Non avere paura

di LadyHeather83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il terremoto ***
Capitolo 2: *** Caduta libera ***
Capitolo 3: *** Una via di fuga ***
Capitolo 4: *** SOS ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il terremoto ***


NON AVERE PAURA

*

Il terremoto

 

A Marinette sudavano le mani mentre si accingeva a chiudere la mini zip del vestito, che sapientemente aveva ideato e cucito lei stessa a mano, impreziosendolo con una fila di Swarovski attorno l’addome, a formare una cintura.

Indossò sulle spalle anche la pelliccetta ecologica nera, che aveva legato con i laccetti di raso dello stesso colore.

Il vestito era lungo e rosso, scivolava benissimo a delinearne le forme di una ragazza di ormai vent’anni.

Si guardò allo specchio con aria soddisfatta, la parrucchiera e  truccatrice aveva fatto un ottimo lavoro, le aveva acconciato i capelli in uno chignon spettinato e fatto ricadere leggeri boccoli attorno al viso, incorniciandoglielo alla perfezione, mettendo in risalto i suoi tratti orientali, aiutata dal leggerissimo velo di trucco.

“Sei già bella di tuo, non hai bisogno di ulteriore stucco” Le aveva detto.

Prese la clutch rossa e ci infilò dentro Tikki, il cellulare e le chiavi di casa.

“Sono proprio fiera di te, Marinette” Le aveva detto dopo essersi messa comoda tra la stoffa.

“Grazie, Tikki, ammetto che è stata dura vincere quel concorso, il signor Agreste, è stato molto esigente e pignolo nei miei confronti”.

La casa di moda Agreste, aveva indetto una selezione qualche mese prima per un posto da stagista, che avrebbe coinciso perfettamente con la conclusione dei suoi studi all’accademia della moda.

Si era decisa a partecipare, anche se le sarebbe bastata una telefonata al suo amico Adrien, per farle ottenere il posto, risparmiandole ore di angoscia per sapere se era passata allo step successivo, ma non voleva passare per la raccomandata di turno.

Anzi, quando per puro caso, il biondo aveva scoperto che tra i nominativi, c’era la sua cara amica Marinette, era andato da suo padre, per chiedergli di farle ottenere il posto, scavalcando tutti i pretedenti.

“Da Marinette mi aspetto grandi cose, e non vorrò che si limiti solo ad eseguire i miei ordini, dovrà stupirmi” Gli disse “…e poi non voglio che si spettegoli sul fatto che voi vi vediate, e quindi per questo abbia ottenuto il posto”.

“Siamo solo amici, papà. Non c’è niente tra me e lei”.

“Se lo dici tu”. Nemmeno suo padre credeva alle sue parole.

Gli era capitato di vederli parlare tra i corridoi, oppure quando li beccava in centro in un locale per un aperitivo.

Gli sguardi che si scambiavano reciprocamente, non erano di certo di due amici.

Marinette scese le scale e vi trovò anche i suoi genitori vestiti elegantemente, alla premiazione avrebbero partecipato anche loro quella sera, la loro amata figlia, sarebbe stata presentata come nuovo membro dell’organico della casa di moda e braccio destro di Gabriel Agreste in persona.

“Sei bellissima tesoro” L’abbracciò sua madre che si commosse.

“Mamma, ti scende il trucco così”.

“Andiamo, la carrozza aspetta la sua principessa” Tom prese Marinette sotto braccio per condurla davanti la limousine noleggiata per l’occasione.

“Papà, non dovevi”.

“E’ una serata importante per la mia bambina, volevi forse prendere la metro? Vestita così poi?”.

“Una macchina più sobria sarebbe stata l’ideale” Sospirò rassegnata.

“Sai com’è fatto tuo padre”.

*

Arrivarono davanti l’hotel “Le Grand Paris”, location dell’evento che si sarebbe tenuto all’ultimo piano.

L’autista aprì la portiera a Marinette, e come se fosse una delle più importanti star, scese guardandosi attorno, sistemandosi il vestito e sperando di non inciampare sul tacco dieci.

Venne investita da numerosi flash che le fecero chiudere gli occhi e schermandoli con il braccio guantato.

“Wow, Marinette! Sei fantastica” Una voce da dietro la costrinse a girarsi, l’avrebbe riconosciuta tra mille: Adrien!

Impeccabile dentro il suo smoking nero, che se non fosse stato per la folla di fan imbizzarrite o per il fatto che si trovavano in pubblico, glielo avrebbe strappato via, solo per ammirare dal vivo il suo fisico da Dio dell’Olimpo, apparso sulla copertina di una rivista prestigiosa della moda che pubblicizzava una collezione di intimo uomo.

No, la cotta per lui non le era ancora passata, nemmeno a distanza di anni.

Adrien le porse il braccio “Posso accompagnare al ballo una gentile donzella?”.

Marinette rise sotto i baffi “Ma certo, Milord”.

Ed insieme si avviarono sul red carpet, Adrien più a suo agio che mai salutava i giornalisti e si prestava ad alcune foto, Marinette del canto suo, avrebbe solo voluto sprofondare al centro della terra.

“Ti ci abituerai!” Gli disse mentre salutava Alya, fresca di laurea in giornalismo e neo assunta alla rete locale, accorsa per scrivere il suo pezzo.

“Lo spero” Anche se non si era ancora ripresa dopo il loro ultimo incontro, quando furono costretti a scappare dai giornalisti, un errore madornale, in quanto il giorno dopo era uscito in prima pagina un articolo dove presto i due si sarebbero sposati.

*

Entrarono in hotel e Marinette si staccò da Adrien “Ti restituisco il braccio” Le sorrise.

“Sei stata brava lì fuori”.

“Dici? Mi tremavano le ginocchia, avevo paura di cadere”

“Perché? Eri aggrappata a me.” Chiese con naturalezza, come a voler dire che potrà sempre contare su di lui, che non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo.

Marinette arrossì, ma non colse l’allusione.

Tom e Sabine arrivarono subito dopo, un giornalista li aveva fermati credendo fossero qualche persona di spicco nell’alta moda.

“Gli ascensori sono di qua” Indicò Adrien.

“Sali con noi?” Chiese Marinette.

“Si certo, sempre lì dobbiamo andare”.

“Andate avanti, noi vi raggiungiamo tra un po'” Con la scusa di andare in bagno, Sabine, lasciò da soli i due ragazzi, che si avviarono agli elevatori.

“Fai presto mamma!”

*

Marinette iniziò a tremare e l’imbarazzo presto calò nell’abitacolo, entrambi guardarono nervosamente il display, che ad ogni piano, cambiava il numero.

“Stai bene, Marinette?” Le chiese notando che si era appoggiata alla parete ed osservava il pavimento di moquette bordeaux.

“No…cioè si…cioè...” Balbettò ritornando la Marinette delle superiori.

“Non devi preoccuparti, vedrai che la serata andrà bene”.

“Non è per la serata!”.

L’ascensore sobbalzò leggermente e lei urlò.

“Non dirmi che hai paura degli ascensori” La schernì mettendosi a ridere.

“Si…ma di restare intrappolata”.

“So che Chloè li ha appena cambiati, quindi non hai nulla da temere”.

“Intrappolata e durante un terremoto” Balbettò di nuovo.

Adrien inarcò un sopracciglio, si sarebbe aspettato di tutto, ma questa poi, era un’eventualità che non si sarebbe mai verificata a Parigi.

“Non ti sembra di esagerare? Quante probabilità ci sono che un terremoto investa Parigi?”.

Non fece a tempo a finire la frase, che l’ascensore sobbalzò di nuovo e si fermò di colpo spegnendosi, ed Adrien imprecò mentalmente, non era capace di stare zitto.

Dopo qualche secondo si accese la luce di emergenza.

“Oddio! Ti prego no!” Marinette si portò le mani sul viso ed era sul punto di piangere, lui gliele tolse e la guardò negli occhi.

“Andrà tutto bene, adesso l’ascensore ripartirà, sarà solo andata via la luce”.

“Non andartene!” Lo supplicò vedendo che stava raggiungendo la parte opposta dell’abitacolo.

“Dove vuoi che vada?”

“Intendevo…” Si fermò mordendosi il labbro inferiore “…resta vicino a me”.

Adrien l’abbracciò e le accarezzò la schiena nuda, quel contatto provocò in Marinette una scossa che le percorse tutta la spina dorsale.

“Va meglio?” Chiese con voce soave.

“S-si” Appoggiò la testa sul suo petto finchè il battito non tornò regolare e una voce li stava chiamando.

“C’è qualcuno nell’ascensore?” Sentirono provenire nell’autoparlante.

Adrien schiacciò il pulsante rosse e parlò “Si, siamo in due. Che cos’è successo?”.

“E’ andata via la corrente, i tecnici stanno tentando di ripristinarla, ci vorrà un po'”.

Perfetto, ci mancava solo questa, ma per fortuna non era da sola e durante un terremoto.

“Grazie”.

Marinette avrebbe risposto “Grazie un corno”.

*

Passarono interminabili minuti, e si stava facendo caldo.

Adrien si tolse la giacca e cravatta, ed iniziò ad arrotolare le maniche della camicia bianca.

“Ah! E io che mi stavo preparando a gustarmi uno spogliarello” Esordì Marinette distogliendo lo sguardo.

“Se serve a distrarti…mi sacrificherò per la mia amica”.

Amica.

Ancora quella parola, quanto la odiava Marinette, ma odiava ancora di più se stessa per non aver mai avuto il coraggio di dichiararsi ad Adrien.

Ogni volta le sembra sempre che il momento non fosse quello giusto, ma così facendo, rischierebbe solo di perderlo.

Certo era riuscita in tutti questi anni a conviverci molto bene, e qualche anno fa era anche riuscita a non balbettare più o a pronunciare frasi senza senso in sua presenza, forse è stato per quello che i due ultimamente passavano molto tempo assieme.

Lei sapeva tutto di lui, lui sapeva quasi tutto di lei.

“E’ il tuo ennesimo tentativo di metterti in mostra?”

Riusciva anche a fare battute e spesse volte lo punzecchiava come faceva LadyBug, già la sua lady, chissà che fine aveva fatto, e anche Papillon sembrava da qualche mese sparito nel nulla.

La corrente sembrava essere stata ripristinata, e quando l’ascensore fece per ripartire, si bloccò di nuovo e Marinette ed Adrien caddero a terra.

“Ma che cosa sta succedendo?”

Sembra…sembra un terremoto!” Impallidì Adrien, non sapendo che cosa aspettarsi da quella situazione.

La scossa durò più di un minuti ed istinto, Marinette si era avvicinata a lui abbracciandolo forte.

“Moriremo!” Piagnucolò lei.

“No” Disse lui convinto, stava per trasformarsi in Chat Noir, non sarebbero di certo periti in ascensore, e poi non poteva stare senza far niente.

Ma il destino era dalla sua parte, quando stava per pronunciare le parole magiche, le scosse cessarono.

“Stai bene, Marinette?”.

Lei aprì gli occhi lentamente, ritrovandosi con solo la luce fioca della lampada d’emergenza.

“Credo di si” Si guardò attorno spaesata, quel movimento della terra, le aveva provocato delle vertigini, non era ancora pronta ad alzarsi, e sembrava che stesse per vomitare da un momento all’altro.

Già, che gran bella figura.

“Fa dei respiri lenti e profondi” La invitò il biondo avendola vista impallidire, quello che gli mancava in quel momento era ritrovarsi a gestire una crisi di panico, ma Marinette sembrava collaborare a calmarsi un po’ alla volta.

Adrien prese il cellulare dallla tasca della giacca, i soccorritori non rispondevano più al citofono dell’altoparlante di emergenza, quindi dovevano prodigarsi ad avvisare chi era all’esterno.

“Dannazione” Sibilò a denti stretti.

“Il mio cellulare è morto” Disse Marinette guardando il display, non riusciva nemmeno a comporre il numero per le emergenze.

“Dobbiamo uscire da qui”.

*

Continua

 

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Capitolo 2
*** Caduta libera ***


NON AVERE PAURA

*

Caduta libera

*

“Dobbiamo uscire da qui.” Disse Adrien con aria preoccupata, se si fosse verificata un’altra scossa di terremoto, sicuramente l’ascensore sarebbe caduto e loro, nel peggiore dei casi avrebbero perso la vita.

Questo se ovviamente, si stava parlando di ragazzi normali con una vita normale, ma loro erano Lady Bug e Chat Noir, e se non fosse stato per il fatto che erano costretti a mantenere il segreto sulle loro identità, si sarebbero trasformati seduta stante.

Chat Noir avrebbe usato il cataclisma e distrutto la porta, Lady Bug avrebbe usato il Lucky Charm o lo Yo-yo per raggiungere il piano più vicino.

Marinette riuscì a calmarsi e per un momento vincere la sua paura, ma ora doveva fare i conti con la presenza di Adrien in uno spazio ristretto.

Il suo profumo, aveva invaso quell’abitacolo e per poco non gli svenne ai piedi, nonostante fossero passati anni, quello che non era di certo passato, era la cotta per il modello francese, mai confessata.

Mentre Adrien cercava un modo per aprire la porta, lei osservava attraverso la camicia bianca la perfetta muscolatura dorsale assieme al suo lato B, messo in evidenza dallo sforzo che il biondo stava compiendo.

“E’ ermetica.” Disse abbandonando la missione.

Lei riuscì a volgere appena in tempo lo sguardo altrove, che si posò in una botola posta in alto, sul lato destro ed ebbe un lampo di genio.

“Guarda” Le disse indicando la porta “Se mi alzi, forse ci arrivo”.

Adrien si abbassò in modo da farla salire sulle spalle.

“No, no, no. Togliti quelle scarpe però, non vorrai arpionarmi con quelle armi e fare due buchi sul mio fisico perfetto”.

“Queste armi, come le chiami tu, sono di alta moda e ho speso tutto quello che ho guadagnato questa estate per pagarmele per poterle indossare in questa serata”.

“Giuro che se usciamo da qui sani e salvi, te ne regalo un paio di molto più belle”.

Marinette arrossendo si tolse le scarpe e le mise delicatamente in un angolo.

“Non guardarmi sotto la gonna, ok?” Gli disse mentre si apprestava a salire.

“Non era mia intenzione farlo, sono un gentiluomo sai?”. Ma inevitabilmente, mentre guardava quello che stava facendo, l’occhio cadde su quel sedere perfetto, sodo e nudo.

Sicuramente indossava un tanga di pizzo come quelli che era abituato a vedere sulle riviste o addosso a modelle famose, e solo a quel pensiero, Adrien arrossì vistosamente, non aveva mai pensato a Marinette in quei termini, ma ora che l’aveva sotto mano, pensò a quanto fosse cresciuta.

“Senti gentiluomo, riesci ad alzarmi un po' di più?” A Marinette mancava pochissimo per arrivare alla botola e riuscire ad aprirla.

“Milady accontentata!” Si alzò in punta di piedi cercando di non perdere l’equilibrio, ma fu lei a farlo, dopo aver udito quella parola.

Insieme caddero sul pavimento, uno sopra l’altro.

“Come mi hai chiamata?” Chiese interrogativa inchiodandolo al pavimento, senza dargli modo di muoversi.

“Ehm…Milady, perché?”

Non poteva essere una coincidenza, però era un nomignolo che chiunque poteva affibbiarle, non aveva nulla di strano o di personale.

Marinette lasciò andare la presa e si alzò, dando il tempo anche a lui di fare lo stesso.

“Solo una persona mi chiamava così, e mi ha fatto strano sentirla da te”. Spiegò gesticolando con le mani.

“Chi?” Adrien iniziò a sudare freddo e il battito del cuore accelerare come se avesse il turbo, come se in quel momento pezzi di un puzzle mai terminato e lasciato lì abbandonato, stavano piano piano andando a posto, però poi pensò che non fosse una parola così strana da poter portare solo ad una persona che non vedeva da tanto.

Marinette gli diede le spalle “Non ha più importanza ormai. Sono mesi che non lo vedo”.

“Non mi avevi mai parlato di questo ragazzo.”

“Era solo un amico.” Ma per lei Chat Noir significava molto di più.

“Dal tuo tono non sembrerebbe.”

“Senti, dobbiamo parlarne proprio ora?” Chiese infastidita, avevano altri problemi più grossi a cui pensare e quello non era di certo il momento più adatto a rinvangare il passato.

Non fece tempo a finire la frase, che l’ascensore venne colpito da una frustata talmente violenta, che s’inclinò leggermente, e quando i due ragazzi alzarono in contemporanea lo sguardo, videro che la lamiera si era lievemente deformata.

Marinette deglutì rumorosamente, le corde dell’ascensore si stavano staccando.

“Dobbiamo sbrigarci, altrimenti faremo la fine del gatto col topo”. Lo disse senza pensare.

Adrien colse subito l’analogia, ma il fatto che Lady Bug, le avesse affidato il miraculous del topo in passato, non significava che non fosse stata un’illusione o qualcosa di simile solo per depistarlo, del resto, anche lui aveva fatto la stessa cosa quando aveva accettato il miraculous del serpente dalla coccinella.

E ora che ci pensava meglio, durante la battaglia contro Miracle Queen, Marinette non compariva tra i possessori di miraculous.

“Strano detto da te” Sorrise sghembo.

“Che vuoi dire?”

L’ascensore tremò di nuovo mettendo in allarme i due ragazzi, e la lampada di emergenza si spense.

“Perfetto! Ci mancava questa.” Sospirò Marinette mentre una luce accecante si propagava nell’abitacolo: era Adrien che faceva luce con la torcia del suo cellulare.

“Ti conviene risparmiare la batteria, magari quando usciremo da qui avremo bisogno di chiamare qualcuno”. Lo rimproverò lei.

“Le linee sono saltate, non riusciremo ad avvertire nessuno in ogni caso.”

*

Passarono interminabili minuti, e l’aria viziata rendeva difficile persino respirare.

Marinette e Adrien rimasero in silenzio, lei seduta in un angolo con le mani dentro i capelli, lui in piedi dalla parte opposta con la fronte appoggiata alla parete.

Adrien forse si trovava nello stesso ascensore proprio con Lady Bug, ma allora perché non si trasformava e lo portava in salvo?

Per lo stesso motivo che portava lui a non trasformarsi in Chat Noir: proteggere la propria identità, sperava che i soccorsi arrivassero presto, perché sapevano che c’era qualcuno intrappolato in quell’ascensore.

Marinette si alzò a fatica, determinata però a portare Adrien fuori da quella trappola.

“Riesci ad alzarmi ancora?”.

Lui la guardò e annuì con il capo, ma restare in equilibrio e in punta di piedi con l’ascensore un po' pendente, non era facile, ma Marinette questa volta riuscì ad arrivare alla botola ed aprirla non con poca fatica.

Vennero investiti da un po' di polvere e detriti di piccole dimensioni, e Adrien chiuse gli occhi, quando qualcosa ci finì dentro.

“Stai bene?”

“Si, si, riesci ad andare su?”

Marinette si aggrappò alle estremità e si issò raggiungendo il tetto.

“E’ come sospettavo, un cavo si è staccato” Poi guardò su, la cabina si era fermata a pochissimi centimetri da una porta scorrevole, si avvicinò e con fatica riuscì ad aprirla di poco “Adrien, siamo arrivati, riesci a salire e darmi una mano ad aprire la porta?”. Si era affacciata all’apertura dell’ascensore e a tendergli una mano per aiutarlo a raggiungerla, avrebbe messo i piedi nella maniglia di sicurezza e issato senza problemi.

Ma a volte il destino gioca scherzi beffardi e quando si inizia a intravedere uno spiraglio, questi ti chiude inevitabilmente tutte le speranze.

Un’altra scossa, un rumore sordo e Marinette fu costretta a rientrare per non venire colpita da un’altra corda.

La caduta venne attutita dal corpo di Adrien “Tutto ok?” Le chiese ignorando il dolore all’addome.

“S-si” Ma dalla sua gamba destra proveniva una fitta lancinante, la guardò, e in penombra scorse un lungo taglio e il vestito strappato.

“Non stai bene, guarda qua” Le disse Adrien accorgendosi della menzogna, e subito cercò di correre ai ripari, rompendo ancora di più il vestito per avvolgerlo attorno alla gamba.

“Il mio vestito” Protestò lei.

“Sono in debito di un paio di scarpe e ora anche di un vestito”.

“Eh no! Così giochi facile.” Incrociò le braccia sotto il seno in segno di finta offesa.

“Un’edizione limitata? Un capo unico nel suo genere? Ti potrebbe interessare la cosa?”

“Va bene, ma rilancio la posta aggiungendo anche una cena”. Lei glielo disse scherzando, solo per smorzare la tensione e per non pensare al dolore.

“Non vedo dove sia il problema, anzi, mi chiedo perché non lo abbiamo fatto prima!”.

“Intendi io e te?”

“Si esatto, che male ci sarebbe?”

“Niente, è solo che…magari poi…pensano che io e te…si insomma…che siamo…che stiamo…”

“Che pensino quello che vogliono, l’importante è quello che proviamo noi”. La guardò dritta negli occhi, e a Marinette quella frazione di secondo le sembrò un’eternità.

“Hai ragione.”

Adrien la vide pensierosa “Stai forse meditando cos’altro chiedere?” Scherzò, era incredibile come tirasse fuori il suo umorismo anche in una situazione del genere, dove le loro vite erano appese ad un filo, e non metaforicamente parlando.

“No. Comunque potrei benissimo chiedere dell’altro, visto che mi sarai debitore a vita!”

“Cioè?” Inarcò un sopracciglio.

“Semplicemente perché se usciremo da qui, sarà solo ed esclusivamente per merito mio” Si pavoneggiò.

Lo vide increspare un labbro. “Vediamo, sei ferita e non stai facendo al momento nulla di concreto, cosa ti fa pensare che sarai tu a salvarmi?”.

“Ho un asso nella manica” Anche se avrebbe voluto dire nella borsetta.

“E sentiamo, cos’è?” La invitò a continuare.

“Non posso dirtelo”.

“Perché no?” Si avvicinò pericolosamente al suo volto ormai sporco di polvere e grasso, proprio come il suo.

“Sai come si dice…la curiosità, ha ucciso il gatto”.

Adrien si allontanò “Non so di che cosa tu stia parlando, ma voglio proprio vedere cosa ti inventerai…” Si andò a sistemare alla parte opposta alla sua “…e comunque anch’io ho un asso nella manica” Ammiccò.

*

Un’altra scossa, questa volta più forte delle precedenti, che rischiava di metterli ancora di più in pericolo di quello che non erano già.

Marinette si precipitò da Adrien abbracciandolo più forte che poteva, come se quell’abbraccio le potesse far passare ogni paura, come se fosse la sua unica ancora di salvezza.

Cessò il tutto in pochi secondi, ma non il terrore di quello che stava per accadere.

Anche l’ultima corda si staccò dall’ingranaggio e l’ascensore iniziò a precipitare a grande velocità.

Plagg, trasformami”.

Tikki, trasformami”.

Invocarono il loro potere in contemporanea, e in una frazione di secondo, uscirono da quella che fino a poco tempo fa era la loro trappola mortale.

*

continua

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Capitolo 3
*** Una via di fuga ***


NON AVERE PAURA

*

Una via di fuga

*

Rimasero a penzolare come due salami per una decina di secondi circa, prima che uno dei due potesse dire qualcosa, ancora impietriti e sconvolti da quanto avevano appena appreso.

I due super eroi di Parigi, due icone idolatrate in tutti quegli anni da persone di tutte le età, erano niente meno che due amici.

Lady Bug teneva il braccio teso e ben saldo allo yo-yo e con l’altra reggeva il colletto del costume di Chat Noir.

“Non mollare la presa eh, Milady.” La supplicò, mentre cercava di attaccarsi come meglio poteva al suo corpo, mancava poco prima di ritornare ad essere Adrien, prima aveva usato il suo potere speciale, per distruggere la loro prigione e permettere a Lady Bug di usare al meglio il suo strumento per salvarsi la vita.

“Sono tentata.” Rispose acida, non potendo scorgere l’espressione del suo partner avvilita e affranta, perché ancora avvolti nel buio più totale.

Solo Chat Noir, grazie alla sua super vista, poteva distinguere la sagoma della collega e il suo volto meravigliosamente arrabbiato.

L’aveva avuta sotto mano per tutto quel tempo, quanto si maledisse in quel momento e si diede dello stupido mentalmente per non essersene mai accorto, ignaro del fatto che lei stesse facendo lo stesso pensiero, e più che arrabbiata con lui, lo era con se stessa per non aver mai notato la somiglianza.

“E dai, non fare così…lo sai che non potevamo rivelare le nostre identità”.

“Potevi trasformarti prima, così ci saremo risparmiati questa situazione imbarazzante”.

“Ah, la colpa è mia adesso. E allora tu?”

“Si, ma io non ho il potere di distruggere, anche se mi fossi trasformata, avrei potuto fare ben poco.” Cercò di giustificarsi lei.

Il terzo bip proveniente dall’anello di Chat Noir, lo avvertiva che mancavano poco meno di due minuti prima che si ritrasformasse.

“Forse sarebbe il caso di parlarne dopo, non credi?”

“Si meglio, anche perché non riesco a ragionare, non vedo niente e in più tu stai per ritrasformarti.”

“Posso rimediare io a questo. Davanti a noi c’è una porta, vedo se con il mio bastone…” Con la mano libera cercò l’arnese da dietro la sua schiena “…riesco a fare leva. Tu tieniti pronta a saltare”.

“Ok” Annuì.

Chat Noir allungò l’asta fino alla porta che fortunatamente aveva una fessura aperta, appena percettibile, ma non per lui che riuscì a spalancare senza troppi problemi, poi saltò e con un balzo arrivò fino all’apertura, e lo stesso fece Lady Bug dopo essersi dondolata un paio di volte per darsi lo slancio.

Lui era pronto a riceverla tra le sue braccia, per attutirne la caduta, ma lei pensò bene di evitarle, lasciandolo con un pugno di mosche in mano.

Appena in tempo, la trasformazione del super eroe cessò nel preciso istante che mise il piede a terra, e l’anello sputò fuori un Plagg affamato.

Adrien gli allungò un pezzo di formaggio che teneva sotto la camicia.

Puaaah! Che schifo, è pieno di polvere e calce” Lo sputò più volte piagnucolando.

“Vedi di fartelo bastare, mi sa che è l’unica fonte di cibo che troveremo.” Lo rimbeccò il suo padrone.

“Sai che ho un palato delicato, e la sabbia non rientra tra la mia dieta.”

“Non è il momento di fare lo schizzinoso”.

“Tieni, Plagg” Lady Bug gli allungò un macaron speciale al frutto della passione “…era per il tuo custode, ma sono più felice se lo mangi tu”. Rivolse ad Adrien una finta linguaccia.

“Grazie, Marinette, tu si che sai come trattarmi”.

Adrien inarcò un sopracciglio “Cosa? Tu sapevi?”.

“Si, zuccone, e ho cercato di dirtelo tante volte, ma non mi hai mai ascoltato” Disse addentando un pezzo di biscotto.

“Ritrasformami.” Una luce rosse avvolse Lady Bug, facendola tornare come prima e scivolare Tikki tra le mani sporche di lei.

“Tieni zuccherino, facciamo a metà” Plagg passò un pezzo di macaron alla sua amichetta.

“Non chiamarmi zuccherino, comunque grazie” Ne morsicò un pezzo.

*

Marinette e Adrien provarono ad orientarsi, ma le macerie e la penombra del corridoio, non erano alleati ideali.

Adrien prese dalla tasca dei pantaloni il cellulare e con un gesto lo sbloccò ed impostò sulla modalità torcia, poi puntò la luce sul piano di evacuazione apposto in bella vista sulla parete.

In lontananza si potevano udire le sirene delle ambulanze, una era appena passata a gran velocità nei pressi dell’hotel.

“Chissà cosa sta accadendo fuori” Sospirò Marinette.

Una volta cessati, gli unici rumori che potevano percepire, erano quelli di un tintinnio di acqua e la struttura che sembrava piegarsi su se stessa, ad ogni loro passo corrispondeva uno scricchiolio.

La corvina mise  il piede in avanti, non curandosi della piega incurvata del pavimento, e solo il repentino aiuto di Adrien, le evitò di cadere di sotto, che era riuscito ad agganciarle la schiena con le braccia, andando poi a cadere all’indietro.

“Dobbiamo avere occhi e orecchie dappertutto”. Le disse inchiodando i suoi occhi.

G-grazie.” Balbettò alzandosi, troppo pericoloso rimanere in quella posizione, ambigua, per chi li avesse visti da fuori.

Marinette strinse gli occhi, quella pseudo caduta, stava aggravando la ferita al polpaccio che aveva iniziato a sanguinare.

Un’altra scossa di terremoto e quella sarebbe diventata la loro tomba.

“Scusami” Disse guardandola negli occhi “E’ tutta colpa mia se siamo in questa situazione” Strinse un pugno poi distogliendo lo sguardo.

Adrien…sono io che ti chiedo scusa, avrei dovuto trasformarmi prima.”

“La volete smettere di darvi la colpa l’uno con l’altro e pensare ad un modo di uscire da qui?” Plagg era alquanto irritato, forse perché non era riuscito a mettere sotto i denti il suo solito camembert e tutto quel zucchero lo stava mandando fuori di testa.

Plagg ha ragione, inutile pensare al passato, troviamo una via di fuga” Adrien illuminò la mappa leggermente lacerata.

“Siamo all’ultimo piano, fantastico” Disse Marinette in tono sarcastico leggendo il numero posto in alto alla piantina.

Il biondo per un momento si ricordò di una cosa “Papà” Biascicò a mezze labbra, era probabile che suo padre si trovasse lì, come molta altra gente, iniziò a percorrere quei corridoi, arrivando davanti la porta della sala conferenza, seguita dalla ragazza che gli intimava di fermarsi.

La porta di mogano marrone, era divelta e al suo interno solo tavolini ribaltati, ceramiche e cristallerie erano in mille pezzi sul pavimento, come il cibo che era stato preparato.

“C’è nessuno?” Chiamò Adrien non ottenendo risposte “Papà? Papà sei qui?”.

“Saranno già stati evacuati” Constatò Marinette guardandosi attorno e trovando la sala deserta.

“Controlliamo noi” Dissero i due kwami prodigandosi a cercare forme di vita umane.

Guardarono dappertutto, sotto i tavoli rimasti in piedi, sotto il palco, dietro le tende e nelle stanze adiacenti, ma niente, non c’era nessuno.

“Andiamo allora” Ordinò Marinette.

*

Aprirono la porta delle scale di emergenza e tirarono un sospiro di sollievo nel constatare fosse intatta e agibile, una lunga corsa e sarebbero arrivati a terra in un batter d’occhio.

Ma i due ragazzi erano pur sempre dei super eroi, anche se al momento vestivano i panni civili.

“Vai tu, ti raggiungo presto” Gli disse.

“Che cosa fai?”

“Devo assicurarmi che non ci sia nessuno” Spiegò sorridendo, cercando di nascondere tutta la preoccupazione.

“Non posso lasciarti sola, e poi anch’io sono della tua stessa opinione” Non l’avrebbe abbandonata per niente al mondo, niente e nessuno li avrebbe più divisi, non ora che si erano ritrovati.

Adrien.” Lo richiamò Marinette mettendogli una mano sul braccio.

“Dimmi.” La invitò a continuare con quello che gli stava per dire.

S-sono contenta che sei tu Chat Noir.”

Il biondo l’abbracciò forte “Non sai quanto mi sto odiando in questo momento per non aver capito prima che tu eri sempre stata accanto a me, Milady.”

“Quanto lo sto facendo io in questo momento?” Chiese sorridendo per cercare di nascondere le lacrime “Adrien, io…

La zittì poggiandole l’indice sulla bocca “Dopo, ora pensiamo ad uscire da qui”.

Chiusero la porta antipanico e proseguirono la ricerca, muniti di torcia, un estintore estirpato dalla parete e un tubo di metallo.

“Sbrighiamoci” Dissero all’unisono partendo alla ricerca di superstiti, sperando di non rimanere vittima di quella trappola e di doversi pentire di quella decisione presa.

Erano riusciti ad ispezionare cinque piani grazie anche ai loro kwami che senza problemi, potevano oltrepassare la materia e quindi anche le stanze che da fuori erano sbarrate per il crollo del tetto, potevano venire controllate senza tralasciare niente, per soli i ragazzi, sarebbe risultato impossibile spostare travi o ammassi di detriti in poco tempo, anche se fossero stati trasformati.

Le scale principali erano libere, così poterono camminare senza fatica.

Mancava poco per raggiungere il pian terreno, e Marinette aveva bisogno di fare una piccola pausa, la gamba le stava facendo male e il dover camminare scalza e mezza nuda tra quei corridoi, pieni di sassi appuntiti, non aiutava, in più, sentiva freddo, e quei brividi la costrinsero a massaggiarsi le braccia, per scaldarle.

“Che fai?” Chiese ad Adrien intento a togliersi la camicia ormai sgualcita del tutto, passando da un bianco candido a un grigio.

“Hai freddo, non ho una giacca, così ti aiuto come posso.”

“E’ incredibile come in una situazione del genere cerchi di metterti in mostra” Lo schernì, e distogliendo lo sguardo per la vergogna, si andò a posare in una giacca abbandonata proprio al bordo del corridoio “…rivestiti!” Gli ordinò indossando il capo più grande di lei di un paio di taglie.

“Messaggio recepito: niente spogliarello per Milady”

“Risparmialo per le tue fan”

“Noto una punta di gelosia, o mi sbaglio?” Si avvicinò pericolosamente al suo volto.

“Ti sbagli” Rispose spostandosi un po’.

Però…se non ricordo male, eri anche tu una mia fan, quindi, quello di prima era un invito?” Sapeva come metterla in scacco e in imbarazzo, la cosa lo divertiva sempre un sacco.

“Hai detto bene: ero” Lo allontanò definitivamente puntando sul suo petto muscoloso le sue esili braccia.

“Comunque, basta chiedere” Sorrise sghembo, e per fortuna che lei gli stava dando le spalle e non poteva vedere la sua faccia andare a fuoco, altrimenti non avrebbe esitato ad usare l’estintore che si portavano appresso.

*

Tra un battibecco e l’altro, finalmente erano arrivati al piano terra, che sembrava l’unico luogo a non aver subito gravi danni, e come tutti gli altri piani dell’hotel che avevano setacciato, controllarono stanza dopo stanza, non tralasciando niente.

Sarebbero usciti più tranquilli da lì, sapendo di non aver lasciato indietro nessuno.

S’incontrarono davanti l’ingresso principale, pronti per partire per le prossime tappe: villa Agreste che era quella più vicina, per passare poi per la boulangerie di Marinette ed infine gli ospedali, la priorità era quella di rintracciare i loro genitori.

“Non c’è nessuno” Gli urlò Marinette uscendo dalla sala della colazione e fermandosi sopra un tappeto persiano.

“Nemmeno qui” Adrien si stava avvicinando a lei, quando un’altra scossa fece tremare la terra.

Il lampadario di cristallo sopra la testa di Marinette si staccò, lei non riusciva a muovere le gambe, sembrava come se qualcuno le avesse rese di pietra.

“Attenta!” Senza pensarci, il biondo si lanciò in suo salvataggio, scaraventandola appena in tempo via da quella trappola.

Un dolore lancinante al fianco.

Il respiro che diventava sempre più affannoso.

Il buio.

*

continua

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Capitolo 4
*** SOS ***


NON AVERE PAURA

*

SOS

*

Marinette fu costretta a chiudere gli occhi per il dolore, perché il suo compagno l’aveva scaraventata inavvertitamente addosso ad una parete, e l’impatto sembrava averle causato una frattura scomposta alla spalla destra.

Se la massaggiò stringendo i denti, sperando che il dolore andasse scemando, senza successo, ma passò poi tutto in secondo piano, quando vide Adrien steso a terra che sembrava ad una prima impressione privo di sensi.

Si avvicinò carponi, trascinandosi con la gamba ferita che pareva essere peggiorata.

Adrien, Adrien” Lo scosse leggermente e di riposta ottenne un mugugnare incomprensibile.

Tirò un sospiro di sollievo: era vivo, ma ferito, gravemente ferito.

I suoi occhi si posarono sulla sua camicia imbrattata di rosso, sul fianco destro si ergeva un pezzo enorme di vetro.

Fece per alzarsi, aiutandosi con i gomiti.

“Non farlo, devo prima vedere come sei messo.” Sudava e tremava Marinette mentre controllava la situazione, e per poco non ebbe un mancamento, non solo per il dolore suo, ma per il troppo sangue che usciva da Adrien.

Era messo male, doveva trovare una soluzione alla svelta, ma per prima cosa, doveva spostarlo da lì, non poteva rischiare che potesse venire seppellito dal crollo del soffitto.

Mancavano pochi passi e sarebbero potuti uscire di lì, ma a volte il destino gioca brutti scherzi.

Strappò come meglio poteva un lembo di stoffa, preso da una tenda dell’ingresso dell’Hotel Le Grand Paris, lo avrebbe legato stretto attorno alla vita, in modo da poter tenere fermo il più possibile il vetro conficcato nella carne, così non avrebbe creato più danni.

Poi, lo prese per le braccia e lo trascinò fuori, fino a raggiungere il marciapiede.

“Scusami” Gli disse notando che stava parecchio soffrendo, non si stava lamentando apertamente, ma a Marinette bastò la sua espressione per avvilirsi.

Lei non poteva fare niente per lui.

Adrien aveva bisogno urgente di un medico, ed ella, non lo era affatto; certo, aveva partecipato attivamente ai corsi di primo soccorso, sapeva cosa fare in caso di rianimazione, in caso di soffocamento, aveva un attestato anche per disostruzione delle vie aeree in età pediatrica, e nel caso del suo amico, la prima cosa che avrebbe dovuto fare era avvertire i soccorsi e seguire le loro indicazioni.

Perfetto, pensò.

Nessuno però le aveva mai detto come comportarsi nel caso si trovasse assieme ad un ferito grave nel mezzo di un terremoto, e se anche lei stessa aveva bisogno di cure.

“Ok, pensa Marinette” La corvina fece un bel respiro profondo.

Attese qualche secondo guardandosi attorno, era tutto completamente buio.

La corrente era saltata, la strada era leggermente deformata e gli idranti continuavano a buttare fuori acqua.

Solo in lontananza si sentivano le sirene dei soccorsi che pattugliavano quelle strade, alla ricerca di feriti che sarebbero stati smistati negli ospedali vicini.

“Abbiamo aspettato troppo.” Marinette era arrabbiata e battè i pugni a terra, ma non c’era tempo per piangersi addosso, aveva una missione, e la vita di Adrien dipendeva da lei in quel momento.

“Non è colpa tua” Sospirò con un filo di voce cercando di trattenere una smorfia di dolore, per Adrien era difficile anche respirare, ma non glielo disse, era già in panico così, meglio mentire sulle reali condizioni di salute, soprattutto perché la situazione non sarebbe cambiata di molto.

“Ci penso io a te, non ti abbandonerò, non ora che ti ho ritrovato, Chaton”. Gli volse uno dei suoi soliti sguardi, uno di quelli che lo faceva innamorare perdutamente ogni volta che si specchiava dentro i suoi zaffiri, e il suo cuore iniziò a pompare più sangue, pessima idea.

Com’era stato stupido e idiota a non essersene mai accorto prima.

“Lasciami qui, va a cercare aiuto per te” Notò che continuava a tenersi la spalla con l’altra mano, che la benda improvvisata legata sulla ferita al polpaccio, ormai era intrisa di sangue e faceva fatica a rimanere su, i piedi scalzi erano feriti e non escludeva che qualche pezzo di vetro si fosse incastrato sotto la pianta.

“Siamo una squadra, non abbandonerò mai un mio compagno ferito. Ti giuro Adrien, che ti porterò in ospedale.” Fece una breve pausa “…anche perché mi devi una cena”. Gli disse sorridendo cercando di distrarlo.

“Hai dimenticato le scarpe e il vestito”. Aggiunse non perdendo il suo senso dell’umorismo.

“Giusto”. Acconsentì lei.

*

Marinette si guardò attorno in cerca di qualche idea.

Marinette, possiamo aiutarti?” Le chiesero sia Plagg che Tikki volteggiando davanti al suo volto.

“Una macchina, mi serve una macchina. L’ospedale non è lontano, ma non posso trascinare Adrien per kilometri con quella ferita, non si reggerebbe in piedi”. La ragazza non ebbe il coraggio di vedere se era peggiorata o rimasta stabile. “Potrei sempre trasformarmi in Lady Bug e usare il….”.

“Pessima idea, sarebbe scopo personale” Intervenne Plagg.

“E’ per salvare Adrien, non userei il mio potere per me”.

“Ma Adrien non è stato colpito da un’akuma, potresti ottenere l’effetto contrario” Precisò Tikki.

“Allora trovatemi una macchina, nessuno in questa città lascia più la vetture incustodite? Solo a me le rubano?”. Già, mesi fa le avevano rubato l’auto lasciata incustodita cinque minuti sotto casa, giusto il tempo per salire in camera sua e prendere un cambio. Era la sua prima macchina, comprata con gli stipendi accumulati durante la stagione estiva, mentre aiutava i suoi in pasticceria.

“Posso camminare, miladyAdrien provò ad alzarsi, ma fu costretto a stendersi di nuovo, perché non sentiva più le gambe, oltre al fianco, e ai polmoni, doveva avere anche una contusione alla colonna vertebrale.

“Laggiù, Marinette” Mezza coperta da un albero caduto e il buio che non faceva vedere bene, si trovava un suv nero.

“Speriamo funzioni! Plagg, Tikki, aiutatemi a metterla in moto”

*

Marinette tirò un sospiro di sollievo, la vettura era intatta e non sembrava aver subito danni; Plagg aprì con un solo gesto la portiera attraversandola, e Tikki riuscì ad accenderla.

La fortuna era dalla loro, per una volta.

Parcheggiò vicino ad Adrien, in modo da poterlo sollevare e mettere nel sedile anteriore senza problemi, poi si sarebbero defilati a gran velocità verso l’ospedale più vicino, che distava solo qualche isolato, meno di cinque minuti in macchina.

Non fu facile farlo salire, doveva fare molto attenzione a spostarlo, e andando incontro a tutte le regole, si era trasformata in Lady Bug, senza quel piccolo aiuto, non sarebbe mai stata in grado di tirarlo su.

Non usò il lucky charm, per non spossare la kwami, in quel momento non avrebbe avuto niente da darle per farle riprendere le forze, e se si fossero trovati in serio pericolo, non sarebbe potuta intervenire, anche se si stava chiedendo che cosa potesse andare peggio di così.

Nemmeno il tempo di finire di pensare, che Marinette spalancò bocca e occhi, la strada non era percorribile a causa di una voragine che l’attraversava in orizzontale, dividendo in due la città.

Che-che succede?” Chiese il biondo ormai allo stremo dello sue forze.

“Proviamo un altro percorso”

Marinette girò la macchina ed avanzò piano, proprio come aveva fatto prima, doveva evitare il più possibile le buche e bruschi movimenti, nonostante Tikki e Plagg lo stavano tenendo fermo con i loro poteri, in quella circostanza non sarebbero durati a lungo e tra un po’ avrebbero avuto bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.

“Grazie, Milady” Sussurrò a mezze labbra il biondo.

“Mi ringrazierai dopo, quando ti avrò affidato alle cure di un medico”.

“Anche tu hai bisogno di aiuto, per colpa mia ti sei slogata una spalla e sei ferita ad una gamba”.

“Un po’ di pomata e passa tutto. Se non fosse stato per te, mi troverei io al tuo posto, o peggio ancora”.

Cercava di tenerlo sveglio, non poteva rischiare che si addormentasse o perdesse i sensi, avrebbe significato che il suo corpo stava cedendo e questo non poteva permetterlo, non se lo sarebbe mai perdonato.

“Una damigella in pericolo, va sempre aiutata, anche se questa è Lady Bug”.

“Forse non sono molto degna di essere lei, non riesco nemmeno a proteggermi da sola”.

“Non devi neanche pensarla una cosa del genere, tu sei fantastica Marinette, lo sei sempre stata, sono io l’idiota che non se n’è mai accorto, quello che era accecato da l’occultamento della maschera”. Ansimava mentre parlava.

“Se ti può consolare, nemmeno io ho mai sospettato di te”.

“Si, ma tu non eri innamorata di me.”

A Marinette si seccò ancora di più la gola e poteva sentire come degli artigli affilati che la ferivano.

S-sei un amico, il mio migliore amico. Avrei dovuto accorgermene no?” Non sa nemmeno lei come le era uscita una cosa del genere, certo che è stata innamorata di lui, e lo era tutt’ora, solo che lui non lo poteva sapere, e come avrebbe potuto? Non glielo aveva mai confessato.

Marinette guardò dallo specchietto retrovisore e lo vide con gli occhi chiusi.

Non aveva ricevuto risposta e la cosa l’aveva insospettita, forse non aveva nemmeno sentito quello che gli aveva detto.

Adrien!” Lo chiamò, e i due kwami cercavano di svegliarlo.

“E’ svenuto, Marinette” Constatò Tikki notando la schiena che si abbassava e alzava.

“Dobbiamo fare presto” Si preoccupò Plagg.

Ma quando si dice che le disgrazie non vengono mai sole, la macchina si fermò di colpo, la benzina si era esaurita a pochi passi dall’ospedale.

Marinette poteva vedere le luci offuscate, la stanchezza stava avendo il sopravvento, ma non era giunto ancora il momento di mollare.

Gli aveva giurato che lo avrebbe portato da un medico, e lo avrebbe fatto.

Scese di corsa dalla macchina e l’impatto con i sassetti appuntiti, la fece sobbalzare, ma non c’era il tempo per dire ahia, o di piangersi addosso, oppure permettersi di svenire perché il dolore alla spalla di faceva via via sempre più intenso.

Tikki, trasformami” Non sarebbe mai riuscita a portarlo in braccio con solo le sembianze di Marinette, le occorreva un piccolo aiuto, al diavolo se questo avrebbe comportato andare contro le regole.

Senza nessuna fatica, lo tirò fuori dall’auto e se lo caricò in spalle, non poteva permettersi di piegarlo.

Camminò qualche minuto, notando le luci e le sirene sempre più vicine, come le urla di gente disperata, che rimbombarono forti nella testa di Lady Bug, che chiedeva solo che quell’incubo finisse presto.

Ancora pochi passi e sarebbero arrivati a destinazione.

Crollò con il peso di Adrien addosso.

Tikki senza volerlo aveva sciolto la trasformazione, la sua portatrice era troppo debole per sopportare il potere dentro di se.

La corvina riuscì a spostarsi da sotto il suo corpo con le ultime forze che gli rimanevano.

“Mi dispiace” Pianse e copiose lacrime le bagnarono il viso, mentre stringeva quello di Adrien tra le sue braccia.

M-milady! H-hai fatto tutto quello c-che po-poteviAdrien riprese i sensi, forse per l’impatto con la strada.

“Sono una frana, non riesco più a camminare”.

“Hai fatto anche troppo.”

“Sarai sicuramente deluso da me”.

N-no. Questo m-ai”.

“Ti amo, Adrien” Gli disse mentre sentiva la sua vita scivolare via tra le sue dita.

Si accasciò infine anche lei accanto al suo corpo, quando sentì le forze venir meno.

*

continua

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


NON AVERE PAURA

*

Epilogo

*

Tutto quello che Marinette ricordava prima di perdere i sensi in quella strada, a pochi passi dalla salvezza, erano delle voci ovattate che rimbombavano nella sua testa, sussurri incomprensibile alle sue orecchie.

Il defibrillatore che scaricava la sua scossa un paio di volte.

C’è battito. Alziamo, un, due, tre”.

Qualcuno sembrava urlare il nome suo e quello di Adrien, forse, non ne era certa.

I suoi occhi si aprivano e chiudevano come se fosse una marionetta.

Luci gialle, bianche e rosse si susseguivano.

Una di esse venne anche puntata dentro i suoi occhi per assicurarsi che fossero normoreagenti.

Sembra svenuta” Anche quella frase era ovattata e sembrava essere stata detta in lontananza.

Tieni duro, amica mia.” Non sapeva chi l’ avesse detta dopo che le era stata lasciata la mano.

Abbiamo un codice rosso e uno giallo” Varcò delle porte scorrevoli su di una barella e chiuse gli occhi non appena la luce delle lampade al neon la investì.

Poi il buio.

Niente.

*

Aprì gli occhi di scatto, ma li richiuse subito dopo.

Non sa quanto tempo era passato, non ricordava nemmeno se quello che aveva vissuto nell’ascensore e poi nell’Hotel Le Grand Paris, fosse stato solo frutto della sua immaginazione o se l’avesse vissuto sul serio.

Un terremoto a Parigi? Quando mai si era visto?

Ma il dolore al petto, sommato a quello del fianco destro, gli fecero capire che fosse tutto vero.

Questa volta, cercò di aprire lentamente i suoi occhi verdi, in modo da abituarsi gradualmente alla luce.

La prima cosa che vide, fu il nasone e il volto del suo migliore amico Nino.

“Ehi, amico. Sei sveglio!”

S-sono morto?” Aveva la gola secca e faceva fatica a deglutire la saliva.

Nino si grattò la testa “Lo sei stato” S’interruppe “…per qualche minuto almeno.” Ed ecco spiegato il macigno che gli sembrava avere nel petto, doveva essere stato rianimato, non c’era altra spiegazione.

Lo aveva letto da qualche parte che dopo aver subito una rianimazione con quell’aggeggio infernale, ci avrebbe messo un po’ il dolore a sparire.

C-che è successo?” Chiese sussurrando e perdendo la fonetica di quella domanda verso la fine, aveva bisogno assolutamente di bere qualcosa.

Nino gli passò un bicchiere di plastica con dell’acqua naturale al suo interno, che trangugiò tutta d’un sorso.

“E’ successo che vi hanno trovato qua fuori, ti hanno riportato indietro dal mondo dei morti e ora sei salvo!” Fece una pausa “…ah! Ma quella la cosa meno importate, avevi una brutta ferita e hanno dovuto trapiantarti un rene di un maiale”. Scherzò ovviamente, ma Adrien sembrava esserci cascato.

“Davvero?” Strabuzzò gli occhi.

“Ehi, rilassati, sto scherzando!” Rise divertito “…ovviamente solo sul rene di maiale. Avevi una brutta ferita, sei stato in sala operatoria per ben quattro ore, i medici hanno fatto di tutto per salvarti il rene e il polmone che sembrava essere stato trafitto da mille lame. Tuo padre ci ha detto che avevi dei pezzi di vetro anche li”

M-mio padre è qui?” Sembrava che la sua operazione fosse passato in secondo piano.

“Si certo, è andato insieme ai genitori di Marinette e ai nostri, a mangiare qualcosa.”

Marinette!!” Esclamò il suo nome, non che si fosse dimenticato della sua amica che aveva lottato con tutte le sue forze per portarlo in ospedale.

Si mise seduto e cercò di strapparsi tutti gli elettrodi e i drenaggi a cui era attaccato.

“Fermo amico. Calmati” Cercò di riportarlo in sé “E’ qui” Gliela indicò nel letto vicino, stava dormendo beatamente.

“Non disturbarla! Si è appena addormentata” Bisbigliò puntualizzando di fare silenzio “…non ha dormito molto in questi giorni”.

“In questi giorni?” Fece di rimando.

“Sei stato in coma per ben quattro giorni” Rispose lui alzando quattro dita “Marinette era molto preoccupata per te, si colpevolizzava per non averti portato qui in tempo”.

Adrien le volse un sorriso pieno d’amore “La mia Lady Bug”.

“Già, è stata super! Ci ha raccontato cos’è successo e di come è riuscita da sola a portarti qui. Da’ retta a me, Lady Bug dovrebbe dare il miraculous a lei”.

“Non serve” Disse a mezza labbra.

“Hai detto qualcosa?” Per fortuna Nino non lo aveva sentito, avrebbe sicuramente frainteso le sue parole, o meglio, avrebbe rivelato al suo migliore amico, involontariamente, l’identità della super eroina.

“No, no” Avrebbe negato fino alla morte.

Adrien!” Esclamò urlando Alya, che con un balzo degno di un felino, andò ad abbracciarlo.

“Sto bene, sto bene.

“Eravamo così in pensiero per voi! Non vi trovavano da nessuna parte. Hanno setacciato l’hotel ben due volte”.

“Dovevano guardare nel’ascensore.”

“Si, Marinette ce lo ha detto…solo è strano che siete riusciti a scappare da quella trappola” Si portò due dita sul mento per pensare a come erano riusciti a salvarsi “…eravate senza elettricità, senza arnesi per aprire le porte…

Adrien simulò un mal di testa “Scusami, sono ancora confuso, non mi ricordo bene.”

L’occhialuta increspò le labbra, anche la sua amica Marinette l’aveva liquidata con quella scusa banale, eppure, ricordava molto bene il tragitto che aveva compiuto dopo essere uscita dall’hotel.

“La volete smettere di fare baccano?” Chiese infastidita la corvina, che non voleva voltarsi, aveva paura ad incontrare il suo sguardo smeraldo.

“Ben svegliata, Mi..Marinette” Salutò timidamente il biondo.

Intanto Nino, aveva fatto segno ad Alya con la testa, che forse era meglio lasciarli da soli, con grande disappunto di quest’ultima, sarebbe stata la sua occasione per intervistarli entrambi, e scrivere un grande articolo, che forse avrebbe intitolato “Escape Room”, come il noto gioco.

Ma poi pensò che non era il momento adatto per trasformarsi in uno di quei giornalisti che venivano soprannominati sciacalli dell’informazione, avrebbe scritto più tardi il suo articolo.

“Vi portiamo qualcosa da mangiare?” Chiese Nino.

“Non preoccupatevi, sicuramente tra un po’ ci porteranno il pranzo”.

“Uh, sai che bontà…brodino e prosciutto cotto” Lo derise Alya sistemandosi la pancia.

“Andiamo, Alya. Prime che i panini col crudo e stracchino finiscano”. Nino cinse le spalle della sua ragazza e salutò i due amici, avvisandoli che terminato il pranzo, sarebbero ritornati a fargli compagnia.

*

Marinette e Adrien rimasero in silenzio per qualche minuto.

Lui continuava a torturarsi le mani cercando di prendere il coraggio di parlare, di dirle qualsiasi cosa gli passasse per le testa.

Aveva pensato centinaia di volte a cosa avrebbe detto alla ragazza che si nascondeva dietro la maschera rossa a pois neri, ma nulla che gli ritornasse utile in quella situazione.

Marinette al contrario, si stava maledicendo per non essersi accorta prima che il volto di Chat Noir combaciava perfettamente con quello del suo migliore amico e del ragazzo che le aveva fatto battere il cuore in tutti quegli anni.

“Senti, io…” Dissero insieme allo stesso mento, facendoli imbarazzare da morire.

La corvina poi, si sedette sul bordo del letto con le gambe a penzoloni.

Adrien notò il suo polpaccio fasciato sapientemente dalle abili mani di medici di infermieri e i suoi piedi tumefatti e gonfi, poi qualcosa gli diede il coraggio di alzare il viso verso il suo e vide anche la spalla fasciata.

“Era lussata, ma un bravo medico me l’ha sistemata. Per fortuna ero svenuta, altrimenti lo avrei fatto per il dolore, infatti, quando ha praticato la manovra, mi sono svegliata”.

“Mi dispiace, Marinette!” Riuscì a dire dopo aver abbassato ancora lo sguardo.

Si sentiva totalmente inutile, aveva salvato Parigi un milione di volte, e non era riuscito ad aiutare un’amica in difficoltà.

“Cosa, Adrien? Mi hai salvato la vita”.

Il biondo deglutì il nulla, e quel gesto gli costò un dolore alla gola secca, doveva essere stato anche intubato, altrimenti non si spiega.

Marinette aveva capito, e gli passò un bicchiere d’acqua, dopo aver saltellato con un piede per raggiungere il boccione d’acqua.

“Guardati, sei messa male!”.

“Posso assicurarti che stai peggio te” Gli disse tornando nella medesima posizione di prima.

Adrien pensò che fosse bellissima anche con quel camice addosso, chissà come sarebbe stato sfilarglielo e…scosse la testa un paio di volte diventando color cremisi.

Passerà…e sono contento, così avrò una scusa per dire addio alla mia carriera di modello”.

“Ti ritiri?”

“Chi mi vorrebbe con cicatrici su tutto il corpo?”

“Sono ferite di guerra, alle donne piacciono”.

“Anche a te?” Lo chiese così, di getto, perché nella sua testa l’ultima cosa che ricordava di quella folle serata erano le parole che la sua amica gli aveva rivolto.

Quel ti amo inaspettato, lo aveva sentito bene.

Poi si era lasciato andare, perché sapeva che tra le sue braccia era al sicuro, anche se sentiva che la vita gli stava scivolando via dal suo corpo.

Marinette avvampò, lo avrebbe amato anche se gli avessero amputato una gamba o un braccio, ma non parlò, continuò a torturare l’orlo del camice bianco in cerca di una risposta da dargli.

Che fosse giunto il momento di dirgli la verità? Oppure le aveva fatto quella domanda perché aveva sentito le sue ultime parole dettate dalla disperazione?.

“Senti, Marinette” Continuò a parlare lui vedendo che dalla sua bocca non stava uscendo nessun suono.

“Le hai sentite, vero?” Domandò cogliendolo di sorpresa.

“Quella sera ho sentito qualcosa, si…perché non me lo hai mai detto?”

“Perché non ho mai trovato il momento adatto, Adrien

“E mentre morivo ti sembrava l’occasione giusta?”

“Avevo sempre temuto un tuo rifiuto”.

“E dirmelo mentre ero privo di sensi era la cosa più logica da fare, così avresti avuto la scusa ma io te l’ho detto, sei stato tu che non mi hai risposto. Ma non hai messo in conto che non potevo risponderti perché ero morto” Si era alterato, per la prima volta in tutti quegli anni, Adrien si stava infuriando.

“Cosa te ne importa che non te l’abbia mai detto, eh? Tanto tu mi consideri solo un’amica”. Incrociò le braccia sotto il seno in segno di offesa, e volse lo sguardo da un’altra parte, non aveva voglia di scontrarsi con il suo volto inquisitore.

“Non lo sei mai stata”.

Marinette deglutì e ritornò a rilassare il volto.

“Ma l’ho capito tardi, quando ormai stavi con Luka…

“E’ successo quattro anni fa, e poi tu stavi con Kagami.”

“Ti sei mai chiesta perché l’ho lasciata? Non l’amavo, perché nel mio cuore Lady Bug era sempre una presenza costante, e tu, Marinette, ho sempre provato qualcosa per te che andava ben oltre all’amicizia, ma fino ad ora non sapevo che cosa fosse. Poi quando ho scoperto che siete la stessa persona, ho avuto la mia risposta, e ogni tassello del puzzle ha trovato il suo incastro”.

Marinette doveva sbrigarsi a dire qualcosa.

“Siamo due idioti, vero?”

“Decisamente si” Confermò ridendo.

“Con Luka non è andata bene semplicemente perché provavo dei sentimenti molto forti per te, come li provo adesso. E averti avuto tra le mie braccia esanime…ho avuto paura, non so come avrei reagito se ti fosse capitato il peggio” I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime e la sua gola riusciva ad emettere solo singhiozzi, gli stava dicendo che lo amava e che era tutta la sua vita, che non si sarebbe perdonata se quella sera sarebbe morto, gli aveva promesso che lo avrebbe portato in salvo, ancora quando erano dentro l’ascensore, e doveva tener fede a quel patto.

“Vieni qui.” Adrien le allargò le braccia, facendole segno di accoccolarsi a lui, e nonostante la permanenza in ospedale era stata lunga, i suoi capelli odoravano ancora di cioccolato e vaniglia.

“Ti avevo detto che ti avrei salvato” Si avvicinò poi al suo volto, intenta a stampagli un bacio a fior di labbra.

“Ehi, piccioncini” Entrò un infermiera con due vassoi del pranzo “Li appoggio qui”. Poi se ne andò senza aspettare risposta.

Adrien guardò Marinette sorridendo “Non è il pranzo che ti avevo promesso, ma penso vada bene lo stesso, no?”

“Era una cena, non cambiare la carte in tavola adesso” Puntualizzò lei sorniona.

*

FINE

*

Angolo dell’autrice: Ciao a tutti! E con il quinto capitolo siamo giunti alla fine di questa breve storia hurt/confort. Spero vi sia piaciuta e che non sia risultata troppo banale.

Come sempre attendo le vostre impressioni.

Ringrazio tutti quelli che hanno commentato i capitoli precedenti, che hanno insito le storie tra le preferite, seguite e ricordate, ma grazie anche a chi legge solamente.

Vi abbraccio forte, Erika

 

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