Parabellum

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Le Guardiane ***
Capitolo 3: *** Al cospetto del re ***
Capitolo 4: *** Le cose che non dici ***
Capitolo 5: *** Dorothy ***
Capitolo 6: *** Oro tra le crepe pt. I ***
Capitolo 7: *** Oro tra le crepe pt. II ***
Capitolo 8: *** Lo strano diario ***
Capitolo 9: *** Segui le ombre ***
Capitolo 10: *** In agguato ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Mi chiamo Astrid Williams e sono una sopravvissuta. Se in passato mi avessero detto che un giorno avrei lottato per sopravvivere, avrei riso a crepapelle. La realtà, invece, è un’altra ed è terribile. A volte mi sforzo di ricordare il mondo di prima, i colori e i suoni e gli odori, ma mi accorgo che giorno dopo giorno iniziano a svanire dalla mia mente. Le mie uniche preoccupazioni sono il cibo, l’acqua, un posto abbastanza sicuro per dormire. Non posso arrendermi, non quando altre persone dipendono da me.
Non era questa la vita che sognavo, e non era neanche quella che vedevo nei miei peggiori incubi. Morti che camminano e straziano corpi; esseri umani armati fino ai denti che per vivere commettono azioni atroci; traditori che prima si fingono amici e poi ti pugnalano alle spalle.
Gli equilibri del nuovo mondo sono instabili, sempre sull’orlo della distruzione, e a peggiorare una situazione già precaria sono anche i difficili rapporti fra i sopravvissuti.
La mia storia è diversa perché, malgrado la disperazione, ha avuto un risvolto positivo.
Tutto è iniziato con un paio di ali.
 
 
Astrid fischiettava mentre guidava verso il centro di Atlanta per riunirsi con i suoi amici. Quella mattina si era laureata e, dopo aver festeggiato con i parenti, aveva deciso di proseguire i festeggiamenti alla Blue Tavern, un rinomato pub della città. Parcheggiò il suo maggiolino rosso del 1965, un vecchio cimelio di famiglia, e recuperò la borsa. Attraverso le vetrate vedeva sua sorella Remy con la moglie Iris, il suo migliore amico Logan e la sua compagna di corso Norah. Si avvicinò alla pesante porta di legno, ma andò a sbattere contro qualcuno al suo fianco. C’era un uomo che aveva posato la mano sulla maniglia.
“Scusami. Prego, entra pure.” Disse Astrid.
Il tizio fece un cenno della testa, spinse la porta e si mise di lato per farla passare. Astrid lo ringraziò con un sorriso e si avviò verso il tavolo più rumoroso del pub.
“Ecco la festeggiata!” esultò Remy, battendo le mani.
Remy spinse la carrozzella per stringere la mano di Astrid, che si chinò a darle un bacio sulla guancia.
“Ora mangiamo? Muoio di fame.” Si lamentò Logan.
“Mangiamo!”
La serata proseguì nel migliore dei modi tra la pizza più gustosa di Atlanta, risate e palline di carta lanciate a destra e a sinistra.
“Astrid, tu non bevi?” chiese Iris.
Remy e Iris stavano insieme da cinque anni ed erano sposate da un anno. Abitavano in un grazioso appartamento che Astrid spesso aveva occupato per studiare in pace.
“Non bevo perché qualcuno di sobrio deve pur riportarvi a casa.”
“Allora propongo un altro giro, tanto abbiamo l’autista.” disse Norah.
Tutti al tavolo acconsentirono e il cameriere pochi minuti dopo servì loro le ordinazioni.
“Mentre voi scolate tutto l’alcol del pub, io vado a fare un tiro.”
Astrid si alzò e raggiunse la parete a cui era appeso un bersaglio. Sulla mensola accanto vi era un cestino con le freccette. Non era brava in quel gioco, ma l’odore dei drink alcolici le stava scombussolando lo stomaco. Era dura essere astemia in un gruppo di bevitori.
Fece il primo lancio ma la freccetta cadde a terra senza neanche toccare la parete.
“Sei una schiappa!” gridò Logan dal tavolo.
Astrid alzò gli occhi al cielo. Era intenzionata a riprovare. Lanciò di nuovo e questa volta la freccetta si conficcò nel legno sotto la mensola.
“Faccio davvero schifo.” Sussurrò fra sé.
“E’ il polso.” disse una voce alle sue spalle.
Voltandosi, riconobbe l’uomo che le aveva tenuto la porta aperta. Era seduto al bancone e stava bevendo una birra.
“Come, prego?”
“Sbagli l’inclinazione del polso.”
Astrid indietreggiò quando lo sconosciuto si avvicinò per raccogliere le freccette cadute a terra. Notò che indossava una camicia a scacchi senza maniche e sopra un gilet di pelle nero con due ali bianche cucite sulla schiena. Sulla spalla destra era possibile intravedere l’inizio di un tatuaggio.
“Abbiamo un esperto di freccette qui.” disse Astrid con un sorriso.
Il tizio non la degnò di uno sguardo. Lanciò la freccetta e quella si conficcò al centro del bersaglio.
“Piega di più il polso e farai centro.”
Per qualche assurda ragione Astrid si ritrovò a pensare a quanto fossero belli gli occhi azzurri dello sconosciuto. Tanto belli quanto tormentati.
“Credo che lascerò stare le freccette. Mi sono umiliata abbastanza.”
L’uomo annuì e tornò al bancone per finire la sua birra. Qualcosa lo costrinse a girarsi per guardare ancora la ragazza, che aveva tentato un ultimo e fallimentare lancio. Sbuffò, odiava vedere un bersaglio mancato.
“Ti faccio vedere io.”
“Va bene.”
Astrid sorrise raggiante quando lo vide tornare. Il tizio lasciò la bottiglia di birra sul tavolino, prese una freccetta e si affiancò a lei. Il suo odore era un misto di alcol, muschio e tabacco. Un altro tatuaggio faceva la sua comparsa all’interno del bicipite destro, e Astrid indugiò un po’ troppo su quel dettaglio. Lui si accorse del suo sguardo insistente e abbassò il braccio.
“Ci sei?”
“Sì, sì, sono qui.”
Astrid deglutì per scacciare l’immagine di quelle braccia perfette e toniche i cui muscoli guizzavano a ogni movimento.
“Piega di poco il polso indietro, prendi la mira e lancia seguendo la traiettoria. Prova.”
La ragazza arrossì quando lui le sfiorò le dita per passarle la freccetta. Fece un respiro profondo, chiuse l’occhio sinistro per prendere la mira e piegò il polso come le era stato suggerito. La freccetta si conficcò a due cerchi di distanza dal centro.
“Centro!”
“Non hai fatto centro.” Replicò lui.
“Per una alle prime armi colpire l’area intorno al bersaglio è come fare centro.”
Lo sconosciuto aggrottò le ciglia, quel ragionamento faceva acqua da tutte le parti. Per non smorzare l’entusiasmo della ragazza, si limitò ad annuire.
“Mmh.”
Stava per tornare al bancone quando sentì la mano della ragazza toccargli il braccio. Era piccola e calda, un tocco fin troppo delicato per uno come lui.
“Facciamo un altro lancio?” domandò lei timidamente.
“Okay.”
“Va bene così il polso?”
“No.” Disse lui, spazientito.
Astrid trattenne il respiro quando lo sconosciuto mise la mano sulla sua fino ad avvolgere le dita intorno alla freccetta. Erano così vicini che la spalla di lui le sfiorava lo spazio fra le scapole. Il lancio andò a buon fine. La freccetta centrò il bersaglio con una precisione impressionante.
“Hai visto? Abbiamo fatto centro!” esclamò lei in preda alla gioia.
Lo sconosciuto la guardò con fare altezzoso, per lui le frecce erano ormai un mondo che conosceva come le sue tasche. Si era scaldato il punto in cui la sua spalla incontrava la schiena della ragazza. Per lui era fastidioso quel contatto, perciò fece un passo indietro e bevve un sorso di birra.
“Darylina!”
Astrid vide lo sconosciuto sospirare, sembrava più teso di prima. Verso di loro camminavano due uomini, giacche di pelle e sorrisi beffardi. Uno dei due diede una pacca sulla schiena allo sconosciuto.
“Darylina, vedo che sei in ottima compagnia. Chi è la principessina?”
Astrid si sentì a disagio sotto lo sguardo squallido del nuovo arrivato. Si mise le mani in tasca e strinse i pugni.
“Io torno dai miei amici.”
Il secondo uomo le sbarrò la strada, aveva le pupille dilatate e contornate da linee rosse.
“Resta con noi, baby. Ti teniamo compagnia.”
“Lasciala andare.” Disse l’uomo delle freccette.
“Perché? Non mi dire, fratellino, che vuoi spassartela con questo bocconcino da solo.”
Astrid si mosse in avanti nel tentativo di allontanarsi, ma l’omaccione con le pupille dilatate le bloccò ancora la via di fuga.
“Voglio solo andarmene. Per favore.”
Lo sconosciuto con le ali sul gilet aveva serrato la mascella. Nei suoi occhi azzurri vagava una rabbia cieca.
“Merle, non fare lo stronzo. Lascia andare la ragazza.”
Merle, così si chiamava, si chinò su Astrid e l’annusò come farebbe un animale con la preda. La ragazza ora aveva paura, tremava come una foglia.
“Carne fresca, mi piace. Potremmo divertirci insieme.”
“No.” Obiettò Astrid, anche se la voce era ridotta a un filo.
“Ehi, lasciatela stare!”
Per fortuna Logan era arrivato in aiuto. Afferrò la mano di Astrid e l’attirò a sé, poi le mise un braccio intorno alle spalle a mo’ di protezione.
“Andiamocene.” Sussurrò lei.
“Già vai via? Pensavo volessi divertirti con il mio fratellino!”
Astrid continuò a camminare, stringendo la mano di Logan. Si conoscevano sin dall’asilo, erano amici da una vita intera. Avevano frequentato la stessa scuola elementare, lo stesso liceo e infine la stessa università (ma con indirizzi diversi). Era probabile che Logan la conoscesse meglio di sua sorella. E forse era anche per questo che aveva una cotta per lui dall’età di sedici anni. Lui era bello con i ricci biondi e i grandi occhi verdi, era intelligente senza essere altezzoso, era divertente ed era sempre un’ottima spalla su cui piangere.
“Tutto bene?” chiese Remy.
Astrid annuì e si sedette senza aggiungere altro. I suoi occhi d’istinto guardarono verso il bancone, in direzione dello sconosciuto e degli altri due. Stavano bevendo un’altra birra e bisticciavano, o meglio lo sconosciuto incassava le battute stupide del fratello maggiore.
“Questa situazione sta degenerando.” Stava dicendo Logan.
Astrid si morse le labbra e tornò a fissare le patatine abbandonate nel piatto. Con la coda dell’occhio, però, continuava a guardare il bar.
“Quale situazione?”
Remy sospirò e bevve un sorso del suo drink.
“Quella del virus. Stanno aumentando a dismisura i casi e nessuno sa come risolvere la faccenda. Si sta infettando l’intera popolazione mondiale.”
Erano all’incirca sei mesi che i telegiornali e i giornali riportavano la catastrofica notizia di un virus che stava disseminando morti ovunque. La fonte della malattia era ignota, non conoscevano la fonte del contagio e pareva che non ci fossero cure in grado di rallentare o arrestare i sintomi.
“Non roviniamo una serata piacevole con argomenti tristi.” Protestò Norah.
“Giusto. Un brindisi per la nostra laureata!” propose Iris.
Il tintinnio dei bicchieri riecheggiò in tutto il locale, attirando l’attenzione degli altri clienti. Anche lo sconosciuto dal bancone lanciò una rapida occhiata al loro tavolo. Per un istante i suoi occhi incrociarono quelli di Astrid, c’era una sottile ma forte elettricità nel modo in cui si stavano guardando. Quel legame si spezzò quando lo sconosciuto lasciò una banconota sul bancone e si affrettò a uscire dal locale.
“Vado … a controllare la macchina.” Disse Astrid, una scusa banale per uscire.
Logan aggrottò la fronte e Remy fece spallucce, alle volte sua sorella aveva un comportamento bizzarro.
Una volta fuori dal pub, Astrid si strinse nella giacca di jeans per ripararsi dalla frescura serale.
“Mi stai seguendo?”
La ragazza sobbalzò per lo spavento, occhi sgranati e bocca semiaperta. Si rilassò solo quando riconobbe la figura appoggiata al muro del pub che fumava. Era lo sconosciuto.
“Io sono Astrid.”
Sebbene fosse avvolto nel buio, gli occhi dello sconosciuto erano puntati su di lei. Era una ragazza molto giovane, piuttosto alta, i lunghi capelli castani erano intervallati da ciocche viola e azzurre, e gli occhi marroni erano contornati da un filo di matita nera.
“Ti conviene rientrare.”
“Non posso farti compagnia?”
Astrid deglutì quando lo sconosciuto camminò sotto la luce dei lampioni, doveva ammettere che era più bello di pochi minuti prima. Teneva la sigaretta all’angolo della bocca e le mani in tasca, sembrava a disagio.
“Torna dentro, fidati.”
“Mi dirai almeno il tuo nome?”
Lo sconosciuto gettò la sigaretta a terra con uno scatto nervoso. Non capiva perché una come lei perdesse tempo con un rifiuto umano come lui.
“No.”
Astrid stava per replicare ma lo sconosciuto le aveva dato le spalle e si era avviato verso una moto. Si diede della stupida, era impossibile che uno come lui perdesse tempo con una ragazzina come lei.
“Scappa! Scappa! Gli sbirri ci stanno addosso!” stava gridando una voce.
Merle e l’altro uomo scorrazzavano su una moto ad alta velocità. Non si fermarono per spiegare il motivo di quella fretta, anzi ripartirono a tutto gas nel buio della notte.
Poi accadde tutto in pochi minuti. L’auto della polizia fece una sgommata e si parcheggiò malamente lungo il marciapiede. Un poliziotto venne fuori con la pistola sollevata e lo sconosciuto alzò le mani in segno di resa. Non aveva fatto in tempo a scappare.
“Dixon, come al solito sei tu.”
Astrid si coprì la bocca con le mani per lo shock. Il poliziotto spinse lo sconosciuto contro il cofano della macchina e lo ammanettò, dopodiché lo fece sedere sui sedili posteriori.
“Signorina, lei sta bene?” volle sapere l’agente.
Astrid annuì, ma era talmente sconvolta che non riusciva a spicciare parola. Lo sconosciuto le regalò uno sguardo fugace attraverso il finestrino che le fece venire la pelle d’oca. L’auto ripartì lasciando nell’oscurità solo il colore rosso dei fari posteriori.
“Astrid, che diavolo è successo?”
Logan si era precipitato in strada subito dopo aver visto le sirene della polizia. Con lui c’erano anche Norah e Iris che spingeva la carrozzella di Remy.
Astrid restò ferma ancora qualche secondo. Il suo pensiero era focalizzato su quel paio di ali che avevano appena spiccato il volo lontano da lei.
 
Dieci anni dopo
“Signore! Signore!”
Ezekiel si voltò a guardare Jerry che correva verso di lui con le guance rosse per lo sforzo.
“Che succede, amico mio?”
“Una vecchia radio dei Salvatori si è attivata circa dieci minuti fa.”
Il Re sbarrò gli occhi. Erano sei anni che quella radio non funzionava, da quando Rick Grimes era scomparso e i Salvatori si erano dileguati.
“Avvisa anche Carol.”
Jerry riprese a correre verso la piazza centrale del Regno, laddove Carol e Nabila stavano decidendo a chi destinare i nuovi carichi giunti da Alexandria. Ezekiel raggiunse il teatro, ricostruito solo pochi anni prima, ed entrò nella piccola sala di controllo in cui avevano raccolto una serie di radio per mantenersi in contatto con gli altri gruppi.
“Signore, è questa la radio attiva.” Disse una donna.
“Che cosa hanno detto?”
“Hanno parlato di un insediamento a pochi chilometri da Atlanta. Si stanno dirigendo alla Guardia.”
Ezekiel si passò una mano fra i capelli.
“I Salvatori sono ancora vivi?” domandò Carol.
La regina era appena entrata in compagnia di Jerry, entrambi erano confusi.
“Non sappiano per certo se siano loro. Hanno comunque usato una vecchia radio dei Salvatori.” Spiegò la donna.
Carol si accorse dell’espressione cupa e preoccupata del marito.
“Ezekiel, che succede? Tu nei sai qualcosa?”
Il Re si accasciò su una sedia e si grattò il mento con fare pensieroso.
“La Guardia è un insediamento segreto. Nessuno conosce la sua posizione, eccetto me. Quelle persone sono in pericolo adesso.”
“Esiste un insediamento segreto? È assurdo.”
“Molte cose sono assurde a questo mondo. Dobbiamo accorrere in loro aiuto.”
Carol si mise le mani sui fianchi e scosse la testa.
“Perché? Abbiamo già i nostri problemi. E poi sono certa che riusciranno a fermare i Salvatori.”
“Mia regina, la questione è più complessa di quanto appare ai tuoi occhi. La Guardia è gestita da due sorelle che in passato mi hanno salvato la vita. Senza di loro io non sarei Re e il Regno non esisterebbe.”
La radio gracchiò ancora, alcune voci storpiate crepitavano attraverso la griglia. Jerry premette la leva sulla sommità per rendere i suoni più chiari.
Ci vediamo fra due giorni sulla sponda est del lago. Ripeto: ci vediamo fra due giorni sulla sponda est del lago. Se qualcuno di voi non dovesse farcela, ci muoveremo lo stesso. La Guardia è la nostra ultima speranza.
“La Guardia è davvero così importante?” volle sapere Carol.
Lo sguardo di Ezekiel si addolcì, era sempre così quando sua moglie gli rivolgeva la parola.
“Sì. È un’informazione che ho tenuto per me perché Negan all’epoca non ne era a conoscenza e, se le cose fossero andate male, avrei portato la mia gente dalle sorelle.”
“Se per te è importante, allora è importante anche per me.” disse Carol con un sorriso.
“Quando partiamo?” domandò Jerry, curioso.
“Io devo restare qui e assicurarmi che la corrente non salti di nuovo.”
“In due non siamo abbastanza. I Salvatori potrebbero essere un gruppo nutrito.” Disse Jerry.
Carol fece un mezzo sorriso perché aveva in mente la persona adatta per quel compito. Sapeva che Daryl si era accampato su una montagna non distante dal Regno, ci avrebbero impiegato all’incirca tre ore per raggiungerlo.
“Per questo esiste l’uomo giusto. Hilltop e Alexandria non possono cederci alcuni dei loro uomini, ma credo che in tre possiamo farcela.”
Ezekiel fece un cenno di assenso con la testa.
“L’insediamento si trova sulla sponda di Cowart Lake, poco distante da Atlanta. Dista all’incirca un giorno.”
“Speriamo che i Salvatori impieghino più tempo.” disse Carol.
“Mentre vi preparate a partire, io e Jerry cercheremo di metterci in contatto con la Guardia per dare l’avviso dell’imminente attacco.”
 
“Se Mark ha due merendine e Anne ne mangia una, quante merendine restano a Mark?”
Astrid osservava i bambini che si concentravano per dare la risposta. Le veniva da ridere, erano così teneri mentre scavavano nella loro giovane mente in cerca della soluzione.
“Ovviamente una.” Borbottò Remy.
“Taci.” La rimproverò Astrid.
Remy era una biochimica, la sua intelligenza era sopra la media ed era in grado di imparare qualsiasi cosa in poco tempo. Astrid la invidiava per questo. Spesso si sentiva stupida rispetto alla sorella. Del resto, era una semplice assistente sociale che non aveva mai realmente esercitato la professione a causa dei vaganti. Astrid era sempre stata la sognatrice della famiglia, quella con la testa fra le nuvole, con un nuovo desiderio da esprimere ogni giorno. Amava la lettura, soprattutto immaginarsi nei panni delle grandi eroine che sconfiggevano il cattivo e sposavano il bel cavaliere.
“Una merendina!” disse Felix, gli occhiali troppo grandi sul suo nasino.
Astrid lasciò perdere le sue farneticazioni e sorrise.
“Esatto. Bravissimo, Felix!”
Insegnare alle classi elementari le piaceva perché si divertiva a fare didattica giocando. Mettere in piedi una scuola nel bel mezzo di un’apocalisse non era stato facile, eppure era uno dei suoi maggiori successi.
“Possiamo fare merenda?” chiese una bambina.
“Certo. La lezione è finita per oggi. Ci vediamo domani.”
I bambini si rincorsero fino alla mensa fra risate e schiamazzi. Astrid sorrise, almeno per i più piccoli la vita sembrava la stessa.
“Maledizione!” disse Remy.
Erano giorni che tentava di sistemare una vecchia radio che avevano trovato durante un giro in città mesi prima. Lei amava riparare oggetti rotti, che fossero di carta, legno o tecnologia avanzata.
“Non riesci a farla funzionare?”
Remy prese un respiro e fece schioccare le ossa delle dita, pronta a chissà quale battaglia. Scrollò la radio un paio di volte e poi la colpì con dei pugnetti. L’oggetto gracchiò.
Astr ... Regn … stanno arriv … Caro … preparat
Astrid accostò l’orecchio alla radio con una certa curiosità.
“Da quando le radio registrano i messaggi?”
“Non è un messaggio. È in diretta. Qualcuno sta comunicando proprio ora.” Disse Remy.
Astrid vide che Yana sventolava la mano mentre avanzava nel lungo corridoio. La sua pelle color caramello, un retaggio delle sue origini indiane, era pallida alla luce dei neon.
“Ryan ti vuole di sopra. Dice che è urgente.”
“Vado subito. Se andate in mensa, prendete un piatto di pasta anche per me.”
Astrid si congedò dalla sorella e da Yana con un sorriso, dopodiché risalì la scaletta a pioli che conduceva alla torretta. L’insediamento si chiamava la Guardia, era una ex base militare ed era interrata. Solo la torretta di controllo sbucava all’esterno, simile ad una casetta di mattoni crudi e munita di una piccola finestra stretta e quadrata per sbirciare fuori.
“Ryan, eccomi.”
Ryan Diaz era un marine, e in passato era stato il vicino di casa delle sorelle. Era stato lui a guidare il gruppo nascosto alla Guardia.
“Abbiamo un problema. Guarda.”
Astrid si issò in punta di piedi per guardare tramite la finestrella con il binocolo. Ora capiva la ragione di tutta quella urgenza. Sull’altra sponda del lago c’erano cinque figure che riempivano le bottiglie per fare rifornimento. Ciascuna di loro brandiva una pistola o un coltello.
“Chi sono queste pers-“
La domanda di Astrid rimase sospesa nel vuoto. Yana fece capolino nella torretta con la radio che Remy stava aggiustando.
“Remy è riuscita a rimettere in funzione la radio. Ora la comunicazione è chiara.”
Ryan prese la radio e azionò il bottoncino per l’ascolto.
Qui parla Ezekiel dal Regno. Vi contatto perché i Salvatori stanno arrivando a Cowart Lake. Ho inviato una squadra di soccorso capeggiata da mia moglie Carol. Preparatevi all’imminente attacco.
“Ezekiel dal Regno? Non mi pare di conoscerlo.” Rifletté Ryan.
Astrid aprì un baule che giaceva sotto la finestra e iniziò a contare le armi che avevano a disposizione.
“Ezekiel è quel tipo che stava con noi all’inizio. Ricordi? Parlava in maniera altisonante e stava sempre con il suo fedele compagno Jerry.”
“Ora me lo ricordo. Era il tizio che voleva avere una tigre.” Disse Ryan.
“Già. Queste sono tutte la munizioni che abbiamo?”
Ryan si inginocchiò accanto a lei per fare una rapida carrellata dei proiettili a loro disposizione.
“Purtroppo sì. Siamo a corto di armi e di munizioni da tempo.”
Yana sbirciò ancora attraverso il binocolo, ad ogni passo dei Salvatori il suo cuore aumentava i battiti.
“E adesso che facciamo?”
Astrid le accarezzò la guancia per infonderle un po’ di coraggio.
“Yana, tu scendi e aiuta Remy a riportare tutti nelle loro stanze. Che nessuno, e dico nessuno, lasci la propria stanza. Io e Ryan ce la caveremo.”
“Due contro cinque è un buon vantaggio.” Disse Ryan.
Yana incrociò le braccia al petto e storse il naso, faceva così quando qualcosa non sembrava avere senso.
“Siete in minoranza. Come può essere un vantaggio?”
Ryan sfoderò uno dei suoi sorrisi sornioni, uno di quelli che faceva tremare le ginocchia di molte donne e anche uomini.
“Tattica militare.”
Astrid aprì la porta della torretta e con la mano indicò il corridoio dotato di scaletta.
“Va ad aiutare Remy, per favore. Ci pensiamo noi ai Salvatori. Tu e Hunter fate i bravi.”
Yana la guardò con la sua solita dolcezza, era quello il loro modo di salutarsi prima di separarsi per un evento importante. La ragazza corse giù per la scaletta con la lunga treccia che ondeggiava come fosse la coda di una sirena.
“Tattica militare? Vantaggio?”
“Non potevo dire a una ragazzina che stiamo andando a morire.” Ribatté Ryan.
“Giusta osservazione.”
Astrid recuperò le sue daghe dal baule e le incastrò nella cintura che stringeva i jeans sui fianchi. Passò le dita sulle lame per assicurarsi che fossero perfettamente taglienti come un tempo. Sorrise nel costatare che erano affilate in modo impeccabile.
“Sono pronto.” Annunciò Ryan.
Aveva imbracciato un fucile e alla cintola pendeva una piccola ascia con cui spesso si dilettava a tagliare i tronchetti d’albero per il fuoco. Astrid indossò una felpa nera e la sua immancabile giacca di jeans, poi sollevò il cappuccio sulla testa. Anche Ryan si coprì volto e testa. Erano tutte precauzioni per salvaguardare il gruppo e l’insediamento stesso.
“Andiamo.”
Uscirono da una porta ad arco sul fianco est della torretta, l’unico accesso alla Guardia che era stato rivestito di fogliame e rami per impedirne la vista. Astrid si tolse di dosso un ramo impigliato nella manica della giacca.
“Li vedi? Sono ancora lì?”
Ryan sbatté le palpebre un paio di volte; gli sembrava di vedere a doppio.
“Abbiamo molta più compagnia di quanto pensassimo. A ore dodici abbiamo i Salvatori e a ore nove abbiamo altre tre persone.”
Astrid gli tolse di mano il binocolo per esaminare il terreno a ore nove. Un trio di persone si muoveva verso la torretta. Uno di loro, vestito tutto di nero, si era diviso dal terzetto per dirigersi incontro ai Salvatori.
“I tre a ore nove potrebbero essere Salvatori. Uno di loro sta andando incontro all’altro gruppo a ore dodici. Come proponi di agire?”
Ryan si grattò il mento mentre ideava un piano per abbattere i nemici e restare vivi.
“Il gruppo a ore nove è armato?”
“Non sembra, o almeno non hanno armi in mano.” rispose Astrid.
“Facciamo così: io raggiungo il gruppo a ore dodici per capire quante armi hanno, mentre tu raggiungi l’uomo che si è separato. Impediamo ai due gruppi di incontrarsi, altrimenti la nostra inferiorità numerica ci ucciderà.”
“Ah, le belle notizie.” Disse lei con tono teatrale.
Ryan le diede una pacca sulla spalla e ognuno andò per la propria strada. Astrid camminava con cautela, acquattandosi dietro i cespugli o i tronchi di grossi alberi. Riusciva a intravedere la figura dell’uomo vestito di nero che procedeva con la balestra impugnata nella mano destra. Quindi sono ben armati, pensò Astrid. Un rametto si spezzò sotto il peso dei suoi anfibi. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro, sperando che l’uomo non se ne fosse accorto. Invece, con suo dispiacere, l’uomo era consapevole di una presenza alle sue spalle e sollevò la balestra. Astrid stava per tornare indietro quando vide un’altra persona andare verso l’arciere. Era Yana.
“Fermo!” ordinò Yana, la spada corta puntata contro l’uomo.
Astrid imprecò contro quella ragazza che si ribellava ad ogni suo ordine.
“Sparisci, ragazzina.” La minacciò l’uomo.
“Non ti permetterò di razziare la mia casa.”
Yana fece un passo avanti e l’uomo rafforzò la presa sulla balestra. Astrid decise di cambiare strategia, anche se questo metteva Ryan in pericolo. Camminò con passo felpato per attaccare l’uomo alle spalle, perciò aggirò un paio di alberi per giungere la destinazione. Ora camminava verso l’arciere con le mani serrate intorno all’elsa delle daghe. Estrasse una daga e la puntò alla gola dell’uomo. Era più alto di lei e questo era un fattore sfavorevole. Ryan le ripeteva sempre che era opportuno portare il nemico ad uno status di parità.
“Metti giù la balestra e inginocchiati. Adesso.”
L’uomo lasciò cadere la balestra sulla ghiaia e lentamente si mise in ginocchio con le mani alzate.
“Me la stavo cavando anche da sola.” sbottò Yana, infastidita.
“Faremo dopo i conti.” Disse Astrid.
Quella distrazione fu un grave errore. L’uomo riuscì a slacciare il coltello che portava alla cintura e pungolò il fianco di Astrid. L’avrebbe ferita se avesse applicato una lieve pressione.
“Metti giù il pugnale.”
La voce dell’uomo era profonda e roca, faceva quasi timore. Astrid, anziché obbedire, gli graffiò la gola con la lama della daga.
“Se mi ferisci, io ti taglio la gola.”
Yana trattenne un urlo quando Hunter balzò dal nulla. Sguainò la sciabola dal fodero e la puntò contro l’arciere a terra. Ora era circondato e non aveva nessuna possibilità di scampo.
Astrid fulminò i due adolescenti con gli occhi, avvilita dal fatto che nessuno le desse mai retta.
“Avevo detto di stare dentro. Cosa non vi è chiaro?”
“Tutta la parte dello stare dentro.” disse Hunter, il sorriso beffardo sulle labbra.
Astrid avrebbe voluto sgridarli per ore, ma dovette desistere almeno per il momento. Abbassò la daga e fece qualche passo indietro. Prese la balestra e se la mise in spalla per impedire all’uomo di difendersi. Inoltre, gli strappò di mano il coltello e se lo infilò nella cintura.
“Che ne facciamo di lui?” domandò Yana.
“Lo portiamo …”
Astrid si interruppe di colpo. Un dettaglio catturò la sua attenzione. Credette di star sognando, quindi si diede un pizzicotto sul braccio. Era tutto reale.
“Astrid?” la chiamò Hunter.
Lei non rispose. Era come se una forza magica l’avesse rispedita indietro di dieci anni. Si portò le mani sul petto, il cuore che batteva il doppio.
L’arciere indossava un gilet su cui era cucite due ali bianche.
“Sei tu.” Sussurrò Astrid.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questa è la mia prima storia su The Walking Dead, quindi siate clementi.
Gli eventi della serie e il loro ordine cronologico sono stati alterati per adattarli alla storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 2
*** Le Guardiane ***


1. LE GUARDIANE
 
Astrid tornò a respirare solo quando Hunter le diede un colpetto alla spalla.
“Sveglia, Astrid!”
Lei sbatté le palpebre e tutto intorno il paesaggio si fece più nitido, sembrava si stesse risvegliando da un sogno. Ma non era un sogno. Abbassando lo sguardo, rivide il gilet di pelle nero. Era tutto vero.
“I suoi amici si stanno avvicinando.” Disse Yana, scrutando fra i rami.
“Non sono un Salvatore. Sono qui per conto del Regno.” Biascicò l’uomo.
“E io sono Babbo Natale.” Replicò Hunter, la sciabola contro la gola dello sconosciuto.
Astrid si massaggiò le tempie nella speranza che il suo cervello decidesse di mettersi a lavorare. Nonostante tutto, proteggere la Guardia era la sua priorità.
“Dategli la balestra.”
Yana e Hunter si scambiarono un’occhiata allibita.
“Scherzi? Non gli restituisco la balestra!” protestò il ragazzo.
Astrid drizzò la schiena come faceva quando doveva sgridare uno dei bambini della Guardia.
“Prendo io le decisioni. Lui viene con noi perché lo dico io.”
“Ci fidiamo di questo qui? Azzardato.” Commentò Yana.
Astrid ignorò i loro commenti, raccolse la balestra e la tese verso l’uomo.
“Alzati.”
L’uomo si mise in piedi, la sua altezza superava quella di Astrid tanto da riparla dal sole. Prese la balestra e l’assicurò sulla spalla, poi recuperò anche il suo coltello.
“Assurdo.” borbottò Hunter.
“Hunter, sta zitto. Allontana la sciabola.”
Il ragazzo infilò la spada nella custodia, ma la mano era serrata intorno all’elsa per essere pronto a un eventuale attacco.
“Ora che facciamo?” chiese Yana.
Astrid si strinse nella giacca di jeans, si sentiva ancora scombussolata dalla presenza dell’uomo.
“Tu e Hunter tornate alla Guardia e vi chiudete dentro. Qui fuori ci pensiamo noi.”
“Potremmo esservi d’aiuto!” disse Hunter.
“Per oggi avete fatto abbastanza. Tornate alla Guardia prima che si scateni la mia ira.”
I due adolescenti sbuffarono, erano talmente testardi che a stento una pietra avrebbe scalfito le loro teste dure. Yana afferrò il polso di Hunter per trascinarlo sulla via del ritorno. Nessuno voleva che l’ira di Astrid si scatenasse. Per ‘ira’ si intendeva una lunga ramanzina di almeno un’ora sul rispetto delle regole, sull’utilizzo controllato delle armi e tante altre chiacchiere che loro smettevano di ascoltare dopo cinque minuti.
“Sei qui per conto di Ezekiel?”
Astrid si voltò a guardare l’uomo, ma subito distolse lo sguardo perché il disagio era troppo.
“Sì. Sono qui con sua moglie Carol e Jerry.”
“Queste sono informazioni che tutti potrebbero conoscere. Devi dirmi altro perché possa fidarmi di te.”
L’uomo emise un sospiro a metà fra la stanchezza e l’irritazione. Stavano perdendo tempo mentre i Salvatori erano a pochi metri da loro, ma comprendeva anche l’esigenza di quella richiesta. Fidarsi non era mai facile.
“Ezekiel ha detto di farti questa domanda: viaggia tutto il mondo stando in un angolo. Cos’è?”
Astrid ridacchiò, era assurdo che Ezekiel ricordasse ancora quel vecchio indovinello.
“E’ un francobollo. Ezekiel ama gli indovinelli, e questo era uno dei suoi preferiti.”
“E’ una prova di fiducia?”
Quando Astrid si permise di guardarlo, si sentì la ragazza di dieci anni prima. Quegli occhi azzurri avevano la stessa intensità che un tempo l’aveva incantata.
“Più o meno. Comunque io sono ...”
Erano sul punto di stringersi la mano quando un uomo balzò alle loro spalle. Lo sconosciuto sollevò la balestra e Astrid impugnò entrambe le sue daghe. Una freccia le frusciò accanto all’orecchio mentre saettava per finire conficcata nel petto dell’assalitore.
“Che mira!” si complimentò lei.
“Sta tutto in come inclini il polso.”
Astrid avrebbe voluto dire che lo sapeva perché proprio lui glielo aveva insegnato, ma scelse di fare finta di niente per il bene di entrambi.
“Immagino sia così.”
Lo sconosciuto si girò con uno scatto fulmineo, la balestra puntata contro un cespuglio che si muoveva. Astrid rivolse la punta delle daghe nella stessa direzione.
“Oh, ehi!” disse Jerry.
“Jerry!”
Astrid lo abbracciò di slancio, la gioia di rivedere un vecchio amico era immensa. Con lui c’era una donna dai lunghi capelli grigi, la stessa che aveva visto nel binocolo.
“Lei è Carol, la moglie di Ezekiel.” Disse Jerry con un sorrisone.
“Rimandiamo a dopo le presentazioni.” Mormorò l’arciere.
I Salvatori erano vicini, non c’era tempo per tornare indietro e rifugiarsi nella Guardia.
“Ne conto almeno cinque.” Disse Jerry, sporgendo il collo per guardare.
“Uno scontro impari.” Disse Astrid.
L’arciere fece segno con la mano di indietreggiare, poi chiuse le dita a pugno per indicare il luogo dove nascondersi. Si appostarono dietro due grandi querce per tendere un’imboscata. Astrid era finita con Jerry, e in parte la consolava sapere di avere dalla sua parte una persona conosciuta.
“Bella spada, Jerry. È nuova?” sussurrò lei con un sorriso.
“Ti ringrazio. È un regalo del Re per i miei servigi.”
Astrid adocchiò l’arciere alla sua destra e si morse le labbra, incerta sulla sua identità. Magari era solo un tizio con lo stesso gilet. Oppure aveva rubato l’indumento all’uomo che aveva conosciuto dieci anni prima. Oppure, ed era più probabile, la sua mente le stava giocando un brutto scherzo.
“Astrid.”
Jerry le toccò la spalla per svegliarla dal suo stato di trance. Astrid tornò alla realtà perché i Salvatori erano a un metro con le armi brandite. Avvolse le mani intorno alle daghe e chiuse gli occhi per un attimo, attingendo alla propria forza interiore come le aveva insegnato Yana.
L’attesa era quasi dolorosa. Jerry e Astrid guardavano l’arciere per avere il segnale, ma sembrava non arrivare mai. Lei sentiva la pressione pulsare in tutto il corpo. Non amava combattere e non era neanche brava, perciò quello scontro le procurava più agitazione del solito.
“Ora!” mimò l’arciere, la balestra già in posizione.
Astrid uscì allo scoperto con i gomiti piegati, sfoderando le daghe dalla cintura. I Salvatori erano ormai davanti a loro con le pistole puntate. Se avessero sparato, il rumore avrebbe attirato i vaganti e per questo era essenziale metterli fuori gioco prima che premessero il grilletto.
Una donna, capelli rossi e sorriso meschino, si avventò su Astrid con ferocia. La ragazza cadde per terra e si parò il viso con il braccio per evitare di essere colpita. La donna le morse l’avambraccio, al che Astrid le diede un calcio negli stinchi e subito si rimise in piedi. Il braccio non sanguinava, ma i segni dei denti erano ben visibili nella pelle.
“Disgustoso.” Commentò Jerry alla sua destra.
“Non dirlo a me.”
La donna tornò alla carica, questa volta non stava sorridendo e sembrava più agguerrita di prima. Astrid incrociò le braccia davanti al petto con le lame dei pugnali rivolte verso la nemica. Odiava uccidere, però doveva anche ammettere che i Salvatori erano spietati e che senza di loro il mondo sarebbe stato un po’ più sicuro.
“Astrid!” gridò una voce.
Solo allora si accorse di un uomo alle sue spalle, ma era troppo tardi. L’attimo dopo si ritrovò distesa per terra con un coltello che premeva sulla giugulare. L’uomo che l’aveva atterrata puzzava talmente tanto che dovette reprimere un conato di vomito. Il Salvatore stava per affondare la lama nel suo collo quando le ricadde addosso con tutto il peso.
“Devo sempre salvarti il culo?” scherzò Ryan.
Astrid fece un sorriso genuino, lieta che il suo amico stesse bene. La felicità durò poco, come sempre del resto. Intorno a loro infuriava lo scontro. Carol aveva messo KO un Salvatore; Jerry ne aveva infilzato un altro con la spada; e l’arciere stava estraendo una freccia dal cranio della donna con i capelli rossi.
“Ne manca uno.” Disse Astrid, il fiato corto per via dell’impatto.
“Abbassati!” le disse l’arciere.
Astrid si abbassò e una freccia sibilò sopra la sua testa prima di penetrare nella schiena del quinto Salvatore che stava tentando di scappare.
“Bel colpo!” esclamò Jerry.
Ryan osservò i nuovi arrivati con circospezione.
“Dobbiamo uccidere anche loro?”
“Loro vengono dal Regno. Sono nostri amici, suppongo.” Disse Astrid.
Carol sorrise, si sistemò l’arco sulla schiena e raccolse la pistola dell’uomo che aveva battuto.
“Io sono Carol. Sono la moglie di Ezekiel.”
“Ed è la regina.” Precisò Jerry con fare solenne.
Ryan strabuzzò gli occhi, non credeva di poter vivere tanto a lungo da conoscere una regina in mezzo all’Apocalisse.
“Okay, vostra maestà. Che ne dite di toglierci da qui? Siamo un bersaglio.”
“Prima sistemiamo questi stronzi.” Disse l’arciere.
Nei minuti successivi l’uomo piantò il proprio coltello nelle teste dei Salvatori a terra per evitare che si risvegliassero come vaganti. Si pulì la lama sulla manica della giacca usurata e si incamminò verso la torretta, al che gli altri si accodarono.
Mentre il gruppo si mosse per raggiungere la torretta, Astrid si prese un momento per tastarsi il collo ed essere sicura che la ferita non fosse profonda. Si imbrattò le dita di sangue, poche gocce che suggerivano una ferita superficiale.
“Stai bene?” chiese l’arciere.
“Sì.”
Ora Astrid poteva vederlo bene. Capelli lunghi, occhi azzurri dalla fessura stretta nascosti dalle ciocche castane, barba intorno alla bocca, e un paio di tatuaggi appena riconoscibili sulla mano e sul braccio. E poi c’era il gilet nero. Una delle ali non c’era più, restava solo la traccia blanda delle cuciture. Decise di fare un azzardo, quindi si presentò e tese la mano.
“Io sono Astrid Williams.”
L’arciere le strinse brevemente la mano, la sua stretta era sicura e forte.
“Daryl Dixon.”
Sul viso di Astrid si formò un sorriso luminoso.
 
“Sai quanti germi hai potuto contrarre durante lo scontro con i Salvatori? Tanti, troppi!”
Astrid alzò gli occhi al cielo per l’ennesima lamentela di Remy. Ogni volta che qualcuno tornava ferito, lei elencava tutte le tipologie di germi che era possibile contrarre avendo la pelle lacerata.
“Sto bene, Remy. Grazie per avermelo chiesto!” disse, ironica.
Remy arrossì e continuò a disinfettare il collo della sorella con delicatezza.
“Scusami, hai ragione. Come stai? Hai bisogno di stenderti?”
“Sto bene, tutto sommato.”
Astrid d’istinto pensò che nella stanza accanto sedeva l’arciere e il suo cuore cominciò a battere forte. Inevitabilmente sorrise come una ragazzina alla prima cotta. Remy storse il naso all’espressione da ebete che aveva assunto la sorella.
“Perché sorridi come se stessi pensando ad un gelato con triplo cioccolato?”
“Ti ricordi che la sera della mia laurea siamo andati al Blue Tavern per festeggiare? Ecco, lì ho conosciuto quel tipo con cui ho giocato a freccette.”
“Intendi il tipo con il fratello molestatore e che poi è stato arrestato?”
Astrid si accigliò, non aveva mai considerato la faccenda secondo quell’ottica. Però Remy era quella razionale fra le due, per cui non si stupì di quel mancato ragionamento.
“Detto così è brutto, ma sì. Te lo ricordi bene?”
Remy gettò nel cestino la garza sporca di sangue e ne prese un’altra per applicare una fasciatura intorno al collo della sorella.
“Me lo ricordo bene. Hai parlato di lui per un mese intero!”
Astrid rise, consapevole di aver assillato la sorella e la cognata con quella storia.
“L’ho trovato.”
“Chi?”
Remy sussultò quando Astrid le agguantò i polsi per tenerla ferma. Non amava essere toccata con tanta irruenza, però lo sguardo trasognato della sorella l’addolcì.
“Remy, ho trovato quello sconosciuto del pub. E’ qui! E’ venuto dal Regno.”
“Come fai a esserne certa? Magari è morto in cella. Sai quanti germi assassini si possono contrarre in una cella? Le carceri non sono note per essere pulite.”
Astrid emise un grugnito irritato. Lei parlava di qualcosa di magico e la sorella blaterava di germi e carceri.
“Indossa lo stesso gilet con le ali.”
“Coincidenza.”
“Il suo cognome è Dixon, proprio come il mio sconosciuto.”
“Altra coincidenza.” Ribatté Remy.
Il sorriso di Astrid si spense ad ogni obiezione di Remy. In dieci anni potevano essere accadute troppe cose. Magari quel gilet era il simbolo di qualche circolo di bikers, questo avrebbe spiegato la coincidenza. La Georgia era enorme e il cognome Dixon poteva appartenere a troppe persone, come del resto il suo stesso cognome. Eppure c’era un dettaglio che non riusciva a spiegarsi.
“I suoi occhi sono gli stessi. Quando mi ha guardata prima, io … io ho sentito la stessa emozione di allora.”
Remy le scostò una ciocca di capelli e sorrise dolcemente, sua sorella si perdeva troppo spesso nelle favole.
“Oppure il momento di tensione causato dai Salvatori ti ha scombussolato le emozioni.”
Astrid sospirò. Remy aveva ragione sulla tensione che poteva aver influito sulle emozioni. È risaputo che l’agitazione può creare effetti contrari nella mente.
“Forse hai ragione tu. Scusami.”
Remy si affrettò a concludere il bendaggio, dopodiché batté le mani per l’ottimo lavoro.
“Ah, faccio dei bendaggi favolosi!”
Astrid si costrinse a sorridere, anche se non ne aveva nessuna voglia.
“Vado a cambiarmi la maglietta.”
“Ricordati che dobbiamo ringraziare la regina e il suo entourage.” Le ricordò Remy.
Con quale coraggio Astrid avrebbe affrontato l’arciere?
 
Astrid entrò nella sala comune con le mani affondate nelle tasche posteriori dei jeans. La stanza era stata liberata in modo da ospitare solo la regina e il suo entourage, e a loro era stato offerto cibo e acqua. Jerry salutò la ragazza con la mano mentre con l’altra arraffava una manciata di noccioline.
“State bene?” domandò Remy.
“Sì, grazie. Siete state molto gentili.” Disse Carol con un sorriso.
Astrid capì subito che quello era un sorriso di cortesia, uno di quelli che riservi agli sconosciuti per non sembrare troppo scortese.
“Perdonate la sfacciataggine, ma perché siete qui?”
Gli occhi di Carol si spostarono su Astrid, ora non sorrideva più.
“Ezekiel si è preoccupato dopo aver ascoltato il messaggio alla radio. Ha detto che è vivo grazie a voi e che era giunto il momento di ricambiare il favore. Siamo venuti in vostro aiuto, tutto qui.”
Remy spinse la carrozzina verso il tavolino occupato dalle bevande e si versò un bicchiere d’acqua.
“E’ vero che lo abbiamo salvato. Ezekiel è un tipo molto simpatico, mi piace!”
Mentre la sorella si stava dimostrando cordiale, Astrid non riusciva a essere amichevole. Fissava la parete davanti a sé per non guardare l’arciere, che se ne stava seduto in un angolo a ispezionare le sue frecce.
“La Guardia ringrazia voi e il Re. Siete stati molto gentili a venire in nostro soccorso.”
“Perché questo posto è segreto?”
Astrid si irrigidì quando a porre la domanda fu Daryl. Prese un respiro per calmarsi.
“C’è una ragione ben precisa.”
“Sarebbe?”
Daryl ora la stava guardando, ma lei non gli rivolgeva neanche mezzo sguardo. Le mani nelle tasche si strinsero a pugno per via della tensione.
“Remy, per favore, mostra ai nostri ospiti perché questo posto è segreto.”
Remy annuì e fece cenno agli altri di seguirla in tour che avrebbe chiarito la ragione della loro segretezza. Mentre tutti le passavano accanto, Astrid rimase immobile come una statua. Solo Jerry le diede un colpetto alla spalla.
“Tu non vieni?”
“Vi raggiungo tra un minuto.”
Rimasta da sola, buttò fuori tutta l’aria che aveva trattenuto. Si stava comportando male, lo sapeva, ma proprio non riusciva a spegnere le emozioni. Sarebbe stata una lunga e tormentosa giornata.
 
“Questo è il motivo per cui la Guardia è un insediamento segreto.”
Remy aprì una porta a doppio battente e sollevò un braccio per sottolineare ciò che aveva detto.
“Oh.” Fece Carol.
La mensa era gremita siccome era ora di pranzo, voci e odori si mescolavano nella grande stanza. Donne, bambini e anziani affollavano il luogo. Alcuni erano seduti ai tavoli, altri servivano le pietanze e altri ancora consegnavano le posate e le razioni d’acqua.
“Proteggiamo un prezioso bottino.” Esordì Astrid dietro di loro.
Jerry entrò nella sala con gli occhi spalancati per la meraviglia.
“Solo loro abitano qui?”
“Noi accogliamo donne, bambini e anziani bisognosi di cure. Siamo all’incirca settanta persone.”
Una bambina sventolò la mano a mo’ di saluto e Carol ricambiò con un sorriso.
“Che posto è questo? E’ enorme.”
Astrid sedette a un tavolo appartato e invitò gli ospiti a fare lo stesso, era meglio parlare lontano da orecchie indiscrete.
“Un tempo era una base militare della marina. Siamo arrivati qui grazie a Ryan perché all’inizio della sua carriera da soldato ha lavorato in questo stabile per alcuni mesi. La base è davvero molto grande, ci sono cinquanta stanze da letto dotate di bagno personale, una sala comune, la mensa, la torretta che sbuca all’esterno per avere una migliore visuale e poi c’è la saletta di controllo dove sono collocati l’impianto elettrico e idraulico.”
“L’acqua arriva da una diga?” volle sapere Jerry.
Remy scostò una sedia per stare comoda e si schiarì la voce, pronta a esporre il progetto grazie al quale avevano risolto il problema dell’approvvigionamento idrico.
“All’inizio l’acqua proveniva dalla diga, ma dopo un paio di mesi la diga si è svuotata. L’unica risorsa idrica a disposizione era il lago, perciò io e mia madre abbiamo ideato un impianto che raccogliesse l’acqua del lago e che la filtrasse in modo da renderla potabile. Inoltre, l’impianto porta l’acqua direttamente nei bagni della Guardia.”
“Un ottimo piano.” Disse Carol, colpita da quella soluzione.
Astrid si era oscurata in volto, la menzione di sua madre aveva fatto più male del solito. Non si era ancora abituata alla sua assenza.
“E come vi difendete?” chiese Daryl.
Remy accarezzò il braccio della sorella e fece un piccolo sorriso amaro.
“L’unica squadra di difesa che abbiamo sono Astrid e Ryan. Loro escono ogni due giorni per controllare il perimetro, eliminare eventuali vaganti troppo vicini e per procacciare il necessario come cibo, medicine, vestiti.”
Daryl storse le labbra, c’era qualcosa di strano in quel posto.
“Solo due persone proteggono questo posto enorme?”
Astrid strinse di nuovo le mani a pugno. Lo scetticismo dell’arciere la stava facendo andare su tutte le furie.
“All’inizio c’erano sette soldati, tra cui anche Ryan. Sono stati uccisi durante una missione per cercare acqua potabile. Da un paio di anni siamo rimasti solo io e Ryan.”
Remy toccò la mano di Astrid per calmarla, non era facile per lei elaborare quel lutto.
“Scusa.” mormorò Daryl.
“Non importa.”
“Indovina chi sono!”
Due grandi mani si piazzarono sulla faccia di Astrid, che si dimenò sulla sedia nel tentativo di divincolarsi.
“Hunter, leva le mani dalla mia faccia!”
Hunter scoppiò a ridere, adorava darle fastidio per godersi la sua reazione sdegnata. Con lui c’erano Clara e Yana.
“Sei divertente come sempre.” Disse il ragazzo, rideva ancora.
Hunter era un sedicenne dalla testa rasata, pelle bianca come la porcellana, occhi grandi e verdi come uno smeraldo. Era un ribelle, non sottostava a nessuna regola imposta da Astrid e per questo erano in perenne faida.
“Hunter, lasciala in pace.” Lo riprese Yana.
Yana aveva la stessa età di Hunter, aveva i capelli neri e setosi che le toccavano le ginocchia, e i suoi occhi altrettanto neri erano sempre sereni e gioiosi.
“Gente, loro sono Hunter e Yana. Stanno con noi dall’inizio.” Disse Remy.
Jerry ridacchiò quando Clara si nascose dietro la schiena di Astrid. Quest’ultima la prese in braccio e la fece sedere sulle proprie gambe.
“Lei è Clara, la nostra dolcissima birbantella.”
Clara, biondissima ed energica, aveva cinque anni ed era legata ad Astrid quasi fosse sua madre. In realtà, la sua vera madre era morta durante il parto e da allora le sorelle Williams si occupavano di lei in tutto e per tutto.
“E’ la figlia di Olga.” Disse Jerry, un velo di tristezza nella voce.
Jerry aveva conosciuto Olga tempo addietro, quando Ezekiel aveva deciso di lasciare la Guardia per creare un proprio insediamento.
“Sì. Le somiglia tanto.”
Astrid baciò la testa di Clara e poi osò sollevare lo sguardo. Daryl la stava guardando con fare indagatore, la stava studiando come avrebbe fatto con una preda durante la caccia. La ragazza tornò a guardare Carol per non arrossire come una ragazzina.
“Quando avete intenzione di ripartire? Tra poche farà buio, vi conviene restare qui per la notte.”
“Sì, mi sembra un’ottima idea.” Acconsentì Carol.
“Remy, ci pensi tu a trovare una camera per i nostri ospiti?”
Remy avvertì una certa urgenza nella voce della sorella, voleva scappare da lì il più lontano possibile. Faceva così quando si sentiva sopraffatta.
“Ci penso io, certo.”
Astrid si congedò con un mezzo sorriso e si affrettò a raggiungere Ryan nella torretta. Non poteva restare con Daryl un minuto di più, era una sensazione di asfissia insopportabile. Le ricordava una vita passata che si era sgretolata. Le ricordava la persona che era stata dieci anni prima e che non esisteva più.
 
Astrid trovò Ryan che sgranocchiava un pacco di patatine mentre monitorava la sponda del lago dalla finestrella.
“Ehi!”
“Ehi! Com’è andata con gli ospiti?”
Lei si lasciò cadere sulla poltrona malandata, la pelle si era scorticata e la seduta aveva preso la forma di Ryan per tutte le ore trascorreva nella torretta.
“Sembrano delle persone perbene.”
Il marine si voltò con le sopracciglia corrugate poiché aveva colto una certa reticenza.
“C’è altro che dovrei sapere?”
Astrid pensò a Daryl, all’insistenza con cui l’aveva guardata in mensa, e sentì un brivido lungo la schiena.
“Lo sai che c’è. Non è il momento giusto per avere degli estranei qui.”
“Quando andranno via?”
“Domattina. Stanotte resteranno qui per non affrontare il viaggio durate la notte.”
Ryan accartocciò il pacco vuoto di patatine con troppa forza, voleva sfogare un po’ di rabbia sulla carta.
“Remy che ne pensa?”
“Remy è … Remy. Lei non capisce quanto sia importante mantenere certi segreti.”
Astrid si passò le mani fra i capelli, ed era incredula che non fosse calva considerato tutto lo stress a cui era stata sottoposta negli anni.
“Domani sarà tutto finito. Loro andranno via e noi procederemo come stabilito.” Disse Ryan.
“Siamo ancora lontani dalla risoluzione.”
“Ma non per questo ci possiamo arrendere. Astrid, sento che la risoluzione è vicina. Non dobbiamo mollare proprio ora.”
Astrid si morse l’interno della guancia, un brutto vizio che non la lasciava da quando era bambina e a scuola la prendevano in giro per le strambe acconciature che le faceva sua madre.
“Domani controlleremo tutto da capo. Forse capiremo qualcosa in più.”
“D’accordo. Io esco a uccidere un vagante vicino al lago, tu tieni a bada i nostri ospiti.”
Astrid vide Ryan armarsi di coltello e uscire all’aperto per bloccare la strada al vagante prima che inquinasse l’acqua.
 
All’ora di cena la mensa fu invasa dagli abitanti della Guardia. Tutti seguivano la fila in maniera ordinata, rispettavano la consegna dei vassoi e poi sempre con ordine andavano a sedersi.
“Broccoli? Bleah!” si lagnò Hunter.
Yana gli diede uno schiaffetto sulla nuca e ritirò il proprio vassoio. Era sicura che quella sera avrebbe mangiato doppia razione di broccoli.
“Ti lamenti sempre. Sta un po’ zitto.”
Hunter le fece la linguaccia e lei in risposta gli fece il dito medio. Si misero a ridere mentre prendevano posto al loro tavolo preferito. Remy era già al suo posto e mangiava il purè di patate con gusto.
“Questo purè dovete mangiarlo, è squisito!”
“Astrid!” strillò Clara.
La bambina corse con le braccia spalancate e Astrid la prese in braccio al volo. Le scoccò un bacio fra i capelli che profumavano di fragola e la strinse in un abbraccio.
“Hai fame, piccola?”
“Sì.”
Astrid si mise in fila come gli altri, non aveva mai surclassato nessuno solo perché era una dei leader. Il suo sorriso si tramutò in una maschera di freddezza quando alle sue spalle comparve Daryl. Per un istante la sua mente le mandò un flash di quella sera, quando entrambi avevano messo le mani sulla maniglia e poi lui l’aveva fatta passare.
“Ciao!” disse Clara, salutando con entrambe le manine.
Daryl abbozzò un sorriso e fece lo stesso gesto con la mano.
“Ciao.”
Astrid strinse Clara a sé, voleva usare la bambina come uno scudo dietro cui ripararsi.
“Clara, non dare fastidio al signore.”
“Nessun fastidio.” Mormorò lui, la voce roca.
Clara allungò la mano per toccare la barba di Daryl, che non si scompose affatto. Astrid, invece, era arrossita per le azioni innocenti della piccola.
“Clara, basta adesso oppure ti faccio mangiare tutti i broccoli.”
“No! I broccoli no!”
Daryl ghignò per l’espressione terrorizzata della bambina a quella minaccia. Le fece l’occhiolino e Clara ridacchiò.
“Puoi prendere quello che vuoi. Sei un ospite.” Disse Astrid senza voltarsi.
“Mmh.”
Lei socchiuse gli occhi, era lo stesso modo in cui dieci anni prima le aveva risposto lo sconosciuto col gilet. Scosse la testa come a voler sradicare quei pensieri. La fila aveva avanzato, quindi Astrid prese il proprio vassoio e cercò di prendere anche quello di Clara. Poiché la bambina in braccio era un ostacolo, il vassoio quasi le cadde di mano.
“Ci penso io.” intervenne Daryl.
Prelevò il vassoio della bambina e, dopo aver ricevuto il proprio, guardò Astrid con le sopracciglia inarcate. La ragazza rimase a guardarlo per qualche secondo, quegli occhi azzurri la stavano mandando in paranoia.
“Il tavolo è quello laggiù.” Biascicò a fatica.
Si incamminò verso Remy e agli altri con le ginocchia che tremolavano. Daryl la seguiva, torreggiando su di lei con la sua altezza. Sperava solo che quella giornata finisse, oppure sarebbe impazzita.
“Eccoti finalmente!” disse Remy, la bocca piena di pane.
Hunter lanciò un’occhiataccia a Daryl, non fidava di lui e lo innervosiva la sua vicinanza ad Astrid. Si alzò e gli tolse dalle mani il vassoio di Clara.
“Puoi andartene.”
“Hunter!” lo rimproverò Yana.
Astrid si girò verso Daryl con la vergogna che la divorava per il malo modo in cui Hunter si era espresso.
“Scusa, Hunter non conosce le buone maniere. Grazie per il vassoio.”
Erano così vicini che riusciva a scorgere l’ombra di una cicatrice sulla spalla sinistra di Daryl.
“Prego.”
Daryl se ne andò per congiungersi con Carol senza dire altro. Astrid si sedette e infilò il cucchiaio nel purè di patate, ma aveva lo stomaco chiuso e si limitò a spiluccare il cibo nel piatto.
 
Astrid stava rientrando in camera sua dopo aver raccontato a Clara la favola della buonanotte. Era stremata, le ultime ore erano state più pesanti del solito e voleva solo mettersi a letto. Si stupì quando vide che la porta della camera che condivideva con la sorella maggiore era semiaperta. All’interno qualcuno stava parlando. Astrid si accostò per origliare.
“Cosa possiamo fare per ricambiare il favore?” era la voce di Remy.
“Prima hai parlato dell’impianto idrico che hai ideato e sono rimasta molto colpita. Sarebbe utile averti con noi al Regno.” Stava dicendo Carol.
“Avete bisogno di un impianto simile al Regno?”
“Abbiamo bisogno di molte cose. Il Regno è in difficoltà e sta cadendo a pezzi. L’acqua giunge a stento nelle case, le tubature esplodono all’ordine del giorno e i campi non sempre riescono a produrre il necessario.”
Astrid riusciva a scorgere Remy che si muoveva avanti e indietro con la carrozzina, mentre Carol era in piedi contro il muro.
“Io sono una biochimica, non mi occupo di ingegneria. Però potrei aiutarvi lo stesso.”
“Davvero lo faresti? Che sollievo! Ovviamente alloggeresti nella casa più bella del Regno e ti riporteremmo qui a lavori conclusi. A meno che tu non decida di restare con noi.”
Remy trasalì quando Astrid fece irruzione nella stanza con gli occhi che sprizzavano rabbia.
“Forse la regina sta scambiano la nostra ospitalità come un servigio alla corona. Beh, si sta sbagliando.”
“Astrid, non fare così.” Disse Remy, allibita da quella reazione rabbiosa.
“Faccio come mi pare perché questa è casa nostra. Sempre che tu non voglia trasferirti al Regno.”
Astrid era così infuriata che avrebbe voluto spaccare i mobili pezzo dopo pezzo. Remy gettò uno sguardo imbarazzato a Carol, era maleducazione litigare davanti agli ospiti.
“Il Regno versa in grandi difficoltà. Possiamo davvero lasciare quelle persone in tali condizioni? La mamma diceva sempre che aiutare il prossimo è un atto doveroso.”
“Mamma è morta e tu hai trentacinque anni, direi che sei grande abbastanza da scegliere seguendo la logica.”
Remy abbassò la testa, ferita dalle parole velenose della sorella. Astrid non ce la faceva più a sostenere quella situazione, dunque lasciò la camera sbattendo forte la porta.
“Astrid ha ragione, è giusto che tu resti qui.” disse Carol.
Remy gonfiò il petto come le aveva insegnato suo padre, mai arrendersi davanti alle difficoltà.
“No, Astrid si sbaglia di grosso. Sono grande abbastanza da prendere le mie decisioni senza di lei. Se il Regno ha bisogno di aiuto, io sono ben disposta a venire con voi. Tornerò dopo che vi avrò aiutati a sistemare casa vostra.”
 
L’indomani Astrid si risvegliò con la schiena dolorante. Aveva dormito sulla poltrona malandata della torretta e i suoi muscoli ne avrebbero risentito per giorni. Dopo il litigo con Remy, si era isolata per riflettere. La Guardia nascondeva un segreto che nessuno doveva conoscere, era una questione troppo importante perché finisse nelle mani di molta gente. Il suo compito, oltre a quello di mandare avanti l’insediamento, era quello di custodire il segreto con la sua stessa vita. Il radar sul pannello dei comandi iniziò a lampeggiare comunicando la presenza di qualcuno nel perimetro della Guardia.
“Che diamine …”
Astrid attraverso la finestrella vide Carol che spingeva la carrozzina di Remy, e con loro c’erano anche Jerry e Daryl che portavano gli zaini. Ciò che lasciò la ragazza interdetta erano Hunter e Yana che si rincorrevano davanti a Remy. La stavano tutti lasciando da sola.
“Tua sorella è impazzita per caso?”
Ryan era appena entrato con l’espressione sconvolta, anche lui aveva visto il gruppo da un altro punto di osservazione.
“Devo andare con lei.”
“Ovviamente. Remy è una che parla troppo e se dovesse rivelare il segreto …”
Ryan non aggiunse altro, quella reticenza bastava a chiarire il concetto di pericolo.
“Lo so. Remy è fondamentale per la missione.”
“Astrid, lo sai che Dorothy ha la priorità assoluta.”
Astrid sentì un nodo avvilupparsi alla gola, quasi come un cappio in procinto di spezzarle il respiro.
 
“Aspettate! Aspettate!”
Astrid correva per raggiungere il gruppo con lo zaino che pesava sulle spalle e il peso di Clara fra le braccia. Remy sorrise e batté le mani in preda alla gioia di avere sua sorella accanto.
“Ci mancava la guastafeste.” Disse Hunter, ma nascondeva un sorrisetto.
Yana si prodigò per prendere Clara in braccio e depositarla a terra, poi le diede la mano e la fece salire sul cavallo con Jerry.
“Sei dei nostri?” chiese Carol.
Astrid si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato, sfiancata dalla corsa.
“Non lascio mia sorella e i miei ragazzi. Io vado dove vanno loro.”
Il rombo di una moto riecheggiò nella boscaglia, spaventando uno stormo di uccelli che volò in una sola ombra nera. Daryl si fermò davanti al carro trainato da Carol in sella ad una moto grigia con la carrozzeria graffiata.
“C’è qualche problema?”
“Astrid ha deciso di venire con noi.” disse Jerry, allegro.
Per una frazione di secondo Daryl guardò Astrid, che aveva ancora le gote arrossate per lo sforzo. La ragazza ricambiò lo sguardo, distogliendolo subito dopo e mordendosi le labbra. L’arciere fece un rapido cenno con la testa, poi rimise in moto e partì per primo. Essendo in moto, il suo compito era quello di stare in prima linea per annunciare eventuali pericoli.
“Andiamo.” Disse Carol.
Sul carro c’erano Carol e Remy davanti mentre Hunter, Yana e Clara sedevano dietro. Remy allungò la mano e Astrid la strinse, usando la stretta come una leva per salire sul carro. Si sedette affianco alla sorella e fece incastrare le loro dita.
“Andiamo.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Con questo capitolo ho cercato di introdurre i personaggi, i loro rapporti e soprattutto ho fatto cenno a Dorothy che è la protagonista della storia. Era una sorta di capitolo di passaggio.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 3
*** Al cospetto del re ***


2. AL COSPETTO DEL RE
 
Dieci anni prima
“Astrid, prendi solo il necessario!” gridò Logan.
Il virus era dilagato dappertutto. La gente moriva, si risvegliava e iniziava a vagare senza una meta e con la fame di carne umana. Nel giro di due mesi la situazione era precipitata in maniera irreparabile, i supermercati e le farmacie venivano prese d’assalto, le automobili venivano rubate all’ordine del giorno, le persone si picchiavano per uscire dalla città.
“Hunter, Yana, dobbiamo andare. Forza! Prendete le vostre cose.”
Astrid e Logan si davano da fare per raccattare lo stresso necessario per sopravvivere: pochi vestiti, medicinali e soldi. Era indispensabile lasciare Atlanta prima che venisse bombardata. Il giorno prima l’esercito aveva inviato un comunicato ai cittadini: entro ventiquattro ore la città sarebbe stata rasa al suolo dalle bombe.
“Astrid! Logan! Siete qui?”
Astrid si affacciò alla finestra e vide sua madre scendere dall’auto per entrare in casa.
“Mamma, che ci fai qui? Dovresti essere andata già via.”
“Iris ha fatto marcia indietro per venire a prendervi. Non possiamo lasciarvi da soli. Se moriremo, lo faremo insieme.”
Astrid abbracciò forte la madre, sebbene avessero fretta di andarsene. Forse quello era il loro ultimo abbraccio.
“Ella, sei qui!” esclamò Logan con un sorriso speranzoso.
La porta si aprì e Iris entrò con una mazza da baseball fra le mani.
“Non abbiamo tempo. Gli aerei militari si avvieranno fra un’ora.”
Astrid recuperò la sua valigia, andò in cucina e prese un coltello per qualsiasi evenienza. Iris la raggiunse per aiutarla a prendere le borse dei bambini.
“Hunter e Yana?”
“Li ha presi Logan. Andiamo, Astrid! Andiamo!”
Astrid salì sulla Range Rover di Iris, sedendosi dietro insieme a Logan e sua madre. Iris ingranò la marcia e a gran velocità guidò per uscire dalla città. Yana, seduta in braccio a Logan, piagnucolava. Dal canto suo Hunter, avvolse le esili braccia intorno al collo di Astrid e si strinse a lei. La ragazza lo abbracciò a sua volta, dandogli un bacio sulla testa.
“Andrà tutto bene. Te lo prometto.”
 
Oggi
Il sole cominciava a perdere luminosità, presto sarebbe diventato buio. Iniziava anche a fare fresco, ormai l’inverno si stava avvicinando e di notte la temperatura diminuiva di qualche grado.
“Facciamo una pausa. I cavalli hanno bisogno di riposarsi.” Disse Jerry, accarezzando la criniera del suo cavallo.
“Dieci minuti.” Accordò Carol.
Quando il carro si fermò, Hunter fu il primo a balzare giù. Yana, invece, aiutò Clara a mettere i piedi a terra.
“Dove vai?” chiese Astrid.
Hunter si bloccò e si voltò con il sopracciglio inarcato.
“A svuotare la vescica. Vuoi tenermi la manina mentre faccio pipì?”
“Idiota.” Borbottò Yana, alzando gli occhi al cielo.
Astrid sospirò, non era nello stato d’animo migliore per affrontare il brutto carattere del ragazzo.
“Sta attento. Non ti allontanare troppo.”
“E’ tuo figlio?” domandò Carol.
Era scesa dal carro e stava accarezzando il muso dei due cavalli che lo trainavano.
“Non è mio figlio. Io sono la tutrice legale di Hunter e Yana.” Disse Astrid, stiracchiando le braccia.
Si irrigidì quando la moto di Daryl fece dietrofront per parcheggiarsi lungo la linea bianca della strada.
“Ci fermiamo per far riposare i cavalli.” spiegò subito Jerry.
Daryl si limitò ad annuire. Si tolse i guanti di pelle, prese la boraccia dallo zaino e si scolò quasi tutta l’acqua.
“In che senso sei il loro tutore legale?” indagò Carol.
Astrid, che fino ad allora aveva osservato l’arciere, spostò lo sguardo sulla regina.
“Loro erano ospiti nella casa famiglia che avevo aperto insieme ad uno psicologo dell’infanzia. Io prima ero una assistente sociale. La casa famiglia era in funzione da un paio di mesi quando il virus ha distrutto il mondo. Loro sono stati i primi bambini di cui ci siamo occupati.”
“Quindi li avete portati con voi quando siete scappati.” Concluse Carol per lei.
Astrid regalò un sorriso a Yana, che ricambiò con un sorrisetto timido.
“Non potevo lasciare i miei ragazzi da soli. Non me lo sarei mai perdonato.”
Daryl intanto si era fatto più vicino, ora se ne stava appoggiato con il gomito sul dorso del cavallo bianco che trainava il carro.
“Come siete scappati da Atlanta?”
Remy notò che Astrid si era irrigidita, lo faceva ogni volta che l’arciere parlava. Decise di salvare la sorella dall’imbarazzo, quindi rispose per lei.
“Mia moglie Iris ha portato me, Astrid, nostra madre e i bambini fuori dalla città. Sulla statale abbiamo incontrato Ryan, che era il nostro vicino di casa, e abbiamo proseguito insieme. E’ stata dura prima di raggiungere la Guardia. Ci siamo rifugiati in un museo, poi in una industria tessile e alla fine abbiamo trovato un posto sicuro alla Guardia.”
Carol brandì l’arco quando si udì il rumore di foglie e rami spezzati. Da dietro un albero emerse la figura di Hunter intento ad aggiustarsi il cappuccio della felpa sulla testa rasata.
“Oh, sei tu.” Soffiò Carol, tranquillizzandosi.
“Dobbiamo ripartire. Se ci muoviamo, possiamo tornare entro stanotte.” Disse Daryl.
Tutti tornarono alle proprie postazioni e ripresero a muoversi in religioso silenzio.
 
Era all’incirca mezzanotte quando furono visibili i cancelli del Regno. Avevano deciso di proseguire anche di notte per non restare allo scoperto troppo a lungo, soprattutto perché con loro c’era una bambina.
“Aprite i cancelli. La regina è tornata!” annunciò Jerry.
Ad attenderli al varco c’era Ezekiel, le braccia spalancate e un sorriso allegro a illuminargli il viso.
“Finalmente siete qui!”
Hunter e Yana scesero per primi, l’eccitazione era dipinta nei loro occhi. Astrid aveva le gambe intorpidite e impiegò qualche minuto in più per smontare dal carro. Solo Remy non si era mossa, un po’ imbarazzata di fronte agli estranei.
“Ci penso io.” disse Astrid.
Recuperò la sedia a rotelle sgangherata, dopo dieci anni e mille peregrinazioni i bulloni cominciavano a cedere. La sistemò sull’asfalto e posò il sottile e usurato cuscino sui cui era solita sedere la sorella. Benché fosse stracciato in più punti, quel cuscino era stato ricamato a mano dalla madre e lo tenevano come ricordo.
“Aspetta, ti aiuto io.” si propose Daryl.
Astrid guardò Remy, che annuì, e lasciò campo libero all’arciere. Nel frattempo gli altri stavano raccontando in breve quanto era successo, con Jerry che ogni tanto enfatizzava un po’ troppo gli eventi.
“Grazie, Daryl.” Disse Remy con un sorriso.
Daryl fece spallucce e allungò le braccia per sollevarla. Era leggere, pertanto fu facile sposarla dal carro alla sedia a rotelle. Astrid si premurò subito di aiutarla a mettersi comoda.
“Ecco il mio genio preferito!” disse Ezekiel, ridendo.
Lui e Remy si abbracciarono e risero per qualche battuta sulla chimica. Hunter e Yana stavano mostrando a Clara la schiera di case davanti a loro.
“Grazie.” Mormorò Astrid, mordendosi le labbra.
Daryl la guardò per un breve istante, poi abbassò gli occhi nel totale imbarazzo.
“Mmh.”
Astrid avrebbe voluto dire altro, ma Ezekiel era arrivato a lei per i saluti.
“Piccola Astrid, non sei più tanto piccola.”
“All’epoca avevo ventidue anni, Ezekiel. Di piccolo in me non è rimasto nulla.”
Mentre loro si abbracciavano, Daryl studiò meglio la ragazza. Doveva ammettere che era carina, piuttosto alta e forse troppo magra ma questo era dovuto alle condizioni alimentari pessime. Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, castani, ma aveva notato che alla luce del sole vi erano dei riflessi ramati. E poi aveva due grandi occhi color marrone chiaro che gli trasmettevano una strana sensazione, aveva l’impressione di averli già visti.
“Daryl, ti sei imbambolato?”
Carol stava ridendo per l’espressione confusa dell’amico, era raro vederlo tanto smarrito. Stava guardando la nuova arrivata con troppa insistenza, specialmente per uno come lui che non aveva mai manifestato interesse per qualcuno.
“Smettila.”
 
“Questa sarà la vostra dimora durante il vostro soggiorno.” Disse Ezekiel.
La casa era a due piani, con la scaletta d’accesso e anche una rampa inclinata per permettere a Remy di muoversi in libertà. All’esterno era fatta di mattoni a vista, qualche vecchio vaso giaceva qua e là con fiori secchi ammassati nel terriccio. L’interno, a dispetto delle apparenze, era piccolo ma accogliente. Il primo piano riguardava cucina e soggiorno, entrambi ambienti di modeste dimensioni ma dotati di ogni tipo di confort. Astrid quasi si commosse quando vide un microonde sul ripiano della cucina.
“Di sopra ci sono soltanto due camere da letto matrimoniali.” Continuò il Re.
“Io non dormo con Hunter perché russa e fa le puzzette.” Disse Yana con voce risoluta.
Hunter le mise un braccio intorno alle spalle e le scoccò un sorriso divertito.
“Ti mancherò, vedrai. La separazione è sempre dolorosa.”
Astrid spesso si chiedeva quando Hunter avrebbe confessato i propri sentimenti a Yana. Alla Guardia dormivano nella stessa camera, e con loro c’era anche Clara, e forse ora Yana temeva di dover sopportare Hunter da solo.
“Yana dormirà con Remy sul divano-letto, io dormirò con Clara in una camera e Hunter nell’altra.” Disse Astrid, pragmatica.
Tutti accettarono quella soluzione di buon grado. Almeno quei problemi banali potevano essere risolti. Ezekiel andò alla porta e si girò per salutarli con il suo solito sorriso gentile.
“Allora io vi lascio ad ambientarvi. Domattina parleremo del lavoro da fare. Buonanotte!”
 
Quando Remy si svegliò, il posto accanto a lei era vuoto. Lentamente si mise seduta sul letto ed emise un sospiro stanco, non dormiva mai bene quando cambiava letto. Si aggrappò ai braccioli della sedia a rotelle e con uno scatto agile si trascinò su di essa. Per fortuna il divano-letto le dava la possibilità di muoversi in piena autonomia. Le camere al secondo piano sarebbero state un ostacolo per via delle scale.
“Qualcuno è sveglio?”
Si affacciò alla portafinestra della cucina e vide che Yana stava meditando. Proprio come sua madre, anche la ragazza aveva scelto la via della religione induista. Astrid sosteneva che quella scelta aiutasse Yana a sentirsi vicina alla madre scomparsa e al paese natio che forse non avrebbe mai visto. Fece un respiro profondo, sorrise e riaprì gli occhi.
“Ehi, Remy!” esclamò Yana.
“Buongiorno. Hai fame? Il frigo è pieno di cibo.”
“Potremmo preparare la colazione per tutti.” Disse Yana.
Remy annuì con un sorriso, era bello fare una cosa normale per la prima volta. Le due si misero ai fornelli per preparare caffè, latte e frittelle dolci. Yana apparecchiava e Remy riempiva i piatti.
“Remy, posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
Yana si avvolse una ciocca nera intorno al dito, incerta se porre o meno quella domanda.
“Astrid sta bene? Mi sembra … tesa, ecco.”
“Astrid non sta mai bene. Lo sai che si agita per tutto. Questo trasferimento è un colpo piuttosto duro per lei.”
Remy impiattò le frittelle una sopra l’altra distrattamente, pensava all’ansia che stava attanagliando la sorella minore e allora le sembrò che cucinare fosse una cosa stupida. Yana rubò una frittella dal piatto e la immerse nella marmellata di more prima di mangiarla.
“Non resteremo qui per molto, vero? Insomma, aiutiamo Ezekiel a sistemare questo posto e poi torniamo alla Guardia.”
“Presto torneremo a casa.” Confermò Remy.
Una decina di minuti dopo Hunter entrò in cucina con la faccia assonnata e i segni del cuscino ben evidenti sulla guancia. Annusò l’aria come un segugio esperto.
“Sento odore di cibo. Dov’è? Muoio di fame.”
Yana gli indicò il piatto di frittelle e la caraffa di latte, conosceva bene i gusti del ragazzo. Hunter si gettò a capofitto sulla colazione come se non mangiasse da secoli. Poco gli importava di sbrodolarsi il mento con lo sciroppo d’acero.
“Buongiorno!” disse Remy, entusiasta.
Astrid era appena comparsa in soggiorno con Clara mezza addormentata fra le braccia. Yana fece sedere la piccola a tavola e le versò un bicchiere di latte, invitandola a svegliarsi del tutto. Astrid, dopo una notte insonne, si buttò sulla sedia come un fiore secco che si affloscia.
“Buongiorno a voi, più o meno.”
Prese una frittella dolce e la mangiò piano, mentre Remy le offriva una tazza bollente di caffè. Passò i minuti successivi in silenzio, fissando una venatura nel legno del tavolo con espressione assente. La sua mente l’aveva tenuta sveglia per tutta la notte mandandole flash di quella fatidica serata di dieci anni fa. Rivedeva se stessa giocare a freccette, vedeva la mano dello sconosciuto, e rivedeva quel dannato gilet di pelle nera.
“Vado io!” stava dicendo Yana.
Astrid fu riportata alla realtà dal campanello che suonava. Poco dopo Ezekiel fece il suo ingresso, un sorriso gentile per salutare tutti.
“Il sole splende alto oggi, sarà una bella giornata! Voi siete carichi?”
“Sì!” disse Remy, l’unica attiva a quell’ora del mattino.
“Ragazzi, a voi cosa piacerebbe fare?”
“Vorremmo renderci utili.” Rispose Yana.
Hunter la guardò con un cipiglio a corrugargli la fronte.
“Ah, davvero? Credevo avremmo dormito tutto il giorno.”
Yana gli diede un pugno sulla spalla e scrollò la testa.
“Io e Hunter saremo felici di essere utili alla comunità, Vostra Maestà.”
Le voci diventavano sempre più flebili mentre lo sguardo di Astrid si assottigliava per sbirciare attraverso la portafinestra. Vide Daryl che stava controllando le punte delle frecce con una tale serietà da farle venire il dubbio che fosse una statua. Più lo guardava e più la sua mente le mostrava l’ombra di due ali bianche d’angelo.
“Astrid?”
Lentamente si riscosse dai suoi pensieri. I presenti la guardavano con fare interrogativo.
“Sì, sì, anche io vorrei rendermi utile.”
“Molto bene. Ci vediamo fra mezz’ora in Teatro. Buona colazione.” Disse il Re.
 
Stavano attraversando il centro del Regno quando Astrid vide una panchina nuova di zecca collocata sotto un salice piangente.
“Voi andate avanti, vi raggiungo fra poco.”
“Va bene.”
Remy e i ragazzi proseguirono fino al Teatro per poi svanire al suo interno. Nel frattempo Astrid si era chinata sulla panchina per leggere la targhetta dorata che risplendeva alla luce del sole. C’era scritto A Henry, per sempre nei nostri cuori.
“Oh, no …”
Si dovette reggere al marmo solido della panchina per non cadere. Si portò una mano alla bocca nel tentativo di reprimere un singhiozzo, ma una lacrima le stava già solcando la guancia.
“Tutto bene?”
Daryl, che da lontano l’aveva vista piegarsi sulla panchina, era andato da lei per accertassi che stesse bene.
“Henry … lui …” tentò di dire la donna.
“E’ morto.” disse Daryl in tono asciutto.
Astrid si sedette sulla panchina e si passò le mani fra i capelli, era sconcertata da quella pessima notizia.
“L’ho conosciuto. Lui è stato con noi prima che Ezekiel e Jerry andassero via. Era un bambino molto dolce.”
Daryl si mosse a disagio, non era capace di consolare le persone.
“Era un bravo ragazzo.”
Astrid si asciugò le guance con le maniche della giacca e cercò di riprendere il controllo. Doveva tenere duro per sua sorella e per i suoi ragazzi. Ai piedi di Daryl c’erano uno zaino e la sua balestra.
“Stai andando via?”
“L’intenzione era quella, ma Carol vuole che resti qui per dare una mano.”
Astrid deglutì a fatica. La permanenza di Daryl al Regno significava altre notti insonni per lei, altri momenti di perdizione in cui la sua mente l’avrebbe punzecchiata con i ricordi del passato.
“Bene.”
Daryl la guardò con la coda dell’occhio, la donna era arrossita e a lui veniva da ridere. Sembrava proprio che Astrid avesse paura di lui. Forse aveva qualcosa da nascondere e temeva che un cacciatore esperto come lui potesse scovare il misterioso segreto? Questo era un ulteriore motivo per restare e indagare sulle due sorelle.
 
Remy sgranò gli occhi quando Astrid e Daryl entrarono insieme in Teatro. Erano una coppia bizzarra, lui troppo alto e piazzato e lei troppo minuta ed esile. Nella sala degli spettacoli c’erano una ventina di persone, alcune di loro erano armate a sottolineare il loro compito di guardie.
“Siamo al completo adesso.” Disse Jerry.
Ezekiel, seduto composto su una vecchia sedia di legno ben lavorata, si alzò in piedi per parlare.
“Ho già riferito a Remy i problemi del Regno: tubature che esplodono, impianto idraulico ed elettrico difettosi, calcinacci che crollano. Remy è una biochimica ma conosce anche nozioni di ingegneria, pertanto costituisce un valido aiuto per la nostra comunità. Inoltre, sua sorella Astrid e il nostro amico Daryl si sono messi a disposizione per aiutarci. Lascio la parola a Remy.”
Remy spinse la carrozzina al centro del palco per essere vista da tutti coloro seduti sulle poltrone. Era sempre sicura di sé quando doveva parlare davanti a una platea, e questo era dovuto al fatto che per anni aveva insegnato all’università come tutor.
“Come ha già detto il Re c’è molto lavoro da fare e poco tempo per farlo. Non abbiamo tutto il materiale necessario, quindi dobbiamo costruirlo da soli. La mia idea è quella di formare dei piccoli gruppi e che ciascuno gruppo lavori a un guasto da riparare. Io elaborerò i progetti, realizzerò i disegni dei congegni da riparare in modo che voi possiate procedere seguendo le istruzioni che vi indicherò. Io, Ezekiel e Jerry penseremo alle tubature perché sono la massima priorità. Alfred, Madison e Angela penseranno alla manutenzione degli edifici insieme a Frank, Julie e Mark. Gli altri, invece, si occuperanno della piccola manutenzione giornaliera. Carol, Patty e Kate aggiusteranno l’impianto elettrico col mio aiuto. Infine, Astrid e Daryl si occuperanno dell’impianto idraulico.”
Astrid si morse il labbro talmente forte da causare un taglio. Daryl dall’altra parte della sala le rivolse un’occhiata seccata, non sembrava particolarmente contento.
“Qualcuno ha delle domande?” volle sapere Ezekiel.
Un paio di mani si alzarono e Remy fu ben lieta di spiegare nei dettagli il lavoro da fare. Astrid, invece, affondò nella poltrona con il cuore che batteva all’impazzata. Come avrebbe sopportato la vicinanza di Daryl? Quella strana accoppiata era destinata al fallimento. Del resto, anche lui non era troppo entusiasta di quella collaborazione. Astrid vide l’arciere confabulare con Carol, entrambi gettavano occhiatacce nella sua direzione. Stavano di certo parlando male di lei. Il solo pensiero le fece aggrovigliare lo stomaco.
“Noi che facciamo?” chiese Hunter.
“Tu potresti spalare il letame.” Replicò Yana.
Hunter le fece la linguaccia e sprofondò nello schienale morbido della poltrona.
“Solo se tu vieni con me.”
“Scordatelo. Io aiuterò Remy a fare i disegni istruttivi.”
Yana era brava nel disegno, era una delle doti apprese da sua madre. Hunter, però, sapeva suonare la chitarra e aveva una bella voce intonata, anche se si esibiva di rado davanti agli altri.
“Io allora andrò in giro a conquistare ragazze.”
“Neanche un vagante cadrebbe ai tuoi piedi.” Disse Yana, ridendo.
“A meno che io non lo ammazzi.”
I due ragazzi si misero a ridere, riportando Astrid alla realtà circostante.
“Chi devi ammazzare?”
Hunter si girò verso di lei e sghignazzò, era divertente l’espressione vacua della donna.
“Hai fumato erba? Hai gli occhi rossi.”
Astrid evitò di dire che aveva pianto per Henry, non voleva mostrarsi debole davanti a loro. Ecco perché sbuffò, irritata dalle stupide battute di Hunter.
“Yana ha ragione quando dice che sei un idiota.”
“Un idiota dall’aspetto irresistibile.”
Astrid scosse la testa, però in cuor suo sapeva che Hunter usava quelle battute come meccanismo di difesa. Era un ragazzo complicato, spesso aveva scatti di ira e non era incline ai rapporti umani. Proteggersi da eventuali dolori per lui era diventato fondamentale.
“Ciao!”
Jerry si avvicinò con il suo consueto sorriso bonario, una caratteristica che non lo aveva mai abbandonato negli anni. Astrid ricambiò con un mezzo sorriso, era ancora frastornata dalle direttive della sorella.
“Ciao, Jerry. Qualcosa non va?”
“Va tutto bene. Volevo dirti che, sei vuoi, Clara può stare con mia moglie e i miei figli mentre tu e Remy siete a lavoro. Abbiamo dei giochi che potrebbero piacerle.”
Astrid guardò Clara sulla poltrona accanto a sé, si stava appisolando su quel velluto morbido.
“Hai sentito, Clara? Puoi giocare tutti i giorni con gli altri bambini. Ti va?”
“Sì.” rispose timidamente la piccola.
Jerry le scompigliò i capelli con affetto.
“Allora domani mattina ti passo a prendere e ti porto a casa mia.”
 
A pranzo Astrid e gli altri erano stati invitati a casa di Ezekiel. Era l’abitazione più grande e sontuosa, ma già a prima vista i cardini della porta sembravano sul punto di cedere. Ad accoglierli sulle scale c’era Carol con un sorriso.
“Benvenuti. Entrate, prego. Ezekiel sarà qui a minuti.”
“Suppongo che essere il Re lo tenga molto impegnato.” Disse Yana.
Era una ragazza squisita, sempre educata e ben disposta verso gli altri. Si faceva voler bene da tutti per quella sua indole dolce.
Remy rimase interdetta poiché davanti a lei si presentavano quattro gradoni spessi. Astrid intercettò subito i suoi dubbi.
“Hunter, ci pensi tu alla carrozzina?”
“Sì.”
Hunter mantenne ferma la carrozzina mentre Remy avvolgeva le braccia intorno al collo di Astrid. Salì a fatica le scale, sebbene il peso di Remy fosse leggero. Hunter raggiunse di corsa la porta, aprì la carrozzina e aiutò Remy a risedersi.
“Grazie.” Disse Remy.
Astrid le strinse la mano e annuì, non c’era bisogno dei ringraziamenti. Era sua sorella e avrebbe fatto di tutto per lei. Hunter e Remy furono i primi a entrare nella dimora reale, che all’interno era segnata da crepe sulle pareti e calcinacci sui mobili.
Astrid si ritagliò qualche secondo per specchiarsi alla finestra e sistemarsi i capelli in uno chignon accettabile. Mentre malediva le occhiaie scure, sobbalzò quando nel vetro della finestra vide il riflesso di Daryl.
“Non volevo spaventarti.” Disse l’arciere.
Lei si sentì mortificata per essere stata colta nell’atto di specchiarsi. Quel breve momento di vanità poteva costarle caro dato che Daryl non dava l’impressione di essere uno che si guarda spesso allo specchio.
“Non fa niente. Ti serve qualcosa?”
“Sì, mangiare.”
Daryl la sorpassò per entrare in casa e dirigersi direttamente in sala pranzo. La vita di Astrid stava decisamente peggiorando.
 
Daryl era impegnato a ingurgitare quanto più possibile, ignorando del tutto la conversazione che si stava tenendo a tavola. Non era un chiacchierone, non amava parlare se non era necessario. Amava la solitudine, gli spazi aperti e andare a caccia. Da solo poteva essere se stesso. A dargli noia erano anche le chiacchiere infinte di Ezekiel che tirava fuori un argomento dopo l’altro. Remy e Carol lo assecondavano per non farlo sentire in imbarazzo. I ragazzi si lanciavano molliche di pane e ridacchiavano tra loro. Solo Astrid stava in silenzio, gli occhi fissi sul piatto che aveva toccato a stento. Clara stava in braccio a lei e le tirava l’orlo della maglietta per gioco.
“Quello lo mangi?” chiese lui, ancora affamato.
Astrid era dapprima confusa, poi capì che si stava riferendo alla zuppa nel piatto ancora intonsa.
“Prendi pure. Non ho molta fame.”
Daryl agguantò il piatto e in poche cucchiaiate spazzolò la zuppa, poi bevve un sorso d’acqua per mandare tutto giù. Si accorse che Astrid aveva spezzettato il pane senza mangiarlo davvero, e lo stesso valeva per il bicchiere d’acqua ancora intero.
“Dovresti mangiare. Quelle ossa hanno bisogno di carne.”
“Quali ossa?”
“Le tue.”
A Daryl non erano sfuggite le ossa sporgenti della donna, le clavicole accentuate, i fianchi spigolosi e le guance scavate. Tutta quella magrezza stava a significare che le scorte della Guardia non erano poi così abbondanti.
“Sto bene così.”
Daryl le piazzò una fetta di pane imburrato nella mano e con la testa fece cenno al bicchiere d’acqua.
“Mangia.”
“Okay.” Sussurrò Astrid.
Mangiò sotto lo sguardo vigile di Daryl, e le spuntò un sorriso mentre beveva al pensiero che una minima parte di lui fosse preoccupata per lei. Poi il sorriso morì quando capì che quella preoccupazione dipendeva dal Regno: una persona malnutrita non poteva svolgere i lavori atti a salvare l’insediamento.
 
“Daryl. Sul serio, sorella? Hai deciso di farmi venire un esaurimento nervoso?”
Remy si sarebbe sbellicata dalle risate se Astrid non fosse stata tanto agitata. Dopo pranzo si era divise, lei era rimasta con Ezekiel per i disegni e la sorella aveva fatto un giro del Regno con Carol e i ragazzi. Si erano radunati a cena, ma Astrid era troppo irrequieta per mangiare e si era congedata con la scusa del sonno. Quando poi Remy era salita con l’aiuto di Hunter per la buonanotte, aveva trovato la sorella intenta a pettinarsi i capelli dopo una doccia calda.
“L’ho fatto per te. Devi capire se Daryl è lo sconosciuto di dieci anni fa, oppure questa faccenda ti farà impazzire. Lo vedo come ti irrigidisci quando lui è nei paraggi. Non puoi fare così.”
Astrid mise il broncio mentre si vestiva per la notte.
“Non è lo stesso uomo, fidati. E’ la mia testa che mi prende in giro.”
“Come fai a saperlo? Non puoi essere sicura che sia lui, ma non puoi neanche essere sicura che non sia lui.”
“Non sono sicura di nulla, Remy.”
Astrid si appoggiò alla parete e incrociò le braccia al petto, si sentiva troppo stanca per ragionare. Remy le prese la mano e passò il pollice sulle nocche.
“Mi dispiace non essere di grande aiuto. Lo sai che la mia mente è fatta di calcoli e formule matematiche. Non sono una persona romantica. Però, mia cara sorellina, so per certo che potrebbe essere bello scoprire che Daryl è quello sconosciuto. Le cose belle dovranno pur accadere.”
Astrid chiuse le dita intorno alla collana che indossava sempre, traendo forza da essa. Il ciondolo era una piastrina ovale con l’incisione di una frase in latino che diceva “animae duae, animus unus”, ovvero “due vite, un’anima sola”. Suo padre lo aveva regalato a sua madre per il loro ventesimo anniversario di matrimonio. Astrid lo aveva ereditato dalla madre in circostanze funeste, era l’unico ricordo materiale che aveva di lei.
“Dobbiamo pensare a troppe cose per perdere tempo con il passato. Che Daryl sia quello sconosciuto o no poco importa. Lo sai che Dorothy ha la precedenza.”
Remy le prese anche l’altra mano, un piccolo gesto per consolare la sorella.
“Ho portato tutta la documentazione con me. Quando non lavorerò per il Regno, studierò i documenti.”
“E io sarò al tuo fianco.”
Le due sorelle si abbracciarono perché, se c’era una certezza in quel nuovo mondo allo scatafascio, quella era la famiglia.
 
Salve a tutti! ^_^
Sto cercando di presentarvi i personaggi di volta in volta tramite i dettagli gettati qua e là.
La storia ha luogo sei mesi dopo la morte (sigh!) di Henry, Tara, Enid etc.
La collaborazione fra Astrid e Daryl sarà più difficile del previsto.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 4
*** Le cose che non dici ***


3. LE COSE CHE NON DICI
 
Dieci anni prima
Iris tamburellava le dita sullo sterzo con agitazione. Era l’unico rumore che spezzava il silenzio in macchina.
“Che succede laggiù?” domandò Remy, sporgendosi sul sedile per guardare meglio.
Davanti a loro si estendeva l’autostrada, l’unica via ancora aperta per lasciare Atlanta. Iris dovette rallentare per non tamponare il camper davanti. La strada era interamente intasata dal traffico. Le file erano lunghe chilometri e chilometri. I clacson suonavano, i fari si accendevano e si spegnavano, le persone imprecavano dai finestrini.
“Sono costretta a fermarmi.” Disse Iris.
Ora anche la loro Range Rover era imbottigliata in quel caos. Dietro di loro le altre auto si fermavano mentre ancora più indietro si avvicinavano altri veicoli.
“Vado a vedere cosa sta succedendo.” Disse Logan.
Yana si spostò sulle gambe di Ella per permettere al ragazzo di scendere dall’auto.
“Vado anche io.” disse Astrid.
Sua madre avrebbe voluto imperdirglielo, ma ormai lei era balzata fuori dall’auto e stava raggiungendo Logan. Insieme camminarono fra le macchine nel tentativo di carpire qualche informazione, ma tutto ciò che sentivano erano urla e bestemmie.
“Tempi funesti.” Commentò un uomo alla loro destra.
“Hai capito perché siamo fermi?” domandò Logan, diretto come sempre.
L’uomo scese da un vecchio e sgangherato furgoncino, trascinandosi dietro la coda di rodine di una giacca rossa ornata sul davanti da bottoni dorati; doveva lavorare al circo.
“L’esercito vuole impedirci di uscire dalla città per evitare che il contagio si diffonda altrove.”
In quel momento tre aerei militari volarono sopra le loro teste a grande velocità. L’attimo dopo i grattacieli in lontananza furono bombardati. La città stava per essere rasa al suolo.
“Dobbiamo andarcene.” Disse Astrid, impaurita.
“Potete venire con noi.” propose l’uomo con la giacca rossa.
Logan e Astrid si scambiarono un’occhiata incerta, non potevano fidarsi di chiunque. Però la loro auto era troppo distante dalla frontiera, mentre il furgoncino dell’uomo distava pochi chilometri dall’uscita.
“In quanti siete?” chiese Astrid.
“Siamo io e la mia amica Olga. Abbiamo lasciato il circo poche ore fa. Voi quanti siete?”
“In sette. Cinque adulti e due bambini.”
L’uomo aprì lo sportello per mostrare lo spazio all’interno del furgoncino. Era abbastanza spazioso per ospitare tutte quelle persone.
“Salite a bordo. In compagnia è meglio!”
Logan e Astrid fecero dietrofront per avvisare Iris e gli altri che si sarebbero spostati. Per poco lei non fu investita da una moto che sfrecciava fra le auto.
“Ehi!” protestò la ragazza invano.
La moto era già lontana, eppure lei riuscì a cogliere due ali bianche cucite su un gilet nero.
 
Oggi
Astrid si lavava i denti e intanto rovistava nella valigia in cerca di vestiti. Settembre era volto al termine e il freddo iniziava ad inasprirsi, ma per fortuna il sole mitigava il clima. Scese una canottiera nera e una camicia azzurra, i soliti jeans consumati e i suoi immancabili e usurati anfibi. Dopo essersi vestita ed aver acconciato i capelli in una treccia laterale, scese in cucina e trovò Remy addormentata sul tavolo.
“Remy! Svegliati, dormigliona.”
“La radice quadrata di duecentoventicinque è quindici!” esclamò Remy, svegliandosi di colpo.
Un foglio le si era incollato sulla guancia, la frangetta era arruffata e aveva gli occhi ancora velati di sonno. Si svegliava sempre in quelle condizioni dopo aver trascorso ore e ore a studiare.
“E qual è la radice quadrata di un buon caffè?” domandò Astrid, ridendo.
Remy si staccò il foglio dalla faccia e abbozzò un sorriso, era frastornata dopo quelle poche ore di sonno.
“I ragazzi dormono?”
“Sì, sono le sette del mattino. Ezekiel ci vuole tutti in piazza alle otto.”
Astrid passò una tazza di caffeina alla sorella, che bevve a piccoli sorsi per godersi quel momento di serenità. Remy poi notò un dettaglio che la fece ridacchiare.
“Ti sei acconciata i capelli così per fare colpo su qualcuno?”
“No. La treccia è più comoda per lavorare.” Rispose Astrid, fingendo nonchalance.
Remy nascose un sorriso premendo il bordo della tazza contro le labbra.
“Beh, sei particolarmente bella con i capelli legati in questo modo. Secondo me un certo arciere potrebbe farci caso.”
“Non mi interessa di cosa potrebbe pensare un certo arciere. Io così sto più comoda.”
Remy avrebbe voluto replicare ma fu distratta dal rumore di passi sulle scale. Clara camminava con gli occhi semichiusi e il suo coniglietto di peluche in mano.
“Buongiorno, signorina.” Disse Astrid con un sorriso.
La bambina si avvinghiò alla sua gamba e richiuse gli occhi, al che Astrid la prese in braccio e la cullò.
“Ho fame.” Sussurrò Clara.
Astrid sentì il cuore stringersi a quella vista. Clara somigliava incredibilmente al padre, avevano addirittura lo stesso modo di parlare. Logan sarebbe stato fiero della sua splendida bambina.
“Io vado a prepararmi. Pensi tu alla colazione?” fece Remy, raccogliendo i fogli in una cartella.
“Sì, e vado anche a svegliare Hunter e Yana.”
 
Remy fece scivolare la sedia a rotelle lungo la pedana con delicatezza, attenta a non cadere di faccia a terra. Sul marciapiede c’era Jerry ad aspettarli, accogliendoli con un grande sorriso.
“Buongiorno a tutti. Clara, sei pronta?”
Clara strinse la mano di Astrid e affondò il viso contro la sua gamba, era una bambina molto timida e fare nuove conoscenze non era facile.
“Cane!” esclamò Clara.
Corse verso il cane e lo abbracciò, scambiandolo per uno dei suoi peluche. L’animale scodinzolò, felice di aver trovato una compagna di giochi.
“Clara, sta attenta.” Disse Astrid con una certa preoccupazione.
Sin da piccola aveva la fobia dei cani, era una paura che la paralizzava. La sua ansia peggiorò quando vide Daryl camminare verso il cane e accarezzargli lo spazio dietro le orecchie.
“Puoi stare tranquilla. Dog è buono.”
“Hai chiamato un cane Dog? Che fantasia.” Disse Hunter, ironico.
Yana gli diede una spinta come ammonimento per la sua maleducazione. Daryl, però, rimase impassibile a quelle parole.
“Gli altri sono già in piazza. Dovremmo andare.” Disse Remy.
Lei, Hunter e Yana si avviarono verso la calca che si stava formando intorno alla fontana della piazza. Astrid, invece, si era messa le mani nelle tasche posteriori dei jeans e si dondolava sui talloni. La presenza di Daryl era per lei un grande stress emotivo, aveva timore di dire o fare la cosa sbagliata.
“Accompagno Clara a casa mia e vi raggiungo.” Disse Jerry, prendendo la bambina per mano.
Astrid si abbassò al livello di Clara per abbracciarla e darle un bacio sulla guancia.
“Ti divertirai con gli altri bambini. Ci vediamo più tardi a pranzo. Okay?”
La piccola annuì con un sorriso che mostrava i dentini, dopodiché stampò un bacio sulla guancia di Astrid.
“Ciao! Ciao, cane!”
Il cane abbaiò una sorta di saluto e fece un giro su se stesso. Daryl vide che Astrid aveva sbarrato gli occhi.
“Hai paura dei cani?”
“Ho una fobia tremenda. Scusami.” Confessò lei, le gote arrossate.
“Allora lascio Dog a casa e poi vengo all’incontro.”
Astrid rimase ferita dalla freddezza dell’arciere. La considerava solo un aiuto per il Regno e non una persona con cui provare a interagire.
“Va bene. Grazie.”
Daryl fischiò e il cane si mise a zampettare al suo fianco, lasciando Astrid da sola a crogiolarsi nel suo malcontento. 
 
“Ora vi consegneremo i disegni in modo da poter usare le istruzioni per muoversi in autonomia. Se avete dubbi o non riuscite a sistemare i guasti, potete rivolgervi a Remy o a me. Jerry provvederà a rifornirvi degli attrezzi necessari alle riparazioni. Inoltre, ciascuna squadra avrà in dotazione un walkie-talkie per comunicare con la base. La base è preseduta da Carol, che a sua volta provvederà a comunicare con le altre squadre. Se non ci sono domande, auguro a tutti un buon lavoro. Ci riuniamo per l’ora di pranzo.”
Ezekiel spense il megafono e rientrò nel Teatro. Remy stava fischiando e battendo le mani.
“Sei stato eccezionale.”
Il Re fece un buffo inchino e baciò la mano di Remy da vero galantuomo.
“E’ ora di rimboccarsi le maniche, mia adorata amica.”
Fuori dall’edificio la folla si dispose in file ordinate per ricevere i disegni e le attrezzature. Jerry consegnava una cassetta di materiali, Carol consegnava i walkie-talkie e Yana consegnava le istruzioni. Hunter, invece, se ne stava seduto a dare calci ai sassolini.
“Possiamo andare.”
Astrid emise un verso strozzato per lo spavento. Daryl era arrivato di soppiatto alle sue spalle e lei non aveva captato né odori né suoni. Lo sguardo cadde sui fogli e sulla cassetta che l’arciere teneva in mano, gli stessi che le file aspettavano. La donna si accigliò.
“Hai preso le istruzioni e gli attrezzi senza di me?”
“Carol mi ha fatto passare avanti. Problemi?”
Daryl non capiva perché Astrid si fosse offesa. Lui aveva solo anticipato l’attesa inutile.
“Sì, ci sono dei problemi. Noi dovremmo collaborare, pertanto dovremmo fare le cose insieme.”
“Non siamo mica all’asilo.” Replicò lui, scontroso.
Astrid sospirò, la giornata era da poco cominciata e le cose già stavano andando male. Daryl era una persona dal carattere difficile, ormai le era chiaro, e la loro cooperazione era destinata a fallire ancora prima di iniziare.
“Allora possiamo andare.”
Daryl fu il primo a incamminarsi verso la sezione nord del Regno, laddove era ubicata la cisterna dell’acqua. Astrid camminava a qualche passo di distanza, le braccia conserte e gli occhi puntati sull’asfalto. Si sciolse la treccia, tanto lui neanche l’avrebbe notata, e si legò i capelli in una coda bassa.
 
“Ci siamo.” Esordì Daryl, bloccandosi di colpo.
Astrid quasi gli andò a sbattere contro. Per fortuna piantò le scarpe per terra prima di fare quella figuraccia.
“Quali sarebbero i problemi? La regina ti ha anticipato anche questo?”
Daryl rimase interdetto dal sarcasmo piccato di Astrid.
“Pensiamo al lavoro.”
Lei roteò gli occhi, infastidita dai modi bruschi dell’arciere. Per distrarsi, e ne aveva proprio bisogno, aprì il disegno di Remy per studiarne le annotazioni.
“Tu sei qui da molto, Daryl? Magari conosci il sistema idrico meglio di me.”
“So solo che l’acqua viene raccolta nella cisterna.”
Daryl si sporse per guardare il disegno, la sua altezza era ottimale per coprire il sole che pizzicava gli occhi di Astrid. Erano vicini ma senza toccarsi.
“Stando alle note di Remy, la cisterna raccoglie l’acqua dal fiume a ovest e successivamente alimenta le case.”
“E cosa c’è che non va?” chiese lui, grattandosi il mento.
Astrid spostò il peso da una gamba all’altra e con la spalla sfiorò il petto di Daryl, arretrando subito dopo per non contrariare l’arciere ancora di più.
“A quanto pare una decina di case non ricevono più l’acqua. Le ipotesi di Remy sono due: o i c’è un malfunzionamento delle tubature oppure è colpa della cisterna.”
Daryl alzò la testa verso la cisterna e tese l’orecchio per ascoltare. Non si udiva il consueto sciabordare dell’acqua.
“Credo sia colpa della cisterna. Forse non è piena come dovrebbe.”
“Come fai a saperlo?”
“Non sento l’acqua.” Disse lui, tastandosi l’orecchio.
Astrid fece un sorriso, meravigliata dall’udito dell’arciere che si era sviluppato dopo anni di caccia.
“Il superudito può essere un potere utile. Penso che dovremmo salire a dare un’occhiata.”
“Mmh.”
Daryl raccattò la borsa con l’attrezzatura, si sistemò un coltello nella cintura e si accinse verso la cisterna. Astrid arrotolò il disegno e lo seguì, in fondo non conosceva il Regno e una guida era apprezzata. L’accesso alla cima della cisterna era garantito da una scala a chioccola che circondava la tozza colonna su cui si installava la grande tinozza. Erano all’incirca un centinaio di scalini.
“Dobbiamo salire a piedi?”
“No.”
Daryl diede una spallata all’unica porta dell’intera struttura e puntò la torcia per illuminare l’interno. Si trattava di un’anticamera angusta, umida e puzzolente. Astrid arricciò il naso perché non vedeva nient’altro se non le ossa di un vagante putrefatto.
“Hai anche la capacità di volare?”
Daryl la ignorò del tutto. Non erano lì per fare amicizia, bensì per lavorare.
“C’è un montacarichi che Jerry ha rimesso in funzione. C’è scritto sul disegno.”
Astrid era allibita dal fatto che lui ricordasse il disegno pur avendolo visto per soli tre minuti.
“Okay, Wolverine, saliamo.”
Daryl scosse la testa, soffocando una risata. Non voleva mostrarsi amichevole con una donna che stava nascondendo qualcosa.
“E’ dietro la tenda.”
Insieme scostarono la pesante tenda nera e bagnata, il tanfo era insopportabile. Si issarono sul montacarichi e Daryl spinse il bottone di attivazione. Astrid sbatté contro la parete mentre la piattaforma si muoveva.
 
Il montacarichi si arrestò a metà percorso. Astrid sentì Daryl imprecare a bassa voce.
“Come facciamo a salire?”
L’arciere illuminò una sporgenza di cemento, allungò il braccio e la sua mano riuscì a toccarla.
“Vedi quel pezzo grigio? Quello è il pavimento del piano che ci interessa. Io riesco a salire a mani nude. Ti aiuterò io.”
La sola idea fece rabbrividire Astrid. Più non lo voleva tra i piedi e più si ritrovavano a stretto contatto.
“O-okay.”
Daryl lanciò l’attrezzatura oltre la sporgenza e il tonfo sordo indicò che lo zaino era atterrato sul pavimento. Si aggrappò al cemento e si issò fino a oltrepassare il montacarichi. Atterrò con le ginocchia e con le mani, poi si girò per guardare giù.
“Dammi le mani. Non fare mosse azzardate, altrimenti cadi.”
Astrid gli afferrò entrambe le mani, un brivido le bruciò sulla schiena. La pelle di Daryl era caldissima, piacevole al tatto, anche se era ruvida.  Si sentì tirare su con estrema facilità, tant’è che Daryl sembrava non fare alcuno sforzo.
“Ahia!” borbottò lei.
Aveva sbattuto il ginocchio contro la sporgenza e si era sbucciata la pelle; il jeans si era bucato e c’erano dei piccoli tagli sanguinanti.
“Te lo avevo detto di non fare mosse azzardate.”
Daryl la fece sedere e le diede la sua bandana nera per tamponare il sangue. Astrid digrignò i denti quando la stoffa irritò le ferite.
“Grazie. Ti restituirò la bandana dopo averla lavata.”
L’arciere annuì senza guardarla. Lo metteva a disagio lasciarle la propria bandana, era un gesto fin troppo intimo per due sconosciuti.
“Mmh.”
“Controlliamo la cisterna.”
Astrid si infilò il pezzo di stoffa in tasca e si mise in piedi, attenta a non gravare sul ginocchio ferito.
“Ma che diamine …” Daryl lasciò in sospeso la frase.
Quando Astrid guardò dentro la vasca, comprese la reazione del suo compagno. La cisterna era per metà vuota e l’acqua presente non riusciva a defluire nel modo giusto.
“Abbiamo un doppio problema.”
“Cioè?”
Daryl non capiva come mai Astrid fosse a suo agio, sembrava conoscesse bene la materia di cui si stavano occupando. Aveva detto di essere una assistente sociale, ma evidentemente la fine del mondo doveva aver accresciuto le sue doti.
“Il primo problema è la bocca della cisterna che è ostruita, perciò l’acqua non riesce a raggiungere bene i tubi e alimentare le case. Il secondo problema riguarda la quantità d’acqua. Se la cisterna raccoglie l’acqua dal fiume, perché è piena solo a metà?”
“Perché c’è un problema al fiume.” Disse Daryl.
Astrid gli riservò un sorriso condiscendente.
“Esatto. Hai un binocolo oppure usi la supervista?”
L’arciere tirò fuori dallo zaino un monocolo, la gomma che lo rivestiva era rovinata e il vetrino era storto. Astrid aggiustò la messa a fuoco e diresse lo sguardo al fiume.
“Vedi qualcosa?”
“Non c’è niente, almeno credo. Guarda anche tu.”
Anche Daryl non vide nulla di particolare, c’era solo l’acqua che scorreva placida.
“Il fiume è apposto.”
“Forse dovremmo parlarne con Remy. Lei saprà dirci qualcosa in più.”
“Va bene. Adesso scendiamo, non possiamo fare altro qui.” disse Daryl.
 
Daryl chiuse la porta della cisterna bloccandola con un pezzo di legno. Quando tornò da Astrid, lei si era persa in chissà quali pensieri.
“Ti è venuto in mente qualcosa?”
“A pranzo ho intenzione di rileggere gli appunti di Remy, magari riesco a capire il problema.”
“Sei brava con questa roba.”
Astrid sorrise compiaciuta, era il primo complimento che riceveva dall’arciere ed era una vittoria personale.
“Mio padre era un geologo. Alle scuole medie dovevamo ricostruire il ciclo dell’acqua per una gara di scienze, così mio padre mi spiegò tutto il processo idrico e alla fine realizzammo una diga in miniatura. Trasportava davvero l’acqua a faceva anche i suoni.”
“Hai vinto?”
“No. Vinse Melissa Stark con un mini vulcano che espelleva lava di ogni colore.”
Daryl si lasciò sfuggire un sogghigno per l’espressione affranta di Astrid.
“Tuo padre sembra un bel tipo.”
Negli occhi della donna apparve una venatura di tristezza mista a malinconia.
“Sì, era una bella persona. E’ morto un anno prima del virus per insufficienza cardiaca. Almeno non ha dovuto assistere alla fine del mondo.”
Daryl provò invidia nei suoi confronti. Il padre di Astrid era amorevole, mentre Will Dixon era solo un ubriacone che picchiava i figli.
“Il suo aiuto oggi ti è servito.”
Astrid represse le lacrime, diventata sempre vulnerabile quando parlava della sua famiglia.
“Sì, è vero.”
 
Il pranzo trascorse veloce fra una chiacchiera e l’altra. Tutti mangiarono in fretta per poter tornare subito alle mansioni da svolgere. Astrid andò a trovare Clara per un rapido saluto. La bambina si trovava bene con i figli di Jerry, giocava e rideva con loro come se li conoscesse da sempre. Hunter e Yana aiutavano i contadini a piantare i semi, il che fece ridere Astrid al solo pensiero di Hunter che sbraitava per la fatica.
“Astrid!” la chiamò Remy, sventolando il braccio.
“Ehi, genio. Come va?”
Astrid si guardò intorno in cerca di Daryl e rimase delusa nel costatare che di lui non c’era traccia. Neanche Dog si era fatto vedere nelle ultime due ore.
“Va benino, dai. Ci sono tante riparazioni da fare.” Rispose Remy.
“Hai visto Daryl? Devo parlargli della cisterna.”
“E’ uscito circa due ore fa con Carol.”
Le due sorelle furono sorprese dall’arrivo di Ezekiel, che aveva le maniche bagnate fino ai gomiti e i capelli in disordine.
“Sai quando torneranno?” indagò Astrid.
Il Re si sedette e appoggiò la testa sul banchetto che Remy usava per scrivere; era sfinito.
“Potrebbero anche dormire fuori stanotte. Lo fanno spesso.”
Remy strizzò la coscia della sorella sotto il banco per farle capire quanto fosse strana quella conversazione.
“Fra te e Carol va tutto bene?” chiese Astrid, curiosa.
“Il nostro matrimonio va in rovina come il Regno. La perdita di un figlio quasi sempre è motivo di separazione.”
“Tu che ti arrendi? Impossibile. Sei l’uomo più romantico che io conosca.”
Ezekiel fece un debole sorriso, non era in vena di fingersi allegro.
“A volte l’amore non basta.”
 
“Non è una buona idea.” Ripeté Carol.
“E’ un’ottima idea.” Ribatté Daryl.
L’arciere e la regina si erano recati fuori dal Regno con la scusa della caccia, ma in verità avevano intenzione di entrare in casa delle sorelle Williams per scoprire qualcosa.
“Tu sei proprio convinto che nascondano qualcosa?”
“Ti ho già detto di sì.”
Daryl forzò la porta e la maniglia si allentò, permettendo loro di accedere attraverso la portafinestra della cucina. Carol richiuse la porta per non destare sospetti e accese la torcia.
“Ezekiel non le avrebbe accolte se avesse nutrito dei dubbi.”
Daryl aprì qualche stipetto senza trovare granché, quindi salì per ispezionare le stanze da letto.
“Ezekiel vede solo che quello che vuole vedere.”
“Beh, su questo hai ragione. Qui dorme la bambina.” Disse Carol, la torcia dritta nel buio.
Daryl notò il peluche di un coniglio sul letto e delle scarpe di piccola misura, era facile dedurre che lì dormisse Clara. Ad attirarlo fu anche la sua bandana che giaceva sulla scrivania, era pulita e piegata alla perfezione.
“Anche Astrid dorme qui. Cerca qualsiasi cosa ci possa essere utile.”
Ciascuno scelse una parte della camera da esaminare. La cena stava volgendo a termine e loro presto sarebbero rientrate. Mentre Carol controllava l’armadio e le valige, Daryl scavava nei cassetti e sotto il letto. Fu proprio lui a trovare una cassetta di latta sottile e rettangolare sotto il comodino.
“Bingo.” Disse Carol.
Sul coperchio della cassetta c’era scritto ‘Dorothy’ al centro e sotto c’era l’incisione di una margherita. Per aprirla serviva una chiave che le sorelle dovevano di sicuro portare con sé, però Daryl era disposto a usare la forza per scoprirne il contenuto.
“Magari sono foto di famiglia.” disse Carol.
“Perché nasconderle sotto il comodino? Secondo me qui dentro c’è qualcosa.”
 
Astrid dopo cena si era isolata su una delle panchine poste ai lati del viale centrale. Voleva studiare meglio i disegni di Remy per trovare una soluzione per la cisterna. Con lei c’era Clara, intenta a fare un disegno di Dog, c’era Hunter che strimpellava la chitarra e Yana che si intrecciava i capelli.
“Canta una canzone.” disse Yana, attorcigliando l’elastico alla fine dei capelli.
Hunter aveva ereditato quella chitarra alla scomparsa di Logan. Sua madre suonava e lui da bambino aveva preso qualche lezione, poi aveva abbandonato per riprendere quando Remy gli aveva affidato lo strumento. Era bravo, aveva una bella voce, ma si vergognava a cantare avanti agli altri. Solo le persone più vicine a lui avevano l’opportunità di ascoltarlo.
“Le signore hanno preferenze?”
“In fondo al mar!” propose Clara.
Hunter fece una smorfia di disgusto.
“Non canterò le canzoni della Sirenetta. Altre proposte sensate?”
“Suona quello che preferisci.” Disse Yana con un sorriso.
Hunter accordò di nuovo la chitarra pur di non guardare Yana. Gli veniva la pelle d’oca quando lei gli regalava quei suoi sguardi carichi di dolcezza. Si schiarì la voce e prese a suonare.
“It’s now or never. Come, hold me tight. Kiss me, my darling. Be mine tonight, tomorrow will be too late. It’s now or never. My love won’t wait …”
Astrid riconobbe subito le note di ‘It’s Now Or Never’ di Elvis Presley, una dei brani preferiti di Logan. Hunter l’aveva sentita così tante volte alla casa famiglia che doveva averla imparata a memoria.
Si massaggiò gli occhi stanchi, aveva letto e riletto quei disegni senza trovare qualche informazione degna di nota. Aveva provato a richiedere l’aiuto di Remy ma la sorella maggiore accorreva ovunque ci fosse bisogno del suo supporto. Si diede un’occhiata in giro nella speranza di vedere Daryl. Sembrava che quella mattina, dopo aver condiviso un ricordo di suo padre, fossero più vicini. Desiderava che quel briciolo di legame durasse.
“Astrid, c’è qualcuno in casa.” Disse Yana, interrompendo la canzone.
La ragazza aveva ragione: un bagliore giallo lampeggiava nella camera da letto di Astrid e Clara. La paura si impossessò di lei come un serpente che si avvinghia alla preda. Dorothy era in pericolo.
“Chiamate Remy ed Ezekiel, subito!”
 
Astrid entrò in casa di soppiatto, muovendosi a tentoni nell’oscurità. Delle voci bisbigliavano al piano di sopra, erano un uomo e una donna. Fece le scale a piccoli passi, non voleva che gli intrusi scappassero. Quando la sua testa fece capolino nella stanza, sentì le mani prudere per la rabbia.
“Che diavolo state facendo?”
Carol e Daryl si immobilizzarono come fossero statue di ghiaccio. L’arciere reggeva ancora la scatola di latta fra le mani.
“Astrid …”
La donna con uno strattone riprese la scatola e la strinse al petto, era il suo bene più prezioso al momento.
“Sono mortificata. Mi dispiace.” Disse Carol.
Astrid, però, stava guardando Daryl dritto in faccia. L’arciere non sembrava affatto dispiaciuto, anzi la fissava come se volesse trivellarle l’anima e scovare ogni suo segreto.
“Cosa speravate di trovare?”
“Diccelo tu.” L’attaccò Daryl.
Astrid si portò una mano al petto come se un dardo l’avesse colpita.
“Sai una cosa, Daryl? Ho capito subito che non ti sto simpatica, ma arrivare a introdurti in camera mia è inaspettato. Mi fa ribrezzo questo atteggiamento.”
Carol temeva che quei si attaccassero alla gola da un momento all’altro. Si mise in mezzo per placare gli animi.
“Perché non ne parliamo con calma? Possiamo chiarire le cose.”
Astrid rivolse un’occhiataccia alla regina, non avrebbe porto onori a chi si comportava in maniera tanto vile.
“Non c’è niente da chiarire. Voi siete entrati in camera mia e avete rovistato fra le mie cose. Mi sembra tutto piuttosto chiaro.”
Si lasciò intimidire solo quando Daryl avanzò verso di lei con fare minaccioso.
“Che c’è in quella scatola? Chi è Dorothy?”
“Non sono affari tuoi.”
“Non mi fido né di te né di tua sorella. E neanche di Ezekiel. State nascondendo qualcosa di grosso e la scatola è importante per questo.”
Astris si ridestò, non si sarebbe lasciata spaventare da un omone che la trattava come una spia.
“Tu attacchi prima di essere attaccato, Dixon. Sei insicuro, i cambiamenti ti spaventano, e tendi a vedere le minacce anche dove non ci sono. Questo mi suggerisce che hai avuto una vita dura prima e durante l’epidemia. La tua infanzia deve essere stata sofferente, ecco perché sei così chiuso in te stesso e non permette agli altri di entrare in contatto con te.”
“Smettila.” Grugnì Daryl.
Astrid, più carica che mai, fece un passo avanti e gli sorrise trionfante perché sapeva di aver fatto centro.
“Sono sulla tua schiena. Dico bene?”
Daryl serrò la mascella, si sentiva messo all’angolo da una donna che a stento conosceva.
“Non sai un cazzo di me.”
“E’ nelle cose che non dici che risiede chi sei.”
“Allora lo stesso vale per te.”
Astrid indietreggiò, la scatola ancora stretta al petto come se ne andasse della sua vita.
“Lui si vergognerebbe di te a sapere che sospetti di me e Remy.”
Daryl era confuso. Aveva conosciuto le sorelle Williams da pochi giorni ma sembrava che Astrid ne sapesse più di lui.
“Di chi stai parlando?”
“Sto parlando di Rick Grimes.”
 
Salve a tutti! ^_^
Alcuni rapporti sembrano in crisi, ops. Guai in vista!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 5
*** Dorothy ***


4. DOROTHY

Quando Remy entrò in casa seguita da Ezekiel, rimase stupita nel vedere Astrid e Daryl che sembravano sul punto di sbranarsi.
“Che sta succedendo?” chiese Ezekiel, sorpreso dalla presenza di Carol.
“Ho beccato Daryl e Carol a frugare tra le nostre cose.” Rispose Astrid.
Remy riconobbe fra le mani della sorella la scatola di latta che conteneva il loro segreto.
“Astrid, penso sia giunto il momento di dire la verità.”
Astrid scosse la testa e strinse la scatola, una madre pronta a difendere i cuccioli.
“No! Iris ha detto …”
“Iris non c’è più.” la interruppe Remy.
Pensare ad Iris faceva male, era come sale su una ferita aperta. Perderla era stato un dolore che Remy non riusciva ancora a superare.
Carol fece un passo avanti e mise la mano sulla spalla di Astrid.
“E’ evidente che in ballo ci sia qualcosa di grosso, e sarebbe gradito se voleste parlarcene.”
Astrid era furiosa. Aveva promesso a tante persone di mantenere quel segreto e ora stava per essere spiattellato ai quattro venti.
“Fa come vuoi.” Disse, e lasciò la scatola sul letto.
Uscì di casa sbattendo la porta, consapevole di sembrare una bambina capricciosa ma non le importava. Remy era adulta e poteva prendere le sue decisioni da sola, giuste o sbagliate che fossero.
 
Remy si mordicchiò le pellicine del pollice come faceva quando era tesa. Ezekiel stava fermo accanto a lei, sembrava quasi volesse difenderla dalle occhiatacce di Daryl.
“Tua sorella ha un bel caratterino.” Disse Carol.
“Astrid è una splendida persona, è solo che difende con le unghie e i denti ciò che le sta a cuore.”
“Difende soprattutto quella scatola. Perché?” volle sapere Daryl.
Remy si spinse fino al letto per prendere la scatola. Si tolse la scarpa e tirò fuori una piccola chiave argentata, dopodiché la inserì nel lucchetto che richiudeva lo scrigno della discordia.
“Difendiamo questa scatola per il suo prezioso contenuto.”
Carol corrugò la fronte quando vide solo un mucchio di fogli ingialliti, bruciacchiati e strappati agli angoli.
“Fogli. State difendendo dei fogli?”
“Quello che c’è scritto sui fogli.” Precisò Ezekiel.
Daryl si sedette sul letto, prevedeva una lunga chiacchierata ed era meglio mettersi comodi.
“E cosa c’è scritto?”
Remy sfiorò i fogli con la punta delle dita, delicata come se toccasse un pezzo costoso e pregiato di antiquariato.
“Io lavoravo come tirocinante di biochimica al Centro di Controllo Malattie di Atlanta. Anche mia moglie Iris lavorava lì come assistente genetista del dottor Edwin Jenner.”
“Conosciamo Jenner.” Disse Carol, la voce ridotta a un filo.
“Ci siamo recati al Centro nella speranza di trovare una cura.” Aggiunse Daryl.
Remy era sorpresa da quel risvolto. Era assurdo che tutti loro fossero stati al Centro, seppur in situazioni differenti.
“Allora conoscete l’esperimento su TS-19, la moglie di Jenner.”
“Sì. – disse Carol – Eravamo andati là per salvare un membro del nostro gruppo, ma è stato inutile. Jenner ha fatto esplodere l’edificio.”
Remy non si aspettava quel colpo di scena, infatti chiuse gli occhi con un dolore che si diffondeva nel petto. Jenner non era l’uomo più simpatico del mondo ma era uno scienziato eccellente, e soprattutto era amico di Iris.
“Il timer della ‘decontaminazione’ era arrivato all’esaurimento. Conosco bene la procedura perché ho studiato ogni protocollo della struttura. Comunque, non vi sbagliavate del tutto.”
Daryl era talmente confuso che faceva fatica ad ascoltare. Sei sentiva all’improvviso soffocare in quella camera.
“Stai dicendo che esisteva una cura?”
“Le cose sono complicate. Cercherò di spiegarvelo in breve. Quando il virus ha iniziato a diffondersi, il Centro ha riunito una squadra di scienziati per studiarne l’origine e la cura. Iris faceva parte della squadra insieme a Jenner e a sua moglie. La situazione si era fatta ingestibile, perciò la comunità scientifica mondiale ha deciso di collaborare per trovare una soluzione. Le ricerche non hanno ottenuto i risultati sperati: l’origine del virus restava sconosciuta. Nel frattempo il virus aveva ucciso gran parte della popolazione, i governi non riuscivano a gestire le nazioni e sono intervenuti gli eserciti. Noi al Centro abbiamo continuato a condurre ricerche ed esperimenti insieme ai francesi perché la Francia era vicina a trovare una cura. Le cose sono precipitate quando la moglie di Jenner si è contagiata e ha deciso di sottoporsi lei stessa agli esperimenti. Grazie a lei, Jenner e Iris hanno scoperto che il virus prima uccide il soggetto e che poi lo riporta in vita attivando pochi connettori nel cervello, quelli che bastano per tenere vivo un essere umano ma in condizioni pessime.”
“Jenner ci mostrò il cervello della moglie per farci capire come opera il virus.” Disse Carol.
Remy annuì, anche lei aveva visto quel cervello diventare nero e putrido attraverso uno schermo.
“Dopo quella scoperta non fummo capaci di proseguire perché gli altri scienziati del Centro si stavano ammalando. Io e Iris abbiamo mollato tutto e abbiamo fatto le valige per lasciare Atlanta insieme alla nostra famiglia. Jenner e pochi altri sono rimasti nell’edificio, ma ora suppongo che siano morti tutti.”
“C’è una cura o no?” domandò Daryl.
“All’inizio io e Iris non credevamo esistesse una cura perché siamo tutti infetti, anche se poi è la morte a portarci allo stato dei vaganti.”
“Continua.” La spronò Ezekiel con un sorriso incoraggiante.
Remy sospirò. Prese i fogli dalla scatola di latta e li fece circolare fra i presenti.
“Prima di lasciare Atlanta, Iris è tornata al Centro e ha rubato tutti i documenti inerenti alla ricerca. Li abbiamo letti solo dopo aver trovato rifugio alla Guardia. In quei fogli si parla di una doppia cura: la prima servirebbe ad uccidere il patogeno dentro ognuno di noi, mentre la seconda servirebbe a salvare chi viene morso entro tre ore.”
“Uccidere il patogeno?” fece Daryl, smarrito.
“Tutti noi siamo infetti, ecco perché ci trasformiamo dopo essere morti. Questo vuol dire che il patogeno che ha dato origine al virus è dentro di noi. Uccidere il patogeno dentro il nostro organismo vuol dire eliminare l’infezione ed evitare la trasformazione dopo la morte.”
“E la seconda cura?” chiese Carol.
“La seconda cura, ammesso che sia vera, serve a curare chi è stato morso. Se la cura viene somministrata entro tre ore dal morso, l’infezione viene bloccata e la persona non si trasforma.”
Il silenzio piombò nella stanza, era pesante e faceva stranamente rumore. Remy poteva sentire le menti dei presenti arrovellarsi per quelle nuove informazioni.
Carol pensò a Sophia, alle condizioni mostruose in cui l’aveva vista l’ultima volta. Il cuore perse qualche battito all’idea remota che la sua bambina si sarebbe potuta salvare.
“Perché nessuno ha mai realizzato queste cure?”
“Non lo so. Questi fogli sono stati scritti da una persona ignota. Quando Iris ha portato via la documentazione, ha raccolto tutti gli scatoloni che ha trovato e questi appunti ci sono finiti dentro.”
“Quindi un tizio a caso avrebbe scoperto come salvare l’umanità.” Esordì Daryl, scettico.
“In pratica sì. Di sicuro lavorava al Centro di Controllo, ma poteva essere un medico, un genetista, un fisico, o addirittura un inserviente. Non c’è nessun nome sui fogli.”
“I problemi non finiscono qui.” disse Ezekiel, anticipando il colpo duro.
Remy sollevò un foglio in modo che tutti potessero vederlo.
“Il vero problema è che i fogli sono scritti in codice. Io e Iris ne abbiamo decifrato solo una parte tentato ogni tipo di decodifica, ma manca tutta la parte sulla preparazione delle cure.”
Daryl e Carol notarono che effettivamente le pagine erano piene di simboli, numeri, lettere strane e codici mai visti prima.
“Troviamo la cura se traduciamo questa roba?” chiese l’arciere.
“Sì. Ora che Iris non c’è più, solo io e Astrid studiamo questi fogli. Ho chiamato il progetto ‘Dorothy’ come la biochimica Dorothy Hodgkin.” Rispose Remy.
“E’ un lavoro enorme.” Mormorò Carol, gli occhi fissi su quei simboli.
“Per questo manteniamo il segreto. Se la gente sapesse che esistono le cure, si creerebbe il panico. Non abbiamo le nozioni e gli strumenti necessari per produrre una cura. Al momento non siamo preparati.”
Daryl si sentì in colpa nei confronti di Astrid. L’aveva accusata ingiustamente e aveva addirittura frugato in camera sua come un ladro. Ora comprendeva il comportamento sospetto delle due sorelle, il loro atteggiamento guardingo e la fretta di voler tornare alla Guardia.
“Tu e Astrid state facendo un ottimo lavoro.” Disse Carol con un timido sorriso.
Remy ricambiò, sebbene fosse delusa dagli scarsi progressi.
“Sono anni che ci lavoriamo sopra e abbiamo ottenuto poco e niente. A volte sembra un lavoro inutile.”
“Niente è inutile se il fine è aiutare le persone.” Le ricordò Ezekiel.
Daryl si alzò e sbuffò come un toro inferocito. C’era ancora un dettaglio che non tornava.
“Astrid prima ha menzionato Rick Grimes. Lo conoscevate?”
“Abbiamo parlato con Rick solo via radio grazie a Ezekiel.”
Ezekiel si fece avanti per raccontare la versione dei fatti.
“Quando ho accettato di aiutare Alexandria contro i Salvatori, ho rivelato a Rick l’esistenza della Guardia per mettere l’insediamento al corrente del pericolo. Rick, dopo aver saputo chi abita la Guardia, ha deciso di non coinvolgerli nella lotta. Voleva solo conoscere Astrid e Remy per spiegare loro la situazione, pertanto io ho provveduto a metterli in contatto con la radio del Regno.”
“Ho parlato a Rick di Dorothy e mi ha fatto promettere di tenere il segreto.” Aggiunse Remy.
“Tipico di Rick.” Disse Carol, sorridendo appena.
“Aiutare la Guardia era essenziale per questo. Loro nascondono un tesoro.” disse Ezekiel.
“Lo sa qualcun altro?” domandò Daryl.
“Solo io, Astrid, Rick, Ezekiel e ora voi due. La sicurezza non è mai troppa.”
Remy richiuse la scatola di latta e fissò le lettere incise per qualche secondo. Quello era tutto ciò che le restava di Iris.
“Io e Daryl manterremo il segreto e saremo disposti ad aiutarvi.” Promise Carol.
 
Due settimane dopo
Astrid non ne poteva più di leggere e rileggere i disegni istruttivi. Ad un certo punto era così stanca che la parole avevano iniziato a vorticare sul foglio. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie.
“Va tutto bene?”
Jerry si sedette accanto a lei sulla panchina dedicata ad Henry, era il posto giusto per starsene da soli.
“Questa settimana altre due case hanno perso l’acqua. Non riesco a venirne a capo e Remy non ha tempo per aiutarmi. Non va bene per niente.”
“Tu non lavoravi in squadra con Daryl?”
“Io e Daryl non parliamo più e non lavoriamo più insieme.” Confessò Astrid in tono risolutivo.
Lei e l’arciere non si erano più confrontati dopo quella sera. Il giorno dopo lei aveva ripreso in mano i disegni e lui era sparito chissà dove nel bosco, lasciandola a sbrigarsela da sola.
“Scegli un altro partner. So che Zoe è disponibile.” Suggerì Jerry.
“Non più perché Remy vuole che Zoe aiuti gli altri con l’impianto elettrico. Ieri sono saltati altri due fili della corrente.”
Jerry osservò le persone che andavano e venivano da un posto all’altro finchè il suo sguardo non cadde su un uomo che stava tagliando la legna.
“Protesti chiedere a James di aiutarti. E’ uno dei Briganti che pattuglia le strade per conto del Regno.”
“Mi sembra una buona idea. Grazie, Jerry.” Disse Astrid, baciandogli la guancia.
Astrid si fece coraggio e andò dritta verso il taglialegna, doveva convincerlo in tutti i modi a fare squadra con lei oppure altre case avrebbero perso l’acqua.
“Sei venuta finalmente a parlarmi.” Esordì James.
“Come, prego?”
L’uomo si voltò con un sorriso malizioso che fece innervosire Astrid.
“Mi stavi guardando come se fossi un bel pezzo di carne. Aspettavo ti facessi avanti.”
Lei fece una smorfia, odiava quei viscidi che ci provano con un tale squallore.
“Ti stai sbagliando di grosso. Volevo chiederti di aiutarmi con la cisterna, ma vedo che sei troppo impegnato a crederti il più bello del reame.”
“Pensi che io sia bello?”
James si avvicinò ad Astrid e le toccò la spalla, al che lei arretrò per mettere distanza fra di loro.
“Penso che tu sia un coglione.” Tuonò una voce dietro di lei.
Daryl non era per niente contento. I suoi occhi di ghiaccio stavano guardando James come se volessero spararlo in faccia.
“Disse l’uomo che vaga nei boschi. Dimmi, hai trovato una bella cerva con cui spassartela?”
Astrid, nauseata da quell’insinuazione, tirò uno schiaffo a James tanto forte da lasciargli le impronte delle dita sulla guancia.
“Non aprire ancora quella bocca o ti spacco la testa con l’ascia. Stronzo!”
Daryl ghignò per l’espressione scioccata di James, che non si aspettava di essere minacciato da una donna. Astrid si stava già allontanando, i capelli che svolazzavano mentre camminava con la rabbia che ribolliva nel sangue.
“Astrid! Aspetta!”
“Lasciami in pace, Dixon.”
Daryl con poche falcate l’affiancò e si mise a camminare allo stesso passo.
“Mi dispiace per essere entrato in camera tua.”
“Okay.”
“Astrid.”
Astrid sentì un brivido scuoterle tutto il corpo. La voce bassa e roca di Daryl che pronunciava il suo nome era paradisiaca.
“Sì, mi chiamo così.”
Daryl alzò gli occhi al cielo, non sopportava quel comportamento infantile. Le afferrò il polso e la costrinse a voltarsi.
“Ascoltami.”
Astrid si perse a guardalo, era incredibile che diventasse sempre più bello col passare del tempo. Notò una cicatrice sull’occhio sinistro, le piaceva anche quella.
“Che vuoi?”
“Sono stato al fiume in questi giorni per capire come mai l’acqua non riempie la cisterna. Non ho trovato niente di che. Il fiume scorre normale, non ci sono alberi caduti o altri impedimenti.”
Se poco prima Astrid era elettrizzata per la remota ipotesi che l’arciere l’avesse riconosciuta, ora abbassava lo sguardo per essere stata così ingenua. A lui interessava solo salvare il Regno.
“Revisionerò le carte. Se dovessi trovare qualche anomali, lo riferirò a Remy.”
“Oppure potremmo lavorare di nuovo insieme.” Disse Daryl timidamente.
“Non possiamo lavorare insieme se non ti fidi di me.”
L’arciere si morse le labbra, sembrava un bambino colto a fare una marachella.
“Ora so la verità e so che posso fidarmi di te e Remy. Anche Rick si fidava di voi.”
“Vorrei che ti fidassi di me a prescindere da Rick.” Disse Astrid.
Aveva capito che Daryl non aveva avuto una vita facile, era il suo atteggiamento a rivelarlo. Era schivo, solitario e silenzioso, e non si fidava quasi di nessuno. Erano i segnali di un’infanzia fatta di abusi.
“Lavoriamo insieme o no?” insistette l’arciere.
Astrid ricordò quella sera di tanti anni fa, allo sconosciuto che le aveva insegnato a giocare a freccette, al suo gilet con le ali, ma soprattutto alle sensazioni che le aveva fatto provare. Se Daryl era la stessa persona, lei doveva saperlo ad ogni costo.
“D’accordo. Ci vediamo a pranzo per discuterne meglio?”
Daryl annuì e Astrid sorrise, era un dialogo muto che bastò a entrambi.
 
“Smettila di mangiare!” Disse Yana.
Lei e Hunter si erano messi ai fornelli dopo aver trascorso la mattinata a piantare semi. Clara sarebbe rimasta a pranzo a casa di Jerry, ormai si era integrata bene e non voleva lasciare i suoi nuovi compagni di giochi. Remy era tornata, aveva mangiato un boccone ed era tornata da Ezekiel per proseguire con i lavori. Astrid, invece, non era ancora rincasata.
“Astrid torna per pranzo?” chiese la ragazza, versando la pasta nella pentola.
Hunter scostò la tendina e aguzzò lo sguardo sulla piazza centrale del Regno.
“Ehm, non credo proprio. Guarda!”
Yana si affacciò seguendo il dito di Hunter: Astrid e Daryl si erano seduti sulla panchina di Henry e stavano gesticolando fra di loro.
“Sono carini insieme.”
“Ma non dirlo neanche per scherzo!” si lamentò Hunter, schifato.
Yana gli diede una spinta amichevole e ridacchiò, consapevole che secondo il ragazzo nessun uomo era degno di Astrid.
“Non sarai così schifato quando incontrerai l’amore della tua vita.”
Hunter deglutì. Avrebbe voluto dirle che era lei l’amore della sua vita, ma preferì usare la solita maschera di freddezza.
“Per fortuna amo solo me stesso.”
“Tu ami solo il cibo, Hun.” Scherzò Yana.
Il ragazzo si ritrovò ad ammirare Yana mentre rideva, era un suono che adorava. Lei era perfetta, bella dentro e fuori, saggia quando dispensava i suoi proverbi indiani, intelligente e divertente.
“E tu chi ami?”
“Mio nonno diceva sempre: segui il fiume e arriverai al mare.” Disse lei, solenne.
“Che cavolo vuol dire? Tu e i tuoi proverbi senza senso.”
Yana rise ancora, irritando sempre di più Hunter.
“Un giorno lo capirai.”
 
Daryl lasciò il cane alle cure di Carol per riunirsi con Astrid. Non voleva che la presenza di Dog la mettesse a disagio. Lei era già seduta sulla panchina con i fogli aperti sulle gambe e una matita dietro l’orecchio. Per un breve ma intenso secondo pensò che fosse bella. Quella riflessione lo spaventò poiché raramente si era sentito attratto da una donna. Era troppo incasinato per avere una relazione. Nessuna donna sana di mente avrebbe scelto di stare con lui.
“Ciao!” lo salutò Astrid con un sorriso.
Daryl le fece un cenno con la testa, ancora nervoso per i suoi stessi pensieri.
“Ti va?”
Soltanto allora Astrid si rese conto che l’arciere aveva portato una vaschetta di alluminio fumante.
“Sì, mi va. Muoio di fame. Grazie.”
Daryl scartò il pacco e subito fu investito dall’odore di uova. All’interno della vaschetta c’erano due panini farciti con frittata e spinaci, una ricetta messa a punto a Jerry.
“Scegli pure.”
Astrid prese il panino meno farcito, non era un’amante dei condimenti eccessivi. Lo addentò e sgranò gli occhi.
“E’ squisito!”
Daryl si sedette sul marciapiede con la schiena contro i piedi di marmo massiccio della panchina, non voleva stare troppo vicino a lei. Con un boccone mangiò metà panino.
“Vero.”
Mangiarono in silenzio, ognuno concentrato sul proprio pasto. Era un silenzio stranamente piacevole, entrambi si sentivano a loro agio. Astrid appallottolò la carta del panino e si alzò per buttarla nel cestino. Raccattò la bottiglia d’acqua e bevve un lungo sorso per dissetarsi.
“Vuoi?”
L’arciere guardò prima lei e poi la bottiglia tesa verso di lui, le sopracciglia inarcate in un immaginario punto di domanda.
“Non ti fa schifo condividere la bottiglia?”
“Sono altre le cose che mi fanno schifo, ad esempio le battute di James.”
Daryl annuì, prese la bottiglia e si scolò l’acqua restante. Una goccia gli cadde sul mento e Astrid la osservò mentre scivolava dentro la camicia. Di sicuro era avvampata come un pomodoro maturo. Infilò le mani nelle tasche posteriori e si dondolò sui talloni, una vecchia abitudine che si trascinava sin da adolescente.
“Astrid, eccomi!”
Ezekiel reggeva fra le mani uno scatolone strappato qua e là, un angolo era bagnato per via dell’umidità.
“Ho chiesto a Ezekiel di darci tutto ciò che ha sulla cisterna.” Chiarì Astrid.
Daryl annuì, non era necessario dire altro.
“Questo è quanto possediamo sull’impianto idraulico. All’epoca il progetto era stato affidato a Ronnie, che purtroppo è venuto a mancare un paio di anni fa.”
Ezekiel depositò lo scatolone sulla panchina con uno sbuffo di fatica. Per un breve istante lesse il nome di Henry prima di drizzare la schiena come si confaceva ad un re.
“Grazie. Adesso ci pensiamo noi.” disse Astrid, sbirciando nella scatola.
“Stasera siete entrambi invitati a cena a casa mia e di Carol.”
Il Re si allontanò ancora prima di ricevere una risposta, sicuro che si sarebbero presentati tutti per una cena ricca di pietanze.
“Che Ronnie da lassù ci aiuti.” Mormorò Astrid.
Daryl si lasciò sfuggire un ghigno divertito, raro per lui che tentava di mostrarsi indifferente.
“Cosa cerchiamo di preciso?”
Astrid si sventolo una mano davanti al naso perché dallo scatolone si levò una nuvola di polvere.
“Non lo so bene. Remy non conosce bene tutto l’impianto, perciò noi dobbiamo ricavare le informazioni che ci mancano.”
“Che Ronnie sia con noi.” disse Daryl.
Astrid rise e gli allungò uno dei fascicoli conservati nello scatolone. Lei si sedette a gambe incrociate sulla panchina mentre l’arciere tornò a sedersi per terra.
 
“Forse ho trovato qualcosa, Daryl.”
Daryl si mise in piedi e fece scricchiolare la schiena e il collo. Erano stati impegnati per tutto il pomeriggio, avevano solo fatto una breve pausa perché Yana aveva offerto loro un bicchiere di limonata.
“Cosa?”
Astrid accese la torcia poiché era buio e non si vedeva più niente. Puntò la luce sul plico che aveva esaminato e Daryl si chinò per guardare.
“Sappiamo che la cisterna prende l’acqua dal fiume e che poi la distribuisce nelle case. Ora, qui c’è scritto che il fiume e la cisterna sono collegati tramite un canale semiartificiale deviando il letto fluviale. Se tu hai visto che il fiume scorre regolare, allora ….”
“Allora il problema è al canale.” Concluse Daryl.
Astrid sorrise, era bello che l’arciere avesse completato la sua frase.
“Tu non hai ispezionato il canale perché non sapevamo che esistesse. Quello che resta da capire è quale possa essere il guaio.”
“Remy potrebbe restringere il campo.”
Lo stomacò di Daryl brontolò e lui fece spallucce, il che fece ridacchiare Astrid.
“Credo sia arrivata l’ora di cena. Non vorrei che tu svenissi per mancanza di cibo.”
 
Remy non aveva parlato per tutta la durata della cena. Ogni tanto aveva finto di ridere alle battute di Ezekiel, aveva rivolto qualche sorriso ai ragazzi e a Clara, ma per il resto si era isolata. A tavola era stata servita una zuppa di verdure, ossia il piatto preferito di Iris. Ripensare alla moglie l’aveva destabilizzata, spezzando quel fragile equilibrio che le permetteva di andare avanti. Iris era la prima e unica persona che aveva amato. Si era innamorata di lei per il suo spirito di avventura, per la sua impulsività, per le sue magliette con i logo delle band, ma soprattutto perché era sempre stata al suo fianco.
“… al canale.” Stava dicendo Astrid.
Chiuse e aprì gli occhi un paio di volte prima di ritornare al presente. La sorella stava raccontando le novità emerse dagli appunti di un tale Ronnie.
Ezekiel bevve il vino mentre provava a ricordare che aspetto avesse il canale.
“Non andiamo al canale da un paio di anni. La cisterna ha funzionato perfettamente fino a un mese fa.”
“L’acqua potrebbe essere bloccata da qualsiasi cosa: un albero caduto, foglie e detriti accumulati, massi che sono rotolati giù.” Disse Astrid.
Remy aveva scoperto la sorella a guardare Daryl di sottecchi almeno una decina di volte. Astrid era così trasparente che ogni emozione si trascriveva sul suo viso. Era la prova vivente che gli occhi sono lo specchio dell’anima.
“Oppure dai vaganti.” Ipotizzò Carol.
Ezekiel si alzò per servire pane abbrustolito condito da un filo di olio, era tutto quello che era riuscito a preparare dopo una giornata di lavoro. Clara fu la prima a prendere il pane, per essere piccola aveva uno stomaco piuttosto grande.
“Aspetta, ti aiuto io.” disse Astrid.
Clara aprì la bocca e guardò Astrid, sembrava un cane in cerca di cibo. Astrid la imboccò piano, tenendo la mano sotto il mento della bambina per impedire all’olio di macchiarle i vestiti.
“Anche Shiva aveva la stessa fame.” Disse Ezekiel, scatenando risate generali.
Remy nascose un ghigno quando vide Daryl perso a guardare Astrid con una tale intensità da fare venire i brividi anche a lei. Riportò l’attenzione sul Re che stava ancora ridendo.
“Ricordo bene la fame di Shiva. E ricordo anche quando ha divorato il cuscino di Olga.”
“Olga era furiosa.” Continuò Astrid.
“E si è lamentata per una settimana intera.” Aggiunse Yana.
Olga viaggiava con Ezekiel all’inizio poiché entrambi lavoravano al circo, lui come domatore e lei come trapezista. Era una donna solare e sempre con la battuta pronta, ecco perché Logan si era subito invaghito di lei.
“Clara le somiglia molto.” Disse Ezekiel.
Astrid accarezzò i capelli biondi della bambina e sospirò, era il mix perfetto fra Olga e Logan.
“Ha preso il meglio dei genitori.”
La cena proseguì in modo tranquillo, gli argomenti principali furono i lavori e le riparazioni. Carol l’indomani sarebbe uscita con Jerry per controllare il perimetro delle mura dato che quel pomeriggio una crepa si era formata su una delle difese. Ezekiel e Remy avrebbero rimesso in funzione il generatore centrale.
“Io posso fare qualcosa di interessante?” chiese Hunter.
“Puoi stare con gli altri ragazzi e sistemare le colture.” Rispose Ezekiel.
Il ragazzo sbuffò, si stava annoiando a morte al Regno. Yana adorava stare con Nabila a piantare i semi, Clara aveva trovato degli amici, mentre lui passava le giornate sul portico di casa a strimpellare con la chitarra.
“Gli altri ragazzi sono quegli stronzetti borghesi con la puzza sotto il naso? Preferisco stare in compagnia dei vaganti.”
Remy e Astrid si scambiarono un’occhiata di intesa. Sapevano entrambe che l’indole scontrosa del ragazzo non gli permetteva di fare amicizia facilmente.
“Vuoi aiutarmi con i connettori? Hai le mani giuste per un lavoro così delicato.” Propose Remy.
“Sì, ci sto. Tutto pur di non sopportare quegli snob del caz-“
“Hunter! Niente parolacce, lo sai.” Lo rimproverò Astrid, puntandogli il dito contro.
Hunter si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento, le spalle ingobbite per essere stato ripreso come uno scolaretto.
“Sul serio? Il mondo va in malora e io non posso dire le parolacce? Wow, Astrid, sei geniale come sempre.”
Astrid rimase amareggiata da quell’attacco. Lei e Hunter litigavano spesso e ogni discussione per lei era fonte di dispiacere. Hunter uscì dalla sala per andare a prendere una boccata d’aria fresca, lasciando tutti pietrificati dalle sue parole.
“Mettiamo a posto.” Suggerì Carol.
Mentre gli altri stavano lavando e asciugando le stoviglie, Astrid si premurò di prendere Clara in braccio. La bambina stava sbadigliando già da un po’, sfregandosi gli occhi arrossati.
“Filastrocca!”
“Certo.”
Si misero comode sul divano, Clara accoccolata contro il petto di Astrid e con la manina stretta intorno ad una ciocca di suoi capelli castani.
“Quel che possiede un bambino: due piedi lesti per correre e saltare, due mani sempre in moto per prendere e per fare; la bocca chiacchierina per tutto domandare, due orecchie sempre all’erta intente ad ascoltare; due occhioni spalancati per tutto investigare e un cuoricino buono per molto, molto amare.”
Daryl aveva osservato la scena dallo stipite della porta della cucina. Era ammaliato dalla dolcezza nella voce di Astrid e dal suo modo di cullare Clara. Dopo tanto tempo era la cosa più bella che aveva avuto il piacere di vedere. La bambina era scivolata nel sonno e Astrid l’aveva depositata sul divano per poi coprirla con la propria giacca di jeans. Voltandosi, la donna arrossì quando incontrò lo sguardo di Daryl.
“Oh … tu hai sentito tutto …?”
“Mmh.”
Astrid si mise le mani nelle tasche posteriori e si morse il labbro, le gote ancora velate di rosso.
“Che dire, il mio talento segreto è raccontare le filastrocche.”
Daryl fece spallucce, impegnandosi per simulare indifferenza. Non voleva di certo che lei si accorgesse di quanto fosse rimasto colpito da quella tenera scena.
“E’ okay.”
“Okay.” Ripeté lei con un mezzo sorriso.
Daryl raccolse le posate mentre Astrid continuava a dondolarsi sui talloni,
“Stavo pensando di andare a fare un giro al canale domani. Vuoi venire?”
“Tu vuoi che io venga con te?”
“Sì.”
Astrid spalancò la bocca per dire qualcosa ma la richiuse. Non c’era molto da dire, solo accettare o rifiutare. I suoi occhi caddero sul gilet nero appeso allo schienale della sedia. Lei doveva sapere la verità ad ogni costo.
“Accetto.”
Daryl annuì e le diede le spalle per tornare in cucina a consegnare le ultime stoviglie. Chissà perché gli spuntò un sorriso.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ormai il grande mistero è stato svelato. Ovviamente la parte sulla cura è di mia invenzione, non date nulla per vero (anche perché non me ne intendo).
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 6
*** Oro tra le crepe pt. I ***


5. ORO TRA LE CREPE PT. I

Astrid infilò le ultime cose nello zaino e richiuse le cinghie con forza per assicurarsi che tutto rimanesse all’interno. Erano le cinque del mattino, fuori era ancora piuttosto buio e il vento frusciava piano fra gli alberi. Indossò la solita felpa nera e la giacca di jeans, anche se non sapeva quanto ancora avrebbe retto la stoffa poiché era strappata in più punti. Mentre si allacciava gli anfibi, guardò Clara dormire e sorrise. Quella bambina era una piccola luce in tutto quel mondo di tenebre. Quando scese in cucina per bere un caffè, trattenne un urlo alla vista di Remy che la salutava con la mano.
“Remy! Sei impazzita?”
“Scusami. Volevo solo salutarti prima di partire.”
Astrid si addolcì e si chinò per abbracciare la sorella maggiore.
“Andrà bene. Insomma, Daryl mi sembra un tipo in gamba per una missione del genere.”
“Daryl ti sembra in gamba per una marea di cose.” Replicò Remy, ridendo.
“Vola basso, sorellona. Non sappiamo ancora se sia lo sconosciuto della Blue Tavern.”
Astrid preparò il caffè e addentò un biscotto, doveva ammettere che Carol era davvero brava con i dolci.
“Però è carino lo stesso.”
“Diciamo che ‘carino’ non è l’aggettivo che userei per descrivere Daryl.”
Le sorelle si misero a ridere, consapevoli entrambe che l’arciere non collimava con nessuna descrizione graziosa.
Pochi minuti dopo qualcuno bussò alla porta un paio di volte. Astrid dalla finestra riconobbe la balestra, quindi abbandonò la colazione e si caricò lo zaino in spalla.
“Daryl è giù qui. Devo andare.”
“Sta attenta, Astrid. Ti voglio bene.” disse Remy, prendendole la mano.
“Ti voglio bene anche io. Per qualsiasi cosa puoi contattarmi tramite la radio.”
Astrid arraffò un altro paio di biscotti, se ne mise uno in bocca e uscì in fretta con lo zaino che la sballottava. Daryl l’aspettava appoggiato alla ringhiera, le braccia incrociate e lo sguardo fisso sulle crepe delle scale.
“Fiao! Fei fui fa molfo?” disse Astrid, masticando il biscotto.
L’arciere la guardò come se avesse due teste, poi si grattò il mento come se fosse un critico davanti a un quadro dipinto male.
“Sei pronta? Prima andiamo e prima torniamo.”
Astrid deglutì e annuì, aveva fatto la figura della stupida e se ne pentiva amaramente.
“Sono pron …. Oddio!”
Dog corse dal padrone per farsi accarezzare, la coda scodinzolava di felicità. Astrid, invece, era pietrificata dalla paura.
“Ci serve Dog per eventuali pericoli. Tranquilla, non ti farà niente.” Disse Daryl.
Dog, infatti, non degnò la donna della minima intenzione, anzi si avviò verso i cancelli a testa alta. L’arciere gli andò dietro e fece un gesto con la mano per invitare Astrid a seguirlo.
“Oh, povera me.”
 
I cancelli ormai erano alle loro spalle mentre si avvicinavano sempre di più alla fitta boscaglia. Dog fiutava qualunque cosa gli capitasse sotto il naso, dai sassi alle foglie, dai cespugli agli insetti che gli svolazzavano intorno. Al suo seguito c’era Daryl, mentre Astrid era l’ultima del gruppo per tenersi a distanza dal cane.
“Camminerai lenta ancora per molto?” chiese Daryl senza voltarsi.
“Va bene così, grazie.” Rispose Astrid, stizzita.
L’arciere rallentò e si girò verso di lei con fare divertito, sembrava di avere a che fare con una bambina capricciosa.
“Non posso starti dietro tutto il giorno. Dobbiamo sbrigarci per non restare fuori di notte.”
“Scusa.” mormorò Astrid.
Malgrado fosse terrorizzata da Dog, si sforzò ad accelerare il passo per affiancare Daryl. Tirò fuori dalla tasca della giacca il secondo biscotto e lo mangiò pezzetto dopo pezzetto. Il cane rizzò le orecchie e puntò gli occhi su Astrid, o meglio sul biscotto. La donna indietreggiò dopo aver capito che l’animale voleva mangiare.
“Dog, bello, sta buono.” Disse Daryl.
Bastò qualche carezza per convincere il cane a riprendere la strada. Astrid tirò un sospiro di sollievo e cercò di placare i nervi.
“Mangiare davanti a un cane è una pessima idea.”
“Hai una briciola lì.” Disse Daryl indicando la sua faccia.
Astrid si pulì la bocca con la manica ma, anziché togliere la briciola, la spostò in alto.
“Fatto?”
Daryl alzò gli occhi al cielo e allungò il pollice per eliminare il residuo di biscotto. Con il polpastrello le sfiorò l’arco di cupido sul labbro superiore e rimosse la briciola, indugiando con il pollice sulla sua bocca. Resosi conto che erano trascorsi diversi secondi, fece ricadere la mano e si allontanò di colpo come se si fosse scottato.
“Fatto.” sussurrò con voce roca.
“Grazie.”
Astrid si leccò le labbra, avvertendo in quella zona ancora il calore del tocco di Daryl. Abbozzò un sorriso incerto, ancora stordita da quel breve momento di vicinanza, e si incamminò in direzione sud.
“Astrid.”
“Sì?”
Daryl si toccò la fronte e sospirò, a stento trattenne una risata.
“Il fiume è dall’altra parte.”
“Oh … sì, sì, dall’altra parte. Ricevuto!”
Astrid riconobbe Dog a qualche metro da lei e prese a camminare verso il cane. Aveva fatto una figuraccia colossale ed era tanta la voglia di sotterrare la faccia nella terra come uno struzzo. L’arciere camminava dietro di lei e si guardava intorno per essere certo che non ci fossero problemi.
Dopo una ventina di minuti Dog si fermò e abbaiò un paio di volte, dopodiché si mise a rincorrere un’ape. Astrid e Daryl ora si trovavano davanti ad un bivio, due stradine sterrate che si biforcavano a destra e a sinistra.
“A est c’è il fiume e a ovest c’è il canale. Dove andiamo prima?” chiese Daryl.
“Poiché tu hai già controllato il fiume, io direi di andare direttamente al canale.”
L’arciere annuì e grattò la testa del cane, che tirò fuori la lingua e mosse la coda in segno di gioia. Astrid fece un respiro profondo, gestire Daryl e Dog insieme era davvero un’impresa titanica. Poteva farcela, anzi doveva.
“Perché non ti piacciono i cani?”
Era la prima volta che Daryl le faceva una domanda personale, il che la stupì in positivo.
“Quando avevo dieci anni il cane dei vicini mi saltò addosso e mi graffiò la guancia. Lo so che voleva solo giocare, ma mi sono davvero spaventata e da allora la fobia mi perseguita.”
Nel frattempo avevano ripreso il cammino, la boscaglia aumentava e diminuiva in base all’aria, ma il verde circostante era l’unica certezza ad ogni passo.
“Capisco.”
“Posso farti una domanda, Daryl?”
L’arciere le lanciò un’occhiata di traverso, sperava che non fosse nulla di relativo alla sua vita privata.
“Mmh.”
“Secondo te il Regno ce la farà? Insomma, anche se aggiustassimo l’impianto idrico e quello elettrico, ci sarebbero troppi lavori da fare. E poi Ezekiel mi sembra così stanco.”
“Possiamo fare del nostro meglio per ora, in seguito vedremo come andranno le cose.”
Astrid odiò quella risposta lapidaria che aveva tanto l’aria di una magra consolazione, sapeva che anche l’arciere aveva i suoi stessi dubbi.
“D’accordo.”
“Anche alla Guardia avete problemi.” Affermò Daryl.
Lei si irrigidì come se fosse stato svelato un arcano e oscuro segreto.
“Cosa te lo fa credere?”
Daryl la squadrò per pochi secondi, notando ancora una volta le ossa sporgenti.
“Tu.”
“Io? Vorrei che fossi più esaustivo nella spiegazione.”
“Ultimamente hai mangiato poco e niente, sei troppo ossuta e i vestiti ti vanno larghi. La cosa mi sembra strana perché sembra che alla Guardia non manchino le risorse. Inoltre, i ragazzi e Remy sono piuttosto in forma, quindi deduco che tu abbia dato a loro il tuo cibo.”
Astrid abbassò lo sguardo per evitare che Daryl le leggesse ancora dentro. Detestava essere un libro aperto e di facile comprensione.
È vero. Abbiamo dei problemi alla Guardia, ma Remy e i ragazzi non lo sanno. Nessuno della comunità lo sa. Solo io, Ryan e altre due persone ne siamo a conoscenza. Noi abbiamo costruito una serra fuori dalla base sotterranea in modo da avere a disposizione la luce solare e l’irrigazione del lago. Tutto funzionava a meraviglia fino a due mesi fa. Alcuni vaganti sono arrivati alla serra e al loro passaggio hanno distrutto tutto, lasciandoci senza cibo. Le scorte che prelevavamo durante le uscite non servivano a sfamare tutta la comunità e la serra richiedeva tempo per essere ricostruita. Io e Ryan abbiamo deciso di dimezzare le nostre razioni di cibo per il bene degli altri.”
“Quanto avete dimezzato?”
“Mangiavamo ogni due giorni.” Confessò Astrid, mordendosi le labbra.
Daryl sgranò gli occhi, non si aspettava quella rivelazione. Privarsi del cibo per aiutare gli altri era un enorme gesto di generosità.
“Tua sorella non se ne è accorta?”
“Remy … beh, lei è distratta negli ultimi tempi. Affronta le avversità buttandosi a capofitto nel lavoro. E’ troppo presa da Dorothy per accorgersi di certe cose.”
“Mi ricordi Rick.”
Astrid gli regalò un sorriso luminoso che lo mise a disagio. Non era bravo a relazionarsi con gli altri, ogni piccolo gesto gentile gli pareva una presa in giro per via del suo passato burrascoso.
“E’ un bellissimo complimento. Grazie, Daryl.”
“Mmh.”
Daryl serrò la mascella quando Astrid gli diede una pacca amichevole sulla spalla. Non era abituato a quei gesti leggeri dopo anni di botte e cinghiate.
“Credo che Dog abbia trovato qualcosa.”
Il cane si era accucciato a terra e con il muso indicava un esiguo ruscello che scorreva fra gli alberi. Daryl si inginocchiò per controllare meglio l’acqua.
“Nessuno ha menzionato un ruscello. Deve essere di recente formazione.” Disse Astrid.
Daryl tastò il terreno intorno alla pozza d’acqua e osservò ogni anomalia. Storse il naso.
“Vaganti.” Bisbigliò con voce tombale.
La donna strinse le mani attorno alle daghe appese alla cintura e fece un giro su se stessa per ispezionare il bosco.
“Sono qui?”
“Sono passati di qui poco fa. Le tracce sono fresche, quindi i bastardi sono nei paraggi.”
Daryl si rialzò e si armò di balestra per eventualità di ogni genere. Astrid guardò meglio le impronte, erano tante e diverse e soprattutto erano leggere per via del peso scarso dei vaganti.
“E se i vaganti avessero ostruito il canale? L’ostruzione potrebbe aver generato questo ruscello.”
“Proseguiamo e cerchiamo di capirlo.”
Daryl fischiò e Dog corse davanti a loro come primo fronte di difesa. Astrid non mollò la presa sulle daghe, stranamente le armi le davano un vago senso di protezione. Continuarono a muoversi per un’altra mezz’ora senza fare pause, entrambi guardinghi e con le armi pronte. Non parlarono durante il tragitto, eppure il silenzio era piacevole. Era come se comunicassero senza bisogno di parole.
“Ci siamo.” Disse Daryl.
Astrid arrestò il passo sull’argine di un baratro, sotto di lei scorreva il fiume. L’acqua sibilava mentre dolcemente fluiva verso il mare. Dallo zaino prese gli appunti di Ronnie e dispiegò i fogli per leggere.
“Il canale si trova a cinque metri dal sasso segnato. Il sasso in questione dovrebbe essere quello!”
Ai piedi di Daryl c’era un blocco sedimentario disomogeneo su cui era incisa una ‘R’, ossia l’iniziale di Ronnie.
“Dog, vai!”
Il cane andò per primo per essere sicuro che non vi fossero ostacoli, naturali o umani o morti che fossero. Astrid e Daryl avanzarono dietro Dog, camminando a debita distanza. Nessuno voleva infastidire eccessivamente l’altro con la propria presenza.
“Ah, Daryl, devo restituirti questa. E’ in perfette condizioni.”
Astrid sollevò la manica della giacca e slacciò la bandana nera che si era legata al polso. L’aveva lavata e stirata, erano norme di buona educazione che sua madre le aveva inculcato sin da bambina. Daryl si infilò la bandana nella tasca del gilet velocemente, eppure nell’aria sentiva il vago profumo del detersivo per vestiti.
“Potevi anche non lavarla.”
“Oh, no. Tu sei stato gentile a prestarmela e io dovevo restituirla senza il mio sangue incrostato sopra.”
“Mmh.”
Superati i cinque metri, l’arciere richiamò il cane con un fischio e gli accarezzò il muso.
“Ecco il canale!” esclamò Astrid.
Dal fiume si dipartiva un canale scavato nel terreno e l’acqua scorreva su un letto rivestito dalla gomma di un tubo nero. Come un canale di irrigazione, questo succhiava l’acqua dal fiume e la conduceva alla cisterna. Da quel punto erano visibili i tetti delle case del Regno.
“L’acqua sembra scorrere come sempre.” disse Daryl.
Astrid si piegò sulle ginocchia e immerse un rametto nell’acqua, era un metodo per un rapido esame come le aveva insegnato suo padre. Quando tirò via il rametto, il legno risultava umido e ricoperto da una sostanza viscosa.
“E’ sangue. Perché nel canale ci sono tracce di sangue?”
Daryl ispezionò la zona, annusando l’aria e affinando l’udito per cogliere i rumori.
“Senti questa puzza? E’ carne andata a male.”
Astrid fece una smorfia disgustata quando inalò quel tanfo putrido.
“I vaganti puzzano molto di più.”
Sobbalzò quando Dog abbaiò forte, non era avvezza al nuovo collega di lavoro. Il cane abbaiò ancora per richiamare la loro attenzione, dunque lo raggiunsero in fretta.
“Non è sangue di vaganti.”
Astrid si mise una mano sullo stomaco e si voltò, le dita che tappavano il naso nel tentativo di non respirare quella puzza tremenda. La causa erano una decina di lupi ammassati, le interiora riversate sulla terra e molteplici morsi sul corpo.
“Sono loro che bloccando l’acqua.”
L’ammasso animale si era accumulato in mezzo al canale, ostruendo il passaggio dell’acqua. Era colpa di quello scempio se la cisterna era semivuota. Astrid respirò per non rigettare i biscotti di Carol sui propri anfibi.
“Sono stati i vaganti a divorare i lupi. Ma per fare una cosa del genere devono essere un  gruppo numeroso.”
Daryl era impassibile, del resto aveva visto la stessa scena quando da giovane era andato a caccia con Merle.
“Direi di sì. Se il problema è questo, possiamo tornare con un paio di persone e possiamo liberare il canale. In pochi giorni l’acqua si ripulisce e riempirà la cisterna.”
“Il problema sono anche i vaganti. Potrebbero essere rimasti nelle vicinanze.” Disse Astrid.
In quel momento un tuono squarciò il cielo. Già da un po’ le nuvole bianche avevano ceduto il posto a nuvoloni neri carichi di pioggia. Stava anche tirando un venticello freddo.
“Verrà a piovere presto. Torniamo domani per sgomberare i lupi.” Disse Daryl.
Astrid si strinse nella giacca, ma il freddo le pungeva lo stesso le ossa. Oppure quel gelo era prodotto da quello spettacolo macabro.
“Almeno entro domani avremo riportato la cisterna in funzione. E’ positivo!”
Daryl la superò per raggiungere il cane e perlustrare fra gli arbusti, il nemico poteva nascondersi ovunque. Astrid vide il gilet ornato da una sola ala, il suo cuore batté veloce. Era identico a quello che lo sconosciuto indossava dieci anni prima. Poi sollevò gli occhi in alto quando una nube nera galleggiò sopra le loro teste come fosse un vascello fantasma.
“Presagi funesti.”
L’arciere alzò la testa e seguì la nube con lo sguardo. Avrebbe piovuto prima del previsto.
“Astrid, dobbiamo andarcene.”
La donna riprese il passo e si mise al suo fianco per continuare a spostarsi in fretta. Intanto Dog latrava in un pieno stato di agitazione.
“Qualcosa non va.” Disse Astrid, timorosa.
Per qualche bizzarro e misterioso motivo Daryl aveva voglia di stringerle la mano, ma scosse la testa per liberarsi da quello sciocco pensiero.
“Dog odia la pioggia, ecco perché fa così.”
“Poverino. Non deve essere fac…-“
In quel preciso istante un boato riecheggiò in tutto il bosco. Un fulmine si era appena schiantato al suono, abbattendo un albero secolare. La terra tremò fino a che la scarica del fulmine non si esaurì. Astrid era pietrificata, le braccia spalancate e i piedi piantati nel fango per restare stabile. Daryl, dal canto suo, era semplicemente rimasto fermo con la balestra imbracciata. Il cane si precipitò dal padrone per farsi rasserenare da qualche carezza.
“Il rumore attirerà i vaganti.” Disse Astrid           .
Incominciò a piovere subito dopo la scossa. La pioggerella si trasformò ben presto in acquazzone. Astrid si tirò indietro i capelli bagnati e si asciugò gli occhi meglio che poté con le mani.
“Usiamo una scorciatoia.” Disse Daryl.
Ogni passo si faceva più faticoso ora che la pioggia appesantiva i loro vestiti e gli zaini. Camminare nella terra fangosa era difficile, le scarpe si incastravano nel limo scuro rallentando l’avanzata. Solo Dog era perfettamente in grado di zampettare senza impedimenti.
“Daryl, c’è qualcosa che non va.” Disse Astrid, la voce ovattata dalla pioggia.
L’arciere scalò un piccolo dosso e tese la mano verso di lei, che invece salì da sola senza nessun aiuto.
“Sarebbe?”
“Ascolta.”
L’arciere chiuse gli occhi e acuì l’udito, sebbene l’acquazzone distorcesse i suoni. In mezzo a  quel fragore colse un flebile suono simile al ronzio delle api. Erano gemiti e rantoli continui e uguali, un orologio rotto che segna sempre la stessa ora.
“Vaganti.”
“Non riusciremo a tornare al Regno in tempo.” disse Astrid.
“Per adesso continuiamo a camminare.”
Ripresero a marciare alla svelta verso la scorciatoia di cui aveva parlato Daryl, con Dog che gli precedeva come sempre. In lontananza lo sciamare dei vaganti diventava sempre più forte, richiamati dall’albero fulminato che stava andando a fuoco.
“Daryl! Alla tua sinistra!” gridò Astrid.
L’arciere puntò la balestra e conficcò la freccia nel cranio di un vagante. Riprese la freccia, pulendola sulla camicia stracciata del morto.
“Si stanno avvicinando.”
Astrid si girò e vide un gruppo di vaganti zoppicare, le bocche aperte e gli occhi vuoti. La pioggia e il cielo nero rendevano l’atmosfera ancora più lugubre.
“Non possiamo tornare al Regno. Dobbiamo trovare un rifugio.”
“Io li distraggo e tu torni al Regno con Dog.” Disse Daryl.
Sistemò la freccia nella faretra e si incamminò verso i vaganti, ma Astrid lo afferrò per il polso e lo costrinse e voltarsi.
“Non se ne parla. Io non ti lascio da solo.”
La stretta intorno al polso si fece fin troppo calda per Daryl. Anche suo padre era solito agguantarlo per il polso, ma il tocco di Astrid era delicato e le sue dita erano morbide. Nulla a che vedere con le mani grosse e unte del padre.
“Okay.”
Astrid annuì e gli lasciò il polso, avvertendo quel distacco con un certo fastidio.
“Ronnie nel suo diario ha scritto che durante la costruzione del canale si rifugiava spesso in una capanna della guardia forestale. Il resto della pagina è illeggibile, quindi non abbiamo le coordinate.”
“Lo so io.”
Daryl era andato spesso a caccia nei pressi del Regno. La maggior parte delle volte aveva usato quella scusa per starsene da solo a riflettere, lontano dalle persone che lo soffocavano. Era un animale solitario e lo sarebbe sempre stato, era nella sua natura.
“Ti seguo.”
Astrid si accodò al cane a all’arciere senza perdere altro tempo. I vaganti erano sempre più vicini e loro dovevano sbrigarsi per non essere morsi o uccisi. Daryl cambiò del tutto percorso, andando dalla parte opposta al cammino precedente. Si muoveva con sicurezza, conosceva quel bosco molto bene e per questo era tanto celere. Astrid ogni tanto scivolava su qualche sasso bagnato, ma subito si rimetteva in sesto e correva dietro ai suoi compagni.
“Ci siamo quasi.” Annunciò Daryl.
Quando Astrid non rispose, l’ansia si impossessò di lui. Girandosi a guardarla, vide che un vagante la stava attaccando. Non era riuscita a prendere le daghe, dunque stava lottando con le braccia e con le gambe. La bocca marcia del vagante era pericolosamente vicina alla sua gola, un piccolo morso e lei sarebbe stata spacciata.
“Non oggi, bello.” Biasciò lei.
Si contorse sul terreno fino a toccare la cintura con la mano, prese una daga e strinse tanto forte da sentire la decorazione a sbalzo sull’elsa premuta contro il palmo. Piantò il pugnale nella spalla del vagante e usò quell’appiglio per toglierselo di dosso. Stando sulle ginocchia, spintonò il morto per terra e gli ficcò la daga nella testa.
“Sei una tosta.” Disse Daryl.
Astrid si rialzò, e sarebbe caduta se Daryl non l’avesse mantenuta. Aveva battuto la testa durante lo scontro, aveva la vista appannata e forti vertigini. Desiderava solo chiudere gli occhi.
“Astrid! Apri gli occhi. Resta sveglia.”
Astrid fece uno sforzo enorme per restare sveglia, non era il momento giusto per svenire.
“Ce la faccio.”
Daryl adocchiò i vaganti che claudicavano a pochi metri di distanza, sembravano rami secchi e letali.
“Andiamo.”
Ripresero a camminare, questa volta più lenti per via di Astrid, e nel frattempo l’arciere si assicurava che fossero lontani abbastanza dai vaganti. La speranza si accese quando Dog abbaiò dopo aver trovato la casa della forestale.
 
Remy non smetteva di torturarsi una ciocca di capelli da quando aveva iniziato a piovere. Quella tempesta era violenta, fulmini e lampi dominavano il cielo da ore. Erano anche caduti alcuni alberi nel bosco. La sua preoccupazione era Astrid. La sorella minore era ancora in missione, dispersa chissà dove. Aveva provato a contattarla via radio ma non aveva ottenuto nessuna risposta.
“Smettila, mi stai dando sui nervi.” sbottò Hunter.
Ezekiel aveva ordinato a tutti di tornare a casa, i lavori erano stati sospesi a causa della tempesta. All’appello mancavano solo Daryl e Astrid.
“E se fosse successo qualcosa di brutto? Non potrei sopportarlo!”
“Astrid se la sta cavando alla grande.” La confortò Yana.
Clara, che sentiva la mancanza di Astrid, si era raggomitolata sul divano con il suo peluche stretto al petto. A Remy fece male il cuore vedere la bambina in quello stato.
“Dovremmo uscire a cercarla.”
“Pessima idea.” Commentò Hunter.
Yana gli tirò uno scappellotto sulla nuca a mo’ di rimprovero; il ragazzo non aveva il minimo tatto.
“Quello che Hunter vuole dire è che Astrid non vorrebbe che rischiassimo le nostre vite. Lei e Daryl sono forti. Vedrai che torneranno presto a casa.”
Remy ripensò a sua madre e a sua moglie, il timore di perdere anche la sorella la straziava.
“Io devo andare a cercarla!”
Trasalirono tutti quando la finestra si spalancò e il vento ululò come un lupo alla luna. Yana si affrettò a richiuderla prima che qualcuno si facesse male.
“Remy, non puoi andare là fuori.”
“Ma io devo fare qualcosa! Se lei morisse … io …”
Hunter represse le lacrime, non doveva mostrarsi vulnerabile davanti a loro. Sebbene lui e Astrid bisticciassero sempre, la sola idea di perderla era un dolore immenso.
“Ho fiducia in Astrid. So che tornerà da noi.”
Yana guardò l’amico con dolcezza, conscia dell’affetto che provava per la sua tutrice.
“Sì, lei tornerà.”
 
Daryl si sfregò le mani e la allungò sopra il fuoco per scaldarsi. Dopo aver fatto irruzione nella casa della guardia forestale e aver barricato la porta, si era prodigato per accendere il camino. All’interno avevano trovato un cadavere essiccato da tempo, forse uno della forestale o qualcuno che si era nascosto. Avevano sposato il corpo fuori prima di chiudere la porta. Accanto al camino c’era una cesta in vimini che conteneva la legna per il fuoco. A Daryl bastò usare i fiammiferi che portava con sé per accendere il camino. Dog si era accoccolato vicino alla fonte di calore e si era addormentato.
“Uffa! Amavo questa felpa.” Stava borbottando Astrid.
Daryl arrossì quando vide che Astrid si era tolta la giacca e la felpa per rimanere in t-shirt. La maglia bagnata aderiva al suo corpo lasciando intravedere la forma del reggiseno. Tornò a fissare il fuoco per mascherare il rossore.
“Stai bene?” chiese, la voce roca.
“Meglio, grazie. Mi fa solo un po’ male la testa.”
Astrid si sedette accanto a lui con le spalle rivolte verso il camino con lo scopo di asciugarsi i capelli. Le punte gocciolavano sulle clavicole per poi finire nello scollo della maglia. Daryl dovette distogliere lo sguardo per non arrossire ancora.
“Tu stai bene, Daryl?”
L’arciere sbatté le palpebre e annuì distrattamente, ancora rapito da quella visuale. Astrid era una bella donna, doveva ammetterlo.
“Sì.”
Astrid si massaggiò il collo, il trauma cranico era lieve ma comunque doloroso.
“Ho provato a contattare il Regno, ma la radio è rotta per colpa dell’acqua che ha mandato in corto i fili.”
“Stanotte restiamo qui per riposare. Domattina ci facciamo strada fra i vaganti e torniamo al Regno.”
“Pragmatico, mi piace.” Disse lei con un sorriso.
Un tuono rimbombò potente attraverso il bosco, facendo tremare anche il rifugio. Le assi di legno traballarono ma non si ruppero. Il fuoco emanò una vampata che si estinse in pochi secondi.
“Odio i temporali.” Disse Astrid.
Osservava ogni angolo della casa per essere certa che fosse ancora integra. Non voleva di certo morire per una trave caduta.
“Hai paura?” volle sapere Daryl.
“No. Li odio perché mi ricordano mia madre. Ogni volta che c’era un temporale, lei preparava una crostata farcita con marmellata di ciliegie.”
Astrid si asciugò alla svelta una lacrima, sebbene i suoi occhi si fossero arrossati per frenare il pianto. Daryl deglutì, non era bravo a consolare le persone.
“Hai detto a Carol che all’inizio con voi c’erano anche tua madre, Iris e Logan.”
Astrid si agitò sul posto, incrociò le gambe e iniziò a tormentarsi le labbra con i denti. Faceva male parlarne, ma prima o poi avrebbe dovuto affrontare le sue paure.
“Tre anni fa eravamo usciti per cercare delle provviste, soprattutto medicinali e garze per i malati. Da poco era nato un bambino, perciò ci servivano anche pannolini, coperte e vestiti. Siamo entrati nel negozio, abbiamo fatto il solito giro di controllo e poi ci siamo messi in cerca dell’occorrente. Mia madre si è messa a urlare all’improvviso. Iris e Logan si sono precipitati per aiutarla, ma i vaganti erano troppi per contrastarli. Io volevo salire, volevo aiutarli, però anche il nostro piano era stato invaso e Ryan mi ha trascinata fuori di peso. Ci siamo salvati per un pelo.”
“E la tua famiglia?”
Astrid strinse la collana di sua madre fra le dita, era un modo per sentirla ancora vicina.
“Non ho rivisto nessuno di loro. Le grida di mia madre si sono fermate ed è calato il silenzio. Non c’è stato nessun segnale neanche da parte di Iris e Logan. Non potevamo rientrare e rischiare di morire, così Ryan mi ha caricata in auto ed è partito.”
Due lacrime le rigarono le guance, ma questa volta non si curò di asciugarle. Forse era giunta la resa dei conti per fronteggiare il dolore.
“Mi dispiace.” Disse Daryl, e il suo tono era basso e dolce.
“Nessun dispiacere. E’ colpa mia se sono morti. Avrei dovuto controllare quel piano e non l’ho fatto perché ero convinta che non ci fossero vaganti. Io ho ucciso la mia famiglia.”
Daryl ora iniziava a comprendere meglio alcuni atteggiamenti di Astrid: la sua ansia costante, il terrore di lasciare la Guardia, il terrore di lasciare Remy e i ragazzi, il fatto di essere sempre in allerta.
“Non mangiavi per punirti. Hai ceduto le tue razioni di cibo agli altri per espiare le tue colpe.”
Astrid sentì uno spiraglio di angoscia avvolgerle lo stomaco. L’arciere aveva appena centrato il bersaglio.
“Non ho salvato la mia famiglia, ma ho provato a salvare la mia comunità.”
Daryl prese il proprio zaino e tastò ogni tasca, gli occhi fissi sul fuoco.
“Non salvi nessuno se muori di fame.”
Astrid emise un sospiro quando vide che Daryl aveva estratto dalla sacca una scatoletta di carne.
“Daryl, lascia perdere.”
“Perché? Io ho fame e tu hai fame, e qui abbiamo una scatoletta ancora sana.”
Sollevò la linguetta e rimosse il coperchio, l’odore di carne aleggiò fra di loro.
“Devo fare pipì.” Disse Astrid.
La casa era dotata di un bagno, anche se immaginava le precarie condizioni igieniche, ma era la scusa perfetta per non mangiare.
“Vai pure, tanto la carne non scappa.”
“Tu non ti arrendi mai, Dixon?”
Daryl fece spallucce e fece un piccolissimo accenno di sorriso.
“Arrendersi non fa per me.”
 
Yana stava dormendo quando qualcuno le pungolò il braccio. Ancora mezza assonnata, spalancò un solo occhio e accese il lumino. Hunter era in piedi accanto al letto, gli occhi verdi anneriti dalle occhiaie e la pelle bianca.
“Che c’è, Hun?”
“Non riesco a dormire. Penso ad Astrid.”
Dopo cena e dopo aver sparecchiato, Remy si era isolata per lavorare a chissà quale progetto. Yana aveva intravisto una scatola di latta e strani documenti che riportavano la sigla del Centro Controllo delle Malattie, ma non vi aveva dato importanza perché Clara si era appisolata sulla sedia. Aveva messo la piccola a letto, aveva salutato Remy e si era infilata sotto le lenzuola.
“Vuoi dormire qui?”
Hunter non disse nulla, si intrufolò nel letto e posò la testa sulla spalla di Yana.
“Buonanotte.” Sussurrò.
La ragazza fece incastrare le loro dita e chiuse gli occhi, sicura che avrebbe dormito meglio insieme a lui.
“Buonanotte, Hun.”
 
Salve a tutti! ^_^
La nostra coppia sta vivendo un’avventura, chissà come andrà a finire.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 7
*** Oro tra le crepe pt. II ***


6. ORO TRA LE CREPE PT. II

Astrid si svegliò di soprassalto quando udì un rumore. Aveva sempre sofferto di sonno leggero, ma si era fatto ancora più leggero da quando il mondo era andato a rotoli. Temeva che fossero entrati i vaganti, quindi impugnò le daghe e si mise sulle ginocchia. Con sorpresa, si accorse che i lamenti provenivano da Daryl. L’arciere stava facendo un incubo, considerando che farfugliava parole incomprensibili e si rigirava nel suo cantuccio.
“Daryl? Ehi, svegliati. Daryl?”
Lo scrollò piano per non spaventarlo, eppure lui restava intrappolato nel suo incubo.
“Daryl!” gridò Astrid.
L’arciere sbarrò gli occhi e si mise seduto, il petto si alzava e abbassava a ritmo del suo respiro concitato. Era sudato, i capelli appiccicati alla fronte e alla nuca.
“Che succede?”
Astrid tirò un sospiro di sollievo. Si sedette per terra e si massaggiò le tempie, le doleva ancora la testa.
“Stavi facendo un incubo. Ti agitavi molto e ho pensato che svegliarti fosse la cosa giusta.”
“Mmh.”
Daryl non avrebbe ripreso sonno, quindi si alzò e diede un’occhiata fuori. I vaganti stavano ancora girovagando davanti al rifugio. Era notte fonda, gli occhi gialli dei gufi comparivano e scomparivano tra le fronde nere del bosco.
“Vuoi parlarne?” domandò Astrid, insicura.
“No.” Tagliò corto Daryl.
La donna annuì e si distese sulla logora coperta che aveva trovato in un armadio della casa. Non avrebbe dormito, però almeno avrebbe evitato lo sguardo corrucciato di Daryl.
“Scusa.” disse Daryl dopo qualche minuto.
Astrid si voltò verso di lui, restando sempre sdraiata, e poggiò la testa sulla mano.
“Non ti preoccupare. Ci sono cose di cui non vogliamo parlare, ed è giusto così.”
L’arciere era nervoso, si muoveva su e giù e si grattava il mento.
“Come fai a saperlo? Della mia schiena, intendo.”
“Oh, ehm … lascia stare. Non mi sembra il caso.” Biascicò lei, imbarazzata.
“Dimmelo. Per favore.”
Astrid per la prima volta riconobbe una certa vulnerabilità in Daryl. Si sedette e si portò le braccia intorno alle gambe, abbracciandosi da sola.
“Hunter ha una cicatrice sulla testa e si gratta ogni volta che piove o è umido. Quando siamo saliti sulla cisterna, l’ambiente era umido e tu hai iniziato a grattarti la schiena. Anche prima, sotto la pioggia, ti sei grattato.”
“E che significa?”
Astrid deglutì, voleva ingoiare le sue stesse parole pur di non esprimere la propria opinione. Ma l’arciere la guardava come se volesse estrapolare da lei chissà quale verità.
“Quando il clima cambia il corpo deve adattarsi, pertanto manifesta questo adattamento tramite dei sintomi. Poichè il tessuto cicatriziale è più sensibile di quello sano, dà prurito quando le condizioni climatiche cambiano. Ho dedotto che hai delle cicatrici perché con l’umidità e con la pioggia ti tocchi spesso la schiena.”
Daryl spostò lo sguardo verso le fiamme basse del camino, il fuoco si stava ormai estinguendo. Astrid in qualche modo gli aveva parlato dritto all’anima, e questo gli faceva paura. Detestava l’idea che qualcuno lo capisse solo guardandolo.
“Capisco.”
“Scusami. Non avrei dovuto! Io … io … scusami.” Disse Astrid, mortificata.
“Hai ragione. Sono sulla mia schiena.”
Le supposizioni di Astrid trovarono una dolorosa conferma. Aveva sospettato che la schiena di Daryl fosse segnata dalle cicatrici, ma saperlo con certezza era ancora peggio. Lei aveva studiato gli abusi sui minori, le cause e gli effetti a lungo termine, e l’arciere rientrava perfettamente nei parametri.
“In Giappone esiste la pratica del ‘Kintsugi’ che consiste nel riparare le crepe dei vasi con l’oro o l’argento. Lo fanno perché credono che qualcosa che ha subito una ferita diventa più bello.”
“Mi stai paragonando ad un vaso?”
Astrid ridacchiò, alle volte l’arciere era davvero uno sciocco.
“Ti sto dicendo che, malgrado tutte le crepe, sei bello.”
Daryl aveva assunto tutte le sfumate di rosso, l’imbarazzo era talmente evidente sulle sue guance. Nessuno, e in particolare nessuna donna, gli aveva mai detto che era bello. In realtà, non aveva mai pensato al proprio aspetto fisico. Si era sempre visto come un uomo normale, né bello né brutto, quindi non capiva cosa vedesse Astrid in lui.
“Perché Hunter ha quella cicatrice?” indagò Daryl.
Astrid bevve una generosa sorsata d’acqua prima di parlare, aveva la gola secca dopo una notte passata al freddo.
“E’ il motivo per cui era ospite nella nostra casa famiglia. I suoi genitori erano tossicodipendenti, litigavano sempre ed erano sempre sotto effetto di stupefacenti. Una sera, durante un brusco litigio, la madre di Hunter ha scagliato a terra un vaso di vetro e un frammento ha colpito il bambino in pieno. I vicini hanno chiamato il 911 e poi l’ospedale ha chiamato me per una consulenza. Hunter aveva solo sei anni, non poteva restare in una famiglia del genere e quindi l’ho portato alla casa famiglia.”
Daryl capì perché Astrid lo aveva collegato ad Hunter. Lei sapeva tutto, aveva scoperto la sua schiena e di conseguenza la storia orribile che celava.
“E Yana?”
Astrid sorrise al nome della ragazza indiana, era la sua migliore amica dopo Remy.
“La sua storia è diversa. Lei e sua madre sono scappate dall’India perché il nonno materno voleva organizzare un matrimonio combinato per Yana. Quando sono arrivate in America, non aveva niente e la madre ha iniziato a rubare cibo e vestiti. E’ stata arrestata per furto e per ingresso clandestino nel Paese. La polizia ha convocato me e Logan perché ospitassimo Yana da noi. La madre è morta pochi mesi dopo in carcere per via una di febbre curata male.”
Daryl si accorse che Astrid aveva gli occhi lucidi, era visibile l’affetto che provava per quei ragazzi. Lei aveva dato loro una nuova vita proprio mentre il mondo andava in rovina.
“Sei stata brava con loro.”
Lei sorrise riconoscente, malgrado dubitasse di essere stata brava. Yana di per sé era una ragazza estroversa, mentre Hunter restava chiuso in se stesso e poco disponibile verso gli altri.
“Vuoi vedere una cosa?” chiese Astrid per spezzare l’imbarazzo.
“Mmh.”
Daryl si morse l’interno della guancia quando Astrid sollevò un lembo della t-shirt per mettere in mostra il fianco nudo. Aggrottò le sopracciglia quando notò che sotto le costole c’era un grande livido nero.
“Questa macchia nera è qui da anni. Quando ci muoviamo e Remy non può usare la carrozzina, io la prendo sulle spalle e le sue ginocchia premono sui miei fianchi per reggersi. All’inizio era dei semplici lividi ma col passare del tempo si sono trasformati in macchie scure che non andranno via.”
Astrid si risistemò e sorrise, non si vergognava di quei segni sulla pelle.
“Sei piena di sorprese.” Disse Daryl.
La sua mente ancora pensava al fianco scoperto, alle costole, alla linea del bacino che terminava nei jeans. Non aveva mai fatto quei pensieri, nessuno aveva attirato a quel modo la sua attenzione. Astrid rise, era piacevole quel suono.
“E non hai visto ancora tutto! Ho anche dei tatuaggi.”
Daryl la squadrò da capo a piedi ma non vide nessun tatuaggio.
“Quali sarebbero?”
“Ecco, questo è il primo.”
Astrid gli mostrò la parte interna del polso dove era incisa una parola. Daryl avrebbe voluto sfiorare il tatuaggio, però non gli sembrava opportuno.
“Che significa?”
“E’ una parola greca. ‘Meraki’ significa fare qualcosa con tutta l’anima, mettere tutto te stesso in ciò che fai.”
“Mi piace.” Disse l’arciere, osservando con cura la parola.
“Grazie. Poi ho altri due tatuaggi che non posso farti vedere.”
“Perché?”
Astrid rise, la divertiva il fatto che l’arciere probabilmente sarebbe svenuto se gli avesse mostrato gli altri tatuaggi.
“Perché ho una rosa tatuata in mezzo ai seni e poi ho una stella tatuata sulla natica sinistra.”
Daryl scoppiò a ridere, incapace di trattenersi. Ora l’incubo che aveva avuto sulla cella el Santuario era un lontano ricordo.
“Eri ubriaca quando li ha fatti?”
“Sono astemia, il che vuol dire che ero lucida quando ho fatto questa pazzia. La rosa l’ho tatuata quando ho compiuto venti anni, era il regalo di Remy. La stella, invece, l’ho tatuata perché ho perso una scommessa con le mie amiche.”
Stavano entrambi ridendo, allegri anche se fuori i vaganti li sbarravano la strada. In quel rifugio si era creata una sorta di zona sicura, uno spazio lontano dal mostruoso mondo esterno.
“Anche io ho qualche tatuaggio. Un paio di diavoli sulla schiena, un terzo sul braccio e sulla mano.”
Astrid adocchiò la mano destra dell’arciere e guardò con un sorriso il teschio ricordato da una serie di ‘x’.
“Perché i diavoli?”
“Nessun motivo particolare. Ero sbronzo, mi sono piaciuti e ho chiesto al tatuatore di farli. O forse li ha scelti mio fratello. Non ricordo bene, è tutto confuso dall’alcol.”
Astrid sentì un pizzico di curiosità ribollire nelle vene dopo che Daryl ebbe menzionato suo fratello. Anche lo sconosciuto di dieci anni prima aveva un fratello, un tipo viscido che ancora faticava a scacciare dai ricordi. Si chiamava Merle.
“Tuo fratello, hai detto?”
“Sì. Lui non ce l’ha fatta. Si chiamava Merle.”
Astrid sarebbe rotolata a terra se non si fosse sorretta alla parete. Era lui! Finalmente tutto aveva un senso, ogni pezzo del puzzle aveva trovato posto: gli occhi azzurri, il gilet di pelle, le frecce, il fratello.
“Daryl, io devo dirti una cosa.”
“Che cosa?”
Le speranze di Astrid andarono in frantumi quando la finestra esplose in mille schegge di vetro. I vaganti si erano riuniti sul lato della casa e avevano spinto fino a dissestare i cardini.
“Sul serio? Proprio ora?!” inveì Astrid contro gli intrusi.
Frattanto Daryl aveva recuperato la balestra e stava già scoccando frecce di qua e di là, i vaganti si accasciavano come fiori secchi. Astrid brandì le daghe e infilzò qualche testa, il sangue putrido le schizzava addosso.
“Giù!” gridò Daryl.
Lei si accucciò sotto la finestra e la freccia le volò sopra la testa prima di conficcarsi nel petto di una vagante. Questa indietreggiò per il contraccolpo e Astrid ne approfittò per piantarle la daga nel cervello. Stava per allontanarsi quando un altro vagante la ghermì per il polso, strattonandola verso di sé. Tentò di svincolarsi ma la presa era ferrea, quindi strinse le mani intorno alla gola del vagante per scostarlo. Astrid ruzzolò per terra, la schiena sbatté contro le assi del pavimento e per un istante si annebbiò la vista. Il vagante le cadde addosso, la bocca che bramava di azzannarla. Lei chiuse gli occhi, pronta al peggio ormai. Quando non accadde nulla, li riaprì e vide che Dog stava colpendo il vagante con le zampe. Con la daga bucò la testa del cadavere vivente, uccidendolo per sempre.
“Grazie, Dog.”
Il cane abbaiò e balzò verso il prossimo vagante. Astrid si rimise in piedi, afferrò un non-morto per la spalla e gli piantò il pugnale nella testa. Altro sangue putrido mescolato ad altri liquidi non identificati le imbrattarono i vestiti e i capelli. Una freccia attraversò la stanza per finire dentro l’occhio di un vagante. La seconda freccia, invece, fece centro nel cranio.
“Bella mira, Dixon.”
“Sta tutto nell’inclinazione del polso.” Replicò lui.
Astrid rise, era solo l’ulteriore conferma che lui fosse lo sconosciuto che per mesi aveva abitato la sua mente.
“Direi proprio di sì.”
L’ultimo vagante si arrese sotto i denti di Dog, che lo attaccò fino a che Daryl non lo uccise con una freccia. Astrid si mise una mano sugli occhi per ripararsi dai primi raggi del sole che entravano dalla finestra rotta.
 
Erano le cinque del mattino e Ezekiel era già sceso in strada. La tempesta era finita, lasciandosi dietro alberi caduti e tetti divelti. L’unica nota positiva è che tutti erano vivi. Tutti tranne Daryl e Astrid, ancora dispersi.
“Dove vai?”
Il Re sobbalzò, non si aspettava che qualcuno vagasse per il Regno a quell’ora. Remy spingeva la sedia a rotelle con la determinazione dipinta in volto. Uno zaino pendeva al suo fianco.
“Dove stai andando tu? Non credo che quello zaino ti serva per l’impianto elettrico.”
“Il tuo impianto elettrico può andare al diavolo. Io devo salvare mia sorella.”
“Assemblea cittadina?”
Carol camminava verso di loro con l’arco sulla schiena e un coltello in mano. Indossava la giacca e la sciarpa, segno che stava uscendo dal Regno.
“Sto dicendo al Re che voglio andare a cercare mia sorella.” Rispose Remy, stizzita.
Ezekiel alzò gli occhi al cielo, non era in vena di sopportare quel comportamento infantile.
“Lo sai che non puoi lasciare il Regno.”
“Perché sono disabile? Solo perché sono in carrozzina non significa che io sai inutile!”
Il Re guardò Carol con occhi supplichevoli, aveva bisogno del suo aiuto per dissuadere Remy.
“Non si tratta della disabilità. Tu devi restare al sicuro perché sei l’unica in grado di decifrare Dorothy. Se tu muori, morirà anche la possibilità di trovare una cura.”
“Carol ha ragione. Tu sei la nostra speranza.” Disse Ezekiel.
Remy lanciò un’occhiata ai cancelli, sperava di vedere sua sorella entrare con il suo sorriso luminoso. Invece lei era dispersa nel bosco, dopo una tempesta che aveva distrutto quasi tutto. Sarebbe dovuta uscire a cercarla, ma sapeva in cuor suo che Astrid avrebbe preferito morire piuttosto che mettere in pericolo la possibilità di una cura.
“Io resto qui. Però tu devi mandare i tuoi uomini migliori a cercare Astrid.”
“Ci penso io.” promise Carol.
 
Daryl estrasse l’ennesima freccia dal cranio di un vagante e strofinò la punta sulla maglia del cadavere per togliere il sangue. Astrid aveva appena ucciso due vaganti, pungendo le loro teste con le daghe. Alla fine i non-morti avevano fatto irruzione nel rifugio e loro si erano difesi a suon di armi e di mani, riuscendo a eliminare i nemici.
“Che schifo.” Stava borbottando Astrid.
La sua t-shirt era impiastricciata di sangue, materia cerebrale e altre sostanze. Anche i jeans erano nelle stesse condizioni. In mezzo a tutto quel sangue rappreso c’era una macchia color rubino.
“Sei ferita.”
Astrid non riusciva a riscontare ferite, era difficile distinguere il sangue fresco da quello secco dei vaganti. Daryl si avvicinò a lei e le indicò una macchia rossa sul collo.
“Hai del sangue sul collo, ma penso che la ferita sia alla spalla.”
Lei sbiancò, temeva di essere stata morsa durante la colluttazione.
“E’ un morso? Ti prego, controlla.”
Astrid si abbassò la manica della maglia, si mise i capelli sulla palla sinistra e si girò in modo che l’arciere avesse la visuale migliore. Daryl non si capacitava del perché quella donna fosse tanto disinvolta. Gli aveva raccontato dei tatuaggi in posti particolari, gli aveva mostrato il livido sul fianco, e ora addirittura quasi si spogliava davanti a lui.
“Allora? E’ un morso, vero?”
Daryl impiegò tutto il suo coraggio per scostare la spallina del reggiseno e dare un’occhiata alla fonte del sangue sul collo. Non era un morso, bensì era un graffio profondo che le sfigurava la pelle dalla nuca alla scapola. Nella ferita c’erano dei pezzi di legno.
“Non sei stata morsa. Devi esserti ferita cadendo su un ramo.”
“Oh, grazie al cielo!”
Astrid si risistemò la manica e si infilò la felpa, ormai strappata, dopodiché si mise il giubbotto di jeans. Daryl fece un passo indietro e si portò le mani in tasca, ancora in imbarazzo per quanto accaduto poco prima.
“Cosa volevi dirmi prima?”
Astrid sbarrò gli occhi, neanche una doccia ghiacciata l’avrebbe sconvolta tanto. Sperava che lui non ricordasse quel particolare. Eppure era arrivato il momento di dissipare ogni dubbio.
“Dieci anni fa …”
“Daryl! Daryl, sei qui? Astrid!”
Da dietro un albero sbucò Carol, l’arco proteso in avanti per anticipare ogni tipo di attacco. La Regina sorrise quando vide che il suo migliore amico stava bene. Daryl le andò incontro e la strinse in un abbraccio caloroso. Astrid avvertì una spiacevole sensazione, un pizzico che le attraversava il corpo. Desiderava che le braccia dell’arciere stringessero lei.
“Astrid!”
Le braccia possenti di Jerry la stritolarono in un abbraccio, e lei vi si abbandonò completamente. Affondò il viso nel petto dell’amico per non pensare a Daryl e Carol.
“Remy e i ragazzi non vedono l’ora di rivederti. Anche Ezekiel ne sarà felice.”
“Grazie, Jerry. Sono pronta ad andare.”
Mentre Jerry chiamava a raccolta gli altri uomini, Astrid rientrò nel rifugio per recuperare lo zaino. Digrignò i denti quando la spalla le diede una scarica di dolore.
“Dai a me lo zaino.” Si offrì Daryl.
“Ce la faccio.”
“Sei ferita.” Disse Carol, entrando nella casa.
Astrid non riusciva proprio a tollerare la presenza della regina, non dopo che aveva mandato a monte la sua confessione.
“Ho detto che ce la faccio.”
Daryl corrugò la fronte ma non insistette, era palese che lei fosse irritata per qualcosa. Si misero subito in cammino per evitare un altro gruppo di vaganti prima che facesse sera. Astrid stava al fianco di Jerry e parlottavano fra di loro, mentre l’arciere camminava accanto alla regina.
“La stai fissando.” Gli fece notare Carol.
“C’è qualcosa di familiare in lei.”
“Oppure ti piace.”
Carol adorava punzecchiarlo, tant’è che Daryl le diede una spallata giocosa.
“Non mi piace in quel senso.”
 
“Ahia! Ouch! Ahia!”
Deborah, che si occupava dell’infermeria del Regno, aveva ordinato ad Astrid di farsi curare la ferita prima che si infettasse. Ecco perché ora si lamentava ogni volta che l’alcol le pungolava la pelle lesa.
“Abbiamo finito. Ora applico una benda pulita. Dovrai disinfettare ogni mattina la ferita, spargere sopra un filo di pomata medicinale e cambiare la benda. Intesi?”
“Intesi.”
Astrid non avrebbe avuto problemi con i bendaggi poiché Remy si sarebbe prodigata per medicarla con costanza. La sorella maggiore odiava i germi ed ogni occasione era buona per distruggerli.
“La paziente può tornare a casa?”
Yana fece capolino nella stanza, un sorriso dolce a incurvarle le labbra.
“Tienila sott’occhio.” Disse Deborah.
“Sissignora.”
Astrid spalancò le braccia e Yana l’abbracciò senza fare troppa pressione. La tutrice emanava cattivo odore, sangue incrostato e sudore si mescolavano.
“Puzzo così tanto?”
“Hai davvero bisogno di una bella doccia. Andiamo, a casa ti aspettano tutti.”
Il Regno era in fermento per le riparazioni, c’era un viavai che affollava strade e edifici. Remy ed Ezekiel avevano messo tutti sotto torchio senza esclusioni. Daryl e Carol non si vedevano in giro, e Astrid provò una punta di gelosia immotivata. Si portò la mano al collo e toccò il vuoto.
“No. No. No …”
“Che hai?”
Astrid si tasto più volte il collo in cerca della collana, ma non c’era altro che pelle sporca e sudata.
“Ho perso la mia collana.”
Yana sapeva che quel ciondolo apparteneva ad Ella, la madre delle sorelle, e la intristì scoprire che era andato perduto.
“Astrid, sei stanca ed è sera. Andiamo a casa, mangia, lavati e va a dormire. Domattina ci metteremo a cercare la collana.”
“Certo.” Replicò Astrid senza troppa convinzione.
 
Astrid sembrò rinata dopo la doccia. Lavare via il sangue, la terra e il sudore era come togliersi un peso di dosso. Si infilò il pigiama – un vecchio leggins rosa e una maglietta nera – e si sedette sul bordo della vasca per asciugarsi i capelli. Era troppo sfinita per restare in piedi qualche altro minuto di più.
“E quindi ho preso un’insolazione al culo.”
Astrid aggrottò le sopracciglia e si voltò verso la soglia del bagno. Hunter se ne stava lì con un sorriso divertito stampato in faccia.
“Il tuo culo sta benissimo. E’ la tua testa che ha qualche problema.”
“Mi mancavano le nostre conversazioni filosofiche.” Disse Hunter.
Astrid staccò il phon e lo ripose nel mobiletto sopra il lavandino, dopodiché si sciacquò il viso con l’acqua fresca.
“Ultimamente sembri più introverso. Qualcosa non va?”
Hunter sbuffò, non voleva essere psicanalizzato ogniqualvolta parlava con lei.
“Questo posto non mi piace. Non mi piacciono neanche gli altri ragazzi. Contenta?”
“Altro da dire? Sono qui, se vuoi.”
“Sei tornata da un’ora e già mi rompi le palle. Incredibile!” sbottò il ragazzo.
Astrid non ebbe il tempo di ribattere che Hunter era già sgattaiolato in camera sua. Se ne sarebbe occupata più tardi, adesso era troppo stanca per ragionare.
Remy chiuse la porta usando i ganci per una maggiore sicurezza. Ezekiel aveva portato un cestino di frutta per Astrid ed era andato via dopo aver augurato loro la buonanotte.
“Uh, arance! Io le adoro!” esultò Yana, sbirciando il cestino.
“E’ odore di ananas questo?”
Astrid scese le scale con il naso all’insù per respirare quella dolce fragranza. Sin da bambina adorava l’ananas, soprattutto quando sua madre preparava qualche dolcetto.
“Ezekiel ti ha donato un cesto di frutta. Come va la spalla?” chiese Remy.
Astrid aveva assunto un antidolorifico poco prima, e sembrava stesse già sortendo un effetto benefico dato che il dolore si era attenuato.
“Più o meno bene. Apriamo quell’ananas?”
 “Prima dobbiamo cenare, poi pensiamo a divorare questo adorabile cestino.” Disse Yana.
La cena proseguì serena con Astrid che fece il resoconto di quanto scoperto al canale e quanto era accaduto con i vaganti. Remy le riferì di aver rimesso in moto l’impianto elettrico e che i vari lavori di riparazione erano ormai completati. Nel giro di tre settimane il Regno era tornato come nuovo grazie ai suoi progetti.
“Ero sicura che ce l’avresti fatta. Sei davvero un genio, Remy!” si complimentò Astrid.
“Grazie.”
La risposta laconica di Remy fu un campanello d’allarme. Di solito avrebbe spiegato nei minimi dettagli il funzionamento dell’impianto, avrebbe parlato a raffica della corrente e della sua conduzione, e invece si era limitata ad un cenno del capo.
“Che mi sono persa? E non provate a mentire.” Disse Astrid.
“Mentre eri via e la tempesta ci teneva chiusi in casa, mi sono dedicata a Dorothy. Ho decifrato un’altra pagina, ma non ha senso quello che c’è scritto. Yana, per favore, prendi la scatola.”
Yana svanì al piano superiore per tornare pochi minuti dopo con la fatidica scatola di latta. Spostò piatti e bicchieri per deporre i fogli sul tavolo. Remy si sporse per indicare la pagina decifrata.
“Questo è il testo estrapolato. Per me non ha alcun significato.”
Astrid prelevò il foglio e lo mise sotto la luce per leggere la grafia incomprensibile della sorella maggiore.
“Oggi ho fatto una scoperta tremenda, una di quelle che vorrei non venissero mai a galla. I codici sono stati attivati all’insaputa del Direttore. Stavo facendo la consueta ronda notturna quando ho visto Faccia Pallida nella sala dei computer. Mi sono nascosto e l’ho spiato. E’ stato lui che ha attivato i codici. Mi uccidono se vengono a sapere che …”
“Qui la pagina si interrompe. Poi riprende sotto.” Intervenne Remy.
Astrid con l’indice seguì le righe fino ad arrivare a quello che le interessava.
“Non so quanto ancora vivrò. Ormai sono stato compromesso. A chiunque stia leggendo: non fidatevi del Dottor Frankenstein! Non fidatevi del Dottor Frankenstein!”
“A me sembra una sorta di diario personale. Alcune pagine riportano la data.” Disse Yana.
“Date che coincidono con la  pre-diffusione del virus. Queste pagine si datano ad aprile e il virus ha iniziato a diffondersi a maggio.” Disse Remy, indicando le date in alto.
“Chi ha scritto il diario sapeva dell’esistenza del virus prima della diffusione.” Dedusse Astrid.
Remy annuì e puntò il dito su una frase in particolare.
“E per questo era in pericolo di vita. Dice di non sapere quanto ancora vivrà perché è stato compromesso.”
“Poi chi sarebbe questo Dottor Frankenstein?” si incuriosì Yana.
“E’ un nome in codice. Tutte queste pagine sono in codice per impedire al Dottor Frankenstein di decifrarlo.”
Astrid si prese un momento per meditare. Perché usare sigle in codice per tutto? chi aveva redatto quelle pagine? era ancora vivo? Oppure era stato scoperto e ucciso?
“C’è qualcosa che non mi convince. Troppi misteri intorno al Centro Controllo Malattie. Non vi sembra strano? Codici, pseudonimi, strani racconti, insomma è tutto assurdo.”
Le tre donne sussultarono quando Clara entrò di soppiatto in cucina. Hunter aveva cenato in camera sua, troppo nervoso per avere contatti umani.
“Clara, tesoro, non farlo mai più.” disse Yana, la mano premuta sul cuore che batteva forte.
“Astrid, mi racconti una favola?”
“Va pure, domani a mente fresca ragioneremo meglio.” Disse Remy.
Astrid annuì con un sorriso, dopodiché risalì le scale con Clara. La bambina stringeva al petto il coniglio di peluche come se da esso dipendesse la sua vita.
“Ci sono tante stelline!”
“Vuoi che ti parli delle stelline?”
“Sì!”
Astrid si sedette sul davanzale della finestra, tanto ampio da ospitare una persona, e prese Clara in braccio affinché entrambe guardassero il cielo.
“C’era una volta la Fata delle stelle …”
 
Daryl aveva deciso di fare quattro passi prima di andare a letto. A volte gli capita di essere troppo stanco ma non di riuscire a dormire. Dog, invece, sonnecchiava beatamente giù da un’ora nella casa che Ezekiel aveva offerto loro.
“Sì!”
L’arciere udì una voce sottile, quindi si guardò in giro nel caso in cui qualcuno lo stesse pedinando. Non c’era nessuno che vagava nel buio. Poi con la coda dell’occhio vide una luce gialla provenire da una villetta. Affacciate alla finestra c’erano Astrid e Clara, rannicchiate in un abbraccio stretto. Indietreggiò fino a rintanarsi dietro un albero, non voleva essere visto. Una parte di lui voleva andare a casa ma l’altra, quella irrazionale, lo teneva inchiodato alla voce di Astrid. La donna stava parlando di stelle.
“C’era una volta la Fata delle stelle che aveva il compito di mantenere accese tutte le stelle. Le cose non andavano bene perché notte dopo notte le stelle si spegnevano e scomparivano dal cielo. La luna e le sorelle stelle piangevano tanto, le loro lacrime si trasformavano in pioggia ogni notte. La Fata delle stelle, allora, decise che era tempo di agire e una notte si appostò dietro la luna per fare da guardia al cielo. Scoprì che c’era un ladro che rubava le stelle. Una settimana dopo la Fata affrontò il ladro, gli ordinò di restituire le stelle al cielo. Il ladro si mise a piangere e disse alla Fata che lui rubava le stelle perché si sentiva solo. A quel punto la Fata chiese aiuto alla Luna e insieme scelsero di perdonare il ladro e di esaudire un suo desiderio. Il ladro chiese di diventare una stella. La Fata lo trasformò nella stella più bella e luminosa dell’universo: la stella cometa.”
Daryl d’istinto aveva sorriso. Uno strano calore si andava espandendo nel petto, come fuoco che riscalda dopo un gelido inverno. Quella voce era familiare. La cadenza di Astrid, il modo in cui pronunciava alcune lettere, la dolce cantilena della sua voce gli davano sensazioni note. In passato doveva averla già incontrata, anche se non ricordava quando e come. I suoi occhi marroni, i suoi capelli dai riflessi ramati, la sua risata. Sì, lui conosceva Astrid. Guardò la finestra, Astrid stava cullando Clara mentre le mormorava chissà cosa.
“D’accordo, piccolina, è ora di andare a nanna. Saluta le stelline.”
Clara sventolò entrambe le manine verso il cielo, un sorriso tenerissimo sulle labbra.
“Ciao, stelline! Ciao, Luna! Ciao, Fata!”
Astrid rivolse uno sguardo al cielo e sospirò, almeno quella vista le concedeva una breve ma intensa quiete. E mentre lei si perdeva ad ammirare il manto notturno, Daryl si perdeva ad ammirare lei.
Uno come lui poteva mai aver incontrato una come Astrid? O era solo un sogno?
 
Salve a tutti! ^_^
Ormai le cose si fanno serie. Dorothy inizia a tirare fuori alcune verità e Daryl sembra ricordare vagamente Astrid.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 8
*** Lo strano diario ***


7. LO STRANO DIARIO
 
Due giorni dopo
Era mattino inoltrato quando Astrid riemerse da dietro un cespuglio. Erano ore che stava cercando la collana in ogni angolo del Regno. Non ricordava di averla vista cadere né di averla sentita staccarsi, ma a un certo punto doveva essere scivolata silenziosamente. Si mise a gattonare lungo il marciapiede che costeggiava la piazza centrale nella speranza di ritrovarla. Pochi passi dopo la sua mano si appoggiò su una scarpa.
“Che diamine fai?”
Hunter la guardava dall’alto con le braccia incrociate e l’espressione divertita.
“Sto cercando una cosa. Tu piuttosto che fai qui? Dovresti aiutare Yana e gli altri ragazzi nella raccolta delle mele.”
“Ho la faccia di uno che raccoglie mele?”
Astrid si mise in piedi e si spazzolò le mani, inutile dato che necessitavano di essere lavate.
“Hai la faccia di uno che scappa. Facciamo così, vieni con me e aiutami a sopportare le farneticazioni scientifiche di Remy.”
Hunter scosse la testa, non poteva mai e poi mai reggere Remy e i suoi deliri sulla chimica.
“In verità pensavo di uscire con Jerry ed Ezekiel. Stanno andando a rimuovere i lupi che avete trovato tu e Rambo al canale.”
“Rambo sarebbe Daryl? Soprannome azzeccato.” Disse Astrid, ridendo.
“E’ tipo Rambo con un cane.”
Hunter lentamente incominciò a indietreggiare, voleva darsela a gambe prima che Astrid lo fermasse. Lei, che conosceva il ragazzo come le sue tasche, lo afferrò per la manica della felpa.
“Non vai da nessuna parte, Hunter. Tu non andrai in un bosco pieno di vaganti. Se non vuoi stare con i tuoi coetanei, puoi tornare a casa e rilassarti.”
“Ti ricordo che non sei mia madre.” Puntualizzò Hunter.
Astrid rimaneva male ogni volta che Hunter sottolineava questo aspetto, ma mascherava il disappunto con un sorriso fasullo.
“Ma sei stato affidato a me. Sei una mia responsabilità, che ti piaccia o no.”
“Non mi piace.”
Hunter non le diede possibilità di replica, si voltò e tornò a casa per stare da solo.
“Sono un complimento fallimento. Non è una novità.” Borbottò Astrid fra sé.
La sua attenzione fu catturata da Jerry e altre tre persone che stavano caricando pale e rastrelli su un carro. Hunter aveva detto che Ezekiel aveva ordinato la rimozione dei lupi per sgomberare il canale, pertanto doveva aver scelto uomini efficienti per un tale lavoro. Di sicuro Daryl ne faceva parte. Nelle notti precedenti aveva fatto fatica a dormire perché aveva un presentimento che la tormentava. Ancora non riusciva a comprendere quale fosse il problema, ma era certa che ce ne fosse uno. Aveva avuto diversi incubi sui lupi accatastati presso il canale. Aveva sognato ululati, artigli, fauci spalancate da cui strabordavano arti umani sanguinanti.
“Ciao, Astrid!” strillò Clara dal giardino di Jerry.
La bambina per fortuna si era ambientata bene e aveva trovato degli amichetti con cui trascorrere ore di svago adatte alla sua età.
“Ciao, bimbi!”
Clara e i figli di Jerry la salutarono con le manine paffute e i loro sorrisi sdentati. Erano la cosa più tenera che Astrid vedeva da mesi. Subito riprese a camminare verso casa di Daryl, era l’ultima abitazione del Regno e per questo si collocava a pochi metri dalle mura difensive. Dog stava riposando in una scatola di cartone che fungeva da cuccia. La scatola era decorata da disegni sbilenchi fra cui spiccava il nome di Ezra, il figlio maggiore di Jerry e Nabila. Anche Clara aveva collaborato a realizzare quella cuccia improvvisata, lo testimoniava il disegno di un coniglio che rincorre le stelle. La bambina sin da subito aveva dimostrato uno spiccato interesse per gli astri, proprio come sua madre Olga. Astrid si tenne alla larga dal cane, la sua fobia non si era del tutto dissipata. Salì i gradini e sollevò la mano a pugno per bussare.
“Daryl?”
Bussò un paio di volte senza ricevere risposte. Con la manica della giacca pulì la polvere che copriva la finestra per sbirciare all’interno della casa. L’arciere si svegliava sempre all’alba, era preoccupante che non si fosse ancora fatto vivo.
“Daryl, ci sei?”
Ancora nessuna risposta. Astrid andò sul retro e usò un’altra finestra per controllare l’interno. Stava per arrendersi quando all’improvviso Daryl sbucò dal bagno. Indossava solo i pantaloni e i capelli gocciolavano sulle spalle nude.
“Oh …” sussurrò Astrid, mordendosi le labbra.
Sapeva di doversi allontanare, però i suoi occhi erano fissi sulla silhouette dell’arciere. Era evidente che Daryl fosse in forma, attraverso la camicia si intravedeva qualcosa. Ma adesso Astrid si rendeva conto che sotto i vestiti c’era molto di più. Il petto dell’arciere era tonico e muscoloso. L’addome piatto e accentuato dai muscoli era coperto da una leggera striscia di peluria che poi spariva oltre il bordo dei pantaloni. Lo sguardo di Astrid strabuzzò quando vide Daryl tirare la corda della balestra per testarne la tensione. I bicipiti erano gonfi, i muscoli guizzavano ad ogni movimento mettendo in risalto il piccolo diavolo tatuato sul braccio destro.
“Astrid?”
La donna saltò, colta alla sprovvista, e si voltò con gli occhi sbarrati. Yana la guardava con fare malizioso.
“Stavi spiando Daryl?”
“Io?! No! No! Io … stavo … beh … che ti serve, Yana?”
“Remy ti sta cercando. Sta dando di matto perché non riesce a decifrare le altre pagine.”
Astrid non aveva ascoltato mezza parola, la sua mente si stava ancora soffermando sui muscoli dell’arciere.
“Sì, sì.”
Yana si mise a sghignazzare, era palese che la donna non avesse capito.
“Che ti prende? Sembri sconvolta.”
“No! Sto bene. Sto alla grande! Sarà il caldo.” Farfugliò Astrid, e gote arrossate.
“Astrid, è il primo di novembre. Fa freddo.” Disse Yana, ridendo.
Astrid non sapeva come tirarsi fuori da quel disastro. Si passò le mani sulla faccia per tornare alla realtà. Non poteva comportarsi come una adolescente con gli ormoni a mille.
“Sai cosa? Hai ragione, fa freddo. Andiamo da Remy al Teatro, così ci riscaldiamo.”
Yana non credeva a quella scusa e continuava a ridere per la faccia stralunata di Astrid.
“Andiamo, dai.”
Daryl incontrò Carol lungo la via principale del Regno. Era già armata di arco e faretra, pronta per andare in missione.
“Gli altri ci stanno aspettando.” Gli comunicò Carol.
Daryl si sistemò la balestra sulla spalla e fischiò per richiamare Dog, che corse dietro di lui come un fedele compagno.
“Possiamo andare.”
La regina si avvicinò ad annusarlo e scoppiò a ridere.
“Sei uscito dalla doccia? Come mai?”
L’arciere fece spallucce e abbassò lo sguardo, infastidito dalle risate dell’amica.
“Andiamo o vuoi ridere un altro po’?”
“Uh, come sei suscettibile.”
Daryl sorpassò l’amica senza dire altro. Dog trottava al suo fianco, la coda che si agitava in preda alla gioia di andare nei boschi.
“Ieri sera sei entrata nel teatro e non ne sei più uscita.”
Carol sospirò, ormai le sue carte erano state scoperte e non restava che dire la verità.
“Le cose fra me ed Ezekiel si sono complicate dopo la morte di Henry. E’ da un po’ che dormo nel teatro.”
“Perché non me lo hai detto?”
“Perché abbiamo troppo lavoro da fare per pensare alla mia crisi matrimoniale.”
Daryl le lanciò un’occhiata in tralice, anche se capiva bene il riservo di Carol in un momento tanto critico per il Regno.
“Dog!”
Ben presto il cane fu circondato da Clara e dai figli di Jerry. Tante piccole mani accarezzavano il pelo dell’animale con delicatezza. Daryl si fermò per aspettare che Dog si godesse quelle carezze prima di andare a caccia di vaganti.
“Io so abbaiare come un cane.” Disse Ezra, imitando il verso canino.
Mariam, la figlia minore di Jerry, corrugò la fronte all’imitazione disastrosa del fratello.
“Il cane fa ‘bau bau bau’. Fa così, te lo giuro.”
Daryl vide che Clara si dondolava sui talloni, la stessa abitudine che aveva Astrid quando qualcosa la turbava. Si inginocchiò per arrivare alla sua altezza e le toccò la spalla per farsi guardare.
“Scommetto che tu conosci il verso del cane.”
“Sì.” sussurrò la bambina.
“E come fa?” volle sapere Carol.
Clara si dondolò ancora, poi sorrise e fece un respiro profondo. Alzò le mani e piegò le dita come fossero artigli per imitare un cane.
“Il cane fa ‘woof woof’. Lo so perché lo dice nel libro degli animali.”
“E l’asino fa ‘iho iho’, lo fa sempre papà.” Disse Aliyah, la secondogenita di Jerry.
“Siete tutti bravi. Ora tornare a giocare.” Disse Daryl con un sorriso.
Prima che si avviasse verso i cancelli, sentì qualcosa strattonargli i pantaloni. Clara lo stava richiamando.
“Sì?”
La bambina si issò sulle punte e Daryl si abbassò perché lei potesse parlargli nell’orecchio.
“Dopo posso giocare con Dog?”
“Certo. Sarà tutto tuo quando torneremo.”
Clara gli regalò uno splendido sorriso raggiante. A Daryl si scaldò il cuore quando la bambina gli diede un bacio sulla guancia.
“Ciao, Dog!”
Il cane riprese a trotterellare dopo che i bambini si furono allontanati.
“Sei bravo con i bambini.” Lo prese in giro Carol.
Daryl roteò gli occhi e le diede una spallata giocosa, giusto per smorzare l’imbarazzo.
“Smettila.”
 
Yana faticava a seguire i ragionamenti assurdi di Remy. Erano due giorni che stava delirando su formule matematiche e altri argomenti scientifici che solo lei capiva.
“Capite? Usando questa equazione possiamo dedurre il numero di probabilità che abbiamo per decifrare tutto il diario. Geniale!”
Astrid sbagliò e si passò una mano fra i capelli, era ancora assonnata per stare dietro al cervello della sorella.
“Tutto chiaro.” Mentì, sbadigliando di nuovo.
Yana le diede un pizzico sulla spalla mentre guardava alle sue spalle. Astrid non le diede retta, anzi affondò nella sedia e si strinse nella giacca di jeans.
“Astrid.”
La voce di Daryl era inconfondibile, l’avrebbe riconosciuta fra mille. Astrid si drizzò di colpo e si voltò con gli occhi sgranati.
“Ehi!” disse, la voce un po’ troppo squillante.
“Sei pronta? Jerry ha detto che dobbiamo andare.”
“Io non vengo con voi. Devo aiutare Remy. Sono emerse delle novità.”
Daryl annuì, però sembrava deluso dalla mancata partecipazione della donna.
“Come va la ferita?”
Lei si sfiorò la benda ed emise un gemito di dolore, lo squarcio pulsava ancora sotto le dita.
“Fa ancora male, però sto bene.”
L’arciere annuì e si mordicchiò le labbra, una parte di lui avrebbe voluto allungare la mano e toccarle la benda per lenire il dolore.
“Come funziona quella roba?”
Astrid ridacchiò per l’espressione confusa di Daryl mentre adocchiava i fogli sul tavolo.
“Usiamo dei codici per decifrare i fogli. Usiamo la tavola periodica, abbiniamo i numeri alle lettere dell’alfabeto, e usiamo altri metodi che conosce solo Remy. Io non sono di grande aiuto, cerco di fare il meglio che posso.”
“Te la cavi bene. Io non capisco neanche la metà di quella roba.” Replicò lui.
Ed ecco che Astrid si metteva le mani nelle tasche posteriori e oscillava sui talloni, segno evidente del suo imbarazzo.
“Perché ridi?”
“Perché fa sempre quella cosa.”
“Quale cosa?” domandò Astrid.
Daryl si grattò la nuca, temeva di risultare troppo invadente o offensivo, ma non voleva che lei pensasse che la stesse deridendo.
“Quando sei agitata ti metti sempre le mani nelle tasche di dietro e ti dondoli sui talloni.”
Astrid piantò i piedi a terra, il viso che aveva assunto una sfumatura più rossa.
“Beccata! Non sono brava a gestire l’ansia.”
Daryl era smarrito ogni volta che si trovava Astrid davanti. Lei era un’incognita. Sembrava una donna forte, combatteva bene, rispondeva a tono, eppure aveva quei tic che esplicavano il suo stato interiore in subbuglio. Era come un mare solcato da onde che si sommavano e che presto avrebbero scatenato uno tsunami.
“Provare ansia è normale.”
Astrid fece un mezzo sorriso. Era facile parlare con lui e questo la spaventata poiché di solito si teneva tutto dentro per il bene della sua famiglia.
“Carol ti sta chiamando. Devi andare.”
Daryl vide Carol che si sbracciava, quindi annuì e le fece un cenno di assenso con la mano.
“Vado.”
“Daryl, mi faresti un favore?”
“Dimmi pure.”
Astrid si avvicinò a lui per non farsi sentire da Remy, non voleva che si preoccupasse per la collana scomparsa.
“Ho perso la mia collana. Apparteneva a mia madre, è molto importante per me. Puoi controllare nel bosco? Potrei averla persa quando siamo stati al canale.”
“Certo.”
Daryl rabbrividì quando la mano di Astrid toccò la sua in segno di riconoscenza.
“Ti ringrazio.”
 
“Sono esausta. Ormai ci vedo a doppio.” Esordì Remy un’ora dopo.
La biochimica chiuse gli occhi e si massaggiò le palpebre pesanti. Se solo Iris fosse stata viva, pensò. Sua moglie era una genetista eccellente e avrebbe fatto grandi passi avanti, invece era stata uccisa dai vaganti e la sua saggezza era andata perduta.
“Vado a prendere da mangiare.” Disse Yana, lo stomaco che brontolava.
Astrid aveva gli occhi puntati su una pagina ma senza leggerla davvero. Sembrava in uno stato di trance, smarrita nei meandri della propria mente.
“Remy, sai dirmi qualcosa sui lupi?”
La sorella maggiore sorrise compiaciuta, finalmente qualcuno le poneva domande interessanti e che la distraevano dal diario.
“I lupi sono canidi lupini …”
“Sono pesanti?” la interruppe Astrid.
Remy si bloccò, la bocca semiaperta, e sbuffò per essere stata interrotta sul più bello.
“Sono molto pesanti. Tranquilla, Jerry solleverà quei lupi con una mano sola.”
“Non si tratta di questo. E’ che c’è qualcosa che non va. Ho una strana sensazione allo stomaco.”
Suo padre diceva che i presentimenti di Astrid si avveravano, positivi o negativi che fossero. Era come se fosse in grado di percepire nell’aria che qualcosa stava cambiando.
“Sui lupi o su Jerry?” fece Remy.
“Ovviamente sui lupi! Insomma, non ti sembra assurdo che i vaganti abbiano accatastato i lupi in una pila ordinata?”
Remy rise come se la sorella avesse fatto la battuta più divertente di tutte.
“Impossibile che siano stati i vaganti. Il virus li fa deperire e perdere forza muscolare, pertanto è impossibile che un solo vagante abbia sollevato un lupo di grossa taglia. Per fare una cosa del genere servono almeno cinque vaganti, ma non credo che loro abbiano sviluppato questo senso dell’organizzazione.”
Astrid registrò quell’informazione e la sua mente cominciò a mettersi in moto per riflettere. Si distrasse quando l’odore di verdure bollite le stuzzicò il naso.
“Si mangia finalmente.” Disse Yana, distribuendo i piatti.
Astrid si alzò di scatto, una luce sottile aveva illuminato il suo sguardo. Forse aveva capito.
“Devo parlare con Daryl.”
Remy infilzò una carota con la forchetta e osservò la sorella minore correre verso la sala di comunicazione che trasmetteva messaggi attraverso le radio.
“C’entra sempre quell’omone. Nessuno prende mai sul serio la scienza.”
“Io sì.” disse Yana, sgranocchiando un tozzo di pane.
 
Daryl si pulì le mani con lo straccio rosso che portava sempre con sé, eppure l’alone rosso del sangue restava incollato alla pelle. Erano solo a metà dell’opera, c’erano ancora altri corpi da rimuovere. Di tanto in tanto gettava qualche sguardo all’area limitrofa in cerca della collana di Astrid, ma tutto ciò che vedeva era fogliame e resti di vaganti.
“Daryl, c’è una chiamata per te alla radio.” Lo avvisò Jerry.
Scavalcò la nicchia di ossa per andare da Jerry e prendere la radio che gracchiava.
“Qui parla Daryl.”
“Sono Astrid. Devo dirti una cosa importante. Puoi parlare in un posto isolato?”
L’arciere si spostò verso il fiume, in una porzione isolata in cui a risuonare era solo lo scorrere dell’acqua.
“Sono solo. Che c’è?”
“Qualcuno ha messo i lupi di proposito nel canale. Pensaci un attimo: i vaganti non hanno la forza necessaria per sollevare un lupo di quella taglia, ciò vuol dire che non sono stati loro ad accatastarli. La pila è troppo ordinata perché possa essere opera dei vaganti.”
“In effetti ci stavo pensando anche io.” ammise Daryl.
Mentre spalava i corpi dei lupi in lui si era insinuato il dubbio. Perché i vaganti avrebbero sistemato gli animali in quel modo? Di norma divoravano e poi proseguivano il cammino. Questa volta, però, lo schema era cambiato destando forti sospetti.
“Daryl, dovete stare attenti. Credo che qualcuno si stia muovendo nell’ombra.”
“State attenti anche voi al Regno.”
Il sospiro di Astrid fu udibile attraverso la radio, era come se il bosco stesse bisbigliando.
“Va bene. Ora torno da Remy. Buon lavoro.”
Daryl voleva consolarla, dirle che avrebbero risolto ogni problema, ma subito pensò che Astrid non aveva certo bisogno di uno come lui.
“Okay.”
 
Yana tamburellava le dita sul tavolo da quando aveva iniziato a leggere una nuova pagina. Erano disegni, o meglio erano linee rosse che si districavano di qua e di là. Sembravano non avere nessuna logica.
“Se aggiunto una ‘a’ cubica in questa equazione forse … no, no, no!” bofonchiava Remy.
Yana si accorse che anche altri nove fogli erano caratterizzati da quei bizzarri disegni, alcuni erano rossi, altri neri e altri ancora erano blu. Di volta in volta sbucava una o più lettere.
“Una mappa …”
Remy non la stava ascoltando, anzi continuava a scribacchiare formule e numeri dappertutto.
“Se prendessi in considerazione il numero atomico e quello degli elettroni dell’orbitale atomica ‘p’ potrei arrivare alla conclus- …”
“Una mappa! Remy, è una mappa!” strillò Yana, alzandosi in piedi con enfasi.
“Cosa? Dove? Qualche mappa?”
La ragazza le mostrò i fogli con i disegni e poi li mise uno accanto all’altro per far combaciare le linee. Quello che venne fuori fu una vera e propria mappa della città di Atlanta. Remy con l’indice percorse le linee dal punto di inizio alla fine.
“Parte dal Centro Controllo Malattie e si dirama in tutta la città. Ci sono dei luoghi cerchiati, guarda.”
In effetti tre posti erano cerchiati di giallo e sotto vi era riportate delle lettere greche.
“Che dicono le lettere in greco?” domandò Yana.
Remy riconobbe alcuni simboli che erano accostati alle lettere, si tratta di un cerchietto e di piccole stanghette dritte.
“Sono coordinate. I simboli indicano grado, primi e secondi. Le coordinate servono per capire dove si trovano i luoghi cerchiati di giallo. Le lettere greche corrispondo ai numeri.”
Yana non vedeva tutto ciò che Remy aveva intuito, per lei erano solo segni su carta.
“Come facciamo a estrapolare i numeri?”
“Lo chiediamo a lei.” Rispose Remy.
Astrid stava tornando da loro, sembrava più tesa del solito. Si guardava intorno come se dovesse balzarle addosso chissà quale nemico.
“Perché mi guardate così?”
“Perché Yana ha trovato una mappa unendo alcuni fogli e abbiamo delle coordinate da decodificare. Io non ricordo l’alfabeto greco a memoria, ma tu sì.” Disse Remy.
Astrid aveva seguito un corso di cultura greca all’università per aumentare il numero di crediti, perciò il suo aiuto era indispensabile.
“Quali sono le lettere?”
Yana si mise di lato per permetterle di avere una visuale ampia della mappa. Remy prese carta e penna e annuì per dare il via alla sorella. Astrid si chinò sui fogli e cominciò la decifrazione.
“La ‘ni’ è la tredicesima lettera dell’alfabeto … quindi sono 13°, 20’ e 26 “. Le prossime sono 15°, 23’ e 26”. Le ultime riportano 2°, 3’ e 5”. Sono tutti luoghi vicini.”
Remy controllò le indicazioni un paio di volte prima di dedurre l’ovvio.
“Sono i laboratori del Centro Controllo Malattie. Sono collocati nei pressi del Centro in modo da prendere il materiale occorrente senza fare grandi spostamenti.”
“Perché i posti cerchiati? Perché le coordinate?” domandò Yana, confusa.
“Per precauzione. Chi ha scritto il diario vuole che resti segreto.” Disse Astrid.
“Se in quei posti ci fosse la cura? Magari la mappa ci guida verso il traguardo.” Ipotizzò Remy.
“Questo spiegherebbe perché tutte le pagine sono in codice.” Fece Yana.
Astrid era felice e triste al tempo stesso. Erano giunte a una svolta importante dopo anni di buio, ma quella stessa svolta era spaventosa e incerta.
“Non facciamoci prendere dall’euforia. Potrebbe esserci di tutto in quei posti. Magari orde di vaganti rinchiusi nei laboratori, cariche esplosive piazzate ovunque, un nuovo virus che ucciderebbe anche i sopravvissuti.”
“Wow, viva l’ottimismo.” Disse Remy con sarcasmo.
“Sono seria, Remy. Questo diario potrebbe anche essere una trappola mortale.”
Remy fulminò la sorella con lo sguardo, non ammetteva quel tipo di attacco.
“Iris ha detto che il diario è autentico, e io mi fido del suo giudizio. Qui dentro c’è la soluzione a tutto.”
“Lo spero davvero.”
 
Astrid se ne stava seduta sulla panchina dedicata a Henry, il cielo che si faceva più scuro con il passare dei minuti. Le stelle spuntavano a una a una. Ormai quello era diventato un po’ il suo rifugio, da lì poteva osservare il Regno e al contempo esserne lontanissima. Socchiuse gli occhi per godersi quel silenzio, una pace interiore la pervadeva.
“Ehi.”
Trasalì e quasi cadde dalla panchina. I battiti veloci si placarono quando vide Daryl seduto all’angolo, una sigaretta accesa fra le dita.
“Non ti ho sentito arrivare.”
“Già.”
Daryl tentò di non ridere per lo spavento che si era presa Astrid, ma era stata una scena comica vederla quasi cascare per terra.
“Ci sono novità?”
“No. Abbiamo fatto una rapida perlustrazione delle mura esterne e non abbiamo trovate tracce utili. Non sono neanche riuscito a trovare la tua collana.”
Astrid rimase a guardarlo mentre si portava la sigaretta alle labbra e buttava fuori il fumo in una nuvola bianca. Per un momento la sua mente le inviò flash di quella mattina, i muscoli guizzanti dell’arciere, le braccia perfette, i capelli bagnati.
“Astrid?”
“Eh? Hai detto qualcosa?”
Daryl non capiva perché lei lo stesse guardando con un luccichio particolare negli occhi.
“Ti senti bene? Sembri fuori dal mondo.”
“Scusami. Sono stanca e credo che gli antidolorifici stiano facendo un grande effetto.”
Astrid sorrise per alleggerire la tensione. Era chiaro che Daryl non ci fosse cascato, ma sperava che quella bugia fosse una buona scappatoia per mascherare il vero motivo della sua distrazione.
“Mmh.”
Rimasero in silenzio per un po’, lui che fumava e lei che guardava i bambini giocare.
“Astrid! Astrid!”
Clara si gettò fra le sue braccia tra le lacrime. Era un pianto disperato. Con lei c’erano anche i figli di Jerry.
“Che succede? Ti sei fatta male?”
“Si è rotta la sua bacchetta magica.” Disse Ezra.
“Non sono più la Fata delle stelle.” Si lagnò Clara, piangendo più forte.
Astrid la fece sedere sulle proprie gambe e le asciugò le lacrime, cullandola appena.
“Ci penso io.” Disse Daryl.
Ezra gli diede i pezzi rotti e si andò a mettere vicino a Clara per consolarla. L’arciere prese lo scotch nero dalla tasca del gilet, quello che di solito usava per aggiustare la moto, e lo avvolse attorno alla bacchetta. Astrid sorrideva mentre lo guardava rattoppare il gioco con la sigaretta sospesa fra le labbra e lo sguardo concentrato.
“Ecco.”
Clara riprese la bacchetta e la agitò per assicurarsi che non si rompesse. Quando capì che lo scotch avrebbe retto, si fiondò su Daryl per abbracciarlo.
“Grazie! Ora sono di nuovo la Fata delle stelle!”
“Torniamo a giocare, dai.” La incoraggiò Ezra.
I due bambini di corsa tornarono dai loro amici per riavviare il gioco interrotto dalla tragedia.
“Tu mi sorprendi, Daryl.”
Daryl arrossì per le parole di Astrid, meno male che i lampioni poco illuminavano la panchina e le sue gote. C’era qualcosa in quella donna che gli faceva venire i brividi. Era una sensazione insolita, non sapeva se gli piacesse o no.
“Astrid, Daryl, riunione a casa di Ezekiel.” Annunciò Yana dal portone del teatro.
 
Remy stava esponendo quanto scoperto quel giorno. La mappa, ora unita con stecche sottili di legno e colla, giaceva sul tavolo da pranzo.
“La mia ipotesi è che l’autore del diario abbia nascosto qualcosa nei luoghi cerchiati di giallo. Potrebbe trattarsi della cura o di altri indizi per produrre la cura.”
“Sicura? A me sembra solo un folle.” Disse Carol.
“Sono sicura. Il diario è scritto in codice perché il segreto non venisse rivelato.”
“E c’è anche la questione del Dottor Frankenstein di cui non ci dobbiamo fidare.” Disse Yana.
Ezekiel si toccò il mento con fare meditabondo.
“Dovremmo fare un tentativo e scoprire cosa ci sia in quei posti.”
“Non possiamo. Siamo a corto di uomini e il Regno ha bisogno di protezione.” Asserì Daryl.
Lui e Astrid stavano l’uno di fronte all’altro, spesso si lanciavano occhiate furtive.
“Daryl ha ragione. Dobbiamo ancora capire chi ha ammassato i lupi al canale.” Disse Astrid.
Remy respirava con le narici aperte, era un toro sul punto di esplodere di rabbia.
“Non abbiamo tempo da perdere con i lupi. Dobbiamo agire ora per trovare la cura.”
“Non troveremo la cura se saremo tutti morti.” Replicò Carol, piccata.
Astrid accarezzò la schiena della sorella per calmarla, ma Remy restava rigida come il marmo.
“La cura può aspettare. Qualcuno ha manomesso il canale e trovare il responsabile è una priorità.”
“È vero. Il Regno potrebbe essere in grave pericolo.” Disse Ezekiel.
Remy passò in rassegna i volti dei presenti, stava odiando tutti quanti come mai prima.
“E’ la prima scoperta utile negli ultimi tre anni, dobbiamo agire prima che sia tardi. La verità è che abbiamo perso tempo per colpa di Astrid che doveva inseguire la sua stupida cotta per Daryl!”
Un mormorio serpeggiò nella stanza come un’onda che avanza e poi si ritira. Astrid si portò le mani a coppa sulla bocca. La vergogna le impedì addirittura di respirare per qualche secondo.
“Oddio.”
Un attimo dopo stava sfrecciando lungo le scale per lasciare casa di Ezekiel. Non avrebbe sopportato ancora la consapevolezza che i suoi sentimenti erano stati dati in pasto a tutti da sua sorella. Remy le aveva appena spezzato il cuore.
 
Daryl era rimasto immobile. Le mani piantate sul tavolo e gli occhi fissi sul pavimento. Era sceso un silenzio talmente assordante che, se fosse stato possibile, gli avrebbe fatto sanguinare le orecchie. L’espressione addolorata e mortificata di Astrid lo feriva più di quanto avrebbe fatto una freccia.
“Ora possiamo parlare di cose serie? Dobbiamo visitare questi posti.” Disse Remy.
Yana sbatté il pugno sul tavolo, attirando l’attenzione degli altri.
“Remy, capisci cosa hai fatto? Hai umiliato tua sorella! A volte sei stupida!”
Solo allora Remy capì che cosa aveva fatto. Era come se si fosse sconnessa da se stessa e fosse tornata lucida solo ora che Astrid non c’era più.
“Oh, no. Che cosa ho fatto?”
 
Salve a tutti! ^_^
Che dire, Remy ha messo un bel po’ di carne sul fuoco sia per quanto riguarda Dorothy sia per quanto riguarda Astrid.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 9
*** Segui le ombre ***


8. SEGUI LE OMBRE
 
Una settimana dopo
Hunter si svegliò per colpa di un rumore incessante che proveniva dal piano inferiore. Aprì lentamente gli occhi, imprecando a bassa voce. L’orologio sul comodino segnava le undici di mattina. Yana non si era presa il disturbo di svegliarlo perché lui stesso aveva annunciato che non avrebbe partecipato a nessuna attività del Regno. Non sopportava nessuno, quindi era meglio starsene da solo in casa a suonare la chitarra. Con riluttanza, e imprecando un altro po’, si trascinò in cucina.
“Dimmi che questo è un incubo.”
Astrid stava lavando le stoviglie usate per la colazione e canticchiava una canzone dei Beatles. Si voltò verso il ragazzo con un ampio sorriso, salutandolo con la spugna.
“Buongiorno. Hai fame?”
“Non è un buon giorno se tu sei ancora qui. Astrid, sei chiusa in casa da una settimana. Dovresti uscire.”
Hunter si accasciò sulla sedia e si passò le mani sulla testa rasata, la cicatrice sul cuoio capelluto era abbastanza evidente da sentirla sotto le dita.
“Non ho niente da fare lì fuori. Ezekiel ha contattato Alexandria e Remy ha potuto parlare con un certo Eugene della mappa, ovviamente senza dire la verità sulla cura. Yana aiuta Nabila con le erbe medicinali. Clara gioca con i figli di Jerry. Io posso rilassarmi.”
Astrid stava sorridendo in maniera talmente forzata che Hunter corrugò la fronte, era come assistere a uno spettacolo in cui l’attrice recita malissimo.
“Tu resti qui perché Remy ha spifferato la tua cotta per il vecchio.”
Astrid fece cadere la spugna nella vaschetta del lavabo, quasi avrebbe voluto gettarsi lei stessa in quell’acqua schiumata per affogare i pensieri.
“Anche noi adulti ci nascondiamo alle volte.”
Hunter allungò il braccio per prendere il latte dal frigo e versarne una generosa quantità nella tazza.
“E ne vale la pena? Tanto sei già imbarazzante di tuo, una cottarella non potrà peggiorare le cose.”
“Grazie, Hunter. Tu sai sempre come consolarmi.” Ironizzò Astrid.
“Dico solo che nascondersi non ha senso. Hai fatto una figuraccia? Va bene, la vita va avanti comunque.”
Astrid si appoggiò alla cucina e addentò un biscotto alla panna, i pensieri si accavallavano nella sua mente accrescendo i suoi timori.
“Non è così facile. Con Daryl … beh, con lui è più complicato.”
“In che senso?”
“Nel senso che io conosco Daryl da anni. L’ho incontrato in un locale un mese prima dell’apocalisse.”
Hunter si strozzò con il latte e dovette darsi dei colpetti sul petto per deglutire bene.
“Il vecchio è il tizio con le ali di cui parlavi sempre? Oh, cazzo!”
Astrid lo fulminò con lo sguardo ma il ragazzo continuava a ridacchiare.
“A quanto pare sì, sono la stessa persona. E non è vecchio!”
“Non ha tipo mille anni?”
Hunter scosse la testa per l’incredulità e tornò a bere il suo latte.
“Ne ha quarantasei.” Disse Astrid.
Il ragazzo fece spallucce, non gli importava conoscere l’età dell’arciere scontroso. La colazione proseguì in silenzio con lui che mangiava e Astrid che fingeva di leggere un ricettario pur di distrarsi.
“Credi che sia la volta buona per trovare una cura?” esordì Hunter.
Astrid lo guardò con affetto materno, la sua apparenza da duro celava un’anima fragile.
“Non lo so. Secondo Iris il diario era autentico, ma sembrano soltanto le farneticazioni di un uomo disperato. Una mappa nascosta? Pagine intere in codice? E’ tutto molto strano.”
Hunter sciacquò la tazza e la ripose nella credenza, poi si infilò in bocca tre biscotti di fila.
“Forse sotto c’è più di quanto pensiamo. Insomma, un tizio che fa i salti mortali per scrivere un diario in codice deve per forza nascondere un grande segreto.”
“I luoghi indicati dalla mappa sono depositi del Centro Controllo Malattie. Lì potrebbe esserci davvero qualsiasi cosa. Non credo che abbiano nascosto la cura in quei depositi, sarebbe troppo scontato.”
“Remy si aggrappa a quel diario solo perché le manca Iris.” Disse Hunter.
Astrid era consapevole della sofferenza della sorella. Remy non si era mai davvero ripresa dalla morte di Iris, anzi di notte spesso la sentiva ancora piangere. Ecco perché negli anni successivi Dorothy era diventato il centro dei suoi pensieri, per sopperire alla mancanza della moglie. Forse sperava che risolvendo il grande enigma avrebbe riportato Iris in vita.
“Deve esserci un fondo di verità fra quelle pagine, il problema è capire cosa sia vero e cosa sia falso.”
“Impresa titanica.” Commentò Hunter con una smorfia.
Astrid controllò l’orologio appeso sulla dispensa e vide che era già mezzogiorno e un quarto, l’ora giusta per preparare il pranzo.
“Hunter, ti va di aiutarmi a cucinare?”
Il ragazzo si mise accanto a lei, era diventato più alto di lei nel giro di due mesi. Si chiese se fosse questa sensazione di orgoglio e amore quella che provava una madre nel vedere crescere i propri figli.
“Solo se mi prometti che oggi pomeriggio uscirai da qui.”
“Promesso.”
Hunter le scoccò un bacio sulla guancia e Astrid sorrise perché quei gesti affettuosi erano così rari per lui che ogni volta le scaldavano il cuore.
 
Astrid stava facendo un grande sforzo a chiudersi la porta di casa alle spalle. L’aria fresca di novembre la fece rabbrividire, quindi si strinse nella giacca di jeans. La via principale del Regno era cosparsa di foglie che cominciavano a cadere dagli alberi, presto avrebbe preso vita un tappeto di meravigliosi colori autunnali. Ora che i lavori si erano conclusi, il Regno sembrava risplendere di una nuova luce. Era l’inizio di una nuova fase di vita per l’insediamento. Un gruppo di persone si era riunito per organizzare la preparazione e la distribuzione della cena. I bambini correvano, si sedevano per terra e ridevano a crepapelle. Gli adolescenti giocavano a palla, alcuni in piedi e altri seduti sui muretti. Tra questi c’era anche Yana che rideva con una ragazza dai capelli rossi.
“Non è male, vero?” fece Hunter con un sorriso.
Astrid sorrise in risposta. Uscire era stata un’ottima idea sia per la mente sia per il corpo. Riconobbe Remy ed Ezekiel sulle scale del teatro, stavano ancora studiano la mappa.
“Se dico che hai ragione mi darai il tormento a vita?” domandò Astrid.
“Ovvio che sì.”
Hunter la prese per mano e insieme passeggiarono per le strade, salutando di qua e di là. Astrid si strinse di più a lui quando intravide Carol e Daryl seduti in disparte a parlare.
“Va tutto bene, Astrid.”
Lei fece un respiro profondo, sapeva che scappare era inutile. Il suo segreto era venuto a galla e lei poteva solo accusare i colpi delle conseguenza. Abbassò lo sguardo e continuò a camminare, sperando che l’arciere e la regina non si accorgessero di lei. Notò che Hunter guardava Yana con insistenza, era come se fosse attratto da una calamita.
“Va da lei. Io devo fare due chiacchiere con Ezekiel.” Disse Astrid.
“Sicura?”
“Sicura. Vai, su.”
Hunter le lasciò la mano e si incamminò verso il gruppetto di coetanei con le spalle ingobbite. Il disagio che provava era dovuto ad anni di abusi psicologici che lo avevano convinto di essere inadatto per le relazioni umane. Astrid lo vide prendere posto affianco a Yana e si tranquillizzò, almeno ora poteva stare un po’ da sola. Occupò la panchina di Henry e si mise ad osservare la gente, un passatempo che in realtà le permetteva di conoscer meglio le persone. Logan le ripeteva che studiare una persona quando è distratta è un ottimo metodo per dedurre alcuni tratti del suo carattere.
“Posso sedermi?”
James si sedette senza aspettare la concessione. Astrid inarcò un sopracciglio, infastidita dalla sua presenza.
“Vuoi altri insulti? Sappi che ne ho una riserva infinita.”
L’uomo rise e si fece più vicino a lei, che intanto scalava di posto per allontanarsi.
“Non ti mangio mica, signorina. Sono un uomo onesto.”
“Sei un imbecille.” Ribatté Astrid.
James stiracchiò le gambe e le braccia come un gatto appena sveglio. Il suo braccio andò a circondare le spalle di Astrid.
“Tua sorella e il Re sembrano aver scoperto qualcosa di interessante. Cos’è?”
Astrid si scostò per liberarsi dal suo abbraccio, si sentiva sporca per via di quel contatto indesiderato.
“Non sono affari tuoi. James, che vuoi?”
“Sta calma, micetta. Sono venuto in pace.” Disse lui, alzando le mani.
Astrid incrociò le braccia al petto come a volersi proteggere. C’era qualcosa in James che non le piaceva affatto.
“Non chiamarmi ‘micetta’ e non parlare con me.”
 
Daryl stava contando le frecce che gli erano rimaste con attenzione. Conosceva a memoria il numero, ma questo gli dava la possibilità di concentrarsi su qualcos’altro. Di sottecchi vide Astrid lasciare la panchina per dirigersi da Remy. James la guardava come se fosse un bocconcino da divorare.
“Coglione.” Sibilò fra i denti.
Carol represse una risata, la gelosia dell’amico era divertente.
“Uh, qualcuno è geloso.”
“Non sono geloso. E’ che James è un coglione.”
L’arciere si focalizzò su una freccia dalla punta smussata, forse poteva recuperarla in tempo perché non andasse perduta.
“Non abbiamo parlato di quello che è successo.” disse Carol.
“Che è successo?”
Daryl sapeva di non poter rimandare quella conversazione ancora per molto. Però era sempre meglio parlarne con Carol che con chiunque altro.
“A quanto pare miss Williams stravede per te.”
“Sono tutte stronzate.”
Aveva cercato di non pensarci, di eliminare dalla mente le parole di Remy, eppure quelle riecheggiavano come una condanna a morte. Più voleva distrarsi, più pensava ad Astrid.
“Una donna non può interessarsi a te?” chiese Carol.
“E secondo te una come Astrid perde tempo con uno come me? Nah.”
Un moto di rabbia si scatenò in lui tanto da fargli spezzare la punta della freccia. Chiuse gli occhi per darsi una calmata, ma pareva che la rabbia aumentasse. Astrid era troppo per lui. Era espansiva, gentile, colta e aveva avuto una vita normale prima dei vaganti. Lui, invece, aveva vissuto una vita fatta di botte, alcolici e droga e ancora oggi ne pagava il risultato.
“Una come lei sarebbe fortunata ad averti.” Disse Carol con dolcezza.
Daryl sospirò. Come poteva una donna innamorarsi di lui? Era solo un uomo di bassa lega che nella vita aveva combinato poco e niente. Non aveva un diploma, era finito più volte in carcere ed era finito a vivere con il fratello nei boschi.
“Perché ne parliamo? A me non importa.”
Sebbene non gli importasse, il suo sguardo cercò Astrid. Stava ridendo per una delle solite battute di Ezekiel. La sua risata era genuina e fece sorridere anche lui. Carol colse subito quel mezzo sorriso.
“Il modo in cui la guardi.”
“Eh?”
“Il modo in cui guardi Astrid dice tutto.”
Daryl ghignò, non era concepibile per lui quello che Carol blaterava. Poi d’improvviso si rese conto che effettivamente guardava Astrid in un modo particolare.
“Ti sembrerà assurdo, ma io credo di conoscerla. Ho il sentore di averla già vista.”
“Nei tuoi sogni di sicuro!” lo prese in giro Carol.
Daryl le diede una spallata e si mise a ridere. Fortuna che c’era lei a metterlo di buon umore.
“Dico sul serio. Non è che l’abbiamo incontrata?”
Carol guardò Astrid ma non riconobbe in lei nessuna donna conosciuta in precedenza.
“Non credo. Ha trascorso sette anni segregata sottoterra, direi proprio che non l’abbiamo incontrata prima.”
“Mmh.”
Entrambi ripresero a sistemare le proprie armi in silenzio. Del resto, c’era ancora da capire chi avesse impilato i lupi presso il canale. A disturbare la quiete fu un vociare confuso che giungeva dalla piazza.
 
Hunter si morse la lingua per non prendere a parolacce Alex, uno dei ragazzi che stava giocando a pallone. Era un cretino e avrebbe voluto dargli un ceffone, ma ricordò a se stesso che poi Astrid lo avrebbe rimproverato a vita.
“Yana, vorrei farti una domanda.” Disse Alex.
Yana troncò la sua conversazione con Samantha e rivolse un sorriso gentile al ragazzo.
“Chiedi pure.”
“Il colore della tua pelle da cosa dipende?”
Ora tutti gli occhi erano puntati su di lei in attesa di una risposta. Hunter sentiva le mani prudere, ma decise di aspettare che la sua amica reagisse.
“Ehm … non so … dipende da fattori genetici, suppongo.”
Alex rise, una di quelle risatine subdole che anticipano una catastrofe.
“Quindi i tuoi fattori genetici hanno reso la tua pelle color merda?”
Yana sentì gli occhi pizzicare e un attimo dopo stava singhiozzando. Hunter spintonò Alex perché si allontanasse da lei.
“Ora mi hai rotto il cazzo.”
“Ha parlato l’orfanello.” Lo derise Alex.
Hunter non aggiunse altro, non vi era alcun bisogno. Scelse di agire. Afferrò Alex per la maglietta e gli tirò un pungo così forte da spaccargli il naso. Tutta la rabbia che ribolliva in lui da anni e che tentava di ammansire esplose in quell’istante.
“Ti ammazzo, brutto stronzo!”
“Hunter!” stava gridando Astrid.
 
“Non ho capito la battuta.” Disse Remy, confusa.
Ezekiel ci rimase male, erano troppe poche le persone che capivano al volo il suo umorismo.
“Te la ripeto: una pecorella studia geografia perché non vuole fare la pecorella smarrita!”
Astrid stava ridendo di gusto non tanto per la battuta quanto più per Ezekiel. Remy era seria, le labbra in una linea dura e severa.
“Non l’ho capita. E’ impossibile che una pecora studi geografia, a meno che non venga utilizzata una mente artificiale che invii impulsi al suo cervello rendendola capace di formulare pensieri.”
La risata di Astrid si spense, rovinata dall’obiezione scientifica della sorella. Anche Ezekiel aveva smesso di ridere, la sua espressione era di pura delusione.
“E’ una battuta, non deve avere senso.”
“E che senso c’è a fare una battuta che non ha senso?” fece Remy, impassibile.
“Ti ammazzo, brutto stronzo!”
Astrid associò quella voce ad Hunter e si girò verso il gruppo di ragazzi. Yana piangeva e Hunter stava prendendo a pugni un ragazzo.
“Hunter!”
Lei e Daryl si precipitarono nello stesso momento, per poco non andarono a sbattere l’uno contro l’altra. Daryl agguantò Hunter per le spalle e lo strattonò indietro, rafforzando la presa poiché il ragazzo si divincolava.
“Lasciami! Lasciami! Devo ammazzare quel razzista!”
Yana si rifugiò in lacrime fra le braccia di Yana, che le accarezzò i lunghi capelli neri per confortarla.
“Che è successo? Qualcuno ti ha offesa?”
“Quel bastardo là!” inveì Hunter.
Daryl dovette bloccargli entrambe le braccia per tenerlo fermo. Per avere sedici anni aveva un’ira che lo infiammava.
“Mi dite che succede oppure devo richiedere l’intervento del Re?” disse Astrid con tono minaccioso.
Una delle ragazze, bassa e con gli occhiali, si fece avanti.
“Alex ha detto che Yana ha la pelle color … merda.”
Astrid lanciò ad Alex un’occhiataccia che lo fece indietreggiare.
“Che diamine succede? E perché mio figlio ha il naso che sanguina?”
Il padre di Alex tamponò il naso del figlio con un fazzoletto che subito si impregnò di sangue.
“Signore, suo figlio ha fatto commenti razzisti.” Disse Astrid.
“Sono ragazzate. Lo fanno tutti!”
L’uomo liquidò la questione con un gesto della mano come avrebbe scacciato una mosca.
“Non sono ragazzate. Il razzismo non può mai essere giustificato. Direi che suo figlio ha bisogno di una bella lezione sul rispetto.”
“A dirlo chi è? Una che va a letto con il Re? Nessuna morale da quelle come te.”
Astrid era allibita. La gente immaginava che lei avesse una relazione con Ezekiel per il semplice motivo che passavano del tempo insieme e molto spesso ridevano.
“Tale il padre e tale è il figlio. Ritengo che anche lei abbia bisogno di una lezione sul rispetto.”
“Ho solo bisogno che la vostra feccia stia alla larga da mio figlio. Una nera e un teppista non sono ben accetti al Regno!”
L’uomo portò via il figlio elargendo occhiatacce ripiene di odio a tutti.
“Stronzo.” Sussurrò Astrid.
“Te lo avevo detto!” ribatté Hunter.
Daryl dovette rinsaldare la presa sul ragazzo che tentava di sgusciare via, dimenandosi come un’anguilla in trappola.
“Andiamo a casa.”
 
Astrid riaprì gli occhi per l’ennesima volta. Non riusciva a prendere sonno, sebbene avesse fatto più tentativi nel corso delle ore. Era agitata. Quel presentimento oscuro che avvertiva incombeva ancora su di lei. Decise di scendere in cucina per una camomilla, sperando che fosse d’aiuto per l’insonnia. Tutti gli altri dormivano, perciò accostò la porta della cucina per non svegliare Yana e Remy che stavano in salotto. Riempì un pentolino di acqua e lo mise a bollire, frugò nella dispensa in cerca del sacchetto di iuta che custodiva la camomilla pestata da Nabila. Mentre era intenta a prendere una tazza, una luce baluginò nel buio della strada. Pensò di aver sognato, poi il baluginio si ripeté. Astrid scostò la tenda della porta-finestra e scorse una figura che ciondolava.
“E tu chi saresti?”
La figura si dileguò dopo qualche metro, svanendo oltre il teatro. Astrid tornò in camera sua e si infilò gli anfibi, dopodiché indossò la felpa e raccattò una torcia. Prima di uscire di casa si fissò una daga in vita. A passo felpato e senza farsi notare troppo, si mise all’inseguimento della figura misteriosa. La strada era vuota, solo il ronzio dei lampioni spezzava il silenzio della notte.
“Che stai facendo?”
Astrid ghiacciò sul posto, la paura si insinuò fra le sue ossa velocemente. Impugnò la daga con l’intenzione di colpire l’aggressore. Si fermò in tempo quando vide Daryl con le sopracciglia inarcate.
“Oh, sei tu. Credevo fossi quel tipo … o tipa.”
“Di che parli?”
Astrid gli fece segno di abbassarsi, non potevano essere sicuri che la figura li stesse osservando.
“Ho visto qualcuno correre per la strada prima. Ho pensato che potesse essere la stessa persona che ha accatastato i lupi.”
“E hai avuto la brillante idea di uscire da sola?” chiese Daryl in tono retorico.
“Vista in questa prospettiva suona molto male. L’idea era migliore nella mia testa.”
L’arciere alzò gli occhi al cielo, stupito dall’avventatezza della donna.
“Dov’è adesso questo qualcuno?”
“Non lo so. E’ sparito dopo aver superato il teatro.”
Daryl assottigliò gli occhi per studiare meglio la città davanti a sé. Non c’erano rumori intorno, escludendo i gufi, e non vi erano luci. Poi d’improvviso vide un luccichio nel cielo.
“Astrid, guarda.”
“La luce proviene dalla cisterna. Visto? Avevo ragione!”
“La tua idea resta stupida comunque.”
Astrid fece una smorfia, odiava essere trattata come una bambina impulsiva. Certo, non aveva avuto una grande idea, ma restava il fatto che si era precipitata in strada per affrontare la figura.
“Tu lo sai che non ho bisogno di un cavaliere dall’armatura scintillante?”
“Ti sembro un cavaliere?”
Daryl aveva l’aria di uno che prima ti uccide e poi ti fa le domande. In lui niente rimandava all’eleganza e alla signoria di un cavaliere.
“Mai dire mai, Dixon.”
“Andiamo.” Disse Daryl, esasperato.
 
La porta di accesso alla cisterna era socchiusa, quindi davvero qualcuno si trovava lì. Quando Astrid e Daryl entrarono nell’anticamera, il montacarichi non c’era più.
“Il montacarichi è in cima. Qualcuno è salito.” Sussurrò Astrid.
“Hanno manomesso la cisterna anche da qui.” disse Daryl.
Astrid spiò ogni anfratto dell’anticamera per trovare qualcosa che neanche lei sapeva identificare. Se avessero avuto un indizio sarebbe stato più facile trovare il colpevole. Però non c’era niente, solo puzza di vecchio e acqua che gocciolava lungo le pareti.
“Come hanno fatto? Al canale hanno piazzato i lupi per bloccare il passaggio dell’acqua. Qui come hanno manomesso la cisterna? Noi l’abbiamo controllata e non c’era niente di sospetto.”
“Il filtro era ostruito, giusto?” fece Daryl a bassa voce.
“Non così ostruito da non far passare l’acqua. La cisterna deve essersi riempita a un certo punto, quindi come è possibile che noi l’abbiamo trovata semivuota?”
Astrid fece un passo all’indietro e il piede si incastrò in un laccio. Ad uno sguardo più attento, si accorse che si era impigliata nello spallaccio di uno zaino.
“Daryl, vieni a vedere.”
Sul fondo dell’anticamera, ubicato nel sottoscala, vi era un enorme armadio in stile rococò. Doveva essere stato trafugato da qualche parte e posto lì per conservare attrezzi utili all’impianto idrico. Astrid rovistò nello zaino e tirò fuori un tubo lungo circa un metro.
“Che roba è?” chiese Daryl.
“Un tubo di aspirazione, viene usato nelle piscine per immettere acqua.” Spiegò Astrid.
“Hanno aspirato l’acqua con questo tubo?”
Il montacarichi strideva mentre scendeva rapidamente. Se non si fossero nascosti, sarebbero stati scoperti e magari uccisi da chiunque rubasse l’acqua.
“Nell’armadio.” Sussurrò Daryl.
Astrid non ebbe modo di replicare perché Daryl l’aveva già spinta nell’armadio e aveva chiuso le ante, lasciando un minimo di apertura per sbirciare fuori. Ora lo spazio non sembrava più grande come prima. Astrid stava scomoda, la testa andava a toccare una vecchia gruccia di plastica. Si spostò per cambiare posizione e sentì un rantolo dietro di sé.
“Che cosa è stato?”
“Mi hai dato una gomitata nelle costole.” Rispose Daryl.
Solo allora Astrid capì di essere schiacciata completamente contro di lui. Ora sentiva la sua schiena aderire al petto dell’arciere, la sua altezza che torreggiava su di lei. Meno male che l’oscurità nascondeva il rossore diffuso sul viso.
“Scusami. Stavo scomoda.”
“Mmh.”
Daryl non sopportava quella vicinanza. Come sempre il contatto fisico lo rendeva nervoso. Certo, abbracciava gli altri e veniva abbracciato, ma un tocco continuo era qualcosa di intollerabile. Ogni volta che qualcuno lo toccava era come rivivere le mani di suo padre che lo riempivano di botte. In vita sua non aveva mia sperimentato la delicatezza e la tenerezza di una carezza, ogni contatto umano era stato segnato da mani violente e cinghiate sulla schiena.
“Daryl, stai bene?”
Astrid aveva notato il modo in cui l’arciere si era irrigidito. Era come se volesse evitare di toccarla.
“Sì.” mentì lui.
Il montacarichi atterrò sollevando una nuvola di polvere. Si udirono dei passi nell’anticamera e poi un fruscio. Astrid e Daryl, grazie alla differenza di altezza, riuscirono a spiare attraverso l’esigua fessura. James stava trascinando sul pavimento tre secchi d’acqua, uno alla volta e facendo attenzione a non rovesciare il liquido a terra.
“Assurdo.” commentò Astrid, la voce ridotta a un filo.
La tensione aumentò quando James si diresse verso l’armadio. Astrid quasi smise di respirare, il terrore strisciava intorno a lei come un cappio al collo. Poi due mani l’agguantarono per le braccia e un momento dopo si ritrovò con la faccia premuta contro il petto di Daryl. La mano dell’arciere, che era calda per via della tensione, le cingeva il collo per non farla voltare. In quella posizione si erano rannicchiati nell’angolo più buio dell’armadio dove la luce dell’anticamera non arrivava. Astrid trattenne il respiro quando James aprì l’anta per risistemare il tubo di aspirazione. Buttò fuori l’aria solo quando l’armadio venne richiuso. Il problema è che James usò un lucchetto per bloccare le ante.
“Shh.” Disse Daryl.
Astrid d’istinto strinse la camicia dell’arciere fra i pugni. Non era claustrofobica ma restare rinchiusa in un armadio non era il massimo. Daryl emise un sospiro di sollievo quando anche la porta dell’anticamera si chiuse, ciò significava che James era andato via.
“Se n’è andato. Ora pensiamo a come uscire da qui.”
Astrid accese la torcia e un fascio di luce investì lo spazio angusto. Erano così vicini che lei riusciva a intravedere alcune cicatrici sui pettorali dell’arciere attraverso la stoffa della camicia. Daryl tossì per attirare la sua attenzione.
“S-sì, dobbiamo uscire.” Farfugliò Astrid.
“Fammi passare. Da qui non vedo la serratura.”
Astrid fece scontare la schiena con la parete dell’armadio, pressando tutto il corpo in maniera da liberare un piccolo passaggio. Daryl ponderò le opzioni che aveva a disposizione perché qualsiasi movimento in uno spazio tanto striminzito sarebbe risultata inopportuna. Ogni movimento corrispondeva ad un tocco. Si fece coraggio. Aveva sfidato uomini armati e orde di vaganti, poteva benissimo toccare una mano senza svenire.
“Non abbiamo tutto il giorno, Daryl.” Lo rimproverò Astrid.
“Puoi farti un po’ più indietro?”
Lei lo guardò con incredulità, era impossibile fare un passo senza conficcarsi nella schiena un pezzo di legno.
“Certo, così mi omologo con il legno dell’armadio!”
Daryl a quel punto non ebbe scelta, strisciò sulla parte interna delle ante per raggiungere il lucchetto. Nel farlo sentì il seno di Astrid sul petto per un breve ma intenso secondo. Aveva l’impressione che ogni nervo del corpo avesse iniziato a bruciare, invece era solo la sua mente che si prendeva gioco di lui.
“La fessura è troppo piccola per la mia mano.”
“Provo io.” disse Astrid.
Mise una mano sull’addome di Daryl per farlo spostare, arrossì al solo pensiero di star toccando quei muscoli tonici. Introdusse la mano nella fessura fra le ante e si sporse il più possibile per arrivare al lucchetto.
“Ci sono. E ora?”
“E’ proprio chiuso oppure lo ha lasciato aperto?” domandò Daryl.
Astrid strattonò il lucchetto più volte ma non ottenne risultati. La frustrazione stava avendo la meglio su di lei, quindi tirò e tirò il lucchetto fino  a quando non le fece male la mano.
“Basta. Non si aprirà.”
“Resteremo qui fino a morire di fame? No, grazie!” disse Astrid.
Daryl le afferrò il polso per fermare l’ennesimo tentativo fallimentare.
“Slogarti il polso non ci aiuterà.”
“D’accordo.”
Astrid si rassegnò. L’unica speranza era aspettare che qualcuno l’indomani si recasse alla cisterna e li tirasse fuori dall’armadio.
 “So che andrete ad Alexandria.” Mormorò Daryl.
La luce della torcia galleggiava fra di loro, uno poteva guardare in faccia l’altra.
“C’è questo Eugene che può aiutare Remy con Dorothy. Secondo Ezekiel è arrivato il momento di condividere Dorothy con i leader degli altri insediamenti.”
“Ezekiel ha ragione.”
Astrid oscillò sui talloni, l’ansia di restare bloccata e per di più insieme a Daryl la stava mangiando viva.
“Daryl, devo dirti una cosa.”
Avevano il cinquanta percento di probabilità di rimanere rinchiusi per chissà quante ore dato che la cisterna non era frequentata, perciò tanto valeva la pena fare le ultime confessioni. Daryl era lo sconosciuto, l’uomo delle freccette, l’uomo del gilet con le ali bianche. Ormai ne era certa. Doveva togliersi quel peso dal cuore prima di soffocare per mancanza d’ossigeno.
“Cosa?”
Quando alzò gli occhi per guardarlo, Daryl aveva una strana scintilla negli occhi.
“Io …”
L’anta dell’armadio si spalancò di colpo. Il volto di Carol fu come una stella polare che indica il cammino. La sua preoccupazione diventò curiosità quando vide che Astrid era praticamente incollata a Daryl.
“Interrompo qualcosa?”
Daryl scosse la testa e uscì dall’armadio, stiracchiando la schiena indolenzita.
“Come sapevi che eravamo qui?”
“Ho visto una luce in cima alla cisterna e pensavo che uno di voi due fosse venuto a controllare. Poi ho visto James uscire con tre secchi d’acqua e l’ho colpito.”
“Colpito come?”
Carol fece un cenno del capo verso l’esterno: James era steso a terra con una freccia piantata nella coscia, si lamentava per il dolore. Daryl fece una mezza risata.
“Ottimo.”
Nel frattempo Astrid era in disparte, le mani sepolte nelle tasche della felpa e il mento che ciondolava sul petto. Quando pensava di essere vicina a Daryl, puntualmente era a cento miglia di distanza.
“Astrid, tutto okay?” chiese Carol.
“Sì. Sono esausta, me ne torno a casa.”
Daryl vide Astrid andare via con dispiacere. Avrebbe voluto sapere come stava e cosa ne pensava di James, ma lei sembrava troppo triste e stanca per parlare. Si portò una mano sull’addome nel punto in cui Astrid lo aveva toccato. Ancora una volta sentì un sentimento di familiarità nei confronti di quella donna, ma al tempo stesso non capiva chi fosse e quando l’avesse conosciuta.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Le cose fra Astrid e Daryl si complicano, però questi due sono talmente diversi che risultano comici alle volte.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 10
*** In agguato ***


9. IN AGGUATO
 
Due giorni dopo
Yana era silenziosa mentre riponeva in valigia le ultime cose. Compiva le azioni meccanicamente, un automa a cui sono stati impartiti ordini precisi.
“Ho finito!” esclamò Hunter, entrando nella sua stanza.
La ragazza si riscosse e aggrottò la fronte, incredula che l’amico avesse terminato tanto in fretta.
“Intendi che hai appallottolato i vestiti? Allora sì, hai finito.”
“Ognuno ha la propria tecnica per fare la valigia. La mia si basa sulla rapidità.” Replicò lui.
Yana scosse la testa e si affrettò a chiudere la valigia, poi controllò di non aver dimenticato nulla. Hunter intanto si era spaparanzato sul letto, le mani sotto la testa e le caviglie incrociate.
“Non mettere i piedi sul letto, Hun.” Disse Yana, scocciata.
Erano trascorsi due giorni dallo spiacevole episodio in piazza, e da allora si era chiusa in se stessa.  Hunter la conosceva bene, lei era una persona solare e faceva male sapere che quegli insulti avevano oscurato la sua luce.
“Come stai? Davvero, intendo.”
Yana si fermò e sospirò, era così stanca di fingere che tutto andasse bene.
“Forse hanno ragione, sai. Forse sono soltanto un rifiuto.”
Hunter drizzò la schiena, gli occhi verdi sgranati per la rabbia.
“Non pensarlo nemmeno! Non hai nessuna colpa, Yana. Sono loro dei rifiuti umani.”
La ragazza non si sforzò di sorridere o annuire, era troppo avvilita per essere cortese.
“E’ così che mi vedono tutti? Per gli altri sono un’indiana dalla pelle marrone e basta.”
Hunter si alzò, tutto il suo corpo era scosso dall’adrenalina. Furia e delusione si dibattevano in lui. Conosceva Yana da dieci anni, gran parte della sua vita in pratica, e saperla tanto triste lo dilaniava dentro.
“Loro non vedono un cazzo di te. Nessuno ti conosce. Nessuno sa quanto sei splendida.”
“Non sono splendida considerati quegli insulti.”
“E’ che tu non vedi oltre il tuo naso.”
Yana era confusa. Hunter era uno riservato, uno che non lasciava mai trasparire i suoi sentimenti, invece quella mattina era particolarmente prolisso al riguardo.
“Ma di che stai parlando?”
Hunter si morse il labbro fino a ferirlo, ma non si preoccupò del taglio procuratosi. La sua unica preoccupazione era Yana. Voleva vederla sorridere. Voleva renderla felice.
“Magari piaci a qualcuno, ma sei troppo impegnata a farti le paranoie per notarlo.”
“Io che piaccio a un ragazzo? Mi sembra assurdo. Alla Guardia non abbiamo coetanei e qui mi prendono in giro. Nessuno è interessato a me.”
Hunter si passò una mano sul viso, era esasperato. Non riusciva più a tenersi tutto dentro, sentiva di essere sul punto di esplodere. Doveva confessarle ciò che provava, oppure sarebbe impazzito.
“Sono io quel qualcuno.”
“Qualcuno chi?” domandò Yana, ignara del tutto.
Hunter scoppiò in una risata isterica, era incredibile come lei non vedesse l’ovvio nelle sue parole.
“Mi piaci, Yana. Mi piaci da impazzire!”
Shaap.” Sussurrò Yana, la mano a coprirle la bocca.
Maledizione, aveva detto nella sua lingua hindi d’origine.
“Non capisco cosa hai detto ma non è un buon segno.” Disse Hunter.
La ragazza si strinse nelle spalle, l’imbarazzo era alle stelle e lei non sapeva come gestire la situazione. Non aveva mai capito che Hunter provasse qualcosa per lei, ma ora ogni parola e ogni gesto diventavano più chiari.
“Hun, io … io … non so che dire.”
Hunter abbassò lo sguardo e deglutì. Aveva messo in conto in quella reazione di indifferenza, eppure il suo cuore stava battendo lento mentre le sue speranze si spegnevano.
“Non importa.”
Yana restò immobile a guardare il ragazzo lasciare la stanza. Quando fu sicura di essere rimasta sola, si mise a piangere.
 
Remy si assicurò che Astrid fosse distratta prima di sgattaiolare via. La sorella stava facendo il bagno a Clara, o meglio cercava di lavare i capelli della bambina che era tutta concentrata a giocare con il suo peluche. Sarebbero andate per le lunghe, perciò lei ebbe l’occasione per uscire di casa senza essere fermata. Aveva una meta precisa: casa di Daryl. Voleva chiarire alcune cose con lui prima di lasciare il Regno. Mentre spingeva la carrozzina lungo la strada principale, pensò che quella cittadina pittoresca sarebbe piaciuta ad Iris. Si sfiorò la fede che ancora portava al dito. Era l’unico ricordo materiale di sua moglie, pertanto l’avrebbe indossata per sempre. Dog le andò incontro e le scodinzolò intorno, contento di quella visita.
“Ciao, bello.” Disse lei, accarezzandogli il muso.
Daryl, che aveva sentito il cane abbaiare, si era precipitato fuori. Stava fumando e non sembrava felice di quella interruzione.
“Ci sono problemi?”
“Vorrei parlare con te. Anzi, vorrei scusarmi per quanto è successo.”
Daryl si avvicinò a lei e si appoggiò al tronco dell’albero che incombeva sul portico della casa.
“Scusarti per cosa?”
Remy capì subito che non sarebbe stato facile quel confronto, ma era necessario.
“Mi dispiace di aver detto che Astrid ha una cotta per te. Sono stata meschina. Ma ero frustata per via di Dorothy.”
“Non devi chiedere scusa a me. Devi chiedere scusa a tua sorella, è lei quella che è stata umiliata.”
“Io e Astrid abbiamo già fatto pace. Lei ha compreso il mio errore.” Disse Remy.
Daryl inarcò le sopracciglia. Era davvero assurdo che Remy non avesse la minima idea di quanto Astrid stesse soffrendo.
“Astrid deve sempre capire gli errori, vero? Nessuno capisce lei.”
“Astrid è una persona altruista e sempre disponibile a supportare gli altri.” ribatté Remy.
“Infatti nemmeno sua sorella si accorge che sta cadendo a pezzi. Tu lo sai che Astrid ha smesso di mangiare perché la serra della Guardia è stata distrutta? Lo sai che ha preferito dare le sue razioni di cibo a voi per farvi stare bene? Lo sai che ha molta difficoltà a gestire l’ansia?”
Remy era allibita. Sembrava che quelle accuse l’avessero colpita in faccia come uno schiaffo. Aveva sempre creduto che Astrid fosse quella forte fra le due. Sua sorella sorrideva, aveva una parola gentile per tutti, si occupava dei ragazzi senza tirarsi indietro. La realtà, però, era ben diversa.
“Sono una pessima sorella.”
“Sei tanto intelligente ma non ti accorgi che le persone attorno a te soffrono.” Disse Daryl.
Con un fischio richiamò il cane e tornò in casa, ponendo fine a quella conversazione che aveva preso una piega differente da come se l’erano immaginata entrambi.
 
Carol aveva captato il malumore di Daryl solo dal modo in cui camminava. Lei e l’arciere avevano il compito di interrogare James per scoprire perché rubasse l’acqua, dove la portasse e se avesse dei complici.
“Stai bene? Sembri più irritato del solito.”
“Tutto okay.” Si limitò a dire Daryl.
Carol non insistette, sapeva che l’amico avrebbe parlato solo se avesse voluto. Daryl era una tomba quando si tratta di emozioni e sentimenti, preferiva seppellire tutto e sperare che i cadaveri non risorgessero.
“Ezekiel ha detto che dobbiamo andarci piano con James. Non vuole inimicarsi i Briganti.”
“Ezekiel dice una marea di stronzate.” Chiosò Daryl.
Aprì la porta della cella dove avevano tenuto James in custodia e depositò la balestra per terra. Dog si piazzò vicino all’arma, un monito per chiunque volesse attaccare briga.
“Ciao, Rapunzel.” Esordì James con un sorriso.
Daryl, che non era in vena di scherzi, rimase impassibile. Il suo umore era nero e sfogare la tensione sul ragazzo sembrava un’ottima idea.
“Io faccio le domande e tu rispondi. Semplice.”
“E se non rispondo che succede?”
“Succede che ti caviamo le risposte di bocca con la forza.” Disse Carol, autoritaria.
James rise, sembrava divertito da quelle minacce.
“Essere sculacciato dalla regina sarebbe un onore.”
Non potendo tollerare ancora quella boccaccia, Daryl spalancò il cancello della cella e spintonò James contro il muro.
“Rispondi o ti fracasso il cervello su quel muro. Perché rubavi l’acqua?”
“Per berla.” Rispose James.
Carol alzò gli occhi al cielo, prevedendo un tortuoso interrogatorio.
“Non siamo qui per scherzare. Allora, perché rubavi l’acqua?”
“Per berla fino a esplodere.” Disse James.
Daryl senza preamboli gli tirò un cazzotto che gli lasciò il segno sulla guancia.
“Alla prossima battuta ti pianto una freccia nel petto. Ora rispondi!”
James sputò il sangue a terra e fece un respiro per calmarsi.
“Mi è stato ordinato di rubare l’acqua.”
“Da chi? Qualcuno del Regno è coinvolto?” domandò Carol.
“Dovresti provare a chiederlo ad Astrid. Sai, mi sussurrava i nomi all’orecchio mentre me la sbattevo.”
Daryl gli tirò un altro pugno e questa volta James crollò sul pavimento con il sopracciglio che sanguinava. Il solo accenno ad Astrid lo aveva fatto andare in tilt, le mani che formicolavano mentre il sangue nelle vene scorreva veloce.
“Vediamo di capirci, stronzo: tu rispondi in maniera corretta e io non ti ammazzo di botte.”
“La risposta corretta è questa: noi vogliamo Dorothy.” Disse James.
Carol e Daryl si scambiarono un’occhiata: come era possibile che James sapesse di Dorothy? La cura era un segreto, o almeno così avevano supposto sin dall’inizio.
“Noi chi? In quanti siete?” volle sapere Carol.
La risata di James risuonò nella cella, l’eco che ingigantiva quel suono fastidioso.
“Non capite, vero? Non potete fermarci. Noi siamo ovunque in mezzo a voi. L’obiettivo era portare  le sorelle Williams allo scoperto.”
Quelle poche informazioni bastarono perché Daryl corresse fuori per raggiungere Remy e Astrid. Se James affermava il vero, il Regno non era più sicuro per loro.  
 
Astrid e Jerry stavano caricando i bagagli sul carro quando un rumore rimbombò in tutto il Regno. Era uno sparo. Il fianco del carro esplose in una miriade di schegge di legno. Astrid si sentì afferrare per le spalle e tirare indietro. Credendo di essere attaccata, si dimenò fino a liberarsi.
“Sono io! Sono io!” stava dicendo Daryl.
Jerry era terra, il sangue fuoriusciva a fiotti da una ferita al braccio. Era stato centrato da un grande pezzo del carro. Astrid si tolse la felpa per tamponare la ferita, ma era necessario un intervento esperto.
“Daryl, aiutami a portarlo dentro.”
Quando entrarono in casa, l’arciere sbarrò la porta incastrando una sedia sotto la maniglia. Remy era seduta sul divano, le mani sollevate in aria in segno di resa.
“Che cavolo è successo?”
Anche Yana e Hunter si erano precipitati in soggiorno, entrambi sembravano sconvolti.
“James e i suoi compari vogliono Dorothy.” Spiegò Daryl.
Clara cercò di affacciarsi alla finestra ma Astrid l’acciuffò prima che ci riuscisse. Prese in braccio la bambina e la affidò alle cure di Yana.
“Come fanno a sapere di Dorothy?” chiese Remy, allarmata.
Daryl spiò attraverso la stoffa della tenda, peccato che da quel punto non avesse un’ampia visuale del Regno.
“Non lo so, ma il segreto deve essere uscito allo scoperto in qualche modo. Voi avete parlato con qualcuno? Avete menzionato la cura per sbaglio?”
Remy strinse al petto la scatola di latta che conteneva le istruzioni per la cura come se da essa dipendesse la sua vita.
“No. E’ impossibile. Nessuno di noi può aver sparso la voce. Yana e Hunter lo sanno da una settimana scarsa. Clara non ne capisce molto. Io e Astrid non avremmo mai parlato della cura.”
“Io non l’ho detto neanche a Nabila.” Disse Jerry con un gemito.
Astrid diede un’occhiata alla ferita e arricciò il naso, il sangue continuava a uscire e la ferita andava pulita.
“Hunter, aiuta Jerry. Sai cosa fare.”
“Certo.”
Il ragazzo alla Guardia aveva fatto pratica con Bridget, il medico pediatrico che si occupava dei malati, e sapeva come comportarsi davanti a una ferita. Yana, che di solito lo aiutava sempre, questa volta si mantenne distante. Astrid avrebbe voluto sapere la ragione di quella distanza, ma non era il momento per gli affari di cuore.
“Chi ha sparato?”
“Qualche stronzo che sta con James.” Disse Daryl, gli occhi fissi sulla strada.
La radio sul tavolo della cucina gracchiò un paio di volte prima che fosse udibile la voce di Ezekiel.
“Astrid, Remy, che cosa sta succedendo?”
Remy si spinse fino al tavolo e attivò la radio.
“Ezekiel, ci stanno attaccando. Qualcuno ha saputo della cura e ora la vuole per sé. Che facciamo?”
Daryl fece segno ad Astrid di avvicinarsi alla finestra. Le loro spalle si sfiorarono mentre entrambi guardarono verso un’ombra che si muoveva fuori dal cancello.
“Vi vogliono stanare. James ha detto che tutto quello che hanno fatto serviva a far uscire te e Remy dalla Guardia.”
Astrid rifletté sugli eventi del mese precedente, dall’attacco dei Salvatori all’arrivo al Regno. Qualcosa nella sua mente cominciava a prendere forma seguendo la ragione.
“Non erano i Salvatori che hanno attaccato la Guardia. Se ci volevano stanare, è molto probabile che abbiano inventato che i Salvatori stavano andando a Cowart Lake.”
“Questo vuol dire che quella gente sa della cura da tempo.” disse Daryl.
“Qualcuno alla Guardia ha fatto la spia.” Asserì Remy alle loro spalle.
Astrid si accasciò contro la parete per un momento, appesantita dal tradimento di un membro della sua comunità. Aveva lottato perché la Guardia prosperasse, perché la comunità fosse stabile, e qualcuno di loro si era venduto senza scrupoli.
“L’unico che sa della cura è Ryan. A meno che qualcun altro non l’abbia scoperto, lui è l’unico che potrebbe aver fatto circolare la voce.”
Daryl vide la delusione stampata sui volti delle sorelle. Conosceva bene quella sensazione, quando le persone vicine ti tradiscono e non si pentono. Ripensò a Merle e alla sua alleanza con il Governatore, la mossa di un disperato tipica del fratello. Forse anche Ryan era stato costretto dalle circostanze a tradire la causa per vendere la cura.
“Dovete lasciare il Regno immediatamente.” Disse Daryl con decisione.
“E come pensiamo di fare?” volle sapere Remy.
Daryl si grattò il mento con fare pensieroso, doveva trovare una soluzione in fretta. Astrid gettò una rapida occhiata alla stanza, soppesando le emozioni di tutti.
“Ehi, andrà tutto bene. Usciremo da qui.”
Hunter, che stava fasciando il braccio ferito di Jerry, emise un verso strozzato.
“Smettila con queste cazzate, Astrid. Vogliono ucciderti, preoccupati di questo.”
“Bada a come parli.” Lo riprese Astrid.
A quel punto Hunter gettò nel lavandino la pezza sporca di sangue e si mise le mani sui fianchi, gli occhi verdi infuocati dalla rabbia.
“Smettila di dirmi cosa fare! Tu non sei mia madre! E non sei neanche la mia tutrice perché il mondo non è più quello di prima. Sai una cosa, Astrid? Tu non vali niente. Niente! E’ Remy quella importante, è lei il genio che può trovare la cura. Tu sei solo una pessima spalla. Non sei sposata, non hai figli tuoi, non hai una vera occupazione in questo nuovo mondo del cazzo. Sei soltanto una babysitter!”
Tutti nella stanza trattennero il respiro. Per un secondo sembrava che la vita si fosse fermata. Astrid era inerte, stordita da quelle parola velenose. Aveva gli occhi lucidi e in procinto di lacrimare, ma neppure questo riusciva a fare.
“Hai ragione.”
“Come, scusa?” fece Remy, la voce in falsetto per lo shock.
Astrid sorrise per mascherare l’amarezza, doveva essere forte in un momento tanto critico.
“Remy è il pezzo importante e questa gente la vuole. Noi daremo loro proprio quello che vogliono.”
“Non capisco.” Ammise Jerry, confuso.
“Vuole fare da esca.” Disse Daryl.
Astrid si girò verso di lui e annuì, stupita che lui avesse capito immediatamente i suoi pensieri.
“Esatto. Io faccio da esca fingendo di essere Remy e voi uscite dal Regno. Jerry, sai dove possiamo trovare un auto?”
Jerry era ancora intontito dalla ferita, ma riuscì a fare mente locale per ricordare dove fossero le auto.
“Dovrebbe esserci una Jeep nel capannone dietro la chiesa. Che hai in mente?”
“Remy non può essere catturata per nessuna ragione, quindi deve arrivare ad Alexandria a tutti i costi. Jerry, te la senti di guidare la Jeep?”
“Posso farcela.”
Astrid gli accarezzò il gomito a mo’ di ringraziamento. Si girò in direzione della sua famiglia e assunse un’espressione determinata.
“Voi tutti andrete con via in macchina con Jerry. Fingendo di essere Remy, riuscirò a distrarre quelle persone e voi avrete la possibilità di allontanarvi dal Regno.”
Remy ebbe un capogiro che la costrinse a chiudere gli occhi. Sperava fosse un incubo, ma tutto era come prima quando li riaprì.
“E tu come farai a venire ad Alexandria? Danno la caccia anche a te.”
Astrid lanciò uno sguardo supplichevole a Daryl, voleva che lui andasse in suo aiuto. L’arciere accettò la sua muta richiesta con un cenno della testa.
“Astrid vi raggiungerà fuori città. Oltre i cancelli, lungo la strada che costeggia il fiume, c’è un cartello stradale per la riserva naturale. Fatevi trovare là e aspettate Astrid.”
Astrid sbatté le mani per richiamare l’attenzione, un modo per stemperare l’agitazione che serpeggiava fra di loro.
“Io e Daryl andiamo fuori e facciamo da esca, nel frattempo voi usate la porta sul retro in cucina per arrivare alla Jeep. Remy, mi serve la carrozzina.”
“Io non ce la faccio a portarla in braccio.” Chiosò Jerry.
“Ci penso io.” intervenne Hunter.
Il ragazzo sollevò Remy fra le braccia e Astrid si sedette sulla carrozzina. Daryl andò sul retro per ispezionare il vialetto, la precauzione non era mai troppa.
“Via libera. Andate! Andate!”
Yana strinse Clara fra le braccia e si precipitò dietro a Jerry, che aveva sguainato la spada per ogni evenienza. Attesero sulla soglia che anche Hunter si accodasse.
“Dovete andare.” Incitò Astrid.
Remy le prese la mano e strinse forte, non era sicuro che si sarebbero riviste tanto presto.
“Noi ti aspetteremo. Vedi di sbrigarti, okay?”
“Okay. Ora andate!”
Quando rimasero da soli, Daryl sbarrò la porta e tornò in salotto. Astrid frattanto aveva recuperato le daghe e le stava fissando alla cintura. Le sue mani stavano tremando, faticava a sistemare i passanti dei jeans.
“Sei pronta?”
“No. Ho ucciso solo i vaganti, non ho mai combattuto contro esseri umani. Non sono pronta a uccidere.”
L’arciere le diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla e le regalò un piccolo sorriso.
“Tu li stendi con un pugno e io li uccido. Ci stai?”
Astrid rise, più per smorzare la tensione che per altro. Con la propria mano coprì quella di Daryl che era ancora sulla sua spalla.
“Ci sto.”
L’arciere lasciò che il pollice sfiorasse la clavicola di Astrid, dopodiché ritrasse la mano come se si fosse scottato.
“Contatto Carol ed Ezekiel.”
Astrid rimase a guardarlo per un po’ mentre aggiornava i sovrani, dopodiché appiattì il cuscino sulla carrozzina e si sedette con un sospiro carico di ansia.
 
Daryl trainava la carrozzina cercando di essere il più naturale possibile. Astrid aveva indossato un berretto da baseball nel caso in cui gli assalitori conoscessero le fattezze di Remy. Attraversarono la piazza in gran carriera per riunirsi con Carol in teatro. Era stato attivato l’allarme silenzioso, dunque le strade erano vuote e gli abitanti si erano chiusi in casa. Gli spari erano cessati dopo il colpo al carro, era palese che fosse solo uno strumento per stanarli.
“Daryl.” bisbigliò Astrid.
“Mmh.”
“Voglio solo chiarire che quello che Remy ha detto su di me … su di noi …”
“Era uno scherzo, lo so.” Tagliò corto Daryl.
La bocca di Astrid si contrasse in uno sberleffo. Non capiva da dove provenisse la supposizione dell’arciere.
“Non è come pensi. Ascolta, Daryl, la verità è che ….”
Il portone del teatro cigolò mentre si schiudeva per accogliere i nuovi arrivati. Carol sbucò da una finestra al primo piano e agitò la mano per farsi notare. Astrid maledisse quella donna che la interrompeva ogni volta che tentava di confessare la verità a Daryl.
“Me lo dici dopo. Saliamo.”
Senza preavviso, Daryl la prese in braccio a mo’ di sposa e con il piede tenne aperto il portone. Astrid si aggrappò con le braccia intorno al suo collo per non cadere. Le dita dell’arciere erano delicate sebbene premute nella sua carne per reggerla.
“La distrazione ha funzionato.” Disse Carol, chiudendo il pesante portone.
“Daryl, puoi lasciarmi.” Sussurrò Astrid.
Le guance di Daryl arrossirono, ma distolse lo sguardo per non farsi cogliere in flagrante. Lentamente depose Astrid a terra e fece un passo indietro, anche se avrebbe voluto darsela a gambe dopo tutto quel caldo contatto fisico. Sentiva ancora le mani di lei sul collo e ciò gli faceva venire i brividi.
“Ha funzionato, giusto?” stava dicendo Astrid.
“Sì. Trevor dice che i nostri amichetti si sono piazzati di fronte al teatro. Vieni a vedere.”
Dall’attico del teatro il panorama era mozzafiato, si estendeva per chilometri e chilometri. L’ampia visuale dava loro la possibilità di osservare chiunque si trovasse fuori dai cancelli. Dal binocolo Daryl costatò che si trattava di un esiguo manipolo di uomini e donne con i fucili puntati contro l’edificio.
“Sono circa una ventina di persone armate. Siamo sicuri che non ce ne siano altri?”
Trevor, un omone dai capelli grigi e il viso scarno, annuì con veemenza.
“Abbiamo perlustrato ogni lato del Regno e non abbiamo avvistato nessuno. Ci sono solo loro.”
“Ezekiel sta guidando una squadra nei pressi della cancellata per negoziare.” Riferì Carol.
“Non vogliono negoziare. Vogliono Remy.” Ribatté Astrid con voce cupa.
Daryl si isolò dalle guardie per valutare la situazione senza interruzioni. Qualcosa non gli tornava. Era fin troppo facile risolvere la questione con la diplomazia. Soppesò ogni parola pronunciata da James, provando a collegare gli eventi delle settimane precedenti.
“Ci sono altre persone.”
Carol lo guardò con la fronte corrucciata e Astrid con fare interrogativo.
“Dove?”
“James ha detto che sono ovunque. Non è strano che questi stronzi siano soltanto venti?”
“Sono già qui. Sono all’interno del Regno.” Realizzò Carol.
Astrid stava per dire qualcosa, ma un suono acuto risuonò in tutta la stanza. Un secondo dopo la porta dell’attico fu divelta dai cardini e una decina di persone irruppero.
“Remy Williams! Cerchiamo Remy Williams!”
Astrid sfoderò le daghe con gesti esperti delle mani e indurì la mascella.
“C’è qui sua sorella.”
 
Daryl fu immensamente grato a Carol quando lei gli consegnò la balestra. In quella calca di gente che combatteva non riusciva a distinguere gli amici dai nemici. C’era Violet che stava armeggiando con l’ascia mentre spaccava tavoli, sedie e radio. Fino a poche ore fa credeva che fosse una brava ragazza, una cuoca ottima e una combattente ancora più eccellente. Per tutto il tempo era stato cieco davanti all’evidenza. Non aveva capito l’escamotage dei finti Sussurratori, non aveva compreso appieno il valore di Dorothy, aveva sottovalutato la spavalderia viscida di James.
“Dobbiamo avvisare Ezekiel.” Disse Carol.
Era balzata al fianco dell’arciere in un battito di ciglia. Si era fatta strada fino a lui colpendo i nemici con arco e frecce.
Daryl diede una gomitata in faccia a uno degli assalitori e gli piantò il coltello nel cervello.
“Non possiamo sparare o usare l’interfono, altrimenti attiriamo i vaganti.”
“Hai un accendino?”
L’arciere dapprima parve disorientato, poi interpretò la domanda della regina. Prese un foglio caduto a terra e lo appallottolò, dopodiché lo infilzò sulla punta della freccia e con l’accendino gli diede fuoco. Quello era il segnale che avrebbe messo Ezekiel al corrente che la negoziazione era appena cessata ancora prima di iniziare. Carol prese la mira e scoccò la freccia infuocata.
“Adesso aspet- …”
La regina fu stroncata da un colpo di bastone alla schiena. L’assalitore stava per infierire ancora quando una daga gli centrò il braccio. Carol allora con il proprio coltello lo pugnalò all’addome.
“Grazie, Astrid.”
Astrid raccolse la propria arma, disgustata dal sangue fresco che sgorgava dal petto dell’uomo. Uccidere i vaganti era un conto, ma uccidere essere umani era un altro. Certo, quelle persone erano lì con intenzioni malevoli, ma il solo pensiero di ammazzarli le faceva accapponare la pelle.
“Astrid, alle tue spalle!” gridò Daryl.
Lei si spostò in tempo per non essere ferita. La freccia di Daryl colpì la donna alla schiena e questa si afflosciò sul pavimento, le dita che si contorcevano negli ultimi spasmi prima della morte. Astrid si mise una mano sullo stomaco per respingere i conati di vomito, però era difficile trattenersi con quel tanfo di sangue che aleggiava nell’attico.
“Stai bene?”
La mano calda di Daryl sulla schiena la riportò alla realtà. Si rese conto che lui la stava accarezzando per farla calmare, quindi abbozzò un sorriso.
“Starò bene quando sarà tutto finito.”
La sincerità della donna sorprese Daryl. Aveva conosciuto tante persone e tanti valorosi combattenti, ma nessuno si era mai dimostrato tanto sensibile durante una lotta. Le mani di Astrid tremavano ancora un poco, le sue solite ansie la pungolavano nell’anima.
“Presto sarai fuori di qui.”
Astrid d’istinto gli strinse la mano che reggeva la balestra, un gesto che prima l’avrebbe fatta arrossire mentre ora le era di estremo conforto.
“Okay.”
“Vi sbrigate o vi devo offrire tè con sandwich ai cetriolini?” ironizzò Trevor, la guancia tagliata.
“Non mi piacciono i cetriolini.” Rispose Astrid con una mezza risata.
Quando la nausea scomparve, lasciò la mano di Daryl e serrò le dita intorno alle sue daghe. Si fiondò nella mischia pronta a salvarsi la pelle per uscire da quell’inferno.
 
Carol atterrò l’ennesimo uomo che aveva tentato di ferirla. Dalla grande finestra dell’attico vedeva Ezekiel e le altre guardie del Regno che contrastavano l’attacco del manipolo fuori dai cancelli. Gli spari stavano inevitabilmente attirando i vaganti, che zoppicavano verso il Regno con le bocche che sibilavano come serpenti.
“Ci mancava questa.” Mormorò fra sé.
Astrid con un calcio abbatté un uomo e Daryl subito dopo lo finì con una freccia. Carol aveva notato che fra i due c’era una certa intesa, erano evidenti gli sguardi e le lievi carezze. Era così strano pensare che Daryl fosse interessato ad una donna dopo che per anni la sua unica preoccupazione era stata la sopravvivenza. Non pensava che l’amico fosse un tipo da relazione romantica, invece Astrid stava facendo emergere un lato di lui sconosciuto a tutti.
“Che c’è?” domandò Daryl, ricaricando la balestra.
“I vaganti si avvicinano al cancello. Ezekiel e gli altri non ce la faranno a respingerli.”
Astrid si sporse per osservare meglio gli erranti che ciondolavano in direzione dell’insediamento, le mani simili ad artigli meccanici.
“Io ne conto una decina. Se ci sbrighiamo a risolvere le cose qui, possiamo occuparci anche di loro.”
“No. Tu devi sparire da qui.” disse Daryl.
Astrid detestò il tono imperioso usato dall’arciere, sebbene fosse un modo per dirle che doveva restare viva per arrivare ad Alexandria.
“E’ colpa nostra se vi trovate nei guai. Lasciate che vi aiuti.”
Carol rivide se stessa in Astrid, anche lei in passato era stata divisa fra restare con i compagni e lasciarli per mettersi in salvo. Ma la cura prevaleva su tutto.
“Daryl ha ragione. Tu devi andartene il prima possibile. Se non catturano Remy, proveranno a catturare te.”
“Io non valgo quanto Remy.” Obiettò Astrid.
Uno sparo infranse la vetrata dell’attico. I vetri schizzarono dappertutto, ferendo buoni e cattivi. Daryl aveva fatto in tempo a spingere le due donne al riparo prima di essere investiti dalle schegge.
“Sii più delicato la prossima volta.” Scherzò Carol, massaggiandosi il ginocchio.
“Ahia …” borbottò Astrid.
Una scheggia le aveva procurato un graffio sanguinolento sulla guancia. Non era profondo, eppure bruciava molto.
“Astrid, la tua spalla sanguina.” L’avvertì Carol.
La ferita ottenuta nel bosco un paio di settimane prima si era aperta, il bendaggio si era strappato e lo squarcio aveva ripreso a sanguinare. Lo sforzo fisico aveva indotto le bende a sciogliersi.
“Ora devi andartene.” Disse Daryl.
Carol si mise in piedi e si spazzolò i pantaloni, i quali ormai erano da buttare. Poi le sue orecchie furono circondate dal silenzio. Voltandosi, scoprì che gli assalitori erano stati messi KO. Il Regno aveva vinto almeno lo scontro nell’attico. Aiutò Astrid ad alzarsi e le tamponò la bandana di Daryl sulla guancia.
“Qui è tutto sotto controllo. Ora devi lasciare il Regno.”
“Grazie di tutto, Carol. Spero di rivederti presto.”
Le due donne si abbracciarono e si strinsero la mano come a suggellare la nascita di un’alleanza ma anche di un’amicizia.
“Ci rivedremo.”
 
I polmoni di Astrid bruciavano per la fatica della corsa. Dopo aver lasciato il teatro tramite un’uscita secondaria, lei e Daryl si erano messi a correre verso i cancelli a nord dove c’era un buco nella rete che permise loro di uscire dal Regno. Ezekiel stesso aveva creato quel passaggio per garantire agli abitanti una via di fuga nel caso ce ne fosse stato bisogno. Non ricordava nemmeno più da quanto stessero correndo, sapeva solo che le gambe a un certo punto avevano iniziato a formicolare per la stanchezza. Era talmente sudata che i capelli le si incollavano alle tempie e al collo, facendole venire ancora più caldo.
“Ci siamo.”
Daryl rallentò fino a fermarsi, imitato da Astrid che ringraziò il cielo di poter riprendere fiato. Come da accordo, la Jeep stava aspettando col motore acceso nei pressi del cartello stradale.
“E’ il momento.” Disse Astrid.
Improvvisamente non voleva andare via. Si era abituata ad avere l’arciere intorno, e separarsi le faceva venire il magone. Non poteva perdersi nelle sue fantasie romantiche, non quando lei e sua sorella erano il bersaglio di un gruppo misterioso.
“Posso chiederti un favore personale?”
“Certo.”
“Quando sarai ad Alexandria, puoi tenere d’occhio Lydia? Ha bisogno di qualcuno che le stia accanto.”
Lei annuì, felice di poter aiutare Lydia. In fin dei conti anche nel nuovo mondo continuava a svolgere la sua professione di assistenza seppur in maniera diversa.
“Lo farò con piacere.”
Ebbe un’idea folle, ma ormai aveva combinato talmente tanti disastri che uno in più non avrebbe fatto la differenza. Si issò sulle punte e abbracciò Daryl. Poco importava che entrambi fossero sporchi e sudati, importava solo quell’abbraccio. Daryl la cinse con un braccio per attirarla a sé, godendosi quella vicinanza indolore. Se in passato ogni tocco di cinghia aveva lasciato su di lui cicatrici permanenti, negli ultimi anni aveva imparato che un abbraccio poteva essere un toccasana.
“Astrid …”
“Lo so, devo andare. Un minuto solo.”
Astrid si era totalmente abbandonata ai sentimenti. Aveva desiderato quell’abbraccio e se lo stava prendendo con tua se stessa. La presa di Daryl era debole, quasi avesse timore di toccarla, ma era comunque piacevole. Aveva posato la guancia illesa sul petto dell’arciere e sentiva il suo cuore battere all’impazzata. Era quella vicinanza a farlo emozionare oppure era la scarica di adrenalina dovuta alla lotta? Astrid non seppe dirlo con certezza.
“Astrid, muoviti!” strillò Hunter dalla macchina.
Jerry era sceso, il braccio dolorante che penzolava e la spada che ciondolava ad ogni passo.
“Ora vado.” Disse lei, la voce tremolante.
Sciolse l’abbraccio e fece scivolare le mani lungo il petto di Daryl, sentendo ogni muscolo irrigidirsi al tatto. Si staccò da lui con riluttanza, consapevole che non l’avrebbe rivisto molto presto. Nel frattempo Jerry aveva claudicato fino a loro.
“L’auto è pronta, queste sono le chiavi.”
Astrid abbracciò anche l’amico di vecchia data, ricevendo da lui un sono bacio sulla guancia.
“Grazie per aver protetto me e la mia famiglia. Vi sono riconoscente. Ditelo anche ad Ezekiel.”
“Sarà fatto.” Disse Jerry con un sorriso.
Daryl fece ricorso a tutto il suo autocontrollo per sostenere lo sguardo di Astrid. Ancora una volta una sensazione familiare lo travolse, come quando mangi la tua torta preferita riconoscendo ogni singolo ingrediente.
“Buon viaggio.”
Astrid si incamminò di fretta verso la Jeep, salì a bordo e partì a tutto gas senza indugiare oltre.
 
“Fra venti metri svolta a sinistra.” Disse Remy.
Ezekiel un paio di giorni prima le aveva dato una cartina per arrivare ad Alexandria, segnalando le strade interrotte e quelle libere. Erano le dieci la sera, era calato il buio e faceva sempre più freddo. Astrid era esausta, voleva solo dormire, però doveva restare vigile per guidare. Sui sedili posteriori Hunter fissava fuori dal finestrino e Yana canticchiava per far addormentare Clara.
“Dove vado?”
Remy studiò la cartina alla luce della torcia e con l’indice percorse la strada che stavano facendo.
“Fra trenta metri dovremmo essere arrivati.”
Astrid accelerò, malgrado fosse buio pesto e uno dei fari fosse fuori uso. Era tardi e restare all’esterno con i vaganti che bighellonavano da quelle parti non era fattibile.
“Meno male che avete preso le nostre cose, ho bisogno di una doccia.”
Dopo essersi messi al sicuro in macchina, Jerry aveva fatto dietrofront fino alla casa delle sorelle e Hunter aveva recuperato i loro borsoni. Già avevano perso la carrozzina, non era necessario perdere anche i vestiti e altri effetti personali.
“Ci siamo.” Esalò Hunter, sfiancato da quel viaggio.
Astrid si concesse una risata liberatoria quando le porte di Alexandria furono visibili in mezzo alle tenebre. Era come aver trovato un’oasi nel deserto. I cancelli si aprirono e una figura andò loro incontro accompagnata da un’altra piccola figura.
“Identificatevi.” Ordinò una delle sentinelle sulle torri.
Astrid spense il motore e smontò dalla Jeep con le mani sollevate in segno di resa.
“Siamo Remy e Astrid Williams.”
Le due figure avanzarono fino ad essere illuminate dai lampioni che delimitavano la strada di accesso all’insediamento. Si trattava di un uomo con i capelli legati in una treccia e di una bambina con il cappello da sceriffo.
“Sono Eugene Porter. Sono il membro di Alexandria con cui Remy ha disquisito di scienza. È un vero onore conoscervi.”
Astrid voleva ridere per la pomposità di Eugene, ma si limitò a sorridere divertita.
“L’onore è nostro. Io sono Astrid.”
“E io sono Judith Grimes.” Disse la bambina col cappello.
Rick anni prima aveva detto ad Astrid di essere padre di un maschio e di una femmina, e ora quel cappello aveva un senso.
“Lo so chi sei, Judith. Tuo padre mi ha parlato di te tanto tempo fa.”
Judith sorrise con fierezza e si allungò per abbracciare la nuova arrivata. Astrid si piegò per via dell’altezza della bambina e ricambiò l’abbraccio.
“Benvenuti nella zona sicura di Alexandria.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Tra spari e abbracci siamo arrivati ad Alexandria, che fatica!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


EPILOGO

“Sopravviviamo stando insieme, non separati.”
(Rick Grimes, episodio 1x02)
 
Tre giorni dopo
Daryl decise di fare una pausa, quindi si prodigò per accendere un fuoco e mettere a cuocere la preda che aveva catturato. Quella mattina si era svegliato all’alba per andare a caccia, un’ottima scusa per allontanarsi dalla caotica vita del Regno e starsene da solo. La solitudine gli permetteva di ricaricarsi, di rigenerare il proprio essere prima di avere a che fare con gli altri. Dopo aver sventato l’attacco del gruppo misterioso, Ezekiel aveva ordinato l’incarcerazione di James e che a interrogarlo fosse Carol. Daryl si era insediato nel bosco con la propria tenda, aveva bisogno di aria fresca e pulita. Le mura di una casa spesso lo facevano sentire soffocato, come se l’ossigeno si consumasse in fretta e lui restasse in vita per errore.
“Dog, bello, vieni!”
Il cane gli saltò addosso e gli fece le solite moine con il muso perché aveva fame.
“Ora mangiamo, sta buono.”
Dog si accucciò ai piedi del padrone e attese con pazienza mentre il cibo veniva cucinato. Daryl avvicinò il cane a sé per accarezzargli il dorso, la mano che affondava nel pelo morbido.
“Che c’è, eh? Che cerchi?”
L’animale aveva fiutato qualcosa nella tasca dell’arciere e aveva iniziato ad abbaiare, spingendo il muso contro il gilet di pelle. Daryl infilò la mano nella tasca e ne estrasse un biglietto ben ripiegato in quattro. Qualcuno doveva averlo fatto scivolare senza che lui se ne rendesse conto. Sopra c’era scritto il suo nome. Non riconobbe la grafia, pertanto lo aprì per leggere.
“Sono Remy. So che sembrerà strano che io ti abbia scritto un biglietto, ma sento che devo rimediare al guaio che ho combinato. Tu conosci Astrid. L’hai incontrata circa dieci anni fa al Blue Tavern di Atlanta. Lei stava fallendo nel gioco delle freccette e tu le hai mostrato come inclinare il polso. Dopo poco sei stato arrestato. Astrid non ti ha mai dimenticato. So di aver umiliato mia sorella spifferando in quel modo il suo interesse per te, ma spero che questa piccola confessione possa in parte rimediare a quanto ho fatto. Non è uno scherzo. Ti chiedo ancora scusa.”
Daryl rimase raggelato, tant’è che bruciò il biglietto fra le fiamme. La sua mente gli restituì i flash di una serata di tanti anni fa, quando era stato arrestato per colpa di Merle prima dell’apocalisse. Ricordò di aver giocato a freccette con una ragazza. Ricordò che indossava una giacca di jeans. Ricordò che aveva i capelli tinti di viola e azzurro.
Io sono Astrid, gli aveva detto dopo averlo seguito fuori dal locale.
 
Una settimana dopo, Alexandria
Astrid si aggirava fra le strade di Alexandria senza una meta precisa. Dopo il loro arrivo e l’incontro con il Consiglio, Eugene li aveva accompagnati nella nuova casa che li avrebbe ospitati. Era una villetta su due piani, i mattoni bianchi rivestivano l’esterno e l’interno era ammobiliato in stile vintage. C’erano centrini di pizzo color avorio su ogni superficie; sua madre li avrebbe adorati. Remy e Eugene si era piaciuti sin da subito, entrambi con le loro teorie fuori dal comune e quel senso dell’umorismo che pochi apprezzavano. Clara anche qui si era ambientata grazie ad RJ, Gracie e altri bambini. Yana, dal canto suo, aveva deciso di prendere lezioni di autodifesa da Rosita perché voleva imparare a lottare contro i vaganti. Hunter, invece, non si trovava bene neanche nel nuovo insediamento. Il suo comportamento irrequieto lo portava a odiare ogni nuovo posto che non fosse la Guardia. Aveva paura di essere giudicato dagli estranei, perciò tendeva a isolarsi con la sua chitarra negli angoli più remoti della cittadina.
“Salve.”
Astrid sussultò, il flusso di pensieri interrotto da quella voce profonda. A parlare era stato un uomo, alto e snello, i capelli rasati sui lati e un lungo ciuffo tirato all’indietro.
“Salve.” Rispose lei per educazione.
L’uomo indossava una tuta intera, il blu era stato sbiadito dal sole, che lasciava intendere che fosse impiegato in qualche modo nella comunità.
“Nessuno mi aveva detto che la nuova arrivata fosse così deliziosa.”
Astrid sospirò, quella tattica era vecchia come il mondo e lei non ci cascava.
“Posso sapere il nome dell’uomo dai tentativi maldestri?”
“Io sono Negan.”
Negan si accorse che Astrid aveva fatto un passo indietro, realizzando che lui fosse il mostro di cui si mormorava da tempo.
“La tua fama negativa ti precede.”
“Un uomo deve pur essere ricordato per qualcosa!” esclamò lui, ridendo.
Astrid non era intimorita, piuttosto era curioso come Negan da capo fosse diventato la manovalanza.
“Essere ricordato per spiantare i pomodori dal terreno deve essere memorabile.”
Negan rise ancora più forte. Finalmente poteva parlare con qualcuno che non si lasciava intimidire dal suo passato.
“Si fa quel che si può, Astrid.”
“Hai fatto i compiti, molto bene.” replicò lei in tono fermo.
L’uomo poggiò tutto il peso sulla zappa, ogni movimento era un atto teatrale. Sfoderò un sorriso malizioso.
“Io ti conosco da tempo. Io e i miei uomini abbiamo cercato la Guardia per due anni senza riuscire a trovarla. L’avete nascosta proprio bene.”
“Noi eravamo lì, proprio sotto il vostro naso. Le persone vedono solo quello che vogliono vedere.”
“L’insediamento sotterraneo è un’idea splendida. Chapeau!”
Astrid lo guardò con sufficienza, quei gesti pomposi non l’avrebbero irretita.
“Lo so.”
La loro conversazione fu stroncata da un grido. Tutti gli abitanti abbandonarono le proprie faccende per correre a vedere cosa fosse successo.
“Viene da casa tua.” Le disse Negan.
Astrid senza indugiare sfrecciò verso la nuova dimora. In casa c’erano Hunter e Clara che volevano passare la giornata a guardare la tv. La paura le attanagliò lo stomaco, voleva rigettare l’intera colazione per l’agitazione. Dietro di lei c’era Negan, la zappa fra le mani nel caso fosse utile colpire qualcosa o qualcuno.
“Hunter! Clara!”
Astrid si fece strada fra i presenti a suon di spinte e gomitate, incurante di risultare maleducata. Emise un sospiro di sollievo quando vide Clara accoccolata fra le braccia di Hunter.
“Grazie al cielo! State bene?”
Avvolse entrambi con le braccia, prima baciò la fronte di Hunter e poi quella di Clara. Soltanto dopo si accorse della testa mozzata di un vagante che giaceva sul tappeto di ingresso. La bocca gorgogliava versi strani, le pupille erano bianche e dal naso pendeva una viscosa sostanza nera.
“Qualcuno ha lanciato la testa attraverso la finestra.” Spiegò Hunter.
In effetti il vetro presentava un buco al centro e una serie di frammenti erano finiti fra l’erba. Astrid si guardò in giro per capire se l’artefice fosse rimasto nei paraggi, ma tutto ciò che vide furono volti preoccupati e turbati.
“Che succede? Dov’è mia sorella?”
Remy dovette faticare per superare la folla, era difficile far spostare la gente e al tempo stesso spingere la sedia a rotelle. Giunta ad Alexandria, Eugene si era premurato di farle recapitare una carrozzina nuova di zecca che usavano per il trasporto dei malati in infermeria.
“Remy, siamo qui. Stiamo bene.” disse Astrid.
Remy fece scivolare gli occhi dalla finestra all testa che batteva i denti  marci, l’espressione lugubre dipinta in faccia.
“Siamo di nuovo un bersaglio?”
“Penso di sì. Hai visto Yana?”
“E’ con Rosita per l’allenamento.” Rispose Hunter, stringendo Clara.
Negan osservò le persone accalcate intorno a loro, era piuttosto bravo a capire le persone solo con uno sguardo. Fra i volti affranti c’era una donna che fissava la testa mozzata con una certa soddisfazione.
“Credo di sapere chi possa essere stato.” Bisbigliò lui all’orecchio di Astrid.
“Chi?”
“Voi andate da Gabriel e parlatene con il Consiglio. Mi occupo io di questa faccenda.”
Astrid gli lanciò un’occhiata dubbiosa, non si fidava di quella immotivata offerta.
“Perché mai dovresti aiutarci? Vuoi qualcosa in cambio?”
Negan sorrise, lui voleva sempre qualcosa in cambio purché andasse a suo vantaggio.
“Se vuoi darmi qualcosa, io accetto con piacere. Ma in questa occasione voglio solo aiutarvi perché, se qualcuno vuole farvi fuori, vuol dire che siete importanti e quindi potrebbe esserci un risvolto positivo anche per me.”
Astrid fece un sorriso finto e gli diede una pacca un po’ troppo forte sulla spalla.
“Se fai una mossa falsa, Daryl sarà ben felice di ucciderti.”
“Pensavo che Daryl grugnisse e ringhiasse come un animale. Sa fare anche altro? Magnifico!”
 
Gabriel guardava la testa del vagante con disgusto misto a incredulità. Come era arrivata ad Alexandria? Qualcuno della comunità era il colpevole?
“E’ un lavoro fatto dall’interno. I cancelli, le uscite e  le entrate vengono rigorosamente controllati e non è stato avvistato nessun vagante nei paraggi.” Disse Aaron.
“Forse una delle ultime persone uscite l’ha portata dentro.” Ipotizzò Gabriel.
Astrid sbuffò, era irrequieta sulla panca e aveva iniziato a muovere freneticamente la gamba.
“Per questo motivo ero contraria a lasciare la Guardia. Ora che Dorothy è venuta allo scoperto, io e la mia famiglia saremo per sempre un bersaglio. Dobbiamo nasconderci prima che qualcuno si faccia davvero male.”
Eugene, Aaron e Gabriel erano gli unici informati dei fatti. Ezekiel si era raccomandato di custodire il segreto a costo della vita, e loro avevano accettato in nome di una causa più grande.
“Abbiamo lasciato la Guardia per aiutare Ezekiel.” Obiettò Remy.
“E cosa abbiamo guadagnato? Un’irruzione al Regno, una fuga notturna e una testa mozzata sulla porta. Beh, grandioso!”
Gabriel si mise fra le due sorelle per impedire sul nascere una discussione.
“Alexandria è un posto sicuro, forse è il più sicuro. La sicurezza è migliore degli altri insediamenti. Qui nessuno entra ed esce senza essere prima controllato con severità. Quella testa è stata lasciata da un abitante che deve averla rimossa da un vagante durante una missione.”
“Siamo gli unici che possiamo darvi un aiuto concreto.” Disse Eugene.
“Dorothy è importante per tutti. Non possiamo lasciarvi da sole.” Aggiunse Aaron.
Astrid si morse le labbra fino a farle sanguinare, sperava che almeno il dolore la distogliesse dall’ansia provocata da quell’evento.
“L’uomo catturato al Regno ha detto che la sua gente è dappertutto. Siamo accerchiati da ogni lato. Non sappiamo di chi fidarci davvero.”
“I veri amici restano tali anche nei momenti difficili.” Asserì Gabriel, la voce calma.
“Fino a quando non muoiono.” Ribatté Astrid.
Troppo stanca per continuare quella riunione, lasciò la sala del Consiglio sbattendo la porta. Remy sapeva che sua sorella stava soffrendo, che quella situazione non faceva altro che peggiorare il suo stato d’animo. Dopo la scomparsa della madre, Astrid non era stata più la stessa.
“Io e Eugene faremo il possibile per scoprire se esiste davvero una cura.” Promise Remy.
Eugene annuì e le pose una mano sulla spalla come a stringere quella collaborazione.
“Remy dice il vero. Non per vantarmi perché non è nella mia natura, anche se suppongo che tutti gli uomini ad un certo punto della loto vita …
“Eugene, vai al sodo.” Disse Aaron.
“Io e Remy, unendo le forze, faremo grandi cose.”
“Lo spero. Il tempo scorre veloce.” disse Gabriel.
 
Una settimana dopo, Alexandria
Era pomeriggio tardi quando Yana rientrò dopo la sessione di allenamento con Rosita. Era dura, i muscoli bruciavano dopo ogni allenamento, ma ne valeva di certo la pena. Quando entrò in casa, trovò Eugene e Remy che decifravano il diario e Clara che giocava in salotto col suo peluche. Astrid era uscita per cercare una persona, ma non aveva fatto nomi. Dalla cucina proveniva un odorino delizioso che la costrinse a fare capolino nella stanza. Hunter stava cucinando, era girato di spalle e canticchiava.
“Ciao.”
Lei e il ragazzo non si parlavano da qualche settimana, non dopo quella confessione d’amore al Regno. Hunter la evitava in tutti i modi, non le rivolgeva lo sguardo e a stento la salutava qualche volta.
“Ciao, Hunter.” Ripeté a voce più alta.
Hunter continuò a canticchiare e a versare il sale nella pentola, ignorandola come fosse un moscerino fastidioso.
“Hun, ti prego, parlami.”
Yana sorrise quando l’amico si voltò verso di lei, non sembrava arrabbiato.
“Vuoi la pasta corta o lunga?”
La speranza di Yana di riallacciare i rapporti sfumò. Hunter odiava cucinare, quindi la sua domanda era solo un mezzo per mettere ancora più distanza fra di loro.
“Fa come vuoi. Io non ho fame.”
“Okay.”
La porta di ingresso si aprì e Astrid entrò insieme a Gabriel e ad una ragazza. Yana riconobbe che quella era Lydia, la figlia di una donna che in passato era stata nemica degli insediamenti.
“Piacere, io sono Yana.”
Lydia rimase spiazzata per un attimo. Ad Alexandria non si era fatta degli amici, tutti la tenevano lontana per via dei Sussurratori, ecco perché quell’espansività la stupiva.
“Ehm, ciao. Io mi chiamo Lydia.”
Astrid sorrise, perlomeno riusciva ancora a fare qualcosa di buono per i ragazzi.
“Yana, per favore, mostra la casa a Lydia e poi sedetevi a tavola per cena.”
Yana afferrò la mano di Lydia e la trascinò su per le scale per mostrarle la propria camera. Astrid invitò Gabriel a prendere posto sul divano, prendendo Clara in braccio perché non desse fastidio.
“Ci sono novità?” chiese Remy, massaggiandosi le tempie.
Gabriel annuì, e in cuor suo sperava ancora di non dover accusare un membro di Alexandria.
“Abbiamo trovato chi ha messo la testa mozzata davanti casa vostra. E’ stata Caroline, la donna che ogni settimana esce per fare rifornimento di medicinali.”
“Chi ha condotto le indagini?” domandò Eugene, gli occhi incollati sul diario.
“Negan, con una zappa.” Disse Astrid, divertita.
Eugene si agitò, il ricordo del tempo trascorso al Santuario era ancora vivido e se ne vergognava.
“Negan è una personalità che sa incutere terrore. Forse Caroline ha confessato perché costretta, non dovrebbe essere data per certa.”
“Caroline è la sorella di James, l’uomo arrestato al Regno.” Disse Gabriel.
Remy chiuse il diario e si sfregò gli occhi arrossati dalle ore passate a leggere.
“Sono davvero dappertutto. Avete saputo altro?”
“Per ora no. Aaron conduce l’interrogatorio, forse nei prossimi giorni ne sapremo di più.”
Ripetuti colpi contro la porta obbligarono Astrid ad alzarsi per accogliere chiunque ci fosse dall’altra parte. Aaron aveva gli occhi sbarrati come se avesse visto un fantasma.
“Che c’è, Aaron?”
“Caroline è morta. Si è tolta la vita con un coltello che aveva nascosto nei vestiti.”
Astrid e Remy si scambiarono uno sguardo loquace: portare Dorothy fuori dalla Guardia era stato un grave errore.
 
Une mese dopo, Alexandria
“Provo il vestito che mi piace, esco dal camerino e resto impigliata nella tenda. La stoffa del vestito cede e si trappa. La commessa non è svenuta per miracolo!”
Lydia rise a crepapelle, le lacrime di gioia che le bagnavano le guance. Lei e Astrid, dopo una giornata di lavoro nell’orto, facevano pausa pranzo e la donna si era messa a raccontarle aneddoti divertenti del passato.
“E cosa hai fatto dopo?”
“Ho dovuto comprare il vestito anche se era strappato. Mia madre era infuriata.”
Le due risero ancora, sentendosi libere da ogni brutto pensiero per qualche minuto.
“Grazie, Astrid. Non ridevo così da tempo.”
Astrid le mise un braccio intorno alle spalle e l’avvicinò a sé per baciarle la testa. Aveva capito subito che Lydia aveva avuto una vita difficile. Le cicatrici sulle braccia ne erano un triste e chiaro segno. Capiva anche perché Daryl l’avesse presa a cuore, perché nella ragazza rivedeva se stesso.
“Sono sempre disponibile a condividere le mie figuracce, e ne ho fatte molte!”
Lydia ridacchiò, poi fu deconcentrata dal rumore dei cancelli che si aprivano. Ebbe un fremito, succedeva ogni volta che i cancelli venivano aperti o chiusi. In lei abitava ancora il timore di un attacco dei Sussurratori, sebbene fossero stati eliminati.
“Lydia, sta tranquilla. Va tutto bene.” disse Astrid con dolcezza.
La ragazza d’istinto si fece più vicina e la prese sottobraccio tanto per essere sicura. Si rilassò solo quando la moto di Daryl sfrecciò davanti a loro a tutta velocità. Dog correva appresso al padrone con la lingua che penzolava fuori.
“E’ tornato Daryl!”
Astrid impallidì, pietrificandosi sul posto come una statua. Non vedeva Daryl da un mese e mezzo. Il solo rombo di quel motore bastò per bloccarle il respiro in gola.
“Astrid, stai bene? sei bianca come un cencio.”
“Oh … ehm … sì, sì. Sto bene. Una favola!”
 
Daryl scese dalla moto e si sciolse la banda che gli proteggeva il viso dal vento e dalla polvere. Aveva guidato senza sosta dal Regno ad Alexandria, non aveva tempo per prendersi una pausa. Aaron fu il primo a raggiungerlo, il braccio di metallo che riluceva sotto il sole.
“Amico, che piacere rivederti!”
Dopo una breve stretta di mano e una pacca sulla schiena, entrarono nella sala del Consiglio per ripararsi dal freddo. Dicembre era arrivato, più freddo e tempestoso di quanto si aspettavano. Ogni inverno per loro era come una condanna a morte, alcuni si salvavano e altri no.
“Devo parlare anche con gli altri membri del Consiglio.” Disse Daryl, il respiro affannato.
“Certo. Vado subito a chiamarli, tu aspetta qui e scaldati.”
Aaron si sistemò il bavero del giaccone e si diresse verso la chiesa dove Gabriel stava tenendo un sermone. Daryl uscì fuori dal capanno per fumare, aveva bisogno di allentare la tensione dopo quel lungo viaggio.
In lontananza vide Lydia e Astrid che camminavano a braccetto e ridevano. Poco dopo Lydia captò il suo sguardo insistente e sventolò la mano per salutarlo, al che Daryl ricambiò con un cenno della testa. L’arciere si irrigidì quando le due donne andarono verso di lui.
“Ciao, Daryl!” disse Lydia con eccesiva enfasi.
Astrid aveva tentato di congedarsi con una scusa banale, ma la ragazza l’aveva quasi strattonata perché andassero a salutare l’arciere. Rivederlo era come buttare sale su una ferita aperta. I ricordi di quella fatidica serata la tormentavano ancora, l’ultimo ricordo di una vita normale.
“Ciao.” Mormorò Daryl.
Astrid si focalizzò su di lui perché sentiva che qualcosa lo impensieriva. Certo, Daryl non era un chiacchierone, ma era fin troppo silenzioso e questo era allarmante.
“Daryl, stai bene?”
Daryl scrollò la cenere dalla sigaretta, avrebbe voluto scrollarsi di dosso anche tutta l’inquietudine. Era snervante il modo in cui Astrid sapeva leggerlo dentro anche senza che lui parlasse.
“Ci sono dei problemi al Regno. Dobbiamo evacuare l’insediamento.”
“Perché? Ezekiel sta bene? Carol e Jerry? Nabila?”
“Stanno tutti bene, a parte l’orgoglio ferito di Ezekiel. Due settimane fa un incendio ha distrutto l’impianto elettrico dell’intero Regno, niente corrente e niente luce. La cisterna è stata manomessa di nuovo e l’acqua è finita. Una parte del teatro è crollata.”
Astrid chiuse gli occhi permettendo alla tristezza di avere la meglio su di lei. Vedere la propria casa andare in fiamme, perderla per sempre, era un dolore che si acuiva in tempi in cui trovare riparo era sempre più difficile.
“Com’è possibile? Abbiamo aggiustato tutto nei minimi dettagli. Remy non può aver sbagliato.”
Daryl gettò la sigaretta e la pestò con la suola della scarpa. Si mise le mani in tasca e si morse l’interno della guancia.
“C’erano altri infiltrati nel Regno, amici di James. Penny e Adam hanno mantenuto la loro copertura per distruggere tutto.”
“Anche qui abbiamo avuto un attacco.” Disse Lydia.
Daryl guardò Astrid, che abbassò gli occhi per nascondersi da lui.
“Non ne sapevo nulla.”
Lydia diede una leggera spallata ad Astrid per spronarla a raccontare l’avvenimento, ma la donna restava zitta e con gli occhi puntati a terra.
“Qualcuno ha lasciato la testa di un vagante davanti casa di Astrid e Remy. E’ stata una certa Caroline, che poi si è uccisa in cella. Negan lo ha scoperto.”
“Lydia, lasciaci soli.” Disse Daryl, risoluto.
La ragazza si allontanò senza fare commenti, non era un bene contrariare l’arciere quando era nervoso.
“Io andrei …” provò a defilarsi Astrid.
Daryl l’afferrò per il braccio e la tenne ferma sul posto.
“Perché non me lo hai detto?”
Astrid allora ebbe il coraggio di guardarlo in faccia, facendo ricorso a tutta la sua forza per non sciogliersi come neve al sole davanti a quegli occhi azzurri. La mano di Daryl le stringeva ancora il braccio, era una presa salda ma piacevole, anche fin troppo.
“E’ stato solo un avvertimento che non ha dato frutti. Negan ha scoperto Caroline, l’hanno ingabbiata e il tutto si è concluso con la sua morte. Non c’era motivo di avvisarti per una sciocchezza.”
“Non è una sciocchezza quando si tratta di te.” ribatté Daryl.
Astrid strabuzzò gli occhi, non si aspettava quella vena di disperazione nella voce dell’arciere.
“Non vogliono me. Loro vogliono Remy, è lei quella di cui dobbiamo preoccuparci.”
“Perché fai così, Astrid? Ti sottovaluti in continuazione.”
Daryl si era fatto così vicino che Astrid sentiva l’odore di nicotina come se avesse fumato lei stessa. Ora la mano dell’arciere non era più avvolta intorno al suo braccio, piuttosto il suo pollice la stava accarezzando.
“Sei strano, Dixon. Molto strano. Che ti prende?”
Daryl realizzò con orrore che la sua mano stava toccando Astrid da svariati minuti. Fece ricadere il braccio lungo il fianco, spaventato da quell’intimità.
“Scusami … io non volevo …”
“Non volevi toccarmi.” Concluse Astrid, amareggiata.
“Non è come pensi.”
Lei incrociò le braccia al petto e ridacchiò per scacciare il fastidio.
“Fai così ogni volta, Daryl. Ti allontani quando siamo vicini. Eviti di toccarmi. L’ho capito che non ti sto molto simpatica, ma almeno non dirmi bugie.”
“Astrid …”
“Daryl!” esclamò Gabriel, camminando insieme ad Aaron.
Daryl emise una specie di ringhio. Lui e Astrid venivano sempre interrotti sul più bello. Fra di loro c’era un discorso in sospeso che nessuno dei due capiva ancora.
“Io vado da Remy e Eugene. Fatemi sapere se avete bisogno di me.” disse Astrid.
Daryl la guardò camminare a passo spedito in direzione opposta alla sala del Consiglio, c’era una città intera a separarli.
 
“Tu e il bamboccio avete fatto progressi?” domandò Hunter con la bocca piena.
Erano tutti a tavola e stavano cenando mentre si ragguagliavano sulle ultime novità.
“Forse. Ora stiamo provando il codice morse per la decifrazione.” Disse Remy.
“Chi ha scritto il diario è un tipo sveglio.” Riconobbe Yana.
Astrid era l’unica che piluccava nel piatto senza mangiare. Aveva lo stomaco chiuso e la mente in subbuglio. Era insopportabile non saper gestire le proprie emozioni. Un tempo era brava a farlo, ma dopo la scomparsa della madre qualcosa in lei si era rotto per sempre. Adesso era molto più sensibile, reagiva in maniera molto più esasperante alle situazioni.
“Tu non ricordi proprio nessuno? Magari al Centro c’era qualcuno di particolare.” Chiosò Hunter, masticando.
Remy ci rifletté su senza risultati, non le veniva nessuno in mente. Del resto lei era solo una stagista all’epoca e non aveva avuto mai chissà quali contatti con i piani superiori che si occupavano delle malattie infettive.
“Non ne ho idea. Me ne stavo nel mio piano a eseguire gli ordini del Dottor Bennett, non andavo mai a ficcanasare fuori dal mio laboratorio.”
“Tutto okay?”
Astrid sbatté le palpebre quando notò che Yana le stava picchiettando la mano. Si era talmente persa nei pensieri da non far caso alla conversazione.
“Io devo uscire. Metti tu a letto Clara?”
“Certamente.”
Astrid indossò la giacca e infilò i pantaloni del pigiama negli anfibi, dopodiché uscì in strada per raggiungere l’ultima casa di Alexandria. Camminava a passo di marcia, determinata come un soldato che si prepara alla battaglia. Era pronta a togliersi quel peso dal petto. Doveva chiarire le cose con Daryl prima di incrinare ancora di più il loro rapporto.
Dog era sdraiato sul portico a dormire beatamente, almeno lui riusciva a riposarsi. Astrid risalì i gradini e bussò alla porta. Prese un respiro profondo, preparata a fronteggiare l’arciere. Bussò di nuovo ma nessuno si fece vedere alla porta. Mise le mani a coppa sulla finestra e guardò dentro, appurando che le luci erano spente e che quindi in casa non c’era nessuno.
“Accidenti!” borbottò fra sé.
“Ti serve qualcosa?”
Daryl emerse dal buio, la balestra sulla spalla e un sacco che doveva contenere una preda. Astrid sussultò e si portò una mano sul cuore che batteva forte.
“Mi hai fatto prendere un colpo! Dov’eri? Sono le nove, è buio e fa freddo.”
Daryl lanciò il sacco sulla panca che ornava il portico e abbandonò anche la balestra. Si appoggiò alla balaustra e si mise a braccia conserte.
“Ti preoccupi per me?”
Astrid arrossì, per sua fortuna il lampione illuminava poco la sua posizione. Affondò le mani nelle tasche della giacca e strinse i pugni, ora non era più sicura come pochi minuti prima.
“Ovvio che mi preoccupo.”
“Perché sei qui?” chiese Daryl.
Astrid si dondolò sui talloni, man mano si stava lasciando sopraffare dall’insicurezza. Ora che ce lo aveva davanti, non era capace di affrontarlo. Fu costretta a mentire.
“Sono qui perché voglio aiutare il Regno per l’evacuazione. Ora che Remy lavora con Eugene, io posso dare una mano dove serve.”
Daryl provò una lancinante delusione. Sperava che Astrid volesse parlargli di quella sera di dieci anni fa, invece era lì solo per il Regno. Che stupido, si disse. Una donna non avrebbe mai voluto avere a che fare con uno come lui.
“Okay.”
Astrid si limitò ad annuire. Poi nello sguardo dell’arciere lesse il disappunto e si sentì in colpa.
“Sono qui per un altro motivo, Daryl.”
Finalmente Daryl la guardò, una lieve speranza brillava negli occhi.
“Quale?”
Astrid raddrizzò la schiena, ora era decisa a mettere le carte in tavola e giocarsi tutta la partita.
“Ho capito perché non ti vado a genio. È per la storia delle cicatrici. So di essere stata brusca e invadente, non avrei mai dovuto accennare alle cicatrici. Io non sono più un’assistente sociale e tu non sei più un bambino. So di averti offeso. Mi dispiace tanto per essere stata indelicata, avrei dovuto pensare prima di parlare. Capisco che tu voglia tenere per te quella parte della tua vita, ed è giusto così. Anche se sono stata scortese, tu sei stato gentile e mi hai aiutata. Io mi auguro che tu possa perdonarmi.”
A Daryl veniva da ridere perché lei non aveva capito assolutamente niente. Astrid se ne stava lì, l’espressione afflitta e il corpo che tremava per il freddo. Sembrava così piccola in quel momento che avrebbe voluto abbracciarla.
“Io non sono offeso.”
“Ah, no? E perché ti comporti così?”
“Non ce l’ho con te, Astrid. Sappi solo questo.”
Daryl non aveva voglia di spiegarle le infinite ragioni del suo comportamento. Per quanto non fosse più l’uomo di un tempo, i traumi erano vivi in lui e lo appesantivano con la loro soffocante presenza.
“Va bene.” Disse lei a bassa voce.
“Mmh.”
“Ora me ne torno a casa.”
Daryl non si oppose quando Astrid scese i gradini, immettendosi nel freddo e nel buio. Avvicinarsi a lei, entrare in contatto, significava abbattere dei muri che lui aveva faticato a costruire. Daryl aveva eretto una barriera emotiva che lasciava gli altri fuori. E quando qualcuno riusciva a sgusciarvi dentro, di solito moriva. Era successo a Beth, a Glenn, a Rick e ad altri amici a cui si era affezionato. Solo Carol era riuscita a penetrare quei muri, eppure spesso e volentieri neanche lei arrivava alla fortezza centrale. Astrid era stata come una freccia che segna il bersaglio con estrema precisione. Più la conosceva e più sentiva che quell’armatura che respingeva le emozioni iniziava a sgretolarsi.
“Aspetta!”
Astrid si fermò e si voltò, il lampione si rifletteva nei suoi occhi marroni rendendoli dorati.
“Che vuoi?”
“Io so chi sei, Astrid. Remy me lo ha fatto ricordare.”
Lei spalancò la bocca in segno di sorpresa, colta alla sprovvista da quella rivelazione.
“Tu sai chi sono?”
Daryl si morse le labbra, incerto se proseguire su quel pericoloso sentiero delle emozioni che aveva intrapreso. Però lo sgomento della donna lo incitò a parlare.
“Mi ricordo dei tuoi capelli colorati, della tua giacchetta di jeans, di come ti sei presentata. Ricordo che abbiamo giocato a freccette e che tu eri pessima.”
La gioia invase Astrid, una sensazione di calore che si espandeva in tutto il corpo. Dopo dieci anni aveva ritrovato quel paio di ali.
“La mia mira fa ancora schifo.”
“Sì, un po’.” Disse Daryl, ridendo.
“Avrei voluto dirtelo tante volte, però o venivo interrotta o avevo paura. Insomma, magari non te ne frega niente di ricordarti di me.”
“Oppure sì.”
Astrid era arrossita tanto da sentire le orecchie che bollivano. Daryl la guardava con un angolo della bocca all’insù, un sorriso insicuro ma comunque in bella mostra.
“Sono passati dieci anni, non sono più quella ragazza. Sono invecchiata, i miei capelli non sono più tinti e sono meno felice.”
“Siamo tutti invecchiati.”
“Tu sei un gran figo come al solito.” Disse Astrid con un sorriso malizioso.
Daryl fissò il bordo del marciapiede come fosse la cose più interessante che avesse mai visto. Sarebbe scappato a gambe levate pur di evitare quel complimento, invece fece spallucce e arricciò il naso.
“Non dire certe cose.”
Astrid fece un passo verso di lui, continuava a sorridere compiaciuta.
“E’ la verità. Lo era dieci anni e fa e lo è anche adesso.”
“Dieci anni fa ero uno stronzo.” Disse Daryl senza guadarla.
“Beh, sei uno stronzo anche adesso. Uno stronzo piuttosto simpatico.”
Daryl si lasciò sfuggire una risatina, non è possibile resistere per tanto tempo se qualcosa ti attrae. Quando riportò gli occhi su Astrid, pensò che fosse più bella di pochi istanti prima. Si sentiva come quando a tredici anni ti prendi una cotta per la più bella della classe e non sai come comportarti quando ti parla, finendo col fare la figura dell’idiota.
“Astrid, questa cosa fra di noi non può esistere.”
Astrid perse l’entusiasmo all’istante. Non credeva di andare a sbattere contro un rifiuto del genere. Ci aveva visto sin dall’inizio: l’arciere per lei provava una semplice amicizia.
“Capisco. Non c’è problema. Volevo solo che ti ricordassi di me.”
Daryl si maledisse da solo perché aveva davvero creduto che Astrid avrebbe insistito. Invece lei non aveva battuto ciglio, replicando con serenità. Per un breve momento aveva creduto che tra di loro ci fosse una scintilla, ma si era appena estinta. Imbecille, si disse. Doveva sempre tenere a mente che nessuna donna si sarebbe interessata a uno scarto umano come lui.
“Bene.”
“Buonanotte, Daryl.”
 
Una settimana dopo
Remy era immersa nel diario fino al naso. Era raro che facesse una pausa, neanche a tavola se ne liberava.
“Sento che siamo ad una svolta.”
Astrid non rispose, continuava a guardare fuori dalla finestra con espressione accigliata.
“Astrid, smettila. Non ti tormentare.”
“Daryl è un cretino. Gli avevo detto che poteva chiedermi aiuto per evacuare il Regno e lui sceglie Rosita. Ti rendi conto? Rosita!”
Daryl era rimasto ad Alexandria per discutere con il Consiglio le modalità per evacuare il Regno. Aaron si era occupato di liberare alcune case per far posto ai nuovi arrivati. Astrid avrebbe voluto parlare con Ezekiel, ma Gabriel le aveva gentilmente detto di restare chiusa in casa. Chissà quanti erano alleati di James e Caroline, forse tutti o forse nessuno. Era bene preservare Dorothy a tutti i costi.
“Rosita è più in gamba di te. E’ più veloce, è più forte in combattimento, è più …”
“Remy! Dannazione, pensi che io sia così scarsa?”
Remy lo aveva fatto di nuovo, lo faceva da una vita. Non sempre dosava le parole e spesso offendeva sua sorella senza neanche accorgersene.
“Scusami.”
“Lascia stare.”
Astrid decise di fare una passeggiata per schiarirsi le idee. Aveva bisogno di starsene da sola per placare le ansie. Si sedette su un’altalena e si diede una spinta con i piedi per oscillare. Immaginò suo padre spingerla come quando era bambina. Era una magra consolazione, ma quell’illusione la fece sorridere.
“Perché sei uscita?”
La voce dura di Daryl la fece trasalire. D’improvviso l’altalena si arrestò, le mani dell’arciere aggrappate intorno alle corde della giostra.
“Perché ne avevo voglia.”
Daryl le si parò davanti come un’ombra, vestito di nero nel grigiore della giornata.
“Gabriel ti ha detto di restare al sicuro.”
“D’accordo.”
Astrid si alzò e si incamminò verso casa, intenzionata a stravaccarsi sul divano a guardare film d’epoca.
“Astrid.”
“Devo andare.”
Lei non si voltò, imperterrita a ignorarlo. Daryl era stato chiaro che tra di loro non poteva esserci niente, quindi tanto valeva stargli lontano.
“Astrid, fermati.”
L’arciere l’affiancò e le sbarrò la strada allungando il braccio. Astrid si strinse nelle spalle e si mise le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
“Penserò io a Lydia mentre sarai via. Puoi stare tranquillo.”
“Sei arrabbiata con me?”
Era inconcepibile la stupidità di Daryl. Era talmente cieco di fronte alla verità che Astrid lo avrebbe schiaffeggiato volentieri.
“Sì! Sono infuriata con te perché non capisci!”
“Cosa?”
“Io sono interessata a te. Dieci anni fa pensavo solo di aver trascorso una serata in compagnia di un bell’uomo, ma ora che ti ho conosciuto so che sei una persona eccezionale. Hai i tuoi problemi, lo so bene, ma non ti lasci influenzare dal tuo passato.”
“Non dire altro.” La intimò Daryl.
Astrid scosse la testa, ormai non c’erano reti che potessero trattene il flusso delle parole.
“Mi piaci, Daryl Dixon. E muoio dalla voglia di baciarti da quando ti ho rivisto.”
Daryl si scostò come se si fosse scottato, lo sguardo piantato sull’asfalto. Astrid rise senza entusiasmo, stanca di nascondersi ancora.
“Mi dispiace, Daryl. Lo so che odi queste smancerie, ma non posso fingere che tu sia solo un amico. Per dieci anni sei stato nei miei pensieri, sei stato il punto fermo che mi teneva compagnia nei giorni neri. Io prometto che non ti darò nessun fastidio con le mie fantasie romantiche.”
Remy glielo ripeteva di continuo che il suo animo romantico le avrebbe procurato solo delusioni, e aveva ragione.
“Fallo.” Disse Daryl.
“Di che parli?”
“Hai detto che muori dalla voglia di …”
Le parole gli si annodarono in gola, incastrate sotto le macerie delle botte e delle cicatrici. Il solo pensiero di un bacio – un tocco dolce e caldo – gli mozzava il respiro.
“Tu vuoi che io ti baci? Daryl, non sei obbligato.”
“Fallo.”
Il cuore di Astrid voleva schizzarle fuori dal petto tanta era la felicità. Era la sua occasione. Quel paio di ali erano a pochi centimetri e basta tendere la mano per tastarne le piume. Daryl non la guardava, l’imbarazzo lo schiacciava senza dargli tregua. Astrid lentamente gli circondò il collo con le mani che tremavano. Ogni gesto era calmo e misurato per non spaventarlo. Daryl aveva conosciuto un approccio fisico violento, caratterizzato da schiaffi e pugni, da cinghiate, da sigarette spente sulla pelle. Astrid si mise sulle punte e accostò la bocca a quella dell’arciere, pochi millimetri li separavano. Voleva la certezza che lui desiderasse quel bacio quanto lei.
“Sei sicuro?”
Daryl deglutì, gli sudavano le mani per la trepidazione. In lui paura ed eccitazione si mescolavano facendogli ribollire il sangue nelle vene.
“Sì.”
Astrid sorrise e gli diede un bacio a stampo. Si tirò indietro per accertarsi che lui stesse bene, che non fosse disgustato o irritato.
“Stai be- …”
Daryl la baciò senza preavviso. Astrid accolse bene quel cambio di rotta, dunque gli concesse l’accesso alla propria bocca. Non era un bacio a stampo, questo era vero e intenso. Le mani di Daryl si fecero più audaci tanto da stringerle i fianchi per attirarla. Il bacio aumentava di intensità, era un groviglio passionale e disordinato al tempo stesso.
“Mi spiace interrompervi, ma siamo pronti.”
Aaron era dietro di loro, stava ghignando sotto i baffi. Astrid sentiva le guance avvampare e sorrise con impaccio.
“Dammi due minuti.” Disse Daryl, il fiato corto.
Rimasti da soli, Astrid si staccò e si leccò le labbra per assaporare ancora quel bacio.
“Ti reclamano. Dovreste partire, presto farà buio.”
Daryl si toccò la bocca con il dorso della mano, incredulo di averla baciata.
“Giusto. Allora ti saluto.”
Astrid ridacchiò, l’arciere era simile ad un cucciolo smarrito quando era imbarazzato.
“Daryl Dixon, sei davvero tenero.”
Astrid si tuffò fra le sue braccia e premette le labbra sulle sue di nuovo. Daryl sentì il cuore esplodere, era assurda quella sensazione di felicità che stava provando. Non si sentiva così leggero da anni.
“Ora vai, altrimenti ti tengo con me per sempre. Salutami Ezekiel, Carol e Jerry.”
“Sarà fatto.”
Camminarono insieme fino alla sala del Consiglio, poi l’arciere scambiò due parole con Gabriel e salì sulla moto.
“Oh, che dolce.” la schernì Negan.
Astrid inclinò la testa per guardarlo e sorrise, quell’uomo era davvero strano.
“Sta zitto.”
Daryl si voltò un’ultima volta prima lasciare Alexandria. Astrid agitò la mano e gli regalò un sorriso radioso, sebbene in cuor suo già sentiva la mancanza dell’arciere.
“Ti proteggo io, bambolina.” Disse Negan in tono mellifluo.
“Sei disperato, vero? Ti serve proprio un’amica.”
Negan inarcò il sopracciglio, ma quella sua recita durò poco. Astrid aveva ragione, gli serviva qualcuno con cui sopportare l’odio di Alexandria nei suoi confronti.
“Sei perspicace, bambolina.”
“Chiamami ancora così e ti pianto una daga nel cranio.” Lo minacciò Astrid.
Lui sfoggiò un sorriso carico di malizia.
“Già ti piaccio.”
“Torna a zappare, Negan. E’ quello il tuo posto.”
Astrid imboccò la via di casa, voleva stare con Clara e sbrigare qualche faccenda prima dell’ora di pranzo. Alexandria sarebbe stata casa loro per molto tempo, quindi tanto valeva renderla accogliente. A bloccarle la strada fu l’arrivo di Gabriel, la sua faccia preoccupata non era rassicurante.
“Astrid, posso parlarti in privato?”
“Dimmi.”
Gabriel si spostò lontano dalla calca, non voleva che qualcuno sentisse i loro discorsi.
“Penso sia giunto il momento di ispezionare i depositi segnati sulla mappa.”
“Sono d’accordo. Abbiamo perso fin troppo tempo.”
Il lavoro di Remy e Eugene proseguiva veloce, studiavano il diario notte e giorno e sbucavano traduzioni dappertutto. Astrid non era stata in grado di aiutare la sorella, ma adesso finalmente stava emergendo qualcosa di concreto.
“Quando il Regno sarà evacuato, decideremo come agire.”
“Va bene.”
 
 
Tre settimane dopo
Daryl se ne stava appoggiato alla moto a sistemare le frecce nella faretra. Aspettava che Carol lo raggiungesse per partire. Il Consiglio di Alexandria aveva scelto di perlustrare i luoghi cerchiati sulla mappa, quindi era stata costituita una squadra composta dall’arciere, da Carol e altri due membri ancora sconosciuti. Daryl solo due giorni prima era rientrato dopo aver evacuato il Regno e aver provveduto ad allestire spazi per ospitare Ezekiel e il suo popolo. Erano state settimane frenetiche, a stento avevano dormito e mangiato, e avevano coperto a piedi lunghe distanze.
“Siamo solo noi?”
Carol gli andò incontro, l’arco in spalla e la cintura munita di coltelli a lama sottile.
“Gabriel ha detto che siamo in quattro. Forse gli altri sono Aaron e Rosita.”
“Oppure no.” Disse l’amica ridendo.
Daryl ebbe l’impulso di scappare via quando vide Astrid camminare verso di loro con uno zaino pesante e le daghe in bella vista.
“Ehilà, amici!” salutò Astrid, il solito sorriso allegro.
Lei e Carol si abbracciarono, mentre Daryl guardava il marciapiede pur di evitare di incrociare il suo sguardo.
“Perché vieni anche tu?”
Astrid rimase colpita da quella domanda, sembrava proprio che l’arciere fosse infastidito dalla sua presenza.
“Perché conosco Dorothy meglio di voi. Tramite la radio saremo sempre in contatto con Eugene e Remy in modo da avere tutto l’aiuto possibile.”
Carol captò la tensione, era come una scintilla che crepitava in attesa di esplodere.
“Io vado a fare gli ultimi saluti.”
Daryl maledisse l’amica per averlo lasciato da solo con Astrid, non era in grado di sopportare quella situazione da solo.
“Daryl, c’è qualche problema?”
“No.”
Astrid mise lo zaino a terra, era troppo pesante da reggere, e si dondolò sui talloni.
“Io credevo che dopo quel bacio ci fosse qualcosa fra di noi.”
“Ed è proprio per questo che non dovresti venire. E’ troppo rischioso.” Disse Daryl.
“Tu rischi molto di più se io non vengo. Ascolta, io posso dare una mano perché è da anni che lavoro su quel cavolo di diario. Lo sai che non mi serve il cavaliere dall’armatura scintillante.”
Daryl sbuffò, non gli piaceva l’idea che una persona poco addestrata andasse in missione. Soprattutto, e doveva ammetterlo, detestava l’idea che Astrid potesse restare ferita o uccisa durante uno scontro.
“Come ti pare.”
“Per favore, Daryl, non fare così. Non voglio affrontare un viaggio con te che mi tieni il muso.”
Astrid lo abbracciò e, sebbene lui si fosse irrigidito, rafforzò la presa. Qualche istante dopo l’arciere si rilassò, ma non osò toccarla per quella dannata paura che lo perseguitava. Suo padre gli diceva che rovinava tutto ciò che toccava, pertanto non voleva rovinare anche Astrid.
“Niente muso, promesso.”
“Oh, ma che gentile concessione!” scherzò Astrid.
Daryl non riuscì a trattenersi e ridacchiò, era sorprendente il modo in cui lei lo sapeva coinvolgere.
“Carol sta tornando.”
Astrid si scostò e riprese il suo zaino, fingendo che fosse tutto nella norma. Non voleva che qualcuno sapesse di lei e Daryl, anche perché non sapeva neanche cosa ci fosse effettivamente fra di loro.
“Ci siamo?” domandò Carol.
“Adesso sì!” esclamò Astrid, indicando una persona dietro di lei.
Negan camminava a passo baldanzoso come di consueto, indossava la sua giacca di pelle e il foulard rosso stracciato in qualche punto.
“E quello che ci fa qui?” ringhiò Daryl.
“L’ho scelto io. Negan è sacrificabile, capirete bene la mia scelta.” Disse Astrid.
Carol rise, quella scelta era davvero geniale. In fondo a nessuno sarebbe mancato Negan se gli fosse capitato qualcosa.
“Si parte, ciurma?” disse Negan, compiaciuto.
Daryl lo fulminò con lo sguardo, avrebbe voluto levargli il sorriso dalla faccia a suon di pugni.
“Coglione.”
Astrid emise un sospiro, i rapporti erano già incrinati e nemmeno avevano lasciato Alexandria.
“Faremo così: Daryl e Carol andranno in moto, io e Negan andremo in macchina.”
Daryl toccò il braccio di Astrid per costringerla a guardarlo, e lei gli regalò un piccolo sorriso incoraggiante.
“Sul serio vuoi andare in macchina con quello stronzo?”
“Perché Negan non arriverebbe a destinazione se andasse in macchina con te o Carol. Ci penso io a lui.”
“La tua fidanzatina mi darà le sculacciate se farò il cattivo ragazzo!” disse Negan.
“Fidanzatina?” fece Carol.
“Li ho visti slinguazzarsi poche settimane fa.”
Astrid si sentì avvampare per la vergogna di essere stata beccata come una adolescente.
“Io direi che ora possiamo partire, prima che ci pentiamo di essere nati.”
“Sì, andiamo.” Aggiunse Daryl, imbarazzato.
Pochi minuti dopo varcarono i cancelli di Alexandria con destinazione Atlanta.
Forse erano vicini alla cura più di quanto credevano.
 
Atlanta, nello stesso momento
Iris non ce la faceva più a correre, non quando la sua gamba continuava a sanguinare. Si era fasciata alla bell’e meglio ma occorreva una medicazione adatta.
“Forza, Iris! Non abbiamo tempo!”
Logan la trascinava a fatica lungo i condotti fognari della città, l’unica via sicura per la fuga. I loro inseguitori presto gli avrebbero raggiunti, dunque era necessario accelerare il passo. Iris si piegò in due per una fitta di dolore, il ginocchio cedeva sotto il suo peso.
“Non ce la faccio. Non posso continuare.”
Logan si fermò un momento per farla riposare, guardandosi intorno con attenzione mista a paura.
“Lo so che è dura, che stai soffrendo, ma dobbiamo andarcene. Dobbiamo tornare alla Guardia da Remy e Astrid. Pensa a tua moglie, non ti piacerebbe rivederla?”
Iris si toccò la fede nuziale, l’unico ricordo materiale di Remy, e sospirò. Doveva tornare da lei a tutti costi.
“Posso farcela.”
Logan allora si caricò Iris sulla schiena e si mise a correre, per quanto gli era concesso, verso l’uscita delle fogne. L’unico obiettivo era la Guardia.
 
 
Salve a tutti!
Eccoci alla fine di questa prima parte.
Astrid e Daryl iniziano più o meno ad avvicinarsi (piccola vittoria!).
Ma Logan e Iris che sono ancora vivi? Tadaaaan!
Come andrà a finire? Lo saprete in futuro ;)
 
Spero che la storia vi sia piaciuta.
Spero soprattutto che i personaggi – nella fattispecie Daryl – siano simili alla serie e di non essermi allontanata molto.
Fatemi sapere cosa se ne pensate.
Grazie di cuore per aver letto e seguito la storia.
Alla prossima, un bacio.

 

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