Cronache di Contrade

di lmpaoli94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una storia mai raccontata ***
Capitolo 2: *** Tacito accordo nascosto dal sangue ***
Capitolo 3: *** Alleanze velate ***
Capitolo 4: *** Giochi sporchi ***
Capitolo 5: *** Contemplare il desiderio di una donna ***
Capitolo 6: *** Voglia di riscatto o voglia di tacere? ***
Capitolo 7: *** La violenza del Conte Varello dei Vassalli ***
Capitolo 8: *** Il tocco del nemico ***
Capitolo 9: *** La saggezza dello scudiero ***
Capitolo 10: *** Difendere un amore non ancora sbocciato ***
Capitolo 11: *** Un amico tradito dall'infamia ***
Capitolo 12: *** Portato a giudizio e rapito ***
Capitolo 13: *** Nelle viscere della terra per risorgere più forte ***
Capitolo 14: *** Avidità imperdonabile ***
Capitolo 15: *** Incontro improvviso ***
Capitolo 16: *** Egoismi placati ma mai assopiti ***
Capitolo 17: *** Giuramenti sul punto di morte ***
Capitolo 18: *** Sotto il segno dell’abuso di potere: una fine ingloriosa ***
Capitolo 19: *** Il giudizio dell’odio ***
Capitolo 20: *** Un marchese spietato ***
Capitolo 21: *** Il giuramento del bastardo ***
Capitolo 22: *** L’epilogo della luce oscurata dall’inganno ***



Capitolo 1
*** Una storia mai raccontata ***


Il soffio dell’aquila si ergeva sopra le case di poveri mortali che guardava il cielo come se fosse il proseguo del loro tempo fino alla loro fine.
Ma non tutto può durare per sempre, nemmeno la pace.
Eppur sfide incontrastate e piene di vita si ergevano in quel luogo magnifico e incontaminato chiamato Regno di Numarsa.
Sfilavano cavalli con lo stemma di un potere che aveva bisogno di rivalsa in un luogo dove l’onore era tutto per i cavalieri che cercavano di far prevalere il loro talento in mezzo a giovani donne.
Donne che avevano voglia di sentirsi coraggiose come i loro beniamini, sfoggiando la propria contrada con tale fierezza in quel primo giorno d’state così rovente e pieno di vita.
Eppur alcuni di loro non riuscivano a vivere in pace come le altre contrade del Regno.
Il sibilo della vendetta e del male era sempre dietro l’angolo in mezzo alla folla e gli storpi che vagavano nell’ombra facevano di tutto per rovinare una festa magnifica e incontaminata.
Camminava senza sosta correndo più che poteva, ma la gobba lo faceva desistere nell’essere uguale a tutti gli altri abitanti del Regno.
Eppure Gokir sapeva come comportarsi per il suo padrone e per la sua contrada, e il male oscuro dentro il suo cuore era talmente forte che non si poteva convertire.
< Signore, le varie contrade si apprestavano a scendere in piazza. Non andate a vederle? >
Un uomo burbero mentre stava tenendo gli occhi chiusi per pensare al suo passato, si voltò verso il suo servo degradandolo come solo lui sapeva fare.
< Stupido sciocco! Come osi ricordare il mio passato doloroso da cavaliere coraggioso quale ero? Nessuno ha il diritto di farlo! nessuno! >
< Padrone, io non volevo… >
< Tu sai a quale contrada appartieni, vero, Gokir? >
< Alla contrada della Vipera. Non posso dimenticarlo, Signore. >
< E ricordi l’ingiustizia che ci hanno fatto l’hanno scorso i nostri rivali? >
< Certo. Eravamo i vincitori del torneo del cavaliere, ma qualcuno ha tramato nell’ombra contro di noi. per un anno abbiamo cercato di capire chi potesse essere, ma non siamo arrivati a nessuna conclusione. >
< E secondo te di chi è la colpa? >
Gokir, fissando il suo padrone con sguardo stralunato, evitò di rispondere.
< Sei stato tu, sciocco che non sei altro! Tutti i miei alleati mi hanno abbandonato come se avessi la peste! Sono stato denigrato senza che io potessi difendermi! Ti rendi conto di quanti torti ho subito nella mia vita?! >
< Sì, mio Signore. Ma io solo rimasto fedele a voi… >
< Perché non hai nessun posto dove andare! Approfitti di me e della mia pazienza per entrare nelle mie grazie. Ma sappia che non è così. >
< No, mio Signore. Io, come voi, sono stato abbandonato contro la mia volontà. Ed io, come voi, sto cercando vendetta… Ma ricordatevi una cosa: non la troveremo in mezzo all’ombra nascondendoci dome topi. >
< Allora dimmi Gokir, che cosa pensi di fare? >
< Dobbiamo trovare altri alleati che sposino la nostra causa. Solo così potremmo rovinare questo dannato torneo di Numarsa. >
< Ma nessuno si azzarderebbe ad allearsi con noi. Siamo tipi pericolosi, ricordi? >
< A molti piace il brivido della rivalsa e la voglia di conquistare l’onore va oltre qualsiasi pensiero. Fidatevi, mio Signore. Troveremo gli alleati adatti e distruggeremo colori che ci hanno fatto del male. La Contrada dell’Aquila… >
< Evita di nominarmi quei traditori Gokir, o assaggerai la mia rabbia funesta. >
< Mi dispiace, Signore. Io non volevo. >
< So che non volevi ma… Devi fare un ultimo lavoro per me. Vai in piazza e spia tutti coloro che gareggeranno quest’oggi. Solo così potremmo capire l’aria che tira in questa dannata festa. >
< Non tutti possono essere felici > rispose Gokir con tono malefico.
< Esatto… Qualcuno sta tramando nell’ombra e nel fare ciò ci darà una mano, me lo sento. Orecchie e occhi bene aperti, Gokir. Ormai sei la mia ultima speranza da molto tempo. >
< Sono felice di sentirvelo dire, Signore. >
Una volta rimasto solo, il vecchio uomo dal cuore malandato veniva illuminato dalla luce del sole mentre la sua voglia di rivalsa era ancora immensa nei suoi occhi.
IL Conte Fregio, capo della Contrada della Vipera, era un uomo subdolo che aveva bisogno assoluto potere per controllare il Regno di Numarsa a sua immagine somiglianza.
Ma la voglia di vendetta gli guastava il sangue ai danni della Contrada dell’Aquila, i suoi nemici giurati.
Il tutto risaliva all’anno scorso al momento dell’ultimo torneo.
Fregio e il suo sfidante Guadalara si stavano fronteggiando a suon di spade, ma negli occhi di Fregio c’ra qualcosa che non poteva trattenere.
La voglia di vincere a tutti i costi ebbe la meglio, uccidendo quasi il suo sfidante.
Ma nello stesso giorno al calar del sole, la vendetta della Contrada dell’Aquila sparse la voce che il Conte Fregio avesse barato fin dall’inizio del torneo, costatando modi bruschi e poco ortodossi.
Mentre tutti gli avevano voltato inspiegabilmente le spalle, Fregio si sentì solo e abbandonato e tutti coloro che l’avevano sempre supportato, furono schiavizzati contro ogni volere.
La Contrada della Vipera non esisteva più e Fregio era stato rinchiuso contro la sua volontà nelle prigioni dl Regno.
Ma una volta fuggito, aveva cambiato aspetto e identità, mostrandosi ai suoi simili come un comune mortale, mentre i cavalieri che fino a poco tempo prima erano suoi stretti rivali, gli rubavano la gloria che per tanti anni aveva combattuto.
Ma se la voglia di rivincita era superiore a qualsiasi cosa, tornare ad essere quello che era un tempo era una missione molto ardua e difficile.
Ma in tali momenti, lasciando da parte l’orgoglio e la voglia di farcela da solo, Fregio cercava di ricevere consensi alle Contrade dannate che albergavano nelle e profondità del Regno.
Perché nascondersi può essere dato dal fatto di una debolezza spinta dalla voglia di non farcela.
Ma se l’union fa la forza, nuovi minacce incomberebbero sul Regno, scatenando una guerra che non si vedeva da più di mille anni.
“I tempi sono maturi per agire” pensò il Conte Fregio “L’aria nuova si respira in questi luoghi malsani senza un minimo d’igiene.
Tutti si stanno spostando verso la piazza principale del paese con quei sorrisi sinceri che mi danno solo il voltastomaco.
Ma presto la subdola vendetta colpirà tutti loro e finalmente le Contrade soppresse o distrutte dall’avidità dei nostri rivali torneranno ad occupare il posto che si meritano. Fosse l’ultima cosa che faccio.”

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Capitolo 2
*** Tacito accordo nascosto dal sangue ***


Gli abitanti di Nunarsa si apprestavano a popolare la piazza fin dalle prime luci dell’alba.
La musica, il chiasso e il vociare di tutte le persone facevano presagire una bellissima aria di festa.
Ma non tutti nel Regno incontaminato e protetto dai cavalieri si poteva dire lo stesso.
Gokir, il servo fedele del Conte Fregio, vagava nei vicoli maleodoranti e oscuri del Regno in cerca di coloro che avrebbero fatto di tutto per rovinare la festa di tutto il popolo.
Mentre percorreva locande e altri luoghi frequentati da gente poco raccomandata, ladri e assassini non erano sufficienti per organizzare una rivolta in procinto di scoppiare da un momento all’altro.
Si doveva fare le cose con calma, soprattutto durante questo tipo di feste che duravano tanti giorni.
Domandando al locandiere dove potesse trovare la persona giusta per fare un lavoro degno del nome del Conte Fregio, il locandiere gli rispose di andare dietro la capanna dove si stava svolgendo un importante partita dove venivano scritte le sorti di tali partecipanti.
< Uno storpio come te non sarebbe ammesso a tale duello > fece il locandiere con voce grave < Ma visto che sei il servo del Conte Fregio, farò un’eccezione alla regola. >
< Anche perché non è consigliabile evitare gli ordini del mio padrone. Si rischia la vita. >
< Ricordati che la mia vita è più importante della tua, stupido uomo. >
< Occhio a chi offendi, vecchio locandiere. Non sono così stupido come si può pensare. >
Facendo una risata in modo che tutti i suoi clienti lo potessero sentire, Gokir lasciò la locanda per intraprendere la via versoil circolo priato.
In quel luogo le persone senza scrupoli aumentavano sempre di più e sentiva la sua vita appesa ad un filo.
< Dove stai andando così velocemente? >
< Ho bisogno di vedere alcune persone. Forse voi mi potete aiutare. >
< Spiacente. Questo non è posto per gente come te. >
< Mi manda il Conte Fregio, miei signori. Non posso tornare indietro a mani vuote. >
< Allora vorrà dire che subirai una morte atroce in maniera indegna. >
Gokir, che non sopportava la mancanza di rispetto, cercava di farsi forza per poter compiere la sua missione delicata.
< Lasciatemi passare. Non mi tratterrò a molto. >
< Allora forse non ci siamo spiegati > fece un volgare assassino con il volto coperto < Questo non è posto per te. >
< Allora vorrà dire che metterò a repentaglio lo stesso la mia vita, se così volete. >
< Molto bene. Ma sappi che non avrai nessuna possibilità. >
Mentre un’orda di ladri e assassini stavano circondando lo storpio, una voce acuta risuonò in tutto il corridoio come se stesse facendo tremare la terra.
< Che diavolo sta succedendo qui?! Perché state urlando? >
< Mio signore, questo storpio voleva passare da voi a tutti i costi per parlarvi. >
Fissandolo con sguardo serio e malefico, l’uomo misterioso capì subito con quale storpio aveva a che fare.
< Gokir. È da un bel pezzo che non ci si vede. >
< Signor Tarvo. È un grande piacere ritrovarvi > rispose il servo inchinandosi.
< Lasciatelo passare. Questo servo appartiene ad un mio grande amiuco che non vedo da molti anni. >
Mentre i ladri raggruppati si stavano facendo largo per farlo passare, Gokir si sentiva come una persona ammirata.
Una volta entrato nella stanza privata dell’uomo, un forte senso di apprensione si impadronì di lui.
Sottovoce, per quanto potesse odiare la sua esistenza, aveva il timore di fare una brutta fine come la maggior parte della gente che bazzicava in tali luoghi.
Ma Tarvo, per quanto potesse essere gentile, si dimostrò un uomo colto e molto rispettoso verso un uomo che ai suoi occhi, era più inutile di qualsiasi altra cosa.
< Non ho notizie del Conte Fregio da moltissimo tempo > cominciò a dire Tarvo < Pensavo che fosse fuggito dal Regno di Numarsa. >
< In principio era così > rispose Gokir < Ma qesto Regno ormai fa parte della sua vita e farebbe di tutto per poter tornare ad essere importante senza poter vagare nell’ombra come sta facendo lui e voi. >
< Parole sante, vecchio mio. E come pensa di tornare alla ribalta? Scatenando una guerra in tutto il regno? Le contrade di Numarsa faranno di tutto per seppellirlo ancora una volta, sai? >
< Certo che lo so. Il mio padrone l’ha già messo in conto… Abbiamo bisognpo di alleanze sincere e veritiere. Voi potreste essere dei nostri? Magari potremmo organizzare una brutta sorpresa alla gente di questo luogo? >
< Stai forse parlando di uccidere in un agguato gente innocente? >
Tarvo, pensando al futuro di questo regno, passeggiava nervosamente nella sua stanza.
< Voi non sareste d’accordo? >
< Sai Gokir, ho combattuto per questo Regno fino all’inizio dei tempi. Quando Numarsa era una terra deserta e non cresceva il nulla. Festeggiavamo le nostre doti e i nostri onori organizzando banchetti affinché la nostra pace duratura potesse essere riconosciuta nei millenni avvenire.
Ma i tradimenti e le ingiurie ci hanno portato a combatterci a vicenda per il male del nostro Regno. Per questo la mia Contrada e quella del tuo padrone sono state soppresse. Perché non ci volevano tra i piedi… Abbiamo tentato di rinascere dalle nostre ceneri, ma inutilmente.
Le Contrade più potenti di noi governano questo Regno smisurato, nascondendo il male nei vicoli malfamati dove la gente come noi muore o soffre in maniera indicibile. Tutto questo per te è giusto? >
< Certo che no, mio Signore. Per questo io e il mio padrone stiamo cercando di cambiare il mondo. Non è giusto che tutti noi soffriamo. >
< Oppure facciamo gli egoisti. Dobbiamo combattere a fondo per i nostri ideali… Ma dobbiamo farlo alla nostra maniera. >
< E sarebbe? >
< Vedi Gokir, le altre contrade pensano di essere più furbi di noi. Per questo dobbiamo fargli cambiare assolutamente idea. Dobbiamo fargli capire che anche noi abbiamo bisogno del nostro spazio e l’unico modo per farlo è alzare la voce. Un duello all’ultimo sangue potrebbe essere un’idea giusta, senza fare altri spargimenti di sangue. Ma io ho in mente un’altra idea. >
< Mi avete portato ad essere curioso, mio signore. Cosa avete in mente? >
< La violenza e il dolore è quello che contraddistingue la Contrada del Gallo e di tutti noi. Quindi l’unico modo è sopperire con la forza i nostri nemici, dando un volto nuovo al Regno di Numarsa. Sarebbe il nostro giudizio. Il nostro sogno. >
< Il Conte Fregio sarà assolutamente contento di sentire tali parole. Vado subito a riferirgliele. >
Ma Tarvo, che aveva ordinato con un cenno ai suoi scagnozzi di richiudere la sua stanza segreta, Gokir si sentiva molto confuso.
< Signor Tarvo, perché non riesco ad uscire? >
< Perché la mia Contrada e quella del tuo padrone non ha bisogno di te. Per questo dobbiamo togliere di mezzo la parte inutile. Mi capisci, vero? >
Mentre un’orda di uomini aveva circondato il povero servo storpio, Gokir si sentiva intimorito e spaventato.
< Parlerò personalmente con il tuo padrone dopo la fine della mia partita a carte… Perché i piaceri della vita non devono essere interrotti in nessun modo. Hai chiaro il concetto? >
< Vi prometto che non lo far più. Però vi prego: lasciatemi andare. >
< Temo di non poterlo fare, amico mio. Ma ti ringrazio di avermi rivelato informazioni del Conte Fregio. Ne farò assolutamente tesoro. >
Dopo averlo sgozzato dinanzi ai suoi occhi, Tarvo ordinò ai suoi uomini di ripulire immediatamente la stanza e di far sparire immediatamente il corpo di Gokir.
< Ma Signore, se il suo padrone… >
< Fregio è troppo intelligente per cercare questa povera nullità. In questo momento avrà dimenticato che esiste. Rip8ulite il tutto e preparatevi ad una bella sorpresa. Quest’anno anche noi avremo il nostro momento di gloria. >
< Con immenso piacere, Signore > replicò uno degli assassini prima di sparire nel buio della locanda.

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Capitolo 3
*** Alleanze velate ***


Tra il rumore della festa ci sono anche taciti avcordi di rivalità scandite da abomini e mancanza di onore.
Tali vengono riconosciute tra la Contrada dell’Auila e quella della Pantera, una tra le rivalità più famose del Regno di Numarsa.
< Mancano soldi nelle nostre casse vigenti e ben nascoste > mormorava Fra Tito, capo della Contrada della Pantera < Se i nostri rivali più stretti sapessero di tale mancanza, non potremmo più mostrarci alla luce del giorno e finiremo per scomparire con la Contrada della Vipera o del Leone, >
< Ciò non succederà mai perché i nostri trionfi sono riconosciuti nel presente e nel passato. >
< Ma i riconoscimenti non portano i soldi, Fra Guglielmo. I nostri padri non si sono fatti largo tra le insidie grazie ai riconoscimenti. La nostra Contrada ha bisogno di torvare finanxze alla svelta, altrimenti non potremmo partecipare ai duelli di Numarsa. >
Fra Tito, che assisteva alle discussioni dei suoi consiglieri, teneva gli occhi bene aperti alle entrate e alle uscite del suo palazzo.
Scorgendo un individuo mascherato e con il cappello nero, Fra Tito si mosse in maniera circospetta mentre tutti gli altri evitavano di guardarlo.
< La festa sta incominciando e noi siamo ancora rintanati in questi palazzi. Forse è meglio agire come se niente fosse > faceva Fra Guglielmo mentre un vociare di assensi lo stava accogliendo.
Uscendo dalla sala principale, Fra Tito cercò di rincorrere quel misterioso individuo che si muoveva tra i vicoli e le stanze del palazzo della Pantera come se niente fosse.
< Fermati immediatamente, razza di spia > tuonò l’uomo < Pensi che non ti abbia riconosciuta? Dannato! >
per paura di finire in guai seri, l’individuo mascherato cercò di correre più veloce che poté.
ma Tito, che poteva contare su uomini e guardie fidate, circondarono l’individuo con astuzia evitando che potesse fuggire dalla inestrea,
< se ti butti da tale piano non riusciresti mai a sopravvivere. >
< Mi sono buttato da altezze molto più alte, zio. >
< Che cosa? >
Togliendosi la maschera e mostrando il suo volto sguarnito e le sue ferite in volto, Fra Tito rimase di stucco nel vedere suo nipote Argentio.
< Nipote, ma che diavolo… >
< Visto che non mi date il permesso di partecipare alle vostre riunioni, devo fare di tutto per cercare di eludere la vostra sorveglianza. >
< Non avresti dobuto farlo. Hai portato fin troppi problemi alla nostra famiglia. >
< Ma cosa dite? È grazie a me se la nostra famiglia è potente e riconosciuta in tutto il Regno. Senza di me… >
< Smettila di dire sciocchezze! Non avresti dovuto disubbidire ai miei ordini. Punto e basta. >
< Zio Tito, dovreste cercare di stare calmo. >
< Sono Fra Tito e non mi chiamare con l’appellativo di zio. Sai che non lo sopporto. >
< E comunque credo di essere l’unico che potrebbe risolvere i problemi della nostra famiglia cercando di trovare sldi necessari affinché possiamo parteciapre e vincere anche quest0’anno. >
< E come pensie di fare? Spiegamelo. >
< Un vero maestro del male non rivela mai i suoi segreti. Voi fatemi prendere parte alle vostre riunioni ed io saprò ripagarvi. >
< E in che modo pensi di fare? Voglio sapere la verità! >
< mUovendomi nell’ombra come i nostri nemici. >
< I nostri unici nemici sono quelli delle Aquile. Non farti venire strane idee. >
< Fra Tito, è proprio vero che voi non conoscete il Regno di NUmarsa come lo conosce il vostro giovane nipote. Dovete solo dirmi che vi fidate di me ed io non vi deluderò. >
< Come posso fidarmi di te e dei tuoi sotterfugi? Se pensi ancora di rovinare la nostra famiglia spingendoci nelle grinfie diei nostri nemici, allora è meglio che tu ci ripensi. >
< Non farò questo torto a voi e a nessun’altro compnente della famiglia. Voglio solo capire se posso contare sui nostri alleati. Tutto qui. >
< Argentio, non te lo dirò una seconda volta… >
< Vi siete spiegato perfettamente, Fra Tito. Starò molto attento. >
< Lo spero bene. >
< Adesso posso andare tranquillamente o mi manderete a pregare un Dio che ultimamente ci ha voltato le spalle? >
< Non osare dire questi sacrilegi, stolto di un ragazzo! Stai peccando! >
< Sto solo dicendo la veirtà > tagliò corto il giovane ragazzo < Ma non vi preoccupate. Mi guarderò ovunque camminerò. Avete la mia parola. >
< Ed evita anche di bestemmiare. Almeno in mia presenza. >
< Va bene, cercherò di fare questo sforzo > disse infine Argentio prima di rimattersi la maschera argentata e il suo cappello nero.
 
 
Mentre era calata la sera e il silenzio sul Regno di Numarsa, Argentio si apprestava a parlare con colui che in tempi antichi aveva stretto un’alleanza che poteva cambiare le sorti della sua Contrada.
Perché le alleanze erano un modo per proteggersi e proteggere a vicenda, rivangando onori e favori che si scambiavano ogni volta in cui ce ne era bisogno.
E visto che la Contrada della Pantera stava navigando in acque torbide, Argentio si stava muovendo meglio che poté per contrastare tali pericoli.
Se le vie del Regno erano infestate da criminali di ogni tipo che cercavano di rompere la pace, il giovane uomo non si preoccupava di questo, vagando come un ottimo conoscitore di vita tra le impervie e i pericoli.
< Gli uomini mascherati non sono ammessi nella Contrada del Leocorno > fece un individuo losco < E’ meglio che voi vi presentiate immediatamente, altrimenti dovrete farlo con la forza. >
< Non ho la più pallida idea di chi siete voi, ma quando vedrete il mio vero volto, cambierete immediatamente idea. >
< Davvero? Allora cosa aspettate? I Leocorni non sono così pazienti come pensano molte persone. Sanno agire d’impulso ma con riverenza. E voi cosa pensate di ottenere in questo modo? >
< L’invito del vostro padrone, Sir Rumildo. >
Appena Argentio si levò il cappello e la maschera, l’individuo che si frapponeva verso le stanze private del Capo della Contrada del Leocorno, si ricredette immediatamente mediante la sua sorpresa.
< Ma io non credevo… >
< Sir Rumildo, è giunta l’ora che vecchie alleanze si riportino alla luce. Voi, essendo un fidato consigliere del Conte Varello dei Vassalli, avreste dovuto riconoscermi dal colore della mia maschera. Il suo colore argenteo non vi fa rimembrare vecchi ricordi quando combattevamo assieme contro i nostri nemici? >
< I vostri nemici, Argentio, sono molto diversi dai nostri rivali. Eppure la nostra alleanza ferrea ci ha portato ad essere due delle Contrade più rispettate del Regno. Ma perché muoversi nell’ombra? >
< Perché i loschi affari si fanno sempre al buio, caro mio. Strano che voi non l’abbiate ancora capito. >
< Allora ditemi: mediante la nostra alleanza, quali favori dovete manifestare? >
< Per tali favori dovrò parlare con il vostro Conte. Non posso rivelare segreti inconfessabili a voi come se niente fosse. >
< Ma come? Non vi fidate di me? >
< Perché voi vi siete fidato di me? >
< La vostra insolenza non ha limiti, Argentio. Il mio Conte non ha tempo da perdere con Contrade che non si fidano del nostro operato. >
< Questo lasciatelo decidere a lui. So che lo troverò nelle sue stanze provate a leggere o a letto con qualche amante. Non è forse così? >
< Attento a come parlate > minacciò Sir Rumildo < Qui non siete nel vostro territorio e state mettendo in pericolo la nostra alleanza. >
< Allora evitate di farmi perdere tempo e conducetemi nelle sue stanze. Immediatamente. >
< Altrimenti? Oserete ancora minacciarmi? >
< Siete voi che avete cominciato. >
< Adesso mi avete stufato! >
Sguainando le spade, Sir Rumildo e Argentio si apprestavano a duellare nel bel mezzo della notte.
Ma l’arrivo tempestivo del Conte Varello, evitò che i due uomini si potessero scannare.
< Che diavolo sta succedendo nella mia casa? >
< Signor Conte > cominciò a dire Sir Rumildo < Questo insolente di Argentio… >
< Sir Rumildo. Come puoi accogliere un tuo alleato con la spada? Hai dimenticato l’onore che ti ha ricoperto in questi anni? >
< Certo che no, Signor Conte. Ma dovete sapere… >
< Io non voglio sapere niente delle vostre scempiaggini, Sir Rumildo. Soprattutto delle vostre scuse. >
< Ma io non volevo… >
< Lasciamo stare. Non ho tempo per discutere con te… Argentio, venite pure. Abbiamo molto di cui parlare. >
Mentre Sir Rumildo ribolliva di rabbia per la sgridata ricevuto, Argentio non aveva nessuna intenzione di scatenare una disputa del genere.
< Conte Varello, mi dispiace per tutta questa incomprensione con il vostro consigliere. Ma avevo assoluto bisogno di parlare con voi… >
< Nessun problema > tagliò corto il Conte < Certa gente deve capire quale è veramente il suo posto… Ma adesso veniamo ai nostri problemi. Perché le vostre dispute, sono anche le mie. Di cosa avete bisogno? >
Argentio, per quanto potesse essere sorpreso dall’intelligenza del Conte, aveva sempre timore che ad un certo punto potesse voltargli le spalle per la supremazia e il potere del Regno.
< I guai finanziari che colpiscono la mia famiglia stanno per venire alla luce, Conte > cominciò a dire Argentio < Quindi abbiamo bisogno del vostro aiuto per sopperire a tali difficoltà. >
< Capisco. Avete forse bisogno di un prestito? >
< No, Signor Conte. Ma dobbiamo vincere i giochi di Numarsa se vogliamo riacquistare popolarità e denaro sufficiente per rimanere in vita, altrimenti rischiamo di sopperire come la Contrada della Vipera o del Leone. >
< La mia preoccupazione sarà data dal fatto che ciò non accadrà. Non vi preoccupate. >
< Grazie mille. Ve ne sarò eternamente grato. >
< Figuratevi… Come sta vostro zio Fra Tito? È da molto che non lo vedo. >
< E’ sempre in forma. Ha molte preoccupazioni come me, ma riesce lo stesso ad uscirne in piedi. Tranne che su questo fatto di cui vi ho parlato. >
< Non vi preoccupate. Siete in una botte di ferro, Argentio. Ci aggiorneremo più avanti quando alla fine dei festeggiamenti comincerà il vero torneo. E sarete voi i vincitori. >
< Non vediamo l’ora > replicò Argentio felice di tali parole < Vi ringrazio per tutto quello che fate. >
< Ringraziatemi più avanti. A missione compiuta. >
Una volta che Argentio uscì dalle stanze private del Conte Varello, Sir Rumildo si avviciò al suo padrone come se fosse stato bastonato.
> Caonte, io non volevo… >
< Non ti preoccupare, Sir Rumildo. Non ce l’ho con voi. Ma Argentio mi ha fatto un’offerta impeccabile a cui non posso rinunciare. >
< E sarebbe? >
< Anche la Contrada della Pantera avrà la sua ora più buia. E adesso che abbiamo anche l’occasione… >
< Saremo noi i vincitri dei giochi di Numarsa, vero? >
< Non lo so. Ma abbiamo molte probabilità, Sir Rumildo. Bisogna solo aspettare. >
< E noi aspetteremo. >

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Capitolo 4
*** Giochi sporchi ***


Per quanto si potesse vivere serenamente in alcune parte del Regno, Numarsa aveva i suoi lati negativi scanditi dalle alleanze oscure e dalla sua corruzione.
Movimenti di ogni tipo che rendevano parte della popolazione povera e con l’acqua alla gola, oltre che bisognosa di cibo e di denaro.
Ma se alcune Contrade avevano più potere di altre, una di queste che stava iniziando a scomparire era la Contrada di Valdimontone.
Essendo la più piccola di tutto il regno, i suoi abitanti chiedevano a gran voce che la loro supremazia fosse data da terre da coltivare e da soldi che i suoi alleati si tenevano per sé.
Ma tutto ciò non poteva essere possibile senza che altre Contrade potessero vagare nell’ombra.
All’avvicinarsi dei giochi, i consiglieri o i padroni di tale contrada, si attrezzavano meglio che potevano per cercare di non rimanere indietro e far valere la loro voglia di onore e di potenza.
Ma il Duca della Contrada di Valdimontone, un vecchio burbero e senza cervello, aveva sperperato tutte le sue ricchezze al gioco o in altri affari poco leciti dove le sue perdite erano innumerevoli.
Per fare in modo che tutto ciò non potesse più capitare, una sua vecchia amicizia stanziarono un accordo che poteva rendere beneficiari di molte soddisfazioni.
< Marchese Angioino della Barbesca, i vostri aiuti sono necessari per questi giochi. Tutti noi vogliamo v9incere e anche noi vogliamo la nostra parte di gloria > fece il Duca di Valdimontone Gregio Fiorabesco.
< Noi della Contrada della Selva, per quanto possiamo avere le spalle coperte, i nemici più oscuri si stanno organizzando per riportare alla luce vecchie faide che porteranno alla nostra autodistruzione. Voi non avete per caso alcune idee al riguardo, Duca? >
< I miei consiglieri mi hanno abbandonato > si lamentava l’uomo < Non ho più eredi della mia contrada e rischio di scomparire per sempre. Il poco denaro che ho lo uso per i cavalli, per gli armamenti e per sfamarmi. >
< Vedendo la vostra stazza, potreste evitare di mangiare meno. >
Il Marchese Angioino della Barbesca, che non aveva nessun pelo sulla lingua, manifestava un certo dissenso verso colui che aveva senza rispettato in tutti questi anni.
< Mangiare è l’unic0 vizio che ho. Non posso farne a meno. >
< Oltre alle donne che vi siete portato a letto in tutti questi anni. >
< Ero giovane e fiero di me. Adesso sono solo un vecchio solo. >
< Smettetela Duca. Non dite così. Non fatevi vedere debole dalle altre Contrade del Regno. Ne va della vostra sopravvivenza. >
< Allora che cosa potrei fare al riguardo? Sono con le spalle al muro. >
< Io, Marchese Angioino Capo della Contrada della Selva, vi esorto a rimboccarvi le mani e a sfidarci in un duello che decreterà se voi siete capace di andare avanti oppure no. >
< Che cosa? Avete intenzione di aiutarmi sfidandomi a duello? >
< Perché no? sarebbe una situazione alquanto interessante, non trovate? >
< Ma io ormai non combatto da anni! Io e il mio maestro… >
< Suvvia, non siate ridicolo. Non ci si scorda di combattere quando siamo fieri delle nostre origini. Mettete fuori un po’ della vostra spina dorsale e del vostro orgoglio. Potrete avere molte altre soddisfazioni. >
< Ma io veramente… >
< Che cosa c’è che non va? Spiegatemelo. >
Il Duca, rimanendo in silenzio a riflettere, non aveva nessuna intenzione di combattere con un suo alleato.
< Non c’è un altro modo in cui voi mi possiate aiutare? >
< Temo proprio di no, vecchio mio. Sarà solo un duello con la spada. Nessuno si farà male. >
Guardando il suo ritratto di quando era un uomo giovane e ben voluto da tutti, il Duca di Valdimontone era arrivato ad un punto cruciale della sua vita: combattere per vivere o morire come una stolto.
< Accetto la vostra sfida, Marchese Angioino. Quando ci potremmo sfidare? >
< Immediatamente. Magari nei vostri giardini, se volete. >
< D’accordo. Facciamolo subito. >
 
 
Mentre il cuore del povero Duca batteva all’impazzata per il timore di morire, c’era un individuo che si aggirava nell’ombra fissando divertito la scena.
“Il Duca di Valdimontone contro il marchese. Chissà che bella sfida.”
Vedendo palesemente il Duca spaventato, l’individuo misterioso provava pena per il pover’uomo.
“Forse è meglio entrare in azione e aiutarlo, anche se non se lo merita. D’altronde il Duca di Valdimontone è rinnomato per la sua schiettezza e la sua viscidità.”
< Allora Duca, visto che ci troviamo nel vostro giardino, vorrei essere io a darvi le mie armi più potenti. Ho preparato due spade forgiate con il ferro più resistente e pregiato. Accettate questo dono per il nostro duello? >
< Non vedo perché non dovrei farlo. >
Vedendo con quale accuratezza il Marchese stava istigando il suo sfidante, un ghigno malefico nascosto si levava sul suo viso da uomo di mezza età vissuto.
< Allora? Cosa ne pensate del mio piccolo prestito? Se vincerete, potrete anche tenervelo. >
< Vi ringrazio, marchese. Voi siete molto gentile > fece il Duca con tono sincero.
< Dovere. In fondo ci stiamo aiutando a vicenda, no? scopriamo a che punto possiamo spingerci. >
< Affare fatto. >
Squadrandosi con sorriso accigliato e sguardo concentrato, il primo a fare la mossa non fu altro che il Duca di Valdimontone.
Essendo grosso di stazza, si muoveva a malapena e con difficoltà riusciva ad affondare con la sua spada.
< Duca, non vi facevo così lento. Va tutto bene? >
< Sono molto appesantito. Riesco a malapena a muovermi. Forse è un problema di gotta. >
< La gotta alla vostra età? Ma siete ancora molto giovane! Vanti, vi sto aspettando. >
< Perché non provate voi a colpirmi? >
< Non sarebbe divertente come penso io. Vincere facile è sempre stata la mia arma perfetta. Adesso voglio vedervi impegnarvi. >
< Sapevo che il vostro gioco losco nascondeva qualcosa di oscuro. Voi volete togliermi di mezzo. >
< Ma cosa dite? Ci stiamo solo divertendo > rispose il marchese divertito.
< Sciocchezze! Questo nostro duello è annullato. Adesso andatevene dalla mia residenza, altrimenti vi farò cacciare dalle mie guardie. >
< Guardie? Eppure nella vostra residenza non vedo nessuno che potrebbe cacciarmi. Perché non lo fate voi? >
< Che siate maledetto! >
Prima che il povero Duca potesse capitombolare per terra senza forze, l’individuo misterioso uscì dalla siepe che lo teneva nascosto per proteggere la vita del pover’uomo.
< E voi chi siete? >
< Colui che non accetta questi scempi e questi azioni ridicole. È giunta l’ora che la finiate, marchese Angioino. >
< Io non so chi siate voi, ma non vi permetto di parlarmi in questo modo! >
Senza togliersi la maschera, l’individuo combatté con coraggio mentre il suo nemici cercava di colpirlo in tutti i modi.
< E’ inutile che voi schiviate i miei colpi. Prima o poi farete la stessa fine di questo ciccione! >
< Voi non avete nessun tipo di rispetto e di onore. Per questo soccomberete come molte Contrade che in questo momento non esistono più. >
Mentre l’individuo mascherato era riuscito a ferire ad una gamba il marchese, Angioino stava gridando dal dolore a causa della fuoriuscita del suo sangue.
< Allora marchese, vi arrendete? >
< Mai! Prima voglio capire chi c’è sotto la vostra maschera. >
< Ne siete sicuro? Non credo che vi convenga. Rimarrete alquanto sorpreso. >
< Mostratevi! Subito! >
Togliendo la curiosità al suo sfidante, l’individuo mascherato non era altro che Argentio in versione di paladino della giustizia.
< Dovevo riconoscere la vostra maschera argentata, nipote della Pantera Sacra. Eppure c’era qualcosa che mi sfuggiva nei vostri movimenti. >
< Forse pensavate che io non fossi famoso per i miei movimenti, ma non è così. In tutti questi anni ho imparato a combattere come un vero spadaccino e non sopporto gli oppressori come voi ai danni della povera gente come il Duca di Valdimontone. >
< Ahahah sciocchezze! Voi credete che il Duca non avesse bisogno di una punizione? >
< Forse sì. Ma io, in qualità di uomo d’onore, non vi permetto di toglierlo di mezzo in questo modo. Ci siamo capiti? >
Non avendo nessuna possibilità contro il suo sfidante, il marchese Angioino prese la sua spada e uscì dalla residenza del Duca ferito nella gamba e nell’orgoglio.
Il Duca di Valdimontone, per quanto si potesse ancora vergognare, non poté fare altro che ringraziare il suo benefattore e tutta la sua Contrada.
< Ho solo fatto il mio dovere, Duca. Non chiedetemi grazie. Presto ci saranno nuove alleanze e rivalità che scuoteranno tutto il Regno. >
< Sempre se io riuscirò a vivere per vederlo. >
< Fidatevi di me, Duca: voi vivrete. Ancora per molto. >
 
 
Dopo minuti spesi a salvare colui a cui la vita non aveva un prezzo importante, Argentio si sentiva lo stesso sollevato.
Fare delle buone azioni per lui contava molto, anche se i salvati facevano parte di altre Contrade.
Peccato che da ,lì a poco, le vendette si sarebbero realizzate in maniera meschina e molto rude.
Mentre camminava per le vie del regno comprando cibo da alcuni mendicanti, fu assalito da un gr4uppo di rivoltosi che lo imbavagliarono e lo legarono.
Il panico si diffuse in una delle piazze più grandi della città e il terrore di una rivoluzione si dipinse negli occhi dei poveri abitanti.
Argentio, che stava cercando di liberarsi meglio che poté, fu condotto alla fine in una stanza buia illuminata dalla luce fioca del sole che oltrepassava una piccola finestrella.
< Hai finito con le tue buone azioni, stupido ragazzo > fece uno dei due sequestratori con la voce grave e dirompente < Che cosa vuoi dimostrare? Di essere superiore a noi? >
< Non so chi diavolo siate voi, ma avete fatto un grave errore nel manifestare tanto odio e terrore agli occhi della povera gente di Numarsa. >
< Numarsa non ha bisogno della gente come voi, stupido ragazzo. >
< Mi pare di riconoscere la vostra voce… Voi siete il Governatore Ronte dei Valvassini! >
< Vedo che vi ricordate molto di me… Ho una voce così inconfondibile? >
< Oltre alla voce inconfondibile, avete anche la puzza sotto il naso. Credete davvero di essere così importante in questo Regno che non ha bisogno della vostra brutta gente? >
< Eppure non so se avete notato, ma la corruzione dilaga in maniera alquanto estrema. Non rammentate i vostri nemici? >
< Non ho tempo di confondermi con loro. >
< Eppure dovreste farlo, Argentio. Vostro zio non sarebbe affatto fiero di voi. >
< I problemi che ho con mio zio, non sono affari che vi riguardano. >
< Attento a come parli > protestò l’altro sequestratore < La vostra vita è appesa ad un filo. >
Annusando il mantello che sapeva di vecchio, Argentio riuscì a smascherare anche l’altro sequestratore.
< Anselmo Brulleschi. Anche tu invischiato in questa faccenda? >
< Sapete com’è, Argentio: gli affari delle Contrade sono più importanti di qualsiasi altra cosa. >
< Anche uccidermi è così importante? >
< Perché non fate altro che darcene ragione. Perché non pensate alla vostra Contrada e basta? Il Duca Gregio ormai è storia passato. Ha più di sessant’anni e ha sperperato abbastanza. Ha bisogno di capire che anche lui non ha più importanza in questo mondo. Perché vi ostinate ad aiutare i deboli? >
< Perché la loro fine non è decisa da quelli come voi, ma da una sorte diversa. >
< E sarebbe? >
< Tutti noi dobbiamo avere la possibilità di poter scegliere di vincere con onore e morire allo stesso tempo. Ma perché voi ascoltate dei tirapiedi come il marchese Angioino? >
< Perché le alleanze non si discutono in nessuno modo, Argentio. Questo vostro zio non ve l’ha spiegato? >
< Certo. Ma mi ha anche insegnato a combattere per i deboli. >
< Da quello che so, ultimamente non siete ben voluto dai vostri parenti. Perché non abbandonate il tutto e venite a far parte delle nostre Contrade? Sono sicuro che non ve ne pentirete. >
Argentio, ridendo come se fosse impazzito, rifiutò di buon grado l’invito dei suoi sequestratori.
< Il marchese Angioino ha molto a cuore le vostre doti. Perché sprecarle così? >
< Perché io sono assolutamente diverso da voi. >
< E questo è un vero peccato > rispose il governatore < Anselmo, fate voi gli onori di casa? >
< Se proprio insistete, Governatore. >
Tirando fuori dal suo mantello un coltello appuntito e minaccioso, il capo della Contrada del Drago si apprestava a colpire al morto il povero Argentio sotto lo sguardo sorpreso e attonito di un gruppo di persone che li aveva scoperti.
< Fermatevi immediatamente! > gridarono insieme.
< E voi che cosa volete da noi? >
< Abbassate le armi o la tragedia sarà macchiata del sangue di voi impuri > minacciò uno di loro < Questo ragazzo non merita di morire e voi non avete nessun diritto di fargli alcun male. >
< E chi lo decide questo? >
< Il Granduca Fieralberto, Capo della Contrada della chiocciola. >
< E non dimenticatevi di me: Valvassore Argus Elvetico: Capo della Contrada dell’Istrice. >
< Bene, sapevo che c’era puzza di grane. Pretendete davvero che noi non portiamo a termine al nostra missione? >
< Certo che sì. Altrimenti che cosa sarebbero i giochi di Numarsa senza i veri protagonisti? >
< Fra Tito può fare a meno di un nipote così estroverso e senza cervello. Mettersi a salvare dei poveri vecchi. Davvero inaudito. >
< Il Duca Gregio Fiorabesco ha il diritto di essere riconosciuto per quello che ha fatto in tutti questi anni. Non dovete minimizzare il suo operato di buon cavaliere. >
< Ahahah i veri cavalieri con l’onore e con il coraggio ormai non esistono pi§ > ribatté divertito Anselmo Brulleschi < Mettetevelo bene in testa. >
< Sta di fatto che e organizzate una spedizione punitiva ai danni dei nostri alleati, anche voi pagherete con la vita. Ricordatevelo bene. >
Impugnando le loro rispettive armi, il Granduca e il Valvassore erano determinati a distruggere un credo così oscuro delle contrade nemiche che volevano intaccare l’animo d’onore che Argentio aveva sempre manifestato.
< Tornate pure dal Conte Varello dei Vassalli e ditegli che lo aspettiamo sul campo di battaglia. >
< Va bene. Ne sarà molto fiero e arrabbiato allo stesso tempo. >
E nel dire ciò, i due aggressori sparirono nel buio mentre Argentio non credeva ancora che il suo destino era disegnato da una buona stella che non l’abbandonava mai.

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Capitolo 5
*** Contemplare il desiderio di una donna ***


Sir Rumildo, impegnato a firmare alcune carte molto importanti per il suo padrone, aveva l’obbligo e l’ordine di fronteggiare l’insistenza di una giovane donna che non faceva altro che metterlo nei guai dinanzi ai suoi sottoposti.
Il vecchio uomo, che aveva sempre combattuto problemi e portato la Contrada del Leocorno a livelli d’importanza e di onore molto notevoli, non riusciva a darsi pace per la nipote del Conte Varello dei Vassalli, una giovane donna molto estroversa che voleva diventare un cavaliere a tutti i costi.
Passando le sue giornate ad allenarsi nel cortile grazie ai suoi maestri, il Conte non badava ai vizi e all’educazione della giovane donna ormai vent’enne, preoccupandosi solo degli affari della Contrada prima di incominciare i giochi di Numarsa e far valere la loro importanza e il loro potere.
< Rumildo, ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a combattere il mio desiderio di diventare una spadaccina > mormorò la donna entrando nella biblioteca con impeto e senza permesso.
< Contessina Ginevra, non posso aiutarvi in nessun modo > replicò l’uomo cercando di mantenere la sua fervida pazienza < Devo finire i miei compiti entro questa sera, altrimenti vostro nonno se la prenderà con me. >
< E’ tutto il giorno che rimanete rinchiuso in biblioteca. Insisto che voi mi aiutate. Alla svelta. >
< Contessina, non è proprio possibile… >
< Osate discutere i miei ordini? >
< Io non vorrei, ma sapete cosa succede quando andiamo contro i desideri del Conte. Diventa intrattabile ad ogni disubbidienza. >
< Proprio come sto facendo io. Quindi vi conviene alzarvi da quella sedia, o la mia rabbia sarà imperturbabile. >
Sir Rumildo, avendo le spalle al muro, sbuffò risentito mostrandosi agli occhi della giovane donna.
Per cercare di contemplare la sua voglia sfrenata di una duello che poteva trasformarsi in tragedia, la giovane donna sguainò la sua spada sfiorando il pover’uomo.
< Ma che diavolo state facendo? Per poco non mi colpivate a morte! >
< Vi ho solo sfiorato la spalla sinistra. Non siate melodrammatico. >
< Sapete che cosa penso delle armi. Non sono fatte per giovani donzelle come voi. >
< E questo chi l’ha deciso? >
< IL Regno di Numarsa, Contessina. Voi non avete l’onore di combattere con gli uomini. >
< Questo lasciatelo decidere a me. >
Determinata a fare bella figura dinanzi alla sua gente, Sir Rumildo non immaginò che la donna avesse invitato una gran folla di gente a supportarla nel suo combattimento.
> Ma che diavolo significa? >
< Che duello è senza pubblico, Sir Rumildo? Spero che a voi non vi dispiaccia. >
< Mi dispiace eccome! Questa pagliacciata deve finire alla svelta. >
< Voi siete il mio sottoposto e farete tutto ciò che vi dico. Volete tornare ai vostri compiti? Sconfiggetemi se avete il coraggio. >
< Reprimerò la vostra insolenza dinanzi a tutti, così che non possiate mai più fare la furba. >
< Provateci se ci riuscite. >
Mentre uno della folla continuava a deridere il vecchio uomo, Sir Rumildo si sentiva in difficoltà già prima di incominciare.
< Come farò a combattere con voi se non ho nemmeno una spada? >
< Ecco a voi > replicò uno della folla lanciandogli la sua spada arrugginita < Visto che credete che combattere la Contessina sarà un gioco da ragazzi, per voi non è un problema utilizzare la mia arma. >
Squadrandolo malamente e con odio, Sir Rumildo si apprestava a combattere con un centinaio di persone pronti ad assistere.
La Contessa Ginevra, che non aveva paura delle abilità del suo sfidante, cercò subito di affondare e di colpirlo a morte come meglio poteva.
< Contessina, state esagerando con i vostri affondi. Vi vorrei ricordare che è solo un duello. >
< Un duello? Per me è molto di più, caro Sir Rumildo. >
Mentre la folla inneggiava alla vittoria della giovane donna, Rumildo si sentiva in difficoltà più che mai.
< Strano che un verme come voi non strisci ancora ai miei piedi. Avete abusato e tramato dietro la mia famiglia per troppi anni. Adesso è giunta l’ora che la paghiate. >
< Ma cosa state insinuando?! Maledetta! >
Ferendolo ad una spalla ed urlando a squarciagola, l’impeto della donna poteva essere fermato solo dall’arrivo tempestivo di suo nonno.
< Fermatevi! >
Mentre la folla si girava in direzione dell’uomo, Il Conte Varello dei Vassalli avanzava verso il centro della piazza con sguardo attento e accigliato.
< Ginevra, che costa state facendo? >
< Ci stavamo solo esercitando, nonno. Niente di preoccupante > rispose frettolosamente la giovane donna.
< Non è vero! > protestò Sir Rumildo < Stava provando ad uccidermi, Conte! E stava dicendo delle ingiurie nei miei confronti! >
< Ginevra, adesso smettetela. E aspettatemi nel cortile del mio palazzo. Ho bisogno di fare quattro chiacchiere con voi. >
< Ma nonno… >
< Non discutete! E voi, gente! Fuori di qui! Subito! >
Quando il Conte Varello ordinava una cosa, era impossibile fargli cambiare idea.
< Non posso tornare la castello in questo momento, nonno. Devo esercitarmi per… >
< Osate disubbidirmi come avete sempre fatto in tutti questi anni? Eppure pensavo che i vostri genitori vi avessero insegnato un po’ di educazione. >
< L’hanno fatto, nonno. Ma purtroppo non sono riuscita a conoscerli meglio che potevo visto la tragica fine che noi due sappiamo. >
< Sono morti ai giochi di Numarsa. E voi vorreste fare la loro stessa fine? >
< Nonno, sono anni che mi allena per questi giochi. Posso farcela. Davvero. >
Prendendola per un braccio facendogli quasi del male, il Conte Varello dei Vassalli non conosceva pietà nemmeno per sua nipote.
< Nonno! Vi prego! >
< Guardie! Portatela al palazzo! Subito! >
Una volta rimasto da solo insieme al suo consigliere, il suo disprezzo verso quella persona crebbe sempre di più.
< Vi avevo chiesto di proteggere mia nipote e voi fate di tutto per farmi arrabbiare. >
< Conte, vi giuro che io non avevo cattive intenzioni… >
< State zitto! E che i vostri colpi di testa siano dannati per l’eternità… Volete che vi ricordi dove vi ho ripescato prima di accogliervi in casa mia?! Volete rimembrare quale volgare ladro eravate e come soffrivate la fame? >
Rimanendo in silenzio cercando di trattenere le lacrime, Sir Rumildo odiava ricordare il suo passato fatto di peccato e di brutte azioni.
> Allora?! Rispondete! >
< NO! vi prego! >
< Pregarmi non servirà a nulla, sciocco che non siete altro. Vi avevo ordinato anni e anni fa’ di proteggere mia nipote e reprimere la sua voglia di combattere e di diventare un cavaliere. E voi che cosa avete fatto? Niente! >
< Continuo a servirvi nel bene che io posso fare, Conte! Vostra nipote è una ribelle e non c’è modo per contrastare i suoi desideri! >
Preso da un impeto d’ira, Varello colpi in piena faccia il povero Sir Rumildo prima di gettarlo in mezzo al fango con tutta la sua rabbia.
< Vedete di pensare ai vostri profondi peccati ed evitate di dare contro ai miei desideri… E se provate ancora ad andare contro i miei desideri, sarete il responsabile della vostra stessa morte. >
< Conte, io… >
< Avete il dovere di controllare a vista mia nipote. Fatelo! Con lei parlerò tra poco e la farò ragionare alla mia maniera. Avete la mia parola. >
E nel dire ciò, il Conte Varello lasciò da solo il suo consigliere in mezzo al fango, mentre gli aitanti della Contrada del Leocorno passavano dinanzi per continuare a deriderlo.
 
 
Rinchiusa nella sua stanza contro la sua volontà, la Contessina Ginevra cercava di reprimere la sua rabbia per evitare di piangere dal dispiacere.
Il suo sogno di diventare un cavaliere come suo padre e come suo nonno prima di lui cresceva ogni giorno e i desideri più sfrenati stavano diventando sempre più incontrollabili.
< Strano che voi non abbiate provato a fuggire dalla vostra stanza > fece il Conte con tono fermo una volta che si ritrovò dinanzi a sua nipote < Ricordo quando eravate piccola e quando non c’era possibilità di fermarvi in nessun modo. Vi avrei potuto uccidere in molte occasioni, sapete? >
< E anche oggi l’avete fatto, nonno. È come se mi avete uccisa. >
< Adesso smettetela di fare la melodrammatica e cercate di ascoltarmi… >
< No! siete voi che non capite! > urlò la donna come se fosse in preda al panico < Io non rimarrò senza far nulla per tutto il resto della mia vita. Io voglio combattere ed è il mio unico desiderio. Perché fate di tutto per contrastare il mio volere? >
< Perché questo non è il vostro destino :> gli spiegò suo nonno < Voi dovete sposarvi al più presto con uno degli uomini alleati di cui posso contare per formare una famiglia e diventare sempre più potenti. È questo il vostro preciso destino, Ginevra. >
< Mi sposero zio, ma quando me la sentirò. Non adesso. >
< Ginevra, vi prego. Non rendetemi le cose difficili. >
< Siete voi che mi rendete la vita impossibile. Io faccio parte della Contrada del Leocorno, dove il coraggio è la parola d’ordine e la voglia di riscatto per la mia gente deve essere un mio preciso dovere. Perché non capite?! >
Non volendo più ascoltare i piagnistei di sua nipote, il vecchio Conte la prese a schiaffi con tale impeto che il suo sangue sgorgava dalle sue dolci labbra e al suo bel viso angelico e pieno di determinazione:
< Finché non capirete quale è davvero il vostro posto, verrete trattata come la peggiore delle serve. E ricorda di lasciare in pace il mio consigliere. Solo io ho il potere di maltrattarlo. >
< Sir Rumildo ci tradirà nel momento in cui non ce l’aspetteremo. Ricordatevelo. >
< Ho gli occhio bene attenti, cara nipote. Anche se sono molto vecchio > la rassicurò l’uomo < Voi pensate a sistemarvi come vi dico da tanti anni ed entrerete nelle mie grazie. >
< Sapete una cosa, zio? Non ho bisogno di tutto ciò > disse infine indignata la giovane donna prima di lasciare il palazzo del Leocorno con la rabbia che ribolliva nelle sue giovani vene:
“Diventerò un cavaliere a costo della mia stessa vita. Fosse l’ultima cosa che faccio.”
Ed il Conte, cercando di reprimere la sua indignazione, aveva capito che suo nipote era ancora acerba per questa vita.
“Nipote mia, io vi amo più della mia stessa vita. Ma non posso proteggervi se voi mi date contro. A questo punto vorrà dire che i miei desideri, saranno la vostra stessa rovina.”

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Capitolo 6
*** Voglia di riscatto o voglia di tacere? ***


< Avete intenzione di non rivolgermi mai più la parola per tutto il resto della vostra vita? >
La domanda che il Conte Varello fece a sua nipote fu come se stesse squarciando il cielo.
La donna, per quanto arrabbiata potesse essere con l’unico membro della sua famiglia, non riusciva a provare un senso di compassione per lui,
< Non potete essere libera di fare quello che volete. Per il rispetto della vostra persona. >
< Ma cosa state dicendo, nonno? >
< Voi non volete capire. Non volete rimanere al vostro posto. Per questo siete arrabbiata con me. >
< Se pensate davvero di tenermi segregata nel vostro palazzo, avete sbagliato di grosso. >
< Sapete che non potrei mai farlo. Voi siete come un animale selvaggio che corre nella foresta. Ma dovete stare molto attenta nei luoghi che vi circondano intorno. Numarsa non è un Regno sicuro come molti altri pensano. >
< Io infatti non ho mai detto questo. >
< Ginevra, parliamoci chiaro una volta per tutte: volete diventare un cavaliere? Non potete farlo. Le Contrade di questo Regno non ve lo permetteranno mai. >
< Ma le obbligazioni e le usanze sono fatte per essere cambiare, caro nonno. >
< Perché mi volete rendere la cosa difficile? Sarà sempre così negli anni avvenire e voi dovete solo pensare a maritarvi con uno degli uomini più potenti delle Contrade. Sapete già chi può essere? >
< Se il mio desiderio di diventare cavaliere non verrà realizzato, rimarrò zitella per tutta la vita. E voi non potrete fare niente per farmi cambiare. >
< Volete giocare sporco con me, nipote? Guardate che io ho molti più anni di voi > rispose il Conte con tono mellifluo < Gli ultimi che hanno pensato di mettersi contro di me, hanno fatto una brutta fine. >
< Osate minacciare vostra nipote? Sangue del vostro sangue? >
< Io non guardo in faccia a nessuno, dannata ragazzina > mormorò l’uomo diventando improvvisamente aggressivo < Se voi oserete mettermi i bastoni tra le ruote come state facendo ora, non ci penserò due volte a togliervi di mezzo. La mia Contrada vivrà nei secoli dei secoli, anche senza di voi. Forse non sapete ma c’è molta gente che rivendicherà la mia posizione quando sarò morto e voi non riuscirete a contrastare tutti i desideri dei pretendenti se continuate a pensare a voi stessa. >
< Ma che dannata storia state raccontando, nonno? >
Con sguardo sincero ma allo stesso tempo malefico, il Conte Varello dei Vassalli nascondeva la voglia di confessare segreti proibiti a quella che a parer suo, era l’unica erede della sua Contrada,
< Nonno, chi dovrò fronteggiare? >
< Tutti quelli che vogliono togliervi di mezzo e vi assicuro che non sono pochi. Per questo dovete maritarvi alla svelta, se avete cara la vita. Mi avete capito? >
Ginevra, rimasta scossa per le parole di suo nonno, credeva fermamente che era solo un espediente per spaventarla.
< Potrò vivere pure da povera, ma nessuno mi toglierà il mio istinto da cavallerizza. Ricordatevelo, caro nonno. >
< Molto bene. Vorrà dire che presto avrete così brutte sorprese, che non farete in tempo per rimediare ai vostri errori… Volete diventare un cavaliere? Fate pure. Cavalcate e combattete per la gloria di una stupida e meschina donna come voi. Ma il vostro risveglio non sarà così lieve come penserete. È solo questione di tempo. >
< Smettetela di spaventarmi! > gridò la donna come se fosse fuori di sé < Io vivrò ancora per molti anni, mentre voi siete sulla via della morte. Anche se posso sembrare sciocca e frivola, non rimarrò con le mani in mano. Combatterò fino all’ultimo giorno della mia vita. Come il coraggioso Leocorno che fronteggia i suoi nemici pestandolo. >
< Ma voi non siete una vera Leocorno, Ginevra. Voi a malapena sapete ruggire… Ma se volete vivere con i vostri ideali, fate pure. Da questo momento la smetterò di farvi cambiare idea. Promesso. >
E nel dire ciò, il Conte Varello si allontanò da sua nipote con sguardo serio e sincero, nascondendo le sue trame più oscure che avrebbero visto la luce solo in determinati fatti della sua interessante vita.
 
 
Combattendo come un cavaliere esperto, Ginevra non amava pavoneggiarsi delle sue abilità.
Ora che alla fine aveva superato anche i migliori maestri di cui poteva possedere, la giovane donna era alla ricerca di gente che avrebbero potuto metterla alle corde in molti modi.
mentre stava cavalcando per le colline del Regno, Ginevra s’imbatte in un volto conosciuto e alo stesso tempo maestoso.
un omo, dalla capigliatura folta e dal lungo mantello nero, stava fronteggiando alcuni soldati con tale maestria che la giovane donna ne era rimasta colpita.
“Forse lui potrebbe essere l’avversario adatto a me. Sicuramente non può essere peggio di Sir Rumildo.”
Avanzando spedita ma con circospezione, la giovane donna interruppe l’addestramento del giovane cavaliere senza nemmeno chiedere scusa.
< Voi! Che cosa ci fate nei territori della mia famiglia? > domandò la donna con veemenza < Presentatevi immediatamente e combattete con la sottoscritta. >
L’uomo, per niente spaventato dalle minacce, si limitò a scendere da cavallo e fissarla con sguardo attonito.
< Equestre Orvalo dei Rigamonti. Sono sicuro che avete sentito parlare di me, in qualche modo. >
< Sinceramente è la prima volta che arriva un tale nome alle mie orecchie. Di che Contrada fate parte? >
< Meglio non scoprire le carte in tavola. Almeno non ora. >
< Perché? Avete forse qualcosa da nascondere? >
< Assolutamente no. >
< Allora perché non mi dite chi siete? >
< Perché p troppo divertente prendersi gioco di voi > rispose sorridente l’uomo continuando a ghernirla come meglio poteva.
< Come osate mancarmi di rispetto?! Io sono la nipote del Conte Varello dei Vassalli, Capo indiscusso della Contrada del Leocorno. Mentre voi chi potete essere? Solo uno stupido omuncolo che si crede un cavaliere. >
< Davvero pensate questo di me? Molto bene. Allora perché non facciamo una sfida? >
< Bene, parlate pure. Vi ascolto. >
< Una sfida molto semplice e veloce: chi cadrà prima da cavallo, avrà perso il duello. Che ne dite? >
< Benissimo. Non vedo perché dovrei sottrarmi a questo… Caro uomo senza valore, preparatevi alla bruciante sconfitta. >
Partendo alla carica come una forsennata, la giovane Ginevra si apprestò a colpirlo dritto sul torace con un violento calcio poderoso, ma il giovane cavaliere con i suoi riflessi pronti, riuscì a fargli perdere l’equilibro e a farla atterrare malamente a terra
Ridendo di buon gusto, il misterioso uomo si limitò lo stesso ad aiutarla come un vero gentiluomo.
< Lasciatemi stare! Non ho bisogno del vostro aiuto > rispose sprezzante la donna.
< Però! Siete molto nervosetta, madamigella. >
< Io sono un cavaliere! Portate un po’ di rispetto. >
< Un vero cavaliere non cade a terra come un sacco di letame. Dovevate essere più in gamba di quello che volevate dimostrare. Non vi pare? >
Rimasta zittita per la dirompenza di tali parole, Ginevra voleva sottrarsi immediatamente da quella chiacchierata.
< Non volete sapere chi sono veramente? >
< perché? Avete intenzione di dirmelo? >
< Non lo so. Ad una bella fanciulla come voi si potrebbero dire molte cose. >
< Questa bella fanciulla, come avete definito voi, non ha nessuna intenzione di rimanere a parlare con un uomo che sicuramente è di rango inferiore. >
< Parlate così per la bruciante sconfitta, non è forse vero? >
< Assolutamente no. Riconosco di aver perso, ma non ho nessuna intenzione di continuare a perdere del tempo con voi. Addio, mio prode cavaliere. Spero che un giorno di questi ci rivedremo ai giochi di Numarsia. E vi avverto di una cosa: la prossima volta non sarete fortunato come adesso. >
< Questo sarà tutto da vedere > rispose ancora divertito l’uomo < Spero che passiate una bella giornata lontano dai pericoli e dagli imprevisti. E già che ci siete salutatemi vostro nonno. È un uomo d’onore, anche se negli anni passati non siamo andati molto d’accordo, divergenze tra persone importanti. >
< Quindi voi fareste parte di una Contrada importate? Che ruolo avete? >
< Lo scoprirete molto presto, Ginevra dei Vassalli. Ma non adesso. >
< la vostra insolenza è paragonabile alla vostra fortuna: smisurata. >
< Certo, l’importante è che voi ne siate convinta. Volete forse fare un altro tipo di duello. Oppure dovete fuggire come una volgare ladra? >
< Mio nonno mi aspetta a palazzo. Odia quando arrivo in ritardo. >
< Oppure vi sta aspettando un vostro spasimante. Ho sentito molto parlare della vostra bellezza in tutto il Regno e con grande sorpresa posso constatare che è tutto vero. >
< Oltre ad essere fortunato, siete anche un ottimo adulatore. >
< La fortuna non fa parte della meschinità e e dello sguardo immerso nell’attenzione e nel buio profondo che hanno i vostri occhi. >
< Ah sì? Io quindi sarei meschina? >
< Oppure furba. Proprio come una civetta. Peccato che voi non facciate parte di tale Contrada. Sarebbe stato molto interessante. >
Mentre la giovane donna continuava a fissare gli occhi del cavaliere, alla fine l’illuminazione piombò sul suo volto.
< Civetta? Ma che diavolo… >
< I membri di tale Contrada possono essere senza scrupoli come tali rapaci che si fiondano sulla loro preda come se fosse il cibo della loro vita. Ma la carne tremula di noi esseri umani ci rende deboli al cospetto di tale sguardo mellifluo e forte. >
< Non so di quale Contrada facciate parte, ma sicuramente non mi metterei mai con un uomo del genere. >
< Mai dire mai nella vita. >
< Non fatevi illusione. Soffrirete solamente nel pensare ciò. >
< Allora vedrò di distrarmi in altri modi… Spero di rivederci molto presto, Ginevra dei Vassalli. >
< Non ci contate, misterioso uomo. >
< Ma allora non volete sapere il mio nome? >
< No, non m’interessa. Addio >
E nel tagliare corto con una frase secca, Ginevra cavalcò verso le mura di un palazzo che non riusciva a chiamare casa, mentre suo nonno era impegnato a fare la voce grossa con i suo consiglieri più fidati.
< Toglietevi dalla mia vista! Non posso sopperire alle vostre richieste! Siete degli inetti buoni a nulla! Via! >
E nel scatenare la sua collera, dovette cercare di placarsi per ritornare in sé e fronteggiare un guaio dopo l’altro con sua nipote.
< Ma brava! Siete tornata in tempo per la cena. È finita così presto la vostra cavalcata. Avete riflettuto abbastanza suoi vostri doveri? >
< Mi dispiace nonno, ma non intenzione di cambiare idea. E adesso basta tornare a tali discorsi. Sto morendo di fame. >
Ma il Conte, curioso di vedere sua nipote s’orca di fango, gli domandò che cosa mai potesse aver fatto.
< Sono solo caduta da cavallo, ma sto bene. Non occorre che vi preoccupate per me. >
< Certo che no. Non lo farò. >
Una volta che la giovane donna lasciò la sala principale del Palazzo del Leocorno, il Conte Varello richiamò all’ordine Sir Rumildo per sapere che cosa avesse fatto davvero sua nipote.
< L’ho spiata nelle ultime ore, mio Signore. E devo dire che ho scoperto un fatto interessante. >
< Ditemi. Sono tutto orecchie. >
< Ha fatto un incontro con Equestre Orvalo dei Rigamonti, Capo della Contrada della Civetta. Ma pare che i due non si piacciano proprio. Colpa dell’irruenza di vostra nipote. >
< Me ne compiaccio di tale incontro… Peccato che mia nipote non sappia quale sorpresa ho in serbo per lei. La mia “bambina” dovrà capire con le buone che la troppa libertà non porta mai a niente di buono. >

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Capitolo 7
*** La violenza del Conte Varello dei Vassalli ***


Mentre i giorni passavano nelle piccole Contrade di Numarsa, il Conte Varello dei Vassalli ospitava incontri con importanti delegazioni per decisioni che avrebbero potuto cambiare il corso della sua storia.
Ginevra, per quanto fosse l’unica erede diretta di tale prestigio, non veniva mai accolta a simili riunioni, preferendo di gran lunga continuare ad allenarsi per attendere il fatidico giorno dell’inizio dei giochi.
Quando a mostrarsi ai co0nsiglieri e al pubblico dei consiglieri della Contrada del Leocorno non fu altro che Equestre Orvalo dei Rigamonti, un velo di sorpresa si dipinse sul volto di Sir Rumildo.
< Sognore, ma cosa ci fa’ un vostro nemico nella vostra sala? >
< L’ho invitato di mia spontanea volontà. Dobbiamo prendere accordi per il futuro della nostre Contrade. Ma stavolta parleremo in privato. Voi, essendo un mio consigliere, avvertite tutti che la riunione è sospesa fino a data da destinarsi. >
< Ma Signore, manca poco all’inizio dei giochi… >
< E con questo? Avete paura di fare un annuncio? >
< Io veramente… Non vedete la sorpresa negli occhi di questa gente? Equestre non è ben voluto nella vostra Contrada. >
< Si dovranno ricredere. Alla svelta. >
Mentre Sir Rumildo era ancora sconcertato per i presunti “colpi di testa” del suo padrone, il Conte Varello dei Vassalli fece cenno al Capo della Contrada della Civetta di seguirlo.
I due uomoni, accompagnati da un individuo molto basso e dal volto coperto, si ritrovarono in una sala nascosta dove la luce delle candele illuminava il loro cammino.
< Era necessario venire fin quaggiù, Conte Vassalli? >
< Intanto accomodoatevi pure, Equestre. Fate come se foste a casa vostra. >
< Come mai tanto diniego e tanta segretezza? Le facce dei vostri consiglieri mi hanno divertito e insospettito allo stesso tempo. Non erano forse stati avvertiti? >
< Vedete, i miei consiglieri devono capire che sono ancora io il padrone della mia Contrada. Fino alla mia morte… Loro possono decidere del mio futuro, ma l’ultima parola spetta sempre a me. Ma adesso veniamo al nostro incontro: chi mi avete portato? >
< Siete pronto a sorprendervi ancor di più? >
< Sarà molto difficile che voi facciate questo, ma sono molto curioso. >
Facendo segno al suo compare di mostrare il volto al vecchio Conte, l’uomo non poteva credere che davanzti ai suoi occhi si potesse ritrovare il volto di una donna molto misteriosa quanto potente. >
< Credo che voi non abbiate mai sentito parlare della Signora Lucilla Dei Vespri, Capo della Contrada della Quercia. >
< Certo che ne ho sentito parlare > replicò immediatamente il Conte < E’ solo che credevo che il vostro nome fosse associato ad una leggenda. Non si hanno notizia della Contrada della Quercia da moltissimo tempo. >
< Perché noi non esistiamo più > spiegò la donna< O meglio, alcune Contrade ci hanno tradito e soffocato il nostro onore in modo che sparissimo per sempre dalle loro facce. Ma presto capiranno che la forza della Quercia è paragonabile allo scudo d’acciaio che noi adoperiamo contro i nemici, sbattendoli a terra con tale veemenza e violenza. >
Sorpreso dalle parole della donna, il Conte Varello dei Vassalli fu molto colpito da tali parole.
< Spero che voi lasciate da parte i vostri pregiudizi che avete sulle donne, Conte. Leucilla, essendo l’ultima del suo nome, ha l’importanza che potreste avere voi. >
< Peccato che lei non goda di tale fame visto che non esiste. >
< Non esiste rò fino al giorno della mia rinascita che accadrà molto presto, Conte. >
< Voi tutti aspettate i giochi di Numarsa per far capire chi davvero è il più forte. Ma sappiate bene che non funziona così. Ci sono molte Contrade più agguerrite che faranno di tutto per vincere. Anche giocando sporco. >
< Questo fa’ parte anche di voi, vero Conte? >
< Mia cara, nel corso della mia vita sono sempre riuscito a riconquistarmi l’onore con astuzia e veemenza, schiacciando i miei avversari e uccidendo molti cavalieri. La voglia di rivalsa di uomini più giovani di me mescolata alla loro sete di potere, non mi fa’ affatto paura. >
< Dite così perché parlate ad una donna. Ma tutti si ricordano la brutta figura che avete fatto contro la Contrada della Chiocciola prima e contro la Contrada della Pantera poi. Avete rischiato di morire. Oppure non ve lo ricordate? >
< Non dimentico mai il mio passato, s’eppur doloroso. Ma i giudici dei giochi hanno pensato bene di squalificarli per motivi di cui ignoro, portando dritto la mia Contrada verso la vittoria. >
< Magari corrompendo i giudici > replicò la donna cercando di fare innervosire in tutti i modi il vecchio Cinte < Ma per quest’anno non sarà così. >
< Ho vinto con maestria e giustizia. Non ho mai preso in giro nessuno. >
< Lo vedremo quando saremo sul campo di battaglia, Conte Varello. Ma intanto se oggi sono qui con Equestre, è per farvi un’offerta. >
< Sentiamo. >
< Essendo Equestre un mio amico di vecchia data, abbiamo concordato di stringere un accordo in cui a beneficiarsi saremo proprio noi tre. Ma abbiamo bisogno del vostro benestare per stipulare un’alleanza che potrebbe durare nei secoli avvenire. Che cosa decidete al riguardo? >
Equestre, che era rimasto quasi per tutto il tempo silenzioso durante loa conversazione tra Lucilla e il Conte, prese la parola cercando di insistere meglio che poteva.
< Ed io che cosa avrei in cambio di tale benefici oltre che la vostra alleanza? >
< Il nostro rispetto. S’intende. >
< Mi sono guadagnato il rispetto di tutte le altre Contrade che popolano questo Regno con la forza e l’onore. Perché dovrei allearmi con una Contrada che non esiste e che non viene riconosciuta? >
< Vi ho già detto che durante i giochi del Regno… >
< Non ho bisogno di aspettare tale giorno > rispose l’uomo con tono duro < Io e il mio popolo siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto e di quello che continueremo a fare. Ma sicuramente non ci accorderemo mai con coloro che hanno provato a ribellarsi alle regole e alle leggi di questo Regno. Soprattutto vedendo che ad essere capitanati è una donna che ha scordato l’onore della spada. >
< Ma come diavolo osate… >
< Vedete di lasciare subito il mio palazzo, Signora Lucilla. La mia pazienza ha un limiti e superarlo diventerebbe molto pericoloso. >
La donna, ferita nell’orgoglio dal vecchio Conte, non aveva nessuna intenzione di ricevere un non come risposta.
< Ascoltatemi attentamente, Conte Vassalli: voi non sapete contro chi vi state mettendo contro. Siete ancora in tempo per cambiare idea e vi consiglio di farlo prima che… >
< Ne ho abbastanza delle vostre parole insulse e prive di fondamento. Volete parlare chiaro? Andatevene via di qui e non fatevi più vedere. Per il vostro bene. >
Per mancanza di rispetto, la Signora Lucilla sguainò la sua spada cercando di colpire a morte il vecchio Conte.
Ma a causa dei pronti riflessi dell’uomo, Varello riuscì a disarmarla e a colpirla a morte tranciandogli la carotide.
< Nessuno prova a mettersi contro il Conte Varello. Soprattutto quando si tratta di una donna inutile come voi. >
Mentre il corpo giaceva ai piedi dell’uomo completamente dissanguato, il capo della Contrada della Civetta rimase allibito da tale spettacolo.
< Equestre, mica ti faccio così paura. >
< Conte, non avreste dovuto… >
< Ed io che credevo che avevate più spina dorsale. Che cosa vi prende? Siete così spaventato? Io non vi ho chiesto di portarmi degli alleati, ma bensì di stringere un alleanza che potrebbe unire le nostre famiglie… Voi conoscete già mia nipote Ginevra, vero? >
< Sì, Conte Varello. Un bellissimo fiore che ogni giorno diventa sempre più bello. >
< Bravo, amico mio. Vedo che ve ne intendete di donne… Ebbene, dovreste però farmi un favore al riguardo: dovrete cercare di convincere mia nipote a sottrarsi ai giochi di Numarda. Vedete, purtroppo si è messa in testa che vuole combattere a tutti i costi, ma deve anche capire che non è un mondo che gli appartiene. Lei deve solo fare la moglie e ubbidire a suo marito, che con vostra fortuna, potreste essere voi… Allora, credete davvero di poter esaudire un umile desiderio di un vecchio? Guardate bene la riconoscenza che potrei farvi. Entrereste di diritto nelle mie grazie. >
Equestre, che non aveva nessuna intenzione di dirgli di no per non rischiare la sua stessa vita, sapeva anche che combattere l’irascibilità di sua nipote era tanto difficile quanto impossibile.
< Non abbiate paura. Lei non verrà mai a sapere del nostro colloquio. >
< Lo so bene, ma sapete quanto me quanto possa essere ostinata. >
< Ostinata o no, lei è una donna. Non siete in grado di sottometterla al vostro volere? >
< Non saprei proprio come fare, Conte. >
< Almeno provateci. Avete paura di fallire? Non vi preoccupate dio questo. A quel punto ci sarebbero due strade: o la vostra uccisione, o la morte di mia nipote. Perché dovete sapere che mi continua ad annoiare i suoi colpi di testa da ribelle quale si vuole mascherare. Io voglio passare gli ultimi anni della mia vita in pace e divertendomi. Non posso pensare anche alle lamentele di mia nipote. Non siete d’accordo con me? >
< Conte, io farei di tutto… >
< Ebbene, sapevo che vi avrei convinto > lo interruppe l’uomo dandogli una sonora pacca sulla spalla < Avete il diritto di maltrattarla, se volete. Prima provate a parlarci con le parole, e se ciò non dovesse bastare… usate le maniere forti. Sareste in grado? >
< Io… ci proverò. >
< Bravo, così mi piacete… E mi dispiace per la vostra amica Lucilla. Chissà come, ma non mi è mai stata simpatica dall’inizio. Troopo prima donna… Invece noi potremmo portare le nostre Conrade all’onore che gli spetta. Però ho bisogno del vostro aiuto. Solo del vostro. Mi capite, vero? >
< Sì, Conte. Perfettamente. >
< Ne ero certo… Adesso è meglio lasciare questa sala nascosta e polverosa. I miei consiglieri mi daranno per disperso. Venite con me. >
Una volta risalito il palazzo per giungere alla sala principale, Equestre Orvalo dei Rigamonti si sentiva molto a disagio circondato dai suoi nemici.
< Consiglieri miei, da oggi possiamo godere di una nuova alleanza che porterà all’unione di due Contrade molto importanti che hanno fatto la fortuna di questo Regno: salutate Equestre Orvalo dei Rigamonti, Capo indiscusso della Contrada della Civetta. >
Mentre un boato si levava nella sala, il giovane uomo capiva di essersi buttato in un vortice di potere che il Conte Varello avrebbe potuto controllare a suo piacimento, trasformando egli stesso in una marionetta impotente di controllare i suoi istinti e i suoi più profondi desideri.

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Capitolo 8
*** Il tocco del nemico ***


< Ve ne andate così presto, Equestre? >
La domanda del Conte Varello dei Vasalli spiazzò ancora una volta il giovane cavaliere.
< Rimanete ancora qua. Vi voglio far conoscere mia nipote. >
< Non credo che vostra nipote mi possa vedere, visto il brusco incontro di due giorni fa’. >
< E con ciò? Se la prima impressione non è stata buona, conoscersi meglio non può che risollevare le sorti del vostro rapporto. Venite con me e non abbiate timore per mia nipote. Non è poi così male… Batsa prenderla dal verso giusto. >
< E voi riuscite a farlo? >
< Alla mia maniera, sì. >
Andando al di fuori del palazzo del Leocorno, il Conte Varello ed Equestre videro come tutta la popolazione attendeva con impazienza l’inizio dei giochi del Regno.
< Vedete la felicità della gente? È così che dovrebbe essere tutto l’anno. >
< Hanno molta fiducia in voi. Ma io non posso dire lo stesso del mio popolo. >
< Perché non avete i mezzi per renderli fieri di voi. >
< Oppure perché vedo la mia Contrada da un’altra prospettiva. >
Le parole di Euquestre sortirono un forte dubbio verso il Conte Varello.
< Mi state forse dicendo che io non tratto bene il mio popolo? >
< Conte, non bisogna negare che la miseria dilaga in tutte le Contrade. Vi siete mai domandato perché non riusciamo a fermarla? >
< Perché non vogliamo. >
Le parole di Ginevra fecero girare di scatto quel vecchio Conte a cui sotto sotto, non gli interessava la vita del suo popolo.
< Noi vogliamo che siano poveri? Ebbene, sarà sempre così. Fino alla fine dei tempi. >
< Avete forse un modo per risollevare le sorti della nostra gente, Ginevra? >
< Magari provando a non fargli mancare nulla. Avete mai provato, nonno? >
< HO combattuto per loro. Non è forse abbastanza? >
< E loro vi hanno ripagato mostrandovi rispetto. Però con il rispetto, non si porta il pane in tavola. >
< Nipote, volete forse darmi qualche lezione di vita ad un uomo più vecchio di voi? >
< Sicuramente posso dire lo stesso la mia. >
L’insolebza della donna fu talmente elevata che il Conte Varello non riuscì a trattenere il suo istinto di dargli un sonoro schiaffo dinanzi ad alcune persone.
< Questo ve lo potevate anche risparmiare > fece la donna toccandosi il volto.
< Mostrate più rispetto e verrete trattata come una persona normale. >
< Io vi odio, nonno. Odio voi e quello che mi costringete a fare. >
< Fate silenzio se non volete che la mia collera crebbe ancora di più. >
< Avete forse intenzioni di uccidermi? Fate pure. Tanto i vostri metodi e le vostre intenzioni non mi fanno paura. >
< Attenta a come vi comportate, ragazzina. Voi non sapete fino a che punto posso spingermi. >
Per evitare che la loro litigata potesse degenerare, Equestre cercò di dividerli.
< E voi che cosa volete? Che cosa ci fate nei nostri territori? Non siete il benvenuto. >
< Volevo presentarvi il vostro prossimo sposo > rispose il Conte con ghigno malefico < Ma vedo che ci dovrà essere un nuovo incontro per potervi conoscere meglio. >
< Io sposata con questo tizio? Fatemi il piacere, nonno. Equestre è l’ultimo uomo che sposerei in questa vita. Parola di cavaliere. >
< Perché? Che cosa non vi attrae in me? >
< La vostra indole subdola… Pensate che io non vi conosca? Pensate che io non sappia quante persone avete fatto uccidere per acquistare potere e fama? Ebbene, evitate di farvi vedere in mia presenza, altrimenti la prossima volta la mia spada sarà macchiata dal vostro sangue. >
< Basta così! > gridò il Conte Varello spazientito < Voi sposerete quest’uomo dopo la fine dei giochi di Numarsa! Che vi piaccia o no! >
< Allora dovrete passare sul mio cadavere. >
E nel dire ciò, la giovane donna scomparve in mezzo alla folla che aveva assistito a tutta la scena, ritrovandosi in mezzo alla campagna del Regno vicino al Confine con la Contrada della Pantera.
< Eppure credevo che voi sareste riuscita a domarla > fece Equestre con tono puntiglioso < La sua ribellione sarà la rovina della vostra Contrada. >
< Equestre Orvalo dei Rigamonti, sarebbe bene che voi pensiate a voi stesso e alla vostra Contrada. Non vi pare? >
< Ho solo fatto per dire, Conte. Non prendetela male. >
< La vostra unione è ormai decisa, altrimenti i risvolti saranno molto inaspettati. Farò muovere Sir Rumildo in modo che possa preparare le carte. D’accordo? >
< Come credete meglio voi, Conte. >
 
 
Mentre il Duca Gregio Fiorabesco stava discutendo stava discutendo con Vra Tito per i suoi guai finanziari, Argentio non ce la faceva più a rimanere ad ascoltare i piagnistei di un povero vecchio.
Decisosi ad andarsene e a lasciare nel bel mezzo della sua riunione, Fra Tito non era affatto fiero dei modi di suo nipote.
< Dove state andando? La riunione non è ancora conclusa > ruspose l’uomo con tono grave.
> Zio, ancora non capisco il perché della nostra alleanza con la Contrada di Valdimontone. Ormai il Duca è un uomo vecchio senza potere. Sarebbe saggia che venisse incorporata nella nostra Contrada. Non vi pare anche a voi? >
< Ascoltatemi bene, uomo senz’anima: incorporare le Contrade porterebbe solo a rivolte di popolo che noi della Contrada della Pantera non abbiamo bisogno. Il povero Duca ha bisogno del nostro aiuto nei confronti del Marchese Angioino e noi è quello che faremo. Che vi piaccia o no. >
< Sapete bene che spenderemo molto del nostro denaro per continuare a mantenere l’esistenza di tale Contrada, vero? >
< Questo non vi deve interessare affatto. Sono questioni che riguardano me personalmente. >
< E anche me visto che sarò prossimo a prendere tale eredità. >
< Sempre che io voglia, caro ragazzo. >
Inviperito da tali parole, Argentio decise che per sbollenatre la sua rabbi9a fosse meglio lasciare il palazzo di suo zio e cavalcare indisturbato verso il fuime che divideva il confine con la Contrada del Leocorno.
Immaginandosi di essere da solo, Argentio non poteva credere di incontrare una graziosa giovane donna piangere indisturbata tra i cinguettino degli uccelli e lo scorrere dell’acqua nel fiume.
< Una bella ragazza come voi non dovrebbe piangere > fece il giovane uomo appena la donna lo guardò dritto negli occhi < Il pianto rovina la bellezza. >
< Credevo di essere sola in questo paradiso. Ebbene, mi sbagliavo. >
< Pensavo la stessa cosa pure io… Spero di non disturbarvi. >
< Preferirei stare da sola… Ma sarebbe troppo sgarbato per me mandarvi via. Quindi sarò io che me ne andrò. >
Ma Argentio, che non aveva nessuna intenzione di lasciare andare quella ragazza, fece di tutto per riuscire a colpirla con le sue parole.
< Lo stemma che ha il vostro cavallo mi è molto familiare > fece Argentio con voce imperiosa < Voi dovreste essere la nipote del Conte Varello: Ginevra. >
< Ebbene, vedo che la mia fama mi precede. >
< Ho sentito molto parlare della vostra bellezza. Ma devo dire che di persona siete molto meglio. >
< Sapete una cosa? Siete il secondo uomo che tenta di farmi la corte. Il primo l’ho talmente rinnegato che ci dovrà pensare due volte prima di ricercarmi. >
< Lo spirito libero del Leocorno. È così che la vostra gente parla di voi. >
< Davvero? Eppure nel palazzo di mio nonno vengo definita la viziata del Regno. Solo perché non ho intenzoone di sposarmi, ciò non vuol dire non acconsento al volere di quell’uomo. Il mio desiderio più grande è quello di diventare un cavaliere. Nient’altro. >
Argentio, sentendo parlare con tale coraggio e veemenza, era come se si stette innamorando di quella donna.
< E voi? Come vi chiamate? Vi dovrei forse conoscere? >
< Diciamo che abbiamo una cosa in comune: siamo le due pecore nere delle nostre Cobtrade. Il mio nome è Argentio, nipote di Fra Tito. >
< Argentio avete detto? Quello che si diverte ad andare in giro con la mschera argentata cercando di salvare i poveracci in difficoltà? >
< Ebbene, cerco di fare del mio meglio. Odio l’ingiustizia e il potere che i potenti esercitano sui poveri. Per questo ho quasi causato molte guerre ai danni della mia famiglia. >
< Ma presto potreste rifarvi in qualche modo, vero? >
< Forse sì. Ma ho sguainato la mia spada solo per minacciare e non per uccidere qualcuno. >
< La vostra disputa con il Marchese Angioino è diventata popolare anche nella mia Contrada. Non riuscite a sopportare quell’uomo, vero? >
< E’ la bestia nera in questa terra. Appena me lo ritrovo dinanzi, sento il mio sangue ribollire di rabbia. Un uomo senza scrupoli non dovrebbe esistere in questo Regno. >
< Allora vuol dire che non avete conosciuto bene mio nonno Varello dei Vassalli. In confronto il marchese è un santo d’uomo. Strano che i due non si siano ancora alleati in qualche modo. >
< E’ solo questione di tempo e ciò potrebbe davvero accadere… Ma sinceramente non voglio impelagarmi in fatti che non mi riguardano da vicino. >
< La stessa cosa vale per me > rispose la donna < Basta parlare dei nostri nemici. Siete la prima persona che trovo interessante da molto tempo a questa parte? >
Quelle parole, mischiate e sincerità e passione, suonarono nelle orecchie di Argentio come un segno di speranza.
< Davvero? Ed io che credevo che la nipote del Conte Varello fosse una persona intrattabile. >
< Come ho detto prima, la mia fama mi precede… Ma in quanto donna, se voglio conquistarmi il rispetto della mia gente e di tutti gli altri uomini, devo comportarmi in tale modo. >
< Da cosa vi viene la voglia di diventare cavaliere? >
< Le donne di questo Regno sono sempre state obbligare ad essere sottomesse dagli uomini o dai loro mariti… Ma io, andando in controtendenza, ho deciso che era giunta l’ora di smettere con tali ingiustizie. E poi crescendo ho capito che dentro il mio sangue scorreva la passione di cavalcare e di armeggiare spade e altre armi di ogni tipo. >
< Vi piace combattere? >
< E’ la cosa che adoro di più dopo cavalcare. Volete che vi dia una dimostrazione? >
< Perché no? sarebbe davvero interessante. >
< Però non ce l’abbiate con me se vi metto al tappeto, d’accordo? >
< Ahahah cercherò di farmene una ragione. >
ma mentre i due cavalieri si apprestavano a sguainare le loro armi, un’orda di soldati provenienti dalla Contrada della Selva, li circondò improvvisamente minacciandoli con i loro modi rudi.
< Bene bene, che bella coppietta che siete. Vi stavate divertendo? > domandò il marchese con ghigno malefico senza nascondere il suo divertimento.
< Che cosa volete da noi, marchese? >
< Belle le vostre spade. Sarà un grande onore er me strapparvela dalle mani. >
< Allora venite pure, dannato marchese. Il sangue scorrerà e riuscirò a deridervi una volta per tutte. >

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Capitolo 9
*** La saggezza dello scudiero ***


Il marchese Angioino, sicuro delle sue azioni, aveva la situazione soot controllo.
Squadrando malament il suo avversario, voleva fare di tutto per farlo innervosire dinanzi a Ginevra che li  guardava con sguardo pieno di rabbia.
< Allora, caro cavaliere: pensate davvero di riuscire a sconfiggermi una volta per tutte? >
< Certo che sì. E riuscirò una volkta per tutte a levarvi quel dannato sorriso dalla vostra faccia. Fosse l’ultima cosa che faccio. >
< Perchè? Non vi piace la mia risata?
< No. mi da’ sui nervi. >
< Dovete farvene una ragione. Anche perché sarà l’ultima cosa che vedrete. >
Argentio, che non aveva nessuna intenzione di perdere altro tempo, pi9ombò contro il suo avversario con tanta vemenza e sicurezza.
Il marchese Angioino, che era un ottimo spadaccino, si stava difendendo magistralmente contro tutti i colpi del suo nemico con facilità disarmante,
Così non farete altro che stancarvi,. Angioino. La vostra amichetta saprebbe combattere molto meglio. >
< Non osate mentovarla. Non avete nessun diritto! >
< Perché? Avete forse paura che qualcuno s la porti via? Chissà cosa penserà il Conte Varello quando vi vedrà al cospetto. Eppure sapevo che la Contrada della Pantera e quello del Leocorno non potessero andare d’accordo. Una nuova alleanza d’amore? Mi dispiace avervi interrotti, ma non riuscivo a farne a meno. >
Argentio, spazientito dalle su parole, cercava continuamente di colpirlo con tutta la forza e la foga che aveva, ma senza un minimo successo.
Fu allora che, distratto dallo sguardo attento di Ginevra, il giovane paladino mascherato venne ferito ad una mano.
< Ora come farete a tenere in mano la vostra spada? >
< Riuscirò lo stesso a combattere! >
< Ahahah voglio proprio vedere come… Argentio, nipote di Fra Tito: siete la vergogna della vostra Contrada. Vostro zio si rivolterebbe s vi vedesse in questo momento. >
IL Marchese Angioino, che non riusciva a trattenersi dall’uccidere il suo sfidante, fu disarmato da Ginevra con un colpo ancestrale e improvviso.
< Voi! Come avete osato intromettervi? >
< La sfida è finita, marchese,. Avete vinto voi. >
Aiutando il giovane sfidante a rialzarsi, Ginevra non ce la faceva a vedere tutta quella crudeltà con i suoi occhi.
< Avete deciso davvero di aiutare un vostro nemico? >
< Nemico o no, questo uomo non merita di morire in tale modo. Ed è per questo che la sfida non deve andare oltre… Marchese Angioino, stavolta siete stato fortunato. Ma durante i Giochi di Numarsa andrà diversamente. >
< Davvero? Eppure non riuscirete a salvare il vostro nuovo amore. E sapete perché? Perché sarte voi, dannata donna di poca fede, a strisciare verso di me. Chiederete una pietà che nessuno potrà mai accogliere e la mia spada finirà il mio lavoro sporco. Non avete futuro voi due: né uniti né divisi. >
Presa da un senso di rabbia incontrollabile, Ginevra voleva conquistare il suo onore uccidendo colui che aveva scatenato il suo impeto.
Ma la sua rabbia e il suo rancore fu completamente messo a tacere dall’arrivo di uno scudiero che aveva cavalcato come un forsennato per raggiungere la sfida del fiume.
< Ma che diavolo… >
Scendendo dal cavallo, l’uomo in questione mostrò il suo volto scavato dalle mille battaglie e che portava dietro di sé con grande onore.
< E’ impossibile. Voi dovreste… >
< Marchese Angioino della Barbesca. Vedo che il vostro giocare sporco non è mutato minimamente. La vostra selva è divenuta tanto oscura quanto l’inferno di Dante? >
< Bersagliere Anciullo Traviano. Credevo che il vostro buon nome appartenesse alla storia. >
< E per quale motivo? Solo perché la mia Contrada ha rischiato di estinguersi in numerose occasioni? >
< Esatto. Ma la vostra abilità innata vi ha permesso di sopravvivere. >
< Giusto. Tutto grazie alla mia saggezza che mi sono saputo guadagnare..,. Ancora non capisco come la Contrada della Selva possa andar controcorrente in questo modo. Eppure non è di buon auspicio uccidere un rivale poco prima l’inizio dei giochi. >
< Bersagliere, se state cercando di abbindolarmi, sappiate che state sbagliando. Questo non è affare vostro e sicuramente non mi porterà sciagure come avete detto. >
< Ah no? allora perché non provate a togliere di mezzo me? Un povero vecchio di settant’anni non può aver la meglio contro un marchese di quarant’anni. >
< Ahahah ma io non voglio uccidere voi. >
< Volete uccidere una donna? Ma con quale onore riuscite a pensare a questo? >
< Farei un grande favore al Conte Varello, sapete? >
< Eppure tutte le contrade presenti dovrebbero essere in vita prima dall’inizio dei giochi. >
< Bersagliere, se volete continuare a farmi perder del tempo… >
< Non sia mai. Il nostro è solo un colloquio normale e intelligente. Perché voi credete di esserlo, vero? >
< Assolutamente sì. >
< Allora vi do’ un consiglio: meglio non mettersi contro la lupa. Perché anche se vecchia, sa ancora sbranare alla perfezione. >
E nel mentre il Bersagliere si preparava a sguainare la sua spada, il marchese Angioino non fu così rapido nei riflessi. >
< Se mi spostavo anche di un solo centimetro, vi potevo conficcare la mia lama nei vostri occhi. Allora sì che si sarebbe potuto scatenare una guerra, caro il mio marchese. >
< Bersagliere, sarebbe meglio per voi che non vi prendiate gioco di me. >
< Allora lasciate andare questi ragazzi. Per il bene di tutti. >
Mentre si apprestava a fissare un ultima volta Argntio ferito e la giovane donna, alla fine il marchese si diede per vinto.
< Quando i giochi entreranno nel vivo, la mia furia sarà davvero implacabile. Vi do’ la mia parola. >
< Come volete voi, marchese. Allora a presto. >
Mentre il Capo della Contrada della Lupa riceveva i ringraziamenti di un Argentio che si sentiva ferito nell’orgoglio, Ginevra non rimase immobile a fissare tale conversazione.
Ferita nel profondo per aver creduto che la sua fiamma non era quella che credeva, la giovane donna scappò a cavallo sotto lo sguardo attonito di Argentio e del marchese.
< I miei complimenti, Argentio > fece il marchese deridendolo dinanzi a tutti < Avete perso il vostro onore. Ora come riuscirete a conquistarlo? >
Fissando il suo nemico giurato dritto negli occhi, Argntio non era poi così preoccupato.
< Non ho bisogno di pensare all’amore. So di essere ne giusto e che la mia vita è in salvo. >
< Sì, per ora… >
< Vedete di non cantare troppo vittoria, marchese. Avrò anch’io la mia vendetta. >
< Allora non vedo l’ora di assaporalra. >
E nel dire ciò, il marchese scomparve a cavallo mentre Argentio si sentiva ferito nell’orgoglio e nel giudizio.

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Capitolo 10
*** Difendere un amore non ancora sbocciato ***


Argentio aveva perso il suo onore pèroprio dinanzi ad una donna di cui i stava invaghendo ogni momento che lo guardava.
Il sapore della sconfitta e sapere che era stato appena deriso dal suo peggior nemico, non lo faceva stare minimamente tranquillo.
Raggiunto un casolare che si trovava nei pressi del fiume, Ginevra si apprestava d alleviare il dolore del suo cavaliere cercando di curare le sue ferite.
Ma nonostante la giovane donna lo stesse rendendo a suo agio, il cavaliere era più nervoso che mai.
< Ho fallito… e proprio davanti a voi. >
< Avete combattuto con destrezza e con onore, Argentio. Non fatevane una colpa. >
< Invece sì che devo. Un cavaliere del mio nome non può venire deriso da un marchese di mezza tacca. È inaudito. >
< Presto avrete la vostra vendetta e sarete il vincitore dei giochi di Numarsa. >
ma nel sentire quelle parole, il cavaliere ricordò alla donna che se voleva riconquistare il suo onore, avrebbe dovuto sfidare anche lei.
< Non sono convinta di partecipare. Il Conte Varello farebbe in modo che io non partecipi o peggio ancora mi farebbe sparire. E tutti sanno quanta influenza ha mio nonno. >
< Non pensavo che voi avreste paura di lui. >
< Voglio solo camminare con i piedi per terra. E a dirla tutta, on mi sento nemmeno pronta. >
< Sciocchezze. Sono convinto che se voi foste stata al mio posto, avreste combattuto molto meglio di me. Non pensavo di essere così scarso nel duello con la spada. >
< Allora in cosa vi sentite bravo? >
< Non saprei… Forse sono stato distratto dalla vostra bellezza e ho perso il lume della ragione. >
cercando di nascondere il suo imbarazzo, Argentio non aveva nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi.
< Sapete una cosa? Dovreste smettere di essere così adulatore. Non siete capace di nascondere i vostri veri sentimenti. >
< Davvero? Allora vedete che mi comprendete. Perché dovrei nascondermi se sono atratta da voi? >
< Perché le nostre due Contrade non potrebbero mai andare d’accordo. >
< Avete talmente paura di vostro nonnp che non avete il coraggio di avvicinarvi a me? >
< Non ho detto questo > ribatté la donna con tono piccato.
< Ma lo state pensando. Ditemi la verità. >
< Voglio solo evitare di scatenare una diatriba familiare che non gioverebbe a nessuno di noi. Tutto qui… Ma questo non mi obbliga ad ubbidire alle sue richieste. >
< Certo. Vostro nonno vuole per voi una vita agiata come conviene ad una contessa del vostro rango, lontano dalle sofferenze e dalle battaglie. >
< La mia sofferenza è fare èparte della Contrada del Leocorno. >
< In altri ambiti sarebbe stato uguale, sapete? >
< Ma sicuramente non avrei mai avuto a che fare con un tipo come mio nonno. >
< Ahahah non pensavo che non lo sopportaste fino a questo punto > rispose divertito l’uomo.
< Non potete immaginare con quanta difficoltà cerco talvolta di trattenermi. Non conosce il senso dei miei desideri e non fa altro che darmi contro. È davvero insopportabile. >
< Sapete perché fai questo? Lo possiamo riassumere in poche parole: perché siete una donna. >
< Una donna che ha coraggio da vendere e che non si nasconde di fronte a niente… ì, è questo quello che non sopporta mio nonno. >
< E avete forse intenzione di cambiare in qualche modo? >
< Perché dovrei farlo? >
Nel mentre la giovane donna di apprestava a spogliare il cavaliere, non poté trattenersi dal baciarlo con passione e con foga.
Assaporando la sua carne limpida e delicata, Argentio si lasciò trasportare all’erotismo rimanendo avvinghiata a lei sentendo il calore tiepido del fuoco che il casolare stava emanando.
< Non ci avete messo molto ad aprirvi a me, Contessina. >
< Evitate di affibbiarmi un simile appellativo. Io per voi sono Ginevra. Nient’altro. >
< Eppure dovrei sottolineare la vostra importanza, non trovate? >
< Potete farlo, ma come mio sottomesso. Non in altri sensi. >
< Assolutamente no! Sono io l’uomo qua dentro! >
< Allora vedete di farlo e fatemi eccitare come la peggiore puttana! >
< Con molto piacere. >
E nel dire quelle parole dure e piene di godimento, Argentio avvolse la sua amata tra le sue braccia, mentre urla i amore e di passione riecheggiarono intorno alla stanza e di fronte agli occhi di un uomo deluso e affranto che si stava godendo l’intera scena.
 
 
Tornando al palazzo del Conte Varello, Equestre Orvalo dei Rigamonti era più indispettito e arrabbiato che mai.
La sua amata, ovvero colei che doveva cercare di domare, era nelle braccia di un altro uomo.
Non potendo sopportare tutto ciò, la vendetta calda e incontrastata, sarebbe stato un affare anche del nonno della ragazza, non sopportando quel dannato uomo dalla maschera argentata che nascondeva un segreto per niente di poco conto.
< Ho assoluto bisogno di parlare con voi, Conte. In privato. >
Mentre stava rilassando la sua tempra morale, il Conte Varello odiava essere disturbato da chiunque nel mentre stava leggendo o durante le sue riunioni.
< E’ così importante da distrarmi nei miei affari rilassanti? >
< Altroché. Riguarda Argentio e vostra figlia. >
Nel sentire il nome di sua nipote associato ad una Contrada neicoa, il Conte Varello alzò gli occhi come segno di curiosità.
< Chiudete la porta, Equestre. Così nessuno potrà ascoltare le nostre parole. >
Acconsentendo alla richiesta del Conte, Equestre raccontò subito all’uomo le gesta impunite e putride di sua nipote all’insegna della sua libertà e del suo ardore.
< Mia nipote non sarebbe più… vergine? >
< L’ho vista con i miei occhi, Signore. E vi giuro su me stesso… >
< Vi prego di non giurare. Le vostre parole di odio mi fanno capire che non state mentendo. >
Cercando un espediente per fargliela pagare, il Conte Varello non poteva sopportare una simile insolenza da parte di sua nipote.
< Avete visto bene? Era quel dannato bastardo di Argentio? >
< Sì… Ma non credo che dietro tutto questo ci possa essere Fra Tito. >
< Quel dannato frate cavaliere mi ha stancato con i suoi buoni propositi > ribatté adirato il Conte < Ha ccercato di portare la pace in tutto il Regno di Numarsia, arricchendosi dietro le spalle mie e di gran parte del suo popolo. Meriterebbe una fine esemplare all’insegna del sangue e del tradimento. >
< Vorreste davvero arrivare ad uccidere quel povero Cristo per placare la vostra vendetta? >
< Caro Equestre, anche se odio a morte la mia unica nipote, non posso toglierla di mezzo o punirla come vorrei io. Mi serve che voi vi unisca a lei in ogni modo. Solo così potrò attuare la mia vendetta. >
< Ma lei non ha nessuna intenzione di sposarmi! >
< Vorrà dire che il prossimo incontro che avrete con lei dovrete fare di tutto per mettere in cattiva luce Argentio e cercare di conquistare il suo cuore. Magari dicendogli che Argentio non è il vero figlio di Fra Tito. >
< Ma cosa state farfugliando? Non è possibile. >
< Perché voi non sapete la storia di Fra Tito… Anche se il vecchio uomo ha avuto una vita legata all’insegna di Dio e della Chiesa, non poteva sottrarsi ai piaceri della carne e delle donne.
Ma una sera, mentre stava tornando verso il suo palazzo, incontrò una giovane donna disperata mentre stava piangendo e chiedendo la grazia ad un uomo pari del suo lignaggio.
La donna fece un accordo con Fra Tito dicendogli che avrebbe messo a tacere i vizi del prete solo se avesse crresciuto il suo bambino come se fosse stato sangue di Fra Tito.
L’uomo, con le spalle al muro, non poté sottrarsi a tale ricatto, anche se sotto sotto aveva sempre desiderato un figlio da crescere e da accudire.
Riempiendo d’oro la vecchia donna, Fra Tito crebbe Argentio (in onore di una piccola maschera che portava con sé come un giocattole) come se fosse stato il suo figlio prediletto.
Ma il giovane bambino, tendente anche lui ad andare contro i voleri del frate, è rimasto in convento per tutta la sua infanzia  egran parte della sua adolescenza, fino a quando il vecchio uomo non ha deciso per lui. >
< E cosa avrebbe deciso? >
< Che sarebbe stato l’erede della sua famiglia. È ovvio. >
< Ma allora i due sono legati… >
< In un modo indegno e indecoroso. Argentio non è un nobile come noi. E come molte fecce della nostra società e del populino, si meriterebbe di morire. Per questo Argentio si merita una bella lezione. E credo che voi siate la persona adatta per infliggergli tale punizione, soprattutto adesso che l’avete visto tra le braccia di mia nipote. La vostra rabbia non potrà mai essere placata completamente perché mia nipote non vi amerà mai come vi ama lui. >
< State cercando di girare il coltello nella piaga, Conte? Non serve che voi me lo ricordiate. >
< Certo che no… Voglio solo accrescere la vostra vendetta. Tutto qui. >
< Non occorre. Davvero… E comunque è stata una vera fortuna incontrare un cavaliere che si aggirare nei dintorni del fiume. Quando ho sentito che parlavano di Ginevra, non ho potuto fare altro che ascoltarli. >
< E di chi si trattava? >
< Del Marchese Angioino della Barbesca. >
< Oh, la vecchia volpe di un marchese. Sapete Equestre, abbiamo combattuto molto assieme ma anche noi abbiamo avuto i nostri dolori e le nostre sconfitte. Ma il rispetto reciprovco è sempre rimasto immutato. >
Nel sentire tali parole ad Equestre gli vene in mente un’idea che avrebbe potuto rafforzare in futuro la sua posizione.
< Visto che il rispetto reciproco che avete con il marchese è molto importante per voi, perché non unirvi in un’alleanza che gioverebbe a tutti quanti? >
< Un’alleanza? Perché scomodare un vecchio amico in affari che non mi riguardano? >
< perché tutti noi vogliamo la morte di Argentio. Non potete dirmi di no. >
< Ma io non voglio nessun tipo di spargimento di sangue, Equestre. Siete voi che lo volete. >
< Ma Conte… >
< Sapete perché non siete così furbo? Perché non riuscite a lavorare sotto traccia. Cercate di tenere gli occhi aperti e pedinate anche mia nipote e Argentio, se volete. Ma cercate di are sempre il diplomatico e il saccente. Evitate di mostrarvi rabbioso. Mi avete capito? >
< Non so se sarà così facile. >

Sentendo le parole assidue e dirette del vecchio Conte, Equestrre non oté fare altro che sentirsi impotente per l’ennesima volta di fronte al suo cospetto.
< Vedete di esercitarvi per i giochi. Non fate altro in questi giorni. Datemi retta. >
< E vostra nipote? >
< Prima o poi tornerà a palazzo, ma non prima di aver conosciuto un giovane bandito che si maschera da nobile come noi. >
< Volete forse… >
< E’ solo una spia. Non gli farà del male. >
< Lo voglio sperare, Conte. >
< Fidatevi. Non potete fare altro. >

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Capitolo 11
*** Un amico tradito dall'infamia ***


Risvegliandosi tra le braccia della sua nuova amata Ginevra, Argentio si sentiva una persona diversa.
L’incontro con quella donna, s’eppur fulmineo, aveva cambiato il suo modo di vedere il mondo.
Bella, giovane e con un coraggio da vendere, il giovane figlio bastardo della Contrada della Pantera era stato folgorato dai suoi modi di fare.
Mentre le prime luci dell’alba inondavano quel piccolo casolare vicino al fiume dove i due amanti avevano trovato rifugio, Argentio non si era reso conto che era l’ora di andare.
Non volendo svegliare la sua amata, il cavaliere si rivestì velocemente prima di scrivere una lettrera alla donna e ringraziarla per la bellissima notte trascorsa insieme.
Ma nel mentre si apprestava ad aprire la porta, la giovane donna lo avvolse tra le sue braccia ancora completamente nuda.
< Non vorrete mica uscire da qui senza niente addosso, spero > fece l’uomo con tono sensuale.
< E voi? Mi volevate lasciare da sola senza dirmi niente? >
< Vi ho scritto una lettera, anche se breve. >
< Odio svegliarmi da sola. Mi fa capire quanto sono sola al mondo. >
< Ma adesso non lo siete più, Ginevra. Ci sono io che vi proteggerò in ogni frangente. >
< Non fate promesse che non potete mantenere. >
Rabbuiandosi improvvisamente dopo aver detto quelle parole, Ginevra si apprestava a tornare alla normalità di sempre.
< Perché dite questo? >
< Perché le nostre due Contrade sono nemiche giurate. Come possiamo essere felici in questo modo? >
< Lo saremo, Ginevra. In un modo o nell’altro. >
< Vostro zio e mio nonno non acconsentiranno mai alla nostra unione. Ci uccideranno piuttosto che vederci insieme. >
< Allora li faremo ragionare alla nostra maniera, dicendogli che siamo felici e che nessuno ci può dividere. >
< Non vorrei avere false speranze con voi, ma ho paura che mio nonno stia architettando qualcosa dietro le mie spalle. >
< Non sarebbe la prima volta > rispose Argentio divertito.
< Finitela. La questione è molto seria. >
< Scasate. Io non volevo… >
< Ancora non riesco a capire che cosa ci facesse Equestre Orvalo dei Rigamonti nel nostro palazzo… Forse mio nonno sta preparando un matrimonio a mia insaputa, facendomi sposare con quel buono a nulla. >
< Bene, vorrà dire che dovrò entrare in azione io togliendo di mezzo il mio rivale. >
< No, Argentio. Non potete farlo > rispose Ginevra frettolosamente.
> Perché? Mi avevate detto che non lo sopportavate… >
< Questo non vuol dire che dovete ucciderlo. Se quell’uomo si è già alleato con mio nonno, sarà molto difficile per noi farlo sparire. Mio nonno non lascia niente al caso e controlla tutti noi anche quando crediamo di essere liberi. Avete capito cosa intendo? >
< Perfettamente. Ma ciò non toglie che possiamo vederci nei momenti più congeniali, anche se dovremmo farlo di nascosto. >
< Argentio, voi state sfidando il Conte Varello dei Vassalli. Sapete quanto potente sia. >
< Anche mio zio Fra Tito è un uomo molto potente, come del resto altre Contrade. Perché disperarsi così tanto? >
< Perché ho paura della nostra incolumità. Soprattutto della vostra, Argentio. >
Nel vedere come la sua giovane amata si preoccupi per lui, Arhgentio non poté fare altro che continuarla a baciare con passione.
> Mio zio mi avrà dato per disperso. Forse è meglio che io torni a palazzo, altrimenti… >
Ma prima che Argentio si potesse staccare della sua amata, sentì un rumore di zoccoli provenire nelle vicinanze del casolare.
< E’ arrivato qualcuno > mormorò Ginevra spaventata < Forse una guardia di mio nonno che mi è venuta a cercare. >
< Ci metteremo poco per scoprirlo. >
Nascondendosi dietro le pareti del casolare, Argentio e Ginevra attesero il momento in cui il misterioso uomo avrebbe messo piede all’interno di esso, saltandogli addosso e cogliendolo impreparato.
Ma quando Argentio capì che si trattava di una sua vecchia conoscenza, non poté fare altro che salutarlo e di offenderlo allo stesso tempo.
< Grigherio! Non avrei mai immaginato che foste voi! >
< Ho forse interrotto qualcosa di importante, amico mio? >
Nel cercare di togliersi dall’imbarazzo, Ginevra si rivestì talmente velocemente da lasciare sorpresi i due uomini che la stavano guardando con tale fugacità.
< Allora? Non avete mai visto una donna nuda? > domandò risentita la donna.
< In verità… >
< Argentio, voi mi dovreste difendere da quest’uomo. >
< Scusami, Ginevra. Ma Grigherio è come un fratello per me. Siamo cresxiuti assieme e abbiamo affrontato tanti pericoli9 quante avventure. >
< Allora perché non me lo presenti come si convenga ad una contessa del mio rango? >
< Scusatemi. Non credevo di darvi così tanta importanza > rispose Argentio alquanto divertito e indispettito allo stesso tempo.
< Le persone cambiano, tesoro mio. E se questo ragazzo è un vostro amico, perché non sapere più sul suo conto? >
< Dovrei forse ingelosirmi subito dopo la notte passata assieme? > domandò di rimando Argentio.
< Sapevo di avere interrotto qualcosa > rispose l’altro uomo < Comunque mi presento: Grigherio Armando Della Torre, Capo della Contrada Spadaforte. Un vero piacere fare la vostra conoscenza, signorina… >
< Ginevra Dei Vassalli. Credo che voi sappiate a qule lignaggio appartengo. >
< La nipote del grande Conte Varello. Non vi ho mai incontrata di persona. Anche perché non ne ho mai avuto occasione. >
Fissandola con occhi languidi e pieni di piacere, il giovane Grigherio non riusciva a sottrarsi a tale bellezza. >
< Grigherio? Giù le mani. La signorina qui presente non ama essere posseduta > rispose Argentio cercando di trattenere la sua gelosia.
> Oh, scusatemi amico mio. Voi siete arrivato prima di me. >
< Come osate dire ciò? Io non sono un trofeo da vincere > rispose infuriata la donna < E se volete che ve lo dica, credo che non riuscirete mai a farmi sentire una donna importante come mi sento io. >
< Oh, scusatemi. Non volevamo offenderla. >
< Argentio, se i vostri amici sono così insolenti come questo qui, allora forse è meglio che torni a strisciare nei vicoli oscuri dove le Contrade Soppresse abitano per essere ricostruite. >
Sentendosi offeso e ferito allo stesso tempo, Grigherio fece di tutto per non inveire contro la donna.
< Ginevra, non pensate che state esagerando? >
< Assolutamente no. Il vostro amico doveva inizialmente avere l’accortezza di bussare e non entrare come se fosse a casa sua. In secundis, la dovrebbe smettere di fissarmi come un lupo in calore che non aspetta altro che la sua preda. >
< Sono sicuro che Grigherio non abbia cattive intenzione. Ormai lo conosco da tutta una vita. >
< Fidarsi è bene non fidarsi è meglio, caro mio… E scusatemi Grigherio se metto in discussione l’amicizia tra due uomini, ma nel corso della mia vita ho imparato a non fidarmi di nessuno. >
< Ho sentito molto parlare della vostra vita difficile che avete avuto prima con i vostri genitori ed ora con vostro nonno. Ma non ve ne faccio una colpa. >
< E’ già qualcosa… Argentio, credo che sia venuto il momento di andarmene, pregate il vostro amico di non spifferare della nostra relazione a nessuno, altrimenti ci saranno dei risvolti spiacevoli. Anche per lui. >
< Non mi permetterei mai di fare a voi due un simile affronto. Argentio, perché non cercate di difendermi? >
< Perché non siete nella posizione di essere difeso > rispose piccata la donna< E comunque, la nostra relazione non deve entrare in nessun modo nei vostri pensieri e nei vostri affari. Sono stata chiara? >
< Perfettamente, mia signora. >
< Signorina, se non vi dispiace. >
Senza salutare il suo giovane amato come avrebbe voluto, Ginevra partì al galoppo senza voltarsi dietro le spalle, cercando di raggiungere il Palazzo del Leocorno in più in fretta possibile.
< Argentio? Credo che voi mi dovrete dare un sacco di spiegazioni. >
< Magari più avanti, amico mio. Devo tornare subito da mio zio, altrimenti saranno guai per me. >
< Ci possiamo incontrare nel pomeriggio alla nostra taverna? >
< Ottima idea. Scuatemi se sono così di fretta. >
< Non vi preoccupate > rispose Grigherio con sorriso < Anzi, sono contento per voi se avete trovato la persona adatta a voi. >
< L’ho appena conosciuta, amico mio. E scusate per i suoi modi bruschi ma lei è fatta così. >
< Non ve ne farò una colpa, tranquillo. >
< Grazie, Grigherio. Siete l’unico amico di cui posso fare affidamento. >
< Non c’è nessun problema. >
 
 
Scrutando nell’ombra delle case in pietra il vociare degli abitanti che trascorrevano una vita spensierata e di sacrifici, le trame dell’ombra non potevano che essere all’ordine del giorno.
Nel vedere come sua nipote si allenasse con così tanta foga e prestanza, il Conte Varello sentiva che la sua dinastia sarebbe stata punita con la peggiore delle punizioni.
< Quindi mi state dicendo che Equestre non stava mentendo > cominciò a dire il Conte dopo aver dato il permesso al suo ospite di entrare nelle sue stanze private < E li avete trovati in atteggiamenti intimi? >
< Direi che si erano divertiti abbastanza tutta una notte. Mi duole nel dirvi di aver visto vostra nipote… Beh’, come mamma l’ha fatta. >
< Vi prego di non essere così deciso nei riferimenti > si rabbuiò il Conte mostrando la sua calma apparente < In fondo stiamo parlando di mia nipote, ovvero l’unica erede della mia Contrada. >
< Perdonatemi, Conte. Non volevo. >
< Volevate eccome. Perché come mia nipote, anche voi non avete nessun pelo sulla lingue. Per questo mi piacete molto. >
Inchinandosi al suo cospetto senza guardarlo negli occhi, il Conte Varello era soddisfatto della soffiata che il misterioso uomo gli aveva fatto.
< Continuate così e presto i due amanti conosceranno molte tragedie che li colpiranno. Così la prossima volta ci penseranno due volte a mancarmi di rispetto… Bravo, Grigherio. Presto il vostro desiderio di rinascita sarà contemplato da una ricompensa tanto generosa quanto irreversibile. >
< Vi ringrazio, Conte. Per la vostra pietà e la vostra clemenza. >
E nel dire ciò, Grigherio uscì dalla stanza senza alcun rimorso e senza pensare alle dovute conseguenze che il Conte Varello stava preparando per i due giovani amanti.

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Capitolo 12
*** Portato a giudizio e rapito ***


Fra Tito, preoccupatosi per i preparativi che doveva sopportare della sua Contrada, non poteva credere che il suo figlio bastardo e i suoi segreti potessero essere in pericolo.
Mentre Argentio era appena tornato nel suo palazzo, Fra Tito sentiva un senso di rimorso e apprensione, come se il suo giovane cavaliere potesse correre gravi rischi e pericoli.
< Tornate a Palazzo a quest’ora? >
< Zio > fece l’uomo con tono sorpreso < Stamattina sono uscito molto presto per andare a fare una cavalcata. Per questo torno adesso > rispose il ragazzo cercando di nascondere la sua notte d’amore con la giovane Ginevra.
< Davvero? E com’era il fiume vicino al nostro confine? >
< Splendente e limpido come sempre. Certe volte dovreste svagarvi anche voi e andare a controllare di persona. >
< Peccato che non ho mai tempo per me stesso, caro ragazzo. Ho troppe cose a cui pensare. >
< Ma se posso darvi una mano… >
< Non ne sareste in grado. >
Non volendo litigare per rovinarsi la giornata, Argentio cercò di troncare immediatamente la conversazione e tornare ai suoi affari.
Ma il giovane cavaliere non poteva immaginare che suo padre lo potesse tartassare in quel momento.
< Scappate di già, ragazzo? >
< Devo preparare il mio cavallo per i giochi. Sarò tutto il giorno nelle stalle. >
< Già, le stalle… Sarebbe quello il luogo adatto per voi. Nascondere la vostra lurida faccia lontano dai pregiudizi e dalle trame che noi delle Contrade cerchiamo di tenere nascoste. >
< Cosa state dicendo? >
< Ditemi una verità una volta per tutte e smettetela con questi giri di parole. >
< Ma io vi ho detto la verità! > protestò il giovane Argentio.
Vedendo con quale insistenza il giovane cavaliere stava parlando, il vecchio Fra Tito gli fece notare un piccolo succhiotto sotto il suo flebile collo.
< E quel segno? Chi ve l’ha fatto? >
< E’ solo una piccola caduta da cavallo. >
< Un piccolo arrossamento è paragonabile ad una caduta? Argentio, sarebbe meglio per voi che la smettesse di prendermi in giro. Per il vostro bene. >
< Zio, se volete litigare, questo non è il momento adatto. >
< Con chi sei andato a letto questa notte? Dimmelo! Subito! >
< Ho solo dormito sotto le stelle. Contento? >
< No! voi non eravate da solo! C’era una donna con voi. Sento ancora quel suo dannato profumo. >
Mentre i due uomini si apprestavano ad arrivare alle mani, la Contrada della Pantera si apprestava a ricevere a palazzo il Consigliere del Conte Sir Rumildo.
< Ho forse interrotto qualcosa? > domandò l’uomo scendendo da cavallo < Credo che ci siano dei problemi per una piccola Contrada inutile come la vostra. >
< Rumildo, andatevene subito > gli ordinò Fra Tito < Questo non è il momento adatto per fare l’atteggiamento strafottente. >
< Solo venuto per parlare con vostro nipote. Il Conte Varello avrebbe bisogno di parlarvi urgentemente. >
< Ah davvero? Perché non è venuto lui personalmente? Ha forse paura di essere arrestato dalle nostre guardie? >
< Per quale motivo dovrebbe avere paura? >
< Non saprei. Perché non me lo dite voi? >
< Sono disposto ad accompagnarvi fino alle sue stanze provate. Non dovete preoccuparvi ma non è niente di grave. >
< Dite al vostro Conte che se vuole parlami di persona mi troverà qui nel Palazzo di mio Zio. In questo momento non ho il tempo materiale per perderlo con lui. >
Non volendo rifiutare una simile insolenza, Sir Rumildo prese per il braccio il giovane cavaliere per strattonarlo a sé.
< Sapete che il mio conte non vuole ricevere nessun tipo di no come risposta > rispose Sir Rumildo con tono grave < Quindi vi conviene accettare la mia richiesta, altrimenti… >
Nel mentre Argentio vedeva quel dannato consigliere fissare il suo succhiatto che aveva sotto il collo, Argentio gli si rivoltò contro per buttarlo a terra e minacciarlo a morte.
< Non osate più toccarmi, altrimenti la mia collera sarà inqualificabile! Avete capito?! >
Per niente spaventato dalla reazione del cavaliere, Sir Rumildo riusciva ad intravedere tutto il nervosismo del ragazzo.
< Molto bene. Riferirò il vostro messaggio… Ma sappiate che state sbagliando tutto. Il Conte Varello dei Vassalli non vi perdonerà tutto questo. Non dopo che nella Contrada del Leocorno già una voce sul vostro conto. >
< Di cosa state parlando? Non capisco? >
< Volete saperlo? Presentatevi questo pomeriggio alle sei in punto al Palazzo del Leocorno. Lì il mio Signore sarà contento di ricevervi. Se non volete venire, non importa. Ma è affar vostro, ve l’ho detto. >
Con il cuore che gli batteva dal nervosismo, Argentio non poteva credere che il suo piccolo segreto potesse essere stato smascherato in un modo che non credeva impossibile.
Vedendo uscire a cavallo uno dei suoi peggiori nemici, anche Fra Tito stava pian piano capendo una situazione compromettente in cui era invischiato il suo figlio bastardo.
< Fra Tito, che il Conte Varello dei Vassalli sospetti di me e di voi? >
< Non lo so cosa hai combinato ragazzo e non m’importa se vorrai confessarmelo oppure no. ma sappiate che dovrete risolverla da solo. Stavolta non ci sarà nessuno che vi aiuterà. Parola mia. >
< Ma io non ho bisogno di essere aiutato, zio! Ho la coscienza pulita e… >
< Evitate di mentire a voi stesso e a me. Sono stanco dei vostri colpi di testa. Se volete continuare a mantenere l’onore per la vostra Contrada fate pure. Ma non cercate la pietà da me. Non la riceverete in nessun modo. Mi avete capito bene? >
Ferito da tali parole, Argentio prese il suo cavallo per fuggire il più lontano possibile da quella sua vita opprimente, cercando il bisogno di un amore che gli stava dando fin troppe sofferenze.
 
 
Mentre il casolare dove Argentio aveva passato la notte sembrava così vuoto e privo di significato sentimentale, il giovane cavaliere crogiolava i suoi illustri peccati nell’alcol.
Aveva bisogno della sua amata e di quel poco conforto che non riusciva a godere da solo.
“Ho dato la mia vita a quell’uomo ed è così che mi ringrazia? Sbattendomi la porta in faccio come se fossi un povero mendicante? Ma come si permette! Che sia dannato lui e tutta la sua Contrada.”
La dannazione, un aggettivo che il giovane Argentio non riusciva a capire, lo aveva portato alla depressione e alla completa distruzione.
Ma come poteva uscirne in quel momento? Chi poteva tendergli la mano per aiutarlo?
Nel sentirsi più solo che mai, Argentio cercò di chiudere gli occhi immaginandosi una vita lontano dalle orrpessioni e da quella vita che non gli apparteneva.
Essendo nato come un povero bambino trovatello, era cresciuto nell’agio e nella ricchezza che molti del popolo di Numarsia aveva pregato tutta una vita per averla o solo per assaporarla.
Ma lui, umile e giudizioso quale era, non avevav bisogno di tutto questo:
Voleva solo essere sé stesso.
Voleva essere un cavaliere in cui l’onore riusciva a contraddistinguerlo in ogni occasione.
Ma il peccato dell’erotismo e della lussuria lo stavano consumando dentro e le conseguenze sarebbero state nefaste.
Come se una maledizione lo avesse colpito, il giolvane cavaliere fu attaccato alle spalle da due uomini misteriosi mentre l’alcool lo stava consumando dentro.
Addormentato per il colpo subito alla schiena, Argentio si era trasformato da cavaliere senza macchia e senza paura da vittima che non poteva conoscere l’innocenza che cercava e presto la punizione degli uomini potenti si sarebbe abbattuta su di lui e sulla sua famiglia.

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Capitolo 13
*** Nelle viscere della terra per risorgere più forte ***


Scendeva la pioggia e il clima di festa che il Regno di Numarsa attendeva per l’arrivo dei giochi sembrava improvvisamente sparito.
Una sciagura inqualificabile aveva colpito il cuore del Regno mentre grida di dolore echeggiavano in una delle tanti notte tranquille in cui la pace era stata rovinata dal destino.
Uno dei palazzi più antichi del Regno di Numarsa stava prendendo fuoco sotto gli occhi di un giovane bambino di appena dodici anni, mentre sua sorella non la smetteva di piangere dal dolore per la perdita dei suoi valori.
Facendosi forza e largo tra la folla quel piccolo bambino inginocchiatosi per un volere superiore, cercava di pregare e trovare il conforto necessario per dimenticare quella sciagura che lo aveva colpito così improvvisamente.
“Datemi la forza necessaria per superare difficoltà e i limiti della mia volontà. Adesso che sono solo ho bisogno di conforto necessario e di protezione. Perché il mondo è stato crudele con me ed io devo rialzarmi, nel nome della mia famiglia: la Contrada del Bruco.”
 
 
Se nel mentre le fiamme dell’odio e dell’ingiustizia stavano divampando nella Contrada del Bruco, il povero Argentio doveva fronteggiare nemici che lo avrebbero potuto togliere di mezzo in ogni momento.
Il Governatore Ronte dei Valvassini e Anselmo Brulleschi, sotto le dipendenze del Conte Varello, tenevano in pugno il giustiziere mascherato che da anni aveva portato ordine di nascosto nel Regno di Numarsia.
< Sapevo che dietro a tutto questo c’eravate voi > replicò il cavaliere con tono compiaciuto.
< Peccato che non avete ascoltato le parole del Vecchio Conte. Sapete, a lui non piace essere molto ripetitivo. Per questo ha mandato noi per farvi ragionare > mormorò il Capo della Contrada della Torre.
< Vi ha mandato voi a spaventarmi. Ma io non mi farò spaventare molto facilmente. Fate quello che volete. Ma la furia di mio zio sarà ricompensata con la vostra morte e la soppressione delle vostre Contrade. Oltre che a quella del leocorno, s’intende. >
< Ma come? Non vi dispiace se la piccola Ginevra finisse in disgrazia? >
< Non è una questione che vi riguarda, sapete? >
< Ci riguarda eccome > mormorò Anselmo Brulleschi con tono superiore < Noi siamo alle dipendenze del vecchio Conte. Per questo ci sentiamo importanti. >
< Siete solo due poveri burattini che non riescono a conquistare l’onore. Per questo meritate di sopperire alle dovute sofferenze e all’ignobiltà. >
Nel sentire quelle parole, i due uomini si apprestavano a torturare il povero Argentio con tale efferatezza che la sua vita sarebbe stata appesa ad un filo.
< Chissà cosa penserebbe la vostra amata se vi vedesse in questo momento. Sicuramente starebbe ridendo di voi. Una con il suo carattere non può abbassarsi con uno come voi. >
< Non osate mentovarla. Non ne siete degni. >
< Fai silenzio! O vi taglieremo la gola! Andatevene per sempre da queste terre e avrete salva la vita. >
< Andarmene io? Siete voi che dovete scapare. Prima che sia troppo tardi. >
< Non siete nella posizione di minacciarci > fece il governatore con tono rude.
< Peccato per voi che non sono del vostro stesso avviso. >
Improvvisamente, mentre un bagliore di speranza stava inondando quella stanza buia e oscura, i due aggressori furono attaccati a morte alle spalle mentre uno di loro continuava a gridare dal dolore.
Infilzandoli con la sua spada, Argentio sentì dentro di sé tirare un sospiro di sollievo mentre la sua esistenza era stata messa in discussione.
< Chi siete voi? > fece Anselmo con tono flebile mentre stava strisciando a terra esanime.
< Il vostro peggiore incubo. Avete finito di maltrattare le persone dal cuore giusto. Dovete sopperire tutta una vita nell’inferno più profondo, lasciando vivere noi dannati che dovremmo sopportare altre angherie più perfide. Ma se dobbiamo ripulire il nostro Regno, faremo del nostro meglio. >
< NOOO! >
E nel gridare ciò, anche il Capo della Contrada del drago esalò l’ultimo respiro, mentre Argentio era riuscito a liberarsi con abilità.
< Come avete fatto… >
< Sarebbe meglio parlare in privato in un luogo più appropriato. Non credete anche voi, amico mio? >
< Certo. Come volete voi. >
 
 
Passeggiando nella foresta di Numarsia tra il cinguettare degli uccelli e il silenzio della natura, Argentio si stava ancora leccando le ferite che i due aggressori gli avevano inflitto.
< Grigherio? >
< Ditemi, amico mio. >
< Second0 voi come facevano quei due malviventi a sapere che mi trovavo proprio in quel casolare? Eppure siamo solo in tre a sapere di tale esistenza: voi, io e Ginevra. >
< Io sinceramente non so darvi talie risposta. >
< Anche se Ginevra può essere una ribelle e una dal cuore sfuggente, non avrebbe mai pensato a tradirmi, sapete? Forse qualcuno vuole il mio male più del Conte Varello dei Vassalli. Qualcuno molto vicino a me… >
< Che cosa state insinuando? Non capisco. >
Nel fissare il suo amico con sguardo carico di odio e di mistero, Grigherio continuava a fare il finto tonto come se non fosse successo niente.
< Grigherio, parlami d’amico una volta per tutte. Cosa vi ha offerto il Conte per farvi una simile soffiata mentre stavo facendo l’amore con Ginevra? Centra forse il suo spasimante Equestre Orvalo dei Rigamonti? Vi prego di essere chiaro una volta per tutte. Vi giuro che non la prenderò male. >
Facendo un respiro profondo e accostandosi ad un albero, Grigherio non sentiva il minimo rimorso per tale tradimento.
> Non volevo più rimanere nella vostra ombra, amico mio > cominciò a dire con tono sommesso < Volevo solo che la mia Contrada soppressa potesse tornare alla luce e alla gloria di un tempo, cosa che non sono riuscito a fare. Il mio onore è scomparso per sempre e non riuscirò mai a riconquistarlo durante i giochi di Numarsia. Ormai il mio tempo su questa mondo è finito. >
Prima che Grigherio potesse fare un gesto estremo che lo avrebbe condannato per sempre, Argentio riuscì a disarmarlo e a buttarlo a terra con veemenza.
< No. voi non ve ne andrete in questo modo. Voi soffrirete mentre la vostra vergogna sarà il vostro macigno da qui fino alla fine dei vostri giorni. E se riuscirete a comportarvi da uomo degno e maturo, forse la speranza non sarà del tutto scontata. Mi avete capito? >
< Maio vi ho tradito. Perché mi fate questo? >
< Proprio perché mi avete tradito dovete pagare alla mia maniera. E lo farete rispettando tutti i miei voleri. Mi sono spiegato? >
< E il Conte Varello? >
< A lui penserò al momento opportuno… >
Distogliendo lo sguardo dall’odio e dalla pena che emanava la sua anima nei confronti di Grigherio, il giovane Argentio vide un bambino con gli stracci e con lo sguardo assente avanzare verso di lui.
La forza della disperazione lo aveva condotto a lui, cercando un destino diverso che in quel momento gli era sembrato nefasto e il bisogno d’aiuto una fiammella di speranza.
< Ragazzino. Stai bene? >
< Ho bisogno d’acqua… e d’aiuto… Non mi abbandonate. Vi prego. >
E nel sentire ciò, Argentio si caricò in spalla il povero bambino, portandolo nella sua dimora dove avrebbe ricevuto le cure giuste.

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Capitolo 14
*** Avidità imperdonabile ***


MENTRE Argentio Vegliava sul piccolo bambino che dormiva beatamente sul letto del giovane cavaliere, Grigherio fu sbattuto nelle prigioni della Contrada della Pantera in attesa del suo giudizio.
Fra Tito, che non amava rimanere all’oscuro delle questioni di Argentio, gli domandò immediatamente che cosa stava succedendo e il motivo delle sue ferite sul suo corpo.
> Mi hanno catturato, zio. Per poco non venivo ucciso. >
< Ma cosa stai dicendo? Da chi? >
< Dagli alleati del nostro Conte. Non pensavo che mi dichiarasse guerra in questo modo. Solo perché mi sono divertito con sua figlia, non è giusto che mi riservi un trattamento da… criminale. >
< Dannato stupido! Sapevo che avevi combinato qualcosa di grave! > sbraitò il vecchio uomo < E’ naturale che il Conte Varello ce l’abbia con te! Sei stato uno sconsiderato! Hai violato sua nipote? >
< Sì. Ed è stato il momento più bello della mia vita. >
< Brutto… >
Prima che Fra Tito potesse dargli un sonoro ceffone, i suoi consiglieri gli comunicavano che il Capo della Contrada di Valdimontone era misteriosamente scomparso.
< Non c’è un attimo di pace nella mia vita > fece l’uomo con tono spazientito < Che significa che il Duca non si trova da nessuna parte? >
< E’ quello che hanno detto, zio. È scomparso. >
< Smettetela di fare lo spiritoso e toglietevi dalla mia vista! Ora! >
< Credevo che volevate sapere perché un bambino nella mia camera. Ebbene, ho guardato le sue spoglie mentre lo avevo preso con sé: pare che appartenga alla Contrada del Bruco. >
< La Contrada del Bruco? È impossibile. Tutta la sua famiglia è stata sterminata a causa dell’incendio dell’altra notte. Non può essere sopravvissuto nessuno. Vi ordino di scoprire subito… >
< Appena il piccoletto si risveglierà, ci parlerò io. Promesso. >
< Molto bene. Evitate di scatenare altri guai, mi avete capito? Ho paura che la scomparsa del Duca sia legata al vostro colpo di testa. >
< Ma io non ho avuto nessun colpo di testa, zio. Ho solo fatto l’amore > rispose il cavaliere con tono ovvio.
< Smettetela di prendermi in giro! Stolto! Ora devo andare a risolvere questa dannata situazione. I giochi di Numarsia sono ormai alle porte e molte Contrade stanno scomparendo senza che noi ce ne accorgiamo. >
< Meglio. Non vi pare, zio? >
< Smettila ho detto! Non dire sciocchezze. >
< Non lo farò. Ve lo prometto. >
 
 
Continuandosi ad allenare come una forsennata al limite dell’impossibile, Ginevra diventava sempre più abile sia con la speda che con l’arco.
< Siete davvero bravissima oltre che stupenda. >
Girando lo sguardo verso quella voce conosciuta, Ginevra non gli dette minimamente perso e tornò subito ad allenarsi.
< Equestre. Che cosa ci fate voi qui? >
< Sono venuto a vedere che cosa stavate facendo. Vedo che non perdete tempo. >
< Sono sempre ad allenarmi. Giorno e notte. Per diventare più forte e difendermi. Ormai mio nonno Varello è molto vecchio e molte sfide ai giochi non può sopportarli. Per questo non voglio farmi trovare impreparata. >
< Ben detto. Ma non so se nei giochi possiamo accettare le donne, sapete? >
< Perché? Solo perché veniamo considerate inferiori, non vuol dire che siamo deboli. Anzi, se volete, potremmo sfidarci ad un duello di spade. >
< Mi voglio risparmiare la brutta figura che farò con voi. Vi do’ la vittoria a tavolino. >
< Peccato. Cono voi sarebbe stato davvero divertente, sapete? >
< Lo immagino… Ma c’è qualcosa che ribolle dentro di me che non trovo affatto divertente, sapete? La vostra relazione con Argentio mi disturba molto. Perché mettersi con un uomo in cui l’onore è mescolato dal suo sangue comune invece che mettervi con un nobile come me? >
< Quello che faccio con Argentio non sono affari vostri, Equestre > rispose la donna con tono duro < Ebbene, fatemi la cortesia di non parlarmene più. Non voglio ascoltare i vostri inutili preamboli. >
Nel sentire la conseguente mancanza di rispetto, Equestre la prese per un braccio talmente forte da lasciargli il segno.
< Che cosa state facendo?! Lasciatemi! >
< Voi mi sposerete, cara Ginevra. Perché è questo il vostro destino. Che vi piaccia o no. >
< Preferisco rimanere zitella a vita piuttosto che mettervi con uno come voi. >
< Zitella non sarete mai visto che non siete più vergine. >
< Smettila! Non vi intromettete nella mia vita! >
< Non lo farò. Ma sappiate che vostro nonno non è affatto fiera di voi. In questo momento il povero Argentio starà patendo le pene dell’inferno. Già vedo la sua sofferenza impressa nei suoi occhi. >
< Voi state mentendo! >
< Ah, davvero? Allora perché non vi recate da vostro zio e gli spiegate le cose come stanno? Sono curioso di tale risposta. >
Con la curiosità e la rabbia che gli ribolliva nelle vene, Ginevra gettò a terra in segno di stizza l’arco e le sue frecce, dirigendosi da suo nonno che si stava rilassando torturando i prigionieri del suo palazzo.
< Nonno, ho bisogno di parlarvi subito. Urgentemente. >
Fissando sua nipote con sguardo compiaciuto, il Conte Varello sapeva che cosa aveva da dirgli la sua giovane nipote.
< Ginevra, sapete bene che non deve essere disturbato in questo frangente… >
< Voi non volete mai essere disturbato in nessuna occasione > rispose piccata la donna < Ma non m’interessa minimamente di quello che pensate… Piuttosto, che cos’è questa storia che il ed Equestre saremo uniti in matrimonio? >
< Non mi pare che ci sia molto da spiegare, non trovate? >
< Volete unire tali casate, vero? Ma vi avverto che non sarà così facile come immaginerete. Io non mi sposerò mai con chi volete voi. >
< Ginevra, credevo che avreste a cuore la vostra vita… >
< E difatti è così. >
< Allora vi consiglio di ascoltare il mio volere, altrimenti le conseguenze saranno nefaste. >
< Anche se avrete il coraggio di uccidermi, chi manderà avanti il nome della Contrada del Leocorno? >
< Sarebbero in molti coloro che prenderebbero il vostro posto, cara nipote. A cominciare da Equestre. >
< Quel dannato leccapiedi non si merita il nostro buon nome. Perché non pensa ai suoi affari? >
< Perché i suoi affari, riguardano anche noi. Per questo vi dovete unire in matrimonio al più presto. Per essere felici e fare felice me. >
Ginevra, che non riusciva ad ascoltare le parole imperdonabili di suo nonno, come gesto di rabbia lo colpì in pieno volto facendolo cadere malamente a terra.
Ridendo come un pazzo, il Conte Varello dei Vassalli rimase inerme a fissare sua nipote con sguardo compiaciuto.
< Vi sposerete al più presto, mia cara. Prima dell’inizio dei giochi di Numarsia. >
< Non ci pensate nemmeno! >
< Ormai è tutto deciso. Sarà una cerimonia intima e voi sarete la più bella del Regno. Tutte le >Contrade sono invitate al vostro matrimonio, anche il figlio bastardo di Fra Tito. >
< Ma cosa state dicendo? >
< Non vi permetterò mai di sposare un mezzosangue. Lui non è minimamente degno della mia famiglia… Se cercherai ogni modo per evitare il matrimonio, vivrai il resto dei vostri giorni in una totale miseria che rimpiangerete i vostri allenamenti e le litigate che avete fatto con me in tutti questi anni. Pensateci molto bene. >
Non volendo credere alle parole di suo nonno, alla fine a Ginevra non gli importava che fosse veramente l’uomo che ogni giorno che passava stava amando sempre di più.
S’eppur non fosse stato un nobile, Argentio era la prima e unica persona che riusciva a capire la giovane Ginevra, nel bene e nel male.
< Che fate, nipote mia? Non riuscite nemmeno a piangere per la notizia sconvolgente e sorprendente che vi ho rivelato? >
Nel mentre si apprestava a dare sfogo alla sua rabbia, Equestre interruppe la discussione fissando la povera donna con sguardo truce.
< Ginevra, non volevo che accadesse… >
< Che voi e la vostra Contrada siate maledetti! > gridò inviperita la donna < Ma vi avverto di una cosa: non mi avrete mai da viva. Arriverò a tal punto da togliermi la vita piuttosto che rimanere imprigionata in un matrimonio e in una vita che non mi piace. >
< Ginevra, lasciatemi dire una cosa… >
< Voi non avete nessun diritto di parlarmi > rispose Ginevra a Equestre con le lacrime agli occhi < Siete come mio nonno. Uguale identico. >
< Sì, ma la crudeltà è solo il marchio di me stesso > rispose ancora il vecchio con tono compiaciuto < Vi lascio soli. Credo che avrete molto di cui parlare. Non è forse così. >
Ma fuggendo spaventata da un destino ormai già scritto, Ginevra non sapeva come sbollentare i suoi pensieri meschini e lascivi.
Non riusciva nemmeno a pensare a chi realmente era Argentio. Un nobile come lei, o un povero bastardo comune che ha trovato la sua felicità grazie ai soldi di un benefattore?
La vita di Ginevra sembrava non essere più la stessa da quel momento, mentre la solitudine e la rabbia stavano prendendo sempre di più il sopravvento.
Quel giorno. Così splendente e così soleggiato, è per lei era come se fosse entrata dritta all’inferno, dove le pene più grandi e le cattiverie degli altri stavano distruggendo tutti quei sogni che solo lei poteva coltivare.
E Con il passare dei giorni e con la sensazione di essere stata abbandonata anche dal suo amato, Ginevra non aveva più senso che potesse vivere.
La voglia di farla finita stava diventando una verità e una realtà sempre più opprimenti, mentre l’avidità e la cattiveria erano diventate oltremodo insopportabili.
Ma se Argentio era concentrato a curare quel povero bambino che aveva perso tutto e non gli rimaneva niente se non soffrire la voglia di rinascere, Ginevra sentì il calore di un saggio uomo che avrebbe combattuto con lei nonostante le avversità di suo nonno.
< Una ragazza graziosa come voi non meriterebbe di piangere in questo modo. >
< Bersagliere Anciullo. Credevo di essere sola > rispose la donna sciugandosi frettolosamente gli occhi.
< E vi dispiace tanto se vi faccio un po’ di compagnia? >
< Assolutamente no. Accomodatevi pure. >
E nel dire ciò, la giovane donna si sentì rinascere dalle sue disgrazie ancora una volta, contemplando l’abbraccio e il calore di un amico che vi stava regalando la felicità che sembrava aver perso.

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Capitolo 15
*** Incontro improvviso ***


Vagando per il Palazzo della Pantera come un’anima in pena, Argentio si stava preoccupando anche per la sua amata Ginevra.
Dopo la notte passata insieme, non era riuscito a rincontrarla anche a causa del volere del Conte Varello e dei suoi scagnozzi.
Nonostante fosse stato salvato da Grigherio, Argentio non era riuscito a perdonargli il tradimento che gli aveva fatto scatenare la sua rabbia più profonda.
ma da quando aveva salvato quel bambino da una morte certa, Argentio si sentiva in pace con sé stesso.
< Signore? > gli fece la domestica ridestandolo dai suoi pensieri.
< Che succede? >
< Si tratta del piccoletto. Si è svegliato e sta leggendo uno dei vostri libri. >
Entusiasta e incredulo della notizia appena ricevuto, Argentio ringraziò la domestica e si recò subito nella camera dove il bambino si stava rilassando alla sua maniera.
< Allora sei riuscito a svegliarti, finalmente > fece Argentio con tono sollevato < Credevo che le tue ferite sarebbero state fatali. >
< Grazie per tutto quello che avete fatto per me > fece il piccoletto con tono sincero < Da quando è stato distrutto il mio Palazzo per il volere di altri potenti, non sono riuscito a ritrovare la pace di un tempo. >
< Che cosa? Tu abitavi in un palazzo? >
< Certo che sì, stolto che non sei altro. Non hai notato il suo stemma cucito sui suoi vestiti? >
Fra Tito, che non aveva ancora perdonato quello che stava facendo suo figlio, gli confessò che il bambino in questione non era altro che il Barone Leonte Dei Visconti.
< No… Non posso crederci… Il Barone Visconti? Capo della Contrada del Bruco? >
< Una contrada che ormai non esiste più > rispose il bambino con malinconia < Ho perso i genitori e mio fratello e da prima che io svenni, sono solo al mondo. >
< Non dite così, piccolo barone. Voi non sarete mai solo. >
< Vi ringrazio per l’accoglienza che siete riuscito a prepararmi. Ma non rimarrò qui da voi per molto tempo. >
< Invece no! Voi rimarrete qui tutto il tempo necessario > insistette Argentio con tono rude.
< Argentio. Per favore. >
< Zio, voi avreste il coraggio di abbandonare questo povero bambino al suo destino. >
< Se ha deciso di non rimanere nel nostro palazzo per la nostra incolumità, è giusto che se ne vada quando vuole lui. >
< Ma è solo al mondo! Non possiamo voltargli le spalle. >
< Infatti non lo faremo, sciocco che non siete altro. Lo aiuteremo senza che nessuno sappia che lo stiamo facendo. >
Argentio, che non voleva credere alle parole di suo padre, cercò di insistere e di rimanere nella sua posizione.
< Argentio, vi ringrazio per le vostre belle parole > mormorò il piccolino con tono sincero < Rimarrò ancora un po’ qui in vostra compagnia. Ma non voglio disturbarvi più del dovuto. H bisogno di ricostruire e devo farlo da solo. >
< E come pensate di fare, Barone Leone? >
< Anch’io ho le mie alleanze. Proprio come tutte le altre Contrade. >
La Contrada del Bruco, che tutti credevano essere quella tea le meno potenti del Regno, si vociferava che la sua rinascita sarebbe stata legata solo alla decisione dei potenti e non dal volere di un bambino ancora dodicenne e ancora innocente.
< Da chi vi farete aiutare? > domandò Argentio.
< Questo non posso dirvelo, Argentio. Sono questioni legati strettamente a me e ai doveri di mio padre. >
< Ma io non voglio… >
< Ho tutta la situazione sotto controllo. Non vi dovete preoccupare di me. >
< Argentio, vi prego di non insistere > mormorò Fra Tito cercando di placare il suo animo agitato < Se il bambino lo vuole, noi lo aiuteremo. Altrimenti… >
< Lui non è un bambino qualunque, zio. Lui è il Barone Visconti. >
< Ed è per questo che dovete ascoltare le sue parole: i baroni sono uomini molto potenti e sanno bene dove mettere le mani. Ascoltate le vostre parole e non dubitate della loro franchezza, altrimenti rischierete di offenderli. >
< Sagge parole, Fra Tito. Mio padre sapeva bene di avere fiducia in voi. >
< Accolgo le vostre parole con puro onore e dignità > rispose il frate facendo un doveroso inchino < Adesso, se gradite, potremmo servirvi la cena. >
< Non vedo l’ora, Fra Tito. Nonostante tutti gli avvenimenti, non mangio da molti giorni. >
< Allora vi farò preparare qualcosa di caldo e sostanzioso. Ve lo prometto. >
< Grazie ancora. Per tutto. >
E nel sentire ciò, Argentio fu trascinato fuori dalla stanza contro la sua volontà mentre le sue preoccupazioni non erano state placate in nessun modo.
< Argentio, perché non pensate alla vostra amata? Strano che non vi siano accadute strane disgrazie. Eppure il Conte Varello avrebbe fatto di tutto per eliminarvi. >
< Che vi devo dire? Sono un uomo fortunato > rispose l’uomo con tono sincero senza raccontare la piccola disavventura avuta giorni prima.
 
 
Era un bellissimo giorno nella terra florida dei suoi sogni.
Cavalli e altri animali selvatici vagavano indisturbati tra terre irredenti senza che potessero essere macchiati dagli uomini.
E Ginevra, che si sentiva come un cavallo ingabbiato che stava per perdere il suo sangue selvaggio, sentiva molte emozioni palpargli dentro il suo cuore e la sua mente.
Lacrime di dolore si stavano mescolando con la sua voglia di essere libera, mentre il tocco del suo angelo custode era sempre presente e vivido vicino a lei.
Un bellissimo cavallo bianco per niente macchiato dall’odio degli uomini stava cercando di rassicurarla con i su0i nitriti chiari e per niente misteriosi.
“Dovete avere cura di voi” mormorò con un filo di voce “Presto anche voi assaggerete la vostra pace”
E nel sentire ciò, Ginevra vide un bagliore di luci che scomparve improvvisamente appena riaprì i suoi occhi castani mentre era adagiata sulla spalla del bersagliere Anciullo.
< Finalmente vi siete svegliata. Non avrei mai creduto che potreste essere così stanca > mormorò il saggio uomo con sorriso sincero.
< Bersagliere. Ma cosa… >
< Siete completamente stanca e abbattuta. È normale che vi siate riposate. In un modo o nell’altro dovevate ritrovare le vostre energie. >
< Scusatemi. Davvero. >
< Non c’è niente per cui scusarsi. Avete fatto bene a riposarvi un po’ ed io sono stato fiero di essere stata la spalla su cui porgervi. >
< Credo che sia venuto il momento di tornarmene a Palazzo. Mio nonno si infurierebbe ancora di più non vedendomi tornare. >
< Credo che dovreste aspettare ancora un po’. >
< Perché dite questo? >
Facendo segno alla donna di un meraviglioso cavallo bianco che si stava avvicinando a lei, Ginevra non poteva immaginare che la persona in questione non era altro che una sua vecchia conoscenza.
< Ben trovata, Ginevra. È da molto che non ci vediamo. >

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Capitolo 16
*** Egoismi placati ma mai assopiti ***


Tornato in forze e con la volontà di vendicare il torto subito, il Barone Leone dei Visconti si apprestava a lasciare la residenza della Contrada della Pantera.
< Ve ne andate così? Senza dire nulla? >
La domanda che Fra Tito aveva rivolto al ragazzo rimbombò come un fulmine a ciel sereno nelle sue orecchie.
< Vi ringrazio ancora della vostra ospitalità > rispose il barone < Ma è giunto il momento per me di lasciare questo posto e di riconquistare casa mia. >
< Vi state riferendo forse al cumulo di macerie che chiamate casa vostra? Vi facevo molto più intelligente, barone. >
< Che cosa intendete dire? >
 Dico solo che mio nipote non sarà affatto felice di sapere che voi ve ne state andando come un ladro. >
< Ho molte cose da sistemare. Non posso rimanere a protezione qui da voi e non posso mettere a repentaglio la vostra pazienza che fino a questo momento avete avuto con me. Voi della Contrada della Pantera dovete proseguire le vostre vite, mentre io devo pensare a me stesso. Tutto qua. Salutatemi pure vostro nipote Argentio e ditegli che il suo coraggio verrà ripagato con la mia stessa vita. >
< Le vostre buone parole non sortiranno nessun effetto su di me > rispose Fra Tito con voce rude < Voi avete usufruito del mio palazzo e vi confesso che mio nipote non ha nessun potere al riguardo. Quelli della vostra Contrada non mi sono mai stati simpatici e dubito del fatto che riuscirete a pagare il vostro debito. >
< Come farò non è affar vostro, Fra Tito. Ma vi voglio lo stesso ringraziare. >
< Risparmiate i ringraziamenti e fateli alla Madonna visto che ha deciso di farvi rimanere in vita. Chissà però per quanto. >
Non volendo più ascoltare simile dicerie, il barone Leone si apprestava ad uscire dall’abitazione di Fra Tito accompagnato da un giovane ragazzo suo coetaneo.
< Che significa ciò? Chi è costui? >
< Colui che riuscirà ad aiutarmi nella mia vendetta. Mi dispiace che sia dovuto venire fin qui in casa vostra Fra Tito, ma non conoscevo altri espedienti. >
< Degli sconosciuti nel mio palazzo?! Oltraggio! >
Sentendo delle grida provenire dall’ingresso del palazzo, Argentio vi si recò immediatamente fissando suo padre con sguardo rude.
< Che cosa state gridando, zio? Che succede? >
< E’ il vostro dannato ospite! Ha osato violare il nostro favore portando qui nostri nemici. >
< State calmo, Fra Tito. Il Cavaliere Arrangino Grivetti è il Capo della Contrada del Nicchio e mio fedele scudiero. >
< Ah sì? Perché allora non ho mai saputo niente della sua esistenza? >
< Perché forse non siete a conoscenza delle mie alleanze > rispose Leone con tono da presa in giro.
> Come osate mancarmi ancora di rispetto?! Io non… >
< Zio, è inutile continuare a gridare > lo interruppe Argentio.
< Questo moccioso si è appropriato dei nostro favori solo per il gusto di farlo! Lui e il suo esercito si rivolterà contro di noi e riusciranno a distruggerci. Me lo sento. >
< Argentio, voi siete un cavaliere dal cuore nobile. Non fatevi influenzare dalle parole di questo prete. >
< Adesso basta! Ne ho abbastanza di voi due! Guardie! >
Mentre un’orda di soldati circondò il Cavaliere Arrangino Grivetti e il Barone Leone, Argentio si frappose con il suo corpo per evitare che la discussione si potesse trasformare in tragedia.
< Zio, non avrei mai pensato che voi foste così cinico e senza cervello > rispose Argentio sguainando la spada all’indirizzo delle guardie < Io ho salvato questa povera creatura da un suo fatale destino. E ciò non me ne vergogno minimamente. >
< Lo volete capire che potrebbero portarci alla rovina?! >
< Ciò nonostante prenderò parte alla sua iniziativa e farò risorgere la Contrada del Bruco più forte e indipendente di prima. E vi confesso che non sarò nemmeno da solo. >
< Non potrai mai contare sul gioco delle mie alleanze > rispose Fra Tito con tono rude e autoritario < Ve lo proibisco. A costo di diseredarvi come mio unico erede. >
< Molto bene. Se è così che volete, continuerò la mia guerra da solo. Anche senza il vostro minimo aiuto. >
Con la rabbia che ribolliva nel suo corpo, Fra Tito ordinò alle sue guardie di rompere le righe e di lasciarlo da solo in compagnia di colui che sarebbe stato il traditore per eccellenza della sua famiglia.
> Vi ho accudito come un figlio. E voi mi ripagate così? >
< Mi dispiace zio, ma non ho altra scelta. >
< Evitate di chiamarmi così. Io per voi sono Fra Tito, Capo della Contrada della Pantera e da questo momento unico erede del mio nome. Voi non farete più parte della mia famiglia. Né ora né mai. >
Senza minimamente scomodarsi, Argentio uscì dal Palazzo della Pnatera accompagnato dallo scudiero Arrangino Grivetti che fino a quel momento non aveva proferito parola.
< Argentio, tutti sanno le gesta che avete portato a termine nel Regno di Numarsia. È davvero necessario andare contro vostro zio? >
< Cavaliere Arrangino, se solo voi sapesse come stanno le cose… Io e quell’uomo siamo destinati a prendere strade assai diverse. Ma se il fato ha percepito che dovrà essere così, io mi atterrò al mio destino, diventando il cavaliere solitario e mantenendo il mio nome di Argentio, colui che combatterà solo per l’onore e non per la sua gente. >
< Argentio, le vostre gesta verranno ricordate in eterno > fece il Barone Leone come segno di promessa < Non avrei mai dovuto che potesse succedere tutto questo. >
< Nemmeno io. Ma era solo questione di tempo e tutto ciò si sarebbe spezzato… Ma adesso basta pensare a noi. Ci apsettano duelli e combattimenti e solo noi saremo i fautori del nostro destino. Noi e nessun altro. >
 
 
Non potendo credere a quello che stava vedendo, Ginevra, piombò addosso a quel misterioso cavaliere che sembrava conoscere da tutta una vita.
< Treste! Io non posso credere… >
< L’ultima volta che ci siamo visti eravamo due bambini innocenti > rispose l’uomo con tono dolce< E adesso? Siete una bella donna che sta sbocciando in tutto il suo splendore. >
Arrossita per i complimenti del giovane cavaliere, Ginevra ringraziò infinitamente il Bersagliere Anciullo per la bellissima sorpresa.
< Vi meritate tale riconoscimento, figliola. E presto voi e quest’uomo potrete essere uniti in un matrimonio appena l’ìuomo avrà perso la fede che lo contraddistingue. >
< Che cosa? Mi volete forse dire… >
< Fra Tito non vorrà mai venire a conoscenza del mio amore che segretamente provo da tutta una vita per voi > fece Treste Rovigori con tono innocente < Ma non posso placare in nessun modo i miei sentimenti. Non ora, almeno. >
< Io non credevo… >
< Evitate di pensare al peggio per noi due. L’importante è essersi ritrovati una volta per tutte. >
Sentendo il suo abbraccio farsi più forte, Ginevra sentiva il suo cuore battere all’impazzata per un altro uomo che non fosse Argentio.
< Treste Rovigori, io vorrei infinitamente poter diventare la vostra unica amata, ma dovete sapere che nel mio cuore c’è posto per un solo uomo. >
< E scommetto che questo uomo non sono io, vero? >
< Io… mi sento profondamente combattuta. >
< Non dovete esserlo, mia cara. Voi state soffrendo molto la vostra persona e la vostra vita. Me l’ha detto Anciullo con tono commosso ma sincero. Per questo io sono qui per aiutarvi e per portare la vostra vita verso una decisione diversa che la cambierà in modo radicale. >
< Mi state forse dicendo che mi farete cavaliere? >
< Vedete, purtroppo conosco un vecchio uomo che prima di lasciare questa terra vorrebbe sapere se voi sareste disposta a prendere il suo posto come capo della Contrada. >

< Sì, Ginevra. Il Capo della Contrada dell’orso avrebbe chiesto espressamente di vederti il prima possibile. Che cosa decidete al riguardo? >
< Io… purtroppo non ho molto tempo per decidere, vero? >
< Purtroppo no. è sul suo letto di morte e ha espresso il bisogno… >
< Va bene. Portatemi da lui > la interruppe Ginevra con tono deciso.
< Ginevra, non volevamo mettervi davanti ad un fatto compiuto > gli spiegò il saggio bersagliere < Ma quest’uomo ha assolutamente bisogno di voi. Del vostro onore e del vostro coraggio. >
< E vi confesso che l’avrà, Bersagliere Anciullo. In un modo o nell’altro. >
< Molto bene. Allora seguitemi. Non è molto lontano da qui. >
Ma durante il breve tragitto che separava la foresta di Numarsia e il Palazzo della Contrada dell’Orso, Ginevra s’imbatté In Argentio accompagnato dai suoi nuovi amici.
Appena i due sguardi si incrociarono, Argentio non poté fare altro che fissarla con sguardo languido e pieno di piacere.
Scesa da cavallo con il cuore che gli batteva all’impazzata, Ginevra si recò verso di lui infrangendo per sempre quel sogno d’amore che si era venuto a creare in una sola notte.
< Finalmente riusciamo a rivederci, Argentio… Avete fatto in fretta a dimenticarmi senza avere più il coraggio di mettere piede nel palazzo di mio nonno. Avevate forse paura di rischiare la vostra vita per me? >
< Ginevra mia cara, se solo voi sapeste le angherie che ho dovuto sopportare per manifestare il mio amore. >
< Non voglio saperlo, Argentio. Sono giorni che ci penso e ho capito che non possiamo rimanere uniti in un amore che finirebbe solo per distruggerci. Io devo fare i miei interessi e voi dovete fare i vostri. Il nostro legame non potrebbe mai funzionare. >
Aspettandosi tali parole dure ma coincise, Argentio decise di non farne una grande colpa a quella donna che aveva amato e che mai avrebbe potuto dimenticare.
> Queste parole non vengono dal volere di vostro nonno. Ma allora che è successo? >
< Io devo pensare a diventare cavaliere. Non ho tempo per l’amore. Mentre voi dovete pensare solo a mantenere il vostro onore intatto di buona famiglia. >

< IO… mi dispiace. Non so cosa dire. >
< Non dite nulla, mia cara. Ma sappiate che nel mio cuore avrete sempre posto malgrado tutte le avversità e vicissitudini. Ma nhe voi dovrete farmi una promessa. >
< Che genere di promessa? >
< Che non mi dimenticherete mai. Qualunque cosa accada. >
Rimanendo in silenzio a contemplare anche solo un’ultima volta il viso sincero di quel cavaliere così coraggioso quanto amorevole, Ginevra si avvinghiò a lui per baciarlo un’ultima volta.
< Vi prometto che ci rivedremo molto presto e ci sfideremo con onore. >
< Le vostre promesse sono talmente fulgide esincere che rimango senza parole. >
< Ma riuscirete nel mio intento… >
< Ve lo prometto, Argentio. Non sarete mai dimenticato da me. Né ora né mai. >
E nel dire ciò, le strade dei due amanti si divisero in maniera così imbprovvisa e brusca che altre parole sincere non poterono essere dette in tale momento delicato.
> Ginevra, se posso fare qualcosa per voi… >
< Bersagliere Anciullo. Voi avete fatto fin troppo. Adesso lasciatemi immergere nelle mie languide lacrime. Ho bisogno di rinascere ancora una volta. >
< Un desiderio contemplato che verrà esaudito. >
< Anche senza di voi, Treste. Il vostro amore non potrà conoscere risposta alcuna. >
< Lo so bene, mia cara. E rispetto la vostra decisioni > rispose l’uomo chinando la testa verso il suo cavallo.
< Vi ringrazio. Dal più profondo del mio cuore. >

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Capitolo 17
*** Giuramenti sul punto di morte ***


Agonizzante di dolore e piacere per i propri occhi.
E’ questo quello che provava il Conte Varello dei Vassalli all’indirizzo di un povero prigioniero che gridava il bisogno di libertà.
< Mio Signore? > fece Sir Rumildo con tono flebile per paura di conoscere le sue prossimi punizioni per aver interrotto il suo padrone.
< Avete fatto quello che vi ho detto? >
< Si riferisce al Palazzo del Bruco? In verità sì, è stata una strage all’indirizzo di una famiglia che provava dei rancori nei nostri confronti da molti. >
< Nei mie confronti, volevate dire. >
< Sì, mio Signore. Nei vostri confronti. >
< Sir Rumildo, perché voi non capite quale è davvero il vostro posto? >
< In che senso? >
< Che voi non avete nessun potere al riguardo. Sono io che manovro tutte le vostre idee e quelle dei mie alleati. L’unico potente e indiscusso Signore di Numarsia sono io. E se scoprirò che il fallimento di tale missione di quella notte tornerà a rivoltarsi contro di me, sapete quale sarà la vostra punizione divina. Non pagherete come questo prigioniero, ma pagherete con la morte. Quindi, se dovete dirmi qualcosa al riguardo, fatelo subito. O tacete per sempre. >
Con la paura che gli ribolliva nelle sue vene, Sir Rumildo avrebbe desiderato scomparire per sempre per non fare quel torto al suo padrone che tanto odiava.
< Sir Rumildo, mi state nascondendo qualcosa? Ditemi la verità. >
< A quanto pare l’erede della Contrada del bruco ovvero il piccolo Barone Leone è riuscito a salvarsi in maniera miracolosa. >
< Ah, questo è davvero interessante. >
< E non è tutto! Pare che sia stato aiutato da Argentio e dalla sua famiglia. È riuscito a curarlo e a riportarlo in forze. E voi sapete che quel bambino ci giurerà vendetta. Almeno che non gli facciamo un’imboscata e… >
< Basta imboscate. Mi sono esposto fin troppo > rispose il Conte Varello con tono rude < Vorrà dire che dovrò scomodare tutti i miei alleati per l’eliminazione dei miei nemici. Non posso aspettare i giochi. Diventerebbero un bersaglio protetto dagli occhi dei miei cittadini innocenti. E non posso permettere di spoarcare il mio buon nome… Questa sì che è una bella grana da risolvere. >
< Mi dispiace Signore, ma non ho potuto fare niente al riguardo. Vi giuro che ho seguito ogni cosa nei minimi dettagli e… >
< Allora vuol dire che non ti sei impegnato abbastanza, altrimenti non avresti mai fallito. >
< Ma io veramente… >
< Non c’è nessun ma, dannato consigliere da quattro soldi. Come vi ho promesso, pagherete alla mia maniera. >
Mentre le guardie delle prigioni del Palazzo del Leocorno avevano circondato il pover’uomo, Sir Rumildo cercò di liberarsi in tutte le maniere.
< No! vi prego, mio Signore. Abbiate pietà di me. >
< La pietà non è affare che mi riguarda. Sir Rumildo, sarai ucciso immediatamente per tutti i tuoi fallimenti e per avermi tradito. Così la vostra supplica verrà rispedita al vostro Dio. >
< No! io non vi ho mai tradito! >
< Fate silenzio e ascoltate il rumore della vostra testa mozzata. >
Immobilizzandolo del tutto e posizionandolo su quel pezzo di mattone che sgorgava ancora sangue innocente di povere persone, Sir Rumildo sentì l avita scivolargli via come un soffio di vento che echeggiava in quella stanza fredda e oscura, mentre il vecchio Conte non conosceva alcun rimorso.
< Fate sparire il suo corpo dalla mia vista. Non voglio più sapere niente di lui. Sir Rumildo ormai fa? Parte del passato della mia vita. È ora di pensare ad un futuro radioso in cui sarò l’unico Signore di questa terra. >
E nel dire ciò, il Conte Varello si apprestava a preparare la sua prossima vendetta, mentre i suoi nemici non facevano che aumentare a sua insaputa nelle profondità delle viscere di un Regno che diventava sempre più dominato dall’odio.
 
 
Trovandosi su uno sperone in mezzo alla natura e al cielo incontaminato, Ginevra entrò nel Palazzo della Contrada dell’Orso in attesa di un giudizio che avrebbe per sempre cambiato la sua vita.
“Mi sembra di essere entrata in un luogo incantato. Non ho mai visto niente di simile.”
Il silenzio regnava sovrano in quel luogo così mistico di storia che stava per essere dimenticata per sempre.
Ma Ginevrea, essendo una donna dal cuore coraggioso e nobile, non avrebbe mai permesso che tutto ciò potesse succedere.
< Solo voi potete salvare il destino di tale Co0ntrada, Ginevra dei Vassalli. Solo voi. >
Le parole piene di orgoglio ma allo stesso tempo piene di una sola speranza, echeggiarono in quelle meravigliose mura in cui il Caèo della Contrada dell’Orso cercava di trovare la pace per sempre.
Una volta entrati nella sua stanza, Ginevra sentì una stretta al cuore.
Un povero uomo, lasciato da solo al suo destino, aveva gli occhi socchiusi mentre le sue energie stavano venendo sempre meno.
< Barro, vi ho portato la donzella di cui tanto abbiamo discusso. >
Il vecchio signore, con la forza della disperazione, cercò di alzarsi per vederla meglio in volto.
< No, Signor Barro. Evitate di alzarvi. >
< Non posso permettere di non poter vedere un viso angelico come il vostro, Ginevra dei Vassalli. >
< Vi prego di non darmi un simile appellativo. Io da questo momento sono solo Ginevra, cavaliere donna che sta cercando di farsi largo in questa vita piena di difficoltà. >
< Il vostro coraggio non verrà mai dimenticato, cara Ginevra. Se siete qui è perché avete ascoltato le parole di Anciullo e Treste, due vostre vecchie conoscenze. Soprattutto per quanto riguarda Treste. Due anime che avrebbero bisogno di più coraggio… Ma se siete venuta fin qui, non è per questo. >
< No, Signor Barro. >
< Chiamatemi semplicemente Barro. Io non sono più il Signore di nessuno da tempo immemore, ormai. La Contrada dell’Orso ha bisogno di un comandante più coraggioso e più voglioso di me. >
< E lo avrete senza minime esitazioni… Ma non avrei mai voluto vedervi la prima e ultima volta in questo stato. Mi piange il cuore vedervi soffrire in questo modo. >
< Non vi preoccupate, Ginevra. Ho talemnte sofferto nella mia vita che la morte è l’ultimo dei miei dolori. Questa Contrada ha bisogno di essere ritrovata mediante i giochi e voi siete la persona giusta per adempiere a questo gravoso dovere andando contro la vostra famiglia e contro tutti i vostri nemici. Siete sicura di riuscire a farcela? >
< Senza nessuna ombra di dubbio, Barro. Se ho deciso di aiutarvi, l’ho fatto perché sono consapevole delle mie azioni. Sarà feroce e aggressivo come un orso. Proprio come lo eravate voi in gioventù. >
< Molto bene, ragazza mia. Erano le parole che avrei voluto sentir dire > rispose l’uomo con tono flebile < Adesso che ho ascoltato tali parole, posso andarmene via e trovare la pace necessaria di cui per tanto tempo ho sognato. Fatevi onore in questa vita bruta. Anche voi avrete le vostre soddisfazioni. Non temete. >
E nel dire ciò, Barro si limitò a stringere unìultima volta le dolci mani della donna, mentre sentì il suo spirito scivolare via dal suo corpo e mentre lacrime si riversavano nel viso di una giovane donna piena di speranze.
L’ultima volta che ho pianto è quando ho visto i miei genitori per un’utlima volta > iniziò a raccontare Ginevra < Ero ancora molto piccola per capire che la vita è assai più importante di qualsiasi cosa. E anche se non ho conosciuto appiena questo pover’uomo, sento che gli devo l’intera vita. Ora che posso appartenere ad un’ordine che ha bisogn0o di rinascere dalle sue ceneri, porterò avanti tale promessa fin0 al punto di mprte. >
< E noi ti aiuteremo nonostante tutte le avversità > rispose Treste con tono di piena convinzione < Saremo noi che vinceremo i giochi di Numarsia. A costo di giocare sporco e di portare a casa l’onore. >
< No, Treste! Non puoi dire così > lo interruppe Anciullo con tono grave < Noi vinceremo secondo le regole e saremo riconosciuti come le Contrade che giunsero ad un livello importante per non essere dimenticate. Basta non fare le scelte sbagliate. >
< Ma Bersagliere Anciullo… >
< A costo di eliminarvi, non permetterò mai che tu vinca danneggiando i vostri avversari. Sapete bene come la penso. >
< Il Bersagliere ha ragione, Treste. Noi vinceremo… ma a modo nostro senza danneggiare nessuno. >
Mentre il cuore dellaq donna era ricolmo di tristezza e di coraggio, sentì ancora una volta l’amore per le battaglie scorrergli nelle vene mentre il suo onore sarebbe ancora rimasto intatto nonostante le avversità e le minacce del caso.
< Da questo momento sono Ginevra De’ Barrio, Capo della Contrada dell’Orso e prossima alla rinascita del nostro coraggio. Che voi siate con me o contro di me, il momento del giudizio sta per giungere. >
< Noi non saremo mai contro di voi, Ginevra. Combatteremo insieme. Fino alla morte > rispose Treste.
< Ottime parole, Treste. Così deve essere > rispose il saggio Bersagliere fissando un’ultima volta il corpo di Barrio tristemente adagiato sul letto di un giuramento che al fine di tutto, sarebbe stato onorato nei limiti dell’impossibile.

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Capitolo 18
*** Sotto il segno dell’abuso di potere: una fine ingloriosa ***


Impalati al muro in segno di un giudizio ingiusto e privo di gloria.
Ora che i giochi di Numarsia stavano per essere scoccati come la fine di tutto e la rinascita del tutto, c’è chi tra quattro Contrade assaporerà la morte mediante l’ordine, la soppressione e il volere di un solo uomo che voleva scontrarsi in una guerra ingloriosa.
Ma per evitare ciò, l’unico modo per vincere tale guerra erano proprio quei giochi mascherati da un sangue maledetto e sporco.
Per questo Varello godeva nel vedere morire gli altri: per guadagnarsi un potere al limite dell’indecenza e con facilità disarmante.
< Sono pronti per morire mediante la vostra cattura e il vostro giudizio, Conte Varello. >
< Molto bene > rispose l’uomo con tono grave < Giudicateli secondo la loro fine. >
< Sarà una morte veloce e insofferente. >
< Proprio per il volere di questo Regno. Andate pure. Mentre io li guarderò negli occhi per un’ultima volta e sfiderò ancora la morte mentre mi passerà dinanzi. >
Il Conte Varello, che sprecava la sua sete di potere nell’abusare coloro che richiamavano la libertà, riusciva ad opprimerli uccidendoli e soppressando quelle piccole Contrade che avevano fatto di tutto per rimanere in vita fino a quel gioco.
Ma nel mentre le rivolte stavano diventando una questione comune in tutta Numarsia, non c’era nessuno che poteva fermare quell’odio. Nessuno.
Il sangue sgorgava in mezzo a quelle povere persone mentre stavano chiedendo l’aiuto più insperato e il soffio dl vento trasportava le loro anime il più lo0ntano possibile.
Ma da dove poteva provenire tutto l’odio che il Conte Varello provava?
< Equestre > fece l’uomo richiamando il suo allato < Non avete paura delle mie cattive intenzioni? >
< Non ho nessun motivo per averne. Perché so che voi volete essere l’uomo più potente di questo Regno. >
< Voi pensate che comandare questo regno possa essere sbagliato? Nessuno c’è mai riuscito prima di me. E se solo riuscissi a sottomettere tutti vincendo insieme a voi. Potrebbe celarsi un futuro diverso: un futuro glorioso. >
< Ve lo auguro con tutto il cuore… >
Equestre, essendo triste per non essere riuscito a conquistare il cuore di Ginevra, provava un profondo senso di rimorso venendo subito contemplato nella visione di quei quattro morti che rimbombavano nelle loro menti.
“Contrada della Tartuca, Contrada dell’Oca, Contrada dell’Onda, Contrada dl Gallo: la vostra fine sarà la vostra rinascita.”
Nel vederlo così assorto nei suoi pensieri, il Conte Varello non poté che domandare al suo ultimo e fedele servitore che cosa stesse pensando.
< E’ incredibile quanto la morte possa essere così… scontata. Togliere la vita ad una persona ti spinge ad essere una persona crudele. Ma il potere ha davvero questo costo? >
< Caro il mio Equestre: dovete capire che se volete essere colui che tanto agogniate di essere, dovete farlo a scapito di altri. Per questo la nostra alleanza si doveva compiere in ogni modo. Per portare a termine i nostri più infimi desideri. E ci riusciremo, caro mio. Fosse l’ultima cosa che facciamo. >
Per niente scosso da tali parole, Equestre si avvicinò ai copri dei quattro uomini sputandogli addosso come se stesse sfidando la loro fine e la sua voglia di potere.
< Sarà un vero godimenti vedere uccisi gli altri nostri sfidanti. A cominciare dal mio rivale Argentio. >
< Argentio sarà il nostro ultimo di problemi, Equestre. Dovete pur pensare a mia nipote, non trovate? >
< Li non ricambierà mai i nostri valori e i nostri valori. Quindi è inutile continuare ad illudersi. Dovrò uccidere anche lei. Prima o poi. >
IL Cont Varello, senza essersi scomposto più dio tanto, si limitò a fidare un sorrisetto compiaciuto come solo lui sapeva fare.
< Bravo, Equestre. Siete il figlio che non ho mai avuto. Colui che rispetta tutti i miei valori  i miei desideri. Non vi sentite meglio con voi stessi? >
< Mi sento una persona migliore, sì… Ma senza colei che amo… E’ tutto più difficile per me. >
< Riuscirete a conquistar il suo cuore… E volete sapere come? Strappandoglielo dal corpo. >
< Quindi anche voi… >
< Ormai mia nipote Ginevra non fa’ più parte di me. E nel dimenticarla dovremmo ucciderla. In modo efferato. >
< Non ci sarà molto da attendere. L’inizio dei giochi è imminente, Conte Varello. Ormai tutti si stanno preparando… >
< Preparando per cosa? Ormai la rivoluzione è già in atto.  Non ci sarà nessun modo per tornar indietro. I giochi dovranno essere in secondo piano >
< Che cosa state dicendo? Io non capisco. >
Equestre, fissando il Conte Varello con sguardo confuso, non riusciva a capire che cosa stesse pensando.
< Davvero volte saperlo? >
< Certo che sì. >
< Allora è giunta l’ora di colpire i nostri nemici a modo mio e i giochi di questo Regno potranno non essere giocati. Perchè le mie vendette saranno talmente brutali che nessuno riuscirà a sopravvivere. Nessuno. >
< Ma allora… dovremmo toglierlo di mezzo subito. >
< Basterà prendere i loro capi … o bruciare questo dannato regno. >
< Ma così anche noi… >
< Equestre, credete davvero che io non abbia una via di fuga? Lasciate fare a me. il grande incendio di Numarsia  e il suo spirito mietitore sta avanzando. >

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Capitolo 19
*** Il giudizio dell’odio ***


Una notte buia di fronte al silenzio di un Regno che sarebbe stato scosso da un boato.
Eppure il vento sferzava talmente forte che avrebbe potuto spazzare via qualsiasi cosa.
ma se il vento cercava di fare il più rumore possibile, il fuoco della vendetta sarebbe stato l’apice di una rivolta incontrastata.
Mentre rumori e urla incontrastate si riversavano in strada mentre l’odio ricopriva una pace interdetta, il Conte Varello sorseggiava il suo bicchiere di vino in compagnia di Equestre sempre più spaventato.
< Conte Varello, qualcuno sta attaccando il vostro palazzo. >
;a con voce soave e del tutto tranquilla, il Conte Varello rimaneva inerme a fissare il fuoco del suo camino.
< Che entrino pure, se vogliono. Io non mi sottrarrò mai al mio destino. >
 
 
Nella stessa notte, mentre Argentio e altri Capi di Contrada stavano preparandosi all’alba dei giochi, il loro sonno fu messo in allarme da tali grida e dai sanguinosi attacchi dei mercenari che stavano saccheggiando l’intero Regno.
< Argentio, dobbiamo fare presto! Ci stanno attaccando! >
Il Duca Gregio Fiorabesco, che era rimasto fedele al suo unico amico, non riusciva a credere che la sua Contrada potesse venire attaccata con tale rabbia e vergogna:
< Non ho mai visto questi stemmi prima d’ora. Ma chi diavolo potrebbe mai essere? >
< Non ne ho la minima idea, Duca. Ma dobbiamo proteggere la nostra gente se vogliamo che la rivoluzione diventi un odio irreversibile. >
Ma Argentio, per quanto potesse mantenere la calma, non vedeva nessuna via d’uscita in quella battaglia.
Senza però farsi prendere dallo sconforto, vide avvicinarsi al suo palazzo il Conte Tarvo e Guadalara.
< Qui sta succedendo il finimondo! > gridò il Capo della Contrada dell’Aquila < Dobbiamo andarcene alla svelta o di noi non rimarranno nemmeno i corpi. >
Mentre i rivoltosi si stavano dirigendo sempre più a nord e verso il Palazzo del Leocorno, Argentio non se la sentiva di fermare tutto questo.
Quei fulgidi capelli lucenti gli avevano fatto ricordare una notte passata in compagnia di una donna che l’aveva cambiato per sempre.
Riconoscendo il suo carisma e tutto il vigore che metteva durante tutte le sue battaglie, l’uomo ordinò agli altri di salvare più vite possibili e di rifugiarsi immediatamente nel Palazzo della Pantera.
< Lì i rivoltosi non sono ancora arrivati. Dobbiamo fare alla svelta prima che sia troppo tardi. >
< E voi come fate a sapere tutto questo? > domandò il Conte Tarvo < Che cosa avete intenzione di fare? >
< Voglio capire dove si può spingere tale odio. Ma voi dovrete coprirmi le spalle in questo modo. Credete di riuscire a farlo? >
Guardandosi negli occhi senza riuscire a dare un no come risposta, il Conte Tarvo e Guadalara misero in gioco la loro stessa vita per evitare che il piano ordito da Argentio potesse andare in fumo.
< Vi pregate per me e presto potrò riconsegnarvi un Regno molto diverso da questo. >
< E come pensate di fare? Argentio! >
< Salvando l’unica donna che ho sempre amato. >
Facendosi largo tra la folla e tra il caos generale, Argentio raggiunse l’entrata del palazzo del Leocorno mentre le guardie del Conte venivano speronate e uccise a sangue freddo proprio dinanzi ai suoi occhi.
Riconoscendo quella figura vestita di rosso, Argentio pregò il rivoltoso di fermare tutta questa follia prima che potesse essere troppo tardi.
< Argentio, voi credete davvero che le vostre parole possano sortire qualche effetto? > domandò Treste con voce superiore < Ebbene, magari non ho superato la soglia d’amore in cui cerco sempre di scalare per entrare nelle grazie di Ginevra. Ma sicuramente sono riuscito a conquistare il suo onore. Ed ora, se voi tenete davvero a lei, ve ne andreste immediatamente con la coda tra le gambe. >
< Ma che diavolo state dicendo? Voi siete corroso dalla gelosia. Non amate i suoi istinti di ribellione. Voi volete solo conquistarla. >
< E anche se fosse? Questa è la mia unica occasione in cui posso davvero farcela. E sicuramente non sarete voi a rovinare tutto questo! >
Preso da un impeto di furia, Treste Rovigori si apprestava a colpire a morte il suo nemico mentre la furia della donna si faceva largo tra le guardie di suo nonno.
> Guardate con i vostri occhi! Ginevra ce l’ha fatta! >
< Ma senza il vostro aiuto. >
< Quando il bersagliere Anciullo verrà a sapere che sono riuscito a sconfiggere le mie paure uccidendovi, avrò la strada spianata verso il mio amore inconffessato e voi sarete dimenticato per sempre. >
< Il bersagliere, per quanto saggio possa essere, non permetterà mai un simile affronto da parte vostra. >
< Voi non lo conoscete come lo conosco io! Arrendetevi e perite sotto la mia spada non avete nessun’altra scelta. >
< Questo è tutto da vedere. >
Mentre Treste combatteva con odio cieco, Ginevra si era voltata verso di loro per assistere a quella scena che non avrebbe mai potuto dimenticare.
Non potendo fare niente al riguardo, le urla strazianti per fermare tutto questo non sortirono nessun effetto e a perire fu quell’ignoto amore che non avrebbe mai potuto scoprire.
Infatti Argentio, essendo un abile con la spada, riuscì a combattere con la prestanza e la tranquillità che lo contraddistingueva, uccidendo una volta per tutte il suo rivale in amore.
Mentre le urla di Ginevra diventavano sempre più forti, si recò immediatamente verso il corpo esanime di Treste mentre il bersagliere Anciullo ordinò ai suoi uomini di fermarsi all’istante.
< Treste! No! non potete morire in questo modo! >
Argentio, che cercava in ogni modo di nascondere la sua faccia in quella che era lo specchio della sua vergogna, non riuscì a dire niente a quella donna tanto coraggiosa quanto fragile.
< Voi.. l’avete ucciso… Come avete potuto?! >
spiegò Argentio con poche parole < Ho lui prendeva la mia vita, o io prendevo la sua. Il destino è stato questo. >
< Non si meritava di morire! Voi non avevate diritto… >
< Molte cose sono spagliate in questa vita, Ginevra. Ma la vita di ognuno di noi è fin troppo importante. Peccato che voi non riusciate a credermi. >
Sguainando la sua spada come segno di sfida, la vendetta di Ginevra sarebbe stata spietata anche nei confronti di Argentio.
< Avete ucciso un mio caro amico che mi ha sempre rispettata. Non riuscirò mai a perdonare questo vostro simile affronto. Anche voi pagherete con la vostra stessa vita. >
ma mentre i moti rivoluzionari continuavano ad andare avanti incessantemente, il bersagliere Anciullo non poteva permettersi di fermarsi per troppo tempo.
Continuand0o l’avanzata fino al portone principale del palazzo del Leocorno, quest0ultimo riuscì ad arrivare nel salone principale dove ad attenderlo non c’era altro che Equestre.
Impugnando la balestra come un pugnale, colse impreparato il vecchio saggio che venne colpito da una freccia dritto nel collo.
Mentre la rivolta si stava assopendo e gli sguardi dei due nuovi rivali diventavano sempre più fulgidi e minacciosi, Ginevra non aveva ancora realizzato che la sua vendetta avrebbe conosciuto una fine ingloriosa.
< La fuga è solo l’inizio per voi, Ginevra. Non potete niente da sola contro vostro nonno. >
< Voi tacete! Non avete nessun diritto di parlarmi. >
< Fate come volete. Mi odiate a tal punto di uccidermi? Fate pure. Io non rimarrò qui di fronte a voi in attesa del mio giudizio… Sebbene sarete voi a fare una brutta fine adesso. Avete svegliato il can che dorme. >
< Ho solo risvegliato quello che volevo realmente: la vendetta di un umo malvagio che ha rovinato per sempre la mia vita. Non potevo sopportare tutto questo. >
< Lo so bene. Sapete anche meglio di me quanti nemici ha vostro nonno. Ma perché combattere con così pochi uomini? >
< Perché io ho solo bisogno di una cosa: di me stessa. >

< NO! non è così! >
< Sappiate che non vi aiuterà in tale missione. Ora che le rivolte delle Contrade sono solo all’inizio, i giochi per una pace futuro sono cancellati per sempre. E la goccia che ha fatto traboccare il vaso siete voi, Ginevra Dei Vassalli! >
< Quel nome ormai non mi appartiene più, Argentio. Ora sono solo Ginevra. >
< Certo. Prima che voi veniate catturata contro la vostra volontà. Ma non sarò io che vi farò perdere del tempo. >
Mentre le guardie di Varello avevano circondato i due ex amanti, il vecchio omo si aprì un varco tra di loro mentre il buio della notte stava facendo largo all’alba.
< Anche stamattina si prospetta una bellissima giornata > fece il vecchio uomo con tono soave < Ebbene, avete deciso di rompere per sempre il vostro rispetto reciproco proprio in questo momento… Mossa davvero azzardata e per niente vincolata dall’intelligenza. Cominciavo da voi, cara nipote: credevate davvero di riuscire a farmi la guerra in questo modo? Quale è stata la vostra mossa culminante per decidere tutto ciò? >
< I miei pensieri on sono affar vostro, nonno. Ormai non sono più una burattina nelle vostre mani. Il mio spirito riposa in pace insieme a quello di Barro. >
< Barro? Ah già! Quel povero ignorante che ha avuto una vita miserabile. Un vero peccato che non abbiate deciso meglio il vostro futuro… Ed ora che avete anche deciso di andare contro di me, allora avete definitivamente firmato la vostra condanna. >
Credendo che Argentio potesse dire qualcosa al riguardo, alla fine decise di non dire niente e di fissare quelle due figure così imparentate tra di loro ma molto diverse.
< Argentio, pronto a salutare un ultima volta la vostra amata?>
< Lei non mi è mai appartenuta, Conte Varello. In verità è solo uno spirito libero che ha accarezzato la mia pelle. Nient’altro. >
< Non solio accarezzato: oserei dire violato. >
< Vecchi peccati di due giovani ragazzi come noi… Ma adesso che ha giurato morte a me e alla democrazia di questo regno, ve la lascio nelle vostre mani. E che Dio abbia pietà della sua anima. >
< Ahahah. Non posso credere che voi l’abbiate detto davvero > rispose divertito il vecchio uomo < La state lasciando tra le mie fauci? >
< E’ vostra nemica, Conte. Perché dovrei salvare uno spirito ribelle come lei? >
< Davvero avete cancellato tutto l’amore che provavate per mia nipote? >
< Oso dire di non voler tornare su questo argomento. Ormai è una storia vecchia e sepolta. >
Nascondendo la sua incredulità per tali parole, alla fine il Conte Varello ordinò alle sue guardie di rinchiudere nelle segrete quella che colei doveva essere la sua unica erede ma che si era rivelata come la persona più pericolosa per scatenare una guerra contro di lui.
< Bravo, Argentio. Non vi facevo così coraggioso. Chissà se lo sareste stato se questi dannati giochi si sarebbero potuto disputare. >
< Non lo so e sinceramente non mi interessa scoprirlo. Ora il suo destino è nelle vostre mani. >
< Com’è giusto che sia, non vi pare? >
< Questo lo lascio decidere a voi. >
< Bravo ancora una volta, Arhentio. Vi siete guadagnato la vostra libertà. >
< No, Conte Varello: hi guadagnato solo il dolore nel vedere che voi avete vinto. Nient’altro. >
E nel dire ciò, Argentio si voltò verso l’uscita del Palazzo del Leocorno senza avere il coraggio di voltarsi e di sentire le grida di quella donna che aveva consegnato al suo nemico giurato di sempre.
“Un Addio doloroso scandito dal potere e dall’odio di una singola persona. Le rivolte di Numarsia sono solo all’inizio.”

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Capitolo 20
*** Un marchese spietato ***


Incatenata mentre le forze gli stavano venendo sempre meno, Ginevra fissava dalla finestra della sua prigione quella luna tanto lucente che si innalzava in alto nel cielo libera da ogni turbamento.
Non potendo credere a quello che gli stava succedendo, la giovane donna si sentiva più sola che mani in quella prigione.
Ormai suo nonno gli aveva promesso la morte e il suo amato Argentio era divenuto colui che l’aveva consegnata al suo spirito mietitore.
Mentre i suoi pensieri insistenti e i suoi ricordi di libertà venivano offuscati, Equestre Orvalo di Rigamonti fu il primo a vedere le gravi condizioni in cui la giovane donna stava versando.
< Ginevra > la chiamò con voce flebile < Io non avrei mai pensato ad un vostro futuro oscuro come questo. Se solo voi mi avreste ascoltato… >
< Tacete, per favore. Non avete nessun diritto di parlarmi. >
< Ma io volevo solo… >
< Evitate inutili piagnistei. Se la mia morte dolorosa deve essere questa, ascolterò il mio corpo andarsene con la notte. L’alba per me sarà il mio ultimo supplizio prima di firmar la mia condanna a morte. >
< Ma cosa dite? >
< Credete davvero che mio nonno non abbia già deciso la mia condanna a morte? Potrete avere tutte le risposte al caso visto che tra poco sarà qui. >
Non potendo credere a tali parole, Equestre non voleva in nessun modo la morte della sua povera amata.
Anche se la donna non gli voleva ricambiare il suo amore, non poteva sopportare una fine così brutale.
< Fermerò tutto questo. Fosse l’ultima cosa che faccio. >
< Non vi conviene, Equestre. Morireste anche voi. >
< Non m’interessa. Non posso sopportare tutto questo. Io… >
< Equestre Orvalo di Rigamonti > fece il Conte Varello interrompendolo < Vi volevo far conoscere una persona a me tanto gradita: il Marchese Angioino. >
Il giovane uomo, per quanto potesse ignorare la cattiveria che contraddistingueva il marchese, si limitò ad inchinarsi con riverenza forzata.
< E’ lui colui a cui riponete i vostri beni e le vostre eredità? Vostro futuro suocero? >
< In persona, marchese > rispose il vecchio con tono sorridente < Vedete, magari il giovane Equestre potrebbe essere… >
< Un inetto, non c’è che dire > rispose con tono fermo il marchese < Perché l’avete portato qui? Per fargli vedere come la sua dolce amata soffre le maniere indicibili dell’inferno? >
< Deve capire che nessuno può osare mettermi i bastoni fra le ruote. >
< Credo che il marmocchio abbia capito. >
< Signore, con tutto il dovuto rispetto… >
< Evitate di parlare a vanvera, Equestre. Soprattutto quando nel Regno già circola la voce che la piccola Ginevra non sia più illibata… Cosa potete dirmi al riguardo? >
< Che sono tutte fandonie, marchese. Mia nipote non potrebbe mai fare una cosa del genere. >
< Caro vecchio amico mio: capisco il motivo della vostra difesa nei confronti di quella che ai miei occhi è ancora una bambina, ma credete davvero di riuscire ad uscirne impunito? >
< Impunito o no, questa ragazza verrà punita per altri motivi. >
< E sarebbe? >
< Non vuole sposare questo baldo giovane, ovvero uno dei figli più importanti delle nostre Contrade ed io questo non posso accettarlo. >
< Ahahah ma volete davvero darla a bere a me? Caro Conte, non vi facevo così stupido. >
< Prego? >
< Lasciate stare. Vorrei vedere quella donna, se non vi dispiace. >
Facendo segno ad alcune guardie che stavano tenendo d’occhio la povera ragazza, il Marchese Angioino la stava fissando con sguardo attento e truce.
< Non riesco a capire dove volete andare a parare. >
< Tacete, Conte. Non siete nelle condizioni di dire niente in presenza di vostra nipote. Soprattutto quando vorrebbe non sentire la vostra voce. >
< Mi ha rovinato la vota > mormorò Ginevra con tono flebile < E voi come pensate di rimanere qui a vedermi soffrire? Non hop bisogno di nessun tipo di pubblico. >
< Ma mia cara, forse io potrei salvarvi in qualche modo. >
> Nessuno può salvarmi. Ormai sono condannata. >
< Non dite così. C’è sempre una speranza. >
< Davvero? E quale sarebbe per voi? >
< Oh, voglio solo limitarmi a farvi una domanda facile facile. Voi sapete che io odio una sola persona nella mia vita a tal punto che vederlo uccidere mi renderebbe l’uomo più felice del mondo. Quel dannato figlio bastardo di Numarsia che tanto tempo la sua identità è rimasta nascosta… >
< Non vi dirò mai dove si trova > rispose seccamente la giovane donna.
< Come, scusate? >
< Io mi permetterò di tradire l’unico che davvero mi ha reso felice. >
< Eppure sono venuto a sapere che è stato proprio lui a consegnarvi a vostro nonno. O sbaglio? >
< No. mi sono consegnata io di mia spontanea volontà. Tanto ormai è inutile fuggire in questo mondo in cui non c’è nessuna speranza per una donna come me. Ormai vedrò le stelle illuminarsi un’ultima volta. Fino al momento fatidico della mia fine. >
< Credete davvero che le luci del cielo piangeranno la vostra morte spegnendosi? Voi siete solo una sciocca senza valore e senza onore. >
< NO! io non vi permetto di dire questo. >
mentre la povera Ginevra si agitava con tutte le forze residue che aveva in corpo, il marchese Angioino si burlava di lei come se si trovasse davanti alla peggior schiava.
< Voi lo amate ancora. Ormai ho capito tutto di voi. >
< Non è esatto, marchese. La sua vita ormai non mi appartiene più. >
< E allora perchè continuate a difenderlo?! >
< Perché non oserò mai tradire colui che è riuscito a capire i miei veri sentimenti. >
Sentendosi offeso da tali parole, il marchese Angioino non poté fare altro che mollargli un sonoro ciaffone facendogli sputare sangue.
< Saranno presenti tutti i Capi delle Contrade rimaste. Sarà un vero piacere veder schizzare il vostro sangue all’indirizzo della folla. Così che il vostro spirito impunito sia macchiato per sempre dall’odio. >
< Fate pure quello che volete. Ma sono io ad aver deciso il mio destino. Non un inutile boia. >
< Avrò io l’onore di potervi tagliare la testa una volta per tutte. E pregate che il dolore non sia così straziante come adesso. >
< Non c’è niente di più bello che il mio riposo eterno, marchese Angioino della Barbesca.
Non avendo più niente da dare alla povera Ginevra, il marchese si limitò a sottolineare come potesse essere deluso dell’operato del vecchio Conte.
< Tornate sui vostri passi, Conte. Io lo dico per il vostro bene. >
< Marchese > fece Equestre mentre aveva assistito a tutta la scena < Forse non vi vado a genio, ma credetemi: la mia Contrada può valere il vostro rispetto. >
< Allora vedete di fare qualcosa al riguardo. Perché non potete essere voi l’artefice della morte di quella giovane donna innocente? Sarebbe un segno d’onore ritrovato sapere che avete punito per sempre quella dannata puttana. >
< Marchese! State parlando di mia nipote! >
< Ho solo detto la verità, Conte Varello… Voi cosa dite al riguardo? Magari il nostro Equestre sarebbe l’uomo adatto per questo fervido compito. Non vi pare? >
Mentre lo sguardo attento del Conte si spostò verso il ragazzo, alla fine fu proprio lui ad avere l’ultima parola.
> E sia! Sarò io ad uccidere quella donna. E che possano avere pietà della mia anima. >
< Bravo ragazzo. Adesso posso riconoscervi > rispose il marchese fiero di lui < Rendetemi orgoglioso. Anche solo una volta nella mia vita. >
Adesso però desidero rimanere da solo con Ginevra. Se non vi dispiace ai vostri Signori. >
< Fate pure. Io e il vecchio Varello abbiamo molte cose di cui parlare. >
E nel dire ciò, il Conte Varello fu portato via con forza dal marchese, mentre la sua fulgida rabbia sembrava essersi trasformata in pena all’indirizzo della sua unica nipote.

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Capitolo 21
*** Il giuramento del bastardo ***


Rimorsi e continui rimorsi.
Questo è quello che stava accadendo al giovane Argentio mentre stava rinchiuso nella sua camera da letto oscurata dall’impedimento della luce del sole.
Per quanto Argentio potesse essere un cavaliere dal cuore nobile, egli non avrebbe potuto salvare la sua povera donna, nemmeno se avesse voluto.
mettere in gioco in quel modo la sua morte non era altro che un espediente inutile per morire con estrema facilità.
Ma lui voleva salvarla e nel farlo stava giurando eterno amore al suo Dio in modo che gli potesse dare tutta la forza necessaria.
< Le preghiere non vi serviranno mai in questo frangente. >
una voce acuta risuonò fino in fondo alla chiesa dove Argentio si girò di scatto per contemplare la visione di quell’uomo che in tutta la sua vita gli aveva fatto da padre.
< Fra Tito, voi non dovevate essere… >
< Non permetterò mai di assistere ad una indecenza inqualificabile come la morte di quella donna. A questo punto il Conte Varello ha superato se stesso. E solo voi potete aiutarla. >
< Ma zio, io non posso… >
< Smettetela di chiamarmi così e chiamatemi padre. Anche se voi non siete il mio figlio legittimo, siete l’unica persona che ho amato incondizionatamente per tutta la vita. E non posso permettere di vedervi soffrire in questo modo. >
Sorpreso da tali parole e da molta bontà, Argentio non seppe cosa dire in quel momento.
< Padre, come mi dovrei comportare con lei? Ormai l’ho tradita. L’ho consegnata al nostro più grande nemico di famiglia. Ella non mi perdonerà mai questo affronto. Nemmeno quando morirà. >
< Argentio, che cosa vi dice che lei morirà? Credete davvero che la sua tempra e il suo spirito forte la possano condurre ad una fine come questa? >
< Ma non c’è nessuna speranza! > protestò il giovane cavaliere.
< C’è sempre una speranza! Sciocco! E l’unica speranza siete soltanto voi! All’aba delle prime luci di un nuovo giorno le anime meschine che derideranno quel povero corpo pieno di ferite, faranno i conti con il loro giudizio universale. E l’unico modo che il loro sconvolgimento sia atto a trasformarsi in incredulità, sarà dato dal fatto che voi non mollerete dinanzi agli sguardi del male. Nemmeno se l’unica speranza sembra essere assopita… Avete forse paura del peccato di salvare una povera donna in difficoltà? >
< ma io questa donna l’ho tradita. E non riesco a darmi pace per questo. >
< Ed è per questo motivo che l’unico modo per rimediare è salvarla… Magari loro si aspettano una mossa tanto avventata quanto sciocca, ma non dobbiamo dargli nessun tipo di vittoria in questa nostra guerra. Nemmeno se la sfortuna potesse capovolgersi contro di noi… Ma da quello che intravedo nei vostri occhi, capisco che avete paura di morire. >
< No, padre. Perché avere paura in un simile momento in cui non ho niente da perdere a parte la vita? >
< E pensate che sia poco? Argentio, voi siete ancora giovane e avete tutta una vita dinanzi a voi. Volete sprecarla? Allora andate a salvare quella donna. Immediatamente. >
vedendo una forza di volontà che negli occhi di suo padre non aveva mai visto, Argentio non era mai stato più fiero di avere avuto un degno insegnante di vita come colui che gli aveva salvato l’intera esistenza.
< Voi Argentio siete nato per combattere le ingiustizie di questo Regno. Allora vi prego di non fermarvi proprio adesso e di continuare nel libero arbitrio del vostro coraggio. Evitate di fermarvi, altrimenti non ve lo perdonerete mai. >
< Padre… vi ringrazio per tutte queste belle parole. >
Dopo un fulgido abbraccio che sembrò durare un’eternità, Fra Tito spronò ancora il suo ragazzo dicendogli che non aveva molto tempo a disposizione.
< Le prime luci dell’alba… ormai è arrivato il momento. >
E nel sentire quelle ultime parole prima dell’inizio della missione, Argentio ringraziò ancora quell’uomo che l’aveva sempre accudito e quella forza superiore che stava ribollendo nelle sue vene.
“Giuro solennemente che riprenderò il mio onore perduto riportando la pace a Numarsia e salvando la vita del mio prossimo futuro.”
 
 
Gran parte delle Contrade stavano prendendo posto in prima fila fissando Equestre con la spada del vendicatore impugnata nella sua mano.
Il giovane cavaliere, che non avrebbe mai potuto pensare ad una fine tanto crudele per quella donna, stava diventando il vendicatore di una rabbia mai potuta assopire.
< Lei amerà sempre un altro, Equestre. È giunto il momento che voi ve la togliate dalla testa. >
Il Conte Varello, che non voleva risparmiare ingiurie per sua nipote nemmeno sul punto di morte, rendevano Equestre ancora più confuso.
< Non troverò mai una donna bella come vostra nipote, Conte. >
< Le donne vanno e vengono nella nostra vita. Caro Equestre. Mettetevi l’animo in pace una volta per tutte. Che cosa serve guastarsi il sangue? >
< Io non posso… >
< Voi sopporterete il mio volere > gridò nelle sue orecchie come segno di sfida < Altrimenti il prossimo ad appoggiare la testa all’indirizzo della spada che tenete in mano sarete proprio voi. Scegliete se volete vivere oppure no. >
< Dico solo che uccidere vostra nipote è un gesto blasfemo e a dir poco raccapricciante. Che cosa volete dimostrare in tutto ciò? >
< Lei ha perso il suo onore andando a letto con quel dannato di Argentio. Ha scatenato una guerra che ha impedito lo svolgimento dei giochi della pace e soprattutto ha tradito la sua famiglia spezzando per sempre il vostro cuore. Non credete che ne abbia combinate abbastanza? Ha distrutto i vostri sogni e dai vostri occhi mi fate capire che la volete risparmiare? Con quale coraggio pensate questo? >
Mettendo il suo viso tra le mani come segno di disperazione, Argetio gettò a terra la spada come piccolo segno di sconfitta.
< Se non la ucciderete voi, toccherà farlo a me. E se lo facessi, non vi piacerà per niente. >
Non avendo altra scelta che ascoltare il volere del Conte, il marchese Angioino avvertì il vecchio uomo che ormai gli spalti erano abbastanza gremiti.
< E’ l’ora. >
< Ci sono tutti? >
< Manche Fra Tito. Ma non importa aspettarlo. I traditori verranno puniti più avanti. >
< Si limita a rispettare il volere di un dannato bastardo senza onore. Mi fa un gran pena a volte > rispose il Conte con tono stizzito.
< Risolveremo la questione molto presto, Conte. Ma adesso dobbiamo pensare a vostra nipote. >
< Sì, avete ragione. >
Spronando un’ultima volta quel suo unico erede tanto sciocco quanto debole, gli suo cuore distrutto si preparava a conoscere l’oscurità del volere dei potenti.
< Eccola. Sta arrivando. >

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Capitolo 22
*** L’epilogo della luce oscurata dall’inganno ***


Aveva tutti gli occhi addosso.
Si muoveva a piccola passi mentre le sue catene sembravano la condanna verso l’entrata degli inferi.
ma Ginevra, per quanto potesse trovare il coraggio necessario in quel frangente, sentiva il vento scorrere sul suo viso sciupato dall’odio reciproco.
Distogliendo lo sguardo dai suoi pensieri, riuscì a vedere il marchese Angioino e il Conte Varello fissarla con sguardo immune e senza significato.
< E’ inutile guardarmi adesso, nipote > fece suo nonno come gesto di sfida < Avete firmato la vostra condanna a morte ribellandovi ai voleri di uomini più potenti di voi e rinnegando una vita serena e felice. Non avete nessuna scusa perché la vostra vita venga risparmiata. Sappiatelo. >
Ginevra, che era rimasta in silenzio per altri secondi si limitò a dire che non aveva la minima intenzione per continuare a soffrire a causa di un uomo che l’aveva sempre odiata fin dal momento della sua nascita.
< Continuate ad odiarmi anche da morta. Ma sappiate che un giorno ci sarà qualcuno che prenderà il mio posto nell’uccidervi. >
< Davvero? E chi sarebbe? Argentio, per caso? >
< Non osate nominare mio nipote. Non ne siete degno. >
vendendo Fra Tito dinanzi a lui, il Conte Varello fu estremamente felice che anche lui avesse accettato l’invito come tutti gli altri.
< Fra Tito, non posso nascondere la mia sorpresa nel vedervi. Volete portare in alto l’onore della vostra Contrada? >
< No. Solo venuto a vedere fin quanto il vostro odio si può spingere all’indirizzo di una povera creatura. Come potete pensare che la povera Ginevra… >
< Eppure non dovreste pensare a lei > lo interruppe l’uomo < Anche voi e gli altri miei nemici farete la stessa fine, sapete? >
< Minacciate pure quanto volete. Tanto non avrete mai il potere necessario per sottometterci. Numarsia è un Regno libero e voi non riuscirete a distruggerlo. >
< Ben detto! > gridò il Duca Gregio Fiorabesco e il suo alleato il Granduca Fieralberto scatenando una piccola rivolta tra gli spalti < Voi non ci avrete mai! Mai! >
Mentre le guardie stavano per ripotare la calma, l’ordine perentoria del Conte Varello spiazzò tutti i presenti.
< Marchese Angioino, sareste così gentile di esaudire uno dei miei più grandi desideri che albergano la mia mente da molti anni? >
< Con grande piacere. >
Scoccando le sue frecce prendendo una mira innaturale, il marchese Angioino uccise in maniera rapida i due Capi delle Contrade che erano state appena catturate.
< Fra Tito, che non sopportava un simile affronto, fu fermato a sua volta dal marchese Angioino che lo teneva in pugno con le sue frecce.
< Vi consiglio di non muovervi. Per il vostro bene. >
Ginevra, che aveva assistito a tutto quel dolore, non riusciva a credere a quanta oscurità potesse celarsi nel cuore di suo nonno.
< Ginevra, è inutile che voi mi guardiate così. >
< Tra poco non avrò più sguardo implorante nel vedere tutte le vostre cattiverie. Il buio e la pace mi risparmieranno una volta per tutte. >
< Scelta saggia, ma alquanto dolorosa. Almeno per voi. >
Dopo aver fatto placare gli animi una volta per tutte, Ginevra si ritrovò al cospetto di Equestre che stava continuando a versare lacrime per la sua imminente fine.
< Il vostro pianto, s’eppur sincero, non scalfirà mai la vostra anima dannata. Voi avete osato venire a patti con il diavolo in persona e la vostra nima ha conosciuto il volere di un uomo malvagio. Come vi sembra di sentirvi? >
< Ginevra, se io potessi salvarvi in qualche modo… >
< Non vorrei io. Perché non potrei permettere che voi mi tocchiate con il vostro sangue da traditore. >
Continuandolo a ferirlo nell’orgoglio, improvvisamente la rabbia repressa di Equestre esplose come un vulcano in piena.
< Continuate pure a maltrattarmi come volete, ma sarà un vero piacere per me ridurvi a pezzettini mentre il vostro sangue sgorga in mezzo alla folla. >
< pensate davvero che la vostra frenesia dell’uccidermi possa spaventarmi? >
< Non m’interessa se vi spaventa o no. L’importante è non sentire più la vostra voce una volta per tutte. >
Appena la testa della povera Ginevra si adagiò proprio sotto la spada di Equestre, il senso di vergogna scomparve improvvisamente e la vogliadi un urlo di dolore echeggiare in tutto il Regno si faceva sempre più forte.
ma appena scoccarono le sei del mattino e la luce del primo giorno diventava più insistente un individuo dalla maschera argentata ferì malamente la mano di Equestre mentre il Conte Varallo e il Marchese Angioino non credevano ai loro occhi.
< La vostra follia è pari solo alla vostra ignoranza, Equestre Orvalo dei Rigamonti. La vostra mancanza di onore rende la vostra Contrada una pura vergogna. >
Fissando i lineamenti di quel viso coperto e come si ergeva in tutta sicurezza, Equestre capì subito che si trattava di Argentio.
Ma incredibilmente, ilo giovane ragazzo non era per niente da solo.
< Vi siete fatto accompagnare? Paura di incorrere in rischi più grandi di voi? >
< No. Sono io che devo ripulire il mio onore a causa dei miei peccati passati. >
mentre il compare dell’uomo dalla maschera d’argento mostrava il suo volto, il Conte Varello non poteva rimanere ancora inerme per molto.
< Oltraggioso! Questa è pura follia! > gridava il Conte dagli spalti < Grigherio, voi non avete nessun diritto di farmi questo! >
< Posso eccome. E presto anche la vostra gente verrà dalla mia parte. Per fermare una volta per tutte il vostro odio che avete nei confronti di una famiglia che non ha fatto che portare del bene a Numarsia. >
< Sciocchezze! La Contrada della Pantera come la vostra, è la maledizione di questo Regno! Numarsia non ha bisogno di gente come voi! >
< Ah davvero? Allora lasciamolo decidere al popolo cos’è meglio oppure no. >
Mentre un’orda di gente si voltava verso il Conte Varello e il Marchese Angioino, il senso di rivalsa stava facendo spazio ad una paura incontrollabile per il Conte Varello.
Il marchese Angioino, fuggito inspiegabilmente per non incorrere alla morte, riuscì a confondersi tra la folla mentre il Conte Varello veniva circondato.
< Non mi avrete mai vivo! Mai! >
Sguainando la sua spada, Varello era pronto per togliersi la vita davanti ai suoi nemici.
< Non mi avrete mai vivo! Io non merito di morire come un plebeo della peggior specie! Nessuno riuscirà ad uccidermi se non io! >
Ma quando Argentio scaraventò via la sua maschera argentata per colpire a morte il suo acerrimo nemico, Ginevra lo fermò all’ultimo secondo per pregarlo di non ucciderlo.
< No! Ci sono stai troppi spargimenti di sangue in questo periodo > mormorò Ginevra con le lacrime agli occhi < E’ giunta l’ora di finire tutto questo. Torniamo alla nostra vecchia vita di amanti. Ormai l’amore e la felicità sono le uniche cose che ci rimangano. >
< Ma cosa dite?! Vostro nonno potrebbe essere sempre una minaccia. >
< Non lo sarà mai più. Ormai il polo si è ribellato. >
Prima che il Conte Varello potesse uccidersi definitivamente, la folla inferocita riuscì a disarmarlo e a renderlo inerme.
< Allora uccidetemi pure. Che cosa aspettate?! Avanti! >
Liberandosi dalle catene dell’odio che il Conte Varello gli aveva messo, Ginevra si recò verso di lui per guardarlo negli occhi anche solo un’ultima volta.
< A differenza vostra, io morirò con il cuore in pace. Mentre il vostro odio sarà talmente grande e immenso che sarà la vostra autodistruzione. Verrete rinchiuso nel vostro stesso castello e lasciato morire soffrendo. Non avrete mai più occasione di fare del male a me e a tutti quelli che mi circondano. Avete capito bene? >
Mentre un urlo strozzato e un ghigno malefico si dipinse sul volto del vecchio Conte, qualcosa di incomprensibile riuscì ad arrivare all’udito della donna.
Scossa per quel momento e per tali rivelazioni, la giovane donna scappò in lacrime mentre sentiva che la sua vita era stata sconvolta ancora una volta.
< Scappate via, se volete. Ma il vostro senso di rimorso per non avermi ucciso prenderà il sopravvento e andando avanti con il tempo sarà troppo tardi! >
Portato via con la forza, Argentio riuscì a ringraziare il suo amico Grigherio per non avergli voltato le spalle nel momento del bisogno.
< Siete voi che mi avete dato una possibilità, amico mio > fece il Capo della Contrada Spadaforte < Mi avete ridato un futuro che pensavo di non avere più. La vostra bontà vi rende il cavaliere con tutte le maggiori onorificenze. >
< Vi sono grato per queste belle parole, Grigherio… Ma credo che la mia felicità sia stata messa a dura prova ancora una volta. >
< Parlate con la vostra amata e chiaritevi. Numarsia da oggi sarà un luogo felice per tutti. >
voltandosi verso suo padre che si limitò a guardarlo serio, con un inchino lieve gli fece capire di avere il suo benestare.
< Siate felice, figlio mio. Ve lo meritate. >
E dopo aver visto un lieve sorriso sul volto di Fra Tito, Argentio si apprestò a inseguire quella donna tanto amata che non voleva dargli pace in nessun modo.
 
 
Trovandola su uno sperone di una collina in cui si poteva godere una vista mozzafiato, le lacrime che Ginevra stava versando era solo per la sua debolezza.
< Non mi dovreste vedere piangere > fece la donna con tono flebile.
< Piangere non è segno di debolezza > fece l’uomo risoluto < Vi viglio aiutare. Non mandatemi via. >
< Segno di debolezza? Per me lo è eccome… Sapete che cosa mi ha detto quel bastardo di mio nonno prima di venire portato via con la forza? Che è stato lui ad uccidere i miei genitori. >
< Che cosa? >
< E’ stato vago con le parole, ma pare che il motivo sia molto semplice: la gelosia e l’irriverenza di un figlio che voleva trasformare Numarsia in un luogo migliore come avete fatto voi in incognito per tutti questi anni. >
< Io non avrei mai creduto… >
< Che la follia di quell’uomo si potesse spingere a tanto? Nemmeno io… Eppure dopo quelle parole, avevo il motivo valido per una vendetta che mi era stata servita su un piatto d’argento. Ma qualcosa mi bloccava e non sono riuscita ad essere giudiziosa come avrei voluto. >
< Ginevra, a voi non vi mancherà mai la forza di essere giudiziosa. >
< Ho paura, Argentio. Ho paura che il futuro che si prospetta davanti a noi sia lugubre come il mio passato. >
< Non permetterò mai che accada una cosa del genere. >
Inchinandosi al suo cospetto e fissandola dritta negli occhi, Argentio lasciò trapelare una dichiarazione sopra ogni sorpresa.
< Ginevra, forse non sarò mai l’uomo perfetto che voi desiderate, ma di una cosa posso farvi elice: il mio amore per voi è incommensurabile e la voglia di starvi accanto nonostante tutte le difficoltà mi è dolce in questa vita che non ho mai compreso appieno. Quindi vi prego, accettate di diventare mia moglie e combatteremo tutte le avversità della nostra vita. Insieme. >
Non potendo dire di no mentre sentimenti sinceri stavano facendosi largo tra l’odio che aveva per suo nonno, un bacio appassionato e pieno d’amore sancì la loro definitiva unione.
< Sì, Argentio. Il vostro bene e il vostro coraggio sono riusciti a conquistare il mio cuore e il poco onore che mi rimane. >
< Non dite così. Il vostro onore… >
< Ciononostante la mia vita prenderà una diversa strada: la strada della vostra protezione e del vostro amore, culminata con la voglia di tornare a vivere. Di tornare a sognare. >
< Cara Ginevra, non potevate dire parole più chiare e sincere. >
E mentre le luci del nuovo giorno diventavano sempre più brillanti, il loro futuro si prosperava roseo, nonostante il Regno di Numarsia avesse bisogno di tutto per tornare allo splendore e alla pace di un tempo.
Ma in fondo la gioventù dei due cavalieri era forte e il coraggio di cambiare le cose non mancava.
L’unica domanda da farsi era la seguente: Ce l’avrebbero fatta? O avrebbero fallito?
Solo il loro destino avverso avrebbe potuto rispondere… E voi che cosa pensate?

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