Amori Segreti

di LazySoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di quando Harry e Ron confessarono un grande segreto ***
Capitolo 2: *** Di quando Hugo, Rose, Lily, Albus e Fred arrivarono a Granada ***
Capitolo 3: *** Di quando Ginny di svegliò in un letto che non era il suo ***
Capitolo 4: *** Di quando Hermione flirtò con un uomo che non era suo marito ***
Capitolo 5: *** Di quando venne fondato il Club dei Piagnoni ***
Capitolo 6: *** Di quando Hugo visitò una (non tanto piccola) reggia ***
Capitolo 7: *** Di quando Rose accettò di passare la serata in un locale notturno ***
Capitolo 8: *** Di quando Harry e Ron invitarono James e Teddy a cena ***
Capitolo 9: *** Di quando Ginny usò l'incantesimo Diffindo per darci un taglio ***
Capitolo 10: *** Di quando Hugo si perse all'Alcaicería ***
Capitolo 11: *** Di quando Hermione si dedicò al volontariato ***
Capitolo 12: *** Di quando Fred s'innamorò di un fantasma ***
Capitolo 13: *** Di quando Hermione si sentì una pessima madre ***
Capitolo 14: *** Di quando Harry e Ron adottarono un gatto ***
Capitolo 15: *** Di quando Blaise fece una sorpresa a Ginny ***
Capitolo 16: *** Di quando Harry e Ron cenarono alla Tana ***
Capitolo 17: *** Di quando Hugo ammise di sapere un po’, ma non tutto ***
Capitolo 18: *** Di quando Hermione firmò le carte del divorzio ***
Capitolo 19: *** Di quando Albus perse Haiyun e Hugo raggiunse Morgan ***



Capitolo 1
*** Di quando Harry e Ron confessarono un grande segreto ***



AVVISO:

Benvenut* nel primo capitolo della mia nuova fanfiction!

Ecco a voi qualche informazione utile prima della lettura:

- Per motivi di trama gli anni di nascita dei figli di Harry e Ginny e Ron e Hermione sono stati anticipati, quindi: Albus e Rose sono nati nel 2004, James nel 2003, Hugo e Lily nel 2006. Lo stesso vale per Scorpius, che in questa fanfiction è del 2004.

- La storia non tiene conto degli avvenimenti de "La maledizione dell'erede", anzi si propone come storia alternativa a quest'ultima.

- Questo primo capitolo s'ispira al primo episodio della serie tv Netflix "Grace and Frankie", ma per il resto si evolverà in modo completamente autonomo.

- La storia è ambientata in un ipotetico 2024, quindi la generazione di Harry ha intorno ai 44 anni, mentre le età nella nuova generazione si aggirano tra i 18 e i 21 anni. E no, non si parlerà di Covid; principalmente perché spero che per il 2024 la situazione attuale sia migliorata.

- I capitoli non saranno lunghissimi, avranno una media di 3000 parole circa, quindi potrebbero essere più brevi o più lunghi. Se la cosa dovesse darvi fastidio potete sempre andare a cercare un'altra storia, io non mi offendo.

- Questa storia è una dramione; lettore avvisato, mezzo salvato.

E ora, buona lettura!

 

***

 

1. Di quando Harry e Ron confessarono un grande segreto


 

Non importava quanto ritardo facesse al lavoro, quando doveva incontrarsi con qualcuno, Hermione Granger in Weasley finiva sempre con l'essere in tremendo anticipo.

Si era lasciata accompagnare dal cameriere fino al tavolo, che aveva fatto prenotare quella mattina presto dalla sua assistente a suo nome, in un raffinato ristorante a conduzione babbana, dove lei e Ronald festeggiavano ogni anno il loro anniversario e San Valentino.

Quella sera però non avrebbero festeggiato il loro amore o il loro duraturo matrimonio, ma avrebbero trascorso una serata in compagnia di Harry e Ginny.

Era stato Ronald a insistere per quell'uscita a quattro, Hermione si era limitata ad assecondarlo facendo spostare il suo impegno di quella sera a quella successiva e facendo prenotare il migliore tavolo del ristorante dalla propria assistente, Emily.

Hermione si sfilò il cappotto, che sistemò sull'appendiabiti accanto al tavolo e si sedette, in modo da poter osservare l'ingresso.

Sorrise al cameriere, quando le posò accanto quattro menù e la carta dei vini, poi sospirò e fece vagare lo sguardo sulla sala.

Aveva scoperto quel ristorante con Ronald, una delle poche volte che era riuscita, prima del matrimonio, a farsi accompagnare dal suo ragazzo nella Londra Babbana.

Da quel momento in poi quello era stato il "loro ristorante" e due volte l'anno prenotavano un tavolo per due e passavano una piacevole serata insieme.

Ronald continuava ad essere leggermente nervoso in presenza dei babbani, ma Hermione aveva notato un netto miglioramento da quando vi erano entrati per la prima volta, ventidue anni prima.

Un leggero sorriso increspò le labbra di Hermione al ricordo del viso mortalmente pallido, le mani che tremavano per l'ansia e il balbettio incerto di Ronald, ogni volta che un cameriere o un astante si era avvicinato troppo al loro tavolo, in quell'occasione.

Lo sguardo di Hermione scivolò sui candelabri in cristallo, che pendevano dal soffitto, i quadri immobili, dai colori tenui, che decoravano le pareti, l'ordine impeccabile in cui erano apparecchiati i tavoli e le macchie variopinte degli astanti.

Gli occhi di Hermione si fermarono per qualche istante su una coppia, un uomo e una donna, che stavano condividendo un piatto di spaghetti al ragù, imboccandosi a vicenda e parlando animatamente tra di loro.

Hermione distolse subito lo sguardo, una punta d'invidia, che si tramutò ben presto in cattiveria, la portò a notare come la donna indossasse troppo rossetto e l'uomo avesse un più che evidente accenno di calvizie.

Per evitare di peggiorare ulteriormente il proprio umore, Hermione decise di puntare lo sguardo sui bicchieri vuoti, che aveva di fronte a sé, e di non pensare troppo a quanto le mancassero quei semplici gesti d'amore e affetto, che lei e Ronald sembravano essersi, da tempo, lasciati alle spalle.

Sempre più spesso Hermione tendeva a dedicarsi anima e corpo al lavoro, piuttosto che pensare al suo matrimonio. Ogni volta che la donna aveva anche solo il sentore di essere sul punto di valutare seriamente la sua vita e chiedersi se fosse ancora innamorata di Ron, si gettava a capofitto su nuovi progetti, documenti da firmare e approvare, riunioni da attendere e cene di lavoro importanti a cui partecipare.

Aveva iniziato a diventare una vera e propria stakanovista sette anni prima, quando Hugo aveva iniziato a frequentare il suo primo anno ad Hogwarts e lei si era trovata con un lavoro part-time al Ministero, una casa vuota che la soffocava e un marito troppo impegnato a salvare il Mondo Magico per rendersi conto della sua infelicità.

Così Hermione aveva trovato la soluzione più facile alla sua depressione: si era rimboccata le maniche, aveva ottenuto un aumento di ore lavorative e si era dedicata anima e corpo alle cause che sempre l'avevano interessata, ma delle quali, con dei figli piccoli a cui badare, non aveva mai avuto modo di occuparsi.

Dopo un anno di estenuante lavoro aveva ottenuto il suo primo grande risultato: la liberazione degli Elfi Domestici, i quali, grazie ai suoi sforzi, erano obbligati a percepire uno stipendio e ad avere almeno un giorno di riposo l'anno. Era la prima a rendersi conto di non dover stravolgere troppo la vita delle crature che voleva aiutare, per questo aveva stabilito dei minimi cambiamenti, ma era comunque fiera del suo risultato e non aveva intenzione di fermarsi.

La legge per la liberazione e riabilitazione degli Elfi Domestici era stata la prima di molte altre istanze che l'avevano portato in poco tempo sulla bocca di tutti.

Per sette anni aveva fatto in modo di occupare almeno una volta al mese la prima copertina della Gazzetta del Profeta e, a mano a mano che la sua carriera raggiungeva vette a cui non pensava neanche di poter aspirare, si era resa conto di come sarebbe potuta essere la sua vita, se avesse avuto un impiego a tempo pieno al ministero, invece che part-time, per dodici anni.

Ed era successo quello che si era augurata per anni che non le accadesse: si era resa conto di avere rimpianti.

Non rimpiangeva certo di essersi sposata o di aver avuto dei figli, ma rimpiangeva di aver dovuto mettere da parte la propria carriera per essere una mamma.

Si era chiesta per anni e anni perché non esistessero delle leggi che permettessero anche alle streghe con bambini di poter dedicare, se interessate, più tempo alla propria carriera, poi era diventata Ministra della Magia e aveva fatto in modo che molte cose cambiassero.

In appena un anno di lavoro, aveva fatto varare e approvare leggi che i Ministri precedenti non avevano mai pensato fossero necessari; leggi che solo una madre ambiziosa poteva rendersi conto essere necessarie.

Grazie a Hermione Granger in Weasley, Ministra della Magia, padri e madri erano incoraggiati a dividersi equamente l'accudimento dei figli; le streghe in maternità non rischiavano di perdere il loro lavoro e, anzi, il loro reinserimento lavorativo era graduale e stabile.

I cambiamenti e il duro lavoro per renderli realtà erano continuati, fino a quando, il sette Giugno di quell'anno, era stata approvata una legge per cui Hermione si era battuta ferocemente: la legge che permetteva alle coppie omosessuali e alle coppie miste, ossia coppie composte da creature magiche non considerate umane — come licantropi, vampiri o giganti — e maghi e streghe, di sposarsi legalmente.

Per anni matrimoni simili erano stati ritenuti "anormali" dalla maggior parte della comunità magica, che vedeva qualcosa di malato e perverso in certe unioni, costringendo molte coppie a nascondersi e a vergognarsi.

Solo da quando Hermione era diventata Ministra della Magia e aveva iniziato a combattere per i diritti delle donne e delle madri, molte coppie "anormali" si erano palesate e avevano chiesto a loro volta il diritto di esistere ed Hermione le aveva ascoltate e si era battuta per loro.

Era dal sette Giugno, quindi da poco meno di un mese, che Hermione camminava per strada a testa alta e accettava con caldi sorrisi di firmare autografi o di fare foto con coloro che lo chiedevano.

Se un tempo la celebrità indiscussa del Mondo Magico era stato Harry Potter, uccisore di Lord Voldemort e Grande Salvatore, ora spettavano ad Hermione Granger in Weasley i riflettori.

Il rumore della sedia accanto a sé, che veniva scostata rumorosamente, la distolse dai suoi pensieri e gli occhi scuri di Hermione si posarono sul volto lentigginoso e sorridente di Ginevra, sua cognata.

«Ginny!», esclamò Hermione, sporgendosi per lasciare un bacio sulla guancia dell'amica.

«Signora Ministra, è un piacere incontrarla», disse Ginevra, fingendo un inchino, che fece ridere di gusto la cognata.

Fu come la rottura di una diga, bastarono quelle poche parole di saluto, per farne sgorgare molte altre, in stretta successione.

Hermione, che non vedeva Ginny da un paio di mesi ormai, le chiese con genuino interesse come stesse. Ginevra, si informò a sua volta sulla vita della sua cognata preferita.

Entrambe le donne non si fecero pregare per iniziare a raccontare.

Ginevra assicurò l'amica di stare bene, anche se a Hermione non sfuggì la piccola smorfia che fece, subito dopo aver mentito, e che la signora Potter cercò di nascondere iniziando a raccontare qualche nuovo pettegolezzo sulle sue vecchie compagne di squadra di Quidditch, le Holyhead Harpies.

Hermione decise di non insistere con ulteriori domande, rendendosi conto che Ginny le sembrava particolarmente fragile quella sera, forse per il modo in cui sedeva sulla sedia, leggermente ingobbita, o per il fatto che cercava di non incrociare mai direttamente il suo sguardo.

Quando toccò ad Hermione raccontare della sua vita e del suo lavoro, Ginny la ascoltò con attenzione, fermò un cameriere per ordinare un bicchiere di vino rosso da sorseggiare e una bottiglia d'acqua e tempestò l'amica di domande.

Ginevra Weasley in Potter non voleva parlare di sé e della propria vita, quindi non le fu difficile attuare la tattica che utilizzava ogni volta che non le andava di far sapere a qualcuno della sua depressione e del suo problema con il vino: cambiava discorso e faceva quante più domande possibili al suo interlocutore.

Ginevra sapeva che non era la sede giusta per far sapere a Hermione che il suo matromonio, ora che i figli erano cresciuti e che Harry viveva ventiquattr'ore su ventiquattro al quartiere generale Auror del Ministero, di cui era il capo da qualche anno ormai, era solo una facciata; così come non era il luogo giusto per far sapere alla propria migliore amica che da un paio di mesi aveva iniziato a correre ogni mattina per un'oretta, bere vino per il resto della giornata e trascorrere le notti insonni, a piangere disperata nel grande letto matrimoniale vuoto.

Se Hermione si era dedicata anima e corpo al lavoro al Ministero per combattere il senso di vuoto e incertezza che il suo matrimonio le suscitava, Ginevra era caduta nel baratro dell'autocommiserazione e della depressione.

«Ora che i ragazzi sono partiti, potresti concederti la vacanza in Italia che hai sempre sognato».

Le parole di Hermione, pronunciate con il tono più casuale e tranquillo del suo repertorio, sembrarono far emergere, per qualche minuto, la Ginevra che aveva percorso i corridoi di Hogwarts con lei e che aveva combattuto fieramente contro gli scagnozzi di Voldemort quando aveva solo sedici anni.

Ginny sorrise, si spostò i capelli sciolti dietro alle orecchie e una scintilla di interesse le illuminò le iridi color caramello: «Hai ragione, potrei...»

Hermione notò la punta d'incertezza nella voce dell'amica e decise di insistere: «Certo! Perché no? Fossi in te andrei nella prima agenzia viaggi che ti viene in mente, prenoterei una passaporta e un tour organizzato per tutta l'Italia!»

«James...»

Hermione prese la mano di Ginny che era appoggiata sul tavolo e la strinse leggermente: «James è grande, ha un lavoro e poi sono sicura che Harry si occuperebbe di lui se ci dovessero essere dei problemi».

«Certo, ma se Lily e Al...»

Hermione la interruppe nuovamente: «Sono in Spagna a divertirsi con Hugo e Rose e se ci dovessero essere problemi potremmo occuparcene io e Ronald, lo sai».

Ginny rimase senza parole per qualche secondo a valutare seriamente la parole dell'amica.

Sapeva che aveva ragione, Hermione aveva sempre ragione.

James aveva vent'anni ormai e aveva un posto fisso in una grande compagnia che si occupava di importare nel mercato magico articoli e oggetti babbani di ogni tipo; Albus aveva frequentato fino a pochi giorni prima il corso per diventare un Auror, come suo padre, e avrebbe dovuto attendere una settimana prima di sapere i risultati degli esami finali; e Lily aveva passato i M.A.G.O con esiti molto positivi.

Lily e Albus erano partiti quella stessa mattina per la Spagna con Hugo, Rose e altri compagni di Hogwarts per trascorrere una vacanza di due settimane, mentre James era dovuto rimanere a Londra per lavoro.

Ginny pensò alla sua tipica routine quotidiana, alla corsa, al vino e alle lacrime e si rese conto che era arrivato il momento di dare uno scossone alla monotonia, che era diventata la sua vita.

«Perché no?», disse Ginevra, con un timido sorriso sulle labbra.

Hermione stava per chiederle quale città italiana le sarebbe piaciuto visitare per prima, ma in quel momento le sedie di fronte a loro si scostarono, interrompendo la comversazione.

Harry aveva un'espressione tesa in volto, mentre sorrideva alla moglie e all'amica, Ronald invece sembrava molto più pallido del solito, tanto che le lentiggini e il rosso dei capelli sembravano più fiammeggianti che mai.

«Scusate, siamo stati trattenuti al lavoro», disse Harry, prendendo uno dei menù sul tavolo e iniziando a sfogliarlo distrattamente: «Voi avete già deciso cosa prendere?»

Hermione sorrise e scosse il capo: «No, ci stavamo aggiornando sulle novità», poi i suoi occhi scuri tornarono sul viso pallido del marito e si assottigliarono leggermente: «Tutto bene, Ron?»

L'uomo nascose il volto dietro un menù e rispose in un borbottio: «Sì, sto bene».

Il sorriso sul volto di Hermione s'incrinò appena, mentre osservava il suo migliore amico e suo marito, studiandone attentamente ogni movimento; non le ci volle molto per capire che qualcosa non andava: «È successo qualcosa?»

Ginevra, che stava sorseggiando il vino rosso che le era stato appena portato dal cameriere, posò subito il bicchiere e portò i suoi occhi castano chiari in quelli verdi di suo marito.

Harry scrollò le spalle: «No, perché?»

Ronald sbirciò da oltre il menù i volti seri delle due donne di fronte a lui e sentì il groppo dell'ansia che aveva in gola ingrossarsi.

Ginny chiese, con tono preoccupato: «Problemi al lavoro?»

Hermione sbiancò leggermente, mentre un terribile pensiero le attraversava la mente: l'ultima volta che aveva visto Harry e Ronald altrettanto preoccupati era stato molti anni prima, quando Lord Voldemort era ancora vivo e la loro vita sembrava sul punto di interrompersi prematuramente.

«Voldemort è tornato?», chiese la donna, con una punta di terrore nella voce, mentre si chiedeva se avrebbe già dovuto intuire un pericolo simile, leggendo le ultime notizie sulla Gazzetta del Profeta o sulla stampa babbana.

Nel sentire la domanda della moglie, a Ronald andò di traverso la saliva e iniziò a tossire, attirando l'attenzione di un paio di camerieri.

«Voldemort è morto e non può tornare», assicurò il Salvatore del Mondo Magico, assestando un paio di colpi alla schiena di Ronald, in modo da aiutarlo a superare la crisi di tosse: «Però è successo qualcos'altro di cui vorremmo parlarvi».

Hermione incrociò le braccia al petto, mettendosi sulla difensiva e annuì, spronando l'amico a parlare: «Sentiamo».

Ginevra iniziò a pensare alla notizia peggiore che avrebbe potuto ricevere in un frangente simile: i ragazzi avevano forse riscontrato qualche problema una volta arrivati in Spagna quella mattina? Harry e Ron avevano deciso di lasciare il lavoro? Mamma Molly aveva avuto un altro attacco di cuore?

Ci fu un momento di silenzio colmo di tensione, Harry e Ron si scambiarono un'occhiata che sembrò rinvigorirli e dare loro il coraggio di raccontare la verità.

Quando Hermione notò il modo fin troppo intimo in cui Harry aveva preso la mano di Ronald, intrecciando le loro dita sul tavolo, le si gelò il sangue nelle vene.

«Io e Ron ci amiamo», disse il Salvatore del Mondo Magico, senza preamboli o balbettii, spostando i suoi occhi verdi da quelli sbarrati di sua moglie a quelli socchiusi della sua migliore amica, ansioso di osservarne le reazioni.

Entrambe le donne sembrarono incapaci di parlare, mentre osservavano i rispettivi mariti con sconcerto.

«Siamo stanchi di vivere nella menzogna, avremmo dovuto dirvelo tanti anni fa, ma i ragazzi erano ancora piccoli, così abbiamo deciso di mantenere segreto il nostro amore fino a quando non fossero stati abbastanza gradi da capire», continuò Harry, il volto arrossato e gli occhi verdi puntati in quelli di Ginny: «Mi dispiace».

«Da quanto va avanti?», chiese Hermione con un tono di voce mortalmente serio, mentre osservava l'espressione sofferente di Ronald.

«Qualche anno», disse il rosso, nello stesso istante in cui Harry rispondeva: «Vent'anni».

Hermione chiuse per qualche secondo gli occhi, incapace di guardare ancora i volti di quelli che erano sempre stati i suoi migliori amici, i quali, per venti anni, le avevano tenuto nascosta una verità troppo grande per poter essere facilmente digerita o perdonata.

La tristezza e lo sconforto che Hermione provava raddoppiò, quando si rese conto che tutto quello a cui riusciva a pensare in quel momento non era la sua famiglia distrutta, né a come avrebbero potuto reagire Rose e Hugo una volta che avessero scoperto tutto; no, quello che la tormentava erano le conseguenze, che avrebbe potuto avere una notizia simile sul suo lavoro di Ministra della Magia.

Ginny sembrava incapace di fare altro che osservare a turno il fratello maggiore e il marito, la mente troppo annebbiata dal dolore e gli occhi colmi di lacrime non versate.

«Immagino che ce lo stiate dicendo, perché volete il divorzio», disse Hermione, mantenendo il sangue freddo, una volta che riaprì gli occhi, decisa a non piangere.

«Sì, vorremmo...», iniziò Ronald a parlare, ma Ginny non lo lasciò continuare e, dopo aver bevuto metà del contenuto del bicchiere di vino rosso di fronte a sè, rovesciò il liquido che avanzava sulle facce attonite del fratello e del marito.

«VENT'ANNI?!», urlò, gettando poi a terra il calice, che produsse un fastidioso rumore di vetri infranti.

L'intero ristorante sembrò ammutolirsi, la coppia del tavolo vicino guardava Ginevra con occhi sbarrati e sui volti di tutti gli astanti sembrava esserci un misto di sorpresa e di curiosità morbosa.

Un cameriere, il quale si trovava casualmente accanto al loro tavolo in quel momento, sembrava privo di parole e, quando Ginny gli chiese di portarle un altro bicchiere di vino, tutto quello che il ragazzo riuscì a fare fu annuire e allontanarsi, Hermione pensò che fosse alla ricerca, probabilmente, del direttore di sala.

«Siamo sposati da ventitré anni, Harry. Vuoi dirmi che venti di quei ventitré sono stati solo una bugia?», chiese con tono freddo Ginevra, mentre si asciugava con gesti confusi le lacrime, che non smettevano di rigarle il viso.

«Non li definirei una bugia, Ginny, lo sai che ti voglio bene, che voglio bene ai ragazzi e...», farfugliò Harry, mentre si ripuliva dal vino con il tovagliolo.

«E cosa? "Che non mi faresti mai del male"? Sei solo uno stronzo, egoista...»

In quel momento arrivò il cameriere con un nuovo bicchiere di vino, una scopa e una paletta, servì il calice a Ginevra, poi iniziò a pulire il disastro a terra.

«Volete sposarvi», disse Hermione, un sorriso amaro sulle labbra strette: «Avete aspettato che venisse approvata la legge sui matrimoni del sette Giugno. Ora capisco perché fossi così felice di quella legge, Ronald».

«Ho sentito parlare di quella legge, infatti mi sono sempre chiesta come abbiano fatto Tonks e Lupin a sposarsi», borbottò Ginny, mentre giocherellava col bicchiere colmo di vino.

«Si sono sposati, certo, così come molte altre coppie miste o coppie omosessuali negli anni, ma questo non toglie che fossero matrimoni illegali», disse Hermione, gli occhi taglienti fissi sul volto di Ronald: «Fatemi indovinare, magari avete anche i fogli del divorzio già pronti?»

Ron arrossì fino alla punta dei capelli ed Hermione ebbe la conferma ai propri sospetti.

«Sono Ministra della Magia da poco più di un anno e avrò il mio primo scandalo sulla copertina della Gazzetta del Profeta; devo informarmi, ma potrebbe essere un record», disse con tono brusco.

«Non era nostra intenzione farvi soffrire», disse Harry, gli occhi puntati sul volto scarmigliato di Ginevra, che aveva appena finito in un solo sorso il bicchiere di vino rosso, che le era stato appena portato dal cameriere.

«Beh, avete fallito, allora», disse Ginny, alzandosi in piedi, il bicchiere vuoto appoggiato sul bordo del tavolo, in equilibrio precario: «Mi fate schifo entrambi».

Con quelle ultime parole si allontanò con passi veloci dal tavolo, diretta all'ingresso, dove indossò il cappotto e uscì.

Harry rimase fermo ad osservare il posto vuoto lasciato da Ginny per un paio di secondi, poi guardò Ron, sospirò e si alzò a sua volta, inseguendola.

Hermione osservò la scena impassibile, poi portò i suoi occhi scuri in quelli azzurri di suo marito: «Fai avere alla mia assistente i documenti che devo firmare, la casa puoi venderla, bruciarla o farla evanescere, non m'interessa, è intestata a te e te la puoi tenere; non penso che sarà difficile dividere equamente il nostro caveau alla Grincott, posso averne uno nuovo senza problemi. Per quanto riguarda la stampa, non rilasciare interviste e non metterti in mostra. Hugo e Rose torneranno tra due settimane esatte e mi aspetto che sia tu a dire loro cos'è successo».

Per qualche secondo calò il silenzio sul tavolo, poi Hermione sospirò e Ronald riuscì a scorgere sul volto della moglie tutto il dolore, che fino a quel momento aveva egregiamente nascosto dietro ad una maschera impassibile: «Ho bisogno di tempo per accettarlo, quindi non starmi addosso e per favore, dì ad Harry di fare lo stesso. Non so se riuscirò mai a perdonarvi».

Prima che la ragazza potesse alzarsi e andarsene, Ronald la fermò: «Aspetta», disse, con tono agitato: «Abbiamo cercato di resistere, Merlino solo sa quante volte ci siamo detti che non sarebbe più dovuto succedere e che stavamo sbagliando. Ci siamo resi conto, quando era ormai troppo tardi, che non potevamo controllare i nostri sentimenti...»

«Così avete deciso di mentire».

Ron annuì, lo sguardo basso: «Abbiamo pensato che fosse necessario, che magari col tempo ci sarebbe passata l'infatuazione e sarebbe tornato tutto come prima, ma non è successo».

Hermione annuì: «Avresti dovuto dirmelo subito, avrei preferito saperlo venti anni fa, ora fa solo più male».

Ronald non trovò le parole per rispondere e rimase semplicemente a guardare il volto deluso e triste di Hermione, mentre si alzava, recuperava il cappotto e usciva dal ristorante.

Lo sguardo del rosso, appena la moglie scomparve, tornò sul tavolo e sul bicchiere che Ginny aveva abbandonato dietro di sé, in cui rimaneva sul fondo un goccio di vino rosso e sul bordo il segno del rossetto preferito di sua sorella, color pesca.

Harry tornò poco dopo, il volto stravolto dalle lacrime e gli occhiali storti sul naso: «Ginny è scomparsa, a casa non l'ho trovata e neanche da Molly».

Ron gli sistemò con un semplice gesto colmo d'affetto gli occhiali sul naso, poi sospirò e appoggiò il capo sulla spalla dell'amante: «Cosa faremo ora?»

«Non ne ho idea», rispose Harry.

Il cameriere comparve in quell'istante, con un sorriso nervoso in volto: «Siete pronti a ordinare?»

I due uomini si guardarono, poi Ron scrollò le spalle e annuì: «Due bicchieri di vino rosso, due bistecche, una al sangue e una ben cotta, per contorno verdure grigliate e patatine fritte».

Appena il ragazzo in livrea si allontanò con la comanda, Harry sorrise: «E per me non ordini niente?»

Ron aggrottò le sopracciglia, poi scoppiò a ridere: «Ovviamente non ho intenzione di mangiare tutto da solo, Harry».

Il moro sorrise e intrecciò le proprie dita a quelle del rosso: «Dici che abbiamo fatto bene?»

«Non aveva senso continuare a rimandare questo momento, avremmo dovuto dire loro la verità molto tempo fa».

«Ora dovremo dirlo ai ragazzi», rifletté a voce alta Harry: «James non è partito per la Spagna, potremmo iniziare con lui e vedere come reagisce».

Ron sospirò: «Ci penseremo domani, ora godiamoci la cena».

Il cameriere riapparve in quel momento con i loro calici di vino e Harry Potter e Ron Weasley ne approfittarono per brindare al loro amore, decisi a non pensare a tutta la sofferenza che dovevano aver causato a Ginny e a Hermione, o a quello che avrebbero detto i ragazzi, quando avrebbero saputo la verità.






 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine del primo capitolo di questa mia nuova dramione.

Che dire, l'idea di questa storia mi tormenta da mesi, ma avevo ancora "Momenti Rubati", "Bound to you" e "Il manigoldo e la duchessa" da finire, quindi ho messo da parte l'idea e mi sono dedicata alle mie storie attive.

Ora che di attiva ho solo "D'amore e altre coindidenze", penso di poter dedicare a questa nuova dramione il giusto spazio e il giusto tempo.

L'inizio è abbastanza sconvolgente, mi rendo conto, e so per certo che avete un sacco di domande su un sacco di cose che vengono appena accennate.

Sono qua per rassicurarvi: in questa storia ogni personaggi avrà una propria storia e una propria crescita, non solo i personaggi della generazione di Harry, ma anche la nuova generazione. Cercherò di fare una cosa che ho scoperto piacermi un sacco: gestire più personaggi contemporaneamente.

Essendo questo il primo capitolo abbiamo visto solo i quattro personaggi principali, ma abbiate fede; anche gli altri appariranno presto.

Cose ne pensate per il momento della storia?

Vi incuriosisce?

Non vedete l'ora di leggere il prossimo capitolo?

Temo che vi toccherà aspettare la prossima settimana, ma non disperate, farò il possibile per essere puntuale!

Se siete su Instagram e vi andrebbe di seguirmi anche lì, il nome del mio account è lazysoul_efp, se invece vorreste sostenere il mio lavoro donandomi un caffè, trovate il link alla mia pagina Ko-fi nella bio.

Un bacio e, ovviamente, buon anno nuovo ❤️

LazySoul

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Capitolo 2
*** Di quando Hugo, Rose, Lily, Albus e Fred arrivarono a Granada ***


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{Nel ruolo di Hugo Weasley-Granger in questa FF abbiamo Ezra Miller}

 

 

2. Di quando Hugo, Rose, Lily, Albus e Fred arrivarono a Granada



Hugo Weasley-Granger non sapeva una parola di spagnolo e continuava a chiedersi perché avesse accettato, senza pensarci almeno due volte, di seguire la sorella maggiore in quella vacanza.

Certamente la Spagna, per quel poco che aveva visto durante il tragitto da Malaga a Granada, su un velocissimo autobus Nottetempo, aveva un clima piacevole e un paesaggio interessante.

Rose aveva passato la maggior parte del tragitto sulle spine, e Hugo poteva immaginare il perché, anche se la sorella non gli parlava quasi mai di quello che le passava per la testa.

Rose era innamorata.

Hugo era sempre stato un bambino "sensibile", motivo per cui molti ritenevano che fosse stato erronemente smistato in Grinfondo, quando la sua vera casata di appartenenza sarebbe dovuta essere Tassorosso.

In realtà Hugo era semplicemente meno portato, rispetto ad altri suoi coetanei, al Quidditch, in primo luogo perché era sempre stato terrorizzato dalle altezze e in secondo luogo perché — malgrado gli sforzi — non era mai stato in grado di far sollevare una scopa da terra per più di qualche secondo; era meno interessato a materie scolastiche quali Difesa contro le Arti Oscure o Pozioni, dove gli capitava spesso di sbagliare gli incantesimi da lanciare o di sbagliare gli ingredienti da aggiungere, per pura disattenzione; era meno portato ad apprezzare semplici attività quali le gite ad Hogsmeade, dove era possibile rimpinzarsi di dolcetti di Mielandia e compare qualche stranezza nel negozio di Tiri Vispi Weasley.

Sommando tutte quelle sue "stranezze", che lo rendevano alquanto unico e quasi anormale per un Grifondoro, molti suoi coetanei, in particolare un paio di Serpeverde, avevano iniziato a chiamarlo "il Tasso mancato".

Hugo, al quale non importava poi molto l'opinione altrui, aveva imparato ad ignorare quei commenti o a rispondere con qualche battuta sagace se ne aveva voglia, per poi tornare subito dopo ad immergersi nella lettura di qualche libro.

Perché se Hugo aveva preso qualcosa da sua madre, era proprio la passione per lo studio, oltre agli ingestibili capelli castani e ricci e al suo infallibile intuito.

Intuito che lo aveva aiutato, negli ultimi mesi, a scoprire che Rose doveva essere certamente innamorata. Come avrebbe potuto non rendersi conto dei sospiri, degli sguardi persi ad osservare pareti vuote e dei sorrisi distratti che incurvavano a volte le labbra di sua sorella?

Scoprire la relazione segreta di Rose era stato fin troppo facile per Hugo; gli era bastato unire tutti i pezzi di puzzle che distrattamente la sorella lasciava dietro di sé: le lettere scritte al lume di candela senza che mamma o papà lo venissero a sapere durante le estati, i cioccolatini che riceveva per San Valentino ad Hogwarts il sesto e settimo anno, le continue visite ad Hogsmeade "da sola", le ore e ore trascorse a studiare in biblioteca, ma quando la si cercava, Rose non si trovava mai nel regno di Madama Pince, gli occhi sognanti che aveva quando qualcuno parlava di Scorpius Malfoy e soprattutto la sua mania di difendere a spada tratta ogni Serpeverde, anche il più infimo e crudele.

Quando Hugo aveva fatto sapere alla sorella di essere a conoscenza del suo segreto, Rose era arrossita, aveva provato a negare, poi aveva ammesso tutto, confermando a Hugo di essere effettivamente innamorata di Scorpius Hyperion Malfoy da tre anni ormai, aggiungendo però di non essere ancora pronta a farlo sapere a mamma e papà e che quindi era necessario che Hugo mantenesse il segreto per un po'.

Hugo, che era sempre stato una frana nel mantenere segreti, soprattutto a sua madre e suo padre, si era dovuto armare di coraggio, buona volontà ed esercitarsi ore e ore allo specchio per trovare un'espressione che non lasciasse intuire il senso di colpa che provava all'idea di dover mentire.

Quando Rose gli aveva scritto una lettera, poco prima del termine del suo ultimo anno ad Hogwarts, proponendogli di andare con lei, Lily, Albus e altri amici di scuola, in Spagna per una vacanza, Hugo aveva accettato senza pensarci due volte, così da posticipare di un paio di settimane il momento in cui sarebbe stato da solo in casa con sua madre.

Era, ovviamente, dovuto tornare a casa per lasciare il baule e la gabbietta con Leotordo in camera sua, per poi trascorrere qualche ora con sua madre, che lo aveva aiutato a preparare il bagaglio che avrebbe portato in Spagna, ma i due giorni scarsi che aveva passato sotto lo sguardo attento di Hermion non erano bastati per portarlo a confessare alcun segreto.

Il che poteva essere considerato un record personale, calcolando la sua inesistente propensione a mentire e a omettere informazioni.

«Quanto manca ancora?», chiese Lily, sollevando lo sguardo dalla rivista di moda che stava sfogliando distrattamente da quando erano saliti sul Nottetempo, quindi da una ventina di minuti.

Hugo osservò con un misto di ammirazione e malessere la cugina, chiedendosi, non per la prima volta da quando avevano messo piede sul Nottetempo, come potesse essere così tranquilla e rilassata su quel mezzo che viaggiava troppo velocemente, per le strade affollate del sud della Spagna.

Hugo trattenne l'ennesimo conato di vomito e spostò lo sguardo sulla sorella maggiore, che sembrava più verde di lui in quel momento.

«Non lo so, penso poco», disse Rose, le mani artigliate alla sedia sotto di lei e lo sguardo fisso di fronte a sé.

Si sentì l'ennesimo BANG, e il conducente passò per far sapere che la successiva fermata sarebbe stata Granada.

«Ora hai la tua risposta», disse Albus, a sua volta pallido e con una smorfia in volto: «Rose, ricordami di dissuaderti la prossima volta che cercherai di farci salire su un mezzo simile», aggiunse il ragazzo, puntanto i suoi occhi verdi in quelli della cugina e migliore amica.

All'ennesimo BANG il Nottetempo si fermò in un parchggio deserto, poco distante da un parco rigoglioso, dal quale provenivano le grida di gioia di bambini e ragazzi.

Recuperati i rispettivi bagagli, Lily, Rose, Albus e Hugo, subito dopo aver svegliato Fred Weasley II, che era riuscito ad addormentarsi appena erano saliti sul Nottetempo, scesero dal mezzo e si guardarono intorno con un misto di smarrimento e curiosità.

Fred si stiracchiò e sbadigliò, grattandosi distrattamente la nuca: «Dov'è Malfoy?»

Albus scrollò le spalle e sospirò, appoggiò a terra il proprio baule e ci si sedette sopra: «Conoscendolo sarà in ritardo».

Rose fece una piccola smorfia, ma non disse nulla e si limitò ad estrarre dalla propria borsa il libricino che aveva comprato poco prima della partenza, dove erano indicati tutti i luoghi magici e non da visitare a Granada e dintorni.

Lily osservò il fratello e i cugini, poi sospirò a sua volta e riaprì la rivista che stava leggendo sul Nottetempo. Hugo, accanto a lei si sporse appena per sbirciare quello che c'era scritto sulle pagine sottili e patinate, ma perse quasi subito interesse quando si rese conto che era la sezione dedicata agli scoop tra giocatori di Quidditch, sport in cui Lily era sempre stata molto più brava di lui; la cugina era infatti stata per quattro anni nella squadra di Grifondoro nel ruolo di portiere.

«Ci saranno dei provini tra un mese», disse Lily, lanciando a Hugo un'occhiata colma di inarrestabile eccitazione: «Mamma ha promesso di parlare con qualche sua vecchia conoscenza per assicurarmi una carriera nel Quidditch».

«Wow... e sei sicura che sia quello che vuoi fare?», domandò Hugo, osservando con curiosità la cugina.

Lily chiuse la rivista e aggrottò le sopracciglia: «Cosa intendi?»

«Intendo... vuoi davvero essere una giocatrice professionale di Quidditch? Per tutta la vita?»

Lily socchiuse le labbra, pronta a rispondere, poi richiuse la bocca e rimase per qualche secondo con lo sguardo perso in un punto indefinito dell'orizzonte, la fronte ancora aggrottata.

«Non so se è quello che farò per tutta la vita, ma di sicuro è quello che mi piacerebbe fare per ora», disse alla fine la ragazza, riportando gli occhi verdi in quelli scuri del cugino.

Hugo si limitò ad annuire e non aggiunse altro.

Era forse possibile che lui, Hugo Weasley-Granger, figlio della Ministra della Magia, Hermione Granger, e di un famoso Auror, Ronald Weasley, fosse l'unico, dopo i sette anni ad Hogwarts, a non avere ancora idea di cosa fare della propria vita, mentre tutte le altre persone intorno a lui sembravano avere le idee molto chiare?

Gli occhi di Hugo si spostarono dal volto di Lily, che era tornata a leggere gli ultimi pettegolezzi nel mondo del Quidditch, per posarsi sulla testa di spettinati capelli neri del cugino, Albus.

Hugo sapeva che Al era sul punto di diventare un Auror come suo padre, aveva infatti trascorso l'ultimo anno a frequentare il corso e entro un mesetto sarebbero arrivati via posta i risultati degli esami finali che aveva sostenuto nelle stesse settimane in cui Hugo aveva avuto i suoi M.A.G.O.

Rose invece aveva passato l'ultimo anno tra le corsie del San Mungo, dove stava frequentando il corso per diventare una Medimaga, corso che entro un anno sarebbe terminato e le avrebbe permesso di iniziare a mettere in pratica tutto ciò che stava apprendendo.

Gli occhi di Hugo si posarono poi su Fred Wealsey II, che stava giocherellando con una delle recenti invenzioni di suo padre, un dado truccato. Persino lui aveva le idee molto chiare su quello che voleva diventare da grande e non faceva mistero con nessuno di voler espandere l'attività dei Tiri Vispi Weasley in tutto il Mondo Magico, una volta che suo padre l'avesse ritenuto abbastanza grande da poter gestire l'azienda di famiglia.

Hugo sospirò e si sedette sul marciapiede, dando le spalle ai suoi compagni di viaggio.

Aveva superato i M.A.G.O. con ottimi risultati, riuscendo ad ottenere voti alti anche in Pozioni e Difesa Contro le Arti Oscure — le materie in cui solitamente era meno portato — il che gli avrebbe permesso di ottenere potenzialmente un lavoro ovunque.

Eppure Hugo continuava a non sapere cosa gli sarebbe piaciuto fare per il resto della sua vita.

Quello che sapeva era che gli piaceva leggere libri e riviste, che Rune Antiche e Storia della Magia erano state le sue materie preferite ad Hogwarts e che lo studio, in generale, era sempre stata la sua attvità preferita.

Hugo si rese conto in quel momento, mentre osservava il parcheggio grigio e vuoto in cui erano stati lasciati dal Nottetempo, che non aveva mai fatto nulla nella sua vita che potesse essere anche solo lontanamente classificato come "interessante" e quel pensiero lo depresse ancora di più.

Durante i sette anni ad Hogwarts aveva avuto numerose opportunità per fare qualcosa di "interessante".

Avrebbe potuto, per esempio, accompagnare suo cugino James quando era andato nella Foresta Proibita a cercare uno strano e raro fiore da regalare a una ragazza di Corvonero a cui aveva fatto la corte per qualche mese, prima di dimenticarsi di lei e iniziare a perseguitare una povera Tassorosso.

Avrebbe potuto sgattaiolare ad Hogsmeade attraverso il passaggio segreto dietro alla strega orba con Fred e Albus, i quali utilizzavano quasi settimanalmente quel tunnel per fare aquisti ai Tiri Vispi Weasley, nascosti dal mantello dell'invisibilità dello zio Harry.

Avrebbe potuto entrare nella Sezione Proibita della biblioteca di Hogwarts di notte con Rose, per cercare antichi e pericolosi libri da studiare in gran segreto e di cui vantarsi di fronte al resto dei Grifondoro.

Avrebbe potuto creare un club segreto come Lily e Fred, oppure trovare qualcuno con cui condividere avventure, come Rose e Scorpius, oppure sfruttare il proprio cognome per ottenere gratuitamente dolcetti da Mielandia e burrobirre ai Tre Manichi di Scopa come Albus, oppure spezzare il cuore di mezza Hogwarts come Victorie e Dominique, oppure dedicarsi a studi avanzati e spasmodici tentativi di raggiungere la perfezione come Molly e Lucy.

Invece era stato per sette lunghi anni il "Tasso mancato", aveva studiato quando aveva dovuto studiare, aveva rispettato le regole, stretto qualche amicizia e tenuto un profilo basso per tutto il tempo. Mai una volta aveva ottenuto un castigo o dei compiti extra, mai una volta aveva preso voti inferiori alla O e non era nemmeno mai stato convocato nello studio della Preside McGranitt.

L'unica azione vagamente illegale che aveva compiuto in sette anni, era stato sgattaiolare qualche volta nelle cucine per sgraffignare del cibo extra.

«Dove sei?»

Hugo voltò il capo e studio il volto corrucciato di sua sorella, mentre parlava al cellluare con quello che, molto probabilmente, doveva essere Scorpius Malfoy.

La moda dei cellulari babbani non aveva ancora raggiunto Hogwarts, ma la Londra magica sì.

Quell'invenzione babbana era tanto comoda e geniale da aver attirato l'attenzione di un ricco mago d'affari che aveva aperto un negozio nella Londra magica, dove aveva iniziato a vendere cellulari a tutti i maghi e le streghe interessate ad una comunicazione più rapida e comoda rispetto ai gufi o ai camini.

Nell'arco di qualche anno, Hugo aveva notato sempre più persone munite di cellulari e quello che era stato un piccolo negozietto, era diventato una grande azienda che s'impegnava di importare, ogni anno, nel mondo magico un unico oggetto babbano, incantato in modo da diventare indispenzabile ai maghi e alle streghe di tutta Londra.

Suo cugino James aveva trovato lavoro in quell'azienda una volta terminati gli studi, due anni prima, e da quello che Hugo sapeva era molto felice e molto ben pagato.

«Hai sbagliato strada? Pensavo che conoscessi Granada come... E perché non stai guidando tu?»

Hugo sospirò, distolse lo sguardo dall'espressione a dir poco scocciata di sua sorella e tornò a guardare il parcheggio vuoto e grigio di fronte a sé.

Forse, se non avesse trovato la propria strada, avrebbe sempre potuto lavorare come James nell'azienda che vendeva oggetti babbani ai maghi... O se mai Gazza fosse andato in pensione, avrebbe potuto prendere il suo posto come custode di Hogwarts, o, ancora meglio, avrebbe potuto diventare bibliotecario quando Madama Pince si fosse resa conto di esser ormai troppo vecchia e cieca per lavorare in mezzo ai libri.

«No, non sono arrabbiata», disse Rose, con un tono di voce molto arrabbiato, che fece sorridere sotto ai baffi Hugo.

«Ma sta arrivando?», chiese Albus, alzandosi dal baule per avvicinarsi alla cugina; era disposto ad origliare pur di sapere quando Scorpius li avesse degnati della propria presenza.

«Al vuole sapere se hai intenzione di venirci a prendere o...»

In quell'istante Rose si zittì e Hugo sussultò, nel constatare che una macchina babbana dall'aria costosa aveva rumorosamente inchiodato di fronte a loro.

Scorpius scese dalla vettura con un sorriso e il cellulare ancora premuto contro l'orcchio.

Hugo, non per la prima volta in vita sua, capì perché Rose si fosse perdutamente innamorata di Scorpius Hyperon Malfoy.

Tanto per cominciare era un bel ragazzo, coi lineamenti armoniosi e un paio di occhi tanto chiari e luminosi da essere invidiati da ogni persona che incrociava il suo cammino. In secondo luogo, sapeva di essere attraente e non aveva paura di usare la propria bellezza a sua favore.

Ma mettendo da parte l'aspetto fisico, che era, in fin dei conti, effimero, Scorpius rimaneva un ragazzo simpatico, sempre pronto a fare battute divertenti, espansivo, dato che non si faceva problemi a parlare con tutti, e intelligente, tanto da aver preso un paio di volte dei voti più alti di Rose ad Hogwarts.

Sì, Hugo capiva fin troppo bene perché Rosa si fosse innamorata di un simile ragazzo.

«Ciao, Rosie», disse Scorpis, posando il cellulare in tasca, prima di ignorare tutti gli altri e raggiungere la propria ragazza, che strinse in un caloroso abbraccio.

Fred fece una smorfia a quella vista e Al sollevò gli occhi al cielo, scocciato, mentre Lily li osservava con un misto di invidia e ribrezzo.

Hugo distolse semplicemente lo sguardo dalla coppia, per posarlo nuovamente sull'auto nera parcheggiata di fronte a lui, dalla quale uscì una ragazza.

In un primo momento Hugo pensò di aver già visto quegli occhi azzurri e quei capelli biondo pallido da qualche parte, poi si rese conto che la ragazza assomigliava in modo impressionante a Scorpius e si chiese se Malfoy non avesse per caso una sorella gemella.

La ragazza chiuse la portiera alle sue spalle e fece il giro dell'auto, così da raggiungere il marciapiede su cui si trovavano tutti quanti.

«Ciao», salutò, puntando i suoi occhi chiari su ognuno dei visi presenti, prima di sorridere e presentarsi: «Io sono Morgan, la cugina di Scorpius».

«Non sapevo che Scorpius avesse una cugina», disse Lily, osservando con espressione incuriosita la ragazza.

Morgan scrollò le spalle: «Ho studiato a Beauxbatons», disse semplicemente, prima di puntare i suoi occhi su Hugo: «Tu chi sei?»

Il ragazzo sorrise timidamente: «Sono Hugo, il fratello di Rose», disse, indicando la ragazza che si trovava ancora tra le braccia di Scorpius.

Morgan allungò la mano e Hugo la strinse.

«Piacere di conoscerti Hugo, fratello di Rose».

Nei successivi minuti Morgan si presentò al resto del gruppo, ottenendo occhiate d'ammirazione da tutti quanti, anche da Lily, la quale volle sapere dove avesse comprato il foulard che indossava intorno al collo e che le dava un'aria sbarazzina.

«Ora che le presentazione sono state fatte, direi di metterci in marcia», disse Scorpius, aprendo il bagagliaio della macchina, che era stato incantato in modo tale da poter contenere tutte le loro valige.

«Oh, benvenuti a Granada!», dissero Morgan e Scorpius insieme, sfoggiando due sorrisi colmi di allegria, prima di far entrare i loro ospiti in macchina.

 

 

****

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci arrivat* al secondo capitolo, dedicato alla presentazione di altri personaggi principali.

Chiedo scusa se la vicenda per il momento è piuttosto piatta e molto introspettiva, ma per ancora un paio di capitoli dovrete portare pazienza, temo. Sto sfruttando l'inizio della storia per delineare a grandi linee i personaggi, che come potete notare sono un bel po', cercando di dare a ciascuno una caratterizzazione.

Come potete vedere ho mantenuto i personaggi creati da Rowling, ma ho fatto una piccola aggiunta, ossia Morgan, la misteriosa cugina di Scorpius che ha studiato a Beauxbatons e di cui scopriremo altro nei prossimi capitoli.

Dato che ho tanti personaggi da gestire, vi chiedo di pazientare se non vedete subito scene con Draco ed Hermione, arriveranno, non vi preoccupate.

Nel frattempo spero che l'arrivo a Granada dei nostri giovani personaggi vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate per il momento della storia.

Come sempre ricordo che potete trovarmi anche su Instagram (lazysoul_efp), e che se foste interessat* a donarmi un caffè per supportare le mie storie, potere trovare il link alla mia pagina Ko-fi nella mia bio.

Vi mando un grosso bacio e vi auguro una buona festa della Befana!

LazySoul

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Capitolo 3
*** Di quando Ginny di svegliò in un letto che non era il suo ***


 

3. Di quando Ginny di svegliò in un letto che non era il suo


 

Quando Ginevra Weasley in Potter si svegliò, la prima cosa che sentì fu dolore.

Aveva avuto mal di testa negli ultimi mesi, passati a corteggiare assiduamente le bottiglie di vino, idromele e Whisky Incendiario che trovava per casa e che comprava con fin troppa frequenza, eppure il dolore alle tempie che provava in quel momento non era minimamente paragonabile a nulla che aveva provato prima.

Con un verso a metà strada tra un gemito colmo di sofferenza e un lamento pieno di fastidio, Ginevra si rigirò tra le coperte, alla ricerca del comodino e della propria bacchetta.

Fu in quel momento che si rese conto che c'era qualcosa di diverso dal solito nel letto in aveva dormito quella notte, qualcosa di impalpabile... era forse l'odore? La luce troppo intensa che penetrava dalla finestra?

Ginny si stava giusto chiedendo come fosse possibile che la luce giungesse di fronte a lei e non alla sua destra, quando cadde dal letto, portandosi dietro le coperte e un cuscino.

Imprecò, cercò di liberarsi dalle lenzuola che l'avvolgevano e aprì gli occhi, incontrando non il soffitto bianco a cui era abituata.

Ginevra aggrottò le sopracciglia e si sfregò gli occhi, che le bruciavano appena, ma il soffitto di un tenue celeste con le decorazioni in oro, che parevano viticci, rimaneva sopra di lei, a farsi beffe del suo mal di testa e della sua momentanea amnesia.

Ginevra osservò le coperte impeccabilmente bianche che l'avvolgevano e il pavimento in legno chiaro su cui si trovava, poi i suoi occhi, sempre più sbarrati dalla sorpresa, si posarono su un armadio dall'aspetto antico e una valigia, la sua valigia, malamente abbandonata a pochi passi da lei.

La donna si sollevò a sedere, massaggiandosi la spalla che avava attutito la sua caduta dal letto e fissò sbalordita la finestra, le cui tende non erano state tirate, permettendo ai raggi accecanti del sole di penetrare nella stanza.

Ginevra non conosceva il paesaggio oltre la finestra, ma ne rimase subito incantata e non potè fare altro che alzarsi e barcollare fino ad avvicinarsi più che poteva a quella vista.

Davanti a lei c'erano colline verdi ricoperte da vigne, vigne che si stendevano fino a dove l'occhio poteva arrivare. Il verde brillante delle foglie di vite e dei prati era interrotto saltuariamente da cascine, piccoli borghi e qualche strada asfaltata.

Il cielo era azzurro ceruleo, attraversato da poche nuvole candide e il sole alto illuminava il paesaggio, rendendolo ancora più suggestivo.

«Dove Merlino sono finita?», sussurrò Ginevra, passandosi le mani sul volto stanco, prima di osservare la stanza in cui si trovava.

Quella che aveva di fronte non era la sua camera da letto, ma una lussuosa stanza dominata dal colore celeste pastello delle pareti e dalle decorazioni d'oro, che Ginny si rese conto essere davvero viticci stilizzati.

La donna si lanciò sul comodino, dove si trovavano la sua bacchetta e un plico di fogli che, era certa, l'avrebbero aiutata a capire dove si trovasse.

Afferrò quelle pagine svolazzanti e si sedette sul comodo letto su cui aveva dormito quella notte e iniziò a leggere, con occhi avidi.

Analizzando i fogli misteriosi scoprì di aver approfittato di un'offerta dell'ultimo secondo, per un soggiorno di dieci giorni in un lussuoso agriturismo a conduzione familiare collocato nelle vicinanze di Neive, in Italia.

Il pacchetto per cui aveva versato una somma ingente di denaro all'agenzia viaggi aperta ventiquattr'ore su ventiquatro a Diagon Alley, sembrava prevedere i pasti, gite organizzate nelle vicine città, escursioni a cavallo, giornaliere degustazioni di vini, passeggiate, visite guidate a musei e l'utilizzo della piscina e della palestra dell'agriturismo in cui alloggiava.

Ginevra posò i fogli sul suo grembo e tornò a fissare, con gli occhi sbarrati, il paesaggio delle langhe oltre la finestra.

Erano anni che sognava un viaggio in Italia, viaggio che non si era mai concessa, senza sapere mai davvero il perché, e ora si trovava in un agriturismo gestito da maghi nel bel mezzo di un paesaggio suggestivo, lontana da casa, da...

Fu in quel momento, mentre cercava di rammentare cosa l'avesse spinta ad un gesto simile, che ricordò la cena della sera prima e il segreto che Harry, suo marito, e Ronald, suo fratello , avevano svelato a lei ed Hermione, dopo venti anni di bugie.

Ginevra si portò le mani a coprirsi il volto stravolto dalle lacrime e lasciò che i singhiozzi le sconquassasse il petto.

I fogli con i dettagli del suo pernottamento si sparsero disordinatamente a terra, quando si raggomitolò in posizione fetale contro il morbido materasso del letto.

Ginny era abituata a piangere, ormai lo faceva quasi ogni giorno da mesi, eppure quella volta sentiva che era diverso.

Le lacrime del passato erano state provocate dall'incertezza e dalla solitudine, dal comportamento scostante di Harry e dalla sofferenza che vedere casa sua vuota le provocava.

Le lacrime del presente erano diverse, Ginevra non piangeva più per qualcosa che non riusciva a capire, ma per qualcosa che faticava ad accettare.

Come poteva farlo? Come poteva accettare di aver speso vent'anni della propria vita accanto a un uomo che aveva amato fino all'adorazione, ricevendo in cambio solo bugie e finto affetto?

Era possibile perdonare un simile inganno?

Ginny ripensò alla sera prima, alla scenata che aveva fatto in quel ristorante babbano e ridacchiò appena, al pensiero di come dovesse essere apparsa agli occhi degli altri astanti.

"Avranno pensato che sono pazza", pensò, asciugandosi il volto con mani tremanti.

«Io non sono pazza», disse in un sussurro, tra i singhiozzi, mentre recuperava da terra le coperte e vi si avvolgeva stretta: «Avrei voluto vedere loro al mio posto».

Non per la prima volta, pianse fino allo sfinimento e quando non rimase nemmeno una lacrima da versare, Ginevra chiuse gli occhi e si addormentò.

 

Venne svegliata dal suono di una risata maschile e dal rumore di tacchi contro il parquet.

Ginny socchiuse appena gli occhi e constatò con gioia che il mal di testa sembrava averla abbandonata.

Origliò distrattamente le voci che giungevano oltre la sua porta, ma si rese ben presto conto di non capire nulla di quello che veniva detto e per la seconda volta nell'arco di poche ore si ricordò di non trovarsi nel suo letto, a casa sua, ma in un agriturismo di lusso, in Italia.

Controllò l'orologio a pendolo accanto alla porta e vide che erano le cinque del pomeriggio, il che voleva dire che aveva sprecato il suo primo giorno di soggiorno in un paese straniero dormendo.

Per un attimo l'apatia che provava, venne sostituita da un indignazione tanto forte da farla alzare dal letto.

Ginevra Weasley in Potter, la donna depressa e sola, venne messa da parte da Ginny, la ragazza ribelle e coraggiosa che era sempre stata.

Non avrebbe sprecato quell'incredibile occasione di visitare quel piccolo angolo di paradiso in modo tanto sciocco: avrebbe messo da parte la tristezza e il rimpianto, li avrebbe chiusi a chiave in un angolino della sua mente e avrebbe approfittato di quell'incredibile e unica occasione, per riscoprire se stessa e i propri desideri.

Con gesti impacciati Ginny raccattò da terra i fogli sparsi e cercò gli orari dei pasti.

Scoprì di avere un'ora per prepararsi all'aperitivo delle sei, dopo il quale ci sarebbe stata la cena alle otto e, per chi fosse stato interessato, sarebbe stato possibile assistere dalle sette alle otto alla preparazione della pasta in cucina.

Colta da una risoluzione che credeva di aver perduto per sempre, Ginny raggiunse la sua valigia, recuperò un cambiò d'abiti — dato che indossava ancora il vestito che aveva selezionato per la cena della sera prima — e si diresse verso la porta socchiusa accanto al terrazzo, che dava su un bagno impeccabilmente pulito sui toni del rosa antico.

Iniziò a riempire la vasca d'acqua calda e recuperò dei sali da bagno dall'armadietto in cui si trovavano gli asciugamani e la cartaigienica.

Mentre aspettava che la vasca si riempisse, si spogliò e rimase immobile, di fronte allo specchio a parete, ad osservare il proprio corpo nudo.

Seguì distrattamente con gli occhi le numerose lentiggini che le tempestavano ogni centimetro di pelle candida, poi il suo sguardo osservò la ragnatela perlacea delle smagliature che aveva sui fianchi e sulla pancia e i seni non più sodi come un tempo.

Ginny sapeva di assere una bella strega, l'aveva sempre saputo, e i quarant'anni non le avevano portato via quella consapevolezza.

Malgrado fosse passato del tempo da quando aveva dedicato del tempo alla cura del proprio corpo, doveva ammettera a se stessa di avere ancora un aspetto invidiabile.

Ginevra non era mai stata schiava di trattamenti di bellezza o prodotti costosi che promettevano miracoli; aveva usato qualche crema idratante quando aveva sentito la pelle più secca del solito e aveva dedicato una particolare attenzione alla sua lunga chioma rosso fuoco che faceva toccare solo da una strega estetista molto brava, ma non aveva mai cercato un modo per sembrare più giovane o di celare le rughe agli angoli degli occhi e della bocca.

Le mani della donna percorsero i propri fianchi morbidi, saggiando la consistenza non più elastica come un tempo della pelle, poi le dita si posarono sul suo volto, dove cercò di nascondere le sottili rughe d'espressione.

Con una scrollata del capo Ginny sorrise di se stessa e del suo comportamento sciocco.

Essendo una strega sapeva per certo che non esisteva un incantesimo per bloccare l'avanzamento dell vecchiaia, poteva forse rallentare di qualche anno la formazione di ulteriori rughe, ma sapeva che una volta che l'effetto dell'incantesimo fosse svanito, avrebbe ottenuto ancora più rughe di quante ne avrebbe avute se non l'avesse usato.

L'idea di diventare schiava di un incantesimo simile fece inorridire Ginevra, che smise di osservare in modo tanto critico il proprio riflesso e s'immerse nella vasca da bagno.

Tutti i pensieri negativi che aveva avuto fino a quel momento scomparvero, sostituiti da un senso di pace e contentezza che non provava da tanto tempo.

Intuì che un simile cambiamento di stato d'animo dovesse essere merito dei sali da bagno, che dovevano essere impregnati di qualche incantesimo o pozione che stimolavano la positività e la serenità, e non potè fare a meno di lasciarsi avvolgere da un simile senso di pace, speranzosa che durasse il più a lungo possibile.

Si lavò il corpo e i capelli con minuziosa attenzione, godendosi quei prezioni momenti di pace.

Non pensò ad Harry o Ron, nè ai suoi figli, nè alla sua vita distrutta, si concentrò invece su se stessa e sul proprio benessere.

Si sfregò con una spugna morbida il corpo, poi utilizzò uno shampoo profumato per i capelli e solo quando si sentì completamente pulita e serena, uscì dalla vasca.

Quel bagno sembrava averle depurato non solo la pelle, ma anche l'anima; facendola sentire sicura come un tempo, quando era ancora una ragazza e tutto quello che desiderava era giocare a Quidditch e passare del tempo con Harry...

Ginny scosse la testa e sussurrò con convinzione quello che stabilì essere il suo nuovo mantra: «Non pensarci, non ne vale la pena, non ora».

Si frizionò il corpo con un asciugamano, poi pettinò con minuziosa attenzione i lunghi capelli rossi, che asciugò con un incantesimo.

Dopo aver indossato un paio di pantaloni a palazzo marroni e una camicetta leggera color senape, recuperò le sue scarpe décolletté nere, le uniche che sembrava essersi portata dietro per il suo viaggio, e una borsetta nera, dentro alla quale riuscì a infilare comodamente la propria bacchetta, i fogli della prenotazione e la chiave della stanza, che si trovava nella toppa della porta.

Non si preoccupò di nascondere le proprie occhiaie con un incantesimo di disillusione o di sistemare le ciglia con il piegaciglia o di applicare il suo rossetto preferito, color pesca, sulle labbra; le sembrava di essersi lasciata alle spalle preoccupazioni tanto futili e non si era mai sentita tanto sicura e serena.

Uscì dalla stanza, chiuse la porta alle proprie spalle e percorse il corridoio con passo lento e cadenzato, intenta com'era ad osservare l'affresco in movimento che raffigurava un incantevole paesaggio bucolico, dove fauni, centauri, unicorni e ninfe si muovevano armoniosamente in una danza priva di musica.

Arrivò ben presto ad un ascensore al cui interno, fortunatamente, trovò un grande cartello che indicava, per ogni piano, tutti gli ambienti che vi si potevano trovare.

Quando notò che bar, cucina e sala da pranzo si trovavano tutti al piano terra, premette il pulsante che riportava una grossa T rossa e decise che la sua prima tappa sarebbe stata la reception, dove sperava di poter scoprire qualcosa di più sulla prenotazione che aveva effettuato.

Quando sentì un dolce trillio, le porte dell'ascensore si aprirono, mostrandole l'atrio in tutto il suo splendore.

L'ambiente era riccamente decorato da variopinti affreschi babbani sulle pareti, dai soffitti, ugualmente abbelliti, pendevano lampadari in ferro sui cui bracci splendevano centinaia di candele.

L'atrio si apriva su un elegante salotto sui toni dell'ecrù e sulla sala da pranzo, i cui colori dominanti erano il rosso e il bianco.

Alla sua destra, Ginny individuò subito il bancone della reception, oltre al quale poteva vedere un giovane uomo e una giovane donna parlare tra loro con tono concitato.

Ora che si trovava in quell'ambiente tanto spettacolare, ricordi confusi del suo arrivo la sera prima iniziarono a comparirle disordinatamente tra i pensieri.

Ciò che era certo era che non aveva parlato con quei due giovani receptionist e che quindi poteva sperare di non essere già conosciuta come l'inglese ubriacona.

Sfoggiando il suo miglior sorriso, Ginevra si avvicinò al bancone dell'accoglienza e iniziò ad estrarre dalla borsa i fogli che attestavano la sua prenotazione.

«Buonasera, volevo chiedere...»

«Buonasera, signora Potter», dissero in contemporanea i due giovani, con un marcato accenno italiano, interrompendo istantaneamente la discussione che stavano avento fino a qualche secondo prima.

«Come posso aiutarla?», chiese la giovane donna, sporgendosi dal bancone per osservare i fogli che Ginevra stringeva tra le mani, mentre il collega abbassava lo sguardo su un plico di documenti di fronte a lui.

«Mi chiedevo nello specifico quali attività siano comprese nella mia prenotazione...», iniziò Ginny, per poi arrossire leggermente e continuare con un falso sorriso sulle labbra: «Vede, questo soggiorno mi è stato regalato, quindi non ho le idee molto chiare su...»

«Certo, controllo subito!», la giovane donna prese i fogli che Ginny le porgeva e li osservò con attenzione, sistemandosi con movimenti nervosi gli occhiali sul naso.

«Lei ha il pacchetto tutto compreso, signora Potter», disse la receptionist, estraendo una matita dalla propria tasca, per evidenziare un paragrafo specifico dei fogli di prenotazione: «Come può vedere qua lei può svolgere tutte le attività che...», la giovane prese un depliant, da un plico sul bancone, e lo aprì, per mostrarne il contenuto a Ginevra: «... può trovare qua comodamente elencate. Le consiglio di far sapere a me o un collega quali attività sceglie con un minimo di preavviso, mi riferisco a questa sezione qua...»

Ginevra osservò la colonna in cui erano segnate alcune attività; tra cui l'equitazione, le gite ad Alba, Torino e Barbera e il tour delle cantine della zona.

«Per il resto può partecipare alle escursioni a piedi presentandosi nel punto d'incontro stabilito almeno dieci minuti prima dell'orario di inizio, trova tutto quello che le può servire su quest'altro depliant. Per questa sera, oltre all'aperitivo, può assistere alla preparazione della pasta nella cucine...»

«Mi piacerebbe molto», disse Ginevra, sorridendo cordialmente alla receptionist.

«Ottimo, allora ha mezz'ora per raggiungere le cucine, nei depliant può trovare una mappa dettagliata dell'agriturismo e tutte le informazioni necessarie, ma se dovesse avere ulteriori dubbi, noi siamo qua per questo».

«Grazie per la disponibilità, buona serata», disse Ginny, prima di recuperare tutti i fogli e i depliant e dirigersi verso l'arco che portava alla sala da pranzo e al bar.

Si sedette a uno dei tavoli e fece ordine tra i diversi documenti; ripose in borsa quasi tutto, tenendo da parte l'opuscolo sul quale si trovava la mappa dell'agriturismo e iniziò a studiarla con occhio attento, chiedendosi perché chiamassero agriturismo quello che a lei sembrava in tutto e per tutto un palazzo.

Quando un giovane cameriere si avvicinò per prendere la sua ordinazione, Ginevra rimase ad osservarlo per qualche secondo, incerta su come comportarsi.

Se da una parte era certa che un bicchiere di vino non le avrebbe di certo fatto male, dall'altra aveva paura che potesse tornarle il mal di testa di quella mattina o che, ancora peggio, un bicchiere potesse non bastarle.

Le costò fatica rifiutare, ma appena il cameriere si fu allontanato, Ginevra si sentì più leggera e serena.

Era certa che non avrebbe potuto ignorare il vino per sempre, non quando si trovava nelle langhe, circondata da vigneti e cantine, ma era determinata a contenersi abbastanza da non ubriacarsi tanto come la sera prima, di cui ricordava ben poco dopo la prenotazione di quel viaggio.

Con una smorfia di stupore, Ginevra si rese conto di non aver ancora informato nessuno della sua improvvisa decisione di prendersi una vacanza e senza pensarci due volte si alzò, diretta verso la reception, dove chiese due fogli e una penna per scrivere due veloci lettere; la prima indirizzata a Hermione, la seconda ad Harry.

Dopo averli rassicurati di stare bene e di esser intenzionata a tornare a Londra entro una decina di giorni, consegnò le missive alla giovane receptionist, che s'incaricò di spedirle, utilizzando i gufi dell'agriturismo quella sera stessa.

Osservando un elaborato orologio dalla spessa cornice d'oro, sulla parete dietro al bancone d'accettazione, Ginevra si rese conto che mancavano una manciata di minuti alla lezione sulla pasta e senza perdere ulteriore tempo percorse con passo sostenuto il lungo corridoio che affiancava la sala da pranzo e il bar, arrivando nell'arco di una manciata di minuti di fronte alle porte chiuse che conducevano alla cucina.

Trovò un gruppetto di sei o sette persone in attesa e tirò un sospiro di sollievo, quando si rese conto che doveva essere arrivata giusto in tempo.

Un signore sulla cinquantina attaccò subito bottone con lei, chiedendole se fosse sola e se avrebbe gradito un po' di compagnia.

L'effetto rilassante del bagno di qualche ora prima non era ancora svanito e Ginny non ebbe problemi a rispondere affermativamente, mentre inziava a conversare animatamente con il signor Lacroix, produttore di pregiato champagne nella regione di Côte de Blancs, a nord-est di Parigi.

Ginevra si rese ben presto conto che il signor Emile Pierre Lacroix, oltre ad essere un uomo avvenente e affascinante, era anche molto ricco e ambizioso; si trovava infatti a Neive per una questione di affari, dato che era sua intenzione espandere i propri possedimenti e chiedere per questo un aiuto all'influente proprietario dell'agriturismo, che gli aveva promesso un incontro privato.

Nel sentire parlare del misterioso proprietario, un uomo molto impegnato, secondo il signor Lacroix, qualche ricordo confuso della sera prima sembrò invadere disordinatamente la mente di Ginevra.

All'improvviso l'immagine sfocata di un volto maschile era apparsa tra i pensieri della donna, portandola a credere che lei avesse avuto la fortuna d'incontrare il famoso proprietario, il quale si era gentilmente disturbato ad accompagnarla fino alla sua camera, per assicurarsi che non si facesse del male.

Frustrata di non poter ricordare altro della sera prima, Ginevra ringraziò Merlino e Morgana quando le porte della cucina si aprirono e un'anziana signora dai capelli argentati, raccolti in una crocchia elegante, li accolse con un caloroso benvenuto; salvandola dal noioso monologo del signor Lacroix.

Per qualche secondo Ginevra si sentì a dir poco spaesata, nel sentire la signora iniziare a parlare in italiano, poi si tranquillizzò quando si rese conto del giovane uomo allampanato che, alle spalle della donna, iniziò subito a tradurre in inglese le parole di benvenuto .

L'anziana signora si chiamava Rita, era la zia del proprietario ed era una figura molto importante in cucina, dato che molti piatti del menù derivavano da sue personali ricette.

Fu lei, con l'assistenza del traduttore a raccontare la storia della pasta e poi a mostrarci, in ogni singolo dettaglio, come preparare dei perfetti tajarin, anticipandoci che, se fossimo stati interessati, avrebbe tenuto una seconda lezione dedicata ai ravioli del plin la sera successiva.

Ginevra, che era sempre stata meno brava di sua madre in cucina e che non conosceva le ricette di cui parlava con allegria la signora Rita, decise che frequentare quelle lezioni di cucina italiana non le avrebbe fatto certamente male e rimase affascinata ad osservare ogni singolo procedimento.

Alla fine della lezione si trattenne qualche minuto di più per complimentarsi con la cuoca e chiederle se quelle lezoni si tenessero ogni sera, approfittando del traduttore ancora presente per farsi capire dalla signora.

Le porte della cucina continuavano ad aprirsi e chiudersi, a mano a mano che il resto del piccolo gruppetto, che aveva assistito a quella lezione, usciva; ma Ginevra non prestò molta attenzione a quel fastidioso rumore, intenta com'era ad ascoltare la signora Rita e il traduttore, che l'informavano delle future lezioni, in cui, dopo la pasta, ci si sarebbe dedicati alla carne, poi alle verdure e infine ai dolci.

Soddisfatta delle informazioni ottenute, Ginevra salutò l'anziana signora e l'allampanato traduttore e si ripromise di prendere appunti dalla lezione successiva.

Ebbe giusto modo di voltarsi verso le porte, quando il fiato le si incastrò in gola per la sopresa, nel notare la figura che torreggiava a pochi passi da lei.

Blaise Zabini si trovava di fronte alle porte della cucina, con indosso un elegante completo blu notte e un'espressione a metà strada tra il divertito e l'infastidito.

Ginevra, che non vedeva il compagno di scuola da più di vent'anni, si stupì nel constatare come il ragazzino di un tempo avesse lasciato il posto a un uomo; con una corporatura molto più massiccia rispetto a quella di un tempo e un viso reso più maturo dalle rughe d'espressione e dal pizzetto nero curato nei minimi dettagli.

«Buonasera, sembra che stiate molto meglio rispetto a ieri sera, signora Potter», disse Zabini, un sorrisetto indecifrabile a incurvargli le labbra carnose e gli occhi scuri che sembravano intenti a studiarla in ogni minimo dettaglio.

Ginevra arrossì nel rendersi conto che l'uomo che l'aveva accompagnata fino alla sua camera da letto la sera prima doveva esser stato Blaise Zabini, nonché proprietario del lussuoso agriturismo in cui soggiornava.

«Sì, sto meglio», disse Ginevra, drizzando le spalle e sollevando appena il naso al cielo: «La ringrazio per l'interessamento, signor Zabini».

Il sorrisetto sulle labbra dell'uomo si allargò, ma Ginny non ci fece caso e gli passò accanto con passo affrettato, uscendo dalla cucina.

Blaise Zabini la seguì e in poche falcate la raggiunse, affiancandola: «Spero che la camera sia di suo gradimento».

«Sì, non posso di certo lamentarmi, sembra avere ogni comfort che si possa desiderare», rispose piccata Ginevra, aumentando leggermente il passo, ma Zabini non sembrava avere alcuna difficoltà nel starle dietro.

«Ottimo, la lezione in cucina invece? È stata abbastanza interessante per una celebrità come lei?»

Ginevra smise di camminare e osservò, con gli occhi assottigliati, il volto sorridente dell'uomo, che si era fermato un paio di passi davanti a lei: «Cosa vuoi, Zabini?»

«Il mio dovere è assicurarmi che ogni ospite si senta a proprio agio, Weasl... signora Potter».

In quel momento, Ginevra desiderò ricordarsi qualcosa di più delle poche immagini confuse che affollavano la sua mente sulla sera prima; aveva come un sesto senso che Zabini la stesse pedinando per qualcosa che lei non ricordava bene e che doveva essere successa quando era troppo urbiaca per capire quello che stava accadendo.

«Mi sentivo a mio agio prima che iniziassi a seguirmi e a tartassarmi di domande», ammise sinceramente Ginevra, incrociando le braccia sotto il seno.

Blaise Zabini seguì il movimento, poi riportò lo sguardo sul viso della sua interlocutrice: «Fa strano vedere un volto che pensavo appartenesse al passato qua dentro».

Ginevra non disse niente e si limitò a sollevare un sopracciglio.

«Ti andrebbe di cenare con me questa sera? Mi piacerebbe sapere come stanno andando le cose a Londra».

«Per quello basta abbonarsi alla "Gazzetta del Profeta"», gli fece notare Ginevra, con un tono di voce più scontroso di quanto avesse desiderato.

Ginevra non ne capiva il motivo, ma trovarsi a pochi passi da Blaise Zabini era più destabilizzante di quanto avrebbe mai potuto pensare.

«Vero, lascia che riformuli la frase: mi piacerebbe cenare con te e parlare con te», disse l'uomo, il sorriso completamente scomparso dal suo viso, sostituito da un'espressione mortalmente seria.

Ginny si sforzò di ricordare se la sera prima avesse in qualche modo lasciato intendere a Zabini di poter essere interessata ad avere compagnia, ma continuava ad avere solo immagini sfocate e prive di sonoro ad affollarle la mente; niente che potesse aiutarla a comprendere quello strano comportamento.

Dopo qualche secondo di silenzio Ginevra scrollò le spalle e annuì: «Va bene».

Zabini l'affiancò e le porse il braccio, che Ginny afferrò con una punta d'incertezza, che non sembrò sfuggire agli occhi attenti dell'uomo: «Tranquilla, non ho intenzione di mangiarti».

Nient'affatto rassicurata da quelle parole o dall'espressione soddisfatta sul volto di Zabini, Ginevra si chiese se avesse fatto bene ad accettare quell'invito, mentre seguiva l'uomo lungo il corridoio.

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci arrivati al terzo capitolo di questa fanfiction, dove ho introdotto un paio di nuovi personaggi; Blaise Zabini e il signor Lacroix.

Chiedo perdono se doveste trovare qualche errore o se il capitolo vi sembrasse meno carino del solito, ma ogni volta che rileggevo questa pagine continuavo a cambiare qualcosa e a non essere molto soddisfatta, piuttosto che lasciarvi senza capitolo, ho preferito pubblicarvelo, vi prometto però che domani o dopodomani gli darò una definitiva occhiata, nella speranza di ottenere un capitolo di cui essere orgogliosa.

Vi anticipo già che col prossimo aggiornamento (mi piacerebbe riuscire a scrivervi un nuovo capitolo entro domenica, ma non so se ce la farò) passeremo a vedere come se la passa Hermione, chiudendo un po' il cerchio dei nuovi personaggi.

So che questa storia è diversa dalle altre mie storie dramione, di sicuro ci sono più sottotrame, ma spero che vi stia comunque piacendo abbastanza da continuarla a seguire e se avete tempo e voglia gradirei molto ricevere qualche vostra recensione per sapere cosa ne pensate.

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instragram (lazysoul_efp) e che, per chi volesse supportare il mio lavoro donandomi un caffè, può trovare nella mia bio il link alla mia pagina Ko-fi.

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 4
*** Di quando Hermione flirtò con un uomo che non era suo marito ***


4. Di quando Hermione flirtò con un uomo che non era suo marito



 

Seduta nel proprio ufficio, Hermione Granger in Weasley faceva di tutto pur di non posare lo sguardo sull'angolo a sinistra della scrivania, dove si trovava un plico piuttosto sottile di fogli, consegnatole intorno a mezzogiorno dalla sua assistente, Emily.

La Ministra della Magia continuava a ripetersi che aveva di meglio da fare che leggere le pratiche per il divorzio inviatele da Ronald; la realtà era che al solo pensiero di firmare quei fogli si sentiva perduta.

Era fiera di se stessa e del modo in cui era riuscita a mantenere da calma la sera prima, facendo credere all'uomo con cui era sposata da più di vent'anni di essere padrona della situazione e abbastanza adulta e matura da accettare la singolare situazione in cui si trovavano.

In verità Hermione era tutto fuorché padrona della situazione.

Era stato piuttosto destabilizzante scoprire della relazione segreta tra Harry e Ronald, ma mai quanto rendersi conto di aver avuto indizi di quella relazione sotto al naso per anni e non aver mai avuto abbastanza coraggio per indagare e mettere insieme i pezzi del puzzle.

Un sorriso amaro increspò le labbra di Hermione.

Come aveva fatto ad essere così cieca?

Come aveva fatto a non capire prima che l'allontanamento graduale di Ronald non era dovuto a una crisi di mezza età o all'età ormai adulta dei figli, ma al senso di colpa che doveva provare ogni volta che si trovavano da soli nella stessa stanza?

Più Hermione ci pensava, più si sentiva nauseata e triste.

Non aveva mai creduto Ronald capace di mentirle o nasconderle qualcosa di così grande; aveva sempre visto suo marito come la parte migliore nella loro relazione; la parte più dolce con i bambini, più sensibile con lei, più dedicata alla famiglia, quando lei invece tutto quello che voleva era lavorare, studiare e migliorarsi.

Per quanto credesse che l'unico da ritenere responsabile per la situazione in cui si trovavano era Ronald, Hermione non poteva fare a meno di chiederi cosa aveva fatto in passato per spingere suo marito tra le braccia di un altro.

Era forse stata troppo poco passionale a letto? Troppo esigente? Poco affettuosa?

Aveva rovinato tutto aumentando le proprie ore di lavoro e iniziando a dedicarsi anima e corpo alla causa degli elfi domestici, invece di dedicare più tempo al loro matrimonio in crisi?

Hermione sospirò, posò la pergamena, che stava leggendo un po' troppo distrattamente, di fronte a lei sulla scrivania e si alzò in piedi, iniziando a passeggiare per l'ampio ufficio; come era solita fare quando era pensierosa.

Attraverso le finte finestre affisse alle pareti, Hermione osservò il cielo rannuvolato che copriva Londra quel giorno, chiedendosi se avrebbe piovuto oppure no, poi i suoi pensieri tornarono su Ronald e lo sguardo le cadde sui fogli del divorzio, ordinatamente appoggiati nell'angolo sinistro della sua scrivania.

Con un'espressione colma di risoluzione, Hermione Granger in Weasley tornò alla propria scrivania, prese la pratica che da ore provava a ignorare e iniziò a leggerla.

Gli occhi scuri della donna scorrevano rapidi sulle righe, divorando centimetro dopo centimetro il primo foglio, poi si bloccarono improvvisamente, una volta che Hermione arrivò al punto in cui si attestava che i loro beni terreni sarrebero stati equamente divisi e che, anche se separati, si sarebbero equamente presi cura dei figli.

Hermione sollevò lo sguardo dal documento, tornando ad osservare il cielo plumbeo che sovrastava Londra.

Si sentì una pessima madre, per aver pensato fino a quel momento a come quello scandalo avrebbe potuto influire sul suo lavoro e sulla sua vita, ma non su come una simile notizia avrebbe potuto segnare i suoi figli.

Era abbastanza sicura che Rose avrebbe capito, era la più grande e la più razionale tra i due, ma Hugo? Il sensibile e dolce Hugo?

Hermione non era sicura che il suo secondogenito avrebbe accettato facilmente l'improvviso divorzio dei suoi genitori, e come avrebbe potuto dargli torto?

La donna si coprì il volto con le mani e si sentì all'improvviso troppo stanca, per continuare a tormentarsi in quel modo.

Accarezzò il dolce pensiero di uscire prima dal lavoro, raggiungere la stanza del Paiolo Magico in cui risiedeva momentaneamente e farsi un lungo bagno bollente, per poi ordinare la cena da consumare in camera e, infine, coricarsi e lasciare che l'oblio del sonno le concedesse qualche prezionsa ora di risposo.

Era sul punto di afferrare il proprio mantello e realizzare quel dolce piano, quando la porta del suo ufficio si aprì ed Emily Perkins, la sua assistente, entrò.

«Il signor Wallabe dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia richiede un incontro con lei al più presto, per discorrere su una nuova idea di legge che vorrebbe proporle», disse Emily, porgendo ad Hermione la lettera che doveva contenere tale informazione: «Dice di rispondergli al più presto».

La Ministra annuì e fece per prendere un foglio di pergamena, in cui vergare una replica, quando le parole di Emily la bloccarono sul nascere.

«Se vuole me ne occupo io, lei ha una cena a breve».

Hermione inorridì e controllò l'orologio che aveva al polso con gli occhi sbarrati: «È tardissimo!», esclamò, sollevandosi in piedi e recuperando con un veloce gesto della bacchetta il mantello, che indossò con un un gesto nervoso: «Incastra un incontro col signor Wallabe domani, Emily, e lasciami un promemoria sulla scrivania», istruì, prima di afferrare la sua valigetta, nella quale infilò anche le pratiche per il divorzio, e dirigersi verso il grosso camino nel suo ufficio.

La Ministra era sul punto di voltarsi e farsi ricordare dall'assistente il luogo dell'appuntamento, quando Emily l'anticipò: «Ristorante La Laguna».

Hermione si voltò verso Emily Perkins con espressione accigliata: «Intendi...?»

«Sì, quello che hanno aperto recentemente accanto alla Grincott», anticipò ancora una volta la domanda l'assistente, sorridendo: «A quanto pare il signor M. è uno dei proprietari».

«Grazie, Emily, ci vediamo domani», disse Hermione, sorridendo alla propria assistente, prima di prendere una manciata di Metropolvere ed entrare nel camino, indicando al alta voce il nome del luogo verso cui era diretta.

Apparve dopo pochi secondi nell'atrio di un lussuoso ristorante, dove si pulì discretamente dalla cenere, mentre si guardava intorno.

La Laguna era davvero, come si diceva in giro, il più lussuoso ristorante di Diagon Alley: ogni cosa su cui lo sguardo di Hermione si posava sembrava costare una fortuna, a partire dal pavimento in vetro, oltre al quale si trovava un acquario ricco di fauna lagunare, tra cui avvincini, una sirena e numerosi pesci variopinti.

Le pareti del locale erano di un colore a metà strada tra il grigio più cupo e il verde più brillante e numerosi lampadari in ferro illuminavano l'ambiente con candele, incantate in modo tale da non poter mai essere consumate.

Il maître di sala le si affiancò con un sorriso accondiscendente sul volto pallido e baffuto.

Hermione notò il momento esatto in cui l'uomo si rese conto di avere di fronte la Ministra della Magia e non una qualsiasi signora di mezza età con della fuliggine tra i capelli; il maître fece un profondo inchino e senza chiederle se avesse prenotato e a quale nome, l'accompagnò semplicemente lungo la sala di tavoli magistralmente abbelliti da composizioni floreali sui toni caldi del giallo e del rosso, che contrastavano con il verdastro delle pareti.

«Il suo ospite è già arrivato», disse il maître quando ormai si trovavano a una manciata di passi dal tavolo, che Emily aveva riservato per quella sera, al quale era seduto un uomo di spalle.

Hermione osservò l'orologio che aveva al polso e provò una punta di fastidio nel constatare di esser stata battuta quella sera, per la prima volta dopo tanto tempo, da qualcuno che era arrivato più in anticipo di lei rispetto all'orario stabilito.

Sollevando lo sguardo dall'orologio, il fastidio venne sostituito da un senso di déjà vu mentre osservava i capelli fini e biondi dell'uomo e le sue spalle coperte da un completo nero.

Ancora prima che il suo ospite si voltasse, Hermione sentì una brivido attraversarle la schiena e una smorfia a metà strada tra lo stupore e il ribrezzo alterarle i lineamenti.

«Finalmente ho il piacere di conoscere il misterioso signor M., se devo essere sincera, Malfoy, mi sarei aspettata chiunque, tranne te», disse la Ministra, appena il maître si allontanò.

Gli occhi chiari dell'uomo si fissarono in quelli scuri di Hermione e i lineamenti affilati si sciolsero in un sorriso di circostanza: «Signora Ministra», disse, sollevandosi con un movimento sinuoso e facendo il giro del tavolo, così da scostare la sedia per Hermione.

La donna sollevò un sopracciglio e scoppiò a ridere di gusto, attirando l'attenzione di qualche astante curioso.

«Torna al tuo posto, Malfoy, sono in grado di sedermi senza il tuo aiuto e, giusto per essere chiara, non basterà qualche moina per farmi dimenticare tutte le volte che mi hai chiamata Mezzosangue a scuola», disse la donna, appoggiando accanto al tavolo la propria valigetta e sfilandosi con un movimento brusco il mantello nero che portava sulle spalle.

I lineamenti di Malfoy persero l'accenno di sorriso e si adombrarono, mentre tornava al proprio posto, gli occhi incollati sul viso della donna con cui avrebbe cenato.

«Da quello che so questo è un incontro d'affari», disse Hermione, sedendosi al proprio posto, il mantello in equilibrio precario alle sue spalle, sullo schienale della sedia: «Sono proprio curiosa di sentire cosa possa volere il signor M., da me, una piccola e sporca Mezzosangue».

Il sorrisetto di poco prima tornò ad incurvare le labbra di Malfoy: «Buonasera, signora Ministra, pensavo che avremmo parlato di affari una volta arrivati al dolce, ma...»

«E di cosa pensavi di parlare fino a quel momento, Malfoy? Di quanto ti manchino i bei tempi andati, quando i Purosangue la facevano da padroni?»

Malfoy chiuse per qualche istante gli occhi, poi li riaprì, il sorriso ancora ben visibile sul suo volto: «Penso che siamo partiti col piede sbagliato, perché non rincominciamo?»

Prima che Hermione potesse ribattere, Draco aveva di nuovo preso la parola: «Buona sera, Ministra, la ringrazio infinitamente per avermi concesso quest'incontro, spero che stiate bene».

La donna emise un verso a metà strada tra un grugnito e un accenno di risata e scosse il capo, spargendo qualche particella di fuliggine intorno a sé: «Sempre il solito lecchino, Malfoy? Quanto sei disposto a strisciare per ottenere favori da me?»

Le spalle dell'uomo s'irrigidirono, così come i suoi lineamenti, che parvero più affilati che mai, mentre prendeva nuovamente la parola: «Sempre pronta ad elargire giudizi e a giungere a conclusioni affrettate, vedo. Mi chiedo come tu sia in grado di fare leggi tanto inclusive, quando sei la prima ad essere piena di pregiudizi».

Hermione si sentì punta sul vivo da quel commento, ma cercò di non darlo a vedere, mentre accettava il menù che le stava porgendo il maître e nel frattempo continuava a studiare il volto di Malfoy.

Era sicura che se l'avesse visto per strada non ci avrebbe impiegato poi molto a riconoscere quel volto che, malgrado le rughe e l'ombra bianca di una cicatrice su una guancia, era fin troppo simile a quello che Hermione ricordava appartenere al ragazzino arrogante e crudele, che non aveva mai perso occasione di denigrarla.

«Buffo, credevo fossi tu quello pieno di pregiudizi, Malfoy», ribattè infine Hermione, abbassando lo sguardo sul menù aperto tra le sue mani.

Per qualche secondo rimasero entrambi in silenzio, Hermione intenta a leggere l'elenco degli antipasti, mentre Draco osservava un pesciolino rosso scomparire alla vista sotto al loro tavolo.

«A quanto pare siamo più simili di quanto sembri, penso che sia arrivato il momento di lasciarci alle spalle stupidi pregiudizi», disse l'uomo, attento ad ogni parola pronunciata, prima di portare nuovamente gli occhi chiari sul volto sorpreso di Hermione: «Inizierò io: sono passati più di vent'anni da Hogwarts e dalla Guerra, Granger, io e mia madre siamo stati scagionati da ogni accusa. Negli ultimi anni mi sono avvicinato al mondo dei Babbani, intuendo che potesse essere una buona strategia affaristica introdurre nel mercato magico oggetti quali telefoni e cellulari, radio e videogiochi, utilizzando i pannelli solari per ricavare l'energia necessaria a farli funzionare. Non sono qua per chiederti favori, ma per proporti di entrare in affari con me».

Hermione, che era rimasta momentaneamente senza parole, recuperò all'istante i suoi modi piccati e prese la parola: «In affari con me, Malfoy? Perché mai?»

L'uomo sbuffò e sollevò gli occhi al cielo: «Sei la nuova Ministra della Magia, Granger, ti sto proponendo di entrare in affari con me, perché penso che il prossimo oggetto che introdurrò nel Mondo Magico possa essere molto utile al Ministero; sto parlando, ovviamente, della televisione».

Hermione socchiuse gli occhi, mentre rifletteva sulle parole di Malfoy e si chiedeva dove si trovasse il tranello.

«Mi chiedi di entrare in affari con te ora che vuoi introdurre il televisore, ma per la radio di due anni fa...?» le parole morirono sulle labbra di Hermione, mentre notava il sorrisetto sardonico sulle labbra di Draco.

«Avevi già un accordo con il precedente Ministro, vero? Ti trovi qua solo per rinnovarlo».

Draco annuì: «Vedo che non hai perso il tuo intuito e la tua intelligenza, Granger».

Hermione aprì bocca, poi la richiuse e il volto le si colorò di un rosso acceso.

Per qualche secondo aveva pensato di correggere Malfoy e chiedergli di chiamarla "signora Weasley", invece che Granger.

Con lo sguardo basso la Ministra chiuse il menù, anche se non era riuscita ancora a decidere cosa ordinare, e una volta che il battito impazzito del suo cuore si fu calmato e il rischio di scoppiare a piangere scomparve, tornò a guardare Malfoy: «Quali sarebbero i termini dell'accordo?»

Sul volto pallido dell'uomo comparve un sorriso colmo di soddisfazione, mentre intrecciava le dita sotto al suo mento e si sporgeva leggermente verso Hermione: «Il televisore non è ancora pronto per essere introdotto nel Mondo Magico, devo ancora sistemare qualche piccolo difetto babbano, ma appena lo sarà il Ministero della Magia avrà a disposizione un canale, che potrà essere utilizzato a vostro piacimento, così come il canale radio del Ministero che tiene i cittadini informati ventiquattr'ore su ventiquattro di ogni novità. Questo, se la Ministra della Magia sarà tanto buona da non mettermi i bastoni tra le ruote come ha fatto negli ultimi mesi, cercando di farmi chiudere».

Hermione Granger arrossì nuovamente, ma non abbassò lo sguardo, sostenendo fieramente quello dell'uomo.

«Ho chiesto di avviare un'inchiesta sulla tua azienda Malfoy, solo perché non si sapeva con quali fondi fosse finanziata, chi la dirigesse e altre simili informazioni che per legge devono essere fornite al Ministero della Magia, se si desidera aprire e mandare avanti regolarmente un'azienda come la tua».

Malfoy annuì lentamente: «Bene, ora sai che la dirigo io e che i fondi che la finanziano sono gentilmente offerti da partner in affari o dalle quantità di oro nel mio caveau alla Grincott, pensi di poter smettere di tormentarmi e metterti in affari con me?»

«Mi chiedo, Malfoy, come mai tutta questa segretezza? Perché non sbandierare ai quattro venti di essere il proprietario di "Babbananze, le stravaganze babbane di cui non sapevi di aver bisogno"?», chiese Hermione, scimmiottando lo slogan che ormai chiunque nel Mondo Magico conosceva a memoria.

«Qua entra il gioco il tuo pregiudizio, Granger: pensi davvero che gli oggetti che vendo avrebbero lo stesso successo se la gente sapesse che a dirigere "Babbananze" c'è un ex Mangiamorte pentito? Se tu avessi saputo di dover incontrare me, questa sera in questo elegante ristorante, saresti venuta?»

Hermione fece una piccola smorfia, arricciando appena il naso e stringendo le labbra in una linea sottile e non rispose, punta nuovamente sul vivo.

«Vedo che ti sei data una risposta e che quella risposta non ti piace», disse Draco, guardando la donna di fronte a lui con quella che sembrava pietà: «Ci sono passato anche io, Granger. È dura quando vieni messo di fronte ai tuoi limiti mentali e ti rendi conto di avere solo due opzioni di fronte a te: autoconvincerti di non avere assolutamente dei limiti e continuare ad essere la persona bigotta di sempre, oppure accettare di avere dei pregiudizi e lavorare per metterli da parte e diventare una persona migliore».

«Non avrei mai pensato, nemmeno nei miei sogni più assurdi, che mi sarei ritrovata a prendere lezioni di apertura mentale da Draco Malfoy, questa sera», disse Hermione, una punta di malcelato fastidio nel tono di voce.

L'uomo sorrise apertamente: «Se ad Hogwarts mi avessero detto che un giorno mi sarei trovato di mia volontà a cena con Hermione Granger, probabilmente avrei lanciato una Maledizione Senza Perdono a chiunque avesse osato screditarmi con fandonie simili».

Calò il silenzio sulla tavola, ma non un silenzio pesante o imbarazzante, Hermione Granger e Draco Malfoy si trovarono semplicemente a corto di parole mentre scoprivano, segretamente, di iniziare ad apprezzare la compagnia l'uno dell'altra.

«Siete pronti ad ordinare?»

La voce del cameriere spezzò il silenzio e il filo dei pensieri che entrambi stavano avendo, riportandoli alla realtà.

Hermione aprì subito il menù, con il volto arrossato per l'imbarazzo, e iniziò a cercare un piatto dal nome abbastanza accattivante da attirare la sua attenzione, mentre Draco metteva da parte il proprio stupore, nato dal realizzare che la presenza di fronte a lui di Hermione Granger non gli era del tutto indifferente, e ordinò del pesce persico al forno e un contorno di verdure grigliate.

La Ministra decise di seguire l'esempio dell'uomo, ma invece delle verdure grigliate ordinò delle patate al forno da accompagnare al pesce.

Quando il cameriere si allontanò con i loro ordini, fu Hermione a spezzare per prima il silenzio: «Ho deciso di prendere seriamente in considerazione la tua proposta, Malfoy, fai avere alla mia segretaria tutti i documenti del caso, li studierò attentamente e se dovessi avere dei dubbi organizzerò un altro incontro con te per parlarne».

Draco osservò con stupore la donna di fronte a sé, poi sorrise: «Pensavo che avrei dovuto tirare fuori altre argomentazioni, prima di riuscire a convincerti».

Hermione sorrise e inclinò leggermente il capo: «Sono curiosa, cosa ti eri preparato?»

«Probabilmente avrei fatto leva sul tuo coraggio e orgoglio, Grifondoro, o magari ti avrei fatto sentire in colpa, facendoti notare che non entrare in affari con me, sarebbe come voltare le spalle alle tue origini babbane, di cui invece dovresti essere fiera».

Hermione sorrise, colpita da quella risposta e dal fatto che, ne era certa, Malfoy sarebbe riuscito a convincerla con uno di quei due cavalli di battaglia: «Molto astuto».

Malfoy sorrise e chinò appena il capo: «Sono in fondo un Serpeverde, l'astuzia è una delle mie molte armi».

Fu in quel momento che, con stupore e orrore, si resero entrambi conto di quello che stavano facendo e con una punta d'imbarazzo, ben visibile sulle loro guance arrossate, distolsero lo sguardo.

Draco Malfoy non poteva credere di aver appena flirtato apertamente con una delle persona che aveva destetato di più al mondo, durante i suoi anni ad Hogwarts.

Hermione Granger in Weasley non poteva credere di aver appena flirtato con un uomo che non era suo marito, ma l'arrogante e crudele ragazzo che un tempo aveva odiato profondamente, quasi quanto si odia un fastidioso sassolino nella scarpa.

Per il resto della cena parlarono solo di lavoro ed evitarono in ogni modo di trovarsi nuovamente a farsi gli occhi dolci o ad osservarsi con genuino apprezzamento.

Dopodiché si alzarono, si strinsero la mano, Hermione pagò il conto e poi ognuno se ne andò per la sua strada.

Draco prese la Metropolvere per tornare nel grande e lussuolo attico in cui viveva da quando Astoria l'aveva lasciato per un altro, la mente invasa dal ricordo del modo semplice, ma accattivante, che aveva Hermione Granger di umettarsi le labbra.

Hermione camminò invece lungo Diagon Alley fino ad arrivare al Paiolo Magico, dove salì subito nella stanza che aveva preso in affitto la sera prima. Solo quando si trovò al sicuro, circondata dalle quattro mura della camera, si portò le mani al viso bollente e sorrise, al pensiero degli occhi chiari e pieni di malcelato interesse di Draco Malfoy.

 

 

***

Buonasalve popolo di EFP!

Eccoci finalmente ad un capitolo che credo molt* di voi troveranno particolarmente interessante: finalmente è apparso il tanto desiderato Draco Malfoy! Yaaaay!

Cosa ne pensate? Vi immaginavate un incontro simile o vi ho sorpres*?

Per chi dovesse chiedersi come sia possibile che Draco Malfoy abbia iniziato a commerciare oggetti babbani nel Mondo Magico vedrò di fare una panoramica in uno dei prossimi capitoli, non preoccupatevi.

Per quanto riguarda invece il nome "Babbananze" lo trovo adorabilmente buffo e sono molto fiera di averlo inventato, voi cosa ne pensate?

Il prossimo capitolo di questa storia arriverà sabato; ebbene sì, ho deciso di provare (anche se non so se riuscirò effettivamente a starci dietro) di aggiornare "Amori segreti" due volte a settimana: il mercoledì e il sabato. Nel caso dovessi avere problemi di qualsiasi tipo ve lo farò sapere, per il momento, godetevi quella che spero sia una buona notizia!

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp; se invece voleste sostenere il mio lavoro con un caffè, trovate il link alla mia pagina Ko-fi nella mia bio.

A sabato!

Un bacio,

LazySoul

 

 

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Capitolo 5
*** Di quando venne fondato il Club dei Piagnoni ***


5. Di quando venne fondato il "Club dei Piagnoni"


 

Blaise Zabini condusse la sua ospite fino alla saletta privata dove consumava, solitamente in solitudine, i pasti.

Al centro della stanza rettangolare, c'era un tavolo rotondo apparecchiato per uno e lì accanto un elfo domestico, che ravvivava il fuoco nel camino, che occupava quasi interamente una parete.

«Ho un'ospite questa sera», disse Blaise, attirando immediatamente l'attenzione dell'elfo, che, dopo essersi profondamente inchinato, scomparve con un sonoro 'pop'.

Ginevra intanto si guardava intorno, studiando il quadro di una donna che sembrava essere profondamente addormentata, ma che era certa di aver visto un paio di volte socchiudere un occhio, per sbirciare quello che stava succedendo nella stanza.

Il resto dei quadri della stanza sembrava essere di fattura babbana e all'interno di ogni cornice dorata vi erano raffigurati i più variopinti e suggestivi paesaggi.

«Non sapevo dipingessi, Zabini», disse Ginevra, gli occhi puntati sull'angolo in basso di un quadro, in cui aveva notato le iniziali B. Z.

Per qualche secondo le spalle dell'uomo sembrarono irrigidirsi e il suo viso adombrarsi, poi scosse il capo e un tenue sorriso di circostanza comparve sulle sue labbra: «Non li ho fatti io, Weasley, voglio dire: signora Potter».

Le labbra della donna si assottigliarono, fin quasi a scomparire: «Preferisco essere chiamata Ginevra, o Ginny», disse, con tono tagliente, incrociando le braccia al petto.

In quell'istante riapparve l'elfo domestico, che aggiunse una sedia e un coperto sulla tavola rotonda, mentre Blaise Zabini e Ginevra Weasley in Potter si studiavano da una certa distanza, gli occhi assottigliati e le labbra tese.

«Cosa vorresti mangiare, Ginevra?», chiese l'uomo, calcando leggermente la voce nel pronunciare il nome della donna, che sembrava sul punto di volergli lanciare contro una Maledizione Senza Perdono, o addirittura di saltargli addosso e fargli assaggiare la forza dei proprio pugni.

«Mi hai invitata a cena per potermi prendere in giro?», chiese Ginny, mentre muoveva un paio di passi verso la porta, accarezzando l'idea di andarsene e basta, ma Blaise le si parò davanti, bloccando sul nascere la sua fuga.

«Non è mia intenzione prenderti in giro. Certo, le vecchie abitudini sono dure a morire, ma prometto di comportarmi in maniera ineccepibile».

Ginevra annuì, convinta dalla sincerità che traspariva dallo sguardo serio di Zabini: «Va bene».

«Preferenze per la cena?»

«Sono vegetariana», ammise la donna, il mento sollevato, quasi si aspettasse lo scoppio di una risata o una qualche forma di derisione in risposta alle sue parole.

Blaise sorrise: «Abbiamo qualcosa in comune, allora».

Una punta di sorpresa sciolse appena i lineamenti induriti di Ginevra; abituata com'era a doversi sempre giustificare per quella scelta alimentare anticonvenzionale nel Mondo Magico, non si era aspettata di trovare nel mago di fronte a lei un "alleato".

«Posso tentarti con un assaggio di toma valdostana per iniziare e dei tajarin al tartufo come primo? Il tutto accompagnato da un Langhe Arneis?», chiese Zabini, inclinando appena il capo, mentre osservava il volto della strega e attendeva una sua risposta.

Ginevra non sapeva quali fossero le tradizioni culinarie italiane e non aveva idea se il tartufo le potesse o meno piacere, ma le sembrò sciocco rifiutare la proposta più che invitante dell'uomo e senza esitare annuì: «Volentieri, grazie».

Zabini si limitò a lanciare una veloce occhiata all'elfo domestico, che con un inchino profondo scomparve nuovamente.

Fu Ginevra a spezzare il silenzio: «Chi è?», chiese, indicando il quadro in cui la donna raffigurata continuava a fingersi addormentata.

«Mia madre, Teresa Lucia Dalmasso», rispose Zabini, avvicinandosi di qualche passo al quadro: «È inutile che fingi di dormire, mamma», aggiunse, sorridendo in modo accondiscendente alla donna, che aprì prima un occhio poi l'altro e inizò a stiracchiarsi, come se Zabini l'avesse svegliata da un sonno molto profondo.

«Blaise, tesoro», disse lei, nascondendo uno sbadiglio dietro la mano destra: «Chi è la tua giovane ospite?»

Zabini fece cenno a Ginevra di avvicinarsi a lui e al quadro: «Questa mamma era una mia compagna di scuola ad Hogwarts, ci siamo appena incontrati e ho pensato di invitarla a cena per chiacchierare un po' dei bei vecchi tempi».

Ginevra aggrottò la fronte ed emise un verso di gola per esprimere la propria perplessità di fronte a quelle parole, ma si ricompose ben presto e con il volto leggermente arrossato sorrise: «È un piacere conoscerla, signora».

«Signorina!», la corresse con voce acuta la donna dentro alla cornice, mostrando la mano sinistra, dove all'anulare non aveva alcun anello: «Sono morta signorina, malgrado i miei numerosi tentativi di trovare l'amore, quindi preferisco essere ricordata come signorina Dalmasso».

«Chiedo scusa», disse Ginevra, abbassando appena il capo.

Prima che Zabini potesse dire qualcosa per alleggerire la tensione nella stanza, l'elfo domestico tornò con un vassoio d'argento sospeso sopra alla sua testa e una bottiglia di vino bianco tra le dita lunghe e strette.

«Mamma, perché non vai a trovare Marietta e Olga nel quadro delle cucine, sono certo che a zia Rita farà piacere chiacchierare con te», disse Blaise, lanciando un'occhiata insistente alla donna, che con un sorrisetto malizioso annuì: «Certo, figliolo, auguro a entrambi una piacevole serata», disse, prima di scomparire oltre alla cornice dorata.

Ginevra si avvicinò al tavolo e osservò con curiosità il tagliere su cui erano disposti dei crostini di pane, sopra ai quali vi erano fettine sottili di formaggio, sormontate da quella che sembrava confettura.

«Toma valdostana con marmellata di peperoncino, spero sia di tuo gradimento», disse Blaise, prendendo posto di fronte a Ginevra, che si era accomodata e osservava la bottiglia di Langhe Arneis con un misto di brama e timore.

Zabini intuì i pensieri che dovevano attraversare la mente della sua ospite e chiese in un mormorio all'elfo domestito, Ogum, di portare dell'acqua.

Ginny, intanto, si chiedeva se un semplice bicchiere di vino avrebbe potuto peggiorare il lieve mal di testa, che era tornato a tormentarla, e non si era resa conto della scomparsa dell'elfo domestico.

Quando Ogum tornò, si limitò a deporre sulla tavola imbandita la bottiglia d'acqua, che stringeva tra le mani, per poi scomparire nuovamente.

I lineamenti di Ginevra s'indurirono leggermente alla vista della nuova bevanda e i suoi occhi color caramello si puntarono in quelli talmente scuri da sembrare neri di Zabini: «Pensavo che avremmo bevuto il Langhe Arneis», disse semplicemente, cercando di non lasciar trapelare il fastidio che provava, al pensiero che l'ex Serpeverde potesse aver intuito quello che le passava per la mente.

«Certamente, ma ho la gola un po' secca e preferirei iniziare il pasto con un sorso d'acqua, prima di aprire il Langhe Arneis», disse Blaise, allungando il braccio per afferrare la bottiglia e versarsi tre dita del liquido trasparente nel bicchiere: «Vuoi?»

Ginevra annuì e allungò il proprio bicchiere.

Provava un profondo senso di gratitudine nei confronti dell'uomo che le stava di fronte. Zabini non aveva detto ad alta voce il vero motivo per cui aveva deciso di chiedere dell'acqua all'elfo domestico, ma si era limitato ad inventarsi una scusa plausibile, così da non costringere Ginevra a confessare i propri recenti problemi con l'alcol.

«Alla salute», brindò Zabini, facendo scontrare i loro bicchieri.

Solo quando prese il primo sorso d'acqua, Ginevra si rese conto di quanta sete avesse e di quanto si sentisse disidratata. Senza prestare attenzione all'uomo che le stava di fronte — i cui occhi erano puntati su di lei — Ginny bevve in un solo lungo sorso l'acqua che aveva nel bicchiere e, senza tanti complimenti, se ne versò nuovamente dell'altra.

«Sete?», chiese con un sorrisetto Blaise, allungando una mano per afferrare uno dei crostini che si trovavano sul tagliere, per poi mangiarlo in un sol boccone.

«Fame?», ribattè Ginevra, finendo il secondo bicchiere d'acqua e sentendosi improvvisamente sazia e soddisfatta.

L'uomo sorrise e prese un altro crostino: «A pranzo non ho mangiato molto, sto cercando di evitare un ospite che vuole comprare il mio agriturismo e tende a farmi gli agguati ogni volta che mi trovo vicino alle cucine o al ristorante».

Un'espressione stupita comparve sul viso di Ginevra: «Intendete forse il signor Lacroix?»

Blaise si fermò con il terzo crostino a mezz'aria e lanciò un'occhiata colma di sincero sbigottimento alla strega seduta di fronte a lui: «Siete qua da meno di un giorno, che avete trascorso chiusa nella vostra stanza, eppure siete già riuscita a fare amicizia...»

Ginevra — che aveva appena infilato in bocca uno dei crostini con toma valdostana e marmellata al peperoncino, dove la cremosità e dolcezza del formaggio si sposavano magnificamente con la nota piccante della confettura — approfittò del momentaneo silenzio calato tra loro per decifrare ciò che Zabini le aveva appena detto.

Il mago sembrava sinceramente infastidito dalla sua nuova "amicizia" col signor Lacroix, cosa che Ginevra non riusciva a spiegarsi, ma dalle parole di Blaise aveva colto un fatto ancora più incomprensibile: come faceva a sapere come aveva trascorso la propria giornata e perché avrebbe dovuto interessarlo un'informazione simile?

«Non la definirei un'amicizia», disse Ginevra, soppesando con cura le proprie parole: «Ho incontrato il signor Lacroix poco prima della lezione sulla pasta della signora Rita e, senza che gli chiedessi nulla, mi ha parlato del suo desiderio di acquistare un terreno in zona e di voler chiederti consiglio al riguardo... Quello che vorrei sapere, Zabini, è come mai sembri essere a conoscenza di ogni mio spostamento».

Blaise non rispose subito, limitandosi a stappare la bottiglia di Langhe Arneis, per poi versare due dita di vino nel proprio calice e in quello della sua ospite.

«Non mi aspetto che tu mi creda, ma gradirei che facessi attenzione al signor Lacroix e ai suoi modi affabili; può essere molto affascinante e molto pericoloso allo stesso tempo», disse Zabini, posando la bottiglia di vino sul tavolo: «E non ti ho fatta seguire, se è questo che temi...»

L'ex Serpeverde puntò i suoi occhi scuri in quelli di Ginevra: «So che non siamo mai stati amici, Weasley, ma quando ieri notte sei apparsa nella hall del mio agriturismo ubriaca fradicia, ho riconosciuto nel tuo dolore, lo stesso che ho provato io non tanto tempo fa... Inoltre, non ti ho fatta seguire, ho semplicemente chiesto ai ragazzi della reception di informarmi appena ti avessero visto».

Ginevra si trovò per qualche secondo a corto di parole, mentre osservava il volto serio di Blaise Zabini e sentiva le proprie spalle tese rilassarsi impercettibilmente, appena si rese conto che il mago, che le stava di fronte, non le stava mentendo.

«Immagino quindi che tu sappia che chiamarmi signora Potter al momento non sarebbe del tutto corretto», disse infine Ginevra, trattenendo le lacrime che minacciavano, ancora una volta, di bagnarle il viso.

Blaise annuì: «Ieri notte sei stata particolarmente espansiva».

Ginny chiuse gli occhi e prese un porfondo respiro, quando li riaprì il volto di Zabini era ancora di fronte al suo, con la fronte aggrottata dalla preoccupazione e le labbra tese in una linea sottile.

«Se mai vorrai parlarne, anche se so che non c'è mai stata confidenza tra noi, sappi che io ci sono. Ammetto di essere solitamente molto impegnato con il lavoro, ma...»

Un singhiozzò eruppe dalle labbra di Ginevra e le sue mani corsero a nascondere, dagli occhi attenti di Zabini, il proprio volto stravolto dal pianto.

Il mago si alzò subito dal proprio posto e, raggiunta la figura tremante della donna, s'inginocchiò accanto a lei, appoggiando una mano sulla sua spalla.

L'istante successivo Ginevra, messi da parte ogni incertezza e ritegno, gettò le braccia al collo di Zabini e si lasciò cadere a terra accanto a lui, bagnando di calde lacrime la spalla dell'uomo.

Per quelli che ad entrambi parvero interminabili minuti, Ginevra pianse, mentre Blaise cercava di consolarla facendo scorrere le mani lungo la sua schiena tremante, a causa dei singhiozzi.

«Lo so», sussurrava semplicemente lui, contro l'orecchio di lei: «Lo so che fa male».

Solo quando Ginevra finì di consumare ogni lacrima rimastale, sciolse l'abbraccio e, col volto basso e rosso per la vergona, sussurrò: «Grazie».

Blaise appoggiò le proprie mani sulle spalle forti della donna: «Cosa non avrei dato, per avere qualcuno con cui piangere qualche mese fa...»

Quelle parole fecero sollevare il viso di Ginevra, che si rese conto, con una punta di sorpresa, che anche sul volto di Zabini erano ben visibili calde lacrime.

Si sorrisero tristemente, poi Ginevra parlò: «Potremmo fondare il "Club dei Piagnoni", altro che Lumaclub».

Blaise rise di gusto a quelle parole, poi si asciugò il viso con un fazzoletto, estratto dalla tasca della giacca elegante che indossava: «Lumacorno non sarebbe affatto fiero di noi, se ci dovesse vedere ora».

Ginny si alzò, per poi aiutare Blaise a ritrovare a sua volta la posizione eretta: «Ho sempre pensato che Lumacorno fosse un frignone senza spina dorsale, è triste rendersi conto di essere diventata come lui».

Zabini aggrottò le sopracciglia e scosse la testa: «Fidati, Weasley, non sei affatto come lui. Lui era spaventato della sua stessa ombra e viscidamente subdolo, tu sei semplicemente triste perché sei stata lasciata dopo vent'anni di matrimonio. Potter non mi è mai stato simpatico, ma non credevo che avrebbe potuto fare qualcosa di tanto crudele», disse il mago, recuperando la propria sedia, in modo tale da posizionarla accanto a quella di Ginevra.

L'uomo avvicinò il proprio calice di vino a quello che Ginevra aveva sollevato e li fece scontrare con un lieve tintinnio: «Alla tristezza».

Ginny prese un sorso di Langhe Arneis, poi sospirò: «Tu perché sei triste, Zabini?»

L'uomo abbassò lo sguardo per qualche secondo, quasi dovesse fare ordine tra i propri pensieri, poi bevve un lungo sorso di vino e iniziò a parlare: «Per il tuo stesso motivo, Ginevra, mi sono illuso di essere innamorato e ho chiesto ad una donna di sposarmi; ma l'amore mi aveva reso tanto cieco da non rendermi conto che nel cuore di lei c'era già un altro».

Fu il turno di Ginevra, col volto colmo di sincero dispiacere, di allungare una mano e di appoggiarla sulla spalla di Blaise.

Il mago sorrise appena a quel gesto e prese un altro sorso di vino, prima di continuare: «Le sono riconoscente per non avermi lasciato all'altare, ma di avermi spezzato il cuore in tempo per annullare tutto quanto ed evitare l'imbarazzo di scoppiare a piangere di fronte agli invitati».

Ginny scosse la testa e una smorfia colma di rabbia le stravolse il volto: «Harry mi ha detto di aver passato gli ultimi vent'anni di matrimonio a tradirmi, nel bel mezzo di un affollato ristorante babbano».

«Ouch», sussurrò Blaise, versando a se stesso e a Ginny una generosa porzione di Langhe Arneis.

«E non sai la parte migliore», disse Ginevra, resa particolarmente espansiva dal vino, che stava ingerendo a stomaco quasi completamente vuoto: «Harry mi ha tradito per vent'anni con mio fratello, Ronald».

Blaise, incredulo, si trovò a corto di parole, mentre osservava il volto serio e triste della donna che gli sedeva accanto.

«Dev'essere stato un duro colpo».

Ginevra scrollò le spalle: «Sarebbe stato un duro colpo anche se mi avesse tradito con una donna...», disse, poi le labbre le si sollevarono in un triste sorriso: «Ti è mai capitato di annullare te stesso per un'altra persona, per poi ritrovarti solo e senza alcuna idea su chi tu sia veramente? È così che mi sento, come se fossi stata condannata a ricevere il bacio di un Dissennatore e ora dovessi ricostruire pezzo per pezzo la mia anima».

«Ginevra?», sussurrò Blaise, gli occhi scuri che iniziavano ad apparire più lucidi a causa dell'alcol, che stava a sua volta bevendo a stomaco vuoto: «Penso che tu sia una delle streghe più forti e coraggiose che io abbia mai conosciuto, se c'è qualcuno che potrebbe rimettere insieme i pezzi della propria anima ed uscirne vincitrice, quella sei tu».

Ginny sorrise, si sporse verso l'uomo e gli lasciò un umido bacio sulla guancia: «Ho sempre pensato che fossi un arrogante e pomposo Serpeverde, Zabini, è bello potersi ricredere».

Il mago sembrò stupirsi del gesto fin troppo affettuoso della strega e la osservò con gli occhi scuri, leggermente appannati dall'alcol: «Ad Hogwarts avevo una cotta per te».

Blaise aprì bocca, poi la richiuse, infine si drizzò e sembrò guardare Ginevra con un misto di timore e sorpresa: «Voglio dire... Cotta non è la parola giusta...»

Ginevra Weasley in Potter, con la mente leggermente annebbiata dall'alcol, sorrise e inclinò appena il capo, osservando il volto leggermente imbarazzato di Blaise Zabini e rendendosi conto, non per la prima volta in vita sua, che fosse un bell'uomo.

C'era una certa eleganza nei lineamenti marcati di quel viso; nella fronte ampia, gli zigomi pronunciati e le labbra carnose, circondate dal pizzetto nero leggermente brizzolato.

Anche Ginevra, ad Hogwarts, si era trovata ogni tanto, soprattutto durante le cene del Lumaclub e prima che Harry si dichiarasse, a studiare il compagno Serpeverde con un'involontaria punta d'interesse.

«Davvero? Credevo che, essendo una traditrice del mio sangue, non meritassi la tua attenzione», disse Ginevra, mentre si chiedeva perché stessero continuando a parlare invece di baciarsi.

«Il fatto che non la meritassi non voleva dire che non la ottenessi», rispose Zabini, i cui occhi continuavano a scivolare da quelli color caramello della donna, alle sue labbra socchiuse ed invitanti.

Prima che uno dei due facesse il primo passo e cancellasse la poca distanza tra le loro bocche, si sentì il suono di una risata sguaiata e la cornice dorata, che era rimasta priva di contenuto fino a quel momento, sembrò all'improvviso troppo stretta per contenere le due figure che si erano aggiunte a quella regale e composta della signorina Dalmasso.

Zabini sospirò e posò lo sguardo sulle tre donne, che ridacchiavano maliziose e lo salutavano con entusiasti gesti della mano.

«Blaise, caro, non sapevamo avessi compagnia», disse una delle due signore, anche se dall'espressione furbesca sul suo volto si sarebbe creduto il contrario: «Non ci presenti la tua nuova amica?»

«Mi dispiace», disse in un sussurro Blaise, lanciando una veloce occhiata a Ginevra, che era particolarmente infastidita da quell'interruzione.

«Oh, perché mai? Abbiamo tutti parenti ficcanaso di cui non andiamo fieri», disse Ginny, scrollando le spalle e afferrando l'ultimo crostino con toma e marmellata di peperoncino sul tagliere.

«Vero, ma quello che m'infastidisce è che abbiano rovinato l'atmosfera», disse Blaise, lanciando un finto sorriso alla madre e alle zie, mentre faceva loro un cenno di saluto con la mano.

Ginevra rise, posò il calice vuoto sul tavolo e senza pensarci, appoggiò la mano sulla nuca dell'uomo, così da portare nuovamente i loro volti vicini: «Al diavolo l'atmosfera», disse, prima di premere le proprie labbra su quelle dell'uomo.

Il bacio non durò molto, giusto il tempo necessario per permettere a Ginevra di ricordarsi di essere ancora una donna sposata — anche se era certa che quel titolo non avesse più il valore di un tempo, dato che suo marito non si era fatto problemi a tradirla negli ultimi vent'anni — e per Blaise di desiderare che durasse all'infinito.

Una delle donne nel quadro emise un urletto di sorpresa, mentre le altre due cercavano di zittirla; poi Ginny si alzò, recuperò la propria borsa e si diresse verso la porta con passo nervoso, incredula di ciò che aveva appena fatto.

«Non abbiamo mangiato», le fece notare Zabini, alzandosi in piedi, incerto su come comportarsi.

Ginevra scrollò le spalle: «Penso di aver letto da qualche parte che ho diritto al servizio in camera, grazie comunque per la serata, Zabini, e buona notte».

Ginny scomparve oltre la porta e Blaise si lasciò cadere sulla sedia, il cuore che gli batteva forte in petto e le dita che gli tremavano appena.

«Ai miei tempi un simile comportamento sarebbe stato disdicevole», disse la zia Olga, scuotendo contrariata la testa, mentre Marietta ridacchiava sotto ai baffi e punzecchiava le costole di Teresa con il gomito: «Tuo figlio ci sa fare, eh?»

Blaise ignorò le tre donne e un caldo sorriso gli increspò le labbra, mentre finiva l'ultimo sorso di Langhe Arneis che aveva nel bicchiere.

 

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci arrivati anche alla fine di questo capitolo; cosa ne pensate?

Vi è piaciuto?

Vi aspettavate un comportamento simile da parte di Ginny?

E cosa pensate di Blaise e del suo cuore spezzato?

Ma soprattutto: a chi sono piaciuti i personaggi di Olga e Marietta?

Nel caso doveste avere domande, non esistate a farmene; state pur cert* che andando avanti verranno svelati più dettagli; tipo l'ideantità della misteriosa donna che ha avuto l'ardire di lasciare Blaise pochi giorni prima del matrimonio, quali segreti nasconde il signore Lacroix e tanto altro ancora!

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Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 6
*** Di quando Hugo visitò una (non tanto piccola) reggia ***


 

6. Di quando Hugo visitò una (non tanto piccola) reggia



 

Il primo giorno a Granada, Hugo vide ben poco della città.

Rose aveva insistito per passare la loro prima mattina in casa, così da permettere a tutti di farsi una doccia e disfare i bagagli; e a lei di scrivere un piano dettagliato di ciò che avrebbero visitare in quelle due settimane.

La ragazza scoprì ben presto che mettere d'accordo così tante persone risultava essere più complicato di quanto avesse pensato.

Tutto quello che Fred voleva fare era comprare all'Alcaicería qualche oggetto illegale o poco comune come souvenir e visitare il quartiere arabo, dove si diceva era possibile farsi predire il futuro da vere veggenti.

Gli interessi di Lily non potevano essere più diversi; dato che la sua principale aspirazione era riuscire ad entrare in un club esclusivo frequentato da giocatori di Quidditch di fama internazionale. Si diceva infatti che il famoso giocatore di Quidditch, Philipp Ma, detto "The Rocket", una volta in pensione, avesse preso la residenza a Granada e da quel momento avesse invitato nel proprio salotto solo i giocatori migliori al mondo, dando delle vere e proprie feste esclusive.

Albus invece aveva interessi meno ambiziosi rispetto alla sorella e voleva sfruttare la sua pausa estiva dal corso di Auror per divertirsi, bere molto idromele, vino elfico e burrobirra; trovare una bella streghetta con coi godere di un fugace e straziante amore estivo; e dormire tutti i giorni fino all'ora di pranzo.

Ciò che incuriosiva maggiormente Hugo era, invece, la storia della città, l'archituttura e il Palazzo dell'Alhambra, che sperava vivamente di poter visitare, anche se ciò voleva dire mescolarsi ai turisti babbani e limitare l'utilizzo della magia per qualche ora.

Scorpius e Morgan, che erano a Granada già da qualche giorno e che avevano avuto modo di visitarla durante una precedente vacanza, qualche anno prima, non avevano particolari richieste e si erano proposti di fare da ciceroni agli altri.

Rose aveva preso appunti fitti fitti su un foglio, a mano a mano che ognuno raccontava ciò che avrebbe voluto fare nell'arco delle due settimane. Appena il flusso di parole e richieste cessò, la ragazza posò la penna babbana, si prese il capo tra le mani e sospirò: «Vedrò cosa posso fare», disse con un filo di voce, prima di estrarre l'agenda che aveva sempre con sè, la guida di Granada e iniziava a studiare un possibile piano d'azione, per incastrare tutti i loro interessi.

«Lo sai, vero, che non c'è bisogno di...», iniziò a dire Scorpius, con un leggero sorriso sulle labbra, deciso a far capire alla propria ragazza che stressarsi in quel modo sarebbe stato a dir poco controproducente, ma Rose lo fulminò con un'occhiataccia: «Silenzio, altrimenti non riesco a concentrarmi!»

Scorpius sollevò gli occhi al cielo, poi osservò il gruppetto di ospiti di fronte a lui, i quali si guardavano intorno con un misto di curiosità e meraviglia.

Hugo doveva ammettere che, quando Rose gli aveva assicurato che la casa in cui avrebbero alloggiato sarebbe stata abbastanza grande da ospitare tutti quanti,  non le aveva creduto.

Certo, sapeva che Malfoy era ricco e che discendeva da una famiglia Purosangue che nei secoli aveva comprato immobili un po' in tutto il Mondo Magico, ma chissà perché quando erano arrivati di fronte a quella che assomigliava a una semplice casetta a schiera bianca e col tetto rosso, uguale a molte altre in quella via, si era appunto aspettato di emergere — una volta oltre l'uscio — in un ambiente comune e semplice.

Forse proprio perché colto alla sorpresa, la meraviglia che provava nel guardarsi intorno era maggiore di quella che avrebbe provato se avesse tenuto a mente fin da subito quanto fosse ricca la famiglia Malfoy.

Quella che esternamente era apparsa come una casetta di due piani e di dimensioni umili, si scoprì ben presto essere una piccola reggia, situata poco lontano dal centro di Granada.

Pure Fred, che solitamente non si lasciava cogliere impreparato da nulla, si trovò con la bocca spalancata ad ammirare la raffinatezza del mobilio in legno pregiato, la bellezza dei tappeti che davano un tocco di colore al bianco delle pareti e del pavimento in marmo. L'intera architettura della reggia richiamava l'anima moresca dell'Albaicín e dell'Alhambra; si potevano trovare nicchie decorate con dei muqarnas (1), archi a ferro di cavallo, che collegavano diversi ambienti, marmi decorati, bassorielievi e colonne.

Superato il maestoso ingresso erano stati condotti da Malfoy in un grande salotto e lì il tour era momentaneamente finito.

Anche nel salotto il colore dominante era il bianco, smorzato dalle tende color acquamarina alle finestre, dai tappeti variopinti e dalle sedute dai colori più vivaci.

Appena avevano messo piede in quella stanza, a Ugo era sembrato di entrare in un harem privo di concubine e servitori, il che lo aveva lasciato piuttosto senza parole in un primo momento.

Scorpius, lanciò una veloce occhiata a Rose, poi puntò i suoi occhi chiari in quelli della cugina: «Hai voglia di portarli a scegliere tra le camere degli ospiti? Temo che qua ne avremo per un po'».

Rose era talmente presa dallo schema che stava disegnando sul foglio di fronte a sé, che sembrò non sentire le parole pronunciate dal proprio ragazzo, o forse semplicemente decise di ignorarle, così da non perdere tempo in discussioni inutili.

Morgan annuì e giocherellando col foulard colorato che portava al collo, fece gesto a Lily, Albus, Hugo e Fred di seguirla.

Dopo aver attraversato nuvamente il vasto atrio, Morgan indicò l'arco attraverso il quale si accedeva alla sala da pranzo, poi condusse la comitiva al piano di sopra, attraverso un'ampia scalinata in marmo.

Una volta arrivati al primo piano, Morgan prese il corrioio sulla destra e Hugo notò un dettaglio che poco prima, dal salotto del piano terra non aveva avuto l'occasione di cogliere: al centro esatto della casa si trovava un cortile interno nel quale si notavano piante esotiche particolarmente lussurreggianti e una vasca incassata nel terreno, sulla quale si rifletteva il bianco splendore della casa e il verde maestoso degli alberi e cespugli che lo circondavano.

Non fu l'unico a bloccarsi ad ammirare il corridoio porticato che stavano percorrendo, dal quale bastava allungare la mano per poter toccare le foglie e i rami degli alberi più alti del cortile interno.

«Wow», disse Albus, con gli occhi sbarrati, mentre Fred e Lily socchiudevano le labbra per la sorpresa.

Morgan fermò la sua avanzata e si voltò a guardare le espressioni degli ospiti, ricordando fin troppo chiaramente il suo stesso stupore, quando aveva percorso i magnifici corridoi di quella casa per la prima volta.

«Fa un certo effetto, eh?», chiese la cugina di Scorpius, con un sorrisetto divertito sulle labbra.

«E questa voi la chiamate casa?», chiese Fred, una volta ripresosi dalla sorpresa e dalla meraviglia, puntanto i suoi occhi scuri in quelli chiari di Morgan.

La ragazza scoppiò a ridere: «Come dovremmo chiamarla?»

«Palazzo?», propose Albus, con un'espressione incredula in volto, nello stesso momento in cui Lily suggeriva: «Reggia?»

Ancora col sorriso sulle labbra, Morgan scrollò le spalle: «Questo è niente in confronto al castello dello zio Draco in Francia».

«Castello?», chiese Fred, con una punta di incredulità nella voce.

«Francia?», chiese invece Lily, che aveva sempre desiderato visitare i campi di lavanda della Provenza e i castelli lungo il corso della Loira.

«Sì», confermò Morgan, giocherellando con il foulard che aveva al collo: «Un castello, in Francia. Questa casa in confronto sembra una topaia».

«Sapevo che Malfoy fosse ricco», disse Albus: «Ma non pensavo così tanto».

Hugo, che era rimasto in attonito silenzio fino a quel momento, non riuscì a trattenere oltre la domanda che premeva per essere posta: «E cosa se ne fa Malfoy di tutti questi palazzi e case in giro per il Mondo Magico?»

Morgan scrollò le spalle: «Ogni tanto li affitta per feste ed eventi, oppure ci organizza lui stesso party esclusivi, altre volte vi ci passa qualche settimana o mese in vacanza».

«Dev'essere bello avere talmente tanti soldi e case da non sapere che farsene», commentò Lily, appoggiandosi alla balaustra del porticato, in parte ricoperto dal glicine fiorito.

Morgan scrollò le spalle: «Penso di sì, dovresti chiederlo a zio Draco».

«Sai, non sapevo che Scorpius avesse una cugina, ero convinto, chissà perché, che avesse un cugino», disse Albus, ridendo tra sé e sé della propria scarsa memoria: «Siete cugini da parte dell'ex signora Malfoy, vero?»

Hugo notò che il viso, fino a poco prima sorridente, di Morgan, si adombrò all'improvviso: «La mamma di Scorpius e la mia sono sorelle», disse semplicemente, mentre riprendeva a camminare lungo il corridoio, fino ad arrivare ad una porta in legno: «Eccoci alla prima stanza degli ospiti».

Nell'arco di pochi minuti, dopo che Morgan mostrò ogni camera disponibile, ognuno scelse la stanza che gli o le era pià congeniale, chi sull'ala Est della casa, chi su quella Ovest.

Hugo, che non aveva particolari esigenze, finì col lasciar scegliere agli altri, per poi accontentarsi di quella che rimaneva libera sull'ala Ovest, tra la camera di Fred e quella di Morgan.

Durante il breve tour Hugo contò in totale sei stanze degli ospiti e una padronale, dove intuì avrebbero dormito Scorpius e Rose insieme. Ogni camera aveva il proprio bagno personale e nel lato Nord della casa, proprio sopra all'atrio del piano terra, c'era un magnifico terrazzo che dava sulle stradine tortuose che conducevano al centro di Granada.

La stanza di Hugo, come il resto della casa, era dominata dal bianco, con qualche sprazzo di colore dato dal tappeto persiano ai piedi del letto, le tende color indigo che svolazzavano, sospinte dall'aria calda estiva, e un paio di quadri di fattura babbana, dove le immagini rimanevano immobili.

Nell'arco di una manciata di minuti, Hugo aprì la propria valigia, poi però non la disfò, rimase semplicemente a fissare il paesaggio di case bianche e tetti variopinti oltre le finestre della sua camera, le braccia incrociate al petto e la mente dominata da una moltitudine di pensieri che si rincorrevano, instancabilmente.

In un primo momento si chiese se avrebbe dovuto mandare subito una lettera a sua madre e a suo padre, così da avvertirli di essere arrivato sano e salvo a destinazione, poi però accantonò il pensiero, rendendosi conto che avrebbe dovuto parlarne con Rose, così da mandare una lettera unica ai loro genitori.

Successivamente si chiese se, al piano terra, sua sorella fosse ancora concentrata ad organizzare nei minimi dettagli ogni loro passo e sperò vivamente che Malfoy riuscisse, come suo solito, a farla rilassare abbastanza da potersi godere, per una volta, una semplice vacanza senza impazzire.

Hugo sapeva che sua sorella aveva preso da mamma quella sua mania per il controllo e la puntualità, lui stesso era un amante dell'ordine e della precisione, ma mai quanto loro.

Scorpius, con i suoi modi tranquilli e i suoi continui ritardi, sembrava il perfetto opposto di Rose e Hugo non potè fare a meno di pensare che forse era giusto così; era giusto che due persone si attraessero e respingessero allo stesso tempo, così che si potesse creare un buon equilibrio e un legame tanto forte da diventare indissolubile tra loro.

«Ti disturbo?»

Hugo sussultò e si voltò talmente in fretta da perdere l'equilibrio e inciampare sulla sua valigia, cadendo rovinosamente a terra.

Sulla porta, Morgan aveva una mano a coprirle la bocca aperta per lo stupore e gli occhi chiari tanto sbarrati da ricordare quelli di un pesce.

«Stai bene?», gli chiese subito, avvicinandosi a lui con passi veloci e nervosi.

Hugo accettò, con il volto e la nuca rossi per l'imbarazzo, la mano protesa di Morgan e si fece aiutare a tornare in piedi.

«Non volevo spaventarti», disse lei, i lineamenti del viso resi ancora più affilati dalla preoccupazione.

«Non è stata colpa tua», la rassicurò Hugo, sorridendole timidamente: «Sono io che sono imbranato».

Morgan sorrise e scrollò le spalle, aprì bocca, poi la richiuse e arrossì.

Hugo non poté fare a meno di pensare che, quando in imbarazzo, Morgan fosse particolarmente carina.

«Ti va un tour completo della casa?», chiese infine la ragazza, giocherellando nervosamente con il foulard che aveva al collo: «Gli altri sembrano tutti intenti a disfare bagagli o a farsi una doccia...»

«Volentieri», acconsentì Hugo, sorridendo felice.

In un primo momento tra i due giovani calò un silenzio piuttosto imbarazzante, mentre entrambi si crucciavano alla ricerca di qualcosa da dire per iniziare a fare conversazione.

Solo quando arrivarono al grande atrio al piano terra, Hugo parlò: «Sei già stata qua molte volte?»

Il viso di Morgan si illuminò: «Sì, la prima volta tre anni fa, poi ci sono tornata per un breve periodo la scorsa estate: ogni volta che vengo trovo la città sempre più bella».

«C'è un posto in particolare che ti piace più di tutti?», chiese Hugo, deciso a mantenere viva la conversazione, mentre raggiungevano l'arco oltre al quale si trovava la sala da pranzo, abbastanza grande da poter ospitare un vero e proprio banchetto con una trentina di invitati.

«Il Mirador San Nicolás, è un punto della città da cui si ha una bellissima visuale dell'Alhambra», disse Morgan: «È un luogo piuttosto turistico, infatti cerco di andarci solo quando sono abbastanza sicura che sia deserto. Non importa però a quale ora della giornata vai, puoi sempre trovare il signore che suona il sitar per farsi dare qualche spicciolo, la zingara che legge la mano e l'artista che fa ritratti ai passanti. Mi piace sedermi lì e ascoltare il sitar, mentre il sole sorge e tinge di rosso la fortezza dell'Alhambra, circondata dal verde brillante degli alberi, mentre alle sue spalle si stagliano i monti...»

Hugo spostò lo sguardo sulla ragazza accanto a sé, quando smise di parlare e notò una tenue rossore sulle sue gote, senza lasciarle il tempo di aggiungere altro, disse: «Sembra magnifico, mi piacerebbe accompagnarti un giorno».

Morgan smise di giocherellare col foulard e sorrise: «Ti ci porterò di sicuro, allora!», esclamò, prendendo Hugo sotto braccio.

«Questa come puoi vedere e l'umile sala da pranzo».

Un sorriso colmo di sarcasmo curvò le labbra di Morgan, mentre pronunciava quelle parole e Hugo non potè fare a meno di ridere a quella battuta.

La stanza dove si trovavano, oltre a poter ospitare tranquillamente una trentina di invitati, aveva le pareti ricoperte da quadri con cornici barocche; alcuni raffiguravano dame e cavalieri d'altri tempi profondamente addormentati, altri dei sultani intenti a conversare tra di loro in arabo.

Per terra c'era un grande tappeto sui toni del rosso e dell'arancio, in cui erano raffigurati dei draghi intenti in un combattimento all'ultimo sangue e dal soffitto pendeva un elegante candelabro coi bracci dorati che sorreggevano centinaia di candele.

«Umile è proprio la parola giusta per descriverla», disse Hugo, facendo allargare ulteriormente il sorriso sulle labbra di Morgan.

«Vero? A zio Draco piacciono le case poco fatiscenti».

I due ragazzi ridacchiarono e si fermarono sotto ai tre quadri occupati da sultani arabi, che parlavano fitto fitto tra di loro.

«Tu li capisci?», chiese Hugo all'orecchio di Morgan, non potendo fare a meno di registrare il profumo di fiori d'arancio che emanava la pelle della ragazza.

«No, tu?»

Hugo scosse il capo e in quel momento i tre uomini smisero di parlare e puntarono i loro occhi scuri su di loro, le sopracciglia corrucciate sinistramente.

«Salve!», li salutò Morgan, sorridendo affabile: «Vi ricordate di me?»

Uno dei tre uomini, voltò le spalle alla ragazza, mentre gli altri due continuarono a puntare i loro sguardi su di lei, con un misto di sconsolata impazienza.

«Cosa vuole, signore?», disse infine uno dei due uomini, mentre l'altro continuava a rimanere immobile.

Hugo percepì il braccio della ragazza, ancora intrecciato al proprio, irrigidirsi appena e d'istinto spostò lo sguardo sul volto livido di Morgan.

«Non so perché zio Draco si ostini a tenere quadri tanto maleducati in questa casa», disse la cugina di Scorpius, sollevandò il mento e il naso: «Dovrò scrivergli una lettera al riguardo».

Dopo quelle parole, Morgan trascinò Hugo fuori dalla sala da pranzo e, attraverso una porta in legno, sbucarono nelle cucine.

«Ogni volta che provo a parlare con quei quadri mi ignorano o mi insultano», disse la ragazza, il volto ancora leggermente corrucciato: «Sono dei bigotti senza cervello!»

Hugo annuì appena, troppo distratto ad osservare la nuova stanza in cui si trovavano, per trovare una risposta di senso compiuto alle lamentele della ragazza.

La cucina non era bianca e ben curata come il resto della casa, ma conservava uno stile più rustico. Un paio di elfi domestici erano profondamente addormentati sul un cumulo di stracci maleodoranti e Hugo si stupì di quella vista.

Sua madre non aveva mai voluto che elfi domestici lavorassero in casa loro, ma questo non voleva dire che Hugo non avesse mai visto quelle creature dal vivo prima. Lo zio George e lo zio Percy infatti avevano al loro servizio degli elfi domestici e più volte Hugo, durante cene di famiglia tenutesi a casa loro, aveva avuto occasione di osservare quelle buffe creature.

Da quando sua madre aveva cambiato le leggi e imposto che gli elfi domestici avessero dei diritti che fossero il più simili possibili a quelli dei maghi, Hugo aveva notato come quelle creature avessero iniziato a indossare altro, oltre al solito logoro straccetto.

Ma in Spagna la situazione non sembrava altrettanto rosea per gli elfi, finì col constatare Hugo quel giorno, osservando lo stato in cui si trovavano quelle due povere creature, che sonnecchiavano pacificamente su un mucchietto di stracci deposto accanto al camino spento.

«Loro sono Polilla e Ácaro (2)», disse, abbassando il tono di voce Morgan, osservando a sua volta con un'espressione a metà strada tra la pietà e l'affettuoso, i due elfi domestici addormentati sul tappeto, schiena contro schiena: «Sono compagni, se fai attenzione noterai che Polilla è incinta al momento».

Hugo sbarrò leggermente gli occhi a quella rivelazione e si fece più vicino ai due elfi, notando che, effettivamente, una delle due creature aveva il ventre arrotondato.

«In Spagna gli elfi domestici non se la passano molto bene, zio Draco ha provato più volte a dire ad Ácaro e Polilla che, essendo lui un mago inglese, gradirebbe rispettare le leggi inglesi e dare loro uno stipendio, ma loro hanno troppo paura; le leggi spagnole sono molto rigide al riguardo».

Hugo distolse lo sguardo, per posarlo sul volto dai lineamenti affilati di Morgan, che in quel momento trasmetteva una tristezza profonda: «È incredibile quanto siano radicati bigottismo e stupidi pregiudizi nel Mondo Magico e in quello Babbano...», gli occhi chiari di Morgan si posarono in quelli scuri di Hugo: «Dimmi, Hugo fratello di Rose, tu ti reputi una persona dalle vedute ristrette?»

Il ragazzo stava per rispondere, quando la porta che dava sulla cucina si aprì ed entrarono Fred e Albus, entrambi sfoggiavano un sorriso furbesco sulle labbra.

«Eccovi! Vi stavamo cercando ovunque!», disse Albus, prima di notare gli elfi addormentati e tapparsi la bocca con le mani: «Ops», sussurrò: «Li ho svegliati?»

Gli elfi sembrarono non esser stati disturbati dai nuovi arrivati, ma Morgan sospinse comunque Hugo verso la porta da cui erano appena comprarsi i due ragazzi.

Solo quando tutti e quattro si trovarono nella sala da pranzo, Fred riprese il discorso: «Ci siamo imbattuti in una sauna mentre vi cercavamo, questa casa è enorme!»

Hugo spalancò gli occhi scuri: «Una sauna?»

Morgan rise e si sitemò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio: «Sì, ti ci avrei portato dopo le cucine, ci sono dei mosaici molto graziosi».

Fred e Albus si scambiarono una veloce occhiata maliziosa, che non sfuggì a Hugo, il cui viso e collo si fecero istantaneamente di un rosso acceso.

«Io e Al abbiamo deciso cosa vogliamo fare questa sera», disse Fred, appoggiandosi con il gomito alla spalla del cugino accanto a lui, sfoggiando un enorme sorriso sulle labbra.

Albus annuì: «Esatto, anche Lily è d'accordo».

Morgan sorrise: «Sentiamo, cosa vorreste fare?»

«Andare nel locale notturno più esclusivo per rimorchiare!», disse Albus, nello stesso momento in cui Fred esclamava: «A bere e divertirci!»

Morgan annuì, lanciò una veloce occhiata a Hugo, e strinse appena la stretta intorno al braccio del suo nuovo amico: «Mi sembra un'ottima idea».

 

 

 

 

 

(1) Quella che vedete nell'immagine qua sotto è un esempio di nichia decorata con dei muqarnas, se cercate su Google, potete trovare molte altre immagini simili, ma di diversi colori. Io personalmente trovo questo tipo di decorazione spettacolare!

(2) Polilla in spagnolo significa "falena", mentre Ácaro vuol dire "cimice"

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Benvenuti alla fine della sesta parte di "Amori segreti"!

Per un paio di capitoli metteremo da parte i "grandi" (ossia la generazione di Harry Potter), per dedicarci un po' alla nuova generazione in vacanza a Granada.

Spero di non avervi annoiato troppo con la descrizione della casa, mi sono un po' ispirata ai palazzi Nasrid interni alla fortezza dell'Alahmbra per descrivere l'umile dimora in cui alloggeranno i ragazzi durannte la vacanza, fatemi sapere cosa ne pensate!

Trovate che stia esagerando con le descrizioni o che ce ne siano troppo poche?

E cosa ne pensate dei personaggi? Vi stanno piacendo?

Spero che abbiate tempo e voglia di lasciarmi un commento, per farmi sapere qualcosa (essendo la prima volta che scrivo sulla nuova generazione sono un po' insicura)!

Detto ciò, vi ricordo che il prossimo capitolo arriverà Sabato; se siete su Instagram e avete voglia di seguirmi anche lì, il nome del mio account è lazysoul_efp; nel caso foste interessati a supportare i miei scritti, vi ricordo che mi potete trovarmi anche su Ko-fi, dove potete donarmi un simbolico caffé!

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 7
*** Di quando Rose accettò di passare la serata in un locale notturno ***


7. Di quando Rose accettò di passare la serata in un locale notturno



 

«Non sono sicura che sia una buona idea», disse Rose, impalata fuori dalla porta rossa, oltre la quale Morgan aveva assicurato esserci uno dei locali notturni magici più famosi al mondo.

Scorpius sollevò gli occhi al cielo con un sorrisetto mezzo divertito e mezzo spazientito sulle labbra: «Ne abbiamo già parlato, Rosie, è un semplice locale dove divertirsi in tutta sicurezza; ti assicurò che non ci sono loschi figuri o terribili maledizioni oltre a questa porta».

La ragazza puntò gli occhi sul volto di Scorpius, poi su quello di Hugo e rimase a mordersi il labbro, pensierosa, per qualche secondo.

In quel momento la porta rossa si aprì e ne uscì un gruppetto di tre ragazze che chiacchieravano rumorosamente tra di loro in spagnolo, una di loro lanciò occhiate incuriosite al gruppo di ragazzi che, a pochi passi dalla porta del locale sembravano incerti se entrare o meno.

«Va bene», disse alla fine Rose, scrollando le spalle: «Entriamo».

Prima che gli altri potessero registrare quanto aveva appena detto, la ragazza raggiunse in due falcate la porta e la aprì.

Scorpius entrò subito dopo di lei, un sorriso soddisfatto sulle labbra, poi fu il turno di Albus, Fred e Lily, che faticavano a rimanere fermi dall'impazienza che avevano di entrare a divertirsi.

Appena Hugo oltrepassò la soglia, seguito da Morgan, venne investito dalla forza della musica, che veniva suonata su un piccolo palco, posizionato in un angolo del locale, e dal forte odore di alcol e sudore che si sentiva nell'aria.

Una donna, con la testa rasata e una smorfia svogliata, li fermò all'ingresso e iniziò a controllare, con un veloce incantesimo, che nessuno di loro avesse con sé oggetti impregnati di Magia Oscura, dopodiché si fece dare da ciascuno due galeoni e lanciò un innocuo incantesimo, che avrebbe permesso loro di uscire ed entrare a piacimento nel locale, nell'arco della notte, senza dover nuovamnte pagare l'ingresso.

La sala era malamente illuminata da candele svolazzanti e una leggera foschia aleggiava sul pavimento, nascondendo i piedi degli astanti.

Morgan e Scorpius fecero strada fino al bancone del bar, dove un giovane mago col volto cosparso di lentiggini servì loro sette burrobirre.

Malgrado le proteste, Scorpius offrì quel primo giro di bevute, poi si diressero tutti insieme verso le scale, che portavano al secondo piano del locale, dove si trovavano un numero indefinito di tavoli in legno piuttosto grezzi e delle panche su cui sedersi.

Rose, col naso arricciato per la puzza di sudore che aleggiava nell'aria, si sedette accanto a Scorpius a uno dei tavoli liberi, e constatò che, per quanto poco curato, il locale aveva un fascino rustico apprezzabile, ma che non era certamente un luogo dove lei si sentiva particolarmente a proprio agio.

Albus e Fred non si sedettero con Rose e Scorpius, ma puntarono subito lo sguardo su un tavolo poco distante, dove un gruppo eterogeneo di ragazzi e ragazze stava chiacchierando animatamente in spagnolo: «Noi andiamo a fare amicizia», disse Al, prima di afferrare il braccio del cugino e portarlo con sé.

Lily bevve giusto un sorso di burrobirra, prima di decidere di scendere a ballare e nell'arco di pochi minuti al tavolo rimasero solo Morgan, Hugo, Scorpius e Rose.

«Propongo un brindisi», disse Scorpius, sollevano la propria burrobirra e attirando l'attenzione di Hugo, che continuava a guardarsi intorno con curiosità.

«A quella che sarà la vacanza più bella di sempre!»

Rose fece scontrare la propria burrobirra con quella del ragazzo e annuì: «Sono d'accordo, ancora non ho concluso l'itinerario, ma sono certa che riusciremo a fare molto in queste due settimane!»

Hugo scambiò uno sguardo sconsolato con Scorpius, mentre quest'ultimo ricordava a mezza voce, alla propria ragazza, che l'obiettivo era rilassarsi e divertirsi, non impazzire dietro a un itinerario.

«Alle nuove amicizie», disse Morgan, facendo scontrare la propria burrobirra contro quella di Hugo.

Il ragazzo spostò lo sguardo sulla ragazza seduta accanto a lui e, non per la prima volta quella sera, arrossì nel constatare quanto Morgan fosse bella.

Indossava un foulard rosso, legato intorno al collo, un top nero con le spalline sottili e dei pantaloncini di jeans a vita alta. Le ciglia erano più nere e lunghe rispetto a quel pomeriggio, segno che doveva averle incantate con qualche incantesimo o aver utilizzato dei cosmetici babbani, e le labbra erano dipinte di un rosso identico a quello del foulard.

Poco sotto la clavicola destra della ragazza spiccava il tatuaggio di una rosa blu, talmente realistico da sembrare un fiore vero.

«Alle nuove amicizie», ripetè Hugo, prima di prendere un lungo sorso di burrobirra, gli occhi che faticavano a staccarsi da Morgan.

«Ti piace il mio tatuaggio?», chiese lei, notanto lo sguardo insistente su di sé.

«Sì, molto», ammise Hugo, arrossendo vistosamente all'idea di esser stato colto sul fatto: «Ha un significato?», chiese, per poi mordersi la lingua; le aveva forse fatto una domanda troppo personale?

Morgan non disse niente per qualche secondo, mentre prendeva un sorso di burrobirra e osservava una coppia di ragazzi poco distanti, intenti a sussurrarsi smancerie all'orecchio e a sorridersi in modo accattivante.

«La rosa blu simboleggia la ricerca e la realizzazione dell'impossibile», disse alla fine la ragazza, portando nuovamente gli occhi azzurri su quelli scuri di Hugo: «Ha anche altri significati, ma questo è quello che mi ha spinto a tatuarmela. Tu hai tatuaggi?»

Hugo scosse la testa: «No, non saprei cosa tatuarmi», ammise, prima di chiedere: «Tu ne hai altri?»

Morgan annuì e si mise a cavalcioni sulla panca su cui era seduta, così da potersi sfilare comodamente una scarpa e mostrare la libellula stilizzata che aveva tatuata sul dorso del piede sinistro: «Simboleggia la libertà e il cambiamento», disse, anticipando la domanda di Hugo: «Me la sono tatuata due anni fa».

La musica che proveniva dal piano di sotto si interruppe per qualche secondo e Hugo si trattenne dal fare altre domande, certo che avrebbero finito coll'essere troppo personali; così si limitò a terminare la burrobirra rimastagli in un unico sorso e a chiedersi se fosse il caso, o meno, di invitare Morgan a ballare.

In quell'istante, prima che Hugo potesse decidersi a fare la sua mossa, Lily tornò al loro tavolo e senza tante cerimonie prese la mano di Morgan: «Mi annoio a ballare da sola», disse semplicemente, iniziando a trascinare la cugina di Scorpius verso le scale.

Morgan gettò un'occhiata veloce a Hugo, quasi a scusarsi di quell'interruzione, poi seguì Lily al piano di sotto.

«Penso che tu piaccia a mia cugina», disse Scorpius, senza tante cerimonie, facendo arrossire vistosamente Hugo.

Rose, seduta accanto al proprio ragazzo, sorrise furbescamente: «Penso che anche a mio fratello piaccia tua cugina».

Hugo non disse niente, rimanendo per qualche secondo a giocherellare con la bottiglia di burrobirra vuota che aveva tra le mani, poi si alzò e disse: «Vado anche io a ballare».

Rose si appoggiò maggiormente al fianco di Scorpius e annuì: «Mi sembra un'ottima idea», acconsentì, seguendo con sguardo serio la discesa di Hugo verso il piano inferiore: «Spero che tua cugina non gli spezzi il cuore».

«Fidati, è più probabile che sia lui a spezzare il cuore a Morgan», rispose Scorpius, iniziando a giocherellare con una ciocca di capelli della ragazza.

Rose posò gli occhi azzurri in quelli grigi di Scorpius e sorrise: «Che pessimisti che siamo! Magari non si spezzerà nessun cuore...»

Il giovane Malfoy annuì e lasciò un bacio a fior di labbra alla propria ragazza: «Hai ragione, potrebbero scorpire di essere perfetti l'uno per l'altra».

«Esatto», disse Rose, sistemandosi sulla panca, in modo da essere il più vicina possibile a Scorpius: «E diventeranno più sdolcinati di noi».

Malfoy scosse il capo: «Impossibile», affermò sorridendo: «Non può esistere nessuna coppia più sdolcinata di noi».

Il lieve bacio che lasciò sulle labbra socchiuse di Rose, si trasformò ben presto in un contatto più profondo, che rischiò di lasciare entrambi senza fiato.

Quando le loro labbra di separarono non lo fecero per molto.

Era tutto il giorno che Rose, malgrado non avesse desiderato altro, aveva faticato a trovare il coraggio di baciare il proprio ragazzo, sentendosi una sciocca ogni volta che non lo faceva o che tentennava; ora che finalmente Scorpius aveva fatto il prim passo, non avrebbe interrotto quelle effusioni per nulla al mondo.

Scorpius, dal canto suo, era tutto il giorno che percepiva una strana tensione, ogni volta che lui e Rose rimanevano soli, tensione a cui non era riuscito a dare un nome fino a quel momento; momento in cui aveva realizzato che era passato troppo tempo dall'ultima volta che si erano baciati e che dovevano assolutamente recuperare il tempo perso.

A qualche tavolo di distanza, intanto, Fred aveva iniziato a utilizzare il suo dado truccato per fare delle scommesse e vincere qualche galeone, mentre Albus ci provava spudoratamente con la ragazza di fronte a lui, Haiyun Li (1), che aveva incantevoli occhi a mandorla e i capelli neri più lisci e lucenti che Albus avesse mai visto in vita sua.

Al piano inferiore invece, Hugo si stancò ben presto di cercare tra la folla i volti di Lily e Morgan, che sembravano esser scomparsi nel mare di gente che ondeggiava a ritmo di musica in tutta la sala. Dopo qualche minuto di infruttuosa ricerca, decise di uscire a prendere una boccata d'aria fresca in strada e, fecandosi largo tra la folla, raggiunse la porta rossa dell'ingresso.

La prima cosa che notò, una volta uscito, fu la qualità decisamente migliore dell'aria, oltre al fatto che l'afa del giorno sembrava aver lasciato spazio ad una brezza più mite.

Morgan si trovava appoggiata alla parete dall'altra parte della strada rispetto alla porta rossa e fumava, pensierosa, lo sguardo perso ad osservare il cielo blu della notte.

Prima che Hugo potesse raggiungerla due ragazzi le si fermarono vicino, chiedendole a gran voce se volesse compagnia e cosa ci facesse tutta sola una così bella ragazza.

In un primo momento Hugo esitò e si bloccò in mezzo alla strada, poi notò chiaramente il fastidio sul viso di Morgan e, senza pensarci due volte, riprese a camminare, deciso a dare manforte alla ragazza per scacciare i disturbatori.

«Non sono interessata, ragazzi», disse Morgan con tono insofferente, ma fu come se non avesse parlato, dato che i due ragazzi continuavano a starle addosso e a dirle quanto fosse bella.

«Morgan, tutto ok?», chiese Hugo, ormai a pochi passi dai due molestatori, la mano che stringeva la propria bacchetta e uno sguardo serio in volto.

Uno dei due disturbatori sbuffò, l'altro invece borbottò a mezza voce: «Bastava dirlo che avevi già il ragazzo, dolcezza».

Fecero un gesto di saluto a dir poco volgare e si diressero verso la porta rossa, scomparendo dalla vista.

Morgan e Hugo rimasero a fissarsi per qualche secondo, poi un sorriso amaro comparve sulle labbra tinte di rosso di Morgan: «Succede sempre così, se tu dici loro di non essere  interessata, ti ignorano o ti insultano, ma sa un ragazzo arriva a difenderti, allora smettono di darti fastidio e se ne vanno», prese una boccata di fumo, che le uscì in nuvole sottili dalle labbra: «E sai perché succede? Perché una donna non viene quasi mai vista come una persona, ma come un oggetto».

Hugo posò la bacchetta e si appoggiò al muro, accanto a Morgan: «Stai bene?»

La ragazza sorrise, prese un'altra boccata di sigaretta, poi la fece evanescere con un incantesimo silenzioso e rimase appoggiata al muro con una spalla, voltandosi verso Hugo: «Grazie per essere intervenuto, davvero, mi hai risparmiato la fatica di dimostrare a quei due deficienti di essere molto brava ad usare la bacchetta».

«Non ho fatto poi molto», disse il ragazzo, scrollandò le spalle: «Ti succede spesso?»

Morgan annuì e abbassò lo sguardo: «Abbastanza da diventare sempre più monotono e fastidioso», ammise: «Sai, all'inizio, quando sei ancora giovane e ingenua, ricevere commenti simili può anche lusingare, poi ti fanno sentire tanto sporca e inadeguata da voler semplicemente diventare invisibile. Solo col tempo capisci che non è colpa tua, o di come ti vesti o di come ti atteggi, non importa quanto tu sia effettivamente bella o no; la causa di una molestia non è mai il desiderio, ma il potere».

Non era la prima volta che Hugo udiva discorsi simili, era, in fondo, figlio di sua madre e in quanto tale era stato cresciuto con la convinzione che le donne meritassero rispetto tanto quanto gli uomini.

«Mi dispiace che tu debba sopportare certe cose», disse, un sorriso corrucciato sulle labbra, mentre osservava il volto candido della ragazza.

Morgan sorrise: «Ci dovrebbero essere più ragazzi come te al mondo, Hugo, fratello di Rose; allora sì che le ragazze si sentirebbero più tranquille a camminare da sole per strada, notte e giorno».

Prima che il ragazzo potesse ribattere la porta rossa del locale si aprì e la buttafuori a cui avevano pagato l'ingresso poco prima, fece uscire con un incantesimo di levitazione, Fred e Albus.

I due ragazzi si sitemarono con un gesto stizzito i capelli e i vestiti, appena tornarono in piedi, poi, notando gli sguardi indagatori di Morgan e Hugo, dall'altra parte della strada, Fred sorrise, mentre Albus sbuffò sonoramente.

«Hey, cugino!», esclamò Fred, avvicinandosi: «A quanto pare le scommesse non sono ammesse all'interno del locale», disse, sollevando le spalle: «Pazienza, sono riuscita a guadagnare una ventina di galeoni, prima che mi beccassero».

Gli occhi di Hugo si puntarono sul volto scocciato di Albus: «Tu non hai vinto niente?», gli chiese.

Albus Severus Potter scosse il capo e lanciò un'occhiata di fuoco a Fred: «No, non ho vinto niente perché non stavo scommettendo, ma mi stavo facendo tranquillamente i fatti miei».

Fred rise e scosse il capo: «Bugiardo, ci stavi provando con la ragazza del tizio a cui ho spillato dieci galeoni».

«Stavo solo facendo conversazione!», esclamò Al, indispettito.

«E da quando per fare conversazione devi fare gli occhi dolci e raccontare di essere il figlio di un mago molto famoso in tutta l'Inghilterra?», chiese Fred, mentre giocherellava con il dado truccato che aveva ancora in mano.

Albus s'imbronciò ulteriormente, poi sospirò: «E va bene, ci stavo provando con lei, contento? Comunque non vedo come questo avrebbe dovuto farmi bandire dal locale!»

Fred scrollò le spalle: «Non so amico, se può consolarti penso che quella ragazza non fosse affatto interessata a te».

Albus iniziò a borbottare qualcosa a mezza voce e, in quel momento, la porta rossa del locale si aprì nuovamente; ne uscì Haiyun, che con aria circospetta si avvicinò al loro gruppo e prese Al per il braccio, allontanandolo dagli altri.

Fred osservò, incredulo, il cugino e la ragazza coi lunghi e lucenti capelli neri parlare in modo appassionato a pochi passi di distanza, senza però riuscire a distinguere di cosa stessero discutendo.

Morgan e Hugo si lanciarono occhiate perplesse, poi si sorrisero, nello scoprirsi complici in quell'inaspettato frangente.

Fred, che aveva smesso di giocare con il dado truccato, provò ad avvicinarsi per origliare la conversazione tra Albus e Haiyun, ma la ragazza aveva appena lasciato tra le mani di Al un pezzetto di carta e stava tornando verso il locale con passo rapido e nervoso.

Quando Haiyun scomparve oltre la porta rossa, Albus tornò, con un'espressione compiaciuta in volto, verso Fred, Hugo e Morgan.

«"Non era affatto interessata a me", eh?», borbottò il ragazzo, osservando con un sorrisetto il volto stupito e curioso di Fred: «Mi ha lasciato il suo indirizzo», Al sventolò appena il foglietto che aveva tra le mani, prima di riporlo con attenzione nella tasca dei pantaloni scuri che indossava.

«Bene, almeno la smetti di comportarti come un bambino capriccioso; tu hai avuto quello che volevi e io pure», disse Fred, tamburellando con le dita sul sacchetto di galeoni, che tintinnava allegramente, legato con un incantesimo alla cintura dei suoi pantaloni.

«Io torno verso casa», disse Albus, con un sorriso: «Ho una straziante lettera d'amore da scrivere».

L'istante successivo si era Smaterializzato, lasciando Fred, Morgan e Hugo da soli nella via.

«Conosci altri locali, dove magari scommettere non è illegale?», chiese Fred a Morgan, portandosi le mani sui fianchi.

La ragazza ci pensò per qualche secondo, aggrottando appena la fronte, poi indicò al ragazzo di seguire la via e di cercare una porta gialla, che avrebbe trovato sulla sua destra, oltre la quale c'era un locale leggermente meno raccomandabile di quello da cui era appena stato scacciato.

«Ci sono tizi un po' loschi», lo avvertì Morgan, appena Fred iniziò a percorrere la strada con passo sicuro.

«Tranquilla, spillare i soldi alle persone losche è la mia specialità!»

«Prima o poi quel ragazzo finirà in un mare di guai», disse Morgan, le labbra imbronciate che mostravano la sua sincera preoccupazione, mentre osservava Fred scomparire lungo la via.

Hugo sospirò e annuì: «Probabile».

«Rientriamo?», propose Morgan, muovendo qualche passo verso la porta rossa.

Una volta dentro, Hugo storse appena il naso nel sentire nuovamente l'odore di alcol misto a sudore, che sembrava impregnare ogni muro e mobile del locale.

Per non perdersi tra la folla, Morgan e Hugo si strinsero la mano, premendo con un misto di incertezza ed emozione i loro palmi l'uno contro l'altro.

Poco prima che arrivassero alle scale che portavano al piano di sopra, Hugo racimolò tutto il proprio coraggio e, avvicinando la bocca all'orecchio di Morgan, le chiese se avesse voglia di ballare.

La ragazza sorrise e annuì, urlando, oltre alla musica: «Volentieri!»

Fecero giusto in tempo a mescolarsi tra la folla di fronte al palco ad angolo, prima che Hugo si pentisse amaramente di aver chiesto a Morgan di ballare.

Si era immaginato qualcosa di più romantico; un cambio improvviso di atmosfera, la sala meno affollata e magari un dolce lento, che l'avrebbe costretto a stringere la ragazza tra le sue braccia, per qualche minuto, e a cancellare l'odore di sudore e alcol del locale con quello di fiori d'arancio della pelle di Morgan.

La realtà era ben diversa dalla fantasia.

La musica che veniva suonata in quel momento, da un giovane gruppo spagnolo composto interamente da streghe, non era particolarmente romantica, ma molto graffiante e ritmica.

La folla continuava a spingerli o a insinuarsi tra di loro, rendendo quello che doveva essere un semplice ballo un'inusuale lotta per la sopravvivenza.

Hugo, particolarmente sconsolato, era sul punto di interrompere quel momento pieno di disagio e di imbarazzo, ma prima che potesse prendere la mano di Morgan e sospingerla verso le scale, la ragazza spazientita a sua volta dalla situazione, gettò le braccia intorno al collo di Hugo.

Morgan e Hugo trattenero per qualche secondo il respiro, immobili, gli occhi chiari di Morgan che sembravano incolori, a causa della scarsa illuminazione del locale, spalancati ad osservare quelli di Hugo, che parevano neri.

Qualcuno alla loro sinistra li spinse e il momentaneo imbarazzo e la strana incertezza, che li avevano colti, sparirono; i due ragazzi si sorrisero e, senza bisogno di dire niente, iniziarono a ballare un lento, seguendo una dolce melodia che esisteva solo nelle loro teste.

Hugo avvolse le mani intorno ai fianchi stretti di Morgan con un pizzico d'incertezza, quasi non potesse credere di star davvero vivendo quel momento.

Trattenne il respiro quando la ragazza appoggiò la guancia contro la sua spalla, solleticandogli la pelle del collo e della mandibola con i suoi capelli biondi, poi sorrise e chiuse gli occhi.

Morgan e Hugo rimasero stretti in quello strano abbraccio dondolante, per quelli che parvero ad entrambi interminabili minuti di pura gioia; ignoravano chi li spingeva, le urla o ogni altro suono che non fosse quello dei loro cuori che battevano furiosamente nelle rispettive casse toraciche.

Poi Morgan si mosse, spostando il capo dalla spalla di Hugo, così da portare il loro visi ad un soffio l'uno dall'altro.

Gli occhi scuri di Hugo scivolarono sui lineamenti della ragazza, per poi attardarsi sulle sue labbra socchiuse; non aveva mai desiderato con altrettanta forza di premere la propria bocca contro quella di un altro essere umano prima di allora.

«Eccovi! Vi stavamo cercando ovunque!», urlò Lily, alla loro destra, facendo sussultare entrambi per lo spavento e spingendoli a sciogliere l'abbraccio.

Alle spalle di Lily, Rose e Scorpius si scambiavano sorrisetti complici che portarono l'imbarazzo di Morgan e Hugo alle stelle.

«Sapete dove sono Fred e Albus?», urlò Lily, così da sovrastare la musica.

«Albus è a casa, mentre Fred è andato in un altro locale», disse Morgan, giocherellando nervosamente con il foulard che aveva al collo, gli occhi che sembravano schizzare da un angolo all'altro del locale, pur di non incontrare quelli di Hugo, Scorpius, Rose o Lily.

«Perché non ne parliamo fuori?», gridò Scorpius, prima di sospingere Rose — che sembrava particolarmente indispettita, probabilmente per il fatto che Fred e Albus fossero andati via senza avvertirla — verso la porta rossa dell'ingresso.

Una volta all'esterno del locale, decisero di comune accordo di tornare tutti a casa, dove trovarono Albus addormentato in salotto, con una macchia d'inchiusto sulla guancia e un paio di pergamene accartocciate accanto a lui.

Fu Lily a svegliarlo e a indirizzarlo verso le camere al piano superiore, mentre Morgan e Scorpius, sotto lo sguardo preoccupato di Rose, decisero di andare a cercare Fred e di riportarlo al più presto a casa.

Hugo, spossato per la lunga giornata, decise di andare a letto, chiedendo e Rose di svegliarlo, in caso di necessità.

Appena il ragazzo appoggiò la testa sul comodo cuscino del proprio letto, chiuse gli occhi e un dolce sorriso gli incurvò le labbra al pensiero del ballo e del quasi bacio con Morgan.

Hugo non vedeva l'ora di svegliarsi il mattino successivo, per poter passare altro tempo con la ragazza con una rosa blu tatuata sotto la clavicola.










 

(1) Hǎiyún Li (海云李), nome cinese, dove hǎi si riferisce al mare e yún sono le nuvole, mentre Li è il cognome.

 

***

 

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine di un altro capitolo di "Amori segreti"!

Continuano le avventure della nuova generazione, che spero vi stiano piacendo.

So che per il momento non abbiamo parlato molto di Granada, prometto di inserire alcuni dei luoghi più famosi e conosciuti della città nei prossimi capitoli.

Ma parliamo di cose più importanti: Morgan e Hugo.

Spero che vi stiate pian pianino innamorando di loro, proprio come sta succedendo a me; ho grandi progetti per loro due e non vedo l'ora di riprendere questa sottotrama.

Sfortunatamente il prossimo capitolo non sarà sulla nuova generazione, né su Ginny, né su Hermione, ma su altri due personaggi... Avete indovinato di chi sto parlando?

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp; nel caso voleste donarmi un caffé per sostenere il mio canale, potete trovarmi anche su Ko-fi!

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 8
*** Di quando Harry e Ron invitarono James e Teddy a cena ***


 

8. Di quando Harry e Ron invitarono James e Teddy a cena


 

Harry e Ron, impalati nell'ingresso di casa, osservavano la porta chiusa, di fronte a loro, come se si aspettassero, da un momento all'altro, di vedervi emergere una o tutte e tre le teste di Fuffi, l'adorabile cane di Hagrid, che avevano avuto la fortuna di conoscere il primo anno ad Hogwarts.

«Dici che verranno?», chiese Ronald, grattandosi pensieroso la nuca, mentre cercava di tenere a bada l'apprensione.

«Perché non dovrebbero?», ribatté Harry, lanciando un'occhiata stupita al compagno.

Appena Harry notò l'effettiva preoccupazione sul volto di Ron, allungò una mano e intrecciò le proprie dita a quelle del rosso: «Vedrai che andrà tutto bene».

Ronald fece una piccola smorfia e accettò di buon grado il bacio che il moro gli lasciò sulla guancia, poi sospirò e sbottò: «Miseriaccia, l'attesa mi sta mandando fuori di testa, vado a controllare la cena».

Con quelle parole Ron scomparve in cucina, lasciando Harry da solo di fronte alla porta d'ingresso.

La casa in cui si trovavano era la tipica villetta a schiera su due piani che si poteva trovare nella periferia di Londra; con un ingresso stretto, una triste moquette grigia in quasi ogni stanza, una scala ripida che collegava il piano terra con il piano superiore, una cucina troppo bianca, due bagni, tre camere da letto, un semplice salotto e una sala da pranzo piuttosto spoglia.

Quella casa, ad un occhio estraneo, sarebbe parsa come minimo triste e anonima, qualcuno avrebbe anche potuto dire che mancava un tocco femminile o che semplicemente mancava un qualsiasi tocco, che le potesse dare un'anima propria, per distinguerla dalle altre identiche case che occupavano l'intero quartiere.

Agli occhi di Harry e Ron, invece, quella modesta villetta a schiera era semplicemente perfetta.

Nessuno dei due s'interessava di arredamenti, o era minimamente preoccupato di come il grigio spento della moquette avesse il potere di deprimere anche la persona più allegra dell'intero Pianeta.

Era stato Harry ad acquistare quella casa, in gran segreto, dieci anni prima, approfittando di un'offerta irripetibile.

Poi era rimasto per un paio di mesi nel dubbio se comunicare quella sua follia a Ron o tenersela per sé.

Per quanto amasse Ronald, Harry aveva sempre temuto che il suo migliore amico avrebbe finito per interrompere la loro relazione, perché incapace di sostenere oltre l'enorme bugia che li opprimeva da quando si erano baciati per la prima volta.

Aveva tentennato giusto un paio di mesi, poi aveva condotto Ron nel nido d'amore che aveva comprato e gli aveva consegnato una copia della chiave.

Harry ricordava fin troppo bene la discussione che avevano avuto quella sera, soprattutto il modo in cui Ronald aveva continuato a ripetere che stava diventando troppo difficile mentire ad Hermione e che avrebbero dovuto ammettere tutto quanto alle rispettive mogli.

Ne avevano parlato a lungo, seduti sul divano del salotto, tormentandosi con ipotetici scenari di divorzio, urla e pianti, poi Harry aveva preso la mano di Ron, lo aveva guardato dritto negli occhi e con calma gli aveva detto che lo amava e che qualsiasi cosa avrebbero scelto, l'avrebbero fatto insieme, come una vera coppia.

Ed era così che avevano passato i successivi dieci anni da quell'acquisto folle: come una vera coppia, tanto da finire col considerare quella semplice villetta a schiera la loro prima casa.

Harry e Ron non andavano fieri dei vent'anni anni che avevano passato a mentire e omettere e nascondersi; provavano anzi un pungente e doloroso senso di colpa, ogni volta che pensavano seriamente a quanto male dovevano aver causato a Ginny ed Hermione e a quanto ne avrebbero ancora causato ai loro figli.

Eppure, ogni volta, il senso di colpa veniva subito zittito da un'argomentazione molto cara ad Harry e Ronald: l'inevitabilità di tutto quello che era successo.

Non avevano scelto loro, in giovane età, di innamorarsi di due ragazze forti ed intelligenti.

Non avevano scelto loro di percepire, col passare dei mesi e degli anni, quello che avevano pensato essere vero amore diminuire e scemare fino a scomparire; lasciando dietro di sé il forte affetto che si potrebbe provare per una sorella a cui si vuole bene o una parente a cui si è particolarmente affezionati.

Non avevano scelto loro di trovare reciprovo confronto nel momento di maggiore difficoltà.

Non avevano scelto loro di innamorarsi l'uno dell'altro.

A Harry piaceva pensare che, come era stato inevitabile tanti anni prima il suo scontro con Voldemort, allo stesso modo era stato inevitabile rendersi conto troppo tardi di essere innamorato del suo migliore amico.

Anche a Ron piaceva pensare all'inevitabilità di tutto quello che era successo, in parte perché smorzava leggermente il suo senso di colpa e in parte perché il suo lato romantico trovava dolce e struggente quel loro amore segreto e ineluttabile.

Harry aspettò di fronte alla porta d'ingresso chiusa per qualche secondo ancora, poi controllò l'ora sull'orologio che aveva al polso, sbuffò e raggiunse il compagno in cucina.

Ron aveva un grembiule legato in vita e un bicchiere di vino rosso in una mano, mentre osservava con sguardo vacuo il pollo che si cuoceva nel forno: «Dici che abbiamo fatto bene ad uscire allo scoperto?»

Non era la prima volta che Ronald poneva quella domanda ad Harry; il moro aveva notato che il rosso sembrava porgergliela sempre nei momenti meno indicati per discutere di un argomento tanto delicato, quasi non volesse davvero sapere la risposta ad un simile quesito.

«Non avrebbe avuto senso continuare a mantenere il segreto, Ron».

«Vent'anni di matrimonio buttati via come se niente fosse...», borbottò il rosso, prendendo un lungo sorso di vino: «Ho paura di come potrebbero reagire Rose e Hugo, sono sempre stati molto legati sia a me, che ad Herm... Come faranno ad accettare...?»

Harry appoggiò una mano sulla spalla di Ron e strinse appena, fino a quando gli occhi azzurri dell'uomo non si posarono in quelli verdi del compagno: «È inutile fasciarsi la testa prima del tempo».

Ron sembrò perplesso per qualche istante, poi sospirò: «Immagino sia un modo di dire babbano, ma penso di aver colto comunque il concetto», disse, apoggiando la fronte contro la tempia di Harry: «Prometti che qualsiasi cosa accada mi rimarrai accanto?»

Il moro si sistemò gli occhiali sul naso: «Solo se tu mi prometti lo stesso».

Si sorrisero in un modo dolce e rassicurante, poi Harry prese il bicchiere di vino dalle mani del compagno e lo appoggiò sul ripiano della cucina.

L'istante successivo le labbra di Ron erano premute contro quelle di Harry e tutte le preoccupazioni che li avevano tormentati fino a quel momento cedettero il posto ad un dolce desiderio, misto a frenesia.

«Non dovremmo», borbottò Harry, quando sentì le mani tiepide di Ron insinuarsi sotto la camicia bianca che indossava, eppure oltre a quella misera osservazione, Harry non fece nulla per impedire al compagno di premerlo con forza contrò di sé e di baciarlo come se quello che si stavano scambiando fosse il loro ultimo bacio.

Quando il campanello suonò, i due uomini si scostarono con un misto di disappunto e preoccupazione nelle loro espressioni.

Ron aiutò Harry a sistemarsi gli occhiali sul naso e tentò per qualche secondo ad appiattire i capelli mori e ribelli del compagno, senza però ottenere alcun risultato soddisfacente. Harry intanto dedicò qualche secondo a sistemarsi la camicia e a riprendere fiato.

Sprecarono qualche attimo a decidere se andare entrambi alla porta o meno, alla fine Harry afferrò Ron per il braccio e se lo trascinò dietro senza tante cerimonie.

Oltre la porta d'ingresso trovarono James Potter, con un enorme sorriso sulle labbra e la zazzera disordinata di capelli neri tenuta in riga da quella che sembrava lacca magica.

«Ciao papà, zio Ron, ho portato del vino!», disse il ragazzo, mostrando la bottiglia che aveva tra le mani.

Harry e Ron fecero entrare James in casa e il ragazzo iniziò a guardarsi intorno con aria incerta: «Tu e mamma avete cambiato indirizzo? Da quando mi sono trasferito a Diagon Alley sono sempre l'ultimo a sapere le cose!»

Harry aprì bocca, poi la richiuse, mentre Ron, rosso come un pomodoro, cercava di non svenire per l'apprensione.

Prima che Harry o Ron trovassero le giuste parole per spiegare ogni cosa al giovane, il campanello suonò di nuovo.

Teddy Lupin, con la sua caratteristica chioma di capelli blu e il suo sorriso che ricordava dolorosamente quello di sua madre, salutò suo padre e suo zio adottivi con lo stesso entusiasmo che aveva usato pochi secondi prima James.

«Non sapevo vi foste trasferiti, Harry», aggiunse poi il nuovo arrivato, prima di salutare con un caloroso abbraccio James.

Ora che entrambi gli ospiti erano arrivati, Harry Potter si chiese seriamente se avesse fatto bene ad organizzare quella cena; ma il dubbio durò soltanto un istante, prima che venisse spazzato via da una ferrea risoluzione.

«Dove sono mamma e zia Hermione?», chiese James, mentre seguiva il padre e lo zio nella sala da pranzo piuttosto spoglia.

«Io e Ron vi abbiamo invitato qua per parlarvi di una cosa molto importante», iniziò Harry, invitando i due ragazzi a prendere posto a tavola.

James e Teddy si scambiarono un'occhiata colma di confusione, ma non ribatterono e si limitarono a sedersi e osservare con minuziosa attenzione l'ambiente e l'aspetto dei due uomini di fronte a loro.

«Vado a controllare il pollo», disse Ron, ma venne bloccato da Harry, che l'aveva prontamente afferrato per la manica del maglione, prima che potesse effettivamente scomparire in cucina.

«Il pollo sta bene, Ron, possiamo pensarci dopo», disse Harry a mezza voce, lanciando un'occhiata di rimprovero al rosso.

«Cosa sta succedendo?», chiese James, con la fronte aggrottata e gli occhi che si spostavano dal volto preoccupato di zio Ron a quello determinato di suo padre.

«La notizia potrebbe scolnvolgervi, ma io e Ron pensiamo che sia giusto che sappiate tutta la verità», Harry incrociò lo sguardo di James, prese un profondo respiro e continuò: «Io e Ginny stiamo divorziando».

Teddy sbarrò gli occhi a quella notizia, mentre James scosse vigorosamente la testa.

«Anche io ed Hermione», aggiuse Ron, torcendo, con gesti nervosi delle dita, il grambiule che ancora aveva legato alla vita.

«Perché?», urlò James, alzandosi in piedi, mentre Teddy chiedeva: «Cos'é successo?», incerto se credere o meno a quello che sembrava essere uno scherzo di pessiomo gusto.

Harry alzò le mani, come se con quel semplice gesto potesse calmare i due ragazzi che aveva di fronte e cercò le parole giuste per spiegare ogni cosa.

Ron però lo precedette: «So che può essere piuttosto sconvolgente, ma io ed Harry ci amiamo».

Calò un silenzio pesante nella stanza, mentre gli occhi di tutti i presenti si posavano su Ronald.

«Io ed Harry abbiamo cercato di combattere contro il nostro amore, ma è stato tutto inutile».

Il silenzio si protrasse ancora per qualche secondo, poi James parlò: «Mamma lo sa?»

Harry annuì.

«Come l'ha presa?»

Ron fece una smorfia e Harry abbassò lo sguardo, entrambi alla ricerca delle parole giuste per definire il modo in cui Ginny aveva reagito due sere prima alla rivelazione.

«Non benissimo», ammise Harry: «Mi è arrivata però una lettera da parte sua, a quanto pare è in Italia al momento».

Il volto di James si adombrò: «E cosa fa in Italia?»

«"Una vacanza di dieci giorni per allontanarsi dalla mia aura tossica", parole sue, non mie», disse Harry, cercando di ricordare se nella lettera, che gli era stata recapitata il giorno prima, da un maestoso gufo reale, ci fossero informazioni utili che James meritava di sapere: «Dice di non volere nessuno intorno per un po', ha bisogno di riflettere, credo».

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, ma la lacca magica gli impedì di spettinarsi come avrebbe voluto, spazientendolo.

«Hermione come l'ha presa?», chiese Teddy, sinceramente preoccupato che la Ministra della Magia potesse dimettersi da un momento all'altro a causa della depressione.

Ron scrollò le spalle: «Sembra averla presa tutto sommato bene, anche lei vuole rimanere un po' da sola per riflettere e accettare la nostra decisione, ma la conosco abbastanza bene da sapere che finirà per buttarsi anima e corpo nel lavoro pur di non pensarci veramente...»

Teddy e James non dissero niente per qualche secondo, poi il più grande chiese: «Nonna Molly lo sa?»

Ron sbiancò tanto da diventare dello stesso colore dell'immacolata cucina, mentre Harry assumeva un colore più simile alla moquette grigia che infestava la casa.

«Immagino sia un no, pensate di organizzare una cena per dirlo anche a lei?», chiese James: «No perchè, gradirei non essere invitato».

Teddy ridacchiò sotto i baffi e annuì: «Sì, nemmeno io».

I volti di Harry e Ron tornarono ad assumere un colorito più sano, mentre a loro volta sorridevano appena, nell'immaginarsi la possibile reazione di Molly appena le avessero detto la verità.

«Siamo ancora indecisi se invitarla qua a cena o se portarla in qualche ristorante di lusso», ammise Harry, grattandosi pensosamente la nuca.

«Sì, non siamo sicuri che invitarla in un luogo pubblico possa salvarci da urla isteriche e pianti», disse Ron con una smorfia, facendo allargare i sorrisi compassionevoli di James e Teddy.

«Se siete riusciti a dirlo a mamma e a zia Hermione, riuscirete anche con nonna», tentò di rassicurarli James, prima di portarsi una mano allo stomaco brontolante e cambiare completamente discorso: «Prima avete parlato di pollo, sapete che ho proprio una fame da lupi?»

Teddy scoppiò a ridere: «A chi lo dici, James!»

Il resto della serata trascorse in modo tranquillo e leggero, proprio come Harry aveva sperato accadesse.

A parte la domanda indiscreta da parte di Teddy, su come avessero fatto per così tanto tempo a mantenere un segreto simile, la conversazione spaziò poi su altri argomenti nell'arco della cena.

Teddy parlò del suo lavoro al Ministero, nell'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, di come Victoire volesse assolutamente organizzare il loro matrimonio entro l'estate successiva e di come Teddy cercasse di assecondarla in tutto, anche perché il Medimago era stato molto chiaro, nel dirgli che non doveva in nessun modo agitare o far preoccupare Victoire, nelle ultime settimane della gravidanza.

James invece raccontò di esser stato promosso nella grande azienda per cui lavorava da qualche mese, dopo aver fallito i test per diventare Auror, e di trovarsi tutto sommato bene negli uffici vendite di "Babbananze".

Ronald chiese al ragazzo se fosse riuscito a scoprire chi era il fondatore di "Babbananze", dato che nessuno sembrava conoscerlo, ma James ammise di essere ancora troppo in basso nella scala gerarchica per poter conoscere di persona il grande capo, il signor M.

«M come Mistero», disse Teddy, addentando con gusto un pezzo di pollo.

«M come Molliccio», disse Ron, ricordando con affetto la lezione del terzo anno, in cui il professor Lupin aveva parlato loro di quelle creature.

«M come Molly», disse James, ridendo di gusto alle smorfie che apparvero sui volti di suo padre e di suo zio nel sentire il nome della donna più dolce e spaventosa dell'intero Mondo Magico.

«M come Magia», propose Harry, osservando con gioia i volti delle persone che aveva intorno.

Continuarono con quel gioco per qualche altro minuto, continuando a dire ogni cosa, persona o animale con iniziale M, che veniva loro in mente; McGranitt, Moquette, Musica, Matrimonio...

Quando la serata si concluse, Harry e Ron accompagnarono con un sorriso soddisfatto stampato in faccia i due ragazzi alla porta, invitandoli a passare a trovarli quando volevano.

Si abbracciarono e si augurarono la buona notte, poi James e Teddy si allontanarono a piedi per qualche secondo, prima di smaterializzarsi nelle rispettive case.

Harry e Ron passarono i successivi minuti a sistemare la sala da pranzo e la cucina, fino a quando ogni cosa non tornò al proprio posto.

Entrambi erano soddisfatti di come si era svolta la serata e si auguravano di ottenere risultati simili con Hugo, Rose, Albus e Lily, quando fossero tornati dalla Spagna, nell'arco di due settimane.

«Ricordi quando tutto è cominciato?», chiese Harry, una volta che Ron uscì dal bagno e lo raggiunse a letto.

«Intendi la nostra prima missione seria in Irlanda?», chiese il rosso, subito dopo aver spento la luce.

«Sì, quando credevamo che non ce l'avremmo fatta e...»

«E tu mi hai baciato?», gli suggerì Ron, voltandosi sul fianco, così da poter scrutare nella penombra l'espressione sul volto del compagno.

Harry sorrise: «Sì, e poi siamo sopravvissuti e tu mi hai detto che non sarebbe più dovuto succedere...»

Ron rise sommessamente, avvolgendo le braccia intorno al corpo caldo di Harry: «Ma tu non mi hai dato retta, perché sei un testone».

Harry rise: «Senti chi parla! Anche tu in fatto di testardaggine non scherzi, ricordi...»

Ron premette le labbra contro quelle di Harry, zittendo con quel bacio ogni ulteriore osservazione dell'amante.

 

 

 

****

Buonsalve popolo di EFP!

Questo mercoledì ho deciso di riportare l'attenzione su Harry e Ron, che oltre ad averli visti nel primo capitolo, li avevamo poi messo da parte per concentrarci sulle altre sottotrame.

Cose ne pensate del capitolo? Vi è piaciuto?

Fatemi indovinate: la vostra scena preferita è stata quella in cui Ron vuole andare in cucina a vedere come sta il pollo, perché la #rollo regna! Ho indovinato?

A parte gli scherzi, mi sembrava giusto vedere anche un po' il punto di vista di Harry e Ron, che non vorrei passassero per i cattivi e basta. Sono anche loro, come tutti gli altri, dei personaggi complessi, che meritano il loro spazio, infatti penso che ogni tanto inserirò qualche capitolo anche su di loro, giusto per non farci mancare nulla!

Ora ho una domanda molto difficile da farvi: per il momento, qual è il vostro personaggio preferito e perché?

Se non potete sceglierne uno solo, potete dirne di più, ovviamente, ma vorrei sapere ora, dato che siamo ancora piuttosto agli inizi della storia, quale personaggio o quali personaggi vi hanno colpito di più!

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instragram, il nome dell'account è lazysoul_efp. Nel caso voleste sostenere il mio lavoro potete regalarmi un simbolico caffé, tramite la mia pagina Ko-fi.

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 9
*** Di quando Ginny usò l'incantesimo Diffindo per darci un taglio ***


 

9. Di quando Ginny usò l'incantesimo Diffindo per darci un taglio



 

Quando Ginevra si svegliò nella sua lussuosa stanza, aveva un sorriso sereno in volto e sentiva le proprie membra piacevolmente indolenzite dal sonno.

Dopo la cena con Blaise Zabini, avvenuta tre sere prime, aveva riempito le sue giornate con ogni attività disponibile nella brochure; in parte perché era decisa a sfruttare al meglio il pacchetto vacanza che aveva acquistato, in parte perché cercava di tenere le distanze dal facoltoso e affascinante proprietario dell'agriturismo.

Il motivo per cui Ginevra si stava ostinando ad evitare Blaise Zabini era, secondo il suo modesto parere, fin troppo chiaro; lei era una donna distrutta, insicura e in un periodo non proprio roseo della sua vita, il fatto che Zabini soffrisse come lei di mal di cuore rendeva un loro possibile avvicinamento ancora più pericoloso.

Quanto sarebbe passato prima che lei o lui o entrambi si sarebbero convinti di essere innamorati l'uno dell'altra o di avere molte cose in comune o di essersi incontrati grazie al destino?

Quanto avrebbe impiegato il suo povero cuore spezzato ad illuderla di stare di nuovo bene, di aver trovato un nuovo motivo di vita e di non aver bisogno di nessun altro a parte Blaise Zabini?

Ginevra Weasley si conosceva abbastanza bene da sapere di essere troppo debole per poter sopportare un'altra delusione amorosa, soprattutto quando la prima era avvenuta appena tre giorni prima e la ferita che aveva lasciato non si era ancora rimarginata.

Ecco perché Ginevra faceva di tutto pur di rimanere il più lontano possibile dalle cucine e dalla receptione e dal bar — luoghi dove temeva fosse più probabile incrociare Zabini — così da tenersi alla larga dalla tentazione.

Blaise Zabini in sé non le faceva paura, era un uomo ricomparso dal passato, un uomo affascinante, fin troppo gentile e disponibile; non era Zabini a farle paura, ma quello che sapeva sarebbe successo se avrebbe permesso a se stessa di avvicinarsi a lui.

La prima e unica sera in cui avevano passato del tempo insieme, da soli, aveva finito col raccontargli dettagli personali della propria vita, aveva finito col piangere di fronte a lui e aveva finito col baciarlo senza pensare alle possibili consequenze di un gesto simile.

Ecco perché non le faceva paura Blaise Zabini; lui non era il nemico, l'unica nemica che Ginevra aveva era la sua stessa fragilità.

Prima di sollevarsi dal letto recuperò la brochure dell'argiturismo e scorse con gli occhi le attività tra cui poteva scegliere.

Due giorni prima aveva partecipato ad una gita nelle cantine della zona, dove aveva fatto una degustazioni di vini e prodotti tipici, una volta tornata all'argiturismo, intorno alle sette di sera, non aveva cenato e si era diretta in camera, dove era crollata in un sonno profondo nell'arco di pochi minuti.

Il giorno prima invece aveva optato per una visita alle città di Alba e di Barolo, dove aveva adoperato ampiamente la macchina fotografica che le aveva regalato James per Natale, immortalando ogni luogo, piazza o monumento che aveva attirato la sua attenzione.

Una cosa di cui Ginny non andava molto fiera era di essersi inevitabilmente avvicinata al signor Lacroix, pur di sfuggire a Zabini.

Faceva ovviamente attenzione a quello che rivelava a quell'uomo, tenendo conto delle avvertenze dell'ex Serpeverde, ma approfittava più che volentieri della sua compagnia, certa che Zabini si sarebbe di conseguenza tenuto alla larga.

In quei due giorni aveva scoperto che il Signor Lacroix era un uomo impegnato sentimentalmente, anche se non si risparmiava frecciatine e battutine flirtanti ogni volta che la conversazione glielo permetteva. Ginny aveva dovuto ribadire più volte di essere una donna sposata, dimenticandosi di specificare di essere sull'orlo del divorzio, per smorzare il suo entusiasmo e diminuire le allusioni e gli sguardi ammiccanti.

Continuava ad essere convinta che il signor Lacroix non fosse un uomo pericoloso; per quanto Blaise le avesse consigliato di stare attenta, Ginevra non notava nulla di diverso in quel pomposo francese che non avesse già notato in precedenza in tanti altri uomini dotati di potere.

Per Ginny non era nuovo quel comportamento di superiorità che molti uomini avevano, soprattutto nei confronti delle donne o di altre categorie marginalizzate dalla società, e non era mai stata una fan degli uomini troppo arroganti per rendersi conto di non essere intelligenti, belli o affascinanti come credevano di essere.

Sopportava il signor Lacroix soltanto per evitare Zabini, limitandosi a mantenere viva la conversazione con discorsi futili, evitando di far capire al francese di essere più intelligente di quanto lasciasse intendere e fingendo di adularlo ogni volta che, in realtà, avrebbe voluto scaricarlo con toni bruschi.

All'alba del terzo giorno, mentre sfogliava con attenzione il depliant delle attività, si chiedeva in quale avventura avrebbe potuto imbarcarsi quel giorno per evitare sia il signor Lacroix e il suo marcato accento francese, sia Blaise Zabini, il pericolo numero uno all'interno di quel palazzo che si credeva un agriturismo.

Dopo qualche minuto di riflessione, Ginevra scostò le coperte e si diresse in bagno, dove si concesse una doccia veloce.

Guardandosi allo specchio — con ancora i capelli bagnati, avvolti in un turbante fatto con un asciugamano, e il resto del corpo avvolto nel confortevole accappatoio fornitole dal servizio in camera — Ginevra sorrise al proprio riflesso.

Trovava il proprio viso meno provato e triste rispetto a qualche giorno prima, il che era dovuto probabilmente alle degustazioni di vino che la stordivano abbastanza da permetterle notti di sonni profondi e privi di incubi.

Più tempo passava lontana da Londra e da quello che era legittimamente ancora suo marito, più le sembrava di riscoprire se stessa e quelle che erano state le sue aspirazioni prima di sposarsi e diventare una madre.

Era triste rendersi conto di avere rimpianti e di non esser state in grado di gestire al meglio la propria vita.

Aveva sbagliato a mettere da parte se stessa e i propri desideri, annullandosi pur di essere la moglie perfetta e la madre migliore di sempre: a cosa era servito, poi? A farsi lasciare dopo più di venti anni di matrimonio da suo marito?

Ginevra sospirò e sciolse il turbante che aveva in testa, lasciando che i lunghi capelli rossi le cadessero disordinatamente intorno al volto.

Colta da un impulso improvviso, non si fermò a riflettere, prese la bacchetta tra le mani e con un semplice incantesimo Diffindo, Ginevra fece quello che aveva desiderato fare da quando si era guardata in quello stesso specchio tre giorni prima: si tagliò i capelli.

Non aveva mai avuto bisogno di compiere un gesto tanto drastico in passato, era sempre andata molto fiera dei suoi lunghi capelli rossi, perfettamente lisci e morbidi, ma aveva bisogno di reinventarsi, riscoprirsi, e di lasciarsi alle spalle l'immagine di se stessa che non era più disposta ad accettare.

Numerose ciocche di capelli ancora umidi caddero a terra, creandole intorno ai piedi nudi una raggiera di fili d'erba color papavero.

Posò la bacchetta e si ritenne soddisfatta, solo quando il taglio lungo che aveva avuto per anni venne sostituito da un corto caschetto che le circondava elegantemente il viso.

Osservando il proprio riflesso allo specchio si sentì giovane e sbarazzina come non le succedeva da tempo e non potè fare a meno di scoppiare a ridere, mentre calde lacrime le scorrevano lungo le guance.

Non avrebbe saputo dire con certezza perché stesse piangendo, si stava forse rendendo conto che la vita sarebbe andata avanti e che lei sarebbe riuscita a trovare la propria strada? O le sembrava semplicemente di sentire che quel taglio rappresentava il nuovo inizio di cui aveva bisogno?

Senza perdere ulteriore tempo, si asciugò il viso, sul quale continuava a fare bella mostra di sé un sorriso colmo di speranza, e si vestì.

Aveva deciso per quel giorno di fare una lunga passeggiata per le colline e i vigneti, così scese al piano terra e avvertì uno dei ragazzi alla reception della propria scelta.

Fece una veloce e leggera colazione e, dato che non scorse da nessuna parte il signor Lacroix, decise di impiegare il proprio tempo leggendo la guida turistica, che aveva acquistato il giorno prima ad Alba.

Saltò svogliatamente la storia antica del posto, per arrivare alla sezione dove venivano elencati i numerosi vini che venivano prodotti tra quelle colline.

Si era stupita il giorno prima, quando si era resa conto della quantità impressionante di noccioli, oltre che di vigneti, che si potevano trovare per le colline delle Langhe ed era intenzionata ad assaggiare al più presto il Nocciolino — un delizioso liquore alle nocciole, secondo la guida turistica — e la torta alle nocciole.

Dopo un tè caldo con latte e una brioche al cioccolato, Ginevra recuperò la propria borsa e liberò il tavolino che aveva occupato nella sala del bar, spostandosi nei divanetti della sala d'attesa, dove aveva imparato dover aspettare che si formassero i diversi gruppi delle attività all'aperto.

Stava leggendo un interessante paragrafo dove veniva raccontato, nei minimi dettagli, il processo per creare il vino, quando qualcuno si sedette vicino a lei sul divano, costringendola a sollevare lo sguardo.

«Buongiorno, Ginevra», disse Blaise Zabini, con un sorrisetto divertito sulle labbra: «Hai per caso smesso di evitarmi o è un caso che tu oggi non sia accompagnata dal signor Lacroix?»

«È un caso», disse Ginevra, piccata, tornando a immergere il proprio naso tra le pagine della guida, pur di non commettere nuovamente l'errore di guardare l'ex compagno di scuola, che alla luce del sole — che filtrava dalle alte finestre della sala — sembrava ancora più affascinante e bello di quanto ricordasse.

«Deduco quindi che il tuo intento sia ancora quello di evitarmi, pur di non  parlare di quello che è successo tre sere fa?»

Ginevra digrignò i denti quando si rese conto di essere arrossita all'allusione del moro e, senza pensarci, rispose con le prime parole che le passarono per la mente: «Non è successo niente tre sere fa e gradirei che mi lasciassi in pace».

Se Ginevra avesse sollevato gli occhi dalla guida, che stava fingendo di leggere, avrebbe notato l'espressione incerta e delusa che era apparsa sul volto di Zabini.

«Se è questo che desideri», disse semplicemente il moro, alzandosi.

Prima di andarsene però abbassò abbastanza il busto da poter sussurrare all'orecchio della donna poche ultime parole: «Trovo questo tuo nuovo taglio molto grazioso».

Ginny arrossì nuovamente e quando alzò lo sguardo tutto quello che potè vedere fu la schiena di Zabini scomparire verso le cucine.

Quando arrivò il giovane uomo che avrebbe accompagnato Ginny e qualche altro cliente dell'agriturismo per le colline che circondavano Neive e Barbaresco, quella mattina, la donna aveva ancora le guance arrossate per quell'inaspettato complimento e le labbra strette in una linea sottile.

Le quattro ore di passeggiata permisero a Ginny di scattare molte foto del stupendo paesaggio e di riflettere a fondo su quello che era successo quella mattina.

Non andava fiera del tono brusco che aveva usato per rivolgersi a Zabini e non andava fiera nemmeno di ciò che gli aveva detto.

Sapeva che il moro aveva ragione, in quanto adulti avrebbero dovuto poter parlare in modo maturo di quello che era accaduto tre sere prima; il problema era che Ginny non era certa di sentirsela.

Temeva che anche solo concedere un breve colloquio per chiarire ogni cosa con Zabini si sarebbe potuto rivelare un terribile errore.

Per fortuna la bellezza del paesaggio e la difficoltà a mantenere il passo in certi punti, dove i sentieri percorsi erano particolarmente ripidi e brulli, permisero a Ginevra di mettere da parte Blaise Zabini e potersi concentrare su altro.

Le tregue non duravano mai molto e Ginevra si stupì nel constatare quante cose sembravano in grado di portarle alla mente l'ex compagno di scuola.

Il nero luncente delle ali di un corvo le fece pensare ai capelli dello stesso colore dell'uomo, ogni grappolo d'uva piccolo o grande che fosse, la portava a pensare al vino che avevano bevuto insieme tre sere prima, ogni volta che si sentiva le guance rosse per il caldo pensava al suo imbarazzo quella mattina e al complimento che Blaise le aveva sussurrato all'orecchio.

Le sembrava di essere nuovamente l'adolescente che osservava, con un misto di curiosità e arroganza, il volto giovane e attraente del Serpeverde, che durante le cene del Lumaclub aveva sempre a disposizione sguardi colmi di noia e superiorità, soprattutto quando McLaggen parlava troppo o quando Lumacorno cercava di addolcire gli animi con smielati complimenti.

Ricordava di aver più volte pensato di avvicinarsi a lui e parlargli, per lamentarsi con lui di quelle stupide cene, certa che il Serpeverde avrebbe concordato con lei.

Le metteva tristezza sapere, con più di vent'anni di ritardo, di aver suscitato in Zabini lo stesso interesse che lui sembrava aver suscitato in lei, quando erano ancora dei ragazzi.

Cosa sarebbe successo se, invece di ignorare il Serpeverde dai curati capelli neri, avesse messo da parte i propri sciocchi pregiudizi e gli avesse parlato durante una delle tante feste del Lumaclub?

Sarebbero forse diventati amici? Avrebbero instaurato un qualsiasi tipo di rapporto diverso dall'indifferenza reciproca?

Sarebbe potuto nascere qualcosa tra di loro?

Quando l'imponente silhouette del palazzo che si fingeva un semplice agriturismo apparve all'orizzonte, Ginny si rese conto che la passeggiata era ormai giunta al termine e che tutti i pensieri delle ultime ore non l'avevano condotta a raggiungere alcuna conclusione.

Continuava ad essere combattuta tra il suo desiderio di mettere da parte il proprio timore, concedendo a Zabini la possibilità di poterle essere amico, e il dolore, che la spingeva ad essere molto più attenta di quanto sarebbe stata in qualsiasi altra situazione, di fronte alla gentilezza di Zabini.

Una volta entrata nella hall dell'agriturismo, Ginevra salì in camera per cambiarsi, dato che gli abiti sportivi che aveva indossato quella mattina erano sporchi di sudore e polvere, per poi scendere nella sala da pranzo, dove sperava di poter mangiare senza essere disturbata da nessuno.

Il suo desiderio sembrò realizzarsi, dato che il signor Lacroix non sembrava trovarsi nei paraggi, e Blaise Zabini si limitò a farle un cenno di saluto quando la vide, ma nulla più.

Era già successo a Ginevra di pentirsi dei pripri desideri, una volta che questi si erano realizzati, un esempio era il modo disastroso in cui il matrimonio con Harry, che aveva desiderato per anni, si stava concludendo; ma non aveva mai pensato che Zabini prendesse tanto alla lettera le parole che gli aveva detto bruscamente quella mattina.

Aveva desiderato di essere lasciata in pace ed era quello che stava ottenendo; nessuna ottusa conversazione con il signor Lacroix e nessun intrigante scambio di battute con il signor Zabini.

Quello che l'attendeva era un noiosissimo pranzo solitario, in compagnia di se stessa e nessun altro oltre a se stessa.

Impulsivamente, Ginevra abbandonò il tavolo che stava occupando, recuperò la propria borsa e senza pensare più di tanto a quello che stava facendo, raggiunse con passo veloce la piccola saletta da pranzo dove tre sere prima aveva cenato con Zabini.

La stanza era quasi completamente vuota, il tavolo rotondo era apparecchiato per una persona e oltre al quadro della signorima Dalmasso, che sembrava non trovarsi nella sua cornice al momento, l'elfo che Ginevra aveva già incontrato una volta, tre sere prima, stava finendo di sistemare l'elegante centrotavola floreale.

«È possibile parlare con il signor Zabini?», chiese la donna, senza riflettere e con tono sbrigativo, ottenendo in risposta un profondo inchino e la sparizione istantanea dell'elfo.

Nell'animo di Ginevra sembrava aver vinto la risoluzione a non lasciarsi dominare dal dolore e dalla paura.

Era una donna matura e anche se aveva momentaneamente perso se stessa, non aveva senso lasciarsi spaventare da una possibile nuova amicizia.

Si sedette sulla sedia che aveva occupato tre sere prima e accavallò le gambe.

Fece una smorfia quando si rese conto di non poter, come suo solito, rigirarsi tra le dita una delle sue lunghe ciocche di capelli, ma decise di sostituire quel tic nervoso con uno nuovo; così prese a giocherellare con la semplice collanina che aveva al collo.

Non dovette aspettare molto, dato che nell'arco di una manciata di minuti la porta della stanza si aprì e Blaise Zabini apparve sulla soglia, con un'espressione incuriosita in viso.

«Ogum dice che vuoi parlarmi», disse l'uomo, chiudendosi la porta alle spalle.

«Esatto».

Per qualche secondo nella stanza calò il silenzio, poi Ginevra si alzò: «Ho riflettuto e devo ammettere di essermi comportata in modo sciocco negli ultimi giorni».

Blaise si avvicinò di qualche passo, ma non disse nulla, limitandosi ad osservare con attenzione la donna.

«Sarei dovuta venire qua due giorni fa e parlare con te di quello che è successo, spero potrai perdonare il mio ritardo», disse Ginevra, sollevando lo sguardo per puntarlo in quello serio e attento dell'uomo: «Ti ho baciato, è stato un gesto impulsivo e sciocco; quello di cui ho bisogno al momento è un amico, non un amante, e...»

Ginevra perse per qualche secondo il filo del discorso, insicura su come dire ciò che voleva, poi prese un profondo respiro e riprese: «Dai discorsi dell'altra sera mi è sembrato di capire che anche tu hai avuta recentemente una delusione amorosa, quindi ho pensato che potremmo tenerci compagnia a vicenda e parlare».

Un accenno di sorriso comparve sulle labbra di Zabini: «In poche parole mi stai proponendo di tenere altre sedute del "Club dei Piagnoni"?»

Ginevra rimase per qualche secondo con le labbra socchiuse e lo sguardo confuso, poi, ricordandosi quello che lei stessa aveva detto tre sere prima, scoppiò a ridere.

«Esatto, è proprio quello che ti sto proponendo», disse, con le labbra atteggiate ancora in un dolce sorriso: «Ci stai?»

Blaise Zabini allungò la propria mano destra, così da stringere quella della ragazza: «Ci sto».

 

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

È di nuovo sabato e anche questo sabato sono qua a tenervi compagnia con un nuovo capitolo di "Amori segreti"!

Siamo tornat* ad osservare quello che succede in Italia, dove Ginevra ha sentito il bisogno di passare del tempo lontana da Blaise per riflettere su quanto accaduto.

Voi cosa ne pensate? Anche voi avreste sentito, trovandovi nella situazione di Ginny, il bisogno di allontanarvi dalla tentazione, o vi sareste gettat* tra le braccia di Blaise senza pensarci più di tanto?

Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

Per quanto riguarda invece il prossimo capitolo, che arriverà mercoledì, sono ancora indecisa se tornare a parlare della nuova generazione a Granada o passare a vedere come se la passa la nostra Ministra della Magia a Londra...

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'accout è lazysoul_efp; nel caso foste interessati a sostenere il mio lavoro donandomi un simbolico caffè, potete farlo tramite Ko-fi.

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 10
*** Di quando Hugo si perse all'Alcaicería ***


10. Di quando Hugo si perse all'Alcaicería



 

Per Li Haiyun non era un problema aspettare i ritardatari, soprattutto se aveva a disposizione un buon libro o una rivista interessante da sfogliare o leggere, durante l'attesa.

Quel giorno si trovava nel cortile che circondava l'edificio che fungeva da dormitorio per molti ragazzi e molte ragazze che, come lei, erano studenti e studentesse fuori sede.

Si trovava a Granada per un corso avanzato di Pozioni, materia in cui si stava specializzando e che nell'arco di qualche anno avrebbe potuto insegnare.

Seduta su una panchina, con uno spesso tomo sulle pozioni curative aperto in grembo, Haiyun leggeva attentamente, baciata dai caldi raggi del sole.

Provò un pizzico d'impazienza solo quando in lontananza sentì i rintocchi provenienti dalla cattedrale annunciare le tre del pomeriggio, poi però sospirò e tornò a leggere, cercando di non pensare troppo alla delusione che provava.

A qualche strada di distanza, nell'affollato mercato dell'Alcaicería, Albus Severus Potter, di fronte ad una bacarella che vendeva, secondo il proprietario, vecchi monili d'argento risalenti al periodo in cui Granada era ancora sotto il dominio dei mori, era indeciso su quale braccialetto comprare per fare una buona impressione ad Haiyun, quando si sarebbero incontrati quel pomeriggio.

«Lily, devi aiutarmi», disse Albus: «Tu cosa compreresti alla ragazza più bella del mondo, per fare colpo su di lei?»

Lily Potter spostò lo sguardo dalla bancarella accanto, che vendeva antichi e rari tomi da collezione, portandolo sulla bigiotteria, che il fratello stava osservando con sconforto.

«Le piacciono i gioielli?», chiese Lily, avvezza a situazioni simili; non era certo la prima volta che Albus le chiedeva consiglio per conquistare una ragazza.

«Non lo so», ammise il ragazzo, rendendosi conto, non per la prima volta, di sapere davvero poco sulla ragazza a cui aveva mandato, due sere prima, una struggente lettera d'amore.

«Allora perché vuoi comprarle un gioiello?»

«Perché a voi ragazze piacciono... no?»

Lily sospirò e si sfregò il volto con le mani, poi posò i suoi occhi in quelli verdi del fratello e cercò di trovare le parole più adatte per dire ad Albus, una volta per tutte, che la sua stupidità poteva essere paragonata soltanto a quella di un troll.

"Senza offesa per i troll, ovviamente", pensò Lily, prima di borbottare: «Quanto sei superficiale», sollevò gli occhi al cielo e indicò con un gesto spazientito del capo i tomi della bancherella accanto: «Hai detto che è a Granada per studire, no? Perché non le compri un libro?»

Albus spostò, con aria pensierosa, lo sguardo dai gioielli ai libri e annuì distrattamente: «Forse hai ragione».

«Forse?», borbottò a mezza voce Lily, con una smorfia incredula in volto, prima di allontanarsi di qualche metro, verso un piccolo negozietto che vendeva giacche di pelle di drago.

Ad Albus ci vollero pochi minuti per individuare un interessante tomo dall'aspetto antico, che secondo il titolo analizzava da un punto di vista storico alcune delle più antiche pozioni, utilizzate per modificare gli stati d'animo di maghi e babbani. Contrattò brevemente con il venditore, fino a quando non concordarono sul prezzo, poi prese il tomo sotto braccio e con un sorriso soddisfatto passeggiò tra le bancarelle e i negozietti dell'Alcaicería.

Soltanto quando capitò di fronte ad un piccolo banco, dove venivano venduti orologi di ogni tipo e foggia, si rese conto di essere terribilmente in ritardo e, con un'espressione a metà strada tra lo sbalordito e il preoccupato, si smaterializzò.

Albus Severus Potter riapparve a poche vie di distanza, di fronte al muretto in pietra che delimitava il cortile del dormitorio, in cui Haiyun gli aveva detto soggiornare per quel semestre.

Non gli ci volle molto per individuare la figura della ragazza, seduta su una panchina poco distante, intenta a leggere con espressione concentrata un volume che sembrava meno antico rispetto a quello che Albus aveva sotto braccio, ma che dava comunque l'impressione di essere molto noioso.

«Ciao, scusa per il ritardo, ero... ho perso la cognizione del tempo e...»

Albus non era solito balbettare, soprattutto non di fronte alle ragazze, ma Albus non era nemmeno solito arrivare ad un appuntamento con più di mezz'ora di ritardo, quindi il suo disagio era più che comprensibile.

Haiyun lo osservò con un misto di rimprovero e sorpresa, poi chiuse il tomo che aveva in grembo e lo incantò in modo tale da rimpicciolirlo e poterlo riporre comodamente nella tasca dei pantaloni che indossava.

«Ciao, cominciavo a pensare che non saresti venuto», ammise lei, facendogli spazio sulla panchina.

Albus si sedette alla destra della ragazza e le porse il libro di pozioni che aveva appena comprato all'Alcaicería: «Per te», disse semplicemente, con le labbra strette in un'espressione contrita.

Haiyun prese tra le mani il volume, saggiandone la pelle consumata e ne lesse con vivo interesse il titolo.

«È la prima volta che un ragazzo mi regala un libro», ammise, puntando i suoi occhi scuri in quelli verdi di Albus: «Grazie, davvero, sembra molto interessante».

Il ragazzo scrollò le spalle, sorridendo soddisfatto: «Figurati, in realtà temo che sarà una lettura mortalmente noiosa, ma so che ti stai specializzando in Pozioni Avanzate, quindi...»

Haiyun rise divertita: «È stato un gesto davvero carino, anche io ho qualcosa per te», disse la ragazza, estraendo dalla tasca dei pantaloncini un paio di occhiali dalla montatura rossa: «Sono incantati in modo tale da cambiare leggermente il tuo aspetto agli occhi di chi ti guarda, così la prossima volta che verrai scacciato da un locale esclusivo, potrai tornarci sotto mentite spoglie».

Albus la ringraziò con una pizzico di divertimento e sorpresa negli occhi verdi e provò subito gli occhiali, chiedendo a Haiyun come gli stessero.

«Ti danno un'aria più intelligente», scherzò lei, sorridendo.

Nella, tutto sommato, breve vita di Li Haiyun, erano state poche le volte in cui la ragazza si era sentito altrettanto serena e a proprio agio.

Provava un simile senso di pace quando era con sua madre, quando leggeva qualcosa che la interessava particolarmente e quando passava del tempo con la sua migliore amica, Polette, o la sua attuale compagna di stanza Alejandra.

A malincuore, dovette ammettere a se stessa che aveva provato qualcosa di simile anche in presenza di Tomas, quello che ormai, dalla sera in cui aveva conosciuto Albus, era diventato il suo ex ragazzo.

Aveva conosciuto Tomas poche ore dopo esser arrivata a Granada per l'inizio dei corsi del secondo semestre. Era stata Alejandra, la sua coinquilina, a presentarglielo e Haiyun si era facilmente lasciata incantare dagli occhi blu scuro del ragazzo e dai suoi modi affabili.

Ci era voluto del tempo, però, prima che Haiyun si sentisse perfettamente a suo agio con Tomas ed erano stati rari i momenti in cui la ragazza si era sentita davvero capita da lui.

Ancora non riusciva a credere a come Albus, in un locale affollato e pieno di rumore, fosse riuscito ad attirare tanto facilmente la sua attenzione.

Aveva trovato a dir poco arrogante il modo in cui, quel ragazzo dagli spettinati capelli scuri e gli occhi verdi, aveva spudoratamente cercato di attirare la sua attenzione, raccontandole di come suo padre fosse famoso in Inghilterra, per aver sconfitto un pericoloso mago oscuro, e sua madre una bravissima giocatrice di Quidditch, tanto da aver fatto parte delle Holyhead Harpies.

In un primo momento aveva trovato il blaterare dello sconosciuto una piacevole distrazione dal litigio che aveva avuto quel pomeriggio con il suo ragazzo e che continuava a ripresentarlesi ogni pochi minuti alla mente, poi, quando aveva notato il modo in cui Tomas osservava con un misto di rabbia e gelosia il chiacchierone seduto di fronte a lei, aveva iniziato a prestargli maggiore attenzione.

Quello che era iniziato come un semplice e innocuo tentativo di far ingelosire il suo ragazzo, si era ben presto trasformato in qualcos'altro.

Haiyun si era scoperta sempre più affascinata dal chiacchiericcio dello sconosciuto e dalle mirabolanti avventure che raccontava con una maestria impressionante.

Aveva ascoltato di voli a dorso di thestral, di passaggi segreti e di una scuola in cui le scale cambiavano sempre direzione, portando gli studenti dove volevano loro.

Si era ben presto resa conto che, quelle che inizialmente le erano sembrate vicende inventate da un ragazzo arrogante alla ricerca di attenzioni, erano molto probabilmente storie vere e a quel punto la sua attenzione era stata completamente catturata.

Quando Tomas aveva fatto scacciare dal locale lo sconosciuto chiacchierone e il suo amico a caccia di scommesse, Haiyun si era limitata a inventare una scusa per allontanarsi dal tavolo, ma invece di andare in bagno aveva raggiunto l'affascinante estraneo nel vicolo di fronte al locale e gli aveva dato un bigliettino su cui c'era scritto il suo indirizzo e il suo nome completo, dicendogli di scriverle.

Quella sera stessa Haiyun aveva detto a Tomas che era finita e che non poteva sopportare altri litigi o distrazioni, non quando gli esami di fine semestre erano ormai alle porte.

Il vero motivo per cui l'aveva lasciato era che si era resa conto di non provare più per lui la dolce fascinazione di un tempo. Tutto quello che aveva creduto di provare per Tomas, fino a qualche settimana prima, era svanito lentamente, sotto strati sempre più spessi e impenetrabili d'indifferenza.

Albus Severus Potter era quel tipo di ragazzo che, come Tomas, avrebbe potuto intrattenere Haiyun per un po', ma che era molto improbabile finesse col penetrarle sotto pelle e lasciare un segno.

O almeno questo era quello che aveva pensato Haiyun quando le era arrivata quella ridicola lettera d'amore due sere prima ed era quello che aveva pensato fino a dieci minuti prima, quando aspettava con ben poche speranze che il ragazzo la raggiungesse nel luogo in cui avevano stabilito d'incontrarsi.

Ora che i suoi grandi occhi a mandorla si posavano sul volto di Albus Severus Potter, non era più tanto certa che quello che aveva creduto essere un innocente flirt potesse rimanere tale a lungo.

«Ti va una passeggiata?»

Haiyun annuì, lasciò che Albus le afferrasse la mano e l'accompagnasse lungo le vie e le viuzze di Granada, intrattenendola con mirabolanti racconti e con le avventure che sapeva lo avrebbero atteso, una volta che avesse concluso il corso da Auror e fosse entrato in servizio, come suo padre e suo zio, contro le forze del male.

Quando fu il turno di Haiyun di parlare, la ragazza tentennò, incerta.

Era facile parlare e raccontarsi, quando nella propria vita c'erano ben poche ombre, diventava più difficile quando, come lei, si era passata la maggior parte della propria infanzia in fuga; ma Haiyun era diventata brava col tempo, le bastava omettere qualche dettaglio, ricamare qualche bugia bianca da aggiungere al racconto e fingere di non essersi mai trovata in pericolo di vita.

Eppure, di fronte alla disarmante sincerità di Albus, Haiyun si ritrovò a tentennare abbastanza a lungo da far intuire al ragazzo che c'era qualcosa che non le andava di raccontare.

«Perdonami, sono un ficcanaso, non devi parlarmi della tua famiglia se non vuoi».

Haiyun trattenne a stento le lacrime, poi accennò un timido sorriso: «Non è un racconto piacevole, magari un'altra volta, quando sarò in vena di racconti tristi».

Albus annuì e cambiò argomento e Haiyun ebbe ulteriore conferma di essersi sbagliata fin dall'inizio; c'erano molte più probabilità di quanto avesse pensato che quel ragazzo riuscisse a insinuarsi sotto la sua pelle.

 

A qualche via di distanza, nel mercato dell'Alcaicería, Hugo dovette ammettere a se stesso, a malincuore, di essersi perso.

Si trovava tra un negozio di tisane e pozioni rinvigorenti e una bancarella che sembrava vendere illegalmente quelle sembravano uova di drago.

Non riusciva a vedere da nessuna parte, intorno a sé, tracce di sua sorella Rose o del suo ragazzo Scorpius, con i quali era certo di aver passeggiato fino a pochi minuti prima.

Anche il resto del gruppo sembrava essere scomparso.

Fred era probabilmente in qualche luogo losco a vincere scommesse, Lily l'aveva vista scomparire in un negozio di giacche in pelle di drago e Morgan era sparita in qualche viuzza, prima che lui potesse rendersene conto e seguirla.

Era da due sere prima, dalla sera in cui lui e Morgan si erano quasi baciati, che non riusciva a rimanere da solo con lei e Hugo aveva sempre più l'impressione che non fosse un caso.

Aveva notato gli sguardi di sottecchi che ogni tanto la ragazza gli lanciava, quando pensava di non essere vista, e aveva anche notato l'incertezza nella sua voce ogni volta che lui le rivolgeva la parola di fronte agli altri; Morgan sembrava avere paura di lui.

Il che per Hugo era qualcosa di completamente nuovo, nessuno aveva mai avuto paura di lui nel breve arco della sua vita e non aveva idea di come comportarsi, soprattutto tenendo conto che quello che voleva suscitare in Morgan non era certamente paura.

Quando era rimasto solo con Rose, quella mattina, aveva provato a chiederle consiglio, ma la sorella maggiore sembrava avere ben pochi suggerimenti da poter elargire al fratello e tutto quello che Hugo aveva ottenuto era stato un semplice: «Prova a parlarle», conclusione a cui lui era già arrivato da tempo.

E ora, Hugo si era perso all'Alcaicería, perché era stato tanto stupido da voler provare a cercare Morgan tra la folla di gente, che percorreva quelle viuzze strette piene di attività illegali, invece di controllare di avere Rose e Scorpius nelle vicinanze.

Hugo si guardò intorno, incerto su quale via avesse preso per arrivare di fronte al negozietto delle tisane e alla bancarella di uova di drago e in quel momento, mentre scrutava l'orizzonte con ben poche speranze di notare qualcuno o qualcosa di familiare, notò i biondi capelli di Morgan legati in una spettinata treccia a spiga di grano e il suo cuore sembrò sussultargli in petto per la sorpresa.

Morgan sembrava intenta a confabulare con un losco figuro il cui capo e corpo erano coperti da un lungo mantello nero, malgrado il caldo di quel pomeriggio estivo.

Hugo si fece spazio tra la folla, diretto verso la ragazza e fu in quel momento che notò Morgan afferrare dalla mano guantata dello sconosciuto una fiala, al cui interno era contenuta quella sembrava semplice acqua.

Poi Morgan porse al losco figuro un sacchetto di monete e nell'arco di pochi secondi lo sconosciuto si stava allontanando lungo la via, mentre Morgan instascava la fiala con aria guardinga.

Hugo ebbe giusto un paio di secondi per fingere di non aver assistito allo scambio, puntando lo sguardo su un orribile ororlogio a cucù, poi nel modo più casuale che riuscì a padroneggiare in quel frangente, lanciò un'occhiata verso sinistra, dove trovò facilmente lo sguardo di Morgan, a qualche metro di distanza, fisso su du sé.

Sollevò una mano per salutarla e iniziò ad andarle incontro e, con stupore, notò la ragazza fare lo stesso.

Hugo mise da parte tutte le domande che lo tormentavano in quel momento e, malgrado sapesse di essere un pessimo bugiardo, provò lo stesso a nascondere la propria curiosità e la propria apprensione dietro ad un semplice e genuino sorriso: «Ciao, cominciavo a pensare di essermi perso!»

Quella parole sembrarono sciogliere fin da subito la tensione tra di loro e Morgan sorrise: «Tranquillo, conosco bene queste vie e sono abbastanza certa che Scorpius abbia portato Rose nel localino per coppie più sdolcinato del mondo, vieni, ti ci accompagno».

Hugo iniziò a seguire Morgan senza dire niente, mordendosi le labbra per il nervosismo, mentre si chiedeva come avrebbe potuto portare nuovamente il rapporto con la ragazza alla spensierata pre-amicizia che c'era stata fino a due giorni prima.

Racimolando un po' di coraggio, alla fine decise di affrontare di petto la questione: «Perché mi eviti?»

Le spalle di Morgan s'irrigidirono, mentre si fermava in mezzo alla via e posava i suoi occhi azzurri in quelli scuri di Hugo: «Come scusa?»

«Perché mi eviti? Ho fatto qualcosa di sbagliato?»

Morgan si guardò intorno e iniziò a giocherellare con il foulard verde che aveva al collo quel giorno, poi prese la mano di Hugo e lo trascinò attraverso una viuzza sottile che li condusse nella piazzetta, di fronte alla quale sorgeva la Cappella Reale di Granada.

Si sedettero su una panchina e solo a quel punto Morgan lasciò andare la mano di Hugo e, tornando a giocare con il foulard, parlò: «Mi dispiace se mi sono comportata in modo strano negli ultimi giorni, non...»

Per qualche secondo Morgan sembrò indecisa se continuare o meno, poi scrollò le spalle e riprese a parlare: «Tu mi piaci, Hugo, mi piaci molto...»

Hugo approfittò del momentaneo silenzio, per sovrastare il suono del proprio cuore impazzito e parlare a sua volta: «Anche tu mi piaci».

Morgan rimase con la bocca aperta ad osservare il ragazzo per qualche secondo, le dita affusolate di una mano, non più intente a giocherellare con il foulad, erano congelate contro la gola della ragazza.

«Oh», sfuggì dalle labbra di Morgan, mentre riprendeva a rigirarsi il tessuto verde e leggero del foulard tra le nocche: «Questo cambia le cose, allora».

Hugo allungò una mano, così da bloccare il tic nervoso di Morgan e intrecciare le proprie dita a quelle della ragazza: «Ora smetterai di evitarmi?»

Morgan sorrise appena e annuì: «Solo se tu mi prometti di essere sincero».

Hugo si sporse su di lei, fino a quando i loro nasi non si trovarono a pochi millimetri di distanza.

«Prometto di essere sincero: tu mi piaci, Morgan, altrimenti perché ti avrei chiesto di ballare l'altra sera?»

La ragazza scrollò le spalle: «Perché ti facevo pena?», propose con un filo di voce, l'arruzzo dei suoi occhi che sembrava incerto se osservare le labbra vicinissime di Hugo o il colore caldo delle sue iridi.

Hugo aggrottò la fronte, era pronto a chiederle perché mai avrebbe dovuto fargli pena, poi decise all'ultimo di cambiare domanda: «Posso baciarti?»

In quell'istante Lily Potter, che stava osservando la scena da qualche metro di distanza, sorrise crudelmente e con un sonoro crack si smaterializzò per apparire a pochi passi dalla panchina in cui suo cugino faceva gli occhi dolci alla cucina di Scorpius.

Hugo e Morgan sussultarono per lo spavento e, per la seconda volta nell'arco di pochi giorni, scoprirono che la responsabile del loro bacio mancato era, nuovamente, Lily Potter.

«Ciao, ragazzi! Sapete per caso dove sono Rose e Scorpius?»

In realtà a Lily non importava dove si trovasse la coppia e sorrideva da orecchio a orecchio per la soddisfazione di esser riuscita, anche quel giorno, a dare fastidio a qualcuno.

Morgan aprì bocca, pronta a rispondere, ma Hugo la precedette: «Là», disse, indicando la viuzza da cui erano appena comparse le figure abbracciate di Rose e Scorpius.

Data la fortuita coincidenza, appena la coppia raggiunse il resto del gruppo, decisero di smaterializzarsi verso casa tutti iniseme e di aspettare lì l'arrivo di Fred e Albus.

Hugo e Morgan entrarono nell'elegante villa tenendosi per mano e, anche se non erano riusciti a baciarsi poco prima, sembrava che Morgan si fosse definitivamente lasciata alle spalle il timore e l'incertezza che l'avevano spinta ad allontanarsi da Hugo negli ultimi giorni.

Fu una sorpresa per tutti trovare Fred spaparanzato su uno dei divani dell'enorme salotto, mentre contava con soddisfazione delle monete.

«Fatto altre scommesse?», chiese Rose, con una punta di rimprovero nel tono di voce, mentre si avvicinava al cugino.

Fred puntò i suoi occhi scuri colmi di compiacimento in quelli dei nuovi arrivati e annuì: «Vuoi vedere cos'ho vinto, cuginetta?»

Prima che qualcuno potesse rispondere, Fred mostrò ciò che si trovava ai piedi del divano, proprio accanto a lui.

Rose svenne per lo spavento e Scorpius riuscì a stento ad afferrarla prima che cadesse a terra, mentre sul volto di Lily compariva un sorriso a trentadue denti: «Hai vinto uno snaso?!»

Nella gabbietta che Fred aveva sollevato si poteva chiaramente notare la silhouette nera di uno snaso spaventato, i cui occhietti scuri si spostavano in continuazione da un volto all'altro.

«Si chiama Jill».

«Come la tua ex ragazza?», chiese Hugo, aggrottando le sopracciglia.

Fred annuì: «Esatto, se Jill è stata tanto abile da rubarmi il cuore il quarto anno, sono certo che uno snaso con questo nome sarà semplicemente invincibile».

Nessuno sembrò voler controbbare a quel tipo di ragionamento, certi che una volta che Rose fosse tornata in sé, si sarebbe occupata lei della questione.

 

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine del decimo capitolo, che spero vivamente esservi piaciuto!

Sembra ieri, quando ho iniziato a pubblicare questa storia e siamo già arrivat* al decimo capitolo!

Wow, prima che me ne renda conto finirò con concludere la fanfiction, me lo sento!

Per tutt* coloro che volevano un capitolo su Hermione, chiedo di pazientare fino a Sabato, ho intenzione di scrivere un capitolo molto molto lungo per farmi perdonare, dato che mi sembra di aver messo un po' troppo da parte la nostra Ministra, decidendo di concentrarmi sugli altri personaggi. Hermione avrà la sua rivincita Sabato, ve lo prometto.

Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto, ho presentato un po' meglio il personaggio di Haiyun, che avevo a mala pena nominato qualche capitolo fa, abbiamo anche scoperto che Morgan ha comprato qualcosa in gran segreto nel mercato dell'Alcaicería (a proposito, il mercato dell'Alcaicería esiste davvero, intendo nel mondo babbano, ed è una zona davvero carina di Granada, dove si può trovare un po' di tutto; ho pensato fosse giusto creare la sua versione magica e inserirla nella storia!) e che Fred ha vinto Jill lo snaso!

Ammettetelo, Jill lo snaso è appena diventato il vostro personaggio preferito, vero?

Come sempre spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate del capitolo e vi ricordo le solite due cosette:

- Se volete potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp

- Se foste interessati a supportare il mio lavoro donandomi un simbolico caffè, potete trovarmi su Ko-fi.

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 11
*** Di quando Hermione si dedicò al volontariato ***


11. Di quando Hermione si dedicò al volontariato


 

Se c'era una cosa di cui Hermione Granger in Weasley era riconoscente, era di avere nella propria vita Emily Perkins, la migliore assistente che potesse esistere nell'intero Mondo Magico.

Da quando Ronald Weasley e Harry Potter le avevano cominucato — con la stessa leggerezza con cui si confesserebbe di aver sbagliato a comprare il giusto modello di assorbenti, nel reparto d'igiene intima al supermercato — di essere innamorati da anni e di volere il divorzio dalle rispettive mogli, l'unica persona che aveva permesso ad Hermione di non perdere la bussola era stata proprio Emily Perkins.

La giovane assistente aveva ascoltato ogni lamentela della Ministra, aveva asciugato ogni lacrima e aveva cercato di essere più presente e precisa che mai, nel ricordare gli appuntamenti e gli argomenti delle riunioni; il tutto senza mostrare il minimo segno di incertezza o di giudizio.

I primi due giorni erano stati, per Hermione, i peggiori in assoluto, ma non aveva demorso e aveva fatto il possibile pur di riempire la propria agenda di riunioni e impegni, così da essere sicura di avere il minor tempo libero possibile e, di conseguenza, minori possibilità di pensare a Ronald e al divorzio.

Aveva funzionato, non in modo impeccabile, ma meglio di quanto Hermione avesse preventivato.

Continuavano ad esserci dei momenti in cui lo sguardo le scivolava sulla ventiquattrore, dalla quale non riusciva ad estrarre i fogli del divorzio, per paura di affrontare la fatalità di ciò che rappresentavano; continuavano ad esserci dei momenti in cui Hermione estraeva dal cassetto della scrivania la foto incorniciata che raffigurava la sua famiglia e non poteva fare a meno di scoppiare a piangere; continuavano ad esserci dei momenti in cui la Ministra partecipava alle riunioni con la stessa apaticità con cui avrebbe assistito ad una partita di calcio babbano.

Sì, i primi due giorni dopo la grande rivelazione furono sicuramente i peggiori, poi lentamente le cose migliorarono e, con sempre meno frequenza, Hermione si trovò a pensare a qualcosa che non fosse il lavoro.

Con sua grande sorpresa, si rese ben presto conto che, se sentiva il bisogno di sorridere, le bastava pensare alla cena che aveva avuto con Draco Malfoy qualche sera prima e rievocare lo sguardo intenso che, per qualche secondo, le era stato lanciato da oltre il tavolo; bastava quel ricordo per mandarle il viso in fiamme e farle comparire un sorriso a metà strada tra l'imbarazzato e il compiaciuto sulle labbra.

Una delle molte domande che le erano sorte spontanee dopo la cena al Ristorante La Laguna fu come avesse fatto a non notare ad Hogwarts, quando lo aveva continuamente sotto gli occhi a lezione e in Sala Grande, quanto fosse avvenente Draco Malfoy.

Possibile che non avesse davvero mai notato la profondità dei suoi occhi grigi? O il modo elegante in cui intrecciava le dita affusolate sotto il mento quando era sovrappensiero?

Più rifletteva su certi dettagli, più si rendeva conto che doveva essere vero quel detto babbano secondo il quale "la bellezza delle persone nasce dagli occhi di chi le guarda", o la variante secondo la quale "la bellezza esteriore delle persone nasce dalla loro bellezza interiore".

Sì, doveva essere stato un miscuglio tra quei due modi di dire babbani, il motivo per cui Hermione non aveva mai notato l'avvenenza dell'ex compagno di scuola.

Come avrebbe potuto notare la sua bellezza, quando tutto quello che le suscitava Draco Malfoy, ad Hogwarts, erano rabbia e ribrezzo; entrambe le emozioni dettate dalla superficialità e arroganza del ragazzo?

Ora la situazione era diversa, Malfoy non era più il ragazzo bigotto di un tempo, l'aveva ammesso egli stesso; era cresciuto e si stava impegnando ad essere una brava persona, ecco perché anche il suo aspetto esteriore iniziava ad apparire agli occhi di Hermione più intrigante.

Il giorno dopo la cena al Ristorante La Laguna, Hermione aveva passato l'intero pomeriggio a leggere i documenti, relativi al progetto d'introduzione del televisore nel Mondo Magico, che le erano stati recapitati dagli uffici di "Babbananze", poi aveva chiesto ad Emily di fissare un appuntamento col signor M. per la settimana successiva, così da poter discorrere faccia a faccia del programma.

Per salvare le apparenze, Hermione si era anche segnata alcune domande da porre a Malfoy una volta che si sarebbero rivisti, anche se l'unico vero motivo per cui aveva chiesto alla sua assistente di organizzare un incontro era per sentire nuovamente gli occhi di Malfoy su di sé...

Non si poteva dire che Hermione ne andasse particolarmente fiera, ma...

«Signora Ministra?», la chiamò la voce dolce e calma di Emily Perkins, affacciandosi nel suo ufficio.

«Sì?», disse Hermione, cercando di non mostrare troppo il proprio senso di colpa, dovuto al fatto di aver passato gli ultimi dieci o forse più minuti a pensare a Malfoy, invece di svolgere il proprio lavoro .

«La sua visita mensile al San Mungo è fissata per oggi, vuole che la sposti?», chiese Emily Perkins, fissando l'agenda che aveva tra le mani.

Hermione scosse la testa e si alzò in piedi con un gesto tanto deciso da rischiare di far cadere a terra la sedia, su cui era seduta fino a poco prima: «No, non c'è bisogno di spostarlo, penso che mi farà bene cambiare un po' l'aria».

Emily sorrise e osservò con apprensione la Ministra.

Alla giovane assistente non era stato raccontato nei dettagli quello che era successo la famosa sera in cui Hermione Granger in Weasley aveva scoperto che suo marito e il suo migliore amico erano molto più intimi di quanto pensasse, ma sapeva abbastanza da provare una profonda compassione nei confronti della Ministra della Magia e da essere decisa ad aiutarla il più possibile.

«Vuole che venga con lei?»

Hermione scosse vigorosamente la testa e sorrise in modo rassicurante: «No, Emily, non ce n'è bisogno, ma ti ringrazio, negli ultimi giorni sei stata davvero preziosa... perché non ti prendi il pomeriggio libero?»

Gli occhi della giovane assistente si illuminarono: «È sicura che non sia un problema?»

«Assolutamente, per oggi sei stata davvero molto utile, ci vediamo domani mattina!», disse Hermione, indossando con un gesto veloce il mantello.

Emily fece per andarsene, poi tornò indietro: «Domani è sabato, signora Ministra, io di solito non lavoro il sabato, vuole che venga comunque?».

Hermione scoppiò in una risata stridula leggermente imbarazzata e si coprì gli occhi con le mani: «Oh, no, Emily, non ce ne sarà bisogno, pensavo che oggi fosse giovedì», ammise la Ministra, afferrando la ventiquattrore: «Sono proprio sbadata in questi giorni... ci vediamo lunedì!»

Quando Hermione Granger scomparve nel camino, diretta al San Mungo, Emily Perkins prese un profondo respiro, si passò una mano tra i capelli e si disse, non per la prima volta nell'ultima settimana, che presto la Ministra sarebbe tornata ad essere la donna precisa e impeccabile di sempre e che il suo compito era assicurarsi che, nel mentre, non scoppiasse alcuno scandalo.

Nell'arco di pochi secondi, da quando era scomparsa dal camino del proprio ufficio, Hermione Granger apparve nell'atrio del San Mungo, dove, al banco accettazione, una giovane infermiera la riconobbe subito e mandò a chiamare la Primaria dell'ospedale, Padma Patil, che Hermione Granger aveva avuto il piacere di conoscere già ai tempi in cui studiavano insieme ad Hogwarts.

Era da talmente tanti mesi che la Ministra s'impegnava a visitare il San Mungo, che ormai aveva sviluppato una vera e propria routine; per prima cosa andava a trovare i giovani maghi e le giovani streghe che si trovavano, per le più svariate ragioni, a dover soggiornare all'ospedale e leggeva loro un racconto o una fiaba. Successivamente prendeva un tè caldo con Padma e chiacchierava brevemente con lei, dopodiché terminava il pomeriggio di volontariato con una visita veloce al reparto Janus Thickey, dove la Ministra sapeva essere ancora recoverato Gilderoy Allock, quello che era stato il suo professore di Difesa Contro le Arti Oscure, durante il secondo anno ad Hogwarts.

«Hermione, benvenuta! Sei più puntuale della morte... ugh, scusa, pessima battuta, soprattutto considerando il luogo. Come stai?», chiese Padma Patil, comparendo in quel momento dal più vicino ascensore.

Per qualche secondo, alla vista del volto familiare e sorridente di Padma, Hermione pensò che avrebbe tanto voluto piangere tra le sue braccia e raccontarle quello che era successo all'inizio della settimana, quando Harry e Ron avevano confessato a lei e Ginevra di volere il divorzio.

La Ministra si riprese ben presto da quell'attimo di debolezza e asciugò le poche lacrime sfuggite al suo autocontrollo con un elegante gesto della mano, dicendo alla Primaria di avere fastidiosi granelli di cenere negli occhi a causa del viaggio in Metropolvere.

«Oh, non me ne parlare! L'ultima volta che ho preso la Metropolvere ho rischiato di soffocare perché me n'era entrata un po' in bocca!»

Padma prese a braccetto Hermione e insieme salirono sull'ascensore, dirette al secondo piano dell'ospedale, dove si trovava il reparto Malattie Magiche.

La Primaria informò Hermione che quello che che si leggeva ultimamente sulla Gazzetta del Profeta era vero ed erano stati effettivamente sommersi, negli ultimi giorni, da numerosi casi di Malattia Evanescente, chiamata anche Morbo di Rastrick, dall'eccentrico artista — la cui figurina si poteva trovare nelle confezioni di cioccorane — che, durante uno spettacolo di Tip Tap, era svanito senza lasciare alcuna traccia.

Molti studiosi e Medimaghi erano contrari a chiamare la malattia Morbo di Rastrick, per il semplice fatto che non vi era alcuna prova che l'uomo potesse essere, effettivamente, il paziente zero della Malattia Evanescente. Alcuni studiosi sostenevano, infatti, che la misteriosa scomparsa di Xavier Rastrick, durante lo spettacolo di Tip Tap, potesse essere ricondotta ad uno scherzo di pessimo gusto; come per esempio aver trasformato in passaporta il cappello che Rastrick aveva in testa, così da trasportarlo in un luogo da cui gli era stato impossibile tornare; o esser stato causato da un incidente legato ai viaggi nel tempo che prima del 1899 erano molto comuni, soprattutto all'interno del Ministero, il quale compiva esperimenti segreti su come minime variazioni del passato potessero cambiare irreparabilmente il presente.

Hermione era stata vaccinata appena era stato possibile contro la Malattia Evanescente, il che risultava un bene, dato che le venne permesso, senza alcun tipo di restrizione, di visitare i giovani maghi e le giovani streghe nel reparto Malattie Magiche.

Lesse loro "La storia dei Tre Fratelli" di Beda il Bardo, fiaba a cui era particolarmente legata da molti anni ormai e cercò di non lasciarsi impressionare troppo dai corpi, più o meno evanscenti, dei giovani pazienti che aveva di fronte.

Padma la rassicurò dopo la lettura, mentre si trovavano al quinto piano — che fungeva da luogo di ristoro per i visitatori e i Medimaghi — dicendole che ben presto la cura contro la Malattia Evanescente avrebbe fatto il suo corso e avrebbe permesso a quei bambini di tornare a casa dalle famiglie o a scuola a studiare, senza lasciare loro alcun tipo di cicatrice o trauma, a parte il terribile ricordo di aver visto sparire per giorni parti sempre maggiori dei loro corpi.

Mentre bevevano un tè caldo, Hermione omise di raccontare a Padma di essere ad un passo dal divorzio o di aver conosciuto il famoso proprietario di "Babbananze"; limitandosi a raccontare della recente partenza di Rose e Hugo per la Spagna, dove si stavano divertendo molto, o almeno così dicevano nella lettera che le era giunta qualche giorno prima.

Padma raccontò invece di sua figlia, Priyanka, che aveva appena terminato il suo quinto anno ad Hogwarts e che entro qualche settimana avrebbe ricevuto i risultati dei G.U.F.O.

Hermione trovò rassicurante parlare con un'altra madre, ma soprattutto con un'altra donna che, come lei, aveva un importante lavoro che le rubava molto tempo, ma che non le impediva di preoccuparsi per la sua famiglia e di avere un buon rapporto con sua figlia.

Quando Padma dovette lasciare Hermione a causa di un'emergenza al primo piano, dove si trovava il Reparto Ferite da Creature Magiche, la Ministra raggiunse da sola il Reparto Janus Thickey, dove trascorse qualche minuto a conversare con il Professore Gilderoy Allock.

Trovò l'uomo invecchiato, ma sempre pronto a elargire quelli che riteneva saggi consigli, confusi autografi e smaglianti sorrisi.

Fu nel momento in cui lasciava la stanza di Gilderoy Allock, che incrociò per il corridoio del quarto piano l'ultima persona che si aspettava di vedere quel giorno.

«Signora Ministra, quale inaspettata sorpresa», disse con fin troppa eleganza Draco Malfoy, facendole un educato cenno del capo.

Hermione Granger, con le labbra socchiuse dallo sconcerto, ricambiò il semplice gesto di saluto, mentre cercava qualcosa da dire, pur di avere l'occasione di parlare con l'uomo che aveva pensato troppo spesso, negli ultimi tre giorni.

Con grande sorpresa e compiacimento di Hermione, anche Malfoy sembrò bloccarsi, come lei, in mezzo a quel corridoio, alla ricerca di qualcosa da dire.

«Vi ho fatto consegnare i documenti...»

«Ho letto i documenti...»

Entrambi si bloccarono, smettendo di parlare l'uno sulla voce dell'altra, poi si sorrisero con una punta d'imbarazzo, quando si resero conto di quello che era appena successo; entrambi avevano cercato una scusa per dare vita a una conversazione qualsiasi e sembravano aver scelto l'argomento più facile.

«È quasi ora di cena, ti andrebbe di parlarne di fronte a un piatto...»

«Sì».

«... caldo?»

Draco Malfoy sorrise all'affermazione della Ministra, pronunciata ancora prima che lui potesse completare la domanda e le porse con un gesto garbato il braccio.

Hermione Granger tentennò giusto un secondo, con il volto rosso per l'imbarazzo, poi afferrò con la propria mano destra il gomito sinistro dell'uomo, premendo appena il fianco contro quello di Malfoy.

Così vicini da poter facilmente sentire i rispettivi respiri e da poter apprezzare i rispettivi profumi, la coppia prese l'ascensore e, una volta nell'atrio, si diresse con calma verso l'uscita, commentando i magnifici colori del cielo al tramonto.

«Preferenze sul ristorante?», chiese Malfoy, una volta che si trovarono all'esterno del San Mungo.

«No, ho intenzione di affidarmi al tuo buon gusto», disse Hermione Granger, quasi non credendo alle proprie orecchie, mentre si rendeva conto di star, di nuovo, flirtando spudoratamente con Draco Malfoy.

L'ex Serpeverde sorrise e l'istante successivo aveva Smeterializzato entrambi.

Quando Hermione aprì nuovamente gli occhi non riconobbe la via dove si trovavano, né la luminosa insegna che faceva bella mostra di sé dall'altra parte della strada.

«Questo, Granger, è un ristorante molto esclusivo, di solito è richiesto l'abito da sera, ma chiuderanno un occhio per noi», disse con calma Malfoy, con aria leggermente spocchiosa, tanto da ricodare ad Hermione l'arroganza dell'uomo quando era solo un ragazzino, durante gli anni ad Hogwarts.

Il maître di sala chiuse effettivamente un occhio di fronte al completo giacca e pantalone di Hermione e a quello altrettanto semplice di Malfoy e li fece sedere in una stanzetta privata sul retro, dove l'arredamento ricordava quello che si sarebbe potuto trovare su una navicella aliena arrivata dritta dritta dal 3500.

«Benvenuti da "Spaceship"», disse il cameriere, prima di lasciare sul tavolo due menù e la carta dei vini.

Fu semplice spezzare il silenzio parlando, in un primo momento, dei documenti che erano arrivati puntualissimi sulla scrivania di Hermione, a proposito del progetto d'introduzione del televisore nel Mondo Magico. L'agomento li tenne occupati giusto per qualche secondo, poi Malfoy propose alla Ministra di mettere da parte il lavoro e di parlare d'altro ed Hermione acconsentì di buon grado.

«Non conoscevo questo locale», ammise Hermione, leggendo affascinata il menù, dove le pietanze elencate avevano nomi a dir poco assurdi.

«Ne ero certo, pochi lo conoscono, soprattutto nel Mondo Magico», disse Draco, scorrendo con occhio assorto la carta dei vini.

«Come mai?», domandò Hermione, distogliendo lo sguardo dal menù per poterlo posare sul volto concentrato dell'uomo; sotto le luci della sala la pallida cicatrice sulla guancia di Malfoy sembrava quasi brillare.

«Perché questo, Granger, è un locale babbano, non hai notato che i prezzi sono espressi in sterline e non in galeoni?», le fece notare l'uomo, sollevando lo sguardo su di lei.

Hermione restò piacevolmente sopresa da quella rivelazione e scosse divertita la testa: «Hai ragione, c'è il simbolo della sterlina...», poi puntò i suoi occhi scuri in quelli chiari dell'uomo: «Mi hai portato qua per impressionarmi?»

Malfoy non abbassò lo sguardo e il divertimento sul suo volto cedette il posto ad un'espressione particolarmente seria: «Voglio essere sincero con te, Granger, è passato molto tempo dall'ultima volta che ho cercato di fare colpo su una donna, ma sì, a quanto pare non posso fare a meno di tentare di impressionarti... Dimmi, sta funzionando?»

Hermione sentì il proprio volto avvampare di fronte a una tale schiettezza e il cuore batterle irregolarmente in petto: «Sì», disse semplicemente, senza interrompere il contatto visivo con l'uomo seduto di fronte a lei.

Malfoy tornò a studiare la carta dei vini e lei il menù per qualche secondo, poi lui parlò nuovamente: «Vado spesso al San Mungo e non avevo ancora mai avuto il piacere d'incontrarti».

Hermione scrollò le spalle: «Vado a leggere fiabe ai bambini e a tenere compaglia ad Allock una volta al mese, lo facevo anche prima di diventare Ministra, ma meno frequentemente».

Draco mosse il capo a destra e sinistra, con aria incredula: «Trovo incredibile che non ci siamo mai visti prima, io di solito ci vado una volta a settimana, a trovare mio padre».

Le spalle di Hermione si irrigidirono appena, quando si rese conto che Malfoy era sul punto di raccontarle qualcosa che non doveva essere piacevole.

«È stato scarcerato da Akzaban qualche anno fa», disse l'uomo, lo sguardo fisso su un punto impreciso della stanza, alle spalle di Hermione: «Mamma voleva prendersi cura di lui da sola, ma abbiamo dovuto ben presto accettare il fatto che al Manor rischiava di essere un pericolo, oltre che per se stesso, anche per mia madre. Al San Mungo lo tengono d'occhio, fanno in modo che mangi e che riacquisti la memoria. Le prima settimane da uomo libero non si ricordava nemmeno di avere un figlio, figurati rendersi conto di essere nonno...»

Hermione ascoltò con gli occhi lucidi quella storia, mordendosi dolorosamente le labbra.

Non sopportava sentire simili storie e non importava che Lucius Malfoy fosse stato un pericoloso Mangiamorte e un uomo crudele, quando lei era soltanto una ragazza; luoghi come Azkaban — prigioni che distruggevano le persone invece di rieducarle e aiutarle a tornare a far parte della società — erano ciò contro cui, in quanto Ministra della Magia, aveva intenzione di combattere ferocemente al più presto.

«Mi dispiace, dev'essere stata dura», disse Hermione e, senza pensare a quello che stava facendo, allungò una mano sul tavolo, così da coprire con il proprio palmo caldo la dita leggermente tremanti di Draco.

Senza parlare, Malfoy intrecciò le proprie dita a quelle della donna, sentendosi grato per quel semplice gesto di conforto, poi sollevò lo sguardo, osservando con stupore le lacrime negli occhi di Hermione.

«Sì, è stato difficile, soprattutto i primi tempi, ma sono certo di aver sofferto anche poco, rispetto a molti altri maghi e streghe», ammise Draco: «Anche tu devi aver sofferto molto», aggiunse poi, con un filo sottile di voce, osservando di sottecchi il volto della donna.

Fu il turno delle dita di Hermione di tremare contro il palmo fermo di Draco, mentre abbassava lo sguardo e si sforzava di trattenere le lacrime.

«Non è stato facile per nessuno», disse con voce abbastanza ferma, prima di sollevare nuovamente lo sguardo: «Non è una gara a chi ha sofferto di più, Malfoy...»

«Draco, vorrei che mi chiamassi Draco», la interruppe lui, con espressione seria, mentre studiava attentamente gli occhi arrossati della donna.

«Draco... va bene», disse lei, la voce che le tremava leggermente, incerta.

Calò per qualche secondo un silenzio colmo d'imbarazzo, poi Hermione si arrese e con un sospiro disse: «Ok, una storia triste per una storia triste, mi sembra giusto: nell'estate del 1997 ho Obliviato i miei genitori in modo da cancellare dalle loro menti il mio ricordo».

Malfoy sussultò a quelle parole e sbarrò leggermente gli occhi, sorpreso, ma non disse niente, limitandosi a stringere leggermente la presa intorno alle dita di Hermione, intrecciate alle sue, per trasmetterle silenziosamente la propria vicinanza.

«Era l'unico modo per tenerli al sicuro, lontani da Londra, da me, dal Mondo Magico e dalla guerra. Li ho rivisti a Perth nel 2001, dopo lunghe ed estenuanti ricerche, per poi scoprire di esser stata troppo brava a cancellare il mio ricordo dalle loro menti e di non essere più capace a reinvertire il processo. Tutto quello che sono riuscita a fare è stato impiantare un nuovo ricordo, ora credono che sia una loro lontana parente. Sono anche venuti a trovarmi qua a Londra un paio di volte negli ultimi anni. Da un certo punto di vista dovrei ritenermi fortunata, sono vivi, stanno bene e in un certo qual modo fanno ancora parte della mia vita, eppure è... è difficile... Tra l'altro dovrei chiamarli, sono passati già dieci giorni dall'ultima volta che li ho sentiti, non sanno nemmeno che Ron vuole il divorzio...»

Hermione s'irrigidì quando si rese conto di quello che si era lasciata sfuggire e abbassò subito lo sguardo, alla ricerca di qualcosa da dire pur di cambiare discorso. Malfoy intanto sembrava altrettanto stupito da quelle parole, forse perché aveva dato per scontato, già dal loro primo incontro, quando si erano trovati a flirtare in un lussuoso ristorante, che Hermione Granger fosse una donna divorziata.

Notando il turbamento nell'espressione della donna, Malfoy mise da parte il proprio stupore e, con una punta di sincera preoccupazione nella voce, chiese: «Va tutto bene?»

Hermione con le lacrime agli occhi e un doloroso groppo il gola, scrollò le spalle, accennando un timido sorriso: «Sì, è solo...»

Non finì la frase, recuperando dalla propria ventiquattrore un fazzoletto, con il quale si asciugò le calde lacrime, che le scivolavano lungo le guance.

«Scusami».

Draco aumentò appena la stretta delle proprie dita tra quelle di Hermione: «Non devi scusarti, so che è dura».

Hermione sembrò ricordarsi in quell'istante, osservando il volto dell'uomo all'altro capo del tavolo, dello scandalo che era sorto qualche anno prima, quando ogni giornale parlava solo e soltanto di come Astoria Greengrass fosse fuggita da un giorno all'altro, abbandonando il ricco marito e il figlio adolescente.

«Non avrei mai pensato che Ronald potesse lasciarmi», ammise Hermione, con una smorfia colma di sofferenza in volto.

«Ti capisco, anche io non potevo crederci i primi tempi, continuavo a pensare che fosse un brutto sogno o uno scherzo di pessimo gusto. Fa molto più male quando ti rendi conto che è reale», disse Draco, incerto se avvicinarsi alla donna o continuare a mantenere quella poca distanza che c'erano tra di loro.

«Non sarà reale fino a quando non avrò firmato le carte del divorzio», ribattè Hermione, con il tono petulante che avrebbe potuto avere una bambina a cui era stata rivelata l'inesistenza di Babbo Natale.

Malfoy rimase in silenzio per qualche secondo incerto su come ribattere e fu in quel momento di stallo che il cameriere comparve accanto al tavolo con il palmare in una mano e un sorriso di circostanza in volto: «I signori hanno deciso cosa ordinare?»

Malfoy non lasciò la presa delle proprie dita intorno a quelle di  Hermione, mentre sollevava gli occhi sul nuovo arrivato e rispondeva: «Ancora due  minuti».

Il cameriere fece un breve cenno del capo e scomparve con la stessa  velocità con cui era comparso, facendo tornare nuovamente il silenzio sul tavolo.

«Stavo pensando», disse Draco, soppesando con attenzione ogni parola:  «Perché non prendiamo la cena d'asporto? Potremmo parlare con più calma  a casa mia, e non ci dovremmo preoccupare dei camerieri inopportuni».

Hermione sapeva, quanto Malfoy, che la scusa dei camerieri era,  appunto, una scusa e che, molto probabilmente, quello che Draco  intendeva dire con quelle parole era che a casa sua Hermione avrebbe potuto  piangere, sfogarsi e riversare su di lui tutti i sui problemi, senza  doversi preoccupare di essere vista o sentita da qualcun altro.

Hermione puntò i proprio occhi scuri, arrossati dal pianto in quelli  chiari e genuini di Draco e, senza pensarci troppo, gli diede una  risposta.






 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Come vi avevo promesso, ecco un capitolo incentrato sulla nostra Ministra preferita, ho anche scritto mille parole in più rispetto alla lunghezza solita dei capitoli, per farmi perdonare per due cose: primo, per avervi fatto aspettare tanto per leggere cosa combinava Hermione; secondo, per aver concluso il capitolo con un cliffhanger.

Ma niente paura! Sapremo ben presto qual è stata la risposta di Hermione.

Voi cosa ne pensate?

Avrà detto sì?

O avrà detto no?

La "Vanishing sickness", che io ho tradotto con Malattia Evanescente (dato che non sono riuscita a trovare la traduzione ufficiale del termine) la si può trovare sul sito www.harrypotter.fandom.com, così come le informazioni che ho tradotto su Xavier Rastrick. Per il resto è tutto frutto della mia fantasia.

Mi sembrava carino introdurre un nuovo personaggio, anche se rimarrà secondario in questa fanfiction, ossia il personaggio di Padma Patil, che ho deciso di rendere Primaria del San Mungo.

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instragam, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Se voleste donarmi un simbolico caffè per supportare il mio lavoro, potete trovarmi Ko-fi (trovate il link anche nella mia bio), dove pubblico piccoli spoiler sugli aggiornamenti ogni martedì e venerdì!

Spero abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate del capitolo!

Un bacio,

LazySoul

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Capitolo 12
*** Di quando Fred s'innamorò di un fantasma ***


12. Di quando Fred s'innamorò di un fantasma


 

Fred Weasley II, seduto su una delle panchine, poste a distanza regolare lungo uno dei tanti corsi d'acqua nel Giardino del Generalife, accarezzava distrattamente Jill, che acciambellato sulle sue gambe stava dormendo profondamente.

Aveva facilmente incantato lo snaso in modo tale che agli occhi dei babbani apparisse come un furetto, che aveva scoperto non essere il tipo di animale che gli sconosciuti si avvicinano ad accarezzare, senza prima chiedere il permesso al padrone.

Era tutta colpa di Jill se non poteva, come tutti gli altri, visitare il complesso di edifici del Palacio Nazaries, ma era invece costretto a rimanere all'aperto.

La guida babbana, che Rose e Scorpius avevano ingaggiato per il tour dell'Alhambra quel pomeriggio, era stata irrimovibile di fronte al furetto al guinzaglio e aveva detto a Fred che aveva il permesso di visitare i giardini, ma non gli ambienti chiusi, se accompagnato da un animale.

Rose aveva sorriso, raggiante, a quella notizia e aveva guardato Fred con l'espressione che il cugino odiava profondamente; quell'espressione che Rose aveva quando sapeva di aver ragione.

Effettivamente Rose l'aveva avvertito il giorno prima, appena si era ripresa dallo svenimento causato dall'apparizione improvvisa di uno snaso — anche se in gabbia — di fronte a lei, dicendogli che prendersi cura di uno snaso poteva essere una responsabilità troppo grande, per un ragazzo sconsiderato e impulsivo come lui.

Eppure Fred non aveva ascoltato il consiglio della cugina e non aveva restituito lo snaso al precedente proprietario, che era stato tanto sciocco da giocarsi l'animale a carte, deciso a dimostrare a Rose di essere più affidabile di quanto si pensasse.

Fred sospirò, continuando a percorrere con le dita la morbida peluria di Jill, lo sguardo fisso sui giochi di colori nella fontana poco distante e sul complesso di edifici che formava il Palacio Nazaries, colpito dal sole calante.

Aveva passeggiato per qualche tempo lungo i giardini, osservando il verde intenso mescolarsi coi vivaci colori dei fiori, l'azzurro del cielo riflettersi nelle vasche incassate nel terreno e i giochi d'acqua delle fontane.

Anche Jill aveva apprezzato il loro vagare senza meta per qualche tempo, anche se aveva provato più volte a tirare il guinzaglio verso il Palacio Nazaries, dove molto probabilmente sentiva la presenza di gioielli, oro o altri tesori nascosti.

Poi sia Fred che Jill sembravano essersi stancati quasi nello stesso momento — una volta che si erano resi conto non esserci nulla di eccezionale nei giardini — e, trovata una panchina vuota, vi si erano seduti, godendo del calore dei raggi del sole che pian pianino scendeva verso l'orizzonte, baciando ogni cosa, pianta e persona con una calda luce dorata.

Jill si era addormentato quasi subito sulle gambe del nuovo padrone e Fred aveva approfittato del momento di pace per pensare a come avrebbe potuto trasfigurare lo snaso in futuro per non trovarsi, ancora una volta, a perdersi tutto il divertimento.

Fu in quel momento, mentre si chiedeva se avrebbe potuto rimpicciolire la creatura senza farle troppo male, così da poterla tenere nella propria tasca, che da dietro una siepe comparve il fantasma di una giovane donna, dai lunghi capelli sciolti sulle spalle, un'abito a tunica e metà del volto coperto da un velo.

Nell'istante in cui gli occhi di Fred si posarono in quelli del fantasma e le prime note di un triste canto raggiunsero le sue orecchie, il ragazzo s'innamorò.

 

Hugo e Morgan, con il collo che faceva loro male per la scomoda posizione, non distoglievano lo sguardo dalla cupola riccamente decorata con dei muqarnas sopra alle loro teste.

«Wow», disse Hugo, per quella che doveva essere la terza volta ormai, da quando avevano messo piede nella Sala de Dos Hermanas, all'interno del Palacio Nazaries.

«Già, wow», ribattè Morgan, altrettanto incapace di dire qualcosa di diverso.

Hugo fu il primo a distogliero lo sguardo dalla cupola per guardarsi brevemente intorno: «Abbiamo perso la guida e gli altri».

Morgan scrollò le spalle, continuando a tenere gli occhi incollati al soffitto: «A qualcuno deve essere venuto il torcicollo a forza di decorare questa cupola», disse semplicemente, prima di massaggiarsi la nuca e portare lo sguardo in quello di Hugo.

Da quando si erano brevemente parlati il giorno prima, tutto sembrava essere tornato a una parvenza di normalità.

Hugo sapeva di piacere a Morgan e Morgan sapeva di piacere a Hugo, ma sembravano entrambi incerti su come comportarsi quando erano insieme e soli.

Si tenevano per mano, si scambiavano dolci sorrisi, che facevano sollevare gli occhi al cielo a Lily, e parlavano, parlavano talmente tanto e di talmente tanti argomenti che a Hugo sembrava di conoscere Morgan da una vita intera, invece che da pochi giorni.

«Non solo il torcicollo, forse anche il mal di schiena», commentò Hugo, tornando ad osservare la bianca cupola, che sembrava un fiore composto da un numero indefinito di favi.

La mano di Morgan s'intrecciò a quella di Hugo e il ragazzo distolse lo sguardo dalla cupola, portando i suoi occhi scuri in quelli chiari e sereni della ragazza.

Quel giorno Morgan indossava un foulard rosa antico, che creava un interessante contrasto con l'abito estivo ceruleo che indossava, i biondi capelli erano raccolti in un disordinato scignon e alle orecchie aveva degli orecchini a forma di fetta d'anguria, che le davano un'aria quasi infantile.

Ogni volta che Hugo posava lo sguardo su di lei, non poteva fare a meno di sentire una strana sensazione di nervosismo e desiderio all'altezza dello stomaco.

Rimasero a guardarsi negli occhi per qualche secondo, poi Hugo abbassò lo sguardo incapace di continuare a guardare Morgan negli occhi e osservò le loro dita intrecciate e il polso delicato della ragazza, dove spiccavano sulla pelle candida le sottili vene azzurrine.

«Facciamo qualche foto insieme?», chiese Morgan, allegramente, iniziando a sospingere il ragazzo verso il Patio De Los Leones, poco distante.

Una volta arrivati al patio, pieno di turisti, rimasero momentaneamente accecati dalla calda luce dorata del sole e approfittarono di una gentile signora, per farsi scattare qualche foto, utilizzando il cellulare di Morgan (uno dei modelli più recenti venduti da Babbananze).

La prima foto li raffigurava accanto a una delle colonne del patio, le loro mani ancora strette e i sorrisi un po' timidi.

Nella seconda foto, Morgan si era fatta più vicina, ponendo un braccio intorno alle vita di Hugo, che seguì l'esempio e avvolse con il proprio braccio le spalle della ragazza.

Nella terza foto, Morgan aveva lasciato cadere la propria testa contro la spalla di Hugo e aveva lo sguardo su di lui, le labbra atteggiate in un dolce sorriso.

Ringraziarono calorosamente la signora che aveva scattato per loro quelle foto, poi con le mani nuovamente intrecciate avevano ripreso a vagare per le sale, fino a sbucare nei giardini del Generalife, dove la calda luce del sole faceva brillare l'acqua delle fontane e rendeva il verde dei cespugli e dell'erba particolarmente lucido.

Dal giorno prima Hugo aveva una domanda incastrata nel fondo della propria gola, una domanda che avrebbe voluto porre a Morgan, ma che non trovava la forza di fare.

Avrebbe voluto chiederle cosa contenesse la fiala che le aveva visto acquistare nel mercato dell'Aclacicería il giorno prima, ma continuava a rimandare il momento, ritenendo una simile domanda troppo personale e scomoda da porre.

Valeva davvero la pena avere le proprie supposizioni confermate, ma rischiare con una simile domanda di rovinare la spensierata e serena atmosfera di quel pomeriggio?

Più Hugo ci pensava, più si rendeva conto che a suo parere no, il gioco non sarebbe valso la candela; così decise di porre altre domande, domande più facili e leggere, domande che non avrebbero portato a momenti d'imbarazzo o a dover dare risposte difficili e complicate.

Chiese alla ragazza quale fosse il suo colore preferito, se le piacesse la musica babbana e se ci fosse un posto nel Mondo, che avrebbe voluto visitare più di ogni altro.

Scoprì che a Morgan piaceva molto il colore blu, che non era un'esperta di musica babbana, ma che conosceva qualcosina e quel poco che ascoltava le piaceva molto, che avrebbe voluto, più di ogni altra cosa, visitare San Pietroburgo durante le notti bianche o spingersi ancora più a nord per ammirare l'aurora boreale in Finlandia.

Anche Hugo dovette rispondere a delle domande; confessò a Morgan di non avere mai avuto animali domestici, oltre a un paio di gufi, perché sua mamma non era mai riuscita ad accettare la morte di Grattastinchi, il gatto che l'aveva accompagnata per gran parte della sua vita; raccontò del suo primo giorno a scuola e della volta in cui era stato messo in punizione perché si era dimenticato di fare un compito di Erbologia il secondo anno.

«Raccontami del tuo primo bacio», disse Morgan ad un certo punto, mentre cotinuavano a percorrere i luminosi Giardini del Generalife.

Hugo arrossì nel sentire quella domanda e scrollò le spalle, incerto se mentire o dire la verità.

Alla fine, dopo averci pensato per qualche secondo, optò per la sincerità: «Non ho mai propriamente baciato nessuno».

Morgan aveva le labbra leggermente socchiuse e lo osservava con sorpresa: «Oh, non me lo aspettavo».

Hugo sorrise timidamente, tenendo lo sguardo basso: «Sono stato con una ragazza a tredici anni, tutto quello che facevamo era tenerci per mano e fare i compiti insieme, ogni tanto ci baciavamo sulla guancia, ma eravamo entrambi troppo timidi per fare qualcosa di adulto come baciarci in bocca. Ci siamo lasciati all'inizio del quarto anno, una volta tornati dalle vacanze estive».

«Il mio primo bacio è stato un completo disastro», disse Morgan, aumentando appena la stretta delle propria mano contro quella di Hugo: «Avevo quattordici anni e mi ero presa una terribile cotta per il mio migliore amico. L'ho baciato, un giorno, senza pensare alle possibili conseguenze e da quel momento in poi la nostra amicizia non è più stata la stessa».

Hugo aggrottò le sopracciglia: «Mi dispiace».

Morgan scrollò le spalle, un triste sorriso sulle sue labbra: «È passato abbastanza tempo da non fare più male», disse: «Avevo mal interpretato la nostra amicizia, pensando che ci potesse essere qualcosa di più tra noi... Mi capita spesso, mi lascio ingannare da qualche moina o costruisco castelli enormi da semplici granelli di sabbia... È per questo che sono stata un po' scostante i giorni scorsi, dopo la prima sera; pensavo di aver mal interpretato anche il tuo interesse nei miei confronti».

Hugo sciolse la stretta delle loro mani per avvolgere le spalle di Morgan con un braccio e tenerla più vicina a sé: «E invece avevi ben interpretato».

Morgan ridacchiò, appoggiando la guancia contro la spalla del ragazzo, inspirando a fondo l'odore di pulito e miele che emanava la sua pelle.

Fu in quel momento, che notarono poco distanti le figure di Rose e Scorpius che, ai piedi di una statua in pietra, ascoltavano attentamente quello che raccontava la guida.

«Li raggiungiamo?», chiese Hugo, sentendosi leggermente in colpa per esser rimasto indietro con Morgan, perdendosi la maggior parte delle spiegazioni della guida.

La ragazza si morse il labbro e contemplò a sua volta le silhouette poco distanti di Rose e Scorpius, poi scrollò le spalle e sollevò i suoi occhi chiari, illuminati da quello che sembrava un pizzico di follia, sul volto incerto di Hugo: «Nah», disse, prima di muovere la mano e indicare una panchina vuota a qualche metro di distanza: «Perché non ci andiamo a sedere? Non ce la faccio più a stare in piedi».

Hugo sorrise e annuì, rendendosi a sua volta conto di avere le piante dei piedi che gli dolevano, molto probabilmente a causa del lungo vagare per le sale del Palacio Nazaries.

Una volta raggiunta la panchina, tornarono a chiacchierare; Morgan iniziò a raccontargli di Beauxbatons e Hugo le raccontò di Hogwarts, si confrontarono su alcuni argomenti studiati, sul tipo di professori che avevano avuto e Morgan parve sbalordita, quando Hugo le confermò che il professore di Storia della Magia, ad Hogwarts, era un fantasma.

«Anche a Beauxbatons ci sono dei fantasmi. C'è un'ala del castello che è particolarente infestata, infatti è altamente proibito andarci prima del terzo anno... In realtà molti studenti ci mettono piede il primo anno per una stupida prova di coraggio, a parer mio una sciocca tradizione...»

«E tu l'hai fatto?», chiese Hugo, interrompendola.

Le labbra di Morgan si arricciarono in una smorfia e annuì: «Sì, è stato terrificante, ma sono sopravvissuta».

«In cosa consiste questa "prova di coraggio"?», domandò Hugo, mentre giocherellava con le dita della mano di Morgan.

La ragazza scrollò le spalle: «Niente di che, devi semplicemente andare nell'ala infestata la mezzanotte del 31 Ottobre, la notte di Halloween, e resistere il più a lungo possibile senza urlare».

Hugo strinse le labbra in una linea sottile: «Non è pericoloso?»

Morgan appoggiò la guancia contro la spalla del ragazzo: «No, molti dei fantasmi che abitano quell'ala del castello sono talmente vecchi da non constituire un pericolo per nessuno da anni, ormai».

Hugo, che non aveva smesso di giocherellare con le dita di Morgan per tutta le duranta del racconto, prese ad accarezzarle il dorso della mano, poi il braccio, coperto da una leggera peluria dorata.

«A Hogwarts non ci sono prove di coraggio simili, non che io sappia almeno e i fantasmi sono molto gentili... a parte il poltergeist, Pix, a lui piace creare scompiglio e basta».

«Oh, sono certa che Hogwarts mi sarebbe piaciuta più di Beauxbatons... Se avessi saputo che avrei potuto trovare una persona gentile come te, probabilmente avrei insistito con zio Draco a farmi cambiare scuola».

Hugo arrossì a quelle parole e si azzardò a voltare il capo verso quello di Morgan, che rimaneva con la guancia appoggiata alla sua spalla, ma con il volto girato verso di lui.

Si osservarono, per qualche secondo, entrambi con le guance dolcemente arrossate, poi distolsero lo sguardo e notarono la figura poco distante di Lily, che percorreva i sentieri dei giardini con passo veloce e nervoso.

«Finalmente vi ho trovato!», esclamò la ragazza, togliendosi con un gesto impaziente i capelli rossi dalla faccia, una volta che raggiunse Hugo e Morgana: «Fred è impazzito!»

«Impazzito?», chiese Hugo, faticando a credere alle proprie orecchie.

Tutti sapevano che Fred Wealsey II era un ragazzo impulsivo e sollazzevole, tanto da sembrare pazzo in molte situazioni. Gli piaceva fare dispetti, ridere in quel suo modo all'apparenza maniacale, fare scommesse che sapeva di poter vincere e prendersi gioco delle persone senza provare il minimo senso di colpa.

Hugo, essendo a conoscenza di tutti questi dettagli, faticò, in un primo momento, a credere alle parole di Lily, che poteva aver interrotto il momento d'intimità di Hugo e Morgan per forza di abitudine più che per sincera preoccupazione nei confronti di Fred.

«Sì, impazzito: dice di essere innamorato di una certa Camilla e di non aver intenzione di abbandonare questi giardini, mai più», disse con tono concitato Lily, continuando a gettare occhiate alle proprie spalle: «Ho paura che possa fare qualche pazzia», aggiunse, muovendo qualche passo verso il sentiero da cui era appena arrivata.

Quando Lily si rese conto di non essere seguita, lanciò a Hugo e Morgan un'occhiata impaziente e preoccupata, che spinse entrambi i ragazzi ad alzarsi in piedi e a seguirla.

«Chi è Camilla?», chiese Morgan, nello stesso istante in cui Hugo borbottava: «Prima Albus s'innamora di una sconosciuta in un pub e ci dà buca per passare il pomeriggio con lei, ora Fred impazzisce per una ragazza... Non sapevo che Granada fosse la città dell'amore».

«Osservazione interessante, considerando che anche tu non scherzi con le conquiste, cugino».

Le parole di Lily fecero arrossire istantaneamente il ragazzo, la cui mano era ancora una volta stretta intorno a quella di Morgan.

Nell'arco di una manciata di secondi sbucarono in una zona dei giardini che Hugo e Morgan non avevano ancora avuto occasione di visitare, dove Fred, con un'espressione vacua stava per entrare in una fontana.

«Pietrificus Totalus!», esclamò Lily, mentre Morgan si accertava non ci fossero babbani nei paraggi.

Raggiunsero subito il corpo immobile di Fred e lo trasportarono fino alla più vicina panchina, dove Jill lo snaso osservava la scena con quella che sembrava curiosità.

Una volta che Lily liberò il cugino dall'incantesimo, il volto di Fred divenne una maschera di pura rabbia: «Perché mi hai fermato?! Voglio raggiungere Kameela!»

Hugo si guardò alle spalle, quasi si aspettasse di vedere spuntare dall'acqua della fontana una ragazza, ma non sembrava esserci anima viva intorno a loro.

«Di chi stai parlando?», chiese Lily, con tono esasperato.

«Kameela è la mia anima gemella! È l'amore della mia vita, la luce dei miei occhi...»

«Hai per caso ingoiato un dizionario di luoghi comuni?», chiese Lily, sollevando gli occhi el cielo: «E comunque io non vedo nessuno qua», aggiunse, guardandosi rapidamente intorno: «Dove dovrebbe essere questa Camilla?»

«Si chiama Kameela, non Camilla!», esclamò Fred, indispettito: «Mi sta aspettando».

«Dove?», chiese Hugo, ma Fred si adombrò istantaneamente e serrò le labbra in una linea sottile: «Non ho intenzione di dirtelo! So che me la vuoi rubare e non te lo permetterò!»

Hugo aggrottò la fronte, incerto su come reagire a quell'accusa infondata, poi un lieve suono alle loro spalle li fece voltare tutti quanti.

Dai cespugli oltre la fontana era appena apparsa la figura perlacea di un fantasma.

Hugo sbarrò gli occhi e si trovò istantaneamente incantato dagli occhi scuri dell'apparizione e dal modo sinuoso in cui muoveva il proprio corpo verso di lui, quasi stesse danzando, mentre cantava una struggente canzone in una lingua a lui sconosciuta.

Senza pensarci, Hugo fece un passo verso il fantasma, all'improvviso tutto quello che riusciva a pensare era a trovare un modo per impressionarla e attirare su di sé l'attenzione della figura perlacea, ma si rese ben presto conto che qualcosa gli impediva di avvicinarsi alla fontana.

Voltandosi Hugo sembrò momentaneamente risvegliarsi da un brutto incubo e incrociò il volto pallido e terrorizzato di Morgan, la cui mano, stretta intorno al suo polso, sembrava diventare sempre più debole.

«Fred!», l'urlo di Lily spezzò definitivamente l'incanto e Hugo agì con prontezza, lanciando un incantesimo Silencio verso il fantasma, così da rendere il suono del suo triste canto impercettibile alle sue orecchie e a quelle degli altri.

Fred, che si era nuovamente lanciato verso la fontana si fermò all'improvviso, perdendo l'equilibrio e scivolando rovinosamente a terra: «Merlino!», esclamò, guardandosi intorno con aria smarrita.

Lily accorse ad aiutarlo, non sprecando l'occasione per far sapere al cugino quanto lo considerasse stupido e ottuso.

Hugo invece si sporse verso Morgan e la avvolse in un abbraccio, che sperò essere il più rassicurante possibile: «Stai bene?», le chiese, percependo la rigidità delle membra della ragazza sciogliersi lentamente.

«Sì, cos'è successo? Come... quel fantasma...?», borbottò Morgan, guardando la figura perlacea che continuava a danzare intorno alla fontana, il suono del suo triste canto non più udibile.

«Penso che in vita fosse una veela», disse Hugo, spostando il capo, in modo da osservare a sua volta il fantasma: «È l'unica spiegazione, considerando il modo in cui abbiamo reagito al suo canto».

Morgan annuì, rimanendo comunque molto pallida in viso: «Avevo una compagna di scuola che era mezza veela, ma era nulla in confronto a... a questo».

Hugo le sorrise dolcemente, baciandole la fronte e inspirando a fondo l'odore di estate che emanavano i capelli biondi della ragazza
 

«... Ti ho già detto che sei ottuso come uno Schiopodo Sparacoda?»

Fred emise un suono molto simile a un grugnito, mentre si sollevava in piedi e si colpiva con gesti precisi i pantaloni, così da pulirli dal terriccio: «Non è colpa mia se i giardini sono infestati da fantasmi veela!»

Lily sbuffò e aprì bocca, pronta a ribattere, ma si zittì quando notò le figure di Rose e Scorpius che, tenendosi dolcemente per mano, osservarono con un misto di curiosità e preoccupazione la scena.

«Tutto bene?», chiese Rose, spostando lo sguardo dai pantaloni sporchi di terra di Fred, al fantasma che danzava intorno alla fontana, per poi posarlo sull'abbraccio in cui Hugo e Morgan erano ancora stretti.

«Sì, cuginetta, niente di cui preoccuparsi», disse Fred, tornando alla panchina e a Jill, che prese in braccio e iniziò ad accarezzare per calmarsi: «Ci ha già pensato Lily a ricordarmi, con il suo tipico tatto, di essere un ottuso Schiopodo Sparacoda e siamo tutti salvi dal malefico fantasma veela da Hugo. Questa volta sei arrivata tardi, temo».

Rose, con la fronte aggrottata e le labbra serrate sembrava sul punto di dire qualcosa, quando Scorpius scoppiò a ridere, dissipando la tensione nell'aria: «Basta assentarsi un istante e ci si perde tutto il divertimento!»

Rose socchiuse le labbra, quasi fosse sul punto di dire qualcosa, ma decise di tacere e sorrise a sua volta, osservando con uno sguardo colmo di dolcezza il volto sereno del proprio ragazzo.

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Sono tornata! Spero di non asservi mancata troppo la scorsa settimana... In caso cercherò un modo per farmi perdonare... per esempio potrei scrivere un lungo capitolo su Hermione per Sabato... che ne dite? Vi piace come idea?

Anche questo mercoledì, siamo giuntə alla fine di un nuovo capitolo, che vede come protagonisti la nuova generazione.

Questa volta ho deciso di ambientare la scena all'Alhambra, altro luogo molto conosciuto di Granada, di cui vi consiglio di cercare qualche foto, se siete curiosə, è un luogo davvero magico!

Spero che la scena con Fred e Kameela, il fantasma veela, vi sia piaciuta, pensavo, nel prossimo capitolo sulla nuova generazione, di dedicare un po' di attenzioni ad Albus e a Haiyun, oltre che ovviamente a Hugo e Morgan...

A proposito, per quanto riguarda il segreto di Morgan, so che alcunə di voi hanno già indovinato qual è, intuendolo dagli indizi che ho lasciato nella storia, per chi ancora non dovesse averlo capito, niente paura, presto ci sarà la "grande rivelazione".

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia per farmi sapere cosa ne pensate!

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp; nel caso invece voleste supportare il mio lavoro potete donarmi un caffè tramite la mia pagina Ko-fi!

Un bacio,

LazySoul

 

P.S. Nelle note utilizzo il segno "ə" per una questione di inclusività, al posto dell'asterisco che uso di solito.

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Capitolo 13
*** Di quando Hermione si sentì una pessima madre ***


 

13. Di quando Hermione si sentì una pessima madre

 

 

«Sì».

Era bastata quella parola e ora Hermione Granger si trovava di nuovo in strada, avvolta nel proprio mantello, e percorreva una via della Londra babbana che non conosceva, una mano che stringeva con forza il manico della ventiquattrore, l'altra avvolta dal palmo caldo e le dita affusolate di Draco Malfoy.

Hermione non era sicura di aver scelto la risposta giusta, in realtà Hermione si chiedeva se avesse davvero avuto una scelta, quando tutto di quella giornata caotica sembrava averla portata ad acconsentire alla proposta di Draco Malfoy, senza pensare alle possibili conseguenze.

Il titolare di "Babbananze" la condusse in una stradina deserta e strinse maggiormente la presa intorno alle sue dita, mentre si fermava ad osservare il volto in penombra della donna, nell'espressione di Malfoy si poteva intravedere una punta d'incertezza: «Pronta?»

Hermione scrollò le spalle. Era fin troppo consapevole di avere ancora il volto rigato di lacrime e un imbarazzante e fastidioso singhiozzo, che sembrava non volerla abbandonare; sicuramente non era il tipo di donna che un uomo ricco e avvenente come Draco Malfoy avrebbe potuto trovare affascinante...

Interruppe subito quel corso di pensieri, chiedendosi da dove fosse emerso quell'improvviso desiderio di apparire diversamente da com'era in quel momento; cosa sarebbe cambiato se invece di avere il volto rigato di lacrime avesse avuto il suo miglior rossetto steso sulle labbra e le ciglia allungate dal mascara?

Perché avrebbe dovuto preferire mostrare una bugia, piuttosto che la vera se stessa, soprattutto se a guardarla c'erano gli occhi chiari e colmi di sincera preoccupazione di Draco Malfoy?

Erano giorni che fingeva, al lavoro; fingeva di essere più forte di quello che era, più concentrata, più preparata, quando in realtà era tutto merito della sua assistente, Emily Perkins, se non si era ritrovata a scoppiare a piangere nel bel mezzo di un'importante riunione o a chiudersi nel suo ufficio per autocommiserarsi, senza permettere a nessuno di entrare.

Emily Perkins l'aveva punzecchiata nei momenti giusti, consolata quando necessario e supportata senza chiedere nulla in cambio, se non rispetto.

Draco Malfoy, quella sera, sembrava disposto a fare lo stesso; sembrava disposto a stringerle la mano, ascoltarla senza giudizio e portarla in un posto sicuro, a casa sua, dove nulla avrebbe potuto ferirla...

Le voce di Hermione tremò appena, mentre una domanda sorgeva spontanea dalle sue labbra: «Stiamo per andare a Malfoy Manor?»

Fino a quel momento, ad Hermione non era neanche passato per la mente che l'imponente villa in cui era stata torturata dalla zia di Draco, Bellatrix Lestrange, quando era soltanto una ragazza, poteva essere il luogo verso cui erano diretti, il luogo che Draco Malfoy chiamava casa.

L'uomo scrollò la testa e sorrise, rassicurante: «Non abito al Manor da anni, da quando...», Malfoy abbassò lo sguardo, prima di proseguire, con voce piatta: «Da quando Astoria mi ha lasciato».

Il sollievo permise ad Hermione di respirare nuovamente, dopo aver trattenuto il respiro per quelle che le erano sembrate ore; poi un pizzico di compassione e pietà la spinse a stringere maggiormente la presa delle proprie dita intorno a quelle di Draco: «Sono pronta».

Malfoy sollevò lo sguardo negli occhi scuri, ancora lucidi per il pianto di Hermione e il dolore che aveva provato nel pensare al Manor e ad Astoria si estinse, sostituito da una calda sensazione all'altezza dello stomaco.

La Smaterializzazione durò qualche secondo e, quando la Ministra aprì nuovamente gli occhi, non poté fare a meno di sbarrarli leggermente, mentre osservava con attenzione l'ambiente nuovo in cui si trovava.

La casa di Malfoy non era propriamente come se l'era immaginata fino a poco prima.

Quando l'uomo le aveva assicurato che non sarebbero andati al Manor, Hermione si era comunque aspettata di essere condotta in una villa molto grande, dal mobilio antico e dalla carta da parati elegante; qualcosa insomma adeguata al discendente di due grandi famiglie di maghi Purosangue, qualcosa di adatto all'idea di Malfoy che aveva sempre avuto.

Hermione non si sarebbe potuta sbagliare di più.

Non si trovava in un salotto dall'aspetto gotico, con quadri dalle cornici elaborate e vecchi antenati con la puzza sotto al naso, pronti ad insultarla per il suo status di Mezzosangue, non c'erano né tappeti pesanti a raccogliere la polvere sul pavimento, né elfi domestici rinsecchiti dal tempo e dal troppo lavoro pronti a genuflettersi e a dare il benvenuto al padrone.

No, non c'era niente di simile.

Hermione si trovava in un appartamento in stile contemporaneo, con l'arredamento sul caldi colori del caramello e quelli accoglienti della panna.

A pochi passi dall'ingresso, si trovava un divano con penisola, dall'aspetto molto comodo e soffice, posizionato di fronte a una tv al plasma in parte smontata, accanto alla quale si potevano notare plichi di documenti e libri d'incantesimi lasciati disordinatamente aperti sul pavimento.

Alle spalle del divano c'era una cucina moderna, sui toni del grigio e del nero, munita di molti elettrodomestici che ad Hermione sembravano fuori posto in una casa di maghi.

Accanto alla cucina c'era un tavolo in legno chiaro, intorno al quale erano ordinatamente disposte sei sedie, e poco oltre si notava una porta chiusa e una scala a chiocciola che portava al piano superiore.

Una sola parola veniva in mente a Hermione per descrivere al meglio quello che vedeva di fronte a sé e la parola non era antico, aristocratico o pretenzioso; no, la parola che le veniva in mente, in quel momento, era: babbano.

«Scusa il disordine», disse Draco, indicando con un vago gesto della mano il televisore smontato e i fogli sparsi intorno ad esso: «Fai come se fossi a casa tua».

Hermione si sfilò lentamente il mantello, continuando ad osservare ogni dettaglio che al primo sguardo non aveva notato, come la Mandragora che occupava un vaso sospeso a mezz'aria accanto alla grande finestra del salotto, il quadro che raffigurava una riproduzione di "Ragazza coi guanti" di Tamara de Lempicka, una boccia per pesci vuota e una parete del salotto interamente ricoperta da una libreria colma di libri e eleganti centrini sui quali si trovavano soprammobili in argento, un elegante servizio da tè riposto in un buffet, sul quale si trovavano foto in movimento che raffiguravano Draco, suo figlio Scorpius e una giovane ragazza, che Hermione non aveva mai visto.

Mentre Hermione osservava, con le labbra socchiuse e gli occhi attenti, l'ambiente intorno a sé, Draco si diresse in cucina, dove scaldò con un incantesimo le pietanze, che si era fatto preparare per l'asporto al ristorante "Spaceship", apparecchiò con un altro incantesimo la tavola per due e recuperò una delle bottiglie di Nebbiolo d'Alba, che gli erano state regalate per il suo compleanno dal suo amico Blaise Zabini.

«Hai fame?», chiese il mago, affiancando la donna che, ancora in salotto, osservava con curiosità i titoli dei libri che affollavano la libreria, il mantello stretto in una mano, la ventiquattrore nell'altra.

Hermione si riscosse e puntò i suoi occhi colmi di stupore — le lacrime si erano asciugate ormai sulla pelle del suo viso — in quelli chiari dell'uomo, un timido sorriso sulle labbra: «Molta».

Draco ripose il mantello e la valigetta di Hermione sull'attaccapanni accanto all'ingresso, prima di prendere nuovamente la mano di Hermione — dita intrecciate, pelle contro pelle — e condurla in cucina.

Per qualche minuto mangiarono in silenzio, godendosi la consistenza e il gusto perfettamente bilanciato delle lasagne, poi Draco aprì la bottiglia di vino, servendo a se stesso e ad Hermione una generosa porzione di Nebbiolo.

«Brindiamo?», propose, sollevando il calice.

Hermione fece una piccola smorfia: «Al divorzio?», suggerì, sollevando a sua volta il calice, puntando gli occhi sul volto divertito di Draco.

«Al divorzio?», ripeté lui, scuotendo la testa, sul viso un'espressione a metà strada tra il divertito e il deluso: «Perché non brindiamo a qualcosa di più allegro?»

Hermione, con le guance leggermente arrossate, annuì: «Ad una nuova amicizia?»

A Draco piacque il suggerimento e fece scontrare i loro bicchieri a mezz'aria, prima di prendere un generoso sorso di vino, seguito a ruota da Hermione.

Appena cominciarono ad avere lo stomaco meno vuoto e il vino iniziò a fare effetto, mettendo da parte l'imbarazzo e il timore di entrambi, Hermione iniziò a parlare.

«Non sapevo avessi una figlia», disse la donna, indicando la foto in movimento appesa alla parete, dove un sorridente Draco, stringeva in un caloroso abbraccio Scorpius e una ragazza, troppo giovane per poter essere Astoria.

Un caldo sorriso apparve sul viso dell'uomo, mentre osservava a sua volta lo scatto incorniciato: «Oh, Morgan non è mia figlia, è mia nipote».

Hermione prese un altro sorso di vino, gustandosi il ricco sapore del Nebbiolo, e rimase in attesa, certa che Draco stesse decidendo come raccontare quella che doveva essere una storia lunga e, molto probabilmente, poco piacevole.

«Morgan è uno dei motivi per cui io e Astoria ci siamo lasciati», iniziò il mago, posando la forchetta sul bordo del piatto e intrecciando le mani sotto il mento, mentre studiava le reazioni di Hermione alle sue parole: «Morgan è la prima figlia di Daphne Greengrass, sorella di Astoria, e un ricco mago Purosangue svedese, Björn Jan Nilsson. Tre anni fa Morgan è fuggita di casa e si è rifugiata al Manor per qualche giorno, i suoi genitori non riuscivano ad accettare il fatto che Morgan fosse diversa da quello che loro avevano provato a plasmare per anni, non potevano comprendere il desiderio di libertà di Morgan e la sua curiosità nei confronti del mondo babbano. Io avevo da pochi anni aperto "Babbananze" ed ero, nella famiglia, il più incline a comprendere Morgan e ad accettarla per come era, senza giudizio. Penso cha sia per questo, che Morgan ha scelto di cercare protezione al Manor, piuttosto che scomparire chissà dove. Astoria voleva che riportassimo Morgan a casa sua, anche se ciò voleva dire abbandonare un'adolescente indifesa nelle mani di due genitori troppo ciechi e arroganti per capire che quello che stavano facendo era uccidere, giorno dopo giorno, la loro unica figlia. Il rapporto tra me e Astoria era già incrinato da anni, ma quando presi le difese di Morgan e decisi di darle ospitalità fino a quando avesse voluto, qualcosa si ruppe per sempre nel mio matrimonio».

Hermione aveva ascoltato rapita quel racconto; ulteriore prova che il mago che aveva di fronte, era molto diverso dal Draco Malfoy con cui aveva studiato per anni, ad Hogwarts.

«Come sta ora Morgan?», chiese Hermione, incapace di trattenere la propria curiosità.

«Spero bene, al momento è a Granada con Scorpius, ha concluso da poco la scuola, ha studiato a Beauxbatons, e aveva bisogno di svagarsi un po'».

A quelle parole Hermione socchiuse le labbra e sbatté le ciglia, sorpresa: «Granada?»

Malfoy annuì e sorrise divertito: «Sì, ha deciso all'ultimo di andare, probabilmente è per questo che non sapevi della sua presenza, posso assicurarti che è una ragazza con la testa sulle spalle e che non porterà Rose, Hugo o gli altri della comitiva sulla cattiva strada».

Hermione continuò ad osservare Malfoy per qualche secondo, quasi non riuscisse a capire quello che le stava dicendo il mago; avrebbe voluto apparire meno sorpresa in quel momento, mentre si rendeva conto di essere una pessima madre e di non conoscere nemmeno le amicizie strette di Rose e Hugo, ma, soprattutto, avrebbe voluto provare meno risentimento, mentre prendeva coscienza del fatto che i suoi figli le avevano omesso specifici dettagli della loro vacanza; come per esempio chi fosse il proprietario della casa, in cui avrebbero soggiornato gratuitamente per due settimane.

«E posso assicurarti di aver parlato con Scorpius, sono certo che faranno attenzione», disse Malfoy, sollevando lo sguardo dal piatto e, solo in quel momento, osservando il volto confuso e pallido della donna, iniziò a intuire di aver detto qualcosa di sbagliato.

«Faranno attenzione?», chiese Hermione con un filo di voce.

«Sì, beh...», Malfoy rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di capire, dall'espressione della sua ospite, cosa potesse averla turbata tanto: «I primi amori rendono, a volte, avventati e impazienti, so che non possiamo aspettarci dai nostri figli la castità per sempre, soprattutto se consideriamo il fatto che stanno insieme da anni ormai... Ma non c'è da preoccuparsi, sono certo che Scorpius e Rose staranno attenti e non ci renderanno nonni prima del tempo».

Hermione si coprì il volto con le mani, mentre rifletteva sulle parole che le erano appena state dette e su ciò che implicavano.

"Com'è potuto accadere?", si chiedeva la strega, mentre cercava di trattenere le lacrime che minacciavano di rigarle, nuovamente, il volto.

Quando era diventata tanto disattenta?

Tanto disattenta da non rendersi conto di essere sposata, da anni, con un uomo che non l'amava più.

Tanto disattenta da non rendersi conto che sua figlia le aveva nascosto, per anni, di avere un ragazzo.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?», chiese Malfoy, dopo qualche secondo, con tono incerto, rendendosi conto dello stato in cui versava la Ministra.

«No, tranquillo, mi sono solo resa conto di essere una pessima madre, nulla di grave».

Malfoy percepì il sarcasmo nel tono di voce della donna e rimase ad osservarla con attenzione, chiedendosi da dove sorgesse una simile autocritica.

Hermione non riusciva a capacitarsene.

Nell'ultima settimana infernale aveva provato un profondo conforto nel pensare che, malgrado la separazione con Ronald, avrebbe continuato ad avere i suoi figli, a cui voleva un bene dell'anima, e che grazie a loro avrebbe superato ogni cosa.

Si sarebbero aiutati a vicenda, lei avrebbe aiutato loro ad accettare il divorzio e loro avrebbero aiutato lei, e nell'arco di qualche settimana, di qualche mese, avrebbero trovato un nuovo equilibrio e tutto si sarebbe sistemato.

Faceva male rendersi conto che sua figlia, la sua brillante e determinata figlia, aveva passato anni, secondo le parole di Draco, a tenerle nascosta la sua relazione con Scorpius Malfoy.

Hermione avrebbe capito se la figlia non si fosse confidata con Ronald, il quale non aveva mai nascosto il proprio odio nei confronti della famiglia Malfoy, ma perché aveva deciso di non dire nulla a sua madre?

«Ho palesemente detto qualosa che ti ha turbata, ti chiedo scusa, non era mia intenzione...», le parole di Draco scemarono, coperte dai singhiozzi che ancora una volta erano sfuggiti al controllo di Hermione, mentre scoppiava a piangere.

Dopo qualche secondo d'incertezza, Draco si alzò e fece il giro del tavolo, raggiungendo la figura tremante di Hermione.

Prima che l'uomo potesse parlare e chiedere spiegazioni di quel turbamento che non riusciva a capire, Hermione si alzò in piedi e mosse alcuni passi verso l'ingresso: «Forse è... è meglio che vada, non sono di comp...compagnia questa sera», disse la donna, tra i singhiozzi, mentre si asciugava con gesti nervosi il volto.

«Mi dispiace averti turbata», ripetè Draco, appoggiando la propria mano sulla spalla della donna, stringendo appena la presa, in modo da trasmetterle la propria solidarietà.

Hermione scosse il capo: «Non è col... colpa tua», singhiozzò, prima di venire trascinata in un abbraccio.

Malfoy non avrebbe saputo dire cosa lo avesse spinto ad avvolgere le proprie braccia intorno alla figura tremante e delicata di Hermione Granger; le lacrime che le rigavano il volto? Il dolore che poteva leggere chiaramente nei suoi lineamenti? Oppure la consapevolezza di non poterla lasciare andare via da casa propria in un simile stato d'angoscia?

Non importava cosa l'avesse spinto a compiere quel gesto avventato, tutto quello che importava era il respiro caldo della donna contro il proprio collo, le lacrime che bagnavano la sua spalla e le mani di lei che si stringevano al tessuto del suo completo.

Draco iniziò a dondolare appena, quasi senza rendersene conto, e pensò all'ultima volta che aveva stretto a quel modo un altro corpo.

Era successo tre anni prima; Morgan era comparsa al Manor una notte di Luglio e, mentre Astoria era corsa a mandare un gufo a sua sorella, Draco era rimasto da solo con l'adolescente.

Morgan era scoppiata a piangere, raccontando allo zio il motivo per cui era fuggita di casa e l'aiuto che necessitava; tutto quello che Draco era riuscito a fare era stato stringere il corpo tremante e impaurito della nipote contro di sé e dirle che sarebbe andato tutto bene e che si sarebbe preso cura lui di lei.

Avrebbe potuto fare le stesse promesse alla donna che stringeva tra le braccia, ma aveva paura di risultare troppo melenso o esageratamente appassionato.

Hermione Granger era una donna forte, così come era stata una ragazza forte quando avevano frequentato Hogwarts, più di vent'anni prima, Draco Malfoy era certo di non esserle fondamentale per superare i propri ostacoli, ma questo non voleva dire che non fosse disposto a starle accanto e a supportarla, se necessario.

Continuarono a rimanere abbracciati per un tempo molto lungo, anche quando Hermione smise di piangere restarono in quella posizione, incapaci di interrompere il contatto.

Fu Hermione a spezzare per prima il silenzio: «Grazie», disse semplicemente, con la voce resa rauca e debole dal pianto.

«Stai meglio?», chiese l'uomo, senza interrompere il dolce dondolio di quell'abbraccio.

Hermione annuì: «Sì».

«Cos'ho detto di sbagliato?»

La Ministra della Magia sospirò: «Non è stata colpa tua, Rose non mi aveva detto di avere un ragazzo e di essere a Granada con lui in questo momento».

«Oh», sussurrò semplicemente Draco, adombrandosi: «Pensavo che lo sapessi».

«A quanto pare Rose e Hugo hanno ritenuto che non meritassi saperlo», disse, con un pizzico di risentimento nella voce, Hermione, incapace di sciogliere quell'abbraccio, il primo che riceveva da troppo tempo ormai.

«Vuoi parlarne?», le chiese Draco con un filo di voce, muovendo appena il volto, così da sentire il dolce pizzichio dei capelli di Hermione contro il mento.

Gli occhi di Hermione si riempirono nuovamente di lacrime e le labbra le si strinsero in una linea sottile: «Non c'è molto da dire, a quanto pare sono meno padrona della situazione di quanto pensassi».

Draco annuì lentamente, soppesando le parole della donna: «È impossibile controllare ogni aspetto della propria vita, Granger, ci sarà sempre qualcosa che sfuggirà al nostro controllo».

Hermione sospirò e un triste sorriso le comparve sulle labbra: «Non avrei mai pensato che a quarancinque anni mi sarei ritrovata a dover ricostruire parte della mia vita».

«Io invece non avrei mai pensato di ritrovarmi a consolare Hermione Granger, l'insopportabile Grifondoro che aveva sempre la risposta pronta a ogni domanda, a due passi da un televisore babbano mezzo smontato».

Hermione scoppiò a ridere, scostando abbastanza il capo dalla spalla dell'uomo per poter incontrare gli occhi chiari di Malfoy: «Effettivamente sembra tutto molto assurdo».

Draco annuì, mentre sfiorava con il pollice la guancia ancora umida di lacrime della donna: «Davvero assurdo», ripetè, lo sguardo che scivolava dagli occhi scuri della donna alle labbra atteggiate in un sorriso stanco: «Assurdo...».

Hermione sentì una familiare stretta allo stomaco e le dita le tremarono appena, mentre notava gli occhi chiari di Draco osservare con malcelata insistenza la forma delle sue labbra.

Desiderio.

Quand'era stata l'ultima volta che Hermione aveva desiderato e si era sentita desiderata così profondamente?

Il leggero flirt di qualche sera prima al Ristorante La Laguna era niente in confronto a quello che un semplice sguardo le stava provocando.

«Forse dovrei andare», disse Hermione in un sussurro, ignorando il desiderio e il battito del proprio cuore all'altezza della gola; non era pronta ad ingarbugliare ulteriormente la sua vita e non era corretto baciare Draco Malfoy, quando il suo cuore soffriva ancora per la recente separazione con Ronald Weasley.

L'uomo sembrò riscuotersi da uno stato di trance e il suo volto si colorò di un tenue rossore, mentre prendeva le distanze dalla donna, sciogliendo l'abbraccio: «Mi dispiace», disse semplicemente Malfoy, mentre sorrideva, con una punta d'imbarazzo: «Resta, prometto di non comportarmi da completo idiota e insensibile egoista».

Gli occhi di Hermione si posarono sul volto di Draco e studiarono per qualche secondo la sua espressione, poi la donna annuì: «Io prometto di non scoppiare più a piangere».

Malfoy scosse la testa: «Puoi piangere quanto vuoi, ho letto da qualche parte che reprimere le proprie emozioni non fa bene alla salute, sia fisica che mentale», disse, muovendo i pochi passi che lo separavano dal tavolo, dove la cena incompiuta li attendeva: «Scaldo?», chiese, estraendo la bacchetta.

Hermione decise di dare a se stessa e alla serata un'altra chance e senza pensarci più di tanto, raggiunse Draco al tavolo e si sedette al proprio posto.

Con un veloce incantesimo Malfoy scaldò la cena, poi riempì nuovamente i loro calici di vino  e come se nulla fosse successo, lui ed Hermione tornarono a mangiare.

Draco mantenne viva la conversazione raccontando ad Hermione di quando gli era sorta l'idea di fondare "Babbananze" e lei lo ascoltava, affascinata e incuriosita.

Tutto era iniziato otto anni prima, Scorpius aveva da poco iniziato il suo primo anno ad Hogwarts e Draco, sotto consiglio di Astoria, aveva deciso di dedicare le proprie giornate a cercare un proposito, un obiettivo, qualcosa che l'avrebbe tenuto impegnato.

Prima che Scorpius iniziasse la scuola era stato Draco a prendersi cura di lui; gli aveva insegnato a camminare e a parlare, gli aveva insegnato a scrivere e a leggere; assumendo il ruolo di padre attento e premuroso che non aveva mai creduto si adattasse a lui.

Era, in parte, stato costretto dalla circostanze ad assumere sulle proprie spalle un simile compito, dato che Astoria lavorava per Strega Moderna a tempo pieno e amava il suo lavoro, per Draco era stato facile mettere da parte le poche ambizioni che aveva e assumere un ruolo attivo nella cura e crescita di Scorpius.

Con suo figlio ad Hogwarts e le giornate monotonamente vuote, Draco aveva iniziato a riesumare le proprie antiche ambizioni, per poi rendersi conto che il Mondo Magico era cambiato nell'ultimo decennio, in cui lui era stato troppo impegnato ad essere un padre, e che lavorare al Ministero o in qualsiasi altra attività o azienda magica, era precluso a chi aveva la fedina penale sporca.

Draco Malfoy non era stato ad Azkaban, ma era comunque un ex Mangiamorte e sul suo avambraccio sinistro spiccava ancora il Marchio Nero e ciò bastava a renderlo un reietto della società.

Fortunatamente i soldi per lui non erano mai stati un problema e non aveva necessità di lavorare, così aveva iniziato a cercare un hobby, qualcosa che occupasse le sue lunghe e monotone giornate.

L'idea di scoprire qualcosa in più sul mondo babbano, che aveva sempre disprezzato e quasi temuto, era sorta quasi per caso, come una sorta di sfida personale.

Draco Malfoy aveva iniziato a farsi ordinare libri babbani dal Ghirigoro sugli argomenti più disparati; aveva letto di giardinaggio, cucina, filosofia, arte, storia, design, sociologia e tecnologia.

Ogni volta che apriva un nuovo libro Draco rimaneva affascinato da un concetto, da un modo di dire o da una nuova invenzione, che aumentavano, di volta in volta, il rispetto che provava per i babbani e le loro idee.

Iniziò a trovarsi talmente a suo agio con quel mondo, dal quale per più di trent'anni si era tenuto alla larga, da iniziare ad esplorarlo in lungo e in largo; fino a quando un giorno, mentre osservava un gruppo di ragazze babbane ridere di un video che stavano visionando sul cellulare nel bel mezzo di un parco, Draco pensò che l'invenzione del telefono cellulare fosse talmente geniale da dover essere introdotta nel Mondo Magico, così come la radio, il televisore e i videogiochi.

«Mi stai dicendo, che "Babbananze" è nato perché un ricco rampollo annoiato ha iniziato a leggere libri babbani?»

Draco sorrise e annuì, prendendo un sorso di vino: «Esatto, Granger».

Hermione scosse il capo, un sorriso piacevolmente allibito sulle labbra: «Incredibile».

Avevano finito di cenare da qualche minuto ormai e, seduti sul divano a penisola, stavano sorseggiando quello che rimaneva del Nebbiolo d'Alba.

«Non è stato facile fondare "Babbananze", ti ricordo che sono un reietto della società e che nessuno è disposto a fidarsi di me, ma il denaro rimane ancora abbastanza potente da far passare in secondo piano il Marchio Nero che ho sul braccio».

Lo sguardo di Hermione si abbassò sull'avambraccio sinistro di Malfoy e un sorriso triste le incurvò le labbra: «A volte i pregiudizi sono duri a morire».

Draco annuì: «Concordo, io ne sono la prova vivente; mi ci sono voluti più di trentacinque anni per mettere da parte i miei sciocchi pregiudizi».

Finirono ben presto il vino e quando Hermione si rese conto dell'ora tarda, Malfoy l'accompagnò alla porta, porgendole il mantello e la ventiquattrore.

Si salutarono con un timido abbraccio e sorrisi incerti, poi Hermione si smaterializzò e Draco rimase solo nel suo appartamento, con una calda sensazione di felicità all'altezza dello stomaco.

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Un altro sabato è arrivato (e tra qualche ora sarà anche finito) e, come promesso, sono tornata con un nuovo capitolo con Hermione e Draco come protagonisti.

Dato che la scorsa settimana vi ho lasciati a bocca asciutta, prendendo una pausa dalla scrittura, ho pensato che per farmi perdonare avrei potuto scrivere un capitolo molto più lungo del solito su Draco ed Hermione e quindi, eccoci qua!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, per chi si aspettava scene più hot, mi dispiace deludervi, ma come pensa giustamente Hermione, portare la precaria relazione con Draco su un piano fisico finirebbe solo per incasinarle inutilmente la vita e, giustamente, perferisce aspettare...

Su chi pensate che sarà il prossimo capitolo di "Amori segreti"?

Ginny e Blaise?

Harry e Ron?

La nuova generazione?

Di nuovo Draco ed Hermione?

Per chi volesse, potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è "lazysoul_efp", se invece siete interessatə a supportare il mio lavoro donandomi un simbolico caffè, eccovi il link per la mia pagina Ko-fi!

A mercoledì!

Un bacio,

LazySoul

 

 

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Capitolo 14
*** Di quando Harry e Ron adottarono un gatto ***


 

14. Di quando Harry e Ron adottarono un gatto


 

Quel sabato mattina, Harry si svegliò a causa del frastuono proveniente dal piano di sotto.

Rigirandosi nel letto ebbe la conferma di non avere Ron accanto a lui e una punta di apprensione lo spinse a sollevare il capo e con gli occhi appannati dal sonno e dalla mancanza di occhiali, osservò la porta socchiusa della camera da letto: «Ron? Va tutto bene?»

Dal piano di sotto giunse la voce del rosso, particolarmente acuta: «Sì, ho fatto cadere un bicchiere... ops!»

Harry aggrottò la fronte e allungò il braccio, così da recuperare dal suo comodino gli occhiali e indossarli. La stanza si fece improvvisamente meno sfocata, mentre Harry si chiedeva cosa diavolo stesse succedendo al piano di sotto.

Considerò, per qualche secondo, l'idea di raggiungere il proprio compagno nello stato di semi nudità in cui si trovava in quel momento, un sorrisetto malizioso sulle labbra sottili, poi si chiese se al piano di sotto non ci fosse qualcuno e decise di indossara il leggero kimono rosso, che gli era stato regalato da Ronald qualche anno prima.

Ancora mezzo assonnato, rischiò di cadere per le scale, a causa dei gradini troppo stretti.

Il suo battito cardiaco raggiunse in pochi secondi una velocità preoccupante e dovette prendere qualche respiro profondo per farlo tornare alla normalità, mentre continuava la discesa, aggrappato al corrimano.

«Guarda che casino che hai combinato!»

Harry si bloccò ai piedi della scale e la sua espressione si fece ancora più sospettosa: con chi stava parlando il suo compagno?

Harry aprofittò della moquette grigia e triste, che gli permetteva di camminare verso il salotto senza produrre alcun tipo di rumore.

La scena che gli si presentò di fronte, gli fece aggrottare profondamente la fronte.

Ronal era inginocchiato a terra, in cucina, e stava raccogliendo i vetri rotti di un bicchiere, che si era sfracellato contro le piastrelle bianche.

Per qualche istante Harry si chiese se le parole che aveva pronunciato a bassa voce il rosso fossero in realtà un'autocritica, poi notò chi doveva essere l'interlocutore di Ronald e la sua curiosità aumentò.

«Quello è un gatto?»

La domanda di Harry spaventò Ron, che con un verso terrorizzato fece nuovamente cadere i vetri a terra e si voltò di scatto verso il compagno, sulla sogla del salotto.

«Harry, ciao, cosa fai già alzato?»

«Potrei farti la stessa domanda. È sabato mattina, tu odi svegliarti presto il sabato mattina».

Ronald abbassò nuovamente lo sguardo e tornò a raccogliere i vetri a terra: «Volevo prendere un bicchiere d'acqua, sai avevo sete...»

«Ron, che ci fa un gatto in casa nostra?», chiese Harry, gli occhi puntati sulla minuscola pallina di pelo grigio che spiccava sulle bianche piastrelle della cucina, ma che si sarebbe potuta facilmente mimetizzare sulla moquette del resto della casa.

Ron sospirò e con un colpo di bacchetta aggiustò il bicchiere, che posò sul piano della cucina, poi prese in braccio il gattino e si avvicinò al compagno: «L'ho trovato in una scatola di cartone vicino ai cassonetti dell'immondizia e non ho potuto lasciarlo lì».

Harry osservò il musetto del gattino, notò che uno dei due occhi era chiuso e ricoperto da sporcizia, mentre l'altro era grande e verde; faceva uno strano effetto vedere quella piccola e delicata creatura tra le braccia forti e ricoperte di lentiggini di Ronald.

«Dovremmo portarlo a far vedere da qualcuno, sembra malato», disse Harry, sentendosi immeditamente responsabile per la vita di quel fragile gattino: «Hai fatto bene a prenderlo, Ron», aggiunse, lasciando un bacio a fior di labbra al compagno.

Anche se nessuno dei due aveva esplicitamente parlato di tenerlo, entrambi sembravano convinti che non ci fossero altre alternative e di conseguenza si organizzarono per prendersi cura di lui; Harry decise di portarlo dalla veterinaria che aveva uno studio a qualche via di distanza, mentre Ronald si occupava di andare a fare la spesa e comprare tutto quello che poteva necessitare un gattino di pochi mesi.

Dalla visita veterinaria emerse che quella che Ron aveva salvato era una gattina, che doveva avere  tre mesi e mezzo, che doveva essere ancora sverminata e che c'erano alte probabilità che rimanesse cieca per sempre da un occhio. Dopo la sverminazione e una visita accurata, la veterinaria rispose a ogni domanda che veniva in mente ad Harry e lo riempì di opuscoli e informazioni utili, dicendogli che entro un mesetto avrebbe dovuto riportare la gattina per i primi vaccini.

Quando Harry tornò a casa, trovò Ronald in cucina che svuotava le borse della spesa.

Nutrirono subito la gattina, che mangiò voracemente le crocchette e il patè di tonno, poi si dedicarono a sistemare la spesa; Ronald aveva comprato una lettiera, tanto cibo da nutrire un esercito di gatti, dei giocattolini a forma di topolino e della lettiera biodegradabile.

Harry approfittò del momento per dire a Ron tutto quello di cui aveva parlato con la veterinaria, compresa la possibilità di portare la gattina al gattile, nel caso avessero deciso di non tenerla.

Ron non disse niente in un primo momento, limitandosi ad ascoltare mentre osservava con affetto e apprensione la gattina acciambellarci sul divano e addormentarsi in pochi secondi, poi, appena Harry finì di parlare, prese la parola: «So che non avevamo deciso di adottare un gatto e che potrebbe essere tutto troppo affrettato, infondo abbiamo detto a Herm e Ginny di volere il divorzio appena una settimana fa e la nostra convivenza è ancora agli inizi, ma non voglio portarla al gattile o darla via».

Harry sorrise e strinse la mano sulla spalla del compagno: «Sono d'accordo».

Il volto di Ronald si aprì in un'espressione di pura gioia e tra un grazie e l'altro iniziò a riempire di baci il volto di Harry.

«Dovremmo scegliere un nome», disse il moro, sedendosi con Ron sul divano, accanto alla gattina addormentata.

«Potremmo chiamarla Grigina», propose il rosso, pensieroso.

Harry scosse il capo: «Non mi convince molto... e se la chiamassimo Cenere

Ronald si sistemò sul divano in modo da sdraiarsi e appoggiare il capo sul grembo del compagno: «Cenere è carino», ammise, lasciando che le mani di Harry iniziassero a giocare con i suoi capelli corti: «Ma se le trovassimo un nome che non avesse a che fare col suo colore?»

Harry annuì, d'accordo con la proposta di Ron, e iniziò a spremersi le meningi per trovare un nome che sarebbe potuto piacere ad entrambi.

Mia, Daisy, Kitty, Cleo, Tabby, Gypsy...

Dopo qualche lungo minuto di silenzio, fu Ron a prendere la parola: «Ok, forse ho trovato un nome, ma non so se...»

Gli occhi azzurri e impidi di Ron si fissarono in quelli verdi e intensi di Harry e un sorriso imbarazzato incurvò le labbra del rosso: «Se la chiamassimo Éire (1)? In onore del nostro primo bacio?»

«Éire?», ripetè Harry, aggrottando la fronte, poi un dolce sorriso gli incurvò le labbra: «Mi piace... Éire», ripetè, osservando la gattina addormentata.

«Dici che soffrirà quando la lasceremo a casa da sola durante la settimana?», chiese Ronald, chiudendo gli occhi, così da godere maggiormente delle carezze di Harry tra i capelli e sul viso.

«Ronald, siamo il capo Auror e il vice capo Auror, possiamo portarla al lavoro con noi», gli fece notare Harry, sporgendosi per lasciare un bacio sulle labbra del compagno.

Ron sorrise: «Astuto!» e ricambiò il bacio con maggiore intensità.

C'erano dei momenti in cui entrambi non potevano credere alla fortuna che avevano avuto, negli ultimi anni, di potersi conoscere intimamente tanto a fondo da trasformare la loro amicizia in amore.

C'erano volte in cui Ronald, si rendeva conto che se avessero vissuto in un mondo diverso, probabilmente lui ed Harry avrebbero capito le profonde emozioni che provavano l'uno per l'altro, prima di sposarsi con due donne stupende, ma sbagliate per loro.

Se avessero vissuto in un mondo che giudicava normale e sano per un uomo avere una relazione con un altro uomo, tanto quanto era considerato sano e normale avere una relazione con una donna; probabilmente lui ed Harry avrebbero capito prima il profondo legame che li univa.

Per anni Ronald non aveva compreso la stretta allo stomaco che sentiva ogni volta che Harry gli sorrideva; l'adrenalina che gli scorreva nelle vene ogni volta che le loro vite erano in pericolo e tutto quello a cui riusciva a pensare era all'incolumità del suo migliore amico; il dolore che aveva provato il quarto anno quando il nome di Harry era uscito dal Calice di Fuoco e Ron si era sentito tagliato fuori, come se Harry avesse volontariamente deciso di tenergli segreto qualcosa che avrebbe dovuto condividere con il suo migliore amico; la confusione che aveva provato quando Harry aveva raccontato a lui ed Hermione del bacio con Cho Chang e Ronald si era reso conto di essere l'unico a non aver ancora dato il suo primo bacio...

Aveva finito con pensare che la confusione che provava, il dolore che sentiva e ogni altra emozione che non riusciva a controllare e decifrare, fossero in realtà dovute ad Hermione; l'unica ragazza che avrebbe potuto convincerlo a fare qualcosa di folle e sconsiderato nell'intero pianeta.

Ronald aveva amato Hermione; aveva amato il modo in cui gli sorrideva ogni mattina, dandogli un bacio prima del lavoro, aveva amato la sua gelosia quando ad Hogwarts aveva avuto la sua prima relazione con Lavanda Brown, aveva amato la sua infinita bontà, il suo modo puntiglioso di fare ogni cosa e la sua intelligenza fuori dal comune.

Ronald aveva amato Hermione allo stesso modo in cui avrebbe potuto amare una divinità; Hermione era sempre stata difficile da comprendere per Ronald, una creatura nettamente superiore a lui e fisicamente distante.

Eppure si era lasciato convincere a fare il grande passo e aveva deciso di donare il resto della sua vita ad Hermione e ai loro figli...

Rose e Hugo.

Se c'era qualcosa di cui Ronald era fiero e grato erano proprio i suoi figli, delle mezze dività ai suoi occhi, delle versioni leggermente imperfette di Hermione, dei giovani semidei che avevano nel DNA qualche gene di un comune mortale.

Anche con Harry, Ron si era sentito inferiore, durante gli anni ad Hogwarts, dove si era spesso trovato un passo indietro rispetto al famoso Harry Potter e alla brillante Hermione Granger.

Ora le cose erano cambiate, erano entrambi famosi a loro modo, avevano entrambi un lavoro che li soddisfaceva e non importava che Harry fosse Capo Auror e Ronald Vice capo Auror; Harry non si era mai comportato come se quella distinzione significasse qualcosa e Ron gliene era profondamente grato.

Malgrado anche Harry gli fosse parso come una divinità irraggiungibile per molto tempo, le cose erano cambiate, da quando avevano iniziato il corso di Auror insieme.

Tra gli aspiranti Auror non ricevevano trattamenti privilegiati e più volte Ronald potè dimostrare a se stesso e al resto del mondo di poter essere bravo tanto quanto Harry, o addirittura più bravo, a lanciare incantesimi e a nascondere la propria presenza con un incantesimo di disillusione.

Appena si era reso conto di essere sullo stesso livello di Harry e di non essere una persona di serie B, le cose erano precipitate.

Per prima cosa aveva iniziato a rendersi conto che la relazione con Hermione gli stava stretta; quel continuo sentimento d'inadeguatezza, il non sentirsi abbastanza per lei e il disagio che provava quando era messo di fronte all'intelligenza superiore di Hermione, avevano finito per mandarlo in crisi.

Sempre più spesso si era trovato a confidare a Harry i suoi dubbi e sempre più spesso Harry aveva confidato i propri a Ronald.

Era stato facile trovare conforto l'uno nell'altro i primi tempi dopo i loro matrimoni; facevano ore e ore di straordinari non necessari, pur di passare meno tempo possibile a casa, pur di passero più tempo possibile insieme; organizzavano uscite dopo il lavoro in qualche bettola di Diagon Alley per bere burrobirra e parlare di quanto le loro vite sembrassero meno felici e entusiasmanti di quanto avevano creduto sarebbero state un tempo.

Ron era stato più lento, rispetto ad Harry, a capire quello che stava succedendo.

Gli ci era voluto più tempo per cogliere il significato di quel bisogno quasi fisico di passare la maggior parte del suo tempo con il suo migliore amico e di parlare con lui, sentire la sua voce, vedere i suoi espressivi occhi verdi, sistemargli con un gesto scherzoso gli occhiali sul naso.

Eppure, quando Harry l'aveva baciato per la prima volta, durante quella stupida missione che avevano considerato più pericolosa di quanto fosse in realtà, era stato come trovare l'ultimo tassello di un grande puzzle e infilarlo nel posto giusto.

Le mani di Harry gli avevano avvolto in viso, in modo dolce e rude allo stesso tempo, e le loro labbra si erano incontrate e ogni timore e incertezza erano stati sostituiti da un sentimento di appartenenza, che Ron non aveva mai provato in vita sua.

Avevano poi sventrato lo spaccio illegale di uova di drago e denti di sirena con fin troppa facilità, immobilizzando i pochi maghi e le poche streghe coinvolti e la vittoria aveva avuto un sapore dolce amaro, quando si erano trovati nuovamente soli.

Ronald aveva avuto paura e aveva detto ad Harry di non voler rischiare il proprio matrimonio per un bacio, per un momento di debolezza che non si sarebbe dovuto ripetere.

Eppure era stato proprio Ronald, poche sere dopo, ad infrangere quel delicato accordo tra loro e a cercare le labbra di Harry, con la stessa necessità con cui un affamato cercherebbe del cibo e un assetato dell'acqua.

I baci si erano trasformati ben presto in lunghe notti passate in stanze del Paiolo Magico o altri alberghi, sparsi nella Londra magica e in quella babbana, notti in cui lentamente, si erano esplorati con la frenesia del primo amore, e il sottile senso di colpa di due persone che avrebbero dovuto essere con le rispettive famiglie, invece che insieme.

«Terra chiama Ronald, terra chiama...»

Ron sbattè le palpebre un paio di volte e focalizzò lo sguardo sul volto di Harry sopra di lui. Erano ancora sul divano, Ron era ancora semi sdraiato e con il capo sul grembo del suo compagno.

«Hey», disse il rosso, sorridendo appena.

«Bentornato, a cosa stavi pensando?», chiese Harry, senza smettere mai di giocherellare con i capelli sottili di Ronald.

«Ricordavo».

«Ah, sì? Cosa?»

Ron allungò un braccio e allacciò la proprie dita alla nuca di Harry, sospingendolo verso di sé.

Fu un bacio molto dolce inizialmente, poi Ronald lo approfondì, deciso a trasmettere con quel semplice gesto d'affetto tutto l'amore e il desiderio che provava.

«Penso di aver capito cosa stessi ricordando», disse Harry, un sorriso malizioso sulle labbra e gli occhiali storti sul naso.

Ronald si sollevò a sedere, per poi sistemarsi comodamente su Harry, in modo da avere le ginocchia premute contro le cosce del compagno e le braccia intorno al suo collo.

Tornarono a baciarsi, persi nella familiarità dei rispettivi sapori, sicuri di ogni loro gesto.

Erano vent'anni che Harry e Ron facevano sesso; vent'anni di intima conoscenza.

Ron sapeva cosa faceva impazzire Harry e Harry sapeva cosa faceva impazzire Ron.

Era come giocare una partita di Quidditch sulla propria scopa, invece di prendere in prestito quella di qualcun'altro; era come avere la certezza di non poter sbagliare il compito di Trasfiguazioni perché si era appena ingerita una dose massiccia di Felix Felicis.

E Ronald era grato di poter provare qualcosa di così totalizzante nella sua vita, qualcosa che non aveva mai provato con Lavanda Brown, qualcosa che non aveva potuto sperimentare fino in fondo con Hermione.

Harry trasmetteva a Ron il coraggio di essere se stesso, senza scuse, senza restrizioni.

Il bacio s'interruppe quando i due uomini notarono l'occhio sano di Éire puntato su di loro con curiosità e, tenendosi per mano e ridacchiando, salirono al piano di sopra, entrambi a disagio sotto la vigile attenzione del felino.

Il materasso li accolse con un leggero cigolio, mentre si sfilavano i vestiti e si rotolavano giocosamente nel letto.

A entrambi piacevano i preliminari; la dolce impazienza, pelle che saggiava altra pelle, i baci, i sorrisi, i gemiti di piacere che sfuggivano dalla gola quando un gesto più avventato di quello precedente portava i loro bacini a scontrarsi.

Harry adorava baciare e mordere la gola esposta di Ronald, premere le dita sulla sua schiena forte e solida, sentire la pelle delle proprie cosce sfregare contro quelle del compagno.

Ronald invece era ossessionato dai capezzoli di Harry, e dai versi che l'uomo emetteva ogni volta che Ron prestava loro attenzione. Ronald impazziva ogni volta che il compagno gli mordeva appena il lobo dell'orecchio e gli sussurrava all'orecchio quanto lo desiderava e cosa avrebbe voluto fargli.

I primi tempi, quando ancora non sapevano tutte queste cose l'uno dell'altro, potevano passare ore intere ad esplorarsi, per poi prendere mentalmente nota di cosa piacesse a entrambi. Col tempo le cose erano cambiate, a volte seguivano uno schema fisso, quello che sapevano avrebbe portato al miglior risultato con il minimo sforzo, altre volte provavano qualcosa di diverso, sperimentavano e giocavano con entusiasmo e attenzione, attenti a non sorpassare i limiti e fare qualcosa che l'altro non gradiva.

Quel sabato mattina, Ron fu piuttosto generoso nell'elargire attenzioni al corpo di Harry, tanto da guadargnarsi numerose approvazioni e apprezzamenti, e Harry non si fece pregare quando arrivò il suo turno di mettere da parte il pudore e fare tutto quello che Ronald gli chiedeva, con quel tono di voce roco e molto seducente che mandava Harry fuori di testa.

«Non abbiamo ancora fatto colazione», disse Ronald, dopo la sessione di sesso, osservando il soffitto della loro camera da letto.

Harry sorrise e si stiracchiò tra le braccia del rosso, poi tornò ad appoggiare il capo sul petto del compagno con un dolce sorriso sulle labbra: «In momenti come questi vorrei avere un elfo domestico, sai?»

«A chi lo dici...», borbottò il rosso, prendendo a giocare con i capelli di Harry.

«Potremmo ordinare d'asporto», propose il moro, chiudendo gli occhi, così da godere appieno di quelle dolci attenzioni.

«Lo sai che non mi fido troppo dei babbani», disse Ron, con una piccola smorfia.

Harry sorrise e iniziò a disegnare figure confuse sull'addome del compagno: «Lo so, ma potrebbe essere un'alternativa ad avere un elfo domestico».

Ron ci riflettè per qualche secondo, poi sospirò: «Cos'hai in mente?»

Ma Harry non ebbe modo di rispondere, dato che in quel preciso momento dalla finestra socchiusa della camera da letto entrò un gufo fin troppo famigliare, che si adagiò sul comodino accanto al letto.

Ron si allungò e recuperò la lettera legata alla zampa dell'animale, che rimase sul ripiano in legno, palesemente in attesa che gli venisse consegnata una risposta.

Nella lettera c'erano vergate poche parole nell'ordinata ma frettolosa calligrafia di Molly Weasley.

«Miseriaccia», disse il Ron, prima di passare la lettera a Harry, e far scorrere in un tic nervoso la mano tra i capelli rossi.

«Non credo di esser pronto ad affrontare Molly», ammise Harry, pallido in viso, mentre leggeva l'invito a cena che lui, Ron e consorti avevano ricevuto per quella sera.

Ronald emise un suono molto simile a un grugnito e annuì: «Benvenuto nel club».

 

 

 

(1) Éire (/ˈerə/ o /ˈeərə/) è la parola che in irlandese vuol dire "Irlanda" (dato che non sono irlandese e sono giunta a questa informazione grazie a Google potrei sbagliare, in caso fatemelo sapere e correggerò).

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, tanto quanto a me è piaciuto scriverlo!

Devo ammettere che inizialmente avevo pensato di non dedicare molto spazio alla coppia Harry e Ron, non perchè non mi stiano simpatici, ma semplicemente perché credevo che sarebbe stato troppo (dato che ci sono anche altre sottotrame che necessitano la mia attenzione); eppure, come mi capita spesso, sto finendo coll'affezionarmi anche a loro e quindi al diavolo le mie originali intenzioni, questa coppia necessità di profondità e momenti carini e colpi di scena come qualciasi altra!

Spero che la gattina Éire, il nuovo membro della famiglia, sia già entrato nei vostri cuori e che il momento di riflessione di Ronald sul suo percorso di maturazione sia stato abbastanza interessante.

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp, se foste interessatə a donarmi un caffè per sostenere il mio lavoro, vi invito ad andare sulla mia pagina Ko-fi, di cui trovate il link nella bio.

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate della storia fino ad ora!

Un bacio,

LazySoul


 

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Capitolo 15
*** Di quando Blaise fece una sorpresa a Ginny ***


15. Di quando Blaise fece una sorpresa a Ginny


 

Da quando Ginevra aveva ammesso a Blaise di essersi comportata in modo immaturo e di aver bisogno di un amico, la vacanza nelle Langhe era improvvisamente diventata molto più piacevole.

Come prima cosa, aveva potuto riprendere le lezioni in cucina tenute dalla signora Rita, lezioni che aveva saltato durante i due giorni che aveva trascorso a evitare Zabini.

In secondo luogo, i pasti erano diventati improvvisamente i momenti che attendeva con più impazienza, momenti in cui lei e Blaise avevano occasione di conoscersi meglio; Ginevra aveva modo di farsi consigliare le attività più interessanti offerte dall'Agriturismo, Blaise le raccontava invece delle sue monotone giornate passate a lavorare, raramente trovavano il coraggio di introdurre argomenti difficili e dolorosi.

Blaise aveva accennato solo una volta alla malinconia che, ogni tanto, gli avvolgeva il cuore, al pensiero di non aver mai avuto figli.

Ginevra aveva ammesso un paio di volte di sentirsi come una bussola rotta, senza una meta da raggiungere, un obiettivo da perseguire.

Blaise una sera le aveva accennato quanto era stato difficile per lui mettere da parte il dolore del mancato matrimonio e tornare a lavorare come se niente fosse successo; dopo qualche settimana era stato costretto a parlare con un Medimago specializzato in salute mentale, che lo aveva ascoltato e aiutato ad accettare il passato, così da poter tornare a concentrarsi sul presente.

Ginevra a colazione si era lasciata sfuggire quanto le mancasse essere giovane e spensierata come un tempo; quando ancora non era sposata, non aveva figli e molte responsabilità sembravano minacce troppo lontane per riguardarla direttamente.

Negli ultimi giorni Ginny aveva sviluppato una nuova routine; si svegliava relativamente presto, intorno alle otto di mattina, si preparava in fretta — senza prestare più di tanta attenzione al proprio viso struccato o ai capelli che non sempre erano ordinatamente pettinati — e scendeva nella sala privata in cui lei e Zabini consumavano i pasti. Si faceva consigliare dal proprietario dell'Agriturismo un'attività per la giornata, poi le loro strade si separavano e s'incontravano nuovamente all'ora di pranzo, anche se non sempre riuscivano a trascorrere molto tempo insieme, dato che la presenza di Zabini era spesso richiesta in cucina, per risolvere dispute tra i cuochi o per assistere il somelier alle prime armi. I pomeriggi Ginevra solitamente li trascorreva tra i vigneti, si metteva le scarpe più comode che aveva per camminare e passava ore e ore ad osservare il verde brillante delle foglie di vite e i piccoli grappoli verdi che crescevano lentamente.

Più tempo Ginevra passava nelle Langhe, più si chiedeva come avrebbe potuto abbandonare il caldo sole, i colori vibranti e la serena pace di quel luogo per tornare alla frenesia di Londra, al grigio dello smog e al meteo imprevedibile.

Possibile che si stesse innamorando di quel piccolo angolo di Mondo con così tanta facilità? O cercava soltanto una scusa qualsiasi per dimenticare Londra e tutte le questioni in sospeso che vi aveva lasciato?

Le sere in compagnia di Blaise erano solitamente lo scenario in cui si sentiva meno sola; bevevano insieme una bottiglia di vino, assaggiavano ogni variante vegetariana di famose ricette italiane e ogni tanto danzavano insieme, accompagnati da un vecchio giradischi.

Le cene erano quelle che Ginny attendeva con più impazienza, ma erano anche i momenti che temeva di più. A volte era facile ignorare la dolce stretta di desiderio che provava quando Zabini le era accanto, altre volte era particolarmente difficile e si trovava a fantasticare di gettare alle ortiche l'amicizia a cui stavano pian pianino dando vita, per soddisfare i propri vili desideri carnali.

La sua incertezza seguiva a tormentarla anche nei sogni, il momento in cui era più vulnerabile e il suo subconscio voleva costringerla ad accettare l'evidenza dei fatti: lei voleva fare sesso con Blaise Zabini.

Ogni volta che Ginevra si svegliava con il cuore che le batteva forte in petto e la pelle ricoperta da un sottile strato di sudore, si nascondeva il volto tra le mani e cercava di cancellare dalla propria mente le immagini che l'avevano invasa fino a pochi attimi prima.

A colazione, diventava sempre più difficile guardare Blasie negli occhi senza sentire le proprie guance diventare incandescenti.

Quel sabato mattina, dopo essersi svegliata dall'ennesimo sogno erotico in cui lei e Zabini condividevano un lungo bagno caldo, Ginevra si sciacquò la faccia con dell'acqua fredda, si vestì e scese per la colazione.

Da quando aveva tagliato i capelli, aveva sviluppato un nuovo tic nervoso, invece di rigirarsi una ciocca di capelli tra le dita, aveva iniziato a giocherellare con il ciondolo della collanina che aveva sempre al collo.

Quella mattina, mentre entrava nella stanza in cui lei e Blaise consumavano i pasti, aveva preso subito a rigirarsi tra le mani il ciondolo della collana, mentre cercava di apparire il più calma possibile e di non lasciar trasparire il turbamento che ancora provava, nel ricordare alcune parti del sogno particolarmente piccante di quella notte.

«Buongiorno!», l'accolse Blaise, che era già seduto a tavola e stava sfogliando il giornale: «Dormito bene?»

Ginny arrossì: «Buongiorno, sì, ho dormito bene, tu?»

«Questa notte ho dormito poco, ci sono stati dei problemi con degli ospiti che hanno introdotto nella loro stanza uno Kneazle, senza aver prima richiesto un permesso speciale», disse l'uomo, abbassando il giornale, così da sorridere calorosamente a Ginevra: «Ma non ti preoccupare, ho riposato abbastanza, quando sei pronta possiamo andare».

Ginny deglutì rumorosamente il pezzo di croissant, che aveva appena addentato, e osservò con aria smarrita il volto sereno di Zabini: «Andare dove?»

«Oggi niente lavoro per me, mi sono preso un giorno di vacanza e voglio approfittarne per portarti in un posto che sono abbastanza certo ti piacerà», rispose l'uomo, con tono deciso e un sorriso impaziente sulle labbra.

«Oh, dove?», domandò Ginny, prendendo un bicchiere di spremuta d'arancia dalla selezione di bevande della prima colazione che aveva di fronte a sé sul tavolo.

«È una sorpresa», ribattè Blaise, chiudendo il giornale e finendo il suo ultimo sorso di caffè: «Ti fidi di me?»

Ginevra fece una piccola smorfia, arricciando le labbra: «Un po'».

Blaise sospirò: «Mi hai appena spezzato il cuore», disse, portandosi una mano al petto.

Ginny sollevò gli occhi al cielo e lanciò una briciola del croissant che stava mangiando verso l'uomo, che rise divertito, cercando di schermarsi dietro al giornale da ulteriori attaccchi

«Va bene, va bene! Immagino che dovrò farmi bastare un po' della tua fiducia, allora», disse Blaise, dopo qualche secondo, riemergendo da dietro il quotidiano: «Mi ritengo comunque molto fortunato, sono certo che non sono molte le persone a cui affideresti qualcosa di tanto prezioso come la tua fiducia».

Ginny nascose il rossore delle proprie guance dietro il bicchire di spremuta, mentre si chiedeva come fosse possibile che Zabini riuscisse sempre a dire qualcosa che la faceva sentire come un'adolescente infatuata.

Quando si riprese dal momento d'improvvisa e ingiustificata timidezza, Ginevra cercò di scoprire qualche dettaglio in più sulla segreta destinazione che Zabini aveva scelto.

«Posso sapere almeno se devo vestirmi elegante o...?»

«Il modo in cui sei vestita ora va più che bene», disse lui, osservando con approvazione i semplici jeans di fattura babbana, la maglietta delle Sorelle Stravagarie e la scarpe comode che indossava Ginny: «Ed è inutile che continui a farmi domande, non ti dirò dove siamo diretti», aggiunse Blaise, bloccando sul nascere il successivo quesito che Ginevra stava per porre.

La donna concluse la propria colazione con la fronte aggrottata e la mente che vagava incessantemente dal sogno di quella notte alla realtà; dalle labbra di Zabini premute contro le proprie spalle e nuca, al volto concentrato dell'uomo mentre leggeva un articolo del giornale. Ogni tanto si chiedeva anche quale luogo misterioso avesse scelto Zabini per la loro inaspettata gita quel giorno. I quesiti sulla loro destinazione erano spesso intervallati da una punta di apprensione; fingere di non provare una devastante attrazione fisica per Blaise Zabini era già abbastanza difficile durante i pasti, come avrebbe fatto a nascondere il proprio desiderio nell'arco dell'intera giornata?

Ginevra giunse alla conclusione di dover parlare seriamente della situazione con Zabini, magari quel giorno stesso, appena avesse racimolato abbastanza coraggio e forza di volontà da poter guardare l'uomo dritto negli occhi, senza arrossire.

«Sei pronta?»

Ginny sussultò e arrossì, realizzando di essersi persa talmente tanto nei propri pensieri da essersi dimenticata di non essere sola.

Terminò l'ultimo sorso di spremuta d'arancia e fece una veloce pausa toilette, poi cercò di ricomporsi abbastanza da non apparire come un'idiota di fronte ai modi impeccabili di Zabini.

La prima sorpresa arrivò quando l'uomo le porse un oggetto di fattura babbana, un vecchio cappello dall'aspetto buffo che Ginny era certa di aver già visto da qualche parte, anche se non avrebbe saputo dire dove...

«Devo metterlo?», chiese la donna, chiedendosi con che coraggio Zabini le stesse proponendo d'indossare un oggetto rovinato e puzzolente come quello.

L'uomo sorrise e scosse il capo: «È una passaporta».

Ginny arrossì e annuì: «Ovviamente», borbottò, prima di afferrare un lembo del cappello.

Nell'istante che precedette l'attivazione della passaporta, Blaise le sorrise calorosamente: «Tieniti forte», disse, poi Ginny provò l'inconfondibile sensazione di sentire il pavimento svanire da sotto i suoi piedi e il mondo girare talmente in fretta da nausearla.

Aveva le ginocchia che le tremavano appena, quando tornò a toccare il terreno, ma riuscì a rimanere in piedi e a mantenere l'equilibrio con fin troppa grazia — tutto merito degli anni che aveva passato a giocare come professionista a Quidditch.

«Tutto bene?», chiese Zabini, riponendo il cappello rovinato che aveva funto da passaporta in una busta di carta, per poi rassettare la leggera camicia bianca che indossava quel giorno.

Ginny annuì, mentre osservava la stanza spoglia in cui si trovavano: «Dove siamo?»

L'ambiente era illuminato da alcune candele incantate, sospese lungo le pareti bianche del locale, dove non c'erano quadri, poster o alcun tipo di mobilio; tutto quello che Ginevra poteva vedere erano una porta di fronte a sé, una alle sue spalle e una alla sua sinistra.

Blaise estrasse dalla busta una cravatta e Ginny agrottò le sopracciglia: «Un'altra passaporta?», chiese, confusa.

L'uomo sorrise e scosse il capo: «No, questa serve per impedirti di vedere dove siamo diretti».

Ginevra sbuffò, ma non fece nulla per impedire a Blaise di posizionarsi alle sua spalle e legarle con delicatezza la cravatta sopra agli occhi chiusi.

Le calde mani dell'uomo si posarono poi sulle braccia della donna e la invitarono, con una leggera pressione, a fare qualche passo avanti.

Sentì Zabini lanciare un incantesimo a una delle porte perché si aprisse e improvvisamente Ginevra sentì una stretta di nostalgia nel petto.

C'era qualcosa nell'odore di erba fresca, che aveva appena invaso le sue narici, che la fece sentire istantaneamente bene, percepì presto i caldi raggi del sole scaldarle la pelle e il viso ed ebbe la conferma di trovarsi all'aria aperta.

Blaise la sospinse per qualche passo ancora, poi interruppe il loro avanzare: «Sei pronta?»

Ginevra annuì, si morse l'interno guancia e si chiese da dove provenisse l'improvvisa voglia di piangere che le serrava la gola.

Quando Zabini sciolse il nodo della cravatta che oscurava la vista della donna, per qualche istante, Ginny rimase accecata dalla luce del sole, poi le lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance e le labbra le si aprirono in un caldo sorriso.

«Mi hai portato in un campo da Quidditch», disse Ginevra, la voce colma di emozione, mentre osservava gli anelli che si stagliavano alti ai lati del campo e le due scope che si trovavano ai loro piedi, accanto ad un piccolo baule che conteneva un boccino, due bolidi e la pluffa.

«L'altro giorno hai detto di volerti sentire di nuovo giovane e spensierata; ho pensato che il Quidditch potesse essere la risposta ai tuoi desideri», disse Blaise, sorridendole calorosamente.

Ginevra abbracciò con trasporto l'uomo, premendo il capo contro il suo petto: «Grazie».

Blaise ricambiò l'abbraccio: «Potremmo continuare ad abbracciarci, oppure salire su quelle scope e divertirci un po'», le propose l'uomo, facendola sorridere istantaneamente.

«Quanto tempo abbiamo?», chiese Ginevra, liberando Zabini dalla propria stretta stritolatrice e iniziando a guardare il campo con sguardo sognante.

«Tutto il giorno, anche la notte se vuoi».

Ginny si sporse per lasciare un bacio frettoloso sulle labbra di Blaise, poi si affrettò verso la scopa più vicina e nell'arco di qualche secondo era già in volo.

Sorrideva e piangeva nello stesso momento, mentre sentiva l'aria ferzarle il volto e il sole baciarle dolcemente la pelle. Fece un paio di giri del campo come riscaldamento e si rese conto che Blaise aveva indovinato perfettamente ciò di cui aveva bisogno per sentirsi di nuovo giovane e spensierata.

Da quanto tempo non provava la dolce ebrezza del volo? Il vuoto nello stomaco, il cuore che le batteva troppo velocemente in petto e le dita delle mani forti intorno al manico della scopa?

Individuò facilmente Blaise, un puntino scuro nel mare verde del campo e scese verso di lui, lanciandosi in una picchiata audace.

«Tu non vieni?», gli chiese, fermandosi a mezz'aria, a un paio di metri da lui.

Zabini recuperò la pluffa dal baule e la lanciò a Ginevra, prima di spiccare a sua volta il volo e iniziare a volteggiare lungo il perimetro del campo.

Per Ginevra fu come tornare bambina.

Ricordava quanto era stato difficile, i primi tempi, accettare il fatto che essere una ragazza, nelle menti ristrette dei suoi fratelli maggiori, voleva dire non essere predisposta a un gioco "da maschi" come il Quidditch; ricordava il fastidio e la rabbia che la accompagnava ogni volta che veniva esclusa da quel passatempo. Poi era cresciuta e aveva iniziato a trovare il modo di allenarsi in gran segreto, rubando la scopa di Fred o quella di George; mentre i gemelli erano chiusi nella loro stanza a inventare qualche nuova specialità per il loro negozio di scherzi, lei si preparava a diventare una delle migliori Cacciatrici della storia.

Provò una punta di dolore nel pensare a Fred, ma cercò di non soffermarcisi troppo, per non rischiare di rovinare quella mattinata semplicemente perfetta.

Blaise non era particolarmente bravo sulla scopa, ma se la cava abbastanza bene da dare un po' di filo da torcere a Ginny.

Si rinconrsero per il campo, passandosi la palla o rubandosela dalle mani, poi iniziarono a sfidarsi a chi riusciva a fare più punti nel minor tempo possibile; fecero gare di velocità, di agilità e poi liberarono il boccino e iniziarono a cercarlo per tutto il campo, fino a quando non fu Blaise a individuarlo e a prenderlo per primo.

Trascorsero serenamente qualche ora in volo, poi scesero a prendere fiato e si sedettero sul prato, a commentare i loro punti di forza e le debolezze.

Blaise non aveva mai giocato molto a Quidditch, essendo un mago sapeva le regole e aveva avuto modo di testare le proprie capacità negli anni, ma non aveva mai avuto, come Ginny, una vera e propria passione per quello sport.

Dopo la prima sessione di allenamento e gioco, Ginevra sembrava trasformata.

Non era la donna distrutta dal divorzio che Blaise aveva incontrato qualche giorno prima, non era nemmeno la donna che aveva visto piangere o quella che aveva ammesso di aver bisogno di un amico.

Quella che aveva di fronte era la Ginevra che aveva incrociato per i corridoi di Hogwarts e di cui aveva letto le gesta sulla Gazzetta del Profeta, quando giocava ancora per le Holyhead Harpies; le guance arrossate, gli occhi brillanti e le labbra aperte in sorrisi colmi di gioia, ricordavano a Blaise il motivo per cui, il sesto anno, avesse avuto una cotta per lei.

Com'era possibile non lasciarsi trascinare in quell'entusiasmo, in quella passione?

Blaise ripensò al bacio a stampo che Ginevra gli aveva dato prima di salire sulla scopa qualche ora prima, e sentì una familiare stretta al petto.

«Non riesco nemmeno a ricordare l'ultima volta che sono stata tanto felice!», disse Ginny, spostando lo sguardo dal campo da Quidditch, alle tribune vuote, per poi posarlo sul volto sereno di Blaise: «Come hai fatto a indovinare?»

L'uomo scrollò le spalle: «Fortuna, suppongo; l'altro giorno un ospite dell'Agriturismo mi ha chiesto se conoscevo un posto dove poter volare e sfogare un po' di tensione accumolata, allora gli ho prenotato una giornata qua. Era talmente felice e soddisfatto, che ho pensato valesse la pena provare a vedere se potesse avere lo stesso effetto su di te».

«Sono talmente su di giri...», disse Ginevra, portandosi una mano al petto, dove il suo cuore continuava a batterle con troppa insistenza nel petto: «Penso che potrei fare una pazzia da un momento all'altro».

«Una pazzia?», chiese Blaise, sorridendo alla prospettiva di vedere Ginevra Weasley tornare ad essere l'impulsiva e spensierata e passionale ragazza di un tempo.

«Sì, una pazzia», confermò la ragazza prima di voltare il capo e incrociare gli occhi scuri di Blaise.

Nessuno dei due ebbe modo di riflettere, si trovarono a baciarsi prima che qualsiasi pensiero di senso compiuto potesse fermarli.

Le mani di Ginevra avvolsero il volto di Blaise, poi scesero sulle spalle forti dell'uomo e afferrarono il tessuto leggero della camicia bianca che indossava, stringendolo con forza.

Ginny non potè fare a meno di rendersi conto, che quello che stava provando in quel momento era dieci volte meglio delle emozioni che provava quando sognava Blaise la notte; le mani le tremavano appena, il cuore le martellava all'altezza della gola e ogni volta che i denti dell'uomo premevano contro il suo labbro inferiore, mordendolo in modo seducente, Ginny rischiava di avere un infarto.

Il campo da Quidditch era deserto; non c'erano quadri impiccioni pronti a commentare il loro bacio e la stessa Ginevra sembrava troppo presa dal momento per poter interrompere quel magico momento.

Il bacio durò lunghi e interminabili minuti e quando Blaise lo interruppe per prendere fiato, non si spezzò alcuna magia e non sopraggiunsero né l'imbarazzo né la vergogna.

«Va bene?», chiese semplicemente Ginevra, accarezzando con delicatezza il volto dell'uomo, mentre cercava nei suoi occhi il permesso di essere se stessa, senza rischiare di essere giudicata.

Blaise baciò la punta del naso di Ginny e sorrise: «Sì, va bene... Sai, cominciavo a temere che mi avresti lasciato nella friendzone per sempre».

Ginny colpì giocosamente il braccio dell'uomo con un pugno e scoppiò a ridere: «Friendzone? Non siamo un po' troppo vecchi per usare certi termini?»

«No, non credo», disse lui, attorcigliandosi una ciocca di capelli rosso fuoco tra le dita: «Quindi, parlando da persone mature: cosa siamo? Amici con benefici?»

Ginny sollevò gli occhi al cielo, il sorriso ancora ben visibile sulle sue labbra: «Potremmo provare semplicemente a fequentarci e vedere come va».

«Mi sembra un buon piano», disse Blaise, lasciandole un veloce bacio a stampo: «Dato che siamo persone mature e sincere, penso che sia giusto che tu sabbia che mi piaci, molto».

Il sorriso sul volto di Ginevra si allargò ulteriormente: «Anche tu mi piaci, Blaise».

Ginny premette nuovamente le proprie labbra contro quella carnose di Blaise, assaporarono ognuno il sapore dell'altra — certi che quello non sarebbe stato l'ultimo bacio che si sarebbero scambiati quel giorno — poi Ginny si alzò in piedi e porse una mano a Zabini: «Ti va di volare ancora un po' con me?»

Blaise sorrise e accettò l'aiuto di Ginevra ad alzarsi: «Pronta a perdere, Weasley?»

«Nei tuoi sogni, Zabini».

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Scusate il ritardo, ieri non sono riuscita a finire il capitolo e oggi, malgrado l'ispirazione, ho faticato a trovare il tempo per scrivere, dato che mio papà ha deciso di richiedere la mia assistenza per piantare zucchine e pomodori.

Ma bando le ciance, parliamo del capitolo.

Dato che era da un bel po' che non andavamo a sbirciare la situazione nelle Langhe, ho pensato fosse giusto riprendere in mano Ginny e Blaise e vedere come stava procedendo la situazione. Nello scorso capitolo li avevamo lasciati nel momento in cui avevano deciso di essere solo amici... ma la friendzone non è durata molto, infatti Ginny ha deciso di mettere da parte i propri dubbi e di concedere a lei e Blaise una possibilità.

Non riesco a decidere se è tutto un po' troppo affrettato o no, fatemi sapere cosa ne pensate!

Ora, AVVISO abbastanza IMPORTANTE da lunedì (domani) sarò presa ad aiutare mia zia al lavoro, di conseguenza avrò orari un po' a caso e poche certezze di riuscire ad avere i capitoli pronti per i giorni che avevamo stabilito, ossia mercoledì e sabato. So che questa incertezza non vi piacerà, non piace neanche a me, ma non posso farci niente, quindi se non vedete un nuovo capitolo il mercoledì, non disperate, magari arriverà giovedì o venerdì. Non so nemmeno se riuscirò a scrivere due capitoli o solo uno... vedremo.

Io intanto vi ho avvertito della possibilità di avere i ritmi un po' sballati e vi chiedo di portare pazienza, grazie.

Voglio anche approfittarne per rassicurarechi mi ha lasciato recensioni nei capitoli precedenti che pian pianino risponderò a tutte, non perdete le speranze!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate, soprattutto se pensate che Ginny e Blaise stiano affrettando un po' troppo le cose o meno!

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi anche su Instagram (il nome dell'account è lazysoul_efp). Nel caso in cui voleste donarmi un caffè per supportare il mio lavoro, potete trovarmi su Ko-fi.

Un bacio,

LazySoul

 

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Capitolo 16
*** Di quando Harry e Ron cenarono alla Tana ***


 

Buonsalve popolo di EFP!

Come prima cosa, mi preme farvi le mie più sincere scuse per i mesi di assenza, ma a quanto pare avevo bisogno di staccare per qualche tempo da Wattpad e dalla scrittura per poter tornare più carica che mai. Ora che ho ricaricato la pila, dovrei riuscire a concludere questa storia nelle prossime settimane, senza problemi o ulteriori scomparse.

Ho riletto da capo la storia e corretto gli errori o riformulato frasi che non mi convincevano, ma in generale la trama è sempre la stessa (vi ricordate no? Harry e Ron invitano Ginny ed Hermione a cena e ammettono loro di essere innamorati da vent'anni. Ginny fugge in Italia dove incontra Blaise Zabini, mentre Hermione si getta anima e corpo nel lavoro e fa la conoscenza del proprietario di Babbananze, niente poco di meno che Draco Malfoy. Il tutto mentre a Granada Hugo, Rose, Albus, Fred II, Lily, Scorpius e Morgan visitano la città e cercano di capire cosa vogliono fare della propria vita... Ah, e poi ovviamente Harry e Ron hanno adottato una gattina).

Bene, penso di avervi detto tutto ciò che mi premeva dirvi.

Vi lascio al capitolo: buona lettura!

 

 

16. Di quando Harry e Ron cenarono alla Tana


 

«Nervoso?»

«Harry, che domanda è? Ovvio che sono nervoso!»

«Hai ragione, scusa... Come pensi che andrà?»

Ron lasciò cadere la braccia lungo i fianchi e sospirò: «Male, molto male».

Harry si allacciò le scarpe con la fronte aggrottata: «Non riesci ad essere neanche un po' ottimista?»

Ron tornò ad abbottonarsi la camicia: «No. Come potrei? Vorrei ricordarti che da quando Charlie le ha detto che non si sarebbe mai sposato, lei ha smesso di mandargli maglioni per Natale per due anni».

«Due anni? Sei sicuro?», chiese Harry, sbarrando appena gli occhi, mentre cercava — inutilmente — di sistemarsi i capelli.

«Sì, due anni, prima che papà riuscisse a farla ragionare», confermò Ronald, prima di infilarsi con gesti nervosi le scarpe: «Non oso immaginare la sua ira se dovesse scoprire di noi».

«Se? Pensavo che le avremmo detto tutto questa sera», disse Harry, distogliendo lo sguardo dal suo riflesso per posarlo sul volto pallido di Ron.

«Non lo so, Harry. Siamo sopravvissuti a Voldemort, al corso per diventare Auror e a molte missioni pericolose, ma non penso che potremmo sopravvivere anche alla delusione e rabbia di mia madre», borbottò Ronald, incrociando gli occhi verdi del compagno: «Forse dovremmo mentire e basta, in fondo l'abbiamo fatto per anni, cosa cambierebbe una bugia in più?»

I lineamenti di Harry s'indurirono in un'espressione colma di serietà e risoluzione, mentre raggiungeva in pochi passi Ronald e appoggiava le mani sulle spalle forti dell'uomo: «No, basta mentire. Non abbiamo commesso un crimine di cui vergognarci, Ron; siamo semplicemente innamorati».

«Lo so, Harry. Temo soltanto che mia mamma non sia della stessa opinione. Per lei probabilmente il divorzio è un crimine tanto quanto uccidere un altro essere umano».

Le labbra di Harry si atteggiarono in una smorfia a metà strada tra il preoccupato e il divertito, le mani che continuavano a rimanere salde sulle spalle del proprio compagno: «Penso che tu stia un po' esagerando, quando mai hai avuto l'impressione che tua madre la pensi così?»

«Ricordi cinque anni fa? Quando Fleur aveva avuto quel periodo di depressione e aveva preso in considerazione l'idea di divorziare da Bill? Mamma era furiosa con lei, tanto da non parlarle per mesi!»

Harry non ricordava niente di quello che stava raccontando con tono concitato Ronald, ma non se ne stupiva più di tanto; aveva sempre fatto in modo di non trovarsi in mezzo a troppi drammi familiari durante il suo matrimonio con Ginny, e nel corso degli anni era stato piuttosto bravo ad evitarli — così come aveva evitato in gioventù di morire prematuramente ogni volta che Voldemort aveva provato a ucciderlo.

Harry non ricordava la depressione di Fleur, così come non ricordava l'ira di Molly nei confronti della cognata; probabilmente, nei mesi in cui tutti quei drammi si era susseguiti in famiglia, lui era stato troppo preso dai propri segreti e bugie per poter prestare attenzione ad altro.

Ron, che doveva aver notato l'espressione perplessa di Harry, sospirò: «Com'è possibile che non te ne ricordi?! Fleur ha smesso di essere invitata ai pranzi della domenica per... cinque mesi, forse? Ricordo che ero rimasto tanto impressionato dalla rabbia di mamma, da farti promettere di non rivelare mai a nessuno la nostra relazione segreta».

Harry si ricordava la conversazione che avevano avuto, il volto pallido di Ron e i suoi occhi azzurri incredibilmente grandi, mentre lo implorava di giurare su ciò che aveva di più caro, ma non riusciva proprio a visualizzare un pranzo alla Tana senza Fleur.

Ron sollevò gli occhi al cielo: «Non riesco a proprio a capire come tu faccia a isolarti tanto durante i pranzi della domenica da non renderti conto di certe cose... Ma torniamo al punto: mamma ha trattato freddamente Fleur fino a quando lei e Bill non hanno fatto pace e tutto è tornato ad essere idilliacamente perfetto. Non so se posso sopportare un simile trattamento da mia mamma, Harry».

Il moro, con la fronte aggrottata, rimase a fissare il volto di Ronald, mentre annuiva pensieroso: «Cosa suggerisci allora? Di presentarci da soli alla Tana questa sera, mentire e sperare che vada tutto per il meglio?»

«Esatto», disse Ron, lasciando un veloce bacio a fior di labbra ad Harry: «E ora andiamo, sai che mamma odia i ritardatari».

Prima di andare, controllarono un'ultima volta che Éire avesse abbastanza acqua e crocchette da bastarle per le successive due ore, poi si diedero un dolce bacio d'incoraggiamento, e uno dopo l'altro scomparvero dentro al camino del salotto, avvolti dalle fredde fiamme della Metropolvere.

Vennero accolti dall'inconfondibile aroma di pasticcio di carne e patate al forno e, prima ancora che potessero mettere piede fuori dal camino, sentirono la voce di Molly chiamarli dalla cucina con affetto.

«Puntualissimi come sempre! La cena sarà pronta a momenti».

Harry lasciò la mano di Ron, dopo un'ultima stretta, il cui scopo era di infondere abbastanza coraggio ad rosso, da durargli per tutta la serata.

In cucina trovarono Molly indaffarata a controllare che la cottura di ogni pietanza fosse corretta, mentre Arthur leggeva un romanzo di Agatha Christie, autrice babbana che, da quando era andato in pensione, lo intratteneva nelle ore morte — quando non doveva dedicarsi alla disinfestazione di gnomi in giardino o dedicarsi all'analisi approfondita dei cataloghi mensili dei nuovi prodotti di "Babbananze", che leggeva con minuziosa attenzione.

«Benvenuti, ragazzi», disse Arthur, tenendo gli occhi incollati alla pagina del romanzo che stava leggendo: «Finisco il paragrafo e sono subito da voi».

Molly invece abbandonò la sua postazione di fronte ai fornelli, per abbracciare i nuovi arrivati e dare ad entrambi rumorosi baci sulle guance.

«Harry, caro, hai litigato col barbiere? Tra te e Ronald non so chi si stia trascurando di più... Quelle barbe lunghe non piaceranno di sicuro a Ginny ed Hermione, o sbaglio?»

«A proposito, dove sono le ragazze?», chiese Arthur, riponendo il libro e sistemandosi le spesse lenti che da qualche anno aveva dovuto iniziare ad indossare, con sempre maggior frequenza.

«In vacanza», disse Harry, nello stesso istante in cui Ronald esclamava: «Al lavoro!»

«Da quando Hugo ha iniziato Hogwarts, Hermione è diventata una vera a propria stacanovista! Ho letto nella Gazzetta del Profeta che ha fatto approvare quella nuova legge sui matrimoni misti; era ora che qualcuno lo facesse!», esclamò Molly, conducendo gli ospiti verso la tavola apparecchiata per sei.

«Non ci raggiungerà neanche per un veloce saluto dopo cena?», chiese Molly, mentre sparecchiava due coperti con un veloce gesto di bacchetta.

«Temo proprio di no», disse Ron, sedendosi a tavola, con un sorriso di scuse sulle labbra.

«Ginny, invece... hai detto che è in vacanza? Non ne sapevo nulla», disse Molly, portando in tavola il pasticcio di carne e le patate al forno.

«È andata in Italia, era una vacanza che voleva fare da tempo e alla fine ha approfittato dell'assenza dei ragazzi per godersi due settimane di relax», spiegò Harry, cercando di non distanziarsi troppo da quella che era la realtà del fatti e di non lasciar trasparire quanto fosse preoccupato per sua moglie, da cui non aveva più ricevuto notizie, dopo quella prima misera lettera.

«Capisco, è un peccato che tu non sia potuto andare con lei, Harry, ma immagino che essere Capo Auror, implichi specifichi obblighi a cui non ci si può astenere da un momento all'altro e senza preavviso», disse Molly, servendo a ciascuno una generosa porzione i pasticcio: «E i miei nipotini come stanno?»

Harry e Ron tirarono un mentale sospiro di sollievo quando venne loro posta quella domanda; erano entrambi felici di poter cambiare argomento e parlare di qualcosa di meno impegnativo.

«Sono tutti a Granada con Fred e un paio di altri compagni di scuola a divertirsi, tutti tranne James ovviamente», disse Harry, prima di portarsi il primo boccone di pasticcio alla bocca ed esser riportato indietro nel tempo; a quando era un adolescente malnutrito e ogni volta che riusciva a sfuggire agli zii per passare del tempo alla Tana veniva rimpinzato di cibo da Molly.

All'improvviso l'espressione di Arthur si fece più attenta e posò la forchetta per poter porre a sua volta qualche domanda.

«James lavora ancora da "Babbananze", vero?»

Harry annuì, sorridendo: «Sì, dice che si trova bene e che per il momento non ha intenzione di cercare altro».

«Ed è riuscito a scoprire chi è il proprietario?»

«No, ancora no, a quanto pare si possono contare sulle dita di una mano le persone che sono a conoscenza di questo segreto e James non è tra questi», rispose Harry, notando con una punta di rammarico la delusione sul volto di Arthur.

«Peccato, il fondatore di "Babbananze" è semplicemente un genio. Vorrei conoscerlo per potergli stringere la mano e complimentarmi personalmente con lui».

Ronald sollevò gli occhi al cielo. Non era la prima volta che suo papà faceva un discorso simile; anzi era talmente comune sentirlo parlare del misterioso Signor M. e della sua genialità, che ormai tutti in famiglia erano assuefatti da quei discorsi. Tutti, tranne Ron, il quale s'innervosiva quando Arthur tirava fuori quell'argomento; forse perché aveva sempre l'impressione che suo padre, tessendo le lodi di un altro mago, sminuisse gli obiettivi che lui e i suoi fratelli avevano raggiunto nella vita. Il pensiero che il padre non fosse altrettanto fiero del suo operato o di quello di George, Bill, Percy e Charlie, lasciava l'amaro in bocca e Ronald.

Harry, che era a conoscenza di questi pensieri ed era talmente bravo a leggere le espressioni del compagno dal capire quando si sentiva particolarmente abbattuto, allungò la mano sinistra sotto al tavolo, così da premerla contro la coscia dell'uomo. Ronald sembrò calmarsi quasi all'istante.

«Oh, Arthur, ancora con questa storia?», borbottò Molly, lanciando uno sguardo colmo d'esasperazione al figlio e al genero: «Più che un genio, il Signor M. mi sembra un mago che ha avuto la fortuna di lanciare nel mercato magico i prodotti babbani giusti».

«Mah, non so se si può parlare di fortuna, Molly. Il Signor M. non si è limitato a prendere un prodotto babbano e a venderlo nel mondo magico; c'è stato un lavoro di analisi del mercato, di studio approfondito della tecnologia babbana e la forza di volontà di trovare un modo per far funzionare un oggetto babbano anche per noi maghi in modo semplice e intuitivo. Dovrai riconoscere, che per ottenere i risultati che ha ottenuto, non si è affidato semplicemente alla fortuna».

Per qualche secondo la tavola cadde in un silenzio spezzato unicamente dal suono delle forchette che tintinnavano contro la porcellana del piatto o dai bicchieri che venivano riempiti o svuotati d'acqua, poi Molly sospirò: «Va bene, Arthur, sarà come dici tu. Scommetto che appena James scoprirà qualcosa di più sul misterioso Signor M. ti racconterà tutto quanto, ma per il momento temo che ci dovremo accontentare di congetture e nient'altro».

«Ho visto che stai leggendo un nuovo libro, papà, di cosa parla?», chiese Ronald, deciso a spostare la conversazione verso terreni meno spinosi.

Il resto del pasto trascorse nella calma più totale; Molly parlò del club di lettura in cui Arthur stava pensando di entrare, così da allargare i propri orizzonti e non limitarsi a leggere soltanto opere di Agatha Christie, Arthur raccontò della più recente invasione di gnomi e di come era stato costretto a contattare George e Bill per farsi aiutare nella disinfestazione, Harry e Ron parlarono del lavoro e di quanto fossero soddisfatti della squadra di Auror che avevano l'onore di comandare.

Una volta arrivati al dolce, una torta di mela con crema pasticciera che a Ronal ricordava l'infanzia, Harry strinse brevemente la mano di Ron sotto al tavolo, poi si schiarì la voce, deciso a raccontare — a quelli che, negli anni, aveva finito col considerare alla stregua di genitori — tutta la verità.

Sapeva che Ronald non ne sarebbe stato contento, ma era convinto che la preoccupazione del compagno fosse esagerata e fuori luogo.

«Vorrei approfittare della serata per parlarvi di una cosa molto importante, che riguarda me e Ron».

I volti di Molly e Arthur si fecero improvvisamente curiosi, mentre quello di Ronald sbiancava tanto da sembrare sull'orlo di un malanno.

«Harry, non penso che sia il momento giusto», disse il rosso con un filo di voce, voltandosi ad osservare con gli occhi sbarrati dallo stupore il proprio compagno.

Il moro scrutò con attenzione il volto pallido dell'amante e per qualche secondo perse la forza e il coraggio che lo avevano animato fino a quel momento, poi la risoluzione che temeva aver perduto tornò: «È giusto che anche loro lo sappiano, non credi?»

«Sapere cosa?», chiese, con tono leggermente spazientito, Molly, mentre portava lo sguardo da suo figlio al genero, incapace di leggere dalle loro espressioni quale potesse essere la grande rivelazione.

Harry prese un profondo respiro, sorrise a Ronald, nel tentativo di infondergli parte del proprio coraggio, e tornò a scrutare i volti incuriositi di Arthur e Molly.

«Ho chiesto il divorzio a Ginevra, perché sono innamorato di un'altra persona».

Nella sala da pranzo scese un silenzio tanto profondo da assordare.

I volti di Molly e Arthur erano diventate due maschere congelate in un'espressione colma di sorpresa e confusione, mentre quello di Ronald continuava ad essere mortalmente pallido.

Harry non vacillò e non perse il coraggio e, dopo aver preso un altro respiro profondo e aver appoggiato la mano sulla coscia di Ronald sotto il tavolo, parlò di nuovo: «So che è inaspettato, immagino anche che non siate particolarmente felici della notizia, nemmeno io lo sono, credetemi, ma io e Ginny siamo giunti ad un punto del nostro matrimonio dove stare insieme poterebbe soltanto dolore ad entrambi; la separazione potrebbe essere la nostra unica chance per ritrovare la felicità».

«Cos'è successo? Avete litigato?», riuscì a sussurrare Molly, mentre Arthur si serviva una generosa porzione di sidro e ne beveva un lungo sorso.

Harry scosse il capo; stampata in volto aveva la sue espressione colma di pacata sicurezza, espressione che Ron conosceva bene, considerate le numerose missioni pericolose che avevano condiviso negli anni: «No, Molly, voglio bene a Ginny e rimarrà per sempre una delle persone più importanti della mia vita, ma negli ultimi tempi ho iniziato a rendermi conto che continuare a mentirle era sbagliato nei suoi confronti come in quelli di chiunque altro. Amo un'altra persona e vorrei passare il resto della mia vita con lui, senza dovermi nascondere».

«Lui?», chiese con un filo di voce Molly, portandosi una mano al petto: «Sei innamorato di un uomo?»

Arthur smise di bere sidro e rimase semplicemente ad osservare la reazione di sua moglie e del resto dei commensali con pacatezza, come se l'argomento di discussione non lo sfiorasse minimamente.

«Sì, Molly, sono innamorato di un uomo».

Ci fu nuovamente silenzio per qualche secondo, mentre Ronald cercava il coraggio di confessare a sua volta i propri sentimenti e Molly riordinava i pensieri.

La prima a parlare fu di nuovo Molly: «È per questo che Ginny è in Italia, vero? Aveva bisogno di prendere le distanze».

Harry annuì: «Ginevra è partita perché aveva bisogno di riflettere e di stare sola per un po', quando tornerà immagino che avremo modo di parlare ancora del nostro divorzio... Non è mai stata mia intenzione portare dispiacere a voi o far soffrire Ginny. Le ho chiesto di sposarmi e l'ho sposata, perché ero certo di essere innamorato e che nessun altro sentimento avrebbe mai potuto eguagliare quello che provavo. Mi sbagliavo».

Molly annuì senza parole, continuando a osservare il volto di Harry come se di fronte a lei si trovasse un perfetto sconosciuto: «Questo vorrà dire che non potrò più invitarti alle cene di Natale?»

«Molly, non dire sciocchezze, Harry sarà sempre il benvenuto in casa nostra», la rimbeccò Arthur, prendendo infine la parola: «Certamente non posso capire quello che provi, Harry, ma ti conosco da anni; sei un ragazzo onesto e corretto e sono certo che se avessi avuto, anche solo il dubbio, di poter ferire Ginny un giorno, non l'avresti sposata. Sono felice che tu ce ne abbia parlato, immagino che non sia stato facile».

«Grazie, Arthur, le tue parole significano molto per me», disse Harry, mantenendo la propria stretta sulla coscia del compagno: «So che non è facile da accettare, Molly, ma vorrei poter continuare ad avere un buon rapporto con voi, malgrado l'imminente divorzio».

«Certamente, Harry, caro! Arthur ha ragione, questa sarà sempre casa tua e noi ti vorremo sempre bene come ad un figlio».

Nel sentire quella calde parole di accettazione per Harry, Ron sentì il proprio coraggio rafforzarsi e il proprio volto mortalmente pallido riacquistare del colore.

Il motivo per cui aveva cercato di rimandare il momento del confronto con i suoi genitori dipendeva principalmente dalla profonda paura che provava e avrebbe sempre provato per sua madre. Paura che si era annidata in lui fin da piccolo e si era rafforzata negli anni, in particolare da quando gli aveva mandato la strilettera il secondo anno, mortificandolo di fronte all'intera scuola.

Si era aspettato una scenata.

Si era aspettato urla e pianti.

Invece sua mamma sembrava aver accettato quella rivelazione con un sorriso in volto e parole di conforto.

Forse Ron aveva sbagliato a giudicare tanto severamente sua madre, forse aveva ragione Harry e confessare ogni cosa era l'unica soluzione possibile per liberarsi dal peso della colpa e avere finalmente la coscienza pulita.

«Anche io devo dire qualcosa», riuscì a borbottare Ronald, attirando su di sé gli occhi incuriositi dei genitori.

La mano di Harry sulla coscia di Ron si strinse maggiormente, per trasmettere al compagno il coraggio che era certo necessitasse.

Ci furono una manciata di secondi di silenzio, poi il rosso deglutì rumorosamente e disse con un filo di voce: «AncheioedHermionestiamodivorziando».

Le orecchie di Molly, che non erano più quelle di un tempo, non le permisero di udire quello che disse il figlio, infatti rimase con un'espressione di perplessa confusione in volto, anche dopo la frettolosa confessione di Ron.

Arthur invece capì facilmente quello che il figlio aveva borbottato, non ci mise molto a capire che quei due divorzi non erano una coincidenza e iniziò ad osservare con maggiore comprensione i due uomini seduti di fronte a lui.

«Come dici Ronald?», chiese Molly, con una smorfia in volto: «Lo sai, che se parli così veloce non riesco a capirti».

Arthur appoggiò la propria mano sulla spalla della moglie e disse con voce alta e chiara: «Dice che anche lui ed Hermione hanno intenzione di divorziare».

Il volto di Molly divenne improvvisamente rosso, mentre osservava scandalizzata suo figlio: «Cosa?», sussurrò con un filo di voce, mentre il suo sguardo si spostava da Harry a Ronald.

Calò un silenzio pesante sulla stanza, poi gli occhi di Molly si riempirono di lacrime: «Mi state dicendo che...?», un singhiozzo le spezzò la voce.

Ron lanciò un'occhiata colma di preoccupazione ad Harry, che sembrava altrettanto incerto su come comportarsi di fronte alle lacrime di Molly Weasley.

Arthur continuò a tenere la propria mano premuta sulla spalla della moglie, mentre osservava il figlio e il genero con affetto e accettazione.

«Oh, ragazzi, non so cosa dire... è tutto così improvviso e inaspettato», disse Molly tra un singhiozzo e l'altro, puntando i suoi grandi occhi pieni di lacrime sulla coppia di uomini seduti di fronte a lei: «Siete felici? Perché questa è l'unica cosa che conta».

Harry allacciò le dita della propria mano a quella di Ronald e annuì: «Sì, Molly, siamo felici».

Ron annuì, allungando la mano libera per appoggiarla sul braccio di sua madre: «Avremmo dovuto dirtelo prima, così come avremmo dovuto dirlo prima a Hermione e Ginny, ma avevamo paura di rovinare ogni cosa...»

Molly scosse la testa: «Sciocchezze. Siamo una famiglia, Ron, e l'importante è rimanere uniti e aiutarsi l'un l'altro. Ovviamente sono preoccupata per Ginny ed Hermione, al momento, e sono molto delusa dal fatto che nessuno di voi due abbia ritenuto necessario informarci prima, ma l'importante è che voi siate felici e che anche le ragazze riescano ad esserlo, malgrado questa novità».

«Ma Fleur...», borbottò Ronald, perplesso: «Perché l'hai trattata tanto freddamente e hai smesso d'invitarla alla Tana, quando lei e Bill erano in crisi?»

Molly sorrise tra le lacrime: «Non ho mai smesso di invitarla, è stata lei a decidere di non venire per qualche tempo, perché sentiva di aver bisogno di passare del tempo da sola».

«E Charlie, allora? Perché hai smesso di mandargli maglioni per Natale, per due anni di seguito?»

Il volto di Molly si accartocciò in un'espressione pensierosa: «Intendi quando è stato trasferito in Egitto per condurre delle ricerche sui Draghi-Sfinge? Ho semplicemente pensato che, dato il caldo, non necessitasse di ulteriori maglioni...»

Tutto quello che Ronald riuscì a dire fu un confuso e appena sussurrato: «Oh», mentre si rendeva conto di aver mal interpretato negli anni precedenti le circostanze, finendo per alimentare una paura che non aveva motivo di esistere.

«Mmmh, Molly, questa torta è una delizia», disse Arthur, con la bocca mezza piena, alleggerendo con quelle semplici parole, l'aria ancora tesa della stanza.

Il resto della cena trascorse nella pace più totale, intervallata da qualche domanda di Molly o qualche frase di apprezzamento per la torta e una volta concluso il pasto, Molly salutò Harry e Ronald con calorosi abbracci e rumorosi baci, proprio come li aveva accolti all'inizio della serata. Arthur augurò loro una buona serata e si premurò di ricordare loro che la domenica successiva si sarebbe tenuto uno dei famosi pranzi con tutta la famiglia alla Tana.

Dopo il veloce viaggio in Metropolvere, Harry e Ron emersero nel buio della loro casa, dove Éire li aspettava addormentata su una delle sedie della cucina.

«Hai visto?», sussurrò Harry, prendendo la mano di Ron, mentre salivano le scale per raggiungere la loro stanza: «Tua mamma non è il mostro senza cuore che credevi».

Ronald annuì, pensieroso e si lasciò guidare dal proprio compagno, perso nei propri pensieri: «Sono proprio un pessimo figlio».

Harry si sfilò le scarpe, poi aiutò l'amante a fare lo stesso, e infine si sdraiò a letto, premendo la figura di Ron contro di sé.

Quando Harry iniziò a giocherellare con i corti capelli del compagno, Ronald iniziò a rilassarsi.

«Non sei un pessimo figlio, eri semplicemente preoccupato e quindi hai subito pensato allo scenario peggiore», sussurrò Harry contro il collo dell'amante, mentre iniziava a lasciare rapidi baci sulla pelle esposta: «Ora rimangono solo i ragazzi a cui dire la verità, poi saremo liberi di essere noi stessi, senza più bugie e sensi di colpa».

Ronald sospirò e sorrise nel sentire il cuore di Harry battere contro la sua schiena: «Me lo prometti?»

Harry aumentò la stretta intorno al corpo del compagno: «Sì, te lo prometto».

 

***

Eccomi di nuovo qua!

Approfitto di questo spazio per ricordarvi che i commenti sono sempre ben accetti, quindi, nel caso foste interessat* a farmi sapere cosa pensate di questo capitolo e della reazione di Molly e Arthur alla grande rivelazione, non siate timid*!

Vi mando un grosso bacio e vi auguro una buona giornata/serata/notte!

A presto,

LazySoul

 

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Capitolo 17
*** Di quando Hugo ammise di sapere un po’, ma non tutto ***


17. Di quando Hugo ammise di sapere un po’, ma non tutto
 

 

Lily sentì un nodo allo stomaco e la gola farsi arida, quando Rose le rivelò dove si trovavano.

Aveva sperato che l’amica, tramite i contatti di Malfoy o pura fortuna, riuscisse ad accaparrarsi degli inviti per una delle esclusive serate organizzate da Philip Ma, ma non aveva mai veramente creduto che quel suo semplice desiderio potesse avverarsi.

In quel momento, impalata nell’ingresso di Casa de Cedros — la dimora che il famoso giocatore di Quidditch aveva a Granada — Lily dovette recuperare tutto il proprio sangue freddo e la sua affabilità, ignorando il mal di pancia, causato dall’emozione.

Fu con un enorme sorriso stampato in volto che strinse con forza la mano di The Rocket, presentandosi con voce chiara e sicura. E fu con altrettanta audacia che comunicò al mito vivente, che le stava a mezzo metro di distanza, di essere intenzionata a diventare la più competente e famosa Cacciatrice della sua generazione.

Bastarono quelle poche frasi per rompere il ghiaccio, poi Lily venne inglobata in un eterogeneo gruppo di giocatori o ex-giocatori di Quidditch, intenti a discutere su quale fosse la formazione più efficace da utilizzare durante una partita o quale squadra avrebbe vinto la Coppa del Mondo di Quidditch quell'anno.

Lily si sentì, dopo giorni piuttosto monotoni a Granada, finalmente emozionata.

Rose osservava da qualche metro di distanza le espressioni sul viso della cugina e il proprio orgoglio non faceva che gonfiarsi e gonfiarsi, a mano a mano che la serata procedeva nel modo in cui lei aveva preventivato.

Lily si trovava nel suo elemento; faceva conversazione e sorrideva radiosa, mentre sorseggiava un calice di champagne.

Fred era scomparso nella sala da biliardo appena avevano messo piede in Casa de Cedros e Rose non aveva bisogno di controllare precisamente cosa stesse facendo; certa che, qualsiasi cosa fosse, fosse altamente illegale e sconsiderata.

Albus si trovava vicino al tavolo del buffet e stava chiacchierando animatamente con una ragazza dai marcati tratti asiatici, di cui Rose non era stata in grado di captare il nome, e sembrava anche lui soddisfatto di come stesse procedendo la serata.

Hugo e Morgan si muovevano a braccetto per le sale, fermandosi ogni tanto ad ammirare qualche opera artistica, e Rose non aveva bisogno di tenerli d’occhio per sapere che si stavano divertendo.

Rose sorrise e si sporse appena alla sua sinistra, per far scontrate la propria spalla con quella di Scorpius: «È stato un successo, non trovi?»

Il ragazzo sorrise e fece tintinnare la propria burrobirra con il calice di vino che Rose stringeva in una mano: «Brindiamo alla tua inesauribile capacità di realizzare l’impossibile!»

Rose arrossì appena: «Non ce l’avrei mai fatta senza il tuo aiuto e lo sai».

«Il mio aiuto?», chiese Scorpius ridacchiando, prima di avvolgere il braccio destro intorno alle spalle della ragazza: «Ti ho solo procurato carta e piuma per scrivere la lettera e mi sono offerto di farla spedire da uno dei gufi nella voliera, se questa sera siamo qua a divertirci è tutto merito tuo».

Scorpius lasciò un bacio sulla guancia della ragazza e Rose sorrise, ricambiando quel semplice gesto d’affetto con un dolce bacio a fior di labbra: «Quindi ti stai divertendo?»

Prima che Scorpius potesse rispondere o stringere maggiormente la presa intorno alle spalle di Rose, il cellulare della ragazza iniziò a squillare.

«È mamma», disse Rose, facendo una piccola smorfia, prima di lasciare un ultimo bacio sulla guancia di Scorpius e dirigersi verso la terrazza, che dava sul giardino di cedri della casa, così da poter rispondere senza esser disturbata da schiamazzi o musica.

A pochi metri di distanza, Morgan e Hugo si trovavano di fronte a un quadro babbano e lo stavano osservando con occhio critico; così come si erano impegnati ad osservare e a giudicare ogni opera artistica magica e babbana presente nella villa di Philip Ma.

C’era qualcosa, nel modo in cui i volti delle persone nel dipinto erano raffigurati, da far pensare a Hugo che la mano dell’artista avesse voluto deformare volontariamente le normali fisionomie facciali, ma rimaneva perplesso sul motivo alla base di una simile scelta.

«Non mi piace molto», disse, dopo qualche secondo di silenzio, Morgan, sollevando le spalle: «Tu che dici?»

Hugo prese un piccolo sorso di vino elfico e annuì: «Concordo, sono certo che ci debba essere una spiegazione dietro ai volti deformati, ma non riesco a capire quale possa essere».

Morgan annuì a sua volta e sorrise: «Passiamo oltre?»

L’elemento artistico in cui si imbatterono successivamente era una statua in marmo bianco, che rappresentava una giovane donna tra le braccia di un ragazzo alato. Si poteva chiaramente capire, dall’immobilità della statua, che era stata confezionata da mani babbane.

«Bello», sussurrò Morgan, appena posò gli occhi sul marmo bianco: «Mi trasmette un senso di pace e serenità».

«È di una bellezza struggente, sembra quasi di assistere ad un breve istante di gioia, prima che accada qualcosa di brutto».

Morgan spostò il proprio sguardo dalla statua, per posarlo sul profilo del volto di Hugo: «Dici?»

Il ragazzo scrollò le spalle: «Magari è il mio pessimismo che parla».

Morgan sorrise appena, poi si morse il labbro e distolse lo sguardo.

Era da due giorni prima, da quando erano stati all’Alhambra e avevano rischiato di essere incantati da un fantasma veela, che Morgan cercava le parole per confidare a Hugo ciò che avrebbe dovuto dirgli fin da quella prima sera, quando avevano ballato insieme e Morgan aveva capito con cristallina chiarezza di essersi presa una cotta per lui.

Aveva provato a dirglielo il giorno prima, quando gli aveva mostrato la sauna della villa e la voliera dell’ultimo piano — le uniche zone della casa che non aveva ancora avuto occasione di fargli visitare — ma all’ultimo momento aveva cambiato idea e aveva riempito il silenzio confessandogli di voler frequentare un corso per diventare giornalista, una volta tornata a Londra.

Quel pomeriggio, mentre passeggiavano per le vie dello shopping e parlavano di quanto l’adolescenza fosse piena di cambiamenti e confusione, Morgan aveva sentito il bisogno, ancora una volta, di farsi coraggio e confidare tutto a Hugo. Ma il momento era passato troppo in fretta e l’istante successivo, Hugo la stava trascinando dentro ad un negozio di abiti babbani, con l’intenzione di comprarle un bellissimo foulard che aveva visto in vetrina.

Morgan si portò la mano al collo, dove aveva legato il regalo di Hugo prima di uscire di casa e sorrise.

«Tutto bene?», chiese Hugo, con le labbra a pochi centimetri dall’orecchio della ragazza.

Morgan annuì: «Sì, stavo pensando».

«A cosa?», chiese Hugo, prima di finire l’ultimo sorso di burrobirra.

«C’è una cosa che dovrei dirti», riuscì a sussurrare Morgan, sentendo chiaramente le proprie spalle e la schiena irrigidirsi per l’apprensione: «Ma non riesco a trovare le parole per farlo».

Hugo annuì silenziosamente, mentre teneva lo sguardo sulla statua in marmo di fronte a loro; quando parlò, lo fece con un tono di voce dolce e comprensivo: «E se ti dicessi che so già cosa non trovi le parole per dirmi?»

Morgan sciolse la stretta del proprio braccio intorno a quello di Hugo e lo guardò dritto in faccia, cercando di capire dall’espressione del ragazzo se fosse sincero o meno.

«Te l’ha detto Scorpius?», chiese subito, con un tono di voce brusco e pieno di paura.

«No, Morgan, nessuno mi ha detto niente, l’ho semplicemente capito», disse Hugo, premendo le mani sulle spalle della ragazza e iniziando a disegnare semicerchi leggeri sulla pelle esposta delle clavicole, nel tentativo di calmare la sua tensione: «Non devi darmi spiegazioni se non vuoi, non devi dirmi nulla se non ti senti a tuo agio a parlarmene… Non voglio che tu pensi di avermi ingannato o mentito. Tu mi piaci, Morgan, e…»

«Quando l’hai capito?», sussurrò con un filo di voce la ragazza, tenendo lo sguardo basso, per nascondere l’espressione piena di orrore sul suo viso.

«L’altro giorno, quando eravamo all’Alhambra, sono riuscito a mettere insieme i pezzi del puzzle, ma quando l’ho capito è stato come avere la conferma di qualcosa che già sentivo di sapere dal primo giorno…»

Morgan annuì: «Capisco», disse, liberandosi con un movimento brusco dalle mani di Hugo, ancora appoggiate delicatamente sulle sue spalle, per poi puntare i propri occhi azzurri in quelli scuri del ragazzo: «È per questo che non hai più provato a baciarmi?»

Hugo aggrottò la fronte: «Cosa? No!»

«E perché…?», le voce di Morgan si spezzò e Hugo si rese conto solo in quel momento, che gli occhi della ragazza erano pieni di lacrime non versate: «Perché, allora?»

Hugo fece un passo in avanti, deciso a stringere le proprie braccia intorno all figura di Morgan, che all’improvviso gli appariva tanto fragile da potersi frantumare da un momento all’altro. La consapevolezza di esser stato lui, anche se involontariamente, a trasformare la forza e sicurezza della ragazza in debolezza e incertezza, lo lasciava senza parole e con il forte desiderio di tornare indietro nel tempo e scegliere con più cura le proprie parole.

Morgan fece un passo indietro, sfuggendo al contatto, e Hugo sospirò: «Perché mi piaci e sono terrorizzato dall’idea di poter rovinare tutto facendo un passo falso; come baciarti nel momento sbagliato, o dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato, o non riuscire a dimostrarti quanto io ti voglia».

Morgan non disse niente per qualche secondo, poi sussurrò: «Ho bisogno di riflettere da sola» e prima che Hugo potesse fermarla, la ragazza scomparve nel camino più vicino, avvolta da spesse fiamme verdi.

Hugo rimase immobile, di fronte a lui continuava ad esserci la statua in marmo, con i due amanti fermi nell’istante dello struggente incontro, ma non riusciva a metterla a fuoco; tutto quello che poteva fare era ripensare alla conversazione, che aveva appena avuto con Morgan e chiedersi dove avesse sbagliato e cosa potesse fare per chiedere scusa alla ragazza.

Aveva pensato di poter evitare incomprensioni, disagi o momenti d’imbarazzo, dicendole di sapere già tutto.

Tutto.

Non era vero che sapeva tutto, sapeva un po’, quello che era stato facile intuire osservandola e conoscendola negli ultimi giorni.

Sapeva ad esempio che a Morgan piacevano molto i foulard, per questo gliene aveva comprato uno il giorno prima, e sapeva che non l’aveva mai vista senza, il che gli aveva lasciato l’impressione che il loro scopo fosse quello di nascondere qualcosa.

Sapeva che Morgan aveva comprato una fiala di un qualche misterioso prodotto nel mercato dell’Alcaicería e, anche se non aveva scoperto altro al riguardo, aveva dato per scontato che c’entrasse con la sua riluttanza nel voler mostrare la gola.

Sapeva che il giorno in cui erano stati all’Alhambra e il fantasma veela aveva iniziato a cantare, era rimasta anche lei incantata da quel suono.

Ma soprattutto sapeva che a Morgan davano fastidio i quadri bigotti che si trovavano al piano terra della villa dello zio, quelli che la facevano sentire a disagio e la innervosivano chiamandola “signore”.

No, Hugo non sapeva tutto, ma quello che sapeva l’aveva portato a capire che Morgan era una ragazza trans, quasi fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrata.

E questa conoscenza non influiva o cambiava in nessun modo il tipo di attrazione che provava per lei o il batticuore che sentiva in gola ogni volta che pensava a quanto avrebbe voluto baciarla e stringerla tra le braccia.

«Hugo?»

La voce di Rose alle sue spalle lo distolse bruscamente dai propri pensieri; c’era qualcosa nel tono della sorella che gli fece capire fin da subito che qualcosa non andava.

Appena Hugo si voltò, notò il modo in cui la sorella si mordeva il labbro inferiore e giocherellava con gli anelli che aveva alle dita ed ebbe la conferma dei propri sospetti: c’era davvero qualcosa che non andava.

«Dimmi, Rose».

«Ho parlato con mamma al telefono», disse la ragazza, tenendo per qualche istante lo sguardo basso: «A quanto pare sa che io e Scorpius stiamo insieme».

Hugo sbarrò gli occhi a quella notizia e si avvicinò all’istante alla sorella, per poi appoggiare una mano sulla sua spalla: «Si è arrabbiata tanto?»

La ragazza scosse la testa e un lieve sorriso le comparve sulle labbra: «No, mi ha solo detto di stare attenta e di parlare con lei se mai avrò bisogno d’aiuto… Se mi avesse urlato contro sarebbe stato meglio, avrei provato meno senso di colpa».

«Capisco», disse Hugo, ricordando ogni volta che, con il suo tono comprensivo e le sue parole rassicuranti, la madre aveva finito per farlo sentire peggio di quanto si sarebbe sentito, se avesse ricevuto invece una vera e propria ramanzina.

Fu Rose a spezzare nuovamente il silenzio: «Hai litigato con Morgan?»

Hugo annuì, portando istintivamente lo sguardo verso il camino attraverso il quale la cugina di Scorpius era scomparsa, pochi minuti prima.

«Penso che tu debba correrle dietro», gli consigliò Rose, osservando l’espressione smarrita sul volto del fratello: «È meglio chiarire subito ogni possibile dubbio».

Hugo annuì e proprio in quell’istante, mentre si chiedeva dove poteva mai iniziare a cercare Morgan, la risposta a quella domanda gli apparve cristallina in mente; c’era solo un posto, in tutta Granada, dove Morgan aveva detto di sentirsi in pace con se stessa ed era lì che sarebbe andato a cercarla.

Rose osservò con un’espressione colma di orgoglio il fratello, che afferrata una manciata di Metropolvere scomparve avvolto dalle fiamme verdi nel camino, dopodiché attraversò la sala, diretta all’angolo dove aveva lasciato Scorpius  poco prima.

«Tutto bene?», chiese il ragazzo, avvolgendo la vita di Rose con un braccio.

La ragazza sospirò: «A quanto pare Hugo e Morgan hanno litigato e mia mamma è venuta a sapere che io e te stiamo insieme da tempo».

Scorpius non si scompose nel sentire quelle parole, malgrado Rose avesse immaginato una reazione diversa da parte dell’ex Serpeverde, e premette semplicemente le proprie labbra contro la tempia della ragazza: «Sapevamo che sarebbe successo, prima o poi».

Rose sospirò rumorosamente: «Sì, ma pensavo che sarei stata io a dirglielo… mi chiedo chi abbia fatto la spia…»

«Si è arrabbiata?»

Rose scosse la testa: «No, mamma è stata fin troppo comprensiva, come sempre. Dice che vorrebbe conoscerti…»

«Sarei onorato di conoscere la Ministra», rispose Scorpius, sorridendo affabile: «Ma penso che potremmo discutere ulteriormente di questo argomento domani, sai cosa vorrei fare in questo preciso momento?»

Rose spostò lo sguardo sul volto del ragazzo; osservandone l’espressione serena e la punta di malizia ben visibile nei suoi occhi, sentì le proprie guance avvampare.

«Cosa?»

«Vorrei ballare con la mia intelligente e affascinante ragazza», disse Scorpius, iniziando a muovere i primi passi verso la stanza di Casa de Cedros adibita a sala da ballo, dove un gruppetto di invitati stava danzando sulle note di un valzer.

«Sai che sono scoordinata», disse Rose, senza però impedire al ragazzo di trascinarla verso la nuova destinazione.

«Lo so, vorrà dire che farò attenzione, cosicché i miei piedi non si trovino mai sotto i tuoi», disse Scorpius, sorridendole apertamente.

Rose non trovò nulla con cui ribattere.

 


 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine di un altro capitolo, che spero vivamente vi sia piaciuto!

Non sono tanto sicura sul titolo, ma è il meno peggio a cui sono riuscita a pensare, quindi per il momento rimane così, e a proposito del titolo e del suo significato, spero che la "rivelazione" del capitolo non vi abbia sconvolto troppo.

So per certo che alcun* di voi avevano già intuito questo "colpo di scena" perché me l'hanno scritto in privato, ma vorrei comunque sapere cosa ne pensate: l'avevate capito? È stata una sorpresa?

Fatemi sapere!

E della chiamata e reazione di Hermione cosa ne pensate?

(A proposito, penso proprio che nel prossimo capitolo torneremo a vedere come la nostra  Ministra della Magia se la passa a Londra...)

Detto ciò vi mando un grosso bacio e vi auguro un buon proseguimento!

A presto,

LazySoul

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Capitolo 18
*** Di quando Hermione firmò le carte del divorzio ***


18. Di quando Hermione firmò le carte del divorzio

 


Il sabato mattina trascorse in quello che ad Hermione parve un battito di ciglia; tra una veloce colazione con il direttore della Gazzetta del Profeta e un pranzo di beneficienza a casa di Anthony Goldstein, Hermione tornò nella sua stanza del Paiolo Magico nel primo pomeriggio, con un terribile mal di testa e gli occhi che le bruciavano per la stanchezza.

Era ormai da una settimana che soggiornava in quella stanza molto semplice e spartana; con giusto un letto in cui poter dormire, un comodino con una abat-jour, un armadio stretto e poco capiente, una piccola scrivania e una seggiola in legno tarlato. L’unico elemento decorativo della camera consisteva in un quadretto dalla cornice nera, che raffigurava un deserto campo di papaveri rossi dolcemente mossi dal vento.

Le prime volte Hermione si era spaventata nel notare quella macchia rossa con la coda dell’occhio, poi aveva imparato a non farci caso e ora trovava quasi rilassante il dondolio dei papaveri sul verde del prato.

Hermione sapeva che era arrivato il momento di trovarsi un vero e proprio appartamento — era da giorni che il pensiero la tormentava nei momenti meno probabili — ma l’idea di andare avanti, di gettarsi ciecamente nelle mani di un futuro che ancora non era riuscita a prevedere con chiarezza, la destabilizzava.

Eppure non poteva continuare a vivere in quel limbo che si era creata; dove era ancora una donna sposata senza esserlo per davvero, dove aveva un alloggio che non era veramente suo.

Perché continuava a crogiolarsi nell’incertezza e nell’insoddisfazione? Nostalgia? Paura del futuro?

Hermione si sfilò il mantello, lo appese all’appendiabiti accanto all’ingresso ed estrasse dalla borsa della spesa ai piedi del letto una bottiglia di vino bianco — acquistata due sere prima, quando aveva pensato di trascorrere la serata ad ubriacarsi, ma aveva finito coll’addormentarsi prima ancora di aver aperto la bottiglia.

Le bastò un semplice incantesimo per rimuovere il tappo in sughero, poi si sedette contro la testata in legno del letto e rimase immobile, con il collo della bottiglia stretto in una mano e l’espressione persa ad osservare il quadro di papaveri, accanto alla porta.

Prese un primo sorso con gesti incerti, saggiando quel vino tiepido con una smorfia di ribrezzo in viso, ma accogliendo il bruciore dell’alcol, che le si propagò fino allo stomaco, con gratitudine.

Non aveva mai amato molto bere alcolici, soprattutto se fuori dai pasti e ad orari improbabili della giornata, ma sentiva di aver bisogno di un po’ di coraggio liquido per fare quello che aveva deciso di fare quella mattina, appena aveva aperto gli occhi: ridare un senso alla propria vita, partendo magari dal firmare le carte del divorzio.

Lo sguardo le si posò subito sulla ventiquattrore, che si trovava sulla piccola scrivania che occupava un angolo della stanza, dove sapeva trovarsi il plico di fogli che Ronald le aveva fatto recapitare in ufficio giorni prima; fogli che non aveva ancora letto per intero e che temeva non sarebbe mai riuscita a firmare.

Chiuse per qualche istante gli occhi, poi prese un altro sorso di vino e premette la nuca contro la struttura scomoda della testiera, sentendo il legno scavarle contro la pelle delicata della nuca.

In un primo momento pensò a Draco Malfoy e alla cena della sera prima. Di tutto si sarebbe aspettata da quella cena, tranne scoprire così tanti retroscena della vita passata dell’ex Serpeverde o venire a sapere che sua figlia e il figlio di Malfoy erano da anni una coppia.

Hermione prese nuovamente un sorso di vino.

Aveva cose più importanti a cui pensare in quel momento, ma si ritrovò, suo malgrado, a ritornare con la mente alla sera prima e alla sensazione di pace e appartenenza che aveva provato in compagnia di Draco Malfoy.

C’era qualcosa tra di loro, a cui non era intenzionata a voltare le spalle tanto presto.

Attrazione? Curiosità? Desiderio?

Hermione non era sicura, ma pensare a Malfoy la faceva sorridere e tanto bastava in quel momento per convincerla che non avrebbe rinunciato a quella felicità tanto facilmente.

Quando riaprì gli occhi, lo sguardo le si posò nuovamente sulla sua ventiquattrore e il sorriso scomparve, sostituito da un’espressione indurita dall’apprensione e incertezza.

Non aveva tempo di pensare a Malfoy, non quando aveva altre mille incombenze ben più importanti di cui occuparsi, come firmare le carte del divorzio, per esempio.

Capire perché Rose le avesse tenuta nascosta la sua relazione con Scorpius Malfoy, per esempio.

Cercare di appianare o per lo meno di rendere civile il proprio rapporto con Ronald e Harry, i suoi due migliori amici che da poco aveva scoperto amarsi, per esempio.

Hermione prese un altro sorso di vino.

Per quanto soffrisse e fosse arrabbiata, per quanto desiderasse piangere e distruggere ogni cosa in quella stanza; Hermione provava anche una profonda tenerezza.

Ron e Harry si amavano e se il loro amore non avesse significato in automatico la fine del suo matrimonio e il crollo di ogni sua certezza, Hermione era certa che la sua prima reazione a quella notizia sarebbe stata gioia e forse anche un pizzico d’invidia.

Ron era sempre stato ossessionato da Harry in un modo che Hermione non aveva mai capito.

Anche ad Hogwarts il legame che aveva unito i suoi due migliori amici era sempre stato tanto forte da impedire a chiunque di abbatterlo.

Certo, c’erano stati momenti in cui Ron aveva voltato le spalle ad Harry, momenti in cui Hermione aveva temuto che il loro legame si sarebbe spezzato per sempre.

Ogni volta però, tutto finiva per trovare magicamente una soluzione e i suoi due migliori amici tornavano a coltivare con attenzione e dedizione il legame che li univa tanto strettamente.

Hermione avrebbe dovuto capire anni prima, che per quanto amasse Ronald e Ronald amasse lei, nel cuore del marito lei avrebbe sempre occupato il secondo posto.

Invece era stata ingenua, aveva pensato che la distanza sempre maggiore tra lei e Ron, durante gli anni di matrimonio, fosse un sintomo normale del tempo che passava.

Quale coppia sposata da vent’anni non aveva qualche problemino? Qualche momento di crisi o la necessità di prendere le distanze?

Quanto era stata ingenua!

Con un Accio appena sussurrato attirò a sé la ventiquattrore e ne estrasse con gesti nervosi i documenti del divorzio, una boccetta d’inchiostro e una piuma.

Era stata ingenua, era stata egoista, era stata sciocca.

Aveva cercato di sopprimere ogni emozione e cos’aveva ottenuto? Pianti a dir poco imbarazzanti di fronte all’unica persona con cui si era confidata.

Hermione bevve un sorso di vino più lungo degli altri, e lasciò che la dolorosa stretta che sentiva in petto trovasse sfogo nelle lacrime che le rigavano il viso e nei singhiozzi che le sfuggivano dalle labbra.

Aveva cercato di sopprimere le proprie emozioni per troppo tempo, e per cosa? Per essere forte?

Ma era davvero sinonimo di forza reprimere il proprio dolore fino a stare tanto male da perdere la ragione?

Non ne era più tanto sicura.

Con gli occhi appannati dalle lacrime e la mente offuscata dall’alcol, le sembrò facile prendere in mano le carte del divorzio, intingere la punta della piuma nella boccetta d’inchiostro e iniziare ad apporre la propria firma accanto ad ogni X che trovava sulle carte del divorzio.

Non si fermò neanche a leggere per intero i documenti; tanti fogli sprecati, quando sarebbero bastate poche semplici parole: “Io, Ronald Bilius Weasley, dichiaro di fronte alla legge del Mondo Magico, che ci ha uniti in matrimonio vent’anni fa, di lasciare te, Hermione Jane Granger, e di spezzare in questo modo il vincolo matrimoniale che ci univa”.

Hermione non avrebbe saputo dire cosa provò una volta che finì di firmare i documenti.

Non era sollievo, non era felicità e non era tristezza, ma era uno strano miscuglio di tutti quei sentimenti.

Era come chiudere definitivamente un capitolo della propria vita e ritrovarsi di fronte all’ignoto, incerti e impauriti di fronte alle infinite possibilità.

Hermione riunì in una pila ordinata le carte del divorzio e, insieme alla piuma e alla boccetta d’inchiostro, le ripose nella ventiquattrore, per poi posare la bottiglia di vino bevuta per tre quarti sul comodino e acciambellarsi nel letto.

Non le ci volle molto per addormentarsi, cullata dai propri respiri spezzati dai singhiozzi e con la guancia premuta contro la fredda pelle della valigetta.

Quando si svegliò era ormai passata da un pezzo l’ora di cena, aveva un terribile mal di testa, molto probabilmente causato dal vino che aveva bevuto sconsideratamente e si sentiva gli occhi ancora gonfi per il pianto.

Fu in quello stato che chiamò Rose al cellulare.

In parte perché aveva bisogno di sentire la sua voce, in parte perché voleva accertarsi che la vacanza procedesse secondo i piani e che lei e Hugo stessero bene.

Rose rispose al terzo squillo ed Hermione si sentì istantaneamente più tranquilla nell’ascoltare i resoconti positivi della figlia riguardo all’Alhambra e il mercato dell’Alcaicería.

Poi, appena ci furono una manciata di secondi di silenzio, Hermione non riuscì a fermarsi e disse, con un tono di voce tranquillo e privo di qualsiasi tipo di accusa o rimprovero: «So di te e Scorpius, Rose».

Hermione aveva pensato inizialmente di aspettare che la figlia tornasse a Londra per parlarle faccia a faccia della questione, ma si era resa conto in quel momento, mentre sentiva il tono spensierato con cui la figlia le raccontava dei luoghi visitati e di quanto le stesse piacendo Granada, che appena si sarebbero riviste l’unico argomento di conversazione che avrebbero trattato sarebbe stato quello del divorzio e le sembrava ingiusto sovraccaricare la figlia di inutili preoccupazioni tutte in una volta.

Forse stava sbagliando, non sarebbe stata la prima volta e probabilmente nemmeno l’ultima, ma essere madre, aveva scoperto con gli anni, voleva dire a volte seguire il proprio istinto e basta.

«Non sono arrabbiata, Rosie, mi dispiace solo che tu non abbia voluto confidarti con me, ma forse me lo sono meritato… Il lavoro mi tiene parecchio impegnata e magari hai pensato che non avessi abbastanza tempo da dedicarti… Voglio che tu sappia che per quanto io possa essere impegnata al lavoro, avrò sempre tempo per te e per Hugo, ok? E che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, ok?»

«Ok», disse semplicemente Rose, dall’altro capo del telefono e Hermione non poté fare a meno di chiedersi, ancora una volta, se avesse scelto il momento giusto per parlargliene.

«Lo sai che ti voglio bene, vero?», aggiunse la donna, asciugandosi con gesti nervosi le lacrime che erano tornate a rigarle il viso.

«Certo, mamma, anche io ti voglio bene», rispose Rose: «Mi dispiace non averti detto niente, stavo aspettando il momento giusto».

«Lo so, Rosie, ne riparleremo quando torni, nel frattempo fai attenzione e divertiti. Quando poi sarai pronta mi piacerebbe conoscere questo giovanotto, immagino che sia un ragazzo speciale per aver catturato l’attenzione di una ragazza intelligente come te».

Hermione non poteva vedere l’espressione di Rose in quel momento, ma era certa che la figlia stesse sorridendo, quando le rispose: «Sì, è molto speciale».

Gli occhi di Hermione si soffermarono per qualche secondo sul quadro coi papaveri e, colta da un’improvvisa ispirazione, salutò la figlia: «Ora devo andare tesoro, ci vediamo presto e salutami tanto Hugo!»

«Certo, mamma, ti voglio bene».

Hermione, terminata la conversazione, non perse tempo e, recuperata una pergamena, scrisse rapidamente una lettera da allegare ai documenti del divorzio, poi inserì tutto in una busta abbastanza grande e scese al piano di sotto, dove prese uno dei gufi a disposizione degli ospiti del Paiolo Magico, per spedire tutto quanto a Ronald.

Una volta tornata in camera sua, fece evanescere la bottiglia di vino che si trovava ancora sul suo comodino e pulì la macchia d’inchiostro sul copriletto, che doveva aver fatto la sera prima, mentre firmava le carte del divorzio, poi recuperò il mantello e uscì nuovamente al piano di sotto.

Salutò Tom con un gesto veloce della mano e, una volta fuori dal Paiolo Magico, si smaterializzò.

Comparve a un centinaio di metri dall’appartamento di Draco Malfoy e, solo in quel momento, si prese qualche secondo per respirare a fondo e pensare a ciò che stava facendo.

Non sapeva se il proprietario di Babbananze sarebbe stato in casa, non sapeva nemmeno se avrebbe gradito quella sua improvvisa visita, eppure sentiva che doveva parlargli a tutti i costi.

Percorse con passo sostenuto l’ultimo tratto di strada poi suonò il campanello e nell’arco di una manciata di secondi la porta d’ingresso del palazzo si aprì.

Hermione, che conosceva bene le usanze e le tecnologie babbane, prese l’ascensore per salire fino all’ultimo piano e rimase piacevolmente sorpresa nel trovare Draco Malfoy ad attenderla, di fronte alla porta socchiusa della sua casa.

«Ciao, ti disturbo?», chiese Hermione, mantenendo un paio di metri di distanza, mentre osservava il pigiama a righe bianche e rosse che indossava l’uomo, chiedendosi se non avrebbe dovuto avvisarlo, prima di piombargli in casa.

«No, sono soltanto sorpreso», disse Malfoy, spostandosi dall’ingresso per farla entrare: «Stai bene?»

Hermione attese qualche istante per riordinare le idee, poi fece un paio di passi avanti e si posizionò di fronte all’uomo, puntando i suoi occhi scuri in quelli chiari di lui: «Scusa se sono arrivata qua senza preavviso, mi rendo conto che sia stato un comportamento a dir poco infantile, ma avevo bisogno di parlare con te».

Draco approfittò dell’istante di silenzio per indicarle con il capo il salotto alle sue spalle: «Entra».

Hermione scosse il capo: «Non voglio importi la mia presenza per più tempo di quanto sia strettamente necessario, quindi se non ti dispiace, preferirei parlarti qua, sul pianerottolo».

Draco scrollò le spalle e un sorriso divertito gli apparve sulle labbra sottili: «Come preferisci».

Hermione annuì, prese un profondo respiro e lasciò che le parole le sgorgassero dalla bocca, senza soppesarle troppo: «Ho firmato le carte del divorzio e le ho spedite a Ronald, gli ho anche chiesto di vederci uno di questi giorni, prima che i ragazzi tornino da Granada. Ho quest’assurdo presentimento che potremmo far funzionare questa situazione, che magari non è troppo tardi per tornare ad essere amici e volerci bene… Penso che sia la soluzione migliore non solo per me, ma anche per i ragazzi e per Ronald».

Draco Malfoy non disse niente; si limitò ad annuire, mentre osservava Hermione con occhi attenti.

«Probabilmente non t’importa nulla del mio piccolo dramma familiare e mi sto soltanto rendendo ridicola, ma vorrei ringraziarti per ieri sera, per essere stato molto dolce e comprensivo; anche se avresti potuto benissimo rimandarmi a casa appena ho iniziato a piangere come una fontana. Invece hai deciso di prendere la strada meno facile e di provare a starmi vicino, quindi grazie», Hermione alzò una mano, così da zittire le parole che Draco stava per dire: «Aspetta, non ho finito. Vorrei soltanto dire ancora una cosa: ieri sera mi hai anche aiutato a capire che nascondere e soffocare le mie emozioni non serve a niente. Per anni ho cercato di essere quella forte, quella che non piange e non mostra alcuna debolezza, convinta di doverlo fare per me stessa e per gli altri. Ora che so che non è così, mi sembra di essermi liberata di un enorme peso che mi opprimeva lo stomaco».

«Non devi ringraziarmi, non…»

Hermione cancellò lo spazio tra di loro e appoggiò il palmo della propria mano contro la bocca dell’uomo, cogliendolo alla sprovvista.

«Aspetta, devo dire ancora una cosa», disse Hermione con un filo di voce, sostenendo lo sguardo sorpreso dell’uomo: «È un periodo molto confuso della mia vita e non penso di avere molto tempo da poter dedicare a me stessa, ma voglio che tu sappia che mi piaci e che mi piacerebbe conoscerti meglio e che non siamo obbligati a diventare niente che non vogliamo. Mi basterebbe esserti amica, perché sento di aver bisogno di te nella mia vita per sentirmi un po’ meno sola».

Hermione spostò la propria mano dal volto dell’uomo e sorrise timidamente: «Ok, ora ho finito».

Per qualche secondo Draco non disse niente, rimase semplicemente lì, sulla soglia di casa propria, con un’espressione colma di stupore e la bocca socchiusa, poi si riscosse e sorrise, ed Hermione percepì chiaramente le sue guance farsi incandescenti.

«Anche a me piacerebbe conoscerti meglio, Hermione, senza fretta, senza impegni, solo due persone sole che si tengono compagnia per non sentirsi così tanto sole. E se col tempo dovesse nascere qualcosa di più profondo di una semplice amicizia, ne parleremo quando sarà il momento e decideremo insieme come comportarci».

Hermione si asciugò con un gesto veloce le lacrime che avevano iniziato ad appannarle la vista e annuì: «Sono d’accordo, dove devo firmare?»

Draco scoppiò a ridere e si sporse per inglobare il corpo della donna in un abbraccio lungo e caldo.

«Nessuna firma, Hermione, mi basta la tua parola: ci stai?»

«Ci sto, Draco», sussurrò con voce sicura la donna contro la spalla dell’uomo: «E tu? Ci stai?»

«Sì, ci sto».

 

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Capitolo 19
*** Di quando Albus perse Haiyun e Hugo raggiunse Morgan ***


19. Di quando Albus perse Haiyun e Hugo raggiunse Morgan


 

La festa a Villa del los Cedros raggiunse il culmine quando Philip Ma tenne il suo discorso di rito, in cui ringraziava gli ospiti, raccontava un paio di aneddoti inediti o poco conosciuti sulla sua vita da star del Quidditch e chiudeva con una barzelletta su un cacciatore dei Chudley Cannons, una cercatrice delle Holyhead Harpies e un battitore dei Ballycastle Bats che entravano in un bar alla ricerca delle rispettive palle.

La barzelletta risultò essere tanto sconcia quanto si era aspettata Lily appena ne aveva sentito l'incipit, ma ciò non le impedì di ridere sguaiatamente nel sentirne il finale. In fondo era stato Philip Ma a raccontarla, e Lily non poteva privare quella leggenda vivente della soddisfazione di sentire calde risate alla fine di un racconto il cui scopo era divertire.

Mentre The Rocket intratteneva parte dei suoi ospiti con battute e aneddoti, Fred vinceva, nella sala accanto, la sua terza mano a poker e Jill rubava il suo secondo collier di diamanti, senza essere notato; nella sala da ballo Rose e Scorpius alternavano brevi volteggi scoordinati a lunghe pause in poltrona, durante le quali commentavano la qualità del cibo e della musica o semplicemente godevano della reciproca compagnia.

Al culmine di quella serata all'insegna del divertimento, Albus Severus Potter, appoggiato alla balaustra del terrazzo, osservava il cielo blu scuro e le stelle che lo punteggiavano, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a trovare una ragazza adatta a lui.

Aveva pensato che Haiyun potesse essere "quella giusta"; intelligente, educata, con un sorriso che gli faceva tremare le ginocchia... si era illuso che quel breve amore estivo potesse essere qualcosa di più.

Per questo, senza pensare alle possibili conseguenze, aveva detto ad Haiyun che avrebbero potuto trovare un modo per far funzionare anche a distanza la loro relazione e che non era necessario lasciarsi con la fine della sua vacanza a Granada.

Aveva dato per scontato che lei non solo avrebbe accettato, ma che ne sarebbe stata anche entusiasta.

Invece la serata era andata a rotoli dal preciso istante in cui aveva proposto la relazione a distanza alla ragazza; Haiyun si era fatta improvvisamente silenziosa e pensierosa e, dopo qualche minuto di completo mutismo, gli aveva detto che non era disposta a stravolgere la propria vita per un ragazzo, per quanto quel ragazzo fosse simpatico e carino.

Albus era rimasto letteralmente senza parole.

Certo, era consapevole di essere stato un po' troppo esuberante, soprattutto al loro primo incontro e con quella stupida lettera d'amore, ispirata a un paio di sonetti di Shakespeare che conosceva grazie a zia Hermione, ma Haiyun non aveva mai mostrato di disprezzare quel suo lato esageratamente romantico e dolce, o il modo arrogante con cui a volte parlava di sé e delle sue avventure ad Hogwarts.

Albus aveva pensato che i lunghi silenzi della ragazza fossero stati dettati dalla timidezza e dal desiderio di ascoltare; ma in quel momento, appoggiato alla balaustra del terrazzo e con gli occhi puntati al cielo, si chiedeva quanto fosse riuscito davvero a capire Haiyun e i suoi silenzi.

Sapeva che la ragazza studiava pozioni e che era intenzionata a diventare la migliore pozionista al mondo; sapeva che non aveva avuto un'infanzia e un'adolescenza facili da quando i suoi genitori avevano divorziato e la madre aveva cominciato a portarsela in lungo e in largo per l'Europa nel tentativo di mettere più chilometri possibili tra loro e l'ex marito; sapeva che amava l'autunno per il suo odore di caldarroste e i colori caldi delle foglie sugli alberi, sapeva che amava la puntualità e la precisione e che il suo piatto preferito era il tiramisù.

Albus sospirò.

Più ci pensava e più si rendeva conto che le cose che conosceva di Haiyun si potevano contare sulle dita di una mano, così come le cose che lei doveva conoscere di lui potevano essere riassunte in poche parole: esageratamente romantico, arrogante, coraggioso e chiacchierone.

Forse Albus era stato soltanto più ingenuo, nel pensare che la loro storia avrebbe potuto funzionare anche a distanza, ma sembrava che entrambi avessero subconsciamente deciso di tenere per sé i propri segreti durante le lunghe ore che avevano passato insieme, da quando si erano conosciuti.

Cosa poteva aspettarsi, in fondo, da un amore estivo?

Albus distolse lo sguardo dalle stelle e si allontanò dalla balaustra e dal terrazzo, diretto alla sala da ballo.

Gli dispiaceva che Haiyun se ne fosse andata subito dopo avergli spezzato il cuore, impedendogli di ballare con lei quanto avrebbe voluto, ma era sicuro che fosse stato meglio così.

Albus afferrò un calice di vino elfico e lo sorseggiò lentamente, mentre un triste sorriso gli compariva sulle labbra: aveva passato giorni a vantarsi di imprese eroiche e avventure spettacolari e poi era stata Haiyun, la silenziosa e sorridente Haiyun, a mostrare il coraggio necessario per terminare quella stramba relazione estiva che non aveva né capo né coda...

Gli occhi del ragazzo si spostarono sul camino accanto al terrazzo, dal quale Haiyun era scomparsa una manciata di minuti prima, e ogni traccia di risentimento o rabbia che erano sul punto di sbocciare in lui vennero sradicati con forza.

Avrebbe sempre mantenuto nel cuore un ricordo piacevole delle ore passate insieme, dei baci delicati come sussurri che si erano scambiati e del sorriso triste che compariva sulle labbra di Haiyun, quando pensava di non essere vista.

Albus si sedette su un divano in pelle rossa, che si trovava di fronte a un quadro babbano, in cui cerchi dai colori vivaci e linee spezzate nere si trovavano racchiusi in un cerchio nero più grande.

Quando il posto accanto al suo venne occupato da una giovane strega dai corti capelli biondi e le labbra atteggiate in una smorfia annoiata, Albus mise da parte i ricordi di quella fugace relazione — neanche la più breve della sua vita — con Haiyun e sorrise alla sconosciuta.

«Per caso ti intendi di arte babbana?», le chiese, attirando su di sé gli occhi eterocromatici della ragazza; un'iride tanto chiara da sembrare bianca e una tanto scura da ricordare il nero.

«No», disse con tono scontroso la ragazza, prima di incrociare le braccia al petto e distogliere lo sguardo.

Albus sorrise, prese un nuovo sorso di vino elfico e tornò ad osservare il quadro di fronte a sé: «Peccato! Mi sarebbe piaciuto discutere delle tecniche pittoriche di Kandinsky con un'esperta».

Le spalle della ragazza sembrarono irrigidirsi, poi i suoi occhi tanto diversi tra loro tornarono su Albus e lo osservarono con attenzione e un pizzico di sorpresa.

«Studi arte babbana?»

Albus conosceva molto poco di arte babbana e quel poco che conosceva lo sapeva grazie a un vecchio libro che gli era stato regalato da zia Hermione all'età di quindici anni, quando si trovava all'apice della sua fase artistica, molto prima di rendersi conto di non avere abbastanza pazienza per dedicarsi a tempo pieno alla pittura.

«Non proprio, diciamo che per quanto mi piaccia la pittura non sono mai veramente riuscito a comprenderla».

Albus capì di aver fatto colpo sulla ragazza quando la vide rilassare le spalle e lanciargli uno sguardo colmo di piacevole stupore.

In quel preciso momento per Albus la serata passò dall'essere particolarmente deprimente all'essere sorprendentemente interessante; e cosa importava se ancora non aveva trovato "quella giusta"? Non tutti potevano essere fortunati come i suoi genitori o zia Hermione e zio Ron e incontrare il loro primo anno ad Hogwart l'amore della propria vita.

A quanto pareva a lui sarebbe servito più tempo a trovare "la sua metà" — sempre che esistesse davvero una persona simile — e allora?

Albus sorrise alla sconosciuta, si mise comodo sul divano e iniziò a parlarle di quella volta che aveva creato un ritratto per ogni suo compagno di scuola, per poi incantare i quadri in modo tale che tormentassero i legittimi proprietari con barzellette sconce e canzoni natalizie stonate, aveva ottenuto una punizione esemplare e una marea di compiti in più da consegnare ai professori, ma ne era valsa la pena.

Nel preciso istante in cui la ragazza sciolse la stretta delle braccia, incrociate strettamente sul petto, e assunse una posa rilassata contro la pelle rossa del divano, Albus si presentò, allungando la propria mano per stringere quella della sconosciuta: «Io sono Albus».

«Anna».

Da quel momento in poi, Albus e Anna sfruttarono la serata e la reciproca compagnia per parlare di arte babbana e sogni infranti; Albus non avrebbe potuto essere più felice.


*


Quando Hugo arrivò al Mirador San Nicolás, l'Alhambra era illuminata da calde luci che mettevano in risalto le mura aranciate della struttura, che si stagliava nel blu intenso della notte.

Proprio come gli aveva detto Morgan, quando gli aveva parlato di quel luogo, c'erano una zingara che leggeva la mano, un signore che suonava il sitar e un'artista che alla luce bianca di un lampione faceva ritratti ai passanti.

Accanto a un gruppetto di turisti che ammirava l'Alhambra e scattava foto in continuazione, si trovava la figura di Morgan. Dava le spalle a Hugo, ma il ragazzo non aveva dubbi; avrebbe potuto riconoscere quei biondi capelli, la sua rosa tatuata sulla scapola e il foulard intorno al collo in mezzo a mille altre persone.

Hugo fece un passo avanti per poi bloccarsi.

Stava facendo la cosa giusta?

Morgan gli aveva chiesto spazio e lui le era corso dietro appena aveva capito dove poteva trovarla... Non rischiava di peggiorare la situazione?

Hugo rimase fermo, a pochi metri da Morgan, per una manciata di minuti, concentrato nell'ascolto della melodia triste che fuoriusciva dalle corde del sitar e nelle voci delle persone che si godevano la vista dell'Alhambra di notte.

Appena la musica si fece più incalzante e le note più acute, Hugo capì che non poteva continuare a rimanere lì per sempre e che avrebbe dovuto fare qualcosa.

Senza ragionarci troppo, raggiunse Morgan, seduta su una delle panchine del Mirador e occupò il posto a sedere accanto a lei.

Notò il momento in cui la ragazza lo riconobbe dal modo in cui le sue dita si strinsero a pugno e le labbra sembrarono scomparire, per quanto impallidirono.

«Mi dispiace», disse Hugo, spezzando il silenzio tra di loro: «Mi avevi detto che avevi bisogno di stare sola, quindi posso capirlo, se dovessi arrabbiarti con me; ma avevo paura che se non ti avessi trovata subito per parlare sarebbe stato peggio».

Morgan sospirò, senza distogliere lo sguardo dall'Alhambra: «E di cosa vorresti parlare?»

Il tono di voce monotono della ragazza preoccupò in un primo momento Hugo, poi il ragazzo si fece coraggio e cercò di non demoralizzarsi troppo a quel primo scoglio.

Cosa si era aspettato? Un tono gioioso e un caloroso abbraccio di benvenuto?

Era ovvio che Morgan fosse rimasta turbata dalla loro ultima conversazione, spettava a lui cercare di capire se poteva farla stare meglio e come.

«È dalla prima sera, quando abbiamo ballato insieme, che vorrei baciarti», disse Hugo, spostando lo sguardo sul profilo affilato della ragazza: «Ogni volta che avrei voluto farlo siamo stati interrotti da Lily o dalla mia timidezza o dalla mia paura di non essere abbastanza».

Gli occhi di Morgan si posarono per qualche istante nei suoi, sorpresi, poi tornarono a puntarsi ostinatamente sull'Alhambra.

«Come può una ragazza così dolce, ambiziosa e coraggiosa essere interessata a un tizio anonimo come me? Mi chiedevo e immediatamente il pensiero di baciarti mi terrorizzava».

Le labbra di Morgan si socchiusero per qualche istante, come se avesse voluto dire qualcosa, poi si richiusero in una linea sottile.

«E poi, più pensavo a quanto avrei voluto baciarti, più volevo che fosse tutto perfetto: ogni singolo dettaglio. Non volevo rischiare di rovinare ogni cosa con la mia inesperienza, infatti stavo cercando un modo carino per dirti che avresti dovuto guidarmi e aiutarmi a capire com'è che si bacia un'altra persona, senza apparire un completo idiota».

Le labbra di Morgan si mossero appena, sollevandosi agli angoli, come se non fosse stata in grado di trattenere quell'accenno di sorriso.

«E sai cosa? Mi sono reso conto che non importa se faccio la figura dello scemo o meno, se sono bravo a baciare o se sono un disastro totale; sai cosa m'importa? M'importa che tu sia felice, soprattutto se posso essere io la causa della tua felicità».

Per qualche secondo nella piazza si poté sentire solo la melodia triste del sitar e il vociare in allontanamento del gruppetto di turisti, poi Hugo strinse le mani a pugno e aggiunse: «Tu mi piaci davvero, Morgan, ma non voglio che tu ti senta obbligata a darmi un'opportunità per pura pietà. Per questo ora me ne andrò e ti lascerò pensare con calma e da sola».

La mano di Morgan si appoggiò sulla gamba più vicina di Hugo, prima che lui potesse alzarsi.

«Resta», disse semplicemente la ragazza, mostrando ad Hugo l'interezza del suo viso e non più soltanto il proprio profilo affilato: «Non siamo costretti a baciarci fino a quando non ti sentirai pronto».

«Mi sento pronto».

Le parole uscirono dalle labbra di Hugo prima che potesse rifletterci, ma non credeva di esser mai stato tanto sincero in vita sua.

Morgan scoppiò a ridere e premette la propria bocca, ancora ridente, contro quella del ragazzo.

Nessuno dei due si spinse oltre quel dolce sfiorarsi di labbra socchiuse, anche se Hugo avrebbe voluto affondare le dita tra i capelli dorati della ragazza e tenerla così ancora per un po', ancora per un secondo.

Quando Morgan interruppe il bacio, aveva ancora la bocca sorridente e gli occhi che sembravano brillarle alla luce fioca del lampione più vicino.

«Per la cronaca: temo che dovrai convivere con la consapevolezza di essere un idiota», disse la ragazza, prima di appoggiare la guancia contro la spalla di Hugo e tornare ad osservare l'Alhambra.

Hugo sorrideva tanto da avere male alle guance e non era mai stato tanto felice in vita sua.



 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Volevo pubblicarvi questo capitolo ieri, ma poi ero troppo stanca per rileggerlo e correggerlo, quindi ho sacrificato il momento lettura prima del lavoro questa mattina per riguardare il capitolo, renderlo presentabile e pubblicarvelo.

Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate della storia, anche perché ormai ci stiamo avvicinando inesorabilmente alla fine e sono curiosa di leggere quello che pensate possa accadere nei prossimi capitoli!

Vi auguro un buon lunedì e una buona settimana!

A presto,

LazySoul

 

 

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