Tales of two strange families

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neit & Caroline ***
Capitolo 2: *** Ambrose ***
Capitolo 3: *** Clio & Riocard ***



Capitolo 1
*** Neit & Caroline ***


I. Neit & Caroline  

 
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“Quindi… Quindi tuo padre sarà Ministro?”
“Pare proprio di sì.”


Neit, in piedi accanto all’enorme albero di Natale riccamente addobbato con luci e decorazioni bianche, d’argento e d’oro, annuì tenendo le mani sprofondate nelle tasche mentre osservava, sovrappensiero, la grande ghirlanda che sua madre aveva appesa sopra al caminetto del salotto due giorni prima, quando aveva reclutato tutta la famiglia per mettere le decorazioni come ogni anno, ignorando le proteste di chiunque.
Avrebbero potuto farlo gli Elfi, certo, ma Estelle costringeva tutti i membri della famiglia a farlo manualmente insieme fin da quando erano piccoli, non accettando come scuse neanche gli impegni di lavoro del marito o dei figli quando ormai erano cresciuti.
 
“Sei felice per lui?”


Neit si voltò verso Caroline, seduta sul divano con le gambe accavallate e i grandi occhi azzurri fissi su di lui, un accenno di sorriso sul volto pallido mentre Sommer se ne stava comodamente distesa ai suoi piedi.
“Sì, certo. Se lo merita, e infondo il nonno gli ha tolto ciò che gli spettava di diritto. Credo che farà un buon lavoro.”
“Ne sono convinta. Mia madre dice sempre che un uomo per combinare qualcosa deve sempre avere il supporto e i consigli di una donna, e direi che con tua madre accanto lo zio farà faville.”


“Questa è proprio una cosa che direbbe zia Penny.”
Il ragazzo abbozzò un debole sorriso mentre si avvicinava a Caroline, sedendo accanto a lei mentre Sommer alzava la testa in direzione del padrone in cerca di carezze.
“Decisamente sì. Guarda come ti vuole bene, è davvero adorabile.”
 
Caroline accarezzò il pelo scuro della lupa con un sorriso, guardandola scodinzolare mentre Neit le accarezzava le orecchie.
“Spero che non sia l’unica a volermi così bene, in questa stanza.”
“Certo che no, sciocco.”
La bionda gli circondò il collo con le braccia per depositargli un bacio su una guancia, facendolo sorridere mentre una persona ad entrambi nota entrava nella stanza con un bicchiere in mano e l’aria estremamente annoiata.
 
“Scusate piccioncini, detesto interrompervi, ma ho avuto ordini superiori di riferirvi che la cena è pronta, e sappiamo quanto Estelle diventi profondamente tediosa quando qualcuno non rispetta i suoi orari…”
“Hai perfettamente ragione zia Penny. Vieni Carol.”
Neit si alzò e porse alla cugina una mano che Caroline strinse prima di imitarlo, raggiungendo il resto della famiglia in sala da pranzo senza che le loro dita si slacciassero le une dalle altre.
 
Quando passarono accanto a Penelope, Neit poté giurare di udire la donna sibilare che “lei l’aveva detto”, ma preferì non farsi troppe domande e proseguì dritto per la sua strada.
 
*
 
 
“Ezra, sono piena di ansia!”
“Per cosa? Ti si è rovinato un vestito? Hai versato del thè su un libro di poesie?”
“Smettila di fare così, sono mortalmente seria!”
 
Caroline incrociò le braccia al petto e smise di percorrere la camera del fratello a grandi passi mentre Ezra, steso sul letto, alzava gli occhi al cielo e abbassava il libro di Storia medievale che stava leggendo per dedicarle maggiore attenzione:
“Va bene, che c’è?”
“Zio Edward è il nuovo Ministro, no?”
“Tu credi?”
Il ragazzo aggrottò la fronte, scettico, ma la maggiore decise di ignorare il suo sarcasmo e riprese il filo del discorso, parlando nervosamente mentre si tormentava una ciocca di capelli color grano:
“Quindi questo significa che Neit sarà Ministro, un giorno! A meno che non voglia rinunciare, ma onestamente non vedo perché dovrebbe farlo…”
“Esattamente. E quindi? Che problemi ci sono?”
Ezra non capiva, e se c’era una cosa che non aveva mai tollerato, fin da quando era bambino e tartassava chiunque finchè non otteneva delle risposte, era non capire.
 
“Beh, se Neit sarà Ministro e noi dovessimo… insomma, hai capito… Pensi che riuscirei ad essere all’altezza?”
“Intendi se tu e Neit doveste sposarvi?”
 
Caroline annuì, arrossendo vistosamente mentre il fratello minore alzava gli occhi al cielo: chiuse il libro, lo abbandonò accanto a sé sul copriletto e dopo essersi alzato raggiunse la sorella per stringerle le mani tra le sue, abbozzando un sorriso:
“Caroline Penelope Cavendish, sei la solita inguaribile, piccola insicura. Pensi che esista su questa grande isola chiamata Gran Bretagna una signorina più adatta di te a ricoprire il ruolo di moglie dell’uomo più importante del Paese?”
“Ma io…”
“Carol, saresti assolutamente perfetta. Anzi, sarai perfetta, perché so per certo che tu e Neit un giorno vi sposerete. E io non sbaglio mai.”
 
Caroline esitò, incerta, ma le sue labbra si incurvarono comunque in un sorriso grato prima di abbracciare il fratello con affetto, mormorando che gli voleva bene.
“Anche io ti voglio bene, Caroline.”
 
Ezra sorrise mentre le accarezzava la nuca con le dita, ma il momento idilliaco venne bruscamente interrotto dall’aprirsi della porta, rivelando la madre dei due ragazzi sulla soglia:
 
“Tesori…”
“No mamma, non puoi venire a spiare i vicini, io e Carol stiamo avendo una discussione importante e seria!”
“Tsk, ecco il ringraziamento dopo anni di affetto e di cure! Ingrato… Comunque, mi è sembrato di udire la parola “sposerete”… di che cosa parlavate?”
 
Penelope sfoderò il più amabile dei suoi sorrisi mentre si rigirava il binocolo da teatro tra le dita, guardando i figli rivolerle due identiche occhiate esasperate.
“Merlino, meno male che nessuno di noi due ha ereditati la tua vena pettegola, mamma.”
“Io non sono affatto pettegola, mio caro Ezra, sono solo in costante ricerca di informazioni sulle vite altrui, ed è molto diverso.”
“Ah davvero?”
 
“Certo!”
 
*
 
 
“Neit…”
Quando la sorella gemella gli si era avvicinata sfoderando un sorriso angelico e parlando con il tono più zuccheroso che le avesse mai udito addosso, Neit aveva sospirato, parlando senza distogliere lo sguardo dalla scacchiera che aveva di fronte.
“Clio, me l’hai già chiesto ieri, e anche la settimana scorsa. La risposta è la stessa.”
“Come fai a sapere che volevo chiederti quella cosa?!”
 
Clio spalancò gli occhi, sconcertata, e stava quasi per chiedersi se quelle strane voci sulla telepatia dei gemelli fossero vere quando il fratello le lanciò un’occhiata rassegnata:
“Clio, quelle voci sui gemelli sono idiozie.”
“Per la sottana di Tosca, ma stavo pensando proprio a quello! Come fai a saperlo? Ti alleni come Legilimens e non mi dici nulla?”  
Clio incrociò le braccia al petto, lanciandogli un’occhiata sospettosa mentre il fratello invece sospirava, alzando gli occhi al cielo:
“Perché era prevedibile… E se so cosa volevi domandarmi, sorellina, è perché usi sempre quel tono dolce come il miele, come quando da piccoli chiedevi a papà di poter giocare per del tempo extra.”
“D’accordo, ho capito. Ma davvero non me lo vuoi dire?”
 
Clio sfoderò la sua espressione più implorante mentre il gemello si alzava restando perfettamente impassibile, limitandosi a scuotere il capo:
“No.”
“Alla tua adorata sorellina gemella?”
“Clio, sai che ti adoro, ma tu e Caroline siete troppo amiche, non vorrei che ti lasciassi sfuggire qualcosa per sbaglio… ma ti prometto che sarai la prima a saperlo, e che quando avrò deciso te lo dirò. Ma senza troppo anticipo.”
 
*
 
 
“Quando verrà il momento pensi che prenderai il posto di tuo padre?”
“Me lo chiedono tutti. Mi piace molto il mio lavoro, ma penso di sì. Sarà una bella responsabilità, ma di certo Egan non prenderebbe il testimone, e tocca a me farlo.”
 
Caroline sorrise mentre, seduta accanto a lui con le loro mani che si sfioravano sul tavolo, lo guardava certa che non avrebbe mai potuto aspettarsi una risposta diversa da quella.
“Sarai un Ministro perfetto, ne sono certa.”
“Grazie. Dopotutto, dobbiamo risollevare l’onore della famiglia dopo ciò che ha fatto il nonno a mio padre.”
Lo sguardo del mago indugiò sul padre, che sembrava di ottimo umore mentre ballava e sorrideva insieme a sua madre. Anche se lui e il padre non avevano avuto un rapporto propriamente idilliaco era bello per tutti, in famiglia, vedere Edward così di buon umore da quando aveva preso il posto di Theseus al comando del Ministero.
 
“Beh, mi sembra che stia facendo un buon lavoro, no?”
“Direi di sì. E adesso… Devo rimediare ad un errore commesso nel passato. Vuole ballare, Miss Cavendish?”
Neit si alzò abbozzando un sorriso e porgendole la mano, mano che Caroline strinse dopo avergli donato il suo sorriso più radioso, accompagnato da una debole risata:
“Con lei sempre, Signor Cavendish.”
 
*
 
Quando Neit era entrato in camera sua asserendo – più serio che mai – di avere una “missione” per lei, Clio aveva immediatamente abbandonato la lettera che stava scrivendo ad un certo Saint-Clair dai capelli ramati ed era scattata sull’attenti, iniziando subito a riversare fiumi di parole cariche d’emozione sul gemello.
“Che cosa? Cosa? Oh, è da tanto che non combiniamo qualcosa insieme, siamo sempre tanto impegnati… devo chiamare Egan? Cosa vuoi che faccia?”
“No Clio, non devi chiamare Egan. Mi servi tu e basta. Oggi pomeriggio devo fare una cosa, e ho bisogno che tu tenga Caroline occupata.”
 
Neit pronunciò quelle parole senza battere ciglio o muovere un muscolo, restando perfettamente impassibile con le mani allacciate dietro la schiena mentre la sorella, invece, sorrideva allegra e prendeva a bombardarlo di domande su cosa dovesse fare che richiedesse l’assenza della cugina.
“Devo parlare con lo zio, e preferisco che lei non sia in casa… Puoi invitarla a prendere un thè, per favore?”
“Certo, mi fa sempre piacere passare del tempo con lei. Che cosa devi chiedere allo zio?”
La domanda genuinamente ingenua della ragazza non trovò risposta da parte del fratello, che si limitò a lanciarle un’occhiata eloquente mentre Clio sollevava entrambe le sopracciglia, giungendo rapidamente da sola alla risposta prima di sorridere e prendere a saltellare brevemente sul posto per poi abbracciarlo con slancio, asserendo di essere felicissima per lui.
 
 
Quando un Elfo le aveva annunciato che il Signor Neit chiedeva udienza, Penelope era stata estremamente felice di ricevere il nipote, accogliendolo con un largo sorriso.
“Buongiorno caro! Mi dispiace, Caroline è uscita poco fa con tua sorella, posso fare qualcosa per te?”
“Buongiorno zia. In realtà non volevo vedere Caroline… So che lo zio oggi non è al Ministero, potrebbe ricevermi?”
 
“… Sì, certo. Oliver, accompagna Neit dal Signor Cavendish, per favore.”
Penelope aveva fatto di tutto per far sì che nessuna emozione particolare trasparisse dalla sua mimica facciale – anche se di fronte alla domanda del ragazzo non aveva potuto fare a meno di aggrottare la fronte per una frazione di secondo –, ma non appena il nipote si fu allontano al seguito dell’Elfo Domestico dopo averle rivolto un educato cenno di saluto, la mente della donna aveva iniziato a lavorare, giungendo ad un’unica conclusione possibile.
Difficile credere che Neit volesse parlare con Robert di lavoro, in quel caso lo avrebbe cercato al Ministero, non a casa.
No, doveva essere qualcos’altro, e poteva trattarsi solo di un’altra questione.
O almeno, così lei sperò.
 
 
Quando, dieci minuti dopo, Ezra scese al pian terreno per fare uno spuntino in sala da pranzo – era pur sempre l’ora del thè, e persino il suo cervello aveva bisogno di una pausa, di tanto in tanto – si trovò ad assistere, sbigottito, ad uno spettacolo singolare: sua madre era china sulla porta chiusa dello studio del padre in evidente procinto di origliare.
Sospirando, ormai rassegnato alle stramberie della donna che lo aveva cresciuto e in parte domandandosi perché ancora se ne stupiva, terminò di scendere le scale prima di raggiungerla e chiederle, esasperato, cosa diavolo stesse combinando.
 
“SHH, taci Ezra, come faccio ad origliare se parli sopra?!”
“Mamma, PERCHE’ stai origliando una conversazione privata di papà?”
“Cosa vuoi che me ne importi, di quello che combina, ma Neit è dentro insieme a lui! Non capisci?!”
 
Di fronte al tono concitato e carico d’emozione della madre Ezra si ritrovò ad aggrottare la fronte, perplesso, guardandola sospirare e roteare gli occhi prima di borbottare che sperava che almeno lui avesse un po’ di sale in zucca, ma che evidentemente si sbagliava.
 
“Sono sicura che voglia chiedergli di poter sposare tua sorella!”
“Davvero?!”
 
Un minuto dopo Ezra era chino sulla porta sopra alla madre, un’espressione concentrata in volto mentre cercava di distinguere le parole pronunciate dalla voce del padre.
“Beh, non mi sembra scocciato, no?”
“Shh! Merlino, devo insegnarti anche come si origlia?!”
 
Per un paio di minuti nessuno dei due parlò, ma quando le voci all’interno della stanza cessarono Ezra aggrottò la fronte, chiedendo in un sussurro alla madre se lei avesse capito o meno la risposta del marito.
Penelope stava per rispondergli, ma non ne ebbe modo: un suono di passi indicò ad entrambi che il “colloquio” era finito e che Neit stava per uscire dalla stanza, spingendo madre e figlio a darsi alla fuga.
 
Quando Neit aprì la porta si guardò attorno, la fronte aggrottata: strano, gli era come sembrato di sentire dei rumori fuori dalla porta mentre usciva dalla stanza. Guardandosi attorno, tuttavia, scorse Penelope seduta in salotto con un libro in mano ed Ezra di fronte a lei con il giornale, entrambi impassibili e assorti nelle loro letture.
Probabilmente doveva essersi sbagliato.
 
*
 
Quel giorno Edward era di ottimo umore: nessuno dei suoi figli era in casa, e la pace regnava finalmente sovrana nella casa di Kensington.
L’idillio, però, avrebbe avuto vita breve. E successivamente il Ministro si sarebbe dato mentalmente dello stupido per non esserselo aspettato: era semplicemente troppo bello per essere vero.
Stava tornando nel suo studio dopo aver cercato ovunque un rotolo di pergamena nuovo, quando l’arrivo di un ospite inatteso lo travolse. Letteralmente, considerando che Penelope Cavendish era balzata fuori dal camino del salotto urlando di dover vedere Estelle senza farsi neanche annunciare da un povero Elfo.
 
“ESTEEEEEEELLE! Dove sei, per la barba di Merlino!”
“Ma che diavolo… Penelope, che succede?”
Edward la guardò con tanto d’occhi quando la donna lo superò di corsa, urtandolo e mandando all’aria piume e pergamena senza neanche scusarsi. La strega però non si fermò, ululando di dover vedere l’amica mentre la voce della padrona di casa giungeva sorpresa dal salottino dove stava prendendo il thè.
 
“Penny, cosa è successo?”
“Già, vorrei saperlo anche io…”
Edward sbuffò mentre raccoglieva tutto ciò che la cognata gli aveva gentilmente fatto cadere dalle braccia, borbottando mentre Penelope bisbigliava alla moglie qualcosa che non riuscì ad udire, attirando la sua attenzione: chiedendosi che cosa ci fosse di così urgente che lui non potesse sapere, il Ministro si voltò verso la porta aperta della stanza dove le due si trovavano appena in tempo per udire una specie di gridolino euforico.
 
“ED! GLIELO HA CHIESTO!”
“SIII!”
 
Chi ha chiesto cosa a chi, esattamente?”
“Voi uomini non capite mai un bel niente, santo cielo, sono due mesi e mezzo che io, Estelle, Egan, Ezra e Clio scommettiamo su quando Neit glie l’avrebbe chiesto! Vediamo, sono passate nove settimane, quindi credo che abbia vinto Egan solo per due giorni… maledizione!”
“Quindi state scommettendo tutti da più di due mesi e gli unici a non saperlo siamo io e Robert?!”
Edward aggrottò la fronte mentre Estelle gli si avvicinava per abbracciarlo con un risolino mal trattenuto e Penelope annuiva con una stretta di spalle, liquidando il discorso con un vago gesto della mano guantata:
“Come ho detto, caro Edward, voi uomini non vedete al di là del vostro naso.”


 
*
 
Neit ci aveva messo esattamente cinque secondi a fare un passio indietro e a delegare l’intera organizzazione delle nozze a moglie, madre, sorella e futura suocera. Il consiglio gli era stato dato da suo padre non appena aveva comunicato ai genitori la notizia – anche se aveva avuto come l’impressione che entrambi già ne fossero a conoscenza, a giudicare dalle loro espressioni fin troppo sorprese e teatrali – e mai le parole di Edward si erano rivelate tanto provvidenziali.
 
“Sai, ieri sera contemplavo l’idea di espatriare e tornare solo il giorno prima delle nozze lasciando fare tutto alle nostre madri… Che cosa ne pensi?”
Caroline, dopo un pomeriggio intero passato a discutere di centrotavola, tovaglie e tovaglioli, era distesa sul divano tenendo la testa sulle ginocchia del fidanzato, che sorrise mentre le accarezzava i capelli biondi con le dita.
“Mi auguro che in caso tu voglia portarmi via con te.”
“E’ naturale, non ti abbandonerei mai con le nostre madri! Per fortuna almeno sui fiori non avranno di che discutere, andremo sul sicuro con rose ovunque.”
La strega sospirò stancamente mentre si passava una mano sul viso, e Neit annuì mentre si figurava mentalmente madre e zia intente ad ordinare quantità abnormi di rose bianche.
“Mi sembra giusto. Clio mi sembra quasi più emozionata di te, comunque.”
“Penso di sì. In effetti mi importa meno di quanto pensassi.”
 
Nel pronunciare quelle parole la strega aggrottò leggermente la fronte, pensierosa, ma si affrettò a sorridere e a rassicurare il fidanzato quando vide un’espressione offesa palesarsi sul volto di Neit:
“Non di sposarti, è ovvio! Intendo dei preparativi e della cerimonia in sé… Non vedo davvero l’ora che quel giorno arrivi, ma dei preparativi mi importa poco. L’unica cosa veramente importante quel giorno sarai tu.”
 
Dopo un istante di esitazione Neit sorrise, rilassando il volto di fronte al sorriso dolce che la fidanzata gli rivolse, guardandolo con i grandi occhi azzurri carichi d’affetto. Neit invece si chinò leggermente, prendendole delicatamente il viso tra le mani per baciarla e mormorando che l’amava.
 
*
 
“Volevi vedermi, nonna?”
“Siediti, tesoro.”
Gwendoline sorrise a Neit e diede alcuni colpetti sulla porzione di divano accanto a sé, invitando il nipote a raggiungerla: come sempre Neit non si fece pregare e obbedì, sedendo e guardandola sorridergli con curiosità.
Si chiedeva di che cosa volesse parlargli fin da quando, due giorni prima, il gufo della nonna gli aveva recapitato un biglietto dive lo pregava di andarla a trovare dopo il lavoro.
 
“Come ben sai, ormai mi sono praticamente stabilita definitivamente qui, e la casa a Londra… beh, rimane fin troppo spesso vuota. Ora, sappiamo che se Riocard e tua sorella dovessero sposarsi la casa sarebbe sua… ma fino ad allora resta in mano mia. E visto che io non me ne faccio nulla, ho pensato di regalarla a te e a Caroline.”
“Ma… ma se dovessero sposarsi sarebbe sua, tra tre anni.”
“E’ vero, ma ho parlato con mio nipote, e Riocard mi ha assicurato che non sarebbe comunque intenzionato a tenerla. Preferisce vivere in campagna, come la sottoscritta. Se anche dovesse sposare tua sorella la lascerebbe in mano mia, e a quel punto io sarò molto ben disposta ad avviare le pratiche per cederla a te.”
Neit stava per replicare, ma Gwendoline scosse il capo e gli sorrise dolcemente, guardandolo con affetto:
“Tesoro, è una casa grande e bellissima, ma per me è davvero troppo viverci da sola. Non mi ci sento più a mio agio, da quando il nonno non c’è più… Tuo padre ed Estelle affermano di stare bene dove hanno sempre vissuto da quando sono sposati, e credo che quella casa abbia davvero bisogno dell’amore e della vitalità che una famiglia può darle. E poi, un giorno sarai Ministro… in quelle mura ne sono vissuti molti, chi meglio di te?”


“Beh, se per te… se per te va bene, immagino di dover accettare. E’ molto generoso da parte tua, nonna.”
Neit le sorrise e la donna ricambiò prima di abbracciarlo, accarezzandogli i capelli come quando era bambino:
“Ah tesoro, io di ricordi ne ho già a sufficienza, è il momento che tu ti costruisca i tuoi con la nostra dolcissima Caroline.”
 
*
 
“Quel centrotavola vi sembra per caso centrato? Non li chiamano centrotavola per nente! E quelle sedie non sono affatto simmetriche… Merlino, ci penso io…”
 
Gwendoline, in piedi nell’enorme sala da pranzo dove avrebbe avuto luogo il ricevimento e già vestita di tutto punto con tanto di capellino color salmone in testa, sbuffò e sfoderò la bacchetta per sistemare le imperfezioni mentre Egan, in piedi accanto a lei, sorrideva divertito:
 
“Nonna, ci sarà un evento in cui non ficcherai il naso per assicurarti che tutto sia perfetto?”
“Caro, ci sono persone che detengono il dono innato di saper dirigere i lavori, dovresti saperlo… E poi è il matrimonio di mio nipote, quindi tutto deve essere perfetto. Non temere, me ne assicurerò anche al tuo matrimonio.”
Se mi sposerò.”
Quando ti sposerai, vorrai dire. Mi risulta che oggi tu abbia invitato mia nipote, no?”
 
Egan sbuffò e distolse lo sguardo quando la nonna gli lanciò un’occhiata eloquente, mal celando un sorrisetto beffardo mentre il ragazzo borbottava che non era una buona scusa per parlare di matrimonio.
 
“Ciao nonna, la mamma ci ha detto che eri arrivata!”
Quando Clio entrò nella stanza tenendo Neit a braccetto Gwendoline rivolse ai due un largo sorriso, dimenticando momentaneamente di ficcanasare negli affari di cuore di Egan per rivolgersi al futuro sposo, abbracciandolo e stampandogli un bacio su una guancia:
“Come sta il mio bellissimo e perfetto ragazzo? Sei uno splendore, caro. Anche tu piccola mia.”
 
“Grazie nonna, ma le scarpe mi stanno già uccidendo… la mamma dice che devo metterle visto che sono una delle damigelle, che tortura… spero di non inciampare nel tragitto verso l’altare!”
Clio gemette, pregando di non far fare brutte figure a fratello e cugina mentre Neit, sorridendole dolcemente, le assicurava che non sarebbe successo.
Gwendoline invece liquidò il discorso con un gesto della mano, asserendo che in caso chiunque avrebbe usato ridere o dire una parola sulla sua nipotina avrebbe dovuto vedersela con lei.
 
*
 
Clio, alle sue spalle insieme a Mary e ad Emily, le sue migliori amiche, già singhiozzava come una fontana.
Lei al contrario non piangeva, ma in compenso non riusciva a smettere di sorridere. Probabilmente quella sera avrebbe avuto i muscoli facciali indolenziti per ore, ma poco le importava: mentre guardava Neit infilarle la fede d’oro al dito con le mani che tremavano leggermente, forse non ostentando perfetta sicurezza per la prima volta da anni, Caroline non riusciva a smettere di sorridere.
 
Anche Estelle, seduta accanto ad Edward, strinse il braccio del marito mentre un paio di lacrime le solcavano il viso: lui non si scompose, passandole un fazzoletto mentre, accanto a lei, Penelope quasi singhiozzava sotto allo sguardo rassegnato di Robert, che le dava colpetti sulla schiena.
“Pen, sono mesi che organizzi il matrimonio e sei più felice di tutti noi messi insieme… adesso passerai la giornata a piangere?”
“Taci e dammi un fazzoletto Rob, la mia bambina adorata si sta sposando e non l’avrò più sempre vicina a me, ma cosa vuoi capirne tu, di istinto materno…”
Ezra sedeva dietro ai genitori, le braccia strette al petto e gli occhi fissi sulla sorella maggiore. Egan continuava a lanciargli occhiata divertite, quasi volesse controllare se il cugino si stesse commuovendo, ma il ragazzo era determinato a non dargli quella soddisfazione.
Certo dentro di sé si sentiva estremamente vicino a sua madre, ma d’altro canto era sicuro che nessuno avrebbe potuto rendere felice sua sorella tanto quanto Neit… e infondo era quella, la cosa più importante.
 
 
Tre ore dopo, a pranzo terminato – e dopo che Clio aveva rischiato di finire dritta nella torta a tre piani dopo essere inciampata, salvata provvidenzialmente da Riocard, che era scoppiato a ridere mentre la ragazza blaterava delle scuse – Ezra era riuscito a strappare un ballo alla sorella, stringendola mentre la guardava con affetto:
“Mi sorprende che tu non abbia pianto.”
“Io ne sono felice, sarebbe stato imbarazzante!”
Caroline sorrise mentre appoggiava la testa sulla spalla del fratello, mormorando che le sarebbe mancato vivere sotto lo stesso tetto e che sarebbe stato strano non averlo più sempre attorno.
 
“Anche tu mi mancherai… anche perché ora sarò da solo a badare alla mamma, povero me. Ma giuro che la terrò d’occhio anche per te.”
“Mi fido di te. Anche se non t’invidio, ora che sono sistemata penserà a sistemare te…”
 
La strega venne scossa da un risolino mentre il minore sfoggiava una smorfia, pregando che Penelope se ne stesse tranquilla almeno per qualche settimana, dopo la gioia di aver visto la primogenita sposarsi.
 
“La mamma dice sempre che quando eravamo piccoli mi stavi sempre attorno e non volevi mai lasciarmi la mano quando eravamo in giro… com’eri tenero! Chissà cosa ti ha fatto diventare così…”
Caroline simulò un’espressione pensierosa, aggrottando la fronte mentre Ezra la guardava male, sinceramente offeso.
“Non ho un cuore di ghiaccio, ho solo una… sensibilità particolare!”
“Lo so Ezra, lo so.”
 
L’espressione offesa del ragazzo ebbe vita breve, scemando di fronte al sorriso affettuoso che la sorella gli regalò e ritrovandosi a ricambiarlo prima che Neit li raggiungesse, schiarendosi la voce e chiedendo di poter ballare con la moglie.
 
“Certamente, è tutta tua.”   Ezra lasciò la mano della sorella al cugino – non senza rivolgergli un’occhiata eloquente – e guardò Neit sorriderle e stringerla a sé con un certo senso di soddisfazione: nessuno si meritava di essere felice più della sua sorellina.
 
L’ex Corvonero stava per togliersi dalla pista, ma qualcosa – o meglio qualcuno – glielo impedì:
“Ezruccio, sei rimasto senza ballerina? Tranquillo, ballerò io con te!”
 
Quell’idiota di Egan lo raggiunse, lo prese, e serio in volto prese a farli roteare su loro stessi ignorando le sonore proteste del cugino, che gli ordinò di lasciarlo.
“Razza di imbecille, mollami!”
“Non posso Ezruccio, il mio amore per te è troppo forte!”
 
 
Ad un paio di metri di distanza, Caroline e Neit guardavano i rispettivi fratelli minori con sguardi rassegnati, ma la sposa accennò un sorriso divertito prima di asserire che sarebbero sempre rimasti i loro assurdi fratellini.
“Resteranno sempre due inguaribili idioti…”
“Vero, ma che cosa faremmo senza di loro?”
 
*
 
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“NEIT! COSA STAI FACENDO?!”
 
Neit balzò giù dal corrimano con un salto, voltandosi e alzando lo sguardo sulle scale prima di sfoderare un sorriso colpevole: sua madre lo guardava dal ballatoio, sopra di lui, con un’espressione di puro orrore dipinta sul volto dopo averlo visto scivolare sul corrimano invece di scendere le scale.
“Scusa mamma, ma così si fa prima…”
“Non mi interessa, ti puoi fare molto male!”
“Ma mi annoio… gli altri sono tutti a giocare…”
 
Il volto del bambino si rabbuiò, e la madre sospirò, mormorando che lo sapeva, mentre iniziava a scendere le scale.
“Via Estelle, non c’è bisogno di preoccuparsi. L’ho sempre fatto anche io, e sono arrivato alla mia età vivo e vegeto.”
 
Sentendo la voce del nonno Neit si voltò, trovando George in piedi sulla soglia del salotto e con un sorriso appena percettibile sulle labbra. Sorriso che il bambino ricambiò mentre guardava il nonno avvicinarglisi e prenderlo in braccio:
“Ti va di vedere la collezione d’arte del nonno, signorino? Cose da grandi. Ai bambini non mostro queste cose, ma per te farò un’eccezione.”
“Va bene nonno.”
Neit rispose con un sorriso, e George ricambiò prima di arruffargli i capelli biondi con un sorriso, asserendo che fosse il bambino più speciale con cui avesse mai avuto a che fare.
 
 
 
“Va tutto bene?”
Quando Caroline gli sfiorò una mano Neit si ridestò, annuendo prima di voltarsi verso la moglie e sorriderle: erano appena tornati dalla luna di miele a Parigi per trasferirsi nella casa dove per anni i suoi nonni avevano vissuto, e il nuovo padrone di casa – anche se formalmente l’edificio restava di sua nonna ancora per pochi anni – si era fermato nell’ingresso, davanti alle scale, contemplandole silenziosamente per qualche minuto.
 
“Sì, pensavo solo al nonno. Adoravo venire qui da bambino… lui non mi trattava mai come un malato. Anzi, a volte mi trattava quasi come un adulto. La nonna dice che gli somiglio, per certi versi.”
“Ed è proprio così.”
Caroline sorrise mentre gli circondava il petto con le braccia, appoggiando la testa sulla sua spalla prima che il marito ricambiasse l’abbraccio, stringendola a sé.
 
Sua nonna si sbagliava, dopotutto: anche lui possedeva già molti ricordi in quella casa, ma nonostante questo non vedeva l’ora di costruirsene altri con Caroline.
 
*
 
“Riccioli d’oro, chi è il tuo zio preferito?”
“Sono io, ovviamente! Lo zio Ezra!”
“Ma quale zio Ezra, è lo zio Egan il tuo preferito, vero?”
 
Egan, inginocchiato sul tappeto accanto ad Ezra, lanciò un’occhiataccia al cugino mentre la piccola Penelope giocava davanti a loro con dei cubi colorati e senza degnarli di uno sguardo, troppo concentrata a cercare di costruire una torre per prestare loro attenzione.
 
“Egan, la piccola Penny preferisce ME!”
“Non è vero!”
 
 
“Pensi che la smetteranno mai?”
“No, non credo proprio.”
Neit parlò senza neanche alzare lo sguardo dal giornale che stava leggendo mentre Caroline, seduta accanto a lui al tavolino posto vicino alla finestra, sorseggiava una tazza di thè nero.
“MAMMA, MAMMA!”
 
Entrambi si voltarono verso la soglia della stanza – e Neit alzò lo sguardo dal giornale alla velocità della luce udendo la vocina allarmata del figlio – appena in tempo per vedere il piccolo Edward correre verso di loro con gli occhi azzurri spalancati e un’espressione preoccupata sul visino pallido:
“Che cosa c’è piccolo?”
Caroline sorrise al figlio quando Edward li ebbe raggiunti, lasciandosi prendere dal padre per sedere sulle sue ginocchia prima di balbettare qualcosa e indicare la porta della stanza:
“La nonna ha colpito il nonno!”
“E con che cosa?”
“Non lo so, con una cosa blu che ha fatto rumore!”
 
Caroline indugiò per un istante – le dita che sfioravano delicatamente la stoffa color avorio del vestito che le copriva il ventre ormai leggermente prominente – prima di sorridere e rivolgersi al figlio con tono divertito e una carezza su una guancia:
“Tesoro, non preoccuparti, è una cosa normale!”
“Ma tu non colpisci papà!”
“E’ vero, ma per i nonni è una cosa normale, non preoccuparti, il nonno se la sa cavare.”
 
Il bambino esitò, rimuginando sulle parole della madre mentre il padre gli accarezzava dolcemente i capelli biondi. Alla fine però Edward sembrò convincersi e, alzato lo sguardo sul padre, gli sorrise allegro:
 
“Papà, giochi con me e Sommer?”
“D’accordo Ed, vieni, andiamo a cercarla. Voi due.”
 
Neit lasciò il giornale sul tavolo e si alzò prendendo il figlio in braccio, rivolgendosi con tono quasi minaccioso a fratello e cognato, che si voltarono sincronicamente verso il padrone di casa mentre Penelope cercava di rubare ad Ezra la sua pochette di seta.
 
“Vedete di non stressare Carol mentre non ci sono.”
“Chi, noi?! Ma se siamo due angeli!”
“Siete peggio dei nostri figli, e Carol ha già i gemelli a cui badare, mi risulta, non ha bisogno di altri due bambini attorno.”
 
“Specie considerando che ce n’è un altro in arrivo… Eccola qui, la mia principessa! Vieni dalla nonna, amore.”
Penelope rivolse un sorriso radioso alla nipotina quando entrò nella stanza dopo aver terminato la sua gentile discussione col marito, chinandosi e allungando entrambe le braccia verso la sua piccola omonima.
La bambina non se lo fece ripetere due volte e, alzatasi in piedi, corse da lei per farsi prendere in braccio e coccolare mentre Egan ed Ezra la guardavano torvi:
 
“Mamma, c’eravamo prima noi per coccolarla!”
“Considerando che porta il mio nome io ho sempre la precedenza, mi sembra ovvio. Chi è la tua nonna preferita? Io vero? Certo che sono io, raggio di sole!”
 
 
Caroline scosse il capo mentre riprendeva a bere il suo thè, certa che quella non sarebbe mai stata una famiglia normale e augurando buona fortuna al futuro o alla futura nuova arrivata.
 
*
 
Edward 70598ad74f09315cf301653b2a1cf070e Penelope Cavendish (Jr)345192b3fd9f386fd89d5dfe49a2a6fd
 
 
“Sei felice?”
“Perché me lo chiedi? E’ ovvio che lo sia.”
 
Neit aggrottò la fronte mentre, seduto sulla coperta a scacchi distesa in mezzo al prato – Penny gli chiedeva da settimane di fare un picnic, e al solito l’Indicibile aveva ceduto di fronte agli occhioni imploranti della figlia – teneva la piccola di casa tra le braccia dandole il biberon di latte.
Caroline, seduta accanto a lui, annuì con un piccolo sorriso, mormorando che non era sempre facile decifrare che cosa pensasse mentre giocherellava con le pieghe della coperta e i gemelli inseguivano alcune oche a pochi metri di distanza.
 
“Ultimamente ho passato tanto tempo al Ministero, mi dispiace… se sono stato un po’ di cattivo umore era solo per la mole di lavoro. Non c’è niente che potrebbe rendermi più felice di voi.”
L’espressione di Caroline si addolcì quando il marito le prese una mano per baciarne il dorso, ricambiando il sorriso mentre Edward, poco più in là, si lamentava di non riuscire a catturare un’oca.
 
“E che cosa ci vorresti fare con un’oca, sentiamo.”
Neit si rivolse al figlio aggrottando la fronte, cercando di non ridere quando il bambino si strinse nelle spalle con un sorriso:
“Non lo so, addestrarla, o cucinarla!”
“Edward, le oche non si addestrano, lo sanno tutti.”
“Se zia Lizzy ha addestrato delle volpi io posso addestrare un’oca!”
 
Mentre i gemelli battibeccavano sulla possibilità o meno di addestrare delle oche, Caroline tornò a rivolgersi al marito e alla figlia più piccola, sorridendo alla bambina prima di prenderla delicatamente in braccio.
“Com’è carina…”
“Certo, tutta la sua mamma, come Penny.”
 
Neit sorrise e annuì mentre accarezzava con affetto i capelli lisci e chiari della piccola, che cercò di afferrargli un dito con un mugolio.
 
“Lo sai che sei un padre meraviglioso, vero?”
“E’ quello che spero.”
 
*
 
Estelle Cavendish 315c32a41efabe7e40910c0aeec0fd8a

 
 
“Estelle, ma cosa fai alla povera Sommer! Sei troppo buona, amica mia.”


Neit rise mentre guardava la figlia più piccola in groppa alla lupa, un fiocchetto rosso tra i capelli biondi abbinato alle Mary Jane di vernice e le manine strette attorno al collo dell’animale, che trotterellava tranquilla per il salotto.
“Papàààà, tocca a me adesso!”
Penelope, seduta sull’ultimo gradino delle scale con un vestitino color crema addosso e le braccine strette al petto, sbuffò mentre guardava torva la sorella minore monopolizzare l’attenzione della lupa.
 
“Tesoro, Sommer non è un giocattolo, dovete lasciarla riposare ogni tanto, anche se vi vuole bene.”
Neit sorrise con calore alla figlia prima di guardarla mormorare cupa che aveva capito. Penelope si alzò e si avvicinò a Sommer, accarezzandole dolcemente le orecchie e il muso mentre Neit prendeva la figlia minore in braccio, ignorando le sue proteste per tornare in sella alla lupa.
“Qui c’è una signorina che deve dormire, se non sbaglio.”
“No! Voio giocare!”
 
Neit ignorò il broncio della bambina, dandole un bacio su una guancia mentre Sommer faceva ridere la piccola “padroncina” leccandole le mani e facendole il solletico.
“Penny, metto a letto tua sorella… non fare guai mentre non ci sono.”
“No papino.”
Penelope gli rivolse il più angelico dei suoi sorrisi, diventando terribilmente simile alla madre e ridacchiando di fronte all’occhiata eloquente che il padre le rivolse.
 
Stava portando Estelle nella sua cameretta quando venne superato da Edward, che attraversò il corridoio di corsa e brandendo un paio di spade di legno, ululando alla sorella di volerla sfidare a duello.
Per un istante, quelle spade gli sembrarono familiari e gli tornarono alla mente le messe in scena in cui Egan coinvolgeva spesso tutti loro. Ma no, si disse il futuro Ministro della Magia scuotendo la testa: era impossibile che fossero proprio quelle.
 
 
“George? Che cosa ci fanno quelle spade di legno in soffitta?”
“Umh? Ah, erano quelle che usavano i ragazzi… Ho pensato di conservarle.”
 
George parlò senza alzare lo sguardo dal giornale che stava leggendo, udendo distintamente la moglie ridacchiare e mormorare che sotto alla maschera di uomo serio ed inscalfibile fosse un vero sentimentale.
“Non sono affatto sentimentale, Gwen!”
“Certo, certo….”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Ebbene sì, finalmente eccoci alla prima della lunga serie di OS previste per i protagonisti di WOTR.
Scusate se ci ho messo un po' ad iniziare la Raccolta, ma la settimana scorsa ho fatto due esami e ieri ho scritto qualcosa per la prima volta da quando ho pubblicato l'Epilogo. 
Spero che vi sia piaciuta, a presto con la prossima e buona serata!
Signorina Granger

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Capitolo 2
*** Ambrose ***


II. Ambrose  


 
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Gennaio 1913, Southampton


 
“Si leggono cose veramente orribili sulle navi. Terribili.”
“Ah davvero?”
 
Le labbra di Riocard si distesero in un sorriso che il cugino non ricambiò, anzi: Ambrose annuì, serio in volto e risoluto, e aprì di fronte al cugino un vecchio foglio di giornale della Gazzetta del Profeta quasi lo avesse portato con sé proprio con quel fine.
 
“Esattamente. Vedi? Titanic affonda, tragedia, perdono la vita più di mille persone…”
“Ambrose, io non andrò a sbattere contro un iceberg nemmeno volendo, e si tratta di una storia vecchia.”
 
“Vecchia?! Era meno di un anno fa, idiota!”
Lo sguardo di Ambrose si fece quasi truce mentre si metteva le mani sui fianchi, guardando il cugino ridere con la fronte aggrottata.
“Senza contare che partì proprio da questo porto. Non lo vedi? Sono cattivi segni!”
“Ambrose, apprezzo il pensiero, ma davvero, non è necessario. Ho deciso di partire e partirò, non c’è verso che cambi idea.”
L’ex Grifondoro si sistemò distrattamente la sciarpa di lana addosso mentre Ambrose sospirava e alzava gli occhi al cielo: odiava ammetterlo, ma infondo sapeva che sarebbe stato impossibile far cambiare idea a quell’idiota di suo cugino.
 
Riocard invece sorrise, e gli mise una mano guantata sulla spalla prima di rivolgergli un’occhiata pregna del più sincero affetto:
“Ambrose, sono un mago. Se anche le cose dovessero mettersi male mi Smaterializzerò, non è una tragedia. E ricorda ciò che hai promesso… Le cose che ti scriverò dovrai tenertele per te.”
“Va bene, va bene… non capisco né perché tutti questi segreti, né l’urgenza di partire… ma so che non mi dirai niente, quindi porta pure il regale fondoschiena su quella nave, se ci tieni tanto.”
“Via, via, non fare così, prometto che non ti dimenticherò e che nessuno prenderà il tuo posto nel mio cuore.”
 
“Vorrei vedere.”
Ambrose ignorò il tono ironico del cugino, parlando con l’aria di chi si dà molta importanza prima che Riocard, sorridendo, lo abbracciasse.
“Mi mancherai Ric. Non stare via troppo a lungo.”
“E’ presto per dirlo… ma ti terrò aggiornato, lo prometto.”
 
Con un ultimo laconico sorriso Riocard raccolse il suo bagaglio e si allontanò con disinvoltura verso il ponticello che conduceva all’ingresso della nave sotto allo sguardo un po’ tetro di Ambrose, che restò a guardarlo per qualche istante prima di infilarsi le mani nelle tasche del cappotto e allontanarsi tra la ressa di persone venute a salutare i propri cari, pensieroso.
Sua zia se n’era andata un paio di settimane prima, e dopo giorni e giorni di silenzio Riocard se ne usciva – sconvolgendo tutti – che “partiva”. Il tutto quando Zio Theseus si era appena dimesso e il Ministero era tornato ai Cavendish.
Troppi, troppi cambiamenti in troppo poco tempo. E la cosa che più lo infastidiva era non sapere che cosa fosse successo da spingere suo cugino a quella decisione così repentina.
 
*
 
“Tu sai dov’è, vero? So che lo sai.”
Ambrose non rispose subito, prendendosi tempo mentre versava un goccio di whiskey nella tazza di thè che aveva di fronte. Elizabeth invece continuò a guardarlo con ostinata decisione, la tazza in mano e la fronte aggrottata mentre studiava le espressioni del cugino.
 
“Se lo sai, non vedo perché chiedermelo, Lizzy. Oh, non fare quel faccino, non guardarmi così. E’ Riocard che non vuole che nessuno sappia dove sia andato, credimi! Sai com’è fatto, è così terribilmente riservato…”
“Ma perché?! Perché se n’è andato così? Non mi ha neanche… non mi ha neanche salutata. Abbiamo saputo che se n’era andato da te.”
 
La giovane strega chinò il capo sul thè all’arancia che aveva davanti, incupendosi un poco e facendo sorridere con affetto Ambrose: appoggiata la tazza sul tavolino, il ragazzo allungò una mano per prendere quella della cugina, assicurandole che era stato così per tutti, non solo per lei.
 
“Credo che non l’avesse detto perché sapeva che avremmo tentato di fermarlo. Io stesso ci ho provato, effettivamente… le famiglie grandi e unite come le nostre si intromettono, lo sai anche tu.”
“Ha a che fare con la zia, vero? Perché è andata via così?”
“Questo non te lo so dire, Lizzy, lo giuro. Me lo sono chiesto anche io, ma Riocard non ha voluto farne parola… anzi, sembrava che il solo menzionare zia Alexis lo infastidisse molto, così ho lasciato perdere. Eppure credo che tuo padre e mia madre ne sappiano qualcosa… si fanno strani, quando la menzioniamo.”
Elizabeth sbuffò, addentando nervosamente un biscottino al burro prima di borbottare di detestare essere lasciata all’oscuro di qualcosa.
“Terribilmente vero. Sai, curiosa, diretta e perspicace come sei, saresti stata un’ottima giornalista.”
“Mh, probabile, ma preferisco lasciarti la gloria e non offuscarti con le mie doti, cuginetto… A proposito, papà mi ha detto che corre una certa voce su Burke che vuole andarsene in pensione. Sai dirmi niente a proposito?”
 
Un sorriso angelico fece capolino sulle labbra di Elizabeth, che scoccò un’occhiata divertita ad Ambrose mentre il ragazzo si stringeva nelle spalle, fingendo indifferenza:
“Può essere, sì, ma non accontenterò la tua fame di pettegolezzi, Lizzy. Non si sa nulla su chi lo succederà.”
Una mezza idea il giovane ce l’aveva, ma sfoderò il suo sorriso più adorabile mentre la cugina, abbandonando il suo, lo guardava di traverso:
“Non starai diventando noioso, vero Ambrose?!”
 
*
 
 
“Mamma, mamma! Dove sei?!”
 
Clara aprì la porta della camera dei genitori con impazienza, passando la grande stanza in rassegna alla ricerca della madre prima che la voce dolce di Amethyst giungesse dal vestibolo:
“Che cosa c’è tesoro?”
“Ah, eccoti… Si tratta di Ambrose.”
 
La giovane, appena tornata dal Ministero, attraversò la stanza e si fermò sulla soglia del vestibolo con un sorriso carico d’emozione sulle labbra: la madre, che teneva un Klaus in vena di coccole sulle ginocchia mentre si spazzolava i capelli rossi, si voltò e le rivolse un’occhiata sorpresa, invitandola a continuare.
“Nulla di grave, spero.”
“No, no, secondo te starei sorridendo, se così fosse?!”
“Beh, parla allora, non lasciarmi sulle spine!”
 
Accarezzando distrattamente la testa del piccolo Crup la donna aggrottò la fronte e guardò la figlia con il suo sguardo più indagatore, osservandola sfoderare il suo più largo sorriso prima di dire qualcosa con tono concitato:
“Sai che Burke va in pensione, no? Il capo di Ambrose. Bene, ai piani alti ho sentito che ci sono buone probabilità che gli succeda lui.”
“Davvero?! Ma se… Ma a Burke non andava molto a genio, o sbaglio?”
“Credo che all’inizio pensasse fosse raccomandato… sai, nipote del Ministro prima e poi anche del successivo… Ma dev’essersi ricreduto, e magari lo voleva mettere alla prova. Ma che importa, ciò che conta è il suo fantastico traguardo, no?”
Clara sorrise, piena di affetto e di orgoglio per l’amato fratello maggiore mentre Amethyst, alzandosi prendendo Klaus in braccio, annuiva e sorrideva di rimando:
“Assolutamente. Ma perché lui non ci ha detto nulla?”
“Forse voleva farci una sorpresa.”
“Beh, gliela faremo noi, la sorpresa. Credo che qui ci voglia proprio una bella festa a sorpresa, sai tesoro?”
 
Madre e figlia si scambiarono un sorriso complice, e dallo sguardo della donna Clara intuì che Amethyst avesse qualcosa di estremamente preciso in mente.
 
*
 
La sera di fine gennaio in cui Ambrose tornò a casa al termine dell’ultimo giorno di lavoro del suo capo –  dopo essere stato convocato nel suo ufficio – e trovò una quantità abnorme di ospiti e cibo ad accoglierlo, non se ne stupì particolarmente: conosceva sua madre, ed Amethyst, Clara e Colleen avevano l’aria di nascondere qualcosa già da qualche giorno, rivolgendogli sorrisetti divertiti quando pensavano di non essere viste.
Una festa a sorpresa, Ambrose se l’era anche aspettata. Guardandosi attorno, tra un saluto e una stretta di mano e l’altra, aveva persino quasi sperato di scorgere una ricciuta testa fulva tra gli ospiti.
Ma così non era stato: con un po’ di sconforto, Ambrose apprese che Riocard non c’era. Del resto era stata una speranza forse un po’ sciocca, pensare che sarebbe tornato proprio quella sera.
 
“Buonasera, Direttore.”


Le mani dietro la schiena e il suo sorriso più adorabile impresso sul volto, Elizabeth gli si avvicinò prima di abbracciarlo, stampandogli un grosso bacio su una guancia prima di sorridergli soddisfatta:
“Allora, sei felice?”
“Al 100%. Solo, sai… speravo di vedere Ric, credo.”
Il volto di Ambrose venne trasfigurato da un debole sorriso tirato, e anche la cugina si incupì leggermente mentre annuiva chinando la testa:
“Lo immagino. Mi dispiace che non ci sia, ma so che è fiero di te e felice quanto tutti noi, se non di più. Gliene avevi parlato?”
“Solo di sfuggita, dopotutto ne ho avuto l’assoluta certezza solo stasera… Pazienza. Tornerà quando se la sentirà di farlo.”
Elizabeth annuì, la fronte aggrottata mentre ancora si chiedeva cosa fosse successo al cugino, ma Ambrose non le diede il tempo di dar voce a quei pensieri: scorta la figura familiare di una strega proprio alle spalle della cugina, il maggiore le si rivolse con un’occhiata di sbieco.
“Strano che ci sia Julie, vero?”
“Di che parli? Io non se no proprio nulla, è tua madre che ha organizzato! Vado a prendere un cupcake.”
 
Sfoderato il suo sorriso più innocente, Elizabeth sparì tra la folla. Un paio di minuti dopo la giovane – che teneva effettivamente un dolcetto glassato al cioccolato in mano – raggiunse Clara e Colleen, entrambe sedute vicino al camino e avide di informazioni.
 
“Allora? L’ha vista?”
“Sì, direi di sì. Riuscite a vedere se stanno parlando?”
“No, dannazione, c’è troppa gente… Qualcuno me la dovrebbe presentare, però. Non so se posso davvero darle la mia benedizione basandomi solo sui vostri resoconti, e Ambrose è il mio fratellone adorato.”
Clara aggrottò leggermente la fronte mentre cercava di scorgere l’ex fidanzata del fratello tra la gente, e Colleen le assicurò che fosse perfetta per lui prima che Lizzy, addentando il dolcetto, le porgesse una mano:
“Beh, rimediamo subito, andiamo a presentarti. Ora che abbiamo sistemato Colleen e Thomas e Riocard s è defilato, Ambrose è il prossimo della lista da accasare.”
“Mi risulta che manchi anche tu, cugina.”


Mentre si allontanavano a braccetto e sotto lo sguardo divertito di Colleen, Clara lanciò alla maggiore un’occhiata di sbieco che però non sembrò impressionare Elizabeth, perché l’ex Serpeverde decretò di essersi ormai arresa alla zitellaggine prima di trascinarla verso Julie, che stava chiacchierando con un paio di altri colleghi di Ambrose.
A quel punto, una terribile consapevolezza pervase l’ex Grifondoro: una volta sistemato Ambrose, di certo la prossima della lista di Lizzy sarebbe stata lei.
 
Che Godric mi salvi
 
*
 
Giugno 1913, Southampton
 
 
 
“Ric!”
“Ciao serpe.”
 
Raggiunto il cugino prediletto – che lo accolse, leggermente abbronzato, con il medesimo sorriso di sempre – Ambrose lo strinse in un abbraccio serrato, asserendo che gli fosse mancato.
“Anche tu mi sei mancato. In effetti sono deluso, mi aspettavo di vederti venirmi ad accogliere sventolando un fazzoletto dalla terraferma!”
 
Riocard aggrottò la fronte cercando di simulare un’espressione addolorata, e il cugino rise prima di mettergli un braccio attorno alle spalle, gli occhi chiari luccicanti:
“Idiota… adesso andiamo da te, direi che hai parecchie cose da raccontarmi, e poi festeggiamo per bene il tuo ritorno con un po’ di whiskey.”
“Credo che anche tu abbia novità per me, Direttore. Come stanno gli altri?”
 
“Bene, non vedevano l’ora che tornassi… ma per stasera, ovviamente, sei prenotato per il tuo cugino preferito. E a proposito di persone che attendevano il tuo ritorno… sai, quando la incrociavo al Ministero o al pub di suo fratello, Miss Clio Cavendish era solita chiedermi di te.”
Le labbra sottili di Ambrose si distesero in un sorrisetto divertito mentre lanciava un’occhiata eloquente al cugino, ma Riocard restò pressoché impassibile, limitandosi ad una stretta di spalle prima di mormorare qualcosa a proposito di “normale cortesia”.
 
“Ma quale cortesia, razza di zucca vuota! Tranquillo, ora ne parliamo per bene davanti ad un bicchiere, ci pensa zio Ambrose a te.”
“Perché non pensi ai tuoi affari di cuore, invece che ai miei? Sai, diventi ogni giorno più simile a Lizzy, te lo devo dire.”
 
*
 
“Mi dici una cosa?”
“Che cosa?”
“Perché hai lasciato Julie?”
 
Sorpreso da quella domanda, Ambrose si appoggiò allo schienale della sedia prima di rispondere, gli azzurri fissi in quelli scuri di Clara, che gli sedeva di fronte mentre pranzavano insieme al Ministero.
“Non è che l’abbia proprio lasciata, a dire il vero… E’ che proveniamo da… ambienti diversi.”
“Pensavi che non sarebbe piaciuta alla nostra famiglia? Perché io sono sicura che a nostra madre potrebbe piacere molto. Le piacciono le ragazze intelligenti.”
“Questo lo so, ma anche lei la pensava come me. Julie, intendo… diceva che si sentiva un po’ in soggezione. Le famiglie come le nostre sono grandi, ingombranti. Non dev’essere semplice entrarvisi.”
 
Clara si strinse nelle spalle prima di portarsi un boccone di roastbeef alle labbra, asserendo che non avrebbe dovuto importargli più di tanto:
“Non sono nella tua testa, e non c’ero quando vi frequentavate. Ma se dovessi renderti conto che ti piace ancora… beh, non rifare lo stesso errore. Io ho lasciato Klaus per i motivi sbagliati, e non posso dire di non essermene pentita, a volte.”
 
Ambrose non rispose, però sorrise con affetto alla sorella minore: doveva esserci un motivo, se era reputata da tutti la più intelligente della famiglia.
 
*
 
 
“Julie?”
“Sì?”


“Pensi ancora quello che pensavi un paio d’anni fa?”


L’americana indugiò, poi appoggiò i fogli dell’articolo che gli stava consegnando sulla sua scrivania e abbozzò un debole sorriso:
“Sul fatto che saresti stato un ottimo Direttore? Certo.”
“Grazie, ma non mi riferivo a quello.”


Ambrose inclinò leggermente la testa, guardandola laconico mentre la strega si stringeva nelle spalle, sfoderando un piccolo sorriso di circostanza:
“Beh, abbiamo pensato che fosse meglio così, ricordi? Io sono solo una semplice giornalista americana, e tu sei un ricco inglese di buona famiglia. Per di più, all’epoca eri il nipote del Ministro.”
“Non lo sono più adesso.”


“Ma la tua rimane comunque la famiglia più in vista del Paese insieme ai Cavendish. Pensi che mi potrebbero mai accettare, Ambrose?”
 
In pubblico non lo chiamava mai per nome. In effetti, era da tanto che non lo chiamava Ambrose.  
Il mago distolse lo sguardo con un debole sospiro prima di ringraziarla per l’articolo, evitando di guardarla uscire dalla stanza.
 
 
*
 
 
“Come va con Clio?”
“Come va con Julie?”


“Sei scorretto.”
“Hai cominciato tu.”
 
Ambrose e Riocard, seduti uno accanto all’altro su due poltrone nel salotto del secondo, si scambiarono due identiche occhiate in tralice prima che Ambrose alzasse gli occhi al cielo, sollevando le mani in segno di resa:
“Va bene, lasciamo perdere. Facciamo un patto: io non te ne parlerò più finchè tu non ne parlerai a me.”
“D’accordo, come vuoi. Facciamo una passeggiata a cavallo? Mi annoia stare seduto a lungo a non fare niente.”
Riocard si alzò e Ambrose lo imitò con un sorriso, asserendo che fosse lo stesso ragazzino irrequieto e vagamente iperattivo di quando erano piccoli.
 
*
 
“Questa settimana Ambrose torna sempre tardi dal lavoro, l’hai notato anche tu?”
Colleen annuì mentre versava un goccio di latte nella sua tazza di thè, asserendo di averlo notato a sua volta mentre Elizabeth divorava biscottini al burro tenendo lo sguardo fisso sulla finestra, pensierosa.
Clara, seduta di fronte alla sorella minore, si portò la tazza alle labbra mormorando che magari aveva molto lavoro da fare.
“Oppure oltre a lui anche qualcun altro si prende delle ore di lavoro extra.”


Elizabeth sorrise, divertita, mentre Colleen carezzava distrattamente le orecchie di Lady Ophelia, che le stava sulle ginocchia cercando di elemosinare qualcosa da sgranocchiare.
“Ho idea che dobbiamo metterci in mezzo per smuovere le acque, senza di noi potrebbe volerci un’eternità. Sono sicura che infondo Ambrose pensi ancora a lei, lo frena solo il giudizio altrui.”
Elizabeth addentò un altro biscotto e Clara lanciò un’occhiata allucinata all’alzata per dolci ormai vuota, chiedendole quanti diavolo ne avesse mangiati mentre Colleen sorrideva allegra:
“L’altra volta ero io l’oggetto delle vostre macchinazioni, è bello stare dall’altra parte.”
“Che cosa proponi di fare, Tenente Lizzy?”
 
“Beh, Maggiore Clara, credo che… andrò in avanscoperta per tastare il terreno. Dobbiamo solo trovare una scusa per spiegare la mia presenza in redazione.”
 
*
 
“Lizzy, vuoi davvero dirmi che sei venuta fin qui per… portami il pranzo?!”
“Sono la tua amorevole, unica cugina, la cosa ti sorprende tanto?”


Elizabeth-Rose, in piedi davanti alla scrivania di Ambrose, lo guardò con un sorriso innocente che avrebbe potuto convincere chiunque.
Chiunque, eccetto che per i suoi familiari.
Il giovane direttore, infatti, accettò il cestello con un po’ di scetticismo, guardando la bottiglia di vetro piena di succo di zucca prima di rivolgerlesi con tono sospettoso:
“Non hai messo un filtro d’amore qui dentro, vero?”
“Ambrose caro, come ti sorge un pensiero simile? Lo sai che è illegale usarli, e io sono una Signorina per bene.”


“D’accordo…”
Stava per chiederle di assaggiare qualcosa di ciò che gli aveva portato – giusto per precauzione – quando qualcuno bussò alla porta. Elizabeth si voltò giusto in tempo per vedere Julie fermarsi sulla soglia, osservandola con curiosità:
“Oh, scusa, non sapevo avessi visite.”
“Non fa nulla, me ne vado subito. A presto Ambrose.”
 
Sorridendo angelica, Elizabeth lo salutò con un bacio aereo prima di uscire dalla stanza con un saluto educato a Julie, che si rivolse al Direttore con un sorriso:
“Tua cugina è davvero carina. Scusa se ti ho dato del tu davanti a lei, mi è uscito spontaneo.”
“Sì, carina… quanto un leone.”
 
 
 
“Allora, che hai visto?”
“Nulla di che, pensa che credeva avessi messo un filtro d’amore nel cibo! Che pensiero assurdo!”
Elizabeth scosse la testa con disapprovazione, e Clara si astenne dal farle notare che non fosse un pensiero poi così irrazionale.
 
“Comunque, lei è entrata proprio mentre parlavamo. Gli ha parlato dandogli del tu, e tecnicamente lui è il suo capo… E vedessi come si guardano. Ah, che carini!”
Elizabeth sorrise, assumendo un’espressione intenerita che fece ridacchiare la cugina, che stava trascorrendo la pausa pranzo con lei:
“Dovresti farlo per lavoro, sai? Una sorta di… consulente per matrimoni.”
“Sarebbe un’idea, sì. Ma a proposito di lavoro, tu non ce l’hai, per caso, un collega carino?”
 
“Vuoi che ti presenti qualcuno?”
Non per me, sciocca, per te!”     Elizabeth sbuffò, chiedendosi perché tutti i suoi parenti diventassero incredibilmente tonti quando si parlava di relazioni romantiche.
“Uno dei pochi che ha circa la nostra età è Ezra Cavendish, quindi.. sì e no. Anzi, devo andare, altrimenti mi farà una ramanzina infinita.”
 
*
 
Julie Anderson stava per liberare la scrivania e andarsene a casa – aveva passato tutte le ore di lavoro della giornata a scrivere e riscrivere l’intervista fatta allo sgradevolissimo Capitano della nazionale di Quidditch britannica, maledicendo per quanto le era possibile il suo capo per averglielo assegnato – quando una figura familiare si era fermata sulla soglia dell’ufficio.
“Finito l’articolo?”
“Credo di sì. Vuoi darci un’occhiata?”
“Sì, domani.”
Julie alzò lo sguardo e inarcò un sopracciglio quando vide Ambrose sorriderle, quasi divertito, due bicchiere in una mano e una bottiglia nell’altra.
 
“Vuoi farti perdonare per l’incarico odioso che mi hai assegnato?”
“Non sei tu quella che proclama la parità dei sessi? Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere scrivere un articolo su qualcosa che in genere viene assegnato solo agli uomini. Ahia!”
 
Raggiunta la scrivania della collega, aveva appoggiato i bicchieri sulla superficie di legno prima di essere colpito da un numero del giorno arrotolato.
“Peccato che l’intervistato fosse il più orribile dei misogini. Pensava fossi la tua assistente.”
“Non è il primo a pensarlo.”
 
“Non farei l’assistente neanche per lo stipendio del Ministro della Magia.”
 
Sbuffando, la strega prese il bicchiere che Ambrose le porse con un lieve brontolio, guardandolo sorriderle divertito:
“Neanche la mia?”
“Soprattutto la tua. Dicono che i capi di bell’aspetto siano pericolosi.”
“Ma io sono un agnellino!”


Di fronte alla teatrale obbiezione del ragazzo Julie aveva riso, guardandolo divertita e forse anche con un po’ di malinconia.
 
*
 
“A volte penso di aver sbagliato.”
“A fare cosa?”
 
“Non offendere l’intelligenza di entrambi.”
Seduto accanto a lei, i bicchieri ormai vuoti sulla scrivania, Ambrose alzò lo sguardo dalla propria mano – che sfiorava quella di Julie – e lanciò un’occhiata in tralice alla strega, che gli sorrise gentilemente di rimando.
“Quel che è stato è stato, Ambrose.”
“Questo lo so. Ma si può sempre rimediare, no? Se non è troppo tardi.”
L’espressione del mago si fece più tesa, quasi tetra, mentre distoglieva lo sguardo. Stava per versarsi altro whiskey quando Julie lo fermò, parlandogli con dolcezza:
 
Sei un incorreggibile stupido. Certo che non è troppo tardi. Non per me almeno.”
Per un istante Ambrose esitò, guardandola sorpreso. Poi sorrise – il sorriso più bello del mondo, pensò Julie arrossendo un poco – e si sporse verso di lei per prenderle il viso tra le mani e baciarla.
 
Nelle ultime settimane si era ritrovato spesso a chiedersi se non fosse tardi per avere ripensamenti, per dirle che era stato stupido a lasciarsi condizionare dal giudizio altrui.
Evidentemente, avrebbe dovuto ammettere a Riocard e a Lizzy di essersi sbagliato e che loro invece erano sempre stati nel giusto.
Merlino, quanto odiava dar ragione ai suoi cugini.
 
*
 
“Di che cosa vuoi parlarci, tesoro?”
 
Amethyst si rivolse al primogenito – nonché unico figlio maschio prima di una lunga serie di fiocchi rosa, motivo per cui la donna aveva sempre avuto per lui un particolare occhio di riguardo – con un sorriso, le mani giunte e appoggiate sul tavolo di fronte a cui era seduta mentre il marito, accanto a lei, guardava a sua volta il figlio con curiosità.
Ambrose ricambiò il sorriso della madre, in piedi dall’altro lato del tavolo, e verso del whiskey in un bicchiere di cristallo prima di allungarlo a John. Giusto per allietare la notizia.
 
“Volevo comunicarvi la mia decisione di fidanzarmi ufficialmente con Julie Anderson… e questa volta niente mi farà cambiare idea, come ho detto anche a lei. So che non è il più vantaggioso dei matrimoni, ma ho tre sorelle minori che potranno farne al posto mio. E la famiglia di Julie non è certo povera.”
“Ambrose…”
“So che avevate aspettative diverse per me, ma non vi ho mai dato problemi. Ho sempre fatto ciò che dovevo, non ho mai fatto nulla che potesse mettere la famiglia in imbarazzo… credo di poter dire di essere stato un figlio esemplare, vero mamma?”
“Senza dubbio, tesoro. Sai che ti vogliamo bene.”
Amethyst gli sorrise con calore, e Ambrose ricambiò prima di annuire:
“Lo zio ti fece sposare papà, giusto? Non ne era felice, ma lo fece per il tuo bene. Me l’ha detto lui.”
 
John sbuffò, borbottando qualcosa a bassa voce mentre la moglie, dopo un istante di esitazione, annuiva con un piccolo sorriso.
 
“Sì, è così.”
“Allora penso che se fosse qui sarebbe d’accordo con me. Non trovate?”
 
Amethyst scoppiò a ridere mentre si alzava in piedi, facendo il giro del tavolo per abbracciarlo con calore:
“Sei scorretto, tesoro, mettendola così. Ma di nuovo, devo ritrovarmi d’accordo con te. John?”
I due si voltarono sincronicamente verso il padrone di casa, che sbuffò piano prima di fare un piccolo cenno con la testa:
“Dovremo parlare della dote, ma… credo che si possa fare, sì. Del resto, quella di tua madre era abbastanza ingente per crescere generazioni di Bouchard.”
 
“Mi fa piacere che siate d’accordo, perché tra dieci minuti ho una Passaporta da prendere per New York per chiedere la mano di Julie ai suoi genitori, quindi temo che avreste avuto poca scelta… Ci vediamo stasera.”
Sorridendo allegro, Ambrose diede un bacio sulla guancia della madre e poi si diresse verso la porta della stanza sotto gli sguardi – sbigottito per il padre, divertito per Amethyst – dei genitori. Aperta la porta, il mago dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere quando si trovò davanti Clara e Colleen, che sobbalzarono e ammutolirono nell’essere state colte in flagrante.
“Stavate forse origliando, mie dolci sorelline?”
“No, figurati, passavamo per caso… Vieni Cherry, andiamo a dare da mangiare a Lady Ophelia e a Klaus. Dobbiamo farti le congratulazioni?”  Presa la minore a braccetto, Clara lo guardò con curiosità, inclinando leggermente la testa mentre un sorriso si faceva largo sulle sue labbra:

“Non ancora, me le farete stasera quando sarà di ritorno.”
 
Con un largo sorriso e gli occhi celesti luccicanti, Ambrose si allontanò più allegro che mai sotto gli sguardi divertiti delle sorelle proprio mentre la voce di Amethyst giungeva alle loro orecchie:
 
“Non stavate certo origliando, vero ragazze?! Non ho cresciuto delle pettegole!”
“Mamma, suvvia, è il gene di zia Gwendoline, e zio Theo dice che quando tu e lei prendete il thè insieme tutta Londra trema.”
 
*
 
 
Maggio 1916
 
 
“Ma vuoi stare fermo?! Non riesco a farti il nodo ben dritto, se continui a dondolarti avanti e indietro!”
“Scusa, sono un po’ nervoso. Mia madre?”
“Piange.”
“Colleen?”
“Piange.”
“Mio padre?”
“Cerca le scorte di alcol che tua madre ha nascosto.”
“Clara?”
“Passa fazzoletti a Colleen.”
“Zio Theo?”
“Consola tua madre.”
“Zia Gwendoline?”
“Da ordini a destra e a sinistra per far si che tutto sia perfetto.”
“E Lizzy?”
“Da ordini insieme a zia Gwen.”
 
Riflettendo sulle parole del cugino Ambrose annuì, dicendosi che dopotutto tutto andava come previsto mentre Riocard, soddisfatto, finiva di armeggiare con la sua cravatta con un sorriso soddisfatto:
“Ma guarda che bel nodo Eldredge ho fatto. Merito dei complimenti.”
“Certo Ric, ripensando alle mie nozze tutti ricorderanno le tue abilità cravattiste, non temere. Chi te l’ha insegnato, questo nodo assurdo?”
 
Ambrose lanciò una fugace occhiata alla sua cravatta blu prima di guardare il cugino con curiosità: Riocard, che stava andando verso la porta, si fermò sulla soglia e gli sorrise con la mano stretta attorno al pomello.
 
“Zio George. Diceva che è il nodo delle grandi occasioni. E dei gran signori. Lui l’allacciava sempre così… E diceva che quando sarei diventato Ministro avrei dovuto farlo a mia volta.”
“Se sapesse quello che hai fatto con le sue ultime volontà ti strangolerebbe, ho idea.”


“Forse, voleva che tutto andasse sempre come da lui previsto… ma non sempre le cose vanno secondo i piani. Forza serpe, so che vuoi farti ammirare, ma non vorrai arrivare dopo la sposa, spero.”
Ambrose seguì il cugino fuori dalla stanza sbuffando un poco, lanciando un’occhiata torva ai loro completi identici:
“Merlino non voglia, la mamma mi prenderebbe per un orecchio. Ma qualcuno mi spiega perché ci hanno fatto vestire uguali?! Sembriamo dei gemellini! Sento già le prese in giro delle mie sorelle.”
 
*
 

 
Garnet 2b6b9f7bfb7fe5df36f832b3a4ed3137e Ivy Bouchard-Saint-ClairIvy


 
“Papà! Papà, guarda, la nonna mi ha portato un gattino!”
 
Quando sua figlia Ivy gli corse incontro brandendo un micino dal lungo pelo chiaro, con l’estremità della coda, le orecchie e le zampine sfumate di nero, Ambrose si mise le mani sui fianchi e lanciò un’occhiata di traverso alla madre, che stava attraversando il giardino tenendo Garnet in braccio.
 
“E chi se ne occuperà?”
“Io! La nonna ha detto che devo trovargli un nome… vado a chiedere alla mamma.”
La piccola Ivy, che aveva ereditato come Clara gli occhi castani della nonna paterna, sorrise allegra prima di correre in salotto dalla madre per mostrare il nuovo arrivato in famiglia anche a lei.
 
“Mamma, perché ogni volta in cui vieni a trovarci porti dei regali?”
Ambrose accolse la madre con un sospiro esasperato, cercando di ostentare disapprovazione mentre Amethyst accarezzava i capelli rossi del nipotino accoccolatolesi sulla spalla:
“Perché svolgo il mio ruolo di nonna con molta serietà. E poi Ivy diceva da mesi di volere un gatto.”
“Già, peccato che finirà come con Colleen e Lady Ophelia, e si dimenticherà sempre di nutrirlo!”
 
Ambrose alzò gli occhi al cielo, rassegnandosi all’idea di dover badare anche al gatto – e pregando che Klaus non cercasse di azzannarlo – mentre Garnet, sfoderato il suo sorriso più irresistibile, chiedeva alla nonna se poteva avere un cucciolo anche lui.
“Ma certo! Che cucciolo vuoi, tesorino?”
Non se ne parla nemmeno.”


“Ambrose, non essere noioso.”
Amethyst lo superò senza battere ciglio per raggiungere nuora e nipote, non badando al sorrisetto compiaciuto e pestifero che Garnet rivolse al padre.
Scoccato al figlio uno sguardo d’avvertimento, Ambrose avrebbe quasi voluto intimargli di non fare il furbetto. Ma non poteva, perché come Riocard ripeteva sempre con estrema saggezza, quel bambino era semplicemente uguale a lui quando aveva la sua età.
“Vorrei un Crup come Klaus!”
 
Ambrose accolse le parole del bambino con una buona dose di terrore, ricordando fin troppo bene tutti i danni che Klaus aveva combinato da cucciolo, prima che riuscissero ad educarlo a dovere. Che fossero creature piccole quanto distruttive era cosa nota, e aveva perso il conto delle occasioni in cui Amethyst lo aveva maledetto per averne portato uno in casa sua.
Quasi come se l’avesse letto nel pensiero, la donna si voltò e gli rivolse il più amabile dei sorrisi, gli occhi castani animati da una particolare luce divertita.
O forse addirittura vendicativa.
 
“Ma certo tesoro. Papà ne sarà felicissimo.”
Amethyst mise il nipotino sul pavimento, invitandolo dolcemente ad andare a vedere il nuovo gattino insieme ad Ivy, che già stava chiedendo alla madre se poteva spazzolarlo, infiocchettarlo e fargli il bagno.
Ridendo, Julie cercò di spiegarle che il gattino non era affatto uno dei suoi peluche o bambolotti, mentre il piccolo felino tentava di liberarsi dalla presa ferrea della bimba.
 
E tu saresti l’innocente Tassorosso che tutti credono, mamma? Io dico che ho preso da te, non da papà.”
“Tesoro, ormai dovresti averlo capito, che il piglio dispettoso fa parte dell’eredità della nostra famiglia assieme ai capelli rossi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Finalmente ecco la seconda OS sul nostro adorato Ambrose <3
Scusate se ci sto mettendo un po’ a sfornarle, ma pian pian le finirò, non temete XD
A presto con quella di un’altra coppietta u.u
Signorina Granger

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Capitolo 3
*** Clio & Riocard ***


III. Clio & Riocard  
 


 
ClioClio e Riocard ded79f1d5ec31842369e1b95e33e1d48


 
Gennaio 1813
 
 
“Davvero se ne va?”
“Chi glielo ha detto? E non eravamo passati al tu, se non ricordo male?”

 
Riocard parlò aggrottando le folte sopracciglia rossastre, guardando la ragazza che aveva davanti annuire con un piccolo sorriso imbarazzato:
“E’ l’abitudine. Me l’ha detto mia nonna, comunque.”
“Ah, certo. C’era da aspettarselo.”
 
Riocard alzò gli occhi al cielo prima di lanciare una rapida occhiata divertita ai due Auror che affiancavano Clio e abbozzare un sorriso:
“Ti seguono ovunque?”
“Sì. Onestamente devo ancora comprendere se lo fanno per proteggermi o per proteggere il Ministero da me. Sono venuta a salutare mio padre.”
La strega parlò con una debole stretta di spalle e lanciando un’occhiata cupa agli uomini che l’affiancavano senza proferire parola, accogliendo la breve e inaspettata risata del ragazzo con leggero stupore: era poco abituata a vederlo sorridere, figuriamoci sentire le sue risa.
 
“Io mio cugino. Ci farà l’abitudine, fino a qualche anno fa tallonavano anche me. In tal caso, visto che devi vedere il Ministro, non ti trattengo oltre.”
Riocard fece per salutarla, girare sui tacchi e allontanarsi, ma la voce leggermente dubbiosa della strega lo indusse ad esitare, richiamando nuovamente la sua attenzione:
“Perché l’hai fatto? La faccenda del Ministero, intendo.”
 
“Non mi è mai interessato, da quando ero un ragazzino e mio padre ottenne la carica… so che era ciò che si aspettava da me, così come tuo nonno e tutta la mia famiglia, ma non penso di essere la persona più adatta. Me l’ha fatto capire vedere lo struggimento e il malessere di mio zio. Entrambi non veniamo che paragonati a mio padre dalla nascita, e essere il suo successore avrebbe solo aggravato le cose.”
Riocard parlò chinando il capo, rigirandosi l’anello con stemma che portava immancabilmente al dito mentre la giovane si chiedeva se fosse opportuno chiedergli di sua madre: che Alexis Saint-Clair fosse sparita dalla circolazione, era sulla bocca di tutti da una decina di giorni, da prima che suo padre ottenesse formalmente l’incarico. Era la prima volta in cui vedeva Riocard da quando avevano “chiarito” una certa faccenda con suo padre, e sua nonna di fronte alle sue domande si era limitata a mormorare che era meglio non disturbarlo.
 
Se la sua innata curiosità le suggeriva di indagare, la sua sensibilità le suggerì il contrario, così Clio si limitò a sfoggiare un debole sorriso prima di annuire e ringraziarlo:
 
“Per che cosa?”
“Mio nonno ha fatto stare mio padre malissimo, con quella decisione. Non si è… comportato bene, con lui. Grazie per avergli restituito ciò che meritava.”
“Neanche mio padre si è comportato bene con lui. Immagino di aver solo pareggiato i conti. Arrivederci, Miss Clio.”
 
Senza darle il tempo di aggiungere altro, Riocard fece un passo verso di lei e le fece un rapido baciamano prima di girare sui tacchi e allontanarsi. Clio, guardandolo accigliata, si domandò dove sarebbe andato. E soprattutto, quando l’avrebbe rivisto di nuovo.
 
*
 
Una mattina Clio scese a fare colazione e accanto al suo solito posto trovò ben due lettere ad aspettarla. Prese la prima con un piccolo sorriso, riconoscendo all’istante la grafia frettolosa del suo amato quanto burbero editore – che di certo la ragguardava sulle pagine che gli aveva promesso un mese prima – prima di metterla da parte, curiosa di scoprire chi altro le avesse scritto.
Per un istante pensò a Savannah, la sua migliore amica che da anni viveva a Ginevra col marito e il figlio, ma la scrittura non era la sua: il suo nome e l’indirizzo erano stati scarabocchiati in fretta, e con una grafia che era sicura di non conoscere.
 
“Chi ti scrive?”
“Non lo so.”
 
Clio aggrottò leggermente la fronte prima di aprire la busta con delicatezza, mentre Egan faceva colazione davanti a lei e passando pezzetti di bacon ad Herbst. Il fratello minore alzò lo sguardo sulla strega appena in tempo per vederla leggere il nome del mittente e spalancare gli occhi azzurri, portandolo a rinnovarle la domanda.
“Non importa. Farò… farò colazione dopo.”
 
Clio prese entrambe le lettere e uscì dalla stanza quasi di corsa, imbarazzata, lasciando interdetto il fratello mentre Edward entrava con Sommer e Winter scodinzolanti al seguito, pronti ad elemosinare un po’ di cibo a loro volta.
“Che succede a tua sorella?”
“Non ne ho idea…”
 
Egan aggrottò la fronte e guardò con sospetto il punto in cui la sorella era sparita, chiedendosi da chi provenisse quella lettera visto e considerato che non l’aveva mai vista reagire in quel modo strano.
 
*
 
“Neit, sai a chi nostra sorella scrive circa ogni settimana? Sta intrattenendo una corrispondenza con qualcuno, ma non capisco di chi si tratti.”
“Non ne ho idea, ma non hai tutti i torti… è da un paio di mesi che riceve posta che non mostra a nessuno. Se ne va a leggere quelle lettere in un’altra stanza imbarazzata.”
 
Neit parlò aggrottando la fronte, pensieroso, mentre Egan tamburellava nervosamente le dita sul tavolo. Per qualche istante nessuno dei due parlò, poi il fratello minore quasi sobbalzò sulla poltrona dove era seduto:
“PORCO MERLINO!”
“Che hai da urlare?! Svegli Sommer!”
 
Il maggiore sbuffò e indicò la sua lupa, che si era appisolata sul divano accanto a lui e che alzò la testa di scatto udendo la voce di Egan, drizzando le orecchie pelose.
L’altro però non sembrò farci vaso, e sbuffò prima di incrociare le braccia al petto mentre la lupa tornava ad accoccolarsi accanto al padrone:
 
“E meno male che eri tu il genio della famiglia… Rifletti. Da quanto tempo Clio fa così? All’incirca due mesi, dall’inizio dell’anno. Dalle sue reazioni atipiche possiamo intuire che riceve e scrive lettere a qualcuno a cui prima non scriveva, o in alternativa i suoi rapporti con questa persona sono cambiati.”
“Sì Sherlock, vai avanti.”
“Non so chi sia costui, ma soprassediamo. Ebbene, geniaccio, CHI di nostra conoscenza, e di nostra sorella, se n’è andato dal paese proprio due mesi fa?!”
 
Per un istante nessuno dei due parlò, e Neit aggrottò la fronte mentre Somme tornava a sonnecchiare, gli occhi chiusi e il muso appoggiato sulle zampe anteriori incrociate.
 
“Per il diadema di Priscilla… Non penserai che si tratti di Riocard Saint-Clair?”
“Alla buon’ora! Non lo so, ma ho questa sensazione nefasta… Dobbiamo scoprirlo!”
“Rassegnati, se fosse lui Clio non ce lo direbbe neanche sotto minaccia. Ecco perché non ci mostra la sua posta!”


“E’ vero, dobbiamo trovare qualcuno con cui Clio potrebbe confidarsi. La nonna?”
“No, la nonna è una pettegola di prim’ordine, Clio non le confiderebbe una cosa simile. Se l’avesse fatto, lo sapremmo già tutti.”
“Hai ragione. Ci serve qualcuno che sia in stretti rapporti con lei, ma riservato. La persona ideale con cui confidarsi.”
 
I due erano impegnati a rimuginare attentamente, arrovellandosi sulla questione, quando i loro flussi di pensieri vennero bruscamente interrotti nell’udire una voce. Una dolce, vellutata voce femminile che entrambi conoscevano molto bene.
“E’ permesso? Spero di non disturbarvi, vostra madre mi ha detto che eravate qui.”
 
La figura esile e aggraziata di Caroline apparve sulla soglia della stanza con un fruscio di seta rosa pallido, e la ragazza sorrise gentilmente mentre Egan e Neit, pensando la stessa cosa, si scambiavano un’occhiata prima di voltarsi sincronicamente verso di lei:
 
“CAROLINE!”
“Emh… sì. Interrompo qualcosa?”
I grandi occhi celesti della strega vagarono da un fratello all’altro, guardando Egan alzarsi in piedi e sfoderare al contempo un sorriso che tutti loro conoscevano fin troppo bene. Ezra lo chiamava il “sorriso marpione”.
 
Caroline, mia dolce, bellissima, eterea cugina, luce dei miei occh-“
“EMH EMH.
“Sì, sì, va bene, degli occhi di Neit. Che cosa ti porta qui?”
“Io e Clio dobbiamo uscire, ma volevo salutare Neit. Che cosa vuoi, Egan?”
Caroline inarcò un sopracciglio, guardandolo divertita mentre gli occhi chiari del cugino avevano un guizzo al sentir nominare la sorella: prese la strega sottobraccio e la condusse gentilmente verso Neit, parlando con quello che sua nonna chiamava “il tono ruffiano”.
 
“Giacché devi incontrare nostra sorella, io e Neit avremmo un minuscolo favore da chiederti.”
“Quanto minuscolo?”


Gli occhi della strega si spostarono sul fidanzato, lanciandogli un’occhiata eloquente mentre Neit si sforzava di sorridere con l’aria più innocente possibile.
 
“Dipende dai punti di vista.”
“Nostra sorella riceve lettere misteriose che nemmeno apre in nostra presenza, e quando risponde e le chiediamo cosa stia scrivendo arrossisce, balbetta e se ne va senza dare risposte. Per caso tu sai dirci a chi scrive? Te l’ha detto?”
 
“No, non me l’ha detto, ma so benissimo di chi si tratta.”
Caroline rispose alla domanda di Egan non nonchalance, stringendosi nelle spalle mentre i due la guardavano di rimando con tanto d’occhi, sorpresi:

“Dici sul serio?!”
“E’ ovvio che sia Riocard! Per chi altro potrebbe arrossire, balbettare e soprattutto non farne parola con voi? Sa benissimo che cosa pensate a riguardo, e siete sempre stati terribilmente protettivi con lei. In più, se n’è andato da due mesi. Pf, e poi dicono che quelli più svegli della famiglia sono tutti uomini… Ridicolo!”
 
*
 
 
La prima volta in cui rivide Riocard fu alla fine di giugno, quando andò a trovare sua nonna nel Derbyshire. Winter le trotterellava accanto dopo essersi Materializzato insieme a lei, e Clio camminava stringendo la cinghia della borsa di cuoio dove aveva riposto penna, calamaio e un rotolo di pergamena.
Quando non riusciva a concentrarsi a casa era sempre dalla nonna paterna che andava, e Gwendoline non le aveva mai negato ospitalità, una tazza di thè e un po’ di pace per scrivere.
Stava già pregustando i dolcetti che di certo la donna le avrebbe offerto – accusandola di essere “troppo magra”, come al solito – quando i suoi occhi scorsero una figura uscire dalla porta d’ingresso del grande cottage, scendere i pochi gradini del portico e attraversare il cerchio coperto di ghiaia andando dritto nella sua direzione.
 
Riocard teneva le mani sprofondate nelle tasche e sembrava pensieroso, scrutando gli alberi che costeggiavano la casa. Si accorse di lei quando a dividerli c’erano solo una decina di metri, e sembrò sorpreso per un istante prima di incurvare le labbra in un sorriso.
“Salve.”
“Sei tornato.”
Invece di salutarlo, Clio lasciò che i suoi pensieri fluissero liberamente attraverso le sue labbra, guardando il giovane con piacevole sorpresa. Si fermò e lo osservò, non notando grandi differenze rispetto a quando l’aveva visto per l’ultima volta sei mesi prima. I suoi capelli rossi erano leggermente più lunghi e sembrava abbronzato, ma il sorriso largo e la postura diritta erano gli stessi di sempre.
“Tua nonna non te l’ha detto? Mi sorprende.”
Riocard si fermò a sua volta e inclinò leggermente la testa, divertito, mentre Clio abbozzava un sorriso di rimando: sapeva del suo ritorno, ovviamente, ma vederlo di persona era tutta un’altra cosa. Fino a quel giorno le era quasi sembrato che non fosse reale.
“Non ce n’è stato bisogno. Da una settimana al Ministero e nei locali magici non si parla d’altro. Il figlio di Rodulphus Saint-Clair torna dopo aver lasciato la sua eredità ai Cavendish.”
“Sì, suppongo di aver fatto scalpore, ma poco mi importa. Sono venuto a salutare mia zia, glie l’avevo promesso. Come stai, Miss Clio?”


“Non riesci a chiamarmi solo per nome?”
“Ti chiamavo così quando eravamo piccoli, o tua nonna mi avrebbe bacchettato, ma cercherò di cambiare abitudine. Ho sentito che tuo padre se la cava bene.”
“Mi sembra felice. Impegnato, ma felice. E io… io sto bene.”
 
Mormorando che gli faceva piacere, Riocard le rivolse un cenno e asserì di non volerla trattenere prima di superarla. Stava per Smaterializzarsi quando Clio si voltò per seguirlo con lo sguardo, parlando prima di riuscire a trattenersi:
 
“Sono felice che tu sia tornato.”
Ma perché non stai mai zitta?!
 
Clio guardò Riocard fermarsi e voltarsi verso di lei con un nodo in gola, arrossendo leggermente quando lo vide sorriderle gentilmente.
“E io di essere tornato.”
 
 
“Tesoro, eccoti! Hai incontrato Riocard, per caso?”
Come di consueto, sua nonna la accolse con il thè pronto per essere servito e la sua migliore e fasulla espressione sorpresa, ricambiata dall’occhiata eloquente della nipote:
Nonna, non ti offendere, ma non la dai a bere a nessuno. Come minimo ti sarai appostata alla finestra.”
“Non capisco perché tutti pensano che io sia così incline a farmi gli affari altrui! Insomma, in fin dei conti lo faccio solo per i miei cari. E sappi che Riocard mi ha detto che mentre era via vi scrivevate. Perché non me ne hai parlato?!”
 
Se c’era una cosa che Gwendoline non sopportava, era di essere lasciata all’oscuro di qualcosa: la strega lanciò infatti un’occhiata torva alla nipote, che però sorrise angelica e battè la ritirata dopo aver afferrato una manciata di biscotti, asserendo di avere un mucchio di pagine da scrivere.
 
*
 
“Ciao cuginetta! AHIA!”
Il volto di Riocard venne sfigurato da una smorfia dolorante quando il ventaglio di Elizabeth lo colpì sulla spalla, mentre Phobos e Deimos correvano a fargli le feste, felici di rivederlo.
 
Ciao cuginetta?! Molli il Ministero ai Cavendish, tua madre sparisce, te ne vai di soppiatto senza dirmi nulla, lo scopro da Ambrose, non mi dici perché, dove sei o cosa fai e rispunti dal nulla sei mesi dopo dicendomi “Ciao cuginetta”?! Mi prendi per stupida?”
“Credimi Lizzy, non potrei mai. Ti chiedo umilmente perdono, ma giuro che l’ho detto solo ad Ambrose. Non volevo sollevare un polverone, e conosci la nostra famiglia.”
 
Di fronte allo sguardo implorante del cugino Elizabeth incrociò le braccia al petto, guardandolo torva, anche se decise di perdonarlo un paio di istanti dopo, quando il ragazzo le porse una scatola che si rivelò contenere un paio di lunghi guanti bianco perla da sera.”
“Un regalo per la mia cugina prediletta.”
“Bene, in tal caso puoi entrare. E voglio sapere tutto. Tutto.”
 
Elizabeth girò sui tacchi e gli fece strada verso il salotto, non potendo scorgere la fugace luce malinconica negli occhi del cugino: non avrebbe mai potuto dirle proprio tutto, ovviamente. Ed era uno dei motivi per cui se n’era andato, sei mesi prima.
 
*
 
“Sapevo che avrei trovato qualcun altro impegnato a nascondersi. Disturbo?”
 
Clio alzò lo sguardo dal libro di scatto, allarmata, ma si rilassò quando si rese conto di essere stata colta in flagrante da Riocard e non da sua madre.
 
“Oh, no. Non posso esercitare il monopolio sul giardino, dopotutto.”
La strega abbozzò un sorriso che il mago ricambiò, e Riocard sedette accanto a lei sulla panchina mentre alle loro spalle, dentro casa, gli altri ospiti si godevano la festa e la musica.
 
“Portarsi appresso un libro è una buona strategia. Perché non ci ho mai pensato?”
Riocard lanciò un’occhiata al libro che Clio teneva in mano aggrottando la fronte, e la strega lo chiuse con un sorriso:
“A volte qualche sporadica buona idea viene anche a me. Detesto stare lì dentro, finisco sempre a cercare di confondermi con la tappezzeria sperando che nessuno mi inviti a ballare!”
Clio scosse la testa con una piccola smorfia, udendo la risata di Riocard con un po’ di malinconia: era abituata ad essere il disastro di famiglia da tutta la vita, e non sarebbe mai stata abbastanza grata a sua nonna per il modo in cui la difendeva a spada tratta. Una sera, cinque anni prima, ricordava di averla vista buttare fuori un’ospite dopo averla sentita deridere la nipote dopo una brutta caduta in mezzo alla sala.
 
“Credevo che fosse il sogno di molte ragazze, essere invitate a ballare. Poco fa ho visto tuo fratello trascinare mia cugina sulla pista dopo averla implorata per dieci minuti.”
“Elizabeth non ama ballare?”
“No, ma credo che soprattutto si diverta a tormentarlo un po’. Lei gli interessa veramente?”
Riocard la guardò con un sopracciglio inarcato e lo sguardo indagatore, osservandola annuire con cipiglio pensieroso:
“Credo di sì. E lei?”
“Conoscendo mia cugina, se non le piacesse lo avrebbe già rifiutato bruscamente tempo fa. Sa come… farsi capire.”
“Mi fa piacere.” 
 
Clio sorrise allegra e Riocard annuì, divertito: Ambrose non faceva che lamentarsi di come la cugina cercasse di incastrarlo con Julie, e non poté fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato divertente fare lo stesso a lei e ad Egan Cavendish. Peccato che se ci avessero provato, a sistemarla a forza con lui, suo zio Theseus gliele avrebbe suonate di santa ragione.
 
“Anche mio fratello ha viaggiato tanto come hai appena fatto tu. Vorrei poterlo fare anche io, un giorno.”
La strega sospirò e, appoggiandosi il libro sulle ginocchia coperte dalla gonna del vestito, alzò lo sguardo sulla volta celeste coperta di stelle mentre Riocard la guardava inclinando il capo:
“Non puoi?”
“Purtroppo una signorina non ha la libertà di saltare su una nave e andarsene per il mondo.”
 
“Sono sicuro che avrai modo di farlo. Magari non da sola come ho fatto io, ma lo farai.”
 
Lo sguardo di Clio tornò sul volto di Riocard, e gli sorrise grata. Stava per chiedergli perché se ne fosse andato – quel pensiero la tormentava da mesi, ma non aveva mai osato chiederglielo in una delle tante lettere che gli aveva scritto – quando il mago si alzò dalla panchina vittoriana porgendole una mano:
“So che non ti piace, ma pensi di poter fare una piccola eccezione per il ballo, stasera?”
“Sei sicuro? Lo dico per la tua incolumità fisica, ti pesterei i piedi.”
 
Clio inarcò un sopracciglio, guardandolo sinceramente dubbiosa, ma Riocard annuì senza ritrarre la mano. Gli occhi azzurri della giovane indugiarono su di essa, consapevole di voler accettare. Eppure, c’era una piccola parte di lei che la frenava dallo stringerla, e mormorò qualcosa sentendo una debole stretta allo stomaco.
Chissà cosa avrebbero detto guardando un ragazzo ambito come Riocard Saint-Clair ballare con una ragazza goffa come lei.
“Non pensi che lì dentro si aspettino di vederti ballare con qualcuna di più… appropriata?”
Di fronte alle parole della strega e alla sua espressione cupa Riocard esitò, sorpreso, prima di distendere le labbra in un sorriso, asserendo che se gli fosse importato delle opinioni altrui sarebbe già stato Ministro della Magia.
 
*
 
“Davvero hai visto tutte le cose di cui mi hai parlato? Sono terribilmente invidiosa… Vorrei tanto poterlo fare anche io.”


Clio, un boccale di Burrobirra ormai pieno solo fino a metà davanti e i gomiti sul tavolo, sorreggendosi il viso con le mani, sospirò mentre Riocard vuotava il suo con un debole sorriso:
“Ammetto che il Taj Mahal è davvero… stupefacente. Ma sono certo che avrai modo di vedere il mondo anche tu, un giorno. Io avevo solo bisogno di allontanarmi per un po’.”
In tutte le lettere che si erano scritti, Clio non gli aveva mai domandato esplicitamente il motivo per cui se n’era andato: le era sempre mancato il coraggio, temendo di essere inopportuna.
“Amo la mia famiglia, ma non dispiacerebbe neanche a me. Anche se di sicuro tutti penserebbero che non farei mai ritorno, sarei capace di cadere dal ponte di una nave!”
Clio sospirò, afflitta, e Riocard trattenne a stento una risatina, guadagnandosi una finta occhiata di rimprovero da parte della ragazza:
“Stai ridendo di me un’altra volta?”
“Non potrei mai permettermi, giuro. Tuo fratello continua a guardarmi male, comunque.”
 
Riocard parlò senza neanche voltarsi, sistemandosi distrattamente il costoso orologio da polso mentre gli occhi azzurri di Clio saettavano su Egan, intimandogli con lo sguardo di non mettersi in mezzo.
“E’ solo un po’ troppo… protettivo con me.”
“Non ho sorelle, ma penso sia abbastanza normale… anche Ambrose faceva così con le sue, fino a qualche tempo fa. Poi si è arreso, credo.”


Il ragazzo fece spallucce prima di alzarsi, sorridendole gentilmente e ringraziandola per la chiacchierata.
“Di nulla.”
Clio ricambiò il sorriso, guardandolo uscire dal pub prima di appuntarsi mentalmente di sostare più spesso nel locale del fratello minore. Chissà, magari avrebbe potuto incontrarlo accidentalmente anche altre volte.
Infine, la strega si voltò verso il fratello e sfoderò il più adorabile dei sorrisi, sollevando al contempo il boccale quasi vuoto:
“Egan? Ne porti un’altra alla tua sorellina prediletta?”
“Prima o poi tu e Ezra mi manderete sul lastrico, lo so. Per lo meno Saint-Clair mi paga, a differenza vostra.”

 
*


 
Caroline stava leggendo in tutta tranquillità, seduta comodamente sulla poltroncina foderata di velluto posta vicino alla finestra della sua camera. Per una volta nessuno stava disturbando la sua quiete, o almeno finchè sua cugina non si Materializzò in camera sua con un sonoro schiocco, facendola sobbalzare.
 
“Porca Priscilla… CLIO! Mi hai spaventata a morte!”
“Lo so, scusa, scusa, scusa, ma ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego, ti prego!”
 
La Tassorosso si inginocchiò accanto alla poltrona guardandola implorante e congiungendo le mani, facendola sospirare mentre chiudeva il libro con una buona dose di rassegnazione: pazienza, l’avrebbe finito un’altra volta.
“Che cosa succede?”
“Non lo immagini neanche! Riocard mi ha… mi ha…”
 
Clio non finì la frase, arrossendo vistosamente e mormorando qualcosa che Caroline non udì. Armata di pazienza, la Corvonero sorrise e le prese le mani, chiedendole gentilmente di ripetere.
“Mi ha invitata a cena! Che cosa mi metto? Cosa faccio? Che cosa mangio? E se rovescio qualcosa? E se inciampo?”
“Una cosa per volta… sei felice, prima di tutto?”
“Sì, certo! Cioè, lo ero, poi ho iniziato a preoccuparmi… forse non dovrei andare.”
La Tassorosso sospirò affranta e nascose il viso sulle gambe della cugina, che scosse il capo con decisione e la costrinse a guardarla nuovamente:
“Non dirlo nemmeno per scherzo, te ne pentiresti amaramente. Forza, per prima cosa andiamo da te e decidiamo cosa farti indossare, va bene?”
Clio annuì, rincuorata, e lasciò che la cugina la condusse fuori dalla sua camera. Scendendo le scale Caroline si rivolse alla madre, informandola che stava uscendo con Clio e guadagnandosi così un’occhiata sinceramente perplessa da parte di Penelope, che guardò Clio come se avesse visto un fantasma:
 
“Tesoro, ma quando sei arrivata?”
“Scusa zia, mi sono Materializzata, è una cosa urgente. Caroline viene ad aiutarmi a decidere cosa indossare per una cena.”
 
“Non avresti dovuto dirlo…”
Lo sguardo di Penelope ebbe un guizzo e Caroline sospirò rassegnata. Clio capì il significato delle sue parole poco dopo, quando Penelope le seguì a casa sua asserendo che mai si sarebbe persa una simile occasione, contribuendo a dare consigli su vestiti e scarpe standosene comodamente stesa su un triclinio a bere champagne.
 
 
“Divertiti!”
“Stai lontana dall’insalata!”

“Dopo vogliamo il resoconto dei dettagli scottanti!”
“Penny!”

“Via Estelle, sto scherzando, bevi una coppa di champagne e rilassati.”
 
*
 
Quando Riocard l’aveva accolta con un candido “sei splendida”, Clio aveva sospirato di sollievo: dopo tre ore di preparativi, cambi e discussioni con madre, zia e cugina era il minimo, ma ovviamente non espresse quei pensieri a voce alta.
Quella sera, Clio uscì dal Ritz quasi con gli occhi pieni di lacrime di commozione: non era caduta, non aveva rovesciato nulla… aveva tutto un che di miracoloso!
Accorgendosi del suo sorriso, Riocard le porse il braccio e la imitò, guardandola divertito mentre camminavano fianco a fianco:
“A che cosa stai pensando?”
“Mh? Oh, nulla, nulla… Penso solo che i camerieri si siano stupiti, ho una certa reputazione da rovescia-vassoi e rovescia-calici, sai.”
“Ah, sei una celebrità allora.”
“Non per i motivi che vorrei, ma sì, diciamo di sì. Forse stasera la tua eleganza ha contagiato anche me, chissà.”
 
Riocard avrebbe voluto rispondere che era tutto merito di sua madre e del modo in cui l’aveva educato, ma evitò di nominare Alexis e le propose, invece, di accompagnarlo in un posto.
 
 
Appoggiata al muretto dove lo stesso Riocard era solito sedersi spesso, Clio osservava le luci dei lampioni riflettersi sull’acqua del Tamigi. Accanto a lei, il ragazzo faceva lo stesso in silenzio, ripensando all’ultima volta in cui era stato lì, mesi e mesi prima.
 
“Grazie per l’invito.”
All’improvviso la strega si voltò verso di lui e gli sorrise, costringendolo a fare altrettanto: c’era qualcosa nel sorriso di Clio Cavendish che lo rendeva terribilmente contagioso.
“Volevo ringraziarti. Sai, le tue lettere mi hanno aiutato molto, mentre ero via. Ho avuto un piccolo contatto con la realtà.”
“Non scrivevi ai tuoi familiari?”
“Solo ad Ambrose, non avevo detto dove andavo a nessun altro… sarebbero stati capaci di venirmi a prendere e trascinarmi a casa.”
 
Riocard scosse la capo con disapprovazione e Clio sorrise, dicendosi che di certo i suoi parenti avrebbero fatto la stessa cosa per lei.
“Posso chiederti una cosa?”
“Certamente.”
“Perché mi hai scritto la prima volta? Perché proprio a me?”


Era una domanda che si faceva da mesi, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo per iscritto. E nemmeno quando l’aveva rivisto una volta di nuovo in Inghilterra.
Riocard non rispose subito, guardandosi le mani appoggiate sul muretto di pietra prima di mormorare qualcosa:
 
“Non saprei. Sai, quando mi aiutavi a cercare a casa di tua nonna facendo danni a destra e a sinistra…”
Non ne ho fatti poi così tanti!”
“… era come se la tua presenza mi facesse venire il buon umore. Ammetto che un po’ mi facevi ridere.”
Riocard abbozzò un debole sorriso, ricordando quando la ragazza si era quasi tirata addosso un armadio. Clio invece sospirò, ripetendosi di essere il solito disastro prima di udire le ultime parole del mago, che riprese a parlare dopo una breve esitazione:
“Forse un po’ mi mancavate, tu e la tua positività.”
Clio si voltò sorpresa, senza dire nulla come Riocard, che si limitò a guardarla di rimando. Poi, dopo qualche istante di silenzio, il ragazzo le posò delicatamente una mano sul viso e si chinò per baciarla.
 
*
 
Clio gli aveva chiesto di vedersi ad Hyde Park per “fargli una presentazione importante” e Riocard si era recato all’appuntamento chiedendosi sinceramente di chi potesse trattarsi.
Quando scorse la ragazza seduta su una panchina con il suo grosso lupo nero accanto, il mago abbozzò istintivamente un sorriso e le si avvicinò guardandosi attorno con curiosità:
“Buongiorno Clio. Chi mi devi presentare?”
“Buongiorno! Non serve che ti guardi attorno, è già qui.”


Sorridendo allegra la bionda indicò Winter, che osservò Riocard attentamente mentre il ragazzo chinava il capo verso di lui aggrottando le sopracciglia:
“Il tuo… il tuo lupo?”
“Certo, vi devo presentare ufficialmente! Non è l’animale più espansivo del mondo, al di fuori della mia famiglia. Siediti.”
 
Riocard obbedì e le sedette accanto, guardandola accarezzare la testa del lupo con un sorriso intenerito:
Solo tu potevi organizzare un incontro programmato tra me e il tuo lupo… Bene, ciao Winter.”
 
Sforzandosi di assumere il suo tono più formale Riocard allungò una mano verso l’animale, che l’annusò prima di porgergli la zampa a sua volta, facendolo ridacchiare.  Il tutto sotto lo sguardo di Clio, che dopo un istante di esitazione sorrise e strinse il braccio del ragazzo per appoggiargli la testa sulla spalla: per un attimo aveva quasi temuto che potesse prenderla in giro, ma fortunatamente Riocard non l’aveva fatto.
 
“Dici che gli sto simpatico?”
“Ti adorerà. Non può essere altrimenti.”
 
*
 
 
Ambrose non amava ricevere visite mentre lavorava, e di rado concedeva udienza non appena veniva informato della presenza di un visitatore. Eppure, quando veniva fatto il nome di suo cugino non poteva fare altro che chiedere di farlo entrare all’istante.
Quella mattina, il giovane Direttore della Gazzetta del Profeta guardò Riocard entrare nel suo studio con un sorriso sulle labbra, lieto di poter fare due chiacchiere con lui. Eppure, smise immediatamente di farlo quando scorse l’espressione tesa sul volto del cugino, che stringeva nervosamente il cappello di feltro tra le mani.
 
“Ciao Ambrose, perdona l’intrusione. Ti devo parlare.”
“Di che si tratta? Qualcuno sta male? Lizzy ha ucciso qualcuno e dobbiamo testimoniare?!”


“No, nulla di simile. Posso?”
Riocard indicò una sedia e il cugino annuì frettolosamente, facendogli cenno di sedere mentre lo osservava attentamente. L’ex Grifondoro sedette e sospirò stancamente, passandosi una mano tra i riccioli ramati prima di mormorare qualcosa a bassa voce:
 
“Clio mi nasconde qualcosa.”
 
Il volto di Riocard s’incupì, la stretta sul cappello s’intensificò e Ambrose si rese conto di non avergli mai visto un’espressione così affranta da subito dopo la morte del padre. Incredulo, il giornalista aggrottò la fronte e scosse la testa, certo che il cugino non potesse avere ragione:
“Ne sei certo? Insomma, non posso dire di conoscerla bene, ma l’idea mi sembra davvero… assurda.”
“Lo so, anche a me! Ma sono certo che mi nasconda qualcosa, non è la migliore bugiarda in circolazione, anzi. Spesso la vedo scrivere qualcosa, ma si rifiuta di farmi vedere… e riceve posta da un certo “Mr Reed”!”
“Beh, magari è un suo amico…”
“Sì, ma perché fare di tutto per non farmele vedere, allora? Non sentirebbe il bisogno di farlo, se non ci fosse qualcosa da nascondere.”
 
Riocard scosse il capo con decisione, sicuro delle sue parole, e Ambrose non poté che trovarsi silenziosamente d’accordo con lui. L’idea che Clio Cavendish, l’adorabile Tassorosso sorridente e sempre gentile con tutti, potesse fare una cosa del genere al cugino era assurda, ma non poteva negare il senso delle sue supposizioni.
“Credo che dovresti parlargliene, se ti fa stare male. Non riesco ad immaginarmela capace di ferirti in questo modo, è evidente che ti adora, ma è inutile vivere con questo dubbio. Parlale.”
 
 
Ambrose si strinse nelle spalle e si sforzò di sorridere al cugino, guardandolo annuire piano prima di mormorare che aveva ragione.
“Ti lascio tornare a questioni più urgenti. Ci vediamo presto.”


L’ex Grifondoro si alzò, rivolse un cenno al cugino e infine si congedò senza aggiungere altro, più serio che mai. Rimasto solo, Ambrose rifletté sulle sue parole e si domandò come potesse aiutarlo: chi poteva sapere la verità? La sua famiglia, magari. Ma di certo non sarebbero andati a dirlo a lui.
 
Su chi poteva fare affidamento, per svelare scottanti verità?
 
 
 
 
“Ciao splendore! Che cosa ti porta qui, oltre alla mia mancanza?”
Egan accolse la fidanzata con un largo sorriso, sporgendosi sul bancone per darle un bacio sulla guancia che però non ebbe modo di donarle: Elizabeth-Rose, più seria che mai, gli si parò di fronte stringendo le braccia al petto e studiandolo con attenzione.
 
“Mio cugino ha l’aria triste da qualche tempo. E so che tua sorella è un angelo e che tu l’adori, ma pensi che ci sia qualcosa che Riocard dovrebbe sapere?”
“Clio? Clio è la peggior bugiarda del mondo, credimi.”
In altre circostanze Egan sarebbe scoppiato a ridere immaginando la sorella intenta a nascondere qualcosa al fidanzato – che per qualche motivo a lui incomprensibile Clio amava follemente –, ma l’espressione implorante che Elizabeth assunse guardandolo lo costrinse a restare serio:
“Ambrose mi ha detto che Ric è un po’ preoccupato perché scrive cose che non gli mostra mai, e riceve lettere da un certo Mr Reed. Non è affar mio, ma non voglio che Ric soffra. Per favore.”
Era piuttosto raro vedere Elizabeth implorare, e Egan sospirò prima di scuotere il capo con disapprovazione all’udire il nome dell’editore della sorella:
“… Reed, hai detto? Porco Merlino, glie l’abbiamo detto, di dirglielo.”
“Dirgli COSA?”
“Prometto che parlerò con mia sorella, non preoccuparti, non è nulla di grave. Ma voglio qualcosa in cambio.”
Egan sfoderò il suo consueto sorrisetto e si sporse leggermente verso di lei, guardandola sbuffare divertito:
 
“Cosa?”
“Che domande, un bacio dalla mia cliente prediletta!”
“Mi auguro che tu non vada a reclamare baci anche alle altre clienti, Egan Cavendish.”
Egan sorrise e scosse la testa, mormorando che non se lo sognava nemmeno prima di baciarla dolcemente.
 
*
 
Quando Egan e Neit, più seri che mai, avevano asserito di doverle parlare Clio non aveva potuto fare altro che spaventarsi, chiedendo se la nonna o i genitori stessero bene: se per il gemello era normale, scorgere Egan serio rappresentava un evento più unico che raro.
 
“Clio, Riocard si è accorto che gli nascondi qualcosa, ma ha frainteso. Pensa che tu abbia una sorta di spasimante segreto.”
“Che cosa? Uno spasimante segreto? IO? Non scherziamo!”
Seduta davanti ai fratelli, Clio non poté far altro che scoppiare a ridere: era la cosa più ridicola che avesse mai sentito.
 
“Sì sorellina, noi lo sappiamo che è assurdo, ma il tuo… mi rifiuto di chiamarlo “fidanzato” ad alta voce, Riocard potrebbe aver intravisto una lettera di Reed.”
“Oh certo, pianifico di fuggire con Frederick e lasciare Riocard di punto in bianco da mesi.”
 
Egan si rilassò e ridacchiò insieme alla sorella, mentre Neit si limitò ad alzare gli occhi al cielo prima di lanciare un’occhiata al suo orologio da polso: doveva tornare al lavoro e non aveva tempo per le scemenze, quindi conveniva fare alla svelta.
 
“Clio, dovresti prendere seriamente in considerazione l’idea di dirgli della tua… seconda vita, per così dire. Credo che sia la cosa migliore, e sono sicuro che non la prenderà a male.”
“Lo pensa anche la nonna!”
“Egan, ma glielo hai detto?! Sei il solito cocco di nonna! Neit, pensi davvero che non se la prenderà?”
“No, se ti ama davvero.”
Probabilmente furono proprio quelle parole a convincerla: infondo suo fratello aveva sempre ragione.
 
*
 
Quando gli aveva chiesto di sedersi accanto a lei per “dirgli una cosa importante”, Riocard aveva ubbidito temendo il peggio, guardandola prendergli timidamente la mano prima di mormorare che “sperava che non si arrabbiasse”.
 
Dieci minuti dopo, dopo avergli raccontato tutto, dei libri, di Frederick Reed, il suo adorato e fido editore, e del suo pseudonimo, Clio guardò Riocard fissare allibito le proprie mani intrecciate. Per qualche istante nessuno dei due disse nulla, e la strega stava per implorarlo di non giudicarla malamente quando lui scoppiò inaspettatamente a ridere:
 
“Merlino, sono un vero idiota! Negan York… Negan è l’unione dei nomi dei tuoi fratelli, e quando si parla dei suoi libri cambi sempre argomento. E una volta mi hai detto che ami scrivere. Che stupido.”
“Non sei stupido, come potevi pensarlo? Non sei arrabbiato?”
 
Clio lo guardò quasi implorante e Riocard scosse la testa senza smettere di sorridere, sfiorandole il volto con la mano libera:
“No. Sono felice che tu riesca a fare ciò che ti appassiona e che tu abbia successo. Sai, non ho mai letto quei libri… adesso dovrò proprio rimediare.”
“Davvero? Te li farò spedire da Frederick. E  sappi che ha 50 anni più di me, quindi no, non è il mio amante segreto.”
Riocard rise prima di abbracciarla, scusandosi per aver dubitato di lei mentre la strega appoggiava la testa sulla sua spalla ricambiando la stretta. Per un istante il mago pensò a tutto ciò che lui non le aveva ancora detto, provando un profondo moto di senso di colpa.
Ma come poteva pensare di farle carico di un peso simile?
 
*
 
“Se ha bisogno di pensarci lo capisco, Signor Cavendish.”
“Puoi chiamarmi Edward.”


 
Riocard non rispose, limitandosi a guardare l’uomo seduto oltre la scrivania, il mago più importante del paese. Edward, seduto sulla poltrona di pelle con le mani allacciate in grembo, spostò lo sguardo dalla foto incorniciata che ritraeva i figli da bambini per tornare a rivolgersi al ragazzo, osservandolo senza emettere un fiato.
 
“Suo padre vorrebbe che io sposassi Estelle Reynolds, sai? L’ha detto a tua madre ieri, e ha esteso la sua volontà anche a me, ieri.”
“Estelle?!”
“Naturalmente non accetterò, sei mio cugino e so quanto Estelle ti piaccia…”
 
“… a patto che tu faccia qualcosa per me, Ed.”
“Qualunque cosa per Estelle.”
“… Proprio qualunque?”
 
 
Anni prima, suo cugino gli aveva fatto intendere che avrebbe rinunciato alla ragazza che amava solo in cambio di un favore che avrebbe cambiato irrimediabilmente la sua sua vita e il loro rapporto. E ora, dopo che Rodulphus e suo padre erano morti e dopo essere diventato Ministro, suo figlio veniva a chiedergli la mano di Clio.
Aveva un che di assurdo.
 
“C’è la questione del testamento di mio padre. Se sposi Clio entro i prossimi due anni la casa sarà tua.”
“Me ne rendo perfettamente conto, ma come ho già detto a sua madre non mi importa della casa. Ne possiedo già una che è anche fin troppo grande, per me.”
 
E sono stanco di passarci le giornate da solo
Riocard avrebbe voluto aggiungerlo, ma non lo fece e si limitò a ricambiare lo sguardo del vecchio amico di suo padre prima di schiarirsi la gola, muovendosi sulla sedia un po’ a disagio e stringendo il cappello.  
“Voglio che sia chiaro… che non è per l’eredità che voglio sposare sua figlia.”
“Lo so.”


Edward annuì senza battere ciglio, limitandosi ad osservarlo sgranare gli occhi azzurri e lanciargli un’occhiata perplessa:
“Lo sa?!”
“Se così fosse me l’avresti chiesto già da tempo, mio padre è morto da quasi tre anni.”
 
Il Ministro abbozzò un sorriso e si strinse nelle spalle prima di appoggiare le mani sulla scrivania; la fede d’oro luccicò alla luce della lampada e gli occhi chiari di Riocard indugiarono per un istante sull’anello, ripensando a cosa avesse rinunciato per sposare la madre di Clio e a come suo padre avesse sfruttato quel sentimento.
A volte continuava quasi a provare un vago senso di colpa nei confronti di quella famiglia, anche se i suoi zii insistevano nel dirgli di dimenticare e di non pensarci, che aveva già fatto abbastanza per Edward Cavendish.
 
“Beh, Riocard… credo che tu mi abbia fatto uno dei più grandi doni della mia vita, quindi come potrei negarti la mia benedizione per sposare Clio? Se tuo zio ha acconsentito a far sposare Egan a tua cugina, sarebbe assolutamente ipocrita da parte mia non fare altrettanto.”
“E’ un sì, signore?”
Riocard sorrise, rianimandosi all’improvviso, e guardò il Ministro sospirare e stringere nelle spalle:
Edward. Temo di non avere il coraggio di negartelo, pena dover affrontare l’ira di mia madre.”
 
Grazie signor- Edward.”
 
Raggiante, Riocard si alzò e porse senza indugi la mano al futuro suocero, che lo imitò e la osservò per un istante – e l’anello che portava al dito, identico a quello che aveva sempre visto addosso a Rodulphus – prima di stringerla.
 
“Anche mio padre ne sarebbe felice. Aveva molta stima di te.”
“Credo proprio che lo sarebbe anche il mio, se avesse conosciuto Clio. E so che aveva molta stima di lei.”
 
Edward esitò per un istante, ma infine annuì e abbozzò un debole sorriso prima di guardare Riocard girare sui tacchi e uscire dalla stanza.
Rimasto solo, il Ministro prese in mano la fotografia delle sue tre piccole pesti, prima di chiamare a gran voce la sua più grande gioia:
 
Estelle! Tieniti pronta, a breve potresti avere un altro matrimonio da organizzare!”
 
“CHI E’ CHE SPOSA CHI?”
Intuendo che il figlio minore fosse rimasto nei pressi del suo studio per tutto il suo colloquio con Riocard Edward alzò gli occhi al cielo, appoggiando la foto sulla scrivania prima di sospirare stancamente:
Non sto parlando con te, Egan, pensa alle tue future nozze e non ti impicciare.”
 
*
 
Dopo aver accettato la proposta di Riocard – o meglio, avergli gettato le braccia al collo quasi in lacrime, facendolo cadere sul pavimento – Clio moriva dalla voglia di condividere la notizia con la sua famiglia. Quando lo comunicò all’inizio del consueto pranzo domenicale lo fece con un largo sorriso e guardando prima di tutto i suoi fratelli, che reagirono con borbottii e sbuffi sommessi.
 
Caroline, al contrario, si alzò dalla sedia e fece di corsa il giro del tavolo per abbracciarla mentre Estelle sfoggiava un’espressione fin troppo sorpresa.
Neit, lanciata un’occhiata di sbieco alla madre, le chiese perché avesse sempre quelle strane reazioni quando uno dei suoi figli comunicava di essere in procinto di sposarsi.
 
“Ma che domande sono tesoro, è l’emozione incontenibile!”
“Certo, come no… sei un’attrice pessima.”
“Grazie Penny, vedo che sei sempre in vena di complimenti.”
 
Penelope indirizzò all’amica un bacio aereo con la mano guantata prima di andare a fare a sua volta le congratulazioni alla nipote, complimentandosi con lei per il bel ragazzo che era riuscita ad accalappiare.
Caroline soffocò una risatina dietro ad una mano, ignorando l’occhiata torva che il marito le rivolse – “Non fare quella faccia Neit, lo sai che ti amo tantissimo!” – mentre Penelope si rivolgeva al figlio ignorando bellamente la sua espressione esasperata:
 
“Mamma!”
“Che c’è? Ezra, non sentirti escluso, lo sai che per me sei il più bel ragazzo del mondo!”
“Sì Ezruccio, la tua bellezza è così sfolgorante da accecarci tutti ogni giorno!”


Egan sorrise al cugino e gli parlò sbattendo esageratamente le ciglia, gemendo sommessamente quando Ezra gli diede un calcio sotto al tavolo.
 
 
Edward, rimasto immobile a capotavola, guardò Robert versare del vino ad entrambi prima di sollevare il bicchiere nella sua direzione, la fronte aggrottata:
“Pensi che il ragazzo abbia idea del circo in cui sta per inserirsi?”
“No, ma meglio evitare di farglielo capire, o potrebbe cambiare idea, e ne va della felicità di Clio.”
 
*
 
Seduta accanto a Riocard su una panchina, con Winter che giocava davanti a loro, Clio guardò il futuro marito prenderle le mani e mormorare di avere qualcosa di importante da dirle.
 
“Forse avrei dovuto dirtelo prima di chiederti di sposarmi, mi dispiace. Se dovessi cambiare idea lo capirei, Clio.”
“Che cosa c’è?”
“Non ero… sicuro di volertelo dire, è un peso non indifferente, ma non voglio sposarti nascondendoti una cosa del genere.”
Riocard sospirò evitando accuratamente di guardarla, serio in volto – quasi triste, a dire il vero – mentre la fidanzata iniziava sinceramente a preoccuparsi. Era particolarmente silenzioso da qualche giorno, quando la ragazza gli aveva domandato – con tutto il tatto di cui era capace – se avesse intenzione di invitare sua madre al matrimonio.
Aveva evitato la questione per mesi, e quasi si pentì di non aver continuato a fare altrettanto:
 
“E’ per quello che ti ho chiesto su tua madre? Mi dispiace Ric, non volevo essere invadente…”
“No. Non sei stata invadente, è una domanda legittima. Mi dispiace di non avertene parlato prima, è colpa mia. So che all’epoca tutti si chiesero perché mia madre se ne fosse andata così all’improvviso… e perché io la imitai subito dopo, stando via per mesi interi. Riguarda mio padre.”


Se negli ultimi due anni Clio non gli aveva mai sentito menzionare sua madre, se non di sfuggita, sentirlo nominare l’ex Ministro della Magia la sorprese ancora di più.
“Tuo padre?”
“Sì. Clio, ascolta… è una cosa che sappiamo solo io, tua nonna e i miei zii. Mi prometti che non lo dirai a nessuno? Neanche a tuo padre. Ti prego.”
Clio non si lasciò impressionare dall’espressione seria del fidanzato e annuì, sforzandosi di sorridergli mentre gli stringeva incoraggiante le mani tra le sue.
“Certo. Te lo prometto.”


Mai la scrittrice avrebbe immaginato che quel pomeriggio avrebbe scoperto la verità sulla morte di Rodulphus Saint-Clair, morte che aveva scosso la sua famiglia e tutta la comunità magica per mesi.
 
“Tua… tua madre ha… tua madre?!”
“Sì. E’ stato un incidente e ha avuto la complicità di un’altra persona, ma questo non ha importanza. Zio Theo e zia Gwendoline dissero che avrei dovuto decidere io per la sua sorte, e non sono riuscito a dire la verità, non volevo che andasse ad Azkaban. Però le dissi che avrebbe dovuto andarsene dalla mia vita, e così ha fatto.”
Come sempre quando pensava alla madre, che aveva amato e difeso a spada tratta per tutti i suoi primi venticinque anni di vita, Riocard sentì un nodo formarglisi in gola, abbassando lo sguardo mentre Clio, sconvolta, parlava con gli occhi chiari spalancati:
“Ma… ma perché? Perché l’ha fatto? Posso capire che magari non lo amasse, ma neanche mia zia ama mio zio, e anche se spesso gli lancia contro qualcosa e minaccia di mandarlo al San Mungo non penso arriverebbe mai a tanto!”
 
Probabilmente era proprio quella, la parte più difficile. Riocard si sforzò di sorridere e avvicinò il viso a quello della fidanzata per darle un bacio su una guancia, mormorandole all’orecchio che stava per darle una bella storia per il suo prossimo romanzo.
 
 
Quella sera erano stati invitati a cena da sua nonna insieme ai suoi genitori e ai suoi fratelli, e Clio sedette di fronte a Caroline sforzandosi di sorriderle e di essere il più normale possibile.
Ma come poteva comportarsi normalmente quando aveva appena scoperto che il fratello della sua futura cognata – nonché ex compagno di scuola – era in realtà il fratellastro segreto del suo futuro marito, nonché dei suoi stessi cugini?
A tavola parlò a malapena, rischiando più volte di rovesciare salsiere e bicchieri sotto lo sguardo rassegnato della madre, mentre Neit – ormai abituato – continuava a porre rimedio ai suoi disastri con rapidi colpi di bacchetta.
 
“Te l’ha detto, vero tesoro?”
“Tu lo sapevi?”
 
Gwendoline annuì mentre sedeva accanto alla nipote su un divano davanti al camino, e lanciò una rapida occhiata ad Elizabeth – seduta accanto ad Egan stringendogli la mano e ridendo alle sue battute – prima di sorriderle con la dolcezza che riservava solo ai suoi nipoti:
“Sì, so tutto da quando Theseus si è dimesso, praticamente. So che è… sconvolgente.”
“Più che sconvolgente. Sono felice che me l’abbia detto, ma è davvero… assurdo.”


“Piccola mia, il matrimonio prevede di condividere tutto, gioie e dolori, o almeno in teoria. Ne hai appena avuto un assaggio, e sono felice che Riocard possa contare sul tuo appoggio. Credo che tu per lui sia più importante di quanto pensi… Immagina come sia, portarsi dietro un simile segreto per tutto questo tempo, mentendo alla tua stessa famiglia.”
“Elizabeth, Thomas, Ezra e Caroline non lo sapranno mai, vero? E zio Rob lo sa?!”
“No. Lo sappiamo solo tu, io, Riocard, Amiee e Theo… e credo che sia meglio così. Theseus insistette affinché Lizzy e Tommy non ne sapessero nulla, e io sono d’accordo. Non ha senso distruggere una famiglia per errori di cui non siamo responsabili.”
 
Clio rifletté a lungo sulle parole della nonna, ma ben presto si convisse che come al solito Gwendoline avesse ragione. Due giorni dopo, quando rivide Riocard, per prima cosa lo abbracciò e mormorò che avrebbe sempre potuto contare su di lei, per qualsiasi cosa.
“Mio padre e mia madre sono la coppia più bella che conosca, ma anche lui ha avuto per anni un segreto con lei… Non voglio che tra noi sia così. Quindi grazie, Ric.”
Sorpreso, Riocard esitò prima di sorridere e ricambiare l’abbraccio, accarezzandole i capelli biondi con dolcezza e mormorando che dopo l’esempio dei suoi genitori non chiedeva di meglio.
 
*
 
“Non ce la faccio più con tutti questi matrimoni… prima Egan, adesso tu… ho sentito che a maggio dell’anno prossimo si sposa anche Ambrose Saint-Clair.”
Caroline si lasciò sprofondare sul divano con un sospiro, accettando con garbo la tazza di thè che la cugina le porse. Clio le sorrise, ringraziandola ancora una volta per tutto l’aiuto che le stava dando mentre le loro madri litigavano sul colore delle tovaglie.
“Dovremmo intervenire?”
La futura sposa lanciò alle due donne un’occhiata dubbiosa, e Caroline scosse la testa con decisione prima di portarsi la tazza alle labbra:
“Meglio di no, quando ci siamo sposati noi hanno dato di matto…”
 
“Estelle, questo non è bianco perla, è bianco guscio d’uovo!”
“No Penny, QUESTO è bianco guscio d’uovo!”
 
“Dovrei dirglielo, che a me sembrano la stessa cosa?”
“No se non vuoi essere bandita dall’organizzazione delle tue stesse nozze.”
 
“No se non vuoi essere bandita dall’organizzazione delle tue stesse nozze. Ahi… I tuoi nipoti calciano.”
 
Caroline sospirò stancamente mentre si accarezzava il pancione sotto gli occhi della cugina, che sorrise intenerita mentre le loro madri discutevano alle loro spalle.
“Non vedo l’ora di conoscerli! Sarò la zia più amorevole del mondo!”
“Non abbiamo dubbi.”
Le labbra rosee di Caroline si incurvarono in un sorriso, e la strega guardò la cugina con affetto prima di allungare una mano e stringere la sua. Clio, invece, aggrottò leggermente la fronte e ricambiò il suo sguardo con leggera preoccupazione:
“Sicura che aiutarci non ti stressa? Sai, Neit ci ha ordinato severamente di non farti pressioni di nessun tipo e a nessuno piace vedere mio fratello arrabbiato…”
“Non preoccuparti, gli assicurerò personalmente che organizzare le tue nozze non mi pesa. Possiamo sempre lasciare che le nostre madri facciano tutto quanto. A proposito… la madre di Riocard verrà?”
 
“Io… io non lo so, in effetti.”
Il sorriso si congelò sulle labbra di Clio, che solo in quel momento realizzò di non aver chiesto a Riocard se volesse o meno invitare sua madre.
Merlino, era una fidanzata orribile! Come aveva potuto non pensarci?
 
Appuntandosi mentalmente di rimediare, la futura sposa guardò la cugina affrettarsi a sorriderle e a cambiare argomento voltandosi verso le rispettive madri:
“Vi siete decise sul tono di bianco?”
“Ebbene sì. Bianco di zinco.”


Clio non aveva idea di che cosa fosse, il bianco di zinco. Ma decise che le sarebbe andato bene.
 
 
Tre ore dopo, Neit uscì dal camino e si sfilò la giacca blu della divisa da Indicibile con rapidi movimenti automatici. La stava per lasciare sul bracciolo del divano – come era solito fare – quando si rese conto del caos che regnava sovrano nella stanza: i tavolini erano ricoperti da fazzoletti di tutti i colori e riviste, frammenti di pizzo e altre stoffe che mai sarebbe stato in grado di riconoscere.
In tutto ciò, il divano era occupato da due donne a lui particolarmente familiari, entrambe dai lunghi capelli biondi e profondamente addormentate.
 
Sorridendo debolmente, Neit si avvicinò raccogliendo una coperta dallo schienale della poltrona più vicina e la adagiò con cura sulla moglie, depositandole un bacio sulla fronte prima di lanciare un’occhiata alla gemella, che sonnecchiava stringendo il disegno di un vestito.
 
Aveva pregato la moglie di non farsi coinvolgere troppo nei preparativi delle nozze, ma aveva avuto seri dubbi sulla sua disponibilità a dargli ascolto, così come sulla capacità della gemella di non interpellare la cugina.
Guardando la gemella, Neit ripensò alla bambina che lo accoglieva nel suo letto e che era caduta da cavallo fratturandosi molte ossa. All’improvviso, realizzò che la sua sorellina stava per sposarsi. Per sposare un Saint-Clair.
 
Chissà che cosa avrebbe detto suo nonno, se fosse stato ancora in vita.
 
*
 
Non era stato facile, ma Clio l’aveva convinto ad invitare sua madre, alla fine.
“Ciao tesoro.”
Non la vedeva da due anni, e il modo in cui la sua voce – rimasta comunque indelebile e inconfondibile – gli solleticò l’udito quasi lo sorprese: lo sposo, già vestito di tutto punto, si voltò e guardò la madre in piedi sulla soglia della stanza senza muoversi o dire nulla per qualche secondo, limitandosi ad osservarla.
“Ciao mamma. Non ero sicuro che saresti venuta.”
“Non me lo sarei mai persa, anche se dovrò gestire l’odio dei tuoi zii. Tu sei più importante.”
 
Alexis accennò un debole sorriso, e per qualche motivo Riocard non ebbe alcun dubbio che gli stesse dicendo la verità. Infondo l’unica cosa che non poteva mettere in discussione era l’affetto che aveva sempre provato per lui.
“Beh, in tal caso… ti va di accompagnarmi all’altare?”
Riocard parlò senza guardarla, distogliendo lo sguardo e non potendo così scorgere il sorriso che illuminò il volto della madre, che annuì colma di gioia.
Anche Clio sembrò felice per lui vedendola alla cerimonia e un paio d’ore dopo, mentre ballavano, gli disse che infondo sapeva che un po’ era stato felice di vederla.
Riocard non rispose, limitandosi ad intercettare l’occhiata carica di astio che Theseus lanciò a sua madre e chiedendosi se sarebbe mai riuscito a perdonarla. Non lo sapeva, ma di certo quel giorno era ancora lontano.
 
*
 
“Perché non posso venire con te?”
“Te l’ha sconsigliato chiunque, i Medimaghi in primis. Sono solo quattro giorni, tornerò prima che tu te ne renda conto… e poi hai Winter a tenerti compagnia.”


Riocard accarezzò i capelli della moglie con un sorriso e accennò al lupo ai piedi del letto dove Clio era stesa, guardandola annuire con un piccolo cenno prima di prendergli la mano e baciarla.
“Lo so… immagino che dovrò farci l’abitudine, visto il lavoro che fai.”
“Un giorno verrai con me. Lo prometto. Te l’avevo detto che un giorno avresti viaggiato, no? Nel frattempo cerca di fare in modo che il nostro piccolino stia bene.”
“Tranquillo, i miei fratelli, mia nonna e mia madre si sono già organizzati per venirmi a trovare a turni, sospetto abbiano il terrore che io possa inciampare da qualche parte. Un po’ li capisco, però.”
 
La strega sfoderò un sorriso colpevole e Riocard rise prima di darle un bacio sulla fronte, mormorando che gli sarebbe mancata prima di raccomandare affettuosamente a Winter di badare a lei anche per lui in sua assenza.
Riocard era appena uscito dalla stanza quando Clio fece cenno a Winter di avvicinarsi, guardandolo accoccolarlesi accanto come faceva quando era solo un cucciolo.
Era certa che il marito avrebbe mantenuto la sua promessa di portarla con sé nei frequenti viaggi che lo portavano in visita ai Ministeri di altri Paesi per conto del suo stesso padre, e non vedeva l’ora che ciò accadesse.
 
*
 
“Guardalo, ti vuole già bene!”
“Dici?”
 
Edward abbassò lo sguardo sul bambino che gli sonnecchiava tra le braccia, dubbioso, ma Clio annuì energicamente mentre i piccoli Edward e Penelope osservavano il cuginetto con curiosità.
“Nonno, prendi in braccio anche me?”
 
Penny allungò le braccine verso il nonno sfoderando la sua vocina implorante, e Clio riuscì quasi a sentire il cuore del padre sciogliersi come burro prima di annuire:
“Certo piccola mia. Tieni tesoro… attenta alla testa.”
“Papà, so come tenere il mio bambino! Ieri stavo per farlo cadere, ma Caroline mi ha detto che è successo anche a lei!”
 
Edward si sistemò la nipote sulle ginocchia con aria dubbiosa, certo che la nuora l’avesse detto solo per rincuorarla prima che anche il suo piccolo omonimo chiedesse di essere preso in braccio.
“Va bene… non ho più l’età per gestire due gemelli in un colpo solo.”
 
Sospirando, il padrone di casa spostò Penny sulla gamba sinistra e prese il suo fratellino sulla destra, ricordando fin troppo bene quando faceva la stessa cosa con Neit e la stessa Clio, che sorrise intenerita mentre stringeva dolcemente il piccolo Rodulphus.
 
“Che dici, sei un nonno giovane e ancora bellissimo! Così dicono le signore di Londra, pare.”
“Secondo te il nonno è bello, piccola?”
Penny annuì e gli circondò il collo con le braccine pallide per baciargli una guancia, facendolo sorridere prima che Estelle li raggiungesse dal salotto, chiedendo di poter tenere Rod in braccio.
 
Avere un nipote con quel nome all’inizio era stato un duro colpo, ma non aveva mai avuto dubbi sulla scelta del genero e non se ne era affatto sorpreso.
Aveva persino una lacrima solcare il viso di sua madre, ma aveva fatto finta di non notarlo, come lei avrebbe voluto.
 
*
 
“RIOCARD! Riocard!”
 
“Sono qui. Non penso che dovresti correre così, tesoro.”
 
Riocard, seduto sul tappeto davanti al camino acceso, stava giocando insieme ai figli quando la moglie irruppe nella stanza quasi di corsa dopo essere stata visitata, in vestaglia e gli occhi azzurri luccicanti.
“Non mi interessa! Ric, sono incinta!”
 
“Che cosa vuol dire?”
Rodulphus posò i grandi occhi chiari sulla madre con curiosità, mentre accanto a lui il piccolo Cillian continuò a giocare incurante con dei grossi dadi di legno che riportavano l’alfabeto.
“Davvero?”
Rimasto immobile per un paio di secondi, Riocard si alzò e corse dalla moglie per abbracciarla e darle un bacio. Infine, liquidando la domanda del primogenito con un “te lo dirò un’altra volta”, guardò la donna con la sua miglior occhiata di rimprovero, intimandole di non azzardarsi a correre di nuovo sulle scale nelle sue condizioni.
“Lo so che sono un pericolo pubblico, ma giuro che farò attenzione… Oh, spero tanto che sia femmina.”
 
“Che cosa è femmina? Prendiamo un cucciolo?!”
“No Roddy, non prendiamo un cucciolo.”
“Sìì, ti prego papà!”
 
Cillian sorrise allegro e i due iniziarono a richiedere un cane sotto gli occhi esasperati del padre, che lanciò un’occhiataccia alla moglie quando Clio cantilenò di dover andare a risposarsi, lasciandolo solo ad affrontare i bambini.
 
*
 
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“Mamma, perché non ci muoviamo?”
Seduto sulla barca a remi accanto al fratello maggiore, Cillian guardò la madre con curiosità mentre Rod scuoteva la testa, rassegnato:
“Hai fatto cadere il remo, vero? Papà lo diceva.”
“Maledizione, papà mi prenderà in giro per secoli, e anche zio Egan. Emh… TESOROOOOOO?”
 
Rimasta bloccata in mezzo al laghetto della tenuta della donna insieme ai figli, Clio iniziò a sbracciarsi in direzione della riva mentre Neit faceva giocare la figlia più piccola insieme a Caroline. Udite le urla della gemella, l’Indicibile e futuro Ministro aggrottò la fronte e la guardò per un istante prima di sospirare, intuendo la verità:
 
“Scommetto che si è scordata la bacchetta a riva e ha perso il remo… tipico.”
“E’ rimasta bloccata con i bambini?”


Accanto a lui, Caroline spalancò gli occhi azzurri preoccupata prima che Riocard passasse loro accanto con la piccola Rose in braccio e sbuffando come una ciminiera.
“Potete tenermela un momento, per favore? Devo recuperare tua sorella.”


Lasciata l’ultimogenita tra le braccia di Neit, che non battè ciglio mentre prendeva la nipote, Riocard attraversò il pendio erboso e raggiunse il molo chiedendole a gran voce perché diavolo non avesse portato la bacchetta con sé.
 
“Sai, è un po’ strano a volte. Non dover più essere io a rimediare ai suoi… pasticci.”
Neit seguì i movimenti del cognato aggrottando la fronte, ripensando a tutte le volte in cui era andato in soccorso della gemella insieme ad Egan. Caroline invece accarezzò la testa coperta da capelli rossi della nipotina e sorrise, guardandolo con affetto:
“Lo posso immaginare, ma adesso hai pur sempre due bambine che stravedono per il loro padre. Ed è bello sapere che qualcuno si prendere cura di lei, no? Se lo merita. Come te, ovviamente.”
La strega si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia, e Neit le sorrise grato mentre Riocard, salito sbuffando su una seconda barca, andava a recuperare moglie e figli con aria rassegnata.
 
*
 
Rose Saint-ClairRose


 
“Papà!”
“Ecco il mio leoncino… Ciao piccolo. Mi sei mancato.”


Rodulphus chinò il capo e gli sorrise, stringendolo a sé mentre il ragazzino, appena sceso dal treno per trascorrere a casa le sue prime vacanze invernali, alzava la testa con un sorriso:
“Anche tu. Ho imparato un sacco di cose, le vuoi sapere?”
“Certo, anche se non scordare che non puoi usare la magia… sennò poi chi lo sente, lo zio George? Vieni, andiamo dalla mamma.”
 
Il padre sciolse l’abbraccio per porgergli la mano, che Riocard strinse prima di iniziare ad elencargli tutte le pozioni che aveva imparato a preparare e i suoi primissimi incantesimi.
“Secondo te sarò bravo come te un giorno?”
“Certo, anche di più.”

 
 
 
“Clio, rilassati, se la caverà benissimo.”
Riocard sorrise alla moglie prima di stringerle le spalle con calore, guardandola annuire mentre osservava il primogenito attraverso il finestrino dello scompartimento.
“Lo so, è solo che mi mancherà.”
“Mancherà anche a me, ma è giusto così. E poi hai noi a tenerti compagnia, no?”
 
Riocard accennò a se stesso, Cillian e Rose – che gli stringeva la mano – e guardò la moglie sorridergli con gli occhi azzurri leggermente lucidi prima di prendere la mano del figlio, mormorando che come sempre aveva ragione.
“Io vorrei che mio padre fosse qui. Mi dispiace che non li abbia potuti conoscere.”
“Lo so tesoro… Mi dispiace moltissimo.”
Clio gli mise una mano sulla spalla e lo guardò sinceramente dispiaciuta, ma il marito abbozzò un sorriso mentre accarezzava i capelli rossi della figlia, ripetendo ciò che aveva appena detto a lei:
“Infondo ho comunque un’enorme e bellissima famiglia allargata, di certo non mi posso lamentare. Andiamo a trovare nonno Edward, ragazzi?”
Rose e Cillian esultarono – nonna Estelle li riempiva sempre di dolci e coccole, quindi come rifiutar? – mentre Clio, invece, scoppiò a ridere pregustando la reazione del padre:
La faccia che fa mio padre ogni volta in cui ci mettiamo tutti d’accordo per portargli i bambini… semplicemente impagabile. Quello sì che mi mancherà da morire, insieme al mio Roddy.”


 
 
 
 
 
 
 
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Angolo Autrice:
 
Buongiorno!
Chiedo scusa se ci sto mettendo eoni ad aggiornare questa Raccolta, giuro che entro Marzo l’avrò chiusa. In mia discolpa doveva arrivare prima, ma il mio Word è stato posseduto e mi fa sparire-comparire interi paragrafi facendomeli scrivere due volte senza alcuna ragione apparente. (Grazie Chemy per aver subito le mie imprecazioni tutto il giorno)

La prossima sarà su Egan e Lizzy e farò il possibile per pubblicarla presto, ma nel frattempo vi do appuntamento a venerdì con certi gattari dispersi in Germania.
A presto!
Signorina Granger
 
 

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