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A
Marinette sudavano le mani mentre si accingeva a
chiudere la mini zip del vestito, che sapientemente aveva ideato e cucito lei
stessa a mano, impreziosendolo con una fila di Swarovski attorno l’addome, a
formare una cintura.
Indossò
sulle spalle anche la pelliccetta ecologica nera, che aveva legato con i
laccetti di raso dello stesso colore.
Il
vestito era lungo e rosso, scivolava benissimo a delinearne le forme di una
ragazza di ormai vent’anni.
Si
guardò allo specchio con aria soddisfatta, la parrucchiera e truccatrice aveva fatto un ottimo lavoro, le
aveva acconciato i capelli in uno chignon spettinato e fatto ricadere leggeri
boccoli attorno al viso, incorniciandoglielo alla perfezione, mettendo in
risalto i suoi tratti orientali, aiutata dal leggerissimo velo di trucco.
“Sei
già bella di tuo, non hai bisogno di ulteriore stucco” Le aveva detto.
Prese
la clutch rossa e ci infilò dentro Tikki, il
cellulare e le chiavi di casa.
“Sono
proprio fiera di te, Marinette” Le aveva detto dopo
essersi messa comoda tra la stoffa.
“Grazie,
Tikki, ammetto che è stata dura vincere quel
concorso, il signor Agreste, è stato molto esigente e pignolo nei miei
confronti”.
La
casa di moda Agreste, aveva indetto una selezione qualche mese prima per un
posto da stagista, che avrebbe coinciso perfettamente con la conclusione dei
suoi studi all’accademia della moda.
Si
era decisa a partecipare, anche se le sarebbe bastata una telefonata al suo
amico Adrien, per farle ottenere il posto, risparmiandole ore di angoscia per
sapere se era passata allo step successivo, ma non voleva passare per la
raccomandata di turno.
Anzi,
quando per puro caso, il biondo aveva scoperto che tra i nominativi, c’era la
sua cara amica Marinette, era andato da suo padre,
per chiedergli di farle ottenere il posto, scavalcando tutti i pretedenti.
“Da
Marinette mi aspetto grandi cose, e non vorrò che si
limiti solo ad eseguire i miei ordini, dovrà stupirmi” Gli disse “…e poi non
voglio che si spettegoli sul fatto che voi vi vediate, e quindi per questo
abbia ottenuto il posto”.
“Siamo
solo amici, papà. Non c’è niente tra me e lei”.
“Se
lo dici tu”. Nemmeno suo padre credeva alle sue parole.
Gli
era capitato di vederli parlare tra i corridoi, oppure quando li beccava in
centro in un locale per un aperitivo.
Gli
sguardi che si scambiavano reciprocamente, non erano di certo di due amici.
Marinette scese le scale
e vi trovò anche i suoi genitori vestiti elegantemente, alla premiazione
avrebbero partecipato anche loro quella sera, la loro amata figlia, sarebbe
stata presentata come nuovo membro dell’organico della casa di moda e braccio
destro di Gabriel Agreste in persona.
“Sei
bellissima tesoro” L’abbracciò sua madre che si commosse.
“Mamma,
ti scende il trucco così”.
“Andiamo,
la carrozza aspetta la sua principessa” Tom prese Marinette sotto
braccio per condurla davanti la limousine noleggiata per l’occasione.
“Papà,
non dovevi”.
“E’
una serata importante per la mia bambina, volevi forse prendere la metro?
Vestita così poi?”.
“Una
macchina più sobria sarebbe stata l’ideale” Sospirò rassegnata.
“Sai
com’è fatto tuo padre”.
*
Arrivarono
davanti l’hotel “Le Grand Paris”, location dell’evento che si sarebbe tenuto
all’ultimo piano.
L’autista
aprì la portiera a Marinette, e come se fosse una
delle più importanti star, scese guardandosi attorno, sistemandosi il vestito e
sperando di non inciampare sul tacco dieci.
Venne
investita da numerosi flash che le fecero chiudere gli occhi e schermandoli con
il braccio guantato.
“Wow,
Marinette! Sei fantastica” Una voce da dietro la
costrinse a girarsi, l’avrebbe riconosciuta tra mille: Adrien!
Impeccabile
dentro il suo smoking nero, che se non fosse stato per la folla di fan
imbizzarrite o per il fatto che si trovavano in pubblico, glielo avrebbe
strappato via, solo per ammirare dal vivo il suo fisico da Dio dell’Olimpo,
apparso sulla copertina di una rivista prestigiosa della moda che pubblicizzava
una collezione di intimo uomo.
No,
la cotta per lui non le era ancora passata, nemmeno a distanza di anni.
Adrien
le porse il braccio “Posso accompagnare al ballo una gentile donzella?”.
Marinette rise sotto i
baffi “Ma certo, Milord”.
Ed
insieme si avviarono sul red carpet, Adrien più a suo agio che mai salutava i
giornalisti e si prestava ad alcune foto, Marinette
del canto suo, avrebbe solo voluto sprofondare al centro della terra.
“Ti
ci abituerai!” Gli disse mentre salutava Alya, fresca di laurea in giornalismo
e neo assunta alla rete locale, accorsa per scrivere il suo pezzo.
“Lo
spero” Anche se non si era ancora ripresa dopo il loro ultimo incontro, quando
furono costretti a scappare dai giornalisti, un errore madornale, in quanto il
giorno dopo era uscito in prima pagina un articolo dove presto i due si
sarebbero sposati.
*
Entrarono
in hotel e Marinette si staccò da Adrien “Ti
restituisco il braccio” Le sorrise.
“Sei
stata brava lì fuori”.
“Dici?
Mi tremavano le ginocchia, avevo paura di cadere”
“Perché?
Eri aggrappata a me.” Chiese con naturalezza, come a voler dire che potrà
sempre contare su di lui, che non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo.
Marinette arrossì, ma non
colse l’allusione.
Tom
e Sabine arrivarono subito dopo, un giornalista li aveva fermati credendo
fossero qualche persona di spicco nell’alta moda.
“Gli
ascensori sono di qua” Indicò Adrien.
“Sali
con noi?” Chiese Marinette.
“Si
certo, sempre lì dobbiamo andare”.
“Andate
avanti, noi vi raggiungiamo tra un po'” Con la scusa di andare in bagno,
Sabine, lasciò da soli i due ragazzi, che si avviarono agli elevatori.
“Fai
presto mamma!”
*
Marinette iniziò a
tremare e l’imbarazzo presto calò nell’abitacolo, entrambi guardarono
nervosamente il display, che ad ogni piano, cambiava il numero.
“Stai
bene, Marinette?” Le chiese notando che si era
appoggiata alla parete ed osservava il pavimento di moquette bordeaux.
“No…cioè
si…cioè...” Balbettò ritornando la Marinette delle superiori.
“Non
devi preoccuparti, vedrai che la serata andrà bene”.
“Non
è per la serata!”.
L’ascensore
sobbalzò leggermente e lei urlò.
“Non
dirmi che hai paura degli ascensori” La schernì mettendosi a ridere.
“Si…ma
di restare intrappolata”.
“So
che Chloè li ha appena cambiati, quindi non hai nulla
da temere”.
“Intrappolata
e durante un terremoto” Balbettò di nuovo.
Adrien
inarcò un sopracciglio, si sarebbe aspettato di tutto, ma questa poi, era
un’eventualità che non si sarebbe mai verificata a Parigi.
“Non
ti sembra di esagerare? Quante probabilità ci sono che un terremoto investa
Parigi?”.
Non
fece a tempo a finire la frase, che l’ascensore sobbalzò di nuovo e si fermò di
colpo spegnendosi, ed Adrien imprecò mentalmente, non
era capace di stare zitto.
Dopo
qualche secondo si accese la luce di emergenza.
“Oddio!
Ti prego no!” Marinette si portò le mani sul viso ed
era sul punto di piangere, lui gliele tolse e la guardò negli occhi.
“Andrà
tutto bene, adesso l’ascensore ripartirà, sarà solo andata via la luce”.
“Non
andartene!” Lo supplicò vedendo che stava raggiungendo la parte opposta
dell’abitacolo.
“Dove
vuoi che vada?”
“Intendevo…”
Si fermò mordendosi il labbro inferiore “…resta vicino a me”.
Adrien
l’abbracciò e le accarezzò la schiena nuda, quel contatto provocò in Marinette una scossa che le percorse tutta la spina
dorsale.
“Va
meglio?” Chiese con voce soave.
“S-si”
Appoggiò la testa sul suo petto finchè il battito non
tornò regolare e una voce li stava chiamando.
Adrien
schiacciò il pulsante rosse e parlò “Si, siamo in due. Che cos’è successo?”.
“E’
andata via la corrente, i tecnici stanno tentando di ripristinarla, ci vorrà un
po'”.
Perfetto,
ci mancava solo questa, ma per fortuna non era da sola e durante un terremoto.
“Grazie”.
Marinette avrebbe
risposto “Grazie un corno”.
*
Passarono
interminabili minuti, e si stava facendo caldo.
Adrien
si tolse la giacca e cravatta, ed iniziò ad arrotolare le maniche della camicia
bianca.
“Ah!
E io che mi stavo preparando a gustarmi uno spogliarello” Esordì Marinette distogliendo lo sguardo.
“Se
serve a distrarti…mi sacrificherò per la mia amica”.
Amica.
Ancora
quella parola, quanto la odiava Marinette, ma odiava
ancora di più se stessa per non aver mai avuto il coraggio di dichiararsi ad
Adrien.
Ogni
volta le sembra sempre che il momento non fosse quello giusto, ma così facendo,
rischierebbe solo di perderlo.
Certo
era riuscita in tutti questi anni a conviverci molto bene, e qualche anno fa
era anche riuscita a non balbettare più o a pronunciare frasi senza senso in
sua presenza, forse è stato per quello che i due ultimamente passavano molto
tempo assieme.
Lei
sapeva tutto di lui, lui sapeva quasi tutto di lei.
“E’
il tuo ennesimo tentativo di metterti in mostra?”
Riusciva
anche a fare battute e spesse volte lo punzecchiava come faceva LadyBug, già la sua lady, chissà che fine aveva fatto, e
anche Papillon sembrava da qualche mese sparito nel nulla.
La
corrente sembrava essere stata ripristinata, e quando l’ascensore fece per
ripartire, si bloccò di nuovo e Marinette ed Adrien caddero a terra.
“Ma
che cosa sta succedendo?”
“Sembra…sembra
un terremoto!” Impallidì Adrien, non sapendo che cosa
aspettarsi da quella situazione.
La scossa durò più di un minuti ed
istinto, Marinette si era avvicinata a lui
abbracciandolo forte.
“Moriremo!” Piagnucolò lei.
“No” Disse lui convinto, stava per
trasformarsi in Chat Noir, non sarebbero di certo periti in ascensore, e poi
non poteva stare senza far niente.
Ma il destino era dalla sua parte,
quando stava per pronunciare le parole magiche, le scosse cessarono.
“Stai bene, Marinette?”.
Lei aprì gli occhi lentamente,
ritrovandosi con solo la luce fioca della lampada d’emergenza.
“Credo di si” Si guardò attorno
spaesata, quel movimento della terra, le aveva provocato delle vertigini, non
era ancora pronta ad alzarsi, e sembrava che stesse per vomitare da un momento
all’altro.
Già, che gran bella figura.
“Fa dei respiri lenti e profondi” La
invitò il biondo avendola vista impallidire, quello che gli mancava in quel
momento era ritrovarsi a gestire una crisi di panico, ma Marinette
sembrava collaborare a calmarsi un po’ alla volta.
Adrien prese il
cellulare dallla tasca della giacca, i soccorritori non
rispondevano più al citofono dell’altoparlante di emergenza, quindi dovevano
prodigarsi ad avvisare chi era all’esterno.
“Dannazione” Sibilò a denti stretti.
“Il mio cellulare è morto” Disse Marinette guardando il display, non riusciva nemmeno a
comporre il numero per le emergenze.
“Dobbiamo
uscire da qui.” Disse Adrien con aria preoccupata, se si fosse verificata
un’altra scossa di terremoto, sicuramente l’ascensore sarebbe caduto e loro,
nel peggiore dei casi avrebbero perso la vita.
Questo
se ovviamente, si stava parlando di ragazzi normali con una vita normale, ma
loro erano Lady Bug e Chat Noir, e se non fosse stato per il fatto che erano
costretti a mantenere il segreto sulle loro identità, si sarebbero trasformati
seduta stante.
Chat
Noir avrebbe usato il cataclisma e distrutto la porta, Lady Bug avrebbe usato
il Lucky Charm o lo Yo-yo per raggiungere il piano più vicino.
Marinette riuscì a
calmarsi e per un momento vincere la sua paura, ma ora doveva fare i conti con
la presenza di Adrien in uno spazio ristretto.
Il
suo profumo, aveva invaso quell’abitacolo e per poco non gli svenne ai piedi,
nonostante fossero passati anni, quello che non era di certo passato, era la
cotta per il modello francese, mai confessata.
Mentre
Adrien cercava un modo per aprire la porta, lei osservava attraverso la camicia
bianca la perfetta muscolatura dorsale assieme al suo lato B, messo in evidenza
dallo sforzo che il biondo stava compiendo.
“E’
ermetica.” Disse abbandonando la missione.
Lei
riuscì a volgere appena in tempo lo sguardo altrove, che si posò in una botola
posta in alto, sul lato destro ed ebbe un lampo di genio.
“Guarda”
Le disse indicando la porta “Se mi alzi, forse ci arrivo”.
Adrien
si abbassò in modo da farla salire sulle spalle.
“No,
no, no. Togliti quelle scarpe però, non vorrai arpionarmi con quelle armi e
fare due buchi sul mio fisico perfetto”.
“Queste
armi, come le chiami tu, sono di alta moda e ho speso tutto quello che
ho guadagnato questa estate per pagarmele per poterle indossare in questa
serata”.
“Giuro
che se usciamo da qui sani e salvi, te ne regalo un paio di molto più belle”.
Marinette arrossendo si
tolse le scarpe e le mise delicatamente in un angolo.
“Non
guardarmi sotto la gonna, ok?” Gli disse mentre si apprestava a salire.
“Non
era mia intenzione farlo, sono un gentiluomo sai?”. Ma inevitabilmente, mentre
guardava quello che stava facendo, l’occhio cadde su quel sedere perfetto, sodo
e nudo.
Sicuramente
indossava un tanga di pizzo come quelli che era abituato a vedere sulle riviste
o addosso a modelle famose, e solo a quel pensiero, Adrien arrossì vistosamente,
non aveva mai pensato a Marinette in quei termini, ma
ora che l’aveva sotto mano, pensò a quanto fosse cresciuta.
“Senti
gentiluomo, riesci ad alzarmi un po' di più?” A Marinette mancava pochissimo
per arrivare alla botola e riuscire ad aprirla.
“Milady
accontentata!” Si alzò in punta di piedi cercando di non perdere l’equilibrio,
ma fu lei a farlo, dopo aver udito quella parola.
Insieme
caddero sul pavimento, uno sopra l’altro.
“Come
mi hai chiamata?” Chiese interrogativa inchiodandolo al pavimento, senza dargli
modo di muoversi.
“Ehm…Milady,
perché?”
Non
poteva essere una coincidenza, però era un nomignolo che chiunque poteva
affibbiarle, non aveva nulla di strano o di personale.
Marinette lasciò andare
la presa e si alzò, dando il tempo anche a lui di fare lo stesso.
“Solo
una persona mi chiamava così, e mi ha fatto strano sentirla da te”. Spiegò
gesticolando con le mani.
“Chi?”
Adrien iniziò a sudare freddo e il battito del cuore accelerare come se avesse
il turbo, come se in quel momento pezzi di un puzzle mai terminato e lasciato
lì abbandonato, stavano piano piano andando a posto,
però poi pensò che non fosse una parola così strana da poter portare solo ad
una persona che non vedeva da tanto.
Marinette gli diede le
spalle “Non ha più importanza ormai. Sono mesi che non lo vedo”.
“Non
mi avevi mai parlato di questo ragazzo.”
“Era
solo un amico.” Ma per lei Chat Noir significava molto di più.
“Dal
tuo tono non sembrerebbe.”
“Senti,
dobbiamo parlarne proprio ora?” Chiese infastidita, avevano altri problemi più
grossi a cui pensare e quello non era di certo il momento più adatto a
rinvangare il passato.
Non
fece tempo a finire la frase, che l’ascensore venne colpito da una frustata
talmente violenta, che s’inclinò leggermente, e quando i due ragazzi alzarono
in contemporanea lo sguardo, videro che la lamiera si era lievemente deformata.
Marinette deglutì
rumorosamente, le corde dell’ascensore si stavano staccando.
“Dobbiamo
sbrigarci, altrimenti faremo la fine del gatto col topo”. Lo disse senza
pensare.
Adrien
colse subito l’analogia, ma il fatto che Lady Bug, le avesse affidato il miraculous del topo in passato, non significava che non
fosse stata un’illusione o qualcosa di simile solo per depistarlo, del resto,
anche lui aveva fatto la stessa cosa quando aveva accettato il miraculous del serpente dalla coccinella.
E
ora che ci pensava meglio, durante la battaglia contro Miracle
Queen, Marinette non compariva tra i possessori di miraculous.
“Strano
detto da te” Sorrise sghembo.
“Che
vuoi dire?”
L’ascensore
tremò di nuovo mettendo in allarme i due ragazzi, e la lampada di emergenza si
spense.
“Perfetto!
Ci mancava questa.” Sospirò Marinette mentre una luce
accecante si propagava nell’abitacolo: era Adrien che faceva luce con la torcia
del suo cellulare.
“Ti
conviene risparmiare la batteria, magari quando usciremo da qui avremo bisogno
di chiamare qualcuno”. Lo rimproverò lei.
“Le
linee sono saltate, non riusciremo ad avvertire nessuno in ogni caso.”
*
Passarono
interminabili minuti, e l’aria viziata rendeva difficile persino respirare.
Marinette e Adrien rimasero in silenzio, lei seduta in un angolo con le
mani dentro i capelli, lui in piedi dalla parte opposta con la fronte
appoggiata alla parete.
Adrien
forse si trovava nello stesso ascensore proprio con Lady Bug, ma allora perché
non si trasformava e lo portava in salvo?
Per
lo stesso motivo che portava lui a non trasformarsi in Chat Noir: proteggere la
propria identità, sperava che i soccorsi arrivassero presto, perché sapevano
che c’era qualcuno intrappolato in quell’ascensore.
Marinette si alzò a
fatica, determinata però a portare Adrien fuori da quella trappola.
“Riesci
ad alzarmi ancora?”.
Lui
la guardò e annuì con il capo, ma restare in equilibrio e in punta di piedi con
l’ascensore un po' pendente, non era facile, ma Marinette
questa volta riuscì ad arrivare alla botola ed aprirla non con poca fatica.
Vennero
investiti da un po' di polvere e detriti di piccole dimensioni, e Adrien chiuse
gli occhi, quando qualcosa ci finì dentro.
“Stai
bene?”
“Si,
si, riesci ad andare su?”
Marinette si aggrappò
alle estremità e si issò raggiungendo il tetto.
“E’
come sospettavo, un cavo si è staccato” Poi guardò su, la cabina si era fermata
a pochissimi centimetri da una porta scorrevole, si avvicinò e con fatica
riuscì ad aprirla di poco “Adrien, siamo arrivati, riesci a salire e darmi una
mano ad aprire la porta?”. Si era affacciata all’apertura dell’ascensore e a
tendergli una mano per aiutarlo a raggiungerla, avrebbe messo i piedi nella
maniglia di sicurezza e issato senza problemi.
Ma
a volte il destino gioca scherzi beffardi e quando si inizia a intravedere uno
spiraglio, questi ti chiude inevitabilmente tutte le speranze.
Un’altra
scossa, un rumore sordo e Marinette fu costretta a
rientrare per non venire colpita da un’altra corda.
La
caduta venne attutita dal corpo di Adrien “Tutto ok?” Le chiese ignorando il
dolore all’addome.
“S-si”
Ma dalla sua gamba destra proveniva una fitta lancinante, la guardò, e in
penombra scorse un lungo taglio e il vestito strappato.
“Non
stai bene, guarda qua” Le disse Adrien accorgendosi della menzogna, e subito
cercò di correre ai ripari, rompendo ancora di più il vestito per avvolgerlo
attorno alla gamba.
“Il
mio vestito” Protestò lei.
“Sono
in debito di un paio di scarpe e ora anche di un vestito”.
“Eh
no! Così giochi facile.” Incrociò le braccia sotto il seno in segno di finta
offesa.
“Un’edizione
limitata? Un capo unico nel suo genere? Ti potrebbe interessare la cosa?”
“Va
bene, ma rilancio la posta aggiungendo anche una cena”. Lei glielo disse
scherzando, solo per smorzare la tensione e per non pensare al dolore.
“Non
vedo dove sia il problema, anzi, mi chiedo perché non lo abbiamo fatto prima!”.
“Intendi
io e te?”
“Si
esatto, che male ci sarebbe?”
“Niente,
è solo che…magari poi…pensano che io e te…si insomma…che siamo…che stiamo…”
“Che
pensino quello che vogliono, l’importante è quello che proviamo noi”. La guardò
dritta negli occhi, e a Marinette quella frazione di
secondo le sembrò un’eternità.
“Hai
ragione.”
Adrien
la vide pensierosa “Stai forse meditando cos’altro chiedere?” Scherzò, era
incredibile come tirasse fuori il suo umorismo anche in una situazione del
genere, dove le loro vite erano appese ad un filo, e non metaforicamente
parlando.
“No.
Comunque potrei benissimo chiedere dell’altro, visto che mi sarai debitore a
vita!”
“Cioè?”
Inarcò un sopracciglio.
“Semplicemente
perché se usciremo da qui, sarà solo ed esclusivamente per merito mio” Si
pavoneggiò.
Lo
vide increspare un labbro. “Vediamo, sei ferita e non stai facendo al momento
nulla di concreto, cosa ti fa pensare che sarai tu a salvarmi?”.
“Ho
un asso nella manica” Anche se avrebbe voluto dire nella borsetta.
“E
sentiamo, cos’è?” La invitò a continuare.
“Non
posso dirtelo”.
“Perché
no?” Si avvicinò pericolosamente al suo volto ormai sporco di polvere e grasso,
proprio come il suo.
“Sai
come si dice…la curiosità, ha ucciso il gatto”.
Adrien
si allontanò “Non so di che cosa tu stia parlando, ma voglio proprio vedere
cosa ti inventerai…” Si andò a sistemare alla parte opposta alla sua “…e
comunque anch’io ho un asso nella manica” Ammiccò.
*
Un’altra
scossa, questa volta più forte delle precedenti, che rischiava di metterli
ancora di più in pericolo di quello che non erano già.
Marinette si precipitò da
Adrien abbracciandolo più forte che poteva, come se quell’abbraccio le potesse
far passare ogni paura, come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
Cessò
il tutto in pochi secondi, ma non il terrore di quello che stava per accadere.
Anche
l’ultima corda si staccò dall’ingranaggio e l’ascensore iniziò a precipitare a
grande velocità.
“Plagg, trasformami”.
“Tikki, trasformami”.
Invocarono
il loro potere in contemporanea, e in una frazione di secondo, uscirono da
quella che fino a poco tempo fa era la loro trappola mortale.
Rimasero
a penzolare come due salami per una decina di secondi circa, prima che uno dei
due potesse dire qualcosa, ancora impietriti e sconvolti da quanto avevano
appena appreso.
I
due super eroi di Parigi, due icone idolatrate in tutti quegli anni da persone
di tutte le età, erano niente meno che due amici.
Lady
Bug teneva il braccio teso e ben saldo allo yo-yo e con l’altra reggeva il
colletto del costume di Chat Noir.
“Non
mollare la presa eh, Milady.” La supplicò, mentre cercava di attaccarsi come
meglio poteva al suo corpo, mancava poco prima di ritornare ad essere Adrien, prima aveva usato il suo potere speciale, per
distruggere la loro prigione e permettere a Lady Bug di usare al meglio il suo
strumento per salvarsi la vita.
“Sono
tentata.” Rispose acida, non potendo scorgere l’espressione del suo partner avvilita
e affranta, perché ancora avvolti nel buio più totale.
Solo
Chat Noir, grazie alla sua super vista, poteva distinguere la sagoma della
collega e il suo volto meravigliosamente arrabbiato.
L’aveva
avuta sotto mano per tutto quel tempo, quanto si maledisse in quel momento e si
diede dello stupido mentalmente per non essersene mai accorto, ignaro del fatto
che lei stesse facendo lo stesso pensiero, e più che arrabbiata con lui, lo era
con se stessa per non aver mai notato la somiglianza.
“E
dai, non fare così…lo sai che non potevamo rivelare
le nostre identità”.
“Potevi
trasformarti prima, così ci saremo risparmiati questa situazione imbarazzante”.
“Ah,
la colpa è mia adesso. E allora tu?”
“Si,
ma io non ho il potere di distruggere, anche se mi fossi trasformata, avrei
potuto fare ben poco.” Cercò di giustificarsi lei.
Il
terzo bip
proveniente dall’anello di Chat Noir, lo avvertiva che mancavano poco meno di
due minuti prima che si ritrasformasse.
“Forse
sarebbe il caso di parlarne dopo, non credi?”
“Si
meglio, anche perché non riesco a ragionare, non vedo niente e in più tu stai
per ritrasformarti.”
“Posso
rimediare io a questo. Davanti a noi c’è una porta, vedo se con il mio bastone…” Con la mano libera cercò l’arnese da dietro la
sua schiena “…riesco a fare leva. Tu tieniti pronta a
saltare”.
“Ok”
Annuì.
Chat
Noir allungò l’asta fino alla porta che fortunatamente aveva una fessura aperta,
appena percettibile, ma non per lui che riuscì a spalancare senza troppi
problemi, poi saltò e con un balzo arrivò fino all’apertura, e lo stesso fece
Lady Bug dopo essersi dondolata un paio di volte per darsi lo slancio.
Lui
era pronto a riceverla tra le sue braccia, per attutirne la caduta, ma lei pensò
bene di evitarle, lasciandolo con un pugno di mosche in mano.
Appena
in tempo, la trasformazione del super eroe cessò nel preciso istante che mise
il piede a terra, e l’anello sputò fuori un Plagg
affamato.
Adrien gli allungò un
pezzo di formaggio che teneva sotto la camicia.
“Puaaah! Che schifo, è pieno di polvere e calce” Lo sputò più
volte piagnucolando.
“Vedi
di fartelo bastare, mi sa che è l’unica fonte di cibo che troveremo.” Lo
rimbeccò il suo padrone.
“Sai
che ho un palato delicato, e la sabbia non rientra tra la mia dieta.”
“Non
è il momento di fare lo schizzinoso”.
“Tieni,
Plagg” Lady Bug gli allungò un macaron
speciale al frutto della passione “…era per il tuo
custode, ma sono più felice se lo mangi tu”. Rivolse ad Adrien
una finta linguaccia.
“Grazie,
Marinette, tu si che sai come trattarmi”.
Adrien inarcò un
sopracciglio “Cosa? Tu sapevi?”.
“Si,
zuccone, e ho cercato di dirtelo tante volte, ma non mi hai mai ascoltato”
Disse addentando un pezzo di biscotto.
“Ritrasformami.”
Una luce rosse avvolse Lady Bug, facendola tornare come prima e scivolare Tikki tra le mani sporche di lei.
“Tieni
zuccherino, facciamo a metà” Plagg passò un pezzo di macaron
alla sua amichetta.
“Non
chiamarmi zuccherino, comunque
grazie” Ne morsicò un pezzo.
*
Marinette e Adrien provarono ad orientarsi, ma le macerie e la penombra
del corridoio, non erano alleati ideali.
Adrien prese dalla
tasca dei pantaloni il cellulare e con un gesto lo sbloccò ed impostò sulla
modalità torcia, poi puntò la luce sul piano di evacuazione apposto in bella
vista sulla parete.
In
lontananza si potevano udire le sirene delle ambulanze, una era appena passata
a gran velocità nei pressi dell’hotel.
“Chissà
cosa sta accadendo fuori” Sospirò Marinette.
Una
volta cessati, gli unici rumori che potevano percepire, erano quelli di un
tintinnio di acqua e la struttura che sembrava piegarsi su se stessa, ad ogni
loro passo corrispondeva uno scricchiolio.
La
corvina miseil piede in avanti, non
curandosi della piega incurvata del pavimento, e solo il repentino aiuto di Adrien, le evitò di cadere di sotto, che era riuscito ad
agganciarle la schiena con le braccia, andando poi a cadere all’indietro.
“Dobbiamo
avere occhi e orecchie dappertutto”. Le disse inchiodando i suoi occhi.
“G-grazie.” Balbettò alzandosi, troppo pericoloso rimanere
in quella posizione, ambigua, per chi li avesse visti da fuori.
Marinette strinse gli
occhi, quella pseudo caduta, stava aggravando la ferita al polpaccio che aveva
iniziato a sanguinare.
Un’altra
scossa di terremoto e quella sarebbe diventata la loro tomba.
“Scusami”
Disse guardandola negli occhi “E’ tutta colpa mia se siamo in questa
situazione” Strinse un pugno poi distogliendo lo sguardo.
“Adrien…sono io che ti chiedo scusa, avrei dovuto
trasformarmi prima.”
“La
volete smettere di darvi la colpa l’uno con l’altro e pensare ad un modo di
uscire da qui?” Plagg era alquanto irritato, forse
perché non era riuscito a mettere sotto i denti il suo solito camembert e tutto
quel zucchero lo stava mandando fuori di testa.
“Plagg ha ragione, inutile pensare al passato, troviamo una
via di fuga” Adrien illuminò la mappa leggermente
lacerata.
“Siamo
all’ultimo piano, fantastico” Disse Marinette in tono
sarcastico leggendo il numero posto in alto alla piantina.
Il
biondo per un momento si ricordò di una cosa “Papà” Biascicò a mezze labbra, era probabile che suo padre si
trovasse lì, come molta altra gente, iniziò a percorrere quei corridoi,
arrivando davanti la porta della sala conferenza, seguita dalla ragazza che gli
intimava di fermarsi.
La
porta di mogano marrone, era divelta e al suo interno solo tavolini ribaltati,
ceramiche e cristallerie erano in mille pezzi sul pavimento, come il cibo che
era stato preparato.
“C’è
nessuno?” Chiamò Adrien non ottenendo risposte “Papà?
Papà sei qui?”.
“Saranno
già stati evacuati” Constatò Marinette guardandosi
attorno e trovando la sala deserta.
“Controlliamo
noi” Dissero i due kwami prodigandosi a cercare forme
di vita umane.
Guardarono
dappertutto, sotto i tavoli rimasti in piedi, sotto il palco, dietro le tende e
nelle stanze adiacenti, ma niente, non c’era nessuno.
“Andiamo
allora” Ordinò Marinette.
*
Aprirono
la porta delle scale di emergenza e tirarono un sospiro di sollievo nel
constatare fosse intatta e agibile, una lunga corsa e sarebbero arrivati a
terra in un batter d’occhio.
Ma
i due ragazzi erano pur sempre dei super eroi, anche se al momento vestivano i
panni civili.
“Vai
tu, ti raggiungo presto” Gli disse.
“Che
cosa fai?”
“Devo
assicurarmi che non ci sia nessuno” Spiegò sorridendo, cercando di nascondere
tutta la preoccupazione.
“Non
posso lasciarti sola, e poi anch’io sono della tua stessa opinione” Non
l’avrebbe abbandonata per niente al mondo, niente e nessuno li avrebbe più
divisi, non ora che si erano ritrovati.
“Adrien.” Lo richiamò Marinette
mettendogli una mano sul braccio.
“Dimmi.”
La invitò a continuare con quello che gli stava per dire.
“S-sono contenta che sei tu Chat Noir.”
Il
biondo l’abbracciò forte “Non sai quanto mi sto odiando in questo momento per
non aver capito prima che tu eri sempre stata accanto a me, Milady.”
“Quanto
lo sto facendo io in questo momento?” Chiese sorridendo per cercare di
nascondere le lacrime “Adrien, io…”
La
zittì poggiandole l’indice sulla bocca “Dopo, ora pensiamo ad uscire da qui”.
Chiusero
la porta antipanico e proseguirono la ricerca, muniti di torcia, un estintore
estirpato dalla parete e un tubo di metallo.
“Sbrighiamoci”
Dissero all’unisono partendo alla ricerca di superstiti, sperando di non
rimanere vittima di quella trappola e di doversi pentire di quella decisione
presa.
Erano
riusciti ad ispezionare cinque piani grazie anche ai loro kwami
che senza problemi, potevano oltrepassare la materia e quindi anche le stanze
che da fuori erano sbarrate per il crollo del tetto, potevano venire
controllate senza tralasciare niente, per soli i ragazzi, sarebbe risultato
impossibile spostare travi o ammassi di detriti in poco tempo, anche se fossero
stati trasformati.
Le
scale principali erano libere, così poterono camminare senza fatica.
Mancava
poco per raggiungere il pian terreno, e Marinette
aveva bisogno di fare una piccola pausa, la gamba le stava facendo male e il
dover camminare scalza e mezza nuda tra quei corridoi, pieni di sassi
appuntiti, non aiutava, in più, sentiva freddo, e quei brividi la costrinsero a
massaggiarsi le braccia, per scaldarle.
“Che
fai?” Chiese ad Adrien intento a togliersi la camicia
ormai sgualcita del tutto, passando da un bianco candido a un grigio.
“Hai
freddo, non ho una giacca, così ti aiuto come posso.”
“E’
incredibile come in una situazione del genere cerchi di metterti in mostra” Lo
schernì, e distogliendo lo sguardo per la vergogna, si andò a posare in una
giacca abbandonata proprio al bordo del corridoio “…rivestiti!”
Gli ordinò indossando il capo più grande di lei di un paio di taglie.
“Messaggio
recepito: niente spogliarello per Milady”
“Risparmialo
per le tue fan”
“Noto
una punta di gelosia, o mi sbaglio?” Si avvicinò pericolosamente al suo volto.
“Ti
sbagli” Rispose spostandosi un po’.
“Però…se non ricordo male, eri anche tu una mia fan, quindi,
quello di prima era un invito?” Sapeva come metterla in scacco e in imbarazzo,
la cosa lo divertiva sempre un sacco.
“Hai
detto bene: ero” Lo allontanò definitivamente
puntando sul suo petto muscoloso le sue esili braccia.
“Comunque,
basta chiedere” Sorrise sghembo, e per fortuna che lei gli stava dando le
spalle e non poteva vedere la sua faccia andare a fuoco, altrimenti non avrebbe
esitato ad usare l’estintore che si portavano appresso.
*
Tra
un battibecco e l’altro, finalmente erano arrivati al piano terra, che sembrava
l’unico luogo a non aver subito gravi danni, e come tutti gli altri piani
dell’hotel che avevano setacciato, controllarono stanza dopo stanza, non
tralasciando niente.
Sarebbero
usciti più tranquilli da lì, sapendo di non aver lasciato indietro nessuno.
S’incontrarono
davanti l’ingresso principale, pronti per partire per le prossime tappe: villa
Agreste che era quella più vicina, per passare poi per la boulangerie
di Marinette ed infine gli ospedali, la priorità era
quella di rintracciare i loro genitori.
“Non
c’è nessuno” Gli urlò Marinette uscendo dalla sala
della colazione e fermandosi sopra un tappeto persiano.
“Nemmeno
qui” Adrien si stava avvicinando a lei, quando
un’altra scossa fece tremare la terra.
Il
lampadario di cristallo sopra la testa di Marinette
si staccò, lei non riusciva a muovere le gambe, sembrava come se qualcuno le
avesse rese di pietra.
“Attenta!”
Senza pensarci, il biondo si lanciò in suo salvataggio, scaraventandola appena
in tempo via da quella trappola.
Marinette fu costretta a chiudere
gli occhi per il dolore, perché il suo compagno l’aveva scaraventata
inavvertitamente addosso ad una parete, e l’impatto sembrava averle causato una
frattura scomposta alla spalla destra.
Se
la massaggiò stringendo i denti, sperando che il dolore andasse scemando, senza
successo, ma passò poi tutto in secondo piano, quando vide Adrien
steso a terra che sembrava ad una prima impressione privo di sensi.
Si
avvicinò carponi, trascinandosi con la gamba ferita che pareva essere
peggiorata.
“Adrien, Adrien” Lo scosse
leggermente e di riposta ottenne un mugugnare incomprensibile.
Tirò
un sospiro di sollievo: era vivo, ma ferito, gravemente ferito.
I
suoi occhi si posarono sulla sua camicia imbrattata di rosso, sul fianco destro
si ergeva un pezzo enorme di vetro.
Fece
per alzarsi, aiutandosi con i gomiti.
“Non
farlo, devo prima vedere come sei messo.” Sudava e tremava Marinette
mentre controllava la situazione, e per poco non ebbe un mancamento, non solo
per il dolore suo, ma per il troppo sangue che usciva da Adrien.
Era
messo male, doveva trovare una soluzione alla svelta, ma per prima cosa, doveva
spostarlo da lì, non poteva rischiare che potesse venire seppellito dal crollo
del soffitto.
Mancavano
pochi passi e sarebbero potuti uscire di lì, ma a volte il destino gioca brutti
scherzi.
Strappò
come meglio poteva un lembo di stoffa, preso da una tenda dell’ingresso
dell’Hotel Le GrandParis,
lo avrebbe legato stretto attorno alla vita, in modo da poter tenere fermo il
più possibile il vetro conficcato nella carne, così non avrebbe creato più
danni.
Poi,
lo prese per le braccia e lo trascinò fuori, fino a raggiungere il marciapiede.
“Scusami”
Gli disse notando che stava parecchio soffrendo, non si stava lamentando
apertamente, ma a Marinette bastò la sua espressione
per avvilirsi.
Lei
non poteva fare niente per lui.
Adrien aveva bisogno
urgente di un medico, ed ella, non lo era affatto; certo, aveva partecipato
attivamente ai corsi di primo soccorso, sapeva cosa fare in caso di
rianimazione, in caso di soffocamento, aveva un attestato anche per
disostruzione delle vie aeree in età pediatrica, e nel caso del suo amico, la
prima cosa che avrebbe dovuto fare era avvertire i soccorsi e seguire le loro
indicazioni.
Perfetto,
pensò.
Nessuno
però le aveva mai detto come comportarsi nel caso si trovasse assieme ad un
ferito grave nel mezzo di un terremoto, e se anche lei stessa aveva bisogno di
cure.
“Ok,
pensa Marinette” La corvina fece un bel respiro
profondo.
Attese
qualche secondo guardandosi attorno, era tutto completamente buio.
La
corrente era saltata, la strada era leggermente deformata e gli idranti
continuavano a buttare fuori acqua.
Solo
in lontananza si sentivano le sirene dei soccorsi che pattugliavano quelle
strade, alla ricerca di feriti che sarebbero stati smistati negli ospedali
vicini.
“Abbiamo
aspettato troppo.” Marinette era arrabbiata e battè i pugni a terra, ma non c’era tempo per piangersi
addosso, aveva una missione, e la vita di Adrien dipendeva
da lei in quel momento.
“Non
è colpa tua” Sospirò con un filo di voce cercando di trattenere una smorfia di
dolore, per Adrien era difficile anche respirare, ma
non glielo disse, era già in panico così, meglio mentire sulle reali condizioni
di salute, soprattutto perché la situazione non sarebbe cambiata di molto.
“Ci
penso io a te, non ti abbandonerò, non ora che ti ho ritrovato, Chaton”. Gli
volse uno dei suoi soliti sguardi, uno di quelli che lo faceva innamorare
perdutamente ogni volta che si specchiava dentro i suoi zaffiri, e il suo cuore
iniziò a pompare più sangue, pessima idea.
Com’era
stato stupido e idiota a non essersene mai accorto prima.
“Lasciami
qui, va a cercare aiuto per te” Notò che continuava a tenersi la spalla con
l’altra mano, che la benda improvvisata legata sulla ferita al polpaccio, ormai
era intrisa di sangue e faceva fatica a rimanere su, i piedi scalzi erano
feriti e non escludeva che qualche pezzo di vetro si fosse incastrato sotto la
pianta.
“Siamo
una squadra, non abbandonerò mai un mio compagno ferito. Ti giuro Adrien, che ti porterò in ospedale.” Fece una breve pausa “…anche perché mi devi una cena”. Gli disse sorridendo
cercando di distrarlo.
“Hai
dimenticato le scarpe e il vestito”. Aggiunse non perdendo il suo senso
dell’umorismo.
“Giusto”.
Acconsentì lei.
*
Marinette si guardò
attorno in cerca di qualche idea.
“Marinette, possiamo aiutarti?” Le chiesero sia Plagg che Tikki volteggiando
davanti al suo volto.
“Una
macchina, mi serve una macchina. L’ospedale non è lontano, ma non posso
trascinare Adrien per kilometri con quella ferita, non
si reggerebbe in piedi”. La ragazza non ebbe il coraggio di vedere se era
peggiorata o rimasta stabile. “Potrei sempre trasformarmi in Lady Bug e usare il….”.
“Pessima
idea, sarebbe scopo personale” Intervenne Plagg.
“E’
per salvare Adrien, non userei il mio potere per me”.
“Ma
Adrien non è stato colpito da un’akuma,
potresti ottenere l’effetto contrario” Precisò Tikki.
“Allora
trovatemi una macchina, nessuno in questa città lascia più la vetture
incustodite? Solo a me le rubano?”. Già, mesi fa le avevano rubato l’auto
lasciata incustodita cinque minuti sotto casa, giusto il tempo per salire in
camera sua e prendere un cambio. Era la sua prima macchina, comprata con gli
stipendi accumulati durante la stagione estiva, mentre aiutava i suoi in
pasticceria.
“Posso
camminare, milady” Adrien provò ad alzarsi, ma fu costretto a stendersi di
nuovo, perché non sentiva più le gambe, oltre al fianco, e ai polmoni, doveva
avere anche una contusione alla colonna vertebrale.
“Laggiù,
Marinette” Mezza coperta da un albero caduto e il
buio che non faceva vedere bene, si trovava un suv
nero.
“Speriamo
funzioni! Plagg, Tikki,
aiutatemi a metterla in moto”
*
Marinette tirò un sospiro
di sollievo, la vettura era intatta e non sembrava aver subito danni; Plagg aprì con un solo gesto la portiera attraversandola, e
Tikki riuscì ad accenderla.
La
fortuna era dalla loro, per una volta.
Parcheggiò
vicino ad Adrien, in modo da poterlo sollevare e
mettere nel sedile anteriore senza problemi, poi si sarebbero defilati a gran
velocità verso l’ospedale più vicino, che distava solo qualche isolato, meno di
cinque minuti in macchina.
Non
fu facile farlo salire, doveva fare molto attenzione a spostarlo, e andando
incontro a tutte le regole, si era trasformata in Lady Bug, senza quel piccolo
aiuto, non sarebbe mai stata in grado di tirarlo su.
Non
usò il lucky charm, per non spossare la kwami, in quel momento non avrebbe avuto niente da darle
per farle riprendere le forze, e se si fossero trovati in serio pericolo, non
sarebbe potuta intervenire, anche se si stava chiedendo che cosa potesse andare
peggio di così.
Nemmeno
il tempo di finire di pensare, che Marinette spalancò
bocca e occhi, la strada non era percorribile a causa di una voragine che
l’attraversava in orizzontale, dividendo in due la città.
“Che-che succede?” Chiese il biondo ormai allo stremo dello
sue forze.
“Proviamo
un altro percorso”
Marinette girò la
macchina ed avanzò piano, proprio come aveva fatto prima, doveva evitare il più
possibile le buche e bruschi movimenti, nonostante Tikki
e Plagg lo stavano tenendo fermo con i loro poteri,
in quella circostanza non sarebbero durati a lungo e tra un po’ avrebbero avuto
bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.
“Grazie,
Milady” Sussurrò a mezze labbra il
biondo.
“Mi
ringrazierai dopo, quando ti avrò affidato alle cure di un medico”.
“Anche
tu hai bisogno di aiuto, per colpa mia ti sei slogata una spalla e sei ferita
ad una gamba”.
“Un
po’ di pomata e passa tutto. Se non fosse stato per te, mi troverei io al tuo
posto, o peggio ancora”.
Cercava
di tenerlo sveglio, non poteva rischiare che si addormentasse o perdesse i
sensi, avrebbe significato che il suo corpo stava cedendo e questo non poteva
permetterlo, non se lo sarebbe mai perdonato.
“Una
damigella in pericolo, va sempre aiutata, anche se questa è Lady Bug”.
“Forse
non sono molto degna di essere lei, non riesco nemmeno a proteggermi da sola”.
“Non
devi neanche pensarla una cosa del genere, tu sei fantastica Marinette, lo sei sempre stata, sono io l’idiota che non se
n’è mai accorto, quello che era accecato da l’occultamento della maschera”.
Ansimava mentre parlava.
“Se
ti può consolare, nemmeno io ho mai sospettato di te”.
“Si,
ma tu non eri innamorata di me.”
A
Marinette si seccò ancora di più la gola e poteva
sentire come degli artigli affilati che la ferivano.
“S-sei un amico, il mio migliore amico. Avrei dovuto
accorgermene no?” Non sa nemmeno lei come le era uscita una cosa del genere,
certo che è stata innamorata di lui, e lo era tutt’ora, solo che lui non lo
poteva sapere, e come avrebbe potuto? Non glielo aveva mai confessato.
Marinette guardò dallo
specchietto retrovisore e lo vide con gli occhi chiusi.
Non
aveva ricevuto risposta e la cosa l’aveva insospettita, forse non aveva nemmeno
sentito quello che gli aveva detto.
“Adrien!” Lo chiamò, e i due kwami
cercavano di svegliarlo.
“E’
svenuto, Marinette” Constatò Tikki notando la schiena
che si abbassava e alzava.
“Dobbiamo
fare presto” Si preoccupò Plagg.
Ma
quando si dice che le disgrazie non vengono mai sole, la macchina si fermò di
colpo, la benzina si era esaurita a pochi passi dall’ospedale.
Marinette poteva vedere
le luci offuscate, la stanchezza stava avendo il sopravvento, ma non era giunto
ancora il momento di mollare.
Gli
aveva giurato che lo avrebbe portato da un medico, e lo avrebbe fatto.
Scese
di corsa dalla macchina e l’impatto con i sassetti
appuntiti, la fece sobbalzare, ma non c’era il tempo per dire ahia, o di piangersi addosso, oppure
permettersi di svenire perché il dolore alla spalla di faceva via via sempre più intenso.
“Tikki, trasformami” Non sarebbe mai riuscita a portarlo in
braccio con solo le sembianze di Marinette, le
occorreva un piccolo aiuto, al diavolo se questo avrebbe comportato andare
contro le regole.
Senza
nessuna fatica, lo tirò fuori dall’auto e se lo caricò in spalle, non poteva
permettersi di piegarlo.
Camminò
qualche minuto, notando le luci e le sirene sempre più vicine, come le urla di
gente disperata, che rimbombarono forti nella testa di Lady Bug, che chiedeva
solo che quell’incubo finisse presto.
Ancora
pochi passi e sarebbero arrivati a destinazione.
Crollò
con il peso di Adrien addosso.
Tikki senza volerlo
aveva sciolto la trasformazione, la sua portatrice era troppo debole per
sopportare il potere dentro di se.
La
corvina riuscì a spostarsi da sotto il suo corpo con le ultime forze che gli
rimanevano.
“Mi
dispiace” Pianse e copiose lacrime le bagnarono il viso, mentre stringeva
quello di Adrien tra le sue braccia.
“M-milady! H-hai fatto tutto
quello c-che po-potevi” Adrien
riprese i sensi, forse per l’impatto con la strada.
“Sono
una frana, non riesco più a camminare”.
“Hai
fatto anche troppo.”
“Sarai
sicuramente deluso da me”.
“N-no. Questo m-ai”.
“Ti
amo, Adrien” Gli disse mentre sentiva la sua vita
scivolare via tra le sue dita.
Si
accasciò infine anche lei accanto al suo corpo, quando sentì le forze venir
meno.
Tutto
quello che Marinette ricordava prima di perdere i
sensi in quella strada, a pochi passi dalla salvezza, erano delle voci ovattate
che rimbombavano nella sua testa, sussurri incomprensibile alle sue orecchie.
Il
defibrillatore che scaricava la sua scossa un paio di volte.
“C’è battito. Alziamo, un, due, tre”.
Qualcuno
sembrava urlare il nome suo e quello di Adrien,
forse, non ne era certa.
I
suoi occhi si aprivano e chiudevano come se fosse una marionetta.
Luci
gialle, bianche e rosse si susseguivano.
Una
di esse venne anche puntata dentro i suoi occhi per assicurarsi che fossero normoreagenti.
“Sembra svenuta” Anche quella frase era
ovattata e sembrava essere stata detta in lontananza.
“Tieni duro, amica mia.” Non sapeva chi
l’ avesse detta dopo che le era stata lasciata la mano.
“Abbiamo un codice rosso e uno giallo”
Varcò delle porte scorrevoli su di una barella e chiuse gli occhi non appena la
luce delle lampade al neon la investì.
Poi
il buio.
Niente.
*
Aprì
gli occhi di scatto, ma li richiuse subito dopo.
Non
sa quanto tempo era passato, non ricordava nemmeno se quello che aveva vissuto
nell’ascensore e poi nell’Hotel Le GrandParis, fosse stato solo frutto della sua immaginazione o se
l’avesse vissuto sul serio.
Un
terremoto a Parigi? Quando mai si era visto?
Ma
il dolore al petto, sommato a quello del fianco destro, gli fecero capire che
fosse tutto vero.
Questa
volta, cercò di aprire lentamente i suoi occhi verdi, in modo da abituarsi
gradualmente alla luce.
La
prima cosa che vide, fu il nasone e il volto del suo migliore amico Nino.
“Ehi,
amico. Sei sveglio!”
“S-sono morto?” Aveva la gola secca e faceva fatica a
deglutire la saliva.
Nino
si grattò la testa “Lo sei stato” S’interruppe “…per
qualche minuto almeno.” Ed ecco spiegato il macigno che gli sembrava avere nel
petto, doveva essere stato rianimato, non c’era altra spiegazione.
Lo
aveva letto da qualche parte che dopo aver subito una rianimazione con quell’aggeggio
infernale, ci avrebbe messo un po’ il dolore a sparire.
“C-che è successo?” Chiese sussurrando e perdendo la
fonetica di quella domanda verso la fine, aveva bisogno assolutamente di bere
qualcosa.
Nino
gli passò un bicchiere di plastica con dell’acqua naturale al suo interno, che
trangugiò tutta d’un sorso.
“E’
successo che vi hanno trovato qua fuori, ti hanno riportato indietro dal mondo
dei morti e ora sei salvo!” Fece una pausa “…ah! Ma
quella la cosa meno importate, avevi una brutta ferita e hanno dovuto
trapiantarti un rene di un maiale”. Scherzò ovviamente, ma Adrien
sembrava esserci cascato.
“Davvero?”
Strabuzzò gli occhi.
“Ehi,
rilassati, sto scherzando!” Rise divertito “…ovviamente
solo sul rene di maiale. Avevi una brutta ferita, sei stato in sala operatoria
per ben quattro ore, i medici hanno fatto di tutto per salvarti il rene e il
polmone che sembrava essere stato trafitto da mille lame. Tuo padre ci ha detto
che avevi dei pezzi di vetro anche li”
“M-mio padre è qui?” Sembrava che la sua operazione fosse
passato in secondo piano.
“Si
certo, è andato insieme ai genitori di Marinette e ai
nostri, a mangiare qualcosa.”
“Marinette!!” Esclamò il suo nome, non che si fosse
dimenticato della sua amica che aveva lottato con tutte le sue forze per
portarlo in ospedale.
Si
mise seduto e cercò di strapparsi tutti gli elettrodi e i drenaggi a cui era
attaccato.
“Fermo
amico. Calmati” Cercò di riportarlo in sé “E’ qui” Gliela indicò nel letto
vicino, stava dormendo beatamente.
“Non
disturbarla! Si è appena addormentata” Bisbigliò puntualizzando di fare
silenzio “…non ha dormito molto in questi giorni”.
“In
questi giorni?” Fece di rimando.
“Sei
stato in coma per ben quattro giorni” Rispose lui alzando quattro dita “Marinette era molto preoccupata per te, si colpevolizzava
per non averti portato qui in tempo”.
Adrien le volse un
sorriso pieno d’amore “La mia Lady Bug”.
“Già,
è stata super! Ci ha raccontato cos’è successo e di come è riuscita da sola a
portarti qui. Da’ retta a me, Lady Bug dovrebbe dare il miraculous
a lei”.
“Non
serve” Disse a mezza labbra.
“Hai
detto qualcosa?” Per fortuna Nino non lo aveva sentito, avrebbe sicuramente
frainteso le sue parole, o meglio, avrebbe rivelato al suo migliore amico,
involontariamente, l’identità della super eroina.
“No,
no” Avrebbe negato fino alla morte.
“Adrien!” Esclamò urlando Alya,
che con un balzo degno di un felino, andò ad abbracciarlo.
“Sto
bene, sto bene.
“Eravamo
così in pensiero per voi! Non vi trovavano da nessuna parte. Hanno setacciato l’hotel
ben due volte”.
“Dovevano
guardare nel’ascensore.”
“Si,
Marinette ce lo ha detto…solo
è strano che siete riusciti a scappare da quella trappola” Si portò due dita
sul mento per pensare a come erano riusciti a salvarsi “…eravate
senza elettricità, senza arnesi per aprire le porte…”
Adrien simulò un mal
di testa “Scusami, sono ancora confuso, non mi ricordo bene.”
L’occhialuta
increspò le labbra, anche la sua amica Marinette l’aveva
liquidata con quella scusa banale, eppure, ricordava molto bene il tragitto che
aveva compiuto dopo essere uscita dall’hotel.
“La
volete smettere di fare baccano?” Chiese infastidita la corvina, che non voleva
voltarsi, aveva paura ad incontrare il suo sguardo smeraldo.
“Ben
svegliata, Mi..Marinette” Salutò timidamente il
biondo.
Intanto
Nino, aveva fatto segno ad Alya con la testa, che
forse era meglio lasciarli da soli, con grande disappunto di quest’ultima,
sarebbe stata la sua occasione per intervistarli entrambi, e scrivere un grande
articolo, che forse avrebbe intitolato “EscapeRoom”, come il noto gioco.
Ma
poi pensò che non era il momento adatto per trasformarsi in uno di quei
giornalisti che venivano soprannominati sciacalli
dell’informazione, avrebbe scritto più tardi il suo articolo.
“Vi
portiamo qualcosa da mangiare?” Chiese Nino.
“Non
preoccupatevi, sicuramente tra un po’ ci porteranno il pranzo”.
“Uh,
sai che bontà…brodino e prosciutto cotto” Lo derise Alya
sistemandosi la pancia.
“Andiamo,
Alya. Prime che i panini col crudo e stracchino
finiscano”. Nino cinse le spalle della sua ragazza e salutò i due amici,
avvisandoli che terminato il pranzo, sarebbero ritornati a fargli compagnia.
*
Marinette e Adrien rimasero in silenzio per qualche minuto.
Lui
continuava a torturarsi le mani cercando di prendere il coraggio di parlare, di
dirle qualsiasi cosa gli passasse per le testa.
Aveva
pensato centinaia di volte a cosa avrebbe detto alla ragazza che si nascondeva
dietro la maschera rossa a pois neri, ma nulla che gli ritornasse utile in
quella situazione.
Marinette al contrario,
si stava maledicendo per non essersi accorta prima che il volto di Chat Noir
combaciava perfettamente con quello del suo migliore amico e del ragazzo che le
aveva fatto battere il cuore in tutti quegli anni.
“Senti,
io…” Dissero insieme allo stesso mento, facendoli
imbarazzare da morire.
La
corvina poi, si sedette sul bordo del letto con le gambe a penzoloni.
Adrien notò il suo
polpaccio fasciato sapientemente dalle abili mani di medici di infermieri e i
suoi piedi tumefatti e gonfi, poi qualcosa gli diede il coraggio di alzare il
viso verso il suo e vide anche la spalla fasciata.
“Era
lussata, ma un bravo medico me l’ha sistemata. Per fortuna ero svenuta,
altrimenti lo avrei fatto per il dolore, infatti, quando ha praticato la
manovra, mi sono svegliata”.
“Mi
dispiace, Marinette!” Riuscì a dire dopo aver abbassato ancora lo sguardo.
Si
sentiva totalmente inutile, aveva salvato Parigi un milione di volte, e non era
riuscito ad aiutare un’amica in difficoltà.
“Cosa,
Adrien? Mi hai salvato la vita”.
Il
biondo deglutì il nulla, e quel gesto gli costò un dolore alla gola secca,
doveva essere stato anche intubato, altrimenti non si spiega.
Marinette aveva capito, e
gli passò un bicchiere d’acqua, dopo aver saltellato con un piede per
raggiungere il boccione d’acqua.
“Guardati,
sei messa male!”.
“Posso
assicurarti che stai peggio te” Gli disse tornando nella medesima posizione di
prima.
Adrien pensò che fosse
bellissima anche con quel camice addosso, chissà come sarebbe stato
sfilarglielo e…scosse la testa un paio di volte
diventando color cremisi.
“Passerà…e sono contento, così avrò una scusa per dire addio
alla mia carriera di modello”.
“Ti
ritiri?”
“Chi
mi vorrebbe con cicatrici su tutto il corpo?”
“Sono
ferite di guerra, alle donne piacciono”.
“Anche
a te?” Lo chiese così, di getto, perché nella sua testa l’ultima cosa che
ricordava di quella folle serata erano le parole che la sua amica gli aveva
rivolto.
Quel
ti amo inaspettato, lo aveva sentito
bene.
Poi
si era lasciato andare, perché sapeva che tra le sue braccia era al sicuro,
anche se sentiva che la vita gli stava scivolando via dal suo corpo.
Marinette avvampò, lo
avrebbe amato anche se gli avessero amputato una gamba o un braccio, ma non
parlò, continuò a torturare l’orlo del camice bianco in cerca di una risposta
da dargli.
Che
fosse giunto il momento di dirgli la verità? Oppure le aveva fatto quella
domanda perché aveva sentito le sue ultime parole dettate dalla disperazione?.
“Senti,
Marinette” Continuò a parlare lui vedendo che dalla
sua bocca non stava uscendo nessun suono.
“Le
hai sentite, vero?” Domandò cogliendolo di sorpresa.
“Quella
sera ho sentito qualcosa, si…perché non me lo hai mai
detto?”
“Perché
non ho mai trovato il momento adatto, Adrien”
“E
mentre morivo ti sembrava l’occasione giusta?”
“Avevo
sempre temuto un tuo rifiuto”.
“E
dirmelo mentre ero privo di sensi era la cosa più logica da fare, così avresti
avuto la scusa ma io te l’ho detto, sei stato tu che non mi hai risposto. Ma
non hai messo in conto che non potevo risponderti perché ero morto” Si era
alterato, per la prima volta in tutti quegli anni, Adrien
si stava infuriando.
“Cosa
te ne importa che non te l’abbia mai detto, eh? Tanto tu mi consideri solo un’amica”.
Incrociò le braccia sotto il seno in segno di offesa, e volse lo sguardo da un’altra
parte, non aveva voglia di scontrarsi con il suo volto inquisitore.
“Non
lo sei mai stata”.
Marinette deglutì e
ritornò a rilassare il volto.
“Ma
l’ho capito tardi, quando ormai stavi con Luka…”
“E’
successo quattro anni fa, e poi tu stavi con Kagami.”
“Ti
sei mai chiesta perché l’ho lasciata? Non l’amavo, perché nel mio cuore Lady
Bug era sempre una presenza costante, e tu, Marinette,
ho sempre provato qualcosa per te che andava ben oltre all’amicizia, ma fino ad
ora non sapevo che cosa fosse. Poi quando ho scoperto che siete la stessa
persona, ho avuto la mia risposta, e ogni tassello del puzzle ha trovato il suo
incastro”.
Marinette doveva
sbrigarsi a dire qualcosa.
“Siamo
due idioti, vero?”
“Decisamente
si” Confermò ridendo.
“Con
Luka non è andata bene semplicemente perché provavo
dei sentimenti molto forti per te, come li provo adesso. E averti avuto tra le
mie braccia esanime…ho avuto paura, non so come avrei
reagito se ti fosse capitato il peggio” I suoi occhi si stavano riempiendo di
lacrime e la sua gola riusciva ad emettere solo singhiozzi, gli stava dicendo
che lo amava e che era tutta la sua vita, che non si sarebbe perdonata se
quella sera sarebbe morto, gli aveva promesso che lo avrebbe portato in salvo,
ancora quando erano dentro l’ascensore, e doveva tener fede a quel patto.
“Vieni
qui.” Adrien le allargò le braccia, facendole segno
di accoccolarsi a lui, e nonostante la permanenza in ospedale era stata lunga,
i suoi capelli odoravano ancora di cioccolato e vaniglia.
“Ti
avevo detto che ti avrei salvato” Si avvicinò poi al suo volto, intenta a
stampagli un bacio a fior di labbra.
“Ehi,
piccioncini” Entrò un infermiera con due vassoi del pranzo “Li appoggio qui”.
Poi se ne andò senza aspettare risposta.
Adrien guardò Marinette sorridendo “Non è il pranzo che ti avevo
promesso, ma penso vada bene lo stesso, no?”
“Era
una cena, non cambiare la carte in tavola adesso” Puntualizzò lei sorniona.
*
FINE
*
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti! E con il quinto capitolo siamo
giunti alla fine di questa breve storia hurt/confort.
Spero vi sia piaciuta e che non sia risultata troppo banale.
Come sempre
attendo le vostre impressioni.
Ringrazio tutti
quelli che hanno commentato i capitoli precedenti, che hanno insito le storie
tra le preferite, seguite e ricordate, ma grazie anche a chi legge solamente.