Ragazzina

di FraJV_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


RAGAZZINA 
 
I Parte 
 

Capitolo 1 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 
 
La ragazza seduta al tavolo della sala per gli interrogatori era avvolta in una coperta, immobile. Aveva i capelli biondi, lunghi e mossi, gli occhi azzurri e la carnagione chiara, il naso piccolo e dritto. Contorceva con le dita una ciocca di capelli mentre continuava a fissare il vuoto. Insieme a lei, nella stanza, si trovava un ragazzo giovane, alto e muscoloso, con i capelli corti, quasi rasati a zero, gli occhi verdi e l’espressione concentrata. L’uniforme militare che indossava era di colore nero e alla cintura dei pantaloni era agganciata una fondina con relativa pistola. Di tanto in tanto lanciava occhiate alla ragazza, sorpreso dal fatto che mantenesse una certa calma. 
Dopo qualche minuto, la porta si aprì ed entrò nella stanza un uomo alto, con i capelli scuri, gli occhi celesti e lo sguardo deciso. Anche lui indossava indumenti militari e fra le mani stringeva una cartellina con all’interno dei fogli. 
La ragazza alzò gli occhi per guardarlo, ma sembrò quasi che in realtà non lo vedesse. 
Lui si sedette di fronte a lei e apri la cartellina. Lesse in silenzio i documenti per qualche secondo, poi guardò la ragazza. 
-Ciao, Vivienne. Sono l’agente Christopher Rogers, sai dove ti trovi?- 
Lei lo guardò con aria di sufficienza, come se lui avesse appena fatto una domanda stupida. 
-Mi avete trascinata fuori di casa nel mezzo della notte. Ovviamente non so dove mi trovo- rispose lapidaria, pur mantenendo una certa calma. 
-Eppure, sembri tranquilla- 
-Sei per caso uno strizzacervelli?-. Il suo sguardo era tagliente. –Penso di aver diritto a una telefonata- aggiunse. 
-Come scusa?- 
-Conosco i miei diritti, voi non potete…- iniziò a dire, divincolandosi sulla sedia. 
-Non sei stata arrestata- rispose l’uomo, sollevando una mano. 
-Allora questo è un abuso di potere! Mi avete evidentemente sequestrata da casa mia contro la mia volontà. Voglio andarmene. Ora- 
Chris Rogers scosse la testa. –Ti ricordi di David Cooper?- 
Vivienne deglutì, e poi annuì, spaventata. 
-È evaso- 
 

 
Bakersfield, California - Qualche tempo prima
 
-AIUTO!!! Qualcuno ci sente?!-  
-Taci, Jennifer. Non ci sente nessuno qui. È tutto inutile quello che fai- sbuffò Ian. 
La giovane si girò verso il suo fidanzato, che aveva parlato ed era seduto per terra nella stanza in cui venivano tenuti prigionieri, con la schiena appoggiata al muro e gli occhi chiusi. 
-Almeno cerco di fare qualcosa- fece lei, prima di sedersi vicino a lui. 
Appoggiò la testa sulla sua spalla, stringendogli il braccio. 
Erano ormai passate diverse ore da quando erano stati rapiti e rinchiusi in quella stanza. 
Era buio, ed erano legati a delle catene che gli permettevano soltanto di alzarsi in piedi. 
Non avevano ancora visto nessuno dei loro rapitori. 
Improvvisamente, sentirono un rumore provenire da dietro la porta.  
Qualcuno stava entrando nella stanza. 
 

 
Località segreta, Massachusetts - Oggi 
 
La stanza era asettica, impersonale e spoglia. C’era un letto, una scrivania priva di qualsiasi oggetto e un armadio con le ante spalancato, senza abiti all’interno. 
Vivienne era seduta su una sedia vicina al letto. Prese un libro dalla sua borsa, e poi lo scaraventò a terra, con rabbia. 
"Mi hanno presa per un oggetto? Non possono trattarmi così!"  
Decise di uscire dalla stanza e iniziò a percorrere un corridoio, asettico come il resto dell’edifico, con le pareti grigie come pavimento e soffitto. Ebbe l’impressione di trovarsi in un posto che fosse un incrocio fra un manicomio e una prigione. 
La porta della sua stanza sembrava essere l’unica del corridoio, che pareva senza fine. 
Camminò per qualche minuto, girando a caso ogni volta che trovava un bivio e salendo qualche rampa di scale, finché non si imbatté in una porta di sicurezza. La aprì, facendo scattare un antifurto. Sentì lo stomaco stringersi aspettandosi di uscire all’esterno, ma invece fece irruzione in una specie di ufficio. 
Una trentina di persone erano sedute ad altrettante scrivanie cariche di documenti. Tutti si girarono a guardarla, sorpresi. 
Una ragazza corse verso di lei, ma prima premette un pulsante sulla parete e fece smettere di suonare la sirena dell’antifurto. Era stata presentata a Vivienne qualche ora prima, che però non era sicura di come si chiamasse. 
-Cosa ci fai qui?- esclamò, evidentemente irritata.  
-Beh, ero da sola in quella stupida stanza e mi stavo annoiando!- rispose Vivienne, fissando l’altra ragazza dritta nei suoi occhi scuri. Aveva i capelli castani raccolti in un’alta coda. Le mani erano appoggiate sui fianchi, la postura era molto rigida e le conferiva un’aria burbera. Ciò faceva risaltare il suo corpo atletico e asciutto. Il primo pensiero di Vivienne, in quel momento, fu immaginarsi l’invidia che potesse destare quella ragazza nella stragrande maggioranza della popolazione femminile di quella strana e misteriosa Organizzazione. Così, infatti, era stata definito l’ente a cui appartenevano gli uomini che l’avevano prelevata da casa sua, dandole pochissime informazioni sul luogo in cui la stavano portando.  
L’operazione si era svolta con rapidità: si erano calati da un elicottero sul balcone dell’appartamento di Vivienne, nel downtown di Boston, e avevano fatto irruzione nella sua camera da letto, dove lei stava dormendo. Mentre un uomo vestito di nero dalla testa ai piedi con abbigliamento e protezioni militari la afferrava e la portava di peso fuori dalla stanza insieme ad altri due uomini, spiegandole in fretta e furia che la stavano prelevando per la sua sicurezza, un quarto agente aveva raccolto degli oggetti personali di Vivienne in una borsa, tra cui alcuni vestiti e qualche libro. Lei aveva cercato di protestare, terrorizzata e in preda al panico, ma la sua resistenza era stata vana. Erano risaliti sull’elicottero e le avevano fatto indossare una benda che le coprisse gli occhi. 
Vivienne si era imposta di non piangere perché non voleva mostrarsi debole ai loro occhi ed era riuscita a mantenere una certa calma apparente anche quando era stata accompagnata nella sala interrogatori, dove l’agente Rogers le aveva comunicato dell’evasione di David Cooper. Quando però era rimasta sola nella sua cella non era riuscita a trattenere le lacrime e aveva pianto per quasi mezz’ora. Poi si era infuriata, non voleva stare ad aspettare da sola in quella stanzetta senza far nulla. Era dunque uscita e poi piombata in quell’ufficio. 
-Se ti abbiamo detto di aspettarci, c’è un motivo, non credi? Sei una civile, non puoi stare qui- continuò Will, strattonando Vivienne per un braccio e trascinandola dall’altra parte della stanza. Tutti le stavano osservando. 
-Mi avete letteralmente abbandonata senza spiegarmi nulla! Mi avete solo detto, "Ehi, David Cooper è evaso! Devi stare qui se non vuoi morire!" e mi avete chiusa in quel buco, senza farmi chiamare i miei o chiunque altro! Cos’altro avrei dovuto fare?- 
-Avrai le tue risposte, ma devi fare quello che ti diciamo di fare- disse l’uomo, l’agente Chris Rogers, che aveva rivelato a Vivienne dell’evasione di David Cooper.  
-È quello che ho cercato di spiegare- fece la ragazza. Will, Vivienne si ricordò improvvisamente del suo nome.   
Lui annuì, e si scambiarono uno sguardo strano. 
-Allora,- iniziò Chris, tornando a rivolgersi a Vivienne, -se ti sei tranquillizzata...- 
-Sono tranquillissima- ribatté subito lei, fissandolo dritto negli occhi, con aria di sfida. 
L’uomo le dava l’impressione di essere deciso e sicuro di sé, come le altre persone che Vivienne aveva incontrato fino a quel momento. 
-Se ti sei tranquillizzata,- continuò lui, passando al suo collega un mazzo di chiavi, - puoi andare con l’agente Avery Wood,- indicò il ragazzo che aveva controllato Vivienne nella sala interrogatori e che era sopraggiunto qualche istante prima, -nel mio ufficio. Ti farà delle domande, e poi lui risponderà alle tue, ma cerca di comportarti bene, o torni nella tua stanza- 
-In ogni caso ci devo tornare, quindi non vedo perché dovrei comportarmi bene- sorrise Vivienne, sarcastica. 
Will la fulminò con lo sguardo e fece un passo verso di lei, ma Chris le prese un braccio e la fermò.  
-Vai da Evans e aggiornalo. Ti raggiungo lì- le disse. Lei annuì, e prima di andarsene lanciò a Vivienne un’ultima occhiataccia, che ovviamente la ragazza ricambiò. 
-Vieni con me- disse Avery.  
Uscirono da quell’ufficio, senza tornare nel corridoio che Vivienne aveva già percorso, e presero l’ascensore. Dopo attraversarono altri lunghi corridoi, le sembrò che quel luogo fosse immenso. 
-Che tipo di rapporto c’è fra quei due?- chiese ad un tratto Vivienne. 
-Cosa intendi?- 
Vivienne notò come quella domanda lo avesse infastidito. -Lui è il suo capo?- 
-Mhm... Non proprio. È il suo, anzi, nostro supervisore, ed è stato il suo mentore, ma il capo di Will è Evans- 
-Ah. E lavorano in coppia insieme?- 
-No, Will lavora in coppia con me. Siamo nella stessa squadra di cui Rogers è, appunto, il supervisore, ma per le missioni in cui sono richiesti solo due operativi, ad esempio, Will lavora con me-. Osservò Vivienne attentamente, guardandola dritta negli occhi. -Perché ti interessa?- 
Vivienne alzò le spalle. –Curiosità- 
Il corridoio che stavano attraversando era diverso da quello vicino alla cella in cui l’avevano lasciata in attesa. Era sempre tinto di color grigio, ma alle parteti erano appese bacheche di sughero con documenti e foto fissati con puntine colorate. Le stanze adibite a uffici avevano porte vetrate e Vivienne ed Avery ne superarono parecchie prima di fermarsi davanti a una porta dove la targhetta indicava: “Agente III° livello Rogers, C.”. 
Avery aprì la porta usando il mazzo di chiavi che gli aveva dato l’agente Rogers ed entrarono nel piccolo ufficio, in cui, al centro della stanza, c’era una scrivania colma di documenti e, alle pareti, diverse librerie cariche di libri e di oggetti strani. Le spiegò che soltanto gli agenti di rango elevato avevano diritto a un ufficio privato, mentre gli altri agenti lavoravano insieme nell’ufficio open-space in cui era finita Vivienne. 
Avery la fece sedere su una delle due sedie poste di fronte alla scrivania, e lui si sedette sull’altra, al suo fianco. 
Prese poi una cartellina con dei fogli bianchi dalla scrivania, e una penna. 
-Devo farti un paio di domande. Vorrei che tu mi rispondessi con sincerità, se ti è possibile- 
Vivienne lo guardò sorpresa. Era la prima volta da quando era arrivata in quel luogo che qualcuno la trattava con gentilezza, senza imporle di fare qualcosa. 
Annuì.  
-Allora, ti ricordi com’è iniziata la storia con David Cooper?- 
 
˜ 
 
Seattle, Washington - Un anno prima

A Seattle pioveva spesso. Ma tolto questo, a Vivienne piaceva come città.  
Si sentiva sola, a volte, senza le sue amiche e suo fratello al suo fianco, e ciò la rendeva piuttosto triste e facilmente irritabile. 
Erano tutti rimasti ad Hartford, in Massachusetts, dove Vivienne aveva vissuto con parte della sua famiglia. Lei poi ero stata espulsa da scuola, a suo dire senza una valida motivazione, e la madre aveva deciso di spedirla a vivere con il padre, da cui era separata, a Seattle. 
Erano entrambi chirurghi brillanti e molto stimati, ma questo aveva comportato che Vivienne e suo fratello venissero trascurati. Suo fratello maggiore si chiamava Bentley e aveva 24 anni, mentre Vivienne ne aveva 20. I loro genitori avevano ormai divorziato da diversi anni e Vivienne aveva suo malgrado accettato la cosa. Di comune accordo avevano deciso che lei e suo fratello continuassero a vivere ad Hartford, insieme alla famiglia materna, dove erano cresciuti, e di tanto in tanto andavano a visitare il padre a Seattle. 
Durante l’ultimo anno di liceo di Vivienne, a causa di una furiosa discussione con i suoi nonni, le cose iniziarono a peggiorare. Suo fratello era spesso lontano da casa e sua madre era sempre troppo presa dal lavoro. Vivienne iniziò a sentirsi sola e a fare cose stupide: perse il controllo, tra feste, amicizie discutibili e qualche disavventura con le forze dell’ordine. Le sue due più care amiche, Naomi ed Elena, con le quali era cresciuta, venivano spesso trascinate dalle sue folli e sfacciate idee.  
Superò il limite quando venne accusata di aver rubato i soldi di una raccolta benefica organizzata dalla scuola e poi, con quei soldi, di aver acquistato della cocaina. In realtà non aveva fatto nulla di tutto questo, ma i suoi trascorsi, come le numerose punizioni e le visite alla centrale di polizia di Hartford per feste in cui erano presenti alcolici e minorenni, avevano convinto il preside ad espellerla con effetto immediato. Grazie all’intervento dei ricchi e facoltosi nonni materni venne riammessa a scuola, ma i suoi genitori decisero che sarebbe stato meglio farle cambiare aria. Venne quindi spedita a Seattle da suo padre, che aveva cercato di controllarla, per farla rigare dritto, impegnandola in un programma di volontariato nell’ospedale in cui lavorava. 
Funzionò giusto un paio di giorni, finché l’entusiasmo iniziale di Vivienne non si disperse e decise che non voleva proprio più sopportare quella stupida situazione. Saltò uno dei turni in ospedale e decise di esplorare la città. 
Fu quel pomeriggio che incontrò David Cooper. 
 
˜ 
 
-Stavo andando verso lo Space Needle,- cominciò Vivienne, stritolandosi le mani, i ricordi ancora vivissimi. –Avevo una gran fame e decisi di mangiare qualcosa prima di iniziare la visita. Sono entrata in un bar lì vicino e in quel momento ii sono accorta di essere seguita. Era un uomo alto, con un impermeabile scuro e i capelli grigi. Avevo provato a ricordarmi dove lo avessi visto prima perché non mi era estraneo, ma non ero riuscita a collegarlo a nessun volto conosciuto a Seattle sul momento. Anche durante la visita mi aveva seguita, così, dopo avevo cercato di allontanarmi il più velocemente possibile, ma... Evidentemente conosceva la città meglio di me. Mi tese un’imboscata, o qualcosa del genere...-. La sua voce tremò e gli occhi si inumidirono. 
-Possiamo fermarci, se preferisci- disse Avery, stringendole una mano. 
Lei scosse la testa. L’aveva raccontato molte volte prima di quel momento, poteva farcela ancora. 
Prese un respiro profondo. 
-Ero in un vicolo senza via d’uscita, deserto, con lui alle mie spalle. Ho iniziato ad urlare, sentivo le sue mani... toccarmi, afferrarmi. Lui cercò di iniettarmi qualcosa sul collo, ma avevo indossato una giacca con il colletto di pelle alto e lui non se n’era accorto, credo. Così ruppe l’ago della siringa e io sono riuscita a scappare. Mi buttai in mezzo alla strada, sono quasi stata investita, ma almeno sono riuscita a salvarmi- Prese una pausa, chiudendo gli occhi per qualche istante. -La polizia scoprì che era ricercato per sette omicidi nella zona urbana di Boston. Hartford, dove sono cresciuta, si trova nelle vicinanze. Nessuno pensò fosse una coincidenza. Inoltre, scoprirono che per un periodo era anche stato in un ospedale psichiatrico dopo i primi due omicidi, ma nessuno aveva immaginato che potesse essere lui l’omicida che cercavano- 
-Ed è qui che entra in gioco l’FBI?- 
La ragazza annuì. –Si. È stata chiamata la squadra speciale(1) che si stava occupando degli omicidi e riuscirono ad arrestarlo. Arrivarono alla conclusione che tutto era iniziato quando sua figlia, Natalie Cooper, era morta mentre si esibiva all’Old Theatre di Boston. Anche io ballavo per la sua stessa compagnia, ma non la conoscevo molto bene- 
-Com’è morta?-  
Vivienne deglutì. -Lei e il suo ballerino erano i protagonisti del Lago dei Cigni. Sbagliarono una presa, e lei, cadendo, rimase paralizzata dal busto in giù. Si tolse la vita in ospedale qualche giorno dopo- 
Avery corrugò le sopracciglia. -Prima hai detto che era morta mentre si esibiva- 
Vivienne alzò le spalle, scuotendo lentamente la testa. -È come se fosse morta in quel momento, no? Aveva un talento naturale, aveva dedicato tutta la sua vita al ballo. Mi ricordai di suo padre, poi. Non si perdeva uno spettacolo, la aspettava fuori dal teatro ogni sera dopo le prove. Mi sono sentita una stupida a non averci pensato subito- 
-E qual è il collegamento con te?- 
Vivienne respirò nuovamente a fondo. –Assomiglio a sua figlia: entrambe bionde, magre e con gli occhi azzurri. Lui aveva continuato a venire agli spettacoli e alle prove. Io ero stata... direi inaspettatamente, scelta per sostituire Natalie nella compagnia- 
-Ma poi ti sei fatta male- 
Annuì, portandosi istintivamente una mano al ginocchio. -Qualche mese dopo abbiamo messo in scena il Lago dei Cigni, per onorare la memoria di Natalia. Io e il mio ballerino, durante le prove, abbiamo sbagliato una presa e mi sono rotta il legamento crociato del ginocchio destro. Fine della mia carriera di ballerina-. Incrociò le braccia sul petto, sospirando. 
-Secondo l’FBI fu quello che scatenò i delitti?- 
Vivienne lanciò un’occhiataccia ad Avery. Non riusciva davvero a capire perché le facesse tutte quelle domande, nonostante fosse sicuramente già al corrente di tutto quello che le era successo.  
-Sembra che David Cooper avesse iniziato ad identificarmi con sua figlia: finché avevo ballato, Natalie aveva continuato a vivere in me. Ma poi avevo smesso, e lei era morta davvero. Lo chiamano fattore di stress. Così aveva iniziato ad uccidere ragazze bionde, snelle e con gli occhi azzurri. Poi aveva iniziato a dare la caccia a me. In qualche modo è riuscito a trovarmi a Seattle e ha cercato di uccidermi. Questo è quanto- 
Avery la fissò per qualche secondo. –Vuoi un po’ d’acqua?- 
-Della tequila sarebbe meglio- sorrise Vivienne. 
Lui scosse la testa, sorridendo a sua volta. –Vuoi sapere perché sei qui?- 
Vivienne spalancò gli occhi. Forse finalmente le avrebbero dato qualche informazione in più.  
-David Cooper è evaso- 
La ragazza alzò gli occhi al cielo. –Questo lo so- 
-L’FBI lo sta cercando, ma è stato deciso che tu debba essere protetta da noi. La tua famiglia ha espressamente richiesto che fossimo noi dell’Organizzazione a occuparci della tua sicurezza. David Cooper non verrà mai a cercarti qui, e...- 
-Mai?- lei lo interruppe, alzando la voce. –Dovrò passare qui il resto della mia vita?- 
-Non siamo molto lontani da Hartford e Boston. E potrai comunque continuare a vedere i tuoi amici e la tua famiglia, ma...- 
Scattò in piedi. –No!- 
-No cosa?- fece lui. 
-Non accetto. Torno a casa- 
Lui scoppiò a ridere. –Mi dispiace, ma non te lo stiamo chiedendo. Devi stare qui. Possiamo offrirti una sistemazione diversa, con più comodità e...- 
-Un appartamento con le pareti dipinte di un colore che non sia il grigio e un cazzo di letto con un vero materasso non cambieranno un bel niente- sibilò lei, furiosa.  
Prese a calci la sedia e buttò a terra alcuni dei fogli posati sulla scrivania.  
Vivienne non riusciva sempre a controllare con successo i suoi attacchi d’ira.  
-Abbiamo fatto un patto, ricordi?- 
Chris era sulla porta. Guardava Vivienne senza cercare di interrompere la sua furia. 
-Non ho fatto proprio nessun patto con nessuno. E voglio vedere la mia famiglia- 
 

*to be continued*
 

Note dell’autrice 
(1) La squadra speciale citata è ispirata all’Unità di Analisi Comportamentale (BAU) oggetto della mia amata serie televisiva Criminal Minds
 

 
Ciao a te, che sei arrivato alla fine di questo primo capitolo, e grazie! :)  
Se ti è piaciuto o se hai suggerimenti, ti chiedo di lasciare un commento.  
Le critiche sono ben accette! 
 
 
Fra :) 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2 
 
Voglio vedere la mia famiglia.
A Will Crew, giovane e promettente agente dell’Organizzazione, la richiesta di Vivienne Shepard era sembrata più un capriccio che una vera necessità, ma suo malgrado aveva dovuto seguire le direttive di Chris e aveva attivato la procedura per contattare la famiglia della ragazza ed eventualmente organizzare una visita.  
Ovviamente la famiglia era già stata messa al corrente della presa in custodia della ragazza, ma non avevano ricevuto tutte le informazioni che avrebbero voluto. Il protocollo prevedeva che venissero rilasciate limitate informazioni e per Will non avrebbe avuto senso infrangere il protocollo per dar adito alle richieste di una mocciosa ricca e viziata, come l’aveva definita lei stessa dopo l’irruzione di Vivienne nel loro ufficio. 
Will telefonò, dunque, al fratello della ragazza che, però, le comunicò che avevano già accordato una visita, prevista per il giorno seguente, e che era stato contattato dal Direttore dell’Organizzazione in persona. Will rimase senza parole: mai e poi mai una tale trattamento era stato riservato a qualche civile sottoposto a protezione da parte dell’Organizzazione!  
Era furente e appena terminata la telefonata si fiondò da suo responsabile di livello più alto, Thomas Evans, scavalcando Chris. 
-Dimmi che non è vero!- esclamò, irrompendo nel suo ufficio. 
Evans, un uomo sulla cinquantina con i capelli corti e grigi e lo sguardo risoluto, era in riunione con altri due agenti, che squadrarono Will esterrefatti per le modalità del suo ingresso. 
-Il Direttore in persona ha chiamato la famiglia di quella li?- esclamò Will, sbattendo un pugno sulla scrivania.  
-Cosa?- fece uno dei due agenti, stupito. 
Evans guardò tutti scocciato. –È una sua decisione e tu la devi rispettare- rispose poi deciso, fissando la ragazza. Era uno sguardo severo, che però Will riuscì a sostenere. Non era cosa da tutti. 
-Io non voglio far da balia a quella ragazzina- 
-Non mi interessa quello che vuoi fare tu. E a quanto mi è stato riportato, sei parecchio indisponente nei suoi confronti- 
-Mi sembra il minimo! E comunque è lei che…- lo interruppe Will, ma lo sguardo che le lanciò la zittì all’istante. 
-Se non vuoi essere tolta dal caso o sospesa,- continuò lui, -farai meglio ad essere collaborativa al 100%. Se questa missione dovesse fallire, verrai sottoposta a un’inchiesta- 
Will sbuffò. Era già stata sottoposta a ben due inchieste, dovute soprattutto al suo atteggiamento irruento e poco collaborativo, ma le aveva superate brillantemente entrambe. Aveva la segreta presunzione che avrebbe potuto superarne una terza senza alcun problema. 
-Non falliremo- rispose, sicura. 
Evans scosse la testa. –Ti rendi conto che stiamo parlando della vita di una ragazza? Di una persona vera? Hai la responsabilità della sua vita fra le mani e tratti tutto come un gioco!- tuonò. 
-So che non è un gioco- fece, offesa. -È lei che fa di tutto per…- 
-Lei che fa di tutto?!- sbottò Evans, questa volta seriamente arrabbiato. Si alzò in piedi. –È stata strappata dal suo mondo e costretta ad adattarsi in questa situazione. Le abbiamo stravolto la vita ed è normale che reagisca così! Dov’eri quando ti è stato spiegato come relazionarsi come le vittime e i testimoni?! Ti ricordo che un serial killer ha cercato di ammazzarla- 
Will non rispose, punta nell’orgoglio, e abbassò lo sguardo. Era consapevole che lo stava deludendo perché non si stava comportando in modo professionale, come lui le aveva insegnato. E poi avevo saltato tutte quelle stupide lezioni di psicologia, come le considerava lei. 
-Sei presuntuosa e arrogante. Sono stanco di dover sopportare il tuo comportamento e di doverti giustificare. A missione terminata, se non avrò riscontrato un miglioramento nel tuo atteggiamento, chiederò una sostituzione in via definitiva. E ora vai a studiare il fascicolo dell’FBI sul caso: compila una relazione e consegnala all’agente Rogers prima del loro arrivo- 
-Si- rispose Will, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. 
-Sissignore, d’ora in poi- 
Will alzò lo sguardo, spiazzata. Considerava Evans come un secondo padre e sentiva di averlo deluso. 
-Sissignore-  
 
˜ 
 
Vivienne fissava sconsolata il vassoio che l’agente Avery Wood le aveva portato dalla mensa. Si trovavano nella stanzetta da cui era già evasa una volta e avrebbe dovuto mettere qualcosa sotto i denti - aveva cenato la sera prima, poi nel cuore della notte era stata rapita dagli agenti dell’Organizzazione e da quel momento non aveva più mangiato nulla. Erano circa 12 ore che si trovava in quel posto così poco confortevole per lei e il suo stomaco iniziava a brontolare. Ciò che le aveva portato quell’agente, per quanto il gesto fosse in sé molto gentile, non era per nulla invitante: sembrava un pasticcio di carne con qualche verdura lessa per contorno e il gusto era terribile.  
Vivienne infilzò il pasticcio di carne con la sua forchetta per qualche istante, prima di decidere che, no, non avrebbe mangiato quella roba e avrebbe aspettato il prossimo pasto, con la speranza che le venisse servito qualcosa di commestibile. 
-Dobbiamo andare da Evans- disse Will, entrando bruscamente nella stanza. –Bisogna coordinare le nostre unità con l’FBI e dobbiamo aggiornarli sui nuovi avvenimenti- 
Avery annuì e seguì Will fuori dalla stanza. Vivienne li seguì, ma venne fermata da Will. 
-Tu stai qui- disse, sbarrando la strada. 
-No, ho il diritto di sapere anche io!- protestò Vivienne, arrabbiata. 
-Ti aggiorniamo dopo, tranquilla- fece Avery. 
Sbuffò. –Posso almeno fare un giro fuori? Ci sarà un posto in cui posso stare al di fuori di queste mura ... Qui c’è sempre tanta puzza, ho bisogno di aria pulita- 
Will alzò gli occhi al cielo -Io non credo che…- iniziò, ma venne subito interrotta da Avery. 
-Posso accompagnarla io, rimarremo nel perimetro della base- disse. 
Will protestò vistosamente. -No, devi partecipare anche tu! La signorina può aspettare il tuo ritorno al termine della riunione senza fare tante storie!- 
Avery alzò le spalle. -Dopo la tentata evasione di questa mattina preferisco rimanere con lei. Credo che Evans non avrà nulla da ridire a proposito, mi puoi aggiornare tu dopo la riunione?- 
Will non rispose. Si limitò a lanciare un’occhiata furente a i due ragazzi e poi uscì dalla stanza sbattendo la porta alle sue spalle.  
-Che caratterino- sibilò Vivienne, sorridendo, soddisfatta.  
Afferrò la giacca scura che aveva sul letto e che le era stata prestata da uno degli agenti che l’avevano prelevata la notte precedente. Seguì l’agente Avery lungo i corridoi asettici e incolori di quell’edificio, fino al raggiungimento di una porta blindata, dall’aria massiccia e resistente. 
Il ragazzo inserì un codice per poterla aprire, e Vivienne cercò di sbirciare la combinazione. 
-Cambia ogni tre ore- la informò lui, captando le sue intenzioni. 
-Grazie per l’informazione- ribatté lei, prima di inspirare a pieni polmoni l’aria pulita e fresca che entrava dalla porta finalmente spalancata sul mondo esterno. La luce del sole era accecante e faceva più freddo di quanto Vivienne si aspettasse, ma non era un problema per lei. Dopo quelle ore di prigionia, quell’aria, anche se fredda e tagliente, le sembrava la più buona che avesse mai respirato. 
-Quando arriva mio fratello?- chiese al ragazzo, con gli occhi chiusi e la testa inclinata all’indietro. Voleva assorbire più luce solare possibile. 
-Penso domani in mattinata- 
Vivienne squadrò l’ambiente che la circondava, un quadrato di erba verde e dall’aspetto artificiale, delimitato ai lati da alte siepi scure. Aveva la netta sensazione che dietro le siepi ci fossero altri muri grigi e tristi. Si sedette a terra, il terreno era soffice e leggermente umido. 
-Da quando sono arrivata nessuno mi ha spiegato nulla di tutto… questo- chiese Vivienne, sollevando le mani, ad indicare l’ambiente che la circondava. 
-Cosa ti interessa sapere?- sospirò Avery, scrutandola attentamente. 
-Ad esempio se siete pericolosi trafficanti di droga o se siete la CIA o qualcosa del genere- 
Avery sorrise. -Qualcosa del genere- 
Vivienne lo incalzò con lo sguardo e con un leggero cenno della testa.  
-Ti trovi nel quartier generale dell’Organizzazione, è un’agenzia paramilitare non governativa. Sei qui perché è stata richiesto di fornirti protezione in seguito all’evasione dei quel criminale e siamo in attesa di coordinarci con l’FBI- 
Vivienne sapeva già quelle cose. Era interessata ad altro. -E come funziona qui?- 
-In che senso?- 
Vivienne alzò le spalle. -Non so, da quanto tempi lavori qui? Poi proprio non capisco, siete tipo delle spie?- sorrise, strafottente. 
Seguì qualche istante di silenzio. La ragazza lo guardò stupita, non pensava che l’argomento fosse delicato. D’altronde gli aveva solo chiesto di parlarle del suo lavoro, ma lui si era incupito tutto d’un tratto, immerso nei suoi pensieri. 
-Da sei anni- sospirò, infine. 
Vivienne era troppo curiosa per mostrare sensibilità ed empatia, pensava di poter fare ancora qualche domanda prima di superare un qualche limite. -E dove vivevi prima?- 
Avery una strana smorfia. –Ho sempre vissuto qui- 
La risposta lasciò Vivienne basita. –Che cosa vuol dire?- 
Sospirò. – I miei genitori erano agenti. Io sono nato all'ospedale della base – proprio qui, qualche metro sotto di noi – e sono cresciuto qui- 
Vivienne deglutì, iniziando a percepire una certa tristezza. Si sentì improvvisamente a disagio. 
-E poi sei diventato un agente- 
-Proprio così-  
-Ed è una cosa comune o..?- 
-Direi abbastanza- rispose Avery, annuendo deciso. -Molti degli agenti che lavorano qui sono figli di agenti e sono nati qui, come me, ma non tutti. Altri sono selezionati al college o da altre agenzie, o tra ex soldati in congedo- 
Vivienne fece una smorfia. -Tu sei stato obbligato a diventare agente?- 
-Oh no, assolutamente!- esclamò Avery. Si sedette vicino alla ragazza. -Io ho deciso di arruolarmi e non tutte le persone che nascono qui sono costrette a diventare agenti, possono decidere di lasciare la base e farsi una vita al di fuori, oppure possono decidere di rimanere ma lavorare in amministrazione o come inservienti- 
-Mi aspettavo mi raccontassi che foste obbligati a vivere e lavorare qui, mi sento sollevata!- esclamò Vivienne, sorridendo. Iniziava a rilassarsi di nuovo, nonostante percepisse ancora un velo di tristezza. -Non mi sembri felice, però- aggiunse, quasi sottovoce, guardandolo di sottecchi.  
Lui scosse la testa. -Sto bene. Mi piace il mio lavoro. Comunque si, se lavori qui devi vivere qui, insieme agli altri agenti. E tu invece? C’è qualcos’altro oltre questo stereotipo della ragazzina bionda, ricca e viziata?- 
Vivienne strinse gli occhi, con le labbra serrate e tese. Detestava essere apostrofata in quel modo, nonostante sapesse esattamente come veniva percepita dal mondo esterno. -No, sono esattamente così come mi vedi. Viziata, presuntuosa e maleducata- rispose piccata. Si alzò e ripulì i pantaloni dal terriccio del terreno con una mano. - Adesso vorrei tornare nella mia cella-   
-Ah percepisco giusto un velo di permalosità!- 
Vivienne alzò gli occhi al cielo. -Posso essere anche acida e scontrosa se necessario-  
-Lo vedo- disse Avery, ridendo.  
Tornarono nella stanza riservata a Vivienne, e nel tragitto l’agente le diede altre informazioni sul luogo in cui si trovavano. 
La sede dell’organizzazione si trovava in una cittadina del Massachusetts, il cui nome non era stato rivelato a Vivienne, ed era organizzata come un campus in erano presenti tutti i servizi di una normale città. Tutti gli edifici, ad eccezione dei negozi, erano disabitati, perché gli unici abitanti della città erano gli agenti stessi e tutti risiedevano negli alloggi limitrofi alla base o nel dormitorio interno al quartier generale. Era, di fatto, una città fantasma. La base, il cosiddetto quartier generale, si trovava lontano dal centro della città, nel mezzo di una radura circondata da un fitto bosco e gran parte dell’edificio si trovava sottoterra. 
Avery le aveva spiegato che non tutte le aree della base erano accessibili a tutti e che era raro che i civili avessero la possibilità di fare ingresso in uno qualsiasi degli edifici della base. L’organizzazione lavorava per facoltosi clienti privati, agenzie investigative o governi, quindi di norma era difficile che ci fosse anche solo la possibilità che gli agenti dell’organizzazione si imbattessero in ordinari civili.  
-...ma tu non sei una civile normale, non è così?- chiese Avery a Vivienne, al termine del suo racconto.  
-Non lo sono i miei nonni- rispose subito Vivienne, corrucciata. -Io sono una normale studentessa del college, ma la mia famiglia è molto ricca-  
-E con sospetti legami con la malavita- 
Fulminò Avery con lo sguardo. -Se sai già tutto, è inutile che tu mi faccia delle domande-   
-Non volevo offenderti- rispose subito lui, dispiaciuto.  
Lei si voltò e incrociò le braccia sul petto. La famiglia Shepard era una facoltosa famiglia di banchieri di Boston, con tentacoli in certi loschi affari che spaziavano dall'industria all’alta finanza, dalla politica all’editoria, grazie a svariate società di investimento che, con ingenti somme, influenzavano e orientavano cruciali attività economiche a livello internazionale. Negli anni avevano costruito un impero economico in cui Vivienne si sentiva incastrata e da cui voleva scappare. I suoi nonni avevano controllato ogni aspetto della vita di Vivienne e della sua famiglia, imponendo stile di vita e scelte per il futuro. Vivienne avrebbe seguito il percorso che i suoi nonni avevano disegnato per lei, a prescindere dalla sua volontà. Ciò che ovviamente trovava più disturbante era la questione legata alla poca legalità che circondava la sua famiglia e si sentiva terribilmente sporca per tutto questo. 
 
˜ 
 
 
Dopo il breve momento trascorso in uno dei piccoli giardinetti interni dell’Organizzazione, era giunta l’ora di cena. Vivienne aveva atteso che fosse prelevata dagli agenti Rogers e Crew, che insieme ad Avery l’avevano accompagnata in mensa. Iniziava a trovare opprimente l’avere sempre qualcuno di quegli agenti intorno, senza aver mai un momento di privacy. Avrebbe voluto star da sola per poter metabolizzare a suo modo, ovvero lanciando per aria i suoi effetti personali istericamente, tutta quella situazione in cui si trovava. D’altro canto, dopo il poco efficace tentativo di fuga e il suo atteggiamento continuamente aggressivo e imprevedibile, gli agenti dell’Organizzazione non volevano più lasciarla senza sorveglianza, temendo problemi e annessi danni.   
-Non vi sembra strano che David Cooper mi abbia trovata proprio a Seattle, lo scorso anno?- disse Vivienne, seduta a uno dei tavoli rotondi e di metallo della mensa. 
-Non così tanto- le rispose seccamente Will, con tono ovvio. -Ti stava seguendo e controllando- 
-Nessuno sapeva che fossi a Seattle, ad eccezione della mia famiglia- 
-Magari le tue amiche si sono lasciate sfuggire qualcosa senza rendersene conto- disse Avery, stuzzicando il cibo con la forchetta. I pasti continuavano ad essere poco invitanti. 
-No- rispose Vivienne, -erano in ritiro con la compagnia di danza in quei giorni. E comunque anche volendo, non avrebbero potuto perché non lo sapevano proprio- 
-L’ipotesi è che possa averti seguita in aeroporto- intervenne Chris. Era sicuramente più grande di qualche anno rispetto ai due ragazzi, ma Vivienne non avrebbe saputo assegnare una precisa età a nessuno di loro. Aveva intuito che l’agente Rogers fosse il loro superiore o avesse comunque un grado più alto da come loro si rivolgevano a lui. In realtà Will aveva quasi sempre un atteggiamento supponente anche con lui, alternato a occhiate maliziose che Vivienne aveva notato fin dal primo istante, ma eseguiva gli ordini che lui le impartiva, spesso senza risparmiare proteste. Come in quel momento.  
-Sono informazioni riservate, non devi parlarne con lei!- esclamò arrabbiata, rivolta a Chris.  
-È il tuo capo e gli parli così?- si intromise subito Vivienne, a cui piaceva punzecchiare le persone.  
-Non è il mio capo e tu devi farti gli affari tuoi- sibilò Will sporgendosi verso di lei, che non si mosse di un centimetro. Fin dal primo momento, tra di loro si era scatenato un forte sentimento di antipatia ed entrambe non perdevano occasione per infastidire l’altra. 
-Adesso basta- fece Chris, tirando indietro Will. - Non sono il tuo capo, ma sono comunque l’agente responsabile di questa operazione e so cosa posso o non posso dire. È chiaro?- 
Vivienne sorrise beffarda, mentre Will guardava Chris in cagnesco e si mordeva la lingua.  
-E tu,- continuò Chris, questa volta rivolta a Vivienne, -dovresti smetterla di avere questo atteggiamento. Non siamo i tuoi lacchè personali, siamo qua per lavorare- 
Lei gli rivolse lo sguardo. -Beh, in ogni caso la vostra ipotesi è sbagliata, perché ho viaggiato con il jet privato dei nonni. Ho deciso all’ultimo e sono partita dal loro aeroporto privato-. Avery alzò un sopracciglio, osservando come, ogni qual volta che Vivienne si sentiva attaccata, rispondesse tirando in mezzo la sua famiglia facoltosa, come se volesse darsi un tono. -E se mi avesse seguita,- continuò lei, -perché avrebbe aspettato una settimana prima di…- 
-La vuoi smettere?- la interruppe nuovamente Will, bruscamente.  
Vivienne la ignorò e si voltò, invece, verso Chris. -Puoi dire alla tua ragazza di lasciarmi stare?- 
Will arrossì violentemente, mentre Chris non distolse lo sguardo da Vivienne, che lo fissava con aria di sfida. -Non è la mia ragazza e tu devi darti una calmata- disse, con tono piuttosto fermo. Non sembrava arrabbiato, quanto scocciato. Avery, al contrario, aveva assunto uno sguardo corrucciato. Vivienne aveva intuito che c’era qualcosa tra quei tre, l’atteggiamento tra Will e Chris non era molto professionale, ai suoi occhi; inoltre, Avery saltava ogni volta che gli altri due si scambiavano anche solo uno sguardo, e assumeva poi un’espressione da cane bastonato. Vivienne era particolarmente perspicace e aveva capito al volo la situazione. Aveva anche deciso che ne avrebbe approfittato un po’, almeno finché Will non avesse smesso di infastidirla. 
-Beh, a me sembra proprio il contrario- 
Will scattò in piedi, furente. -Stai esagerando!- 
Chris afferrò il braccio di Vivienne e la fece alzare in piedi bruscamente.  
-Adesso io e te andiamo via- disse. 
Vivienne iniziò a divincolarsi, cercando di sfuggire dalla sua presa. -Mi stai stringendo troppo forte!- protestò, anche se in realtà non stava provando dolore.  
-Smettila- rispose lui, spostandosi verso l’uscita della mensa, trascinando Vivienne. –Siamo già tutti nervosi perché è un’operazione anomala e il tuo comportamento non aiuta nessuno- 
-Posso camminare da sola!- esclamò lei. 
La gente che superavano li guardava divertiti, ma ovviamente nessuno provava ad aiutare Vivienne, mentre Avery e Will erano rimasti in mensa, entrambi muti e pensierosi. 
Chris e Vivienne camminarono per alcuni minuti attraverso scale e corridoi labirintici fino a raggiungere una sala riservata agli interrogatori. Non era la stessa sala in cui Vivienne era stata condotta la prima volta. Chris la fece sedere su una sedia e le legò gli avambracci ai braccioli della sedia. 
-Ma cosa fai?!- protestò Vivienne, scalpitando.  
Aveva provato a opporsi ma Chris era più forte di lei e i suoi tentativi di liberarsi dalla sua presa erano falliti miseramente. I movimenti di Chris erano decisi ma non violenti. 
-Adesso ti calmi- intimò lui, guardando Vivienne dritta negli occhi. 
Lei serrò le labbra. Non accettava il trattamento che le stavano riservando e non avrebbe smesso di creare problemi finché non le avessero permesso di vedere la sua famiglia. Non aveva fatto nulla di male e si sentiva come se stesse subendo una evidente violazione dei suoi diritti. Non aveva intenzione di cambiare il suo atteggiamento. 
-Ascolta,- continuo Chris, -riesco a capire come ti senti in questo momento, ma…- 
-Dubito fortemente- lo interruppe lei, lanciandogli uno sguardo di fuoco. 
-…ma anche tu devi capire che stiamo lavorando e questo non è divertente neanche per noi- 
-Come no- sospirò Vivienne, d’un tratto angosciata. L’agitazione si stava trasformando in ansia, esternamente sembrava si stesse tranquillizzando, immobilizzata com’era, ma dentro di sé l’angoscia cresceva ogni secondo di più.  
Si sentiva sola, attorniata da sconosciuti inquietanti e armati, e il pensiero che non sarebbe mai più uscita da quell’edificio proprio non l’abbandonava. Razionalmente sapeva che non era possibile, che qualcuno sarebbe arrivata a salvarla, ma aveva difficoltà a convincersi. I suoi timori, a un certo punto, sembrarono concretizzarsi.  
-Presto sapremo se sarà possibile fornirti una sistemazione diversa, ma al momento non posso dirti di più, posso solo chiederti di portare pazienza- 
Vivienne sentì lo stomaco stringersi. Iniziava a mancarle l’aria. -Se? Che diavolo vuol dire?- 
Chris, in quel momento seduto di fronte a lei, allungò una mano, come se cercasse un contatto fisico con lei, ma la ritrasse quando Vivienne fece uno scatto all’indietro cercando di allontanarsi da lui. Era stato un movimento istintivo, non si sentiva realmente minacciata da lui. Cercando di nascondere quel breve momento in cui aveva mostrato un po’ di debolezza, come se avesse paura, Vivienne tornò all’attacco. -Non esiste che non sappiate cosa fare con me, non ho intenzione di continuare a subire le vostre prepotenze!- 
Chris non rispose. Inizio a guardare Vivienne dritto negli occhi. Lei sostenne lo sguardo, ma in realtà era curiosa di osservarlo meglio. Non voleva, d’altro canto, essere la prima a distogliere lo sguardo. Quando squillò il cercapersone di Chris, lei approfittò di quel momento per spostare finalmente gli occhi, osservando il resto del viso di Chris. Notò come i capelli castani avessero riflessi biondi e fossero molto ordinati, mentre la barba, che era decisamente corta, aveva riflessi rossicci che si notavano appena e sembrava che dovesse essere rasata. Il naso era regolare come il resto del viso, anche se saltavano subito agli occhi una vistosa cicatrice sulla fronte, vicino al sopracciglio destro, e una sul mento, obliqua, un po’ più piccola. La mandibola era strutturata e la fronte ampia, con le sopracciglia folte e scure. Gli occhi, di un azzurro molto chiaro ma intenso, spiccavano sulla carnagione leggermente abbronzata. Vivienne aveva anche notato le spalle e il petto muscolosi, come ci si poteva aspettare da un militare. O paramilitare, Vivienne non aveva ancora ben chiara tutta la questione. Dovette ammettere che era un bel ragazzo. 
Quando lui ripose il cercapersone in tasca, tornò a guardare Vivienne, che non smise di squadrarlo. Chris si sentì leggermente in imbarazzo, quindi si schiarì la voce, cercando di attirare la sua attenzione. 
Vivienne tornò a guardarlo negli occhi, quasi con sufficienza. Chris iniziava davvero a detestare questo suo atteggiamento.  
-Domani arriverà tuo fratello, ma se non ti calmi non ti permetteremo di incontrarlo- 
-Non puoi farlo!- esclamò subito Vivienne, divincolandosi e inarcando la schiena. Si sentiva come un animale in gabbia. 
-In realtà sì,- rispose con calma lui, -posso fare quello che voglio, anche costringerti ad assumere un calmante così forte da farti dormire finché Cooper non sarà arrestato. È quello che vuoi?- 
Vivienne si divincolò ancora per qualche secondo, poi si impose di tranquillizzarsi prendendo respiri profondi. L’angoscia continuava a divorarla ma non voleva dare alcuna soddisfazione a nessuno di loro. 
Digrignò i denti, come se stesse ringhiando. –Ho dei diritti, sai? Non potete fare quello che volete- 
Lui sorrise, poi fece per uscire dalla stanza. 
-Ehi!- protestò lei. -Non ho intenzione di rimanere da sola in questa stanza dove probabilmente avete ucciso qualche terrorista!- 
Chris sorrise, senza farsi vedere da lei, ma non le rispose, continuando ad avvicinarsi alla porta. 
-Ehi!- protestò ancora lei, sbattendo i piedi a terra. 
Chris, teatralmente, si girò a guardarla. –Promettimi che d’ora in poi starai calma e non farai casino- 
-Non posso-  
-Bene, allora vado a dire in infermeria di preparare i medicinali- 
-Non lo fai, tanto- sibilò Vivienne, ostentando una sicurezza che celava ben altro. Era davvero preoccupata che le parole di Chris non fossero soltanto una minaccia a vuoto. 
Lui sorrise, in un modo che Vivienne trovò spaventosamente bello ed enigmatico. 
-Se ne sei sicura- fece, alzando le spalle. 
Vivienne, confusa, si chiese se stesse flirtando con lei. 
Infine, stringendo i denti, si arrese. –Va bene, ci proverò. Ma voi cercate di non provocarmi più- 
Chris sorrise ancora, e si avvicinò per slegarle i polsi. La guardò ancora dritta negli occhi. Da quella distanza, Vivienne riuscì a sentire bene il suo profumo, fresco e con un tono leggermente agrumato. Fece una smorfia, riconoscendo che, in fin dei conti, era davvero un buon profumo. Non poté che constatare quanto fosse affascinante a i suoi occhi, nonostante la sala per gli interrogatori dei terroristi e tutto il resto. 
-Non ti assicuro nulla- 

*to be continued*

Eccoci al termine del secondo capitolo, piuttosto introduttivo come il precedente, e spero di riuscire a coinvolgere e incuriosire voi che la state leggendo. 
 
La mia idea è di aggiornare una volta a settimana, mi piacerebbe dare contuinutà alla storia.  
Suggerimenti o critiche sono sempre ben accetti.
 
Fra :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Quando Vivienne era saltata addosso a suo fratello, dopo averlo visto, Will si era sentita terribilmente sola. Dovette ammettere che sembravano una bella famiglia. 
Era trascorsa più di un’ora da quando era arrivato. Era stato scortato su un elicottero, in modo che nessuno potesse seguirlo, da cinque diversi agenti. 
Will, dopo aver ascoltato l’ennesimo aggiornamento sulla condizione di amici e familiari degli Shepard, si girò a guardare Avery, in piedi di fianco a lei, e riuscì a leggere nei suoi occhi quello che sapeva si sarebbe letto nei propri. 
Poco distante, Chris parlottava con Emily Lennox, sua collega di pattuglia nonché cara amica. Emily era stata coinvolta su richiesta di Chris stesso, e Will si era domandata il perché: Emily era una degli agenti più in gamba e promettenti dell’Organizzazione e, secondo la sua opinione, era sprecata per controllare la stronzetta viziata
Emily stessa non era propriamente entusiasta di essere stata coinvolta in quel caso. -Che perdita di tempo- mormorò, infatti, rivolta a Chris. 
Lui, appoggiato al muro dietro di lei, scosse la testa. -È bello, invece- rispose.  
Emily scrollò le spalle. –Ho cose più importanti da fare. Pare che sia stata avvistata a Tucson, ieri- 
Chris alzò gli occhi al cielo. –Sei ossessionata- 
Lei lo ignorò. 
-Di cosa parla?- bisbigliò Avery all’orecchio di Will. 
-Emma Ryan- rispose lei, facendo attenzione che Chris ed Emily non sentissero le sue parole. 
Will aveva nominato una criminale su cui Emily lavorava da diversi anni. Qualche tempo prima era riuscita a sgominare parte della sua banda ma continuava a mancare lei. -Dicono che non dorma la notte, nel tentativo di scoprire qualcosa di nuovo- continuò la ragazza. 
-Se questa non è ossessione…- commentò lui. 
Will non disse nulla, sapeva che non era raro che ci fossero agenti ossessionati da casi particolarmente ostici e pensò che forse Chris l’avesse coinvolta per distrarla. Gli lanciò una rapida occhiata, e notò che stava fissando Vivienne. Sentì crescere in lei un sentimento di gelosia. Tra lei e Chris, come aveva intuito Vivienne, c’era una specie di storia che andava avanti da qualche tempo. Chris non l’aveva mai definita come la sua ragazza, anche se la trattava come tale, e Will avrebbe tanto voluto che lui ufficializzasse la loro relazione. Sapeva che Chris spesso non sopportava il suo atteggiamento, ma Will non era disposta a cambiare sé stessa per stare con lui, non fino a quel punto, e temeva che la loro storia sarebbe sopravvissuta ancora per poco.  
Scosse la testa, cercando di pensare ad altro e si accorse poi che Bentley, il fratello di Vivienne, la stava fissando. Assomigliava molto alla sorella e Will dovette ammettere che era un ragazzo molto affascinante. Era più alto della ragazza, aveva i capelli biondi leggermente più scuri, come la barba, molto curata, e gli occhi verdi che spiccavano sulla carnagione chiara. La t-shirt bianca che indossava non nascondeva i muscoli ben definiti e Will immaginò la indossasse proprio per quel motivo. Bentley stava ascoltando Vivienne che era immersa in una dettagliata descrizione di quanto spoglia fosse la stanza in cui l’avevano, testuali parole, rinchiusa. 
Will la trovava particolarmente snervante. 
Al termine del racconto, Bentley si diresse verso Chris ed Emily, sotto lo sguardo attento della sorella. 
-Vivienne non può smettere di frequentare le lezioni del college- disse, senza preamboli. 
Chris, che non si aspettava nulla del genere, lo guardò basito per qualche istante. 
-Potrà seguire dei corsi qui da noi- rispose, poi, tranquillamente. 
Bentley scosse la testa. –Andrà al campus che c’è a Charlesdale. È poco distante da qui e mio nonno ha già preso accordi con il rettore- disse, con sicurezza. 
-Non penso che sia possibile farle frequentare…- iniziò Chris. 
-È dove mandate anche i vostri cadetti a studiare, non sarà un problema aggiungere un paio di agenti qualificati per la sua protezione- 
Will notò che Chris si stava impegnando molto per mantenere la calma. -Il costo sarà troppo elevato e…-  
Bentley alzò una mano. -Sono qui come portavoce dei miei nonni, che si sono accordati con il vostro superiore per un lauto compenso dovuto alla protezione di mia sorella. È come se lavoraste per noi, e noi vogliamo che lei conduca una vita il più normale possibile- 
Emily fece una smorfia. Anche lei stava perdendo la pazienza. -Voi non potete fare…- 
-Noi, possiamo. Forse voi non sapete chi siamo- 
Ormai l’ostilità di Chris nei confronti nei confronti del fratello di Vivienne era palpabile. Avery osservò, mentalmente, come fosse un vizio di famiglia usare il nome dei nonni per darsi un tono. 
-Il fatto che siate Shepard non vuol dire che potete fare quello che volete- intervenne nuovamente Emily. 
Bentley sorrise. –Bene, vuol dire che mio nonno chiamerà di nuovo il vostro capo e otterremo comunque quello che vogliamo-  
Diede poi una pacca sulla spalla a Chris, rigido come un tronco, e tornò dalla sorella, che aveva osservato lo scambio in silenzio. Finalmente aveva un alleato vicino a sé, anche se non le erano piaciuti i modi con cui il fratello si era rivolto a loro. 
Dopo aver scambiato ancora per qualche istante delle occhiate in cagnesco a Bentley, Emily uscì dalla stanza trascinando Chris, seguiti da Will, mentre Avery rimase all’interno per controllare i due fratelli. 
-Possono farlo?!- sbottò Chris, non appena la porta fu chiusa alle sue spalle. 
-Sono Shepard. Quindi si, possono farlo- rispose Emily, controllando il telefono. 
-E la cosa non ti disturba nemmeno un po’?!- 
Will gli prese una mano e la strinse forte, pur sapendo che non avrebbe dovuto. Voleva che lui sapesse che era pronta a sostenerlo, era al suo fianco. -Mi volete spiegare perché questi possono parlare così?- chiese poi. 
Emily sospirò. –È una famiglia molto ricca e potente. Hanno un’enorme influenza politica ed economica a livello internazionale. Prima pensavo che contassero qualcosa solo a livello locale, sono originari di Boston, ma adesso è evidente che contino molto di più, o il Direttore non gli permetterebbe di fare quello che vogliono- 
-Vogliono solo che Vivienne non esca fuori di testa e suo fratello ci tiene proprio a farci capire chi sono- rispose Chris, ancora arrabbiato. 
-Beh,- fece Will, aggrappandosi al braccio del fidanzato, -probabilmente sono solo sbruffoni e il Direttore non concederà loro un bel niente- 
Emily scoppiò a ridere. –Quanto sei ingenua. Questa è gente che decide chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti o dove scoppierà la prossima crisi petrolifera- 
-Possono farlo?-  
Emily alzò gli occhi al cielo. – Secondo te devono chiedere il permesso a qualcuno? Chi pensi che ti paghi lo stipendio? E non mi stupirei fossero coinvolti con lei- disse poi guardando Chris negli occhi, che sbuffò.  
-Per te potrebbe essere coinvolto anche il papa- 
Will osservò Emily, che si era incupita d’un tratto. Era quasi una leggenda vivente, nell’agenzia, con all’attivo una quantità di casi risolti impressionante. Avrebbe voluto essere come lei. Giovane, bella, con un bel fidanzato innamorato di lei, letale e con la fama di ottimo agente che la precedeva. 
Le squillò il telefono. 
-Se è Jake salutalo- disse Chris, finalmente tranquillo. 
Lei sorrise, poi rispose, allontanandosi da Will e Chris 
-Evans ti ha fatto una bella lavata di testa, eh?- fece lui. 
-Hai saputo?- rispose lei, un po’ imbarazzata. 
Lui alzò le spalle. 
-Grazie per il supporto- sibilò lei, offesa. Non stavano insieme, ma pretendeva che lui non la trattasse come una sua collega qualunque.  
Chris la guardò stupito. -Ma cosa stai dicendo?- 
Will gli lanciò un’occhiataccia, prima di allontanarsi a sua volta. Chris le afferrò una mano e la tirò a sé abbracciandola. Era un abbraccio rigido, entrambi avevano la testa da un’altra parte, immersa nei loro pensieri, ed entrambi ne erano perfettamente consapevoli. 
 
˜ 
 
-Chiedi pure all’agente Avery se il cibo della mensa non è vomitevole!- esclamò Vivienne, sorridendo. Si sentiva finalmente serena, vicino a suo fratello. 
-Mi sei mancata Viv- 
Lei lo abbracciò. -Anche tu, da morire! Vorrei potessi restare qui con me- 
-Manchi anche alla mamma- 
Un moto di rabbia iniziò a crescere in Vivienne. –Certo- sibilò, a denti stretti. Pensò che se le fosse mancata così tanto, avrebbe accompagnato Bentley, e invece suo fratello era venuto da solo a trovarla in quel manicomio, come ormai aveva rinominato il quartier generale dell’Organizzazione.  
-Dai, non fare così..!- 
Vennero interrotti dall’ingresso nella stanza rientrò Emily seguita da Chris e Will, mano nella mano. Si lasciarono subito, ma fu un gesto talmente tanto plateale, pensò Vivienne, che anche un cieco l’avrebbe notato. 
Notò anche Avery irrigidirsi e stringere i denti.  
Inaspettatamente, Vivienne sentì il moto di rabbia esplodere del tutto. Avrebbe voluto prendere Will per i capelli e tirarle un calcio, ma fu brava a mantenere la calma e nessuno se ne accorse. 
Non capiva perché Will le desse così fastidio, la detestava proprio. Pensò di non essere gelosa di lei e Chris, d’altronde conosceva quel ragazzo da appena due giorni e in ogni caso non si sentiva abbastanza in gamba per poter frequentare uno così. Senza contare il fatto che avevano chissà quanti anni di differenza e lei si sentiva una ragazzina a confronto. 
-Purtroppo, il vostro tempo è terminato oggi. Devo scortare Vivienne nella sua camera- disse Chris. 
Il sorriso sul volto di Vivienne si spense. Non voleva che suo fratello se ne andasse, le sembrava fossero passati cinque minuti da quando era arrivato al Quartier Generale dell'Organizzazione. 
-Di già?- fece Bentley, dispiaciuto. 
Chris annuì, deciso. 
-Per favore, lasciateci ancora un po’ di tempo- fece Vivienne, con le lacrime agli occhi. Non voleva piangere di fronte a loro, ma l’idea di allontanarsi da suo fratello e rimanere di nuovo sola le faceva mancare il fiato. 
Will scrollò le spalle, guardandola freddamente. –Sono le regole, non dipende da noi. Ma tuo fratello potrà tornare fra qualche giorno- 
-Anche domani?- chiese Bentley. 
Vivienne guardò Chris, speranzosa. –È meglio di no- rispose lui, infrangendo ogni speranza della ragazza. -Sarebbe meglio la prossima settimana. Ma è fondamentale non si instaurino abitudini, qualcuno potrebbe tenerti d’occhio- spiegò a Bentley. 
-Ed è meglio che tu venga da solo, al massimo in due per volta- intervenne Avery. 
Bentley annuì, dispiaciuto, guardando Vivienne. Ricevette un messaggio e qualche secondo dopo a tutti e quattro gli agenti squillò il cercapersone. Sorrise soddisfatto, la sua richiesta era stata accolta. 
-Evans ci vuole nel suo ufficio- disse Emily. –Chris, la accompagni tu nella sua nuova stanza? Ti aggiorniamo dopo- 
Il ragazzo annuì, e Vivienne strinse forte il fratello, chiedendosi quando lo avrebbe rivisto. 
 
 

 
Bakersfield, California - Qualche tempo prima
 
Hanno bisogno di luce.
Alla richiesta di suo padre, Emma non aveva risposto nulla. Si era limitata ad obbedire, tenendo per sé i pensieri contrariati che le passavano per la mente. D’altronde, era convinta che per suo padre e i suoi due colleghi tutto ciò fosse un divertimento, mentre lei doveva fare il lavoro sporco, e per questo era molto infastidita.  
Aprì la porta della stanza in cui erano rinchiusi quei due ragazzi, che subito iniziarono a urlare e a dimenarsi. 
-Lasciaci andare!- gridò la ragazza. Era esile e magrolina, con i capelli scuri lunghi fino a metà della schiena. Il visto era corto e rotondo, il naso leggermente schiacciato, in mezzo a occhi castani e arrossati. 
-Facci uscire! Chi siete? Cosa volete da noi?!?- abbaiò il ragazzo, che invece era alto, con i capelli scuri e gli occhi verdi. 
Emma faceva quel lavoro da così tanto tempo che, ormai, le urla dei prigionieri non avevano più effetto su di lei. Con il tempo era diventata insensibile, perdendo ogni contatto con il mondo esterno. 
Non aveva, però, calcolato bene le distanze. Era entrata convinta che nessuno di loro sarebbe riuscito a colpirla se ci avesse provato, per via delle catene, ma il ragazzo aveva le gambe più lunghe del previsto. Riuscì, infatti, a colpire Emma con un calcio. 
-Mossa sbagliata- mormorò lei. Si girò con uno scatto e gli afferrò il polso. Provò un brivido di piacere mentre il ragazzo si piegava e si inginocchiava, urlando, a i suoi piedi. 
-Ian!- esclamò la ragazza, dimenandosi. 
Emma lasciò il polso del ragazzo e fece un passo indietro. 
-Non ho intenzione di farvi del male. Ma non azzardatevi a fare del male a me- disse, calma. 
-Che cosa volete??- chiese la ragazza, mentre Emma apriva la finestra per far entrare un po’ di luce nella stanza. 
La casa in cui suo padre aveva stabilito il suo quartier generale per quel lavoro era in piena campagna. Nessuno avrebbe sentito urlare i ragazzi. 
-Io non voglio niente da voi- rispose Emma, alzando le spalle. 
-E allora lasciaci andare... Cosa ti costa? Non devi fare per forza quello che ti obbligano a fare...- disse il ragazzo, con tono supplichevole. 
Si rivolgeva ad Emma in quel modo perché si erano resi conto che anche lei era giovane, forse qualche anno più grande di loro, e pensavano che avrebbe potuto ascoltarli e aiutarli. Ma si sbagliavano. A Emma piaceva il suo lavoro, sentiva come se tutto quello fosse l’unica cosa che sapesse e volesse fare. 
Le suppliche non funzionavano con lei, era stata addestrata per non sentirle nemmeno. 
Infatti, sorrise freddamente. 
-E chi ti dice che mi obbligano?- 
Uscì chiudendo la porta alle sue spalle, mentre i ragazzi avevano ripreso ad urlare. 
Si diresse verso la sua stanza, una sorta di camera da letto con un vecchio letto e un piccolo armadio. Lavoravano portando con loro lo stretto necessario, per potersi adattare a ogni situazione.  
Iniziò a riprendere la lettura di un libro che aveva interrotto poco prima, ma squillò subito il telefono. 
-Si?- rispose, sbuffando.  
“Ehi Em, sono Danny” 
Danny era uno dei due soci di suo padre. 
-Ti passo papà- 
Emma uscì dalla stanza e raggiunse suo padre, Rusty(1), sulla terrazza, dove stava fumando una sigaretta mentre Matt, l’altro socio, gli faceva vedere dei fogli. 
-No, no. Non mi interessa quanto offrono, Matt. I ragazzi li teniamo noi fino alla consegna-, stava dicendo. 
-Papà, c’è Danny al telefono- fece Emma, porgendogli il telefono. 
-Grazie... Dimmi, Dan...- 
Emma si sedette vicino a lui. Considerava suo padre come un gran bastardo. Era un uomo che non sapeva cosa fosse la gentilezza, la pietà. Uno stronzo. Ma restava pur sempre il suo papà, ed Emma, a modo suo, lo amava. L’aveva plasmata lui, dopo che la madre li aveva lasciati. Una volta Emma aveva letto che una persona ti ama veramente quando scopre la parte peggiore di te, e non se ne va. Sua madre aveva scoperto di che pasta fosse fatto suo padre, e se ne era andata. Si era convinta che se le fosse importato veramente di lei, di sua figlia, non l’avrebbe lasciata con lui. E invece, Emma era stata abbandonata, e ancora cercava di accettarlo. Era cresciuta, diventando ciò che era. 
-L’Organizzazione?!- esclamò Rusty. -Li abbiamo già sistemati più di una volta, non sarà un problema anche questo giro...- 
Emma sorrise. I membri della fantomatica e misteriosa Organizzazione si credevano i re del mondo e lei li detestava, godeva nel pensare che li avevano sempre battuti. 
Trovava divertente essere inseguiti da loro, erano sempre riusciti ad anticiparli e fregarli 
Una delle loro squadre, in particolare, li aveva presi di mira: era capeggiata da quella che Emma considerava una bulletta presuntuosa e si sentiva molto fiera di averla battuta già in diverse occasioni. Nessuno, infatti, aveva capito che c’era una ragazza dell’età di Emma tra i complici di suo padre, perché spesso si travestiva da ragazzo. 
Infatti, quell’agente, Emilyqualcosa per Emma, pensava di inseguire un uomo, e non lei. Si ritrovò a pensare a quanto le piacesse il suo lavoro. L’adrenalina le invadeva le vene tutte le volte che uscivano per un nuovo lavoro, ed era il sicario migliore della squadra. I suoi lavori risultavano essere i più puliti, i più precisi, quelli che andavano a segno sicuro. 
Non avrebbe voluto fare nient’altro nella vita. 
 

 
-Marshall, sei in ritardo-  
L’agente speciale Andrew, a capo di quella sezione dell’FBI da quasi dieci anni, era un uomo alto, pelato, e con la capacità di mettere chiunque in soggezione molto facilmente. Accolse con quella frase l’agente speciale Jake Marshall, che, come suo solito, era arrivato in ritardo alla riunione. 
-Mi scusi- rispose, abbassando lo sguardo. 
-Al prossimo ritardo considerati degradato. Sono stato chiaro?- 
Jake annuì, sospirando. Doveva darsi una regolata, lo sapeva. 
-Jennifer Mosby e Ian D’Albert. 17 e 21 anni. Sono stati rapiti ieri mattina, dalla casa della Mosby. Pensiamo che l’obiettivo fosse lei e che il ragazzo si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato, per questo motivo è stato rapito anche lui- 
-I rapitori hanno chiesto un riscatto?- chiese Jake, osservando le foto che erano state appese alla lavagna bianca. 
-Non ancora. Ma se sono stati chi penso siano stati, non chiederanno nessun riscatto- gli rispose il suo superiore. 
Jake sospirò silenziosamente. 
Sapevano tutti perfettamente a chi stesse pensando: erano anni che cercavano Rusty Ryan e i suoi complici ma non erano ancora riusciti a fermarli. 
Dopo che avevano colpito sparivano dalla circolazione e diventava impossibile rintracciarli. Avevano sempre a disposizione una finestra di qualche ora o, se l’FBI era fortunata, qualche giorno per cercare di fermarli, ma si erano sempre dimostrati più in gamba dell’agenzia. 
Sapevano solo che era una banda composta da quattro uomini, di cui due più giovani. 
-Cos’ha di tanto speciale la ragazza?- chiese l’agente Jones, uno dei colleghi di Jake. 
-Niente. Il padre ha qualcosa di speciale: un capitale da 20 miliardi di dollari- 
Informò i suoi uomini circa il padre della ragazza: Larry Mosby era un uomo d’affari che aveva costruito il suo impero speculando nel campo dell’edilizia. 
-Quante possibilità ci sono di trovarli vivi?- chiese Jake. 
L’agente Andrew lo guardò per qualche secondo intensamente. -Poche, molte poche- rispose. Jake temeva una risposta di questo tipo. 
-E inoltre,- continuò Andrew, -se non ci diamo una mossa il caso verrà passato all’Organizzazione- 
Che lavoro di merda, pensò Jake sbuffando. Quelli dell’Organizzazione proprio non li sopportava. 
 

*to be continued*


Note dell’autrice 
(1) Il nome di questo personaggio è un omaggio al Rusty Ryan di Ocean’s Eleven, magistralmente interpretato da Brad Pitt nella versione cinematografica del 2001, ma i due soggetti sono fondamentalmente diversi, il mio Rusty è decisamente più malvagio.  
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

-Mio fratello non voleva fare lo stronzo- 

Chris era seduto sul letto di Vivienne e leggeva un libro. Umiliati e Offesi, in russo. Vivienne era rimasta un po’ basita dalla scelta, ma dovette ammettere che contribuiva ad aumentare la curiosità nei confronti di Chris, che cresceva ogni giorno di più. Era passata una settimana da quando era arrivata al quartier generale dell’Organizzazione e suo fratello non era ancora tornato a farle visita, ma Vivienne non aveva ancora avuto occasione di scusarsi con Chris per il suo comportamento durante quel primo incontro. Vivienne e Chris erano rimasti soli in brevi momenti e lei non aveva ancora trovato le parole giuste per affrontare l’argomento. Inoltre, aveva passato due giorni interi chiusa nella sua stanza, arrabbiata per la situazione, e non aveva voluto vedere nessuno. Quella mattina, però, Chris era andata a svegliarla, chiedendole se volesse fare colazione, lei lo aveva seguito in mensa e avevano iniziato a parlare di interessi comuni. Avevano trascorso la giornata insieme, con lui che le faceva da balia e a fine giornata Chris l’aveva riaccompagnata nella sua nuova stanza, che aveva più comodità della precedente, tra cui un piccolo televisore, e dove decisero di trascorrere la serata. Vivienne non aveva accesso alle aree comuni del quartier generale dell’Organizzazione, e comunque non le dispiaceva rimanere sola con lui.  

Chris chiuse il libro e fissò la parete di fronte a lui per qualche istante, prima di guardare Vivienne. -È preoccupato per te, lo capisco- 

-Posso?- fece lei, seduta per terra, indicando il letto. Lui annuì e Vivienne si sedette al suo fianco. 

-Ti chiedo scusa per il suo comportamento-, continuò, -ma tende ad attaccare se è in situazioni che non conosce e lo mettono a disagio- 

Un po’ come me, pensò. Ebbe la netta sensazione che Chris stesse pensando la stessa cosa. 

-Non ti preoccupare. Non sapevo foste così importanti, in realtà- rispose, alzando le spalle. 

Vivienne scosse la testa. –Mi dispiace anche per questo… La mia famiglia è… particolare, diciamo così- 

Chris intuì il disagio di Vivienne, nato dopo il riferimento alla sua famiglia. Cercò di cambiare argomento. –Vuoi guardare un film?- 

Vivienne annuì, stupita da fatto che Chris accettasse le sue scuse e liquidasse la questione così in fretta, ma ne fu comunque contenta.  

Chris accese la tv e iniziò a fare un po’ di zapping. Si fermò su un canale che stava trasmettendo un vecchio film in bianco e nero, senza chiedere a Vivienne se le andasse bene. Ma lei non ci fece caso, c’era un altro argomento che voleva affrontare con Chris. 

-Così tu e Will state insieme- disse, con lo sguardo rivolto verso la tv. 

Era un'affermazione, non una domanda. Era piuttosto convinta di essersi fatta un’idea molto vicino alla realtà. 

Lui sospirò. –Non proprio. Diciamo che al momento stiamo cercando di capire cos’è il nostro rapporto. Lei…-  

Vivienne capì che le aveva risposto sinceramente. -Sei innamorato di lei?- lo interruppe, improvvisamente curiosa. Era intrepida di conoscere la risposta, voleva sapere la verità e allo stesso tempo voleva solo scappare da quella stanza tappandosi le orecchie. Si sentì profondamente in imbarazzo. 

Trascorse qualche istante di silenzio.  

-Io…- esitò Chris. Evitava di guardare Vivienne. –Non lo so- disse, infine. Si grattò il collo. Vivienne notò che aveva di nuovo la barba incolta, che doveva essere tagliata. Gli faceva risaltare gli occhi azzurri. 

-Non volevo essere invadente, scusa- disse subito lei, pentendosi di essersi spinta così oltre quando lui si era dimostrato così delicato nei suoi confronti. 

-Tranquilla. So che il nostro comportamento è ambiguo e può sembrare poco professionale. E tu? Sei innamorata?- 

Vivienne scosse la testa energicamente. –Ma lo eri, vero?-. L’istante dopo aver pronunciato quelle parole si pentì di averlo fatto e si portò una mano davanti alla bocca, come a tapparsela. Stupida, pensò. Si appuntò mentalmente di contare fino a dieci prima di aprire di nuovo la bocca.  

Chris si voltò a guardarla. –Penso di . Anzi, pensavo potesse essere quella giusta. Ma forse mi sbaglio- 

-Forse no- fece Vivienne, mordicchiandosi il labbro inferiore.  

-Non dovrei avere alcun dubbio, capisci?- 

–Chi lo dice?- 

Chris alzò le spalle. –Forse sono solo io che cerco scuse- 

-Perché sei così sincero con me? Mi conosci da un quarto d’ora- 

Vivienne faticava proprio a trattenersi nel dire quello che pensava e Chris lo trovava divertente. Era abituato a comunicare con assassini e terroristi, parlare con quella ragazza così lontana dagli standard dell’Organizzazione era una ventata di aria fresca. Lo trovava piacevole e poi non aveva molte occasioni per sfogare un po’ lo stress e tirare fuori quello che gli passava per la testa con una persona che non conosceva lui e la sua storia. 

-Mi piace parlare con te, quando non dici parolacce o fai l’impertinente- 

Vivienne incassò, sorridendo. -Beh, dai, anche se stessi cercando solo una scusa, almeno lo sapresti già- 

-E penso che per lei valga la stessa cosa- sospirò lui.  

-Intendi per Avery?- 

Chris inclinò la testa all'indietro, e abbozzò un sorriso. –Non ti sfugge niente, eh? Sì, penso di sì- 

Vivienne alzò le spalle. –Ho un forte spirito d’osservazione- commentò, con poca umiltà.  -Se vale qualcosa, sceglierei te- aggiunse mormorando.  

Si pentì nuovamente di aver parlato. Era stata sincera, ma pensò che lui non se ne facesse proprio un tubo della sua opinione e della sua onestà. Considerava Avery molto più noioso e decisamente meno affascinante di Chris. Era netta la differenza fra loro due, in termini di maturità e carattere. Chris le sembrava molto più brillante e audace. Proprio come i ragazzi che finivano per piacere a Vivienne, lei lo sapeva bene. 

Lui sorrise, leggermente imbarazzato. –Grazie- 

Le guance di Vivienne avvamparono, abbassò subito lo sguardo.  

-E con Emily?- disse, per cambiare discorso, cercando di essere il più disinvolta possibile. Voleva scrollarsi di dosso l’imbarazzo e il disagio. 

-Siamo cresciuti insieme, è come una sorella per me- 

-Le hai chiesto tu di collaborare al mio caso, vero? Perché?- 

-E tu come lo sai?- esclamò stupito Chris. 

-È piuttosto evidente, dai. Beh, innanzitutto si è aggiunta dopo, e poi, l’altro giorno, quando c’era mio fratello, sembrava che preferisse fare tutt’altro-  

Lui annuì. –Volevo si distraesse. È ossessionata da un certo caso su cui lavoriamo insieme e ha bisogno di pensare ad altro- 

-Che caso è?- 

-Segue una criminale da un po’. È frustrata, si sente presa in giro. Per qualche tempo l’ha seguita credendo fosse un uomo, poi ha scoperto che si stava sbagliando e che aveva sprecato tante energie e risorse senza risultato- 

-Capisco perché è nervosa- commentò Vivienne. 

-Diciamo che tu sei capitata nel momento giusto… In tutti i sensi- 

Vivienne lo guardò confusa, chiedendosi  stesse di nuovo flirtando con lei.  –Cosa vuoi dire?- 

-Nulla- rispose lui, con noncuranza. 

-Non puoi fare così!- protestò, irritata ma allo stesso tempo lusingata. Le piacevano le attenzioni di Chris. Cercò di ricordare a  stessa che si trattava di una superspia più grande e soprattutto che era più maturo di lei, per giunta fidanzato con un’altra superspia molto atletica e decisamente antipatica, certo, ma che era parte del suo mondo. Scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri.  

Chris appoggiò la schiena al muro. -Sei pronta per andare al campus, domani?- 

Vivienne alzò gli occhi al cielo. –Che cosa stupida- rispose. -Ma almeno riuscirò a mettere il naso fuori da questo posto- 

-Verrai scortata e controllata dal ragazzo di Emily, che conoscerai domani- 

-Chi sarebbe?- 

-Un agente dell’FBI. Anche lui segue lo stesso caso di Emily e si sono conosciuti lavorandoci insieme- 

-Che romantici- fece lei, ironica. 

–Possiamo essere molto romantici, quando lo vogliamo!- esclamò Chris, cercando lo sguardo di Vivienne. 

-Cene a lume di candela in postacci come questo? Non scherzare- rispose lei, evitando accuratamente di voltarsi nella sua direzione. 

-Potrei stupirti- 

Vivienne corrugò la fronte. –No, non penso. Siete terribilmente noiosi- 

-Potrei regalarti la serata più bella e romantica della tua vita- 

-Certo!- fece lei, ridendo, voltandosi a guardarlo. –Un giro turistico delle segrete e il brivido di essere interrogata come se fossi un terrorista? Scusa, ma bello romantico non sono termini che associo a un luogo come questo- 

Chris le prese una mano, e la tirò verso di lui, delicatamente.  

-Possiamo essere dolci, romantici, perfetti amanti. Tutto quello che tu possa volere da noi. Basta chiedere- disse, a bassa voce, gli occhi fissi in quelli di Vivienne. 

Lei trattenne il fiato, con lo stomaco che si contorceva. Cercava di nascondere l’imbarazzo, impressionata dalla rapidità con cui lui aveva cambiato atteggiamento. 

-Vi hanno addestrato anche in questo?- fece poi, per smorzare la tensione. 

Lui scosse la testa e scoppiò a ridere. –Di solito funziona- 

-Sono una Shepard, mi hanno abituata alle bugie, non mi freghi- 

Chris tornò serio, tutto d’un tratto. –Sembrate una bella famiglia- 

-Si, beh, non mi riferisco a mio fratello. I miei genitori e soprattutto i miei nonni sono bugiardi cronici, quindi so riconoscere una bugia quando mi viene detta- 

-Qui ci sono agenti molto bravi- 

-Non conosci i miei nonni. Le persone più meschine che potrai mai incontrare- 

-Sono così male?- 

Lei si alzò dal letto. –Immagina l’insulto più brutto che si possa rivolgere a una persona. Ecco, loro sono peggio- spiegò, allargando le braccia. 

Si alzò anche lui, e si diresse verso la porta. 

-Dove vai?-  

-Vado a fare il punto della situazione con Emily. E poi non voglio disturbarti, magari hai voglia di stare un po’ per conto tuo. Vedo che il film non ti ha preso granché. Manderò un agente a sorvegliare la porta, così puoi stare tranquilla- 

Vivienne lo guardò dispiaciuta, avrebbe preferito che rimanesse ancora con lei. 

-Non… Non disturbi mai- disse, esitando leggermente. 

Anche le guance di Chris avvamparono, mentre un leggero sorriso si allargava sul suo volto e oltrepassava la porta per uscire. 

 

˜ 

 

Vivienne varcò la soglia dell’aula del corso di Economia Politica a cui era stata assegnata e cercò un posto libero dove sedersi. Individuò un seggiolino vuoto, sul lato dell’aula. L’agente dell’FBI che era stata assegnato alla sua scorta, Jake Marshall, le aveva consigliato di tenere un profilo basso e di non attirare l’attenzione. Lui l’avrebbe aspettata al termine delle lezioni e nel frattempo avrebbe pattugliato il campus. A Vivienne era sembrato un buon compromesso, poteva trascorrere qualche ora fuori dall’Organizzazione tra la gente comune e avrebbe potuto seguire le lezioni.  

Un ragazzo si sedette nel posto vuoto accanto al suo.  

-Sei nuova?- chiese a Vivienne, sorridendole. 

Lei annuì. -Si- rispose, rimanendo sul vago. 

-Nick Miller- 

-Vivienne Marshall-  

Si strinsero la mano, poi Vivienne tornò a guardare di fronte a . Normalmente avrebbe attaccato a parlare con quel ragazzo, di solito era molto socievole e solare, ma le era stato raccomandato di non attirare l’attenzione e non poteva rischiare che qualcuno la notasse o la riconoscesse. Gli avevano fornito un’identità fittizia: un nuovo cognome e un finto fratello, l’agente Jake Marshall per l’appunto.  

-Ti sei appena trasferita?- le chiese Nick, mentre tirava fuori un blocco per gli appunti dalla sua borsa. 

Vivienne sorrise. Si chiese perché fosse così difficile per lei rispettare le regole che le erano state imposte. “Tieni un profilo basso”, e due minuti dopo il suo ingresso in aula aveva già stretto amicizia. C’era da dire che era stato il ragazzo a salutarla, lei non c’entrava proprio un bel niente. 

-Si- rispose nuovamente. 

-Ti troverai bene qui, Charlesdale è una città carina. Da dove arrivi?- 

-New York, studiavo alla Columbia- inventò Vivienne, non potendo raccontare la verità, e cioè che era una studentessa di Harvard che viveva nel downtown di Boston. 

-E come mai sei finita qui? Charlesdale è ok, ma insomma, tu arrivi da New York! E questo college non è un granchè- 

Vivienne lo squadrò. Aveva i capelli color sabbia, con un taglio un po’ fuori moda, a suo parere; il visto era rotondo, gli occhi castani, leggermente sporgenti, e il naso era schiacciato. Era piuttosto magrolino e poco più alto di Vivienne. Le sembrava un ragazzo qualsiasi ma la sua curiosità iniziava a infastidirla.  

Prima che Vivienne potesse rispondere, il professore entrò nell’aula e spense le luci. Iniziò a proiettare le slide e a spiegare la lezione, ma Vivienne non riusciva a rimanere concentrata. La sua mente continuava a tornare all’Organizzazione, a David Cooper e a un certo agente speciale con gli occhi azzurri e i capelli castani. Sbuffò contrariata. La infastidiva pensare a lui così spesso e avere davvero difficoltà a farselo uscire dalla testa.  

Al termine della lezione raccolse le sue cose e si diresse verso l’uscita dell’aula.  

-Che corso hai adesso?-  

Si girò a guardare Nick, in piedi vicino a lei. -Se non sai dove si trova l’aula ti posso dare una mano- continuò lui. 

Vivienne non voleva sembrare scontrosa e maleducata, ma era timorosa. Non avrebbe dovuto parlare con nessuno, non proprio il primo giorno. Decise, però, che farsi dare qualche indicazione per non perdersi nel campus non avrebbe rappresentato chissà quale pericolo.  

-Statistica,- rispose, sorridendo -e non ho idea di dove debba andare-  

Nick la accompagnò nell’aula per quella lezione, che avrebbe seguito anche lui. Anche nei giorni seguenti si dimostrò gentile e disponibile con Vivienne: le aveva fatto fare un giro del campus e le aveva presentato alcuni suoi amici. Pranzarono anche insieme e Vivienne apprezzò come non la riempisse di domande su di lei e sulla sua vita, era molto gentile e per nulla invadente nel rispettare la privacy di Vivienne. Vedendolo con i suoi amici, Vivienne provò molta nostalgia: pensava alle sue amiche e a suo fratello, avrebbe voluto essere con loro ad Hartford in quel momento. Nick le aveva anche proposto di studiare insieme a lui e al suo gruppo di studio, ma Vivienne aveva dovuto rifiutare, perché gli agenti dell’Organizzazione non le avrebbero permesso di partecipare, almeno non subito.  

Provò comunque a proporre all’agente Rogers, Chris, l’eventualità di permetterle di fermarsi al campus dopo le lezioni, di tanto in tanto, per partecipare ad attività extrascolastiche e studiare con i suoi compagni di corso. Lui le spiegò che non sarebbe stato possibile, in quel momento: non avevano alcun indizio circa i movimenti di David Cooper ed era troppo rischioso per Vivienne rimanere per più tempo del dovuto fuori dal quartier generale dell’Organizzazione. Acconsentì, però, di valutare la possibilità che lei invitasse qualche suo compagno in una delle case sicure vicino al campus di Charlesdale, dove avrebbero potuto tenere sotto controllo la situazione e intervenire per ogni evenienza.  

A Vivienne sembrò un buon compromesso e apprezzò che provassero ad andare incontro alle sue richieste. 

Potendo frequentare le lezioni al campus, le giornate passavano velocemente. Alla sera si alternavano Avery e Chris per la sorveglianza di Vivienne: trascorrevano il tempo guardando film e serie tv, giocando a carte e scambiandosi opinioni su libri che avevano letto. David Cooper sembrava scomparso, gli agenti non riuscivano a trovare alcuna traccia della sua presenza e Vivienne alternava momenti in cui era presa da una forte angoscia, terrorizzata dall’idea che non sarebbe mai uscita dal quartier generale dell’Organizzazione, a momenti di serenità in cui la situazione in cui si trovava non le sembrava tanto pesante. 

In tutto questo, la speranza di tornare presto a casa non l’abbandonava mai.  

 

˜ 

 

-Prima di Atlanta era a New York?- 

Chris annuì, rispondendo alla domanda di Emily. -Si, è confermato-  

-Lo aggiungo al fascicolo-  

Ogni settimana ricevevano decine di segnalazioni circa presunti avvistamenti di Emma Ryan sparsi per il mondo. Raramente gli avvistamenti si rivelavano attendibili, pertanto venivano aggiunti alla documentazione del caso solo se confermati da fonti certe. Emily, oltre al fascicolo che conteneva centinaia di fogli e documenti, aggiungeva le informazioni alla grande bacheca che aveva appeso alla parte del suo ufficio, di fronte alla sua scrivania. Al centro della parete era appeso un identikit del presunto aspetto di Emma Ryan, che a prima vista sembrava una donna comune. 

Non tutti gli agenti dell’Organizzazione avevano a disposizione un proprio ufficio, era un privilegio riservato ai vari capi sezione e agli agenti di alto livello, come Emily e Chris, che erano stati promossi in base ai risultati ottenuti in missione, nonostante avessero entrambi meno di trent’anni. Erano sicuramente tra i più promettenti agenti dell’Organizzazione, si vedevano sempre assegnare casi di elevata importanza e complessità ed erano stati tra i più giovani agenti ad essere promossi a supervisori. Molti alti funzionari dell’Organizzazione erano convinti che presto sarebbero stati nominati Capo Sezione e che, da li a circa dieci anni, avrebbero gareggiato come avversari per essere eletti Direttore dell’Organizzazione. 

Lo dimostrava la smisurata fiducia che l’attuale Direttore riponeva in loro: mai così tante risorse erano state impiegate per un caso come per il caso Ryan senza che venissero sollevati dubbia circa la capacità dell’agente responsabile, in questo caso Emily, e a Chris era stato assegnato un caso che, politicamente parlando, era molto delicato e importante, dato il ruolo che ricopriva la famiglia Shepard 

Infatti, anche se, in un primo momento, il caso di Vivienne Shepard era a entrambi sembrato come un caso semplice e noioso, si stava rivelando più ostico del previsto: David Cooper si era letteralmente volatilizzato e la famiglia Shepard aumentava ogni giorno di più il carico di pressioni sul Direttore affinché le indagini portassero a qualche risultato. Per questo motivo, Emily sapeva di non poter pretendere che Chris lavorasse a tempo pieno anche al caso di Emma Ryan. Il suo collega si stava occupando personalmente della protezione di Vivienne quando questa non si trovava al campus a lezione, dove veniva controllata da Jake, che era stato richiesto personalmente da Chris per occuparsi della sicurezza della ragazza. Le giornate di Chris si alternavano tra perlustrazioni, ricerche sul campo e briefing con gli altri colleghi che cercavano David Cooper, e, quando rientrava al Quartier Generale a fine giornata, raggiungeva Vivienne, si accertava delle sue condizioni e rimaneva insieme a lei finché la ragazza non andava a dormire, anche e soprattutto perché temevano cercasse ancora di sfuggire al loro controllo.   

Il cercapersone di Chris squillò. -È Will, ha di nuovo problemi con Vivienne- sbuffò. 

-Tipico di Crew. Fa la sbruffona come al solito, eh?- 

-Già, continua a sfruttare qualsiasi pretesto per attaccarsi con Vivienne- 

Emily ghignò. -Litigano per te?-  

Chris la fulminò con lo sguardo ma Emily notò che era arrossito leggermente. 

-Agente di 3° livello Chris Rogers, non ti sarai mica preso una cotta per quella ragazzina?- 

-Non so di che parli- rispose lui, piccato.  

-Pensavo non avessimo segreti io e te- continuò lei, sorridendo beffarda. -E comunque mi sta più simpatica di Will- 

Chris alzò gli occhi al cielo. -Smettila, non ho proprio nessuna cotta per nessuna ragazzina- 

Emily fece per ribattere, quando iniziò a squillare il suo cellulare. -Ti sei salvato in corner, Rogers… Si?- 

“Ciao Emily, sono Jake” 

-Ciao, tutto bene?- 

“Si, tu come stai? Volevo solo anticiparti che riceverai la trascrizione della testimonianza dello sceriffo di Santa Monica che ha avvistato e riconosciuto Emma Ryan” 

-A quando risale?- fece Emily, prendendo nota su un post-it colorato. 

“Due giorni fa” 

-Ti ringrazio, allora aspetto la documentazione. Hai novità sull’altra questione? Per i file criptati trovati nei server di Quantico- 

“No, purtroppo i nostri analisti non riescono né a risalire all’origine né a decifrarli, sono in alto mare ad essere onesti”  

-Non hanno capito a cosa le siano serviti?- 

“No. Se ho novità ti aggiorno” 

-Grazie. Ci sentiamo più tardi allora- 

Emily chiuse la comunicazione e appiccicò il post-it alla bacheca.  

-Che telefonata fredda...- commentò Chris. -Tra voi..?- 

Emily lo guardò e non rispose. Non aveva assolutamente voglia di parlare con lui di Jake, non in quel momento.  

Si sfiorò il ventre e chiuse gli occhi. Non sarebbe dovuta andare così, pensò tristemente. 

  

X 

 

Località segreta, Massachusetts - Circa un anno e mezzo prima 

-Aspetta, cosa stai dicendo? Le coordinate erano giuste- disse Emily, leggendo incredula il rapporto che una sua collega le aveva consegnato. Si trovavano nel suo ufficio e la sua collega era appena rientrata da un sopralluogo effettuato con la sua squadra, coordinata da Emily. Avevano ricevuto una segnalazione ritenuta attendibile di un probabile nascondiglio di Emma Ryan. Gli agenti, però, una volta giunti sul luogo avevano scoperto che non c’era un bel niente, soltanto un terreno agricolo abbandonato. -Dalla foto satellitare sembrava ci fosse un edificio- 

La sua collega, Cristine, si sedette alla scrivania di fronte a Emily, sfilandosi dalla testa un pesante copricollo. Erano appena tornati dalla missione e non aveva avuto modo di cambiare abbigliamento. -Si, lo so. Ma ti assicuro che a Memphis non c’era un bel niente. Pensiamo che le immagini satellitari fossero state manipolate- 

-Per farci perdere tempo, intendi? Pensi che possa essere possibile?- chiese Emily, furiosa. Emma Ryan continuava a rimanere sempre un passo avanti a loro. 

-Beh, possiamo vedere se i nostri analisti scoprono qualcosa in più, ma non vedo altre spiegazioni- 

-Grazie Cristine, ci penso io. Vai pure, ci aggiorniamo più tardi- 

La sua collega uscì dall’ufficio, Emily afferrò il cellulare e telefonò a Chris.  

“Ciao Ems 

-Ci ha di nuovo fregati- sospirò lei, con una mano sulla fronte. 

“Scusa? Di chi parli?” 

-Emma Ryan, Chris! Cristine e la sua squadra sono andati sul luogo della segnalazione e non c’era un bel niente di quello che si vede dalle immagini satellitari- 

“Intendi dire che le ha modificate?” 

Emily scosse la testa. Non sapeva più che pensare. -Penso di si … cioè, non vedo come potrebbe essere altrimenti. Non c’era nulla- 

“Ma è impossibile che si sia infiltrata nei nostri server, lo sai” 

-Nei nostri si,- ammise Emily, -ma la segnalazione e le immagini sono arrivate dalla CIA, quindi non è da escludere che sia entrata nel loro sistema- 

Chris sospirò. “Cazzo. Dici che sono compromesse anche le altre agenzie?” 

-E nessuno se n’è accorto? Non credo. Beh, spero, almeno. In ogni caso dobbiamo informare tutti. Penso che si infiltri solo quando deve nascondere le sue tracce e depistarci- 

“Si, ho questa impressione anche io” 

-Dove sei? Ceniamo insieme stasera?- gli chiese Emily, stiracchiando le braccia. 

“Sto andando a comprare un regalo per Will, è il suo compleanno oggi. La prossima settimana c’è la sua festa, sei stata invitata anche tu” 

Emily si era completamente dimenticata del compleanno di Will. Quella ragazza non le stava particolarmente simpatica, accettava la sua presenza senza protestare più di tanto perchè a Chris piaceva, e sembrava pure che gli piacesse parecchio. -Ah, già. Non credo verrò. Spero non ti dispiaccia- 

“Lo sai che mi dispiace, non sopporto gli amici di Will” 

-Pensò passerò una bella serata in compagnia del fascicolo di Emma Ryan. Ci sentiamo, bacio- 

Mentre chiudeva la conversazione, sentì Chris esclamare contrariato “Ma dai, Ems!”. Sapeva che il suo amico era convinto che lavorasse troppo, ma Emily voleva rimanere concentrata su quel caso il più possibile. Non poteva che chiedersi come fosse possibile che continuasse a sfuggire: conoscevano il suo vero nome, il suo presunto aspetto, il suo modus operandi e comunque non riuscivano mai ad anticiparla, arrivavano sempre tardi. 

~ 

 

-Non puoi proprio posare quel fascicolo?- chiese Jake, sdraiato sul letto vicino a Emily, la sua fidanzata, intenta a leggere un rapporto sul caso Ryan. Le accarezzò delicatamente la spalla nuda. 

Si trovavano nell’appartamento di Jake e lui avrebbe voluto far l’amore prima di andare a dormire ma Emily non era dell’umore, continuava a domandarsi quali agenzie federali fossero compromesse e fin dove si era spinta Emma Ryan. Leggeva e rileggeva quel fascicolo, ogni volta che ne aveva l’occasione, cercando particolari che magari le erano sfuggiti o a cui non aveva dato importanza.  

-Devo capire cosa mi sta sfuggendo- rispose, scuotendo la testa. Si allontanò leggermente da Jake, che sbuffò.  

-Stai esagerando- fece lui, incrociando le mani dietro la nuca. 

Emily lo ignorò e Jake si alzò dal letto, chiaramente scocciato. Uscì dalla camera da letto, diretto verso la cucina. -Dobbiamo andare a cena da mia madre la prossima settimana- esclamò. 

Emily sospirò. Gli eventi familiari non la facevano impazzire, ma sapeva che Jake ci teneva. Non gli rispose. 

Jake tornò in camera dopo qualche minuto. -La prossima settimana c’è anche la cerimonia per i caduti- 

Si sdraiò di nuovo al fianco di Emily, guardando distrattamente il cellulare. 

-Cavolo, me ne ero dimenticata- fece lei, girandosi verso di lui. -Dobbiamo proprio andare, vero?- 

-Ci sarà anche il tuo capo, quindi direi proprio di si- 

Emily annuì. -Si, il Direttore me lo ha detto. Ma non ha ancora un’accompagnatrice. Gli ho detto che non deve averla per forza, ma lui insiste- 

-Possiamo proporgli il mio capo-  

Lei ridacchiò. -Oh, non penso sia il caso, lei è dell’FBI- 

Jake si appoggiò su un gomito e si sporse verso di lei. -Lo sono anche io, ma non mi pare sia un grande problema per te- le sussurrò all’orecchio.  

Emily venne scossa da un brivido di piacere. -Jake, dai, sto lavorando- protestò, con poca convinzione. Cercò di allontanarsi da lui, ma Jake era stata più veloce e le aveva cinto le spalle, tenendola saldamente vicino a sé. 

-Allora?- continuò, soffiandole sul collo, prima di iniziare a baciarlo.  

Lei ridacchiò. -Dai, mi deve anche arrivare il ciclo- 

-Appunto!- esclamò lui, ridendo. 

Anche Emily scoppiò a ridere, poi si bloccò. Si sentì come se avesse ricevuto un secchio di acqua ghiacciata in faccia.  

Balzò in piedi e corse in cucina. Afferrò il telefono e iniziò a controllare come una forsennata il calendario. Iniziò a contare i giorni e si rese conto di avere un ritardo di due settimane. 

Jake, confuso, la raggiunse. -Che succede? Stai bene?- 

Lei si portò una mano alla bocca.  

-Ho un ritardo- gli spiegò. 

-Sei in ritardo? Hai un appuntamento? Dove devi andare?- 

Emily strinse gli occhi e guardò Jake, trattenendosi dal tirargli uno schiaffo. -Il ciclo. Le mestruazioni dovevano arrivarmi due settimane fa- 

Jake deglutì. Aveva finalmente capito. Si sedette al tavolo della cucina. 

-Beh magari…- iniziò. Emily lo interruppe. -Magari non è nulla, devo fare un test- 

-Ok, vado subito in farmacia- fece lui, alzandosi in piedi. 

-No, è tardi, sarà tutto chiuso. Chiamo Chris- 

-Chris?- chiese Jake, incredulo. 

Emily non gli diede spiegazioni. Chris era l’unica persona con cui avrebbe voluto parlare in quel momento e non le importava che Jake non riuscisse a capire il loro rapporto. Era l’unica famiglia che Emily sentiva di avere e aveva bisogno del suo supporto in quel momento.  

Gli telefonò e Chris arrivò dopo circa un’ora, con un test di gravidanza acquistato nella farmacia del quartier generale, aperta h24, sette giorni su sette.  

Mentre Emily faceva il test e aspettava l’esito, chiusa in bagno, Jake e Chris rimasero seduti al tavolo della cucina in silenzio.  

Jake era un po’ contrariato dal fatto che Emily avesse chiamato Chris, ma non perché fosse geloso di lui. Erano diventati amici, da quando stava con Emily, ma avrebbe voluto essere lui la persona di cui aveva bisogno Emily in momenti come quello.  

Dopo quasi un quarto d’ora, che a Jake sembrò essere durato un’ora, Emily uscì dal bagno con gli occhi arrossati, abbozzando un sorriso.  

Non dovette dire una parola, sia Jake che Chris capirono al volo.  

Jake corse ad abbracciarla, temendo che in realtà Emily non fosse davvero felice in quel momento.  

-Mi sa che la cena da tua madre è inevitabile ormai- fece lei, stringendolo a . 

Chris sorrise e abbracciò entrambi. -Sono davvero felice per voi, ragazzi- 

-E così avremo un piccolo Jake?- fece Jake, sciogliendo l’abbraccio. 

-O una piccola Emily!- esclamò lei. 

-Oh, cavolo,- intervenne Chris, ridendo -direi che una ci basta- 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5 

  

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

Will era seduta a un tavolo della mensa a debita distanza da Vivienne, che stava finendo di cenare in compagnia di Avery. Detestava doverle fare da balia e non vedeva l’ora che finisse il suo turno per poter finalmente tornare nel suo dormitorio e non essere più obbligata ad ascoltare i suoi stupidi discorsi. Sembrava che invece il suo collega ascoltasse con attenzione ciò che raccontava Vivienne e Will ne era infastidita.  

-… e Nick mi sta aiutando un sacco, il programma del corso di Operation Management è leggermente diverso rispetto a quello che seguivo ad Harvard e mi mancano degli argomenti per essere alla pari- finì di raccontare Vivienne, sventolando in aria la forchetta con cui aveva infilzato un pezzo di carne. 

-Nick? Il tuo nuovo fidanzato?- la scimmiottò Will, ghignando. 

-No, è solamente un amico- rispose Vivienne, leggermente scocciata. 

-È lui che vedi domani?- le chiese Avery. 

Vivienne annuì, sorridendo. -Si, sono proprio contenta- 

-In che senso?- si intromise bruscamente Will, avvicinandosi a loro. 

-Nel senso che domani si incontreranno in una delle casette giù a Charlesdale- rispose Avery, guardando interdetto la sua collega. 

-Come? Loro due da soli?- continuò Will, sconcertata. 

-No, ovviamente no. Sarà con loro l’agente speciale Marshall dell’FBI- intervenne Chris, sopraggiunto in quel momento alle loro spalle. -Fingerà di essere il fratello di Vivienne- 

-E il Direttore lo sa? Ha dato il permesso?- 

-Certo- rispose Chris, scrutando Will.  

Nessuno riusciva a capire cosa le stesse passando per la mente. 

-E davvero pensate tutti che sia una brillante idea? Nessuno si è accorto di quanto sia stupido tutto questo?- 

-Will, dovresti calmarti- iniziò Avery, posandole una mano sulla spalla. 

Lei la scrollò di dosso. -Anche Evans ed Emily sono d’accordo?- 

-Ma esattamente qual è il tuo problema?- sbottò Vivienne, che iniziava a perdere la pazienza. 

-Il mio problema sei tu- sibilò Will, fissandola negli occhi. 

-Bene, allora vattene dal mio caso!- urlò l’altra, balzando in piedi. 

-Mi piacerebbe, almeno eviterei di perdere tempo ad assecondare i tuoi stupidi capricci- 

-Sei proprio una stronza- 

-Dai, ragazze!- esclamò Chris, afferrando Will per le spalle. 

-Prova a ripeterlo,- fece lei furiosa, ormai faccia a faccia con Vivienne. -se hai le palle!- 

Si fissarono in cagnesco per qualche istante, poi Vivienne si voltò, raccolse la sua borsa e iniziò ad allontanarsi, non prima di sventolare il dito medio sotto il naso di Will. -Stronza- 

La ragazza con uno scatto si sporse verso di lei, ma venne immobilizzata da Chris. -Will, basta!- esclamò arrabbiato.  

Vivienne uscì dalla mensa, seguita da Avery, mentre Chris continuava a trattenere Will. 

-Adesso vieni nel mio ufficio- le ordinò  

Senza proferire una parola, lei lo seguì lungo i corridoi e le scale del quarter generale, furente. Il sentimento di antipatia verso Vivienne si era amplificato enormemente dopo quello scambio e Will sentiva il bisogno di andare in palestra a sfogare la rabbia contro qualche cadetto appena uscito dall’accademia. 

Appena entrati nell’ufficio, Chris le disse di sedersi, mentre lui si accomodava dall’altro lato della scrivania. 

-Ti rendi conto di cosa hai fatto? Questo non è il liceo!- tuonò. 

Will non rispose. 

-Ti rendi conto o no che hai esagerato?- 

Lei sbuffò, voltandosi. -Non direi, non l’ho nemmeno colpita- 

-Ah, non l’hai colpita? Ma brava, davvero molto matura!- esclamò Chris, esasperato. -Potresti almeno ammettere di aver esagerato. Stai superando ogni limite- 

-Perché dovete sempre accontentare la principessa? Lei chiama e voi correte!- ringhiò lei, sporgendosi in avanti. 

-È questo il problema?- le chiese Chris, affilando lo sguardo. 

-Beh, le fate fare quello che vuole!- 

-No, non parlavo di questo-. Chris scosse la testa. -Sei gelosa delle attenzioni che riceve- 

La verità così evidente in quella affermazione mozzò il fiato a Will, che scosse energicamente la testa. -No- mentì, incrociando le braccia sul petto.  

-Sii sincera,- continuò lui, posandole delicatamente una mano su un polso, -sei gelosa delle attenzioni che le riserva Avery?- 

Will sentì una fitta allo stomaco e le guance avvampare. Anche il battito era accelerato e capì che Chris non le aveva afferrato il polso a caso. 

-È così- disse lui, lasciando la presa. Appoggiò la schiena alla sedia, lo sguardo indecifrabile. 

-No, ti sbagli- rispose subito Will. 

-Non pensavo ti interessasse ancora-. Il tono di Chris era molto duro. 

-Infatti non è come pensi- 

Will senti gli occhi inumidirsi. 

-Quante bugie…- mormorò lui, alzandosi in piedi. 

-Non è che tu sia tanto migliore di me- rispose lei, alzandosi a sua volta. 

Chris la guardò accigliato. -Scusa?- 

-Forse mi dà fastidio il tuo atteggiamento noi confronti della principessa, non credi?!- 

-Come no- 

-Sono seria!- protestò Will. 

-Anche io, esci dal mio ufficio- 

 

˜ 

 

Vivienne era stata seguita da Avery fino alla sua stanza che, rispetto alla prima sistemazione in cui l’avevano parcheggiata, era dotata in una finestra che dava sull’ampio parco artificiale interno all’Organizzazione. Vivienne avrebbe preferito una stanza più luminosa ma aveva accettato senza protestare la nuova sistemazione, conscia del fatto che difficilmente avrebbe potuto cambiare di nuovo stanza. Aveva deciso di seppellire l'ascia di guerra per un po’, considerando che si erano dimostrati giorno dopo giorno più disponibili nei suoi confronti.  

Quando aveva richiesto di poter incontrare Nick per studiare con lui al di fuori del campus non si aspettava realmente che la sua richiesta sarebbe stata accettata. Poi Chris le aveva comunicato che avrebbero soddisfatto il suo desiderio a condizione che fosse presente anche l’agente Marshall, Vivienne non poté che sentirsi davvero grata. Aveva avuto poi la possibilità di vedere ancora una volta suo fratello e in un’altra occasione sua madre, quindi aveva deciso che avrebbe dato un po’ di tregua a Chris e Avery. A dir la verità, andava d’accordo con entrambi, che si dimostravano sempre gentili con lei. Avery, poi, aveva solo due anni in più di lei, Vivienne riusciva a parlargli come se fossero amici. Con Chris c’era sempre un velo di imbarazzo, anche se ormai trascorrevano insieme quasi tutte le sere, lui di solito la raggiungeva dopo cena e dava il cambio ad Avery. 

Vivienne non sapeva se l’avrebbe raggiunta anche quella sera, dopo lo scambio furioso con Will in mensa. Immaginava che Chris avrebbe preferito rimanere con la sua fidanzata e sapeva che, se lo avesse visto ancora quella sera, non si sarebbe trattenuta nel chiedergli perché diavolo stesse insieme a quella cretina, che cosa ci trovasse in lei, finendo, con alta probabilità, per insultare Chris stesso. Non voleva discutere anche con lui e sapeva che, conoscendo la sua scarsa capacità nel trattenere la lunga lingua, non sarebbe riuscita a evitare di dire senza mezzi termini ciò che pensava di Will. 

-Che stronza!- esclamò frustata, stringendo i pugni. 

-Non è così male come credi- 

Si voltò verso Avery, in piedi sull’uscio della sua camera, fulminandolo con lo sguardo. 

-Sicuro. Dici che non lo fa apposta a farmi incazzare?- sibilò, sedendosi per terra ai piedi del letto. 

-Non ho detto quello. Non dovresti perdertela così- rispose lui, sedendosi al suo fianco. 

-Come fai a sopportarla?- chiese Vivienne, sospirando. 

Avery alzò le spalle. –Siamo amici da tanto tempo e quando non fa la stronza non è male-  

-Immagino-  

-No, sul serio. È anche un’ottima amica- 

-Sicuro-. Vivienne si incupì di colpo pensando alle sue due migliori amiche, Elena e Naomi, che non vedeva ormai da settimane. 

-Stai meglio?- le chiese Avery. 

Lei scosse la testa. –Mi mancano le mie amiche-  

-Posso capirti, anche a me mancano i miei amici- 

Vivienne si girò a guardarlo. –Non sono qui con te?- 

-No, non sono più qui ormai da un po’- 

-Hai bisogno di parlarne?- gli chiese, sorridendo gentilmente.  

Avery sorrise a sua volta. –Sei gentile, ma è una storia lunga e non voglio rubarti troppo tempo- 

Vivienne allargò le braccia. –Si, hai ragione, ho talmente tanto da fare questa sera..! Dai, racconta- 

-Sei sicura di voler conoscere il lato oscuro dell’Organizzazione?- 

-Ah, vuoi dire che non ho ancora visto il peggio?- fece sarcastica. Quando si accorse, però, della triste espressione che aveva assunto Avery, tornò seria. –Ti chiedo scusa, non intendevo offenderti- 

Lui le sorrise. –Tranquilla. Allora, da dove cominciare… Come sai, sono nato qui e ho iniziato l’addestramento a sedici anni, all’Accademia dell’Organizzazione. Fin da bambino avevo due amici, Lex e Tom, con cui sono cresciuto e che hanno fatto il mio stesso percorso. Al termine dell’Accademia ci hanno messo nella stessa squadra e condividevamo la stanza al dormitorio-. Prese fiato e Vivienne aspettò in silenzio che riprendesse a raccontare. –Dopo circa un anno le cose stavano andando molto bene, lavoravamo insieme e loro si erano anche fidanzati, Lex con Carolyne, una nostra collega, e Tom con Andrew, che, tra l’altro, era un compagno di squadra di Emily e Chris. E poi è successo un casino- 

Vivienne gli prese una mano, delicatamente. Lo sguardo di Avery si perse nel vuoto.  

-Un giorno ci fu un incidente che coinvolse Carolyne e Lex. Lui la uccise per sbaglio e poi si tolse la vita. Io e Tom eravamo presenti, abbiamo visto tutto... ma non siamo riusciti a fermarlo- 

Si portò la mano libera dietro la nuca. 

-Non sei obbligato a continuare se non te la senti- gli disse Vivienne, stringendogli la mano. 

Lui scosse la testa. –Tranquilla. La cosa peggiore fu vedere Tom impazzire, letteralmente. Ha perso la testa e il Direttore decise di farlo internare. Lo imbottirono di farmaci in infermeria e per qualche settimana nessuno ebbe il permesso di vederlo. Emily riuscì a scoprire che volevano trasferirlo in un ospedale psichiatrico e prima che ci riuscissero, Andrew riuscì a farlo fuggire-  

Si fermò per qualche istante. Vivienne notò che aveva gli occhi lucidi. 

-Così Lex è morto e Tom è attualmente disperso, ricercato per l’Organizzazione. E io sono rimasto solo-  

Istintivamente, Vivienne lo abbracciò. -È orribile, mi dispiace molto-  

Lui sorrise, sciogliendo l’abbraccio. -È passato molto tempo. E l’unica amica che mi sia rimasta è Will, mi è stata molto vicina in questi anni-  

-E sono tutt’ora ricercati?- 

-Si, certo. Di per sé è possibile lasciare l’Organizzazione e cambiare lavoro, ma in realtà è difficile, molto complicato- 

-Perché scusa? Non siete di proprietà deDirettore- 

-Non è così semplice. È come se dovessero darti un nulla osta, capisci? Devono darti il permesso, e non lo concedono mai, altrimenti diventi un nemico e ti inseguono finché non riescono a trovarti. Non è semplice andarsene. E poi ci sono accordi di riservatezza molto complessi-  

Vivienne era senza parole e aveva iniziato a piangere silenziosamente. –Non so che dire, è terribile tutto questo. Ma mi avevi detto che ti piaceva il tuo lavoro- 

Avery sorrise. –E mi piace, davvero! Non è così male stare qui, solo che se penso a Lex e Tom … Ecco, vorrei fosse andata diversamente, vorrei che fossero qui con me- 

Non sapendo cosa poter dire per consolarlo, Vivienne si limitò ad appoggiare la testa sulla spalla di Avery, senza proferire parola.  

Trascorsero diversi minuti in silenzio, seduti uno accanto all’altra. Poi qualcuno bussò alla porta ed entrambi si alzarono in piedi. Era arrivato Chris per dare il cambio ad Avery. Prima che andasse via, Vivienne gli schioccò un bacio sulla guancia. 

-Tutto bene?- le chiese Chris, una volta rimasti da soli.  

Lei era ancora scossa dallo sfogo di Avery e si limitò ad annuire, sorridendo.  

-Film?-  

Vivienne scosse la testa. –Vorrei solo dormire stasera- sospirò, sperando di non risultare antipatica. Non voleva che Chris se ne andasse, ma era stata una giornata impegnativa e voleva soltanto infilarsi sotto le coperte e chiudere gli occhi. 

-Non c’è problema, se hai bisogno sono qui fuori- rispose lui. 

-Qui fuori? Pensavo tornassi a dormire nella tua stanza-  

-Si, beh, quando finisco il turno , ma è ancora presto. Aspetterò fuori- 

-Oddio no, Chris… guardiamo qualcosa, dai-  

-Sicura?- 

Vivienne annuì, sorridendo. –Basta che non mi propini un film uscito quando ancora non eri nato- ghignò, con chiaro riferimento ai gusti cinematografici di Chris, a suo parere antiquati. 

-Ah ah, proprio non capisci i grandi classici-  

Vivienne si sdraiò sul suo letto mentre Chris si accomodò ai piedi del letto. Tempo che il film iniziasse, Vivienne era piombata in un sonno profondo. 

 

 

 

BakersfiledCalifornia – Qualche tempo prima 

 

Erano passati appena due giorni da quando i ragazzi erano stati imprigionati. Erano nutriti e nella stanza in cui si trovavano non faceva freddo, inoltre venivano accompagnati in bagno regolarmente. 

Emma entrò nella stanza per lasciargli dell’acqua e aprire la finestra. 

-Fate quello che vi dicono di fare- mormorò, senza guardarli in viso. 

Qualche secondo dopo, nella stanza entrarono tre uomini, che i ragazzi non avevano ancora visto. 

-Ciao, ragazzi. Come state?- chiese loro Rusty, il più vecchio dei tre, con la mascella squadrata e i capelli biondi. 

Nessuno rispose. 

-Non sono molto loquaci- disse Danny, sorridendo. Lui era più alto di Rusty e aveva i capelli corti e brizzolati. 

-Credo che dopo cambieranno idea...- rispose Rusty, prima di scoppiare a ridere. 

Emma si voltò verso la finestra, non le interessava assistere. Avevano bisogno dell'identificazione vocale della ragazza, richiesta dal cliente e suo padre aveva deciso di ottenerla con le cattive. 

Jennifer capì che stava per succedere qualcosa di brutto. Strinse forte la mano del suo fidanzato. 

Sapeva che erano stati rapiti a causa di suo padre. Il rapitore più giovane, che al suo ingresso aveva portato con sé due sedie che aveva poi posto al centro della stanza, si avvicinò a lei e le tolse le catene, prima di afferrarle con forza un braccio. 

-Lasciala stare!- esclamò Ian, dimenandosi un po’. 

Jennifer, spaventata, non riusciva ad emettere alcun suono. Venne fatta sedere su una delle sedie, e poi le legarono le mani dietro alla schiena. Sull’altra si sedette l’uomo che aveva parlato per primo, Rusty, e tirò fuori un coltello. 

-Jennifer... Ti chiami così, giusto?- 

La ragazza, che aveva iniziato a piangere, non rispose. Danny si avvicinò a Ian, che ne frattempo aveva iniziato a urlare, e gli premette un panno sulla bocca, per zittirlo. 

-Mhm... Non si fa così. Riproviamoci. Sei Jennifer Mosby, giusto?- 

Non rispose, di nuovo. 

Rusty iniziava a spazientirsi. 

Appoggiò il coltello sulla gola della ragazza. 

Una lacrima le solcò il viso. 

-Sei Jennifer Mosby?- sibilò lui. 

La ragazza deglutì, ma continuò a rimanere in silenzio. 

-Ok, vediamo se così rispondi- 

Spostò il coltello, e le fece, lentamente, un taglio profondo sulla spalla. 

Jennifer urlò, il dolore era davvero lancinante. 

Ian continuava a scalpitare, emettendo strani versi. Danny gli sferrò una ginocchiata sulle gambe che lo fece cadere a terra. -Non devi fiatare- gli disse, strattonandolo. 

Emma lanciò un’occhiata alla ragazza torturata. Si accorse di provare un po’ di pietà per lei, l’aveva presa in simpatia. 

-Allora, come ti chiami?- ripeté Rusty. 

Jennifer continuava a non rispondere. 

-Non ti è bastato? Vuoi che quel tuo bel faccino venga rovinato da un bel taglietto?- continuò l’uomo, sorridendo. -Sei Jennifer Mosby?!- urlò. 

Jennifer aveva capito che, dal momento che tutti i rapitori gli avevano mostrato i loro volti, non sarebbero usciti da quella situazione vivi da lì. Tanto vale farli arrabbiare un po’, aveva pensato. 

-Ti piacerebbe saperlo, vero?- fece, d’un tratto. 

L’uomo le conficcò il coltello nella coscia e poi la schiaffeggiò. Jennifer urlò di dolore, prima di sentire un qualcosa dal gusto dolciastro in bocca. 

Sputò, e vide che era sangue. 

-Riproviamoci, sei Jennifer Mosby?- continuò l’uomo, avvicinando il coltello alla gola della ragazza, spingendo sulla pelle fino a far uscire del sangue. 

-Fa male? Lo so... Ora, se non vuoi che peggiori, rispondi a questa mia semplice domanda. Sei Jennifer Mosby?- 

-Dai, smettila. Non dirà proprio nulla- intervenne, sorprendentemente, Emma. 

Rusty si interruppe, e la guardò stupito. Non si aspettava quella intromissione da parte di sua figlia. 

-Cosa hai detto?- fece. 

-Ho detto basta- rispose Emma. 

Si fissarono intensamente per qualche secondo. 

Lui era visibilmente arrabbiato, mentre Emma aveva un’espressione indecifrabile. 

Dopo qualche secondo gettò a terra il coltello, e uscì dalla stanza. 

Emma lo seguì. 

Trascorsero alcuni istanti, durante i quali si sentì il rumore di oggetti infrangersi a terra, poi dopo qualche minuto Rusty tornò nella stanza e fece segno agli uomini di seguirlo fuori. 

Emma rientrò nella stanza dopo qualche secondo. 

-Stai bene?- chiede a Jennifer, pulendole il sangue dal viso con un fazzoletto. 

Richiuse poi la finestra. 

-Stai bene?- chiese nuovamente alla ragazza. 

Lei annuii, lentamente. 

-Bene- fece Emma, abbozzando una sorta di sorriso, prima di uscire. 

La caparbietà con cui Jennifer aveva tenuto testa a suo padre le era proprio piaciuta. 

Uscì dalla stanza e decise che era ora di cambiare un po’ aria. Aveva bisogno di staccare per qualche ora da suo padre e dal mondo di rapimenti e omicidi che caratterizzava le sue giornate. 

Si cambiò e, uscendo da un ingresso secondario che dava su un folto boschetto di conifere, si incamminò verso la cittadina vicino al quale si erano stabili per quel lavoro. Chiamò un taxi, quando aveva raggiunto le prime abitazioni al limite della città, e si fece accompagnare in centro, pagando rigorosamente in contanti e con documenti falsi. Non aveva potuto utilizzare il furgone che avevano utilizzato per il rapimento perché avrebbe attirato troppo l’attenzione, ma non aveva nemmeno intenzione di spostarsi a piedi. Sapeva di avere l’aspetto di una ragazza come tante altre e nessuno l’avrebbe notata. Inoltre, sapeva come muoversi discretamente. 

Emma era appassionata d’arte e non poté resistere quando vide che nel museo cittadino era esposto uno dei suoi quadri preferiti, del famoso pittore impressionista francese Guillaumin. Pensò che avrebbe potuto visitare la mostra velocemente, non poteva perdere una tale esperienza.  

Rimase estasiata davanti a quel quadro. 

-È del 1870, vero?- disse una voce maschile, dietro di lei. 

Emma non si voltò. Non voleva distogliere lo sguardo da quel quadro. 

-1869, precisamente- rispose, quasi infastidita. 

-Mhm... È il suo preferito?- 

Annuì, continuando a non voltarsi. 

-È un dipinto molto cupo- osservò ancora l’uomo. 

-Non per me- rispose Emma, girandosi verso di lui ormai scocciata. 

Davanti a lei c’era un ragazzo alto, con i capelli scuri e gli occhi azzurri. 

Indossava un completo elegante, blu. 

Federale?, si chiese subito Emma, trattenendo una smorfia. 

-Cosa le piace di questo quadro?- le chiese ancora lui, tornando a guardare il quadro dopo aver lanciato un’occhiata veloce a Emma.  

Anche lei tornò a osservare il quadro. 

-Le nuvole- rispose. 

-Davvero?-  

Annuì, sorridendo. –Si. Le nuvole- 

Restarono entrambi in silenzio per qualche secondo. 

-Le va un caffè?- chiese lui, improvvisamente. 

-...si- rispose Emma, a mezza voce, girandosi nella sua direzione. Era stato tutto così improvviso, non riusciva a credere di aver davvero dato quella risposta. 

-Potremmo continuare a parlare di Guillaumin- disse il ragazzp. 

Emma sorrise. Soltanto un caffè, pensò, provando una sensazione che non conosceva. Voleva buttarsi. –Con molto piacere- 

-Sono Jake- 

 

~ 
 

Emma venne svegliata dalla luce del sole, quel mattino. 

Si strofinò gli occhi e cercò il cellulare sul comodino, dove era solita posarlo prima di andare a dormire. 

Ma si rese conto che non c’era alcun comodino. Si ricordò che non era nella sua stanza, nel suo letto. 

Inoltre, c’era un uomo, addormentato al suo fianco. 

Dopo essere andati a bere un caffè insieme al ragazzo conosciuto al museo, erano andati a cena e infine erano finiti a letto insieme. 

Emma si alzò dal letto e cercò i suoi vestiti, sparsi sul pavimento, e li indossò velocemente, cercando di fare meno rumore possibile. 

Nella tasca dei jeans trovò il cellulare. 

8 chiamate non risposte. Suo padre. 

Emma capì di essere nei guai. Le balenò in mente la possibilità che i ragazzi fossero stati feriti, in sua assenza, e si rese conto di essere preoccupata e si stupì di provare un tale sentimento. Proprio non riusciva a capire cosa le stesse succedendo, non era per niente da lei. 

-Ehi, Jennifer...- 

Emma spalancò gli occhi, sobbalzando. Il ragazzo si era svegliato. Si girò a guardarlo, ricordandosi di avergli, ovviamente, mentito sulla sua identità. 

-Ciao- gli rispose, titubante. Iniziò a pensare a come uscire da quella situazione. 

-Stai andando via?- chiese lui, stropicciandosi gli occhi.  

Emma annuì. –Devo... Devo andare a lavorare- rispose, dicendo la prima scusa plausibile che le era venuta in mente. 

-Ok... E a che ora fai la pausa pranzo?- 

Il ragazzo era insistente. Ed era anche un bel ragazzo, osservò Emma. A tratti le dispiaceva doverlo scaricare. Ma sapeva bene che il suo lavoro, la sua vita, non le permetteva di fare altrimenti. 

-Non faccio la pausa pranzo- rispose. 

-E stasera a cena ci sei?- 

Scosse la testa. -Mi dispiace- disse, infine. 

Afferrò la sua borsa, uscì dalla stanza e poi dalla casa in cui si trovavano. 

Senti crescere la rabbia, in quel momento. Era stata bene con quel ragazzo e avrebbe voluto avere la possibilità di conoscerlo meglio. Ma non poteva, ne era consapevole, e poi non voleva non rispettare i suoi impegni. Aveva un lavoro da portare a termine. 

-Ehi! Jennifer, aspetta!- esclamò il ragazzo, che l’aveva seguita. 

Jake, pensò Emma, ricordandosi il suo nome. 

Si fermò, e lui la raggiunse. 

-Credevo fossi stata bene, ieri... Ho fatto qualcosa di sbagliato?- le chiese, confuso. 

Emma scosse la testa. -No, Jake. Sono stata bene, ma... Non posso andare avanti con questa storia- rispose. 

-Sei fidanzata, sposata? Sei incinta?- 

Lei sorrise, amaramente. Era davvero dispiaciuta. 

-No. Non sto frequentando nessuno e decisamente non sono incinta- rispose, alzando le spalle. 

-E allora perché non mi dai una possibilità? Sono stato davvero bene, vorrei conoscerti meglio-  

La fissò con quei suoi occhioni azzurri. Emma lo trovò molto eccitante ma non voleva cedere. 

Infine, decise di darsi del tempo per riflettere. Prese dalla borsa una penna e afferrò il braccio di Jake. 

Gli scrisse il suo numero di cellulare. 

-Ciao- disse infine, prima di allontanarsi. 

-Ciao...- fece lui, interdetto da quello strano scambio. 

Emma corse fino alla sua macchina, e ci si fiondò dentro. 

Sapeva che iniziare una qualunque cosa con quel ragazzo sarebbe stato terribilmente sbagliato. Pericoloso. Idiota. Eccitante. Contro tutte le regole. 

Era un qualcosa che non aveva mai fatto.  

Le squillò il cellulare non appena acceso il motore. 

Si preparò psicologicamente ad affrontare suo padre, che avrebbe preteso una spiegazione. 

-Pronto?- 

“Allora è davvero il tuo numero” 

Sorrise, guardando nello specchietto retrovisore la casa di Jake sempre più lontana. 

-Ciao- 

“Ero sicuro che mi avessi dato il numero di qualcun altro” 

-Be, come vedi è il mio...- 

“Stasera vieni da me? Ordino cinese” 

Emma sorrise.  

-Vedremo- 

“Ehi, ma hai...” 

-Ti ho dato il numero. Non ho detto che sarei uscita con te-  

Richiuse il telefono, senza smettere di sorridere. Aveva proprio voglia di infrangere un po’ le regole quella volta. 

*To be continued* 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

Il giorno dopo la discussione causata da Vivienne, Will aveva evitato accuratamente Chris. Era ancora arrabbiata per quello che era successo e pensava che la reazione di Chris fosse stata ingiusta ed esagerata. Inoltre, sperava che fosse proprio lui a cercarla per chiarire. 

Quella mattina avrebbero partecipato alla stessa riunione di aggiornamento sul caso Shepard e lei voleva presentarsi calma e concentrata. Si era imposta di non degnare Chris neanche di uno sguardo, avrebbe dovuto fare lui il primo passo e scusarsi per quello che le aveva detto.  

Si svegliò presto, quel giorno, appositamente per poter trascorrere un po’ di tempo al poligono di tiro e scaricare un po’ la tensione, sparando più colpi possibili. Uno dei bersagli di cartone era stato massacrato e si era staccato dal supporto. Al termine si sentì calma e rilassata. 

Mentre si dirigeva verso la sala riunioni in cui avrebbe incontrato i suoi colleghi, pensò a come avrebbe risposto a Chris, dopo aver ascoltato le sue scuse. Immaginò che lui le stesse organizzando una sorpresa per farsi perdonare e attraversò la soglia della sala con un sorriso. 

L’entusiasmo, però, durò solo qualche istante. Si accorse subito, infatti, che nella sala c’erano tante, troppe persone. Erano presenti Chris, Emily, Avery e qualche altro agente dell’Organizzazione, c’era Jake Marshall dell’FBI con alcuni suoi colleghi e, infine, c’era anche lei. Vivienne. 

Will non poteva credere ai suoi occhi.  

Si trattenne dal commentare e decise di sedersi il più lontano possibile dalla ragazza. Salutò velocemente tutti, ignorando la giovane Shepard e Chris.  

Sentiva il suo sguardo addosso, ma non si voltò a guardarlo.  

-Buongiorno a tutti. Dunque, dopo l’evasione,- iniziò Jake, -David Cooper è stato avvistato una volta soltanto, a Jacksonville in Florida. Purtroppo, non siamo riusciti a scoprire un granché. È arrivato in aereo, viaggiando con documenti falsi e un travestimento. Stiamo ancora indagando per capire come possa aver ottenuto i documenti-  

-Ed è un dettaglio importante?- chiese Vivienne a mezza voce, rivolta verso Avery. 

Will la guardò male. Non le interessava se il dubbio della ragazza potesse essere legittimo, la infastidiva ugualmente. 

-Scusate,- si intromise, -siamo sicuri che lei possa partecipare a questa riunione?- chiese, con il tono più educato che potesse sfoggiare, indicando Vivienne. –Temo si possa impressionare- 

Vivienne assunse un falso sorriso molto tirato, con gli occhi ridotti a fessura. 

-Si,- rispose Emily, visibilmente seccata, -pensiamo che possa essere a conoscenza di particolari, magari insignificanti ai suoi occhi, che possano darci una mano. Ma se pensi di avere un’idea migliore per risolvere il caso e trovare David Cooper, siamo tutt’orecchi-  

Will strinse gli occhi e si morse la lingua per non rispondere. Stava perdendo tutta la calma che aveva guadagnato quella mattina.  

-Come dicevo,- riprese Jake, -Jacksonville abbiamo fatto un buco nell’acqua e non abbiamo scoperto nulla- 

-Questo indica che probabilmente ora David Cooper ha uno o più complici- intervenne Chris. 

-Esatto. Sappiamo che è un soggetto disorganizzato, è altamente improbabile che sia stato in grado di pianificare l’evasione e a procurarsi i documenti falsi senza l’aiuto di un complice, che probabilmente ha conosciuto in carcere. Stiamo indagando fra i detenuti che ha incontrato ma per il momento non è saltato fuori - 

-Spiegherebbe anche,- li interruppe Vivienne –come ha fatto a trovarmi a Seattle, no?- chiese, spalancando gli occhi.  

-No,- le rispose Emily, con gentilezza. Sembrava non volesse darle un dispiacere. –Non crediamo sia così. Quando ha ucciso quelle ragazze ha fatto tutto da solo, non sono mai state trovate tracce di complici. Tu stessa sei stata aggredita soltanto da lui- 

Vivienne annuì, con poca convinzione.  

-Dobbiamo considerare seriamente la possibilità che il complice, se è solo uno ovviamente, stia tenendo nascosto David Cooper e sappia che Vivienne ora è sparita dalla circolazione.- continuò Chris, -Non possiamo escludere che sappiano che ora Vivienne è sotto la protezione delle autorità- 

Will lanciò uno sguardo alla ragazza, visibilmente preoccupata. Forse un po’ le dispiaceva per lei.  

-Potrebbero venire a cercarmi qui?-  

Avery le appoggiò una mano sulla spalla. -È molto difficile, tranquilla- le rispose, cercando di rassicurarla. Lei abbozzò un sorriso e poi si girò verso Chris, che le fece un cenno con la testa. 

Will abbassò lo sguardo, infastidita da quella scena. 

In quell’istante tutti i cercapersone degli agenti dell’FBI presenti nella sala iniziarono a squillare, come anche quelli di Chris ed Emily.  

-Cosa succede?- chiese subito Vivienne, molto tesa. 

Emily guardò Chris. –Deve tornare nella sua stanza- 

-Si- rispose lui, appoggiando una mano sulla schiena di Vivienne. –Vieni- 

-Cosa succede?- ripeté lei. 

-Dopo ti spieghiamo, andiamo-  

-Voi,- fece Emily, rivolgendosi a Will e Avery, - venite con noi. Jake,- continuò, rivolgendosi al suo fidanzato, -ti prego tienici aggiornati non appena hai novità, questa squadra,- indicò gli altri agenti dell’Organizzazione, -verrà con voi dell’FBI a Tallahassee- 

-In Florida?- esclamò subito Vivienne, avvicinandosi a Emily. –Avete trovato David Cooper?- 

Nessuno le rispose. 

-Ti spieghiamo dopo, vieni con noi- disse Chris, afferrandole un braccio.  

Lei si divincolò dalla presa. –So camminare da sola, grazie-  

Emily e Chris, seguiti da Will e Avery, la scortarono fuori dalla sala riunioni. 

-Qualcuno mi vuole dire cosa sta succedendo?- 

-È stata trovata morta una giovane donna bionda, fuori da una scuola di danza a Tallahassee- rispose Will, con tono neutro. 

-Crew!- la ammonì subito Emily, guardandola contrariata. –C’è un protocollo, l’informazione non è ancora stata confermata- 

Will si limitò ad alzare le spalle. – Avery le avrebbe comunque spifferato tutto entro stasera- fece, sorridendo maligna.  

-Quanto sei immatura- commentò Chris, scuotendo la testa. 

Will lo ignorò. 

-Vivienne,- le fece Emily, -sarebbe meglio che oggi rimandassi l’incontro con quel tuo amico. Jake sta partendo per la Florida ed è meglio se rimandi a domani- 

La ragazza si fermò, lo sguardo corrucciato. –E immagino che oggi non potrò nemmeno andare a lezione, vero?- 

-Oggi sarebbe meglio rimanessi qui. Dobbiamo capire cos’è successo in Florida- 

-Rimandalo a domani, Jake arriverà nel primo pomeriggio e potrai incontrare il tuo amico- fece eco Chris. 

Will sbuffò sonoramente. Proprio non accettava il trattamento che veniva riservato a Vivienne. Le lanciò uno sguardo e notò che la stava guardando arrabbiata.  

Stava per chiederle cosa volesse dal lei, quando arrivarono davanti alla porta della sua stanza. 

-Avery cominci tu con il primo turno?- gli chiese Chris.  

Il collega annuì.  

-Bene,- fece Emily, -Chris dobbiamo fare rapporto a Evans e poi devo parlare con Cristine- 

-Con Cristine? Non è su questo caso- 

-Si, devo parlarle di Emma Ryan-. Chris incrociò le braccia sul petto e guardò Emily contrariato. Lei lo ignorò e continuò a parlare. -Potrebbe aver scoperto qualcosa di nuovo: a quanto pare, potrebbe aver lavorato in una sorta di ospedale psichiatrico dalle parti di Philadelphia e voglio capire se è vero- 

-Che ospedale psichiatrico?- chiese Vivienne, improvvisamente sconvolta. 

Emily la guardò. –Perché ti interessa?- 

-Anche David Cooper è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico, in Pennsylvania, credo vicino a Philadelphia. Magari è lei il suo complice!-  

Chris le sorrise, rassicurante. –Adesso sei scossa per quello che sta succedendo, ma non ci sono evidenze di quello che stai dicendo. Emma Ryan agisce da sola, e poi perché avrebbe dovuto farlo? Perché avrebbe dovuto aiutare David Cooper?- 

-Beh, io… io non lo so, è una cosa che dovreste dirmi voi!- protestò lei. 

-Senti,- si intromise Will, -se ti dicono che non è nel suo stile, evidentemente è così- 

Vivienne la ignorò.  

-Probabilmente non è nemmeno la stessa clinica, non ti devi preoccupare- le disse Avery 

-Potreste almeno controllare, no?!- 

Emily la spinse all’interno della camera e la fece sedere sul letto. –Lo faremo, va bene? Adesso sei sconvolta, ma devi stare tranquilla. Qui sei al sicuro- 

-Che ne sai di come sto?!- sbottò Vivienne, balzando in piedi.  

Emily non rispose, mantenendo una certa calma.  

Chris si rivolse ad Avery. –Mi raccomando, tienila d’occhio, non voglio casini oggi. E tu,- continuò, rivolta a Will, -rimani in contatto costante con la squadra di Jake, voglio essere informato di ogni loro spostamento-. Poi, lui ed Emily uscirono dalla stanza, senza aggiungere nulla.  

Will guardò ancora per qualche istante Avery e Vivienne, scocciata dall’idea che quei due sarebbero rimasti ancora soli. Deglutì, cercando di scacciare quei pensieri, prima di uscire a sua volta dalla camera, ostentando aria di sufficienza. 

 

˜ 

 

Mentre Chris, Emily e infine Will erano usciti dalla sua stanza, Vivienne lavorava spedita con la sua mente. Le sembrava tutto così chiaro, improvvisamente. David Cooper era stato aiutato da Emma Ryan, non poteva che essere così per lei. Non sapeva il perché ma era troppo evidente, l’ospedale psichiatrico non poteva essere una coincidenza. 

Era arrabbiata perché Chris ed Emily sembravano non capire, nessuno sembrava accorgersi di come tutto fosse ovvio, come lo era ai suoi occhi.  

Doveva saperne di più, non poteva rimanere con il dubbio e avrebbe dovuto dimostrare a tutti come stavano le cose. Non poteva rimanere con le mani in mano mentre David Cooper continuava ad uccidere persone, ragazze come lei. Temeva che, un giorno o l’altro, riuscisse ad arrivare di nuovo a lei.  

-Vorrei dare un’occhiata al fascicolo- 

-Che fascicolo?- fece Avery, mentre guardava dalla finestra. 

-Anzi, i fascicoli. David Cooper ed Emma Ryan- 

Il ragazzo scoppiò a ridere. –Non hai l’autorizzazione!- esclamò. -Sul caso David Cooper sei al corrente di tutto quello che sappiamoE poi il fascicolo di Emma Ryan …- 

-Cosa?- lo incalzò lei. 

-È un fascicolo top secret, solo Emily e Chris ne hanno completamente accesso. A quello e alla bacheca- 

-Alla cosa?- 

Avery alzò gli occhi al cielo. –Ti ho detto troppo, non farmi altre domande- 

-Dai,- fece lei, raggiungendolo vicino alla finestra, -giuro che non ne parlo con nessuno! E poi non ci credo che ne hanno accesso solo loro, ci sarà su qualche computer dai- 

-Perché ti interessa?- 

-Sono solo curiosa, tutto qui… Allora?- 

Lui sospirò. –Però poi non mi chiedi più nulla- 

Lei annuì seria, cercando di non sorridere. –Promesso- 

-Allora, non esiste un file digitale, tutto viene conservato in un fascicolo cartaceo perché Emily teme che la Ryan possa infiltrarsi nel sistema… è un po’ paranoica, tutto qui- 

-E la bacheca?- 

Avery fece una smorfia. 

-Non è una nuova domanda, ne hai parlato tu prima- si giustificò subito Vivienne, alzando le mani. 

-È una bacheca che c’è nell’ufficio di Emily, dove c’è una sorta di mappa degli spostamenti conosciuti di Emma Ryan- 

-E immagino che l’accesso sia…- 

-Non ci pensare nemmeno, i civili non entrano negli uffici- 

Vivienne non rispose e andò a sedersi sul letto. Voleva leggere almeno uno dei due fascicoli e dare uno sguardo a quella bacheca. Si convinse che quello sarebbe stato l’unico modo per avere la conferma del collegamento fra David Cooper ed Emma Ryan, e se l’Organizzazione era davvero così cieca da non vederlo, ci avrebbe pensato lei a sbattere a tutti in faccia la verità. Decise che lo avrebbe fatto con o senza il loro permesso. Lo avrebbe chiesto, naturalmente, ma se l’accesso le fosse stato negato, avrebbe ottenuto le informazioni in un modo o nell’altro. Sentì crescere in lei una certa determinazione ed audacia: aveva un obiettivo, non le rimaneva che elaborare un piano.  

Trascorsero la mattinata nella camera di Vivienne ed entrambi si dedicarono allo studio: lui studiava nuovi protocolli e procedure, mentre lei fingeva di essere concentrata sul manuale di statistica. In realtà non aveva smesso di pensare a come mettere le mani sui fascicoli di Emily e aveva iniziato ad appuntarsi idee e spunti per poter entrare di nascosto nel suo ufficio. Sapeva che avrebbe avuto bisogno dei codici di accesso per passare da un’area e l’altraDoveva pensare a un modo per non dare nell’occhio ed essere identificata con le telecamere, ma, soprattutto, doveva trovare un modo per sfuggire al costante controllo a cui era sottoposta. Quella sarebbe stata la parte più complicata.  

Ad eccezione delle lezioni al campus, dove era comunque sorvegliata mediante microfoni e localizzatori GPS nascosti, il resto della giornata era controllata a vista da Avery, Chris e a volte anche Will. Riusciva a rimanere sola soltanto quando andava in bagno o quando, in rarissimi casi, gli agenti venivano convocati per briefing urgenti con il loro Capo Squadra Evans. La notte, inoltre, non poteva uscire dalla sua stanza se non accompagnata: la serratura era collegata a un allarme che avvertiva in tempo reale Chris ed Emily se la porta veniva aperta, e, Vivienne aveva cronometrato il tempo una sera, ci mettevano meno di due minuti a raggiungerla. Non sarebbe stato per nulla semplice. 

Avery aveva accompagnato Vivienne in mensa, per pranzo, ed erano stati raggiunti da Chris. 

-Novità?- gli chiese subito la ragazza. 

-No- rispose lui, mentre posava il suo vassoio sul tavolo e si sedeva vicino a lei. –Sono appena arrivati a destinazione, avremo qualche informazione in più tra qualche ora- 

Vivienne guardò sconsolata il piatto di riso in bianco che aveva davanti agli occhi.  

-Questa storia finirà presto- fece Chris, cercando di rassicurarla, inutilmente.  

-Ogni giorno mi sembra sempre peggio- mormorò lei, sbuffando. 

-Hai avvertito quel tuo amico, Nick, del cambio di programma?- 

-Si,- sospirò Vivienne, -adesso devo pensare a cosa fare oggi pomeriggio, a parte uccidermi per la noia-  

-Beh, possiamo fare quello che vuoi- 

-Ci sono un sacco di attività che si possono fare qui- continuò Avery, -sai, c’è una piscina, campi da tennis, il poligono da tiro, il…- 

-Il poligono?- esclamò lei, sorridendo sorpresa. –Posso sparare con una pistola vera?- 

Chris scosse la testa, lanciando un’occhiata torva a Avery. –Hai il porto d’armi? Hai mai impugnato un’arma?- si rivolse poi a Vivienne. 

Lei ridacchiò, eccitata. –No, ma mi pare un buon modo per passare questo pomeriggio-  

Chris la guardò perplesso-Ottima idea, Avery, davvero un’ottima idea-  

 

~ 

 

Vivienne non aveva mai visto una pistola da così vicino. Non ne aveva mai impugnata una e si sentiva molto eccitata all’idea di poter imparare a usarla 

Chris, molto a malincuore, aveva acconsentito ad accompagnarla al poligono di tiro. –Ci rimarremo mezz’ora, non di più-, aveva specificato, mentre aiutava Vivienne a indossare le protezioni. 

Avery aveva dovuto partecipare a una riunione per un altro caso a cui stava lavorando e li aveva lasciati soli.  

Si trovavano uno di fronte all’altro, mentre Chris, che aveva già indossato tutto l’occorrente, le agganciava un giubbotto antiproiettile. Vivienne gli sorrise, elettrizzata. Si sentiva come Angelina Jolie in Mr e Mrs Smith. –Grazie-  

Erano a distanza molto ravvicinata e il cuore della ragazza batteva forte, e lei non era sicura fosse soltanto per la nuova esperienza che stava per fare. 

-Adesso ti spiego cosa devi fare, ascoltami bene- 

-Sissignore- mormorò lei, mordendosi un labbro, impaziente di iniziare. 

Si trovavano in una lunga sala dalle pareti grigie senza finestre, con un lungo bancone nero trasversale alla stanza su cui erano poste, a distanze regolari, delle scure assi divisorie imbottite. Sulla parete opposta era appesa una serie di bersagli bianchi, alcuni già segnati da diversi fori.  

Nella porzione di bancone vicino a Vivienne, Chris aveva posato una piccola valigetta che conteneva una pistola nera con il suo caricatore e due paia di spesse cuffie antirumore rosse. 

-Allora,- iniziò lui, prendendo la pistola dalla valigetta. –questa è una Glock semiautomatica, calibro 22. Non è molto pesante, penso possa essere l’ideale per una prima volta. Prova a prenderla-  

-È senza caricatore- osservò lei. 

-Si, beh, prima facciamo qualche prova, e poi te la carico-  

Lei sorrise beffarda. –Agente Rogers, non ti fidi?- 

-Di una bionda impertinente e armata?- 

Stava di nuovo flirtando con lei, Vivienne ne era sicura.  

-Dai, fammi vedere- 

-Devi stare dritta con la schiena, le braccia tese davanti a te- 

Mentre le diceva cosa fare, accompagnava i suoi movimenti con le mani. Era dunque dietro di lei, Vivienne poteva sentire il suo respiro, leggero, sul collo e sulla nuca, mentre le spiegava quale posizione assumere.  

-Ok, le braccia devono essere più tese, devi distendere i gomiti. Bene, così. Adesso divarica leggermente le gambe- 

-Ah, siamo già a questo punto?- 

Chris sorrise. –Non fare la furba. Quello davanti a te è il bersaglio e dovrai cercare di colpirlo- 

-E adesso?- chiese lei, dopo qualche istante. 

Lui le sfilò la pistola dalle mani. –Adesso la carico- 

Infilò il caricatore nella pistola e la ripose nella valigetta aperta, poi prese un paio di cuffie antirumore rosse e le indossò. L’altro paio era per Vivienne, che fece per afferrarle ma venne preceduta da Chris. 

-Faccio io- le disse, posando delicatamente le cuffie sulle orecchie di Vivienne, il cui cuore iniziò di nuovo a battere velocemente.  

-Grazie- sussurrò, sentendo le guance avvampare. 

Si guardarono per qualche istante negli occhi, senza dire una parola, poi Chris si voltò, imbarazzato, e le porse la pistola.  

-Ok, prendi la mira. Hai dieci colpi a disposizione. Devi fare attenzione al rinculo della pistola, cerca di non colpirti in faccia- 

-Ehi, per chi mi hai preso…- 

Chris fece un passo indietro. Vivienne prese la mira, inspirò a fondo e poi iniziò a sparare. 

Nonostante le spesse cuffie, il rumore del primo colpo fu molto forte per lei, che sobbalzò. Sentiva l’adrenalina scorrere nelle vene e si sentì tutto d’un tratto euforica. Sparò un altro colpo, che come il primo colpì il bersaglio vicino al bordo. 

Chris le posò una mano sul fianco e si avvicinò al suo viso. Con l’altra mano sfiorò il polso di Vivienne, che teneva ben salda tra le mani la pistola. –Ecco, prova a tenerla leggermente più a destra- disse, aggiustandole la direzione di tiro. 

Lei deglutì, sempre euforica ma di nuovo agitata. Sparò un altro colpo, che questa volta si avvicinò di più al centro del bersaglio.  

Sorrise. 

-Ecco, molto meglio- disse Chris, spostandosi di nuovo all’indietro.  

Lei cercò di concentrarsi di nuovo sul bersaglio, ma poi la realtà le piombò addosso e, come un fiume in piena, la sua mente venne inondata dalla consapevolezza di trovarsi nel poligono dell’Organizzazione perché David Cooper la stava cercando per ucciderla e lei non poteva fare proprio un bel niente per evitare il peggio se non aspettare che lo catturassero.  

Le montò dentro un’onda di furia e rabbia, iniziò a sparare i colpi uno dietro l’altro, senza essere davvero concentrata su quello che stava facendo, fino a scaricare completamente l’arma. 

Chris, percependo il suo stato d’animo, le posò una mano sulla spalla. 

-Tutto bene?- 

Lei, con gli occhi lucidi, scosse la testa. –Sono tanto arrabbiata- disse, riponendo la pistola nella valigetta. Si sfilò le cuffie e le posò malamente sul piano. 

-Devi portare pazienza. E devi avere fiducia in noi, lo prenderemo- 

Vivienne tornò a guardare Chris negli occhi. –Sono stanca di portare pazienza-  

Lui le toccò un braccio, come se volesse consolarla, e lei abbassò lo sguardo. 

D’un tratto lui l’abbracciò e Vivienne non riuscì più a trattenere le lacrime. 

Mentre singhiozzava, Chris le accarezzò i capelli, stringendola forte a sé e, dopo qualche minuto, riuscì a tranquillizzarla.  

-Scusa- fece lei, tirando su con il naso.  

-Non ti preoccupare. Torniamo su? Possiamo guardare un film o fare una passeggiata nel parco- 

Vivienne annuì, asciugandosi il viso con la manica della maglia. 

-E hai già visto la nostra biblioteca?- 

La ragazza ghignò. –Ah, vedo che continui a propormi esperienze al limite del pericolo- 

-Ehi, ti ho appena fatto sparare per la prima volta..!- protestò lui, divertito, mentre la aiutava a sfilarsi il giubbotto antiproiettile.  

-Grazie, Agente Rogers. Grazie davvero- 

*To be continued* 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7 

 

BakersfiledCalifornia – Qualche tempo prima 

 

-Abbiamo una loro foto-  

La notizia dell’agente Jones, che era appena entrato nel suo ufficio, illuminò Jake.  

Era già una bella giornata, per lui, ma sapere di avere, finalmente, una traccia degli uomini che stavano inseguendo la rendeva perfetta.  

La sera precedente aveva conosciuto una ragazza. Aveva deciso di uscire dall’ufficio e staccare un po’ i pensieri. Erano ancora a un punto morto, l’indagine non stava procedendo bene, e Jake voleva qualche momento per sé, in modo da azzerare i pensieri e veder le cose da una nuova prospettiva. Aveva deciso di camminare un po’ a zonzo per il centro città, ed era entrato nel museo cittadino. C’era poca gente e pensava che il silenzio tipico di quel museo poco frequentato lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Mentre camminava tra le varie sale dell'edificio, aveva notato una giovane donna con i capelli rossi, intenta ad osservare un quadro, immersa nei suoi pensieri. Si era subito sentito attratto da lei e l’aveva avvicinata per conoscerla. Avevano passato le ore seguenti a parlare d’arte. Non riusciva a distogliere lo sguardo dai brillanti occhi smeraldo della ragazza, così misteriosa e affascinante, forse un po’ fuori luogo in quel contesto. A fine serata erano finiti a letto insieme e Jake era stato bene, come non lo era da un po’ di tempo. Era anche riuscito a ottenere il suo numero di telefono e non vedeva l’ora di incontrarla di nuovo. 

Quella mattina si sentiva proprio carico e pieno di energie, aveva la netta sensazione che ci sarebbe stata una svolta nel caso. 

Quando l’agente Jones gli aveva messo sotto il naso una foto, Jake sentì l’euforia crescere in lui. 

-Hanno fatto un passo falso!- esclamò, entusiasta.  

Si trattava di foto estratte dal nastro di una telecamera di sorveglianza.  C’era un furgone, ripreso frontalmente, in cui si vedevano due uomini, e una ragazza che spuntava tra i sedili anteriori. La ragazza era Jennifer Mosby 

-Di chi è il furgone?- chiese, continuando a osservare la foto.  

-Di un certo John Smith-  

-Suppongo sia un nome falso- osservò.  

-Esatto-  

-Voglio l’ingrandimento della foto sui volti dei due uomini, e la voglio in tutte le centrali di polizia. Voglio che ogni singolo poliziotto e agente dell’FBI abbia stampata in mente la faccia di quei due. Non possiamo perderli questa volta- ordinò, con la mente che pensava velocemente. Sapeva che non avrebbero avuto presto un’altra occasione del genere.  

-Ricevuto. La foto è già stata diramata e ci stanno lavorando tutti-  

Jones uscì velocemente dall’ufficio.  

Dopo circa un’ora, mentre Jake aggiornava il fascicolo annotando l’acquisizione delle foto, squillò il telefono fisso dell’ufficio.  

-Marshall- rispose.  

“Agente Marshall, è stato trovato un furgone bianco, carbonizzato, in periferia”  

-È quello che è stato fotografato?- chiese Jake, interdetto.  

“Sembra di sì”  

-Grazie-  

Chiuse la telefonata.  

Era confuso, non riusciva a capire la mossa di quegli uomini. Era insolito. O meglio, era troppo presto.  

Prese subito il telefono, e chiamò Jones.  

“Ehi, Jake, sto tornando su da te”  

-Dobbiamo andare subito sul posto in cui è stato trovato il furgone. Credo che stiano per andarsene. Non ci rimane troppo tempo-   

“Ricevuto... Mobilito tutti, allora”  

Si alzò dalla sedia, e mentre indossava la giacca, uscì dall’ufficio.  

Sapeva che non c’era più tempo, dovevano salvare i ragazzi.  

  

~ 

  

-Papà..?-  

Rusty, che come al solito era sulla terrazza, si girò a guardare la figlia.  

-Emma... Tutto ok?- le chiese.  

Lei annuì. -Jennifer... Cioè, la ragazza, ha la febbre. La sto curando-  

-La chiami già per nome. Ti sei affezionata?-  

Emma ghignò. -No, papà. Sai meglio di me che non ne sono proprio capace-  

Anche lui fece uno strano sorriso. –Lo so, lo so. Ti vedo pensierosa. C’è qualcosa che mi vuoi dire?-  

Emma lo guardò attentamente. Era pensierosa, si, ma non aveva ancora capito cosa volesse fare. -No, è che questo caso, questa città... è strano. Non è come le altre volte-  

Rusty la fissò per qualche secondo, poi sospirò.   

-Sai, Emma, arriva sempre un momento in cui quello che facciamo ci sembra tanto impegnativo- disse, dopo qualche istante. -Se stai pensando di mollare, possiamo parlarne-   

Lei lo guardò sorpresa. -Io non... Non lo so, ecco- 

-Finito questo caso ne parleremo per bene. Se hai bisogno di una pausa lo capisco- 

Emma lo abbracciò, in modo impacciato. Non andavano sempre d’accordo, lei e suo padre, ma su certi argomenti si capivano al volo.  

A distruggere quel candido momento padre-figlia, arrivò Matt, trafelato e visibilmente scosso.  

-Matt... Tutto bene?- gli chiese Rusty 

Matt scosse la testa. -Ho fatto un casino- fece.  

-Che è successo?- chiese Emma, d’un tratto preoccupata.  

-Ho... Il camion bianco... Ci hanno beccati-  

-Che vuol dire?- fece Rusty, anche se aveva già capito cosa stava succedendo. -Lo hai ripulito, no? Che vuol dire?!- 

-Che l’FBI-, fece Danny, sporgendosi dalla porta, -è a un pelo dal nostro culo-   

  

~ 

  

-Io non lavoro con l’Organizzazione- sibilò Jake, furente. Si stava recando sul luogo in cui era stato rinvenuto il furgone carbonizzato quando era stato convocato dal suo superiore per una riunione urgente. 

-Mi dispiace, Marshall, ma le cose stanno così. Si occupano di Rusty Ryan e i suoi uomini da sempre. Se non ti va bene, sei fuori dal caso-  

-Mi stai prendendo per il culo, Andrew? Quelli dell’Organizzazione sono un branco di megalomani pompati, non sanno occuparsi di questi casi-  

-Grazie mille. Non siamo mica qui presenti- rispose una delle agenti dell’organizzazione di cui parlava Jake, che si trovava con lui nell’ufficio dell’agente Andrew, insieme ad altri suoi colleghi.  

Era Emily Lennox, una giovane agente che Jake aveva incrociato su un paio di altri casi. Gli dava l’impressione che fosse caparbia e sveglia, ma a lui l’idea di lavorare con lei e i suoi colleghi proprio non piaceva.  

-Nulla di personale- rispose Jake, guardandola.  

Lei sbuffò. -Vi chiedo gentilmente di condividere con me tutte le informazioni che avete sul rapimento Mosby 

Jake lanciò un’occhiata ad Andrew, che era visibilmente irritato. Purtroppo era la procedura, la conosceva bene: in determinate occasioni, il protocollo prevedeva che dopo un certo tempo a disposizione, i casi irrisolti venissero assegnati d’ufficio all’Organizzazione, che aveva accordi precisi con il Bureau.  

Quella volta, però, Jake sentiva che erano vicini a chiudere il caso e non voleva cederlo a nessuno.  

-No- fece, scuotendo la testa energicamente.  

Andrew gli lanciò un’occhiata tesa. Neanche lui avrebbe voluto cedere il caso, ma non avevano scelta.  

Jake sospirò, ormai rassegnato.  

La giovane agente sorrise per qualche secondo, prima di tornare seria.  

-È da un po’ che seguiamo questi qui. Ci sono sfuggiti in due occasioni, ma questa volta sappiamo come sono fatti, almeno due di loro, e se siamo fortunati, non lo hanno ancora scoperto. Siamo avvantaggiati notevolmente, per il momento. Non abbiamo tempo da perdere- disse.  

-Si, grazie, fino a qui ci arriviamo da soli- fece Jake sorridendo, decisamente sarcastico. Avevano trovato loro dell’FBI i nastri con le loro facce impresse. E nemmeno ringraziano, pensò Jake, trattenendosi dall’esternare ad alta voce i suoi pensieri. 

-Il fatto che abbiano bruciato il furgone,- continuò lei, ignorando del tutto Jake, -significa che stanno per andarsene. Vuol dire che lo scambio avverrà a breve-  

-Si, lo avevamo capito anche noi, grazie mille. E, comunque, cosa ti dice che non lo abbiano già fatto?- fece lui, scontroso.  

Emily lo guardò corrucciata, ma non raccolse la provocazione. -Il loro modus operandi- rispose, pacatamente. -Da ormai vent’anni lavorano in questo modo quando rapiscono i civili-  

-Quante persone siete riuscite a salvare?- chiese Jake, seccamente.  

Emily abbassò lo sguardo per qualche istante. Poi tornò a guardarlo dritto negli occhi. -Molte poche-  

-Una percentuale?-  

-Circa il 10%. Ma tutte le volte avevano deciso di liberarli dopo essere stati ricompensati-  

Jake capì che le possibilità di riuscire a salvare i ragazzi erano davvero minime, se quei criminali avevano capito che ormai gli erano vicini.  

Non c’era più tempo. 

 

X 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

-Mi stai davvero dicendo che sei nata e cresciuta a New York e non hai mai assistito a una partita dei Giants? Non puoi essere seria dai!- 

Vivienne rise alla battuta di Nick Miller, anche se si sentiva in colpa perché gli aveva raccontato diverse bugie, non potendo essere sincera circa la sua vita. 

-Il football proprio non mi interessa- rispose lei, alzando le spalle. Non poteva proprio raccontargli di essere un’accanita sostenitrice dei Patriots di Boston, sarebbe suonato davvero strano per una nata e cresciuta a New York. 

-Sei davvero strana Vivienne Marshall, lasciatelo dire- 

Lei sorrise. –Beh, sono una ragazza, ho altri interessi- 

Si trovavano in una piccola villetta a schiera nella periferia di Charlesdale che l’Organizzazione aveva predisposto e messo in sicurezza per permettere a Vivienne di incontrare il suo compagno di corso. Chris, dopo le novità su David Cooper e lo sfogo della ragazza al poligono di tiro, aveva capito che aveva bisogno di staccare un po’ dall’ambiente dell’Organizzazione. Lui stesso, infatti, aveva curato con attenzione le misure di sicurezza della villetta, come telecamere e microfoni nascosti, ed era rimasto negli uffici operativi dell’Organizzazione a controllare che tutto andasse liscio, senza problemi.  

Insieme a Vivienne e Nick c’era Jake Marshall, che interpretava il fratello di Vivienne e fingeva di lavorare al suo PC con le cuffiette. In realtà era vigile e attento, controllando che non si avvicinassero estranei o persone sospette. 

-E tuo fratello come si trova?- chiese Nick a Vivienne, indicando Jake con un cenno della testa. 

-Direi bene, anche lui si sta adattando a questa nuova vita- 

Si erano presi una piccola pausa dallo studio e Nick aveva iniziato a farle alcune domande su Vivienne e suo fratello, senza mai risultare troppo invadenti. Erano normali domande poste da una normale persona che voleva semplicemente conoscerne un’altra, Vivienne lo sapeva. Ma sapeva anche che lei si trovava in una situazione tutt’altro che normale. 

-Andrei volentieri a prendere un gelato- sospirò Nick, posando la matita sul manuale di fronte a  e incrociando le mani dietro la nuca. 

-Finiamo prima qui, magari dopo si può andare- rispose Vivienne. Avrebbe voluto tanto poter fare una cosa normale come prendere un gelato con un amico, passeggiare in un posto che non fosse il giardino interno del quartier generale o il campus e mangiare del cibo che non fosse uno dei piatti monogusto e ipercalorici della mensa dell’Organizzazione. 

Cercò di non pensarci. 

-Ancora mi chiedo perché ho scelto di studiare economia al college- sbuffò Nick. 

Lei sorrise. –Beh, non dirlo a me! Avrei tanto voluto studiare storia dell’arte, o letteratura- 

-No, avremmo dovuto scegliere corsi seri come principi di programmazione informatica, ad esempio- 

-Oddio no, non farebbe per me-. Si alzò e si diresse verso il frigo della piccola cucina che avevano allestito per l’occasione, in modo che Nick pensasse che in quella casa ci abitasse qualcuno per davvero. –Vuoi un succo d’arancia?- gli chiese. 

-Si, ti ringrazio. Comunque programmare non è così complicato, ma ti deve piacere. Io sono piuttosto bravo, devo ammetterlo- 

Vivienne gli porse un bicchiere colmo di succo.  

-Beh, sono un po’ antiquata, la tecnologia non è il mio forte. Preferisco un buon libro allo schermo di un pc- 

-Non hai nemmeno profili social, vero?- 

Vivienne sospirò. –No, infatti. Non fanno per me-  

In realtà la ragazza era presente su tutti i social, ma ogni profilo era stato disattivato e oscurato dall’Organizzazione nel momento in cui avevano l’avevano portata al quartier generale. Le avevano confiscato il telefono e il pc, dotandola di apparecchi che loro avevano controllato e approvato. 

-I libri comunque li puoi leggere anche sui tablet, non ne hai uno? Sono molto comodi- 

-Preferisco di gran lunga i libri veri e propri, mi sembra di riuscire a… Non so, mi sembra di connettermi di più con il racconto 

-E qual è il tuo libro preferito? Non mi dire qualche stupido romanzo sul genere di Twilight, ti prego- 

-No, figurati,- rise Vivienne, -non so, direi … uno solo? Forse … Cime tempestose. La saga di Harry Potter, ovviamente. Ma anche Disobbedienza Civile di Hanna Arendt, si-  

Vivienne, con la coda dell’occhio, notò Jake sorridere.  

-Io preferisco i fumetti, ho l’intera collezione degli albi di Capitan America, li compro da quando ero bambino e continuo ancora oggi- fece Nick. 

-Bello, anche mio fratello ne ha una collezione!- 

Vivienne era finalmente serena, le sembrava così semplice e naturale parlare con Nick, come se si conoscessero da sempre. Aveva trovato una connessione finalmente non ambigua con un’altra persona, dove di mezzo non ci fossero pazzi criminali, omicidi e spie. Non provava attrazione per lui, ed era sicura che anche lui non ne provasse per lei, erano amici e Vivienne ne era davvero contenta. Si sentiva di nuovo  stessa. 

 

˜ 

 

Le giornate di Vivienne trascorrevano, secondo la sua opinione, più lentamente da quando era costretta a vivere nel quartier generale dell’Organizzazione. Al mattino veniva accompagnata al campus da Jake Marshall, quando aveva lezione, e il resto della giornata lo trascorreva in compagnia di Avery, Will e Chris, che si alternavano per sorvegliarla. I momenti con Will erano i peggiori, discutevano in continuazione. Per questo motivo, non rimanevano mai sole e con loro c’era sempre uno fra Chris e Avery. 

Suo fratello era andato in visita ancora un paio di volte e, quel giorno, Vivienne avrebbe rivisto sua madre. 

Gwen Shepard era una elegante donna di mezza età, chirurgo affermato e dall’aspetto giovanile. Aveva i capelli di un biondo più scuro di quello di sua figlia, ma gli stessi occhi azzurri.  

Vivienne sapeva che il divorzio da suo padre era ancora una ferita aperta che si sommava ai problemi pregressi causati dai suoi genitori, i nonni di Vivienne, che avevano controllato e indirizzato la vita della figlia in ogni suo aspetto. Quando Gwen aveva deciso di divorziare, per i nonni era stato un duro colpo, ma non avevano potuto che accettare la sua decisione. Questa scelta era dipesa dal fatto che Gwen non fosse la primogenita, pertanto lo scandalo del divorzio aveva un peso sociale più accettabile, ai loro occhi.  

Chris aveva accompagnato Vivienne nella saletta in cui aveva già incontrato suo fratello. Sua madre era già arrivata e, non appena vide Vivienne, corse ad abbracciarla. 

Vivienne si commosse, sentendo una voragine nel petto. Le era mancata così tanto. 

-Come stai amore? Ti trattano sempre bene qui?- le chiese, continuando a stringerla, lanciando un’occhiata a Chris. Lui dovette convenire che assomigliava decisamente alla figlia, le loro espressioni erano pressoché identiche. 

-Si, mamma, non sono così male- rispose Vivienne, con un sorriso. -Non fosse per la mensa, che è davvero terribile-  

-Spero tu possa tornare presto a casa, i nonni sono stati irremovibili su questo. Temono davvero che possa succederti qualcosa-  

Vivienne la guardò negli occhi. -Avrei preferito una soluzione diversa- 

-Lo so, ma hai ripreso anche ad andare a lezione, vero? Vedi il lato positivo- 

-Si. Ho fatto anche amicizia- 

-Davvero? Dimmi un po’- 

Vivienne iniziò a raccontarle di Nick, delle lezioni e della vita nell’Organizzazione. Le raccontò quanto fosse gentile con lei Jake Marshall e di come si sentisse al sicuro tutto sommato. Quando giunse a parlarle del poligono di tiro e dell’emozionantissima esperienza che le aveva fatto provare l’agente RogersGwen fulminò Chris con lo sguardo.  

-Signora Shepard,- iniziò a giustificarsi lui, preoccupato, -le posso assicurare che l’esercitazione si è svolta in completa sicurezza, io stesso ho supervisionato Vivienne e mi sono accertato che non si facesse del male- 

-Si, è stato molto attento e diligente- ghignò Vivienne, ripensando a quella piacevole sensazione che aveva scatenato Chris quando aveva flirtato un po’ con lei. Pensò anche che fosse stato anche molto carino nel consolarla, quando era scoppiata a piangere per l’angoscia.  

-Non si agiti, agente Rogers, al limite avrei temuto per la sua vita, con Vivienne armata. So quanto possa essere sconsiderata- 

Vivienne alzò gli occhi al cielo, mentre Chris sembrava divertito. 

-Mi dispiace comunicarvi,- fece dopo qualche istante, tornando serio, -che il tempo a disposizione sta per terminare- 

Vivienne guardò tristemente sua madre. -Torna presto a trovarmi, ti prego- 

Lei l’abbraccio con dolcezza, prima di baciarla sulla fronte. -Non appena possibile- 

Si salutarono, poi un agente condusse Gwen fuori dalla stanza. 

Vivienne guardò Chris sconsolata. -Tutte le volte che se ne vanno, mi sembra di essere stata abbandonata- 

Lui le toccò un braccio, cercando di confortarla.  

-Posso immaginare, mi dispiace- 

Uscirono anche loro dalla stanza. -Andiamo a fare una passeggiata fuori, ti va?-  

Vivienne annuì e si diressero all’esterno della base, vicino ai campi di allenamento dell’Organizzazione. 

Molti agenti correvano o facevano esercizi motori sul posto. 

-Comunque mi pare che tu vada d’accordo con tua madre- disse Chris a un certo punto. 

-Non direi. Ma oggi era di buon umore, è stata molto affettuosa in effetti- 

-Di solito non è così?- 

Lei sospirò. -No. Preferisce mio fratello. E da quando i miei si sono lasciati... diciamo che tutto è andato a rotoli-  

-I tuoi nonni c’entrano qualcosa?- 

Lei lo guardò turbata. -Stai indagando su di loro?- 

Chris la guardò stranito. -No, certo che no. Cosa dici?- 

Lei alzò le spalle. -Comunque si, ovviamente. Loro c’entrano sempre e rovinano ogni cosa- 

-Beh, mi pare un po’ ipocrita da parte tua, non credi?- 

Vivienne lo guardò in cagnesco. -Prego?- 

-Li critichi tanto ma frequenti l’università più esclusiva del paese, hai un attico in uno dei palazzi più belli di Boston e puoi avere praticamente tutto ciò che ti pare nella vita. Ma parli male di loro in continuazione- 

Lei strinse gli occhi, decisamente contrariata. -E quindi? Si, sono ricca, viziata e ipocrita- 

-E sai accettare le critiche senza diventare aggressiva- commentò lui sarcastico.  

-Beh, vorrei proprio vedere te al mio posto- rispose Vivienne, un po’ offesa. Dovette ammettere che una piccola parte di lei trovava stimolante e intrigante che qualcuno le tenesse testa e fosse sincero con lei.  Le piaceva molto punzecchiarsi con lui. 

-Comunque,- continuò lei, cercando di cambiare argomento, -perché non mi racconti un po’ di te? Della tua famiglia?- 

Chris la guardò con un’espressione malinconica e non rispose subito. -Allora, da dove comincio... Mio padre era un agente, come me, mentre mia madre una civile. Lei... mi preparava una torta ogni domenica- fece, sorridendo. -E lei profumava sempre di agrumi, me lo ricordo bene. In realtà, non ricordo tanto altro. Sono morti quando avevo nove anni. Mio padre era in licenza e sono stati coinvolti in un incidente d’auto- 

-Mi dispiace molto- rispose Vivienne, stringendogli forte una mano.  

Lui le sorrise, leggermente imbarazzato. Ma non lasciò andare la sua mano. -Sono passati tanti anni. Diciotto, per l’esattezza. Quando sono morti, mi ha adottato il papà di Emily, sono cresciuta insieme a lei e suo fratello Logan-  

-Hai ventisette anni? Io venti, quasi ventuno-  

-Si. Emily invece è più grande di me di due anni. È come una sorella- 

Vivienne annuì. -Si vede, lo avevo capito. Avete una bella sinergia- 

-Già. Sono contento di avere ancora lei con me, sai, siamo una famiglia. È un po’ più semplice dover affrontare tutto questo insieme a lei- 

-La vostra vita non è semplice, vero? Questo lavoro intendo- 

Lui la guardò intensamente, dritto negli occhi. Vivienne sentì lo stomaco attorcigliarsi. -No, per niente. Ma non ci lamentiamo, è un buon lavoro- 

-L’importante è che tu sia felice-  

-Felice è un parolone... Me la cavo, questo sì- 

-Non sai mai cosa la vita possa riservarti, Rogers, magari un giorno ti accorgi che la felicità ce l’hai proprio sotto il naso ma non ci hai mai fatto caso- 

 

~ 

 

Emily e Chris si trovavano nell’armeria dell’Organizzazione, quel pomeriggio, un paio di giorni dopo che Vivienne aveva incontrato sua madre, e stavano preparando un borsone con armi e attrezzature per una nuova missione per cui erano in procinto di partire. 

Il loro Capo Sezione, Evans, gli aveva assegnato un caso a Rio de Janeiro, dove avrebbero dovuto scortare un ricco imprenditore a un incontro con pericolosi trafficanti d’armi. Avevano bisogno di un lavoro pulito e rapido, ed Evans sapeva che affidando il caso a loro due avrebbe avuto sicuramente esito positivo. 

Per Emily e Chris, d’altro canto, quel caso era una totale perdita di tempo.  

Emily stava lavorando giorno e notte con la sua squadra nel tentativo di catturare Emma Ryan, con scarsi risultati, mentre Chris era preso dalle indagini su David Cooper, dopo che l’omicidio di Tallahassee gli era stato ufficialmente attribuito. Non riusciva a capacitarsi di come, non solo un fuggitivo ricercato in tutto il paese fosse riuscito a salire su un aereo, ma avesse commesso anche un omicidio sotto il naso di tutti.  

Evans, percependo la scarsa disponibilità di entrambi, gliel’aveva chiesto come piacere personale, e Chris ed Emily non avevano proprio potuto dire di no. 

-Domattina partiamo alle 05.00, hai già avvertito Avery che non ci saremo tutto il giorno e torneremo tra due giorni?- chiese Emily al suo collega. 

Lui la guardò sbuffando. –So fare il mio lavoro, ti ringrazio- 

-Lo dicevo così per dire, stai calmo. Spero di tornare il prima possibile, mi sembra una totale perdita di tempo-  

-Si, anche io. L’idea che David Cooper possa essere ovunque mi fa incazzare e vorrei soltanto andare in giro a cercarlo-  

Emily gli passò un telefono satellitare, che Chris mise nella borsa.  

-Si ti capisco. E poi ho la netta sensazione che qualcuno voglia mettere le mani sul fascicolo di Emma Ryan-  

Chris fece una smorfia. –Lo dubito. Puoi lasciarlo a Jake, comunque, se non sei tranquillo-  

Emily sospirò tristemente pensando al suo fidanzato. Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto definirlo in quel modo.  

-Forse non è il caso- 

-Posso chiedere a Will, se per te va bene. Si sta dando una calmata e sta aspettando un’occasione per riprendere qualche punto con noi-  

-Non litiga più con la ragazzina?- 

-Si, è come se ci fosse una sorta di tregua. Ho istruito lei ed Avery per la sicurezza di Vivienne, spero che non facciano casini- 

-Bene. Ci vediamo domattina. Hangar 7, mi raccomando-  

Emily uscì dall’armeria con il borsone e si diresse verso il suo appartamento, dove la stava aspettando Jake.  

-Parti presto domani?- 

-All’alba- 

-Mi sono accordato con Chris e Avery per i prossimi giorni, per Vivienne intendo- 

Emily sorrise. –Ti ringrazio. Chris è molto nervoso, non vorrebbe partire per questo caso. Immagino sarà più tranquillo sapendo che sorvegli anche tu la ragazzina-  

Jake si sedette sul letto, mentre Emily metteva alcuni indumenti puliti nel borsone con le armi.  

-Toglimi una curiosità,- le fece, -c’è qualcosa tra Avery e quella Crew, vero? Chris è nervoso per questo?- 

Emily scrollò le spalle. –Si. Ma temo non sia il problema più grande per lui- commentò, ripensando alla palese attrazione che il suo amico provava per la ragazzina. 

-In che senso?- 

-Non hai notato come la guarda? Come Chris guarda Vivienne?- 

Jake la guardò leggermente sorpreso. –Beh, insomma… Si, ma credevo non fosse permesso frequentare i vostri … come li chiamate?- 

-Obiettivi-  

-Si, obiettivi. Che definizione terribile, come se fosse un oggetto- 

Emily lo guardò contrariata. –Ma no. È l’obiettivo di una missione di protezione, tutto qui. Non ci vedo nulla di mostruoso. Sei troppo sensibile- 

-A me sembra che la tua sensibilità sia andata persa con il bambino, invece- 

Emily lo guardò amareggiata. Era rimasta incinta ma aveva subito un aborto spontaneo, qualche settimana dopo che Jake le aveva chiesto di sposarlo. Da quel momento, il rapporto tra loro due si era incrinato irrimediabilmente. Lui era diventato freddo e scontroso, spesso maligno. Lei si era sentita sollevata, in cuor suo aveva sempre saputo che in realtà quel bambino non lo voleva, non con Jake. Lui lo aveva percepito e non riusciva a perdonarla, proprio non riusciva ad andare avanti. 

Emily sapeva che era una questione di tempo, aveva la sensazione che presto le loro strade si sarebbero divise e lei sarebbe rimasta ancora sola. 

*To be continued*

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8 

Località segreta, Massachusetts - Circa un anno e mezzo prima 

 

Quella mattina il sole era caldo e il cielo limpido. Emily faceva colazione nel suo appartamento e, dalla finestra della cucina, riusciva a vedere i cadetti più giovani che si allenavano all’aria aperta. Normalmente gli agenti senza familiari vivevano nei dormitori del quartier generale dell’Organizzazione, mentre a Emily era stato permesso di vivere nell’appartamento in cui era cresciuta con i suoi genitori e suo fratello, tutti agenti come lei, nonostante fosse rimasta sola dopo la morte dei suoi genitori e la fuga di suo fratello, che, dopo anni, risultava ancora scomparso. Per un certo periodo aveva vissuto con lei Chris, che invece viveva al quartier generale, e a volte capitava ancora che si fermasse a dormire da lei, rigorosamente sul divano. Capitava al rientro di missioni complesse o quando uno dei due non voleva rimanere solo. Negli ultimi tempi, Emily raggiungeva sempre più spesso Jake nella sua casa a Big Town, ma di tanto in tanto sentiva l’esigenza di tornare nel suo appartamento e stare un po’ per conto suo.  

Poco dopo essersi svegliata, Emily aveva chiamato Chris, che era arrivato portando le brioches calde e poi si era messo a leggere un quotidiano.  

-Stavo pensando,- iniziò Emily, mentre pescava una delle brioches dal sacchetto, - che magari Emma Ryan non si è infiltrata nel sistema illegalmente- 

Chris alzò gli occhi del giornale e guardò Emily con aria interrogativa. 

-Di che stai parlando?- 

-Delle foto del satellite! Dei server della CIA!- esclamò lei, con tono ovvio. 

Chris sospirò e chiuse il giornale, posandolo sul tavolo della cucina. -Forse, considerata la tua condizione, dovresti mettere da parte il caso di Emma Ryan per un po’- 

-Pensi che una gravidanza possa crearmi difficoltà?- ringhiò Emily, scocciata. 

-No, mi hai frainteso- Chris corse subito ai ripari. -Non intendevo quello-  

-E cosa intendevi dire?- sbuffò Emily, prendendo una seconda brioches dal sacchetto. 

-Che,- iniziò lui, inclinando la testa e cercando accuratamente le parole giuste, -dovresti avere altre priorità, al momento- 

-Senti Chris, sai bene quanto me che il mio utero è ostile- rispose Emily, tagliando corto. -Ho già perso un bambino anni fa, lo sai, e potrei perdere anche questo. Non voglio avere troppe aspettative per adesso-  

Chris non commentò, distogliendo lo sguardo. 

Emily, infatti, era già rimasta incinta una volta, quando era molto giovane, poco tempo prima di conoscere Jake, ma le cose erano andate male: aveva perso il bambino e l’uomo con cui aveva una relazione era fuggito dall’Organizzazione, lasciando sola Emily. Per lei era stato faticoso cominciare una nuova relazione e, se non fosse capitato in quel modo, probabilmente non avrebbe cercato una gravidanza con Jake. Quando aveva scoperto di essere nuovamente incinta aveva riflettuto per qualche giorno sulla possibilità di non proseguire la gravidanza, ma poi aveva deciso di portarla avanti. Amava Jake, voleva stare con lui e forse era il loro destino avere quel bambino, magari lontano dall’Organizzazione. Non voleva, però, crearsi troppe aspettative. 

Notò che Chris la guardava con uno sguardo strano, quasi malinconico. Emily sapeva che anche lui avrebbe voluto avere una famiglia numerosa, al di fuori dell’Organizzazione, anche se non aveva mai realmente considerato di iniziare una vita lontano dall’Organizzazione, dov’era cresciuto. Era il suo mondo. Nel profondo, però, Emily lo sapeva bene, desiderava cambiare vita, avrebbe voluto avere un’occasione nel mondo reale. 

Entrambi erano ben consapevoli che non sarebbe stato tanto semplice uscire dall’Organizzazione. Era un sistema poco incline ad aprirsi verso l’esterno e gli alti dirigenti erano molto gelosi dei segreti dell’agenzia; non erano nemmeno viste di buon occhio le relazioni con agenti di altre agenzie o con i civili, anche se formalmente non erano vietate.  

Ad Emily piaceva il suo lavoro, ed era stata fortunata. I figli di agenti, nati e cresciuti all’interno dell’Organizzazione, spesso sentivano l’obbligo di seguire la strada percorsa dai genitori, escludendo a priori la possibilità di cambiare vita e accettando a malincuore di diventare agenti a loro volta. In questi casi, inevitabilmente l’esito era drammatico: qualcuno a un certo punto cercava di fuggire, altri si toglievano la vita. Nel migliore dei casi finivano ammazzati in missione. Quelli che riuscivano a resistere spesso finivano per isolarsi dal resto dell’organizzazione. Emily temeva che se avesse avuto dei figli mentre lavorava ancora per l’organizzazione, li avrebbe inevitabilmente condannati a una vita triste e dolorosa.  

Ripensò a Logan, suo fratello, che non aveva mai trovato il suo posto nell'Organizzazione, e si ricordò come era stato negli ultimi tempi, prima che sparisse.  

I fantasmi che aveva richiamato Emily con le sue parole, ricordando a entrambi avvenimenti che pensavano di aver superato e metabolizzato, sembravano riempire la stanza, ingombranti. I due agenti erano immersi nei loro pensieri, con la mente che era tornata indietro negli anni, quando alcuni dei loro amici e familiari erano ancora vivi. Per entrambi erano ricordi ancora molto dolorosi. 

Emily agitò una mano davanti al viso di Chris, come se sapesse che entrambi stavano pensando alla stessa cosa, nel tentativo di scacciare quei brutti pensieri. 

-Tornando a quello che ti stavo dicendo,- fece, sedendosi vicino a lui, -ho pensato che non abbiamo mai valutato la possibilità che in realtà non abbia avuto bisogno di violare il sistema della CIA, perché semplicemente ha l’accesso autorizzato-  

Chris la guardò serio. -Molte agenzie governative, e anche non governative come noi, hanno i permessi per accedere ad alcuni sistemi informatici di altre agenzie, per consultare database ad esempio- 

-Esattamente. In questo caso sarebbe possibile spiegare perché i nostri analisti non hanno rilevato alcun segno di violazione, almeno non da parte di soggetti non autorizzati, e...- 

-… e se avesse forzato il sistema dall’interno, potrebbe aver nascosto più facilmente le sue tracce- concluse Chris, annuendo. 

-È così che ha caricato le immagini modificate del satellite- 

-Si, sarebbe sufficiente un’autorizzazione di alto livello- 

Emily respirò a fondo. Avevano finalmente scoperto un dettaglio fondamentale, ma sapeva che in realtà era un dettaglio che li aiutava soltanto in parte. 

-Stai pensando che c'è sia la possibilità che lavori per una di queste agenzie, o...- iniziò Chris. 

-… o che invece abbia violato uno degli altri sistemi, accedendo poi a quello della CIA usando le loro autorizzazioni- 

Si guardarono in silenzio.  

-Dobbiamo parlarne con Evans subito, è importante indagare in entrambe le direzioni- 

Il cervello di Emily pensava veloce, ragionando su come sfruttare l’occasione che si era presentata. Forse Emma Ryan aveva fatto un errore ed Emily sapeva che non potevano commettere errori. 

 

~ 

 

Quando l’ennesima risata forzata si alzò dalla platea dopo l’ultima battuta squallida e sessista del Senatore Owens dello Stato di New York, Emily, seduta a uno dei tavoli circolari presenti nella sala, prese in mano il leggero calice di cristallo colmo di vino bianco e lo avvicinò alle labbra. Pensò che quella sera avrebbe preferito sorbirsi una qualche noiosa riunione su nuovi protocolli di sicurezza stilati da qualche Capo Squadra dell’Organizzazione, piuttosto che continuare ad ascoltare il Senatore rendersi ancora più ridicolo sul palco. Inoltre, aveva dovuto indossare un abito da sera color rosa antico che trovava molto scomodo, abituata com’era a indossare sempre la comoda uniforme dell’Organizzazione. Senza un’arma a portata, infine, si sentiva piuttosto irrequieta. Avrebbe voluto portare con sé anche solo un piccolo revolver da nascondere nella discreta pochette abbinata all’abito, ma Jake aveva protestato ed Emily si era arresa, suo malgrado, e si era presentata all’evento disarmata. 

Prima di riuscire a bere anche solo un sorso di vino, Jake, seduto di fianco a lei in un elegante completo nero, le sfilò il bicchiere dalle mani. 

-Sai che non puoi- le disse. 

Emily sbuffò. -È meno dannoso di quanto tu possa immaginare- 

-Come no-  

-La cerimonia è davvero noiosa- mormorò poi lei, mentre Jake posava il calice lontano dalla sua portata. 

Lui le diede un leggero bacio su una guancia. -Non durerà ancora molto. Tra poco faranno vedere il video commemorativo e poi potremo andarcene- 

Emily sospirò e prese il cellulare dalla borsetta. Chris, impegnato alla festa della sua quasi-ragazza Will, le aveva già scritto disperato tre messaggi: si stava annoiando quasi quanto lei. Lei sorrise e gli rispose cercando di consolarlo, erano nella medesima situazione. 

Finalmente il Senatore finì il suo imbarazzante discorso e sul palco salì il vicedirettore dell’FBI, che iniziò con il ringraziare alcuni colleghi, per poi ringraziare le altre agenzie, con chiaro riferimento all’Organizzazione, che negli anni li avevano supportati e con cui avevano collaborato, risolvendo brillantemente decine di casi e salvando migliaia di vite. 

Emily lanciò un’occhiata al Direttore, seduto al suo tavolo insieme ad altri dirigenti dell’Organizzazione e al suo responsabile Evans. Si chiese se anche loro stavano pensando ciò che passava per la testa di Emily, cioè che nessuno in quella sala, oltre alle persone sedute a quel tavolo, avesse davvero idea di ciò che significasse il lavoro svolto dagli agenti dell’Organizzazione, così intrecciato alle loro vite personali e spesso colmo di sacrifici e scelte difficili con cui fare i conti a fine giornata. 

Dopo qualche istante, le luci della sala si spensero e iniziò la proiezione del video commemorativo, in cui si susseguivano immagini e riprese video di agenti caduti mentre prestavano servizio al loro Paese. Alcune foto mostravano anche gli agenti in momenti privati della loro vita, insieme ad amici e familiari, figli e fidanzate.  

Emily percepì una stretta allo stomaco quando riconobbe uno degli agenti, Alex Jones, che aveva collaborato con lei al caso di Emma Ryan ed era stato ucciso da lei in persona. Era stato un grande amico di Jake, che era rimasto in contatto con la famiglia. Emily gli strinse forte la mano. 

Al termine del video, dalla platea si alzò un forte e sentito applauso.  

Jake si alzò dalla sedia e fece cenno a Emily di seguirlo, senza lasciare la sua mano.  

Ignorando gli sguardi interrogativi delle persone sedute al loro tavolo, Emily seguì il suo fidanzato fuori dalla sala. 

Superata una porta frangi fuoco, Jake si fermò. 

-Stai bene?- gli chiese Emily, accarezzandogli una guancia. 

-Dobbiamo parlare- 

-Di cosa? Ti ascolto- 

Jake prese un lungo respiro. -Noi avremo un bambino- 

Emily lo guardò confusa. -Si, Jake, lo avremo-. Non capiva dove Jake volesse arrivare. 

Lui le afferrò entrambe le mani e le strinse forte. 

-Ho visto la foto di Alex che è morto mentre faceva quello che noi facciamo tutti i giorni- 

-Si, ma...- 

-Aspetta!- esclamò Jake, -Fammi finire. Potevo esserci io al suo posto, avrebbe potuto esserci la mia foto in quel video- 

-Ma non è così- gli disse dolcemente Emily, accarezzandogli ancora il viso. -Sei vivo, siamo vivi- 

-Lo so, e potrei morire domani o tra settant’anni, ma adesso sono vivo e ti amo e voglio stare con te per il resto della mia vita. Dimmi che lo vuoi anche tu- 

Quella dichiarazione così sincera e spontanea aveva sorpreso Emily, sempre cauta e ragionata anche quando si trattava dei suoi sentimenti. Si ricordò come nessuno, da ormai troppo temo, era riuscita a renderla felice come ci riusciva Jake, nonostante tutto. Dopo tanta tristezza era arrivato lui.  

Jake si inginocchiò ai piedi di Emily, sfilando dalla tasca una scatolina di velluto nero. -Emily Lennox, mi vuoi sposare?- 

 

X 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

Will accarezzò la schiena nuda di Chris, e lui si voltò a guardarla. 

Si trovavano nella stanza del ragazzo, nudi sul letto, con un lenzuolo a coprirli.  

Chris l’aveva convocata nella sua camera per darle le ultime indicazioni prima della sua partenza e poi erano finiti a letto insieme. 

Will si sentiva molto felice in quel momento, aveva l’impressione che lei e Chris si fossero ritrovati di nuovo e sperava che in quel momento il tempo si fermasse. 

-Parto tra tre ore- mormorò lui, prima di iniziare ad alzarsi dal letto.  

Lei lo trattenne con una mano, tirandolo verso sé. –Lo so. Vorrei rimanessi con me- 

Lui sospirò. Will notò che aveva uno sguardo strano. –C’è qualcosa che mi vuoi dire?- gli chiese, timorosa della risposta. 

Lui l’abbracciò. –Pensavo che se… tra me e te… anche questa volta non funziona… non so, forse sarebbe il caso di smettere di provarci- 

Lei boccheggiò, non si aspettava che sarebbe stato così diretto nel parlarle. Sapeva che le cose non stavano andando bene tra di loro e che lui era stanco, sapeva che lui era esasperato dal suo comportamento nelle ultime settimane e che entrambi erano consci che sui sentimenti di Will per Avery fossero più reali di quanto lei volesse ammettere. Ma nonostante tutto, quelle parole la ferirono. 

Non rispose nulla, mentre Chris le accarezzava un fianco, lo sguardo perso nel vuoto. 

Will avrebbe voluto chiedergli sé stesse pensando a Vivienne in quel momento, se avesse voluto lei al suo posto. Avrebbe pagato qualsiasi cifra per conoscere i suoi pensieri, per sapere se avrebbe dato per davvero un’ultima occasione alla loro storia o se tutto era già andato perso. 

-Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me- disse lui improvvisamente.  

-Certo- rispose Will, con un filo di voce. 

-È una cosa importante. Ho bisogno che tu tenga al sicuro il fascicolo di Emily sul caso Emma Ryan, in questi giorni che siamo via- 

Lei annuì. –Certo. Sono in gamba, lo sai- 

-Si. Mi fido ancora di te, nonostante tutto-  

Nonostante tutto. Will sapeva che si stava riferendo proprio ad Avery. –Non ti ho mai tradito-  

-Lo so-  

Will si alzò dal letto e andò in bagno per darsi una rinfrescata. Quando tornò nella camera da letto, Chris aveva già indossato il pigiama. Vicino alla porta era già pronto il borsone con cui sarebbe partito.  

-Puoi stare qui in camera mia, in questi giorni- 

Lui la abbracciò e poi le diede un bacio sulle labbra. 

-Buon viaggio e in bocca al lupo- 

-Ci vediamo quando torno- 

 

˜ 

 

Quando Vivienne aveva saputo che Chris ed Emily sarebbero stati assenti dal quartier generale per qualche giorno a causa di una missione all’estero, aveva capito che non si sarebbe presentata un’altra occasione del genere per mettere in atto il suo piano. Per lei era evidente come anche l’universo avesse sposato la sua causa e le stesse offrendo la circostanza perfetta per mettere le mani sul fascicolo di Emma Ryan. 

La mattina della partenza, Chris era passato a salutarla e a spiegarle come si erano organizzati per la sua sicurezza. Jake l’avrebbe accompagnata al campus e Avery avrebbe coperto anche i turni di Chris, rimanendo con lei per tutto il tempo che avrebbe passato al quartier generale. 

Nel vedere Chris allontanarsi da lei, con il suo borsone scuro a tracolla e il suo sorriso, caldo e determinato, stampato in faccia, aveva provato una leggera sensazione di ansia e preoccupazione. Non si era informata circa la natura della missione e l’idea di saperlo lontano da lei migliaia di chilometri la rendeva nervosa, non solo perché David Cooper era ancora a piede libero.  

Si distraeva dall’analizzare gli strani sentimenti che nutriva nei confronti di Chris soltanto quando iniziava a pensare al piano per ottenere il fascicolo. 

Aveva pensato a tutti i particolari e si era preparata per giorni, studiando percorsi e strategie. 

Sapeva che gli ostacoli maggiori sarebbero stati due: liberarsi dal controllo di Avery e Will e riuscire a entrare nell’ufficio di Emily senza attirare l’attenzione di tutti gli agenti dell’Organizzazione. 

Aveva deciso di entrare in azione lo stesso giorno della partenza di Chris ed Emily e originariamente il piano prevedeva che Vivienne facesse irruzione solo nell’ufficio di Emilyforzandone la serratura, dove sapeva essere conservato il fascicolo e dove si trovava la bacheca, ma quella stessa mattina, mentre Vivienne era a colazione con Avery, aveva sentito Will vantarsi perché Emily in persona le aveva affidato il fascicolo del caso Emma Ryan. Dovette quindi cambiare strategia, il piano si era complicato. Non solo sarebbe dovuta entrare nell’ufficio di Emily, ma avrebbe anche dovuto introdursi nella stanza di Chris. Poi si ricordò che, per pura coincidenza, lei era a conoscenza del codice di ingresso della sua stanza perché era stato lui stesso a comunicarglielo, una sera in cui, rientrando da una passeggiata nel parco artificiale, erano passati dalla stanza di Chris a prendere un libro. Lui le aveva rivelato il codice e le aveva detto che poteva andare in quella camera ogni volta che ne sentisse il bisogno. Vivienne sentì di avere un gran vantaggio dalla sua parte. 

Era consapevole che qualcuno si sarebbe arrabbiato, e anche tanto, se non fosse riuscita a riportare il fascicolo nella stanza di Chris prima del suo rientro. Vivienne sapeva che non avrebbe avuto tempo di leggere il fascicolo senza portarlo fuori dalla stanza, quindi avrebbe dovuto restituirlo nel giro di qualche ora. Sapeva che, se fosse stata scoperta, avrebbe messo nei guai Avery e Will, ma era pronta a prendersene la responsabilità e ad accettarne le conseguenze. 

Negli ultimi giorni aveva osservato con grande attenzione le misure di sicurezza interne al quartier generale: c’erano telecamere a ogni angolo, ad eccezione dell’area interna dei dormitori dove gli agenti potevano godere di un po’ di privacy, e, quando si passava da un’area all’altra, come dall’area comune in cui si trovavano mensa, biblioteca e salottini relax, all’area uffici, era necessario inserire un codice d’accesso. Vivienne sapeva bene che i codici venivano cambiati spesso, lo aveva imparato il primo giorno che aveva messo piede nel quartier generale. Aveva anche capito come aggirare il problema. 

Il piano prese forma proprio in mensa, durante la colazione. Aveva sfruttato il momento di gloria di Will, che aveva attirato l’attenzione dei suoi giovani colleghi, tra cui Avery, tessendo le proprie lodi con poca umiltà, per sottrarre il cercapersone al ragazzo. Sapeva che era così che gli agenti ricevevano i codici aggiornati e sapeva che il prossimo aggiornamento ci sarebbe stato tra meno di un paio d’ore. In quel lasso di tempo avrebbe dovuto scaricare con successo Avery e Will e sperava che ciò che aveva escogitato funzionasse.  

Mentre si dirigevano verso la stanza di Vivienne, al termine della colazione, lei finse di star male. Teatralmente corse in bagno, tenendosi la pancia con una mano, fingendo di vomitare tutto ciò che aveva mangiato.  

Chiese a Will di portarle una tisana calda e si accucciò nel letto sotto le coperte.  

-Non puoi andare a lezione se stai così- osservò Avery. Dunque chiamò Jake e gli spiegò la situazione, dicendogli che quel giorno non avrebbe dovuto accompagnare Vivienne al campus. 

-Sta proprio male, eh?- commentò Will, portandole la tisana. 

-Vuoi vedere un medico?- chiese Avery, tastandole la fronte. 

-Oh no, tranquilli, probabilmente non ho digerito le uova 

A Will trillò il telefono. -Cavolo hanno messo proprio oggi il corso di aggiornamento per il protocollo delle missioni di estrazione e salvataggio!- si lamentò, consultando qualcosa al cellulare. –Chissà quando faranno il prossimo, senza questo stupido corso abbiamo le missioni bloccate- 

Vivienne capì che ormai non si trattava più di coincidenze, era davvero destino che lei portasse a termine la sua missione. Alzò la testa, fingendo che fosse un gran fatica per lei. –Andate pure al corso, non c’è bisogno che rimaniate qui… Credo vomiterò ancora un po’- 

-Per me va bene- disse subito Will. 

Vivienne immaginò che non vedesse l’ora di passare un po’ di tempo da sola con Avery. Lui, al contrario, non sembrava molto incline a lasciarla sola in camera. 

-Senti, per me non è un problema, posso seguire il corso un’altra volta- 

Vivienne scosse la testa. –Rimarrò qui, non credo che oltre al vomito possa succedermi altro. Davvero-  

-Dai Avery, siamo già in ritardo. Non può andare da nessuna parte comunque- 

Lui sospirò. 

-Va bene. Se hai bisogno chiamami, ok?- 

Lei sorrise e annuì. 

Will e Avery uscirono dalla sua stanza e lei attese qualche minuto prima di alzarsi. Si cambiò d’abito, indossando pantaloni e felpa neri, in modo da mescolarsi con agenti e inservienti del quartier generale. Prima di uscire dalla stanza ripassò mentalmente il percorso che avrebbe dovuto fare. La sua stanza si trovava al piano terra, mentre il dormitorio degli agenti si trovava al terzo piano. Doveva evitare gli ascensori, dove avrebbe potuto trovarsi faccia a faccia con altri agenti che stavano seguendo il suo caso, anche se era abbastanza sicura che bene o male fossero tutti fuori dal quartier generale a cercare David Cooper. Una volta superato il varco dell’area dormitori, toccava entrare nella stanza di Chris e prendere il fascicolo. Poi sarebbe dovuta andare nell’ufficio di Emily, che si trovava al terzo piano sotterraneo, il terzo livello. Non era sicura che sarebbe riuscita a forzare con successo la serratura sella porta dell’ufficio, ma ci doveva provare. Tempo prima aveva frequentato un ragazzo che aveva avuto qualche problema con le forze dell’ordine e le aveva insegnato qualche trucco per aprire serrature con l’ausilio di una forcina per i capelli e una carta di credito.  

Con tutto l’occorrente in tasca, Vivienne uscì finalmente dalla stanza.  

Sapeva che Avery si sarebbe accorto che era senza cercapersone quando Will e gli altri suoi colleghi avrebbero ricevuto i codici di ingresso aggiornati, pertanto non aveva molto tempo per agire. Temeva tornasse a cercarlo nella sua camera. 

Vivienne arrivò davanti all’ingresso dell’area dormitori e attese pazientemente per qualche minuto i codici aggiornati, che poi memorizzò. Come aveva previsto, il dormitorio era semideserto, nessuno fece caso a lei. Entrò nella stanza di Chris inserendo il codice che lui le aveva comunicato tempo prima, che, come Vivienne si aspettava, era ancora valido.  

La camera era molto più spaziosa e luminosa di quella di Vivienne, anche se arredata allo stesso modo con mobili molto spartani e anonimi; era, però, dotata di una piccola cucina con tavolo da pranzo. Fu molto semplice per lei trovare il fascicolo che cercava, aperto sulla scrivania. Lei non si aspettava fosse così voluminoso, conteneva decine di documenti e fotografie. Raccolse tutto accuratamente e lo nascose sotto la felpa. Sapeva quanto fosse prezioso e non voleva combinare guai, voleva solo darci un’occhiata. Aveva valutato se consultarlo lì per non portarlo via, ma temeva che Avery e Will potessero tornare indietro da un momento all'altro e proprio non voleva rischiare che non la trovassero in camera sua.  

Prima di uscire dalla stanza di Chris, diede un’ultima veloce occhiata in giro e la sua attenzione fu catturata da un piattino, posato in centro al tavolo da pranzo, su cui erano raccolte delle chiavi. Si avvicinò e guardò meglio: c’erano almeno tre mazzi di chiavi e uno di questi aveva un piccolo portachiavi a forma di lettera E. Vivienne capì subito che quello era davvero il suo giorno fortunato. 

Afferrò il mazzo di chiavi e uscì dalla stanza, controllando che nel corridoio non ci fosse nessuno, e si diresse verso l’ufficio di Emily.  

Sentiva il cuore battere veloce e le tempie pulsare. Fino a quel momento il piano stava funzionando come aveva previsto, anche meglio di quanto si aspettasse. 

Scese al terzo livello sotterraneo e, per entrare nell’area degli uffici, attese l’ingresso di un gruppetto di giovani agenti che non fecero tanto caso a lei. Individuò l’ufficio di Emily perché vicino a ogni porta c’era una targhetta con il nome della persona che occupava la stanza. Tirò fuori il mazzo di chiavi e ne provò diverse prima di trovare la chiave giusta. 

Sentì l’euforia crescere in lei mentre varcava la soglia. 

Prese il cellulare e scattò diverse foto alla bacheca. Non poteva credere alla quantità di informazioni raccolte con cura su quella parete. Dopo qualche minuto, aveva terminato. Attese che il corridoio fosse deserto e poi tornò nella sua stanza. 

Mentre risaliva le scale, abbandonò il cercapersone di Avery su un pianerottolo. Non poteva rischiare che lo trovassero in camera sua, e, se aveva valutato correttamente i tempi, non ne avrebbe più avuto bisogno, bastava tornare nel dormitorio di Chris prima che i codici di ingresso cambiassero nuovamente. 

Tornò in camera sua e si cambiò, nascondendo felpa e pantaloni sotto al letto e si mise a sfogliare il fascicolo, impaziente di capire se ci fosse un collegamento fra il suo caso e quello di Emma Ryan. Forse avrebbe finalmente trovato una ragione valida che desse un senso a quella condizione di prigionia. 

Improvvisamente, però, sentì in lontananza la voce di Will.  

Con una stretta allo stomaco capì che lei ed Avery stavano arrivando e nascose rapidamente il fascicolo sotto le coperte, insieme a lei, con il cuore che batteva forte. Decise di fingere di dormire. 

Dopo qualche istante i due agenti entrarono nella stanza, silenziosamente. Vivienne strinse forte gli occhi, sperando che non capissero che in realtà era sveglia. 

-Prova a cercarlo qui- sentì Will sussurrare. 

Capì che erano alla ricerca del cercapersone di Avery. Si sentì un po’ in colpa per averglielo sottratto, ma poi pensò che qualcuno lo avrebbe ritrovato e glielo avrebbe restituito. 

-Non lo vedo da nessuna parte- 

-Magari lo hai lasciato in stanza, nel dormitorio-  

Senza aggiungere altro, uscirono dalla stanza. 

Accoccolata sotto le coperte, Vivienne aprì gli occhi e realizzò che, con quei due in giro per il dormitorio, non avrebbe più avuto modo di rimettere al fascicolo al suo posto. 

 

~ 

17.35 

Chris sarebbe rientrato il mattino dopo e Will era letteralmente disperata. Rientrando in camera del suo ragazzo dopo cena, si era accorta che il fascicolo di Emily sul caso Emma Ryan era sparito. Lo aveva lasciato sulla scrivania della camera di Chris e non lo aveva più trovato. Qualcuno lo aveva rubato, ma Will non aveva trovato alcuna traccia, non c’erano segni di scasso, e non si spiegava come fosse possibile. Credeva che oltre a lei nessun altro fosse a conoscenza del codice di accesso alla camera e non riusciva nemmeno a capire perché qualcuno avrebbe dovuto rubare quei documenti.  

All'interno dell’Organizzazione tutti erano a conoscenza dell’importanza di quel fascicolo per Emile di quanto lei diventasse pericolosa, quando si arrabbiava. 

E Will sapeva che Emily non si sarebbe semplicemente arrabbiata con lei, le avrebbe inflitto la peggiore delle punizioni.  

Doveva riuscire a recuperare i fascicoli prima del suo rientro ma il panico che l’aveva assalita non le permetteva di pensare lucidamente.  

Era stata addestrata per lavorare e ragionare in situazioni dove sarebbe stata sottoposta a pressioni altissime, ma in quel momento voleva solo piangere e desiderava che fosse soltanto un incubo.  

Avery aveva cercato di consolarla e le aveva dato una mano a cercare il fascicolo, ma anche lui non aveva trovato nulla. Tra le sue braccia, Will aveva pianto tanto, sfogando tutti i problemi che si era tenuta dentro per troppo tempo, a partire dalla sua disastrata situazione familiare, passando per le strigliate di Evans, fino ad arrivare a i problemi con Chris. 

Avevano pensato di richiedere a Evans un’autorizzazione speciale per poter dare un’occhiata ai video delle telecamere di sicurezza poste all’ingresso del dormitorio, ma non volevano svelare a Evans di aver perso il fascicolo di uno dei casi più importanti e complessi di sempre. Inoltre, pensavano che quelle registrazioni non li avrebbero aiutati granché, chiunque entrava in quell’area e non avevano nemmeno un’idea precisa del quando il furto fosse stato commesso, non avrebbe aiutato a restringere i sospetti. 

Il senso di delusione che le attanagliava lo stomaco per aver disatteso un compito così importante non le aveva permesso di dormire, e sapeva che avrebbe trascorso un’altra notte in bianco. 

Lei e Avery avevano richiesto a un altro agente di occuparsi della sorveglianza di Vivienne, mentre studiavano una strategia per uscire da quel casino. 

-Comunque non credo sia l’unica copia- fece lui, mentre si trovavano nella stanza di Chris e la mettevano soqquadro per l’ennesima volta. 

-Certo che è l’unica copia-  

-Ma poi perché qualcuno avrebbe dovuto rubarlo? Stiamo parlando di Emily Lennox, soltanto un pazzo lo farebbe- 

Will, ormai esausta, alzò le spalle. -Magari per rallentare l’indagine. Tanta gente la invidia- 

Poi, come se fosse stata colpita da un’illuminazione, si bloccò. -E se fosse un modo per colpire me?-. Si sedette sul letto. -Avrebbe senso, no?- 

Lui sorrise, come se Will gli facesse tenerezza. -Non credo proprio, sai...- 

-E invece ha senso!- esclamò lei, balzando in piedi. -La gente sa che sto con Chris e che Emily mi ha affidato il fascicolo, magari è per screditarmi- 

Lui la guardò con freddezza. -Guarda che non sei il centro del mondo- 

Quell’affermazione pronunciata con un tono così duro, ferì Will. Gli occhi si riempirono di lacrime, nuovamente. 

Avery, dispiaciuto, le si avvicinò e l’abbracciò. 

Will percepì le sue braccia come un posto caldo e confortante, avrebbe voluto che lui non si allontanasse da lei e che continuasse a stringerla a sé. 

Tutto quello che le stava succedendo le sembrava la fine del mondo, ma, aggrappata ad Avery, le sembrò meno peggio di quanto in realtà non fosse. 


*To be continued* 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9 

 

Quando Vivienne aveva letto “Belford Clinic” sui documenti del fascicolo di Emily su caso Emma Ryan, circa la famosa clinica psichiatrica in cui aveva presumibilmente lavorato la criminale, aveva sentito un tuffo al cuore e una forte delusione l’aveva travolta, ancora animata dalla speranza di trovare un collegamento tra David Cooper e il caso di Emma Ryan. 

Qualche giorno prima, infatti, grazie a suo fratello Bentley, aveva scoperto che David Cooper era stato ricoverato al “Bellevue Hospital”, in Pennsylvania, e i nomi non coincidevano. Prima ancora, l’ospedale era stato dedicato a un ricco finanziatore privato, un certo Vanderberg. Era stato ribattezzato come “Bellevue Hospital” dopo che la polizia aveva arrestato il finanziatore per corruzione ed evasione fiscale. Vivienne non fu molto sorpresa nello scoprire che era un vecchio collaboratore di suo nonno. 

Nonostante ogni ricerca le sembrasse un buco nell’acqua, Vivienne non voleva darsi per vinta: sentiva che la sua intuizione era corretta, ne era certa. 

Iniziò a fare ricerche su google con il suo cellulare, sembrava che quella clinica non esistesse nemmeno. Aveva trovato tanti articoli sull’ospedale e su David Cooper, ma nulla che lo collegasse ad Emma Ryan.  

Dopo l’ennesimo articolo pieno di informazioni che a Vivienne non servivano, ormai presa dalla rabbia, si imbatté in un vecchio blog in cui veniva nominata la Belford Clinc 

 

Dopo il devastante incendio che ha distrutto l’ala nord della Berford Clinic nel Luglio del 2007, finalmente Domenica 8 Settembre 2009 è stato inaugurato il nuovo “Vanderberg Institute”, che gode di reparti con apparecchiature moderne e avanzate. Grazie a ingenti investimenti pubblici e donazioni private, infatti, è stato possibile.... 

 

Vivienne, senza fiato, dovette rileggere più volte quell’articolo per realizzare ciò che aveva scoperto.  

Aveva ragione. Aveva capito tutto. 

Euforica iniziò a saltellare per la sua stanza. 

Nessuno aveva trovato corrispondenza tra Belford Clinic e Bellevue Hospital perché di mezzo c’era stato lo scandalo del ricco finanziatore evasore di tasse e corruttore e tutta la vicenda era stata insabbiata.  

Inoltre, Vivienne era sicura che nessuno avesse davvero verificato se ci fosse un collegamento: nei giorni precedenti lei aveva insistito tanto con Chris, e quando riusciva a incrociarla anche con Emily, ed era sempre stata liquidata con un “verificheremo, tranquilla”, ma in realtà nessuno si era preso la briga di farlo per davvero.  

Continuava a non capire ancora tante cose, come ad esempio il perché Emma Ryan avrebbe dovuto aiutare David Cooper a uccidere proprio lei, Vivienne Shepard, e non aveva trovato dei documenti che dimostrassero che si fossero davvero incontrati in quella clinica, ma pensava che non potesse essere tutto un caso. 

Non pensava che per coincidenza, una psicopatica assassina e un serial killer avessero frequentato lo stesso reparto psichiatrico e che, sempre per una fortuita coincidenza, fosse proprio l’Organizzazione a occuparsi di entrambi i casi. Vivienne era finita in mezzo a quella storia e non le rimaneva che capire se ne fosse l’obiettivo o una semplice pedina. 

Iniziò a pensare che forse fosse per via della sua famiglia, degli affari dei suoi nonni. Sapeva benissimo che non tutti i business della Shepard Corporation fossero legali, non conosceva i dettagli ma negli anni non le era mai stata nascosta la natura non convenzionale e fuori legge delle attività di famiglia. 

Pensò che forse Emma volesse la sua morte perché i nonni le avevano pestato i piedi. 

Le sue ipotesi si fecero ancora più solide nella sua mente quando scoprì che il giorno dopo il suo arrivo a Seattle, anche Emma Ryan era stata avvistata in quella città. Non poteva essere un caso, tutto era collegato. 

Non vedeva l’ora che Chris ed Emily rientrassero per condividere con loro quello che aveva scoperto e per sbattergli in faccia quanto fossero inefficienti e ottusi.  

Avrebbe inesorabilmente cacciato Avery e Will nei guai e un po’ era dispiaciuta per il ragazzo, ma in fondo anche lui non aveva dato ascolto alle sue considerazioni.  

L’unica persona che le aveva sempre dato ascolto era suo fratello Bentley, che l’aveva anche aiutata molto con le ricerche.  

La mattina dopo il furto del fascicolo, qualche ora prima del rientro di Chris ed Emily, Vivienne si stava recando al campus con Jake, ed era al telefono proprio con suo fratello. 

“Non riesco a trovare un tubo di niente, è tutto secretato” 

-Niente?- sbuffò Vivienne, impaziente. 

Jake le lanciò uno sguardo interrogativo. Lei scosse la testa, come a dirgli di non preoccuparsi.  

Non poteva parlare liberamente con suo fratello per non rischiare di far riferimento al furto del fascicolo, ma il viaggio in macchina era l’unico momento in cu era certa che nessuno ascoltasse le sue conversazioni. Inoltre, aveva ottenuto, mediante l’intervento dei nonni, che il telefono con cui poteva contattare esclusivamente la sua famiglia non fosse sottoposto a intercettazioni, pertanto le conversazioni rimanevano private. 

-E per l’altra questione?- 

Vivienne aveva chiesto a suo fratello di fare qualche indagine aggiuntiva sul passato di Emma Ryan dopo aver consultato il fascicolo di Emily, alcuni punti, infatti, le erano parsi poco esaustivi.  

“Niente che non sapessi già. Solo una cosa un po’ particolare, in realtà... Ma non credo sia importante” 

-E cioè?- 

“Beh, c’è stato quel caso, dove l’Organizzazione ha fatto fuori i tre complici della Ryan... La ragazza rapita è finita nel programma protezione testimoni dell’FBI...” 

-Si, lo so- 

“Fammi finire! Allora, beh, dopo qualche anno è riuscita a scappare dal programma. L’hanno cercata per mesi, hanno scoperto che era diventata una sorta di hacker, poi...” 

-Non sto capendo cosa c’entri con me- 

Viv, giuro che se mi interrompi ancora ti chiudo il telefono in faccia. Stavo dicendo: è diventata una hacker e ha chiesto di uscire dal programma di protezione. Hanno acconsentito soltanto perché è rimasta nel loro radar, partecipa ai loro eventi e altre cose. E adesso, in gran segreto, l'FBI non lo sa, lavora per una società sommersa, diciamo, una rete di sicari” 

-Che cosa?!- 

Jake si voltò a guardarla nuovamente, con sguardo interrogativo. 

-Bentley mi sta raccontando dell’ultima festa a casa dei nonni- inventò Vivienne, maledicendosi per non essere capace di trattenere le sue imprecazioni. 

“Hai detto bene, c’entrano anche i nonni in tutto questo. La società per cui lavora, RDM Inc, ha contratti attivi con la Shep Corp. Ho trovato tutto nell’archivio a casa dei nonni, e credo ci siano stati anche dei contatti recenti, penso che il nonno avesse proposto anche a loro di occuparsi della tua protezione, ma hanno rifiutato... e alla fine il contratto è stato stipulato con l’Organizzazione” 

Vivienne sospirò. -È tutto molto interessante, ma non vedo come possa aiutare la mia causa- 

“Beh forse non c’entra nulla, ma era un po’ strano, per questo ho fatto qualche ricerca in più. Questa Cece Wilson ha del fegato se ha rifiutato un’offerta del nonno” 

-Come hai detto? Cece Wilson?- 

-Cece Wilson? Con una figlia di nome Casey?- 

Vivienne guardò intimorita Jake, che le aveva posto quella domanda, temendo che potesse aver capito l’argomento della telefonata con Bentley. 

Deglutì. -Non saprei, è una collega di mia madre- inventò, sperando di risultare credibile. 

“No, dalla sua scheda non risultano figli” 

-Bentley dice che non ha figli- aggiunse rapidamente Vivienne, desiderando che Jake non volesse approfondire.  

Decise che forse sarebbe stato meglio non rischiare ulteriormente di essere scoperta e salutò suo fratello. 

Era però curiosa di sapere cosa stesse pensando Jake, assorto nei suoi pensieri. 

-Non starai pensando a questa donna del mistero, vero?- 

Lui sorrise, tristemente. -Di donne del mistero me ne basta una- 

 

˜ 

 

-Dai, stai scherzando- disse Chris, sorridendo.  

Era appena arrivato nella sua stanza, dopo il rientro dalla missione, e aveva trovato una Will molto scossa che aveva subito vuotato il sacco su quanto successo. 

Chris non aveva nemmeno avuto il tempo di posare il borsone, che continuava a rimanere saldamente appeso alla sua spalla. 

-Sono seria Chris- rispose Will, senza guardarlo negli occhi. 

Calò il silenzio per qualche istante. Lei alzò lentamente lo sguardo, terrorizzata dalla sua reazione. 

Chris lanciò uno sguardo alla scrivania e poi al tavolo da pranzo e capì che Will non stava scherzando. 

-No, non è possibile- fece, avvicinandosi alla scrivania. Non poteva credere ai suoi occhi.  

Iniziò, frenetico, ad aprire cassetti e mobiletti. 

-È inutile, non c’è- mormorò Will, sempre immobile. 

Lui sbatté un pugno sul tavolo da pranzo e lei sobbalzò. -Ma come cazzo è possibile? Come hai fatto a perderlo?- 

Will iniziò a piangere. -Io... Non lo so, quando sono rientrata non c’era e l’ho cercato ovunque, è stato rubato!- 

-Non lo sai..? Non lo sai?! Quel fascicolo conteneva anni di indagini! Anni di lavoro! E tu lo hai perso!- 

La ragazza sapeva di non avere scuse. Aveva sbandierato ai quattro venti il compito che le era stato assegnato e chiunque avesse già una mezza intenzione di appropriarsi del fascicolo aveva avuto la strada spianata. 

-È stato rubato ma non so come...- 

-Solo tu conoscevi la combinazione di questa stanza!- 

-Evidentemente no!- ruggì lei, con quel poco coraggio che le era rimasto in corpo. 

Chris la fulminò con lo sguardo, ma Will capì che forse non era così, forse c’erano altre persone che conoscevano il codice. Non voleva peggiorare la sua posizione, pertanto non gli chiese nulla, ma in un secondo momento avrebbe indagato, non si sarebbe fermata li. 

Chris prese il cellulare e compose velocemente un numero di telefono. -Devi venire immediatamente da me, è successo un casino-. Lanciò poi il cellulare sul letto e si rivolse a guardare Will. -Ti conviene sparire prima che arrivi Emily, vorrà la tua testa- 

Si fissarono per qualche istante in silenzio, lui con un’espressione dura e furiosa, lei mortificata e addolorata. Sapeva che Chris non l’aveva mai guardata in quel modo. Era già stato arrabbiato con lei prima d’ora, avevano litigato anche furiosamente, si erano insultati e feriti a vicenda, ma poi erano sempre riusciti a incollare i cocci e ad andare avanti insieme. 

Quella volta Will aveva capito che non ci sarebbero riusciti, ancor prima che Chris parlasse. 

-Devi andartene- le disse, quasi malinconico. -Non posso andare avanti così, basta- 

Will gli si avvicinò e gli diede un ultimo bacio sulle labbra, inumidito dalle sue lacrime. Poi prese la sua borsa e se ne andò dalla camera. 

Fu l’ultima volta che mise piede in quella stanza. 

 

˜ 

 

Quando Chris entrò con irruenza nella stanza di Vivienne, la trovò seduta sul suo letto intenta a riordinare i documenti del fascicolo di Emily. 

La ragazza non si preoccupò di nascondere ciò che stava facendo, né di inventarsi qualche scusa poco credibile. Lo guardò negli occhi, con aria di sfida. 

Lui aveva capito che era stata lei a rubare il fascicolo quando Will gli aveva fatto notare l’evidenza sul codice di ingresso della sua stanza, e si era ricordato di averlo condiviso soltanto con un’altra persona. Una certa bionda impertinente. 

Iniziò a urlare come un matto e Vivienne aspettò che si calmasse prima di dire qualcosa. 

-Si, l’ho preso io- disse, a un certo punto. 

-Grazie, l’avevo capito! Come ti sei permessa di...- 

-Emma Ryan è la complice di David Cooper- lo interruppe Vivienne, stufa di sentirlo sbraitare. 

-Stronzate!- esclamò lui, sempre più arrabbiato. 

-No, non sono stronzate! La stronzata è che nessuno qui mi abbia mai ascoltata- 

-Smettila di fare la bambina!- ruggì ancora Chris, quasi esasperato. -Sei una ragazzina viziata che non sa accettare un no come risposta, esattamente come tuo fratello- 

Vivienne strinse gli occhi. -Sarò pure una ragazzina viziata, ma ho comunque ragione- 

-Dovresti scendere dal tuo piedistallo e renderti conto che questo è il mondo reale e non puoi fare quello che cazzo vuoi, hai rubato un fascicolo a cui non avevi accesso!- 

-Innanzitutto, non l’ho rubato, consideralo come un prestito, e poi...- 

-Comunque, non avevi il permesso di leggere quei documenti! Tantomeno di entrare in camera mia! E per inciso, ho cambiato il codice di ingresso- 

-Buon per te, bravo- 

-Non capisci nemmeno la differenza fra ciò che puoi o non puoi fare, ma immagino che a una Shepard come te sia sempre permessa qualsiasi cosa, eh?!-  

Lei lo fissò in cagnesco per qualche istante. -Sono ben abituata a fare quello che mi pare e piace, - rimarcò, non voleva cedere nemmeno di un centimetro. -Ma ciò non toglie che avessi ragione- 

-Certo, come no! Immagino che tu sia stata così in gamba da trovare un sacco di prove che noi stupidi agenti che facciamo questo lavoro da tutta una vita non siamo stati in grado di fare, è così?!- 

-Proprio così- sibilò Vivienne, ormai di fronte a Chris, meno di un metro a separarli.  

-Stai veramente superando ogni limite- disse lui, avanzando di un passo verso di lei. 

-Me ne frego altamente dei tuoi limiti- 

-La devi smettere, non te lo ripeto più- 

-E tu devi ascoltarmi, solo un minuto- 

Lui non rispose subito, camminò avanti e indietro per la stanza guardando rabbioso davanti a sé. 

Stava cercando di calmarsi, Vivienne lo aveva capito e gli diede tregua, evitando di peggiorare la situazione. 

-Hai idea di quanto Emily si sia incazzata con Will? Per poco non la strozzava- disse poi lui, rimanendo a distanza da Vivienne. 

-Non è colpa mia se è una stupida oca, ma in ogni caso mi prendo la piena responsabilità. Will aveva solo da tenere la bocca chiusa- 

-Tu te ne sei approfittata!- 

-E non lo nego!- esclamò Vivienne, tesa. Non le importava di discutere di quanto stupida fosse Will, Chris ancora non voleva ascoltare quanto avesse scoperto. -Ma non mi volete ascoltare- 

-Scusa tanto se non siamo schiavi al tuo servizio- 

-Proprio non ci arrivi! Adesso capisco, stai con lei perché siete idioti allo stesso modo!- 

Lui non rispose subito, si limitandosi a guardarla in un modo che Vivienne non riusciva a interpretare. 

-Ci siamo lasciati- 

-Ah, finalmente-  

Vivienne non riusciva a credere che quelle parole fossero uscite per davvero dalla sua bocca. 

Lui la guardò torva, arrabbiato. 

-Non darmi la colpa anche per quello!- esclamò lei, ormai esasperata. 

-Beh, abbiamo litigato per colpa tua, guarda un po’- 

-Vi ho solo dato un pretesto. E lo sai benissimo- rispose piccata Vivienne.  

-Non sai di cosa parli-  

-Lo so, invece. Sai anche tu che era inevitabile finiste così!- 

-Ma che ne sai?!- esclamò lui, stringendo i pugni. 

Vivienne capì che era di nuovo al limite ma questa volta decise di non trattenersi. 

-Non l’hai mai guardata come la guarda Avery- 

Intuì di aver colpito nel segno. 

Chris rimase a fissarla per qualche istante con la bocca mezza aperta, come se stesse cercando di ribattere qualcosa ma le parole gli fossero rimaste appese in gola.  

Vivienne non aggiunse nulla. Aveva capito che lui non l’avrebbe più ascoltata, doveva parlarne con Emily. 

Dopo qualche momento che alla ragazza sembrò interminabile, Chris si schiarì la voce. -Farò rapporto a Evans e al Direttore e ci saranno delle conseguenze- 

Vivienne avrebbe voluto rispondere che lo sapeva e lo aveva già messo in conto, ma decise di rimanere in silenzio 

Si sentiva pronta ad affrontarli tutti. 

 

˜ 

 

Emily si trovava nel suo ufficio, seduta alla sua scrivania, ed era intenta ad osservare Chris che, in silenzio, camminava nervosamente su e giù per la stanza.  

Avevano appena trascorso un’ora impegnativa: dopo aver scoperto della scomparsa del fascicolo, in preda alla furia Emily aveva strigliato Will. Si era placata soltanto nel momento in cui Chris le aveva riconsegnato il fascicolo e le aveva spiegato che era stato sottratto da Vivienne. Non c’era stato bisogno di controllare le telecamere a circuito chiuso, Chris aveva capito subito che era stata lei.  

Emily non aveva ancora parlato con Vivienne, voleva capire perché avesse preso il fascicolo e cosa stesse cercando. Si era accorta di quanto la ragazza fosse irrequieta e aveva la sensazione che avesse avuto un motivo valido. Era comunque molto arrabbiata con lei: si era introdotta nel suo ufficio e aveva consultato il fascicolo senza chiedere il permesso a nessuno, avrebbe dovuto capire che non poteva continuare a comportarsi in quel modo. 

Non lo avrebbe mai ammesso ma in fondo un po’ ammirava la sua astuzia e la sua audacia. Aveva ingannato due agenti preparati e addestrati e aveva sottratto del materiale top secret, senza che nessuno se ne accorgesse. Forse qualcuno avrebbe dovuto aggiornare i protocolli, pensò.  

Prima di parlare con Vivienne voleva aspettare che Evans le facesse una lavata di testa coi fiocchi, come amava chiamarle lei, e ripianificasse i turni di controllo e sorveglianza della ragazza. Le avrebbe anche imposto di scusarsi con Will ed Avery, anche se dubitava fortemente che sarebbe servito a qualcosa. 

Inoltre, voleva parlare a Vivienne insieme a Chris, ma sembrava che il suo amico non riuscisse a calmarsi, tanto era arrabbiato. 

-Sfogati- gli disse, aspettando che lui riversasse tutti gli insulti che gli passavano nella testa per la ragazzina. 

-Ho lasciato Will- rispose lui, fermandosi al centro della stanza, sorprendendo Emily. 

-Tu... Che cosa? Per... per il fascicolo? Guarda che non è il caso, lo abbiamo ritrovato- 

Emily evitò di sottolineare ad alta voce che se il fascicolo non fosse saltato fuori, Chris sarebbe tornato comunque single perché avrebbe pensato lei a far fuori la sua ragazza. 

Lui non rispose. 

-Chris, mi dispiace davvero- 

-No,- fece lui. -non è vero. Quasi non dispiace nemmeno a me- 

Emily lo guardò stranita. -Chris ma cosa dici? Hai battuto la testa?- 

Lui alzò gli occhi al cielo. Era davvero complicato parlare con Emily dei sentimenti che provava, lei era sempre così poco empatica. -No, non ho battuto la testa. Ero... sollevato! Capisci?- 

-Quando è successo?- 

-Quando mi ha detto del fascicolo- 

Emily inclinò la testa. -Senti, sei ancora arrabbiato, è evidente. Prenditi qualche giorno per pensarci, non è la prima volta che vi capita- 

-Appunto- fece lui, buttandosi sulla sedia di fronte a Emily. -È proprio per questo, Vivienne ha ragione, aspettavo solo un pretesto- 

-Ma ti prego dai!- esclamò Emily sbuffando. -Vivienne ha vent’anni, cosa vuoi che ne capisca di queste cose- 

-Ciò non toglie che ha ragione-  

Si alzò di nuovo in piedi e riprese a camminare. 

-Senti, vuoi stare fermo un momento? Che ti avrebbe detto? Ma poi chissenefrega di quello che dice la ragazzina, è solo fastidiosa, pretenziosa e arrogante- 

Lui non rispose e non si fermò. 

-Mi vuoi dire cosa ti ha detto oppure no?- 

Chris finalmente si fermò. -Ha detto che non ho mai guardato Will come la guarda Avery 

Emily sorrise sarcastica. -Ah, se lo dice lei..! Chris ti stai facendo troppi problemi per...- 

-Ems, è la verità, ok? Ha ragione, forse non sono mai nemmeno stato innamorato di lei, non lo so- 

Emily ebbe il sospetto che lui non le stesse dicendo tutto. -E..?- 

-Cosa?- 

-Dimmelo tu, posso sentire la tua mente imprecare da qui. Dai- 

-Niente- rispose lui, scuotendo la testa.  

-Chris- 

-Ho detto niente- 

-Io lo so chi guardi così- disse allora, rapidamente Emily, stuzzicando una sua reazione. 

Chris sospirò, passandosi una mano fra i capelli. -Non guardo nessuno così, non guardo nessuno e basta- 

-Mi sa di si, invece- 

Lui le lanciò uno sguardo tagliente ma non disse nulla. 

Lei continuò. -Guardi in quel modo una certa ragazzina irritante, fastidiosa e totalmente incurante di ogni qualsivoglia forma di autorità- 

-Dio, se è irritante!- 

Emily scoppiò a ridere e dopo qualche momento cominciò anche lui. 

-Tutte le attenzioni che le dai... Solo lei non se n’è accortaForse 

Lui scosse la testa. -Non... Senti, faccio bene il mio lavoro. È solo lavoro-  

-Chris, almeno con me puoi essere sincero- 

Lui tornò a sedersi, corrucciato. -Non so cosa dire, vorrei essere innamorato di Will ora, non di...- 

-Non di?- 

La guardò torva. -Non ho intenzione di dire nulla- 

-Dovresti dirlo a lei-  

Il suo amico balzò di nuovo in piedi. -Dio, Chris, ma ce la fai a star fermo un minuto?- 

-Mi fai innervosire! Senti, sto svolgendo un lavoro, e voglio farlo bene. Tutto il resto non conta- 

Emily alzò le mani, in segno di resa. -Ok, come vuoi. Ricordati che c’è ben altro oltre all’Organizzazione, e che non decidiamo noi di chi ci innamoriamo- 

Mentre diceva quelle parole ripensò a Jake, avrebbe tanto voluto scegliere di amarlo come più meritava.  

-Dobbiamo andare a parlarle- sospirò infine, cercando di cacciare quei brutti pensieri dalla sua mente. 

-È proprio bella- sospirò il suo collega, tornando a sedersi sulla sedia, quasi sconsolato. 

-E anche sveglia, hai visto come ha fregato quei due polli? Cazzo, ci pensi a quanti anni abbiamo sprecato ad addestrarli, se poi una ragazzina gliela fa così sotto il naso?- 

Chris abbozzò un sorriso. -Un po’ ti piace, uh?- 

-Ma evitiamo di farglielo sapere- 

*To be continued* 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10  

 

-Quindi ora mi seguirete anche in bagno?-  

Vivienne, reduce da una sfuriata del Capo Sezione Evans durata quasi 20 minuti a causa del prestito del fascicolo sul caso Emma Ryan, in cui aveva dovuto scusarsi e assicurare che non avrebbe più infranto le regole, si stava dirigendo verso la sua camera, scortata da Avery. Dopo la sfuriata di Chris, era stata condotta nell’ufficio del Capo Sezione dallo stesso Avery e non aveva ancora avuto modo di parlare con Emily. Nemmeno Evans aveva voluto ascoltare ciò che Vivienne aveva scoperto, perseveravano nell’ignorare le sue ragioni. Aveva inoltre comunicato a Vivienne che, da quel momento in avanti, gli agenti assegnati alla sua protezione non avrebbero potuto perderla di vista per nessun motivo, anche al campus. 

-Vedo che hai afferrato il senso del discorso di Evans- la ammonì Avery, chiaramente ancora furibondo/infuriato per quanto accaduto nelle ore precedenti.  

Vivienne si fermò e si girò a guardarlo. -Mi dispiace averti coinvolto in questa storia. Hai tutte le ragioni per essere arrabbiato con me, lo capisco e mi dispiace. Spero tu possa accettare le mie scuse- 

Avery alzò il viso, guardando un punto sopra la testa della ragazza. -Non me lo aspettavo, tutto qui- 

-Avevo bisogno di sapere- si giustificò lei, posandogli una mano sul bracco destro. 

-Beh, vorrei che la prossima volta me ne parlassi, prima di fare tutto questo casino. Will si è presa una bella strigliata- 

-Me ne ricorderò- 

Ripresero a camminare e superarono l’ufficio di Emily. Attraverso la porta vetrata Vivienne riuscì a vedere lei e Chris parlare animatamente, immaginava stessero discutendo di quello che aveva combinato. 

Intravedere così di sfuggita Chris le fece pensare alla sfuriata di qualche ora prima, quando lui era piombato in camera sua e avevano litigato. Tra tutte le cose che lui le aveva detto, Vivienne non riusciva a smettere di pensare che Chris e Will non stessero più insieme 

Si erano lasciati.  

Continuava a ripetersi che era sbagliato, che lui era una spia e lei non era nient’altro che un lavoro. Un lavoro complicato, certo: Vivienne sapeva bene che non gli rendeva semplice occuparsi della sua protezione, aveva fatto il possibile per far irritare tutti con il suo atteggiamento.  

Ma era così bello, gentile, sexy e protettivo ai suoi occhi. Pensò sconsolata che non sarebbe stato semplice toglierselo dalla testa e che sarebbe stato molto imbarazzante trascorrere del tempo con lui. 

Giunsero, infine, alla stanza di Vivienne. Lei si sedette sul letto e prese una mano di Avery 

-Almeno tu, mi puoi ascoltare? Vorrei provare a spiegarti che cosa ho scoperto- 

Lui sospirò, prima di sedersi vicino a lei. -Va bene- 

-Grazie. Ok, beh... penso che David Cooper sia stato aiutato da Emma Ryan- 

Avery la guardò comprensivo, come se le facesse tenerezza.  

-Sono seria- aggiunse Vivienne, afferrando al volo cosa stesse pensando il ragazzo. 

-Vivienne... ti è già stato spiegato che non è possibile- le disse, cercando di essere il più delicato possibile. 

-Aspetta, ci sono delle cose che non sapete! Innanzitutto, Emma Ryan ha lavorato nella clinica psichiatrica dove è stato ricoverato David Cooper, e...- 

-Non vuol dire nulla dai, potrebbe essere una coincidenza- 

-Aspetta! Non c’è solo questo, c’è che un anno fa, quando David Cooper cercava di piantarmi una siringa nel collo, anche Emma Ryan era a Seattle! Capisci, si spiega come ha fatto a trovarmi là! E sono sicura che questa qui abbia tutte le carte in regola per organizzare un’evasione come si deve- 

-Vivienne, sono solo coincidenze- 

-No Avery, siete così ciechi..!- protestò lei, scocciata. Il suo tentativo di far capire qualcosa a quei zucconi si stava rivelando davvero faticoso. 

-Senti, capisco che tu abbia bisogno di dimostrare a te stessa di avere la situazione sotto controllo, lo capisco veramente. Vuoi vedere collegamenti e schemi dove non c’è nulla. Ma ti posso assicurare che le cose non stanno così come dici- 

Vivienne sentì la rabbia montare e gli occhi inumidirsi. Scosse la testa. -È così ovvio- 

-E perché Emma Ryan avrebbe dovuto farlo? Spiegami un po’-  

Vivienne allargò le braccia, in realtà non era sicura della risposta. -Per via dei miei nonni, è sempre a causa loro!- esclamò, senza troppa convinzione. 

-Non si può ridurre tutto sempre a loro- 

Vivienne non sapeva più come rispondere e Avery l’abbracciò. Lei pensò che non le rimaneva che parlarne con Emily, l’unica persona ragionevole tra tutte le persone di quella dannata Organizzazione, se lo sentiva. 

Rimase abbracciata ad Avery per qualche minuto, la testa appoggiata alla sua spalla, finché la porta della camera non venne spalancata. 

 

~ 

 

Will non riusciva a credere che quella stupida di Vivienne avesse per davvero rubato il fascicolo dalla camera di Chris facendole fare la figura della stolta incompetente.  

Emily l’aveva quasi appesa a testa in giù, Evans le aveva detto che al prossimo passo falso l’avrebbe sollevata definitivamente dall’incarico e che quel fallimento sarebbe rimasto indelebile sulla sua scheda, mettendo a repentaglio la sua carriera, e, infine, Chris l’aveva mollata. Era stata la cosa peggiore, senza ombra di dubbio. 

Non poteva permettere che Vivienne la passasse liscia. 

Era fuori di  mentre si dirigeva verso la sua stanza, con passo rapido. Non sapeva cosa le avrebbe detto, ma era certa che le avrebbe fatto cambiare atteggiamento. 

Rischiò di sfondare la porta a causa della furia con cui la aprì, ira che arrivò all’apice quando trovò Vivienne ed Avery abbracciati.  

I due ragazzi non stavano facendo nulla di male, ma a Will non importava. Non riusciva a credere che dopo averle tolto Chris, il fascicolo, la reputazione, le stesse rubando anche Avery 

-Che cazzo fate?- esclamò. 

I due sobbalzarono, allontanandosi.  

-Will, che ci fai qui?- le chieste subito Avery. 

-Cosa stracazzo sta succedendo?- 

-Ma cosa vuoi?- sibilò Vivienne, stizzita. 

-Will,- ripeté Avery, alzandosi in piedi, -non sta succedendo un bel niente. Non so che intenzioni tu abbia ma...- 

-Ho intenzione di dare una lezione a questa carogna!- 

Anche Vivienne si alzò in piedi, avvicinandosi a Will. -Datti una calmata. Non è colpa mia se non sai fare il tuo lavoro- 

-Prova a ripeterlo, stronza!- 

-Will modera le parole, ti prego- esclamò Avery, cercando di tenere le due ragazze a debita distanza. 

-Si, io sono una stronza, e tu dovresti imparare le buone maniere e a tenere la bocca chiusa- fece Vivienne, ostentando una certa spocchia. 

Will strinse le labbra e si preparò a sferrarle un pugno. Moriva dalla voglia di farla stare zitta, almeno per un po’. 

-Non modero proprio un cazzo, è una stronza e ha rubato il fascicolo per rovinarmi- 

-Senti,- rispose Vivienne, spazientita, -il mondo non gira intorno a te, non ho preso il fascicolo per darti fastidio. Non li sopporto proprio i prepotenti come te, avevi solo da tenere la bocca chiusa- 

Con uno scatto, Will si scagliò contro di lei e la colpì al volto. Avery afferrò le spalle di Will e la allontanò dall’altra ragazza, che a causa del colpo era caduta a terra battendo la testa. 

-Sei solo una stronza!- urlò Will, cercando di divincolarsi dalla presa di Avery. 

L'agente cercava di immobilizzarla ma lei era molto forte, anche per un uomo allenato come lui. 

-Smettila Will! Basta! È una civile, dannazione!- 

Poco dopo riuscì a bloccarle le braccia dietro la schiena ma Will cominciò a scalciare. 

-Will, dobbiamo controllare se si è fatta male, devi stare ferma!- 

-Cosa succede qui?- 

Sulla soglia della porta c’erano Chris ed Emily, arrivati in quel momento. Lui si fiondò subito a controllare le condizioni di Vivienne, mentre Emily aiutò Avery a trattenere Will. 

-Cos’è successo?!- chiese Emily, mentre costringeva Will a sederci per terra. 

-Nulla- rispose subito Vivienne, tirandosi su con la schiena. 

-No, non muovere la testa, chiamiamo un medico- fece subito Chris. 

Lei, al contrario, si alzò in piedi. -Sto bene- rispose. Aveva un segno rosso piuttosto evidente sotto l’occhio sinistro. -Non è successo nulla-  

-Beh, non mi pare proprio- rispose secca Emily, che voleva capire rapidamente cosa stesse succedendo. 

Vivienne guardò Will, che non aveva ancora aperto bocca dopo averla colpita ma aveva smesso di scalpitare, e in quel momento la fissava con sguardo incredulo.  

-Non è successo nulla. Stavamo solo parlando- 

-Perché l’hai aggredita?- chiese Chris a Will, sconcertato. 

-Ti ho detto che non è successo nulla- ripeté Vivienne, quasi con arroganza. 

-Adesso la porto via da qui- fece Avery, aiutando Will ad alzarsi. Lei si scambiò un ultimo sguardo con Vivienne, carico di rammarico. Mentre usciva da quella stanza, si domandò perché avesse perso la testa così, perché Vivienne le facesse questo effetto. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivata ad aggredire una civile, una ragazza giovane e indifesa come lei, per quanto potesse essere molesta e fastidiosa. 

Si chiese cosa diavolo le fosse successo. 

 

˜ 

 

-Beh, era ora che Evans la rimettesse in riga- 

“L’ha sollevata dall’incarico, dovevi vedere la scena. Incredibile. Quasi mi spiace per lei, l’ha massacrata” 

Emily era seduta alla scrivania del suo ufficio ed era al telefono con Chris che l’aveva chiamata per raccontarle dell’incontro tra il loro Capo Sezione Evans e Will Crew, dopo la tentata aggressione ai danni di Vivienne.  

Per lei non era stata una gran sorpresa la reazione della Crew: la considerava un’agente brillante, con un importante potenziale da esprimere, ma ancora tanto, troppo immatura. E un po’ incompetente.  

-Meglio così. Vivienne ha sbagliato, anche se riesco a capire quanto per lei possa essere una situazione difficile, ma Will è addestrata, non può aggredire un civile in questo modo- 

“In ogni caso non è stata formalmente accusata per l’aggressione, Vivienne si ostina a negare quanto successo, non so se ha paura che possa farle del male ancora 

Emily sorrise. -Ma no Rogersnon ha paura. Io lo capisco, con il colpo in faccia hanno pareggiato i conti-  

“Ah certo!” esclamò Chris contrariato, “Mi pare proprio l’ideale risolvere le questioni come nel far west!” 

-Non risulta credibile detto da uno che per lavoro neutralizza minacce con la forza- rispose lei sarcastica. 

Lui sbuffò. “È diverso. Aspetta un secondo...”. Mise la chiamata in attesa ed Emily ne approfittò per aprire il fascicolo sul caso Emma Ryan. Aveva controllato, dopo che le era stato restituito, che non mancasse alcun documento. Erano anche stati riordinati. 

“Scusa Ems, ti devo lasciare. Avery ha di nuovo perso di vista Vivienne, non sa dove si è cacciata. Quella ragazza mi farà impazzire!” 

Emily alzò gli occhi al cielo. -Wood è incompetente quanto Crew, inizio a pensare che sia il caso di licenziare il loro supervisore- ghignò. 

“Tante grazie..! È quella bionda che è troppo sveglia. Devo andare a cercarla” 

Qualcuno bussò alla porta dell’ufficio di Emily e lei alzò lo sguardo. Dall’altra parte della porta di vetro c’era proprio la ragazzina. 

-Lascia stare, l’ho appena trovata- 

“Cosa? Dov’è?” 

-Tranquillo, ci sentiamo dopo- 

“Ma Emil...” 

Chiuse la conversazione e fece segnò alla ragazza di entrare. 

Vivienne, con il segno rosso sullo zigomo ancora ben visibile, si accomodò sulla sedia di fronte a lei. 

-Te la sei svignata dal controllo di Avery per la seconda volta in meno di 48 ore. Hai fegato- 

La ragazza non parlò subito. Poi posò sulla scrivania un mazzo di chiavi. -Sono venuta a restituirti queste-  

-Potevi chiedere a qualcuno di accompagnarti. E poi dovresti darle a Chris, le hai prese nella sua stanza-  

-Si, ma volevo parlarti. Da sola. Nessuno mi prende sul serio qui- rispose lei, alzando le spalle 

-E come hai fatto a entrare in quest’area? Serve il codice-  

Vivienne sorrise beffarda. -Ho aspettato che entrasse qualcun’altro. Come l’altra volta- 

Emily inclinò la testa, guardandola dritto negli occhi. -Fai sempre preoccupare Chris- disse, con uno schiocco della lingua. 

Notò la ragazza arrossire leggermente, senza distogliere lo sguardo. -Non è mia intenzione. Non lo è mai stato- 

-Non capisce come mai non hai denunciato Will a Evans. Noi non eravamo lì e non possiamo testimoniare; Avery non vuole tradire la sua collega di squadra, com’è giusto che sia, permettimi di dire... e tu continui a sostenere che non sia successo nulla- 

Vivienne strinse gli occhi. -Siamo pari adesso. So di averla messa nei guai e poi... sono stata aggredita da un serial killer, riesco a tener testa a una come Will- 

Emily sorrise divertita. Era come aveva immaginato, lei avrebbe fatto la stessa cosa. Quella ragazzina iniziava a piacerle sul serio. 

-Allora? Cosa mi devi dire- 

Vivienne respirò a fondo. -Voglio parlarti di Emma Ryan e David Cooper- 

Emily tornò seria. -Ti ascolto- 

La ragazza la guardò contenta. -Bene. Allora, innanzitutto mi devo scusare per aver preso in prestito il tuo fascicolo ed essermi introdotta nel tuo ufficio senza permesso-  

Emily fece un cenno con il capo. -Va bene, accetto le tue scuse-  

-Ok, dunque … Penso che il complice di David Cooper sia Emma Ryan- 

-E perché lo pensi? Come ti avranno già spiegato, dalle nostre indagini non è risultato nulla- 

-Lo so, ho letto il fascic... Non importa. Uh, come dicevo, lo so, ma penso che vi stiate sbagliando. Ho scoperto che la clinica psichiatrica in cui ha lavorato Emma Ryan è la stessa in cui è stato ricoverato David Cooper, dopo i primi due omicidi e prima degli altri, quando ancora non avevano capito che fosse lui il colpevole. “Belford Clinic” è il nome che aveva prima il Bellevue Hospital ma di mezzo c’è stato uno scandalo e hanno fatto un po’ di casino- 

-Questo però non vuol dire molto, potrebbe essere una coincidenza- 

Senza voltarsi, Vivienne indicò con l’indice della mano destra un punto alle sue spalle, dove era appesa la bacheca con le informazioni sul caso Ryan. -È una coincidenza che fosse a Seattle quando sono stata aggredita da David Cooper? È stata lei a portarlo li, ne sono certa- 

-Continua-. Emily iniziava a pensare che forse Vivienne aveva davvero capito qualcosa che a loro era sfuggito, ma non era ancora del tutto convinta.  

-È appeso sulla tua bacheca, Emma Ryan si trovava a Seattle due giorni prima che venissi aggredita. E credo sia stata lei a farlo evadere e a procurargli i documenti falsi, ho letto che è stata avvistata in una città a due ore dal carcere, di recente. Non possono essere tutte coincidenze- 

Si guardarono in silenzio per qualche secondo, entrambe con la mente rivolta a ciò che si erano appena dette.  

Emily continuava a nutrire seri dubbi su quanto le aveva detto Vivienne. Erano tutte ipotesi basate su fatti che potevano essere mere coincidenze. Negli anni Emma Ryan aveva sempre lavorato per il miglior offerente, si occupava di omicidi, furti su commissione e rapimenti. Aiutare un serial killer era anni luce lontano da tutto ciò che aveva fatto in precedenza. Non poteva negare, però, che ci fossero fin troppe strane coincidenze. 

-Va bene, farò delle indagini per capire se quanto mi hai detto può essere vero-  

Vivienne annuì, seria. Fece per alzarsi ma Emily la fermò. 

-Ti devo parlare anche io, aspetta- le disse. 

-Spero che Avery non venga punito per questa cosa- disse subito Vivienne, ansiosa. -Non è colpa sua se sono qui ora, mi assumo la piena responsabilità- 

-Oh, no, tranquilla. Wood dovrebbe imparare a far bene il suo lavoro, ma lascerò perdere per questa volta. In realtà vorrei parlarti di Chris- 

Vivienne avvampò, spalancando gli occhi. -Certo, dimmi- rispose, tentando di celare il disagio e l’imbarazzo che provava in quel momento.  

Il tentativo fallì miseramente ed Emily, compiaciuta, capì che aveva colto nel segno.  

-Voglio darti un avvertimento- 

Vivienne la guardò preoccupata. -Non so cosa tu stia pensando, ma non c’è nulla tra me e Chris e...- 

-Non mi interrompere- Il tono di Emily era duro e brutale. -Devi sapere che ha sofferto tanto. Non so cosa sai del suo passato, ma gli sono successe cose molto brutte e non voglio che stia ancora male- disse, scandendo le ultime parole lentamente. 

La ragazza la guardò in silenzio, pensierosa.  

-Voglio avvertirti,- continuò Emily, - perché quando mi incazzo divento pericolosa. Per me Chris è un fratello, è tutto ciò che è rimasto della mia famiglia e se vuoi stare con lui, a me va bene, ma devi essere sicura. E potrei davvero incazzarmi se dovessi scoprire che lo prendi in giro- 

Vivienne scosse la testa. Iniziava a spazientirsi: ammirava Emily ma sopportava a stento incursioni così nella sua vita privata. -Capisco cosa dici, davvero, ma ti assicuro che non...- 

-Guarda che non sei la prima. Chris piace alle donne, anche alle ragazzine come te. So bene quanto sia intelligente, dolce e premuroso, nonché un bel ragazzo- 

-Senti, Emily- rispose Vivienne, piccata. La supponenza di Emily la infastidiva parecchio, ormai. Avrebbe voluto chiederle perché diavolo pensasse di sapere cosa ci fosse nella sua testa, ma preferì continuare con un atteggiamento diplomatico. -Grazie davvero per questo avvertimento, ma puoi stare serena. Rogers è... è tutto vero quello che dici, lo so, ma... ma so benissimo che a uno come lui non potrebbe mai interessare una come me, quindi puoi star serena. Non ho intenzione di... provarci con lui o altro. Spero solo di andarmene da questo posto il prima possibile- 

-Che cazzate. Pensavo avessi le palle-  

-Come scusa?- Vivienne la guardò sconcertata. -Cosa stai dicendo?- fece ancora, stizzita. 

Emily assottigliò le labbra. -Pensavo avessi le palle per decidere di stare con uno come lui, invece ti fai intimidire da un discorsetto così- 

La ragazza balzò in piedi, l’intento diplomatico ormai traballante. -Ti ho detto di star serena e comunque non mi hai per nulla intimidita, non pensare. Chris è... Ti ringrazio per questo discorso, ma... e poi cosa ne sai tu?! Voglio dire, si è mollato da un quarto d’ora con quella stupida e dubito ti abbia detto che sia per causa mia perché non è così, te lo assicuro, quindi...- 

-Se ne sei tanto certa- la interruppe Emily. 

Vivienne la ignorò. -Grazie, adesso torno da Avery, ti chiedo solo di indagare su quanto ho scoperto a proposito di Emma Ryan- 

-E tu dovresti provare a tirare fuori le palle, se sei sicura- 

Vivienne le lanciò un’ultima occhiataccia, prima di girarsi per uscire dall’ufficio, senza aggiungere altro. 

Si bloccò di colpo perché fuori dalla porta, dall’altra parte del vetro, c’era Chris. 

-Ecco, ci mancava lui- sbuffò, quasi mormorando. 

Tornò a sedersi, seccata, di fronte a Emily, visibilmente divertita. 

-Sei di nuovo scappata- la ammonì Chris.  

Vivienne lo guardò senza rispondergli. 

-Abbiamo già parlato, tranquillo- 

Lui guardò Emily con aria interrogativa. -Di che avete parlato?- 

Lei continuò a sorridere, beffarda. -Oh, di un sacco di cose- fece, guardando il suo amico che sembrava decisamente indispettito. 

Chris si voltò verso Vivienne, cercando di superare quel momento di imbarazzo. -Non potevi chiedere ad Avery di accompagnarti? Lo metti sempre nei guai- 

Lei alzò gli occhi al cielo. -Perché nessuno mi ascolta- 

-Sei proprio sfrontata, vedo che il discorso di Evans ti è servito a molto- 

Vivienne si limitò a guardarlo. 

-Beh, adesso che l’hai trovata puoi scortarla nella sua stanza, devo rimettermi a lavorare io- fece Emily risoluta, tornando seria.  

-Su, andiamo-  

 

~ 

 

Chris stava accompagnando Vivienne nella sua stanza, tenendola saldamente per un braccio. 

Lei aveva cercato di divincolarsi, inizialmente, poi si era arresa e aveva accettato di essere accompagnata in quel modo.  

-Guarda che non scappo- disse dopo qualche istante, leggermente imbarazzata. Lo scambio con Emily l’aveva scossa e incuriosita, inoltre cercava di non pensare troppo a ciò che aveva suggerito circa la rottura fra Chris e Will. Quell'idea continuava a invadere la sua mente, anche se lei cercava di impedirlo. 

-Scusa ma per oggi va così- 

Vivienne ebbe l’impressione che anche lui fosse imbarazzato quanto lei e che evitasse di guardarla negli occhi. 

Rimasero in silenzio finché non giunsero nella stanza della ragazza. 

Lui chiuse la porta alle sue spalle, prima di sedersi alla scrivania, mentre Vivienne rimaneva in piedi al centro della stanza.  

Continuarono a non dire una parola per diversi minuti. 

-Cosa vi siete dette tu ed Emily?- fece Chris a un certo punto, fingendo una certa incuranza. 

-Perché ti interessa?- 

Chris incrociò le braccia sul petto. -Era per parlare, a meno che tu non voglia stare in silenzio tutta la sera- 

-Perché vi siete lasciati tu e Will?- 

-Perché ti interessa?- 

-Non vorrai mica stare in silenzio tutta la sera- 

Chris la guardò indecifrabile. -Sei sempre più impertinente- 

Lei strinse gli occhi, abbozzando un ghigno. -Allora?- lo incalzò. 

-Non sono affari tuoi- rispose lui, voltandosi.  

Lei si sedette sul letto, a poca distanza dalla sedia su cui era seduto Chris. Si appoggiò alla parete, incrociando le gambe. -Ho spiegato a Emily perché credo che Emma Ryan sia la complice di David Cooper- 

Vivienne raccontò rapidamente a uno scettico Chris ciò che aveva scoperto sull’ospedale psichiatrico e su Seattle, evitando accuratamente di raccontargli il resto della conversazione. Lui sembrò poco convinto ma non la contraddisse. Non provò a smontare la sua teoria e si limitò a convenire che effettivamente sembravano troppe coincidenze anche a lui.  

-È il tuo turno- gli disse Vivienne, con sguardo eloquente. 

Voleva togliersi qualche dubbio e voleva che la aiutasse proprio lui. Dentro di sé era terrorizzata dall’idea di conoscere i sentimenti di Chris ed ammettere a sé stessa cosa provasse nei suoi confronti. D'altra parte, non poteva non sapere. 

Chris la osservò per qualche istante. Vivienne si sentì terribilmente in imbarazzo con il suo sguardo addosso ma non si voltò. 

-Ho lasciato Will perché non aveva più senso stare insieme-  

-Tutto qui?-  

Lui guardò un punto indefinito dietro le spalle di Vivienne. -Cosa vuoi che ti dica, non volevo più stare con lei. Tutto qui 

Lei capì che c’era dell’altro ma che forse non fosse il momento adatto per parlarne. Non voleva forzargli la mano e appesantire l’atmosfera. Si limitò a sorridergli, delicatamente. 

-Spero tu riesca ad essere sereno, adesso. Spero riesca ad ottenere ciò che vuoi- 

Chris tornò a guardarla, dritto negli occhi. Rimase in silenzio, con la bocca leggermente aperta per qualche momento. Poi scosse la testa e si passò una mano fra i capelli. -Non credo sarà molto semplice- 

-Beh, non si può mai sapere cosa ci riserva la vita- 

Lui balzò in piedi, un po’ teso. -Tu non hai fame? Io ho saltato la cena. Possiamo provare a vedere se la mensa è ancora aperta-  

Lei sorrise, mordicchiandosi un labbro. -Si, è stata una giornata faticosa, ho proprio bisogno di mangiare un boccone- 

-Faticosa, eh? Non credevo che infrangere le regole stancasse così tanto- 

-Dovresti provarci anche tu qualche volta- 

 

˜ 

 

Sollevata definitivamente dall’incarico. 

Assegnata a una nuova missione. 

Sottoposta a inchiesta. 

Questi provvedimenti, inflitti a Will Crew dal capo sezione Evans, rimbombavano nella mente dell’agente mentre preparava un borsone con gli indumenti che avrebbe indossato per il nuovo caso a cui era stata assegnata. Doveva andare in Europa, in Germania, fino a nuovi ordini e sarebbe stata assegnata a una nuova squadra e a un nuovo collega di coppia.  

Quando Evans le aveva detto che non avrebbe lavorato con Avery per un certo tempo, Will si era sentita sollevata. Non voleva affrontare i suoi sentimenti per lui ed era ben contenta di allontanarsi di migliaia di chilometri.  

Prima di partire aveva deciso di passare da Vivienne, voleva scusarsi con la ragazza e mettere un punto a tutta quella faccenda. 

Sapeva che quella mattina sarebbe andata a lezione al campus, quindi attese che rientrasse nel pomeriggio. La trovò nella sua stanza insieme a Chris, mentre guardavano qualcosa alla tv. 

Lei mise in pausa e lui si avvicinò subito alla soglia della camera, dove si era fermata Will. 

-Non hai l’autorizzazione per stare con lei- disse subito. 

Vivienne li raggiunse. -Non è necessario Rogers, me la cavo da sola-  

-No, Vivienne. Ci sono delle regole- 

Le due ragazze si guardarono. -Vorrei porgerti le mie scuse- disse Will. 

Vivienne si girò versò Chris. -Ti prego, solo due minuti, davvero, solo due. Terremo le mani a posto- 

Will sorrise, pensando che in fondo Vivienne fosse meno male di quanto si fosse convinta nelle ultime settimane. 

Chris non rispose subito. Guardò entrambe le ragazze e poi si rivolse a Vivienne. -Non fare cose strane, rimarrò vicino alla porta. Che dovrà rimanere socchiusa- 

La ragazza annuì e fece cenno a Will di entrare. -Grazie- aggiunse, mentre Chris usciva. 

-Accomodati- le disse, con un movimento della mano. Tornò a sedersi sul letto, mentre Will prendeva posto sulla sedia della scrivania. 

-Vivienne, quello che ho fatto è deplorevole. Ho disatteso il mio compito, e mi dispiace. Ti chiedo scusa- 

-Ti chiedo scusa anche io. Ho tirato la corda e ho esagerato. Avevo bisogno di risposte- 

Will annuì. -Lo capisco. Non avrei comunque dovuto colpirti- 

-Già dimenticato, davvero- rispose Vivienne, alzando le spalle. 

Will lanciò un’occhiata verso la porta.  

-Posso chiuderla se vuoi- disse l’altra ragazza, ma Will scosse la testa.  

-Non è il caso, non voglio complicare la situazione con...- deglutì, senza finire la frase.  

Vivienne abbassò lo sguardo. Voleva dire qualcosa ma non sapeva cosa. Avrebbe potuto scusarsi e dirle che era dispiaciuta che si fossero lasciati, ma sarebbe stata una bugia. Decise di rimanere in silenzio. 

Will sembrò intuire i suoi pensieri. -Il tuo contributo è stato sicuramente importante, ma in realtà lui non è mai stato mio, né io sua- 

-Avery- sussurrò Vivienne, cercando di non farsi sentire da Chris. 

-Oh, lo sa anche lui, non ti preoccupare- fece Will, abbozzando un sorriso. 

-L’unico che non lo ha capito mi sa che è proprio Avery 

-E non lo deve sapere- 

Vivienne annuì. -Non gli dirò nulla- 

Will fece un cenno con la testa, poi uscì dalla stanza.  

 

~ 

 

Vivienne sentì Will scambiare qualche parola con Chris, che poco dopo entrò nella camera. 

-Che vi siete dette?- chiese subito lui. 

-Cose da ragazze. Ma perché ti interessano tanto le mie conversazioni? Ti hanno mai detto che sei un ficcanaso?- 

La guardò con una smorfia. -Spero non abbiate parlato di me-  

-Agente Rogers, sai benissimo di essere sempre al centro dei miei pensieri- fece lei, sorridendo scaltra. 

-Ah-ah che spiritosa- 

Vivienne non aggiunse altro, continuando a sorridere. 

-Riprendiamo il film?- 

-Certo- 


*to be continued*

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11 

 

BakersfiledCalifornia – Qualche tempo prima 

 

-No, no, Danny, non va bene così. Dobbiamo cambiare piano- fece Rusty 

Lui, Emma e Danny stavano lavorando a un piano alternativo per uscire dal casino in cui li aveva fatti precipitare Matt, che nel frattempo si stava limitando a controllare gli ostaggi. Matt, infatti, aveva dato fuoco al furgone, ma aveva scelto un luogo meno nascosto del previsto e i federali lo avevano subito trovato. Un contrattempo che non avevano previsto. 

-Possiamo farli fuori- propose Rusty, che continuava a fumare una sigaretta dopo l’altra.  

-No. È fuori questione- rispose subito Emma.  

-Si è affezionata?- chiese Danny, sorridendo sarcastico.  

-Oh  

-No, invece- ribatté Emma, piccata. –Mi sembra solo inutile, è una perdita di tempo adesso. Dovremmo poi sbarazzarci dei corpi e non abbiamo tempo a disposizione per coprire le nostre tracce-  

-Beh, mi sembrano ottime giustificazioni. Dobbiamo andarcene di qui senza di loro. Adesso- fece Rusty, raccogliendo alcuni fogli.  

-A che ora arrivano domani a prelevarli?- chiese Emma, continuando a pensare a quale sarebbe stata la via migliore per uscire da quella situazione.  

-Alle 8- rispose Danny.  

-Non puoi contattarli, e chiedere che vengano prima?- chiese Emma, rivolgendosi a suo padre.  

-Stai scherzando? Ci daranno la metà dei soldi- rispose lui, scuotendo la testa.  

-E chissene frega, dai! Vuoi che ci becchino?-  

-Merda-  

Si girarono a guardare Danny, che stava fissando lo schermo del suo pc, sconvolto.  

-Siamo bruciati- disse.  

-...cosa?- esclamò Rusty 

Danny girò lo schermo verso di loro.  

Era la pagina proveniente da un server dell’FBI. C’era la foto di un furgone, al centro dello schermo. Emma riconobbe i volti di suo padre, di Danny e di Jennifer.  

Erano stati bruciati.  

 

~ 

 

-Come ti chiami?-   

La domanda di Jennifer fece provare a Emma molta pena per lei, appariva molto ingenua ai suoi occhi.  

In realtà Jennifer sapeva che li avrebbero uccisi, infine. Aveva la sensazione che ormai era questione di poche ore.  

Aveva sviluppato una sorta di attaccamento a Emma, sentiva come se fossero amiche.  

-Davvero vuoi sapere come mi chiamo?- rispose Emma, abbozzando un sorriso. La situazione era tesa, ma non voleva trattare male la ragazza.  

Jennifer annuì. –Si, voglio saperlo-  

Emma sbuffò, continuando a sorridere. –Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti-  

Ridacchiò.   

Jennifer rabbrividì. -Vuol dire che non ci ucciderete?- chiese, timorosa.  

-No. Noi vi abbiamo solo rapiti- rispose Emma candidamente.  

-Ma vi abbiamo visti in faccia- continuò Elena, che iniziava a essere confusa.  

-Tieni così tanto a farti uccidere?-   

La ragazza scosse la testa. -No... Ma... Non lo so... Non mi sembra logico... Vi abbiamo visto in faccia-. Parlava a fatica, ancora debilitata a causa della febbre.   

Emma la stava aiutando a camminare, reggendola in piedi.  

-Vedi, ti daremo una pillola e ti dimenticherai di questi cinque giorni. Non ricorderai nulla. Per questo vi abbiamo mostrato le nostre facce-  

-Be, allora non siete la peggior specie di criminali-  

Emma la guardò stralunata.  

-Jennifer ma senti cosa stai dicendo?- fece, prima di scoppiare a ridere. –Sei stata torturata. Io ho quasi rotto il polso al tuo amico. Non esistono criminali buoni-   

-Tu lo sei- osservò Jennifer.   

È in preda ai deliri della febbre, pensò Emma, divertita da quella situazione. Non aveva mai avuto a che fare con una prigioniera come Jennifer e la trovava buffa e molto tenera.  

-Credi davvero che sia buona?- fece poi, cambiando espressione tutto d’un tratto.   

-Mi hai salvata due volte. Non puoi essere cattiva- rispose Jennifer, cercando di annuire energicamente con la testa. Era onestamente convinta di quello che stava dicendo.  

–Mi chiamo Emma, comunque- fece, infine, con una strana smorfia.  

Senza aggiungere altro condusse Jennifer in un garage.  

Rusty era già arrivato e stava sistemando le ultime cose su un imponente SUV nero, con i vetri oscurati.  

Danny e Matt avevano condotto al garage l’altro ragazzo e lo stava imbavagliando.   

Fecero salire i ragazzi nel baule e, prima di chiudere il portellone, Emma lanciò un ultimo indecifrabile sguardo a Jennifer.   

Dopo qualche minuto partirono e lasciarono il casolare. Viaggiarono a velocità sostenuta, ma non eccessivamente elevata per non destare troppi sospetti, per poco più di mezz’ora. Alla guida c’era Emma, con Matt al suo fianco, e nel veicolo regnava il silenzio, erano tutti tesi e volevano rimanere concentrati, non potevano più sbagliare.  

Quando l’auto si fermò, Emma scese e aprì il baule. Fece ingerire ai ragazzi delle piccole pillole verdi con un po’ di acqua. Richiuse il baule e rimase immobile per qualche istante. Sarebbe stata l’ultima volta, voleva fortemente che fosse così.  

  

 ~ 

  

Jake sospirò, posando il cellulare sulla scrivania. Aveva da poco terminato una telefonata con la misteriosa Jennifer, che aveva rimandato la cena al giorno seguente. Era molto dispiaciuto, avrebbe voluto rivederla e la telefonata era stata frettolosa, ma d’altro canto, era molto impegnato anche lui. Emily Lennox dell’Organizzazione aveva chiesto a lui e a i suoi colleghi di fare ore di straordinario per poter chiudere il caso.  

Erano nel suo ufficio da qualche ora in attesa che succedesse qualcosa, per come Jake poteva leggere la situazione, e l’attesa per lui era esasperante.  

-Perché non siamo lì fuori a cercare i tre ragazzi, eh?- sbottò, ad un certo punto.  

Emily, che stava leggendo alcuni documenti del fascicolo, alzò seccata, molto lentamente, lo sguardo.  

-Perché dobbiamo aspettare. Avranno cambiato il loro piano, e, se non mi sto sbagliando - e ti posso assicurare che sbaglio raramente - adesso saranno in fuga con gli ostaggi. I nostri posti di blocco riusciranno a fermarli-  

-Le uniche due strade che ci sono da queste parti e che conducono lontano da qui, sono due tra le più trafficate dello Stato. Non riusciremo a fermarli così, ci sono troppe macchine-  

Emily lo guardò scocciata. Si chiedeva chi credesse di essere quello spocchioso agente dell’FBI che le stava facendo perdere la pazienza. Il caso, però, era troppo importante per lei, non avrebbe perso la concentrazione a causa di quell’agente impertinente. -Ho dato indicazioni precise ai tuoi uomini e ai miei, sarà sufficiente fermare le macchine di grossa cilindrata, con uno o al massimo due uomini alla guida. Avevano sicuramente escogitato un piano di fuga diverso, ma sono stati costretti a cambiare, quando hanno saputo di essere bruciati-  

-Questo perché presumi che lo abbiano scoperto-  

Emily stava davvero perdendo la pazienza. -Se foste davvero preparati su questo caso, sapreste che sono sempre stati un passo avanti a voi perché sono entrati nel vostro sistema. Sono sicura che abbiano scoperto sia che abbiamo trovato il furgone, sia che conosciamo i loro volti-  

Jake fissò Emily in cagnesco ancora per qualche istante. Pensò che fosse una donna, una ragazza giovane, che dimostrava sicuramente più anni di quanti ne avesse in realtà. Aveva i lineamenti duri, segnati da qualche cicatrice sul volto e sulle braccia. I capelli biondi e ramati erano raccolti in un’alta e ordinata coda di cavallo e non portava nemmeno un filo di trucco. Gli occhi color nocciola erano sottili, lo sguardo era concentrato e determinato. La prima impressione di Jake, quando l’aveva conosciuta qualche mese prima su un caso diverso, era stata come se di fronte a se si trovasse un automa. Notò come, rispetto a quell’ultima volta, il fisico di Emily fosse più robusto e muscoloso, ma sempre molto femminile.   

Jake non lo avrebbe ammesso ad alta voce nemmeno sotto tortura, ma una parte di sé ammirava Emily per la sua dedizione al lavoro e l’acuta intelligenza che la faceva spiccare tra tutti gli altri agenti dell’Organizzazione che aveva conosciuto. Jake non aveva una buona considerazione dell’Organizzazione: considerava i loro agenti come meri mercenari, senza una vera vocazione per il lavoro che svolgevano. Ma Emily era diversa, lo aveva notato anche lui.  

D’un tratto, l’agente Jones entro di corsa nell’ufficio.  

-Che è successo?- gli chiese Jake.  

-È stato fatto saltare in aria un casolare, in aperta campagna, a 15 km da questa strada- rispose, indicando un punto sulla mappa che teneva in mano.  

-E potrebbe essere stato il luogo in cui hanno tenuto prigionieri i due ragazzi?- chiese Jake, aprendo la sua copia del fascicolo.  

-Lo è sicuramente- rispose Emily, scrutando attentamente la mappa di Jones.  

-Non ci sono prove, in realtà- rispose l’agente.   

-E come è possibile?- chiese la Lennox, visibilmente confusa, mentre spostava la sua attenzione alla lavagna bianca con gli indizi e i dettagli del caso.  

-Be, se fai saltare in aria una casa, hai ottime possibilità di non lasciare alcuna traccia- commentò l’agente Jones, al limite del sarcasmo. Lei lo fulminò con lo sguardo. Si stava seriamente arrabbiando.  

-No, com’è possibile che nessuno di voi si sia preoccupato di controllare i casolari in campagna? Sono anni che loro li usano per nascondersi, cazzo!- esclamò, sbattendo una mano sulla scrivania sul tavolo.  

-Li abbiamo controllati, certo!- esclamò Jake, nervoso a sua volta. -Quel casolare in particolare era disabitato, sono sicuro. Lo ha controllato proprio Jones, non è così? È dovuta venire la padrona di casa ad aprirci appositamente, dato che vive in un’altra città!-  

-Voglio le foto satellitari- disse risoluta Emily. Non era una domanda, era un ordine. Jones scattò e iniziò a battere velocemente sulla tastiera del pc portatile posato sulla scrivania.   

Sullo schermo apparvero dei frame delle riprese aeree della zona che in cui si trovava il casolare, che da un lato era limitato da una fitta macchia di alberi.  

-Torna indietro di qualche giorno- ordinò Emily.  

Dopo qualche istante alzò lo sguardo, rivolta verso Jake. -Erano lì- disse, semplicemente.  

-Cosa?- esclamò lui, alzandosi in piedi -Non è possibile, Jones ha verificato e non c’era nessuno, e inoltre la proprietaria è una donna-. Guardò le foto, incredulo, e vide chiaramente un furgone bianco e un SUV nero andare e venire da li.  

Passarono due secondi di totale silenzio.  

Emily fece un passo avanti.   

-Ora abbiamo la certezza che viaggiano su un SUV nero e che hanno una donna con loro. Jones vai subito a far fare un ritratto, probabilmente la donna indossava un travestimento, ma se dovesse utilizzarlo ancora potremmo identificarla-. Poi si rivolse a Jake. -Tu, invece, comunica a tutti di concentrare le ricerche sul SUV ma non voglio che li fermino, se non lo hanno già fatto, e cerchiamo di capire se dalle immagini satellitari è possibile identificare marca, modello e targa. Ho un piano-   

Jake annuì e si mise all’opera, mentre Jones usciva velocemente dall’ufficio. Emily si preparò a uscire, raccogliendo i vari fascicoli sulla scrivania e indossando la giacca nera.  

Era pronta per portare a termine la missione.   

  

~ 

 

Emma scorse in lontananza un posto di blocco. Sentì un brivido percorrerle la schiena e decise di fermarsi alla stazione di servizio che lo precedeva. 

-Perché ci siamo fermati?- le chiese Rusty, nascosto dietro ai sedili posteriori. 

Matt le lanciò uno sguardo interrogativo. 

Lei aveva agito di istinto, sentiva i federali vicino e aveva paura di perdere il controllo al posto di blocco. Doveva calmarsi e concentrarsi, prima di rimettersi alla guida. 

-Devo usare il bagno- inventò, parcheggiando. Non voleva far trasparire il suo stato d’animo. 

Scese dalla macchina e si diresse verso il bagno della stazione di servizio. 

Era sporco, e puzzava di piscio. L’odore le fece venire un conato di vomito. 

Attese il suo turno, e poi entrò nel cesso, ancora più sporco del resto del bagno. 

Fece in fretta, e poi si sciacquò velocemente le mani nel lavandino. Fissò per qualche istante la sua immagine riflessa sul lercio specchio appeso sopra il lavandino, cercando di concentrarsi. Indossava un travestimento ma gli occhi erano i suoi. Potevano uscirne, li avrebbe condotti fuori da quel casino. 

Non fece in tempo a uscire dal bagno che il suono di alcuni colpi di pistola, seguiti dal rumore di un’esplosione, la paralizzò. 

Cercò subito il SUV con lo sguardo, e al suo posto vide soltanto fumo e fiamme. 

Fiamme, fumo, rosso, giallo. 

Si sentì morire. 

Mio padre. Danny. Matt. Jennifer. Erano tutti morti. 

Con un barlume di lucidità si rese conto che probabilmente stavano per prendere anche lei, così decise di spogliarsi del travestimento e iniziare a correre il più veloce possibile. 

Sentiva le lacrime rigarle il viso ma non poteva fermarsi, non si sarebbe fatta catturare. 

 
X 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

Il quartiere generale dell’Organizzazione era dotato, in uno dei piani inferiori, di uno spazio attrezzato con macchinari e pedane in cui gli agenti, dagli allievi dell’accademia agli operativi di livello più elevato, venivano addestrati e allenati durante la loro carriera. 

Erano presenti diversi ring, sale con tatami e pareti imbottite per permettere agli agenti di specializzarsi nelle più disparate pratiche di combattimento. 

Quella sera, da poco più di mezz’ora, Emily Lennox e Chris Rogers si stavano allenando insieme, su un ring da boxe. Era una lotta alla pari, nonostante lui fosse leggermente più alto e decisamente più muscoloso di lei. Emily, d’altro canto, lo batteva in rapidità ed era molto brava ad incassare i colpi. Entrambi conoscevano bene la tecnica di combattimento dell’altro, continuavano a precedersi a vicenda.  

Non sempre riuscivano a ritagliarsi momenti del genere per allenarsi insieme, il loro lavoro come supervisori richiedeva un grande impegno in termini di tempo e, appena erano liberi entrambi, ne approfittavano. Era anche il momento in cui entrambi riuscivano meglio a sfogare le proprie preoccupazioni.  

Era trascorso qualche giorno dal furto dei fascicoli di Vivienne e non avevano ancora avuto del tempo da passare insieme. 

-...e Jake sta diventando insopportabile, a stento mi guarda in faccia!- esclamò Emily, schivando un pugno diretto al suo naso. 

-Dovreste proprio prendere una decisione, farebbe bene a entrambi!- rispose Chris, parando un calcio destinato al suo fianco sinistro.  

-Uh, la fai facile tu! Non è come scaricare Crew- 

-Ah-ah guarda che non è stato semplice- 

-Sì, come no... Rogers ti vedo un po’ stanco, ti sta proprio succhiando tutte le energie quella ragazzina!- 

Chris ebbe un attimo di incertezza ed Emily riuscì ad assestargli un colpo sullo zigomo. Lei scoppiò a ridere, mentre Chris faceva un paio di passi indietro, scuotendo la testa.  

Saltellando sul posto, Chris riprese la guardia.  

-Che cosa le hai raccontato, l’altro giorno?- 

-Alla ragazzina? Niente che già non sapesse-  

Quella volta fu Chris a colpire Emily vicino al ginocchio, facendole perdere l’equilibrio. 

-Non te la prendere con me, è sveglia! E poi le ho solo dato un avvertimento- 

-Che cosa?- esclamò Chris, contrariato. -Cosa le hai detto?- 

-Dai Rogers, non ti preoccupare... niente che già non sapesse, te l’ho detto!- 

 -Ems... ma perché? Perché ti mezzi sempre in mezzo?- 

Lei sorrise, schivando un altro colpo. -Non mi metto in mezzo, vi ho dato... avevate bisogno di una spintarellaun incoraggiamento, vedila così- 

-Non ho bisogno di niente- fece lui, arretrando di un paio di passi. -Non succederà nulla con Vivienne, nulla- 

-Per come la vedo io, sta già succed...- iniziò Emily, prima di essere interrotta da Cristine, la loro collega, che aveva fatto irruzione nella sala e stava correndo verso il ring. 

-Lennox, Rogers! Emma Ryan è a Charlesdale- 

-Che cosa?!- esclamò subito Emily, iniziando a togliersi le protezioni, scendendo dal ring. Chris la seguì. 

-A Charlesdale? Adesso? È proprio lei?- 

-Si, è confermato, è da sola in una tavola calda. Tre squadre si stanno già dirigendo sul luogo, quando tu sei pronta possiamo partire anche noi- 

-Evans?-  

-Evans è nella sala operativa alfa, sta coordinando i cecchini e i mezzi speciali che arriveranno sul luogo- 

-Non ha senso- fece Emlly, mentre si dirigeva spedita ai piani superiori, con Cristine e Chris al seguito. -Niente di tutto questo ha minimamente senso! C’è qualcosa che non va. Chris devi venire con me- 

-Chiaro, devo prima avvertire Avery che non gli darò il cambio- 

-Raddoppia gli agenti su Vivienne, questa storia non mi piace- 

Si cambiarono rapidamente, indossando l’abbigliamento tecnico con cui erano soliti uscire in azione. Prepararono armi e munizioni mentre Cristine li aggiornava sulle caratteristiche del luogo, come esposizione e vie di fuga. 

-Voglio che sia allertato ogni operativo, voglio in aggiunta almeno 10 agenti in borghese che perlustrino il posto e nessuno si deve avvicinare a lei se non ci sono io- 

Cristine, man mano che Emily le impartiva ordini, comunicava celermente le disposizioni ai suoi colleghi mediante una ricetrasmittente. 

Risalirono velocemente il quartier generale fino al garage dei mezzi dell’Organizzazione, dove partirono a bordo di una berlina scura.  

Emily contattò Jake, spiegandogli la situazione chiedendogli di raggiungerli a Charlesdale. 

Arrivano in poco tempo. Fuori dal locale in cui si trovava Emma Ryan, seduta a un tavolo davanti a una tazza di caffè, era stato istituito un perimetro lungo il quale avevano preso posto numerosi agenti dell’Organizzazione e altrettanti tiratori scelti che si erano posizionati sugli edifici adiacenti, pronti ad entrare in azione. 

-Aggiornatemi- disse subito Emily, non appena raggiunti gli agenti che stavano coordinando le operazioni sul luogo. 

-Abbiamo fatto evacuare il locale ma è rimasto un civile all’interno. Ryan sa sicuramente che è circondata ma non si è mossa e non ha provato a fuggire-  

-Come hai intenzione di muoverti?- le chiese Chris. 

-Entro e l’arresto, se oppone resistenza la stendo- rispose lei risoluta. 

Con un binocolo professionale osservò Emma Ryan. Emily era incredula, era davvero seduta tranquillamente al tavolo, vicino alla parete finestrata del locale, e sorseggiava il suo caffè. Continuava a pensare e ripensare che la faccenda fosse troppo strana, troppo semplice. 

-Ma perché non ha provato a fuggire? Avete controllato se ci sono esplosivi? Complici? Armi nascoste?-  

-È tutto pulito, non c’è nulla. Sembra non sia armata ma potrebbe avere qualcosa nascosto sotto la felpa che indossa- le rispose uno degli agenti.  

Nel frattempo, sopraggiunse Jake. -Ehi, è proprio Emma Ryan?- 

-Si, è lei. Incredibile. Prendi cinque agenti e vai sul...- 

-Ma io la conosco- 

Chris ed Emily si voltarono sbigottiti a guardare Jake. 

-Che cosa?- 

-Che hai detto Jake?- 

Lui li guardò confuso. -I-io non sono sicuro ma credo di averla già vista, credo di averla conosciuta mesi fa a New York- 

Emily lo fissò truce per qualche istante. -Ne parliamo dopo, non c’è tempo adesso. Prendi cinque agenti e posizionatevi sul retro-. Jake fece un cenno con la testa e si allontanò. 

-Io coordino la squadra di Cristine per la copertura, i tiratori sono pronti in stand by e aspettano un mio ordine- disse Chris, porgendo a Emily un giubbotto antiproiettile. 

Si guardarono negli occhi. -Ce la possiamo fare. Ce la puoi fare- le disse. 

Lei indossò il giubbotto e un caschetto di protezione. -Qualcuno mi dia un auricolare, voglio un collegamento costante con te ed Evans-  

Chris annuì, passandole l’auricolare, prima di imbracciare un fucile ad alta precisione. -Ok. Noi siamo pronti- 

“Si Emily, anche noi siamo pronti” confermò Evans, a distanza. 

Emily si voltò verso il locale e impugnò saldamente la sua pistola.  

Era pronta anche lei. 


*to be continued*



Ciao a tutti voi che siete giunti al termine di questo capitolo, un po' più breve rispetto ai precedenti. 
Spero che la storia vi stia piacendo e ringrazio tutte le persone che stanno proseguendo la lettura. 

Nei prossimi capitoli si entrerà di più nel vivo della storia di Vivienne e Chris, vedremo anche cosa accadrà tra Emily ed Emma e pian piano capiremo il tutta la faccenda. 
Volevo anche ringraziare le persone che hanno inserito questa stora tra le preferite, le seguite e le ricordate, mi scaldate il cuore, grazie! <3 

Come sempre, ogni critica, commento o consiglio è ben accetta, sono sempre pronta a imparare e migliorare.

A presto!
Fra :)

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12 

 

Molto lentamente, un passo dopo l’altro, Emily Lennox si stava avvicinando alla porta del locale in cui si trovava Emma Ryan.  

La tensione era palpabile, Emily aveva i peli sul collo rizzati e la sua concentrazione era al massimo. 

Il luogo era immerso in un silenzio surreale ed lei sapeva che c’erano almeno cinquanta operativi con gli occhi puntati su di lei, alle sue spalle, ma nessuno emetteva il minimo suono.  

L’unico rumore che si riusciva a percepire era quello proveniente dagli stivaletti d’ordinanza di Emily contro l’asfalto umido.  

Teneva la pistola tesa davanti a sé, impugnandola con entrambe le mani. Gli occhi erano fissi su Emma Ryan, che aveva assunto uno strano sorriso ma sembrava estremamente rilassata. 

Raggiunse la porta del locale e abbassò lentamente la maniglia con una mano, tenendo salda la presa sulla pistola. 

Nel locale, oltre a Emma Ryan, era rimasto un cameriere molto impaurito dietro al bancone. 

-Esci- gli disse Emily, senza scollare lo sguardo dal suo obiettivo.  

Il cameriere uscì correndo e le due donne rimasero sole.  

L’agente era ormai a pochi metri dal tavolo di Emma Ryan, che rimaneva in silenzio sempre con lo stesso sorrisetto stampato sul viso. 

Emily non vedeva l’ora di poterglielo cancellare dalla faccia.  

Notò che aveva entrambe le mani posate sul tavolo, ben visibili. Sembrava disarmata. 

Osservò come l’aspetto fisico che le era stato attribuito mediante gli identikit stilati negli anni non fosse molto vicino alla realtà. Aveva la pelle chiara, quasi pallida, gli zigomi alti e gli occhi leggermente infossati, di colore azzurro, identici, come ricordò Emily in quel momento, a quelli di Rusty Ryan, suo padre. I capelli ramati erano raccolti in una crocchia disordinata che le lasciava il collo scoperto. Indossava una felpa nera con cappuccio e senza cerniera che rimaneva larga sul suo busto.  

“Riesci a vedere se ha dell’esplosivo addosso?” le chiese Chris. 

Emily scosse lentamente la testa, le labbra serrate. 

Gli sguardi delle due donne si incrociarono. Emma Ryan continuava a sostenere un’aria di sfida che Emily iniziava a trovare seccante, cresceva in lei la voglia di stenderla.  

-Emily Lennox. Finalmente ci incontriamo-  

Lei non rispose subito, voleva capire a che gioco stesse giocando.  

-Accomodati, ti prego-  

-Emma Ryan, ti dichiaro in arresto. Alza le mani sopra la testa e rimani ferma immobile dove sei- 

La donna scoppiò a ridere. -Dopo tutti questi anni, non hai trovato una formula più originale per arrestarmi?- 

Emily non colse la provocazione e rimase ferma al suo posto. -Al minimo movimento ti sparo e sei morta, quindi fai ciò che ti dico-  

-Mi spari tu o ci penserà il principe azzurro là fuori?- 

-Anche Rogers ha una pistola che punta alla tua testa, non lo farei innervosire fossi in te- 

-Io parlo di Jake, Jake Marshall. Lo so che c’è anche lui- 

Emily strinse i denti ma non reagì. Non voleva cadere nella sua trappola. 

-Alza lentamente le mani sopra la testa, non te lo ripeto più- 

Emma, continuando a sorridere beffarda, obbedì. 

-Tanto lo sai che si ridurrà solo a me e te, lo sai, sì?- 

-Stai zitta-. Emily fece un passo verso di lei. -Adesso mi avvicino e ti mento le manette, tu rimani ferma- 

Si avvicinò e le ammanettò i polsi dietro la schiena, poi la fece alzare e la sbatté con la faccia e il busto contro al tavolo, iniziando a perquisirla con la pistola saldamente piantata al centro della schiena di Emma Ryan. 

Lei ridacchiò ma non oppose resistenza. 

-È pulita- disse all’auricolare. 

“Siamo pronti all’uscita” 

Lentamente, Emily ed Emma si diressero verso la porta del locale.  

-Non mi chiedi nemmeno cosa ci faccio qui?- provocò la Ryan. 

-Avremo tempo per parlare di tutto quello che vuoi- rispose secca Emily. 

Attraversarono la soglia e due squadre per un totale di dieci agenti le circondarono. Afferrarono Emma Ryan, la incappucciarono e la fecero salire su un mezzo blindato dell’Organizzazione.  

Emily si fermò, l’arma sempre tesa e puntata verso la Ryan. Non le avrebbe staccato gli occhi di dosso finché il mezzo non si fosse allontanato. 

Prima di interrogarla, voleva capire perché si fosse lasciata arrestare così, in quella circostanza. Aveva capito che fosse per lei, per essere arrestata da Emily in persona, ma non voleva rischiare di rimanere sola con la Ryan in quel momento, per quanto inoffensiva, senza sapere prima quali fossero le sue reali intenzioni. 

-Voglio che sia controllata a vista h24 da almeno cinque operativi- disse subito Emily a Cristine, appena sopraggiunta, mentre Emma Ryan veniva caricata sul mezzo. -Deve essere perquisita a fondo e controllate che addosso non abbia localizzatori o microfoni o qualsiasi altra cosa- 

Rimanendo all’erta e concentrata, l’arma ancora carica e impugnata saldamente, si voltò poi a guardare Chris che nel frattempo l’aveva raggiunta.  

-È stato troppo semplice- si limitò a dire. 

Il blindato partì. 

-Lo so- rispose lui, serio. -Ci penseremo dopo, torniamo alla base adesso-  

Le sfilò delicatamente la pistola dalle mani e poi l’abbraccio. -Intanto l’hai arrestata Ems, ce l’hai fatta- 

Lei lo guardò, corrucciata, senza dire una parola. 

Vennero raggiunti da Jake, che abbracciò entrambi. -Sei stata pazzesca, l’hai presa finalmente- 

“Bel lavoro Lennox, sono fiero di te!” ruggì Evans, ancora collegato dalla sala operativa. 

Lei abbozzò un sorriso. Anche lei si sentiva fiera di sé. 

 

~ 

 

Quella notte, Vivienne venne svegliata di soprassalto da qualcuno che stava bussando con insistenza alla porta della sua camera da letto. 

-Avery ti giuro che se devi cercare il tuo cercapersone o il tuo cervello a quest’ora,- iniziò a protestarealzandosi controvoglia e indossando velocemente una vestaglia, -ti uccido con le mie mani. E poi non hai le chiavi? Perché bussi?!- 

Stava per aggiungere qualche altra cattiveria, aprendo la porta, quando si interruppe. Non c’era Avery fuori dalla sua stanza, bensì un sorridente Chris Rogers. Era di fronte a lei, indossando una semplice t-shirt bianca e un paio di jeans blu scuri. Non poté fare a meno di pensare che fosse tremendamente attraente anche in abiti civili, senza la sua solita divisa. 

Subito sentì lo stomaco contorcersi. Presa alla sprovvista, non riuscì subito a dire nulla e l’agente l’abbracciò euforico, sollevandola un po’ da terra. 

Quando si separarono, Vivienne era molto sorpresa e imbarazzata allo stesso tempo. -Che cosa succede?- gli chiese, aggiustandosi goffamente la vestaglia che nella foga dell’abbraccio si era spostata. 

-Abbiamo arrestato Emma Ryan, un’ora fa- rispose lui, accarezzandole una guancia. 

La ragazza avvampò ma non si sottrasse dal suo tocco.  

Gli sorrise. -È una notizia fantastica!-  

-Si, dovevo venire a dirtelo assolutamente-  

-Grazie, sono molto contenta per voi- 

-Sei la prima persona a cui ho pensato- 

Continuarono a guardarsi in silenzio per qualche istante. Lei, inaspettatamente, gli prese una mano. Lui la strinse e poi la avvicinò alle sue labbra, schioccando un bacio sulle nocche.  

Vivienne trattenne il fiato, voleva soltanto saltargli addosso e non lasciarlo più andare. Il suo cuore iniziò a battere più velocemente. 

-Vuoi...- disse a mezza voce, indicando con la mano libera la sua camera.  

-Si- rispose lui, subito. 

Lei indietreggiò, senza staccare gli occhi da Chris mentre lui la seguiva e, sempre con le dita intrecciate alle sue, richiudeva la porta alle sue spalle.  

Vivienne, in quel momento, si sentì totalmente a suo agio, ogni imbarazzo era svanito. Sentiva un brivido, come se ciò che stavano per fare fosse sbagliato, e percepì crescere l’adrenalina, come quando infrangeva le regole. La sensazione che preferiva. 

Chris la tirò dolcemente a  e Vivienne appoggiò la mano libera sul suo petto.  

Lo voleva, lì, in quel momento, senza dover aspettare ulteriormente. 

Lui le slacciò la cintura nella vestaglia, sfiorandole l’ombelico e lasciandola in pigiama. 

Vivienne si lanciò un accidente per non aver indossato qualcosa di più sexy per dormire, al posto di una maglietta incolore e pantaloni lunghi di flanella. 

Portò entrambe le mani sul collo di Chris, sfiorandolo. Voleva toccare ogni centimetro della sua pelle. Riusciva a percepire che anche lui voleva la stessa cosa ed entrambi stavano assaporando ogni istante di quel momento 

Chris le posò una mano sulla schiena, poco sopra al sedere, avvicinandola ancora di più a sé. 

Vivienne appoggiò entrambe le mani sul suo viso e si alzò sulle punte dei piedi, tendendosi verso lui, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi azzurri. 

Quell'attesa era la più faticosa e terribilmente eccitante che Vivienne avesse mai provato. 

I loro volti erano ormai a pochi centimetri l’uno dall’altro, i corpi incollati, quando il cercapersone di Chris cominciò a suonare.  

Vivienne chiuse gli occhi e sospirò. Chris appoggiò la fronte sulla sua spalla, senza separarsi da lei.  

-È Evans, devo andare a fare rapporto- 

La ragazza non rispose e gli passò una mano fra i capelli, sulla nuca 

Lui le diede un leggero bacio un collo, che la fece ancora rabbrividire, prima di allontanarsi di un passo, una mano ancora salda sul fianco di Vivienne. 

-Dai, vai, se continui a guardarmi così va a finire che non ti lascio più andare- disse infine lei, sorridendo. 

Lui scosse la testa. -Ti giuro che vorrei solo restare qui con te adesso 

Le prese di nuovo la mano e la portò alle labbra, per baciarla, prima di dirigersi verso la porta. 

-Domattina vengo a prenderti e andiamo a fare colazione insieme-  

Vivienne annuì. -Ti aspetto- 

 

~ 

 

Il resto della notte, Vivienne non riuscì a chiudere occhio. Continuava a rigirarsi nel letto e a pensare a quella manciata di minuti in cui era stata così terribilmente vicina a baciare Chris, e a fare tanto altro con lui. Non si sentiva tanto attratta da un ragazzo da lungo tempo, ogni cellula del suo corpo lo voleva. 

Quando la luce del giorno iniziò a filtrare dalla finestra, attraverso le fessure delle persiane, decise di cambiarsi e prepararsi per l’arrivo di Chris. Sapeva che difficilmente avrebbero potuto trascorrere insieme del tempo da soli, prima della colazione, ma sperava che riuscissero a scambiarsi almeno un bacio. Indossò un paio di leggings aderenti e una t-shirt con una generosa scollatura a V. Voleva che lui la desiderasse.  

Si sedette sul letto, in attesa che venisse a prenderla, e ricominciò a pensare cosa sarebbe successo, alle parole da dire.  

Aveva paura che lui potesse tirarsi indietro. Vivienne sapeva che per lui, lei era innanzitutto un lavoro. Doveva occuparsi della sua sicurezza e della sua protezione, e Vivienne temeva che decidesse di non superare quel limite, di attenersi alle regole. 

Per lei, abituata com’era a infischiarsi di qualsivoglia regola che si metteva di trasverso tra lei e ciò che voleva, non sarebbe stato un problema, ma temeva che lo sarebbe stato per Chris.  

Ripensò a tutte le volte in cui aveva seguito cuore e istinto a scapito di ciò che avrebbe dovuto fare. Non sempre si era rivelato un successo, le era capitato di spingersi oltre i limiti sbagliati – e le visite alla centrale di polizia di Hartford erano state alcune delle conseguenze.  

Il confine che avrebbe superato con Chris era enorme, al limite dello sbagliato. Perché lui era più grande, perché cercava di salvarla da un pazzo omicida e perché nessuno dei due, lo sapeva bene, poteva prevedere come sarebbero andate le cose, come si sarebbe evoluta quella situazione.  

Ma a Vivienne non importava, voleva assaporare il momento e sentirsi viva, buttarsi nell’ignoto. 

Il flusso di pensieri venne interrotto quando sentì bussare. 

Balzò giù dal letto, con il cuore a mille, e si lanciò ad aprire la porta. 

Chris era lì, davanti a lei. Indossava la divisa nera e le sorrideva. 

-Buongiorno- le disse, sorridendo.  

Vivienne stava per saltargli al collo, quando si accorse di un’altra persona alle spalle di Chris, Emily. 

-Si, è proprio una buona giornata, ragazzina- disse lei, sorridendo.  

Vivienne boccheggiò e poi chiuse gli occhi. Per qualche istante, immaginò mentalmente di strozzarla, poi si ricompose ed aprì gli occhi. 

-Buongiorno a voi- rispose infine, sorridendo suo malgrado. 

-Se sei pronta, vorremmo andare a fare colazione- continuò Emily, che sembrava essere davvero di buon umore. 

-Ho saputo dell’arresto di Emma Ryan, congratulazioni- fece Vivienne, chiudendo la porta della sua stanza alle spalle.  

-Ah, vedo che corrono veloci le notizie..! Anche se pensavo non avessi ancora visto nessuno questa mattina. Qualcuno è passato ieri sera?- rispose Emily, lanciando un’occhiata divertita a Chris. 

Lui, visibilmente in imbarazzo, sorrise ma non disse nulla. 

-Oh, non farti idee strane, purtroppo ho dormito da sola questa notte- rincarò Vivienne, con un ghigno.  

Raggiunsero la mensa, dove regnava un’atmosfera molto diversa dagli altri giorni: c’erano, infatti, molti più agenti del solito, tutti sorridenti e decisamente giovali, mentre ridevano e scherzavano fra loro. 

Molte persone si erano congratulate con Emily e Chris per l’arresto effettuato e avevano chiesto che collaborassero con loro su altri casi. 

-Penso che dopo l’interrogatorio di Emma Ryan mi prenderò qualche giorno di licenza- disse Emily, una volta seduta al tavolo con Chris e Vivienne, davanti a un vassoio carico di dolci. -Vorrei andare al mare, al caldo-  

-Posso assistere all’interrogatorio?- chiese subito Vivienne, emozionata, mentre inzuppava un biscotto nella tazza di latte che aveva di fronte a sé. 

Emily scoppiò a ridere. -Assolutamente no, ragazzina. Chris, ma quand’è che la tua fidanzata è diventata così audace?- 

Vivienne arrossì e le andò di traverso il biscotto che stava masticando.  

-Ems, ma perché non ce la fai a farti gli affari tuoi?- fece Chris, divertito.  

-Sono sempre stata audace ma sono ancora single, per quanto mi riguarda- rispose piccata Vivienne, guardando Chris dritto negli occhi. 

-Oh-oh! Qui la situazione si scalda!- fece Emily, senza smettere di ridere. -Comunque,- continuò, tornando improvvisamente seria, -non parteciperai all’interrogatorio- disse, con un tono categorico che non ammetteva repliche. 

-Beh, ok, non volete farmi assistere a qualche scontro sanguinoso, lo capisco- rispose Vivienne, tornando a guardare Emily e alzando le mani. -Ma vorrei scambiarci due parole. Voglio sapere se è la complice di David Cooper- 

Chris alzò gli occhi al cielo, intrecciando le mani dietro la nuca. -Uh, ci risiamo-  

Vivienne gli lanciò un’occhiataccia. -Continuate a non darmi risposte, non mi resta che indagare alla fonte- 

-Senti, Sherlock, ti ho promesso che avrei approfondito la questione e l’ho fatto, ma non c’è nulla di nuovoAmmetto che sono coincidenze molto strane, è vero. Però non ho trovato alcun riscontro e tu stessa non hai idea di quale possa essere l’ipotetico movente- fece Emily, mantenendo lo stesso tono duro. 

Vivienne la guardò in cagnesco ma non rispose. Avrebbe trovato una strada alternativa e avrebbe parlato con Emma Ryan, che a loro piacesse o no.  

-Allora, siete pronti per la festa?!- esclamò Avery, sedendosi vicino a Emily. 

-Che festa?- chiese subito Vivienne, interessata. Festini e serate di baldoria erano il suo pane. 

-Nulla di che- rispose Chris, scuotendo una mano. 

-Nulla di che? Spero tu stia scherzando RogersStanno organizzando una festa in nostro onore!- fece Emily, dando una gomitata dal suo collega. -Più in mio onore, in realtà, ma accetto che riconoscano anche il tuo contributo- 

-Per l’arresto? Vi prego ditemi che dovremo vestirci eleganti!- rispose Vivienne, entusiasta. Stava già immaginando Chris con addosso un elegante completo blu notte, attillato al punto giusto. 

-Non è mica il ballo del liceo- la rimbeccò Averyridacchiando 

-Peccato, sono sempre stata eletta reginetta- rispose lei, con un ghigno, lanciando un’occhiata eloquente a Chris. Avrebbe proprio voluto fosse il suo cavaliere per la festa. Avrebbe voluto lo fosse stato per tutti i balli a cui aveva partecipato. 

-Chissà perché non lo dubiti proprio nessuno- 

 

~ 

 

Nonostante l’entusiasmo per la cattura e l’arresto di Emma Ryan fosse diffuso in tutta la base e fosse decisamente contagioso, Emily Lennox non riusciva a essere del tutto soddisfatta.  

Non riusciva a togliersi dalla testa che non fosse ancora del tutto finito, le era sembrato tutto troppo, maledettamente semplice. 

Emma Ryan non aveva opposto alcuna resistenza all’arresto. Non era sembrata stupita o terrorizzata perché senza via d’uscita. Sembrava proprio che se avesse aspettato che l’Organizzazione la trovasse. 

Quando Emily aveva esposto i suoi dubbi a Evans, il suo superiore, le era stato detto di godersi quella vittoria e di non porsi troppe domande. 

Era evidente come tutti fossero contenti di quell’epilogo. Emma Ryan aveva fatto dannare l’Organizzazione per anni e nessuno voleva pensare che quell’incubo non fosse finito.  

Evans stesso aveva fornito a Emily la spiegazione che tutti avevano adottato con gioia: Emma Ryan non poteva conoscere l’ubicazione esatta della base, nessuno al di fuori degli agenti dell’Organizzazione e di qualche fidato esterno, come Jake Marshall, ne era al corrente. Per tutti era evidente che si fosse trovata in quel locale per puro caso e che, una volta resasi conto di non aver possibilità di uscire da quella situazione, si fosse arresa. 

Emily considerava quella spiegazione troppo labile. Certo, era un soggetto instabile e con qualche rotella fuori posto, lo sapeva bene, ma per lei era troppo strano che si trovasse proprio a Charlesdale e per giunta disarmata. Non aveva senso. 

Chris le aveva detto che magari non riusciva ad accettare che, dopo tutti quegli anni, la fine fosse stata così banale. Nessuno scontro armato, nessun combattimento corpo a corpo. 

Emily sentiva che in parte avesse ragione. Era come se fosse mancata un po’ di soddisfazione. Avrebbe proprio voluto suonargliele per bene, e invece si era arresa subito. 

Quella mattina, dopo aver fatto colazione con i ragazzi e Vivienne, sarebbe andata a interrogare Emma Ryan e non stava nella pelle. Era determinata a carpire più informazioni possibili. 

Salì nel suo ufficio per riguardare il fascicolo e ripassare i punti più salienti dell’intera vicenda, non voleva essere colta in fallo. 

Si collegò al sistema di sorveglianza e inizio a osservare Emma Ryan chiusa nella sua cella. Era sdraiata sul lettino e sembrava dormire serenamente, le mani intrecciate sul petto. Sembrava quasi morta tanto era immobile.  

Mentre Emily si chiedeva come fosse possibile che fosse così tranquilla, Jake entrò nell’ufficio. 

-Ciao- gli disse lei, sorridendo.  

Lui abbozzò un sorriso. -Ciao. Tutto bene?- 

-Si, scusa se non sono tornata a casa ieri sera, Evans ci ha tenuti impegnati in una riunione per ore, poi mi sono fermata a dormire qui- 

Jake alzò le spalle. -Immaginavo, tranquilla. Senti ti devo parlare- 

-Ehi,- inizio Emily, alzandosi in piedi e raggiungendolo, -so che nelle ultime settimane sono stata…- 

-No, ti devo parlare di Emma Ryan- 

Emily lo guardò sorpresa. -Dimmi tutto- 

Lui si allontanò da lei e si sedette alla scrivania e respirò a fondo. -Come ho provato a dirti ieri sera…- 

-Ieri ero un po’ presa da tutt...- 

-Fammi finire. Ieri sera ho cercato di dirti che l’avevo già vista, a New York, mesi fa- 

Emily si avvicinò alla bacheca appesa al muro. -Sei sicura fosse lei? Era stata avvistata circa un anno e mezzo fa lì- 

-Si. Non l’ho riconosciuta all’epoca, ma adesso sono sicuro fosse lei. Era con una bambina, si è presentata come Cece Wilson- 

-Una figlia? Non abbiamo mai saputo fosse diventata madre… quanti anni aveva la bambina?- 

Jake scosse la testa. -Credo circa quattro anni, ma non sono sicuro. Forse cinque- 

Lei si soffermò a osservare la linea temporale disegnata sulla bacheca-Effettivamente, c’è stato un periodo in cui pareva essere scomparsa, non gli è stato attribuito alcun crimine circa cinque anni fa. E l'anno prima…- 

A Emily si mozzò il fiato quando giunse a leggere cosa fosse successo l’anno precedente.  

Bakersfield, California. 

Lo sguardo cadde sulla data. 

D’un tratto sentì la gola secca.  

-L'anno prima c’è stato il rapimento di Jennifer Mosby. È quando abbiamo ucciso i suoi compagni- 

-Pensi che uno fosse il padre della bambina?- 

Emily tornò a sedersi alla scrivania. Deglutì.  

-È molto probabile. Ma non è questo il punto- 

Iniziava a pensare che non fosse un caso che Emma Ryan si fosse fatta catturare proprio la sera precedente 

-Cosa intendi?- 

-L'anniversario dell’operazione in cui sono morti suo padre e i suoi complici. Era ieri- 

*to be continued*

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


New York, New York – Circa un anno e mezzo prima 

 

-Tesoro, tu cosa vuoi da mangiare?- 

Emma Ryan e sua figlia Casey erano sedute in una piccola e accogliente tavola calda a Brooklyn, New York. La piccola stava guardando il menù plastificato del ristorante e indossava degli occhiali da sole rosa, che sua madre le sfilò con delicatezza dal viso.  

-Allora? Cosa ti piacerebbe mangiare?- 

-Voglio un caffè!- esclamò la bambina, ridendo. 

Emma sorrise. -Non puoi, il caffè è per i bimbi grandi e tu sei ancora una bimba piccola. Ti andrebbe un succo di frutta?- 

La bambina appoggiò il mento sulle mani e iniziò a scrutare le persone presenti nel locale, con sguardo beffardo. -Solo se ci metti il caffè dentro!- esclamò. 

-Certo che sei tremenda, eh!- fece Emma, ridendo.  

Osservò sua figlia, e le tornò in mente il volto e il sorriso del padre. Cercò di pensare ad altro e agitò una mano per attirare l’attenzione della cameriera. Ordinò da mangiare per  e per la bambina, che aveva iniziato a giocare con il barattolo dello zucchero. Emma prese il giornale posato sul tavolo dietro il loro e si mise a leggere distrattamente le notizie del giorno. I suoi pensieri erano concentrati su ben altro: stava aspettando che una delle sue collaboratrici, Megan Cross, la chiamasse per aggiornarla sul lavoro che aveva terminato ad Atlanta quella notte, durante il quale aveva scoperto una notizia importante su un’agente dell’Organizzazione che le dava la caccia da sette anni ormai. Emma collaborava con quella nuova collaboratrice da poco tempo ma aveva già capito che fosse molto in gamba, e che poteva fare affidamento su di lei.  

La cameriera portò il caffè, il succo e i pancakes che Emma aveva ordinato. Casey inondò subito il suo piatto con dello sciroppo d’acero e ripeté l’operazione con il piatto di sua madre, che la guardava sorridendo. Era il loro rito della domenica, con colazione e passeggiata. Il resto della settimana Emma lavorava e non riusciva a trascorrere molto tempo con sua figlia, che rimaneva con una babysitter. Ogni tanto si univa a loro anche Megan, sempre così attenta e determinata nello svolgere i lavori che lei le assegnava. 

Mentre la bambina continuava a fare pasticci con lo sciroppo d’acero, l’attenzione di Emma venne attirata dal tintinnio della porta che si apriva e alzò lo sguardo verso quella direzione. Entrarono tre uomini, di cui uno leggermente più arretrato rispetto ai primi due, tutti abbigliati con vestiti scuri e camicie bianche.  

Federali, pensò subito. Poi sobbalzò, quando riconobbe il terzo ultimo uomo. 

Jake Marshall.  

Sentì come se improvvisamente la temperatura si fosse abbassata di colpo, le orecchie ovattate.  

I loro sguardi si incrociarono e Jake le sorrise cortesemente.  

Non l’aveva riconosciuta 

Ad Emma si spezzò il fiato. 

Nella sua testa si susseguirono domande e dubbi, voleva parlargli ma sapeva di non poterlo fare, lo aveva sempre osservato da lontano e non si era più trovata così vicina a lui, non dopo quell’unica notte insieme, cinque anni prima.  

Le sembrava che la testa le stesse per scoppiare, quando fu proprio Jake ad avvicinarsi al loro tavolo. Emma sentì il panico crescere in lei. 

Lui si chinò a raccogliere il giubbottino che era caduto dalla sedia di Casey. 

-Ecco, piccola- le disse sorridendo, mentre le porgeva la giacca. 

Emma sentì la bocca secca. Era proprio lui. -Ringrazia il signore- disse alla figlia, cercando di apparire il più naturale possibile. 

-Grazie Signor Elegante- disse Casey, con tono un po’ bisbetico.  

Lui scoppiò a ridere. - Puoi chiamarmi Jake-  

-Va bene, Signor Jake Elegante- 

-Vedo che sei un peperino, eh?- fece lui, continuando a sorridere. 

-Si, la scusi- rispose Emma, fingendosi imbarazzata. -Casey..!- aggiunse poi con tono severo, a mezza voce. In realtà non voleva sgridarla ma non sapeva che altro dire in quel momento.  

-Oh, non si preoccupi- fece lui, scuotendo le mani. - Fossero tutti come lei i bambini-  

-Grazie per la giacca- 

-Si figuri, signora..?- 

-Signorina, in realtà. Cece Wilson-  

Lui le porse la mano. -Jake Marshall, piacere- 

Emma la strinse, senza aggiungere altro.  

-Allora, buon appetito e buona giornata- disse ancora Jake sorridendo, prima di allontanarsi e raggiungere i suoi colleghi.  

Emma si sentì invadere dalla rabbia. Aveva sempre avuto il sospetto, ma solo in quel momento era stata travolta dalla certezza: lui si era dimenticato di lei.  

Si era convinta, negli anni, di essere riuscita a superare quello che era successo con lui. D’altronde, era sparita lei, dopo la morte di suo padre si era resa irrintracciabile e Jake, anche volendo, non avrebbe avuto modo di trovarla. Erano passati tanti anni ed Emma aveva subito una trasformazione fisica notevole, lo sapeva bene. Lo aveva voluto.  

In realtà era una ferita che non si rimarginava mai, nonostante Emma provasse ad andare avanti con tutta sé stessa. In cuor suo, Emma sapeva che non ci sarebbe mai riuscita. 

 

X 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

-Lennox, noi rimaniamo da questa parte del vetro, se si mette male interveniamo-  

Emily annuì, guardando Evans. -In ogni caso aspettate il mio segnale-  

Si trovavano fuori dalla sala interrogatori del bunker più inaccessibile e protetto del quarter generale dell’Organizzazione.  

C’erano anche Chris e Jake con loro, avrebbero assistito all’interrogatorio di Emma Ryan che avrebbe condotto Emily. 

Poco prima, insieme a Jake, aveva scoperto un dettaglio importante della vicenda e aveva deciso che lo avrebbe usato nell’interrogatorio per far cedere Emma Ryan. Sperava di aver scoperto la chiave per chiudere definitivamente quella storia. 

Entrò nella sala, dove Emma Ryan era già stata legata a una sedia.  

Aveva ancora il sorriso della sera precedente stampato sul volto.  

Emily aveva ancora la stessa voglia di spaccarle la faccia. 

La osservò per qualche minuto senza dire alcunché, aspettando una sua reazione. 

-Dopo tutti questi anni non c’è proprio nulla che mi vuoi chiedere?- disse poi Emma, assumendo una finta espressione noiosa.  

Emily inclinò la testa. Pensava di avere un vantaggio e non voleva sprecarlo. 

-Ad esempio? Che cosa ti dovrei chiedere?- 

Emma Ryan fece una smorfia. -Non vuoi sapere come mai conosco il tuo fidanzato?- 

-No- rispose semplicemente Emily, senza far trasparire alcuna emozione.  

-E allora cosa vuoi sapere?- 

-Voglio sapere chi sono i tuoi complici, le tue identità false e l’elenco dei tuoi covi- 

-Mi sono sempre nascosta alla luce del sole, non come i topi come voi. Qui ci sono dieci piani sotterranei, e adesso siamo al nono, sono piuttosto sicura- 

Emily ebbe la conferma che Emma Ryan non era capitata per caso a Charlesdale e, per di più, conosceva anche il quartier generale nei dettagli. Capì, anche, che non le aveva dato quell’informazione a caso. 

-Conosciamo molti dei tuoi spostamenti, sappiamo cos’hai fatto negli anni. Ti stiamo dando l’opportunità di collaborare con noi. Potresti veder ridotta la tua pena-  

-Non prendiamoci in giro, Emily. Trattami come una tua pari. Sappiamo entrambe che non riceverò alcuno sconto- 

-Beh, però potremmo essere clementi con tua figlia-  

La minaccia di Emily non era seria ma sapeva di risultare credibile, voleva che Emma lo pensasse. 

Lei rimase in silenzio e continuò a guardare l’altra donna con la medesima espressione. 

Emily si sarebbe aspettata una reazione diversa, o almeno una reazione di qualsiasi tipo. 

-Bene,- disse, dopo qualche istante. -finché non ti deciderai a parlare, terrai compagnia ai topi- 

Emma scoppiò a ridere, selvaggiamente, come un’ossessa. 

Il suono della sua risata fece rabbrividire Emily, che non si voltò a guardarla. 

-Dai un bacio a Jake da parte mia- 

Emily uscì dalla sala e raggiunse Evans, Chris e Jake. 

-Tecnica un po’ anomala,- commentò il Capo Sezione, -la prossima volta posso pensarci io, o mandiamo Rogers, se non te la senti-  

Emily scosse la testa. -Emma Ryan è mia. Ci penso io. Ho una strategia, sto aspettando che commetta un passo falso. Ho un vantaggio e non lo voglio sprecare- 

Lui la guardò, facendo trasparire dell’ammirazione. -Va bene, mi fido del tuo giudizio- 

Emily si girò verso il suo fidanzato. -Inizia un po’ a infastidirmi tutta questa confidenza nei tuoi confronti- fece, posando una mano sulla sua spalla.  

-Non so che dire, è tutto così assurdo. L’ho vista una volta sola e ci avrò parlato per due minuti, me lo ricordo a malapena-  

-Non ti preoccupare amico,- si intromise Chris, continuando a osservare Emma Ryan attraverso il vetro a specchio della sala interrogatori, -è una squilibrata, non vedo altre spiegazioni- 

-Torniamo su, prima che la riportino nella sua cella- disse Evans. 

Emily lanciò un’ultima occhiata a Emma Ryan, ancora sorridente e legata alla sedia, e poi seguì i tre uomini lontano da lei. 

 

~ 

 

Vivienne era molto eccitata dall’idea di partecipare alla festa in onore di Emily e Chris: finalmente dopo tante, troppe settimane, avrebbe potuto fare qualcosa che non fosse guardare film, leggere libri o continuare a pensare a David Cooper ed Emma Ryan. 

Aveva insistito con Chris e poi direttamente con il Capo Sezione Evans per poter partecipare all’organizzazione della festa, che si sarebbe tenuta il giorno dopo nell’auditorium del quartier generale, all’ultimo piano superiore. 

La mattina dopo l’arresto di Emma Ryan, il giorno prima della festa, Vivienne aveva affiancato una vecchia signora, impiegata nell’ufficio amministrativo, e l’aveva aiutata a scegliere le decorazioni, coordinare i cuochi della mensa per la preparazione di alcuni spuntini dolci e salati da servire dopo la premiazione e aveva potuto dare qualche suggerimento circa la lista di bibite e alcolici. Avrebbe dovuto incontrare Nick per studiare, quel pomeriggio, ma aveva deciso di rimandare.  

Avery l’aveva sorvegliata e aiutata. In effetti, dovette anche eseguire molti degli ordini che lei gli impartiva, soprattutto quando si misero cercare le decorazioni in un vecchio archivio.  

-Beh, non posso dire di essere particolarmente soddisfatta. Voglio dire, abbiamo scelto un tema semplice, io avrei preferito un ballo in maschera ma non importa,- continuava a blaterare Vivienne, -Notte Stellata andrà più che bene, sono sicura che non abbiate mai partecipato a balli o feste di alcun tipo- 

-Sai,- rispose Avery, mentre risalivano con gli scatoloni colmi di decorazioni, verso l’auditorium, -a volte capita che per certe missioni sotto copertura si debba partecipare a eventi, anche di gala-  

-Fatico a crederci, ma va bene- 

-Guarda che è vero- 

-Vi ci vedo proprio a mimetizzarvi nell’alta società, con i vostri portamenti rigidi e le divise nere. Aspetta, mettilo lì a terra, domani montiamo tutto-  

Avery posò lo scatolone sul pavimento. -Ci cambiamo per l’occasione, ok? Non è che andiamo vestiti così- rispose, indicando i propri indumenti. 

-Acquistate abiti per l’occasione? Tra l’altro, tu domani cosa ti metti? Dovrò chiedere in prestito qualcosa a Emily. Sarebbe stato meglio Will, abbiamo più o meno la stessa taglia, ma l’ho fatta cacciare- 

Avery fece una smorfia e sbuffò. 

-Dai Wood, stavo scherzando, non te la prendere. Ma sul serio, tu che ti metti? Hai qualche abito da riciclare?- 

Lui sorrise e scosse la testa. -Non so ancora cosa mettere, ma so dove trovarlo-  

Lei lo guardò incuriosita. -Dove?- 

-Ti piacerà- 

Vivienne lo seguì fuori dall’auditorium e tornarono verso i piani inferiori.  

Arrivarono al piano con la zona fitness e superarono la piscina. Entrarono in una stanza che a Vivienne sembrò subito un altro magazzino. 

Era stipato da armadioni alti e polverosi. 

-È qui che nascondete i serial killer che catturate e uccidete?- fece, sarcastica.  

-Aspetta, questo sta per diventare il tuo posto preferito in tutta la base- 

Avery aprì il primo armadione, svelando decine di bustoni bianchi appesi all’interno. 

-Ma queste sono...- fece Vivienne, incredula.  

-Proprio così, custodie porta abitiPiene zeppe di vestiti- 

La ragazza iniziò ad aprirne alcuni, svelando splendidi abiti da sera da donna e da uomo. 

-Questo è il Versace che ha indossato Elizabeth Hurley nel 1994...- mormorò estasiata, continuando ad aprire custodie, -… cielo, questo è il Ralph Lauren che Gwyneth aveva quando ha vinto l’oscar nel 1999, e questo... Angelina nel 2012. Sono senza parole! Avery ma è incredibile!- 

Lui sorrise divertito. -Te l’ho detto che ti sarebbe piaciuto-  

-E tutto questo sarebbe per... come li chiamate? Lavori sotto copertura?- ghignò lei ironica, ancora incredula. -Dimmi che ci sono anche le scarpe e posso morire anche adesso, qui- 

-Certo, per chi ci hai preso..? Siamo un’Organizzazione seria-  

Vivienne scosse la testa, incantata.  

Chiuse un momento gli occhi e visualizzò il vestito che avrebbe voluto indossare per la festa. 

Avrebbe dovuto lasciare Chris a bocca aperta. 

-Ok Avery, adesso ti spiego esattamente cosa mi devi aiutare a cercare- 

Trascorsero le due ore successive a rovistare tra abiti e paia di scarpe, finché Vivienne non riuscì a trovare ciò che stava cercando. Abito, scarpe e soprabito. Proprio come aveva immaginato. 

Avrebbe voluto rubare tutti quei vestiti, non riusciva a credere che in un luogo come quello fossero conservati così tanti capi d’alta moda, sentiva come se fossero un po’ sprecati per quegli agenti, per l’Organizzazione. 

Terminata la scelta dell’abito, Vivienne tornò in camera sua e nascose l’abito nel piccolo bagnetto della sua stanza, dove normalmente nessuno entrava ad eccezione di lei.  

Non riusciva più a stare nella pelle per l’evento della sera successiva, era entusiasta ed eccitata.  

Ad un tratto si ricordò che non avevano pensato al dj.  

-Chi mette la musica a queste feste? Chi decide la scaletta?- 

-No, guarda,- iniziò Avery, -in realtà normalmente dopo il discorso del Direttore e la premiazione, si sta un po’ nella sala e poi ognuno torna ai propri compiti. Non c’è la musica, non si balla dopo- 

-Non c’è… che cosa? Bene, torniamo da Evans, non esiste che non ci sia la musica! Voi siete matti, con che coraggio la chiamate festa?- 

Balzò in piedi e fece per uscire. Avery però non si era mosso nella sua direzione. -Andiamo Wood, lo sai che se non mi accompagni ci vado lo stesso!- 

 

~ 

 

-Vivienne sembra impazzita, non ha fatto che pensare all’organizzazione della festa per tutto il giorno- 

Emily era seduta nel suo ufficio insieme a Chris. Si stavano rilassando, mentre si lanciavano una piccola palla di gommapiuma. 

-Forse riusciremo ad avere una festa decente finalmente- commentò lei, un po’ vaga. 

Stava ancora pensando a Emma Ryan e all’interrogatorio della mattina. Non era per nulla soddisfatta.  

-E poi Avery l’ha portata al magazzino dei vestiti e ha preso qualcosa da lì, ma non mi ha voluto dire cosa- 

-Certo, chi pensi voglia impressionare domani sera?- fece Emily, con un ghigno.  

Chris spalancò gli occhi. -Ma cos… ma perché dovrebbe impressionare me? Io sono già… lasciamo perdere, non ne voglio parlare- 

Lei lasciò la sua testa cadere all’indietro, esasperata. -Rogers, ce la puoi fare, te lo assicuro- 

Lui la guardò ancora stupito. -Ems, non ha senso quello che dici- 

-Mi fai innervosire con la tua ingenuità, giuro- 

Chris scosse la testa. -Voi donne siete così… bah!- 

Ancora con la testa inclinata all’indietro, Emily sbuffò.  

-Anche io devo andare a cercare qualcosa da mettere. Anche per Jake- 

-Come va con lui? Un po’ meglio ora che Emma Ryan è una questione chiusa?- 

-No. Andrebbe meglio se non avessi perso il bambino- 

Rimasero in silenzio, entrambi consapevoli della verità nelle parole di Emily.  

-Sei hai bisogno di parlare ci sono, lo sai- 

Lei annuì sorridendo. -Ok, vado a casa, voglio uscire un po’ da questo ufficio e da questo posto 

Chris la salutò e se ne andò. 

Lei riordinò velocemente la scrivania e lanciò un ultimo sguardo verso la bacheca.  

C’erano ancora tante, troppe cose da capire, ma sapeva che quella storia era giunta al termine. Da lì a poco, quello che era stato l’obiettivo principale del suo lavoro, che le aveva riempito le giornate letteralmente per anni, era stato raggiunto.  

Dopo la premiazione, tutto sarebbe finito. 

Si sentì vuota, tutto d’un tratto.  

Anche la consapevolezza che ormai la sua carriera avesse preso il volo e lei fosse lanciata a diventare, da lì a qualche anno, il Direttore più giovane dell’Organizzazione, non la rendeva felice.  

Era perfettamente consapevole che poche volte in vita sua era stata davvero felice, e non era stato a causa di una missione completata con successo, né tantomeno per Jake.  

Vecchi fantasmi le affiorarono in mente, così decise di uscire da quell’ufficio e cercare di staccare un po’ il cervello, prendersi una pausa. 

Sapeva che avrebbe dovuto prendere una decisione, ma ancora non si sentiva pronta e questo la destabilizzava. Lei era sempre stata pronta a tutto. 

Mentre si dirigeva verso l’uscita della base per rientrare nel suo appartamento, incrociò Vivienne e Avery, in compagnia di alcuni giovani cadetti, freschi di accademia, che trasportavano dei pacchi di cartone.  

-Che cosa combini, ragazzina?- le chiese, insospettita. 

Vivienne sbuffò. -Pensi sempre che stia per combinare qualche guaio, ma...- 

-Chissà perché- la interruppe Emily, sarcastica. 

-…ti assicuro che questa volta non è così e non possiamo svelarti nulla, quindi non chiedere- 

Sorrideva furbescamente, lanciando occhiate complici ad Avery. 

-Va bene, Vivienne, basta che non scappi un’altra volta- si arrese Emily, sorridendo. 

-Ceni con noi?- 

Emily scosse la testa. -No, questa sera torno a casa- 

-Salutami Jake!- esclamò Vivienne, prima di tornare a dare ordini ai cadetti. -Forza, questi vanno in camera mia e dobbiamo tornare di sopra prima di andare a cena, sbrighiamoci- 


*to be continued*

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Quella sera, al termine della cena, Vivienne sperava di rimanere sola con Chris. 
 

Avevano cenato insieme ad Avery e Cristine, la loro collega, e aveva immaginato che al termine del pasto i due agenti sarebbero tornati nel loro dormitorio, lasciando finalmente a Chris e Vivienne qualche momento di intimità. 

Ma le cose non andarono come si era prospettata: Avery, che si sentiva molto solo dopo la partenza di Will, era rimasto con loro tutta la sera. Avevano guardato addirittura due film e il ragazzo si era addormentato poco dopo l’inizio del secondo.  

Vivienne era seduta sul letto, al fianco di Avery, mentre Chris si era sistemato per terra, ai suoi piedi, con la testa appoggiata alle gambe di Vivienne. 

Quando lei si accorse che Avery, appunto, si era addormentato, ne approfittò per accarezzare i capelli di Chris.  

Lui si voltò a guardarla e le sorrise. Prese la sua mano e se l’appoggiò sulla guancia.  

-Ho preparato una sorpresa per domani- mormorò lei. 

-Una sorpresa? Per la festa?- 

-Per te Chris- sospirò lei, quasi sognante.  

Lui le baciò teneramente il dorso della mano. -Io non ho nessuna sorpresa per te- disse poi, dispiaciuto.  

-Beh, potrai recuperare quando anche io catturerò un pericoloso criminale-  

Si guardarono negli occhi, entrambi impazienti che arrivasse il giorno dopo.  

Al termine del film, Avery e Chris tornarono nel loro dormitorio, lasciando Vivienne sola. Lei, troppo elettrizzata per riuscire a dormire, ripassò mentalmente gli ultimi preparativi per la cerimonia di cui si sarebbe occupata il giorno dopo. 

Il mattino dopo, al termine della colazione, si fiondò in auditorium con Avery a ultimare gli allestimenti per la serata, che la impegnarono fino all’ora di pranzo. Decise di non andare a lezione al campus nemmeno quel giorno, non voleva perdere tempo e soprattutto non voleva fingere di essere un’altra persona con Nick. Non sopportava più di dover continuare a raccontare bugie su bugie. 

Arrivò finalmente il pomeriggio e Vivienne chiese tassativamente a Chris e Avery di lasciarla sola in camera sua. Voleva prepararsi al meglio e voleva che fosse una sorpresa fino all’ultimo.  

Si fece una lunga doccia, poi passò alla pulizia del visto e, mentre finiva di applicare una crema corpo, qualcuno busso alla porta. 

Imprecò a bassa voce, nascondendo rapidamente abito e scarpe in bagno. Si diresse verso la porta e l’aprì, pronta a ringhiare contro chiunque la stesse disturbando.  

Di fronte a sé trovò, inaspettatamente, Emily Lennox. 

-Ciao- le disse, sorpresa. 

Lei, stringendo fra le mani una custodia per abiti, sorrise. -Devo sorvegliarti, ordini di Evans. Quindi ho deciso di prepararmi qui con te- 

-Ok, va bene- rispose Vivienne, ancora sorpresa. 

-E tutta questa roba?- chiese l’altra, notando le diverse trousse di trucchi e prodotti cosmetici aperte e con il contenuto alla rinfusa sulla scrivania.  

Vivienne ghignò. -Ieri pomeriggio mio fratello ha fatto una consegna speciale per me. Gli ho chiesto di portarmi un paio di cose da casa mia- 

Emily alzò il sopracciglio. -Certo che sei viziata- 

Vivienne sbuffò. -Sono settimane che sono rinchiusa qui!- protestò. -L’unica volta che c’è qualcosa di interessante da fare, non ho intenzione di arrivare impreparata- 

Emily alzò gli occhi e scosse la testa. -Va bene, senti, ho bisogno del bagno, posso?- 

Vivienne spalancò gli occhi, allarmata. -No! Cioè... Ora? C’è una cosa che ... ecco, non posso farti vedere ora- 

-Che hai combinato?- 

-Giuro nulla!- si giustificò subito Vivienne. -Non è niente di male, ok? Però devi aspettare almeno fino a quando non arriverà Chris- 

Emily sospirò, poi si arrese. -Ok, ragazzina. Sei estenuante quanto ti ci metti- 

Vivienne trascorse l’ora successiva a prepararsi, mentre Emily ci impiegò solo una decina di minuti. Aveva scelto un abito molto semplice ma ugualmente elegante e aveva deciso di non acconciare i capelli, scelta che Vivienne non condivideva. 

Lei, infatti, era impegnata ad arricciare i suoi capelli in morbidi boccoli, quando bussarono nuovamente alla porta. 

-Se è Chris non farlo ancora entrare!- esclamò ansiosa, fiondandosi in bagno. 

-Mi hai presa per il tuo maggiordomo?- fece scontrosa Emily, piuttosto scocciata. 

Aprì la porta ed effettivamente sulla soglia c’era Chris. 

-Che elegante che sei- gli disse, abbracciandolo. 

-Grazie. Sei molto elegante anche tu- rispose lui. 

-Si, beh, non hai ancora visto Vivienne. Rogers, ma dopo tutti questi anni ancora non sai fare il nodo alla cravatta? Ma come è possibile che...- 

Emily non finì la frase perché si accorse che lui non la stava più ascoltando. Stava per protestare, quando si girò e ne capì il motivo. 

Appena fuori dalla porta del bagno, vicino alla scrivania, si trovava Vivienne. 

Aveva indossato un lungo abito nero molto elegante, che presentava ricami floreali alternati a fini trasparenze. Aveva le maniche lunghe e un dolce scollatura a cuore, per nulla volgare. La parte superiore dell’abito era attillata, mentre la lunga gonna cadeva morbida sui suoi fianchi. Indossava un sottile cintura nera a evidenziare il girovita, abbinata a eleganti sandali neri con tacco decorati con strass e brillantini. Il motivo floreale, anch’esso arricchito con discreti strass e preziosi lucidi e neri, decorava l’intero abito, a partire dalle spalle per terminare sull’orlo. La gonna, in cui i ricami erano più fitti sul ventre, non presentava alcuno spacco, ma risultava ugualmente sensuale e seducente grazie all’effetto vedo non vedo creato dalle trasparenze sulle lunghe gambe. 

Vivienne aveva poi raccolto i capelli in un elegante crocchia lasciando che qualche ciuffo le cadesse sul viso, conferendole un’aria sbarazzina ma allo stesso tempo fine e curata.  

-Sei... Sei bellissima- disse Chris, rapito. 

Vivienne sorrise. -Grazie. Anche tu-  

Chris indossava uno smoking blu notte, proprio come aveva immaginato Vivienne, coordinato con eleganti scarpe lucide del medesimo colore. Aveva scelto una camicia bianca e dal taschino della giacca spuntava un fazzoletto di seta azzurro, abbinato. Tra le mani stringeva un mazzo di fiori dai colori sgargianti. 

-Sei un po’ in anticipo, dammi ancora un momento- disse lei, prima di tornare in bagno.  

Chris guardò Emily. -Andrà a finire male, molto male, stasera- sospirò, cercando un po’ di comprensione. 

La sua amica lo squadrò. -Senti, lo sai come la penso. Lasciati andare-  

Lui non fece in tempo a ribattere che nella stanza tornò Vivienne, che aveva applicato un rossetto rosso sulle labbra e un filo di mascara sugli occhi.  

-Questi sono per te- le disse Chris, leggermente imbarazzato, porgendole il mazzo di fiori. 

Vivienne sorrise radiosa. -Grazie, sono bellissimi-. Ne annusò il profumo e poi li posò delicatamente sul letto.  

-Anche io ho qualcosa per voi!- esclamò, eccitata. 

Rientrò nel bagno per uscirne poco dopo stringendo fra le mani un sacchetto di carta e una scatola di cartone rettangolare e sottile, piuttosto grande, entrambi decorati con un vistoso fiocco argentato. 

-Questo è per te,- disse, porgendo la scatola a Emily, -e questo è per te- terminò, consegnando il sacchetto di carta a Chris. -Perdonatemi se il pacchetto non è il massimo, ma è stato difficile trovare qualcosa con cui incartare questi regali e mio fratello ovviamente non ci aveva pensato- 

-Tuo fratello?- fece Emily, ricordandosi dell’incontro del giorno precedente. 

-Si, consegna speciale- ghignò Vivienne, sorridendo furbescamente. 

La prima a scartare il regalo fu Emily: rimase quasi sconvolta quando vide che nella scatola era contenuto un dipinto di modeste dimensioni. -È lo Small Rhythmic Landscape di...- iniziò a spiegare Vivienne, ma venne interrotta da Emily, -… di Paul Klee, del 1920. È il mio pittore preferito, come hai fatto a...-  

-Jake. E ho notato una sua riproduzione nel tuo ufficio- rispose Vivienne, con un sorriso timido. -Spero ti piaccia- 

Emily, con tutta la cura e delicatezza possibile, posò il dipinto sulla scrivania, ancora scossa. Non riusciva a credere ai suoi occhi, era un Paul Klee originale e quella ragazzina gliel’aveva donato. -Ma come... come è possibile? So che appartiene a una collezione privata-  

-Si, collezione privata di proprietà dei miei nonni- spiegò, alzando le spalle. -I vantaggi di essere una Shepard 

Mentre Emily faticava a trovare le parole per ringraziare la ragazza, fu il turno di Chris. 

Aprì il sacchetto e all’interno trovò una scatola nera di modeste dimensioni su cui vi era scritto Patek Philippe, Geneve. Alzò lentamente il coperchio e spalancò gli occhi alla vista di un elegante orologio sportivo con cinturino in acciaio e quadrante ottagonale arrotondato. 

-Questo modello è il Nautilus 5990/1a, con cronografo. Spero ti piaccia. E per la misura mi sono regolata con Bentley, spero vada bene anche a te- spiegò Vivienne, un po’ imbarazzata. 

-È pazzesco, incredibile-  

Chris lo indossò subito, la misura era perfetta. 

-E poi,- aggiunse Vivienne, tornando in bagno, -ci sarebbero anche queste, ma sono anche un po’ per me- disse beffarda, mostrando due bottiglie di vino. -È italiano, il più buono del mondo- 

-Possiamo fare un brindisi prima della festa- propose Emily, prima di realizzare che non sarebbe stato possibile. -No, non abbiamo i bicchieri, faremo un’altra volta-  

Vivienne, con finta espressione colpevole, indicò alcuni calici che aveva posato sulla scrivania. -Mio fratello è molto preciso nelle consegne- 

Stapparono la bottiglia e brindarono insieme, ridendo e abbracciandosi. 

Chris accarezzò i capelli di Vivienne, dolcemente ed Emily si sentì improvvisamente di troppo. Fece un cenno ai due ragazzi e poi uscì dalla stanza, lasciandoli soli. 

-L’orologio è pazzesco- disse Chris, lanciando un’occhiata al suo polso. 

-Anche i fiori, non dovevi davvero- 

-Non so come potrei sdebitarmi, dopo stasera. Organizzi la festa, mi fai questo regalo e sei bellissima con questo abito-  

Vivienne sorrise, lusingata. Come il giorno precedente, non sentiva alcun imbarazzo ed era totalmente a suo agio. 

-Potresti farmi parlare con Emma Ryan, ad esempio-  

Chris la guardò stralunato, preso alla sprovvista. -Come scusa?- 

-Si, beh, giusto cinque minuti, il tempo di chiederle se conosce David Cooper e se vuole uccidermi anche lei-  

Lui sospirò. -Vivienne, ne abbiamo già parlato. No. Non posso-  

Iniziò a toccare il nodo della cravatta nervosamente, come se volesse allentarlo un po’. Vivienne non poté che notare quanto fosse annodato male. 

-Faccio io- gli disse, avvicinandosi a lui. Cominciò a sistemare la cravatta, il viso a pochi centimetri da quello di Chris, e non riuscì a ignorare il suo profumo, fresco con un leggero tono agrumato. Sentì una stretta allo stomaco e il cuore accelerare il battito. 

Lui inclinò leggermente la testa, con uno sguardo strano. 

-Senti, so che il protocollo non lo prevede,- continuò Vivienne, -ma magari...- 

Lui le prese il viso con entrambe le mani con dolcezza. -Vivienne, non posso. Non posso-  

-Perché il bunker dove si trova potrebbe impressionarmi? Lo pensi solo perché non sei ancora venuto a casa dai nonni, quello è un luogo spaventoso- fece lei, abbozzando un sorriso, per smorzare la tensione. 

-Sono serio. Non posso- ripeté lui. 

Vivienne lo guardò di sottecchi, intuendo che ci fosse altro.  

-Non puoi? Non puoi portarmi da lei o non puoi stare insieme a me?- 

Lui boccheggiò, di nuovo preso alla sprovvista dal repentino cambio d’argomento. Fece un passo indietro, allontanandosi da lei. 

Vivienne non si mosse e continuò a guardarlo dritto negli occhi. Sapeva che Chris la voleva tanto quanto lei voleva lui e non si sarebbe arresa tanto facilmente.  

-Senti... è quasi ora di andare, ne possiamo parlare dopo?- disse lui, passandosi una mano fra i capelli.  

-Di sicuro non finisce qui- sibilò Vivienne nervosa, voltandosi per prendere la pochette abbinata al vestito che aveva lasciato sul letto.  

-Aspetta- disse lui. 

Si avvicinò e posò una mano sulla base del collo, nella parte alta della schiena. -Ti chiudo il vestito-  

Vivienne non era riuscita ad allacciare l’ultimo bottone di stoffa dell’abito, sulla schiena. 

Sentì un brivido mentre Chris le sfiorava la pelle nuda. Percepì il suo respiro sul collo e chiuse gli occhi, inspirando a fondo. Poi si girò verso di lui e posò le mani sulle spalle. Gli scrutò gli occhi, tenendosi a lui saldamente, quasi come se cercasse di aggrapparsi. 

-Vivienne, io... non posso- disse Chris, con fatica, accarezzandole i capelli. -Io ti devo proteggere. Ho bisogno di sapere che sei al sicuro. La vita che faccio...- 

Lei scosse la testa. -Non devi farlo-  

-Non posso perdere anche te-  

Con il cuore in gola e le gambe molli, Vivienne si avvicinò ancora di più al suo viso. -Baciami-  

-Non chiedermelo, non voglio essere quel genere di agente...- 

Lei si alzò sulle punte dei piedi, nonostante con quelle scarpe fosse quasi alta come lui. -Allora sii quel genere di uomo. Baciami-  

Vivienne chiuse gli occhi e, infine, lui la baciò. 

Dapprima il bacio fu dolce e tenero e Chris strinse a sé la ragazza, sollevandola leggermente da terra. Lei posò una mano sulla sua nuca, mentre l’altra affondava sulla spalla.  

Si allontanarono per qualche istante, gli sguardi sempre incollati l’un l’altro, prima di riprendere a baciarsi con più foga.  

Lei iniziò a sfilargli la cravatta e slacciargli la camicia, senza staccarsi dalle sue labbra, mentre lui cercava di sbottonarle l’abito. 

Con una mano Vivienne diede un giro di chiave alla porta e poi spinse Chris sul letto. Lui fece cadere dal letto i fiori e la pochette, mentre lei si fece scivolare l’abito di dosso, ormai sbottonato, a terra, rimanendo in lingerie.  

Lui la guardò incantato, senza dire una parola. 

Lei si avvicinò e riprese a baciarlo, mentre le mani di entrambi correvano rapide e libere sui loro corpi. 

Lei fece per slacciargli la cintura dei pantaloni, ma lui la fermò. -Sei... Sei sicura?- 

Vivienne lo guardò. Aveva la sensazione che il resto del mondo intorno a loro fosse svanito. C’erano solo lei e lui. 

-Mai stata più sicura di così- 

 

X 

 

New York, New York – Circa un anno e mezzo prima 

 

Megan Cross camminava spedita verso l’ufficio della sua responsabile, Cece Wilson, quel giorno, pronta a fare rapporto sull’ultimo lavoro che aveva svolto. Lavorava per la RDM Inc. da circa sei mesi, ma era piaciuta fin da subito alla sua responsabile, che le assegnava compiti sempre più delicati. Da qualche settimana a quella parte, aveva cominciato a farla lavorare sull’obiettivo più importante dell’agenzia, l’Organizzazione. 

Tra le mani stringeva una cartellina nera in cui aveva inserito le foto e i documenti che aveva raccolto ed era sicura di aver svolto un buon lavoro. Non vedeva l’ora di far rapporto, sapeva che Cece le avrebbe fatto i complimenti per il suo operato.  

Quando entrò nel suo ufficio, dopo aver bussato, Cece si trovava in piedi dietro alla sua scrivania e osservava lo skyline di New York tinto di rosso dal tramonto. Aveva i lunghi capelli rossi raccolti dietro la nuca con una molletta nera e indossava un completo verde scuro. Megan ammirava molto lo stile di Cece. 

-Eccomi- si annunciò, fermandosi sulla soglia. 

-Allora?- le chiese Cece, facendole cenno di entrare. 

Megan si avvicinò e le porse la cartellina. -Pare che si sia intensificata la collaborazione tra l’Organizzazione e l’FBI- la informò. 

-Tra la Lennox e l’FBI? Davvero? Pensavo non le piacesse lavorare con gli esterni-  

-Le comunicazioni sono più frequenti,- continuò Megan, -come le missioni coordinate- 

-Anche lei?-  

-Beh, l’ho vista di frequente con lo stesso agente dell’FBI, quindi credo di si. Credo che abbiano anche una relazione sentimentale. Ah,- aggiunse, entusiasta, -inoltre il nostro piano ha funzionato, non hanno trovato nulla a Memphis, hanno perso…- 

-Chi è quell’agente?- la interruppe Emma, -Quello che hai visto con Lennox- 

Megan trasalì. -Tutte le informazioni si trovano nella cartellina-. In quel momento le sfuggiva il nome dell’agente e si appuntò mentalmente che al prossimo rapporto avrebbe ripassato le informazioni prima di presentarsi nel suo ufficio. 

-Grazie. Inoltre…-. Cece esitò, incredula. Aveva aperto la cartellina e non riusciva a capacitarsi di quello che stava vedendo. -Jake Marshall- disse, con la voce rotta, dopo qualche istante. 

-Si, Jake Marshall, l’agente dell’FBI- 

Cece si sedette, quasi accasciandosi, sulla sua sedia. La cartellina le sfuggì dalle mani e tutti i fogli e le foto caddero a terra.  

Megan corse subito e raccolse tutto, posando poi i fogli sulla scrivania.  

-Cece, si sente bene? Posso fare qualcosa?-  

Cece, boccheggiando, scosse la testa. -Io… puoi andare, grazie-  

Megan rimase ferma ad osservare Cece per qualche istante.  

-FUORI!- urlò lei. 

Megan trasalì e poi uscì dall’ufficio, lasciando Cece da sola. 

Cece, o meglio, Emma, non riusciva a pensare a nulla. Aveva la mente completamente annebbiata. 

Si alzò in piedi, furibonda, e lanciò a terra tutto ciò che trovava alla sua portata.  

Era furiosa perché, non solo Jake si era dimenticata di lei e non l’aveva riconosciuta alla tavola calda, ma per di più adesso frequentava proprio Emily Lennox, l’unica persona al mondo che Emma odiava profondamente e che avrebbe voluto uccidere con le sue stesse mani.  

Emma aveva sempre avuto una missione, ma in quel momento decise che non si sarebbe fermata per nessuna ragione al mondo finché non l’avesse portata a termine. Avrebbe distrutto Emily Lennox e l’Organizzazione, a costo della sua stessa vita. 

 

X 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

-… e questa sera non celebriamo soltanto l’arresto di uno degli obiettivi più complessi e ostici che l’Organizzazione abbia mai dovuto affrontare, ma celebriamo l’impegno e la dedizione dimostrati da due dei nostri migliori agenti di sempre. Questa sera dobbiamo festeggiare e goderci la serata, ricarichiamo le energie per ripartire più entusiasti che mai domani e nei giorni a venire. Questa sera omaggiamo due persone che sono un esempio per tutti noi e che sapranno regalarci ancora immense soddisfazioni negli anni a venire. Vi prego di fare un caloroso applauso a nostri Agenti di III° livello Emily Lennox e Chris Rogers! Ragazzi, venite qui sul palco!- 

La platea scoppiò in un fragoroso applauso, colmo di fischi e urla di gioia, mentre un occhio di bue veniva puntato su Emily Lennox, in piedi al limitare dell’auditorium accompagnata dal suo fidanzato Jake Marshall. 

Lanciò uno sguardo nervoso verso il pubblico, in piedi vicino al palco, cercando il suo collega Chris Rogers, che non aveva visto arrivare.  

-Forza Emily!- la chiamò il Direttore, battendo le mani e facendole segno di raggiungerlo al suo fianco. 

Emily guardò Jake, sorridente, e poi si diresse dal suo capo. 

Doveva ammettere che Vivienne aveva fatto un ottimo lavoro: la sala era stata addobbata nei toni del blu e dell’argento, ai lati dell’auditorium erano presenti tavoli rotondi imbanditi con cibo e bevande e sul palco, dietro al direttore, era stata allestita la postazione per un dj, occupata da un agente molto giovane, probabilmente un cadetto dell’accademia.  

Alle pareti erano stati appesi nastri argentati e dal soffitto pendevano festoni luccicanti. Al centro, inoltre, era stata appesa una luce strobo che per il momento era spenta. 

La sala era quasi al buio, ad eccezione del palco, illuminato con faretti dalla luce fredda e dell’occhio di bue puntato su Emily. 

Lei, per nulla imbarazzata, raggiunse il Direttore. 

Gli strinse la mano, sorridendo.  

-La ringrazio davvero- disse, mentre le veniva conferita una delle due targhe che il Direttore teneva fra le mani.  

-E l’agente Rogers dov’è?- le chiese, bisbigliando. 

-Oh, l’agente Rogers dev’essere con la Shepard, si starà assicurando della sua condizione- 

Oh sì, Emily non aveva alcun dubbio sul perché Chris e la ragazzina fossero in ritardo. 

Il Direttore la guardò ammirata. -Complimenti, siete davvero i migliori agenti della nostra Organizzazione, così dediti al vostro impegno anche in un giorno di festa!- esclamò, ridendo. 

Emily sorrise, anche se in realtà era rammaricata. Non si sentiva così fiera di  stessa, non era sicura che fosse una buona cosa essere l’agente migliore in una società di mercenari e assassini, pronti a lavorare per il miglior offerente, pubblico e privato. 

A distoglierla dai suoi pensieri ci pensò l’arrivo di Chris e Vivienne, decisamente trafelati, che entrarono nell’auditorium in quel momento.  

Entrambi avevano un bel sorriso stampato in faccia e, Emily lo notò subito, si tenevano per mano.  

-Ecco, agente Rogers!- esclamò il Direttore, accorgendosi del loro arrivo. -Vieni sul palco, questo premio è per te!- 

Chris, visibilmente imbarazzato ma allo stesso tempo entusiasta, salì sul palco e accettò il premio. 

Entrambi vennero congedati dal Direttore, che riprese a parlare dei valori dell’Organizzazione e dei suoi uomini. 

Chris ed Emily raggiunsero Jake e Vivienne, che stavano chiacchierando insieme. 

-E come mai eravate in ritardo?- chiese subito Emily, ghignando, perfettamente consapevole del perché. Aveva, inoltre, notato immediatamente che i capelli di Vivienne erano molto più disordinati di quando l’aveva lasciata con Chris.  

I due si guardarono e sorrisero. -Ha avuto un problema con il vestito- inventò palesemente lui, senza distogliere lo sguardo da Vivienne. Lei annuì, maliziosa. -Si, non volevo rimetterlo-  

Emily scoppiò a ridere, mentre Chris arrossì, anche se divertito.  

Jake li guardò un po’ confuso ma non chiese spiegazioni. -Comunque complimenti per le decorazioni, è tutto molto bello- disse, sorridendo a Vivienne. 

-Grazie! Si, devo ammettere che sono riuscita a fare un buon lavoro. E i tavoli li avete visti? Trovare quei fiocchi non è stato semplice in quel disastro che è il magazzino, ma io e Avery siamo stati bravi- 

Al termine del discorso del Direttore, le luci bianche si spensero e vennero accesi dei faretti colorati che si muovevano per la sala. Il dj iniziò a suonare la sua musica e la gente iniziò a ballare in pista, brindando contenta. 

Emily e Chris dovettero scambiare convenevoli con alcuni Capo Sezione che volevano congratularsi con loro e riuscirono a liberarsene solo dopo parecchi minuti.  

Cercarono Vivienne e Jake, che nel frattempo si erano allontanati da loro, trovando la prima a parlare animatamente con il Direttore, che continuava a ridere di gusto mentre la ragazza raccontava aneddoti familiari, mentre Jake parlava con Cristine e altri agenti.  

Li raggiunsero e poi si trovarono tutti e quattro al centro della pista. 

D’un tratto, il dj scelse una canzone lenta, che Emily conosceva ma a cui non riusciva ad attribuire un titolo. 

-È Thinking out loud di Ed Sheeran. Ho fatto io la scaletta- le spiegò Vivienne, anticipandola, con uno sguardo furbesco. -Ti va di ballare?- chiese poi a Chris, tendendogli una mano.  

Lui sembrò titubante. -Non so è il caso qui...-  

Lei lo guardò, fingendo una certa serietà. -Agente Rogers, non vorrai mica farmi ballare con qualche zotico operativo di VIII° livello?- fece, indicando con il capo un capannello di giovani agenti che la stavano osservando, dall’altra parte della pista.  

-Ma tieni le mani a posto- rispose lui sorridendo, ormai rassegnato ad arrendersi alle richieste della ragazza. 

Iniziarono a ballare senza sembrare equivoci, dovette ammettere Emily, riconoscendo come Vivienne si rivelasse più astuta giorno dopo giorno.  

Jake le prese una mano e anche loro iniziarono a ballare insieme. Lei appoggiò il capo sulla sua spalla e lui la strinse a sé. 

Emily avrebbe voluto che il tempo si fermasse in quel momento. 


*to be continued*

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


Un paio di giorni dopo la premiazione, Emily
 si era decisa a interrogare nuovamente Emma Ryan. Aveva stabilito, insieme al Capo Sezione Evans, che quel secondo incontro sarebbe stato diverso dal primo: avrebbero ottenuto le informazioni che volevano, in un modo o nell’altro. 

Si trovano nella sala interrogatori del bunker nel livello più sotterraneo del quartier generale, separati da Emma Ryan da uno spesso vetro infrangibile. 

-Al tuo segnale Cristine e Duglas entrano con la vasca e vediamo se si decide a parlare- 

Emily, concentrata annuì. -Si- 

Prese un respiro profondo, prima di entrare nella stanza dove Emma Ryan era stata legata a una sedia con delle cinghie resistenti. Aveva il suo solito ghigno da squilibrata stampato in faccia. 

-Emily, che piacere vederti!- esclamò, lo sguardo beffardo. 

Emily non rispose subito. Si sedette di fronte a lei, su uno sgabello a debita distanza. Arricciò le labbra. 

-Mi auguro che tu ti sia decisa a parlare-  

Si guardarono negli occhi.  

-Dipende da cosa vuoi sapere- 

-Ti avverto che quest’oggi non accontenteremo di qualche battuta del cazzo, vogliamo informazioni e ce le fornirai- 

Emma la guardò con aria di sfida, continuando a ghignare. 

-Con le buone o le cattive- aggiunse Emily. 

L’altra donna scoppiò a ridere sguaiatamente. -Pensi mi freghi qualcosa?! Pensi che strappandomi qualche unghia o rompendomi qualche osso tu possa davvero farmi cedere?!- 

-Sarà sufficiente rispondere alle mie domande- 

Emma sputò a terra. 

-Voglio sapere tutto dei tuoi complici e i tuoi covi. Quali sono stati i tuoi ultimi obiettivi e cosa avevi intenzione di fare nei prossimi mesi-  

Non ricevette alcuna risposta. 

-Pensiamo che la tua base sia a New York, a breve troveremo la tua tana e non avrai più possibilità per migliorare la tua posizione-  

Emma Ryan continuò a non proferire parola.  

-Ti conviene parlare. Se ci dirai ciò che vogliamo, tua figlia potrà farti visita nel carcere in cui verrai messa a marcire- 

-Sappiamo entrambe che non è così, Emily. Non mi mentire- 

-Se lo dico, lo faccio-  

Emma ghignò. -Lo so bene. E dimmi un po’, Jake come sta?- 

Emily strinse i denti. -Perché ti interessa tanto? Non avrai mica una cotta per lui?- 

Emma riprese e ridere sguaiatamente, ma in modo forzato. -Per quello smidollato? Se si abbassa tanto a stare con te, non fa al caso mio- 

Emily intuì di averla punta sul vivo. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma era evidente che ci fosse un legame tra Emma Ryan e Jake Marshall, doveva assolutamente servirsene. 

-Preferiresti ci fosse lui al mio posto, è così? La sua tecnica è un po’ grezza ma saprebbe spremerti per bene-  

-Oh, lo so bene, tranquilla. Siamo più intimi di quanto ti immagini-  

Emily la squadrò. Non riusciva a capire dove volesse arrivare e a cosa si stesse riferendo, ma era la strada giusta, stava parlando finalmente. Avrebbero solo dovuto mettere insieme quelle tracce.  

-Ci credo- 

-Ha ancora quel neo nell’incavo del collo? A destra- 

Emily sentì una fitta allo stomaco e cercò di mantenere la calma, colta dallo sgomento. Jake aveva per davvero quel neo sul collo. Si chiese perché diavolo lo sapesse anche Emma Ryan e da quanto tempo li stesse sorvegliando. Tutti loro. 

-Ti chiedi perché lo so? Magari lui sa darti una risposta-  

-Non mi è difficile immaginare che ci stessi osservando tutti da molto tempo-  

Emma inclinò la testa. -Conosco i casi a cui lavorate, le missioni che vi affida il vostro caro Direttore... ogni cosa- 

Emily continuò a osservarla in silenzio.  

-Sai, non capivo proprio perché continuassi a lavorare con l’FBI, l’agenzia più approssimativa di tutto il Paese. E poi ti ho vista con lui e ho capito tutto-  

-Che hai capito?- 

-Che te lo scopi. Il piccolo e stupido Jake Marshall-  

-Proprio così- 

-Ma non molto ultimamente, non è vero?- 

Emily la fissò rude. Si alzò e la colpì al volto, violentemente. 

Emma riprese a ridere, mentre il sangue le usciva dalla bocca. -So molto più di quanto tu possa immaginareOgni cosa- rantolò, tossendo. 

Emily fece un movimento con una mano e dopo qualche istante Cristine e Douglas entrarono nella stanza, portando una vasca metallica e quadrata, colma d’acqua.  

Senza aggiungere altro, Emily afferrò Emma Ryan per i capelli e le spinse la testa dentro la vasca. 

La donna iniziò a scalpitare, mentre Emily le teneva saldamente la testa sotto l’orlo dell’acqua. 

Dopo qualche istante la tirò fuori ed Emma Ryan iniziò a vomitare acqua, tossendo e imprecando. 

-Vuoi iniziare a parlare o non ti è bastato?- 

Attese qualche secondo e poi le spinse di nuovo violentemente la testa nella vasca. Aspettò più tempo della volta precedente, prima di tirarla fuori un’altra volta. 

-Allora?- 

Emma tossì duramente, la bocca zuppa di sangue e gli occhi arrossati.  

-Ti conviene parlare- intervenne Cristine, che poi ricevette un’occhiataccia da Emily.  

-Possiamo andare avanti per ore, abbiamo tutto il tempo del mondo- 

-Come...- ansimò Emma, a fatica. -...come va con David Cooper?- 

Emily trattenne il fiato, attonita. Dovette aspettare qualche momento prima di parlare, per non far trasparire l'inquietudine che l’aveva travolta. -E tu che ne sai?- 

-È quello che uccide le ragazzine bionde. Ho visto il notiziario- 

Emily sentì una terribile sensazione crescerle nella mente, un presentimento. Non poteva aver nominato per caso proprio David Cooper.  

-So dove si nasconde. È un’informazione che vi può servire?- 

-Lo hai aiutato tu?-  

-Io non uccido le ragazzine. Ma nell’ambiente conosco chi può averlo aiutato- 

-Ah-ah, ho capito. Nomini un caso a cui, per una strana coincidenza, sta lavorando Marshall e speri che abbocchiamo? Nell’ambiente? Voglio informazioni precise o la tua testa torna sotto l’acqua e lì potrebbe rimanerci- 

Emma rise ancora ed Emily le assestò un altro colpo in faccia, facendole tossire sangue. 

-Cercate... Cercate a est di Tampa, vicino a Lakeland. Si nasconde li, da qualche parte- sibilò, gli occhi rivolti a terra. 

-Se ci hai dato un’informazione falsa, e puoi star certa che lo scopriremo presto, non vedrai più la luce del sole- rispose Emily, lapidaria, prima di uscire dalla stanza, seguita da Cristine e Douglas. 

Raggiunsero Evans, dietro al vetro della sala interrogatori.  

-È davvero una squilibrata- commentò lui, scuotendo la testa. -Ci sei andata giù dura ma forse dovremmo fare di più-  

-Vediamo se scopriamo qualcosa in Florida, poi valutiamo se cambiare strategia- rispose Emily, asciugandosi le mani con un panno appeso al muro.  

-Pensi che ci abbia detto tutto quello che sa su David Cooper?- 

-Lo scopriremo- 

-Aggiorna Chris, deve esserne al corrente anche lui- 

 

~ 

 

Vivienne e Chris avevano ballato sulle note di Thinking out loud per tutta la durata della canzone, la sera della premiazione, abbracciati l’un l’altra. Avevano trascorso la serata in compagnia di Emily e Jake, anche se non vedevano entrambi l’ora che la festa finisse, per poter rimanere ancora soli. Molti agenti continuavano a voler parlare con Emily e Chris, per farsi raccontare i dettagli dell’arresto di Emma Ryan e per chiedere qualche suggerimento sulle migliori tecniche di laboratorio.  

Nel mezzo di una di queste conversazioni, Vivienne finse di aver assolutamente bisogno di Chris per andare a rifocillare il tavolo delle bevande. Lo trascinò in un piccolo magazzino adiacente all’auditorium e lo baciò con foga. Chris era appoggiato a dei scatoloni polverosi e con una mano teneva la maniglia della porta, per assicurarsi che non venisse aperta. 

-Tu sei matta...- mormorò, mentre Vivienne continuava a baciargli il collo. -Se ci scoprono succede un casino- 

Lei lo guardò e gli passò una mano fra i capelli. -È più bello se infrangiamo tutte le regole-  

Riprese a baciarlo e iniziò a suonare il cercapersone di Chris.  

-È Emily, ci sta cercando-  

Lei non si fermò e lui la prese in braccio, appoggiandosi con la schiena allo stipite della porta. 

Lei gli diede ancora un bacio, prima di tornare a terra. -Ti aspetto in camera mia- gli disse, prima di tornare nella sala, seguita da lui.  

Trascorsero ancora un’ora alla festa, poi tornarono nella camera di Vivienne e ripresero a fare l’amore.  

Vivienne si addormentò profondamente con il volto appoggiato sul petto di Chris, che la stringeva a sé.  

Il mattino dopo, però, si svegliò sola. Guardò con occhi assonnati la stanza e si rese conto che Chris non c’era.  

Si sentì subito leggermente sconfortata. Le balenò in mente la possibilità che forse avesse frainteso tutto, forse Chris non la voleva per davvero.  

Si cambiò in fretta e uscì dalla sua camera, con i capelli scompigliati. In piedi vicino alla porta si trovava un giovane agente, che Vivienne aveva già visto in precedenza, ma di cui non si ricordava il nome. 

-Buongiorno miss Shepard, questa mattina mi devo occupare io della sua sorveglianza. La accompagno a fare colazione?- 

Vivienne lo guardò stranita. -Rogers dov’è? Avery?-  

-Non saprei dirle. Mi è solo stato assegnato questo compito-  

Lei gli lanciò un’ultima occhiata carica di disappunto e si diresse verso la mensa, seguita dall’agente. Chris non c’era nemmeno in mensa, dove, però, Vivienne incontrò e salutò molti agenti che aveva conosciuto la sera precedente.  

Mangiò controvoglia e poi uscì dalla mensa, in direzione della sua camera. Continuava a guardarsi intorno, nella speranza di vedere Chris, o almeno Avery, e a ignorare il giovane agente che la stava accompagnando e blaterava cose che Vivienne continuava a ignorare.  

-Alle 9 verrà a prelevarla l’agente Marshall dell’FBI- le disse il ragazzo, una volta giunti davanti alla porta della sua camera. -So che verrà accompagnata a lezione al campus di Charlesdale, io attenderò qui fino al suo arrivo- 

-Non so se oggi mi va- rispose lei, con tono altezzoso, prima di entrare da sola nella sua camera. 

Richiuse la porta e poi si sentì afferrare dalle spalle. Prima di riuscire a urlare, con una mano le venne tappata la bocca. 

Venne subito travolta dal terrore, era come se fosse ripiombata a Seattle mentre veniva aggredita da David Cooper. 

Cercò di ricordarsi qualche mossa imparata al corso di autodifesa che aveva seguito dopo l’attacco subito, ma il panico le aveva invaso la testa e non riusciva a pensare. 

-Shh... stai calma-  

Allentata la presa, si voltò e vide Chris. 

-Mi hai fatto spaventare!- esclamò lei, sull’orlo delle lacrime. Gli diede un colpo sul braccio, indispettita. 

-Abbassa la voce! Era l’unico modo per avere la giornata libera e stare con te- si giustificò lui sussurrando, prima di baciarla. 

-Ah si? Tendendomi un’imboscata?- 

Lui l’abbraccio, il viso affondato nei suoi capelli. -Sei bellissima quando ti arrabbi e diventi aggressiva-  

Lei scoppiò a ridere, lasciandosi baciare. 

-E quello là fuori?- 

-Ho dovuto improvvisare, non volevo che qualcuno si facesse troppe domande. Pensano che sia a fare un sopralluogo con Emily- 

-E invece sei qui-  

-Così nessuno ci disturberà per un po’. E ho anche già avvertito Jake di non passare a prenderti questa mattina- 

-Peccato, volevo andare a lezione- rispose lei, seria.  

Lui la guardò dispiaciuto, quasi deluso. -Uh... Ti chiedo scusa, ho pensato che volessi...- 

Vivienne ridacchiò, scuotendo la testa. -...andare a lezione al posto di stare con te, nudo? Inizia a togliere quei pantaloni, Agente Rogers 

Dopo aver, di nuovo, fatto l’amore, Vivienne e Chris rimasero nel letto, nudi, a parlare e ridere. Lui non riusciva ad evitare di sfiorarle la pelle, mentre lei gli accarezzava i capelli.  

Ad eccezione di una breve pausa per il pranzo, quando Vivienne dovette andare in mensa accompagnata dal giovane agente che continuava a piantonare la sua porta, trascorsero il resto della giornata insieme, guardando la tv, senza smettere di parlare e avere contatti fisici.  

Approfittarono poi del momento della cena per congedare l’agente, a cui Chris diede il cambio. Decisero di passeggiare nel parco artificiale, grazie all’oscurità potevano tenersi per mano e scambiarsi qualche bacio. 

Vivienne si sentiva come se fosse su una nuvola. Temeva che quell’armonia potesse rompersi da un momento all’altro e non voleva sprecare neanche un istante.  

Trascorsero allo stesso modo anche i giorni successivi, nonostante Chris dovesse assentarsi per smaltire alcuni impegni lavorativi. Vivienne, poi, si accordò con il suo amico Nick per un incontro in settimana: dovevano terminare un lavoro per il corso di statistica in vista dell’esame di fine semestre.  

La ragazza, inoltre, scoprì di essere gelosa di Chris: iniziò a notare diverse agenti donna che gli ronzavano intorno ogni volta che si trovavano in una area comune e si rese conto di esserne molto infastidita. Non era mai stata un tipo particolarmente geloso e raramente si era sentita minacciata da altre donne come in quel momento, abituata com’era a sbaragliare la concorrenza. In quella situazione faticava a riconoscere sé stessa, mai avrebbe pensato di provare una tale insicurezza per via di un ragazzo, nonostante lui fosse molto affettuoso e non si curasse di attenzioni che non provenissero da Vivienne. 

Una sera, dopo essere ritornati in camera di Vivienne dopo cena, Chris sembrava pensieroso.  

-Tutto bene? Eri silenzioso a cena- gli chiese Vivienne, mentre lui cercava qualcosa da vedere in tv. 

Chris non rispose subito. Si voltò a guardarla e le accarezzò dolcemente il naso. -Nulla- 

-Dai, dimmi cosa pensi-  

Lui la guardò e sospirò. -Quanto credi che... Insomma... Io e te- 

Vivienne si alzò dal letto su cui erano sdraiati e camminò per la stanza. -In che senso?- 

Lei sapeva che presto e dopo avrebbero dovuto affrontare un discorso simile ma le sembrava fosse così presto, aveva sperato di parlarne più avanti. Era consapevole che quella condizione, quelle circostanze, tardi o prima sarebbero cambiate: David Cooper sarebbe stato arrestato e Vivienne avrebbe fatto ritorno a Hartford e alla sua vita di sempre.  

Lo aveva pensato fin da subito: Chris apparteneva a un mondo diverso, anni luce lontano da quello di Vivienne. Ma lei non si sarebbe arresa tanto facilmente, voleva stare con lui e non lo avrebbe perso.  

-Non so... nel senso che non potremo star chiusi per sempre in questa stanza-  

Lei deglutì e tornò a sedersi al suo fianco.  

-Penso che quando arriverà il momento sapremo cosa fare- rispose, molto diplomaticamente.  

Sperava di aver chiuso, almeno per il momento, quella conversazione che le metteva tanta ansia, ma Chris non sembrava della stessa idea. 

-Si, ma...- 

Lei lo baciò, pensando che in quel modo lo avrebbe zittito, ma si stava di nuovo sbagliando.  

-Vivienne, tutto questo è incredibile. Tu sei incredibile. Ma... sono preoccupato. Vorrei...- 

Vivienne respirò a fondo. -Quando sono arrivata in questo posto e ti ho visto, ho pensato subito che sarebbe stato impossibile per me, stare con te. E non solo perché una delle prime volte che siamo stati soli mi hai legata una sedia per terroristi-. Chris ridacchiò, prendendole una mano. -Ma, fin dal primo momento, ho anche capito che ti volevo. E che sarei riuscita ad averti-  

-E ora siamo qui-  

-E ora siamo qui, si. Non ho intenzione di perderti- 

Lui la baciò dolcemente. -Il mio lavoro è pericoloso, Vivienne. Sono serio. Non voglio che ti accada nulla- 

-Cosa potrebbe mai accadermi negli uffici amministrativi su al secondo piano? Voglio dire...- 

Si interruppe, notando lo sguardo sgomento di Chris. -Ehi, sto scherzando! Ci conosciamo da un quarto d’ora, è un po’ presto per fare progetti... ma il punto è che sono disposta ad adattarmi, se questa cosa, come spero, andrà avanti- 

-E pensi che Richard e Allyson Shepard lo possano accettare?- 

Lei gli lanciò un’occhiata tagliente. -Non mi interessa nulla di quello che potrebbero dire i miei nonni-  

Lui scosse la testa.  

-Se mai decidessi di rimanere qui,- continuò lei, decisamente irritata. -se ne faranno una ragione- 

-E come faresti con Harvard? E l’azienda di famiglia? Rinunceresti all’eredità?- 

-Ma qual è il punto Chris? Perché ne dobbiamo parlare ora?- rispose Vivienne, esasperata.  

Lui balzò in piedi. -Tu non ti rendi conto, ma la mia vita... Saresti costantemente in pericolo e l’idea che ti possa succedere qualcosa perché stai con me mi tormenta. Non sono sereno- 

-Beh, avresti dovuto lasciarmi stare, allora! Se sei così preoccupato di cose che magari non succederanno mai se non nella tua testa, perché diavolo sei ancora qui?! Perché mi hai baciata l’altra sera?!- esclamò Vivienne, ormai furiosa. Lo raggiunse in piedi e gli diede un colpo sul petto, sotto il mento. 

Lui le afferrò il polso e lo baciò, lentamente. Lei si divincolò e gli prese il viso tra le mani. -Non mi interessa cosa succederà domani, tra una settimana o il prossimo anno. Io voglio stare con te, adesso. Questa è una mia scelta- 

Lui inclinò il viso e la tirò verso sé, cingendole i fianchi. -Lo voglio anche io- 

*to be continued*

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

New York, New York – Circa un anno e mezzo prima 

 

Emma correva veloce con la sua macchina per le strade della città. Megan era seduta al posto del passeggero, di fianco a lei, ed era visibilmente tesa. 

Emma, Cece Wilson per come la conosceva lei, l’aveva invitata per un drink dopo il lavoro e Megan aveva intuito che ci fosse altro, aveva capito che la sua responsabile doveva parlarle. Era contenta, in parte, perché sentiva che si trattava di qualcosa di importante ed era contenta che Cece si rivolgesse proprio a lei; d’altra parte, era preoccupata, perché, dopo l’ultima volta che era stata in quell’ufficio e aveva condiviso con lei le informazioni su quello che aveva scoperto a proposito di Emily Lennox e Jake Marshall, non avevano più avuto modo di parlare. 

Emma rallentò fino a fermare la macchina nelle prossimità di un cocktail bar in cui Megan era già stata. Entrarono e una cameriera le fece accomodare a un tavolino di vetro con comode poltroncine rosse in una sala privata.  

Emma ordinò un Martini con ghiaccio per entrambe, prima di rivolgersi alla ragazza. 

-Ti chiederai perché ti ho chiesto di venire qui con me-  

Megan annuì. -Immagino sia per quello che è successo l’altro giorno- 

-Più o meno. Siamo qui perché voglio conoscere le tue intenzioni- 

Megan, con lo sguardo fisso su Emma, abbassò un po’ il viso. -N-non so a cosa tu ti riferisca- balbettò. 

-E invece si-  

Megan si sentiva fortemente a disagio per la situazione in cui si trovava. Aveva nascosto delle cose quando era arrivata alla RDM Inc, ma non pensava che qualcuno sarebbe riuscito a scoprire ciò che negli anni aveva faticato a occultare agli occhi del mondo. -Non so davvero…- 

-Basta scuse- la interruppe bruscamente Emma, afferrandole un polso. 

Megan sussultò, poi prese un profondo respiro. -Come lo hai capito?- 

-Prima raccontami- 

-Anni fa fui rapita, insieme al mio fidanzato. Ci tennero prigionieri per qualche giorno e infine l’FBI a riuscì a liberarci e le persone che ci avevano rapito vennero uccise. In realtà non fu la polizia a ucciderli, ma l’Organizzazione, Emily Lennox- 

Le sembrò che Cece conoscesse già quella storia.  

-Continua-  

-Una delle persone che ci hanno rapiti era una ragazza giovane, ed è morta anche lei. Da quel giorno cerco un modo per avvicinarmi a Lennox e ucciderla- 

Emma rimase in silenzio a guardare Megan per qualche istante. -Sei venuta a lavorare con noi perché cerchi vendetta- 

Lei abbassò lo sguardo. -Si-  

-Anche se lei ti aveva rapita?- 

-Mi aveva aiutata!- esclamò Megan, tornando a guardare Emma. -Era stata gentile, mi ha curata! Non meritava quella fine- 

-Avresti dovuto dimenticarti di lei, Jennifer- 

Megan la guardò interdetta. -Io… cosa? Come lo sai?- 

Emma rimase in silenzio. Sapeva che Megan avrebbe capito. 

Dopo qualche istante, infatti, spalancò la bocca, con gli occhi pieni di lacrime.  

-Tu… tu sei Emma- mormorò, iniziando a singhiozzare. -Sei viva!- esclamò. 

Emma si allungò sul tavolo e le accarezzò una guancia. Era commossa anche lei. -Pensavo anche io che tu fossi morta, insieme a mio padre- 

Si abbracciarono. -Potevi dirmelo- fece poi la ragazza, asciugandosi le lacrime. 

Emma alzò le spalle. -All’inizio non lo avevo capito, l’ho scoperto questa mattina. Stavo leggendo dei vecchi articoli riguardo a quello che è successo e ho deciso di cercare nel programma di protezione dell’FBI se per caso all’epoca fossi stata inserita. Non l’ho mai fatto prima, stupidamente. Sei cambiata molto in questi anni, mi scuso per non averti riconosciuta subito- 

Jennifer abbozzò un sorriso. Non riusciva a capacitarsi che tutto ciò fosse vero. Erano entrambe vive e per mesi avevano lavorato insieme senza saperlo. -Anche tu sei cambiata tanto. Ma non ti ho mai dimenticata- 

-Adesso però, Jennifer, è il mio turno- 

Emma tornò con la memoria indietro nel tempo e iniziò a raccontare a Jennifer di suo padre, di Matt e Danny, di quel rapimento e di Emily Lennox. Le rivelò di Jake e di Casey, di come Emily Lennox continuasse a intromettersi nella sua vita e come tutto ciò a cui si avvicinava finisse per distruggersi. Emma era convinta che Emily le avesse rovinato ogni cosa bella che aveva mai avuto. Aveva deciso che era giunto il momento di fermarla definitivamente, Jennifer avrebbe potuto aiutarla oppure avrebbe dovuto togliersi dai piedi. Emma non poteva permettersi di perdere ulteriore tempo ed energie, avrebbe rimosso ogni ostacolo che avesse incontrato sulla sua strada.  

-Jennifer, questa è l’ultima opportunità che hai per uscire da questa storia. Tra poco inizierà la prima fase di una delicata operazione che ha come obiettivo l’eliminazione definitiva di Emily Lennox. La voglio cancellare da questo pianeta- 

-Conta su di me!- esclamò subito Jennifer, stringendo le mani di Emma. 

-Se deciderai di aiutarmi a portare a termine questa missione, non potrai più tirarti fuori. Voglio che tu ne sia più che sicura- 

-Ti seguirò finché mi vorrai con te- 

 

X 

 

Località segreta, Massachusetts - Oggi 

 

Emily camminava con passo deciso verso la sala riunioni in cui avrebbe incontrato la squadra dell’FBI di Jake, insieme a Chris ed Evans, per una riunione straordinaria, convocata con urgenza.  

Negli ultimi giorni il suo collega e amico era stato molto impegnato con la ragazzina ed Emily era sinceramente contenta per lui. Sperava che, grazie alla presenza di Vivienne, Chris riuscisse a scrollarsi di dosso qualche fantasma del passato e decidersi di provare a vivere andando oltre il mondo dell’Organizzazione. Sapeva come entrambi fossero caparbi e combattenti: la loro storia avrebbe incontrato numerose difficoltà, ne era certa, me era altrettanto sicura che avrebbero trovato il modo per superarle tutte. 

Era un pomeriggio strano, c’era molta agitazione nella base: molti agenti erano dovuti uscire in missione di supporto alle forze di polizia di Boston perché era esplosa una bomba vicino al Fenway Park, lo storico stadio dei Red Sox. 

Mentre Emily si dirigeva verso la sala riunioni, continuava a pensare quanto fosse stato difficile, per lei, l’ultimo interrogatorio con Emma Ryan. Aveva detto delle cose che l’avevano turbata profondamente e non aveva nemmeno avuto modo di affrontarle con Jake, che era subito partito per la Florida per verificare le informazioni su David Cooper.  

Tutta quella storia cominciava a essere troppo strana, le coincidenze iniziavano a essere ingombranti. Confidava nel fatto che le indagini fossero state svolte con cura e precisione e che se davvero ci fosse stato un collegamento tra Emma Ryan e David Cooper che andasse oltre all’ospedale psichiatrico e alla presenza della Ryan a Seattle, loro lo avrebbero scoperto. 

Quando giunse alla sala, i suoi colleghi erano già arrivati, ad eccezione di Chris, che arrivò poco dopo di lei, palesemente raggiante. 

-Ciao Ems- le sorrise. 

-Hai fatto un bel pieno di vitamina V, eh?- rispose lei, mentre si accomodavano al grande tavolo ovale, posto al centro della stanza. 

-Buongiorno a tutti,- esordì Jake, che poco prima stava parlottando con un suo collega, -vi ringrazio per essere riusciti a venire con così poco preavviso, ma è di fondamentale importanza condividere con voi quanto è stato scoperto in Florida- 

Emily lanciò uno sguardo preoccupato a Evans, che sembrava allarmato quanto lei.  

-Dunque,- continuò Jake, -a 17 chilometri da Lakeland è stato rinvenuto il cadavere di David Cooper, in avanzato stato di decomposizione-  

Emily strabuzzò gli occhi. -È morto? Come?- 

-Omicidio-  

-David Cooper è stato assassinato? Ne siete sicuri?!- esclamò Chris.  

-Si, il suo corpo presentava due colpi di arma da fuoco, piccolo calibro, la balistica ci sta lavorando. Il medico legale sta effettuando in questo momento l’autopsia e vi manderemo il referto non appena possibile, ma ha già stabilito che non si tratta di un suicidio e contiamo di escludere morte accidentale. Gli hanno sparato alle tempie nel luogo in cui è stato rinvenuto il cadavere- 

-E dove si trovava precisamente?- chiese Evans, iniziando a guardare le foto che un collega di Jake aveva distribuito sul tavolo. 

-È stato rinvenuto in una piccola fabbrica abbandonata da decenni. Indossava gli stessi abiti con cui è evaso- 

-Quindi è stato il complice ad averlo ucciso- commentò Emily, mentre osservava la foto del corpo senza vita di David Cooper. 

-È molto probabile, si- rispose Jake. -La squadra speciale che ha redatto il profilo di David Cooper in realtà continua a sostenere che la presenza di un complice sia del tutto incongruente con il profilo. Sappiamo che è disorganizzato, diffidente, ha sempre rapito e ucciso da solo. Inoltre, il movente è troppo personale. Ciò che anche per loro è contraddittorio, è il fatto che abbia viaggiato fino in Florida dopo l’evasione con i documenti falsi. Per quanto mi riguarda, ha avuto sicuramente un complice che lo ha aiutato a evadere e poi lo ha ucciso. Stiamo indagando per capirne ragioni e identità- 

-Non ha senso- disse Emily, scuotendo la testa. -Perché ucciderlo proprio ora? Tutta la fatica per farlo evadere e infine ammazzarlo dopo qualche settimana?- 

Nessuno rispose. Nessuno, infatti, proprio come Emily, riusciva a ideare ipotesi sensate.  

D’un tratto squillò il telefono di Jake. Lui rispose e dopo qualche istante chiese di poter aprire la sua e-mail sul pc della sala riunioni e proiettare, in modo che potessero vedere tutti, un rapporto che aveva appena ricevuto. 

-Non ho avuto modo di dirvi che l’unico effetto personale trovato su David Cooper è un cellulare. I nostri analisti lo hanno esaminato e mi hanno inviato ora i risultati. Hanno trovato una solta telefonata a un numero di New York- 

Aprì il file e si voltò a guardare Emily sconvolto, dopo aver dato una rapida occhiata al contenuto. 

-L’unica chiamata è stata ricevuta il giorno in cui è deceduto,- lesse ad alta voce Chris, -da un numero riconducibile all’RDM Inc, con gli uffici tra la 34th e Lexington Avenue a New York. L’amministratore delegato della società è Cecil Wilson, incensurata di anni 34, residente al medesimo indirizzo- 

-Emma Ryan- disse Emily con un filo di voce, letteralmente scioccata. 

Chris, come le altre persone della sala ad eccezione di Jake, la guardarono perplessi. -Cosa c’entra?- le chiese, molto seriamente. 

-Emma Ryan si era presentata a Jake come Cece Wilson, vi ricordate?- rispose Emily. -Jake non aveva trovato informazioni a proposito- 

-Sul nostro database non c’era alcuna informazione- fece lui, annuendo. -Non capisco come sia possibile non aver trovato questi dati prima- 

-I file criptati di Quantico-. Tutti si voltarono a guardare Chris, che aveva parlato. -Lo scorso anno, avevamo individuato quei file dopo quello che era successo a Memphis con le foto satellitari modificate provenienti dal sistema della CIA. Abbiamo ipotizzato che Emma Ryan potesse aver accesso con l’autorizzazione di un’altra agenzia. Potrebbe aver nascosto lei i file fino a questo momento-  

-Si, ma per quale ragione? Per quale motivo dovrebbe aver aiutato David Cooper?- chiese Evans, in evidente disaccordo. 

Emily e Chris si guardarono, ricordando ciò che gli aveva raccontato Vivienne dopo aver fatto alcune ricerche con il fratello. Si resero conto che la ragazza aveva ragione, aveva capito tutto. 

-Non lo sappiamo ancora,- rispose Emily, -ma sappiamo che con molta probabilità si sono incontrati in un ospedale psichiatrico in Pennsylvania e che Emma Ryan era a Seattle nei giorni in cui David Cooper ha aggredito lì Vivienne-  

-Che cosa?!- esclamò Evans. -E da quanto tempo lo sapete?- 

-Da qualche settimana, ma erano solo ipotesi, non abbiamo trovato nulla che li collegasse- 

-Il collegamento ce lo ha fornito lei, adesso-  

-Si, ma,- continuò Chris, -non ha comunque senso. Perché Emma Ryan avrebbe dovuto aiutare Cooper in quel modo? E poi adesso lei è anche stata arrestata. Che cosa ha guadagnato da questa storia?- 

Emily respirò a fondo, ragionando in silenzio. Che cosa avrebbe ottenuto con l’evasione? Qual era lo scopo? 

Poi capì. Qualcosa aveva ottenuto.  

-Vivienne è qui- mormorò. 

-Cosa?- 

-Vivienne è qui, qui con noi- 

-Cosa stai dicendo Lennox?- 

-L’obiettivo non è mai stato lei, ma siamo sempre stati noi. L'Organizzazione. Questo sto dicendo. Ha creato una falla, si è servita di lei e dell’FBI, di Jake, per arrivare a noi. Continuava a parlare di te negli interrogatori, cazzo è così chiaro ora!- 

Jake sussultò, improvvisamente. -Vivienne l’aveva nominata!- 

-Cosa?! Chi?!- esclamò Chris, balzando in piedi. 

-Cece Wilson, lei... Era al telefono con suo fratello, quando voi eravate in Brasile, quando vi ha rubato il fascicolo- 

-Se avesse scoperto un’altra identità di Emma Ryan ce l’avrebbe detto- commentò Emily, disorientata. -Quando ha scoperto le altre cose ha fatto il diavolo a quattro per farcelo sapere- 

-Dobbiamo parlarle, ora- intervenne Evans, risoluto. -Dove si trova in questo momento?-  

-Con l’agente Wood, è a Charlesdale per studiare- rispose subito Chris, prendendo il telefono. -Li contatto immediatamente-  

-Cazzo sarei dovuto esserci io con lei- commentò Jake passandosi nervosamente una mano fra i capelli. 

Sulla sala era caduto un silenzio angosciante. Erano tutti in attesa. 

Emily sentì improvvisamente un brutto presentimento, alla bocca dello stomaco, e guardò Chris. Era chiaro come lui provasse la medesima sensazione e fosse, in aggiunta, decisamente allarmato. 

-Non risponde nessuno-  


*to be continued*

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Charlesdale, Massachusetts - Un’ora prima 

 

Vivienne e Avery si stavano dirigendo alla casetta predisposta per gli incontri con Nick Miller. Avrebbe dovuto esserci l’agente Marshall con lei ma, mentre Vivienne preparava gli appunti e i manuali per il pomeriggio di studio con il suo amico, era stata informata di un cambio di programma. Jake stava tornando dalla Florida e aveva importanti novità sul caso Cooper che doveva condividere con Chris ed Emily, pertanto sarebbe stato sostituito da Avery. Vivienne aveva protestato un po’ perché avrebbe voluto partecipare anche lei, ma Chris l’aveva persuasa ad andare a studiare e le aveva promesso che l’avrebbe aggiornata al suo rientro, così Vivienne ed Avery erano partiti alla volta di Charlesdale.  

Nick li raggiunse una decina di minuti dopo il loro arrivo.  

-Ciao Nick! Lui è George, un mio vecchio amico della Columbia. È arrivato in mattinata, mi ha fatto una sorpresa- inventò Vivienne, mentre si sistemavano sul tavolo della cucina.  

-E tuo fratello dov’è?- le chiese lui, dopo aver stretto la mano ad Avery. 

-Mio fratello è dovuto andare in ufficio, un’emergenza lavorativa- 

-Spero nulla di grave- 

-Oh no, non credo. Cominciamo? Dobbiamo finire il lavoro per l’esame di statistica, voglio mantenere una media alta- 

-Sicuro. Ah, senti, posso mica collegarmi alla vostra rete wifi? Ho caricato sul drive alcuni file con i dati che ci servono per finire questo maledetto lavoro. La prossima volta lo copio da qualcuno, è stata una rottura totale raccogliere questi dati- 

Vivienne guardò Avery, che annuì. 

-Certo- rispose lei, cercando tra gli appunti il foglietto di carta su cui aveva appuntato username e password per accedere alla rete. Glielo passò e tornò a guardare i suoi appunti, assorta nei suoi pensieri.  

Trascorse qualche minuto a fare ordine tra gli appunti, cercando di fare una lista dei punti salienti di quel compito in modo da non dimenticare nulla. 

-Senti, penserei di partire con…- iniziò a dire, ma si interruppe, notando con la coda dell’occhio un movimento brusco al suo fianco. Si girò e vide Nick in piedi vicino ad Avery, seduto sul divano, che aveva gli occhi e la bocca spalancati e una siringa piantata nel collo. 

Subito, Vivienne non si rese conto di cosa stesse succedendo. Le mancò il fiato e il cuore iniziò a battere forte, terrorizzata.  

-Che hai fatto?!- esclamò, paralizzata dal panico, mentre il corpo privo di sensi di Avery si accasciava sul divano. 

-Se non vuoi che lo uccida, devi fare esattamente quello che ti dico- rispose Nick 

Aveva lo sguardo determinato e Vivienne si accorse che con le mani stava impugnando una pistola. 

-Che cosa vuoi fare? Non farci del male, ti prego- supplicò lei, ancora immobile. 

Lui fece un passo verso la ragazza e le afferrò il mento. -Quanto mi piace vederti così terrorizzata, stupida troia che non sei altro- 

Vivienne cercò di raggiungere Avery ma Nick le tirò uno schiaffo con violenza, facendola cadere a terra. 

-Non ti muovi se non te lo dico io- 

-Ti prego, non ci fare del male. Posso darti dei soldi, la mia famiglia è molto ricca, posso darti quello che vuoi- 

Nick scoppiò a ridere sprezzante. -Non mi interessano i soldi sporchi di voi Shepard- 

Vivienne boccheggiò, percorsa da un brivido, ancora sdraiata a terra 

-Si, puoi finirla con questa farsa, so benissimo chi sei. Pensi che al campus ti avessi avvicinata per caso? Quanto sei stupida!- 

Vivienne, ritrovando un po’ di lucidità, si alzò in piedi. -Che cosa vuoi da me?- fece, mentre le lacrime cominciarono a rigarle il viso. 

-Ho bisogno che tu faccia una cosa molto importante. Devi tornare al quartier generale dell’Organizzazione e fare tutto quello che ti dico- 

Vivienne scosse la testa, confusa. -Ma cosa stai dicendo?- 

-Mi aiuterai ad aprire la cella in cui hanno rinchiuso Emma Ryan- 

-Tu sei pazzo!- urlò lei, scagliandosi verso di lui. 

Nick la colpì con un pugno sullo stomaco e Vivienne cadde di nuovo a terra.  

Poi lui si avvicinò ad Averysempre svenuto, e gli puntò la pistola alla nuca. -Se non vuoi che ammazzi il tuo amico, farai esattamente ciò che ti dico. Adesso prendi la macchina, torni il quel posto di merda e segui le mie indicazioni per arrivare da lei- 

-Ma cosa pensi di fare?- ansimò Vivienne, alzandosi a fatica. -Non mi permetteranno di arrivare in quel bunker- 

-Siete stati così idioti da farmi accedere alla rete e adesso sono dentro al sistema dell’Organizzazione. Posso fare quello che voglio. Ti aprirò ogni porta e ti dirò da dove passare. Se durante il tragitto proverai ad avvertire qualcuno o a scappare, il tuo amico è morto, e puoi star certa che lo ammazzo per davvero- 

Vivienne deglutì e guardò Avery. -Ok, cosa devo fare?- 

Strattonandola, Nick le diede un cellulare e le spiegò brevemente cosa avrebbe dovuto fare.  

Vivienne, tremando, salì sull’automobile con cui era arrivata con Avery e tornò all’organizzazione. Durante il tragitto, mentre Nick continuava a minacciarla, provò a pensare a come chiedere aiuto senza che lui se ne accorgesse, ma il panico era troppo e non riusciva a ragionare. Continuava a piangere e respirare affannosamente. 

Arrivò nelle prossimità del quartier generale e Nick le ordinò di lasciare l’auto.  

“C'è un varco nella siepe vicino al cancello numero 3, entra da lì” 

Vivienne trovò il passaggio: la recinzione era stata tagliata e nella siepe, alta e spessa, c’era un buco. Si infilò e si ritrovò nel parco artificiale, in un punto molto vicino a una parete laterale dell’edificio principale 

“C’è una porta di sicurezza davanti a te, che sto per aprire. Entra e prosegui per il corridoio fino alla porta frangi fuoco 

Vivienne seguì le istruzioni ed entrò nell’edificio. Giunta alla porta, Nick la aprì con un comando remoto e la ragazza trovò di fronte a sé delle scale. Lui le ordinò di scendere fino all’ultimo piano sotterraneo. 

“Ti vedo dalle telecamere, se fai movimenti strani il tuo amico è morto”. 

Vivienne scese velocemente le rampe delle scale sperando con tutta sé stessa di trovarsi davanti qualche agente a cui chiedere aiuto, ma non vide nessuno.  

Era tentata di aprire una delle porte di sicurezze poste sui pianerottoli e, quando era quasi arrivata in fondo all’edificio, provò a fare un passo verso la maniglia della porta che vedeva di fronte a sé. 

“Le ho sigillate tutte, non puoi fare altro se non continuare a scendere” ringhiò Nick, intuendo l’intenzione di Vivienne. 

Lei lanciò un’occhiata alla telecamera e, di malincuore, riprese a scendere. 

-Non te la caverai facilmente- sibilò, ormai giunta all’ultimo piano. 

“Lo vedremo. Adesso apri quella porta e vai a destra. Troverai sulla sinistra altre scale, scendi” 

Vivienne obbedì e finì per trovarsi in un’anticamera molto umida e buia, priva di finestre. L’unica luce presente proveniva da un lampeggiante giallo. C’era una porta metallica dall’aspetto massiccio davanti a lei, senza aperture ne serrature. 

Era arrivata nel bunker. 

 

~ 

 

“Per terra, a destra, c’è una leva rossa, la vedi?” 

Vivienne non rispose subito. Voleva trovare un modo per uscire da quella situazione. 

Poi udì, forte e chiaro, un colpo di pistola provenire dallauricolare. 

Urlò, portandosi la mano alla bocca. 

“Il prossimo colpo finisce dritto nel cervello del tuo amico. TIRA QUELLA LEVA!”. 

Vivienne, tremando, si accovacciò a terra e tirò la leva. 

Sentì lo scatto di una serratura e la porta di metallo si mosse di pochi centimetri.  

“Vai da lei”. 

La ragazza prese un profondo respiro e, con il cuore in gola, aprì la porta ed entrò nel bunker. 

Davanti a lei, seduta sul letto, c’era Emma Ryan. 

-Vivienne Shepard, finalmente ci conosciamo- 

Lei non rispose.  

-Fammi tornare indietro- disse, rivolta a Nick. 

-Oh no, cara, non hai ancora finito qui- rispose placidamente Emma, con un ghigno. 

-Ho fatto tutto quello che mi ha detto di fare- mormorò Vivienne, tesa. 

-E sei stata perfetta, ma lo spettacolo non è ancora finito, manca la protagonista- 

Vivienne venne colta da un presentimento terribile. Voleva scappare ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Decise di prendere tempo. 

-Sei la complice di David Cooper- le disse, ostentando un tono sicuro. 

-Sono molto di più, tesoro. Lo so che hai provato a dirglielo ma non ti hanno ascoltata, vero? Sono sempre stati così arroganti- 

-Perché mi volevi morta?- 

-Morta?-. Emma scoppiò a ridere come una forsennata. -No, Vivienne, non ti volevo morta, mi servivi viva, qui. Ancora non hai capito?- 

Vivienne non rispose e cercò di non distogliere lo sguardo, anche se Emma la terrorizzava. 

-Ancora non hai capito che ti ho solo usata? Per arrivare qui, a questo momento- 

-Perché io?- 

-Perché non tu?- 

-Sei una pazza- mormorò Vivienne, voltandosi verso la porta. 

-Ho detto che non hai finito qui!- esclamò Emma, afferrandola per una spalla e buttandola a terra. 

Vivienne cadde rovinosamente sul pavimento e cercò subito di allontanarsi dalla portata di Emma, improvvisamente furiosa. -Non ti muovi se non te lo dico io!- le urlò con rabbia. 

Vivienne si alzò in piedi e si avvicinò alla porta. -Lasciami andare via-  

-No, lei sta arrivando- 

-Lei chi?- 

Emma non rispose e si posizionò dietro la porta spalancata. -Tu non ti muovere- le disse, con un tono che fece rabbrividire Vivienne.  

Dopo qualche istante, nella stanza fece irruzione Emily con una pistola tesa davanti a sé. 

-È una trappola!- urlò subito Vivienne, ma Emily non fece in tempo a girarsi che Emma la aggredì alle spalle riuscendo a strapparle la pistola dalle mani. 

-Eccoci tutte qui- sibilò Emma Ryan, puntando l’arma verso le due ragazze, posizionata fra loro e la porta.  

Emily aveva raggiunto Vivienne e la proteggeva con il proprio corpo. -Tu stai bene?- le chiese subito, senza staccare gli occhi da Emma Ryan. 

-Io sì, ma hanno aggredito Avery... ho paura che possano averlo ucciso- 

Emma scoppiò a ridere. -Nick! Ancora non hai capito, vero? Stupida idiota! Lei non è Nick- 

-Ryan, adesso abbassi quell’arma e ci fai andare via da qui- disse Emily, lentamente, una mano bel salda sul braccio di Vivienne. 

-Voi non andate proprio da nessuna parte. Non uscirai viva da questa cella- 

-Qualcuno arriverà e farai una brutta fine- 

Emma riprese a ridere. Vivienne lo trovava snervante, ormai esasperata, voleva solo andare via da li. 

-Nick ha bloccato tutte le porte, nessuno verrà a prendervi-  

-Il tuo compagno di scuola? Cosa c’entra?- chiese subito Emily, continuando a fissare Emma Ryan. 

-Nick, nicknick!- esclamò lei, con una smorfia. -O forse dovremmo chiamarlo con il suo nome vero... Jennifer- 

Vivienne strabuzzò gli occhi. -Jennifer?- fece, confusa. 

-Jennifer Mosby- rispose velocemente Emily. -È così, vero? Lavora per te- 

-Proprio così, la cara e tenera Jennifer ha ingannato tutti voi! È stata molto brava a farvi arrivare entrambe qui, non trovi Vivienne?- 

-Che cosa vuoi adesso?- fece Emily.  

Emma la guardò curiosa, prima di lanciare uno sguardo pieno di collera. -Ucciderti, Emily Lennox, voglio ucciderti- 

-Non devi farlo- fece Vivienne, aggrappata a Emily. 

-Tesoro, io voglio farlo. Voglio uccidere la stronza che mi ha rovinato la vita- 

Emily non rispose alcunché e si limitò a osservarla. 

-Non mi chiedi perché ti voglio morta? Non vuoi sapere perché lo scopo della mia vita è diventato ucciderti? Volevi sapere dei miei complici, dei miei colpi... E non mi hai chiesto la cosa più importante!- 

Emily continuò a rimanere in silenzio.  

-Allora?!- la incalzò Emma, agitando l’arma. -Chiedimi perché!- 

L’agente strinse gli occhi. -Perché abbiamo ucciso il padre di tua figlia- 

-Ancora non ci sei arrivata? Lui potrebbe aver dimenticato quella scopata, ma io ho cercato di dirtelo in ogni modo-  

Vivienne percepì Emily irrigidirsi. -Jake- mormorò lei. 

-Proprio così- ghignò Emma, goduta nel colpire Emily in modo così subdolo. -Poco prima che uccidessi mio padre, quel porco del tuo fidanzato mi ha messa incinta- 

-Dimmi che non stai facendo tutto questo per lui- 

-Prima mi hai portato via mio padre, lo hai fatto saltare in aria, e poi il padre di mia figlia! Finalmente avrò la mia vendetta- 

-David Cooper, Vivienne, l’arresto... tutto questo per Jake?- 

Emma fece per rispondere ma venne anticipata da Nick. “Stanno arrivando! Hanno quasi sbloccato il sistema, te ne devi andare!” esclamò, attraverso l’altoparlante del cellulare che Vivienne ancora stringeva fra le mani.  

-Dunque ci siamo!- esclamò Emma, caricando la pistola, eccitata. -Emily Lennox, quali sono le tue ultime parole? Sceglile con cura- 

Vivienne, improvvisamente, quasi senza rendersene conto, le si scagliò contro e la travolse, cadendo su di lei. 

Sentì un forte rumore e sperò con tutta sé stessa che Emily stesse bene. Cercò di rialzarsi quando sentì una botta alla testa, seguita da un dolore lancinante. Cercò di tenere gli occhi aperti ancora per qualche istante, ma poi arrivò il buio e svenne.

*to be continued*

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


II Parte  

 

 

Capitolo 18 

 

 

Bip. Bip. Bip. 

Vivienne schiuse le palpebre gradualmente. Aveva la vista appannata e la testa era dolorante.  

Richiuse gli occhi. 

Sentiva un fischio fastidioso nelle orecchie, sommato a quel suono costante e regolare emesso da qualche apparecchio elettronico, e il braccio sinistro le faceva male.  

Cercò di alzare il capo, ma fu subito colpita da forti giramenti di testa. 

Rimase appoggiata al cuscino e riprovò ad aprire gli occhi: la luce bianca della camera l’abbagliò e li richiuse nuovamente. 

-Vivienne, tesoro!- 

Riconobbe la voce di sua madre e schiuse leggermente gli occhi. La vide vicino a lei e si accorse che le stava stringendo le mani.  

-Mamma...-. La bocca era asciutta, si rese conto di avere sete. -Acqua- mormorò, gli occhi stretti a fessura. 

Gwen Shepard si alzò e le avvicinò subito un bicchiere di carta con una cannuccia.  

La appoggiò con delicatezza alle sue labbra. Vivienne bevve per qualche istante e poi azzardò ad aprire un po’ di più gli occhi. 

La luce iniziava a darle meno fastidio, mentre il fischio nelle orecchie non le dava tregua.  

-Dove... dove sono?- mugugnò. 

-Siamo al MGH, qui a Boston. Sei al sicuro, tesoro, nessuno ti farà più del male-  

-All’ospedale? Dov’è Chris? Avery?-  

Cerco di alzare le spalle, appoggiandosi ai gomiti, ma il dolore al braccio sinistro la costrinse e fermarsi. Vide di avere il tubo di una flebo attaccato all’avambraccio. 

-Hai perso molto sangue, ma adesso stai bene- fece sua madre, ignorando la domanda. -Hai battuto la testa e hanno dovuto farti una trasfusione, ma ora è tutto finito- 

Con la mano destra cercò di toccarsi la testa: c’era una garza che le avvolgeva la parte posteriore. 

-Mamma, dove sono loro?- soffiò Vivienne, sofferente. 

Gwen, in silenzio, si alzò e uscì dalla camera. 

Vivienne diede una veloce occhiata alla stanza in cui si trovava: c’erano molti apparecchi elettronici ai suoi lati, vicino alla parete sulla sua destra c’era un mobile basso colmo di mazzi di fiori e piante colorate, mentre a sinistra c’era una grande finestra con le tende aperte, da cui entrava tutta quella luce. 

Dopo qualche istante, sua madre fece ritorno nella stanza seguita da Chris Rogers ed Emily Lennox. 

-Vi lascio un momento- disse, dopo aver baciato la fronte di Vivienne. Uscì dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle.  

Vivienne guardò i due agenti e cercò di abbozzare un sorriso. Percepiva l’ambiente intorno a sé come se fosse ovattato, tutto le sembrava un po’ sconnesso.  

Chris si avvicinò subito e le prese una mano, che baciò, prima di accarezzarle una guancia.  

-Mi dispiace così tanto- le disse. Vivienne si accorse che aveva gli occhi rossi. 

-Sto bene- rantolò lei, sforzandosi di nascondere il dolore. 

-Sei stata molto coraggiosa- disse ancora Chris, prima di darle un leggero bacio sulle labbra.  

-Cos’è successo?- chiese Vivienne, guardando Emily. 

L’agente le sorrise. -Sono contenta che stai bene. Ci siamo spaventati- 

-Avery?- chiese ancora Vivienne. 

-Wood sta bene, si è già ripreso. Per fortuna il siero con cui lo hanno steso non era mortale- 

-Emma Ryan?- 

I due agenti si guardarono. -È il caso se ti riposi ancora un po’- rispose Emily, avvicinandosi al letto.  

-Voglio sapere- fece Vivienne, con una smorfia. 

Chris respirò a fondo. -Non siamo riusciti a fermarla. Quando l’hai travolta, sei caduta a terra e hai battuto la testa sul battente della porta blindata. È stato terribile, quando sono arrivato eri in una pozza di sangue e ho temuto che fossi...-. Chiuse gli occhi, poi baciò ancora la mano di Vivienne, prima di riprendere a parlare. -Emma Ryan si è rialzata a e ha provato a sparare a Emily, ma la pistola era scarica- 

-Come?- fece Vivienne, sorpresa. 

Chris riprese a raccontare cosa fosse successo quel pomeriggio. Durante il briefing con Jake si erano resi conto che stesse per succedere qualcosa. Non ricevendo risposta da Avery e Vivienne, Chris e Jake erano corsi a Charlesdale per cercarli e avevano trovato Avery privo di sensi, mentre il complice di Emma Ryan era già fuggito. 

-Nick...- lo interruppe Vivienne, ricordando l’assurda conversazione avuta con Emma Ryan. -Sono stata così stupida a dargli confidenza- 

-Non è colpa tua- rispose Emily. -Nessuno poteva immaginare una cosa del genere. Nick in realtà si chiama Jennifer Mosby. Era stata rapita dalla Ryan e i suoi complici anni fa, quando abbiamo fermato parte della banda. Non avevamo idea che si travestisse in quel modo e che fosse un hacker. È incredibile se pensi che la ragazza è stata rapita e torturata da loro, eppure ha deciso di aiutarla-  

-Io lo sapevo, sapevo che lavorava in questa società, ma non pensavo... Lo ha scoperto Bentley quando gli ho chiesto di cercare informazioni con Emma Ryan- 

-Era tutto secretato- fece Chris, scettico. -Come lo ha scoperto?- 

-La società per cui lavora è in affari con la mia famiglia- spiegò Vivienne, mortificata. Si sentiva in colpa per quanto successo. 

-Si,- rispose Emily, -tuo nonno aveva richiesto alla RDM Inc di trovare e uccidere David Cooper. L'amministratore delegato, Cecil Wilson al secolo Emma Ryan, ha gentilmente rifiutato e i tuoi nonni si sono rivolti al Direttore. Ovviamente non eravamo stati informati. Lo abbiamo scoperto quando lei ha voluto che lo scoprissimo, per attirarmi nel bunker- 

-Per ucciderti- 

-Esatto. Ti chiedo scusa. Sei in questa situazione perché lei pensava di riuscire ad arrivare a me attraverso te-  

Vivienne scosse la testa. -Non è colpa tua, è una pazza. Tu stai bene?-  

Emily annuì ma abbassò lo sguardo. Vivienne intuì che ci fosse altro e capì che non era il momento adatto per approfondire. 

-Quindi è stata lei che mi ha seguita fino a Seattle e poi lo ha fatto evadere?- 

-Si. Riteniamo che si siano incontrati in quell’ospedale psichiatrico e che Ryan abbia deciso di utilizzarlo come esca. Pensiamo che abbia studiato la vittimologia di Cooper e abbia scelto te perché era molto probabile che la tua famiglia si rivolgesse a noi per proteggerti. Quando Cooper è stato arrestato, ha dovuto cambiare il piano; riteniamo volesse attaccare già lo scorso anno, ma appunto sia stata costretta ad aspettare il momento giusto- 

-Tu ancora non lo sai,- intervenne Chris, -ma David Cooper è morto. Crediamo sia stato assassinato da Ryan o dalla complice, in Florida. Il briefing urgente di Jake riguardava questo. Gli hanno lasciato addosso un cellulare, in modo che lo collegassimo all’RDM Inc- 

Emily sospirò. -In quel momento ho capito che l’obiettivo era l’Organizzazione, o meglio, ero io. Tu non lo sai, ma quando l’ho interrogata continuava a nominare Jake. Subito avevo pensato che fosse un modo per depistarci e dimostrarci che ci seguiva e ci conosceva bene, poi è stato ovvio che fossi io il suo obiettivo. Si è fatta arrestare perché altrimenti non sarebbe riuscita ad arrivare a me, immagino si fosse convinta che l’unico posto in cui sono vulnerabile è proprio la base. Era naturale che una volta scoperto del collegamento con l’RDM mi recassi da lei-  

-Hanno anche fatto esplodere una bomba qui a Boston, a Fenway Park, in modo che alcuni dei nostri agenti intervenissero a supporto della polizia locale e lasciassero il quartier generale sguarnito. E ci ha fatto trovare il cadavere di David Cooper proprio per tenerci occupati. Quando la Mosby ti ha vista arrivare senza Jake ha capito che era il momento giusto per agire- 

-Per quello sono riuscita ad arrivare fino al bunker senza incontrare nessuno- 

-Per quello e perché Jennifer ha violato il sistema e ha preso il controllo della rete elettrica e di sicurezza- spiegò Emily. 

-Per colpa mia...- fece Vivienne, con le lacrime agli occhi. -Le ho dato la password del wifi e lei...- Scoppiò a piangere e cercò di coprirsi il viso con la mano destra. -Sono stata così stupida, ma avevo paura che uccidesse Avery... Mi ha picchiata e non volevo che lui morisse-  

-Vivienne,- rispose Chris, accarezzandole una guancia, -non lo pensare nemmeno! Sei stata molto coraggiosa, non avevi alternativa. Avrebbe ucciso Avery, che è ancora vivo grazie a te. L'unica persona da incolpare è Emma Ryan, e ti posso assicurare che pagherà per tutto quello che ha fatto- 

Lei lo guardò preoccupata. Stava iniziando a metabolizzare tutto ciò che le stavano raccontando.  

-E poi che è successo?- 

Emily respirò a fondo. -Quando ho capito cosa stava succedendo, ci siamo collegati alle telecamere del bunker e ti abbiamo vista li, mentre aprivi la porta blindata. Abbiamo tolto la sorveglianza a vista della cella qualche giorno fa, ci sembrava uno spreco di risorse. E invece avremmo dovuto lasciarla, ti chiedo scusa. Prima di scendere a prenderti, con Evans abbiamo organizzato una squadra di supporto mentre Cristine cercava di riprendere controllo del sistema. Sono scesa con la pistola scarica perché non mi fidavo a entrare nel bunker armata, sentivo che aveva escogitato qualcosa, ma non potevo rischiare che usasse la mia pistola-  

-E ha funzionato!- sorrise Chris, voltandosi verso Emily. -Ha funzionato, ti ha preso la pistola ma non ha potuto ferire nessuno- 

-Si beh, comunque è fuggita. La Mosby è riuscita a farla scappare, continuava a bloccare i passaggi e a spegnere e accedere le luci. C’era il caos- rispose amaramente lei, scuotendo la testa. -E adesso dobbiamo ricominciare da capo-  

Vivienne sospirò. -E ora che succede?- 

I due agenti si scambiarono uno sguardo che la ragazza non riuscì a decifrare.  

-Ne dobbiamo ancora parlare con i tuoi nonni- disse infine Chris.  

Vivienne li scrutò attentamente, come se cercasse di leggere i loro pensieri. Avrebbe voluto insistere ma si sentiva sfinita, non aveva le forze per intavolare e sostenere una discussione.  

-Ti lasciamo riposare, adesso- continuò lui, accarezzandole ancora il viso. 

-Non andare via- sussurrò Vivienne, quasi in lacrime.  

Lui la baciò dolcemente sulla fronte. -Torno presto, adesso cerca di dormire-  

Li guardò, malinconica, uscire dalla stanza, angosciata da una brutta sensazione allo stomaco 

 

~ 

 

Vivienne era ormai ricoverata da tre giorni e ogni mattina suo fratello Bentley andava a farle visita. Le portava fiori freschi e cioccolatini o dolcetti diversi ogni giorno. Aveva ottenuto un permesso speciale e poteva rimanere con Vivienne ben oltre l’orario di visita.  

Alla ragazza era stata tolta la benda ed era stato applicato un cerotto di discrete dimensioni sulla ferita alla nuca, a cui erano stati applicati una decina di punti. Continuava ad assumente una terapia antidolorifica ma non aveva più ricevuto liquidi attraverso le flebo e, tolti i lividi disseminati qua e là, si sentiva meglio. 

A differenza di Bentley, Chris ed Emily non erano più tornati. Vivienne aveva provato a telefonare e scrivere dei messaggi, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. 

Bentley aveva spiegato a sua sorella che stavano riorganizzando la sua protezione prima delle dimissioni dell’ospedale, ma anche lui non ne conosceva i dettagli. Le aveva raccontato che i nonni si erano infuriati con l’Organizzazione per quello che era successo, non li aveva mai visti così arrabbiati. Secondo lui non le avrebbero permesso di tornare al quartier generale. 

-E loro li hai più visti?- gli chiese Vivienne. 

Bentley si era accomodato sul letto vicino a lei e stavano guardando la tv, mentre mangiucchiavano dei dolcetti. 

Lui scosse la testa. -No. Penso che non abbiano il permesso dei nonni, dovresti vedere fuori dal reparto cos‘hanno fatto mettere- 

-Cosa?- 

-C’è tipo un plotone di agenti armati fino ai denti-  

-Dell’Organizzazione?- 

Bentley fece una smorfia. -Non credo. Secondo me sono soldati stranieri, non li ho ancora sentiti spiccicare mezza parola-  

-Comunque,- continuò lui, -se ti fanno tornare a casa non è così male. Potrei trasferirmi nel tuo appartamento a Boston, oppure potremmo stare un po’ al Manor dai nonni, ad Hartford- 

-Proprio no, non ci torno lì- rispose subito Vivienne, cupa. Non aveva mai vissuto volentieri a così stretto contatto con i nonni. Era cresciuta al Manor e quando era andata al college aveva finalmente potuto allontanarsi da quell’ambiente familiare così soffocante per lei.  

Sua madre continuava a vivere lì, dove aveva vissuto anche suo padre prima del divorzio. La casa, o meglio, il palazzo, era tanto grande da ospitare i nonni, la famiglia di Vivienne e la famiglia delle due sorelle di sua madre, Victoria, la maggiore, ed Elisabeth, la più piccola. 

Lei non avrebbe rinunciato tanto facilmente alla sua tanto sospirata libertà per poi ripiombare sotto il controllo costante e tossico dei nonni. 

-Beh, non credo tu abbia tante alternative, se decidono i nonni- commentò Bentley. -Ma perché cavolo a quest’ora del mattino trasmettono Beverly Hills? Ma chi lo guarda ancora?- 

Vivienne scoppiò a ridere. -Non hai mai capito la magia di Dylan e Brenda insieme, sei uno zuccone-  

Bentley fece per ribattere quando qualcuno bussò alla porta. 

-Avanti!- 

Dietro la porta spuntò la testa di Chris. -Posso?- chiese. 

Vivienne sorrise raggiante. -Che bello vederti- disse subito. 

-Ok, vi lascio soli- fece Bentley, saltando giù dal letto e uscendo la camera. 

Vivienne si sporse verso Chris, aspettando che lui si avvicinasse e la salutasse con un bacio, ma il ragazzo rimase a debita distanza. 

Si guardarono in silenzio per qualche istante. Vivienne sentiva nuovamente quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco, aveva capito immediatamente che Chris non portava buone notizie. Non gli chiese nulla, aspettando che fosse lui a parlare.  

-Come stai?- le chiese, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Vivienne. 

-Cosa mi devi dire?- fece lei, con tono aggressivo.  

Lui tentennò, indeciso se avvicinarsi.  

-È stato deciso come organizzare la tua protezione, quando verrai dimessa- 

Lei, assumendo uno sguardo molto determinato, non rispose. 

-I tuoi nonni hanno deciso che andrai a stare da loro, ad Hartford- 

Vivienne rimase ancora in silenzio. Nella sua testa imprecava contro i nonni e stava già pensando a come opporsi, ma l’atteggiamento freddo di Chris era troppo strano e lei aveva capito che non fosse solo per la questione sorveglianza. 

-Io ed Emily,- continuò lui, -abbiamo richiesto di poter continuare a occuparci della tua protezione, pensiamo che con buona probabilità Emma Ryan proverà ad avvicinarsi a te e vogliamo essere pronti- 

La ragazza continuava a fissarlo granitica, cercando di non fare trasparire alcuna emozione, e Chris era visibilmente a disagio. Deglutì, prima di riprendere la parola. 

-Applicheremo un protocollo speciale, le modalità saranno differenti rispetto a prima. Ti accompagneremo ovunque dovrai e vorrai andare, ma rimarremo in disparte, diciamo… cercheremo di essere invisibili- 

Vivienne respirò a fondo. -E poi? Che altro mi devi dire?- gli chiese, con la profonda speranza che il suo presentimento fosse sbagliato. Non voleva nemmeno pensarci. 

Lui spalancò gli occhi e si passò una mano fra i capelli. -Ci ho pensato tanto. Questi tre giorni non ho dormito, continua a venirmi in mente… Tu non hai idea di come mi sia sentito quando ti ho vista nel bunker, pensavo fossi morta e sono impazzito- 

-Ma sono viva- lo interruppe Vivienne, vacillante. L’angoscia la stava divorando. 

-Si, ma saresti potuta morire e sarebbe stata colpa mia- 

-Che cosa dici? È solo colpa di quella pazza! Me lo hai detto tu stesso!- esclamò Vivienne, cercando di scendere da letto. Non si era ancora ripresa ed era molto debole. Le girò subito la testa e dovette rimanere seduta sul letto, appoggiata a uno dei cuscini. 

-Senti, il punto non è questo. Il punto è che la mia vita è così e l’idea che tu possa essere in costante pericolo mi fa uscire fuori di testa. Non posso… Non posso stare con te- 

A Vivienne mancò l’aria. Gli occhi si riempiono di lacrime e sentì un forte senso di nausea. 

-Che cosa stai dicendo?- sibilò, combattendo con sé stessa per non piangere. 

Lui iniziò a camminare nervosamente su e giù per la stanza. 

-Sto dicendo che non può funzionare… Non sarei sereno! E poi cosa pensi si possa fare, eh? Tu… tu sei una civile e non potrei mai costringerti a vivere la vita che faccio io!- 

-Ma sarebbe una mia scelta, te l’ho già spiegato!- esclamò lei, con rabbia.  

-Si, una scelta che hai preso senza riflettere! Tu hai una vita piena di tante cose a cui dovresti rinunciare, e io non voglio!- 

-Tu parli di rinunce, ma in realtà cosa ne sai della mia vita?! E poi ovviamente non prendi nemmeno in considerazione l’ipotesi che tu possa cambiare lavoro, vero? Facile scaricarmi dando la colpa a questa cazzo di Organizzazione!- 

Ormai Vivienne era furiosa. Non voleva che lui la lasciasse, non poteva pensare che lui non la volesse più. Non le sembrava vero. 

-Io non sto incolpando… Ma non è così semplice uscire dall’Organizzazione! Tu non puoi capire!- 

-E allora spiegami!- 

Lui scosse la testa. -Non capiresti- 

-No, la verità è che non hai il coraggio di prenderti le tue responsabilità. Mi devi dire che non vuoi stare con me, tutto il resto sono cazzate! Perché non ci credo che non esista un modo per stare insieme- 

-Vivienne, ti giuro che…- 

-Devi dirlo!- urlò lei, iniziando a singhiozzare, sconvolta. -Devi dire che non mi vuoi più- 

-Non farmi questo…- mormorò lui, lo sguardo basso. 

-Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami e non vuoi stare con me- 

Lui la guardò e boccheggiò, il fiato mozzatosenza dire una parola per qualche secondo. 

-Vivienne, io non… io non ho mai detto di amarti. Non voglio stare con te- 

Lei chiuse gli occhi, incredula. Non riusciva a crederci. Non voleva crederci. 

-Fuori- 

-Ascolta, io... ci sarò sempre per te- 

-Basta cazzate! Vattene via! Fuori!- ruggì lei, lanciandogli addosso il telecomando della televisione che Bentley aveva lasciato sul letto, colpendolo sull’addome 

-Mi dispiace…- sussurrò ancora lui, prima di uscire dalla stanza e lasciare Vivienne da sola, distrutta. 


*to be continued*

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19 

 

Quel pomeriggio, Emily Lennox stava sorseggiando un bollente caffè nero, mentre osservava Vivienne Shepard e suo fratello Bentley parlottare, nella stanza d’ospedale dove la ragazza era ancora ricoverata. 

Erano trascorsi sei giorni dall’aggressione con conseguente fuga di Emma Ryan, che era sparita letteralmente dalla circolazione. Né lei né la sua complice erano state avvistate. L'Organizzazione aveva cercato la figlia di Emma Ryan, Casey, a New York, ma anche lei risultava svanita nel nulla. 

Trovava snervante dover occuparsi ancora della protezione della ragazza e non poter cercare attivamente la Ryan, ma l’istinto le diceva che Emma Ryan avrebbe cercato di colpirla ancora attraverso Vivienne, in un modo o nell’altro.  

Sapeva come la ragazza, insieme a Jake, fosse l’unico punto di contratto tra loro due e che fosse soltanto una questione di tempo: presto o tardi, Emma Ryan avrebbe fatto la sua mossa ed Emily Lennox si sarebbe fatta trovare pronta. E avrebbe chiuso quella storia una volta per tutte. 

Osservò Vivienne e suo fratello: stavano discutendo circa la fine della relazione tra la ragazza e Chris. Lei proprio non si dava pace e ad Emily un po’ dispiaceva per Vivienne. Aveva sperato che, per una volta, Chris non si facesse sopraffare dal suo senso del dovere e si permettesse di vivere delle emozioni reali e belle, aveva sperato che decidesse di vivere il momento, senza farsi influenzare da chissà quali conseguenze. Ma così non era stato. 

-Io sono incredibilmente... arrabbiata- soffiò Vivienne, le braccia conserte sul petto. 

-Beh, Viv, se posso dirla tutta, prima o poi i nonni ti avrebbero costretta a darci un taglio-  

Lei scosse la testa energicamente. -Non lo avrei permesso, no. Già devo sopportare tutte le loro prepotenze. Anche questa cosa di tornare al Manor: ma davvero non sono riusciti a pensare a una soluzione diversa? Che cavolo, mica pretendo la luna-  

-Come se a loro fregasse qualcosa di quello che tu voglia fare- 

-Come mai si intromettono così nella vostra vita?- li interruppe Emily, curiosa. 

Vivienne le lanciò un’occhiataccia. Era molto arrabbiata con l’agente perché pensava c’entrasse qualcosa con la rottura con Chris. Emily aveva cercato di spiegarle che non era così, anzi: era stata lei a suggerire a entrambi certe cose. Vivienne, udendo tale giustificazione, si era arrabbiata ancora di più e l’aveva accusata di essere proprio lei la causa di quella situazione, senza il suo contributo sia lei che Chris non si sarebbero mai avvicinati in quel modo.  

Ovviamente la ragazza era perfettamente consapevole che fosse una bugia. Aveva voluto Chris dal primo momento, a prescindere dall’incoraggiamento di Emily, ma riuscire a scaricare un po’ di rabbia e frustrazione su altre persone l’aiutava a stare meglio. Emily lo sapeva bene e aveva accettato di buon grado di essere usata come parafulmine per l’ira di Vivienne, risparmiando almeno questo a Chris. Lui, da parte sua, stava molto male, non faceva che ripeterlo a Emily. Ma, d’altro canto, non sarebbe tornato sui suoi passi, non avrebbe permesso che Vivienne fosse nuovamente in pericolo a causa sua. 

-Perché siamo i beneficiari di una certa eredità, pensano siamo di loro proprietà- commentò Bentley, amareggiato. 

-Tutti voi? Sarete tutti beneficiari?- 

-Mettiamola così, i più fortunati di noi erediteranno soltanto i soldi; i più sfortunati, o meglio, il più sfortunato, dovrà guidare l’azienda di famiglia, un giorno. Vogliono farci arrivare preparati e soprattutto vogliono essere sicuri che tutto sia in ordine per allora- 

Emily li guardò confusi. -Scusate ma proprio non capisco cosa stiate dicendo. Non si può rifiutare? Se non è la vita che volete fare- 

-È un po’ come mollare l’Organizzazione- sibilò Vivienne, tagliente. 

-Se provi a uscire dall’Organizzazione ti ammazzano- ribatté Emily, infastidita dall’atteggiamento della ragazza. Non era esattamente come le aveva detto, ma voleva che capisse quanto fosse delicata la questione. 

Bentley alzò le spalle. -Pensi che qualcuno di noi voglia davvero continuare a far parte di tutto questo? Pensi che non conosciamo le attività torbide della famiglia negli angoli più disparati del mondo? Se proviamo a lasciare la famiglia, ci rinchiudono da qualche parte o, beh, siamo morti anche noi- 

Emily li guardò incredula. -È tipo la mafia-  

-Si, suppergiù- 

-Devo ammettere che non credo che il nonno abbia mai fatto recapitare a qualcuno la testa mozzata di un cavallo- commentò Vivienne, leggermente più rilassata rispetto a poco prima. -Anche se, lo zio Ben... Non ha fatto una bella fine- 

-Cavolo, mi ero quasi dimenticato di lui. È il fratello del nonno- spiegò Bentley a Emily, ancora confusa. -Lo zio Ben avrebbe ereditato il comando dell’azienda ma... Una sera era andato a un evento a New York, con le più alte cariche delle famiglie mafiose della costa orientale e, mentre usciva dal locale insieme a sua moglie, è stato avvicinato da tre uomini che hanno scaricato su entrambi decine di colpi di mitragliatrice. Il giorno dopo il nonno è stato nominato come amministratore delegato dal consiglio di amministrazione. Aveva ventitré anni, è stato considerato un pioniere- 

-Ha fatto uccidere suo fratello a sangue freddo per prenderne il posto?- 

Vivienne e Bentley guardarono Emily per qualche istante in silenzio, non sembravano per nulla toccati da quanto appena raccontato.  

-Quindi, come vedi, non ne usciamo nemmeno noi- disse poi Bentley, abbozzando un sorriso. -E ripeto, Viv, non ti avrebbero permesso di stare con lui, lo sai-  

-Beh, non possiamo esserne sicuri, magari cercando tra le sue origini viene fuori che ha qualche parente importante- 

-Che cosa state dicendo? Cosa c’entra la famiglia di Chris?- 

Bentley sospirò e la guardò in un modo strano, come se fosse intenerito. -C’entra che comunque non possiamo sposare chi ci pare- 

-E perché?- 

-Perché gli eredi Shepard devono avere un certo... stato di sangue, lo chiamano così, vero?- 

Vivienne annuì. -Tutte stronzate ovviamente, ma è così. La famiglia di nostro padre, ad esempio, la famiglia Hamilton, ha origini inglesi, siamo imparentati alla lontana con la famiglia reale inglese e anche con quella olandese, oltre ad avere possedimenti strategici in giro per il mondo- 

-Senza parlare della produzione di armi da guerra-  

-Chiaro-  

-Mi state dicendo,- fece Emily, sempre più sconvolta, -che vostra madre ha sposato vostro padre perché era conveniente per la vostra famiglia?- 

I due fratelli si guardarono. -Mamma e papà si sono conosciuti ad Harvard e hanno iniziato a uscire insieme quando erano al secondo anno,- rispose Vivienne, -ma non conoscevano le rispettive famiglie. Quando il nonno è stato informato di tutto, gli ha permesso di sposarsi. Comunque, all’epoca erano innamorati- 

-Ma se vostro padre non fosse stato un Hamilton...-  

-La mamma avrebbe dovuto sposare qualcun altro- rispose Bentley, alzando le spalle. -Ed è per questo che non ti avrebbero permesso di stare con lui- continuò, tornando a rivolgersi a sua sorella. 

-Me ne frego altamente-  

Lui ridacchiò. -Non puoi nella tua posizione, lo sai- 

-Perché? Che posizione?- fece Emily. 

Vivienne si girò a guardare fuori dalla finestra, senza rispondere. 

-Perché,- disse Bentley, prendendo una mano della ragazza, -sarà Vivienne la sfortunata che prenderà il posto del nonno tra qualche anno, con molta probabilità- 

-Lei? Ma tu sei il fratello maggiore- rispose Emily, che ormai non capiva più niente di quella situazione.  

-Se è per questo c’è anche nostro cugino Daniel che ha un anno in più di me ed è figlio di nostra zia, che è la figlia maggiore dei nonni, ma non importa. Vivienne è stata scelta perché lei è, beh, più portata di noi. Il nonno pensa che potrebbe fare un buon lavoro al suo posto. Io e Daniel non siamo tagliati per quella vita, lo sappiamo bene. Beh, per Daniel in realtà è un po’ più complesso di così. Invece io non ho nemmeno finito il college, figurati - 

-Lo hai mollato quando hai saputo questa cosa, in modo che non ti scegliessero più- ribatté Vivienne amareggiata. -Così non ho alternative. Per ora- 

Bentley scosse la testa. -Credi di aver un via d’uscita ma non è così- 

-La troverò- 

-Avresti dovuto farti mettere incinta dall’agente Rogers, ti avrebbero diseredata sicuramente- ridacchiò Bentley, prima di accorgersi di aver ferito la sorella con le sue parole. -Scusa Viv, battuta del cazzo. Ma lo sai che è così. E comunque non capisco cosa ci trovi in lui-  

Vivienne lo sguardò ostentando un po’ di spocchia. -Non lo capisci nemmeno se lo paragoni a te stesso?-  

Lui scoppiò a ridere. -Ma dai, ti rendi conto che fa parte di una setta? Sono un po’ svitati questi qui dell’Organizzazione, lo sai, hai visto che inquietanti che sono i loro agenti- 

-Ehi!- protestò Emily. -Guardate che vi sento!- 

La ignorarono.  

-Si, te lo concedo. Una setta di squilibrati con la licenza di uccidere-  

-Se non la smettete divento inquietante per davvero!- 

 

~ 

 

Erano ormai trascorsi dieci giorni dall’aggressione. Vivienne sarebbe stata dimessa dall’ospedale a breve ed Emily e Chris continuavano a svolgere il loro compito di sorvegliarla, giorno e notte, senza lasciare la struttura sanitaria. Chris e Vivienne non avevano più parlato, ma non perché lui non ci avesse provato: lei si rifiutava di rivolgergli la parola e aveva preteso che lui non entrasse nella sua stanza. Aveva detto sorveglianza invisibile? Vivienne avrebbe preteso che fosse tale per davvero. 

Quel giorno, però, le due migliori amiche di Vivienne erano passate a salutare la ragazza e Chris ed Emily le avevano perquisite e poi scortate nella stanza. Dovettero poi rimanere lì e assistere al loro incontro.  

Le due ragazze erano molto diverse da Vivienne. Si chiamavo Naomi ed Elena. La prima era alta e molto magra, con un fisico asciutto ma voluttuoso. Aveva folti capelli ricci e biondi, occhi verdi e zigomi pronunciati. La fronte non era ampia, mentre il naso era decisamente sottile. Elena, invece, aveva lunghi capelli castani e il viso rotondo, un po’ paffuto. Aveva gli occhi molto scuri e la carnagione, in contrasto, decisamente chiara, quasi pallida. Era la più bassa e la più timida. In confronto alle altre due ragazze, Elena sembrava un po’ fuori luogo ed Emily ebbe la sensazione che si facesse molto trascinare da Vivienne e Naomi. 

Quest’ultima attaccò ad aggiornare Vivienne su ciò che era successo nelle settimane in cui lei era stata all’Organizzazione.  

-… e Sara Humphrey ha provato a dare un party per portarsi a letto Sebastian, ma lui l’ha bidonata, dovevi vedere la sua faccia quando ha capito che non si sarebbe presentato. Liam Epps, poi, ha schiantato la Ferrari di suo padre vicino al liceo, quel cretino stava uscendo con una ragazzina dell’ultimo anno che, indovina chi è? La sorella di Winston! Ma ti rendi conto?- 

-Winston? Il Winston che ti dava ripetizioni di matematica? Quell’idiota ha una sorella?- 

-Lo so, incredibile! E quando Elena è stata coinvolta per organizzare il ballo in maschera, Betty Sanders ha provato a intromettersi e...- 

-Che cosa?- esclamò Vivienne, stizzita. -Il ballo in maschera lo dobbiamo organizzare noi, quella stronza di Betty Sanders deve starne fuori-  

-Che ballo?- chiese Emily, incuriosita. 

Naomi la guardò con fare un po’ altezzoso. -È il ballo che Vivienne e la sua famiglia organizzano ogni anno a inizio estate, per celebrare la fondazione di Hartford. È un ballo molto esclusivo-  

-Si, quest’anno data la mia... condizione, mia nonna ha coinvolto Elena. Ma giuro che se la Sanders si è messa in mezzo la strozzo- 

-Senti un po’,- fece Naomi, iniziando a scrutare Chris, -è lui il bellimbusto di cui mi ha parlato Bentley? Quello che ti ha scaricato?- 

Chris, in evidente imbarazzo, non rispose nulla. Emily guardò male la ragazza e fece per ribattere, ma venne preceduta dalla risposta di Vivienne. 

-Si, ma non ne voglio parlare- disse fredda, senza voltarsi a guardare Chris, che abbassò gli occhi.  

-Beh, vorrei solo dirgli che si pentirà di averti trattata così- 

-Naomi, chiudi il becco e fatti gli affari tuoi- 

-Con la bocca larga che si ritrova non è semplice- commentò, inaspettatamente, Elena, facendo ridere le sue due amiche. 

-Beh, a Bentley la mia bocca grande piace parecchio- fece Naomi, continuando a ridere. 

-Oddio come sei volgare!- esclamò Vivienne, coprendosi gli occhi con le mani e ridendo divertita. -Ma perché siamo tue amiche?!- 

Mentre le tre ragazze continuavano a ridere e scherzate, Emily lanciò un’occhiata a Chris e fece un cenno con la testa verso la porta. Chris annuì e la seguì fuori dalla stanza. 

-Quanto sono stupide?- commentò subito lui. 

-Tanto stupide quanto Vivienne intelligente, proprio non me lo aspettavo-  

Chris sospirò. -Io invece mi aspettavo questo trattamento ma... Non mi guarda più nemmeno in faccia- 

Emily gli toccò un braccio, per consolarlo. -Devi darle del tempo. Le hai spezzato il cuore- 

-Era l’unica cosa che potessi fare- 

Emily non rispose. Non era d’accordo con Chris e lui lo sapeva, ma non avrebbe avuto senso insistere, soprattutto alla luce di quanto aveva scoperto a proposito della famiglia Shepard. Non voleva continuare a incoraggiarli se l’esito finale sarebbe stato, in ogni caso, negativo.  

-Senti,- continuò lui, -tra circa dieci minuti dovresti andare in un posto- 

Lei lo guardò sorpresa. -Non ho ricevuto alcuna comunicazione da Evans. Di cosa si tratta?- 

Chris scosse la testa. -Non c’entra nulla Evans, non è una cosa di lavoro, in un certo senso 

Emily era ancora più confusa. -Senti, smettila subito con questi giochetti e dimmi di che si tratta- 

-No, non posso dirtelo. Tra dieci minuti scendi al terzo piano. C’è un piccolo ripostiglio vicino ai bagni che ci sono nel reparto di radiologia. Dovresti andare a vedere cosa ci trovi-  

Lei lo guardò interrogativa. -Ma cosa stai dicendo? E poi non posso allontanarmi da qui- 

-Ci sono almeno venti guardie armate su questo piano, oltre a me e te. Non succederà nulla, stai tranquilla- 

Emily lo guardò contrariata. -Chris, non mi convince- 

Lui sbuffò. -Ti fidi di me? Vai a dare un’occhiata- 

Emily rimase a guardarlo interdetta, prima di allontanarsi e dirigersi verso l’uscita di quel reparto. 

Non aveva la minima idea di cosa potesse avere in mente il suo amico e, mentre scendeva le scale, si ritrovò a pensare quanto fosse difficile per lui quel momento. Aveva accettato la sua richiesta solo per non discutere con lui ed evitare che il suo umore peggiorasse.  

Raggiunse il ripostiglio in questione. Aprì la porta e provò ad accendere la luce, che però rimase spenta. Schiacciò ancora un paio di volte l’interruttore, che continuava a non dare segni di vita. 

Sbuffò e scosse la testa, rassegnata. Chris sta uscendo fuori di testa, pensò mentre richiudeva la porta. 

-Ehi signorina 

Emily si immobilizzò, con un brivido che le correva dalla testa ai piedi. Quella voce. Era incredula, pensò di essersela immaginata. Non poteva essere davvero lui.  

-Che fai sulla soglia? Entra dai, prima che ti veda qualcuno- 

Lei, colta da una sensazione di panico irreale, rimase ancora immobile. Non riusciva a muoversi né per proseguire, né per tornare indietro.  

La figura, fino a quel momento celata dall’oscurità, fece un passo avanti ed Emily riuscì a vederlo in faccia.  

Oliver James. 

Il suo Oliver James. 

Ad Emily mancò il fiato. Chiuse la porta alle sue spalle ma non si avvicinò all’uomo. Cercò di riappropriarsi di un po’ di lucidità e chiuse gli occhi. Respirò a fondo, prima di guardarlo in faccia. 

Riconobbe i capelli biondo cenere e i sottili occhi nocciola, il viso leggermente allungato e il sorriso scintillante. 

-Che cosa ci fai qui?- disse, con un filo di voce, letteralmente sconvolta. Era come se stesse parlando a un fantasma. 

-Non ci vediamo da cinque anni ed è l’unica cosa che riesci a dirmi?- 

Emily, ripresasi dal disorientamento iniziale, lo guardò risoluta. -Non ho altro da dirti-  

Lui abbozzò un sorriso. -Sei sempre la più tosta- 

-Tu invece continui a essere il più stronzo?- 

Oliver fece un passo verso di lei. -Non ti muovere- intimò Emily, portando istintivamente la mano al fianco, trovando la pistola. -Se fai un altro passo ti sparo- 

-E poi mi consegni al Direttore? Sono solo venuto a vedere come stai- ripose lui, alzando le mani in segno di resa. 

Lei scosse la testa. -Adesso me ne vado-  

Oliver fece un altro passo ed Emily sfoderò l’arma. 

-Non hai davvero intenzione di spararmi- 

-Non mettermi alla prova- ringhiò lei, puntando la pistola al suo petto.  

-Ho saputo di Emma Ryan- 

-Che cosa? Ma che cazzo ha Chris nel cervello!- 

-Non è stato lui, l’ho cercato io in realtà-  

Emily lo guardò confusa. -E allora tu che ne sai?- 

-Da quando me ne sono andato, ho sempre tenuto sotto controllo l’Organizzazione, non potevo rischiare che mi trovassero-  

Lei strinse gli occhi e lo guardò con rabbia. -Mi hai spiata per tutti questi anni?- 

-No, no,- rispose lui, con fare sincero, -ti giuro che non l’ho fatto. Essermi allontanato da te è stata la cosa peggiore che mi potesse capitare, non potevo continuare a osservarti senza stare peggio. Diciamo che, di tanto in tanto, ho... dato un’occhiata. Solo per sapere se stessi bene- 

-Beh, sto benissimo, grazie. Puoi anche tornare da dove sei venuto- 

Emily, furente e ancora sconvolta, si voltò e fece per uscire. 

Lui le afferrò una mano e lei si liberò subito dalla sua presa. 

Si girò a guardarlo, ferita. Era in preda a molte sensazioni diverse, tutte molto forti. Era arrabbiata, delusa, sconvolta e angosciata, ma anche amareggiata. Per mesi, forse anni, aveva immaginato di incontrare Oliver, ancora una volta. Aveva fantasticato cosa dirgli: in alcune versioni era fredda e spietata, in altre la persona più felice sulla faccia della terra, ancora innamorata di lui. Ma non aveva mai creduto davvero che lui potesse tornare. Aveva chiuso in un cassetto Oliver e l’Emily che era stata con lui. Aveva cercato di nascondere e dimenticare tutti i sentimenti che aveva provato, le emozioni e le sensazioni. E soprattutto, non lo aveva mai perdonato per essersene andato, senza lei.  

-Ems, ti prego. Solo dieci minuti-  

Lei scosse la testa. -Non ti voglio più vedere. Ho... Ho fatto una fatica immensa per riuscire a ricominciare, dopo la tua fuga. Ho lavorato tanto su me stessa e non tornerò indietro. Non mi cercare più- 

La ragazza uscì dal ripostiglio e si allontanò, tornando al piano della stanza di Vivienne.  

Chris la stava aspettando vicino all’ingresso della camera e la guardò stupito, quando la vide arrivare. 

-Sei già qui? Hai visto cosa c’è nel ripostiglio?- 

Lei lo guardò con disapprovazione. -Sei impazzito? Dopo tutto quello che mi ha fatto, davvero pensavi che sarei rimasta a parlargli? Deve ringraziare che non gli abbia sparato- 

Lui scosse la testa, incredulo. -No, Ems, non hai capito, lui voleva solo sapere come stessi. Ha saputo del casino con Emma Ryan e voleva solo... Voleva solo accertarsi che stessi bene- 

-Beh, non mi frega un cazzo di quello che vuole lui. E tu non avresti dovuto permettergli di venire qui-  

-È che ci tiene ancora, tutto qui-  

-Si, beh, che se ne faccia una ragione. Ti ricordo che cinque anni fa se n’è andato senza dire una parola. Ha lasciato un cazzo di biglietto attaccato al frigo ed è sparito. Un. Cazzo. Di. Biglietto- 

Il tono di Emily non ammetteva repliche. Chris non rispose nulla, si voltò e tenne per sé i suoi pensieri.  

Emily, furiosa, prese a camminare su e giù davanti alla porta.  

Lei e Oliver James erano stati insieme da quando Emily aveva sedici anni, fino a quando, circa cinque anni prima, lui era fuggito dall’Organizzazione con suo padre e sua sorella. Era un paio di anni più vecchio di Emily, per cui era stato mentore e compagno. Avevano vissuto insieme le prime volte di Emily, la vita nell’Organizzazione, le missioni e l’addestramento. Come Emily, Oliver James era considerato come uno degli agenti più promettenti di tutta l’organizzazione, ma quando sua sorella aveva dato i primi segni di un disturbo della personalità, aveva deciso di portarla via da lì, insieme a loro padre, conoscendo la politica dell’Organizzazione in materia: imbottire l’agente di psicofarmaci e lasciarlo marcire nell’ospedale del quartier generale. Emily aveva compreso la scelta. Lei stessa, in una situazione simile, avrebbe fatto altrettanto. Ma non gli aveva mai perdonato il modo. Se ne era andato una notte, mentre lei dormiva nel suo letto, lasciando un misero biglietto con su scritto “Scusa, non riesco a dirti addio”, attaccato al frigorifero.  

Emily aveva reagito subito, buttandosi a capofitto sul lavoro e non mostrando, se non a Chris, segnali di cedimento. Aveva trascorso i primi mesi senza riuscire a chiudere occhio, la notte, perseguitata da incubi angoscianti e versando molte lacrime. Con il tempo, il dolore si era affievolito, anche se non era mai scomparso del tutto. La ferita per l’abbandono di James, di tanto in tanto, riprendeva a bruciare, senza preavviso. Ed Emily si ritrovava nuovamente a star male.  

Grazie a Jake, finalmente era riuscita ad avere una nuova relazione. I sentimenti che provava per lui non erano paragonabili a quelli che aveva provato per Oliver, Emily lo sapeva bene e ogni giorno si sforzava per amarlo quanto meritasse realmente. 

Rivederlo in quel momento era stato terribile per lei. Aveva già numerose preoccupazioni a causa di Emma Ryan e la sua rocambolesca fuga dalla custodia dell’Organizzazione, in più avrebbe dovuto fare i conti con la riapparizione di Oliver. No, non voleva dover affrontare lui e tutto quel dolore che, così faticosamente, aveva superato.  

Tornò a guardare Chris. -Non ho intenzione di vederlo mai più e tu stanne fuori- 

-Come tu sei stata fuori dalla questione con Vivienne?- ribatté lui, al vetriolo.  

-È molto diverso- 

-È diverso perché voi potreste stare insieme- 

-Chris, se ne è andato e mi ha abbandonata, se te lo fossi scordato. E comunque ho un ragazzo- 

-Tsk, va bene, se ti fa stare serena allora ok, come credi tu- 

Si guardarono in cagnesco per un po’, poi Emily rientrò nella stanza di Vivienne. 

Preferiva ascoltare gli stupidi discorsi di Vivienne e le sue amiche, piuttosto che continuare a pensare e a ripensare a Oliver James.  

Non gli avrebbe permesso di spezzarla ancora.


*to be continued*

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20 

 

Mentre Vivienne raccoglieva i suoi oggetti personali in un borsone nero, nella sua stanza di ospedale si respirava un’aria pesante. Con lei c’erano Chris, Emily e Bentley. I due agenti non avevano proferito parola per tutto il giorno e Vivienne, che era ancora molto arrabbiata e ferita per quanto successo con Chris, non aveva intenzione di rivolgergli parola. Considerava Emily sua complice, pertanto non parlava nemmeno con lei. 

Bentley aveva intuito la gravità della situazione ma non aveva fatto ulteriori domande alla sorella, non la sopportava molto quando faceva la stronza, come in quel momento, e non voleva attirare le sue ire. 

-Allora, stasera al Manor ci saranno tutti, i nonni hanno organizzato una cena per darti il benvenuto e credo parleranno della festa- 

Vivienne sbuffò sonoramente. -L’altro giorno con Naomi ed Elena ho finto di essere interessata a questa stupida storia del ballo, ma in realtà non mi importa nulla. Non vedo l’ora che finisca tutto-  

-Beh, dai, alla fine il ballo è una sera soltanto, certo, c’è il torneo di polo e prima la cena di beneficenza, ma vedrai che passerà tutto molto in fretta- 

Lei lo guardò sconsolata. L'idea di dover affrontare tutti quegli eventi con i nonni le sembrava una prospettiva desolante. -Penso che alla fine della festa proporrò ai nonni di farmi seguire i corsi estivi ad Harvard, così me ne vado da Hartford e torno a Boston- 

-E con la terrorista pazza come credi di fare?- 

Vivienne lanciò un’occhiata carica di rancore ai due agenti, in piedi vicini alla porta. -Beh,- fece, tornando a guardare suo fratello, -non è un mio problema- 

-Sei pronta?- 

Lei annuì. 

-Ok bene,- disse Emily, intervenendo, -vi accompagneremo noi due al Manor, in macchina. Verremo scortati da...- 

-Da tutti quei bifolchi che piantonano la camera? La nonna sarà davvero entusiasta- la interruppe Bentley, divertito.  

 -No, non da tutti. In ogni caso, rimarranno a sorvegliare il perimetro della proprietà dei vostri nonni e organizzeranno la sicurezza per quando dovremo spostarci per Hartford. Abbiamo insistito con loro per permetterti di non partecipare a quegli eventi, in modo da evitare situazioni di pericolo, ma non hanno accettato- 

Vivienne alzò un sopracciglio, ma non rispose. Lei e suo fratello seguirono i due agenti fuori dalla camera, fino alla loro automobile, un suv nero con i vetri oscurati.  

Bentley e Vivienne si accomodarono, insieme ad Emily, sui sedili posteriori, mentre Chris prendeva il posto di guida.  

Viaggiarono per un paio di ore. Fu un viaggio molto pesante per tutti. Vivienne continuava a non voler parlare con i due agenti e Bentley cercava di smorzare l’atmosfera con battute e aneddoti sulla famiglia Shepard, ma di fatto contribuiva ad accrescere imbarazzo e tensione. 

Attraversarono Hartford e infine giunsero alla proprietà della famiglia Shepard, delimitata da alte e fitte siepi verdi. Davanti al cancello di ingresso, di ferro battuto color bronzo, c’erano due uomini in abiti militari e armati con imponenti fucili. Dopo averli identificati, fecero entrare il SUV nella proprietà.  

Il vialetto che conduceva alla villa era lungo e coperto di ciottoli bianchi. Il selciato era incorniciato da bassi cespugli molto curati, e si avviluppava in dolci curve. Superarono un piccolo stagnetto e un campo da tennis, diverse macchie di alberi, numerose panchine e attraversarono un grazioso ponticello in pietra.  

-È immenso qui- commentò Emily, impressionata. 

-Si, ci spostiamo con i golf kart per andare in bagno- fece Bentley, ghignando. -E dovete ancora vedere il resto- 

Giunsero infine all’edificio principale. 

Un maestoso edificio bianco in stile neoclassico si presentò ai loro occhi. Era imponente ed elegante, strutturato su due piani con un ampio e centrale porticato colonnato al piano inferiore e un terrazzino balconato al piano superiore. A distanze regolari tra di loro, erano posti numerosi vasi con petunie rosse a decorare sia il porticato che il balcone. Ogni finestra aveva infissi bianchi e un piccolo balconcino. 

Ad attenderli c’erano il signore e la signora Shepard, vestiti di tutto punto. Il nonno di Vivienne era un uomo alto e robusto, con i capelli brizzolati pettinati elegantemente, e indossava un abito grigio, mentre la nonna era magra e di bassa statura, con i capelli rossi cotonati, e indossava un candido vestito bordeaux. Il loro aspetto sembrava cordiale e rilassato.  

Vivienne, al contrario, si era irrigidita e incupita nell'esatto momento in cui l’auto aveva varcato la soglia della proprietà dei suoi nonni. Un forte senso di angoscia era cresciuto in lei.  

Quando aveva ricevuto la lettera di ammissione per Harvard, che di fatto era semplicemente una formalità per i membri della famiglia Shepard, Vivienne aveva sentito come se, per la prima volta nella sua vita, finalmente ci fosse la concreta possibilità di riuscire a liberarsi dalla sua famiglia. In realtà, proprio qualche istante dopo aver aperto la lettera, Richard Shepard aveva parlato a sua nipote delle responsabilità che sarebbero ricadute sulle sue spalle al termine del college, del suo ingresso nell’azienda di famiglia e del percorso formativo che avrebbe dovuto intraprendere. 

Era comunque riuscita a ottenere di poter vivere a Boston e non ad Hartford, durante gli anni del college, e le era sembrato tutto sommato meglio che niente. Erano piccole conquiste che le davano una parvenza di indipendenza dalla sua famiglia, così tossica e opprimente per lei. 

Scese dalla macchina con espressione corrucciata. 

-Vivienne!- esclamò Allyson Shepard, avvicinandosi alla nipote con le braccia larghe. 

La abbracciò ma Vivienne rimase immobile. -Ciao nonna- sospirò. 

-Bentornata a casa, cara- disse Richard, sorridendo.  

Nessuno dei due sembrava turbato dall’atteggiamento della ragazza. 

-Bentley caro, com’è andato il viaggio?- continuò il nonno. 

Bentley alzò le spalle. -Non abbiamo viaggiato in prima classe, ma ammetto che l’agente Rogers sa il suo in fatto di automobili. Ha guidato bene- 

-L’importante è che siate arrivati qui a casa sani e salvi. Potete accomodarvi nelle vostre stanze e darvi una rinfrescata prima della cena. Signorina Lennox, giusto?- disse Allyson, rivolgendosi a Emily. -Lei potrebbe accompagnare Vivienne? Richard mostrerà al signor Rogers la vostra sistemazione e potrà raggiungerlo più tardi- 

Aveva usato un tono gentile ma perentorio, nessuno la contraddisse. 

Mentre Richard Shepard, Bentley e Chris si allontanavano a bordo di un golf kart dall’edificio principale, le tre donne si apprestavano a superarne l’ingresso.  

Oltre il portone si apriva un ampio salone con pavimenti di marmo e raffinati quadri appesi alle pareti, dove al centro una larga scala si alzava centralmente verso il secondo piano.  

-Troverai i tuoi effetti personali già in camera. La cena è alle otto-  

Vivienne annuì, senza dire nulla. 

La nonna le diede un bacio sulla guancia e lasciò le due donne sole. 

-La mia stanza è sopra- disse Vivienne, facendo un cenno con la testa. Emily la seguì al piano superiore. Salirono le scale e si diressero a destra, attraversarono alcune stanze e superarono diverse porte, prima di fermarsi davanti alla camera di Vivienne. 

Emily notò che ogni porta era priva di serrature. Vivienne girò il pomello della porta ed entrò nella sua stanza. All'interno c’erano diverse valige ancora chiuse, la scrivania era sgombra e l’armadio colmo di vestiti. Vicino alla portafinestra che dava sul cortile del retro della casa, c’era un grazioso tavolo da toeletta con una specchiera luminosa.  

Vivienne si sedette sul letto a baldacchino e rimase immobile con gli occhi chiusi per qualche istante. Poi si alzò e iniziò a lanciare oggetti per la stanza. Prese alcuni libri dalla grande libreria a muro posta davanti al letto e buttò a terra con rabbia alcuni soprammobili, che si frantumarono in mille pezzi. Le sembrava di essere tornata al punto di partenza, era molto più frustata rispetto a come si era sentita una volta arrivata al quartier generale dell’Organizzazione.  

Emily la osservò senza dire alcunché.  

Vivienne poi, una volta esaurita la sua furia, aprì il cassetto del tavolo da toeletta e prese un pacco di sigarette e un accendino colorato. Emily la guardò sorpresa. 

-Non ti ho mai visto fumare- le disse, mentre la ragazza apriva la portafinestra e ne varcava la soglia, accedendo al balcone. 

-Ci sono tante cose che non sapete di me- rispose lei, senza guardarla.  

Si appoggiò alla ringhiera e accese la sigaretta.  

-I tuoi nonni lo sanno?- 

Vivienne la squadrò. -Pensi sia possibile nascondergli qualcosa?- 

Emily sospirò, provando un po’ di compassione per lei. Le sembrava un animale in gabbia.  

Una volta esaurita la sigaretta, Vivienne lanciò il mozzicone dal balcone e rientrò nella stanza. 

Si chiuse nel suo bagno privato e non uscì per una lunga mezz’ora.  

Fece un bagno caldo e pianse un po’, avvilita. Poi tornò nella stanza, con Emily.  

-Preparati, la cena sarà impegnativa-  

-In che senso?- 

Vivienne alzò le spalle. -Ci sarà la famiglia al completo, quindi anche le mie zie e i miei cugini. Non sarà piacevole-  

Richard e Allyson Shepard avevano tre figlie: Victoria, Gwen ed Elisabeth. La maggiore, Victoria, aveva un figlio di nome Daniel, avuto con un ricco industriale originario del New Jersey. Non era stata scelta per sostituire il nonno alla guida della Shepard Corporation perché la paternità di Daniel era stata messa in dubbio subito dopo la sua nascita. Richard non avrebbe mai permesso che l’onta di un figlio illegittimo si abbattesse sulla famiglia Shepard, pertanto la faccenda era stata insabbiata e Victoria e Daniel erano stati esclusi dalla lista dei possibili successori di Richard al comando dell’azienda. In famiglia tutti conoscevano quella storia ma in realtà nessuno ne parlava apertamente, era un argomento rigorosamente vietato. Vivienne, quando era più giovane, aveva provato, di tanto in tanto, a rovinare qualche cena di famiglia tirando fuori la faccenda, ma era stata severamente punita ogni volta. Con il tempo aveva capito che feriva solamente sua zia e suo cugino rievocando quella storia. Gwen, la seconda figlia e sicuramente la preferita dei suoi genitori, si era sposata al termine del college con George Hamilton, ricco ereditiere, e Richard e Allyson Shepard non avrebbero potuto che essere più contenti per lei. Il capofamiglia immaginava già la giovane Gwen lavorare al suo fianco, aveva pianificato il suo futuro nei minimi dettagli, ma dovette cambiare rotta quando a Gwen, dopo la gravidanza di Vivienne, venne diagnosticata una grave forma di depressione. La giovane, infatti, non aveva mai accettato le imposizioni dei genitori. Aveva studiato per diventare medico ed era diventata chirurgo con specializzazione in chirurgia neonatale. Lavorava al Massachusetts General Hospital ed era ricercata dagli ospedali di tutto il Paese perché era davvero talentuosa. Avrebbe voluto lavorare altrove, ma era dovuta rimanere a Boston. Quando Richard accettò, infine, che la figlia prediletta non avrebbe mai seguito le sue orme all’interno della famiglia, diresse le sue attenzioni ai nipoti Bentley e Vivienne. La figlia più piccola, Elisabeth, infatti, fin dall’infanzia si era dimostrata inadeguata al ruolo designato dal padre. Era risultata meno intelligente delle sorelle e caratterialmente più debole: a tredici anni aveva fatto uso di droghe per la prima volta, a sedici aveva avuto la sua prima overdose e i medici riuscirono a salvarla giusto in tempo. Venne spedita in un rigoroso collegio inglese per ricchi rampolli che dovevano ripulirsi da alcool e droghe e dopo qualche mese fece ritorno a Boston. Purtroppo per lei, ricadde ancora nella spirale della droga: continuò a entrare e uscire da centri di riabilitazione finché non rimase incinta e diede alla luce una bambina di nome Charlotte. Il padre era, per sua fortuna, un giovane ragazzo originario di Hartford. Non apparteneva a una ricca famiglia, ma perlomeno Richard e Allyson lo conoscevano e lo tolleravano. In questo modo, anche lei e la piccola Charlotte, uscirono dai giochi: non rimanevano che Bentley e Vivienne.  

Bentley era sempre stato brillante e intelligente, ribelle e allergico a ogni forma di autorità imposta, esattamente come sua sorella. Era talmente sveglio che aveva percepito fin da bambino la naturale propensione dei nonni nei confronti di Vivienne. Aveva capito che la consideravano come la figlia che le loro tre figlie non erano mai state all’altezza di diventare.  

A Vivienne e Bentley era stato riservato il migliore dei trattamenti: insegnati privati, viaggi educativi e lusso sfrenato, fin da bambini. Erano stati cresciuti ed educati per diventare i degni sostituti del nonno, che comunque aveva un occhio di riguardo per Vivienne, a cui veniva perdonato con molta più indulgenza rispetto al fratello ogni atto di ribellione. Bentley, giunto all’ultimo anno di college ad Harvard, decise di giocarsi l’unica arma che aveva a sua disposizione. Aveva sempre espresso una grande libertà e fluidità sessuale, non aveva mia amato etichettarsi in qualche modo standardizzato e definitivo. Così, durante l’ultimo Natale trascorso al Manor, si era presentato con il suo fidanzato. Non stavano insieme per davvero, Bentley detestava considerarsi impegnato e vincolato a una persona soltanto, ma era stato sufficiente perché i nonni iniziassero a considerare solamente Vivienne come erede designata. Aveva dato il colpo di grazia lasciando il college prima dell’inizio dell’ultimo semestre e in seguito aveva ottenuto di trasferirsi a New York e lavorare per una piccola agenzia cinematografica indipendente. 

All’inizio, quando era stata informata dal nonno circa le sue intenzioni sul suo futuro, Vivienne aveva preso molto male tutta la questione: si era sentita tradita da Bentley e dal resto della sua famiglia, condannata a una vita che non aveva scelto. Aveva iniziato a comportarsi come una matta ed erano iniziati i suoi problemi con le forze dell’ordine. I nonni avevano tollerato la situazione e Vivienne, dopo l’aggressione subita da David Cooper, si era data una calmata. Non aveva accettato il suo destino ma, giorno dopo giorno, iniziava ad arrendersi all’evidenza che non c’erano alternative possibili per lei. E, in fondo al suo cuore, sapeva di essere tagliata per quel lavoro, era consapevole che la natura della famiglia Shepard, che tanto aveva rifiutato e respinto, in realtà era una parte di lei. Ripudiava le bugie, gli inganni e tutto ciò che fosse eticamente orribile, ma aveva riconosciuto in sé stessa la brama di potere, la faccia tosta, la scaltrezza e la capacità proprie degli Shepard più blasonati, proprio come suo nonno. Conosceva la sua natura più profonda e, quando rimaneva sola con sé stessa e scostava la maschera di ragazzina ribelle e indomabile che aveva eretto a protezione, scopriva di esserne sorprendentemente compiaciuta. Sapeva che presto o tardi, la maschera sarebbe caduta e avrebbe dovuto fare i conti la sua parte più nascosta, che ripudiava e allo stesso tempo reclamava.  

Era solo questione di tempo.  

*to be continued*

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21 

 

La sala da pranzo principale di Shepard Manor era una stanza rettangolare molto ampia, riccamente e sfarzosamente decorata. Attraverso le enormi finestre che riempivano una delle due pareti lunghe della sala, era possibile ammirare il giardino posteriore, finemente curato, in cui spiccava un grazioso roseto con annessa fontana di pietra bianca. Sulla parete di fronte era appeso un maestoso dipinto raffigurante una scena di una battaglia della guerra civile, e il quadro occupava gran parte della parete stessa. 

Vicino a uno degli angoli della sala, nei pressi della finestra, erano state sistemate delle eleganti poltrone coordinate con il resto dell’arredamento, con cuscini di velluto color smeraldo, mentre, all’angolo opposto, c’era un antico e pregiato grammofono di importanti dimensioni che trasmetteva una sinfonia classica. 

Un lungo tavolo rettangolare si stagliava al centro della sala: era di un legno scuro, all’apparenza massiccio, ed era imbandito con decine di vassoi colmi di cibo, brocche di vino rosso e di acqua. Intorno al tavolo erano collocate quattordici sedie, corrispondenti ai posti apparecchiati. Al centro del tavolo vi era un basso vaso contenente rose rosse e, sopra ogni tovagliolo, era stato adagiato un segnaposto di legno che raffigurava una rosa, unitamente a un biglietto con il nome della persona che avrebbe cenato seduta a quel posto.  

I commensali non si erano ancora accomodati, però. La famiglia di Vivienne era ancora in piedi a sorseggiare un aperitivo dispensato dalla servitù. Richard e George, giunto per l’occasione da Seattle, discutevano con David, il marito di Victoria, vicino al grande dipinto. Mentre Allyson Shepard dava ordini ai camerieri circa la modalità e la sequenza con cui avrebbero dovuto servire la cena, Gwen e le sue due sorelle commentavano quanto successo a Vivienne, cercando di mantenere una certa discrezione, per non far infuriare la madre. Il giovane Greg, papà della figlia di Elisabeth e suo, ormai, ex fidanzato, era in piedi di fronte alla finestra con la piccola Charlotte, che teneva in braccio. Bentley e Daniel stavano ridendo, presi a guardare qualcosa su un cellulare.  

Vivienne sorseggiava distrattamente il vino vicino al grammofono, indossando un vestito celeste con le maniche lunghe, sotto la costante sorveglianza di Chris ed Emily, in piedi vicino alla porta di ingresso nelle loro divise nere.  

-Accomodatevi ai vostri posti!- esclamò Allyson con voce squillante.  

Tutte le persone iniziarono a sedersi ai posti che gli erano stati assegnati, i nonni rigorosamente a capotavola, uno di fronte all’altro. 

Vivienne notò con una smorfia che avrebbe dovuto sedersi alla destra di Richard, di fronte a suo padre. Inghiottì con un solo sorso quanto vino rimaneva nel suo calice e si accomodò al suo posto.  

Chris ed Emily si guardarono impacciati, prima che Allyson indicasse loro dove sedersi. -Signor Rogers, le abbiamo riservato il posto accanto a Vivienne, mentre lei, signorina Lennox, può accomodarsi al mio fianco-  

Vivienne alzò gli occhi notando come i posti fossero stati assegnati seguendo una determinata logica: dalla parte del nonno sedevano gli uomini, dalla parte della nonna, le donne. Vivienne era l’eccezione perché, lo sapeva, stava acquisendo il diritto di contribuire alle decisioni importanti di famiglia, privilegio negato alle altre donne di famiglia.  

Considerò tutto ciò davvero antiquato e arcaico, ma dovette comunque sedersi vicino al nonno. 

Mentre i camerieri iniziavano a servire gli antipasti, David, seduto accanto a suo padre, si sporse leggermente verso di lei. -Sono molto contento di rivederti, cara Vivienne. Abbiamo sentito tutti la tua mancanza- 

Lei abbozzò un sorriso ma non rispose. 

-Si, diciamo che senza di te qui è stata una vera noia- commentò con un ghigno Daniel, seduto al fianco di suo padre. Come ogni Shepard degno di quel nome, era provvisto di una sagacia pungente. 

I nonni, quasi simultaneamente, fecero una smorfia, ma nessuno dei due rispose alla provocazione. 

-Oh sì, Dan ha ragione,- continuò Bentley, vicino a Chris e di fronte a Daniel, -ma devo dire che a nessuno è mancato sentire la nonna strillare isterica- 

-Ragazzi,- intervenne lei, -abbiamo degli ospiti questa sera, vi prego di comportarvi come si deve- sibilò, sfoderando un tagliente sorriso poco amichevole.  

-Si, immagino che questi gentili agenti possano anche fare a meno delle vostre trascurabili considerazioni- disse Richard, con un cenno del capo. -Anche se immagino siano abituati a ben peggio-  

Vivienne lanciò prima un’occhiata ad Emily, che le parve leggermente a disagio ma non troppo turbata seduta tra la nonna e sua madre, per poi guardare Chris, che al contrario era in evidente imbarazzo. Nessuno dei due aveva ancora proferito parola da quando avevano messo piede in quella sala. 

-Vivienne cara,- riprese la nonna, -ho saputo che domani si incontrerà il comitato per il Ballo del Cristallo della prossima settimana. Ritenendo che non possa che farti piacere partecipare come gli anni passati, ho richiesto che l’incontro del comitato avvenga qui. Vi incontrerete alle 15 nella sala del the, ho predisposto ogni cosa. La tua amica Elena è stata molto gentile a collaborare con me-  

Vivienne mandò un accidente a Elena, in silenzio. Quell’anno proprio non era dell’umore adatto per organizzare quello stupido weekend festivo.  

-Il tema è già stato scelto?- intervenne Victoria, a cui quegli eventi erano sempre piaciuti per davvero.  

-No, quando hanno saputo che Vivienne sarebbe tornata a casa hanno preferito attendere che partecipasse anche lei- rispose Allyson.  

-Beh, ma non sarà in maschera come tutti gli anni?- chiese Daniel, prima di addentare una tartina. A differenza degli altri nipoti, Daniel aveva i capelli scuri e la carnagione olivastra, leggermente abbronzata.  

-Certo che sì,- gli rispose sua madre, guardandolo con dissenso, -ma ogni anno il tema è diverso- 

-E ogni anno il tema viene scelto con il contributo di Vivienne- aggiunse Allyson, lanciando uno sguardo alla nipote. 

-Si, anche noi sappiamo che Vivienne è molto in gamba con l’organizzazione di questi eventi- commentò Emily, attirando gli sguardi scettici di tutti.  

-Come, prego?- intervenne il nonno, cercando di celare con falsa cordialità il fastidio che l’asserzione di Emily gli aveva provocato.  

Vivienne sorrise. Emily non poteva sapere che agli occhi dei nonni il suo intervento poteva apparire come una mancanza di rispetto nei loro confronti. Consideravano gli agenti dell’Organizzazione come meri dipendenti, al pari della servitù del Manor, pertanto partecipare alla conversazione come se fossero membri della famiglia ai loro occhi appariva come un’insolenza. 

La giovane agente, capendo al volo di aver disatteso le aspettative del capofamiglia, cercò di dissimulare, scuotendo la testa. -Vivienne ci ha raccontato delle feste passate- inventò, con un sorriso.  

Vivienne guardò Chris, ripensando alla sera della festa. Al loro ballo sulle note di Ed Sheeran, ai baci rubati nel ripostiglio e al momento in cui, prima che tutto ciò accadesse, lui l’aveva baciata e avevano fatto l’amore per la prima volta. 

Vivienne avrebbe voluto scaraventare a terra tutto quello che aveva davanti alla vista, per la quantità di rabbia e dolore che quei ricordi sprigionavano in lei. 

-Sapete,- intervenne, infine, parlando per la prima volta, -in realtà li ho aiutati a organizzare una cerimonia in onore di Chris ed Emily. Il Direttore ne era entusiasta- disse, ghignando. Provocare i nonni l’avrebbe distratta dal pensiero di lei e Chris insieme. 

-Hai... Hai lavorato per loro?- chiese Allyson, con evidente disgusto.  

-Oh, no!- ribatté subito Vivienne, continuando a sorridere. -Non è stato un lavoro, mi sono parecchio divertita. Sai bene anche tu quanto mi piaccia organizzare eventi di questo tipo-  

Allyson fece una strana smorfia, come se si stesse sforzando di sorridere. Vivienne la stava ripagando con la sua stessa moneta. 

Bentley, come Daniel, sembrava piuttosto divertito da quello scambio. -Si, hai proprio un talento- ghignò.  

-Non credevo che l’Organizzazione si occupasse anche di cerimonie- commentò Richard, un po’ indispettito.  

-Perché, se lo avessi saputo non mi avresti fatta rinchiudere lì per settimane?- sibilò Vivienne, il cui sorriso si era trasformato in un’espressione di rabbia.  

Erano giorni che non vedeva l’ora di vomitare addosso ai suoi nonni tutta la frustrazione accumulata a causa della loro decisione di affidarla all’Organizzazione. Non poteva farsi sfuggire quella perfetta occasione, con la famiglia al completo, per dar sfoggio di tutta l’ira che a stento riusciva a trattenere.  

-Vivienne non è il momento adatto per affrontare questa discussione- intervenne Allyson, con tono fermo e severo.  

-Ah no? Preferisci aspettare il dolce?- 

-Nessuno ha il piacere di ascoltare i tuoi capricci. Questa esperienza avrebbe dovuto farti maturare, ma vedo che ti è servita a poco-  

-Beh, ma certo! Essere quasi uccisa da un serial killer e poi essere allontanata da famiglia e amici sono esattamente quello di cui uno ha bisogno per crescere, devo essermi persa il promemoria- rispose lei, sarcastica ma sempre arrabbiata. 

-Vivienne cara,- si intromise Richard, -sai anche tu che non avevamo alternative. Pensavamo che fossi al sicuro con loro. Hai ragione ad essere contrariata, pensavamo che le loro misure di sicurezza potessero garantire la tua incolumità- 

-Per come la vedo io,- rispose lei, tagliente, -era la soluzione ideale per potervene lavare le mani- 

Allyson la fissò sprezzante ma non ribatté. 

-Le nostre intenzioni erano le più pure, ti prego di non rivolgerti più in questo modo a tua nonna. Comprendo la tua rabbia, ma ti chiedo di parlarne più tardi, potremo prenderci un drink insieme nel mio studio- 

Richard, in quel modo, mise fine alla discussione. Vivienne avrebbe dovuto insistere ancora e liberarsi degli insulti e delle ingiurie che affollavano la sua mente, ma decise di concedere una tregua ai nonni, sperando che la cena terminasse in fretta. 

Giunti finalmente al dolce, mentre i camerieri riempivano i loro calici con del vino bianco, Bentley si rivolse alla sorella. -Naomi mi ha chiesto se stasera vieni anche tu, giù in città- 

-Ad Hartford?- chiese lei, interessata.  

-Si, ci troviamo tra mezz’ora al Bellini, viene anche Dan. Sei dei nostri?- 

Vivienne guardò Richard. -Rimandiamo il drink a domani?- 

Il nonno sorrise e annuì. 

Circa mezz’ora dopo, accompagnati da Chris ed Emily decisamente sollevati per non dover più trascorrere altro tempo in compagnia di quella famiglia così disfunzionale, e da una scorta di cinque uomini armati ma ben mimetizzati, Vivienne, Bentley e Daniel giunsero al Bellini, un locale alla moda di Hartford. Ad attenderli erano già arrivate Naomi ed Elena, in compagnia di un ragazzo alto, con i capelli ricci e mori.  

Vivienne, osservando le sue amiche sedute al tavolo con quel ragazzo dall’esterno del locale, fece una smorfia. -Potevi dirmi che c’era anche Sebastian- soffiò al fratello, decisamente irritata.  

-Non sapevo ci fosse anche quell’idiota di Ryle- si giustificò lui, aprendo le braccia. 

-Di chi si tratta? Dobbiamo allontanarlo?- chiese Emily, squadrando il ragazzo. 

Daniel scoppiò a ridere. -Oh no, tranquilla. Anzi, tu che ne dici, Viv? Anche se, a pensarci bene, io vorrei che Lauren venisse allontanata una volta per tutte da Hartford- 

Vivienne incenerì suo cugino con lo sguardo. 

-Scusate, ma non riesco a capire di cosa state parlando- intervenne Chris, incerto.  

La ragazza lo guardò un po’ imbarazzata, pensando a quanto fosse seccante tutta quella situazione. 

Bentley non riuscì a trattenere un ghigno. -Sebastian Ryle è l’ex storico di mia sorella- 

 

~ 

 

Il Bellini era un locale molto sofisticato, con arredamento moderno e luci soffuse. Emily non si trovava propriamente a suo agio: riteneva che non fosse la situazione ideale per garantire la sicurezza di Vivienne. Erano circondati da decine di persone, per lo più ragazzi giovani, lo spazio era ristretto e con le loro divise scure, lei e Chris si sentivano fuori luogo.  

I nonni di Vivienne li avevano rassicurati, contavano la sicurezza privata che avevano assunto in aggiunta alle squadre dell’Organizzazione che si occupavano del caso di Vivienne, sarebbero state più che sufficienti a garantire la sua sicurezza. Erano convinti che Emma Ryan non avrebbe osato avvicinarsi a loro nipote nel loro territorio, anche una criminale squilibrata come lei avrebbe esitato a sfidarli proprio in casa loro.  

Emily, comunque, non era per niente serena. Il compito di acciuffare Emma Ryan si stava dimostrando sempre più difficile e complicato, e inoltre si aggiungeva la difficoltà nel garantire che Vivienne non venisse ancora colpita sotto il loro naso. Ma sapeva che era una questione di tempo: Emma Ryan sarebbe tornata, più pericolosa che mai. 

Mentre ragionava su come anticipare le sue mosse, la sua attenzione venne attratta da Vivienne, che si stava alzando dal divanetto a cui si erano accomodati tutti loro.  

-Vado a prendere qualcosa da bere- disse. 

-Ti accompagno!- esclamò subito il ragazzo moro, Sebastian, balzando in piedi.  

Emily lanciò un’occhiata al bancone, che si trovava a pochi metri di distanza. -Bene, non ti allontanare però- rispose, ignorando il sonoro sbuffò di Vivienne. 

Si voltò poi a guardare Chris, che osservava i due ragazzi con una strana espressione.  

-Cosa vuol dire ex storico?- chiese allora alle amiche di Vivienne, sperando di essere d’aiuto per il suo collega. Sapeva che Chris voleva delle informazioni a riguardo ma non aveva l’audacia di chiedere, per non insospettire nessuno. -Voglio dire, per quanto tempo sono stati insieme?- 

Naomi si voltò a guardare Emily. -Per tutto il liceo, finché Vivienne non è dovuta andare a Seattle-  

-E si sono lasciati perché lei è dovuta partire?- 

Elena scosse la testa. -Oh, no. Vivienne lo ha dovuto lasciare perché, mentre lei veniva aggredita da quel pazzo omicida, lui... Beh, lui aveva altro per la testa, diciamo così- 

Bentley sbuffò. -Che coglione che è. Potevate avvertirci della sua presenza, Vivienne non voleva proprio vederlo- 

-Beh, chiaro, tu vorresti vederlo al suo posto?- si intromise Daniel. -Con il supporto di questi gentili soldati, io gli avrei chiesto di lasciare il locale- 

-Qualcuno ci vuole spiegare?- chiese Chris, leggermente impaziente. 

Bentley si girò a guardarlo. -Ok, beh, immagina la nemesi di Vivienne. Ci sei? Si chiama Betty Sanders ed è una vera stronza- 

-Quella che voleva organizzare il ballo- si ricordò Emily, ripensando all’incontro tra Vivienne e le sue amiche in ospedale. 

-Esattamente. E indovinate dove si trovava il giorno dopo la partenza di Vivienne per Seattle?- 

Chris ed Emily lo guardarono scocciati da quell’attesa. 

-Per farla breve, Elena li ha beccati scopare nel parcheggio dello stadio di football del liceo. Vi rendete conto? Mia sorella era partita da meno di 24 ore, incredibile- 

Emily sentì lo stomaco stringersi, triste per Vivienne. Vide Chris irrigidirsi.  

-Comunque, c’è da dire che prima di Seattle si erano lasciati e ripresi qualche volta e Vivienne ha frequentato dei tipi poco raccomandabili- intervenne Naomi. 

-Va beh, ma non puoi giustificarlo! Erano appena tornati insieme!- protestò Elena. 

-Ma non lo sto giustificando! Era per dare il quadro generale degli eventi- 

-In ogni caso,- riprese Bentley, -adesso era un po’ che non si vedevano. Lui non è stato ammesso ad Harvard e studia a Georgetown, quindi credo non si vedessero da quando lei...- 

-Da quando lei..?- lo incalzò Chris, ormai coinvolto nel racconto. 

-Da quando lei lo ha piantato definitivamente lo scorso autunno con una scena madre indimenticabile- rispose Naomi, divertita. 

-Si, credo che a Ryle bruci ancora. Vivienne è stata micidiale, proprio una stronza- concordò Daniel. 

Emily guardò Chris e sorrise. La ragazzina dava del filo da torcere proprio a tutti. -E che ha fatto?- 

-Eravamo alla festa di Blair Hayword,- iniziò a raccontare Naomi, -la festa prima della partenza per i college. Vivienne, a un certo punto, mentre a turno ognuno prendeva il microfono per lo scambio di auguri, ha preso la parola e ha ringraziato Sebastian e Betty, consegnando a entrambi un buono per fare lo screening per le malattie sessualmente trasmissibili in una clinica di Boston. Avreste dovuto vedere le loro facce! Penso che Betty avrebbe voluto morire in quel momento- 

-Sebastian sembrava aver capito di dover stare alla larga da mia sorella... fino a stasera!- 

Tutti tornarono a guardare Vivienne e Sebastian. Stavano chiacchierando, aspettando di essere serviti dal barista, e lui le aveva posato una mano sul fianco. Lei gli sorrideva, ostentando una certa boria, ma non aveva allontanato la sua mano.  

Emily capì all’istante che non fosse altro che una tattica per fare ingelosire Chris. Sospettò che Vivienne non si fosse alzata per caso per prendere un drink: aveva sicuramento sfruttato il momento, sapendo che le sue amiche e suo fratello non si sarebbero trattenuti e avrebbero senza dubbio raccontato quella storia a Emily e Chris. Era abbastanza certa che fosse andata così. 

E stava chiaramente funzionando. Chris si era piuttosto innervosito: li aveva guardati con astio per qualche istante, prima di distogliere lo sguardo e fissare il vuoto con aria contrariata. 

-La ragazzina ne sa una più del diavolo- gli sussurrò Emily all’orecchio. 

Lui la guardò stupito, con aria interrogativa, ma non chiese ulteriori spiegazioni.  

Emily alzò gli occhi al cielo.  

Mentre pensava a cosa dire al suo amico per tranquillizzarlo, il suo cercapersone emise un suono. Lo controllò velocemente, ma non riconobbe il mittente del messaggio appena ricevuto, contente un indirizzo di Hartford. Guardò subito Chris allarmata e gli porse il cercapersone. Pensò subito a Emma Ryan, non riusciva a credere che si fosse davvero spinta così vicino a lui. Capì un istante dopo, però, che non si trattava di Emma Ryan. Chris abbozzò un sorriso ed Emily intuì l’identità del mittente. 

-Stai scherzando- sibilò. 

Chris alzò le spalle. -Vuole parlarti. Ha bisogno di vederti-  

-Non mi interessa per niente-  

-Dai, cinque minuti. Sta rischiando l’impossibile per scambiare due parole con te, io andrei al tuo posto-  

Emily avrebbe voluto ricordargli che l’ultimo a poter parlare era proprio lui, che osservava la sua ex fidanzata tubare con un idiota senza muovere un dito, ma preferì lasciare perdere. 

-Cinque minuti- ribadì lui.  

Lei strinse gli occhi. -E come dovrei fare a uscire da questo posto? C’è una dozzina di guardie che controllano tutte le persone che entrano ed escono dal locale- 

Lui la guardò di sottecchi. -Ma per favore, dai. Se ti fermano puoi dire che stai facendo un giro di ricognizione, non mi pare complicato-  

Emily gli lanciò un’ultima occhiata carica di astio e poi uscì dal locale.  

Nessuno la fermò, mentre raggiungeva il luogo indicato da Oliver. Lui, che indossava la sua vecchia divisa nera dell’Organizzazione, la stava aspettando seduto sui gradini dell’ingresso di una casa, al buio in uno stretto vicolo. 

Emily si fermò di fronte a lui, in silenzio.  

-Sei venuta-  

-Per chiudere questa storia. È l’ultima volta che mi vedi-  

Lui le tese una mano, che Emily non afferrò. Oliver la lasciò tesa nel vuoto per qualche istante, prima di ritrarla. -Vorrei che alla fine di questa storia mi raggiungessi-  

Emily scosse la testa, incredula. -Ma certo! Che idea brillante! No, assolutamente no- 

-Perché no?- 

-Stai scherzando? Dovrei mollare la mia vita, il mio lavoro, per cosa?- 

-E Jake-  

Lei strinse gli occhi, arrabbiata. -Si, anche Jake. Se sei venuto fin qui per chiedermi questa cosa idiota, hai solo perso il tuo tempo-  

Lui si alzò in piedi, rimanendo della penombra. Il vicolo era deserto e angusto, e lui non poteva essere visto da nessuno. 

-Sai anche tu che questa tua vita nell’Organizzazione prima o poi ti starà stretta. Inseguire Emma Ryan è una nobile causa, ma dopo che l’avrai presa che succederà? So che quando l’hai arrestata la prima volta ti sei sentita vuota. Ti conosco bene- 

Emily sapeva quanto fossero vere le sue parole ma non aveva intenzione di dargli ragione. 

-Non è un tuo problema cosa succederà alla fine di questa storia-  

-Io e te siamo fatti per stare insieme. Lo sai. Io me ne sono dovuto andare per salvare la mia famiglia, e sai anche questo. Ora sono qui perché vorrei che tu venissi via con me. Vorrei trascorrere il resto della mia vita con te-  

Emily lo guardò truce. Non voleva che quelle parole la potessero toccare in qualche modo. Aveva amato così tanto Oliver ed era stata amata altrettanto da lui. Non lo aveva ancora perdonato per averla abbandonata e sicuramente non gli avrebbe permesso di cancellare tutti quegli anni di dolore con qualche ingresso a sorpresa nella sua vita, con annesse dichiarazioni strappalacrime. Emily era una persona concreta, di mere parole non se ne faceva nulla. Non avrebbe mai ammesso che l’idea di scappare con lui e lasciarsi alle spalle tutto quello che non funzionava nella sua vita, tutto quello che non le piaceva di lei e del suo lavoro, nel profondo, l’allettava. Qualche anno prima sarebbe fuggita con lui senza guardarsi indietro, ma in quel momento no, non si sarebbe tuffata a capofitto in quella avventura inseguendo Oliver. 

-So che mi ami ancora- continuò lui.  

-E ti amerò per sempre. Ma non lascio la mia vita per... questo. Vivere nascosti dal mondo, con la paura che l’Organizzazione possa trovarci da un momento all’altro e possa ammazzarci. No-  

Lui sorrise. -Se volessi, potresti trovare un modo per uscirne pulita, senza dover vivere come una fuggitiva. Lo sai. Sei la loro migliore agente- 

-Ecco, se volessi. Si dà il caso che io non voglia, guarda un po’- 

-Non è vero. Lo vuoi anche tu. Lo hai sempre voluto anche tu. Vieni via con me, Emily- 

*to be continued*

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22 
 
 
La cena di beneficienza che annualmente veniva organizzata il primo weekend di giugno, dava il via ai festeggiamenti della durata di tre giorni per inaugurare la stagione estiva e la fondazione di Hartford. La cena era conosciuta come La Cena del Mugnaio, anche se non aveva nulla a che fare con farina e cereali. Scopo della serata era raccogliere fondi destinati al Boston Children’s Hospital e ogni anno i partecipanti donavano ingenti somme di denaro. La famiglia Shepard, a cui era anche stato dedicato un padiglione dell’ospedale, ogni anno inaugurava la serata. Richard Shepard, o in alternativa sua moglie Allyson, era solito pronunciare un discorso per invitare gli ospiti a donare quanto più potessero. Tutti sapevano che i donatori facevano a gara per staccare l’assegno più cospicuo perché chi donava la cifra più alta, avrebbe ricevuto il privilegio di diventare socio in affari della famiglia Shepard, ottenendo la possibilità di partecipare ad alcuni contratti e appalti aziendali. 
Apparentemente, la festa di inizio estate era una celebrazione per l’intera comunità di Hartford, di fatto era il festival della famiglia Shepard.  
Il giorno dopo la Cena del Mugnaio, i giovani della città si sfidavano in un Torneo di Polo. Per la famiglia Shepard avrebbero corso Daniel e Bentley, sempre in competizione fra di loro anche se nella stessa squadra. Per loro, la squadra da battere quell’anno sarebbe stata quella della famiglia Ryle, Bentley proprio non riusciva a digerire l’avvicinamento tra sua sorella e Sebastian. 
Durante l’ultima serata di celebrazioni si svolgeva il Ballo del Cristallo, un elegante ballo in maschera il cui tema variava di anno in anno e nel corso del quale venivano stabiliti matrimoni di interesse fra i vari rampolli delle famiglie altolocate.  
Vivienne, quel pomeriggio, si stava preparando per partecipare alla Cena del Mugnaio. Aveva dovuto partecipare agli stupidi incontri con il comitato per la festa che sarebbe durata per tutto il weekend, e ne aveva la nausea. Non era per nulla dell’umore di festeggiare alcunché.  
Aveva appena finito di farsi una lunga doccia, quando, uscendo dal bagno per rientrare nella sua camera ancora in accappatoio, si accorse che Chris si trovava nella sua stanza. 
Lo guardò freddamente, senza imbarazzo. La rabbia in lei era ancora grande.  
-Cosa ci fai qui?- gli chiese. 
Lui, che al contrario era decisamente a disagio, boccheggiò, prima di rispondere. -Sono venuto a controllare come stessi, Emily si sta preparando per questa sera-  
Vivienne ebbe l’impressione di essere ripiombata a qualche settimana prima, quando si stava preparando per la cerimonia dell’Organizzazione. Allora era eccitata e impaziente, si era sentita audace e determinata a ottenere ciò che voleva. Ma in quel momento le emozioni erano opposte. Era furiosa e distaccata, non avvertiva alcuna agitazione in lei, quanto piuttosto delusione.  
-Senti,- continuò lui, il viso teso, -lo so che sei ancora arrabbiata come me... Ma non potevo fare altrimenti. Era la cosa giusta da fare-  
Vivienne sbuffò, cupa. Poi prese una sigaretta e, dopo aver aperto la porta finestra della camera, la accese.  
-Adesso fumi?- fece Chris, infastidito.  
-Non ti interessa. E non farmi nessuna morale di alcun tipo. Non ho intenzione di ascoltare uno stupido boyscout come te- 
-Come scusa?- esclamò lui, iniziando a essere scocciato.  
-Si,- rimarcò Vivienne, -boyscout. Non ce la fai proprio a non fare la cosa giusta una volta nella tua vita, eh?-  
Fumava nervosamente, con lunghi tiri, infischiandosi che il fumo non uscisse dalla finestra e rimanesse nella stanza.  
Lui scosse la testa. -Tu non capisci- 
-Capisco perfettamente, invece. Ma non mi interessa. E soprattutto, non ho intenzione di continuare ad ascoltare le tue stupide giustificazioni-  
-Che succede qui?- 
Emily era arrivata nella camera, spuntando da dietro la porta. 
Vivienne la guardò in cagnesco e Chris scosse ancora la testa, prima di andarsene. 
-Ma che è successo?- chiese ancora la giovane agente, sgomenta. 
-Ma cosa vuoi che sia successo?!- esclamò Vivienne, arrabbiata. Lanciò la sigaretta, non ancora esaurita, dal balcone con un movimento impetuoso. -Succede che non sopporto che continui a propinarmi la cazzata del "è la cosa giusta da fare"! Detesto quando fa così!- 
Emily si sedette sul suo letto e attese che la ragazza si calmasse un po’.  
-Capisco che tu adesso non riesca a capire, lo capisco per davvero. Ma la tua vita andrà avanti, con o senza Chris, non hai bisogno di lui per vivere la tua vita- 
Vivienne iniziò a ridere, con una leggera isteria. -Queste stronzate femministe non mi servono, non ti preoccupare. So perfettamente di essere indipendente ed emancipata e che non ho bisogno di nessun uomo per "vivere la mia vita"- la scimmiottò, accompagnando l’ultima parte della frase con un movimento delle dita. -Ma a voi forse non è chiara una cosa. So di non aver bisogno di stare con Chris, sono ricca, bella e sveglia, e so perfettamente che posso sopravvivere senza di lui. Ma non voglio!-. Strinse i pugni e guardò Emily dritta negli occhi. -Io non voglio stare senza di lui, va bene? Lui non vuole stare con me e non lo accetto, ma non perché pensi che senza di lui la mia vita non avrebbe senso! Riesci a capire la differenza?- 
Emily si alzò e le prese una mano. Vivienne non poteva saperlo, ma Emily la capiva alla perfezione.  
-Adesso sei arrabbiata e non vedi la realtà. Ma sei giovane e ti innamorerai ancora e troverai una persona che ti farà anche star meglio di come ti ha fatta stare lui. Te lo assicuro- 
-Ah, certo, come se non mi fossi accorta di te e Jake. Ma non ne voglio parlare, ok? Sono problemi tuoi e ho già abbastanza cose a cui pensare. Ciò che sa anche Chris è che... io non sono mai stata così in sintonia con una persona. Non mi sono mai sentita così... come se fosse il mio posto. E non perché è un uomo e ho bisogno di lui in quanto tale, ma perché... è il posto del mio cuore. E non riesco ad accettare di perdere quello che ho provato e sentito, non riuscirei mai a perdonarmi per non aver lottato per lui fino alla fine-  
-E pensi che uscire con Sebastian equivalga a lottare per lui?- 
Vivienne, che non si aspettava quell’uscita di Emily, la guardò interdetta per qualche istante. -Se serve per fargli capire che vuole ancora stare con me, si-  
-Ma pensi davvero che lui non lo voglia? Pensi che non ti ami?- 
-È esattamente quello che mi ha detto. E lo ha ripetuto dieci minuti fa. E comunque penso di avere il diritto di uscire con chi mi pare e piace- 
Emily non rispose più e si limitò a osservarla mentre la ragazza indossava l’elegante vestito verde smeraldo scelto per la serata. Era un abito lungo con la gonna a sirena, le spalle scoperte e un dolce scollo a cuore. Sul busto risultava attillato e una sottile cintura le sottolineava il girovita. La sottoveste di seta era coperta da un raffinato strato di chiffon tempestato di brillanti e decorato con motivi floreali. Era un vestito più casto rispetto a quello indossato per la cerimonia dell’Organizzazione, ma altrettanto sensuale. 
Vivienne raccolse i capelli biondi in una morbida treccia e applicò un leggero strato di trucco sul viso. 
Nella pochette abbinata al vestito inserì il cellulare, il porta carte e le sigarette.  
Guardò infine Emily, e insieme si diressero al piano inferiore. 
Parte della famiglia Shepard si trovava ai piedi dello scalone di marmo della sala di ingresso. Richard ed Allyson parlottavano con Victoria, mentre Bentley stava scambiando alcune parole con Chris che, quando la vide, si zittì e la osservò smarrito.  
Vivienne, pur mantenendo un’espressione fredda e distaccata, esultò silenziosamente, notando il suo sguardo.  
-Sei splendida tesoro!- esclamò Allyson Shepard. -Bene, possiamo andare al municipio. Le automobili ci stanno aspettando-  
-Ah, niente carrozza?- commentò Bentley, con un ghigno, mentre uscivano dall’edificio.  
Salirono tutti, ad eccezione di Emily e Chris che li avrebbero seguiti con un’auto a parte, su una limousine.  
-Mamma?- chiese Vivienne a suo fratello, accomodandosi al suo fianco. 
-È già andata prima con gli altri, i nonni ci tenevano ad arrivare alla Cena con te- 
Giunsero al palazzo del municipio, un maestoso edificio di fine ‘800, dopo una decina di minuti. Sul marciapiede, davanti all’ingresso, era stato steso un lungo tappeto rosso.  
Vivienne scese dall’automobile per ultima, il nonno la attendeva vicino alla portiera per accompagnarla fino all’interno del municipio.  
Era perfettamente consapevole che quel suo atteggiamento non era altro che un annuncio al mondo della scelta dell’erede prediletto, cioè lei. Era un atto politico.  
Pensò sconsolata che la serata che le si prospettava era diametralmente opposta a ciò che avrebbe desiderato: aveva sperato di poter mantenere un profilo basso e di andarsene da quella cena il prima possibile, ma difficilmente ci sarebbe riuscita.  
Entrarono nella sala dedicata alla festa, riccamente addobbata per l’occasione, e si accomodarono al tavolo rotondo riservato alla famiglia Shepard, al centro del salone e di fronte al palco, dove si erano già seduti i membri della famiglia che li avevano preceduti. All’appello mancavano George e Greg che, non essendo formalmente parte della famiglia, il primo per via del divorzio mentre il secondo perché non aveva mai sposato Elisabeth, non erano stati invitati.  
Vivienne si accomodò vicino a suo nonno e obbligò Bentley a sedersi al suo fianco.  
-Non ti azzardare a lasciarmi sola- lo implorò sottovoce, cercando di non attirare l’attenzione dei nonni.  
Alzò poi lo sguardo e si rese conto che di fronte a lei si era accomodato Chris.  
Sentì un tuffo al cuore e si voltò verso suo fratello. Non disse nulla, ma Bentley capì ugualmente e le accarezzò teneramente la guancia. -Cerca di non pensarci- le sorrise.  
Poco dopo, quando la sala era ormai gremita di gente, Richard Shepard salì sul palco.  
Aprì i festeggiamenti con un discorso informale, invitando gli ospiti a donare quanto più possibile e augurando a tutti una buona serata. Presentò anche la compagnia di danza che si sarebbe esibita per tutta la durata per la cena. Le donazioni sarebbero state raccolte da alcuni giovani ragazze facenti parte del comitato organizzativo della festa.  
I camerieri iniziarono a servire le pietanze e le celebrazioni cominciarono per davvero. 
Poco prima che venisse servita la seconda portata, Victoria e Gwen iniziarono a parlare del Ballo del Cristallo, raccontando alcuni aneddoti risalenti a vecchie edizioni.  
-...e Janice Porter quell’anno si presentò senza accompagnatore, sua madre la mise in punizione per due mesi- 
-Che esagerazione- commentò Daniel, basito. 
-Questo ballo ha una sua intrinseca importanza che non dovresti assolutamente sottovalutare- si intromise la nonna, con il suo solito sorriso falsamente cordiale.  
-Come no- fece Bentley, con una smorfia.  
Vivienne sorrideva divertita. Un tempo sarebbe stata la prima a commentare sarcastica per scatenare le ire dei nonni, ma quella sera non era proprio dell’umore. 
Per l’occasione, Chris aveva dovuto indossare un abito di Bentley e per Vivienne era bellissimo. Aveva la barba leggermente incolta, proprio come quando l’aveva conosciuto, e la giacca blu dell’abito faceva risaltare i suoi brillanti occhi azzurri.  
Vivienne avrebbe solo voluto essere stretta fra le sue braccia, in quel momento. Cercava di non guardarlo ma non riusciva a fare a meno di osservarlo, di tanto in tanto.  
Venne distolta dai suoi pensieri da una domanda della nonna. -E quest’anno chi sarà il tuo accompagnatore, cara?- 
Lei non poté fare a meno di guardare Chris dritto negli occhi, prima di rivolgersi ad Allyson.  
Sospirò. -Non ho ancora deciso. Sto valutando un invito- 
-Non mi dire che stai per davvero pensando di andarci con Sebastian!- esclamò Bentley, sorpreso e infastidito.  
Vivienne lo guardò truce. Non aveva la minima intenzione di giustificarsi con nessuno, men che meno con suo fratello. -Si, sto davvero pensando di andare con lui- sibilò. -Quando deciderò, sarai il primo ad essere informato-  
-Oh, il ragazzo Ryle?- chiese il nonno, sinceramente sorpreso.  
Vivienne inclinò la testa. Iniziava ad essere davvero seccata da quella situazione. -Si, il ragazzo Ryle. Proprio lui-  
-Quello che ti ha tradita e umiliata davanti a tutti i tuoi compagni del liceo?-   
Vivienne tornò a guardare sua nonna, che aveva parlato, e le lanciò uno sguardo carico di rancore. Quell’uscita era tipica degli Shepard, un colpo basso da manuale. 
-Si, proprio lui. Proprio il ragazzo che mi ha tradita e umiliata. Sto pensando di perdonarlo-  
Il nonno scosse la testa. -Sono sicura che tu abbia altri pretendenti molto più meritevoli di quel mascalzone- 
Vivienne aggrottò le sopracciglia, assumendo un ghigno ironico. Evitò di esprimere ciò che stava pensando per davvero. -Ma a me non interessa nessuno degli altri- si limitò a rispondere. 
-Potresti scegliere un cavaliere fuori da queste logiche, allora- suggerì sua madre, cercando di salvare la situazione.  
-Fuori da queste logiche? Ad Hartford?- commentò Bentley sarcastico. -Sarebbe più semplice che fingesse di essere malata e non si presentasse affatto-  
-Mi pare una buona idea- fece Vivienne, sorridendo beffarda. -Grazie per il suggerimento-  
-Vivienne,- intervenne Allyson, cercando di mantenere la calma, -non dire sciocchezze. Domenica sera verrai al Ballo. Ti consiglio di scegliere un accompagnatore che non sia il signor Ryle- 
-Ah, e chi ad esempio?- sbuffò Vivienne, tra il sarcastico e lo scocciato. Stava arrivando al limite. 
-Mah, non saprei dirti cara, se proprio non vuoi nessun ragazzo di Hartford, perché non ti fai accompagnare dal signor Rogers? Sarebbe un accompagnatore neutro e saremmo tutti contenti- 
Vivienne guardò Chris, che era arrossito. Chiuse gli occhi e, dopo qualche istante, si voltò a guardare la nonna. -No- rispose, decisa.  
-Ma perché no, cara?- intervenne Richard. -Sicuramente il signor Rogers non si permetterebbe mai di assumere un atteggiamento inadeguato e inappropriato per l’occasione e, nonostante la diversa estrazione sociale, rappresenta sicuramente una scelta migliore di quel Ryle-  
-Guarda che è qui presente- soffiò Vivienne, ormai arrabbiata. -Non è molto educato parlare in questo modo, da parte vostra- 
-Senza contare,- fece Bentley, con un ghigno, -che poi dovrebbero sposarsi. È questo lo scopo del ballo, non è così?- 
La nonna iniziò a ridere sprezzante. -Bentley, smettila con queste sciocchezze. Non si offenda, signor Rogers, ma un matrimonio del genere non verrà mai celebrato. Lei non ha studiato ad Harvard, vero? E il lavoro che fa non le permetterebbe di condurre una vita diversa, vero?- 
-Non ho mai studiato ad Harvard, è esatto- rispose Chris, con una compostezza e una dignità che colpirono Vivienne. -Il mio lavoro, il nostro lavoro, è molto duro e faticoso. Ci battiamo ogni giorno per rendere il mondo un luogo migliore, più sicuro per tutti, e ci vengono richiesti molti sacrifici. Per me è stato un onore potermi occupare e garantire la sicurezza di Vivienne e, anche se ogni giorno affrontiamo grandi difficoltà e ci vengono imposte pesanti limitazioni, non vorrei fare altro nella vita- 
Vivienne gli sorrise orgogliosa, quasi commossa. Era riuscito a neutralizzare la cattiveria della nonna con gentilezza e umiltà, la ragazza ne era letteralmente impressionata. Ancora più innamorata di prima. 
Si risvegliò in lei una certa esigenza di rompere qualche schema e di liberare un po’ la sua indole ribelle.  
-Per quanto mi riguarda,- iniziò a dire, guardando Chris dritto negli occhi, -sarebbe un privilegio diventare moglie e compagna di vita dell’agente Rogers. È un uomo gentile, intelligente, onesto e rispettoso, per non parlare di quanto sia indiscutibilmente bello. Ha anche un gran senso dell’umorismo e devo ammettere che è riuscito nell'incredibile impresa di tenermi testa, di tanto in tanto-. Tornò a guardare sua nonna. -Dovesse mai fare il suo ingresso in famiglia, non poterebbe che una ventata di rinnovamento e bontà, che a tutti noi mancano terribilmente. Adesso, se volete scusarmi, vado a salutare i signori Ryle. Credo che poi tra qualche minuto andrò a fumare una sigaretta con Sebastian, ma vi prometto che gli faccio tenere le mani a posto-  
Detto ciò, afferrando la sua pochette, si alzò dal tavolo e si allontanò teatralmente, raggiungendo il tavolo della famiglia Ryle, tra lo sgomento generale degli Shepard. 
Bentley e Dan si guardarono poi divertiti, i nonni erano furiosi.  
-Ne vedremo delle belle quest’anno-  
 

 
Il giorno dopo la Cena del Mugnaio si era tenuto il Torneo di Polo in cui le famiglie fondatrici di Hartford si sfidavano tra di loro. Come ogni altro evento di quella kermesse, l’obiettivo era di dimostrare la superiorità delle famiglie anche in ambito sportivo e l’occasione diventava una vetrina per i giovani rampolli ancora da accasare. 
La famiglia Shepard trionfava ogni anno e, da quando partecipavano anche Daniel e Bentley come giocatori, Richard ed Allyson avevano provato in ogni modo a trovare una fidanzata per i due nipoti che li aggradasse. Con Bentley avevano sempre fallito miseramente, continuava a snobbare ogni pretendente. Per Daniel, il discorso era stato leggermente diverso: in un paio di occasioni erano riusciti a convincerlo a invitare al Ballo del Cristallo qualche fortunata ragazza, ma alla fine Daniel non si era mai impegnato formalmente con loro. Come Vivienne, credeva nel vero amore e sperava genuinamente di legarsi con una compagna di cui fosse innamorato.  
Da quando le attenzioni dei nonni si erano rivolte definitivamente verso Vivienne, avevano mollato un po’ la presa sui due nipoti maschi. 
Tutto ciò era stato raccontato ad Emily da Vivienne, che aveva preteso di dirigersi verso il campo da gioco a bordo della sua scintillante Camaro gialla, in barba alle disposizioni dei nonni.  
La giornata si era svolta tutto sommato serenamente, il torneo era stato vinto dalla famiglia Shepard e Bentley e Daniel erano stati portati in trionfo dopo aver battuto, in finale, la famiglia Ryle.  
Emily si era dovuta allontanare per un paio di ore nel pomeriggio: giornalmente si coordinava con Evans, che la informava sugli sviluppi delle indagini su Emma Ryan. La criminale risultava sempre introvabile. Da quando era fuggita dal bunker dell’Organizzazione con l’aiuto della sua complice, lei e Jennifer Mosby erano scomparse dai radar. Emily aveva la netta sensazione che presto o tardi sarebbero ricomparse e sarebbero tornate all’attacco, e sentiva che sarebbe successo proprio lì ad Hartford. Aveva elaborato diversi piani d‘azione valutando numerose ipotesi ed eventualità. Non le avrebbero permesso di coglierli di sorpresa ancora. 
Dopo il colloquio con Evans, chiamò Jake. Dopo la fuga di Emma Ryan e il trasferimento al Manor di Emily e Chris, si erano sentiti poco. Lui le inviava aggiornamenti circa l’indagine e l’operato dell’FBI, e lei lo aggiornava sulle condizioni di Vivienne, ma non avevano mai parlato della loro situazione
Aveva saputo da Cristine che Jake se ne era andato dal loro appartamento nel quartier generale e si era trasferito a Boston. Sapeva, sempre grazie alla sua collega, che Jake stava cercando la figlia di Emma Ryan che, con altissime probabilità, era anche figlia sua.  
Emily non riusciva a immaginarsi la sua vita con Jake, che ormai non amava più e che forse, nel profondo lo sapeva, non aveva mai amato, e con la figlia di Emma Ryan, la sua più acerrima nemica. Si vergognava ad ammetterlo, ma avrebbe detestato quella bambina e vivere con lei avrebbe reso la vita un inferno a entrambe.  
Era uscita dal campo da gioco per fare quelle telefonate e si sentì sollevata per essersi allontanata da quella famiglia così anomala e velenosa per qualche momento. Finalmente riusciva a capire Vivienne e il suo atteggiamento, sempre così aggressivo e difensivo verso il mondo. Era come se fossero circondati costantemente da iene affamate che non perdevano mai occasione per azzannare e strappare qualche brandello dei propri avversari, come era stato fatto con Chris alla Cena del Mugnaio. Iniziava a comprendere perché Vivienne fosse così: aveva imparato a sopravvivere in quell’ambiente, in quella famiglia, e non aveva potuto che assimilare parte di quel modo di fare. 
Inoltre, Emily si sentiva molto insoddisfatta di come si stava sviluppando quel caso, avevano fallito con Vivienne e avevano permesso che Emma Ryan fuggisse. Certo, non avevano potuto prevedere che la sua complice riuscisse ad ostacolarli con il loro stesso sistema informatico e di sorveglianza. Avevano capito troppo tardi il vero obiettivo della Ryan e le avevano permesso di prepararsi nei minimi dettagli, inconsapevoli di quanto lei li conoscesse veramente, a partire dalla loro struttura per arrivare ai singoli protocolli. Si era indubbiamente preparata per anni e nessuno, all’interno dell’Organizzazione, Emily in primis, aveva avuto la lungimiranza di intuire la portata delle sue azioni.  
Dopo aver chiuso la conversazione con Evans, fissò il cellulare per qualche istante. Ripensò a Jake, ai suoi occhioni azzurri e al suo bel sorriso. Le tornò poi in mente quel neo su collo, vicino alla spalla e subito si rabbuiò. Emma Ryan le aveva rovinato ogni cosa. 
Compose il numero e attese che lui rispondesse.  
“Ciao” 
-Ciao Jake, come stai?- 
“Normale. Tu? Come procede con gli Shepard?” 
Emily sospirò. -È tutto molto teso e pesante. È una famiglia... complessa, diciamo. Inoltre, per ora non abbiamo ancora rilevato la presenza di Emma Ryan-  
Lui rimase in silenzio per qualche istante. “Anche oggi mi hai chiamato solo per avere notizie di lei?” 
Emily boccheggiò. Jake le era piaciuto tanto fin da subito perché era un po’ come lei, diretto, sincero e senza tanti filtri. Ma in quel momento, quel suo atteggiamento la feriva, anche se era consapevole che avesse pienamente ragione a rivolgersi a lei in quel modo. Da quando Oliver era ripiombato nella sua vita, lei si era chiusa a riccio con il mondo esterno, soprattutto con Jake.  
-Jake, mi dispiace molto-  
“Sai, Emily, io sono ancora innamorato di te, anche se tu sei fuori dalla nostra storia da mesi, ormai. Nonostante tutto, vorrei che fossi al mio fianco in questo momento, ma so bene che per te... Ogni tanto penso che non avrei dovuto trasferirmi, penso che sarei dovuto rimanere in California e non venire qui a Boston per te” 
-Mi dispiace, non avrei voluto che andasse così. Ti giuro che se potessi tornare indietro...- 
“No,” la interruppe Jake, “se tornassimo indietro non cambierebbe nulla. Rifarei tutto quello che ho fatto, non mi pento di nulla. Ma adesso... adesso ti lascio libera” 
-Ma cosa stai dicendo? Non vuol dire nulla, tu non mi hai mai... Jake, davvero non capisco cosa stai dicendo- 
“Emily, guarda che non sono stupido. Sei rimasta dopo quello che è successo perché pensavi che fosse troppo per me, perdere il bambino e perdere te. Ma ho capito che avrei dovuto andarmene io, mesi fa” 
Emily iniziò a piangere in silenzio. Era contenta che fosse sola in quel momento, perché avrebbe avuto difficoltà nell’ammettere che in realtà, in quel preciso istante, si sentiva sollevata. Era come se una pesante pietra le fosse stata tolta da sopra lo stomaco. Si sentì terribilmente in colpa subito dopo, perché riteneva che i suoi sentimenti fossero sbagliati, perché sapeva che Jake aveva sempre meritato di meglio, ma non poteva più negare a sé stessa che lei voleva altro.  

*to be continued*

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23 
 
Quel pomeriggio, Vivienne era molto nervosa. Si stava preparando per il Ballo del Cristallo e voleva essere perfetta. Sentiva che non avrebbe avuto altre occasioni per impressionare Chris e fargli cambiare idea, sperava di ricreare l’atmosfera che avevano vissuto la sera della festa dell’Organizzazione e che li aveva uniti.  
Vivienne ripensava a quei momenti con grande sofferenza. Ogni giorno di più si incaponiva e si sentiva più determinata a raggiungere il suo obiettivo. L’idea di perdere Chris la terrorizzava e proprio non riusciva ad accettarla. In un modo o nell’altro, sarebbe stata con lui, sentiva che Chris fosse il suo destino.  
Per quella sera aveva scelto un abito principesco blu notte, decorato, nella parte superiore, da applicazioni di morbidi petali di seta tempestati di punti luce argentati che scendevano a cascata fino a raggiungere la vaporosa gonna in tulle. Aveva scelto delle fini décolleté brillantinate color argento, abbinate alla pochette e alla maschera che avrebbe indossato. Era una maschera veneziana dello stesso colore dell’abito, arricchita con fini ghirigori luminosi. Il lato destro era ornato da una lunga e soffice piuma con ciuffi blu e argento.  
Per l’occasione era stata truccata da sua madre, che aveva scelto per lei un rosso freddo, ideale per la sua carnagione, e il resto del trucco su tonalità nude, con particolare attenzione agli occhi, illuminati da un ombretto scintillante.  
Aveva raccolto i capelli in un alto chignon disordinato, simile all’acconciatura sfoggiata durante la cerimonia dell’Organizzazione. 
Una volta pronta, aspettò che tutta la famiglia, comprensiva di accompagnatori e di Chris ed Emily, fosse riunita ai piedi dello scalone di marmo dell’ingresso, in attesa che Vivienne li raggiungesse.  
Uscì dunque dalla sua stanza e, annunciata dal rumore dei suoi tacchi sul pavimento, raggiunse lo scalone.  
Tutti la stavano osservando e lei cercò subito lo sguardo di Chris. Anche lui la stava guardando meravigliato, mentre le sorrideva, e Vivienne non poté che sentirsi lusingata e contenta. Si accorse con piacere che aveva indossato un abito blu marino che ricordava le uniformi dei principi reali. Pensò che ci fosse lo zampino di Bentley, suo fratello era astuto quanto lei. 
-Sei splendida tesoro!- esclamò la nonna, con un urletto.  
Vivienne notò al suo fianco un imbarazzato Sebastian, vestito di tutto punto in un abito scuro che indossava a pennello. 
Sua madre le sorrideva raggiante vicino a Bentley e a George che, per l’occasione, aveva potuto raggiungere la famiglia.  
-Se siamo tutti pronti, possiamo andare al Ballo- disse Richard, dando così il via alla serata. 
Vivienne si accomodò sui sedili posteriori del SUV dell’Organizzazione, al fianco di Sebastian, mentre Chris era alla guida ed Emily era seduta al posto del passeggiero.  
Vivienne continuava a lanciare occhiate allo specchietto retrovisore per incontrare gli occhi di Chris, che non smettevano di cercare i suoi. 
Dopo circa un quarto d’ora giunsero al palazzo del municipio, dove si sarebbe tenuto il ballo e dove erano già arrivati centinaia di ospiti, tutti vestiti e mascherati.  
Elena, l’amica di Vivienne che aveva partecipato all’organizzazione dell’evento, accoglieva gli ospiti all’ingresso compilando una lista e consegnando a ognuno un talloncino per l’estrazione di un premio che si sarebbe tenuta a fine serata.  
Naomi, che indossava un vestito rosa antico con pregiati drappi e fini spalline e che per quella sera sarebbe stata l’accompagnatrice di Bentley, quando vide Vivienne l’abbracciò felice. -Sei strafiga Viv! Sento Chris che si rosicchia il fegato da qui- le sussurrò all’orecchio. 
-È tutto pronto quello che vi ho chiesto?- 
-Elena è stata fenomenale a inserire in scaletta quella variazione e nessuno ci ha fatto caso- 
-Perfetto- sorrise furba Vivienne, prima di entrare nel salone accompagnata da Sebastian. 
L'evento era un mix tra il ballo di fine anno del liceo e gli eventi mondani delle grandi città. 
Il tema scelto dal comitato era “Incanto Reale”, i partecipanti avrebbero dovuto indossare abiti inerenti a monarchia e regalità e il salone dedicato alla festa era stato addobbato per ricreare la giusta atmosfera. Alle pareti erano stati appesi dipinti e arazzi raffiguranti re e regine, battaglie e cerimonie. Di fronte alla posizione del dj erano stati sistemati due troni, al soffitto erano stati appesi enormi lampadari di cristallo e su ogni tavolo era posto un candeliere. Tutti si salutavano e cercavano di attirare le attenzioni della famiglia Shepard, con moine e complimenti. C’erano molte ragazze che avevano indossato abiti simili a quello di Vivienne ma nessuna si avvicinava alla sua bellezza. Quella sera aveva una luce diversa, a partire dagli occhi, ed era evidente a tutti.  
Le danze vennero aperte, ovviamente, dai coniugi Shepard, che, dopo qualche minuto, vennero raggiunti sulla pista da ballo da altre coppie.  
Vivienne iniziò a danzare con Sebastian mentre Bentley e Naomi convincevano anche Chris ed Emily a ballare, come tutti gli altri.  
Daniel portò a tutti, a un certo punto, un calice di vino e brindarono insieme.  
-Ci siamo quasi- mormorò Naomi a Vivienne, mentre posavano i calici su un tavolino. Si guardarono negli occhi e Vivienne fece un cenno con la testa, prima di dirigersi spedita da Sebastian. -Dai, torniamo in pista!- esclamò, trascinandolo via da Daniel e Bentley, con cui il ragazzo stava parlando. 
Vivienne vide con la coda dell’occhio Naomi spingere Chris ed Emily verso il centro della sala e, senza far insospettire Sebastian, si avvicinò a loro a ritmo di danza.  
Le due coppie ballarono una accanto all’altra per qualche istante, finché la musica non venne interrotta e il dj annunciò il Ballo dello Scambio.  
Emily e Chris si guardarono confusi. 
-Oh, è una tradizione di questa celebrazione- spiegò Sebastian. -A metà serata, circa, si deve cambiare compagno per un ballo soltanto. Agente Lennox, mi concede questa danza?-  
Mentre Emily afferrava la sua mano, Sebastian non si accorse dello sguardo eloquente che si stavano scambiando Vivienne e Chris. Erano già in un’altra dimensione, la loro dimensione.  
La ragazza prese la mano dell’agente, che poi le cinse un fianco. 
Vivienne sussultò, di nuovo a pochi centimetri da lui.  
-Tutto questo è opera tua- sussurrò divertito Chris.  
-Certo. Ma non è questa la sorpresa- rispose la ragazza. Lui la guardò con espressione interrogativa. -Ho fatto introdurre questo ballo anni fa perché volevo ballare con Sebastian ma lui aveva invitato un’altra. Non ti sto nemmeno a dire com’è andata a finire, puoi immaginarlo da te- 
Lui sospirò, sorridendo. -Vi siete messi insieme- 
-Esattamente- 
-E quale sarebbe la sorpresa?- 
Vivienne non riuscì a rispondere in tempo perché il dj fece partire il pezzo che lei aveva scelto.  
Thinking out loud, Ed Sheeran. 
Il sorriso di Chris si allargò e strinse la ragazza a sé. Lei affondò il naso tra la sua spalla e il collo e respirò profondamente il suo profumo. Era sempre lo stesso, e sentì una stretta allo stomaco.  
-Sei bellissima- le sussurrò lui all’orecchio. 
Vivienne, con una mano appoggiata sulla sua spalla, si alzò leggermente sulle punte dei piedi e lo guardò negli occhi, senza dire nulla. Non aveva bisogno di parlare, sentiva che si stavano capendo perfettamente. Sapeva che anche lui sarebbe voluto fuggire da quella sala con lei, sentiva che Chris la voleva ancora come e quanto prima.  
Danzarono lentamente, guancia a guancia, per qualche istante. -Non è vero che non ti amo e che non voglio stare con te. È il contrario. Sono ancora innamorato di te-  
Vivienne sospirò e non rispose. D’altronde, lo sapeva già, lo aveva sempre saputo. 
-Dover rinunciare a te...- continuò lui, la voce spezzata. 
-Lo so, Chris. Davvero, ora lo comprendo- 
Non era una frase detta tanto per, finalmente Vivienne iniziava a capire e, proprio mentre ballava stretta fra le sue braccia, a veder chiaramente la situazione in cui si trovavano. C’erano circostanze più grandi di loro, più importanti di quello che Vivienne sentiva per Chris. Non avrebbe mai accettato, in cuor suo, di dover rinunciare a lui, ma si stava arrendendo all’idea che Chris non fosse solo destinato a lei, ma fosse destinato a grandi cose. Aveva importanti responsabilità sulle spalle e lei non voleva essergli d’intralcio, non più. Doveva lasciarlo andare.  
-Sei incredibile e vorrei ci fossimo conosciuti in un altro momento, in un altro mondo- sussurrò lui, senza smettere di guardarla negli occhi.  
Vivienne gli sorrise, prima di dargli un tenero bacio sulla guancia, incurante degli sguardi che potevano soffermarsi su di loro. -In un altro universo ci sono un Chris e una Vivienne follemente innamorati, la cui unica preoccupazione è se lasciare i figli con la babysitter o portarli al ristorante(1)- fece lei, accarezzandogli una guancia. -Ma so che non potrebbero mai avvicinarsi ad avere ciò che abbiamo io e te ora, in questo momento. E non potrà mai togliercelo nessuno. Sarò sempre la tua ragazza- 
Rimasero abbracciati fino al termine della canzone, poi entrambi dovettero tornare con il proprio accompagnatore.  
Mentre Vivienne si allontanava da Chris, con un nodo fortissimo alla gola, non riuscì a fare a meno di pensare che forse il loro destino fosse semplicemente poter condividere quell’amore così potente e fugace, che aveva dato e poi sottratto molto a tutti e due, e che li aveva segnati indelebilmente per il resto della loro vita. 
 

 
-After party al Bellini?! Dan non hai più quindici anni, dovresti smetterla con queste cose- commentò Vivienne con un ghigno, mentre lei e Daniel, in compagnia di Bentley, Naomi ed Elena, seguiti da Chris ed Emily, stavano lasciando il Ballo del Cristallo, che era alle battute finali.  
-Non l’ho organizzato io, ok? Mi ha inviato Blair Hayword e penso proprio che farò un salto- rispose lui, mentre slacciava il papillon e sbottonava leggermente la camicia.  
-Io e Naomi ci siamo- fece Bentley, che cingeva con un braccio le spalle dell’amica di Vivienne.  
Lei scosse la testa. -Io ho i piedi distrutti, scusate. Queste scarpe sono fantastiche ma sono anche un’arma di tortura. Vorrei andare a casa- 
Suo fratello al guardò sorpresa. -Vivienne Shepard che dice di no a un after party? Sogno o son desto?- 
-Scemo-  
-In quella fantomatica Organizzazione hanno fatto qualche esperimento sul tuo cervello? Ti hanno trapiantato una nuova personalità?- fece Naomi, con una linguaccia sul finale.  
Vivienne li guardò sorridendo. Non aveva davvero così tanto male ai piedi, ma era stata una lunga serata. Dover arrendersi a sé stessa era stato faticoso e voleva soltanto tornare a casa, fare un lungo bagno e piangere un po’. Avrebbe anche voluto guardare una qualche stupida commedia romantica con Jake Gyllenhaal o Ryan Gosling, pensava di meritarlo, almeno un pochino.  
-Davvero ragazzi, vi ringrazio ma io balzo. Mi faccio portare al Manor, ci vediamo poi domani mattina- rispose infine. 
Suo fratello le schioccò un bacio sulla guancia, prima di entrare in una limousine seguito da Daniel e dalle due amiche di Vivienne.  
Lei rimase sola con Chris ed Emily. Quest’ultima la guardò. -Possiamo anche solo fare un salto veloce, se ti va- 
Vivienne scosse la testa. -No. E poi prima ho anche dato buca a Sebastian, non mi va di vederlo ancora questa sera-  
-Uh, poverino, non si è mica accorto che non è riuscito ad attirare nemmeno per sbaglio le tue attenzioni stasera- ghignò Emily.  
Chris sorrise e poi sospirò, ma non disse nulla. Vivienne cercò di non guardarlo perché sentiva gli occhi riempirsi di lacrime e non voleva piangere in quel momento, non ancora. 
-Dai, aiutatemi a camminare, questo vestito è un po’ ingombrante- disse poi, alzando i molteplici strati dell’abito.  
Emily la prese sottobraccio e Vivienne appoggiò la testa alla sua spalla.  
Si avvicinarono al suv e Chris le aprì la portiera del sedile posteriore. 
Vivienne salì e si sfilò le scarpe, mentre la macchina partiva. -Questo modello è stato indossato lo scorso anno da Kate Middleton, alla cerimonia dei Bafta, e non potevo non averle anche io- commentò, massaggiandosi le dita dei piedi. 
-Anche io non sopporto queste scarpe- fece Emily, scuotendo la testa. -Tua madre è stata molto gentile a...- 
Non riuscì a finire la frase perché, con un grande boato, il suv venne travolto lateralmente da qualcosa.  
Vivienne non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa le stesse succedendo perché batté violentemente la testa contro il finestrino e perse i sensi. 
 
*to be continued* 
 
 
Note dell’autrice 
(1) Questa frase di Vivienne è una ispirata alla scena finale di uno dei miei film preferiti, Amore e altri rimedi, con Jake Gyllenhaal e Anne Hathaway del 2010, in cui Jamie, nella versione italiana, dice qualcosa di simile a Maggie, convincendola ad accettare il suo amore nonostante le circostanze causate dalla malattia della donna. Per Vivienne e Chris è esattamente l’opposto: Vivienne capisce di dover lasciare andare l’amore della sua vita proprio in nome del sentimento che li lega e delle circostanze causate dal lavoro di Chris. Per questo motivo ho deciso di inserire questa piccola citazione, omaggiando uno degli amori cinematografici che preferisco. 
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24 
 
Dopo un lasso di tempo che Vivienne, anche a distanza di giorni, non riuscì a quantificare, la ragazza aprì gli occhi, intontita. Aveva molto male alla testa e sentiva qualcosa di caldo e umido sul viso, insieme a un costante e fastidioso fischio nelle orecchie.  
Si trovava in un posto buio e polveroso che non conosceva. Quando gli occhi si abituarono all’oscurità, riuscì a scorgere il profilo di una porta. Si alzò in piedi, traballante, e si diresse nella sua direzione. Indossava ancora il vestito della festa, ormai sgualcito, ed era scalza. 
-Chris? Emily?- chiamò, mentre abbassava la maniglia della porta, che però non si aprì. 
-Oh, ben svegliata stronzetta-  
Con un brivido, Vivienne riconobbe subito quella voce.  
Nick.  
O meglio, Jennifer Mosby. 
Si voltò lentamente nella direzione da cui proveniva la voce ma non vide nulla. Poi la stanza si illuminò improvvisamente e la ragazza, per un momento, rimase abbagliata dalla luce. Si coprì gli occhi con una mano. Quando li riaprì, vide Jennifer Mosby in piedi a qualche metro di distanza da lei, che impugnava una pistola.  
Vivienne sentì subito il panico crescere in lei. Iniziò a guardarsi intorno cercando una via di fuga, ma le pareti grigie e malconce di quella stanza non presentavano finestre né porte, se non quella che aveva già provato ad aprire. Sembrava una cantina dove fosse in corso una ristrutturazione. 
-Cosa vuoi da me?- chiese, respirando affannosamente.  
Cercò di calmarsi, le sembrava di essere di nuovo in quella maledetta casetta di Charlesdale e non voleva che il panico le spegnesse ancora il cervello: doveva rimanere lucida. 
Jennifer scoppiò a ridere sprezzante. -Sempre a pensare che giri tutto intorno a te- 
Vivienne stava per ribattere quando sentì un urlo quasi disumano, che le fece accapponare la pelle. 
Era la voce di Emily. 
Notò una specie di passaggio alle spalle di Jennifer, basso e stretto e capì che l’urlo proveniva dalla stanza accanto. 
-Tanto non puoi andare da nessuna parte- la anticipò Jennifer, intuendo i pensieri di Vivienne. 
-Che cosa sta succedendo di là?- chiese, cercando di mantenere la voce ferma. 
-Emma sta ricordando ad Emily Lennox qual è il suo posto- 
Vivienne osservò la ragazza e notò che, oltre un profondo taglio vicino alle sopracciglia che sanguinava, aveva i jeans strappati e sporchi di sangue all’altezza del ginocchio sinistro. Immaginò si fosse ferita mentre provocavano l’incidente al loro SUV. 
Come un lampo, il pensiero di Chris, che immaginò solo e ferito da qualche parte, le invase la mente e le mozzò il fiato. Decise che ci avrebbe pensato dopo, perché sapeva che in quel momento doveva capire come uscire da lì, possibilmente sana e salva. Si impose di riordinare i pensieri e intuì che forse un modo per fermare quella pazza armata davanti a lei ci fosse. Si spostò a sinistra di un paio di metri e si accorse che la ragazza, che si mosse seguendo il suo movimento, zoppicava e cercava di nascondere il dolore. Agì subito, senza dare il tempo a Jennifer di rendersi conto di cosa stesse succedendo. Si lanciò contro di lei e la colpì con violenza sul ginocchio con una spallata. Jennifer cadde a terra urlando e sparò un colpo di pistola in aria, senza colpire Vivienne, che si rialzò velocemente e colpì con un calcio la mano di Jennifer che stringeva l’arma, facendola volare lontano. Jennifer urlava ancora quando Vivienne, furiosa, le pestò con forza la gamba sanguinante.  
-Questo è per Avery!- urlò, mentre la ragazza continuava a gridare per il dolore. 
-E questo,- continuò, prima di sferrarle un pugno sul naso, -è perché sono una stupida troia!- 
Si allontanò rapidamente da lei e raccolse l’arma. 
Capì di averla messa fuori gioco e la lasciò a terra sporca di sangue, inerme. Si accovacciò a terra e, con l’arma tesa davanti a sé, attraversò il passaggio verso l’altra stanza. 
Spuntò in una stanza poco illuminata da un faretto che emanava una flebile luce gialla. Vicino alla parete opposta vide Emma Ryan girata di spalle, in piedi davanti a una persona accasciata a terra.  
Emily. Vivienne non riusciva a vederla bene, ma si accorse che stava respirando a fatica, rantolava.  
-Ah, benvenuta alla festa!- esclamò Emma Ryan, voltandosi verso Vivienne. Brandiva tra le mani un grosso coltello sporco di sangue e aveva un ghigno da psicopatica stampato in faccia, gli occhi spalancati e un’espressione inquietante. 
Vivienne guardò Emily e si accorse, inorridita, che il viso era completamente coperto di sangue, in parte già rappreso.  
-Che cosa le hai fatto?!- esclamò avvicinandosi a loro.  
-Stai ferma dove sei- ringhiò Emma. -Adesso l’ammazzo e tu puoi rimanere a guardare se vuoi-  
-Allontanati da lei- disse Vivienne, puntando la pistola verso di lei. 
Emma scoppiò a ridere, isterica. -Cosa credi di fare con quel giocattolo? Non mi ammazzerai- 
Tornò a voltarsi verso Emily e le sputò addosso.  
-Allontanati da lei o ti uccido-  
Vivienne non riusciva a credere di aver davvero detto quelle parole, ma, dopo averle pronunciate, sentì di essere seria.  
Emma ghignò. -Ah, quanta audacia. Avevo detto a Jennifer di spararti subito in testa, ma voleva ancora giocare con te-  
Vivienne deglutì. Si rese conto, d’un tratto, di avere i piedi umidi. Non voleva distogliere lo sguardo di Emma Ryan e immaginò che fossero sporchi del sangue di Jennifer e le lacrime le riempirono gli occhi appannandole la vista. Si asciugò velocemente il viso con il polso e poi tornò a impugnare la pistola con entrambe le mani, iniziando a tremare. Stava perdendo il controllo, l’effetto dell’adrenalina scatenata dallo scontro con Jennifer stava svanendo e il fischio nelle orecchie aumentava secondo dopo secondo.  
Emily tossì rumorosamente, sputando del sangue.  
-Le do il colpo di grazia e poi mi occupo di te- soffiò Emma, sorridendo crudele.  
Vivienne fece un passo verso di lei. -Ti prego, vai via e lasciaci stare- supplicò, lanciando occhiate a Emily, che le sembrava messa proprio male.  
-Potrei lasciare in vita te, ma Emily Lennox deve morire. E la devo uccidere io-  
Vivienne iniziò a piangere. -No, ti prego, non devi ucciderla per forza!- 
Emma fece un balzo verso di lei e le diede un forte schiaffo in faccia. -Smettila di piangere, stupida idiota! LEI MERITA DI MORIRE!-  
Era talmente vicina a Vivienne da avere la pistola appoggiata contro il suo petto, il mirino puntato sul cuore.  
La ragazza avrebbe tanto voluto premere il grilletto, ma non riuscì a muovere il dito. Il cervello le gridava disperatamente di non spararle, di non ucciderla, ma nel profondo avrebbe voluto farlo.  
Scosse la testa con forza e si allontanò da lei, indietreggiando.  
-Vattene via- disse, continuando a tremare. 
Emma tornò vicino a Emily e si inginocchiò al suo fianco.  
-No! No! Lasciala stare ti prego!- urlò ancora Vivienne, ormai disperata.  
Si trovava a pochi metri da loro e aveva la testa annebbiata dal panico, sapeva che Emma stava per uccidere Emily e doveva fermarla.  
Inaspettatamente, le tornarono in mente le parole di Chris, di quel pomeriggio trascorso al poligono di tiro. Devi stare dritta con la schiena, le braccia tese davanti a te … devi distendere i gomiti … quello davanti a te è il bersaglio e dovrai cercare di colpirlo(1). 
Sapeva cosa fare.  
Vide Emma alzare il coltello sopra la testa, pronta a sferrare l’ultima pugnalata a Emily e capì che non avrebbe potuto aspettare oltre. Chiuse gli occhi e sperò disperatamente che la pistola fosse carica.  
Premette il grilletto e un forte boato rimbombò nella stanza. 
Sentì un tonfo sordo, seguito da un urlo di dolore, e poi il silenzio. Iniziò a singhiozzare, senza nemmeno aprire gli occhi e capire cosa fosse successo, cosa avesse fatto. Cadde sulle ginocchia e posò la pistola per terra. Rimase quindi immobile per qualche istante, incapace di realizzare cosa stesse succedendo. Poi, sempre piangendo, si alzò in piedi e raggiunse Emily.  
Le toccò il collo e capì che era ancora viva. 
-Emily ti prego svegliati- disse, scuotendo il corpo della giovane donna.  
Emma Ryan emise un rantolo e Vivienne sussultò. Non era morta. Si accorse di averla colpita su un fianco, da cui stava perdendo parecchio sangue.  
Riprese a scuotere Emily. -Ti prego Emily dobbiamo andare via- fece, tra un singhiozzo e l’altro.  
La afferrò per le spalle e cercò di trascinarla lontana dalla Ryan, ma il suo corpo era pesante e riuscì a spostarla di pochissimo. 
Si guardò intorno, disperata, cercando qualcosa con cui muoverla, ma in quella stanza non c’era nulla, se non polvere e macerie. Pensò che da qualche parte ci dovesse essere una porta, una apertura, anche solo uno spiraglio che le permettesse di uscire da lì.  
Poi la vide.  
Una porta mezza sfondata, apparentemente appoggiata al muro. Non avrebbe lasciato Emily da sola con quella pazza furiosa ancora in vita per nessuna ragione al mondo, così provò di nuovo a trascinarla. Riuscì a muoverla un po’ di più ma ancora non abbastanza per portarla via da li. Deglutì e cercò di smettere di piangere. Si alzò in piedi e recuperò il coltello di Emma e la pistola, che puntò verso la donna. Si avvicinò alla porta e provò ad aprirla: dopo qualche tentativo, con molta fatica, la spostò di circa mezzo metro e vide che si apriva su un’altra stanza buia. Iniziò a urlare a squarciagola, chiedendo aiuto, senza allontanare lo sguardo da Emily ed Emma. Si ricordò, con orrore, che c’era anche Jennifer nell’altra stanza e che da un momento all’altro sarebbe potuta spuntare dal passaggio e aggredirle.  
Continuò a urlare finché la gola non iniziò a bruciarle e si sentì senza speranze.Nessuno l'avrebbe sentita, nessuno sarebbe arrivata a salvarla
Tornò velocemente da Emily e controllò che fosse ancora viva. Poi, con la pistola ben tesa davanti a sé e il dito fermo sul grilletto, provò a toccare Emma Ryan con un piede, ma la donna non reagì, rimanendo immobile.  
Vivienne prese un respiro profondo e corse verso la porta, incurante del dolore che avvertiva sulle piante dei piedi. Stava pestando chiodi e detriti ma non si sarebbe fermata, doveva uscire da quel posto e trovare aiuto perché Emily non poteva morire, non in quel modo, non per mano di Emma Ryan. Corse lungo un corridoio buio e sporco per qualche minuto con il cuore in gola, attraversando ragnatele e respirando polvere, finché non si imbatté in un’altra porta sfondata. La spinse con forza e, infine, respirò aria pulita.  
Era libera
 
*to be continued*
 
Note dell’autrice 
(1) Cfr Capitolo 6.
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25 
 
Nel mese di giugno, la tenuta degli Shepard ad Hartford veniva invasa da colori e profumi, dovuti alla fioritura di piante e alberi da frutto. A Vivienne quasi piaceva trascorrere del tempo in giardino, mentre la nonna si dilettava con il giardinaggio e il nonno discuteva di affari seduto nella veranda, che era ricoperta di piante rampicanti e d’estate offriva un po’ di riparo dal caldo afoso.  
Erano trascorsi dieci giorni dall’ultimo incontro con Emma Ryan. Lei e Jennifer Mosby non erano morte, ma finalmente erano state arrestate. Vivienne aveva dato prova di coraggio e sangue freddo nell’affrontare quella situazione così difficile e pericolosa, e aveva ricevuto complimenti e onori dalle più alte cariche di polizia di Boston, compresi i vertici di FBI e Organizzazione.  
La sera del ballo, Emma Ryan e Jennifer Mosby avevano atteso che Vivienne, Chris ed Emily si allontanassero dalla festa e, sfruttando una peculiarità del tragitto che avrebbero percorso, avevano provocato l’incidente ed erano riuscite a rapire Emily e Vivienne. Il piano originale prevedeva che venisse rapita soltanto Emily, ma Jennifer aveva deciso di prendere anche Vivienne, al posto di ucciderla sul luogo dell’incidente. Quella deviazione aveva rovinato l’intero piano e Vivienne era riuscita a salvare Emily, insieme a sé stessa.  
Le due ragazze erano state portate in un casolare ai margini di Hartford, gli uomini addetti alla protezione di Vivienne, oltre all’organizzazione, erano stati rallentati da apparenti guasti alle loro vetture e dal cambio di vettura con cui Emma Ryan e la complice erano fuggite con i due ostaggi.  
Per Vivienne, anche a distanza di qualche giorno, era tutto ancora molto confuso: non ricordava con precisione tutti gli eventi, ricordava di aver risposto all’aggressione di Jennifer e di aver sparato a Emma, ma non ricordava come fosse scappata da quel luogo. Dopo aver varcato la soglia del casolare aveva iniziato a vagare in mezzo al buio, nella campagna, continuando a urlare per chiedere aiuto, singhiozzando.  
Ricordava soltanto con estrema chiarezza il momento in cui era stata trovata, da Chris. Aveva scorto in lontananza i fari di un veicolo e aveva iniziato a sbracciarsi, disperatamente, affinché l’automobile si fermasse. Era sceso proprio Chris, che l’aveva subito avvolta in una coperta e caricata in macchina, dove alla guida c’era Evans. Seguendo le indicazioni confuse della ragazza, i due agenti, supportati da altri operativi dell’Organizzazione, dell’FBI e del servizio di sicurezza privata della famiglia Shepard, era giunti al casolare e avevano arrestato Emma Ryan e Jennifer Mosby, entrambe ancora in vita. Mentre le ferite della Mosby erano superficiali e di lieve entità - il pugno di Vivienne le aveva rotto il naso e fatto perdere i sensi, ma non aveva causato particolari danni-, le ferite di Emma Ryan si erano rivelate abbastanza gravi: il colpo di pistola le aveva provocato una grave perdita di sangue, ma, incredibilmente, nessun organo vitale era stato colpito. Erano riusciti a evitare che morisse per dissanguamento, grazie a un tempestivo trasferimento in ospedale. Per la donna si prospettava una vita dietro alle sbarre in un qualche carcere di massima sicurezza.  
Anche Emily Lennox riuscì a sopravvivere. Emma Ryan le aveva rotto svariate costole, perforandole un polmone, e le aveva inflitto numerosi tagli sul volto. Secondo i medici, le cicatrici di quell’aggressione non sarebbero mai scomparse del tutto. Emily aveva abrasioni, lividi e tagli anche sul resto del corpo, specialmente sulle braccia. Emma Ryan le aveva anche spezzato una gamba, presumibilmente con un forte pestone, ma i ricordi di Emily a proposito erano confusi. L’unica cosa che ricordava era la voce di Vivienne, che cercava di alzarla per scappare da quella stanza. 
Sia Emily che Vivienne erano state ricoverate all’MGH e avevano potuto condividere la stanza. Chris non le aveva lasciate neanche un momento.  
In ospedale avevano ricevuto numerose visite, alcune molto piacevoli, altre meno. Vivienne aveva assistito all’incontro tra Jake ed Emily, in cui i due si erano salutati e lasciati definitivamente. Jake sarebbe partito il giorno stesso per New York, per riprendere la ricerca di Casey. Era intenzionato a trovarla e, se possibile, riconoscerla e adottarla. Sperava di portare un po’ di normalità nella vita della bambina, e anche nella sua.  
Una notte, inoltre, aveva fatto la sua comparsa Oliver James. Intuendo che lui ed Emma avessero bisogno di un po’ di privacy, Vivienne era sgattaiolata fuori dalla stanza insieme a Chris. Mentre Oliver insisteva con una ormai rilassata e divertita, anche se sofferente, Emily circa la possibilità di fuggire insieme, Chris aveva coccolato un po’ Vivienne, che cercava di godersi al massimo quei momenti, consapevole che da lì a poco sarebbe dovuta uscire dalla sua vita.  
Vivienne venne dimessa dall’ospedale qualche giorno prima di Emily e dovette tornare al Manor. Lì, in quella che ormai era tornata ad essere casa sua, veniva coperta di attenzioni e gentilezze da tutti i suoi parenti. I nonni erano estremamente orgogliosi di avere una nipote come lei, che riusciva a cavarsela anche in situazioni estreme: per Richard non fu altro che la conferma che Vivienne fosse davvero la persona giusta a cui affidare, un giorno, le redini dell’azienda e della famiglia.  
Lei era contenta di essere sopravvissuta in quel modo, ma, allo stesso tempo, cercava di non pensare alla facilità con cui aveva sparato a Emma Ryan. Certo, era stata più che giustificata, ma nel profondo sapeva che in realtà avrebbe voluto spararle lo stesso, a prescindere. E un po’ le dispiaceva che non fosse morta, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. 
Quando anche Emily venne dimessa, lei e Chris andarono al Manor, per salutare Vivienne.  
La ragazza era nel roseto a leggere un libro e si godeva i raggi del caldo sole estivo. Chris spingeva la sedia a rotelle occupata da Emily, che con la gamba fratturata non riusciva a camminare. Raggiunsero Vivienne, che offrì a entrambi del the freddo. 
-Tornate al Quartier Generale?- chiese la ragazza, mascherando con un sorriso la sensazione di malinconia che stava crescendo in lei.  
Emily scosse la testa. -In realtà no. Tra un paio di ore partiamo per il Venezuela, c’è un colpo di stato in corso e la CIA ha richiesto il nostro supporto- 
-E vai anche tu?- le chiese sorpresa Vivienne. 
-Si, certo, ma rimarrò fuori dall’azione. Non posso lasciare Rogers da solo, lo sai che senza me fa solo danni- ghignò. 
Chris sorrise, scuotendo la testa. -Si, beh, non c’è stato verso di convincerla a tornare a casa- 
-Sarà molto pericoloso?- chiese ancora Vivienne, preoccupata. 
Lui le accarezzò i capelli. -Ce la caveremo, non ti preoccupare-  
Lei sospirò. 
-Ragazzi,- fece Emily, -normalmente mi allontanerei da voi, ma date le circostanze... perché non andate voi a parlare un po’ più in là?- 
Vivienne sorrise, mentre Chris le prendeva la mano. Si allontanarono di qualche metro da Emily, camminando fra i cespugli di rose.  
-Quindi non ci vedremo più?- fece lei, appoggiando una mano sul suo petto, in piedi di fronte a lui.  
-Non hai idea di come mi senta in questo momento...- mormorò Chris, prima di abbracciarla.  
Gli occhi di Vivienne si inumidirono. -Non c’è nulla che io possa fare per farti... non so, cambiare idea...?- 
Lui sospirò. -Ho un compito. Io … vorrei poter rimanere, ma devo andare, lo capisci?- 
Vivienne annuì lentamente con la testa, prima di allontanarsi da Chris e tornare da Emily.  
La donna non le chiese nulla, riusciva perfettamente a capire quanto fosse doloroso quell’addio.  
-Senti, partiamo dal Logan tra due ore, ok?- disse Emily, cercando di non farsi sentire da Chris, che non le aveva ancora raggiunte. -Il volo è diretto a Huston e partirà dal Terminal 3. Hai capito?- 
Vivienne la guardò confusa. -Ok, ti ringrazio...?- 
-Terminal 3, volo per Huston alle 16.45. Voliamo con American Airlines-  
-Emily, ti ringrazio, ma perché mi stai dicendo queste cose? Ti auguro buon viaggio, American Airlines non è come viaggiare in prima classe o con il jet privato dei nonni, lo capisco, ma va bene. Oppure me lo stai dicendo perché vorresti il jet dei nonni? Lo posso far preparare in quindici minuti e...- 
Emily la interruppe, coprendole la bocca con una mano. -No, grazie, ragazzina. Vorrei che tu... ahh, non importa- 
Chris le aveva raggiunte e le guardava con aria interrogativa. 
-Cosa le stavi dicendo?-  
-Rogers, sono cose tra ragazze- 
-Oh, si, agente Rogers,- ghignò Vivienne, -ancora che ficchi il naso nei nostri discorsi?-  
Si guardarono tutti e tre ridendo.  
Vivienne poi abbracciò entrambi, prima che si allontanassero da lei.  
Rientrò sconsolata nell’edificio principale e raggiunse Bentley e Daniel, che stavano guardando la tv in uno dei salotti.  
-Ehi Bond, come stai?- la salutò suo fratello, facendole posto vicino a sé. 
Lei si sedette sconsolata. -Ho appena salutato Chris ed Emily, stanno andando in Venezuela. Mi sento da schifo- 
-Cosa vanno a fare?- chiese Daniel con poco interesse, mentre sgranocchiava dei pop-corn. 
-A salvare un governo… o a rovesciarlo, non ho capito in realtà- rispose lei, con una smorfia.  
Bentley alzò le spalle. -Si, beh, figo. Me li immagino a dar la caccia ai ribelli-  
-Cavolo, potrebbero morire?-  
Vivienne guardò suo cugino, stralunata. -No... Cioè, oddio, si!-  
-Ma va!- esclamò Bentley con tono ovvio, cambiando canale. -Figurati, sono addestrati, cosa credi? Certo, potrebbero anche finire sotto fuoco amico, in guerra non si sa mai, ma immagino che ci siano poche possibilità che questo accada-  
Vivienne rabbrividì, un po’ smarrita. -Io ho fatto l’offesa poco fa e voi mi state dicendo che lui potrebbe morire-  
Bentley le cinse le spalle con un braccio. -Ma va sorellina, stai serena. Certo, saresti potuta essere un po’ più simpatica e comprensiva con lui- 
-Si, Viv, sta andando a salvare il mondo, potevi essere un po’ più affettuosa- rimarcò Daniel. 
Lei si alzò in piedi. -Cazzo, dobbiamo andare in un posto- 
 
 ~ 
 
-Ems, dobbiamo andare-  
Chris ed Emily si trovavano al Boston Logan International Airport, nell’area dei gates, in attesa di imbarcarsi sull’aereo.  
In realtà, le operazioni per imbarcare i passeggeri erano già iniziate e oltre a loro due rimanevano poche persone.  
-Senti, che fretta hai? Il gate chiude da un quarto d’ora, c’è tempo- 
-Si, ma perché dobbiamo aspettare? Saliamo adesso-  
-No- sbuffò Emily, senza aggiungere altro. 
Chris la guardò stizzito. -Ma si può sapere cosa stai aspettando? Se il mio posto è già stato occupato da qualcuno che puzza di sudore e ha lasciato dei residui, mi siederò al tuo posto, te lo dico subito- 
Emily lo guardò perplessa, con una smorfia. -Qualcuno che puzza di sudore? Rogers, ma che problemi hai?- 
Lui sbuffò. -Bene, io vado, tu fatti accompagnare da qualche hostess- 
-No, aspetta!- esclamò Emily, prima di controllare l’orologio. Ormai mancavano pochi minuti alla chiusura del gate. -Aspetta ancora un momento!- 
Chris la guardò scocciato. -Ma perché?- 
-Ecco!- 
Lui si voltò nella direzione in cui stava guardando Emily, raggiante.  
Trafelata e con il fiatone, Vivienne stava correndo verso di loro.  
Li raggiunse e prese le mani di Chris.  
-Ma come...?- 
-Ho comprato un biglietto per New York, per passare i controlli. Ti devo parlare-  
-Il volo sta per partire, noi dobbiamo imbarcarci-  
-Lo so, dammi un minuto, poi ti lascio partire. Prima non ti ho detto quello che pensavo davvero, non ti ho salutato come avrei voluto- 
Lui sorrise. -Non ti preoccupare-  
Lei si alzò sulle punte, le mani ben salde sulle sue spalle. -Chris, volevo augurarti buon viaggio e buon lavoro, ti prego di fare attenzione. Non sopporterei di perderti. So che non potrai chiamarmi o scrivermi, lo so, e so che probabilmente non ci vedremo più, ma se vorrai, io sarò qui. E se tornerai tra un mese o sei mesi o cinque anni, mi troverai ancora qui. Sarò sempre la tua ragazza- 
Lui le diede un dolce e lungo bacio sulle labbra, mentre lei iniziava a piangere. Chris non avrebbe voluto lasciarla mai.  
-Ti amo, ragazzina, non lo dimenticare- le mormorò, guardandola dritta negli occhi.  
Lei sorrise. -Lo so, Rogers. Ti amo anche io- 
-Oh, anche se ti ho legata alla sedia in quella sala per gli interrogatori?- 
Vivienne scoppiò a ridere e lo strinse forte a sé. -Adesso vai a salvare il mondo- 
Si scambiarono un ultimo bacio e poi Chris ed Emily si imbarcarono.  
Vivienne, in lacrime, tornò da suo fratello e suo cugino, che l’avevano accompagnata e poi aspettata vicino ai controlli di sicurezza. 
Si abbracciarono tutti e tre insieme, prima di tornare a casa. 

*to be continued*

 

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


 EPILOGO   
 
Tre anni dopo 
 
Località segreta, Massachusetts 
 
-È con grande orgoglio che chiamo sul palco gli agenti promossi al V° livello!- 
Tra scroscianti applausi, Will Crew, seguita da Avery Wood e altri colleghi, salì sul palco dell’auditorium del Quartier Generale dell’Organizzazione per ricevere l’attestato che certificava la sua promozione.   
Will strinse la mano del Direttore, prima di guardare Evans, seduto in prima fila, che le sorrideva soddisfatto.  
Lei agitò un pugno in aria, felice, e poi scese dal palco, aspettando che anche Avery ricevesse l’attestato e la raggiungesse.  
-Ce l’abbiamo fatta!- esclamò poi, abbracciandolo. 
-Si, è incredibile! Stasera si va a Charlesdale a festeggiare- 
Will gli sorrise. -Non vedo l’ora- 
 

Bakersfield, California 
 
Dlin Dlon  
Il campanello suonò e Jake Marshal, indaffarato in cucina mentre preparava la colazione con uno strofinaccio sporco di farina e sciroppo d’acero posato sulla spalla, si affrettò a raggiungere la porta. 
-Oh, grazie Rebecca, meno male che sei arrivata!- esclamò, mentre una ragazza giovane e con i capelli rossi varcava la soglia.  
-Buongiorno Signor Marshall, le do subito una mano- rispose lei, dirigendosi verso la cucina. 
Jake si appoggiò alla ringhiera delle scale che portavano al secondo piano. -Casey, vieni a fare colazione! È arrivata Rebecca e devi andare a scuola- 
Dopo qualche momento, la bambina, indossando la divisa della scuola e con un piccolo zainetto sulle spalle, iniziò a scendere le scale.  
-Hai fatto i pancakes?- chiese. 
Jake annuì, sorridendo. -Certo. C’è un barattolo enorme di nutella che sta aspettando solo te-  
Quando Casey giunse al fondo delle scale, Jake le prese una mano e, insieme, raggiunsero Rebecca, la giovane babysitter, che ne frattempo aveva apparecchiato la tavola. 
Mentre Casey affondava il cucchiaio nella nutella, Jake sorrise. Non era stato semplice trovare la bambina, dopo l’arresto di Emma Ryan, che aveva spedito la figlia in un collegio privato del Vermont sotto falso nome, ed era stato ancor più difficile, per Jake, riuscire a costruire un rapporto con Casey. Dopo settimane, mesi, era finalmente riuscito a creare un legame con la bambina e, con la conferma del test del dna, a ottenere il suo affido. Era, poi, tornato a vivere in California, a Bakersfield, dove tutto era cominciato, finalmente sereno.  
Mentre la osservava spalmare la nutella sui pancakes, non riusciva a fare a meno di pensare a quanto fosse grato per quella piccola famiglia che era riuscito a costruire, per la presenza di Casey nella sua vita. Sentiva come se, finalmente, avesse trovato il suo posto nel mondo. 
 

 
Long Caye, Belize 
 
Il vecchio e sgangherato telefono fisso del piccolo chiosco sulla spiaggia, quel pomeriggio afoso, iniziò a suonare. Il chiosco era in legno, con il tetto coperto da palme folte e rinsecchite, ed era frequentato da surfisti che, soprattutto in quel periodo dell’anno, si affollavano per domare le migliori onde.  
Emily Lennox, che indossava un costume colorato e un paio di shorts di jeans, si sporse sul bancone per rispondere al telefono.  
-Oliver’s Cabin?- fece, mentre spostava alcuni bicchieri sporchi nel lavello della piccola cucina.  
“Ah-ah non riesco a credere che tu alla fine abbia ceduto... Oliver’s? Ma davvero, Lennox?” 
Lei sorrise. -Rogers, proprio non ce la fai a farti gli affari tuoi, eh?- 
“Oh no, Ems, l’impicciona sei sempre stata tu” 
Emily scoppiò a ridere e si sedette su uno sgabello. -Allora, ti stai cagando sotto?-  
“Si... Mi sembra una cosa così stupida... dopo tutti questi anni” 
Lei inclinò a la testa. Lanciò un’occhiata a Oliver James che stava servendo delle birre ad alcuni clienti seduti sulla spiaggia. -Si, beh, è passato del tempo... Ma certe cose non cambiano mai, te lo assicuro-  
“Lo spero davvero. In ogni caso, tieni una birra al fresco anche per me, qualcosa mi dice che ci vedremo presto” 
-Ti aspettiamo-  
“E per il resto, tutto bene? Tu stai bene?” 
Emily sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo. Gestiva quella piccola attività in un angolo remoto della terra che assomigliava tanto a un pezzetto di paradiso insieme a Oliver James, l’uomo della sua vita. Tutto stava andando per il meglio.  
-Lo sai, Rogers, lo sai- 
 

 
Campus di Harvard, Cambridge, Massachusetts 
 
I laureandi di quell’anno, al termine della cerimonia di consegna del diploma di laurea, lanciarono in aria i loro cappellini neri prima di abbracciarsi e iniziare a festeggiare. Si trovavano all’aperto, nel campus dell’università, attorniati da studenti, amici e familiari. 
Vivienne salutò raggiante i suoi genitori seduti fra il pubblico, agitando una mano.  
Li raggiunse poco dopo, evitando la nonna, Allyson Shepard, che cercava di attirare la sua attenzione mentre parlava con il Rettore della facoltà di legge, di cui Vivienne sarebbe stata alunna nel giro di qualche mese.  
-Congratulazioni!- esclamò sua madre, abbracciandola felice. 
Suo padre le diede un bacio sulla guancia. -Complimenti!- 
-Viv, devi venire con me!- si intromise Bentley, afferrando la sorella per un braccio.  
Vivienne, che sotto la toga nera indossava un elegante vestito rosso corto sopra le ginocchia e senza maniche, abbinato ad alti sandali neri, imprecò un po’. -Guarda che non riesco a correre con queste scarpe!- protestò, cercando di stare dietro la passo del fratello.  
-Dai, non rompere, devo farti vedere una cosa- 
Tra la folla spuntarono Naomi ed Elena. -Congratulazioni!- 
Naomi abbracciò Vivienne, che ricambiò contenta.  
-Grazie ragazze! Stasera dobbiamo festeggiare!- 
-Chiaro, ma,- rispose Naomi, cercando qualcosa nella sua grande borsa nera, -facciamo subito un brindisi!- esclamò, tirando fuori una bottiglia di spumante. 
Vivienne scoppiò a ridere e abbracciò di nuovo l’amica. 
-Scusate ragazze, mia sorella vi raggiunge subito!- fece Bentley, riprendendo a trascinare la ragazza.  
Dopo qualche metro, Vivienne si liberò dalla sua presa. -Senti, mi vuoi dire cos’è questa storia? Anzi, non mi interessa. Ti devo parlare di Grant- 
Bentley sbuffò. -Non mi interessa proprio parlare del tuo damerino, ad essere onesti. Dovresti aver già capito che non siete fatti per... Dai, muoviti- 
Vivienne, senza dire una parola, rimase ferma con le braccia incrociate sul petto. 
Lui la osservò in silenzio per qualche istante, prima di inclinare la testa e guardarla con una strana espressione. -Viv, ne possiamo parlarne dopo?- 
Lei strinse gli occhi. -È una cosa importante-  
-Beh, sai già cosa penso di Grant Robbins, non starò a ripetermi. Ma adesso devi venire con me, un momento. Capirai- 
-Se è una cosa stupida con quel deficiente di Daniel, giuro che mi incazzo-  
Bentley alzò gli occhi al cielo, seccato. -Muoviti e non rompere- 
-Potresti almeno sforzarti di essere interessato a quello che ti devo dire! E poi oggi è la mia giornata!- protestò ancora lei, iniziando a seguirlo nella folla.  
-Si, sorellina, sarò felicissimo di sapere tutto quello che hai da dirmi su quello li, ok, ma adesso muoviti e vieni con me- 
Si allontanarono dal fiume di persone e raggiunsero una parte del campus in cui c’era un piccolo parco di ciliegi in fiore.  
-Ma vuoi dirmi dove stiamo andando? Guarda che è...- iniziò lei, prima di interrompersi, le gambe improvvisamente molli. 
In piedi vicino a uno degli alberi di ciliegio in fiore, c’era lui.
A Vivienne sembrò che il mondo intorno a loro scomparisse. Com’era sempre successo, d’altronde. 
Rimase immobile per qualche istante, gli occhi spalancati e la bocca improvvisamente asciutta. Non riusciva a crederci.  
Di fronte a lei, con in mano un mazzo di fiori e nel completo blu notte che aveva indossato anni prima per una cerimonia nel quartier generale dell’Organizzazione, c’era Chris Rogers. I capelli castani erano pettinati ordinatamente, c’era qualche piccola cicatrice in più sul volto e la barba era leggermente incolta, come sempre.  
-Ciao ragazzina- le disse, sorridendo.  
Lei si avvicinò, incredula e stordita, le gambe sempre molli.  
-Come stai?- chiese ancora Chris, cercando di riempire quel silenzio, un po’ imbarazzante per lui. 
Lei, che al contrario era tutto fuorché imbarazzata, lo abbracciò con uno slancio, le braccia intorno al collo.  
-Agente di III° livello Chris Rogers. Non riesco a crederci- balbettò infine, sorridendo come non mai. 
-Congratulazioni per la tua laurea- disse ancora lui, porgendole i fiori. -Questi sono per te-  
-Sono bellissimi, grazie- rispose lei, tornando improvvisamente con la mente a tre anni prima, quando per la prima e ultima volta, Chris le aveva donato dei fiori. Si sentì emozionata come allora, come se il tempo non fosse passato. Sapeva benissimo che anche lui, come lei, era tornato a quel momento con la mente, non aveva bisogno che lui lo dicesse. 
Vivienne avrebbe voluto fargli un milione di domande ma non riusciva a dire nulla. I suoi occhi lo scrutarono e si portò una mano davanti alla bocca, ancora sorpresa. Era stata investita da una sensazione strana, come se si trovasse in un sogno e lui potesse scomparire da un momento all’altro. Sentiva l’impellenza di assicurarsi che lui fosse lì per davvero.  
-Chris, che cosa ci fai qui?-  
In quei tre anni erano successe tante cose. Vivienne era cresciuta e aveva assunto sempre maggiori responsabilità all’interno dell’impresa familiare. Per mesi aveva faticato a riprendere in mano la sua vita, dopo che Emma Ryan e l’Organizzazione erano piombati nella sua vita e l’avevano sconvolta, e soprattutto non aveva mai accettato del tutto che con Chris fosse finita, ma si era imposta di andare avanti. Aveva avuto altre relazioni e aveva provato ad innamorarsi di altri uomini, fino a capire di non averne davvero bisogno. Aveva sempre saputo che non ci sarebbe mai stato paragone con i sentimenti che aveva provato per Chris, con quei sentimenti che provava ancora e che tanto aveva faticato tanto per imboscare. Non avrebbe permesso che un solo incontro con lui li facesse affiorare ancora. Non voleva rimettere di nuovo insieme tutti i pezzi, perché sapeva che, aperto il suo cuore, richiuderlo sarebbe stato doloroso ed esasperante.  
Chris la guardò sorridendo, senza celare un pizzico di malinconia. -In tutti questi anni non ho smesso di pensare a te, e a noi. Ho girato mezzo mondo e ho visto e fatto cose che... Eppure continuavi a tornare tu. Ho saputo da tuo fratello che ti saresti laureata oggi, e ho pensato fosse l’occasione giusta- 
-Perché?-  
Lui respirò a fondo, prima di rispondere. -Non sono più Agente di III° livello- 
Lei lo guardò confusa. -Sei stato promosso? Sei diventato il Direttore?- 
Chris ridacchiò. -Ma no. Non hai capito?- 
Vivienne lo guardò contrariata per qualche momento, senza capire dove volesse arrivare. Stava per ribattere qualcosa di poco carino, quando si accorse dell’evidenza. Sentì il cuore accelerare e lo stomaco contorcersi. -Non sei più un agente dell’Organizzazione?- 
Lui sorrise e annuì. -Da qualche settimana sono diventato un agente speciale dell’FBI- 
Vivienne capì il significato di quelle parole dopo qualche istante. Realizzò che lui era finalmente libero.  
-Vuoi dire... Mi stai dicendo che...-. Iniziò a farsi aria con le mani, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Stava succedendo. Quello che aveva sperato e sognato per anni, stava accadendo proprio in quel momento.  
-Sono venuto oggi perché speravo di vederti e di chiederti di uscire con me, sai, per un caffè o per una cena, cose che fanno le persone normali, insomma. Ma temo di essere in ritardo-  
Lei scosse la testa. -Sei molto in ritardo-  
Il sorriso di Chris si spense. -Mi dispiace così tanto, ma dovevo provarci- disse, infine. 
-Agente Speciale Rogers, ti stai già arrendendo?- rispose Vivienne, con un ghigno. Le sembrava che quegli anni non fossero trascorsi, si sentiva esattamente come allora.  
-Io credevo che … Perché ci ho provato, ti giuro, ho provato con tutto me stesso ad andare avanti, a metterti via, ma non ci riesco e non voglio. Ho sperato fino all’ultimo che mi avessi aspett...- 
Vivienne non gli diede tempo di finire la frase perché gli diede un bacio sulle labbra. Lui la strinse e la baciò con passione, finché lei non fece un passo indietro.  
-Sei... sei sicura? È passato tanto tempo e vorrei fare la cosa più giusta per te-  
-Ah, già, tu e la cosa giusta da fare... Senti, c'è un’unica persona che ho sempre voluto al mio fianco e che, fino a ieri, era da qualche parte a salvare il mondo. Chris... Se sei tornato per restare, vorrei proprio prendere quel caffè insieme a te. Una volta soltanto sono stata più sicura di così- rispose lei, sperando che lui ricordasse la loro prima volta e le parole che si erano detti in quell’occasione.  
Lui sorrise e Vivienne capì che si ricordava di quel momento. -Non voglio che rinunci a... Magari cambi idea e non vorrei...- 
Lei gli diede un altro bacio e lo zittì. -Non hai idea di quanto abbia sperato di rivederti in questi anni e adesso sei qui, e col cavolo che ti lascio andare un’altra volta!- esclamò, ridendo. -Voglio stare con te, Chris Rogers, da tipo... sempre- 
Chris la strinse a sé e la sollevò un po’ da terra. -La tua famiglia sarà furiosa- ridacchiò mentre lei gli baciava il collo.  
-Se ne faranno tutti una ragione e ormai... Ormai non c’è più nulla che possano fare- 
Lui la guardò sorpreso. -In che senso?- 
-Beh, non sei l’unico che ha qualche novità. Sono stata ufficialmente nominata come erede principale e ho cominciato a lavorare con il Consiglio di Amministrazione. Presto sarò il CEO della Shep Corp e... sai cosa? Non c'è nulla che possano fare ormai, se non accettare questa cosa. Se andrà avanti, certo- rispose lei, sorridendo.  
Lui le accarezzò i capelli, guardandola dritto negli occhi. -Non ho mai smesso di amarti- 
-E io non ho mai smesso di essere la tua ragazza- 
 

*Fine*

 
Eccoci giunti al termine di questa storia. Volevo, innanzitutto, ringraziare tutti i lettori silenziosi che hanno seguito le avventure di Vivienne e tutte le persone che hanno inserito la storia fra le preferite, le seguite e le ricordate.  
Ho creato questi personaggi anni fa e la bozza di questa storia è rimasta prima stesa su carta e poi archiviata nel mio pc per molto, troppo tempo, finché non ho trovato il coraggio di condividere tutto questo con altri, con voi.  
Da grande amante del lieto fine, non potevo che dare a tutti i miei personaggi una conclusione serena e positiva, mi piace pensare di aver trattato tutti loro nel modo migliore con questo finale, anche chi ha sofferto maggiormente nel corso della storia (e si, mi riferisco proprio al povero Jake Marshall che forse tra tutti i personaggi è stato il più bistrattato). La piccola parentesi dedicata a Will e Avery è quella che mi convince meno e che fino all’ultimo non sapevo se inserire. Infatti, originariamente la storia di Vivienne nasce come spin-off di una long dedicata a Will e ambientata proprio dopo la promozione ad agente di V livello, long che ho scritto un miliardo di anni fa e che non ha mai visto la luce su questo sito. Quando ho capito che non avrei mai pubblicato la sua storia, ho comunque deciso di darle un ultimo spazio in questa storia, come giusto riconoscimento al personaggio che, in fin dei conti, ha dato origine a tutto il resto. 
Spero con tutto il cuore che la vicenda vi abbia appassionato e che Vivienne vi sia piaciuta, mi piace pensare che le sue avventure possano aver strappato un sorriso a qualcuno. 
Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni e impressioni, vi sarei molto grata se impegnaste qualche minuto per scrivere un commento, anche critico. Sarebbe molto importante per me :)  
 
Detto questo, vi anticipo che ciò che è accaduto a Vivienne nei tre anni che trascorrono fra il capitolo 25 e l’epilogo è già stato scritto: negli anni ho stilato tre mini-long che ho intenzione di pubblicare a breve.  
Ho anche iniziato a imbastire un secondo capitolo, che però al momento è in forma estremamente embrionale e in fase di sviluppo. Chissà che un giorno non riesca a pubblicare anche questo... 
 
Al momento non mi sento di aggiungere altro, vorrei solo rinnovare i ringraziamenti nei confronti di tutti voi. Quindi... GRAZIE! 
 
Con affetto, 
 
Fra :) 

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