Makohon Saga - L'ame de Paris - Volume 16

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il liceo ***
Capitolo 2: *** La peste ***
Capitolo 3: *** Il bartender ***
Capitolo 4: *** Il concerto ***
Capitolo 5: *** L'anno ***
Capitolo 6: *** I capricci ***
Capitolo 7: *** L'artista ***
Capitolo 8: *** I consigli ***
Capitolo 9: *** L'atelier ***
Capitolo 10: *** L'ospedale ***
Capitolo 11: *** Il dubbio ***
Capitolo 12: *** I costumi ***
Capitolo 13: *** La sorpresa ***
Capitolo 14: *** La festa ***



Capitolo 1
*** Il liceo ***


Il liceo
 

La sveglia del suo cellulare cominciò a suonare, avvisandola che doveva alzarsi. Non era più abituata a svegliarsi così presto, a dirla tutta non era mai stata abituata a svegliarsi così presto, visto che quando andava alla Dupont poteva tranquillamente alzarsi un po’ più tardi data la vicinanza del collége rispetto a casa sua. Quel giorno però sarebbe stato il suo primo giorno al lycée e doveva fare mezz’ora di strada per arrivare a destinazione, perciò doveva decisamente alzarsi.
Emise un grugnito, bloccando il suono fastidioso della sveglia e mettendosi seduta sul letto, stropicciandosi gli occhi.
«Buongiorno Marinette!» disse il suo kwami, fluttuandole, già allegra e pimpante, davanti al viso.
«Buon… aaawwwn… giorno Tikki…» rispose lei sbadigliando.
«Forse è meglio che vai a farti una bella doccia, così ti svegli.» le suggerì l’esserino.
«Sì… Forse è meglio…» rispose lei con un altro sbadiglio.
Quando fu finalmente vestita e sveglia, si diresse in cucina, dove sua madre le aveva già preparato la colazione.
«Pronta per il primo giorno di liceo?» domandò la donna con un sorriso, mentre lei si sedeva al bancone e prendeva un croissant da inzuppare nel latte.
«Ho paura non cambierà molto… Chloé ha chiesto l’iscrizione alla nostra stessa scuola, solo per stare con Adrien…» commentò, sbuffando, per poi addentare la brioche, resa molle dal liquido bianco.
«Vedrai che andrà bene, stai tranquilla.»
Marinette finì velocemente la colazione, si mise lo zaino in spalla e uscì, passando dalla boulangerie per salutare il padre.
«Ci vediamo!» disse, agitando la mano nella sua direzione. Appena superò la porta di vetro, però, qualcosa la bloccò. Davanti alla pasticceria si era fermata la limousine nera della famiglia Agreste, da cui poco dopo uscì Adrien, con quel suo sorriso splendido.
«Adrien che… che…?» cercò di domandare lei e lui alzò le spalle, avvicinandosi.
«Avevo voglia di vederti. Quest’ultimo mese è stato lungo senza di te.» disse tranquillamente rimanendo a qualche centimetro da lei, ma senza toccarla, guardandola soltanto, come se dovesse sondare ogni centimetro del suo corpo e assicurarsi che fosse davvero lei. Quel mese di cui stava parlando era stato lungo anche per lei: lui era dovuto partire per un servizio impegnativo e, nonostante si sentissero ogni giorno per telefono, non vedersi era stata quasi una tortura.
«Sì, ma… Perché… Insomma ci saremmo visti a scuola e…» cercò di balbettare lei.
«E pensi davvero che ti avrei lasciata andare in metro al tuo primo giorno di scuola?» fece lui con un’evidente domanda retorica.
La ragazza continuava a guardarlo stralunata, non riuscendo a capire perché si sentisse così strana nonostante fosse passato molto tempo da quando stava con lui. Forse perché le era mancato; oppure perché in quel periodo Adrien stava iniziando a crescere, come lei d’altronde. Il suo fisico si stava sviluppando, stava diventando più slanciato e impostato e quella sua maledetta perfezione le faceva martellare il cuore in petto.
«Allora, vuoi abbracciare il tuo fidanzato, o rimaniamo così in eterno?» domandò lui, allargando le braccia ed estendendo un bellissimo sorriso.
Lei senza pensarci nemmeno un secondo si tuffò in quell’abbraccio, avvolgendogli la vita e sentendo lui fare lo stesso con le sue spalle. Quegli abbracci erano una delle cose che le erano mancate di più in assoluto: le sue braccia forti attorno alle spalle, le davano un senso di protezione e di sicurezza che mai aveva provato in vita sua, ed era una cosa che, ricordava bene, provava anche quando non conosceva la vera identità di Chat Noir e lui la stringeva per proteggerla dai nemici akumatizzati da Papillon, questo però non glielo aveva mai detto.
Inspirò, inebriandosi del suo profumo, una fragranza che usava ormai da qualche mese e a cui si era abituata, anche se era molto diversa dal profumo che utilizzava quando andavano al collége assieme.
«Mi sei mancato…» disse soffocando il viso nella sua camicia.
«Anche tu, principessa.» rispose lui, accarezzandole i capelli.
Si staccarono e, dopo essersi guardati negli occhi ancora qualche secondo ed essersi scambiati un tenero bacio, salirono in auto, speranzosi di essere stati assegnati nella stessa classe in modo da poter rimanere insieme.
«Lo sai vero che Chloé impazzirà quando ci vedrà scendere insieme dalla tua auto?» domandò lei, accoccolandosi al suo petto.
«Naaaah, non credo… Ormai le sarà passata.» commentò lui, quasi noncurante della situazione, avvolgendo le sue spalle con la mano e accarezzandole la schiena.

 

Arrivati davanti al Janson de Sailly, però, il ragazzo dovette ricredersi. Uscì prima lui e la bionda era già appostata al cancello nero in sua attesa, tanto che, non appena lo vide, gli si lanciò letteralmente addosso, avvinghiandolo in un abbraccio decisamente non voluto.
«Adrieeeeeeen!» gridò, chiamandolo per nome: finalmente sembrava aver abbandonando quell’orribile nomignolo che gli dava al collége, forse aveva capito che era davvero troppo infantile.
«Ehm… Ciao Chloé…» la salutò a malapena lui, mentre Marinette scendeva proprio in quel momento dalla limousine.
«E lei che ci fa qui?» domandò la bionda staccandosi dal ragazzo e guardandola con quella solita aria di superiorità.
«Ci studio Chloé.» disse schietta lei, calcolandola appena.
«Intendo in limousine con lui. Senti carina, alla Dupont l’hai passata liscia, – disse puntando il dito contro Marinette, come a minacciarla – ma sappi che non ti permetterò di farmi le scarpe un’altra volta, io…»
«Chloé, basta!» tuonò deciso Adrien prendendo la mano della corvina e allontanandosi con lei, lasciando la bionda a fumare di rabbia.
Superarono l’ingresso ed entrarono nell’edificio. 
«Marinette!» disse una voce euforica e la ragazza non ebbe tempo di capire nulla che fu avvolta da un paio di braccia scure ed il suo viso fu inondato da una massa di capelli castano ramati.
«Alya!» rispose lei, mollando la presa dalla mano di Adrien e abbracciando l’amica, poco dopo si staccarono, rivolgendosi un sorriso per una.
«Cavoli Alya, sei ancora più abbronzata!» disse Marinette, guardando la pelle più scura del solito dell'amica.
«Beh pure tu hai preso un po’ colorito mi pare.» si complimentò l’amica, mentre metteva una mano sul fianco e la osservava dalla testa ai piedi. Lei sbuffò, quasi contrariata al pensiero che le vacanze estive fossero finite.
«Ormai sta quasi andando via. – disse passandosi una mano sul braccio, tenuto scoperto dalla maglietta che indossava – Siamo andati a fine giugno a Plage Veules les Roses, ma nulla di che…»
«Nulla di che? – disse qualcuno alle sue spalle poggiandosi sia su di lei che su di Adrien, quasi come a volerli abbracciare – È stata una delle vacanze con gli amici, più belle che abbia mai fatto!»
«Lila? Anche tu al Janson?» domandò la ragazza dalla pelle scura.
«Già!» sorrise lei, soddisfatta.
«Ciao Lila.» le sorrise Adrien.
«Ciao gat… – si bloccò, quando ricevette un’occhiataccia da lui e una gomitata da Marinette – occhi belli…» si corresse, allora, emettendo uno sbuffo.
Adrien alzò gli occhi al cielo, esasperato. Quell’estate, dopo le vacanze assieme, si erano visti molto meno anche in veste da supereroi, ma l’astio dell’italiana nei suoi confronti sembrava non essere diminuito affatto; forse doveva semplicemente farci l’abitudine.
«Dovremmo andare a vedere in che classe ci hanno messi.» disse, allora, cercando di cambiare discorso e afferrando nuovamente la mano della fidanzata.
«Oh, ho già guardato io… Siamo tutti nella stessa... Cioè non sapendo che c’era Lila, non ho cercato lei, ma vediamo subito.»
«Tutti nella stessa, davvero?» gli occhi azzurri di Marinette s’illuminarono.
«Già. – sorrise l’amica, sistemandosi gli occhiali sul naso – E indovina un po’? La piccola snob e nell’altra sezione.»
«Evviva il liceo…» sospirò la corvina in un gesto di sollievo, sollevando gli occhi, come a voler ringraziare qualsiasi santo le avesse fatto quel favore immenso.
Dopodiché controllarono nel tabellone il nome di Lila e, dopo aver scoperto che pure lei era in classe con loro, si diressero proprio verso di essa, pronti per quel nuovo anno di scuola e primo anno di liceo.

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Capitolo 2
*** La peste ***


La peste
 

Entrò nella sua camera, quel giorno era stato davvero sfiancante tra le ore di liceo e ben due servizi fotografici: perciò non vedeva l’ora di farsi una bella doccia e riposarsi per un oretta, prima di mettersi sui compiti che aveva ancora da fare per il giorno successivo.
Appena entrò, però, notò immediatamente il piccolo intruso che probabilmente si era intrufolato di nascosto lì dentro, come faceva ogni volta che ne aveva l’occasione. Comprendeva che la sua enorme camera poteva sembrare un enorme parco giochi per un bambino della sua età, ma questo non avere più un minimo di privacy nella sua stessa camera lo innervosiva un po’, nonostante amasse alla follia quel tipetto.
«Pierre, cosa ci fai di nuovo in camera mia?» domandò, posando la tracolla sul divano e avvicinandosi a lui, che era a una delle macchinette addossate al muro che dava sul suo bagno privato.
«Non si vede? Sto giocando!» rispose il bambino che, per arrivare ai bottoni e alle manopole, si era dovuto mettere in piedi sulla sedia girevole della sua scrivania.
«Scendi di lì, ti farai male.» lo rimproverò il ragazzo.
All’improvviso il bambino sbagliò un movimento nel gioco, decretando il Game Over.
«Accidenti!» protestò, ma nel farlo si mosse in modo brusco, facendo ruotare un po’ la sedia, tanto che perse l’equilibrio. Con uno scatto veloce Adrien coprì il resto della distanza che li separava prendendo il piccoletto al volo.
«Pierre, sei un pericolo pubblico...» commentò, spostandogli una ciocca biondo platino dalla fronte e aiutandolo a rimettersi in piedi.
Il bambino sorrise divertito, come se non fosse successo assolutamente nulla, anzi sembrava quasi pronto a combinarne un’altra delle sue da un momento all’altro.
«Zia Monique dice che anche tu eri così da piccolo.» rispose, facendogli alzare gli occhi al cielo.
«Non hai risposto alla mia domanda: perché sei in camera mia?» chiese nuovamente Adrien.
«Perché tieni del formaggio puzzolente lì dentro?» domandò mentre un sorriso si estendeva sul suo viso da bambino. Lui si voltò sconvolto nel punto dove stava indicando, vedendo la piccola cassaforte dove Plagg teneva la sua scorta di camembert, aperta.
«Pierre, quante volte ti ho detto che non devi ficcanasare in giro.» lo rimproverò, andando a chiuderla e ruotando la manopola in modo che fosse nuovamente sigillata, domandandosi se il suo kwami se la fosse dimenticata aperta oppure il bambino aveva scoperto la combinazione.
«Scusa...» disse con quella sua vocetta, per niente pentita. In quel preciso momento entrò Nathalie nella camera.
«Pierre, non disturbare il signorino Adrien! – lo rimproverò la donna – Mi perdoni, stavo facendo un lavoro per suo padre e...»
«Non preoccuparti Nathalie, non è niente.» la rassicurò Adrien con un sorriso.
La donna allungò un braccio verso il bambino, mostrando il palmo aperto. Questi sbuffò, dirigendosi con piedi pesanti e strascicati verso di lei, prendendogli poi la mano. Subito dopo uscirono entrambi dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, solo a quel punto Plagg uscì dalla tracolla, furioso come non mai.
«Spero che quel moccioso non abbia toccato il mio camembert o giuro che lo spedisco in Tibet!» esclamò, andando a controllare subito se dentro la cassaforte c’era ancora tutto.
«Per favore, basta spedire persone in Tibet… – commentò il biondo con un sospiro, avvicinandosi nuovamente alla tracolla e afferrando il cellulare – Maledizione Plagg, tre chiamate perse da Marinette! Potevi anche avvisarmi…»
«Scusami se ero preoccupato per il mio camembert!»
Adrien scosse la testa, sospirando nuovamente e selezionando in rubrica il numero della sua fidanza, per poi portarsi l’apparecchio all’orecchio.
«Era ora…  È da mezz’ora che cerco di chiamarti…» rispose la voce di Marinette.
«Scusami. Ho beccato Pierre in camera mia e Plagg sembrava più preoccupato per il suo stupido formaggio maleodorante, piuttosto che avvisarmi che avevi chiamato… Come sta la mia coccinellina preferita?» domandò aprendo l’armadio bianco e cercando qualcosa da mettersi per casa.
«Disperata… Perché la matematica è sempre così complicata? Insomma sono passate appena due settimane dall’inizio del liceo e già non ci capisco più un tubo.» brontolò esasperata e davanti a lui per un attimo sembrò apparire l’immagine della corvina, seduta alla scrivania di camera sua che si passava disperata una mano tra i capelli, mentre mordicchiava nervosamente la penna nel tentativo di comprendere che calcoli dovesse fare per risolvere gli esercizi.
«Quindi è per questo che mi hai chiamato? Per approfittarti del mio talento in matematica? Ed io che pensavo avessi voglia di sentirmi.» disse, dando un tono quasi offeso all’ultima frase, mentre prendeva una maglietta a maniche lunghe blu scuro e un paio di jeans.
«Ho sempre voglia di sentirti, micetto… Però ho anche bisogno di te…»
«Va bene, ho capito. Vado a farmi una doccia e poi vengo da te coi libri, tanto anche io devo fare quegli esercizi.»
«Sei il fidanzato migliore del mondo!» esclamò entusiasta lei. Lui però rimase in silenzio, proprio davanti alla porta scorrevole del bagno e, nonostante Marinette non potesse vederlo, quel silenzio probabilmente le aveva fatto intendere che stava pensando a qualcosa.
«Adrien…?»
«Vuoi venire qui tu? Così ci facciamo la doccia assieme…» disse, con tono malizioso.
«Cosa?! Adrien… Che… che dici?» balbettò la ragazza, facendolo sorridere.
«Immagino che la risposta sia un ‘no’ quindi.»
«A dopo, Adrien!» lo salutò, chiudendo la chiamata, senza nemmeno aspettare la sua risposta. Allontanò il cellulare dall’orecchio ridendo e poggiandolo sul mobile del lavandino, per poi chiudere la porta.

 

Si passò una mano tra i lunghi capelli scuri, puntando gli occhi grigi su quelli a mandorla di Tian, mentre il fotografo davanti a lei, faceva qualche altro scatto.
«Perfetto! – si complimentò il fotografo – Ancora un paio senza giacca e abbiamo finito». Lei allora si tolse la giacchetta rossa che aveva addosso fino a poco prima, porgendola a un assistente, che era lì nello studio, e rimettendosi in posa.
Quando il servizio finì tirò un sospiro di sollievo, avvicinandosi finalmente al giovane cinese.
«Sei riuscito a venire.» disse contenta.
«Ho chiesto al nonno di finire da solo gli ultimi due clienti e quindi eccomi qua.» rispose lui allargando le braccia.
«Allora sai che ti dico? Vado a cambiarmi e poi andiamo da qualche parte a cena, che ne dici?» domandò lei, prendendogli la mano, lui però storse la bocca poco convinto.
«Non potremmo mangiare a casa mia? Insomma è la terza volta in due settimane che mi offri la cena e ogni volta trovi un ristorante sempre più costoso... Sai solitamente è l’uomo che offre.» a quelle parole un sorriso dolce e rassicurante si estese sul volto della ragazza.
«Ti prometto che è l’ultima volta.»
Lui sospirò, accettando quell’ennesima richiesta. Per quanto pure lui avesse uno stipendio, lo doveva dividere con il nonno e pur essendo il miglior centro massaggi di tutta Parigi, non avevano certo abbastanza clienti da poter usare i loro guadagni per ristoranti di lusso o cenette romantiche; perciò, spesso e volentieri, offriva Angelie, che con il suo stipendio da modella se lo poteva permettere.
«Allora aspettami, cinque minuti e sono di nuovo qui.» disse la corvina, allontanandosi.

 

Lila sbuffò, mentre si abbottonava la camicia bianca.
«Andiamo è solo per una sera.» disse Holly, guardandola con in suoi dolci occhietti viola, mentre fluttuava davanti al suo viso.
«Non è solo per una sera, è tutte le volte in cui uno dei camerieri non può venire; come se non bastasse non mi pagano nemmeno.» concluse, controllandosi allo specchio.
«Comunque ho mandato il messaggio a Nathaniel come mi hai chiesto, dicendogli che il vostro appuntamento è rinviato a domani.»
«Grazie Holly, sei un tesoro. – le sorrise l’italiana, legandosi i lunghi capelli castani in una coda – E ora forza, in tasca.» a quell’ordine la piccola volpe si tuffò nel taschino della camicia bianca, mentre lei usciva dalla porta di casa e scendeva le scale del palazzo.
Quando arrivò all’ingresso, invece di uscire fuori, si diresse verso una porta laterale alla sua sinistra, su cui vi era scritto Privé, dopodiché bussò. Venne ad aprirgli una donna molto simile a lei, con i capelli castani un po’ più corti dei suoi che le arrivavano fino alle spalle, sormontati da un cappello a fungo sulla testa.
«Era ora che arrivassi! – disse la donna – Forza sbrigati, Noel non può fare tutto da sola.» concluse, scostandosi e facendola passare. Lei le lanciò un’occhiataccia, come ad avvisarla che le stava facendo soltanto un favore e che sarebbe stata volentieri in qualsiasi altro posto che non fosse quel maledetto ristorante.
Non appena entrò in cucina suo padre la salutò appena, mentre stava soffriggendo qualcosa in padella.
«Porta le due linguine al tavolo dodici.» le intimò la madre, che l’aveva seguita, rimettendosi anche lei ai fornelli.
Lei allora, con un sospiro, prese i due piatti che c’erano sul ripiano in metallo della cucina e dando le spalle alla porta che dava alla sala, gli diede una spallata ed uscì dal regno dei suoi genitori, ritrovandosi nel vero e proprio caos del ristorante.
Scoccò subito uno sguardo a Noel, la giovane francese che i suoi avevano assunto l’anno precedente come apprendista cameriera, che ora stava servendo a un tavolo poco più in là con il suo smagliante sorriso. Poi si voltò verso il tavolo che doveva servire e quasi le venne da ridere nel vedere chi vi era seduto.
«Allora chi di voi due piccioncini ha ordinato le linguine alla bolognese e chi quelle alla romagnola?» domandò, non appena fu al tavolo.
«Lila?!» esclamò stupito Tian, non aspettandosi affatto di vederla lì.
«Lavori qui?» chiese invece la ragazza.
«Solo per oggi, perché l’altro cameriere non c’è. Non posso lasciare la povera Noel nelle grinfie fameliche ed esigenti dei miei.» disse tranquillamente l’italiana.
«Capito, comunque la bolaniese è mia.» disse la ragazza, non riuscendo a pronunciare esattamente il nome del piatto italiano. Lila allora le porse il piatto di linguine condite con il ragù fatto in casa, mettendo invece davanti a Tian il piatto di pasta condito con cipolle, pomodori, zucchine e speck.
«Buon appetito fanciulli.» disse la ragazza, per poi allontanarsi e tornare in cucina per prendere un’altra ordinazione.

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Capitolo 3
*** Il bartender ***


Il bartender

La corvina emise un sospiro, stiracchiandosi, mentre usciva dall’aula. 
Quel giorno Lila si era assentata da scuola per l’intera giornata: a detta del messaggio che le aveva inviato quella mattina i suoi genitori avevano bisogno nuovamente di lei al ristorante, mentre Adrien era uscito due ore in anticipo per via un servizio fotografico; lei perciò, era rimasta il resto delle lezioni con Alya. Non che le dispiacesse, in fin dei conti Alya era ancora la sua migliore amica, con cui si confidava di tutto, o quasi. 
Il fatto era che Alya preferiva, ancora, parlare di ciò che lei non poteva dire, ossia degli eroi di Parigi; ormai non si poteva più definire nemmeno un chiodo fisso, perché la bruna non si comportava più come una fangirl sfegatata che impazzisce alla minima novità: era ormai abbastanza matura da somigliare a una vera reporter e spesso faceva delle domande a cui Marinette non sapeva rispondere; domande a cui da giovane non avrebbe mai pensato. Ciononostante la ragazza era sempre riuscita a scamparla e a sviare il discorso; forse anche per quel motivo, quando quella giornata di scuola si concluse, tirò un sospiro di sollievo, che comunque durò davvero poco.
«Vedrete, ben presto Adrien si accorgerà di quanto lei sia sciatta e monotona e verrà da me.» disse una voce inconfondibile. Si voltò, vedendola scostarsi i capelli: al suo seguito altre due ragazze che avevano sostituito Sabrina nel cambio di scuola.
La sua amica gonfiò le guance, già pronta a controbattere, ma lei la bloccò.
«Lasciala stare Alya, non ne vale la pena.» sussurrò, mentre passavano di fianco a loro.
«E questa Marinette così matura e posata da dove sbuca?»
«Credo sia cresciuta.» le sorrise lei. In realtà ciò che aveva detto la bionda le aveva dato fastidio esattamente come quando andavano alla Dupont, semplicemente non aveva nessuna voglia di discutere con lei, non quel giorno.
«Senti un po’, questa sera avete voglia di uscire, magari andiamo a mangiarci una pizza tutti e quattro.» propose la bruna, uscendo dall’edificio.
Marinette si morse il labbro, le dispiaceva sempre disdire un appuntamento che le proponeva Alya, anche se, da quando Papillon era sparito, era successo molto meno di frequente.
«Non possiamo… Abbiamo già un impegno…» le rispose e l’amica sorrise nel vedere il suo volto così dispiaciuto.
«Non ti preoccupare Marinette, non succede niente: ci organizziamo per un altra volta.»
«Ovvio che sì, possiamo metterci d’accordo per la prossima settimana.»
Lei rispose con un cenno di testa dopodiché la salutò dicendole che si sarebbero riviste lunedì.

 

«Fammi capire Lila... Ci hai portato in questo locale solo per fissare barista?» domandò Adrien con aria irritata.
«Sta zitto gattaccio!» ribatté lei.
«Pel di carota... È la tua ragazza, possibile che non t’importa che sbavi su quel damerino tutto muscoli e sorrisi?» disse rivolgendosi poi al rosso.
«Per tua informazione, sta sbavando anche la tua di fidanzata...» a quell’avvertimento Adrien si voltò di scatto verso Marinette, mentre lei faceva altrettanto verso di lui.
«Che c’è? È carino... Io mica mi arrabbio quando posi con Angelie.» protestò lei.
«Non mettermi in mezzo, per favore.» intervenne la ragazza.
«E comunque non è la stessa cosa... Angelie è solo una... una collega. Tu a quello lo stai mangiando con gli occhi.» disse trasformando la sua voce in un sibilo man mano che andava avanti.
«Ecco qua i vostri drink ragazzi!» fece l’oggetto delle attenzioni di tutte le ragazze del gruppo, o meglio dell’intero locale, avvicinandosi al loro tavolo e spostando i bicchieri dal vassoio al ripiano in compensato bianco.
«Grazie Rafael.» le sorrise serafica l’italiana.
«Grazie a voi per essere venuti qui al Le Cigale.» rispose questo, mostrando loro uno smagliante sorriso, che quasi non fece sospirare tutte le presenti.
«Io sono disgustato...» sentenziò Adrien, quando il ragazzo fu di nuovo lontano, pronto a servire altri clienti e a far eccitare altre ragazze.
«Eppure quello sguardo non mi è nuovo...» sussurrò una vocina, proveniente dalla borsa di Marinette.
«Vero? – domandò il kwami gatto facendo capolino dalla giacca del suo portatore – Mi ricorda un sacco Arno...»
«Arno? Intendi quello che odiavi perché stava sempre tra le lenzuola?» domandò la corvina.
La fortuna di stare in quel locale era che con il caos che c’era tra la gente e la musica nessuno si accorgeva di quel gruppo di sette ragazzi che praticamente parlava con le proprie borse o giacche.
«Io non odiavo Arno, è stato forse uno dei migliori portatori del Miraculous del gatto. Era solo un po’ troppo… amante del corpo femminile, ecco.»
«L’avevo detto che non c’era da fidarsi di questo qui…» borbottò il biondo poggiando il mento sulla mano.
«Ma cosa c’entra scusa? – domandò Angelie – Solo perché somiglia a uno che è vissuto chissà quanti anni fa non vuol dire che abbia la sua stessa indole.» 
Si voltarono nuovamente verso il centro dei loro discorsi, vedendolo sorridere all’ennesima ragazza, mentre quella gli palpava chiaramente il sedere. A quella scena Adrien alzò un sopracciglio dorato.
«Tu dici?»
«C’è da dire che Arno e Ju… – Plagg si bloccò, volgendosi verso la sua compagna e notando il suo sguardo scurirsi – e la sua compagna, avevano chiamato il figlio Rafael.» continuò, mentre Marinette consolava la sua kwami, grattandole il capino con un dito.
«Dici sul serio?» domandò l’italiana, che quasi si stava strozzando con il suo cocktail, sporgendosi verso il tavolo.
«Rafael Dumas Pierre, figlio di Arno Dumas Pierre e Juliette Isabeu Ponthieu.» disse Tikki, che sembrava essersi ripresa. Probabilmente solo Marinette e Plagg fecero caso alla nota d’orgoglio con cui aveva detto quei tre nomi, come se il ricordo dei due portatori e della loro progenie la rendesse fiera di averli conosciuti.
«Come si chiama di cognome lui?» domandò Nathaniel rivolgendosi alla fidanzata, ma lei storse la bocca.
«Sai che non lo so? Non gliel’ho mai chiesto…» rispose, dopodiché alzò subito la mano, attirando nuovamente la sua attenzione.
Lui dopo aver servito l’ennesimo tavolo si avvicinò di nuovo a loro.
«Dimmi tutto dolcezza.» disse con uno dei suoi smaglianti sorrisi, ricevendo un’occhiataccia dal rosso, che però fu totalmente ignorata.
«Un nostro amico crede di conoscerti, per caso di cognome fai Pierre?» domandò con una spigliatezza incredibile, come se stesse chiedendo l’ora. Lui storse la bocca, negando con la testa.
«Spiacente, il mio cognome è Fabre. Anche se la mia tris nonna se non sbaglio si chiamava Pierre, ma non ne sono sicuro e non credo che il tuo amico abbia conosciuto la mia tris nonna.» disse concludendo l’ultima frase con una breve risata, roca.
«No… sicuramente no…»
«Vi piacciono i drink? Li ho preparati tutti io. Visto che mi avevate chiesto sette cocktail analcolici ho improvvisato.»
«Sono buonissimi!» esclamò Marinette, con un tono forse un po’ troppo entusiasta.
Il suo sorriso si estese e poggiò entrambe le mani sul tavolo, mostrando chiaramente i suoi avambracci perfetti e definiti, lasciati scoperti dalle maniche della camicia bianca che erano state accuratamente arrotolate.
«Se volete tra due orette stacco, possiamo parlare di questo vostro amico.» suggerì.
«Mi spiace, ma abbiamo da fare!» disse quasi in un ringhio Adrien. Lui sollevò il sopracciglio, voltandosi verso di lui come se l’avesse notato per la prima volta, dopodiché alzò le spalle, staccandosi dal tavolo.
«Buon proseguimento di serata, allora.» disse per poi allontanarsi, regalando un’ultimo sorriso a tutti.
«Sei sempre il solito, gattaccio!» disse Lila furiosa.
«Sinceramente Lila… Adrien ha fatto bene, probabilmente se avesse continuato e lui non avesse fatto nulla sarei intervenuto io.» controbatté Tian, prima ancora che Adrien potesse difendersi.
«Non stava facendo nulla di male e avremmo potuto scoprire di più su…»
«Non stava facendo nulla di male? Ci stava palesemente provando con voi e voi eravate troppo attratte dai suoi bicipiti per accorgevi che stavate sbavando tutte e quattro.» inveì Adrien, sbattendo violentemente il suo bicchiere contro il tavolo.
«Non è vero! Noi stavamo…» cercò di dire ancora l’italiana, ma fu interrotta di nuovo.
«Possiamo cambiare discorso? Okay, alle ragazze piace il barman, ma potremmo goderci questa serata assieme?» domandò Nathaniel, scostandosi la frangia dagli occhi.
«Concordo con Nathaniel, vorrei godermi il mio drink e non sentirvi litigare?» intervenne Jinnifer che fino a quel momento era rimasta in silenzio. Il giovane bartender aveva evidentemente attirato anche lei, ma comprendeva anche la gelosia dei ragazzi: anzi, era sicura che se Henrie fosse stato lì si sarebbe infuriato allo stesso modo, se non peggio.
Il resto della serata, comunque, proseguì molto più tranquillamente, senza giovani barman aitanti e distrazioni di alcun genere: una semplice serata tra amici, raccontandosi come andava a scuola o a lavoro.  Un sabato sera perfetto di metà ottobre, senza pensare a nulla, tranne a loro. 
Non potevano immaginare che di lì a qualche giorno Parigi avrebbe di nuovo avuto bisogno dei suoi sette eroi.

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Capitolo 4
*** Il concerto ***


Il concerto
 

«Eccoti Adrien! – esclamò una voce alle sue spalle e subito percepì un brivido lungo la schiena – Ti stavo cercando.» si agganciò al suo braccio, stringendosi a lui, facendogli un sospiro, mentre si voltava, ritrovandosela decisamente troppo vicino.
«Ciao Chloé.» la salutò, cercando di essere quantomeno gentile, tirando anche un sorriso.
«Senti un po’… Mio padre mi ha trovato due biglietti per il concerto di domani di Jagged Stone. Ovviamente puoi venire con me!» disse entusiasta, mentre continuavano a camminare.
Il biondo si voltò indietro, notando Marinette e Alya osservarli, mentre chiacchieravano tra di loro.
«Chloé non posso venire…» disse, rivolgendosi nuovamente a lei.
«Ma non fare complimenti, lo faccio volentieri.» lo incoraggiò lei, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Dico sul serio non posso, domani ho un appuntamento con Marinette…»
«Vedrai, ci divertiremo tanto!» proseguì lei, ignorando completamente l’ultima frase del ragazzo. A quel punto Adrien, esasperato, afferrò il braccio della bionda, allontanandola da lui.
«Chloé, mi hai sentito? Ho detto che non posso venire! Devo uscire con Marinette.»
La ragazza sbatté gli occhi sconvolta, come se non avesse capito bene 
«Ma… Marinette?»
Sospirò, osservandola guardarlo in quel modo completamente sconvolto. Come se non sapesse che stava con Marinette da ormai sei mesi. Proprio in quel momento, visto che si erano fermati, li raggiunsero le altre due ragazze.
«Ciao Chloé…» la salutò Marinette a mezza voce, quasi come si fosse costretta a farlo, ma in realtà non ne aveva nessuna intenzione.
Adrien le passò una mano attorno alle spalle, stringendola a sè e sorridendole dolcemente. A quel semplice gesto, la bionda assottigliò lo sguardo color del ghiaccio e si voltò facendo frustare la chioma fluente, per poi allontanarsi senza salutare né uno, né tantomeno l’altra.
«Che voleva?» domandò Marinette, notando il ragazzo sospirare, mentre scuoteva leggermente la testa. Più che curiosità la sua era gelosia: le aveva decisamente dato fastidio vedere Chloé attaccata in quel modo a lui, ma sapeva anche che, non solo doveva fidarsi di Adrien, perché lui non l’avrebbe mai tradita, ma soprattutto non doveva comportarsi in modo geloso. L’aveva imparato a sue spese quando le era successo l’ultima volta con Lila, quando, praticamente due anni prima, l’aveva umiliata davanti ad Adrien.
«Invitarmi al concerto di Jagged…» rispose lui, alzando le spalle non curante e Alya emise un verso stizzito.
«Chloé “sono la figlia del sindaco” Bourgeois è sempre pronta a comprare chiunque con i suoi regali.» aggiunse poi.
«Io credo si senta più sola di quanto crediate. – commentò Lila che li aveva appena raggiunti, attirando l’attenzione di tutto il gruppo – Non dico che la sopporto, sia chiaro, semplicemente la comprendo. Io mi sentivo esattamente così quando arrivai a Parigi.»
«Ti dirò, – commentò Marinette ricordando il primo incontro con la giovane italiana – preferisco una che mente, piuttosto che una che tratta tutti come fossero spazzatura.» a quell’ultimo commento i quattro uscirono dall’edificio, dandosi poi appuntamento al giorno dopo.

 

Mise i due bicchieri da cocktail sul vassoio, pronti per essere serviti e, immediatamente, arrivò il giovane cameriere che staccò un foglietto da suo bloc notes e lo poggiò sul bancone di fianco al vassoio.
«Una Cocacola e due patate al cartoccio.» disse, prendendo poi il vassoio.
Jinnifer si voltò afferrando un bicchiere di vetro, assieme al pezzo di carta, e buttandoci dentro tre cubetti di ghiaccio, per poi metterlo sotto la spillatrice delle bibite, riempiendola del liquido marroncino; quando fu pieno quasi fino all’orlo, lo tolse e vi aggiunse una fettina di limone.
Proprio in quel momento il suo cellulare vibrò nella tasca dei jeans che stava indossando. Posò il bicchiere sul bancone e afferrò il telefono. 
Angelie
Emergenza al concerto di Jagged Stone, sembra che molti fan siano impazziti. 
Marinette
Va bene, ci vediamo all'entrata sul retro del Bataclan.

La ragazza fece un sospiro, mettendo nuovamente il blocco al cellulare e togliendosi il grembiule nero che aveva alla vita.
«Antoin, mi devo assentare. – disse poggiandolo sul bancone – Un'emergenza...» l'uomo sospirò a sua volta, alzando gli occhi al cielo.
«Ci vediamo domani, rossa.» le rispose poi il suo capo, che le regalò un sorriso.

 

L’ultimo ad arrivare fu Pavon, atterrando vicino al resto del gruppo.
«Sempre in ritardo pel di carota. – lo punzecchiò Chat Noir divertito, ricevendo però subito un’occhiataccia dall’eroina arancione – Scherzavo, volpe.» disse alzando le mani.
«Come ci organizziamo?» domandò JBee, bloccando il battibecco, prima ancora che cominciasse.
«Ho già parlato con il tenente Raincomprix, ha detto che ci farà passare per cercare di risolvere la situazione.» rispose Ladybug, mordendosi il labbro inferiore.
«Però non capisco, possibile che non riescano a gestire una rissa?» questa volta fu l’eroe della tartaruga a parlare.
«A quanto pare non è una rissa normale: dicono che alcuni fan sono completamente impazziti. All’improvviso hanno cominciato a urlare e lanciare bottiglie, tutti assieme.» spiegò Chat Noir.
«Non perdiamo tempo allora.»
Il gruppo entrò sul retro del locale, facendo quasi irruzione. Dietro la porta li aspettava il padre dell’ex migliore amica di Chloé che li scortò nella sala principale del locale.
«Abbiamo già scortato fuori Jagged Stone e la sua band, assieme allo staff, ma purtroppo alcuni spettatori del concerto sono ancora dentro perché non siamo riusciti a separarli da quelli che sono impazziti.» spiegò l’uomo.
«Non si preoccupi tenente, ci pensiamo noi adesso.» lo rassicurò Ladybug.
Irruppero nella sala principale del palazzetto, in cui era rimasta ormai poca gente. Come aveva riferito loro il tenente Raincomprix, gli agenti della polizia non erano riusciti a far uscire tutti gli spettatori. Alcune persone erano rannicchiate contro le pareti, spaventate; altre se ne stavano sotto le sedie; infine c’erano quelli che erano impazziti che urlavano, lanciavano qualsiasi cosa trovassero sotto mano, lottando persino tra di loro.
Non appena entrarono però, si bloccarono tutti voltandosi verso i nuovi arrivati, come fossero delle belve affamate e loro i poveri sventurati che erano appena entrati nella gabbia dei leoni.
«Solo io ho una brutta sensazione?» domandò TartaTitan, osservando la situazione che si era creata.
«No amico, fidati. Mi si stanno rizzando tutti i peli.»
«Chat tu non hai i peli.» lo rimproverò Ladybug.
«È un modo di dire mon cher.»
«Potremmo pensare alla situazione, per favore?» intervenne Volpina.
«Hai qualche piano, Ladybug?» domandò a quel punto la portatrice del miraculous dell’ape.
Non ebbe il tempo di rispondere; come se improvvisamente avessero ricevuto un ordine, tutte le persone che poco prima li avevano puntati, si lanciarono verso di loro, urlando. Improvvisamente si trovarono tutti quanti a dover parare gli irruenti colpi dei loro nemici.
«Ladybug?» domandò nuovamente qualcuno, non capì con esattezza quale dei suoi compagni, troppo presa dai due ragazzi, completamente fuori di senno, che stava affrontando.
Tra un colpo e l’altro, cominciò a guardarsi intorno, sperando di avere un’idea brillante e pian piano, qualcosa riuscì a delinearsi nella sua mente: un piano sicuramente non perfetto, ma che comunque avrebbe potuto funzionare.
«Volpina! – gridò – Appena ti dò il via usa il tuo potere. Mariposa, tu tieniti vicino uno dei nemici, uno qualsiasi, appena si crea la nebbia dovrai akumatizzarlo e farti dire cosa gli è successo. A quel punto la nebbia si sarà diradata, per via degli aereatori, ma io avrò usato il Lucky Charm, da quel momento in poi penserò alla seconda parte del piano. Tutti gli altri devono impedire a chiunque di avvicinarsi a Mariposa e alla sua vittima. Tutto chiaro?» percepì vari mormorii e altrettanti cenni di testa, mentre la battaglia proseguiva furiosamente.
Ladybug tirò un potente calcio a uno dei suoi avversari, facendolo volare lontano. 
«Ora!»
«Fox Fog!» urlò l’eroina volpe e, in pochissimo tempo, il palazzetto si riempì completamente della solita nebbia arancione, impedendo la visuale a tutti.
«MakeHero…» disse invece a mezza voce la portatrice della riproduzione, subito di fianco a lei apparve una farfallina bianca, che le si poggiò sulla mano. Esattamente come Papillon a suo tempo aveva fatto con molte sue vittime, lei compresa, la farfalla si tinse di nero e svolazzò verso il pazzo più vicino.
Questi si fermò improvvisamente e, poco dopo, fu avvolto da un essenza nera.
«Mariposa, ricordati che abbiamo cinque minuti!» l’avvertì Ladybug. Lei allora, senza farselo ripetere si isolò dal resto della battaglia, sicura che i suoi compagni l’avrebbero protetta e cominciò a parlare con l’akumatizzato.
La ragazza che stava affrontando poco prima si stava avvicinando nuovamente a lei, gridando e inveendo, ma Chat Noir le si parò davanti e gli sferrò un deciso colpo di bastone contro lo stomaco, facendole portare le mani al ventre per il dolore, sputacchiando un po’ di saliva.
«Vacci piano micetto, ricordati che sono esseri umani e non akumatizzati super potenti.» lo avvisò Ladybug, colpendo in testa un nemico con il suo yo-yo.
Lui rispose con un verso indeciso, dedicandosi a un’altro ragazzo.
«Saranno anche persone normali, ma picchiano come dei dannati.»
Lei scosse la testa, poi, appena si rese conto di essere libera, evocò il suo potere.
«Lucky Charm!» tra le mani le cadde una lunga fune.
«Forse li dobbiamo semplicemente legare tutti assieme.» propose Pavon, che aveva visto la corda rossa a pallini neri che la compagna, nonché leader del gruppo, aveva ricevuto dal suo potere.
«Ladybug! – intervenne in quel momento la voce argentina della portatrice della farfalla – Sono controllati da un soldato di Makohon. Credo basti purificarli.» disse.
«Stiamo scherzando? Già per purificare solamente mio padre stava per morire, non le farò riportare normali quindici persone!» gridò Chat Noir, fuori di sé.
A quel punto la ragazza coccinella si avvicinò a lui, allungando una mano guantata di rosso e posandogliela sulla guancia, per poi regalargli un dolce sorriso.
«Andrà bene, te lo prometto; risolveremo tutto e poi torneremo al nostro appuntamento.» gli disse con dolcezza.
Lo sguardo felino dell’eroe gatto, però, sembrò non cambiare: i ricordi della battaglia a Parc des Princes erano ancora troppo vividi nella sua mente, nonostante fossero passati ormai parecchi mesi.
«E della tua corda che ne facciamo?» domandò TartaTaitan, parando con il suo scudo un potente pugno di un nemico.
«Leghiamoli!» intervenne la portatrice dell’ape, tendendo la mano verso Ladybug. Lei rispose con un cenno di testa e le consegnò la fune; dopodiché si allontanò dal gruppo, mentre i suoi compagni si prendevano anche i suoi nemici.
Si mise sul palco, proprio dove, molto probabilmente, vi era stato Jagged Stone, poco prima.
«Ti prego Tikki, non dobbiamo mollare.» sussurrò, praticamente a se stessa, visto che la kwami era stata risucchiata dagli orecchini che stavano decretando il loro primo minuto da quando aveva usato il potere.
Chiuse gli occhi, concentrando tutta l’energia sulla sua arma, proprio come aveva fatto nella sua ultima vera battaglia, iniziando a farlo roteare sempre con gli occhi chiusi: si sarebbe lanciata nuovamente nella battaglia solo nel momento in cui sarebbe stata sicura che lo yo-yo era abbastanza carico di energia.
Si sentiva completamente isolata da tutto ciò che la circondava, le voci del combattimento e le discussioni dei suoi compagni erano ovattate nella sua mente, ma all’improvviso, una più di altre la distrasse.
«My lady, fermati… Ce l’hai fatta.» le sussurrò la voce di Chat Noir all’orecchio, mentre sentiva la presa salda delle sue mani attorno alla vita e la robustezza dei suoi pettorali contro la schiena.
Aprì gli occhi e vide tutti e quindici gli uomini che erano usciti di senno, legati dalla corda, confusi e completamente ignari di ciò che era successo.
«Ma come ho fatto? Io… Credevo che…»
«Ce lo stiamo chiedendo tutti.» la precedette il portatore della tartaruga.
«Ehm, ragazzi… Possiamo rinviare le domande a dopo? Io e Mariposa stiamo per detrasformarci.» disse Volpina, indicando il suo pendente che ormai aveva solo una tacca arancione.

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Capitolo 5
*** L'anno ***


L'anno
 

La ragazza si strofinò per l’ennesima volta le mani contro le braccia coperte dal cardigan color borgogna. A quel gesto Adrien sospirò, osservandola con aria preoccupata.
«Marinette, dico sul serio, ti senti bene? Vuoi… Vuoi che ti riaccompagno a casa?» chiese, mentre continuavano a passeggiare lungo la Senna. Il suo tono era tutt’altro che tranquillo, insomma era settembre, ma non è che quella sera facesse relativamente freddo, eppure lei sembrava comportarsi come se sentisse brividi continuamente. Nonostante ciò, lei scosse la testa.
«No, no… Sto… Sto bene, tranquillo. – lo rassicurò, tirando fuori il migliore dei suoi sorrisi, per niente forzato – E poi non rovinerei questo appuntamento per niente al mondo.» concluse sedendosi su una panchina tenendo il sedile con le mani appoggiate proprio sul bordo e osservandolo con quei suoi occhi blu cielo. 
Quello sguardo gli fece tirare un sorriso. Si sedette vicino a lei, allungando le gambe in avanti e poggiando il braccio sinistro sullo schienale della panchina, proprio alle spalle di Marinette.
«Scusami. – disse con un altro sospiro – È che... è da quando abbiamo finito la battaglia che ti vedo in questo stato e...» lei sorrise di nuovo, poggiandogli una mano sulla guancia e dedicandogli lo sguardo più dolce del mondo.
«Adrien... Dico davvero, sto bene. Non devi preoccuparti di nulla, io...»
Si dovette bloccare, perché lui aveva ruotato leggermente il viso, in modo che la sua bocca incontrasse il suo palmo; dopodiché allungò la sua mano destra e intrecciò le dita alle sue.
«Alcune volte a casa, – iniziò a dire – mi sveglio ancora nel letto, terrorizzato. Io non... non potrei sopportare di perderti e ora che non stiamo più affrontando criminali comuni, ora che Makohon sembra tornato...» il suo respiro incominciò a farsi leggermente affannato è irregolare.
«Adrien, ora sei tu che mi stai facendo preoccupare. Guardami, sto bene. Respira.» le disse con tono dolce, poggiandogli la mano, non intrecciata alla sua, sul petto.
Chiuse gli occhi, cercando di riprendere il controllo di se stesso e del suo respiro, per poi riaprirli, stringendo più forte la mano della fidanzata.
«Hai ragione, basta preoccupazioni.» fece con un sorriso nuovamente radioso, come se con un semplice colpo di spugna fosse sparito tutto, per poi avvolgerle le spalle con il braccio che fino a poco prima era poggiato sulla panchina.
«E comunque, se ti fa stare più tranquillo, sono nervosa per la verifica di domani, non ha nulla a che fare con la nostra disavventura di questo pomeriggio.» lo tranquillizzò lei, accoccolandosi al suo petto.
Lo sentì ridere in modo silenzioso, percependone solo il movimento del petto.
«Così agitata per qualche esercizio di matematica, my lady?» domandò allora lui. Lei alzò lo sguardo poggiando il mento sul suo petto, gli occhi sgranati e le sopracciglia sollevate, come se gli stesse domandando se stesse scherzando.
«Mi prendi in giro? Sai bene quanto so essere frana in matematica.»
«Sì, credo di ricordare il tuo complicato rapporto con i numeri.» scherzò lui, sfiorandole il naso con il dito indice.

 

Si buttò sul letto con il cellulare in mano, facendo subito partire la videochiamata e attendendo la risposta del suo interlocutore.
Dopo alcuni squilli, finalmente sullo schermo dello smartphone comparve un ragazzo: aveva corti capelli neri a spazzola e un paio di occhi azzurri come il cielo.
«Finalmente ti sei decisa a chiamarmi!»
«Scusami… – fece lei passandosi un mano sul viso – Vedi, quando hai chiamato ero impegnata e poi…»
«Jinny, lo sai che non devi darmi spiegazioni vero?»
Si morse il labbro, facendo un cenno di assenso con la testa.
«Che mi racconti? Che tempo fa a Londra?» chiese poi, mettendosi a pancia in giù e sollevando le gambe, iniziando a farle dondolare.
«Piove, come sempre. E te? Come va il lavoro al bar?» domandò il ragazzo e lei per tutta risposta sollevò leggermente le spalle.
«Nulla di nuovo, al bar è sempre la solita routine. Ah, però l’altro giorno con gli altri siamo andati a un locale bellissimo in zona Pigalle e…»
«Un momento, quella zona non è quella del Mouline Rouge, il quartiere a luci rosse?» domandò lui fermando la sua fantasia.
«Oh sì… Può darsi… Tranquillo non è successo nulla. – lo rassicurò facendogli l’occhiolino – Comunque dicevo siamo andati in questo locale e il ragazzo che faceva i cocktail era bravissimo!»
«Immagino anche carino, visto con che aria sognate ne parli.» la rimbeccò lui e a quel commento lei sbuffò, un po’ contrariata.
«E io che pensavo di essermi scansata il momento gelosia… Praticamente tutti i maschi se la sono presa con noi. Che ci potevamo fare se era un bel ragazzo?» bofonchiò e lui scoppiò a ridere divertito.
«Tranquilla streghetta, sai che non sono geloso, o meglio lo sono, ma mi fido troppo di te per crederci davvero.»
Lei sorrise, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Mi piace quando mi chiami streghetta.» disse, mordendosi nuovamente le labbra.
«Lo so… Ora però vai a letto, che domani hai il turno di mattina.» si raccomandò lui, mentre le sbadigliava, effettivamente stanca.
«È incredibile come sappia più tu i miei turni di lavoro da Londra, che io che sono qui.»
«Questo perché io ho più memoria di te Jinny.» le rispose lui e, subito dopo, la ragazza sentì un tuono.
«Mmmh, mi sa che tra poco pioverà anche qui.» disse, osservando fuori dalla finestra.
«Buonanotte.»
«Buonanotte Henrie.» gli rispose, chiudendo la videochiamata.

 

«Sul serio?» chiese Tian sgranando gli occhi.
«Perché dovrei mentire? Wayzz te lo può confermare.» gli rispose il vecchio indicando il suo vecchio kwami.
«Oh sì, lo ricordo bene. È successo esattamente un anno fa, oggi.»
«E come… Sì insomma, com’è successo?» chiese il giovane cinese, curioso di saperne di più.
«Oh, fattela spiegare da lui. Io sono troppo stanco, credo che andrò a farmi una bella dormita.» disse Fu, sollevandosi da terra e dirigendosi traballante verso la sua camera da letto.

 

I due ragazzi stavano ridendo a crepapelle, mentre correvano, e anche quando arrivarono sotto il portico che percorreva tutto il palazzo in cui viveva Marinette, le loro risate non si fermarono. Nonostante fossero completamente fradici.
«Beh principessa, almeno avrai una scusa per non venire a scuola domani.» la punzecchiò lui.
Lei continuò a ridere, tirandogli un pugnetto sulla spalla, mentre lo sguardo le cadeva sulla maglietta bianca, completamente bagnata che lasciava intravedere alla perfezione il fisico scolpito del ragazzo.
«Marinette…» la richiamò lui e improvvisamente si sentì avvampare.
«Ci… ci vediamo dome... domani… Ci vediamo domani?» chiese.
Lui sorrise, scuotendo il capo divertito e avvicinandosi ancora di più a lei, per poi allungare la mano verso il suo viso e spostarle una ciocca bagnata dietro l’orecchio.
«Avresti mai pensato un anno fa di arrivare a come siamo oggi?» domandò, quasi in un sussurro.
Marinette sentì il suo cuore martellare furioso nel petto e dovette fare uno sforzo enorme per riuscire a rispondere in modo sensato e normale.
«Ti… Ti ricordo che un anno fa io ti odiavo a morte…» il biondo storse la bocca, poi osservò l’orologio che teneva al polso.
«No… Sono sicuro che a quest’ora già pensavi a me in un altro modo. Insomma sono le undici di sera ormai. A quest’ora eri a fantasticare su quel bel ragazzo che gentilmente ti aveva dato il suo ombrello.» spiegò, facendole l’occhiolino.
«Ombrello che questa genia di ragazza si è chiusa addosso facendo una bella figura di emme.» lo rimbeccò e lui sorrise di nuovo, poi si avvicinò a lei e le diede un lieve bacio sulle labbra.
«Buonanotte Marinette.» disse, quando si staccò da lei.
«Buonanotte Adrien.»

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Capitolo 6
*** I capricci ***


I capricci

La ragazza attraversò l’enorme portone di villa Agreste, accolta da quello che ormai era il piccolo di casa. Gli sorrise, allungando la mano e scompigliandogli un po’ i capelli biondo platino.
«Ciao Pierre.»
«Adrien arriva, sta parlando con mia madre riguardo i suoi impegni della prossima settimana. – spiegò il bambino con aria risoluta, per poi ritirare indietro le labbra, come se si stesse trattenendo dal dire qualcos’altro – Posso venire anche io sta sera?» domandò poi, mostrando la sua migliore espressione da cucciolo.
«Pierre, noi...»
«Non ci provare Pierre, lascia stare Marinette!» lo rimproverò Adrien, scendendo le scale.
«Ti prego, Mari... Mi annoio qui da solo.» insistette lui, tirandole il lembo del cappotto leggero che aveva indossato quel giorno.
«Pierre, non possiamo...» cercò di dire lei, mordendosi il labbro inferiore. Riuscire a resistere alle moine di quel bambino, per lei, era praticamente impossibile, allo stesso modo di come le era impossibile resistere agli occhi da gattina di Manon.
«Pierre basta!» fece il biondo, affiancandola.
Lei gli lanciò un occhiata veloce, avrebbe voluto rimanere più tempo ad ammirarlo, ma il bambino ancora insisteva, cercando di attirare la sua attenzione.
«Voglio fare anche io la serata cinema!» si lamentò, battendo i piedi e facendo sospirare il ragazzo.
«Lo sai che sei incredibile? Un giorno ti comporti da persona adulta e il giorno dopo torni ad essere un marmocchio capriccioso.»  fece Adrien, guardandolo con aria severa, a quel rimprovero lui sbuffò.
Una volta ogni due settimane Adrien e i suoi amici si ritrovavano per mangiare una pizza e vedere un film assieme, ma tutte le volte che provava a chiedere, a quello che ormai considerava come un fratello adottivo, il permesso di unirsi a loro, questi gli negava tutto. Ogni volta con una scusa diversa: una volta che il film era da grandi, l’altra volta che avrebbero fatto troppo tardi, la volta ancora che dovevano parlare di cose di scuola.
Intanto, il biondo, approfittò del suo silenzio per dedicarsi alla fidanzata.
«Com’è che sei sempre più bella tu?» domandò, stringendola a sé e poggiando la fronte contro la sua.
«E com’è che tu sei sempre più adulatore?» ribatté lei, ridendo.
«Ehi, sono ancora qui... Potreste smetterla di fare quelle cose rivoltanti da fidanzatini davanti a me?!» protestò il bambino.
«Ci vediamo, piccola peste!» lo salutò Adrien, dopodiché i due uscirono dalla casa.

 

Il campanello trillò di nuovo.
«Finalmente le pizze!» esclamò entusiasta Lila, sollevando le braccia.
«Non è strano che tu apprezzi la pizza che fanno qui a Parigi?» domandò Adrien, voltandosi verso di lei, mentre Jinnifer si alzava dal divano per andare ad aprire.
«In realtà no.» rispose lei.
«Io credevo che la pizza fosse nata in Italia, insomma fai tante storie per il caffè.» aggiunse Marinette, anche lei era parecchio stupita.
«Il fatto è che la pizza doc, cioè quella perfetta è napoletana, mentre quella romana è diversa: noi la facciamo sottile e molti italiani non l’apprezzano. Perciò sì, tutti in Italia siamo d’accordo che la pizza napoletana sia la migliore, ma a meno che non sono pizze con l’ananas come in America, o con l’uovo crudo come in Germania, la pizza è sempre pizza, più o meno buona.» spiegò molto esaurientemente la ragazza, legandosi i capelli e mettendosi più comoda.
«Senza considerare che ormai è abituata a come la fanno da Pizza Hut, visto che io l’ho sempre ordinata da lì.» aggiunse la rossa, entrando con la consegna.
«Aspetta ti aiuto!» fece subito Tian, che era il più vicino, alzandosi dal suo posto e prendendole i cartoni dalle mani.
«Comunque, riprendendo il discorso di prima. Pensate davvero che sia di nuovo Makohon?» domandò Nathaniel.
«Chi altro potrebbe controllare a quel modo le persone?» fece, più come domanda retorica, la fidanzata, poggiando poi comodamente la testa sulle sue gambe e mettendosi praticamente sdraiata sul tappeto del soggiorno.
«Concordo con la volpe, insomma non c’è nessuno che può controllare in questo modo le persone e caricarle di rabbia, tranne il potere del Miraculous della farfalla e Angelie era con noi.»
«Voi che ne pensate?» domandò Tian rivolgendosi ai kwami che si erano tutti radunati sul tavolino che stava tra il divano e il televisore.
«Prima di dare una risposta… – fece Plagg – Dove sono i nostri snack?» e Tikki si passò una zampetta sul muso, esasperata.
«Oh giusto, quasi me ne dimenticavo! – esclamò l’inglese schizzando di nuovo in piedi – Marinette mi daresti una mano?» chiese poi.
«No! – fece Adrien, stringendo la corvina da dietro e impedendole di alzarsi – Marinette sta sera è solo mia e poi scoordinata com’è farebbe cadere tutto, vero?» domandò facendo quella faccetta ironica e divertita, dedicandola proprio a lei.
A sua volta la ragazza gli mostrò la lingua, proprio mentre Angelie si alzava e si proponeva di aiutare lei a portare i vassoi con le cose da mangiare per i piccoli spiriti.
«Comunque anche secondo noi è Makohon, alla fine dei conti è sempre stato lui.» spiegò Tikki, proprio mentre le ragazze rientravano con due vassoi, il primo con tre piattini e il secondo con quattro.
«La cosa che non mi spiego è come sia possibile che sia riuscito a controllare più persone, ma allo stesso tempo usare così poca energia e spirito da non far svenire Marinette per lo sforzo.» spiegò la rossa, rimettendosi seduta.
«Cosa che mi ha resa molto felice.» aggiunse la diretta interessata.
«Puoi ben dirlo.» le fece eco Adrien.
«Forse ha un tramite.» propose Spott, sgranocchiando la sua prima patatina.
«Cioè?» domandò Nathaniel.
«Che magari Makohon controlla una persona e gli ha dato l’energia necessaria per controllare altre persone.» spiegò meglio Plagg.
«Può farlo?!»
«Ha creato i Mirauclous, ci ha dato la vita e ha posseduto un mostro marino, quindi direi che può fare qualsiasi cosa.» aggiunse Penn.
«Beh, insomma... Passiamo ad argomenti più allegri, che film vediamo sta sera? – domandò Lila, cambiando discorso – A chi tocca scegliere?»
«Al tuo ragazzo.» rispose Adrien.
Nathaniel storse la bocca, indeciso, osservando dal suo posto il mobiletto in cui l’inglese teneva tutta la sua infinita raccolta di DVD e Blue-ray, poi propose subito la sua scelta.
«Ce l’ho: The Amazing Spiderman 2»
«Dillo che ci vuoi far piangere tutte!» protestò Jinnifer, sospirando e accendendo la televisione, prendendo poi il Blue-ray dal mobiletto.

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Capitolo 7
*** L'artista ***


L'artista
 

«Nathy, sei tu?» domandò sua madre quando lo sentì rientrare.
«Sì mamma.» gli urlò di rimando lui, chiudendosi la porta d’ingresso alle spalle.
«Com’è andata a scuola?»
«Come sempre mamma.» sbuffò, per poi fiondarsi nella sua camera. Se c’era una cosa che non sopportava era fare il resoconto a sua madre di ciò che gli accadeva. 
In realtà odiava raccontarle qualsiasi cosa; non è che non la sopportasse, anzi tutt’altro: sua madre era praticamente l’unica che non l’aveva abbandonato, visto che suo padre non solo non lo voleva tenere prima ancora che nascesse, ma aveva anche abbandonato entrambi quando lui aveva appena compiuto cinque anni, esattamente il giorno dopo del suo compleanno.
Sua madre però, da quel giorno era diventata ingestibile, almeno in ambito casalingo: non era pazza o depressa, anzi lavorava duramente al Magasine Sennelier, il negozio d’arte a soli tre minuti da casa loro, come commessa e spesso gli comprava qualcosa con lo sconto da dipendente, alcune volte delle matite, altre volte dei pantoni e i suoi clienti la trovavano gentile e adorabile. 
Quando tornava a casa, però, diventava apprensiva, morbosa e quasi soffocante, forse perché aveva paura che anche lui un giorno l’avrebbe abbandonata; ma nonostante sapesse che non l’avrebbe mai fatto, aveva continuato per anni a comportarsi in quel modo, più o meno fino all’ultimo anno di college. Poi, dopo una sua sfuriata, il giorno del suo compleanno, appena persi i poteri da Dessinateour, lei sembrò capire. Preso ancora dal coraggio e dalla sicurezza che Papillon gli aveva dato assieme ai poteri, aveva urlato alla madre tutta la sua frustrazione e il suo non poter vivere in quel modo, con il suo fiato sul collo ogni giorno.
Ovviamente la mattina dopo le chiese scusa, con la testa bassa, ma da quel giorno la madre gli lasciò un po’ più di libertà, permettendogli persino di andare in vacanza con gli amici o di passare assieme a loro le serate film. Lila gli aveva fatto notare che forse era anche dovuto a quel continuo volerlo proteggere di sua madre, che lui era così timido.
«Comunque ribadisco che dovresti trattarla meglio, insomma è pur sempre tua madre.» disse Penn, uscendo dalla sua tracolla di scuola e piazzandosi davanti allo specchio per aggiustarsi la coda.
«Non è vero che la tratto male, semplicemente oggi non è giornata.» sbottò lui buttando la borsa in un angolo della stanza, non prima di aver tolto dal suo interno, l’album da disegno.
«Per colpa di quella ragazza che ti ha bloccato nel corridoio? – domandò il kwami passandosi le zampette sulle guance, come a volersele lisciare – Chi era a proposito?»
Lui sbuffò, sedendosi alla scrivania.
«Lascia stare, non capiresti.»
«Sai, vivo da un sacco di anni, capisco più cose di quanto pensi. Chi è? La tua nuova cotta?» domandò, voltandosi finalmente verso di lui.
«Cosa?! Che schifo, no! E poi lo sai benissimo che io sto con… Sì insomma che io e Lila…» le sue guance diventarono dello stesso colore dei suoi capelli.
«Ok, ok. Riconnetti il cervello Nath.» fece l’esserino blu, con tono più tranquillo, poggiandosi sulla sua spalla.
Lui fece un profondo respiro, cercando di riprendere la calma, poi allungò la mano dal barattolo delle matite e scelse la più adatta, cominciando a disegnare.
«Il fatto è che… Sabrina, quella ragazza, veniva con me, o meglio con tutti noi, alle medie ed era praticamente la schiavetta di Chloé.»
«Chloé quella che t’importunava?» domandò il kwami, cercando di capire e Nathaniel rispose solamente con un cenno di testa.
«Non capisco... Pensi che nonostante siano in due scuole diverse lei faccia…?»
«Faccia ancora il lavoro sporco per lei, esatto. Insomma sicuramente, lì dove va lei, avrà trovato altre finte amiche di cui approfittare, ma oggi ho avuto la strana sensazione che Sabrina si stesse comportando di nuovo come al college.» spiegò lui, tracciando le prime linee base per il nuovo personaggio che aveva in mente.
«Cioè?»
«Insomma per praticamente due mesi di scuola non mi ha calcolato di striscio e oggi, improvvisamente, si interessa a...» tirò fuori la lingua inclinando un po’ la testa.
«... a te?» domandò il kwami, completando la frase, mentre lui cercava quel qualcosa che non lo convinceva nel disegno.
«Forse ci vuole un po’ più di prospettiva...» borbottò, prendendo la gomma e strofinandola leggermente sul foglio.
«Pronto? Kwami chiama Nathaniel, stavamo parlando della rossa ricordi?» fece Penn, scostandogli una ciocca di capelli e urlandogli nell’orecchio.
«Ahia! Maledizione, piuma blu!» si lamentò il ragazzo portandosi la mano all’orecchio, per fortuna aveva già sollevato la gomma dal foglio, altrimenti per lo spavento avrebbe rischiato di strapparlo.
«Sul serio ragazzino, sei incredibile, quando disegni ti isoli completamente dal mondo.» si lamentò, facendogli tirare un sorriso tra il divertito e l’ironico.
«A detta di Adrien mi isolo sempre dal mondo…» disse, riprendendo a disegnare.
«Tranne quando ci provavi con la sua ragazza?» scherzò il piccolo pavone, strappandogli una vera risata.
«Ma poi vorrei sapere quando mi ha visto provarci con Marinette, a malapena riuscivo a parlare davanti a lei; l’unica volta in cui ho avuto un po’ di coraggio è stato quando sono stato akumatizzato e… Ora che ci penso è stato proprio Chat Noir a rovinare il nostro appuntamento.» fece lui, tornando con la mente a quella sera in cui stava festeggiando il suo quindicesimo compleanno in compagnia di Marinette.
«Comunque tornando a noi, mi vuoi dire o no perché pensi che la rossa collabori ancora con quella Chloé?» domandò nuovamente il kwami, riportando la conversazione sull’argomento principale.
«Non lo so… Mi è sembrato strano il suo comportamento di oggi e poi aveva quello stesso identico sguardo che assumeva quando lei e Chloé tramavano qualcosa.» rispose lui.

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Capitolo 8
*** I consigli ***


I consigli

Il ragazzo fece un grosso sospiro, per poi afferrare la tazza di the che gli era stata offerta e berne un lungo sorso.
«Allora, pel di carota, spiegami cos’è che ti agita.» fece Adrien, vedendolo così teso. Lui ingoiò la bevanda calda e, continuando a stringere convulsamente il recipiente di porcellana, parlò.
«Il fatto è che... Da un paio di giorni a questa parte, mia... mia madre è più strana del solito.»
Il biondo aggrottò le sopracciglia, Nathaniel raramente parlava della sua vita a casa, in particolare della sua famiglia; l’unica cosa che Adrien sapeva, e che probabilmente sapevano tutti, era che viveva solo con sua madre, ma nulla di più.
Quel giorno però, per qualche motivo che Adrien ancora non comprendeva, gli aveva chiesto di vedersi, dicendo che aveva urgente bisogno di parlare con lui e con nessun altro. Per questo motivo gli aveva proposto di venire da lui, in modo che potessero parlare tranquillamente. Sempre se si poteva definire tranquilla casa Agreste, da quando il figlio adottivo di Nathalie viveva lì.
«Che fate?» domandò il piccolo, facendo capolino dalla porta della camera di Adrien, tanto che i due kwami dovettero schizzare a nascondersi dietro uno dei cuscini sul divano, per non farsi vedere.
«Pierre, maledizione! Quante volte ti ho detto che non puoi entrare così all’improvviso in camera mia?» domandò scocciato Adrien.
Il bambino si accigliò, tirando fuori il labbro inferiore e facendo il broncio.
«Avevi promesso che avremmo giocato assieme questo pomeriggio.» disse, con quel tono disperato e cantilenante, che caratterizza tutti i bambini che vogliono convincere gli adulti.
«Lo so, ma è sorto un problema e...» tentò di rispondere il biondo, ma prima ancora di finire la frase, Nathaniel si era alzato, avvicinandosi al bambino e chinandosi davanti a lui.
«Se ci lasci tranquilli per i prossimi venti minuti, ti prometto che dopo ti faccio vedere una cosa molto speciale.» disse e Adrien quasi si trattenne nello spalancare la bocca. Improvvisamente la parte timida e introversa del rosso, quella che aveva visto fin dal primo giorno in cui l’aveva conosciuto, era sparita completamente, lasciando solo sorrisi dolci e uno sguardo sicuro di sé. Fu talmente convincente che gli occhi azzurro ghiaccio del bambino si illuminarono, subito dopo fece un cenno di testa e scappò via, uscendo dalla stanza.
«Come accidenti hai fatto?» domandò sconvolto, solitamente lui faceva una fatica immensa a convincere quella piccola peste a lasciarlo in pace.
Lui si tirò su, alzando leggermente le spalle.
«Fino a qualche anno fa badavo ai miei due cuginetti... Non so perché, ma con i bambini mi sento a mio agio... Sono le uniche persone con cui non ho problemi a rapportarmi, anzi sembra quasi che...»
«...che ti ammirino...» concluse la frase Adrien, mordendosi il labbro, onde evitare che l’altro si accorgesse del suo fastidio. Questa volta la vanità nello sguardo verde acqua del ragazzo era stata quasi evidente.
Il rosso rispose con un cenno di testa, per poi tornare al divano e sedersi.
«Allora, dicevi su tua madre?» chiese nuovamente Adrien, sorseggiando il suo the.
Nathaniel, s’ingobbì, incassando la testa in mezzo alle spalle, per poi cominciare a parlare.
«Vedi mia madre è... è sempre stata molto apprensiva e soffocante... Da quando mio padre se n’è andato ha sempre avuto paura che prima o poi io avrei fatto altrettanto.»
Il biondo fece un verso stizzito, quasi fosse una risata ironica.
«So benissimo che vuol dire.» aggiunse, spiegando quella sua reazione.
«Per questo ho chiesto a te. So che sei l’unico che può capirmi…» disse allora lui.
«Continua…»
Nathaniel diede l’ultimo sorso al suo the, svuotando completamente la tazza, che subito dopo poggiò sul piattino che stava sul tavolo di fronte a loro.
«Il fatto è che, per quanto volesse sempre sapere dov’ero, cosa facevo e dove andavo, non mi ha mai dato grossi problemi; tranne il primo periodo dalla fuga di mio padre, in cui era caduta in depressione, siamo sempre rimasti con l’accordo che, almeno in casa, io ignoro lei e lei ignora me. Insomma ci lasciamo in pace a vicenda…»
«E ora non è più così?» domandò Adrien, concludendo anche lui il suo the. Il ragazzo scosse la testa.
«Continua a entrare in camera mia, a chiedermi che faccio, a dirmi cosa devo fare… Stamattina è arrivata persino a impormi di non andare a scuola, non ti dico poi quando le ho detto che venivo da te.»
Adrien rimase zitto, tirando in dentro le labbra e pensando a quello che il rosso gli aveva appena raccontato.
«So che sembra stupido chiedertelo, ma hai provato a parlagliene? Insomma a spiegarle le tue motivazioni?»
Rispose con un leggero cenno di testa e Adrien credette non ci sarebbe stata altra risposta, perché per una buona manciata di secondi nella stanza calò l’assoluto silenzio.
«Una volta, quando lo facevo, – riprese a parlare, osservandosi le mani che stringevano le esili ginocchia – mi rispondeva con quella sua insopportabile voce smielata, dicendomi che lei si comportava così perché mi voleva bene. Ultimamente…» si fermò, portando la mano destra sull’altra, per poi farla scivolare su, fino al gomito.
«Ultimamente?» chiese Adrien, leggermente allerta. Aveva notato che improvvisamente il tono di voce dell’amico, se poteva definirlo così, si era incupito: non era più intimidito come suo solito, ma quasi, spaventato.
Lui, per tutta risposta sollevò la manica sinistra della felpa, scoprendo un grosso livido sull’avambraccio. Gli occhi smeraldini di Adrien sgranarono, osservando quell’enorme segno nero che, sulla pelle chiara di Nathaniel, appariva ancora più minaccioso del normale.
«Te l’ha fatto lei quello?» domandò sconvolto.
«Ieri… E oggi… Per venire qui da te… Ho scansato una tazza… Insomma me l’ha lanciata prima che uscissi, credo… credo si sia frantumata contro la porta di casa quando l’ho chiusa…»
«Accidenti…» biascicò il giovane modello, portandosi una mano dietro al collo. Decisamente quella situazione era molto più complicata della sua: insomma suo padre non era mai arrivato a fargli del male, almeno non fino a quando non aveva scoperto la sua identità da eroe, e forse nemmeno in quel caso.
Nessuno dei due ebbe il tempo di dire altro, perché i cellulari di entrambi suonarono, quasi in simultanea, annunciando un nuovo messaggio.
«È la hèros chat?» domandò Adrien.
«Sí...» rispose l’altro aprendo la notifica.
«Emergenza! – disse il biondo, cominciando a leggere il messaggio inviato dalla sua fidanzata – Disordine pubblico al 6 di Rue Hallè, in un negozio d’arte.»
Nathaniel sgranò gli occhi.
«Pel di carota, cosa...?» tentò di domandare, ma ricevette la risposta ancor prima di finire la frase.
«È il negozio di mia madre...»

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Capitolo 9
*** L'atelier ***


L'atelier
 

Chat Noir e Pavon atterrarono a Rue Hallé, raggiungendo così gli altri eroi. Le persone che passavano di lì giravano a largo o facevano dietro front, mentre la voce, palesemente isterica di una donna gridava e inveiva da dentro il negozio. 
Il locale aveva la vetrina laterale in frantumi, tutti i cristalli erano sparsi sul marciapiede e scrutando l’interno si notava chiaramente il caos più totale, che sembrava aumentare sempre di più.
«Finalmente siete arrivati!» esclamò Volpina, aggrottando le sopracciglia nel notare lo strano comportamento dell’eroe blu.
«Pavon che succe...» cominciò a domandare, ma si bloccò, vedendo il biondo venuto con lui, scuotere la testa. In quel momento la sua espressione divenne ancora più accigliata.
«Ladybug, qual è il piano?» domandò TartaTitan, voltandosi verso la leader.
«Entriamo dalla vetrina rotta, in modo che non si accorga subito di noi, poi... Pavon, dove stai andato?!»
Il giovane eroe, dai capelli rossi, non aveva assolutamente considerato nessuno e, quasi come fosse un automa, si era diretto all’ingresso dell’atelier, aprendo la porta e facendo suonare il campanello.
«È sua madre...» confessò, finalmente, l’eroe gatto.
«Cosa?!» esclamò Volpina.
«Dici sul serio?» domandò subito dopo l’eroe tartaruga.
«Ragazzi, ci conviene raggiungerlo, prima che si metta nei guai.» li interruppe JBee.
«L’ape ha ragione, adiamo!» confermò Chat Noir.
Il resto del gruppo entrò, quando il ragazzo pavone ancora stava attraversando il lungo corridoio che portava alla parte centrale del negozio, cercando di evitare di calpestare ogni cosa che era caduta dagli scaffali, principalmente tubetti di tempera e pantoni.
«Penn, detrasformami.» sussurrò, non appena intravide sua madre, di spalle che buttava giù una serie di blocchi da disegno dagli scaffali.
Il ragazzo fu avvolto da una luce azzurrina, tornando il giovane e mingherlino Nathaniel.
«Sei sicuro?» domandò il kwami preoccupato.
«Tranquillo piuma blu.» lo rassicurò lui, facendogli cenno di nascondersi nella tasca dei jeans.
«Sono stufa! Stufa! – continuava a gridare la donna – Tu!» sentenziò non appena vide il figlio, indicandolo col dito. A quel gesto il ragazzo si immobilizzò, rimanendo paralizzato dalla paura; non aveva mai visto sua madre così furiosa: il volto era livido e paonazzo, mentre una vena sul collo pulsava, minacciando quasi di esplodere.
«Ma... Mamma...» biascicò.
«Tu! Perché mi continui a ignorare? Tu te ne vuoi andare! Vuoi abbandonarmi come quel bastardo di tuo padre!» gridava.
«Mamma, ti... ti assicuro che non è così...» cercò di dire.
«Stai zitto!» fece lei, lanciandogli addosso qualcosa. In quel preciso istante Chat Noir si parò davanti a lui, facendo cadere gli oggetti che aveva lanciato, mentre Ladybug invocava a gran voce il suo potere.
Nathaniel abbassò lo sguardo, notando che ciò che si era scontrato con il pavimento, dopo essere stato colpito dal bastone di metallo dell’eroe gatto, erano due compassi.
Improvvisamente percepì il respiro spezzarsi e il cuore cominciare a martellare frenetico. Se solo una delle punte di quegli attrezzi l’avesse preso sul viso avrebbe anche potuto ucciderlo. Sua madre, colei a cui, nonostante tutto, teneva di più al mondo, aveva tentato di mettere fine alla sua vita.
«Pel di carota, tutto bene?» domandò l'eroe in nero e dovette ripeterlo altre due volte prima che lui rinsavisse da quella cupola di terrore. Fu Ladybug a farlo tornare in sé. 
«Nathaniel, stai bene?» gli chiese, mettendogli una mano sulla spalla. Si voltò verso di lei, notando che in mano aveva un piccolo tubetto di vernice rosso a pois neri. Fece solo un leggero cenno di testa, per risponderle.
«Tranquillo amico, è solo controllata dalla forza oscura di Makohon, come lo erano quelli al concerto.» lo rassicurò TartaTitan.
«Volpina, portalo via da qui!» ordinò Ladybug, lanciando uno sguardo d’intesa all’eroina arancione. Era sicura che lei avrebbe saputo tranquillizzare Nathaniel e fargli ritrovare il coraggio di prendere nuovamente i panni di Pavon per combattere sua madre.
«Qualche idea, my lady? Vuoi spruzzargli addosso la vernice?» domandò Chat Noir, scherzando ed evitando un set intero di pennelli, che la donna gli aveva scagliato addosso, inveendo contro tutti loro e blaterando qualcosa sul fatto che condizionavano suo figlio.
«Per ora lasciamo perdere il mio Lucky Charm... Credo che TartaTitan abbia ragione. Dovrò purificarla, ma...» si abbassò evitando una serie di squadrette.
«Ma...?» domandò allora Angelie.
«È troppo aggressiva e soprattutto ha troppe armi, perciò dovremmo immobilizzarla.» rispose lei.
«Vuoi che uso il mio potere?» domandò allora la ragazza ape, voltandosi verso la compagna.
Fu un attimo, bastarono quei pochi secondi di distrazione.
«JBee attenta!» gridò Volpina, che era appena rientrata con Pavon dentro l'atlier. 
Fu troppo tardi, nessuno di loro riuscì ad evitarlo, nonostante sia Chat Noir che Ladybug fossero già scattati verso di lei. La signora Kurtzberg aveva colpito con forza la libreria di compensato alle spalle dell'eroina e questa le precipitò addosso, con tutti i libri. Il colpo la fece piombare a terra togliendole i sensi, quasi come fosse stata colpita dal suo stesso potere.
«JBee!» gridò preoccupata la ragazza volpe, precipitandosi verso l’amica. Tartatitan si accostò a lei, sistemando lo scudo sulla schiena e aiutandola ad alzare l’enorme e ingombrante mobile di dosso all’eroina in giallo.
«Sta bene?» domandò Pavon, con aria preoccupata.
La compagna le poggiò due dita sul collo.
«Credo... Credo di sì... Ma...» disse con tono nervoso l’italiana, un tono che non aveva mai assunto, almeno non da quando era Parigi.
«Stai tranquilla Volpina. -– la rassicurò Ladybug, per poi rivolgersi ai compagni – Sbrighiamoci. TartaTitan cerca di...» tentò di dire, ma fu nuovamente interrotta dal l’eroe blu.
«Voodamirror!» aveva gridato, ancora prima che qualcuno potesse dirgli qualcosa, mentre con il suo specchio rifletteva la figura furiosa della madre.
«Signora... – disse poi con una calma quasi glaciale – mi ascolti. Non siamo qui per farle del male, nessuno lo vuole.» diceva con tono pacato, mentre quella, come ipnotizzata, faceva esattamente ciò che faceva lui, lasciando andare una scatola di matite colorate.
In quel momento Pavon, fece segno a Ladybug di agire. Lei, senza farselo ripetere attivò il suo yo-yo, accumulando energia e man mano che esso s’illuminava sempre di più, il fumo scuro che aveva fatto impazzire la donna usciva dal suo corpo, venendo risucchiato proprio dall’arma.
Quando tutta l’energia malvagia fuoriuscì dal corpo della donna, questa perse completamente i sensi e l’eroe Pavone con uno dei suoi scatti, leggiadri e agili allo stesso tempo, afferrò la donna tra le braccia, prima che si schiantasse contro il suolo.

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Capitolo 10
*** L'ospedale ***


L'ospedale
 

«Come sta?» domandò Lila, i suoi occhi color oliva erano evidentemente preoccupati, mentre guardavano il dottore del pronto soccorso dell’ Hôtel-Dieu.
Lui si sistemò gli occhiali sul naso, mentre gli altri ragazzi si avvicinavano a loro.
«È stato un brutto colpo, questo è certo, ma state tranquilli, la vostra amica non ha nulla di rotto.»
Quasi tutti tirarono un sospiro di sollievo; l’italiana si afflosciò tra le braccia del rosso, che la strinse, rassicurandola e accarezzandole la schiena.
«Nonostante tutto vorrei sapere com’è accaduto.» insistette il medico.
«Lei è…» tentò di dire Marinette, mordendosi poi il labbro, non trovando una scusa valida.
«È stata colpa mia.» intervenne Nathaniel, attirando l’attenzione di tutti.
«Pel di carota...» sussurrò appena Adrien.
Lui arrossì leggermente nel sentire lo sguardo di tutti addosso, soprattutto della ragazza italiana che era ancora tra le sue braccia e lo osservava con quei suoi occhi lucidi e languidi.
«Stavamo… Stavamo scherzando e per sbaglio ho colpito la libreria dietro di lei. Non era una libreria pesante, era compensato, almeno credo, ma le è praticamente caduta addosso.» spiegò.
Alla fine dei conti non si era tanto allontanato dalla realtà, anche se la colpa non era sua, ma di sua madre che, dopo essersi ripresa era rimasta al negozio che era tornato completamente in ordine grazie al Lucky Charm di Ladybug.
L’uomo sospirò, osservando quel piccolo manipolo di ragazzi, dagli sguardi sconvolti e abbastanza preoccupati per ricevere l’ennesima ramanzina che probabilmente, qualcuno avrebbe fatto al posto suo.
«Capisco. La prossima volta state attenti.» si raccomandò soltanto.
«Ma starà bene vero? Insomma non avrà problemi motori o cose simili.» domandò Angelie, che teneva saldamente la mano a quello che ormai si poteva dire fosse il suo fidanzato.
«Non vi preoccupate, presto la vostra amica tornerà come nuova. Certo ci vorrà un po’ di tempo prima che guarisca; ha degli evidenti ematomi e contusioni e per almeno un mese, forse un po’ di più, dovrà tenere un busto, ma per il resto si rimetterà.» detto questo il dottore si allontanò, lasciando i ragazzi nuovamente soli.
«Nath, non dovevi prenderti la colpa.» disse Lila, staccandosi da lui e guardandolo quasi con riconoscenza.
«Invece dovevo. È stata mia mamma ad essere stata controllata da Makohon, o chiunque sia, e… la colpa è solo mia.»
«Nathaniel, cosa dici, non è così!» lo rassicurò Marinette, mettendogli una mano sulla spalla.
Una lacrima, poi due e poi tre, sgorgarono dagli occhi verde scuro del ragazzo.
«Se… se fossi stato più coraggioso... se avessi avuto la forza di affrontarla subito, questo… tutto questo non sarebbe successo.» disse, tra un singhiozzo e l’altro.
«Andiamo amico, era tua madre! Non hai idea della scenata che ho fatto io quando per la prima volta ho scoperto che mio padre era Papillon. – lo rassicurò Adrien sorridendogli – Almeno ora sappiamo perché ultimamente ti sembrava così strana.»
Lui fece un leggero cenno di testa, passandosi poi la manica della maglia sul viso, nel tentativo di asciugarsi le lacrime.
«A proposito, Lila. – fece la giovane modella, rivolgendosi alla ragazza italiana – Non conviene chiamare i genitori di Jinnifer? Insomma so che sono a Londra, ma forse sarebbe il caso di informarli.»
Lei si morse il labbro, come fosse intenta a pensare.
«Non ho il numero dei suoi, ma ho quello di Henrie, forse potrei chiamare lui.» disse, per poi prendere il cellulare dalla tasca dei pantaloni bianchi che indossava e aprire la rubrica, nel tentativo di cercare il numero del fidanzato inglese della sua amica. Si portò l’apparecchio all’orecchio e dopo aver atteso qualche secondo, qualcuno rispose; in quel momento si allontanò dal gruppo, cominciando a parlare inglese.
«Ho come l’impressione che non sarà affatto facile battere il nostro nemico questa volta.» sbuffò Tian, seguendo con lo sguardo la castana, per poi voltarsi di nuovo verso il gruppo.
«Se è seriamente come dicono i kwami, ossia che è una persona, controllata da Makohon, che poi carica di rabbia le persone normali, vuol dire che siamo di nuovo contro un nemico come Papillon.» disse il rosso, esprimendo il suo pensiero ad alta voce.
«Non è così facile, pel di carota. Per quanto avessero poteri assurdi, gli akumatizzati di mio padre non riuscivano a ferirci in questo modo, o meglio se accadeva, la maggior parte delle volte potevamo risolvere con il potere del Miraculous della coccinella, ma ora...» Adrien si fermò, spostando lo sguardo smeraldino sulla fidanzata, uno sguardo carico di tristezza e preoccupazione.
«Ora che sono persone normali rese solamente più forti, ci colpiranno normalmente perciò il Lucky Charm non potrà più aiutarci, non se accadrà un’altra cosa come questa.» continuò lei con voce tremante, mentre per l’ennesima volta le si parava davanti la scena di Chat Noir ferito, il giorno che l’aveva protetta dal ninja.
Il biondo le afferrò la mano per rassicurarla e lei, senza pensarci nemmeno un secondo si rannicchiò a lui, poggiando la testa nell’incavo del suo collo e facendosi abbracciare.
«Tranquilla Marinette! – fece l’italiana, che stava tornando dalla chiamata e aveva sentito l’ultimo pezzo di conversazione – Sappiamo bene a cosa andiamo incontro: ce l’hai riferito il primo giorno che ci siamo riuniti ricordi?» fece lei con un sorriso incoraggiante. La Lila spaventata e preoccupata per l’amica sembrava essere sparita, o meglio sembrava molto più tranquilla e rilassata, come se quella telefonata l’avesse rinvigorita.
«Lo so, però…»
«La volpe ha ragione, my lady. Te l’ho detto: siamo eroi, siamo pronti anche a questo. Se il nostro compito e difendere Parigi, lo faremo.» disse il giovane modello, accarezzandole la guancia con un gesto affettuoso.
«Concordo! In fin dei conti siamo stati scelti per questo, no?» le sorrise Tian.
«Allora, cosa ti ha detto il fidanzato di Jinnifer?» domandò a quel punto Angelie, tentando di cambiare leggermente discorso, in modo da dare un po’ di respiro a Marinette che, nonostante le loro rassicurazioni, pareva parecchio scossa dalla situazione.
«Gli ho praticamente dato la stessa versione che Nath ha dato al dottore, omettendo però di chi era la colpa, e mi ha detto che contatterà lui i suoi genitori. Gli ho chiesto anche se riusciva a venire, ma mi ha risposto che per via del lavoro difficilmente riuscirà a liberarsi, però mi ha assicurato che chiamerà tutti i giorni.» rispose l’italiana in modo spiccio.
«Non verrà?» chiese un po’ sconvolto il rosso.
Lei tirò in dentro il labbro inferiore scuotendo la testa.
«Almeno questo è quello che mi ha detto.”
«Ma scusa, che lavoro fa?» domandò allora la modella corvina.
«Credo faccia il cameriere in un ristorante. Spesso si lamenta con Jinny per i suoi orari assurdi e per il capo che è terribile.»
In quel momento un infermiera si avvicinò a loro.
«La paziente può ricevere visite, se volete entrare. Però massimo due alla volta.» spiegò.
«Vai prima tu Lila.» disse Adrien.
L’italiana sgranò gli occhi verde oliva. Era da un sacco di tempo che lui non la chiamava per nome e, soprattutto, che non si rivolgeva a lei in tono così dolce e premuroso. A quel punto Nathaniel le afferrò la mano e lei si voltò verso di lui, che le sorrise.
«Forza, andiamo.» disse il ragazzo ed entrambi, mano nella mano si diressero verso la stanza dov’era stata ricoverata la portatrice del Miraculous dell’ape.

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Capitolo 11
*** Il dubbio ***


Il dubbio
 

«Allora? Come sta Jinnifer?» domandò Adrien sedendosi al banco, pronto per una nuova giornata di lezioni.
«Molto meglio. Ieri sera è persino riuscita a sedersi sulla sedia e a non mangiare sul divano.» gli rispose Marinette, prendendo i quaderni dal suo zaino.
«Speriamo si rimetta presto, sarebbe un bel problema se Makohon attaccasse prima che lei guarisca…» commentò lui, ma se ne pentì subito, la ragazza gli lanciò un’occhiata furiosa e quasi di rimprovero.
«Sul serio pensi a quello?!» disse quasi scocciata.
«No, certo che no. Intendevo dire che…»
«Ce la possiamo cavare anche senza di lei.» lo interruppe nuovamente la ragazza.
«Hai ragione scusa… È che questa situazione m’innervosisce. Insomma non è strano che tra tutti i parigini il nostro nemico sia riuscito a scovare giusto la madre di pel di carota?» domandò Adrien leccandosi le labbra con un gesto nervoso, proprio mentre Alya e Lila entravano in aula.
Marinette le salutò appena; effettivamente anche lei si era chiesta come fosse stato possibile. Certo non era nemmeno troppo strano, visto che quando Gabriel Agreste era Papillon era capitato più di una volta che fossero stati akumatizzati i suoi amici, perciò non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto. Eppure la cosa in qualche modo le puzzava terribilmente, come se ci fosse qualcosa che le sfuggiva in tutta quella faccenda.
«Marinette, tutto ok?» domandò la voce di Alya, riportandola alla realtà.
«Eh?! Oh, sì, sì, tutto apposto…» disse, scuotendo la testa e prendendo il libro.
«Che le hai fatto?» domandò Lila guardando torvo Adrien.
«In che senso? Perché ogni volta che c’è un problema deve essere colpa mia?!» protestò il biondo, mettendo su il broncio. Quell’espressione strappò un sorriso a Marinette, facendola tornare raggiante.
«Non è colpa sua Lila, pensavo solo alla solita situazione.» commentò lei, rassicurando le due amiche.
«Oh giusto… Come sta la vostra amica?» domandò pure Alya, prendendo anche lei posto.
«Meglio.» rispose appena Lila, per poi zittirsi all’ingresso del professore.
«Un giorno dovrete presentarmela, anzi un giorno dovete presentarmi tutto il gruppo, non è giusto che mi abbiate isolato.»
«Signorina Césaire, le dispiacerebbe chiacchierare dopo la lezione?» la rimproverò il professore.
«Promesso Alya, la prossima volta ti presentiamo tutti.» le sussurrò da dietro Marinette.

 

Le lezioni passarono lentamente, quando finalmente ci fu l’intervallo i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.
«Sai, potremmo organizzare in modo diverso le serate film.» disse Lila, mentre anche il resto della classe cominciava a chiacchierare.
«Cioè?» chiese allora Adrien, voltandosi verso di lei.
«Potremmo fare una settimana come al solito e una settimana con Alya e Nino.» spiegò meglio lei.
«Non sarebbe una cattiva idea! – esclamò entusiasta Marinette, per poi rivolgersi alla sua migliore amica – Tu che ne dici?» chiese all’occhialuta che per tutta risposta alzò le spalle, mostrando un sorriso.
«A me va benissimo anche una volta al mese.»
«Cambiando discorso, – cominciò Adrien – cosa facciamo per…»
«Adrieeeeeen!»
Improvvisamente sentì il sangue gelarsi nelle vene e, a giudicare dalle espressioni delle altre tre, non era l’unico. Si voltò, lentamente, cercando di mostrare quantomeno un sorriso alla persona che l’aveva chiamato.
La bionda si lanciò su di lui, senza nessun ritegno, non curante di tutte le persone che li stavano guardando.
«Oh Adrien, mi sei mancato questo fine settimana!» civettò con quella sua voce acuta.
«Ciao Chloé…» la salutò lui, frapponendo le mani tra i loro corpi e sospingendola un po’, in modo da staccarla.
«Ho un invito per la festa di Halloween organizzata nell’hotel di mio padre!» esclamò entusiasta lei, tirando fuori dalla borsa un blocchetto di cartoncini neri e mostrandolo a tutti. Adrien si morse il labbro osservandoli dubbioso, per poi alzare lo sguardo nuovamente sulla vecchia amica.
«Pensi d’invitare solo me per caso? Perché sai bene che…» cominciò con calma, ma fu subito interrotto.
«Oh no, assolutamente. – fece lei mostrando un sorriso molto smielato, come se volesse dimostrare a tutti i costi la sua immensa gentilezza – Sono tutti vostri. Sono dieci in tutto: invitate chi volete.» disse, mollandoli sul banco e continuando ad osservarli con i suoi occhi azzurri in un modo che tentava di essere amichevole.
Quando incrociò lo sguardo di Marinette, irrigidì appena la mascella, ma non disse una parola, semplicemente si voltò e fece per andarsene.
«Vi aspetto, eh?» si raccomandò, prima di uscire dall’aula.
«Questa storia mi puzza…» commentò Alya, storcendo la bocca e prendendo uno dei cartoncini neri.
«Dici?» chiese l’italiana, imitandola.
«Concordo con Alya; non c’è mai da fidarsi con Chloé.» confermò invece Marinette, incrociando le braccia al petto, accigliata.
«Andiamo, datele una possibilità… Magari questa volta vuole sul serio fare qualcosa di buono.»
«Tu la difendi un po’ troppo ultimamente…» borbottò la corvina guardandolo storto.
«Che c’è, sei gelosa principessa? – scherzò lui, ricevendo in cambio una linguaccia – Andiamo, lo sai che amo solo te.» disse, avvolgendola con un braccio e facendo in modo che crollasse su di lui appoggiando così la testa sulla sua spalla.
«Lo so, ma mi dà fastidio lo stesso.»
«Semplicemente è mia amica, lo è sempre stata e nonostante il suo caratteraccio apparente, vi posso assicurare che ha molti lati positivi.» rispose lui, accarezzandole la spalla opposta a quella che era appoggiata su di lui.
«Beh, Chloé o no, è comunque un occasione per festeggiare un Halloween in modo diverso e abbiamo abbastanza inviti per far venire tutti, maestro Fu compreso!» esclamò entusiasta Lila.
«Dubito che Miyagi verrebbe a una festa del genere.» commentò Adrien, soprappensiero, continuando a coccolare la sua fidanzata, che, con gli occhi chiusi a godersi quelle semplici effusioni, disse la sua.
«Potresti invitare Pierre, così non si lamenta più che non lo porti da nessuna parte.»
«E fargli da baby-sitter per tutta la serata? Non ci penso nemmeno.» rispose di getto Adrien.
«Beh vedremo che farne del decimo biglietto, ok? Ora pensiamo a storia, che domani abbiamo la verifica ed io ho bisogno di studiare.» chiuse il discorso Alya.

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Capitolo 12
*** I costumi ***


I costumi
 

«Marinette, sono arrivati i tuoi amici!» la voce di sua madre, proveniente dal piano di sotto appariva ovattata, ma comunque molto chiara.
«Falli salire!» rispose di rimando la ragazza, continuando ad osservare il disegno che aveva sotto mano, mentre mordicchiava la matita. Dopo poco, Nathaniel e Lila, sbucarono dalla botola, sorreggendo una Jinnifer ancora leggermente malconcia.
«Oh Jinny, ti ho portato la poltrona di sopra! – esclamò la ragazza schizzando in piedi e aiutando i suoi amici – Così stai più comoda.» 
Quando la ragazza si sedette ringraziò, leggermente in imbarazzo per tutte quelle attenzioni; in realtà era ormai da una buona settimana che stava meglio, ma spesso si ritrovava la sera a casa con la schiena ancora dolorante e questo le costava parecchio. Non tanto fisicamente, quanto per il fatto che non poteva lavorare al bar, né tanto meno pattugliare Parigi con i suoi compagni.
«Mi snerva questa situazione.» sbuffò, facendo svolazzare un ciuffo rosso, sfuggito alla treccia che si era fatta quel giorno.
«Vedrai che andrà sempre meglio.» le sorrise la franco-cinese con un sorriso.
«Allora, Tian e Angelie arrivano tra poco e penso anche Alya e Nino... – cominciò Lila – Il tuo maritino non è ancora arrivato? Non l’abbiamo visto per strada.» Marinette arrossì all’appellativo che aveva usato la mora per parlare di Adrien, ma cercò in qualche modo di mantenere il controllo della sua voce, onde rischiare di balbettare come suo solito.
«No... Beh... Lui solitamente viene qui in un’altro mo...» non ebbe il tempo di finire la frase che il solito rumore, ormai inconfondibile, la distrasse dalla conversazione. Si voltò verso la finestra e lo vide, appollaiato come al solito sul davanzale, in attesa che lei gli aprisse.
Lui come al solito, non appena gli fu permesso di entrare, atterrò sul pavimento e, senza nemmeno dare il tempo alla ragazza di fare o dire qualcosa, le afferrò la mano e vi appoggiò delicatamente le labbra.
«Bonsoir my lady» disse con tono galante e subito un colpo di tosse interruppe quel romantico saluto.
«Quando avete finito di fare i piccioncini fateci un fischio...» commentò Lila. A quelle parole Chat Noir si mise di nuovo in posizione eretta e ordinò al suo kwami la detrasformazione.
«Sei sempre la solita guastafeste volpe.» commentò Adrien con un tono leggermente piccato.
«Non capisco perché non puoi usare la porta come tutti i comuni mortali.» si lamentò allora l’italiana, ma lui per tutta risposta sollevò le spalle.
«Sono un gatto in fin dei conti.»
«Com’è che voi due litigate sempre?» domandò una voce e poco dopo la testa di Tian comparve dalla botola, seguita da quella della sua fidanzata. I due incriminati ovviamente non risposero, ma quando i saluti finirono, fu Nathaniel a parlare.
«Perciò, mancano solo Alya e Nino, ma intanto potremmo vedere le tue idee?» chiese, curioso di guardare cosa Marinette aveva disegnato per loro; forse più di tutti lui era il più interessato a quel lavoro, non fosse per il fatto che in qualche modo erano entrambi artisti.
«Oh, giusto!» si riscosse Marinette, facendo dietro front e riavvicinandosi alla scrivania dove stava lavorando, prima che arrivassero tutti i suoi ospiti.
«Ammetto che tranne quello mio e di Adrien sugli altri sono molto indecisa, ma potreste sempre darmi qualche consiglio.» fece, raccogliendo poi tutti i fogli e porgendoli al centro del gruppo.
Fu Lila a prenderli, cominciando a sfogliarli, mentre tutti allungavano lo sguardo per cercare di scorgere i disegni.
«Marinette sono bellissimi!» esclamò Jinnifer, che era proprio di fianco all’amica.
«Adrien ed io saremo la...»
«...strega e il gatto nero.» concluse la frase Angelie, prendendo il foglio in questione dalle mani di Lila e mostrandoglielo.
«Non è un po’ antisgamo per il gattaccio?» domandò allora l’italiana, sollevando il sopracciglio.
«Beh, ogni strega ha il suo gatto no? Come Sabrina Spellman.» rispose Tian, ricordando perfettamente i fumetti che aveva letto riguardo la strega dell’occulto.
«Giusto, il tuo dove lo hai lasciato Lila?» lanciò la frecciatina il biondo, ricevendo una gomitata nello stomaco dalla fidanzata e subito dopo un’occhiataccia da entrambe.
«Ehi, guardate i costumi senza di noi?» Alya fece capolino dalla solita botola, tenendo la mano di Nino.
«Comunque è ufficiale, Cleopatra mezza mummificata è mia!» esclamò Lila, passando i fogli ai nuovi arrivati.
«Non avevo dubbi. – sorrise la brunetta – Se devo essere sincera ho davvero pensato ad un costume per ognuno, ma ovviamente se avete qualche preferenza...»
«Nathaniel, credo che questo sia tuo.» disse Nino, passando al ragazzo dai capelli rossi il disegno di un vestito che ricordava molto la sua trasformazione da akumatizzato, non fosse per il colore diverso e le macchie di colore sul costume, oltre alla tavolozza al polso, invece del tablet.
«Nath, se... se non ti piace... io...» commentò Marinette, imbarazzata da quella sua idea.
«Scherzi?! Hai fatto un lavoro incredibile Marinette e mi piace un sacco!» rispose entusiasta, rivolgendole un sorriso soddisfatto. Sorriso che non sfuggì al biondo di fianco a lei, che nonostante i loro ultimi trascorsi in amicizia, gli lanciò un’occhiata gelosa che lui però non notò.
«Marinette, sei sicura di riuscire a cucire tutti questi vestiti in tempo?» domandò Angelie, venendo attirata da un bel vestito gotico sui toni del nero e porpora.
«Se riusciamo a prendere le misure entro oggi, non ci sono problemi, mi sono anticipata molti dei compiti apposta per avere più tempo libero.» sorrise lei, alzando leggermente le spalle.
«E nel caso ci fosse bisogno di aiuto per quelli che ti mancano, posso darti una mano mon amour.» aggiunse il biondo, avvolgendole le spalle con il braccio.
«Se non ti offendi, io ti semplificherei il lavoro... – intervenì la rossa, che aveva osservato i disegni nelle mani degli altri, senza sporgersi più di tanto a guardarli – Non fraintendermi, i tuoi disegni sono bellissimi, ma a me basterebbe una sciarpa e una toppa col velcro.»
«Fammi indovinare, la signorina vuole vestirsi da Ginny Weasley...» commentò Lila, mostrando un sorrisino canzonatorio che la fece arrossire.
«Non mi offendo Jinnifer, te li faccio molto volentieri.» rispose tranquillamente Marinette.
«Credevo che essendo una fan incallita di Harry Potter, li avessi già sciarpa e stemma.» disse dubbioso Tian, che ancora stava cercando il costume adatto a lui, senza trovarne uno che gli piacesse davvero.
«Ho sciarpa, cravatta e tunica, ma sono una Tassorosso, non una Grifondoro, quindi per fare Ginny mi servono almeno gli elementi adatti.» spiegò lei sorridendo all’amico.
«Mi pare giusto... Comunque Marinette, credo di poterti togliere un po’ di lavoro anche io. Dovrei ancora avere il mio vecchio cosplay di Michelangelo delle Tartarughe Ninja e vorrei utilizzare quello.» propose lui, grattandosi la nuca, imbarazzato.
«Non ti preoccupare Tian, va benissimo. A dirla tutta, mentre disegnavo qualche idea da supereroi di fumetti per te, ci ho pensato che essendo un’appassionato del genere, potevi avere esperienza sul creare costumi.»
«Io opto per questo! – esclamò Nino, sollevando un foglio con alcuni vestiti stracciati – Ho un cerchietto con la vite dallo scorso Halloween e potrei fare Frankestein.»
«A dirla tutta tesoro, credo che quello sia un costume da zombie... – lo prese in giro la fidanzata – Io invece credo che farò la mia versione da lupa mannara.»
«Mi state togliendo parecchio lavoro!» scherzò Marinette, senza nessuna nota di delusione o rancore.
«Meglio, più tempo da passare con l’amore della tua vita!» 
«Possibile che ogni cosa che dici mi fai venire il diabete? La smetti di essere così insopportabilmente sdolcinato?» sbuffò l’italiana.
«Si chiama romanticismo Lila, non è colpa mia se tu non ne hai!» la rimbeccò Adrien.
«Beh, se avete finito di fare i bambini, Marinette a me piacerebbe questo vestito gotico: ci adatterei un qualcosa riguardo i vampiri.» intervenne Angelie, sorridendo alla brunetta.
«Certo! – fece lei, ricambiando il gesto e alzandosi in piedi – Ora non mi resta che prendere le vostre misure, per lo meno di chi vuole i costumi.» si allontanò dal gruppo e andò a prendere un metro a nastro da uno dei cassetti della sua scrivania.
«A proposito Marinette, per fare il mio costume ti potrebbero servire dei miei vecchi vestiti?» chiese Nino.
«Se non li usi più sì, altrimenti ho qualcosa io dei miei vecchi progetti che non sono venuti bene.» rispose risoluta lei.
Passarono il resto del pomeriggio a prendersi a vicenda le misure corporee, mentre Marinette segnava tutto su un’angolo dei costumi scelti dagli amici, accantonando quelli che invece non erano stati selezionati. Dopodiché si risedettero a terra chiacchierando tranquillamente, dando la possibilità ad Alya e Nino di conoscere meglio il nuovo gruppo di amici che il loro due ex compagni del collège, almeno per quanto riguardava il ragazzo, si erano fatti.
A metà pomeriggio, Tom Dupain sbucò dalla botola con un vassoio pieno di focaccette appena sfornate.
«Vi ho portato la merenda!» esordì, con quel suo vocione cordiale.
«Sei il migliore Tom!» esclamò Adrien, mettendo le mani sotto la guantiera in modo da riuscire a tenerla, per poi posizionarla al centrò del gruppo.
«Se volete qualcos’altro, vi basta chiedere.» aggiunse l’uomo, per poi ridiscendere le scale.

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Capitolo 13
*** La sorpresa ***


La sorpresa
 

Quelle due settimane erano trascorse in fretta e Marinette, nonostante il lavoro minore rispetto a quello progettato, fece fatica a completare i costumi in tempo e allo stesso momento rimanere in pari con lo studio, la vita da super eroina, per non considerare quando i suoi genitori avevano bisogno di lei alla boulangerie; e visto che si stava avvicinando la festa con più dolci in assoluto, seconda forse solamente al Natale, capitò spesso.
Insomma concluse di cucire le orecchie da gatto al cappuccio del costume di Adrien, ultimo elemento del suo faticoso ma soddisfacente lavoro, solamente il giorno prima della festa a casa di Chloé. Si era svegliata all’alba per completarlo, dopodiché si era lavata, vestita ed era uscita mentre ancora addentava una ciambella presa al volo dalle mani del padre e salutando i genitori con la bocca piena.
Quel giorno Adrien non sarebbe passato a prenderla con la limousine, perché aveva un servizio fotografico e sarebbe entrato a scuola due ore dopo, il che voleva dire che doveva prendere il pullman e pregare che arrivasse in fretta. Fortuna volle che quel giorno il mezzo sostò alla fermata in perfetto orario e che lei riuscì ad arrivare al liceo una decina di minuti prima dell’inizio delle lezioni, permettendole di dirigersi con calma in classe.
«Eccola la nostra personale fashion stylist! – la accolse la sua migliore amica – Come stai?»
Lei sospirò, mettendosi nel banco a fianco, solo quando fu comodamente seduta rispose.
«Stravolta. Per fortuna stamattina ho finito anche il cappuccio per il costume di Adrien.»
«Accidenti, non ti avremmo caricato di troppo lavoro?» domandò preoccupata Alya.
«Oh no, tranquilla. Insomma sì, ho fatto fatica, ma sono soddisfatta e poi dovrò abituarmi se voglio che questo diventi il mio lavoro.» aggiunse la ragazza, mostrando un sorriso e tirando fuori il quaderno degli appunti e il portapenne.
«Certo, però quando lavorerai non avrai quell’insopportabile della professoressa Clevant che ci mette una verifica ogni due settimane e soprattutto prima del ponte di Halloween.» sbuffò Lila. Lei più di tutti non sopportava l’insegnante di fisica, non solo perché trovava difficile la materia, ma perché a detta sua ce l’aveva in particolar modo con lei. La verità, aveva notato Marinette, era che la signorina Clevant era severa con tutti, ma Lila era l’unica che con la sua focosa indole italiana spesso le rispondeva a tono, quindi ovviamente riceveva più spesso rimproveri.
«Non me ne parlare… – commentò Alya – Il solo pensiero che tra quattro ore abbiamo quella stramaledetta verifica mi mette i brividi.»
«Ed io che pensavo che nessuna materia ti desse problemi.» Marinette si rivolse all’amica, con tono divertito.
«Già, lo pensavo anche io… Ma il liceo è decisamente a un altro livello.» disse le ultime parole abbassando la voce, perché l’insegnante della prima ora aveva fatto il suo ingresso in aula, pretendendo il silenzio.

 

Alla terza ora Adrien entrò in aula, raggiungendo il gruppo, con quel suo sorriso stampato sul volto, come se non avesse finito di lavorare e credesse di trovarsi ancora nel set fotografico.
«Tesoro, non posso mettermi gli occhiali da sole in aula, come mai così raggiante?» gli domandò Alya, mentre questo salutava la fidanzata con un bacio sulla guancia.
«Niente di che, poi vi racconto. Che mi sono perso?»
«A parte due noiose ore di storia? – commentò Lila sporgendosi verso il banco davanti a lei – Assolutamente nulla. E pensare che alle elementari mi piaceva storia.»
«Forse perché studiavi di più la storia dell’Italia?» le fece Alya.
«Può essere, oppure era perché in generale alle elementari era tutto più facile.»
«Cambiando discorso, domani pomeriggio ci vediamo a casa mia prima della festa, così ci vestiamo e poi andiamo insieme al Grand Hotel.» snocciolò Adrien, in realtà si erano già messi d’accordo un paio di giorni prima, ma decise di ribadirlo, forse per dimostrare che finalmente casa sua non era più off-limits come quando andavano al college.
Ogni segno di conferma fu smorzato dall’arrivo dell’insegnante della terza ora e dalla ripresa delle lezioni. Anche la temuta verifica della quarta ora andò incredibilmente bene a tutti e la giornata trascorse tranquilla. Il gruppo riuscì persino ad evitare di incrociare Chloé, per la gioia di Marinette che era già abbastanza nervosa di doverci aver a che fare la sera successiva. 
«Allora pensi di raccontarci il motivo del tuo incredibile buon umore o dobbiamo indovinarlo?» domandò Alya ad Adrien che non la smetteva di canticchiare, mentre si dirigevano a piedi fino alla fermata della metro per poter raggiungere più in fretta casa di Marinette.
«Ok, ok… Ve lo dico, anche se avrei preferito riferirlo a tutti stasera ma…»
«Agreste, sputa il rospo!» disse quasi in un ringhio Lila.
«Beh… Mamma e papà ieri sera hanno parlato dei prossimi progetti della Maison Agreste e… Quest’estate potrebbero lanciare qualche tuo abito.» disse il biondo senza riuscire a levarsi quel sorriso entusiasta dalla faccia, piantando i suoi incredibili occhi verdi sulla sua fidanzata.
A quella rivelazione Alya lanciò un gridolino di gioia, Lila si portò una mano alla bocca, mentre Marinette rimase paralizzata. Dovette bloccare tutto il gruppo perché le sue gambe non si muovevano e nonostante stesse guardando Adrien, in realtà il suo sguardo era perso nel vuoto più assoluto, mentre il suo cervello continuava a cercare di metabolizzare la notizia appena ricevuta. La prossima estate, una delle maison più famose di Parigi avrebbe lanciato i suoi abiti.
«Marinette, tesoro… – la voce di Alya sembrava così lontana – Marinette!» esclamò alzando la voce e schioccandole le dita davanti al viso. La ragazza ebbe un sussulto e poi riprese a respirare e a parlare, sebbene l’emozione la facesse balbettare come ai primi tempi con Adrien.
«Ma… Ma… co… come hanno avuto i miei… miei…»
«Colpa mia. – confessò Adrien, capendo all’istante che domanda gli stesse per porre la ragazza – Nell’aggiornare mamma sugli anni che ci siamo persi assieme ho parlato anche del tuo incredibile talento e quando mi ha chiesto di vedere alcuni tuoi disegni non ho saputo resistere.»
«Ecco perché l’altro giorno hai nascosto subito il cellulare non appena sono tornata in camera con i croissant…» constatò Marinette che soprappensiero sembrava essersi leggermente ripresa dalla sorpresa.
«Ho scattato alcune foto e gliele ho mostrate. – continuò a spiegare il biondo – Inoltre credo che stasera manderanno qualcuno a scattare foto ai nostri vestiti. Ovviamente non si possono usare al di fuori di Halloween, soprattutto come collezione estiva. Ma mamma è molto curiosa del tuo stile.»
«Beh, il vestito di Angelie è abbastanza semplice. Intendo dire che non sembra un costume.» commentò Lila, proprio mentre finalmente stavano scendendo le scale che portavano alla metropolitana.
«Sì, forse quello potrebbe essere presentato. Anche se il vestito che è piaciuto di più a mio padre è stato quello lampone.» puntualizzò Adrien.
«Quello… quello… del…»
«Ah-ah, proprio quello del ballo dell’anno scorso per la festa a casa di Chloé.» il sorriso del ragazzo si estese e il battito del cuore di Marinette si confuse con lo sferragliare del treno che arrivava.
«Quello tuo padre come l’ha visto?» chiese Alya, non appena entrarono nel vagone; purtroppo non era rimasto nemmeno un posto a sedere e i quattro dovettero sistemarsi alla ben e meglio in piedi.
«Non ce…» il ragazzo s’interruppe, perché Marinette, avvicinandosi a lui, gli aveva tirato su il cappuccio della felpa.
«Quella ragazza dietro di noi ha assottigliato lo sguardo non appena siamo entrati. Se ti riconosce non riusciremo a tornare a casa in tempo.» gli sussurra, lasciandogli poi un piccolo bacio sulla guancia e strappandogli un sorriso.
«Dicevo che non ce n’è stato bisogno. Chloé quella sera aveva fatto venire un paio di fotografi per ricordare la serata, tra cui Vincent e visto che lui lavora per la Maison Agreste da tanto e che Chloé indossava un abito di mio padre, ha pensato bene di farne delle copie anche per lui.»
Lila trattenne a stento una risata.
«Come minimo quella sottospecie di arpia bionda avrà bruciato tutte le foto con Marinette. Immagino le avrai rubato la scena.» disse, continuando a tenere quel ghigno divertito.
«Solo la scena? Quel giorno Marinette le ha rubato pure il cavaliere, vero Adrien?!» intervenne subito Alya, dando una gomitata al ragazzo a cui si erano arrosate le guance dall’imbarazzo.
In quell’ultimo anno non si era mai soffermato a ripensare a quel ballo, non tanto perché non avesse bei ricordi, anzi tutt’altro; ma più che altro si sentiva uno sciocco ogni volta che si rendeva conto di come aveva trattato Marinette fino a prima di quella sera. Il suo continuare a insistere nell’autoconvione che era solo un amica lo imbarazzava, ma quella sera aveva compreso che provava qualcosa anche per lei e non solo per Ladybug. Lo scoprire poi, che erano la stessa persona, quello era stato un’altro discorso.
La voce metallica del treno annunciò la loro fermata e i quattro ragazzi si avvicinarono alle porte del vagone, pronti ad uscire.
«Scusa… – una voce intimidita alle loro spalle li fece voltare, era la ragazza che Marinette aveva visto adocchiare Adrien quando erano saliti a bordo della metropolitana – tu sei Ad…» non riuscì a finire la frase perché le porte si aprirono e una fiumana di gente che doveva scendere assieme ai ragazzi li separò da lei.

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Capitolo 14
*** La festa ***


La festa
 

Alya sistemò meglio le cuffie sulla testa del fidanzato, a cui il ragazzo stesso aveva applicato delle viti fatte di carta pesta, nella speranza che rimanessero incollate per tutta la durata della festa, ma che non rovinassero le sue fidate compagne da cui non si separava mai.
Erano ormai quasi tutti pronti. Ognuno indossava il suo costume e Nathaniel, che era l’artista del gruppo, stava ultimando il trucco sul volto di Marinette. La sua mano leggera e il suo occhio attento, stavano rendendo la ragazza ancora più bella di come era solitamente.
«Sai credo tu abbia un pochino di bava all’angolo della bocca, gattaccio.» sussurrò Lila, vicino all’orecchio di Adrien, facendogli distogliere lo sguardo dalla fidanzata con uno sbuffo.
«Ecco fatto!» concluse il rosso, posando finalmente il pennellino dell’eye-liner e permettendo a Marinette di riaprire gli occhi.
In quel preciso momento qualcuno irruppe nella camera di Adrien, dove si erano radunati.
«Adrien! Mamma dice che… Wow, che bei costumi!» esclamò il bambino, dimenticandosi completamente cosa avrebbe dovuto riferire e ammirando uno per uno quei ragazzi più grandi.
«Sai che la maggior parte li ha disegnati Marinette?» gli disse Alya, chinandosi su di lui e dandogli un buffetto sul naso col dito indice. 
«Davvero li hai fatti tu?» il volto del bambino sembrò illuminarsi ancora di più sotto il pesante trucco bianco e nero che si era fatto fare da Monique poco prima.
«Anche il tuo costume è bello scheletrino.» gli sorrise Marinette.
«Bah… Sono solo un paio di pantaloni e una maglietta con una stampa.» rispose Pierre, facendo spallucce, provocando il dondolamento del suo secchiello a forma di zucca.
«Andrai a fare des bonbons ou un sort, piccola peste?» lo punzecchiò Adrien, scompigliandogli ancora di più i capelli, su cui sembrava essere stata spruzzata della tinta bianca, quasi come neve finta, come se i capelli di Pierre non fossero già abbastanza chiari.
«Sì. – ghignò lui – Mamma e zia Monique mi accompagnano. Pensi che se passo dai tuoi genitori mi daranno qualche dolcetto Marinette?»
«Ne sono sicura Pierre, mio papà fa i migliori biscotti di Halloween della città.» le rispose prontamente la ragazza facendogli l’occhiolino.
«Insomma vi volete sbrigare? La limousine aspetta già da cinque minuti!» esclamò Nathalie entrando nella camera.
«Oh, mi sono scordato di dirvelo!» esclamò Pierre, non troppo dispiaciuto.
«Forse dovremmo sbrigarci.» commentò allora Lila, osservando l’ora sul suo orologio, ben nascosto dalle bende del polso.
A quel punto Angelie distribuì ad ognuno una mantella per ripararsi dal freddo senza però rovinare il vestito. Quando le aveva portate quel pomeriggio aveva raccontato loro che solitamente le usavano le modelle per coprire gli abiti, prima della passerella.
Quando furono tutti sistemati si diressero fuori dal cancello, notando subito la limousine, con a bordo il Gorilla, già pronta in loro attesa. Al contrario di quando erano partiti per le vacanze estive, dovettero stare leggermente più stretti, visto che questa volta c’erano due persone in più.
«Wow Bro, ci credi che è la prima volta che entro nella tua limousine?» esclamò Nino, guardandosi attorno, meravigliato. Alya aveva la sua identica espressione.
Il biondo scoppiò a ridere, attirando a sé Marinette che già si era quasi appiccicata a lui per fare spazio agli altri.
«Magari fosse mia.» aggiunse, alla fine della risata.
«Ma guardatevi, siete così adorabili.» sentenziò Jinnifer che si era appena sistemata nel sedile di fronte a loro e aveva già tirato fuori la macchina fotografica dalla borsetta, puntando l’obbiettivo su di loro. Adrien strinse di più Marinette a sé con entrambe le braccia, facendola praticamente salire con il sedere sulle sue gambe.
«Fa strano vederti con una macchina usa e getta.» le disse Lila, non appena ripose nuovamente l’apparecchio.
«Beh, non potevo certo portarmi la Reflex e con la Polaroid avrei avuto gli scatti limitati.» rispose lei, non rivelando che a casa, con Spott che la prendeva in giro, era stata un buon quarto d’ora a disperarsi del fatto che non poteva portare la sua macchina fotografica alla festa.
«Ah senti Jinny, a proposito di stasera… Posso chiederti un favore?» chiese Adrien, dopo aver ricevuto un occhiata veloce dell’italiana, come se avesse voluto esortarlo a parlare.
«Sarebbe?» il tono confuso della ragazza attirò l’attenzione di tutto il gruppo su quella conversazione, mentre l’auto era ferma ad un semaforo rosso.
«Mio padre ha chiesto al sindaco un’invito per un nostro conoscente inglese e mi ha chiesto di accoglierlo, ma io… Beh, per quanto possa essere bravo con l’inglese, tu…»
«…io sono madrelingua e vuoi che gli parli io, giusto?» sorrise lei.
«Mi faresti un enorme favore.»
Dopo nemmeno un quarto d’ora, la limousine si fermò per l’ultima volta davanti al Grand Hotel. L’ingresso, però, non era affatto come se lo aspettavano. Per quanto le feste di Chloé fossero sempre state in grande, il tappeto rosso che tagliava il marciapiede e almeno una decina di fotografi che attendevano gli invitati, fecero comprendere ai ragazzi che questa volta la figlia del sindaco aveva superato il limite.
«E adesso?» domandò leggermente spaventata Marinette.
«Adesso, testa alta e classe. Dimostriamo a tutti quanto valiamo.» il sorriso d’incoraggiamento di Angelie fu talmente raggiante che illuminò gli sguardi di tutti. Dopodiché si tolse la mantella, lasciandola sul sedile dell’auto e scendendo.
«Quella è Angelie Fontaine, la modella!» esclamò qualcuno avvicinandosi e cominciando a far brillare di flash la strada.
Man mano scesero tutti, uno dopo l’altro, gli ultimi furono proprio Adrien e Marinette.
«E se cado?» sussurrò Marinette impaurita.
«Tranquilla streghetta, ti tengo io, andrà tutto bene.» le sorrise lui, stringendole la mano. Scesero appena in tempo per godersi la scena di Jinnifer che incontrava il fantomatico ospite inglese.
«Guarda.» fece il biondo accennando col mento un angolo del marciapiede, dove la rossa stava abbracciando un ragazzo poco più alto di lei, con un costume molto simile al suo.
«Ma quello è…» un flash bloccò le sue parole, ma il ragazzo completò prontamente la sua frase.
«Henrie, il fidanzato di Jinny. Lila mi ha chiesto il favore di pagargli il biglietto dell’aereo e di farmi dare un invito anche per lui da Chloé.»
«Adrien, Marinette, di qua! Guardate di qua!» li chiamò un fotografo e i due dovettero fermarsi per farsi fare alcune foto.
«Nemmeno fosse un red carpet.» sbuffò Marinette, sentendo le guance arrossarsi dall’imbarazzo, ma fu nuovamente interrotta da Jinnifer che li raggiunse proprio davanti l’ingresso dell’hotel con un sorriso smagliante.
«Grazie Adrien!»
«Figurati. Sarebbe stato ingiusto lasciarti senza un accompagnatore.» le sorrise di ricambio il biondo.
Nuovamente la loro conversazione fu interrotta, ma questa volta non furono i fotografi a farlo. L’organizzatrice della festa, accolse il nuovo gruppo di persona, anche se in realtà, com’era d’aspettarsi, si rivolse solo al modello. 
«Adrien hai visto? Ho fatto venire anche i fotografi.» dal suo tono entusiasta sembrava quasi volesse aspettarsi un qualche tipo di complimento, ma il ragazzo non riuscì a mostrare altrettanto entusiasmo. Nel suo lavoro aveva fin troppo a che fare con quel tipo di persone e, probabilmente, come tutti i suoi amici, avrebbe voluto una sera tranquilla.
«Bel vestito da principessa , Bourgeois.» disse Lila, osservando il sontuoso abito che ricordava una giovane donna del 1800, con una tiara sui capelli biondi. A quel commento però lo sguardo tagliente della ragazza fulminò l’italiana.
«Sono una regina Rossi, non una banale principessa… E tu da cosa sei vestita? Da mummietta sexy?» cercò di provocarla.
«Sono Cleopatra, tesoro. Regina dell’Alto e del Basso Egitto.» Lila le fece l’occhiolino, dopodiché prese la mano di Nathaniel e lo trascinò dentro l’Hotel, senza sentire la risposta della ragazza.
La hall del Grand Hotel era allestita in modo impeccabile. Tutti i drappi e le tende che solitamente erano rossi erano stati sostituiti da quelli più adatti di colore viola scuro e nero. Dallo scorriamo della scala drappeggiavano ragnatele finte e dal soffitto pendevano piccoli ragnetti di stoffa e di gomma. Inoltre al centro di ogni tavolo da buffet facevano bella mostra delle lanterne a forma di zucca, intagliate a mano.
L’inizio della festa fu un po’ fiacca, almeno fino a quando non arrivarono tutti gli ospiti e quindi tutta l’attenzione rimaneva fuori, sui fotografi e sulla figlia del sindaco che faceva gli onori di casa. La musica era solo un sottofondo e la maggior parte degli invitati in costume, stuzzicava qua e là dai tavoli, chiacchierando del più e del meno.
Alya si avvicinò all’amica, sbuffando:
«È una mia impressione o questa festa è forse anche più noiosa dell’ultima a cui abbiamo partecipato?» chiese guardandosi attorno.
«Non lo so. Sinceramente ricordo solo alcuni momenti di quella festa.» borbottò lei, assaggiando un piccolo bignè che gli aveva appena porto uno dei camerieri che giravano coi vassoi in mano.
«Io ricordo la mia migliore amica che sbavava dietro a un certo ragazzo biondo.» scherzò lei.
«Mmh… Chissà chi era…» la sorprese Adrien, abbracciandola da dietro e poggiandole le labbra sul collo.
«Modera i bollenti spiriti micetto.» sorrise lei, accarezzandogli la guancia, il suo costume quella sera, le dava la possibilità di chiamarlo con gli appellativi che solitamente usava per Chat Noir, senza destare alcun sospetto.
«Che ne dici se balliamo?» domandò allora lui.
«Ma non balla nessuno.» disse lei arrossendo al pensiero di essere da sola con lui in mezzo alla sala con lo sguardo di tutti addosso.
«Beh, allora convinciamo gli altri a ballare.» gli diede man forte Alya, con un sorriso, andando poi da Nino e invitandolo.
Adrien la prese per mano e insieme si diressero verso i loro compagni di squadra.
«Cosa ne dite di aprire le danze? perché qui se aspettiamo che la festa si ravvivi, facciamo notte.»
Il primo ad accettare fu Tian, che molto elegantemente porse la mano alla bella modella dai capelli corvini di fianco a lui, che accetto ben volentieri, con un elegante sorriso.
«Che ne dici Potter, ci buttiamo nella mischia?» scherzò Jinnifer, rivolgendosi al suo fidanzato in inglese, lui per tutta risposta fece un profondo inchino e le porse la mano, divertito.
Mancava solo Nathaniel, che era rimasto fermo, rosso in volto e in pieno imbarazzo. Lila era ad un paio di metri dal gruppo, ad assaggiare una dopo l’altra le tartine del tavolo dei buffet, cercando di capire quale fosse la più buona.
Tian emise un sospiro esasperato e, dopo aver lanciato un’occhiata veloce al biondo e avendo conferma da lui, colpì con una manata la schiena del rosso, sospingendolo in avanti e facendolo arrivare proprio a due passi dall’italiana che si girò, guardandolo interrogativa.
«Lila… vuoi… vuoi…» la ragazza sorrise.
«Sì, perché no. Mi andrebbe di ballare.» dopodiché gli prese la mano e lo trascinò in mezzo alla sala, tanto che furono i primi ad aprire le danze, seguiti poi da tutti gli altri.
Per un po’, il resto degli invitati rimase a guardare quelle strane coppie ballare: una tartaruga ninja e una vampira gotica, una lupa mannara e un mostro di frankestein, Jinny Weasley ed Harry Potter, una strega e un gatto, la mummia di Cleopatra e un pittore coperto di macchie di vernice. Poi però, la band che era stata ingaggiata per la serata, si accorse di quel simpatico gruppo e aumentò sia il volume che il ritmo della musica. In poco tempo anche altre persone si buttarono in pista, cominciando finalmente a divertirsi.

 

Col passare della serata, gli animi si rilassarono e i piedi si fecero più pesanti, un po’ per le scarpe scomode, un po’ per il troppo ballare.ù
«Uff… è una mia impressione o fa caldo?» sbuffò Marinette, sventagliandosi con il cappello da strega che si era tolta dalla testa, valutando l’idea di trovare una finestra e prendere una boccata d’aria.
«No, no. Anche io sto squagliando. Nonostante i costumi non siano così pesanti, qui c’è un sacco di gente e poi siamo state in movimento fino a poco fa.» confermò Lila, che optò per rinfrescarsi con del punch, scoprendo purtroppo che ormai era tutt’altro che fresco.
«Adrien, finalmente, è da tutta la sera che ti cerco. – civettò Chloé alle spalle del gruppetto di ragazzi, facendoli voltare un po’ tutti – Vieni, andiamo a ballare!» disse, quasi come fosse un ordine, prendendo il ragazzo vestito da Gatto Nero sotto braccio e cominciando già a trascinarlo.
«Chloé, io…» cercò di protestare il biondo, mentre la sua fidanzata, rimasta vicino al tavolo, stringeva le mani sul cappello, fumante di rabbia.
«Chloé, perché non balli con Tian?» intervenne Angelie, con uno di quei suoi meravigliosi sorrisi da super modella, accompagnando il cinese vestito da tartaruga ninja al cospetto della bionda.
«Che…?!» sussurrò confuso lui, ma al suo occhiolino sembrò comprendere qualcosa.
«E perché mai dovrei ballare con lui?» il volto schifato di Chloé manifestava la sua disapprovazione.
«Come non lo sai? – continuò Angelie, con il suo solito tono serio ed elegante – Tian è un famoso modello cinese. Forse è più famoso anche di Adrien, vero Titì?» le ultime due parole le rivolse al ragazzo, con un tono molto simile a quello che la bionda rivolgeva solitamente ad Adrien, ma questa non comprese affatto la presa in giro. Anzi i suoi occhi s’illuminarono di stupore, soprattutto quando il ragazzo confermò quell’enorme bufala.
«Oh, sì, sì. In Cina mi conoscono tutti, sono venuto a Parigi per trovare un po’ di pace. Non potevo girare per Pechino che tutti mi fermavano per un autografo o una foto.» disse convintissimo Tian. Tutti quanti, eccetto forse Alya e Nino, che però stavano ancora ballando, sapevano perfettamente che Tian era un portento a raccontare frottole, ancora più di Lila i primi tempi; anche se difficilmente lo faceva perché odiava mentire, se non per giuste cause.
«Oh… Vorresti ballare con me?» fece allora Chloé, abbandonando il braccio di Adrien.
«Certo.» le sorrise lui, porgendole il braccio.
«Grazie amico.» gli sussurrò Adrien, mentre i due gli passavano di nuovo accanto.
«Figurati… – rispose lui – Ma sappi che mi devi un favore.» scherzò per poi allontanarsi dal gruppo con la figlia del sindaco sotto braccio.
«Tu sei Adrien, vero?» una voce interruppe nuovamente la pace che si era riuscita a creare in quei pochi secondi, dall’allontanamento di Chloé. Marinette riconobbe subito in quella ragazza, in costume da quella che sembrava una sposa fantasma, la ragazza che il giorno prima aveva adocchiato Adrien sulla metro. Possibile che non potesse avere il suo fidanzato solo per sé, la gente lo capiva o no cosa significava “fidanzati”? Insomma erano usciti sulle copertine di un sacco di riviste nemmeno un anno prima.
«Sì certo.» rispose invece Adrien, regalandole un meraviglioso ed educato sorriso.
«Wow, sai che ti ammiro tantissimo? Mi vergogno un po’ a dirtelo, ma… camera mia è piena di pagine di riviste dove ci sei tu.» a quella confessione Marinette gelò. Credeva di essere l’unica ad avere quella specie di ossessione per Adrien, ma quella ragazza le aveva appena fatto capire che non era così e, la cosa più assurda, era che Adrien non aveva fatto una piega a quella rivelazione, anzi.
«Beh, mi fa piacere. – sorrise ancora – Vuoi fare un ballo?» le chiese con tono galante.
«Oh sì, sarebbe un sogno.» rispose tutta eccitata lei.

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