Elettra

di killerqueen95
(/viewuser.php?uid=921934)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
Era ora e io ero maledettamente in ritardo, ma quel tipo di ritardo quasi irreparabile, questo perché la notte prima avevo passato ore, e ripeto ore, ha guardare American’s next Drag Queen con il mio coinquilino Matthew. Ci eravamo piazzati entrambi sul nostro divano nuovo, per modo di dire, con un recipiente pieno di popcorn e una damigiana di vodka. Dovevamo guardarne solo un episodio, ma cazzo, era così fantastico che ne vedemmo dieci tutti di fila.
Risultato? Be, in realtà ci sono stati molti risultati. Il primo, la mattina dopo ero molto in ritardo e avevo un impegno davvero molto importante. Secondo, la testa mi esplodeva e l’unica cosa che avrei voluto fare sarebbe stato tornare a dormire per tutto il giorno nel mio letto caldo. Terzo, avevo gli occhi pesti e rossi, sembravo sul serio una tossica. Quarto, dopo il decimo episodio eravamo così sbronzi che ci mettemmo a twercare in balcone come due puttane sul ciglio della strada che, per favore, Rihanna spostati proprio. Quinto, avevamo rotto un vaso, il vaso che la madre di Matthew aveva dato in eredità al suo splendido figlio, era della nonna defunta.
La mattina, quando la sveglia aveva suonato, l’avevo abilmente pestata sul comodino con forza, maledicendola in italiano e poi in greco. Perché questa moltitudine di lingue? È molto semplice sono italo greca, sono cresciuta in Italia, ma ora abito a Londra. Può sembrare un enorme groviglio, ma in realtà la situazione non è poi così incasinata, studiavo in un’università di Londra lingue e giornalismo.
Quindi eccomi qui: Elettra, Perla, Cassandra Leone. Lunghetto vero? Grazie al cielo ci è dato di poter usare un solo nome e non tre, dunque mi chiamano tutti Elettra, o El oppure Ele, ma io preferisco di gran lunga il mio nome per intero. Elettra.
I miei sono sempre stati degli appassionati della mitologia greca, forse è per questo che noi figli abbiamo tutti nomi legati alla mitologia. In famiglia siamo sette: io, i miei genitori, mio fratello maggiore Ade, mia sorella maggiore Calliope e i miei due fratelli maggiori gemelli Ares e Tristano. Non starò qui ad elencarvi i secondi e terzi nomi dei miei fratelli perché altrimenti buonanotte a tutti, ma questo è per rendervi l’idea della follia che albergava nella mia famiglia.
Io sono la più giovane, avevo 22 anni ed ero una testa matta che ancora cercava il suo posto nel mondo.  Ade ne aveva 30, Calliope 27 e i gemelli 25 anche se Ares ci tiene sempre a precisare che lui è cinque minuti più grande di Tristano. Più grande eh, non più vecchio.
Ma torniamo pure a me, dopo aver inveito contro la sveglia in due lingue diverse, mi alzai piano con la testa che pulsava da morire e con una grande voglia di prendermi a calci per la mia stupidità. Avevo ancora addosso il boa piumato che mi aveva messo al collo Matt, la bocca impastata e lo gola secca di chi si è preso una sbornia coi fiocchi, il trucco della sera prima mi si era incrostato intorno agli occhi e puzzavo dannatamente di vodka. Il mondo intorno a me girava da morire, come ero potuta essere così stupida da sbronzarmi in quella maniera? Mentre pensieri del genere mi affollavano la mente mi ributtai contro il cuscino per poi riaddormentarmi come un sasso.
Il secondo risveglio fu allo stesso modo traumatico, nessuna sveglia, ma solo la suoneria del mio cellulare. Qualcuno mi stava chiamando, questo l’avevo capito, il punto è che non afferravo perché qualcuno mi stesse chiamando di mattina presto. Presi comunque il cellulare e alla cieca riuscì ad aprire la chiamata.
-Pronto?- sbadigliai contro la cornetta, senza nemmeno aprire gli occhi o muovermi dalla posizione in cui ero.
-Ma dove cazzo sei?- io ero nel mio caldo letto, ma qualcosa in me mi diceva che non era quella la risposta che Michelle, la mia collega universitaria, si aspettava in quel momento.
Rimasi qualche istante in silenzio, indecisa su cosa rispondere, perché la domanda che io mi stavo ponendo era “dove cazzo dovrei essere?”. La risposta mi colpì come una valanga che colpisce un sciatore, porca puttana, sicuramente non dovevo trovarmi a letto, non in quel momento.
Mi alzai di scatto, la stanza riprese immediatamente a girare veloce come una trottola. Zeus, aiutami tu , dissi a bassa voce sperando che Michelle non mi sentisse, ma ahi, quella ragazza aveva un udito eccellente.
-No, non c’è Zeus che ti salverà- sbottò al telefono, urlandomi dritta nell’orecchio destro –Muovi il culo, abbiamo l’intervista tra 45 minuti! Vorrei strozzarti in questi momenti Elettra.- detto questo chiuse la chiamata sbuffando.
E come darle torto,  sarei dovuta essere con lei da almeno un’ora e il tempo per il mio arrivo stava per scadere, dannazione a me.
Doccia?  Non c’era il tempo. Mi lavai in fretta i denti e feci un bidet improvvisato in equilibrio sulla tazza con una bottiglia di plastica. Cazzo, avevo programmato di truccarmi e di farmi figa, invece non c’era tempo nemmeno per respirare. Così mi passai un filo di mascara e velocemente mi diedi un tocco di rossetto rosso e poi volai nuovamente in camera.
Come dovevamo vestirci? All’università ci avevano dato un codice preciso. Ah giusto, pantaloni neri, decolté e camicia bianca. Avevo stirato tutto la sera prima, aprii l’armadio con  un gesto veloce e tirai fuori i miei bei vestiti da lavoro, ma non avevo idea di quello che sarebbe potuto accadere di li a poco.
Matt entrò nella mia stanza, l’aria ancora sfatta dalla sbronza e la sua enorme parrucca bionda sulla testa, in una mano aveva una tazza di caffè.
-Sei in ritardo, vero?- mi chiese, porgendomi il caffè. Era tradizione, dopo una sbronza epocale, Matt, mi portava sempre il caffè a letto. Annuii alla sua domanda e, mentre brandivo la gruccia con i pantaloni manco stessi portando la torcia olimpica, inciampai, si esatto. Inciampai con la tazza di caffè tra le mani. Il liquido scuro finì sopra i miei pantaloni eleganti da lavoro stirati.
Entrambi rimanemmo fermi, sembravamo due statue, manco fosse appena passata Medusa con la sua chioma di serpenti. Non sapevo bene se ridere o piangere mentre tenevo in mano i pantaloni ormai fradici e macchiati.
-Ti prego- cominciò Matt, con un tono supplicante e spaventato –Dimmi che hai dei pantaloni di riserva- finì col dire.
Scossi la testa. No che non li avevo, io non andavo mai in giro elegante, le uniche volte che avevo indossato quei pantaloni era stato per le interviste e capitavano una volta ogni due mesi.
I momenti che seguirono furono di puro panico, non potevo credere di aver fatto un danno del genere e in più si faceva sempre più tardi. Frugammo nel mio armadio, ma nulla, avevo solo jeans strappati, o con toppe, o ricami improponibili che non andavano decisamente bene per un’intervista. Alla fine trovammo una  gonna, la più sobria che possedevo, e questa la dice lunga, era una minigonna che mi arrivava poco più su della metà delle cosce, lucida, ai lati era aperta in due spacchi che arrivavano fin su e che erano tenuti da dei lacci.
Non c’era tempo, dovevo uscire e quella era l’unica soluzione che avevamo trovato. Sembravo una prostituta, ma non potevo fare altrimenti. Uscii di corsa dopo che Matt mi ebbe scoccato un bacio sulla guancia, era fottutamente tardi.
Grazie al cielo avevamo la fermata della metro molto vicino al nostro appartamento, altrimenti non sarei mai arrivata, più o meno, in tempo.
Ma la mie sventure non erano finite, a metà del viaggio in metro mi resi conto che nella furia di vestirmi avevo fatto saltare due bottoni della camicetta, a quel punto ero davvero mezzo nuda e sembravo in tutto e per tutto una squillo.
Michelle cominciò a tempestarmi di messaggi, “dove sei?”, “Ti uccido.”, “Ma stai arrivando?”. Oh Zeus!
Arrivai, per un pelo. Avevo i capelli in condizioni pessime e dire che a suo tempo avevo programmato di farmi uno chignon elegante, l’avevo finita con il lasciarli sciolti senza nemmeno averli pettinati. I piedi mi dolevano da impazzire per la corsa sui tacchi, continuavo a tenermi la camicetta da porno star, quando arrivai da Michelle avevo il fiatone.
La mia amica tirò un sospiro di sollievo, ma quando mi squadrò da capo a piedi mi fulminò con lo sguardo con aria torva e truce.
-Ma come cazzo ti sei vestita?- mi ringhiò contro.
Ridacchiai imbarazzata –Ci sono stati degli incidenti di stile, il caffè è finito sui pantaloni eleganti e la camicetta ha perso due bottoni.- cercai di scusarmi.
-Sembri una battona-mi disse secca lei.
Stavo per rispondere quando ci venne incontro la Signora Pratt, la nostra professoressa di giornalismo, colei che curava i nostri tirocini in cui potevamo fare interviste a persone famose e non famose. La Signora Pratt era una donna alta, con qualche chilo di troppo, indossava sempre abiti floreali sui toni del rosso che l facevano sembrare più grossa, ma era donna veramente magnifica e gentile.
-Ah, signorina Leone, finalmente è arriva … ma cosa si è messa addosso?- domandò sgranando gli occhi, la sua faccia divento simile all’urlo di Munch e io non volevo fare altro se non fuggire.
-Vede, signora Pratt, ho avuto qualche problemino stamattina e mi …- venni interrotta, di nuovo.
Il divo era arrivato, ci fecero accomodare nella stanza in cui si sarebbe svolta l’intervista, improvvisamente mi sentii del tutto fuori luogo abbigliata a quella maniera. Mi ripetei mentalmente che io e Matt avremmo smesso di fare festini in durante la settimana, ma era almeno la milionesima volta che me lo promettevo e puntualmente capitava di nuovo.
E proprio mentre mi rimproveravo mentalmente che lui arrivò, bello si, in realtà pensavo che dal vivo non sarebbe stato così bello, eppure era da togliere il fiato, o da togliersi le mutande e lanciargliele addosso. Okay, forse questa sarebbe stata una cosa molto imbarazzante e poco consona, me ne rendo conto.
Michelle si stampò, immediatamente, uno dei suoi bei sorrisi, gli diede il buongiorno, gli strinse la mano con classe e poi lui si volse verso di me.  E a quel punto cosa potevo fare se non fare un passo verso di lui, sporgermi leggermente e porgergli la mani? Era una cosa semplice, non richiedeva grande impegno, eppure riuscii lo stesso a fare una delle mie figure imbarazzanti, siccome non lo ero già abbastanza per il mio abbigliamento.
Feci un passo avanti, quello si, ma misi male il tacco a spillo delle mie scarpe, persi l’equilibrio in avanti, verso di lui, e gli caddi addosso. Si, proprio addosso, di testa contro il suo stomaco.
Imbarazzante.
Lui fu molto pronto, molto gentile da parte sua, mi afferrò prima che scivolassi lungo tutto il suo corpo per poi cadere, ma la capocciata gliela diedi comunque sulla bocca dello stomaco.
-Che salame- sussurrai a me stessa, mentre lui cercava di tirarmi su e io cercavo di piantare bene i tacchi a terra.
-Come scusi?- mi chiese lui.
Oddio, non solo gli ero caduta addosso, ma adesso pensava anche che gli avessi dato del salame, ero una completa idiota.
-No!- esclamai mettendomi dritta, alzando le mani verso di lui e guardandomi intorno mentre tutti ci fissavano sconvolti e sbigottiti. –Non era per lei il salame, in realtà non è un vero salame, non volevo dargli un salame … cioè, non volevo dargli del salame, insomma il salame era per me- ero un fiume in piena, una vera catastrofe, qualcuno avrebbe dovuto tapparmi la bocca. In ogni caso afferrai la sua mano di scatto e inizia a scuoterla per presentarmi –Sono Elettra Leone. Leone è il mio cognome, sono italiana, in realtà per metà, mio padre è italiano e mia madre è greca, è per questo che mi chiamo Elettra, i miei sono fissati con la mitologia greca. Infatti i miei fratelli e mia sorella hanno tutti nomi mitologici, pensi, mio fratello maggiore si chiama Ade, è un po’ macabra come cosa … - oddio, qualcuno mi fermi, per l’amore del cielo, mi ritrovai a pensare. –Mia sorella Calliope, e poi ho due fratelli, più grandi di me e sono gemelli, Ares e Tristano. Io comunque ho altri due nomi, Perla e Cassandra …. Ma tutto questo non interessa a lei- dissi alla fine. Volevo morire, sul serio, avrei voluto che Michelle prendesse la mia testa e iniziasse a sbatterla contro il muro, forse lei l’avrebbe voluto fare. Tutti mi fissavano, Michelle sembrava volesse uccidermi, la signora Pratt era sconvolta, il divo aveva la bocca mezzo aperta con un’aria stupita ma allo stesso tempo divertita, il suo agente sembrava sul punto di scoppiare a ridere.
-Ci sediamo?- chiesi, indicando la sedia alle spalle del divo.
Tutti sembrarono riscuotersi, l’agente e la signora Pratt uscirono dalla stanza e si misero davanti alla porta a vetro per osservarci. Penso che tutti si stessero chiedendo quali altri danni avrei combinato nel corso dell’intervista.
Io e Michelle ci sedemmo sulle sedie alle nostre spalle, la mia gonna era imbarazzante e vidi il divo, seduto davanti a noi, arrossire leggermente mentre io cercavo di tirarla verso il basso.
-Vuoi che cominci io?- chiesi a bassa voce, rivolta alla mia amica. Michelle solleva un sopracciglio e a denti stretti disse –Non pensi di aver già parlato abbastanza?-.
Ammutolii, aveva perfettamente ragione, non potevo darle torto, dovevo essere apparsa come una squilibrata.
-Bene, signor Hiddleston ..- cominciò gentile Michelle.
Si esatto, Tom Hiddleston. Ancora non riuscivo a capacitarmi di come la nostra docente fosse riuscita ad accalappiarsi un’intervista del genere per il nostro giornale universitario. Insomma tutti sanno quanto sia a modo Tom Hiddleston, non è un attore che se la tira o fa la diva, è sempre molto educato … una persona normalissima con tantissimi soldi. Poi si sa che lui farebbe di tutto per la sua nazione,ma ancora mi sembrava assurdo che fosse riuscita ad ottenere un’intervista così importante.
-Diamoci pure del tu, d’altronde non dovremmo avere così tanta differenza di età. Quanti anni avete?- ci chiese alla fine, con quella sua parlata lenta, armoniosa, delicata e da perfetto britannico.
-Ehm, io sono Michelle e ho 26 anni, sono al mio ultimo anno di specialistica- disse Michelle, sorridente e perfettamente fiera dei suoi risultati.
Io ero un po’ indecisa, avevo il permesso di parlare? Non avevo sproloquiato abbastanza sulla mia vita privata? Aveva davvero il coraggio di chiedermi l’età dopo che l’avevo preso in ostaggio parlandogli di tutta la mia famiglia? Fossi stata in lui, almeno un minimo, avrei temuto di farmi aprir bocca.
-E tu, Elettra?- mi incalzò, con un bel sorriso che, devo ammettere, mi fece girare un po’ la testa per l’emozione.
-Io ho 22 anni, sono al secondo anno di lingue e giornalismo- avrei voluto aggiungere qualcos’altro, ma dovetti mordermi forte le labbra per rimanere zitta, ci mancava soltanto che continuassi a delirare.
-Molto giovane- commentò, perdendo un po’ del sorriso che mi aveva rivolto.
E dopo le presentazioni partimmo con la nostra intervista, Michelle era davvero brava, ma lei ormai aveva anni di esperienza e io ero molto grata di essere stata affiancata ad una come lei, forse lei non era molto felice di essere stata affiancata a me.
Tom Hiddleston, o come ci supplicò di chiamarlo, Tom, era un uomo molto elegante, fine e distinto, ma con un bel senso dell’umorismo. Faceva certi e sorrisi da togliere il fiato e ogni tanto, mentre scrutavo le sue espressioni in maniera attenta, potevo vedere l’ombra del suo Loki che faceva capolino e, ogni volta che accadeva, mi emozionavo da morire.
Io sono una patita della Marvel, i miei fratelli sono cresciuti con  fumetti e mi hanno passato la passione. Quando ancora non ero in grado di leggere, Ares e Tristano mi mettevano tra loro due e lentamente leggevano i fumetti a voce alta per me, aiutandomi a seguire con le figure.
In prima elementare mi ero travestita da Spiderman per Halloween, tutte le bambine sceglievano abiti da principessa o da vampiro, io come al solito ero destinata ad essere la pecora nera. Forse era per quello che non avevo tanti amici.
Quindi, da grande patita della Marvel, non mi potei trattenere dal chiedergli qualcosa sull’uscita ormai vicina di Avengers Infinity War. Michelle gli aveva appena chiesto qualcosa su Kong the skull Island quando mi infilai io.
-Da buona patita della Marvel non posso non chiederti qualcosa riguardo ad Avengers- dissi io, facendo un sorrisino furbo. –Cosa ci dobbiamo aspettare dal grande Loki?- .
Michelle un po’ confusa iniziò a spulciare tra le domande che avevamo preparato una settimana prima, sapevo che non c’era come domanda, ma non ero proprio riuscita a trattenermi.
Tom ridacchiò e si accarezzò la barba rossiccia con la mano destra, mi rivolse un occhiata d’intesa e poi rispose. –Loki sarà coraggioso- ammise, infine.
Rimasi un po’delusa, volevo più dettagli. Erano mesi che aspettavo quel film e non vedevo l’ora di vederlo! Lo guardai leggermente in cagnesco, avrei voluto più informazioni.
Michelle aprì la bocca per continuare l’intervista, ma Tom continuava a tenere gli occhi incollati su di me, forse per via del mio abbigliamento irriverente. –Tu cosa ti aspetti da Loki, o in generale da questo film?- mi chiese.
A quel punto penso di essermi illuminata, insomma non ti capita tutti i giorni che uno dei tuoi idoli ti chieda cosa ti aspetti dal film che sta per lanciare, un brivido di eccitazione mi percorse la schiena e sorrisi.
-Uno spettacolo emozionante, un qualcosa che mi tenga incollata allo schermo per tutta la durata del film, lacrime, risate, malinconia e …- mi interruppi, Michelle mi aveva dato un colpetto al braccio, stavo di nuovo perdendo la lucidità. Sorrisi imbarazzata e mi sistemai la camicetta che stava di nuovo lasciando il petto nudo.
-Dicevamo- si introdusse Michelle, spulciando nel foglio che teneva tra le mani, era nervosa, le cose non stavano andando come lei aveva programmato.
Tom si sporse di qualche millimetro verso di me, potevo quasi vedere le pagliuzze nei suoi occhi limpidi. Il cuore accelerò un po’. –E da Loki, cosa ti aspetti?- un momento, non dovevo essere io quella che faceva le domande.
Presi un bel respiro profondo, Michelle si buttò con la schiena contro la spalliera della sedia, non potevo credere che mi avesse appena fatto una domanda del genere. –Ho paura che possa morire- ammisi, alla fine.
Era vero, io avevo una trinità per i supereroi dei film. Ironman, Thor e Loki, non avrei potuto sopportare la morte di nessuno di loro tre.
Tom sorrise, ma non disse nulla. Cosa diavolo voleva dire quel sorriso? Avrei voluto chiederglielo, ma il tempo stava finendo e Michelle riprese con le domanda che avevamo precedentemente programmato.
Fu un’intervista interessante, non avevamo mai intervistato un attore di quel calibro, fu molto emozionante e gratificante. Quando il tempo giunse al termine Tom ci ringraziò e ci strinse la mano, questa volta riuscii a rimanere dritta sulle mie gambe e a non cadere addosso all’uomo come un salame che utilizza i tacchi per la prima volta nella sua vita.
Prima di andare via gli chiesi una foto, fu molto carino e acconsentì regalandomi l’ennesimo bel sorriso da togliere il fiato.
-Mi scuso ancora per la testata allo stomaco e per averti raccontato la storia della mia vita- dissi, facendo un sorriso imbarazzato e tenendomi stretto al petto il cellulare con la foto appena scattata.
-Non c’è problema, è stato divertente, forse tranne la testata.- rispose lui, ridacchiando e poi se ne andò.
Inutile dire che mi beccai un strigliata da parte della signora Pratt e Michelle, come dar loro torto, ma ero soddisfatta. Era stata una bella esperienza e avevo potuto chiedere qualcosa riguardo al film. Tornai a casa con un bel sorriso stampato sulle labbra e l’animo vispo.
In casa c’era il caos, sembrava fosse esplosa una bomba, sul pavimento c’era ancora il bottiglione finito di vodka e la ciotola dei popcorn. Sdraiato sul divano c’era Matthew, il mio coinquilino, il mio migliore amico, placidamente addormentato con la parrucca bionda a penzoloni. Lo guardai con aria dolce, beato lui che aveva potuto dormire di più.  Mi scalzai le scarpe e mi sdraiai accanto a lui e mi addormentai.
Il terzo risveglio di quella giornata fu traumatico, forse anche peggio dei primi due. Due sveglie iniziarono a suonare all’improvviso, mi svegliai di colpo rischiando un infarto, mettendomi subito a sedere mi resi conto che entrambi i nostri cellulari suonavano.
-Gli Unni ci attaccano?- gridò Matt, mettendosi a sedere di scatto e perdendo completamente la parrucca dalla testa.
Gli diedi un colpetto al braccio ridacchiando di gusto –Datti una calmata, Mulan, sono solo le sveglie. Devi andare a lavoro- dissi.
Matt si passò una mano sul viso e sospirò, sapevo che era devastato e che fosse stato per lui avrebbe continuato a dormire, ma era ora di lavorare almeno per lui. Io quella sera ero libera.
-Cazzo, dobbiamo smetterla di bere la sera prima di lavorare- borbottò –Se penso che adesso devo mettermi a truccarmi, mi viene voglia di piangere- .
-Dai, vai in doccia, vado a comprarti gli spaghetti di soia dal cinese qui sotto- vidi il sorriso del mio amico farsi ampio, mi scoccò un bacio dolce sulla guancia e corse verso il bagno.
Anche quella era una nostra tradizione, quando andare a lavorare diventava difficile uno di noi andava a prendere gli spaghetti di soia dal cinese, era un po’ la nostra cura dalla stanchezza della vita.
Decisi almeno di cambiarmi, non mi andava di scendere al ristorante in quelle condizioni, anche perché non ci bazzicavano persone molto raccomandabili. In camera afferrai un maglione e un paio di jeans a palazzo strappati sul ginocchio, mi guardai per un secondo riflessa allo specchio. Ero così sfatta, gli occhi scuri macchiati intorno dal mascara, le labbra pallide e i capelli neri scompigliati. Afferrai un elastico e mi feci una coda alta, orribile comunque, ma forse meno sciatta. Ma d’altronde di cosa mi preoccupavo, chi mi avrebbe vista in quelle condizioni?
Lanciai un urlo a Matt per avvertirlo che uscivo e poi mi chiusi la porta alle spalle. Una volta fuori dal palazzo fui immediatamente investita dal freddo di Londra, mi strinsi all’interno del mio maglione sformato, attraversai la strada di corsa rischiando di farmi investire più di una volta e poi mi fermai davanti al piccolo ristorante take away.
-Hey, miss mitologia greca!- mi salutò Sang, il giovane che lavorava come cassiere. Okay, lo ammetto, anche a lui avevo raccontato della storia del mio nome, ma almeno lui me l’avevo chiesto. –Il solito? Due porzioni di spaghetti alla soia?- ci conosceva, eravamo un libro aperto per lui.
Annuì. –Aggiungi anche due bicchieri di quella bibita allo zenzero e limone- stavolta fu lui ad annuire prima di scappare dietro  nelle cucine.
Iniziai a dondolarmi piano, da un piede all’altro, faceva un freddo cane, avrei dovuto dire a Matt di mettersi un cappotto prima di uscire. Non mi sarei mai abituata al freddo del cavolo di Londra, si insinuava sotto i vestiti come un serpente viscido.
Dopo qualche minuto era tutto pronto, salutai Sang e me ne andai con una bustina in una mano e il bicchiere con la mia bibita nell’altra. La bevanda scottava da morire, ma era piacevole considerato il freddo glaciale che mi avvolgeva in una morsa orribile.
Avevo completamente la testa per aria, stavo già pregustando gli spaghetti e la comodità del mio divano sgangherato quando un uomo, molto più alto di me, si parò davanti a me all’improvviso. Ancora cerco di capire da dove cavolo sia spuntato fuori, forse grazie ad un trucco di magia, perché un secondo prima lui non era la. Cercai anche di fermarmi in tempo, ma fu del tutto inutile, gli andai addosso e gli versai la bevanda bollente sulla camicia.
Ma lasciamo perdere un secondo la vicenda, io ho una domanda! Chi diavolo è l’idiota che con quel freddo si lascia il cappotto aperto rimanendo in camicia?
Ve lo dico io chi è …
-Elettra!-
Alzai lo sguardo confusa per aver riconosciuto la voce dell’uomo e dannatamente imbarazza sospirai un –Signor Hiddleston … -
 
 
Io mi rendo conto di avere altre due ff in corso, ma una è quasi conclusa e avevo questa idea in mente che non potevo ignorare!
Capitolo breve,giusto una leggera introduzione a quella che sarà la storia. Spero che vi abbia fatto sorridere almeno un po’ e che vi abbia interessato. In tal caso, fatemi sapere cosa ne pensate. _cherryred_

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
-Signor Hiddleston … - potevo essere più imbranata? E con tutta la gente di Londra, dovevo per forza rovesciare la mia bibita bollente proprio sopra di Lui?!
Osservai il danno fatto con la consapevolezza di essere un’idiota. Lui indossava una camicia sui toni del celeste, molto classica, aveva l’aria costosa e dopo il mio passaggio aveva un’enorme macchia marrone a metà del petto.
-Mi dispiace tantissimo!- mi affrettai ad aggiungere, mentre in maniera frenetica iniziai a frugare nelle tasche dei jeans per trovare dei fazzolettini. Ma le mie tasche erano vuote, così mi piegai per vedere se nella busta ci fosse qualche tovagliolo e come lo feci inclinai nuovamente la mia bibita e stavolta gliela versai direttamente sul cavallo dei pantaloni.
IO VOLEVO MORIRE.
-Ti ho bruciato? Mi dispiace davvero moltissimo, sono una frana … Καλοί ουρανοί!!!- esclamai alla fine. Era tipico di me, quando ero nervosa, agitata, o tremendamente imbarazzata parlavo in greco, oppure in italiano.
Quando eravamo bambini, io e i miei fratelli, avevamo imparato il greco, la mamma si era messa davvero di impegno per far in modo che imparassimo la sua lingua. Nella mia adolescenza non ero molto sicura di aver voglia di imparare il greco, ma con l’andare del tempo mi resi conto di quanto fosse bello ed interessante conoscere una lingua in più. L’amore di mia madre per la sua lingua, aveva fatto scattare in me l’amore per le lingue d è stato proprio per quello che presi la decisione di iscrivermi a lingue.
-Che hai detto?- mi chiese sorpreso.
-Scusa, ho parlato in greco, ho detto santo cielo.- mi passai una mano sul viso, ero dannatamente maldestra. –Senti, casa mia è quel palazzo rosso dall’altro lato della strada, se vuoi puoi salire un secondo così ti do qualcosa di asciutto e cerco di smacchiare la camicia- dissi costernata.
Tom mi fece un sorriso gentile –Non ti preoccupare- era così elegante nei modi, mentre io sembravo una bifolca.
-Insisto- dissi io –Cioè, non voglio intendere che voglio rapirla o roba del genere, ma vorrei rimediare a questa giornata nella quale sembra che io l’abbia scelta come vittima della mia goffaggine.- avevo ripreso a dargli del lei, ero così confusa che non sapevo nemmeno cosa diavolo stavo dicendo davvero.
-Davvero, non ti devi preoccupare- cercò di dirmi lui, la sua gentilezza nella voce mi fece sentire ancora più cretina e stupida.
-Dico sul serio- esclamai, forse, con troppa enfasi nella voce –Sono davvero costernata, probabilmente le ho rovinata la camicia e i pantaloni, sono un vero disastro, la prego di permettermi di rimediare almeno un po’ … -
-Elettra- mi chiamò lui, cercando di bloccare il mio flusso di coscienza. Alzai lo sguardo verso di lui, mi sentivo tremendamente bassa davanti a lui –Si …- risposi piano, bloccando il mio sproloquio. –Accetto il tuo invito, ma smettila di darmi del lei, ti prego, mi fai sentire vecchio- lo disse ridacchiando, riuscii ad intravedere di nuovo il sorriso furbo di Loki, mi emozionai tantissimo.
Sorrisi appena mordendomi il labbro, gli feci cenno di seguirmi e quando arrivammo davanti alla porta del mio palazzo mi resi conto di cosa stessi facendo. Avevo appena invitato Tom Hiddleston in casa mia, quanto poteva essere surreale come cosa? Mentre armeggiavo con il mio mazzo di chiavi lui mi sfilò il sacchetto di mano, gesto particolarmente galante. Riuscii ad aprire la porta e tutto mi sembrò improvvisamente inadeguato all’uomo che stavo precedendo, la luce nella scala era rotta da un po’ di tempo e funzionavano solo quelle d’emergenza ad ogni pianerottolo, l’ascensore era parecchio vecchio e ogni tanto mi era capitato che si bloccasse a metà della tratta. Quando vidi le portine scorrevoli chiudersi pregai affinché non si bloccasse proprio quel giorno. Poi mi ricordai del caos nell’appartamento, pensai al reggiseno sul lampadario che c’era da un mese e che non avevo ancora avuto voglia di riprendere, pensai all’odore di vodka, ai vestiti sparsi per tutta la casa e scarpe disseminate sul pavimento.
Come diavolo mi era venuto in mente di invitarlo a casa? Dovevo essermi bevuta il cervello la sera prima, altro che vodka.
Una volta davanti alla porta di casa mia infilai la chiave nella toppa, ma mi fermai un attimo e mi girai nella sua direzione –Non spaventarti per il caos, casa mia non è proprio ordinata- feci un sorriso.
-Non ti preoccupare- rispose lui.
Girai la chiave, presi un bel respiro e spalancai la porta. Sapete quale è la cosa peggiore dell’invitare qualcuno a casa propria mentre questa è un casino apocalittico? Beh, dimenticarsi che si ha un coinquilino eccentrico.
Esatto, mi ero dimenticata di Matt, totalmente scordata. Così feci accomodare  Tom nella tana del caos, l’odore di vodka mi investì immediatamente. Zeus, che imbarazzo. Vidi l’attore mezzo inciampare sulle decolté che avevo quella mattina, scossi la testa per mascherare l’imbarazzo.
-Prego, entra pure, questo è il salotto- esclamai indicandogli il salotto. In realtà il salotto non era in condizioni davvero così pessime, tranne il reggiseno sul lampadario, il divano era sgombro e il tavolino davanti aveva solo pacchetti di sigarette mezzo finiti e la bottiglia vuota di vodka. Il mobile in cui si trovava la televisione era uno di quei classici con le vetrine, ma non avevamo bicchieri o piatti da esporre, infatti c’erano libri, fumetti, dvd e dei falli finti colorati. Non appena lanciai un’occhiata ai falli di Matt sbiancai, non poteva essere vero che quell’idiota li avesse messi nella vetrina.
-Ehm- iniziai, sperando che lui non li avesse notati –Vado a prendere lo smacchiatore e il phon, torno subito-
Volai letteralmente in bagno dove sapevo di trovare tutto, continuavo a rimuginare sul caos, la luce della scala rotta, i falli colorati in vetrina quando sentii chiaramente il mio coinquilino chiamarmi.
Oh no.
Afferrai lo smacchiatore e il phon, come un’aquila mi precipitai nel salotto, ma troppo tardi. Ormai Matt si era già trasformato in Pearl. Ormai avrete capito, il mio coinquilino è una Drag Queen. E Pearl era li, con la sua enorme parrucca bionda, il suo rossetto rosso, gli occhi perfettamente truccati, il corsetto perfettamente allacciato e dei mini pantaloncini lucidi neri.
Trovai Tom a bocca aperta e gli occhi sgranati, Pearl aveva la bocca mezzo aperta e puntava con l’indice l’attore. In tutto questo io volevo buttarmi giù dal balcone del salone.
Mi spiaccicai una mano sul e scossi il capo, incapace ci articolare qualcosa di sensato afferrai l’indice di Pearl e lo tirai giù.
-Tom Hiddleston è in casa nostra?- borbottò piano Pearl, senza staccargli gli occhi di dosso.
-Okay!- esclamai io, a voce alta in modo da ripristinare la situazione –Pearl, lì c’è la tua cena, devi sbrigarti perché è tardi-  lanciai una lunga occhiata al mio coinquilino, sapevo che il suo cervello stava lavorando a mille, ma era davvero tardi per lui.
-Fanculo- biascicò Pearl, guardando con la coda dell’occhio il nostro orologio alla parete  -Poi mi racconti-
Pearl afferrò il cappotto da sopra una sedia al lato del divano, mi scoccò un bacio a fior di pelle sulla guancia e sparì fuori dal nostro appartamento. Seguirono dei momenti di silenzio molto imbarazzanti, Tom era ancora perplesso e io avevo ancora in mano phon e smacchiatore.
-Il tuo coinquilino è una Drag Queen?- mi chiese, un po’ perplesso in realtà. Probabilmente non si aspettava di vedere una Drag in casa mia, ma obbiettivamente Matt era il fattore meno particolare della mia vita.
-Eh già- ammisi io, abbozzando un sorriso che lui ricambiò. –Penserai che questa è una casa di matti- aggiunsi.
Lui si affrettò a scuotere la testa e a negare agitando una mano –Ma no, assolutamente- ribatté con enfasi. Non so se in quel momento dicesse verità, o se semplicemente non volesse offendermi, ma fu abbastanza convincente.
-Posso dirti, con assoluta sincerità, che invece faresti bene a pensarlo.
Afferrai dal divano una felpa di Matt nella speranza che fosse una di quelle abbastanza sobrie, la porsi all’uomo.
Uomo.
Mi faceva strano pensare di avere un uomo in casa, quando si parla di uomini si intende sempre persone di sesso maschile adulte, penso che in casa mia fino a quel momento fosse entrato un solo uomo ed era mio padre, tutti gli altri erano ragazzi.
-Grazie- disse lui, con il suo accento perfetto e la sua eleganza.
Tom Hiddleston iniziò a sbottonarsi la camicia guardandomi un pochino, non so quali fossero le sue intenzioni, ma io avvampai immediatamente non appena vidi una piccola porzione di pelle del suo petto. Come una matta mi voltai di scatto dandogli le spalle e iniziai a dondolarmi sulle punte.
-Non sono un tipo vergognoso- mi disse lui, nel suo tono c’era una buona dose di divertimento. Me lo immaginai sorridere, senza la camicia, diventai ancora più rossa come una ragazzina alle scuole medie.
-Non vorrei sembrare una maniaca- dissi quasi in un sussurro, sussurro che pensavo avrei sentito solo io.
-In realtà potrei sembrare io il maniaco- rispose lui –A casa di una ragazzina, senza maglietta … -
La cosa mi infastidii abbastanza, che intendeva dire con ragazzina? Io avevo 22 anni, non ero una bambina, vivevo da sola da diverso tempo, avevo un lavoro e tiravo avanti da sola senza lagnarmi. 
-Non sono una ragazzina- sbottai, con la giusta dose di fastidio nella voce che penso colse immediatamente.
Sentii il tessuto della sua camicia in una mano, mi stava passando il suo capo, lo afferrai e lo posai immediatamente sul tavolo brandendo con l’altra mano lo smacchiatore. Ci furono secondi di silenzio in cui pensai che la conversazione fosse finita li, ma in pochi attimi lo ritrovai al mio fianco. Bello da star male con quella barba rossa, gli occhi limpidi e gli occhiali; la felpa di Matt non gli stava male, era dei Nirvana, gli dava un’aria meno irraggiungibile.
-Hai 22 anni, io ne ho 37, ti vedo come una bambina- lo disse in maniera molto calma, quasi con dolcezza.
Spruzzai lo smacchiatore  sulla camicia, afferrai la spugnetta e inizia a sfregare. –Ne devo compiere 23, esattamente il giorno dell’uscita di Avengers- lo dissi scocciata, un po’ velenosa.
L’attore ridacchiò -23 anni… - lo disse con un tono di scherno che non mi piacque affatto. Sollevai gli occhi dalla sua camicia abbastanza inviperita, non aveva minimamente idea di quanto fossi dovuta crescere in fretta.
Quando compii 9 anni mia madre scoprì di avere il cancro, la mamma era sempre stata una grande lavoratrice ed era una forza della natura. Cinque figli vogliono tirati su, ma lei ci riusciva senza problema, nonostante una di questi cinque fossi io ed ero una bambina come dire … vivace, scapestrata, iperattiva e tante altre cose. Dalla scoperta della malattia, mamma, non fece altro che entrare e uscire dagli ospedali e io mi sentii persa. Papà lavorava fino a tardi e non poteva stare dietro a noi figli come faceva lei, ne risentii parecchio, avevo bisogno della mia mamma. Ma sapevo che non potevo mettermi a piagnucolare per ricevere attenzioni in quella situazione, così Ade e Calliope cercarono di prendere un po’il posto della mamma, ma tutti dovevano impegnarsi a casa. Così mentre la mamma perdeva i capelli per la chemio e passava giornate a vomitare, io imparai a stirarmi il grembiule per la scuola, iniziai a cucinare qualcosa e a fare la lavatrice. Dovemmo tirare avanti in questa maniera per quasi tre anni, al compimento dei miei 11 anni l’unica cosa che non sapevo fare era guidare. Quando mamma iniziò a stare meglio lo ammetto mi rilassai un po’ anche io, smisi di fare la maggior parte delle cose che facevo quando la mamma stava molto male. Ero così arrabbiata per quello che avevo dovuto passare, non era giusto che mia madre si fosse ammalata e che io mi fossi trovata a lasciare la mia infanzia spensierata per quell’inferno che avevamo vissuto.
Con questi pensieri in testa finii di smacchiare la camicia, l’asciugai in fretta, l’attore rimase zitto forse si era reso conto di quanto le sue parole mi avessero irritata. Quando reputai la stoffa asciutta spensi il phon, staccai la spina con uno strattone nervoso e passai il capo all’uomo.
-Ecco fatto- commentai, abbastanza glaciale.
Tom Hiddleston si sfilò la felpa di Matt e questa volta non mi scomodai a girarmi fingendo indifferenza, ma il mio cervello si era messo a ballare la samba e il mio stomaco stava vincendo la medaglia d’oro olimpica per il maggior numero di capriole consecutive. Mordendomi appena il labbro superiore osservai i suoi pettorali asciutti, gli addominali, la striscia di peli chiari che finiva sotto i suoi pantaloni, ma quanto cazzo di caldo faceva in casa quel giorno? Osservai per bene il modo in cui le sue mani esperte abbottonavano la camicia, quelle mani grandi con quelle dita lunghe e perfette … ma a che diavolo stavo pensando? Scossi la testa per riportarmi alla realtà, d’altronde ero ancora infastidita dalle sue insinuazioni sul mio essere troppo giovane.
Ma poi troppo giovane per cosa? A lui cosa gliene importava della mia età? Perché aveva deciso di puntualizzare il fatto che lui fosse molto più grande di me?
Le mie domande sarebbero rimaste senza risposta perché mi ritrovai ad accompagnarlo alla porta senza dire una parola e, quando arrivammo all’ingresso, lui mi sorrise appena.
-Sei stata molto gentile, ma ti sarei molto grato se non facessi parola con nessuno di avermi avuto a casa tua- commentò lui, gentile, ma con una nota di agitazione nella voce.
-Non si preoccupi, non mi permetterei mai. Mi scusi ancora per l’inconveniente- feci un breve cenno del capo per rinforzare le scuse.
L’attore fece una piccola smorfia, io aprii la porta e lui uscii fermandosi sul mio zerbino –Avevo detto di eliminare il lei-.
Schiarii la voce, mi portai i capelli indietro con un gesto secco e poi feci schioccare la lingua contro il palato –Come ha detto lei io  sono solo una ragazzina e lei un uomo adulto, non mi permetterei mai di dare del tu ad un uomo del suo calibro-.
-Elettra- cominciò lui –Se ti sei offesa …- cercò di continuare, ma io non lo lasciai finire, troppo infastidita per sentire le sue scuse.
-Nessuna offesa, semplicemente non amo chi sputa sentenze senza conoscermi, anche se a farlo è un attore famoso più adulto di me. Buona serata Signor Hiddleston, è stato un piacere avere la possibilità di intervistarla questa mattina e mi dispiace molto per i diversi inconvenienti che io stessa ho provocato, ma ora vorrei riposare.- detto questo chiusi la porta, vidi l’espressione stupita sul viso dell’uomo.
Ero stata scortese? Si
Mia madre mi avrebbe sgridata per una scenata del genere? Si
Avrei dovuto chiedere scusa? Si
Ero stata inappropriata? Si
Riaprii la porta per scusarmi per il mio pessimo comportamento? No, non lo feci.
La mattina dopo quando squillò la sveglia mi ritrovai nel letto con Matt, ebbi un momento di confusione generale, per un secondo non mi ricordavo come ero finita in camera del mio amico.
Ma poi tutto prese forma, Matt aveva la playstation in camera e ogni tanto andavo nel suo letto a giocare, quella notte mi ero addormentata come un sasso e probabilmente lui non aveva avuto il coraggio di cacciarmi.
Matt aveva ancora un po’ di trucco in faccia, era dannatamente carino l’avevo pensato immediatamente quando era venuto a visitare la casa per decidere se sarei stata la sua coinquilina.
Lo ammetto, nei primi mesi di convivenza avevo avuto una cotta spaventosa per quel ragazzo, ma cercate di capire. Matt arrivò in uno dei periodi più bui della mia vita, avevo il cuore spezzato perché qualcuno si era divertito a saltarci sopra per quasi 4 anni, e lui era bello come il sole in una giornata di primavera dopo tanta oscurità invernale. Era arrivato con il suo sorriso da bambino, i suoi occhi color miele e i suoi capelli cioccolato fondente; aveva dei modi estremamente gentili e non gli servì molto per imparare a conoscermi e a capire quanto ero spezzata. Matt mi aveva insegnato a rimettermi in piedi a capire che la fine di una relazione a vent’anni non era la fine del mondo, che non ero stata tradita perché ero io la persona sbagliata, ma perché avevo lasciato che la persona sbagliata si permettesse di farmi credere di avere io qualcosa che non andava.
Riccardo. Ecco il nome della persona sbagliata. L’avevo conosciuta a 16 anni al liceo, era stato un colpo di fulmine di quelli adolescenziali. Riccardo era il belloccio della scuola, capelli scuri e occhi color ghiaccio, io non ero certo la belloccia, ma mi sapevo far notare. Ero famosa per essere una delle più grandi festaiole della scuola, se c’era una festa io ero  fra le prime persone ad essere invitate e alla festa ero quella che riusciva a divertirsi più di tutti e riusciva a far divertire anche gli altri. Io e Riccardo parlammo per la prima volta ad  una di quelle feste sotto le note di Watcha’ Say di Jason Derulo, disse che ero carina e che adorava il mio modo di muovermi su quel tavolino sui tacchi alti. Si, ero su un tavolino che facevo la cubista, ricordo che Tristano aveva tentato di tirarmi giù più volte ma quando io entravo in modalità esibizionista non c’era nessuno in grado di fermarmi. Sta di fatto che la finimmo a ballare insieme, il mio bacino attaccato al cavallo dei suoi pantaloni, sentivo le sue mani bollenti sui miei fianchi lasciati mezzo nudi dal top striminzito che indossavo, il suo respiro contro il mio orecchio mi mandava fuori di testa, odorava mi buono e quando le sue labbra si avventarono sulle mie mi sentivo rimbalzata sulle nuvole. Storia romantica, vero? Ma il romanticismo non può durare in eterno, soprattutto se si tratta di una storia iniziata a sedici anni durante una festa.  I primi anni furono fantastici, ma dopo la maturità andò tutto male. Riccardo era insofferente, io davo la colpa allo studio per il test di medicina che doveva affrontare, ma la verità era che non sopportava me. Il suo test andò male, era distrutto, aveva tentato solo per la facoltà di medicina, così decise di partire con me per Londra. Nessuno poteva essere più felice di me, non mi era mai andata a genio l’idea di portare avanti una relazione a distanza soprattutto dopo anni passati a vederci ogni giorno. Così arrivammo a Londra nell’appartamento che poi presi a dividere con Matt, il primo mese fu bellissimo, eravamo due giovani con un appartamento vuoto e senza genitori in mezzo ai piedi. Inutile dire che il tempo lo passammo a fare sesso in ogni angolo della casa. Poi tutto cambiò, Riccardo non aveva nessuna intenzione di cercare un lavoro perché si professava troppo depresso per via del test andato male, io lavoravo alla caffetteria e i soldi non bastavano a pagare tutte le bollette, l’università e il cibo. Cercai più volte di fargli capire quanto io fossi in difficoltà nel gestire tutto quello con il mio misero stipendio, ma sembrava che ogni volta che mi permettevo di tirare fuori l’argomento lui si imbufaliva, così smisi di stargli addosso, ma smettemmo anche di coccolarci a letto, il sesso perse significato fino a quando non ci fu proprio il sesso. Una sera dopo aver smontato dall’ennesimo straordinario che mi impediva di andare a seguire le lezioni all’università, trovai nella nostra camera da letto Riccardo con una delle mie colleghe dell’università. I due stronzi erano sul mio letto che scopavano senza ritegno e i gemiti erano così alti da non sentire la porta di casa aprirsi e chiudersi. Che altro dire, cacciai Riccardo a pedate che ci tenne a dirmi che il problema ero io che non stavo mai a casa e non gli davo attenzioni. Ancora mi chiedo come feci a non staccargli la testa a morsi, no, forse lo so … ero una ragazza di 20 anni lontana dalla famiglia in una città straniera ed ero innamorata.
Matt rispose al mio annuncio sul giornale due settimane dopo che Riccardo tornò a Roma dai suoi genitori, non prima di essere gonfiato di botte da Ares e Tristano. Lo vidi arrivare dalla finestra, pensai immediatamente che era veramente alto e bello, si presentò con educazione, fece il giro della casa ascoltando i miei sproloqui e poi con aria insicura mi disse –Io faccio la Drag Queen la sera e sono gay, per te è un problema?-. Ed è così che iniziò la nostra favolosa amicizia.
Ma torniamo al mio risveglio, dovevo muovere le chiappe e andare a lavoro prima che iniziasse a farsi veramente tardi. Mi stiracchiai come un gatto e sbadigliai sonoramente prima di voltarmi per scendere dal letto, ma Matt mi afferrò per un braccio trattenendomi, -Dove credi di andare?- mi chiese, con la voce impastata dal sonno e gli occhi ancora chiusi.
-A lavoro, presente la caffetteria in cui servo ai tavoli?!- commentai, sarcastica e leggermente ridacchiante.
-Tu devi raccontarmi cosa diavolo ci faceva Tom Hiddleston a casa nostra ieri sera- esclamò emozionato.
-Dai Matt, devo farmi la doccia, ti racconto stasera dopo le lezioni in facoltà- approfittai dei suoi riflessi poco rapidi per via del sonno e sgusciai via dal letto in maniera veloce.
Matt mi guardò con un finto sguardo ferito per aver lasciato il letto così presto, ma il mio coinquilino non era tipo da perdersi d’animo e si alzò anche lui dal letto seguendomi come un ombra mentre filavo nella mia stanza a prendere dei vestiti puliti. Mi seguì anche in bagno, abbassò il coperchio della tazza e si sedette portandosi le ginocchia al petto.
-Fai sul serio?- chiesi, sollevando un sopracciglio nella sua direzione.
-Come se questa fosse la prima volta che ti vedo nuda- ribatté lui, con molta calma e senza perdersi d’animo nemmeno per un secondo. –Dai raccontami mentre sei in doccia, sono troppo curioso.-
Dovetti arrendermi, buttai a terra i miei vestiti e mi infilai sotto la doccia lasciando che il getto caldo dell’acqua  scivolasse lento lungo il mio corpo. Così gli raccontai dell’intervista e delle figure imbarazzanti a cui mi ero sottoposta da sola per poi finire con l’incontro serale in mezzo alla strada in cui avevo deciso di ustionare l’attore con la bevanda allo zenzero  e limone.
-Oh mio Dio! Hai toccato Loki!!!- esclamò lui battendo le mani, lo ammetto mi strappò un sorriso divertito.
Io e Matt eravamo due fissati con la Marvel, in salotto avevamo la collezione intera dei dvd dedicati ai supereroi, sicuramente i dvd in cui compariva Loki erano stati quelli più visti in assoluto, sapevamo tutte le battute a memoria.
-Si, e poi mi ha dato della ragazzina per via della mia età- conclusi, cambiando completamente tono rispetto all’inizio del racconto.
-Ahi- commentò lui.
-Esatto, proprio ahi. È stato un villano- sbottai, spalancando la porta della doccia e afferrando l’accappatoio dal lavello.
-Magari non intendeva dirlo in maniera offensiva, magari per lui è un modo carino di considerare una ragazza- cercò di giustificarlo Matt.
Non ero d’accordo, a me era apparso come un uomo adulto famoso che pensava di potersi permettere di elargire giudizi affrettati su persone appena conosciute di cui non sapeva praticamente nulla se non, a quanto pare, l’età.
Quel giorno a lavoro ero distratta,stavo con la testa per aria e continuavo a rimuginare su Tom Hiddleston, si proprio non riuscivo a togliermi dalla mente il suo comportamento fastidioso. Ero così tanto sulle nuvole che più di una volta scambiai le ordinazioni dei clienti, dovetti sorbirmi una bella strigliata da parte del mio capo.
La sera in facoltà ancora stavo con la testa per aria, incontrai Michelle mi sgridò ancora per il giorno prima, ma io ero così estraniata dal mondo che non riuscii nemmeno a farle una delle mie battute per zittirla.
Durante la lezione di letteratura tedesca continuai a tamburellare la penna sul mio block notes, avrei dovuto prendere appunti, io prendevo sempre appunti, ma non li presi quel giorno.
Ero infuriata.
Infastidita.
E offesa.
Tutto perché un attore da strapazzo si era permesso di dire la sua opinione su di me, sulla mia maturità, quando non sapeva assolutamente nulla di me. Ero furibonda, come aveva osato? Io non mi sarei mai permessa di emettere giudizi sulla sua persona, d’altronde non sapevo nulla di lui.
Eppure, più mi infuriavo per questa storia, più mi rendevo conto di quanto fosse infantile la mia reazione. E quindi, anche se si era permesso di emettere un giudizio su di me? Me ne sarei dovuta fregare, d’altronde sostenevo di essere molto matura e una persona matura non avrebbe dato peso ad una cosa insignificante detta da una persona sconosciuta. Mi resi conto che il problema non era tanto l’accusa che mi era stata rivolta, quanto la persona che l’aveva lanciata. Era stupido, lo so, ma avevo 22 anni ed ero cotta di Tom Hiddleston e del suo accento super sexy da anni. Probabilmente non l’avrei mai ammesso ad alta voce, ma il pensiero che uno dei miei attori preferiti mi avesse dato della bambina mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
Sospirai infastidita, anche se una piccola parte di me cercava di rassicurarsi dicendosi che ammettere tutte queste cose era da persona matura. Si, mi dissi per l’ennesima volta, io sono assolutamente molto matura e anche … il mio flusso di coscienza venne bruscamente interrotto.
-El, El!- una voce mi fece riscuotere, era lo voce Kimmy una mia collega –Ti squilla il cellulare- il suo tono era basso e un po’ imbarazzato. In aula era calato il silenzio, il professore mi fulminava con lo sguardo, deglutii imbarazzata e chiesi scusa afferrando il cellulare e scappando dall’aula.
Una volta fuori, sul display, vidi lampeggiare il nome Calliope, era molto strano che mia sorella mi chiamasse, ebbi un momento di panico e iniziarono a prudermi le estremità del corpo mentre trascinavo il dito sullo schermo.
-Cal, tutto bene?- probabilmente mi tremò la voce, ma non appena iniziò ad urlarmi nelle orecchie eccitata, capii che non si trattava di  brutte notizie.
-MI HA FATTO LA PROPOSTAAAAA- strillò al telefono.
Sbattei le palpebre e mi allontanai immediatamente il telefono dall’orecchio, ma quanto cavolo urlava mia sorella? Probabilmente mi aveva lesionato un timpano, ma non importava perché era una bellissima notizia quella che mi stava dando e non come quella di qualche mese prima in cui mi avvertiva che Ares si era messo a fare combattimenti clandestini per racimolare soldi.
-Cal sono così felice!!- esclamai, ero veramente al settimo cielo per mia sorella.
Io e Calliope avevamo sempre avuto un rapporto di amore odio, lei diceva che io ero super viziata, mentre io ribattevo che lei era quella che riceveva più elogi. Dividere la camera da letto con lei era un vero delirio, litigavamo per ogni singola cosa, in alcuni momenti diventava spossante. Ma da quando mi ero trasferita Londra per studiare eravamo riuscite ad instaurare un rapporto normale tra sorelle e il suo matrimonio mi rendeva veramente felice.
Calliope e Filippo si erano conosciuti il primo anno di università, lei era la classica miss perfettina mentre lui era un romanaccio che si era messo a studiare giurisprudenza tanto per non rimanere con le mani in mano. Per quasi un anno lui l’aveva corteggiata in tutti modi mentre lei, beh lei l’aveva snobbato per quasi un anno fino a quando lui non si era arreso ed aveva iniziato ad uscire con un’altra ragazza. Dovevate vedere la furia di mia sorella, sprizzava gelosia da tutti i pori, era una cosa ridicola. Così alla fine dovette ammettere di essere cotta di lui, fu una storia d’amore perfetta.
-Tu sarai la mia testimone- disse senza lasciarmi spazio per parlare, con lei era così, se decideva una cosa era così e basta.
-D’accordo- dissi ridacchiando.
Poi sentii la voce di Ares e subito dopo quella di Tristano –È Elettra?- chiesero quasi in coro. Calliope si limitò a dire un veloce si e cercò di riprendere il discorso del matrimonio, ma i gemelli erano terribili –Chiedile dell’intervista con Tom Hiddleston- esclamò Ares. Cal sbuffò –Che palle, voi e questi fumetti- sbottò. –Tom Hiddleston non è un fumetto- disse piccato Tristano –E’ l’attore che interpreta …- cominciò a dire lui, ma mia sorella lo interruppe concludendo con un –Un fumetto-. Mi venne da ridere, un pochino mi mancavano i battibecchi tra fratelli, sentirli al telefono era una piccola consolazione. –Oh Zeus, quanto sei ignorante Calliope, Loki è un personaggio di un fumetto … ascolta, passami il telefono- disse Ares risoluto, sentii casino dall’altra parte della cornetta.
-Elettra, sono Ares. Come è andata l’intervista con l’attore dei tuoi sogni- lo disse per prendermi in giro, se l’avessi avuto davanti gli avrei mollato un pugno sulla spalla.
-Ciao anche a te, Ares. È andata bene … - ignorai il suo commento e gli raccontai brevemente l’intervista senza omettere le scene imbarazzanti, ma evitai di raccontare di averlo avuto a casa.
Parlare con i miei familiari mi fece tornare il buonumore, ma mi fece venire la malinconia. Mi mancavano e non potevo negarlo.
Mi mancava la mamma con i suoi proverbi in greco e i biscotti caldi la domenica mattina.
Mi mancava papà che ogni settimana andava ad un mercatino dell’usato e tornava con un film nuovo da guardare tutti insieme in salotto.
Mi mancava Ade che sembrava l’unico in grado di mettermi al mio posto con una sola occhiata, mi mancava il modo in cui mi faceva il solletico ogni volta che andavo in camera sua ad infastidirlo.
Mi mancava Calliope e il suo modo di voler sempre avere tutto sotto controllo e la sua mania di mettere sempre tutto in ordine, anche i miei vestiti.
E poi mi mancavano i gemelli, era quasi impossibili dividerli, ogni tanto mamma li prendeva in giro dicendo che erano un’unica entità. Mi mancava fare le ore piccole con loro, incollati davanti al televisore trangugiando schifezze e guardando Suits*.
Mentre scendevo dalla metro e mi dirigevo verso casa sentii una fitta allo stomaco, la malinconia era brutta.
Sospirai chiudendomi il portone alle spalle, sentivo le lacrime pizzicarmi agli angoli degli occhi, cercai di ricacciarle indietro proprio mentre vidi una letta nella cassetta della posta.
Ero un po’ sorpresa, non capitava spesso che ricevessimo delle lettere, certo giornali e qualche depliant pubblicitario, ma mai lettere.
Nel mazzo di chiavi afferrai la chiavetta piccola per aprire la cassetta postale, la lettera non aveva mittente e non aveva francobolli, ma c’era il mio nome scritto sopra. Incuriosita mi sedetti su un gradino della rampa di scale e aprii la busta con una chiave. Dentro c’era un foglio e due biglietti … due biglietti?
Sgranai gli occhi quando capii cosa fossero, non potevo crederci, stavo tenendo tra le mani due biglietti per la prima di Avengers IW a Londra, cazzo quella prima in cui ci sarebbero stati gli attori.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, aprii la bocca per urlare, ma poi la richiusi subito, non potevo mettermi ad urlare nella scala avrei fatto venire un infarto a tutto il condominio. Così mi limitai a battere i piedi nella maniera più discreta possibile e ad agitare le braccia.
Quando mi fui più o meno calmata mi ricordai dalla lettera e del fatto che non avessi la benché minima idea di chi mi avesse fatto un regalo del genere.
Aprii la lettera con le mani che mi tremavano.
Elettra,
spero che i biglietti siano di tuo gradimento, ho preso i posti migliori che potessi trovare, porta pure chi preferisci, se la tua collega Michelle oppure il tuo eccentrico coinquilino … decidi tu.
Ne approfitto per scusarmi per il mio comportamento dell’altra sera, è stato del tutto inappropriato e sono davvero mortificato. Spero che tu non ti sia offesa, il mio commento non voleva mirare a quello, in realtà non so nemmeno io a cosa mirassi con quella frase. Quindi scusami davvero, spero di poterti vedere alla prima del film.
Tom Hiddleston”
OH MIO ZEUS!
Era uno scherzo? Stava davvero succedendo a me oppure stavo sognando?
 
 
Eccomi qui popolo di efp. Cercherò di aggiornare il più spesso possibile, ma è un casino con la sessione estiva e quando smetto di studiare sono troppo stanca per mettermi a scrivere.
In questo capitolo si scoprono nuove cose su Elettra, la sua famiglia e la sua vita, spero che la fic vi stia interessando e piacendo.
NB: Non mi pare che per IW abbiano fatto una prima a Londra, ma non importa, tanto è tutto frutto della mia fantasia.
*Tanto per fare la pignola, Suits è una serie tv statunitense che ruota attorno a storie di avvocati.
Non mi resta che salutarvi e ricordarvi che le recensioni sono sempre ben accettate!
PS: okay, giuro che questo è l’ultimo appunto. Se vi va, nella sezione Thor, sto pubblicando una ff sul nostro Loki, la fic è quasi conclusa e si intitola “Coinquilini”
_cherryred_

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Mi rimirai per la milionesima volta allo specchio, ero abbastanza carina, ma che dico ero un vero schianto. La sera della prima era finalmente arrivata e io avevo passato l’ultima settimana a sentirmi il cuore in gola, non scherzo, mi sembrava di averlo sempre li suo punto di vomitarlo. Due giorni prima avevo dato un esame e tutto quello a cui pensavo era la prima del film e a quanto sarebbe stato dannatamente emozionante trovarmi li, con tutti gli attori e varie celebrità.
Il giorno in cui trovai i biglietti tra la posta corsi immediatamente nel mio appartamento e, saltellante come un canguro, iniziai a gridare al mio coinquilino che saremo andati insieme alla prima di IW. Potete ben immaginare la reazione di Matt, stava mangiando il gelato dalla vaschetta, era depresso perché il suo ragazzo l’aveva lasciato quel pomeriggio, ma alle mie parole la vaschetta di gelato volò verso il soffitto andando ad agganciarsi in uno dei quattro bracci del lampadario, proprio accanto al reggiseno.  Eravamo al settimo cielo, saltammo per tutto il salone, sparammo al massimo volume la colonna sonora di Rocky e ci mettemmo a ballare per la casa, insomma due invasati. Nessuno di noi due si preoccupò del chiasso e dei vicini che battevano alle pareti per zittirci, non badammo nemmeno alla vaschetta appesa al lampadario, almeno fino al giorno dopo,giorno in cui  mi cadde su una spalla.
E quindi eravamo pronti, carichi ed emozionati. Matt, per l’occasione, riesumò il suo abito da cerimonia utilizzato per il secondo matrimonio della madre due anni prima. Lo portava divinamente, blu con una cravatta argentata, i capelli cioccolato fondente pettinati perfettamente all’indietro, nessuna ombra del trucco da drag queen, solo i suoi occhi miele limpidi e brillanti.
Io avevo dovuto comprare un abito, non avevo portato a Londra abiti eleganti e quelli che comunque erano rimasti a casa mia a Roma non erano adeguati o non mi stavano più. Così ero dovuta andare a fare shopping, era stata una cosa estremamente stressante e ogni vestito che provavo mi sembrava inadeguato o mi faceva sembrare un’obesa, almeno così pensavo io.
Dopo quasi due settimane di ricerca lo trovai, non fu un colpo di fulmine, in realtà non l’avevo nemmeno visto una volta entrata in negozio, lo trovai dentro un camerino mentre mi prestavo a provare un altro abito. Era li, sembrava quasi abbandonato al suo triste destino, non so forse mi fece pena e lo provai. Non appena tirai su la zip divenni raggiante, era lui, cavolo se era lui. Era un abito bronzo in satin, molto morbido e leggero, con una profonda scollatura a v che mi arrivava  poco più su della bocca dello stomaco, lasciava le spalle scoperte e anche la schiena grazie ad un’altra profonda scollatura sul retro che arrivava quasi al bacino, a sinistra aveva un bello spacco a metà coscia. Mi stava divinamente. Uscii fuori come una matta per farmi vedere da Matt.
-Ma questo non è l’abito che dovevi provarti!- esclamò lui, leggermente confuso e con la testa inclinata di lato –Ma ti sta d’incanto. È lui! Cavolo Elettra, sei pazzesca-.
Probabilmente furono le sue lusinghe e le luci nel camerino che mi facevano sembrare bellissima, ma alla fine lo presi perché sul serio era fantastico.
Quindi la sera della prima ero davanti al mio specchio leggermente scrostato in alto a destra con il mio bellissimo vestito. Avevo fatto i boccoli ai miei capelli solitamente liscissimi, un trucco abbastanza leggero con un rossetto rosso, mi guardai la scollatura e sorrisi. Per una volta ero felice di avere il seno piccolo, con un seno grande sarei risultata volgare indossando un abito del genere.
Lanciai un’occhiata rapida all’orologio e mi resi conto che era ora di andare. Per l’occasione la madre di Matt ci aveva prestato l’auto e chiaramente avrei dovuto guidare io visto che il mio coinquilino non aveva la patente. Afferrai in fretta la pochette nera e mi infilai le decolté con il tacco quindici.
-Fai sul serio?- domandò Matt, alludendo all’altezza delle mie scarpe –Ma riesci a guidare con quelle?-
Tipico di Matti, non solo non sapeva guidare, ma aveva anche terrore di salire in macchina con chiunque.  –Non ti preoccupare- risposi, con un sorrisino, misi in moto l’auto e pigiando sull’acceleratore partimmo.
Matt passò tutto il viaggio a dirmi di rallentare, okay lo ammetto non ero una che guidava piano, a me piaceva correre. In Grecia con alcuni dei miei cugini e loro amici, quando avevo 18 anni, ci mettemmo a fare delle gare la notte, le vinsi quasi tutte sotto lo sguardo stupito di tutti. Poi mia madre scoprì tutto e le nostre gare si conclusero, io mi beccai una bella punizione e ciao ciao alla macchina per un bel po’.
-Visto!- esclami spegnendo il motore e aprendo lo sportello, vidi Matt con una mano al petto tirare un sospiro di sollievo, –Siamo arrivati sani e salvi- conclusi facendogli la linguaccia.
-Per miracolo. Quando hai tagliato la strada a quell’uomo … o quando hai bruciato quello stop, tu sei pazza.- ribatté lui.
-Esagerato- lo rimbeccai.
E così, mentre stavamo li a battibeccare sulla mia guida sportiva, ci ritrovammo davanti ad un lungo tappeto rosso che copriva una scalinata di marmo. Il cuore mi schizzò immediatamente in gola come un fulmine. Restammo entrambi senza fiato e senza parole, io ero in una specie di trance, così fu Matt a risvegliarsi per primo. Mi porse il braccio con fare galante, io mi afferrai il suo braccio e con l’altra mano un lembo del vestito, iniziammo a salire le scale pieni di emozione e assolutamente increduli. Quando arrivammo alla porta e ci chiesero biglietti e nome mi sentii fottutamente importante ad essere su quella lista.
Sembrava di essere in un film di spionaggio, sapete, quando le spie vanno a quei gran galà tutti vestiti eleganti … io mi sentivo così, una spia alla prima di un film.
Dopo aver spuntato il nostro nome ci indicarono un salone enorme in cui c’erano centinaia di persone, perlopiù famose, era molto strano e decisamente oltre ogni nostra immaginazione. Mi sentii un po’ un pesce fuor d’acqua, quello non era il mio ambiente e si vedeva lontano un miglio che io e Matt sembravano due persone entrate per sbaglio. Qualcuno ci lanciò anche un’occhiata storta, non che la cosa mi impressionasse, non ero tipa che si lasciasse intimorire da qualcuno, ma era comunque spiacevole come situazione.
Passò una cameriera con un vassoio colmo di bicchieri di champagne, ne afferrai due al volo e ne passai in fretta uno a Matt che si mordicchiava il labbro inferiore un po’ imbarazzato.
-Improvvisamente mi sento molto a disagio … - sussurrò nella mia direzione, dopo aver preso un bel sorso di champagne.
-Anche io- ammisi –Però ormai siamo qui, dovremmo pensare a divertirci, non credi?- nemmeno io ero molto sicura di quello che stavo dicendo, ma facemmo comunque un giro della sala.
A parte l’imbarazzo mi sentivo bellissima con indosso il mio vestito bronzo e i boccoli ai capelli, così proprio grazie alla mia indole da menefreghista delle opinioni altrui riuscii a sfilare davanti a tutte quelle persone a testa alta.
Mentre giravamo per la sala in attesa che ci facessero entrare per il film lo vidi, bello da star male. Aveva un abito nero che lo fasciava perfettamente, una mano in tasca e l’altra attorno al bicchiere, aveva gli occhiali e quella barbetta rossa che mi faceva girare la testa, rideva, era bellissimo. Ero persa e solo quando Matt mi arrivò addosso capii di essermi bloccata come una scema a guardarlo.
Complimenti Elettra, comportamento molto maturo, sentii la mia mente rimproverarmi.
Scossi la testa per risvegliarmi, Matthew mi stava dicendo qualcosa, ma io non lo ascoltavo. Quando ripresi a camminare combinai uno dei miei guai, chiaro, non potevo comportarmi come un essere umano  normale, dovevo farmi riconoscere anche in una sala piena di persone famose.
Feci un passo scattante, forse un po’ troppo, avevo ancora gli occhi piantati su di lui e non mi accorsi che davanti a me, di spalle, c’era un cameriere con il suo vassoio pieno di bicchieri di champagne.
-El, attenta!- ecco cosa mi disse Matt, ma come già detto io non lo stavo ascoltando.
Così andai avanti con il mio passo scattante, fu questione di un secondo perché colpii con forza la schiena del cameriere, il povero ragazzo si sbilanciò davanti senza poter fare altro e versò tutto lo champagne addosso ad una donna sui 40 molto elegante. Io cercai anche di afferrare il povero cameriere, fu tutto inutile, anzi fu anche peggio, perché afferrando il laccio del gilet mi trascinò a terra con lui. Sentii un casino incredibile.
Imbarazzante.
Oh Zeus!
Ero una ritardata.
Sentii il cameriere scusarsi, avrei voluto prendermi a schiaffi, probabilmente quel poveretto sarebbe stato licenziato per colpa mia. Questo perché come una bambina ero troppo impegnata a guardare Tom Hiddleston, ma quanti cazzo di anni avevo, 12? Ma nemmeno a 12 anni mi comportavo in quella maniera. Che stupida!
Mentre continuavo a darmi della deficiente mentalmente qualcuno mi afferrò da sotto le ascelle e mi aiutò ad alzarmi.
-Mi dispiace- dissi rivolta al cameriere e alla donna che, poveretta, cercava di tamponarsi l’abito rosso con un fazzoletto.  –È colpa … - venni interrotta da chi mi aveva aiutata ad alzarmi.
Due mani forti mi fecero voltare nella direzione del mio salvatore, ero convinta che mi sarei trovata faccia a faccia con il mio amico, ma gli occhi che mi guardavano preoccupati non erano miele, ma azzurro limpido e brillante.
-Elettra- la voce di Tom mi  riportò alla realtà.
-Signor Hiddleston … - dissi con il fiato corto, confusa –Non è colpa del cameriere, è stata colpa mia- .
-Stai bene?- chiese lui, non doveva preoccuparsi per me, il cameriere era caduto sul pavimento, non io, io ero atterrata su quel povero ragazzo.
-Mi dispiace tantissimo, non volevo cadergli addosso …è stata tutta colpa mia- continuai, insistendo, volevo togliere dai guai il ragazzo.
Mi guardai intorno per capire se fosse ancora sul pavimento, ma Matthew lo stava aiutando ad alzarsi. –Scusami!- dissi nella sua direzione.
-Non si preoccupi signorina- mi rispose lui, sembrava mortificato.
Mi sentivo una stronza, io ero una cameriera, sapevo cosa significasse fare guai del genere a lavoro, non andava per niente bene.
-Elettra.- un’altra volta la sua voce mi riportò alla realtà, dovetti abbandonare con lo sguardo il cameriere e mi ritrovai di nuovo con i suoi occhi davanti. –Stai sanguinando, sicura di sta bene?-
Sanguinando? Avvertii un leggero pizzicore allo zigomo sinistro, una scheggia dei bicchieri doveva avermi colpita. Mi toccai lo zigomo e quando ritirai la mano vidi i polpastrelli sporchi di sangue.
-Vieni, ti porto a pulire la ferita- la voce di Tom era calma, fossi in lui sarei stata infuriata, l’avevo appena messo in imbarazzo.
-Ma … il cameriere … - biascicai ancora confusa, notai che anche il ragazzo si era graffiato.
Matt lo stava ancora sostenendo, mi fece un cenno che indicava che al cameriere ci avrebbe pensato lui. Ancora scossa mi lasciai portare fuori dal salone da Tom Hiddleston, tutti gli invitati sembrano essersi fermati come quando metti pausa in un film.
Mentre mi lasciavo guidare intravidi il cartello per la toilette, ma l’attore non si fermò, passammo oltre la porta e io sorpresa gli chiesi dove mi stesse portando, lui mi rispose che mi portava nel suo camerino. E così fu, aprì una porta bianca che portava in alto un cartello con il suo nome, mi sentivo dentro un sogno. Entrammo nella stanza e lui fece cenno di sedermi sul divano di pelle nera.
Lo vidi armeggiare con una scatolina bianca con una croce rossa disegnata sul dorso, ne estrasse il disinfettante e il cotone.
-Ti fa male?- domandò, mentre mi tamponava il taglio sullo zigomo. Il suo viso era così vicino al mio,mi ritrovai a trattenere il fiato davanti al suo volto, era bellissimo.
-No- sussurrai, a corto di fiato –Mi sento solo molto in imbarazzo-.
I suoi occhi puntati sulla ferita si alzarono immediatamente verso i miei –Perché mai?-.
-Come perché mai? Ho fatto un casino … lei mi ha invitata e io ho fatto un macello, l’ho messa sicuramente in imbarazzo- dissi tutto d’un fiato –Dovrebbe denunciarmi per … per … oddio, non lo so, ma sono sicura di aver commesso un reato oggi. E poi, cazzo, quel povero cameriere, sono una cretina che non sa muoversi con un minimo di grazia e …-
-Frena, frena!- mi bloccò lui, staccando il cotone dal mio viso e allontanandosi appena da me, ma senza allontanarsi davvero. –Primo, smettila di darmi del lei, sul serio e non chiamarmi signor Hiddleston, mi chiamo Tom, anzi Thomas e se vuoi puoi chiamarmi con il mio nome intero, ma non chiamarmi per cognome. Secondo, dubito che tu abbia commesso un reato. Terzo, non mi hai messo in imbarazzo e non hai fatto nessun casino, sei caduta e ti sei pure ferita, mi dispiace che tu ti sia fatta male.- mi accarezzò poco sotto la ferita con il pollice, mi vennero i brividi. –E quarto …- fummo interrotti.
La porta si spalancò, all’ingresso c’era Chris Evans, per poco non mi cadde a terra la mascella, troppe emozioni per una giornata sola.
-Θα πάθω καρδιακή προσβολή!!!- lo dissi a voce molto alta.
-Cosa?- esclamarono entrambi, nello stesso momento, la cosa mi fece ridacchiare per qualche secondo.
-Lasciamo perdere!- dissi ancora ridacchiante.
Chris Evans, molto confuso, scosse la testa e poi si rivolse direttamente verso il collega –Dobbiamo andare, sta per iniziare il fim- il suo tono era come quello di Capitan America, mi venne quasi il batticuore per l’emozione.
Tom si mise in piedi, dopo essere rimasto piegato sulle ginocchia fino a quel momento, e poi mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. Mi sorrise e sentii il mio cuore accelerare.
-Grazie mille signor Hi … - mi bloccai sotto il suo sguardo ammonitore. –Tom. Grazie mille, Tom- sussurrai alla fine, sorridendo appena e mordendomi il labbro inferiore per l’imbarazzo. –Adesso vado a cercare il mio posto- mi avviai verso la porta in cui c’era ancora Chris Evans, mentre gli passavo accanto sollevai lo sguardo per guardarlo bene da vicino, lui mi sorrise e io inciampai sui miei stessi piedi. Rischiai di cadere a terra per la seconda in quella serata, ma l’attore fu rapido, mi afferrò per la vita tenendomi in piedi.
-Hey ragazzina!- esclamò lui ridacchiante –Stai attenta, non farti male di nuovo-. Il tono in cui disse ragazzina non mi infastidii, era un tono tenero.
Ridacchiai imbarazzata mentre lui mi lasciava i fianchi, Tom mi guardava con le sopracciglia alzate e uno sguardo divertito.  Tirai su i pollici e camminando all’indietro borbottai –Grazie Capitano- e poi sbattei contro qualcosa di particolarmente marmoreo che però non era un muro.
Venni di nuovo afferrata per non cadere, questa volta per le spalle, sperai di non avere quasi buttato giù un altro cameriere. Quando mi voltai non vidi un cameriere, ma avevo davanti Thor, giuro che le mie gambe cedettero per un secondo.
Sorrisi, sempre più imbarazzata, stavolta anche Chris Evans sembrava sul punto di scoppiare a ridere, Tom si premette una mano sulla bocca. –Mi dispiace, ti sono venuta addosso- Zeus, che deplorevole scelta di parole. A quel punto Chris Evans e Tom scoppiarono a ridere, anche Chris Hemsworth stava per ridere. –Io vado immediatamente in sala- esclamai, poi corsi praticamente via, ma non prima di sentire Chris Hemsworth chiedere qualcosa a Tom Hiddleston.
-È quella ragazza? Quella dell’intervista?- domandò il biondo.
Smisi di andare veloce, parlavano di me, volevo sentire cosa dicevano. Tre attori parlavano di me, era emozionante.
-Già- disse l’inglese.
-È molto giovane- esclamò Chris Evans.
-Lo so- sentii rispondere Tom, poi svoltai l’angolo e non sentii più nulla.
Gli anditi erano deserti, alcuni della sicurezza mi indicarono dove dovessi andare per raggiungere la sala cinema e quando arrivai la maschera mi guidò fino al mio posto. Tirai un sospiro di sollievo quando vidi Matthew al suo posto, temevo davvero che fosse in giro per la struttura a cercarmi. Stavo per iniziare a raccontare al mio amico la mia avventura, ma poi iniziarono ad entrare gli attori e partirono gli applausi, quindi dovetti rimandare il racconto a più tardi. Eravamo in quinta fila, molto vicini agli attori, la situazione si faceva ogni secondo più emozionante.
Dopo qualche dichiarazione da parte degli attori il film iniziò, finalmente era arrivato il momento che tanto avevo atteso.
***spoiler Infinity War
Potrei dire che rimasi buona per tutta la durata del film, ma mentirei, perché non rimasi affatto buona, anzi.
Il punto era questo, sapevo che il film mi avrebbe fatta piangere,ma hey, non avevo idea che avrei pianto così tanto e che sarebbe stato così devastante per me. Insomma come si fa a far morire la maggior parte dei personaggi, è pura crudeltà, non potevo credere a quello che stavo vedendo.
Ma partiamo pure dall’inizio, perché si, io iniziai a piangere dopo i primi cinque minuti di film.
COME AVEVANO POTUTO FAR MORIRE LOKI IN QUEL MODO? Perché mi stavano spezzando il cuore in quella maniera? Non potevo credere che l’avessero fatto morire dopo i primi cinque minuti e poi in quella maniera rapida.
Nel silenzio di tomba della sala in cui si sentivano solo i mugolii attutiti di Thor che si disperava per il fratello, mi sentii anche io e le mie lamentele non erano soffocate.
-Che cosa?- sbottai a voce altissima.
Matt si girò di scatto verso di me, gli occhi sgranati e scuotendo la testa per intimarmi al silenzio.
-No, non scuotere la testa, Matthew. Hanno appena fatto morire Loki-  continuai, sempre a voce alta.
A quel punto, davanti a noi, iniziarono a girarsi alcune persone, compresi gli attori. Vidi un Robert mezzo ridacchiante e un Tom Hiddleston che mi guardò con un enorme sorriso.
Bastardo, avrebbe dovuto dirmelo.
Dopo aver espresso il mio disappunto rimasi in silenzio per il resto del film, ma esplosi di nuovo alla fine quando vidi morire Groot e subito dopo Spiderman con quella frase strappa lacrime. Ero una fontana, in confronto la fontana di Trevi era una dilettante.
*** fine spoiler
Nonostante le lacrime fu un’esperienza meravigliosa, godermi il film con gli attori presenti era stato super e sapevo che avevo avuto un’opportunità veramente preziosa.
Così alla fine del film controllai l’orario, era abbastanza tardi per me che sarei dovuta montare a lavoro all’apertura della caffetteria, ma prima di andare volevo assolutamente ringraziare Tom per i biglietti.
-Viene, saluto Tom Hiddleston e ce ne torniamo a casa- dissi al mio amico tirandomelo dietro.
Mi guardai attorno alla ricerca dell’attore, stava parlando con una ragazza mora molto graziosa, avvertii una punta di fastidio, ma mi dissi immediatamente di smettere di fare la dodicenne rincretinita. Mentre lo osservavo si girò nella mia direzione, agitai leggermente la mano per salutarlo, non volevo disturbarlo mentre parlava, ma lui mi fece un breve cenno della mano per dirmi di aspettare e subito dopo posò una mano sul braccio della ragazza e velocemente si allontanò lasciandola di stucco e  abbastanza perplessa.
Con poche falcate si avvicinò a me con un sorriso carino sulle labbra –Vai già via?- mi domandò.
Annuii –Si, domani, anzi no, tra qualche ora devo andare a lavoro … - avrei voluto continuare e dirgli quanto fossi grata per quell’esperienza, ma mi spiazzò con una domanda.
-Che lavoro fai? Credevo studiassi e basta- sembrava sinceramente interessato.
Mi ritrovai un po’ colta alla sprovvista e iniziai a farfugliare qualcosa di incomprensibile, così intervenne Matt, grazie al cielo. –Lavora in una caffetteria in via … - smisi di ascoltare, mi ero persa di nuovo nei suoi occhi chiari.
-Capisco.- commentò Tom –Mi ha fatto molto piacere avervi come ospiti, spero che il film vi sia piaciuto.-
-Assolutamente- esclamò Matt –Pazzesco, non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo. Complimenti. E grazie mille per i biglietti, signor Hiddleston- , il mio amico si sporse per stringere la mano all’attore che gli sorrise gentilmente, poi Matt si inchinò sul mio orecchio e mi sussurrò –Ti aspetto in macchina-.
Rimasi da sola con Tom, mi sentii improvvisamente a disagio, non so nemmeno io perché. –Grazie mille per l’invito, è stata un’esperienza magnifica che dubito dimenticherò facilmente. Grazie mille signor … ehm Tom- dissi tutto d’un fiato, quasi come una bambina che ammette le proprie colpe. –Ora io vado, buonanotte e grazie ancora!- dissi facendo un passo per uscire dalla sala.
-Hai fretta di scappare, eh?- disse lui, ridacchiando e io mi voltai mordendomi il labbro. –Dai, ti accompagno all’uscita- continuò affiancandomi e iniziando a percorrere insieme a me il corridoio.
Camminammo in silenzio e ogni tanto alzavo gli occhi per guardarlo, mi beccò due volte facendomi diventare fucsia e facendomi sentire una ritardata.
Quando arrivammo alla scalinata pensai che sarebbe tornato indietro, e invece no, mi porse il braccio e come un vero gentleman mi porse il braccio per aiutarmi a scendere. Il mio stomaco fece un’enorme capriola e sentii le gambe ridursi a gelatina.
Una volta finite le scale lui si fermò, mi sorrise e io ricambiai il sorriso incapace di pronunciare una qualsiasi frase di senso compiuto.
Con un gesto elegante interruppe il nostro contatto –Sono molto felice che tu sia venuta- .
-Anche io, grazie di cuore- riuscii a balbettare un po’ incerta.
Per qualche istante rimanemmo in silenzio l’uno davanti all’altra, il cuore mi esplodeva nel petto e non ero più sicura di saper rimanere in equilibrio. Mi mordicchiai il labbro agitata, lui più di una volta sembrò sul punto di dirmi qualcosa, ma poi anche lui si mordeva le labbra perdendo forse le parole a me destinate.
-Io … - cominciai a dire, per annunciare che sarei andata.
-Certo- esclamò lui.
Ma io rimasi ferma e lui fece lo stesso. Sembravano sicuramente dei cretini e probabilmente Matt aveva iniziato a fare la muffa in macchina, ma non mi importava, sentivo i miei piedi inchiodati al pavimento davanti a lui.
-Elettra … - iniziò lui, ma fu interrotto.
Dannazione.
-Tom!- Benedict scendeva le scale nella nostra direzione –Stiamo aspettando te per le foto- disse, una volta che affiancò l’attore.
-Tolgo il disturbo- esclamai, riprendendo l’uso dei piedi e delle gambe.
Stavo per girare sui tacchi quando Tom si sporse verso di me e mi diede un bacio sulla guancia. –Buonanotte, Elettra- sussurrò, così piano che credetti di essermelo sognato.
Mi allontanai viaggiando su una nuvola, mi sentivo esattamente così, sentivo i loro sguardi sulla mia schiena nuda come se mi bruciassero. Totalmente fuori di testa mi infilai in macchina sospirando, Matt alzò un sopracciglio con aria interrogativa, io scossi la testa e misi in moto l’auto.
-Posso dirti una cosa?- mi domandò il coinquilino.
Annuì silenziosamente svoltando senza nemmeno fermarmi allo stop, ma Matthew sembrò non accorgersi della cosa.
-Quello ti stava mangiando con gli occhi- disse serio.
-Chi?-
-Tom Hiddleston.-
 
 
La mattina dopo quando suonò la sveglia morivo di sonno, avevo dormito davvero per poche ore, forse due e tre. Dopo essere tornati a casa dalla meravigliosa serata ci mettemmo sul divano a parlare perché, dopo essermi ripresa dallo stato di trance in cui Tom mi aveva buttata, era partita l’adrenalina per quel bacio sulla guancia che probabilmente non significava nulla, ma aveva comunque mandato il mio cervello in pappa.
Matthew sosteneva che per tutta la serata, l’attore, non avesse fatto altro che guardarmi con gli occhi a cuoricino. Io ne dubitavo altamente, ma il mio coinquilino pareva particolarmente sicuro di ciò che sosteneva.
Dopo aver discusso a fondo riguardo al film e a Tom Hiddleston, Matt ammise di aver sfruttato l’occasione con il cameriere che avevo travolto e di avergli chiesto il numero e un appuntamento. Il ragazzo si chiamava Justin e aveva 21 anni, più piccolo di Matt di quattro anni. A metà della conversazione mi resi conto di aver perso un orecchino, ci rimasi parecchio male, erano un regalo di mia nonna, quella che stava in Grecia, ci tenevo particolarmente anche perché erano stati tramandati da diverse generazioni. Così decisi che il giorno dopo sarei andata a chiedere nel teatro se qualcuno avesse trovato il mio orecchino e l’avesse portato alla reception.
Poi finalmente ci mettemmo a dormire, pensavo di aver appena chiuso gli occhi quando la sveglia suonò. Erano le quattro e mezzo del mattino, avevo gli occhi pesti per il sonno e quasi non riuscivo a tenerli aperti. Mi domandai come cavolo avrei fatto ad andare a lavorare in quelle condizioni, per i primi minuti fui tentata di chiamare la titolare e avvisare che non sarei andata perché non stavo bene, ma tra qualche settimana avrei dovuto pagare le bollette.
Così mi trascinai in doccia, mi truccai un po’ per nascondere i segni della stanchezza e poi mi infilai una felpa dell’università e un paio di jeans strappati, ai piedi misi le mie adorato e fidate New Balance e uscii.
Londra sembrava ancora addormentata, le luci dei lampioni erano ancora accese e l’aria sembrava più pulita e fresca. Mi piaceva camminare la mattina presto, la città sembrava magica e mi sembrava di essere quasi l’unica abitante sveglia. La mattina non prendevo nemmeno la metropolitana, mi godevo il momento di pace e tranquillità della città e fingevo di non vivere in una città caotica, ma di essere in quel piccolo paesino in Grecia dove l’estate passavo gran parte delle mie vacanze. Le grandi città mi piacevano, ma da sempre avevo vissuto una città caotica come Roma, poi ero passata a Londra … insomma non era poi così tanto strano che ogni tanto mi piacesse la calma e la pace.
Arrivai alla caffetteria in perfetto orario, la saracinesca era già sollevata e all’interno del locale c’era Jeffrey, il mio collega di lavoro. Jeffrey era un universitario come me che cercava di mantenersi da solo con il lavoro alla caffetteria, aveva un anno in più di me e studiava giurisprudenza.
-Hey bello!- esclamai entrando, con un grande e dolce sorriso.
Jeffrey sollevò lo sguardo su di me, stava armeggiando con la macchinetta per il caffè e si limitò a farmi un cenno con il capo seguito da un –Ma hai dormito? Non hai gli occhi molto svegli!-.
Beh, grazie tante Jeff, mi ero già resa conto del mio pessimo aspetto, ma rincarare la dose non fu particolarmente piacevole.
-Ho dormito poco- risposi, facendo spallucce e legandomi il grembiule nero sui fianchi.
Il grembiule era stata la nuova trovata del capo, io lo odiavo con tutte le mie forze e mi sentivo ridicola con quel dannato coso legato in vita.
Iniziai a sistemare i dolci nel bancone, sembravo un bradipo nei movimenti, facevo tutto a rallentatore e più di una volta Jeff cercò di intavolare una discussione senza ottenere grandi risposte da me, stavo sul serio dormendo in piedi.
Dopo aver sistemato il bancone e i tavoli mi versai una tazza di caffè per darmi io stessa una svegliata, ne versai una tazza anche a Jeffrey e rimanemmo in silenzio a bere la bevanda calda.
-El, ti spiace se vado a fumarmi una sigaretta?- mi chiese, agitandomi il pacchetto davanti.
Che bastardo, sapeva che avevo smesso da poco di fumare e continuamente cercava di riportarmi sulla cattiva strada.
Annuii alla sua domanda e lo vidi sparire sul retro, diedi un’occhiata all’orologio, era ancora presto per i clienti così mi sistemai su uno dei tavoli e mi misi a studiare. Ero stanchissima e tutto quello che leggevo non riuscivo a fargli avere un senso, ma comunque ci provavo anche perché nell’ultimo periodo avevo avuto un po’ la testa per aria con l’avvicinarsi della prima.
Stavo ripetendo alcune parti di storia contemporanea quando i primi clienti entrarono, ma io ero così persa nel mio mondo che nemmeno me ne accorsi. Però i clienti si sedettero al tavolo e credo che rimasero in attesa un po’, fino a quando non mi alzai per andare a prendermi un’altra tazza di caffè.
Fu allora che li vidi, quattro uomini, quattro attori.
Dovetti poggiare la tazzina sul bancone per evitare di lanciarla in aria per lo stupore, tutti e quattro mi guardarono con aria divertita, il mio cervello si azzerò.
-Oddio, scusatemi! Vengo subito a prendere le vostre ordinazioni!- esclamai trafelata, cercai il mio blocchetto nella tasca del grembiule, sembravo agitata  e decisamente lo ero.
-Va tutto bene Elettra, non abbiamo fretta- mi disse Tom.
Si, esatto. Nella caffetteria c’era Tom Hiddleston, Chris Evans, Chris Hemsworth e Tom Holland. Sentivo la mia testa leggera e per un secondo credetti di essere ancora nel mio letto nel bel mezzo di un bel sogno, ma non era un sogno, era la semplice realtà.
-Eccomi- balbettai, una volta accanto al loro tavolo con il blocchetto e la penna in mano.
-Per me un croissant integrale e un caffè- disse Chris H., con un bel sorriso sulle labbra che illuminò il suo volto.
Appuntai in fretta le loro ordinazioni e con un breve cenno del capo mi fiondai dietro il bancone a preparare il tutto. Non appena mi voltai iniziai a sentirli parlottare tra di loro, tutti tranne Tom avevano un tono abbastanza concitato come se stessero convincendo l’attore a fare qualcosa che non era di suo gradimento. Cercando di ascoltare come una perfetta pettegola mi bruciai diverse volte con il caffè bollente, ma fu mentre preparavo il cappuccino per Tom che sentii chiaramente le parole dell’altro Tom.
-Vecchio, se non alzi quel culo dalla sedia ci vado io dalla bella … - la frase fu troncata a metà da Chris E.
-Zitto, deficiente, smettila di parlare a voce così alta. Tu la privacy non la conosci proprio eh?!- sbottò, alla fine Chris E.
Mi girai giusto in tempo per vedere Tom H. dare un pugno a Chris E. dritto sul braccio, con il vassoio in equilibrio sorrisi un po’ imbarazzata. Credo che Tom abbia temuto che gli versassi addosso tutte le bevande bollenti, ma sapete una cosa, io sono sempre stata maldestra, ma mai a lavoro.
-Ecco a voi, buona colazione!- dissi, senza guardare nessuno in particolare, soprattutto senza guardare Tom. Ancora potevo sentire il fantasma delle sue labbra sulla mia guancia, al solo pensiero sentivo il viso andarmi a fuoco ed ero costretta a darmi dell’adolescente stupida e imbarazzante.
Feci per andarmene via quanto Tom H. mi invitò a sedermi con loro, dicendo che era particolarmente annoiato dalla presenza degli altri attori che non facevano altro che fare discorsi da vecchi. Come pronunciò la parola vecchi, fece l’occhiolino a Tom che sollevò le sopracciglia scuotendo la testa.
-No, non voglio assolutamente disturbare- aggiunsi immediatamente.
Chris E. tirò una sedia accanto a lui e Tom e mi fece cenno di sedermi. –Dai, avanti! Tanto non c’è nessun altro, ci farebbe piacere conoscere l’amica di Tom, è sempre così riservato- concluse lui.
Alla fine cedetti, mi sedetti lentamente e guardandomi intorno un po’ agitata sistemai le pieghe del mio grembiule. Mi sentivo così fuori posto in mezzo a loro, c’era una parte di me che si diceva che mi avevano invitata per sfottermi un po’ e farsi due risate, l’altra parte diceva che Tom non l’avrebbe mai permesso. Ma nel momento in cui lo pensai mi sentii una stupida, perché mi stavo affidando ad un uomo che non conoscevo affatto, ma che per anni avevo visto dentro lo schermo della mia tv.
-Bene, Elettra.- cominciò Chris H. –Nome insolito, da dove proviene?-.
Oddio, mi morsi la lingua per evitare di raccontare la storia di tutta la mia famiglia; scorsi sulle labbra di Tom un sorriso divertito.
-Ehm … sono per metà greca, mia madre è greca, mentre mio padre è italiano. Entrambi sono due patiti della mitologia greca-
-Forte!- esclamò Tom H, sgranando gli occhi e poggiando la tazzina sul tavolo –E quindi sai parlare greco?-
Annuii piano con il capo mordicchiandomi il labbro inferiore, improvvisamente iniziarono a sommergermi con mille domande. Come mai ero a Londra, tornavo spesso a casa, e in Grecia ci andavo, quanti eravamo in famiglia, avevo un secondo nome, mi trovavo bene in Inghilterra.
Non mi stavano sfottendo, sembravano sul serio interessati alla mia vita. Tutti mi facevano domande tranne lui che se ne rimaneva al mio fianco ad osservarmi con quegli occhi così limpidi e brillanti. Avrei davvero voluto che mi dicesse qualcosa, sarebbe stato meno imbarazzante, invece dovevo resistere al suo sguardo che sembrava bruciarmi la pelle.
-Hai il ragazzo?- mi domando Chris E, lanciando uno sguardo oltre la mia spalla in cui sapevo stava incontrando gli occhi di Tom.
Sapevo che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata, così mi ritrovai a scuotere la testa con tranquillità. Dopo il primo periodo in cui io e Riccardo non stavamo più insieme, questo tipo di domande mi faceva scoppiare in lacrime, oppure mi imbarazzava da morire.
-Come è possibile, una bella ragazza come te!- ci tenne a precisare Tom H.
-Sarà che sono troppo strana e nessuno ha voglia di star dietro alle mie stranezze- lo dissi a mo di battuta facendo un sorriso tirato, ma era la verità.
Poi tornò Jeffrey dalla sua pausa sigaretta e io mi alzai dal tavolo sotto lo sguardo sconvolto del mio collega che passò diversi minuti a borbottare cose sul fatto che io conoscessi degli attori.
I quattro rimasero un altro po’ al tavolo, ma quando iniziarono ad arrivare i clienti si alzarono immediatamente, probabilmente volevano evitare di essere presi d’assalto dai fan.
Chris H, Tom H e Chris E. fecero  un breve cenno con la mano per salutarmi, io risposi con un sorriso timido e un  leggero movimento della mano. Poi si avvicinò Tom, tra le mani il portafoglio e un piccolo sorriso. Io ero davanti alla cassa, ancora stupita da quello che era appena successo, ma ebbi la prontezza di scuotere la testa nella sua direzione.
-Offre la casa- esclamai, con un sorriso. –Mi pare il minimo dopo la serata di ieri- aggiunsi.
-Ma … - cercò di dire lui.
-Sel serio, non ti preoccupare. È il minimo anche per la capocciata il giorno dell’intervista e anche per averti versato la bibita bollente addosso.-
A lui scappò una leggera risatina e non potei trattenermi nemmeno io al ricordo di quella serata, certo, prima che mi desse della bambina. A quel ricordo sentii una leggera fitta di fastidio che mi sforzai di reprimere immediatamente, l’attore si era fatto più che perdonare con i biglietti per il film.
-D’accordo- mi disse, si infilò nella tasca dei pantaloni il portafogli  e io credetti che sarebbe andato via e che non l’avrei rivisto mai più, e invece rimase fermo davanti a me a guardarmi.
Cercavo di capire cosa fare, forse si aspettava che dicessi qualcosa io, ma lui sembrava sempre sul punto di dire qualcosa come la sera prima e io non volevo interrompere quel momento, così rimasi immobile e in silenzio.
-Elettra … - iniziò lui, ma poi si bloccò di nuovo.
-Si … - dissi in un soffio.
-Senti … - altro blocco. –Io … si ecco … oh. – l’attore si grattò la nuca impacciato –Oh, al diavolo! Venerdì sera sei impegnata?- concluse.


Sono tornata! Volevo scusarmi per i tempi lunghi, ma sono in sessione d’esame e ho davvero poco tempo per scrivere, purtroppo. Spero che questo capitolo non sia troppo palloso! Nel prossimo inizieremo ad entrare nel vivo della fic, quindi non abbandonatemi.
Detto questo grazie a chi ha lasciato una recensione e a tutti voi che leggete!
_cherryred_

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Avevo sentito bene? Tom Hiddleston mi stava davvero chiedendo di uscire con lui? Stavo sognando?
Rimasi imbambolata per qualche secondo, guardavo i suoi occhi limpidi, la barba rossiccia ben curata e quel sorrisino nervoso che avevo iniziato ad amare osservando soltanto uno schermo.
-Ehm… io … - biascicai, confusa, nel pallone più totale.
Come è che si parlava? Era tutta una questione di corde vocali, laringe, lingua, velo palatino e altre mille stronzate che avevo imparato preparando quello stupido esame di linguistica.
L’attore parve rabbuiarsi, si allontanò di un passo dal bancone come se gli avessi appena dato uno schiaffo. Chiaramente aveva preso la mia incapacità di saper comporre una frase come un rifiuto, immediatamente mi sentii una completa idiota.
-Okay- disse lui, aggiustandosi la giacca scura. –Mi dispiace, non volevo essere inopportuno, Elettra. Facciamo conto che non ti abbia detto nulla, nessun problema. Buona giornata- detto questo si girò dandomi le spalle e, grazie alle sue lunghe gambe, in due secondo arrivò alla porta, lasciò la caffetteria chiudendosi la porta alle spalle.
Io ero ancora la, con la bocca mezzo aperta, una faccia da ebete e il cervello che mi gridava “Che cazzo fai Elettra! Corri!”, eppure le mie gambe erano piantate a terra per l’emozione e il panico.
Tom Hiddleston mi aveva chiesto di uscire, porca miseria, io ero stata invitata ad uscire da un attore famoso.
-Mi spieghi cosa stai aspettando?- chiese sconvolto Jeffrey, mi guardava con gli occhi spalancati.
Mi girai verso di lui, ancora incapace di far funzione le gambe, ma finalmente in grado di utilizzare il mio apparato fonatorio nella maniera corretta.
-Che devo fare?- chiesi con un filo di voce.
-Corri immediatamente e vai a dargli una risposta!- disse, scuotendomi per un braccio e facendo finalmente muovere le mie gambe.
Si, dovevo correre.
Corsi fuori dalla caffetteria inciampando più volte sui miei stessi piedi, mi guardai attorno cercando di vedere da che parte fosse andato Tom. Non riuscivo a ricordarlo, corsi mi buttai in mezzo alla strada, completamente alla cieca, come se quella fosse la trovata dal secolo. Mentre attraversavo una delle strade più trafficate di Londra lo vidi, stava entrando in macchina, continuai a correre.
Sentivo il rumore dei freni delle auto e gli insulti degli automobilisti nella mia direzione,  ma non era poi così importante. Io venerdì sarei uscita con Tom Hiddleston.
Cazzo, stava partendo.
Corsi più veloce e iniziai a chiamarlo, agitando un braccio come una matta. Non riusciva a vedermi. Arrivai giusto in tempo per dare una botta al finestrino posteriore, il tanto per fargli venire un colpo e dargli l’impressione di aver investito qualcuno.
La macchina arrestò la marcia, avevo il fiatone, la portiera del guidatore si aprì, mi dovetti poggiare all’auto per riprendermi dalla corsa, un Tom Hiddleston bianco come un cencio venne fuori tenendosi una mano sul petto.
-Mio Dio, Elettra! Ti ho colpita?- chiese, spaventato.
Scossi la testa riprendendo fiato. –Sono libera … - affannai, guardando dritto nella sua direzione –Venerdì sono libera- conclusi.
Lui si avvicinò a me – Ma stai bene? Ti vuoi sedere un attimo?-. Poveretto, pareva davvero molto preoccupato.
Sollevai in alto i pollici e gli feci un sorriso incoraggiante. –Scusami se non ho risposto … mi hai mandata in confusione-.
-Vuoi che ti riporti a casa? Sembri non riuscire a stare in piedi- sembrava che ignorasse completamente la mia risposta alla sua domanda di uscire assieme, oh Zeus e se nel frattempo aveva cambiato idea e voleva tirarsi indietro?!
-Nono, devo tornare a lavoro- non continua ad insistere con la storia del venerdì. Improvvisamente mi sentii molto stupida ed ingenua, magari mi aveva chiesto di vederci solo per pena o per capire se avrei scritto bene di lui nell’articolo. Desiderai che la terra si aprisse sotto i miei piedi e mi ingoiasse. –Ora io torno a lavoro … arrivederci signor Hiddleston.-
Voltandomi per dargli le spalle mi sentii afferrare di nuovo, come una bambola mi fece girare. Sorrideva, sembrava divertito, quello stesso sorriso quasi da folle che ha ogni volta che interpreta Loki.
-Dove credi andare ragazzina!- ancora quell’appellativo maledetto. –Visto che io sono il signor Hiddleston, devo trovare un appellativo a te tanto odioso così da equilibrare i nostri fastidi- mi fece l’occhiolino prima di continuare a parlare –Ci vediamo venerdì, passo a prenderti alle sette- il suo sorriso mi tolse il fiato.
-Si… - balbettai come una sciocca –Cosa devo indossare?- chiesi.
Lui sembrò pensarci qualche istante, guardò il cielo chiaro come se la risposta fosse scritta tra le nuvole.
-Direi casual, vestiti come ti senti a tuo agio, Elettra- detto questo si sporse verso di me, mi diede un bacio sulla guancia e ci salutammo.
Io avevo il cervello completamente andato.
 
Matt quella settimana dovette partire per andare a trovare la sua famiglia e mi lasciò sola. Fu una settimana eterna, parve non finire mai, io ero iperattiva e non riuscivo a stare ferma mezzo secondo. Ne approfittai per lavare tutta la casa cominciando dalla cucina, il bagno, il salone e le camere da letto. Alla fine l’appartamento brillava ed ero riuscita a liberarmi di tutti quegli oggetti e vestiti inutili.
Quando tutta la casa fu perfettamente pulita la situazione andò peggiorando, ripresi a pulire tutto da capo, cercavo di studiare ma avevo la testa completamente altrove, facevo le prove per i vestiti e le prove trucco e ogni volta che finivo non ero mai soddisfatta.
-Sembri una battona- mi disse Ares, guardandomi in videochiamata mentre gli mostravo l’ennesimo outfit.
Effettivamente mio fratello non aveva tutti i torti, quella gonna era eccessivamente corta, non potevo nemmeno inchinarmi senza rischiare di finire con il sedere al vento, e quella maglia era troppo scollata.
-Oh Zeus… - risposi sconsolata, lasciandomi cadere a peso morto sul letto. Mi presi la testa tra le mani scuotendola piano, ero in disastro.
Ma mio fratello ebbe pietà di me e la mattina dopo, due giorni prima del mio appuntamento, me lo ritrovai sul pianerottolo con uno zaino in spalla. Bello come il sole, i gemelli avevano preso i tratti greci dalla parte della mamma. I loro visi sembravano scolpiti, labbra perfette,  mandibola delicata e marcata allo stesso tempo, occhi grandi e brillanti e capelli ricci castano cioccolato. Dei veri dei greci.
Guardai mio fratello imbambolata per qualche secondo poi gli saltai al collo, erano mesi che non vedevo nessuno della mia famiglia, quasi mi venne da piangere quando sentii le forti braccia di Ares circondarmi e stringermi forte.
-Ma che ci fai qui?- chiesi, sciogliendo l’abbraccio e guardandolo.
-Eri disperata, con Tristano abbiamo fatto una colletta e visto che sei qui tutta sola sono venuto io a darti sostegno- lo disse con nonchalance, ma sapevo che il biglietto all’ultimo minuto doveva essergli costato parecchio. –Quindi senza ulteriori indugi mostrami il tuo armadio, sorellina-.
Percorremmo il corridoio immacolato del mio appartamento, praticamente tutto brillava talmente avevo pulito a fondo. Camera mia non era mai stata così ordinata, tutti i libri perfettamente sistemati nella libreria, i vestiti nell’armadio e nella cassettiera, scarpe nella scarpiera.
Ares si guardò attorno stupito con la bocca mezza aperta –Wow, non scherzavi El quando hai detto di aver pulito tutta la casa!-
-Te lo dicevo che sono nervosa- replicai, aprendo l’anta dell’armadio.
Feci un cenno per indicare che era tutto suo mentre mi sedevo sul letto, Ares si posizionò davanti all’armadio e iniziò a spulciare uno ad uno i miei vestiti. Acchiappò qualche capo di dubbio gusto e me li piazzò davanti al viso come per dire “Sul serio?”. Tra questi c’era la gonna utilizzata durante l’intervista con Tom, una tutina rosa confetto lucida che mi faceva un sedere bellissimo, una maglietta bianca con su scritto “il bianco è banale, ma sapessi cosa c’è sotto questa tshirt”.
-Zeus! Se questa maglietta la vedesse la mamma penso che le prenderebbe un colpo al cuore- ridacchiò lui, rimettendola al suo posto.-Sorellina questo armadio sembra quello di una squillo, devo preoccuparmi?-
In tutta risposta gli feci il dito medio e lo sentii ridere di gusto. La risata dei gemelli era sempre contagiosa, avevano una risata cristallina e buttavano sempre la testa all’indietro  mostrando il collo chiaro. Quando ancora stavamo a Roma ed eravamo ad una festa tutti e tre, avevo sentito una ragazza dire qualcosa tipo “Ma quanto vorresti mordere il collo dei gemelli Leone, cioè quelli pure il collo hanno che butta fuori testosterone e sesso”. A me era venuto da ridere, riconoscevo che i miei fratelli fossero davvero belli, ma sentire che effetto facessero sulle ragazze era sempre stranissimo. Senza contare che quando si parlava di Ade bisognava immaginarsi una fitta coda di ragazze adoranti e smaniose di ricevere attenzioni; vi basti sapere che alle superiori e all’università aveva come soprannome “Adone”, questa la diceva abbastanza lunga.
-Okay!- esclamò Ares, riportandomi alla realtà –Forse ho trovato qualcosa che non dica “ti prego strappami questi straccetti di dosso e scopami duro”-
-Sai che sei veramente deficiente?- lo sciommottai.
-Questo deficiente però ti ha trovato un outfit che probabilmente ti farà davvero ottenere una bella scopata, anche senza essere vestita come una battona.-
Ares mi sventolò davanti agli occhi i vestiti. Una mini nero scuro di velluto, maglione bianco a collo alto, cappotto color cammello dritto al ginocchio e le marteens.
-Non ti pare troppo banale?- dissi inclinando la testa di lato.
-Ah no no, signorina devi vederlo sotto la giusta ottica. Questo maglione mette in risalto i tuoi capelli scuri e siccome è bello attillato sembrerà anche che tu abbia le tette-
-Ti ringrazio, Ares-
-Non c’è di che honey. La gonna non è eccessivamente corta, ma mostra le tue gambe perfette. Sarai perfetta Elettra. Sei sempre bellissima- concluse lui accarezzandomi la testa.
Io feci spallucce –Nah, tu, Tristano, Ade e Calliope siete bellissimi. Io sono un po’ la pecora nera della famiglia- ammisi.
Ares spalancò gli occhi scuri e mi guardò con aria sconvolta. –Scusami? Puoi ripetere? Credo di aver capito male-.
-Oh dai, guardami!-
-Ti guardo Elettra!- esclamò.
-Voi siete perfetti, tu e Tristano sembrate due statue greche. Ade non è parliamo, Calliope è perfettamente proporzionata, tette da paura, sedere che Belen spostati proprio e nasconditi nella spazzatura … e poi ci sono io. Bassa, insignificante, il naso troppo grande, tette inesistenti, sai che non riempio nemmeno una prima? Non so cosa ci vede un attore in una come me.- buttai fuori tutto guardandomi allo specchio.
Non ne avevo mai parlato con i miei fratelli, forse una volta era capitato con Ade e si era arrabbiato moltissimo nel sentire quanto io mi sminuissi.
Ares pareva incredulo, non se lo aspettava. Non era comune in casa nostra avere una scarsa autostima, proprio perché erano tutti bellissimi.
-Ok, siediti subito El e ascoltami bene- il suo tono non ammetteva repliche e la sua espressione era così seria da far quasi paura. Così mi sedetti e alzai il viso nella sua direzione per guardarlo. –Tu sei bellissima. I tuoi capelli così scuri e lunghi sono perfetti, i tuoi occhi hanno il colore della cioccolata e brillano, le tue labbra sono perfette e sembrano disegnate da un artista. È vero, non hai le super curve come Calliope, non hai un seno prosperoso, ma ti posso assicurare che nostra sorella darebbe una mano per avere il tuo fisico. Pancia piatta, fianchi stretti, come dice il mio amico Cristiano, “tua sorella ha un culo che nemmeno parla, canta direttamente!”. Quindi smettila subito, non voglio più sentire certe idiozie venire fuori dalla tua bocca.-
 
E così fu, dopo il discorso di Ares non osai replicare in maniera diversa e cercai ogni giorno di vedere i miei punti di forza e ciò che di bello c’era nel mio corpo. Devo dire che con questo esercizio arrivai al giorno dell’appuntamento abbastanza carica e con una buona dose di autostima.
Quando Tom suonò il campanello ero pronta e l’outfit scelto da mio fratello era perfetto, sul serio metteva in luce tutti i miei punti di forza, mi faceva sentire bella e a mio agio.
Il campanello suonò e io mi precipitai come una trottola verso la porta di casa, avevo il cuore che mi batteva a mille nel petto e non riuscivo a smettere di sorridere mi sentivo un po’ una sciocca, ma insomma non capita tutti i giorni di uscire con un attore.
Quando aprii la porta Ares si catapultò al mio fianco, avrei voluto ucciderlo, ma potevo capire la sua curiosità.
-Buonasera Elettra- disse Tom. Era fottutamente bellissimo, ma ragazzi da togliere il fiato, più bello del sole, della luna, di qualsiasi cosa.
Portava una maglione con dei pantaloni neri che gli fasciavano le gambe alla perfezione e una cappotto nero aperto sul davanti. Doveva essere un vizio il suo visto che ancora faceva un freddo cane a Londra, ma d’altronde, a Londra fa mai caldo? La barba rossiccia faceva risaltare i suoi occhi chiari e limpidi e io dovetti concentrarmi per riuscire a partorire una frase con un senso compiuto.
-Salve signor Hiddle… oh Zeus, scusami. Tom. Ciao Tom- arrossi violentemente nel pronunciare il suo, sentii un brivido lungo tutta la schiena mentre lui emetteva un verso divertito. –Lui è- cominciai indicando mio fratello –Ares, mio fratello … ti ricordi? L’ho nominato durante lo sproloquio all’intervista- Zeus, ma perché stavo tirando fuori quella storia imbarazzante?!
Tom fece un sorriso ancora più divertito –Ma certo che mi ricordo.- e quando mai si sarebbe dimenticato di una cosa così assurda? –Molto piacere- disse tendendo la mano verso mio fratello che temetti si sarebbe fatto la pipì addosso per l’emozione di stringere la mano all’attore.
-È davvero un piacere conoscerla!- biascicò Ares, gli occhi gli brillavano e sapevo si stava trattenendo dal fare mille domande al divo.
-Bene, noi andiamo- dissi, prima che mio fratello iniziasse a scatenarsi.
-Se allunga troppo le mani lo uccido.- disse mio fratello in greco, mentre mi dava un bacio sulla guancia. –Buona serata!- aggiunse poi in inglese.
Tom ed io lo salutammo mentre io ridacchiavo per la frase in greco. Nel momento in cui la porta di casa si chiuse alle mie spalle piombai nel panico più totale, ero da sola con Tom Hiddleston, con un attore, stavo uscendo con un attore.
Ero nel panico, era da diverso tempo che non uscivo con qualcuno. L’ultimo era stato un tizio del mio corso di giornalismo che dopo la prima uscita e al primo bacio, aveva ben pensato di infilarmi una mano sotto la gonna pronto a strapparmi via le mutandine. Chiaramente era stato un grandissimo NO.
Ma ora era tutto diverso, Tom non era una persona come un’altra, non era come uscire con un mio coetaneo. E se mi avesse trovata infantile o stupida?
Improvvisamente mi ritrovai fuori dal mio palazzo, l’attore mi aprì lo sportello dell’auto e io mi resi conto di non aver ancora spicciato parola.
Le cose non stavano partendo bene. Okay, dovevo concentrarmi e stare serena, fare dei piccoli respiri e … l’attore si sedette accanto a me, al posto del guidatore, si mise la cintura e accendendo il motore mi sorrise, io mi sciolsi come un budino.
-Hai avuto l’occasione di leggere l’articolo che abbiamo redatto con Michelle?- chiesi io, con una vocina che non sembrava nemmeno la mia.
-Certo! L’ho trovato piacevole, ben impostato e sono grato che non mi abbiate fatto domande noiose, siete state veramente molto brave, complimenti!- mise in moto l’auto.
Certo che se continuava a sorridere in quel modo e a farmi i complimenti, mi sarei sciolta così tanto che mi avrebbe riportata a casa nel mio stato liquido e non in quello solido.
-Allora- riprese lui –Parlami un po’ di te, come mai sei venuta ad abitare qui a Londra?- mi chiese.
-Oh, beh ho deciso di spostarmi quando ho iniziato l’università. Sai l’Inghilterra mi ha sempre affascinata, la monarchia, l’architettura, il verde. Così quando mi sono diplomata ho deciso di cambiare aria e ho provato un test di ingresso qui a Londra e alla fine sono partita con quello che era il mio ragazzo, ma poi con lui non ha funzionato e mentre io mi facevo il mazzo tra lo studio e il lavoro si è messo con una mia collega dell’università. Ora lui è tornato a Roma da un bel po’, mentre io mi sono rimboccata le maniche e ho fatto di tutto per riuscire a rimanere.-
Lui inclinò la testa con un gesto di approvazione. –Lodevole, davvero. Riesci a mantenerti completamente da sola?-
-Si- ammisi, con un certo orgoglio nella voce. –Io non chiedo nulla ai miei genitori, ma loro ogni tanto mi mandano lo stesso qualcosa e questo mi permette di togliermi qualche sfizio.-
-Te l’ho chiesto perché all’inizio ti ho giudicata male, Elettra. Durante l’intervista, non appena ti ho vista mi ha colpito immediatamente la tua bellezza così fuori dal comune e così distante da tutte le ragazze inglesi. Poi quando ho saputo che venivi dall’Italia e ho visto il tuo abbigliamento, che permettimi era del tutto fuori luogo anche se piacevole per gli occhi, ho pensato che fossi la classica ragazza in erasmus che pensa soltanto a divertirsi e farsi la vacanza sulle spalle della propria famiglia.- lo dice con calma, e sento nel suo tono che non c’è accusa o sufficienza, ma quello che sta dicendo lo dice per complimentarsi con me. –Quando ho visto la tua casa e il tuo coinquilino, ho capito che eri giovane, ma che eri una abituata a rimboccarsi le maniche e lavorare.-
Wow, wow, wow! Cosa sentivano le mie orecchie. Tom Hiddleston mi stava facendo dei complimenti e mi aveva detto che ad averlo colpito era stata la mia bellezza! Entro la fine della serata sarei diventata un liquido.
-Io …. Ehm … Zeus …- biascicai imbarazzata.
-Scusami! Non volevo metterti in imbarazzo!- disse lui, girandosi un secondo nella mia direzione e ridacchiando appena.
-No- mi scusai io –è solo che sembra così assurda tutta questa situazione- ammisi.
-È lo stesso per me, non ricordo nemmeno quando è stata l’ultima volta che sono uscito con una ragazza che non fosse famosa e così tanto più giovane di me. Sai sono agitato anche io-  lo disse sorridendo mentre parcheggiava l’auto.
Tirò il freno a mano e mi guardò per qualche istante, era così bello e io così goffa. Come aveva potuto scegliere me tra le mille ragazze famose che poteva avere, cioè l’ultima con cui si sapeva che era stato era Taylor Swift. TAYLOR SWIFT. State capendo? Io ero la signora nessuno.
-Comunque- dissi ridacchiando –Tanto per la cronaca, l’abbigliamento da squillo il giorno dell’intervista, non era affatto previsto.- dissi, non per cercare di difendermi, ma perché volevo raccontargli qualcosa di divertente.
Così feci. Scendemmo dall’auto e iniziammo a passeggiare, io gli raccontai della sera prima dell’intervista e della sbronza che mi ero presa con Matt, gli raccontai di come il caffè avesse rovinato i pantaloni e di come fossi entrata nel panico fino a decidere di presentarmi vestita in quel modo.
Tom rise, ma proprio di gusto e mi raccontò di quanto fosse agitato per quell’intervista. Per lui fu la prima volta un intervista condotta da universitari e così mi racconto che la Professoressa Patt è sua zia e del fatto che gli dovesse un favore o qualcosa del genere. Rimasi sbalordita perché non avevo idea del fatto che fosse sua zia, erano stati entrambi molto discreti.
-Devo ammettere che ho chiesto a mia zia prima di invitarti ad uscire, dovevo capire se fossi una pazza o di quelle fan esaltate, sai non amo molto quel genere di persone-.
Ecco spiegato come aveva potuto fidarsi, fortunatamente la professoressa aveva una buona opinione di me.
E continuammo a parlare, mi raccontò di alcune disavventure con i fan, di quando una ragazza si era infilata in casa sua e si era fatta trovare nuda sul letto. O di quanto un fan aveva frugato tra la sua spazzatura per rivendere i rifiuti su internet.
Arrivammo davanti un chiosco che vendeva street food e io fui enormemente felice del fatto che non mi avesse portata fin da subito in un super ristorante o roba simile. Credo che mi sarei sentita profondamente a disagio.
Invece fu tutto così naturale, mangiare crocchette di patate seduti su una panchina, ridere insieme, in pochissimo tempo non mi sentii più inferiore, ma mi sembrò di avere accanto una persona del tutto normale come me.
Parlammo dei miei studi, i miei progetti per il futuro, parlammo assieme di Endgame e di quanto avessi sofferto nel vedere Loki morire e lui mi prese in giro tantissimo.
-Hey- esclamai, dandogli una pacca sul braccio. –Non sfottermi, Loki è sempre stato il mio preferito!- mi lamentai.
Lui rise, buttando appena la testa indietro e mi cinse le spalle con un braccio, improvvisamente iniziai a sentire molto caldo.
-Quindi sono il tuo preferito?- disse, abbassando leggermente il tono della voce che si fece più caldo e sensuale.
Oh Zeus, pensai, qui oggi muoio per infarto.
Sentii le guance tingersi di rosso, lo capii anche dal suo sorriso che si fece più furbo, ero quasi certa che stesse per baciarmi quando entrambi notammo che un gruppo di persone l’avevano riconosciuto.
Tom sospirò piano e si alzò in piedi, sembrava un po’ seccato. Io lo ero di certo, insomma la situazione si stava facendo molto interessante.
-Vieni, continuiamo la passeggiata, ti va?- chiese, porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Era un vero gentleman, un vero inglese. Accettai l’aiuto e credesti che subito dopo mi avrebbe lasciato la mano, ma non fu così. Riprendemmo la nostra passeggiata mano nella mano. Accanto a lui mi sentivo così piccola!
-Tom … - sussurrai piano, alzando il viso per poterlo guardare. –Credo ci stiano scattando delle foto- dissi.
Lui sbuffò leggermente –Già … mi dispiace, avrei dovuto prevederlo. Se ti da fastidio posso chiedere di smetterla- .
-Oh no, nessun problema, è solo strano- ridacchiai –Di certo non mi capita tutti i giorni di essere fotografata mentre cammino per strada.-
-Magari la prossima volta organizziamo qualcosa di meno esibizionista- rispose lui.
La prossima volta? Zeus, quindi ci sarebbe stata davvero una prossima volta? Il mio stomaco fece una capriola e vi giuro che mi sarai messa a saltare per strada, ma cercai di mantenere un certo contegno.
Arrivammo fino a Buckingham Palace e io ne rimasi estasiata come tutte le volte in cui passavo davanti al palazzo. Era bellissimo.
-Sai da bambina ho sempre immaginato di essere invitata per qualche evento super figo, mi immaginavo con un vestito bellissimo e una corona in testa-
-Sai, il prossimo mese io sono invitato al matrimonio del principe- lo disse con grande calma, come se fosse del tutto normale.
Io mi bloccai, spalancai occhi e bocca –COSA?- quasi gridai.
Lui fu costretto a fermarsi per non perdere la presa sulla mia mano e mi venne più vicino. –Eh si!- fece spallucce, ancora con quell’atteggiamento pacato.
-Tu … tu – balbettai –Conosci il principe?- riuscii alla fine a dire.
-Si- ridacchio continuando a vedere la mia espressione sempre più stupita. –Insieme abbiamo fatto alcune arrampicate con la doppia corda e ho partecipato ad alcune delle sue campagne umanitarie in Africa. Tutto qui.-
-Tutto qui, dice lui! Come se conoscere un membro della casata reale dei Windsor fosse la cosa più normale a questo mondo!-
Continuammo a camminare fino a quando non iniziarono ad arrivare dei veri e propri paparazzi, tra cui uno di questi addirittura afferrò il mio braccio per farmi voltare. A quel punto Tom accelerò il passo fino a riportare entrambi dentro l’auto. Fu abbastanza sconvolgente essere assalita in quel modo e lui mi chiese scusa circa mille volte.
-Mi dispiace tantissimo- disse di nuovo, mentre parcheggiava l’auto sotto il mio palazzo. –Spero non ti sia spaventata quando quell’uomo di ha afferrata per un braccio- accarezzò il mio braccio con fare gentile.
-Un pochino, ma ora è tutto okay. Più che altro non mi aspettavo sarebbe successa una cosa simile.- di rimando gli accarezzai la mano che ancora posava sul mio braccio, sorrisi per tranquillizzarlo.
-Forza, ti accompagno di sopra-.
Era stata una serata bellissima e onestamente non vedevo l’ora di rivederlo, niente avrebbe potuto guastare questo appuntamento perfetto.
Niente, tranne forse …
Il maledetto ascensore che si ferma.
Esatto, porca miseria!
L’ascensore si bloccò prima di arrivare al mio piano, si fermò producendo un tonfo sonoro che fece tremare tutta la cabina. Io mi spiaccicai la mano in faccia e subito dopo iniziai a premere i pulsanti imprecando in greco.
-Non ci posso credere, maledizione- mollai un pugno alla pulsantiera che non dava segni di vita e poi poggiai la schiena contro la parete della cabina.
-Non riparte?- mi chiese lui.
-No, oddio che imbarazzo!- esclamai componendo il numero dei vigili del fuoco che ormai erano diventati miei cari amici e almeno una volta al mese venivano a salvarmi dall’ascensore. –Si pronto! Sono Elettra Leone, si esatto … civico 227, si sempre io. Sono chiusa nell’ascensore e non sono sola, si è fermato al terzo piano. Okay, grazie mille, a tra poco- chiusi la chiamata e buttai il cellulare dentro la borsa sbuffando sonoramente.
-Hey, Elettra!- esclamò Tom, venendomi più vicino –Non ti preoccupare, è tutto okay! Tutto questo rende ancora più movimentata la nostra uscita.- cercò di consolarmi.
Ma io ero imbarazzatissima, non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi e, quando per l’ennesima volta ripeté il mio nome, mi mise tue dita sotto il mento costringendomi ad alzare il viso.
-Va tutto bene- disse di nuovo.
-Sono mortificata- sussurrai –Penserai che vivo in una catapecchia- abbassai nuovamente lo sguardo.
-No! Penso  che tu viva in una casa normale e che grazie al tuo lavoro ti puoi permettere.-
-Molto distante dalle case a cui sei abituato… - dissi in un soffio.
-Questo è vero, ma non è meno piacevole- poi fece una pausa, si avvicinò di più a me fino a far toccare i nostri corpi. Trattenni il respiro e sollevai immediatamente lo sguardo trattenendo il fiato, cosa stava succedendo? I suoi occhi era furbi, maliziosi, come quelle espressioni da Loki che mi facevano gridare “Sono già senza mutandine”. –Sai questo inconveniente potrebbe rivelarsi piacevole, dopotutto- posò una mano proprio sulla parete sopra la mia testa, la mano che mi sosteneva il mento mi accarezzò la guancia molto vicino alle labbra.
Porca miseria, oh santissimi numi!
-C’è una cosa che avrei voluto fare, ma tra persone comuni e paparazzi non me la sono sentita di esporti così tanto alla nostra prima uscita- madonna la sua voce vellutata e quell’accento britannico, stavo per avere un orgasmo soltanto ascoltando le sue parole.
-Cosa?- dissi con un filo di voce, le gambe mi si erano ridotte a due budini e il cappotto stava cominciando a farmi sentire troppo caldo.
Lui sorrise, quel sorriso furbo di Loki e io dovetti appellarmi a tutti gli dei per non morire li sul momento.  Poi, con estrema lentezza si piegò su di me e io mi sentii così piccola mentre il suo corpo mi sovrastava, il cuore stava per schizzarmi dal petto. Le sue labbra si poggiarono delicatamente sulle mie e io di riflesso chiusi immediatamente gli occhi. Le sue labbra erano morbide, combaciavano perfettamente contro le mie, si muovevano piano, senza fretta. Stavo letteralmente uscendo di testa. Quando sentii le sue labbra schiudersi appena, lo imitai, lasciai che le nostre lingue si toccassero piano e poi in maniera sempre più forte e più audace. La mia mano andò ad infilarsi tra i suoi riccioli rossicci, erano così morbidi, lo attirai di più a me e fu a quel punto che mi afferrò per le gambe e mi sollevò da terra, probabilmente si era stancato di stare piegato per arrivare al mio viso. Gli misi le braccia al collo e mi godetti quel bacio assolutamente fantastico.
Fino a quando non sentimmo un –Signorina Leone, è li dentro?-
Tom si staccò da me, entrambi avevamo le labbra gonfie e umide, mi rimise a terra e io mi diedi un tono mentre rispondevo ai vigili del fuoco.
Ovviamente ci liberarono in pochi minuti, Tom mi accompagnò alla porta e mi diede un bacio leggero per salutarmi e poi tornò a casa sua.
E questa è stato il mio primo appuntamento con Tom Hiddleston
 
Non voglio nemmeno guardare quando è stata l’ultima volta che ho aggiornato! Sono in sessione d’esame e mi è venuta una voglia matta di continuare questa ff, quindi ecco a voi il capitolo 4!
Scusatemi, cercherò di aggiornare presto! Killerqueen95

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3765535