fair sembra farne una
nuova
lezione di vita, di cui i Wutai ne hanno fatto la loro bandiera, lo
volevo
avere anch’io. Ma non come eroe, o come soldato;
bensì come uomo. L’uomo
che Evelyn si meritava, l’uomo che avrebbe cresciuto quel
bambino, l’uomo che
si sarebbe preso le sue responsabilità.
Fu lì, nella tensione di
quell’attesa, che presi la decisione di tornare a Wutai per
riprendermi la
donna che amavo. All’improvviso, non
m’importò più nulla dei rischi, dei se
e
dei ma che da mesi m’inchiodavano, delle terribili
verità che stavo scoprendo
circa il Progetto G e le mie origini. No, questi erano dettagli di una
vita che
stava passando in secondo piano. Improvvisamente, SOLDIER non era
più sinonimo
di “casa”. Anzi, mi sono accorto che non lo era mai
stato. Mi sento più a casa
qui, in un Paese che mi odia, anziché in una
città che mi idolatra. Quella
gente, tuttavia, non vede null’altro che una corazza creata
per difendere la
mia famiglia, gli unici esseri umani che contano su questo miserabile,
marcio,
morente Pianeta. Basta essere un Eroe, un soldato perfetto, un modello
da
imitare. Evelyn ha ragione, Genesis ha ragione, Aerith ha ragione, il
Professore aveva ragione: io non sono quel facciotto falso e ipocrita
appiccicato su un poster. E lo dimostrerò! Il sacrificio del
rosso non sarà
vano. Avrei vissuto anche per lui,
decisi, nell’istante in cui credetti che sarebbe morto.
Fortunatamente, egli
sopravvisse, tuttavia, come dimostra la mia presenza qui in questa
notte di
urla e sangue e attesa, ciò non fermò i miei
intenti. Ho avuto una seconda
possibilità, sarebbe stato sciocco sprecarla. Anche se,
questa piccola vittoria
non ho potuta apprezzarla appieno, a causa dell’entrata in
scena di un altro
protagonista delle mie indiscrezioni: il professor Hollander.
E’ stato il suo
intervento a salvare la vita al Comandante di Banora, ma quello che mi
ha
colpito non sono state le sue capacità mediche.
Il suo nome svettava su ogni
cartella clinica dei due banoriani. E in nessun’altra. Questa
fu una delle
stranezze che più mi stupì, oltre a rivelare un
dettaglio a cui non feci mai
caso. Avevo sempre creduto che, ad esempio, Hojo sottoscrivesse esami e
visite
ad altri membri SOLDIER, all’infuori del sottoscritto; invece
la sua firma è
SOLO nelle mie cartelle. Esattamente come Hollander. Per questo non
l’avevo mai
sentito nominare, se non per vie traverse: lui non si era occupato di
nessun’altro. Come se noi tre fossimo un’esclusiva.
I giocattoli dei capi del
Reparto Scientifico, con cui trastullarsi per sfogare le loro manie
d’onnipotenza. Io non conosco Hollander a fondo, ma credo che
questo discorso
valga anche per lui. Angeal e Genesis sono i suoi pupilli, i suoi
preziosi
trofei. E io ne ho ferito uno. Mi disprezza per questo. Lo potevo
vedere ogni
qualvolta egli m’incrociava nei corridoi o al capezzale di
Genesis, ben
nascosto dietro una maschera di neutra professionalità. Non
mi permise nemmeno
di rimediare al danno causato, quando mi offrii per
l’esecuzione della
trasfusione che avrebbe salvato la vita al Comandante. Avevamo lo
stesso gruppo
sanguigno, avevo controllato, ma lo scienziato mi disse che non ero
compatibile. Non aveva senso… Era solo sangue. Di cosa aveva
tanta paura? Quella
domanda mi tormentò nei giorni successivi a
quell’evento; tant’è che, tra una
missione e una visita al rosso, mi rinchiudevo negli archivi della
Shinra a
scartabellare plichi, documenti riservati, files protetti, alla stregua
di una
spia industriale. Tra la miriade di segreti e nefandezze che la
Compagnia ha
cercato d’infangare in quel mondo polveroso e insano, un
inquietante quadro
sembra emergere da quei fogli. Non so bene cosa di preciso, ma
più scopro, più
vorrei fermarmi. Ho una brutta sensazione a riguardo. Sento di stare
imboccando
un sentiero molto pericoloso. Un sentiero che potrebbe cambiare o
distruggere
la vita di molti. Inoltre, ho scoperto di non essere l’unico
ad essere affamato
d’informazioni. Un giorno, ero alla ricerca di una serie di
documenti
riguardanti gli studi sull’infusione di mako negli esseri
umani, quando la
segretaria addetta all’archivio si lasciò scappare
che non ero il primo a
ricercare quegli articoli. Stupito, le chiesi di riferirmi il nome del
mio
predecessore.
“Il
Comandante Rhapsodos, signore. Mi ha chiesto di ricercare gli
articoli riguardanti la correlazione tra mako e degrado dei tessuti,
qualche
giorno prima del suo incidente. Non sono molti e alcuni purtroppo sono
inaccessibili con la vostra chiave di sicurezza, ma, se lo desidera,
Generale,
vi consegno lo stesso materiale che ho dato al Comandante.”
La maggior parte di quegli
articoli trattava di sperimentazioni molto vecchie, effettuate su
animali o
piante, a parte un paio, compiute rispettivamente da Hojo e Hollander.
Entrambe
riportano lo stesso anno di pubblicazione, differenti solo di pochi
mesi, come
se cercassero di prevaricarsi l’un l’altro a suon
di risultati scientifici. Ciò
che più mi turba, tuttavia, è il periodo dove
questi studi stavano iniziando a
prendere piede: 30 anni fa, ossia poco prima delle nostre nascite.
La prima di una serie di
coincidenze capace di nausearmi.
Sono tornato in quell’archivio e,
con la scusa di consultare vecchi rapporti, sono stato in grado di
reperire una
lista completa degli articoli redatti dai due più importanti
esponenti del
Reparto Scientifico, la cui posizione sembra tutt’altro che
immeritata. Forse
sono tutte mie supposizioni, ma negli anni precedenti alla nostra
nascita, quei
due, assieme a Gast e a un certo Grimoire Valentine, hanno lavorato a
qualcosa
di gigantesco: una promessa d’imperitura gloria per la
Compagnia. E il
raggiungimento di un luogo chiamato “Terra
Promessa”.
Dove ho già sentito questo nome?
Purtroppo, la mia ricerca ha dovuto
subire un necessario arresto. Oltre al tempo sempre più
esiguo a cui potevo
dedicare a quella forsennata ricerca – rubato dai preparativi
per la partenza
per Wutai e le condizioni in miglioramento di Genesis- , un fatto
decisivo ha
decretato la temporanea fine delle indagini: un sospetto spostamento
dei dati
su un database più sicuro avvenuto immediatamente dopo la
piccola sortita in
quell’archivio. La causa ufficiale sembra riferirsi alla
presenza di una spia
Wutai infiltrata tra i dipendenti della Shinra, ma sono pronto a
scommetterci
che il vecchio pazzo non ha gradito la mia iniziativa. Per quanto possa
essere
stato attento, Hojo ha un talento innato nel capire quando sono alla
ricerca
della verità. Anche se credo che questa
“premura” non sia stata causata
esclusivamente dal sottoscritto. Credo che Genesis stesso, nel
tentativo di
capire cosa stesse succedendo al suo corpo, abbia fatto scattare il
campanello
d’allarme nella contorta mente del vecchio. A questo punto,
mi chiedo: li avrà
lasciati apposta questi materiali o non credeva che la mia
curiosità potesse
davvero spingermi così oltre? Lui mi conosce molto bene, SA
di che cosa sono
capace, quindi mi viene da pensare che questa
“dimenticanza” sia proprio da
definirsi tale. Un errore grossolano di un indegno avversario. E solo
un nome
mi ronza per la testa:
Hollander
1° Ottobre XXXX, mattina
Ho lasciato il discorso a metà,
perché un evento fin troppo atteso ha fatto irruzione nella
bolla di paranoia
in cui stavo affondando pian piano.
E’ nata.
Takara
La mia… no, la NOSTRA bambina. E,
come indica anche il nome voluto da Evelyn, il nostro tesoro. Sono
corso
trafelato al piano di sopra appena ho udito il suo squillante richiamo.
Per
poco non travolgevo la ragazza che stava per scendere a darmi la
notizia.
Evelyn era adagiata sul letto, esausta, scarmigliata e sudata.
C’era un forte
odore di sangue nella stanza, pungente, penetrante; tuttavia diverso a
quello a
cui sono abituato. Non era ferrigno, stantio, nauseabondo.
Era… fresco,
fruttato. So che può sembrare stupido definire il sangue
fruttato, ma
quell’aroma non saprei come altro definirlo. Il frutto
dell’amore
incondizionato fra due persone era nato, per cui definirei
quest’aggettivo
assolutamente legittimo.
Oltre il sangue e le urla, c’era
LEI. Quel minuscolo adorabile fagotto paonazzo. Strillava infuriata,
imperiosa,
agitando i pugnetti e i piedini all’aria, come se stesse
lottando. Natsu ha
detto che la piccola ha una voce decisa, che non lascia repliche. Da
chi avrà
preso?
Alzai lo sguardo verso Evelyn e
il suo viso, nonostante fosse tirato e sconvolto dallo sforzo, mostrava
il
sorriso più bello che avessi mai visto. Ogni suo poro
trasudava soddisfazione.
Avere dei figli era il suo più grande desiderio e, ora, quel
desiderio è qui,
respira… vive.
L’ha stretta forte a
sé, mentre lacrime di gioia le solcavano le guance, per poi
lasciandole un
delicato bacio sulla fronte. Poi guardò me…
Quello sguardo non potrò mai
dimenticarlo: non ho mai visto i suoi occhi risplendere così
intensamente,
ringraziandomi silenziosamente dal più profondo del suo
cuore, pieni di
fierezza. Era felice. Felice come non l’avevo mai vista.
Avvertii del calore
diffondersi dal petto, fino ad inondare ogni singola parte del mio
corpo. I
miei occhi pizzicavano e i lati della mia bocca si arricciarono ben
oltre il
solito limite. Sorrisi a trentasei denti, senza nemmeno accorgermene,
come se
fosse l’azione più normale del mondo. Ero
euforico, stordito dagli ormoni e
dalle emozioni più intense della mia vita. Per un momento mi
scordai di tutto,
del Progetto G, dei dubbi sulla mia origine, degli strani cambiamenti
di
Genesis dopo il suo ricovero. Non c’era più niente
che contasse ai miei occhi,
né la guerra, né la Compagnia. Avevo occhi solo
per loro: le mie donne, la mia
famiglia… Allargai le braccia e le avvolsi nella mia
stretta, come per
proteggerle. Bacia sulla fronte Evelyn e accarezzai la guancia piena e
morbida
di nostra figlia.
E’ così bella, come sua madre;
anche se Natsu dice che assomiglia di più a me. E’
da qualche minuto che la
studio e devo ammettere che il disegno delle labbra è molto
simile al mio. Non
so perché, ma ciò mi riempie di fierezza, sebbene
sia strano vedere i propri
tratti su un’altra persona. E’ qui che ci si rende
conto che quella creaturina
è TUA. Sono stato io a donarle quelle labbra, sulle quali
non vorrò mai veder
svanire il sorriso. E’ una sensazione così strana:
non so niente di questa
bambina, non so che donna diventerà, cosa ne farà
della sua vita, che carattere
abbia, quali siano i suoi gusti; eppure la amo con tutto me stesso. Il
solo
pensiero che mi venga portata via mi devasta. E non solo lei, ma anche
sua
madre. Tutto ciò che ho creato non verrà
distrutto. Questa volta non ho
intenzione di arrendermi così facilmente. Ho
troppo da perdere.
La piccola mugola e arriccia la
boccuccia, creando un’adorabile espressione imbronciata, per
poi mutare
rapidamente in un solare sorriso. Per poco non mi scappa da ridere nel
vedere
le sue gengive sdentate, anche se una stretta allo stomaco per poco non
mi
mozza il fiato. E’ la stessa sensazione che mi assale quando
sua madre sorride.
Vuol dire solo una cosa: innamorato. Ed è vero, io amo mia
figlia, tanto che a
fatica reprimo la voglia di prenderla in braccio.
////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
- E quale sarebbe questo “ultimo
sacrificio”? –
Lo spettro chiude gli occhi e
prende un profondo respiro. Ho la netta sensazione che ciò
che sta per
proferire non mi piacerà.
- Liberare il potere racchiuso in
mia figlia. E l’unico modo per farlo
è…-, s’interrompe un attimo, durante il
quale Evelyn sembra stai cercando di trovare il coraggio di proferire
quella
terribile e spaventosa parola
-…ucciderla.
–
“When the war
of the beasts brings about the world's end,
The goddess
descends from the sky.
Wings of light
and dark spread afar.
She guides us
to bliss, her gift everlasting. “
[Quando la guerra delle bestie
porterà la fine del mondo,
la Dea scenderà dal
cielo.
Ali di luce e oscurità
si
dispiegheranno.
Ella ci guiderà verso la
felicità,
il suo dono eterno.
LOVELESS, Prologo]
Le parole di LOVELESS mi rimbombano
nella mente, recitate da un eco lontano proveniente dai ricordi flebili
di
Sephiroth. Assieme ad esse, una morsa gelida attanaglia le mie membra
al solo
pensiero di quella sentenza orribile.
Il suo dono eterno… il sacrificio
alla fine del mondo…
Anche se si tratta della figlia del
mio peggior nemico… Io… non posso… Non
dopo aver provato quelle sensazioni e…
visto questo disegno.
Non
posso…
Salve belle signore!!! Eccomi di
ritorno con un capitolo super super super lungo e… in
orribile ritardo, come al
solito. Purtroppo di ritorno dalla Turchia il tempo a disposizione
è calato
parecchio, a causa di un’altra imminente partenza per un
luogo un po’ più
freschino: le Falkland!!!! Partirò a fine Agosto e
starò là per ben 6 mesi!
Laggiù avremo un internet a pagamento, quindi non
sarò completamente isolata,
però il tempo libero sarà veramente misero
rispetto alla Turchia, in quanto si
tratta di un progetto già ben avviato e una tabella di
marcia bella precisa,
per cui temo proprio che non riuscirò nemmeno a scrivere. Ci
proverò cmq.
Cercherò d’impegnarmi anche a lasciare un altro
capitolo prima della mia
partenza e magari pubblicare poi da là, così da
non lasciarvi con mille
rivelazioni sconcertanti senza alcuna spiegazione. Ma non ve lo posso
promettere! Io m’impegnerò, giuro!
Bene, bene. Insomma, un capitolo
pieno di flashback, questo. Come avrete notato, Evelyn sta diventando
un’entità
a sé, con uno spazio tutto suo. Non è
più un punto differente della stessa
situazione, ma un approfondimento di ciò che il diario e il
chokobo non possono
aggiungere da soli.
Poi si passa al fatidico
incontro e tutte le scottanti rivelazioni che il nostro Gastenobi (?)
così
gentilmente ci concede J
Sephera?, direte. Già,
è un’idea che mi è venuta leggendo
qualche fic qua e là e, forte del detto “il
mondo è bello finché vario”, ho detto
“perché no?”. Ci può stare
che certi
Cetra possono aver condiviso le idee di Jenova per poi rimanere
fregati,
naturalmente.
Ebbene sì, l’antenato di
Evelyn
è colui che sconfisse Jenova. E ho creduto opportuno che
avesse l’aspetto del
nostro chokobo (eh sì, il Pianeta fa i suoi eroi con lo
stampino XD). Ma riuscirà
a compiere l’impresa affibbiatogli da Evelyn? E voi vi
chiederete, ma perché?
Che diavolo le salta in testa??? Naturalmente, dietro
c’è un chiaro e ben
definito (?) ragionamento! Più o meno. Forse. XD No, dai,
scherzo, diciamo solo
che è ora di finirla con questa guerra.
Con Seph siamo un po’ indietro e
devono accadere ancora un bordello di cose, spero di riuscirle a
toccarle
tutte, prima che il chokobo ci rimanga secco. Sicuramente le
toccherò tutte,
spero solo di non farle troppo sbrigative. Come il suo lato teneroso,
ma per
quello ho in mente un altro modo per mostrarvelo, nel prossimo
capitolo. Perché
credo che delle sensazioni così profonde è
difficile metterle su carta e uno
come Seph, un po’ impedito con queste cose (EHI! ndSeph), non
riesce a tirarle
fuori a parole, ma a gesti. E poi la voglia di cullare la sua bambina
è ben più
impellente che stare lì a scrivere come un imbecille
(Ebbasta!!! *estrae la
Masamune e per poco non mi fa uno scalpo*ndSeph, Okokokokokokokokok!!!
ndFortiX, Ma che sei un chokobo? ndCloud, ha parlato -.-‘
ndFortiX), ecco…
Cerchiamo di essere logici!
E alla fine… *sospiro
esasperato* ho messo un pezzo di LOVELESS. Ho provato ad evitarlo come
la
peste, perché mi viene da impiccarmi tutte le volte che ne
sento anche una sola
parola (addirittura mi ero inventata una profezia), ma alla
fine… mi sono
dovuta arrendere! E’ un pezzo importante della storia di
FFVII e non potevo
ignorarlo. Non più almeno. Spero che sia il primo e
l’ultimo -.-‘
Bon, spero di avere risposto
alle domande più immediate!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 21 *** Divisi ***
E’ così tenero. E in palese
soggezione. Sarà
una mezz’ora buona che studia e scruta la piccola nella
culla, mentre
scarabocchia chissà che cosa in quel diario. Di tanto in
tanto, sorride,
soprattutto quando lei fa le sue adorabili smorfie. Per quanto lui lo
neghi,
Takara gli somiglia tantissimo. Ha solo poche ore di vita e
già mostra i segni
inequivocabili di suo padre. Smorfie comprese! Arriccio e stringo le
labbra,
cercando di trattenere il risolino divertito che mi sta nascendo in
fondo alla
gola. Non voglio interrompere i suoi ragionamenti. Chissà se
avrà l’ardire di
prenderla in braccio… La voglia c’è di
sicuro, tradita dalle tenere incursioni
delle sue mani nella culla della bambina, dove quelle dita affusolate e
forti lasciano
dolci carezze sulle manine, sul pancino, sulle guanciotte. Oh! Alla
fine, un
dito è caduto vittima della grassoccia morsa della figlia.
E’ rapida la
piccola. E’ bastato un attimo di distrazione…
L’espressione sconcertata di
Sephiroth è a dir poco comica! Devo richiamare a me tutta la
volontà per
continuare a fingere di dormire e non prorompere in una fragorosa
risata. Cerca
di liberarsi con poco convinti strattoni, ma quella stretta
è più forte di
quanto immaginasse. Ora sono proprio curiosa di vedere come se la
cava… Si guarda
intorno un po’ spaesato, poi chiede alla piccola, sfoggiando
un meraviglioso e
solare sorriso con quelle labbra tutte da baciare.
-Non vuoi proprio lasciarmi, eh? –
Takara mugola e agita le estremità,
scalciando e sbracciandosi. Senza mollare la presa, sia chiaro. Credo
che
voglia essere presa in braccio, signor Papà. Come mi avesse
letto nella mente,
sospira e fa passare la sua mano sotto la schiena della piccola, stando
bene
attento a sorreggerle la testa. Ha la mano talmente grande da essere in
grado
di accogliere tutto il corpicino della figlia. La solleva lentamente,
mentre
con la mano imprigionata cerca di tenerla in equilibrio
all’interno del suo
palmo. Avverto un tuffo al cuore, vedendola ondeggiare pericolosamente
e, per
poco, cadere a terra. Fortunatamente, i riflessi di suo padre sono
felini e,
con una straordinaria ripresa, l’avvicina rapidamente al suo
petto. Lo avverto
sospirare sollevato, mentre armeggia con la bambina nel goffo tentativo
di
trovarle una posizione comoda e sicura. E’ così
teneramente impacciato e insicuro
quest’uomo grande e grosso dal corpo sovraumano, fatto per
uccidere, dagli
occhi gelidi, fatti per trafiggere e condannare, e dalle mani grandi e
callose,
fatte per brandire mortali armi lucenti. Una figura che stride
così tanto con
il risoluto Generale dei SOLDIER e, forse, è proprio questa
dicotomia a
renderlo ancora più tenero. Sorrido, mentre lui avvicina il
viso alla piccola e
guida le ditina carceriere lungo la sua guancia, per farsi accarezzare
da
quella morbida e liscia pelle. Vedo il pollice di lui massaggiare il
dorso
della manina e, di tanto in tanto, stringergliela dolcemente, come per
farle
sentire la sua presenza. Sempre e comunque. Qualunque cosa accada. Non
riesco a
sentire cosa le stia sussurrando, ma credo di aver udito la parola
‘principessa’. Sorrido con orgoglio. Sì,
lo è davvero: la nostra preziosa,
bellissima principessa. Dal canto suo, la bambina è
completamente incantata
dalla voce baritonale del padre. Lo osserva con gli occhietti
leggermente dischiusi
- di un verde straordinario, vitale e luminoso -, completamente rapita
e la
boccuccia aperta in un’amabile O. E’ una scena
così bella da commuovermi. Mi
mordo il labbro inferiore per trattenere un singhiozzo nascente dalla
gola. Non
credevo che un uomo come lui potesse essere COSÍ affettuoso.
E’ meraviglioso
vederli insieme, l’una nelle braccia dell’altro,
accarezzati dal sole del tardo
mattino, mentre si conoscono a vicenda. Anche se…
è strano: Takara non ha mai
avuto famigliarità con la voce di Sephiroth, se non negli
ultimi di giorni,
quando lui è arrivato come un fulmine a ciel sereno; eppure
lei è assolutamente
a suo agio. Sembra che lo conosca da sempre…
Un brivido gelido mi attraversa da capo a
piedi appena la parola ‘Riunione’ mi passa per la
testa. E’ inequivocabile che
il sangue di Jenova le scorra nelle vene, ma non riesco, non POSSO
concepire
che quel minuscolo, dolce, innocuo fagottino sia un mostro capace di
radere al
suolo il Pianeta. Eppure le potenzialità ci sono tutte. Non
ho idea di come
l’eredità della Calamità lo abbia
contagiato, ma, a tutti gli effetti,
Sephiroth è il discendente diretto di Jenova, senza nemmeno
passare per
migliaia e migliaia di generazioni. Prego che il mio sangue sia
abbastanza
forte da compensare la crudeltà di quella Bestia e che la
gentilezza e la
sensibilità umana di suo padre facciano il resto,
così da rendere il mio tesoro
una bambina come tutte le altre.
-Ma guarda, la mamma è sveglia.
–
I cupi pensieri vengono scacciati via
immediatamente, appena incrocio il sorriso sornione del mio Generale. E
la
parola ‘mamma’ mi provoca una sfarfallata
all’altezza dello stomaco, per quanto
strana e meravigliosa ancora mi parva. Sorrido apertamente e mi sollevo
stancamente. La schiena è ancora assaltata dalle fitte del
parto, mentre le
gambe sono così pesanti da sembrare marmo; però
riesco a mettermi seduta.
Sephiroth arriva in mio soccorso per aiutarmi a sistemare meglio il
cuscino per
sostenere il dorso. Dopodiché, adagia con attenzione la
bambina sulle mie
cosce. Takara si agita appena e inizia a emettere urletti con la sua
vocetta
squillante, in un discorso tutto suo; di tanto in tanto interrotto da
una
ciucciatina al dito di suo padre accompagnata da litri e litri di
saliva. Mi
scappa una risatina divertita osservando l’espressione un
po’ disgustata di
Sephiroth e i suoi vani tentativi di liberarsi da quella morsa che non
perdona.
Avvolgo entrambe le braccia attorno al corpicino, mentre traggo la mia
piccola
a contatto col mio ventre, il posto da cui proviene. Nel frattempo, il
mio
amato prende posto accanto a me e fa scivolare il braccio destro dietro
alle
mie spalle, così che mi possa appoggiare a lui. Avverto il
suo cuore possente
battere e, per un attimo, mi inebrio di quel suono rombante e
rassicurante,
mentre il suo fiato mi accarezza i capelli come una brezza leggera e
rinfrescante. Chiudo
gli occhi e mi
accoccolo meglio sul suo petto, prendendo profonde boccate del deciso
profumo
della sua pelle pallida. Mi era mancato tanto, questo cuore, questo
respiro, questo
odore, questo calore… Rabbrividisco un poco, appena avverto
i suoi polpastrelli
lisciarmi lievemente la pelle dell’avambraccio, in un lento
movimento verticale
e continuo. Alzo la testa e studio i suoi lineamenti rilassati e
bellissimi,
mentre guarda assorto la bambina e sfoggiare un sorriso fiero.
-Da quando è nata non hai occhi se non
per
lei. Devo essere gelosa? –
Lo stuzzico con un filo di ironia,
riottenendo la sua attenzione. Lui ridacchia.
- Anche tu non sei da meno. Credo che tua
figlia abbia un talento innato ad attirare l’attenzione su di
sé. –
-Già. Chissà da chi
avrà preso? Ora che ci
penso, anche il Presidente Shinra amava stare al centro
dell’attenzione. –
Sephiroth mi fulmina con lo sguardo e io
inizio a ridere.
- Non è divertente… -
- La tua espressione un po’ lo
è! –
Abbasso la testa e porto la mano alla bocca,
distogliendo l’attenzione dalla sua espressione
così adorabilmente e fintamente
offesa. Quando rialzo gli occhi, tuttavia, la mia ilarità si
spegne, a causa
del buio calato sul suo viso angelico.
Succede spesso, in questi giorni. Mi ha
raccontato di aver visto uno dei suoi unici amici sul filo della morte.
Conosco
quel SOLDIER, l’ho visto spesso bazzicare per le case da
tè di Garyo, ed è
stato così difficile immaginarlo sull’orlo
dell’inevitabile. Lui, così
attaccato alla vita e alle sue sfaccettature. Uno dei pochi in grado
d’insegnare al mio amato cosa vuol dire vivere, tanto da
accantonare l’orgoglio
e tornare da me. Sephiroth non è l’unico a
ringraziare quel giovane di Banora. Ho
potuto assistere al tormento zampillante dagli occhi persi del mio
Generale,
mentre rabbrividiva ripensando a quei terribili momenti. Gli sono stata
accanto
tutto il tempo, mentre quella lunga notte volgeva al termine e lui si
addormentava pian piano, come un bambino dall’animo via via
più alleggerito dai
fantasmi della paura. E proprio in quel momento, la piccola si mosse da
dentro
il mio grembo, attirando l’attenzione sonnecchiante del
padre. Di nuovo, il
senso di colpa tornò ad adombrargli gli occhi. Mi ha parlato
del Progetto G, di
quei dubbi che lo hanno accompagnato fin da bambino, di
quell’origine nefasta
che teme d’aver trasmesso a sua figlia. Una lacrima di
pentimento sfuggì al suo
controllo, mentre appoggiava la fronte al grembo, in un atto di
contrita
deferenza. Vuole il perdono, un perdono che probabilmente non
arriverà mai,
tanto il male che lo hanno costretto a compiere. Sente di essere
sbagliato, di
portare in sé una malvagità così
grande da non riuscire più a controllare e di
cui non sa nulla. Se solo conoscesse la verità…
brucerebbe il mondo intero dal
dolore. Raggirato, castigato, imprigionato fino a spegnere ogni
volontà, ogni
identità, ogni onore.
Sollevo la mano e lascio che le mia dita
liscino il suo mento appuntito, fino ad adagiarsi dolcemente sulla
mascella ben
delineata. Con delicatezza, volto il suo viso nella mia direzione,
così da
poterlo guardare negli occhi. Mi inebrio in quel verde mako sconfinato
per un
lungo istante, apprezzando ogni singola sfumatura di
quell’iride limpida come
una polla d’acqua cristallina. E poi, a squarciare quella
luminosa perfezione, il
buio. Sottile e tagliente come la lama della Masamune, cela al mondo il
fuoco
che brucia nel suo cuore. Un fuoco animato da tanti, troppi sentimenti
repressi. Ed esiste un solo modo per sfogarli in maniera costruttiva.
Mi
avvicino alla sua bocca, bloccandomi a pochi centimetri da quelle
labbra tanto
bramate, ora leggermente dischiuse, in attesa di un bacio tramutato in
sussurro.
- Io ti amo. –
Gli rivolgo uno sguardo carico di amore,
mentre le sue iridi s’infiammano di ardente passione. Eccolo,
il fuoco. Lo
bacio dolcemente, assaggiando fino in fondo il sapore di quella
morbidezza
rosea. Lui risponde con garbo, ma avverto poca convinzione nelle sue
azioni.
-Qualcosa non va? –
Mi osserva con uno sguardo enigmatico,
profondo, come se volesse leggermi l’anima. Ho imparato a
capire che quando
vedo quegli occhi cupi e concentrati sta rimuginando qualcosa. Ad un
certo
punto, apre la bocca, ma nessun suono esce da quelle labbra, le quali
vengono
subitamente serrate, per poi riaperte e richiuse di nuovo. Le sue
pupille
feline si staccano dalle mie e iniziano a vagare per la stanza. Sembra
in netto
imbarazzo, come se stesse cercando le parole giuste.
- Ecco… vorrei chiederti una cosa... -,
abbassa lo sguardo, sorride imbarazzato, le sue gote
s’imporporano appena, -
Veramente avrei dovuto chiedertelo molto tempo fa, ma…
l’occasione sfumò, come
sai. -
Sembra parlare più a se stesso che a me,
ma
ad un certo punto solleva la testa e mi fissa. C’è
una strana luce in quelle
giade… e non mi è nuova.
- Sono stato un idiota a non averti fatto
questa domanda, quando di tempo a nostra disposizione ne avevamo molto
di più e
ancor più idiota ad andarmene, lasciandoti nel momento
più delicato della tua
vita. -, fa una pausa, durante la quale egli sospira sconsolato,- Con
te ho
fatto un errore dietro l’altro, però ora ho
capito. -
Il mio cuore fa una capriola.
Non
vorrà mica…?
Il suo sguardo si è fatto più
deciso, quasi
rabbioso, come a sottolineare il fastidio per aver sprecato
così tanto tempo.
Inconsciamente, stringo Takara a me, nella vana speranza che il suo
calmo
corpicino possa fermare il rullo battente che ho al posto del cuore.
Sephiroth
si stacca dalla parete e si acquatta sul letto. I nostri sguardi sono
incatenati l’un l’altro e nessuno dei due sembra
volersi arrendere. Lui prende
un profondo respiro.
- Evelyn. -, una significativa pausa,
durante la quale lui assapora ogni lettera del mio nome, come a
convincere se
stesso dell’effettiva scelta. Dal canto mio, un brivido caldo
mi tronca il
fiato, preparando il mio corpo alla fatidica domanda. Sembra passata
una vita
dall’ultima volta che mi venne rivolta, ma
l’emozione non è cambiata; anzi è
molto più forte.
- Vuoi sposarmi? –
Eccola! E’ ancora più bella e
speciale di
quanto mi ricordassi. Forse sono gli ormoni a rendermi così
succube delle
emozioni, o forse amo quest’uomo molto più di
quanto veramente abbia mai realizzato:
qualunque sia la ragione, tuttavia, io non riesco ad arrestare le
lacrime di
felicità che repentinamente hanno riempito i miei occhi.
Stacco una mano da
Takara e l’avvolgo attorno al collo di Sephiroth, traendolo a
me. Lo stringo
forte, mentre mi sfogo sulla sua spalla forte. Ad un certo punto, sento
le sue
braccia circondarmi, condurmi al suo petto.
-Sì. –
Esco dal mio nascondiglio e lo guardo,
accarezzandogli
la guancia, e reitero con più convinzione.
- Sì. –
La luce appare sul suo viso, rendendolo
così
desiderabile, così bello. Mi bacia, con molto più
passione di prima, lasciandomi
quasi senza fiato. Dopo poco ci stacchiamo, ma rimaniamo a occhi
chiusi, le
fronti unite, a respirare i rispettivi fiati.
- Saremo una vera famiglia. –
Percepisco del liquido sfiorarmi le gote.
Non sono lacrime mie, realizzo.
- Giuro che non vi abbandonerò mai
più,
amore mio. Mai più. –
Una vera famiglia.
Quello
che
Tifa ha sempre desiderato, ciò che il mio peggior nemico ha
ottenuto. Avverto
un’ira sorda scuotermi da capo a piedi, suscitata da una
profonda delusione nei
confronti di me stesso. Lui, un mostro, un assassino, un maledetto
è riuscito
dove io ho fallito… Stringo i pugni e i denti per arginare
la rabbia. E
l’invidia. A volte penso che queste visioni servano solo a
farmi sentire misero
e meschino. Una piccola vendetta da parte di colui che definii solo e
senza
cuore; quando la realtà è tutto
l’opposto. Mi rendo anche conto che lui aveva
ragione: più si è abituati alla ricchezza,
più è facile dimenticarsi delle cose
semplici. Io ho avuto dalla vita privilegi che Sephiroth nemmeno si
sognava:
una madre, degli amici sinceri, un luogo d’origine a cui
tornare… una donna
innamorata pronta a tutto per me. Tutto ciò è
stato barattato per… per… niente.
Ero così accecato dalle luci rifulgenti delle lame di
SOLDIER; dalle insegne
pubblicitarie inneggianti promesse di un futuro pieno di effimera
gloria; dagli
occhi ghiacciati del mio idolo chiamarmi a sé, da non
accorgermi di quanto
fossi fortunato, di quanto amore ci fosse nella mia vita, di quanto
fosse bella
la tranquillità del mio villaggio. Come tanti altri ero
caduto nella rete di
bugie della Shinra. Rilasso appena le dita, pensando a quanto noi umani
siamo incontentabili
e di quanto il destino sia beffardo. Le persone vedono sempre nella
ricchezza,
nella notorietà, nella gloria il segreto della
felicità, quando, invece, sono
proprio coloro che hanno ottenuto queste sono le più tristi
e sole. Al che si
comprende: senza amore, senza lealtà, senza onore un umano
non si sente
completo, perché semplicemente non lo è. Quante
volte abbiamo invidiato
Sephiroth per il semplice fatto che lui aveva, a nostra detta, tutto;
vedendo
nel suo attico, nelle donne che lo circondavano, nel suo smisurato
talento, una
fortuna sfacciata, quasi immeritata, secondo alcuni fanti. Essi,
infatti,
addirittura sparlavano alle sue spalle inventandosi storie improbabili,
andando
a seminare dubbi perfino sulla sua sessualità, solo
perché ritenevano assurdo
rifiutare avances dalle donne, soprattutto dopo mesi lontano da esse.
Nessuno
immaginava che quei rifiuti non erano per mero disinteresse, ma per
fedeltà.
Una parola che a molti suonava così strana, perfino a chi
aveva lasciato una
ragazza a casa ad attenderli, di cui si erano già
dimenticati. Fedeltà nei
confronti del proprio cuore, quando il mondo attorno a te
s’impegna ad
offuscarlo con sibilanti tentazioni. Noi, sciocchi fanti, poveri di
tasche e
altrettanto nell’animo non avevamo compreso questi valori
così semplici, di cui
avevamo avuto insegnamento fin da bambini; mentre un bambino solitario
cresciuto troppo in fretta e troppo crudelmente ne aveva completamente
assorbito il significato. Lui è l’esempio, in
tutto e per tutto.
Ora
capisco
il significato dietro quella frase:
Tell me what you
cherish
most. Give me the pleasure of taking it away.
[Rivelami
ciò che ritieni più
prezioso. Dammi il piacere di portartelo via. Sephiroth, FFVII: ACC]
Non
la
proferì per scherno, ma al fine di farmi reagire,
richiamando lo spirito di
Zack in mio soccorso. Non potevo arrendermi. LUI sapeva cosa avrebbe
significato, che dolore avrebbe causato. Un dolore che perpetua tuttora
e che
di continuo mi trapassa il cuore. Un dolore dannatamente simile a
quello del
Geostigma.
Sbagliavo
anche su questo: Sephiroth non tormentava
l’umanità con la sua ferocia, ma con
la sua angoscia. Penetrante, continua, profonda. Come una stoccata,
spietata e
senza alcuna remora. In effetti, come si fa sopravvivere a una
sofferenza del
genere? Comincio a credere che non fu la follia a distruggere la sua
mente, ma
una ragionata decisione. Era la conferma che cercava, il motivo che lo
avrebbe
legittimato a infliggere al mondo lo stesso dolore che provava in quel
momento.
Quella strana ferocia, quell’ira incontrollata, quella
insensata sete di vendetta
che hanno contraddistinto la sua vita avevano trovato una spiegazione,
finalmente. Inoltre, lo aveva promesso a Evelyn: lui
l’avrebbe raggiunta anche
tra le fiamme dell’Inferno. Una crociata per liberare la sua
famiglia, ecco
quello che Sephiroth sta intraprendendo. Quello che tutti avevano
frainteso.
L’unico ad aver capito le intenzioni dell’albino
è stato proprio l’uomo di
fronte a me: suo padre, Vincent Valentine.
Alzo
gli
occhi dai miei ragionamenti e lo osservo mentre si passa la mano
guantata tra i
capelli corvini, accompagnando l’azione da un profondo
sospiro. Gli ho permesso
di leggere l’ultimo passo del diario, in quanto ho ritenuto
opportuno metterlo
al corrente della figlia avuta da Sephiroth. La sua nipotina.
E’ difficile
realizzare che il mio silenzioso compagno di viaggio ha effettivamente
una
certa età; sebbene l’aspetto non tradisca
l’effettiva anzianità. Ancora fatico
a metabolizzarlo come padre e ora scopro che è pure nonno!
Oltre che essere
l’unico parente ancora in vita di Takara; dal momento che i
genitori di Evelyn
si sono uniti al Pianeta quando lei era soltanto una bambina, almeno
stando a
quello che Gast mi ha riferito.
-
Sei sicuro
che sia ancora viva? –
Egli
mi
fissa con quelle iridi infuocate, studiandomi fin dentro
l’animo. Sento una
fitta stringermi lo stomaco, mentre quel segreto sembra risalirmi
l’esofago,
evocato da quello sguardo. Resisto. Non posso rivelargli la condanna
della
bambina: lui m’ impedirebbe di compiere il mio…
dovere, se così vogliamo
chiamarlo. Anche se non sono così sicuro che la ragazza
potrà mai essere in
salvo. Se da un parte c’è la Shinra con i suoi
loschi scopi, dall’altra… ci
sono io, colui designato dal Pianeta per porre fine alla sua giovane
vita e… liberare il suo potere.
Ho riflettuto a
lungo su questa richiesta e non riesco a scacciare questa sensazione di
dejà
vu, come se un sacrificio del genere fosse già avvenuto.
Quanto sei lento,
Cloud. Eppure, tu c’eri. Ed eri l’ospite
d’onore.
La
fredda e
boriosa voce del Generale mi illumina. Era un evento che ho provato a
dimenticare con tutto me stesso; eppure eccolo di nuovo che si
ripresenta. E,
questa volta, oltre ad esserne il protagonista assoluto, sono anche
l’esecutore.
Aerith e il suo sacrificio. Sephiroth e la
sua follia…
Due
dei
poteri più potenti dell’universo coalizzati contro
la Shinra e la sua sete di
energia. Ci voleva un’entità benevola, una
benefattrice, per riabilitare il
Pianeta e un mostro senza cuore per compiere un tale crimine. No, non
un
mostro. Un uomo che aveva perso tutto, disperato e straziato nella
mente e
nell’animo, pronto a far marcire la sua anima nel
più profondo, lurido e
schifoso buco dell’Inferno, pur di non avvertire
più alcun dolore. Ma si sa, il
Pianeta è un bambino capriccioso e sadico. Quale migliore
occasione per rifarsi
delle angherie subite da Jenova, se non avere tra le grinfie il suo
figlio
prediletto? E perché non aggiungere la disperazione nel
negargli la visione
della sua amata figlia?
Traitor
[Traditore.
Sephiroth, FFVII, FFVII:
CC, FFVII: BC]
Esatto. Proprio così, Sephiroth.
Questo
lunga
guerra ha portato fin troppo dolore ed è ora di porvi fine.
E questo che andrò
a compiere sarà l’ultimo sacrificio. Una sola vita
per salvare quella di tutti.
Uno scambio equo, in fondo. Perfino il padre della bambina sembra aver
accettato quel destino, in quanto, probabilmente, preferisca vederla
morta,
anziché sola nelle grinfie di un Pianeta spietato. Ma
Vincent… Vincent non
capirebbe. Ha visto un’amata venire distrutta dal peso delle
sue colpe e un
figlio sprofondare nel baratro più profondo della follia.
Credo sarebbe troppo
assistere al sacrificio della sua unica nipote, la sintesi tra le due
persone
che abbiano mai contato per l’ex-Turk.
-Cloud!
Mi
hai sentito? –
Alzo
la
testa di scatto, ridestandomi dai pensieri, e appunto la mia attenzione
sull’angolo in cui Vincent è stato appollaiato per
questa ultima ora. Egli ha
il busto proteso verso di me e ha assunto un’espressione
infastidita e severa.
-
I tuoi
momenti di alienazione stanno peggiorando, Cloud. Forse dovresti
rimanere qui
con Gast, mentre io proseguo col nostro piano. –
-E
farmi
studiare come un topo da laboratorio da quell’insofferente
del suo assistente?!
Non ci penso proprio! –
-E
allora,
rispondi. E’ ancora viva Takara? -
-
Te l’ho
detto. La bambina è viva. Lo spirito di Evelyn me lo ha
rivelato. -
-Quello
che
non capisco è perché non ti ha riferito dove
è nascosta. –
Alzo
le
spalle.
-
Non lo
capisco nemmeno io, ma credo che la spiegazione sia molto semplice: non
lo sa.
–
-E’
uno
spirito legato al Lifestream! Come fa a non saperlo? –
-
E’ qui che
vi sbagliate, signor Valentine. L’entità non
appartiene né al mondo dei morti,
né a quello dei vivi. Ella continua ad esistere nel diario,
in quanto, per sua
natura, trae il suo sostentamento dai ricordi. –
Steven
svetta ingobbito sull’uscio, artigliato al bastone da
passeggio e rinchiuso nel
suo perenne cappotto nero, come per nascondere le sue fattezze malate.
Sia io
che Vincent gli rivolgiamo sguardi torvi e minacciosi, anche se i
più mordaci
vengono da parte di quest’ultimo. L’antipatia tra
loro si è acuita dopo una
rivelazione da parte del professor Gast: Steven, infatti, non
è altri che il
figlio bastardo di Hojo. Anzi, stando ai fatti attuali, in teoria,
sarebbe
l’unico vero figlio dello scienziato della Shinra. Come,
però il ragazzo sia finito
alle dipendenze del rivale di suo padre è un autentico
mistero. Il motivo,
tuttavia, non è difficile da immaginare. Gast ci ha svelato,
infatti, che, dopo
che Sephiroth venne affidato a SOLDIER, Hojo decise di usare Steven
come una
sorta di cornucopia, così da fungere da garanzia per la
preservazione del suo
intelletto e delle sue capacità. Il ragazzo, infatti, era
molto portato alla
scienza, ma i ritmi disumani dello scienziato nell’istruirlo
peggiorarono
gravemente le sue già precarie condizioni fisiche. Il fisico
malaticcio di
Steven non reggeva le vergate così bene come quello temprato
e allenato di
Sephiroth.
Hojo sa come farsi amare dai propri
figli…
Oh no. Hojo
è molto
democratico. Siamo tutti cavie ai suoi occhi, parenti e sconosciuti.
Il
mio
sguardo si addolcisce. Non posso biasimare questo povero ragazzo. Posso
a
malapena immaginare cosa abbiano provato due bambini nelle grinfie di
quel
pazzo.
-
Come fate
ad esserne così certi? –
La
voce di
Vincent mi ridesta e tendo le orecchie, facendomi attento. Steven
assume
un’espressione infastidita, quasi scocciata, tuttavia
accantona la superbia e
ci fa il favore di illuminarci.
-
Lo abbiamo
studiato per anni, quel diario. Dalle nostre misurazioni risultava
essere
permeato di un’incredibile energia di origine sconosciuta.
Dopo vari
esperimenti, il professore ed io notammo delle fluttuazioni di
quell’energia, di
cui non riuscimmo a comprenderne la causa, inizialmente. –
s’interrompe un
attimo, aggiustandosi gli occhiali sul naso, - Scoprimmo, infatti, che
non si
trattava di fluttuazioni casuali, ma veri e propri schemi di
comunicazione,
estremamente complessi. Notammo, inoltre, che l’energia
misteriosa reagiva ai
ricordi evocati durante le nostre chiacchierate. Fu in quel momento che
il
professore ebbe l’illuminazione. –
Il
viso del
ragazzo viene deformato per un brevissimo istante da una smorfia di
dolore, la
quale lo costringe ad interrompersi e trascinarsi stancamente verso la
sedia
più vicina. Il dolore, tuttavia, si accentua durante
l’operazione, come
testimoniano le sue espressioni e i suoi gemiti a denti stretti. Quando
finalmente si siede, il suo viso si distende. Per poco, dal momento che
un
altro paio di fitte deformano i suoi lineamenti. Mi chiedo da che cosa
sia
affetto. Gast è stato ben muto su questo e dubito che Steven
sia così in vena
di rivelazioni. Faccio per alzarmi per accertarmi che stia bene, ma lui
alza la
mano con un gesto secco.
-Sto
bene. –
Vorrei
ribattere, ma il suo sguardo tagliente m’induce a ritornare
sui miei passi.
Dopo poco, infatti, egli ritrova il fiato per continuare, rizzandosi,
per
quanto la sua postura lo permette, sulla sedia.
-
I Sephera
sono stati la razza più affascinante della storia Cetra,
anche se gli Antichi l’hanno
sempre considerata una macchia vergognosa. Essi sono la prova che
Jenova e Gaia
posso coesistere pacificamente, come dimostra anche la nascita della
piccola
Takara. –
Steven
s’interrompe e sospira, affondando nella sedia. Ora la sua
espressione è distesa,
rivelando tutta la gioventù nascosta dietro a quella
maschera di lugubre
indifferenza. Si toglie gli spessi occhiali e inizia a pulirli.
Possiamo
finalmente vedere meglio i suoi occhi, i quali non sono piccoli e
malefici come
quelli di Hojo, ma grandi e sinceri. L’iride è di
un marrone chiaro, quasi
rossiccio, dentro cui una pupilla si apre sulla sua anima cupa e
misteriosa.
-
“Dal sangue rosso di Eveth e dal
sangue rosso
di Sephira, vestito di piume nere e bianche, del Dono sarai il
Portatore. Ti attendo
all’Alba, Curatore di mondi.” –
Vincent
ed
io ci scambiamo uno sguardo perplesso, senza comprendere il significato
delle
parole appena proferite da Steven. Il pistolero dà fiato
alla nostra
perplessità.
-
Ha tutta
l’aria di una profezia, o sbaglio? –
-
No, non
sbaglia, signor Valentine. Eveth e Sephira sono rispettivamente i nomi
Cetra di
Gaia e Jenova. Con sangue rosso s’intende la discendenza
umana delle due
entità, mentre il resto… ha fatto da ispirazione
al romanzo epico LOVELESS. –
-Vuoi
dire
che ciò che è raccontato in LOVELESS è
vero? La guerra, i tre amici, la Dea… il
Dono? –
-Oh
sì, ma
non c’è da stupirsi. LOVELESS è sempre
in atto sotto i nostri occhi. Ogni giorno.
Il romanzo è una metafora del viaggio che ognuno di noi
intraprende per ricercare
la redenzione. E’ un viaggio periglioso, che porta un uomo a
perdersi, o a
morire. Chi, invece, rimane verrà bersagliato dai tormenti.
Vivrà nei ricordi,
distrutto dalle occasioni sfumate, incapace di trovare pace, fino a che
non
giungerà l’inevitabile, dove ogni speranza
verrà riposta al di là del baratro.
E il ciclo ricomincerà ancora una volta. –
Rimaniamo
ammutoliti di fronte a quella parafrasi così cruda e
spietata.
-
La
redenzione… Jenova e il Pianeta cercano la redenzione?
–
Steven
annuisce lentamente.
-
Ma ciò che
ottengono è solo altro dolore, perché la loro
anima è ormai marcia a causa di
millenni e millenni di odio reciproco. E’ necessario
l’intervento di un arbitro,
detto “Curatore di Mondi”, un essere nato dal
sangue umano di Jenova e dal
sangue umano di Gaia. L’unica che corrisponde a questa
descrizione è proprio
Takara. –
Il
giovane
apprendista si blocca un istante, mentre le sue iridi lasciano
intravedere una
luce malinconica, prima di scomparire dietro al riflesso degli occhiali.
–
Vi prego
di ritrovarla sana e salva. Prima che sia troppo tardi. -
Vincent
ed
io ci scambiamo un’occhiata preoccupata.
-
Prima che
sia troppo tardi? –
Steven
annuisce greve.
-
Non siete
gli unici sulle tracce della bambina. –
-
La
Shinra…? –
Lo
scienziato scuote la testa. La sua espressione è
terribilmente seria. Un
brivido gelido mi attraversa la spina dorsale da parte a parte,
caricandomi di
anticipazione.
Sephiroth… Cosa…?
-
Peggio.
Infinitamente peggio. –
Vincent
si
piega verso il ragazzo. Il suo viso è una maschera
d’angoscia.
-
Cosa ci
può essere peggio della Shinra? Deepground? –
Il
ragazzo
mi rivolge un lungo, profondo sguardo, ma capisco che non è
rivolto
direttamente a me, bensì a qualcosa nascosto dentro di me. O
meglio a qualcuno.
Una
paura gelida
mi scuote da capo a piedi. Abbasso lo sguardo sulle mie mani e osservo
stupito
le dita tremare come se ogni calore fosse scomparso da esse. Sono
mortalmente
bianche.
-
Cloud? –
La
vista mi
si offusca e le orecchie iniziano a fischiare. Il cuore martella
impazzito nel
petto, quasi fosse sul punto di esplodere, mentre la richiesta di
ossigeno si
fa sempre più impellente. Gocce di sudore freddo bagnano la
pelle sbiancata
pericolosamente. Faccio giusto in tempo a rendermi conto di
ciò che sta
accadendo al mio corpo che un fuoco terrificante esplode nel mio petto.
I miei
occhi si stringono, i denti scricchiolano, le dita si serrano fino a
ferire la
pelle del palmo, la pelle s’infiamma di furore.
Ira.
Vendetta.
Odio.
Un’ala
nera
arcuata si apre maestosa spargendo piume corvine sul terreno bagnato.
Una
spada
rossa infusa di mako rifulge nel cielo plumbeo, baciata dal sole di
metà
autunno.
Un
ghigno
malefico deforma un viso una volta amico.
-
“My soul, corrupted by vengeance
Hath
endured torment, to find the end of the journey
In
my own salvation
And
your eternal slumber.” -
[“La mia anima, corrotta
dalla
vendetta. Ho sopportato il tormento, per trovare la fine del viaggio
nella mia
stessa salvezza. E nel tuo eterno tormento.” LOVELESS, Atto
IV.]
-
Cosa vuol dire? –
-
Che io vivrò, amico mio. Vivrò, mentre tu cadrai.
–
-
Perché? –
-
Perché la Dea è dalla mia parte e tu sei indegno
del
suo favore. Di conseguenza, Sephiroth, dovrai pagare lo scotto per il
tuo
crimine. Così, la tua immeritata gloria sarà
finalmente mia. –
-
Quale crimine? Di che cosa stai parlando? –
-Il
crimine di esistere. Quello di cui tutti noi siamo
accusati. –
-Noi?
–
-
Capirai, amico mio. Capirai quando il tua sangue
bagnerà le mie mani. –
-
Davvero credi che sia così semplice? –
-Veramente…
Non mi stavo riferendo a te… -
- Genesis… Genesis è sulle
tracce
della bambina. –
La mia voce è mozzata, un soffio
così flebile che perfino io fatico a sentirmi.
-Chi è Genesis? Che sta succedendo?
–
Vincent sembra sull’orlo della
paranoia, saltando con lo sguardo da me a Steven e viceversa, alla
ricerca di una
risposta. Lo scienziato non batte ciglio e risponde, solenne.
- Genesis è colui che segnò
la fine
dell’epoca SOLDIER. Uno alla volta condusse i grandi eroi del
Reparto a
ribellarsi alla Shinra, causando disastri come quelli di Nibelheim.
Fece leva
sulle loro debolezze e gli condusse alla follia e alla morte. -
- E quindi? Cosa vuole da mia
nipote? –
- Vuole impadronirsi del potere del
Curatore di Mondi, signor Valentine. Così da poter vedere
Gaia e Jenova
bruciare tra le fiamme della sua vendetta. –
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
5 Novembre XXXX
L’eco martellante dei rotori di un
elicottero riempiono l’aria, assieme a chili e chili di
polvere, la quale
s’infila in ogni cavità
dell’accampamento abbandonato. Frammenti di terreno e
metallo picchiettano contro la mia divisa, i cui lembi sfiorano gli
stivali e
le cosce. I teli delle tende gemono tese, sull’orlo di
staccarsi dalle intelaiature,
provocando un fastidioso rumore simile a quello di mille fruste.
Osservo
distrattamente l’aeromobile nero librarsi nel cielo plumbeo e
scomparire dietro
alle nuvole grigie. Tira aria di tempesta, a giudicare dalle formazioni
cumuliformi e scure in arrivo da est e dal vento gelido e umido che da
qualche
ora spira proprio da quella direzione, sempre più forte.
Sento la pioggia
avvicinarsi, ma la vera tempesta è già in corso
dentro di me.
Genesis
ha disertato.
Perché?
Tuoni possenti rombano in lontananza,
incrementando il tremore che questo pensiero mi provoca. Sta succedendo
di
nuovo… Di nuovo una persona a me cara se ne è
andata, senza alcun motivo. Senza
avvertirmi, senza consultarmi.
Perché, Genesis, perché ci
hai abbandonato?
Cos’hai scoperto di così
terribile da
macchiarti di un crimine così grande?
Perché hai trascinato con te i tuoi
uomini?
L’accampamento vuoto amplifica il mio
disagio,
mentre cerco di visualizzare la vita frenetica che avrebbe dovuto
calpestare
questo terreno, su cui la pioggia sta iniziando a cadere, inesorabile.
Il vento
è aumentato, il freddo inizia penetrare nelle fessure dei
vestiti, l’umidità si
poggia sulla pelle, sui capelli, sull’umore. Nuvolette
bianche escono dalle
labbra ad ogni respiro, mentre le gocce piovane iniziano ad
appesantirmi i
capelli, scivolando lungo il collo, il petto. Dovrei rientrare per
mettere al
riparo il diario, ma ho bisogno di depurarmi. Ho tanti dubbi,
informazioni,
teorie in testa che potrebbero spaccarmi in due se non trovassi il modo
di
riordinare le idee. Il vento solleva la miriade di documenti nascosti
nella
tenda alle mie spalle. La tenda di Genesis. Piena di rapporti,
articoli,
risultati di esami, tutti marchiati ‘Progetto G’.
Cosa ti hanno fatto, Gen?
Gli ho letti tutti e il quadro che ne è
emerso è inquietante: esperimenti su feti umani con uso di
mako e… cellule J.
Altri misteri, altre dannate sigle senza alcuna spiegazione!
Hollander…
Lui è la causa di tutto. La sua firma
è
apposta su ogni stramaledetto rapporto, in cui, fiero e gongolante,
espone i
suoi disumani risultati scientifici. Avverto una rabbia irrazionale
divampare
nel mio petto, accompagnata da un’immotivata e folle sete di
distruzione e
vendetta.
Perché?
Cosa sa il mio corpo che io non so? O forse,
sono io che mi rifiuto di vedere chiaramente. E’ come questa
nebbia: so cosa c’è
al di là di essa, ma non voglio attraversarla,
perché… perché…
Ho
paura.
Ho paura della verità. In fondo, ne ho
sempre avuto il timore: io voglio solo essere normale. Ma non lo sono,
lo so.
L’ho sempre saputo, ma… è troppo
sperare di condurre una vita ordinaria,
nonostante tutto?
L’ho sperato quando ho tenuto in braccio
la
mia bambina per la prima volta, quando Evelyn mi ha accettato come suo
sposo e
ogni momento passato a Onijin. Ho creduto a quel sogno, illudendomi,
per un
minuscolo, piccolo istante, che potesse finalmente realizzarsi.
Ma…
Qualche giorno prima della fine della mia
licenza, questa nefasta notizia è arrivata, attraverso una
visita inaspettata
da parte di Tseng. Stavo cullando mia figlia quando
quell’uccellaccio del
malaugurio bussò alla nostra porta con l’ordine di
rientro immediato. Evelyn
ascoltò tutto dall’altra stanza, sospettai, in
quanto, quando mi avviai nella
nostra camera, lei si stava già adoperando per raggruppare
le mie cose. La
osservai in silenzio sull’uscio, mentre lei, testardamente,
continuava il suo
operato. Non lo diede a vedere, come al solito, ma sapevo che dentro di
sé
urlava disperata. Si stava mostrando forte, la mia guerriera, ma non
potevo
permettere che tenesse tutto dentro. Ne basta uno solo in famiglia.
Abbandonai
lo stipite e la strinsi a me, rassicurandola, accarezzandola,
baciandola; fino
a che non ci ritrovammo distesi nel letto a fare l’amore. Non
l’ultima volta,
però. Giurai ad Evelyn che ce ne sarebbero state molte,
molte altre. Eppure,
avvertii un macigno gravarmi sull’anima, nel momento in cui
contemplai la mia
figura rinchiusa di nuovo nella sua prigione di pelle nera, con la
zanna
mortale pendente al suo fianco.
Non
era cambiato assolutamente nulla.
Per quanto mi sforzi, la Shinra è sempre
in
grado di raggiungermi e strapparmi via dall’angolo di
felicità in cui mi stavo
crogiolando. Mi guardai le mani, quelle maledette mani capaci solo di
uccidere,
e la mia attenzione venne attratta dal brillio delle placche di metallo
sui
miei polsi. Catene. Il cane stava
tornando dal suo padrone…
Mi voltai, cupo, e vidi Evelyn emergere dalle
scale con Takara in braccio. La mia piccola, innocente principessa
dormiva,
placida, quieta, dolcissima. Inconsapevole.
Si sarebbe svegliata e suo padre non sarebbe stato lì ad
accogliere il nuovo
giorno in sua compagnia. Un dolore sordo e martellante mi
spezzò il cuore,
mentre la salutavo con un bacio su quelle guance piene e morbide.
Evelyn mi
guardò comprensiva, mascherando il suo dispiacere dietro a
un mesto sorriso.
Strinsi le mie donne a me, assaporando il loro calore
un’ultima volta, prima di
tuffarmi in questa in questa tetra e fredda realtà.
Il mondo, infatti, mi sembra molto meno
luminoso senza Genesis, senza la sua noiosa insistenza, le sue ridicole
scenate, la sua straordinaria capacità di portare allegria e
leggerezza anche
nelle situazioni più disperate. Ma soprattutto, mi manca la
sua amicizia. Quel
modo tutto suo di tirarmi su il morale, con quel sorriso beffardo,
rivolto solo
ed esclusivamente a me, e quelle frecciate create ad hoc solo per farmi
uscire
dai gangheri. Sorrido malinconico al pensiero di tutto quello che
abbiamo
passato insieme, lui, Angeal ed io, e di che razza di trio scapestrato
eravamo.
Ripenso a tutte le baruffe a cui abbiamo dato vita per i motivi
più stupidi;
alle centinaia di volte che siamo stati richiamati da Lazard per aver
distrutto
questo o quello; alle missioni schiena contro schiena a un passo dalla
morte;
alle serate in giro per Midgar a combinare guai; ai tranquilli
pomeriggi
passati in licenza a Costa del Sol.
Ora il mondo è esattamente come questo
accampamento: tetro e vuoto.
Se almeno Angeal potesse essermi in un
qualche modo da sostegno… Ma, ahimè, ho compreso
troppo tardi il ruolo di
ricoperto da ognuno di noi nel nostro pazzo strano trio. Genesis era il
parafulmine delle mie sfuriate, dal momento che spesso ne era anche la
causa,
mentre Angeal era il cuscinetto che mi riportava all’ordine.
Assieme a Evelyn,
loro sono il mio equilibrio. Mancando uno dei pilastri, sento la mia
sanità
mentale scricchiolare, flettendosi pericolosamente verso il baratro. Le
emozioni negative, di solito il pane quotidiano del rosso, si
accumulano nel
petto, come un tumore, schiacciando gli organi vicini. Ho voglia di
urlare,
combattere, uccidere. Voglio il dolore, voglio sentire il sangue
pompare nelle
vene, la mia mente svuotarsi. Ma ora non mi è possibile,
devo mantenere
lucidità e ritegno per affrontare nel modo migliore questa
crisi, ma come fare
con quell’artiglio che mi gratta da sotto il petto?
Genesis… dove sei?
Ho bisogno di te, amico mio... sei
l’unico
capace di sopportare tutta frustrazione e la rabbia che provo in questo
momento. Angeal da solo fa più danno che altro.
Tornato alla centrale operativa del Settore
22, stanziata a Meriko, una città a dieci miglia circa a
ovest della catena
Hourei, mi comunicarono di essere atteso dal comando per
un’urgente riunione
con i vertici dei Reparti militari e segreti. Il moro era
già lì, richiamato
anche lui dalla licenza, assieme al Consiglio di crisi, composto da
Lazard, in
quanto Direttore di SOLDIER, Tseng, in qualità di occhi e
orecchie del
Presidente e… Hojo. Doveva trattarsi di molto più
di una semplice diserzione se
quel topo di laboratorio aveva avuto il fegato di lasciare il suo buco
degli
orrori. Durante il briefing venne chiarita la presenza dello
scienziato:
qualcuno aveva rubato dei macchinari dalle funzionalità
classificate S1 dai
laboratori del Piano 67. Inoltre, nel corso delle riunione venne
riferito che il
professor Hollander era scomparso, assieme a dei preziosi documenti top
secret,
trafugati dagli archivi del Reparto Scientifico. Una fortuita
coincidenza? Il
rapimento non era un’opzione plausibile, in quanto il fatto
avvenne quasi
contemporaneamente alla diserzione di massa. Hojo è certo
che Hollander sia qui
in Wutai e si sia unito alla ribellione.
“Cerchiamo
di non essere precipitosi, Professore. E’ presto per parlare
di ribellione.
Genesis è uno dei nostri agenti migliori. Sono certo che
c’è una spiegazione
meno drastica.”
“Se
sapeste
quello che so io, non direste così, Lazard.”
“E
cos’è che
sapreste più di noi, Professore?
La
prego ci illumini! O devo presumere che ci stiate nascondendo
qualcosa?”
Il gelo che calò subito dopo la mia
insinuazione andò a contrapporsi dallo sguardo infuocato
scoccato da mio padre.
Era la domanda sulla bocca di tutti, ma troppo intimoriti da quel
vecchio
rachitico per rivolgerla. Tutti, tranne me. Sarei andato fino in fondo
per
ritrovare Genesis, perfino affrontare l’ira del vecchio.
“Tu
e il tuo
compare siete stati richiamati solo per essere messi al corrente dei
fatti e
ideare la linea d’azione più congeniale per la
Compagnia. Quindi, ascolta e
tieni le tue irrispettose supposizioni per te, ragazzino!”
Odio quando mi chiama
‘ragazzino’. Come se
lo fossi ancora, dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutti gli incubi
che mi
tormentano ogni notte, dopo tutti i traumi che ho ricevuto in questi
lunghi
anni di servizio. Come se avessi avuto un’infanzia. Come se
non me l’avessi
strappata con i tuoi sporchi, luridi artigli. Battei un pugno
così forte sul
tavolo da sfondarlo. Tutti i presenti sobbalzarono. Tranne Hojo, sul
cui ghigno
scavato si dipinse un sorriso beffardo. Sentii la Bestia ringhiare da
sotto lo
sterno, affamata. Avrei potuto ucciderlo lì, davanti a
tutti, ma Angeal ebbe il
sangue freddo necessario da avvicinarsi e afferrarmi forte le spalle.
La sua
presenza fu capace di ridonarmi quel minimo di lucidità da
trattenermi dal
saltare alla gola dello scienziato e strappargli la giugulare a morsi.
In
fondo, non è la prima volta che attento alla sua vita.
Eppure l’istinto di
sopravvivenza dovrebbe suggerirgli di evitare certi comportamenti in
mia
presenza. Hojo, però, ha una perversione malata nello
studiare i miei scatti
d’ira. Non so cosa ci trovi d’interessante o
divertente, ma arriverà il giorno
in cui tra me e lui non ci sarà niente… E allora
vedrai, padre adorato, vedrai
come ti ridurrò…
Scostai Angeal e me ne andai, indignato.
Poco dopo, il moro mi raggiunse per esortami a rientrare. Alla fine dei
conti,
eravamo lì per aiutare Genesis. Poco importava cosa
nascondesse Hojo e cosa
volesse la Compagnia. Io non ero dello stesso avviso; anzi lo sarei
stato se
avessi avuto la decenza di calmarmi. Esplosi, riversandogli addosso
tutta la
frustrazione, la rabbia, la preoccupazione che avevo accumulato in quei
pochi
giorni. Non avevo mai urlato in faccia ad Angeal, solitamente il
destinatario
delle mie sfuriate era l’altro banoriano, però
ritenni normale per lui
sopportare le irrazionalità della rabbia. In fondo, il suo
migliore amico non è
che fosse la persona più calma e posata del mondo. Ma mi
sbagliavo. Ricevetti
un pugno in pieno viso che per poco non mi ribaltò a terra.
Di solito sono un
buon incassatore, ma quel colpo fu così repentino e
inaspettato, oltre che ben
assestato, da farmi credere che mi avrebbe aperto la testa in due. Ho
ancora un
grosso livido giallastro, che si diparte dal lato dell’occhio
fino allo zigomo,
su cui ogni tanto devo metterci del ghiaccio per sedare il dolore;
oltre che un
brutto taglio nell’interno guancia, in via di guarigione.
Inoltre, per poco non
sono saltati via due denti. Ero, e sono tuttora, esterrefatto. Angeal
non aveva
mai alzato le mani su nessuno, nemmeno quando lo meritavano. Mi resi
conto di
non essere l’unico a soffrire per la scomparsa del rosso. Egoista, mi dissi, ma fui troppo
arrogante per ammetterlo. Come fui
troppo superbo per abbassare
lo sguardo e accettare l’onta subita. Avevamo gli occhi di
tutto l’accampamento
su di noi, ma fu Angeal a dare l’esempio, quando il modello
sarei dovuto essere
io. Scosse la testa, deluso, poi si avvicinò a me, testa
alta e fiera,
piantando i suoi occhi blu nei miei. In quello sguardo
c’erano un migliaio di
emozioni diverse, ma la prevalente era pena. Pena per me, per la mia
cecità,
per la mia incapacità di comprendere gli altri, per il mio
egoismo, per la mia
ingratitudine. Il suo migliore amico era disperso chissà
dove, malato, deviato,
braccato e io ero solo capace di urlargli addosso. Mi odiò,
tant’è che mi
disse:
“Sei
un
ingrato. Tu, la parola ‘onore’ non sai nemmeno cosa
significhi. Sai che ti
dico, Generale? Va al
diavolo.”
Mi sentii frantumare l’animo. In un colpo
solo, avevo perso gli unici amici che abbia mai avuto nella mia vita.
Io riesco
solo a tirare fuori il peggio dalle persone. Perfino da quelle
più buone.
Intanto, la pioggia sembra deridermi
scrosciando ancora più forte. L’accampamento
è scomparso e attorno a me c’è
solo un umido velo bianco. Non sono mai stato particolarmente attento
al clima,
ma devo ammettere che questo tempaccio rispecchia perfettamente
ciò che provo
in questo momento.
Solitudine.
Non sono nuovo a questa sensazione, ma dopo
aver conosciuto il calore dell’amicizia e la dolcezza
dell’amore, rimanere di
nuovo solo è ancora più doloroso di quanto
ricordassi. D’istinto, il pollice
destro va ad accarezzare la base dell’anulare della stessa
mano. Ma non c’è
nessun rigonfiamento ad attendermi. Forse avrei dovuto tenere con me la
fede… Forse
avrei dovuto ascoltare Angeal, forse avrei dovuto avere la decenza di
chiedergli scusa, prima di partire per la perlustrazione. Forse avrei
dovuto
davvero mordermi la lingua.
Errori. Da quel maledetto giorno in Sala Addestramenti
non ho fatto altro che commetterne uno dietro l’altro. Sta
succedendo tutto
troppo in fretta e io non riesco stare al passo. E’ strano,
eppure, dovrei
essere abituato a seguire il corso degli eventi. In guerra capita
spesso di
dover pensare velocemente e agire ancora più rapidamente.
Ma, loro… loro sono
miei… amici.
Il nostro legame è diventato qualcosa di
molto più profondo del semplice
“colleghi”. Con un collega non puoi parlare
francamente, con un collega non puoi fare a cazzotti, con un collega
non puoi
ridere sopra alla scazzottata di prima, con un collega non puoi passare
notte
intere a chiacchierare degli argomenti più disparati, con un
collega non puoi
passare notti insonni ad aspettare che si risvegli dal coma. Nonostante
i
contrasti, tutto diveniva più facile al loro fianco. Anche
sopportare le
ridicole dimostrazioni pubblicitarie e le serate di gala indette dalla
Shinra
per rimpinguare, rispettivamente, le fila dell’esercito e le
tasche di quel
maiale. Ma ora, senza di loro è tutto più
difficile. Sento di non essere in
grado di andare avanti da solo. Quel peso che per anni mi sono caricato
sulle
spalle, mi sembra ora insostenibile. Tutto quello che mi è
rimasto è laggiù, da
qualche parte in quella nebbia. Lontano. Troppo lontano per resistere.
Rimpiango Onijin. Rimpiango il lento
scorrere del tempo, la semplicità dell’essere, la
pace dei sensi. Rimpiango il
frusciare del vento tra i rami della foresta, lo sciabordio pigro delle
acque
cristalline del lago, il brillio abbacinante della neve perenne baciata
dal
sole. Ma, sopra a tutto: rimpiango aver lasciato la mia famiglia.
Mi manca tanto la mia bambina. Chissà
quando
potrò rivederla? Le nevi stavano già chiudendo i
valici, quando partii. Temo
che dovrò aspettare la primavera per tornare
all’unico luogo che abbia mai
chiamato casa. Un intero, solitario, freddo inverno lontano dalle mie
donne e
vicinissimo a quegli orride bestie in giacca e cravatta in quella
città
decadente e marcia. Mi viene il voltastomaco solo a pensarci. Spero
solo che la
diserzione di Genesis si possa risolvere in poco tempo, così
che tutto torni
come prima. Sono pronto a combattere per la sua assoluzione, sono certo
che c’è
una spiegazione plausibile dietro al suo comportamento. Anche se, a
giudicare
dagli appunti scritti di suo pugno sui documenti rinvenuti, sembra che
le sue
intenzioni siano tutt’altro che pacifiche. Temo che il
vecchio abbia ragione.
Altrimenti non riuscirei a spiegarmi il motivo dietro alla diserzione
di massa.
Le sue capacità oratorie sono degne del personaggio
carismatico quale è e i
suoi uomini nutrono in lui un grande rispetto: non dev’essere
stato difficile
convincerli della giustizia delle sue azioni. Vedo che fa riferimento
spasso al
‘Dono della Dea’. Credevo si trattasse della sua
solita fissazione per
LOVELESS, ma sembra aver trovato dei collegamenti tra il romanzo epico
e le
ricerche di Hollander. Collegamenti che ancora non riesco a comprendere
a
fondo, ma che rimarcano un disegno molto più grande, il
quale va al di là di
Genesis stesso.
Cellule J.
Progetto G.
Terra Promessa.
Mako.
Il Dono della Dea.
LOVELESS.
Cosa hanno in comune questi termini?
Cos’è il filo conduttore che
ha portato un
uomo ad abbandonare tutto ciò in cui credeva per inseguire
una chimera?
Cosa ha scoperto di così scandaloso per
ricercare la vendetta?
Durante il viaggio per raggiungere
l’accampamento, Tseng si è prodigato di mettermi
al corrente dei fatti. Ho
appreso che, nonostante le cure dei medici, Genesis non riusciva a
più a riprendersi.
Il suo corpo sembrava aver perso la capacità di guarire,
poiché, anziché
rimarginarsi, la ferita si estendeva ai tessuti vicini, degradandoli.
Nel
periodo della mia assenza, il rosso ebbe altre due ricadute, meno gravi
della
prima, ma abbastanza pesanti da minare gravemente il suo umore. Era
diventato
scostante, rabbioso, solitario. Rinunciava a tutte le missioni, perfino
a
quelle più semplici, per trovare una cura alla sua
condizione. Fino a che,
Hollander non decise di tendergli misericordioso la mano. Questo
dettaglio ha
fatto scattare un campanello d’allarme nella mia testa. Dal
momento che lo
scienziato è entrato nelle sue grazie, Genesis è
cambiato ulteriormente. In
peggio, però. Il ragazzo allegro e spensierato era diventato
un crudele e
sadico bastardo. Una luce malefica brillava in quelle iridi blu, sempre
più
cupe, sempre più feroci. Un onnipresente ghigno gli
deformava il volto ad ogni
riunione con i vertici dell’azienda.
“Sembrava
volesse sbranarli tutti, in quel preciso istante.”
Così il Turk descrive il banoriano
durante
l’ultimo briefing prima della missione assegnatogli in Wutai.
Io sono il primo
a disprezzare l’ammasso di idioti ai vertici della Compagnia,
anzi spesso sogno
anch’io di ammazzarli con le mie mani, ma il rosso non ha mai
manifestato
nessun tipo di emozione, se non un leggero fastidio. E qui, la teoria
della
vendetta torna a galla.
Ma vendetta per che cosa?
Per averlo spinto fino al punto più
miserabile che un uomo possa giungere?
Per averlo lasciato morire?
Oppure… la risposta è proprio
scritta qui,
tra questi fogli pieni zeppi di dati.
Genesis è uno di quei feti modificati
col
mako?
E’ il frutto degli esperimenti di
Hollander?
I suoi genitori hanno permesso davvero che
facessero una cosa del genere al proprio figlio?
Non ha senso… li ho conosciuti, i
signori
Rhapsodos, mi sono sembrate così brave persone. Il padre di
Genesis era tra l’altro
un medico coscienzioso ed appassionato; non lo ritengo capace di
immolare il
proprio figlio sull’altare di quella scienza folle e malata
degli scienziati
Shinra. A meno che… non siano stati costretti. Forse Genesis
era un bambino
debole, incapace di giungere alla fine della gravidanza; ma abbastanza
forte da
reggere una pesante infusione di mako prenatale. Forse è per
questo che i
livelli ematici di mako nel suo sangue sono inferiori sia a quelli di
Angeal
che ai miei.
Ma se questa è la spiegazione,
perché
vendicarsi?
Ho l’emicrania. Non so più che
cosa pensare.
La mente di Genesis è sempre stata complessa e contorta, ma
non credevo che ci
fosse un tale buco nero nella sua psiche.
Devo trovarlo. A qualunque costo.
Non ho idea di dove possa essere andato, ma
giuro che lo troverò e lo riporterò indietro.
Andrò in fondo a questa storia e,
chissà… magari potrei capire da dove vengo
anch’io… Forse Genesis è in possesso
delle risposte che ho sempre cercato per tutta la vita. Forse lui
può dirmi chi
sono, da dove vengo, dove sto andando…
La luce si fa più chiara attorno a me,
riflettuta dalle goccioline che compongono la nebbia. Un raggio timido
di sole
è riuscito a squarciare l’impenetrabile muro
plumbeo della tempesta. Noto solo
ora che ha smesso di piovere. La bruma si sta diradando pian piano,
permettendomi
di vedere più lontano. Riconosco le sagome
dell’accampamento in rovina, il
quale è beffato da una natura rinata e splendente. Il cielo
esplode tra i lembi
grigi delle nuvole in fuga, le quali coprono di tanto in tanto il caldo
sole
autunnale. La nebbia scompare e il panorama collinare al di
là della recinzione
di legno si presenta a me in tutta la sua variopinta bellezza. Le
foglie
staccatasi dagli alberi morenti vengono sollevate dolcemente da un
vento
gentile e tiepido, ultimo rimasuglio di un’estate ormai
dimenticata.
E’ bellissimo…
Questo Paese non smette mai di stupirmi.
Ogni volta è come guardarlo per la prima volta. Sento il
buonumore scaldare il
mio cuore, sciogliere quella stretta opprimente al petto. Respiro
profondamente, annusando l’aria fresca e leggermente acidula.
Mi sento più ottimista.
Ti troverò, Genesis.
Costi quel che costi.
Promessa
mantenuta!!! Capitolo scritto a tempo di record proprio! Sono molto
fiera di
me! *scroscianti applausi si levano dalla platea* Grazie, grazie (ma a
chi si
inchina? ndSeph; non lo so, tu sorridi e annuisci ndCloud).
Alloooooooooora,
tra l’altro ho finalmente ho anche definito la linea
narrativa definitiva da
seguire! Sarà cambiata tipo 200000 volte nel corsi di questi
21 capitoli! Ma
vabbé, l’importante è esserci saltati
fuori. Quindi, Genesis. Mi sono ricordata
che il ciccio qui non è morto, come dimostra il filmato
segreto del Dirge.
Inoltre volevo dare un senso a quella scena dove Seph lo manda
amichevolmente a
farsi marcire nel Reattore di Nibelheim (bell’amico
-.-‘ ndGen). Perché?, mi
sono sempre chiesta. Ok, ha fatto un casino assurdo con la ribellione e
tutto,
però boh, a me non sembra che meriti una risposta
così. Anche perché all’inizio
di tutto, Seph ha sempre cercato di stargli bello lontano per evitare
appunto
di fargli del male. Perché quel cambio repentino di idee? Io
ho la mia teoria
che le più sveglie avranno già intuito. Bene, la
crisi è scoppiata e ben presto
ci ritroveremo nel suo cuore. Finalmente, dico io. Ogni capitolo
avrà un
interessante visione sui fatti del CC e spero di poter esporre
fedelmente l’umore
del nostro bell’uomo. Sarà divertente!
Spero
vi piaccia la versione papà di Seph. E’
così teneroso che me lo coccolerei
tutto (e non solo! GNAM! Ehi! Sono un uomo sposato, io! ndSeph, Bof,
tanto
quella crepa prima o poi ndForti, Crudele T.T ndSeph).
Purtroppo
non credo avrò tempo di scriverne un altro ancora prima
delle mia lunghissima
assenza (anche perché questo tour de force mi ha
prosciugata!) e non so se
riuscirò a scrivere mentre sarò là.
Vedremo, ragazze, vedremo. Intanto godetevi
questo capitoletto!
Alla
prossima!
Besos
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Capitolo 22 *** Fuga ***
22. Fuga
Il sapore del sangue marcio mi ottunde il
gusto.
Quella bestia mi schiaccia col suo peso,
impedendomi con i suoi artigli di sfuggire.
Cerco di urlare, invano.
In fondo, come potrei?
Non
riesco
nemmeno a respirare.
Non mi arrendo, tuttavia. So cosa vuole e
non lo avrà tanto facilmente.
Gli infliggo altro dolore e stavolta sono
libera.
Una libertà illusoria.
Non riesco ad assaporarla poiché la mia
bocca avverte un solo terrificante sapore.
Un solo veloce momento di lucidità,
prima
che la mente venga ottusa dal dolore.
Quando tocco il fondo dell’abisso, ormai
non
credo di essere nemmeno più viva.
Nel mio cuore spezzato, tuttavia, un
pensiero continua a ferirmi più della morte.
Il mio
bambino…
Non
smetto
di guardare il ritratto di Takara. Non so ben dire se stia
corrispondendo i
desideri di un padre costretto a veder crescere la propria figlia da
lontano,
ma fatto sta che continuo a chiedermi che aspetto possa avere.
Sephiroth mi sta
affollando la mente con stralci di ricordi riguardanti la sua bambina,
ma non
riesco ben mettere a fuoco il suo aspetto, dal momento che sono
più che altro i
sensi e le sensazioni a farla da padrone. Appare confuso. Combattuto.
Sembra
quasi che la sua natura bestiale si stia ribellando contro un
sentimento troppo
umano da sopportare, ma irreprimibile come tale. Inoltre, non avverto
altro che
colpa. Colpa per non essere stato il padre che lei meritava. Colpa per
averla
messa in pericolo con le sue azioni riprovevoli. Colpa per averla
dimenticata.
Senza
rendermi conto una lacrima abbandona il mio occhio sinistro: una
piccola
manifestazione dello sconfinato dolore che alberga in quel cuore colmo
di
rimpianto. Sospiro e mi adagio contro la parete, fissando il soffitto
bianco.
Improvvisamente, un pensiero spazza via ogni barlume di
pietà, lasciando spazio
solo al risentimento. Mi asciugo la lacrima con stizza e mi rivolgo
alla stanza
vuota.
- Why pretend
you sad? –
[Perché
fingi di essere triste?
Sephiroth, FFVII: ACC]
Mi
guardo
intorno, come se LUI fosse lì, appostato dietro alle ombre
della notte. Mi
alzo, spavaldo, pronto a combattere contro qualunque cosa possa uscire
da
quegli abissi multiforma. Mi avvio verso il centro della stanza,
guardingo.
L’attesa è lunga, ma so di non aver parlato al
vento.
-
Lo so che
ci sei. Sono parte di te, ricordi? –
La
temperatura sembra essere calata di colpo. Un brivido mi trapassa da
parte a
parte. Non saprei dire se di aspettativa o furore. Forse entrambe.
-
Non hai
pensato a ciò che la tua vendetta avrebbe portato a te
stesso? Non hai pensato
alla tua casa quando hai dato fuoco all’intero villaggio? O a
tua moglie quando
hai ucciso mia madre? –
Avverto
le
pareti crepitare, gemere, come se una forza invisibile scorra tra le
intercapedini, similmente a un corso di sangue ribollente
d’ira.
Inconsciamente, le mie labbra si piegano all’insù,
mostrando i denti,
delineando così un sorriso maligno.
-
Non hai
pensato a tua figlia mentre uccidevi tutti quei bambini? -
Le
ombre si
animano, prendono consistenza e si protendono nella mia direzione.
Assumono la
forma di lunghe e scheletriche dita artigliate. Fa dannatamente freddo.
Dalla
mia bocca escono nuvolette di condensa. Gli artigli mi toccano. Sono
mortalmente freddi, tanto ferirmi la pelle con il loro gelo. Tuttavia,
non ho
paura. Che faccia di me tutto quello che vuole, in fondo non
m’importa nulla.
Non ho niente da
perdere.
Appena
formulo quel pensiero, le ombre si ritirano come se scottate, lasciando
che
l’accomodante luce lunare rischiari l’interno della
stanza. Mi guardo attorno,
confuso, spiando all’interno delle ombre; ma tutto sembra
essere tornato alla
normalità. Poi, realizzo. Chiudo gli occhi e rilasso i
muscoli.
-
Non avevi
nulla da perdere… Credevi che tua figlia fosse morta, vero?
–
Nessuna
risposta, ma so che, da qualche parte nel mio inconscio, una testa ha
annuito
tristemente. Raggiungo il letto e riprendo in mano il diario, lasciato
aperto
sulla pagina del ritratto. Lo guardo con una consapevolezza
completamente
nuova.
-
Non le
avresti mai fatto del male… -
Le
mie dita
seguono le linee delicate che compongono il paffuto viso della piccola.
Mi
sembra di sentire la delicata morbidezza della sua pelle profumata
scorrere sui
miei polpastrelli. E di nuovo il dolore per poco mi soffoca. Mi rendo
conto che
questo è più reale che mai. Capisco anche
un’altra verità.
-
Tu sei
morto molto prima di dare fuoco a Nibelheim. Chi, allora, è
l’artefice di tutto
ciò? –
Alzo
la
testa di scatto e sgrano gli occhi.
Ma
certo…
Jenova.
All you are,
it’s an empy puppet.
[Tutto
ciò che sei, è una vuota
marionetta, Sephiroth FFVII:ACC]
-
Dove credi
di andare? –
La
voce
calma di Vincent rimbomba nell’oscuro corridoio, bloccandomi
sul posto, oltre
che a farmi prendere un colpo. Ma come fa ad essere così
silenzioso?
-
Devi
smetterla di apparirmi alle spalle quando meno me lo aspetto.
–
Mi
volto
truce, ma il mortale viso del pistolero rimane impassibile, come una
statua di
cera. Egli si avvia nella mia direzione, emettendo solo un flebilissimo
fruscio
di vesti.
-
Non hai
risposto alla mia domanda. –
Vincent
si
eleva di fronte a me, le braccia incrociate al petto. Il suo viso ha
assunto
un’espressione seria, ma non greve o minacciosa…
un’espressione strana, molto
simile a quella assunta da un padre che ha colto il figlio in fallo. E
mi rendo
conto solo ora della leggera sfumatura di preoccupazione nella sua
voce. Mi
sento piccolissimo in confronto a quella figura possente e autoritaria.
Stranamente, non me la sento di mentire.
-
Me ne sto
andando. Rimanere qua non ci aiuta a trovare Takara, Vincent.
–
Il
pistolero
scioglie la morsa delle sue braccia e le lascia cadere lungo i fianchi,
senza
staccare lo sguardo dal mio. Non dice nulla, ma posso vedere
un’intricata e
complessa rete di ragionamenti nei suoi occhi. Ogni volta che menziono
la sua
nipotina, mi sembra quasi vedere il suo cuore di Protomateria
illuminarsi. Il
desiderio di conoscerla è così forte che posso
quasi avvertirlo esplodere
nell’aria. In questi momenti mi è permesso vedere
il vero Vincent Valentine, il
giovane Turk innamorato di una fragile e bellissima donna. Un uomo
immortale
che ha sofferto ogni pena infliggibile a un essere umano. Il passionale
ragazzo
trascinato da eventi più grandi di lui e affogato per via
della passione.
L’uomo celato dietro alla bestia in rosso. Tuttavia,
è un attimo, un assaggio
appena accennato, siccome la bestia, calcolatrice e fredda, non ama
essere
messa da parte.
-
Non sei
ancora abbastanza in forze per affrontare un viaggio così
lungo. E come pensi
di cavartela se dovessimo incontrare Genesis? Non sei nelle condizioni
di
combattere. –
Avverto
un
profondo senso di sconforto, ma se da parte mia o di Sephiroth non
saprei
dirlo, ciononostante non mi lascio abbattere e lascio che sia la calma
a
ribattere alle sensate opposizioni di Vincent.
-
E’ vero.
Sono distrutto, sia mentalmente che fisicamente. Non ho forze nemmeno
per stare
in piedi, come posso pretendere di combattere contro un ex-SOLDIER di
Prima
Classe? Eppure, sono l’unico che può portare a
termine questo compito. E’ per
questo che mi hanno scelto. Perché nonostante tutto il
dolore inflitto io
continuo ad andare avanti. -, mi appoggio alla parete con una mano,
mentre con
l’altra indico un immaginario punto lontano, -
Laggiù, da qualche parte, c’è la
promessa di un mondo migliore, un Dono divino che non può
andare sprecato. E io
non permetterò che lo sia, non finché
avrò fiato in corpo! –, il furore delle
mie parole sfuma pian piano, mentre le forze tornano a meno, ma non la
mia
determinazione, - Ti chiederai perché continuo imperterrito
a inseguire questa
missione, nonostante è palese che probabilmente non ne
vedrò l’epilogo.
Sinceramente, non lo so nemmeno io, però… -, tiro
fuori il diario e ne osservo
la copertina rovinata, - I peccati vanno espiati. Forse solo
così si può
ottenere la pace. –
Alzo
lo
sguardo verso Vincent e vedo i suoi occhi essersi fatti cupi, fissi sul
diario
del figlio. Quel figlio che avrebbe tanto voluto pretendere come suo.
Sospira.
Vedo la sua mano allungarsi verso la colonna del libro. Le dita
guantate
stirarsi timide verso la pelle nera, tremanti, spaventate. Il suo viso
è
l’espressione del puro tormento, di una colpa troppo grande
per essere espiata;
eppure solo quel minuscolo gesto d’amore represso potrebbe
alleviare. Teme il
confronto, tradito dal respiro pesante e affannoso. Davvero tuo figlio
vuole la
tua pietà? Tu, che non sei stato in grado di proteggerlo
quando più aveva
bisogno? La risposta, per Vincent, è palese. La sua mano
crolla accanto al
fianco, come se scottata, celandosi dietro alla sua prigione rossa.
-
Non è mai
troppo tardi per chiedere perdono, Vincent. –
Le
labbra
pallide si sollevano in un mesto sorriso.
-
Spero che
tu abbia ragione… -
Le
appuntite
cime degli abeti si elevano nel cielo bluastro come tante lance scure,
in
protezione dei segreti celati nel cuore della foresta. Il Lifestream
scorre
molto vicino alla superficie, tanto che, talvolta, è
possibile imbattersi in
sue emanazioni, le quali, come centinaia di lucciole verdi danzano
nell’aria
gelida e pesante dell’abetaia, dissipando le inquietanti
ombre della notte.
Esse rischiarano la nostra fuga, testimoni silenti e scintillanti della
disperata rincorsa al perdono. Fa freddo e il mio corpo debilitato
fatica ad
avanzare speditamente. Incespico nei miei stessi passi, ingarbugliati
dall’intricata rete di felci rappresentanti il sottobosco,
celati da un sottile
strato di neve. Il vento ulula tra gli enormi tronchi degli alberi,
rendendo
l’atmosfera più inquietante di quanto non lo sia
già. Non posso fare a meno di
notare luci allarmanti osservarci nell’ombra.
Mostri… o solo la mia
immaginazione? Un generale senso di nausea e spossatezza mi stronca,
costringendomi ad appoggiarmi contro un tronco, arrestando la mia
corsa. Le
gambe non reggono e finisco ginocchia a terra. Il cuore batte
forsennato nel
petto e l’aria gelida mi brucia nei polmoni, rendendo ogni
respiro
un’accoltellata lungo la faringe. Cerco di calmarmi e
stroncare il fiatone, ma
non faccio altro che ottenere l’effetto contrario. La carenza di ossigeno
inizia a dare i suoi
effetti.
Mi
gira la
testa.
Il
mondo si
fa confuso.
Forse
ho
preteso davvero troppo dal mio fisico…
La pioggia scroscia ininterrottamente da
stamattina, senza accennare di smettere. E’ straziante
rimanere chiusa in casa
in questa stanza vuota, maneggiando vestiti che dovrebbero essere
indossati.
Invece, sono qui, freddi e inermi nelle mie mani, in attesa di essere
riposti
ordinatamente nell’altrettanto triste e gelido ripostiglio.
Sospiro sconsolata,
mentre arrotolo un obi, stirandolo per bene in ogni sua parte. Non
posso fare a
meno di notare che è lo stesso obi che è stato
indossato per una cerimonia
molto importante. Senza nemmeno pensarci, la mia mano abbandona la
stoffa e va
sfiorare qualcosa più consistente appeso da una catena al
mio collo. Un anello.
Come la cintura, esso non mi appartiene ed è freddo, anche
se non lo dovrebbe
essere. La faccio girare tra le mie dita. E’ così
grande… Come il suo palmo,
ampio abbastanza da chiudere entrambe le mie mani nella sua morsa. Una
morsa
gentile e delicata, invero. Come le carezze che è capace di
disseminare lungo
tutto il mio corpo. Mi sembra quasi di sentirle, cingermi al sicuro,
nella sua
rassicurante stretta. Sorrido, certa della loro reale esistenza;
finché un
boato mi risveglia. Apro gli occhi e mi accorgo che le mani che tanto
stavo
amando erano le mie. Sospiro e lascio cadere le braccia sul grembo.
Alzo lo
sguardo verso la finestra. Le gocce di pioggia collidono contro il
vetro e
scendono soavi lungo di esso. Le loro ombre si proiettano sulla mia
figura.
Distolgo lo sguardo. Il cielo piange per me… Ormai, non ho
più la forza di fare
nemmeno quello. Dico a me stessa che, in fondo, non
c’è motivo. Guardo la fede
nuziale, risplendere nella sua fulgida semplicità.
Ha
promesso
di tornare, mi dico.
Lui torna sempre, in modo o nell’altro.
Non
è capace di lasciarmi andare.
Fino
a che
morte non ci separi.
Un brivido mi scorre lungo la schiena e mi
costringe a distogliere lo sguardo dall’anello. Prendo un
profondo respiro ed
elimino quell’orrido pensiero così velocemente
come è venuto.
E’ una possibilità a cui non
devo nemmeno
ponderare.
Mi rimetto al lavoro per distrarmi, quando avverto
una presenza alle mie spalle. Mi volto. C’è Natsu
in piedi sull’uscio della
porta che mi osserva con un gran sorriso. Non ne comprendo il motivo,
finché
non abbasso lo sguardo verso il basso. Rimango a bocca aperta, appena
vedo mia
figlia… in piedi, senza aiuto. Avverto una profonda fierezza
nei confronti
della mia piccola principessa, la quale mi guarda tutta gongolante,
sfoggiando
il suo sorriso più bello. Incantata da quell’arco,
sulla mia bocca se ne forma
un altro altrettanto largo, mentre mi giro completamente e protendo le
braccia
nella sua direzione.
- Vieni, tesoro. Vieni dalla mamma. –
La piccola allunga le manine, cercando di afferrare
le mie dalla sua posizione precaria. La vedo assumere
un’espressione confusa e
un po’ spaventata all’idea di non riuscire a
raggiungermi.
- Su, Taky. Puoi farcela. –
Il tono rassicurante e il desiderio di
toccarmi sconfiggono la sua iniziale perplessità e, con
grande fatica, Takara
muove due piccoli, incerti passi; quel tanto che basta
perché le nostre dita
possano toccarsi. Io sorrido appena avverto la sua pelle delicata sulla
mia e,
automaticamente, le mie mani si vanno a chiudere sulle sue,
accompagnando la
sua caduta verso il mio corpo accogliente. L’abbraccio e la
stringo forte a me.
- Bravissima, amore! –
La bacio e la sollevo fin sopra la mia testa,
come piace a lei. Takara inizia a ridere, fiera di se stessa. I suoi
occhietti
di giada brillano di gioia per il grande traguardo appena raggiunto e
so già
che la sua scarmigliata testolina bruna sta lavorando a come
potrà usare questa
sua nuova abilità. La vedo guardarsi intorno, intenta a
riedificare la sua
concezione del mondo. Infine, i suoi occhi incrociano i miei.
- Sarà più facile raggiungere
le mamma, eh,
tesoro? –
Lei sembra capire e sfoggia un sdentato,
buffo e dolcissimo sorriso. Io rispondo di rimando e appoggio la mia
fronte
alla sua. Sospiro. Mi sento improvvisamente triste. Sollevo lo sguardo
e la
osservo. E’ tanto bella, la mia principessa. Ripasso i suoi
lineamenti
armoniosi, immaturi, ma dolci; in contrapposizione con il taglio degli
occhi
deciso ed allungato, adornato da lunghe ciglia scure. Queste ultime
proteggono
iridi dalle mille sfumature del verde, dallo smeraldo
all’acqua, troppo
peculiari per appartenere a questo Pianeta. Al contrario, i capelli
sono la
reincarnazione di questo mondo, del brillare del sole sulle fronde
degli
alberi, o della resina che cola delicatamente dalla corteccia; in un
fluente
turbinio di sfumature brune e, talvolta, dorate.
Non potrei essere più fiera di me per
aver
dato vita a una creatura così perfetta.
Oh,
Sephiroth, che meraviglioso spettacolo ti stai perdendo.
-Cloud! Alzati, forza! –
L’incoraggiamento
risuona lontano, offuscato, ma ha forza sufficiente di risvegliare
parte della
coscienza. L’altra metà è persa nel
sogno. E’ come camminare all’interno di un lungo
corridoio, i cui due capi conducono verso due tempi differenti.
Dinnanzi a me
il futuro. Freddo, ostile, oscuro; come la foresta che mi circonda,
avvolta
nella stretta morsa della tormenta notturna. Vedo il viso affilato di
Vincent,
deformato dallo sforzo, parlarmi, incitarmi a ritornare in me. Osservo
i
fiocchi di neve depositarsi copiosi sulla sua folta chioma corvina, le
cui
ciocche frustano la pelle lattea dell’ovale. Mi sta
trascinando, avverto a
malapena il suo braccio attorno alla mia vita e l’artiglio
stringermi la mano
nella sua morsa gelida.
- Cloud! Avanti, collabora. –
Lo
odo a
malapena, ma ha ragione. Devo aiutarlo. Devo tornare in me,
devo…
Faccio
appena in tempo a muovere due passi in quella direzione che
un’avvolgente
calore mi solletica la schiena, emanato da un’appagante luce
dorata.
Incuriosito, mi volto. Dinnanzi a me, avvolte dalla loro solenne
perfezione,
loro… Evelyn e Takara. Sorridono e mi guardano, ridono tra
di loro e si
coccolano, abbracciate e felici. Bellissime. I loro colori sono
sbiaditi, come
quelli di una vecchia fotografia e lì mi rendo conto di
ciò che sto guardando:
il passato. Caldo, rassicurante, luminoso.
-
Perfetto.
–
Mi
sale un
brivido gelido lungo la schiena appena odo QUELLA voce. Non faccio in
tempo a
girarmi che lo vedo sfilare alla mia destra e, lento e solenne,
sorpassarmi. Si
ferma pochi passi di distanza dinnanzi a me. Non mi degna di uno
sguardo, in
quanto è del tutto concentrato sulle due figure sbiadite in
fondo al corridoio.
Contemplo la sua figura alta e possente, rinchiusa nella sua solita
oscura
divisa; i capelli argentati scorrere fluenti lungo la schiena; gli
spallacci
segnati di mille battaglie luccicare sinistramente sulle spalle larghe.
Rimaniamo
immobili e in silenzio per secondi che sembrano
un’eternità. Vorrei ribattere
qualcosa, però, quando apro la bocca, vedo la sua mano
sinistra muoversi.
Inconsciamente, tutti i miei nervi scattano e si mettono
all’erta, pronti alla
battaglia imminente; ma nulla di tutto ciò a cui penso
accade. Lui nemmeno si è
accorto della mia presenza, probabilmente. Allunga il braccio in
direzione
delle due donne, come se volesse afferrarle. Chiude il palmo e avvicina
il
pugno a sé, poi lo apre.
Vuoto.
-
Non puoi
afferrarle. Sono solo ricordi… -
-
Sono solo
troppo lontano. –
Egli
avanza
ancora, si ferma dopo pochi passi e ripete le stesse azioni svolte in
precedenza. Una, cinque, dieci volte, ma il palmo è sempre
miseramente vuoto.
Inoltre, più lui si avvicina, più quei ricordi
sembrano precipitare ancora più
in profondità, come se fosse lui stesso a spingerli
nell’oblio. Appena capisco,
corro nella sua direzione e lo afferro per le spalle.
-
Fermo!
Così le perderai per sempre! –
Rimane
immobile, il braccio ancora disperatamente rivolto verso quella
trappola
dorata. Quando inizio a pensare che non mi abbia ascoltato, le sue dita
lentamente si ritraggono nel pugno. Successivamente, il braccio inizia
ad
abbassarsi e, con mia grande sorpresa, tutto il corpo viene ricoperto
di
centinaia di crepe, come improvvisamente si fosse trasformato in vetro
fragilissimo. Spaventato da quello spettacolo, abbandono la presa, ma
appena lo
faccio, il suo corpo esplode in migliaia di pezzi. Mi getto
all’indietro,
coprendomi il viso con le braccia, tuttavia i frammenti evaporano
appena
sfiorano la mia pelle.
-
Ma che…? –
Alzo
lo
sguardo dove prima Evelyn e Takara giocavano insieme e vedo una
città, o
meglio, il dettaglio di una città. Un antico castello
dell’epoca feudale
wutaniana spicca su un fiume placido, largo, cavalcato da centinaia di
ponti multicolori;
i quali collegano l’alta costruzione al resto
dell’agglomerato. E’ un
dettaglio, tuttavia, che attira la mia attenzione, un cartello
stradale, su cui
sono scritte delle indicazioni. La prima riga è
incomprensibile, poiché è
scritto con gli ideogrammi, ma la seconda…
Castello di Yaido
Sorrido
e mi
alzo, correndo verso l’altro lato del corridoio. Prima di
passare la soglia mi
volto un’ultima volta. Il mio sguardo viene accolto da una
coppia di smeraldi,
in cui Lifestream e mako si mescolano in un vortice d’armonia
perfetta. Rimango
immobile ad osservare quegli occhi unici e una stilettata mi colpisce
direttamente il cuore, appena la consapevolezza mi fa realizzare che la
prossima volta che li vedrò saranno svuotati della loro
bellezza.
Davvero
avrò questo
coraggio?
Con
la
pesantezza nell’animo attraverso la soglia e il freddo mi
colpisce con la forza
di un maglio. Tutti i miei sensi vengono violentati dalla dura
realtà della
bufera, tanto da soprassalire così rudemente da cogliere del
tutto impreparato
Vincent, il quale mi libera dalla sua stretta. Barcollo
all’indietro,
rischiando di cadere, ma il pistolero ha i riflessi pronti e mi afferra
per la
giacca, tirandomi a sé. Mi ancoro alle sue braccia e lo
guardo negli occhi.
-
So dove
dobbiamo andare. –
Lui
mi
guarda preoccupato e capisco che devo avere un aspetto folle. In
effetti, è
così che mi sento. Avverto anche un’energia
incredibile scorrere nelle mie
membra, una forza che credevo di aver perduto da quando ho messo le
mani su
quel maledetto diario.
Vincent
apre
la bocca per ribattere, ma il rumore di un motore in lontananza attira
la mia
attenzione.
-
Andiamo! –
Lo
trascino
per il braccio e gli faccio da guida attraverso la foresta con una
sicurezza
tale da sembrare che ci abbia sempre vissuto tra questi abeti. In
realtà,
l’udito, incredibilmente fine, mi sta portando verso la
strada principale, dove
troveremo il nostro passaggio, volente o dolente, verso la nostra
prossima
meta: Yaido, Wutai.
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
10 Dicembre XXXX
La
guerra è finita
Quattro, semplici parole, capaci di
accendere l’ardore nel cuore di questo mondo deprivato della
speranza. La gente
si è riversata nelle strade, urlando e stridendo,
festeggiando in grande stile.
Le città vengono addobbate con festoni e manifesti; i cieli
abbagliati da
fuochi d’artificio e parate aeree; gli strilloni annunciano
la grande notizia a
gran voce, così che tutti, perfino la più bassa e
misera feccia di ignoranti
esiliati, possa essere messi al corrente dei fatti. I telegiornali
trasmettono
immagini delle principali città in festa, accompagnate da
litanie di inni
patriottici. Mogli, fidanzate, madri e figlie affollano le stazioni,
gli
aeroporti, le piazze per accogliere in prima linea il ritorno dei
propri
uomini. Tanti abbracci, tanti baci passionali, tante lacrime. Sia
felici che
tristi. Coloro le cui aspettative sono state infrante, danno vita a una
loro
celebrazione, accendendo dei ceri; riversandosi nei cimiteri militari;
o
ricercando l’ultima vana speranza presso le liste dei
dispersi. Famiglie
spezzate o, addirittura, estinte o sull’orlo di essa,
piangono nelle strade,
accanto a coloro che festeggiano. E’ un caleidoscopio di
emozioni, confuso,
catastroficamente pazzesco. Non c’è logica, non
c’è ordine, non c’è
disciplina.
E’ incredibile quanto la pace assomigli alla guerra. La sua
folle frenesia,
tuttavia, incontra in me solo gelida indifferenza, perché la
guerra non è
finita. Oh no. E’ appena iniziata.
Wutai non era altro che un
riscaldamento, il cerino che ha dato inizio all’incendio.
Qualcosa, dalle
ceneri di quella guerra, è emerso: una verità
scomoda e oscena si è rivelata in
tutta la sua crudezza. Ed è la ricerca di questa
verità che mi attanaglia le
viscere, m’impedisce di dormire, di mangiare, di…
vivere. Una parte di me
darebbe di tutto per gioire della sua luce, ma dall’altra ne
è terrorizzata;
tanto che invidio e temo quei tanti che ne sono stati scottati. Osservo
le loro
piume nere e bianche scendere dal cielo plumbeo, orripilato e
affascinato nello
stesso tempo.
Quelle
ali…
Saranno angeli o demoni coloro che solcano i
cieli?
Il terrore da queste creature disseminato
verrebbe da ricondurlo ai seguaci del Demonio, ma… non era
usanza dei demoni di
fingersi angeli prima di essere scacciati dal Paradiso? E se
c’è un Paradiso su
questa terra, allora dov’è questo luogo? E se
è il contrario? Essi cercano di
riportare questo mondo infernale ai fasti di un tempo, prima che il
Lifestream
venisse corrotto dalla mano dell’uomo e succhiato via dalle
viscere del
Pianeta?
E’ questo che state cercando di fare,
Genesis, Angeal?
Amici miei… perché mi avete
lasciato
indietro? Perché non avete condiviso le vostre conoscenze
con me? Perché non
volete introdurmi al culto della vostra Dea?
Perché
non posso avere delle ali come le vostre?
Perché
non mi avete liberato?
Genesis è convinto che dei tre amici io
sono
colui che rimane e diviene Eroe. No, si sbaglia. Io sono colui che
è
intrappolato, colui che cerca risposte, ma non fa altro che scontrarsi
contro
il silenzio e l’ostinazione. Fin da quando ero bambino. Sono
sempre stato in
trappola. Rinchiuso in una prigione d’immeritata gloria.
Perché un uccello
libero dovrebbe invidiarne uno in gabbia?
E’ per questo che non voglio affrontarvi.
Non per paura, ma per evitare di spezzarvi le ali. Almeno, fino a che
non
capirò finalmente come ottenere le mie.
Libero.
Libero di stare con la mia famiglia, di
crescere mia figlia, di amare mia moglie, di vivere una vita normale. Avrò tutto
ciò che ho sempre desiderato se
scoprirò ciò che Genesis ed Angeal mi nascondono.
Per questo non mi do tregua,
indagando sul Progetto G ogni volta che ne ho l’occasione.
Sto scoprendo un
sacco di orridi segreti. Esperimenti disumani su prigionieri di guerra;
donne
incinte costrette a farsi iniettare energia mako direttamente nel
grembo;
bambini deformi; mostri. Mi sembra quasi di sentire il dolore e la
sofferenza
di quella gente, immobilizzata sui lettini operatori da spesse cinghie,
circondata da una risma di pazzi che si divertono a staccare lembi di
carne
direttamente dalle ossa. E assisti alla scena inerme, incapace di
muoverti, di
gridare, di piangere. Preghi solo che quell’orrore abbia fine
il più presto
possibile e di essere rispedito nelle tua misera cameretta a leccarti
le
ferite; in attesa della prossima sessione di torture.
Non mi libererò mai di quegli incubi.
Quanto
invidio quei mostri: la loro mente è così
frammentata da non ricordarsi nemmeno
come si sono tramutati in ciò che sono. Non ricordano il
dolore, la paura,
l’umiliazione. L’unica emozione a loro rimasta
è la rabbia. Una rabbia così
incontrollabile capace di offuscare ogni altro istinto che desume
dall’uccidere
qualunque cosa capiti tra le mani. Quella stessa rabbia che mi brucia
dentro da
quando ho memoria, che mi ha portato a compiere i più
orribili crimini, quella
che devasterebbe il mondo intero se la lasciassi andare. Mi viene da
assomigliarla a un oceano ribollente, come le viscere di un vulcano
pronto ad
esplodere da un momento all’altro. Da giovane quel vulcano
era in piena attività.
E con la pubertà le cose andarono anche peggio. Mi era
impossibile perfino
prevedere le avvisaglie di un’eruzione. Scattavo e basta,
ogni senso
annebbiato, ogni pietà zittita. Mi risvegliavo nella camera
d’isolamento,
manette attorno ai polsi e alle caviglie, nocche sbucciate, graffi da
difesa
sulle braccia e mani e divisa sporche di sangue non mio. Non ricordavo
nulla di
ciò che era accaduto, pregavo solo di non aver ucciso
nessuno. Rimanevo per ore
a fare mente locale, senza risultato, contorcendomi l’animo
con il dubbio e la
colpa. Ciò non faceva altro che aumentare la pressione
dentro alle viscere del
vulcano. Una volta, una guardia più audace del solito
iniziò a deridermi, a
scimmiottarmi. Non rimembro esattamente il motivo di tanto astio, ma
penso che
la ragione del suo sdegno fosse da ricollegarsi al fatto di aver
ridotto un suo
commilitone tra la vita e la morte. Ne aveva tutte le ragioni, ma, a
giudicare
dall’amico, probabilmente anch’io avevo avuto le
mie ottime motivazioni per averlo
ridotto nello stato in cui verteva. Un’idiota che non
meritava di vivere,
probabilmente pensai. Ricordo che spezzai le catene e mi gettai sulla
parete di
vetro anti sfondamento, menando pugni sulla superficie con tutta la
forza che
avevo. Le due guardie si allontanarono e rimasero a guardarmi stupite,
mentre
cercavo di sfondare quel vetro, in teoria, indissolubile. Ma fu quando
le prime
crepe iniziarono ad allargarsi sulla ialina superficie che il loro
stupore si
trasformò in puro terrore. L’audace mi
puntò il fucile contro, come
ammonimento; mentre l’altro scappò a gambe levate.
Potevo vedere l’arma tremare
nelle sue mani, mentre urlava minacce e insulti. Quando sfondai,
sparò,
centrandomi la spalla destra, ma non servì a molto.
Sparò altri colpi, ma il
panico ormai si era impossessato della sua mira e i proiettili andavano
ovunque, tranne che su di me. Lo avrei ucciso, probabilmente, se un
SOLDIER di
Prima Classe non intervenne per fermarmi. Lanciò tre
incantesimi Morfeo al
massimo livello prima di perdere il controllo del mio corpo. Nella
confusione
del dormiveglia, lo vidi torreggiare su di me. Ricordo distintamente il
suo
viso. I lineamenti erano decisi, rappresi in un’espressione
d’impassibile
severità. Gli donavano un’aria autoritaria;
inoltre i tratti palesemente
occidentali sprigionavano una straordinaria aura di rispetto, con il
quale si
era guadagnato la fiducia e la lealtà del popolo e dei
media. Quell’uomo era un
eroe, uno dei primi eroi che MIdgar aveva decretato da quando il
Reparto era nato.
Non l’avevo mai incontrato prima di quel momento, ma
all’epoca poco m’importava
del rispetto e della disciplina: avevo i miei demoni da combattere,
demoni che
nessuno riusciva a fronteggiare. Le punizioni corporali di Hojo non
facevano
altro che peggiorare la situazione. Egli non faceva altro che ripetermi
che se
non mi fossi deciso ad imparare a controllarmi, il Presidente avrebbe
preso
misure drastiche nei miei confronti. E tanti saluti ai sogni di gloria
del
vecchio. L’idea mi divertiva e mi diverte tutt’ora,
devo ammettere. In fondo, a
me importava ben poco del mio futuro: forse una morte prematura era la
più
rosea delle opzioni. Me lo meritavo, dopotutto. Ero un fallimento. Hojo
non
faceva altro che ripeterlo. Avevo capito che avevo perduto
l’amore di mio
padre, fermo restando che l’abbia mai avuto. Era questa
frustrazione, mista
alla paura di uscire perdente dalla battaglia contro la Bestia che mi
si agitava
dentro, la causa di quell’escalation sempre più
violenta di aggressioni e scatti
d’ira. I dottori lo avevano definito ‘ sistema di
difesa’, il mio modo di
reagire alle difficoltà. Era l’unica spiegazione
che erano riusciti a darmi.
Per il resto e per chiunque altro rimasi un enigma irrisolvibile. Poi,
arrivò
quel SOLDIER, il quale cambiò per sempre la mia vita,
definendo, nel bene e nel
male, l’uomo che sono ora. Egli fu uno dei pochi esseri umani
capaci di vedere
il tormento provocato da questa maledizione.
M’insegnò a controllarla, a
conviverci, ad accettarla. Per la prima volta in vita mia, mi sentii in
pace
con me stesso. E credetti di aver trovato un valido sostituto del
Professore.
Un ‘padre’ da rendere fiero. Fino a che non
rivelò per ciò che era in realtà:
una spia al soldo di Wutai. Non saprei dire se il suo coinvolgimento in
quella
storia fosse già in corso quando c’incontrammo,
ma, una cosa è certa: non c’era
rimpianto nei suoi occhi quando mi infilò la Masamune tra le
budella.
Non gli ho mai chiesto il motivo delle sue
azioni.
Non gli ho mai chiesto il motivo di tanto
odio nei miei confronti.
Non gli ho mai chiesto nemmeno se gli fosse
mai importato qualcosa di me.
Non gli chiesi nulla. E lui non mi disse
nulla. Combattemmo e basta.
Un combattimento da cui sapevo che non ne
sarei uscito vincitore. Mi aveva già sconfitto a Corel,
quando mi marchiò. Quel
giorno, mancò di uccidermi nel corpo, ma uccise la mia
mente. Tutto quello che
ero riuscito a raggiungere grazie ai suoi insegnamenti, si
spezzò in migliaia
di pezzi. La mia psiche non era mai stata così frammentaria
e imprevedibile;
tuttavia molto più viscida e strisciante che in passato,
poiché ben celata da
una spessa coltre di calma e disciplina. Forse non è
completamente colpa di
quell’uomo, perché, in fondo, io non sono mai
guarito dalla mia follia. Il controllo
è un illusione. E sono
certo che io non riuscirò mai ad assumerlo. La mia vita
è troppo instabile.
Troppi lutti, troppe perdite, troppi fallimenti
costellano la mia esistenza. La Shinra tanto mi ha dato… e
troppo mi sta
togliendo. Genesis ed Angeal, gli unici amici che abbia mai avuto, si
sono trasformati
nei miei peggiori nemici. La Compagnia vuole che li affronti e porti le
loro
teste su un piatto d’argento.
Non ne ho la forza.
Forse fino a qualche anno fa non ci avrei
pensato due volte ad eseguire questa sentenza spietata, ma
ora… La vita ha un
valore diverso ai miei occhi. Il tutto grazie a LEI. Il mio angelo
è un’isola
di calma nella mia mente tumultuosa. Se dovessi perderla…
credo che impazzirei.
Lei mi ha rapito il cuore, trafitto l’anima, riempito la
mente, posseduto il
corpo… perderei me stesso. A quel punto, non ci sarebbe
più nessuno a frapporsi
tra il mondo e la Bestia.
Spero che sia al sicuro laggiù tra le
montagne. Tseng dice che i mostri hanno invaso buona parte di Wutai, ma
si
concentrano soprattutto attorno alle grandi città o nelle
zone ad alta concentrazione
di mako, dove sono stati costruiti i reattori.
“Onijin
è un
villaggio sperduto, non c’è nulla che possa
interessare a Genesis o a chiunque
altro. Sono al sicuro, vedrai.”
Vorrei credergli, ma forse la mia
preoccupazione è solo il riflesso del desiderio di
riabbracciarle. Chissà
quanto è cresciuta Takara in questi due mesi. Desidero
così tanto vederla,
coccolarla, guardarla negli occhi, accarezzarle la pelle, avvertire le
sue
manine minuscole stringere il mio dito.
Mi manca il suo sorriso. Il LORO sorriso.
Soprattutto
quello che nasceva sulle labbra di entrambe quando Evelyn allattava
Takara. Era
uno spettacolo meraviglioso, capace di annichilirmi con la sua
straordinaria
potenza. Mi pareva quasi di vedere l’energia fluire da un
corpo all’altro, come
se mia moglie stesse sacrificando parte della sua vita per darla a
nostra
figlia. E ciò la riempiva d’orgoglio, come se non
avesse desiderato altro che
quel gesto per tutta la sua esistenza.
La
Madre è vita.
Fu davanti a quello spettacolo che realizzai
il motivo delle mie tribolazioni. Mia madre è morta quando
sono venuto al
mondo. Le ho strappato l’energia vitale in un colpo solo,
senza darle nemmeno
il tempo di vedermi per la prima volta, senza darle il tempo di
ascoltare la
mia voce. Fin dal principio non sono stato altro che un egoista,
così attaccato
alla sopravvivenza e così difficile da abbattere. Eppure,
quante volte ho
cercato di bruciare quella vita immeritata, ingloriosa e vuota? E con
che
diritto? Questa vita non mi appartiene, perciò avrei dovuto
viverla come
avrebbe fatto lei, invece di sprecarla per accontentare le visioni di
un
vecchio pazzo.
L’unica azione buona che ho compiuto
è stata
crearmi una famiglia.
Creare…
E’ un termine così strano. La
mia sola
presenza è sempre stata sinonimo di distruzione e morte. Se
guardo indietro non
vedo altro che terre devastate, sommerse sotto metri di cenere su cui
cataste
insanguinate di corpi putrefatti si elevano verso un cielo nero come la
pece.
Non pensavo che da questo corpo corrotto dal peccato potesse nascere
qualcosa
di così puro e innocente come Takara. Forse, come spesso
Evelyn ribadisce, essa
potrebbe rappresentare il mio vero Io; chi sarei se non avessi
intrapreso la
carriera di SOLDIER. Se la mia vita fosse stata differente…
Quand’ero bambino immaginavo spesso a
un’alternativa all’oscura e terrificante
realtà in cui ero costretto a vivere
ogni giorno di quell’infanzia maledetta. Certe notti
sgusciavo fuori dalla mia
camera e mi dirigevo verso la soffitta, così da allontanarmi
il più possibile
dalle segrete di quella magione maledetta. Mi arrampicavo attraverso le
travi e
raggiungevo il lucernario, da lì uscivo sul tetto. Non ho
memoria di dove fosse
localizzata quella magione, ma ricordo che l’aria notturna
era sempre fredda e
frizzante, qualunque stagione fosse. Il cielo era così
limpido da poter
saggiare la meravigliosa striscia di stelle della nostra galassia. Uno
spettacolo che ho visto solo un’altra volta in vita mia.
Rimanevo ore sotto il
cielo stellato ad osservare il brillio latteo di soli lontani,
immaginandomi di
solcare quegli universi infiniti e visitare quei sistemi. Per un
meraviglioso attimo,
mi fondevo con l’eterno mare di stelle e lì
trovavo la mia pace, il mio posto.
Era tra quell’eterno brillio, fatto di spettacolari nascite e
catastrofiche
morti, che io mi sentivo appartenere. Alla fine, mi protendevo verso il
cielo,
allungando la mano, nella speranza che qualcuno potesse afferrarla e
portarmi
via da questo pianeta. Rimanevo fermo in quella posizione per minuti
interi,
fino a che le membra non divenivano terribilmente pesanti. Ricordo la
seconda
volta che vidi quello spettacolo, da ragazzo, decisi che sarei rimasto
immobile
fino a che la mia richiesta di aiuto non venisse accettata. Nella mia
mente non
riuscivo a concepire che tra miliardi di miliardi di stelle non ci
fosse
nessuno disposto a venirmi a salvare. Attesi con la mano protesa per
quasi
un’ora; fino che il custode del telescopio di Cosmo Canyon
non entrò nella
stanza, costringendomi a scappare. Già allora avevo una
reputazione da
difendere.
Purtroppo, con l’industrializzazione del
mondo, non esiste più un luogo abbastanza buio da saggiare
la bellezza celeste.
Non demordo, tuttavia. E’ un richiamo ancestrale, radicato in
ogni cellula di
me. Come se… come se io non appartenessi a questo Pianeta.
Come se il mio posto
fosse lassù, tra il buio infinito, a cavalcare le stelle e
visitare pianeti
alieni. A volte ho come la sensazione che questo Pianeta sia solo una
tappa,
una sorta di sosta momentanea al mio viaggio cosmico. So che
è può sembrare
assurdo, ma non credo si tratti solo di una sensazione.
C’è un sogno che mi
perseguita da quando ho memoria. Da bambino ero spaventato da quelle
immagini,
ma col tempo ho imparato a conviverci. E ora, con le nuove rivelazioni
provenienti dal Progetto G, mi sto convincendo sempre più
che non è un sogno.
Il tutto inizia con una larga panoramica di
Gaia, in tutto il suo splendore. Appare come un Pianeta sano, verde,
pulito. Il
Lifestream scorre possente e gentile, accarezzando dolcemente gli
strati più
alti dell’atmosfera. Poi, l’immagine ruota, il
pianeta si fa da parte,
oscurandosi. Dalla sua curvatura, come eruzioni violente, emergono i
raggi
solari. Il campo si allarga e un agglomerato di meteoriti e fiamme e
fulmini fa
capolino nella visuale. Prima lentamente, ma poi sempre più
rapido, quest’ammasso
roccioso si appropinqua al pianeta, fino a scontrarsi con
l’atmosfera. Il
Flusso Vitale crepita e s’inviluppa lungo il meteorite,
cercando di bloccarne
la devastante caduta. A quel punto, io volo sopra il Flusso Vitale,
ascoltando
l’agghiacciante urlo di migliaia di vittime di
quell’apocalittico disastro. Non
mi turba. Sono del tutto estraneo a ciò che accade sul suolo
di quel pianeta,
estraneo, alieno. Tutta la mia attenzione è rivolta verso la
figura incastonata
fino alla vita all’apice del meteorite. Non riesco a
distinguere nessuna
fattezza in particolare, ma so che si tratta di una creatura dalle
caratteristiche femminili. Una donna dai lunghi capelli di luce.
Flessuosa e
morbida, quella figura brilla di una scintillante luce argentata, come
l’infinita
bellezza delle stelle da cui ella proviene. Il Lifestream inizia a
scorrere
lungo il suo corpo, intrappolandola in una morsa soffocante. Prima di
venire
completamente inglobata, la creatura allarga le braccia e due enormi
ali si
dispiegano in tutta la loro maestosità. Ma è un
attimo appena, dal momento che
la sua luce diviene insopportabilmente luminosa. L’unica cosa
che rimane è un
urlo disperato di dolore. Poi, mi sveglio.
Non sono in grado di distinguere se si
tratta di una premonizione o di una memoria, ma quella sagoma
è così
famigliare. Esattamente come la voce. Entrambe mi appartengono,
insediate nelle
profondità della mia memoria. Forse colei che vedo
è mia madre. Un angelo di
luce inglobato dalle crudeli spire di questo Pianeta. Forse davvero una
parte
di me non appartiene a questo mondo. Ciò spiegherebbe il
motivo della mia
unicità, del fatto che io sia così definitamente
diverso da qualunque abitante
di questo mondo. Forse quelle pulsioni di distruzione non sono
risultato di una
latente follia ereditata da mio padre, ma un eco primordiale della mia
missione.
Distruggere il mondo…
No.
Ferirlo, affinché il Lifestream possa
guarirlo dalla piaga che lo sta uccidendo.
Ma è davvero possibile?
Una leggenda Cetra ne conferma la
possibilità, ma racconta anche che ciò
provocherà una devastazione senza pari.
A quel punto, si aprirebbero le porte per la Terra Promessa. Ed
è ciò che la
Shinra vuole. Ravanando nel marcio lurido archivio di questa
società ho appreso
che gli interessi della Compagnia ricadono su antiche leggende, su cui
sperano
di trovare fondi di verità. Motivo per il quale hanno
eseguito esperimenti su
Ifalna e tengono Aerith sotto sorveglianza. I Cetra sono in possesso di
conoscenze che agli umani non è possibile accedere e la mia
giovane amica ne è
la sola detentrice, ma, sfortunatamente, ella stessa non ne
è al corrente,
poiché sua madre è morta prima di istruirla.
Ciò che la piccola Aerith sa è
grazie al suo innato istinto. Le ricerche del Professore vertevano su
questo
argomento, tuttavia ogni loro traccia è andata perduta con
la sua morte. A
quanto pare è riuscito a distruggere i risultati prima che
cadessero in mani
sbagliate. Mi scappa un sorriso al pensiero che Hojo è
rimasto gabbato ancora
una volta dalla scaltrezza del Professore. Se solo avesse combattuto
così
caparbiamente anche per me…
Per quanto mi volesse bene, nessun uomo
vorrebbe un figlio così... mostruoso. A parte il vecchio
rachitico, ma solo
perché lui è il più bestiale di tutti
i padri.
Salve!!! Finalmente sono tornata! Anche se
sono già ripartita XD. Eh sì, dopo
l’intensa esperienza alle Falkland, la quale
non solo mi ha impedito di anche solo PENSARE alla fiction, ha anche
affossato
un po’ la mia voglia/fantasia, sono partita alla volta del
Wales, New Quay per
la precisione. Motivo sempre lo stesso: delfini <3 <3
<3. Ora ho
mooooooooolto più tempo libero, è praticamente
una vacanza, solo 5 ore al
giorno, al caldo, un tetto sopra la testa, capi molto più
comprensivi e
gentili. Anche se devo essere sincera: l’adrenalina scatenata
dal fatto di
rischiare la mia vita ogni giorno per sei mesi un po’ mi
manca. Un po’, eh… Ma
se questo vuol dire lavorare dalle 13
alle 14 ore al giorno, con mezza giornata di riposo a settimana ed
essere
tratta a pesci in faccia per ogni minima cosa, anche no, grazie. Cmq,
ritorniamo a noi. Actually, all’inferno di ghiaccio
effettivamente ho avuto
tempo di buttare giù due righe, ma sono scritte in un modo
che dovrei
rielaborare, però diciamo che mi hanno permesso di definire
meglio la linea
temporale e gli eventi futuri. Il vero problema di questo capitolo
è che è un
dannato, ma necessario filler. E sappiamo tutti che effetto hanno
questi filler
sulla voglia di scrivere. Avrei voluto pubblicare qualcosa appena
tornata, ma
sfortunatamente tutti i miei amici/parenti/fidanzato volevano vedermi
e, voilà,
Marzo era già finito. Poi ad Aprile ho iniziato a scrivere
qualcosina, ma poi è
arrivato il Galles e ho dovuto posticipare ancora. Ma ora finalmente ce
l’ho
fatta!
Con questo ho cambiato un po’
l’ordine di
apparizione dei personaggi, a parte il nostro Sephiruccio,
perché il meglio va
tenuto sempre per ultimo XD. Su Cloud non ho voluto troppo soffermarmi
sul lato
psicologico, perché, per quanto pazzo, la sua follia
è ormai una costante. Però
questo capitolo è importante perché ci dice dove
Takara dovrebbe trovarsi e
come è fatta (per questo ho messo la parte principale di
Evelyn a metà).
Scommetto che non vi aspettavate i capelli bruni, ma farli argentati
sarebbe
stato 1 troppo scontato e io odio essere mainstream e 2 è
più facile per me
legittimare il fatto che nessuno l’abbia mai trovata finora.
Inoltre, vediamo
se qualcuno indovina in anticipo a chi penso di farla assomigliare la
piccola
XD. Magari no spoiler e mandatemelo via MP, please.
Con Sephiroth, invece, non ho voluto troppo
soffermarmi sulla storia, ma sui suoi ricordi, emozioni e illazioni.
Siamo in
pieno CC, sappiamo che Seph ed Angeal avevano litigato (motivo per cui,
secondo
me, Angeal guarda malissimo l’ologramma di Sephiroth
all’inizio del CC) e che
la guerra in Wutai è finita. Diciamo che è
così che intendo raccontare quella
storia: qualche riferimento giusto per capire a che punto si
è nel gioco, ma
per il resto tutta farina del mio sacco. In fondo, non sono qua per
raccontare
una cronaca del CC. Per quello c’è Youtube XD.
Bon, i commenti sono quasi più lunghi
del
cap stesso (lunghezza standard, tra l’altro), quindi finisco
il mio sproloquio!
Alla prossima!
Besos
|
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Capitolo 23 *** Tormento ***
23. Tormento
Nibelheim.
E’ inverno. La neve fresca ricopre ogni
cosa, come un manto immacolato, rendendo l’atmosfera così pura, solenne. Mi
aggiro per le strade vuote, assaporando la calma e la pace di questi luoghi
così famigliari: il vecchio acquedotto, il bar della casa di Tifa, l’Inn, il
mulino, le montagne. Casa mia. Tutto è avvolto da un ovattato silenzio. Non c’è
nessuno per strada. Forse è troppo presto o… troppo tardi. Alzo lo sguardo
verso il cielo, ma esso è coperto da spesse nubi nevose, le quali stanno facendo
calare una lieve foschia sulla città. La luce, tuttavia, si sta attenuando. Forse
è il momento di rientrare. Mi avvio verso casa, quando un lamento attira la mia
attenzione. Mi guardo intorno, ma non c’è nessuno. Forse è il vento che spira
tra le montagne. Alzo le spalle e continuo il mio rientro. Fa sempre più buio.
Questa volta il lamento è divenuto più forte e ha assunto sfumature più umane. Non
è il vento, capisco. Lascio che sia il mio istinto a guidarmi, il quale mi
conduce alle porte di un sentiero che s’insinua nella foresta. Inizio a
correre, lasciando che quei gemiti mi conducano nell’intricata selva. A dir la
verità, il sentiero è ben battuto, è la notte a rendere questa foresta più
sinistra di quanto dovrebbe. A metà percorso capisco dove sono diretto: la
Villa abbandonata. Quando ero bambino, quella piccola magione rappresentava la
prova di coraggio finale per ogni ragazzino del paese. Ma nessuno di Nibelheim
l’ha mai davvero esplorata. Solo io, molti anni dopo. Quando la raggiungo, rimango
colpito nel constatare che non si tratta del rudere buio e decadente dei miei
ricordi. Luci giallastre e malate prorompono dalle finestre lustre, squarciando
l’oscurità della notte; movimenti nervosi formicolano all’interno dei corridoi,
come se tanti piccoli ratti ieratici siano rinchiusi in quella trappola; infine
una miriade di voci diverse rimbombano tra quei muri solitamente così
silenziosi. Tra quel vociare confuso e incomprensibile, una nota stonata si
eleva più in alto delle altre: lamenti chiari e acuti… infantili. Il tempo si è
fatto più rigido, dando le avvisaglie di una tempesta. Non me ne curo, poiché
la curiosità vince perfino il gelo. M’incammino verso il cancello. E’ serrato
da un pesante lucchetto. Studio le murate, camminando lungo di esse. Sembrano
invalicabili, ma ciò che più mi colpisce è il filo spinato che s’inviluppa tra
le arcuate lame difensive. Piegate verso l’interno. Rimango perplesso: cosa non
vogliono fare uscire? All’improvviso, un clangore metallico attira la mia
attenzione. Una figura scura sfila al di fuori dell’inferriata e viene ingoiato
da una macchina scura. Corro in direzione dell’auto e riesco a sbirciare
all’interno, adocchiando il viso del passeggero. Baffi, occhiali dalla
montatura spessa, viso pulito. Gast. Molto più giovane di quanto ricordo e
molto più addolorato. Noto che i suoi occhi verdi, pieni di rimpianto, guardano
colpevoli qualcosa alle mie spalle. Riflessa sul vetro dell’auto, infatti, vedo
tanta concitazione muoversi al di là di quel cancello. Non capisco bene cosa
stia accadendo. Improvvisamente, un altro clangore fortissimo mi fa soprassalire.
Mi volto, solo per trovarmi a faccia a faccia con LUI. Sephiroth. E’ un
bambino. Avrà una decina d’anni, calcolo. E’ ancorato al cancello e lo scuote
violentemente. La catena geme sotto i suoi colpi.
Già così
forte.
Il suo viso è una maschera di rabbia,
esplosiva, incontrollabile… disperata.
Già così
sofferente.
Piange, urla, implora il Professore di non
andare… di non lasciarlo solo.
Già così
incompreso.
Degli uomini lo afferrano al corpo, alle
gambe, alle braccia, staccandolo a fatica dal gelido metallo. Il freddo strappa
lembi di pelle dalle mani di Sephiroth, macchiando del suo sangue la neve
immacolata. E presto non sarà il solo. La disperazione è tale da non fargli
percepire nemmeno il dolore, in quanto combatte con tutto se stesso per
liberarsi dagli uomini che cercano d’immobilizzarlo.
Già così
combattivo.
Le sue dita, sebbene piccole e sottili, sono
degli artigli affilati capaci di lacerare la pelle come carta velina. Dove le
mani non arrivano, vengono sostituite dai denti, giovani e acerbi, ma
abbastanza forti da strappare lembi di carne.
Già così
letale.
Si divincola, strattona, tira, scalcia,
spinge… sembra in preda a una crisi convulsiva, tanto i suoi movimenti sono
esasperati e scoordinati. Non c’è logica, non c’è ragionamento, non c’è calma,
non c’è freddezza. C’è solo disperazione. Nuda, cruda e profonda disperazione.
Il rombo del motore alle mie spalle
distoglie l’attenzione da quell’orribile spettacolo. Mi rivolgo a Gast, ma il
vetro si è oscurato.
Egli non vuole vedere… non ha mai voluto
vedere la miseria. Non vuole ascoltare… non ha mai voluto ascoltare la
solitudine. Non vuole combattere… non ha mai voluto fronteggiare le sue colpe.
In fondo, è molto più semplice dimenticare,
fingere, scappare. Osservo la macchina partire, schiacciando non curante il
candido manto di neve, e scomparire nel buio. Alzo lo sguardo al di là del
cancello e vedo che la battaglia è giunta al termine. Lo sfondo della scena è
concitato: scienziati che corrono da una parte all’altra, raccogliendo campioni
di sangue sparso sulla neve; inservienti che accompagnano dentro soldati stremati;
Turks che urlano rapporti al telefono. In quel caleidoscopico caos, due gocce di
calma svettano al centro di esso. Il burattinaio e il suo burattino. Hojo e
Sephiroth, rispettivamente
+. Il vecchio sosta accanto al bambino, superbo
e trionfante. Parla in tono pacato, quasi accorato, ma so che ogni sua parola è
un dardo sparato dritto in un cuore a pezzi. Sta avvelenando con dosi letali di
odio e rancore l’anima ferita di un infante che ha appena perso tutto. Emozioni
che un bambino non dovrebbe nemmeno conoscere. Ma quel burattino non può fare
altro che ascoltare. Ha perduto i suoi fili. Giace, infatti, inginocchiato, pesto
e ... sconfitto.
Le mani innocenti portano i segni vermigli
di una colpa troppo lurida per un ragazzino di quella età. A nulla valgono i
tentativi del cielo di coprire quel rosso così scarlatto che gli bagna, oltre la
mani, i vestiti, il viso, i capelli. Gronda di un colore che sarà sempre
attaccato a lui e non importa quante volte si laverà: non se ne potrà mai
liberare. Ad un certo punto, il bambino solleva lentamente la testa, fino a che
il suo sguardo non s’incrocia col mio, trafiggendomi sul posto. Non ho mai
visto uno sguardo così addolorato… Rimango sbalordito quando capisco che, in
realtà, lui mi sta guardando. Mi vede e mi supplica di salvarlo. Eppure, quegli
occhi non mi sono nuovi…
- Perché mi
stai mostrando questo? –
Hojo, la villa, il bosco, tutto è scomparso.
Siamo rimasto solo noi, divisi da un nero cancello di ferro.
- Non sono io a mostrartelo. –
La voce di Sephiroth è sorprendentemente
flebile, svuotata di ogni vigore. Dinnanzi, a me, infatti, si sta parando, non
più un bambino; ma un uomo. Un uomo mortalmente sfibrato da una vita costellata
da tante battagli e troppe sconfitte. Troppe da sopportare… Mi si mostra per
come lo vidi l’ultima volta: petto nudo, pantaloni e stivali neri, sudato,
sporco, mortalmente ferito. Eppure non sembra risentirne, dal momento che il
suo viso è una maschera d’impassibilità. La mia attenzione, tuttavia, viene
attirata dalle vecchie cicatrici che sfregiano la sua pelle lattea: non avevo
mai notato quante fossero.
- Perché ti
mostri così miserabile? Pensi davvero d’impietosirmi? –
Ai piedi di ogni sbarra del cancello, un
germoglio dal colore malsano inizia a crescere lungo il gelido ferro. Ad ogni
inviluppo, vedo svilupparsi lunghe e coriacee spine rosso sangue.
- Mi mostro come la tua mente mi ricorda. –
- TU sei la
mia mente. Potrebbe essere uno dei tuoi malefici trucchi. –
I germogli sono ormai divenute piante adulte
e iniziano a intrecciarsi tra loro, all’altezza del lucchetto.
Il Generale distoglie lo sguardo e scuote la
testa.
- Tutto questo tempo, tutte quelle pagine,
tutte quelle scoperte e ancora non hai capito niente. –
Rimango stupito nel constatare che non c’è
traccia di rabbia nella sua voce, ma bensì solo pacata delusione.
- Che cosa
ti aspettavi? Che ti perdonassi dall’oggi al domani? Dopo tutto quello che hai
fatto?! –
Nella mia, invece, un’isteria collerica
alberga in ogni sillaba. Lui non sembra toccato, tuttavia; troppo stanco per
curarsene, in effetti. Ciò mi fa imbestialire ancora di più.
Le spine iniziano a far gocciolare il loro
veleno sul terreno, il quale si tramuta in pietra appuntita, inglobando buona
parte della base del cancello.
- Ma, in
fondo, a te cosa t’importa? Inveisco, minaccio di abbandonare, ma, alla fine,
faccio esattamente ciò che vuoi! –
Lunghi, grossi, spinosi tralci giallastri
s’inseriscono nel cemento armato delle murate laterali. Assomigliano a tante
lunghe e scheletriche dita.
- Ti sbagli. Io non voglio che tu faccia i
miei stessi errori. –
Mi blocco e lo guardo esterrefatto. Riesco
quasi a cogliere il significato insito in quella frase, ma mi rifiuto di capire.
No, non
merita la mia compassione.
- E quali
errori starei commettendo? Ho passato metà della mia vita a riparare i tuoi. Ed
è esattamente quello che sto andando a fare anche adesso. –
I tralci hanno uno spasimo e iniziano a
tirare i lati del muro verso il centro. Avverto il lamentarsi disperato del
metallo contorto ferirmi l’udito.
Lo osservo, pungente. Lui mi scruta, in
silenzio, contemplando. Poi, il lato destro delle sue labbra si contrae.
Sorride?
- Tu sei come un cane che rincorre la sua
stessa coda. Troppo concentrato su di essa per accorgerti del caos che causi attorno
a te. Non ti rendi conto che, in realtà, ciò che rincorri disperatamente non è un
qualche fantomatico nemico, ma te stesso. –
I tralci si gonfiano fino allo spasimo,
tirando con forza, mentre una furia senza pari mi esplode nel petto. Lo
spiraglio tra le due murate è sempre più sottile. Il cancello è ormai contorto
su se stesso. Vinacce gigantesche e imbevute del veleno più spinoso iniziano a
crescere anche sul cemento, rendendo così impossibile valicare quel muro senza
rimanere uccisi.
- NO! Io non sono come te! –
Crollo in ginocchio e mi tappo le orecchie.
Non voglio
ascoltare.
Ha torto.
Io non sono
come lui.
- Anch’io non ho ascoltato.
Anch’io ho rincorso una chimera. –
La sua stramaledetta voce continua a
sussurrarmi nella testa. Spingo con più vigore sulle orecchie, fino a che il
dolore non ottunde l’udito. Mi chiudo in me stesso, nel disperato tentativo di
scappargli.
- Anch’io mi sono
chiuso in una tomba di ricordi e rimpianti. Anch’io desidero morire. –
Quelle piante maledette esplodono dal
terreno come tanti neri serpenti, elevandosi verso l’alto per poi incrociarsi
sopra di me, creando una cupola di spine, la quale m’ingloba nella sua mortale
morsa. Avverto gli aculei, attraversare i vestiti, ferirmi la pelle e iniettare
il veleno nel sangue.
Finalmente
la morte.
- Non voglio che tu
finisca come me, Cloud. Io non ho mai voluto questo per te. –
Con quel poco di energia che ho in corpo
riesco ad alzare la testa. La vista è offuscata e lo vedo appena, eppure
avverto la pesantezza del suo sguardo.
-E che cosa
volevi in realtà? –
- Che tu vivessi. –
Il groviglio di spine, improvvisamente,
perde il suo vigore e inizia rinsecchire; mentre la mia mente viene risvegliata
da una frase riecheggiante nei recessi della mia memoria.
You’re gonna… live.
[Tu… vivrai. Zack Fair FFVII: CC]
Riacquisisco le forze e ogni traccia dei
germogli infernali è scomparsa. La scena è tornata identica a come era prima.
Il cancello è sempre chiuso, noto con dispiacere.
- E’ per
questo che torni sempre? –
- E’ per questo che mi chiami. E’ per questo
che ora rimescoli nei miei ricordi più dolorosi. E’ per questo che non puoi
fare a meno di leggere il mio diario. Hai bisogno di morderti la coda, così da
poterti svegliare. Hai necessità di ricordare cos’è il vero dolore. –
Sorrido tristemente.
- E chi
meglio di te può farlo... –
Il Generale annuisce con eleganza,
mantenendo la sua fredda impassibilità. Mi rendo conto solo ora che la sua
totale apatia è dovuta al fatto che il dolore provato è così sconfinatamente
profondo da schiacciare qualunque altra emozione. Mi accorgo anche che sono
l’unico che può liberarlo da questa prigione di solitudine e sofferenza.
- La condanna decretata dal Lifestream. –
Seguo con lo sguardo le lunghe e nere sbarre
che, come lance appuntite, si elevano verso il cielo bianco, minacciando di
perforarlo senza pietà.
- Solo
quando non avrò più bisogno di te sarai liberato? –
- No. Non io. –
Improvvisamente, una figura mi si affianca e
noto con stupore che si tratta dello stesso Sephiroth. Guarda qualcosa al di là
della cancellata e io seguo il suo sguardo. Per poco la mascella non mi cade
letteralmente per terra, appena i miei occhi si posano su di LEI.
- Il tuo odio e quello di molti altri mi
terrà per sempre da questa parte del cancello e questo l’accetto. Ma lei… lei
deve andare. –
Da quando ha iniziato a parlare, non riesco
a staccare l’attenzione dal viso del Generale. Posso vedere una cascata di amore
incondizionato spillare da quelle iridi verde mako. Non ho mai visto un uomo
guardare una donna in quel modo. Perso, completamente perso in lei. Avverto le
sue nocche scrocchiare, mentre lui stringe convulsamente il metallo. Che
darebbe per avere la forza di distruggere quell’ostacolo e, finalmente,
riabbracciarla. I suoi occhi si offuscano appena si rende conto che quel
cancello si eleva proprio per tenerli separati per l’eternità. Non credo esista
castigo più crudele.
La contemplo anch’io. Come la proiezione di
Sephiroth, sosta inginocchiata nella neve, ma il suo busto, contrariamente, è
eretto, fiero. Anche il viso è ben ritto sul collo magro e, di tanto in tanto,
lo vedo dondolarsi appena da una spalla all’altra, come se stesse scrutando il
mondo al di là dell’inferriata. I suoi occhi di Lifestream, infatti, si muovono
famelici e attenti, perché altrimenti non si perdonerebbe di non aver
controllato meglio ogni dettaglio.
- Cosa sta
cercando? –
- Sta aspettando me. –
- Ma siamo
di fronte a lei… -
Sephiroth sospira esasperato, alzando gli
occhi al cielo; tuttavia trattiene per sé qualunque altro commento.
- Non può vederci, Cloud. -, spiega
pazientemente, fa una pausa, durante la quale, egli sembra farsi forza, come se
proferire la frase successiva gli costasse una fatica immane, - Lei è morta. –
E capisco il perché. Però…
- Anche tu
lo sei. –
Il Generale piega le labbra all’insù, in un
sorriso sghembo.
- Ti piacerebbe. –
Ora sono io a sospirare esasperato. Dannazione,
quante volte devo ucciderlo questo qui?
Riposo gli occhi su Evelyn e la mia
attenzione viene attirata da una larga macchia rossa sul suo grembo. In un
primo momento, ho creduto si trattasse del colore dell’obi o di una sfumatura
del kimono, siccome le mani coprono parzialmente il punto; ma con un’analisi
più attenta mi rendo conto che si tratta di... sangue. Sangue che sgorga da una
lunga e stretta ferita inferta all’altezza del basso ventre.
Un momento…
Lei è bruciata.
- Lei è
stata arsa viva. L’ho visto. –
Sephiroth sembra non avermi sentito, dal
momento che continua a perseverare immobile; ad un certo punto, però, egli si
stacca dal cancello e indietreggia di un paio di passi. Cerco il suo sguardo e…
avrei preferito non trovarlo. Ira. La stessa che animava i suoi occhi quando
bruciò Nibelheim. Vendetta. La stessa che brillava buia ad ogni colpo di
Masamune. Odio. Lo stesso che deformava il suo ghigno sanguigno, quando
l’ennesima vittima cadeva ai suoi piedi. Delle urla giungono disperate al di là
della foresta. Rivolgo la mia attenzione verso la sommità degli alberi e vedo
fumo e fiamme elevarsi verso le montagne. Improvvisamente, le urla diventano
più forti, assordanti… agghiaccianti. Il suono è insopportabile. Chiudo gli
occhi e crollo a terra, tappandomi le orecchie; ma quelle grida sono nella mia
testa e non c’è modo di attenuarle. Stringo i denti per resistere alla
tentazione di unire la mia voce a quella dei miei ricordi. Avverto il calore
insopportabile del fuoco vorace e intriso dall’odore acre di carne bruciata e,
non so per quale motivo, apro gli occhi. Dinnanzi a me, corpi sventrati,
decapitati, mutilati, deformati, violentati, defraudati, assassinati senza
pietà affogano in un mare di sangue ribollente. Rivedo mia madre, i miei amici
d’infanzia, il padre di Tifa, Tifa stessa, Marlene, Denzel, Vincent, Yuffie,
Cid, Barret, Zack, Aerith… tutti accatastati ai piedi di quel maledetto mostro.
Egli mi guarda trionfante, malefico, derisorio. Il sangue di coloro che amo
grondare dai suoi capelli, dal suo ghigno, dalle sue mani, dalla sua spada.
- Tell me what you cherest most… Give
me the plesure to take it away. -
[Dimmi a cosa tieni di più. Dammi il
piacere di portartela via. Sephiroth
FFVII: ACC]
- SEPHIROOOOOTH! –
[Cloud Strife FFVII: CC]
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Un impeto
violento riempie ogni cellula del mio corpo, inducendo i muscoli a scattare per
avventarsi contro chiunque mi sta attorno. Percepisco un collo venire catturato
dalla mia mano sinistra e il calcio di una pistola stretto nella destra.
Inchiodo a terra l’assalitore, ribaltando la situazione, tolgo la sicura e
appoggio il cane dritto sulla sua fronte.
- Cloud…
-
Il rantolo
arriva a malapena alle orecchie, ma con abbastanza convinzione da persuadermi a
premere il grilletto. Non subito, almeno.
- To- torn…
ah. In. Te. –
La voce è
soffocata e la mia parte razionale, molto lontana, sembra riconoscerla. La
momentanea esitazione, mio malgrado, permette al mio avversario di reagire,
colpendomi dritto alla mascella con un guanto ferrato. Il colpo è molto forte e
mi stordisce quel tanto che basta all’avversario di sfilarmi la pistola e
liberarsi dalla presa al collo. Mi dà un colpo al fianco e un altro alla
pancia, entrambi molto forti. Tossisco a corto di fiato, mentre striscio
lontano da chiunque sia con me, pronto a difendermi. Sono completamente
stordito e l’unico segno del mio avversario è il continuo tossire. Rimaniamo
qualche istante immobili nei rispettivi angoli a riprendere fiato, durante i
quali il mondo inizia a farsi più chiaro. Ci sono delle casse e tutto si muove
a scossoni. Le pareti sono fatte di tela grigia e un pigro fascio di luce entra
da uno svolazzante velo alle spalle del mio avversario. Un frastuono simile al
rombo di un motore riempie l’aria. Torno a focalizzarmi sull’uomo dinnanzi a me.
Mantello rosso, capelli corvini, occhi vermigli, pistola a tre canne, guanto
dorato, pallido come un lenzuolo…
- Vincent… -
Rantolo il
suo nome e cerco di alzarmi, ma il suono di una sicura levata mi blocca a metà
del gesto. Mi accorgo solo ora che l’Ex- Turk mi sta tenendo sotto tiro.
- Fermo dove
sei. –
- Vincent,
posso spiegare... –
Alzo le mani
in segno di resa e cerco di farmi più vicino, ma il moro si alza continuando a
puntarmi l’arma addosso. Un gesto molto eloquente.
- Se fai
un'altra mossa, giuro che sarà l’ultima che farai. –
Indietreggio
lentamente e distolgo lo sguardo dal suo, senza abbassare le mani.
- Ok, ok.
Sei stato chiaro. –
-Questa
storia ti sta sfuggendo di mano, Cloud. Sei fuori controllo. –
La voce di
Vincent è un ringhio rabbioso. Spero di non aver innescato qualcosa,
attaccandolo. Ci manca solo Chaos in questa dannata storia! Dobbiamo calmarci
prima, sia da parte mia, che da parte sua, la situazione degeneri.
- Lo so. Me
ne rendo conto, ma ti assicuro che puntandomi una pistola addosso non aiuta a
riottenerlo, il controllo. –
Lo guardo
infastidito, come se non avessi un’arma puntata dritta alla testa, giusto per
sottolineare di stare varcando soglie non proprio raccomandabili da superare.
La situazione è tragicomica, a dir poco, comunque. Dopo qualche istante di
riflessione, il pistolero decide di ottemperare la mia implicita richiesta,
rimette la sicura e si accovaccia, incrociando le braccia sulle ginocchia. La
Cerberus ben salda nella sua presa.
- Non la
rinfoderi? –
- Mi spieghi
che ti è saltato in testa? –
- Lo
prenderò come un no. –
-E io come
una minaccia. –
Giuro se quella sicura non la smette di
cliccare… No, bisogna mantenere i nervi saldi, altrimenti qua scoppia un
macello, penso, nel tentativo di calmarmi. Meglio cominciare ad essere
ragionevoli. In fondo, Vincent ha tutto il diritto di sapere perché ho tentato
di ucciderlo.
- Non volevo
farti del male. Scusami. E’ che… -, come
spiegarlo? , - credevo fossi qualcun altro. –
Il moro alza
un sopracciglio, in una perfetta imitazione di suo figlio. In altre
circostanze, avrei apprezzato la somiglianza, ma, ora come ora, mi viene da
saltargli alla gola di nuovo.
Le sua mani ricoperte del LORO sangue…
- E chi? Ci
siamo solo io e te in questo furgone. –
Ora sono io
a guardarlo in modo eloquente. Che gli piaccia o no, qualcun altro c’è…
altroché se c’è. Il pistolero capisce ed emette un sonoro sospiro. Questo gli
fa finalmente rinfoderare l’arma. Credo che a volte soffra il fatto di
dimenticarsi che lo spirito di suo figlio viva in me e che lui ci cammina
attorno come un’ombra, guidandoci sul filo della follia.
- Perché
avete litigato, stavolta? –
Il tono
dell’ex-Turk ha perso la sua animalesca minacciosità e ha assunto
un’inflessione più umana e comprensiva. La domanda, infatti, è rivolta come se
parlasse con due bambini che hanno bisticciato per l’ennesimo motivo futile.
Forse è così. Ma il motivo, probabilmente, non è così futile.
Tifa morta… Ai suoi piedi.
Mi porto la
mano alla fronte, sfregandola, come se volessi cancellare quelle immagini. Fosse così facile…
- Nibelheim.
–
- Ha
infierito su quell’argomento? –
Mi volto
verso di lui e cerco di riafferrare le immagini di quel sogno.
- Non
proprio. –
- Senti, se
ti aspetti che io ti tiri fuori le risposte con le tenaglie, hai proprio capito
male. –
Rido. Vincent Valentine che farei senza di te?
- Quello che
intendo è che… -
Mi blocco.
Ripenso alla catasta di corpi ai suoi piedi e noto un particolare che mi era sfuggito.
Tifa. Non è lei. Capelli neri, lisci, pelle
pallida… tutto corrisponde, ma… gli occhi! Gli occhi sono diversi. Sono… sono
verdi! Verdi come il Lifestream.
Non ha senso… perché avrebbe dovuto…?
- CLOUD! –
Mi sento
scuotere e chiamare, mentre mi rendo conto di altri dettagli di quella scena,
come visi di uomini e donne sconosciuti mischiati a quelli dei miei ricordi. Mi
ridesto e osservo Vincent. Dal suo sguardo capisco che i miei occhi sono tutto
un programma.
- Che
succede, Cloud? –
Inizio a
spiegargli il sogno, per quanto facile possa essere illustrare un completo
delirio ultraterreno. Fortuna vuole che l’ex-Turk non sia del tutto estraneo a
questo genere di fatti: pende letteralmente dalle mie labbra, infatti. Esper,
che darebbe che essere nella mia testa… Infine, arrivo al momento del crollo,
sperando che la mente analitica del moro possa venirmi in aiuto.
- Lui
accetta la morte di sua moglie, ma, quando ho accennato all’incendio, lui è
come impazzito. Mi ha mostrato Nibelheim, come la ricordiamo entrambi. E come
io ricordavo lui. Folle, spietato e assetato di sangue. C’era una massa di
corpi ai suoi piedi, ma alcune di quelle persone non le ho mai viste in vita
mia. Ma quello che mi lascia più perplesso è la donna giacente ai suoi piedi:
all’inizio credevo si trattasse di Tifa, invece… -, abbasso lo sguardo sulle
punte delle scarpe, sconvolto, e le ultime parole escono dalle mie labbra come
un soffio flebile, - era Evelyn. –
Prendo un
grosso sospiro e mi siedo, esausto, sul pavimento del furgone.
-Non ha
senso. –
Vincent, il
quale mi ha ascoltato in assorto silenzio, mi osserva come se volesse
trafiggermi l’animo, mentre mi struggo a capire cosa in realtà Sephiroth
volesse dirmi.
- Fuoco…-
Il pistolero
mormora qualcosa, attirando la mia attenzione. Lo sguardo di Vincent è cupo e
concentrato, estraneo. Sorrido inconsciamente.
Ci sei.
- Il fuoco è
un elemento ricorrente. Entrambe le vostre vite ne sono state segnate e il
vostro animo arde nello stesso modo, animato da ricordi fin troppo simili. -,
si alza e inizia a vagare per il furgone, incurante degli scossoni, come se i
suoi ragionamenti trascendessero la realtà, - Fuoco. -, alza una mano,
-Ricordi. -, solleva anche l’altra. Rimane ad osservare i palmi aperti,
immobile, perso nelle sue elucubrazioni.
-Ehm,
Vincent. Non ti seguo. –
Ad un certo
punto, mi guarda, una luce soddisfatta brilla in quelle iridi vermiglie. Io
scuoto la testa e assumo un’espressione ebete. Il pistolero alza gli occhi al
cielo ed emette un suono esasperato.
- Santo
cielo, Cloud, sarai rapido con la spada, ma di certo non lo sei di cervello. –
Mh, benvenuto nel mio
mondo.
Taci tu.
- Ricordi
alla Città Dimenticata, quando hai lasciato il corpo di Aerith ai flussi del
lago? –
- E chi se
lo dimentica? –
- Cosa le è
successo? Al suo spirito, intendo. –
- Beh, si è
unito al Lifestream… -
- Sì, e poi?
–
- Poi, ha
combattuto al nostro fianco impedendo la caduta di Meteor… -
- Ok e dopo
quello? –
- Ha guarito
il Geostigma. –
-Come? –
- Attraverso
la pioggia e il lago nella chiesa. -
Mi blocco.
Il fuoco scatena i ricordi. Questo vuol
dire…
- Se Aerith
è l’acqua… Evelyn è il fuoco! –,
scatto in piedi anch’io, - E’ l’unico modo che
ha di percepirla. –
-
Distruggere il Pianeta equivale donarlo a lei. Donare a una Dea della
distruzione il suo regno. –
- E con lei
al comando nel mondo, nessuno si opporrebbe al loro amore. –
- Nemmeno il
Pianeta. –
Sto per
chiedergli più informazioni quando, improvvisamente, il furgone si ferma. Ci
scambiamo un’occhiata e Vincent prepara la Cerberus. Il proprietario scosta i
lembi del telo con poca delicatezza e ci squadra da cima a piedi, mentre
mastica il suo tabacco. Sputa a terra.
- Siamo a
Bone Village. Spero che non mi abbiate rotto niente con la vostra rissa,
altrimenti me lo dovrete ripagare. –
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
7 Gennaio XXXX
Ora comprendo la completa sterilità del
rapporto di Fair. Sento il fiato mozzarmi in gola davanti a questo indescrivibile
scempio. Dove una volta sorgevano campi verdeggianti, ora uno spesso strato di
cenere grigiastra ricopre ogni filo d’erba; dove l’aria era pulita e fresca,
ora una pesante cortina di bruciato sopprime ogni altro odore; dove una volta
il sole splendeva, ora desolanti nubi di fumo precludono la vista del cielo.
Dove una volta sorgeva la ridente Banora, ora v’è solo un luogo desolato,
bruciato fin dalle fondamenta. La cenere scende lenta dagli alberi
carbonizzati, simile a fiocchi di neve, ricoprendo con la sua leggiadria il
viale che si snoda sotto di essi. Lo sto percorrendo con rispettoso cordoglio,
come se stessi passando in mezzo a un cimitero. E in effetti, non sono molto
lontano dal vero. Giunto all’apice della collina, i miseri rimasugli di un
maestoso albero arcuato mi suggeriscono di aver raggiunto la mia meta. I
ricordi iniziano a fluire dinnanzi ai miei occhi; come fantasmi figure
evanescenti ripercorrono i passi di quei giorni lieti, quando ancora vivevo
nell’illusione dell’amicizia. Mi aggiro nel grande spiazzo, dove gli
sferraglianti e ancora incandescenti resti di una della macchine infernali di
Scarlet giacciono in pezzi sul terreno carbonizzato. I segni di micidiali
spadate mi strappano un sorriso tirato. E’ divertente costatare che, nonostante
gli sforzi degli ingegneri, le uniche, vere, perfette macchine da guerra siamo
noi SOLDIER. Per quanto può essere divertente essere paragonati ad una
macchina, ma ho imparato a conviverci con questa idea. In fondo, la totale
mancanza di pietà che ha costellato la mia carriera è una perfetta prova del
pensiero comune. Anche se Aerith avrebbe da ridire su questo argomento. Piccola
ingenua.
Prima di avviarmi verso le macerie del
grande casale, meta del mio pellegrinaggio, mi fermo dinnanzi a un tumolo
profanato. I corpi di coloro sepolti in esso sono stati lasciati alla mercé
degli elementi, lasciati a giacere in posizioni che mettono a nudo le loro
mortali ferite. Con un paio di occhiate studiose, capisco che sono stati
spostati dalla loro posizione originale, probabilmente per essere analizzati.
Una smorfia di disgusto scappa dal mio controllo: l’unico briciolo di umanità
di Genesis vanificato in questo modo… Non lo accetto. Queste persone meritano
rispetto, così come il dolore di un figlio sperduto. Non posso fare a meno di
cercare di comprendere i sentimenti del rosso quando ha deciso di mettere fine
alla vita dell’uomo e la donna che lo hanno cresciuto… amato. Avrà esitato?
Avrà pianto? O si sarà mostrato spietato e freddo? Il rapporto di Zack è
alquanto scarso su quell’argomento, credo che dovrò interrogarlo una volta
tornato a Midgar. Nel frattempo, posso solo fare illazioni. A giudicare dal
fatto che si sia prodigato a seppellirli, credo che ogni colpo inferto ai suoi
genitori fosse un colpo dritto al cuore.
Lui li amava. Non ho dubbi su questo…
L’ho visto quando suo padre ci ha raggiunto
in Wutai e l’ho constatato quando sono venuto qui l’ultima volta, durante la
licenza invernale dalla guerra. Non ho mai visto due genitori così affettuosi e
prodighi nei confronti del proprio figlio. Avevano un rapporto veramente
bellissimo. Soprattutto quello che intercorreva tra Genesis e sua madre era
qualcosa di veramente speciale. Lei era una donna così dolce, innamoratissima
del figlio. Era nata per fare la madre, non c’erano dubbi su questo. Quando ci
vide varcare quello stesso viale, ricordo, saltò al collo del rosso con una
tale foga da farlo crollare a terra, riempiendolo di baci quasi fino a
soffocarlo. Rimembro che lui commentò che era quasi più al sicuro a Wutai.
Ridemmo, anche se stavo morendo d’invidia. Che avrei dato per avere anch’io una
madre che si rallegrasse del mio ritorno dalla guerra. Mi rabbuiai, ma cercai
di riprendere il mio solito cipiglio inflessibile appena Genesis mi presentò a
lei. Assunse un portamento composto ed elegante, in linea con i canoni
nobiliari del suo rango e si scusò per il comportamento di poco prima.
‘Ero così
preoccupata per il mio bambino. La ringrazio per avermelo riportato a casa sano
e salvo, Generale.’, ricordo che mi
disse, con un leggero inchino.
Genesis sbuffò sonoramente, sottolineando il
fatto che non era per nulla merito mio, ma suo, ricordando alla madre di essere
un SOLDIER First Class.
‘Sono capace
di prendermi cura di me stesso, senza l’aiuto di questo pallone gonfiato.’
Naturalmente, ogni occasione era buona per
sfidarmi apertamente per il Comandante. Stavo per rispondere a tono, ma la
signora Rhapsodos lo reguardì, smaccandolo brutalmente.
‘Ti conosco
bene. Te sei solo capace di ficcarti nei guai, con quella testa calda che ti
ritrovi. Spero che tu abbia imparato qualcosa da una persona posata come il Generale.’
Genesis scoppiò a ridere sguaiatamente,
guadagnandosi un’occhiata di fuoco da parte mia.
‘ Posato,
lui?! Oh, mamma… sei una comica. E’ per questo che ti adoro!’
Le diede un sonoro bacio sulla guancia,
stringendola forte a sé. Avvertii una fitta al cuore. E la provo tuttora. Era
una donna così dolce, educata, paziente… una madre meravigliosa. Amava così
tanto quel figlio dall’anima oscura da morire ben prima del colpo ferale. Posso
vedere il dolore dilaniante congestionato sul suo viso gelido. Ha subito vari
colpi, noto. Sono ferite non particolarmente gravi, ma comunque inferte in zone
potenzialmente mortali. Come se… l’attentatore non avesse la convinzione
necessaria per affondare la lama nel corpo della sua vittima. Mi scappa un
mesto sospiro.
Tormento
Non ce la facevi, vero, amico mio? La amavi
troppo per farle del male. Avevi affrontato l’ira di Wutai, sopravvissuto alle
più cruenti battaglie, lottato con la morte per renderla fiera di te. Anche se
a lei non che importasse molto se fossi rimasto un anonimo fante o un acclamato
Eroe. Tu eri il suo bambino e questo bastava. L’hai ferita molto più in
profondità di quanto la tua spada possa aver fatto. Mi è giunta voce che li hai
uccisi perché ti avevano tradito: non è che tu hai tradito loro? Come hai
giustificato un tale atto e te stesso? Avanzando nelle mie ricerche riguardanti
il Progetto G, incappai nei documenti che comprovavano l’adozione di Genesis da
parte dei signori Rhapsodos. Rimasi stupito dalla rivelazione, ma poi,
ripensandoci, mi accorsi di averlo sempre intuito. Il rosso non presentava
nemmeno una delle fattezze dei genitori. Ma… davvero importava? Davvero
meritavano la morte? Forse ciò che tu chiami tradimento, amico mio, era solo un
modo di proteggerti proprio dal fatale destino che stai intraprendendo. Loro
avevano accettato l’onere di crescerti ben volentieri, nonostante la tua natura
mostruosa. Mi scappa un gesto stizzito. Io non so che darei per aver avuto dei
genitori come i tuoi. Non importa se adottivi o naturali, ma qualunque cosa
sarebbe stata meglio dell’infanzia spaventosa e buia che ho subito. Qualunque
cosa piuttosto che… me.
Avevi tutto… perché lo stai distruggendo,
vanaglorioso ragazzino viziato?
Ora i signori Rhapsosdos possono riposare in
pace, al sicuro nel ventre del Pianeta, anche se sono certo che il loro
tormento riecheggia nel Lifestream, trasportato dalle loro anime squarciate. Quale
pena con cui convivere per l’eternità…
Lascio il tumolo e mi dirigo a ispezionare
la magione. Non ne è rimasto molto, solo un cumolo di macerie annerite, implose
su loro stesse sotto la violenza dei missili e delle esplosioni marchiate
Shinra. Mi aggiro tra di esse, studiando i pochi oggetti salvatosi dalle
fiamme. Tra di essi noto un portafoto, miracolosamente intatto se non si considera
il vetro spaccato, custode geloso della famiglia al completo. Mi scappa un
sorriso sincero nell’osservare un giovane Genesis costretto in una posa
composta e ponderata. Immagino la lotta intrapresa dai genitori e dal fotografo
stesso nel tentativo di convincere quel ragazzetto ribelle a stare immobile per
quattro secondi. Ricordo la signora Rhapsodos sospirare affaticata, ripensando
a quei momenti. Diceva che da bambino, il Comandante era una peste
ingovernabile, e mi chiese se la vita militare lo aveva aiutato ad imparare la
disciplina. Ahimé, nulla resiste all’esuberante carattere del rosso. Nemmeno la
ferrea disciplina di SOLDIER. Perfino il mio pugno di ferro è capitolato di
fronte a Genesis. Mi sovviene una discussione avuta molto tempo prima, del cui
motivo mi sfugge, quando, esasperato, gli chiesi spiegazioni riguardo la sua
indole giacobina. La risposta mi lasciò di stucco.
“Cosa siamo
noi SOLDIER se non ribelli? Noi possiamo piegare le leggi della fisica,
governare gli elementi, domare le masse. Proprio perché non ci sono limiti alla
nostra potenza. Tu per primo ti ribellasti ai tuoi ufficiali comandanti per
perseguire un bene comune. Non siamo poi così diversi tu ed io.”
Quando gli chiesi quale fosse il bene
superiore che stava perseguendo egli rispose citando una delle sue parti
preferite di LOVELESS.
‘ Infinite in mistery is the Gift of the Goddess,
we seek it thus and take to the sky.
Ripples form on the water’s surface,
the wandering soul knows no rest.’
[‘Infinito
mistero è il Dono della Dea, Noi lo cerchiamo e andiamo verso il cielo. Onde si
formano sulla superficie dell’acqua, l’anima vagante non conosce requie’,
LOVELESS Atto I]
Il Dono della Dea. Ricordo che sospirai e
scossi la testa di fronte a quell’ennesimo delirio. Ora, però, mi rendo conto
che Genesis non parlava per dar aria alla bocca. Ho sempre bollato le sue
continue citazioni e i suoi discorsi accorati, come modi fantasiosi e
improbabili per aggirare le costrizioni della disciplina; invece… voleva farmi
aprire gli occhi. Come sempre, voleva aiutarmi e io… io non l’ho mai ascoltato.
Questo è il mio peccato. Cerco di tendere
l’orecchio ora, nella speranza che la sua voce possa rispondere alla miriade di
domande che avrei dovuto porgli, ma che, nella mia arroganza, ho sempre
evitato. Mi odio per aver tentato in tutti i modi di cambiarlo, senza essermi
mai fermato un attimo per provare a comprendere. Ho schiacciato i suoi sentimenti,
ignorato la sua essenza, sminuito la sua umanità. Il vero mostro sono sempre
stato io, in fondo.
Girovagando per i resti del casale, sono
giunto nella zona dove un tempo sorgeva la biblioteca della famiglia.
Naturalmente, tutto il prezioso sapere ivi contenuto è andato definitivamente
distrutto, a parte per una copia di LOVELESS, abbandonata sul pavimento. E’
aperta sul Prologo.
‘When the war of the
beasts brings about to the world’s end,
the Goddess descents from the sky.
Wings of light and dark spread afar,
she guides us to bliss, her gift everlasting. ‘
[Quando la
guerra tra le bestie porterà alla fine del mondo, la Dea discenderà dal cielo.
Ali di luce e scurità si spiegheranno, lei ci guiderà alla beatitudine, il suo
dono eterno.’ LOVELESS, Prologo]
Mi sembra quasi di sentire la voce teatrale
del rosso, mentre trascrivo queste righe. Esaminando questo manoscritto mi
accorgo che sembra essere lasciato qui apposta. E’ troppo ben conservato per
essere scampato all’incendio, tuttavia lo strato di cenere sopra deposto indica
che è stato lasciato in un lasso di tempo non troppo lungo, tra il
bombardamento e il mio arrivo. Non troppo prima del mio arrivo, direi. Che sia
ancora nei paraggi? Meglio andare via da qui prima che lui possa venire a conoscenza
del mio diario.
7 Gennaio XXXX, Ufficio SOLDIER, Midgar.
Alcune ore dopo il viaggio a Banora.
Ho passato le ultime ore ad esaminare questa
copia di LOVELESS rinvenuta nella magione Rhapsodos di Banora. La mia analisi
iniziale era corretta: questo libro non era presente nella biblioteca di
famiglia quando le bombe sono state sganciate. Eppure appartiene a quel luogo,
come testimonia il timbro sul retro del frontespizio. Una rara edizione del
poema epico LOVELESS. Troppo rara e particolare per non riconoscerla all’istante.
Questo libro era suo… Non se ne separava mai, perché lo ha lasciato in mezzo a
quella desolazione? Questa domanda è stato il mio chiodo fisso per ore, fino a
che un’analisi ancora più approfondita ha rivelato l’intenzione del rosso di
comunicare. Infatti, gli orli di alcune pagine sono stati lasciati arricciati a
mo’ di segnalibro, in corrispondenza di alcuni passaggi del poema. Passaggi che
ho sentito recitare fino alla nausea, ma la fitta trama di note in rosso
attorno a quelle strofe mi ha spinto a compiere il tentativo di cogliere il
significato racchiuso in quei versi così accorati.
Sono partito dal Prologo, trascritto in
precedenza. Ciò che ho appreso mi ha sconvolto! Non posso credere che le sue
intenzioni siano rivolte davvero alla distruzione di questo Pianeta. Qual è la
ragione di una scelta così drastica? Crede davvero che portare questo Pianeta
sull’orlo del baratro possa salvarlo dalla sua lenta decadenza? Davvero è
convinto che questo libro indichi il fato di ognuno di noi?
Per questo motivo che il suo corpo è mutato?
Per questo ora bestie dotate di ali nere e bianche vengono avvistate in ogni
angolo del globo? Un’altra guerra è alle porte?
‘My friend, do you fly away now?
To a world that abhors you and I?
That is await you is a somber morrow.
No matter where the winds may blow. ‘
[Amico mio,
voli via adesso? Verso un mondo che aborra entrambi? Ciò che ti aspetta è un
vuoto domani. Non importa in che direzione i venti soffino.’ LOVELESS, Atto
III]
‘Non importa
in che direzione i venti soffino’. Questa
frase non fa altro che ronzarmi nella testa. La mia strategia nel mantenermi
neutrale agli avvenimenti si sta mostrando in tutto il suo fallimento, come,
infatti, suggeriscono queste righe. Genesis è più determinato di quanto
pensassi. L’ho sottovalutato e, ora, il sangue delle sua vittime ricade sulle
mie mani. Non posso più tirarmi indietro… Per quanto cerchi di sfuggirlo, il
conflitto è inevitabile. Ma la domanda che più mi tormenta in queste ore è:
qual è il disegno che ha creato per me? Ha intenzione di trasformarmi in uno
dei suoi fantocci alati? Oppure un destino più oscuro e raccapricciante egli
sta riservando a ‘colui che resta’?
‘My friend,
your desire is the bringer of life:
the Gift of the Goddess.
Even if the morrow is barren of promises,
nothing shall forestall my return.’
[Amico mio,
il tuo desiderio è portatore di vita: il Dono della Dea. Anche se il domani è
arido di promesse, niente fermerà il mio ritorno.’ LOVELESS, Atto III]
Queste sono le frasi che più mi
agghiacciano. Il mio desiderio… esistono tanti tipi di desideri, ma quale di
questi è portatore di vita? La risposta è ovvia: la passione. Non posso fare a
meno di pensare che quei versi si riferiscano a Takara. A quel punto il senso
di colpa torna a farsi sentire: che cosa ho trasmesso a mia figlia? A quale
atroce destino l’ho condannata?
A volte penso che avrei dovuto stroncare la
sua piccola vita sul nascere. Invece di lasciare che Evelyn portasse avanti
quella gravidanza, avrei dovuto impedirglielo con più fervore. Sarebbe bastato
un colpo al ventre ber assestato per levarsi d’impiccio. Se Evelyn dovesse
leggere queste righe probabilmente mi malmenerebbe, o peggio, e io farei di
tutto per negare, trovando giustificazione nel periodo nero che sto passando;
ma… mentirei. Sia chiaro, amo mia figlia e farei qualunque cosa per lei,
tuttavia la sensazione che la sua esistenza su questo Pianeta sia un errore a
cui porre rimedio non mi abbandona. Qualcosa, nel profondo del mio essere, la
percepisce come una minaccia. E ora LOVELESS sembra confermare ciò che ho
sempre considerato dei semplici presentimenti senza fondamento. Ci sono troppi
segnali, troppe incongruenze che girano attorno alle mie oscure origini per
ignorarle. Anche se, come può Taky rientrare nei piani di Genesis se lui non è
a conoscenza della sua esistenza? Sono sempre stato attento a non lasciar
trapelare nulla sulla mia relazione clandestina, mantenendo l’atteggiamento più
naturale possibile; anche se talvolta non era così facile rimanere impassibile.
La frustrazione albergante nel mio cuore era così devastante da condizionare
profondamente il mio comportamento. I miei amici non sapevano mai che tipo di
Sephiroth aspettarsi di giorno in giorno. Credo sospettassero che fossi
invischiato in una qualche tresca con qualche fanciulla dal difficile
carattere, dal momento che spesso lanciavano frecciate malcelate su
quell’argomento; ma non penso abbiano mai veramente capito cosa avessi tra le
mani. In effetti, Angeal e Genesis non si sono mai prodigati troppo a indagare
sulle situazioni sentimentali del trio. Probabilmente era un argomento che era
meglio lasciar passare sotto silenzio. Eravamo in guerra, dopotutto. Dopo mesi
interi passati a sguazzare in mezzo al sangue e alla morte, diveniva impellente
il desiderio di gettarsi tra le grazie della prima ragazza carina che si parava
davanti. Lasciarsi andare tra le morbide carni della propria donna, è un buon
modo per, un istante, dimenticare. La magnifica spossatezza che attanagliava le
mie membra ad ogni amplesso mi permetteva di scivolare in un sonno senza sogni,
in pace, soddisfatto. Avvertire la sua calda presenza, le sue delicate carezze,
il suo rassicurante respiro…
Amore mio…
Mi manchi da impazzire. Ogni notte sogno
quel tuo splendido, dolce sorriso, il quale ti illumina il viso di una luce
meravigliosa. Quel sorriso capace di spaccarmi il cuore letteralmente in due;
quel sorriso per cui morirei per non vederlo mai spegnersi; quel sorriso
divenuto l’unica mia ragione di vita. Nella mia mente, ormai da qualche tempo,
si sta delineando l’intenzione di abbandonare la Shinra. Non credevo che sarei
mai stato in grado di sviluppare un tale pensiero. La Compagnia è sempre stata
la mia unica, sola, desolante realtà. Non mi erano concesse alternative al
futuro. Io sono nato per servire la Compagnia, per uccidere nel suo nome, per
vincere le sue guerre. Fin da bambino non hanno fatto che ripetermelo. Per
questo Hojo si è sempre prodigato d’impedirmi di avere degli amici, d’istruirmi
su nozioni che non esulassero oltre dall’arte militare, di leggere nulla che
non fossero strategie belliche. La mia sola ragione di vita sarebbe dovuta
essere la guerra e la morte. Motivo per il quale sono stato nutrito con odio e rancore,
sopprimendo qualunque altro sentimento. Dovevo essere una macchina da guerra
spietata e assetata di sangue. E per un periodo questo obiettivo fu anche
raggiunto, ma LEI… LEI ha cambiato tutto. Quei sentimenti che credevo aver
perduto per sempre, ho scoperto di averli sempre serbati nel cuore. Anche se,
mi accorsi, di aver sempre saputo di non averli dimenticati. Quel pizzico di
innocenza pura e semplice che ancora albergava in me li ha conservati al sicuro
dalle grinfie della Bestia per tutto quel tempo. Io non sono più disposto a
corrispondere delle aspettative che mai sono stato in grado di rispettare. E
sono stanco di vivere in questo limbo di miseria. E’ arrivato il momento di
nascere. Di nuovo.
Non so che epilogo avrà questa storia, ma
una cosa è certa: dopo questa Crisi, SOLDIER sarà destinato a sparire. La
ribellione di Genesis ha portato a una gigantesca diserzione di massa che ha
completamente svuotato il Reparto. Io e Fair siamo gli unici First rimasti
sotto il comando del Presidente. Tra il popolino sta cominciando a svilupparsi
una sorta di psicosi nei confronti dei SOLDIER.
Siamo Dèi, crudeli e spietati, e quello che
suscitiamo è proprio questo: una timorosa adorazione. Come le divinità,
fintanto che ci dimostriamo protettivi e benevoli nei confronti dei nostri
accoliti, essi ci amano e ci rispettano. Poco importa il terrore che
disseminiamo tra i nemici della patria; poco importa se siamo in grado di
spaccare la testa di un uomo con una sola mano o in grado di radere al suolo un
intero villaggio con una sola magia. Poco
importa se dentro siamo dei mostri. E’ per questo motivo che non ho mai
amato essere l’idolo delle folle. Quella gente non mi rispetta per le azioni eroiche
che ho compiuto, ma perché teme il modo in cui le ho realizzate. Temono la
possibilità che possa accadere anche a loro, un giorno.
Io da solo ho ucciso centinaia… no, migliaia
di persone. Di ogni età, di ogni sesso, di ogni etnia.
Ho
ucciso tanti bambini. Questo mi
tormenta più di ogni altra cosa. Ora che sono diventato padre, mi rendo conto
dell’orrore che ho compiuto, della spietatezza provata. Spesso e fin troppo
volentieri, mi divertivo a
torturare i genitori, uccidendo i loro figli di fronte ai loro occhi, in modi
che preferisco non trascrivere.
Come ho potuto?
Che diritto avevo di compiere degli atti
così osceni?
Come ho giustificato a me stesso quei
crimini?
Forse non l’ho mai fatto e, probabilmente, è
per questo che non riesco a perdonarmi e ad accettare che i doni che la vita mi
ha regalato. Qualche giorno successivo alla nascita di Takara, dopo che
l’iniziale entusiasmo svanì, questi pensieri iniziarono a tormentarmi. La
guardavo dormire quieta nella sua culla e immagini oscene di corpi di bambini
straziati si contrapponevano a lei. Iniziai ad allontanarmene, ignorando le
necessità del mio istinto paterno. Questo comportamento venne notato da Evelyn,
naturalmente, e ciò portò un paio di volte a scontrarci, ma, in un modo o
nell’altro, riuscii sempre a sviare l’argomento. Fino a che, una notte, un
incubo raccapricciante, di cui a stento ricordo i dettagli, e anche se ne
avessi memoria preferisco non ripercorrerlo, mi strappò dal sonno con un grido
straziante. Una morsa di panico mi attanagliò la mente, offuscandola di puro
terrore. Rotolai su un fianco e mi accartocciai su me stesso. Dietro di me, il
pianto spaventato della bambina si univa a quello dei miei ricordi, facendomi
uscire di testa. Mi portai le mani alle orecchie per sopprimere quei lamenti,
ma quegli strilli agghiaccianti erano troppo acuti per essere ignorati. Nella
follia, vidi in Takara il nemico: la fonte del mio dolore, la quale doveva
essere terminata all’istante. Il passo tra pazzia e violenza fu tragicamente
breve. Mi alzai, rinvigorito da una forza bestiale, e mi gettai sul lettino di
mia figlia con un solo, letale intento. I miei pugni calarono sulla culla più e
più volte, distruggendola in mille pezzi. Ad ogni colpo, sentivo quel pianto scemare
e l’incubo perdersi nell’oblio del subconscio. Piano piano, ripresi il
controllo delle mie emozioni. Fissai il lettino sfasciato, incapace di
concepire ciò che era accaduto. Poi, mi accorsi di un respiro affannato alla
mia destra. Lentamente mi voltai, anche se avrei preferito non farlo:
l’espressione di puro terrore dipinto sul viso di mia moglie fu uno squarcio
nel cuore. Mi fissava come si guarda una bestia feroce. Il suo corpo era tutto
un tremore, i muscoli tesi, i sensi all’erta: pronta a scappare, o a difendere
il fagotto che stringeva al petto, in alternativa. Fu in quel momento che
realizzai ciò che avevo fatto. O meglio, stavo per fare. Guardai le mie mani,
piene di schegge intrise del mio stesso sangue e mi sentii morire.
Perché?, mi chiesi, Perché sono così
incontrollabile?
Mi ritrassi, pieno di vergogna e odio verso
me stesso, non avevo il diritto di stare nella stessa stanza con loro. Mossi
qualche passo verso l’uscio, ma un braccio gracile, ma dotato di una graziosa
forza, mi bloccò. Poi, un corpo caldo mi si adese alla schiena, causandomi,
tuttavia, un brivido gelido lungo la spina dorsale. Mi irrigidii: non volevo,
non potevo godere di quel contatto.
Avvertii un liquido caldo attraversare la stoffa del kimono. Lacrime. Una stilettata
di dolore mi colpì direttamente al cuore, stroncando il respiro. Ero io la vera
causa di sofferenza. Improvvisamente, il desiderio di scappare venne
impellente. Cercai da muovere un altro passo, ma la stretta si fece più forte…
determinata. Poi, avvertii alcune ciocche tirare sotto l’azione di minuscole
morse morbide e birichine, seguite da una risatina cristallina e innocente. Mi
voltai lentamente e adocchiai Takara da sopra la spalla, intenta a giocare con
i miei capelli. Placida, ignara… meravigliosamente ingenua. Non aveva paura di
me, del mostro che aveva interrotto il suo sonno tranquillo e che, se non fosse
stato per la freddezza di sua madre, l’avrebbe uccisa. Alzò lo sguardo luminoso
su di me. Rideva con quella boccuccia buffa e sdentata. Quando allungò le
manine verso di me mi sentì mozzare il fiato direttamente in gola. No, non
potevo… Le mie mani…
‘Non vorrete
davvero disattendere a un ordine, Generale…’, disse una voce d’angelo, scherzosa.
Un sorriso sfuggì al mio controllo: come ci
riusciva ogni volta? Veloce come era venuto, così se ne era andato, comunque, ma
per lei fu abbastanza. Sciolse appena la morsa che mi teneva inchiodato
sull’uscita della camera e si piazzò di fronte a me, senza abbandonare il
contatto. Ella rivolse la sua attenzione sulle mie mani insanguinate, per poi
accogliere la sinistra –quella della spada- nella sua delicata stretta. Provai
l’impulso di ritrarmi: non volevo che quella pelle così pura venisse
contaminata dal mio sangue maledetto. Prima che potessi formulare quel
pensiero, tuttavia, lei accompagnò l’arto alla sua bocca, dove iniziò a posare
dei delicati baci sulle nocche, sulle dita, sul dorso. Io ormai ero ammaliato
dalle sue movenze, lente e accorate, tanto da sopprimere ogni altro istinto. La
osservavo e basta, completamente rapito dalla sua benevolenza.
La mia Regina…
Le sue dita, ormai rosse, sfilavano sulla
mia pelle ferita, con una delicatezza tale da non avvertire nessun dolore. Esse
s’incrociarono alle mie, in un intrico rosso e bianco, il quale si riservò un
posto sul suo viso di porcellana. L’intreccio si sciolse e un ultimo bacio
venne lasciato sul palmo, prima di essere adeso completamente alla sua morbida
gota. Studiai il suo operato, il quale mi strappò ogni commento, qualunque
fosse stato, direttamente dal cervello. La sua mano, il suo viso, le sue labbra
completamente ricoperte del mio sangue. Era dannatamente bella… Prima che
potesse dire o fare alcunché, lei mi porse la bambina e l’appoggiò dolcemente al
mio petto, costringendomi, mio malgrado, ad afferrarla. La piccola emise un
urletto soddisfatto, felice, per poi rapidamente rilassarsi tra le mie braccia,
confortata dal mio calore.
“Visto? Lei
non ha paura di te. Nessuno di noi due ti teme, perché noi ti amiamo,
nonostante ciò che hai fatto. Il passato non si può cambiare. Puoi solo fare
ammenda dei tuoi errori, qui e ora, dimostrando di aver capito il valore della
vita. Sii il padre che quei bambini avrebbero dovuto avere, cresci tua figlia
come quei genitori avrebbero voluto per i loro figli. Vivi per loro. E’ il
minimo che tu possa fare. “
Non posso davvero credere di meritare tutta
questa benevolenza, come non posso credere che esista realmente un essere umano
in grado di comprendermi così a fondo. Una qualunque altra donna mi avrebbe impedito
di avvicinarmi di nuovo al suo prezioso pargolo, oltre che rifiutarsi
categoricamente di ascoltare le mie ragioni, me lei no. Lei è al di là di
questi …‘sciocchi dettagli’, come ella
li definisce. Si rende conto di aver sposato un uomo che presenta più ferite di
quanto il suo corpo mostri effettivamente. E molte di esse sono ben lungi dal
definirsi guarite. Il mio angelo lo comprende più di quanto io stesso possa davvero
immaginare. E’ tutto ciò che ho sempre desiderato e perderla… perderla per me sarebbe
la fine.
‘My soul, corrupted by vengeance,
hath endured torment
to find the end of the journey
in my own salvation
and your eternal slumber’
[La mia
anima, corrotta dalla vendetta, ha subito il tormento per trovare la fine del
viaggio nella mia stessa salvezza e nel tuo sonno eterno.’, LOVELESS, Atto IV]
La mia ultima affermazione mi riporta a
queste strofe… Questo passaggio è sempre stato il più controverso dell’intera
opera. E mi ha sempre inquietato. Una promessa di rivalsa, una maledizione di
un amico, una speranza di salvezza. Genesis non è mai guarito dalla ferita
inferta durante quel maledetto allenamento. Ho riscontrato tracce nei rapporti
che rivelano un difetto tipico dei soggetti G: se infusi di una quantità
eccessiva di mako, il loro corpo inizia a morire. Motivo per il quale, né
Angeal, né Genesis, sono mai stati sottoposti ad ulteriori sedute d’infusione. Il
poema suggerisce che, per sopravvivere, Genesis deve uccidermi. Ma come è
possibile se non è mai stato in grado di vincermi, nemmeno quando era al
massimo delle sue forze? A questo punto mi chiedo: cosa c’è nel mio sangue di
così speciale per riuscire a guarire un difetto genetico così grave? Senza
contare che i livelli di mako nelle mie cellule sono tra i più alti dell’intero
corpo d’élite. Sarebbe contro producente per lui e ciò spiegherebbe perché
Hollander m’impedì di essere il donatore della trasfusione che avrebbe salvato
la vita al Comandante. Almeno per un po’.
No, se ho ben capito, il piano di Genesis è
tutto scritto in questo libro, motivo per il quale egli si è premurato di
farmelo rinvenire. Vuole che io sia al corrente di ogni sua mossa, affinché
tutti i protagonisti della storia seguano il copione sillaba per sillaba. E
finalmente, il suo poema sia messo in atto, come lui ha sempre desiderato. Da
un lato, sarebbe un atto misericordioso permettergli di prendere parte alla sua
follia, in quanto potrei considerare questa implicita richiesta come l’ultimo
desiderio di un uomo morente. Ma, dall’altro… non posso permettergli di
portarmi via ciò che ho costruito con tanta fatica e sofferenza. Ci DEVE essere
una soluzione pacifica. Ormai so che non potrò tirarmi indietro dallo scontro,
ma esso non deve essere per forza con le spade. Se solo avessi occasione di
parlargli, indurlo alla ragione; forse… potrei salvarlo.
L’attacco di Banora è stata un’ulteriore
manifestazione dei suoi intenti: si sta avvicinando. Forse non dovrò attendere
così tanto per mettere in pratica il mio piano. Anche se, devo ammettere,
Genesis si è mosso più abilmente di quanto il mio orgoglio riesca a sopportare.
E’ troppo determinato e io non sono mai stato in grado di controllarlo. Ma ci
devo provare. Per il bene della mia famiglia, devo combattere contro la fonte
della sofferenza.
Costi quel che costi…
Yeeeeeee!!! Che parto, ragas! Questi
dannati capitoli d’intermezzo… Ma almeno me lo sono levato, dal momento che mi
aspetterà un ritorno un po’ impegnato. Sapete com’è, l’estate XD. E, siccome mi
devo ancora riprendere dalla traumatica esperienza falklandiana, ho intenzione
di recuperare l’orrida estate dell’anno scorso e riscattarla quest’anno.
Quindi, non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, io spero sempre presto,
perché so bene che non resistete dalla curiosità! Ora mi dovrò andare a
riguardare la linea temporale del CC, perché non mi ricordo mai come si
susseguono gli avvenimenti e cercare d’estrapolare il tempo trascorso tra un
evento e l’altro. Se non sbaglio, il primo blocco di storia (fino alla morte di
Angeal e Genesis, per intenderci) è ambientata 7 anni prima degli eventi di
FFVII, quindi ho ben due anni da coprire (magari anche meno, dal momento che a
me sembra che tutta la storia della diserzione di massa sia accaduta e risolta
in qualche mese). Anyway, so che avevo detto che non avrei più usato LOVELESS,
ma questo capitolo è praticamente incentrato su Genesis e quindi mi è toccato…
Ho deciso di dare una riscrittura anche da quel punto di vista, dal momento
che, ahimè, tutto gira attorno a quel dannato libro. Le paranoie del buon Seph
fanno poi il resto XD Riguardo Cloud, le spiegazioni non sono ancora finite e
continueranno con calma nel prossimo capitolo (so che pendete dalle labbra del
buon Vince… letteralmente!). Ho deciso così, perché se no c’era troppa carne
sul fuoco e poi mi diverto a lasciarvi in suspence, BUAHAHAHAHAHAH!!! (Crudele!
ndCloud, E poi sarei io il cattivo ndSeph).
Grazie ancora per la pazienza che avete
avuto in questi mesi di assenza e ancora grazie per aver dedicato un po’ di
tempo per supportarmi.
Vi voglio bene, bimbe mie!
Alla prossima!
Besos!
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Capitolo 24 *** Confronto ***
24. Confronto
“Corpo e anima sono un tutt’uno, un’essenza
inscindibile e interscambiabile. In parole povere, la realtà cosiddetta
‘terrena’ ha regole e principi completamente diversi da quelli che governano il
Lifestream; queste differenze richiedono, quindi, un adattamento. In pratica,
il concetto di morte non si riferisce a qualcosa di completamente opposto alla
vita, ma più semplicemente al cambiamento di essenza, adattandosi alle regole
della realtà a cui si sta affacciando. Conclusione: anima e corpo non possono
essere separati, in quanto creerebbe devastanti problematiche nel passaggio tra
Pianeta e Lifestream. Si ritiene, infatti, che se il corpo viene distrutto,
l’essere perde una parte di sé e non sarà in grado di ricongiungersi al
Pianeta, in quanto esso è l’organo dedicato alla conservazione dei ricordi e delle
emozioni collegate alle persone care. Dopo vari studi, ritengo che questo
legame sia un requisito fondamentale per il raggiungimento della Terra Promessa
da parte dei defunti, in quanto fonte di un’incredibile quantità di energia
vitale. E’ questa simbiosi tra defunti e viventi a rendere vitale questo
Pianeta.
La tradizione di bruciare i cadaveri è una
grave violazione di questo dogma, per quanto, talvolta necessaria. Le anime
private del loro contenitore perdono ogni legame con Gaia e non contribuiscono
al defluire del Lifestream. L’evento chiamato ‘Purga dei Sephera’ attuata dalla
stirpe umana a seguito della sconfitta di Jenova fu la comprova degli effetti
devastanti della rottura di questo legame. Tuttora, i pochi Cetra rimasti
avvertono la sofferenze di quelle anime intrappolate sul confine tra la vita e
la morte, senza alcuna possibilità di comunicare né con la realtà, né con il
Pianeta.”
M’interrompo circa a metà delle conclusioni
del rapporto di Gast, preso in prestito da Vincent durante la nostra permanenza
nella sua villa, poiché immagini terrificanti di uomini e donne mandate al
rogo, disperate e terrorizzate, mi si affollano nella testa, trasmettendomi la
macabra sensazione di dejà vu. Mi massaggio le tempie e prendo profondi sospiri
per ricacciare indietro la nausea. Esattamente come nella stanza di Gast, non
posso fare a meno di rivivere scorci di memorie di circa due millenni fa. Come
è possibile?
- Steven mi ha rivelato che tu hai visioni
di quel passato quando vengono rievocate quegli eventi, è così? –
Guardo Vincent di sottecchi, concentrandomi
con tutte le mie forze su di lui, al fine d’ignorare, o almeno provarci, quelle
immagini. Il pistolero è accomodato su una seggiola disposta accanto alla
finestra. Il gomito appoggiato al davanzale fa da sostegno per la testa. Il suo
sguardo tradisce una certa preoccupazione. Ha insistito perché leggessi coi
miei occhi la relazione di Gast, così da capire in pieno la situazione in cui
verte Evelyn. Annuisco lentamente, mentre un conato più forte degli altri mi
costringe a stringere i denti. E poi, quelle fitte al cuore…
- Questo è dovuto alle cellule di Jenova
contenute nel tuo corpo. Più avanti, Gast sostiene che i ricordi e le emozioni
dei Saphera vennero assorbiti dal corpo cristallizzato della loro padrona. -
- Ed immagino che lei non le abbia
conservate intatte e pure, dico bene? –
- Già. Nella sua biblioteca ho trovato un altro
rapporto, riguardante gli esperimenti eseguiti durante il Progetto S. Lì, Gast
asserisce che, probabilmente, l’aggressività e la misantropia riscontrata nei
mostri infusi con cellule J sia dovuto proprio questo. Apparentemente, Jenova
ricava il suo potere dalle emozioni negative dei suoi accoliti, incanalando il
loro odio e la loro rabbia direttamente nel cervello del malcapitato. –
L’ultima frase sfuma in un silenzio pesante,
ricolmo di sottintesi. E una frase aleggia sopra di essi. Per un lungo istante
essa incombe sulle nostre figure irrigidite e incapaci di guardarsi negli
occhi; finché il pistolero rompe gli indugi con somma mestizia.
- Forse è questo che è successo a Sephiroth…
-
Non posso fare a meno di grugnire e scuotere
dolosamente la testa, attirando inevitabilmente l’attenzione di un pistolero
punto sul vivo. Egli, tuttavia, non si altera, mantiene il solito impenetrabile
contegno.
- So che per te è ancora difficile accettare
il fatto che Sephiroth sia una vittima, anziché un carnefice, ma… -Quelle
parole pennellate da quel tono di voce così accorato, se non dolce, nei
confronti di quel… quel… MOSTRO! No, non merita la pietà. Non la merita, non la
merita, NON LA MERITA!
Fuori di me, afferro il margine del tavolo
dinnanzi a me e lo rovescio di lato. Ora che non c’è più nessuno ostacolo tra
di noi, una suadente voglia di assalirlo solletica ogni cellula del mio corpo.
Avverto i miei muscoli tendersi e gonfiarsi in attesa dello sforzo, le dita
irrigidirsi e piegarsi alla stregua di artigli affilati, i denti digrignarsi
pronti ad addentare quella pelle pallida e morta. Gli occhi rossi della mia…
preda? Sì, solo una preda può guardarmi con quegli occhioni terrorizzati. Lo
odio… Come fa a convivere col fatto di aver dato vita a un mostro, un genocida,
un pazzo, un criminale…
Non merita tutta quella compassione…
Non… la… merita…
La testa inizia girare e la vista
offuscarsi. Un richiamo ovattato raggiunge a stento le mie orecchie, tale da
non riuscire a decifrare cosa effettivamente contenesse. Un nome, forse? Quale?
E’ tutto così confuso…
La chioma
ondeggia sensuale ad ogni suo movimento e mi pare di avvertirne la morbidezza
scorrere lenta tra le mie dita, stuzzicare i polpastrelli, solleticare il mio
palmo; come se davvero la mia stessa mano fosse affondata in quel mare di seta
corvina. Improvvisamente, mi pare addirittura di avvertire il delicato e
leggero effluvio di resina di pino solleticarmi l’olfatto. E’ un odore così
trascinante, capace di far nascere in me un dolce ed amaro torpore. La meraviglia
suscitata da un sorriso angelico, la setosa consistenza di una carezza che
liscia materna la mia gota. Il pallore raffinato di quella pelle così perfetta
mi affascina. Così come quegli occhi... difficilmente riesco a trovare un
aggettivo adatto a descriverli, poiché la loro bellezza è qualcosa di
soprannaturale. Contrariamente al sentimento che racchiudono, così dirompente e
terreno da avvolgere entrambi come un vortice. Percepisco il suo fiato, il
quale, regolarmente, poggia la sua profumata essenza sulla mia bocca; preludio
magnifico della scesa di quelle accoglienti labbra rosse. Esse sono dischiuse
appena, protese verso le mie, in attesa di un contatto lontano quanto una
stella, eppure minuscolo come lo spessore di un filo d’erba. Quelle rose carnose
si muovono.
Ti amo.
Così la voce
d’angelo proferisce, riempiendomi il cuore di una gioia sconfinata, capace di
distruggere ogni singolo brandello del mio essere. Mi aggrappo a lei, che è
tutto il mio mondo e mi basta poco per toccarlo.
Ma lei non è
qui, mi rendo tragicamente conto. La splendida illusione si trasforma in
un’amara realtà, la quale ferisce nel profondo, dilaniando quei minuscoli
brandelli di ego. Smetto di respirare, rendendomi conto che l’ossigeno inalato
proveniva da quell’ipnotico respiro; le mie gambe cedono, facendomi realizzare
che era il suo corpo a sorreggermi; il mio sorriso si trasforma in disperato
pianto, comprendendo che lei era la fonte della mia gioia; un gelo mortale mi
attanaglia le ossa, capendo così che ella era il sole che mi donava la vita.
Mi accorgo
di essere inginocchiato, prostrato, per meglio dire. Le mani disperatamente
aggrappate alle inferriate gelide lanciano fitte di dolore, poiché ferite dagli
angoli taglienti del metallo. La testa è leggerissima e i polmoni si
contraggono disperatamente alla ricerca di aria. Questo è l’effetto
irrefrenabile di una passione repressa da tanto, troppo tempo, concludo.
Ritrovo la forza di muovermi e alzo lo sguardo al di là del cancello, dove,
leggiadra e perfetta, LEI passeggia. Il suo volto di porcellana è abitato da
una tristezza senza confini, animata da una struggente solitudine, la quale
scatena qualche lacrima di tanto in tanto. Sono in quei momenti, in cui il
rimpianto ha la meglio, che la donna ritrova la grinta e scaccia via quelle
gocce amare con un elegante gesto della mano. Le sue dita sottili corrono sulla
gota rosea e, sensualmente, accarezzano il labbro inferiore. La bocca di apre
appena e un sospiro liberatorio abbandona la sua gola. Poi, i suoi occhi si
elevano in direzione del cancello. La vuotezza che prima spegneva quelle iridi
smeraldine sembra svanire, appena un sentimento assurdo e irrazionale le anima.
Speranza.
Speranza di
rivedere l’uomo che ama.
Speranza di
riabbracciare la sua bambina.
Speranza che
il suo ingiusto calvario finisca.
Speranza che
la sua vendetta si compia.
Quest’ultimo
pensiero ricopre quella benevola luce con un’ombra maligna e rabbiosa. Un’ombra
che deforma le sue angeliche fattezze per pochissimi, terrificanti istanti in
quelle di un raccapricciante demone dilaniato dalla furia del fuoco. Esso si
contorce convulso, passandosi sul viso sfigurato le mani armate da lunghi
artigli giallastri. Essi scendono lungo la fronte calva, le cavità orbitali,
gli zigomi consunti; lasciando profondi e sanguinolenti solchi sul misero
strato di muscoli e tendini. Appena giunte dove una volta v’erano carnose e
rosee labbra, le dita svaniscono all’interno dell’oscura morsa del cavo orale,
dove denti affilati calano dall’alto e dal basso e tranciano quelle falangi sdrucite.
Il sangue sprizza dalla bocca, cacciato fuori in grosse gocce da attenuate, ma
non meno agghiaccianti, urla. Nell’attimo in cui questo demone appare e
svanisce, riesco a riconoscere la nota tipica di quelle grida. Il mio sguardo,
infatti, cala sul grembo, ove rivoli di sangue lasciano piccoli segni del loro
passaggio sul tessuto latteo. Gelsomini bianchi crescono repentinamente là ove
le gocce toccano il terreno, ma marciscono appena raggiunta la piena maturità.
No, non marciscono. Vengono inceneriti.
Fuoco.
Quella
parola smuove qualcosa dentro di me, ma la strana calma che mi avvolge le
membra impedisce a quel sentimento di prevalere.
Mi volto
appena alla mia sinistra e punto il mio nemico. La sua immancabile divisa nero
pece disegna la sua linea scattante e tonica, simile a quella di una pantera. E
come un felino, egli aderisce contro la cancellata, sornione, da cui osserva
l’oggetto del proprio desiderio.
- Come mai ancora qui, Cloud? –
- Per
cercare delle risposte, credo. –
Il SOLDIER
sposta l’attenzione su di me, puntandomi di sottecchi. La cortina argentea dei
suoi capelli nasconde in parte il suo viso affilato. Non mi sfugge, tuttavia,
il sorrisetto arrogante che deforma l’iniziale linea neutra delle sue labbra.
- Buona fortuna, allora. –
Rispondo al
suo sguardo con un’occhiata mordace, ma essa va ad infrangersi contro il
completo disinteresse del Generale nei miei confronti. Ha occhi se non per lei.
Non so perché, ma la cosa mi infastidisce. Per tanti anni ho creduto di essere
la sua sola ossessione: la marionetta da torturare, l’uomo da battere, l’eroe
da distruggere. Quello che intercorre fra noi è un legame malato e perverso,
eppure unico e speciale. Entrambi vediamo nell’altro la fonte della nostra
immortalità, poiché finché uno di noi due vivrà, l’altro sopravvivrà. Lo ha
detto lui stesso.
I will never be a memory.
[Io non sarà
mai un ricordo. Sephiroth, FFVII:ACC]
La sua
totale indifferenza, tuttavia, fa vacillare le mie convinzioni. A lui non è mai
importata la fama o la gloria, essere l’Eroe di Midgar o l’Angelo da una Sola
Ala per Sephiroth, è relativo: esse sono solo conseguenze delle imprese
compiute; quest’ultime rese molto più grandiose o deprecabili di quanto siano
realmente. Lo ripete spesso nei passi del suo diario: la sua prigione dorata è
stata costruita sopra al sangue di tanti innocenti e la sua fama si è
alimentata dei cadaveri dei suoi nemici. Una facciata per coprire i misfatti
della Shinra, il capro espiatorio di qualunque ritorsione sulla società elettrica.
Lui non vuole essere ricordato come Eroe o Distruttore; bensì per la sua semplice
umanità, ossia un marito protettivo e affettuoso o un padre volenteroso e
amorevole.
Alzo lo
sguardo verso Evelyn e comprendo: lei conserva la sua vera memoria.
- Che ne
sarà di te, quando tutta questa storia sarà finita? Tua moglie si mescolerà nel
Lifestream, tua figlia diventerà una martire, Genesis verrà sconfitto una volta
per tutte e io mi premunirò perché tue memorie diventino esattamente quello che
sono. Tutti ti ricorderanno solo per il mostro che sei. –
Sephiroth
non sembra per nulla toccato da questa possibilità; anzi sembra quasi
divertirlo, dal momento che le sue labbra s’inarcano in un sorriso furbo.
- Appunto. E’ in quel ricordo che io vivrò,
così da alimentare le paure e gli scrupoli degli uomini, in modo da evitare che
gli orrori subiti dai miei cari non vengano ripetuti. Ciò che m’importa è che
loro riposino in pace. Null’altro conta. –
Il coraggio
e la determinazione dimostratomi di fronte a un tragico destino riempiono il
mio cuore di un’ammirazione immensa, la stessa che mi pervadeva quand’ero
bambino. E’ veramente lui… l’eroe dei miei sogni, l’uomo che avrei voluto
essere, l’esempio che avrei voluto seguire. Come posso permettere che le sue
qualità vengano dimenticate? Che un uomo così giusto e coraggioso venga
millantato in questo modo?
Vuole solo proteggere la sua famiglia, in
fondo.
Improvvisamente,
il cancello subisce un deciso singulto accompagnato da un forte clangore di
metallo contro metallo. Con il cuore in gola, faccio un passo indietro e
rimango assolutamente stupito nel constatare l’autore del trambusto. O meglio,
l’autrice. Evelyn. In un qualche modo, la sua presenza è riuscita a trapassare
il confine tra vita e morte. Il cancello, infatti, sembra contenere a malapena
la sua irruenza. Quel cancello apparentemente insormontabile e indistruttibile,
costruito dall’odio e dal risentimento di un intero Pianeta nei confronti di
quell’omicida sanguinario, scricchiola e geme come se fosse fatto di alluminio.
E’ possibile che io…
Rivolgo il
mio sguardo sbigottito in direzione di Sephiroth, il quale è stupito almeno
quasi quanto me.
No, non posso davvero averlo…
Non faccio
in tempo a terminare il pensiero che il Generale inizia a muovere un paio
d’incerti passi verso la donna ancorata alle sbarre. Con decisi tentativi, ella
cerca di aprire una breccia in quel cancello, ma essi vanno ad infrangersi
contro alla strenua resistenza del metallo, il quale ondeggia sempre di meno.
Quando ormai gli sforzi divengono vani, l’angelo volge uno sguardo struggente,
disperato e supplichevole verso Sephiroth, il quale si ferma a un passo dalle
sbarre. Il Generale scandaglia la donna da cima a fondo, affascinato e rapito,
fino a che i suoi occhi non si posano sulle dita avvolte attorno al metallo. A
nessuno di noi tre sfugge che, anche se di poco, una minuscola parte di lei
sembra sfociare da questa parte. Tutti gli sguardi sono puntati su quel
particolare. I due amanti si fissano negli occhi per un breve, significativo,
istante. Osservo rapito la scintilla di speranza illuminare le loro iridi dalle
mille sfumature del verde. Così, con tacito assenso e mano tremante, il SOLDIER
rompe gli indugi. Nonostante sia terrorizzato, più che dalle conseguenze, dalla
prospettiva del fallimento, il desiderio di riaverla per sé, anche per un solo
attimo, ha la meglio; quindi, sebbene sia una vana speranza, lui deve tentare.
Ed io mi rendo conto di tenere per lui.
Tutta la
malevolenza svanisce appena le loro dita finalmente si sfiorano.
Perdo quasi
un battito nell’assistere alle loro espressioni, dapprima incredule, poi
ammantante da un gioioso sollievo. Anni di sofferenze, torture e umiliazioni
sono stati spazzati via da un solo, minuscolo contatto. Il distacco e la
freddezza sono scomparse dal viso di marmo del Generale, spazzate via da un fiume
impetuoso di lacrime. Rimango letteralmente a bocca aperta, sebbene non sia la
prima volta che vedo Sephiroth in quello stato. Ciò che più mi colpisce è la
quantità innumerevole di sensazioni contenute in quelle gocce, le quali mi
fanno capire veramente la profondità del suo animo e la sua estrema emotività.
Leggerlo è un conto, ma vederlo… fa impressione.
Non c’è
traccia del mostro sanguinario o dell’infallibile SOLDIER nell’uomo innanzi a
me. Mi rendo conto che le prime due figure non sono altro che il misero
risultato di anni di repressione, di apatia, di sconfitta, i quali avevano congelato il suo cuore, rinchiudendo in
quella prigione gelata perfino il ricordo del calore. Fino ad oggi. In fondo, è
sempre stato questo l’effetto che Evelyn gli provoca. Non importa quanto in
profondità la sua umanità può essere sepolta, lei è sempre in grado di farla
riemergere con un semplice gesto.
Per questo ti ama.
Evelyn muove
le labbra, ma nessun suono giunge alle nostre orecchie. La barriera, infatti,
consente solo a qualche centimetro di pelle di trapassare il confine. Sephiroth
la studia, cercando di carpire il significato di quelle parole mimate. Gli dice
di non piangere; anzi vorrebbe vedere ancora una volta il suo splendido
sorriso, quello in grado di ridonare vita al suo cuore fermo da tempo. Egli
ubbidisce immediatamente alle richieste della sua Regina. In quell’arco non v’è
traccia del ghigno mefistofelico protagonista dei miei incubi peggiori. Ed è
qui che capisco: non importa quanto il Pianeta si accanisca contro di lui,
quanto sia terribile il dolore che gli provoca, quanto crudelmente gli strappi via
ogni singola briciola di umanità, perché niente e nessuno potrà soffocare
l’ingenua speranza di riunirsi alle persone che ama. E’ questo che lo fa andare
avanti, è di questo che vive. Io non sono nessuno di fronte all’immenso
sentimento che serba in quel cuore dilaniato. Credo che ripeterebbe ogni azione
commessa, perché sono state quelle azioni a condurlo dall’amore della sua vita.
Mi rendo
conto che io non sono e non sarò mai in grado di fermarlo…
- Non sono riuscito a cambiare le cose... –
La mesta
ammissione di colpevolezza proferita da Sephiroth attira la mia attenzione,
poiché, a seguito di questo, noto la donna poggiare la mano libera sul quel
ventre squarciato, mentre un guizzo di dolore spegne entrambi i loro sorrisi. Una
realizzazione terribile mi attanaglia le membra e, improvvisamente, avverto la
sensazione di essere risucchiato in un vortice. E poi, sparire.
Il pigolio dei chocobo accompagnato dal
cigolio delle ruote sgangherate del carretto degli Oshima e dalla risata
sguaiata del suo capostipite, preannunciano il ritorno di mio marito dai campi
di frumento. Sono già due settimane che lavora per loro. Gli piace sentirsi
utile per la comunità che tanto calorosamente lo ha accolto, nonostante tutto. Takara
drizza la testa, in ascolto, e, appena avverte una voce famigliare, abbandona i
suoi giochi per fiondarsi davanti alla porta d’ingresso. Saltella impaziente,
contenta come un cucciolo scodinzolante. Una sensazione che, mi accorgo,
condividere con la stessa intensità. Una notizia bellissima quanto inattesa ha
sconvolto la mia intera giornata e non vedo l’ora di condividerla con il suo
fautore. Anche se, da un lato, un po’ temo questo confronto. Non so cosa potrà
accadere, come mio marito possa recepire una tale prospettiva. Sebbene egli mi
abbia dato prova di essere cambiato, non riesco a fidarmi totalmente di lui. In
fondo, è ancora così giovane…
-Papà! –
Il filo dei pensieri viene interrotto dalla
vocetta squillante di mia figlia, con la quale accoglie gioiosa l’allampanata
figura appena entrata in casa. Corre verso di essa, ma viene intercettata da due
grandi braccia che la sollevano da terra, fin sopra la testa di suo padre.
Viene lanciata in aria e il mio cuore fa una capriola. Al contrario, lei ride
divertita. Dopodiché, gli arti si chiudono attorno a lei in una delicata morsa,
per poi essere posta al pari di un meraviglioso viso angelico.
- Ciao principessa. Me lo dai un bacino? –
La piccola, tenerissima e maldestra, allarga
le braccine minute e le avvolge attorno la testa di Sephiroth; successivamente gli
pone un grosso bacione sul naso, schiacciandoglielo. L’espressione misto
dolorante e infastidito del padre è comica, al punto tale di strapparmi una
risata soffocata, la quale viene distintamente percepita dall’udito fine del
mio Generale. Egli mi lancia un languido sguardo e mi sento letteralmente
attirata nella sua direzione. Lo saluto con un bacio ben più moderato e un
accomodante sorriso.
-Ben tornato. -, gli sussurro dolcemente.
- Bello essere a casa. -, mi risponde,
sfoggiando un’espressione stanca, ma felice.
Appena Natsu appare nel suo campo visivo, il
suo arco si fa più beffardo, strappando all’anziana un grugnito.
- Buonasera, nonnina. –
- Umpf, risparmia il fiato. Non sia mai che
ti serva per scappare di nuovo a gambe levate.
-, risponde l’anziana, senza degnarlo di uno sguardo, poiché troppo
impegnata a leggere il giornale appollaiata sul suo solito seggiolone.
Sephiroth aggrotta le sopracciglia, sorpreso
dalla risposta. E anche un po’ punto sul vivo.
- E questo cosa vorrebbe dire? –
- Chiedilo a tua moglie. Sembra che tu ne
abbia combinata un’altra delle tue. –
A quel punto, Sephiroth mi fissa
interrogativo. Dal canto mio, non posso far altro che scuotere la testa
esasperata.
- Grazie, baba. Anche se non era esattamente
così che avevo immaginato il momento della notizia. –
Mio marito rivolge febbrilmente la sua
attenzione tra Natsu e me, scatenando l’ilarità di Takara, la quale assiste
dall’alto del suo scranno, ossia la spalla di suo padre.
- Che notizia? Che cosa è successo? –
Dolcemente, gli passo le mani lungo i lati
del viso, accarezzandogli la pelle ancora sporca di polvere e terra. Mi mordo
il labbro inferiore. Lo adoro quando è così scarmigliato e… selvaggio. Abbasso
lo sguardo e vado ad individuare la sua mano destra, lasciata pendere al fianco.
Con le dita accarezzo il dorso, le nocche, le falangi percependo ogni minuscola
imperfezione. La pelle è secca, screpolata, a causa del sole e dell’acqua,
microscopici tagli infrangono l’insormontabile continuità dell’epidermide,
sbavature di terra nera sporcano l’intonsa perfezione di questo effimero
pallore. Assimilo con piacere tutte queste sensazioni, mentre accompagno la
mano verso la sua destinazione. Percepisco un dolce languore misto a nostalgia,
appena il suo palmo aderisce pian piano al mio grembo. Lo stomaco si
attorciglia, mentre osservo la mia culla completamente accolta nella sua forte
stretta.
Sei al
sicuro, piccolino.
Alzo lo sguardo per assistere alle reazioni
di mio marito. In un primo momento, egli sembra ancora confuso, stordito. Le
palpebre vengono sbattute più e più volte, mentre cerca di elaborare la
situazione. Attonito, poi, mi guarda a bocca aperta.
Di fronte alle sue buffe espressioni, rido radiosa
e impaziente di proferire quella frase.
- Sono incinta. –
Lui riabbassa lo sguardo verso il mio
grembo, poi di nuovo lo rialza su di me. E’ incredulo. Assolutamente senza
parole. Boccheggia, intento ad elaborare la notizia, stordito da un’emozione
incontrollabile, alla quale cede appena si rende conto della situazione.
Infine, il suo viso assume un’adorabile espressione fiera ed entusiasta, la
quale accende una splendida luce meravigliata e sorpresa nelle sua giade
serpentine, coronate da un divino e smagliante sorriso. Sembra un bambino…
- E’ meraviglioso. –, sussurra, privo di
fiato, con un inflessione dolcissima, mai sentita prima d’ora.
Mette la piccola a terra e mi afferra con
entrambe le mani la base della testa, attraendomi verso il suo viso, luogo in
cui un tenero e appassionato bacio mi trasmette tutta la gioia provata fino a
quel momento. Mentre ci baciamo, lui avvolge le braccia attorno alle mie spalle,
delicatamente, come se stesse abbracciando un vaso fragilissimo. Una premura
capace di destare tutto il dispiacere pendente sullo stomaco provato poco fa,
tuttavia. Interrompo il bacio e volgo l’attenzione sulla mia primogenita, la
quale ci scruta da dietro le fessure delle sue ditine, fingendo di essere
imbarazzata ad assistere alle nostre smancerie. Mi scappa un sospiro.
Perché non
ha avuto la stessa reazione anche con lei?
Dopo qualche secondo, mio marito poggia le
due dita sul mio mento e, dolcemente, mi volge verso di lui.
- So a cosa pensi. Ma ti giuro che questa
volta andrà diversamente. - , prende un profondo sospiro, come se stesse
scendendo a patti con una decisione difficile e definitiva, - Ho deciso di
ritirarmi. Mi libererò della Shinra, del mio rango, del mio lavoro. Mi libererò
di tutto per stare con voi. –
S’inginocchia ai miei piedi, stringendo la
mia mano nella sua, e poi liscia il viso della nostra bambina, fino alla base
del collo, dove indugia col palmo per un lungo istante. Osserva teneramente
Takara, mentre a me rivolge uno sguardo adorante, quasi timoroso, capace di
spaccarmi il cuore letteralmente a metà.
- Io ti amo alla follia, Evelyn. Forse non
sono molto bravo a dimostrartelo, ma ti assicuro che ti amo come mai ho amato
nella mia intera, vuota esistenza. Amo nostra figlia, amo il bambino che sta
per arrivare, amo la vita che stiamo costruendo insieme. Io ho bisogno di voi,
come… come l’aria, l’acqua, il sole. Senza di voi, mi sento morire. - , si
trascina sulle ginocchia, completamente sottomesso, avvicinandosi a me, - Io
non esisto senza di te… -
L’ultima frase, così sussurrata e piena di
assoluta devozione, è una stoccata dritta al cuore. E quello sguardo… mi sento
sciogliere dalla tenerezza. Mi rendo conto che davvero lui è disposto a
corrispondere ogni mio desiderio. Come un soldato fedele farebbe nei confronti
della sua implacabile regina.
Colmo la distanza e passo la mano libera
dietro alla sua testa, così da avvicinarla al mio grembo. Egli si lascia
guidare, chiudendo gli occhi. Assapora il mio materno calore trapassare la
stoffa, mentre stringe a sé sia me che nostra figlia. In questo modo, egli crea
la sua barriera, dentro cui ha deciso di rinchiudere se stesso, i suoi sogni,
il suo onore, la sua essenza. E’ pronto a donarsi completamente alla sua
famiglia. Ci stringe forte, quasi con disperazione si aggrappa a noi. E
capisco.
Sì, questa
volta sarà diverso.
Apro gli
occhi lentamente e la luce tenue del tramonto mi accoglie gentilmente alla realtà.
Lo spettacolo dei raggi morenti sui ghiacci del Mare di Icicle è una sinfonia
di tonalità infuocate, le quali vanno a stridere con il gelo spietato degli
iceberg flottanti su una distesa di diamanti brillanti. La meraviglia della
natura mi strappa un sorriso stanco, ma l’amarezza delle visioni lo fredda
all’istante. Mi rivolgo in direzione di Vincent, il quale sta rivedendo il
nostro itinerario di volo e migliaia di dubbi mi assalgono. Dovrei rivelargli
del secondo figlio di Sephiroth? Non so nemmeno se sia vivo o no. Quello
squarcio potrebbe essere stato provocato in migliaia di modi, ma, in cuor mio,
so già di conoscere la risposta. Chiunque abbia attentato alla vita di Evelyn
sapeva del bambino? E’ per quello che l’ha uccisa?
Dovrei parlargli
dello stato in cui versano suo figlio e sua nuora nell’aldilà? Dovrei
raccontargli del cancello e di come si sia indebolito appena mi sono
immedesimato in Sephiroth?
Egli alza lo
sguardo verso il soffitto vetrato dell’aeronave e sospira, esausto. E’ da
quando siamo fuggiti dalla villa di Gast che Vincent non si riposa nemmeno un
secondo. Ha la sensazione che qualcuno ci segua. Si pente di aver accondisceso
a quella fuga spericolata, perché, secondo lui, abbiamo attirato delle
pericolose attenzioni. Non tanto su di noi, ma su Takara. Con la perdita del
corpo di Jenova, la morte di Hojo e la definitiva disfatta di Sephiroth, la
ragazza è l’ultima portatrice pura di cellule J, all’infuori del sottoscritto; ma,
soprattutto, ella è l’ultima Antica sulla faccia del Pianeta. Cellule J unite e
sangue Cetra… un potere inimmaginabile. Un potere capace di fare gola a un
sacco di gente senza scrupoli.
Se Rufus
dovesse venire a conoscenza della sua esistenza… Non ci voglio pensare!
Sephiroth aveva ragione a considerarla un pericolo, perché lo è. Per se stessa
e per gli altri. Spero che LOVELESS abbia ragione. Se lei è il Dono dovrebbe
avere la capacità e il buon senso di riportare ordine nell’Universo. Spero non
si lasci trascinare dalla vendetta e che non perda di vista il suo obiettivo;
altrimenti…
Dovrò
trovare il modo di ucciderla…
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26 Gennaio XXXX
Tutto inizia in un mondo fatto di piume.
Esse circolano attorno a me, in un lento e solenne vortice nero e bianco. Avverto
la sensazione di cadere nel vuoto, tragicamente, inevitabilmente,
infinitamente. Non realizzo cosa mi stia accadendo, poiché i miei sensi
sembrano avvolti da una ottenebrante nebbia. Non capisco come sia arrivato lì,
eppure ricordo con chiarezza il calore del fuoco, seguito da un mortale bagno
gelato. Eppure anche quei ricordi iniziano a svanire, soppiantati da un lento e
inesorabile oblio, fino alla finale sensazione di vuoto. Mi accorgo di non
provare assolutamente nulla, infatti. Non provo né odio, né dolore, né rabbia, ma
neppure gioia o sollievo o calma… Niente. Dopo un tempo in parvenza infinito,
mi si para davanti la fine di quel lungo tunnel piumato, dove una gelida luce
verdastra mi accoglie. Lifestream? No, cristalli, migliaia e migliaia di
cristalli si ergono austeri al di sopra del morbido letto di piume. Da esse i
blocchi ghiacciati vengono lambiti delicatamente da quel circolo vizioso bianco
e nero. A qualche metro da quelle cime, alcune piume bianche iniziano a
fluttuarmi attorno, staccatosi dal seminato. Ne seguo una con lo sguardo, dal
limbo della mia confusione e noto, con nascente orrore, che le mie gambe sono
ridotte a due consunti moncherini abbrustoliti. Un terrore dilagante risveglia
d’improvviso i miei sensi, i quali vengono subitamente stuprati da una
sensazione ben più potente: l’agonia. Mio malgrado, avverto ogni singolo
candido calamo conficcarsi direttamente in quei tessuti martoriati o, quando i
muscoli mancano, direttamente nelle ossa. Inizio ad urlare fino a squarciarmi
la gola, divincolandomi come un ossesso, nel tentativo di tenere lontano quei
coltelli barbuti dalle mie gambe. Ogni mio sforzo, naturalmente, si rivela invano,
soprattutto quando uno stormo di piume nere prende in ostaggio il mio braccio
destro e mi trascina inevitabilmente verso uno di quelle punte ghiacciate.
Appena cristalli e steli entrano in contatto, questi ultimi si solidificano
assumendo la forma di un’enorme e maestosa ala nera, la quale si stringe
attorno al mio braccio frantumandolo letteralmente fino alla spalla,
trasmettendomi un dolore mai provato in vita mia.
A quel punto, mi sveglio. L’eco di quella
sofferenza mi accompagna ancora nel dormiveglia, quando ancora il sogno
persiste nella mia mente, come una sinfonia macabra ed ostinata. Stringo il
braccio al petto, avvertendolo ancora pulsare, soprattutto all’altezza della
scapola, dove l’ala affonderebbe le sue fameliche radici. Esattamente come le
notti precedenti, mentre le mia dita scandagliano quella parte, mi pare di
avvertire una bozza ampia e rugosa, serpeggiarmi sotto pelle. La consistenza è
morbida, ma compatta. Sembrano quasi…
No. E’ solo soggezione, decido alla fine. La
stanchezza, lo stress e il poco sonno sicuramente stanno avendo fatali effetti
sulla mia psiche dilaniata, lasciando spazio alle fantasie suscitate dalle
frasi sibilline e sconnesse di Genesis. Per quanto mi sforzi, tuttavia, non
riesco ad ignorarle. Sono un chiodo fisso che mi sta lentamente trascinando
verso un abisso di ossessione. Sono giorni che me ne sto chiuso qui dentro, in
questi archivi ammuffiti a scartabellare chilometri e chilometri di fascicoli,
ad assimilare dati, a scovare ogni singolo rapporto. Speravo che l’incontro con
il rosso avrebbe risolto ogni cosa. Quando il suo esercito di copie sferrò il
suo micidiale attacco verso lo Shinra Building, quasi non potevo contenere
l’impazienza di trovarmi faccia a faccia col lui. Per un attimo, un minuscolo
attimo, ho sperato… ho sperato che, finalmente, avrei potuto avere le risposte
che cercavo. Ma il rosso sembra godere nel vedermi agonizzare, mentre
strisciavo ai suoi piedi per supplicarlo di darmi le risposte che cerco da una
vita.
‘Vuoi
risposte, ma sei sicuro di essere in grado di comprendere la realtà dei fatti?
Di accettarla? Io non credo, Sephiroth. La tua mente è ancora schiava della
realtà che ti è stata costruita attorno. Non sei pronto per abbandonarla. Per
quanto tu desideri avere delle risposte, inconsciamente le rifuggi. Tu hai
paura della verità. ‘
Sento il gelo attanagliarmi le ossa. Che
abbia ragione? Che il mio disperato bisogno d’inseguire la normalità, sia,
invece, un modo per negare ciò che sono davvero? In effetti, ho sempre temuto
il confronto. Sin da bambino, quando, timidamente, andai da Gast e gli chiesi
informazioni sulla mia famiglia. Ricordo che le mani mi tremavano al pensiero
di ciò che avrei scoperto sul conto dei miei genitori. Oggi, come allora, mille
domande mi si agitavano nella mente, senza avere, però, l’ardire di esprimerle.
Il Comandante ha ragione: io ho paura. Tantissima.
Checché dica la gente, la prospettiva di scoprire che la tua vita poggi le sue
fondamenta su mere menzogne spaventerebbe anche il più coraggioso degli uomini.
E’ difficile staccarsi dalle piccole credenze che tengono insieme il proprio
ego. Se ne esce spezzati, esattamente come il Comandante. Mi sono reso conto di
vedere il mio futuro: un uomo distrutto e piegato da una verità troppo
terribile per sopravviverci. Ne è uscito un individuo vuoto, confuso… perduto.
L’unica certezza che gli rimane sono corvini versi impressi su carta irruvidita
dal troppo sfogliare. Come una nenia martellante, quel suono frusciante è
l’unico tassello in grado di legare fra loro i pezzi del suo cuore spezzato.
LOVELESS è la sua fortezza, la sua Dea il suo faro. Mai come in quel momento ho
avvertito una tale affinità con Genesis. Anch’io ho perso dei tasselli
importanti del mio essere. L’unica cosa che mi tiene in piedi è la possibilità
di rivedere la mia famiglia. Un pensiero che nel vuoto della notte è sempre in
grado di tranquillizzarmi; almeno finché non mi rendo conto che sono proprio
questi desideri ad incatenare la mia mente nella gabbia di bugie costruitami
attorno. Un’altra fittizia, bellissima illusione. Capisco che non sono disposto
ad andare fino in fondo per questo motivo. La prospettiva di perdere la mia
famiglia è ben più terrificante di perdere me stesso. In fondo, che bisogno ho
io di sapere chi o cosa sono? A loro importerebbe?
Ripenso a quella notte in cui capii di aver
sposato una donna capace di apprezzarmi nonostante la mia natura bestiale e…
No, a loro non importa, quindi perché dovrei affannarmi a perorare una causa che
mi porterebbe a distruggere tutto ciò che amo? Se Genesis è stato in grado di
uccidere la sua stessa famiglia e le gesta di Angeal hanno portato al suicidio
di sua madre, posso solo immaginare cosa possa accadere a mia moglie e a mia
figlia. Anzi non ci voglio nemmeno pensare.
A questo punto, mi chiedo: se davvero tengo
così tanto alla mia famiglia, allora, perché marcisco qua dentro? Perché dormo
su questa gelida scrivania? Perché non mando tutto al diavolo?
‘Perché tu
sai, amico mio. Non sai bene cosa, ma ti rendi conto che qualcosa non torna.
Strani dettagli, stracci d’informazioni, sogni… ‘
Rabbrividii e rabbrividisco tuttora di
fronte a quella parola. Sogni. Genesis è sempre stato molto curioso sul contenuto
di quegli stessi incubi che mi hanno accompagnato per tutta la vita. E’ un
argomento di cui non parlo mai volentieri, nemmeno Evelyn è a conoscenza di
tutti i dettagli di quelle visioni. Gli unici con cui ne abbia mai discusso a
fondo sono stati proprio loro: Angeal e Genesis. A quest’ultimo, poi,
interessavano particolarmente. Passavamo intere nottate a parlarne e il rosso
trovava interessanti - almeno secondo lui- raffronti con LOVELESS, scatenandomi
l’orticaria alla sola menzione. Non ho mai amato l’idea della predestinazione,
del fato, del destino. Essendo cresciuto poi in un ambiente totalmente
agnostico e pragmatico, certe idee prive di qualsivoglia fondamento scientifico
erano assolutamente bandite. L’unica cosa a cui avrei dovuto credere erano fatti
quantificabili e calcolabili. Anche se non è così semplice ignorare quelle
immagini terrificanti. Quand’ero bambino non volevo mai addormentarmi, il
pensiero di chiudere gli occhi e fronteggiare i mostri che vivevano nella mia
testa mi terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. Motivo per il quale Hojo
m’imbottiva di calmanti e sonniferi, anche molto pesanti, talvolta, senza alcun
riguardo per la mia età. L’importante è che dormissi, in un modo o nell’altro.
Ma cosa sono quelle visioni? Perché mi
perseguitano? Ma, soprattutto, che cosa significano? Alcune sono scatenate da
fatti ben precisi, altre si ripresentano di tanto in tanto senza alcun nesso.
Che sia come dice Genesis? E’ il mio subconscio che tenta di suggerirmi le
risposte ai miei quesiti? Secondo il banoriano, sì, è così e, con questo punto
di vista, inizio ad analizzare con occhio critico certe incongruenze sulle mie
origini. I miei sospetti si focalizzano soprattutto sui miei genitori. Il
Professore mi rivelò che anche mia madre era una scienziata. Lei ed Hojo si
conobbero all’università e si fidanzarono poco dopo la laurea, per poi sposarsi
appena vennero assoldati dalla Shinra per un importante progetto scientifico.
Da lì, a pochi anni, nacqui io. Agli occhi di una persona normale, o ingenua come
lo fui quando questa storia mi venne raccontata, si direbbe un normale ed ovvio
concatenamento di eventi: innamoramento, matrimonio e figli. La menzione ad
“importante progetto scientifico” posta proprio lì, tra matrimonio e figli alla
stregua di una lama, mi stringe il cuore in una morsa gelida. Chiunque
scambierebbe quell’evento come un’innocente giustificazione, una logica
conseguenza ad una forte stabilità economica tale da giustificare la decisione
di sposarsi ed allargare la famiglia, ma io no. Non ho prove del contrario,
però il mio istinto mi sembra suggerire una verità terribile e angosciante.
Se l’importante progetto scientifico si
rivelerebbe essere proprio il Progetto G?
Hollander utilizzava feti umani per le sue
ricerche e lui fu il primo a pubblicare un articolo sull’argomento. Un articolo
in cui rivelava il successo di uno dei suoi esperimenti. E quel successo aveva
un nome: Angeal. Tra me e il moro c’è solo qualche anno di differenza e ciò mi
suggerisce due possibili motivazioni. Primo, chi si occupò del mio caso ebbe
bisogno di più tempo per perfezionare le ricerche rivali, così da ottenere
risultati migliori e, seconda e più inquietante ragione, mancava di materia
prima, ossia il feto a cui donare la loro artificia maledizione.
Ora che ho dato sfogo ai miei sospetti, mi
rendo conto che il quadro definito ha un’aria terribilmente realistica… Mi
viene la nausea a pensare che i miei genitori… che mia madre possa
davvero aver acconsentito a farmi questo. Quale madre potrebbe svendere il
proprio figlio per un riconoscimento scientifico? Mi rifiuto di crederlo! Lei
mi amava, il Professore me lo diceva sempre, e aspettava con ansia il giorno in
cui mi avrebbe tenuto fra le sue braccia, in cui ci saremmo finalmente
conosciuti, in cui saremmo diventati un’entità unica. Quale mero esperimento
dovrebbe suscitare un tale amore agli occhi di uno scienziato? Conoscendo quel
verme di Hojo, potrei quasi scommettere che l’abbia costretta a trasformarmi in
una cavia per la sua folle visione di onnipotenza e godere nel vederla morire
nel darmi alla luce. Un ostacolo in meno tra lui e la sua gloria. Poi, toccò a
Gast, fino a che non diventai solo suo, il suo esperimento, il suo trofeo, la
sua perfetta macchina di distruzione.
Quanto lo odio… mio padre. Quell’uomo mi ha sempre disgustato, ma alla luce di
questi fatti, un odio atavico, una rabbia incontrollabile, un disprezzo
viscerale nei confronti di quel mostro rachitico richiedono a gran voce il suo
sangue. Sangue che speravo imbrattasse le pareti del suo antro degli orrori, a
seguito dell’incontro con Genesis. Quando raggiunsi il laboratorio, lui era
ancora lì a ridere istericamente senza apparente motivo. Come un pazzo. Lo
fissai per un lungo istante, interdetto, mentre il suono stridulo e fastidioso
delle sue risa mi trapanava il cervello, paralizzandomi sul posto. E’ assurdo
che, dopo così tanti anni, quella risata è capace ancora di assoggettarmi alla
paura. Lui mi guardò divertito e, appena notò il turbamento, egli mi rivolse
un’espressione di scherno.
“ Ti vedo
smarrito, ragazzo. Speravi che i tuoi
amichetti fossero qui per me? Sei il solito, piccolo ingenuo. Quando aprirai
gli occhi? Se ne sono andati, esattamente come Gast fece quando eri bambino.
Nessuno vive troppo a lungo nella tua asfissiante ombra. Tranne me, perché ti
ho creato! “
Precise, letali… velenose. Le parole di Hojo
sono più pericolose perfino della Masamune stessa. Sfiancano, sfibrano e soffocano
ogni sentimento e, contemporaneamente, instillano un senso totale di
inadeguatezza. E senso di colpa. E’ colpa mia, lo so. Anche Hojo lo sa. Tutto
il Pianeta lo sa. E’ impossibile non sentirmi sbagliato. Hojo è sempre stato così bravo ad annullarmi, a colpirmi
nel peggiore dei modi. E quel ‘creato’ capace
d’insinuarmi il disagio direttamente nelle ossa, dando corpo ai miei dubbi…
Sono giorni che mi arrovello su quel dettaglio. Lui SA che sto facendo scoperte
sempre più scomode, che ficco il naso dove non dovrei, che non vivo per
scoprire quella verità la quale, lo so, sarà la mia rovina; ma sbattermelo in
faccia in quel modo è puro sadismo. Perché? Perché una persona deve essere così
crudele? Cosa ho fatto di così sbagliato per meritarmi un trattamento simile?
E’ perché non gli ho mai obbedito? Perché mi ribellavo a quella realtà assurda?
Perché non mi sono mai piegato alla sua incontestabile autorità? Eppure,
eccomi, Generale dell’esercito più sanguinario del mondo, Eroe della ShinRa,
Guerriero leggendario e Protettore dei Deboli. Titoli vuoti e fittizi, dentro
cui Hojo mi ha rinchiuso, nonostante la stregua resistenza e le continue
ribellioni. Lui ha ottenuto tutto ciò che desiderava da me. Perché ancora non
mi dimostra almeno un briciolo di riconoscenza?
L’unica spiegazione che sembra soddisfare
queste domande è, dopotutto, molto semplice: mi odia. Sono la causa della morte della donna che amava. Sempre se
Hojo abbia mai provato qualcosa di diverso dal disprezzo e dall’arroganza.
Forse è proprio per questo che è così crudele e distante con tutti: ha perduto
uno dei legami più importanti che un uomo possa intrecciare ed è normale che,
per proteggersi da ulteriore dolore, cerchi di non intrattenere nessun’altro
rapporto, anzi avvelenarlo, ove necessario.
Nel tentativo d’immedesimarmi, una domanda
sottile e agghiacciante s’insinua sottopelle: avrei odiato anch’io mia figlia?
Sarei in grado anche solo d’ignorarla?
Sono uno sciocco. Come può venirmi in mente
di paragonarmi ad Hojo? A paragonare una qualunque altra persona ad un mostro
come lui?
Io non oserei mai alzare un solo dito su mia
figlia, figurarsi impugnare una verga e percuoterla con essa; oppure
costringerla alla solitudine forzata, o toglierle il diritto inalienabile
dell’innocenza. Quello scienziatuncolo non è affatto meritevole del perdono di
suo figlio. Sono sempre stato fin troppo indulgente con lui, risparmiandogli la
giusta punizione per i suoi crimini. Crimini perpetrati ben prima della mia
nascita, come la sua fremente attività scientifica dimostra. Ma ora basta! Non
ho più intenzione di corrispondere le aspettative di un uomo per cui ho
sacrificato tutta la mia vita per ricevere in cambio solo fango. Come se
dovessi ringraziarlo per avermi venduto a una Compagnia di maniaci scellerati
in cambio di gloria imperitura. A scapito dei desideri di mia madre. Sono più
che certo che lei non mi avrebbe voluto questo per me. Mi avrebbe allevato
amorevolmente e magari protetto contro la ShinRa, affinché potessi diventare
una persona differente, priva della sete di sangue e violenza della Bestia e
della superba arroganza dell’Eroe. Sarei stato solo il suo Bambino. Avrei
conosciuto l’innocenza, la pace, la felicità sin dall’inizio. Grazie a lei
avrei potuto avere molti amici, sarei stato benvoluto nonostante i miei strani
tratti somatici, la mia spiccata intelligenza, la mia forza sovraumana. Lei
avrebbe sopperito dove peccavo e mi avrebbe guidato verso la mia realizzazione.
Sono davvero uno sciocco… forse
quello che sono riuscito ad ottenere ora, non lo devo solo a me stesso. Avverto
il mio animo più leggero pensando che, in un qualche modo, mia madre sia sempre
stata accanto a me ad ogni passo e mi abbia sussurrato le risposte ai miei
dilemmi. Lei vive nel Lifestream, in fondo, non mi stupirei se la sua anima
fosse qui anche in questo momento, consolandomi con questi pensieri. Quand’ero
bambino capitava spesso che avvertissi una presenza accanto a me, soprattutto
nei momenti più duri. Se mi concentravo appena mi sembrava quasi udire una voce
gentile sussurrarmi dolci e amorevoli parole, eppure dannatamente sfuggevoli.
Certe volte, nel tentativo di approfondire quell’arcano, riuscivo quasi a
visualizzarla, alta e bellissima, con lunghi capelli fluenti, pelle diafana.
Tanto fu il desiderio di abbracciarla che, una volta, percepii il suo calore
sotto le mie dita. Per un attimo, un attimo minuscolo, credetti di averla
ritrovata, di conoscere finalmente la mia origine, il luogo da cui provenivo.
Avrei infine collegato una bocca a quel sorriso, una pelle a quel calore, degli
occhi a quella luce, un viso a quella voce. Ci mancò così poco, ma la mia
concentrazione venne a meno e il fantasma mi sfumò tra le braccia. Tentai più e
più volte a ristabilire il contatto, però, per quanto m’impegnassi, non riuscii
più ad avvertire nulla più che una flebilissima presenza. Ho tentato perfino a
coinvolgere Aerith, quando scoprii la sua appartenenza alla stirpe degli
Antichi, nella speranza che le sue straordinarie capacità d’intercessore
potessero sopperire alle mia scarsa risonanza col Lifestream. Fallì. Disse che
le anime non si possono chiamare a comando, ma si manifestano solo in casi di
estremo bisogno. Non aveva senso, pensai: io ho sempre avuto bisogno di lei. La
chiamai spesso a gran voce, la implorai di aiutarmi, di darmi un segno della
sua presenza o del suo amore; ma, niente, solo silenzio. Credevo mi amasse,
desiderasse coccolarmi, cullarmi, accarezzarmi, proteggermi. Perché mi ha
abbandonato? Che quella volta fosse solo un’illusione creata in un momento di estremo
dolore?
“Vivi
nell’illusione, amico mio. La verità serbata nel mio cuore è troppo preziosa
per essere impiantata in una mente sterile come la tua, o come quella di Angeal.
Ho già commesso un errore con lui e non ho intenzione di ripeterlo. Ma non
temere, amico mio, il tempo verrà e, finalmente, la tua lama potrà unirsi alla
mia e, insieme, spiegheremo le ali verso un radioso futuro.”
Ali
Senza che me ne sia reso conto, le mie dita
sono tornate a controllare lo stato della mia scapola destra. Le immagini del
sogno mi colpiscono di nuovo come un pugno in pieno stomaco e una nascente
ansia imperla il mio corpo di sudore. Inoltre, quei dubbi sulla mia origine
prendono sempre più consistenza. L’idea che io sia stato creato nello stesso modo attecchisce come un cancro mortale nella
mia mente. Devo trovare le prove, ma ormai ho scartabellato ogni fascicolo
marchiato ‘Project G’ e l’archivio Shinra c’è veramente avaro d’informazioni.
La maggior parte del materiale è andato perduto con l’attacco: con ogni
probabilità Hollander avrà distrutto o trafugato i passaggi chiave delle sue ricerche.
Buona parte, ma non tutte. Il tassello più inquietante è stato rinvenuti nel
Reattore Mako 5, durante la retata alla ricerca di Genesis. Nelle celle di
controllo del reattore era stato allestito un piccolo laboratorio, in cui erano
conservate varie capsule di contenimento trafugate dal Reparto Scientifico
qualche mese prima, in concomitanza della scomparsa del Comandante. Assieme ad
esse, ho trovato numerosi rapporti su esperimenti di un processo chiamato
“canale a due vie”. Purtroppo, le informazioni erano frammentarie e i fascicoli
mancavano di importanti allegati, ma credo che contenessero dati approfonditi sulla
ricerca di Hollander. Inoltre, ho ritrovato anche un rapporto recente, in cui
lo scienziato affermava che il Comandante non presentava alcun segno di
cambiamento e la sua approvazione alla ripresa del servizio. Falso. Genesis era
cambiato profondamente e quegli abomini contenuti in quelle capsule ne erano la
prova lampante: copie. Ciò significa che quei mostri aberranti uccisi con tanta
veemenza, altro non erano che i SOLDIER e soldati di fanteria ribelli
sottoposti al potere di Genesis. Abbiamo ucciso i nostri stessi confratelli… e
non solo, probabilmente, anche gli abitanti di Banora. Civili innocenti
costretti a prendere parte ai vaneggiamenti di un pazzo. Magari c’erano anche
dei bambini fra di loro… Mi si gela il sangue al solo pensiero.
‘Canale a due vie’… E’ dunque questo il
potere dei SOLDIER di tipo G? Tramutare le persone in mostruose copie di sé? Un
potere invidiabile, poiché permette di creare un esercito di super-soldati
completamente assoggettati alla volontà del Comandante in poco tempo, ma… a che
prezzo! I tratti genetici vengono altresì copiati, però una minima parte viene
persa nel processo, aggravando sempre più la degradazione. Davvero Genesis è
disposto a morire per perorare questa causa? Era disposto a tutto per difendere
Hollander, in quanto, a sua detta, è l’unico in grado di arrestare il processo
che sta portando il rosso verso l’inesorabile fine. Sebbene non lo abbia dato a
vedere, Genesis teme la morte. Lo conosco abbastanza da affermare che lui non è
così disposto al sacrificio come me od Angeal. Lui è un uomo attaccato alla
vita, oltre che avere una missione da compiere; ossia trovare questo fantomatico
Dono della Dea. Ha tanto da perdere, mentre Hollander… non sono l’unico ad
avere dei conti in sospeso con Hojo, ho scoperto. I due scienziati erano in
lizza per il posto di Direttore del Reparto Scientifico, ma mio padre è
risultato vincitore. Ciò relegò l’uomo al ruolo di eterno secondo. I suoi
risultati erano comunque di fattura invidiabile, tanto di permettergli un
impiego abbastanza importante all’interno della Compagnia, ma per lui non era
abbastanza. Mi sovviene un episodio a cui assistetti casualmente molto tempo
fa. Era il periodo in cui alla Shinra fervevano i preparativi per la guerra in
Wutai e le mie giornate erano così piene e stressanti che presi l’abitudine di
andare a sfogare tutto il nervosismo accumulato durante gli orari lavorativi nella
Sala Addestramenti. Di solito, aspettavo che tutti fossero usciti, anche se,
spesso dei campanelli di giovani SOLDIER mi raggiungevano poco dopo l’inizio
del combattimento. A me non importava più di tanto avere un pubblico; anzi ne
ero onorato, dal momento che forse avrebbero potuto imparare qualcosa di utile
in vista della guerra. Una sera, però, al posto delle solite reclute, trovai
uno scienziato. Curioso, dal momento che era proibito a chiunque del Reparto
Scientifico presenziare ai miei allenamenti senza la supervisione di Hojo. La
possibilità che fosse uno novizio venne subito sventata dal fatto che l’uomo si
muoveva con troppa disinvoltura trai comandi del terminale di controllo, il
quale richiedeva almeno un mese di studio per comprenderne solo il
funzionamento di base. Inoltre, non poteva essere un ammiratore, poiché più
interessato ai dati che scorrevano sullo schermo anziché alla mia persona. Feci
per dire qualcosa che l’uomo batté un pugno sul terminale con stizza,
lasciandomi interdetto. Poi, egli si rivolse a me, scoccandomi uno sguardo
pieno di astio e invidia.
“Tu saresti
dovuto essere mio! La tua gloria sarebbe dovuta essere mia!”
Il suo sibilo velenoso mi inquietò, ma, più
di tutto, le sue parole mi strapparono il fiato direttamente dai polmoni. Sono
un oggetto, un burattino, una… una…
COSA! Una cosa da possedere e con
cui accrescere la propria supremazia. Ciò che più mi ferì fu il fatto che non
solo Hojo mi considerava in quel modo, ma anche altre persone. Fu in quel
momento che capii che dietro a tutta quell’ammirazione, adorazione, fanatismo
vi era invidia. Velenosa e corrosiva invidia. Tutti quei SOLDIER non venivano
per vedere me, ma la mia disfatta. Speravano che quell’aggiornamento sfornato
dal Reparto Scientifico e contro cui tutti fallivano o quel nuovo prototipo di
macchina potesse umiliarmi e mostrare al mondo quanto la mia fama fosse
immeritata e quanti inadeguato fossi al titolo di Generale. Quell’uomo, quello
scienziatuncolo, Hollander corruppe il piacere di essere un modello per gli
altri, l’idea benevola di essere in un qualche modo utile al mio prossimo, il
pensiero che tutti i miei sacrifici possano aver aiutato gli altri. Tutti gli
sforzi compiuti per trovare il mio equilibrio dopo due anni passati sul filo
della furia vennero vanificati in due frasi.
E ora, come allora, con quegli stessi
concetti Hollander ha costruito la sua vendetta. Lo capii appena Genesis ripeté
le stesse parole che lo scienziato usò al tempo. Quell’uomo senza spina dorsale
si è approfittato della disperazione di un ragazzo. Si è presentato di fronte
ai suoi occhi come un Messia, colui che lo avrebbe salvato da una ignobile e
dolorosa morte. Inoltre, per assicurarsi che il suo prezioso burattino si
piegasse al suo volere, egli rivelò quella verità che ha corrotto il Comandante
fino al midollo, conducendolo alla folle decisione di aizzarsi contro il mondo.
Ma non poteva farlo da solo, affinché il suo piano avesse successo, entrambi i
giocattoli dovevano tornare a lui. Non sarebbe stato difficile, a causa della
forte amicizia che li accumunava. Perfino un legame così puro non ha avuto
scampo di fronte ai velenosi fili di quel ragno malefico. Dovrei essere grato
alla mia tendenza di scappare dai problemi appena essi si presentano, ma
rimanere solo dopo aver conosciuto l’amicizia non è piacevole. Anche se, dentro
di me, ho sempre avuto il sentore che una situazione del genere sarebbe
capitata prima o dopo. E’ stato dimostrato più volte che la nostra amicizia era
costruita su piani differenti. Capitava spesso che sia Angeal che Genesis mi
tagliassero fuori dalle loro conversazioni, rievocando vecchi ricordi o ridendo
di un gesto o una situazione di cui mi sfuggiva l’ironia. La loro intesa era il
risultato di anni e anni di vicinanza e conoscenza reciproca, nulla di tutto
questo intercorreva tra me e i due banoriani. Certo il loro affetto nei miei
confronti era sincero, ma le differenze erano spesso troppo palesi. Non
pretendevo di certo di inserirmi prepotentemente nella loro salda amicizia,
però avrei preferito che non mi considerassero poco più di un “nuovo arrivato”,
soprattutto dopo un intero anno passato a combattere gomito a gomito nei posti
più ostili del Pianeta. Ero certo, tuttavia, che la situazione sarebbe cambiata
col tempo. Sempre il solito ottimista, Sephiroth…
Ora, il rapporto legato con i due banoriani
si è mostrato in tutta la sua inadeguatezza. Ciò che credevo aver intessuto in
questo periodo non si è altri rivelato che aria fritta, una miserabile illusione
di un cuore solitario. MI hanno lasciato indietro con una facilità disarmante,
come se fosse l’azione più naturale del mondo. Come se fosse ovvio. Ho
sottovalutato tantissimo la portata del gap tra i due livelli, accorgendomi di
essere poco più di un conoscente per loro. Mi domando chi siano ora quegli
uomini alati che si ostinano a chiamarmi ‘amico’, a spingermi suadentemente a
ribellarmi a questo sistema corrotto, ad aizzarmi rabbiosamente contro un
Pianeta ingiusto, a costringermi deliberatamente a dar loro la caccia…
Per quanto mi senta tradito, non riesco ad
odiarli o, quanto meno, disprezzarli. Sono due delle poche persone che abbia
mai rispettato e ritengo non meritino il trattamento che la Compagnia sta
riservando nei loro confronti. Cancellazione.
I loro nomi infangati, il loro onore macchiato, le loro persone ricercate, come
fossero bestie rabbiose, senza coscienza, senza volontà. Sono stati plagiati
dall’annebbiata visione di un pazzo, il quale li ha relegati al miserabile
stadio di strumenti. Due grandi guerrieri distrutti dall’errore di uno solo.
E’ così la storia, no? I tre amici vanno in
battaglia, ma solo uno ritorna e diventa un eroe. Che ironia... Proprio io.
Proprio io che non ho mai avuto un ideale, un motivo, una ragione per cui
combattere divento il baluardo ultimo contro l’imminente ‘Guerra delle
Bestie’. Il muro dietro cui la Shinra si
nasconde, usando la mia fama inattaccabile per lavarsi una coscienza più lurida
delle fogne dei Bassifondi. Quei maiali dei piani alti non hanno nemmeno il coraggio
di pronunciare quei nomi, proprio perché ne vogliono cancellare anche solo il
ricordo, dimodoché facilitare alle ignare reclute l’ingrato compito di
ucciderli a vista.
Alla fine, Genesis aveva ragione.
My friend, the fates are cruel
There are no dreams, no honor remains
The arrow has left the bow of the goddess
My soul, corrupted by vengeance
Hath endured torment, to find the end of the journey
In my own salvation
And your eternal slumber
[Amico mio,
le parche sono crudeli. Non ci sono più sogni, non c’è più onore. L’arco ha
lasciato l’arco della Dea - La mia anima corrotta dalla vendetta ha sopportato
il tormento per trovare le fine del viaggio nella mia stessa salvezza e nel tuo
sonno eterno. LOVELESS, Atto IV]
Buona spaventosa(?) sera a tutti!!!!! Come
state carissime/i? Comincio ad entrare nel clima halloweeniano (?!) anche
perché penso che vi sia venuto un colpo vedendo un mio aggiornamento, così tra
capo e collo random. Dolcetto o scherzetto XD! Come da copione, mi scuso
terribilmente per l’attesa, ma è stata più dura del previsto. Soprattutto la
parte di Sephiroth. Voi non avete assolutamente idea di quanto abbia faticato a
scriverla! Credevo fosse facile questa parte in cui i due SOLDIER finalmente
s’incontrano, ma mi sono resa conto che trovare significati nascosti e
retroscena a quella… ehm… scena, appunto, è stata una faticaccia. Ho dovuto
spremere ogni singola goccia della mia creatività per inventarmi dei dialoghi
verosimili (perché quelli originali, oltre a non avere molto senso, non
lasciano molto spazio all’immaginazione -.-‘ ). E poi, via ad inventarsi altre
supposizioni e teorie che tolgono il sonno al nostro bel (:E) platinato. Io
spero di non essere ripetitiva, perché ho la memoria di un pesce rosso e ciò
che scrivo è dovuto all’ispirazione del momento, quindi non saprei nemmeno dove
andare a ricercare i tratti incriminati. Non abbiatene, giuro che non lo faccio
apposta. Con Seph infatti devo sempre andare con i piedi di piombo, perché dopo
aver trattato l’argomento principale che, a causa dei problemi elencati prima,
per arrivare al giusto numero di pagine devo allungare la solfa per un bel po’
e lì si rischiano le ripetizioni e deviazioni dal tema. Mettiamo anche sempre
voglia O di scrivere, quindi viene da sé che ci abbia messo una vita. E mi
scuso. Di tutto. Il fatto è che sono ormai proiettata verso la fine di questa
storia, di cui cambio finale ogni santa volta che ci penso -.-‘ (va a finire
che ci lascia a metà ndSeph; Che?! Io sono su un’aeronave e tra poco vomito
*burp* ndCloud, Poveri noi -.-‘ ndVince). Mi scuso tantissimo per le fan di
Vince che mi seguono se questo giro non è molto presente, ma avevo voglia di
far tornare la nostra cara Evelyn e concentrarmi sulla mente malata del
n(v)ostro biondo preferito. Quella su Cloud è una parte un po’ onirica e strana
che mi ha portato via un sacco di tempo, perché l’ho riscritto tipo 20 milioni
di volte. Sono riuscita a metterci tutto quello che volevo e a me personalmente
piace un sacco, spero che anche voi la apprezziate.
Paradossalmente, mi diverto più a scrivere
di Cloud che di Seph -.-‘ ciò non va bene!!!! Dovrò rimediare.
Coooooomunque, complice uno schemino da
fare invidia agli ingeGNeri della NASA, ho capito che ci stiamo avvicinando
alla fine di sta benedetta storia. Ho calcolato che tra 7 capitoli la nostra
avventura finisce! Da un lato sono triste, perché questa è la storia che mi ha
consacrato come scrittrice ufficiale qui su EFP, ma da un lato sono anche
felice così finalmente potrò cimentarmi in altri progetti, sempre tema FFVII e
cmq ispirati a questa storia.
Va bene, siori, io smetto di vaneggiare e
spero passiate un buon Halloween!!!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 25 *** Assalto ***
25. Assalto
Un figura estranea si staglia sulla porta
del rifugio. Il luogo dove avevate deciso di crescere i vostri figli.
Il tuo primo istinto è proteggerli a
qualunque costo. Il secondo è una realizzazione che ti aveva spesso
accarezzato, ma hai sempre sperato di sbagliarti: il vostro riparo non è più
tale. Ogni madre ritiene che i propri figli siano speciali, ma loro non lo sono
solo per te. Quella società malata vuole la tua primogenita, il tuo prezioso
tesoro. La creatura per cui tu hai tanto lottato, la quale ti ha dato così
tante gioie e soddisfazioni; colei che ti ha reso completa. Lei è un miracolo,
in tutti i sensi. E’ una splendida fusione nata dall’amore di due specie in
pieno conflitto.
La pace è possibile, lei ne è la prova. Ma
gli umani sono accecati dalla visione del potere e sordi alle leggi della
Natura. Lo sono sempre stati…
Sono la rovina di questo Pianeta.
Il nemico comune.
Un dolore
tagliente si dipana dall’addome a tutto il corpo, mozzandomi il fiato. Avverto
il sapore dei succhi gastrici risalirmi dallo stomaco, incapace di trattenerli.
Vomito un liquido vischioso e nauseabondo che mi brucia e raschia la gola,
rinsecchita dal caldo asfissiante delle lande di Corel; il quale è in netto
contrasto con la condizione del mio corpo. Ho i brividi, tremolii incontrollati
scuotono tutte le mie membra, impendendo perfino di mantenere la postura
eretta. Mi accascio contro il muro e pian piano raggiungo il pavimento,
addossandomi contro la parete con tutta la schiena. Fissando il nulla, mi
concentro a riprendere fiato, prendendo grandi boccate d’aria, ma è
un’operazione che risulta dannatamente difficile a causa del pesante peso che
grava sul petto. Tossisco con forza, perdendo ancora più energie. Nemmeno i
muscoli della schiena riescono più a mantenermi eretto e per poco non mi sdraio
definitivamente a terra. A impedire ciò, c’è Vincent, il quale risolleva il
busto e mi sostiene per tutto il tempo della crisi. Da quando siamo sbarcati
sulla costa nord-occidentale del continente e ci siamo messi in viaggio verso
Rocket Town, le mie condizioni sono peggiorate a vista d’occhio.
- Ancora
quel sogno? –
Quel
briciolo di coscienza che mi rimane lo focalizzo tutto sul viso del mio
compagno di viaggio e annuisco. L’espressione del pistolero si adombra per un
attimo solo, per poi ritornare alla sua condizione originale d’impassibilità.
- Si sta
facendo più forte. –
La
costatazione di Vincent non mi lascia stupito. Il risentimento e l’ira di
quella donna crescono di pari passo con l’angoscia del Generale. E dalla vicinanza
con Takara. Se la visione è esatta, ormai manca poco al fatidico incontro. E al
suo destino. Certo che, per come mi stanno riducendo i suoi genitori, non vedo
come io possa rappresentare una minaccia alla sua vita, sebbene sia solo una
ragazzina. Un’altra scossa di dolore mi percuote le membra appena formulo
questo pensiero. Inveisco a denti stretti.
Quella donna
è una scheggia impazzita, capisco perché il Pianeta ha fatto di tutto per
relegarla nell’Oblio. Tuttavia, lei è stata più furba. Approfittando dei suoi
poteri di Sephera ha permesso a una buona metà della sua anima di legarsi al
diario dell’uomo che ha amato. Il problema è che quella che si trova qui dentro
è la parte più pericolosa, la parte che brama vendetta contro coloro che hanno
attentato alla sua vita e a quella dei suoi figli, la parte che desidera il
sangue di coloro che hanno condotto il suo uomo alla follia. La parte jenoviana
di Evelyn. E ora lei mi tormenta con le immagini della sua morte, facendomi
sentire TUTTO. Il senso di smarrimento di fronte a morte certa; la paura
raggelante per il pericolo corso dai suoi figli; il senso istintivo di
protezione delle loro piccole vite; l’atto disperato di una madre; la
sensazione gelida di una spada che trapassa la carne da parte a parte e, forse,
la peggiore di tutte, la realizzazione di aver fallito. Uno dei figli è morto
senza mai nemmeno aver assaporato la vita, mentre l’altra… è rimasta sola, su
un Pianeta che la disprezza per le sue origini nefaste in compagnia di un
popolo che la vuole sfruttare per il suo gigantesco potere.
Forse LUI aveva ragione… Non avrei mai
dovuto… essere così egoista.
Chiudo gli
occhi e sospiro, mentre quelle parole mi colpiscono con la forza di un maglio.
Questa constatazione lapidaria ferisce. Avverto il dolore derivato da questa
terribile realizzazione.
- Non dire
così… –
- Non dire
cosa? –
- Come? –
- Hai detto
‘non dire così’. A cosa ti riferivi? –
Lascio
scappare uno sbuffo divertito e scuoto la testa.
- Non
parlavo con te, Vincent. –
Il pistolero
grugnisce, nel frattempo egli si posiziona al mio fianco e mi afferra un
braccio e se lo lega attorno al collo, mentre l’altro circonda la mia vita.
- Comincio a
stancarmi di essere il terzo incomodo. Soprattutto se contiamo che siamo
soltanto in due. –
Mentre
pronuncia questa frase, un sorriso sincero appare sul mio volto stanco, mentre
egli mi solleva in piedi e inizia ad incamminarsi giù per la via, alla ricerca
di un posto dove io possa recuperare le energie.
North Corel
è molto cambiata dall’ultima volta che la visitai. Ricordo chiaramente l’odore:
sapeva di disperazione e tradimento. Questa gente aveva creduto alla falsa
promessa di prosperità e di una vita agiata sulla luce di una nuova era per
l’energia, sciorinata migliaia di volte da quella Compagnia succhia-anime. La
gente aveva creduto a questa prospettiva. Esper, perfino Barret era stato
abbagliato dalle infinite possibilità dei reattori mako. Così evidente che la
ShinRa pensò bene d’insabbiare le proprie scoperte e riportarle in patria. L’idea
di condividere quelle potenzialità non abbandonò mai la Compagnia, ma forse
‘condivisione’ non è proprio il termine più adatto. Con la presunzione di aver
imbrigliato la potenza stessa del Pianeta in macchine e uomini –come se non
fossero la stessa cosa-, la famiglia Shinra costrinse-un termine ben più
adatto- il mondo ad inginocchiarsi a loro ed accettare la loro netta
supremazia. Corel fu il primo continente a finire sotto il maglio dei SOLDIER.
La terra su cui un giovane dai capelli argentei impresse la tua prima insanguinata
impronta.
Lo ricordi, vero?
Questo continente ha
tirato fuori il peggio di me.
Ingoio
l’insinuazione, cercando di arginare l’ira nascente dalle viscere, e alzo lo
sguardo verso le montagne a sud-ovest, al di là delle quali si trova Nibelheim.
Fair da Gongaga, te ed
io da Nibelheim. Questa terra sembra sfornare valenti eroi.
Tu non sei un eroe…
Curioso, ho sempre
creduto che tu mi ritenessi tale fino a qualche anno fa. Non che m’interessi,
comunque. Ho vissuto troppo a lungo per continuare ad essere un eroe.
Avevi solo ventisette anni quando sei morto
la prima volta. Ti sembrano troppi?
Per la vita che ho
vissuto? Un’eternità.
E la tua famiglia? Anche quella è stata un
patimento?
E’ stata una
parentesi. Una bellissima parentesi, troppo breve per lavare via tutto il
marcio di una vita da “eroe”.
Anch’io l’ho vissuta, eppure sono ancora da
questa parte.
Non ti illudere,
Cloud. Quanti anni hai ora?
Posso
immaginare il suo ghigno mefistofelico brillare nell’oscurità della mia mente,
mentre la sua tagliente domanda mi annoda lo stomaco. Improvvisamente, un suono
incrinato seguito da uno tintinnante attrae la mia attenzione. Rimango a lungo
a fissare il sangue sgorgare dalle fenditure del mio pugno. Percepisco ogni
singolo, minuscolo frammento di vetro penetrare nella carne e, più stringo, più
loro entrano in profondità. Il dolore, tuttavia, sembra alimentare una
terrificante frenesia sanguinaria, impedendomi di lasciare la presa. La mia
fantasia soppianta quel vetro con schegge di osso e il latte con la vischiosità
del tessuto cerebrale e del sangue. Vedo la testa di Sephiroth, squagliarsi,
priva d’integrità, implosa su se stessa a causa della pressione impressa dal
fervente desiderio di eliminare quel ghigno dalla faccia del Pianeta. Eppure,
quel sorriso mellifluo è ancora lì, sempre più largo, sempre più divertito. Per
quanto possa stringere, ormai non c’è più nulla da maciullare. Avverto un fuoco
d’iraconda frustrazione esplodere in ogni parte di me, mentre una risata
sommessa e vuota, priva di qualsivoglia felicità, riecheggia nella mia mente.
Sei sulla buona
strada, Cloud.
Un ringhio
di disperazione irrompe dalle mie labbra e sciolgo il pugno, portando le mani
ai capelli. Le dita insanguinate s’infilano tra le ciocche che l’abbattimento
mi suggerisce di strappare, ma non ne ho la forza. Cado in avanti e i gomiti
vengono intercettati dalle mie gambe, impedendomi di crollare a terra. Vorrei
piangere. Piangere fino a perdere il fiato, ma tutto quello che riesco a fare è
concentrarmi sul mio respiro, al fine di provare ad ignorare la martellante
pulsazione della mia testa. Improvvisamente, l’idea di morire così giovane non
è poi così male.
- Odio
essere te. –
La
confusione scompare, svanendo lentamente come nebbia spazzata da una brezza
dolce e leggera, lasciando spazio ad una mesta quiete, alleviando per un attimo
le sofferenze. Per quanto la mia mente lo rifiuti, non posso fare a meno di
rendermi conto della terribile realtà: io e lui SIAMO simili. Molti altri hanno
letto quel diario, ma l’unico ad aver scatenato un tale putiferio sono stato
io.
Alzo lo
sguardo e vedo la figura diafana del Generale alta di fronte a me. La sua
espressione è neutra, ma i suoi occhi, come sempre, parlano per lui. V’è pena,
ma non verso di me, ma verso se stesso. Capisce cosa sto passando, perché lo ha
provato lui molto tempo prima. Vedo senso di colpa, non ha mai voluto che quel
fardello passasse ad altri. Sperava che, consegnandosi, al Pianeta sarebbe
bastato.
Perdonami.
L’espressione
neutra si distorce, rivelando il viso affranto e pieno di vergogna nascosto
dietro quella maschera. Sgrano gli occhi, incredulo. Lui, l’infallibile
Sephiroth, chiede il perdono.
On your
knees. I want you to beg for forgiveness.
[In ginocchio. Implorami di
perdonarti. Sephiroth,
FFVII:ACC]
Vincent
sbuffa, infastidito, mentre toglie le schegge di vetro dal palmo. Impresa
ardua, dal momento che alcune si sono conficcate così in profondità da
risultare difficilmente raggiungibili perfino dai sottili bracci della pinzetta
del pronto soccorso.
- Sembri
contrariato, Vince. –
Egli mi
scocca un’occhiata di fuoco delle sue, per poi rivolgere l’attenzione sul
lavoro certosino che sta eseguendo. Come risposta, mi pinza la carne viva della
ferita, strappandomi un verso sofferente.
- Non
storpiarmi il nome, Cloud Strife, o te le toglierai da solo queste dannate
schegge. –
In questi
giorni, Vincent è diventato duro e distaccato, sempre sul chi va là, come una
bestia in trappola. Non apprezza l’idea di fermarci troppo a lungo in un posto;
perfino sostare in questa bettola da quattro soldi nella periferia più
affollata di North Corel, o, di come la chiamano adesso, New Old Corel, è
costato un enorme sacrificio all’ex-Turk. Se non fosse per le condizioni
pessime in cui sono crollato appena messo piede su questo continente, probabilmente
ora saremmo già in viaggio verso la nostra meta. Non saprei dire se questa
fretta sia dettata dal desiderio d’incontrare sua nipote il prima possibile o
sia dovuta alla possibilità di avere qualche minaccia alle calcagna. Qualunque
sia la ragione, Vincent soffre sempre meno la mia estraniazione dal mondo
reale; il quale mi rende imprevedibile e instabile, oltre che un pericolo per
me stesso e gli altri, come fin troppe volte è accaduto. Questa riflessione mi
fa aggiungere un’altra possibile spiegazione allo strano comportamento di
Vincent: è preoccupato delle conseguenze di ciò che mi sta succedendo.
- Andrà
tutto bene, Vincent. –
Il pistolero
interrompe il suo lavoro da chirurgo improvvisato e pianta i suoi occhi
sanguigni nei miei. Impercettibili rughe si formano attorno ai lati della
bocca, mentre la mandibola si serra. Il sangue di quell’iride s’illumina per un
pericoloso secondo.
- Mi prendi
in giro?!-
Il tono di
Vincent rivela che è fuori di sé. Temo di aver toccato un pericoloso tasto
nell’ autocontrollo del moro. Perché? In fondo, volevo solo rassicurarlo. Egli
si alza di scatto, scagliando le pinzette dall’altro lato della stanza, per poi
voltarsi verso di me. Il suo sguardo è incandescente, le narici allargate e i
denti svelati. Per un attimo, temo che Chaos possa avere la meglio sullo stanco
Vincent, mettendo fine alla mia vita. Noto con orrore che questa prospettiva
non mi spaventa più di tanto. Qualunque cosa per finire con questa sofferenza.
- No. Io… -
- Come può
andare tutto bene se ogni volta che leggi quel dannato libro sei ridotto peggio
di prima? Che succederà quando non sarai in grado nemmeno di stare in piedi,
eh, Cloud? Dimmi anche come ti difenderai quando quelli che ci braccano ci
avranno raggiunto. Avanti, illuminami! –
L’artiglio
dorato della sua mano sinistra viene puntato verso di me, in un atto
accusatorio. Anche se io rassomiglio l’azione più che un avvertimento del
predatore alla sua preda.
- Braccano?
-
- Oppure,
come pensi di fare quando la bomba dentro la tua testa malata esploderà? Cosa
mi dovrei aspettare? Mi devo aspettare che tiri le cuoia o che… o che… -
- O che
impazzisca come tuo figlio? –
A quelle
parole, lo sfogo di Vincent subisce un repentino arresto, come se una cascata
gelata avesse spento l’incendio che lo dominava. In un primo momento, infatti,
nei suoi modi e nel suo sguardo vedo smarrimento e senso di colpa; ma l’attimo
successivo, si erge in tutta la sua altezza, i pugni si stringono così forte da
avvertire lo scricchiolio delle ossa, gli occhi sanguigni riversano uno sguardo
così rabbioso e addolorato che potrebbe incenerirmi sul posto seduta stante. E
per un attimo… lo credo. Il silenzio s’interpone tra noi per terribili,
interminabili secondi di tensione. Secondi in cui io prego il Pianeta di venire
fagocitato per la mia boccaccia insolente. Vincent si sta facendo in quattro
per me e io lo ripago sputandogli in faccia le sue colpe.
Che razza di
amico sono?
A quel
punto, distolgo gli occhi dai suoi e abbasso la testa.
- Scusa. Non
volevo. -
Avverto il
respiro affannoso del pistolero, scemare d’intensità, fino a regolarizzarsi.
Gli rivolgo uno sguardo in tralice e lo vedo prendere un profondo respiro, ad
occhi chiusi, e, quando questi vengono riaperti, la calma alberga di nuovo in
lui. Il suo portamento, tuttavia, rimane fermo nelle sue posizioni, ma comunque
con un’inflessione più rassicurante e aperta. Senza dire una parola, ritorna
alla sedia, scoprendo che si era rovesciata nel momento in cui la sua iraconda
ascesa era iniziata. Si siede comodamente, appoggiando la schiena alla parte
alta dello schienale, le gambe distese, le braccia adagiate sui braccioli, le
mani lasciate a penzolare nel nulla. Svuotato. Lo osservo dalla mia posizione
leggermente dismessa. Studio il suo sguardo perso nel vuoto, le occhiaie attorno
alle orbite, la pelle pallidissima con nuove impercettibili rughe attorno al
naso e ai lati della bocca. Sembra improvvisamente invecchiato, come se ciò che
sta affrontando adesso gli stia risucchiando la vita dal corpo.
Le vite hanno un caro
prezzo. Sia che le abbandoniamo, sia che le salviamo, prima o poi il Pianeta
richiederà il conto. E più vite avrai toccato, nel bene o nel male, più esso
sarà salato.
Questo è essere eroi.
Annuisco
automaticamente alle parole sussurrate da Sephiroth. Sono talmente assorto che
non mi rendo conto che Vincent ha ricominciato a puntarmi. Il suo sbuffo
divertito, infatti, mi coglie impreparato.
- Sembriamo
due vecchi pazzi. Stanchi e imbruttiti da una vita di cui desideriamo solo
vederne la fine il prima possibile. –
Un lato
della bocca si alza e faccio spallucce, adagiandomi anch’io sullo schienale.
- Il vecchio
sarai poi tu. Io sono solo pazzo. Non so cosa sia peggio, comunque. –
Vincent
rimane in silenzio per un lungo momento, osservando un punto imprecisato nella
stanza. In effetti, a dei pazzi ci assomigliamo, constato alla fine.
- Suppongo
di aver vinto, allora. –
Gli rivolgo
uno sguardo interrogativo.
- Che
intendi? –
- Oggi sono
sessantatré anni di vita da eroe. Parecchi, no? –
Corrugo le
sopracciglia in un primo momento di confusione, poi realizzo e i miei occhi si
spalancano, quasi come ad uscirmi dalle orbite. Boccheggio, cecando di uscire
dalla mia interdizione, ma due motivi me lo impediscono. Uno: Vincent Valentine
ha seriamente, spontaneamente rivelato qualcosa su di lui per la seconda volta
da quando lo conosco? Due: come fa a sapere di quel discorso tra me e Sephiroth?
Non era tutto nella mia testa?
Di fronte al
mio sbalordimento e alla mia faccia da ebete, l’ex-Turk si apre in un sorriso
furbo.
- Uno: sì, è
accaduto davvero. Sono tanti anni che nessuno mi fa gli auguri e, siccome
questo potrebbe essere l’ultimo compleanno che vedrò, perché non rivelarlo? –
Egli
raddrizza la schiena e si sistema meglio sulla sedia, incrociando le dita e
voltando il busto nella mia direzione, gomito destro appoggiato sul bracciolo.
Mi fissa e mi accorgo- senza tralasciare il brivido che mi attraversa la
schiena da sotto a sopra- che con quell’espressione divertita stampata in
faccia assomiglia terribilmente a Sephiroth.
- Io vi
sento, Cloud. Credi davvero che Sephiroth non abbia tentato un contatto con me,
appena scoperto chi sono? –
Cloud non è mai stato
un ragazzo molto sveglio, padre.
- Ha
semplicemente bisogno dei suoi tempi. Non tutti hanno la mente arguta come la
nostra. Cerca di essere più indulgente. –
Ogni scontro
verbale avuto con Sephiroth l’ho sempre e inevitabilmente perso. Lui orchestra
magistralmente la conversazione, esponendo argomentazioni inattaccabili,
rivoltando l’interlocutore come un calzino bucato. Come conversa, egli così
combatte. Fortunatamente, non sono così lento anche con la spada; anche se, in
ogni caso, la soddisfazione di una vittoria piena quel bastardo figlio di
Jenova non me l’hai mai data, proprio a causa della sua dannata boccaccia.
Ma Vincent…
Vincent con una frase l’ha zittito. Non ha urlato, non ha fatto la voce grossa,
non l’ha minacciato. L’ha… rimproverato, semplicemente, come una padre farebbe
con il figlio, con pacatezza e fermezza.
Dopo qualche
secondo di silenzio, durante i quali la mia analisi prende piede, Vincent
disimpegna la mano artigliata dall’altra e dirige gli artigli metallici verso
il mio mento. Con un buffetto alla mascella, ormai finita a terra, m’induce a
chiudere la bocca.
- E tu
chiudi quella bocca, Cloud. Sei ridicolo. –
Dopodiché,
il moro, ruota la sedia, avvicinandosi, mi afferra la mano ancora ferita e
ricomincia il lavoro lasciato a metà, recuperando una pinza sterilizzata dalla
cassetta del pronto soccorso. Il tutto sotto il mio sguardo sbigottito.
Dopo qualche
minuto di silenzio, durante i quali l’unico rumore era il tintinnio dei
frammenti di vetro che cado l’uno sull’altro all’interno di un altro bicchiere,
intervallato da qualche mio grugnito; chiedo:
- Da quanto
tempo è che lo senti? –
Vincent non
distoglie lo sguardo da ciò che sta facendo, ma un guizzo dispiaciuto deforma
per un considerevole momento il suo viso.
- Da qualche
tempo. Non so bene quando, ma ho iniziato a sentire delle voci nella testa.
Subito erano bisbigliate e incomprensibili, ma dopo poco, divennero più chiare
e distinte. A quel punto, capii che eravate voi. -
Si ferma un
attimo e si stropiccia l’occhio destro con il dorso della mano, sospirando
pesantemente.
- Spesso
noto che voi state parlando, la tua faccia assente lo testimonia. Tendo
l’orecchio, ma non sento nulla. Perché? C’è qualcosa che volete nascondermi? –
Sgrano gli
occhi e le labbra si dischiudono, sorpreso da quelle domande, le quali spiegano
il suo nervosismo e il comportamento guardingo di questo periodo. Boccheggio,
arrancando una risposta plausibile e mi ritrovo desiderare una mente svelta
come quella del mio nemico.
-Ecco…
insomma, n-no. Che dovremmo nasconderti? Che vai a pensare, Vincent? –
Di tutta
risposta, il pistolero alza il sopracciglio. Una sola azione per vanificare le
mie scuse. Vorrei scomparire.
Vi prego, perdonate
l’idiozia di Cloud, padre. Tuttavia, sì, devo confermare i vostri sospetti.
L’atto finale di una guerra va combattuta e, sebbene non ve ne abbia mai dato
ragione, v’imploro: fidatemi di me.
Per la prima
volta nella mia vita, sono grato di aver sentito la voce del Generale.
L’ex-Turk ascolta assorto le parole reverenziali del figlio e noto come la
supplica finale smuova qualcosa nell’espressione del pistolero, come una fatale
scoccata dritta al cuore. Mentre il moro pondera quelle parole, la mia parte
meschina e diffidente non può fare a meno di giudicare quelle accorate frasi
come una magistrale manipolazione di un abile burattinaio. Può anche essere
figlio naturale di Vincent, ma è Hojo che l’ha cresciuto e forgiato. Lo
scienziato può non aver intaccato la parte più fragile del Generale, il quale è
riuscito a mantenere i suoi ideali intatti fino al giorno in cui la follia non
distrusse ogni singola parte di lui; ma la fortezza di fili dentro cui l’ha
nascosta è stata creata ad immagine e somiglianza del vecchio. Anche se, a
detta dello stesso SOLDIER, lo scienziato aveva un talento particolare a
distruggerla in minuscoli pezzettini ad ogni loro incontro. Contro di lui,
Sephiroth non aveva alcuno scampo. Esattamente come l’ex-Turk. Forse ho
sopravvalutato Vincent. E’ un avversario più manipolabile di quanto credessi.
Abbagliato da quella che ho ritenuto una resa senza condizioni, non ho notato
che quel silenzio sarebbe potuto essere una semplice ritirata strategica, come
preludio all’attacco definitivo. Vincent è come il figlio, in fondo. La corazza
è apparentemente impenetrabile, ma basta usare le leve giuste per scardinare le
porte principali. Queste leve sono i sentimenti. Loro ne sono fatalmente
succubi. Sensazioni come pietà, sensi di colpa, speranza e, la più pericolosa,
l’amore, hanno portato alla rovina questa famiglia. E’ questo che ha permesso a
Hojo di trionfare.
Come
volevasi dimostrare, l’espressione di Vincent si distende e, dopo poco,
annuisce, deformando il suo viso con un leggero sorriso.
- D’accordo,
hai la mia fiducia. Ma non darmi del ‘voi’, per favore. Non voglio che tra noi
ci siano distanze. E chiamami pure Vincent, le formalità non sono il mio forte.
–
Come vuoi, Vincent.
Ma Sephiroth
è diventato l’uomo che è, perché impara dannatamente in fretta…
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26 Marzo XXXX
Non è la prima volta che imprimo su carta
questo mio pensiero, ma credo che a sto punto la si possa definire un’assoluta
certezza: il tempo possiede un curioso tempismo nel mutare in linea con i miei
sentimenti. Il temporale è iniziato da poco, accompagnando con il suo cupo
rombare la tempesta dentro di me. La pioggia scroscia copiosa dal cielo livido,
scuotendo la superficie del lago Hourei, inquieto come il mio spirito. Di tanto
in tanto, lampi di luce illuminano a giorno il bosco reso spettrale dal furioso
soffiare del vento in discesa dalle montagne. Gocce di pioggia, rapite dalle
folate imperiose, m’infradiciano in parte a secchiate irregolari, cucendomi
addosso una gelida coperta a cui il mio corpo cerca strenuamente di ribellarsi,
lanciando tremori e brividi di freddo. Non me ne curo. Il mio sonno, in ogni
caso, è ben più doloroso. A nulla, infatti, è valso rimanere in quella stanza
accanto al calore di mia moglie e al respiro tranquillo di mia figlia; poiché
non fanno altro che agitare le trame armoniose di Morfeo, trasformandole in una
cacofonia di incubi e rimpianti. Ho bisogno di assistere a qualcosa di più
folle dei miei stessi incubi. Odo il frinire impazzito delle fronde degli
alberi languire sotto il maglio spietato del vento. Alcuni rami non resistono a
quella furia e si abbandonano ad essa, mutilando così le loro madri. Lo
scrosciare ritmico delle onde lacustri è un’ipnotica melodia che ne accompagna
la frenetica corsa verso riva, dove la risacca discendente accarezza la terra bianca
di spuma come un tenero amante. E’ lo scenario perfetto in cui affogare i
ricordi di questi ultimi anni, in cui la mia vita pareva aver finalmente
deviato su un sentiero da me sempre agognato. Lasciare che la pioggia lavi via
il ricordo dolce dei due uomini più straordinari che abbia mai avuto l’onore di
conoscere, i miei più fidati compagni di battaglia, i miei più intimi
confidenti… Permettere a questa pioggia di lavare via il vuoto lasciato dalla
loro ingloriosa, immeritata, disonorevole morte. Una morte a cui, mio malgrado,
ho contribuito a far sì che prendesse luogo, sebbene abbia fatto di tutto per
non prenderne assolutamente parte. E di questo mi pento. Tutto ciò che volevano
era che mi unissi a loro o che li fermassi, in alternativa. Non ho colto il
loro disperato grido d’aiuto, volgendomi dall’altra parte, sordo ad ogni tipo
di supplica o richiesta. Mi sono lasciato trasportare dai dubbi,
dall’indecisione, da quell’odioso e indolente non-agire che ho sempre
disprezzato in ogni uomo. Io… quello stesso mostro che ha annegato nel sangue
qualunque tipo di ribellione contro quella Compagnia-succhia anime; quello
stesso Generale invincibile idolo delle folle; quella stessa marionetta mossa
dagli artigli avidi di Shinra. Mostro, Generale, marionetta… ma non uomo. Non
merito questo appellativo, perché le mie azioni non mi hanno mai reso tale. Angeal
aveva ragione: non ho una dignità, né sogni, tanto meno quell’onore che rendeva
il nostro essere SOLDIER qualcosa di più di una semplice macchina da guerra. Quello
che ci rendeva uomini. Quello di cui ho sempre dubitato, rimbeccando al moro di
quanto egli fosse ingenuo, ma di cui, segretamente, tentavo d’intravedere
quella fatua realtà. Lui vedeva Eroi, vessilli di una promessa di una vita
migliore per i più deboli, uno scudo contro il male e l’ingiustizia, la fiera
risposta alla vessazione dei potenti. Uno specchio per allodole, ma pur sempre
una splendida speranza, capace di alleviare almeno un poco quell’opprimente
incudine di peccati pendente sul cuore. Quanto avrei voluto avere il suo
talento… quell’innata capacità di non vedere. Non vedere ciò che SOLDIER veramente è: un rifugio di mostri guidati
da una mente affogata in un sanguinoso abisso e da una fiera incontrollabile e
crudele. Quanto spesso mi è capitato d’incrociarne le spalle incurvate
dall’ignavia, quando la folle sete della Bestia guidava vigliaccamente la
Masamune verso le schiene di civili innocenti in fuga dalla battaglia; oppure, quando
Genesis, in preda ai fumi dell’alcool, trascinava fino nella sua stanza una
donna dal viso talmente tumefatto tanto da risultare irriconoscibile, per poi
abusare di lei più e più volte? Atti osceni a cui egli ha sempre rivolto una
cieca indifferenza, mascherata da un forte senso del dovere o da una rassegnata
indulgenza.
“Tra di loro
poteva nascondersi qualche dissidente. Hai agito secondo gli ordini.”
“Lo sai che
Genesis ha i suoi bisogni. E’ fatto così.”
Parole di circostanza, costruite solo per camuffare
l’orrore provato in quel momento e salvare le apparenze, seguite poi da vuote
ramanzine su sogni, onore e disciplina, atte solo ad annoiare, piuttosto che
ottenere l’effetto contrario. Mi sono spesso domandato perché fingesse in quel
modo, perché cercasse di prendere le nostre difese in modo così caparbio,
invece di opporsi a quegli istinti bestiali e aiutarci a sopprimerli. Tra tutti
noi, Angeal era il più stoico e irremovibile, così attaccato ai suoi valori e
al suo onore da risultare il caposaldo del nostro trio di svitati senza
speranza. Alla luce dei nuovi fatti, tuttavia, quel caposaldo d’inscindibile
fermezza era più fragile di quanto immaginassi. Il ruolo di fratello maggiore
gli si era cucito addosso a doppio filo. Sentiva il dovere di proteggerci. Era
il più forte e, in più, conosceva le sensazioni che si agitavano in noi e
sapeva che erano irreprimibili, soprattutto per menti malate e deboli come le
nostre. In tutto questo, tuttavia, lo abbiamo aiutato a non cedere alla parte
oscura di sé, costringendolo a reprimere quegli istinti che, sono sicuro, si
agitavano perfino in cuore puro come il suo. Inoltre, troppi avrebbero pagato
le conseguenze dei suoi errori, perché se non ci fosse stato lui, il mondo
sarebbe collassato sotto la nostra furia.
Cosa che è avvenuta, ahimè…
La mia mente mi riporta automaticamente in
quella stanza lussuosa e opulente posta sull’ultimo piano dello Shinra Building:
l’ufficio del Presidente Shinra. Un luogo che lo assomiglio quanto più al nido
gigantesco di una vorace e viscida idra, la cui unica ossessione è la continua
ricerca di una nuova preda da accogliere nel suo letale abbraccio. Essa osserva
dal suo scranno il mondo che ha inginocchiato ai suoi piedi, elucubrando
riguardo le nuove possibili fonti di guadagno e potere ancora celati sotto la
crosta del Pianeta; certa che nessuno sarà mai capace di fermarla, finché egli
avrà le sue zanne avvelenate attaccate alle gengive. Io ero lì, uno dei denti
del viscido serpente dondolava quietamente al mio fianco, mentre Lazard leggeva
i minimi, terrificanti dettagli della missione che mi avrebbero affidato di lì
a poco, con tono quanto più possibile neutro. Nonostante i suoi sforzi, il
Direttore non riusciva a mantenersi distante, soprattutto nei passaggi più cruenti.
Ho sempre apprezzato la sua innata capacità di entrare in empatia con ogni
membro del Reparto. Conosce i suoi uomini e sapeva che io non ero l’agente giusto
per quella missione. Avrebbe preferito farsi sciogliere dai liquidi nauseabondi
di un Molboro piuttosto che sottopormi a quella tortura. Ma io sapevo perché
ero lì: era un test. Le teste dell’idra volevano sapere da che parte mi sarei
schierato. Il cagnolino avrebbe fatto il bravo e avrebbe obbedito senza
discutere, come gli era stato inculcato fin dall’infanzia; o si sarebbe
trasformato in un lupo, pronto a reclamare la sua stessa libertà ed unirsi al
branco dei traditori? Per evitare rischi avevano perfino mobilitato qualche
fante dell’esercito regolare a supporto dei Turks più esperti. Labile difesa.
Mai come in quel momento, ho potuto fiutare la tensione, l’ansia, la paura albergare tra quegli
ignominiosi rifiuti umani. L’intera stanza era invasa dal mefitico lezzo.
Quanto ci godevo! In tutta risposta, feci sfilare il mio mordace biasimo lungo tutti
i presenti e chiunque incrociasse i miei occhi rifuggiva o abbassava
l’attenzione. L’unico che sostenne il mio sguardo fu Hojo. Da dietro la
montatura spessa degli occhiali, potei cogliere il suo minaccioso ammonimento trafiggermi
con durezza. Se avessi deluso le sue aspettative, lo avrei pagato amaramente.
Con nonchalance, scrollai le spalle e abbozzai un sorriso strafottente, per poi
ritornare a fissare diritto avanti a me. Con la coda dell’occhio, però, vidi
l’emaciata espressione del vecchio virare da truce a oltraggiata.
Sfortunatamente per lui, è parecchi mesi in ritardo: la mia decisione era stata
presa nell’esatto momento in cui Genesis disertò.
Io non avrei combattuto.
Fatale
errore.
Quando Lazard finì, il silenzio più pesante
e tedioso che avessi mai avvertito piombò in quella stanza dorata, offuscando
perfino la lucentezza di quella nauseante dimostrazione di ricchezza. Lasciai
bollire quegli emeriti idioti nel loro brodo di tensione per lunghi minuti, per
poi irrompere con un semplice e secco diniego. Avvertii i Turks attorno a me
prepararsi al combattimento. Il suono di pistole private di sicura e lo sfilo
di armi bianche tolte dai foderi solleticarono la Bestia, la quale tese i miei
muscoli e aguzzò i miei sensi. Avrei potuto farne poltiglia e loro lo sapevano.
Avvertii la mia vecchia e rabbiosa compagna scuotere il mio torace con un solo,
basso ringhio. Cibarsi delle paure dei suoi nemici è ciò che più brama
nell’intero Pianeta. E quella stanza… Oh, quella stanza ne era piena! Per un
minuscolo momento, ho accarezzato l’idea di accontentarla. Se avessi agito,
ogni mia sofferenza sarebbe finalmente cessata e, forse, i miei amici sarebbero
tornati in sé, liberi di vivere in un mondo che li avrebbe accettati. Avrei
potuto tornare dalla mia famiglia. Avrei potuto essere l’eroe che tanto
LOVELESS decanta: colui che rimane.
La tentazione era forte: infatti, il palmo
della mano fremeva, il corpo si preparava al contrattacco, la gola secca
bramosa di sangue… l’ammaliante frenesia mi estraniava dal tempo. Ero pronto ad
abbandonarmi a Lei, di nuovo, ma Evelyn me lo impedì per l’ennesima volta. Il
suo viso mi attraversò la mente richiamando la lucidità all’ordine.
Non
potevo.
Quei soldati, quegli agenti… erano ancora
fedeli a quell’insegna insanguinata. Erano pronti a morire per quei maiali
insolenti e io mi sarei macchiato le mani del loro sangue. Sangue innocente.
Basta.
Sono stanco di uccidere. Sono stanco di
vedere visi agonizzanti. Sono stanco di ascoltare suppliche e gorgoglii di
morte. Sono stanco di marchiarmi la pelle di sangue.
Stanco di vivere una vita non mia.
Fermo nella mia decisione, girai i tacchi e
mi diressi verso l’uscita, lasciando i presenti sbigottiti dal mio semplice non
agire. Una mossa che probabilmente nessuno si aspettava. Nonostante tutto,
però, quella missione doveva essere compiuta, in un modo o nell’altro. Fu così
che, prima che lasciassi quella stanza, mi chiesero chi mandare al posto mio.
Avevo elaborato la mia strategia mesi or
sono, ma solo troppo tardi realizzai che, nell’approntarla, mi ero lasciato
guidare dai rancori e dall’arroganza. Angeal ed io avevamo avuto un pesante
diverbio quando venimmo a conoscenza della diserzione di Genesis. Erano
settimane che non ci rivolgevamo la parola e, quando scomparve anche lui, non
mi stupii. Immaginavo che il moro non avrebbe lasciato andare Genesis così alla
leggera, tanto più sapevo che non mi avrebbe coinvolto nella ricerca. Angeal ha
sempre avuto un occhio di riguardo per il suo vecchio amico d’infanzia.
Nell’ira, sono arrivato a credere che lui mi vedesse come l’ennesima
realizzazione di un capriccio di Genesis piuttosto che come un amico. Spinto da
queste sensazioni irrazionali, figlie di elucubrazioni malate e senza alcun
tipo di fondamento, realizzai la mia vendetta. La cosa peggiore è che convinsi
me stesso che fosse la cosa più logica e razionale da fare. E così, commisi il
secondo, crudele errore: indicare il giovane Fair come sostituto per la missione.
Una forte folata di vento ribalta il secchio
per le pulizie provocando un frastuono tale da farmi sobbalzare. Osservo
l’oggetto rotolare lungo la veranda e giù per le scale, fino al giardino. Lo
seguo inerme, impotente. Eppure basterebbe che mi alzassi per fermare la sua
corsa. Invece, rimango in disparte a guardarlo correre verso la propria
disfatta. Un piccolo secchio bucherellato non ha scelte di sorta se non seguire
il corso della tempesta…
Un dolore forte al petto mi strappa un
gemito. E’ esattamente ciò che è accaduto a Fair. L’eco dei suoi singhiozzi
nella Chiesa dei Bassifondi mi rimbomba ancora nella mente, strappandomi l’aria
direttamente dai polmoni. Nemmeno la gentile stretta di Aerith è riuscita a
quietarli, anzi li ha amplificati, rendendo il suo dolore ancora più penetrante
e schiacciante. Un macigno mi è crollato sulla testa, il quale m’impedisce di
dormire, di mangiare, di vivere… Quella croce su quella guancia liscia,
giovane, innocente è un colpo al
cuore ogni volta che la immagino. Fair era
un ragazzino costretto a seguire una terribile serie di tempestosi eventi,
dei quali lui non avrebbe mai dovuto esserne al corrente. Ciò che più mi
affligge, tuttavia, è la speranza che un tempo animava i suoi occhi blu. Quegli
occhi che riflettevano il mondo fittizio e perfetto di Angeal, quegli occhi che
sognavano un eroico avvenire, quegli occhi che rilucevano di entusiasmo e buona
volontà, quegli occhi che non mi stanco mai di osservare nelle giovani reclute.
Occhi che so già che non sarebbero durati a lungo in quel mondo venefico, ma
nutrivo forti speranze nel lavoro svolto da Angeal. Forse lui avrebbe creato
una generazione di SOLDIER veramente volta al bene.
Nella mia furia cieca, l’ho rovinato, l’ho
coinvolto in questo schifo… l’ho costretto ad uccidere il suo stesso mentore.
Un crimine orribile, di cui io stesso ne porto ancora i segni sul corpo e
nell’anima e a cui non ho mai voluto che nessun’altro ne venisse macchiato.
Invece, ne sono stato sia l’artefice che il mandante.
Un duplice ruolo che mi fa sentire così
sporco e marcio… un demone irrecuperabile. Un demone contro cui un angelo
dall’ala bianca ha cercato di opporsi in ogni modo. Angeal ha sempre voluto
fare la cosa giusta, quanto nel bene tanto nel male. E io… io non lo capii.
Sordo ad ogni ragione, mi fermai alle apparenze, troppo codardo per scavare più
a fondo e scoprire la verità. Quella verità per cui ho messo a soqquadro
l’intero archivio della Shinra, quella verità che tormenta il mio sonno, quella
verità che mi rende schiavo della paura. Quella verità che, nel profondo nel
mio cuore, non voglio accettare nemmeno se ce l’avessi davanti. Non voglio
accettare di essermi bevuto quelle menzogne per così tanti anni, di essermi
fatto abbindolare da esseri insulsi come Shinra o Hojo. Anche se, ad essere
sincero, ciò che non voglio accettare è che Gast mi abbia mentito. L’uomo che
più ho rispettato… no, che ho amato come
un padre per tutta la mia vita, sia come loro. Non lo posso accettare che anche
lui mi abbia preso in giro, sciorinandomi quelle pillole di menzogna solo per
rendermi una cavia più malleabile e quieta. Non voglio accettare che anche quel
rapporto fosse falso. Non lo sopporterei… Per questo DEVO convincermi di essere
diverso dai due banoriani, eliminare dalla mia mente quell’antica illusione
circa la nostra somiglianza e dimostrare che tra loro e me c’è un abisso. Poco
importa se avessi potuto salvare Genesis donandogli il mio sangue, poco importa
se avessi potuto schierarmi al loro fianco, poco importa se avessi potuto
proteggerli da loro stessi, poco importa se con loro mi sentivo a casa…
Li ho abbandonati nelle mani di un Fato
crudele, di un Pianeta spietato e di un’umanità senza cuore.
E’ una colpa troppo grande da sopportare,
ma, se mai abbia avuto un minimo di rispetto per loro, è un fardello che devo
portare da solo. DEVO farlo, per loro, per ricordare gli effetti dei miei
errori.
Per questo motivo, feci tappa a Modeoheim
durante il viaggio per Wutai. Avevo bisogno di vedere quegli effetti con i miei
occhi. La città congelata era, contrariamente a quanto mi aspettassi, viva più
che mai, a causa delle attività dei Turks e del Reparto scientifico volte a
eliminare ogni minima prova della ribellione di SOLDIER, dichiarata da poco
cessata, come era accaduto a Banora. Mentre le operazioni avanzavano febbrili
nella città, m’infiltrai all’interno della Bath House, la quale era ancora in
attesa di essere ispezionata. L’aria gelida delle montagne rendeva l’atmosfera
ancora più lugubre di quanto non lo fosse già, complice il silenzio tombale,
rotto solamente dall’ululato del vento che s’infilava nelle fessure arrugginite
dell’edificio. Difficile immaginare che tra quelle mura si fosse consumato
l’ultimo atto di una guerra. Percorsi in riverente silenzio il tragitto che mi
portò alla grande stanza circolare in cima alla ciminiera principale. Secondo
il rapporto di Fair, Angeal era morto proprio lì. Rimasi ad osservare quel
luogo come se fosse sacro, impaurito dall’idea di entrare all’interno e
inzozzare quell’intonsa tomba con la mia sudicia presenza. Un candido manto
nevoso ricopriva il pavimento, come a nascondere con la sua purezza i segni
feroci dello scontro in cui un uomo retto e giusto aveva perso la vita; o a
voler nascondere la disperazione di un ragazzo, costretto ad affrontare la
persona più vicina ad un padre che abbia mai avuto. Come a voler nascondere le
conseguenze della mia codardia. Non ressi all’indulgenza che la natura mi
concesse e crollai in ginocchio, disperato. Invocai perdono, mentre il senso di
colpa mi schiacciava sempre di più verso la terra. Ricordo che mi dissi che avrei
dovuto essere al suo posto. Angeal era un uomo onesto, buono, giusto. Non
meritava di morire. Non in quel modo. Così anche Genesis, il quale, nonostante
le sue centinaia di difetti, lui voleva fare del bene, così come aveva fatto a
Banora. Voleva allargare quel desiderio al mondo e vedeva nella Compagnia il
modo per farlo. Peccato che si siano fatti traviare dalla falsa promessa di
gloria e onore imperituri sciorinata dalla campagna di reclutamento SOLDIER. E
Hollander strappò loro le anime, nel momento stesso in cui entrarono in quel
cilindro di contenimento, cancellando col mako la loro innocenza
adolescenziale. E i loro propositi. Genesis si fece abbagliare dalla gloria,
dal fervente desiderio di prendere il mio posto e Angeal storpiò i suoi
preconcetti sull’onore adattandoli allo schifo che affrontava ogni giorno. Avrei
dovuto capire che la loro mente provinciale e ingenua non avrebbe mai retto la
cruda realtà dei fatti: SOLDIER è una tana di mostri e io ne sono il signore.
Per quanto non ami questo appellativo, tuttavia, non posso che sentirmi
responsabile per ogni singolo uomo marchiato come SOLDIER.
Con loro, ho fallito.
Non merito di portare quell’uniforme, quei
gradi, quel titolo. Non sono nessuno, sono un uomo senza onore, senza identità,
senza spina dorsale. Per certi versi non sono nemmeno un essere umano.
Come posso pretendere che la mia famiglia
possa camminare a testa alta? Che razza di idea si farà di me mia figlia?
Proprio nel momento in cui la paranoia mi
stava risucchiando nel suo nero abisso, un fruscio d’ali attirò la mia
attenzione. Il mio sguardo venne accolto dalla figura irremovibile e solenne di
una grossa fiera d’argento. Sulla sua spalla sinistra un’enorme, singola ala
bianca si inerpicava verso il cielo bianco latte. Nonostante la luce
opprimente, l’essere sembrava rilucere di aura splendente. Le neve accarezzava
la sua corazza gentilmente, silente, quieta. Tutto di quell’essere suggeriva mitezza
e pace, ma la mia proverbiale sfiducia nei confronti di tutto e tutti, mi portò
ad ignorare ciò che la mia mente mi suggeriva e lasciare che l’istinto prendesse
il sopravvento. La mano della spada corse verso l’elsa della Masamune, però
tutto ciò che le mie dita afferrarono fu l’aria. Fu in quel momento che
rimembrai gli intenti che mi avevano guidato lì, quel giorno: fare ammenda, o
almeno provarci. La belva continuava a fissarmi nella sua statuaria e composta
postura e fu solo quando riportai la mia attenzione su di lei che emise uno
sbuffo, scuotendo la testa. Le protuberanze dorate che dondolavano alla base
delle orecchie similmente a degli orecchini, emisero un lieve tintinnio, quasi
impercettibile; eppure, per me, fu come un boato capace di scuotermi da capo a
piedi. Mio malgrado, deglutii. Quel gesto così semplice, così… amichevole mi
cadde sulle spalle come un macigno e, subito dopo, un lampo di riconoscimento
sovrappose l’immagine dell’impassibile essere alato con l’ultima immagine di un
vecchio amico.
Angeal…?
Il canale a due vie…
L’esperimento più riuscito di Hollander.
Una creatura capace di trasferire tratti
genici su altri, così che possano acquisire caratteristiche totalmente nuove, ma
tipiche del soggetto originale.
Project G.
Tutte le informazioni riguardo quest’ultimo
esplosero dalla mia memoria, vorticando nella mia testa, incatenandosi l’un
l’altra. Compresi il piano di Angeal, del suo voltafaccia finale a scapito di
Genesis, della sua determinata intenzione di mettere fine alla sua vita. Ogni
sua azione era volta a distruggere il suo corpo e trasformarsi in qualcosa di
meno riconoscibile. Ma a che pro? Lo capii nell’istante dopo, quando infranse
la sua immobilità e mosse i primi passi nella mia direzione. Con la lunga coda,
egli iniziò a tracciare qualcosa sulla neve.
Scrisse una sola parola: ‘Proteggili’.
Quasi mi commosse il suo incrollabile senso
del dovere. Nonostante i peccati commessi, la morte delle persone a lui care,
gli esperimenti, la follia; lui pensava agli altri. E scelse me per portare
avanti le sue intenzioni. Ero l’ultimo rimasto, quello che era riuscito a
sfuggire ai velenosi tentacoli di Hollander, quello più forte di tutti.
Angeal lo diceva sempre: “I più forti
devono proteggere i più deboli.”
Dopodiché, la fiera si librò nel cielo,
seguito da una scia di piume bianche, di cui una la conservo al fine di
rimembrarmi dell’obbligo preso.
Temo che tempi duri arriveranno… Questo era
solo il preludio, la prova generale. Sento che Genesis non è morto. Almeno, il
suo spirito credo aleggi ancora tra il confine tra la vita e la morte. Nel
rapporto, infatti, Fair afferma che, prima di lanciarsi nel Lifestream, Genesis
ha pronunciato questa frase:
If this world seeks my destruction… it goes with me.
[Se questo mondo desidera la mia
distruzione… allora verrà con me. Genesis, FFVII:CC]
Una promessa contenente un minaccioso intento e un ancor più
celato significato, a cui solo pochi possono dire di comprenderlo appieno. Se
Angeal è stato in grado di ritornare sotto forma di fiera sebbene il suo corpo
originale sia andato distrutto, non vedo perché Genesis non possa fare lo
stesso. Nei vari rapporti concernenti le Cellule J, ho letto che questo tipo di
cellule sono dotate di grandi doti rigenerative. Alcuni ritengono che un individuo
dotato di queste particolari strutture, se messo a contatto con sufficiente
energia, possa essere in grado di rigenerare totalmente il proprio corpo, a
patto che ce ne sia una quantità sufficiente. Questo processo è chiamato
‘Riunione’. Genesis ha creato migliaia di copie di sé e ha totale accesso al
Lifestream in quanto parte di esso. Potrebbe davvero essere in grado di
ritornare dalla morte…
Ciò mi fa pensare al modo peculiare in cui solevo intendermi
con i miei compagni, soprattutto durante le battaglie. I nostri movimenti erano
fin troppo coordinati. Era qualcosa di più della semplice abitudine, perché ci
è venuto sin da subito. Quasi come se… fossi in grado di leggere le loro menti.
Come se tra noi ci fosse una sorta di legame mentale.
No… un legame… cellulare.
Eppure io non sono stato così coinvolto nella crisi come
loro. Forse perché provengo da un diverso programma? Ma non ho trovato mai
traccia di un progetto parallelo a quello G… almeno non a Midgar. La Shinra ha
centinaia di siti di ricerca segreti sparsi per il mondo, tuttavia un luogo
papabile a questo fine può essere il luogo dove passai i primi anni della mia
infanzia. Sfortunatamente non ricordo la localizzazione, a causa della mia
troppo giovane età e per il fatto che girai parecchi laboratori in quegli anni,
prima di stabilirmi definitivamente a Midgar. Ricordo, però, che si trattava di
una grossa magione tra le montagne. La prossima volta che tornerò in servizio
dovrò controllare l’ubicazione di quei siti scientifici, anche se temo che sarà
una dura ricerca, dal momento che sono passati quasi trent’anni e potrebbe essere
stata dismessa o distrutta. I risultati, comunque, devono essere stati
conservati in un qualche modo, perché Hojo è troppo geloso del suo lavoro per
gettarlo nei rifiuti, soprattutto la parte che mi concerne. No, quella magione
con il suo esplosivo contenuto deve essere ancora nascosta lassù, tra la neve e
il ghiaccio. E questa volta sono determinato ad andare fino in fondo. Devo
capire per che cosa sono morti i miei amici e che cosa la Shinra cerca
d’infangare a tutti i costi. Devo conoscere il mio nemico se voglio mantenere
fede al mio giuramento. E quel nemico è il folle desiderio di dominio, tanto da
trasformare uomini in mostri creati per un solo scopo: distruggere. Dentro di
noi è stato impiantato qualcosa di più velenoso del mako stesso, qualcosa che
ci rende uniti e che non ci permette di perderci definitivamente nel Flusso
Vitale.
Mi sovviene il sogno che mi perseguita negli ultimi tempi.
Che accade ad un corpo vivo se immerso nel Lifestream? Muore per davvero? O la
sua coscienza continua a vivere in esso, trasformandosi in qualcos’altro? Che
quel sogno non sia solo opera della mia paranoia, ma una vera e propria visione
del futuro? Talvolta Aerith è in grado di conoscere l’esito di eventi che
devono ancora succedersi, semplicemente ascoltando le voci dall’aldilà, ma è un
evento abbastanza raro. Che anch’io abbia questa capacità? Ho sempre avuto la
terribile sensazione che quegli incubi non siano semplici prodotti del mio
inconscio, ma veri e propri messaggi dal futuro. Le sensazioni sono così reali,
così tangibili da perpetrare anche nello stato cosciente. E non svaniscono
nell’oblio, come se la mia mente effettivamente registrasse e ascoltasse quei
messaggi. Ricordo, infatti, ogni benché minimo dettaglio, anche se ogni volta
scopro particolari sempre diversi, poiché la loro nitidezza si fa sempre più
chiara ogni qualvolta che mi si ripropongono. Che sia una sorta di
comunicazione? Ma CHI sarebbe il mittente di questi messaggi? Il Lifestream?
O qualcun altro?
La chiave di questo enigma sono queste fantomatiche Cellule
J. E’ chiaro che siano loro a rendere questa ‘Riunione’ possibile e a donare ai
soggetti sottoposti ad esso abilità superiori a qualunque SOLDIER, ma da dove
provengono? Come sono state create?
Non vi sono rapporti in letteratura riguardanti la loro scoperta
o caratteristiche dettagliate, si sa soltanto che sono state usate, come se non
fosse necessario spiegarlo.
Come se tutti lo sapessero…
Odio tutto questo mistero, il quale non fa altro che
aumentare la mia angoscia riguardo le mie origini.
Cosa mi hanno fatto?
Cosa scorre nelle mie vene?
Cosa
sono io?
////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Scrive. Da
ore, credo. Al freddo, sotto a questa terribile pioggia. E’ totalmente zuppo
d’acqua, eppure continua a scrivere. A scrivere e pensare. Pensieri tristi,
pensieri orribili. E domande, domande a non finire che lo intrappolano in un
abisso di angoscia. Vuole sapere, ma non è ancora il suo momento. Prego non
arrivi mai. Ma lui lo vede, il suo futuro. Il terribile fato a cui il Pianeta
lo ha destinato, lui lo vede ogni notte. Non capisce cosa sia, solo perché non
lo ha ancora accettato. Lui non me ne parla, ma ogni notte sogno con lui le
stesse cose. Non se ne rende conto, rapito com’è dall’incubo, ma io gli sono
accanto tutto il tempo. Lo stringo e piango. Lui si agita e lo stringo ancora
più forte. Inizio a cantare. Intono quella canzone che ama, quella che canto
anche a nostra figlia per farla addormentare. A quel punto le visioni scemano,
ma solo per qualche ora, il tempo di riposare e poi non riesce più a dormire.
Spesso rimane a letto con me a guardarmi fino a che la notte volge in giorno;
oppure, se sono sveglia, facciamo l’amore. In quei momenti, la mia ansia
conosce requie, vedendolo così sereno e conscia che Jenova lo sta lasciando in
pace. Ma poi ci sono nottate come queste, dove nemmeno una tempesta è in grado
di richiamarlo al mio fianco. Così vicino, eppure così lontano. Jenova lo tiene
in pugno. Devo stare attenta. Lei è una suocera molto possessiva.
Mi
avvicino con discrezione e lui chiude il diario di colpo, appena avverte i miei
passi. Mi fermo. Meglio non andare oltre. Mi accomodo sul posto in cui sono, a
qualche passo da lui. Avverto il suo sguardo studiarmi. Io aspetto. E’ una
sorta di Guerra Fredda, bisogna essere cauti.
- Fa
freddo qui. Meglio che rientri. –, asserisce lui.
“Come
te.”, penso, ma lo tengo per me. E’ irritato. Si irrita sempre quando
interrompo il filo dei suoi pensieri.
- Non
riesco a dormire nemmeno io. Vuoi bere qualcosa con me? –, domando con
deferenza.
Sfodero
l’espressione più innocente che posso, ignorando il suo sguardo di ghiaccio. E’
palesemente sull’attenti e ciò mi fa infuriare. Perché mi allontani nel momento del bisogno?
- Ho
comprato il saké. –, aggiungo.
Un
bagliore malizioso spazza via il gelo nel suo sguardo. Colpisco nel segno.
Sebbene non sia un gran bevitore, so che l’alcol è l’unico antidoto contro la
sua troppo fervida mente. Lo aiuta a rallentarla.
Rientriamo.
L’atmosfera è ancora un po’ tesa, ma almeno siamo all’asciutto. Mi dirigo verso
la cucina, mentre lui si spoglia dei suoi vestiti inzuppati. Quando ritorno, è
di nuovo immerso nelle sue elucubrazioni, vestito soltanto di una coperta e un
pantalone bagnato. Non che se ne renda conto. Lo raggiungo, e, interponendo il
vassoio tra noi, riempio un bicchiere per ciascuno per poi porgli il suo.
Senza dire
una parola, ingolla il suo sorso con un movimento fluido.
- Kampai, comunque. -, rimbecco un po’
piccata.
Lui m’ignora
e mi porge il bicchiere, con un gesto automatico. Ancora. La scena si ripete
per qualche altro silenzioso giro. Non è un sakè particolarmente forte, ma
comunque fa il suo dovere.
- Scusa
per prima. E’ che… è un periodaccio. –, esordisce, passandosi la mano tra i
capelli, senza, tuttavia, rivolgermi lo sguardo.
- Sono tua
moglie. I “periodacci” di mio marito sono anche i miei. –, spiego io paziente,
cercando un contatto visivo, invano.
Si è
aperto un piccolo spiraglio, per cui decido per un approccio più diretto: mi
posiziono alle sue spalle e poso le mie mani sui suoi trapezi. Dolcemente,
inizio a massaggiarglieli, senza dimenticare la base del collo e la cervicale.
Avverto i suoi muscoli tesissimi sciogliersi sotto il calore delle mie dita e
capisco che posso osare ancora di più. Dal collo, scendo lungo i pettorali,
accarezzando la pelle gelida e ancora umida. Lo abbraccio, facendo aderire il
mio corpo alla sua schiena, mentre la mia testa affonda nell’incavo della sua
spalla. Baci delicati accarezzano il lato del collo e la linea della mascella.
Nonostante le premure, sembra che nessuna reazione sia in procinto di
scatenarsi, poiché continua ad osservare il nulla con espressione totalmente
assente. Bisogna avere pazienza.
- Angeal e
Genesis sono… morti… -
Quella
frase inaspettata, portatrice di una terribile notizia, proferita con una
neutralità agghiacciante, stronca ogni mia effusione. Con gli occhi grandi
dallo stupore alzo lo sguardo verso di lui. Ancora mi ignora.
- Mi
dispiace… -, enuncio con un filo di voce, cercando di mascherare la profonda
pena e dispiacere nati nel mio cuore.
Lui
annuisce automaticamente, senza forze. Lo stringo con più enfasi, strofinando
la mia fronte contro la sua guancia, in una sorta di carezza.
- Mi
dispiace veramente tanto, amore mio. –
Gli inizio
a dare piccoli baci sul lato del collo, sulla guancia, sulla tempia, mentre gli
accarezzo i capelli, il viso. Continua combattere caparbiamente contro le mie
effusioni, ignorandole con tutte le sue forze, ma poi mi accorgo del respiro
pesante ed affannato, dell’espressione corrucciata, delle palpebre chiuse
saldamente… Non vuole piangere. Sta usando la freddezza per celare il dolore. No, amore mio, non devi. Non con me.
- Va tutto
bene, amore mio. Ci sono io qui con te. –
Quelle
parole sussurrate all’orecchio danno l’effetto sperato. Finalmente, riesce a guardarmi.
E appena posa il suo sguardo sul mio viso, lacrime amare iniziano a scorrere
lungo le sue guance. Appena ciò accade, lui subito si volta verso di me,
stringendomi con una disperazione tale da togliermi quasi il respiro; per poi
affondare il suo viso nel suo rifugio sicuro. Prorompe in un pianto pieno di
amarezza e rimpianto, mentre le sue dita stringono la stoffa del mio kimono
fino allo stremo. Gli accarezzo la nuca con gesti dolci e gentili, baciandogli il
collo di tanto in tanto. La stretta delle sue falangi si fa sempre più
disperata e vigorosa, come se avesse paura che, da un momento all’altro, potrei
sfumare nell’aria senza lasciare più alcuna traccia. Le sue labbra sfiorano il
mio collo, il suo naso accarezza la mia guancia, le sue mani mi spingono contro
il suo corpo: ogni azione è dotata di una esasperazione tale tanto da farmi
pensare che sia l’ultima possibilità che ha di poter godere della mia presenza.
Come se mi stesse per perdere.
- Cosa
c’è, Sephiroth? –
Per un
lungo istante, lui sembra ignorare la domanda, continuando con le sue dolci
effusioni; ma poi, esce dal suo rifugio, senza, tuttavia, sciogliere il suo
stretto abbraccio. Mi fissa per un lungo istante con uno sguardo capace di
pugnalarmi direttamente al cuore, tanto esso è afflitto. Le lacrime continuano
a scendere copiose da quei laghi di giada.
Apre la
bocca due, tre volte, ma non riesce a proferire alcun suono, tanto la sua
disperazione gli offusca la mente e gli stringe il cuore. Per incoraggiarlo,
gli poso la mano sulla guancia e gli regalo un dolce sorriso. Le sue iridi
s’illuminano di una luce spaventata e un gemito sfugge dalle sue labbra. Si
allontana come se fosse stato scottato e fa per andarsene. Rimango interdetta,
stupita e affranta da quanto in fretta egli mi sia sfuggito dalle mani.
- Ti
prego, no… non tagliarmi fuori… -, imploro, scattando in piedi, appena lo vedo
inforcare l’uscio.
La voce è
uscita rotta e stridula, segno di una profonda ferita inferta dritta al cuore. Ti prego, Sephiroth, apri il tuo cuore…
Lui scuote
la testa, greve, poi la volge appena al di sopra della sua spalla, tuttavia
senza avere l’ardire di alzarla abbastanza da permettere ai suoi occhi
d’incrociare i miei. Non osa farlo.
- Non
posso… -
Muovo un
passo.
-
Sephiroth…-, un altro, - io sono qui…-, un altro ancora, - proprio qui. – e un
terzo passo.
I suoi
pugni si serrano e avverto le ossa scrocchiare dallo sforzo. Ogni suo muscolo
teso, intento a sovrastare quello che credo essere un ennesimo attacco d’ira.
Ignoro i segnali dall’allarme e muovo l’ultimo passo, il quale mi permette di
allungare il braccio e finalmente toccarlo. Tuttavia, prima che ciò avvenga,
egli si volta di scatto. La sua espressione, contrariamente alle aspettative, è
rotta dal dolore. Un dolore sconfinato, struggente, disumano.
- Per
quanto ancora? –
Quella
disperazione prorompe in tutta la sua pienezza attraverso quell’unica,
angosciante, domanda. Sento il mio cuore subire un singulto e, istintivamente,
ritraggo la mano per poggiarla sul petto. Lui mi guarda, il viso d’angelo
rigate da lacrime amare, ebbro di terrore, perduto e totalmente spogliato di
qualunque corazza.
- Se perdo
anche te… tanto vale scomparire nel Lifestream. –
Un’altra
stilettata al cuore mi spezza il respiro, alla sola menzione alla sua
dipartita. Non lo merita, Eveth, non lo
merita tutto questo. Perché? Che colpa ne ha lui?
- Ogni
cosa che creo è destinata a venire distrutta. Ogni cosa. –, la sua voce è
ridotta a un soffio sottile.
Come a
sottolineare il concetto, il suo sguardo va appuntarsi su un punto preciso alle
mie spalle. La nostra camera da letto. Dove, in questo momento, Takara sta
riposando.
Una scossa
di terrore, ribrezzo e furia mi attraversa il corpo, rinvigorendomi di una
terribile determinazione, la quale mi dona lo slancio per coprire l’ultima
distanza tra noi.
- No! Non
lo permetterò. -, esclamo, afferrando con forza il viso di Sephiroth,
costringendolo a guardarmi dritto negli occhi, - Non permetterò a nessuno di
fare del male né a te, né a Takara. Dovesse essere anche il Pianeta stesso. –
Affondo le
mia dita nel suo viso, avvicinandolo con più foga al mio. I suoi occhi sono
spalancati dallo stupore e dalla meraviglia. Non credo si aspettasse una tale
reazione da parte mia.
- Non si
può combattere un intero Pianeta, Eve… -, puntualizza, sebbene ci sia una punta
d’incertezza nella sua voce.
Io sorrido
malevola e lo guardo con tenerezza, quasi a sottolineare la sua adorabile
ingenuità.
- Insieme,
mio dolce Generale… possiamo. –, sussurro con dolcezza.
Le sue
iridi risplendono di fierezza e ammirazione, oltre aver ritrovato la speranza.
Non resisto e lo bacio con foga, costringendo le sue labbra sulle mie. Avverto
i lati della sua bocca alzarsi verso l’alto e ciò non fa altro che eccitarmi
ancora di più.
Tuttavia…
Mi stacco da Sephiroth e mi giro verso di te…
Maliziosa e malevola ti osservo.
-Piaciuto lo spettacolo… Cloud? –
Mi sveglio
di soprassalto, scattando seduto. Il sogno si perde in un tunnel di oblio,
mentre la sensazione di essere spinto via dalla mia stessa mente mi riporta
alla realtà. L’unica cosa rimasta impressa sono gli occhi di fuoco di quella
donna, capaci di insinuarmi il disagio direttamente nelle ossa e molto più in
profondità di quanto possa mai fare suo marito in mille vite.
Tutto
preso dalle immagini della visione non mi rendo conto di una presenza accanto
al mio letto, se non troppo tardi; cioè quando una mano guantata mi si appone sulla
bocca e il naso, impedendomi respirare. Vengo di nuovo spinto supino e la
pressione della mano sulle mie vie respiratorie si fa più forte. Totalmente nel
panico, cerco di lottare, dimenandomi, ma le mie esigue forze non sono in grado
di vincere quella forza sovrumana. A causa di ciò, la mia riserva di ossigeno
finisce ben presto, così come i miei tentativi di liberarmi. Mentre
l’incoscienza inizia a prendere il sopravvento, uso gli ultimi brandelli di
razionalità per carpire l’identità del mio assassino.
Occhi blu… bagliore mako… capelli
rossi…
- Even if the morrow
is barren of promises, nothing shall forestall my return. [Anche se
il domani è arido di promesse, niente impedirà il mio ritorno. LOVELESS, Act V]
–
Gen…e…sis?
Salve a tutti popolo di EFP! Dopo quasi un
anno di assenza finalmente ritorno con un succulente capitolo tutto nuovo.
Chiedo umilmente scusa per questa infinita attesa, ma dopo l’esperienza non
esattamente andata a buon fine ho attraversato un periodo di crisi nera in cui
non avevo la più pallida di che fare nella mia vita. Ora le cose sembrano
andare meglio e, infatti, sono in Australia! Il sogno di una vita si è
realizzato, permettendomi di raggiungere una sorta di pace interiore.
Riguardo la storia, come avevo già
preventivato nel capitolo scorso ormai manca poco alla fine di questa fic,
quindi preparatevi che i prossimi capitoli saranno caldissimi. Già il finale di
questo è particolarmente d’impatto e l’entrata in scena così repentina del
nostro gingerino preferito non preannuncia niente di buono. O forse sì? Spero
di pubblicare il prossimo capitolo con una tempistica più umana, ma in teoria
ora come ora non dovrebbe essere difficile, dal momento che sono finalmente
arrivata dove non vedevo l’ora di arrivare!
Bene, concludo augurando a tutti un buon 2018
e ci si sente alla prossima!
Besos
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Capitolo 26 *** Takara ***
26.Takara
-MAMMA! -
La vocetta squillante di mia figlia mi evoca
dall’altra parte della casa, trasudando la sua solita vena impaziente. Scuoto
la testa, mentre me la rido sotto i baffi. Quando la raggiungo sulla veranda,
la piccola mi attende con le braccia conserte e l’espressione imbronciata.
Inutile dire che non riesce proprio a sembrare intimidatoria.
- Non fai per niente paura, sai? E comunque
non vai da nessuna parte senza un cappellino. -, le dico rivolgendole un
sorrisino furbetto, mentre le appongo l’indumento sulla capigliatura selvaggia.
La bambina grugnisce, offesa e capricciosa, ma
il suo umore cambia in meno di un battito di ciglia, appena il suo nuovo
giocattolo le si struscia alla gambina, attirando la sua attenzione.
- Meow, se sorridi sei molto più carina,
sai? –
E’ il giocattolo più strano che abbia mai
visto: è una sorta di robot a forma di gatto, ma è in grado di muoversi e
parlare autonomamente. Quando Sephiroth
lo regalò a nostra figlia lo trovai davvero inquietante. E anche tutt’ora lo
penso, ma Takara lo adora alla follia. Non so bene cosa ci trovi, ma sono
piuttosto convinta che lo apprezzi solo perché è un presente di suo padre. L’unica
nota positiva che personalmente riesco a trovare sono le modifiche approntate
da Sephiroth stesso, affinché quel gatto sia capace di vegliare su nostra
figlia.
- L’ho
equipaggiato con alcune Materie difensive molto potenti, sebbene spero non le
debba mai usare. -
Sorrido a questo ricordo e alla dolcezza con
cui Sephiroth guardava sua figlia giocare giuliva col suo giocattolo nuovo. Mi
manca tanto, ma ben presto, lui sarà solo mio. Lo hanno richiamato per la sua
ultima missione, mi ha garantito.
In tutto questo, Natsu è in piedi accanto
alla colonna delle scale e, appoggiata al suo bastone, assiste alla scena. Ella
scuote la testa, fissando il felino.
- Non mi ci abituerò mai a quell’affare. –,
commenta, contrariata.
Ridacchio, mentre guardo mia figlia
coccolare il suo adorato Neko, come le
piace chiamarlo; sebbene quest’ultimo asserisce di chiamarsi Caith Sith.
- Su, Takara, andiamo. -, dice la nonnina,
porgendo la mano alla nipote, - Tu sei sicura di non venire? -, chiede poi
rivolgendosi a me.
-Si', baba. Il piccolo fa un po’ le bizze in
questi giorni. –, rispondo, passandomi la mano sul ventre. Comincia già ad arrotondarsi,
sebbene sia solo al terzo mese. Istintivamente sorrido, mentre le mie mani si
chiudono a coppa attorno a quella piccola collinetta, immaginando di accogliere
il mio bambino nei miei palmi.
Natsu mi rivolge un sorriso rassicurante,
mentre Takara attira la sua attenzione, scuotendole la mano, impaziente di
andare.
- Va bene, Takara. Andiamo. Tu riposati, onee-chan. –
Detto questo, le due iniziano ad avviarsi
giù per le scale.
- Lo farò. –, rispondo; poi mi rivolgo a
Takara, - Ciao, principessa! Fai la brava. –
La piccola si volta ed annuisce con
decisione per poi rispondere al mio saluto scuotendo la sua minuscola manina.
Le guardo dirigersi verso il paese, seguite
a ruota dal gatto-robot, prima di rientrare. Mi sento stanca in questi giorni e
sento la necessità di stare un po' da sola per riappropriarmi di miei ritmi.
Takara è diventata iperattiva da quando ha iniziato a camminare, costringendo
me e Natsu a correre da ogni parte. Piccola diavoletta. Sorrido da sola a quel
pensiero e inizio a sistemare un po' la casa, recuperando i giocattoli che mia
figlia ama disseminare ovunque. Con l’intenzione di rimetterli al loro posto,
mi dirigo canticchiando verso il soggiorno, dove abbiamo sistemato la cassa dei
giochi di Takara. Appena varco la porta, mi accorgo di una presenza scura e
allampanata che sbarra l’entrata principale, gettando un’inquietante e tagliente
ombra lungo tutta la stanza. Sobbalzo dallo spavento e lascio cadere ciò che ho
in mano. La sua figura è in controluce e fatico a metterne a fuoco i dettagli,
ma la sagoma mi ricorda quella di mio marito. C'è qualcosa che stona, tuttavia.
-Sephiroth? -, domando, apponendo la mano
sopra gli occhi, al fine di proteggerli dalla luce abbagliante.
-Per tua sfortuna, no... Sakura. -
Sgrano gli occhi. E' da parecchio che
nessuno mi si rivolge con quel nome; ma la cosa che più mi stupisce è l’identità
di quella voce.
No, non può
essere...
-Genesis...? -, chiedo, mentre un sorriso malvagio
fa capolino tra le tenebre, - No, tu sei morto. -
L'uomo alza il mento, superbo, e si liscia
la pelle del viso con la mano: noto solo ora i segni del degrado.
- Diciamo che non sono né morto né vivo.
Sono in un limbo di agonia e sofferenza. Incapace di vivere, quanto di morire. -
Non faccio in tempo a metabolizzare il
significato di quella frase, che una mano guantata mi si avvolge attorno la
gola, mentre tutto il mio corpo viene sollevato e scaraventato contro la parete
alle mie spalle. Un dolore sordo si dipana dal retro della testa a tutta la
schiena, stordendomi. Il suo viso deformato dall'odio si avvicina al mio,
mentre un languido e sconcio sguardo scivola voglioso sul mio corpo, causandomi
una scossa di disgusto.
-Sai,-, esordisce in tono mellifluo,-non c’è
stata notte in cui non avrei voluto essere al posto di Sephiroth. -
A quella allusione, avverto la furia
avvampare nel petto. La mia espressione s’indurisce, diventando truce. Sebbene
quelle dita mi stiano strangolando, riesco a replicare.
- Tu avresti… avresti SEMPRE voluto essere
Sephiroth... -, avverto la sua stretta farsi più debole, permettendomi di
abbassare la testa e guardarlo in tralice, - Ma indovina, Comandante… tu non lo sei e non lo sarai mai. –
Un sorriso malvagio mi deforma il viso,
dando peso alle parole appena proferite, le quali, come un maglio, lo
colpiscono dritto nell’orgoglio. I suoi occhi blu mako s’incendiano di un’ira
cieca e terribile.
- Questo lo vedremo! -, ruggisce, ebbro
d’invidia.
Veloce come una vipera, la sua bocca crolla
sulla mia, facendomi sbattere di nuovo la testa al muro; tuttavia ho la
freddezza di mordergli il labbro. Lui si stacca, gemendo. Cerco di
divincolarmi, ma la stretta attorno al collo si è rifatta inaspettatamente più
serrata. Le mie mani corrono a cercare di allentare quella morsa d'acciaio. Lui,
lentamente, si volta verso di me, rivolgendomi uno spaventoso sguardo carico
d’odio. Dalle labbra scende un rigolo di sangue scurissimo, quasi nero, che attraversa
quell’epidermide degradata, inondando le crepe della pelle, creando un intrico
sempre più fitto ed esteso. Come un fiume con i suoi infiniti affluenti.
Nonostante la mia netta inferiorità, comunque,
non lo temo. Ha fatto soffrire troppe persone, tra cui il mio Sephiroth. Non
merita alcuna pietà.
- Visto? Non sei nemmeno in grado di
baciarmi, miserabile verme. –
Genesis urla di rabbia e la sua mano libera
si chiude in pugno, impattando sul mio viso.
Per un attimo, tutto diventa nero e
silenzioso, tanto da credere che mi abbia staccato la testa. Poi, lentamente,
ombre iniziano a fare capolino dalla mia visuale periferica e un fastidioso
fischio fa da sottofondo alla mia confusione. Volto la testa in una direzione
imprecisata e lo vedo. Riesco appena a metterlo a fuoco, che lui mi sovrasta e
circonda il mio collo con entrambe le mani. La pressione è tale da chiudere
totalmente le vie respiratorie. Apro la bocca in cerca d’aria, invano. Cerco di
lottare contro quella presa, invano. L’unica cosa che posso fare è guardare.
Fissare i suoi occhi brillare di furia omicida, concentrarmi sulla bava
nerastra e schiumosa formarsi ai lati della bocca, mirare il mio sangue
sporcargli quella pelle grigiastra ed insana. Contemplare la capitolazione della
vanagloria, la miserabilità dell’uomo e la vittoria soverchiante del mostro.
Dopo un periodo infinito, durante il quale
il tempo è sembrato stiracchiarsi, scricchiolii poco rassicuranti giungono al
mio udito. Le ossa del collo non resisteranno a lungo sotto quella pressione
disumana.
Non voglio
morire, penso, terrorizzata. Poi, mi sovviene
di non essere sola in questo momento.
Non POSSO
morire!
Rinvigorita di una disperata forza, faccio
correre la mano verso i miei capelli. Inizio a tastarmi la chioma. Il tempo a
mia disposizione sta scadendo in fretta e il terrore di non farcela comincia a
strisciare sottopelle, rendendomi vulnerabile ad un fatale panico. Sembra un
miracolo appena le mie dita percepiscono ciò che stavo cercando: la bacchetta
per i capelli. Senza indugi, mi strappo quell'affare dalle ciocche e lo dirigo
direttamente alla base del collo del mio assalitore. Osservo la sottile lamina
di metallo penetrare quei tessuti marci con una facilità impressionante, mentre
il sangue nerastro spilla fuori dalle vene danneggiate. Genesis scatta
all’indietro, mollando la presa, ululando di dolore. Inizio a tossire, ma non
ho tempo per riprendere totalmente fiato. Incamero più aria che posso e lo
spingo via con un calcio. Barcollando, mi riesco ad alzare e, grazie
all’adrenalina, ritrovo la forza per correre verso l’uscita. Sono a pochi passi
dalla salvezza, quando un dolore lancinante al ventre mi blocca. Abbasso lo
sguardo: una lama fiammeggiante di mako rosso spunta dalla mia pancia. Non
faccio in tempo a realizzare cosa mi sta succedendo, che quella lama viene
sfilata con gesto secco. Il mio corpo barcolla sotto la prepotenza dell’azione e
un grosso grumo di sangue risale dalla gola per poi venire sputato all’esterno.
Muovo un passo in avanti.
Non posso… arrendermi, ma il mio corpo è troppo compromesso,
ormai. Le gambe cedono e crollo in ginocchio. D’istinto, le mani corrono sul
mio ventre. Ma non c’è niente…solo una voragine.
Il mio
bambino...
Non so con quale coraggio oso guardare in
basso, ma lo faccio. Smetto di respirare. Un dolore devastante sovrasta ogni
altra emozione o sensazione. Inizio a piangere.
L’ho perso…
- Takara… -, evoco, esalando il mio ultimo
respiro.
_________________________________________
- Maledetta cagna. -
L'ex SOLDIER avanza verso il cadavere della
donna riversa in una pozza sempre più larga di sangue, mentre sfila dal collo
l'arma impropria. Getta la bacchetta a terra con stizza e si tampona la ferita
con la mano. S'inginocchia e studia il viso della sua vittima. Perfino nella
morte è bella come un angelo. La sua espressione viene deformata dal fastidio.
- Che spreco. -, commenta, seccato.
Un fruscio di ali richiama l'attenzione del
guerriero. Hollander.
-L'hai uccisa. -, constata, infastidito,
-Almeno hai preso la bambina? -
-La mocciosa non è in casa. -, taglia corto
Genesis, come se contemplare l’effetto delle sue azioni fosse una necessità più
impellente.
Lo scienziato sgrana gli occhi, incredulo.
-Ti sei fatto dire dov'è? -, incalza il
vecchio.
-Questa cagna non me l'avrebbe detto nemmeno
sotto tortura. -, alza le spalle, senza distogliere lo sguardo dalla donna,
-Tanto valeva divertirsi un po’. -, aggiunge, a tono più basso, tradendo un
certo risentimento.
-Sei pazzo! Sephiroth te la farà pagare per
questo! -
-Che venga...-
Genesis allunga la mano guantata verso un
oggetto immerso nel sangue. Lo solleva, mentre il plasma gocciola tra le sue
dita e lascia intravedere un anello dorato del tutto identico a quello che la
donna ha attorno all'anulare destro.
- Avrà quel che cerca. -
-Ossia? La vendetta? -
Genesis stringe l'anello nella sua morsa e
tira la catenina fino a spezzarla. Poi, alza lo sguardo verso il vecchio e
risponde:
-La verità. –
Hollander rimane in silenzio per qualche
istante, lasciando che la delusione passi.
- Che facciamo ora? –, chiede al Comandante.
- Recapitiamo la notizia al nostro caro
Generale. -, risponde Genesis, assumendo un’espressione crudele.
L’ex-SOLDIER si alza e si avvia verso
l’uscita, superando il vecchio scienziato. La grande ala nera si apre fiera
sotto il sole debole dell’inverno. Senza voltarsi, Genesis ordina:
- Brucia tutto il villaggio. –
______________________________________________________________________________________
Mentre tutto attorno a me arde, affido questa preghiera ai
miei ricordi:
Takara, mia adorata figlia,
se anche ti sentirai sola su questo Pianeta,
se anche tenderai le orecchie al silenzio,
se anche le tue parole non avranno destinatario,
sappi che la tua mamma troverà sempre il modo di
raggiungerti.
Sii forte, mia piccola guerriera,
combatti come solo tu sai fare,
dimostra al mondo che niente e nessuno potrà mai fermarti.
Ti voglio bene, mia dolce principessa.
Apro gli
occhi, lentamente, stupito dal fatto di essermi svegliato in modo normale dopo
tanto tempo. La preghiera disperata di Evelyn ancora mi echeggia nella mente e
sento che la sua supplica è indirizzata a me, affinché io possa riferirla a
Takara. Ma perché proprio adesso?
Sbatto le
palpebre un paio di volte e metto a fuoco il soffitto sovrastante. E’ fatto di
legno, noto. Ciò mi fa capire che non mi trovo nella stanza del motel a Corel,
in quanto le pareti erano fatte di cemento. Confuso, cerco di riordinare le
idee e l’ultimo ricordo che mi sovviene è l’aggressione da parte di… Genesis?
Ma certo: rimembro
bene la sua mano guantata occludermi le vie respiratorie, mentre una frase di
LOVELESS mi accompagnava verso l’oblio.
Ma sono
vivo, apparentemente. Respiro, avverto il cuore battere… ho appena sognato.
Quindi la
sua intenzione non era uccidermi. Mi ha… rapito?
Dove mi ha
portato?
Sento di
essere sdraiato su qualcosa di morbido, in un luogo accogliente, non umido o
freddo, ben illuminato e nessuna catena blocca i miei arti. Non mi considera
una minaccia, forse?
Qualcosa non
torna.
Avverto del
vociare sommesso attorno a me. Ad una voce maschile risponde una femminile. La
prima è dannatamente famigliare, mentre la seconda… anche, ma non ricordo dove
l’ho già sentita. Lentamente alzo il busto con l’intenzione di mettermi seduto.
La mia attenzione viene subito attirata proprio dal possessore della voce
maschile: Genesis. In piedi al centro della stanza in cui mi trovo, mano sul
suo fido stocco, postura ritta e fiera. Avverto i miei muscoli irrigidirsi
d’istinto. Le palpebre si assottigliano, focalizzandomi sulla minaccia. Dal
canto suo, il rosso ricambia il mio sguardo con uno molto più truce,
mascherando il fastidio serpeggiante attraverso quegli occhi offuscati dalla
superbia. Come se si sentisse letto dentro.
Ti senti in colpa, lurido verme?
- Ben svegliato,
Cloud. –
La voce
femminile mette fine alla nostra silenziosa battaglia con una nota gentile e mi
costringe a distogliere lo sguardo da Genesis. Mi rivolgo alla mia sinistra e ...
Non ci credo…, penso, rimanendo di sasso
e senza fiato, riconoscendola immediatamente, sebbene non l’abbia mai vista, se
non attraverso i ricordi di Sephiroth ed Evelyn.
Su uno
scranno, posizionato accanto al mio capezzale, elegantemente seduta, schiena
dritta e fiera, sta una ragazza dai lunghi capelli bruni. Essi le scendono
lungo la spalla destra e le si posano sul petto, come una cascata dai riflessi
color resina. Una frangia ondulata le contorna il viso di porcellana pallida
Esso è di un pallore quasi etereo, bellissimo, con tratti, sì ammorbiditi dalla
giovane età, ma, per un certo verso, duri e granitici nella loro anormale
serietà. L’insieme, tuttavia, si rivela armonioso ed elegante come una sinfonia
d’altri tempi. Labbra rosse, carnose e piene circondano il centro di una
boccuccia graziosa e si assottigliano elegantemente in direzione dei lati, come
se fossero maliziosamente alla ricerca di un bacio da rubare. E poi, ci sono
gli occhi… Esper santissimi! Non credo di aver mai visto nulla del genere.
Profondi, penetranti, dotati di un’ancestrale saggezza e un’astuta sagacia.
Occhi capaci di far abbassare lo sguardo anche al più arguto degli uomini. E
quei colori… posso quasi vedere un piccolo Flusso Vitale scorrere in quelle
iridi, il quale dona loro una sfumatura diversa di verde ogni volta che lei
sbatte le palpebre.
Il cuore mi
batte all’impazzata, mentre avverto mille sensazioni esplodere nella mia mente.
Sephiroth è impazzito dalla felicità, lo avverto scalpitare, implorarmi,
affinché io gli conceda la possibilità di emergere e parlare con lei, dopo così
tanti anni.
Non avrei mai sperato
di rivederla ancora… è diventata davvero una principessa.
Sorrido a
quella frase così da padre, immaginandomi la dolcezza con cui ora lui la sta
ammirando, sorpreso e fiero di aver creato un essere così bello e perfetto.
Ti prego, dille
qualcosa.
- Alla fine,
sei stata tu a trovarmi... –, proferisco, accogliendo la supplica del Generale,
per poi aggiungere, dopo un attimo di silenzio, - Takara. –
La ragazza
mi concede un timido sorriso d’intesa, infrangendo la sua impassibilità.
- Ho dovuto
farlo. -, ribatte lei, calma, - Prima che lo facessero altri. –
Avverto un
brivido fin troppo famigliare percorrermi la schiena. La sua voce, la sua
espressione, i suoi gesti, la sua postura… ogni cosa è spaventosamente
somigliante a Sephiroth. Questi anni di lontananza non l’hanno resa meno simile
a suo padre, a quanto pare.
Hanno ragione… lei è la tua copia in tutto e
per tutto
- Perché? –,
chiedo.
La ragazza
si fa indietro e si appoggia comodamente allo scranno, incrociando le dita sul
suo grembo, mentre le gambe vengono accavallate l’una sull’altra. La veste
lunga emette un fruscio, mentre cade di lato, scoprendo pesanti stivali di
pelle. Noto adesso che indossa un completo totalmente nero. L’abito che veste
sembra spesso e resistente, come un’armatura, e la fa sembrare più robusta di
quanto non sia in realtà. Perfino i suoi stivali hanno una suola abbastanza
spessa, tanto da donarle qualche centimetro in più. Ciò la rende austera e
seria, oltre a conferirle una certa autorità, motivo per cui, penso, lei vesta
quei panni. Tutto ciò è a scapito della giovanissima età, poiché sembra molto
più matura di quanto non sia in realtà. Anche se, temo, non sembro essere
troppo lontano dal vero.
Non era questo che
volevo per lei.
- Vuoi sapere
perché ti cercavo, Cloud? Beh, la risposta è semplice. Tu hai qualcosa che mi
appartiene. –
La sua mano
destra si allunga in quella direzione e afferra un libro appoggiato su un
comodino. La copertina nera svetta tra le sue mani bianche, mentre lei lo
maneggia con dolce premura, accarezzandone la pelle. Se lo appoggia sulla gamba
accavallata e lo osserva assorta per qualche istante, sospirando. Ciò tradisce
un complesso intrico di emozioni, di cui riesco, tuttavia, solo a scorgerne una
piccola parte. Il resto è celato dietro quella maschera di fredda perfezione. Pensieri
sepolti in profondità nel suo animo, ma che, davanti a quel libro, non può fare
a meno di mostrare.
Come se ti sentissi finalmente a casa.
Poi, come
riscossasi da un pensiero, si rivolge finalmente a me.
- Io non
provo alcun desiderio di vendetta nei tuoi confronti, Cloud Strife. -,
esordisce, guardandomi dritto negli occhi, - Capisco le tue motivazioni e le
condivido. Anch’io, in questi anni, ho cercato di fare ammenda dei peccati di
mio padre, aiutando quante più persone ho potuto, accogliendole qui, in questa
vecchia fortezza abbandonata. -, si ferma un momento, guardandosi intorno, per
poi ritornare a fissarmi, gonfiando il petto con fierezza, - Allo stesso tempo,
tuttavia, non mi vergogno nemmeno delle mie origini; poiché mio padre, come
tutti noi, ha combattuto con l’intenzione di mettere la parola ‘fine’ su questa
guerra millenaria. -, le ragazza rilassa i muscoli e aggiunge a bassa voce,
lasciando vagare lo sguardo triste su un punto imprecisato, - Non oso
immaginare in che stato i miei genitori ora vagano nell’aldilà per aver tentato
di dimostrare che la pace è possibile. –
Stringo le
labbra, lasciando intendere che la ragazza ha visto giusto.
- Ma la Shinra
non fa altro che intralciarci. -, afferma, alzando lo sguardo di scatto, la
voce vibrante di rabbia, le dita che si stringono con più forza sul libro, -
Loro non hanno mai smesso di cercare Jenova. E finché quel potere verrà usato,
chiunque ne sarà toccato, gli sarà impedito l’accesso alla Terra Promessa, per
chi si trova già nell’aldilà, come i miei genitori, o a rifluire nel
Lifestream, per chi si trova da questa parte. Come loro. –
Seguo con lo
sguardo la direzione indicata dalla mano, la quale punta verso Genesis. Lo osservo
con più attenzione e noto quanto si discosti dal giovane banoriano pieno di
vita e frizzante appartenete a un passato troppo lontano da dirsi veramente
esistito. Il tempo non è stato affatto clemente con lui. A differenza di
Takara, la quale sembra una giovane rosa in piena fioritura; egli è uno stelo
giunto al termine del suo mandato, stanco e rinsecchito da un gelido e buio
inverno. Il suo viso magro ed emaciato è quasi del tutto nascosto da una
capigliatura che ha perso la sua antica colorazione fiammante, sostituita da un
rame spento, reso ancora più chiaro da striature di capelli bianchi. La chioma
gli scivola disordinata lungo i lati del collo ben oltre le spalle, le quali
sono difese dai suoi ben conosciuti spallacci di pelle nera. Come la sua
protetta, veste completamente di nero, a parte il suo immancabile impermeabile
rosso, sebbene dell’antica gloria ne sia rimasto ben poco; poiché le sue parti
mancati sono state sostituite da dondolanti frange di pelle nera, che
rassomigliano quel cappotto ad un’accozzaglia di stracci vecchi e malandati.
Inoltre, il tessuto è talmente consunto che in alcune parti il colore
originario si è addirittura perso. L’unica caratteristica sfuggita dagli
artigli del tempo sono gli occhi scavati nella pelle mortalmente pallida. Blu
mako brillante di ira cupa e oscuro risentimento, superbia e orgoglio. E sotto
tutto questo inferno: tristezza. Infinita tristezza.
Te l’ho promesso,
vecchio mio: tu marcirai.
Poi la mia
attenzione viene catturata da un essere emergere dai piedi dello scranno e
poggiare il suo muso argentato sulla gamba di Takara. E’ una specie di pantera
ricoperta da una spessa armatura biologica di colore argento. Ciò che cattura
la mia attenzione è la doppia ala bianca apposta sulla sua spalla destra.
- Una copia
di Angeal? -, chiedo, esterrefatto, - Non credevo ce ne fossero ancora. –
Takara si
lascia scappare uno sbuffo divertito.
- Questa non
è una semplice copia. -, spiega, mentre accarezza il capo della belva, - Questo
E’ Angeal. Almeno, una parte di lui. Dopo la sua morte, egli ha suddiviso la
sua essenza in tre diversi recipienti. Questo è l’ultimo rimasto. –
Annuisco. Un
po’ come face Sephiroth con Kadaj, Yazoo e Loz.
- Che fine
hanno fatto gli altri? –, chiedo.
- La Shinra li
ha uccisi. -, risponde Genesis, infrangendo il caparbio silenzio in cui è
versato fino a questo momento. La sua espressione tradisce un forte odio per
quella società. A quanto pare, il risentimento verso ciò che gli è stato fatto
non è svanito in questi anni.
Ripercorro
rapidamente la visione di Evelyn e mi domando con quale faccia tosta Genesis
osi stare alla presenza di Takara, dopo aver massacrato senza pietà sua madre e
condotto suo padre alla follia. Non so se la ragazza sia al corrente di questo,
ma a giudicare dallo sguardo truce con il quale mi si rivolge, credo proprio
che lui le abbia taciuto la verità sulle sue orribili azioni. Cosa crede di
fare? Sostituirsi a suo padre per fare ammenda dei suoi peccati?
Viscido
Non cambi mai,
Genesis.
Un sorriso
malevolo mi deforma il viso. L’espressione dell’ex-SOLDIER vira da truce a
terrorizzata in un nanosecondo, appena carpisce il significato celato dietro
quell’azione. Impallidisce mortalmente.
- Genesis?
Che succede? -, chiede Takara, notando il malessere del rosso.
Quest’ultimo
scuote la testa e veicola lo sguardo in un angolo basso con un gesto stizzito.
Stringe l’elsa dello stocco rosso con più forza, facendo scricchiolare la pelle
dei guanti, al fine di darsi un contegno.
- Niente. -,
risponde, secco, - Vado a controllare come se la cavano di sotto con
quell’essere infernale. –, proclama, poi, nel tentativo di cavarsi d’impiccio.
Il
Comandante gira i tacchi e, in gran carriera, si avvia verso l’uscita. La
menzione a una fiera infernale, tuttavia, mi fa rendere conto di un dettaglio.
- Un
momento. -, esclamo, alzando la mano verso il Comandante.
L’ex-SOLDIER
si blocca sull’uscio. Posso avvertire il suo disappunto serpeggiare in ogni
cellula del suo corpo.
- Quale
essere infernale? –, chiedo, volgendo lo sguardo tra Genesis e Takara.
Quest’ultima mi risponde.
- E’ una
creatura che non ho mai visto prima. Ha inseguito Genesis fino a qui e per poco
non lo ha ucciso. –, la ragazza guarda l’uomo con un accenno di preoccupazione,
- Weiss chiama quell’essere Chaos. –
Sbarro gli
occhi.
Vincent!
Vincent mi ha inseguito fino a qui!
- Aspetta,
vengo anch’io! –, decido, mentre salto giù dal letto e mi avvio anch’io verso
l’uscita.
L’ex
ufficiale si volta di scatto e mi punta la spada al collo, bloccandomi sul
posto.
- Tu non vai
da nessuna parte! Non dopo tutta la fatica che ho fatto per strapparti dagli
artigli di quella bestia! –, ringhia il rosso, livido di rabbia.
Avverto
Takara alle mie spalle balzare in piedi.
- Genesis… Cosa
fai? –, chiede lei, attonita.
- Sono quasi
morto per portarti questo avanzo di Jenova e non lo farò scappare così
facilmente. –
La punta
della sua spada mi si appoggia sul collo. Il freddo metallo apre un taglio
sulla mia pelle. Io non desisto e lo osservo con aria di sfida. Accanto a me
avverto la presenza rassicurante di Sephiroth, il quale rivolge al vecchio
amico uno sguardo carico di odio.
E’ tutto tuo, Sephiroth.
- Chiunque
attenti alla tua preziosa vita deve morire, vero Genesis? –
Il rosso
desiste per un momento appena riconosce la voce del suo antico rivale.
Tuttavia, dura solo un momento e la pressione della sua spada si fa più
intensa.
- Tornatene
nel tuo vaso di Pandora, Sephiroth. O faccio fuori il tuo prezioso burattino. –,
ringhia a denti stretti.
In quel
momento, Takara mi si affianca. La sua espressione è dura e inflessibile.
Serissima.
- Genesis.
Metti giù quella spada. -, ordina perentoria. Intanto, il mostro di Angeal le
si para davanti, pronto a fare da scudo.
L’ex
SOLDIER, in primo momento, cerca d’ignorare l’ordine e stringe la spada con più
veemenza, ma la sua presa si fa incerta man mano che il tempo passa. Poi,
compie l’errore di incrociare lo sguardo di Takara e, a quel punto, perde
totalmente ogni oncia di baldanza che ha in corpo. La punta di Rapier tocca il
pavimento emettendo un suono limpido.
Takara
sospira sollevata e così la sua espressione si distende, tornando neutra. Volge
poi l’attenzione su di me e mi fissa per un lungo istante, studiosa. Mi pare di
vedere una domanda particolare agitarsi in quelle iridi di Lifestream, ma una
necessità più impellente la porta ad accantonarla. Per ora.
- Perché
vuoi vedere quel mostro? –, chiede, infatti.
Ci penso un
attimo prima di rispondere. Credo che abbia il diritto di sapere di non essere
totalmente sola al mondo, ma sono certo che a Vincent potrebbe non fare piacere
essere svelato mentre veste quelle mostruose spoglie. Per non parlare di quello
che potrebbe pensare Takara sull’argomento. Forse è meglio stare sul vago.
- Quel
mostro è un mio amico. Si chiama Vincent e, come voi, è una vittima della
Shinra. –
Tutti,
attorno a me, si fanno attenti. La bocca della ragazza si dischiude appena,
tradendo la sua sorpresa.
- Si è
tramutato in quell’essere per proteggermi. Se vede che sto bene, dovrebbe
tornare al suo aspetto originale. –
- “Dovrebbe”
… -, ripete Genesis, velenoso.
Io gli
rivolgo un’occhiata infastidita.
- Dovrebbe.
-, reitero con tono di sfida.
Improvvisamente,
Takara si avvia verso la porta, superandoci, incurante del nostro ennesimo
battibecco. Il banoriano si ridesta appena si rende conto delle intenzioni
della ragazza.
- Non vorrai
davvero dargli credito? –, prorompe, allargando le braccia e girandosi verso
Takara.
La ragazza
si ferma sull’uscio e, misuratamente, si volta verso di noi con espressione
sentenziosa stampata in viso.
- La sua
spiegazione ha senso. Dopo tutto quello che ha passato per trovarmi, a che pro
scappare ora? E poi non possiamo
lasciare che un nostro fratello soffra per un altro secondo di più. –
E senza
aspettare alcuna risposta, sparisce nel corridoio, seguita a ruota dal mostro
di Angeal. Genesis grugnisce, irritato.
- Stesso
tono da maestrina. E poi c’è chi dubita che sia davvero tua figlia… -,
commenta, rivolgendosi al vento.
Il banoriano
mi squadra dalla testa ai piedi e poi esordisce, esasperato.
- Andiamo,
sì o no? –
Le urla di
Chaos sono sempre più raccapriccianti. I sotterranei ne sono invasi, riempiti
da grida di cordoglio e rabbia cieca. Mi sento in colpa per aver costretto
Vincent a tramutarsi in quella bestia. Chissà quali ricordi ora lo stanno
tormentando. Raggiungiamo la cella a tenuta stagna dentro cui gli uomini di
Takara, o i suoi ‘fratelli’ come lei ama chiamarli, lo hanno confinato. Sebbene
quello sia acciaio temprato, la potenza di Chaos è in grado di piegarlo come
burro appena egli si accanisce un po’ di più. Quella porta, infatti, non
resisterà a lungo e, infatti, molti degli uomini stanno iniziando ad armarsi,
così da tenersi pronti per respingere l’ennesimo attacco della bestia. Appena
giungiamo nei sotterranei e tutti vedono Takara, una coperta di sbigottimento
cala nella stanza. La nostra strada, infatti, viene, bloccata dal capo di quella
combriccola. Weiss, l’Immacolato, l’ex leader di Deepground.
- Takara,
che ci fa qui? -, chiede lo Tsviet con tono sinceramente preoccupato, per poi
rivolgersi a Genesis, severo, - Pensavo di averti detto di tenerla lontano da
questa zona. –
Weiss
appunta uno sguardo d’accusa sul rosso, il quale lo sostiene con una semplice
alzata di spalle.
-Prova a
fermarla tu, se riesci. Lo sai com’è quando si mette in testa una cosa. –, commenta
l’ex SOLDIER, scoccando un’occhiataccia alla ragazza.
-
Smettetela. Sarò anche una bambina ai vostri occhi, ma sono io a comandare qui.
-, ordina seccata, mettendo fine alla discussione con un secco movimento della
mano.
Non posso
fare a meno di sorridere di fronte a quello scambio di battute e avvertire una
grande fierezza riempire il mio petto.
Non farti mettere in
piedi in testa, figlia mia.
Poi ella si
rivolge a me, appena giungiamo al limite dell’area di sicurezza.
- Avanti,
Cloud, tocca a te. –, dice, facendomi cenno di avanzare.
Prendo un
profondo respiro e mi avvio da solo verso la cella, dalla quale tonfi sempre
più forti e sempre meno rassicuranti cigolii arrivano. Appena raggiungo
l’entrata dilaniata dalle artigliate di Chaos, il mostro ringhia sommesso,
studiandomi con i grandi occhi gialli attraverso le fessure.
Buon segno, penso.
- Vincent? –
Il mostro si
fa attento e si abbassa alla mia altezza, annusando l’aria. Vedo un guizzo di
riconoscimento nelle sue iridi dorate.
- Sì,
Vincent, sono io. Sto bene, come vedi. -, la bestia continua ad ascoltarmi e
studiarmi, come se fossi la cosa più interessante del mondo.
- L’abbiamo
trovata, Vincent… Takara è qui. –
L’ex Turk
sbarra gli occhi e avverto i suoi artigli stringersi attorno al metallo, il
quale stride fastidiosamente sotto la pressione impressa. Subito dopo, egli
smette di ringhiare e abbandona la porta, ritirandosi verso il fondo buio della
cella. Tiro un sospiro di sollievo, convinto che egli si sia appartato per
ritrasformarsi nell’ombra. Appena mi giro verso la combriccola, per far segno
loro che il peggio è passato, Chaos riemerge dall’oscurità con rinnovata forza
e divelta la porta, facendola crollare a terra con un grosso tonfo. La belva mi
soprassa, schiacciandomi a terra a causa dello spostamento d’aria e si getta
verso la gente alle mie spalle.
-VINCENT NO!
-, urlo disperato, tendendo la mano nella sua direzione.
Distolgo lo
sguardo inorridito e mi preparo ad ascoltare il suono raccapricciante di corpi
squarciati, ma tutto ciò che sento è un improvviso e possente battito d’ali. La
corsa forsennata del mostro, infatti, sembra bloccarsi di colpo. Le grandi ali sono
totalmente spalancate, fungendo da bilanciere, così da evitare di cadere in
avanti per il troppo slancio, altrimenti rischierebbe di cadere sopra qualcosa
di troppo prezioso per essere travolto.
Mi alzo e
cerco di sbirciare al di là del corpo del mostro e vedo Takara ferma di fronte
a lui, fissarlo a bocca aperta.
Per attimi
infiniti, nonno e nipote rimangono a fissarsi reciprocamente, senza muovere un
singolo muscolo. Ad un certo punto, i tendini tesi di Vincent iniziano a
rilassarsi e la belva si abbassa lentamente, scendendo verso il pavimento, fino
a che non si accovaccia ai piedi della ragazza. Dal canto suo, lei segue con lo
sguardo la lenta caduta della maestosa fiera. Altri secondi d’immobilità,
durante i quali, Vincent studia il viso della nipote con una devozione
commovente. L’attimo successivo, gli artigli di Chaos si alzano in direzione
del viso della ragazza, lentamente, dolcemente. Dietro di loro, gli uomini di
Takara iniziano ad emergere dai loro nascondigli, armi alla mano, pronti a proteggere
la loro signora; ma lei li ferma con un semplice cenno. Appena gli artigli
sfiorano la guancia della ragazza, la trasformazione inizia a regredire
rapidamente. Le unghie acuminate si tramutano in mani umane, le quali sembrano
tremare di un’emozione così potente da quasi impedire a Vincent di parlare. Ma
quando ci riesce…avverto il mio sangue gelarsi.
- Lucrecia… -,
sospira l’ex Turk, scrutando ogni singolo dettaglio di quel viso così familiare
e, al contempo, sconosciuto. Le sopracciglia di Takara si corrucciano,
concentrata nel tentativo di comprendere la situazione. Vincent ha
perfettamente ragione: con quell’espressione persa, fragile e confusa stampata
in volto, la ragazza è la copia della dottoressa Crescent.
- Mi spiace,
ma io mi chiamo Takara. -, sottolinea la ragazza, addolorata.
Vincent
sorride dolcemente e afferra il viso della nipote con entrambe le mani. I
pollici le accarezzano gli zigomi.
- Certo, -,
risponde l’ex Turk con una soavità mai sentita, - ma tu le somigli moltissimo.
–
La ragazza è
ancora più confusa.
- Perdonami,
ma io non conosco questa persona. Dovrei? –
Per un
attimo, il dolore deforma l’espressione del moro. E’ terribile come Hojo abbia
cancellato la memoria di lei in modo così totale.
- E’ una
lunga storia-, spiega Vincent, dolente, abbassando gli occhi; per poi rialzarli
con rinnovata decisione, - Ma sappi questo: Lucrecia Crescent è il nome di tua
nonna. La madre di tuo padre. –, proferisce, infine, con fierezza.
L’espressione
di Takara si riempie di stupore, comprendendo la portata di quella notizia. Suo
padre non è solo un mostro nato dai disumani esperimenti della Shinra, ma una
persona. Una persona con una madre e un padre.
Alla stessa
conclusione deve essere arrivata anche Takara, poiché chiede:
- Se Lucrecia
Crescent è mia nonna e tu la conosci… tu chi sei, allora? –, con il tono di
sapere già la risposta, ma bisognoso di conferme.
Vincent
tentenna prima di rispondere.
Forza Vincent.
- Io sono
Vincent Valentine. –, proferisce con un soffio, seguito da un altro lungo
silenzio, durante il quale Vincent finalmente sembra accettare il suo vero e
unico ruolo. Un ruolo che rimpiange di non aver accettato quasi quarant’anni
fa.
- Sephiroth
è mio figlio. -, proferisce infine quasi con sollievo.
Il silenzio
si fa attonito, mentre la ragazza elabora quella notizia. Vedo mille emozioni
agitarsi nelle sue iridi multiformi, confuse come un mare in tempesta; ma poi
il sereno finalmente giunge. Così, per la prima volta da quando la conosco,
Takara si apre nel sorriso più bello che abbia mai visto: luminoso come il sole
d’estate, sebbene lacrime di gioia ne imperlino la perfezione. Ma è forse
proprio quella sincera commozione a renderlo ancora più magnifico. Di colpo, il
capo impassibile e freddo di quella combriccola di disperati, scompare,
mostrando il viso di una bambina sola e spaventata, fragile e delicata che ha
appena ritrovato un pezzo di quella famiglia che credeva perduta per sempre. E’
felice, come Sephiroth mi mostra nei suoi ricordi, e, con mesta dolcezza, egli
rivede sua moglie rinascere in quel sorriso. Avverto una dolorosa stretta al
cuore, mentre lacrime di commozione rigano anche le mie guance. Nel frattempo,
la ragazza getta le sue braccia al collo di Vincent, accogliendolo con calore
nel suo piccolo mondo. L’ex Turk ricambia l’abbraccio e inizia ad accarezzarle
i capelli, coccolandola e consolandola, mentre il suono struggente di un pianto
innocente soppianta il cordoglio rabbioso di Chaos.
- Va tutto
bene, piccola, ci sono io ora con te. Non rimarrai più sola. -
- Me lo
prometti? –
- Te lo
prometto. –
E’ una scena
che stringe il cuore, ma un pensiero mi fa morire il sorriso dalle labbra.
Con che coraggio
riuscirò a spezzare quella promessa?
Vincent… mi dispiace…
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27 Ottobre XXXX
Sono passati mesi dalla fine della Guerra e
il contemporaneo epilogo della Crisi di SOLDIER, ma i semi di quegli eventi
stanno germogliando proprio in queste ore propizie di apparente pace tra grandi
potenze. Cellule terroristiche anti-Shinra stanno nascendo in ogni angolo del
mondo, armati da ciò che rimane della Crescente e della Resistenza di Wutai,
unendo la loro voce alla ben conosciuta AVALANCHE. Gli attentati sono
all’ordine del giorno e migliaia di lavoratori innocenti ne fanno le spese.
Stime più o meno accurate indicano numeri allarmanti, paragonabili a quelli di
una guerra in corso. E forse è proprio così, ma la Shinra non se ne rende conto
e continua il suo sporco predominio, innalzandosi arrogante e ingrata sulle
spalle di quelle famiglie rimaste senza sostentamento; mentre dall’altra
tendono viziosamente la mano in un atto di finta misericordia. Perché, oramai,
essere un dipendente della Shinra equivale ad avere un bersaglio disegnato
dietro la testa; eppure non c’è altra Compagnia che sia rimasta florida e forte
nonostante le guerre, anzi si è arricchita immensamente proprio grazie a quest’ultime.
Nessuno può opporsi alla sua forsennata marcia verso il dominio assoluto e non
importa quanto forte urlino i suoi oppositori, loro troveranno sempre il modo
di zittire ogni singolo sospiro di protesta. Soprattutto se si ha il controllo
di un Reparto militare del tutto scevro da pietà ed umanità. Sebbene la sua
forza non sia più quella di una volta, SOLDIER rimane ancora quel Reparto pieno
di persone rese folli dalla sete di sangue da cui il Presidente attinge sempre
a piene mani. Soprattutto ora che ha il totale comando su di noi, in quanto il
Direttore Lazard è scomparso.
E’ stato un duro colpo sia professionalmente
che personalmente. Lui era l’unica testa dell’idra che rispettassi e che,
effettivamente, ammirassi. Prima del suo arrivo, SOLDIER era un ammasso informe
di uomini senza controllo, le cui uniche preoccupazioni erano la guerra e i
soldi. Non eravamo soldati, ma mercenari organizzati in piccole tribù costantemente
in lotta per il predominio assoluto. Come la maggior parte dei posti in cui ho
vissuto, SOLDIER era l’ennesima prigione dentro cui sarei dovuto essere
rinchiuso per tutto il resto della mia esistenza; ma, stavolta, invece di
essere solo, ero pure male accompagnato. Ricordo la prima volta che misi piede
in quella bolgia infernale. Avevo solo dodici anni. ‘La recluta più giovane
nella storia di SOLDIER’, mi definirono i
giornali a pieni polmoni. Una vanto per la Compagnia, ma nulla più che l’ultima
ruota del carro per il Reparto. Un giocattolo nuovo con cui trastullarsi nelle
lente ore di servizio. Miserabile carne fresca da triturare ed abusare fino a
vita natural durante. Fin dal primo giorno, infatti, non hanno fatto altro che
vessarmi e tormentarmi ogni singolo momento della giornata e con ogni mezzo a
loro disposizione. A quell’età, tuttavia, aveva già visto abbastanza marciume per
evitare di farmi mettere i piedi in testa da un ammasso di repressi senza
cervello. Dopo anni passati ad essere la cavia preferita di Hojo, quegli esseri
abietti non erano affatto degni avversari e risultarono essere uomini più
malleabili del previsto. Non mi ci volle molto capire il funzionamento di quel
mondo caotico, la cui unica regola era quella dettata dal più.
“Sii il meglio in ogni aspetto, solo
così ti conquisterai la loro ammirazione e il loro rispetto. Solo così li avrai
in pugno.”
Così mi venne insegnato da un vecchio
veterano, il quale mi prese stranamente in simpatia. Le sue parole furono
d’ispirazione, tant’è che non ci misi molto a raggiungere il comando dell’allora
gerarchia SOLDIER, in modi più o meno onorevoli. Poteva capitare che qualche
Capitano ricevesse una pallottola dritta in testa, o venisse pugnalato alle
spalle o il suo battaglione si rivoltasse contro di lui, o morisse in un
semplice scontro all’ultimo sangue: i modi per levare di mezzo qualche
personaggio scomodo erano centinaia, bastava avere un po’ di fantasia. La
svolta per la mia definitiva ascesa al comando di SOLDIER, tuttavia, arrivò
quando uccisi il mio mentore, da cui ereditai Masamune e battaglione.
Quest’ultimo era il più potente e numericamente superiore dell’intero Reparto
ed io ero un sedicenne in preda a turbe mentali ed ormonali. Impiegai quei
mezzi nei modi più truculenti possibili. Desideravo vedere bruciare il mondo e
godere della sofferenza altrui, così da, segretamente, nascondere la mia. Ma la
mia parte pura ed innocente, quel Bambino che non ero mai stato, sapeva che
così SOLDIER non sarebbe mai stato nulla di meglio di un manicomio per
mercenari assetati di sangue. Sfortunatamente, mi era difficile frenare quel
devastante desiderio di distruzione; poiché, nella mentalità tribale di quel
mondo, io ero l’unica autorità che contava alla Shinra. C’era chi mi riteneva
superiore perfino al Presidente stesso. E nella mente di un ragazzino che non
aveva mai avuto alcun riconoscimento nella vita era una sensazione del tutto
nuova e meravigliosa. Diventai una minaccia per il nascente impero Shinra,
così, con la scusa di una maggiore efficienza e controllo, decisero di creare una
nuova figura amministrativa a capo di SOLDIER. Come sempre accade, la Shinra
tanto mi dà e troppo mi toglie. Ottenni l’effettivo riconoscimento del mio
rango, a patto di accettare l’affiancamento di un Direttore che avrebbe
valutato ogni mia singola mossa. Al primo passo falso, sarei stato destituito. Molti
furono i Direttori che si susseguirono da quel giorno agli anni a seguire,
poiché non tutti erano tagliati per quel ruolo. Metà dei soldati avevano
imparato a temermi e rispettarmi nel periodo della mia rapida ascesa; mentre
l’altra metà aveva vissuto la propria giovinezza all’ombra del mio mito. Ne
consegue: ogni singolo agente
SOLDIER avrebbe dato la vita per me.
Ho odiato tutti i predecessore di Lazard.
Vecchi bacucchi capaci solo di sminuirmi per la mia giovane età, sebbene avessi
più esperienza di loro messi insieme. Nonostante tutto, capii che mantenere
SOLDIER allo stato in cui verteva in quei tempi non era per niente efficace e
tanto più che la mia fama cresceva, erano sempre di più i ragazzini pronti ad
entrare nelle fila del Reparto. E molti di loro non erano pronti. Fu così che
chiesi l’istituzione di un periodo di apprendistato come fante nell’esercito
regolare, a seguito un esame di ammissione, sia teorico che pratico, oltre che
il solito test di affinità mako. Fu solo con Lazard, tuttavia, che tutto questo
divenne una vera e propria prassi, mettendo fine al nepotismo di SOLDIER. Molti
rampolli venivano gettati in pasto a uomini che avevano visto e fatto cose
inimmaginabili, senza un minimo di scrupolo e del tutto privi di pietà. Per
quanto mi dispiacesse per quei poveri ragazzi vittime dell’idiozia dei propri parenti,
le regole vanno fatte rispettare, in un modo o nell’altro, e gli errori pagati.
Una lezione ogni agente SOLDIER ha imparato e spesso a carissimo prezzo.
Sotto Lazard, comunque, le cose cominciarono
ad andare per il meglio, trasformando SOLDIER in ciò che ho sempre voluto: un
Reparto rispettabile con dei veri ideali e dei veri valori. Rimasi
piacevolmente stupito nell’apprendere che finalmente il Presidente aveva
ascoltato una delle mie richieste annuali, ossia quella di affiancarmi un
Direttore con un approccio più collaborativo. Lazard era esattamente ciò che
avevo chiesto. Aveva il comando nel sangue, ma sapeva essere comprensivo e
diplomatico nelle questioni più spinose e aveva sempre la risposta pronta per
tutto. Non era affatto un uomo d’azione, ma ci teneva essere presente sul campo
nelle battaglie campali, al fine di risollevare il morale. Aveva a cuore i
sogni di ogni singolo agente. Infatti, la sua domanda peculiare era: ’
Dimmi, qual è il tuo sogno?’, seguita a
ruota da: ‘I sogni irrealizzabili sono i migliori.’ Lo chiese perfino a me, ma io non caddi nella sua trappola, perché
sapevo benissimo che i miei sogni non si sarebbero realizzati. Di contro, gli
rivoltai la sua stessa domanda con un pizzico di scherno. Il Direttore,
serissimo, disse una frase che non dimenticherò mai.
‘ Dare vita
ai sogni migliori. Perché nulla è irrealizzabile, se lo credi davvero. A quanto
pare, tu non credi per nulla in te stesso, Sephiroth. ‘
MI lasciò di stucco e, devo ammettere, senza
parole per replicare, impresa alquanto ardua. Fu in quel preciso momento che,
dopo tanti anni, avevo di fronte a me un uomo degno del mio rispetto. Infatti,
replicai: ‘No, non in me stesso, signore. Ma in lei, sì.’
Lo sguardo d’intesa che ci scambiammo fu
l’inizio di una fiorente collaborazione. La vecchia cricca di SOLDIER venne
eliminata e con l’arrivo di Angeal e Genesis ho sperato di avviarmi verso un
futuro radioso per quel Reparto che piano piano era diventato la mia famiglia.
Sì, perché è lì che, per la prima volta, mi sono sentito parte di qualcosa, che
le mie azioni avrebbero avuto delle conseguenze non solo per me, ma anche per
altre persone. Con l’avanzare dei ranghi, mi resi anche conto che le vite degli
uomini sotto il mio comando erano nelle mie mani. Capii il significato della
parola ‘responsabilità’. Ogni vita
era preziosa e io non POTEVO più sprecarne, perché perdere un uomo oggi sarebbe
significato averne uno in meno domani. Inoltre, assistere quelle famiglie piegate
dal dolore era straziante e fu ancora più terribile quando realizzai che anche
le loro speranze erano state in mano mia. Era un colpo al cuore vedere bambini
e mogli e madri e padri piangere su quei corpi che non ero riuscito a portare
in salvo e che quella perdita avrebbe completamente sconvolto le loro vite. Mi
sentivo in colpa per la mia negligenza, tanto che avrei voluto togliermi la
vita, ma Lazard aveva le parole giuste per ognuno di noi, me compreso.
“Quegli
uomini stanno aiutando il Pianeta e non hanno mai smesso di lottare. Combattono
per rendere il Lifestream più forte contro la Shinra.”
Mi stupii quando mi rivolse queste parole.
Il Direttore non mi ha mai nascosto un certo risentimento per la famiglia
Shinra anche se non ne ho mai compreso il reale motivo. Non che ne avesse tutti
i torti, credo non esista anima viva che non abbia un conto in sospeso con la
Compagnia. Con il loro sporco tocco hanno infangato tante, TROPPE vite. In
effetti, non mi stupisco che esistano gli attivisti anti-Shinra.
La guerra non è mai finita e mai lo sarà,
almeno finché questa realtà esisterà, finché i reattori mako continueranno a
succhiare la vita del Pianeta, finché il Lifestream continuerà ad alimentare le
nostre case, ci sarà sempre qualcuno da combattere. Il problema, ahimè, è che
la forza e la fiducia di SOLDIER sono giunti al loro capolinea oramai. Le
regole, i criteri, l’ordine costruiti in anni di collaborazione sono scomparsi
assieme al Direttore. L’onore, la disciplina, la fiducia sono svanite con
Angeal. La ribalta, l’appariscenza e l’elevatura intellettuale dissolti con la
caduta di Genesis. Sono solo rimasti frammenti di quella prigione dorata dentro
cui avevo sperato di realizzare me stesso in qualche modo. Quel mondo amato e
odiato è sbiadito come un’antica fotografia, custodita gelosamente nei miei
ricordi. SOLDIER è una famiglia sventrata, sopravvissuta per miracolo alla
guerra, ma troppo ha perso per la via, menomata sia nel cuore che nel fisico. E
così sono i suoi agenti. A causa della sfiducia dilagante tra la gente comune,
una paura incondizionata si è diffusa tra il popolino, il quale cerca di esorcizzare
questo timore con il disprezzo. Durante la Crisi ci sono state centinaia le
campagne contro il Reparto, additandoci come pericolosi assassini
pluripremiati. La pressione mediatica è stata così asfissiante da costringere
la Compagnia a ritirare qualunque tipo di assistenza ai SOLDIER invalidi. In
pochi giorni, centinaia di uomini che hanno vissuto esperienze scioccanti e
traumatiche hanno visto il rispetto del popolo scomparire davanti ai loro
occhi, la loro vita agiata strappata dalle mani e gettati in mezzo alla strada
senza uno straccio di aiuto. Vedo ogni giorno, per le strade di Midgar,
ex-compagni lasciati a morire di fame lungo i marciapiedi, sotto lo sguardo
incurante della folla. Uomini incapaci di lavorare normalmente, dopo aver
conosciuto il morso della guerra. Uomini distrutti sia nel corpo che nella
mente, sacrificate per un futuro migliore per le proprie famiglie, ma di cui,
ora, non è rimasto più niente. Proprio la scorsa settimana, mi stavo recando al
lavoro e ho assistito a questa scena pietosa. Un gruppo di bulletti aveva
attirato in una strada secondaria un senzatetto e lo aveva aggredito. L’uomo
non era in grado di proteggersi da solo, poiché le sue gambe erano ridotte a
due miseri moncherini, mentre le sue mani erano state entrambe amputate.
Riconobbi il bagliore mako balenare per un attimo soltanto in quegli occhi
gonfi dalle troppe percosse e annegate nella rassegnazione del proprio destino.
Avvertii l’ira avvampare nel mio petto. Non conoscevo quell’uomo, ma non potevo
accettare che, dopo tutto quello che aveva sacrificato, venisse trattato in
quel modo. Da un gruppo di ragazzini viziati, tra l’altro. Intervenni,
cacciando quei mocciosi da quel vicolo con la mia solo nefasta presenza.
Scapparono a gambe levate, quegli inutili codardi. Erano in sette e hanno avuto
paura di un singolo uomo. Nella loro visione ristretta era più facile prendersela
con un poveraccio mutilato e impossibilitato a scappare che un guerriero in
piena forma. Lo aiutati a risalire sul suo carretto sgangherato, mentre cercavo
di valutare le sue condizioni. Il corpo aveva perso molto della sua antica
solidità, di cui ne rimanevano solo flebili tracce, ma era ancora forte
abbastanza da reggere un barbarico assalto. Aveva qualche taglio e tumefazione
che spiccava da sotto i vestiti fatti di stracci, ma nulla di grave. Sebbene ci
provai con tutte le mie forze, non riuscii a non fissare le ferite di guerra.
Degli arti inferiori non vi era quasi nessuna traccia, se non per un terzo di
coscia per parte, i quali gli permettevano d’inserirsi comodamente in quel
carretto di fortuna. Gli arti superiori erano stati amputati all’altezza dei
due polsi, poco sotto la nocetta dell’ulna. La pelle, nel punto d’appoggio, era
piena di ferite e tagli, poiché niente la proteggeva dalle discrepanze del
terreno. Sul viso presentava una vistosa bruciatura sulla parte destra, la
quale si dipanava lungo tutto il collo e la spalla. Mi chiesi come si fosse
procurato quelle ferite così gravi da amputare in modo così massivo, ma non
ebbi il coraggio di domandarlo. Andai per deduzione, attingendo alla mia
esperienza, e arrivai alla conclusione che una bomba lo avesse ridotto in
quello stato pietoso. Come se mi avesse letto nel pensiero, egli mi rivelò di
essere uno dei sopravvissuti di Meijin. Lo fissai a lungo allibito. Non ero al
corrente che anche degli agenti SOLDIER erano rimasti coinvolti in quello
scellerato attacco aereo ordinato da quello spocchioso ragazzino viziato di
Rufus Shinra. Avvertii un’altra ondata di furia cieca prendere possesso di ogni
cellula del mio corpo e mai come allora desiderai ammazzare ogni singolo
componente di quella famiglia di mostri senza cuore. Trovai, inoltre,
tragicamente inquietante il fatto che quell’uomo fosse uno degli agenti
affidati a Genesis. Uno del suo battaglione, a cui, però, non era stato fatto
il lavaggio del cervello. In ogni caso, non è che il suo destino lo avrebbe
veicolato verso un fato migliore. Storpio, ma vivo, o mostro morente? Scelta
ardua, ma tenni queste considerazioni per me. Lo portai in ospedale e mi
assicurai che ricevesse ogni cosa di cui avesse bisogno. Mi accollai le sue
spese sanitarie e gli assicurai un posto in cui spendere la sua degenza in modo
dignitoso. Ho scoperto che a Kalm esiste un centro per i trattamento dei feriti
di guerra. Trattano perfino soggetti con disturbi mentali gravi, come la PTSD.
E’ estremamente costoso, ma non m’importa. Sebbene non siano più nell’esercito,
quei poveracci là fuori hanno servito la loro patria, credendo in un ideale
fasullo ed effimero che gli ha guidati verso una via di autodistruzione. Come
tutti, sono vittime della Shinra. Ragazzi che hanno visto la loro giovane vita
andare in frantumi troppo presto, destinati a morire soli, accolti soltanto dal
disprezzo di un popolo che una volta li adorava e abbandonati da quella stessa
Compagnia in cui hanno riposto il loro futuro. Hanno creduto alle bugie di un
folle visionario e donato il loro corpo ad una scienza malata e perversa,
alimentando così il giogo calato su questo Pianeta sfiancato da un famelico
parassita. Sono il loro Generale, l’unica autorità davvero schierata dalla loro
parte e che possa condividere e comprendere i dolori vissuti; oltre che essere
dotata dell’umanità necessaria per rimarginare le ferite inferte dai gelidi
artigli della vita. Da quel giorno, dopo il lavoro, mi aggiro per i quartieri
malfamati della città alla ricerca di qualche commilitone bisognoso di aiuto.
Ho provato a stanziare fondi per la costruzione di un centro come quello di
Kalm, qui a Midgar, ma la sua realizzazione richiede tempi troppo lunghi. Il
piano urbanistico della città si sta totalmente rivisitando e i soldi vengono
tutti concentrati sulla creazione di nuovi impianti per la circolazione del
mako. Il fine è quello di rendere lo scorrimento dell’energia planetaria più
efficiente. Inoltre, ci sono voci di corridoio circa l’intenzione di costruire
un cannone simile a quello di Junon, ma molto più potente. Il progetto
sembrerebbe coinvolgere i sette reattori-pilastro del Piatto come fonte di
energia. E’ il disegno di un’arma terribile. Nessuno ha mai davvero concepito
l’intenzione di concentrare così tanta energia mako in un solo punto; ma al
Presidente non importa del rischio. E’ diventato paranoico da quando Genesis ha
dimostrato quanto la città sia vulnerabile, a causa dell’esiguità delle sue
difese esterne e dalla slealtà che la corrode dall’interno. Poiché, senza
Lazard, il piano di Genesis non avrebbe mai preso piede. Il perfetto Direttore di
SOLDIER si è dimostrato indegno della fiducia riposta esattamente come i suoi
agenti. Ricerche effettuate dai Turks hanno scoperto che Lazard finanziava con
i soldi della Compagnia i progetti scellerati di Hollander e Genesis. Senza di
lui, lo scienziato e l’ex Comandante non avrebbero mai avuto il loro esercito
di copie assetate di sangue. Non avrebbero mai avuto accesso a tutti i
macchinari per trasformare civili innocenti in mostri senza volontà. Senza di
lui, Hollander non sarebbe mai scappato dalla sua prigione a Junon.
A causa di quest’ultimo evento, copie di
Genesis e mostri si stanno diffondendo in tutto il globo. Segno che Hollander
ha ripreso i suoi folli esperimenti, perseguendo caparbio il suo progetto di
vendetta. Centinaia e centinaia di segnalazioni inondano il centralino ogni
santo giorno. E tutti provenienti da zone in cui sono presenti reattori mako
collegati con le viscere del Pianeta. Che cosa staranno tramando? Che Genesis
sia veramente ancora vivo?
Anche Midgar è invasa da queste bestie
immonde, soprattutto le zone degli Slums.
Mi reco spesso a casa loro o alla Chiesa, al
fine di controllare le condizioni di Aerith e di Elmyra. Non che ce ne sia un
reale bisogno, dal momento che il giovane Fair pedina la ragazza peggio degli
stessi Turks che la controllano. Il neo-First si è davvero preso una gigantesca
cotta. Non posso dargli torto, in effetti. La piccola Cetra è cresciuta in modo
davvero magistrale e non c’è assolutamente da stupirsi che ogni uomo le cada
letteralmente ai piedi. Inoltre, ha un carattere così adorabile e dolce che è
impossibile non venirne attratti. Per quanto m’infastidisca il fatto che il
gongaghiano ronzi attorno ad Aerith, provandoci scelleratamente, Fair è, forse,
l’opzione migliore al momento. Spesso Elmyra mi punzecchia su questo dettaglio,
siccome ho spesso mostrato segni di gelosia nei confronti di Aerith. L’ho vista
praticamente crescere e mi è difficile accettare il fatto che da quella bambina
pura e immacolata sia sbocciata una donna desiderabile e ammaliante. Il
pensiero che un altro uomo, qualunque uomo, possa in un qualche modo
inquinare la sua innocenza mi disgusta oltremodo.
MI scappa da ridere al pensiero che questo
stesso discorso l’ho affrontato nei confronti di mia figlia. Takara ha compiuto
un anno da poco e già ha uno stuolo di proposte di matrimonio da parte di tutti
i padri di figli maschi di Honijin. Lei è l’ultima arrivata nel villaggio, per
cui tutti s’industriano per tentare di accaparrarsi il posto prima degli altri.
Non credetti alle mie orecchie quando Evelyn mi rivelò questo fatto e rimasi
ancor più stupito quando mi resi conto che per lei era assolutamente normale
prassi.
“Takara è
diversa da tutti gli altri. Ha dei tratti che a Wutai sono rarissimi da trovare
e ciò piace tanto agli uomini. E’ successo anche a me. Non hai idea di quante
proposte di matrimonio ho ricevuto proprio per il mio aspetto.”
Wutai ha davvero un popolo peculiare: sono
così attaccati alle loro tradizioni, alla loro patria, alla loro integrità;
eppure non disdegnano il diverso, anzi spesso lo accettano di buon grado.
Soprattutto in fatto di donne. Evelyn è riuscita a garantirsi un futuro proprio
grazie ai suoi sfavillanti e rarissimi occhi color smeraldo e ai tratti
leggermente orientali. Tutte caratteristiche che, unite alla sua naturale
bellezza mozzafiato, attiravano gli uomini come api sul miele. E nemmeno io sono
rimasto immune a tutto ciò. Come dicevo, tuttavia, per mia figlia il discorso è
totalmente diverso. Per quanto ci sia brava gente nel villaggio, il solo
pensiero che uno solo di quei mocciosi sbavanti osi solo pensare a
Takara in quel senso mi vien voglia d’impiccarli con le loro stesse parti
intime. Lei è la mia bambina e
nessuno potrà mai portarmela via.
Evelyn e Natsu risero quando esposi loro
questo concetto, a mio avviso, insindacabile, asserendo che la piccola non
sarebbe stata per niente d’accordo quando l’evenienza si presenterà. Mi dissero
che prima o poi avrei dovuto accettare che la mia bambina non sarebbe stata per
sempre con noi.
“L’uccellino
abbandona il nido, presto o tardi.”, ha
affermato Evelyn, guardando nostra figlia con malinconia e, nello stesso tempo,
accarezzandosi il ventre.
Non posso credere di stare per diventare
padre per la seconda volta. Avverto un misto di gioia e trepidazione alla sola
menzione e non posso che sorridere di cuore ripensando a quella piccola vita in
pieno fermento. Sono così impaziente di conoscerlo o conoscerla. Chissà quali
novità porterà? Io spero assomigli a mia moglie, poiché, devo ammetterlo,
Takara è la mia copia in tutto per tutto. Sebbene sia molto piccola si è
rivelata avere una personalità carismatica e decisa. Non ama ricevere ordini e
battibecca per ogni minima ingiustizia, sfiancando l’avversario fino a che non
ottiene ciò che vuole. Ha una mente deliziosa, arguta e scattante, curiosa e
analitica. Trovo meraviglioso osservarla quando scopre qualcosa di nuovo, di
come goffamente lo analizza e lo testa, al fine di giungere ad un’ipotesi tutta
sua. Ipotesi spesso errata, ma è impossibile farle cambiare idea. E’ molto
testarda. E la testardaggine e la determinazione sono una miscela esplosiva,
dal momento che oltre a non cambiare assolutamente idea, lei le difende a spada
tratta, come se ne andasse della sua stessa vita. Ritengo adorabili lei e sua
madre, mentre discutono animatamente su controversie futili, ma che poi, con
l’avanzare della diatriba, si trasformano in vere e proprie questioni di
principio. Evelyn spesso deve chiedere il mio intervento o quello di Natsu per
sperare di aver una qualche speranza contro una sempre più infuriata Takara. E
quando la piccola si arrabbia è davvero terribile. Sono quei momenti in cui di
nuovo quelle domande dilanianti ritornano a galla. Sebbene Takara stia
trascorrendo un’infanzia del tutto normale, spesso essa manifesta comportamenti
totalmente anormali per una bambina di quell’età. L’ira, ad esempio. Un normale
infante sfocia in capricci plateali del tutto insensati dalla durata più o meno
lunga, ma tutt’al più sono semplicemente noiosi da sopportare; Takara, al
contrario, diventa fredda e rigida, sia nell’aspetto che nella postura. Spesso
si ferisce i palmi delle mani da quanto forte stringe i pugni. Ciò che più ci
terrorizza, invece, è lo sguardo. I suoi occhi si spalancano totalmente,
mettendo in totale mostra le iridi pulsanti di mako verde e, al centro di esse,
le pupille. Lunghe, affusolate, non
umane. Quel momento, dura solo un secondo, poi sbatte le palpebre e tutto
torna normale. Dopo queste crisi, Takara scorda qualunque cosa sia accaduta nei
minuti prima dell’evento. Si sente solo molto stanca e, spesso, si addormenta.
Al suo risveglio ritorna ad essere la bambina solare e allegra che abbiamo
amato sin dal primo momento. Evelyn vorrebbe portarla da un medico, ma sarebbe
inutile. Io SO cos’ha…
La Bestia
Come temevo, quella maledizione è passata
anche a lei. Quell’istinto infernale di voler uccidere e massacrare ogni
singolo essere vivente sulla faccia del Pianeta è presente nel suo essere. E non solo. Anche quel desiderio che ci
richiama alle stelle, il desiderio di solcare l’intero universo, il desiderio
di sentirci liberi nel buio assoluto. Spesso, nel cuore della notte, Takara si
sveglia e si affaccia alla finestra della nostra camera, fissando il cielo
notturno e limpido. I primi tempi la intimavo a tornare a letto, ma poi ho
realizzato che, come me, non può farne a meno: quell’istinto è insito nel suo
DNA. Quel DNA nefasto che le ho trasmesso.
Non volevo che questo fardello cadesse su
altri, men che meno alla mia bambina. Certe volte, nel silenzio della notte, la
osservo dormire beata nel suo lettino e l’eco di una voce sinistra mi invoglia
a prendere quel cucino e premerglielo sul viso. Spesso devo ricorrere all’auto
punizione per evitare di cedere a quegli istinti. Tante volte mi sono morso le
labbra o le mani fino al sanguinamento per distogliere l’attenzione da mia
figlia. Scappo in bagno per lavare via quel sangue, ma non è così facile.
Spesso rimango ad osservare i rigoli convoluti e vermigli formatasi nell’acqua.
Una spirale di sangue. Una spirale in cui la mia stessa esistenza è stata
incatenata.
Sono figlio del peccato. Sono nato nel sangue
e morirò nel sangue. Ma mia figlia… mia figlia è diversa. Mia figlia DEVE
essere diversa. Il Pianeta deve avere pietà di lei. IO ho commesso l’errore e
me ne assumo la piena responsabilità.
Gaia, ti prego, lasciala in pace. Lei è
vittima del mio egoismo e, a differenza di me, lei può scegliere il suo
destino. Ti prego, accoglila nelle tue grazie e donale un’esistenza ricca di
gioie. I dolori lasciali a me, li accetto volentieri per lei.
Non so quante volte ho rivolto al Pianeta
questa preghiera fra lacrime e sangue. Non so nemmeno se qualcuno abbia mai
teso orecchio alle mie richieste. Se davvero gli antichi Cetra possono
ascoltarci mi chiedo perché continuino ad ignorarmi. Ma la risposta, io, la so
già…
Progetto G
Cellule J
Mostri
Cosa sono queste Cellule J? Da dove
provengono? Da COSA provengono?
Hollander saprebbe rispondermi, magari dopo
un’adeguata sessione di torture, costringerei quel vecchio a darmi le risposte
che quel verme di Hojo si è divertito a tenere nascoste per tutta la mia vita.
E ne avrei anche il diritto, dal momento che lo scienziato è considerato
prigioniero di guerra. Sfortunatamente, è stato fatto evadere qualche settimana
fa. Zack non è stato in grado d’impedire la sua fuga. Purtroppo sono arrivato
troppo tardi per dargli il giusto supporto. Mi ci è voluto molto più tempo del
previsto per convincere il Turk-pilota a deviare il percorso per Modeo verso
Junon. Come dicevo qualche pagina addietro, la mia autorità comincia a
risentire della sfiducia riposta negli alti ranghi del Reparto. E io non posso
che dare loro ragione. Da quando Genesis e Angeal sono scomparsi, la mia lealtà
nella Compagnia è morta con loro. Ormai, non m’importa più nulla- non che me ne
sia mai importato-, ma è ben evidente a tutti che la mia sopportazione a tutto
questo schifo è arrivata a un pericoloso limite. C’è chi si chiede come avrò
intenzione di andarmene: da disertore o da eroe?
Per quanto non ami nessuno dei due
appellativi, credo che il mio ultimo atto da Generale SOLDIER sia quello di
dimostrare che non tutti sono come i due banoriani. Non ho assoluta intenzione
di gettare ulteriore fango su un onore già di suo compromesso. SOLDIER fu la
mia prima famiglia, uno dei pochi luoghi che ho potuto chiamare ‘casa’, un
luogo che è stato il punto di partenza per la costruzione di questo presente.
Se non fossi mai stato in SOLDIER non sarei mai andato in guerra, non avrei mai
conosciuto mia moglie e non avrei mai avuto mia figlia. SOLDIER mi ha reso un
uomo con un futuro, nonostante il mio passato tenebroso. Se c’era una luce alla
fine di questo tunnel, il Reparto mi ha aiutato a trovarla. Tuttavia, è un
fardello troppo pesante da portare sulla strada imboccata. La mia nuova vita mi
aspetta lontano da questo. La vita normale ed ordinaria che ho sempre sognato è
al di là del baratro. E’ un salto importante che può spaventare, ma le mie
donne mi attendono e io non ho intenzione di farle aspettare oltre. Come non ho
nessuna intenzione di abbandonare il Reparto senza averlo prima dotato di un
futuro dignitoso. Motivo per il quale ho preso sotto la mia ala protettrice il
giovane Zack. Non tanto per addestrarlo a combattere –per quello ha già fatto
un lavoro egregio Angeal-, ma per addestrarlo al comando. Gli sto insegnando
tutto quello che ho imparato in lunghi anni di servizio. Lo porto con me nelle
varie missioni anti-AVALANCHE o pulizia mostri, concedendogli il comando di
piccoli contingenti; lo coinvolgo nelle decisioni strategiche; mi affianca
nelle indagini riguardanti gli strani fenomeni di sparizione di personale
Shinra; considero la sua opinione decisiva per la valutazione delle nuove
reclute. Queste ultime lo stanno iniziando a miticizzare, prendendolo come
esempio. Lui è molto fiero di questo, mi confidò una volta Aerith. Credo che lo
veda come un modo per mantenere gli ideali di Angeal intatti, nonostante le
azioni del suo mentore. Zack non ha mai accettato che l’onore del suo maestro
venisse infangato in quel modo; appena può lui lo difende a spada tratta.
Sciorina i concetti di sogni, disciplina e onore esattamente come avrebbe fatto
il banoriano, segno di come li tiene ben serbati nel cuore. Non c’è che dire,
Zack è il degno successore di Angeal e io sono felice che almeno una parte di
lui sia rimasta legata a questo mondo. Inoltre sono grato del fatto che,
nonostante ciò che ha passato, Fair abbia mantenuto quel suo atteggiamento
allegro e solare, capace di fare colpo su tutti. E’ un uomo onesto e sincero,
il volto ideale a cui dare vita a questo Reparto sfiancato. In effetti, la
vecchia cricca di SOLDIER non è del tutto scomparsa.
Io
persisto.
Ed è il momento di andarsene e lasciare spazio
a chi davvero si è meritato il rango che ricopro. Zack è partito dal fondo e ha
scalato i ranghi grazie alle sua abilità e non a sporchi trucchi e giochi di
potere. La sua modestia e umiltà è ciò che voglio lasciare al Reparto. Voglio
che mi ricordino per questo atto di estrema modestia, piuttosto della mia
disgustosa superbia. Voglio che si ricordino il sacrificio, invece
dell’omicidio.
Voglio che, quando i miei figli cresceranno,
venga loro raccontato di un uomo leale con a cuore la vita dei propri compagni,
pronto a dare la vita per loro. Un uomo che ha sacrificato il proprio orgoglio
per il bene superiore.
Voglio che si
ricordino dell’uomo, non dell’eroe.
Saaaaalve!!! Ma che brava che sono stata! Sono
riuscita a pubblicare con tempistiche umane!!! *applausi arrivano dal nulla*
(ma chi è che applaude? ndCloud, io no ndSeph, nemmeno io ndVincent, *i tre si
girano e vedono FortiX applaudire da sola, -______-‘, ndCSV)
Ehm-ehm… cooooomunque, i rari effettivi day
off e la reclusione forzata che fanno pensare ai miei coinquilini che io sia
morta hanno dato i loro frutti e finalmente il nuovo capitolo di questa serie è
uscito. Capitolo caldissimo con la (finalmente ^.^) apparizione di Takara dei
giorni nostri. Fatemi sapere che ne pensate della giovine figlia di Sephiroth.
Non avete idea di che fatica abbia fatto a riuscire a trovare un’immagine
decente e degna di un tale titolo, ma GOT è venuto in mio soccorso. Infatti, mi
sono un po’ ispirata a Daenerys di casa Targaryen, poiché ritengo che lei sia
un buon esempio di come una giovane donna possa destreggiarsi in un mondo al
maschile e prevalere. Ovviamente senza i retroscena tipici della serie della
HBO perché siamo in rating verde ricordo! (ci mancherebbe che fai fare certe
cose a mia figlia, ndSeph).
Fatemi sapere che ne pensate!
Ora scappo e mi vado un po’ godere il sole
d’estate australiano!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 27 *** Viaggio (Parte I) ***
27. Viaggio (Parte I)
Perdonami,
Vincent…
Sephiroth lo ha dichiarato più volte nel
suo
diario: Takara nasconde un potere troppo grande per essere maneggiato
da una
persona sola e, quel che è peggio, nonostante lo cerchi di
mascherare con ogni
mezzo, ella rimane pur sempre una quattordicenne. Una quattordicenne
intelligente e sveglia, ma del tutto ignara degli eventi passati.
Ciò la rende
facilmente manipolabile da un burattinaio scaltro come Genesis. Grande
capacità
oratoria, carisma ammaliante, modi cavallereschi l’hanno reso
il SOLDIER più
popolare subito dopo Sephiroth. Quest’ultimo doveva la sua
fama alle sue gesta
militari ed erano state costruite nel tempo, ma il rosso era
tutt’altro
discorso. Sebbene i numeri erano leggermente inferiori a quelli del
rivale,
Genesis raccolse accoliti lungo tutto il globo a una
velocità impressionante.
Amava stare al centro dell’attenzione ed era dannatamente
bravo a ottenere la
visibilità dei media. Ogni evento che lo vedeva protagonista
era
automaticamente un successo. A differenza di Sephiroth, il quale odiava
da
morire apparire in televisione o presenziare eventi pubblici; il
banoriano, al
contrario, sguazzava letteralmente in un brodo di giuggiole. La
Compagnia
arrivò, per un certo periodo, ad utilizzare Genesis come
portavoce degli eventi
mondani, invece di Sephiroth. Inoltre, il rosso aveva questa parlantina
prolissa e ammaliante, piena di paroloni complicati ed aristocratici,
ma dal
suono piacevole, capace d’intrattenere
l’interlocutore, indipendentemente dalla
sua cultura. Avevi sempre la sensazione di elevarti intellettualmente
ascoltando i suoi discorsi, sebbene non si capisse un terzo delle
parole
proferite. Genesis era capace di parlare per ore, senza esprimere un
mezzo
concetto e se poi capitava che finisse la sfilza di fesserie
quotidiane,
iniziava a citare LOVELESS. Fu incredibile quanto le vendite di quel
libro si
alzarono, quando il rosso cominciò ad apparire in
televisione. Questa
caratteristica fece colpo specialmente sulle donne. Perfino mia madre
se ne era
comprata una copia.
Insomma, Genesis è un manipolatore molto
più
pericoloso di Sephiroth, per certi versi. Le parole, i gesti, i modi
del
banoriano sono studiati per colpire dritto nella volontà
dell’avversario. A
differenza del rivale, il quale spegne nel sangue e nella sofferenza
ogni
singola oncia di ribellione mentale, l’ex-Comandante usa un
approccio più… delicato.
Lentamente, viscidamente, le sue parole
accarezzano col loro velenoso e dolce tocco la volontà della
vittima,
modellandola, assuefacendola, fino a che non cade nelle sue grinfie,
totalmente
inerme. Takara è un’arma troppo pericolosa per
lasciarla in mano a un uomo
senza scrupoli ed egocentrico come l’ex-SOLDIER. Devo trovare
il modo di
allontanarli e poi…
- Cosa significa tutto ciò? –
La voce pretenziosa dell’oggetto delle
mie
elucubrazioni rompe rudemente il filo dei miei pensieri, riportandomi
alla
realtà. Platealmente, Genesis esce dal suo nascondiglio con
passo deciso e
cadenzato, veicolando su di sé l’attenzione di
tutti i presenti. Vincent e
Takara sciolgono l’abbraccio, rivolgendosi verso il rosso.
L’ex-Turk si rimette
in piedi, indugiando con la mano non corazzata sulla spalla della
nipote, in
segno di protezione. La ragazza, dal canto suo, lancia una tenera
occhiata a
quella mano, apprezzando quel gesto dolce e inaspettato. Il sorriso non
ha
abbandonato le sue labbra e la sua mente è ancora stordita
dagli ultimi eventi,
tanto da non rendersi conto del tono irato del rosso.
- Quest’uomo è mio nonno. -,
cinguetta la
giovane, innocentemente, apponendo poi la sua mano su quella del
parente e
rivolgendo a quest’ultimo uno sguardo pieno di soddisfazione,
- Dopo tutto
questo tempo, è bello sapere di non essere sola al mondo.
–, aggiunge, infine,
a voce più bassa, parlando più con se stessa che
con chiunque altro.
L’espressione adorante della nipote
strappa
a Vincent un sorriso sincero e ne accoglie lo sguardo illuminato con
uno caldo
e accomodante. Genesis, tuttavia, sembra del tutto intenzionato a
interrompere
l’idillio.
- Non fare l’ingenua, Takara. Sai bene
che
nei rapporti del Progetto S non è menzionato alcun
“Vincent Valentine” o
“Lucrecia Crescent”
come donatori. –
Rimango esterrefatto dal coraggio con cui
quel viscido serpente osi menzionare con così tanta
leggerezza i terribili
esperimenti che hanno portato alla nascita di quella stirpe maledetta.
Inoltre,
sembra anche sottolineare il fatto che la normalità non
è un’opzione alla
portata di Takara. Avverto l’ira irrompere nel petto e, per
un minuscolo
istante, rischio di cedere a essa. Apro la bocca pronto a sputare il
mio
pericoloso getto di veleno, ma Vincent mi anticipa, oltraggiato dalle
menzogne
appena udite.
- Non tutto è scritto in quei rapporti.
-,
allude, infatti, l’ex-Turk, trattenendo a stento la calma, -
E comunque, questi
non sono argomenti da discutere di fronte a una bambina, signor
…-
- Takara è perfettamente informata
sull’intera vicenda. -, replica il rosso, sminuendo la
ragione di Vincent con
una sventolata di mano, per successivamente aggiungere, rivolgendosi
alla
ragazza con un ghigno viscido, - E poi, non sei più una
bambina, giusto? –
Il sorriso della giovane si è spento da
qualche minuto e al suo posto si è stanziata
un’espressione seria e studiosa.
Osserva le vicende in attento silenzio, alternando il suo sguardo tra i
due
uomini. Non capisce il motivo di tutta
quell’ostilità e non riesce a venirne a
capo.
- Cosa ti prende oggi? –, chiede poi,
ignorando
la domanda, muovendo un passo verso Genesis, staccandosi dalla presa
rassicurante di Vincent.
Il tono della giovane tradisce un malcelato
nervosismo, segno che l’arroganza dell’ex-SOLDIER
sta pizzicando corde molto
pericolose nell’autocontrollo della figlia di Sephiroth; ma
ciò che più prepone
è lo smarrimento: non credo abbia mai visto Genesis
così… incontrollabile.
Il banoriano, infatti, assume
un’espressione
strafottente e crudele, sfoggiando un viscido e arrogante sorrisetto.
Compie
due decisi passi in contrapposizione alla ragazza, sfidandola
apertamente. Poco
più di un metro li separa, ma l’ombra nera
dell’Angelo Distruttore si staglia
totalmente sulla minuta figura di Takara, sovrastandola in tutto e per
tutto.
Nonostante questo, la ragazza non arretra di un solo passo e continua
ad
attendere risposta, stoica nella sua rigida posizione. Il rosso la
guarda
dall’alto al basso quasi con disprezzo. Dopo una manciata di
secondi di
battaglia silenziosa, Genesis si lascia scappare una breve risata,
scuotendo la
testa.
- Sei come tuo padre: così bisognosa di
affetto da credere a qualunque balla che ti viene propinata. -
Gli occhi della ragazza si spalancano,
così
come la sua bocca, distruggendo totalmente la sua aura di potenza.
- Genesis… -, si guarda intorno
imbarazzata,
- Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? –, lo
apostrofa Takara, sempre
più allibita.
A quel punto, vedo Vincent sobbalzare e
fissare il rosso.
-Genesis? –, ripete il pistolero,
attirando
l’attenzione dei due, poi si rivolge a Takara, - Cosa ci fai
tu con lui? –
La ragazza aggrotta le sopracciglia,
sorpresa da quella domanda. E’ sempre più confusa.
- Lui mi ha allevata... -, spiega
semplicemente, con accenno di incertezza nella voce. Posso vedere la
sua mente
lavorare, allertata dall’olezzo di verità
nascosta.
-Esatto, nonnino. -,
aggiunge il rosso apostrofando l’epiteto con una punta di
scherno, -
Io mi sono preso cura di lei, proteggendola e amandola come se fosse
mia
figlia. –, conclude, gonfiando superbamente il petto.
Per tutto questo tempo, io sono stato un
testimone passivo degli eventi, ma quest’ultima frase ha
esaurito la mia
pazienza tutto ad un tratto. Ho sopportato troppo a lungo il teatrino
di
Genesis. Teatrino in cui lui è il protagonista assoluto e la
piccola Takara non
è altro che un’ignara vittima dei suoi
intrallazzi. Lei DEVE sapere come sono
andate le cose.
- Peccato che lei non lo sia. -, affermo
avanzando.
A quel punto, tutti gli occhi vengono
puntati su di me, compresi quelli del mio avversario. Vedo il fuoco
scaturire
nelle iridi blu del banoriano, il quale mi intima a non osare oltre.
Non
ti temo,
lurido verme.
- Lei è figlia di Sephiroth, Generale di
SOLDIER, Eroe e Protettore dei Deboli, Conquistatore di Wutai.
–, ad ogni
titolo ottenuto dal rivale, l’ira in quegli occhi blu si
mischia ad un’invidia
terribile, la quale crea una pericolosa miscela sull’orlo
della deflagrazione.
Al contrario, Takara mi ascolta affascinata, sorpresa e fiera di
derivare da un
tale lignaggio. Eredità che le è sempre stata
nascosta, facendole credere di
essere figlia di un peccato troppo grande da permetterle una qualunque
via
d’uscita. Genesis ha fatto fin troppo bene il suo lavoro.
Forte di questo,
continuo il mio discorso, aggiungendo la parte a cui Sephiroth tiene di
più.
- Oltre questo era un uomo giusto,
onorevole, disinteressato, intrappolato in un ruolo che non ha mai
voluto.
L’unica cosa che abbia mai desiderato è avere un
luogo da chiamare ‘casa’ e una
famiglia a cui tornare. -, faccio una pausa, assottigliando lo sguardo,
pronto
a rilasciare la mia stoccata finale, - Famiglia che TU gli hai portato
via! -,
proferisco, infine, a gran voce, affinché tutti possano
sentirmi.
Nella seguente manciata di secondi tutto
sembra muoversi al rallentatore. Con un urlo di pieno di rancore,
Genesis
sfodera la fiammeggiante Rapier e si getta a velocità
sovrumana nella mia
direzione, sfiorando una sbigottita Takara di un soffio. Lo vedo
balzare sopra
di me, la grande ala nera aprirsi di scatto sulla sua spalla destra in
tutto il
suo oscuro splendore. Le fiamme di mako rosso creano un arco
ascendente,
seguendo il percorso dello stocco verso la testa del suo possessore. La
punta
di Rapier viene puntata nella mia direzione. La chioma ramata sventola
tutt’attorno alla sua testa, scomposta e folle. Gli occhi blu
brillano di
un’ira cieca, desiderosi di sangue. Per un secondo, vedo
quelle iridi mutare da
blu a verde, i capelli farsi più lunghi e chiari, la lama
rossa risplendere del
chiarore bianco della Città Dimenticata. Il rosso dare
spazio al nero. Sangue
diventare oscurità.
Chiudo gli occhi e allargo le braccia,
offrendo il mio petto.
Il
mio
peccato verrà ripagato, morendo come sei morta tu, mia
Aerith.
Uno strillo straziante riempie la stanza, ma
quella che grida non è la mia voce. Confuso e deluso, riapro
gli occhi. Una
luce verde attira la mia attenzione e noto con sorpresa che
è emessa da brevi
archi di Lifestream emergenti dal terreno. Essi scorrono convulsi
attorno al
corpo del rosso, bloccato sotto la loro morsa. L’uomo osserva
quei viticci con
orrore e cerca di muoversi il meno possibile. Avverto odore di pelle
bruciata
disgustare le mie narici. Non capisco da dove venga, ma poi appunto lo
sguardo
su Genesis e capisco. All’altezza del petto, delle caviglie e
dei polsi, i
vestiti sono stati consumati, mettendo in mostra l’epidermide
sottostante, su
cui segni di profonde bruciature hanno lasciato il loro fumante segno.
Sono
ferite terribili e dolorose, a giudicare dal colore nerastro che hanno
assunto
in certe parti, dove i viticci si sono accaniti con più
veemenza. Sembra quasi
che quei tessuti siano stati… cotti.
- Takara no! Ti prego! –, implora
l’ex-SOLDIER, squittendo come un ratto in gabbia.
Alzo lo sguardo verso la ragazza e avverto
il mio respiro mozzarsi.
Come una Dea della Vita, ella risplende di
puro Lifestream. Nei suoi occhi non distinguo né pupilla,
né iride. V’è solo
luce. Unica e meravigliosa luce. Da essi, il Flusso Vitale zampilla
come acqua
di sorgente, formando un fiume che, armoniosamente,
s’inviluppa lungo le
braccia lasciate cadere lungo i fianchi. All’altezza delle
mani, chiuse in
pugno, il fiume forma un’ultima ansa, prima di scomparire
nella sua stretta. Da
lì, poi ricompare, fluido ed armonioso, per essere
inghiottito dal terreno.
E’
lei che ha evocato questi viticci, realizzo,
impressionato da questo assaggio di potere.
Sephiroth era in grado di evocare il SUO
Lifestream, ma pensavo che quello vero fosse
un’entità impossibile da piegare
al proprio volere.
A quanto pare mi sbagliavo.
La ragazza, solennemente, inizia ad avanzare
verso l’uomo intrappolato a terra. Il terrore manifestato
dall’ex-SOLDIER mi fa
pensare che sappia già cosa gli spetta. Ergo, non
è la prima volta che Takara
usa il Lifestream come arma. O come strumento di tortura. Distolgo lo
sguardo
dalla scena e lo appunto sugli uomini alle sue spalle. Molti di loro
sono
voltati od osservano un punto imprecisato. Sulle loro facce
è dipinta
un’espressione sgomenta e disgustata. Molti, ma non tutti.
Weiss, a braccia conserte
e ben piantato a terra, scruta ogni minimo momento degli eventi, con
espressione immota. Lo Tsviet si accorge che lo sto osservando e
m’invita a
guardare con un cenno della testa. Indugio un attimo sulla sua figura,
prima di
accogliere la sua richiesta. Nel frattempo, Takara si è
affiancata al suo
mentore. La luce da calda e accomodante presente nelle sue iridi
è virata a un
verde chiarissimo, quasi bianco. Gelido. E spietato. Tuttavia, lei non
lo
guarda. Lo sguardo è perduto a fissare qualcosa al di
là di ogni umana
concezione. Il rosso, intanto, cerca di raggiungerla, inerpicandosi in
quella
trappola mortale, bruciandosi di tanto in tanto. Stringe i denti: il
suo
orgoglio gl’impedisce di far ascoltare a tutti la sua
sofferenza. I suoi sforzi
vengono premiati, poiché, ad un certo punto, riesce a
toccarle lo stivale con
la punta delle dita.
- Takara, t’imploro,
ascoltami… -, supplica
con la voce rotta dalla deferenza e il dolore.
La ragazza sobbalza, oltraggiata, e si
scansa, tirando i viticci principali verso di sé. Di
conseguenza, la trappola
di Lifestream si abbassa di scatto, bruciando Genesis. Il rosso cede al
dolore
e le sue urla riecheggiano nelle segrete della fortezza. Il corpo
dell’ex-SOLDIER viene presto coperto da una bruma di tessuto
evaporato, ma ciò
non ci impedisce di vederlo contorcersi come un ossesso.
- NO! TI PREGO! TI PREGO, PERDONAMI! NOOOOO!
–
E’ una scena terrificante. Non riesco
più ad
assistere oltre. Guardo la ragazza, la quale osserva il tutto senza
un’oncia di
pietà. E’ totalmente assente, non so nemmeno se
sia veramente con noi con la
mente o persa nelle sue elucubrazioni. Non posso fare a meno di
assomigliarla a
suo padre, quelle notti in cui i suoi tormenti lo alienavano dalla
confortante
realtà famigliare.
- Takara, ora basta! –
La voce risoluta di Vincent interrompe il
flusso dei ricordi e uno strattone deciso al braccio della nipote fa
terminare
le sofferenze di Genesis. Takara si riscuote e il Lifestream si ritira,
facendola tornare in sé. La rete di viticci scompare
permettendo al rosso di
muoversi liberamente, per quanto le sue ferite gli permettano. Egli si
gira su
un fianco e si chiude in posizione fetale, mentre il dolore gli strappa
gemiti
sofferenti.
- Mettetelo in isolamento. Penserò cosa
farmene di lui. -, ordina Takara, ad un certo punto.
La sua voce è ridotta ad un soffio
flebile,
stanca. Una tormentosa lotta interiore la sta consumando. Divisa dal
desiderio
di vendetta e dal debito maturato nei confronti di
quell’uomo. Ciò che però la
tormenta più di tutto è il dubbio. Il dubbio di
essere sempre stata usata. Il
dubbio che la sua vita non è altro che una grandissima
bugia. Il dubbio che
l’uomo che l’ha cresciuta non è
ciò a cui lei ha sempre creduto.
Non volevo che questo fardello
passasse a te, figlia mia… Perdonami.
Dopo
gli
eventi delle segrete, Takara si è chiusa in un ostinato
silenzio, il quale sta
durando da tre giorni, ormai. L’ultimo ordine che ha dato
prima di scomparire è
stato quello di considerare me e Vincent come ospiti. Ci è
consentito, infatti,
di muoverci liberamente per la fortezza, ma abbiamo appreso che nessuno
è autorizzato
ad abbandonarla. Il motivo probabilmente è legato alla
segretezza di questo
luogo, considerato dai suoi abitanti una luce nel buio, un posto dove
poter
ricomporre i pezzi della propria vita spezzata e, finalmente, prenderne
le
redini. Un rifugio sicuro dai pregiudizi e l’odio del mondo
esterno, dove poter
creare la propria famiglia. Già, perché Yaido non
è abitata solo da ex
guerrieri, ma anche da donne e bambini, anch’essi vittime
delle guerre. Gente
stanca della violenza e che ha deciso di vivere sotto l’ala
protettrice di una
giovane fanciulla dal passato oscuro almeno quanto il loro. Io non mai
visto
una popolazione così variegata e pacifica, nonostante la
diversa etnia ed
estrazione sociale, essi vivono in pace e armonia. Hanno una sola cosa
in
comune: sono tutti vittime della Shinra. La maggiore percentuale dei
rifugiati,
infatti, sono ex SOLDIER. Li posso riconoscere da quel marchio
maledetto
risplendente nei loro occhi, lo stesso marchio presente nei miei, anche
se io
non ho mai militato nelle loro fila. Molti di questi sono veterani
della guerra
di Wutai. Li riconosco grazie ai ricordi di Sephiroth. Uomini che lui
stesso ha
aiutato e di cui conserva ancora le memorie dei loro visi. Rimasi
stupito
nell’apprendere che qui è ospitato perfino
quell’uomo senza gambe e mani citato
nelle memorie del Generale. E’ invecchiato, ma, rispetto
all’ultima volta che
Sephiroth lo vide, è sereno e amato dalla famiglia che
è riuscito a costruire.
Una seconda
chance…
quale straordinario privilegio.
Il
commento
triste del mio nemico esprime un’amara realtà: noi
siamo nati per essere
sacrificati. Affinché l’umanità abbia
scampo dalla guerra tra Jenova e il
Pianeta, qualcuno deve pagare.
E’ per questo che hai agito come hai
agito?
Davvero non volevi che questo fardello cadesse su altri?
-
Cloud
Strife? -
Una
voce
profonda e autoritaria mi riscuote dai pensieri bui in cui ero caduto.
Il
proprietario della voce è Weiss. Da quando Takara vive in
reclusione e Genesis
è stato imprigionato, l’impegno del comando
è ricaduto su di lui, ma non sembra
affatto risentirne. Austero e serio, sembra una roccia indistruttibile
e
incorruttibile sia dal tempo che dalla fatica. Svolge il suo ruolo con
decisione, onore e serietà. Tiene davvero tanto a questa
comunità dove lui e
suo fratello hanno finalmente trovato tregua dai loro tormenti. Almeno
l’albino.
Purtroppo, mi raccontò un giorno, Nero sta ancora
combattendo la sua guerra
contro i fantasmi, ma, con l’aiuto di Takara, ogni volta un
altro passo verso
la liberazione viene compiuto. Credo che fra tutti i suoi uomini, Weiss
sia il
più fedele e affezionato alla giovane leader di questo
piccolo mondo.
-Lei
vuole
vederti. –, dice l’Immacolato appena ottiene la mia
attenzione.
Accanto
a
me, Vincent si fa attento.
-
Solo te.
-, aggiunge poi il platinato, scoccando un’occhiata
dispiaciuta al pistolero.
Vedo
il viso
dell’ex-Turk rabbuiarsi per un secondo, per poi rivolgersi a
me con un sorriso
rassicurante.
-
Non farla
aspettare. –
L’appuntamento
è nella grande stanza-vedetta dell’ultimo piano
della torre centrale. Quando
giungo lassù, il tramonto è in pieno svolgimento
donando all’atmosfera una
colorazione calda e rassicurante, dai mille riflessi del rosso e
dell’oro. Il
cielo limpido ha una meravigliosa colorazione arancione, la quale vira
verso il
violetto mano a mano che lo sguardo devia verso Est. La foresta
sottostante
accoglie benevola il disco del sole morente, incendiandosi di rosso
scuro,
quasi bruno. Rimango ad osservare quello spettacolo, ammagliato dalle
meraviglie che la Natura ci offre ogni giorno, ma di cui noi, miseri
umani,
puntualmente ce ne dimentichiamo.
-Bellissimo,
vero? –
Takara
richiama la mia attenzione verso l’angolo su cui sta
comodamente seduta, in
bilico sulla ringhiera elaborata di legno massiccio e il busto
appoggiato alla
colonna finemente intagliata. Non veste più i panni neri e
pesanti della
signora di Yaido, ma un semplice kimono a mezza vita color panna con
rifiniture
bianche, dei pantaloni lunghi fino a poco sopra le caviglie in padant
con la
parte superiore e, ai piedi, indossa leggerissime infradito di
bambù. I capelli
dai preziosi riflessi dell’oro sono lasciati cadere lungo le
spalle, liberi di
essere catturati dalla brezza serale. Con questa luce e la maschera da
signora-drago dismessa, è davvero una meraviglia. Innocente,
pura, indifesa,
fragile… questa è la vera Takara, mi accorgo.
Quella bambina piena di vita,
solare e dolcissima che ha popolato i miei ricordi. La bambina che
Sephiroth
non può fare a meno di desiderare di riavere tra le sue
braccia. La bambina
divorata dal tormento di un peso troppo grande da sopportare.
-
Perché mi
hai fatto chiamare? -, chiedo, andando dritto al punto.
Takara
emette un mugugno divertito, senza distogliere lo sguardo
dall’oceano infuocato
sotto di lei.
-
Non ami i
preamboli, a quanto pare. -, commenta.
-
Già. Il
tempo a nostra disposizione potrebbe non essere molto. Non vedo
perché
sprecarlo con inutili giri di parole. –, spiego, incrociando
le braccia.
La
ragazza
annuisce distrattamente, poi, finalmente, mi rivolge la sua attenzione.
Appoggia la testa alla colonna alle sue spalle e mi appunta addosso uno
sguardo
curioso. Quelle pupille divenute serpentine mi scrutano con fine
interesse,
studiando ogni centimetro della mia persona, soppesando attentamente
ogni
mossa.
-
Quello che
hai detto nei sotterranei riguardo a mio padre… Lo pensi
davvero? Cioè… lui era
davvero così? –
Lo
sguardo
pieno di speranza che ella mi rivolge mi rivolta direttamente il cuore.
Deve
far male non ricordarsi nulla delle persone che ti hanno messo al
mondo.
Imbarazzato mi gratto la nuca.
Proprio a me lo chiede.
-
Sephiroth
era… -, esito in cerca delle parole giuste, - un uomo
complicato. –
Takara
sorride. Io non capisco.
-Grazie.
-,
dice.
-
Per cosa?
–
-
Per averlo
chiamato uomo. –
Rimango
interdetto, stupito per aver riconosciuto al più spietato,
sanguinario e
diabolico genocida della storia dell’umanità un
tale titolo. Per anni l’ho
considerato alla stregua di una bestia, una cane rabbioso che non
merita
nient’altro che soffrire nel modo più atroce
possibile. Tante volte mi sono
ripromesso di non osare nemmeno PENSARE di provare un minimo di
pietà nei suoi
confronti; che, semai mi fossi trovato nella situazione di doverlo
aiutare, mai
e poi mai avrei osato di tendergli la mano. Anzi, probabilmente lo
avrei spinto
ancora più in profondità nel buco infernale in
cui il Pianeta lo ha giustamente
rilegato. Ma, ora, guardo Takara, lo splendore che emana, la dolcezza
del suo
sguardo, la sua pura innocenza e mi rendo conto che, sì, da
qualche parte sotto
tutto quel marciume, Sephiroth era umano. Un umano privato di ogni tipo
di
conforto, ma che si è battuto come un leone per riuscire ad
assaggiare almeno
una piccola parte di quell’amore che ha sognato fin da
bambino. Un assaggio che
si è tramutato in un veleno che gli ha intossicato la mente
conducendolo su una
via fatta di distruzione e morte.
Amava fino a distruggere.
Sorrido
a
mia volta: non c’è più ragione di
mentire…
Tiro
fuori
il diario che Takara mi ha concesso di tenere e glielo porgo. Vedo la
sua
schiena rizzarsi e farsi attenta, puntando l’oggetto con
desiderio.
-
Credo che
tu debba leggerlo se davvero vuoi conoscere tuo padre. –
Finalmente,
ella decide di abbandonare il suo trespolo ed avvicinarsi a me con
passo
leggero e incerto. Senza smettere di fissare il libro, si ferma a pochi
passi
da me. Dopo pochi istanti, ella allunga le mani frementi di
curiosità e timore
con tutta l’intenzione di impossessarsi di ciò che
le sto offrendo e,
finalmente, conoscere l’uomo più importante della
sua vita. Quell’uomo di cui
ha sentito tanto parlare, ma di cui non può dire di aver mai
conosciuto davvero.
Tuttavia,
appena le sue mani si appoggiano sulla copertina, una potente scossa mi
colpisce dritto nel cervello, mandandomi in blackout.
Quando riapro gli occhi, mi trovo in
tutt’altro luogo. Non v’è traccia della
luce del sole morente sulle foreste infiammate
di Wutai, né del frinire del vento tra i rami degli alberi,
tanto meno il
delicato equilibrio tra la freschezza della notte e la calura
pomeridiana. E’
un luogo oscuro, soffocante, abitato da un silenzio tombale e,
soprattutto, del
tutto privo di calore. Letteralmente. Non è semplice freddo,
è qualcosa di più…
penetrante. E’ un disagio che non riesco ad identificare,
tuttavia è
terribilmente famigliare e si stringe attorno alla gola, alle ossa, al
cuore,
così da preservare il totale silenzio di questo luogo.
- Dove siamo, Cloud? –
Accanto a me Takara attende risposta.
L’espressione stampata sul suo viso lascia trasparire una
forte confusione,
oltre che il mio stesso disagio. Non ne ho la più pallida
idea: non riesco
nemmeno a capire come diavolo siamo finiti qui! Ricordo solo una
potente scossa
di energia attraversarmi violentemente il corpo non appena Takara ha
toccato il
diario…
- C’è una luce! –
La ragazza mi strappa dalle mie
elucubrazioni, puntando un flebile bagliore in fondo a quello che
sembra essere
un oscuro corridoio. Per quanto il mio istinto sia riluttante nel
seguire
quella pista, la ragione m’induce dell’opposto. In
fondo, rimanere qui non ci
aiuterà a capire ciò che sta
succedendo… Takara mi anticipa di qualche secondo
e io l’afferro per il braccio.
- Fammi andare prima. Non sappiamo cosa ci
aspetta più avanti. –
La bruna scaglia un’occhiata infastidita
alla manioche le afferra il braccio, per poi alzare gli occhi nella mia
direzione, fissandomi un istante e, infine, docilmente annuire. Inizio
ad
avanzare e, nel frattempo che ci avviamo attraverso questo corridoio di
tenebra, mi rendo conto che le mie percezioni sono totalmente
inaffidabili. E’
tutto così fumoso e ovattato, quasi impalpabile, come se i
nostri corpi e la
realtà di questo posto si trovino su due dimensioni
irrimediabilmente lontane.
Qui le leggi sono dettate dalle emozioni. Le avverto pulsare in queste
pareti,
nell’aria che fluttua attorno a noi, nel pavimento appena
accarezzato dalla
nostra pallida presenza. Sono reali, palpabili, hanno forma propria e
tengono
in piedi questo mondo. Un mondo oscuro, claustrofobico, soffocante,
tormentato.
Sephiroth…
siamo nella tua mente, vero?
Ogni risposta arriva quando varchiamo quella
soglia luminosa. Riconosco immediatamente questo nuovo luogo: si tratta
dell’appartamento di Sephiroth, nell’attico del
Golden Building. La grande
vetrata dà su un mondo totalmente anonimo, avvolto da un
grigiore così fitto da
impedirci di distinguere alcunché di Midgar. Tutta la stanza
riecheggia dell’angosciante
martellio della pioggia scrosciante sui vetri, le cui superfici sono
solcate
dalle lunghe scie lasciate da ogni singola goccia pluviale.
Lacrime. Questa parola mi attraversa la mente come
un fulmine e avverto quel gelo penetrarmi nelle ossa e bloccarmi il
cuore un
pericoloso istante. Cosa aveva detto, Sephiroth?
“…il tempo possiede un
curioso tempismo nel mutare in linea
con i miei sentimenti…”
Ingollo a vuoto e una terribile
consapevolezza inizia a farsi strada in ogni cellula del mio corpo. Mi
guardo
intorno e, nonostante ne riesca a percepire solo una minima parte,
l’appartamento sembra totalmente abbandonato a se stesso.
Riesco ad intravedere
la grande libreria, la quale sembra quasi totalmente svuotata del suo
contenuto. Quest’ultimo, infatti, è stato ridotto
a un ammasso informe di pezzi
di carta e frammenti di copertine; il tutto è stato
disseminato per tutto il
pavimento. Pesto qualcosa. Alzo il piede e vedo che si tratta di mezzo
frontespizio del libro di fiabe: ‘Le Mille e una
notte’. Mi accuccio per esaminare
meglio la scena e
mi rendo conto che Sephiroth si è accanito contro qualunque
cosa legato
all’infanzia e la famiglia.
No…
Un gemito mi strappa dalla prigione di
compassione in cui ero piombato. Con lugubre lentezza alzo lo sguardo
in
direzione della ragazza, la quale mi accorgo solo ora che mi ha
sorpassato per
analizzare qualcosa sul tavolino di vetro. La raggiungo e scopro quello
che la
sua figura m’impediva di vedere: una scatola di metallo in
cui sono stati
riuniti tutte le prove che ritraggono una famiglia unita e felice nel
loro
paradiso nascosto.
Paradiso
che
nessuno gli avrebbe mai portato via. Aveva pensato a tutto, Sephiroth.
Credeva
fossero state al sicuro…
Quanto
si
sbagliava…
Posso percepire con quale dolore e rammarico
egli si è accanito sui fogli che lo ritraevano accanto alle
persone che amava.
Odia se stesso con tutte le sue forze, vorrebbe non essere mai esistito.
La
sua
faccia strappata… quella manina da bambina stringerne
un’altra priva di
proprietario…
La mia accompagnatrice tenta di afferrare
una delle foto che ritrae la sua famiglia al completo (o quasi), ma la
sua mano
attraversa l’oggetto, come se lei fosse del tutto
inconsistente.
- Noi qui siamo solo degli spettatori. Non
si può cambiare il passato. –, spiego, in tono
solenne e greve.
- Il passato… -, ripete Takara, assente,
mentre elabora la notizia, per poi capire, - Siamo in un ricordo, vero?
Siamo
nella memoria di mio padre. –
Annuisco dolente.
Un rumore ci fa sobbalzare e dirigiamo lo
sguardo alle nostre spalle. Dalla penombra sbuca lui, Sephiroth. Si
muove
lentamente, trascinando i piedi, la schiena è ingobbita e le
braccia sono
lasciate a ciondoloni, testa bassa: sembra quasi che un macigno lo stia
schiacciando. Il suo vestiario è trasandato, sciatto,
miserabile. Rimango
stupito nel vederlo in quello stato pietoso.
Nemmeno
quando è morto era ridotto così.
Tuttavia, mi rendo conto, che il Sephiroth
che combattei all’epoca non era altro che la pallida
imitazione di ciò che era,
un abbozzo dell’uomo che era stato, divorato dal rimorso e
dalla disperazione. Il
burattino di Jenova.
Lo guardo gettarsi su un divanetto di pelle
nera totalmente spossato; gettando la testa all’indietro e le
braccia a
penzoloni. Riesco finalmente ad intravedergli il viso. La pelle
è di un grigiore
quasi mortale, esangue, rattrappita all’altezza delle guance,
le quali
risultano scarne oltremodo e ne affilano l’ovale ancora di
più. Attorno agli
occhi, pesti e scavati, posso vedere delle profonde occhiaie nerastre;
mentre
il rosso dei bulbi oculari, gonfi e lucidi, dona un tocco di colore
all’insieme, poiché le iridi sono totalmente
spente. Quel verde brillante e
glaciale che mi ha trafitto ogni singolo giorno della mia vita,
è scomparso
lasciando spazio ad un opaco grigiore. Faccio scorrere i miei occhi
lungo la
sua figura longilinea e posso notare che gli effetti delle privazioni
lo hanno
stremato totalmente. Il pomo d’Adamo svetta evidentemente dal
collo dimagrito,
così come le clavicole, i tendini delle mani e dei piedi. Le
unghie sono state
lasciate a crescere parecchio, mentre i capelli sembrano non essere
stati
curati da giorni, tanto sono arruffati e appesantiti. La figura
dell’uomo, del
SOLDATO perfetto è svanita. Sto guardando una persona che ha
perso totalmente
ogni ragione di vita, a cui più niente importa del mondo che
c’è là fuori; anzi
lo disprezza. Anzi… forse nemmeno quello. Semplicemente ha
smesso di lottare.
Si è arreso all’ineluttabile crudele
fatalità del proprio destino.
E’
morto…
E’
morto
molto prima di quanto pensassimo.
Ad un certo punto, solleva stancamente il
busto e la testa e, come una orrifica marionetta priva di
volontà, si getta in
avanti, lasciando ricadere la testa in basso. La cortina argentea
chiude il
sipario sul suo viso. Le braccia appoggiate sulle gambe si muovono e si
ritrovano a metà strada, permettendogli di afferrare con
entrambe le mani
qualcosa che teneva nella mano sinistra, celata alla nostra vista. Mi
si gela il
sangue appena riconosco l’oggetto. La foto di Evelyn. Quella
che mi ha
perseguitato da quando questa stramaledetta storia è
iniziata. La osserva per
un lunghissimo istante, per poi appoggiarla sulle pagine di un
libricino aperto
sul tavolino di vetro, accanto alla scatola.
Nell’abbandonarla, egli lascia
scorrere le dita sulla superficie, accarezzandola come se, separarsene,
fosse
l’ultima cosa che voglia fare sull’intero Pianeta.
La mano giunge sul bordo del
tavolino e cade a penzoloni. Incurante, egli cede al dolore e piange
quasi
inconsciamente. E’ un pianto silenzioso, arrendevole, stanco.
Ha un dolore così
sconfinato in quel cuore che non ha più idea di come
sfogarlo.
Takara, che fino a quel momento è
rimasta
incredula a guardare, decide di avvicinarsi e si inginocchia ai piedi
del
padre, rivolgendogli uno sguardo pieno di compassione; poi fissa il suo
sguardo
sulla mano abbandonata a pochi centimetri da lei. Posso avvertire il
desiderio
di stringergliela, affinché egli sappia che lei è
lì, pronta ad offrirgli tutto
il suo calore. Ad un certo punto, infatti, Takara cede
all’intenzione.
Ma
il passato
non si può cambiare.
Come se l’avesse avvertita, Sephiroth
nasconde la mano in una tasca, da cui tira fuori un pacchetto di
fiammiferi. Inermi,
osserviamo il Generale accenderne uno, osservarlo per un lungo istante,
combattuto, e infine prendere una della decisioni più
terribili della sua vita:
gettare quella fiamma dentro la scatola e bruciare ogni singolo ricordo
di sua
figlia. Takara, ferita, cerca di fermare la follia del padre, ma, come
ho già
detto, il passato non si può cambiare.
Ella passa attraverso alla scatola, al
tavolino, fino a che le sue mani incontrano il pavimento scuro. Il
fuoco le si
riflette sui capelli bruni, i quali s’infiammano di un
splendente dorato,
mentre il suo viso è nascosto nell’ombra. Poco
dopo qualche secondo d’immobilità,
vedo gocce amare impattare sul pavimento e il suo corpo attraversato da
dolorosi singulti.
Una profonda stilettata di pietà mi
colpisce
dritto nel cuore e l’istinto mi suggerisce di consolare la
ragazza; ma
Sephiroth si allunga per afferrare il diario e inizia a scrivere. Le
parole
vergate sulla carta si materializzano di fronte a noi, testimoni dei
pensieri
oscuri del Generale.
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E’
finita.
Ogni bel
ricordo è svanito in un mare di fiamme. Mia amata, mia
amatissima Evelyn. La
crudeltà dei tuoi aguzzini mi ha impedito di stringerti, di
saggiare la
morbidezza della tua pelle, di contemplare il tuo splendido
viso… mi hanno
impedito di stringerti a me un’ultima volta. Un’ultima dolorosa volta. Ti hanno tramutata
in incandescente, morta, sfuggevole
cenere… Sei scomparsa
dalle mie
mani, rapita dal vento. Sfuggevole come solo i sogni sanno essere. E
come tale,
meravigliosa sei stata. Ma i sogni, ahimè, durano fino a che
le fiamme del sole
non spuntano all’orizzonte. Bruciano tutto con la loro luce
spietata, gettando
ogni gioia in una mare infuocato di oblio.
Ti ho
perduto come si perdono i sogni, mia Regina. Eri la mia Luna che
rischiariva lo
scuro pozzo della mia psiche, il Faro che mi guidava attraverso il mare
burrascoso
del mio cuore, la Stella che donava pace alla mia anima tormentata. Eri
tutto
ciò che contava per me. Mi avevi salvato dalla vita
miserabile che mi era stata
cucita addosso. Mi stavi rendendo un uomo migliore di quanto mai avrei
creduto
possibile, perché Tu rendevi tutto migliore. Tu eri il Tutto. La fonte di ogni cosa.
Nulla ha
più senso, ormai.
Tutto ciò
che posso fare è assicurarti la Terra Promessa. Il Pianeta
che tiene in ostaggio
la tua anima non sarà risparmiato. Per te, mia Regina, sono
pronto a bruciare
nelle fiamme più profonde dell’Inferno. Te lo
promisi allora, quando ancora il
tuo corpo morbido era ancora pulsante e perfetto mi si mostrava agli
occhi, e
ora non verrò a meno della mia promessa. Lo sai che non lo
farò. Sai che non ti
abbandonerò mai nelle grinfie di un Pianeta ingiusto che ti
costringe a un
aldilà di miseria e disperazione. Solo per avermi concesso
la più grande gioia
che una donna potrebbe mai regalare al proprio uomo.
Il dono
della vita… una figlia...
una figlia
che non merito, un Dono così grandioso che mi vergogno
averlo inquinato con la
mia maledizione. Aver inquinato il Tuo operato con la mia
mostruosità.
Takara… troppo è sconfinato il
dolore che provo
al solo pensiero di averti abbandonata. Non riesco nemmeno a respirare.
Mia Principessa,
avrei dovuto risparmiarti questa miserabile esistenza, questo dolore
insensato,
quest’odio immotivato. Volevo che questo fardello rimanesse
sulle mie spalle. A
questo io sono stato destinato, ma tu… tu… non
lo meriti. Non meriti nulla di tutto ciò.
Vorrei
ritornare da te con tutto il mio cuore, ma non posso più
lasciarmi frenare dagli
scrupoli che, per tutta la vita, mi hanno impedito di vedere. Forse
solo così
potrò finalmente salvare tua madre. Riconoscendo la mia
natura, forse capirò
come riportare giustizia in questo mondo ingiusto e, magari,
potrò assicurarti
il futuro che meriti. Prego solo che tu possa sopravvivere fino a quel
giorno.
Ti amo,
mio Tesoro. Ti supplico, non dubitarne mai.
Te e tua
madre eravate tutto il buono che era rimasto in me.
Ora non
c’è rimasto più niente, se non un vuoto
incolmabile. E Lei.
Perdonami…
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- Papà… –, sospira
Takara, senza distogliere
lo sguardo da suo padre, mentre quel ‘Perdonami’
scompare fumoso nel nulla.
Io sono esterrefatto e tento d’inseguire
il
significato sfuggevole di quelle parole. Esse mi stanno suscitando una
pessimo
presentimento e delineano un disegno complesso e inquietante di una
storia cancellata
e riscritta per un fine sconosciuto. O meglio, temo di sapere bene quel
fine,
resterebbe solo da capire il perché. Mi guardo le mani e poi
Sephiroth…
All
you are,
it’s an empty puppet.
[Non sei
altro che una vuota marionetta, Sephiroth FFVII: ACC]
Improvvisamente, tutto attorno a noi inizia a
collassare e venire risucchiato in un punto alle nostre spalle. La
forza di
quel fenomeno è così travolgente da deformare la
realtà in cui ci troviamo. Nemmeno
noi ne siamo immuni e, senza alcuna possibilità, il buco ci
distorce e
scompariamo, roteando, all’interno di quella trappola.
L’unica cosa che riesco
a fare poco prima dell’ineluttabile è afferrare la
mano di Takara e stringerla
a me.
Chiudo gli occhi e mi concentro
completamente sulla sensazione di Takara adesa al mio corpo, alle sue
mani
artigliate alla mia maglia, al suo respiro affannato che mi accarezza
il petto,
al tamburellare impazzito del suo cuore che mi sconquassa
l’anima. Il profumo dolce
e la morbidezza di quei capelli mi attira ancora di più
verso di lei,
accendendo una strana sensazione dalle recondità
dell’inconscio.
- Cloud? Cloud! –
Mi ridesto e, appena apro gli occhi, gli
smeraldi di Takara mi accolgono. Un colpo al cuore. Rimango ad
osservarla per
un lungo istante, studiandone i lineamenti con più
attenzione, come se fossi la
prima volta che li vedo. Lo stomaco si stringe e un groppo si forma in
fondo
alla gola, mentre gli occhi si fanno lucidi. I muscoli si stringono
attorno al
corpicino della ragazza e a malapena resisto all’istinto di
accarezzarle il
viso, i capelli; per infine lasciarle un delicato bacio sulla fronte.
Dal canto
suo, lei sembra imbarazzata da quel fissare insistente e arrossisce
appena,
lasciando vagare lo sguardo nei dintorni.
- Credo che sia ora di lasciarmi. Il
pericolo sembra passato. –
- Oh… Ehm… scusami. Non so
che mi sia preso.
–
Sciolgo la morsa e cerco di ritrovare un
minimo di contegno in mezzo alla miriade di sentimenti che Sephiroth ha
pensato
bene di propinarmi.
Capisco
che
tu sia contento di riabbracciare tua figlia, ma così mi fai
sembrare un maniaco.
- Non è più il luogo di
prima. Siamo stati
trasportati da un’altra parte. Lo riconosci? –,
chiede Takara, rivolgendosi
nella mia direzione.
A quel punto, mi rendo conto che ci sono
altre priorità e quindi inizio ad analizzare il nuovo luogo
dove siamo stati
catapultati e, per poco, non mi prende un colpo.
La
Chiesa.
Muovo un paio di passi, scrutando in
direzione del giardino con i fiori, nella speranza di vedere…
Ma vengo brutalmente interrotto dal portone
che si è spalancato alla nostra sinistra.
-Takara, stammi vicino.
-, ordino.
La ragazza si affianca immediatamente.
Entrambi i nostri sguardi sono appuntati alla superficie di legno
massiccio.
Avverto i miei muscoli tendersi fino allo spasmo e il cuore sembra
volermi
esplodere direttamente nel petto. Accanto a me, Takara sembra nel mio
identico
stato d’animo. Tutto cambia appena riconosciamo
l’identità del nuovo arrivato.
-Sephiroth!
–
Una voce fin troppo famigliare attira la
nostra attenzione verso la diretta estremità
dell’edificio. E lì, la vedo…
Aerith.
Bellissima e dolce come la ricordo. La sua
treccia bruna, il suo fiocco rosa, i suoi sfolgoranti e gentili occhi
verdi, la
pelle pallida e perfetta… Svetta in mezzo ai fiori, come una
Dea. Il mio cuore
batte all’impazzata, mentre quell’amore soffocato
dal dolore si ridesta. La
guardo correre lungo la navata, con l’espressione affranta.
Una scia fumosa di
candido bianco, come il suo vestito, la insegue, per poi ricomporsi
appena si
ferma. E’ di fronte a me, ma lei non mi guarda: i suoi occhi
sono tutti per
quella bestia del suo assassino, il quale è appoggiato alla
porta con capo
basso. La Cetra si porta le mani al petto e abbassa la testa. La sua
espressione è triste e posso vedere le lacrime rigarle il
viso.
-Mi dispiace.
–
La voce della Cetra è strozzata dal
dolore e
talmente bassa che la riusciamo a udire per puro miracolo. Ella alza lo
sguardo
e, con deferenza, copre la distanza che la separa dalla sua
controparte, fino a
poggiare la sua mano sul braccio di lui.
- Mi dispiace tanto.
–
Aerith reitera con più convinzione e
cerca
di imprimere un po’ di calore al Generale, legandogli le
braccia attorno alla
vita e poggiando la testa sul suo petto. Egli non si muove, non sembra
nemmeno
aver percepito quel contatto, tanto è alienato dal dolore.
Takara
sospira. Credo invidi Aerith, credo che
ora vorrebbe trovarsi al suo posto. Forse la storia sarebbe andata
diversamente. Le appoggio la mano sulla spalla.
Dopo un lungo silenzio, le smorte labbra
dell’Angelo
dall’Unica Ala proferiscono quella domanda che ha
caratterizzato tutta la sua
vita, accompagnata dalla tenue speranza che quel girovagare impazzito
possa
infine cessare una volta per tutte.
-Perché?
Perché il
Pianeta mi odia così tanto? –
Vediamo la Cetra irrigidirsi e stringersi
con più veemenza al SOLDIER.
-Non dire
così. Il
Pianeta non odia nessuno… -
La ragazza tenta debolmente di sviare la
realtà dei fatti, ma Sephiroth prorompe come una tempesta,
attingendo da quel
poco di energia che gli è rimasta, la quale,
però, sfuma veloce come è venuta.
- Non mentirmi! Lo
so!
Tutto questo… non può essere una
coincidenza…–
In un primo momento, la figura lugubre e
terribile del soldato sovrasta la linea diafana della fanciulla
scappata qualche
passo indietro, come se volesse inghiottirla nella sua famelica ombra,
ma,
inaspettatamente, la potenza del Generale viene a meno e crolla ai
piedi di
Aerith, in un atto di disperata supplica.
- Tu parli col
Pianeta… Ti prego, Aerith… Ti prego… -
Lacrime amare scorrono lungo il viso
dell’uomo
come un fiume in piena, mentre le sue mani si aggrappano ai lembi della
gonna della
Cetra, stringendo la stoffa con tale disperazione da rischiare di
strapparla.
- Non posso
dirtelo…
mi è proibito… -
- Almeno, dimmi se
avverti la sua anima. E’ in salvo, nonostante me? –
L’espressione di Aerith si fa dolente di
fronte a quell’espressione così tragicamente
perduta. Vorrebbe, DOVREBBE
mentirgli, affinché quel terribile destino venga
dimenticato, ma come fare? Per
anni la verità lo ha evitato. E lei è troppo
affezionata a lui per entrare a
far parte di quella stessa lurida cricca. Per quanto dolorosa, la Cetra
sceglie
di perseguire quella strada insanguinata e segnare inevitabilmente il
destino
del Pianeta.
- Mi dispiace.
Lei… è
stata marchiata per sempre. –
L’espressione del Generale si sgretola
sotto
l’impeto dalla disperazione e il senso di colpa lo schiaccia
definitivamente a
terra. Ogni forza lo abbandona, mentre si accartoccia su se stesso.
- No… -
Le navate della Chiesa vengono rapidamente
invase dai singhiozzi e dalle grida inconsolabili di Sephiroth. Aerith
lo
osserva cercando di trattenere le lacrime, invano. Accanto a me, Takara
alla
fine si è arresa alla tragicità del momento e ha
distolto lo sguardo dalla
scena, stringendosi a me. Io non riesco ad ignorare la serpeggiante
sensazione
che qualcosa di terribile sta per essere rivelato.
- Forse qualcosa
puoi
fare… -
Alla fine, Aerith giunge a patti con se
stessa e proferisce quelle parole dal sapore di speranza, le quali
strappano sia
Sephiroth che la figlia dall’abisso di disperazione in cui
erano piombati. Dal
canto mio, trattengo il fiato e mi irrigidisco da capo a piedi.
Incerto, il
Generale alza la testa e appunta gli occhi grandi e liquidi dritti
sulla figura
della Cetra. La guarda come se fosse la Dea in persona, venuta
finalmente a
tendere orecchio alle sue preghiere.
- Però,
Sephiroth… ti
perderai. –
Egli scuote la testa e si propende col busto
verso di lei, tradendo la sua impazienza. Ebbro di disperazione si
eleva sulle
gambe e artiglia le braccia sottili della ragazza, per poi scuoterla
così da
indurla a spillare ogni singola oncia d’informazione. Segni
rossi spiccano là
dove gli artigli del mostro hanno impresso la loro disperata traccia.
- Non
m’importa. Cosa
devo fare? PARLA! –
- Per iniziare,
dovrai
accettare ciò che sei. –
- E cosa sono io?
–
- Tu conosci
già dove
trovare la risposta… –
A quelle criptiche parole, il SOLDIER ritira
il suo assalto e contempla per qualche istante il viso affranto della
giovane,
con il quale ella spera ancora d’infondere un minimo di
pietà in un cuore
sfibrato come quello dell’uomo. Peccato che un cuore,
Sephiroth, ormai non ce
l’abbia più. Al termine delle sue elucubrazioni,
il viso di Sephiroth si fa di
pietra e si adombra. Egli si alza fluidamente e, senza dire una singola
parola,
si avvia verso il pesante portone della Chiesa.
-
Sephiroth… ciò che
scoprirai porterà un dolore e una distruzione senza
precedenti. Sei pronto ad
accettarlo? Sei pronto a diventare quello che hai evitato di essere per
tutta
la tua vita? –
Egli si ferma sull’uscio, la mano
appoggiata
sulla maniglia. Sospira profondamente, tradendo un comprensibile e umano
timore di fronte alla realizzazione delle
conseguenze che questa drastica scelta porterà; ma, allo
stesso tempo, SA di
non aver mai avuto altre opzioni valide. Tuttavia, Sephiroth
è diventato l’Eroe
di SOLDIER proprio perché è capace di mettere da
parte i propri timori e
combattere per il bene degli altri. E questa volta, la posta in gioco
è davvero
alta.
- Se è
questo il mio
destino, sono pronto ad accettarlo. Farò di tutto per
assicurare la libertà
alla mia famiglia… e ai miei amici. -
Con le ultime parole, il Generale si volta
lentamente verso l’interno dell’edificio e appunta
il suo sguardo verso l’alto,
in direzione di una trave di sostegno della navata. Sia
io che Takara lo imitiamo e subito
distinguiamo una creatura alata identica in tutto e per tutto
all’essenza di
Angeal presente a Yaido. I due si scambiano un lungo sguardo
d’intesa.
Dopodiché, statuario quanto nella posizione tanto nella
voce, l’Angelo
si rivolge verso la donna. A differenza di prima, quando in quegli
occhi di
mako non v’era la benché minima traccia di
volontà, le iridi di Sephiroth si
sono rianimate di una nuova, fiammeggiante, terribile determinazione.
- E tu sarai pronta
a
fermarmi? –
Salve a tutti! Rieccomi con un capitolo
nuovo nuovo e anche un po’ strano. Come di consueto, chiedo
scusa per il
ritardo. Ero partita bene con questo capitolo scrivendo una buona
metà quando
ero ancora a Bunbury, ma poi il ritorno dall’Australia ha
abissato la mia
voglia di scrivere e l’ho tenuto a metà per un
mesetto, poi l’ho ripreso in
mano e poi sono arrivata a una pagina dalla fine e poi l’ho
tenuto in caldo per
mesi. Oggi finalmente mi sono decisa a finirlo, anche perché
nel frattempo
nuovi sviluppi sono saltati fuori e dovrei essere riuscita a delineare
il
finale definitivo! W ME!!! La brutta notizia è che credo che
il finale arriverà
in tempi molto più brevi di quanto preventivato,
perché gli eventi dovevano
svolgersi in modo del tutto differente. Comunque, credo che in questo
modo sia
meglio di quanto il mio schemino che NASA levate dice.
Spendiamo due parole su questo capitolo. La
prima cosa che salta all’occhio non c’è
il solito scambio di POV tra Sephiroth
e Cloud, se non per un brevissimo istante. Il motivo è che
lo stato mentale di
Sephiroth non è più comprensibile SOLO dal diario
e comunque ne svaluterei le
reali sensazioni inserendo i classici aneddoti ed elucubrazioni che
tanto ci
piacciono solo per allungare il brodo. A lui del Progetto S e degli
intrallazzi
della Shinra, in questo momento, gliene frega sì e no un
*bip*. Inoltre,
abbiamo il nostro caro CC che ci sta a spiegare cosa sta succedendo
attorno al
nostro bel platinato. E poi ne ho ventilato nello scorso capitolo,
della sua intenzione
di mollare la Shinra e le motivazioni. E poi, non so voi, ma dopo un
lutto così
pesante, credo che l’ultima cosa di cui una persona ha voglia
sia scrivere
pagine e pagine di diario, solo per vedere i propri incubi
materializzati. Io
immagino che mi terrei occupata a risolvere
certe questioni in sospeso per poi farla finita; anche
perché ricordiamo che
Sephiroth sta andando incontro alla sua morte (Più corretto
chiamarla ascensione
alla divinità ^.^
ndSeph; O mal di testa
permanente -.-‘ ndCloud; CHE HAI DETTO?!?
è.è ndS; *GULP* niente niente XD ndC,
smettetela e fatemi finire! ndFortiX) . Per saperne di più
magari potrei
pubblicare in futuro una flash-fic (di cui una buona è
metà già scritta e
risalente ai tempi delle Falkland, per dire) riguardante gli ultimi
giorni di
Sephiroth e come se la passava (immagino l’allegria, in
confronto la tomba di
Vincent è una limo-party ndC, Insensibile T.T ndS). Infine
tutto questo viaggetto
nella mente del nostro distruttore preferito è propedeutico
a spiegare il mio
piano malefico che ci introdurrà poi alle battute finali di
questa storia
infinita. Si scopriranno cose che voi umani potrete solo immaginare!
Buhahahahahah! (Dicevi del mal di testa? O.O ndS, Sì avevi
ragione c’è di
peggio -.-‘ ndC).
Bene, siori, vi saluto caldamente e ci
vediamo nella seconda parte di questo simpatico viaggetto stile
‘Eracolatore’
(citazione che solo veri esperti sono in grado di cogliere).
Alla prossima.
Besos
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Capitolo 28 *** Viaggio (Parte II) ***
28. Viaggio (Parte II)
No…
No…
No,
no, no,
no, no, no, no, no, nononononono… NO!
Crollo a terra, mettendomi le mani nei
capelli. Gli occhi sono fuori dalle orbite dallo stupore. Continuo,
ossessivamente a ripetere quella sillaba all’infinito.
Non
ci
credo… Non ci VOGLIO credere!
- Non è possibile che abbia preso parte
a
tutto questo… -, piagnucolo in preda allo sconforto e alla
realizzazione che
sì, io sono sempre stato una miserabile e vuota marionetta.
Non ho mai voluto
vedere, come un idiota mi sono lasciato abbindolare dalle menzogne che
ogni
giorno mi venivano propinate, senza avere nemmeno la decenza di farmi
due
domande. Ho sempre fatto quello che LORO volevano. Tutti mi hanno
sfruttato,
sapendo che avrei agito esattamente come avevano pianificato…
-Aerith…
Come hai potuto farmi questo? Io ho sofferto così tanto per
te… Perché?
PERCHE’?!-
Osservo la prima donna che abbia mai amato,
ripercorrendo ogni singolo angolo della sua immensa e magnifica figura.
Così
semplice, bastava così poco per far nascere su quel viso
dalla bellezza
ultraterrena un sorriso capace di sciogliere perfino il più
gelido dei cuori.
Un sorriso in grado di mantenersi perfino nella morte. Lacrime
incontrollate
scendono lungo le mie guance, mentre i ricordi di quel terribile
momento
riemergono, mai svaniti. Il rumore, simile a un risucchio,
dell’acciaio che
trapassa un corpo dedito alla preghiera; il rimbalzare cristallino e
assordante
della Materia Holy spezzare il sacro silenzio della Città
Dimenticata: il corpo
spezzato della mia amata riverso in una pozza infausta di sangue
più scuro
della pece. Quel sangue che avevo giurato di proteggere ad ogni costo,
quel
sangue che ancora oggi cerco di lavare via dalle mie mani, invano.
Eppure,
quell’arco benevolo non è scomparso un solo
secondo su quel viso esangue. Hai
continuato a sorridere perfino mentre sprofondavi nella tua tomba
d’acqua. Eri
soddisfatta, perché così facendo mi avresti
aizzato contro il tuo assassino,
compiendo il destino di entrambi.
Tutto secondo i piani…
Rivolgo uno sguardo pieno d’odio verso
Sephiroth.
-
L’hai
costretta a rinunciare alla sua vita per ridarti la tua. –, sibilo,
mentre lentamente mi approccio alla fiera figura
dell’ex-Generale, - Eppure sapevi, lo
sentivi, che il Pianeta non te l’avrebbe mai
ridata. Quindi a cosa è servito
tutto questo male? A cosa è servito uccidere un essere
innocente? A COSA E’
SERVITO TUTTO QUELLO CHE HAI FATTO?! -
Mano a mano la mia
rabbia cresce anche il tono
di voce si alza, fino ad esplodere letteralmente in faccia a
quell’assassino
egoista e codardo. Non riesco a resistere e mi scaglio contro di lui,
menando
pugni con tutta la forza che ho in corpo; tuttavia ad ogni colpo
sferzato la
figura di quel mostro semplicemente si dissolve in polvere, per poi
ricomporsi
subito dopo, in attesa di un altro colpo pronto a dissolverlo
nuovamente. Per
quanto inutile e stupido non accenno a fermarmi; anzi la frustrazione
non fa
altro che alimentare la dirompente furia che mi sta infiammando
l’animo.
- TI ODIO!
TI ODIO, MOSTRO! ASSASSINO! BESTIA! –
Urlo e grido ormai al
limite
dell’esasperazione e la mia sequenza di colpi si fa sempre
più fitta, tanto che
di Sephiroth non è rimasto altro che una nube informe di
polvere nera e
argentata. Eppure, non è abbastanza per me. Deve scomparire
dalla faccia del
Pianeta, non deve rimanere una singola molecola della sua esistenza.
- NON
MERITI NIENTE! NIENTE! OGNI
PROVA DELLA TUA ESISTENZA DEVE SVANIRE! –
L’ultima
frase, la cui realizzazione mi
colpisce con la potenza di uno schiaffo, spegne l’incendio
della mia follia rabbiosa
tutto in una volta. Mi blocco a metà del pugno che stavo per
sferrare,
lasciando quindi tempo alla polvere di ricompattarsi
nell’austera figura del
Generale. Con un groppo in gola, volto lo sguardo colpevole verso
destra e, da
sopra la spalla, scruto Takara. Avverto un enorme macigno crollarmi
sulla testa
appena incrocio la sua espressione marmorea.
Gelida e rigida, mi
fissa senza emettere un
solo suono. Eppure avverto la tempesta rombare all’interno di
quel giovane
cuore.
Chissà
quante volte se lo sarà sentito
ripetere. Chissà quante volte avrà prestato
attenzione alla gente quando si
rivolge a suo padre con questi epiteti. Chissà quante volte
avrà finto di non
ascoltare, di non aver accusato il colpo, di non dargli alcun peso;
come se non
t’importasse del giudizio degli altri, perché tu
SAI chi è tuo padre. Chi
meglio di te potrebbe mai saperlo?
La verità
è che non è vero. Tu non lo sai.
Troppo piccola per ricordare. Ti sforzi per visualizzarlo, per accedere
a
quelle memorie remote; ma non ci riesci. Lo vedo dallo sguardo
sconfitto,
abbassato per non farmi pesare troppo la gigantesca gaffe appena
compiuta.
Nemmeno il coraggio di contraddirmi, di provare a difenderlo. Come
potrebbe mai
difendere un uomo che si è inimicato tutto il mondo?
Come potrebbe mai
difendere l’uomo che l’ha
abbandonata per inseguire chissà quale visione?
Quello stesso uomo che
sarebbe dovuto essere
al suo fianco al posto di Genesis.
Forse vorrebbe odiarlo
anche lei, per sentirsi
accettata, normale. In fondo, lei ne ha
più diritto di tutti noi, ma… nel bene o nel
male, Sephiroth è pur sempre suo
padre. Un dettaglio che non si può ignorare.
- Non
sentirti in colpa. Io… ci sono abituata. -, mormora
paziente Takara.
La ragazza mi rivolge
un debole e mesto
sorriso, mentre mi raggiunge e pone delicatamente entrambe le sue mani
sul
braccio ancora teso nell’atto di colpire. Lentamente essa mi
abbassa l’arto e
lo ripone lungo il mio fianco, stringendomi la mano nelle sue per un
momento,
come per infondere nei miei muscoli la sua innaturale calma.
Dopodiché,
abbandona il mio arto e, sostando accanto a me, si volta completamente
verso il
genitore. Si estrania, mentre il suo sguardo triste studia ogni minimo
dettaglio di Sephiroth. Dal canto mio, non posso far altro che
osservare ogni sua
singola mossa, ammaliato dalla forza e dalla volontà di
questa ragazzina.
- Sei come tua madre.
–
I suoi occhi si
spalancano e si volta di
scatto verso di me. La sua boccuccia è aperta in
un’adorabile ‘o’ sbalordita.
Non so come mi sia venuta questa frase, non so nemmeno se sia stato
Sephiroth a
manipolarmi al fine di proferire quelle parole; ma capisco
immediatamente che è
vero. Assomiglierà fisicamente a suo padre, tuttavia bisogna
ammettere che
caratterialmente è esattamente come Evelyn. Annuisco e le
sorrido benevolo,
così da darle la conferma che cerca. Takara arrossisce e
distoglie lo sguardo
imbarazzata; eppure non posso non notare l’arco sincero ed
emozionato inarcarle
le labbra.
-Nessuno mi ha mai
paragonato a lei. -,
sussurra con la voce rotta dall’emozione, poi scuote la testa
e il suo sorriso
svanisce, inghiottito da un’espressione malinconica, - A dire
la verità,
nessuno l’ha mai nemmeno menzionata. Non so praticamente
niente di lei. -,
conclude, lasciando sfumare il discorso in un amaro silenzio.
- Ti voleva bene,
Takara. Eri davvero
importante per lei-, rispondo io cercando di sollevarle il morale.
La ragazza fa
spallucce, sfoderando una
smorfia rassegnata.
-
Già… come tutti… -
Il commento acido e
diretto così in stile
Sephiroth si scontra irrimediabilmente con i modi gentili e pazienti
mostrati
poco prima, lasciandomi stupito di fronte alla facilità con
cui le due nature
si susseguono e si adattano alle esigenze di questa ragazza. Non
c’è che dire,
Takara è davvero la sintesi perfetta tra i suoi genitori,
oltre che
rappresentare l’armonia tra la benevolenza del Pianeta,
l’arguzia di Jenova e
la compassione umana. Tuttavia, è un fardello pesante da
portare, come ella ha
appena sottolineato. Ogni cosa che tocca è destinata a
scomparire…
La mia mente mi riporta a quella bara di
Lifestream e alle fattezze dell’uomo conservato
all’interno.
Così
simile
a me.
Sarei dovuto essere il nuovo salvatore del
Pianeta, ripercorrere le sue gesta dimenticate e porre fine
all’incontrastato
dominio della Calamità; ma qualcosa ha impedito a quei piani
di avverarsi:
Jenova stessa.
Quell’eredità a cui ho tentato
di oppormi
con tutte le mie forze, illudendomi di controllarla, di relegarla al
semplice
mezzo per un fine, mi ha sempre perseguitato; anzi, è sempre
stato il cappio
collegato alle abili mani dei due Grandi Burattinai e protagonisti di
questa
guerra mai cessata. In duemila anni, Jenova e il Pianeta non hanno mai
ceduto
un solo passo da ciò che avevano guadagnato prima della
caduta dell’aliena.
Quella non fu una sconfitta, ma una semplice ritirata strategica. LEI
sapeva
che era solo una questione di tempo. Quello che probabilmente ha
imparato nella
sua esistenza immortale è che la vita è fatta di
cicli. I Cetra non sarebbero
sopravvissuti a lungo su Gaia. Questo lo svantaggio dei miserabili
mortali: non
importa quanto potere possano aver accumulato o quanto alto sia il
grado di
benessere raggiunto; la Morte è inevitabile. Bastava
aspettare e l’evoluzione
avrebbe fatto il suo corso. Aveva visto una scintilla terribile nei
cuori degli
umani, un scintilla che se correttamente alimentata avrebbe piegato
quella
nuova specie ai suoi biechi scopi. E’ qui che mi rendo conto
di quanto siamo
simili, io e Takara, di come entrambi siamo stati contaminati
dall’una e
dall’altra fazione. Entrambe ci hanno modificato durante la
loro disperata
corsa agli armamenti, nell’incrollabile speranza di essere
l’uno in vantaggio
sull’altra.
Come
può
essere il mio nemico? Chi è che ti vuole davvero morta? E
perché?
-Mi
dispiace
davvero per ciò che ho detto… -,
esordisco, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.
Avverto l’attenzione di Takara calare di
nuovo su di me, tuttavia la ignoro, apponendo anzi i miei occhi
sull’altro
erede di Jenova. Mi scappa uno sbuffo divertito.
-
Hai
ragione. -, esordisco,
con tono stanco e mesto, - Non ho mai capito niente.
Nonostante
tu abbia fatto di tutto per mostrarmelo, io ancora fatico a
comprenderti. -, abbasso la testa e chiudo
gli occhi,
mentre un sospiro abbandona le mie labbra.
-
In fondo,
sono solo un sempliciotto di campagna. -,
concludo, sconfitto.
Appena proferite queste parole, tutto
attorno a noi si dissolve come polvere e il nulla bianco di circonda.
Non v’è
traccia dell’agitato e claustrofobico mondo
d’emozioni che ci ha accolti:
sembra di essere totalmente in un’altra realtà,
completamente opposta a quella
dell’esordio. Un limbo sospeso nel bel mezzo della tempesta
si avviluppa
attorno a noi. Per quanto a prima vista sembra che pace e armonia
regnino
incontrastate, mano a mano ci si rende conto che non è altro
che una facciata
per mascherare il turbinio folle di negatività presente
all’esterno. Senso di
colpa, rancore e sensazione di inadeguatezza sono le fondamenta su cui
la
traballante psiche di Sephiroth si ergeva e questo luogo è
la loro tomba.
L’ossessione per la morte di Evelyn ha inglobato ogni cosa
trasformandola in
veleno che gli ha corroso l’anima di giorno in giorno, fino a
trasformandolo
nel mostro distruttivo che tutti noi conosciamo. Attendiamo qualche
secondo e
d’improvviso parole vergate di nero iniziano a trascriversi
su quelle pareti
bianche. La calligrafia è inconfondibile.
////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Anno
XXXX,
attico Golden Building
Non
so
nemmeno che giorno sia. Il tempo ha smesso di scandirsi per me, ormai.
Credo
siano mesi che non tocco questo diario. Quando l’ho ritrovato
era abbandonato
su questo tavolino completamente impolverato. Tutto è
rimasto esattamente come
l’ho lasciato l’ultima volta. A parte la
scatola…
C’è
tanta
confusione qui. La libreria è un completo sfacelo. Buona
parte del suo
contenuto è andato perduto o venduto o non ricordo
più nemmeno cosa. Soffro di
grossi vuoti di memoria che m’impediscono di concatenare gli
eventi l’uno con
l’altro. Sempre più spesso mi risveglio in luoghi
sconosciuti, senza capire
come ci sono giunto, se non per semplice deduzione. Colpa
dell’alcool, di cui
ultimamente sto abusando in maniera davvero massiva. Altro fattore
potrebbero
essere i sonniferi che mi autosomministro per evitare di sognare. E poi
ci sono
le droghe, iniziate ad assumere come rimedio per il dolore.
Mi
sono
sempre considerato un uomo morigerato, dedito a mostrare sempre il buon
esempio
agli altri; ma quest’ultimo male che mi corrompe
dall’interno ha letteralmente
indirizzato la mia vita verso una spirale di decadente miseria.
Nascondo in
piena vista la mia sofferenza andando a raccattare negli angoli
più luridi
della città le sostanze più micidiali, i mix
più audaci, le perversioni più
assurde; il tutto per trovare un po’ di pace, in attesa
dell’Ultimo Passo.
Vorrei morire.
E’
un
desiderio che mi ha accompagnato fin da bambino, quando le umiliazioni,
gli
esperimenti e i maltrattamenti raggiungevano l’apice.
Desideravo non essere mai
nato e maledicevo i miei genitori per avermi messo in questo mondo
schifoso e
reso la mia esistenza patetica e priva di qualsivoglia scopo. Quando
crebbi, da
ragazzo, scoprii mio malgrado quale fosse quel fantomatico scopo. Il
risultato
non fu altro che il rinnovo di quel desiderio di morte; il quale
l’ho ricercato
con qualunque mezzo, a partire dalle condotte suicide fino alle
manifestazioni
violente di frustrazione e rabbia. Tuttavia, ogni sensazione provata da
giovane
non è assolutamente paragonabile a quelle attuali: questa
volta non voglio
evitare la sofferenza di altri, levando di torno la mia nefasta
presenza; no,
questa volta ciò che provo è assolutamente
personale.
Vivere
è
un’azione che non intendo più compiere,
perché non vi è più la volontà
di eseguirla. Non apprezzo più
niente, infatti. Se prima cercavo di trovare conforto nella bellezza
delle
piccole cose, ora nemmeno i fatti più eclatanti destano il
mio interesse.
Eppure
continuo a trascinarmi per questa miserabile esistenza.
E
è tutta
colpa sua.
La
Bestia. Colei
che m’impedisce di lasciarmi andare, di concedermi
quell’oncia di coraggio
sufficiente per compiere l’ultimo passo. Ho provato a
spararmi, a impiccarmi, a
tagliarmi le vene; ma nulla: Lei continua ad intervenire, impedendomi
di
premere il grilletto, o sbilanciarmi sulla sedia o di affondare
più in
profondità la lama nella pelle. Avverto la rabbia risalire
dalle viscere e far
ribollire il sangue, offuscando la ragione e ogni cognizione.
Sono
regredito fino all’età adolescenziale, quando
erano gli impulsi a guidarmi
verso i crimini più efferati. Ho ricominciato a uccidere in
modo incontrollato,
infatti.
Recentemente
i telegiornali hanno parlato di tre vittime, ritrovate nel vicoli degli
Slums.
Normalmente questo fatto non desterebbe alcun interesse negli
investigatori,
poiché crimini del genere sono perpetrati quotidianamente
laggiù; ma
l’efferatezza con cui questi omicidi sono stati commessi
hanno lasciato gli
inquirenti basiti. Quelle povere anime sono state letteralmente
squartate, come
se un mostro feroce si sia accanito su di loro, però
quell’ipotesi non fu
creduta plausibile dal semplice fatto che, per la natura stessa dei
mostri
degli Slums, la scena del crimine fosse troppo
“pulita”. Gli investigatori ci
hanno lavorato su per qualche tempo, per poi chiudere il caso per
mancanza di
prove. Eppure, la mia firma è ben evidente su ogni singola
goccia di sangue.
Per questo motivo, ho capito che ricercare la morte per vie rapide
è una
soluzione al di fuori della mia portata e, quindi, ho deciso di optare
per una
soluzione più lenta e sottile: droghe e alcool, spesso usati
insieme. Non
m’importa delle conseguenze che la mancanza di cognizione di
provoca, se non
dopo, ma “vivo” nella speranza che prima o poi il
mio cuore non possa più reggere
la quantità industriale di schifezze che introduco nel corpo
ogni giorno. Ho
scoperto, tuttavia, che questa soluzione non è
così efficace come speravo. Perso
nella mia agonia, ho scordato che il mako potenzia i processi
cellulari,
aumentando le prestazioni sia anaboliche, le quali conferiscono
maggiore
resistenza strutturale, che cataboliche; ossia che l’accumulo
di sostanze
tossiche e nocive all’interno del mio corpo è
pressoché impossibile, perché
esse vengono scomposte nella loro interezza e nel modo più
efficiente
possibile. Ne consegue, quindi, che le droghe non possono né
uccidermi, né
provocarmi assuefazione. Ne subisco solo gli effetti a livello
cognitivo, senza
andare a intaccare in nessun modo le mie facoltà
intellettive. Motivo per cui
nessuno si è accorto del mio cambio di abitudini alla
Shinra. Da un lato è
frustrante, perché non posso centrare il mio obiettivo; ma
dall’altro ho
trovato un modo per evadere dall’amarezza della mia
esistenza. Un risvolto crudele,
ma funzionale per iniziare a pianificare le mie ultime
volontà come ufficiale
di SOLDIER.
Zack
Fair
prenderà il mio posto in quanto ultimo First disponibile sul
mercato. Ancora
non lo sa, glielo comunicherò domani al briefing
pre-missione.
Andremo
a
Nibelheim per controllare il reattore mako della zona, il quale sembra
essersi
danneggiato a seguito di una scarsa manutenzione. Almeno questa
è la versione
che ho rifilato al Presidente e sarà la stessa che
udirà anche Fair. Ovviamente
il motivo è un altro…
Genesis
E’
lui che
mi aspetto di trovare. Dovrà rispondere di tanti crimini:
tra cui…
Mia moglie è morta
Genesis
l’ha
uccisa senza alcuna pietà e ne ha bruciato il corpo, assieme
alla nostra casa e
tutto il villaggio. Mia moglie…
La
donna che più ho amato nella mia intera esistenza, colei che
avevo fatto centro
del mio mondo, l’unica ragione che mi aiutava ad alzarmi ogni
mattina. L’unico
essere umano capace di rendermi felice, tanto da spingermi, ad osare sfidare la sorte e creare la
famiglia che ho sempre sognato assieme a lei…
Ma
ho osato
troppo. E questo era inaccettabile.
Takara...
Nemmeno
di
lei hanno avuto pietà. Una bambina di un solo anno di vita.
Così piccola, così
innocente… Quella dolce creaturina capace di sciogliere i
cuori di chiunque con
un solo sorriso. Era così curiosa, non aveva paura di niente
pur di soddisfare
la sua sete di conoscenza. Riempiva di domande chiunque la interessasse
e
voleva provare ogni cosa. Era riuscita a farsi amare davvero da
chiunque,
perfino da quelle famiglie che non vedevano di buon occhio la nostra
presenza
estranea. Con la sua spontaneità era riuscita a rompere ogni
barriera etnica,
culturale e linguistica. Sua madre ha sempre sostenuto di vedere in
nostra
figlia la promessa di un futuro migliore. Un dono prezioso dal Pianeta
all’Umanità.
Il Dono della Dea.
Ma
forse,
mia moglie ha sopravvalutato nostra figlia, illudendomi che Genesis
avrebbe
potuto capire il potere insito in quella bambina. Forse
anch’io ho visto una
grandezza fittizia, abbagliato dal mio amore paterno. Qualunque sia la
ragione,
comunque, ciò non toglie che, grandiosa o meno, Takara
doveva essere protetta a
qualunque costo.
Ho
recuperato il video dal Caith Sith distrutto durante
l’attacco ed è … una
punizione che mi autoinfliggo per non essere stato lì, come
prova inconfutabile
del mio errore più grande.
Avrei
dovuto
essere con lei… non quel robot inutile, non Natsu; IO dovevo
essere con lei.
Rabbrividisco
ogni volta appena ripenso alle sue urla terrorizzate, mentre
tutt’attorno
regnava il caos. Quando poi ha gridato
‘Papà’, poco prima che quel mostro si
scagliasse contro di lei, mi sono sentito morire dentro.
Mi ha cercato…
E io…
Non c’ero…
Imperdonabile
Avevo
promesso a mia moglie che non l’avrei più
abbandonata, che avrei lasciato tutto
per stare insieme, che sarei stato il marito e il padre che quella
famiglia
meritava.
Ho fallito. Di nuovo.
Ho
disatteso
alle loro aspettative, me ne se sono andato a miglia di distanza,
quando il mio
posto era là, accanto a loro, per proteggerle.
Agendo
come
ha agito, è come se il rosso mi avesse strappato il cuore
direttamente dal
petto. Forse era proprio quella la sua intenzione.
Uccidermi.
Se
volevi
mettermi in ginocchio, Genesis… ci sei riuscito. Tutto
ciò di più caro che
avevo, tu me l’hai portato via.
Perché,
mi
chiedo. Non capirò mai il motivo dietro tutto quel rancore,
quell’invidia,
quella rabbia provata nei miei confronti.
Cosa
ho
sbagliato?
Desideravi
così tanto essere l’eroe acclamato dal tuo
dannatissimo poema da non sopportare
l’idea che quella parte potesse calzare a qualcun altro?
Io
ODIO
essere un “eroe”, l’ho sempre messo in
chiaro, eppure continuavi a rendermi
tale attraverso le tue spregevoli azioni. La gente chiedeva il mio
intervento
per fermare la tua follia, ma, in onore della nostra amicizia, non ho
mai
voluto fermarti.
Mi
sono
fidato di te…
Mi
sono
illuso di vedere grandezza nelle tue grette e basse azioni, pensando
che,
forse, saresti riuscito a liberarci dalle nostre catene.
Invece…
ti
sei rivelato l’egoista viziato che sei.
Se
non
potevi diventare l’eroe, saresti diventato il malvagio. E
nemmeno in quello sei
riuscito, perché Hollander e Lazard hanno approfittato della
tua condizione per
manipolarti come volevano e farti compiere quelle azioni.
Patetico.
Ebbene,
vecchio mio, spero che tu sia contento, perché è
arrivato il momento della resa
dei conti. Mi hai portato via la donna che amavo, mi hai portavo via
mia figlia,
l’aspettativa di una vita normale…
Non ho più niente da perdere: sono
degno della tua preziosa
Verità?
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28
Febbraio,
Anno XXXX, ore 15:00, Ufficio, Piano 49.
L’epilogo
di
questa storia si concluderà presto. Il conto alla rovescia
comincerà quando
quell’elicottero si alzerà dallo Shinra Building e
lascerà Midgar.
Ho la netta sensazione che non
ritornerò.
Osservo
l’immensa
distesa di luci, snodarsi come tortuosi serpenti luminosi tra gli
edifici, i
quali di contro, appaiono come granitiche, squadrate montagne
d’ombra. I fanali
delle automobili scorrazzano frenetici lungo le strade sottili colorate
d’insano
giallo artificio. Insegne lampeggianti scandiscono il battito frenetico
e
disarmonico del tempo cittadino, in una sorta di conto alla rovescia
verso
chissà quale catastrofe.
Quest’ultimo
pensiero attanaglia le mie ossa fino al midollo di angoscia e
inquietudine.
Non
riesco a
togliermi dalla testa le parole di Aerith.
“Ciò
che scoprirai
porterà un dolore e una distruzione senza
precedenti.”
Che
la
catastrofe attesa da quelle insegne sia io?
Lo
sguardo
cade sul mio riflesso che opprime la città al di
là delle vetrate come una presenza
nefasta.
Non
mi sono
mai soffermato veramente a ponderare il mio aspetto, il quale
è sempre stato un
metro con cui la gente ha sempre misurato il dislivello tra me e loro.
Ho
sempre disprezzato la mia immagine. Questi capelli argentati, la cui
crescita è
sempre stata incontrollata, tanto da rinunciare a tagliarli; questo
viso quasi
femmineo nella sua fine eleganza, sul quale la fatica e il tempo
sembrano
incapaci di lasciare qualsivoglia segno; questo corpo vigoroso e
scolpito,
modellato a perfetta macchina da guerra e dotato di una forza che poco
ha di
umano... da dove provengono?
Un
senso di
disagio mi attanaglia lo stomaco e mi porta a distogliere
l’attenzione da
quella… quella… cosa.
Non biasimo
coloro che mi hanno evitato come la peste o che mi hanno scoccato uno
sguardo
spaventato, o schifato, o semplicemente curioso: come dargli torto?
Penso che
mi eviterei pure io, se potessi. E’ un aspetto troppo diverso
da accettare.
Nessuno, nessuno è come me. Esistono
albini nel mondo, ma questi sono
caratteri totalmente diversi che appartengono a qualcosa di…
di… alieno.
Cosa
vado a
pensare?
E’
assurdo…
gli alieni non esistono. Esiste solo Hojo, il quale è
davvero capace di fare
qualunque cosa. Ci deve essere una spiegazione logica.
Eppure,
il
dialogo con Aerith sembra rivelare molto più di quanto sia
stato effettivamente
detto.
Mia
moglie e
mia figlia sono state marchiate…
Cosa
vuol
dire?
E
perché
sono l’unico che può interferire con la loro
condanna?
Perché
è
così importante capire chi sono?
Perché
ciò
porterà dolore e distruzione?
Di che cosa sono davvero capace?
Basta.
Queste
domande mi stanno facendo scoppiare la testa. Sono davvero stanco. Non
vedo l’ora
di partire, di lasciare tutto questo alle spalle.
Ho
rivelato
a Zack della mia intenzione di lasciare la Shinra e la sua prossima
promozione
a Generale. Ho avvertito come se un grande peso si fosse dissolto dal
petto
nell’istante in cui i suoi occhioni si sono spalancati
all’idea. Credo che lo
stupore sia stato più per la realizzazione della fine di
un’era che per il
nuovo carico di responsabilità. Molti giovani SOLDIER, tra
cui lui stesso, sono
cresciuti all’ombra del mio mito e sapere che non
potrò condividere il loro
sogno potrebbe minare fortemente il loro morale. Ma SOLDIER
è tutto ciò che mi
rimane e l’unica cosa dignitosa che posso fare è
liberarmi anche dell’ultimo
legame affettivo, prima di vederlo crollare come una castello di carte.
Ho
trascorso
praticamente tutta la mia vita tra questi corridoi. Da quando avevo 14
anni.
Oggi ne ho compiuti 27.
13 anni da SOLDIER.
Solo 27 anni…
Realizzo
ora
di quanto questo numero sia basso per la media di una vita umana e una
scossa
di paura mi attraversa dalla testa ai piedi. L’idea di morire
senza aver
nemmeno visto i 30 mi scuote oltremodo. Eppure, nei giorni precedenti,
questo
pensiero non ha nemmeno attraversato l’anticamera del
cervello. Forse perché
ora ho di nuovo uno scopo, una ragione per cui la mia breve vita
potrebbe essere
utile. Ciò mi rassicura, anche se un filo di paura ne
inquina la dolcezza col
suo retrogusto amaro. L’istinto di sopravvivenza ha la
meglio, alla fine.
Osservo
di
nuovo il mio riflesso e mi rendo conto di quanto il mio aspetto strida
con ciò
che contiene. Ho un carico di esperienze confrontabile con quello di un
cinquantenne; eppure conservo tutto quel vigore e quella
luminosità tipica
della mia effettiva età.
Niente
mi
scalfisce, niente mi piega. Almeno in apparenza.
Per
tutti
sono il simbolo incrollabile della potenza inesauribile, della bellezza
infrangibile,
della gioventù eterna. Peccato che il principio fondamentale
dell’universo è
che nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Io non sono
eterno,
non sono indistruttibile, non sono immortale. Come Dorian Gray, il cui
ritratto
assorbe al posto suo tutti i malanni e lo scandire spietato del tempo a
lui
destinati; la mia anima fa lo stesso con i tiri mancini della vita.
A
soli 27
anni ero così tante cose: generale, conquistatore, demone,
mito, eroe, compagno,
amico, fratello, marito, padre. Un intero ciclo vitale in appena
più di un
quarto di secolo.
Sorrido.
E’
tanto tempo che non sorrido, perché ho realizzato che,
tirando le somme, la mia
breve vita non è stata poi così vuota, sia nella
buona che nella cattiva sorte.
Aerith
non
ha tutti i torti. Forse davvero il Pianeta non mi odia, ma ha un piano
ben
preciso per me, tanto che dovrò tornare dove tutto ha avuto
inizio. Già da
tempo progettavo di visitare la Shinra Masion di Nibelheim per scoprire
di più
sul Progetto J. Il luogo viene citato spesso nei frammenti di rapporti
tralasciati da Hojo. Inoltre, Genesis ha fatto ben intendere di
trovarsi nei
paraggi del Monte Nibel attraverso l’intensa moltiplicazione
di mostri della
zona. Fonti Turks dichiarano la presenza di dispositivi per il
maneggiamento di
mako e camere di contenzione ancora presenti nel reattore. Sebbene
piuttosto
vecchie, l’ex-comandante le potrebbe usare per mettere a
ferro e fuoco la
città, come è già successo con altri
suoi obiettivi.
Nibelheim
è
il reattore più vecchio di tutti e risale
all’epoca della grande espansione
della Shinra, quando gli impianti di estrazione del Lifestream venivano
costruiti su vene superficiali. Proprio per la sua posizione isolata e
la
grande quantità di Flusso Vitale uscente dal terreno, il
sito fu scelto come
zona ideale per porre le basi della raffinazione mako per la
conversione in
energia. Più tardi, alcuni membri del Reparto Scientifico,
guidati da Gast, si
stabilirono là per iniziare gli esperimenti per il
potenziamento umano
attraverso l’infusione di mako. L’isolamento
permise l’esecuzione degli
esperimenti nella totale sicurezza per la popolazione locale,
poiché era già
noto da tempo che l’esposizione del corpo umano a grandi
quantità di mako porta
a gravi mutazioni sia fisiche che mentali.
Questi
sono
i mostri. E Nibel ne è da allora infestato.
Quale
cornice migliore per chiudere questa storia, là dove tutto
è iniziato.
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Le parole sfumano, dissolvendosi nel candido
bianco di questo luogo dimenticato. Rimaniamo in silenzio, tirando le
somme su
ciò che abbiamo appena letto, ognuno chiuso nei propri
pensieri.
Sephiroth non aveva idea di cosa
l’avrebbe
aspettato alla fine del tunnel, o forse non ci voleva nemmeno pensare.
In
fondo, che gli importava? Non aveva più niente. Genesis gli
aveva portato via
tutto. Qualunque destino lo avrebbe aspettato, lui era pronto ad
accettarlo.
Zack aveva visto giusto: Sephiroth era un
guscio vuoto gli ultimi giorni della sua esistenza mortale. Si aggirava
come un
fantasma per i corridoi del Piano 49, pregustando il momento in cui si
sarebbe
liberato del suo ultimo fardello. Non lo sapeva ancora, ma,
abbandonandosi del
suo mortale corpo, avrebbe spezzato le catene che dalla sua nefasta
nascita
avevano tenuto Jenova vincolata alla sua prigione di carne. La
Calamità aveva
lottato per anni contro di lui, ma Sephiroth si era rivelato un
avversario
ostico e caparbio, difficile da piegare. Alla fine, tuttavia, perfino
lui si è
dovuto arrendere.
Era pur sempre umano, in fondo…
E Aerith sapeva che da solo, così stanco
e
sfibrato, non ce l’avrebbe fatta a contenere la furia
vendicativa della
Calamità. Per questo che la Cetra ha deciso di sacrificarsi
e diventare così
una martire. La sua nuova natura soprannaturale le avrebbe permesso di
dare man
forte all’ex-Generale ed evitare la completa distruzione del
Pianeta, ma non
abbastanza da evitare di liberare lo spirito di Sephiroth e quello di
sua
moglie.
C’è ancora tanto odio fra
Pianeta e Jenova.
Mi lascio sfuggire un mesto sospiro e
osservo Takara di sottecchi.
Il
Dono
della Dea, l’unica capace di porre fine a questa guerra.
- Continuo a non capire. –, esordisce la
ragazza, ancora assorta nelle sue elucubrazioni, come suggerisce la
testa
inclinata leggermente verso il basso e la mano sinistra accarezzare il
mento e
le labbra.
Rimango un attimo colpito dalla sua espressione
concentrata. Le iridi le sono divenute chiarissime, mentre le pupille
si sono assottigliate
verticalmente. Le sopracciglia fini corrugate al centro conferiscono al
taglio
allungato degli occhi un’aria severissima, oltre che
vagamente feroce. Sembra
che stia puntando una preda che da troppo tempo le è
sfuggita.
Fa paura, devo ammettere.
- Cosa? -, chiedo, con la voce leggermente
strozzata dal turbamento precedente.
- Il ruolo di Genesis. -, risponde secca
Takara, con un tono che non lascia repliche, senza staccare gli occhi
dal punto
su cui si è fissata.
- Non credo ne abbia. Lui odiava tuo padre e
amava tua madre. Semplice. -, ribatto, facendo spallucce.
Mi accorgo però che la mia contadina
noncuranza
non è esattamente apprezzata, poiché, in tutta
risposta, la bruna mi scocca un
lungo, intenso, severo sguardo. Non serve parlare a lei,
così come a Sephiroth
e a Vincent, per mettermi in soggezione e farmi sentire un completo
idiota. Dev’essere
un tratto tipico dei Valentine…
Come da copione, infatti, ella rotea gli
occhi e sospira pesantemente, senza nemmeno avere la decenza di
nasconderlo.
- Sparare sentenze a zero non servirà
molto
a farci uscire da qui, Cloud Strife. -, ammonisce seccata Takara,
volgendosi
totalmente verso di me e incrociando le braccia al petto, - Temo che
dovrai rivedere
il tuo modo di pensare. -, conclude, infine, con tono altero e
leggermente
ironico.
Punto sul vivo, avverto le mie gote bruciare
dall’imbarazzo, ma, superato questo, non posso fare a meno di
schernirmi,
rispondendole per le rime.
- O forse, quella che dovrà cambiare
idea
sei tu. Rinfrescami la memoria: chi è che ha torturato
Genesis per poi
sbatterlo mezzo abbrustolito in cella? –
Le iridi della ragazza si illuminano
d’ira per
un pericoloso istante e la pupilla diventa sottilissima e lunga, tanto
da
temere che la sua metà jenoviana stia prendendo il
sopravvento su di lei,
squartandomi senza pietà. Inaspettatamente, invece, si
limita a mollare un
manrovescio dritto sulla mia guancia destra. Mi colpisce con una forza
impensata
per una ragazzina di quattordici anni e, per un momento, credo che mi
abbia
slogato la mascella. Barcollo di lato, intontito dal colpo, ma, appena
recupero
un attimo di lucidità, le rivolgo uno sguardo scioccato.
Takara è ancora in posa
da attacco, con il bacino, il busto e le spalle girati di lato e
piegati in
avanti, le gambe divaricate e il braccio colpitore a penzoloni davanti
a sé.
Respira affannata attraverso le labbra dischiuse, le quali sono
deformate in
una smorfia che mette in mostra parte dei denti. Impercettibili rughe
le si
sono formate sulla fronte, tra le sopracciglia, ai lati degli occhi,
sul naso.
La capigliatura bruna è scombinata e ciocche corpose le
nascondono in parte il
viso livido, gettando un’ombra che va a rendere la sua
espressione ancora più
terribile.
Rimaniamo a guardarci cagnesco per lunghi
istanti, inchiodati nelle rispettive posizioni; poi il viso di Takara
si
distende e il respiro si regolarizza. Ella abbassa lo sguardo a terra,
per poi
far seguire tutto il corpo. Si siede a terra a gambe incrociate,
raddrizza la
schiena, chiude gli occhi. Inspira con il naso ed espira con la bocca
cercando
probabilmente di ricacciare tutte le sensazioni negative indietro. Il
tutto
senza curarsi di me. Dopo poco, ritorna a puntarmi, espressione greve.
- Scusami. -, il suo tono non è per
nulla
accorato, anzi è sbrigativo e annoiato, come se le costasse
un’enorme fatica.
La ragazza rimane in attesa di una mia
risposta, fissandomi glaciale. Io mi massaggio la mascella e testo che
le
articolazioni siano tutte al loro posto.
Cavoli,
che
male…
- Non mi sembri del tutto sincera, però.
-, obietto
con tono di sfida.
Il suo sguardo si assottiglia.
- Non giocare con il fuoco, Cloud Strife. -,
soffia tra i denti Takara.
- Me ne guardo bene. -, replico, mettendomi
a sedere a mia volta, - Ora so cosa si rischia a sfidare quello
sguardo. -, concludo,
accennando un sorriso. Anche se probabilmente sembrerà
più una smorfia, poiché
cambiare espressione è ancora abbastanza doloroso.
– E che Genesis è un tasto
dolente per te. –
La ragazzina non accenna alcun cambio
d’espressione,
eppure il moto d’irrequietezza che le ha sconquassato la sua
posa immobile non
è passato inosservato.
- Infatti. -, conferma, - Le tue accuse sono
fondate su quello che hai potuto capire dalle parole di mio padre e
dalle
visioni di mia madre. Due persone che lo odiano per ovvi motivi. -, si
arresta
per un istante e sospira, ricacciando indietro l’amarezza,
poi riprende, con più
vigore, - Ma io ci sono cresciuta. Mi ha insegnato tutto ciò
che so e si è
sempre preso cura di me. E io di lui. –
Appena proferite queste parole, ella alza
una manica del kimono e mette a nudo il braccio sottostante. Aguzzo la
vista e
vedo che all’altezza della piegatura del gomito sono presenti
scuri lividi che
circondano piccoli fori di puntura.
Preso alla sprovvista, mi alzo di scatto e
raggiungo il suo braccio, afferrandolo per il polso. Delicatamente,
passo l’altro
palmo su quelle ferite.
- Nonostante tutto, Genesis continua a
degradarsi. Ci sono giorni in cui non riesce nemmeno ad alzarsi dal
letto. Le
Cellule S lo rinvigoriscono per un certo periodo di tempo, ma poi ha
bisogno di
altre trasfusioni. -, spiega con tono triste,- Diventa sempre
più debole. E
instabile. –
Mi afferra la mano e mi guarda dritta negli
occhi. Vedo tanta paura albergare in quell’anima da bambina.
- E’ tutto ciò che ho. -,
dichiara
trattenendo a stento i singhiozzi, - Punirlo è stato
terribile per me e vorrei
non averlo mai fatto. Non me lo perdonerei mai se dovesse… -
La sua stretta si fa sempre più debole
fino
a lasciarmi e portarsi la mano al viso, al fine di celare il dolore che
il
rimorso le causa. Io le appongo le dita sulla sua spalla, stringendo
forte per
rassicurarla. Nonostante il pianto dirompente, lei non accenna smettere
di
parlare, di spiegarsi.
- Rimarrebbe intrappolato, alla stregua dei
miei genitori. Non voglio che accada. Non voglio più che le
persone che amo
soffrano. -, afferma, infine, stancamente.
Si pulisce le lacrime con il dorso della
mano e mi guarda afflitta.
- Genesis non può avermi solo usata in
questi anni. Altrimenti perché darmi una vita
così agiata? Perché raccontarmi
tutte quelle storie su lui, mio padre ed Angeal? –, un
sorriso le nasce
spontaneo, mentre il ricordo fa capolino nella sua mente e le dona una
forte
determinazione, - Non ha mai odiato mio padre, Cloud. Erano rivali,
è vero, ma
gli voleva bene. Voleva aiutarlo, voleva che conquistasse i suoi sogni.
-, Takara
fa una breve pausa, trovando coraggio per continuare, - E’
per questo che Genesis
sfidava in continuazione mio padre. Voleva prendere il suo posto di
Generale,
però non per se stesso, ma per liberarlo dal fardello che
altri gli avevano
imposto da quando non era nemmeno ancora nato. -, lo sguardo lasciato
vagare
nel frattempo ritorna a puntare il mio viso e di nuovo il sorriso si
riaccende
su quel viso rigato dalle lacrime,- Voleva salvarlo, Cloud. Ma non ci
è
riuscito. Questo è il suo rimpianto. –
Non so davvero cosa pensare. O Genesis ha
davvero fatto un buon lavoro per manipolarla a dovere; oppure si
è davvero
preso cura di Takara come se fosse figlia sua.
C’è un tassello che manca in
tutto questo.
Improvvisamente, un vento impetuoso si alza
da non si sa dove e inizia a spingere via quella che era in
realtà una nebbia
così fitta da sembrare un muro compatto. Ci alziamo insieme,
cautamente, ancora
le mani unite. Avverto le dita della ragazza stringersi con forza alle
mie, in
uno spasmo involontario di timore. Istintivamente, le cingo le spalle
col
braccio libero e l’avvicino a me, facendo aderire i nostri
fianchi, in un atto
di protezione. Non so cosa troveremo più avanti, ma
più ci addentriamo nel
diario, più dolore e verità terribili
incontriamo. Inoltre, Takara ha un’emotività
davvero instabile, capace di cambiare in modo così repentino
da rendere
difficile prevedere le sue mosse. In fondo, però, la
capisco. Non è facile
mantenere i nervi saldi di fronte alla sofferenza di Sephiroth. Deve
fare i
conti con anni e anni di racconti ed esperienze incongruenti con quella
che
sembra la realtà dei fatti e capisco che non sia facile
destreggiarsi in quest’intrigo
mortale.
Ha ragione: devo seguire il suo consiglio ed
essere capace a scendere a compromessi, altrimenti tutto questo viaggio
non
servirà a niente.
Il nuovo luogo che lentamente si sta
svelando, tuttavia, mi fa capire che il mio esame era ben lungi dal
dirsi
cominciato e che il proposito appena formulato sarà di
difficile attuazione.
Avverto un brivido lungo la schiena appena riconosco gli scaffali
impolverati,
il pavimento sconnesso a scacchi neri e la grande scrivania tarlata,
posta alla
fine del lungo corridoio; su cui libri, diari, fascicoli, dispense sono
abbandonati, depredati del loro contenuto. E in fondo, al di
là della scrivania
stracolma di libri, seduto sul fatiscente scranno, rigido e cinereo,
sguardo
allucinato: LUI.
Salve a tutti, signori miei! Come la va
quest’estate un po’ bizzarra? Io mi sono concessa
uno dei miei viaggetti, ma
stavolta sono andata SOLO a Imperia a vedere come se la cavano i nostri
delfini
italiani. Quindi tra un avvistamento e l’altro ho pensato
molto a come
proseguire questa storia e finalmente si va avanti! Siamo quasi alla
scena
clou(d) (BA-DUM CIUM, ndFortiX, mi sto scompisciando dal ridere
-.-‘ ndCloud)che
si scoprirà ancora sul caro Seph? O su Genesis?
Vi lascio un po’ in sospeso
così da
scaldarvi per bene in attesa del KABOOM finale. Eh sì
perché la fine si
appropinqua in fretta e, se da un lato sono contenta, così
potrò dedicarmi ad
altro, dall’altro mi sento un po’ triste ad
abbandonare questa storia che mi ha
consacrato come scrittrice qua su EFP. Ma bando la tristezza (che ce ne
è già
abbastanza) e concentriamoci per le ultime battute. Sì, lo
so che pensavo di
non scrivere più punti di vista di Sephiroth, ma alla fine
non ce la possa fare
e mi vengono fuori così bene che è un peccato non
scriverli. Cambio sempre
idea, uff!!!
Vabbé, è tardi (ma non troppo
per i miei
standard cmq, è solo 00:28 XD) e vi saluto caldamente nel
bel mezzo del
temporale estivo ligure!
Alla prossima!
Besos
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Capitolo 29 *** Liberazione ***
Gelo.
Di nuovo il calore sembra essere stato
strappato via direttamente dal sangue.
Il silenzio impera con la sua pesante e
angosciosa tensione e fa suo ogni singolo suono. Solamente il respirare
affannoso
di Sephiroth si ribella a quel tombale dominio. Spiri lugubri, quasi
simili a
fischi, rotti da lacrime che si rifiutano di scendere. Quel cuore di
bambino è
divenuto troppo arido per assecondare l’ennesimo sfogo.
Troppo è accaduto nelle
ultime settimane. Troppa sofferenza, troppo dolore, troppa rabbia,
troppo
rancore, troppo senso di colpa. Sensazioni tutte troppo intense, troppo
soffocanti, troppo esplosive, troppo profonde… Semplicemente
troppo.
Nessuno,
per
quanto forte, può reggere a una tale valanga emotiva.
La mente del Generale è
sull’orlo del
baratro, poiché privata di tutti i suoi pilastri.
L’ultimo l’ho appena visto
crollare in migliaia di pezzi, colpito violentemente dalla
più potente e atroce
crudeltà mai subita: la realizzazione di non valere nulla
per nessuno. Non
chiedeva molto, solo di sapere da dove venisse, così da
capire dove andare;
sapere chi era, così da
decidere cosa
diventare. Invece, silenzio, o
bugie.
Queste ultime, però, sono state le lame che lo hanno ferito
più in profondità,
perché provenienti proprio da coloro che più ha
amato: Genesis, Angeal… Gast. L’uomo,
dal sorriso accomodante e gli occhi gentili, con sempre una parola di
conforto
da spendere; lo scienziato che gli fece conoscere il mondo fuori dal
laboratorio attraverso i suoi racconti; l’eroe spavaldo
dotato del coraggio
necessario per fronteggiare Hojo… non era altro che un
ammasso di specchi falsi
e millantatori che celavano il suo vero volto: un serpente viscido e
crudele.
Il suo veleno erano le bugie, così dolci e confortanti da
sembrare miele
cosparso di cannella. E Sephiroth ne ha ingurgitato così
tanto da esserne
assuefatto. Ha creduto ad ogni singola parola di quell’uomo.
Ha creduto,
soprattutto, alla più ignobile, gretta, brutale delle bugie:
“Tu puoi
essere normale”.
Tu
puoi
essere normale.
La dicitura ‘Progetto J’
svettante sui
fascicoli spalancati di fronte a lui rivela una storia del tutto
diversa. Una
storia che gli è stata tenuta nascosta per anni. Una
realtà scomoda fatta di
atroci esperimenti e violazioni di ogni umana dignità. E
quell’essere, dalla
pelle esangue e dalle profonde e livide occhiaie attorno agli occhi
arrossati e
dilatati, ne è il più straordinario risultato.
Un risultato. Uno dei centinaia possibili.
Solo una fortuita serie di calcoli probabilistici e cocktail genetici
dosati al
millimetro.
Come
si può
essere normali, quando perfino le proprie origini non hanno nulla di
normale?
Il consenso firmato per l’esecuzione
dell’esperimento che avrebbe portato alla sua creazione,
Sephiroth lo tiene tra
le dita tremanti, studiando per l’ennesima volta il testo
fitto di norme
legislative e termini legali che richiamano all’etica e alla
moralità.
Vagamente ironico se si pensa che ci troviamo nel luogo in cui si sono
consumati gli atti più immorali nella storia della scienza.
Poi, lo sguardo si
fissa sulle tre firme in calce alla pagina.
Tre
firme
per tre boia.
Qualunque futuro a cui Sephiroth avrebbe
potuto aspirare è morto nell’esatto momento in cui
quelle firme furono apposte.
Project
J
(S)’s Research Director signature
Faremis Gast
Scrittura pulita,
precisa, scaturita da una
mano abituata ad apporre firme, ma che, nonostante questo, si prende il
suo
tempo per risultare riconoscibile sempre, come prova inconfutabile del
suo
marchio. E’ evidente la voglia di imprimere la propria
impronta nella storia;
soprattutto in un momento come quello, dove un gruppo di menti cieche e
perverse decise del destino del Pianeta, pianificando la nascita della
più
grande minaccia dai tempi dei Jenova stessa.
Project
J
(S)’s Principal Investigator signature
HojoElijah
Questa firma, Sephiroth, l’ha vista tante
di
quelle volte da perderci il conto. Una firma capace di scatenare un
senso di
disgusto e odio più profondo delle fondamenta del Pianeta
stesso. Scrittura
essenziale, nervosa, sbrigativa, quasi a tradire l’enorme
fastidio dettato dal
sottrarre tempo prezioso alla ricerca. Fosse stato per Hojo, tutta
quella
cerimonia si sarebbe potuta risparmiare. Fosse stato per Hojo, forse il
Generale
non avrebbe nemmeno avuto una coscienza capace di rodergli il fegato.
Paradossalmente, il vecchio è stato il più
sincero di quella triade di
scellerati. E ciò non fa altro che alimentare il
risentimento verso se stesso.
Oltre il danno anche la beffa. E’ una crudele ironia che
l’uomo che lui ha sempre
disprezzato con tutto il cuore, è quello che effettivamente
non gli ha mai
nascosto le sue reali intenzioni. Il vecchio sapeva che lui non avrebbe
mai
retto alla verità. Il vecchio lo ha sempre capito meglio di
chiunque altro.
E
questo
Sephiroth non riesce ad accettarlo.
Cells J bearer
signature
Lucrecia Crescent
Un’altra cosa che Sephiroth non riesce ad
accettare è che quel terzo nome sia l’unico a
risultare illeggibile. Colui che
si è macchiato del peccato più grande. O meglio,
COLEI… Sua madre. Non sa cosa
pensare di lei. E’ l’unico mistero rimasto
irrisolto. Le uniche informazioni
riguardanti quella donna sono solo sterili referti di laboratorio.
Dall’enorme
ammontare di scartoffie, sua madre era tenuta sotto strettissimo
controllo
medico, per ovvie ragioni. E non solo. Ciò che
più colpisce, infatti, è la
quantità di ricoveri a seguito di pesanti tracolli fisici. I
referti raccontano
un quadro clinico preoccupante pure dal punto di vista psicologico.
Sembra che
fosse perseguitata da inquietanti visioni che l’avevano fatta
affondare in un
profondo stato di paranoia e depressione. Tutto ciò
l’ha portata a condotte
pericolose sia per lei che per il bambino.
Voleva
uccidere la causa della sua sofferenza. La domanda è: era
lei stessa o il
bambino che portava in grembo?
Le lunghe dita guantate, ora strette attorno
a sfortunate ciocche di capelli, rivelano che Sephiroth rimpiange di
aver
assecondato quell’impossibile desiderio di sapere. Fatica ad
accettare ciò che
tanto mostruosamente gli è stato posto davanti, sebbene
abbia sempre sospettato
di essere frutto dell’artificio. Forse non credeva in modo
così integrale,
specie se si pensa che nelle sue vene scorre il sangue di un mostro
alieno
sanguinario, esecutore del primo sterminio di massa della storia del
Pianeta. E
a lui era stato detto che POTEVA essere normale.
No… non si può, è
evidente. Tutto ha senso
ora, vero Sephiroth?
-Mi credi, ora?
–
Una voce superba e melliflua s’insinua
tra
le crepe gelate dell’apatia del Generale, recuperando col suo
gusto agrodolce
brandelli di lucidità. Egli, infatti, si riscuote appena,
volgendo, tremante,
l’attenzione verso la propria destra. Da
quell’angolo, lambito appena
dall’effimera luce giallastra del lampadario, emerge Genesis.
La grande ala
nera svetta magnifica al di sopra della sua spalla e lambisce
pigramente il
terreno, provocando inquietanti fruscii ad ogni movimento del
proprietario.
Sephiroth le rivolge un lungo, spaventato sguardo. Posso avvertire
un’altra
crepa attraversare la sua apatia alla realizzazione che, sì,
quella ‘cosa’
potrebbe spuntare dalla sua schiena da un
momento all’altro.
Sta letteralmente guardando il suo futuro.
Ha sempre avuto la sensazione che il loro destino era, in un qualche
modo,
intrecciato.
- Je…
Jen…n… -
Non osa dire quel nome. Quel nome che per il
grande Eroe è sempre stato un faro nel buio, la speranza
tenue di un bambino
bisognoso della mamma, un sogno bellissimo eppure irraggiungibile. Quel
nome
evocato chissà quante volte nelle ore oscure della notte,
quando gli incubi non
gli davano tregua. Quel nome a cui ha affidato le sue preghiere, le sue
speranze, i suoi sogni…
-Jenova, Sephiroth. Puoi dirlo, in fondo tutti noi
condividiamo
le sue cellule. In effetti, potremmo considerarla nostra madre.
–
Genesis continua imperterrito a lanciare le
sue crudeli gettate di veleno, nella speranza di fare breccia nella
fortezza di
depressione in cui Sephiroth si è chiuso. Ogni volta che una
parola esce da
quella bocca irriverente, il corpo dell’argentato
s’irrigidisce da capo a piedi
per poi essere scosso da potenti tremori. Inoltre, come se fosse
possibile,
egli sbianca ulteriormente.
Il rosso, dal canto suo, sorride malevolo di
fronte alla sofferenza del rivale. Lo conosce da abbastanza tempo da
sapere
quanto egli sia succube delle proprie emozioni. Gli ha tolto tutto, lo
ha
spogliato di tutta la sua baldanza, del suo potere, della sua forza; di
questo
passo il Grande Generale sarà ridotto ad un semplice guscio
vuoto, pronto ad
aggrapparsi a qualunque cosa, perfino ad un esperimento fallito come
l’ex-Comandate, pur di andare avanti con la sua inutile,
miserabile vita. E,
finalmente, Genesis sarà l’Eroe che ha sempre
sognato di essere.
- Madre? –
- Certo, Sephiroth.
Jenova è colei che ci rende così forti, che ci
dice cosa fare, che ci protegge
dalla morte. -, il rosso assottiglia gli occhi per studiare gli effetti
di
quest’ultima frecciata, - Non vorrai davvero rinnegarla ora
che sai tutto? –,
insinua viscido, mentre si avvia verso la scrivania, e si siede sopra
di essa,
dandoci le spalle, - Di conseguenza, -, continua, tendendo una mano
elemosinante verso Sephiroth, - non vorrai lasciare che un tuo fratello
muoia,
disattendendo al volere di nostra madre? –
Quella parole mielose e piene di falsa
accondiscendenza urtano accidentalmente un nervo scoperto e molto
doloroso
nella psiche dell’argentato, strappandolo tutto
d’un colpo dall’apatia. Egli si
scaglia con velocità disumana verso Genesis, lo afferra per
il collo, lo
solleva di ben oltre la sua testa e lo schianta contro il pianale della
scrivania. Quest’ultima si spacca di netto con un sonoro
crepitio, sotto la
potenza inaudita del colpo. I fascicoli esplodono in aria, librandosi
ovunque
per la stanza. Genesis emette un gemito soffocato e sputa un
po’ di sangue,
mentre Sephiroth lo blocca a terra col suo peso.
- PERCHÉ
DOVREI SALVARE LA TUA MISERABILE
VITA? TU, CHE MI HA PORTATO VIA TUTTO?! –
Le dita del Generale sono strette attorno al
bavero del sottoposto e lo scuotono con forza, costringendolo ad
impattare
contro il pavimento ancora ed ancora. L’espressione di
Sephiroth è spaventosa:
gli occhi di mako brillano in tutta la loro gelida e inquietante
rabbia, mentre
screziature rosate cominciano a comparire nell’iride destra;
rughe imbruttite e
profonde deformano la fronte, il ponte del naso e i lati della bocca;
le labbra
si sono ritirate per far spazio ai denti appuntiti, così
vicini al viso
avversario che potrebbero strapparglielo se solo glielo permettesse.
Avverto una mano minuta stringere la mia,
riportandomi alla mente di non essere il solo ad assistere a queste
scene
inedite. Getto un’occhiata fugace alla ragazzina accanto a
me, scioccata di
fronte alla lite furibonda tra i due uomini che più hanno
segnato la sua vita.
Non saprei dire se sia più turbata per la rabbia del padre o
per il pericolo
corso dal tutore.
- Quanto sei cieco,
Sephiroth. Sei arrivato fino a qui e ancora non capisci niente. -, uno
strano
eco risuona nella mia testa mentre il ricordo di un rimprovero analogo
striscia
fuori dai meandri della mia mente, - Sei davvero convinto che la Shinra
ti
avrebbe permesso di andartene così? Tu, il loro
più costoso investimento? –
In un colpo, la crudele ironia colpisce
dritto nel segno. Sephiroth si ritrae, abbandonando il bavero del rosso
e
portando una mano alla fronte. Di nuovo, l’espressione del
Generale tradisce il
suo più totale smarrimento. Per quanto l’albino
non voglia dare credito
all’ex-Comandante, i fascicoli ora sparsi ovunque sul
pavimento non fanno altro
che sbattergli in faccia la crudele realtà, dando ancora
più adito alle ragioni
del banoriano.
Tu
non sei
mai stato libero.
Tu non sei stato concepito, sei stato costruito.
Sei nato perché la Shinra ha
PAGATO per averti.
Tante,
troppe persone sono morte per migliorare le tecniche di manipolazione
genica al
punto tale da trasformare un semplice ammasso di cellule umane nella
perfetta
macchina di distruzione, commissionata dalla più potente
Compagnia elettrica del
mondo.
E’ questo ciò che sei.
Non
meriti gli
stessi diritti di un essere umano.
Tu sei un mostro.
- Basta… -
Le parole tetre lo tormentano, come demoni
sadici lo pungolano dispettosi. Implora la fine di quel supplizio,
piagnucolando come un bambino sperduto. Sephiroth afferra la testa con
entrambe
le mani. Le dita affondano nella folta chioma argentea, raggiungendo il
cuoio
capelluto. Il petto si espande e si comprime a ritmi serrati,
affannosi. Il
panico lo attanaglia, la realizzazione lo distrugge, la coscienza lo
divora.
Gli occhi si muovono febbrili da un fascicolo all’altro,
nella speranza di
trovare un punto cieco su cui finalmente posare lo sguardo sconvolto e
fuggire
da quella verità devastante.
Invano.
- Basta dirti bugie,
amico mio. Nel profondo, lo sai, lo hai sempre saputo che te le
avrebbero
portate via. E tu SAI che fato le avrebbe aspettate se la Shinra fosse
arrivata
prima di me. –
E dalle viscide labbra del suo
ex-commilitone, arriva la stoccata finale. La sola menzione a quella
possibilità,
un brivido gelido attraversa il corpo del Generale, rievocando ricordi
terrificanti e mai sopiti. Il peso di quelle esperienze sembra
improvvisamente
schiacciarlo, tanto che non ha nemmeno più la forza di
reggersi la testa. Ogni
oncia di sangue sembra essere stata succhiata via, tanto la sua pelle
è
cinerea. Con la testa abbassata, la schiena incurvata, le braccia
abbandonate
sulle gambe, sembra una macabra marionetta a cui hanno tagliato i fili.
Per un lunghissimo istante, una surreale
stasi spodesta con la sua anti-climatica calma il caos regnante poco
prima.
Ogni suono è congelato, ogni movimento impedito, ogni
aspettativa possibile.
La
calma
prima della tempesta.
Improvvisamente, quasi impercettibile, un
lugubre mugolio detona nel cuore della stasi. L’onda
d’urto è così devastante
da causare profonde incrinature su ogni singolo oggetto presente nella
stanza.
Io stringo Takara a me, presagendo già la tempesta in
arrivo. Vorrei scappare,
ma un’insana curiosità mi tiene incollato al mio
posto.
Mi
sono
sempre chiesto: come nasce un mostro?
Il mugolio diventa sempre più distinto,
fino
a definirsi in un agghiacciante sghignazzo, la cui potenza causa crepe
sempre
più profonde e scricchiolii sempre più
assordanti. E’ spaventoso quanto il
senso di disagio capace d’insinuarsi direttamente nelle ossa.
Lo scricchiolio è
ormai insopportabile, ma non sovrasta mai il suono orrendo che la
genera, anzi
è una nenia ipnotica che ti avvolge nel suo mortale
abbraccio. Infine, giunge
il culmine, il momento in cui l’Eroe muore e il Mostro
trionfa. Il momento in
cui la mente di Sephiroth si frantuma in migliaia di pezzi e tutto
l’odio, la
rabbia, il rancore racchiuse nei recessi più oscuri della
sua psiche si
riversano in ogni angolo del suo corpo, corrompendolo fino al midollo.
Una risata folle, sguaiata, diabolica
prorompe potente come un tuono, sconquassando ogni fibra della nostra
anima,
oltre che il corpo del suo fautore. Le spalle, la schiena e la testa di
Sephiroth si sollevano di scatto, lasciando che quel terribile suono si
elevi
verso la superficie, affinché tutto il Pianeta possa udire
la voce della sua
furia. Tutto il suo corpo è teso nell’atto di
ridere, turgido e statuario come
una belva in procinto a festeggiare la sua ritrovata
libertà. I denti sono
snudati e spuntano simili a zanne appuntite dalle gengive rosso sangue,
esposte
all’inverosimile. Infine, gli occhi, come sempre, la peggiore
visione alla
fine.
Fuoco.
Solo un infinito, indomito e scatenato mare
di fuoco, specchio stesso della sua anima devastata, il cui richiamo
riecheggia
fin fino ai più profondi meandri dell’Inferno. E
da lì, un nuovo padrone emerge
avvolgendo totalmente il Generale con un’onda di ribollente
lava, per poi
ritrarsi indietro, lentamente, sensualmente, accarezzando ogni singola
curva
del suo corpo. La risata di Sephiroth scema lentamente, trasformandosi
in
ansimi di piacere, tradendo la natura di quel contatto. Lo guardiamo
mentre
asseconda le delicate carezze che quella lava gli lascia sul viso, sul
collo,
sul petto, inseguendole con sinuosi movimenti delle suddette parti. Le
palpebre
morbidamente abbassate entrano in pieno contrasto con le labbra appena
dischiuse ancora deformate in un terrificante ghigno, in un perfetto
connubio
di piacere e odio.
Mano a mano che la lava abbandona il corpo
del Generale, essa si addensa e si plasma al fine di formare una
sagoma,
dapprima informe, ma poi sempre più definita in quella di
una donna dal corpo
sinuoso e sensuale. Bellissima quanto terrificante. Noto, tuttavia, che
non
tutto il plasma infuocato abbandona il Generale, un filo sottilissimo
collega
il centro del petto di lei alla parte terminale di una ciocca dei
capelli di
lui.
Una scena tenera appartenente a un
lontanissimo passato mi riporta all’esatto momento in cui
quel ciuffo di
capelli venne tagliato e consegnato all’amata, come pegno
d’amore imperituro e
incondizionato.
Non
solo il
tuo cuore bruciò con lei.
Evelyn, le cui meravigliose fattezze
rimangono ancora confuse dal mare di fiamme in cui è
immersa, si propende verso
il suo amato, lambendo con le sue mani laviche il viso tempestoso di
Sephiroth.
Lo attira verso di sé, così vicini che quelle
labbra potrebbero quasi toccarsi
per puro caso. Lei temporeggia, lasciando che il proprio uomo si
crogioli nella
dolce illusione di aver riportato indietro le lancette
dell’orologio. Quando
c’era ancora lei, quando tutto era un meraviglioso, caldo,
folle sogno. Lacrime
piene di rimpianto sgorgano dalle lunghe ciglia del Generale, scendendo
lungo
la curva delle palpebre ancora serrate e poi lungo la decisa curva
dello zigomo
appuntito, fino ad intercettare le mani infuocate della sua amata. Un
lieve
rigolo di fumo si eleva lì dove le amare gocce evaporano. In
tutta risposta,
Evelyn sposta i palmi e li fa congiungere sotto al mento
dell’amato, per poi
esercitare una lieve pressione, inducendolo ad alzare la testa ed
aprire gli
occhi.
Le sue labbra si schiudono, lasciando che
una voce dotata di una soavità e di una dolcezza
ultraterrene avvolga l’udito
del suo Generale.
-
Don’t be sad. I’m with you now. –
[Non
essere triste. Sono con te, ora, Sephiroth
FFVII: CC]
Per l’ultima volta in quella notte, il
sorriso di Sephiroth fu sinceramente felice. Lei era con lui. Questo
voleva
dire solo una cosa: l’Inferno era alfine giunto. Avrebbe dato
alla sua Regina
il suo legittimo regno. E nessuno l’avrebbe fermato. Quegli
inutili,
miserabili, schifosi insetti dalle fattezze umane sarebbero periti
sotto la sua
indomabile potenza. Quella Compagnia malata e marcia avrebbe pagato lo
scotto
per tutte le umiliazioni causate. Quel Pianeta morente e crudele
avrebbe
ricevuto il colpo di grazia proprio da colui che tanto ha vessato.
Perché lui era Sephiroth.
Il mostro più potente mai creato.
Colui il quale il potere enorme
dell’universo gli scorre direttamente nelle vene.
Il Prescelto. Il legittimo erede della…
Madre.
Nessuno è degno di questo titolo. Nessuno!
L’epifania colpisce il Generale con la
forza
di un fulmine, una scintilla potentissima brilla in quegli occhi velati
dal
rancore e dall’ira. Velati, ma non annebbiati. Sì,
perché ora SA. Per la prima
volta in tutta la sua vita realizza la sua vera identità, il
compito grandioso
a cui è stato preparato fin dalla nascita. Ora tutto si
spiega, tutta ha
finalmente un senso, comprese le frasi sibilline rivoltagli dalla
giovane Cetra
di bianco vestita, prima della sua partenza. Sì, lui
porterà morte e
distruzione senza fine, perché così è
scritto. E’ questo il suo destino.
Il sorriso si trasforma in un orrifico
ghigno satanico e i suoi occhi roteano in direzione di Genesis, il
quale ancora
lo fissa sbigottito dalla sua posizione supina. Lo osserva in tralice
con le iridi
smeraldine, trafiggendo gelido l’amico traditore attraverso
le sottili ciocche
argentate, le quali gli adombrano sinistramente il viso affilato.
E’
terrificante. Sia il rosso, che noi, semplici spettatori, avvertiamo un
brivido
di terrore ripercorrere tutta la lunghezza della spina dorsale.
- S- Seph? Ti senti
bene, amico mio? –, azzarda l’ex Comandante,
titubante.
In tutta risposta, l’Angelo dalla Sola
Ala
sghignazza lugubre scatenando l’ennesima doccia gelata.
- Mai stato meglio.
–
Gli occhi blu del banoriano si spalancano
all’inverosimile, mentre la paura lo avvolge.
Quella
voce…
Una forte sensazione di nausea mi assale, lo
stomaco si accartoccia su se stesso, la vescica si contrae, il cuore
inizia a
battere all’impazzata e il sudore freddo imperla la fronte,
il collo, la
schiena. Il corpo è così teso da risultare
inamovibile. L’istinto di scappare
c’è eccome, ma siamo troppo spaventati per farlo.
Perfino Genesis non riesce a
muoversi, il disagio gli ha perfino mozzato il respiro.
Improvvisamente, Sephiroth inspira. Chiude
gli occhi e rotea la testa, come se fosse in preda alla libidine.
- Oh, sì.
Sì, temimi.
L’odore della paura è ciò che
più ti si addice. –
Il SOLDIER di Banora snuda i denti e
assottiglia gli occhi, oltraggiato così profondamente da
quell’insinuazione
denigrante da scacciare via l’espressione impaurita sul suo
volto in pochi
secondi. Egli cerca di alzarsi di slancio, ma, tra il suo fisico
spossato dal
degrado e i colpi subiti poco fa, il risultato è patetico e
miserabile oltre
ogni limite. L’equilibrio del rosso è troppo
minato per un’efficace posa
battagliera, tanto che è costretto ad estrarre Rapier al
solo fine di
sorreggersi. Il suono limpido dell’acciaio che incide la
pietra sottolinea
ancora di più l’onta. Inoltre, il suo respiro
è pesante. Troppo
pesante. Così pesante da costringerlo a
tossire. Si porta il guanto alla bocca e, quando sposta il palmo, esso
è
macchiato di sangue nero.
Takara emette un gemito di pietà nei
confronti del suo tutore.
Ignorando le ferite, il rosso cerca di
sollevare il pesante stocco, ma le esigue forze
gl’impediscono di rinsaldare la
presa e l’arma cade a terra con un tonfo metallico. Inoltre,
i suoi polmoni
sembrano essere stati gravemente compromessi.
-
Come- cough- osi? Cough cough! -
Ad ogni colpo di tosse, schizzi di sangue
esplodono dal suo cavo orale, seminando gocce nerastre come se
piovesse, oltre
che colare dalle sue labbra. Genesis crolla di nuovo in ginocchio, ma
il suo
fisico non regge nemmeno quella posizione e lo costringe a carponi.
Cerca di
prendere profonde boccate d’aria, per ricevere in cambio
proteste sempre più
pesanti dal suo stesso apparato respiratorio.
Il tutto sotto lo sguardo divertito di
Sephiroth, il quale non sembra intenzionato nemmeno lontanamente ad
aiutare il
suo vecchio commilitone. Anzi, la sofferenza del rosso non fa altro che
accrescere la luce di puro godimento nelle iridi di gelido mako
acquamarina.
Le braccia del Comandante tremano dallo
sforzo, seguite poi a ruota dal corpo, il cui tremore, però,
è scatenato da una
causa ben più personale.
- Non voglio morire.
-, annuncia, tra singhiozzi e ansiti.
Del tutto indifferente, Sephiroth rompe la
sua immobilità e si propende verso la Masamune, abbandonata
a terra dopo la
distruzione della scrivania; dopodiché, lentamente,
misuratamente, egli si
eleva in tutta la sua terrificante magnificenza. La voce cristallina
della
spada leggendaria fende l’aria come una belva affamata,
impaziente di reclamare
il suo tributo di sangue. Il Generale osserva Genesis
dall’alto, con disgusto,
come un Dio impietoso osserverebbe il più osceno e blasfemo
dei peccatori.
- Oh no, tu non morirai. –
Il SOLDIER di Banora alza la testa di
scatto, stupito da quelle parole, interpretandole come un atto di
suprema
benevolenza da parte di quell’implacabile Dio della
Distruzione. La speranza
gli illumina gli occhi blu, i quali rivolgono uno sguardo adorante
verso il suo
salvatore.
-
Sephiroth… Sapevo
che avresti capito… Amico mio… -
Il viso di marmo del Generale si deforma in
un ghigno beffardo, da cui una risata vuota e mostruosa prorompe,
mettendo fine
alle suppliche del rosso. Questi sbianca, le pupille diventano due
capocchie di
spillo, mentre fissa inorridito la controparte avvicinarsi infidamente
a lui.
L’albino piega la schiena in avanti e, col collo, si propende
verso il lato
destro del suo viso. Le labbra cineree dell’Angelo
vicinissime al suo orecchio.
Ciocche del color della luna gli lambiscono lo spallaccio, si posano
sul
colletto rialzato, s’insinuano sulla pelle del suo collo.
Genesis non osa
muoversi. Il respiro affannoso è l’unico movimento
che si può concedere.
-
You’ll rot.
-
[Tu marcirai. Sephiroth, FFVII: CC]
Sussurrato questo, Sephiroth si
scosta e osserva l’uomo ai suoi piedi dritto negli occhi con
nera
soddisfazione, rivolgendogli un ampio, demoniaco sogghigno. Di fronte a
quello
sguardo, tutto l’orgoglio di Genesis capitola miseramente,
rivelando il suo
vero volto: un uomo disperato, terrorizzato dal suo stesso fragile
corpo
morente. Non sopporta più l’agonia, la costante
paura di vivere in un corpo
troppo debole, il timore incessante di non risvegliarsi più
a seguito del più
semplice dei colpi. Più di tutti, però,
c’è il terrore di andarsene troppo
presto, senza aver concluso nulla di utile nella vita, dimenticato,
senza
valore. Il panico dona a Genesis la forza necessaria di afferrare i
lembi
dell’impermeabile di Sephiroth, impedendogli di allontanarsi.
- NO! Ti prego,
Sephiroth! Io… io posso esserti ancora utile. Dammi le tue
cellule e potremo
combattere… insieme! Sì, insieme… come
una volta! –
Le suppliche e le lacrime del rosso non
sembrano minimamente lambire l’impassibilità del
Generale, il quale fissa
l’uomo implorante disgustato. I livelli di sopportazione,
infatti, raggiungono
l’apice e Sephiroth mette fine a quel miserabile teatrino
afferrando con
decisione il banoriano per la gola, stroncandone il discorso e
trasformarlo in
un raccapricciante gemito strozzato. Successivamente, solleva il
guerriero da
terra con una facilità disarmante e lo scaraventa senza
grazia a impattarsi
contro la libreria. I libri esplodono in un vortice di fogli e
copertine e
mensole spezzate, il quale ricade sopra al corpo del rosso,
seppellendolo sotto
il proprio peso.
Accanto a me, Takara scatta in direzione del
Comandante per soccorrerlo, ma io afferro entrambe le braccia e la tiro
verso
di me, chiudendola in un abbraccio.
-No!
Lasciami! -, urla la ragazzina,
scalciando e contorcendosi.
-
E’ un
ricordo. Non puoi fare niente per lui. -,
spiego, mentre lotto contro la sua determinazione.
Takara combatte ancora un po’, ma poi si
arrende, tuttavia non smette di fissare quell’angolo, in cui
il corpo dell’ex
Comandante di SOLDIER persevera immobile.
-
Genesis… - evoca con la voce rotta
da lacrime
screziate dal senso di colpa.
Con la coda dell’occhio, vedo Sephiroth
infrangere la sua immobilità e cominciare ad avviarsi verso
l’uscita. La sua
espressione è una maschera di completa indifferenza. Tirando
Takara con me, mi
faccio da parte, lasciandogli libero il passaggio, ma un mugolio
soffrente
interrompe la sua marcia.
- Fermati ora,
Sephiroth. Sei ancora in tempo per non seguire il mio esempio.
–
Il Generale lo fissa glaciale.
- Eppure ti sei
impegnato così tanto per condurmi qui. –
La crudele ironia del platinato getta un
pesante silenzio tra i due. Per un attimo crediamo che la discussione
finisca
lì, invece, Sephiroth abbandona il centro del corridoio e si
avvicina al
Comandante ancora riverso al suolo. La sofferenza del rosso
è ben evidente sul
viso mortalmente pallido e macchiato di sangue, i cui occhi blu
osservano,
stanchi e spenti, l’uomo che si accovaccia proprio di fronte
a lui.
- Ma io ti perdono.
–
Sia io che Takara che Genesis rimaniamo
stupiti da quelle parole.
Come
può
perdonarlo per tutto quello che gli ha fatto?
- Sei solo un
burattino. Una miserabile marionetta nella mani della Madre. Nel Suo
grande
disegno, eri un insignificante vettore per un fine. Non vali niente.
Non meriti
il mio odio, perché il ruolo a cui Lei ti ha relegato
è una punizione
sufficiente per me. –
Genesis è sempre più confuso.
Per quanto la
forma opinabile, il contenuto del perdono di Sephiroth è
assolutamente genuino.
Non v’è odio, né ironia, né
menzogna. E’ un perdono vero,
accorato, come a dimostrare la mano posta
sul cuore dall’argentato.
- Non osare! Non
osare
fare l’accondiscendente con me. Tu mi odi. Io ho dato fuoco
alla tua casa. Io
ho ucciso la donna che amavi. Io… -
L’ex Comandante abbassa la testa, mentre
i
ricordi dei suoi crimini osceni ritornano più dolorosi e
potenti che mai. Non
riesce a sostenere lo sguardo misericordioso dell’uomo su cui
il suo
risentimento è calato più pesantemente di
chiunque altro. Le lacrime sgorgano
copiose di fronte a quel perdono immeritato.
- Io, io, io.
Genesis,
ti stai dando troppa importanza. Non mi hai ascoltato? La Madre ha
voluto che
tu facessi ciò che hai fatto. E ora, grazie al tuo
intervento, posso finalmente
ascoltarla. Lo hai detto anche tu, no? Lei provvede a noi. Siamo i suoi
figli.
I suoi prescelti. –
A quelle parole, Genesis trova la forza di
guardare il Generale. Quest’ultimo sorride benevolo al
camerato e lo guarda con
uno sguardo del tutto differente dalle prime battute del loro incontro.
Non lo
trafigge con la freddezza, ma lo avvolge con calore, lambendo appena le
sue
sofferenze.
- I suoi
prescelti… -
Il banoriano ripete le parole dal sapore di
miele proveniente dalle gentili labbra di quel Dio compassionevole che,
misericordioso, gli lava via le lacrime dal viso con verbo appassionato
e
ripieno di speranza. Egli, infatti, è letteralmente travolto
dall’aura divina
di Sephiroth come testimoniano quegli occhi blu, da cui scaturisce una
luce
adorante. Del tutto perso in lui.
- Sì. Lei
mi ha scelto
affinché possa preparare il Pianeta per il futuro radioso
che la Madre ha
predisposto per noi. E così farò, fratello mio.
–
Sotto lo sguardo attonito di Genesis,
Sephiroth si alza, alto e fiero nella sua impeccabile postura di nuovo
Dio, e
osserva il minuscolo vettore che lo ha risvegliato. Non
v’è disprezzo, né
infamia in quegli occhi, solo un’emozione difficilmente
identificabile, tanto
indecifrabile è la sua immensa aura. Egli poi volge il suo
sguardo
imperscrutabile verso la fine del corridoio, da cui rumori ovattati
sembrano
arrivare.
- Sarà un
lungo e
periglioso cammino. Nemici di ogni tipo si nasconderanno dietro ogni
angolo. Io
farò di tutto per portare avanti la volontà della
Madre, ma… -, il Generale
s’interrompe e si rivolge a Genesis, - potrei fallire.
–
Un fremito attraversa il corpo debilitato
del Comandante, terrorizzato dall’idea del fato che
attenderebbe Sephiroth se
dovesse veramente mancare. Che ne sarà di lui? Che ne
sarà di loro?
Ad un certo punto, però, il Dio abbassa
la
testa, regredendo, per un attimo, allo stato fragile e miserrimo della
sfera
umana. Infatti, il ghigno mefistofelico è scomparso,
l’arroganza nei suoi occhi
volatilizzata, la postura ieratica rilassata.
- Addio, mia
principessa. –
Quella frase è un soffio flebile, quasi
impercettibile, ma capace di strappare una lacrima ad un Dio. Sia io
che
Genesis spalanchiamo la bocca per lo stupore, poiché non ci
aspettavamo che
fosse in grado di formulare un tale pensiero, dopo ciò che
è poc’anzi accaduto.
L’unica non sorpresa è proprio la protagonista di
quell’accorato addio. Ella
sorride, fiera e sollevata del fatto che, prima di morire, sua padre
abbia
dedicato l’ultimo suo pensiero a lei.
L’amore di un padre va al di
là di ogni
potere, di ogni entità, di ogni distanza. E’ un
legame così potente e stretto
che niente e nessuno riuscirà mai a spezzarlo. Non importa
quanto dolore,
quanto odio, quanta rabbia un uomo possa provare, ma l’amore
per i propri
figli, il desiderio di saperli al sicuro supera ogni barriera,
distrugge ogni
fortezza.
E nemmeno il grande Dio Sephiroth ne è
immune.
Un tonfo ovattato proviene dalla porta di
legno massiccio, la quale viene spalancata da una figura offuscata, la
quale
urla qualcosa d’incomprensibile.
Tutto inizia a girare e scomparire.
L’ultima cosa che vediamo è
Sephiroth
indossare la maschera del mostro e il baluginio della Masamune, mentre
ci
rimbomba in testa la fatidica frase:
-
Out of my way. I’m going to see my Mother.-
[Non
ostacolatemi. Sto andando a trovare mia
Madre. Sephiroth, FFVII: BF]
- Takara! –
Alzo il busto di scatto, protendendo la mano
verso il vuoto. Della ragazzina, però, nessuna traccia. La
sua figura distorta
dallo sfaldamento del ricordo è l’ultima cosa
rimasta di lei. Ora, mi rendo
conto di essere rimasto solo, in un luogo a me ben conosciuto. A pochi
metri da
me, infatti, distinguo un’inconfondibile chioma
d’argento ondeggiare
elegantemente a ritmo di una leggera e fresca brezza.
-Lei non
è qui. –
Sephiroth spazza via i miei dubbi, senza
nemmeno voltarsi. Credo che tutta la sua attenzione sia focalizzata
sulla
figura al di là del cancello. Evelyn è ancora
lì ad attenderlo. E ora capisco
il perché. Il loro legame è stato forgiato da
quella ciocca che lei ha sempre portato
con sé. Lei è morta assieme una parte fisica di
lui, non solo con il suo cuore.
Non potrebbero ignorarsi nemmeno volendo.
Sospiro, mi avvio verso Sephiroth e mi fermo
accanto a lui, distanziato di un paio di braccia.
Come volevasi dimostrare, egli è troppo
impegnato a contemplare la figura della moglie, inginocchiata nel bel
mezzo di
una densa nebbia, al di là del cancello di ferro battuto, il
quale ci divide
dal mondo dei morti. Come il marito, anch’ella osserva con
attenzione il muro
che la separa da questo strano limbo sospeso tra la vita e la morte,
sperando
in un altro miracolo come quello dell’altra volta. Entrambi,
comunque, sembrano
sereni, poiché sanno che la loro controparte è
più vicina di quanto credano.
- Perché hai perdonato Genesis?
–
La mia domanda esce dalle labbra in modo
quasi inaspettato, infrangendo la quiete dentro cui entrambi stavamo
lentamente
sprofondando. Egli risponde senza nemmeno pensarci, come se fosse
l’unica ovvia
spiegazione.
- La paura di morire
l’ha portato a fare scelte sbagliate. Non si rendeva conto di
quello che stava
facendo. –
La semplicità e la placidità
impresse nel
suo tono risultano quasi assurde. E inaccettabili. Ciò mi fa
montare su tutte
le furie. Avverto lo stomaco assaltato da strani crampi, di cui non
riesco a
identificare la causa. Tremante d’ira, riverso quel
sentimento addosso al mio
mortale nemico.
- Che diavolo di risposta è? Lui ti ha
distrutto la vita! Ha rivoltato tutto il mondo contro ogni tua
convinzione, ha
usato i tuoi uomini come cavie da laboratorio, ha bruciato la tua
casa… ha… ha
ucciso la donna che amavi…ha…ha…
–
Mano a mano che elenco i crimini di Genesis,
mi rendo conto di quanto assomigliano dannatamente a quelli commessi
dal
Generale stesso nei miei confronti. Crimini che non ho mai ponderato di
perdonargli nemmeno nell’anticamera del cervello, ma che,
anzi, non hanno fatto
altro che consumarmi ogni giorno sempre di più. La mia
baldanza si spegne,
lasciandomi senza alcuna forza. Crollo a carponi, mentre lacrime di
cordoglio
scendono incontrollate lungo le mie gote, succhiando via
l’energia ad ogni
goccia infranta al suolo. Stancamente, appoggio la fronte a terra,
lasciando
che i fili d’erba mi lambiscano la pelle. Le dita che, fino a
poco tempo prima,
erano infisse nel terriccio, ora sono strette attorno a ciocche di
capelli. Ma
anche quella forza viene a meno e mi ritrovo a piangere al limite
dell’incoscienza, riverso su un lato, membra abbandonate
sull’erba e in posizione
fetale. Il mio corpo non è mai stato tanto pesante, ma
nemmeno così svuotato.
Sono fisicamente esausto. E schifosamente patetico
- Hai capito quanto
è
straziante odiare? –
La voce calma e pacata di Sephiroth mi
riscuote. Alzo stancamente la testa nella sua direzione e incrocio i
suoi
occhi. Non posso fare a meno di stupirmi nel constatare che lui non mi
stia
trafiggendo con i suoi soliti sguardi mordaci atti a sottolineare la
mia
stupidità; oppure disprezzarmi con un’intensa
occhiata altezzosa superbia. No,
vedo tanta empatica pietà spillare da quelle iridi. E
dispiacere, oltre che una
profonda tristezza. L’ esatto specchio dei miei. Non credo di
essermi mai
sentito così nudo in vita mia, ma anche totalmente compreso.
Stancamente, faccio leva con le braccia e
alzo il busto, senza distogliere lo sguardo da quel tocco
così intimo e rassicurante.
E’ un momento intensissimo, capace di strapparmi il cuore
letteralmente dal
petto da quanto forte batte. Mi sento stordito, confuso dalla miriade
di
emozioni che sono esplose a seguito della distruzione del muro che da
sempre le
teneva imprigionate nei recessi del mio animo. Non
c’è più nessuna barriera tra
noi, perché anch’io riesco a vedere al di
là della sua maschera d’indifferenza.
Le nostre difese sono crollate totalmente, le nostre fortezze
spodestate e
messe a nudo agli occhi dell’altro. Non siamo più
nemici giurati, né pedine di
una guerra millenaria, né mostri rabbiosi, né
guerrieri sanguinari; bensì uomini.
Ciò che ci è stato vietato per tutta la
vita. Ed è ciò che ci ha sempre accomunato.
Io, tuttavia, sono il più spregevole
degli
uomini. Una feccia schifosa, dorata da un eroismo che non mi
è mai veramente
appartenuto. L’ho costretto a compiere nefandezze indicibili,
pur di mettere a
tacere il senso di inadeguatezza che da sempre ha gravato sulla mia
coscienza.
Egoisticamente, mi sono aggrappato alla sua straordinaria grandezza,
infangandola, sfregiandola, demolendola pur di esaltare quella miseria
che da
sempre mi ha contraddistinto. Non sono mai stato niente rispetto a lui.
Sephiroth era l’eroe che ogni ragazzino sognava essere:
altruista,
responsabile, disinteressato. Ed io… io non lo sono. Non lo
sono mai stato: ho
sempre pensato a me stesso, vendendo la mia forza al miglior offerente,
seguendo
la mia strada e infischiandomene delle conseguenze. Ogni occasione era
buona
pur di dimostrare quel valore di cui non ne possedevo nemmeno un
grammo. Non ci
ho pensato due volte a spacciarmi per Zack, nascondendo la sua memoria
pur di
dimostrare di non essere un totale fallito. Volevo essere il
più forte e non
volevo che il merito andasse agli altri, perché…
sì, lo ammetto, mi sentivo
superiore. Ma ora capisco che no, io non lo sono affatto. Non senza
coloro che
amo. Coloro i cui sentimenti e desideri sono sempre stati calpestati
dal mio
cieco egoismo. Coloro che, nonostante tutto, mi sono sempre stati
accanto.
Coloro che, nonostante le sofferenze, mi
hanno amato…
Tifa…
Abbasso la testa e avverto il rimorso
devastarmi.
Lei mi è stato sempre accanto, ha sempre
creduto in me, fin dall’inizio, quando non ero altro che un
ragazzino di
provincia debole e inutile. A lei non è mai importato se
fossi rimasto un
sempliciotto di campagna oppure un SOLDIER acclamato, lei mi avrebbe
amato
sempre e comunque. Guardo sofferente la mia controparte. Le lacrime
hanno
ripreso a scorrere. E’ questo che ha sempre cercato di
inculcarmi. Voleva che
combattessi per le persone a me più care, dal momento che
lui non poteva più.
E’ per questo che tornava: per ricordarmi questo.
E io l’ho odiato così
tanto…
Un odio immeritato, quando lui, a modo suo,
ha voluto sempre aiutarmi.
Cammino a carponi nella sua direzione, verso
quella figura statuaria che magnifica svetta verso il cielo bianco
latte. La
brezza gli scuote delicatamente le ciocche sottili dei capelli
d’argento, le
quali gli lambiscono il viso disteso,
benevolente…bellissimo, lo devo
ammettere. Un angelo intriso di peccato, ma pur sempre un angelo. Egli
segue la
mia avanzata con leggero stupore, come dimostrano le labbra rosate
morbidamente
dischiuse. Appena lo raggiungo, alzo il busto e avvolgo le braccia
attorno alla
sua vita, per poi affondare il mio viso nel suo grembo. Sephiroth
sussulta di
sorpresa e fa per ritrarsi, ma prontamente le mie dita afferrano
disperatamente
il tessuto della sua nivea camicia, con il rischio di strapparla.
- Cloud,
cosa…? -
- Mi dispiace… Non sei tu a ricercare il
mio
perdono, ma io il tuo. Io ti ho rubato tutto. Ho approfittato della tua
caduta
per appropriarmi dei tuoi titoli e denigrare la tua memoria. Mi sono
lasciato
accecare dalla rabbia, dall’odio e dalle bugie della Shinra.
Ho rinnegato tutta
l’ammirazione nei tuoi confronti, senza nemmeno chiedermi
cosa ti avesse spinto
ad agire così. Ho perseguito la vendetta con tutte le mie
forze, spingendomi
fino alla fine del mondo e… alla fine, cosa mi è
rimasto? –
Alzo lo sguardo e lo fisso nel suo. Blu nel
verde, mako nel mako.
- Te lo dico io: niente! Come niente sono
sempre stato. Io… volevo solo essere come te… -
Lo stupore iniziale di Sephiroth si tramuta
in un’espressione di pura sofferenza, appena pronuncio
l’ultima frase. I suoi
occhi si spalancano terrorizzati e la sua bocca si contrae mimando un
muto
‘No’. Egli inizia a scuotere la testa, sconvolto,
mentre cerca di convincere se
stesso di non aver sentito davvero quelle parole. Glielo posso leggere
letteralmente al di là di quella pupilla oscura, ridotta a
una capocchia di
spillo e straordinariamente umana. E’ uno spettacolo unico.
Avverto improvvisamente i suoi polpastrelli
strisciare sulla pelle del mio viso, i palmi ampi accogliere la mia
testa nella
loro disperata stretta, le lunghe dita affusolate insinuarsi tra i miei
capelli.
Odo il crepitio dei suoi guanti neri e le falangi premere contro il
cuoio
capelluto, come se volesse impedirmi di ritrarmi; ma, sinceramente, io
sono
così affascinato dalla sua figura da non riuscire nemmeno a
muovere un muscolo.
La sua mascella si contrae e i suoi occhi si assottigliano e si
rabbuiano,
tradendo un’ondata di rimorso capace di spaccare in due il
Pianeta stesso.
Rimango sorpreso da quel repentino cambio d’umore, ma non ho
il tempo di
chiedere, poiché lui, lentamente, si piega nella mia
direzione, fino ad appoggiare
la sua fronte alla mia per un rapido istante, per poi rialzare il suo
sguardo
dritto nel mio. Il respiro si mozza in gola appena avverto il gelo
della sua
pelle pervadermi il centro della testa. Gli occhi si spalancano dallo
stupore
nell’apprendere di non avvertire nessun fiato solleticarmi la
pelle. Al che
capisco che la vita in quel corpo è solo un remoto ricordo.
Istintivamente,
rafforzo la stretta attorno ai suoi fianchi per donargli un
po’ di conforto, ma
l’iniziativa non sembra sortire nessun effetto; anzi
ciò lo turba ancora più
profondamente. La mascella, infatti, si contrae ancora e gli occhi
diventano
lucidi. La tonda pupilla ora mi scruta severa attraverso le lunghe
ciglia nere.
Deglutisco rumorosamente dalla soggezione che questa strana vicinanza
mi
provoca, tuttavia non riesco a distogliere lo sguardo. Non potrei
nemmeno volendo
dal momento che la presa sulla mia testa da parte di Sephiroth si
è fatta
incredibilmente più determinata.
- Cloud…
quanto sei
idiota. Non ti sei mai reso conto, vero? Tu STAI diventando esattamente
come
me. Ti senti niente, perché…niente ero. Stai
abbandonando coloro che ami per
continuare a inseguire un’ideale inesistente. Come ho fatto
io… -
L’ultima frase è pronunciata
con un filo di
voce, ma è un sibilo così penetrante da colpirmi
dritto al cuore. Avverto il
mio corpo fremere, davanti a quell’ammissione così
sofferta e piena di
devastante rimpianto. Un paio di minuscole lacrime, sfuggite al
controllo del
Generale, sfilano lungo il suo viso affilato, ma egli chiude gli occhi
e si
concentra, come suggerisce il leggero fremito dei muscoli
sopraccigliari.
Quando, finalmente i sentimenti sono richiamati all’ordine,
egli si raddrizza e
spazia con le mani il nebbioso vuoto che ci circonda.
- Guarda dove
quell’ideale
ci ha portato… –
La sua voce è stanca, stracolma di
tristezza, ma ancora capace d’indurre un uomo
all’obbedienza. Come ordinatomi, infatti,
mi guardo attorno. Il mondo è avvolto in una nebbia
così fitta da non riuscire
a distinguere nient’altro, se non quel cancello sbarrato su
un futuro fin
troppo nitido. Un futuro fatto di attesa e solitudine. Un futuro che ci
obbliga
a guardare quello che una volta avevamo e che noi, per perseguire un
sogno al
di fuori della nostra portata, abbiamo lasciato alle spalle. Siamo
stati troppo
veloci, troppo veementi, troppo affamati.
Inizio a ridere. Fin da bambino, ho sempre
dovuto dimostrare qualcosa agli altri. Volevo essere forte per farmi
rispettare, per ottenere ogni cosa desiderassi, per rendere mia madre e
Tifa
fiere di me. Vedevo in SOLDIER, in Sephiroth, un modo per ottenere
quella
fantomatica forza che mi avrebbe aiutato a raggiungere i miei sogni.
Una forza
che, tuttavia, non mi ha mai nemmeno sfiorato: i miei compagni, i miei
comandanti mi credevano un totale fallito. Tutti nel Reparto mi
disprezzavano e
vedevo quel sogno allontanarsi ogni giorno sempre di più.
Poi arrivò la notte
in cui tutto cambiò, in cui vidi l’uomo
più forte del Pianeta crollare sotto il
peso delle sue stesse debolezze. Un uomo che ha permesso a un potere
corrotto
di trasformarlo nel suo schiavo. E io, che avevo perso le persone che
amavo,
che non le avevo protette,
sconfiggerlo con una facilità disarmante. Non mi accorsi mai
che quel dolore fu
la scintilla capace di radere al suolo quei limiti che nella mia
ottusità mi
sono sempre imposto. Ora realizzo: io tengo agli altri, li ho sempre
messi al
di sopra di ogni cosa, inconsciamente, magari, arrivando perfino a
mentire a me
stesso, a ferirli coi miei lunghi silenzi e i miei comportamenti
scontrosi, però,
alla fine, sono sempre tornato.
Grazie
a
lui.
Rivolgo a Sephiroth un’occhiata grata,
appena mi riconosco la veridicità delle sue parole.
- Essere eroi richiede un prezzo pesante da
pagare… e spesso non si è in grado di sostenerlo.
E’ per questo che esistono
gli antagonisti. -
Di tutta risposta, lui chiude gli occhi e
inarca i lati della bocca in un sorriso nostalgico, trasformando la sua
espressione neutra in una più gentile e franca. Ha un che di
paterno e ciò mi
fa nascere uno strano languore all’altezza della bocca dello
stomaco. Il
Generale rivolge poi il suo sguardo malinconico verso un punto lontano.
- E’ come asseriva sempre Genesis: The
world needs a new hero. [Il mondo ha
bisogno di
un nuovo eroe, Genesis
FFVII: CC]. Solo ora capisco
cosa
volesse dire… -
Sephiroth abbassa la testa, in preda al
rimorso.
Rimango stupito dal fatto che, perfino ora,
egli non riesca a perdonarsi del modo con cui ha dubitato
dell’amicizia di
Genesis. Nel loro modo distorto, i due erano legati da un sentimento
profondo,
che tutt’ora li perseguita. Vorrebbero odiarsi, ma non ci
riescono, perché, in
fondo al loro cuore, sanno che uno ha sempre agito per il bene
dell’altro, e
che i torti compiuti non erano altro che la manifestazione della loro
frustrazione.
Realizzo d’improvviso che è lo
stesso
rapporto che intercorre tra me e Sephiroth, con l’unica
differenza che noi non
siamo e non saremo mai amici; tuttavia egli vede in me un modo per
redimersi
dai peccati. Forse aiutandomi, può dimostrare a se stesso
che ha capito gli
insegnamenti impartitogli con tanta insistente veemenza,
così che i sacrifici
dell’amico non siano stati vani.
- Ora capisco perché hai perdonato
Genesis.
-, esordisco, richiamando l’attenzione dell’albino
su di me, - Non per
compassione, non per onore o per chissà quale piano
visionario. No… ti sei
convito di meritare ciò che ti è stato fatto. Tu
andasti avanti a discapito di
un commilitone in difficoltà e la distruzione della tua
famiglia fu il giusto
fio da pagare, non è così? –
L’Angelo dalla Sola Ala non risponde, ma
il
suo silenzio è una risposta sufficiente per me.
- E’ per questo… -,
m’interrompo, mentre
cerco le parole adatte per formulare quella domanda che da tempo mi
ronza in
testa, - Che accetti che tua figlia venga sacrificata? -
Appena pronunciata quella frase, Sephiroth
s’irrigidisce da capo a piedi. I suoi occhi si spalancano, le
sue pupille
s’allungano verticalmente, i suoi tratti
s’imbestialiscono. Con un movimento
fluido, mi rimetto in piedi e muovo un passo all’indietro,
allertato da
quell’improvviso cambio di tono.
- Sephiroth? Che ti succede? –
Qualche secondo dopo, egli viene colto da
spasmi che lo costringono a piegarsi in avanti. Geme e urla similmente
a un
ossesso, mentre le dita affondano nel cuoio capelluto, causandosi
profondi
tagli alla pelle, da cui, però, non esce una sola goccia di
sangue. Esce…
polvere. Sono basito e senza parole, davanti a quel corpo che si
contorce
compulsivamente, come se fosse posseduto da un essere demoniaco.
L’istinto mi urla di allontanarmi
ulteriormente, ma decido di ignorarlo e di coprire la distanza per
trovare il
modo di soccorrerlo. Gli afferro i polsi con stretta ferma, cercando di
riportarlo in sé.
-Sephiroth! Che ti succede? Rispondimi,
dannazione! –
Inaspettatamente, egli si libera dalla presa
con un rapido movimento e circondo la mia testa con entrambe le mani,
per poi
tirarmi verso di lui. Le nostre fronti sono di nuovo a contatto e lo
avverto
aggrapparsi a me quasi con disperazione. I suoi occhi sono iniettati di
terrore.
Non posso fare a meno di fissare quelle iridi passare dal rosa al verde
ad un
ritmo allucinante. La pupilla è ridotta a una capocchia di
spillo ed è
inquietante il modo in cui passa da tonda a sottile in perfetta
sintonia con il
resto dell’occhio.
- P-proteggila,
C-Cloud. T-t-ti prego, pro-pro-proteggi la mia bambina. –
Gli spasmi impediscono al Generale di
parlare fluidamente, mentre la possessione gli deforma la voce
facendogli
assumere toni disumani e spaventosi. Sta combattendo con tutto se
stesso contro
qualunque cosa gli stia devastando la mente, tanto che mano a mano che
i
secondi passano, le sue forze vengono a meno, costringendo il suo corpo
alla
prostrazione. L’unico motivo per cui ancora non è
crollato a bocconi a terra è
la disperazione con cui si regge alla mia nuca. Cerco di dargli mano
forte,
apponendo le mani a sostegno delle sue braccia. Dopo che
l’ennesimo attacco è
passato, egli ritrova la forza di alzare la testa e guardarmi dritto
negli
occhi. Mi sta letteralmente implorando con lo sguardo, con quei bulbi
virei e
lucidi per la fatica e la costernazione.
- Io… -
Non oso continuare. Come faccio a dirgli che
è stata proprio sua moglie a commissionarmi il gramo compito
di trasformare sua
figlia in una martire per la salvezza del Pianeta? Eppure dovrebbe
essere
conscio del destino a cui Takara è stata condannata, a causa
della sua natura
duplice, tra sangue jenoviano e Antico…
Un
momento…
Evelyn
non
era una Cetra qualunque. Discendeva da colui che sconfisse Jenova, uno
dei
Sephera più potenti, la cui specialità
è appunto la manipolazione dei ricordi.
Entrando
in
contatto con le cellule S aveva iniziato a notare cambiamenti nel suo
corpo: alcuni
erano evidenti sin da subito come temporanee mutazioni delle sue
pupille da
normali a serpentine; altre più silenti, ma dagli effetti
permanenti come la
miracolosa guarigione dalla sterilità e la conseguente
gravidanza.
Ricordo
bene
la sua ultima incursione nell’ultima visione in cui
l’ho vista. Non era la
donna che avevo imparato a conoscere. C’era qualcosa di
malvagio in quegli
occhi smeraldini, qualcosa di oscuro in un quel ghigno innaturale,
qualcosa di
misterioso in quel tono fin troppo malizioso.
E
poi, quel
particolare della ciocca infuocata…
Un
desiderio
troppo dirompente per non essere ignorato…
Un’occasione
troppo ghiotta per non essere colta.
Mi volto di scatto nella direzione del
cancello. E ciò che vedo conferma i miei dubbi.
La donna al di là delle sbarre, la cui
espressione si è fatta di cera, ha gli occhi ferini puntanti
su di noi e ci osservano
con un’oscura e inquietante luce rosata.
- Jenova si è presa Evelyn la notte
stessa
in cui siete stati insieme per la prima volta. Ha approfittato del
vostro amore
per soggiogarvi l’uno all’altra, così,
quando le cose sono precipitate, ha
creato quell’ illusione per controllarti. –
Scambio uno sguardo
d’intesa con Sephiroth, il
quale conferma la mia tesi con un debole movimento del capo. Abbandono
il
Generale e compio qualche spavaldo passo in direzione del cancello, al
di là
del quale “Evelyn” mi osserva con occhi
così ricolmi d’odio da convertire lo
smeraldo splendente di quelle iridi benevoli e meravigliose in puro
nero
inchiostro. Noto i suoi denti digrignarsi, la sua pelle assumere
un’insana
colorazione verdognola, le nocche sbiancare, il corpo tremare di una
rabbia
incontenibile. Mi fermo e mi pianto esattamente di fronte a lei, pugni
chiusi e
sguardo di sfida.
- Ma qualcosa nel tuo
piano è andato storto,
vero? L’amore incondizionato di una madre è un
potere al di sopra di qualunque
cosa, tanto da impedirti di controllare Takara. E quando il diario
è giunto a
me hai fatto di tutto per ostacolarmi, fino a convincermi che ucciderla
è
l’unico modo per salvare il Pianeta. -, sogghigno
soddisfatto, di fronte
all’aura d’ira che avvolge l’esile figura
della donna, e muovo un altro passo
nella sua direzione, - Davvero scaltra, ma, come al solito, hai
sottovalutato
la forza dei legami umani. Duemila anni ad osservarci e non hai ancora
capito
niente… Jenova. -
Il suo nome pronunciato
con tale disprezzo e scherno
è la goccia che fa traboccare il vaso. La figura esile e
innocente
dell’ex-geisha trasfigura rapidamente in quella mostruosa e
sinuosa di Jenova
stessa. Le grandi ali nere si spalancano maestose alle sue spalle, con
una tale
forza da creare una potente onda d’urto che sarebbe stata
capace di sollevarmi
da terra, se non avessi avuto la freddezza di accucciarmi e chiudermi a
uovo,
proteggendomi viso ed occhi. Appena il vento scema, riapro le palpebre
e scruto
la situazione al di là del braccio posto in posizione di
difesa. La visione è
ancora un po’ distorta e confusa e riesco solo a distinguere
i giganteschi
contorni di quelle ali nere così lucide da risaltare come
astri nel buio
stellare dell’universo. Non so dove quel mostro mi abbia
catapultato, ma un
gelido terrore mi sale lungo la schiena, preannunciando
l’inevitabile. Metto a
fuoco la figura bianco latte che, sinuosa e femminile, si staglia in
pieno
contrasto tra gli arti piumati di gelida ombra. Luminosi baluginii
provengono
dalla sua testa e capisco che si tratta dei lunghi capelli
d’argento che
ondeggiano ad ogni suo movimento e che coronano il capo come ispide e
affilate
lame di puro acciaio. Infine, riesco a puntare il suo viso, in quel
momento
deformato in una smorfia di pura ira. I denti, aguzzi come zanne,
snudati; le
iridi grondanti di luce sanguigna e le pupille serpentine dilatate
dalla sete
di vendetta. Un basso, sommesso ringhio proviene dalla sua direzione,
come
oscuro presagio della sua prossima imperscrutabile mossa. Non so cosa
aspettarmi,
non so di che cosa sia capace quel mostro e il terrore lentamente mi
attanaglia, impedendomi di ragionare lucidamente. Riesco a notare un
movimento
rotatorio della suo braccio sinistro, ma lei copre le sue azioni
cacciando un
urlo così acuto e assordante da costringermi a richiudermi
in posizione
difensiva e tapparmi le orecchie. Grido di dolore. Nonostante la
protezione
costituita dai palmi, i miei timpani vibrano pericolosamente e
dolorosamente,
arrivando a credere di stare per diventare sordo. Improvvisamente,
però, un
presentimento si eleva al di là del dolore e mi suggerisce
di alzare la testa e
aprire gli occhi. Anni e anni di scontri contro Sephiroth hanno
affinato il mio
sesto senso, rendendomi attento anche quando non lo sono. E anche
questa volta,
ha ragione. Il movimento del braccio era atto alla trasformazione di
quest’ultimo in un’affilatissima lama acuminata.
Trasformazione
convenientemente coperta da un diversivo.
Ingegnoso.
Fin troppo.
Lei, infatti,
è esattamente a un braccio da
me. L’ombra gigantesca del suo corpo alato oscura
l’accecante luce delle stelle
imperiture, ingoiandomi nel suo spaventoso abisso. La lama caricata
all’indietro, pronta a colpirmi d’infilata,
è l’unica cosa che dona luce a
quella sagoma d’inconsistente nero. Il tempo sembra fermarsi,
mentre assaporo
gli ultimi istanti della mia vita; mentre fisso le aliene e bellissime
fattezze
del mio assassino.
Sento di stare per
annullarmi, di arrendermi
all’inevitabile, come è accaduto con Genesis, ma,
d’un tratto, il viso di Tifa
mi passa davanti agli occhi per un unico, significativo istante.
Il vuoto viene
riempito: ho paura, provo
rimpianto, vorrei abbracciare la mia Tifa. Vorrei chiederle scusa,
vorrei
baciarla, amarla… per l’ultima volta.
Una stretta forte e
decisa alla spalla mi
strappa brutalmente dalla spirale di panico in cui ero piombato e mi fa
riacquistare lucidità. Lo scorrere dei secondi ha ripreso il
suo normale corso,
ma per me, ancora stordito dall’incessante fischio alle
orecchie, sembra tutto
accelerato all’inverosimile; tanto da non essere in grado di
seguire il corso
degli eventi. Un secondo prima sono in ginocchio di fronte a Jenova e
il
secondo dopo mi ritrovo a rotolare sul pavimento liscio. Ora sono
sospeso a
mezz’aria cadendo morbidamente verso un abisso di luce, il
cui calore mi
solletica la spina dorsale. La mia attenzione è totalmente
attirata da quella
parte, tanto da riuscire a distinguere quelle che paiono essere sagome
muoversi
al di là della cortina luminosa. Un baluginio insistente,
però, fa capolino dalla
vista periferica, inducendomi a voltare la testa e guardare in avanti.
Rimango
senza parole e incredulo di fronte a ciò che sta succedendo
esattamente davanti
ai miei occhi. La spada che avrebbe dovuto essere conficcata nel mio
petto
spunta spietata dalla schiena del Generale. La sua figura possente non
sembra
risentire troppo del colpo, poiché non cede un solo passo al
furioso impeto
della sua adorata Madre. Ella sembra spingere sempre più in
profondità quella
lama nelle sue carni, come testimoniano i raccapriccianti suoni di
viscere
spappolate e nugoli di polvere che spillano dalla ferita.
Ci metto un
po’ a realizzare che… Sephiroth mi
ha salvato!
Si è
interposto tra me e Jenova, prendendosi
una lama lunga quanto un braccio nell’addome. E ora le sta
impedendo di
raggiungermi, trattenendo quell’arma nel suo corpo, fondendo
le sue cellule con
quelle multiformi della Madre, lottando strenuamente contro un essere
ben
superiore a lui.
- Sephiroth! –
Inizio a tendermi nella
sua direzione, con
tutte le mie energie, nella speranza di riuscire a vincere questa
strana forza.
Mi sembra di nuotare in un mare di miele, tanto il movimento
è impedito.
-
Vattene,
idiota! -
L’ordine di
Sephiroth risuona nel vuoto
cosmico con imperiosità, nonostante lo strenuo
combattimento. Tentenno,
indeciso se ascoltare l’ordine o ignorarlo, ma poi vedo le
mani di Sephiroth
chiudersi attorno al collo di Jenova e il suo intero corpo muoversi
nella parte
opposta a quella della Madre. L’aliena, di tutta risposta,
snuda gli artigli
della mano libera e inizia a scorticargli il lato corrispondente del
viso.
L’Angelo dall’Unica Ala non demorde e continua a
spingerla lontana, nonostante
le gravi ferite inferte. Jenova grida parole incomprensibili,
appartenenti ad
un lingua sconosciuta, in preda all’ira più cieca.
Non ho idea di che cosa stia
dicendo, ma sono piuttosto convinto che stia maledicendo quel figlio
indesiderato con tutta l’anima.
Semai ne avesse avuta
una.
Ad un certo punto, quel
mostro nefasto allarga
le ali, tramuta le piume in lame acuminate rivolte verso il centro e
inizia a
calare quella trappola mortale sulla schiena del Generale ancora,
ancora e
ancora. Le pugnalate sono sferrate con sempre più veemenza e
rabbia, aprendo
squarci sempre più profondi nella pelle lattea del SOLDIER.
E’ uno
spettacolo orrifico, da far accapponare
la pelle.
- NO! MALEDETTO MOSTRO,
LASCIALO! –
Preso
dall’irrefrenabile istinto di salvarlo,
arrivo quasi a raggiungere il pavimento, ma due braccia si cingono
attorno al mio
petto, fermando la mia caduta. Sono arti piccoli e gracili, la cui
pelle è
dotata di un dolce candore.
Così
famigliare…
Mi volto di scatto e
incrocio due grandi occhi
smeraldo che adornano un dolce viso ovale, contornati a loro volta da
ciocche
di riccioli castani.
- Aerith? –
-
Devi
andartene, Cloud. –
- Cos…?
Aspetta! –
La Cetra inizia a
muoversi per posizionarsi
davanti a me, però Jenova, interpretando le azioni della sua
mortale nemica, decide
di aver temporeggiato troppo con quel vile traditore. Vedo la lama
rigirarsi nelle
carni ed essere preparata per un unico, fatale, montante. Trattengo il
respiro,
certo dell’imminente e orribile morte del Generale. Qualcosa
accade, tuttavia,
impedendo all’aliena di realizzare il suo intento: il suo
corpo prende fuoco.
Il fatto strano è che le fiamme sembrano non lambire
minimamente Sephiroth;
anzi pare che ostacolino e combattano i soli movimenti della
Calamità,
bloccandola sul posto e costringendola ad estrarre la lama. A quel
punto, il
Generale approfitta della momentanea distrazione della Madre per dar
man forte
al demone infuocato che la possiede, riuscendo infine a liberarsi.
L’impeto è
così potente da costringere Sephiroth a crollare
all’indietro e indurre la lama
a compiere un ampio cerchio sopra la testa di Jenova. Una scia di
polvere si
diparte dal corpo prostrato del SOLDIER, fino al luogo in cui quel
pulviscolo
si era accumulato copioso ai suoi piedi. Una forza contrapposta a
quella che mi
tiene sospeso sta attirando Jenova verso l’oblio in cui era
confinata e su cui
Sephiroth ha pazientemente vegliato per tutti questi anni. Tra la Madre
e il
figlio, le fiamme s’interpongono, quando, ad un certo punto,
una figura di
sfavillante purezza ne emerge, illuminandoci con la sua luce piena di
calore e
pace.
Un corpo sinuoso,
femminile, sensuale è
avvolto all’interno di un voluttuoso kimono bianco puro. Le
sete svolazzanti
del lungo strascico, delle maniche oblunghe e del semplice obi
contrastano con
il loro soave ondeggiare lo spietato buio del cosmo. E come il cosmo,
corvini
sono i capelli, raccolti di lato alla base della testa con un semplice
fermaglio a forma di giglio bianco, il resto lasciato cadere fluido
lungo la
spalla destra, lasciata nuda dall’ampia scollatura.
Così come il corpo, rimasto
vigoroso e bellissimo, il viso non presenta il benché minimo
segno di fatica o
di vecchiaia. La pelle è fresca e giovanile, illuminata da
un delicato candore,
e avvolge perfettamente gli eleganti lineamenti. Bocca rossa piegata in
un
morigerato sorriso e occhi vitali, innamorati pennellano gli ultimi
dettagli di
quel ritratto divino. Ella fluttua, immota, come acqua placida di un
quieto
lago. Il fruscio delle sue vesti è l’unico suono
che emette. La sua attenzione
è totalmente rivolta a Sephiroth, ma si limita soltanto a
fissarlo, senza
muovere un muscolo. Non posso vedere l’espressione della
controparte, ma sono
piuttosto sicuro che la stia ammirando affascinato, oltre che essere
sorpreso
da questa miracolosa manifestazione. Ad un certo punto,
un’increspatura
finissima scompone appena la stasi. Evelyn si rabbuia, dispiaciuta.
E’ arrivato
per lei il momento di tornare al
suo Inferno.
Incurante delle ferite,
Sephiroth infrange
ogni indugio e inizia a strisciare nella sua direzione, aggrappandosi
allo
scevro pavimento con tutta la forza rimastogli. L’espressione
della donna
subisce un’ulteriore increspatura, svelando
un’espressione di pura sofferenza
nell’apprendere con quanta disperazione il suo uomo la
desideri riavere tra le
sue braccia. Appena egli riesce a raggiungerla e sfiorare le sue vesti,
esse
vengono incenerite dal fuoco che la sta di nuovo reclamando per
sé. Il SOLDIER
lotta contro il suo corpo stremato per rimettersi in piedi e
raggiungere quel viso
divino prima che sia troppo tardi, ma, ogni volta che trova un
appiglio, questo
scompare in un cumolo di cenere. Prima di dissolversi definitivamente,
ella
pronuncia un muto ‘Ti amo’, dedicando
all’amato un flebile, ma bellissimo
sorriso. L’uomo non può far altro che osservare,
inerme, la moglie svanire,
rapita dalle fiamme. Esse scompaiono al di là
dell’orizzonte, lanciandosi
dentro al cancello, il quale si sbarra con un sonoro clangore, per poi
dissolversi nel nulla. L’oscurità scompare e
l’oblio fumoso ritorna al suo
posto.
-Cosa è
successo? –
Stordito e confuso, mi
rivolgo alla Cetra,
rimasta per tutto il tempo accanto a me, pronta a difendermi; ella ha
un grande
sorriso che le solca le labbra rosee e osserva con fierezza
quell’uomo che una
volta chiamava ‘fratello’. Alla mia domanda, la
fioraia risponde, trasudando
sollievo e gioia da ogni poro.
-
Salvandoti la vita, Sephiroth ha finalmente rotto il suo legame con
Jenova. –,
spiega semplicemente e si lascia scappare una tenue risata, mentre i
suoi occhi
s’inumidiscono dall’emozione, - Cominciavo a
credere di non vedere mai questo
giorno. Oh, Sephiroth… -
La Cetra si porta una
mano al cuore, mentre
l’altra asciuga via le lacrime di gioia. La sua risata
cristallina mi accarezza
l’udito, ricordandomi tempi andati. Mi accorgo con dolore di
quanto quei gesti,
quella risata, quella presenza mi siano mancati.
Nemmeno la
morte è riuscita a cambiarla.
-
E’
presto per cantare vittoria. –
Sephiroth interrompe il
momento nostalgico con
un tono inaspettatamente calmo e pacato, attirando
l’attenzione su di sé.
Dell’uomo prostrato e devastato dal dolore non
v’è nemmeno l’ombra, al suo
posto v’è la stoica e autoritaria figura del
leggendario Generale di SOLDIER. Il
suo vestiario e il suo fisico sono ritornati intonsi, come se nessuna
battaglia
si fosse mai consumata in questo luogo.
La notturna divisa
sfavilla sullo sfondo
anonimo, mentre egli si volta nella nostra direzione. I suoi occhi di
giada
sono ricolmi di feroce determinazione: la stessa che indossava prima
delle
battaglie campali, la stessa che ha guidato
l’élite di SOLDIER verso la
vittoria migliaia e migliaia di volte, la stessa che ti portava a dire:
- Cosa vuoi che faccia?
–
Sephiroth mi rivolge
un’occhiata cospiratrice,
accompagnata da un sorriso sardonico. Un’espressione che
avevo dimenticato
fosse mai esistita. Posso vedere un piano segreto e misterioso nascere
e
prolificare nella sua mente instancabile, una mente che realizzo ora
essere una
delle più brillanti mai incontrate. Sephiroth
era… E’ uno stratega
straordinario: non v’è situazione capace di
metterlo in difficoltà.
-
Come ho
detto: il mondo ha bisogno di un nuovo eroe. Guardati intorno, sono
certo che
troverai dei validi campioni pronti a darci una mano. –
- Non sarà
facile. La tua reputazione ti
precede. –
-
Oh, se
sono riuscito a convincere te… -
Egli sfodera un tono
malizioso e sicuro di sé,
il quale non fa altro che sottolineare fastidiosamente la
realtà, ma non posso
fare a meno di sorridere e scuotere la testa con falso disappunto.
Il Generale ci
raggiunge con il suo passo
cadenzato e misurato. Mi fissa dritto negli occhi per un lungo istante,
per poi
appoggiare la sua grande mano guantata sul mio petto.
-
Dì a mia
figlia che sono tornato. –
- Mpf, quando mai te ne
sei andato? -
L’argentato
si lascia scappare uno sbuffo
divertito, dopodiché imprime una decisa pressione, tanto da
farmi rapidamente
imboccare la via del ritorno, attraverso il tunnel di luce alle mie
spalle.
Apro gli
occhi lentamente e rimango a fissare il soffitto di legno per un tempo
indeterminato. I pensieri sono ancora ben fissati nella mia mente,
mentre i
vari malesseri dovuti dal legame tra me e Sephiroth sembrano non
esserci mai
stati. Mi sento forte e vigoroso, come un volta. Sorrido: ci
dev’essere il
tocco di Aerith dietro a questo improvviso benessere.
- Giorni
di coma e ti risvegli con un sorriso da ebete stampato in faccia.
Sapevo che te
l’avrei dovuta spaccare quando ne ebbi l’occasione.
–
M’irrigidisco
appena riconosco la voce che ha appena parlato. Di scatto, alzo il
busto e mi
paralizzo appena incrocio la sua morbida figura.
Tifa…
La mia
mascella per poco non si stacca per lo stupore. E per la gioia di
rivederla,
tale da farmi dimenticare ogni ovvia domanda sulla sua presenza al mio
capezzale.
Sai cosa? Non m’importa. Non m’importa come sia
giunta qui, come abbia fatto a
trovarmi, con chi sia venuta, quale sia la situazione creatosi con gli
altri
protagonisti, quanto sappia della storia… no, lei
è qui, davanti a me,
nonostante tutto… lei è
qui.
Dal canto
suo, lei mi fissa in tralice, con espressione rabbuiata e rabbiosa.
Anche la
sua posa non è delle più rassicuranti: ben
piantata proprio davanti al mio
letto, testa bassa, pugni appoggiati sui fianchi.
E’
incavolata nera. Non posso biasimarla, eppure non riesco ad esserne
intimorito:
rivedere la donna che amo, dopo così tanto tempo, dopo tutto
quello che ho
visto, mi spacca il cuore. Non riesco proprio ad immaginare una vita
senza di
lei. E mai come adesso sto comprendendo Sephiroth e il suo folle
desiderio di
ricongiungersi ad Evelyn.
- Mi sei
mancata da morire… -, sussurro, estasiato.
La rabbia
di Tifa si volatilizza in un battito di ciglia, spazzata via da quel
mio dire
così inaspettatamente appassionato. Spiazzata, lascia cadere
le braccia lungo i
fianchi, mentre mi fissa stupita con quei meravigliosi occhi da
cerbiatta.
Sento il mio cuore perdere un battito. Senza indugiare oltre, mi alzo
dal letto
e mi dirigo nella sua direzione, facendomi trasportare da un solo,
impellente,
pazzo bisogno. Lei mi segue con lo sguardo, sempre più
allibita, finché non
l’avvolgo in un soffocante abbraccio. La stringo con
disperazione, affondando
le dita nei suoi capelli, nella sua pelle, accarezzandola come se fosse
la
prima volta che assaggio quel meraviglioso candore. E non voglio che
sia
nemmeno l’ultima. Non voglio lasciarla andare, non voglio che
se ne vada, non
voglio rimanere solo. Senza nemmeno rendermene conto, inizio a
piangere, mentre
naufrago col viso nell’incavo della sua spalla. Mi aggrappo a
lei con più
veemenza, mentre i ricordi dolorosi di Sephiroth affollano di nuovo la
mia
mente.
Lo capisco…
Dannazione, quanto lo capisco!
Ma ora
basta pensare a lui. C’è Tifa, in questo momento.
Lei e soltanto lei!
Sono
talmente concentrato ad assaporare il calore e la morbidezza del suo
corpo che
a malapena mi accorgo di piccole e delicate mani che iniziano ad
accarezzarmi i
capelli, la nuca, le spalle, la schiena, detergendo appena il mio
cordoglio.
-Cloud… -
Il mio
nome pronunciato da quella voce per poco non mi uccide, da quanto
piacere è
stato scatenato. Avverto il mio corpo avvampare e sciogliersi; non
crollo solo
perché lei sta ricambiando la mia stretta, con una
altrettanto intensa. Avverto
il calore del suo corpo attraversare i vestiti e poggiarsi sulla mia
pelle, il
fiato caldo solleticarmi il collo, il profumo dei suoi capelli
stuzzicarmi
l’olfatto, la dolcezza del suo tocco farmi rabbrividire. Ogni
singola
sensazione agisce in sinergia con l’altra, costringendo il
mio corpo ad arrendersi
di fronte a un’ondata impazzita di passione. Esco dal mio
nascondiglio e i
nostri sguardi s’incatenano l’un l’altro.
La osservo per un lungo istante,
studiando ogni singolo dettaglio del suo volto, scoprendo con amarezza
non
averlo mai guardato veramente, di averlo sempre dato per scontato. Con
quale
coraggio, poi?
Hai ragione, Sephiroth:
sono un vero idiota.
Il mio
girovagare finisce appena i miei occhi si fissano sulle sue labbra,
appena
dischiuse, da cui, come le mie, esce uno spiro affannoso e pieno di
aspettativa. Aspettativa che intendo corrispondere, questa volta.
Controllando
a stento il desiderio, assaporo il languore e, misuratamente, mi
protendo in
quella direzione, mentre i nostri respiri e i nostri cuori aumentano di
frequenza, fino ad annullarsi nel medesimo istante in cui le nostre
labbra
s’incastrano perfettamente l’una con
l’altra.
A quel
punto, tutto si fa offuscato e nitido nello stesso tempo. Ubriachi di
desiderio, ci lasciamo trasportare dalla passione, dimentichi del luogo
e della
situazione.
- Dove la
tenevi tutta questa… spontaneità? –
La domanda
di Tifa giunge all’improvviso, mentre, ancora affamato, sto
lambendo con la
bocca le accoglienti curve del suo corpo. Alzo la testa, dove ad
aspettarmi c’è
il suo volto con un’espressione maliziosamente indagatrice
stampata sopra. Essa
mi strappa un sorriso divertito. Mi sdraio sopra di lei, senza pesarle
addosso
e le cingo le spalle con le braccia.
- Ti
sembrerà strano, ma questo viaggio mi ha fatto scoprire un
sacco di cose su me
stesso. –
Tifa si
rabbuia e distoglie lo sguardo, fissandolo verso un punto imprecisato.
Mi
allarmo.
- Che
succede? –
Ella non
risponde subito, ma la sua espressione dubbiosa non fa presagire nulla
di
buono.
- Cloud…
tu mi ami? –
- Certo.
-, rispondo di slancio.
Mi sembra
una domanda così stupida, ma Tifa non sembra convinta.
-E allora
perché preferisci quell’assassino a me? –
Grugnisco.
Dovevo immaginarlo che non me la sarei cavata così
facilmente, sebbene quella
domanda sia un dubbio più che lecito.
M’infastidisce, tuttavia, che Tifa sia
ancora fissata su quelle antiquate credenze. Non ha la minima idea di
che cosa
abbia passato Sephiroth e di quanto egli mi abbia aiutato nel diventare
l’uomo
che sono, nel bene o nel male. Vagamente ipocrita, dal momento che
anch’io la
pensavo esattamente come lei. Abbandono la mia donna e mi metto a
sedere sul
lato del letto.
- Non è un
assassino. –, affermo con fermezza.
Avverto la
pugile muoversi dietro di me, probabilmente si è alzata di
slancio, spinta dall’impeto
della sua rabbia.
- Cosa?!
–, sibila la ragazza, incredula.
Giro il
busto nella sua direzione e la guardo dritta negli occhi.
- Non è un
assassino. –, reitero, scandendo ogni singola parola.
Osservo le
iridi di Tifa muoversi febbrilmente lungo il mio viso, forse alla
ricerca di un
qualunque guizzo che tradisca la mia insicurezza, ma, dallo sguardo
deluso
acquisito poco dopo, direi che non ha trovati.
- Non
posso credere che tu, proprio tu, sostenga una cosa del genere. Tu
l’hai visto!
Sei stato testimone della sua crudeltà.
–
- Tifa,
quella non era crudeltà, ma disperazione. –,
spiego assumendo un tono pacato,
in piena contrapposizione con quello semi-isterico della ragazza, - Se
solo tu
sapessi cosa… -
- Non
m’importa! - sbotta lei, livida di rabbia, - Una persona umana non avrebbe mai sterminato un
intero villaggio! Non avrebbe
mai ucciso un uomo che stava solo cercando di aiutarlo… -
Il ricordo
del padre morente taglia a metà il discorso impetuoso della
figlia. La vedo
tentennare, travolta dal dolore, ma riesce a controllarsi e imporsi un
contegno.
La sua battaglia interna, tuttavia, si mostra anche esternamente,
tradita dal
respiro affannoso e i tratti del viso congestionati, contratti nel
caparbio
tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Mi stringe il cuore
vederla così, lei,
solitamente così forte e combattiva, ma, dopotutto, suo
padre le è stato
strappato via troppo presto, troppo brutalmente da poter anche solo
ponderare
un qualunque tipo di perdono. Come anche la mia povera mamma, sventrata
e
bruciata senza alcuna pietà…
Così come
Evelyn.
- Sephiroth
era sposato, lo sapevi? -, domando retorico, interrompendo il silenzio,
- Non
era una di quelle storielle che ciclicamente la Shinra vendeva ai
giornaletti
rosa, giusto per guadagnare due soldi sfruttando la sua vita privata.
No,
quella volta era stata diversa: l’aveva scelta lui e si era
dedicato anima e
corpo per far funzionare quella relazione; tanto da essere a un passo
dalle
dimissioni ufficiali. -, sospiro pesantemente e alzo la mano destra,
enfatizzando con un gesto quanto egli fosse vicino al realizzarsi del
suo sogno,
- Una sola missione ancora e poi basta… Una. Una
sola… -, reitero con un sussurro,
perdendomi nei ricordi.
In tutto questo,
la mora mi osserva con aria scettica, per nulla toccata dal mio dire
greve e
appassionato. Il suo odio per Sephiroth la rende sorda a qualunque tipo
di
compassione.
- Se per
lui era così importante: perché l’ha
abbandonata? –, chiede infatti, velenosa.
- Perché è
morta. -, rispondo, poi mi affretto ad aggiungere, - Assassinata da uno
degli
unici due uomini che Sephiroth abbia mai chiamato
‘amico’. Puoi immaginare in
che condizioni ci è arrivato a Nibelheim… -,
concludo, lasciando intendere la
gravità della situazione mentale del Generale,
giustificazione più che
sufficiente delle sue azioni.
Rimaniamo
per lunghi secondi in totale silenzio, mentre Tifa mi fissa incredula.
Non mi
sfugge il leggero rossore di vergogna spennellare le sue gote piene. Ad
un
certo punto, ella distoglie lo sguardo e lo veicola verso un punto
imprecisato,
pensosa.
- Se
questa storia è vera… -
-E’ vera.
–
- Come fai
ad esserne certo? Sai che lui è capace di manipolare le
menti delle persone. –
- Ho letto
il suo diario, Tifa. Sono stato letteralmente investito dai suoi
ricordi, anzi,
dai LORO ricordi. Ho visto, ho SENTITO il loro dolore, la loro
sofferenza.
Stanno vivendo in un Inferno immeritato e terribile, condannati a
vivere sotto lo
schiaffo di Jenova, costretti ad ottemperare ogni richiesta
dell’aliena, fino
al momento in cui la Guerra millenaria tra la Calamità e il
Pianeta finirà. SE
finirà. –
Non v’è
vacillamento nella mia voce e la sicurezza con cui la fisso, fa
capitolare
qualunque insinuazione la mia ragazza stesse per proferire. Ella rimane
senza
parole e, non riuscendo a sostenere più il mio sguardo,
abbassa la testa,
appesantita dalla vergogna.
Il
silenzio si stiracchia per secondi infiniti, mentre esso aggrava ancora
di più
le parole scambiate, scavando un profondo senso di colpa nei nostri
cuori.
Studio lo smarrimento di Tifa, comprendendola al volo,
poiché perfino io, che
le ho vissute in prima persona, fatico a credere a tutte le esperienze
di cui
sono stato testimone. Non potrò mai perdonare integralmente
Sephiroth, questo è
impossibile, ma, quanto meno, potrò comprendere meglio le
motivazioni che lo hanno
spinto a compiere quegli intenti mostruosi, e, soprattutto, assecondare
il suo
desiderio di proteggere i suoi cari.
Toc, toc…
Un bussare
discreto, ma deciso, interrompe il filo dei nostri pensieri,
ridestandoci. Tifa
ed io ci scambiamo uno sguardo sconcertato, appena ci rendiamo conto di
non
essere in condizione di presentarci a terzi. Giunti a capo dei nostri
dubbi,
ognuno si fionda dai propri abiti, abbandonati alla rinfusa sul
pavimento. Ci
vestiamo il più velocemente possibile, anche se, mi rendo
conto, la persona
dall’altra parte non insiste oltre, attendendo pazientemente.
Raffazzonato alla
bene e meglio, mi avvio verso la porta con l’intento di
aprirla, senza però
prima aver scoccato un’occhiata d’intesa a Tifa.
Lei mi dà il via libera,
mentre si liscia i capelli sconvolti per dar loro un aspetto decente.
Abbasso
la maniglia e spalanco l’uscio. Davanti a me si para la
figura austera di
Vincent Valentine. Quasi mi spavento quando mi ritrovo a tu per tu con
i suoi fiammeggianti
occhi rossi. Le sue iridi sfilano rapide e studiose su di me, come se
mi stesse
scannerizzando da cima a piedi. La sua attenzione sosta per secondi non
ignorabili
sulla capigliatura spettinata e i segni evanescenti presenti sul mio
collo.
Unisce l’ultimo pezzo del puzzle, scoccando una rapida
occhiata oltre le mie
spalle, luogo in cui intercetta la figura scarmigliata di Tifa. Senza
scomporsi
più di tanto, egli assottiglia lo sguardo e lo pianta su di
me. Posso vedere
una luce divertita adombrare quelle iridi di fiamma, mentre un
malcelato
sogghigno viene nascosto dietro l’alto colletto del suo
mantello.
- Rimango
sempre più stupito della capacità di recupero dei
SOLDIER. –, commenta, infine,
con leziosa ironia.
Evvai! Siamo arrivati
al momento clou(d) della
storia! La resa dei conti è vicina!
Il capitolo in
questione è venuto davvero
lungo rispetto al solito standard e sarebbe dovuto essere ancora
più lungo, ma
non mi andava di condensare troppe informazioni in un capitolo solo.
Credo che
aggiungerò qualche capitolo- spiegone così da
introdurre meglio le fasi finali
della storia. Ce la posso fare a finire!
Finalmente siamo
arrivati a Nibelheim con il
nostro argentato preferito e spero che sia stato reso bene il passaggio
da uomo
a mostro, anche se il mio Sephiruccio non è cattivo, no-no!
(richiamami
Sephiruccio e ti farò vedere quanto sono buono
è_è ndSeph).
La presenza di Tifa
immagino vi lasci un po’
spiazzati, ma non temete tutto sarà spiegato nel prossimo
capitolo ;)!
Chiedo perdono, come al
solito, della
lunghissima attesa, ma la voglia di scrivere è sempre sotto
le scarpe e
discontinua. Davvero, non vedo l’ora di cimentarmi in altro!
Fan fact: sebbene il
capitolo sia pronto da
giorni (se non settimane -.-‘) pubblico sempre attorno le 2
di notte! E’ una
maledizione!!!
Alla prossima!
Besos!
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Capitolo 30 *** Pace ***
-
Che intendi con ‘capacità di recupero’?
–, chiedo, nel misero
tentativo di stemperare l’imbarazzo.
Vincent
piega la testa di lato e l’angolo destro della sua bocca fa
capolino dal lungo collo del suo mantello rosso sangue, mostrando una
linea
neutra. La smorfia che prima rallegrava la sua espressione marmorea
è
scomparsa, lasciando posto a un esasperato disappunto.
-
Immaginavo che non avresti chiesto spiegazioni. -, spiega con voce
sconfitta, - Ma almeno insospettirti della presenza di una persona che
non
dovrebbe nemmeno sapere dove sei…-
No,
DECISAMENTE l’imbarazzo non è andato a stemperarsi
manco per
niente, grazie a quel fastidioso tono da maestrina.
-
Quanto siete puntigliosi, voi Valentine… -, mi lascio
sfuggire a
mezza voce.
-
Guarda che ti sento, Cloud. E anche Lui. -, rincara il pistolero.
Mi
porto le mani alla testa, grugnendo ormai esasperato, e vorrei
rispondere per le rime, ma un tocco gentile sulla spalla mi astiene
dallo
sbottare malamente.
-
Cloud, calmati. -, sussurra dolcemente Tifa, afferrandomi il braccio
con l’altra mano e guardandomi dritto negli occhi. Sento la
calma invadere la
mia mente in subbuglio, mentre mi perdo in quelle iridi color resina.
Lei
mi sorride, poco prima di rivolgersi a Vincent, con espressione
dispiaciuta.
-
Scusa, Vincent, so di essermi sobbarcata di questo onere,
ma… sai… è
passato tanto tempo… -
Le
gote della pugile s’imporporano, mentre l’imbarazzo
torna a
colorare il suo viso d’angelo. Un sorriso spontaneo mi sorge
sulle labbra,
mentre la sua tenera ammissione fa breccia nel cuore di Materia
dell’uomo di
fronte a noi. Egli sospira con una nota paziente e scuote la testa.
-
Non importa, Tifa. Anzi, scusami per essere stato così
insensibile.
–
La
mora sorride comprensiva.
-
Beh, solitamente è da te essere così franco.
–, sottolinea Tifa.
Dal
canto suo, Vincent distoglie lo sguardo e lo rivolge in un punto
imprecisato nel corridoio.
-
Già… -, ammette, distratto.
Mi
permetto di osservarlo con più attenzione. La prima cosa che
salta
all’occhio sono impercettibili rughe avvallare la pelle degli
occhi, della
fronte e del naso, come se l’espressione del pistolero fosse
stata più
corrucciata del solito, negli ultimi tempi. I suoi occhi, solitamente
così
fiammeggianti, sembrano aver perso vigore e sostanza. Anche la sua
postura,
normalmente fiera ed eretta, sembra appesantita, come se un macigno
gravasse
sulle sue immortali spalle. Credevo fosse un’impressione, la
prima volta che lo
notai, incolpando il lungo viaggio e la mia galoppante carenza fisica;
ma ora
mi rendo conto che il vampiro senza età sta
effettivamente… invecchiando?
-
Vincent… Tutto bene? -, chiedo, d’impulso.
Egli
mi rivolge un lungo sguardo. Al contrario delle altre volte, esso
è vuoto. Sembra che un pesante velo impedisca alle sue
emozioni di fare
capolino dai suoi occhi solitamente così espressivi.
Mi
si stringe il cuore. So cosa vuol dire uno sguardo del
genere…
-
Takara … -, Vincent prende un profondo
respiro, infondendosi coraggio, - E’ scappata. –
Durante
il percorso tra la stanza in cui mi sono risvegliato e la
nostra meta, Vincent e Tifa hanno avuto modo di ragguagliarmi
rapidamente sulla
situazione. In breve, qualche ora dopo che sia io che Takara eravamo
caduti in
un sonno profondo, dei ricognitori avevano intercettato un convoglio
nemico
diretto dritti verso Yaido. In fretta e furia, il castello è
stato evacuato e
gli alleati avvertiti.
-
Alleati? -, chiedo confuso.
Tifa
mi mette una mano sulla spalla e mi rivolge uno sguardo
ammiccante.
-Lo
vedrai. –
Appena
detto questo, infatti, l’ennesima porta di metallo si
spalanca
di scatto appena rileva il nostro arrivo, mettendo in mostra la stanza
al di là
di essa. Si tratta di una sala di controllo, molto simile a quella
della Shera,
ma molto più in grande. Sul ponte principale, elevato al di
sopra dei computer
e della grande paratia panoramica, vedo due figure discutere. Riconosco
Weiss
il Bianco e…
-
Reeve… –
Il
suddetto s’interrompe e si volta nella mia direzione,
accogliendomi
con la sua solita espressione bonaria.
-
Ah, Cloud! Ti vedo in forma, grazie al cielo. Ne è passato
di tempo!
–
Non
rispondo e continuo a fissarlo, mentre mi avvicino. Ripercorro
rapidamente le miriadi di avventure che mi sono capitate in questo
periodo, e
mi sovviene che l’ultima volta che ho parlato con lui era
stato con Gast.
Quest’ultimo sapeva dei miei tracolli, dei mille effetti che
quel maledetto
libro avesse su di me e gli Esper sanno cos’altro. Tutte
queste informazioni
arrivavano da Reeve.
-
Quindi… mi pare di capire che siete tutti una grande
famiglia
felice. -, commento piccato.
Weiss
mi fulmina con lo sguardo, mentre Reeve prorompe in una
fragorosa risata.
-
Ahahahahah! Oh, Cloud! Diciamo che ci supportiamo e…
sopportiamo a
vicenda. –
-
Sarebbe molto più facile sopportarti, se non ci lasciassi
sempre
all’oscuro dei tuoi intrallazzi -, rimbecca un ringhiante
Weiss.
L’ilarità
dell’ex-direttore si spegne rapidamente e i suoi occhi
vengono rimandati al cielo, in un gesto esasperato.
-
Di nuovo con quest’accusa, Weiss? -, prorompe, - Quante volte
devo
ripeterti che non c’entro con la ShinRa? –
-
Quando finalmente mi dirai perché hai consegnato il diario a
lui,
anziché alla sua legittima proprietaria. -, risponde
prontamente l’ex Tsviet,
indicandomi con furia.
Vedo
Reeve sospirare, amareggiato. Conosco quel comportamento. A
quanto pare, ci sono parecchi segreti ancora da sviscerare. Dietro di
me,
avverto sopraggiungere Vincent, il quale richiama all’ordine
con la sua
consueta pacatezza.
-
Finiamola. Abbiamo problemi più importanti di cui occuparci.
–
Il
Bianco grugnisce e, prima di andarsene, scocca uno sguardo
ammonitore verso Reeve.
-
Ti tengo d’occhio, scarto di ShinRa… -, sibila,
puntandogli l’indice
ammonitore al petto.
Appena
l’ex leader di Deepground lascia la stanza, il moro si lascia
scappare un brivido.
-
Uff, non è gente facile con cui avere a che fare. -,
commenta
sconsolato, - Ma il loro aiuto è fondamentale per la WRO.
–
-
Reeve, -, faccio una pausa, durante la quale monopolizzo la sua
attenzione, - cosa sta succedendo? Perché Takara se ne
è andata? –
L’uomo
sospira e si gratta il retro della
testa, in visibile difficoltà; dopodiché mi si
avvicina e mi fa cenno di
seguirlo.
Appena
la porta della sua cabina si chiude, vengo assaltato
inaspettatamente dai miei compagni dell’AVALANCHE. Prima tra
tutti, Yuffie.
-
CLOOOOOOUD! FINALMENTE! ERAVAMO COSÍ
PREOCCUPATI! –
La
ninja mi salta al collo e, per poco non mi fa cadere, ondeggiando
di qua e di là, come in preda a una crisi isterica. Cerco di
liberarmi, ma ho
bisogno di supporto, il quale arriva prontamente dal Capitano che la
stacca da
me con la decisione di un pescatore con un’ostica cozza.
-
E lascialo in pace, mocciosa petulante! Non lo vedi che è
debole
come un poppante?! –
-
Sei il solito bruto, vecchiaccio! -, rimbecca la principessa,
dimenandosi dalla presa di Cid, con modi DECISAMENTE poco regali.
Nel
frattempo, avanzano anche Barret e Red XIII.
-
Sempre a invischiato in qualche casino, Spikey? Non riesci stare
lontano
dai guai nemmeno volendo. –,
rimprovera
il capo di AVALANCHE con ben poco celato rimbecco, mentre di sferra una
poderosa pacca sulla spalla con fare tra lo stizzito e
l’amichevole, per poi
aggiungere, - Anche se stavolta sei davvero in buona compagnia. -,
rivolgendo
uno sguardo accigliato nei confronti di Vincent.
-
Felice di rivederti, Cloud. –, saluta, invece, Nanaki con la
sua
solita pacatezza e semplicità, sedendosi di fronte a me,
sornione.
Io
mi limito a rivolgere loro un sorriso sghembo e una grattata
imbarazzata alla nuca.
-
Ehi! Ma è vero che quel bastardo, psicopatico, ammazza-Wutai
di Sephiroth
ha avuto una figlia?! -, sbotta Yuffie, strillando dal fondo della
stanza,
approfittando di un piccolo punto debole nella presa del Capitano.
Imbarazzato,
mi volgo alle mie spalle, dove Vincent staziona
silenzioso e granitico, nella sua insondabile postura. Quando penso che
non
reagirà a quella sequela di insulti rivolti al figlio, egli
sbotta con un
sibilante e lapidario: - Taci, Yuffie. –
Il
gelo avvolge la stanza. Tutti rimangono straniti dal comportamento
così esposto del pistolero. Dagli sguardi attoniti, direi
che nessuno capisce
il motivo di quest’uscita. A quanto pare, il moro ha omesso
qualche dettaglio
della storia. A spazzare via la tensione, interviene Reeve.
-Ehm-
ehm. Credo sia il caso che vi inizi a spiegare la situazione
attuale. -, esordisce l’uomo schiarendosi la gola, - E, per
la cronaca, sì,
Yuffie. Avrei voluto che la conosceste, ma attualmente risulta
scomparsa e,
fondamentalmente, questo è il nostro problema. –
-Un
momento-, interviene Cid, lasciando andare Yuffie e movendo un
paio di passi in avanti, visibilmente confuso, - Io credevo che fosse
una
fesseria, invece, mi state dicendo che esiste DAVVERO un erede di
Sephiroth? –
-
E’ quello che diciamo da mezz’ora, vecchio bacucco!
-, rimbecca la
ninja, facendogli la lingua.
-
Ascolta il tuo bello e chiudi la ciabatta, mocciosa! –
Un
sorriso mi nasce sulle labbra. Dopo così tanto tempo, uno
sprazzo
di normalità. Non avrei mai creduto che tutto questo mi
sarebbe mancato così
tanto e di quanto prezioso sia anche solo un ridicolo battibecco fra
amici sia.
Non mi ero mai soffermato ad apprezzare questi piccoli momenti, di
quanto bella
sia la sensazione di essere circondato da persone che ti amano e che
farebbero
di tutto per te. Li osservo uno ad uno e una stretta allo stomaco mi
tronca il
respiro per un momento. Mi rendo conto che loro sono qui nonostante
tutto.
Nonostante il mio caratteraccio, nonostante i pericoli, nonostante il
loro
desiderio di tranquillità. I miei amici…
Gli ho sempre dati per scontati.
Loro, c’erano sempre comunque per me.
Non
ti hanno mai lasciato andare, Cloud.
Mi
volto verso Tifa. Il suo sguardo corrucciato è adorabile,
mentre
osserva angustiata lo sciocco diverbio tra Cid e la Principessa di
Wutai. Ad un
certo punto, lei sembra avvertire la mia attenzione su di sé
e rivolge i suoi
occhi nella mia direzione. Appena ci guardiamo, il suo volto
s’illumina con un
rassicurante sorriso.
Nemmeno Tifa lo ha mai fatto,
sebbene le avessi dato tutte le ragioni del mondo.
Ti
ama davvero.
Ci meritiamo tutto questo?
Che
domanda stupida, Cloud…
Trattengo
una risata, ma una domanda sorge spontanea.
Cosa ti ha tenuto insieme in
questi anni?
Il
silenzio cade nella mia mente, ma non è vuoto.
L’immagine del
Generale intento a ponderare la domanda s’imprime nei miei
pensieri.
Sono
morto così giovane, Cloud… Mi rendo conto solo
ora di quanto presto la mia vita
è finita. Quando Jenova mi ha accolto, ho creduto di avere
una seconda
possibilità, ma quando mi ha usato per mettere a ferro e
fuoco l’intero
Pianeta, ho capito che non era quello che volevo… Ma era
troppo tardi. Ero
intrappolato in un limbo infinito, con le grinfie di Jenova chiuse
attorno alla
mia anima, senza uscita, senza più possibilità di
scampo. Ho creduto di
arrendermi e credo di averlo fatto ad un certo punto; ciononostante non
sono
riuscito ad accettare di rimanere impassibile quando ho visto in quale
baratro
ti stavi infilando per inseguire ciò che ti ossessionava. Ho
rivisto me stesso
in te. In coscienza, non potevo permetterlo. Sei l’uomo che
mi ha ucciso. Te lo
dovevo.
Hai uno strano modo per mostrare
la gratitudine.
La
tipica risata contenuta del Generale riecheggia nella mente.
Avverto il cuore stringersi in una morsa di orgoglio, appena mi rendo
conto di
quanto spontanea e sincera quell’ilarità sia. Una
risata che solo pochi hanno
avuto il privilegio di ascoltare e di scatenare.
-
Cloud? Ci sei? –
Vengo
riscosso dall’ alienazione grazie alla voce rassicurante di
Tifa, il cui tocco dolce e delicato si posa soave sulla mia spalla.
Guardo lei
e poi spazio il gruppo di fronte a me, di cui senti gli occhi studiarmi
preoccupati.
-
Non temere, Tifa. E’ normale. Pare che Sephiroth sia un
ottimo
intrattenitore. -, spiega Vincent divertito.
Ora
la preoccupazione dei miei amici si trasforma in sgomento, dopo la
frecciata del pistolero.
-
Lo avverti ancora? -, chiede Tifa, apprensiva.
-
Non credo se ne sia mai andato, direi. -, poi mi sento di aggiungere
rapidamente, rivolgendomi a tutti, - Ma, non temete, è tutto
sotto controllo.
Lui… non ha cattive intenzioni. Stavolta. –
Le
mie assicurazioni non danno l’effetto sperato, tuttavia. Ci
sono
varie reazioni negli occhi dei miei compagni, ma vedo per lo
più delusione. Per
loro, io sono sempre stato il più strenuo oppositore contro
qualunque cosa
spuntasse fuori dai viscidi abissi jenoviani, in particolare il mio
mortale
nemico. Sentirmi ora, difenderlo ed etichettalo un nostro alleato, deve
sembrare così strano alle loro orecchie. Il mio sguardo si
posa su Yuffie,
dalla quale arriva il biasimo più mordace. Oltre me e Tifa,
lei è un’altra ad
avere un conto in sospeso col Generale. In Wutai, lui è
ancora considerato un
nemico della patria, nonostante siano passati anni dalla guerra.
-
Yuffie… -, esordisco, accorato.
-
Sì, lo so.-, m’interrompe alzando le mani, -
Vincent ce lo ha
spiegato. Però… mi è difficile
crederlo. Come mi è difficile credere che
davvero quel mostro amasse il mio Paese. -, ammette la principessa,
distogliendo lo sguardo dal mio e rivolgendolo verso
l’oblò. Studio per un
lungo istante il suo viso. Non credo di averla vista mai
così triste. Le ferite
della guerra sono più profonde di quanto la fiera e
patriottica Yuffie possa
mai ammettere con se stessa. Guarda l’esterno, conscia di
stare sorvolando la
sua beneamata terra; quella terra su cui è stato versato
tanto, tantissimo
sangue. Il tutto per cosa? Per qualche reattore mako…
-
Il vero nemico del mondo è sempre stata la
ShinRa… -, dichiaro.
Lei
ricambia il sorriso mesto che le rivolgo, inarcando appena le
labbra all’insù, e mi rivolge uno sguardo
fiducioso.
-
D’accordo, voglio fidarmi, Cloud. In fondo, hai sempre fatto
la
scelta giusta. Inoltre, ci siamo affannati così tanto per
trovarti e sarebbe da
scemi completi (insomma come Cid) abbandonarti nel bel mezzo di una
missione.
-, dichiara, infine, la principessa sorridente, scoccandomi
un’ammiccante occhiata
d’intesa.
-
Per una volta, mocciosa, hai detto una cosa sensata e per questo
passerò sopra al fatto che mi hai dato dello scemo. -,
interviene Cid,
scoccando un’occhiataccia alla ninja, per poi rivolgermi
verso di me, - Anche
perché ti dobbiamo riportare a casa per darti dei bei calci
in c@7o per quello
che ci fai sempre passare! –
Lascio
scappare uno sbuffo divertito.
-
Severo, ma giusto, Cid. –
Abbasso
poi lo sguardo verso Nanaki, il quale mi scruta con quei suoi
ancestrali occhi dalle sfumature del fuoco.
-
Quando si tratta di Sephiroth, non ci sono Numi che tengano. Sei la
sua nemesi, l’unico in grado di annullarlo. E, a quanto pare,
di comprenderlo
meglio di chiunque altro. -, analizza l’animale, -
Te… e Vincent. -, aggiunge
volgendo il suo sguardo eloquente verso quest’ultimo.
Annuisco
sorridendogli per poi volgere la mia attenzione verso
l’ultimo rimasto: Barret. L’omone è
rimasto in silenzio ad ascoltare, ad
osservare, a valutare. La sua espressione impassibile mi mette in
agitazione. O
meglio, agita Sephiroth. Il nord-coreliano è sempre stato il
più fervente
avversario della ShinRa, raccogliendo di buon grado
l’eredità dei suoi
predecessori e potare avanti gli ideali ambientalisti
dell’AVALANCHE. Ideali in
pieno contrasto con la concezione di SOLDIER, ma dai modi molto simili.
Quante
volte si è visto affrontare ondate di agenti
d’élite dai letalissimi intenti.
Ma, appena l’uomo-mitragliatrice parla mi rendo conto che i
suoi pensieri sono
concentrati su una sola persona.
-
Io mi rivolgo a te, Sephiroth. -, esordisce, mettendo il Generale
sull’attenti, - Da padre, capirai bene che io farò
di tutto per proteggere mia
figlia. E quando dico di tutto, intendo di tutto. -,
l’uomo-mitragliatrice
s’interrompe rivolgendoci un lungo, severo, ma soprattutto,
determinato
sguardo, - Sei stato avvertito. –
La
minaccia sibilata dal capo dell’AVALANCHE mi toglie il fiato
e
sorridere comprensivo il Generale. Capisce quell’intento, oh,
Esper, se lo
capisce. E’ stato il centro della sua intera, travagliata,
avventura. Mi sento
messo da parte appena mi rendo conto di non subire lo sguardo di
Barret, ma
bensì di scambiarlo. L’intesa è
suggellata, l’accordo è stretto. Mi rendo conto
che i due non sono poi così diversi. Hanno entrambi quella
grinta, quella
determinazione, quello spirito di sacrificio degne dei grandi
comandanti. O dei
padri più amorevoli. Entrambi così dediti alle
rispettive famiglie… entrambi
pronti a gettarsi nelle fiamme dell’inferno per loro.
Alla
fine, egli usa il mio corpo per annuire solennemente. Barret
assente di rimando, secco, con la sua solita genuinità.
Avverto
un’ondata di ottimismo invadermi da cima a piedi. Credo che
il
Generale abbia allentato la tensione che gravava sul cuore, intimorito
dalla
prospettiva che il suo grido di aiuto non venisse per
l’ennesima volta
ascoltato.
Non sei più solo…
-
Bene, sono contento che abbiate accettato l’inusuale
situazione. -,
s’intromette Reeve, gioviale, - Purtroppo, il tempo a nostra
disposizione sta
rapidamente scadendo, - continua rabbuiandosi –
-
La Shinra…? -, tento, titubante, ma dentro di me conosco
perfettamente la risposta.
-
Oh no… molto peggio. -, l’ex-direttore ci rivolge
uno sguardo spaventato,
- Jenova ha trovato Takara. Entrando in contatto con te, Cloud, la
nostra ragazza
è entrata in contatto con quel mostro. Nessuno sa
esattamente cosa sia
successo. Sappiamo soltanto che probabilmente è stata
impossessata da un’idea
che non ha saputo sopprimere. Non stavolta. Credo che voglia aiutare i
suoi
genitori, però… -, un brivido di paura lo scuote
da capo a piedi, troncando il
discorso, - La Calamità farà di tutto per
corrompere la sua anima e poter
finalmente sbilanciare la guerra a suo favore. Takara è il
Dono della Dea che
tanto cita LOVELESS. Una creatura nata dalla fusione della progenie
umana delle
razze Cetra e astrale, il cui compito sarebbe quello di riportare
queste due
grandi forze in equilibrio. Una sorta di arbitro… -,
s’interrompe, sospirando
profondamente, - Se il suo giudizio venisse offuscato da sentimenti di
vendetta? Se Jenova dovesse convincerla che la causa di tutti i suoi
mali sono
gli esseri umani? Noi, coloro i quali le hanno portato via i genitori,
imprigionata, gettato questo mondo nel caos? –
Un
silenzio attonito avvolge la stanza, mentre Reeve, che ormai ha
perso la sua proverbiale bonarietà, si massaggia la fronte
con la destra, come
per scacciare via quel disturbante pensiero.
-
Per anni -, ricomincia, - ci siamo presi cura di lei, istruendola
sul suo passato, sul mondo, sulla sua natura; affinché non
rimanesse all’oscuro
di nulla. Sapete, per evitare un altro Sephiroth. -, mi scocca
un’occhiata e
poi sospira mestamente, - Genesis è quello che
più si è legato a quella
bambina. Credevo che i suoi sensi di colpa avrebbero fatto in modo di
spingerlo
verso la redenzione. Invece, ho scoperto che lui ha taciuto parecchi
segreti
sia a Takara che al resto di noi. Per esempio, il diario…
Sai chi fu a portarlo
via da Nibelheim, il giorno dell’incidente? –
Rimango
in silenzio e ricambio lo sguardo eloquente di Reeve, realizzando
di non esserne stupito affatto. In effetti, sospettavo che Genesis
avesse
tenuto d’occhio Sephiroth, fin da dopo l’efferato
omicidio della moglie; in
attesa del momento propizio per assestare alla sua deragliata mente il
colpo di
grazia.
-
Come è arrivato il diario a te, allora? –, chiedo,
dopo un momenti di
riflessione.
-
E’ una storia complicata, in effetti. Dovresti chiederlo a
lui,
anche perché nemmeno io sono al corrente di tutti i
passaggi. Quello che so è
che è riuscito a tenerlo nascosto per parecchio tempo.
–
-
E’ ancora vivo? -, chiedo, stupito.
Il
moro sospira e si passa la mano sul mento, indugiando sul pizzetto
ben delineato, scuotendo la testa di lato: - Diciamo di sì,
anche se il
processo di degradazione sta avanzando esponenzialmente, sia a causa
delle
ferite che alla mancanza di un novello afflusso di sangue S.-,
s’interrompe e
abbassa la testa, mesto, - Non gli rimane molto da vivere. –,
conclude con un
sospiro.
Un’altra
morsa allo stomaco mi tortura le viscere. E una strana,
incombente, definitiva realizzazione di una dipartita troppo prossima
da
sopportare avvolge ogni singola cellula di me. Mi rendo conto che,
Sephiroth
prova ancora un forte sentimento di amicizia nei confronti del vecchio
compagno, seppellito sotto uno profondo strato di odio, rabbia e
rancore; ma
che, di fronte alla concreta realtà, è riemersa
come una deflagrazione. Come mi
ha confessato il Generale, infatti, egli recrimina il fatto di non
averlo
salvato, di non essere stato in grado di accogliere quel suo disperato
grido di
aiuto. Ma più di tutti, non si riesce a perdonare se stesso.
E maledice con
tutta l’anima quel giorno nella Sala Addestramenti.
I
want you
beg for forgiveness
[Chiedi
perdono. Sephiroth,
FFVII:ACC]
Devi
parlargli…
L’ordine
del Generale arriva perentorio alle mie orecchie. Quasi…
disperato. Avverto il suo dolore, il suo soverchiante dispiacere.
Avverto
impellente la sua volontà di alleggerire l’anima
dell’amico morente, perché SA
che non vi sarà un luogo pronto ad ospitarla.
-
Reeve-, evoco, - ho bisogno di parlare con Genesis, prima che sia
troppo tardi-, poi mi affretto ad aggiungere, - Magari sa qualcosa su
dove
potrebbe essersi diretta Takara. –
-
Non credo. -, risponde il diretto interessato, - Abbiamo provato ad
interrogarlo, ma è davvero troppo debole. Inoltre, non credo
nemmeno voglia
rivelarci alcunché. –
Insisti.
-
Magari non vuole rivelare niente a voi. -, dichiaro per poi apporre
la mano sul petto, - Ma forse a Sephiroth sì. –
Lascio
che la frase sfumi e dia l’effetto sperato. Reeve mi osserva
studioso e giochicchia con ciocche della barba, ponderando la proposta.
Dopodiché, annuisce e mi fa cenno di seguirlo.
La
cabina è semivuota, eccenzion fatta per la branda spartana,
un
respiratore, apposto ai piedi del letto contro la parete alle spalle di
esso, e
un comodino su cui sono allineati strumenti operatori e garze pulite.
Le
paratie metalliche sono fredde, amplificando la gelida sensazione della
morte
imminente. Un minuscolo oblò è l’unica
fonte di luce della stanza, ma getta una
tagliente ombra obliqua sul viso sofferente dell’uomo al di
sotto dello stesso.
La maschera del respiratore copre quasi totalmente le sue fattezze, ma
è
possibile notare leggere contrazioni smuovere le ombre cadute sulla sua
pelle desquamata.
Perle di sudore e gemiti soffocati svelano la profonda sofferenza e la
strenua
battaglia combattuta dall’ex Comandante. Una battaglia,
l’ennesima, cui è
destinato a perdere. Faccio spaziare l’attenzione sul suo
corpo, dove il petto
magro e ricoperto di garze zuppe di sangue spunta fuori dalla pesante
coperta.
Il respiro è affannoso, impellente…affamato.
Sembra che l’ossigeno erogato non
tenga il passo dell’ingente degradazione e la conseguente
copiosa emorragia.
Una flebile e soffocato fischio esce dalle sue labbra semi dischiuse,
mentre
vorace cerca di introiettare più aria che può.
Eppure,
nonostante le gravissime condizioni, egli mi fissa con quei
baluginanti occhi di mako blu, unico accenno di vitalità in
un altrimenti corpo
morente. Non v’è né superbia,
né rancore, né arroganza in quelle iridi. Tutto
quello che era stato Genesis in vita è scomparso, lasciando
posto a quella
parte più fragile e profonda di sé: quella
impaurita e schiacciata da una colpa
così grande da sopportare per un solo minuto di
più. Mi guarda rassegnato,
sconfitto e… stanco.
E’
uno sguardo che conosco bene, visto nei ricordi di Sephiroth, che
perfino il Generale ha vissuto in prima persona.
Rimaniamo
per minuti infiniti a fissarci reciprocamente, nel tentativo
di ritrovare quell’intesa, quella complicità
dispersa chissà dove nei recessi
di questi animi corrotti; finché un rauco articolato giunge
alle mie orecchie.
-Sephiroth…
-
A
malapena riesco a comprendere il significato di quel suono. Se i
miei sensi non fossero stati potenziati dagli esperimenti di Hojo, non
credo
che sarei in grado di sentirlo.
Come
immaginavo, Genesis sembra essere capace di percepire il suo
commilitone, o almeno ha intuito che attraverso me, lui gli
può parlare. Mi
avvicino al lato del letto e mi inginocchio al suo livello,
così che mi possa
guardare più agevolmente in faccia. Il sudore ha imperlato
ulteriormente la sua
pelle, a causa dell’enorme sforzo impresso per voltare la
testa di qualche
grado verso l’alto. Un movimento minimo, ma, nelle sue
condizioni, disumano. Mi
stringe il cuore nel vederlo in quello stato, in totale contrasto con
il
ricordo della sua fulgida potenza, puntualmente propinato da Sephiroth
stesso.
Automaticamente, senza nemmeno che me ne renda conto, la mia mano
sinistra va a
stringersi attorno a quella di Genesis, abbandonata sul panno che lo
ricopre.
La sua pelle è ruvida, scagliosa, coriacea, sembra quasi
sull’orlo di spezzarsi
al minimo strofinio. Piccoli tagli, infatti, si aprono rapidamente,
lì dove la
mia morsa si è accanita con più veemenza. Preso
dal panico, cerco di
abbandonare il palmo, ma una debole, debolissima, resistenza mi
trattiene.
Guardo Genesis, osservarmi con uno sguardo enigmatico.
-
Sephiroth… -
Il
rauco si è trasformato in guaito strozzato,
poiché la sua voce è
stata rotta da lacrime amare, che stanno abbandonando gli occhi del
SOLDIER.
Stringo
la mandibola, per reprimere l’ennesimo colpo al cuore.
-
Ti ascolta. -, rispondo, rivolgendogli l’espressione
più morbida
possibile.
-
Io…-, un respiro sibilante, - non ti ho…-, un
altro sibilo,- mai…-,
egli prende un respiro lunghissimo, emettendo un lungo fischio,-
chiesto… -, il
petto si alza ed abbassa ad un ritmo impressionante, - Scusa...-
Esausto,
si rilassa contro il materasso, emettendo un lungo, lugubre
sospiro.
Anche
se coperto dalla mascherina, è possibile apprezzare la sua
espressione totalmente, ineluttabilmente contrita, rotta da un pianto
incontrollabile, figlio di una paura ancora più viscerale.
Sa che sta per
morire, sa di aver sprecato ogni occasione di redenzione che gli si
è
presentata. Takara se ne è andata, abbandonandolo sul suo
letto di morte. E’
solo. I suoi amici lo hanno maledetto anni prima, augurandogli una
lenta
dolorosa morte, come scotto per i crimini commessi. Crimini che nessuno
sembra
essere disposto a perdonargli. Come potrebbero? Lui è un
mostro senz’anima,
senza cuore, senza pietà. Ha ucciso tante persone. Ha ucciso
i suoi
commilitoni. I suoi genitori. La madre della sua figlioccia. La moglie
del suo
idolo. Del suo rivale … Del suo migliore amico…
E
per cosa?
Per…
per…
Niente…
A
nulla sono valsi i suoi sacrifici.
La
sua Dea non l’ha voluto.
Il
suo prezioso dono non l’ha voluto.
Il
Lifestream non lo vorrà.
Morirà
senza nulla, senza che nessuno si ricordi di lui.
Ha
lasciato il buio e le fiamme dietro di sé.
Senza
passato, senza futuro.
Nulla
di lui resterà.
Piange,
disperato, conscio dell’incubo che presto lo
coglierà.
Di
quella reminiscenza di amico che sembra divorarlo con
l’attesa di
un responso. O distruggerlo col suo silenzio.
In
fondo, cosa gli disse l’ultima volta che
s’incontrarono?
You’ll
rot
[Tu
marcirai, Sephiroth,
FFVII:CC]
A
ragione… Gli aveva portato via tutto. Era la causa maxima
della
sofferenza dell’altro. Della disperazione di una figlia
privata della madre e costretta
a vivere lontano dal padre. O impaurita da esso. Difficilmente
può dimenticare
l’espressione della bambina, osservare agghiacciata la
terribile palla di fuoco
infiammare il cielo senza pietà.
Cosa
aveva fatto?
Lui
aveva portato quell’uomo sulla strada intrapresa. Una strada
che
egli aveva cercato di evitare tutta la vita. Lo sapeva…
Eppure, ce lo ha
guidato senza un briciolo di rancore.
Senza
pensare alle conseguenze.
In
fondo, sei sempre stato così, Genesis.
Hanno
provato tante volte a cambiarti, ma non ci sono mai riusciti;
anzi sono sempre stati gli altri a cambiare per te. Ma il Pianeta non
segue le
tue regole.
Tu
odiavi le regole. Le sfidavi con tutta la tua forza, eppure sei
arrivato a un punto, dove certe regole non potevano essere infrante,
altrimenti
il costo sarebbe stato troppo alto.
Oh,
ma tu l’hai pagato quel conto… Oh, se
l’hai pagato!
Il
prezzo della libertà. O presunta tale…
Nessuna
fanfara di gloria per te, angelo caduto… Solo silenzio,
disprezzo
e solitudine.
E
ora, nei tuoi ultimi istanti, piangi dolente, incapace di respirare,
incapace di far valere le tue ragioni.
La tua ultima
occasione…
- Even if the future
is barren of promises, nothing shall forestall my return. [Anche
se il futuro
è arido di promesse. Niente ostacolerà il mio
ritorno. Atto III, LOVELESS] -.
La
voce di Sephiroth soppianta la mia, mentre egli accompagna quelle
parole fuori dalle mie labbra. Quella frase che per il rosso
è sempre stata
caricata di scherno ed arroganza, ora, dalla voce calma e pacifica del
Generale, risuona in modo totalmente differente.
C’è una sottintesa aura
rassicurante che accarezza ogni singola sillaba, simile a quella usata
da un
padre che cerca di confortare il proprio spaventato figliolo. Come
volevasi
dimostrare, il Comandante rilascia la tensione dei muscoli e sprofonda
tra le
coltri morbide ed accoglienti del suo capezzale. Le palpebre si
serrano,
rilassate, per un momento, mentre un profondo e lungo sospiro sibila
attraverso
la mascherina. Quando le risolleva, quella luce spaventata e colpevole
è
totalmente sparita dai suoi occhi; soppiantata da uno sguardo pieno di
riconoscenza. Un flebile sorriso viene appena intraveduto spiccare al
di sotto
della plastica semi-trasparente, contemporaneamente i lineamenti del
banoriano
vengono definitivamente distesi, in un’espressione di pura
pace. Sephiroth
risponde, inducendo i lati delle mie labbra a sollevarsi appena, in un
sincero
arco di compassione. I due amici si sono riappacificati, stavolta per
davvero,
senza rabbia e rancore, senza alieni e morte. Solo loro. Due uomini,
due
soldati, due amici.
Le
forze di Genesis iniziano a venire a meno, come dimostra la
difficoltà di questi a continuare a sostenere il nostro
sguardo. Le palpebre si
fanno pesanti, gli occhi si velano, il respiro si fa sempre
più affannoso.
Avverto
la mia mano sinistra venire stretta con più veemenza a
quella
dell’altro, in un guizzo deciso e rassicurante. Debolmente,
il rosso risponde,
avvolgendo le sue decadenti dita attorno le mie, con una forza
inaspettata.
Disperata. Sephiroth capisce quell’infido terrore che si
avviluppa in ogni
cellula; così come quella disarmante e ineluttabile
realizzazione. E’ una
sensazione disarmante, invalicabile, al di là di ogni
comprensione. Soprattutto,
per loro. Sono dei reietti il cui posto sul Pianeta non era stato
nemmeno
concepito; così come non esiste un aldilà pronta
ad accoglierli, ma solo un
vuoto, infinito, solitario limbo. Fa paura, ma, con quel guizzo,
Sephiroth
imprime al compagno un messaggio ben preciso: la loro agonia non
durerà ancora
a lungo e, forse, ad aspettarli ci sarà un radioso
futuro…
Lo
sguardo vacuo del Comandante si è fissato al soffitto, dove
le
ombre svolazzano e ondeggiano, ogni qualvolta una nuvola passa davanti
alla
luce sanguigna del giorno morente. Il ritmo respiratorio è
calato drasticamente.
Ma, poco prima di andarsene, immagini e visioni rapide invadono la mia
mente.
Dapprima, d’istinto, combatto contro quell’assalto
inaspettato, ma la voce
rotta del Generale si eleva contro la mia resistenza.
-Lascialo
entrare… -
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
-Il tuo corpo si sta avviando
verso un procedimento di decadimento tissutale che noi chiamiamo
‘degradazione’.
Il mako penetrato nel tuo corpo sta inducendo le tue cellule ad avviare
una
sorta di apoptosi indotta che… –
Smetto di ascoltare. Mi sento
uno stupido. Non capisco una singola parola proferita da
quell’uomo. Di solito,
sono un tipo sveglio e anni passati a leggere romanzi epici dai termini
altisonanti e arcaici hanno sortito l’effetto di armarmi di
un linguaggio
forbito ed articolato. E allora, perché non riesco a capire
una sola dannata
parola di quella frase, dal suono così simile a una
condanna? Forse la troppa
perdita di sangue ha annebbiato le mie abilità o la
vicinanza a quel
sempliciotto di Angeal ha irrimediabilmente compromesso le mie
facoltà mentali.
Il pensiero sciocco non sortisce l’effetto sperato e permango
immobile e
fissare il professore con aria assente.
- Hai capito, Genesis, quello
che voglio dire? –
NO, MALEDIZIONE! Avverto la
rabbia esplodere nel petto, ma ha solo l’effetto di spossarmi
ancora di più. La
testa mi gira avverto il sudore imperlare la fronte e il respiro
annasparsi.
- Non ti sforzare. Ancora non ti
sei ripreso. Ci vorranno altre trasfusioni prima di riuscire ad alzarti
ancora.
–
Assottiglio gli occhi, mentre
quella frase mi colpisce dritto nell’orgoglio. Sono
così schifosamente debole…
e per di più, devo pure dipendere da loro…
Chissà quanto se la stia ridendo
Sephiroth per avermi ridotto in questo stato.
- Quando potrò farlo allora? Non
ne posso più di stare sdraiato qui… –
La frase mi esce dalle labbra di
getto, rivelando una voce meno vibrante e incisiva del normale. Il
cuore perde
un battito, mentre mi porto la mano alla gola.
- Il processo di degradazione
riguarderà ogni aspetto della tua vita. E’
inesorabile. Tutto quello che
possiamo fare è rallentarlo con trasfusioni e cure adatte.
Per un po’, almeno. –
Questo l’ho capito. Ora il cuore
si ferma veramente. Un groppo ha strinto la mia gola, rendendo il
respiro
ancora più difficoltoso. Mio malgrado, cerco di deglutire.
- Volete dire… che
…morirò? –
Il professor Hollander si volta
verso di me e mi guarda veramente da quando è entrato nella
stanza. Con occhi
spietati e distanti, mi fissa a lungo. Fatico ad individuare
l’emozione che dà
vita alla sua espressione truce e congestionata.
- Sì. –
Un
brivido mi attraversa la schiena dall’alto in basso. Rimango
gelato come una
statua di marmo a fissare quell’uomo, chiedendogli
disperatamente aiuto. Ma
nulla arriva da lui, solo silenzio, spietatezza e… biasimo.
Ecco, cos’era…
biasimo.
- Ci dovevi essere, Genesis! Non
credo di aver mai visto il Presidente così incazzato!
Ahahahahahah! –
Angeal per poco non si ribalta
dalla sedia e Sephiroth, dal canto suo, allarga appena un po’
di più il suo
ghigno, sempre in modo odiosamente pacato. Non si sbilancia mai, lui.
Nonostante
tutti i miei sforzi, non sono mai riuscito a capire cosa lo porta a
trattenersi
così tanto, a non lasciarsi andare. E’ un mistero
che rimarrà tale, temo. Il
pensiero mi rabbuia appena un momento, ma abbastanza a lungo da
permettere a
Sephiroth di accorgersene. Ovviamente.
- Gen. Tutto bene? -
Ricaccio indietro il languore e
sfodero la maschera più insolente presente nel mio
repertorio.
- Ovviamente sì. Presto potrò
calcare di nuovo la ribalta e mi riprenderò
l’agognata rivincita. Non credere
che quella scaramuccia dell’altro giorno me la sia scordata!
–
I nostri sguardi s’incatenano
l’uno all’altro, ma per un istante tragicamente
breve. Sephiroth, infatti,
sembra quasi trattenere il respiro, mentre i suoi occhi rifuggono i
miei,
ricolmi di senso di colpa.
- Io e te non ci sfideremo più.
-, sentenzia alla fine.
- E questo cosa vorrebbe dire? –
L’onta subita mi accende
all’istante, tant’è che
l’impulso di afferrargli il bavero e scuoterlo diventa
preponderante. Mi abbandono all’istinto, ma la
realtà mi ricorda che certi
colpi di testa sono ormai al di fuori della mia portata. Un forte
giramento di
testa. Nausea. Spossatezza. I sintomi del degrado… Il
richiamo della morte.
Crollo a metà del gesto, col sudore freddo che
s’infila fin dentro i pori della
pelle. Rabbrividisco da capo a piedi e le forze vengono a meno. La mano
scivola
dalla presa sul bordo del letto e mi sento cadere, oltre che svenire. I
fumi dell’incoscienza
alterano i miei sensi, trasformando il pavimento in un famelico,
profondo, spaventoso
abisso. Il senso di vuoto mi artiglia lo stomaco già in
subbuglio e per poco
non ne rigetto tutto il contenuto. Mi sbilancio troppo in avanti e
troppo velocemente,
la pressione sanguigna crolla e il buio mi fa affacciare un attimo
nell’incoscienza. Un unico, allucinante attimo. Flash
sconclusionati e
incomprensibili di eventi confusi e incerti, voci distorte, per lo
più urla,
sapore e odore di sangue e fumo. Le mie mani intrise di liquido rosso
brillante, come quello che corona il corpo di una donna stesa sul
pavimento.
Non riesco a carpirne i dettagli, poiché la mia attenzione
viene attirata su
un’altra figura che si staglia sull’uscio
infiammato, viso rivolto verso
l’inferno di fiamme che impazza all’esterno. Il
dettaglio che mi attira sono i
lunghi capelli svolazzanti che le cingono le spalle strette e il fisico
longilineo. Il movimento voluttuoso di quelle chiome mi ricorda
Sephiroth, ma
il fisico fin troppo minuto mi suggerisce che si tratta di
un’altra persona, ma
molto affine a lui. La conferma mi viene data nell’istante
dopo, quando ella si
gira. E’ una ragazza giovane e bellissima. Non rimembro di
averla mai
incontrata, ma sento di conoscerla; tant’è che mi
ferisce il modo in cui quegli
occhi di mako gelido mi trafiggono con rabbia e la sua congestionata
espressione di furia. Non riesco a sostenere quello sguardo, sentendomi
sporco,
sbagliato. Un inutile, gretto, miserabile scarto di uomo. Ella alza il
dito
accusatore nella mia direzione. Mi sento impotente di fronte a lei e mi
rendo
conto di aver perso ogni volontà di combattere. Non contro
di lei… Io lo
merito. Merito il castigo che sta per calare sulla mia testa,
più spietata
della mannaia di un boia. Da quella ragazza… quella ragazza
a cui ho fatto un
torto così grave. A quella ragazza innocente…
Dove l’ho già vista?
-
Genesis… -
Evoca il mio nome. Io non ho il
coraggio di guardarla…
-Genesis…
-
Mi chiama ancora… Non
posso…
-
Guardami…-
Esito, ma non posso fare a meno
di eseguire quell’ordine.
Appena alzo lo sguardo, il viso
della ragazza trasfigura in quello di Sephiroth, combaciando
perfettamente.
- Genesis! –, chiama il Generale
con tono angosciato.
Rimango qualche secondo a
fissarlo, confuso. Quella ragazza così simile a
lui…
Egli mi scuote e mi accorgo che
i miei due amici mi stanno entrambi sostenendo a mezz’aria.
Sui loro visi è
dipinta genuina preoccupazione. Il mio stordimento è passato
e mi rendo conto
dell’insopportabile situazione di debolezza in cui mi trovo.
Con stizza, faccio
leva sul braccio di Sephiroth e mi spingo all’indietro,
ricadendo sul letto.
Sono esausto, ma la paura di mostrare la mia debolezza richiama forze
residue.
- Colpa di queste dannate flebo.
Mi hanno bloccato a metà del gesto… -, mi
giustifico rapidamente, fingendo di
esaminare le condizioni degli aghi infilati nella pelle.
- Certo. Le flebo… -, commenta
Sephiroth, acido.
-Sephiroth… -, lo redarguisce
Angeal.
L’ammonimento del mio vecchio
amico cade nel vuoto, scontrandosi contro il disinteresse del Generale.
O per
meglio dire, eccessivo interesse.
- Perché tutto questo mistero?
Perché
non ci dici le cose come stanno? Perché ci tagli fuori?
–
-Uh, da che pulpito… -, ribatto,
caustico, voltandomi verso di lui.
- Non cambiare argomento… -,
minaccia, bisbigliando pericolosamente.
- Frustante, nevvero? Sentire
che c’è qualcosa di sbagliato, ma ricevere
soltanto silenzio, o resistenza. -,
mi piego infidamente in avanti, rivolgendogli un sorriso beffardo, -
Ora sai
come mi sento… -, concludo, mimando il suo tono sibilante.
Lo vedo irrigidirsi da capo a
piedi e stringere i pugni così forte che se non avesse i
guanti probabilmente
si ferirebbe i palmi. Mi fissa come un predatore farebbe con la preda
designata
e so che la sua mente gli sta già urlando di tirarmi un
pugno in pieno viso. Ma
so che non lo farà. Il suo autocontrollo è enorme
almeno quanto il mio ego.
Anche se in questo momento, un cazzotto ben assestato per mettere fine
alle mie
sofferenze lo gradirei…
Desiderare
di morire, mentre LEI mi giudica…
La bambina non fa altro che
fissarmi incessantemente da quando ci siamo seduti per mangiare.
Nemmeno per
guardare il cibo ha mai distolto lo sguardo dalla mia figura. Non che
mi
infastidisca stare al centro dell’attenzione, ma avere quei
fari in particolare
puntati addosso mi fa sentire giudicato fin dentro il profondo. Per
quanto ci
stia provando, proprio non riesco ad ignorare la sensazione che sia
Sephiroth
stesso o sua moglie a guadarmi in questo momento. O meglio a
giudicarmi. Con
biasimo e disprezzo, probabilmente. Quegli occhi sono la sintesi
perfetta tra
tratti Cetra e Jenova. E’ sorprendente quanto LEI e LORO si
siano armonizzati
per dar vita a un essere totalmente nuovo. La definirei quasi la prima
di una
nuova razza di umano… Chissà che farebbe un certo
scienziato di mia conoscenza
se ce l’avesse tra le mani.
Un brivido di raccapriccio mi
scuote da capo a piedi.
Combattendo contro l’insistenza
di quegli occhi, mi alzo e inizio a raccogliere i rimasugli della
nostra cena,
per poi iniziare a prepararle il sacco. La piccola, naturalmente, non
si fa
sfuggire nemmeno una mossa del mio operato. Mi mette terribilmente in
soggezione il modo in cui mi studia, instancabile, nonostante
l’ora della
buonanotte sia passata da un pezzo. Inoltre m’inquieta il
fatto che non si
lamenti mai. L’ho rapita in piena notte da quella specie di
orfanotrofio, in
cui Lazard l’aveva scaricata, l’ho portata nel bel
mezzo del bosco, al buio,
con mostri in ogni angolo; eppure non ha mai emesso una singola parola
di obiezione,
nemmeno un flebile lamento. Se ne sta qua accanto a me a fissarmi,
apparentemente tranquilla. Non so nemmeno se comprende la situazione
che sta
vivendo. Sospiro e mi passo la mano fra i capelli, mentre inizio a
srotolare il
suo sacco a pelo.
E’
una cosina così piccola….
Poco più di un anno e già
conosce
così tanta sofferenza… Causata da me…
Stringo con rabbia la stoffa, mentre il
senso di colpa torna di nuovo a tormentarmi. Con un grugnito di stizza,
mi dico
di smetterla di indulgere in questi scrupoli. Ne va del
destino di tutti
noi, mi ripeto per l’ennesima volta.
Perso nelle mie elucubrazioni,
non mi accorgo che la bambina si è avvicinata a me. Per poco
non mi prende un
colpo, quando entra nel mio campo visivo.
- Wow, mi ha spaventato,
piccola. –, esclamo, cercando di dare alle mie parole
un’inflessione il più
possibile rassicurante, ma non mi sfugge sicuramente qualche nota
infastidita.
Non ci ha mai saputo fare con i
bambini…
Dal canto suo, lei continua a
studiarmi, chiusa nel suo innaturale silenzio, con la testa leggermente
inclinata di lato e l’espressione concentrata.
Sviando il suo sguardo per
l’ennesima volta, roteo gli occhi, amareggiato, e le chiedo,
attingendo a
quella dimenticata memoria che ho del wutaniano:
- Cosa c’è? –
La mia espressione è venuta
fuori più truce di quanto volessi, ma quel suo comportamento
mi sta davvero
dando i nervi. Non ne posso più di questo tribunale. E il
senso di colpa mi sta
letteralmente rivoltando lo stomaco.
Senza rispondermi, fa sbucare,
fuori dalla coperta che tiene sulle spalle, una manina minuscola e la
allunga
nella direzione del mio viso. Le ditina sono protese nella mia
direzione,
tremolanti e incerte. Sorpreso, permango immobile, osservandola
confuso. Il
calore della sua mano sembra un balsamo per la mia pelle degradata. Per
quanto
lo desideri non mi è più possibile rifuggire
quegli occhi, i quali mi osservano
con un’intensità tale da renderli magnetici. Lei
si avvicina ulteriormente,
facendo cadere la coperta dalla spalle, ma non se ne cura. E’
talmente
concentrata ad analizzare ogni singolo dettaglio del mio viso da non
considerare null’altro che esuli da quel preciso intento.
Improvvisamente,
sembra che una folgorazione la colpisca e si apre in un dolcissimo
sorriso.
Ogni mio dubbio svanisce appena
lei dà fiato alla sua conclusione. E il sangue mi si gela
nelle vene.
- Papà! –
-Genesis…? –
- Mh…? –, rispondo
distrattamente,
intento ad affilare il filo della mia cara vecchia Rapier, unica,
inseparabile
compagna di vita.
- Mio padre avrebbe voluto che
imparassi a combattere? –
Mi blocco a metà del gesto e
volgo l’attenzione su di lei. Sta colpendo i fili
d’erba con la sua spada di
legno, mentre ciondola in giro. Non mi sta guardando, ma so che sta
aspettando.
Fa sempre tante domande su suo padre. Sembra che le mie risposte non
siano mai
abbastanza. Mi si stringe lo stomaco al pensiero di quanto si senti
sola, per
quanto, comunque, non lo dia a vedere. Come Sephiroth. Mi scappa uno
sbuffo
malinconico, generato dal tenero ricordo della miriade di scontri nati
tra noi
proprio su quel punto. Tanto tempo fa… Il languore,
tuttavia, non raggiunge il
mio viso e, ritornando alle mie mansioni, liquido la domanda della
ragazza con
un’alzata di spalle e una risposta sbrigativa.
- Non credo… -
- Oh… -
Alzo di nuovo l’attenzione su di
lei e vedo che si rigira la spada di legno fra le dita con
l’espressione
corrucciata e lo sguardo basso.
- DEVI imparare a difenderti.
Per quanto l’idea non gli sarebbe piaciuta, anche lui avrebbe
convenuto con me…
-
- Se lui avesse convenuto, non
ci sarebbe nemmeno stato bisogno di insegnarmi a combattere…
-, ribatte lei.
Le rivolgo uno sguardo
ammonitore, il quale s’infrange contro
un’espressione determinata e
pretenziosa.
Rilascio il fiato e scuoto la
testa, sconsolato.
- Già, ma lui non
c’è. –,
ribatto con tono lugubre.
Permaniamo in silenzio per
qualche istante, rotto solo dal suono graffiante della pietra che passa
sopra
l’acciaio.
- Ma ci sei tu… -
Mi fermo di nuovo e le rivolgo
un lungo, doloroso sguardo. Purtroppo…
Sospiro e appoggio a terra spada
e pietra.
- Takara. -, esordisco,
passandomi la mano destra sulla spalla sinistra, - Lo sai che io sto
morendo… -
Carpisco, con la coda
nell’occhio, la sua espressione farsi dolente e la sua testa
amaramente
annuire.
- Per questo devi imparare a
combattere. Non ti potrò proteggere per sempre. –
Detto questo, mi alzo e la
raggiungo. Le poso le mani sulle sue spalle strette e gliele stringo
dolcemente. Lei si umetta le labbra, chiude gli occhi e sospira,
trattenendo un
gemito. Giungo i palmi sotto il suo mento e, applicando una leggera
pressione,
la induco a guardarmi. Quegli occhi tristi, verdi come il mako; quelle
indomabili ciocche ombrarle il viso, quelle labbra dischiuse e serrate
verso il
basso… ogni singolo dettaglio evoca suo padre. E, ogni anno
che passa, lei gli
assomiglia sempre di più. E ogni anno è un
affondo sempre più profondo al
cuore. Ma da un lato, questo mi rallegra; conscio che qualcosa di lui
sia
rimasto tra noi miseri mortali. Rivolgo un sorriso sincero alla
ragazzina di
fronte a me e le scosto dolcemente le ciocche dal viso.
- Ma finché avrò respiro, io
ti
proteggerò… mia Principessa. –
A quelle vuote rassicurazioni,
lei mi rivolge uno dei suoi solari e meravigliosi sorrisi, per poi
stingersi a
me, avvolgendo le sue gracili braccia ai miei fianchi e affondando il
viso nel
mio petto.
- E io avrò cura di te… -
Perso nei fumi della morfina,
riesco a malapena a distinguere la sua figura. Il suo giovane viso
è
congestionato da un’espressione indurita. Vuole sembrare
fredda, ma la conosco
troppo bene e so perfettamente che nel suo cuore sta impazzando un
inferno di
sentimenti, dubbi e sensi di colpa. Lo comprova quella sua fastidiosa,
ossessiva mania di lisciarsi le pieghe del vestito, anche quando
è palese che
non ce ne sia bisogno. Dopo poco, tuttavia, addossa stancamente la
schiena alla
parete accanto alla finestra, ponendo entrambe le braccia dietro di
sé. Emette
un sonoro sospiro, poi, come se avesse sentito qualcosa, alza la testa
e
appunta il suo sguardo al di fuori della finestra, lontano, verso Nord.
Concentro tutte le mie forze per metterla a fuoco. Adocchio il capo
sollevato
fieramente, il portamento elegantemente impeccabile, lo sguardo
meditabondo,
concentrato… sognatore.
Perfetta…
- Ti raggiugerò… -,
bisbiglia,
dopo un lungo silenzio, senza distogliere lo sguardo
dall’obiettivo. Muovo
appena la testa, volgendomi verso di lei.
Lei indirizza il suo sguardo
verso di me e mi sorride tristemente.
E’ un gesto che dura molto poco,
le labbra, infatti, tornano neutre, mentre lei di distacca dalla parete
e si
avvicina al mio capezzale. Una volta giunta, ella si piega su di me e
appunta
le sue mani lateralmente alla mia testa. I suoi capelli bruni le
scivolano in
avanti, fluidamente, accarezzandole maliziosamente le spalle, il collo,
le
guance. Scruta ogni singolo angolo delle mie fattezze morenti e
degradate con
quegli occhi capaci di brillare anche nell’esigua luce della
sua ombra. Mai
come prima d’ora mi sono sentito così
terribilmente scoperto. E vulnerabile. L’ultima
volta è stata… quando suo padre è
impazzito.
Il mio battito cardiaco inizia
ad incrementare e l’adrenalina scatenatosi mi permette di
contrastare per un
breve momento i calmanti che mi somministrano.
Vedo i suoi occhi ruotare verso
l’elettrocardiogramma e un largo sorriso si estende sul suo
viso.
- Non ti agitare, Genesis. -,
dice con tono rassicurante, passandomi anche la mano tra i capelli, -
So tutto.
Ho visto tutto. – precisa, continuando ad accarezzarmi, - E
ho capito. –
Dolcemente, appoggia le sue mani
ai lati della mia testa, facendo attenzione a non stringere troppo. La
sua
espressione si fa contrita anche se cerca di nascondersi dietro a una
serenità
che non le appartiene.
- Avevi paura. -, constata con
una semplicità disarmante, mentre il mio orgoglio si contrae
in un ultimo,
debole spasmo di superbia, - Paura di essere dimenticato. Paura di
morire. E… e
volevi che ti ascoltassero, che rimanessero con te. Gli hai chiesto
aiuto, nel
tuo contorto e strano modo. -, ride teneramente, mentre il mio cuore si
scioglie, - Sei davvero impossibile. –
La sua maschera si frantuma,
lasciando andare le lacrime. Il suo corpo si accascia e le sue mani
scivolano
lungo le mie spalle, il busto, il braccio destro, fino a ricongiungersi
con la
mano inerme al termine di quest’ultimo. Cerca di darsi un
contegno questa
bambina, rivolgendomi qualche sorriso e pulendosi le lacrime dal viso.
Debolmente, stringo la sua mano.
- Sì, lo so. Non devo
piagnucolare. -, interpreta, con la voce rotta.
Inspira ed espira, rispondendo
alla mia stretta, ricercando in quel misero e patetico gesto un
po’ di
conforto.
Mi
dispiace, mia principessa.
- Ho promesso che mi prenderò
cura di te. -, dichiara, infine, guardandomi dritto negli occhi. Quegli
occhi
pieni di feroce determinazione… - Metterò fine a
tutto questo. Sono stanca di
questa sofferenza, di queste lotte, di questo odio… -
Lascia sfumare il discorso e si
alza, abbandonandomi, senza però lasciare
un’ultima carezza alla mia mano.
Ritorna alla finestra e torna ad appuntare il suo sguardo verso Nord.
- Andrò al Northen Crater ad
affrontare la fonte di tutto. A compiere il mio destino… -
Si tormente le mani e abbassa lo
sguardo su di esse, nel vano tentativo di reprimere un brivido di
paura.
L’istinto mi urla di alzarmi e
confortarla,
di stringerla a me, dissuaderla dal partire, proporle
un’alternativa,
consigliarle di mandare qualcun altro. Ma, sarebbe inutile, questa
volta.
Sebbene sia spaventata, la sua decisione è stata presa e non
c’è modo di
dissuaderla dal compito prefissato.
E’ giunto il momento che tanto
temevo…
Il mio prezioso Dono…
La mia amata Principessa…
Lacrime iniziano a scendere
lungo le mie guance, mentre una morsa di dispiacere mi attanaglia il
cuore. Ho
dato tutto per quella bambina. E’ cresciuta così
tanto… Il solo pensiero di non
rivederla mai più mi devasta. Mi rendo conto di averla amata
come mai ho amato
nessuno e di come lei abbia trasformato la mia inutile egoistica
esistenza in
una vita votata al sacrificio e al benessere altrui. Lei mi ha
insegnato molte
più cose di quanto io ne abbia trasmesse a lei. E le sono
grato per questo…
In tutto questo, Takara non si
accorge del mio turbamento, poiché il suo sguardo
è rivolto verso la sua meta
ultima.La fissa rabbiosa, ma anche caparbia, accogliendo di buon grado
la
sfida.
-
When the
war of the beasts brings about the world’s end, the goddess
descend from the
sky.
Wings
of
light and dark spread afar her gift everlasting –
[Quando la
Guerra delle bestie porterà
alla fine del mondo la Dea discenderà dal cielo.
Ali di luce e
oscurità spargeranno
lontano il suo dono eterno]
La
realtà ritorna, delicatamente, mentre il sogno rapidamente
sfuma,
così come la coscienza del Comandante che, lestamente,
scivola via, esausta, ma
alleggerita. Avverto una morsa al cuore, appena realizzo il significato
di
quelle sensazioni e ritrovo conferma nella figura del rosso.
Genesis,
infatti, non ci guarda nemmeno più…
Il
respiro è sempre più lento, sempre più
esiguo. Fino a che…
Un
lungo, lento, inequivocabile, definitivo, lugubre spiro abbandona
le labbra semi dischiuse del Comandante.
Per
secondi infiniti, permango immobile. La mia mano stretta a un
palmo senza più padrone. Freddo. Freddissimo. Mi sembra
così innaturale questo
gelo che si inerpica in ogni cellula del mio corpo, come un attagliante
senso
d’impotenza. Mi paralizza, sembra quasi che la morte abbia
messo in pausa il
mondo intero. Poi, improvvisamente, una lacrima abbandona i miei occhi,
mentre
una nascente sensazione di oppressione cala sul mio petto. Sospiro
profondamente per cercare di sciogliere quel peso pendente sul cuore.
Nel
frattempo, la mia attenzione viene catturata dagli occhi ancora
sbarrati del
Comandante. Inconsciamente, alzo la mano destra e, solennemente, passo
il palmo
sul suo viso, chiudendogli le palpebre. Rimango un lungo istante ad
osservarlo,
mentre il peso diventa sempre più pesante da sostenere. La
sua espressione è
così distesa, tranquilla… in pace. Una leggera
contrazione al lato destro della
bocca ne alza il lato, dipingendo un sorriso mesto.
- Grazie di
tutto…
amico mio. –
Buonasera popolo di EFP! Grandi ritorni
questa epidemia sta facendo tornare! Prima Manila con un capitolo delle
(Dis)avventure e ora io, con il caro Bassai dai. Speravate di esservi
liberati
di me? Eh no! Nonostante gli impegni, sono finalmente riuscita a
completare
anche questo capitolo e, per l’ennesima volta, ritardare la
chiusura di questa
storia -.-‘ Ma vi assicuro che siamo agli sgoccioli,
finalmente ho trovato il
modo di rendere sensato il finale!!! (Chissà di che morte ci
tocca ririmorire
ndVinny&Seph). Questo capitolo è un po’
più lungo degli altri e ho voluto
soffermarmi un po’ sul personaggio di Genesis. Io non lo amo
particolarmente,
ma in questo capitolo ho voluto dargli una sorta di redenzione e una
buona
uscita onorevole e dignitosa. Se ne è andato in pace,
sapendo di aver fatto
qualcosa di buono nella vita, come crescere Takara; ma soprattutto
è riuscito a
riappacificarsi con la sua vittima preferita: Sephiroth. E’ una giusta
coronazione a al suo
personaggio, secondo me. Poi ditemi che ne pensate con una recensione!
Ora scappo e spero di non dover far passare
altri anni prima di postare un nuovo capitolo! Devo finirlo
assolutamente!
Grazie a tutti!
A presto!
Besos
|
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Capitolo 31 *** Determinazione ***
Una
notte plumbea è quella che
segue le ore successive alla morte del Comandante SOLDIER Genesis
Rhapsodos. Il
cielo totalmente nero e nebuloso del Nord ci accoglie con una coltre
pesante e
spietata di nuvole cariche di neve, pronta a calare sui morti declivi
di quella
terra desolata. La figura eterea di Sephiroth è seduta sul
pavimento di fronte
a me ad osservare in accorato silenzio l’esterno della bolla
di vetro di cui la
sala d’osservazione panoramica della Freedom
è costituita. Ho appreso che ora che è libero
dell’influenza di Jenova, può
palesarsi nel mondo reale, ma soltanto come spirito incorporeo e solo
se io
glielo concedo. Ne ha subito approfittato per tormentarmi con le sue
insistenti
richieste di venire in un luogo dove potesse vedere il cielo.
Io
volevo solo dormire…
Sbadiglio
sonoramente e faccio
scivolare fluidamente la schiena alla paratia, fino ad adagiare il
fianco
destro sulla panchina dell’osservatorio. Mugugnando, incrocio
le braccia sul
petto e rialzo lo sguardo verso il Generale, il quale non si
è mosso dalla sua
posizione meditabonda da quando è uscito dal mio corpo. Ha
lo sguardo fisso
verso il culmine della cupola, perso verso chissà in quali
contorte
elucubrazioni.
-
Temo che non potrai vedere il
cielo stanotte. Torniamo a letto? –, chiedo con la voce
impastata, cercando di
reprimere l’ennesimo sbadiglio.
Sephiroth
sembra non calcolarmi
nemmeno e permane immobile. Credendo di non ricevere risposta alcuna,
sospiro
frustrato, arrendendomi all’idea di passare la nottata
–ennesima- in bianco.
-
Già… Crudele ironia. -, commenta
improvvisamente il Generale con tono distratto e mesto.
La
sua voce mi allarma, quindi
alzo il busto e mi puntello col braccio, indirizzando tutta la mia
attenzione
su di lui. Lo osservo mentre attira le sue gambe al petto e si stringe
ad esse,
poggiando il mento sulle ginocchia, nascondendolo tra gli avambracci.
Non mi
sfugge, inoltre, il teso singulto delle dita, strette attorno ai
bicipiti,
unico guizzo emotivo evaso dalla sua fortezza di apparente freddezza.
Fortezza
che Genesis ha tentato di espugnare per anni, invano.
Almeno
così credeva.
Sephiroth
era cambiato molto più di quanto il banoriano potesse
immaginare e di quanto il
Generale stesso avesse voluto ammettere. Dev’essere stata una
sorpresa anche
per il Comandante apprendere che il suo freddo, apatico, indifferente
amico
fosse diventato un così amorevole padre, un così
fedele marito e un così
veemente giustiziere.
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Siamo
in viaggio da ore, accomodati -per così dire- su questo
pullman scassato, che, sobbalzante,
s’inerpica su scoscese strade di montagna. Ogni scossone
è un inferno per la
mia pelle degradata, poiché esplosioni di dolore si diramano
da questa parte o
da quell’altra. Mi maledico per non aver optato per un
inseguimento aereo, ma
conoscendo il soggetto, probabilmente sarei stato identificato
all’istante.
Apro
gli occhi, dopo aver trattenuto l’ennesimo gemito di dolore,
e appunto il mio
sguardo verso di lui. Dalla mia posizione, riesco a scorgere il suo
inconfondibile profilo, sebbene buona parte sia ben nascosto dal
colletto del
giaccone e dal cappello con visiera. Gli occhi brillanti di mako sono
convenientemente celati da un paio di occhiali da sole, anche se dalla
mia
posizione laterale riesco a scorgere il loro esiguo e caratteristico
bagliore
verde giada. La signora accanto a lui sembra troppo impegnata a
intrecciare il
suo uncinetto per accorgersene, tutt’al più che la
sua peculiarità più evidente
– i capelli- sono stati ben nascosti all’interno
della fodera del cappello. Mi
scappa uno sbuffo divertito. Nemmeno per un motivo così
importante, riesce a
rinunciare alla sua ingombrante chioma. E poi il vanitoso sarei io.
Lo
vedo alzare la testa ed osservare le montagne che incombono su di noi e
le sue
labbra s’increspano appena. Deve aver sentito
l’odore di casa…
////
Il
paese è minuscolo e caratteristico, come il lago che lo
abbraccia. Sembra che
la guerra non abbia mai intaccato queste tranquille sponde, anzi, molti
turisti, soprattutto wutaniani, sembrano appunto ricercare questi
luoghi, al
fine di scappare per un momento nell’illusione che nessuna
guerra e nessun
opprimente dominio stiano sfregiando queste terre. Ma non ho tempo per
perdermi
in questi pensieri, poiché il mio obiettivo si sta guardando
intorno per
l’ennesima volta. È davvero cauto, peccato che io
lo conosca fin troppo bene.
Inoltre, il degrado ha fatto sì che ben poco del mio
originale fascino sia
rimasto. Fingendo di recuperare il mio bagaglio, incontro il mio
aspetto,
rispecchiato nella lamiera opaca del pullmino. Distolgo subito lo
sguardo con
gesto secco e ricerco quello di Sephiroth. Lui ha già
recuperato il suo zaino e
si sta avviando giù per l’unica via che attraversa
il paesino. Lo seguo a
debita distanza, fingendomi, di tanto in tanto, interessato a scrutare
questo o
quello. Appena allontanatosi abbastanza dalla folla, si leva cappello e
occhiali, lasciando che la sua lunga chioma esploda in una cascata
argentata,
ondeggiando lievemente alla brezza leggera della primavera. Incontra
dei
paesani. Alcuni lo salutano con un cenno della mano, altri gli
rivolgono un
paio di parole in un dialetto incomprensibile, a cui lui risponde senza
problemi, sorridendo… sorridendo!
Sono
basito.
Sembra
un’altra persona.
Avverto
rabbia misto invidia prorompere dai recessi più infimi del
mio animo.
Come osa?!
Come osa fingere che tutto vada bene?!
COME OSA IGNORARMI?!
Per
il
bene della missione, m’impegno a rimangiarmi la rabbia, dal
momento che il suo
interlocutore ha solo brevemente interrotto il suo andare. A Sephiroth,
infatti,
sembra che anche questo piccolo rallentamento sia un allungamento
inaccettabile
alla già intollerabile lontananza;
tant’è che ha già velocizzato il passo.
Quando
una piccola casetta spunta alla fine della via, dando su un ameno
boschetto,
quel passo impaziente quasi si trasforma in una corsa. Riesco a
nascondermi in
una viuzza laterale, stretta da due casine, dirimpetto al mio
obiettivo. Non
potevo chiedere palcoscenico migliore…
Schiamazzi
giungono dalla casa, appena lui apre il cancelletto di legno che
delimita quel
piccolo mondo da fiaba. La porta d’ingresso si apre e una
donna bellissima ed
elegante con lunghi capelli neri spunta dall’uscio,
sfoggiando un sorriso
magnifico.
Sorrido
malevolo, riconoscendola immediatamente…
Sakura…
Lo sapevo!
Un
moto di fastidio sconquassa il mio corpo…
Con
tutte
le donne che potevi avere, Sephiroth… A quanto pare hai
deciso di rendermi la
vita davvero semplice…
Proprio
nell’istante in cui il mio piano si stava srotolando davanti
a me, quella
maledetta fa un altro passo fuori casa, rivelando un ostacolo
inaspettato.
Tanto
piccolo, quanto insormontabile.
Una
bambina…
Sento
le gambe cedere e lo stomaco accartocciarsi.
No…
non
può essere sua—
Ma
quel bagliore verde mako non mente…
Le
gambe cedono e scivolo verso il terreno.
Sakura
mette la bambina a terra e quella inizia a trottare incerta verso
Sephiroth, il
quale si è accucciato immediatamente, allargando le braccia
con fare
accogliente. Ride, incoraggiando la mocciosa a raggiungerlo, con
un’inflessione
smielata della voce.
Un’inflessione
capace di instillarmi il senso di colpa dritto nel cuore, come una
stoccata.
Anche
le braccia cedono e finiscono tra la polvere.
La
bambina, alla fine, lo raggiunge e lui, di rimando, si alza e la
stringe forte
a sé. Disperatamente, come se non avesse desiderato altro
nella vita.
-Non
posso… -
-Se vuoi sopravvivere, dobbiamo
impadronirci delle cellule di Sephiroth. La variante S
rallenterà la
degradazione. Forse la fermerà, addirittura. –
Le
parole di Hollander prorompono prepotentemente nella mia mente,
dilaniandomi.
Alzo lo sguardo verso quel quadretto famigliare così
inaspettato. Un fortissimo
senso di nausea per poco non mi sconvolge lo stomaco.
Lacrime
amare sgorgano dai miei occhi, ancora sgranati.
Non rinuncerà mai a ciò
che ha sempre
desiderato…
Il
piano si è appena macchiato di rosso.
Sopraffatto,
calo il capo verso il petto.
Lo so…
Alzo
lo sguardo e riesco ad adocchiare il suo viso…
Stringo
i denti tanto forte da sentirli scricchiolare.
Non
l’ho mai visto sorridere così…
La mia vita vale davvero così
tanto?
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
Da
quando
si è intrufolato nella mia mente, non faccio altro che
vedere e rivedere
stralci di ricordi appartenenti al Comandante. Sospetto che sia Genesis
stesso
dall’aldilà a riproporceli. Forse, per dimostrarci
la genuinità del suo
pentimento.
Sconsolato,
mi ributto supino sulla panchina, giungendo le mani dietro alla testa.
Ora sono
io ad osservare insistentemente il cielo piombato.
-Anche
a
Takara piaceva svegliarsi nel cuore della notte a guardare il cielo. O
sbaglio?
Lo hai scritto nel tuo diario. -, affermo con fare colloquiale.
La
testa
di Sephiroth s’inclina appena verso sinistra, per poi venire
girata nella mia
direzione quel tanto da poter adocchiare parte del suo viso. Attraverso
le
ciocche argentate, intravedo i lati delle labbra, rivolti fievolmente
verso
l’alto, in un triste e malinconico sorriso.
-
Non
sbagli. -, risponde a tono basso, annuendo debolmente, mentre il
sorriso si allarga
al pensiero della sua bambina in piedi nella culla a guardare il cielo
stellato
di Wutai. Un ricordo che, inevitabilmente, affolla anche la mia di
mente.
-Nel
diario scrivevi che osservava il cielo perché avvertiva il
richiamo delle
stelle… -, ragiono - Anche tu lo senti? –,
domando, alla fine distogliendo lo
sguardo dalla sommità della cupola.
Egli
emette un lugubre sospiro e si alza, passeggiando con eleganza infinita
fino
alla parete di vetro. I lunghi capelli ondeggiano ammalianti ad ogni
passo compiuto
con una leggerezza e garbatezza da risultare umanamente impossibili da
imitare.
Sembra quasi volteggiare, accarezzare malizioso il pavimento come se
stesse
percorrendo un sentiero di cristalli fragilissimi. Ho sempre invidiato
quella
grazia ultraterrena. Quella meravigliosa, incantatrice, velenosa grazia.
La
testa
del Generale è ancora una volta alzata verso
l’incombente nero sopra di noi.
Noto che una coltre intricata di ghiaccio sta iniziando a disegnare
composti
cristalli di neve sulla superficie esterna della cupola, diminuendo
ulteriormente la visibilità.
-
A volte
rimanevo sveglio con lei e le scrutavamo insieme. -, racconta con tono
malinconico, - L’avvolgevo in una coperta e la portavo sul
tetto di casa
nostra. Di nascosto da mia moglie, ovviamente. -, emette una mezza
risata, - E
lì stavamo, sdraiati. Lei addossata al mio petto e stretta
nel mio abbraccio,
ad immaginare nuovi mondi, le avventure che avremmo potuto
fronteggiare, la
gente che avremmo incontrato… -, un’altra
interruzione, in cui sospira mesto, le
dita che accarezzano il vetro gelido si chiudono nervosamente in pugno,
- Le
avevo promesso che un giorno avremmo vissuto davvero quelle
avventure… -
Sospira
e
lo vedo calare la testa, fino a che la sua fronte non si appoggia al
gelido vetro.
-
Non
sono mai stato bravo a mantenere le promesse… -
Proprio
in quel momento, la Freedom sbuca
nell’occhio della tempesta. L’oscurità
dell’universo profondo si staglia
innanzi a noi in tutta la terribile e meravigliosa immensità
dell’ignoto.
Stelle lontane e aliene brillano fulgide, sfidando di buon grado il
buio;
mentre esplosioni galattiche gareggiano, invece, con la loro
catastrofica
potenza, contro il rimbombante silenzio che, crudele, le avvolge. Morte
e vita,
pietà ed oppressione sorreggono il perfetto equilibrio
dell’Universo creando,
distruggendo, trasformando ogni singolo componente di questo ribollente
calderone di atomi informi. Ogni avvenimento accade in seguito a una
precisa
sequenza di eventi, di cui la maggior parte è ancora al di
là della
comprensione umana. Eppure, è meravigliosa nella sua
misteriosa perfezione. Un
mistero che apre la mente, permettendole di spaziare in un luogo
infinto; dove
finalmente i cupi pensieri che si agitano nel minuscolo spazio del
cranio
possono espandersi liberi al di là di ogni confine.
Affascinato, abbandono la
panchina ed inizio a guardarmi intorno, passeggiando e carpendo ogni
dettaglio
dello spettacolo che si staglia di fronte a me, a bocca aperta. Una
piacevole
sensazione di libertà mi assale, sentendomi improvvisamente
leggero. Mai come ora ho desirato avere le
ali.
-
È
bellissimo… -, commento trasognato, poi appunto il mio
sguardo su Sephiroth.
Come
me,
anche lui sta contemplando il tanto desiderato cielo notturno, ma
ciò a cui sto
assistendo è qualcosa che va oltre la bellezza
dell’Universo. L’espressione di
pura estasi ha completamente disteso gli androgeni tratti del suo viso
– il
quale, ora che lo guardo veramente, non avevo mai concepito quanto
fosse
dannatamente perfetto -, donandogli un’aura di limpida pace
così trascinante da
avvolgere perfino me. Il mio sguardo indugia un attimo non troppo breve
sulle
labbra semi-dischiuse, scure come il cielo notturno, in pieno contrasto
con la
pelle d’alabastro che le circonda. A renderle ancora
più magnetiche, il
flebile, genuino sorriso che ne arcua maliziosamente i lati sottili.
Riscossami
da quegli strani pensieri, risalgo la scabra linea del naso, lungo gli
zigomi
vezzeggiati dal gentile dondolio di ciocche argentee, per alfine
raggiungere
gli occhi. Perdo un battito appena apprezzo la preziosità di
quelle iridi,
dentro cui il brillio dell’Universo si rispecchia, come in
una polla di acqua
cristallina; al cui centro, come un profondo e misterioso abisso,
svetta la
pupilla. Quest’ultima non è serpentina, tagliente,
pericolosa; ma, essendo
dilatata, è tondeggiante, leggermente affusolata ai poli, ma
è un dettaglio
quasi trascurabile.
È così umano…
Ora
capisco, perché voleva venire quassù…
In
confronto all’alienità dell’Universo, la
sua umanità diventa lampante,
evidente, cristallina… Bellissima.
Così
perso nel contemplarlo, non mi ero reso conto che lui stava ricambiando
il mio
sguardo da qualche minuto. Appena me ne rendo conto, mi riscuoto e
volgo
l’attenzione altrove, imbarazzato.
Con
la
coda nell’occhio, lo vedo sorridere compiaciuto sotto i
baffi, mentre ritira il
suo sguardo verso altri obiettivi.
Ho
sempre
invidiato la consapevolezza che ha di sé, ma forse diventa
quasi un meccanismo
di difesa quando sai di essere uno degli uomini più
desiderati del Pianeta.
Dopo
qualche istante di silenzio e contemplazione, durante il quale ripenso
alle
parole proferite poco prima dal Generale.
“Non sono mai stato bravo
nel mantenere
le promesse.”
-
Io non
lo credo. -, esordisco, ritornando a puntarlo.
Lui
rivolge
lo sguardo interrogativo nella mia direzione.
-
Io non
credo che tu non sappia mantenere le promesse. -, sottolineo, senza
smettere di
fissarlo.
L’albino
inclina la testa di lato, gli occhi si assottigliano, donandogli
un’aria
concentrata, e raddrizza la schiena. Riconosco immediatamente il suo
silenzioso
modo di dimostrarsi interessato, senza però manifestarlo
apertamente. Evelyn
aveva ragione: Sephiroth ha davvero un modo tutto suo di comunicare.
Solo pochi
sono in grado di capirlo.
Incoraggiato
dal suo fare accomodante, ammorbidisco l’espressione e il
tono.
-
La vita
non è stata per niente clemente con te. -, esordisco con
voce greve, - Eppure,
sei riuscito ad ottenere ciò che desideravi. –
-
Una
mera illusione… -, commenta Sephiroth con un soffio
malinconico, scuotendo la
testa con fare arreso.
-
No! –,
rispondo con veemenza, avvicinandomi rapidamente a lui, con passo
deciso, - Non
è vero e lo sai anche tu! -, mi avvicino minacciosamente, i
miei occhi blu
saettano dritti nei suoi, sgranati dalla sorpresa, - Evelyn e Takara
sono
reali. Sono là fuori, ad attenderti. Proprio in
virtù di quelle promesse che vi
siete impegnati a mantenere. È questo ciò che vi
unisce e che v’impedisce di
arrendervi alla crudele realtà che tanto spietatamente vi ha
diviso. –
Gli
occhi
del Generale, subito dopo queste ultime frasi, non hanno più
retto il mio
sguardo severo e, colpevoli, si sono spostati altrove. La sua
espressione è
buia e, per un rapido istante, anche sofferente. Tuttavia, le sue
labbra
rimangono serrate e la mascella irrigidirsi.
-
Certi
pesi sono impossibili da portare da soli. -, continuo, attirando la sua
attenzione nuovamente fattasi sorpresa, - Me lo hai insegnato tu.
–
Per
un
lungo istante, egli mi osserva profondamente, seriamente, per poi,
infine,
piegare le sue labbra in un largo e pacato sorriso.
-
Hai
ragione. -, conviene.
Si
allontana da me e passeggia mollemente con le mani incrociate dietro
alla
schiena, assaporando gli ultimi momenti del cielo notturno, prima di
ripiombare
di nuovo nel plumbeo regno della tempesta. Si ferma a pochi passi da
me,
sospira e si volta. Schiena dritta e portamento fiero. Sorriso sulle
labbra e
sguardo ripieno d’orgoglio.
-
Era ora
che la marionetta tagliasse i suoi fili. –
Un
fortissimo boato sconquassa il Lifestream.
Cerco
d’ignorarlo.
Il
destino degli uomini non è più affar mio.
Lei
se ne è andata.
Perduta.
Ho
fatto ciò che dovevo.
Per
il bene di tutti.
Ora
il peso di questa responsabilità è sulle spalle
di qualcun altro.
Mi
concentro.
Cerco
di ritornare al mio eterno riposo.
Ma
altre contrazioni continuano a distrarmi.
Cosa
vuole ancora da me?
Sono
stanco.
Lasciatemi
riposare…
La
notte eterna diventa giorno per un breve istante.
Qualcuno
è entrato nella cripta.
Una
figura alta e longilinea si muove nel buio, emanando una curiosa e
potente
aurea.
Un’aurea
che non percepivo da millenni.
Avverto
lo stesso profondo senso di tradimento, il quale alimenta un fuoco
indomito di
furia.
C’è
anche paura.
Paura
e smarrimento.
La
porta viene nuovamente aperta e, di nuovo, la luce squarcia il buio.
Mi
ferisce.
Non
farlo.
La
figura raggiunge la mia tomba e comincia a colpire i cristalli che
avvolgono il
mio corpo.
Posso
vederla.
Capelli
fluenti, occhi da gatta, bocca a bacio.
Assomiglia
così tanto a LEI, ma… non può essere!
Le
sue labbra si muovono e il suono della sua voce mi giunge ovattato,
lontanissimo.
Mi
sta implorando di aiutarla.
In
lacrime.
Ha
paura.
È
solo una bambina.
Due
coppie di braccia, avvolgono il suo corpo gracile.
L’ennesima
potente flessione si libera dal corpo della ragazza.
Non
così.
Ti
farai del male.
La
sua aurea si è fatto più debole,
tant’è che viene sopraffatta facilmente
dall’insulso nugolo di umani che la inseguiva.
Il
Lifestream continua a flettersi e reagire, ma, mano a mano che la
coscienza
della ragazza crolla verso l’oblio, la quiete torna a
governare incontrastata.
La
fanciulla chiude gli occhi, mentre l’ultima oncia di
volontà lascia il suo
viso.
Altri
umani sopraggiungono e osservano la giovane dormire.
Uno
di loro, visibilmente malato, si abbassa con difficoltà e le
accarezza il viso.
Poco
dopo se ne vanno tutti.
Il
silenzio e il buio eterni sono finalmente tornati.
Posso
tornare a dormire.
Il destino di quella fanciulla
è affar di
qualcun altro.
Cloud…
SVEGLIATI!
Mi
sollevo di scatto. Il petto di
alza e si abbassa, incamerando profonde boccate d’aria. Sono
senza fiato. Mi
rendo conto, dal gelo che mi si sta appoggiando sulla pelle, di essere
anche
sudato fradicio. I muscoli, tesi all’inverosimile, mi dolgono
tremendamente. I
miei occhi sbarrati ripercorrono il sogno appena compiuto, facendomi
rendere
conto che non si trattava affatto di un sogno.
Era
l’uomo nella cripta sotto alla
magione che stava comunicando con me. I suoi pensieri. Le sue
percezioni. Tutte
nella mia testa.
Alzo
lo sguardo di scatto verso i
piedi nel letto e incrocio la figura di Sephiroth, il quale indossa la
stessa
espressione stravolta.
All’istante,
capiamo subito che
non c’è tempo da perdere.
Esco
dal letto con un salto e mi
butto nello stretto corridoio, percorrendolo a perdifiato fino alla
sala
controllo. Lì, irrompo nella stanza quasi senza fiato, dando
il triste
annuncio.
-La
ShinRa… La Shinra ha preso
Takara! –
Tutti,
nella sala, interrompono
ogni mansione stessero svolgendo in quel momento per osservandomi con
gli occhi
sgranati. Passa qualche istante di attonito silenzio, mentre gli
astanti
elaborano la notizia. Soltanto Weiss, tuttavia, dà fiato ai
dubbi di molti.
-
Come lo sai? –, domanda
sospettoso.
-
L’ho visto. -, rispondo di
slancio, ostentando una decisione che non mi appartiene; poi, appena
noto,
l’espressione poco convinta del platinato, mi affretto ad
aggiungere, - So che
sembra assurdo, ma dovete credermi. So di non essere un Cetra, ma, in
qualche
modo, il Pianeta sembra riuscire a comunicare con me. E mi sta dicendo
che la
sua unica speranza di finire la guerra è appena caduta nelle
peggiori mani
possibili. –
Un
mormorio confuso attraversa la
sala e un tremendo senso d’inadeguatezza s’insinua
direttamente sottopelle,
mentre tutti mi giudicano.
È
una situazione che non mi sono
mai ritrovato ad affrontare. Normalmente, io sono considerato
l’eroe, quello a
cui credere e seguire verso la vittoria certa, ma… queste
persone … non mi
conoscono. Hanno vissuto in una bolla costruita su misura per
proteggerli dal
terribile mondo esterno. Un mondo che li disprezza e allontana. Vedove,
orfani,
cavie, veterani, malati. Nessuno li ha voluti, se non una giovane Dea
benevolente e gentile e il suo entourage di rivoluzionari.
Tuttavia,
da quando un totale
estraneo è giunto, parlando di guerra, mostri e Jenova;
tutte le fondamenta del
loro mondo sono svanite come nebbia soffiata via dal vento. Una nebbia
che gli
schermava da quel mondo che non li voleva, da cui stavano cercando
disperatamente riparo. Svanita, dissolta, scomparsa. Sono
pericolosamente
esposti.
Alcuni
iniziano a piangere. C’è
chi si lascia cadere a terra, annichilito. Altri vanno nel panico e
iniziano a
inveire contro qualunque persona loro ritengano responsabile. Certuni,
iniziano
a maledire addirittura Takara stessa, Genesis o loro stessi per essersi
fidati,
di essersi illusi per l’ennesima volta. Il mormorio si
trasforma rapidamente in
una baraonda di persone spaventate ed arrabbiate.
Reeve
cerca di calmarli, ma, a
quanto pare, non è mai stato ben visto da quella gente,
tant’è che alcuni gli
iniziano a lanciare oggetti addosso, inveendo contro di lui e i suoi
trascorsi
con la Shinra.
Dall’altro
canto, Weiss mi sta
letteralmente uccidendo con lo sguardo.
-
Stavamo bene nella nostra fortezza.
-, esordisce l’albino a denti stretti per frenare la rabbia,
- Takara si
prendeva cura di noi. Ci ha aiutato a riabilitare le nostre menti
devastate da
anni di soprusi. Avevamo un posto da chiamare
‘casÁ. –.
L’ex-Comandante
degli Tsviet si
avvicina minacciosamente verso di me, le mani chiuse così
strettamente in pugno
da ferirsi i palmi. Istintivamente, il mio corpo si prepara a scattare.
-
Maledetti SOLDIER… -, bisbiglia
tra i denti, furioso, - Maledetti voi e il vostro dannatissimo egoismo!
–
Come
preannunciato dal mio
istinto, l’albino scatta in avanti, estraendo una delle sue
spade. Io mi scosto
di lato, schivando l’affondo diretto verso il mio stomaco; ma
Weiss, con una
rapida ripresa, sferra un ridoppio velocissimo diretto verso le gambe,
che evito
con un salto. Lo Tsviet non demorde e continua ad assalirmi, nel vano
tentativo
di colpirmi. Per quanto veloce, mi riesce incredibilmente facile
leggere i suoi
movimenti e pianificare una concatenazione di schivate atte a mettermi
sempre
in una posizione di vantaggio. Un modo di combattere molto diverso dal
mio,
molto più istintivo, esplosivo, sporco. Questo è
pulito, pianificato, preciso.
Lo sforzo fisico è ridotto al minimo, il margine di errore
è millimetrico e
ogni mossa avversaria è prevista ad almeno tre movimenti di
distanza. È una
percezione incredibile, inumana. Capisco che Sephiroth sta manipolando
il mio
corpo, unendo la mia mente alla sua.
Mi
rendo conto di non aver mai
compreso la portata della sua maestria. E di quanto piano ci andasse
con me.
Realizzo
che, se avesse davvero
voluto, mi avrebbe ucciso migliaia di volte, senza troppe cerimonie.
Weiss
comincia a stancarsi,
notiamo.
È
ora di mettere fine a questo
teatrino.
Stronchiamo
la catena di attacchi
che l’albino aveva intenzione di vomitarci addosso,
penetrando la sua difesa
con un saettante avanzamento e un fulmineo colpo al pomo
d’Adamo. Deciso, ma
non fatale. Il respiro di Weiss viene a meno e rimane stordito per un
fatale
attimo. Attimo in cui gli leviamo la katana dalla mano e, con un
volteggio, ci
spostiamo dietro di lui ed estraiamo l’altra. Lo Tsviet cerca
di seguire i
nostri movimenti, ma non può altro che ritrovarsi due lame
taglienti minacciare
i lati del collo.
Di
nuovo, il silenzio cala nella
sala, sbigottito.
-
Noi non vogliamo combattere. –,
dichiaro, ignorando il significato di quel ‘noÍ.
Abbasso
lentamente le lame dal
collo di Weiss e le getto a terra. Il clangore dell’acciaio
taglia la pesante
cortina di silenzio in cui versiamo, facendo trasalire qualche persona.
-
SOLDIER. –, esordisco, indicando
me stesso.
Avanzo
verso Weiss, accostandomi a
lui, guardandolo severo.
-
Deepground. -, lo apostrofo,
sorpassandolo. M’insinuo tra la folla e, man mano che
proseguo, la gente si
discosta, aprendo un passaggio.
-
Umani. –, dico studiandoli con
lo sguardo uno ad uno.
Raggiungo
la vetrata e alzo il
viso verso la sommità, osservando il cielo plumbeo.
-
Cetra. -, sospiro con
malinconia.
Mi
volto e faccio scorrere il mio
sguardo lungo la folla attonita.
-
Jenova. -, appunto la mia
attenzione verso un angolo dismesso della stanza, da cui Sephiroth mi
sta
osservando.
Ci
fissiamo per un significativo
istante.
-
Queste etichette ci stanno
distruggendo… -, affermo affranto, - Io per primo mi sono
lasciato illudere da
esse. Per anni. -, faccio una pausa, alzando lo sguardo di nuovo verso
il
Generale –L’ho odiato così tanto,
Sephiroth. -, mi fermo per un istante e
l’Angelo dalla Sola Ala risponde alzando un lato della bocca,
in un sorriso
sghembo. Azione che mi trattengo dall’ imitare. Raddrizzo,
invece, la schiena,
e continuo il discorso con più enfasi, rivolgendomi a coloro
che sono veramente
qui.
-
Mi ha portato via tutto. La mia
famiglia, la mia casa, le mie radici. Mi ha elevato a un ruolo che non
ho mai
sentito come mio. -, mi passo la mano tra i capelli e sospiro afflitto,
- Io
non sono un eroe… -, dichiaro, infine, tra lo gli sguardi
perplessi e confusi
degli astanti. La mia attenzione viene automaticamente indirizzata
verso Tifa.
La mia amata mi rivolge uno sguardo afflitto, sofferente. Lo ignoro e
continuo,
- Volevo solo prendermi la mia vendetta. Per il resto, il Pianeta
poteva anche
bruciare per me. -, sospiro, - Ho sacrificato tutto per riuscire a
raggiungere
il mio scopo. Finché Lui era vivo, io avvertivo
l’impellente bisogno di
inseguirlo. Non volevo che rimanesse niente di Lui… NIENTE!
-, grido con
rabbia, stringendo i pugni così forte da quasi ferirmi.
L’impeto di furia mi
lascia senza fiato, mentre il senso di colpa diviene così
pesante da non
permettermi più di guardare la gente in faccia.
– Ma, io non avevo
capito niente. -, riprendo,
la voce ridotta a un soffio flebile, - Non avevo capito che
quell’uomo che
tanto odiavo, in realtà stava già soffrendo le
più terribili pene mai inflitte
ad un essere umano. -, mi mordo il labbro per trattenere un gemito,
mentre i
ricordi di Sephiroth mi passano davanti agli occhi. Non posso fare a
meno di
notare che il simbolo della Shinra insozza ogni singola memoria del
Generale.
-
Le mani luride di quella
Compagnia hanno macchiato ogni singolo aspetto della nostra vita. -,
proferisco, infine, alzando finalmente la testa con rinnovato vigore, -
Sephiroth
non era altro che uno dei tanti capri espiatori, dietro cui quei
bastardi si
sono nascosti per coprire i loro crimini. -, alzo il pugno ed inizio a
tenere
il conto di tutti coloro che nomino, - Deepground -, e indico Weiss, -
AVALANCHE. -, e sposto l’indice verso i miei compagni, -
SOLDIER. -, ed indico
alcuni commilitoni tra la folla, riconoscibili dal bagliore mako nei
loro
occhi, - Wutai. – ed alzo il dito verso Yuffie, - North
Corel. -, e segno
Barret, - Madri e padri che vorrebbero solo riavere i propri figli. -,
dichiaro, infine, abbassando il braccio e lasciandolo dondolare al mio
fianco,
mentre fisso Vincent con eloquenza. Il viso del pistolero viene
deformato per
un momento in un’espressione addolorata, mentre nella mia
testa riecheggia lontana
la voce disperata della dottoressa Crescent.
Give
him back! Give my son back!
[Restituiscimelo!
Restituiscimi mio figlio! Lucrecia Crescent [FFVII: DoC]
Stringo
i denti, ricacciando
indietro quel ricordo, e concludo: - Questa sofferenza deve finire e
finché
continueremo a combatterci a vicenda, la Shinra farà sempre
ciò che vorrà con
le nostre vite e con il NOSTRO Pianeta. –, prendo una pausa e
lascio che le mie
parole abbiano effetto, - Non importa come siamo ci siamo
arrivati… Noi siamo
nati in questo mondo. E la Shinra pagherà per averci portato
via i doni che il
Pianeta ci aveva destinato. –
Le
ultime parole sono uscite
cariche di rabbia e determinazione, lasciando gli astanti a corto di
fiato. Li
vedo guardarsi tra di loro con occhi furenti. Le parole sommesse
raggiungono il
mio udito potenziato e mi fanno capire che la loro sopportazione ha
raggiunto
un pericoloso limite.
Sì,
è arrivato il momento di
dire basta.
Da
mormorio, il disappunto si
trasforma piano piano in un boato di acclamazione.
Cerco
Sephiroth e lo vedo
sorridere compiaciuto.
Con
la coda nell’occhio, mi rendo
conto che Weiss mi sta raggiungendo. Ha recuperato le sue spade e spero
con
tutto il cuore che non abbia intenzione di vanificare tutto lo sforzo
fatto finora.
Si ferma a pochi passi da me e mi scruta da cima a fondo per poi
rivolgersi di
sottecchi verso l’angolo dismesso dove il Generale sta
sornionamente
appoggiato. Si rigira di nuovo verso di me, scrutandomi più
intensamente, per
poi lasciarsi andare uno sbuffo divertito.
-Il
grande Generale è con noi? –,
mi domanda.
-
Per sua figlia, sempre. -,
rispondo con decisione.
Il
Bianco annuisce, soddisfatto
della risposta, per poi girarsi verso la sua gente, alzando il pugno in
aria.
-
COMBATTEREMO!
PER TAKARA! PER IL PIANETA! –
-
Ti posso parlare? –
Tifa,
la quale se ne appoggiata
all’uscio della mia cabina, semi-nascosta dietro alla
paratia, mi osserva con
sguardo enigmatico. Io smetto di fare qualunque cosa stessi facendo
fino a poco
tempo fa e mi concentro completamente su di lei.
-
Vieni dentro. -, l’invito,
facendole un cenno con la mano, mentre mi siedo sul margine del letto,
rivolto
verso l’uscita.
La
vedo esitare, scostandosi
appena dalla paratia e lanciare occhiate spaventate verso ogni angolo
della
stanza.
-
Lui è qui? -, mi chiede con una
punta di paura nella voce.
Io
non posso fare a meno di
rivolgere la mia attenzione verso Sephiroth, appoggiato comodamente
alla
paratia dall’altra parte della cabina.
-Ovviamente.
-, rispondo con
ironia.
-
Mandalo via, per favore. -,
ribatte Tifa con decisione, osservando con aria torva
quell’angolo.
L’Angelo
da una Sola Ala sorride
sghembo e indietreggia, andando ad affondare nella paratia, scomparendo
all’esterno.
-
Se ne è andato. -, confermo.
La
pugile ancora tituba,
umettandosi le labbra, senza togliere quegli occhioni verso quel punto
vuoto.
Dopodiché, sospira, prende coraggio e fa un passo
all’interno della stanza. La
vedo nervosa, mentre si chiude la porta alle spalle. Mi aspettavo che
si venisse
a sedere accanto a me, ma noto che la sua postura è rigida e
fatica a guardarmi
negli occhi.
-
Tifa. Che succede? -, chiedo,
innocentemente, piegandomi verso di lei.
Lei
finalmente mi guarda, ma lo
sguardo che vedo è tutt’altro che rassicurante.
Sembra quasi perforami da
quanto è tagliente e furioso, quello sguardo.
-
Cloud. -, esordisce con la voce
resa roca da una sensazione che non riesco a decifrare, - Io non ci
riesco. –
Confuso,
piego la testa di lato.
-
Non riesci a fare che cosa? –,
chiedo.
Inaspettatamente,
gli occhi di
Tifa si accendono di rabbia funesta.
-DAVVERO?!
SEI COSÍ CONCETRATO AD
ASSECONDARE QUEL MOSTRO CHE NON TI RENDI NEMMENO CONTO DI QUELLO CHE
STA
SUCCEDENDO A COLORO CHE AMI?! –
Lo
sbotto della mia ragazza mi
lascia basito.
-
Credevo che voi aveste accettato
questa situazione. -, rispondo automaticamente con un filo di voce.
-
NO, CLOUD! IO NO! –
-
È un problema solo tuo, dunque?
–
-
NO! CIOÈ… SÍ… NON LO SO! -,
si
ferma un momento, visibilmente confusa, ma poi sbotta, tornando alla
carica, -
CHISSENEFREGA! IO NON POSSO VEDERTI COSÍ. NON CI RIESCO!
–
Io
continuo non capire e mi fa
male non poter comprendere cosa cerchi di dirmi la mia ragazza.
-
Vedermi come? –
-
NON SEI PIÚ TU, CLOUD! -,
afferma, infine, guardandomi finalmente negli occhi.
Apro
la bocca, stupito.
Completamente senza parole, la osservo annichilito, mentre un pianto
disperato
inizia a bagnarle il visto, spaccandomi il cuore direttamente a
metà.
-Il
mio Cloud non si espone così
al centro dell’attenzione. -, esordisce con la voce rotta, -
Non fa i grandi
discorsi motivazionali. Agisce e basta, senza coinvolgere
nessun’altro. –
Scuoto
la testa e l’abbasso,
sconsolato.
-
Quel mostro ti sta manipolando
di nuovo, Cloud! -, Tifa continua imperterrita, sempre più
disperata, - Quel
che è peggio, non te ne stai nemmeno rendendo conto.
–
-Non
è così. -, rispondo flebile.
-
AH NO?! –
- No. –, diniego con voce ferma e
perentoria.
Tutta la furia della mia ragazza si
spegne appena incrocia la mia espressione serissima e determinata. Di
contro, i
suoi occhi si sono sgranati dalla sorpresa e, con dolore ammetto, dalla
paura.
Sospiro, interrompendo il contatto visivo, col cuore sempre
più stretto. Mi
passo le mani sul viso. Queste vengono fatte scorrere tra i capelli,
fino alla
nuca. Nel frattempo, la testa continua a scendere, poco sopra la linea
delle
ginocchia, luogo dove i miei gomiti si sono appoggiati.
Sono prostrato, stanco. Questa storia
ha messo a dura prova i miei limiti di sopportazione al dolore e alla
solitudine.
Perché non capiscono?
Perché è così
difficile fidarsi degli
altri?
Perché non ci è consentito
cambiare?
Ora
capisci come mi sono sentito per tutta la vita...
Mi scuoto appena, sorpreso.
Ma non te ne eri andato?
Non puoi
scappare dalla tua mente, Cloud.
Il dubbio che Tifa abbia ragione
s’insinua rapidamente sottopelle.
Come
volevasi dimostrare. Per quanto tu lo non dia a vedere, ancora fai
fatica a
fidarti di me. Ma lo comprendo. Anzi, diciamo pure che lo accettato da
tempo.
La mia espressione si fa più
determinata. Un moto di rabbia stringe le ciocche dei capelli con
più veemenza,
come volendomi punire per aver ceduto alla debolezza.
No. Sono stanco di combatterti
anch’io, cosa credi? Questa è la mia occasione di
eradicarti dalla mia testa
per sempre. Non me la farò di certo scappare!
Esco dalla mia fortezza e incrocio
nuovamente le iridi gradi e meravigliose di Tifa. Assumo
un’espressione
afflitta.
- Io lo capisco, Tifa. -, esordisco
con voce flebile, stanca, arresa, - Capisco che per te non sia facile
accettare
che l’uomo che ami si stia tramutando nell’uomo che
più odi sulla faccia del Pianeta.
Nemmeno per me lo è stato all’inizio. Ci ho
lottato contro con tutte le mie
forze e per poco non ci morivo. -, il mio sguardo si fa eloquente e la
mia
ragazza abbassa lo sguardo lucido, mordendosi il labbro per trattenere
il
gemito, -Ma, bisogna guardare in faccia alla realtà. Per
quanto sia
inaccettabile, Sephiroth è e sarà sempre parte di
me. È anche grazie a lui che
sono diventato la persona che sono adesso. Nel bene e nel male, lui mi
ha
aiutato a comprendere una delle più importanti
verità della mia vita.
Un’evidenza che ho sempre, testardamente dato per scontata.
-, mi alzo e la
raggiungo, posandole le mani sulle sue, lasciate pendere ai fianchi.
Al contatto, lei non reagisce, ma
nemmeno rifugge la vicinanza. La osservo in silenzio per un lungo
attimo. Lei
non osa alzare gli occhi verso i miei.
- Io non posso andare avanti senza la
mia forza. –, faccio una pausa, - Quella forza sei
tu… Lo sei sempre stata. -,
proferisco, bisbigliando.
Vedo la sua bocca, morbidamente
aprirsi, adorabilmente m’invita. Vorrei baciarla con tutte le
mie forze. Il
desiderio diventa impellente, appena lei, finalmente, mi guarda.
Avverto le mie mani venire avvolte in
una dolce, disperata stretta, mentre quegli occhi da cerbiatta
s’inumidiscono
di nuovo. Sorrido benevolo, restituendole tutto l’amore che
provo nei suoi
confronti con lo sguardo. Tifa cede e mi sorride di rimando.
Lascia andare le mie mani e avvolge le
braccia attorno al mio collo. Io la imito, fasciandola tra le mie
braccia.
Assaporiamo il calore che trapassa i nostri corpi per qualche istante,
quando,
ad un certo punto, lei mi sussurra:
- Devo ammettere che mi piace il modo
in cui Sephiroth ti abbia reso un po’ più
gentiluomo. –
Ridacchiamo e ci guardiamo nuovamente,
ricolmi di amore.
Ci baciamo.
Sephiroth sorride soddisfatto.
Si gira alle sue spalle e il grande
cancello si eleva prepotente dinnanzi a sé.
Dall’altra parte, in quell’aldilà
distopico e crudele, sua moglie lo attende.
Con determinazione, il grande Generale
osserva il suo prossimo e ultimo obiettivo.
- Questa volta sarà diverso…
Che
l’Inferno cominci a tremare… -
Salve
a tutti! Finalmente, I’m
back! Sti capitoli finali sono una sofferenza sia per me, che me li
devo
scrivere, che per voi, a causa della lentezza con cui aggiorno.
Purtroppo, il
lavoro mi porta via ogni energia e ogni volontà di scrivere.
Mi sono dovuta
praticamente imporre di andare avanti. Questo capitolo era
lì che mi guardava
da un sacco di tempo O.O. Inoltre, sono riuscita a trovare un sacco di
musiche
che mi hanno aiutato a scriverlo (grazie AoT per questo, soprattutto
per la
parte finale! XD).
Che
dire, è un capitolo di
preparazione al battaglione finale, fatto per resettare ed appianare le
ultime
divergenze tra i personaggi (quanto è anime sta cosa ^.^).
Io spero che le
immagini che ho creato nella mia mente vengano fuori dalla mia
scrittura. Mi
sono particolarmente impegnata a descrivere ogni gesto, ogni
espressione. Questo
è un capitolo che deve conferire un certo pathos, quindi
niente deve essere
lasciato al caso. Vi assicuro che il prossimo sarà un
po’ più d’azione, sempre
che non parto in bolla.
Cmq,
riguardo la storia.
Sephiroth è diventato una presenza più concreta
andando in giro come un
avvoltoio attorno a Cloud. Tuttavia, non è una presenza
malevola, anzi,
sostiene il nostro chocobino nei momenti più complessi,
aiutandolo a infondere
fiducia negli altri, prestandogli quella capacità
dialettica, quel carisma da
grande condottiero, quale il nostro amato Generale possiede in
quantità
industriali. Un rapporto di reciproco rispetto e complicità
si è creato fra i
due, portandoli inevitabilmente a realizzare di essere essenziali
l’uno per
l’altro. Come ormai è chiaro, Cloud è
l’ultimo legame che Sephiroth ha col
mondo dell’aldiqua.
Un
legame che il Generale sarà
pronto a recidere non appena la sua famiglia potrà dirsi al
sicuro.
Ma,
Cloud, dopo aver provato
l’ebrezza di essere il Grande Sephiroth…
riuscirà a lasciarlo andare?
A
presto!
Besos!
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Capitolo 32 *** Padri ***
Riparati
dal
buio della notte io, Vincent, Weiss e qualche altro ex-SOLDIER
esploriamo i
dintorni della villa di Gast. Abbandonata. Le tracce lasciate
dall’incursione
della Shinra alla villa stanno rapidamente sparendo a causa della
bufera appena
alzatosi. Ormai, la porta d’ingresso distrutta è
l’unico segno esterno lasciato
dagli uomini di Rufus. Pure le luci all’interno sono spente,
a parte per quelle
di una stanza al secondo piano. Non ci metto molto a capire di QUALE
stanza si
tratti.
La
mente di
Sephiroth invade la mia dei ricordi di Gast, agrodolci. I suoi pensieri
riguardanti
quell’uomo riecheggiano nel cervello, confusi, in conflitto.
Rimembra il giorno
in cui venimmo qua: la sofferenza nel vederlo imprigionato in quel
corpo
morente, la rabbia provata nei confronti del suo giocare con noi, la
frustrazione nel non poter emergere e affrontarlo. Un’ondata
di emozioni che mi
bloccano per minuti infiniti nel gelo della tempesta.
C’è
ancora un nodo da sbrogliare.
Mi
volto e
vedo i ricognitori sparire nell’abbraccio buio
dell’abetaia che cinge la villa,
rapidi tornano a fare rapporto alla nave, atterrata nel cuore della
foresta.
Vincent rimane indietro e mi sta scrutando, un piede rivolto verso il
bosco e
l’altro verso di me. Credo che stia cercando
d’indovinare cosa possa passare
nella mia testa o, meglio, nella mente di suo figlio. Ci guardiamo a
lungo,
finché il suo sguardo non vira rapidamente verso la finestra
illuminata, per poi
tornare da noi, pregno di significato. Sento le spalle rilassarsi e i
lati
della bocca alzarsi lievemente verso l’alto.
Grazie…
Ci
avviamo
decisi verso la porta divelta della villa, dove piccoli cumuli di neve
cominciano a depositarsi sull’uscio, trasportati dal vento.
Attraversiamo con
passo deciso il corridoio e ci avviamo verso le scale. Avverto
l’inquietudine
di Sephiroth scatenata dai ricordi di una magione dannatamente simile a
questa.
E di ciò che accadde tra quelle maledette mura. Scuoto la
testa e scacciamo via
quelle memorie e riprendiamo il nostro cammino. Raggiungiamo la stanza.
La
porta è stata lasciata aperta e noi indugiamo sulla soglia
ad osservare
l’interno. Imperturbabili, cupi, silenziosi.
L’ologramma è affacciato alla
finestra con le braccia incrociate dietro alla schiena e sembra non
averci
notato, fino a che, lentamente, si volta nella nostra direzione. Ci
fissiamo a
lungo per minuti infiniti, studiandoci a vicenda, la nenia delle
macchine per
il supporto vitale sottolinea quasi la tensione formatosi. Ad un certo
punto,
l’ologramma ci rivolge un sorriso mesto, accompagnato da
un’espressione
accomodante. Ma i suoi occhi tradiscono una profonda tristezza.
-
Sephiroth…
-, evoca con tono pieno di malcelata malinconia.
Avverto
lo
stomaco accartocciarsi, le dita stringersi ancora più
veemente in pugno e la
mandibola irrigidirsi. Nonostante l’abbandono, il tradimento
e la sofferenza,
la voce calda di Gast è sempre in grado di far emergere quel
lato fragile e
bisognoso d’affetto sepolto nel cuore ferito del Generale.
Il
padre
che hai sempre desiderato, ma che non hai mai potuto avere.
Quel
rifiuto
ancora brucia forte nell’animo di Sephiroth e avverto il suo
desiderio
recondito di vendetta, ma, davanti a quell’espressione
così gentile e
accomodante, non riesce proprio ad essere crudele. È stanco,
in fondo. Stanco
di combattere, stanco di odiare, stanco di soffrire.
Questi
pensieri ci continuano ad inchiodare sull’ingresso della
stanza, impedendoci di
attraversarla. Non credo di aver mai avvertito il Generale
così perso. È quasi
doloroso il conflitto interiore che lo sta dilaniando. A rompere gli
indugi,
tuttavia, ci pensa il Professore stesso: egli si avvia verso di noi
e… ci avvolge
nelle sue braccia olografiche.
Anche
se non
avvertiamo la sensazione sulla nostra pelle, rimaniamo spiazzati da
quel gesto
inaspettato. Gast non è mai stato un uomo particolarmente
fisico nei SUOI
confronti; nonostante la gentilezza e la disponibilità, la
distanza tra i due
veniva sempre dolorosamente mantenuta. Vediamo le spalle subire qualche
singulto, accompagnato da gemiti malcelati.
Siamo
sempre
più confusi, perché perfino il manifestare
apertamente emozioni non era
accettato.
-
Mi
dispiace… -, esordisce tra i singhiozzi.
Guardiamo
verso il basso, sempre più in difficoltà a
mantenere un ritegno.
Contemporaneamente, egli alza il viso sbriciolato in una maschera di
puro
pentimento. Gli occhi verdi risplendono di lacrime amare dietro gli
spessi
occhiali marroni, incapaci di nascondere il senso di colpa che da anni
corrode
quest’uomo.
-
Mi
dispiace per tutto quello che ti ho fatto, ragazzo mio… -,
Gast inizia a
parlare e la voce rotta dal cordoglio ci spacca il cuore a
metà, - Non eri
nemmeno ancora nato e ho segnato il tuo destino per sempre,
costringendoti a
una vita che non meritavi. Avrei dovuto almeno provare ad alleviarla,
dandoti
l’amore che disperatamente cercavi in ogni persona che
entrava in contatto con
te. Invece, sono stato cieco e sordo alle tue urla d’aiuto.
Me ne sono andato
sapendo di quanto tu avessi bisogno di me… –
Gast
abbassa
la testa, le spalle e crolla verso il basso. Cerchiamo di fermarlo, ma
la
nostra presa passa attraverso il suo corpo olografico. Accartocciato su
sé stesso
e sotto il nostro sguardo sempre più basito, egli continua
il suo discorso.
-
Non c’è
stato giorno in cui non mi sia pentito di quella decisione. Ho pensato
tante
volte a tornare a recuperarti, ma non ne ho mai avuto il
coraggio… -,
s’interrompe un attimo, emettendo una risata triste, - Non
sono mai stato un
uomo d’azione, lo sai. Perfino il portarti in braccio fino al
paese era
un’attività capace di togliermi il fiato. Te lo
ricordi? –
L’ologramma
alza di nuovo gli occhi verso di noi e la serietà imposta
sul mio viso fatica a
rimanere tale. Sento che ogni risentimento Sephiroth potesse provare
verso
quell’uomo sta rapidamente venendo annientato. Il Generale,
tuttavia, resiste,
e l’ologramma riabbassa la testa, appuntando lo sguardo da
un’altra parte,
sconfortato dal nostro silenzio.
-
Non
pretendo che tu sia disposto a perdonarmi… In fondo, so di
non meritarlo. -, fa
una pausa, durante la quale sospira pesantemente, - Ho fatto una figlia
nella
speranza di dimenticarti, ma continuavo a vedere i tuoi occhi ovunque.
Che mi
giudicavano, che mi odiavano -
Egli
fa un’altra
greve pausa, dove prorompe in un pianto più forte, che lo
porta a nascondere il
viso nelle mani.
-
Ho perso
entrambi i miei figli… -, sussurra, infine, e quella frase
è una stoccata
dritta nell’anima.
La
mente del
Generale si ammutolisce completamente, tanto che per un momento credo
che si
sia ritirato in qualche angolo recondito del mio inconscio. E, invece,
era
presentissimo. La realizzazione che, alla fine, l’amato
Professore lo considerasse
come un figlio, scatena un’ondata di calore che attraversa
tutto il corpo,
accelerando tremendamente il battito cardiaco e portandoci
pericolosamente
sull’orlo delle lacrime. Egli guida il mio sguardo verso il
lettino, dove il
VERO Gast è disteso, immobilizzato nel suo stato comatoso.
Lo squadriamo a
lungo, fino a che non notiamo dei riflessi scendere da quegli occhi
forzatamente serrati. Come in preda a un impulso irreprimibile,
Sephiroth si
avvia a passo deciso in quella direzione, attraversando incurante
l’ologramma
prostrato e, senza alcuna esitazione, si abbassa verso il corpo morente
e lo
stringe con tutta la forza che ha.
Un’azione
che avrebbe voluto compiere tanti anni fa, che ha sempre disperatamente
cercato
e che gli è stata SEMPRE spietatamente negata.
-
Ora sono
qui, Professore. -, dice Sephiroth con veemenza, - Non
c’è più bisogno di
soffrire. -
L’Angelo
da
Una Sola Ala permane immobile per un periodo lunghissimo, assaporando
ogni
secondo di quel contatto, come per recuperare ogni momento perduto
durante la
sua spaventosa, angosciante infanzia. Lo avverto piangere
silenziosamente,
mentre i ricordi degli istanti passati assieme al Professore riemergono
dai
flutti di una memoria sepolta, ma gelosamente conservata. Egli sospira
profondamente per recuperare il contegno, tradendo quel lato umano che
si
nasconde dietro alle fattezze bellissime e terribili di un Angelo che
cercò di
diventare Dio. E, come tale, con un’inflessione
misericordiosa nella voce,
sussurra all’orecchio dell’uomo che stringe a
sé:
- Io vi perdono. –
Io
non so se
è una mia impressione, ma credo che quel viso immoto si sia
disteso
ulteriormente, appena proferita quella frase. Non ho comunque il tempo
di
constatarlo, perché l’argentato abbandona
dolentemente Gast. Lo osserva a
lungo, la mano stretta in quella senza vita del Professore. I suoi
pensieri sono
in subbuglio. Mi rendo spaventosamente conto che il caos nella sua
mente
m’impedisce di avere una visione chiara delle sue prossime
azioni. È come se mi
avesse allontanato, per impedirmi di interferire.
Sephiroth?
Che intenzioni hai?
Mentre
formulo questo pensiero, egli, con espressione indecifrabile, si
propende verso
i macchinari per il supporto vitale. La mia coscienza carpisce gli
intenti di
Sephiroth appena in tempo e lo blocco a pochi centimetri dal pulsante
di
spegnimento.
No!
È giusto così,
Cloud.
Ma…!
Fidati, è questo
ciò che vuole. Dall’altra parte
c’è la
sua famiglia che lo attende…
Dopo
Genesis, sei già pronto a vedere un’altra persona
cara che se ne va?
Il
silenzio
si propende per un lungo istante, mentre un terrificante stilettata di
dolore
colpisce dritto al cuore. Una sensazione spaventosa, ma,
ahimè, ben conosciuta.
I visi di tutte le persone che lo hanno abbandonato iniziano ad
affollare le
nostre menti, una dopo l’altra, rapidissime. Tanti, troppi
lutti per una vita
così corta. E, ogni volta, è sempre
più dolorosa della precedente. Come se,
invece di abituarsi, quella sofferenza diventasse un fardello sempre
più
pesante da portare. Eppure, una parte di sé sa che
è inevitabile: è il suo
destino rimanere solo.
Io sono sempre pronto.
Proferisce
infine con un soffio di voce, come se l’ennesima battaglia
interiore lo avesse
spossato all’inverosimile. Di fronte a
quell’ineluttabile verità, capitolo e
lascio che il dito si posi e spinga quel pulsante.
Mentre
i
macchinari lentamente si spengono, provocando spasmi e lamenti
soffocati, noi
stringiamo la mano di Gast, mentre lo accompagniamo in accorato
silenzio verso l’inevitabile
fine.
Prima
che il
suo cervello si spenga completamente, il Generale si rivolge per
l’ultima volta
all’ologramma:
-
Mi
dispiace avervi portati via vostra figlia, Professore. –
-
A me dispiace non aver protetto la tua, Sephiroth. –
Sento
del
vociare sommesso proveniente dal piano di sotto. Sulle prime non me ne
curo:
talvolta capita che Steven rimanga sveglio parecchie ore la notte per
finire
degli esperimenti e che ne registri delle osservazioni. Ma poi odo che
le voci
sono due. L’altra è femminile. Mi stranisco.
Possibile che Steven abbia portato
una donna qui? Nel cuore della notte?
Mi
faccio
più attento e mi rendo conto che la conversazione
è concitata e molto animata.
Inoltre, si fa sempre più forte. A quanto pare, si stanno
muovendo per la casa
e salendo le scale. Ora la voce femminile è più
chiara. È giovanile, ma
perentoria. Decisa e carismatica. Non ammette repliche.
Sorrido,
ma mi rabbuio subito. Ha preso davvero tanto da lui, il mio errore
più grande.
-
No, non
puoi entrare! Lo sai che il sonno è importante per lui! Non
puoi fare sempre
quello che ti pare! –, la voce di Steven riecheggia al di
là della mia porta.
-
E tu
non mi devi dire sempre quello che devo fare! Devo vederlo! -, risponde
la voce
femminile.
Decido
d’intervenire e attivo l’ologramma.
-
Che
succede là fuori? -, chiedo cortesemente.
Per
un
momento, il silenzio si stiracchia, ma posso immaginare
l’occhiata di fuoco che
il mio assistente ha lanciato a quella ragazzina così
testarda, e anche lo sguardo
ancora più mordace sfoderato in tutta risposta.
Sospiro…
Come
i vecchi tempi…, penso, mentre un sorriso
malinconico mi si stampa in viso.
A quel punto, la porta si
apre e un
contrariato Steven entra, seguito da una figura ammantata da un
cappotto foderato
di colore scuro, i cui capelli castani svolazzano da ogni parte in
totale
disordine.
-
Takara!
Qual buon vento! -, la saluto cordialmente.
-
È
venuta qui sola. -, sottolinea Steven irritato, senza dare nemmeno il
tempo a
Takara di rispondere al saluto.
-
Da
sola? Come mai Genesis non ti ha accompagnata? –
La
sua
espressione imperturbabile viene scossa da un leggero tremito e la
mandibola si
contrae in modo quasi impercettibile. Un’azione che ho visto
migliaia di volte
sul viso granitico di suo padre. E ho sempre capito che qualcosa lo
turbava.
Lei non fa alcuna eccezione.
-
È
successo qualcosa a Genesis? –, incalzo.
Lei
sgrana gli occhi grandi, trovando conferma nella sua espressione
stupita di
aver colpo il punto; poi ammorbidisce l’espressione e sorride
sghemba.
-
Il tuo
sesto senso non fallisce mai, Gast. -, ironizza scanzonata, ma poi la
sua
espressione si intristisce e vedo i suoi occhi farsi lucidi, poco prima
che lei
sposti lo sguardo altrove, - Infatti, Genesis sta…
sta… -
-
Male?
-, intervengo cercando di completare la frase.
-
Morendo. -, corregge Steven. Non è una domanda, ma una
constatazione.
Takara
lo
fulmina con lo sguardo, infastidita dal suo tono clinico e distaccato,
quasi
annoiato, che va a definire una situazione temuta, ma,
ahimé, prevista.
-
Mia
cara, lo sapevi che questo sarebbe successo prima o poi. Trovo strano,
tuttavia, che sia accaduto così d’improvviso.
Ricordo che dall’ultimo
controllo, la degradazione non era ancora a livelli critici. -, ragiono
io.
La
ragazza sospira e si va a sedere su una delle sedie della mia stanza,
ponendo i
gomiti sulle ginocchia e fissando lo sguardo al pavimento.
-
Degli
stranieri hanno raggiunto Yaido. -, dice la ragazza, cambiando
argomento, per
poi alzare lo sguardo nella mia direzione – Cloud Strife e
Vincent Valentine.
-, precisa, - Hanno portato il diario. –
Constatazioni,
non domande.
Sa,
penso
assumendo un’espressione contrita e colpevole. Steven, dalla
sua, non le dà
alcuna soddisfazione, rimanendo impassibile. Una scena vista e
stravista già
tantissimi anni fa.
Schiocca
la lingua e si adagia sullo schienale, studiandoci con espressione
indecifrabile.
-
Quindi
immaginate perché sono qui. –, sentenzia, fredda.
In
imbarazzo, mi sistemo gli occhiali olografici e sospiro.
-
Mia
cara, - esordisco, cercando le parole giuste per esprimere quello che
voglio
trasmettere, - capisco che tu sia alterata e mi dispiace averti tenuto
all’oscuro di certe cose, ma ti assicuro che ogni azione
è stata effettuata
sempre e solo nei tuoi interessi. –
Appena
proferisco quella frase, l’espressione della ragazza
s’indurisce, tutto il suo
corpo freme e giuro di aver sentito un ringhio sommesso nascere dalla
sua gola.
Istintivamente, faccio un passo indietro.
-
Certo.
È sempre stata la tua scusa, Gast… -, proferisce
la ragazza con un tono così
roco e graffiante da non appartenerle. Dopodiché accavalla
le gambe e si
appoggia allo schienale della sedia, sorniona, - Immagino sia la stessa
che ti
sei raccontato per anni, dopo che hai deciso di lasciare mio padre
nelle mani
di Hojo. Oh, certamente ha giovato molto ai suoi interessi. –
Come
colpito da un maglio, la mia intera persona rabbrividisce, di fronte a
quella
frase pronunciata con così tanto disprezzo e da quello
sguardo in tralice che
mi sta giudicando fin dentro al midollo. Rimango interdetto per un
lungo
istante, mentre mi rendo conto che la ragazza di fronte a me trasfigura
in
quella di un ragazzo dai capelli argentati.
Oh,
no…
-
Takara…
hai per caso toccato il diario senza protezioni? –
La
posa
truce della ragazza s’infrange, mentre lei, sorpresa, si
muove nervosa sulla
sedia. La sua espressione dura, tuttavia, non viene dismessa, anzi
sembra quasi
sfidarmi.
A
quel
punto, Steven mi anticipa, battendo il bastone furiosamente al
pavimento.
-
DANNAZIONE,
TAKARA! MI ERO RACCOMANDATO! AVEVO PERFINO DETTO A QUELLO SPOSTATO DI
GENESIS
DI…–
La
furia
del mio assistente si sbriciola sul totale disinteresse della ragazza,
la quale
dismette Steven con una sventolata di mano.
-
Steven…
perché non trascini il tuo inutile ammasso di complessi
fuori da questa stanza?
–, ribatte Takara con tutta la calma del mondo.
Vedo
l’uomo gelarsi, l’ira sfumata in una genuina paura.
Boccheggia, incapace di
ribattere, mentre, dall’altra parte, la giovane sorride
trionfante. Dopodiché,
si volta verso di me.
Rimango
in silenzio, realizzando che quello che sto guardando va oltre ad ogni
umana
concezione. È la fusione di due mondi. È la
sintesi dell’Universo. È la fonte
della Vita su questo Pianeta.
Lo
stesso
pensiero lo vedo affiorare in quegli occhi ora fattasi chiari, quasi
bianchi.
La sua espressione si è distesa, benevola.
-
Ho
bisogno di avere accesso alla cripta, Professore. È arrivato
il momento. –
Dolorosamente,
sospiro. Per anni abbiamo cercato di sottrarla a questo destino.
Genesis, io,
la WRO… volevamo evitare che un’altra innocente
venisse sacrificata sull’altare
di questa guerra, ma mi rendo conto che, per quanto noi umani possiamo
scoprire
sui Cetra e Jenova, loro saranno sempre al di fuori della nostra
portata.
-
Voglio
che tu sappia che non era questo che volevo per te. -, dico dolente.
La
ragazza annuisce, abbassando la sguardo, mentre stringe le sue mani per
reprimere un moto di paura.
-
Lo so.
-, dice con voce tremolante, molto diversa dalle prime battute del
nostro
incontro – E io voglio che voi sappiate che avrei voluto
darvi la redenzione
che meritavate. -, conclude, guardandomi con sguardo afflitto.
Ora
la
rivedo, la ragazzina che ho imparato ad amare, la prole di quel figlio
che ho
respinto con tutte le mie forze, quando, lo sapevo, essere accettato
era tutto ciò
tutto che desiderava.
Perché
l’ho
fatto?
Perché
ho
ignorato la sofferenza di Lucrecia?
Perché
non
ho dato ad Hojo quello che si meritava?
Come
ho
potuto infliggere un tale dolore a così tante persone?
Mi
volgo
alle mie spalle e guardo il mio vero corpo.
Guarda
dove
ci ha portato…
Sospiro
di nuovo e mando l’impulso al computer che controlla i
meccanismi di difesa
della cripta. La porta di quest’ultima, celata dietro ad una
falsa parete, ha
un singulto e poi con un poderoso tonfo di apre.
-
Aiutarti, Takara, è il mio gesto di redenzione. –,
proferisco, sorridendole.
Il
Dono sorride
di rimando e si alza, muovendo qualche solenne passo in direzione del
suo
antenato. Rimane per qualche istante ad osservare il buio profondo e ad
assaporare l’odore di umidità e Lifestream
levatosi dal sotterraneo, esitante,
mentre un ultimo guizzo di paura le pervade le membra. Vedo il suo
pugno
sinistro stringersi e la testa venire sollevata decisa. Fa per muovere
un altro
passo, però, Steven interviene e ficca una siringa nella
spalla destra della
ragazzina.
Ella
rimane per lunghi secondi a guardare il punto in cui l’ago
è penetrato nella stoffa
sottile per poi sollevare il viso nella direzione del mio assistente.
L’odio ha
trasfigurato i tratti innocenti della quattordicenne, rivolgendo
all’uomo
un’espressione mostruosa. Inumana.
Il
mio
assistente indietreggia, lentamente. Sebbene non abbia le
capacità fisiche di
contrastare Takara, egli sembra sfidarla apertamente, fissandola dritta
in
quegli occhi infernali.
-
Che
cosa vuol dire, Steven? –, chiedo interdetto.
-
Che la
ragazza verrà con noi, Professor Gast. –
La
risposta giunge da una figura allampanata che, elegantemente, si
staglia
sull’uscio della mia stanza. Capelli biondi e ben pettinati,
occhi acquosi,
espressione arrogante, portamento nobile e una fiera nera al suo
fianco.
Rufus
Shinra?!
Non
faccio in tempo a proferire il nome del nuovo arrivato, che Takara
caccia un
urlo di folle rabbia, sguainando un coltello che teneva nascosto tra le
vesti
da viaggio. La ragazza è talmente veloce che riesce a
tagliare due dita dalla
mano del mio assistente, facendogli perdere la presa del bastone, poi,
con un
guizzo rapidissimo, la mano destra della bruna si chiude attorno al
collo dell’uomo,
strozzando un grido di dolore. Il coltello baluginante di riflessi
cremisi è
pronto ad affondare nel cuore traditore di Steven, ma, fortunatamente
per lui, una
turba di personaggi mascherati intervengono ad immobilizzare la
ragazza, prima
che ella concluda i suoi letali intenti.
Con
un
incredibile guizzo guerriero, Takara salta all’indietro ed
evoca una barriera
capace di respingere l’attacco deliberato, così da
guadagnare del tempo
prezioso per gettarsi verso l’entrata della cripta. Osservo
inerme gli uomini
rincorrerla giù per la sdrucciolevole scalinata. Nel
frattempo, prego che, per
almeno una volta, il Pianeta possa rispondere al disperato grido
d’aiuto di
questa famiglia. Vedo flash di luce verde levarsi dalle viscere della
cripta,
evocate, probabilmente, dalla ragazzina, come disperata difesa contro
quegli
aguzzini; ma, noto con angoscia, che la luce diventa sempre
più debole, più
flebile. L’effetto del potente sonnifero inizia ad annebbiare
la mente della
giovane. Dopo qualche minuto dalla cessazione dei flash verdi, gli
uomini
mascherati riemergono dalla cripta, trascinando con sé il
corpo senza forze
della ragazzina. Con orrore e impotenza, osservo quegli uomini legarla.
Con
rabbia e disgusto, fisso Steven iniettarle qualche droga per tenerla in
uno
stato semi-incosciente.
No,
non di
nuovo.
Il
ricordo va direttamente alla notte in cui me ne andai, quando Sephiroth
m’inseguì per scappare con me. A nulla valsero i
suoi sforzi di liberarsi dagli
spietati cani da caccia della ShinRa che, imperterriti, lo consegnarono
al più
terribile dei suoi aguzzini: Hojo. E ora, sto assistendo alla stessa
identica
scena.
La
piccola piange, silenziosa, cullata da una frase che
l’accompagna fino
all’oblio:
-
The fates are cruel
[Le parche sono crudeli, LOVELESS, Act IV] -
Io
muovo
qualche passo nella sua direzione, mentre un energumeno carica la
ragazza sulle
spalle e la porta via. Tutti escono e se ne vanno, senza degnarmi
nessuna
attenzione, compreso Steven che, zoppicando via, si stringe la mano
lesa al
petto, mugugnando maledizioni verso Takara.
Solo
una
persona è rimasta nella stanza ed è
l’unico che non ha mai tolto lo sguardo da
me: Rufus ShinRa.
-
Grazie
per tutto il lavoro svolto, Professore. -, la sua voce è
fastidiosa,
canzonatoria, - Non avremmo mai potuto farcela senza di Voi. -
-
Non era
così che doveva finire… -, rispondo debolmente.
-
No di
certo, Professore. Gli Esper solo sanno di cosa è capace la
cricca a cui
l’avete affidata. –, fa una pausa, durante la quale
l’uomo si lascia sfuggire
un rapido sguardo al letto dietro di me. – Ma,
fortunatamente, ci sono i figli
a fare ammenda dei peccati dei padri. –
-
Takara
non è nata per fare ammenda dei peccati di suo padre. Anzi,
è tutto ciò che di
buono c’era in lui. –, ribatto con veemenza.
Il
biondo
si lascia sfuggire uno sbuffo divertito.
-
Se c’è
una cosa che ho imparato in lunghi anni a contatto con Sephiroth
è che niente
di buono può scaturire da lui. -, il ghigno divertito sfuma,
lasciando spazio
ad un’espressione dura, - Voi lo dovreste sapere meglio di
chiunque altro,
Professore. –
Io
scuoto
la testa, dolente.
-
Voi non
sapete niente di lui. E state facendo uno sbaglio gigantesco. -
Il
Presidente mi rivolge un sorriso enigmatico e inizia a darmi le spalle,
ma, con
un guizzo di coraggio, gli chiedo: - Dove la portate? –
Rufus
rivolge nuovamente l’attenzione sull’ologramma,
sguardo solenne.
-
Al
Northern Crater. Dove potremo finalmente distruggere quel potere per
sempre. -
Un
silenzio
angosciante mi sta assordando. Vorrei muovermi, andare via, ma
Sephiroth non
permette alla mia coscienza di prendere possesso del mio corpo. Egli ci
fa
permanere immobili, seduti su quel lettino a stringere una mano gelida
e
rachitica. Il nostro sguardo fisso su un punto imprecisato di fronte a
noi.
Gast
era
tutto quello che lui avrebbe voluto diventare…
L’unico
uomo
che con il solo pensiero era in grado di ripescarlo dal baratro
profondo della
sua follia. Era stato Gast ad instillargli quegli scrupoli che tanto
odiava
Hojo. Era dal suo esempio a cui attingeva per trasmettere insegnamenti
a sua
figlia. Immaginava spesso che il Professore fosse lì a
guardarlo fiero, mentre
stringeva a sé la famiglia che era riuscito a creare tra le
mille difficoltà.
Sarebbe stato orgoglioso nel saperlo sistemato e, finalmente, felice?
Sì,
probabilmente
lo sarebbe stato, a giudicare dalle frasi pronunciate durante lo
scontro con
Rufus; eppure, non glielo ha detto mai in faccia. Nemmeno nella sua
ultima
occasione.
Mi
rendo
conto che questo ennesimo lutto sia un fardello gigantesco per delle
spalle
stanche come quelle del Generale.
Quanto
tempo
è andato sprecato tra di loro…
Un
flebile
fruscio alle nostre spalle spezza la bolla di deprimente calma in cui
Sephiroth
mi stava trascinando.
Lentamente,
voltiamo la testa appena sopra la nostra spalla sinistra, e lo vediamo:
Vincent.
Se
avessi il
controllo del mio corpo credo che deglutirei, immaginando, con
l’occhio della
mente, di trovarmi in un angolo dismesso, mentre padre e figlio di
scrutano
silenti, come due enormi scure montagne.
Rosso
nel
verde.
Il
pistolero
ci fissa apparentemente imperturbabile, i suoi pensieri insondabili
come un
placido lago. Noi gli rivolgiamo un sorriso sghembo per poi dismettere
lo
sguardo dalla sua figura, ma egli fa un rapido passo verso di noi,
ristabilendo
il contatto visivo. Ora tocca noi a fissarlo curiosi, mentre
l’ex-Turk
incespica con un muto discorso. Poi, come sceso a patti con
sé stesso, si
avvicina a noi con passo deciso. Tutta la baldanza, tuttavia, scivola
via a
mano a mano che lui si avvicina a noi, tant’è che
è con estremo timore che
poggia entrambe le sue mani sulle nostre spalle. Con delicatezza,
stringe le
dita su di esse, finché il suo tocco non diventa disperato,
quasi rabbioso.
Il
nostro
cuore ha iniziato a battere fortissimo, il respiro farsi più
rapido. Mi rendo
conto che Sephiroth ha paura. Il contatto è sempre stato
qualcosa di
estremamente fastidioso per lui, un preludio a qualcosa di terribile
che sta
per accadere. Uno schiaffo, un pugno, un qualunque atto di violenza.
Non ha mai
conosciuto altro dagli uomini.
Ma
gli
intenti di Vincent non sono mai stati quelli…
Egli,
infatti, appoggia la sua fronte alla nostra nuca, sospirando
pesantemente,
mentre le sue braccia ci cingono le spalle da dietro, stringendoci
verso il suo
petto.
Rimaniamo
così per lunghi istanti, persi completamente nella
confusione che il
comportamento di Vincent ci ha provocato. Vorrei chiedere spiegazioni,
ma l’argentato
è completamente gelato.
-
Non sei
solo, Sephiroth. -, proferisce Vincent con decisione, - Non stavolta.
Stavolta
tuo padre è qui, accanto a te. Non ti
abbandonerò. –
Il
nostro
cuore sobbalza e gli occhi pungono, mentre ci aggrappiamo
all’avambraccio di
Vincent.
-
Padre… -,
evoco con la voce del Generale.
-
Sì, figlio
mio. Andrà tutto bene… -
Ci
gira
verso di sé, ci cinge i lati della testa con le mani e
appoggia la sua fronte
sulla nostra, guardandoci dritti negli occhi.
Rosso
nel
verde, ma stavolta l’uno rispecchia l’altro,
fondendosi in un colore
completamente nuovo.
-
Credo che
vogliano eseguire un antico rituale Cetra. – conclude Reeve,
assorto, mentre
sfoglia un vecchio tomo di leggende tratte dal folklore di quel popolo
dimenticato. Nonostante questo, sembrano essere considerate
dall’ex-proprietario una valida fonte di informazioni, a
giudicare dai numerosi
segnalibri e appunti apposti sulle sue pagine da Steven stesso.
-
A quale
rituale ti riferisci? -, chiede Tifa.
-
Lo stesso
che gli Antichi usarono su Jenova. -, intervengo io, dopo una rapida
consultazione con Sephiroth, mentre, ingordi, sfogliamo i fascicoli
presenti
sulla scrivania di Steven. Il suo studio è stato rivoltato
da cima a fondo, al
fine di ricavare informazioni sulle sue intenzioni. Gli uomini della
WRO hanno
esaminato ogni centimetro della casa e di questo studio e non hanno
trovato
nessuna cassaforte nascosta o qualche altro aggeggio segreto; quindi,
tutto
quello che c’è qui è tutto quello che
Steven ha prodotto in questi anni.
Non
ha fatto
nulla per nasconderlo…
Forse
pensava che la villa fosse sufficientemente sicura, dato
l’isolamento e la
scarsità di visitatori.
Tutte
queste
illazioni, non sembrano convincere il Generale, il quale muove
rapidamente la
mia mano tra i fogli e i dossier, alla disperata ricerca di qualcosa.
È tutto troppo
semplice…
Reeve
annuisce.
-
Già, ma non
capisco, perché entrare in combutta con la Shinra.
Perché rapire Takara in quel
modo? –
Di
tutta
risposta, Weiss grugnisce, lascia cadere le braccia lungo i fianchi e
scuote la
testa.
-
L’hanno
catturata con una facilità disarmante… Come se
sapessero le sue intenzioni da
tempo. -, alza la testa e lascia che il suo sguardo truce trafigga
ognuno di
noi, – Come se qualcuno li avesse guidati qui… -
Il
silenzio
cala di nuovo e la fastidiosa sensazione di essere osservati si fa
strada tra
le nostre cellule, tant’ è che alziamo lo sguardo
e capiamo di essere
nuovamente nel mirino dell’ex-Tsviet. Sephiroth sfodera lo
sguardo più truce
che conosce – quello che ti faceva accapponare perfino le
viscere – e risponde
alla sfida.
Ci
fissiamo
per lunghissimi minuti, saette e fulmini immaginari spillano dalle
nostre
auree; i muscoli si preparano alla battaglia, i sensi si acuiscono, il
respiro si
fa più pesante.
-
Ora basta!
-, interviene Vincent, mettendosi in mezzo, - Nessuno ha guidato qui
nessuno.
Piuttosto, sembra proprio il contrario. LORO sembrano averci guidato
fino a
questo punto. Come se sapessero come stanarla…-
La
realizzazione folgora la mente di Sephiroth e, di conseguenza, la mia,
come un
fulmine a ciel sereno.
Faccio
appena in tempo a realizzare il movimento del mio braccio sinistro che
questo
va a schiantare un pugno così potente alla scrivania di
Steven da, per poco,
non piegarla su sé stessa.
E
poi,
qualcosa esplode dentro di me, un ruggito di rabbia così
possente da credere di
avere un Behemoth agitarsi nel petto. I muscoli si tendono nuovamente,
i denti
vengono snudati, i sensi si annebbiano, le orecchie fischiano. Una
figura si
defila nella nostra mente, via via sempre più nitida. Giacca
nera, camicia
bianca, chioma nera e liscia, punto sulla fronte.
Tseng…
Mai fidarsi di un Turk.
Un
tocco
lieve e leggero mi si posa sul braccio ancora teso nell’atto
di sfondare la
scrivania, strappandomi dall’abisso d’ira in cui
stavamo sprofondando;
tuttavia, mi volto con troppa veemenza e l’autrice del tocco
salta
all’indietro, spaventata.
-
Scusa, Tifa…
-, dico con un soffio di voce.
Realizzo
solo ora di avere letteralmente la mano affogata in un cratere di
sangue e del
dolore lanciante che si dipana dalla punta delle dita alla spalla.
Lentamente,
recupero l’arto e lo osservo, perplesso e stupito. Mi accorgo
con orrore che,
sebbene faccia un male dannato, la mia mente fatica a considerare quel
pezzo di
carne parte di me; così come mi preoccupa la
facilità con cui Sephiroth lo ha
invaso e usato per sfogare la sua esplosione di rabbia. In effetti, non
è la
prima volta che mi possiede, anche se è la prima volta che
mi fa seriamente del
male o, comunque, non rispetta la mia volontà.
Prendo
fiato
e cerco di nascondere il mio turbamento, rivolgendo a Tifa un sorriso
sofferente.
-
È tutto
ok. -, rassicuro, anche se lo sguardo mordace della mora mi fa
intendere che
non si è del tutto convinta che io abbia la situazione sotto
controllo.
Forse
non
l’ho mai avuta…
Scaccio
il
pensiero e riprendo il discorso, rivolgendomi anche agli altri.
-
Non credo
che fosse sua intenzione sbottare così. -, giustifico,
stringendomi la mano al
petto per soffocare una fitta di dolore, - Ma ha realizzato che la
Shinra
sapeva di Takara da molto tempo. -, faccio una pausa per lasciare che
il
concetto venga assorbito dagli astanti. Nel frattempo, Tifa si
è convinta a
lasciare i risentimenti da parte e, recuperato un pezzo di stoffa, ha
iniziato
a fasciarmi la mano, con l’aiuto di Vincent.
-
Il primo a
rendersi conto dell’infatuazione di Sephiroth nei confronti
di Evelyn fu Tseng.
Da lì, lui seguì la questione molto da vicino.
Reprimo
a
fatica la nuova ondata di rabbia al pensiero che al Turk era stata
affidata perfino
la salvaguardia della SUA famiglia, ad un certo punto.
In
fondo,
per quanto Tseng abbia sempre patteggiato per i SOLDIER, un ordine di
Rufus
Shinra rimane pur sempre un ordine di Rufus Shinra.
-
In qualche
modo, - continuo, - Tseng potrebbe aver spifferato tutto a Rufus e poi
Steven
ha fatto il resto, trovando il modo d’infiltrarsi nella WRO
ed entrare nella
cerchia dei tutori della ragazza. –
-
Ma perché
vogliono distruggere il suo potere? -, sbotta Weiss, - Lei è
il Dono! Colei che
metterà fine alla sofferenza del Pianeta. –
Rimango
in
silenzio qualche momento e, non so se per caso o guidato da Sephiroth,
il mio
sguardo si poggia su una serie di appunti a cui stavamo dando
un’occhiata prima
di interromperci.
L’esperimento
di Steven...
-
Takara non è semplicemente una fusione perfetta tra Cetra e
Jenova…
Lei È Jenova. –
- COME
OSI! -, scatta Weiss, ma la sua furia viene bloccata da
Vincent, il quale, si interpone nuovamente tra noi, posando una mano
sul petto
dell’albino. L’ex-Turk, tuttavia, ci rivolge un
tagliente e oltraggiato
sguardo.
- Sei
di nuovo convinto che mia nipote sia il nemico? -, ribatte,
gelido.
Trattengo
il sorriso compiaciuto nel realizzare che Vincent ha
finalmente accettato il suo ruolo e che sembra pronto a tutto per
proteggere la
sua famiglia ritrovata.
- No,
Vincent. -, rispondo, apponendo la mano sana al petto, - Questo
mai. Tuttavia, bisogna guardare i fatti. -, prendo il dossier in cui
sono
raccolti tutti i dati e i risultati che Steven ha messo insieme negli
anni, -
L’aspetto femminile che tutti noi conosciamo di Jenova, non
è la sua vera forma.
-, faccio una pausa, -La donna che abbiamo imparato a temere, la Madre
che
altri hanno servito, il mostro che ha abitato i nostri
incubi… Sono tutti
riconducibili alla Cetra che è stata parassitata da un
alieno caduto dal cielo.
-, mi fermo di nuovo e guardo ad uno ad uno tutti gli astanti, i quali
pendono
letteralmente dalle mie labbra, - Una Cetra che per millenni
è stata schiava di
quest’essere che attraverso gli esperimenti della Shinra si
è diffuso in tutto
il Pianeta. E non solo attraverso il Lifestream, ma anche nel nostro
DNA. -,
lascio spaziare la mano sana, lasciando intendere il significato delle
parole
appena proferite.
- Il
Progetto Jenova S, ossia quello che ha creato Sephiroth, ha
dotato questi di poteri identici a quelli del campione originale. -,
scuoto la
testa, al pensiero di ciò che sto per rivelare, - Evelyn mi
ha mostrato gli
effetti che l’alieno stava avendo su di lei. -, una
stilettata di dolore mi fa
stringere i denti, ma non proviene dalla mano, mi rendo conto, - Ha
passato quell’infezione
a sua figlia. – concludo, mesto.
Un
silenzio attonito cala tra noi, incapaci di realizzare
l’orrifico
pensiero a cui ho appena dato adito.
-
Quindi, Takara è stata concepita da una sorta di
Riunione… -,
realizza Reeve, scioccato.
Avverto
il senso soverchiante di colpa provenire dalla mente di
Sephiroth, ma cerco d’ignorarlo, ragionando sulle condizioni
in questo
concepimento venne luogo.
-
Sephiroth ed Evelyn si amavano. -, ribadisco, deciso, - Jenova
può
aver cercato d’inquinare quel sentimento in tutti i modi, ma
non c’è riuscita.
La Shinra è sempre stata uno strumento nelle mani della
Calamità e credo che
questo blitz sia un gesto disperato per provare definitivamente di
prendere il
totale controllo della ragazza. -, sospiro, - Temo che Takara fosse
consapevole
di questo rischio, per questo era così spaventata.
–
-
Eppure, è andata avanti lo stesso. -, ribatte Vincent con
orgoglio.
Io
annuisco, sorridendogli. Sephiroth non può trattenere il
senso di
sollievo nel sentirsi compreso dal proprio padre. Ha capito che quello
sguardo
pieno di fierezza era anche per lui.
- E
noi non la abbandoneremo. -, interviene Reeve, mettendo le mani
sulle nostre rispettive spalle.
Nothern
Crater.
Dove
tutto ha avuto inizio.
Dopo
un
lungo viaggio, la terribile Calamità inizia il suo minuzioso
lavoro di
distruzione di ogni forma di vita presente sul Pianeta. È un
mondo ricco di
risorse, con una mente collettiva estremamente potente e un popolo
affascinante. Affamato di conoscenza. È curioso. Fatalmente
curioso. Così
curioso da darle una forma capace di confondersi tra loro. Una forma
femminile
e avvenente, capace di ammaliare e attirare a sé individui
della stessa razza.
Esiste
anche un’altra etnia, più primitiva dei Cetra: gli
Umani. Ma non serviranno per
i suoi imminenti scopi. Almeno per il momento.
Perché
Jenova sa che la vita è sempre difficile da estirpare da un
Pianeta, quindi
bisogna essere pronti a tutto.
Come
immaginava, i Cetra si rivelano pieni di risorse e dotati di una
profonda
conoscenza degli intimi meccanismi del Pianeta, tanto da riuscire a
confinarla là
da dove è venuta.
I
Cetra
sperarono che le fredde e morte terre del Northern Crater fungessero da
deterrente sufficiente per impedire a qualunque essere vivente di
disturbare la
prigionia di quel mostro stellare.
Ma
Jenova
doveva solo aspettare…
Che
cos’erano pochi millenni per una creatura immortale?
Un
battito di ciglia.
Aveva
visto l’avidità e l’invidia degli Umani.
Rimasti soli, non passò molto tempo prima
che iniziassero a prendersi le risorse del Pianeta.
Cetra,
la
chiamavano, quegli scienziati.
Non
era
una creatura permalosa, anzi fu quasi grata agli Umani e
all’esercito di
schiavi che le fornirono senza nemmeno muovere un muscolo. E le
consegnarono
l’arma più potente di tutte: Sephiroth.
Grazie
a
Lucrecia aveva capito molto della malata tendenza degli Uomini di
maltrattare i
propri figli e di usarli per nutrire le loro ambizioni. Per non parlare
delle
follie che gli uomini compiono per amore. Sarebbe bastato stuzzicare il
lato
affranto e fragile di quel bambino cresciuto troppo in fretta, usando
la sua
amata come collante e tenerlo legato a lei per sempre.
Uno…
schiavo
d’amore.
La
figlia
non fa eccezioni. A nulla sono valsi gli sforzi del servo di Minerva
nel
tenerla lontano dalla Calamità, perché
l’avidità umana è qualcosa che Jenova
ha
imparato a sfruttare fin troppo bene. Così come la ridicola
speranza di poterla
controllare.
Sarà
un
grande ritorno. Ella recupererà i suoi pieni poteri e
finalmente potrà
riprendere il suo viaggio.
In
corpo
nuovo.
Giovane
e
forte.
Pieno
di
Lifestream.
ECCOMIIIIIIIII!!! Tornata dopo UNA VITA,
ma ce l’ho fatta! Il capitolo era pronto da tempo, ma la mia
vita si è
rivoluzionata completamente negli ultimi anni e quindi le mie passioni
e hobby
sono state un po’ messe da parte.
Non so in quanti ancora vorranno leggere
quest’ultima fatica, ma è bello riprendere a
scrivere e postare su EFP. Sono un
po’ di capitoli che dico che il prossimo dovrebbe essere
l’ultimo, ma direi che
il prossimo GIURO la finiamo. Probabilmente sarà un
po’ più lungo del normale
così si chiude questa avventura! Devo darmi una mossa prima
di essere
risucchiata dalla scrittura della tesi del dottorato!
I più attenti si saranno
accorti che sto
cominciando a sviscerare quel lato paterno di Vincent. Data la
situazione nella
storia, purtroppo non credo non ci sarà molto tempo per i
nostri padre e figlio
di parlare di sentimenti, ma pianifico di poter dare ad entrambi un
degno ‘arrivederci’.
Ora vedremo come l’ispirazione mi prenderà XD
Grazie a tutti quelli che hanno la
pazienza di aspettarmi! Vi voglio bene!
A presto!
Besos
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