Una nerd, tre liguri e un mare di guai!

di Marydb13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: un'infausto inizio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- Mamma, c'è un Mercer sotto il mio letto! ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- Come farsi arrestare in 10 semplici mosse ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- Terzo incomodo check! ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- L'assassino è... Weatherby Swann? ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5- Di fughe, bische clandestine e patti con il diavolo- Prima parte ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- Di fughe, bische clandestine e patti con il diavolo- Parte seconda ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- Ritorno a casa ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8- Una convivenza difficile ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9- Fuga da (Alcatraz) camera di Mercer ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10- Mostri degli abissi, navi spettrali e donzelle in pericolo ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11- Ritrovarsi e doversi già dire addio (parte prima) ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12- Ritrovarsi e doversi già dire addio (Parte 2) ***
Capitolo 14: *** Special Mr. Mercer come Achille ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13- Segreti svelati ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14- La confessione di Mary ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15- Mr. Mercer in un Night ***



Capitolo 1
*** Prologo: un'infausto inizio ***


I personaggi, all'infuori di quelli creati da me, non mi appartengono, ma sono proprietà della Disney e dei suoi collaboratori; questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Lo stesso discorso vale per le citazioni o riferimenti a canzoni, opere letterarie, cinematografiche, etc. che potreste incontrare all'interno del testo. Es. il titolo stesso non è altro che il titolo del primo libro della serie "Una serie di sfortunati eventi" di Lemony Snicket.
 
 Prologo: un infausto inizio.
Mai accettare l’invito di un Ligure.
 
Pov. Maria Vittoria
 
♪Isse no se de fumikomu goorain bokura wa
 
‹‹Hey, ma che è ‘sta roba?›› Francesca, la ragazza dai lunghi boccoli dorati che aveva posto la domanda, non ricevendo alcuna risposta, fu costretta a ripeterla una seconda volta, alzando sensibilmente il volume della propria voce.


♪Nanimo nanimo mada shiranu
Issen koete furikaeruto mō nai bokura wa♪

 
‹‹Non ne ho idea, ma qualunque cosa sia deve estinguersi, ed in fretta! Sta coprendo la mia musica!›› a rispondere, Marta, una ragazza dai lunghi capelli color rosso fuoco (ovviamente tinti, anche se la proprietaria sosteneva che tale azione rispondesse al bisogno naturale e necessario¹ di fare pendant con il colore della propria moto).
‹‹Sì, che stai ascoltando con le mie casse!›› sbuffò la bionda, alquanto seccata. Non solo aveva monopolizzato il suo impianto stereo, come suo solito, senza manifestare la minima gratitudine, come suo solito, ma aveva anche il coraggio di atteggiarsi a proprietaria minacciata? Roba da matti! ‹‹E comunque sono abbastanza certa che sia la suoneria di un cellulare: mi sembra di sentire la vibrazione›› si ritrovò a riflettere con cipiglio corrucciato.
‹‹Musica? Quello schifo? Non ha un minimo di ritmo… e poi in che lingua sarebbe? Non si capisce niente!››
‹‹Non sei tu che fai il linguistico? E allora renditi utile e traduci!››
Marta passava il 70% del tempo a lamentarsi del fatto che la sua scuola era la più dura, il suo indirizzo il più difficile, la sua classe la più preparata, ed il restante 30% a tessere lodi ed innalzare inni al suo percorso d’eccellenza Esabac. (E poi, il liceo scientifico è il migliore, lo sanno tutti! nd: Francesca)

♪Nanimo nanimo mada shiranu
Udatte udatte udatteku
Kirameku ase ga koboreru no sa …♪

 
‹‹Oh, ma insomma, fatelo smettere! Lucia, belin, alza il c***o da quel c***o di divano e dacci una mano!›› urlò Marta, fissando con occhi spiritati l’amica che, incurante di tutta quella baraonda, se ne stava comodamente stravaccata sdraiata su un divanetto beige, dall’aria molto comoda. La rossa stava chiaramente entrando in modalità “possessione da mugugno genovese”, e quella non era certamente una buona cosa, specie per chi/cosa si trovava nel raggio di 75 metri.
Lucia parve capire l’antifona, ragion per cui evitò di rispondere alle provocazioni della “geno-indemoniata” e si limitò ad alzare pigramente la testa dal morbido cuscino ed a gridare: ‹‹Maryyy! Ti suona il telefono››.
Il gatto, spaparanzato acciambellato sul suo ventre, drizzò orecchie e pelo, infastidito dalle voci stridule melodiose delle bestie fragili fanciulle che riecheggiavano nella piccola stanza (sommandosi, per altro, al campanello della magione, all’abbaiato dei tre cani da guardia, alla suoneria del telefonino e all’impianto stereo che sparava a mille la sigla della prima stagione delle Winx).
‹‹Solo un minuto, Lu›› rispose la diretta interessata, affaccendata ai fornelli nella stanza attigua.
‹‹Le ultime parole famose›› mormorò Lucia, ritenendo la scelta di alzare nuovamente la voce un inutile spreco di energia.
 
Dopo venti minuti, quindici chiamate perse e tredici sigle dei cartoni animati, si decise, finalmente, a degnare le altre della sua (ingombrante) presenza, comparendo da dietro la porta cigolante che separava il soggiorno dalla cucina. Maria Vittoria apparve in tutto il suo orrore splendore, oscurando la luce del caminetto con i suoi 164 centimetri di altezza, per 60 chili di larghezza. Il volto, arrossato dal calore delle fiamme (o dai foruncoli ricomparsi da sotto il fondo tinta, ormai sciolto, che la ragazza si ostinava ad applicare, nonostante fosse perfettamente consapevole che nemmeno cinque chili di stucco avrebbero potuto giovare alla sua causa), era incorniciato da una cascata di boccoli scuri resi, se possibile, ancora più ispidi dal vapore. Gli occhi verdi, l’unico punto di forza della ragazza, insieme alle labbra carnose, erano sormontati da sue sopracciglia che, se non potate regolarmente almeno una volta alla settimana, andavano a riassumere la loro conformazione naturale: il monociglio alla meridionale. “Suo padre con la parrucca”, la definivano gli abitanti del paesino, descrizione a cui Maria Vittoria si sentiva in dovere di aggiungere “e un paio di poppe così grosse, che sembrano due pentoloni”², citando il Boccaccio (seppur utilizzando una similitudine un po’ più “poetica” di quella utilizzata dallo scrittore). Per chi pensasse che avere una sesta di reggiseno potesse essere un buon compenso per l’assenza di bellezza, grazia e fortuna nella sua vita, bisogna sottolineare la scomodità ed i numerosi problemi “tecnici” che tale taglia causa nella pratica sportiva, specie per chi, come lei, aveva fatto delle arti marziali la sua unica di ragione di vita. Non passava mai lezione, senza che il suo istruttore non infierisse sulla sua già esigua autostima, lanciandole frecciatine del tipo: “Sai come mai le donne asiatiche sono state le prime a poter combattere? Perché hanno i capelli lisci e sono piatte”.
 
Quella che a tutti sarebbe apparsa come un’orrida visione fu, per Lucia, una vera e propria apparizione, dato che le avrebbe permesso di non alzarsi dal divano. Si limitò, tuttavia, a salutarla con un: “Alla buon’ora!”, evitando di manifestare alcuna emozione, per paura di consumare le sue pressoché inesistenti riserve di energia.
‹‹Sì, scusate, avevo una pentola sui fornelli e allora…›› provò a scusarsi la malcapitata, ancora intenta ad asciugare il tegame appena utilizzato.
‹‹Belin, se hai dei riflessi di m***a come questi come c***o fai a sopravvivere alle lezioni di Takashi-sensei?›› la incalzò Marta con la solita finezza. “Caratteristica peculiare della popolazione ligure, presumo” si ritrovò a pensare Maria Vittoria, all’ennesimo sfoggio di “virtuosismo” dell’amica.
‹‹E’ quello che si chiedono tutti i miei compagni di karate, in effetti…›› ammise lei, sospirando. La sua riflessione fu, però, interrotta da Marta, timorosa, come tutte le altre, che tale argomento le avesse offerto lo spunto per un monologo lunghissimo ed incomprensibile (solo per i comuni mortali fortunati che non hanno fatto il liceo classico muhahaha nd: Mary): ‹‹Comunque, si può sapere che razza di canzone hai impostato come suoneria? Non si capisce nemmeno una parola, e poi ha un volume altissimo… mi ha rovinato la sigla di Lady Oscar››.
‹‹Mi dispiace, ragazze… ero convinta di aver lasciato il telefono silenzioso hehehe›› disse portandosi una mano dietro il capo, con una mossa simile a quella dei personaggi degli Anime ‹‹Comunque è una sigla giapponese di Naruto Shippuden, se non erro dovrebbe chiamarsi “Silhouette”…››
‹‹HAHA!›› Maria Vittoria fu interrotta dall’urlo esultante di Francesca che stava cercando di capire di che lingua si trattasse da quasi mezz’ora. Era una ragazza incredibilmente curiosa e, per quanto si sforzasse, non poteva proprio fare nulla al riguardo. ‹‹Lo dicevo io che doveva essere una di quelle lingue asiatiche: Giapponese o Cinese o Coreano, o Induista, o come diavolo si chiamano!››
 
‹‹Hem, ma ceeerto›› le confermò lei, imbarazzata, anche se il suo cervello gridava: “Orrore! Induista invece di Indonesiano? Ma come capperoski è possibile confondere una religione con una lingua?”. Ad ogni modo, non le sembrava il caso di contraddire un’amica su una cosa del genere. Del resto poteva semplicemente trattarsi di una distrazione dovuta alla stanchezza.
‹‹Si dice Indi, deficiente!›› la bloccò Marta, sentendosi colpita nell’orgoglio di linguista dall’affermazione di Francesca. ‹‹Mary, sei troppo buona! Devi mostrare più grinta con questi ignoranti›› nel rivolgersi a quest’ultima, cambiò completamente tono di voce e si mise addirittura a darle delle piccole pacche sulla testa, manco fosse un cucciolo. Non riusciva proprio a maltrattarla: era troppo stupida innocente!
‹‹Hehehe, hai ragione…›› tentò di patteggiare Mary (Cervello di Mary: Ma con chi diavolo ho a che fare?) ‹‹Ma Francesca si è sicuramente sbagliata, sai, l’ora tarda››
‹‹Deficiente sarà la tua professoressa di Esabac che ti promuove anche se non sai nemmeno distinguere il Coreano dal Nipponese!›› continuò la discussione Francesca, ignorando completamente i tentativi di mediazione dell’improvvisata paciere di Toscana.
(Cervello di Mary: o lingua nipponica o Giapponese, la fusione delle due parole non esiste!)
‹‹Massì, dai, il freddo›› continuava intanto, Maria Vittoria, seppur consapevole che nessuno nella stanza la stesse ascoltando.
‹‹Stai, forse, insinuando che in casa mia c’è freddo?›› Francesca, da brava genovese, faceva, come si suole dire “orecchio da mercante”.
 
‹‹Mannnò, cosa vai a pensare, intendevo il cambiamento di stagione. Non vooolevo dire che in questo rudere, hem, graziosa villetta si sente la mancanza del riscaldamento. Anche se sì, in effetti, potrebbe anche dirsi vero, dato che qui non esiste alcun impianto di riscaldamento… né elettricità … né acqua corrente. Ma tranquilla, chi ha bisogno di tutte queste messe a norma, hem, volevo dire distrazioni mondane… chissà perché ho detto a norma? Hehehe… Comunque, veramente, chi ne ha bisogno con la splendida vista che si gode attraverso i buchi, hem, le finestre sulle pareti e sul soffitto? E poi, hai visto quello splendido fornello da campeggio? Non sarà comodo come quelli… hem, da cucina? Ma almeno in queste sette ore mi sono esercitata per la prossima nottata in tenda. Senza tenda. Come piace a voi Genovesi.›› (Cervello di Mary: Ti prego Signore aiutami, non so più cosa sto dicendo! E comunque si dice “ci sia”: ♪il congiuntivo è un modo distintivo e si usa per eventi che non sono reali…♪ Mary, smettila di cantare le canzoni di Lorenzo Baglioni e pensa alle cose serie, tipo come non prendere una broncopolmonite fulminate in un fienile il 23 di dicembre. Che con la scusa del clima mite questi Liguri ti fanno morire).
 
‹‹Perché non chiami in causa anche il cambiamento ambientale, per cercare di scusare quelle due ritardate?›› (Cervello di Mary: Lucia alias deus ex macchina! Grazie Signore, lo sapevo che mi avresti aiutata!) Se Lucia aveva deciso di utilizzare la sua preziosa energia per pronunciare una frase così lunga, la situazione doveva essere veramente grave. Eppure le sembrava che fosse tutto perfettamente sotto controllo… Perché Marta stava cercando di affogare Francesca nella mangiatoia nel lavandino? Comunque era (quasi) tutto nella norma. A parte i Capelli di Francesca. In quel momento erano persino messi peggio dei suoi… Chissà quanto avrebbero impiegato ad asciugarsi senza phon… e con quel gelo, poi. Non potevano ghiacciare con 0 °C, vero? Aveva letto in “Ventimila leghe sotto i mari” che il ghiaccio si forma a partire da -1°C. Ma forse con l’acqua dolce era diverso… Tra parentesi, sicuri che quella fosse acqua dolce? Boh, Fra aveva detto di sì e si sa, la padrona di casa ha sempre ragione. 
‹‹La fame… La fame? Oh mamma, la fame!››
‹‹Sì, guarda, le piaghe d’Egitto›› Lucia non parve cogliere la sua espressione spaventata, né il cambiamento di atteggiamento, che si era fatto decisamente più teso.
‹‹Fame… fame… fame››
‹‹Mary, forse è scortese da parte mia ricordartelo, ma se continui a pensare al cibo anche in momenti come questo non riuscirai a perdere neanche un etto.››
 
Il riferimento implicito alla dieta la fece uscire dallo stato catalettico in cui era inevitabilmente piombata: ‹‹Lucia, tu non capisci: la fame!›› iniziò a scrollarla per le spalle, facendo tremare anche il divano, in parte per via della sua poca grazia, ed in parte per la pessima condizione in cui versava l’oggetto. Anche qui, tipico elemento del design genovese.
‹‹Mary, credimi, ti capisco, davvero. Avere fame e non poter mangiare deve essere davvero una cosa terribile. Io, se mi chiedessero di separarmi dal mio amato pacchetto di patatine,  non so se potrei sopportarlo. Ma tu devi resistere: devi farlo per la tua salute anzitutto›› cercò di farla ragionare, ponendole le mani sulle spalle.
‹‹Mannò, non capisci! Fame… voglia di pizza… ordina le pizze… consegna alle 19,30… 15 chiamate perse.... Sono già le otto e sai questo che cosa significa?››
‹‹Veramente no. Perché non ci illumini sul motivo di questa tua improvvisa follia?››
‹‹Oh, andiamo, vuol dire che il fattorino è arrivato 20 minuti fa e noi, tra la musica e l’abbaiato dei cani non lo abbiamo sentito arrivare!›› Maria Vittoria in quel momento era lo specchio della disperazione: continuava a correre avanti e indietro per la stanza senza una destinazione apparente. Le mani, rigorosamente nei capelli, e gli occhi con le pupille dilatate contribuivano a rafforzare quell’idea.
‹‹Poco male: vorrà dire che ordineremo delle altre pizze. L’importante è che non ci abbiano chiesto di pagare comunque.›› Marta si intromise nella discussione. Com’è che quella si preoccupava solo quando si parlava di denaro?
‹‹E secondo voi, se ne fosse andato, mi avrebbe chiamato 15 volte nell’arco di 20 minuti?››
 
‹‹Oddio, Eacos, Minos e Radamantis! Ecco perché continuano ad abbaiare da mezz’ora!›› Francesca ebbe, infine l’illuminazione.
‹‹Speriamo che non sia troppo tardi!›› commentò Marta, accorata, mentre lei e Maria Vittoria trascinavano Lucia di peso; del resto, alzarsi dal divano avrebbe già richiesto un notevole sforzo, figurarsi camminare o, Dio glielo scampasse, correre. Francesca le precedeva, nella speranza di riuscire a fermare i cani in tempo.
‹‹Se così non fosse, dubito che li sentiremmo ancora abbaiare››
‹‹Lu, ma devi proprio essere sempre così inquietante?››
‹‹Sono solo obiettiva. La morte è senza dubbio un qualcosa di razionale, ragion per cui l’unico modo per rapportarsi ad essa è utilizzare il cervello››
‹‹Possiamo non parlare di morte quando c’è buio, per favore? Ci pensa già Mary a terrorizzarci con le sue storie delle vacanze in campeggio››
‹‹Non è colpa mia se i seminaristi si dilettavano a raccontarci i casi di esorcismo di Don Stefano! E poi vi ricordo che siete voi a farmi domande sull’occultismo quando siete brille›› si difese lei, non riuscendo a trattenere una risata.
‹‹Una vera amica non ci risponderebbe!››
‹‹Oh, andiamo, ma se siete tutte atee peggio di Cavalcante de’ Cavalcanti e Farinata degli Uberti³ messi insieme? Francesca ha persino preferito chiamare i suoi cani con i nomi dei tre giudici infernali, piuttosto che con quelli dei tre arcangeli!››
‹‹L’ho fatto solo perché quando me li hai detti la prima volta mi erano sembrati fighi. E poi, come potevo immaginare che ti saresti approfittata della mia ignoranza in materia classica per farmi scegliere i nomi che volevi dare ai tuoi tre gatti, ma che i tuoi genitori ti avevano bocciato?›› ribatté Francesca che, nel mentre, era riuscita a richiamare i cani. Con malincuore si ritrovò costretta a legarli alla catena. Detestava tenerli legati, seppur per pochi minuti come in questo caso.
‹‹Il mio era solo consiglio: potevi benissimo optare per qualcos’altro.›› rispose lei, ovvia.
‹‹Beh, sappi che questa è l’ultima volta che…››
 
‹‹Scusate se vi interrompo, ma non è che potreste aiutarmi a scendere di qui?››
Le quattro alzarono lo sguardo e, solo in quel momento, si accorsero del ragazzo abbracciato ai rami più alti del melo che si trovava al centro del giardino. In effetti ritrovarsi su un melo (che spesso si tende a ricollegare al “frutto” mangiato da Adamo ed Eva, sebbene nell’antico testamento non ne sia specificata la tipologia) con tre mastini chiamati: “Radamantis”, “Eacos” e “Minosse” (ebbene sì, il poveretto aveva fatto il classico e, com’è uso in Italia, si era ritrovato a fare un mestiere poco gratificante) e quattro deficienti che parlavano di divinità infernali, evocazioni ed esorcismi, non doveva essere una situazione propriamente ottimale.
Pagata, finalmente, la cena (impiegarono, infatti, una mezz’ora buona, vuoi per trovare una scala nel garage stracolmo delle cianfrusaglie più disparate, dato che in Liguria non si butta via niente, vuoi per convincere Marta che non poteva minacciarlo di liberare i cani se non gli avesse dato la pizza gratis), se ne tornarono nel fienile diroccato, che la componente ligure del gruppo aveva il coraggio di chiamare “appartamento”.
 
Nonostante le proteste di “mamma Mary”, che esortava quelle bestie di satana soavi fanciulle delle sue amiche ad andare a dormire ad un orario decente, la luce non fu spenta prima delle tre e un quarto. La poveretta non era più nemmeno in grado di capire se fosse il caso di dire “buona notte” o “buon giorno”, tale era stato lo sforzo (mentale e fisico) di sopravvivere ad una partita di monopoli con tre Liguri, di cui una posseduta dal mugugno genovese, come emerso in precedenza.
Come le quattro si furono infilate nei sacchi a pelo, tuttavia Maria Vittoria parve rianimarsi improvvisamente, come suo solito. Aveva raggiunto la temutissima modalità “racconta-aneddoti-a-raffica-se-inquietanti-tanto-meglio”. In particolare, prima che si spegnessero le candele le luci, non mancò di far notare come, tra le stampe appese alle pareti, una assomigliasse alla foto dell’albero di “IT” su cui era appesa la testa di un bambino. Inutile dire che le altre si spaventarono talmente tanto da ritenere impossibile prendere sonno all’interno di quel rudere abbandonato. Avrebbero potuto spostarsi nella vera casa di Francesca, ma sua madre, da brava massaia, aveva sprangato porte e finestre, affinché non gli balenasse la malsana idea di entrare e consumare acqua, energia elettrica o, Dio glielo scampasse, gas. Maria Vittoria, sentendosi incredibilmente in colpa per l’accaduto, si offrì di ospitarle a casa sua, che si trovava a soli 20 minuti d’auto da lì. Le ragazze scelsero due motorini (il pieno costa meno) e arrivarono in soli 13 minuti. Il risparmio di tempo non era dovuto affatto ad un eccesso di velocità (la benzina costa, eh), quanto, piuttosto alla decisione di percorrere l’irta discesa con i motori spenti. Mary aveva provato ad obiettare che poteva essere pericoloso, dati la pendenza, l’assenza di guardrails, il poco margine, il cattivo stato della strada, l’assenza di illuminazione e la stanchezza delle conducenti, ma nessuno le aveva dato retta.
 
Invero, le quattro giunsero a destinazione ancora tutte intere, probabilmente, per merito delle accorate preghiere che Maria Vittoria aveva innalzato all’Altissimo, per tutta la durata del viaggio. Senza perdere tempo, si diressero direttamente in camera da letto. Sì, “si diressero”: non “le accompagnò”. I Liguri tendono a prendere abbastanza alla lettera la frase di cortesia “fate come se foste a casa vostra”. Ma, del resto, Mary preferiva di gran lunga la schiettezza e spontaneità alla falsa cortesia. Avendo a che fare con gente sincera, capire cosa piacesse e cosa no alle sue ospiti era decisamente più semplice.
I posti letto erano quattro; sei se considerato anche il divano letto, ma le 3, terrorizzate, volevano assolutamente dormire con Mary. Ottima difesa, pensò ironicamente lei, mentre si apprestava a portare due materassi nella camera dei suoi genitori, che erano via per lavoro. Sì, li spostò da sola: era Fantozzi con un grembiule a fiori, ma ciò non voleva dire che non avesse almeno un po’ di forza. A qualcosa dovevano pur servire 8 anni di Karate.
Dopo neanche cinque minuti, Mary spense la luce. E anche quella giornata poteva dirsi conclusa!
CLANG! O forse no.
 
‹‹Porca di quella lurida m*******e s*****a e b******a, ma sbattesse ou belin sugli scogli!›› Marta aveva parlato.
‹‹Scusa, non ho colto il francesismo›› disse Maria Vittoria, sbadigliando.
‹‹Scusate, è che mi è caduto il cellulare sotto il letto››
‹‹E prendilo, no?›› Lucia l’avrebbe uccisa volentieri, se non fosse stata troppo stanca per farlo. Strano, non le capitava mai.
‹‹Lo farei, se il materasso di Fra non me lo impedisse, non credi?››
‹‹Fra, sentito, ALZATI SUBI…›› ma fu interrotta prontamente da Maria Vittoria, che le tappò la bocca. (Allora quando vuole i riflessi li ha! Nd: Marta).
‹‹Sta dormendo, deficiente!›› le sibilò Marta in un orecchio.
‹‹Parlò quella che ha terminato il proprio repertorio di parolacce per un cellulare.››
‹‹Temo che l’unica soluzione sia strisciare sotto il letto dall’altro lato, oppure aiutarsi con una scopa… vado a prenderla subito, aspettate un attimo.›› disse Mary, dopo aver sondato attentamente la stanza, seppur evitando di accendere la luce, per non svegliare Francesca.
 
‹‹Ma va, mamma Mary, lascia perdere… non riuscirai a fare le scale con questo buio!›› provò a convincerla Lucia, ma quella non voleva saperne: ‹‹Tranquilla, le avrò fatte almeno un milione di volte: ormai le conosco a memoria!››
‹‹Sì, ma il problema non è salire, ma scendere!››
‹‹Oh, ma figurati, Montale non ha scritto, forse, “ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”? E sua moglie aveva problemi di vista!››
‹‹E, infatti, si faceva accompagnare da Montale che ci vedeva meglio!››
‹‹Ma non credo che le desse il braccio per quel motivo: non era così ciecaaa…›› il rumore che fece Mary rotolando per tre rampe di scale (colpì, nell’ordine una sedia, due comodini, un quadro, tre vasi, due quadri, una vetrinetta e il povero gatto che passava di lì) svegliò, inevitabilmente, Francesca. Forse avrebbe le avrebbe dato meno fastidio accendendo la luce. ‹‹Scusate, giuro che non l’ho fatto apposta… comunque sono riuscita a prendere la scopa, hehehe›› ridacchiò, imbarazzata ‹‹Comunque a questo punto mi sa che conviene accendere la luce.››
‹‹Sarà meglio!››
Solo in quel momento si resero conto che Marta mancava all’appello.
 
‹‹Sarà sotto il letto a cercare il telefono. Certo che poteva anche aspettare Mary.›› Lucia, per quanto si sforzasse, non riusciva a comprendere come una persona potesse decidere di sua sponte di compiere un’azione non necessaria.
‹‹Forse è solo il buio che mi ispira questi brutti pensieri, ma ho una pessima sensazione. Non vi sembra che Marta stia impiegando un po’ troppo? Il letto dei miei non è così grande, e poi c’è troppo silenzio.››
‹‹Mary, ti prego! Stasera ci hai già spaventate a sufficienza, non credi?›› Francesca pareva aver perso un po’ della sua vena razionale, forse a causa della stanchezza ‹‹Comunque, se per silenzio intendi il fatto che Marta non sta sparando parolacce da più di due minuti, sono d’accordo con te. Qualcosa non va.››
‹‹Se fossimo in una fanfiction oserei dire che sotto il letto c’è un buco che porta nel “Paese delle meraviglie”, ma dato che così non è (continua a crederci, cara), direi che potrebbe… essersi persa, essersi fatta male, aver perso i sensi, essere morta o attaccata da un sadico assassino che taglia i capelli rossi alle ragazze per farne un maglione, oppure…›› le fantasie di Lucia furono, però, interrotte da Mary, che aveva notato lo sguardo inquieto di Francesca: ‹‹Hem, oppure non ha ancora trovato il telefono, o ha semplicemente deciso di farci uno scherzo?››
‹‹Uhm, sì, poco scenico, ma probabile›› convenne, infine, Lucia. Ed, in effetti, era l’opzione più logica, o, almeno, lo sarebbe stata se non si fosse improvvisamente sentito un urlo femminile, seguito da altre decisamente più virili.
‹‹Vi prego, aiutatemi, mi sta trascinando dall’altra parte!›› Un urlo agghiacciante. La voce di Marta si udiva incredibilmente nitida dal lato sinistro del letto, ma quando Francesca andò a controllare, non riuscì ad esimersi dall’urlare a sua volta: ‹‹Oh, mio Dio, non c’è nessuno sotto al letto! O è uno scherzo perfettamente riuscito, oppure un’oscura presenza è calata su questa casa!››
 
L’avventura è soltanto cattiva pianificazione.
(Roald Amundsen, esploratore)
 
Note:
1- riferimento improprio ad Epicuro, filosofo greco che distingueva i bisogni umani in: naturali e necessari (es. bere, dormire), naturali e non necessari (es. bere del vino), non naturali e non necessari (es. desiderio di gloria). La necessità di Marta di tingersi i capelli in questo caso appartiene, in realtà, all’ultima categoria e non alla prima, a cui si riferisce ironicamente.
2- citazione (con parole non testuali: la vera frase sarebbe: “con un paio di poppe così grosse, che sembravano due recipienti per portare il letame”) della novella di Boccaccio “Frate Cipolla”.
3- Sono i nomi di due anime incontrate da Dante nel VI cerchio dell’Inferno, dove si trovavano gli eretici (in particolare, gli Epicurei che, secondo l’errata interpretazione medievale, erano atei e dediti al piacere della carne). Il primo era il padre di Giudo Cavalcanti, celebre poeta, nonché amico di Dante; mentre il secondo era stato il più importante capo ghibellino della Firenze del 1200.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- Mamma, c'è un Mercer sotto il mio letto! ***


Capitolo 1- Mamma, c’è un Mercer sotto il mio letto!
 
Anno 2018, 24 dicembre, h 04,15
Genova, Italia (casa di Mary)


‹‹Vi prego, aiutatemi, mi sta trascinando dall’altra parte!›› La voce di Marta si udiva incredibilmente nitida dal lato sinistro del letto, ma quando Francesca andò a controllare, non riuscì ad esimersi dall’urlare a sua volta: ‹‹Oh, mio Dio, non c’è nessuno sotto al letto! O è uno scherzo perfettamente riuscito, oppure un’oscura presenza è calata su questa casa!››
‹‹Ma sono qui, vi prego, AIUTOOO!››
 
‹‹Impossibile, il parroco è venuto a benedire la casa la scorsa settimana.›› se c’era una cosa di cui Maria Vittoria aveva paura (vabbè, una delle cose… vabbè, una delle molte cose) era proprio il diavolo, forse complici i racconti dei suoi educatori sui casi di esorcismo. Eppure era più che certa che quello non potesse essere il caso. In caso contrario si sarebbe già ritirata in un angolo, rosario alla mano, pregando ininterrottamente in stato di shock, cosa che, effettivamente, stava facendo Fra in quel momento. ‹‹Fra, ma tu non eri atea?››
‹‹Io credo solo in ciò che vedo, ed i miei occhi in questo momento mi dicono che il diavolo è li sotto!››
‹‹E quel rosario da dove salta fuori?››
‹‹Hem, sai, un regalo… Non è cortese rifiutare i un dono, lo sai!››, ma Maria Vittoria non riuscì a sentire la risposta, dato che era già corsa verso le scale. Non ne aveva già avuto abbastanza per quella sera?
‹‹AIUTOOO!››
 
‹‹Marta, tieni duro: sto arrivando!›› urlò Lucia, con fin troppa enfasi.
‹‹Ma chi ci crede?! Oddio, se mi prende mi ucciderà!›› doveva aver riacquistato un po’ di lucidità in quell’istante, ma Lucia, invece di sfruttare l’occasione per tranquillizzarla, trovò più opportuno rispondere: ‹‹Hem, effettivamente, non posso darti torto… vabbè, vorrà dire che mamma Mary ti aiuterà!››
E, in effetti, Mary fece la sua comparsa proprio in quell’istante, tuffandosi repentinamente sotto il letto, con una delicatezza tale da far tremare le assi del pavimento. ‹‹La vedo››
‹‹Fai presto, Maryyy!›› Marta era, ormai, in lacrime.
‹‹Ma dove eri finita?›› si limitò a constatare Lucia. Non si sarebbe alzata dal letto neanche alle 11 del mattino, figurarsi alle quattro di notte (o del mattino?).
‹‹A prendere una padella: non sappiamo con cosa abbiamo a che fare!›› le rispose, come se si trattasse dell’azione più logica da compiere in quel momento ‹‹e comunque, mi farebbe estremamente comodo il tuo aiuto, in questo momento: Marta è in stato di shock e sembra…incastrata? Non capisco… se mi aiuti a tirarla fuori, provo a controllare che cosa la trattiene!›› Maria Vittoria non era proprio un esempio di coraggio; tuttavia in quel momento, vuoi l’adrenalina e la consapevolezza di dover aiutare un’amica in difficoltà, vuoi il fatto che era abbastanza certa che ci fosse una spiegazione razionale, stava gestendo piuttosto bene la situazione.
 
‹‹Chiedi a Fra: io ho sonno!››
‹‹E rovinare il momento che potrebbe portare alla sua conversione? Non ci penso nemmeno!››
‹‹Guarda che non è mica in estasi: è lo stato di shock che le fa ripetere le decine del rosario!››
‹‹E tu, quindi, consapevole della gravità dello stato in cui si trova, vorresti portarla vicino alla fonte del suo male?››
‹‹Mpf… sto arrivando›› come le era venuto in mente di iniziare una discussione con lei? Odiava quando si fingeva ingenua (ancor più di quello che era realmente) per incastrare le persone! Maledetta la dialettica classicista e chi l’aveva inventata ‹‹La tengo… Hey, ma mi state prendendo in giro? Lo sento che state tirando!›› disse ansimando per lo sforzo, mentre stava lentamente scivolando sotto il letto, incapace di opporsi alla forza misteriosa.
‹‹Ma se ti sto aiutando! E, poi, Marta è talmente sotto shock che non riesce nemmeno a formulare delle parole di senso compiuto, figurati a muoversi››
‹‹Forse la mia teoria sul maniaco dei capelli rossi non era così infondata, dopo tutto…››
 
‹‹Non credi che, data la mia nota codardia, non mi sarei mai infilata qua sotto, se esistesse anche solo una remota possibilità?›› rispose, vagamente seccata, mentre avanzava verso l’altro lato del letto. Tenere il manico della padella tra i denti la faceva sentire come Rambo in quel momento. Quanto erano belli i suoi coltelli, tra l’altro? Maria Vittoria aveva un’insana ossessione per le armi bianche, specie per i coltelli, unica arma che sapesse utilizzare… per tagliare il cibo. Ma era, comunque un inizio, no? (Cervello di Mary: ‹‹non distrarti, tieni bene a mente quel è il tuo obbiettivo!›› ‹‹Ricevuto! In marcia e dritti verso la meta!›› ‹‹Hem, sono solo due metri… ad esagerare…›› ‹‹Andiamo, un po’ più di entusiasmo!››). Il suo dissidio interiore terminò nel momento in cui raggiunse l’altro lato del letto ‹‹Vedo qualcosa di scuro che la trattiene. Se non fossi certa che le tue assurde teorie mi abbiano influenzato, potrei pensare che si tratti di mani guantate››
‹‹Oddio, Mary, esci subito di lì! Se poi scopro che è solo un altro dei vostri stupidi scherzi, ve ne faccio pentire. Avete quasi 19 anni, porca p*****a!››
 
Fortunatamente, prima che Lucia potesse avere una crisi isterica (di possedute dal mugugno una bastava e avanzava), Maria Vittoria ebbe, forse, la prima buona idea della sua vita. Dato che non riusciva a liberare l’amica con il solo ausilio delle mani, decise, allora, di colpire la “trappola sconosciuta” con la padella. La ragazza fu immediatamente rilasciata e fu trascinata fuori dal letto da un’ansimante Lucia, che non aveva smesso di tirare per un secondo. Quest’ultima, impreparata all’improvviso rilascio, finì con lo scontrare la pesante cassettiera di legno posta poco più in là, venendo irrimediabilmente sommersa dalle carte del padrone di casa. Qualcosa le diceva che Maria Vittoria non sarebbe stata felice di sapere che la mattina successiva avrebbe dovuto riordinare una cosa come 700 fogli, fascicoli e cartellette. Del resto non era, certo, colpa sua se aveva liberato Marta senza alcun preavviso. Ad ogni modo, onde evitare che l’amica decidesse di iniziare subito l’opera di “ripristino documenti d’ufficio” (il che avrebbe significato non poter dormire, oppure, ancora peggio, cambiare stanza. Aveva già dato fondo a tutte le sue energie fino al mese prossimo, per aiutare Marta.), spense la luce. Occhio non vede, cuore non duole.
In quel momento, Mary sbucò da sotto il letto con uno scatto repentino, terrorizzando a morte le amiche ancora scosse.
‹‹Oddio, il diavolo! C’è il diavolo sotto il letto, sta venendo a prenderci!››
 
‹‹Fra, stai calma, sono solo io, e ti posso garantire che sotto quel letto non c’era nessuno a parte noi. Anche se vi posso confessare che, nel panico del momento, potrei giurare di aver sentito un urlo di dolore›› fece pensosa, ma, notando le occhiate terrorizzate delle compagne, si affrettò ad aggiungere: ‹‹Che fervida immaginazione, vero? Hehehe dovrei leggere meno libri ed evitare di ascoltare i deliri di Lucia››
‹‹Non hai una fervida immaginazione›› le atone parole di Marta le fecero voltare tutte nella sua direzione (non che cambiasse qualcosa, dato che col buio non vedevano quasi nulla e nessuna si era presa la briga di riaccendere la luce). Persino Francesca smise per un istante di profetizzare l’avvento dell’Anticristo.
‹‹Cosa intendi?›› Maria Vittoria le fu subito appresso, per nulla offesa dalle sue parole. Del resto, lei era la prima ad iniziare a ripetere frasi prive di alcun significato, quando aveva delle crisi di panico: sapeva perfettamente come ci si sentiva. Una volta, in terza superiore, si era bloccata durante l’esposizione di un PowerPoint su ‘The Tempest’ di Shakespeare e, quando la professoressa di Inglese le aveva domandato se avesse studiato, lei aveva iniziato a dire cose del tipo: “NO! NO, io non parlerò mai! Dovesse costarmi la vita, io non dirò una parola di ciò che so!”. Si era sbloccata solo nel momento in cui Luca, il suo migliore amico, le aveva tirato una sberla, talmente forte, da scagliarla contro la lavagna. Aveva, poi proseguito l’esposizione come se nulla fosse accaduto, tra gli sguardi allibiti dei compagni e dell’insegnante, ed aveva ottenuto persino un bell’otto e mezzo.
‹‹Qualcuno ha gridato e ti posso assicurare che è qualcuno che non vorresti avere di fronte››

*****
Anno 1729, 24 aprile, h 03,30
Port Royal, Giamaica (palazzo del governatore)

TOC, TOC!
‹‹Avanti!›› un uomo sulla cinquantina varcò la soglia dell’improvvisato ufficio del Governatore della Compagnia delle Indie Orientali, con passo marziale. L’uomo che si trovava dietro la scrivania riccamente intarsiata, ancora intento a firmare ed impilare scartoffie nonostante l’ora tarda, gli fece segno di avvicinarsi, con fare stanco. Le profonde occhiaie che gli solcavano il volto lasciavano presagire che le ore di riposo mancato non dovevano essere pochissime. Continuò a scrivere per un paio di minuti, mentre l’altro attendeva in piedi, rispettosamente in silenzio. Quando, finalmente, si decise a degnarlo della sua attenzione, si limitò a sospirare: ‹‹Mr. Mercer››, con un sorriso stanco sul volto.
 
‹‹Signore›› rispose lui, chinando educatamente il capo in segno di rispetto.
‹‹Che notizie recate?›› Lord Beckett era l’unico uomo altolocato a rivolgersi a lui in maniera così rispettosa, a dispetto dei suoi infimi natali. Trattava con il massimo rispetto chiunque si dimostrasse degno della sua attenzione, secondo il criterio del merito e non della classe di appartenenza. Certamente, non poteva esimersi dal comportarsi nella maniera più educata possibile nei confronti dei notabili del luogo, seppur la maggior parte di essi non meritasse, a suo avviso, un tale privilegio, ma, del resto, il galateo e il suo nuovo status sociale non gli permettevano altrimenti. Un altro motivo per cui Ian Mercer avrebbe eseguito i suoi ordini senza la minima esitazione, finché il suo superiore lo avesse ritenuto opportuno.
‹‹Turner è partito alla ricerca di Sparrow e della bussola. La signorina Swan si trova in cella ed è posta sotto stretta sorveglianza, come da Voi richiesto. L’ex Commodoro Norrington non è stato ancora trovato, ma i miei contatti ritengono che ci siano buone possibilità che si trovi a Tortuga›› l’uomo fece una piccola pausa prima di continuare. Non era certo di come il suo superiore avrebbe reagito alla notizia.
 
‹‹E’ tutto?›› Lord Beckett teneva i gomiti sulla scrivania ed il capo posato sulle mani intrecciate, il volto inespressivo.
‹‹Norrington non è solo, alcune fonti dicono di averlo visto in compagnia di una banda di disperati. Pirati, contrabbandieri falliti, ubriaconi e mariani troppo vecchi persino per camminare sulle proprie gambe senza l’ausilio di un bastone. E alla loro guida… Jack Sparrow, l’ignobile traditore.››          
‹‹E il Governatore?›› Beckett cambiò velocemente il discorso. Solo chi lo conosceva bene, come Mercer aveva, per l’appunto, l’onore di vantare, si sarebbe accorto dell’ombra che gli aveva oscurato il volto per un fugace istante. Chiunque altro avrebbe visto solo lo specchio della serietà e compostezza.
‹‹Collaborerà: abbiamo sua figlia, dopo tutto›› vedendo il lieve ghigno comparso sul volto del suo superiore nell’udire quelle parole, anche Mercer si trovò a mostrare una parvenza di sorriso, sul suo volto solcato da lunghe linee argentee. ‹‹Avete altre disposizioni per me?››
‹‹Non al momento. E’ stata una giornata estremamente faticosa per entrambi›› l’accentuazione di quella parola richiamò nella mente di entrambi un’immagine che li fece rabbrividire. La parte più difficoltosa era stata, al contrario di quanto si possa pensare, convincere il pastore a non celebrare le nozze. O meglio, non il pastore in sé (il pover’uomo aveva iniziato a tremare come una foglia nel momento stesso in cui Mr. Mercer aveva messo piede nella modesta canonica. Se Cutler Beckett avesse potuto leggere “I promessi sposi” di A. Manzoni, l’avrebbe definito un “Don Abbondio”.), quanto piuttosto placare quell’indemoniata della sua assistente (che, sempre se Lord Beckett avesse potuto conoscere il Manzoni, avrebbe definito “perpetua”, per antonomasia). L’arzilla vecchina, infatti, simpatizzava per la signorina Swann, sostenendo che la sua bellezza e vitalità le ricordassero la sé stessa di quarant’anni prima (anche se il parroco, che l’aveva conosciuta all’epoca, non pareva particolarmente concorde con la sua versione) ed aveva un debole per Mr. Turner (se all’epoca non fosse stato ritenuto contrario al “buon costume”, l’avrebbe definito “un bel manzo”). Cutler Beckett, in quanto presunto gentiluomo, non poteva, certo, sbarazzarsi persuadere un’anziana signora, ma nulla gli impediva di affidare l’ingrato compito al suo fedele assistente. Mr. Mercer, che nella sua lunga carriera di assassino aveva commesso crimini ben peggiori che disfarsi di un’insopportabile comare (ed in cuor suo provava compassione per il povero parroco oppresso), non si era, certo, fatto pregare. Se solo avesse potuto immaginare di che cosa quella bisbetica fosse capace! Sarà stato il fatto che era ancora stanco per il lungo viaggio e l’aveva sottovalutata, sarà stato il fatto che, nemmeno lui era così privo di scrupoli dal destinarle una morte dolorosa, fatto sta che fu lui a rischiare di rimetterci le penne e l’orgoglio. Se poi aggiungiamo la perplessità degli altri soldati, che, non essendo mai stati addestrati per sedare vecchiette omicide, avevano esitato ad intervenire, forse riusciremo a inquadrare meglio il motivo per cui il temutissimo Mercer si era ritrovato in completo svantaggio. Tra mosse subdole, quali gomitate in mezzo alle costole (che sarebbero passate alla storia come “gomitate alla vecchietta”), bastonate secche su ginocchia, mani e polpacci, tentativi, fortunatamente non riusciti, di accecarlo con un ago da lana (la vista le era diminuita con l’età, ma, se il tempo fosse stato più clemente con lei, Mercer avrebbe potuto dire addio ad entrambi gli occhi) e minacce, quali “ricordatevi che Dio vi vede!” e “non preparo più la crostata di albicocche per la sagra della pastafrolla” (dichiarazione che aveva turbato l’intero corpo di guardia. Non poteva essere seria, vero? VERO? VERO?), del povero sventurato non sarebbe più rimasto nulla da salvare, se il Signore, impietosito, non le avesse bloccato la schiena con un “colpo della strega”.
 
I due impiegarono qualche minuto a riprendersi completamente, in particolare Mercer, che continuava a controllare di possedere ancora gli occhi, quasi temendo che la vecchietta indemoniata potesse spuntare da un angolo e cavarglieli.
Cutler Beckett scosse la testa, un sorriso stanco in volto. Ne avevano passate tante insieme, ma questo era uno di quegli episodi che non avrebbe scordato tanto facilmente. ‹‹Buona notte Mr. Mercer. Io mi ritiro e dovreste farlo anche voi. Cercate solo di stare a portata d’orecchio nel caso in cui avessi urgentemente bisogno di voi›› (So che suona male, ma vi giuro che non è quello che state pensando)
Ancora non aveva idea di quanto quella frase, pronunciata quasi per circostanza, gli sarebbe tornata utile poco più tardi.
‹‹Come desiderate, buona notte signore››
 
Cutler si diresse verso la propria (o, almeno, lo era diventata dopo che l’aveva sequestrata al Governatore Swan), stanza con passo lento e stanco. Per quanto la giornata fosse stata incredibilmente fruttuosa, aveva indubbiamente richiesto una notevole dose di energia. Perché i libri di storia fanno sempre sembrare i colpi di stato così semplici ed indolori (per la parte vincitrice, ovviamente)? Gli storici hanno una vaga idea di che cosa significhi dover trascorrere tre mesi su una nave che, in confronto all’immensità del mare non è più imponente di un guscio di noce trascinato dalla corrente di un fiume? Infiltrarsi nella cerchia delle persone “giuste”, corrompere, insidiare, trascorrere anni tramando nell’ombra e reclutando uomini valorosi e pronti a tutto, arrivare perfino ad uccidere pur di raggiungere l’obbiettivo finale. No, non se ne rendono conto fino in fondo; in caso contrario non deciderebbero di dedicare la propria vita ad eternare i fautori di tali contorte macchinazioni. Perché si sa, la storia la scrivono i vincitori e, in questo mondo, le persone innocenti difficilmente sono tra questi. Fidatevi di chi la storia la vive, non di chi pretende di raccontarla e ordinarla dall’alto, come se non fosse, anch’egli, uno degli uomini mortali che popolano questa terra. Non importa in quanto grandi siano i monumenti eretti in suo onore, non importa a quanti manoscritti sia stata affidata la memoria della sua gloria. Nulla è eterno, nulla viene ricordato per sempre. I periodi storici definiti “bui”, “oscuri”, “secoli di transizione” altro non sono che buchi nel libro della storia dell’umanità a cui storici, filologi ed eruditi di ogni nazione si sforzano di applicare delle toppe. Come può il Medioevo ellenico essere retrocesso al “rango di epoca buia” solo perché i popoli che invasero la Grecia in quel periodo non si curarono di lasciarne memoria scritta ai venturi? Stiamo, comunque, parlando di chi sconfisse il popolo degli eroici Achei, le cui gesta sono narrate nell’Iliade e nell’Odissea. Sono forse, quest’ultimi più meritevoli dei propri vincitori*?
 
Perso nei suoi pensieri, quasi rischiò l’infarto quando scorse una sagoma scura sbucare fuori dal suo letto (veramente, sotto… non pensate male hahaha) all’improvviso.
‹‹AAAAAAAAAAAA!!!›› gridarono contemporaneamente, per poi tuffarsi, l’uno sotto il letto, e l’altra sotto le coperte. Accortisi dopo pochi istanti di aver sbagliato “rifugio”, invertirono le postazioni, sempre urlando come due deficienti.
‹‹Mr. Mercer, aiuto!›› Per quanto mi piacerebbe poter scrivere che le urla di Lord Beckett fossero talmente acute da assomigliare a quelle di una ragazzina, purtroppo la vita non è una fanfiction. Le cose bizzarre possono accadere (vedi l’episodio della vecchietta), ma non i miracoli (ovviamente non intendo quel tipo di miracoli: non c’è bisogno di chiamare la Santa Inquisizione, giuro!) e, ahi noi, il fatto che un Lord inglese (= lontano discendente dei Vichinghi) possa strillare come una donnicciola rientra certamente nell’ultima categoria. Ad utilizzare una voce fuori dal comune era, invece, Marta che, causa la possessione da mugugno genovese, aveva assunto un tono talmente basso e scontroso (sì, persino nell’urlare spaventata), da risultare piuttosto mascolina. Forse fu per quello che, Cutler, riacquisita un minimo di lucidità, aprì il primo cassetto del comodino e ne estrasse la pistola d’emergenza, puntandola contro lo sgradito ospite. ‹‹Mani in vista!›› ordinò con tono duro.
‹‹Nooo! Non sparare, ti pregooo!›› Marta, presa dal panico, invece di fare come le era stato ordinato, si era gettata ai suoi piedi in lacrime.
 
Fortunatamente, Beckett aveva riacquistato i soliti nervi d’acciaio, altrimenti non ci avrebbe pensato due volte a fare fuoco su quello che, di primo acchito, poteva sembrare un individuo pericoloso. Si limitò, invece, ad inarcare un sopracciglio per via della totale mancanza di rispetto della ragazza (ovviamente in Inglese si capisce suuubito se hai utilizzato la seconda persona singolare o plurale) e disgustato dalla sua totale mancanza di orgoglio (Ricordiamo che Cutler era ancora convinto che si trattasse di un uomo, complici il buio, la sua voce virile e l’abbigliamento. Nessuna donna avrebbe mai indossato dei pantaloni prima del 1900, tranne Giovanna d’Arco che, come sappiamo, non fece una bella fine). Non fece in tempo ad analizzare meglio la situazione che Mercer piombò nella stanza come una furia, scardinando la porta al suo passaggio. Se avesse provato ad abbassare la maniglia, si sarebbe reso conto che la porta era aperta, ma, temendo per l’incolumità del proprio superiore, decise di sfondarla direttamente ‹‹Lord Beckett! Cosa sta succedendo?››
Il rumore dell’urto, sommato a quello del vociare degli altri soldati, richiamati da tanta confusione, non fece altro che spaventare ulteriormente Marta. La poveretta, ormai incapace di intendere e di volere si ritrovò, chissà come, ad abbracciare le ginocchia di Beckett, facendogli perdere, irrimediabilmente l’equilibrio.
‹‹Mr. Mercer, aiutatemi! Questo depravato non vuole lasciarmi andare!›› Nulla terrorizza un uomo più di un altro uomo che attenti alla propria virtù, e Cutler non faceva eccezione alla regola. A onore del vero, la posizione risultava tremendamente equivoca, e ricordiamo che per lui Marta era un uomo.
 
Mercer sembrò pensarla allo stesso modo: ‹‹Arrivo subito, signore! Gillette, con me! E voi, uomini, bloccate tutte le uscite: chi ha osato prendere la virtù di Lord Beckett con la forza la pagherà, e la pagherà anche cara›› un ghigno sadico si dipinse sul suo volto sfigurato dalla preoccupazione.
‹‹Ma cosa dite?! Nessuno ha attentato alla mia virtù… per il momento. Ma se non vi date una mossa ci riuscirà!››
I soldati parvero tirare un sospiro di sollievo a quelle parole. In quanto uomini, si sentivano tutti molto vicini alla sua causa: in questi casi scattava un meccanismo molto simile alla cosiddetta “solidarietà femminile”. Rassicurati, si apprestarono ad eseguire gli ordini: quella notte un uomo sarebbe morto e la popolazione maschile di Port Royal avrebbe potuto dormire sogni tranquilli.
‹‹Preso!›› urlò Mercer, per poi sibilarle in un orecchio ‹‹e adesso subirai le conseguenze delle tue losche azioni. Nessuno si deve permettere di toccare Lord Beckett!››
‹‹Mr. Mercer, vi ripeto che la mia virtù è ancora… intatta. E comunque, devo preoccuparmi?›› domandò alzando un sopracciglio.
‹‹Perdonatemi, signore, forse sono stato un po’ troppo precipitoso nel trarre le conclusioni››
‹‹Un po’?››
‹‹Mi correggo, sono stato molto precipitoso, e me ne dispiaccio. Gli uomini ed io eravamo solo preoccupati per la vostra incolumità…››
‹‹Mr. Mercer…›› Lord Beckett fu, però, interrotto da Marta che, da brava fangirl, non poté trattenersi dal dire: ‹‹E fu così che partì lo yahoi…››
 
‹‹Prego?›› domandò Cutler.
‹‹Devo mimare la scena? Oh, mio signore, ero così preoccupato per voi! Oh, Mercer, ho avuto così tanta paura, non lasciarmi solo questa notte! Non temete, veglierò su di voi questa notte e per tutte quelle a venire! Dite davvero? Ma certo, io vi amo, Beckett, vi amo e voglio trascorrere il resto della mia vita con voi. Oh, Mercer, è tutta la vita che aspetto questo momento e ora non so che cosa dire. Dì che ami e… che mi sposerai! Ma certo che voglio sposarti! Ci sposeremo domani al battere delle 9…›› se Mercer, ripresosi dallo shock iniziale, non le avesse tirato un pugno in pieno stomaco, Marta sarebbe tranquillamente potuta andare avanti a raccontare tutta la loro vita insieme: la vita di coppia, il matrimonio, il primo figlio adottato, i nipotini, e così via, fino alla morte di Beckett. Mercer non sarebbe più stato lo stesso e avrebbe trascorso il resto della sua vita da solo, rimirando le loro foto con nostalgia, seduto su una comoda poltrona, accanto al caminetto scoppiettante.
 
‹‹Ahi! Ma che modi sono?›› ribatté piuttosto adirata, non riuscendo a trattenere una lacrima di dolore: quell’uomo era dannatamente forte. Non solo l’avevano accusata ingiustamente di aver tentato di approfittarsi di un uomo di mezza età, imparruccato, pure, ma ora la pestavano pure? Mai sentito il detto “una donna non si tocca nemmeno con un fiore”? ‹‹Vi mettete in quella posizione, scambiandovi parole accorate, e poi se qualcuno ve lo fa notare lo pestate di brutta maniera? Alla faccia della censura!››
In effetti, la scena era di dubbia interpretazione. Cutler Beckett, ancora mezzo disteso sul pavimento, si puntellava leggermente coi gomiti, mentre Mercer, inginocchiato al suo fianco, si accertava delle sue condizioni. I due parvero, finalmente, accorgersi della posizione equivoca e in meno di due secondi erano già in piedi, ai due angoli opposti della stanza. Impiegarono qualche secondo, prima di rendersi conto che Marta, approfittando della situazione, aveva iniziato a strisciare sotto il letto.
‹‹Mr. Mercer, prendetelo!››
‹‹Subito, signore!›› Mercer era del tutto intenzionato a cogliere l’occasione per riacquistare il rispetto del suo superiore dopo la pessima figura di poco prima ‹‹Tenenti, Posizionatevi uno in corrispondenza del lato sinistro e l’altro ai piedi del letto: dovrà pure uscire da qualche parte!››
 
‹‹Signore, c’è qualcosa che non va›› disse Gillette, perplesso, dopo essersi chinato per controllare dove si trovasse il fuggitivo ‹‹Sotto il letto non c’è nessuno!››
‹‹Ma che diamine andate dicendo? E’ strisciato lì sotto: l’abbiamo visto tutti!›› l’affermazione di Groves ottenne una serie di commenti affermativi da parte degli altri soldati.
‹‹Provate a controllare, se non mi credete!›› Gillette stava iniziando a perdere le staffe di fronte a quella manifesta mancanza di fiducia nei suoi confronti.
Theodore sollevò un sopracciglio, ma poi si chinò ugualmente; del resto, valeva almeno la pena di controllare. Si trovò, tuttavia a sgranare gli occhi, notando l’effettiva assenza del fuggitivo ‹‹Maledizione! Il tenente Gillette ha ragione: non c’è nessuno qua!››
‹‹Razza di incompetenti: come fate a non vederlo? E’ praticamente arrivato dal vostro lato, tenente Groves!›› Mercer era semplicemente furibondo: come potevano due ufficiali della marina inglese essere così incapaci? Vedendo che però questi, imbarazzati, non sapevano come comportarsi, decise di prendere lui stesso l’iniziativa e iniziò a strisciare velocemente sotto il letto, sbuffando. Quando si vuole qualcosa è sempre meglio pensarci da solo.
 
Marta aveva quasi raggiunto la luce (no, non stava per morire e non si trattava nemmeno di una metafora. Semplicemente, nella stanza delle ragazze c’era ancora la luce accesa. Se vi ricordate, Lucia l’aveva spenta solo dopo il “salvataggio” per nascondere il disastro da lei causato.), quando si sentì afferrare per le caviglie.
‹‹Ti ho preso! E ora dovrai fare i conti con me, bastardo!››
Oddio, no, questo è un incubo, solo un c***o di f**********o incubo! ‹‹AAAAH!›› gridò in preda al dolore, causato dall’aumento della stretta dell’uomo ‹‹Vi prego, aiutatemi, mi sta trascinando dall’altra parte!›› Sperava solo che le sue amiche riuscissero a sentirla.

*****
Anno 2018, 24 dicembre, h 04,15
Genova, Italia (casa di Mary)

‹‹Ragazze, cerchiamo di calmarci: se ci agitiamo non risolveremo un bel niente›› constatò la padrona di casa, non nascondendo, tuttavia, un certo nervosismo nel tono della voce. Per quanto cercasse di rimanere lucida e fredda, le cose che non quadravano non erano poche, o, almeno, non quadravano se viste con in un’ottica prettamente razionale. Si stavano immischiando in qualcosa di decisamente più grande di quello che potevano anche solo lontanamente auspicare, se lo sentiva nelle ossa. Ne aveva avuto il primo sentore nel momento in cui si era resa conto dell’improvvisa sparizione di Marta ed ora ne era quasi certa. O forse era solo un altro dei suoi ragionamenti privi di fondamento logico e la sua amica aveva solo battuto la testa. “Mary, cara mia, stai diventando troppo grande per credere ancora nelle favole: è ora che tu ti dia una svegliata e scenda dalle nuvole”, pensò tra sé e sé.
I suoi pensieri furono interrotti da Lucia: ‹‹Io propongo di andarcene tutte a dormire e dimenticare questa brutta storia›› uno sbadiglio completò il suo motivante discorso.
 
‹‹Non avevamo dubbi›› commentò sarcastica Francesca. Incredibilmente aveva smesso di predicare Apocalissi, necessità di riconvertire il popolo cristiano e quant’altro.
‹‹Ragazze, così non aiutate per niente›› le redarguì Maria Vittoria, per poi rivolgere la sua attenzione ad una tremante Marta. Terminato l’effetto dell’adrenalina, infatti, si era ritrovata assolutamente a corto di energie ed era sufficiente il più piccolo fruscio per farle avere una crisi di pianto.
‹‹Mi sento così debole, così stanca… ora capisco che cosa prova Lucia tutti i giorni!›› anche nei momenti peggiori riusciva sempre a strappare una risata a chi le stava intorno.
‹‹Haha, molto divertente›› rispose la diretta interessata, leggermente offesa dal paragone.
‹‹Marty, so che forse non è il momento migliore, ma pensi di riuscire a raccontarci che cosa hai visto lì sotto?››
‹‹Se anche ve lo dicessi, dubito che ci credereste. Io stessa ho difficoltà ad accettarlo.››
‹‹Fai un tentativo›› propose Lucia con nonchalance. Aveva, ormai, compreso che non avrebbe potuto dormire finché la questione non fosse stata considerata “un caso chiuso”.
 
‹‹Non voglio! Parlare di quell’incubo lo fa solo sembrare più reale… Oh, ma sapete che cosa vi dico? Io non ce la faccio più: non esiste! Perché a me? Che cos’ho fatto di male nella vita? Che sia stato per le bische clandestine in taverna il martedì sera? Giuro che non lo faccio più, non lo faccio più! Signore, salvami tu!›› mentre pronunciava quelle parole sconnesse, cambiò intonazione della voce, colore in volto ed emozione predominante una cosa come quindici volte. In particolare, dopo aver pronunciato l’ultima frase, strappò il rosario dalle mani di Francesca ed iniziò a borbottare richieste di perdono e aiuto divino ‹‹Oh, Zeus Egiogo¹, aiuta questa mortale che si appella a Voi in qualità di supplice, colpisci i miei nemici con la tua folgore. E tu, Glaucopide² Atena, figlia egregia del re degli dei, a te mi appello conoscendo la tua fama di stratega e guerriera. Effettivamente potrei chiedere a Marte vendicatore, ma dai racconti non sembra un uomo particolarmente ragionevole e in più se la fa con quella bagascia di Afrodite. E non mi sogno nemmeno di pregare Nettuno, sovrano di tutti gli oceani, per quanto si possa dire il più affine alla mia città d’origine, Genova detta “la superba” … gira voce che tenda a violentare la gente che passa sulle spiagge, uomini o donne, senza distinzione. Non che la cosa mi dispiaccia, se è effettivamente figo come lo descrivono nei miti, ma perché rischiare, mi domando? …››
 
‹‹Hem, lungi da me il mettere i puntini sulle i, ma credo sia opportuno farti notare che il rosario non è propriamente lo strumento più indicato per innalzare preghiere a divinità pagane…›› la interruppe Maria Vittoria, fingendo di non aver sentito tutta quell’accozzaglia di divinità greche e romane mescolati insieme. E pensare che aveva incominciato così bene…
‹‹Perché io sono atea e, a differenza di Francesca, ho un orgoglio: non mi metto a pregare il Dio cristiano solo quando mi fa comodo.››
‹‹Se tu volessi essere davvero coerente non pregheresti nemmeno le divinità pagane. Da che mondo e mondo essere ateo significa non credere in nessuna divinità.›› ribatté Francesca, più nervosa per il fatto di aver effettivamente pregato che per l’affermazione di Marta ‹‹E comunque, si può sapere dove hai sentito quella roba?››
‹‹Mary a volte parla nel sonno›› rispose in tono ovvio con un’alzatina di spalle.
‹‹Hem, non credo di aver detto esattamente le stesse cose›› iniziò la chiamata in causa, in preda ad un tic nervoso all’occhio sinistro.
‹‹Boh, e io che ne so? Mica mi ricordo a memoria tutto quello che la gente dice››
‹‹Hem, non intendevo la forma, (anche se in effetti ci sarebbe molto di cui discutere) quanto piuttosto il fatto che se anche fossi stata pagana non mi sarei mai appellata a quelle divinità››
‹‹Hai davvero delle preferenze?›› domandò Francesca, allibita.
‹‹Ma certamente, ogni classicista che si rispetti le ha. Io, personalmente, sarei stata una devota di Ade e Artemide›› annuì lei convinta.
‹‹Il dio dei morti e la prima femminista della storia? Perché la cosa non mi sorprende affatto?›› la domanda retorica di Lucia le fece ribollire il sangue nelle vene. Mai criticare un classicista sulla scelta delle proprie divinità protettrici, specie se una governa l’oltretomba. ‹‹Beh, perché tu chi avresti scelto, invece? Spero solo che tu non dica Hypno e Morf…›› ma fu interrotta da un rumore sinistro proveniente da sotto il letto. Sembrava quasi che qualcosa o qualcuno, a sentire i racconti confusi di Marta, si stesse trascinando lentamente verso di loro.
 
Marta si infilò sotto le coperte e scoppiò a piangere ‹‹E’ lui… è tornato. Sta venendo per me!››
‹‹Lui chi?››
‹‹Quello di prima, dice che ho attentato alla virtù del suo imparruccato padrone e che per questo merito di morire tra atroci sofferenze. Ma io non ci proverei mai con un quarantenne pelato! Che orrore!›› iniziò a piangere ancora più forte.
‹‹Ma non hai detto che indossava una parrucca? Come fai a sapere che fosse pelato?››
‹‹E secondo te chi c***o indosserebbe una f**********a parrucca bianca stile giudice se avesse una chioma fluente?›› stava per aggiungere qualcos’altro di sicuramente poco signorile, quando udì un’asse scricchiolare molto vicina a loro ‹‹Oh, mamma, Oh mamma, Oh mamma! C’è un Mercer sotto il mio letto! E si porterà dietro anche un Gillette, me lo sento›› (Trovo doveroso sottolineare che, dato che Beckett e i suoi uomini parlavano in Inglese stretto e Mercer, addirittura, in Irlandese, Marta non aveva ben capito che “Gillette” fosse un cognome.)
‹‹Ma questa è completamente impazzita!›› sbottò Lucia, stufa, tra l’altro, che la gente spaventata saltasse all’improvviso sul letto in cui lei stava cercando di dormire.
 
‹‹Mpf, vediamo un po’ questo mostro sotto il letto!›› sospirò Mary, alla fine. Non vedeva l’ora di poter mettere la parola “fine” a quella storia. Si tirò su le maniche (non riusciva mai a concentrarsi, altrimenti), afferrò la scopa con due mani e menò un colpo secco sotto il letto, senza nemmeno premunirsi di guardare prima con cosa aveva a che fare. Il primo colpo andò a vuoto, e così anche il secondo e il terzo. Mentre era in procinto di compiere un quarto, ultimo tentativo, si azzardò a dire: ‹‹Visto, Marta, cosa ti avevo detto? Non c’è nessun mostro che verrà a…›› ma udendo il cozzare della scopa contro una superficie dura, seguito da un urlo di dolore, le parole le morirono in gola. Fece per ritirare la sua preziosa compagna di battaglie, ma una forza misteriosa la trascinò sotto il letto, e lei con essa, non avendo fatto in tempo a staccare le mani dal manico. Doveva decisamente migliorare i riflessi.
Maria Vittoria e le altre (ebbene sì: avevano avuto la splendida idea di attaccarsi una alle caviglie dell’altra per sperare di riuscire a salvare Mary) si ritrovarono in una camera sconosciuta, circondate da uomini vestiti secondo una moda superata da secoli, che puntavano una miriade di fucili vecchio modello verso di loro.
Maria Vittoria spostò (sì, di peso, dato che due erano pietrificate dalla paura e una si stava addormentando in piedi) velocemente tutte le altre dietro di sé ed impugnò la scopa con entrambe le mani, pronta a vendere cara la pelle.
 
‹‹Siamo nei guai?›› domandò Francesca.
‹‹Vedi tu›› le rispose Lucia.
‹‹Siamo nella m***a›› riassunse Marta, e Maria Vittoria si rese conto che, per una volta, la sua scelta lessicale poteva dirsi azzeccata per descrivere la situazione.
 
A seconda del lettore, e del libro, si tratta di lettura o di avventura.
(Nicolás Gómez Dávila)
 
Note:
* E’ perfettamente plausibile che Cutler Beckett facesse un ragionamento del genere, appellandosi a questo tipo di fonti, dato che, sin da fanciullo, era stato un cultore (scusate il gioco di parole) della cultura greca e latina. Una sorta di “classicista disperato” con origini inglesi, insomma.
1- Significa letteralmente “portatore dell’egida” ed è uno degli epiteti più comunemente accostati al nome di Zeus.
2- E’ un epiteto tipicamente accostato ad Atena e, sebbene gli studiosi non siano concordi sulla sua traduzione, la versione più accreditata è che si traduca “dagli occhi di civetta”.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- Come farsi arrestare in 10 semplici mosse ***


Capitolo 2- Come farsi arrestare in 10 semplici mosse.
 

Maria Vittoria e le altre (ebbene sì: avevano avuto la splendida idea di attaccarsi una alle caviglie dell’altra per sperare di riuscire a salvare Mary) si ritrovarono in una camera sconosciuta, circondate da uomini vestiti secondo una moda superata da secoli, che puntavano una miriade di fucili vecchio modello verso di loro.
Maria Vittoria spostò (sì, di peso, dato che due erano pietrificate dalla paura e una si stava addormentando in piedi) velocemente tutte le altre dietro di sé ed impugnò la scopa con entrambe le mani, pronta a vendere cara la pelle.
‹‹Siamo nei guai?›› domandò Francesca.
‹‹Vedi tu›› le rispose Lucia.
‹‹Siamo nella m***a›› riassunse Marta, e Maria Vittoria si rese conto che, per una volta, la sua scelta lessicale poteva dirsi azzeccata per descrivere la situazione.
 
‹‹No-non avvicinatevi, per favore… (Cervello di Mary: Non dire “per favore”, stupida: devi cercare di importi!) Io… io ho… che cos’ho io? Ho una scopa! Sì, una scopa e… e non ho paura di usarla. Sentito? Non fate i furbi, eh, altrimenti vi trasformo tutti in stracci per lavare i pavimenti!›› tentò di intimorirli lei, per quanto fosse evidente che le sue parole fossero più rivolte ad incoraggiare sé stessa che a spaventare il “nemico”. Man mano che acquisiva sicurezza (per quanto fosse possibile in una situazione del genere), la postura diveniva meno rigida e, dunque, adatta a sostenere una qualche forma di “combattimento”. Il suo istruttore l’avrebbe sicuramente strozzata se fosse venuto a sapere che cosa stava per fare, e che aveva avuto perfino il coraggio di definire “combattimento”. O forse sarebbe rimasto troppo scioccato per poter fare alcunché, dato che fin dal primo giorno in cui aveva varcato la soglia della palestra, aveva messo in chiaro che non avrebbe scommesso due centesimi su di lei.
Se non fosse strato per il maestro, probabilmente, non le avrebbe permesso di prendere parte alle sue lezioni. La definiva strana, impacciata, lenta nell’apprendere gli schemi della parte tecnica e priva della giusta aggressività e consapevolezza. Ma soprattutto, non sopportava il fatto che, per quanto glielo ripetesse, non riuscisse a mettere da parte la riflessione per affidarsi all’istinto. E, in una vera rissa, si sa, il tempo per riflettere non esiste: il corpo deve fare affidamento unicamente all’istinto e alla memoria motoria. Maria Vittoria poteva essere imbranata (e anche parecchio), ma non era un’idiota: sapeva perfettamente cosa doveva fare. Il problema era che il suo cervello si rifiutava.
C’era stato un tempo in cui, per necessità, si era trovata nella situazione di doversi difendere e, non conoscendo la sottile arte del combattimento, si affidava unicamente all’istinto. Tuttavia, lottare istintivamente, seguendo la pura aggressività, non permette di controllare la portata dei propri colpi, specie se si è totalmente inesperti. E questo Maria Vittoria l’aveva capito nella maniera più brutale, il giorno dell’incidente. Era stato allora che Mary si era decisa ad iscriversi ad un corso di arti marziali. Avrebbe imparato a conoscere le potenzialità del proprio corpo e, solo allora, forse, avrebbe ricominciato a “lasciarsi andare”. Erano passati quasi otto anni da allora e, ancora sentiva di non aver imparato nemmeno un millesimo di ciò di cui aveva bisogno. Si era convinta che, comunque, in una situazione d’emergenza sarebbe riuscita a dare il proprio massimo, specie se, come in questo caso, si trattava di dover difendere non solo sé stessa, ma anche altre persone. Non fu, quindi, per niente contenta di scoprire che il suo corpo si rifiutava ancora di collaborare. Ne era una prova il fatto che si stesse abbandonando ad un flusso di coscienza in un momento del genere.
 
In una situazione normale, probabilmente, Lord Beckett non avrebbe esitato a dare l’ordine di sparare agli intrusi seduta stante, lasciando, forse, un prigioniero da interrogare. Ma, fortunatamente, 3 ragazze impigiamate ed una con un grembiule a fiori, sbucate improvvisamente da sotto il letto di un Lord inglese, non rientravano propriamente nelle faccende di normale routine. Forse fu proprio per lo stupore della scoperta che gli uomini abbassarono i fucili ed un paio di loro presero persino ad avvicinarsi, con passo lento.
Marta, che aveva avuto la sfortuna di finire in quella brutta situazione quando la stanza era ancora al buio, avrebbe volentieri eretto un monumento (con i materiali più economici, ovviamente) a chi aveva avuto l’idea di portare le fiaccole. Non riuscì, quindi, a resistere all’impulso di gridare: ‹‹Chi ha acceso la luce? Vieni a farti abbracciare!››
Tale frase suscitò subito lo sgomento della componente maschile della stanza che, avendo riconosciuto nella rossa tinta l’intruso di poco prima, temeva di fare la fine del loro superiore. Non che disdegnassero le attenzioni di una ragazza così graziosa, sia chiaro, solo avrebbero preferito non essere coinvolti in una scena indecorosa come quella che aveva visto coinvolto Lord Beckett. Quest’ultimo, dal canto suo, si ritrovò a pensare che, se solo avesse saputo chi fosse il suo aggressore, forse non avrebbe opposto una così strenua resistenza. Si guardò, comunque, dal manifestare il suo pensiero.
 
‹‹Marta, porca di quella T***a, stai zitta! Non vedi in che situazione ci troviamo?›› le sibilò in un orecchio Francesca.
‹‹Senti, tu non c’eri quando c’era buio, e ti posso garantire che se non ci avessero viste in faccia, ci avrebbero già riempite di piombo da un pezzo!››
‹‹Ragazze… vi pregherei di far cessare la vostra discussione qui ed ora, prima che facciate qualche commento di troppo. Non so se l’avete notato, ma il mio tentativo di difendervi è puramente morale: gli bastano quattro colpi e meno di due secondi per farci fuori. Per non parlare del fatto che…›› tentò, invano, di ammonirle Maria Vittoria.
‹‹Beh, se tu non fossi stata beccata in atteggiamenti intimi con un vecchietto imparruccato, non avrebbero avuto alcun motivo di puntarci contro dei fucili››
‹‹Che cosa avete detto?›› una voce maschile, leggermente incrinata dall’ira, interruppe il battibecco.
 
Il silenzio che precede il disastro fu riempito da Maria Vittoria ‹‹Stavo per dire che questi uomini assomigliavano agli attori dei film di “Pirati dei caraibi”, ma ora che avete fatto ciò che vi avevo appena pregato di non fare, spero con tutto il cuore che si tratti di una semplice coincidenza››
‹‹Non lo guardo da quando ero alle elementari, ma sono quasi certa di averne riconosciuti un paio, anche se ricordo solo che le giubbe rosse erano i cattivi›› Francesca confermò i suoi dubbi.
‹‹Solo perché la Disney ci ha presentato i pirati come gli eroi della situazione, non significa che agiscano nel giusto. E’ la marina britannica che fa rispettare la giustizia e protegge i civili dalle incursioni di quei criminali.››
‹‹Se sono bravi ed onesti come dici, si può sapere perché sei sbiancata?››
‹‹Perché ho paura che Lord Beckett venda voi come concubine a nobili di sua conoscenza e me come pagliaccio al circo. E comunque, non è che se i capi sono corrotti dalla bramosia di potere e vendetta, allora tutti i pubblici ufficiali sono da biasimare. Non facciamo di un’erba un fascio.››
‹‹Ma nel ‘700 non era in vigore solo la tratta degli schiavi neri?›› fece notare Lucia, sbadigliando.
‹‹Si è occupato anche di questo, in effetti. Comunque anche al giorno d’oggi la tratta delle bianche è praticata anche se illegalmente.››
‹‹Perché io ricordo solo che fosse ossessionato dallo sterminio dei pirati e dalle tazzine di porcellana?››
‹‹Perché nei film non viene detto e, se voi foste delle sfigate assoldate come la sottoscritta, avreste letto anche le curiosità su internet, i libri e le altre opere inedite››
 
‹‹Di cosa parla “Pirati dei Caraibi”?›› domandò Marta, confusa.
‹‹NON HAI VISTO “PIRATI DEI CARAIBI”?!?!?›› le urlarono contro in coro.
‹‹Vi ricordo che i miei hanno messo il parental control alla televisione fino a tre anni fa e, ormai, ero troppo cresciuta per guardare i film della Walt Disney›› rispose lei, incrociando le braccia e sfoggiando un broncio che di adulto aveva ben poco.
‹‹Ti posso garantire che è tutto, fuorché una serie di film per bambini›› tagliò corto Lucia, mentre si nascondeva meglio dietro Maria Vittoria, che aveva rialzato la guardia.
 
Poi la situazione degenerò. Cutler Beckett comandò agli uomini di catturarle vive: la morte non era una punizione sufficiente per quello che gli avevano fatto. A onore del vero, mi sembra corretto sottolineare che il pover’uomo, qualche motivo per avercela con le ragazze l’aveva eccome! Avete presente quelle cose che dovevano per forza dargli fastidio e che anche uno scemo di guerra in tempo di pace avrebbe capito che sarebbe stato saggio evitare? Ecco, sembrava che avessero stilato una lista, per non rischiare di mancarne qualcuna.
10  modi per far infuriare Lord Beckett:
 
  1. Criticare la sua parrucca.
  2. Consigliargli le scarpe con l’interno rialzato, dato che “o sei uno strafigo come i Cavalieri dello zodiaco, oppure gli stivali col tacco possono creare dubbi sull’orientamento sessuale”.
  3. Scambiarlo per un testimone di Geova solo perché alcuni di loro indossano delle giacche in stile ‘700 (vedi il video della canzone “Sotto casa” di Max Gazzè).
  4. Fare dei discorsi antischiavisti o femministi (ricordiamo che Cutler Beckett si era dedicato anche al commercio di schiavi e di concubine con la pelle chiara, in quanto due attività particolarmente redditizie all’epoca).
  5. Paragonarlo a Jack Sparrow.
  6. Lodare le qualità dei pirati e criticare le abilità della marina britannica.
  7. Shippare la coppia Elisabeth Swan – Will Turner.
  8. Shipparlo con Mr. Mercer.
  9. Preannunciare che morirà senza essere riuscito a sterminare i pirati, i quali passeranno pure per gli “eroi della situazione”.
  10. Dargli ad intendere che, se fosse stato più giovane, ci avrebbero anche fatto un pensierino.
  11.  
 
‹‹Se vi avvicinate ancora vi scopo i piedi!›› Mary tentò di spaventarli con una minaccia che avrebbe, certamente, spaventato persone superstiziose come i Gipsy ed i meridionali, ma non certo degli inglesi del primo Settecento. Compreso l’errore, si affrettò a spiegare: ‹‹IL CHE SIGNIFICA CHE NON VI SPOSATE PIÙ!››
Gli scapoli arretrarono immediatamente, in preda al terrore di non poter generare eredi. Sono proprio uomini di altri tempi, si ritrovò a riflettere Mary. La povera ingenua, tuttavia, non aveva calcolato che il lupo perde il pelo ma non il vizio: gli ammogliati si fiondarono verso la ragazza come se fosse un’apparizione.
Certe cose, a quanto pare, non cambiano mai, pensò sconsolata, mentre cercava disperatamente di trovare un’altra idea per evitare di affrontarli. E’ vero che l’allenamento delle giubbe rosse nel ‘700 non era per nulla paragonabile a quello della marina britannica moderna e che molti di loro non parevano giovanissimi, ma 15 persone armate erano decisamente troppe per lei (anche una o due, a dire il vero nd: Maria Vittoria). Pensa Mary, pensa… a cosa possono tenere dei soldati del passato? Improvvisamente la risposta apparve nitida nella sua mente: l’onore. Forse era colpa delle arti marziali e del suo amore per i classici greci e latini, o forse aveva semplicemente visto troppe volte Pucca quando era piccola. Qualunque fosse il motivo, era riuscita a trovare la soluzione, e in meno di due secondi, tra l’altro. Si complimentò con sé stessa: Marco-sensei sarebbe stato orgoglioso di lei, per una volta!
‹‹Al primo che muoverà un altro passo verso di noi distruggo la parrucca!›› affermò, con fare deciso.
 
L’avanzata delle guardie si fermò immediatamente. L’indecisione era palese negli occhi di tutti. ‹‹Non oserai…›› tentennò quello che aveva riconosciuto essere il tenente Gillette.
‹‹Oh, oso eccome! Sarebbe la giusta punizione per aver fatto i prepotenti con delle fragili fanciulle››
‹‹Esatto!›› la supportò Fra, capendo il gioco ‹‹Che cosa penserebbe l’opinione pubblica di questa faccenda? Che cosa direbbero i notabili locali, l’élite britannica, il vostro grande re, se sapessero che non solo, vi siete comportati in maniera incivile con delle damigelle in pericolo, ma che vi siete pure fatti mettere KO da una di queste?››
‹‹Fragili fanciulle? Dove?›› domandò ironicamente Cutler Beckett, fingendo di guardarsi intorno con fare confuso. Se quelle quattro pensavano di potersi prendere gioco di lui e della sua pazienza, si sbagliavano di grosso. Non mancò, poi di aggiungere, sogghignando: ‹‹E poi, non vedo come qualcuno potrebbe venire a conoscenza di questo increscioso incidente, se vi sbatterò nella cella più buia della prigione più nera e getterò via la chiave››
Ma davvero pensava di avere a che fare con delle bambine che avevano paura della gattabuia?
 
‹‹Ce le hai davanti, c******e!›› gli ringhiò contro Marta, sporgendosi da dietro la schiena di Maria Vittoria, per poi risparire alla vista dell’occhiataccia rivoltale dal Lord. Quest’ultimo, non volendo abbassarsi al suo livello (era pur sempre un gentiluomo rispettabile), si limitò ad osservare: ‹‹Strano, vedo solo 3 donne abbigliate in maniera scandalosa che giocano a fare le spie e si fanno difendere da una mocciosa impertinente.››
‹‹Mocciosa?›› domandò Mary, con fare incerto.
‹‹Ho sempre saputo che i pirati fossero capaci di qualsiasi cosa, ma anche coinvolgere una bambina, buon Dio, qui si sfiora il limite della moralità. Quanti anni hai? 10, 11?››
‹‹Ho quasi 19 anni…›› lo informò Mary, la faccia scura per la delusione di essere stata scambiata per una scolaretta delle elementari. Sapeva di sembrare più piccola, ma non credeva così tanto.
‹‹La tua mamma non ti ha insegnato che non sta bene che una bambina dica delle bugie?›› la rimproverò il Tenente Groves, suscitando risposte di assenso da buona parte dei compagni. Ma davvero sembrava così piccola?
‹‹Sì, ma…››
‹‹Povera piccola, l’avranno minacciata: guardate che viso provato, che sguardo disperato!›› la interruppe lui, preoccupato.
‹‹Ma, veramente…››
‹‹Stai tranquilla: se ci dici la verità ti prometto che non ti verrà fatto nulla di male. Ci pensiamo noi ad arrestare tutti quei brutti pirati cattivi›› gli diede man forte il Tenente Gillette, inginocchiandosi per non rischiare di spaventarla, come si fa con un bambino che ha smarrito la strada di casa. Per riuscire ad intenerire quel cuore di ghiaccio doveva davvero essere un caso disperato.
‹‹In realtà…››
‹‹Massì, si vede lontano un chilometro che queste tre depravate l’hanno costretta a seguirle in questa missione suicida: guardate che occhi limpidi, che sguardo ingenuo…›› Theodore Groves sarebbe potuto andare avanti per ore, se Maria Vittoria non avesse deciso che fosse il caso di interromperlo. La faccenda stava andando troppo oltre.   
‹‹Guardate che io ho davvero 18 anni. Ne compio 19 il 15 di febbraio››
 
Un silenzio opprimente calò nella sala. Persino Lord Beckett aveva perso quel cipiglio freddo tipico della classe altolocata Londinese del diciottesimo secolo. Maria Vittoria, sentendo gli occhi di tutti puntati su di lei, piombò in uno stato di depressione ed imbarazzo ancora peggiore di quanto avesse manifestato in precedenza. Era praticamente accucciata per terra, le braccia che circondavano le ginocchia e la fronte posata su di esse. Per completare il quadro, una nube invisibile carica di negatività pareva avvolgere la sua misera figura. Le amiche, dal canto loro, stavano facendo sforzi da ernia per non scoppiare a ridere come delle deficienti.
Passarono quasi due minuti, prima che Maria Vittoria riuscisse a ricomporsi, ma non fece in tempo a rialzarsi che, si sentì afferrare da una forza misteriosa e comprimere contro le sue amiche.
‹‹AHHHH!›› gridarono tutte in coro. Mary impiegò qualche secondo per capire che, a trattenerle, non era una pressa, ma una persona in carne e ossa. Un colosso, per la precisione, dato che riusciva a tenere quattro ragazze sollevate a qualche decina di centimetri da terra, senza mostrare alcun segno di fatica o cedimento. Pur non riuscendo a girarsi per scorgerne il volto, era abbastanza certa che, se avesse notato un tizio del genere nei film, se ne sarebbe di certo ricordata. Chi poteva essere, allora?
 
Come a voler rispondere alla sua domanda, Marta iniziò a tremare come una foglia e a balbettare un ‹‹M- mr. Mercer, ma che piaaacere rivederla…››
‹‹MR. MERCER?!?›› ripeterono in coro le altre tre, scioccate?
‹‹Quel Mercer? Lo spietato collaboratore di Lord Beckett che ha trucidato più persone di una bomba atomica?›› domandò Lucia per tutte, pur temendo di conoscere la risposta.
L’omone si limitò a rispondere con un grugnito che poco aveva di umano, ma, fortunatamente, Beckett gli evitò la fatica di interpretarlo ‹‹Non ho la benché più pallida idea di che cosa sia una bomba atomica, Miss, ma penso di non sbagliare se rispondo “” alla vostra domanda››
Questo spiegava per quale motivo non si era fatto problemi ad intervenire, a differenza degli altri presenti. Come aveva fatto a dimenticarsi che era uno dei pochi tirapiedi di Beckett privo di parrucca? Del resto, anche qualora ne portasse una, Maria Vittoria dubitava fortemente che il timore di rovinarla ed infangare, quindi, il suo onore l’avrebbe fatto desistere.
 
‹‹Cos… Ma non doveva essere poco più alto di Beckett e decisamente più anziano e meno prestante? Come diavolo è possibile?›› bisbigliò Francesca a Mary.
Il colosso parve aversene a male per il commento ed aumentò la stretta, suscitando gridolini di dolore da parte delle poverette.
‹‹E io che ne so!›› ribatté quella con non poca fatica, dato che la presa ferrea di Mercer quasi le impediva di respirare. Per l’ennesima volta desiderò di essere piatta come le sue amiche: perché quei due affari inutili dovevano essere così ingombranti e dolorosi?
‹‹Dove le metto?›› domandò lui, intanto. Le donne erano proprio una scocciatura: riuscivano a rompere le scatole anche in una posizione in cui parlare doveva essere scientificamente impossibile.
‹‹Appoggiatele pure qui davanti, grazie›› disse il suo capo, indicando il punto con fare stanco, per poi ricordarsi di aggiungere: ‹‹Ah, quasi dimenticavo… Sbattetele nella cella più buia della prigione più oscura››
(Prima non aveva detto nella cella più buia della prigione più nera? Nd: Maria Vittoria)
 
Marta, udendo il tono freddo e non potendo vedere il suo sorrisetto divertito, data la posizione in cui si trovava, fu presa dal panico e domandò con un filo di voce: ‹‹Getterete via la chiave?››
Cutler Beckett, che non si sarebbe mai aspettato che, tra tutte, proprio la ragazzina sfrontata non capisse la battuta, sollevò un sopracciglio, incredulo. Per un attimo, fu tentato di assecondare il suo fraintendimento, vendicandosi, così, per la figuraccia fattagli fare di fronte ai suoi uomini. Notando, tuttavia, i suoi occhi lucidi, decise di serbare i suoi paini di vendetta per un’altra volta. Non era da gentiluomini prendersi gioco di una fanciulla spaventata, dopotutto. ‹‹No, non getterò via la chiave›› la rassicurò, con un sorriso stanco. Sorriso che si trasformò subito in un ghigno diabolico ‹‹Dopo tutto dovete ancora dirmi cosa ci facevate sotto il mio letto, chi è il vostro mandante e quali altre informazioni avete su di noi. Abbiamo molto di cui parlare››
All’udire quelle parole, le poverette non poterono fare altro che deglutire, inquiete. E ora che cosa sarebbe successo? Era saggio raccontargli la verità sul luogo da cui provenivano? E, anche qualora avessero deciso di parlarne, gli avrebbero creduto?
 
‹‹Mary, tu che hai visto i film e sei quella che ne sa più di tutte…›› iniziò a domandare Marta, mentre venivano scortate dalle guardie verso il carcere cittadino.
‹‹Perché sono una secchiona sfigata che non ha nulla di meglio da fare nella vita… sì?››
‹‹Dai, sii seria, per una volta!›› la rimproverò Fra.
‹‹Secondo te, che cosa ci succederà?››
‹‹Uhm, non saprei dirtelo con precisione. Posso, però, fare delle ipotesi approssimative in base alla risposta che darai ad una mia domanda››
‹‹Spara…›› accettò lei, titubante.
‹‹A chi sei “saltata addosso” mentre non c’eravamo?››
‹‹Al tizio basso che indossa stivali da donna›› ammise, imbarazzata.
‹‹LORD BECKETT?!? Ma sei completamente impazzita?›› strillarono, immediatamente Francesca e Lucia.
‹‹Ma è stato un incidente!››
‹‹Vallo a spiegare a lui!›› disse Francesca, coprendosi parte del volto con una mano.
‹‹E’ la stessa cosa che dice la maggior parte degli stupratori, secondo gli studi comportamentali›› asserì Lucia, convinta. Il liceo di Scienze Umane non era acqua.
‹‹Ma non ci proverei mai con un tipo del genere, mi conoscete!››
‹‹Un uomo estremamente ricco e prestigioso? Più vecchio di te e con un lavoro con basse prospettive di sopravvivenza? Conoscendoti sarebbe proprio la tua gallina dalle uova d’oro!››
‹‹Come siete crudeli!›› disse Marta, mentre fingeva di piangere. (Cervello di Marta: a saperlo ci avrei fatto un pensierino)
 
Maria Vittoria fece loro segno di calmarsi, per poi rispondere, finalmente, alla domanda postale: ‹‹Ne ho avuto il vago sentore quando ha detto che siamo sbucate dal suo letto. Ad ogni modo, per rispondere alla tua domanda, dire che con ogni probabilità domani mattina ci farà svegliare all’alba, in modo che il nervosismo, sommato alle ore di sonno perse, ci induca a tradirci. Ci farà interrogare una ad una da un suo sottoposto, forse un Tenente o un altro ufficiale di medio rango, in modo da darci l’impressione di non essere più utili dei pirati che manda al patibolo. In questo modo, sentiremo il bisogno di confessare qualcosa che possa farci apparire una fonte di informazioni, talmente importante ai suoi occhi, da essergli più utili da vive che da morte. Tuttavia, non credendo ad una sola parola di ciò che gli diremo (e, sì, Francesca, non guardarmi così perché so con certezza che succederà, dato che nessuna di noi è una Mary Sue), ci risbatterà in prigione per un paio di giorni per metterci sotto pressione. Poi ne sceglierà una a caso per metterla sotto torchio e, non convinto da ciò che udirà, inizierà a farci torturare una ad una da un suo sottoposto. Probabilmente uno dei suoi fidati… Mercer sarebbe perfetto, dato che in questo modo avrebbe l’assoluta certezza che nessuno venga a sapere che cosa sta facendo a delle ragazze innocenti. Poi si stuferà di noi e deciderà di farci uccidere da Mercer in gran segreto, oppure di mescolarci alla miriade di condannati all’impiccagione per favoreggiamento alla pirateria.››
 
‹‹Giusto per essere approssimativi, eh?›› la prese in giro Francesca, che, come le altre non aveva creduto ad una sola parola di quello che aveva detto, ma aveva apprezzato la storiella.
‹‹Non potevo mica spoilerarvi tutto quanto: che gusto ci sarebbe stato altrimenti?›› ridacchiò lei, sebbene in cuor suo fosse quasi certa di averci azzeccato in pieno. Solo un miracolo avrebbe potuto salvarle, ora come ora. Ma di questo se ne sarebbe occupata il giorno successivo: ora aveva troppo sonno per ragionare a mente lucida.
 
*****
Anno 1729, 24 aprile, h 06,00
Port Royal, Giamaica (prigioni)
 

‹‹In piedi!›› un urlo, seguito dal cigolio raccapricciante della porta della cella, fece svegliare le quattro prigioniere di soprassalto.
‹‹Mhh, che ore sono?›› domandò Lucia, girando gallone, per nulla intenzionata ad alzarsi. Il giaciglio sporco su cui era stata adagiata dalle compagne (ebbene sì, era riuscita ad addormentarsi durante il tragitto dal palazzo del Governatore Swan e la prigione, costringendo Mary, la più “voluminosa” delle tre, a caricarsela in spalla. Avete presente le fanfiction in cui la povera “sventurata” (non ha sognato tutta la vita di incontrare i suoi personaggi preferiti, nooo), trovandosi in stato d’incoscienza o, semplicemente stanca, viene trasportata in posizione “principessa” dal più figo di turno che, commosso dalla sua bellezza e dolcezza (anche il più spregevole dei serial killer rimane stregato dal fascino di tale giovinetta), non se la sente di svegliarla? Perché, quindi nel loro caso non funzionava? Se Maria Vittoria non si fosse gettata in ginocchio implorante, assicurandoli che l’avrebbe trasportata lei e che non li avrebbe rallentati, l’avrebbero percossa con la canna dei fucili finché non si fosse alzata. La nuvola fantozziana che perseguitava i lavoratori (in questo caso studenti) in vacanza esisteva davvero, non c’era altra spiegazione.
 
Se il soldato le rispose fu, probabilmente, solo per prendersi ulteriormente gioco di loro ‹‹Le sei, il sole è già alto… e il Tenente Gillette vi attende nel suo ufficio››
‹‹cosa?!›› esclamarono tutte e quattro in coro. Mi sembra doveroso sottolineare il fatto che le ragazze non erano indispettite solo per l’orario, ma anche per il fatto che, tra una cosa e l’altra, avevano raggiunto le prigioni non prima delle 05,20. Ma lo facevano apposta? Conoscendo il loro capo, molto probabilmente sì…
‹‹Ma tu, brutto …›› Marta fu prontamente fermata da Francesca che, volendo evitare un ulteriore peggioramento della situazione, le aveva tappato la bocca.
‹‹Mr. Davis, siete una bestia›› borbottò Mary, ancora mezza assonnata, e per il suo livello, quello era uno degli insulti peggiori. Se il soldato se ne ebbe a male per l’“epiteto” non lo diede a vedere: si limitò a scrutarla con sguardo annoiato, mentre le faceva segno di darsi una mossa. Non aveva mica tutto il giorno da dedicare a quattro ragazzine vestite (o meglio, svestite, secondo il costume della società settecentesca) peggio delle meretrici della peggior specie. La bassina coi capelli rossi aveva persino tentato l’approccio con Lord Beckett, a quanto si diceva. Se non fosse stato per il loro atteggiamento estremamente infantile (e il mio meraviglioso aspetto nd: Maria Vittoria) le avrebbe davvero potute scambiare per tali.
 
‹‹Signorine, non abbiamo tutto il giorno!›› riprovò con aria esasperata. Come facessero delle donne a dormire in quell’ambiente squallido, poi, era un mistero. L’oscurità, le grida dei carcerati, la paura per la propria sorte non permettevano di prendere sonno così facilmente nemmeno i criminali più efferati.
‹‹In realtà sì, dato che vi siete preoccupato di svegliarci NEL CUORE DELLA NOTTE›› sottolineò Lucia, non mancando di enfatizzare le ultime parole.
‹‹Ma se sono le sei!›› fece notare l’uomo, sollevando un sopracciglio.
‹‹Appunto, il cuore della notte››
‹‹Scusate se mi permetto, ma voi a che ora siete solita alzarvi?››
‹‹Mhh, non saprei… quando non ho scuola mi sveglio tra mezzogiorno e mezzo e le due meno un quarto. Dipende dal se la fame prende il sopravvento sulla pigrizia.››
Mr. Davis era allibito ‹‹M-ma non è per niente salutare! Anche voi conducete una vita così sregolata nel vostro Paese?››
‹‹Non prendete questo mollusco come esempio: la maggior parte delle persone si sveglia tra le 6 e le 7, 30. Ci sono anche gli eccessi, come qui da voi, suppongo: lavoratori che si alzano nel cuore della notte e ragazzini viziati che si svegliano ben oltre l’ora di pranzo.›› Fra non mancò di scagliare occhiatacce all’amica, per tutta la durata della spiegazione.
‹‹Io mi alzo alle sette, ma non mi sveglio mai prima delle 10,30›› confidò Maria Vittoria, con tono lugubre.
‹‹Forse intendevate il contrario… Ahhh!›› non appena la ragazza sollevò la testa, il soldato si rese conto di tre cose contemporaneamente:
  1. Un mostro era entrato nella cella
  2. Il mostro, in realtà era una ragazza
  3. La ragazza non aveva affatto invertito i verbi.
 
‹‹Oddio, avete un aspetto orribile, sicura di sentirvi bene?›› ritentò, dopo essere riuscito a ricomporsi. Era un membro della celebre fanteria della marina britannica, dopo tutto: non poteva, certo, lasciarsi intimorire da un mostro una fragile fanciulla.
‹‹Non si senta in imbarazzo: finora è la persona che ha reagito meglio al mio aspetto mattutino. Pensi che a scuola mi hanno soprannominata Medusa. Colpa del mio misero aspetto, dei capelli arruffati e dello sguardo di famiglia, suppongo.›› lo rassicurò lei, con lo stesso tono lugubre calmo e distaccato di poco prima. Ormai era abituata alle reazioni che il suo aspetto provocava negli animi dei più, motivo per cui aveva evitato di mostrare il volto finché non fosse stato proprio necessario.
‹‹Sg-sguardo… di famiglia?›› balbettò l’uomo, ancora vagamente scioccato dalla rivelazione.
‹‹Uhm, sì. Da 10 o 11 generazioni (non ricordo con precisione) lo ereditano tutti i primo geniti da parte di mio padre, anche se io, personalmente, non riesco ad utilizzarlo a comando e si tratta di una versione chiaramente ridotta dello stesso. Forse è perché sono la prima femmina ad ereditarlo, ma chissà…›› tentò di spiegare Maria Vittoria, tra uno sbadiglio e l’altro, mentre lo seguiva fuori dalla cella.
 
Mentre camminavano, Mr. Davis si ritrovò a pensare che, se quella era una “versione ridotta”, come l’aveva definita lei, non aveva nessuna intenzione di incontrare i suoi parenti. Quegli occhi avevano decisamente qualcosa di strano: la sera precedente, complice la scarsità delle fonti di luce, gli erano parsi dei normalissimi occhi scuri, ma dovette ricredersi. Erano di un colore difficile da definire: troppo chiaro per essere marrone, ma troppo scuro per essere azzurro. Per esclusione, poteva, dunque, supporre che fossero color verde scuro; eppure e più li osservava, e più nutriva dei dubbi al riguardo. Un attimo prima parevano di un verde cupo, quasi tendente al marrone, ma appena dopo il colore sembrava più simile all’azzurro che al verde. Ogni volta che pensava di aver finalmente trovato la soluzione al dilemma, ecco che gli sembrava la più sbagliata possibile. Che stesse impazzendo?
 
‹‹Caro, non stare lì a scervellarti: Mary ha gli occhi multicolore. E poi, tua mamma non ti ha insegnato che fissare le persone è da maleducati?››
L’uomo non poté fare a meno di arrossire, sentendosi colto in flagrante e, allo stesso tempo, sconvolto dalla mancanza di educazione della bionda. “Caro?” ma come si permetteva di prendersi una tale confidenza?
‹‹Fra, però, se glielo dici così penserà che sia una strega o un qualcosa del genere!›› la rimproverò bonariamente Marta, non riuscendo a trattenere una risata.
‹‹Sono verdi scuri, e, come spesso accade a chi ha quel livello di melanina, mutano alcune sfumature quando cambiano la luce o il tempo meteorologico, fissa un colore particolarmente acceso, si trova vicina ad una grande distesa d’acqua, piange o non si sente bene›› spezzò l’aria di mistero Lucia.
‹‹Siete due guastafeste!›› borbottò Marta, scocciata all’idea di aver perso l’occasione di farsi beffe di una giubba rossa.
La diretta interessata, dal canto suo, non pareva essersi accorta di essere argomento di discussione, probabilmente troppo concentrata sul riuscire a svegliarsi completamente prima dell’interrogatorio. In quanto fangirl, e nerd in generale, era la più indicata per sostenere il confronto con i personaggi di un film ambientato nel passato. Inoltre, per quanto la imbarazzasse ammetterlo, forse complice la timidezza e la passione per la cultura orientale, era leggermente più “posata” delle altre tre. Chissà se le sue previsioni sulle intenzioni di Lord Beckett sarebbero risultate corrette come quella sul grado della persona incaricata di tenere l’interrogatorio. Per quanto le facesse piacere sapere di essere almeno in grado di effettuare delle deduzioni decenti, sperava con tutto il cuore che esse non si avverassero. Non era mica masochista!
‹‹Cassandra››
 
‹‹Che cos’hai detto?›› le domandò curiosa Francesca, che la stava osservando da alcuni minuti ed era curiosa di sapere che cosa frullasse in quella sua testolina.
‹‹Cassandra, profetessa inascoltata o, se preferite, annunciatrice di sventure. Se ci azzecco anche sul resto voglio che mi chiamiate così›› avrebbe voluto dire, ma si limitò a dissimulare i suoi nefasti pensieri con un semplice ‹‹Niente, ero solo sovrappensiero››. Detto questo, scosse la testa e, sfoggiando un sorriso spento, accelerò leggermente il passo, distanziandole di qualche centimetro.
‹‹Quella è tutta matta›› pensò Francesca, ma, anch’ella non parlò. Si limitò a sospirare ed ad aumentare la velocità, per raggiungerla.
L’avventura doveva ancora iniziare e queste erano già stufe di farne parte.
 
Colui che segue la folla non andrà mai più lontano della folla. Colui che va da solo sarà più probabile che si troverà in luoghi dove nessuno è mai arrivato
(Albert Einstein)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- Terzo incomodo check! ***


Capitolo 3- Terzo incomodo check!
Se vuoi proteggere la tua ship del cuore, non rovinargli il bacio d’addio.
 

*Il dialogo che segue è stato ripreso pari pari dal film*

 
Anno 1729, 25 aprile, h 09,00
Port Royal, Giamaica (cella di Elisabeth Swan)
 
 

‹‹Dove andate? Non potete stare qua!››
‹‹E invece penso che possa››
‹‹Signor Swan!››
‹‹Governatore Swan. Credi che questa parrucca serva a scaldarmi il capo?›› cercò di appellarsi alla sua autorità di governatore (gli uomini sono proprio uguali in tutte le epoche nd: me) per permettere al futuro genero di salutare la figlia prima della partenza. Non che gli andasse particolarmente a genio, ma del resto, cosa poteva fare un padre contro i desideri della figlia prediletta? Era pur vero che ancor prima che la figlia nascesse, si era impegnato anima e corpo per ottenerle un matrimonio con un buon partito: aveva dovuto pestare molti piedi, seppellire innumerevoli cadaveri allontanare gli uomini che le si avvicinavano, mossi dalle più ignobili intenzioni (tipo scriverle una poesia, chiederle di passeggiare nel giardino, suonarle una serenata sotto il balcone, chiederle di ballare, salutarla per strada). Ma, come il tempo avrebbe, poi, dimostrato, ne aveva mancato uno e tale errore di valutazione si era dimostrato fatale per la sua bambina (Ma ha vent’anni! Nd: William. Non mi interessa, per me sarà sempre la mia bambina! Nd: governatore Swan). Si era rivolto ai piani più alti, ma, evidentemente, qualcuno da lassù aveva uno strano senso dell’umorismo… (Checco Zalone docet)

Il governatore fu costretto, suo malgrado, ad interrompere il flusso di coscienza per attivare il super radar da “padre-spia”. Del resto, fino a prova contraria, non erano ancora sposati, e lui era pronto a far valere il suo potere genitoriale fino a tale momento.
‹‹La bussola di Jack, che ci deve fare Beckett?››
‹‹Ha importanza? Rintraccerò Jack e lo convincerò a tornare a Port Royal. In cambio le accuse contro di noi saranno ritirate››
‹‹No… Dobbiamo trovare la nostra strada per assicurarvi la libertà.›› Come chiunque avrebbe potuto notare, il “no” era dovuto essenzialmente al fatto che i due piccioncini si stavano avvicinando un po’ troppo per i suoi gusti. “Benedette le sbarre e chi le ha inventate” si ritrovò a pensare, notevolmente sollevato dalla considerazione.
‹‹E’ una mancanza di fiducia in Jack o in me?››
Avrebbe voluto dire “in entrambi”, ma notando lo sguardo d’avvertimento lanciatagli dalla figlia, decise di limitarsi a rispondere: ‹‹Se tu hai rischiato la tua vita per salvare Sparrow, ciò non implica che lui farebbe lo stesso per qualcun altro.›› Avrebbe volentieri protratto la conversazione ancora per un po’, ma un’occhiata eloquente della figlia lo spinse ad aggiungere velocemente, per poi fingere di allontanarsi: ‹‹Hmm… allora, dov’è il cane con le chiavi?››
Così, mentre lui li spiava da dietro una colonna, la coppietta continuava a confabulare, ignara.
‹‹Io ho fiducia in te… e anche in lui. Dove lo troverai?››
‹‹Tortuga. Lo cercherò lì, e se non c’è lo troverò anche in capo al mondo. E poi intendo ritornare qui per sposarti››
‹‹Come si deve?›› scherzò Elisabeth.
‹‹Sì, se ancora vorrai prendermi››
‹‹Non fosse per le sbarre ti avrei già preso››
Quell’affermazione decisamente troppo eccessiva per una Lady, non fece altro che preoccupare ulteriormente il governatore per la cattiva influenza del ragazzo sulla figlia. Nessuno avrebbe, quindi, potuto biasimarlo per essersi appoggiato accidentalmente ad un candelabro, producendo un fragore tale da interrompere la coppietta.
‹‹Ti aspetterò›› si limitò ad aggiungere Elisabeth, sospirando. Proprio a lei doveva capitare un genitore iper protettivo?
‹‹Tieni gli occhi piantati sull’orizzonte›› con questa frase ad effetto, il povero Will pensò di poter cogliere l’occasione per salutare l’amata almeno con un bacio a stampo, ma evidentemente, quel qualcuno da lassù che si dilettava nel prendersi gioco del governatore, aveva preso in “simpatia” anche lui. Pochi istanti prima che le loro labbra potessero sfiorarsi, infatti, Elisabeth si ritrasse di scatto.
‹‹No: io proprio non ce la faccio! Non con così tanti occhi che ci osservano.››

Quelle parole ebbero l’effetto di far sospirare simultaneamente tutti gli occupanti della prigione, solo che, mentre il governatore lo fece per il sollievo, Francesca, Lucia e Marta per la delusione, Mary e i tre bambini con cui condivideva la cella per disgusto e gli altri carcerati per aver perso l’occasione di assistere ad una scena piccante (per gli standard dell’epoca).
‹‹Senti, carina, non è mica colpa nostra se quel tizio che porta lo stesso nome di un capo d’abbigliamento per secchioni e diversamente eterosessuali è un maniaco dell’ordine e si diletta nel distribuire i prigionieri a gruppi di quattro, composti da individui dello stesso sesso e fascia d’età››
‹‹Hai forse qualcosa contro nerd ed omosessuali?›› volle indagare Fra, sul piede di guerra già per il fatto che Marta avesse trattato male la sua eroina preferita.
‹‹Ma assolutamente no, ci mancherebbe. Solo contro i nerd!›› resasi, però, conto di aver appena ferito i sentimenti di Maria Vittoria, si affrettò ad aggiungere: ‹‹Volevo dire… i nerd dello scientifico! Sì, loro pensano solo ai numeri e agli scacchi: gente degenere. Mica come quelli del classico: loro sì che sono… hem… sono così… mi sfugge il termine… classicisti, ecco!››
Fortunatamente l’aggettivo “classicisti” fu sufficiente a far cessare lo stato cupo-depressivo di Maria Vittoria (al suo confronto quello del primo Hokage di Naruto era niente).
‹‹Scusate se ve lo domando, mie signore, ma come mai delle fragili fanciulle come voi si trovano in questa tetra prigione?››

‹‹Beh, dovete sapere che noi veniamo da un futuro dove le macchine volano, i cani vanno nello spazio e i ragazzini passano ore davanti ad una scatolina scura su cui appaiono delle immagini. Siamo arrivate qui perché Marta è finita nella stanza di Lord Beckett passando dal suo letto ed ha attentato alla sua virtù, attirandosi le ire di Mr. Mercer, che poi…››
‹‹Censura›› si limitò a pronunciare Lucia, dopo essersi premunita di tappare la bocca a Mary, prima che li scioccasse ulteriormente.
‹‹Ah, capisco!›› approvò Will Turner, mentre padre e figlia annuivano convinti, come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.
‹‹Hey, come facevi a sapere che avrebbe funzionato?›› le diede di gomito Marta.
‹‹Cambiano le persone, ma non cambiano le abitudini. Non importa l’epoca: i tiranni si comporteranno sempre allo stesso modo››.
I loro bisbigli furono, però, interrotti da Will che ardì a porre un’altra domanda: ‹‹Ma come mai la vostra amica si trova in cella con dei bambini?››
‹‹Perché il tenente Gillette si ostina a credere che lei abbia 10 anni o che comunque sia troppo pura ed ingenua per avere a che fare con il mondo adulto, specie in una prigione››
‹‹Hey, ma io non sono né piccola, né ingenua!››
‹‹Allora possiamo parlare tranquillamente davanti a te di quella volta che Luigi ha caricato una prostituta in curva e…››
‹‹NOOO, PER CARITA’, CHE SCHIFO! ARGOMENTO TABUUU’!››
‹‹Direi che questa è una chiara esplicazione della teoria del tenente›› concluse serafica Francesca.
‹‹Ma è solo perché certe cose si fanno solo dopo il matrimonio!››
‹‹Beh, ha ragione!›› Will, Elisabeth e padre non poterono far altro che concordare con lei.
‹‹Io se fossi in te la pianterei di lamentarmi e ringrazierei il tuo caro tenente, invece!››

‹‹Che vuoi dire, Lu?››
‹‹Che quando si saranno stancati di tenerci qui, se dovranno scegliere chi utilizzare per sfogare le brame dei loro soldati, non verranno certo a cercare nelle celle destinate ai bambini››
‹‹Ma guarda che io adoro cucinare: se dovessero aver bisogno di una mano in cucina mi offrirò volontaria››
‹‹Temo che la vostra amica con “brame” voglia intendere un’altra cosa›› cercò di correggerla il governatore, nel modo meno esplicito possibile.
‹‹Oh!›› ma glia altri non fecero in tempo a tirare un sospiro di sollievo che Mary continuò: ‹‹Che cosa?››
Dire che tale affermazione fece cadere le braccia a tutti quanti è un eufemismo. Marta si ritrovò costretta a bisbigliarle la spiegazione nell’orecchio, onde evitare di inorridire i nobiluomini del ‘700. La reazione di Maria Vittoria non si fece, certo, attendere: sgranò gli occhi, scioccata e disgustata allo stesso tempo.
‹‹Guarda che sono degli uomini di legge ed osservanti del galateo e delle norme divine, non farebbero mai una cosa del genere!››
‹‹Hem, certo… comunque penso che sia saggio cambiare argomento›› tentò di placare le acque Francesca.
‹‹Ottima osservazione, Miss! Ad esempio, non riesco a capire come mai quel Beckett si sia permesso di sbattere Miss. Elisabeth in una cella così affollata. Non gli è bastato rovinare il nostro matrimonio? Voleva impedire anche il nostro addio?››
 
‹‹Evidentemente qualcuno temeva che faceste le vostre cose in un ambiente pubblico, dato che questo è una prigione…›› lo punzecchiò Marta. La ragazza aveva subito capito di aver per le mani un fagiolone dello stesso calibro di Mary e non voleva assolutamente perdere l’occasione per prendersi gioco di lui.
‹‹Perdonatemi, ma non credo di aver inteso…›› disse Will Turner, dopo essersi voltato verso Elisabeth, con la speranza che almeno lei avesse capito qualcosa, ma vedendo solo il suo medesimo stato di confusione.
‹‹Lasciate perdere, ve lo consiglio›› sbuffò Fra, affrettandosi a troncare il discorso prima che degenerasse in argomenti piuttosto “sensibili” per l’epoca.
Forse quello non era stato proprio l’argomento ideale per limitare i problemi… La permanenza delle nostre quattro avventuriere si prospettava essere lunga e ricca di gaffe.

*****
Anno 1729, 25 aprile, h 21,00
Port Royal, Giamaica (cella di Mary)
 

Da quando Will ed il governatore se n’era andati, in prigione era calato il silenzio. Non che fossero troppo terrorizzate o cose del genere, ma trovarsi circondati da sconosciuti non favorisce certo la conversazione. In effetti quattro ragazzine starnazzanti, abbigliate in maniera poco consona per l’epoca e oltremodo espansive (anche un ligure sa essere più invadente di un inglese nel ‘700) non passavano certo inosservate, specie dopo il simpatico siparietto di poco prima. Per non parlare del fatto che una delle loro eroine preferite si trovava a meno di un metro da loro. Parlare, per poi rischiare di fare brutta figura davanti a lei non era assolutamente una prospettiva da prendere in considerazione.
Maria Vittoria, dal canto suo, sapeva apprezzare il silenzio quasi quanto raccontare aneddoti a macchinetta. Del resto non avevano avuto molto tempo per riflettere da quando erano tornate dall’ufficio di Gillette, dove, tra l’altro erano state tartassate una alla volta da un suo collaboratore. Il tenente non le aveva nemmeno guardate in faccia: aveva trascorso tutto il tempo a firmare scartoffie molto rassicuranti (confische di beni, aumenti delle tasse, mandati d’arresto, condanne a morte) mentre sorseggiava il tè, come a voler dire “Se non me ne può fregare de meno di far uccidere dei miei compaesani, cosa vi fa pensare di essere meritevoli della mia attenzione?”. Il messaggio che aleggiava nell’aria era chiaro: “Parlate e chiuderemo la faccenda in modo veloce e indolore… forse, oppure non parlate e preparatevi a soffrire come non avete mai fatto prima d’ora”. Ovviamente il suo sottoposto non aveva creduto nemmeno per un istante alle loro storie su un futuro misterioso in cui l’uomo poteva volare, le donne valevano quanto gli uomini e degli strani individui giravano con uno scolapasta sul capo sostenendo che si trattasse di un nuovo culto. Gillette non aveva emesso un solo suono che lasciasse intendere che cosa ne pensasse delle loro spiegazioni. L’unica parvenza di emozione da lui dimostrata era stato un triste sospiro, seguito da un lieve scuotimento del capo, alla vista di Maria Vittoria che, come accennato in precedenza, considerava alla stregua di una bambina.

Mary sperava con tutto il cuore che avesse solo finto di non sentire e che avrebbe riferito tutto al suo capo. Dopo tutto se Lord Beckett credeva all’esistenza di Davy Jones, Kraken e divinità marine, avrebbe ritenuto la loro storia quanto meno plausibile, vero? E se sì, avrebbe deciso di permettergli di fare ritorno alla loro epoca o avrebbe preferito pressarle per ottenere informazioni utili per il proprio futuro? Avrebbero dovuto assecondarlo, col rischio di compromettere seriamente gli equilibri su cui si reggeva il loro tempo, o avrebbero dovuto morire eroicamente, tutelando i posteri?
Troppe domande a cui non era sicura di dover trovare una risposta. Una sola cosa era certa: le ipotesi che aveva formulato la sera precedente in maniera scherzosa si stavano avverando, e questo non era un bel segnale. Ad ogni modo, pensarci adesso avrebbe solo contribuito ad aumentare il suo nervosismo ed era consapevole che la sua capacità di smorzare la tensione era indispensabile ora come non mai. Se lei avesse ceduto alla disperazione, anche l’umore delle altre ne avrebbe risentito parecchio.
L’occasione per far cessare quel flusso di pensieri non si fece attendere, dato che il più piccolo degli “occupanti” della sua cella si era rintanato in un angolo, dove stava piangendo, silenziosamente.

‹‹Che cos’ha?›› domandò agli altri bambini.
‹‹Boh, quello piange sempre e basta!›› disse la femmina, stizzita.
‹‹Senti chi parla›› la rimbeccò il fratello maggiore.
‹‹Io piango solo per motivi di straordinaria importanza!›› si difese lei, offesa.
‹‹Tipo quando ti si sporca il grembiulino o ti cade la bambola nel pozzo?››
‹‹Hem… non per interrompere la vostra sana discussione fraterna, ma mi stavo chiedendo se giocate spesso vicino a pozzi, precipizi e altri luoghi pericolosi…›› domandò Maria Vittoria, inquieta. Non sapeva per quale motivo, ma il solo udire quel racconto le aveva portato alla mente l’immagine di cosa sarebbe potuto succedere se, una di quelle volte, al posto del giocattolo vi fosse precipitata la bambina.
‹‹Ma non c’è nessun pericolo: basta fare attenzione al vento e non distrarsi troppo.›› le rispose il maschio, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Ora sì che mi sento più tranquilla, pensò la ragazza, mentre si avvicinava al fratellino più piccolo, per sincerarsi delle sue condizioni. ‹‹Va tutto bene, piccolo?››
Non ricevendo risposta, si sedette accanto a lui e gli accarezzò dolcemente i capelli. Poi iniziò a porgergli qualche domanda a cui lui rispose solo con qualche breve cenno del capo. ‹‹Ti senti male, per caso? Hai freddo, fame o sete? Hai paura del buio?››
Vedendo che aveva risposto negativamente alle domande precedenti, gli pose l’ultima fatidica domanda: ‹‹Ti manca la mamma?››

Finalmente il bambino rispose con un flebile “sì” e Maria Vittoria non poté fare a meno di abbracciarlo, intenerita ‹‹Non preoccuparti, sono certa che la rivedrete tutti molto presto!››
‹‹Probabile, dato che Lord Beckett, ormai, non sa più cosa farsene di noi!››
‹‹Eduard, non dire così! Nostro padre verrà a salvarci: l’ha promesso!›› strillò la sorellina.
‹‹Ci ha abbandonato: per lui eravamo solo un peso e nulla più.››
‹‹Non ti permettere di parlare di lui in questo modo!›› gli sibilò lei tra i denti, i pugni stretti e le braccia rigide lungo il busto. ‹‹Era… è un brav’uomo!›› aggiunse con un tono incrinato. I suoi splendidi occhi azzurri stavano iniziando a diventare lucidi ed il suo corpicino era attraversato da fremiti. Si vedeva lontano un miglio che era sul punto di crollare.
‹‹Ed un brav’uomo abbandonerebbe i suoi figli e la moglie morente che ha continuato ad invocare il suo nome finché non ha esalato il suo ultimo respiro?››
‹‹Nostro padre non ci ha abbandonati: sta per tornare, ne sono sicura!›› ormai sia lei che il fratellino erano in preda al pianto.
‹‹Invece sì: è solo un vigliacco!›› le urlò di rimando lui.
‹‹No, non lo è!››
‹‹Smettila di fare la bambina! Vuoi sapere una cosa? Nostro padre è diventato un pirata perché non vi sopportava più! Siete due solo due piagnucoloni e non sapete fare altro che fare i capricci!››
‹‹ORA BASTA!›› l’urlo di Francesca fu, forse, leggermente esagerato per il contesto in cui si trovavano (Forse complice l’acustica delle prigioni, fu udito da quasi mezza città, provocando, oltre al resto, la caduta di un paio di operai, un mezzo infarto alle guardie che si erano appisolate sul posto di lavoro e lo stordimento di uno stormo di gabbiani che passava di lì).
‹‹Hem, scusate, è tutto a posto, davvero! Potete tornare a dorm… hem, a svolgere il vostro importantissimo lavoro›› si prodigò per rassicurare le guardie, accorse pensando che fosse accaduto qualcosa di grave. Queste ultime, accertatesi dell’assenza di pericolo, se ne tornarono alla loro postazione, bofonchiando qualcosa di simile a “donne, chi le capisce”.

‹‹Fra…›› sospirarono le sue amiche ‹‹sei sempre la solita!››
‹‹Scusate se io, a differenza della bambina qui accanto mi so imporre›› rispose quest’ultima, non perdendo l’occasione per tirare l’ennesima frecciatina a Maria Vittoria, la quale era nuovamente avvolta da una nube di pura negatività. Nube che si dissolse nel momento in cui si rese conto che in cielo erano spuntate le stelle. Da brava bambina di cinque anni non poté fare a meno di balzare in piedi e saltellare (per quanto possibile, date le piccole dimensioni della cella) verso la piccola finestrella. ‹‹Guardate, ci sono le stelle… e si vedono benissimo da qui! Benedetta l’assenza di tecnologia ed illuminazione artificiale!›› esclamò, emozionata come una bambina che ha appena ricevuto in regalo il giocattolo che desiderava da mesi.
Elisabeth ed i bambini, non capendo cosa la ragazza intendesse con “tecnologia” e “illuminazione artificiale”, si scambiarono qualche occhiata stranita, ma, bastò loro qualche segno di Francesca per comprendere che Mary non dovesse avere tutte le rotelle a posto.
‹‹Oh, andiamo! Bisogna apprezzare le piccole cose belle che accadono nei momenti più bui›› rise lei, di rimando.
‹‹Questa è tutta matta! Lo dicevo io che il classico non fa bene alla salute…›› bisbigliò Francesca alle compagne di cella.
‹‹Che cosa sarebbe il “classico”? E’ forse una di quelle sostanze strane che importa la compagnia delle Indie Orientali?›› domandò la figlia del governatore, confusa. Questo in effetti avrebbe spiegato il perché Cutler Beckett non volesse lasciar trapelare alcun’informazione su quelle strane ragazze. Immaginate lo scandalo, se si fosse saputo che trasportava sostanze talmente pericolose da compromettere la salute mentale di un individuo. E, ora che ci pensava bene, quando Beckett le aveva domandato se conoscesse Jack Sparrow, non pareva particolarmente felice. Che avessero avuto dei trascorsi in passato, proprio a causa di tale sostanza? In effetti, dire che Jack si comportasse in maniera strana era un eufemismo.

Le sue elucubrazioni mentali furono, però, interrotte da una serie di risate sregolate da parte delle millennial. Lucia perse l’equilibrio e ruzzolò giù dalla panca di legno su cui era sdraiata, finendo addosso a Marta che si stava rotolando dalle risate. Francesca dovette aggrapparsi alle sbarre per evitare di cadere e fare la fine delle altre due. Tutto questo sotto gli occhi esterrefatti degli altri prigionieri (ebbene sì, la confusione era stata tale che, ormai, avevano l’attenzione di buona parte del piano delle prigioni su cui si trovavano. Del resto, non è che gli altri condannati avessero un granché da fare).
‹‹Hem, vi sentite bene? Ho detto qualcosa di sbagliato, per caso?›› lo sguardo preoccupato della figlia del governatore (la quale temeva di aver toccato un tasto dolente per le fanciulle. Ricordiamo che era convinta che fossero state utilizzate da cavie per testare le sostanze stupefacenti importate dalla Compagnia delle Indie Orientali) ebbe il potere di riscuotere le tre dallo stato di trance causato dalla “ridarella”.
‹‹No, stai tranquilla›› riuscì a pronunciare Francesca, asciugando una lacrima solitaria, provocata dal troppo riso, e riuscendo finalmente a riprendere fiato ‹‹E’ solo che il “Classico” è un tipo di percorso d’istruzione molto diffuso nel luogo da cui proveniamo, quindi abbiamo trovato divertente il fatto che qualcuno che ne ignori l’esistenza lo possa aver scambiato per una droga.››
‹‹Anche se in effetti lo si potrebbe anche definire tale, dato l’effetto che provoca in chi lo frequenta. E voi due smettetela di incenerirmi con lo sguardo: lo so che la pensate esattamente come me. Basta guardare questa disagiata!›› aggiunse Lucia, tornata, finalmente seria anch’ella.
‹‹Hem, quindi se ho capito bene chi segue questo “Classico”, che alla fine è… un culto? E chi vi si inizia si comporta in maniera strana.›› cercò di trarre le sue conclusioni la Swan.
‹‹Giusto appunto… ma guarda te che cosa le sei andata a dire! Ora penserà che Mary sia una squilibrata›› sospirò Francesca, stampandosi il palmo della mano destra sulla fronte, con aria rassegnata.
‹‹Elisabeth cara, non dare ascolto a quelle due: quelli che frequentano il liceo Classico fanno un sacco di cose fichissime!›› prese la parola Marta, sinceramente eccitata.
‹‹Ad esempio?›› la rimbeccò Lucia, incrociando le braccia al petto ed appoggiandosi alla parete con aria annoiata.

Marta non se lo fece ripetere due volte. Si avvicinò repentinamente ad Elisabeth, le posizionò le mani sulle spalle ed iniziò a parlare con voce da esaltata e gli occhi fuori dalle orbite: ‹‹Fanno after quasi tutte le sere e bevono quantità industriali di caffè, ma ciò nonostante il giorno successivo si presentano a scuola come se niente fosse. Riescono a studiare ovunque, con chiunque e in qualunque situazione. Portano i dizionari di latino e greco tra le braccia, come se fossero i loro figli. La notte girano per le scuole indossando lenzuoli e toghe, parlano in greco e illuminano i corridoi con … avete presente i ceri per il cimitero? Ecco, quelli! E poi i loro professori gli fanno leggere dei testi che a mio parere dovrebbero avere il bollino rosso, li portano in gita in un bordello e nei quartieri di drogati! Ma soprattutto…›› il suo sproloquio fu fortunatamente interrotto da Mary, la quale riteneva doveroso dare qualche spiegazione prima che la sua eroina numero uno la prendesse definitivamente per una pazza furiosa.
‹‹Punto primo, non facciamo after perché andiamo a ballare e bere in compagnia, ma perché dobbiamo studiare. E tranquilla, Marta, che se anche tu avessi due montagne e mezzo di libri da memorizzare, riusciresti tranquillamente a studiare anche nella situazione più caotica. Punto secondo, perché i dizionari non stanno fisicamente nello zaino con tutti quei libri e, tra parentesi, costano 100 euro quello di latino e 200 quello di greco, ergo penso che non ci sia bisogno di spiegare il motivo della nostra cura maniacale nei loro confronti. Punto terzo, ci travestiamo solo per la Notte Nazionale del liceo Classico. Ultimo punto, mi sa che stai facendo di un’erba un fascio: a parte gli scritti di Catullo e pochi altri, non studiamo niente di così eclatante. E per quanto riguarda le gite, non finiamo in postacci in quanto classicisti, ma perché abbiamo avuto la sventura di avere una preside ligure che prenota nei luoghi più economici, a discapito della salute dei propri studenti.››
‹‹Uffi, ma così mi rovini tutta la scena!››
‹‹Ci mancherebbe! Stavi disonorando il buon nome della mia scuola, degenerata!›› la rimbeccò Maria Vittoria, mal celando una risata.
‹‹Lascia perdere quelle due svitate, fidati›› bisbigliò Francesca alla Lady inglese che, dopo la spiegazione di Maria Vittoria, appariva ancora più confusa di prima.
Se le chiamate in causa udirono il commento, non lo diedero a vedere. Marta si lasciò scivolare con la schiena contro la parete e, dopo aver raggiunto il pavimento, portò le ginocchia al petto e le circondò con le braccia. Vi posò, poi il capo, con fare stanco, chiaro segnale del fatto che dovesse aver esaurito l’ultima dose d’energia nella discussione precedente.

Maria Vittoria, dal canto suo, ritornò a rivolgersi al piccolo Tommy che, nel frattempo, aveva smesso di piangere e fissava la scena incuriosito. “Beh, ho perso l’ultima briciola di dignità, ma per lo meno sono riuscita a farlo sorridere”.
‹‹Conosci il nome di qualche costellazione?››
Tommy annuì, prontamente. Come Mary aveva immaginato, le stelle dovevano essere uno degli argomenti preferiti dei figli di un marinaio.
‹‹E voi, siete capaci di riconoscerle?›› domandò, questa volta rivolta agli altri due.
‹‹Per chi mi hai preso, per un moccioso? E’ capace persino mia sorella che è una femmina ed ha 10 anni!››
‹‹E tu quanti anni avresti, sentiamo›› gli domandò Fra, posizionandosi davanti a lui con le braccia incrociate. Seppur fossero distanziati dalle sbarre, la differenza di altezza tra i due era ben visibile.
‹‹Ne ho dodici, e vado per i tredici!›› rispose lui, fieramente, mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo.
‹‹Sai, da noi, come chiamano i mocciosi che si danno delle arie come te? Bimbi-m*****a!››
‹‹Hem… quello che la mia amica stava cercando di dire›› troncò la discussione Maria Vittoria, evitando altre domande su usanze del XXI secolo a cui avrebbero faticato a rispondere ‹‹è che l’età è un fattore di paragone relativo. Puoi sentirti grande rispetto ai tuoi fratelli, ma ciò non significa che non ci possano essere delle persone più giovani di te che saranno più ferrate su un determinato argomento. E anche se ciò non fosse, non hai il diritto di atteggiarti a “superiore della situazione”››
Mary che sgrida qualcuno? Nevicherà nel mare dei Caraibi!” pensò Marta, sorpresa, ma si dovette ricredere ben presto.
‹‹Ad esempio io non sono particolarmente ferrata nell’individuare le costellazioni… da parte di mio padre sono tutti servi della gleba da generazioni, quindi non giudicate, okay?!›› disse lei, sfoggiando un sorriso talmente ingenuo da far cascare le braccia a tutti i presenti.
No, è ancora tutto nella norma.” sospirò Marta, esasperata.

‹‹Però›› aggiunse Mary, sorridendo ai due più piccoli, ‹‹conosco molte storie su di esse. Se mi indicate le vostre preferite posso raccontarvene alcune.››
La prima a rispondere al suo tentativo, come previsto, fu la bambina: era decisamente quella con la testa più sulle nuvole dei tre. Se fosse nata qualche secolo più avanti avrebbe potuto diventare un magnifico esemplare di classicista disperata.
‹‹Cassiopea: la bella signora che sta a testa in giù!››
Maria Vittoria, per nulla desiderosa di rovinare l’idea che la bambina aveva della sua costellazione preferita, tentò di persuaderla con un ‹‹Hem, ma ne sei proprio sicura, cara? Ci sono molte altre storie interessanti: la chioma di Berenice, le Esperidi, lo scorpione, pegaso, …››
‹‹Ma a me piace Cassiopea! Per essere stata trasformata in stelle doveva essere proprio una bella dama ricca di virtù››
‹‹Non lo metto in dubbio, ma sono certa che se ci rifletterai ancora un attimo, ti renderai conto che magari c’è un’altra costellazione che ti incuriosisce ancora di più di que…››
‹‹Patetico: scommetto che perdi tempo perché non lo sai›› sghignazzò Eduard.
‹‹E invece lo so, e proprio per questo motivo non voglio rovinare l’infanzia di tua sorella›› gli sibilò nell’orecchio, ma quello si mise a ridere in maniera scomposta, per poi farle notare che, dopo la prigione, forse la sua infanzia era già stata leggermente stravolta.

‹‹E va bene, allora vada per Cassiopea›› iniziò Mary, sedendosi per terra con un sospiro, per poi incrociare le gambe, permettendo al piccolo Tommy di sedervisi sopra. Si diede un’occhiata intorno e, dopo essersi accertata che tutti (ormai si era rassegnata al fatto che gli altri prigionieri avrebbero continuato ad osservare le loro mosse) avessero assunto una posizione comoda e che la stessero ascoltando. ‹‹C’era una volta, tanto tempo fa, in un paese lontano, lontano…››
‹‹C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla regina: “raccontami una storia” e la regina incominciò: “c’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla regina: “raccontami una storia” e la regina incominciò: “… Ma quanti anni hai? 2? Ancora a perdere tempo con le favolette per bambini! E io che credevo che avresti raccontato un qualcosa di interessante›› la prese in giro Francesca, che ancora non riusciva a capacitarsi di come riuscisse a pensare alle favole nella situazione in cui si trovavano.
‹‹Punto primo, non è una favola: quelle le scrivono Esopo, Fedro, La Fontaine e via di seguito. Potrebbe assomigliare ad una fiaba per via del tempo e del luogo indefiniti, ma ho deciso di iniziare così, giusto per non appesantire la trama con nomi di regni e sovrani vissuti migliaia di anni fa. Punto secondo, i miti non sono forse delle storie?›› sbuffò Mary, stufa di doversi interrompere. Se c’era una cosa che detestava erano le persone che non le permettevano di formulare un discorso per intero. Ma avevano fretta, per caso? Erano in una prigione, mannaggia la miseria! L’unico che poteva metterle fretta era il boia e, dato che in quel momento di aguzzini non v’era nemmeno l’ombra, che non le rompessero le scatole.
‹‹Allora, nel VI* secolo prima della venuta di Cristo, Cassiepea, moglie di Cefeo, sovrano d’Etiopia, al quale, tanto per la cronaca, è stata dedicata un’altra costellazione che, nello specifico si trova… hem, si trova… ad occhio e croce… a destra del parallelo nord del circolo del capricorno sulla vostra sinistra… chi cerca trova… E va bene: non ho la benché più pallida idea di dove si trovi. So solo che dovrebbe trovarsi nei pressi di Cassiopea, ma mi sono distratta un attimo e mi sono scordata dove mi avete detto che era, hehehe››

‹‹E’ quella!›› i tre fratelli e buona parte dei carcerati (con somma sorpresa delle sue amiche ed Elisabeth, ma non di Mary, decisamente più concentrata sul fatto che le avessero dato una risposta) le risposero in coro, indicandole il punto della volta celeste. Inutile dire che, con quella sola indicazione, non fu in grado di capire un bel niente, ma, temendo di scatenare nuovamente le ire del compagno di cella, finse di averla trovata.
‹‹Era iniziata troppo bene perché potesse essere vero›› commentò Lucia, con fare sarcastico.
‹‹Già: era scientificamente impossibile che riuscisse a mantenere alta l’attenzione di così tante persone, senza esibirsi in qualche gaffe›› l’appoggiò Francesca.
‹‹Oh, ma certo, lo sapevo… volevo solo… testare le vostre conoscenze, ecco›› tentò di scusarsi Maria Vittoria, ignorando i commenti delle amiche.
‹‹Ma chi ci crede›› le risposero nuovamente in coro.
‹‹Come siete crudeli›› replicò Mary, fingendosi in lacrime, per poi risfoderare nuovamente il sorriso da “ora-vi-racconto-un-aneddoto-e-voi-ve-ne-state-muti-e-immobili-finché-non-ho-finito-perché-se-piace-a-me-non-vedo-perché-non-dovrebbe-piacere-a-tutti”.
‹‹Ad ogni modo, come stavo dicendo, Cassiepea››
‹‹Cassiopea!›› le fece eco il pubblico.
‹‹In mitologia si dice Cassiepea, mentre la costellazione si chiama Cassiopea.›› sottolineò Mary, sospirando con fare annoiato.
‹‹Ahhh!››

‹‹Se non ci sono altre domande io inizierei la seconda frase… Bene: chi tace acconsente! Allora, Cassiepea era famosa in tutto il regno per la sua vanità ed alterigia. In particolare, andava fiera della propria chioma, composta da splendidi boccoli del color dell’ebano che, all’epoca, erano sintomo di grande bellezza. Un giorno, proprio mentre era intenta a spazzolare i lucidi capelli scuri, vaneggiò, sostenendo di battere in grazia ed aspetto persino le Nereidi. Le Nereidi erano splendide ninfe marine, figlie di Nereo, di cui faceva parte anche la moglie di Poseidone. Il sovrano dei mari, pressato da moglie e cognate, pover’uomo, decise di vendicare l’onta subita dalle donne della sua famiglia, sguinzagliando il suo animaletto domestico, un mostro marino che faceva razzia sulle coste del loro regno. Che, tra parentesi, vorrei sapere da quando in qua chi ha i capelli ricci li spazzola da asciutti: si finisce per assomigliare ad un porcospino, ve lo assicuro. E voi uomini non fate quelle facce, perché vorrei vedere se, tornati da un lungo viaggio, vi aprisse l’uscio vostra moglie in versione incrocio tra uno yeti ed il mostro delle paludi. Sareste contenti? Io non credo proprio. Chiudiamo questa parentesi che ho ritenuto utile per inquadrare l’elevato intelletto di costei che, non contenta, sfida apertamente le creature più lunatiche dell’universo: donne (quanti luoghi comuni ci sono al riguardo?) marine (cosa c’è di più variabile del mare?). Tra l’altro, fosse stata un’umile tessitrice come Aracne, la collera divina si sarebbe abbattuta solo su di lei, ma, essendo la coniuge del sovrano, le sciagure andarono ad estendersi all’intero reame. Furono interrogati gli oracoli, gli indovini e le profetesse inascoltate, che, tra parentesi, se poi non le ascolti, che le interroghi a fare? Mah, strana gente gli antichi. Ad ogni modo, il responso fu unanime: un sacrificio doveva essere fatto per placare la bestia. L’onta andava lavata con il sangue ed il sangue doveva essere quello della principessa Andromeda. Ora, da che mondo e mondo, quando la vita da rischiare è quella di una bella donna, tutto il popolo si schiera a favore della poveretta, e si sceglie di far chiamare un eroe per sconfiggere la bestia. Sottolineiamo il fatto che all’epoca gli eroi spuntavano come funghi. Ma, a quanto pare il popolo etiope, all’epoca, non brillava per intelligenza, dato che decisero di assecondare le follie di una divinità nota per… bambini tappatevi le orecchie, grazie! Stuprare qualsiasi essere dotato di apparato respiratorio che aveva la sventura di passare nei pressi di una spiaggia o scogliera. Presero quindi la fanciulla, che avanzando tesi salde, quali “No, vi prego, sono troppo bella per morire” e “sono la trentaquattresima figlia illegittima, hem, volevo dire l’unica figlia legittima dei sovrani in un reame di stampo maschilista in cui la donna non vale niente e, o viene fatta sposare con un sovrano di un paese importante, oppure viene mandata a fare la sacerdotessa di afrodite a calci nel sedere: sono troppo importante per morire!”, riuscì quasi a convincere i suoi compassionevoli sudditi. La paura per la propria incolumità, tuttavia, era ben maggiore della compassione nutrita per l’orribile sorte cui era stata destinata Andromeda. La denudarono e la incatenarono ad una rupe in mezzo al mare… Uomini-bestie, smettetela di ridacchiare: i vestiti le erano stati chiaramente tolti per far sì che non appesantissero lo stomaco del mostro marino e non perché desse spettacolo. Anche perché chi sarebbe mai andato in mezzo al mare, sapendo che una creatura malvagia pattuglia quelle acque? Beh, fortunatamente per lei, qualcuno passò per di lì. Giasone, celeberrimo eroe greco (all’epoca non si era ancora montato la testa, … se volete uno spoiler di come diventerà quando la fama gli darà alla testa, andatevi a leggere la “Medea”. Non sapete leggere? Non preoccupatevi: ci penso io! Un’opera letteraria al giorno leva l’analfabetismo di turno, lo dico sempre.), notò la ragazza durante il suo volo di ritorno da una missione. La poverina era talmente pallida per l’angoscia ed aveva la pelle talmente candida che, se non fosse stato per il vento che le scompigliava i capelli, Giasone l’avrebbe scambiata per una statua. E anche qui vi rendo partecipe delle mie riflessioni disagiate: mi spiegate perché se chiunque dopo una sola ora trascorsa sotto il sole cocente, con l’aggravante del riflesso dell’acqua e la vicinanza all’equatore ottiene ustioni di quinto grado e Andromeda sembra ancora una bambola di porcellana? E poi da quando in qua gli Etiopi hanno la pelle chiara? Che io sappia le dominazioni persiane sono avvenute secoli dopo la morte di Tolomeo, colui che ha catalogato le costellazioni antiche, tra le quali rientrano anche Cassiopea, Andromeda e Cefeo. Quindi il mito deve essere riferito ad un periodo ben più antico…››

‹‹Terra chiama Maria Vittoria!››
‹‹Okay, okay, la smetto di commentare. A che punto ero rimasta? Ah, sì, Giasone, invece di portare subito in salvo la povera fanciulla che, nel frattempo, rischiava di morire d’infarto, le domanda spiegazioni sul perché della sua situazione. Ma dalle il tuo mantello e portala via, guardone cerebroleso!››
‹‹Mary!››
‹‹Okay… Chiarita la situazione, Giasone ingaggia un feroce duello con la creatura degli abissi, riuscendo finalmente a sconfiggerla e porta in salvo la damigella in pericolo. Che tra parentesi, menomale che era una bella gnocca, perché se c’ero io al suo posto, col cavolo che mi veniva a salvare, rischiando la pelle durante le ferie, per giunta.››
‹‹Ti salviamo noi, signorina studiosa!››
Udendo quelle voci accorate, per poco Maria Vittoria non si commosse. Dei delinquenti che si prodigavano per aumentarle l’autostima? Che pensiero carino! Dovette però ricredersi quando udì le parole che seguivano: ‹‹Sai che spreco? Nemmeno Natasha ha delle poppe così grosse››
‹‹Ma, ma…›› Maria Vittoria iniziò a cambiare colore, manco fosse un camaleonte, tale era l’imbarazzo provocato da tale osservazione. La conoscevano da neanche 10 minuti ed avevano già individuato il suo tasto dolente.
‹‹Hey, ma come vi permettete, luridi ratti di fogna!›› la difese, immediatamente Marta.
‹‹Vi sembra il modo di rivolgersi ad una signora?›› le diede manforte Francesca.
‹‹Porgetele immediatamente le vostre scuse!›› persino Elisabeth si sentì chiamata in causa dal vincolo di solidarietà femminile.
‹‹Chi è Natasha?›› volle, invece, indagare Lucia.
‹‹La prostituta che batte di fronte al vicolo del pesce››
‹‹Come siete crudeli!›› si depresse ancora di più Maria Vittoria. ‹‹E tu, Lu? Un po’ di solidarietà no, eh?››
‹‹Hai già quelle tre a compatirti. E poi, se ti decidessi a metterti a dieta, per una buona volta, quei due cocomeri si rimpicciolirebbero notevolmente, lo sai››
‹‹NO! TUTTO, MA LA DIETA NOOO!››
‹‹E allora arrangiati!››

Il siparietto fu seguito dalle risate incessanti dei carcerati e della guardia che faceva la ronda. Mary avrebbe potuto giurare di sentir sghignazzare perfino una colonna, ma diede la colpa al buio e alla pessima acustica delle prigioni. Il momento idilliaco (non per me nd: Mary) fu però rovinato dalla domanda innocente posta dalla piccola Charlotte: ‹‹Ma che cos’è una prostituta?››
Un silenzio di tomba avvolse il carcere. Tra i sadici assassini rinchiusi in quelle celle, non uno ebbe il coraggio di rovinare l’infanzia di quella piccola bimba (ma la mia sì! Nd: Mary) (Tu hai quasi 19 anni! Nd: Lucia).
‹‹Beh, immagino che sia arrivato il momento di dirti che…›› l’onorevole tentativo del fratello maggiore fu stroncato sul nascere da Maria Vittoria, che gli tappò la bocca con una mano e si affrettò a correggere il tiro: ‹‹E’ una signora molto bella con i capelli sciolti che sorride agli uomini. Per questo motivo, spesso, le mogli si arrabbiano con loro››
‹‹Hm›› attimi di puro panico furono quelli che accompagnarono la riflessione della bambina. Ci avrebbe creduto? Avrebbe avanzato altre domande? Qualunque fosse stato il caso, nessuno tra i presenti desiderava essere il “prescelto” per risolvere i suoi dubbi.
‹‹Ma allora, perché quando ti hanno paragonato a quella prostituta ti sei quasi messa a piangere?››
‹‹Erano lacrime di commozione: nessuno mi aveva mai fatto un tale complimento prima d’ora››
Lucia colse l’occasione per farle un altro scherzetto: ‹‹Grazie signori, le avete regalato un sogno!››
Inutile dire che ormai tutti all’interno della struttura stavano facendo sforzi da ernia per non rovinare la brillante spiegazione con delle risate sguaiate.

‹‹Signorina studiosa››
‹‹Hem, sì, cara?›› le domandò Mary titubante. Ma si erano messi d’accordo per affibbiarle quel soprannome imbarazzante?
‹‹Dici che chiameranno così anche me un giorno?››
‹‹Hem, non saprei cara…››
‹‹Suvvia, Mary, non rovinare così le sue aspettative! Non dare ascolto a questa vecchia zitella, Charlotte, vedrai che quando crescerai, diventerai la prostituta più bella di tutte››
‹‹Grazie, zia Lucia!››
‹‹Di niente, cara, ho solo detto ciò che penso nel profondo del cuore››
‹‹Lu, ma dico, sei forse impazzita?›› le sibilò Marta nell’orecchio.
‹‹Ho semplicemente fatto un’analisi razionale. Hai visto i loro vestiti? Se sopravvivono alla prigione vivranno per strada e quale pensi che sarà il lavoro più redditizio che potrà svolgere una ragazzina povera e disonorata dal mestiere del padre?››
Francesca non seppe come replicare dinnanzi alla veridicità di quelle parole. Per la prima volta da quando erano arrivate, si trovò a riflettere su quale fosse la gravità della loro situazione. Anche qualora le avessero scagionate, quale sarebbe stato il loro destino? Se non fossero riuscite a fare ritorno alla loro epoca, quale ambiente ostile le avrebbe accolte? Per la prima volta, una femminista dichiarata come lei si trovò ad affrontare una cruda verità: quali speranze di vita potevano avere quattro donne senza identità, vestite in maniera impropria, in una terra sconosciuta?
 
“Una disavventura è soltanto un'avventura vista dal lato sbagliato; un'avventura è soltanto una disavventuravista dal lato buono.”
(Gilbert Keith Chesterton)

Note:
*Ho inventato, dato che non si sa con certezza in che periodo siano vissuti i sovrani (almeno che io sappia) che hanno ispirato questo mito.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4- L'assassino è... Weatherby Swann? ***


Capitolo 4- L’assassino è… Weatherby Swann?
Di quando Mary mosse a pietà un serial killer.
 
 
Anno 1729, 25 aprile, h 21,30
Port Royal, Giamaica (cella di Mary)
 

Dopo i tragicomici eventi derivanti dal racconto del mito di Cassiopea (Chiamatemi Cassandra nd: Mary), il nostro esemplare di classicista disperata in cattività pensò che fosse bene cambiare argomento. Fortunatamente, l’occasione che cercava non si fece attendere a lungo, dato che il piccolo Tommy insistette per poter conoscere, anch’egli la storia della sua costellazione preferita.
‹‹Ma certo!›› accettò Mary entusiasta, per poi porgli la domanda di rito ‹‹Di quale costellazione vuoi che ti parli, piccolo caro?››, ma era già certa che si sarebbe trattato di una storia simpatica ed innocente, data l’età del bambino. Non aveva, però, fatto i conti con la nuvola fantozziana che colpisce i lavoratori gli studenti in vacanza…
‹‹Orione!››
‹‹Mi sta antipatico… ma capisco: fa una discreta scena dove è posizionato›› annuì Mary. Certo, avrebbe preferito parlare di Pegaso, la Chioma di Berenice, il Cigno, etc., ma per lo meno le bastava censurare qualche particolare, per poter raccontare una storia adatta persino ad un pubblico di bambini. Poteva andare peggio! (Povera ingenua… nd: me).
‹‹Perché?›› le chiese innocentemente lui.
‹‹Sai, quando mi hanno raccontato la sua storia per la prima volta i miei educatori, ritenendo che non fosse adatta a dei bambini di otto anni, hanno ben pensato di modificarla a tal punto da farla risultare evidentemente inverosimile…››
‹‹Perché scusa, gli eroi volanti ed i mostri marini ti sembrano dei particolari molto credibili?›› le fece notare Francesca, da degno studente del liceo scientifico.
‹‹Dettagli! E comunque, una volta accettato come postulato l’esistenza di creature mitologiche e capacità fuori dal comune, il mito di prima può essere considerato un insieme di vicissitudini legate da un senso logico. Cosa che, ti assicuro, non valeva assolutamente per ciò che ci hanno rifilato al campo estivo della parrocchia, anche se a quanto pare sono stata l’unica ad accorgermene… e se me ne sono accorta io, tuonata come sono, vuol dire che gli altri erano messi molto male›› concluse, suscitando una risata generale.
‹‹Se volete ridere, qualche sera dopo, durante la caccia al tesoro notturna, quando la mia capo-squadra ci ha detto: “Dite ciao al cacciatore!”, io mi sono girata e gli ho fatto la linguaccia. Un educatore mi ha vista e mi ha tirato un mal rovescio talmente forte che mi ha spedita contro un pino marittimo. E, grazie alla mia celeberrima fortuna, l’impatto mi ha fatto cadere in testa una quintalata di pigne.››

L’unica che non rideva era Lady Swann ‹‹Oso sperare che un individuo così rozzo sia stato severamente punito dalle autorità locali››.
‹‹No, mi ha tirato un altro ceffone sostenendo che un po’ di sangue non giustificasse un tale piagnisteo e poi gli altri si sono allontanati.››
‹‹Starete scherzando, voglio sperare!››
‹‹No, ma a onore del vero da piccola piangevo davvero per niente, anche se quella volta non era propriamente il caso, dato che l’urto mi ha slogato una spalla.››
‹‹Buon Dio! Hanno seriamente lasciato una bambina ferita da sola in un bosco di notte? E i vostri genitori si fidavano a tal punto da lasciarvi in custodia a questi uomini privi di senno?››
‹‹Da dove veniamo noi, i campeggi parrocchiali sono molto diffusi e, comunque, gli è bastato dire che sono scappata nel bosco facendo i capricci e mi sono ferita cadendo in un fosso. Del resto, quale adulto farebbe più affidamento alle parole di una bambina che a quelle di più adulti?››
‹‹Sì, ma non dimentichiamo che è dei tuoi genitori che stiamo parlando: sapevano che eri una bambina tranquilla e che non avevi mai raccontato una bugia prima d’ora›› le fece notare Marta.
‹‹Considera che, però, le spiegazioni che ho dato non erano proprio cristalline, eh. Gli ho detto di aver incontrato il cacciatore che, offeso per la mia uscita di poco prima, mi si era avvicinato con l’intenzione di uccidermi. Parlandogli, tuttavia, dovevo avergli fatto pena perché, non appena era iniziato a piovere, mi aveva lasciata tornare alla struttura dove pernottavamo. Quando i miei educatori mi hanno fatto notare come fosse impossibile che, dopo aver percorso quasi due chilometri sotto il temporale, io fossi completamente asciutta, gli ho persino detto che il cacciatore doveva avermi riparato dalla pioggia col suo mantello. Avrei, inoltre, potuto giurare che mi avesse salutata dicendo qualcosa del tipo “Addio piccola Kore, ci rivedremo quando sarai diventata Persefone… forse››. Inutile dire che hanno dato tutti la colpa alla febbre…>> concluse Mary, ridacchiando.
‹‹Già si capiva che tra te ed i geroglifici c’era un certo filling›› la prese in giro Marta.
‹‹Con i geroglifici e con i guai, oserei dire››

‹‹Cosa intendi?››
‹‹Se un adulto si pone molte domande e dimostra un intuito fuori dal comune viene considerato un genio, ma se a mostrare questi connotati è un bambino, non farà altro che attirarsi le antipatie di coetanei ed adulti. E si sa, in caso, i soggetti più a rischio sono quelli isolati e lasciati in disparte.››
‹‹E questo cosa c’entra?›› le domandò Fra, alzando gli occhi al cielo.
‹‹Beh, il giorno dopo la prima pagina di tutti i giornali riportava la notizia della costituzione volontaria del serial killer più feroce che abbia mai operato nel nostro Paese…››
‹‹Stai parlando del secondo Jack the ripper?››
‹‹Ma chi? Quel maniaco assassino che ha massacrato più di 80 donne nell’arco di 10 anni?›› chiese Marta, accentuando “maniaco assassino” con finto tono lugubre, quasi stesse raccontando una storia dell’orrore.
‹‹127, attualmente, o almeno da quanto è emerso dagli interrogatori›› ci tenne a precisare Maria Vittoria.
‹‹Ma è impossibile: quando è stato arrestato tu eri troppo piccola… avrai avuto 4, 5 anni al massimo. E poi non si è forse costituito in un paese sperduto della Toscana?›› Fra era troppo scioccata per collegare tutti i pezzi del puzzle.
‹‹L’8 agosto del 2008? Avevo 8 anni e mezzo, anche se fisicamente ne dimostravo molti di più… non come adesso, sig! Qualcuno da lassù ha il senso dell’umorismo, signori!›› finse di disperarsi, per poi continuare con tono più serioso: ‹‹Se ben ricordate la mia famiglia si è trasferita in Liguria quando avevo 10 anni, ma prima abitavo…››
‹‹In Toscana, e scommetto che tutte le estati la tua parrocchia vi portava poco distante dal comune in cui è avvenuto l’arresto›› collegò Lucia.
‹‹A meno di due chilometri, per la precisione›› confermò Mary ‹‹E vi ricordate quale fu l’unica frase che pronunciò in tribunale?››
‹‹E come facciamo a ricordarcelo? Avevamo solo otto anni! Io il telegiornale non sapevo manco cosa fosse›› le fece notare Marta.
‹‹“E pensare che, come Ade, mi sarei fatto fregare dalla piccola Kore”›› recitò Fra, che, avendo tre anni in più delle amiche, ricordava bene quegli avvenimenti.
Il silenzio avvolse le celle, i cui abitanti iniziarono a percepire dei freddi brividi percorrergli la colonna vertebrale. Com’era possibile che, tra tante vittime, fosse stata proprio una bambina (di brutto aspetto, da ciò che potevano vedere) a fargli avere dei ripensamenti?
‹‹Ma che sei? Lucia Mondella che converte l’Innominato?››

‹‹Manzoni ti ucciderebbe se sentisse queste parole, con tutta la fatica che ha fatto per rendere il suo romanzo verosimile›› ridacchiò Mary ‹‹Comunque potremmo dire che è andata più o meno così… ma l’ho scoperto a distanza di anni, quasi per caso, mentre facevo delle ricerche per la scuola.››
‹‹E tu vorresti farci credere che tu, che non ti sai fare rispettare nemmeno da dei mocciosi, saresti riuscita, alla tenera età di 8 anni…››
‹‹8 e mezzo›› ci tenne a precisare la chiamata in causa.
‹‹8 e mezzo…›› riprese Fra, sospirando ‹‹saresti riuscita a sventare l’attacco di un serial killer ed a persuaderlo che ciò che stava facendo era sbagliato?››
‹‹Io in realtà non ricordo bene cosa gli ho detto, ma non ricordo di aver parlato molto. Per lo più ho frignato per il male alla spalla e per essere stata abbandonata e ho fatto i capricci. Mi sa che è più probabile che abbia tratto le sue conclusioni da solo›› fece Maria Vittoria, pensierosa.
‹‹Tra tutte le storie horror che ci hai raccontato sui ritiri della tua parrocchia, questa è sicuramente la più improbabile›› Lucia non poté fare altro che supportare Francesca.
‹‹Eppure è tutto vero, miei cari spettatori! Ma vi dirò di più, la leggenda narra che, una volta che tutte le sue vittime saranno ritrovate, quando la luna piena risplenderà per la tredicesima volta nel suo zenit e Kore si sarà trasformata in Persefone, Orione tornerà a riprendersi la vita che gli spettava. E dopo, la lama della vendetta calerà su qualsiasi donna individuo con cui la causa della sua rovina sia entrata in contatto, sia egli amico o nemico, conoscente o sconosciuto. Solo allora, il cacciatore potrà tornare nella sua divina sede a scrutare le valli con il suo sguardo di predatore›› si mise a dire con fare plateale. Quanto la divertiva terrorizzare le persone con le sue storielle dell’orrore!
‹‹No-non scherzare! Ne-nessuno crederebbe ad una storiella del genere!›› pronunciò Marta, l’unica che pareva credere alle sue ultime parole. La poveretta fu rimproverata con lo sguardo da tutti gli altri presenti, compresi i bambini.
‹‹Io vi ho avvisato, oh anime prave! Il ricordo delle mie parole sarà l’ultimo che occuperà le vostre deboli menti nel momento in cui udirete il suono della fredda lama sul ferro delle sbarre…›› Mary non fece in tempo a terminare la frase che un suono sinistro rimbombò per tutto il corridoio.

‹‹Oddio-oddio-oddio! IL DIAVOLOOO!›› urlò Fra, sfilando l’immancabile rosario dal reggiseno. Ecco dove lo nascondeva!
‹‹Orione!››
‹‹L’uomo nero!››
‹‹Jack the ripper!››
‹‹Il cacciatore!››
‹‹Testimoni di Geova››
‹‹L’arrotino!››
‹‹Un ultracinquantenne con la parrucca!››
‹‹Un saraceno!››
‹‹Una stregaaa! Lo sapevo: le donne portano solo guai!›› (Maschilista! Nd: componente femminile)
‹‹Il Kraken!››
‹‹Papà!››
‹‹Pirati!››

Le grida furono interrotte da Mary che, tanto per la cronaca, era stata tra i primi a spaventarsi, nonostante fosse stata lei stessa l’inventrice di quella pagliacciata ‹‹Scusa, Elisabeth, ma cosa c’è di così spaventoso in tuo padre? A me sembra una persona a modo››
‹‹Intendevo che l’assassino di cui parlavi è mio padre›› le parole di Elisabeth non fecero altro che confondere maggiormente i prigionieri, ragion per cui la ragazza fu costretta a specificare: ‹‹Intendevo che il rumore che abbiamo sentito è stato prodotto da mio padre intento ad aprire il cancello della nostra sezione delle prigioni.››
‹‹Ahhh!›› esclamarono tutti, oltremodo sollevati. Impiegarono quasi tre minuti, prima di domandarsi cosa ci facesse il governatore in una prigione a quell’ora. Weatherby Swann, dal canto suo, era a dir poco perplesso alla vista della scena pietosa.
 
*****
 
Anno 1729, 26 aprile, h 02,35
Port Royal, Giamaica (ufficio di Cutler Beckett)
 
 
Erano ore che firmava scartoffie ed impilava documenti. I suoi progetti di recuperare le ore di sonno perdute erano andati a farsi benedire nel momento esatto in cui quella strega coi capelli rossi aveva avuto l’ardire di infiltrarsi nei suoi appartamenti. Il solo pensiero gli faceva venire ancora la pelle d’oca.
Se, almeno, avesse avuto la decenza di soffrire in silenzio e lasciarsi sparare velocemente, entrambi si sarebbero risparmiati ulteriori preoccupazioni. Le sue amiche non sarebbero state coinvolte e lui avrebbe potuto finalmente riposare. Perché nulla poteva mai andare secondo i suoi piani? Aveva impostato un colpo di stato da poche ora ed iniziavano già i tentativi di spionaggio, roba da non credere. E poi, giustamente, spie! Dovevano essere spie: non poteva mica trovare due ladruncoli da quattro soldi e freddarli senza troppe cerimonie. No, signori della corte: dovevano essere degli individui altamente sospetti che, invece di confessare velocemente il nome del mandante, avevano preferito rifilargli una marea di fandonie, talmente assurde da far sorgere il sospetto che stessero dicendo la verità. Il che significava non potersi sbarazzare dei loro corpi in fretta e dover attendere di aver fatto chiarezza sulla loro identità. Cosa che sarebbe risultata alquanto difficile, data la loro appartenenza la gentil sesso. Quale uomo che si rispetti avrebbe deciso di mettere a repentaglio il proprio orgoglio per arrecare danno a delle fragili fanciulle, anche se, a suo avviso, quelle quattro serpi di fragile non avevano un bel niente.

Le sue riflessioni furono interrotte da un insieme di voci e passi concitati in avvicinamento, seguiti dallo sbattere della porta del suo ufficio. I tenenti Gillette e Groves e un'altra manciata di sotto ufficiali di cui non ricordava il nome si fiondarono all’interno senza avere nemmeno l’accortezza di domandare il permesso. Nel tragitto tra la porta e la sua scrivania, appena 6 metri, riuscirono a ribaltare rispettivamente una libreria, due tavoli, cinque sedie ed una coppia di lampade ad olio.
Per lo meno questa volta non avrebbe dovuto chiamare il carpentiere per riparare la porta, e gli oggetti caduti non sembravano danneggiati, ma non era questo il punto: perché la gente non bussava mai prima di entrare?
I soggetti a severo rischio d’estinzione per mano di un dittatore imparruccato e con una seria crisi d’astinenza da sonno e vendetta contro Jack Sparrow, non parvero accorgersi della minaccia incombente. Al contrario, continuarono a camminare avanti ed indietro per la stanza, senza un motivo apparente e starnazzando come uno stormo di oche viaggiatrici.
Tuttavia, bastò un solo sguardo da parte del loro superiore per ritrovare il contegno e la compostezza.

‹‹Perdoni la nostra intrusione, my Lord, ma è sorto un problema che richiede la vostra urgente attenzione›› Theodore Groves si fece portavoce del pensiero comune.
‹‹E quale tipologia di problema, se non sono troppo indiscreto, avrebbe il potere di ridurre dei membri della fiera marina britannica ALLA STREGUA DI UNO STOCK DI BUFALI?›› Cutler Beckett si premurò di alzare sensibilmente il tono della propria voce nel pronunciare l’ultima parte della frase, costringendo i suoi interlocutori ad arretrare, visibilmente terrorizzati.
‹‹Lo-lord Beckett, vi prego di accettare le nostre più sincere scuse per il nostro comportamento indegno, ma vede, …›› Groves si costrinse a prendere un bel respiro, prima di continuare, spronato dallo sguardo attento di Cutler Beckett, che aveva assunto nuovamente un’espressione imperturbabile ‹‹Le prigioni sono in fermento: quattro prigionieri sono fuggiti con il favore delle tenebre››
‹‹Di quali prigionieri si tratta?›› domandò il Lord, sebbene avesse già qualche lievissimo sospetto (talmente lieve da aver inviato Mr. Mercer al porto per sventare un eventuale tentativo di fuga, da parte della signorina Swann).
‹‹Miss. Elisabeth Swann e le tre ragazze abbigliate in maniera stravagante. Il Governatore Swann è stato appena arrestato con l’accusa di averne favorito la fuga.››
Questo non l’aveva previsto, ma avrebbe dovuto aspettarsi che quelle squinternate che sostenevano di conoscerli avrebbero fatto carte false per partire insieme alla loro eroina. C’era un particolare che, tuttavia, non gli era ancora chiaro: ‹‹Quindi avete perso cinque prigionieri la cui detenzione era della massima importanza…››

‹‹Hem, quattro my Lord›› Gillette si sentì in dovere di intervenire, ma fu brutalmente redarguito da uno sguardo eloquente di Groves.
‹‹Le folli fanciulle non erano, forse, quattro?››
‹‹Come ho detto, mio signore, sono fuggite quattro fanciulle in totale››
‹‹Ne è rimasta una, dunque?››
‹‹Sì, a detta degli altri prigionieri, non si sentiva di lasciare soli i bambini con cui condivideva la cella. Sperava, inoltre, che se avessimo avuto un prigioniero da interrogare, avremmo speso parte delle nostre energie per pattugliare le prigioni, negandone alla ricerca dei fuggitivi. Cosa che, in effetti è accaduta, per quanto mi dolga ammetterlo››
‹‹Mi state, forse, dicendo che vi siete lasciati distrarre da una ragazzina?›› domandò Lord Beckett, assumendo quell’aria calma che precede la tempesta.
‹‹Ma dovete comprendere, my Lord, che è normale per un gentiluomo provare compassione per una povera bambina indifesa, abbandonata dalle sue uniche amiche. Era davvero disperata… Pensi che nonostante la stessi consolando ha continuato a piangere per quasi mezz’ora›› si sentì in dovere di informarlo Gillette.

‹‹Perché io ricordo che quello che è scoppiato a piangere come una ragazzina eravate proprio voi?›› ironizzò Theodore Groves.
‹‹Dovevate vedere la scena!›› iniziò a sghignazzare un ragazzo dai lunghi capelli biondi ‹‹Ha aperto la cella, si è fiondato tra le sue braccia singhiozzando e dicendo cose come “destino crudele” e “hanno abbandonato una bambina!”. E in tutto questo lei cercava di consolarlo dandogli delle pacche sulla spalla e cercando di spiegargli che era rimasta per sua libera scelta.››
‹‹Già, se la fanciulla ha avuto gli occhi lucidi era solo perché il caro tenente la stava stritolando hahaha!›› lo supportò un uomo un po’ più anziano che indossava la parrucca al contrario, forse a causa della frenesia dimostrata poco prima.
‹‹Stavano ridendo persino gli altri prigionieri›› fu costretto ad ammettere Groves.
‹‹Smettetela di raccontare fandonie: ero solo un po’ preoccupato per la sua incolumità›› cercò di difendersi il chiamato in causa.
‹‹Un po’?›› domandarono gli altri in coro.
‹‹Beh, forse, ero abbastanza preoccupato”›› cercò di mediare lui.
‹‹Forse? Abbastanza?››
‹‹Oh, e va bene, ero molto preoccupato! Ma non avete nessun diritto di giudicarmi: chiunque si sarebbe comportato come me alla vista di una povera bambina abbandonata››
‹‹Ancora con questa storia? Ma se continua a ripeterti anche lei che ha già 18 anni! E’ già una donna in età da matrimonio›› il ragazzo biondo si premurò di calcare particolarmente sull’ultima parola, sapendo un tale argomento avrebbe messo in crisi il suo superiore.

La reazione di Gillette, in effetti, non tardò a manifestarsi: ‹‹NO! NON DITE QUELLA PAROLA! Per me sarà sempre e solo LA MIA BAMBINA!››
‹‹Da quando è diventata tua figlia?›› lo prese in giro Groves.
‹‹Da quando l’ho deciso io! E sicuramente sarò un padre migliore di quel depravato che l’ha messa sulla cattiva strada facendola lavorare come spia per i pirati››
‹‹Ti ripeto che ha 18 anni! Non puoi adottarla, al massimo sposarla…›› cercò di fargli capire Groves, ma fu prontamente interrotto dal padre mancato, che non voleva sapere di arrendersi:
‹‹NO! NO! NO! Vi ho detto di non parlare di matrimonio!››
‹‹Tanto, chi volete che si sposi quella racchia›› ridacchiò il biondino.
‹‹NON DITE CHE LA MIA BAMBINA E’ BRUTTA!››
‹‹Ti ripeto che non è tua figlia!››

Cutler Beckett aveva smesso di prestare attenzione alla discussione nel momento stesso in cui avevano iniziato a parlare della misera figura di Gillette. Viveva benissimo anche senza conoscere i dettagli delle situazioni in cui i suoi uomini perdevano l’ultimo briciolo di dignità. Si diresse verso la finestra, con l’intenzione di prendere una boccata d’aria. Dopo averla aperta, vi si affacciò, godendosi, per un istante, la splendida vista sulla baia di Port Royal. Un poco sollevato dall’arietta fresca (per quanto potesse esserlo ad aprile in Giamaica), sospirò profondamente. Per quale motivo, ovunque andasse e in qualunque settore operasse, doveva sempre essere circondato da incompetenti?
 
*****
Anno 1729, 25 aprile, h 23,00
Port Royal, Giamaica (cella di Mary)
 

‹‹Signorina studiosa?››
‹‹Hem, dimmi cara…›› (Cervello di Mary: ma perché in qualunque epoca io mi trovi mi danno tutti della secchiona, sob!)
‹‹Perché non sei scappata con le tue amiche?››
‹‹La mia presenza qui ha rallentato le ricerche dei fuggitivi e, finché avranno un prigioniero da interrogare, non si cureranno troppo della loro assenza. E poi, non potevo mica lasciarvi qui da soli, ma vi pare?›› le rispose, rivolgendole un sorriso sincero.
‹‹Ma potevamo venire con voi… qui non abbiamo più nessuno, ormai›› le fece notare Tommy.
‹‹Purtroppo non sarebbe stato così semplice: nel luogo da cui proveniamo esistono dei documenti identificativi molto difficili da falsificare. Anche se foste rimasti nascosti in casa nostra a vita, prima o poi qualcuno avrebbe notato la vostra presenza, e avrebbe contattato le forze dell’ordine o i servizi sociali. Per non parlare dei casi di emergenza: anche nei nostri ospedali richiedono dei documenti specifici che permettano loro di identificare il paziente.››
‹‹Sembra tutto molto complicato›› concluse la bambina, alquanto confusa.
‹‹Oh, non ne avete idea!›› confermò Maria Vittoria, pensando in particolare a tempi e complicanze della burocrazia italiana.

La discussione fu, però, troncata da Eduard, che commentò, sbuffando: ‹‹Sei in assoluto la donna più folle che io abbia mai incontrato››
‹‹Probabile, ma per quale dei numerosi motivi lo pensi?››
‹‹Oltre alle cose assurde che dici, perché non esiste nessuno che, avendo la possibilità di scappare da una prigione, non ne approfitti. Specie se stimo parlando di una donna…››
‹‹Allora, io non sono un buon esempio, però ti posso garantire che, nel corso della storia, le donne si sono dimostrate anche più coraggiose degli uomini in alcuni frangenti›› il suo tono serio e pacato, incredibilmente, ebbe l’effetto di convincere il suo interlocutore. Nemmeno lui si capacitava del perché, ma poco importava in quel frangente.
‹‹Almeno sei pronta ad affrontare le conseguenze delle tue azioni avventate?››
‹‹Sì… o almeno credo››
‹‹Andiamo bene…›› commentò lui, alzando gli occhi al cielo.
‹‹Comunque sono abbastanza fiduciosa al riguardo: sono pur sempre una donna, dopo tutto. Chi vuoi che si abbassi a fare del male ad una fragile fanciulla!››
 
*****
 
Anno 1729, 26 aprile, h 03,00
Port Royal, Giamaica (stanza segreta della magione Swann)
                                                                         

*Qui immaginatevi la voce del narratore di Fantozzi*

Lord Cutler Beckett, Mr. Mercer, di nero ammantati, discesero, con il favore della notte, nei sotterranei della villa. Ad assistere alla riunione (che stava assumendo sempre di più i connotati di una seduta massonica), rigorosamente incappucciati (per fare scena, dato che, essendo quattro gatti, sapevano esattamente chi fossero i compagni), solo pochi uomini fidati e dal valore comprovato. Fidàti, nel senso che non avrebbero potuto tradire fisicamente, dato che al termine della riunione non sarebbero stati sufficientemente vivi per farlo.
Il tema della seduta era, ovviamente, quali fossero le sofferenze più atroci ed indicate per estorcere le informazioni alla mocciosa con il grembiule a fiori. La discussione fu piuttosto dibattuta e si protrasse fino alle prime luci dell’alba (mezz’ora dopo, dato il luogo ed il periodo in cui si trovavano, ma dire “alle prime luci dell’alba” fa più scena). L’unica argomentazione che non sollevò obiezioni fu quella di Mr. Mercer (non avevamo dubbi), il quale, durante i suoi lunghi anni di servizio, ne aveva fatto un motto. “Prima pestare (a sangue) e poi domandare”.
 
La permanenza di Maria Vittoria nel passato si prospettava essere lunga e, soprattutto, molto dolorosa...
 
 
“Le avventure accadono a chi le sa raccontare.”
(Jerome Seymour Bruner)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5- Di fughe, bische clandestine e patti con il diavolo- Prima parte ***


Capitolo 5- Di fughe, bische clandestine e patti con il diavolo- Parte prima
 
 
Anno 1729, 25 aprile, h 23,00
Port Royal, Giamaica (cella di Mary)
 

La notte era ormai calata su Port Royal, portando con sé un manto di stelle ed una splendida luna piena. Uno dei suoi raggi trapelò all’interno della cella, rivelando una ragazza seduta con la schiena contro le sbarre, il ginocchio destro al petto, su cui poggiavano stancamente le braccia, e la gamba sinistra distesa a terra. Lo sguardo perso nel vuoto, immersa in pensieri di cui non aveva quasi consapevolezza.
‹‹Che c’è? Preoccupata per le tue amiche? Perché loro non sembravano provare lo stesso nei tuoi confronti quando ti sei offerta di rimanere›› le fece notare Eduard con una punta di malignità nella voce.
Se al suo posto ci fossero state Marta o Francesca, uno schiaffo non glielo avrebbe tolto nessuno, ma, visto che colpire un ragazzino più piccolo di lei andava contro la sua etica professionale, si limitò a rispondergli con tono pacato ‹‹NON TI PERMETTERE ANCHE SOLO DI PENSARE UNA COSA DEL GENERE DELLE MIE AMICHE! Le conosci da un’ora e già ti senti autorizzato a sparare sentenze, razza di… meglio se non vado avanti. Comunque, giusto per tua informazione, le tre ragazze che hai appena di avermi lasciata indietro non mi lasciano neanche andare in bagno da sola al ristorante, figurati nella prigione di un paese sconosciuto.››

‹‹Eppure tu sei qui…e loro fuori!›› le fece notare lui, per nulla intimorito dalla reazione di lei.
‹‹Perché, grazie al cielo, mi hanno ascoltata, per una volta! Era necessario che una di noi restasse, in modo da guadagnare il tempo necessario perché le altre riuscissero a tornare nel luogo da cui proveniamo e trovare aiuto.››
‹‹Ti ha mai colto l’idea che potessero non riuscirci?››
Perché tutti lì dentro la trattavano come una bambina di tre anni? Ma l’avevano presa per Buddah che prima di uscire dalla sua reggia dorata non conosceva i problemi del mondo coma la fame e la malattia? Certo, era un po’ (molto) ingenua, ma questo non significava che fosse completamente idiota. ‹‹Ovviamente›› si ritrovò a rispondergli, con una voce che assomigliava vagamente a quella di Severus Piton durante l’inquisizione della Humbridge.
‹‹E allora perché?››
‹‹Perché tre vivi sono sempre meglio di quattro morti›› sbottò irritata. Per la prima volta da quando si trovava nel nuovo mondo, aveva parlato con serietà.

‹‹Quindi torniamo alla mia analisi di partenza: le tue amiche ti hanno abbandonata volutamente›› si limitò a constatare lui, ignorando completamente la serietà della sua affermazione. Ecco un altro esempio del perché Maria Vittoria avesse ormai rinunciato a proporre riflessioni profonde, utilizzando un tono serio. Perché la gente dà più adito ai comici che agli oratori?
‹‹Affatto. Tu mi hai chiesto se io avessi valutato l’ipotesi che le altre non riuscissero ad aiutarmi, non se loro ci avessero pensato. Forse sì o forse no, ma ciò che è certo è che nessuna di loro si è ancora resa conto che ciò che abbiamo attraversato in questi giorni è vero, reale, concreto… E si può dire lo stesso di me: in caso contrario starei già frignando come una fontana implorando pietà››
‹‹Che scena pietosa›› constatò, disgustato all’idea di una signorina istruita che si comportava in maniera talmente indecorosa ‹‹E per quale motivo qualcuno sano di mente dovrebbe pensare di non trovarsi nel mondo reale?›› domandò lui, con un tono a metà tra il divertito e l’incredulo. Ma dove era finito, in una gabbia di matti, per caso?
‹‹E’ una lunga storia… ma se avete la pazienza di ascoltarmi per quattro o cinque ore, allora, forse potrei an…››

‹‹NOOO!›› un urlo accorato si levò per gli angusti corridoi delle prigioni. Come Mary aveva sospettato, nessuno aveva più voglia di sentirla parlare a macchinetta, specie dopo quanto successo poco prima. Si finse addolorata per il loro rifiuto, sebbene nell’animo stesse cantando “Osanna eee, Osanna eee!...”, ringraziando l’Altissimo per averle evitato di parlare di verità scomode e difficili da spiegare a delle persone del Settecento.
‹‹Ad ogni modo, Francesca ha una figlia di sette anni a cui badare, Marta ha gravi problemi familiari (sono spiegati nella scheda-personaggio di Marta) e Lucia ha problemi di salute (vi verranno spoilerati più avanti nella sua scheda-personaggio). Io ero la più adatta a rimanere, e non mi pento della decisione che ho preso.›› concluse, sfoggiando, finalmente uno sguardo battagliero convincente. Ancora non sapeva che quello sarebbe stato il suo ultimo momento di dignità durante la prigionia.
‹‹Quindi avevo ragione: sei preoccupata per loro!››

Ma perché quel ragazzo non riusciva proprio a cogliere i momenti di pathos in una discussione? Mpf, maschi… che esseri superficiali. ‹‹Ovviamente: sono delle mie amiche, dopo tutto. Ma sono certa che la fuga non sarà stata così complicata, data la comprovata incompetenza delle guardie. Inoltre, mi fido del giudizio del Governatore Swann: sono certa che avrà fatto tutto il possibile per portare in salvo le ragazze nella maniera più semplice e sicura!›› affermò, mentre i suoi compagni di cella annuivano, non potendo controbattere una tale affermazione.

*****
 
*Immaginarsi, sempre la voce del narratore di Fantozzi per le prime righe*
 
 
Anno 1729, 25 aprile, h 23,00
Port Royal, Giamaica (Prigioni)
 

Gli sventurati fuggitivi si aspettavano che la fuga inaspettata sarebbe stata semplice, efficace ed indolore, ma dopo più di un’ora di inseguimenti, trappole mortali, inganni e passaggi segreti, dovettero ricredersi.
Non appena girato l’angolo erano stati sorpresi da non una, non due, non tre, ma ben quattro (il tenente Gillette aveva seriamente bisogno di un paio di sedute dallo psichiatra) cancellate a ghigliottina che avevano bloccato la loro unica via di fuga, rischiando, tra l’altro di tranciare in due il povero Governatore. Quello che, di primo acchito, era sembrato un miracolo, risultò essere una mossa degna di un agente segreto. Ebbene sì, Weatherby Swann confessò di essere una guardia “speciale” del sovrano britannico che, dopo il congedo con onore, era stato nominato Governatore, in modo da mascherare le sue tracce per i nemici e mantenere segreta la sua identità. In termini moderni, si poteva dire che il Governatore era una spia sotto copertura in pensione (Quante altre cose ci ha nascosto la Disney?).

L’uomo, per nulla toccato dalla situazione, estrasse delle funi da sotto la parrucca (ecco a cosa serviva) e, grazie alla sua incredibile esperienza, riuscì a far calare dalla finestra tutte e quattro le fanciulle, non prima di aver fatto saltare le sbarre con un’arma di sua invenzione (Ma che è? L’agente 007). A quel punto, avrebbero potuto scendere a terra e fuggire in direzione del porto, ma no, sarebbe stato troppo semplice! Il Signor Swann fu colto da un attimo di furore (avete presente quella forza ultraterrena che avvolge i nostri cari maschietti quando vedono un pallone, oppure un film di Rambo? Ecco: il sacro fuoco della gagliardia maschile discese su di lui in stile lingue di fuoco sulle fronti degli apostoli il giorno della Pentecoste) e stabilì che rifiutarsi di affrontare le trappole non sarebbe stato degno di un vero uomo. Fu, così, che si fiondò all’interno dell’edificio, segando le inferiate della finestra del piano sottostante, seguito da quattro fanciulle urlanti. L’uomo, preso dall’attimo di euforia, scambiò le loro grida strazianti per acclamazioni e si impegnò ancora più a fondo per stupire le sue presunte tifose. Quindi, se individuava una trappola, invece di evitarla, la faceva scattare solo per il gusto di impressionare il suo pubblico.

‹‹Sembra che qualcuno ce l’abbia tirata addosso!›› esclamò Marta, irritata alla vista dell’ennesima trappola. Se durante la permanenza nella prigione aveva avuto qualche dubbio sulla sanità mentale dell’uomo-maglione, ora ne aveva la certezza. Ma qual era la mente malata che poteva progettare dei meccanismi così contorti? Non pretendeva mica che il massimo della pericolosità fossero le bucce di banana sul pavimento, ma da lì alle trappole in stile guerra del Vietnam c’era una via di mezzo…
‹‹Mary›› dissero tutti in coro. Ormai anche Weatherby ed Elisabeth Swann avevano inquadrato il soggetto.
‹‹Se la prendo, giuro…›› iniziò a dire Francesca, per poi essere costretta ad interrompersi a causa di una serie di lame appese al soffitto che avevano iniziato ad oscillare pericolosamente davanti a loro. Nel mente, Marta ed Elisabeth trasportavano Lucia, colta da un colpo di sonno già alla seconda trappola.
Sarebbe stata una luuunga notte.

*****
 
Anno 1729, 25 aprile, h 24,00
Port Royal, Giamaica (Cella di Mary)
 
‹‹Signorina studiosa?››
‹‹Dimmi, piccola…›› solo la grande esperienza accumulata durante i campeggi con gli scout le permisero di non manifestare i segni della sua crescente ira funesta. Perché ogni volta che stava per addormentarsi uno dei bambini le doveva fare una domanda? L’avevano scambiata per l’oracolo di Delfi, per caso? O forse era, solamente, il karma per tutte le volte in cui aveva fatto lo stesso con le sue amiche? E lei di anni ne aveva 18 e non 11. La veridicità di questa considerazione le diede la forza necessaria per mantenere la calma.
‹‹Non sei preoccupata per le tue amiche?››

Di nuovo? Perché continuavano a porle la stessa domanda. Una domanda assai scomoda, per altro: CERTO CHE ERA IN ANSIA PER LE SUE AMICHE, come poteva essere, altrimenti? Continuando a domandarglielo non facevano altro che accrescere la sua ansia per la loro sorte. Si costrinse, comunque a rispondere: ‹‹Certo, tesoro, ma sono sicura che il Signore sta vegliando su di loro in questo momento››
‹‹Dove pensi che saranno, ora?››
‹‹Se tutto va bene, le mie amiche avranno già fatto ritorno al nostro “paese”, altrimenti saranno rimaste con Miss. e Mr. Swann. A quest’ora avranno già raggiunto il molo.››
‹‹Staranno bene?››
‹‹Ma certo! Anche qualora Lord Beckett avesse avuto la malaugurata idea di piazzare un uomo ad ogni ormeggio, sono certa che in cinque non avranno nessun problema a superarlo!›› A sua discolpa, possiamo dire che Maria Vittoria era quasi certa che, dato il trambusto da loro causato, Cutler Beckett avrebbe ordinato a Mr. Mercer di rimanere al suo fianco, non potendo, dunque, tendere l’agguato ai fuggitivi, come, invece, accadeva nel film. Povera ingenua…

*****
 
Anno 1729, 25 aprile, h 24,00
Port Royal, Giamaica (Porto)
 

I cinque profughi si diressero a passo sicuro (o, per meglio dire, a “trotto sicuro”, dato che, essendo troppo radical scic per fuggire a piedi, utilizzarono una carrozza interamente realizzata con le spoglie della statua crisoelefantina “Athena Parthenos”) verso la nave che li avrebbe condotti in un paese più libero e democratico (per quanto potesse esserlo una monarchia), sicuri che il peggio fosse, ormai, passato. L’umore si era talmente risollevato che, Marta, approfittando della discesa del Governatore dalla carrozza, si azzardò persino a chiacchierare: ‹‹Razze, voi che avete visto i film, vi ricordate, per caso che cosa succederà una volta arrivate in Inghilterra?››
‹‹E chi ci arriva in Inghilterra?›› la prese in giro Lucia.
‹‹Già, nel film i fuggitivi vengono bloccati da un uomo di Lord Beckett e solo Elisabeth riesce a fuggire, fingendosi un giovane mozzo per raggiungere Tortuga in incognito›› confermò Francesca, quasi ridacchiando. Evidentemente, la stanchezza stava intorbidendo le capacità delle due di elaborare le informazioni e riconoscere i momenti critici.
‹‹Oh…›› Marta iniziò ad avere un lievissimo sospetto, ma confidando nelle capacità di Mr. Swann, non si lasciò scoraggiare ‹‹Ma vi ricordo che nei film non viene detto nemmeno del suo passato in stile agente 007. Non credo che un uomo solo potrebbe arrecargli qualche problema››
Elisabeth, a quell’ultima affermazione annuì convinta, seppur fosse, anch’ella preoccupata per la sorte del padre.
‹‹E’ proprio vero, hahaha: chi se lo aspettava che quel vecchietto avesse una tale forza ed agilità? E pensare che indossa i tacchi… che invidia›› commentò Francesca, ancora scossa dai fatti di poco prima.

‹‹Per curiosità, chi è il poveretto che dovrà vedersela con l’antenato nascosto di Silvester Stallone, Arnold Schwarzenegger e Steven Seagal?›› chiese Marta, non riuscendo a smettere di ridacchiare.
‹‹Mr. Mer…CER?!?!?›› Lucia e Francesca si resero conto della gravità della situazione solo a metà nome e non poterono trattenersi dall’iniziare a tremare come due coniglietti indifesi, stessa reazione che suscitarono nelle altre due.
‹‹Co-come Mr. Mercer? Ma non avete detto che è il braccio destro del cinquantenne imparruccato? Non dovrebbe lasciar svolgere il lavoro sporco ai suoi tirapiedi, lamentandosi poi dei loro fallimenti, come ogni cattivo che si rispetti?›› fece notare Marta, nella sempre più fioca speranza che il suo ragionamento potesse rivelarsi veritiero.
‹‹Mi sa che hai visto un po’ troppi film di propaganda americana contro il regime sovietico. Ma ti sembra che Mercer sia il tipo da passare le giornate seduto su una poltrona, girato di schiena rispetto al suo interlocutore, mentre accarezza un gatto bianco?›› le fece notare Lucia.
‹‹Veramente, sì…››
‹‹Mr. Mercer è l’uomo più fidato di Beckett ed è lui ad occuparsi del lavoro sporco, come dite voi›› le spiegò Elisabeth.

‹‹Quindi, ricapitolando, il fidanzato dell’imparruccato è qui, giusto?>> cercò di tirare le somme Marta.
‹‹Affermativo››
‹‹Ed è enormemente più forte del Governatore…››
‹‹Questo è poco, ma sicuro››
‹‹Quindi è chiaro che bloccherà il signor Swann, per poi cercare noi…››
‹‹Sì, mi sembra evidente››
‹‹E allora, perché diavolo siamo ancora qua, invece di scappare a gambe levate il più lontano possibile?››

‹‹Non ne ho idea… Oh, c***o! Ragazze, correeere, chi si ferma è spacciato!›› Francesca, per quanto fosse anch’essa alquanto provata dal sonno perduto, ebbe la prontezza di esortale le altre a scendere dalla carrozza e sparire nella notte.
‹‹Qui c’è di nuovo lo zampino di Mary, me lo sento: quella disgraziata ce l’ha tirata di nuovo!›› riuscì a lamentarsi Marta, utilizzando l’ultimo rimasuglio di fiato, prima di iniziare la fuga più importante della sua vita.
Nel mentre, l’energumeno sopracitato raggiunse la carrozza, trovandola vuota, ma con l’imbottitura ancora calda, segno che le ragazze dovevano essere appena fuggite. Un urlo di frustrazione si levò nella stretta ansa che ospitava il porto, propagandosi fino alle alture vicine. Le ragazze, udendone il suono, non riuscirono ad astenersi dal rabbrividire maggiormente e dallo spingere le gambe quasi oltre il proprio limite. A spronarle, la mesta consapevolezza che, qualora fossero state riacciuffate, non se la sarebbero cavata con una semplice tirata di orecchie.

*****
 
Anno 1729, 26 aprile, h 06,00
Port Royal, Giamaica (Cella di Mary)
 

Dopo gli eventi che li avevano visti coinvolti la notte precedente, Maria Vittoria e i bambini erano, finalmente riusciti a godersi (per quanto lo permettessero il duro pavimento, malamente livellato, e le poche manciate di paglia che servivano giusto per ricreare l’ambientazione tipica di una prigione, dato che non permettevano, certo, di dormire “sul morbido”) qualche ora di meritato riposo. Maria Vittoria era semi-seduta nell’angolo costituito dalle sbarre della porta d’accesso e da quelle che dividevano la ex cella delle ragazze dalla propria. Charlotte, approfittando del fatto di essere, anch’essa, una ragazza, si posizionata tra le sue gambe ed aveva appoggiato la testa sul suo petto, utilizzandolo alla stregua di un morbido cuscino. Tommy si era, invece, accoccolato contro la sua spalla sinistra, rassicurato dal fatto che la ragazza lo avesse avvolto con un braccio, con fare protettivo (mamma Mary entra in azione!). Persino Eduard, che si era dimostrato così scontroso nei suoi confronti, nel sonno si era ritrovato ad abbracciare sia lei che la sorellina, sfoggiando, per altro, un dolce sorriso. A completare il quadretto, i primi raggi del sole che, trapelando attraverso la piccola finestrella, illuminavano i loro volti sereni e creavano l’illusione che le scure grate della prigione stessero luccicando.

Chiunque fosse passato di lì non avrebbe potuto fare altro che fermarsi e contemplare il delizioso quadretto per qualche istante, quasi commosso all’idea di quegli animi così puri da riuscire a dimostrare calore fraterno anche tra le mura di un carcere. Chi avrebbe mai avuto il coraggio di svegliarli, interrompendo, così, quella dolcissima visione?
Ma, ovviamente, Mr. Mercer non era “chiunque”. Oltre a possedere un animo a dir poco arido ed insensibile, aveva trascorso una pessima nottata, costretto a lottare contro un vecchietto troppo agile per la sua età, cercare in lungo ed in largo quattro mocciose arroganti, partecipare ad una riunione segreta completamente inutile, nonché imbarazzante per un assassino del suo calibro, ed a subire le grida isteriche di Lord Beckett che non riusciva a sopportare l’idea di essere stato minacciato da delle fragili donnette (ebbene sì, mentre Mercer era occupato a cercare le fuggitive in città, queste erano tornate alla magione del Governatore per cercare, una di ottenere informazioni sul fidanzato e Jack, le altre di tornare nella propria epoca). L’uomo non era, quindi per nulla incline a perdere tempo in convenevoli ed a lasciar riposare i poveretti. Si basava, infatti, sul presupposto che, se lui non poteva dormire, per quale motivo qualcun altro avrebbe dovuto poterlo fare?
 
*Avviso: il capitolo prende una piega un po’ più seria rispetto al mio solito stile. Potreste trovare alcune scene non propriamente “serenissime” (= un po’ di sangue, botte, tentativi di strangolamento, violenza psicologica, tutte cose all’ordine del giorno, insomma… Non provateci a casa!), ma cercherò di riassumere molte scene, in modo da limitarne il più possibile*
 
Si avvicinò alla porta di accesso della cella ed infilò la chiave nella toppa, sbuffando con fare seccato. Non bastavano gli attentati alla vita del suo signore, l’enorme incremento degli atti di .pirateria, la pressione da parte della corona britannica e le informazioni da reperire in Cina e Giappone: pure una ragazzina rimbecillita doveva avere tra i piedi. Ma se ne sarebbe sbarazzato in fetta: questo era poco ma sicuro. Gli sarebbero bastate un paio di minacce e colpi ben calibrati per indurla a raccontare tutto ciò che Lord Beckett voleva sapere, dopo di che la vicenda si sarebbe chiusa con una gioviale eliminazione fisica. La sua testolina infilzata su una picca sarebbe stata una vendetta adeguata per tutto il fastidio arrecatogli da Miss. Swann e le sue amichette.
La cella si aprì con un cigolio talmente forte da svegliare tutti i prigionieri presenti in quel piano, che iniziarono a guardarsi intorno con fare confuso. Maria Vittoria, dal canto suo, non ebbe nemmeno il tempo di capire da cosa fosse dovuto il dolore che le aveva afflitto la testa (ebbene sì, data la sua “immensa” fortuna, la porta, aperta con troppa fin troppa frenesia da Mr. Mercer, l’aveva colpita proprio al centro della fronte), che si ritrovò fuori dalla cella, trascinata per la fluente criniera i capelli.

Il primo a riuscire ad elaborare la situazione fu Eduard, che si sporse più che poteva dalle sbarre della cella, cercando di attirare l’attenzione dell’uomo: ‹‹Hey! Hey, tu! Dove la stai portando?››  tentò, ma, rendendosi conto che questo procedeva come se niente fosse, iniziò a perdere quella poca pazienza che possedeva. ‹‹Ti ho chiesto dove la stai portando! Fermati, maledetto bastardo… non vedi che le stai facendo male? Sei così codardo da dover utilizzare le maniere forti contro una donna?››
L’appello al suo orgoglio ebbe l’effetto di farlo fermare per un istante: ‹‹Non sono affari tuoi, ragazzo››. Lo sguardo privo di emozioni che gli rivolse ottenne un effetto superiore di quello di cento minacce. Mr. Mercer sapeva il fatto suo, non c’era che dire.
‹‹Che cos’avete intenzione di farle?››  riuscì a pronunciare, attingendo all’ultima briciola di coraggio che gli era rimasta, mentre stringeva a sé i propri fratelli, con fare protettivo.

‹‹Nulla che possa giovare alle vostre giovani orecchie››  disse con voce atona, per poi voltarsi lentamente verso di lui, mostrando un ghigno mefistofelico ‹‹Oppure potrei interrogarla qui. I tuoi fratelli potrebbero trovare molto istruttiva la mia dimostrazione di cosa accade a chi osa favoreggiare la pirateria››.
I tre sbiancarono ed iniziarono ad arretrare, spaventati. Tommy iniziò a piangere in silenzio, temendo che se l’uomo l’avesse sentito avrebbe potuto fargli del male, mentre Charlotte si limitò a scuotere la testa, troppo terrorizzata per tentare qualunque azione che andasse oltre il respirare.
‹‹No, vi prego! Sono solo dei bambini… non meritano di assistere a tutto que…›› tentò di difenderli Mary, mentre lottava per liberarsi dalla salda presa del suo aguzzino. La sua “piccola rivolta” fu bruscamente interrotta da una portentosa tirata di capelli, seguita da uno schiaffo talmente forte da imprimerle un leggero taglio sullo zigomo (forse, complici i guanti indossati dall’uomo). Di riflesso, la ragazza portò le mani al volto, come a volersi difendere un minimo dagli eventuali attacchi, cosa che Mr. Mercer vide con sospetto. Giudicando la mossa non intenzionale della ragazza come un estremo atto di ribellione, decise di stroncarlo a suon di calci. Le afferrò saldamente i capelli e, dopo averla scagliata a terra con forza, la colpì una dozzina di volte in diverse parti del corpo, anche se prevalentemente sulle cosce e nello stomaco. Badò bene ad evitare le costole e le articolazioni: non voleva, certo, rischiare di causarle qualche frattura anzitempo.

La rapidità delle sue mosse impedirono a Maria Vittoria di intuire le dinamiche dei colpi, non permettendole, dunque, di capire quali parti del corpo avrebbe dovuto difendere maggiormente. Affidandosi alla memoria motoria acquisita durante gli anni di Karate, nel dubbio, mosse le braccia a difesa della testa e della parte superiore del busto (ergo il “petto”… oh uomini, avete una vaga idea del male che prova una donna quando viene colpita lì? No, perché altrimenti le ragazze che praticano arti marziali non dovrebbero essere costrette ad indossare dei corpetti di plastica talmente stretti da levare il fiato e che, tra l’altro, non coprono tutte le taglie… Tsk, discriminatori! Tra l’altro ricevere colpi in quella zona non farà, certo, male come un uomo nella zona in cui non batte il sole, ma è estremamente pericoloso e può causare il cancro al seno. Chiudo questo mio sfogo personale, domandandomi il perché nelle gare della maggior parte delle discipline di cui stiamo parlando siano vietati i calci “sotto la cintura”, ma non quelli sul petto delle fanciulle. Vi posso assicurare che il “para seno” o le “pettorine da gara” riparano esattamente come la “conchiglia”, ergo non aiutano quasi un tubo!). Riflettendoci in seguito, si sarebbe data della stupida, dato che era palese che Mercer non avrebbe mai mirato a zone potenzialmente mortali, come la testa. Avrebbe potuto cercare di smorzare per lo meno i colpi diretti allo stomaco, ma si convinse che, con il senno di poi, sembra sempre tutto più semplice. Nello stato di panico in cui si trovava, la sua idea era stata decisamente la più indicata.

Nota di merito per Maria Vittoria, il non aver emesso un solo suono, in parte per non spaventare ulteriormente i bambini ed in parte perché abituata a ricevere colpi, seppur decisamente più contenuti, ad allenamento e durante gli attacchi dei bulli (i Nerd non hanno mai vita facile). Se avesse mantenuto questo atteggiamento nella sua epoca, con ogni probabilità, la sua decisione di non urlare sarebbe stata scambiata per un atto di sfida, ma, fortunatamente, vuoi per l’aspetto innocuo, vuoi per la mentalità maschilista e misogina dell’epoca, Mr. Mercer non parve prestarvi troppa attenzione. (In realtà, ero piacevolmente soddisfatto all’idea di aver trovato una donna che non dà aria ai polmoni per motivi inutili, come parlare quando non le viene chiesto di farlo. Nd: Mercer. Maschilista, depravato! Nd: donne e uomini sensibili)

Senza darle il tempo di realizzare cosa fosse successo, la sollevò dal gelido pavimento (Ma come? Siamo ai Caraibi! Nd: tutti. Shhh, voi non capite l’arte Nd: me) e, tenendola saldamente per un braccio, la costrinse a seguirlo. Solo qualche giorno più tardi si sarebbe reso conto della singolarità del fatto che una fanciulla fosse in grado di camminare, senza emettere un fiato, dopo un tale trattamento. Ciò che è comune nella nostra epoca non lo era altrettanto negli ultimi decenni del ‘600. Per il momento, tuttavia, non si pose troppe domande. Si limitò, invece, ad apprezzare l’unico momento della sua vita in cui la compagnia di una donna sarebbe stata silenziosa (Maschilista, depravato! Nd: tutti).
 

“L'avventura: un evento che esce dall'ordinario, senza essere necessariamente straordinario.”
(Jean-Paul Sartre)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- Di fughe, bische clandestine e patti con il diavolo- Parte seconda ***


Capitolo 6- Di fughe, bische clandestine e patti con il diavolo- Parte seconda
 
Anno 1729, 29 aprile, h 07,00
Port Royal, Giamaica (stanza interrogatori)
 

Come riassumere le sofferenze patite da Gillette in questi giorni? Sì, intendo proprio Gillette… mi confondo spesso con i nomi, ma non è questo il caso. Il poveretto, infatti, costretto a rimanere estraneo al caso perché, a parere di tutti, troppo coinvolto, probabilmente, avrebbe sofferto di meno se avesse potuto assistere agli interrogatori con i propri occhi. Talvolta, l’immaginazione può essere decisamente peggiore della realtà. Del resto, Gillette avrebbe dovuto sapere che Cutler Beckett, in quanto gentiluomo inglese, non avrebbe mai potuto ordinare di torturare una donna. Gli unici ordini impartiti a Mr. Mercer erano, dunque stati quelli di limitarsi a colpirla e, eventualmente, farle saltare i pasti.
I primi colpi ricevuti non erano sati poi così forti, se confrontati con quelli che la ragazza era abituata a ricevere, ma, per evitare che il suo aguzzino decidesse di “alzare la posta in gioco”, aveva finto di soffrire indicibili dolori. La scena da telenovelas avrebbe forse potuto ingannare dei normali soldati, ma non Mr. Mercer, al quale gli anni di servizio prestati in Giappone avevano permesso di entrare in contatto con donne perfettamente in grado di combattere e sopportare il dolore, quasi alla stregua di un uomo. Non impiegò, dunque, più di venti secondi, prima di capire che se non voleva farle il solletico, doveva impegnarsi decisamente di più, e così fece, pur sempre evitando di spezzarle quelle fragili ossicine che si ritrovava. Ciò nonostante, Maria Vittoria non emise un solo fiato e si prodigò per mantenne lo sguardo fisso su di lui per tutta la durata delle percosse, consapevole del fatto che, se avesse chiuso gli occhi, sarebbe piombata nello sconforto più totale. Il suo maestro diceva sempre che l’essere umano tende a chiudere gli occhi prima di ricevere un colpo solo se non si fida di quella persona e ne avverte la pericolosità. Farlo ora avrebbe significato ammettere di trovarsi da sola in una situazione di pericolo da cui non avrebbe potuto uscire.

Dopo tre giorni di buio, fame, sete, dolore e silenzio, una sola emozione si distingueva, nitida, nella sua mente: rabbia. L’oggetto della sua ira non era, come potreste pensare, il suo spietato carceriere che, per carità, faceva solo il suo lavoro, ma l’inventore/inventrice delle Mary Sue. Perché costui/costei (licenza poetica: andrebbero usati per indicare delle persone che si trovano vicine a chi parla, ma questa forma fa decisamente più scena in una frase) aveva voluto illudere i lettori, facendogli pensare che, qualunque azione ella compia, tutti i personaggi saranno benevoli con lei? Perché in ogni fanfiction di PotC che si rispetti, quando la protagonista, giunta dal nostro mondo, racconta a Cutler Beckett la verità questo gli crede, mentre quando ci prova la fan sfigata (alias Mary), no? Ma soprattutto, perché Cutler Beckett, invece di premiare il suo gesto coraggioso ed altruista, la fa pestare brutalmente da Mr. Mercer, rinchiudere in gattabuia per tre giorni di fila senza pane, né acqua (ma vi sembro il tipo da dieta? Nd: Mary. Guarda, l’unica notizia positiva della tua prigionia! Nd: Lucia!), pestare nuovamente, per poi concederle, finalmente il beneficio del dubbio?
La sua filippica contro le Mary Sue fu interrotta dall’inconfondibile cigolio della porta della sua cella, accompagnata dall’arrivo di due figure. Lo stupore nello scoprire che, per la prima volta da quando era arrivata, Mr. Mercer non era solo, aumentò notevolmente quando i suoi occhi si furono riabituati sufficientemente alla luce della torcia, per poter riconoscere Lord Beckett. Del resto era rimasta nell’oscurità più completa per quasi tre giorni. Era talmente terrorizzata all’idea che qualche ragno, topo o serpente avrebbe potuto penetrare nella sua prigione, senza che lei potesse vederlo, che aveva finito con l’agognare le visite del suo aguzzino. Dopo quella terribile esperienza era giunta alla conclusione che la sindrome di Stoccolma non derivasse da un amore fisico, quanto da quello platonico, nutrito per l’unico essere di sesso maschile a portata di mano che possa liberarti dalla piaga dei ragni. Se poi, costui, è pure forte e prestante, che ben venga: riuscirà a proteggerti anche dai serpenti.

‹‹Noto con sommo dispiacere che, nonostante le nostre gentili richieste, vi siate rifiutata di collaborare. Siete davvero così sicura che dei sudici pirati valgano il vostro sacrificio?›› la voce di Lord Beckett la riscosse dai suoi pensieri.
Maria Vittoria fu tentata di fargli notare che le loro non erano state esattamente delle “gentili richieste”, ma fu facilmente scoraggiata dalla debolezza causata dalla sete e dalla fame (immaginatevi una persona abituata a rimpinzarsi di salsiccia e cotechini che viene costretta ad un digiuno di tre ore. Lo troverà insopportabile… figurarsi se costretta a non toccare cibo per tre giorni!) e dall’ansia che ciò diventasse il pretesto per ricevere altre “legnate”. Si limitò, quindi, a rispondere: ‹‹Vi ho detto la verità››
‹‹Vi ostinate ancora a sostenere di essere magicamente apparse sotto il mio letto?››
‹‹La veridicità di quanto vi dico è sotto i vostri occhi. La mia versione coincide perfettamente con quella delle mie compagne. Tutti avete visto Marta comparire e scomparire sotto il vostro letto, e noi, sbucare dal nulla dopo che i vostri uomini hanno controllato che non vi fosse nessun altro. Credete nell’esistenza di Kraken, sirene e divinità marine, ma vi ostinate a non credere alla possibile esistenza di un’epoca futura. Se ciò che vi ho detto fin ora non vi ha convinto, allora ho perso le speranze di uscire da questa cella.›› Il bruciore della gola arida la costrinse al silenzio, sebbene avrebbe voluto che le sue ultime parole potessero essere ben più lunghe e convincenti.
Cutler Beckett non parve particolarmente compiaciuto dalle sue parole. Dopo tre giorni di dolore e privazioni si aspettava un atteggiamento decisamente più collaborativo da parte sua. Si avvicinò lentamente a lei, il fuoco nello sguardo e, proprio quando Mary pensò che l’avrebbe colpita, si voltò verso il suo sottoposto: ‹‹Mr. Mercer! Sollevatela››
(Anche a questo riguardo Maria Vittoria ne aveva lette di ogni, specie nella fanfiction scritte da americani e francesi. Ma com’era possibile che un lord inglese, deboluccio di costituzione sin dalla nascita, che non ha mai fatto dello sport in vita sua, alto appena un metro e mezzo, ulteriormente impedito dal tacco degli stivali, riuscisse a sollevare/impedire i movimenti a delle ragazze alte più di lui? Come al solito, non doveva farsi ingannare dal mito della Mary Sue e prevedere almeno queste evidenze)

‹‹Yes, my Lord›› gli rispose lui con fare ossequioso, per poi eseguire quanto comandato. “Gli manca solo l’inchino e poi è uguale spiccicato a Sebastian Micaelis” si ritrovò a pensare la ragazza, stupendosi da sola sul come riuscisse a fare ironia nonostante la scomoda posizione in cui si trovava. Mr. Mercer, infatti, invece di limitarsi a farla alzare in piedi, l’aveva afferrata per il collo (con una mano sola… ma chi è questo, Arnold Schwarzenegger?) ed attaccata al muro, ad un’altezza troppo elevata perché i suoi piedi potessero toccare terra. Mentre la vista le si annebbiava, si ritrovò a pensare, che la sua stretta sicura assomigliava in maniera incredibile a quella del suo istruttore. Si ricordò di quella volta in cui, dopo essere stata sorpresa a chiacchierare con il ragazzo che le piaceva durante la spiegazione di un esercizio, lui li aveva attaccati al muro nella stessa posizione, facendo venire un infarto ad entrambi. Che dolci ricordi! Che soavi memorie da rivedere prima di perdere i sensi!
L’unica consolazione era la sicurezza che almeno le sue amiche si trovassero in un luogo sicuro, adesso.
 
*****
 
Anno 1729, 26 aprile, h 23,00
Port Royal, Giamaica (Cella di Mary)
 

‹‹Ricordatemi perché invece di travestirci da marinai ed imbarcarci alla volta di Tortuga, come da copione, siamo dovute entrare in una taverna piena di uomini inquietanti che ci osservano come se fossimo dei cestini da picnic›› chiese Francesca, stufa di dover schiaffeggiare le mani di tutti quelli che pensavano che indossare una minigonna equivalesse a dire “potete toccarmi il fondoschiena”.
‹‹Perché Marta vuole giocare ai dadi e stringere qualche “patto vantaggioso solo per la sua parte” con qualche analfabeta abbastanza ingenuo da cascarci›› riassunse Lucia, tra uno sbadiglio e l’altro. Del resto, normalmente, a quell’ora dormiva già da un pezzo.
‹‹Ma non sarà pericoloso?›› insinuò Elisabeth, preoccupata per la sorte della nuova amica. Posti del genere godevano di una pessima reputazione e ciò era risaputo.
‹‹Nah, non conosci Marta… Talvolta sa essere più bastarda di quel gran figlio di p*****a di Tremotino››
‹‹Grazie, troppo gentili›› ridacchiò la chiamata in causa, per poi specificare ‹‹e comunque, dicendo così sembra che partecipi a delle bische clandestine…››
‹‹Ma non è quello che fai?››

‹‹Come siete fiscali… e comunque si tratta solo di un effetto collaterale. Se entro in un posto come questo è solo perché fiuto dei buoni affari, ciò che faccio per raggiungere il mio obiettivo è totalmente irrilevante›› ribatté mentre scuoteva il bicchiere con i dadi, sperando in una somma vincente. Non che lasciasse spazio a qualche dubbio, dato che stava utilizzando dei dadi truccati…
‹‹Speriamo solo che Mary stia bene›› aggiunse, abbassando lo sguardo.
‹‹Tranquilla, quella è Fantozzi: nulla può abbatterla›› cercò di rassicurarla Lucia, mentre si accoccolava su una botte di legno. Non era, certo, un letto, ma sempre meglio di quelle sudice sedie sgangherate che si trovavano all’interno del locale. Poteva capire che una ribelle come Marta non si facesse troppi problemi a prendervi posto, ma davvero non riusciva a capacitarsi del fatto che Francesca e perfino una donna di buona estrazione sociale come Elisabeth ne avessero avuto il coraggio. Se si fossero prese una qualche malattia non avrebbero avuto di che lamentarsi, dato che le aveva ammonite più volte al riguardo.

‹‹Ma Lord Beckett non scherza ed è disposto a tutto pur di ottenere le risposte che cerca›› gli fece notare Miss. Swann, a dir poco preoccupata. Quella ragazza non sembrava particolarmente sveglia, né pareva avere tutte le rotelle al proprio posto, anche se non sempre la follia è sintomo di fallimento. E di questo Jack Sparrow era un esempio lampante.
‹‹E di risposte ne otterrà anche di più con la nostra cara Mary… non so se l’avete notato, ma quella ragazza sa essere una mitragliatrice quando inizia a discorrere di storia, miti e leggende››
‹‹Hem, sì, ne avevo avuto il vago sentore›› confermò Elisabeth, in maniera educata.
‹‹Quindi, state tranquille: non le capiterà niente di male. E poi c’è pur sempre quel soldato con le rotelle fuori posto che l’ha presa sotto la sua ala protettiva››
Le altre non poterono fare a meno di ridacchiare all’ultima affermazione di Lucia. La tensione nell’aria svanì completamente, offuscata dall’ondata di allegria portata dalle risate e… dall’alcol (sottolineo che i personaggi in questione sono tutti maggiorenni).
 
*****
 
Anno 1729, 29 aprile, h 07,00
Port Royal, Giamaica (stanza interrogatori)
 
 

Un insieme indistinto di voci e passi concitati si udì nitidamente dal corridoio angusto su cui si affacciavano le stanze “segrete” utilizzate per gli interrogatori “segretissimi” che vertevano su questioni “arci segrete”. Ufficialmente, ne erano a conoscenza solo Lord Beckett, Mercer, un paio di uomini strettamente selezionati e il pastore (avranno pure loro la necessità di andare a confessarsi, qualche volta), nella pratica il fatto era di dominio pubblico. Ciò spiega perché persino un uomo ricco di virtù come il tenente Groves sapesse dove trovare Lord Beckett per metterlo al corrente degli sviluppi della faccenda “4 fanciulle evase”.
Memori dello scorso incidente che aveva avuto luogo nello studio di Beckett, il Lord si precipitò ad aprire la porta, mentre Mercer lasciò la presa sulla ragazza e accorse al fianco del suo signore, pronto a difenderlo a cosato della vita. Invero, all’interno della stanza non vi era nulla che potesse essere “travolto” o danneggiato dall’invasione longobarda dai soldati irrequieti, ma, come dice il proverbio, “sempre meglio prevenire che curare”.
Non trovando nulla da “travolgere” e che, dunque, rallentasse la loro avanzata, i soldati finirono inevitabilmente contro il muro, dove, ahi lei, si trovava la nostra sfortunata protagonista. Maria Vittoria non fece nemmeno in tempo a smettere di tossire e rimettere a fuoco ciò che la circondava, che fu travolta e schiacciata dal peso di cinque uomini (per inciso, gli stessi dell’incidente nell’ufficio di Lord Beckett), i quali nemmeno si accorsero della sua presenza. La ragazza fu, dunque, lasciata al suo destino, mentre i diligenti soldatini si affrettavano a porgere le proprie scuse al loro superiore per l’irruenza con cui si erano presentati.
‹‹My Lord, non posso fare altro che porgerle nuovamente le mie scuse per la mancanza di compostezza e disciplina che abbiamo appena mostrato.›› pronunciò Theodore Groves, sinceramente contrito.

‹‹Non importa. Quale faccenda è di tale importanza da richiedere la mia attenzione durante un interrogatorio?›› Cutler Beckett volle tagliare i convenevoli, in modo da centrare subito il nocciolo della questione. Il termine “interrogatorio” ebbe, tuttavia, l’effetto di ritardare ancora di più il referto della reale problematica.
‹‹Interrogatorio? Non sapevo che avessimo dei prigionieri da inter…›› il dubbio espresso da Groves fu confermato dall’urlo di Gillette: ‹‹Buon Dio, che le avete fatto?››.
Il tergiversare di Beckett e Mercer non fece altro che confermare i sospetti del tenente, che ormai aveva riconosciuto nella ragazza rannicchiata a terra la sua protetta.
‹‹Ch-che cosa avete fatto alla mia bambina?›› domandò con voce tremante, mentre le si avvicinava con passi incerti. Era dimagrita visibilmente dall’ultima volta in cui l’aveva vista (Come fa ad essere dimagrita a tal punto in tre giorni scarsi? Nd: tutti. Zitti, voi non potete capire: queste sono cose di cui solo un genitore si può rendere conto! Nd: Gillette. Per l’ennesima volta, Gillette, quella non è tua figlia! Nd: Groves), volto e braccia erano costellate di tagli poco profondi e lividi di ogni forma e colore ed era visibilmente pallida ed affaticata. “Se il solo guardarmi in faccia gli causa questa reazione, non oso pensare cosa accadrebbe se vedesse i lividi che ho su gambe e torace” si ritrovò a pensare Mary e l’dea le suscitò un vago sorriso. Cercò, comunque, di evitare di spaventare ulteriormente l’unica persona che, da quando era arrivata in quel mondo, le aveva dimostrato dell’affetto.
‹‹No-non vi preoccupate. No-non è niente, davvero›› cercò di rassicurarlo lei.
‹‹Non riuscite nemmeno a reggervi in piedi senza appoggiarvi alla parete e le vostre gambe stanno tremando… come fate a dire che non è niente?!›› la interruppe lui, l’ultima frase pronunciata quasi urlando mentre si rivolgeva ai due colpevoli.

‹‹Si calmi, tenente. Non è stato fatto nulla che non fosse necessario.›› la voce perfettamente calma di Cutler Beckett non fece altro che accrescere la sua ira.
‹‹Ho chiesto che cose le avete fatto!›› riprese a ringhiare Gillette, per nulla soddisfatto dalla risposta ricevuta.
‹‹Cercate di calmarvi: indipendentemente da ciò che è accaduto non potete permettervi di rivolgervi in maniera tanto irrispettosa ad un nostro superiore›› cercò di placarlo, invano, il collega.
‹‹Calmarmi? Come posso clamarmi se non so nemmeno che cosa hanno osato farle?››
‹‹Che c’è, gillette, la sindrome di “padri-per-caso” ti impedisce di vedere l’evidenza?›› lo prese in giro il ragazzo biondo ‹‹cosa vuoi che possa succedere tra due uomini ed una ragazza in una stanza buia ed isolata?››.
Gillette sbiancò notevolmente, rischiando seriamente lo svenimento. Onde evitare che il suo “angelo custode” raggiungesse effettivamente il regno dei cieli, causa infarto secco, Maria Vittoria si apprestò a negare: ‹‹Ma no: mi hanno solo picchiata ed affamata: niente di irreparabile››

Se prima Gillette aveva solo rischiato l’infarto, ora quest’ipotesi non era poi così campata per aria. Il poveretto si accasciò per terra, premendosi una mano sul petto, ma fu subito soccorso dal biondino, colto da profondi sensi di colpa.
‹‹Se è vero quello che dici, allora perché hai ancora il fiatone?›› insinuò un altro, vagamente divertito dall’evolversi della situazione.
‹‹Perché il signor Mercer mi stava strangolando, ma si è dovuto interrompere per via del vostro arrivo›› accortasi che Gillette, dopo essere rinvenuto per puro miracolo, si era nuovamente accasciato a terra, tentò, invano, di rimediare: ‹‹Ma non ha fatto apposta: è stato un incidente… gli è scivolata la mano… E comunque, io sto benissimo, dico davvero. Cioè, per una che ha appena rischiato di morire direi che potrei anche essere considerata in piena salute… a parte le costole. Quelle non le sento più da due giorni… ma non è poi così grave. E poi le costole non possono essere medicate: si aggiustano da sole, non è meraviglioso? Così non dovrete nemmeno perdere tempo a medicarmi… Ok, la smetto›› finì, rendendosi conto che gli svarioni causati dall’agitazione non giovavano affatto alla sua causa.
‹‹Oh mio Dio, mandate a chiamare un medico, presto! La signorina ha bisogno di cure urgenti: non sa più quello che dice›› il buon Groves prese in mano la situazione.
‹‹Ma vi assicuro che sto benissimo››

‹‹Possiamo… occuparci dopo di queste faccende burocratiche (ma certo, si tratta solo di una vita umana, cosa vuoi che sia. Nd: me) e parlare di questioni più serie?›› Lord Beckett richiamò l’ordine.
‹‹Certo, signore››si fece avanti il ragazzo biondo (un altro che comprende subito quali siano le priorità. Nd: me) ‹‹Le quattro fuggitive sono state avvistate ieri sera a Tortuga, secondo le fonti sono entrate in tutte le taverne dell’isola ed hanno battuto ogni singolo pirata nei giochi dei dadi, delle carte e nelle scommesse sulle lotte dei galli. Si sono imbarcate su una nave pirata in compagnia di una ciurma di disperati. E non è tutto… insieme a loro c’è anche Jack Sparrow>>
‹‹Siete certi che si tratti di loro?›› volle indagare il Lord, che poco si fidava delle “fonti” a cui i soldati sostenevano di appellarsi (la famosa perpetua che aveva dato del filo da torcere a Mercer il giorno del matrimonio di Will ed Elisabeth).
‹‹Erano quattro donne che si muovevano da sole, una indossava un abito da sposa e le altre degli strani indumenti attillati. Quando un gruppo di uomini ubriachi ha tentato di arrecargli violenza la sposa li ha minacciati e questi si sono spaventati, nessuno sa il perché (Elisabeth è la vera Mary Sue). La rossa era talmente ubriaca che ha tentato lei stessa di approfittarsi degli uomini. La ragazza bionda con un fisico da Venere (all’epoca non avrebbero, certo detto “con un fisico da modella/da paura” e così discorrendo) ha cacciato un urlo talmente forte da rompere vetri, crepare le pareti e stordire dei pipistrelli. La mora si è addormentata. La descrizione corrisponde?››
‹‹S-sì›› emise flebilmente Mary, prima di svenire, causando, a sua volta, il terzo svenimento di Gillette. Quest’ultimo, prima di perdere i sensi, ebbe ancora la forza di dire: ‹‹Ma… aveva appena detto di stare bene…››

“Che soggetto” si ritrovò a pensare Mercer, mentre nascondeva un ghigno a metà tra il malevolo ed il divertito. Quella ragazza non aveva praticamente emesso un suono durante il pestaggio e lo strangolamento, sebbene in quest’ultimo avesse mostrato evidenti segni di panico, per quanto possibile data la sua condizione. Che temesse la morte per soffocamento? Interessante… ne avrebbe certamene tenuto conto nel caso in cui avesse avuto necessità di ottenere nuove informazioni da lei. Dopo tutto, strangolare è un metodo decisamente più semplice e silenzioso del “pestaggio”.
Ad ogni modo, tornando al punto focale della questione, in quei giorni si era spesso domandato come una ragazza con un corpo così fragile (Per uno con l’esperienza di Mercer non era stato difficile capire che, nonostante la corporatura “massiccia”, il corpo di Maria Vittoria non era affatto resistente) riuscisse a sopportare così bene il dolore fisico causato dalle percosse ed aveva pensato che potesse nascondere una grande forza spirituale. Lo svenimento in stile “dama dell’ottocento”, invece, aveva confutato questa teoria, portandolo, dunque, alla conclusione che la suddetta ragazzina avesse qualche rotella fuori posto.
Se quando gli era stato affidato l’incarico di occuparsi di lei, lo aveva ritenuto un’inutile perdita di tempo, ora l’idea non gli dispiaceva particolarmente. Non vedeva l’ora di scoprire come il suo cuoricino reagito ai vari esperimenti a cui si sarebbe curato di sottoporla.
Si prospettava un periodo estremamente interessante.
 
*****
Anno 1729, 29 aprile, h 18,00
Port Royal, Giamaica (stanza che potrebbe corrispondere alla nostra infermieria)
 

La prima cosa che Maria Vittoria vide, non appena aperti gli occhi, fu la luce. Poi mise a fuoco la vista e se rese conto che era solo il riflesso del lampadario di cristallo sulla lama di un pugnale che il signor Mercer stava lucidando con cura. Per un attimo, si sentì rassicurata da quella vista e si laciò sfuggire un sorriso sollevato; dopo tutto, se lui era lì, significava che non era ancora morta. Per il momento, per lo meno.
Nello stesso istante in cui formulò quel pensiero, tuttavia, fu travolta da un turbinio di ricordi negativi. In primis la loro cattura, i bambini che piangevano, i giorni di prigionia, il dolore, il buio, la paura e, per ultima, la notizia delle sue amiche imbarcate con una ciurma di pericolosi criminali. Come potevano essere state così imprudenti da fidarsi dei pirati? Lucia e Francesca avevano visto i film: sapevano che lo scopo di Jack Sparrow era unicamente quello di raccogliere un numero di anime sufficienti per poter saldare il suo debito con Davy Jones. Dunque, per quale motivo avevano scelto di seguirlo? Eppure dovevano essersi rese conto anche loro del fatto che la realtà in cui si erano trovate catapultate era ben più cupa di quella rappresentata dalla Disney. Ed ora come avrebbe fatto a trovarle? Perfino nella loro epoca sarebbe stato praticamente impossibile rintracciare una nave di pirati, figuriamoci nel ‘700, dove ciò che più assomigliava alla polizia era la milizia britannica, strumentalizzata in maniera quasi imbarazzante dagli uomini di potere dell’epoca. Per quanto si sforzasse, non riusciva a pensare a nulla che le avrebbe potuto permettere di salvarle.

In breve fu sopraffatta dalle emozioni che in tutto quel lasso di tempo aveva cercato di sopprimere. Se prima sentiva di doversi dimostrare forte per proteggere le compagne, ora che queste erano si trovavano in serio pericolo, non aveva più alcun motivo per cui resistere. Calde lacrime le solcarono il volto, mentre iniziava a tremare in maniera incontrollata. I suoi occhi, resi più chiari dal pianto e dalle dure prove a cui era stata sottoposta negli ultimi giorni, vagarono distrattamente per la stanza, fino a posarsi sulla figura seduta poco distante dal suo letto.
Mr. Mercer parve accorgersi solo in quell’istante del suo risveglio. Con estrema lentezza, ripose il pugnale nella fodera e si alzò dalla sedia di vimini su cui era seduto scompostamente, apprestandosi ad accertarsi delle sue condizioni, per poi poterle riferire a Cutler Beckett.
Mary, vedendolo avanzare cercò, istintivamente di scendere dal letto per allontanarsi, ma il panico crebbe, quando si rese conto di avere un polso incatenato alla spalliera del letto. Terrorizzata, iniziò ad indietreggiare il più possibile, fino a trovarsi con il corpo premuto contro la spalliera. Provò ad alzarsi in piedi, dato che l’idea di stare seduta di fronte ad un colosso tanto alto non faceva altro che accrescere le sue insicurezze, ma la catena troppo corta glielo impedì. Sconsolata, si rannicchiò nell’angolo estremo del letto, stringendo le coperte con forza, quasi fossero la sua ragione di vita.

“Dopo tutto Gillette non aveva tutti i torti: sembra davvero una mocciosa”, si ritrovò a pensare Mercer, notando l’atteggiamento infantile di pensare di potersi riparare dal male, nascondendosi sotto le coperte. Vederla così fragile ed indifesa non fece altro che accrescere il suo desiderio di portarla ai limiti estremi della sopportazione. Un ghigno malevolo si dipinse sul suo volto, mentre si avvicinava ulteriormente, con l’intento di spaventarla ulteriormente. Inizialmente aveva progettato di accertarsi rapidamente delle sue condizioni, avvertire Lord Beckett del suo risveglio e, poi, godersi, finalmente, qualche ora di meritato riposo. Dopo tutto, trascorrere quasi undici ore chiuso in una stanza a fare da balia ad una ragazzina non era stato, certo, il motivo per cui si era arruolato nella marina britannica.
La piega interessante che la situazione stava assumendo, tuttavia, lo spinse a concedersi un po’ di tempo per divertirsi a terrorizzarla. Dopo averla osservata per alcuni giorni, aveva capito che, prima o poi, avrebbe ceduto, ma non si sarebbe mai aspettato che il crollo emotivo sarebbe giunto in un momento come quello. “E’ davvero una ragazza piena di sorprese” ghignò, soddisfatto.
In effetti, ora che ci pensava, l’unico momento in cui tollerava la voce di una donna era quando piangeva ed implorava pietà in maniera straziante. Che suono soave! (Ok, oltre ad essere maschilista e misogino, è anche uno psicopatico. Nd: tutti)

Non fece, però, in tempo a dire nemmeno “Boo!”, che la porta si spalancò, cigolando sui cardini (Un’altra? Ma non sono in grado di fare un po’ di manutenzione questi uomini? Lord Beckett pretende di controllare il mondo, quando non sa nemmeno prendersi cura della propria abitazione… promette bene! Nd: me). Il tenente Groves e Mr. Davis, messi in allarme dal suono del pianto della fanciulla, non ci pensarono due volte, prima di intervenire. I due erano rimasti seduti per ore su una panca appena fuori dalla stanza, pronti ad intervenire nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Groves si era offerto di vigilare, in quanto il suo animo nobile non riusciva a perdonarsi il non essersi accorto delle sofferenze patite da un’innocua fanciulla. Mr. Davis, invece, era stato praticamente minacciato costretto dal suo capo, dato che quest’ultimo si trovava ancora in ospedale, con prognosi riservata. I medici non erano stati ancora in grado di stabilire se sarebbe riuscito a riprendersi dai multipli shock subiti in precedenza e Michael Davis non se l’era sentita di deludere i desideri di un uomo distrutto. Inoltre, era curioso di capire cosa potesse aver spinto Lord Beckett ad interessarsi tanto ad una ragazzina chiacchierona e priva di qualità.
Non appena entrati, si trovarono di fronte una fanciulla sotto shock, in preda alle lacrime ed ai tremiti. Gli occhi, con le pupille dilatate ai limiti estremi, non riuscivano a staccarsi dalla figura di Mercer, quasi temesse che, non appena avesse sbattuto le palpebre, avrebbe continuato ciò che non era riuscito a portare a termine l’ultima volta. Il pallore dell’incarnato contribuiva ad evidenziare i tagli ed i lividi che le costellavano il corpo, rendendola a stento riconoscibile. I nostri due cavalieri, a dire il vero, l’avrebbero scambiata per un'altra, se non fosse stato per la folta criniera castana che la caratterizzava.

Dopo un attimo di disorientamento, Theodore Groves cercò di prendere in mano la situazione: ‹‹Buon Dio! Mr. Mercer, smettetela di avvicinarvi, vi prego: non vedete che la state terrorizzando?››
‹‹Lord Beckett mi ha espressamente ordinato di sorvegliarla personalmente, quindi vedi di starne fuori, tenente, specie se tieni alla tua posizione›› pronunciò Mercer, con tono piatto, sebbene i suoi occhi esprimessero tutt’altre emozioni.
A quelle parole Groves tentennò per un momento. Non era tanto preoccupato per la minaccia in sé, quanto per il fatto che opporsi apertamente agli ordini di un superiore andava contro tutti i principi in cui aveva sempre creduto fermamente. Ciò nonostante, non poteva ignorare la tacita richiesta di aiuto che una fanciulla indifesa gli stava inviando attraverso gli occhi. Che fare?
Il suo dilemma si risolse grazie a Mr. Davis che, pur essendo molto più basso in grado, non ebbe remore nel manifestare le sue remore in merito ai metodi utilizzati con la ragazza. ‹‹E Lord Beckett vi ha anche ordinato di incatenarla al letto e terrorizzarla ulteriormente?›› commentò ironicamente, per poi precisare: ‹‹Non che mi importi qualcosa di questa ragazza, ma non posso credere che degli uomini che si definiscono “gentiluomini” o “uomini d’onore” si comportino in maniera tanto indegna››.
‹‹Signor Davis, devo, forse, intendere che stiate mettendo in discussione l’operato di Lord Beckett?›› la voce di Mercer stava iniziando a perdere il suo caratteristico tono neutro e distaccato. Era famoso per la sua immensa pazienza (nel senso del detto “la vendetta è un piatto che va consumato freddo”), ma se c’era una cosa che non riusciva proprio a tollerare era la mancanza di rispetto nei confronti del suo padrone.
‹‹Nessuno sta mettendo in dubbio le sue buone intenzioni, ma deve capire che…››

Groves smise di ascoltare il battibecco nel momento in cui prese la sua decisione. Si avvicinò al letto con passi lenti e cadenzati, sorridendole in maniera rassicurante, quasi stesse avendo a che fare con un gattino spaventato. Una volta assicuratosi che non si sarebbe spaventata ulteriormente, fece cenno al compagno di procedere. Quest’ultimo smise di battibeccare e prese a ghignare, soddisfatto della presa di posizione del suo superiore. Senza perdere tempo, sfoderò la spada ed utilizzò la lama per rompere la serratura della corta catena che la teneva bloccata. Come fu libera, il tenente la prese tra le braccia, o almeno ci provò… A quanto pare il digiuno forzato non era stato sufficiente a farle perdere i chili in eccesso.
Ad onore del vero, Maria Vittoria non era, certo un fuscello, ma non era nemmeno un “obbesoide”, come soleva definirsi in maniera scherzosa. Tuttavia, bisogna anche tener conto del fatto che l’allenamento medio di un fante della marina britannica dell’epoca era quasi inesistente, fatta eccezione per l’arte della spada (che ricordiamo essere il modello più leggero mai utilizzato nella storia dell’uomo. Perfino i crociati dovevano avere più muscoli di loro… e stiamo parlando del medio evo, tacciato da buona parte degli storici come “epoca oscura”… siamo messi bene, non c’è che dire!). Tutto considerato, ci sarebbe stato da stupirsi se ci fosse riuscito. E Mary sembrò pensarla allo stesso modo, dato che riacquisendo un minimo di lucidità gli sussurrò un: ‹‹Tranquillo, peso quanto un pachiderma in dolce attesa. Se ci fossi riuscito avrei dovuto preoccuparmi›› e gli fece intendere che sarebbe riuscita a camminare.

Nonostante la rassicurazione, Theodore si sentiva irrimediabilmente in colpa nei suoi confronti. Quale uomo dotato di un minimo di civiltà avrebbe compiuto, seppur involontariamente, un gesto che avrebbe potuto compromettere la dignità di una donna?
Cercò, quanto meno, di rimediare al proprio errore porgendole il braccio ed aiutandola a sorreggersi lungo il breve tragitto che separava la stanza in cui si trovavano dall’ufficio di Lord Beckett. Aveva, infatti, pensato che la scusa di portarla al suo cospetto per essere nuovamente interrogata sarebbe stata la soluzione migliore per spiegare il perché l’avessero sottratta alle attente cure di Mercer. Se l’idea non avesse funzionato, che il Signore gliela mandasse buona! Con tutto il rispetto per la sua carica, ma la sua statura non particolarmente significativa non gli impediva di urlare al pari di una combriccola di pirati ubriachi.
 
*****
 
Anno 1729, 29 aprile, h 21,30
Port Royal, Giamaica (ufficio di Lord Beckett)
 
 

‹‹Vi giuro che non ne sapevo niente!›› SIG, SOB!
‹‹Tranquilla, ti crediamo››
‹‹Sono veramente mortificata›› SIG, SOB, SOB!
‹‹Sì, ti capiamo››
‹‹Come potevo anche solo immaginare che…›› SIG, SIG!
‹‹Nessuno avrebbe potuto prevederlo››
‹‹Scusatemi… non riesco a smettere di piangere, ma sono davvero preoccupata per le mie amiche›› SIG!
‹‹E’ del tutto comprensibile››
‹‹Se solo potessi tornare indietro nel tempo…›› SOB!
‹‹Ti saresti fatta giurare che non sarebbero mai e poi mai scese a patti con dei pericolosi criminali››
‹‹Esatto… Sapete, è davvero un piacere parlare con voi. Mi dite esattamente ciò che vorrei sentire e a volte ho quasi l’impressione che riusciate a completare le mie frasi. Qual è il vostro segreto?›› domandò Maria Vittoria, dopo essersi finalmente calmata.

‹‹Oh, beh, ecco… deve essere uno degli effetti collaterali del nostro addestramento›› divagò Mr. Davis, dopo averle passato un altro fazzoletto di stoffa per asciugarsi le lacrime. Davvero non se la sentiva di farle notare che, dopo averle sentito ripetere le stesse cose per tre ore e mezza, era normale che se le ricordassero a memoria. Ancora non riusciva a capacitarsi di come una fanciulla così fragile e sensibile potesse essere la stessa persona che, nei giorni precedenti, aveva sopportato la prigionia senza mostrare alcun segno di cedimento. Non era scientificamente possibile.
Theodore Groves, dal canto suo, cercava di assisterla come meglio poteva, ma la sua inesperienza in materia femminile era lampante. In più, da quando Mary l’aveva abbracciato, ringraziandolo per averla sottratta alle gentili cure di Mercer, non era più riuscito a spiccicare parola. Il rossore che era apparso sulle sue gote si era, ormai, eclissato, ma non era ancora riuscito a riacquisire padronanza delle proprie facoltà mentali. “E’ ora che si trovi una ragazza!” pensò Michael Davis, ancora incredulo di trovarsi in una situazione del genere.

Perfino Lord Beckett, solitamente così altero ed amante della disciplina, non si era scomposto quando erano entrati con la ragazzina piangente e tremante. Aveva atteso in silenzio che smettesse di piangere, occupando il tempo leggendo e compilando i documenti che Mr. Mercer gli passava diligentemente (sarebbe stato un’ottima segretaria. Nd: Marta). Non appena si fu accertato che la ragazza fosse in grado di affrontare una discussione, fece cenno ai soldati di lasciare la stanza, Questi, memori del trattamento subito dalla poveretta (e dalle tre ore e mezza di sostegno morale che avevano dovuto offrirle), furono costretti ad obbedire, seppur riluttanti. Maria Vittoria si ritrovò, quindi, da sola al cospetto di Cutler Beckett e Mr. Mercer. Se non avesse utilizzato tutte le sue energie per piangere e disperarsi, avrebbe anche potuto ricominciare a tremare, in preda al panico.

‹‹Ora che vi siete calmata, possiamo parlare di questioni più importanti›› constatò Cutler Beckett, dopo averle fatto segno di prendere posto sulla sedia di fronte alla sua scrivania.
Mary si costrinse ad obbedire, seppure la vocina della sua coscienza le stesse gridando di scappare lontana un miglio, altro che avvicinarsi. Tuttavia, non trascorsero nemmeno tre secondi che se ne pentì amaramente: Mr. Mercer, infatti, si era velocemente spostato dietro di lei, posando le mani sulle sue spalle con fermezza. Ora non avrebbe potuto alzarsi nemmeno se avesse voluto e, come se non bastasse, l’idea che quelle mani fossero così vicine al suo collo le provocò una morsa alla bocca dello stomaco, accompagnata da brividi e sudori freddi.
Onde evitare di riscoppiare a piangere come una disperata, si impose di fare respiri profondi e concentrarsi sulle parole del Lord.
‹‹In questi giorni ho avuto modo di riflettere sulla vostra situazione e, sono giunto alla conclusione che vi è almeno una probabilità su dieci che ci abbiate detto la verità, riguardo la vostra identità››
‹‹Scusate se mi permetto, ma l’ultima volta non mi avevate detto esattamente il contrario?›› disse, per poi portare le braccia al volto, come se si aspettasse di essere colpita da un momento all’altro. Vedendo che, però, dopo dieci secondi, non le era ancora capitato nulla di male, si arrischiò ad abbassare la guardia ed aprire gli occhi. Notando il sopracciglio alzato di Cutler Beckett, si affrettò a spiegare: ‹‹Scusate, era solo una forma di prevenzione. Sapete, di la gente cerca di picchiarmi o di lanciarmi addosso degli oggetti contundenti, quando pongo delle domande scomode.››

Lord Beckett e Mercer si scambiarono un’occhiata stranita, ma poi, ritenendo che fosse più saggio non fare altre domande, il più giovane si limitò a risponderle: ‹‹Gli unici elementi che avevo prima erano la testimonianza di un manipolo di uomini, che avrebbero anche potuto essere stati ingannati dal buio, ed il fatto che la vostra versione coincidesse con quella delle vostre amiche. Per quanto ne sappia, avreste anche potuto studiarla a tavolino in modo da confondere le nostre ricerche. Ciò che mi ha convinto a darvi una chance è stato il vostro crollo emotivo di stamane. Dubito che un attore avrebbe potuto fingere di piangere per più di tre ore››. L’uomo calcò volutamente sulle ultime parole, ma Mary sentì, in qualche modo, di meritarsi la frecciatina. Erano anni che non mostrava un comportamento così indegno in privato, figurarsi di fronte a degli sconosciuti.
‹‹Sono giunto, quindi alla conclusione di potervi concedere il beneficio del dubbio››
‹‹Ovvero?›› domandò lei, timidamente, dato che l’uomo non pareva propenso a fornirle delle spiegazioni dettagliate.
‹‹Vi concederò un tentativo. Sarete condotta nuovamente nella stanza in cui siete magicamente apparse e, se riuscirete, effettivamente, a tornare nel luogo da cui siete giunte, saprò che avete raccontato la verità››
Maria Vittoria si concesse alcuni minuti per riflettere sul da farsi. Per quanto il desiderio di tornare a casa al sicuro le attanagliasse il petto, sapeva di non poter tornare indietro senza le sue amiche. Se le avesse lasciate indietro per codardia, non se lo sarebbe mai perdonata. Si costrinse, dunque a rispondere, sperando che non se ne avesse a male: ‹‹Vi ringrazio per la vostra generosa offerta, ma sono costretta a rifiutare››

‹‹Ammettete, dunque, di aver mentito?›› chiese Cutler Beckett, con tono stranamente calmo.
‹‹Niente affatto: vi abbiamo detto la verità. Posso darvene una dimostrazione in qualunque momento, ammesso che vogliate concedermi la possibilità. Il motivo per cui mi trovo costretta a reclinare la vostra offerta è che non posso lasciare indietro le mie amiche, anche se sono consapevole di non avere nemmeno una possibilità su un milione di riuscire a trovarle›› nel pronunciare le ultime parole, Mary abbassò il capo, con aria sconfitta. Non si era mai sentita tanto inutile in vita sua.
Stranamente, Cutler Beckett, annuì, comprensivo e le fece una proposta che non si sarebbe mai aspettata dall’uomo che l’aveva trattata così duramente, fino a poche ore prima: ‹‹Mi rendo conto, ma a tutto c’è un rimedio…›› fece una breve pausa per assicurarsi di aver catturato la sua attenzione, dopo di che riprese ‹‹Le probabilità di trovare tre fanciulle imbarcate su una nave in continuo movimento, con gli strumenti ed i mezzi che abbiamo a disposizione in questo periodo, sono quasi pari a zero per chiunque. A meno che…›› anche qui si prese del tempo per osservare le reazioni della sua interlocutrice.
‹‹A meno che?›› gli fece eco lei, che proprio non capiva dove volesse andare a parare.
‹‹A meno che questa persona non abbia il controllo di tutte le rotte commerciali esistenti e, guarda il caso, io sono quel qualcuno… è il vostro giorno fortunato››
Mentre la sua mente sconvolta cercava di elaborare le nuove informazioni ricevute, si trovò ad obbiettare (col pensiero, non sia mai che se ne abbia a male e cambi idea. Nd: Mary): “Ma non è il Governatore della Compagnia delle Indie Orientali? Non dovrebbe poter monitorare solo le zone direttamente assoggettate alla sua sfera di influenza? Che la rete di spie di Cutler Beckett fosse ancora più estesa di quanto si aspettasse?”. Onde evitare di porre altre domande scomode, si limitò a fargli notare, timidamente, che, per quanto apprezzasse il suo cortese gesto, non capiva per quale motivo un uomo così impegnato avrebbe avuto motivo di aiutare una sconosciuta.

‹‹Dovete sapere che sono un appassionato di storia, culture e leggende di popoli antichi e lontani. Se quanto mi avete raccontato è vero, nel vostro mondo sono state date risposte a molte questioni che nella mia epoca non possono essere risolte… non so se mi spiego›› le rispose Beckett, con tono eloquente.
“Ha proprio lo guardo del classicista disperato, non c’è che dire” rifletté Mary, trattenendo a stento un sorrisetto divertito, nel vedere il luccichio dei suoi occhi sognanti. ‹‹Quindi, se ho capito bene, mi state proponendo di aiutarmi nella ricerca delle mie amiche in cambio di informazioni su reperti archeologici antichi? Davvero la conoscenza è così importante per voi?››
‹‹Più di qualsiasi altra cosa›› le sue parole lasciarono ad intendere che, per la conoscenza avrebbe anche potuto recidere delle vite, senza alcun rimpianto. “E’ davvero un classicista disperato!” pensò con gioia (Capito, genitori? Se impedite a vostro figlio di dedicarsi agli studi classici questo potrebbe trasformarsi in un pericoloso killer… uomo avvisato, mezzo salvato).
‹‹E poi, trattandosi di zone che faccio controllare regolarmente, l’unico “lavoro”, se così si può chiamare, che dovrò compiere sarà scrivere due righe in cui chiedo di trovarle e spedirmele a Port Royal›› aggiunse, sogghignando.
‹‹Davvero lo fareste?›› domandò Maria Vittoria, la faccia sempre più simile a quella di una bambina a cui viene promessa in regalo una bambola delle Winx.
‹‹Vi do la mia parola›› confermò con un tono serio che non lasciava alcun dubbio al riguardo.

In un qualsiasi altro momento, si sarebbe posta mille domande ed ipotizzato altrettanti scenari nefasti sul se avesse accattato quello che aveva tutta l’aria di essere un patto col Diavolo. Ritenne, tuttavia, di essere troppo influenzata dagli “scambi” che proponeva Marta, figlia nascosta di Tremotino, a Monopoli. Se a ciò aggiungiamo l’euforia provata nel momento in cui si rese conto che per le sue amiche c’era una speranza, si può comprendere il perché iniziò a strillare: ‹‹GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! GRAZIEEE!››, sprizzando gioia da tutti i pori. In un attimo di distrazione di Mercer, riuscì perfino a liberarsi dalla sua presa ferrea, scavalcando la scrivania (un vero classicista non salterebbe mai su un tavolo antico, col rischio, per altro, di rovinare i preziosi libri che vi si trovavano sopra) ed abbracciandolo con energia. L’azione non prevista sconvolse i due uomini presenti in sala che non riuscirono, dunque, a reagire al suo repentino cambio d’umore. Cutler Beckett, tra l’altro, come Theodore Groves e la maggior parte dei soldati scapoli del loro reggimento, non aveva alcuna esperienza in campo femminile.
Resasi conto di aver appena traumatizzato un’altra persona, Mary si staccò dal Lord Inglese e, nell’arco di due decimi di secondo era già tornata al suo posto, seduta composta, come se nulla fosse mai accaduto.
‹‹Hem, hem… volevo dire: vi sono molto riconoscente.›› disse, dopo aver simulato un paio di colpi di tosse.
‹‹N-non c’è… di che›› riuscì a formulare, dando fondo a tutta la sua buona volontà per superare lo stato di shock in cui quel gesto avventato lo aveva sprofondato. Si ripropose di approfondire meglio le strane usanze del luogo da cui provenivano quelle strane ragazze, qualora ne avesse avuta l’occasione.

‹‹Allora, se foste così gentile da scrivermi quali sono gli argomenti che vi interessano maggiormente, una volta tornata nel mio mondo posso fare qualche ricerca. Non vi preoccupate se ora non vi viene in mente niente: potete farmelo sapere quando vole…›› non fece in tempo a terminare la frase che una pila di fogli, alta pressappoco 90 centimetri, fu schiantata sulla scrivania. Come non detto.
‹‹Ho scritto solo le prime cose che mi sono venute in mente, ma non temete, non appena avrò un po’ di tempo cercherò di stilare una lista più completa›› la “rassicurò” lui, raggiante.
“Se questi sono solo appunti approssimativi, sono curiosa di sapere che cosa intende per lista “più” completa” si ritrovò a pensare lei, stampandosi il palmo della mano destra sulla faccia. Ecco che cosa aveva da fare di così urgente in quei tre giorni in cui l’aveva rinchiusa in quell’orrida stanza buia. Era davvero senza parole. Si costrinse, comunque, a sfoggiare un sorriso educato ed a rassicurarlo: ‹‹Vedrò cosa posso fare. Entro domani sera al più tardi le porterò i primi risultati delle mie ricerche››
‹‹Ottimo! Allora, direi che ora abbiamo un accordo›› esultò lui, emozionato all’idea di quante meraviglie della conoscenza avrebbe potuto scoprire grazie alla sua nuova “miniera d’oro”.
‹‹Sì, signore… e grazie›› annuì Mary, sinceramente grata.
‹‹A cosa devo questo “grazie”? Se è per le vostre amiche, sappiate che nemmeno io ho la certezza di riuscire a recuperarle vive, non so se mi spiego››
‹‹Ne sono perfettamente consapevole, ma è anche vero che se non fosse per voi non avrei nemmeno una possibilità su un milione di riuscirci. Avrebbe potuto anche solo obbligarmi a recuperare le informazioni che le servivano, senza promettermi nulla in cambio, ma non l’ha fatto. Quindi non posso fare altro che ringraziarla per la possibilità che mi sta offrendo.››
‹‹Siete una donna strana… ci sono donne che mi hanno maledetto per molto meno… Voi, invece, mi ringraziate?››
‹‹Può darsi, ma per come la vedo io, è già un miracolo che non ci abbia fatte uccidere tutte e quattro, dopo l’incidente di quattro giorni fa›› disse, sottolineando le ultime parole, con tono eloquente.
‹‹Preferirei non parlarne più›› si limitò a dire lui, e la sua espressione sconvolta non fece altro che rendere ancor più manifesto il suo desiderio di dimenticare.

‹‹Capisco›› annuì Mary, comprensiva, per cambiare velocemente argomento: ‹‹Allora è tutto a posto? Posso tornare a casa?››
‹‹Ma certamente››
‹‹Oh, grazie infinite Lord, egregio, onnipotente, signore! L’ho sempre detto che lei era una persona ragionevole…›› ricominciò a saltellare sul posto, accantonando definitivamente l’idea di mantenere una parvenza di persona morigerata e contenuta.
‹‹Ma ad una condizione›› aggiunse, col suo solito tono pacato, per poi sfoggiare un sorrisetto malefico degno di un serial killer: ‹‹Mr. Mercer verrà con te.››
‹‹COSA?!?!?›› se Maria Vittoria non cadde a terra, fu solo perché il chiamato in causa la afferrò prontamente, per poi afferrarla saldamente per un braccio ed iniziare a camminare verso la porta dell’ufficio.
‹‹Ti seguirà ovunque, sarà la tua ombra e i miei occhi››.
Quelle parole, unite alla velata minaccia nel suo sguardo, furono l'ultima cosa che udì, prima di essere trascinata via dall'uomo che l'aveva pestata nei giorni precedenti.
 
 
“Da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere conosciuto.”
(Carl Sagan)

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Capitolo 8
*** Capitolo 7- Ritorno a casa ***


Capitolo 7- Ritorno a casa.
Di Cutler Beckett fece il cascamorto con la madre di Mary.

 
 
Anno 1729, 29 aprile, h 22,00
Port Royal, Giamaica (ufficio di Lord Beckett)
 

Data la maniera poco cavalleresca in cui era stata accompagnata fuori dall’ufficio di Beckett, e poi scortata fino alla stanza dove tutto era cominciato, Maria Vittoria aveva pensato che, per lo meno, non avrebbe dovuto strisciare sotto un letto davanti a tutti. Per quanto tendesse a “parlare a macchinetta” anche con gli sconosciuti, era pur sempre una ragazza piuttosto timida ed odiava essere al centro dell’attenzione. Non che mancasse di autostima, era semplicemente consapevole delle proprie debolezze, tra cui spiccavano la goffaggine ed un talento innato per dire/compiere la cosa più inappropriata nel luogo meno indicato e nel momento peggiore. Se a ciò aggiungiamo il fatto che nel Settecento, perfino mostrare una caviglia era considerato “indecente”, figurarsi una fanciulla abbigliata in maniera poco consona, che gattonava sotto il letto di una camera altrui, accompagnata ad un individuo del sesso opposto, senza la scorta di uno chaperon (sì, anche sotto un letto… I puritani sono strani. Nd: me) e ad un orario indecente, per i canoni dell’epoca.
Ora, l’ottimismo non era mai stato un problema per le Mary Sue, ma, ricordando che la nostra protagonista appartiene ad una categoria ben più vicina a quella di Fantozzi che alla loro, si può facilmente immaginare i risvolti negativi di tale propensione. Uno tra tutti, l’“attirare la sventura”, come ampiamente sottolineato da Marta & company. Ed anche questo caso, ahi lei, seguiva la regola. Non appena Mercer varcò la soglia della stanza del suo padrone (il povero Cutler aveva, ormai, capito che, dato il livello cerebrale della gente da cui era circondato, avrebbe corso meno rischi a non sostituire la porta distrutta), infatti, l’intero reggimento si palesò davanti ai loro occhi. Nonostante fosse una stanza molto spaziosa, non poteva, certo, contenere tutte le truppe di Port Royal. Inutile dire che coloro che non riuscirono ad entrare si accalcarono alle finestre o si arrampicarono sulle palme, osservando la scena con l’ausilio di cannocchiali d’ottone. Il Grande Fratello concedeva un’atmosfera di intimità, al confronto. E meno male che Cutler Beckett voleva mantenere segreta la sua identità!
Mr. Mercer, dal canto suo, non parve minimamente turbato dalla moltitudine di occhi puntati su di loro… evidentemente, il fatto che la marina inglese fosse composta da una branca di suocere pettegole era risaputo.

Notando con sommo disappunto che la “mocciosa” a cui doveva fare da balia stava tergiversando, le diede un forte strattone al braccio. L’atto dell’uomo, che doveva essere volto ad evitare inutili perdite di tempo, produsse esattamente il risultato opposto, dato che quell’impiastro che si stava trascinando dietro perse l’equilibrio e cadde a terra come una pera cotta. Certo, Maria Vittoria mancava innegabilmente di grazia, equilibrio e prontezza di riflessi, ma se a questo sommiamo le ore di sonno perdute, il dolore e le privazioni sopportate nei giorni precedenti e l’ultima notizia shock, la sua mancata reazione risulta quanto meno giustificata. Mercer, tuttavia, non parve pensarla allo stesso modo, dato che l’afferrò per i capelli, senza nemmeno aspettare che si rialzasse, per poi ricominciare a trascinarla verso la loro meta, come se nulla fosse accaduto. Del resto, l’uomo, scettico di natura, era abbastanza convinto che le storie di quell’assurda ragazza dalla criniera indomabile (sì, l’aveva notato persino lui, dato che ogni volta che l’afferrava per i capelli era costretto a recidere un paio di ciocche con l’ausilio del pugnale… del resto, o loro o la sua mano) fossero totalmente inventate. Lo stesso Lord Beckett non aveva creduto ad una sola parola.

E allora, perché perdere tempo per organizzare questo simpatico teatrino, vi chiederete. Beh, bisogna sempre tener conto del fatto che Cutler Beckett era un uomo pieno di complessi: la salute cagionevole sin dalla più tenera età, l’essere nato nerd in un epoca in cui “essere sfigato” ancora non andava di moda (Se fosse nato nell’Ottocento avrebbe ottenuto perfino più successo di Leopardi… del resto, la frase “la natura è crudele”, pronunciata da un uomo che aveva dovuto superare tutte quelle peripezie, aveva, certo, più valore di quella di un figlio di papà che ce l’aveva col mondo solo per via della gobba e perché i suoi orari sregolati andavano a peggiorare la sua già precaria salute), il bullismo, l’altezza insignificante, il fatto che il padre gli preferisse i fratelli, l’essere continuamente paragonato a Jack Sparrow che, a detta di tutti, lo batteva in ogni campo, l’essersi fatto fregare l’amata dall’apprendista di un maniscalco fallito, essere lo zimbello di tutti di tutti i comandanti di flotta… “Lo Spagnolo” non perdeva mai l’occasione di s*******o, sottolineando l’incompetenza dei suoi uomini, in confronto ai suoi soldatini perfetti. Non che avesse tutti i torti, in effetti, dato che quando due delle loro imbarcazioni si trovavano vicine, sembrava quasi che quella spagnola fosse illuminata dal sole e acclamata da un coro di voci angeliche.
Tutto questo, per dire che Cutler Beckett, ora come ora, aveva una necessità estrema di sfogare le proprie frustrazioni personali su qualcuno, cosa che nel terzo film, si sarebbe riversata su quella moltitudine di innocenti e non condotti alla forca. Decisamente, Maria Vittoria & company non erano giunte a Port Royal nel momento più propizio.
Lord Beckett voleva godersi ogni singolo attimo di disperazione da parte della ragazza. Non vedeva l’ora di ammirare l’espressione sconfitta e, allo stesso tempo terrorizzata, che avrebbe sfoggiato nel momento in cui non sarebbe riuscita a lasciare la stanza ed il suo castello di menzogne sarebbe crollato. Si era divertito fingendo di assecondare le sue follie, ma si sarebbe divertito molto di più assistendo alla sua sconfitta.

Ci rimase, dunque, assai male quando si rese conto che i lamenti della fanciulla ed i grugniti scocciati di Mercer non si udivano più da sotto il letto.

*****
 
 
Anno 2018, 29 dicembre, h 22,00
Genova, Italia (casa di Mary)
 

I secondi che trascorsero durante quella che sarebbe, poi, passata alla storia come “l’attraversata dei due mondi” (Strisciando come due vermi sotto un letto? Con uno dei due eroici esploratori che trascinava l’altro per i capelli, e l’altro che si lamentava per il dolore? Le sorti dell’universo sono in ottime mani, non c’è che dire!), furono in assoluto i più lunghi della vita di Mary. In meno di quindici secondi, riuscì a completare due decine del rosario, tant’era l’adrenalina che le scorreva nelle vene. Dire che era terrorizzata era un eufemismo. Avrebbe funzionato? Il varco spazio-temporale, o come-capperoski-si-chiamava, si sarebbe attivato di nuovo o era accessibile solo in determinati momenti dell’anno? Come avrebbe fatto a dimostrare di avere detto il vero, se non fossero riusciti a passare? Non sarebbe sopravvissuta a sufficienza per pensarci, questo era poco ma sicuro. Sperava, almeno, che Beckett le concedesse una morte rapida e, soprattutto, che non fosse il signor Mercer ad eseguire la sua sentenza. Il suo cuore non avrebbe retto a tanto. Quell’uomo la terrorizzava più di qualunque altra cosa: non solo era incredibilmente freddo, ma quando si trattava di provocare dolore nelle altre persone, il suo volto mostrava un che di sinistro. Se, almeno, fosse stata terrorizzata/disgustata dalle profonde cicatrici che ricoprivano buona parte del suo volto, come tutte le persone normali, avrebbe evitato di fissarlo negli occhi.

Maria Vittoria aveva preso alla lettera il detto “gli occhi sono lo specchio dell’anima”: negli anni, aveva imparato a comprendere il comportamento delle persone attraverso gli occhi. Del resto, quando sei lasciata da parte, la gente ti ignora, e finisce con il dimenticare che tu sia presente. A quel punto, trovare dei soggetti da studiare è piuttosto semplice. Nei primi tempi si era anche divertita ad osservare le varie tipologie di dinamiche interpersonali che andavano ad instaurarsi tra familiari, compagni di classe e perfino gli sconosciuti che incontrava per strada: aveva quasi l’illusione di prendervene parte. A volte si ritrovava a pensare, con fare scherzoso, che, se la sua vita fosse stata una storia, lei sarebbe stata il narratore. La maggior parte delle persone che conosceva si illudeva di essere il protagonista, ma la verità è che una storia, per non confondere il lettore deve avere un numero piuttosto esiguo di personaggi principali. Mille volte meglio essere un narratore esterno onnisciente, piuttosto che un personaggio secondario che non si rende conto di quale ruolo riveste. Si evitano molte amare delusioni.
Ad ogni modo, Maria Vittoria aveva avuto modo di studiare gli occhi di molte persone e, per quanto alcune di esse potessero essere non particolarmente amichevoli (bulli, ladri, maniaci assassini), non le era mai capitato di trovarne di così. Il suo sguardo aveva incontrato il suo solo per un istante… e le era bastato a vita! Se qualcuno le avesse chiesto di descriverli, non sapeva nemmeno se sarebbe riuscita a rendere un centesimo dell’idea. Non erano né spenti, né colmi di brio. Il suo sguardo, perennemente fermo, indipendentemente dalle emozioni che provava, apparteneva a qualcuno che agiva, si comportava ed addirittura pensava per conto di qualcun altro. Forse si trattava di una sorta di “distorsione professionale” da braccio destro del super cattivo (vedi Squalo ne “Agente 007”), ma era comunque pericoloso, oltre che inquietante. Se Lord Beckett gli avesse impartito l’ordine di impiccare un uomo per pirateria in sua assenza, anche se fossero state trovate delle prove che escludessero tale reato, lui avrebbe comunque eseguito la sentenza. Quelli erano gli occhi di una persona che, nonostante un’intelligenza fuori dal comune, si era ormai imposto di non esaminare nessuna situazione, né esprimere giudizio senza il consenso del suo superiore. Se la categoria di persone più pericolosa al mondo era quella degli psicopatici (sono totalmente imprevedibili), la seconda era quella dello sgherro che agiva in modalità formicaio: soldati semplici che agiscono istintivamente secondo la volontà della formica regina.

I suoi pensieri furono interrotti da una brusca frenata da parte dell’uomo. Maria Vittoria, ovviamente, non aspettandosi tale mossa da parte sua, non smise di gattonare alla velocità massima consentitale dalle sue esigue capacità motorie, ottenendo un’altra potente tirata di capelli. Non fece nemmeno in tempo a domandarsi per quale motivo si fosse fermato così bruscamente ed a farsi prendere dal panico, che si sentì strattonare nuovamente, e questa volta in avanti. A quanto pare, Mr. Mercer era semplicemente rimasto turbato dal fatto che, ora, la lettiera del letto fosse più bassa di quasi due spanne sulle loro teste. Decise, quindi di vederci chiaro e porre fine a quella pagliacciata il prima possibile, il che significava tanto, tanto, tanto dolore per la povera cute di Maria Vittoria.

Il primo ad uscire dalle tenebre (ebbene sì, prima di finire nell’altra epoca, Lucia aveva riacceso la luce, che era rimasta accesa per quasi cinque giorni… viva le bollette!) fu Mr. Mercer, che si fermò immediatamente, lasciando finalmente andare i capelli della sua vittima fanciulla da sorvegliare. Quest’ultima, dopo essersi presa qualche istante per massaggiarsi la cute, dolorante, avanzò qualche centimetro, in modo da poter sporgere la testa fuori e capire cosa stesse succedendo.
Mr. Mercer era rimasto a dir poco scioccato all’idea che il letto del suo padrone fosse effettivamente collegato alla stanza di qualcun altro, ma, grazie alla sua grande esperienza nel campo del sovrannaturale (vedi Kraken, mostri marini, cuori nei forzieri e navi infestate), riuscì a riacquisire velocemente le sue capacità cognitive. La prima cosa che fece, ovviamente, fu riafferrare Maria Vittoria per i capelli, sollevarla da terra, per poi lanciarla a soli tre millimetri dal grande letto matrimoniale. Mary non fece nemmeno in tempo a soffrire per il male ai capelli, che dovette patire anche quello al fondoschiena, dato dal violento contatto con il freddo caldo (altra gioia per i genitori di Maria Vittoria: le tre liguri sue ospiti, che tanto erano parsimoniose nell’amministrare il gas nella propria abitazione, non erano fatte scrupoli nell’alzare il suo riscaldamento a 25,5 °C) pavimento. Onde evitare di mettersi a strillare come una bambina di tre anni, cercò di ironizzare: ‹‹Ma non potevate proprio mirare un po’ più in là? Eppure questo letto occupa quasi tutta la stanza!››

L’espressione perplessa-scioccata dell’uomo, le fece realizzare che, forse chiedere ad una persona del ‘700 di gettarla su un letto matrimoniale, non era proprio la scelta migliore, se voleva ancora mantenere quel poco di reputazione che le era rimasta dopo soli cinque giorni nel passato. Si affrettò, quindi a rimediare: ‹‹No, no, no! Io non intendevo… speravo solo in un atterraggio sul morbido, hehehe››
Mr. Mercer non disse nulla, ma parve rilassarsi e cambiò argomento: ‹‹Cos’è questo posto?››
‹‹Casa mia o, più precisamente, la camera da letto dei miei genitori››
‹‹E questi dove sarebbero a quest’ora della notte, di grazia?›› volle capire lui, per nulla convinto dalle spiegazioni di lei.
‹‹A dire il vero nel luogo in cui ci troviamo, le dieci di sera non sono un’ora tarda, e comunque i miei sono fuori città per lavoro da un paio di settimane››
‹‹Mi sti dicendo che tuo padre ti lascia da sola a casa per un così lungo periodo di tempo, con la sola supervisione della servitù?››
‹‹Hem, veramente la nostra casa non è poi così grande da necessitare l’aiuto di governanti, cameriere o cuochi››
‹‹Quindi devo supporre che tu abbia dei fratelli maschi?››
‹‹N-No›› ammise lei, un poco imbarazzata. E ora come glielo spiegava che nella sua epoca era comune che le donne potessero vivere da sole dopo il compimento della maggiore età?
‹‹Uno zio?››
‹‹N-no, non esattamente››
‹‹Un cugino?››
‹‹No››
‹‹Un tutore?››
‹‹No››
‹‹Una madre superiora?››

‹‹Oh, cielo, no! Certo che no: non sono mica una suora, hahaha›› non riusciva a credere che l’avesse detto davvero. L’unico lato positivo era che, se era giunto al punto di domandarle una cosa del genere, voleva dire che, per lo meno non la considerava una ragazza dai facili costumi. O per lo meno, non ancora…
‹‹Io… non so come dirvelo, ma nei momenti in cui i miei genitori non ci sono vivo da sola. So che può sembrarle assurdo, ma qui è abbastanza comune che i genitori si fidino a lasciare i figli soli a casa, dopo una certa età›› Decise di lasciare la nuova condizione femminile per un’altra volta. Se il signor Mercer era già così diffidente a questo punto della conversazione, non osava pensare a come avrebbe reagito, se avesse approfondito un punto tanto sensibile per un uomo misogino e maschilista.
‹‹E le figlie?›› domandò lui, sempre più scettico. Ecco, ora pensava di sicuro che fosse una ragazza dai facili costumi.
‹‹I figli… e le figlie›› confermò lei, sempre più imbarazzata ‹‹Del resto nessuna ragazza con un minimo di cervello sfrutterebbe la fiducia del proprio padre per mettere a repentaglio il buon nome della propria famiglia. Inoltre la mia famiglia ritiene doveroso che la loro unica discendente abbia una certa istruzione e, se alle ore di studio sommiamo quelle necessarie per la cura della casa, non resta molto tempo per pensare, figurarsi per compiere azioni sconsiderate. I miei insegnanti riescono ad informare mio padre in tempo reale riguardo i miei risultati e qualsiasi comportamento sospetto, e lo stesso si può dire del parroco della mia parrocchia. Se uno dei suoi parrocchiani respira, state pur sicuro che lui lo verrà a sapere.›› improvvisò lei, trovando una scusa che fosse allo stesso tempo credibile e conforme al pensiero comune dell’epoca.
Incredibilmente, l’uomo ascoltò tutta la sua spiegazione in silenzio e non accennò nemmeno una volta a colpirla. Si sentiva bene?
‹‹Il tuo parroco ha, come dire… una donna anziana che gli sta sempre appresso e lo aiuta?››

Maria Vittoria proprio non riusciva a capire dove volesse andare a parare. Era forse una domanda trabocchetto? Intendiamoci, era felicissima che non avesse voluto inquisire ulteriormente sulla questione “ragazza sola a casa”, ma non riusciva a capire per quale assurdo motivo, di tutto il suo discorso, fosse stato colpito solo dall’argomento chiesa. Che la scoperta di questo nuovo mondo lo stesse spingendo verso la conversione? (Povera ingenua! E’ solo che il trauma della perpetua di Port Royal è ancora troppo fresco. Nd: me)
‹‹Hem, diciamo che quasi una dozzina di fedelissime e un’altra trentina che si contendono tale ruolo con le “apostole”, come abbiamo iniziato a chiamarle noi parrocchiani…››
‹‹Non metterò piede in chiesa›› la bloccò lui, freddo.
‹‹M-ma come?›› iniziò a balbettare Maria Vittoria scioccata. Stava già progettando un modo veloce per fargli ottenere tutti i sacramenti che gli mancavano per diventare un cristiano modello e lui rovinava così le sue speranze?
‹‹L’argomento è chiuso›› la breve frase, seguita da uno sguardo eloquente, da parte dell’uomo, furono sufficienti per far cessare la discussione. Almeno per ora…
I suoi piani di vendetta e conversione furono fermati da un nuovo dolore lancinante alla nuca.
‹‹Ma che state…›› tentò di domandare lei, mentre tratteneva le lacrime per essere stata nuovamente afferrata per i capelli.
‹‹A rapporto da Lord Beckett, muoversi!›› sentenziò lui, abbassandosi sotto il bordo del letto, pronto per un altro cambio d’epoca.
‹‹M-ma non avete ancora visto niente…›› tentò, invano, di opporsi al suo doloroso destino (dolore ai capelli).
Sentendosi ignorata, Mary decise che un dignitoso silenzio fosse decisamente meglio di un piagnisteo inascoltato. Forse era meglio se sfruttava le poche energie rimaste per gattonare velocemente, in modo da patire un dolore più lieve alla cute.

*****
 
Anno 1729, 29 aprile, h 22,00
Port Royal, Giamaica (stanza di Lord Beckett)


‹‹Lord Beckett, Lord Beckett!›› si mise a gridare Mr. Mercer ancor prima di uscire da sotto il letto, continuando a trascinare la poveretta per i capelli, nel frattempo ‹‹Ce l’abbiamo fatta davvero: ci siamo riusciti! C’è davvero un passaggio segreto››
‹‹Signor Mercer, spiegatevi meglio: che cos’avete visto?›› domandò Cutler Beckett, incuriosito. Era la prima volta che vedeva il suo sottoposto agitarsi a tal punto (aveva sollevato il labbro inferiore di ben due millimetri e mezzo verso l’alto… roba da non credere!).
‹‹Hem, hem. Vogliate scusare la mia irruenza, mio signore›› si scusò, immediatamente Mercer. Si vedeva che non era abituato a perdere quella sua imperturbabile calma serafica.
‹‹Il vostro letto nasconde effettivamente il passaggio ad una stanza nascosta. Posso capire la vostra perplessità, io stesso stento ancora a crederci›› la sua voce era già tornata pacata e monocorde come al solito.
‹‹Una stanza, dite?›› fece l’altro, dubbioso.
‹‹Non ne sono sicuro, ma potrebbe trattarsi anche di qualcosa di decisamente più grande. Inizialmente pensavo che si trattasse solo di una stanza collegata a ulteriori passaggi segreti, ma da quanto mi ha riferito la ragazzina, potrebbe esserci un’intera città nascosta››
‹‹In realtà non si tratta di una sola città, ma…›› tentò di correggerlo lei, ma fu prontamente interrotta dal nobile, che pareva sempre più emozionato all’idea di poter scoprire un luogo che non si trovava ancora sulle carte geografiche (per quel che ne poteva sapere): ‹‹Avete già fatto un giro di esplorazione?››
‹‹Non ancora, my Lord. Ho ritenuto più opportuno avvisarvi subito della scoperta.››
‹‹Avete agito bene›› annuì Beckett, che ogni volta rimaneva sempre più sorpreso dalla professionalità del suo sottoposto ‹‹Avete scoperto qualcosa su questa ragazza››
‹‹Hem, hem, vi ricordo che sono proprio qui›› si intromise Mary, scocciata dal fatto che non l’ascoltassero minimamente.
‹‹Lo sappiamo›› risposero i due uomini, in coro.
‹‹E allora perché non ponete direttamente a me le vostre domande: è molto più semplice, ve lo garnti…››

‹‹Sta studiando per diventare una geisha, e parrebbe che sia sato proprio suo padre a scegliere per lei questa strada, anche se devo ancora indagare sulla questione››
‹‹Ma cosa state dicendo?›› cercò di interromperlo Maria Vittoria, che non sapeva più se ridere o piangere. Com’era possibile che avesse travisato le sue parole a tal punto.
‹‹Ne siete proprio sicuro?›› Lord Beckett ignorò completamente il suo commento, troppo preso dalla questione che si faceva sempre più intrigante. Se i suoi familiari intendevano utilizzarla davvero come fonte di guadagno dovevano essere ancora più strani di lei: quale uomo poteva essere tanto coraggioso da trascorrere qualche ora con lei? E’ pur vero che quando la candela viene spenta, tutte le donne si assomigliano, ma nel suo caso temeva che nemmeno il buoi avrebbe potuto esserle d’aiuto.
‹‹Vive da sola in una stanza con un letto gigantesco ed i suoi genitori ricevono quotidianamente notizie sui suoi progressi da parte dei suoi mentori. Dice di non aver tempo per questioni frivole, perché costretta a dedicarsi allo studio e alla cura della casa. Ha un’eccellente sopportazione del dolore fisico, per essere una donna e, da quanto ho potuto osservare la sera del loro arrivo, possiede anche alcune basi del combattimento orientale. Ho lavorato per molti anni in Giappone, e vi posso assicurare che è proprio così che funziona l’allenamento di una geisha.››
‹‹Ma non è vero: vi state sbaglian…››
‹‹Mi state dicendo che, non solo la sua famiglia ne è consapevole, ma addirittura la sprona a perseguire questa… carriera?›› Cutler Beckett era sempre più perplesso.
‹‹Pare che la sua gente sia piuttosto liberale da questo punto di vista. Pensate che dopo il lavoro, va direttamente in chiesa a confessarsi… l’ho sempre detto che i puritani sono falsi.>>

‹‹Veramente io sono cattolica, ma comunque…››
‹‹Sono senza parole. Sto iniziando a dar adito alle parole del tenente Gillette: questa fanciulla sta avendo una pessima educazione da parte della famiglia››
Mercer non disse nulla, ma annuì, convinto. Del resto, per quelli che erano i suoi standard, aveva già parlato anche troppo.
‹‹MA INSOMMA, VOLETE ASCOLTARMI?›› l’unico risultato che ottenne fu un’occhiataccia da parte di Lord Beckett. La visione di una signorina che strillava non era, certamente, contemplata nell’alta società, ma, dato che il nostro caro Cutler era un “gentiluomo”, non osò commentare per farglielo notare. La fissò per qualche istante, per poi riportare la propria attenzione su Mercer, che era rimasto perfettamente immobile ad attendere i suoi ordini.
‹‹Signor Mercer››
‹‹Signore?›› se possibile, l’uomo assunse una postura ancora più composta e rispettosa.
‹‹Ho bisogno che recuperiate alcune cose per me. Innanzitutto, una mappa della città di cui mi avete parlato, una prova che ne attesti l’avanzamento tecnologico e alcuni dei libri di cui mi ha parlato. Voglio essere certo che in questo posto abbiano davvero delle informazioni su leggende, reperti archeologi e tesori dell’antichità che i nostri limitati strumenti non ci permettono di ottenere.››
‹‹Hey, aspettate un momento… per favore!›› implorò, invano, la fanciulla. Non era psicologicamente pronta a rifare l’intero percorso, trascinata come un sacco di patate. Per non parlare del fatto che i suoi poveri capelli non si erano ancora ripresi.

‹‹Sarà fatto, mio signore›› rispose lui, in maniera estremamente cortese e contrita, manco stesse parlando con l’Oracolo di Delfi diventato re del sacro romano impero germanico. Inutile dire che in meno di due secondi aveva già riafferrato Maria Vittoria per i capelli, trascinandosela appresso in maniera più che rozza. Sembrava uno di quei bambini che bullizzano la sorellina, ma, nel momento in cui passa un genitore, si fingono degli angioletti mancati. Una sola parola: imbarazzante. “E poi, questa è discriminazione!” si ritrovò a pensare la poveretta, mentre veniva ritrascinata verso la propria epoca.

*****
 
Anno 1729, 30 aprile, h 04,30
Port Royal, Giamaica (stanza di Lord Beckett)
 

In tutte le fanfiction che aveva letto, le protagoniste che, per uno scherzo del destino, si ritrovavano nel mondo di Potc o, comunque, avevano a che fare con i suoi personaggi ottenevano un qualche beneficio, in forma esperienziale, sentimentale o addirittura materiale. Maria Vittoria, per il momento aveva solo perso delle ore di sonno e, soprattutto, studio. Per un motivo o per l’altro, era già la terza volta che faceva mattina, anche se, ad onore del vero, questa volta non le era pesato più di tanto. Dal momento in cui Cutler Beckett li aveva rimandati indietro nel suo mondo, non aveva avuto più un attimo di pace. Il signor Mercer l’aveva costretta a fare avanti ed indietro tra le due epoche una cosa come tredici volte, trasportando libri di scuola, dizionari, oggetti di uso comune che lo affascinavano e “doleva assolutamente mostrare al suo superiore, sua speranza, sua luce e sua via”. Beh, forse non aveva proprio detto così, ma il succo del discoro era indubbiamente quello.
L’unica nota positiva era che, per lo meno, già dal quarto giro, aveva smesso di trascinarla per i capelli, spostando la sua ferrea presa sul braccio destro. Fu, dunque, evidentemente un caso, se i lividi riportati a causa della troppa pressione applicata, le impedirono di scrivere correttamente nei giorni seguenti. Ad ogni modo, Mary non se la sentì di commentare, troppo timorosa di un suo eventuale scatto d’ira. Lo conosceva, per così dire, dato che lui non le aveva quasi rivolto la parola, da soli cinque giorni, ma le erano bastati per capire che quell’uomo era imprevedibile. Sebbene si mostrasse freddo e distaccato, il suo temperamento era tutt’altro che stabile. Bastava un solo atto o commento che urtasse anche solo lievemente il suo pensiero o, ancor peggio, quello di Lord Beckett, per scatenare la sua ira. E signori, non stiamo parlando di quel sentimento di rabbia che sbollisce subito, ma della μῆνις greca, l’ira funesta del Pelide Achille, per intenderci. Uno stato d’animo che non può essere placato, se non con la vendetta e, nel caso della vittima sacrificale in questione, con un infarto secco.

Tanto per fare un esempio, quando Mr. Mercer aveva scoperto l’acqua calda (letteralmente parlando, dato che Mary gli stava mostrando la vasca da bagno), le aveva repentinamente puntato un coltello alla gola, accusandola di stregoneria. In tutto questo, la poveretta era ancora china per regolare le manopole ed a momenti sveniva sul posto, altro che rispondere alle sue fantasiose accuse! Con il senno di poi, si sarebbe pentita di aver abbassato la guardia al punto tale da voltargli le spalle. Uno dei suoi più grandi difetti era sempre stato quello di fidarsi seduta stante delle persone. Ne era perfettamente consapevole, ma, allo stesso tempo, si era convinta che, nel suo caso, tali precauzioni fossero, quanto meno superflue… e non solo perché la gente che tentava di importunarla per strada scappava a gambe levate ogni volta che scorgeva il suo graziosissimo volto. Da quando si era ritrovata catapultata in quest’avventura inaspettata, tuttavia, aveva come il lievissimo sospetto di dover rivedere un attimino i suoi valori di pace, fiducia ed accoglienza fraterna.
Maria Vittoria era perfettamente consapevole del fatto che l’uomo non poteva ucciderla finché non gli fosse stato ordinato da Beckett, ma, come ben sappiamo, la paura è irrazionale. Inoltre, la morte era l’unica soluzione che gli era preclusa: per il resto aveva carta bianca. Se a ciò sommiamo il fatto che Mary avesse una soglia del dolore inferiore a quella di un bambino di tre anni ed una paura estrema del suo carceriere (ecco, se ad esempio al posto di Mercer ci fosse stato Brad Pitt, qual è la ragazza che non avrebbe fatto volentieri cambio con lei? à Folla di fans che gridano cose del tipo: “Brad, accoltellami tutta!” o “Fai di me ciò che vuoi!”), si può capire il perché della sua esitazione.

L’unico momento in cui l’uomo era parso rilassarsi un minimo era stato quando la ragazza lo aveva portato a fare una breve passeggiata intorno a casa sua, in modo da potergli mostrare lo spettacolo della città di Genova illuminata, seppur in lontananza. Mai come in quel momento, Mary ringraziò l’altissimo per averle donato una casa (perdonate il francesismo) “inculata” sui monti. Se per un uomo proveniente da un’epoca così lontana l’acqua calda ed i fornelli costituivano già uno shock troppo grande, cosa avrebbe fatto se, aperto l’uscio, si fosse ritrovato nel bel mezzo di una strada trafficata? Avrebbe rischiato, quanto meno di essere investito, per non parlare del disordine pubblico che avrebbe potuto creare un uomo vestito da guardia inglese del ‘700, armato fino ai denti. A tal proposito, nei prossimi giorni avrebbe dovuto trovare il coraggio di spiegargli che in Italia, a momenti, era proibito perfino girare per strada con ago da lana, figurarsi con lame e pistole, per quanto datate potessero essere.
Quando l’aveva accompagnato fino alla scogliera, aveva temuto che potesse rimanere traumatizzato dalla visione di intere città illuminate, ed era, quindi rimasta estremamente sorpresa quando, non solo non l’aveva fatto, ma l’aveva anche liberata dalla “morsa” in cui l’aveva costretta per tutte le ore precedenti. Per evitare che potesse approfittare della sua distrazione per sfuggirgli, tuttavia, l’aveva tirata davanti a sé ed aveva posato le mani sulle sue spalle, costringendola ad ammirare, anche lei, il panorama. Era un tipo molto democratico, non c’è che dire… l’influenza dei dittatori ha sempre un’ottima influenza sui propri sudditi, è risaputo.

In un primo momento (la prima mezz’ora), Maria Vittoria era rimasta rigida come una statua di sale e tesa come la corda di un violino. L’idea di essere così vicina al suo aguzzino e, in particolare, che le sue mani fossero così vicine alla sua gola non le piaceva per niente, specie dopo lo “scatto d’ira dell’acqua calda”. Anche perché, dal suo modesto punto di vista, il passare dall’essere un ateo materialista convinto a Torquemada (primo grande inquisitore spagnolo) non doveva essere propriamente il sintomo di una grande stabilità mentale. Alla fine, tuttavia, vuoi per la stanchezza accumulata nelle giornate precedenti, vuoi per l’ansia che, se fosse rimasta così rigida, l’uomo avrebbe potuto aversene a male (ergo, pestarla a sangue), cercò di rilassarsi un minimo. Nella pace del momento, si ritrovò a pensare che, se quell’uomo riusciva ancora a stupirsi di fronte ad una cosa “scontata” come un panorama, doveva per forza esserci ancora del buono in lui.
Mr. Mercer, in realtà, stava solo valutando i pro ed i contro del luogo: la vista spettacolare sulla città illuminata non l’aveva nemmeno notata. Del resto, quando giungeva in un luogo che non conosceva, la prima cosa che faceva era scegliere dei punti strategici per far sparire le sue vittime… e cosa poteva esserci di meglio di una scogliera isolata a picco sul mare e vicina alla casa della sua giovane cavia ospite? (Ma questo non diciamolo alla nostra ignara protagonista: è già abbastanza traumatizzata così com’è. Lasciamola nel suo mondo fatato fatto di arcobaleni e unicorni alati. Nd: me).

Tornando a noi, alla bellezza delle quattro e trenta del mattino, Maria Vittoria riuscì, finalmente, a sedersi, senza essere trattenuta con la forza da Mr. Mercer. Quello che a chiunque sarebbe apparsa come una cosa normalissima, alla poveretta apparve come un miracolo. A completare la suggestione, la visione che le sovvenne del suo maestro di Karate, vestito di un bianco splendente e circondato da schiere di angeli che lanciavano petali di fiori profumati. Mary diede la colpa alla stanchezza e all’incredibile somiglianza del suo maestro all’Omino bianco della pubblicità (ecco il perché del bianco perfetto a tal punto da apparire luminoso). In tutto questo, i due adulti della situazione, sfogliavano, uno i suoi libri di letteratura latina e greca e l’altro le riviste di sua nonna. Cosa poteva trovare di così interessante un uomo del ‘700 in “Chi” e “Gente”, vi chiederete. Vi dico tre parole: donne in bikini. Ricordiamo che, per i canoni dell’epoca, vedere una caviglia femminile era già considerato un onore troppo grande… figuriamoci avere a disposizione immagini di qualità di belle donne vestite in abiti moderni o, addirittura in costume da bagno. “Morale della favola, gli uomini sono uguali in tutte le epoche” pensò Mary, sconsolata, per poi ridacchiare, sorridendo alla vista di Cutler impegnato nella consultazione di manuali ed enciclopedie: “ed anche i nerd!”.
Ad interrompere i suoi pensieri fu proprio quest’ultimo che, sentendosi osservato, si apprestò a chiudere i libri (non prima di averli accarezzati per un’ultima volta, come a volerli rassicurare: “tranquilli, papà torna subito da voi, miei prediletti!”), per poi ricomporsi e fingere un paio di colpetti di tosse. ‹‹Avete portato la prova che mi avevate promesso?›› domandò con sguardo inquisitore.
‹‹Sì, signore›› gli rispose lei, chinando rispettosamente il capo. Erano sei ore che si chiedeva se dovesse chiamarlo “mio signore” o “My Lord”, come facevano i suoi sottoposti, ma poi concluse che sarebbe sembrato troppo finto, se detto da un “non-suddito-inglese” che non apparteneva nemmeno al loro mondo. Inoltre, specie la seconda espressione, le ricordava troppo un manga che adorava leggere da ragazzina, “Kuroshitsuji”, ed era certa che, qualora avesse provato a pronunciarla, sarebbe scoppiata a ridere come una cretina. ‹‹Ho portato il mio telefono, perché era semplice da trasportare e penso che possa essere una delle prove più evidenti del progresso tecnologico della nostra epoca.››

‹‹Questa piccola… mattonella? E’ di metallo?›› domandò subito lui, scettico, ma allo stesso tempo incuriosito dal singolare oggetto.
‹‹E’ stato costruito con molti materiali differenti, alcuni dei quali non sono ancora nemmeno stati inventati nella vostra epoca. Per quanto riguarda la sua funzione principale, penso che non abbiate problemi ad indovinarlo da solo, pensando al suo nome… deriva dal Greco!›› Maria Vittoria calcò, volutamente l’ultima parola, con voce sognante. In prima superiore, la sua professoressa di Greco, per fare un esempio dell’utilità delle lingue morte aveva utilizzato proprio questa parola, sostenendo, convinta, che qualora avessero incontrato un alieno o una persona proveniente da un’epoca passata, se questi avessero conosciuto la lingua greca, non avrebbero avuto alcun problema a comprenderne la funzione. Sul momento, l’intera classe si era messa a ridere, domandandosi quando mai gli sarebbe capitata una cosa del genere, ma con il senno di poi, era contenta che la sua professoressa avesse utilizzato quell’esempio. Quando si vuole spiegare una cosa complessa ad una persona è sempre meglio partire da un qualche cosa che rientri nella sua sfera di interesse.
‹‹Dunque, vediamo, avete detto telefono? Allora, τῆλε significa lontano e φωνή, suono, voce, parola. Anche se non ne vedo il nesso, dovrebbe significare che riesce a portare fino a chi lo possiede un suono che viene emesso in lontananza.›› Provò lui, pensieroso.

‹‹Esatto! Bravissimo!›› Esclamò Mary, entusiasta all’idea che un inglese dell’epoca conoscesse così bene il greco. ‹‹Ora ve lo mostro più nel dettaglio: questo piccolo oggetto ha molte funzioni, ma quella per cui è stato costruito è, appunto, sostituire le lettere cartacee. Non appena l’avrò acceso… tranquilli, in questo caso accendere non significa dargli fuoco, hehehe. Dicevo, non appena viene acceso, sulla parte frontale, che prende il nome di screen, compariranno vari disegnini, che si chiamano icone. Screen è un termine inglese, quindi non dovreste avere problemi a comprenderne la funzionalità, mentre icona deriva, sempre dal greco, quindi, andiamo sempre sull’easy. Visto che è tardi, vi faccio vedere solo quella per chiamare. Fin ora è tutto chiaro?››
‹‹Se mi garantite che non è stregoneria avete la mia più completa attenzione.›› incredibilmente Cutler Beckett si stava dimostrando piuttosto accomodante. Se non l’avesse conosciuto così bene, avrebbe quasi potuto pensare che stesse cercando di metterla a proprio agio, in modo da facilitarle la spiegazione.
‹‹No, è tutto frutto del progresso della scienza.›› confermò lei, sfoggiando un sorriso nervoso. Lui rideva perché non sapeva che il suo collaboratore l’aveva quasi giustiziata per stregoneria poche ore prima. Si costrinse, comunque a proseguire, non prima di aver rivolto uno sguardo preoccupato al signor Mercer, che ghignava soddisfatto: ‹‹Se premete l’icona verde al centro, potete chiamare chiunque possieda un altro di questi oggetti e per farlo vi occorrono tre cose. Primo: il numero di telefono della persona che volete contattare, che altro non è che il numero che viene assegnato a ciascuno dalla propria compagnia telefonica, ovvero l’insieme delle persone che gestiscono questo genere di cose. Un po’ come voi con la Compagnia delle Indie Orientali fate con le attività commerciali nelle vostre sfere d’influenza. Secondo: il credito. Si deve versare una certa quantità di denaro alle varie compagnie di cui vi ho appena parlato, con modalità di cui vi parlerò più avanti, dato che sono un po’ complesse da spiegare. Terzo: il campo. Per poter chiamare una persona, occorre trovarsi in un punto all’interno del quale la propria compagnia telefonica riesce ad agire. Vi sono, poi, punti in cui pur non riuscendo a contattare i telefoni delle persone comuni, si può parlare con i numeri d’emergenza ed altri in cui non è possibile contattare nemmeno loro. In America è un numero unico, ovvero 911, mentre in Italia, dove vivo io, fino a poco tempo fa erano tre: 112 per i Carabinieri, il 113 per la Polizia di Stato, il 115 per i Vigili del Fuoco ed il 118 per il soccorso sanitario. Ora, invece, basta chiamare il 112.››

‹‹Questi enti? Possono essere chiamati da chiunque?››
‹‹Fortunatamente, sì: a differenza del passato, intervengono in soccorso di chiunque, indipendentemente dal loro sesso o stato sociale. Ad esempio, se In più, in paesi come Italia e Spagna sono tutti gratuiti e lo stesso discorso vale per i medici, dato che riteniamo che tutti debbano avere il diritto di essere curati.››
‹‹Quindi mi state dicendo che nel vostro paese curerebbero anche un nullatenente o un criminale? Non ne risente la vostra economia?››
‹‹Sì, tutti, senza alcuna eccezione, anche perché i medici effettuano il cosiddetto “giuramento di Ippocrate” che ben conoscete. Hanno, dunque, il dovere di prestare soccorso a chiunque: povero o ricco, criminale o ottimo cittadino, amico o nemico. L’economia del nostro Paese è imbarazzante, ma non certo per questo motivo. La colpa è di governanti, funzionari, pubblici e privati corrotti, di politiche irresponsabili precedenti e di leggi scritte in un momento storico in cui vigevano dinamiche sociali differenti. Ad esempio, dopo una delle più grandi guerre della storia dell’uomo, detta Seconda Guerra Mondiale, in Italia vi è stato un tasso di natalità piuttosto alto e, conseguentemente, i lavoratori erano nettamente più numerosi rispetto agli anziani, che ogni mese potevano ricevere un certo contingente di denaro dallo stato, la pensione. Questi soldi sarebbero il ricavato di alcune tasse applicate agli stipendi di ogni singolo lavoratore in un paese. Inutile dire che, in un momento storico come quello che stiamo vivendo adesso, quando il tasso di natalità in Italia è pari a zero e l’età media della popolazione è sempre più alta, il sistema ideato in precedenza è destinato a fallire. Se questo argomento vi interessa, domani posso portarvi delle fonti più attendibili sull’argomento, ma per ora penso sia meglio tornare su argomenti più leggeri, data l’ora che abbiamo fatto, hahaha››

‹‹Concordo pienamente con voi, Mrs.›› l’appoggiò lui. Adesso le dava pure del “voi” e la chiamava “Miss.”? Pensava davvero che fosse così sprovveduta da non capire che si stava comportando da gentleman solo perché la vedeva come una fonte zampillante di conoscenze che lui non possedeva? Perché gli uomini dovevano essere sempre così scontati?
‹‹Allora, dove ero rimasta?››
‹‹Il campo, se non erro, Miss›› l’aiutò Mr. Mercer, anche se dall’occhiata minacciosa che le aveva appena rivolto e dal modo costretto in cui aveva pronunciato la parola “Miss”, si capiva che stava solo cercando di compiacere il suo superiore. Ma perché la odiava così tanto? Se Cutler Beckett non avesse revocato il suo ordine di farla seguire 24/24 da lui, non sapeva come avrebbe fatto… O forse sì!

*****

‹‹G-grazie Mr. Mercer›› si affrettò a ringraziarlo lei. Non sia mai che se ne abbia a male! ‹‹Dicevamo, se intercorrono queste tre condizioni, è possibile effettuare una chiamata. Facciamo un esempio: Signor Mercer, se uno di questi giorni mi compare davanti all’improvviso o mi minaccia e, per lo spavento, mi viene un arresto cardiaco, lei preme quest’icona verde, le appaiono questi numeri, che vengono chiamati tastiera, preme nell’ordine i numeri 1,1 e 2 e poi l’icona della cornetta, ovvero questo disegnino in basso a destra. A quel punto, vi risponderà un addetto che vi chiederà di che emergenza si tratta, voi gli spiegate che sono incosciente, non respiro e sono in arresto cardiaco ed il gioco è fatto!››
Sarà per l’ora tarda, sarà perché ormai di stranezze ne avevano viste troppe, ma poco macò che i due scoppiassero a ridere. Solo tutto il rigido addestramento per il primo ed educazione per l’altro gli permisero di mantenere un certo contegno. Non riuscirono, però, a trattenere una risata, vedendo la ragazza che, dopo aver pronunciato l’ultima frase, aveva chiuso gli occhi e portato le braccia al volto, temendo di aver osato troppo. Sentendosi osservata, si ricompose velocemente.
‹‹Hehehe, ci ho provato›› ridacchiò, imbarazzata.
‹‹Abbiamo notato›› Cutler Beckett dovette fare appello a tutta la propria buona volontà per assumere un tono serio.
‹‹Hem, però, sul serio… ve ne ricorderete?›› ritentò timidamente Mary, rivolta all’uomo dei suoi incubi. Dove trovò il coraggio lo sapeva solo lei.
‹‹Vedremo›› rispose atono lui, anche se nell’animo si stava divertendo come non mai. Forse fare da babysitter alla mocciosetta aveva anche i suoi lati positivi, dopo tutto. Per non parlare delle foto scottanti che parevano comparire un po’ ovunque. Se pensava che, a detta sua, in estate le donne della sua epoca si spogliava quasi completamente per andare al mare, sperava davvero che la sua missione si prolungasse più del previsto. Se poi, al posto di quel mostriciattolo ci fosse stata una delle sue belle amiche, sarebbe stato proprio il massimo, ma, ahi lui, non si poteva avere tutto dalla vita.

A levarla dall’imbarazzo, ci pensò la sua serissima suoneria.
♪Isse no se de fumikomu goorain bokura wa
I nostri due baldi giovini (con cinquant’anni per gamba), non ci pensarono due volte a trovare rifugio dal diabolico oggetto squillante. Cutler Beckett non ebbe grossi problemi, data la sua rinomata altezza: gli era sufficiente un comodino. Mr. Mercer, invece, non fu così fortunato. Sondò, velocemente la stanza con lo sguardo e si rese ben presto conto che gli unici pezzi d’arredamento usufruibili per un uomo della sua stazza erano il letto, meta sconsigliata, dato il collegamento con un mondo sconosciuto e i due grandi armadi. Anche questi ultimi erano, purtroppo inservibili, dato che uno straripava di vestiti costosi, calzature con tacco rigorosamente di 10 centimetri e parrucche per ogni ora del giorno e della notte, e l’altro di libri, carte geografiche e vari strumenti utili per lo studio dei manufatti più antichi (ovviamente il secondo armadio era grande cinque volte il primo). L’unica soluzione che gli sovvenne in un momento tanto critico, fu il tentare di mimetizzarsi con la tappezzeria, con scarso successo, per altro.

♪Nanimo nanimo mada shiranu
Issen koete furikaeruto mō nai bokura wa♪

‹‹Arg, il Diavolo!›› iniziò a strillare il cassettone. Se lo scopo di Lord Beckett era nascondersi per sfuggire al male, non ci stava riuscendo. Ma da bambino non gli avevano spiegato che se quando giocava a nascondino si metteva ad urlare, lo tanavano subito?
‹‹Ma di che stiamo parlando?! Lord Beckett, esca subito di lì, per favore: questa canzone non c’è nessun demonio, glielo assicuro!›› tentò di farlo ragionare lei.
‹‹E invece sì! Dovevo dar retta ai miei genitori e farmi prete, ma cosa ci potevo fare se gli studi classici mi hanno fatto diventare ateo? Signore, ti preeego, perdonami… non è stata colpa mia!›› continuò lui, imperterrito.
♪Nanimo nanimo mada shiranu
Udatte udatte udatteku
Kirameku ase ga koboreru no sa …♪

‹‹Hem, raga… hem, volevo dire, signori. E’ solo la canzone che mi avvisa quando sto ricevendo una telefonata e vi posso garantire che non si tratta di una chiamata dall’aldilà, hahaha›› cercò, nuovamente, di persuaderli lei, anche se non riusciva più a trattenere le risate. Comunque, non avrebbe mai pensato che nella camera di Lord Beckett ci fosse linea, ma forse era per via del collegamento tra il suo letto e quello dei suoi genitori. A tal proposito, chi poteva essere a quell’ora?
Senza perdere tempo, voltò il cellulare che, nel frattempo, era caduto a terra e, leggendo il nome del contatto, non poté astenersi dal commentare: ‹‹Oh, e invece sì! E’ il mio becchino di fiducia, hahaha››

‹‹Scusate se mi permetto, ma che cosa dovrebbe volere un essere del genere da una ragazza, nel cuore della notte per giunta?›› Se Maria Vittoria non si era spaventata nello scorgere il nome del contatto, lo fece quando udì la voce cupa del signor Mercer a pochi centimetri dal suo orecchio. Panico, terrore e raccapriccio: come aveva fatto ad avvicinarsi a lei così silenziosamente? Per non parlare del fatto che fino ad un secondo prima era appiccicato ad arazzo sulla parete opposta della stanza. Meglio non farsi domande.
‹‹E’ una persona un po’ particolare… tenete conto che, per farsi un po’ di pubblicità, finge di essere un amante della morte e dell’occulto in generale. Si diverte a spaventare i clienti, specie i bambini, a cui propone di farsi un sonnellino nella camera ardente, sostenendo che così può prendere le loro misure e portarsi avanti.››
‹‹Voi, invece, non avete paura, a quanto vedo››
‹‹Non fraintendete, la lista delle cose che mi spaventano è chilometrica, ma la morte non rientra tra queste. E poi i cimiteri mi piacciono: sono degli ottimi posti per studiare quando le biblioteche sono chiuse o troppo affollate›› rispose tranquilla lei, sollevando le spalle.
Mr. Mercer, notando che era seria, ci rimase male. Tutto si sarebbe aspettato da quella ragazzina amante del rosa, fuorché quello. ‹‹E chi studierebbe, di propria sponte, in un cimitero, di grazia?››
‹‹Stavo scherzando, ovviamente, ma fidatevi che a fuia di sentire urlare in casa, chiunque troverebbe dei metodi alternativi per stare in pace. Cough, cough Lucia…Vi ho già parlato del femminismo?››
‹‹No, Mrs. Ma ho già una pessima sensazione al riguardo.››

‹‹Non avevo dubbi›› scosse lei la testa, ridacchiando, per poi fare il punto della situazione: ‹‹Comunque, dov’è Lord Beckett?››.
I due sondarono velocemente la stanza con gli occhi, ma non percepirono segni di vita. A quel punto, si scambiarono uno sguardo stanco e si diressero verso l’ultimo punto in cui aveva manifestato la sua presenza. Il cassettone d’ebano, riccamente intarsiato, era costituito da tre grandi cassetti, evidenziati da una serratura elaborata e due manigliette d’argento ciascuno, ed era sormontato da un imponente specchio rettangolare, incastonato in una spessa cornice dello stesso materiale delle rifiniture del mobile.
Dopo un’attenta analisi delle proporzioni dell’oggetto, Mr. Mercer concluse che il cassetto inferiore avrebbe potuto tranquillamente contenere, per dimensioni e resistenza della struttura, il corpo del Lord. Si apprestò, dunque ad aprirlo, seppur con fatica, dato che il peso di Beckett, premendo sulla parte inferiore del cassetto, aumentava l’attrito con la struttura portante del mobile. Una volta aperto del tutto, rivelò la salma di Cutler Beckett. L’uomo, visibilmente pallido ed emaciato, aveva incrociato le braccia sul petto, in modalità faraone e sembrava sulla soglia dello svenimento. Come facessero delle persone dichiaratamente atee a ridursi così era davvero un mistero. Maria Vittoria si ripromise che, se ne avesse avuta la possibilità, gli avrebbe presentato Francesca. Chissà che la loro conoscenza non portasse all’inizio di un cammino di fede… (Continua a crederci, cara. Nd: me)
‹‹Signore, la prego, si alzi e si ricomponga. Una scena del genere non è degna del ruolo che ricopre›› Maria Vittoria sarà anche stata negata per portare conforto ai bisognosi, ma Mr. Mercer era decisamente peggio.
‹‹Lasciatelo pure lì, Mr. Mercer, così ne approfitto per prendergli le misure. Tanto tra poco devo richiamare il mio amico per sapere se gli è arrivato il nuovo modello di cui mi aveva parlato la settimana scorsa. Dovreste vederla: l’esterno è di una tonalità di rosa che ha dell’incredibile e si sposerebbe benissimo con le rose bianche da funerale. Ci credete che quando ho fatto vedere la foto a Francesca, me l’ha bocciata completamente, affermando che quel colore non rientra nella mia armocromia? Ma se il coperchio è chiuso, a chi interessa se non si intona con il mio incarnato ed il colore di occhi e capelli?›› Come volersi a dimostrare, Lord Beckett si riprese immediatamente, saltando fuori dal cassetto a velocità record e ricomponendosi, come se nulla fosse accaduto.
‹‹Stavo scherzando, ovviamente. Temo che Lucia mi abbia contagiata con il suo black humor, anche se pensavo che a voi Inglesi piacesse… Bah, dev’essere un altro dei tanti luoghi comuni.›› concluse Mary, con un’alzatina di spalle.

I due uomini erano sempre più sconcertati, ma, nel dubbio, diedero la colpa della sua stranezza agli usi di quel mondo ancora sconosciuto.
‹‹Quindi quella era una chiamata?›› Beckett cercò di ritornare sul pezzo, giusto per redimersi agli occhi della fanciulla dopo la scena poco consona in cui si era esibito poco prima.
‹‹Esattamente. Se io avessi risposto, scorrendo il dito verso un’icona verde che appare quando ricevo una chiamata, avreste potuto sentire la voce di una persona che, in questo momento, si trova in una regione dell’Italia che prende il nome di Toscana.››
‹‹Se non rispondete, come in questo caso, cosa succede?››
‹‹C’è una funzione del telefono che mi permette di ricevere un messaggio, detto notifica, ogni volta che ricevo una chiamata ma non riesco a rispondere o il mio telefono era spento o non aveva campo. Per vederle clicco su quest’icona azzurra con scritto “registro chiamate”, nella mia lingua, e mi appare l’elenco delle chiamate perse di questi gior… Oh, oh… qualcosa mi dice che sono nei guia…›› concluse Maria Vittoria con tono funebre.
‹‹Che cosa intendete dire?›› le domandò Cutler Beckett, alquanto confuso dal suo repentino cambiamento d’umore. Perché le donne dovevano essere così lunatiche?
‹‹Ho 72 chiamate perse da mio padre e 815 da mia madre›› rispose con un tono sempre più cupo.
‹‹Ed è grave?›› tentò di indagare Mr. Mercer. Dopo quel demone di metallo che, dopo essersi illuminato ed aver emesso dei rumori sinistri, trasformava l’acqua fredda in calda, si aspettava di tutto.
‹‹Se fossero stare mille chiamate perse da parte di mio padre, ma zero da parte di mia madre non ci sarebbero stati problemi, ma così la storia è ben diversa… assisterete ad una dimostrazione di chiamata››
‹‹Chiamerete vostro padre?›› domandò Lord Beckett. Povero ingenuo, ancora non aveva capito come funzionava in Italia nel 2018.

‹‹NO! ASSOLUTAMENTE MIA MADRE! E che il Signore me la mandi buona, altrimenti ho finito di vivere.›› strillò lei, con gli occhi fuori dalle orbite ed i capelli che, se possibile, si erano drizzati ancora di più sulla sua testa. Notando il suo sguardo spiritato, i due decisero ti tenere la filippica sui doveri filiali verso il pater familiae per un’altra volta.
♪DRIIIN… DRIIIN… DRIIIN!♪
Mentre il telefono iniziava a squillare, Maria Vittoria abbassò il volume al minimo, lo pose sotto una pila di cuscini e poi convinse i due a seguirla fuori dalla porta (ipoteticamente, dato che come ben sappiamo, non era ancora stata riparata). Beckett e Mercer si imposero di non porre domande, consapevoli di essere ignoranti sull’argomento telefono, ma quando Maria vittoria gli consigliò caldamente di coprirsi le orecchie con le mani, si azzardarono a chiedere un semplice “perché?”. Mary non ebbe il tempo di rispondergli che nella magione Swann si levò un urlo disumano, addirittura più acuto di quelli di Francesca: ‹‹CRETIIINA! BRUTTA DEFICIENTE, SCONSIDERATA! DOVE DIAVOLO SEI STATA IN QUESTI CINQUE GIORNI? HAI UNA VAGA IDEA DI QUANTO TUO PADRE ED IO SIAMO STATI PREOCCUPATI PER TE? FIGLIA DEGENERE! RIFIUTO DELLA SOCIETA’!...››. Gli insulti proseguirono per quasi quindici minuti, senza che la donna si fermasse un solo istante per prendere fiato o ascoltare le spiegazioni della figlia. Se quest’ultima si fosse trovata in pericolo e l’avesse chiamata per chiederle aiuto, i suoi assalitori avrebbero fatto in tempo a torturarla, ucciderla, occultarne il cadavere ed essere arrestati dalla polizia. L’unico pensiero che Mr. Mercer riuscì a formulare fu: “Ecco da chi ha preso!”, riferendosi al fatto che la ragazza, durante la prigionia, riusciva a parlare a macchinetta per ore, senza stancarsi mai. Talvolta le donne potevano essere davvero inquietanti.

Quando l’orchessa la rispettabile signora si fu calmata, Mary si riavvicinò al telefono per potersi giustificare. Il mal di testa che la stava attanagliando in quel momento era in assoluto il peggiore che avesse mai avuto, forse complici le ore di sonno perdute, l’essere trascinata per i capelli, i ceffoni di Mr. Mercer e le urla di sua madre.
‹‹Madre*, io…›› tentò di esprimersi, fa fu subito interrotta da una nuova ondata di grida ed insulti. La poveretta fu costretta a riscappare fuori, nell’attesa che si riplacasse almeno un minimo, ma dovette aspettare un’altra mezz’ora. Ma la gente lo voleva capire che aveva sonno?
‹‹Come stavo cercando di dir…›› anche questo tentativo fu vanificato da un crescendo di urla della matrona, che non voleva saperne di stancarsi. Notando che la fanciulla si trovava in evidenti difficoltà, Cutler Beckett, da bravo gentleman, si recò in suo soccorso.
‹‹Buona sera, madame, vogliate scusarci se abbiamo l’ardire di avervi disturbata a quest’ora›› detto questo, le ripassò il telefono, annuendo con aria rassicurante a lei che non riusciva a capire quale fosse stato lo scopo in tutto ciò.
‹‹MARIA VITTORIA! Perché non mi hai detto che ti trovavi in compagnia di un giovanotto inglese così ben educato? Chissà che figura mi avrai fatto fare, se gli hai fatto ascoltare il mio ragionevole discorso›› Incredibilmente, l’aver udito parlare un gentiluomo inglese l’aveva completamente calmata. Per la prima volta in vita sua, Maria Vittoria ringraziò il fatto che l’uomo moderno fosse così stupido da innamorarsi di una lingua barbara e sterile come quella inglese.

‹‹Diciamo che più che fatto ascoltare, ho tentato di aiutarlo a proteggere i suoi timpani…›› bofonchiò Mary sottovoce, facendo ridacchiare Mr. Mercer sotto i baffi.
‹‹Che cos’hai detto, cara? Non credo di aver sentito bene›› sua madre sapeva essere davvero falsa, quando voleva.
‹‹La vostra deliziosa figliola intendeva dire che una voce angelica e melodiosa come la vostra non potrebbe mai arrecare alcun disturbo. Per non parlare delle argute argomentazioni che avete addotto a sostegno della vostra tesi. Se tutti i genitori fossero come voi, sono certo che le nuove generazioni supereranno di gran lunga le precedenti, conducendo l’umanità verso una terza età dell’Oro›› a proposito di falsità! Tra l’altro, non aveva appena detto che appoggiava Gillette, quando diceva che i suoi genitori le avevano dato una pessima educazione? Mary era davvero senza parole.
‹‹Oh, oh, oh, ma che carIIINO! Siete troppo gentile, così mi fate arrossire. Si vede proprio che siete una persona intelligente, altruista, gentile e soprattutto sincera!›› A parte il primo complimento, che corrispondeva, effettivamente, alla sua personalità, Mary davvero non capiva come sua madre potesse essere così ingenua da non capire che Beckett si stava solo prendendo gioco di lei. (Perché tu invece non ti fidi di nessuno, vero? Nd: tutti)
Come se le gaffe della serata non fossero già state sufficienti, sua madre pensò bene di esibire il suo splendido inglese per cercare di farsi bella agli occhi di Cutler (scrivo i suoi così come li pronuncia, tanto per rendervi un’idea del talento che la famiglia di Mery aveva per le lingue moderne): ‹‹I loove de Ennglish and de Ennglish personsss. I am very goood in Ennglish, Francaise and Spain››

In tutto questo Maria Vittoria cercava, invano, di comunicarle telepaticamente di piantarla di rendersi ridicola. Ma possibile che sua madre non volesse capire che se sia lei che tutti i loro parenti erano negati per le lingue moderne, non era scientificamente possibile che lei fosse un’eccellenza nel campo? Il giorno della Pentecoste, in cui lo Spirito Santo era sceso sulle fronti dei discepoli come lingue di fuoco e gli aveva permesso di parlare lingue che prima non conoscevano, era passato da un paio di millenni.
Cutler Beckett, nonostante avesse esternato il suo disappunto con espressioni disgustate, ebbe il coraggio di lodare la sua fluenza: ‹‹Oh, ma che piacevole sorpresa. Mai avrei immaginato che il cielo, oltre ad avervi graziata con la voce di un usignolo, vi avrebbe concesso anche il dono delle lingue. Voi mi lusingate.››
Ormai Mercer non riusciva più a reggersi in piedi dalle risate. Il suo capo aveva appena guadagnato altri 1000 punti, ai suoi occhi. Mary, dal canto suo, non sapeva se ridere o piangere. Di tutte le figuracce che aveva fatto in vita sua questa era di gran lunga la peggiore: Cutler Beckett che fingeva di fare il cascamorto con sua madre e lei che ci cascava pure. Speechless.
‹‹Oh, finitela, Don Giovanni, hahaha!››
DON GIOVANNI? DON GIOVANNI? DON GIOVANNI? Seriamente sua madre aveva appena detto una cosa del genere, flirtando con un Lord del ‘700? Maria Vittoria si stava sentendo sprofondare.

‹‹Sono una donna sposata, dopo tutto!›› Meno male che se ne ricordava ancora, dopo la scena patetica in cui si era appena esibita.
‹‹Allora perdonatemi, madame, ma vede, la sua voce così giovanile deve avermi tratto in inganno. Mi ero quasi convinto che fosse la sorella.›› Ma ci si metteva anche lui? E, tra parentesi, per quale motivo a lei ignoto gli uomini dovevano utilizzare sempre le stesse frasi fatte, a distanza di secoli.
‹‹Eh, lo so, non lo dimostro, ma non sono più una giovincella… del resto dei miei figli Maria Vittoria è la più piccola ed ha già 18 anni!›› probabilmente, Mary fu l’unica a notare la leggera nota di malinconia nascosta dietro quel tono fintamente allegro e si incupì non poco.
‹‹Signora, vi giuro sul mio onore che non l’avrei mai detto!››
‹‹Grazie caro, siete veramente troppo gentile… Ma veniamo alle note dolenti: ho chiamato per sapere per quale motivo mia figlia si è negata per cinque giorni, NONOSTANTE LE AVESSI ESPRESSAMENTE CHIESTO DI RISPONDERE IMMEDIATAMENTE AD OGNI MIA TELEFONATA!›› L’urlo inaspettato ebbe il duplice effetto di assordare Cutler Beckett all’orecchio destro e di far cadere il cellulare, prontamente afferrato da Mary, terrorizzata che il fragile oggetto si distruggesse. Poi chi la sentiva sua madre, altrimenti?

‹‹Madre, come stavo cercando di spiegarvi, in questi giorni non ho potuto utilizzare il cellulare, né avere contatti con nessuno›› iniziò a spiegare. Fortunatamente, poco prima aveva concordato con Mr. Mercer una versione che le permettesse anche di spiegare la sua presenza costante in casa loro. O, almeno, Mercer era rimasto muto mentre lei spiegava, ergo, chi tace acconsente.
‹‹Come sarebbe a dire che non potevi avere contatti con nessuno? E poi si può sapere perché, casualmente, nemmeno quelle scansafatiche delle tue amiche non erano rintracciabili in questi giorni? I loro genitori erano disperati: ci siamo persino rivolti alla polizia, ma non hanno trovato niente.››
‹‹Anche loro si trovano immischiate in questa storia›› Maria Vittoria assunse volutamente un tono cupo e misterioso. La parte divertente della storia doveva ancora arrivare, ma lei si stava già divertendo.
‹‹COSA ACCIDENTI SIGNIFICA? RISPONDIMI, SIGNORINELLA!››
‹‹Madre, vi ricordo che non sono sola: sono costantemente monitorata da un’equipe di agenti governativi.››
‹‹E TU PENSI DAVVERO DI CAVARTELA CON LA STORIELLA DELL’AGENTE 007 E COMPAGNIA BELLA?››
‹‹Madre, modulate il tono di voce, vi prego! Tutto ciò che stiamo dicendo è registrato e se non stiamo attente, Marta, Lucia e Francesca faranno una brutta fine››
‹‹COSA DIAVOLO SIGNIFICA?!››

A quel punto, Mary passò il telefono a Mr. Mercer, facendogli segno di ricomporsi e ripetere la frase che gli aveva scritto su un foglio di carta: ‹‹Madame, il Presidente ha bisogno di loro››.
Il tono severo dell’uomo non avrebbe potuto convincere meglio la donna, che iniziò seriamente a preoccuparsi per la sorte delle ragazze: ‹‹Oh, mio Dio: Maria Vittoria, che cosa avete combinato?››
A quel punto, la parola fu ripresa da Lord Beckett che, senza nemmeno essere a conoscenza del piano, riuscì a dire esattamente le parole giuste al momento più appropriato. In effetti, se avesse posseduto un quoziente intellettivo inferiore o pari alla norma, non sarebbe mai arrivato dove si trovava ora.
‹‹Si sono solo trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma non dovete temere: se collaboreranno, non avranno alcun problema con la giustizia››
‹‹Collaborare? Come possono delle ragazzine essere utili alla vostra causa?›› la madre di Mary era quasi sull’orlo delle lacrime.
‹‹Signora, non si disperi: non le stiamo trattenendo come se fossero delle criminali, ma perché durante la loro permanenza ci siamo resi conto delle loro innegabili qualità››
‹‹Non prendetemi in giro: che qualità potrebbe mai avere quell’imbambolita di mia figlia? L’unica cosa che sa fare è perdere le sue giornate, spaccandosi la testa su lingue morte ed inutilizzabili!››
Mary gli fece segno che, in effetti, non aveva tutti i torti, al che Mercer rischiò seriamente di scoppiare dal ridere.
‹‹Ed è proprio questa l’abilità che ci interessa. Voi forse non ve ne siete accorta, ma vostra figlia prende spunto da miti, leggende e vicende antiche per risolvere questioni attuali. Possiede, inoltre, una capacità più unica che rara, di cui probabilmente nemmeno lei si è resa ancora conto. La sua mente tende a riordinare automaticamente le parti del discorso distribuite secondo gli schemi della sintassi greca e latina. E’ una cosa che non si può apprendere in una scuola o da dei libri, mi creda: è un qualcosa che si sente nel sangue.››
Approfittando dell’attimo di smarrimento della madre, Mary cercò di chiedere spiegazioni a Cutler Beckett. Se tanto doveva mentire, non gli conveniva trovare una scusa un po’ più plausibile? Che razza di abilità era quella?
‹‹Davvero, non ve ne siete accorta›› si limitò a sussurrarle lui, ghignando, per poi riprendere la telefonata, evitando, così di rispondere ad altre domande. Vederla così confusa era decisamente più divertente che darle subito le risposte che cercava.

‹‹Come le stavo dicendo, la capacità di vostra figlia è molto utile nelle nostre attività di ricerca, motivo per cui da oggi in poi, le sarà permesso di tornare a casa e condurre la sua vita di sempre. Uno dei nostri uomini più fidati, tuttavia, dovrà essere sempre presente per aiutarla nelle ricerche e difenderla da eventuali pericoli. Non fraintenda, dato che il nostro unico obbiettivo è la conoscenza, la nostra Compagnia non ha nemici. Vogliamo solo evitare che la nostra nuova collaboratrice possa essere danneggiata dai normali problemi di routine e, del resto si sa: i giovani si cacciano sempre nei guai. Sappiamo che voi e vostro marito vi assentate spesso per motivi lavorativi e lo comprendo: io stesso manco spesso da casa per via della posizione che ricopro, e vorrei che mia figlia avesse anche solo un supporto su cui contare. E a maggior ragione ora che porta un peso così grande sulle sue spalle.››
‹‹N-non so che cosa dire… sono, hem, sorpresa, ecco! Mi sentirei molto più tranquilla se potessi incontrarvi ed avessi delle prove del fatto che ciò che mi state dicendo è vero››
‹‹Madre, come ben sapete, i servizi segreti funzionano proprio perché sono segreti. Comunque non appena tornerete potrete parlare con colui che mi seguirà nei prossimi giorni: non potrà raccontarvi molto, ma sono sicura che vi renderete conto subito della sua grande professionalità. Mr. Mercer ricoprirà un po’ il ruolo di Jakerson,… ti ricordi la guardia del corpo di papà, quando stava seguendo quell’operazione pericolosa, quando ero piccola? Per quanto riguarda le prove, mi vedrete lavorare su fonti e documenti antichi. Non potrete sapere di cosa mi occupo nel dettaglio, ma vi basti sapere che è un lavoro legato al caso del “Secondo Jack the Ripper” che, come ben sapete, mi ha sempre affascinata.››
‹‹Va bene, ne riparliamo domani quando arriviamo, e voglio sperare che ciò che ci hai appena detto non sia una pagliacciata per coprire le tue amiche. A tal proposito, voglio sperare che anche loro abbiano avvisato le rispettive famiglie!››

‹‹Il loro è un caso diverso: il lavoro a loro richiesto è da svolgere direttamente sul campo. Staranno via per due mesi, dopo di che potranno decidere se continuare a lavorare, in parte da casa ed in parte in agenzia, oppure tornare alle loro vite di tutti i giorni.  Domani Mr. Mercer ed io avviseremo personalmente le rispettive famiglie. Desidero solo che stiate tranquilli: non oso pensare come sarete stati in pensiero in questi gior…›› il suo convincentissimo discorso fu interrotto dalla madre, che domandò, accorata: ‹‹Ti hanno fatto del male, per caso?››
Prima che Mary potesse rispondere, intervenne Mr. Mercer: ‹‹Ovviamente, signora!››
‹‹Mr. Mercer, ma cosa state dicendo!›› gli lei nell’orecchio, ma le parole pronunciate dalla madre la lasciarono completamente senza parole: ‹‹Avete fatto bene: così impara ad infrangere la legge. Bene, bene: il signor Mercer utilizza i vostri stessi metodi per mantenere la disciplina?››
‹‹Sì signora, dopo tutto sono io›› affermò lui, fiero.
‹‹Allora penso che andremo molto d’accordo›› concluse lei, visibilmente più sollevata, per poi farsi promettere: ‹‹Mi raccomando, la picchi per bene, se combina qualche altro disastro… mi raccomando, conto su di lei, quando mio marito ed io non ci siamo!››
‹‹Ma madre!›› tentò Mary, ancora piuttosto scioccata. Perché questa scena le ricordava la gara di Karate di tre anni prima, in cui quando il suo avversario le aveva spaccato la testa e sua madre, vedendo che era di bell’aspetto, aveva fatto il tifo per lui? Tra l’altro, in quella tipologia di gare, colpire sotto la cintura o sopra le spalle era assolutamente vietato. Perché nemmeno i suoi familiari la sostenevano?

‹‹Non si preoccupi, signora: vostra figlia è in ottime mani›› pronunciò solennemente, per poi rivolgere un ghigno malvagio alla ragazzina.
‹‹Oh, sì, e non voglio sentire discussioni! Parlerò io con tuo padre e con i genitori delle tue amiche… tu sei capacissima di commuoverli ingiustamente››
‹‹Ma non vi vedo domani?›› domandò Mary, scettica.
‹‹No, mi fido: quel Mr. Mercer mi sembra un uomo sincero ed ha un ottimo concetto di disciplina: non può che farti bene. Però esigo di poterti chiamare quando voglio, intesi?››
‹‹Non c’è problema, madre: vi avviserò per tempo se dovrò entrare in un luogo in cui non sono ammessi i cellulari››
‹‹Mi raccomando: al prossimo scherzetto che ci giochi ti proibisco di andare a karate fino alla fine dell’anno, mi sono spiegata?››
‹‹Nooo, vi prego! Toglietemi tutto, ma Karate noo!›› iniziò ad implorarla lei, disperata.
‹‹E allora vedi di comportarti come si deve!››
‹‹Sì›› accettò, infine Mary, con tono lugubre. Sua madre, dal canto suo, non la udì nemmeno, dato che aveva già riattaccato. Maria Vittoria sospirò, sollevata. Ma, terminata la telefonata, rimanevano ancora alcuni problemi da risolvere.

Una volta augurata la buona notte a Lord Beckett, che a momenti li mandava a benedire entrambi, dato che si erano fatte le sei, Mr. Mercer e Maria Vittoria tornarono nell’epoca moderna. La ragazza non ebbe il tempo di stupirsi per il fatto che l’uomo non l’avesse trascinata con la forza, che si ritrovò sollevata per il colletto della maglia.
‹‹Pensavo che avessi detto che non avevi fratelli›› ghignò lui, malefico. A quanto pare, veramente, la trattava bene solo di fronte a Lord Beckett per fare bella figura.
‹‹H-ho detto che non abitavano con me, non che non li avessi›› riuscì a dire, tra i denti. Possibile che se ne ricordasse ancora? Quando le aveva posto quelle domande, aveva pensato che stesse solo cercando di capire come fosse possibile che una ragazza fosse lasciata a casa da sola, date le differenze culturali tra le loro due epoche. A quanto pare, tuttavia, il vero scopo dell’uomo era capire su chi avrebbe potuto fare riferimento in caso di pericolo: si era fatta fregare come un’idiota. Non che mentire avrebbe potuto essere un’idea migliore, data l’abilità innata dell’uomo per scovare le informazioni, ma, per lo meno avrebbe preferito rendersi conto del suo tentativo di estorcerle risposte con l’inganno. Da ora in poi avrebbe cercato di non abbassare mai la guardi, seppur consapevole del fatto che non avrebbe potuto fare molto, contro una persona così forte ed esperta.
La risposta non piacque a Mr. Mercer, che le tirò un ceffone e la scagliò a terra, per poi continuare: ‹‹Non mi piace il tuo tono, ragazzina: vedi di portare più rispetto alla presenza di un uomo››

‹‹Vi chiedo scusa, signore. Vi posso assicurare che non era assolutamente mia attenzione… anche perché, tra parentesi, ci tengo alla vita›› l’ultima affermazione le fece guadagnare un altro colpo alla testa ma, questa volta, fortunatamente, era preparata ‹‹Nella mia epoca, comunque, il rispetto va dimostrato sia nei confronti degli uomini che delle donne. Se qualcuno dovesse sentirle ripetere questa frase, potrebbe avere dei seri problemi, mi creda… e non parlo solo di borsettate e compagnia bella››
L’ultimo appunto lo fece sorridere, o, almeno, questo fu quello che suppose Mary, vedendogli increspare lievemente le labbra. Per i suoi standard poteva effettivamente trattarsi di un sorrisetto divertito, ma mai dire mai.
‹‹Prova a mentirmi o ad omettere ancora qualcosa e te ne pentirai amaramente›› concluse il discorso lui, avviandosi verso il soggiorno, senza nemmeno degnarsi di aiutarla ad alzarsi. “A quanto pare, non dormirò nemmeno oggi” sospirò Mary, sconsolata, mentre dava fondo a tutta la propria forza mentale per convincersi ad alzarsi e preparare la colazione. Se c’era qualcosa di peggio di un uomo dal temperamento difficile era un uomo dal temperamento difficile e affamato.

*****
 
Anno 1729, 30 aprile, h 14,30
Perla Nera, Mar dei caraibi
 

Da quando Elisabeth, Marta, Francesca e Lucia avevano lasciato Port Royal, erano capitate tante cose. Gli eventi si erano susseguiti in maniera così veloce e confusa che le quattro non avevano quasi fatto in tempo ad elaborare il tutto. Elisabeth e Marta erano le uniche a non dare a vedere la stanchezza che avevano accumulato in quei cinque giorni. La prima, perché troppo occupata nella ricerca dell’amato, per preoccuparsi di cose futili come nutrirsi, riposare ed essere al sicuro. L’altra, invece, era ormai abituata a “vivere alla giornata” e ad avere a che fare con loschi figuri, per colpa del brutto vizio del padre di giocare d’azzardo ed indebitarsi con soggetti di dubbia reputazione. Il suo attaccamento al denaro non le permetteva nemmeno di concepire come qualcuno potesse essere così stupido da investire risorse in un’attività in cui non si poteva avere la certezza di guadagnare. Per chi pensasse che Marta predicasse bene, ma razzolasse male, dati gli eventi che l’avevano vista lasciare in mutande tutti i giocatori assidui delle locande di Port Royal e Tortuga, è bene sottolineare che la definizione “giocare d’azzardo” presuppone, per l’appunto, l’azzardare. E questo, Marta non lo faceva mai, dato che si premuniva sempre di dadi truccati di ogni forma e colore, mazzi di carte di scorta e qualunque strumento potesse esserle utile per garantirle la vittoria. Era della vecchia scuola secondo cui “non si inizia mai una battaglia se non si ha la certezza di vincerla” (o forse amava solo citare a sproposito l’“Arte della guerra” di Sun Tsu che si divertiva a sfogliare ogni volta che andava a trovare Maria Vittoria). Non avrebbe mai rischiato i suoi amati soldini in una situazione in cui non avesse avuto una probabilità inferiore al 100% di non perderci.

Lucia e Fra, dal canto loro, erano rimaste con la testa ancora sulla carrozza crisoelefantina e d’oro massiccio incastonata di cherubini e diamanti del Governatore Swann (sì, proprio cherubini alati incollati alla carrozzeria, giusto per smorzare con un’aura di sacralità lo sfarzo dei beni terreni impersonati da tale mezzo di trasporto. Poi, sennò chi lo sentiva il pastore quando si appellava alla citazione evangelica “E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno dei cieli”?). Che, tra parentesi, se avessero ascoltato gli svarioni di Maria Vittoria sulla stupida morte di Cicerone, si sarebbero evitate di finire nell’imboscata di Mr. Mercer. Se Cicerone, celeberrimo oratore, erudito e uomo dalla mente geniale, non era riuscito a sfuggire ai sicari scappando in portantina (verso la spiaggia, ergo un vicolo cieco, ma lasciamo perdere), come potevano pretendere di riuscirci quattro ragazzine ed un vecchietto con una carrozza che brillava di luce propria, risaltando nell’oscurità della notte? Tra l’altro, dovevano proprio dirigersi anche loro verso il mare? Era una mania, per caso? E poi la gente dice che non è vero che la storia si ripete sempre e che quindi studiarla è inutile per evitare gli errori del passato, mah!

Poi avevano alternato fughe a visite nelle taverne, per permettere a Marta di guadagnare qualche spiccio (ne riempì 12 sacchi e 5 canestri… peggio della moltiplicazione dei pani e dei pesci) e tutto questo cercando di evitare ladri, assassini, stupratori seriali e guardie di Beckett. A tal proposito, le tre millennial furono scioccate nell’apprendere che nel ‘700, in caso di tentata rapina o stupro, se non eri ricca o di bell’aspetto, non ti prestavano soccorso nemmeno le guardie. Ma erano uomini di legge e gentiluomini solo quando volevano farsi belli agli occhi delle ricche dame o cosa? Tre sere prima, quando due giubbe rosse che erano di ronda vicino al molo le avevano viste in difficoltà, si erano prese il loro tempo per confrontare i loro volti con quelle dei volantini con la classica scritta “Wanted” che aveva realizzato Gillette, rigorosamente in quadruplice copia. Alla faccia dello spreco dei fondi pubblici… e poi si lamentavano se la gente moriva di fame!
Dopo aver appurato che erano proprio le quattro fuggiasche ed essersi presi un po’ di tempo per commentare le loro caratteristiche fisiche ed esibirsi in fischi di ammirazione, si erano, infine, degnati di intervenire, sostenendo, per altro: ‹‹Fermatevi! Non potete stuprarle: prima devono essere riportate da Lord Beckett e giudicate secondo giustizia››. Perché altrimenti avrebbero potuto abusare tranquillamente di loro e rimanere impuniti? Se al loro posto ci fossero state delle altre ragazze, si sarebbero limitati ad augurare “Tanti figli maschi!” e passare oltre? Ma per cosa li pagavano a fare se non aiutavano nemmeno i cittadini in difficoltà? Ed il bello era che poi, quando una fanciulla denunciava uno stupro avvenuto in città, i giudici le rispondevano che avrebbe dovuto gridare più forte. Ma si rendevano conto? Per non parlare del fatto che aiutare delle persone in difficoltà doveva essere un’azione quasi naturale per chiunque, non solo per guardie ed autorità.

Poi, invece di travestirsi da uomini ed impiegarsi come mozzi come aveva fatto Elisabeth nel secondo film, comprarono quattro biglietti per una nave passeggeri piuttosto scabercia che, per risparmiare tempo e manodopera, seguiva una rotta pericolosa, avvicinandosi fin troppo a luoghi angusti e rischiosi come Tortuga. Una volta giunti abbastanza vicini alla costa, Marta si mise ad armeggiare con le cime, cercando di calare una scialuppa in mare, mentre Francesca ed Elisabeth distraevano un marinaio e Lucia schiacciava un pisolino, come suo solito. Riuscite miracolosamente nell’intento, Marta e Francesca, che avevano preso lezioni di canottaggio, le traghettarono fino a riva in un’oretta scarsa. Da quel punto in poi era stato il delirio, tra fughe da pirati ubriachi che volevano utilizzarle come dei tiri a segno e donnone che cercavano di convincerle a lavorare come cameriere nella loro locanda dalle undici di sera alle cinque del mattino. Se le quattro avessero avuto un aspetto minimamente simile agli standard di Maria Vittoria, si sarebbero evitate almeno quel problema, ma, no, dovevano essere una più bella dell’altra! (Poverine, soffrono perché il destino crudele le ha rese troppo belle! Nd: Mary)

Poi avevano incontrato James Norrington che, anche con quel look con un nonsoché di trasandato faceva la sua sporca figura. Come ogni fan girl che si rispetti, tentarono di approfittarsi di lui e, se quell’arpia di Elisabeth non fosse andata a chiedere aiuto a Jack Sparrow e a Joshamee Gibbs, ci sarebbero pure riuscite. L’aveva brutalmente friendzonato: che cosa voleva ancora?
Salire a bordo, invece, contro ogni aspettativa fu una passeggiata. Gli altri membri dell’equipaggio le salutarono festosi, applaudendo e fischiando. Si dimostrarono anche dei gentiluomini, aiutandole a portare i loro bagagli ed accompagnandole nelle “suit di lusso nascoste sotto coperta”. Mentre li seguivano, per un attimo, si domandarono il perché si dicesse “donna a bordo porta male”, ma poi dovettero ricredersi quando si ritrovarono, senza un se e senza un ma, in una cella buia, umida ed infestata dai ratti. A quanto pare, quei sessisti da strapazzo avevano ben pensato di utilizzarle come passatempo nei momenti morti. Ed ora non potevano nemmeno chiedere aiuto all’unico gentiluomo presente a bordo, dato che dopo aver rischiato di perdere la propria virtù, le fuggiva come la peste. Le donzelle erano, dunque state costrette ad arrangiarsi (come al solito) ed a tramare vendetta nell’oscuro antro della cella che, da li a poco sarebbe diventato il loro covo.

Ed ora erano lì, nella cabina del capitano, precedentemente confiscata, ad essere servite e riverite da una schiera di servi aiutanti volontari. Marta era riuscita a convincere Pintel e Raghetti con l’inganno a giocare con lei ai dadi e questi, scioccati all’idea di essere stati lasciati in mutande da una donna, si erano lamentati con il resto della ciurma, che era accorso a dargli una bella lezione. Inutile dire che, prima che il sole tramontasse, Marta possedeva già tutti i loro averi, l’atto di proprietà della nave, i contratti sul 30 % degli utili dei loro bottini dei successivi sette anni e, se solo non fosse stato troppo retto per giocare d’azzardo, anche la dichiarazione di possessum virginitatis di Norrington. Mannaggia a lui e ai suoi valori inalienabili!
Come calava la notte, si muravano vive all’interno della cabina di Jack, sprangando oblò, porte e botole ed accatastando i mobili contro le possibili entrate. Affisso sulla porta principale, un solo foglio, monito per le genti che avessero avuto il coraggio di sfidare la sorte: “Accesso consentito solo alle donne e, ovviamente, a chi se la sente”. A degli uomini del ‘700 sarebbe bastata questa frase per fuggire quella porta come la peste: tutto pur di non sminuire la propria virilità! Ma, nel dubbio, Marta, l’esperta di postille e contratti, aggiunse: “Chiunque osasse violare tale condizione, verrà pubblicamente evirato in pubblico e le sue membra utilizzate come esca per i branzini. Ps. James Norrington, se vuoi entrare, suona la campanella appesa allo stipite sinistro e ti apriamo subito!”. Marta avrebbe voluto aggiungere anche un “Fai di noi ciò che vuoi, James! Soprattutto di me, la ragazza bellissima con i capelli rossi”, ma quella strega di Elisabeth, ancora una volta, aveva rovinato i suoi piani. Eppure le aveva consegnato un contratto firmato in duplice copia in cui le assicurava che, qualunque cosa fosse accaduta in quella stanza, non sarebbe giunta alle orecchie di Will. Perché faceva ancora la preziosa? Bah, puritani, chi li capisce.

E così, tra una follia e l’altra, attendevano l’ormai prossimo incontro con il Capitano dell’Olandese Volante (per chi non lo sapesse, la massima ambizione di Marta, da quando le altre le avevano raccontato a grandi linee la storia di “Pirati dei Caraibi”, era stata stracciare Davy Jones al gioco dei dadi).

Note:
* Maria Vittoria si rivolge davvero in maniera così formale con i suoi genitori e gli dà addirittura del voi. Più avanti capiremo perché.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8- Una convivenza difficile ***


Capitolo 8- Una convivenza difficile.
Di quando Mercer divenne un babysitter.
 
 
 
Anno 1729, 6 maggio, h 12,00
Port Royal, Giamaica (ufficio di Lord Beckett)
 

Il sole caldo che splendeva nel cielo della Giamaica nei mesi estivi (e non solo), illuminava lo studio di Cutler Beckett. Fin troppo, per i gusti di Maria Vittoria. La ragazza, infatti, abituata ad andare a scuola di giorno ed a studiare prevalentemente la notte, si era ormai assuefatta al buio, spezzato solo dalla tenue luce della sua lampada da comodino. Del resto, a fuia di concentrare lo sguardo sul bianco accecante delle pagine, aveva finito per soffrire il riflesso che le fonti di luce più forti creavano sulla carta. Se a ciò sommiamo il fatto che, data la distanza che intercorreva tra la sua abitazione e la scuola, usciva di casa prima del sorgere della luce del sole e vi faceva ritorno quando il sole stava, ormai, tramontando, possiamo ben immaginare il fastidio che quella luce accecante le provocava.

Da quando Maria Vittoria aveva iniziato ad adempiere alla sua parte del contratto, Cutler Beckett aveva fatto sostituire la scrivania con una ben più spaziosa. La ragazza aveva messo subito in chiaro che, per quel che la riguardava, avrebbe potuto studiare anche per terra, dato che, da quando aveva iniziato le superiori, pur di risparmiare tempo, aveva utilizzato qualsiasi luogo immaginabile. E con qualsiasi, intendeva proprio qualsiasi: sui mezzi di trasporto (quando era lei a guidare ascoltava delle registrazioni), in palestra tra e durante gli allenamenti (costringeva gli infortunati a girarle le pagine mentre ripeteva mentalmente filosofia), in tenda, mentre camminava per strada, durante il confessionale (impiegava tanto proprio perché il prete di turno l’aiutava nelle versioni), sui tetti, nei campi, al mare (quando aveva provato canottaggio con Marta e Francesca, aveva ideato di attaccare i fogli con gli appunti alla schiena del vogatore che la precedeva), in questura, in banca (in prima liceo, mentre accompagnava la madre, era stata coinvolta in una rapina. Vedendo che i patteggiamenti con le forze dell’ordine andavano per le lunghe, si era messa a piangere ed aveva implorato in ginocchio i ladri di permetterle di ripassare gli aoristi. Del resto, la sua professoressa di greco li aveva avvisati che nemmeno un attacco dell’ISIS avrebbe valso come scusa per un brutto voto o un’eventuale assenza. Un paio di volte all’anno li andava a trovare nel carcere di Palermo, portandogli una torta con scritto “Grazie”, sormontata da “10 +”.) e alle pompe funebri.

Non voleva certo recare disturbo per così poco, ma Beckett era stato irremovibile su questo punto. E, del resto, quella vecchia che ben si poteva adattare alle esigenze del Governatore (giocare a scacchi con la figlioletta, mentre firmava le condanne a morte per pirateria di routine), non era nemmeno lontanamente sufficiente per contenere le follie di onnipotenza del Lord. Per non parlare dei libri di scuola della ragazza: solo quelli occupavano quasi due metri quadrati ed avevano anche un discreto peso specifico. Da quando il Ministro dell’istruzione M. Bossetti aveva rivoluzionato la seconda prova di Maturità, tra l’altro, nelle versioni non occorreva più un solo dizionario alla volta, ma due, e questo complicava ulteriormente il problema “spazio vitale”. Quando studiava lì, solitamente Mary si allenava proprio in previsione dell’esame finale, approfittando della presenza dell’uomo per eventuali chiarimenti o consigli.

La prima volta in cui si era azzardata a chiedergli aiuto su un passaggio di Plutarco piuttosto controverso, Mr. Mercer si era subito prodigato per fermarla, sostenendo che nessuno dovesse osare disturbare il suo padrone mentre studiava. Cutler Beckett, tuttavia, contro ogni previsione l’aveva fermato, citando scherzosamente la frase evangelica: “Lasciate che i bambini vengano a me!”. Già, ancora la prendevano in giro per colpa delle sceneggiate di Gillette, ma, pur di ricevere aiuto nelle versioni avrebbe sopportato qualunque cosa. Se Mary, in quei momenti, non fosse stata troppo concentrata nello scrivere e prendere appunti, avrebbe potuto scorgere uno strano luccichio negli occhi dell’uomo, accompagnato, perfino, da un lieve sorriso. Qualcosa in quella bizzarra ragazzina che si dannava nel vero senso della parola, pur di dare un senso compiuto a quelle parole scritte in terre ed epoche lontane, per poi gioire una volta riuscita nell’intento, la incuriosiva. Gli ricordava un qualcuno che doveva aver incontrato durante la sua giovinezza, anche se la moltitudine di eventi che aveva caratterizzato gli ultimi vent’anni, gli impediva di ricollegare un nome a quell’immagine sfuocata. Vent’anni prima aveva deciso di “tagliare i ponti” con il proprio passato e non aveva nessuna intenzione di infrangere l’unica promessa di cui era sempre andato fiero. Eppure, senza nemmeno rendersene conto, iniziò ad affezionarsi (molto, molto, molto infondo) a quella strana ragazza ed a provare un sentimento molto simile a quello di un padre che, nascosto dietro il giornale, segue i tentativi di camminare del figlio, per poi gioire, silenziosamente, del suo successo.

‹‹Aio!›› un lamento soffocato interruppe il suo flusso di pensieri. A quanto pare Mr. Mercer, vedendo la mocciosetta profondamente assorta nella scelta di un sinonimo (avete presente quelle parole che, dopo aver perso mezz’ora per individuare il nominativo, scoprite recare la temutissima frase “vedi…” e che, una volta trovata, ti porta ad altre venti recante la stessa dicitura, per poi giungere, infine alla meta tanto agognata e scoprire che contiene 87 significati differenti?), aveva ben pensato di colpirla sul coppino con un libro, per poi approfittare della sua distrazione e chiuderle il dizionario per farle perdere il segno. In tutto questo, la poveretta, che si era ormai dimostrata una santa sotto ogni punto di vista (a parte la sua tendenza a “sparare aneddoti a macchinetta”), per non farlo sfigurare davanti al suo adorato superiore, aveva tentato di soffrire il più silenziosamente possibile, ma non era bastato.
Cutler Beckett sollevò lentamente lo sguardo dai suoi appunti e non mancò, con suo sommo disappunto, di notare Maria Vittoria che mimava imprecazioni alla volta dello scocciatore e quest’ultimo che, fischiettando con fare innocente, aspettava il momento più opportuno per tirarle i capelli e rubarle il quaderno. La cosa divertente era che bimbo uno e bimbo due erano davvero convinti che non se ne sarebbe accorto!
Sconsolato, rivolse un veloce sguardo all’orologio a pendolo posto alla sua sinistra: le dodici in punto. A quel punto si rese conto di tre cose contemporaneamente:
  1. Era quasi ora di pranzo e Mary aveva preparato un paio di pietanze da leccarsi i baffi, compresa una torta di mele la cui ricetta veniva tramandata di generazione in generazione nella famiglia di suo padre.
  2. Mr. Mercer, uomo abituato all’azione, era dovuto rimanere fermo ad osservarli per quasi cinque ore e non avrebbe retto un momento di più.
  3. Tra meno di due ore i due avrebbero dovuto tornare nell’altra epoca per permettere a Mercer di memorizzare i punti strategici della città e non gli avevano ancora mostrato la cartina di Genova.
Ripose le sue carte con un sospiro ed invitò Maria Vittoria a fare altrettanto, in modo da poter posare la famigerata cartina sul tavolo sgombro. Riordinato il tutto, i tre si posizionarono su un lato della tavola ciascuno, sfoggiando un’espressione corrucciata che non aveva niente da invidiare a quella dei giocatori di monopoli e risico. Del resto, lo scopo della seduta era stabilire i pochi luoghi in cui Maria Vittoria avrebbe avuto il permesso di andare, sempre rigorosamente accompagnata da Mr. Mercer, a partire dal giorno successivo, quando avrebbero riaperto le scuole. In un qualsiasi altro caso, non si sarebbero fatti scrupoli a rinchiuderla nelle segrete per il resto della sua mera esistenza, ma, ahi loro, necessitano delle informazioni che non sarebbe stato possibile reperire altrove. Per non parlare del fatto che, se quello che Maria Vittoria aveva spiegato loro sulle forze dell’ordine moderne era vero, qualora avessero destato dei sospetti, avrebbero potuto indurle ad investigare a casa della ragazza. Beckett non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto accadere, qualora qualcuno di loro si fosse accidentalmente accorto del passaggio che collegava le due epoche. Grazie alle tecnologie nettamente più sofisticate, avrebbero potuto soggiogare intere nazioni e sfruttare le risorse del pianeta, senza il minimo sforzo.
Se la sete di conoscenza non fosse stata così forte in lui, non ci avrebbe pensato due volte, prima di trovare un sistema per distruggere il varco tra le due epoche, ma ciò non significava che non l’avrebbe fatto al primo segnale di pericolo. Per ora, si sarebbe accontentato di inviare il suo fidato collaboratore per tenere d’occhio la situazione; al resto, avrebbe pensato in seguito.

‹‹Partiamo con le basi: qui c’è casa tua?›› domandò il Lord, indicando un piccolo punto sulla cartina che recava il nome della sua frazione.
‹‹Sì, signore›› si limitò a confermare lei. Ormai aveva smesso di stupirsi della rapidità con cui riusciva ad assimilare le informazioni. Poi c’era lei che non riusciva a seguire nemmeno le indicazioni di Google Maps… Le ingiustizie della vita.
‹‹Poi, da quanto ho capito, anche se siete una donna, vostro padre ha deciso di fornirvi un’istruzione e quindi dovete recarvi in un edificio che, per quanto non ne comprenda il motivo, ha lo stesso nome della scuola aristotelica, corretto?›› proseguì lui, non nascondendo il suo scetticismo, mentre riusciva a trovare anche quel punto con una facilità inspiegabile. La sua diffidenza verso il sistema scolastico statale era, di per sé, comprensibile per un uomo dell’epoca, abituato all’idea che la cultura impartita ad un ragazzo era inversamente proporzionale al numero degli studenti di un singolo professore.
Maria Vittoria, stanca di controbattere alle frecciatine maschiliste, se la cavò con un ‹‹Temo che l’intelligenza eccelsa degli uomini della nostra epoca non gli permettesse più di convivere con la risaputa ignoranza del nostro genere. E, seguendo la stessa logica, immagino che gli incarichi importanti ricoperti dalle donne, gli siano stati assegnati perché ritenuti troppo poco gratificanti per le vostre eccellenze›› La cosa divertente è che, causa gli assurdi pregiudizi dell’epoca, i due non parvero nemmeno accorgersi della, poco velata, ironia e presero sul serio le sue parole. Erano davvero senza speranza.

‹‹Poi, ci occorrono il mercato ed i negozi per acquistare i generi alimentari di prima necessità e, dato che siete una donna, montagne di vestiti ingombranti e suppellettili inutili›› Ancora con questa storia? Alla faccia dei luoghi comuni sul genere femminile! E tra parentesi, per sua informazione, nel ‘700 le donne erano costrette ad indossare dei vestiti ingombranti, dato che se avessero mostrato un polso o una caviglia, si sarebbero attirate il biasimo di tutto il paese.
Mary prese un bel respiro, prima di rispondere: ‹‹Per quanto riguarda i generi alimentari, di solito vado in un negozio unico chiamato supermercato, e, solo in rare occasioni dal fruttivendolo. Fortunatamente, distano meno di cinquanta metri l’uno dall’altro. E, per quanto riguarda i capi d’abbigliamento, temo che l’unico ad averne bisogno sia il signor Mercer, se non vuole dare troppo nell’occhio e rischiare di essere internato in una clinica››. Incredibilmente, riuscì a terminare la frase senza scoppiare a ridere come una scema. Davvero, non sapeva che cosa avrebbe dato, pur di poter immortalare la faccia che avevano fatto i due in quel momento. Conscia di aver già tirato troppo la corda, si decise ad aggiungere un’ultima cosa… Tanto, una volta rimasta sola con Mr. Mercer le avrebbe prese comunque. ‹‹Se pensate di trovarvi di fronte alla classica fanciulla che si mette a strillare di gioia ogni volta che vede un vestito che le piace, avete completamente sbagliato persona. Sarà che con la mia pessima fisicità non mi sta bene quasi nulla, ma provo più gioia a fare la spesa rispetto allo shopping. Amo le divise, proprio perché così non devo perdere tempo ad abbinare i capi ed i colori… L’amore per gli acquisti sarà anche una prerogativa prevalentemente femminile, ma, conosco anche molti ragazzi con la stessa passione. E francamente, non vedo proprio che cosa ci sia di male: ci sono molte attività decisamente più dannose nella nostra epoca››

Non sapendo cosa rispondere, Mr. Mercer non ci pensò due volte ad offendere: ‹‹Vi porgiamo le nostre scuse, Miss: nel nostro ragionamento abbiamo presupposto che voi foste una donna, ma ci siamo evidentemente sbagliati.››
Per i canoni dell’epoca doveva trattarsi di un insulto piuttosto grave, dato che Lord Beckett si raggelò sul posto, indeciso su cosa dire o fare per smorzare la tensione. A toglierlo dall’imbarazzo, ci pensò Mary: ‹‹Scontato… Allora, dove eravamo rimasti?›› La ragazza aveva sentito decisamente di peggio nella sua epoca: non se la sarebbe mai presa per così poco.
‹‹Hm… direi il gymnasium di cui ha parlato vostra madre al telefono, se è proprio necessario…››
‹‹SI’, LO E’!!!›› lo interruppe bruscamente lei. Il fuoco che le brillava negli occhi avrebbe fatto desistere qualsiasi oppositore, ragion per cui Cutler fu costretto ad accettare. Del resto, si trattava solo di poche ore alla settimana e la palestra si trovava, relativamente, vicina alla sua scuola. Da quel poco che aveva scoperto nei giorni precedenti sul nuovo mondo, si ritenne fortunato all’idea che questo fosse l’unico hobby che il loro “Cicerone” soleva concedersi. Se fosse stata come uno dei tanti ragazzini viziati che si rinchiudevano in quei locali squallidi pieni di donnine svestite e rumori assordanti, davvero non sapeva come avrebbero fatto.
‹‹V-va bene…›› acconsentì lui, timoroso all’idea che la fragile fanciulla avrebbe potuto cavargli un occhio con la matita. Quando si parlava di Karate si trasformava in una belva imprevedibile… e meno male che sosteneva che le fosse essenziale per riacquisire la calma e la serenità!

‹‹Poi, vediamo… Mr. Mercer, è questa la chiesa che mi avete detto che frequenta la sua famiglia?›› Beckett cercò di entrare
‹‹Sì, signore››
‹‹Perfetto›› disse lui, cancellandola con una grande x scura.
‹‹M-ma perché?›› domandò lei, scioccata. Si sarebbe aspettata una cosa del genere per bar, pub e discoteche, ma mai per un innocuo luogo di culto.
‹‹Non domandate›› si limitò a sussurrare lui, serafico.
‹‹Ma che razza di trauma avete avuto?!›› sbottò lei, imbronciata, per ritrovarsi sbalzata dalla sedia ed attaccata al muro, senza alcun preavviso. Gli sguardi inquisitori dei due le fecero intendere che, senza volerlo, doveva aver toccato seriamente un tasto dolente.
‹‹Cosa sai?›› le domandò Beckett, continuando a guardarsi intorno con fare inquieto, quasi temesse di veder comparire Jack Sparrow da un momento all’altro con una macchina per le riprese.
‹‹M-ma era solo un modo di dire! Stavo scherzando, giuro: che cosa potrei mai sapere di così segreto?›› cercò di difendersi lei.
Leggendo la confusione che si mescolava al terrore nei suoi occhi, i due capirono subito di aver preso un granchio e la lasciarono andare, sperando di non suscitare ulteriori sospetti. Nessuno doveva sapere che cosa era accaduto quel giorno nella canonica di Port Royal, nessuno!
‹‹Assolutamente niente!›› esclamarono i due in coro, sebbene la rigidità delle loro posture contraddicesse senza ombra di dubbio la loro affermazione.
‹‹Hmm… cosa mi state nascondendo?›› si avvicinò, dubbiosa, ai due che stavano, ormai sudando freddo.
‹‹N-non so di cosa stiate parlando›› tentò di dissuaderla Mr. Mercer, che da sempre era stato il più coraggioso dei due.
Maria Vittoria non riusciva ancora a capire come la situazione si fosse ribaltata così velocemente: se temevano che scoprisse un segreto così importante, allora perché non l’avevano semplicemente minacciata finché non avesse desistito? Che, invece, si trattasse di qualche episodio imbarazzante che volevano far cadere nell’oblio? Ora non stava più nella pelle all’idea di scoprirlo: ‹‹Allora, che cos’è? Che cos’è? Che cos’è?››
‹‹Niente che possa interessare ad una mocciosa petulante come voi›› Mr. Mercer era sempre simpatico e cordiale, non c’era che dire.
‹‹Allora qualcosa c’è!›› esclamò Mary, saltando sulla scrivania, in modo da metterli ancor più sotto pressione.
‹‹No!››
‹‹Dai, che sono una persona curiosa!››
‹‹No!››
‹‹Vi giuro che non lo dico a nessuno, dai!››

A salvare i due poveretti da una situazione meschina, ci pensò la cameriera personale del Lord: TOC, TOC!
‹‹Lord Beckett! C’è una lettera urgente per lei: viene da Parigi››
‹‹Grazie, Celeste, entra pure›› Mai l’uomo aveva accolto più volentieri l’arrivo di un membro della servitù.
‹‹Che ragazza diligente, penso proprio che meriti un aumento!›› gli fece eco Mr. Mercer. Se perfino lui, in una situazione del genere, aveva messo da parte il suo odio profondo nei confronti del genere femminile, doveva essere veramente sollevato.
‹‹Sono perfettamente d’accordo con voi, signor Mercer: da oggi siete promossa all’incarico di aiuto governante›› dichiarò lui, convinto.
‹‹V-vi ringrazio, mio signore, ma veramente io stavo facendo solo il mio lavoro…›› fece lei, incerta. Che cos’era preso al padrone tutto d’un tratto? Di solito non si abbassava nemmeno a rivolgerle la parola ed ora la chiamava addirittura per nome. Per non parlare di Mr. Mercer: quell’uomo a momenti le ringhiava quando la incrociava nei corridoi. Che fosse il caso di consultare un medico?
‹‹Siete anche modesta: un’altra ottima qualità per diventare governante››
‹‹M-ma signore…››
‹‹Insisto›› disse Lord Beckett in un tono che non ammetteva repliche, per poi rivolgersi a Mercer, con un sorriso tiratissimo: ‹‹Mr. Mercer, volete aiutarmi ad assegnare questa perspicace ragazza al ruolo che merita?››
‹‹Ma ceeertamente, mio signore, ogni vostro desiderio è un ordine, per me!››

E così dicendo, i due se la filarono a gambe, trasportando la povera cameriera per braccia e gambe, e lasciando un’allibita Maria Vittoria da sola nell’ufficio, come un uovo crudo. “E poi la bambina sarei io?” si ritrovò a pensare, scuotendo la testa sconsolata. Tre anni
*****
 
 Anno 2019, 7 gennaio, h 07,30
Genova, Italia (casa di Mary)
 

Maria Vittoria stava salendo, ancora mezza addormentata, le sette rampe di scale che conducevano alla sua classe. Era partita da casa un po’ prima del solito, in modo da trovare parcheggio (impresa assai ardua a Genova) ed accompagnare Mr. Mercer nella grande biblioteca/bar che si trovava di fronte alla scuola. Sapeva che Lord Beckett gli aveva ordinato di non perderla mai di vista, ragion per cui lo aveva accompagnato ad un tavolo da cui si aveva una buona visuale della sua classe e gli aveva prestato il vecchio binocolo del padre. In questo modo, lui non avrebbe contravvenuto l’ordine, e lei non avrebbe infranto il regolamento scolastico.

La sua scuola era costituita da un unico grande complesso, strutturato in sette piani, ed ospitava quattro indirizzi di studi differenti: scienze umane, linguistico, scientifico e classico. Il piano terra, il più ambito, data l’ampiezza delle aule e gli strumenti tecnologici all’avanguardia (e l’assenza di scale), ovviamente, era stato destinato agli studenti del liceo linguistico che avevano scelto il “percorso d’eccellenza Esabac”, dato che l’anziana preside era un po’ di parte. Non solo era la direttrice del progetto all’interno dell’istituto sin dal suo inizio, ma, da quasi dieci anni era divenuta il punto di riferimento per tutte le altre scuole italiane e svizzere che vi prendevano parte. Nel 1987 le era stato conferito il cavalierato dell’ordine delle palme accademiche da parte del primo ministro francese, per il suo grande contributo nella diffusione della cultura francese nel mondo e nel 1989 aveva ottenuto una medaglia al valore per aver “condotto in salvo” una comitiva di diplomatici francesi che si erano persi negli intricati vicoli di Genova (Erano stati costruiti così per impedire al nemico di fare razzie: se li hanno fermati ci sarà stato un motivo! Ha fatto penetrare i Galli comati nella penisola italica: disertrice! Nd: Mary). Gli altri piani erano distribuiti in ordine decrescente di importanza… inutile dire che il liceo classico era stato deportato in mansarda, luogo “temperato in autunno e soleggiato in primavera” (ovvero freddissimo in inverno e caldissimo da aprile a settembre). E, tanto per accrescere le sciagure dei poveri emarginati, l’ascensore poteva essere utilizzata solo dai docenti (quando Federica si era rotta una gamba, Maria Vittoria e Francesco, unico uomo nella sua classe, l’avevano dovuta portare a turno su per tutte e sette le rampe infernali per sei lunghi mesi) e il loro indirizzo era l’unico a cui era categoricamente proibito l’utilizzo di libri in formato digitale a sostituzione di quelli cartacei.

Quei pensieri ebbero l’unico risultato di deprimere ancora di più la poveretta che, giunta finalmente all’ultimo gradino, già pregustava il riposo sul tanto agognato banco. Aperta la porta dell’aula, tuttavia, si rese subito conto che qualcosa non andava: sebbene fosse sempre la prima ad arrivare, la luce era già accesa e qualcuno sedeva scompostamente sulla sua sedia, con le gambe appoggiate al suo amato banco. E non si trattava di una persona qualsiasi, no, no: di fronte a lei, con un ghigno strafottente stampato in volto, vi era niente popò di meno che Mr. Mercer in persona.
‹‹C-come avete fatto ad arrivare fin qui?›› gli domandò, sconvolta.
‹‹Oh, non è stato difficile: ho aspettato che la segretaria si voltasse, per arrivare alle scale e da lì mi è bastato seguire le istruzioni che mi avevi dato per poterti spiare meglio, hahaha. Sei ancora più ingenua di quel che mi aspettavo!›› la faceva facile lui, ma se qualcuno fosse entrato e avesse visto uno sconosciuto di mezza età, che non parlava nemmeno italiano, sarebbero stati guai seri.
Una serie di passi affannosi le impedì di rispondergli per le rime. Se i suoi compagni di classe stavano già arrivando, non poteva assolutamente perdere tempo in ciance: doveva trovare una soluzione, e al più presto. Come se non bastasse, dalla finestra semi aperta giunse una ventata di bora leggera brezza invernale, talmente forte da scioglierle i capelli (aveva impiegato quasi dieci minuti per domali acconciarli in una semplice coda) e farle volare la cartina dell’impero romano addosso. Non era proprio giornata. Tuttavia, grazie allo sfortunato incidente, le sovvenne l’eterno una soluzione temporanea al suo problema.

Si affacciò alla finestra e, sorridendo amabilmente, pronunciò ad alta voce: ‹‹Professor Fellegara, ma che coincidenza… che cosa ci fa sul tetto?››
Dovete sapere che il vicepreside, da quando era stato assunto, non aveva fatto altro che tramare nell’ombra, bramando il colpo di stato, meritandosi il soprannome di Jafar. Ultimamente, inoltre, si era appassionato al “Trono di spade”, riconoscendosi, in particolare in Varys, il “ragno”. L’idea di manovrare le vicende dall’ombra del suo ufficio lo allettava assai e, grazie al suo quoziente intellettivo decisamente superiore alla norma, era riuscito a convincere i professori di “potenziato” (che grazie a Matteo Renzi percepivano uno stipendio, senza avere ore da svolgere) di avere le giuste qualità per diventare delle spie professioniste. Per imitare maggiormente il suo amato personaggio, da qualche anno a questa parte, aveva iniziato anche ad addestrare i primini, con la scusa di un corso extra di scrittura creativa… li chiamava persino “i suoi uccellini”. Era davvero inquietante, ma al momento concentriamoci sulle spie adulte, di cui faceva parte il nostro caro professore.

Il chiamato in causa, non aspettandosi che qualcuno conoscesse il suo appostamento segreto, per poco non scivolò sulle tegole. ‹‹Hem, signorina Innocenti… mi ha spaventato, hehehe››
‹‹Però non ha risposto alla mia domanda›› disse lei, fingendosi profondamente rammaricata.
‹‹Niente di speciale, stavo solo… prendendo il sole! Sì, il medico mi ha consigliato di prendere tanto sole per aiutare le mie fragili ossa›› improvvisò lui.
‹‹Ma che strano, ero quasi convinta che facesse Paracuore… non pensavo che soffrisse di questi problemi a soli trentasette anni››
‹‹C-come avete ottenuto queste informazioni?››
‹‹Ho un paio di buoni informatori, tutto qui›› divagò lei, con fare innocente, per poi proseguire: ‹‹Comunque penso che l’aria umida che spira a Genova in questi mesi invernali non sia proprio il massimo per il suo problema. Le consiglierei, per lo meno di non trascorrere di nuovo sette ore nascosto dietro il vecchio comignolo. Forse sarebbe il caso che avvisassi la preside… è stata crocerossina presso l’ambasciata francese, lo sapeva?››
‹‹M-ma come…? Signorina Innocenti, non penso che sia il caso di disturbare la nostra amata preside per così poco…››
‹‹Ma io insisto: non sia mai che il nostro amato Jafar debba soffrire la perdita di uno dei suoi cari collaboratori››
‹‹No, no, no… non ce n’è n-nessun bisogno, davvero… sto benissimo, benissimo ti dico!›› si preoccupò lui, sempre più pallido e terrorizzato. Ad onore del vero, l’arpia faceva davvero paura quando si arrabbiava e non erano rari i casi di professori e studenti che avevano chiesto il trasferimento, una volta incontratala faccia a faccia.
‹‹Si calmi, professore: stavo solo scherzando. Non ho nessuna intenzione di denunciarla alla presidenza, se così si può dire, hahaha. Del resto tra uccellini ci si deve aiutare, non crede anche lei?›› buttò lì la ragazza, capendo che ormai la sua preda aveva abboccato.
‹‹N-non capisco di cosa tu stia parlando…›› iniziò lui, ma notando lo sguardo serio della ragazza, si rese conto che ogni scusa sarebbe stata vana. Ma Innocenti era in quinta… era convinto che solo i ragazzini più piccoli perdessero tempo con quegli stupidi corsi di scrittura creativa. Inoltre, per quel che ne sapeva, nessuno di loro sospettava dei secondi fini del vicepreside, né conosceva le disposizioni che aveva impartito a professori di potenziato come lui. E’ vero che non stava facendo nulla di effettivamente illegale, del resto nessuno li avrebbe citati in giudizio solo per aver origliato un paio di lezioni, ma temeva che si venisse a sapere che “Jafar” aveva promesso a tutti i suoi “assistenti” di cercare di inserirli come professori di cattedra nel liceo musicale in cui si era diplomato ed aveva ancora molti contatti. Questa sarebbe stata una verità piuttosto scomoda perfino per un insegnante come lui.

Notando che l’uomo stava, finalmente, cedendo, e che i passi dei compagni distavano, ormai meno di una rampa di scale, si decise a negoziare definitivamente: ‹‹Mi chiedevo se avesse voglia di prendere il sole a gennaio insieme a mio Zio. Sa, è arrivato stamattina dall’Irlanda ed ha pensato di venirmi a salutare a scuola. I miei non ci sono e non possono accompagnarlo a casa e, non conoscendo la nostra lingua, non si sente sicuro a girare da solo per una città così grande. Come vede non mi assomiglia per niente, per cui se qualcuno lo vedesse rischiamo che non si fidino e chiamino la polizia e vorrei evitare di passare la giornata in questura, non so se mi spiego…››
‹‹M-ma certo, capisco perfettamente›› rispose lui, con un sorriso tirato. Non pensava che quell’innocente ragazzina potesse essere davvero in grado di ricattare una persona: l’aveva decisamente sottovalutata.

Maria Vittoria non se lo fece ripetere due volte: diede uno spintone a Mr. Mercer che, nel frattempo, si era spostato accanto alla finestra, assistendo alla scena con sguardo confuso. L’uomo, non possedendo un grand’equilibrio a causa dell’altezza spropositata, non riuscì ad evitarsi la caduta. Non fece nemmeno in tempo a rialzarsi che la ragazza aveva già serrato la finestra, ridacchiando un “divertitevi a prendere il sole, piccioncini!”. Soffocò l’impulso di spaccare la finestra e prendere a calci la mocciosa fino a casa: del resto non era così stupido da non capire di trovarsi in una situazione scomoda. Maria Vittoria era stata molto chiara sul fatto che introdursi illegalmente in una scuola era un reato e che, qualora una persona priva di documenti come lui fosse stata arrestata, ci sarebbero stati problemi a non finire. Si decise che per il momento avrebbe aspettato, ma la mocciosa avrebbe fatto bene a pregare quel Dio che le piaceva tanto, fin tanto che ne aveva il tempo. Chissà se era davvero così buono da riuscire a salvarla…
 
*FOUR HOURS LATER*
‹‹Miss. Oneto, would you like to tell us about Heart of the darkness symbolism?››
‹‹Yes, of course Mrs. Parcher. Conrad’s main work is characterized by the contrast between black and white. Black is not only the colour of the natives’ skin and of Africa in general, especially as far as the darkness of the heart of the jungle is concerned, but also the “colour” of the colonisers’ souls. As a matter of fact, they exploit the native ones themselves and their natural resources, such as ivory, which is also called “the white gold” and contribute to the play with the colours black and white. The skin of the colonisers, instead, is white, but it doesn’t reflect their hearts, ‘cause the people who call themselves “civilizes” are the same who exploit and make the native ones suffer››
‹‹Yeah, good job, Mrs. Oneto! And… what about Mr. Della Mariga? Your class mate has just spoken about some important themes, such as colonialism, exploitation and civilization. Now, England has ever been one of the most civilized country, shall we say? Think also about the works we have studied this year. This exercise might be quite useful for this year final oral exam››
‹‹Well, to be honest, I’m not really sure about what you said, Mrs. Parcher. English, French, German, Sweden, Dutch and so on comes from barbaric people, such as Galli, Anglos, Saxons, Vikings… If they seem to be civilized, I’m sure they are only pretending. It’s embarrassing, I mean… just think about gilettes jaunes in France››

Tutta la classe annuì al suo commento, ma la professoressa d’Inglese non parve dello stesso avviso, dato che iniziò a sbraitare: ‹‹YOU, BLOCK-HEAD! WHY ARE ITALIAN PEOPLE SO IGNORANT? CAN’T YOU UNDERSTAND THAT UNITED KINGDOM INHABITANTS ARE THE MOST SOPHISTICATED, EDUCATED, POLITE AND RESPECTFUL IN THE WORLD?››
La pausa utilizzata dalla donna per riprendere fiato coincise con un fragore di vetri infranti. Come a voler sfatare le parole della donna, Mr. Mercer scavalcò la finestra con un ruggito che poco aveva di umano. L’uomo si era stufato di attendere senza far nulla (il suo compagno di spionaggio tremava alla sola vista di tutte quelle cicatrici e, dunque, non si stava dimostrando di grande compagnia), per non parlare del pensiero fisso che lo stava attanagliando da quando erano partiti di casa: l’arrosto con i funghi e le patate croccanti. Quando Maria Vittoria gli aveva detto che sarebbe uscita di scuola alle tre, pensava che stesse scherzando: quale regnante poteva trarre dei benefici dall’affamare dei ragazzi in piena crescita? Poteva capire le femmine, con quel poco che avevano da fare (A tal proposito, la mocciosetta si era appellata ad un passo di un’opera vecchissima e dimenticata, scritta in una lingua altrettanto inutile, che, se la memoria non lo ingannava, doveva chiamarsi “Orestea1”. A suo dire, se le donne nelle epoche passate non potevano uscire di casa, era colpa degli uomini: buona questa! Certo, le donne che uscivano di casa erano senza dubbio delle ragazze dai facili costumi e, dunque, ripudiate o lapidate, e quelle che non uscivano di casa erano degli esseri inutili che non avevano nemmeno l’iniziativa di lavorare per mantenere la propria famiglia o combattere al fronte. Ma questo cosa c’entrava? Ecco perché i suoi avi amavano ripetere che era bene che le donne non leggessero: gli venivamo delle strane idee in testa ed incominciavano a pensare2… roba da matti!), ma gli uomini? Era, forse, una manovra politica per innescare una rivolta?

Quando, poi, li aveva finalmente sentiti parlare in una lingua che conosceva, non aveva udito altro che insulti nei confronti della precedente attività del suo padrone. Questi Italiani… Mancavano decisamente del fiuto per gli affari. E poi si stupivano se il loro paese andava in banca rotta? Roba da matti… (Villano-razzista-schiavista-cafone-uomodegenere-masoprattuttoignorante! Nd: tutti)
Senza neppure una parola, si diresse a grandi passi verso il posto di Maria Vittoria (che nel frattempo cercava di nascondersi dietro un ridicolo quaderno rosa con sopra un panda-corno, fingendo di non conoscerlo). Giunto a destinazione, afferrò la poveretta, senza tanti complimenti, e se la caricò in spalla come un sacco di patate (alla faccia del “in braccio a mo’ di sposa” che tripudia nelle fanfiction), per poi avanzare verso la porta dell’aula come se niente fosse.
‹‹Sophisticated, educated, polite and respectful…›› Francesco citò la professoressa Parcher, prima di unirsi alle compagne terrorizzate.

All’interno della classe fu il delirio: gente che urlava, gente che si nascondeva, gente che implorava di prendere il compagno di banco che era bravo in matematica e di lasciare stare lui, gente che metteva al sicuro i vocabolari di latino e greco (con quel che costavano, ci mancherebbe!). Il professor Fellegara, terrorizzato all’idea di dover rimanere anche solo per un altro istante nella stessa stanza in cui si trovava quel tizio inquietante, preferì correre dalla preside e “costituirsi”. La professoressa d’Inglese se ne uscì con un elegante “Oh, My God!” ed una frase in inglese stretto che poteva essere tradotta con un “La nostra amata regina ne sarà molto addolorata”, prima di svenire sulla cattedra. Una bidella particolarmente arcigna (avete presente quelle che si lamentano anche solo se trovano una cancellatura per terra e ti domandano se pensi che spetti a lei pulire questo porcile? E tu ti domandi di che porcile stia parlando e se pulire una classe praticamente intonsa non sia, forse, il compito di una bidella) entrò per accertarsi della fonte dell’inaspettato baccano. Non che le importasse qualcosa delle vite dei suoi studenti, anzi: meno studenti significavano meno sporco e, quindi meno lavoro da parte sue. Il suo unico intento era quello di scuoiare vivo l’autore di tale danno e di costringerlo a ripulire il danno arrecato e il sangue schizzato durante lo scorticamento. La sola vista di Mr. Mercer, tuttavia, fu sufficiente a farla correre via a gambe levate, mentre urlava: ‹‹Non finisce qui!››.

Mr. Mercer fu profondamente colpito dall’audacia dell’unico uomo presente in aula, Francesco. Il ragazzo, nel medesimo istante in cui aveva udito l’infrangersi dei vetri, era corso a nascondersi dietro alcune compagne, e da lì non se ne era saputo più nulla. Dallo sguardo “carico d’ardore” che la mocciosetta gli aveva rivolto, persino Mr. Mercer comprese che doveva essere follemente innamorata di lui da una vita, … ma che non la calcolava manco di striscio. Che scena pietosa! Tra l’altro, il ragazzo, oltre che codardo era pure di brutto aspetto… che cosa ci trovasse in uno come lui era davvero un mistero.
In tutto questo, Maria Vittoria alternava richiami, rivolti all’uomo con il fine di fermarlo, a rassicurazioni per tranquillizzare i presenti: ‹‹Mr. Mercer, Mr. Mercer, MR. MERCER!›› l’uomo non diede segno di accorgersi né delle sue grida, né dei continui pugni e calci con cui gli stava tempestando petto e schiena.

‹‹Tranquilli, ripagherò tutti i danni!›› a quelle parole, il panico si arrestò per qualche istante e tutti i presenti sospirarono di sollievo. Persino la professoressa d’inglese riprese i sensi per un istante, per poi risprofondare nell’oblio. Erano proprio dei Liguri!
‹‹Mr. Mercer, si può sapere che vi è preso? Vi rendete conto che non potete fare irruzione in una classe e sequestrare un alunno, come se niente fosse?›› tentò di farlo ragionare lei, ma uno strascicato ‹‹Arrosto con patate›› fu l’unica cosa che ottenne dal gigante.
Come se non bastasse, la voce gutturale dell’uomo, unita a seri problemi di pronuncia dei termini italiani, portò gli alunni sconvolti a pensare che avesse detto “Allah, Alak Bar” (Sperando che si scriva così). Forse complice il terrore provato durante lo stage a Parigi, in cui la serata al teatro si era trasformata in una fuga dagli attentatori, ritennero che fosse un emissario dell’ISIS e si fecero prendere dal panico (Un’altra gita finita male per le classi del classico).

‹‹T-ti prego, non farci del male, s-signor t-terrorista›› si mise a supplicare una ragazza dai lunghi capelli castani e ricci.
‹‹N-noi siamo tutte atee, davvero!›› le diede manforte una compagna, sempre dai lunghi capelli castani e ricci.
‹‹Sì, l’ultima volta che ho messo piede in una chiesa è stato sei anni fa ad una visita guidata: mi hanno costretta, lo giuro!›› spergiurò l’ennesima ragazza dai lunghi capelli ricci e castani.
‹‹Se proprio volete prendervela con qualcuno, scegliete Mary: è l’unica cristiana, qua… se la uccidete le fate anche un favore, dato che i martiri della fede finiscono direttamente in Paradiso!>> tentò un’altra con le medesime caratteristiche delle precedenti, subito sostenuta da una folla di ragazzine con la stessa tipologia e colore di capelli (ragazze more e ricce in Italia? Ma che strano!).
‹‹Sì, sì: noi abbiamo votato all’unanimità di levare il crocifisso, ma lei ci ha brutalmente pestato… non ci ha lasciato altra scelta!›› le fece eco un’altra, questa volta bionda… Miracolo!
‹‹Ma non eravamo dodici a dodici? Vi ricordo che siete stati proprio voi atei a proporre questa soluzione, pensando che ci saremmo limitati a porgere l’altra guancia›› ribatté Mary, scioccata all’idea che le sue compagne l’avessero tradita così facilmente. Se lei fosse morta seriamente, voleva proprio vedere chi gli avrebbe passato le versioni. Disertori!
‹‹E poi lui non conosce nemmeno l’arabo: è Irlandese!›› gli fece notare Maria Vittoria, mentre continuava ad opporre resistenza. Non che servisse a granché, data la stazza dell’energumeno, ma tentar non costa nulla, no?
‹‹Del nord o del sud?›› domandò Francesco, apparso da chissà dove.
‹‹Non lo so, ma che importanza può avere…›› iniziò Mary, per poi rendersi conto, che se nel ‘700 non c’erano problemi a livello di attentati, nell’epoca moderna erano avvenuti non troppo tempo prima. Ma perché non ragionava prima di parlare: non poteva limitarsi a dire che era inglese? Resasi conto della gaffe, si affrettò a specificare: ‹‹Comunque non vedo dove sia il problema, dato che gli attentatori erano cattolici e, se lui fosse uno di questi di sicuro non se la prenderebbe con me… semmai quelli che dovrebbero preoccuparsi siete voi!››
Un attimo di gelo calò sulla classe. Tutti i dichiarati atei estrassero i santini e le medaglie miracolose che portavano nei dizionari, come segno di buon auspicio per non prendere l’ennesimo 1--- nelle versioni.

“Sono davvero senza speranza”, pensò Maria Vittoria, sconsolata, per poi rivolgersi di nuovo alla causa dei suoi problemi: ‹‹Mr. Mercer, dove pensate di andare? Vi rendete conto che non siamo nella vostra epoca? Un atto come questo non può restare impunito!››
‹‹Pensi davvero che quelle sciocche storielle sulle vostre forze dell’ordine saranno sufficienti a fermarmi?›› ribatté lui, senza minimamente scomporsi.
‹‹No, ma…››
‹‹Come se dei pubblici ufficiali perdessero il loro tempo per una cosa così stupida››
‹‹Non credo che…››
‹‹Per non parlare delle strane idee che hai di polizia e carabinieri… ma li hai presi per un qualche supereroe di quei tuoi stupidi libri dove ci sono più disegni che parole?››
‹‹Si chiamano fumetti, ma non…››
‹‹Lasciati dare un consiglio da una persona che ha viaggiato e di paesi ne ha visti: prima scendi con i piedi per terra e prima smetterai di illuderti e rimanere delusa››
‹‹Ma cosa c’entra…››
‹‹Credi alle mie parole: non è assolutamente possibile che dei poliziotti giungano fin qui in così poco tempo››
‹‹Dite così perché non avete visto…›› le parole della ragazza furono interrotte dal rumore tipico di una porta che viene scardinata con un calcio. Come a voler sfatare le parole di Mr. Mercer, due agenti si precipitarono nell’aula, urlando: ‹‹POLIZIA! CHE NESSUNO SI MUOVA, MANI BENE IN VISTA!››
‹‹l’auto dei carabinieri parcheggiata proprio davanti al bar, affianco alla biblioteca… Se aveste sfruttato meglio la vostra postazione sul tetto, ve ne sareste accorto anche voi›› terminò la frase la ragazza.

Ora erano seriamente nei guai: come faceva a spiegare ai due agenti che Mr. Mercer non possedeva i documenti, ma non era un clandestino? O meglio, lo era diventato, dato che era un cittadino straniero e di un’altra epoca, per giunta, ma si trattava di una situazione particolare. E poi come dimostrava che l’uomo non era un maniaco assassino introdottosi nella struttura con l’inganno? A maggior ragione, perché era proprio quello che era capitato…
Sarebbe stata una luuunga giornata.
*****
Anno 2019, 7 gennaio, h 23,30
Genova, Italia (casa di Mary)


Avete presente quando Lucia e Renzo ne’ “I promessi sposi” dicono di sentire la necessità di trovare il “sugo di tutta la storia” e tutti gli studenti si lamentano chiedendosi chi mai farebbe una cosa del genere e parlano di costrizioni dell’autore? Bene, Maria Vittoria l’aveva sempre pensata in questo modo. O, almeno, lo pensava prima di ciò che era accaduto quel giorno.
Tanto per offrire ai lettori un’idea un poco più chiara di ciò che era successo dopo l’arrivo degli agenti, i due erano stati portati in centrale ed interrogati in due stanze separate. Dopo una breve analisi della situazione, gli agenti avevano subito compreso che qualcosa non quadrava all’interno della vicenda. Da quando in qua una ragazzina di diciotto anni accettava spontaneamente di accogliere nella propria casa un cinquantenne dall’aria losca e dall’infelice propensione per alzare le mani, specie contro lei medesima (in quindici minuti di viaggio dalla scuola alla centrale l’aveva colpita in testa o nello stomaco una cosa come 37 volte, senza un motivo apparente). Per non parlare del fatto che l’uomo non parlava italiano, non portava documenti e nessuno, all’interno della scuola, sembrava conoscerlo. A dire la verità, la metà della scuola credeva di poter affermare con sicurezza che Maria Vittoria Innocenti non aveva mai permesso a nessun maschio di entrare o rimanere in casa sua oltre la mezzanotte (e prima solo per validi motivi, quali infortuni gravi, lavori di gruppo e/o sedute di studio compulsivo). Un agente aveva provato a chiamare i genitori, per cercare di capire se, almeno loro, erano a conoscenza della bizzarra situazione in cui si trovava la figlia, ma non avevano risposto e, dopo undici ore, nessuno aveva ancora chiamato.

Se non fosse stato per una telefonata del segretario del primo ministro francese, che conosceva personalmente la preside di Mary, Mr. Mercer probabilmente non avrebbe più visto la luce del giorno (già che c’era aveva tramortito cinque agenti e spaventato a morte una signora delle pulizie). Inoltre, la scuola si prodigò per ritirare la denuncia nei confronti dell’uomo (essere un uccellino di Jafar aveva i suoi vantaggi) ed i suoi compagni di classe convinsero i propri genitori a fare lo stesso (che si sentissero in colpa per averla “sacrificata” all’attentatore irlandese?).
L’unica a continuare a mettergli i bastoni fra le ruote era, come volersi a dimostrare, la bidella del settimo piano. Tra parentesi, era saltato fuori che era stata proprio lei a chiamare il 112. Fortunatamente, Maria Vittoria era l’unica studentessa tollerata dall’arcigna signora. Le fu sufficiente un vassoio di cupcakes mele e cannella per ottenere la sua collaborazione e il suo silenzio.
La storia si concluse con una severa tirata d’orecchie per Mary (nemmeno gli agenti avevano il coraggio di fare una lavata di capo a Mercer) e con la promessa di altre crostatine con crema pasticcera e lamponi il giorno successivo. Se sommate alla 7 torte di mele per gli altri bidelli (di cui quattro dietetiche… lascio a voi l’arduo compito di capire se fossero destinate alle donne o agli uomini), la Galette de Rois per la preside, i cannoli alla ricotta e pistacchio per i compagni di classe, la Saint Honoré per Jafar e i pasticcini per gli eventuali altri rompi scatole, avrebbe dovuto cucinare tutta la notte senza sosta (e ce l’avrebbe fatta solo se fosse riuscita ad accendere il forno a legna e un paio di falò di sopravvivenza in giardino). Oltretutto non aveva ancora ricevuto gli ordini (in entrambi i sensi del termine) di Lord Beckett e dei suoi uomini, che se ne approfittavano sempre…

Giunsero a casa alle 23,30 e cenarono a mezzanotte. O, almeno, Mr. Mercer cenò, perché lei non ebbe nemmeno il tempo per respirare, data la catervata di dolci da sfornare. Per lo meno, verso le due Mr. Mercer, mosso a pietà dai tentativi falliti della ragazza di accendere l’accendino (figurarsi il fuoco), si prodigò per aiutarla a disporre la legna e accendere il tutto. O forse temeva solo che, se non ci fosse riuscita, avrebbe continuato a fare baccano per tutta la notte. Quel giorno si era già dovuto sorbire le ciance di una domestica che, approfittandosi del fatto che fosse ammanettato ad una sedia, gli aveva raccontato tutta la sua vita. Non c’era da stupirsi se, poi, aveva cacciato un urlo tale da farle infilare un piede nel secchio e correre a perdifiato giù dalle scale in quelle condizioni.

Morale della favola:
  1. Mai sottovalutare un uomo affamato.
  2. Mai ricattare un professore. Riuscirà a ribaltare la situazione a proprio vantaggio anche se tutte le prove sono contro di lui (i sindacati sono estremamente potenti)
  3. Mai sottovalutare una donna che promette vendetta. Quando udite la frase “Non finisce qui!”, tenete presente che significa “Non finirà mai”.
  4. Mai dare dell’irlandese o dell’inglese ad uno scozzese. Passerà il resto della propria esistenza terrena ed ultraterrena a perseguitarti.
  5. Mai fare assaggiare del cibo italiano ad uno straniero, specie se quello sostiene che la propria cucina sia la migliore. Scioccato dalla cruda verità, non ti lascerà più in pace.
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Anno 2019, 12 gennaio, h 05,30
Genova, Italia (casa di Mary)
 

Dicono che il buon giorno si veda dal mattino, il che significava che Maria Vittoria avrebbe avuto un’altra pessima giornata. La sera prima aveva deciso di rimanere alzata fino alle due e mezza per studiare, sapendo che il giorno successivo avrebbe potuto dormire fino alle 7, dato che il suo unico impegno del sabato era il karate alle ore diciotto. Aveva puntato la sveglia alle sette, unicamente per preparare la colazione a Mr. Mercer, che, anche quando faceva tardi, non si alzava mai dopo le 7,30. Mary si sentiva in colpa da morire all’idea che l’uomo si sentisse in dovere di sorvegliarla anche quando studiava fino a tardi. Aveva provato a dissuaderlo più volte e, ricevendo sempre un brusco rifiuto (brusco perché il “no” in Mercerese si traduceva con una botta secca in testa), aveva provato a rivolgersi direttamente a Cutler Beckett. Quest’ultimo, tuttavia, l’aveva rassicurata spiegandole che, a causa dei lunghi anni trascorsi come spia in Oriente, aveva imparato a conservare le energie in modo tale da dormire non più di tre ore ogni tre giorni. Anche durante i periodi di riposo, e nonostante gli anni passassero anche per lui, non riusciva mai a riposare per più di quattro o cinque ore per notte.

Mary sapeva quando era il caso di arrendersi, ragion per cui, ufficialmente, non si lamentava più della sua pressante presenza anche nel cuore della notte, ma, in realtà, spesso si ritirava nella sua stanza prima del tempo e poi proseguiva a studiare sotto le coperte con l’ausilio di una torcia elettrica. Era consapevole che tale abitudine avrebbe potuto comprometterle drasticamente la vista, ma cos’altro poteva fare? (Avviso: NON FATELO MAI: conosco gente che ha perso anche sei decimi, facendo una cosa così stupida… ed io sono tra quelli)
Tutto questo per dire che Maria Vittoria, la sera prima era andata a letto con il sorriso sulle labbra, al solo pensiero di potersi, finalmente, godere qualche ora di meritato riposo. Immaginatevi, dunque la sua delusione quando fu letteralmente sbattuta giù dal letto dal coinquilino alle 5,30. Inizialmente, non capì bene cosa stesse succedendo, ragion per cui, si arrischiò a domandare, con la voce ancora impastata dal sonno: ‹‹Che ore sono?››

‹‹5,30›› Mr. Mercer era sempre molto prolisso.
‹‹Oh, bene: posso dormire ancora un’ora e mezza. Che fortuna!›› esclamò lei, contentissima, risalendo sul letto, con gli occhi ancora chiusi. Era talmente stanca che non si accorse nemmeno di essersi sdraiata sulle doghe del letto, dato che il materasso era stato trascinato giù dal letto da Mr. Mercer.
‹‹Non stai dimenticando qualcosa?›› fece Mr. Mercer a metà tra il seccato ed il divertito.
‹‹Mm… ma certo, il cuscino! Mi sembrava di essere un po’ scomoda, in effetti…›› non riuscì a terminare la frase che si sentì uno “SPLASH”, seguito una sensazione di freddo pungente. Immediatamente riaprì gli occhi, rendendosi finalmente conto della situazione in cui si trovava.
‹‹M-Mr. Mercer, ma perché l’avete fatto? Stavo dormendo così bene…›› domandò lei, confusa oltre ogni limite.
‹‹Non posso credere che abbiate dimenticato l’appuntamento con Lord Beckett! Avete una vaga idea di quante persone decisamente più importanti di voi darebbero l’anima per avere la vostra stessa opportunità?›› dire che il signor Mercer fosse furioso era un eufemismo.
‹‹Cavoli, cavoli, cavoli! Me ne ero completamente scordata… ecco perché ieri sera avevo la sensazione di dovermi mettere avanti con lo studio!›› realizzò, finalmente, lei. Nei giorni precedenti erano capitate tante di quelle cose che aveva completamente perso il senso del tempo.

‹‹Meno male che mi avete svegliata: se metto subito all’opera riuscirò sicuramente a terminare la ricerca sul Mausoleo di Qin Shi Huang in tempo per il tè delle cinque. Se non ci sono imprevisti, riuscirò persino ad arrivare a Karate puntuale, evviva! Io amo il sabato!›› esclamò Mary, ritrovando subito il buon umore.
“Per essere una mocciosa viziata, si accontenta di poco”, pensò Mr. Mercer, un poco confuso dal repentino cambiamento emotivo della ragazza. Vedendola così allegra, l’uomo sfoggiò un ghigno sadico di cui, però, lei non parve avvedersi, troppo concentrata a riordinare e darsi da fare per terminare il lavoro in tempo per l’ora concordata.
 
*ELEVEN HOURS LATER*
‹‹Lord Beckett, Mr. Mercer e la signorina stu… hem, volevo dire Miss Mary sono appena arrivati›› a recare la notizia, la piccola Charlotte, che da quasi due settimane aveva iniziato a lavorare alla magione in sostituzione di Celeste, la domestica che era stata promossa a vice governante per aver salvato la reputazione di Beckett e Mercer. Tommy, invece, ufficialmente era stato impiegato come paggetto, ma in realtà era diventato la nuova mascotte della servitù e veniva rigorosamente viziato da servitori e soldati. Eduard, dal canto suo, era stato praticamente costretto ad iniziare l’addestramento per diventare membri della fanteria britannica. Certo, di solito non venivano accettati candidati di età inferiore ai 16 anni, 15 solo in casi eccezionali, ma Eduard ne dimostrava un paio in più rispetto a quelli effettivi (sia fisicamente che dl punto di vista della maturità) ed inoltre era stato raccomandato da Mr. Mercer. L’uomo era rimasto particolarmente colpito dalla tempra del ragazzino, nel momento in cui era andato a “prelevare” Maria Vittoria. Per quanto giovane, si era dimostrato uno dei pochi abbastanza coraggiosi (o stupidi) da sfidarlo apertamente, pur trovandosi in una situazione estremamente precaria.

Come erano passati dall’essere prigionieri a rischio impiccagione per favoreggiamento alla pirateria a fedeli impiegati presso Lord Beckett, vi domanderete? Beh, basti dire che, da quando Maria Vittoria era riuscita a prendere confidenza con Cutler Beckett (dopo cinque minuti di discorsi su quale potesse essere la giusta teoria sull’origine della popolazione etrusca), non aveva fatto altro che implorarlo, scocciarlo, tormentarlo, perseguitarlo affinché li risparmiasse. L’uomo aveva infine ì ceduto, pensando che sarebbe finita lì, ma, ahi lui, la battaglia legale di Mary contro l’”impiccagione minorile” ingiustificata era appena iniziata. In meno di due settimane dal suo arrivo nel ‘700, era già riuscita a far scarcerare e “reintrodurre nella società” quasi 87 ragazzi di età compresa tra i quattro e i quattordici anni. Inizialmente aveva intercesso per i bambini più piccoli, appellandosi alla teoria per cui, se il Lord li avesse graziati e gli avesse trovato una famiglia o un futuro lavoro, essi non solo non sarebbero ricaduti negli errori dei genitori, ma gli sarebbero stati fedeli a vita. Giorno dopo giorno, tuttavia, aveva iniziato ad alzare gradualmente l’età dei “graziati” e, anche se ciò non era affatto passato inosservato agli occhi di Beckett, quest’ultimo l’aveva lasciata fare, sconfitto dalla sua testardaggine. Al momento il patto implicito era che Maria Vittoria aveva il permesso (corredato di pergamena con sigillo nobiliare incorporato, che faceva una discreta scena) di intervenire nelle sentenze pronunciate nei confronti di minori di ventun anni, nei casi in cui non sussistessero prove di un loro coinvolgimento nei crimini di cui erano accusati. Tuttavia, al suo primo errore di giudizio, il permesso sarebbe stato revocato ed anche i bambini sarebbero ritornati a morire come prima. Sotto la pressione di questa minaccia implicita, Mary si premurava di parlare più volte con ciascun candidato, nella speranza di comprendere le sue reali intenzioni. Per ora, fortunatamente, di ragazzi così vogliosi di abbandonare una vera casa e la speranza di un futuro migliore per dedicarsi ad una vita incerta fatta di arrembaggi e pericoli di ogni sorta, non ne aveva ancora trovati.

Perché Lord Beckett le aveva fatto una così grande concessione pur conoscendola da così poco tempo (e non essendo la ragazza in questione di bell’aspetto. Se a farne richiesta fosse stata una signorina Kardashian, ho come la vanga impressione che avrebbe accettato senza esitare. Nd: me), vi chiederete. Tenete conto che un vero tiranno, per mantenere il potere deve compiere una scelta: essere amato o temuto. La prima scelta, come ben immaginerete, risulta sempre la migliore, specie se a tentare il colpo di stato è, probabilmente, l’unico anglosassone alto un metro e un barattolo, nonché proprietario della temutissima armata… Compagnia delle Indie Orientali. Un mercante? Imbarazzante.
Tra l’altro, non era che al suo arrivo avesse fatto proprio un gran figurone, rovinando le nozze più attese dell’anno (immaginatevi cosa sarebbe accaduto se Donald Trump avesse impedito il matrimonio tra Megan e Kate… sottolineo che si tratta solo di un esempio che contenga i nomi di un nobile e una persona comune e di un grande azionista che possano essere conosciuti da tutti i lettori. Mai mi azzarderei a dare del tiranno a delle persone che nemmeno conosco. Nd: me) ed a rovinare ulteriormente la sua reputazione ci pensava la perpetua del pastore di Port Royal. Maledetta vecchiaccia: non poteva, che so, prendersi un colpo della strega e togliersi dalle scatole? Probabilmente, era chiedere troppo.

‹‹Ottimo tempismo: falli entrare pure, Charlotte›› le sorrise lui. Anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno con Mr. Mercer, si era affezionato subito alla piccola peste… e non solo perché dava il suo bel da fare ai suoi uomini. Dovevate vedere come si infuriava quando ne beccava uno entrare nella residenza senza essersi prima tolto le scarpe. Si posizionava a gambe divaricate sulla soglia, mani chiuse a pugno appoggiate sui fianchi, e iniziava a strillare con un’adorabile vocina infantile che avrebbe messo il sorriso a chiunque.
Come la bambina se ne fu andata, ogni traccia di gioia si estinse dal volto perennemente serio e depresso dell’uomo. Non che Mr. Mercer e Mary fossero propriamente di bell’aspetto, ma un giorno avrebbero anche potuto offendersi seriamente per questo suo modo di manifestare le preferenze così apertamente.
‹‹Avete portato ciò che vi avevo chiesto?›› domandò lui, con voce monocorde, mentre sorseggiava il suo tè.

‹‹Sì, signore›› annuì prontamente la ragazza, per poi allungargli un foglio ed un pennino con l’inchiostro: ‹‹ma prima, dovreste farmi la cortesia di mettere una firma qui››
Cutler Beckett sollevò un sopracciglio, perplesso: “E questo da dove saltava fuori?”.
‹‹Non fate quella faccia, hahaha. E’ solo una postilla per assicurarmi che prendiate visione del fatto che tutte le informazioni che riceverete su questo caso non potranno essere utilizzate per recuperare i resti che tanto vi affascinano››
‹‹E perché mai?›› domandò Beckett, senza neanche guardarla negli occhi. Ottimo: ora veniva anche snobbata per una tazza di tè! Ora sì che la sua autostima si sarebbe risollevata!
‹‹Perché nemmeno nel 2019 si possiedono ancora gli strumenti necessari per entrare all’interno del mausoleo senza comprometterne i fragili equilibri interni. Sono sicura che un’amante della storia e delle culture antiche come lei non rischierebbe mai di mettere a repentaglio la qualità di preziosi reperti archeologici che potranno essere ammirati dai posteri››
Vedendolo annuire stancamente, cercando di dissimulare la delusione, la ragazza si affrettò ad aggiungere: ‹‹Però potete divertirvi a tramandare ai vostri eredi le informazioni sulla sua ubicazione e chiedergli di fare lo stesso e così via, finché nel 1974 uno di loro si recherà in Cina e spiffererà tutto ad un contadino del luogo. Non la diverte l’idea di contribuire ad una scoperta archeologica da dietro le quinte?››
Tale affermazione lo fece sorridere: ‹‹Poi magari un giorno si scoprirà che questo è ciò che è realmente accaduto››
‹‹Non dite così, che altrimenti passo tutta la notte a pensarci›› ridacchiò lei, anche se in cuore suo pensava che, in realtà, poteva benissimo essere andata così.
In quel preciso istante, la campana suonò le cinque e Maria Vittoria si ricordò del Karate: ‹‹Ottimo: se parto adesso, riesco anche ad arrivare in tempo per la lezione di karate›› cinguettò felice, sistemandosi meglio il borsone sulla spalla.

Cutler Beckett osservò la sua reazione, stranito: ‹‹Karate? Mi sembrava che vostra madre avesse detto che, qualora non vi foste comportata bene, non avreste potuto andarci››
‹‹C-cosa? Ma che cos’ho fatto di male?›› domandò lei, scioccata. Da quando Mr. Mercer era entrato nella sua vita, non aveva fatto altro che subire ingiustizie ed angherie di ogni tipo. Non vedeva proprio che cosa ci fosse da rimproverarle quel giorno.
‹‹Pensate davvero che Mr. Mercer non mi abbia raccontato ciò che è accaduto giovedì notte?›› ora il ghigno malefico di Mr. Mercer trovava una sua giustificazione.
‹‹Perché, che cos’è accaduto di strano?›› domandò lei, perplessa. Del resto, in due settimane le erano capitate più disgrazie di quelle che le erano capitate nel resto della sua vita. Era comprensibile che non riuscisse a metterle in ordine cronologico.
‹‹La parola ladri vi dice qualcosa?›› domandò lui, intrecciando le dita e posandovi sopra il capo, con fare esasperato.
‹‹Mhh… no, non direi. Ah, no, aspetti, se è per il tizio con la maschera da Pulcinella che ho preso a padellate nel cortile, le posso assicurare che…››
‹‹Ma di che cosa state parlando?›› si riscosse lui, allibito dall’involontaria rivelazione.
‹‹Ah, no, scusate, quello è successo tre settimane fa… fate conto che io non abbia detto nulla›› si corresse lei, imbarazzata.

Lord Beckett preferì pensare che Maria Vittoria avesse confuso un incubo con la realtà e decise di continuare: ‹‹Mi riferivo a quando siete corsa in giardino per affrontare la banda, ignorando deliberatamente gli ordini del signor Mercer››
‹‹M-ma l’ho fatto per una buona motiva…›› tentò di mediare lei, ma fu subito interrotta dall’uomo: ‹‹Non mi interessa il perché abbiate fatto una cosa così sciocca, quanto piuttosto il fatto che abbiate messo a rischio la vostra vita. E su questo non ci sono scuse.››
‹‹M-ma…›› tentò di dire lei, ma la sentenza di Beckett fu più veloce: ‹‹Niente ma: Sei… come si dice dalle vostre parti?››
‹‹In punizione?›› cercò di indovinare lei, perplessa. Tra l’altro era fantastico il come passasse dal darle del “voi” al “tu” a seconda del suo umore.
‹‹Intendevo un qualcosa di un po’ più macabro e agghiacciante, ma mi sta bene›› annuì lui con convinzione.
‹‹Agghiacciante è quello che avete appena detto… perché la vostra espressione mi suggerisce che non steste affatto scherzando?›› domandò lei, con un velo di preoccupazione nella voce.
‹‹Oh, sciocchezze: non curatevi delle parole di un uomo stanco›› disse lui, senza tuttavia perdere quell’espressione diabolica ‹‹Come si dice dalle vostre parti in questi casi?››
‹‹V-vai in camera tua?›› provò lei, titubante.
‹‹Stavo per dire in gattabuia, ma effettivamente, sapendo di avere a che fare con una bambina, avrebbe comunque un senso›› si trovò a concordare lui.
‹‹Hey!››

A quel punto intervenne Mr. Mercer: ‹‹Su, forza, non farmi perdere tempo>> Si vedeva lontano un miglio che ne aveva piene le grazie di doverle fare da bambinaia. Erano due giorni che attendeva un passo falso da parte sua per avere la scusa per levarsela dalle scatole.
Mary ebbe l’illuminazione: ‹‹Okay, se proprio devo…›› e fece per infilarsi sotto il letto, ma fu prontamente afferrata dall’uomo.
‹‹Esci immediatamente da lì, non farmi perdere la pazienza (che non ho). E poi è alquanto inappropriato per una ragazza stare in quella posizione. Non puoi proprio fare a meno di esibirti in atteggiamenti indecenti?›› le urlò contro lui.
‹‹No!››
‹‹Come no?!››
‹‹Intendevo che non posso farne a meno perché sono incastrata, non perché lo voglio›› fu costretta a spiegare lei, imbarazzata.
‹‹Come?››
Nel mentre, la ragazza borbottava cose, come “Maledette tette!” e “Appena compio ventun anni faccio la riduzione e vi sistemo io… poi vedremo chi la spunterà”.
Mr. Mercer, sconsolato, la tirò fuori senza troppa fatica. Quella ragazza era davvero un caso disperato.

‹‹E comunque, voi non siete mio padre: non potete mandarmi in camera mia, dato che io non abito qui›› borbottò la ragazzina, rivolgendosi a Lord Beckett con un’espressione imbronciata che non aveva nulla ad invidiare a quella di un bambino di tre anni.
‹‹Avete ragione›› disse Beckett, avvicinandosi lentamente e sfiorandole il viso con l’indice. Terrorizzata, cercò di indietreggiare, ma quell’infame di Mr. Mercer non sembrava per nulla intenzionato a mollare la presa. “Ecco, ora mi strozza, anzi, mi squarcia la giugulare, anzi, mi cava gli occhi con le forcine che utilizza per fissare la parrucca, anzi…” Maria Vittoria non fece in tempo a pensare a tutti i terribili scenari, che udì Cutler Beckett pronunciare una frase che la lasciò sbigottita: ‹‹Miss Innocenti, andate subito in camera… di Mr. Mercer, sì, di Mr. Mercer!››
‹‹Che cosa?!?›› esclamarono i due contemporaneamente.
E pensare che era accaduto tutto per colpa delle leggi italiane…
 
*FLASH BACK*
Avete presente quando, dopo un incubo vi svegliate e vedete il mostro che tanto vi spaventa proprio davanti a voi, ma poi vi svegliate e vi rendete conto che si trattava solo di un altro sogno? Ecco, immaginatevi che, invece, di scomparire, il motivo delle vostre ansie rimanga proprio lì, nitido davanti ai vostri occhi. Chiunque rischierebbe di uscire di senno e questo è proprio ciò che stava capitando a Maria Vittoria, da qualche giorno a questa parte.

Per quanto cercasse di dissimulare le sue emozioni, essere consapevole di avere solo una parete di pochi centimetri a separarla dall’uomo che a Port Royal le aveva fatto passare le pene dell’inferno, non l’aiutava certo a dimenticare. Di giorno cercava di nascondere gli attacchi d’ansia, esibendosi in gaffe anche peggiori del solito, ma di notte non aveva scampo. Il buio non faceva altro che acuire i suoi sensi e le sue paure. Le bastava uno scricchiolio per iniziare a tremare come una foglia, all’idea che Mr. Mercer si fosse acquattato nel buio con l’intento di pugnalarla non appena si fosse addormentata. E questo era l’altro motivo per cui tendeva a restare sveglia più del solito: lo studio la distraeva da spiacevoli pensieri.
Purtroppo, però, in quanto comune mortale, necessitava anche lei di qualche ora di sonno e, ogni volta che cedeva alla stanchezza, sognava di ritrovarsi in quella cella buia piena di ragni, topi e, talvolta persino serpenti. Poi entrava Cutler Beckett che, a volte ordinava a Mercer di picchiarla ed altre di strangolarla ma, qualunque fosse la variante dell’incubo, alla fine la stanza si trasformava nell’entrata dell’Ade. Sulla riva dell’Acheronte su cui si trovava compariva Mr. Mercer con gli occhi di bragia, come Caronte, che la colpiva con un remo, spingendola nel fiume e guardandola affogare con un ghigno divertito sul volto.

Si svegliava di soprassalto, soffocando un urlo e, una volta aperti gli occhi, si ritrovava faccia a faccia con il suo peggiore incubo. A volte si metteva ad urlare come una scema, ma altre sveniva direttamente, senza tante cerimonie.
Mr. Mercer, dal canto suo, udendola urlare nel cuore della notte, la prima volta era sinceramente accorso per controllare cosa stesse succedendo, ma già dalla seconda andava solo per godersi la sua reazione. Del resto, spaventare donne e bambini era sempre stato il suo hobby, nonché il motivo per cui aveva intrapreso la “carriera” di sicario professionista.
Quella notte, tuttavia, a svegliare l’uomo non erano stati gli strilli della ragazza, quanto lei in persona che, abbracciato il coraggio a due mani, si era decisa ad entrare in camera sua e scuoterlo gentilmente. La prima mossa dell’uomo fu quella di afferrarle il braccio e scaraventarla sul letto, mentre le puntava una lama alla gola. E tutto questo prima ancora di svegliarsi… che riflessi! Accortosi, tuttavia di non trovarsi in missione, ma nella casa della mocciosa, fece due più due e ripose l’arma, con un gesto stanco.
‹‹Se pensi che mi abbasserò a raccontarti una storia della buona notte per conciliarti il sonno hai sbagliato persona…›› iniziò ad ammonirla lui, ma si zittì non appena udì dei rumori provenienti dal cortile sul retro.

‹‹I tuoi ti hanno avvisato che sarebbero arrivati stanotte?›› le domandò lui, anche se già ipotizzava uno scenario ben differente.
‹‹No, uno si trova a New York e l’altra a Parigi. Non si faranno vivi per almeno altre due settimane›› la ragazza confermò, così, i suoi sospetti.
L’uomo annuì, per poi afferrare il fucile e la tracolla in cui teneva proiettili e polvere da sparo: ‹‹Vado a controllare, tu rimani qui fino a nuovo ordine e tieniti lontana dalle finestre››
‹‹N-no, aspettate un attimo: dove pensate di andare con quel fucile?›› gli corse dietro lei, preoccupata.
‹‹Non mi succederà niente: sono abituato ad affrontare decisamente di peggio che un manipolo di ladruncoli da quattro soldi›› la rassicurò lui, annoiato. Da quando in qua la mocciosetta si preoccupava per lui?
‹‹Lo so, è per loro che mi preoccupo›› affermò lei, sicura, facendo cadere le braccia all’uomo. Ecco, per l’appunto non si preoccupava affatto per la sua sorte.
‹‹Da quando in qua una vittima parteggia per dei delinquenti?››
‹‹Non lo dico mica per loro! Cioè, preferirei che non ci fossero spargimenti di sangue, ci mancherebbe, ma non è questo il punto… In Italia la legge sulla legittima difesa è piuttosto controversa e dobbiamo leggerla attentamente prima di agire… Non so voi, ma io non ho nessuna intenzione di finire in galera a vita›› disse lei, andando subito a recuperare il codice penale di scorta della madre (fortunatamente, aveva studiato giurisprudenza).

‹‹Cioè, fatemi capire: in Italia se qualcuno entra in casa vostra per derubarvi e/o farvi del male voi non potete sparare?›› domandò l’uomo, perplesso.
‹‹Nemmeno ferirlo, se è per questo. Già dimostrare di aver agito per legittima difesa è difficile, specie se non vi sono testimoni. Se, poi, aggiungiamo le modifiche al codice penale del 4 maggio 2017, le cose si complicano ulteriormente››
‹‹Che cosa suggerisci di fare, quindi?›› domandò Mr. Mercer, che nel mentre si era seduto sulla poltrona e aveva appoggiato il fucile. Ormai la conosceva abbastanza bene da capire che quando si metteva qualcosa in testa era praticamente impossibile farle cambiare idea. Inoltre, l’ultima volta che non l’aveva ascoltata sul tema “polizia” aveva rischiato di mettere nei guai Lord Beckett.
‹‹Leggiamo gli articoli 52 e 59 del codice penale e poi decidiamo il da farsi›› disse lei, con fare deciso, spostando una sedia accanto alla poltrona e accendendo la luce da studio.
‹‹Ma i ladri non riusciranno ad entrare, nel frattempo?›› le fece notare lui, perplesso.
‹‹Nah, per segare le inferiate occorrono circa 30 minuti, e la porta d’ingresso è blindata, il che significa che è estremamente difficile scassinarla››
‹‹Se lo dite voi…›› acconsentì lui, sempre più incredulo.
‹‹E speriamo che la polizia arrivi presto, nonostante l’allerta rossa››
‹‹Se ce l’hanno fatta i ladri, suppongo che ci riusciranno anche loro. Del resto i meccanismi delle vostre automobili sono davvero avanzati››
‹‹Avete ragione… Speriamo in bene››
 
*IN THE MEAN TIME*
A mezz’ora di macchina dal punto in cui si trovava l’abitazione di Maria Vittoria, a causa della forte pioggia, un grosso macigno era caduto sulla strada, bloccando l’unica via percorribile. Gli agenti Rossi e Bianchi (ovviamente li avevano accoppiati di proposito… talvolta la direzione dimostra un discreto senso dell’umorismo), casualmente gli stessi che pochi giorni prima li avevano arrestati a scuola, avevano ricevuto la chiamata dalla centrale ed erano subito partiti per controllare. Ed ora si trovavano impossibilitati a procedere e non potevano nemmeno confidare nel supporto aereo, dato che il mal tempo rendeva impossibile persino le partenze degli aerei più grandi. Figuriamoci gli elicotteri…

‹‹Ma solo Innocenti poteva ritrovarsi in una situazione del genere, belin! Tu hai mai sentito di ladri che tentassero il colpo nella casa di una famiglia di medio-bassa estrazione sociale con una c***o di allerta rossa?›› domandò Bianchi al collega, mentre parcheggiava l’autovettura in una zona apparentemente più sicura delle altre.
‹‹Non scherziamo! Perché secondo te, con questo tempo qualcuno sarebbe così folle da raggiungere una zona a costante rischio frane?›› gli fece eco l’altro, mentre afferrava la radiolina per contattare la centrale ed informarla sugli sviluppi.
‹‹Ora ci tocca aspettare che arrivino i rinforzi, anche se con la c***o di fortuna che abbiamo, le ruspe non riusciranno a percorrere questa strada prima delle undici.›› sbottò Bianchi, sbattendo le mani sul volante, sempre più arrabbiato. Ma era mai possibile che i casi di squilibrati toccassero sempre a loro? (Un altro caso di possesso da mugugno genovese? Nd: me)
‹‹Mmh… se questo vento non diminuisce, temo che ci vorrà anche di più›› constatò Rossi, abbassando il sedile e preparandosi ad attendere per quelle che si prospettavano essere ore. Tra i due, sembrava essere quello che aveva preso la situazione con maggior filosofia.
‹‹Spero per lei che non si tratti solo di uno stupido scherzo…›› bofonchiò l’altro, mentre imitava la mossa del collega. Del resto nemmeno lui aveva voglia di passare cinque ore ad esternare le proprie frustrazioni personali nei confronti della società odierna.

‹‹Il nostro dovere è comunque quello di rispondere alle richieste d’aiuto di chiunque. E’ questo il motivo per cui abbiamo scelto di portare la divisa, nonostante sapessimo che saremmo stati insultati o presi di mira da almeno la metà di quelle stesse persone che tentiamo costantemente di proteggere. Se venissimo meno a questi principi, finiremmo con il diventare l’ennesimo caso di agenti poco diligenti o corrotti che, giorno dopo giorno, fanno diminuire la fiducia dei cittadini nei confronti delle forze dell’ordine›› a queste parole, Bianchi non seppe ribattere. Si limitò ad annuire stancamente, per poi prendere il telefono e controllare l’orario: le 5 e 37. Ancora quattro ore e 23 minuti di attesa. Se erano fortunati.
‹‹E se non si tratta di uno scherzo, spero sinceramente che la signorina Innocenti se la cavi. In cinque ore potrebbe accadere di tutto e lei può contare solo sull’aiuto di quello squilibrato che non parla nemmeno la nostra lingua. Chissà come sarà spaventata, in questo momento…››
 
*IN THE MEAN TIME*
‹‹Fermo quanto previsto dal primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno.›› finì di leggere Maria Vittoria, per poi cercare di tradurre le informazioni in inglese, in modo che anche Mr. Mercer potesse capire.
‹‹Quindi, se ho capito bene, possiamo difenderci solo se uno: l’aggressione è commessa di notte›› iniziò a ricapitolare lui, sistemandosi meglio gli occhiali sulla punta del naso. A cosa gli servissero, poi, era un mistero, dato che l’uomo aveva già serie difficoltà a leggere nella sua lingua, figuriamoci il testo di una legge italiana.
‹‹E noi non abbiamo prove che si tratti di un’aggressione finché non entrano in casa e riusciamo a filmarli nell’atto di rubare o cercare di ferirci›› completò per lui la frase.
‹‹In più ormai sono quasi le sei, e non credo che nemmeno per voi uomini moderni, questo orario sia da considerarsi parte della notte›› constatò lui.
‹‹Temo anch’io›› confermò lei.

‹‹Andiamo avanti… due: solo dopo che si sono introdotti nella proprietà››
‹‹E immagino che finché non avranno finito di segare le sbarre, la difesa potrà appellarsi al fatto che erano entrati nel mio giardino solo perché stavano cercando il pallone da calcio›› ragionò Mary.
‹‹Esattamente. E quindi ci ricolleghiamo al primo punto, dicendo che ci conviene attendere che siano dentro prima di agire›› concordò lui, per poi continuare: ‹‹ma ci potremo difendere solo se avranno arrecato violenza alle cose o alle persone››
‹‹Ed immagino che non potremo dimostrarlo prima che abbiano caricato qualcosa sul loro mezzo›› fece lei, pensierosa.
‹‹Oppure potete offrirvi volontaria per farvi pestare, mentre io filmo la scena per avere delle prove… sennò quelli sono capaci di dire che vi siete fatta male di proposito o siete caduta dalle scale››
‹‹M-ma Mr. Mercer!››
‹‹In alternativa, potrebbero anche attentare alla vostra virtù, ma dubito fortemente che qualunque persona con un minimo di cervello potrebbe essere interessata ad una mocciosa… parecchio bruttina, per altro›› il bello era che o era un ottimo attore, oppure stava seriamente valutando anche quell’eventualità.
‹‹M-ma…››
‹‹Però, poi potrebbero sempre dire che, prima dell’inizio del filmato, voi li abbiate sedotti e che vi foste mostrata consenziente…›› continuò lui, imperterrito.
‹‹Ma che cosa state dicendo!›› bisbigliò lei, sebbene desiderasse di urlargli di tutto e di più… ma gli sembrava il caso di scherzare su certe cose? Perché stava scherzando, vero? Vero?
‹‹A conti fatti scarterei anche quest’opzione… del resto non ho voglia di fare la figura dell’incompetente. Quindi, suppongo di dovervi proteggere…›› fece lui, ma non sembrava molto convinto.
‹‹E poi c’è quell’ “ovvero con la minaccia o con l’inganno” … anche se mi assicuri che nella terminologia giuridica tale congiunzione assume una valenza disgiuntiva, non vedo come ci possa aiutare›› continuò lui, come se niente fosse.

‹‹Già, a meno che non bussino alla porta presentandosi delle bambine scout o ci minaccino apertamente, la vedo dura… Se poi si mettessero a parlare in una lingua che conosciamo, non potremo nemmeno dimostrare che ci abbiano ingannati o minacciati››
‹‹E se ci puntano contro un’arma, linguaggio universale per dire “ti uccido!” è già troppo tardi per intervenire›› concluse lui, sempre più scettico, per poi domandare, con fare esasperato (cioè, quello esasperato era lui, seriamente? Nd: Mary): ‹‹Quindi che cosa può fare un cittadino italiano in questi casi?››
‹‹Le uniche cose che può fare sono scappare o nascondersi e sperare che il malfattore non ti trovi e non ti faccia del male››
‹‹Nella pratica?›› domandò l’uomo, intuendo che quella squinternata non si sarebbe, certo, fatta fermare da così poco.
‹‹Li colpiamo, facendo attenzione a non procurargli ferite o lividi… e sperando che non siano armati›› stabilì lei, decisa, sebbene fosse quasi certa che una banda attrezzata per tagliare il ferro delle inferiate avesse anche delle armi.

‹‹Li colpisco, vorrai dire›› la bloccò lui, afferrandola per un polso e trascinandola in camera sua.
‹‹Che state facendo? Voglio esservi d’aiuto!›› cercò di dimenarsi lei, seppur sapesse che non sarebbe servito a nulla, contro la forza spropositata dell’uomo.
‹‹E lo farete rimanendo fuori dai piedi. Non ho nessuna intenzione di sprecare energie dovendo anche controllare che non ti feriscano. Se per colpa tua dovessi deludere Lord Beckett, sappi che non te la caverai con la tua dose giornaliera di botte… E’ chiaro?›› concluse lui, mostrandole un’espressione eloquente, per poi chiudere a chiave la porta e prepararsi a fermare gli “invasori”.
 
Note:
1- Riferimento al terzo episodio delle Coefore di Eschilo (di cui non ricordo i versi, ma che aggiungerò non appena tornerò a casa dalle vacanze e recupererò il libro con i testi in lingua originale), seconda tragedia della tetralogia legata intitolata, per l’appunto, Orestea.
2- Citazione con qualche leggera modifica della celeberrima frase pronunciata da Gastone nella traduzione italiana de “La bella

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Capitolo 10
*** Capitolo 9- Fuga da (Alcatraz) camera di Mercer ***


Capitolo 9- Fuga da Alcatraz camera di Mercer
Di quando Cutler portò l’esercito a Karate
 

L’”attendere” di Mary durò all’incirca due minuti: giusto il tempo di prendere a pugni il muro, blaterando cose del tipo “Stupido Mr. Mercer” o “Brutto cattivo!”. Quella che sul momento le era sembrata una trovata geniale per sbollire la rabbia, si era presto rivelata una pessima idea. Maria Vittoria non si era mai distinta nello sport, e Karate non faceva certo eccezione. In particolare, nonostante i lunghi anni di allenamento, non era ancora in grado di tirare un pugno decente, che fosse uno. Immaginate, dunque il risultato derivante dal colpire, senza esserne in grado una parete bianca. Due parole: parete rossa.
‹‹Ahi, ahi, ahi! Ma perché non me ne va mai dritta una?›› si lamentò, cercando di mantenere il tono più basso possibile, mentre saltellava per la stanza, soffiandosi sulle nocche delle mani. Non voleva certo attirare l’attenzione dei ladri.

Sconsolata, prese la sua cassetta personale del pronto soccorso (un vero Fantozzi ne ha sempre bisogno) ed iniziò a disinfettare e fasciare le ferite. Mentre procedeva con la medicazione, si concesse del tempo per ragionare sul da farsi. Rimanere ferma ad aspettare era assolutamente fuori discussione. Ma Mr. Mercer l’aveva capito o no che era una persona ansiosa? Era talmente codarda che preferiva affrontare i ladri che rimanere nascosta in un angolo a farsi film mentali su ciò che sarebbe potuto accadere se l’avessero trovata. Avete presente il detto “Il problema non è quando vedi il ragno, ma quando non lo vedi più”? Ecco, Mary ne aveva fatta una filosofia di vita.

Eppure, non poteva nemmeno contravvenire agli ordini del signor Mercer… non aveva nessuna intenzione di scoprire che cosa intendesse con “peggio delle botte”. Che fare, dunque?
‹‹Signore, mandami un segno dall’alto, per favo…›› non fece in tempo a terminare la frase che un fulmine cadde nel suo giardino, distruggendo la statuetta di brontolo (sì, ho Biancaneve e i sette nani in cortile… Non giudicate, okay? Okay? OKAY?! Nd: Mary).
‹‹Arg, terribile presagio…›› commentò lei, preoccupata, per poi assumere un tono più pio: ‹‹Ma grazie, comunque, per il pensiero!›› Una statua abbattuta da un fulmine era da sempre stata un evidente segno di sventura e lei non voleva certo ignorarlo e fare la fine di Caio Giulio Cesare. Inoltre, se l’intuito non la ingannava, brontolo poteva benissimo rappresentare Mr. Mercer (chissà perché… Nd: me). Che fosse in pericolo? Maria Vittoria ne dubitava fortemente, ma tanto valeva andare a controllare. Del resto, non voleva mica fare la fine di Publio Sestio Baculo1… Fu così che prese la sua decisione: si sarebbe nascosta dietro una parete ed avrebbe osservato l’evolversi degli eventi. Solo allora, avrebbe deciso se intervenire o meno.
Fiera della sua decisione, spostò leggermente il quadro che aveva appeso sopra la scrivania e questo rilevò la presenza di una chiave, rigorosamente verniciata di rosa. Da quando Mr. Mercer era entrato nella sua vita (anche se detto così sembra quasi una relazione amorosa, hahaha), la ragazza aveva avuto l’accortezza di nascondere le doppie-chiavi all’interno di ogni stanza, proprio in previsione di eventi di questo tipo. Ovviamente, poi avrebbe finto di aver aperto la porta con delle forcine per capelli. Faceva decisamente più scena, e poi voleva proprio vedere la faccia dell’uomo quando avrebbe cercato, invano, di comprendere come avesse fatto ad uscire senza danneggiare la porta.

Cercando di non fare troppo rumore, infilò la chiave nella toppa ed aprì la porta lo stretto necessario per poter sporgere la testa e controllare che non ci fossero pericoli in vista. Una volta assicuratasi che nel corridoio non ci fosse anima viva, si decise ad imboccare le scale che conducevano al piano superiore, dove provenivano dei rumori piuttosto molesti. E se riusciva a sentirli lottare ed imprecare fin lì, nonostante la tempesta colossale che infuriava fuori, dovevano essere davvero in difficoltà. Mentre saliva i gradini, udì un fragore che assomigliava in maniera preoccupante a quello di una libreria che veniva ribaltata. “I miei bambini!” pensò la poveretta, mentre si affrettava a salire per accertarsi delle condizioni dei suoi amati libri. “Speriamo che, almeno, non abbiano tirato giù i vocabolari: domani ho la simulazione di seconda prova!”.
Giunta a destinazione, per poco non rischiò di cadere all’indietro e ripercorrere tutti i gradini appena saliti. Infatti, non appena si affacciò in soggiorno, dovette abbassarsi per evitare di essere colpita da una sedia volante. E meno male che lo aveva pregato di non produrre ferite visibili sui loro inattesi ospiti. Mentre si avvicinava alla “scena del delitto”, appiattendosi il più possibile contro le pareti, ebbe l’opportunità di osservare un po’ meglio la scena e ne fu ampiamente disgustata. Gente sanguinante che si rialzava solo perché, magari, l’avversario aveva sorriso in modo tale che poteva implicitamente significare una lievissima e non intenzionale offesa al suo orgoglio di uomo. Le venne in mente la scena di Commando in cui la hostess, assistendo al combattimento tra Arnold Schwarzenegger e il cattivo di turno in un motel, si domandò, esasperata: “Ma perché i maschi sono così litigiosi?”. Ecco: perché? Dicono che le donne siano troppo complicate e vendicative e che per un’unghia spezzata dichiarerebbero guerra ad un altro stato… Ma quale donna si comporterebbe in maniera così infantile e sconsiderata? I misteri del maschilismo…
I suoi pensieri furono interrotti dalla vista di un energumeno con dei capelli lunghi e setosi. Ma come faceva ad averli così lucidi e perfetti anche con il 99% di umidità e dopo tutte le “botte da orbi” che doveva aver incassato? (Cervello di Mary: Concentrati, cretina! Non ha catturato la tua attenzione per via della sua folta e curata chioma, ma perché sta puntando una pistola contro Mr. Mercer)

Le sembrò che il braccio del testimonial della Pantene si muovesse a rallentatore, mentre metabolizzava la sua mossa e ragionava sul da farsi. Ed era proprio nei momenti di pericolo che le esperienze apprese durante le lezioni di Karate si dimostravano fondamentali. Le sembrava quasi di vedere un flash del suo istruttore che, dopo averli fatti sedere in semi-cerchio davanti a lui, li ammoniva seriamente: “Che cosa fate quando vedete qualcuno con una pistola? Scappate!”. “Grazie, Sensei: lei sì che sa come aiutare i suoi allievi nelle difficoltà!” lo maledisse mentalmente. Ma perché li pagava per farsi dire delle cose che potrebbe sapere qualsiasi persona con un minimo di buon senso?
Così, ignorando qualsiasi allarme mandatogli dal suo cervello, si portò silenziosamente dietro le spalle dell’uomo (fece in tempo, dato che dovette fare meno di mezzo metro, hahaha), intrecciò le dita e lo colpì tra capo e collo come in una sorta di bagher dei poveri verso il basso. Probabilmente fu il pungo, se così si può chiamare, più potente che fosse mai riuscita a tirare. Forse, quando il suo istruttore le diceva che era più brava quando non pensava, non voleva prenderla (solo) in giro. Interessante

Poi, come aveva imparato bruscamente durante lo stage con una palestra turca, lo colpì ripetutamente, senza dargli un attimo di respiro. Bruscamente, nel senso che il ragazzo che la stava aiutando a capire lo stile del combattimento in strada, aveva preferito darle prima una dimostrazione e poi spiegarle le basi. L’aveva pestata brutalmente, fino a proiettarla a terra e poi, non contento, le aveva camminato sopra letteralmente. Quando si dice pestare qualcuno, in tutti i sensi del termine.
Tornando a noi, Maria Vittoria gli tirò una gomitata al centro della schiena e proprio in corrispondenza della colonna vertebrale, levandogli il fiato, per poi colpirlo immediatamente dietro il ginocchio sinistro e alla caviglia. Come quest’ultimo, non aspettandosi nulla di tutto ciò, vacillò all’indietro, Maria Vittoria gli afferrò il gomito destro e la mano sinistra, con cui impugnava la pistola. Inserì la gamba sinistra tra le sue, per poi posizionarla davanti alla sua e fare leva, sfruttando il suo dolce peso e la torsione del corpo (altrimenti, ahi lei, non avrebbe mai potuto competere con uno scimmione alto quasi quanto Mr. Mercer) e continuando, dunque a minare al suo equilibrio. Simultaneamente, esercitò il cosiddetto “morso dell’asino” sul suo gomito sinistro e riuscì perfino a portarglielo dietro la schiena, bloccandoglielo in un’angolatura irregolare. Se le avessero almeno insegnato a spaccare le ossa, l’avrebbe fatto senza la minima esitazione, ma no! Dovevano perdere tempo a spiegargli che se vedevano un individuo sospetto con una pistola dovevano scappare… che savi!

In tutto questo, nemmeno lei seppe come, riuscì anche a costringere l’uomo a sparare tutti i colpi verso il pavimento. Continuò a fargli perdere il grilletto, tendendo il suo corpo al massimo per lo sforzo di bloccare un colosso del genere, per sette volte, anche quando le munizioni smisero di esplodere. Non voleva assolutamente rischiare che, per una sua negligenza, l’uomo potesse riprendere a sparare con un colpo vacante rimasto nel tamburo. La “roulette russa” preferiva vederla solo nei film.
A quel punto, sempre contro ogni previsione, riuscì a fargli mollare la presa sull’arma, piantandogli le unghie (che non aveva per colpa del Karate) nel polso. E, per concludere in bellezza, stava per utilizzare una mossa che si era ripromessa di utilizzare solo in momenti di straordinaria necessità e urgenza (cit. costituzione), ovvero riportare indietro la gamba sinistra e sollevare il ginocchio sinistro verso una zona che i nostri cari maschietti dovrebbero proteggere a costo della vita, ma che si ostinano a lasciare scoperta, dato che passano l’80 % del loro tempo con le gambe divaricate. Non dovette, tuttavia, rischiare di venir meno ai propri principi (o, soprattutto, che l’uomo si riprendesse e le spaccasse la testa a suon di mazzate), dato che Mr. Mercer afferrò l’uomo per la gola e lo scaraventò a terra, sbattendogli più volte il cranio sul duro pavimento. Del resto, ora che si era accertato che almeno uno degli “invasori” possedevano delle armi da fuoco, poteva anche smettere di trattenersi. Anche se non avrebbe potuto utilizzare le armi da fuoco della sua epoca, dato che poi non avrebbe avuto modo di spiegare la loro presenza nella casa della mocciosa che, tra parentesi, non aveva nemmeno il porto d’armi. Che essere inutile! (Hey! Ho compiuto 18 anni da poco, e poi perché mai dovrei avere il porto d’armi se non possiedo nemmeno una pistola. Nd: Mary)

Maria Vittoria non ebbe nemmeno il tempo di gioire (per il fatto di essere ancora viva, ovviamente, non per le angherie di Mr. Mercer sul corpo del delinquente… fosse stato per lei, li avrebbe rabboniti con del cibo), che altri due le furono addosso. Contemporaneamente, le affollarono il cervello tutti quei pensieri da donzella spaventata che non avevano avuto il tempo di uscire prima, a causa della botta di adrenalina. Istintivamente, tastò la parete, senza voltarsi, fino a raggiungere l’interruttore della luce, cosa non semplice, dato il tremore delle sue mani. “Adrenalina cara, mi hai già abbandonato?” si domandò al culmine della disperazione, mentre socchiudeva gli occhi e accendeva la luce, stordendo gli uomini che, a loro differenza, indossavano gli occhiali per la visione notturna.
Approfittò, dunque, della confusione per raggiungere le scale che conducevano alla soffitta, mentre Mr. Mercer le urlava dietro: ‹‹Perché diavolo non sei rimasta dove ti avevo detto? Potevi farti uccidere!›› Fortunatamente, era troppo impegnato a menare colpi a destra e a manca, per poterla raggiungere. “Speriamo che si sfoghi adesso e che dopo non abbia più voglia ed energie per mettere in pratica le minacce di poco fa” pregò lei, mentre continuava a salire le scale a perdifiato.
‹‹Ve ne farete una ragione!›› gli urlò di rimando lei, mentre trascinava dei pesanti scatoloni vicino alla ringhiera, per poi estrarne i libri ed i quaderni che aveva utilizzato dalle elementari fino alla quarta superiore. Iniziò a scagliarli con forza giù dalle scale, mirando alle zucche vuote che si avvicinavano troppo a Mr. Mercer e non sbagliando mai un colpo. Sarebbe indubbiamente stata un ottimo cecchino. La cosa divertente è che spostava scatoloni e lanciava libri con una tranquillità ed una naturalezza tale che chiunque l’avesse vista in quel momento, avrebbe pensato che lo facesse abitudinariamente.

‹‹B-basta!›› si lasciò sfuggire uno dei loschi figuri, sul punto di soffocare, tale era la quantità di fogli e ciarpame vario con cui lo stava letteralmente sommergendo.
‹‹Ma come, ne avete già abbastanza? Ma se non sono ancora arrivata nemmeno al primo biennio!›› si finse profondamente dispiaciuta, mentre continuava a bersagliarli. Approfittando dello stato confusionale creato dalla sua trovata dell’ultimo minuto, si prese del tempo per analizzare la situazione. Contò dodici uomini, di cui, fortunatamente, cinque erano stati definitivamente messi fuori gioco e due erano sul punto di cedere. Erano ancora in troppi, ma si poteva rimediare. O meglio, Mr. Mercer poteva rimediare, dato che lei, impedita com’era, era già tanto se era riuscita a non farsi ammazzare… per il momento. Eppure, per la prima volta in vita sua, si rendeva conto di riuscire ancora a ragionare lucidamente. Di solito si spaventava a morte per molto meno e la paura era tale da paralizzarla e renderla incapace di reagire.
Maria Vittoria diede il merito di questo suo cambiamento sorprendente alla presenza di Mr. Mercer (chiunque si sentirebbe più tranquillo con un Rambo in casa, non so se mi spiego. Nd: Mary) ed all’acquisita fiducia in sé stessa data la buona riuscita, con ogni probabilità per mezzo dello Spirito Santo, delle sue trovate precedenti. Si ritrovò, infatti, a pensare che, per essere una ragazza italiana, stava reagendo niente male. Era persino riuscita a disarmare un uomo armato. Lei, la figlia nascosta di Fantozzi, quella che rischiava perennemente il debito in educazione fisica. Proprio lei. Era riuscita laddove molta gente decisamente più forte ed esperta di lei aveva fallito. Poco importava il perché o il per come: l’unica cosa che contava era che lei era ancora in piedi e l’uomo che aveva cercato di sparargli no. Questa consapevolezza le diede la carica per correre giù dalle scale, approfittando del temporaneo stordimento dei loro assalitori, e recarsi in cucina per “armarsi”. Notando che Mr. Mercer stava cercando di fermare quelli che la stavano inseguendo, gli gridò: ‹‹に››. La ragazza aveva, infatti, scoperto poco dopo l’incidente con la suoneria del suo telefonino che Mr. Mercer parlava perfettamente il Giapponese. Lei conosceva giusto i vocaboli e costruzioni delle frasi di sopravvivenza, ma fino ai numeri ci arrivava pure lei, cosa che sperava sinceramente non capissero gli altri. Del resto, “Ni” poteva anche essere una lettera dell’alfabeto greco, oppure un’esclamazione di terrore, per quanto ne potevano sapere loro.
L’uomo, fortunatamente, le diede qualche secondo di vantaggio, prima di assecondare la sua richiesta e ciò le permise di afferrare un coltello da cucina di medie dimensioni e di nasconderlo nella manica destra del pigiama. Prese, poi, una sedia di legno ed incastrò quattro coltelli sotto il sedile, sfruttando le fessure nell’imbottitura di paglia. Pose la sedia davanti a sé, e ne afferrò debolmente lo schienale, cercando di dare l’impressione di volerla utilizzare solo per un estremo tentativo di difesa. I due uomini, entrando, quasi ridacchiarono all’idea di vedere una ragazzina vestita di rosa che cercava disperatamente di proteggersi con lo stesso metodo che utilizzava il domatore di leoni al circo.

‹‹S-signori malfattori, n-non avvicinatevi, vi prego›› il balbettio le venne talmente bene che lei stessa ebbe difficoltà nel capire se fosse stato solo una finzione, oppure se fosse dovuto alla tensione per ciò che sarebbe accaduto poco dopo.
Vedendo che questi sghignazzavano e continuavano ad avvicinarsi, tentò di dissuaderli: ‹‹M-ma non preferireste, che so… una torta, magari? Combattere è un’attività estremamente stancante: avete bisogno di energie per continuare a fare il vostro, hem… lavoro?››
I due si scambiarono un’occhiata complice che alla ragazza non piacque per niente: che cosa stavano confabulando?
‹‹Non abbiamo bisogno di torte, ma ci si può sempre mettere d’accordo…›› ghignò quello più basso.
‹‹Fatemi pensare: in frigo ci sono i cannoli ricotta e pistacchio e, se siete così gentili da andarvene senza farci del male, vi aggiungo anche una spruzzata di zucchero a velo e le praline al cioccolato, eh?›› ammiccò lei, ma vedendo che non era abbastanza per corromperli, proseguì la sua lista: ‹‹Poi ho dei bignè con crema pasticcera, mascarpone, pistacchio, panna montata, cioccolato bianco, cioccolato al latte, cioccolato fondente o fragola. Oppure dello strudel con panna e cannella, e una quintalata di macaron di praticamente ogni gusto che vi possa venire in mente››

‹‹Tè verde?›› volle testare la veridicità delle sue parole, lo stesso che aveva parlato poco prima.
‹‹Ma chi mai farebbe dei macaron al tè verde?›› lo prese in giro il collega, per poi rimanere scioccato quando si sentì rispondere: ‹‹Sì, e se vi piace dovrei avere anche del gelato al tofu allo stesso gusto, e stavo pensando di farne anche con altre fragranze, magari potete consigliarmi…››
‹‹No. Quello che il mio collega voleva dire è che siamo interessati ad un altro tipo di dolce…›› fece lui, ammiccante.
‹‹Mmh… che tipo?›› fece lei, perplessa. Certo che erano davvero schizzinosi per essere dei ladri.
‹‹Come che tipo?›› domandò quello più alto, scioccato.
‹‹Che tipologia: budino, crema, pasta frolla, freddo, caldo? Che genere!›› fece lei, sollevando gli occhi al cielo. Certo che gli uomini non capivano mai nulla.
La cosa divertente è che questo era esattamente lo stesso pensiero che stavano avendo gli altri due.
‹‹Del tipo che è vietato ai minori›› rispose quello, serafico.
‹‹No, no, no: niente liquori in casa mia. Non mi renderò responsabile del vostro perdimento, neanche se dovesse costarmi la vita›› stabilì lei, perentoria.
‹‹Non stavamo parlando di cibo vero, ma…›› cercò di spiegare il primo, ma fu bruscamente interrotto da Mary: ‹‹Oh mio… Non sarete mica vegani, vero? Vero? Mi dispiace, non lo sapevo… ora capisco il perché di questo lavoro così pericoloso. A che pro continuare a vivere se ci si negano le uniche cose belle della vita!››
‹‹BASTA!›› gridò il più basso, stufo di dover reggere quella pagliacciata ‹‹Ho dato fondo a tutta la mia pazienza: chi se ne frega se rimane traumatizzata! Ha quattordici anni, mica otto>>
‹‹Veramente ne ho quasi diciannove… anche se, onestamente, non capisco che cosa possa centrare›› lo corresse lei, seppur fosse sempre più confusa.
‹‹C-come diciannove?›› se lei era confusa, i due energumeni erano completamente scioccati. E poi, persino la loro fonte aveva asserito che non ne avesse più di quattordici.
‹‹Vabbè, tanto meglio. Un senso di colpa in meno per noi!›› fece l’altro, avvicinandosi pericolosamente alla ragazzina, che indietreggiò ulteriormente, fino a trovare i mobiletti della cucina a sbarrarle il cammino.

‹‹Hey, che intenzioni hai? G-guarda che io odio il contatto umano, c-chiaro?›› cercò di dissuaderlo lei, il cui cervello stava finalmente iniziando ad elaborare qualcosa. Notando l’inutilità dei suoi tentativi di parlamentare, si decise ad agire. Attese che l’uomo le si gettasse letteralmente addosso per colpire. Originariamente, aveva pensato di mirare al cuore, dato che con una ferita del genere non si sopravviveva per più di quattro secondi, ma poi, resasi conto di non averne la forza spirituale, optò per la spalla. Una ferita del genere poteva comportare una perdita di sangue pari al 40%, il che significava che l’uomo avrebbe, comunque, perso per lo meno i sensi.
Udendo urlare di dolore il compagno, l’altro le si avventò contro, mentre le urlava i classici insulti: “cortigiana”, “ragazza dai capelli sciolti”, “donna allegrotta” e così via (facciamo finta che abbia parlato così). Già, gli uomini sono sempre molto fantasiosi quando scelgono gli insulti da rivolgere ad una donna.
Ciò che l’uomo non si aspettava, tuttavia, fu che l’impatto con la sedia, prontamente alzata da Maria Vittoria sarebbe stato così doloroso. Le quattro lame, infatti, disegnarono un bel rombo scarlatto sulla panza del delinquente. La ragazza aveva mirato lì, sperando di non intaccare nessun organo vitale. Se quei tizi volevano farle del male, ciò non implicava per forza che lei dovesse provare lo stesso nei loro confronti. Del resto non sapeva nemmeno che faccia avessero.

‹‹Vi consiglio di non muovervi… e tu lascia la sedia dove si trova. Non so se avete notato, ma con questo tempo dubito fortemente che il pronto intervento riuscirà ad arrivare fin qui tanto presto. Se fate i bravi, chiamo il 112 e mi faccio passare un medico dal centralino. Se mi guida, posso cercare di trattare le vostre ferite… e ringraziate che sono una donna! Sarei proprio curiosa vedere come se la cava uno di voi con il cucito››
I due annuirono lentamente, seppur sconvolti. Quella non era una ragazzina: era una bestia!

E poi niente, il resto della mattinata era trascorsa con Mr. Mercer che riceveva, ma soprattutto donava botte a destra e a manca, in una danza macabra che poco aveva di umano. Ma quello non si stancava mai? Eppure iniziava ad avere una certa età! A Maria Vittoria tra un po’ veniva il colpo della strega solo pensando di tirare un calcio alto e questo qui a cinquant’anni suonati volava come un airone. Quando Maria Vittoria aveva finito con le medicazioni era corsa in salotto per accertarsi delle condizioni di Mr. Mercer e, dire che era rimasta scioccata era dire poco. Combatteva come uno di quei ninja nei drama ambientati nell’antica Cina. Piccolo promemoria: mai far arrabbiare seriamente quella belva umana. Ora capiva perché Lord Beckett non sembrava affatto preoccupato all’idea di essere circondato da incompetenti: se hai un uomo come lui al tuo servizio, l’esercito è solo di bellezza.
Se Maria Vittoria intervenne fu solo per evitare una fine atroce a quei poveretti. Ne stese uno a suon di padellate e ne disarmò un altro con lo stesso metodo. Del resto, quale uomo può mai essere addestrato per difendersi dai colpi di due padelle di ghisa?

Morale della favola? All’arrivo di poliziotti ed infermieri, quasi cinque ore dopo, la situazione era la seguente: tre uomini privi di sensi sdraiati su due divani e un materassino da campeggio (rigorosamente scaldati con le copertine di pile delle Winx), quattro che facevano onore alla cucina di Mary e cinque ancora mezzi storditi che si erano messi a giocare a carte nell’attesa di essere arrestati… del resto non potevano andare molto lontano, con le pesanti catene che Mr. Mercer aveva attaccato alle loro caviglie. In tutto questo, Maria Vittoria correva come una matta per la casa, inseguita dal suo inquilino che impugnava un coltello da sushi formato giga, gridandole: ‹‹E guai a te se ti stanchi: non ho nessuna intenzione di perdere il mio tempo torturando una vittima che non ha più nemmeno la forza di urlare!››
Tutto nella norma, insomma. Niente che li avrebbe costretti a perdere cinque giorni di sonno per redigere un cavolo di verbale. Che giornata da incubo.
 
*FINE FLASH BACK*
 
Anno 1729, 12 maggio, h 17,10
Port Royal, Giamaica (Camera di Mercer)
 

‹‹Uff... siete davvero un infame, lo sapete?›› borbottò Mary, imbronciata. Da quando erano arrivati nella stanza, si era seduta al contrario su una sedia e lì era rimasta, dando le spalle al proprietario.
‹‹Io sono fedele solo a Lord Beckett. Il suo ordine di riferirgli tutti i tuoi spostamenti sovrasta immancabilmente la tua richiesta di silenzio›› ghignò lui, divertito dal suo comportamento infantile.
‹‹Pff... antipatico›› bofonchiò lei, terribilmente irritata dal suo atteggiamento. A casa sua si comportava come un villano e, a momenti, applicava la legge del taglione, ma agli occhi di Beckett voleva passare come un uomo d'onore. Faceva solo quello che gli conveniva: era davvero un brutto antipatico. ‹‹Visto che quest'oggi siete così sincero e propositivo, immagino che abbiate anche raccontato al vostro onorato signore la causa del taglio che mi va dal polso alla spalla. Oppure potrei aiutarvi io, che ne dite?››
Mr. Mercer non si lasciò scomporre dalla velata minaccia: ‹‹Se questa fosse stata la tua intenzione, non avresti indossato una felpa con le maniche lunghe, con il caldo che fa a Port Royal. Pensi che non mi sia accorto che giri in maniche corte finché non ci sono meno di dieci gradi?››
‹‹Vorrà dire che ho le caldane, magari è la volta buona che vado in menopausa!›› si fece sfuggire un sorriso lei, anche se ciò non toglieva la voglia che in quel momento aveva di strozzarlo.
‹‹N-ne dubito fortemente, Miss...›› fece lui titubante. Come ogni uomo delle epoche passate, era sempre piuttosto imbarazzato quando si toccavano certi argomenti e Maria Vittoria sfruttava questa cosa per metterlo a disagio quando la faceva arrabbiare. ‹‹E comunque, vi ricordo che sono a conoscenza del vostro piccolo segreto e noi non vogliamo che Lord Beckett o i vostri amici inizino a guardarvi con occhi diversi...››

‹‹C-che cosa ne ricavereste divulgandolo in giro, sentiamo?›› tentò di fingersi indifferente lei, anche se la sua insicurezza si notava lontano un miglio.
‹‹Che cosa ne ricaverei non divulgandolo, vorrete dire!›› come al solito riusciva sempre a rigirare la frittata a suo favore.
‹‹S-siete davvero pessimo! Non solo per colpa vostra perderò un'altra lezione di karate, ma vi divertite pure a ricattarmi››
‹‹Mi sembrava di avervi detto che se mi avreste disubbidito ve l'avrei fatta pagare e che c'erano cose decisamente peggiori delle botte...›› sibilò lui, malefico.
‹‹C-cosa? Ma perché anche il karate: è l'unica gioia della mia vita!››
‹‹Appunto››
‹‹Siete crudeleee! E poi non vi bastava quello scherzo di pessimo gusto che mi avete giocato l'altra sera?!›› finse le lacrime, mentre lo accusava. Se doveva essere sincera, quando aveva udito quella minaccia si era immaginata una cosa come dieci mila scenari decisamente peggiori di una lezione di karate saltata.
‹‹Non so di cosa tu stia parlando››
‹‹Non fingete: non mi sono dimenticata che cosa mi avete detto quando abbiamo letto le leggi sulla legittima difesa. Anche se mai mi sarei aspettata che sareste riuscito a convincere due ladri a spaventarmi in quel modo. Magari per voi uomini non significa niente, ma vi posso assicurare che non sono cose su cui una donna sia disposta a scherzare›› concluse lei, questa volta seria.
‹‹Ma di che parlate?›› domandò lui e, questa volta Maria Vittoria poté scorgere quasi una punta di preoccupazione nella sua voce. Era indubbiamente un ottimo attore.
‹‹I due uomini che mi avete mandato in cucina! Pensate davvero che io sia così stupida da non capire che nessuno tenterebbe spontaneamente l'approccio con me? Guardate che di specchi in casa ne ho tanti e ci vedo ancora piuttosto bene›› sbottò lei, anche se le mosse successive dell'uomo iniziarono a farle sorgere qualche dubbio sulle sue considerazioni.
Mr. Mercer, in meno di due secondi fece ruotare la sedia di Mary di 180°, le pose le mani sulle spalle ed iniziò a scrollarla velocemente: ‹‹Di che state parlando? Vi hanno fatto qualcosa? Parlate, per carità!››

‹‹Niente, per fortuna hanno sottovalutato la mia forza peso›› iniziò lei, per poi rendersi finalmente conto di ciò che aveva rischiato quella notte: ‹‹Hey, aspettate un attimo: se voi non c'entrate niente con questa storia, allora... No, non voglio neanche pensarci!›› L'unica mera consolazione era che, per lo meno, se Mr. Mercer si preoccupava per le sue condizioni, non doveva essere poi così malvagio ed insensibile.
L'uomo tirò, finalmente, un sospiro di sollievo, per poi ritornare a sedersi sul letto: ‹‹Non che me ne importi, sia chiaro, ma se Lord Beckett fosse venuto a sapere che per colpa della mia negligenza vi fosse accaduto qualcosa, avrei avuto seri problemi›› No, era sempre il solito maschilista insensibile. Meno male che almeno Cutler Beckett sembrava avere a cuore le sue condizioni!
‹‹Del resto, se voi subiste un trauma, ciò potrebbe irrimediabilmente danneggiare le vostre capacità di ricerca dei manufatti che gli interessano›› annui lui, convinto.
Ottimo: neanche a Cutler Beckett importava un tubo dei suoi sentimenti. Mpf... maschi! Gente insensibile.
‹‹Come siete simpatici... comunque quando avete fatto la spia non dovete aver fatto bene i vostri calcoli, dato che ora in punizione, teoricamente, ci siete finito anche voi, dato che mi dovete controllare›› cercò di fargli abbassare la cresta, lei.
‹‹E chi ha detto che dovrò rimanere qui per tutto il pomeriggio: mi basta chiuderti a chiave e tornare ogni tanto a controllare che non ti sia trasformata in un fantasma. Non vorrei mai che tu potessi passare attraverso i muri...›› la prese in giro lui, mentre si rimetteva la giacca (e poi diceva a lei che non era normale che indossasse una felpa con quel caldo... Chi lo capisce è bravo! Nd: Mary) e faceva per uscire dalla stanza.

‹‹Hey, aspettate un attimo... E io che cosa faccio in tutte queste ore?›› cercò di bloccarlo lei. Se almeno avesse sospettato una cosa del genere, si sarebbe portata dietro qualcosa da studiare.
‹‹Ci sono dei libri piuttosto interessanti sulla mia scrivania››
‹‹M- ma hanno dei titoli strani... e poi io non capisco bene il giapponese!›› si lamentò lei sconsolata.
‹‹Potete sempre divertirvi a guardare le figure, come fanno i bambini›› la prese in giro lui, mentre girava la chiave nella toppa. Un ghigno spuntò sul suo volto mentre girava l'angolo del corridoio, nell'udire la mocciosetta che esclamava: "Che orrore! Potevate dirmelo che non era adatto ad un pubblico di minori... ma che razza di roba leggete!". Adorava prenderla in giro.
 
*30 MINUTES LATER*
Try to lock me in this cage
I won't just lay me down and die
I will take these broken wings
And watch me burn across the sky
Hear the echo saying:
I won't be silenced
Though you wanna see me tremble when you try it
 
All I know is I won't go speechless, speechless
'Cause I'll breathe
When they try to suffocate me
Don't you underestimate me
'Cause I know that I won't go speechless
 
‹‹Mocciosa! Piantala con questo strazio... ma ti sembra il caso di fare certe scene per qualche ora di punizione? Capisco il femminismo, ... in realtà non lo capisco per niente, anche se deduco di dover fingere che me ne importi qualcosa... ma qui andiamo un po' oltre!›› le gridò Mr. Mercer da sotto la finestra. Quando volevano le donne sapevano essere davvero tragiche.
‹‹Hey, mocciosa, mi hai sentito? E' inutile che mi ignori›› gridò di nuovo, non udendo alcuna risposta, per poi aggiungere ‹‹E meno male che rompevi le scatole dicendo che la vita era crudele e non ti aveva dato talenti... Non dicevi che odiavi cantare perché eri stonata come una campana?››.
Ora che ci rifletteva, però, Maria Vittoria era un disastro anche con le pronunce straniere... come aveva fatto a cantare in un inglese perfetto e con una voce che, a dire il vero, non sembrava nemmeno la sua? Che fosse... No: non voleva nemmeno pensarci.

Rientrò nell'edificio e salì le cinque rampe di scale come una furia. Se quella ragazzina aveva osato giocarlo di nuovo, questa era la volta buona che esauriva la pazienza e la utilizzava come manichino per testare le tecniche per estorcere informazioni.
 
*IN THE MEAN TIME*
‹‹Ce l'ho fatta, muhahaha! E ora voglio proprio vedere come quei due insensibili pensano di fermarmi›› ridacchiò Maria Vittoria con fare malvagio, mentre prendeva il bivio per Genova city. Contro ogni previsione, era riuscita a calarsi dalla finestra sfruttando i rampicanti che ricoprivano quasi interamente la facciata interna della villa. Inizialmente era stata frenata dalla paura, trovandosi al quinto piano, ma poi aveva testato la solidità delle piante ed aveva optato per effettuare un tentativo. Prima di tentare la sorte, tuttavia, creò una playlist costituita unicamente da una registrazione di quindici minuti vuota, a cui seguiva "Speechless" di Naomi Scott. Cliccò sul tasto "play" e lasciò il telefono sul davanzale della finestra, in modo da giocare un piccolo scherzetto a quel maschilista di Mr. Mercer. Una simpatica vendetta per lo scherzetto dei libri "non adatti ad un pubblico di minori", di poco prima.
Durante la pericolosa scalata, si sentì come Pippi Calzelunghe durante la discesa dalla torre di Tortuga dove si trovava suo padre. Ora capiva il perché di quella sua fissazione nell'avere un coltello da poter usare come appiglio nel muro. I rampicanti, per quanto resistenti, non offrivano degli ampi appigli, ragion per cui, nonostante avesse mani e scarpe piuttosto piccole, rischiò più volte di perdere l'appoggio. Se non precipitò nel vuoto fu solo perché, nonostante il tempo fosse contro di lei, si costrinse a non staccare mai più di un arto alla volta dalla parete, trucco che aveva imparato in un libro ambientato nella preistoria che aveva letto alle medie, ma di cui non ricordava nemmeno più il nome. Chi l'avrebbe mai detto che essere un topo da biblioteca un giorno le avrebbe salvato la vita?

Controllò, per scrupolo, l'orologio: le 17,40. Se riusciva a trovare subito posteggio, rischiava addirittura di arrivare in tempo, anche se ne dubitava fortemente, data la situazione parcheggi della sua città. Perché i liguri risparmiavano anche sullo spazio vitale?
 
*1 HOUR LATER*
‹‹Mary, sei sicura che non avrai problemi? Il tizio che ti controlla non sembra molto a posto con la testa›› le domandò Francesco, mentre combattevano.
‹‹Ma va, figurati se viene a prendermi fin qui! Aspetterà che io torni a casa per fare i conti>> lo rassicurò lei.
‹‹Cosa intendi con "fare i conti"? Non ti avrà mica fatto del male... perché nel caso ci penso io a proteggerti!›› fece lui convinto, sollevando il braccio per mostrare il segno dei muscoli (che non aveva).
‹‹Hem, ma no, tranquillo, non è il caso che ti disturbi per così poco›› cercò di dissuaderlo lei, preoccupata per la sua sorte. Per quanto le facesse piacere l'idea che il suo amore platonico dicesse una cosa del genere, doveva, ahi lei, rimanere con i piedi per terra. Solo tre giorni prima, alla prima avvisaglia di pericolo, si era praticamente nascosto dietro le ragazze della sua classe. E menomale che vantava di essere forte, coraggioso e di praticare cinque arti marziali differenti. Una sola parola: imbarazzante. È vero che l'amore rende ciechi, ma non così tanto! Perché non c'erano più gli uomini di una volta? E poi si lamentavano del fatto che alcune ragazze si comportassero da maschiaccio, ma grazie al cavolo: che dovevano fare? Affidarsi a queste amebe?
I due furono interrotti da due sonori colpi sulla nuca: ‹‹Piantatela voi due: siete qui per allenarvi o chiacchierare come due suocere?›› ecco il loro simpaticissimo istruttore.

‹‹ごめんなさい›› (credo che si traslitteri con "gomen'nasai" e significa "scusa" in giapponese. Nd: me) esclamarono i due in coro, scusandosi più perché temevano che potesse colpirli nuovo, che perché realmente contriti.
‹‹Innocenti, questa settimana hai già saltato due lezioni e oggi sei arrivata in ritardo›› come al solito, ogni scusa era buona per prendersela con lei.
‹‹M-mi dispiace... è che sono stata trattenuta da dei Testimoni di Geova, e...›› improvvisò lei, prendendo spunto dall'osservazione di Marta, che la prima sera aveva scambiato i soldati di Backett per dei Testimoni di Geova. Tuttavia, fu subito interrotta da un nuovo pattone: ‹‹Ma pensi che sia nato ieri? Se non hai voglia di venire, vattene e fai un favore a tutti: non abbiamo bisogno di gente svogliata che ci rallenti››
‹‹Ma, veramente, è la ragazza più forte del corso...›› tentò di difenderla Francesco, ma fu sovrastato dalla voce dell'uomo: ‹‹Ci mancherebbe, con tutto il tempo che impiega per capire anche gli esercizi più semplici. Non ho mai visto una persona più lenta di lei, in tutta la mia carriera››
"Ma se ha iniziato ad insegnare l'anno in cui ho iniziato io!" Pensò lei, anche se cercò di non darlo a vedere. (Sto tenendo il posto per le botte di Mr. Mercer, non giudicate! Nd: Mary)

‹‹Hey, bionda, puoi venire un attimo, per favore? Mi servi per mostrare un esercizio›› Mary fu salvata in extremis dal maestro, Takashi-sensei, detto maestro Cifu o Yoda, per via della sua saggezza (ma soprattutto altezza😂). Sushista stellato durante il giorno, come calava la sera si trasformava in maestro supremo, nono dan di karate, in attesa del decimo, quinto di Judo e quarto di Jujitsu.
‹‹はい 先生›› (Hai, sensei! = sì, maestro) gli rispose subito, felice (ebbene sì, era l'unica mora della palestra, ma la chiamava "bionda") Quell'uomo era la sua salvezza. Ogni volta che Marco-sensei la "bullizzava" veniva in suo soccorso, e lo stesso si poteva dire di quando gli allievi delle altre palestre le rivolgevano degli insulti maschilisti. Purtroppo era una cosa che accadeva assai di frequente e, del resto, non era semplice accettare che un'avversaria su cui non avrebbero scommesso due centesimi riuscisse a prevaricare sia nelle gare di karate, sia in quelle delle altre discipline. Una volta, alla fine di un incontro di "lotta a terra", le avevano pure urlato: "L'arbitro ti ha fatto vincere solo perché hai delle belle tette", al che era caduta nel suo solito stato cupo-depressivo. Takashi-sensei, che stava arbitrando un incontro di karate, era passato in mezzo al tatami, buttando a terra con una sola mossa entrambi i contendenti (che non c'entravano niente, tra l'altro) e, giunto di fronte al maestro degli infami, lo aveva massacrato a parole. Da quel giorno non avevano più avuto l'onore di incontrarli né in una gara, né in un'amichevole. A quanto pare Takashi ci sapeva fare con le parole, tanto quanto nel combattimento. Se avesse avuto trent'anni in meno, molte delle ragazze della sua età ci avrebbero fatto un pensierino.

‹‹Ragazzi, ora passiamo alle note dolenti: quasi tutti tirate dei buoni calci, ma nessuno riesce ancora a fare dei pugni decenti. Ora, vi farò vedere gli errori più frequenti. Tirerò su Maria Vittoria, proprio per dimostrarvi che tecniche effettuate in questi modi non producono forza sufficiente nemmeno per provocare un minimo di dolore›› non appena udì queste parole, Mary si fece il segno della croce. L'ultima volta che l'aveva detto, l'avrebbe scagliata fuori dalla finestra, se non fosse stato per suo nipote che l'aveva afferrata al volo appena un attimo prima della catastrofe.
Come ipotizzato, dopo nemmeno due minuti aveva già lo stomaco sottosopra e una valangata di lividi appena sotto il collo. Del resto non era nemmeno colpa sua, dato che, causa "canotti", non lasciava molto spazio libero da utilizzare come bersaglio.

L'unica consolazione in quella situazione era la certezza che, per lo meno, Lord Beckett e suoi uomini non l'avrebbero mai vista in quello stato. E non parlava solo dello stato pietoso in cui versavano i suoi capelli. Preferiva che le sue minime abilità nel combattimento rimanessero nascoste. Per gli uomini delle epoche passate era già un duro colpo sapere che le donne avevano ottenuto le stesse opportunità degli uomini in ambito culturale e giuridico, figurarsi se avessero scoperto che gli era permesso anche combattere. Inoltre, più i "Settecenteschi" la sottovalutano e meglio era. L'unico ad aver notato qualcosa era Mr. Mercer, ma era talmente distratto dalla battaglia che probabilmente non ci aveva fatto nemmeno troppo caso. E poi, la sua misoginia non gli avrebbe mai permesso di formulare un pensiero che contenesse le parole "donna" e "forte" all'interno della stessa frase. Ad ogni modo questo era praticamente impossibile. Cioè, quale Lord inglese avrebbe mai messo da parte il suo orgoglio per strisciare sotto un letto? Il solo pensiero di una tale eventualità le fece quasi scappare una risata.

‹‹KABOOM!›› Un fragore assordante, unito alle urla indistinte di una voce tremendamente familiare, posero fine alle sue sofferenze.
 
 
‹‹Che diavolo sta succedendo?›› l'istruttore si fece subito avanti, con l'intenzione di controllare quale fosse la causa dell'improvvisa confusione. Fu, tuttavia, respinto da una lunga fila di giubbe rosse armate di fucili con baionetta.
‹‹Uomini, ALT! In posizione! Prendere la mira e tenersi pronti a fare fuoco al primo movimento sospetto. Recuperiamo Miss Innocenti e ce ne andiamo›› all'ordine di Beckett, gli uomini si disposero a semicerchio intorno all'entrata della stanza in cui si stavano allenando, puntando le armi contro i karateghi (è italianizzato😅). Il Lord si fece avanti con passo sicuro e sguardo fiero. Un ghigno soddisfatto gli solcava il volto, come a voler dire: "Davvero pensavi di poter vincere contro l'immenso, incredibile ed onnipotente me stesso? Povera illusa".
"Ma cos'ha da ridere quello! Adesso lo arrestano e poi voglio proprio vedere se ha ancora così tanta voglia di ghignare!" Se c'è una cosa che Mary davvero non sopportava, era quell'espressione arrogante tipica di quei ricconi o nobili decaduti che non hanno rispetto per nessuno. Che odio!

Nel mentre Maria Vittoria fingeva di non conoscerli, imbarazzata oltre ogni modo dalla figuraccia che era certa le avrebbero fatto fare. "Ma andiamo, pure l'esercito si doveva portare sotto il letto, pur di fare scena? Sembra Marco-Sensei quando vede passare mia madre..." pensò, sorpresa ancora una volta dalla propria sfortuna.
‹‹Hey, che diavolo fate? Non potete stare qua!›› gli gridò Marco-sensei, per nulla intimorito dalla situazione men che meno dall'arroganza dell'uomo.
Vuoi perché l'istruttore si era espresso in italiano, voi perché Lord Beckett possedeva, effettivamente, un ego superiore a quello di Lord Farquaad di Shrek, Cutler non lo degnò manco di uno sguardo: ‹‹La ragazza, dove la nascondete? Consegnatemela, se avete care le vostre vite>>

‹‹Hem, veramente sono proprio qui davanti a voi›› tentò di segnalare la sua presenza la ragazza, ma fu completamente ignorata (come al solito).
‹‹Vi ripeto che non potete stare qui. È una struttura comunale e dubito che abbiate ricevuto alcuna autorizzazione per portare avanti questa pagliacciata. Andatevene immediatamente, oppure chiamo la polizia!›› si fece avanti Takashi-sensei, parlando in Inglese. Come al solito, era l'unico a capire come fosse meglio agire nelle situazioni delicate.
Il termine “police”, com’era prevedibile, fece accapponare la pelle a Mr. Mercer e fece indietreggiare tutti i “Settecenteschi” di quattro o cinque passi. Il ricordo delle peripezie affrontate da Mary e Mr. Mercer nei giorni precedenti era ancora ben impresso nelle loro menti. Per loro tale termine sembrava quasi indicare un’entità, più che un insieme di persone fisiche, ragion per cui temevano la “polizia” e le restrittive leggi italiane moderne, quasi al pari di Davy Jones. Mari Vittoria aveva provato a spiegargli che, qualora anche fossero stati arrestati, non avrebbero dovuto lavorare per 100 anni sulla “Prigione” (sì, si erano convinti che fosse un vascello spettrale simile all’Olandese Volante), per poi fondersi con essa e diventare un tutt’uno. Questi testoni, tuttavia, non accennavano a smettere di preoccuparsi inutilmente per quella che era una semplice istituzione statale. Lo scopo delle forze armate era quello di preservare l’ordine pubblico e di aiutare le persone, non di traumatizzarle a vita!

Trascorse qualche secondo, prima che Lord Beckett riuscisse a ristabilire l’ordine tra le file, tempo che i compagni di karate di Mary utilizzarono per rivolgerle occhiate interrogative.
‹‹He, he… ve l’avevo detto che avevo avuto qualche divergenza teologica con dei testimoni di Geova…›› improvvisò lei, mentre l’istruttore la fissava scioccato. Che le sue bizzarre scuse per ritardi e assenze fossero vere? Impossibile: doveva trattarsi per forza di una coincidenza. In caso contrario, a sentire le sue storielle, si sarebbe persa nella selva oscura, sarebbe stata presa in ostaggio da dei mafiosi che giravano film a luci rosse e salvata da un prete con una capra da guardia, sarebbe stata spinta in una bara dalla nipote dell’addetto alle pompe funebri, che era gelosa del rapporto che aveva con il nonno, avrebbe dovuto svolgere delle missioni segretissime, di cui non poteva rivelare nulla, se non che il Presidente aveva bisogno di lei, e tante altre motivazioni assurde. Una volta aveva persino affermato di aver dovuto prendere parte al ballo per i giovani nobili di Vienna e, questo era impossibile per ovvie ragioni (Maria Vittoria si divertiva a scherzare con i coetanei, dicendo che i suoi familiari erano tutti servi della gleba da generazioni e generazioni). Dopo aver parlato si era messa a ridere anche lei. Dire che non era capace di mentire era un eufemismo.

Solo in quel momento, i “Settecenteschi” si avvidero della sua presenza: ‹‹Miss Innocenti, m-ma cosa… Come vi siete vestita? Siete scalza, per giunta›› Cutler Beckett era a dir poco scandalizzato.
‹‹Mio Lord, guardate: ci sono anche altre fanciulle vestite allo stesso modo. Cos’è questa… promiscuità?›› gli fece eco Groves, che non riusciva a credere ai suoi occhi. E lo shock non derivava solo dal fatto che i maschi si fossero galantemente nascosti dietro le ragazze.
‹‹Che cosa penseranno i loro genitori?››
‹‹GILLETTE!›› urlarono tutti all’unisono, temendo che ricominciasse con le sue sceneggiate da padre mancato. Se fosse stato una donna, Mary avrebbe pensato ad un caso di gravidanza isterica.
‹‹E questi vestiti succinti, poi?›› esclamò Mr. Davis, allibito dal fatto che indossassero degli abiti da uomo in stile orientale.
‹‹Vorrei farvi notare che questi vestiti succinti sono una divisa indossata da tutti i praticanti di Karate in tutto il mondo. Tutti: uomini e donne. E anche in discipline come il judo vi sono dei vestiti simili›› intervenne Mary, prima che una delle sue compagne perdesse definitivamente le staffe e li trucidasse.
‹‹E con quelle scollature oltraggiose come la mettiamo? Proprio voi parlate, con quelle vostre… meglio se mi fermo qui››
‹‹E’ il modello che è fatto così, per facilitare la vestizione. Proprio così, vedete?›› fece lei, iniziando a slacciare la cintura per potergli dare una dimostrazione.

Le reazioni dei “Settecenteschi” furono le seguenti:
‹‹NOOO!››
‹‹SIGNORINA, NON LO FACCIA!››
‹‹LONTANO DA ME, SATANA!››
‹‹SCOSTUMATA!››
‹‹MA CHE ORRORE! Non poteva essere quella bella ragazza bionda là dietro a… AHIA! Che c’è, sto solo dicendo ciò che pensiamo tutti›› Mr. Davis si massaggiò il capo dolorante, dopo che Mr. Mercer l’aveva accoppato sotto ordine di Lord Beckett.

‹‹BASTA!›› urlò Maria Vittoria, perdendo la pazienza ‹‹Ma non vedete che ho una maglietta sotto?››
‹‹Fiu!›› sospirarono tutti di sollievo. Se Mary, normalmente, aveva un’autostima piuttosto bassa, dopo questo non era più nemmeno sicura di possederne una. E meno male che dicevano che nel ‘700 piacessero le donne “in carne”. Ma soprattutto, per quale arcano motivo si erano trascinati dietro anche un pastore? Non erano tutti atei? Bah, misteri della fede.
‹‹Anche le altre?›› domandò Cutler Beckett, ancora scettico.
‹‹Sì›› sibilarono le ragazze, folgorandoli con gli occhi.
‹‹Ma e se vi si strappasse la maglietta?››
‹‹Sotto abbiamo una canottiera››
‹‹E se vi si strappasse la canottiera?››
‹‹Sotto abbiamo il paraseno o le fasce contenitive››
‹‹E se vi si strappano quelli?››
‹‹Avete una vaga idea di cosa siano spessi quei corpetti? L’unica che è riuscita a romperne uno da sola è Maria Vittoria›› la prese in giro la bionda, ridacchiando.
‹‹Io l’avevo detto che per me era troppo stretto›› bofonchiò lei, imbronciata, suscitando una risata generale, da parte dei compagni. I soldati, invece, continuavano ad analizzare la situazione, incerti.
‹‹E, comunque, sotto abbiamo il reggiseno sportivo e, alcune di noi anche quello normale sotto›› finì di descrive l’abbigliamento una ragazza con i capelli rossi.

‹‹Hmm… va bene›› assunse Lord Beckett. Maria Vittoria si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, azione che le fece quasi andare la saliva di traverso, quando lo udì parlare ancora: ‹‹E se…>>
‹‹MA BASTA!›› esclamarono tutte in coro.
‹‹E’ vero che pratichiamo sport, ma non stiamo mica andando in guerra: quando mai potrebbe capitarci una cosa del genere?›› fece notare la rossa ‹‹E poi, scusate tanto, ma ai maschi non pensate? Non sarebbe la prima volta che gli si strappano i pantaloni e loro indossano anche meno strati di noi››
‹‹E questo che, centra, scusate?›› il tenente Gillette inarcò un sopracciglio, non capendo dove volesse arrivare. Quando si è talmente maschilisti che non ce ne si rende nemmeno più conto.
‹‹Lasciamo perdere›› tagliò corto Maria Vittoria, prima che le sue compagne entrassero in modalità amazzoni fuse con cacciatrici di Artemide durante una manifestazione femminista. ‹‹Avete altre domande sulle usanze orientali, o possiamo andare avanti?››

‹‹Oh, eccome se ne abbiamo, signorinella!›› la rimbeccò Mr. Davis, mettendosi a braccia conserte, come per darsi un taglio da “duro” ‹‹Cos’erano quelle posizioni poco consone in cui vi siete esibiti poco fa?››
‹‹Di che parlate?›› domandò lei, dubbiosa ‹‹Se vi riferite a ciò che avete visto adesso, vi posso assicurare che…››
‹‹Anche quello, ma ci riferivamo più a quello che è avvenuto prima: pensavate che non saremmo venuti a saperlo?››
‹‹Ma voi… da quanto ci state osservando, esattamente?›› domandò la ragazza, curiosa.
‹‹Non sono affari che vi riguardano›› la freddò Cutler Beckett.
‹‹Co-come sono affari che non mi riguardano›› balbettò lei, per il nervoso, mentre le partiva un tic all’occhio sinistro.
‹‹Lord Beckett, se non se ne rende conto lei, glielo spiego io, se me lo consentite. Trovo doveroso correggere gli errori di queste povere fanciulle. Ho potuto conversare con Miss innocenti solo un paio di volte, ma non mi ha fatto una cattiva impressione. Sono sicuro che se le indicheremo la retta via, tornerà ad essere una donna ricca di virtù›› si fece avanti Groves.
‹‹Hey!››

‹‹Mi sembra un’ottima idea, tenente›› concordò il Lord ‹‹Mr. Mercer, quando questa vicenda sarà finita, ricordatemi di valutare una promozione per Mr. Theodore Groves››
‹‹Non dubitatene, mio signore››
Era solo una sua impressione, oppure quei due si divertivano a promuovere tutti quelli che le creavano dei problemi?
‹‹Allora, direi che possiamo sederci: il nostro racconto inizia con…››
 
*IMMAGINARSI NUVOLETTA CON RICORDI*
‹‹Lord Beckett, ci siamo!››
‹‹E’ questo il posto?›› domandò Lord Beckett, incerto. Quando aveva studiato la cartina di Genova, non si aspettava, certo, che il gymnasium di Maria Vittoria si trovasse in un luogo così angusto e, soprattutto in una zona tanto pericolosa. Solo per arrivare lì, erano già stati importunati da una trentina di delinquenti, e loro erano cinquanta soldati esperti e armati fino ai denti. Non poteva credere che una ragazzina così goffa ed ingenua riuscisse ad arrivarci tutta intera.
‹‹La cartina conduce proprio qui, mio signore, però non possiamo esserne certi finché…››
PATAPUM!

‹‹INNOCENTI! TI SEMBRA QUESTA L’ORA DI ARRIVARE? FAI IMMEDIATAMENTE 200 PIEGAMENTI SULLE BRACCIA E POI CORRI AD ALLENARTI CON GLI ALTRI? E GUAI SE MI ACCORGO CHE NON SEI RIUSCITA A FINIRLI IN DIECI MINUTI! SONO STATO ABBASTANZA CHIARO?›› La voce tuonante di Marco-sensei si udì nitidamente anche a quella distanza.
‹‹Lo prendo per un sì›› ghignò Cutler Beckett, a metà tra il soddisfatto e il divertito ‹‹Perché ridete, Mr. Mercer?››
‹‹Perché sono le 17,56 e sono abbastanza certo che il suo corso iniziasse alle 18 in punto. Non vorrei trarre conclusioni affrettate, ma penso che abbia sfruttato il fatto che la campana della chiesa qui accanto suoni con quattro minuti di anticipo, per prendersi gioco di lei›› rivelò lui, continuando a sghignazzare.
‹‹Severo›› commentò Mr. Davis, facendo un fischio di apprezzamento.
‹‹INNOCENTI: SONO GIA’ PASSATI DIECI MINUTI, E NON SEI ARRIVATA NEMMENO A 150! FATTI 100 GIRI DI CORSA, SE NON VUOI FARMI ARRABBIARE ANCORA DI PIU’!››
‹‹Quanti minuti sono passati, signor Mercer?››
‹‹37 secondi circa, My Lord››
‹‹Molto severo›› si corresse Mr. Davis, iniziando a ridacchiare, anch’egli.
‹‹Ma siete sicuri che Miss Mary sia giunta qui di sua sponte? Non l’avranno minacciata?›› domandò Theodore Groves, preoccupato.
‹‹No, è solo ancora più stupida di quel che sembra›› rispose Mr. Mercer, mentre precedeva gli uomini, verso la struttura.
 
“Hey, ma davvero mi ha mentito, sensei?”
“Non so di cosa tu stia parlando”
“Ma…”
“Zitta e fai altre 50 trazioni”
“Ma non le so fare!”
“Allora vedi di imparare nei prossimi 30 secondi”
 
‹‹Ma che stanno facendo? Perché tutte queste ragazze si trovano così vicine a degli uomini, senza degli accompagnatori e a quest’ora della notte, per giunta?›› domandò il tenente Groves, affacciato, come glia altri ad una delle grandi finestre che si aprivano sul soffitto della struttura.
 
“Scusate, ma voi combattete a più di due metri di distanza? No, perché nel caso vi presento quelli di karate tradizionale”
“Zitta e torna a fare i tuoi addominali!”
“Ma non erano trazioni?”
“Zitta e falle entrambe, già che ci sei”
 
‹‹Niente di conveniente, questo è certo›› constatò Mr. Davis.
‹‹Non diamo giudizi affrettati, per favore. Maria Vittoria avrà anche delle usanze strane rispetto alla nostra epoca, ma è pur sempre una bambina… è ancora troppo giovane per certe…›› cercò di difenderla Gillette, interrotto, però da Mr. Davis: ‹‹Perché è saltata in braccio ad un ragazzo?››
 
“E’ solo un esercizio per far lavorare meglio gli addominali. Io faccio da base a tutte le altre ragazze, ma quando tocca a me, devo farmi aiutare da un ragazzo. Sono troppo pesante per loro”
 
‹‹C-cosa, fammi vedere!›› fece Gillette, allucinato ‹‹M-ma non ci credo… Sono sicuro che si tratti solo di un’illusione ottica››
‹‹INNOCENTI! MUOVTI CON GLI ESERCIZI!››
‹‹Lo dicevo io che stava studiando per diventare una gheisha›› annuì Mr. Mercer, soddisfatto per aver trovato una conferma alle sue teorie.
 
“Ancora con questa storia! Ma lo volete capire che se io diventassi una ragazza dai facili costumi farei scappare i clienti del mio padrone?”
 
‹‹No, non è un’illusione… ma sono certo che si tratti, comunque, di un equivoco. Sarà confusa: magari non sa nemmeno chi sia quel ragazzo››
‹‹Dubito fortemente che scorderebbe il ragazzo di cui è follemente innamorata da quando ha tre anni›› Mr. Mercer fece definitivamente crollare le sue speranze ‹‹Ma puoi stare tranquillo: lui sbava dietro a qualunque essere che respiri a parte lei››
 
*FINE RICORDO*
Groves si rese conto solo in quel momento che, forse, avrebbe dovuto saltare quella parte. Si voltò verso Maria Vittoria, per vedere come stesse e la trovò bloccata a mezz’aria, ancora nella posizione tipica degli addominali. Teneva lo sguardo basso, sfoggiando un’espressione impassibile, ma si capiva lontano un miglio che stava facendo sforzi da ernia per non scoppiare a piangere. Il rossore che, lentamente, gli stava colorando le guance ne era una chiara evidenza. Non aveva il coraggio di sollevare il capo. Se avesse visto i suoi compagni fissarla, cosa che era praticamente certa stesse succedendo, dato il pesante silenzio che si era creato, sarebbe morta dall’imbarazzo.
‹‹Ci sono altre domande?›› domandò lei, con voce cupa. La calma che precede la tempesta (dal punto di vista delle lacrime, dato che da un momento all’altro avrebbe iniziato a piangere e non si sarebbe fermata tanto presto).

In risposta, un altro silenzio stremante. La gente, di solito, non faceva altro che ignorarla ed interromperla. Com’è che questa volta non avevano nulla da dire?
A salvarla dall’imbarazzo Mr. Mercer: ‹‹Bene, se abbiamo finito possiamo portarcela via›› che si sentisse, indirettamente, in colpa per quanto appena accaduto? Ne dubitava fortemente, dato che quando ne avevano parlato a casa, gli aveva dato dell’ameba codarda, del baccalà imbambolito e del sodomita inconsapevole (ma gli antichi avevano davvero subito un trauma con i gay: che problemi avevano con loro?).
‹‹Forza, che a casa c’è la torta salata di patate che mi aspetta›› ecco, appunto.

‹‹Eh, no, tu non vai da nessuna parte!›› contro ogni aspettativa, a parlare fu proprio Marco-sensei, che lo afferrò per una spalla e lo spinse indietro. Un’esclamazione di stupore si espanse per la sala. Quell’uomo era davvero riuscito a spintonare Mr. Mercer? Da non credere.
‹‹Fammi passare›› ringhiò lui. Si vedeva che stava dando fondo a tutta la sua (inesistente) pazienza, per evitare di spaccargli la faccia.
‹‹Forse non ci siamo capiti bene, colosso: nessuno toccherà uno dei miei allievi, finché ci sono io qui ad impedirlo›› scandì per bene, ad alta voce, mentre si posizionava davanti a lei, seguito a ruota dal maestro e da tutti i compagni di Mary. Quest’ultima, era scioccata oltre ogni modo dall’evolversi dei fatti. Ma Marco-sensei non la odiava oltre ogni immaginazione?
‹‹Oltretutto, se lascio che rapiate questo impiastro, come farò a conquistare sua madre?›› aggiunse l’istruttore, ridacchiando. Questo spiegava molte cose.
‹‹Non credo che maltrattarla possa giovare alla vostra causa›› gli fece notare Mr. Davis, mentre cercava invano di trattenere una risata. Avere intorno quella ragazzina si stava dimostrando decisamente più divertente di quanto non si aspettasse.
‹‹E chi la maltratta? Cerco solo di…››
KABOOM!

‹‹POLIZIA! Mani in alto! Che nessuno si muova!››
‹‹NO! Non di nuovo!›› Esclamarono Mr. Mercer e Mary, contemporaneamente.
“Ti prego, fa che non siano gli agenti Bianchi e Rossi!” Maria Vittoria implorò tutti i santi di cui ricordava il nome, ma evidentemente il suo sforzo non fu sufficiente, dato che il drappello di poliziotti che entrò dalla porta era capeggiato proprio dai due in questione.
‹‹Signorina Innocenti, ma lei è un incubo!›› fu la prima cosa che disse Bianchi, non appena mise a fuoco la scena. Perché certo, di tutti i soldati vestiti con abiti del ‘700, le armi non omologate e non autorizzate e i suoi compagni alti un metro e 80 che le stavano davanti, lui notava proprio lei, accucciata dietro la folla?
‹‹Mi dispiace›› sussurrò lei, mentre lottava con sé stessa per trattenere le ormai prossime lacrime. Se proprio doveva affrontare un altro interrogatorio, quello era veramente il momento meno indicato.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10- Mostri degli abissi, navi spettrali e donzelle in pericolo ***


Capitolo 10- Mostri degli abissi, navi spettrali e donzelle in pericolo.
 

Anno 1729, 15 maggio, h 21,30
Mar dei Caraibi (Perla Nera)
 

‹‹Miss, è tardi, non dovreste essere nella vostra cabina?›› La domanda di pura cortesia dell’ex Commodoro, fu vista come un implicito tentativo di approccio da Marta. Quest’ultima, che non vedeva l’ora di trovare l’occasione per appartarsi in un luogo solitario con lui, gli si appiccicò al braccio ed iniziò a gracchiare con una vocetta stridula: ‹‹Oh, James, come sei premuroso!››
‹‹Hem, veramente sto solo facendo il mio dovere, Miss…›› tentò di spiegarsi lui, mentre cercava invano di scollarsela di dosso ‹‹Non credo che sia molto appropriato, Miss… Non vorrei mai che qualcuno potesse dubitare delle vostre intenzioni. Non potrei mai perdonarmelo!››
I goffi tentativi dell’uomo di riacquistare il proprio spazio vitale, non fecero altro che animare maggiormente la rossa: ‹‹Oh, ma che carino! Siete preoccupato per me, non è vero? Avanti, non siate timido: nessuno verrà mai a disturbarci fin qui›› Non era dunque un caso, se Marta si era accidentalmente fatta notare, mentre saliva sull’albero maestro, casualmente durante il turno di guardia di Norrington.

‹‹E’ proprio questo quello che mi preoccupa, Miss›› sospirò il poveretto, sconsolato. Sentiva, finalmente, di capire che cosa avesse provato Miss Swann in tutti quegli anni in cui l’aveva corteggiata ed assillata costantemente. E con costantemente, intendeva gli “autoinviti” al suo tè con le bambole (non c’è da stupirsi se a otto anni la poveretta aveva deciso di riporre le bambole e tirare fuori i libri sulle avventure dei pirati), quando magicamente, doveva prendere dei libri in prestito dalla biblioteca della magione Swann, proprio quando lei era intenta nello studio, quando insisteva ad accompagnarla a fare shopping o a passeggiare, con la scusa di doverla proteggere dagli agguati delle iguane o quando aspettava che diluviasse per andare a trovarla. Gli veniva la febbre alta, ma per lo meno poteva rimanere qualche giorno a casa sua e, talvolta, Mr. Swann obbligava pure la figlia a portargli le medicine. (Sembrava quasi che qualcuno lo avvisasse dei suoi spostamenti, ma chi avrebbe mai fatto una cosa simile? COUGH, COUGH! Governatore Swann, COUGH! Nd: tutti)
‹‹Oltre a bello ed intelligente è pure simpatico!›› civettò lei, felice.
‹‹Talmente intelligente che quando Elisabeth gli ha promesso di sposarlo, se si fosse scontrato con la ciurma di Barbossa e salvato Will Turner, lui le ha creduto. Ovviamente, dopo essere riuscito nell’impresa suicida, si è visto soffiare la fidanzata dall’apprendista maniscalco›› la voce, proveniente dalla zona di avvistamento, collocata poco più in basso, fece quasi venire un infarto ai due piccioncini.

‹‹Lucia, c’è un qualche particolare motivo per cui sei dovuta salire fin qui, interrompendo questo magico momento?›› domandò Marta, il cui tono della voce lasciava vagamente intendere intenti omicidi.
‹‹Sotto coperta c’è troppa confusione: non si riesce a dormire›› rispose lei, con uno sbadiglio.
‹‹Fammi capire: tu che non hai voglia nemmeno di sollevare il tuo regale fondoschiena dal divano, hai deciso, così all’improvviso, di farti una scalata, proprio mentre cerco di concretizzare il mio amore?›› mentre lei parlava, James Norrington impallidiva sempre di più e pregava tutti i santi del paradiso di aiutarlo ad uscire da questa brutta situazione. Se la bruna non fosse saltata fuori dal nulla, chissà che cosa sarebbe successo.
‹‹Ho convinto questi due incompetenti a portarmi fin qui. Ora, se non ci sono altre domande, vorrei dormire… fate quello che dovete fare, ma in silenzio, grazie!›› rispose lei, girando gallone.
‹‹Aspetta, hai detto questi?›› volle indagare Marta, anche se temeva di conoscere già la risposta.
‹‹Proprio così, siamo qui, ma non fate a caso a noi›› Pintel uscì dal suo nascondiglio, seguito a ruota da Raghetti che, come al solito, si fece scappare qualcosa di troppo: ‹‹Sì, siamo venuti solo per assistere, hihihi… Ahi, cos’ho detto di male?››
‹‹Perché non puoi mai stare zitto?›› sospirò l’altro, con aria da uomo vissuto, manco fosse molto più sveglio del compare.

‹‹Qualcun altro?›› quasi ringhiò la rossa, anche se i presenti, probabilmente, non percepirono il tono sarcastico, dato che non impiegarono molto a rispondere e manifestarsi. A causa della poca luce, Marta riuscì a distinguere solo una dozzina di volti, ma il numero delle voci lasciava presagire che fossero molti di più. Avrebbe giurato che l’intera ciurma si fosse coalizzata per rovinare il momento più bello della sua vita. E quando diceva tutta, intendeva anche quella scolopendra infida del pappagallo di Cotton. Del resto, come non aspettarselo, dato che da quando aveva messo piede su quel relitto fatiscente, quell’uccellaccio non aveva fatto altro che darle problemi. Le spettinava i capelli, strappava i bottoni dalla camicetta (e quando passava Norrington le impediva di allargare la scollatura), rovinava la biancheria stesa e rubava le noccioline dal piatto (tra l’uccellaccio e Sparrow, non riusciva a mangiare un’arachide che fosse una da quando si erano imbarcati… e lei amava la frutta secca). Ed era veramente troppo permaloso per essere un pennuto parlante. Ci credereste che se l’era presa solo perché aveva proposto di impagliarlo e venderlo ad un collezionista? La sua bellezza sarebbe stata eternata (e lei avrebbe fatto tanti soldi, muhahaha) e lui si lamentava e faceva la prima donna? Semplicemente assurdo.

L’unica voce che non udì fu quella del suo padrone, per ovvi motivi. La ragazza volle pensare che il motivo del silenzio fosse dovuto all’effettiva assenza dell’uomo e che la ciurma avesse avuto, per lo meno, la decenza ed il buon senso di lasciarlo al timone. Anche perché in caso contrario, potevano avere qualche piccolo problemino, come ad esempio perdersi in mezzo all’oceano, morire di fame e sete e non vedere mai più la terra ferma. Non volle, tuttavia, pensare troppo a quell’eventualità.
Le sembrò di notare persino la figura traballante di “Capitan Jack Sparrow”, barcollare avanti ed indietro lungo il ponte della nave, inseguito dal suo fedele scudiero secondo, Mastro Gibbs. Marta non aveva visto i film della Disney, ma non le ci era voluto molto tempo per capire che in quell’uomo qualcosa non quadrava. E non si trattava solo dei neuroni… Da quando erano partiti da Tortuga, si era dimostrato sempre più freddo e scostante e, cosa ancora più grave, l’idea di tentare l’approccio con una delle fanciulle non l’aveva nemmeno sfiorato. Si trattava di un insieme di piccoli particolari nel suo atteggiamento che stonavano completamente con la descrizione che Elisabeth, Lucia e Francesca le avevano dato, anche se, a loro detta, doveva essere colpa del forte stress, cui era stato sottoposto da Davy Jones.

Francesca si trovava a prua, seduta sulla punta dello scafo con una grazia, mista a casualità organizzata, che solo una vera Mary Sue poteva possedere. I lunghi boccoli dorati (sì, quelli delle Mary Sue splendono di luce propria e possono essere intravisti anche nel buio) erano accarezzati dalla brezza gentile della sera, che sembrava essere molto meno indulgente nei confronti del resto della ciurma. E con meno indulgente, intendeva che questi ultimi avevano dovuto “ancorarsi” all’albero maestro con delle funi o, comunque, rimanere aggrappati a qualcosa di solido, onde evitare di essere sbalzati fuori bordo.
‹‹Ehi, ma come ci riesce?›› domandò, per l’appunto Raghetti, per quanto fosse ammaliato dalla splendida visione.
‹‹Ma non ha freddo?›› gli fece eco il compare, notando la leggera veste candida che svolazzava seducentemente intorno alla sua figura perfetta (Stile Saori Kido in Saint Seiya durante la battaglia ad Asgard, per intenderci). Ad onore delle sue parole, il resto della ciurma stava praticamente congelando, nonostante l’abbigliamento fosse decisamente più pesante di quello della fanciulla.
‹‹Si chiama charme…›› commentò sarcastica Marta, per nulla felice all’idea che l’amica le stesse rubando completamente la scena. ‹‹Comunque, Fra, vedi di contenere le tue attractive poses: tu hai già figliato, io invece devo ancora cominciare, hihihi…›› mentre pronunciava l’ultima frase, si incollò ancora di più a James Norrington, rivolgendogli degli sguardi seducenti che, però, non facevano altro che far impallidire il poveretto.
In tutta risposta, Fra si voltò e, dopo averla fulminata con lo sguardo sollevò il dito medio in sua direzione, per poi alzare i tacchi e dirigersi verso la cabina del capitano, tra i fischi e gli applausi di incoraggiamento della componente maschile.

Marta la fulminò con lo sguardo, per poi passare a trucidare (visivamente) il resto dei “terzi incomodi”: ‹‹E voi altri? Avete finito o volete lasciarmi vivere il mio sogno d’amore in pace?››
‹‹Devi proprio dire tutto quello che ti passa per la testa? Conosci le parole discrezione, contegno, riservatezza?›› la rimbeccò Lucia, stufa di essere continuamente disturbata proprio quando stava per addormentarsi.
‹‹SI’! E se ci tenete alle vostre vite, vi CONSIGLIO CALDAMENTE DI SEGUIRE L’ESEMPIO DI FRA!››
‹‹SISSIGNORA!›› le risposero tutti in coro, prima di darsela a gambe, ignorando gli sguardi imploranti di Norrington, che non aveva nessuna intenzione di rimanere da solo con quella bestia di satana soave fanciulla. I pirati, tuttavia, non si sentirono per nulla in colpa all’idea: quando mai gli sarebbe ricapitata un’occasione del genere per farla pagare ad un uomo di legge che li perseguitava da anni?
‹‹Hem, hem, dove eravamo rimasti?›› attaccò bottone Marta, fingendo un paio di colpi di tosse.

‹‹Se non ricordo male, vi stavo raccomandando ti tornare nella vostra stanza, vista l’ora tarda…›› tentò di chiudere l’inattesa serata, lui.
‹‹Oh, ma come siete premuroso! Proporvi per scortarmi nella mia stanza: che pensiero nobile!›› colse al volo l’occasione Marta.
‹‹M-ma certo, per me è solo un piacere… Non vorrei mai che potesse accadervi qualcosa qua fuori. Sapete, con la fauna che circola su questa nave…››
‹‹Oh, si prospetta una meravigliosa serata…›› ghignò la rossa, soddisfatta.
‹‹Come dite?››
‹‹Sapete com’è: un bell’uomo si offre di accompagnare una splendida fanciulla nella sua camera da letto, di notte, quando non c’è anima viva. Poi una cosa tira l’altra, e…››
‹‹Ma perché andare a dormire quando qui fuori c’è uno splendido cielo stellato, io mi domando…›› cambiò subito tattica, lui, comprendendo solo in quel momento cosa stesse progettando quella sfacciata.
‹‹Oh, James caro, non ti facevo così romantico›› sospirò lei, con occhi sognanti, appiccicandosi ulteriormente al braccio e alla spalla dell’uomo.
‹‹M-ma io veramente…››
‹‹Shhh›› lo zittì lei, piano, per poi tentare di intrigare il bell’imbusto con uno sfoggio di cultura (acquisita in prigione, ma dettagli) ‹‹Le stelle si vedono davvero bene da quassù, e le costellazioni sono così nitide che sembra quasi di intravederne le linee di congiunzione immaginarie››

‹‹Conoscete le costellazioni, Miss?›› domandò lui, questa volta sinceramente incuriosito. Non capitava tutti i giorni di incontrare una damigella esperta in quel settore.
‹‹Ci sono tante cose che non conoscete di me, ma sono certa che avremo presto modo di farlo più a fondo…›› gli sussurrò con voce seducente, a pochi millimetri dal suo orecchio, facendolo rabbrividire. Notando il suo disagio, tuttavia, si sentì costretta a tornare sul piano “cultura generale”: ‹‹E non ne conosco solo i nomi e le posizioni, ma anche le storie che vi si celano dietro››
‹‹Dite davvero?›› domandò lui, seriamente colpito da quelle parole.
“Povero ingenuo: non so nemmeno trovare la stella polare. Ma mi basterà dire il nome di una costellazione e indicare un punto a caso nel cielo, muhahaha!” ridacchiò mentalmente la ragazza, per poi proseguire con la sua performance: ‹‹Ma certamente: sono un’appassionata di astronomia, miti e leggende io, cosa credi?››
James Norrington, fece per rispondere, ma fu preceduto da Lucia: ‹‹Io penso che tu non sappia nulla, ma che stia pensando di raccontare a pappagallo le storielle di Mary per fare colpo sul Commodoro. Imbarazzante››

‹‹Ma devi proprio rimanere qui a spiarmi per tutta la c***o di notte?›› ribatté la rossa, incavolata come non mai.
‹‹No, sarebbe troppo faticoso. Per ora mi limiterò ad ascoltare quello che dici e ad intervenire ogni volta che spari una cavolata. Tutto questo finché, ovviamente, non deciderete di trovarvi un altro posto per fare baccano e mi lascerete riposare in pace››
‹‹Grrr… Sei proprio una s*****a, quando ti ci metti, sai?››
‹‹Lo so›› disse lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
‹‹Ti odio››
‹‹Lo so›› rispose con lo stesso tono di prima.
‹‹Antipatica!›› borbottò di rimando, per poi rivolgersi nuovamente a James: ‹‹Dov’eravamo rimasti? Ah, sì, i miti nascosti dietro alle costellazioni. Ad esempio, conoscete la storia di Cassiopea e Andromeda?››
‹‹No, Miss›› rispose l’uomo, sinceramente incuriosito. Se queste storie si fossero dimostrate effettivamente interessanti, avrebbe sempre potuto sfruttarle per fare colpo su Miss Swann, approfittando dell’assenza del rivale.
‹‹Oddio, ci risiamo›› le lamentele di Lucia furono brutalmente ignorate.
‹‹C’era una volta, tanto tempo fa… (immaginatevi il racconto pari pari di Mary) E sempre citando Mary, attenzione che se il sacrificio non è una bella gnocca non funziona, eh!›› concluse il racconto Marta, ridacchiando al ricordo dei commenti dell’amica.

‹‹E’ la prima volta che sento una storia del genere, e devo ammettere che non è niente male… Anche se mi domando chi è questa Mary di cui voi ragazze continuate a parlare da quando ci siamo imbarcati?›› commentò Norrington.
‹‹Una nostra amica: è molto dolce e sensibile ed anche la persona più intelligente che io conosca›› rispose Marta, felice.
‹‹Hai dimenticato asociale, sovrappeso e tuonata››
‹‹Sempre dolce come l’acido muriatico sul pane tostato la mattina›› Marta la fulminò con lo sguardo.
‹‹Dovete volerle molto bene›› constatò l’uomo, intenerito da quell’insolita dimostrazione d’affetto, ma bastarono un paio di frasi dette da Marta per fargli accapponare la pelle: ‹‹Oh, non sai quanto. Sono sicura che se te la presentassimo, piacerebbe tantissimo anche a te. Ora però è un po’ difficile, dato che si trova in prigione e Port Royal…››
‹‹Si trova dove?›› esclamò lui scioccato. Non aveva appena detto che era dolce e sensibile?

‹‹In pri… Ahi! Lu, ma perché c***o mi hai tirato una scarpa?››
‹‹Ci arrivi da sola o te ne devo tirare un’altra, per caso?›› le ringhiò, per poi rivolgersi all’uomo che attendeva delle spiegazioni: ‹‹Come avrete certamente notato, Francesca, Marta ed io proveniamo da una terra molto lontana e, essendo capitate a Port Royal quasi per caso, abbiamo attirato subito l’attenzione di Lord Beckett. Quest’ultimo, scambiandoci per spie, ci ha fatte imprigionare ed interrogare ed è proprio lì che abbiamo incontrato Elisabeth. La sera stessa, quando il Governatore è venuto a liberare la figlia di nascosto, ha aiutato anche a noi. Mary ha deciso di rimanere per rallentare la nostra fuga… non so se si è capito dalla storia di prima, ma quando è nervosa inizia a parlare e non si ferma più… E in più c’era anche il problema dei bambini che si trovavano in cella con lei. Se qualcuno tocca un bambino, Mary diventa una belva: non li avrebbe mai lasciati lì da soli…››
‹‹Mi state dicendo che avete lasciato la vostra amica da sola in balia di Beckett e dei suoi uomini?›› la interruppe lui, scioccato.
‹‹Non entro nei dettagli perché si tratta di cose private, ma ti posso garantire che al momento questa era la nostra migliore ed unica scelta. Davvero pensi che possa passare un solo attimo senza che pensiamo a dove si trovi e come stia la nostra amica in questo momento? A cosa sarebbe successo se l’avessimo costretta a venire con noi o se qualcun’altra avesse preso il suo posto? Ma la realtà è questa: noi siamo qui e lei no. Che sia un bene o un male, sarà solo il tempo a deciderlo. L’unica cosa che possiamo fare in questo momento è fidarci di lei e delle sue capacità›› concluse Marta, in tono sempre più sommesso.
‹‹Limitate capacità, vorrai dire›› la rimbeccò Lucia ‹‹Ma, comunque, questa potrebbe essere l’unica volta nella sua vita in cui le sue montagne di libri le potranno ritornare utili. Se come dice Mary, Lord Beckett è un topo di biblioteca sfigato come lei, sono certa che andranno molto d’accordo››
‹‹Mary non è una sfigata! E’ solo diversamente sociale, ma questo non vuole dire che…›› il tentativo (per altro, mal riuscito) di difesa di Marta, fu interrotto da Norrington: ‹‹La vostra amica, per caso è Italiana, di altezza medio-bassa, con dei capelli scuri piuttosto, hem, voluminosi? E con due, hem, come dire… piuttosto formosa, specie nella parte superiore?››

‹‹Sì, come fate a saperlo?›› esclamarono le due in coro.
‹‹Prima di imbarcarmi su questa nave di disperati, ho sentito alcuni uomini ubriachi descrivere hem, le grazie di questa strana studiosa che, a loro dire, ultimamente starebbe lavorando per Lord Beckett. Sul momento ho pensato che si trattasse solo di deliri dovuti all’alcool, ma sentendo il vostro racconto, ho pensato che potesse esservi un fondo di verità. Anche se non mi capacito del come siano venute a crearsi certe dicerie riguardo certe misure dei suoi abiti. E’ palese che una donna magra non possa avere…››
‹‹Hem, guarda che quella parte è vera: Mary c’ha due tette che… Ahi, ma c***o, Lucia, non puoi avvisarmi prima di lanciarmi contro gli oggetti?››
‹‹Se qualcuno non sparasse tante cretinate in una volta sola, per me non ci sarebbe bisogno di arrivare a tanto››
‹‹Senti, tu…››
Il battibecco proseguì per almeno un’ora, tempo abilmente sfruttato da James Norrington per eclissarsi e far perdere le sue tracce. Le due non si accorsero, però, di una losca figura che aveva osservato tutta la scena, tramando nell’ombra.
*****
Anno 2019, 18 gennaio, h 14,00
Genova, Italy (Porto antico)
 

*Immaginarsi voce del narratore di Fantozzi*
Lord Beckett, Mr. Mercer e i suoi uomini scamparono il triplice ergastolo, 7543 ore di lavori socialmente utili in una parrocchia di befane e la confisca di armi e parrucche, da parte dei carabinieri addetti alla protezione del patrimonio culturale, solo grazie all’intervento dell’ambasciata cino-vietnamita in Corsica.

A quanto pare, Takashi-sensei portava sì un nome giapponese, ma aveva la cittadinanza in Vietnam, che, come ben sappiamo, dopo la guerra tra Stati Uniti e Cina, era rimasto sotto l’influenza di quest’ultima potenza. Ora, il nostro caro maestro, a quanto pare aveva ottenuto gli ultimi gradi di cintura nera, proprio grazie agli enormi servigi prestati nei confronti della Cina (es. Aveva salvato da soffocamento un membro particolarmente influente del Partito, durante una cena nel suo ristorante) ed era, dunque, considerato alla stregua di un eroe nazionale. Come possiamo ben immaginare, nessun uomo con un minimo di buon senso si metterebbe mai contro l’ultimo tentativo vivente dell’esperimento comunista (figuriamoci dei poliziotti bolognesi iscritti al Partito Democratico da generazioni e generazioni, i cui nonni ancora attendevano l’arrivo dei carri armati dalla Russia per poter completare la rivoluzione).
Inutile dire che, non appena Maria Vittoria riuscì a rimettere piede nella sua amata casetta, corse a baciare ed abbracciare gli scritti di Gramsci e il “Capitale” di Marx. Tutta la sua famiglia era più improntata verso il centro destra (proseguendo con la storia capirete perché muhahah), ma hey, Maria Vittoria sapeva riconoscere il suo salvatore, quando lo vedeva.
In tutto questo, Lord Beckett ed il resto dell’esercito la fissavano sconcertati, domandandosi se durante la fuga da Port Royal avesse sbattuto la testa. Un’occhiata eloquente da parte di Mr. Mercer, tuttavia, gli fece intuire che purtroppo quella era la normalità.

Figuracce a parte, la vita era tornata a scorrere come prima della fatidica sera. Contro ogni aspettativa, né Beckett né Mr. Mercer la punirono per la sua azione sconsiderata e dopo l’interrogatorio non dissero una parola sull’argomento. Mary si convinse, dunque, che la non voluta confessione a Francesco fosse la causa di tale atteggiamento. A quanto pare la sua figuraccia era stata addirittura peggiore di quanto pensasse… Che vergogna! E adesso? Come poteva entrare in classe ed in palestra come se niente fosse? Già non aveva il coraggio di guardare Francesco negli occhi, figuriamoci ora che era praticamente certa che la voce di quanto accaduto avesse già fatto il giro di tutta la città. Del resto un esercito di personaggi somiglianti a degli attori di Hollywood non era proprio una cosetta da tutti i giorni. La notizia sarebbe presto apparsa su tutti i quotidiani italiani, per non dire europei o mondiali (e il temutissimo giornalino della scuola). Se anche i giornalisti avessero scritto delle sue disavventure amorose, Maria Vittoria fece voto di rinchiudersi in un convento per il resto dei suoi giorni o, ancora meglio, fare il monaco stilita in un eremo su una montagna invalicabile (anche se, se era davvero invalicabile, come avrebbe fatto ad arrivarci? Bah!), o meglio, salire su una navicella spaziale e fuggire su un pianeta inabitato come Luke Skywalker.

I giorni trascorsero veloci, ma, grazie a Dio, sui giornali non vi fu alcuna traccia della questione e nemmeno a scuola si seppe niente dell’accaduto. Se quello non era un miracolo, allora Maria Vittoria proprio non sapeva che cosa fosse. E, che i suoi compagni di classe non ne sapessero niente, lo scoprì in maniera brusca. Mr. Mercer, ignorando i suoi piagnistei da mocciosa frivola (che uomo senz’anima: non capire i problemi di cuore di una povera fanciulla… dovrebbe vergognarsi! Nd: tutte le ragazze che abbiano avuto una delusione amorosa), se la caricò in spalla e così fece tutto il tragitto da casa di Mary fino alla scuola. E sottolineo che, pur avendo utilizzato la scorciatoia che aveva utilizzato per portare Beckett e l’esercito in palestra, dovette percorrere quasi quindici chilometri. O era troppo atletico per la sua età, oppure l’antipatia che provava nei confronti di Maria Vittoria era tale da non fargli sentire la fatica. Immaginatevi, dunque, lo sconcerto di bidelli e compagni, quando videro l’uomo costringere la fanciulla a prendere parte alle lezioni con la forza. Più di una persona finì con il domandarsi: “Ma l’altra volta non era il contrario?”, per poi scuotere la testa e ricondurre gli strani comportamenti della ragazza al luogo comune “Il classico fa impazzire le persone”.

Ad ogni modo, la vita andava avanti e Mary dovette costringere il suo cuoricino spezzato a fare lo stesso. Era vero che aveva sempre saputo che il suo amore non fosse realizzabile, altrimenti non sarebbe stato un amore Platonico, ma da lì al sentirsi sbattere in faccia la cruda realtà, vi era una lievissima differenza. E soprattutto, ora che Francesco ne era venuto a conoscenza, era quasi certa che la loro amicizia ne avrebbe pesantemente sofferto. Poteva accettare qualsiasi cosa: insulti, rimproveri del tipo: “Perché non me l’hai mai detto?” o “Credevo che fossimo amici”. Ciò che proprio a contemplare era l’idea che avrebbe potuto non volerla più accanto. Francesco, al di là di tutti i suoi difetti caratteriali, era stato la prima persona a trattarla per quello che era veramente. Nonostante si fosse trasferita da un’altra regione e della sua famiglia si sapesse poco e niente, non aveva mai fatto domande e, senza saperlo, le era stato accanto nei momenti più difficili della sua vita. Maria Vittoria odiava parlare alle altre persone dei propri problemi: era consapevole che ognuno ne avesse e non capiva la necessità di addossare agli altri anche i propri. Tenersi tutto dentro, tuttavia, non significava soffrire meno. Mary era certa che se, in certi momenti, non avesse potuto vedere il sorriso di Francesco, le sue battute (che però facevano ridere solo lei) e le sue gaffe (tipo quando ad una festa, per fare colpo su delle ragazze, si era presentato facendo le flessioni e parlando di come, nonostante praticasse sette sport differenti, avesse la media più alta della scuola), non sarebbe riuscita a trovare la forza per andare avanti.

Fu distolta dai suoi pensieri da un improvviso dolore alla nuca. Aveva appena tirato una zuccata ad un lampione. Perché non prestava mai attenzione a dove camminava? Mentre si massaggiava la fronte, dovette reprimere l’istinto di lanciare un’occhiataccia a Mr. Mercer, che aveva iniziato a ridacchiare e non sembrava avere intenzione di fermarsi tanto presto. Mai una volta che provasse un po’ di empatia, quello. “Hey, aspetta, ma quelli non sono Nico, Giacomino e Nando?” si rese improvvisamente conto, facendo scivolare lo sguardo in direzione del porto. Si bloccò senza un minimo di preavviso e, se l’uomo che l’accompagnava non avesse avuto degli ottimi riflessi, le sarebbe finito addosso. “E adesso che le è preso?” pensò lui, sollevando gli occhi al cielo.
‹‹Signor Mercer, possiamo fermarci un attimo, per favore? Devo parlare con alcune persone›› tentò lei, incerta, ben sapendo quanto l’uomo odiasse rimanere lontano dal punto di collegamento con la sua epoca.

‹‹No››
‹‹Ma è una cosa estremamente importante…›› tentò di smuoverlo, lei.
‹‹No››
‹‹Non richiederà più di cinque minuti, ve lo assicuro››
‹‹Ho detto di no›› ribadì l’uomo, impassibile, ricominciando a camminare verso la macchina, come se niente fosse.
‹‹Per favore?›› Maria Vittoria giocò anche la carta sguardo da cucciolo bastonato, ma, rendendosi conto di dover assomigliare più a Ciuchino che al Gatto con gli stivali, decise di lasciar perdere. Voleva evitare di perdere anche quel poco di dignità che le era rimasta.
‹‹Vi propongo un patto›› sospirò, infine, lei, decidendosi a mettere in palio la cosa a cui teneva di più al mondo dopo la sua famiglia e le sue amiche.
‹‹Non stringo patti con creature infide come le donne››
“Ma che ha mangiato per pranzo? Bistecca di leone? E poi, da quand’è che da mocciosa mi sono evoluta a donna?” tali pensieri le fecero partire un tic all’occhio sinistro. ‹‹Nemmeno se questo patto vi permettesse di ottenere quello che da settimane state cercando di indurmi a fare, anche con l’inganno?›› solo un enorme sforzo di volontà le impedì di aggredirlo verbalmente per l’affermazione altamente offensiva.

Mr. Mercer non rispose e, per un attimo temette che fosse rimasto fermo sulla sua decisione. Del resto, doveva aspettarselo da quel freddo pezzo di marmo che non le veniva mai in contro su nulla, manco sotto minaccia. Contro ogni aspettativa, invece, le fece segno di andare avanti. Il ghigno che gli stava affiorando sul viso, le fece intendere che aveva già intuito dove volesse andare a parare. Si capiva che non vedeva l’ora di sentirle pronunciare quelle parole. Il desiderio di vendetta per lo scherzetto della fuga di qualche giorno prima era ancora fresco in lui.
‹‹Se mi permettete di sbrigare questa faccenda di cinque minuti, oggi sono disposta a…›› fece una pausa, non essendo sicura di avere la forza psicologica per pronunciare tali parole ‹‹potrei anche…›› no, proprio non se la sentiva: quel gesto era troppo per lei ‹‹prometto di…››
‹‹MUOVITI!›› l’urlo dell’uomo la costrinse a raccogliere tutta la propria forza e pronunciare quelle fatidiche parole: ‹‹SALTARE LA LEZIONE DI KARATE! Ecco, l’ho detto… siete contento adesso?›› Poco mancò che scoppiasse a piangere, ma si costrinse ad essere forte. Non poteva certo mostrarsi in quello stato di fronte alle persone che doveva incontrare.

‹‹Sì. Ti consiglio di muoverti: ti restano ancora quattro minuti e 58 secondi. 57, 56, 55››
‹‹Vado, vado: aspettatemi!›› gli gridò lei, mentre iniziava a correre verso i tre marinai che aveva avvistato poco prima.
Mr. Mercer scosse la testa e si lasciò quasi scappare… un sorriso? Ma stava bene? Non sarà mica stato contagiato dalla follia derivante dagli studi del suo padrone e di Mary, vero?
Rimase in piedi a braccia conserte, mentre fingeva di osservare una nave da crociera, ma in realtà stava tenendo d’occhio le mosse della mocciosa. La vide avvicinarsi a tre marinai di mezz’età, che la salutarono, festosi. Se non avesse avuto modo di rendersi conto della sua estrema infantilità, avrebbe potuto pensare che volesse approfittarne per fare mazzette. Cosa poteva mai volere una ragazza da tre uomini vecchi (per la sua età… a quanto pare in quell’epoca era strano che una donna sposasse un uomo molto più vecchio di lei… Gente strana i moderni) e rozzi di sera, per giunta. E poi, da quando Maria Vittoria aveva scoperto che anche lui se ne intendeva parecchio, non faceva altro che parlargli di arti marziali dalla mattina alla sera. Cosa poteva esserci di più importante del karate, per lei?

Come pattuito, la ragazza tornò indietro dopo cinque minuti spaccati, un’aria abbattuta in volto. Mr. Mercer ne diede la colpa al pensiero che non sarebbe potuta andare a karate.
‹‹Ne valeva davvero la pena?›› le domandò, con fare derisorio.
Maria Vittoria non rispose, ma annuì, sfoggiando un sorriso stanco, mentre faceva strada verso l’autovettura.
‹‹Non puoi fare andare questo aggeggio un po’ più veloce?›› le domandò l’uomo, una volta che furono saliti in macchina.
‹‹Appena usciamo dal centro città troveremo meno traffico. Trepidante all’idea di rivedere il tuo onorato signore?›› ridacchiò lei di rimando. E penare che la prima volta che gli aveva fatto fare un giro con l’auto l’aveva costretta a non superare i quindici chilometri orari, non riponendo alcuna fiducia in quel “marchingegno diabolico”.
‹‹Ovviamente›› rispose lui con fare tranquillo. Solo una settimana prima, l’avrebbe strangolata, se si fosse permessa di fare un’insinuazione del genere, ma piano piano si stava abituando all’umorismo italiano moderno. ‹‹Voglio fare rapporto a Lord Beckett il prima possibile. L’altra volta ha promesso di affidarmi una missione che comporti la sofferenza ed il sangue versato di tante fragili fanciulle. Dovrebbero avere circa la tua età… che piacevole coincidenza, non trovi?››

Un brivido freddo le corse lungo la spina dorsale. Quell’uomo sapeva essere davvero atroce. Che stesse scherzando o dicendo la verità poco importava, perché Maria Vittoria era certa che Mr. Mercer non si sarebbe fatto scrupoli a fare davvero una cosa del genere. “Stai tranquilla” dicevano, “Ti ci abituerai” dicevano, “Vedrai che non è poi così male una volta che l’avrai conosciuto” dicevano. Bei consigli, dati da chi si taglierebbe una gamba pur di non dover stare più di dieci secondi nella stessa stanza di Mr. Mercer, quando lei doveva trascorrere con lui 24 ore su 24.
‹‹Non ti sarai mica offesa?›› continuò lui, ampliando notevolmente il suo ghigno ‹‹Lo sai che sei la mia preferita. Ma capisci bene che, finché Lord Beckett non mi dà l’ordine, non posso mica trucidarti così, come se niente fosse. Devo pur sfogarmi su qualcun altro, non ti pare? Ma non temere, se riesco a sbrigarmela in fretta, posso offrire il servizio ancora-vivo-ma-tremendamente-sofferente anche a te. Che, poi, non si dica che tradisco la mia vittima principale››
Perché si sentiva come la classica donna americana da film poliziesco che dà un passaggio ad un pazzo criminale ed inizia ad intuire che nei prossimi dieci secondi farà una pessima fine? O forse era solo il buio a farla divenire più sospettosa?

Notando il suo sguardo a metà tra lo scioccato ed il traumatizzato, l’uomo si decise a procedere con il colpo di scena: ‹‹O forse questa volta potrei divertirmi a vederti pestare a sangue da qualcun altro…››
“Oddiooddiooddio, ma che cos’ha in mente quello? Ma io ho pauraaa” il suo cervello urlava, in preda al terrore, ma il suo corpo non riusciva più nemmeno a muoversi.
‹‹Ad esempio quel Marcus, Marco o come diavolo si chiama… è arrogante, ma mi pare che ti maltratti abbastanza bene. Non è certo al mio livello, ma si sa, la classe non è acqua››
‹‹M-ma e la nostra promessa?›› balbettò Mary, incredula. Mr. Mercer voleva davvero…
‹‹Non sono certo cinque minuti a fare la differenza sul mio piano di marcia e poi, quella cosa era importante, giusto?›› affermò lui, con tono perfettamente rilassato.
‹‹S-sì, ma come…››
‹‹Non ci vuole un genio a capire che non salteresti mai karate senza un’ottima motivazione. Se penso che un’imbranata come te abbia rischiato l’osso del collo per calarsi da una finestra al quinto piano…›› la prese in giro lui.
‹‹C-come l’avete capito?›› domandò lei sconvolta. Non si sarebbe mai aspettata che un uomo maschilista come lui potesse anche solo immaginare che una donna (imbranata, pure) compisse un’azione tanto pericolosa.
‹‹Il “sono passata attraverso i muri. PUF!*” non era particolarmente convincente. E poi eri piena di foglie e rametti nei capelli››
‹‹Ah, ecco perché quella sera i mei capelli erano ancora più disastrosi del solito. E io che davo la colpa ai calci alti a tradimento di Luigi…›› ricollegò, finalmente, lei.
‹‹Vuoi andare in palestra sì o no?›› Mr. Mercer interruppe il suo ennesimo excursus non giustificato.
‹‹SI’, PER FAVOREEE!››
‹‹E allora ciarla di meno e concentrati di più sulla guida››
‹‹Sissignore!›› esclamò subito lei, entusiasta dall’imprevisto evolversi degli eventi ‹‹E grazie, Mr. Mercer!›› concluse, poi, abbracciandolo.

L’uomo rimase, dapprima, spiazzato dal gesto (come in ogni fanfiction di POTC che si rispetti). Del resto, non era solito ricevere quel genere di attenzioni da parte di una fanciulla. E poi, la mocciosa non aveva talmente paura di lui da svenire ogni volta che, svegliandosi da un incubo, se lo trovava davanti? Che le era preso tutto d’un tratto?
Dopo qualche istante, ripresosi dallo shock del momento, decise di affidarsi al suo istinto. Del resto, un abbraccio era questione di chimica. Allora, la cosa da fare gli apparve la più naturale del mondo. Sollevò lentamente le braccia, per poi posarle delicatamente un dopo l’altra… sulla zucca di Mary, con le mani stretta a pugno (No, decisamente, non era come nelle fanfiction che aveva letto).
‹‹Ahi!›› si lamentò la poveretta.
‹‹Pensa a guidare›› concluse serafico lui e, a quel punto, Mary preferì non proferire più parola. Per quel giorno aveva già tentato la sorte a sufficienza.
*****
Anno 1729, 18 maggio, h 16,30
Port Royal, Giamaica (Ufficio di Lord Beckett)
 

Come arrivarono nell’ufficio di Beckett, Maria Vittoria iniziò subito ad analizzare con il Lord i documenti che le aveva richiesto. Voleva assolutamente terminare quel lavoro il prima possibile. Non che analizzare documenti antichi insieme ad un uomo della sua cultura le dispiacesse, intendiamoci, ma non voleva rischiare di saltare karate un’altra volta.
Mr. Mercer, dal canto suo, era stato di parola e si era messo, anch’egli, subito al lavoro. Oh, e quanto pare si era inventato la storia delle ragazze da torturare. C’era da aspettarselo, del resto, conoscendo il soggetto. Non perdeva mai l’occasione di spaventare qualcuno a morte, specie se si trovava al buio in un luogo isolato e con nessuno all’infuori della sua vittima.
L’unico incarico che aveva ricevuto da Beckett era quello di fare un giro di controllo al porto e recuperare il registro degli ormeggi tenuto mensilmente da un addetto. Si trattava di un incarico semplice e, in una qualsiasi altra circostanza, il Lord avrebbe inviato un soldato semplice o un cadetto a prenderlo ed inserirlo nell’archivio. Tuttavia, da quando un criminale del calibro di Jack Sparrow era riuscito ad entrare in città indisturbato, utilizzando un’identità falsa e corrompendo un addetto ai registri, aveva alzato la guardia. Il compito era, presto, stato assegnato a Mr. Mercer e, non solo perché era l’unico uomo di cui realmente si fidasse. I suoi uomini, come era stato ampiamente dimostrato dagli ultimi eventi, non parevano troppo svegli ed erano decisamente troppo ingenui per riuscire ad individuare dei criminali sotto copertura.
Il loro lavoro fu interrotto da un paio di colpi sulla porta principale dell’ufficio.

‹‹Lord Beckett, c’è una cosa che dovete assolutamente vedere›› udendo la voce di Mr. Mercer, i due non si preoccuparono più di tanto dello stato indecoroso in cui versava l’ufficio (Si chiama disordine organizzato! Nd: Mary e Cutler. Certo, come no! Nd: tutti). L’uomo aveva senza dubbio visto di peggio da quando i due avevano iniziato a collaborare. Solo per fare un esempio, quella volta in cui si erano chiusi a chiave negli appartamenti di Beckett per tre giorni, senza toccare né cibo, né acqua, solo perché non riuscivano a decifrare un’iscrizione in lineare A. Quando, ormai, tutti nella magione si stavano preoccupando da morire per la loro sorte e Mr. Mercer era sul punto di demolire la porta, a Mary venne finalmente in mente che, essendo la lingua minoica perduta da millenni, una codificazione precisa non poteva essere possibile. I due si sbatterono una mano sulla fronte, contemporaneamente, dandosi dei “cretini” e Maria Vittoria si adoperò subito per spostare i mobili che avevano posto davanti all’entrata, per evitare di essere interrotti. Sfortunatamente, la tempistica del suo atto di aprire la porta, concise con il tentativo di Mr. Mercer di sfondarla. Inutile dire che, in meno di due secondi, si ritrovò scagliata a sei metri di distanza con addosso l’uomo che, data la sua stazza, proprio leggerissimo non era.
‹‹Entrate pure›› Lord Beckett gli accordò distrattamente il permesso, mentre proseguiva la lettura di un documento, placidamente stravaccato sulla scrivania. Maria Vittoria stava avendo una pessima influenza su di lui, da questo punto di vista.

‹‹Norrington è tornato. Dice di avere il cuore di Davy Jones›› riportò lui, seppure evidentemente scettico.
‹‹Molto bene, fatelo entrare… ma fate… piano. Mi seguite?›› ordinò lui, facendo segno a Mary con lo sguardo di aiutarlo a riordinare il più possibile. #missionimpossible
‹‹Ho inteso, signore›› annuì lui, con fare solenne, per poi voltarsi verso Maria Vittoria e fulminarla con lo sguardo. Proprio non riusciva a capire come una ragazza di buona famiglia potesse ridursi ad esibirsi in pose ridicole o, quanto meno, inappropriate (stravaccata su una poltrona, seduta al contrario su una sedia, sdraiata di pancia sul tappeto facendo dondolare le gambe nel mentre, distesa di schiena sul lato corto del tavolo finendo con il leggere a testa in giù, solo per fare degli esempi). ‹‹Ragazzina, vedi di renderti presentabile: c’è anche una sorpresa per te››
‹‹Cosa?›› domandò lei, preoccupata. Quando Mr. Mercer diceva certe cose, solitamente stava progettando un piano malefico per farla soffrire o svenire dalla paura, anche se Mary dubitava che avrebbe tentato una cosa del genere di fronte al Lord. Che si trattasse, allora di Norrington? Che avesse delle notizie sulla sorte delle sue amiche? Mary si augurò con tutto il cuore di non scoprire cose che avrebbe preferito non sapere. Se gli fosse successo qualcosa mentre lei non c’era, non sapeva se sarebbe riuscita a perdonarselo.
Le sue elucubrazioni mentali furono interrotte dai passi di due figure conosciute. La prima, più imponente, apparteneva a James Norrington in versione barbone-venditore ambulante di organi maledetti. La seconda, un poco più indietro rispetto all’uomo, era quella di… No, non era possibile!
‹‹FRA!!!›› esclamò Mary, sconvolta. L’emozione fu tale da farle perdere l’equilibrio e cadere dalla scala appoggiata alla libreria dietro la scrivania di Beckett. Una pila di libri si abbatté immediatamente sulla sua povera testa, stordendola ulteriormente.
In tutto questo, Lord Beckett si portò una mano alla fronte, sospirando con tono stanco, mentre Mr. Mercer si mise a ridere sguaiatamente.

‹‹M-ma non intendete aiutarla o vedere come sta?›› domandò l’ingenuo James Norrington, con voce preoccupata. Non poteva credere che dei gentiluomini non intervenissero in soccorso di una fanciulla in difficoltà.
‹‹E’ già la quinta volta che succede questa settimana›› spiegò Lord Beckett con fare spiccio. L’unica cosa che gli premeva al momento era mettere le mani sul cuore di Davy Jones e assumere il controllo dei sette mari. A quel punto, estirpare la piaga della pirateria alla radice non sarebbe più così difficile.
‹‹Sempre dalla stessa scala, nello stesso punto›› aggiunse Mr. Mercer, facendo sforzi da ernia per rimanere impassibile e non scoppiare a ridere.
‹‹E mi finiscono addosso sempre gli stessi libri… Eppure questa volta mi sembrava di averli fissati per bene!›› commentò una Mary dolorante, prima di riassumere il controllo e correre incontro alla sua amica, che sembrò fare lo stesso.
‹‹FRAAA!››
‹‹MARYYY››
‹‹MI SEI MANCATA TANTISSIMO!››
‹‹MARYYY›› il tono di Francesca iniziò a mutare repentinamente, svelando le sue vere intenzioni.
‹‹FRA?›› un lieve nota di preoccupazione iniziò a farsi strada nella voce di Mary. Perché Fra sembrava arrabbiata? Non era contenta di vederla?
‹‹MARYYY!›› il ruggito dell’amica le fece capire che doveva esserci effettivamente qualcosa che non andava. Senza perdere tempo, fece una mezza giravolta ed iniziò a battere in ritirata. Le braccia di Fra, che inizialmente erano apparse a tutti come protese per avvolgere la sua amica in un abbraccio, si dimostrarono delle tenaglie pronte a stritolarla. Un grido di frustrazione riecheggiò nella stanza, quando esse afferrarono solo l’aria nella zona dove solo mezzo secondo prima si trovava Mary. Quest’ultima non ebbe nemmeno il tempo di rallegrarsi dello scampato pericolo, che fu dovette evitare il suo dizionario di greco, scagliato in aria dall’amica.

‹‹IO TI UCCIDO, MALEDETTA!›› questa volta il grido fu accompagnato al lancio del vocabolario di latino.
‹‹Fra, ti giuro che non ho la benché minima idea di che cosa tu stia parlando… e comunque, qualunque motivazione tu abbia per prendertela con me, non coinvolgere i miei bambini, ti prego! Loro non c’entrano niente››
‹‹Oh, e invece centrano eccome: è colpa di quelle robacce che contengono se ho rischiato la vita!›› e ridai con il lancio dei libri scolastici.
‹‹Ma di cosa stai parlando?!›› ritentò di farla ragionare lei, mentre correva intorno al tavolo, inseguita dall’indemoniata amica. Dopo pochi secondi di tentativi di fuga non riusciti, Mary era già mezza morta per lo sforzo, mentre Fra, grazie all’allenamento di canottaggio, avrebbe potuto continuare per ore. Per non parlare della sua incredibile velocità, che si sommava anche ai suoi 80 centimetri di coscia. Tra le due non c’era paragone e questo Mary lo sapeva bene. Tentò il tutto per tutto, andando a nascondersi dietro la schiena di Mr. Mercer, che sembrava stranamente propositivo. Confortata dal fatto che stesse ridacchiando, pensò bene di fidarsi di lui, per una volta. Del resto, era un uomo diffidente ed odiava nella maniera più assoluta il genere femminile. Perché mai avrebbe dovuto parteggiare per una donna che non conosceva neppure, a discapito di una con cui viveva 24 ore su 24 e, soprattutto, che gli preparava da mangiare?

‹‹PRESA!›› ridacchiò lui, mentre la sollevava da terra, bloccandola in una morsa d’acciaio. C’era d’aspettarselo. Anche se, a dire il vero, al di là dei suoi malefici intenti, quello che proprio non si aspettava era che l’uomo stesse ridendo. Non è che l’aria di Port Royal stava diventando nociva, per caso? No, perché quei due sembravano sotto l’effetto una droga piuttosto pesante.
‹‹Hey! Ma perché siete dalla sua parte?›› gli domandò lei, mentre cercava di divincolarsi senza successo.
‹‹Ma l’hai guardata bene?›› le rispose lui, con fare ovvio.
‹‹Signore, perché non potevo nascere anch’io alta, bella, con i capelli biondi e gli occhi azzurri? Perché mi sono dovuta incarnare nel corpo di un incrocio tra il meridionale medio e un riccio?›› vedendo che, però, nessuno la considerava, decise di innalzare i toni del suo lamento, citando alcuni versi dell’Ultimo Canto di Saffo di Leopardi: ‹‹Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella sei tu, rorida terra. Ahi! di codesta infinita beltá parte nessuna alla misera Mary i numi e l’empia sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni vile, o Natura, e grave ospite addetta, e dispregiata amante, alle vezzose tue forme il core e le pupille invano supplichevole intendo…››
‹‹Smettila di lamentarti. E comunque ciò che ha quella ragazza e tu no, non è solo l’aspetto fisico››
‹‹E allora cos’è?›› domandò lei, imbronciata.
‹‹Lo capirai quando sarai più grande››
‹‹Ma dai! Ahio!›› la sua ennesima lamentela fu repressa da una potente stretta dell’uomo che, come la prima volta in cui erano giunte in quel mondo, le stava praticamente sgretolando le costole.

‹‹Bene, bene, bene. Ora io e te faremo i conti!›› Fra si avvicinò con passo cadenzato. Un’aura di pura malvagità ne ricopriva la figura.
‹‹M-ma Fra… parliamone!›› tentò Mary, invano.
‹‹Eh, no! Pensi che sia una stupida? So benissimo che se ci affidiamo alle parole, riuscirai a cavartela, come sempre. Ma stavolta non mi incanti, piccola…›› le ringhiò contro lei.
‹‹Ma questa volta sarà diverso, perché l’unica a parlare sarai tu. Io ascolterò e basta e, alla fine, deciderai se proseguire nei tuoi tentativi di vendetta o meno›› patteggiò lei.
‹‹E tu che cosa ci guadagneresti, sentiamo?›› insinuò lei, mettendosi a braccia conserte, chiaro segno che stesse abboccando.
‹‹Intanto per incominciare, capirei il perché della tua collera. E poi, avrei, comunque, del tempo per prepararmi ad affrontare le conseguenze delle mie azioni (o a escogitare un piano per non prendermi le mie responsabilità e fuggire, muhahaha)››
‹‹Preparati: sarà una lunga storia. E non azzardarti a fuggire!›› minacciò lei, furibonda.
‹‹E chi ci riesce con questo colosso che mi tiene in pugno?›› fece notare lei, per poi proseguire con il suo piano per riguadagnare la libertà ‹‹Non ti preoccupare della lunghezza, tanto io qui su sono comoda, anche se, se Mr. Mercer ingrassasse un po’, lo sarei moto di piUUU’! WAAA!›› come si aspettava, udite quelle parole, l’uomo la lasciò andare immediatamente, facendola atterrare malamente a terra.

‹‹Mentre le signore parlano, se non vi dispiace, io vorrei vedere quello che dite di avermi portato, signor Norrington…›› Lord Beckett fu presto interrotto dall’arpia bionda: ‹‹Oh, no, tu stai fermo e ascolti attentamente tutto quello che ho da dire, CHIARO?!››
‹‹I-immagino che il cuore possa aspettare›› sospirò lui, con fare sconfitto.
‹‹Bene: se non ci sono altre interruzioni, io incomincio con la mia storia. Ci stavamo avvicinando ad una piccola isola abbandonata, quando…››

*INIZIO FLASHBACK*
Anno 1729, 15 maggio, h 22,00
Mar dei Caraibi (Perla Nera)
 
 
Il breve tragitto di Francesca per raggiungere la cabina del capitano fu interrotto da un rumore di passi sulle assi scricchiolanti della nave. Seguirono dei fruscii e tintinnii inquietanti che, data l’assenza di luce, non era possibile associare ad una persona specifica. L’uomo o gli uomini misteriosi in questione (Miss Swann dormiva, Lucia era troppo pigra per spostarsi così lentamente e Marta, beh, era momentaneamente impegnata…), dal canto loro, non parevano avere alcuna fretta nel dichiarare la propria identità.
‹‹Chi va là?›› domandò lei, con una voce che, più che essere spaventata era scocciata. I marinai imbarcati con loro erano uno più greve, analfabeta e stupido dell’altro: non c’era motivo per cui riuscissero anche solo ad ordire un piano decente per poter fare del male ad una di loro. E poi, Fra non era certo il tipo da farsi intimidire da una marmaglia di bifolchi maschilisti e materialisti. Purtroppo, come la maggior parte delle donne dotate di una certa bellezza, carisma e intelligenza, si era ormai abituata ad avere a che fare con feccia di quel genere.
Non udendo alcuna risposta, tuttavia, iniziò a sudare freddo. Se questo era uno scherzo, non le piaceva per niente.
‹‹Ho chiesto chi è… insomma, rispondetemi!›› ritentò, sempre più inquieta ‹‹Chiunque tu sia: sappi che se il tuo scopo era spaventarmi, non ci sei riuscito. Ti consiglio vivamente di piantarla e sparire dalla mia vista››
‹‹Temo di non poterla accontentare, Miss. Non posso sparire dalla tua vista, se non mi vedi per colpa del buio, comprendi?›› una voce le giunse ad una distanza di meno di due centimetri da suo orecchio destro, facendola saltare dalla paura.

‹‹SPARROW!›› strillò la poveretta, mezza infartata.
‹‹Capitano, Miss. Capitan Sparrow. Capitano della nave più veloce e letale di tutto il Mar dei Caraibi›› Si affrettò a correggerla lui. Povero ingenuo, non aveva ancora capito con chi aveva a che fare. Fra odiava essere contraddetta e, quando capitava, si divertiva a distruggere completamente l’autostima del colpevole.
‹‹Uno: non sei un capitano. Per esserlo dovresti possedere una nave, una ciurma e un riconoscimento ufficiale da parte delle autorità di competenza. La nave non è tua, ma di Lord Beckett: non l’hai comprata legalmente, ma te la sei fatta ripescare da Davy Jones e, tra parentesi, tale patto è scaduto. Qualora l’atto di proprietà possa ancora considerarsi valido, l’hai ceduto a Marta per colpa del gioco d’azzardo››
‹‹M-ma…››
‹‹Due: anche se non considero le navi moderne, non è assolutamente la nave più veloce di Caraibi. E’ un galeone vecchio modello: può essere veloce rispetto alle navi utilizzate per il trasporto di merci o persone, ma non può certo competere con gli ultimi modelli di galea. E questo non smuovendomi dalla stessa tipologia di imbarcazione. E poi, scusami tanto, ma l’Olandese Volante non lo consideri? Posso, anzi, non posso capire la tua ignoranza in campo di ingegneria nautica, dato che sei pur sempre un marinaio, ma prendere in giro le persone, no grazie!››
‹‹M-ma co-co-come?...››
‹‹Sei capitato male: sono genovese. Non abbiamo mica scoperto l’America per niente… Ma tornando a noi, la ciurma, oltre ad essere stata reclutata illegalmente e tralasciando il fatto che tu voglia portare tutte le loro anime a Davy Jones, non ti è per niente fedele e non sarebbe la prima volta, tra l’altro… Oh, ho forse toccato un tasto dolente? Beh, lo scopo era proprio quello››
‹‹Non è assolutamente…››

‹‹Per non parlare dell’attestato ufficiale. L’avevi ottenuto, Dio solo sa come, nonostante i tuoi albori da pirata e, invece di ringraziare Beckett a vita, ha dovuto fare il furbo e sei stato marchiato come pirata. Complimenti: premio scemo del villaggio, assicurato››
‹‹Non è proprio così che funziona, bambolina››
‹‹Ma abbi almeno la decenza di stare zitto, donnaiolo ubriaco e soprattutto ignorante. Pensi davvero che basti la raccomandazione del tuo adorato papino per garantirti il titolo di capitano nobile?››
‹‹Queste sono informazioni…››
‹‹E concludo, facendomi portavoce del pensiero di tutti. Apri bene le orecchie, capitano dei miei stivali: Hector Barbossa è mille volte più bravo di te sotto tutti i punti di vista!››
‹‹ORA BASTA!›› quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Jack Sparrow mise definitivamente a tacere la coscienza (che non aveva) e, dopo aver legato e imbavagliato la fanciulla, impedendole di urlare, se la caricò in spalla. Prese poi la scialuppa di salvataggio (e anche lì, quando la Perla era sotto il comando di Hector, la ciurma era imponente e di scialuppe ve n’erano molte. Com’è che quell’incompetente di Sparrow girava con un minuscolo manipolo di uomini, altamente incompetenti anch’essi? Di tutta la validissima ciurma di Barbossa, era riuscito a selezionare gli unici due incompetenti… Ma andiamo!) ed iniziò a sganciare le funi per calarla in acqua. A quel punto, sfruttando l’adrenalina e la forza di disperazione, Fra riuscì a liberarsi dal bavaglio e tentò di attirare l’attenzione di qualcuno che potesse aiutarla.

‹‹E’ inutile che gridi, bambola, siamo sottovento e in questa posizione il rumore delle onde è troppo forte perché qualcuno possa sentirti›› l’avvertì lui, impassibile, mentre proseguiva con la sua opera.
‹‹MALEDETTO BASTARDO! Si può sapere che intenzioni hai?›› lo aggredì lei, inviperita.
‹‹Non è ovvio? Ho intenzione di incatenarti ad uno scoglio e di offrirti in sacrificio al Kraken››
‹‹MA TI E’ DATA DI VOLTA IL CERVELLO? Come pensi che un’assurdità del genere possa funzionare?›› gli urlò lei nei timpani, incredula che il capitano più amato dai bambini potesse voler sinceramente attuare un piano del genere. Francesca non aveva, però, considerato la componente umana: Sparrow, sentendosi braccato da mesi da una creatura mostruosa era, ormai, diventato un uomo disperato. E si sa, non vi è limite a ciò che un uomo disperato possa fare.
‹‹La tua amica, la rossa tutto pepe, come si chiama? Non importa, lei, dicevo, mi ha dato l’idea. Quella leggenda su Andromaca, Androide, o come diavolo si chiama, fa proprio al caso mio››
‹‹Ma che stai dicendo: è solo una stupida storiella per bambini. Non c’è nulla di reale›› tentò di farlo ragionare lei.
‹‹Anche la Perla Nera, la maledizione del tesoro di Cortez e l’Olandese Volante sono leggende, eppure sono reali. Fidati di chi in mare ci vive: le leggende sono tutte vere››

‹‹FIDATI UN CORNO: è della mia vita che si sta parlando. E poi come fai tu a fidarti di quella perdigiorno di Marta: quella storia se la sarà inventata solo per fare colpo sul commodoro›› improvvisò lei, sperando che desistesse dai suoi folli intenti.
‹‹Le tue amiche hanno ammesso apertamente di averlo sentito raccontare dalla nuova aiutante di Beckett: è inutile che cerchi una scappatoia››
‹‹Ma perché proprio io: di tutta questa ciurma di disperati, perché IO?›› domandò lei, ormai in preda della disperazione.
‹‹Perché la tua amica ha specificato anche attenzione che se il sacrificio non è una bella gnocca non funziona, eh! E se lo dice la nuova studiosa che accompagna Lord Beckett, la sua attendibilità è assicurata››
‹‹M-ma stava solo scherzando!››
‹‹Lo dite solo per salvarvi la vita. E comunque dovreste essere contenta del mio complimento››

‹‹CONTENTA UN CORNO, LURIDO MAIALE! E poi, se anche questa cosa fosse accaduta davvero, stiamo parlando di migliaia di anni fa, quando ancora la gente venerava i le montagne e i fulmini›› gli fece notare lei.
‹‹In effetti questi sono tempi più maturi, illuminati oserei dire›› rifletté Jack Sparrow, seriamente colpito da quelle parole.
‹‹Bravo›› tentò di mantenerlo sulla giusta strada Francesca ‹‹E sono tempi in cui anche la Chiesa e gli insegnamenti del Cristianesimo hanno la loro discreta rilevanza: non siamo più dei barbari›› com’è che nei momenti di difficoltà diventava improvvisamente una donna dalla fede inattaccabile?
‹‹Il timore di Dio è senza dubbio importante, di questi tempi›› annuì lui convinto.
‹‹Oh, menomale che, infondo, siete anche voi un uomo ragionevole›› annuì Francesca, finalmente più rilassata, ma a momenti le andò di traverso la saliva, quando lo sentì dire: ‹‹Vedrò di farti arrivare anche un prete››
‹‹COSA?!›› esclamò lei, scioccata.
‹‹Non serve che mi ringrazi: pensare all’anima di una fanciulla è il minimo che un gentiluomo di questi tempi possa fare. Non vorrei mai che, colta da un’improvvisa disperazione, dovessi gridare o pensare cose imperdonabili. A quel punto, un confessore sarà l’unica cosa che potrà salvare la tua anima››
‹‹MA COSA STAI… AHHH!››
SPLASH!

La scialuppa fu calata in mare e, incurante delle lamentele della giovane, Jack la traghettò fino ad un vicino scoglio, dove la incatenò come aveva programmato (ma dovette lasciarle i vestiti. Per quanto fosse tentato di approfittarsi di una tale situazione, il timore di incorrere nella collera divina, lo frenò). Un paio di minuti dopo, tornò con il prete che aveva promesso (l’avevano rapito il giorno prima, per sbaglio, mentre rapinavano una nave. Il poveretto si era nascosto in un sacco e i nostri astutissimi pirati l’avevano portato a bordo, scambiandolo per mercanzia)e, quando quest’ultimo gli fece notare che rimanere in due da soli non era cosa buona davanti a Dio, traghettò anche il pappagallo di Cotton. Quest’ultimo, in verità, accettò di buon grado, pur di non dover più subire le angherie di Marta.
E così, i nostri poveri sacrifici umani, furono lasciati lì, in balia delle intemperie per quasi ventiquattro ore, momento in cui James Norrington li soccorse mentre scappava con il cuore di Jones. I quattro furono, poi, ripescati dal Tenente Groves, altro uomo di buon cuore, che li portò immediatamente a Port Royal, dove riprende la nostra storia.
 
*FINE FLAH BACK*
‹‹Quindi avete insultato Sparrow›› concluse Mr. Mercer, ghigando, seguito da Lord Beckett che, nascondendo a stento un sorrisetto vittorioso, si affrettò a complimentarsi con lei.
‹‹Cioè, scusate un attimo, ma di tutto l’accaduto ciò che vi preme è il fatto che abbia fatto sfigurare il vostro nemico? Vi ha appena detto di essere stata incatenata ad uno scoglio in mezzo al mare, come sacrificio per un mostro marino!›› si intromise Maria Vittoria, con un’espressione a metà tra lo scioccato ed il preoccupato. Ma erano umani quei due?
James Norrington, unico uomo savio, si schierò prontamente dalla sua parte: se il suo superiore liquidava in maniera così superficiale un avvenimento grave, iniziava a preferire i pirati.
I due chiamati in causa, tuttavia, continuarono imperterriti a sogghignare divertiti e, se possibile, peggiorarono ancora di più quando udirono la bionda ripartire alla carica: ‹‹E guarda a caso, anche questo è successo per colpa tua. Tu e il tuo stupido commentare le vicende dei personaggi immaginari come se fossero i tuoi vicini di casa!››
‹‹Beh, teoricamente in questo caso si potrebbe anche dire che è così… sai, i nostri letti sono collega…››

‹‹SMETTILA DI RIGIRARE LA FRITTATA! Se tu non avessi continuato a riempirci la testa con i tuoi commenti sarcastici contro i pirati e quella ciurma di squinternati, in particolare, non mi sarebbe mai venuto in mente di dire quelle cose›› insorse la bionda indemoniata.
‹‹Ma veramente non sono stata io a dirti di urlargli quelle cose, anche se posso capire che, in preda al panico parlare a…›› cercò, invano, di farla ragionare lei.
‹‹IO NON HO PAURA DI NIENTE E DI NESSUNO, CHIARO?!!›› le urlò lei, nelle orecchie, assordando al contempo anche gli altri presenti e due guardie che passavano nei pressi della stanza. James Norrington, che era in procinto di prendere le difese di Mary, capita l’antifona, non proferì parola. Meglio non immischiarsi nelle dispute femminili.
‹‹Hem, okay, okay, non ti arrabbiare, ti preeego!›› la implorò lei, anche se già sapeva come sarebbe andata a finire.

‹‹OKAY NIENTE: ORA TI DISINTEGROOO!!!›› sbraitò lei, infuriata oltre ogni limite. L’ira funesta che l’avvolse, tuttavia, le impedì di notare l’estremo tentativo di fuga dell’amica: ‹‹Hey! Dove diavolo è andata, quella? Grrr… Non mi sfuggirai!›› E così dicendo, si fiondò fuori dalla porta dello studio, cercando di recuperare terreno sulla fuggitiva.
Dopo due minuti di assoluto silenzio, assicuratosi che della bionda indemoniata non vi fosse alcuna traccia, Mr. Mercer batté due colpi sul famoso cassetto in cui si era nascosto Lord Beckett quando gli aveva mostrato il telefonino. A quel punto, il cassetto iniziò ad aprirsi pian piano, facendo quasi venire un infarto al povero Norrington che del sovrannaturale, dopo l’incontro con la ciurma di Davy Jones, non voleva più saperne nulla. Forse fu quello il motivo per cui, quando vide sbucare la sua criniera ricciuta, mostrò un’espressione decisamente sollevata (Strano, di solito la gente scappa o si spaventa… Nd: Mary).
‹‹S-se n’è andata?›› domandò lei titubante, mentre usciva lentamente dal suo nascondiglio, in parte per il timore ed in parte perché i capelli le si erano incastrati nelle fessure del legno. Perché doveva proprio nascere con i capelli ricci, SIG?

‹‹Muoviti›› STRAK! Mr. Mercer era sempre così galante e delicato?
‹‹Ahio! Dolores… acuto›› si lamentò la poverina. Anche se la metteva sul ridere (come al solito), non è che sentirsi strappare i capelli fosse un’esperienza propriamente piacevole.
‹‹Ma vi sembra questo il modo di trattare una signorina?›› Se prima Norrington era riuscito inspiegabilmente a trattenersi, la scena a cui aveva appena assistito lo fece scoppiare. Come si poteva trattare una donna in una maniera tanto brutale. Una donna così dolce ed indifesa, tra l’altro, per quanto aveva avuto modo di constatare in quei pochi minuti.
Il suo commento fu, però, totalmente ignorato dall’uomo, che riprese a maltrattare la ragazza, come se niente fosse: ‹‹Smettila di fare scene. Se avessi voluto, avresti potuto metterla a tacere in meno di tre secondi. Se non hai nemmeno le palle per farti rispettare, allora almeno abbi il coraggio di affrontarne le conseguenze. In palestra ti insegnano a fuggire dai problemi, per caso?›› Le frasi erano intervallate da una serie di colpi sulla zucca e sul coppino e, per quanto l’uomo si stesse evidentemente trattenendo, facevano comunque molto male.
‹‹Beh, veramente…›› nella sua mente si affollarono ricordi delle spiegazioni di Marco-sensei inerenti alla difesa in strada. “Se vi si avvicina uno con un bastone, cosa fate? Scappate!”, “Se vi si avvicina uno con un coltello, cosa fate? Scappate!”, “Se vi si avvicina uno con una pistola, cosa fate? Scappate!”, e via dicendo. Tuttavia, si rese subito conto che, forse, era meglio non dirlo. I presenti, che sapevano poco e nulla delle arti marziali, potevano pensare che fossero totalmente inutili e impedirle di partecipare alle lezioni. Del resto, in molte palestre, specie in Europa e America, trovavano più semplice attirare allievi, raccontandogli la storia della rana e della fava, piuttosto che spiegargli che le arti marziali abituano corpo e mente a reagire nella maniera più adeguata nelle situazioni di pericolo. Anche il loro maestro li faceva esercitare con coltelli, catene, bastoni e pistole finte, ma, a differenza di molti altri, era sincero nel dire che gli faceva utilizzare tali strumenti solo per dargli uno “stress” utile per lavorare. Nella vita reale, coltello e bastone vengono utilizzati in maniera completamente differente da quella applicata in palestra e, a meno che non intercorrano un insieme fortuito di fattori (quali, incapacità, distrazione, poca lucidità dell’attaccante, sottovalutazione delle capacità della vittima, …), non possono essere fermati.

‹‹Ci vado proprio per imparare come affrontarli›› concluse lei, con una frase che le permise di dire la verità, ma al contempo di non dover spiegare cose scomode. Ad ogni modo, per evitare che Beckett o Norrington potessero avanzare domande su quanto appena affermato da Mr. Mercer (persino il Lord, per fortuna, ignorava ancora il suo interesse per il combattimento. Quando Ian Mercer aveva “fatto la spia” sulla sua trasgressione degli ordini durante la tentata rapina, aveva evitato di specificare il “come” e durante la visita alla palestra, non era riuscito a rendersi ben conto di cosa stessero facendo), si affrettò a domandare a quest’ultimo: ‹‹Commodoro, sono consapevole del fatto che abbiate affrontato un lungo viaggio e che, forse, essere stressato con ulteriori domande non sia proprio il vostro ideale di relax post trauma, ma devo assolutamente chiedervi se avete notizie delle due ragazze che viaggiavano con Francesca: Lucia e Marta››
‹‹Non vi preoccupate, mi rendo perfettamente conto…›› la pausa che seguì le sue parole e l’atto dell’uomo di togliersi il cappello ed abbassare lievemente il capo, ebbe l’effetto di gelarle il sangue nelle vene. No: era solo una maniera educata per rispondere ad una ragazza. Era il continuare a frequentare il becchino del suo paese che le stava facendo vedere sempre tutto nero. Non c’era altra spiegazione.

‹‹C’è una cosa che devo dirvi, Miss. A dire il vero avrei preferito che fosse la vostra amica a darvi il triste annuncio, ma mi rendo conto che il trauma per gli ultimi avvenimenti sia ancora troppo vivido nei suoi ricordi›› NO, NO, NO. Perché continuava a girarci intorno? Aveva assolutamente bisogno di sapere se potesse ancora sperare o, dovesse, invece arrendersi all’evidenza.
‹‹C-cosa state…››
‹‹Le vostre amiche sono morte, Miss. Non sono abituato a dover riferire delle notizie del genere a dei civili: quando servivo nell’arma, era il tenente Groves ad occuparsene. Perdonatemi, dunque se ho mancato di tatto››
Quelle parole la colpirono come tanti piccoli aghi. In quei giorni aveva, forse, avuto poco tempo per realizzare in che guaio si fossero cacciate e, dunque, per pensare che avrebbe seriamente potuto non vederle mai più. Al di là di quei fatidici tre giorni di prigionia che, ancora la tormentavano negli incubi (grazie al cavolo: sono passate appena tre settimane: lasciatemi almeno il tempo di riprendermi! Nd: Mary), erano accadute talmente tante cose assurde che a malapena aveva avuto il tempo per pensare. E poi, c’è da dire che, per quanto potesse essere spaventata per la presenza di Mr. Mercer & company, tendeva comunque a pensare a loro come dei personaggi di fantasia. Anche i pirati, per quanto mossi da pessimi principi, nei film della Disney sembravano quasi simpatici, ragion per cui Maria Vittoria aveva praticamente dato per scontato che avrebbero difeso le sue amiche. Davvero non riusciva e non voleva credere a quelle parole.

‹‹E-entrambe?›› domandò Mary con un filo di voce. Il volto già visibilmente pallido (e non solo per il cerone copri-brufoli).
‹‹Sono desolato, Miss… Oh, cielo, sta cadendo!›› esclamò Norrington, vedendola vacillare e, poi, cadere all’indietro.
‹‹No. No. No. No. Non è possibile… con loro c’era anche Elisabeth. Non avrebbe mai permesso che gli succedesse qualcosa, me l’aveva promesso…›› la fanciulla, seppur in evidente stato di shock, fortunatamente, era riuscita a sorreggersi contro l’alto cassettone, evitandosi una brutta caduta. Non osava svenire per paura della reazione di Mr. Mercer, che le aveva subito mimato un “se svieni per queste sciocchezze, ti prendo a schiaffi finché non ti riprendi”.
Fece un paio di respiri profondi, cercando di riacquistare un po’ di controllo: ‹‹C-come è successo?›› aveva bisogno di sapere. Se l’uomo le avesse assicurato di aver visto i corpi con i suoi occhi, allora, forse, si sarebbe messa con l’animo in pace.
‹‹E’ stato durante la battaglia contro il kraken. La ragazza con i capelli castani corti è finita in mare dopo il secondo attacco. Era troppo vicina al parapetto e, quando la barca è stata nuovamente scossa dalla creatura, ha perso l’equilibrio. A nulla sono valsi i tentativi di Marta di afferrarla: era troppo lontana perché potesse raggiungerla in tempo››
‹‹E Marta?›› domandò lei, con voce tremante.

‹‹Quando la ciurma della Perla Nera ha abbandonato la nave, non ha voluto saperne di scendere: blaterava cose del tipo non ho mai abbandonato una proprietà neanche a Monopoli, figuriamoci nella vita reale! Lo shock per la perdita dell’amica deve essere stato troppo per lei››
“No, è così al naturale” ridacchiò quasi lei, mentalmente. No, non era impazzita a ridacchiare in un momento del genere: aveva semplicemente capito che, se Marta era con Jack Sparrow, allora doveva essersi salvata anche lei. Non che la prospettiva di pensare all’amica bloccata nel forziere di Davy Jones con un pirata assassino (come si era dimostrato nei confronti di Francesca) le piacesse un granché, intendiamoci, ma era sempre meglio che saperla morta in mezzo all’oceano in un’altra epoca. E poi contava sul fatto che Elisabeth e Barbossa (che era tipo il suo personaggio preferito in assoluto) sarebbero andati a salvarli.
L’amaro per la morte di Lucia, tuttavia, imperava, impedendole quasi di gioire per la comprovata salvezza della rossa.

‹‹Ci tengo, tuttavia ad informarvi che entrambe si sono comportate eroicamente durante l’attacco. Marta, pur non avendo mai impugnato un’arma da fuoco in vita sua, ha afferrato due fucili ed ha iniziato a sparare contemporaneamente con entrambe le mani, mentre Miss Swann gliene caricava altri due. E a parte il primo colpo, di prova, non ha mai mancato il bersaglio. Ha salvato almeno una decina di persone, colpendo i tentacoli del kraken che imprigionavano i marinai. Per quanto riguarda Lucia, invece, anche se gli ordini, ufficialmente, venivano dati da Turner, ha organizzato interamente il piano di difesa. Se credessi alla magia, penserei quasi che fosse in grado di prevedere le mosse della creatura››
“Perché è esattamente quello che ha fatto, dato che ha visto il film” pensò Mary, sfoggiando un sorriso stanco. Proprio lei che aveva sempre rifuggito la fatica ed il lavoro come la peste, sostenendo che portassero solo guai, moriva proprio agendo in contrasto con i suoi principi, sacrificando la propria vita per quella della gente che tanto disprezzava (era della scuola “la gente è stupida e non sa vivere” e “odio il contatto umano). Qualcuno da lassù aveva una strana ironia.
‹‹E Francesca ha visto tutto?›› domandò lei, colta da un’improvvisa consapevolezza.

‹‹Eravamo troppo lontani per poter intervenire in tempo, ma abbastanza vicini perché potessimo scorgere le loro figure e udire le loro grida di disperazioni. Non abbiamo potuto fare niente per salvarle›› confermò lui, abbassando il capo. Quando aveva scelto di intraprendere la carriera nella marina britannica, mai avrebbe pensato di essere costretto ad assistere ad una scena così raccapricciante. Lo avevano addestrato per arrestare ed uccidere ogni singolo elemento anche debolmente legato alla pirateria e mai, prima di allora, si era domandato se fosse davvero giusto massacrarli così, spesso senza nemmeno un tribunale equo. “Ci hanno addestrati a vederli non come degli uomini, ma come delle bestie” concluse, disgustato nel profondo dalle assurde contraddizioni della società dell’epoca. Non che fosse contro la pena di morte, intendiamoci (ricordiamoci che vive comunque nel ‘700 e, comunque, lavora in America dove ancora oggi in molti stati vige ed è approvata da buona parte della popolazione… purtroppo non posso far parlare i personaggi secondo le mie idee, SIG! Nd: me), ma comunque non riusciva più a comprendere il senso di maltrattare o addirittura torturare prima quelle persone. La pena per i loro atti non era già sufficiente?
I suoi pensieri furono, però, interrotti da un urlo improvviso da parte della ragazza: ‹‹EUREKAAA!››

C’era un motivo se prima sembrava sul punto di morire ed ora stava saltellando per la stanza come una cretina?
‹‹Avete trovato un nuovo modo per individuare la lega di metallo con cui è fabbricata una corona¹?›› la prese in giro Beckett, anche se, probabilmente solo lei comprese l’allusione. Vedendo che, però, non rispondeva alla battuta, intuì che il suo comportamento bizzarro doveva essere dettato da una valida motivazione. La sua intuizione non gli impedì, tuttavia, di capitolare quando udì la richiesta della fanciulla.
‹‹Lord Beckett, potete richiamare Davy Jones, vi prego!››
‹‹E perché mai?›› domandò lui, perplesso. Aveva comunque intenzione di farlo per testare l’autenticità della leggenda legata al cuore, ma non capiva perché mai una ragazza dovesse fare i salti mortali per incontrarlo.

‹‹E’ solo una possibilità su un milione, perché sono già passate quasi quarantotto ore, ma se Lucia è ancora viva, si trova a bordo dell’Olandese. Davy Jones potrebbe non averla notata, impegnato com’è a vendicarsi di Sparrow e a liberarsi di tutte le anime dei morti in mare che dovrebbe traghettare, ma che si rifiuta di fare›› lo stava praticamente supplicando con lo sguardo, anche se già temeva di conoscere la sua risposta. Era appena riuscito ad ottenere il mezzo per compiere la sua vendetta: non avrebbe mai rischiato di compiere un passo falso solo per soddisfare il capriccio di quella che, al momento, gli sembrava solo una ragazzina sconvolta. Per l’ennesima volta, domandò all’Altissimo il perché avesse proprio dovuto nascere in quel corpo. Se avesse avuto il fisico di Fra, ora col cucco che gli uomini lì presenti non la degnavano della minima attenzione! Gli scherzi del Fato
‹‹Ragazzina, vedi di non far volare troppo la fantasia. Anche se la realtà è dura, va accettata›› l’ammonì subito Mr. Mercer, che per la prima volta non la pestò, nonostante dal suo punto di vista stesse facendo i capricci.
Norrington, dal canto suo, distolse semplicemente lo sguardo dalla sua figura. Non era abituato a parlare con le donne, figurarsi se sapeva come consolarne una che aveva appena perso due persone care.

Maria Vittoria abbassò tristemente il capo. Si rendeva perfettamente conto che la sua ipotesi poteva rivelarsi pura follia, ma temeva di non riuscire a fare tutto il possibile per salvare un’amica in difficoltà. Lei era una ragazza paurosa oltre l’inverosimile e, se si fosse trovata al posto di Lucia, probabilmente, o sarebbe morta d’infarto, oppure avrebbe desiderato che qualcuno la andasse a cercare. La tensione che avvertiva era ben visibile nei pugni serrati e stretti lungo i fianchi.
Mentre tutti erano concentrati sulla figura della ragazzina, distrutta, Cutler Beckett raggiunse indisturbato la porta finestra affacciata sul mare. Là, non visto, estrasse il cuore di Jones dal sacchetto e, avvicinatolo al viso, sussurrò una serie di parole incomprensibili. Gli altri si accorsero di quanto accaduto, solo quando videro un innaturale baluginio smeraldo riflettersi sulle candide pareti dello studio.

Lord Beckett rientrò subito dopo e, notando gli sguardi carichi di stupore dei presenti, non riuscì a trattenere un sorriso furbo: ‹‹Chi mi accompagna alla baia a porgere i miei omaggi al Capitano dell’Olandese Volante?››
Per la prima volta in vita sua, Mary fu felice all’idea di farsi tre ore di camminata sugli irti sentieri del Promontorio di Port Royal.
 

Note:
*Maria Vittoria cita la frase pronunciata da Alice nel film “Alice attraverso lo specchio”, per prendersi gioco di Mr. Mercer. Quest’ultimo, infatti, poco prima di lasciare la stanza, le aveva detto che sarebbe passato a controllare ogni tot, per evitare che diventasse un fantasma e sparisse attraverso i muri.
1- Fa riferimento all’episodio semi leggendario in cui Archimede, immerso nella vasca da bagno (non immaginatevi quelle moderne, hahaha), avrebbe gridato, appunto questa parola, che in greco antico significava letteralmente “ho trovato”. In quel momento, infatti, gli era sovvenuta un’idea per capire se la corona realizzata per il suo sovrano fosse veramente d’oro, oppure d’argento patinato d’oro. Infatti, l’oro immerso in acqua ne sposta una certa quantità, mentre l’argento un’altra. Con questo astuto metodo, riuscì, così, a scoprire l’inganno intessuto ai danni del suo sovrano.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11- Ritrovarsi e doversi già dire addio (parte prima) ***


Capitolo 11- Ritrovarsi e doversi già dire addio
Parte prima- Il segreto di Lucia
 
 
Anno 1729, 18 maggio, h 16,30
Mar dei Caraibi (Olandese Volante)
 

Erano passati quasi due giorni dalla distruzione della Perla Nera e l’Olandese Volante era ancora ormeggiato a poca distanza dal luogo del disastro. Per quanto il capitano confidasse nella potenza dei suoi mezzi, sapeva bene che, quando si parlava di Sparrow, la prudenza non era mai troppa. Aveva, dunque inviato la ciurma a perlustrare ogni centimetro quadrato degli isolotti nelle vicinanze, mentre lui in persona setacciava da cima a fondo i resti della nave pirata. Se era riuscito salvarsi, lui l’avrebbe saputo.
Lucia osservava gli spostamenti del capitano e della ciurma da dietro una pila di casse. A che cosa servissero, era un mistero, dato che chi si trovava a bordo di quella nave non aveva bisogno né di mangiare, né di bere. Inoltre, dato che l’Olandese non poteva essere in alcun modo danneggiato, non potevano nemmeno contenere degli attrezzi utili per eventuali riparazioni o pezzi di ricambio. Ne dedusse, dunque, che fossero solo “attrezzi di scena”, un po’ come i camionisti che riempiono l’abitacolo con cianfrusaglie di ogni forma e colore. “Gli uomini, vivi o morti, moderni o antichi, sono sempre uguali” si trovò a riflettere, sconsolata.

Durante la battaglia contro la creatura di Jones, nonostante i continui richiami di Will, si era avvicinata troppo alla balaustra sul fianco sinistro della nave e, al primo scossone un po’ più forte, era stata sbalzata fuori. Della caduta ricordava poco e niente: l’acqua sollevata dal kraken che le entrava in occhi e polmoni, impedendole di respirare, e l’ansia di finire schiacciata o, comunque affogare per colpa della creatura. Il panico, sommato all’altezza della caduta e alla difficoltà di respirazione furono, probabilmente la causa della sua perdita dei sensi.
Al suo risveglio, si era ritrovata a bordo della nave fantasma e, più precisamente, ingarbugliata in una rete viscida, interamente ricoperta da alghe, conchiglie marine e pezzetti di corallo. (Greta Tumberg lo avrebbe scuoiato vivo: quando si pesca si sta attenti a non danneggiare il fondale marino e i suoi abitanti!) Dopo un attimo di smarrimento, passato a sputacchiare acqua salata e a rimettere insieme i pezzi, si rese finalmente conto di dove si trovava. Inutile dire che rischiò l’infarto. Ma come, non era un’estimatrice del black humor e di tutto ciò che è macabro ed inquietante, vi chiederete. Ebbene, non sempre chi continua a parlare di morte e tombe non teme il “trapasso”; anzi, spesso e volentieri è proprio il contrario.

Lucia tendeva a parlare frequentemente delle tematiche legate alla morte, giungendo perfino al punto di idealizzarla (es. Quante fanfiction/ libri/ film/ fumetti avete visto in cui Thanatos, o comunque la morte, è presentato come un bel manzo tenebroso, con due splendide ali? Innumerevoli. E lo stesso per quanto riguarda vampiri, ovvero cadaveri ambulanti, fantasmi, zombi, shinigami e altre divinità legate all’oltretomba), e tutto questo solo per cercare di diminuire la paura folle che provava nei confronti del “momento del passaggio”. Tempo che, nel suo caso, sarebbe giunto molto presto, secondo quanto attestavano i medici che l’avevano avuta in cura sin da quando aveva quattro anni.

La famiglia di suo padre aveva una particolarità: da almeno quattro generazioni, tutti i maschi nascevano con un cuore molto forte, capace di pompare quasi il 50% del sangue in più nei vasi, e che permetteva, dunque, di compiere sforzi fisici superiori a quelli dell’uomo medio. Troppo bello per essere vero, direte. Per ogni benedizione c’è sempre un tallone d’Achille: chi riceveva questo “dono” non campava oltre i trent’anni e la soglia non si alzava nemmeno se il proprietario si sforzava di condurre una vita tranquilla.
Quando si era scoperto che il padre di Lucia (figlio unico) non aveva ereditato tale fardello, la famiglia aveva dato una festa enorme, pensando che la “maledizione” fosse finita. L’illusione si era, però, infranta quando, il giorno della nascita di Lucia, avevano ricevuto i risultati dell’esame al cuore. “Questo non è un cuore, ma una Lamborghini” gli disse il medico, pensando di rendere felici i familiari con la bella notizia, ma ignaro di ciò che tale affermazione significava per i poveri genitori, che conoscevano l’entità dell’anomalia.

Quando si ricevono notizie di questo genere, solitamente le reazioni possibili sono due: il rifiuto, con conseguente ribellione o l’accettazione e relativa depressione. Lucia, nonostante avesse solo tre anni quando le fu rivelato, scelse la seconda strada. Mentre gli altri bambini giocavano correndo fino allo sfinimento, lei rimaneva seduta o semi sdraiata sul prato e sulle panchine, evitando qualunque attività comportasse anche solo il minimo sforzo. E così, mentre i genitori degli altri provavano a convincerla a condurre una vita normale per una bambina della sua età, i suoi le insegnavano a leggere, le regalavano videogiochi e facevano l’abbonamento a Sky. Qualunque cosa, pur di sapere loro figlia al sicuro da ogni possibile trauma e sforzo. Disposti perfino a barattare la sua felicità con un paio d’anni in più di vita passiva.

Lucia era rimasta per due giorni a bordo dell’Olandese, approfittando della distrazione del capitano e dell’assenza della ciurma. Il suo piano iniziale era attendere che tutti i marinai-pesce tornassero a bordo, per poi calarsi in acqua e raggiungere a nuoto l’arcipelago che si trovava a meno di un chilometro di distanza. Non aveva, però, considerato il fatto che un chilometro nell’oceano è una distanza decisamente troppo grande e faticosa da percorrere, specie per una ragazza che non aveva mai praticato sport in vita sua. Inoltre, non avendo mai imparato a nuotare, aveva pensato di rubare una scialuppa di salvataggio ma, dopo tre giri completi dei ponti, aveva dovuto convincersi del fatto che queste, in una nave che traghettava morti, non avevano motivo di esistere.

Non poteva lasciare la nave, a meno che qualche anima pia la venisse a recuperare e quel che era peggio era che, da quanto ricordava, l’Olandese non navigava quasi mai sulla superficie delle onde. L’equipaggio non aveva problemi, data la protezione che gli forniva Jones, ma Lucia non sarebbe mai sopravvissuta ad un’eventuale immersione della nave. Cosa che, se non ricordava male, sarebbe avvenuta da lì a poco, dato che Beckett avrebbe presto richiamato l’Olandese a Port Royal.
Come a voler esplicitare i suoi pensieri, Jones comparve sul ponte principale proprio in quell’istante, richiamando i suoi uomini ed annunciando: ‹‹Jack Sparrow è morto: il debito è stato pagato. Si ritorna nel profondo degli abissi!››
‹‹No, no, no!›› sussurrò Lucia, sbiancando visibilmente. Non voleva morire e, soprattutto, non voleva morire così, in una maniera assurda, lontana da tutti e senza essere ancora riuscita a combinare nulla di buono.

Nonostante il coro sonoro di “sì, signor capitano” che riecheggiò per tutta la nave, Jones tuonò: ‹‹Non ho sentito bene››
‹‹SI’ SIGNOR CAPITANO!›› la ciurma si affrettò ad alzare la voce, timorosa di dover affrontare l’ira dell’uomo-polpo.
“Ma che è, Spongbob?” si domandò Lucia, allibita. La sua morte su una nave fantasma governata da uomini pesce con il volto cosparso di molluschi di ogni genere e specie non era già abbastanza ridicola, forse? Ecco un’altra delle tante cose da domandare al creatore una volta giunta nell’aldilà (insieme a dogmi della fede del calibro di “Perché Severus Piton nel primo libro ha 31 anni e nei film 55?”, “Perché il ragazzo più figo ne “Winx”, Valtor, deve morire? (In realtà nelle ultime stagioni ritornava, ma Lucia, amante delle prime stagioni, lo disconosceva in quanto completamente diverso dall’originale)” e “Perché Itachi Uchiha non esiste?”)).
La ragazza tutto si aspettava, fuor che quello che l’uomo-polpo disse dopo: ‹‹Chi sta pensando?››
“Se avesse detto OH! mi sarei seriamente preoccupata” pensò Lucia, vagamente perplessa “Ma cos’è un dittatore? Comunque mi piace che sia lui stesso ad ammettere che sulla sua nave la gente deve pensare esattamente quello che desidera lui… Onesto il ragazzo”.
‹‹Di nuovo›› ringhiò lui tra i denti, per poi affermare, mentre si preparava a fondersi con la nave, per poi ricomparire nel luogo in cui avvertiva il flusso di pensieri indesiderati (i privilegi del capitano dell’Olandese): ‹‹E non fa parte della ciurma››

Ora, immaginatevi lo sgomento di Lucia nel momento in cui si vide comparire davanti un Jones furibondo che agitava i tentacoli senza controllo, scuotendo la testa e ringhiando cose del tipo: ‹‹DONNA! Non può stare sulla mia nave. Né viva, né morta››. Tutto questo mentre avanzava verso di lei ad una velocità innaturale e senza nemmeno muovere le gambe per spostarsi.
Le voci cavernose dei marinai, che intonavano il solito “Parte della ciurma, parte della nave”, non fecero altro che aumentare l’atmosfera da film horror che si respirava in quel momento. La ragazza, però, forse complice l’attacco di panico in stadio iniziale, non se ne rese conto appieno. Se avesse fatto caso anche a tutti quegli occhi dai colori innaturali che la fissavano, incavati in quei volti completamente sfigurati, forse non sarebbe sopravvissuta abbastanza a lungo per udire Jones ringhiare e ordinare ai suoi uomini: ‹‹Ritirate l’ancora e preparatevi all’immersssione. C’è un povero ssstolto che si intromette in questioni che non riguardano il suo esssere mortale››

Solo quando i tentacoli di Davy Jones si furono ritratti, Lucia si rese conto di aver trattenuto il fiato e che, qualora l’uomo-pesce non fosse stato richiamato da Beckett (se ricordava bene), avrebbe fatto la fine di Mr. Mercer nel terzo film. La sola idea dei suoi viscidi tentacoli che le si inserivano nella bocca e nel naso, perforandole i polmoni e uscendole dai bulbi oculari, le rese impossibile reprimere i conati di vomito.
*****
 
 Anno 1729, 18 maggio, h 19,00
Port Royal, Giamaica (Insenatura nascosta)
 

‹‹Miss. Innocenti, non vi facevo così resistente›› commentò Lord Beckett, seriamente colpito dalla grinta con cui stava affrontando la camminata. Quando tre ore prima aveva deciso di accontentarla e di richiamare Davy Jones all’istante, aveva dato per scontato che la fanciulla li avrebbe seguiti spiritualmente, ovvero che si sarebbe fermata alla fine della strada battuta, in cima al promontorio. Da lì avrebbe avuto un’ottima visuale delle trattative e si sarebbe anche risparmiata una lunga e pericolosa camminata (e a tratti arrampicata) sui pendii scoscesi a picco sul mare. Lui stesso avrebbe inviato solo Mr. Mercer e pochi altri fidati, se ciò non avesse potuto sminuire l’immagine che voleva dare di sé al capitano dell’Olandese Volante.
Contro ogni previsione, aveva educatamente chiesto il permesso per accompagnarli e, non solo durante il tragitto non si era lasciata sfuggire un singolo lamento, ma non aveva mostrato nemmeno un segno di affaticamento. Nei tratti più impervi, inoltre, aveva suggerito a bassa voce ad un paio di soldati in evidente difficoltà qualche trucco per effettuare una ferrata (senza corda, né cavi, purtroppo), nella maniera più sicura possibile.

‹‹A quanto pare trascorrere le giornate a spostare libri enormi e dizionari ha i suoi vantaggi. Chi l’avrebbe mai detto, eh?›› ridacchiò lei, seppure la voce fioca ed il tremito delle mani lasciasse trapelare quanto, in realtà, fosse seriamente provata dalla discesa.
‹‹Soffri di vertigini, mocciosa?›› Mai una volta che quell’uomo la incoraggiasse un minimo, mai.
‹‹Anche, ma ormai ho una paura viscerale di così tante cose che non ci faccio quasi più caso… E poi, se Davy Jones risultasse misogino anche solo la metà di quanto non trapeli dai racconti che ho udito, Lucia ha i minuti contati. Dobbiamo fare in fretta›› confermò lei, con una nonchalance che sorprese non poco l’ex Commodoro. Gli altri si erano ormai abituati ai commenti taglienti di Mr. Mercer e alle stravaganti risposte della ragazza.
‹‹Comunque, non che io lo domandi con un secondo fine, eh, ma non è che per caso potrei tornare al molo a nuoto? Non lo dico solo per evitare la salita, nooo, è solo che farsi tre chilometri di zig zag tra gli scogli, evitando gli squali e barracuda, è un vero toccasana dopo una scalata di tre ore. Lo dicono tutti, davvero›› il debole tentativo di rimanere seria, mentre proponeva il suo geniale piano di fuga, andò in frantumi a causa delle risate sguaiate del reggimento. A quel punto, non poté far altro che unirsi a loro, o almeno finché Mr. Mercer non decise di proporle: ‹‹Anche io, in effetti, avrei proprio voglia di farmi una nuotata. Immagino che capirai se, però, vorrò seguirti, impugnando una sciabola. Non vorrei mai che perdessi tempo a contemplare il panorama e non arrivassi alla magione in tempo per cena››

A tale affermazione seguirono altre risate sguaiate a cui, tuttavia, non si unì la fanciulla. La sua diffidenza era dovuta, in parte al fatto che, ormai, aveva imparato a conoscerlo e sapeva di cosa fosse capace, e in parte alla sciabola che vedeva luccicare al fianco della sua cintura. Da quando in qua portava con sé tale arma, senza alcuna guaina, tra l’altro? Che avesse già previsto tutto e avesse sostituito la sua spada usuale con una che potesse rovinare a contatto con l’acqua salata?
‹‹Ma la cena era programmata per le 20,30. Non arriveremmo per tempo nemmeno se rifacessimo la scalata›› obbiettò lei, cauta.
‹‹Io se fossi in te inizierei a correre: tic toc, tic toc, tic toc!›› l’uomo si mise a battere il tempo, sull’elsa della sciabola. In volto, la sua solita espressione seria.
‹‹Nuuu, per farore!›› implorò lei, mentre cercava di camminare più velocemente, nonostante la stanchezza ed il costante tremore che ora si era trasmesso anche alle gambe.
A parte questi piccoli inconvenienti e qualche caduta fantozziana da parte della nostra sventurata protagonista (che fece quasi venire un infarto a Norrington), la discesa proseguì senza particolari problemi. In trenta minuti scarsi riuscirono a raggiungere la tanto agognata meta. Sui visi di ciascuno di loro (Mr. Mercer a parte) si poteva leggere una commistione di emozioni positive: gioia, sollievo, curiosità ed anche un pizzico di soddisfazione.

A Maria Vittoria, tuttavia, bastò una singola occhiata alla nave per perdere tutta la sua titubanza: il capitano, scorgendola tra la folla, aveva subito iniziato a ringhiare con cattiveria. Ma perché i traghettatori di anime dovevano sempre essere così inquietanti? (Caron dimonio dagli occhi di bragia, accompagnato da un segugio infernale con tre teste, Anubi, dio sciacallo, con la collaborazione speciale di un mostro chiamato “il divoratore di anime”, i mostruosi shinigami in Giappone, solo per fare qualche esempio) “Signore, ti prego, aiutami tu. Da sola non ce la posso proprio fare” sospirò lei, per poi raggiungere Lord Beckett che le stava facendo segno di avvicinarsi. Non prima di aver fatto un enorme segno di croce, però, cosa che suscitò l’immediato biasimo da parte del signor Mercer. Che pensasse pure che era un’esagerata esibizionista, ma in quel momento aveva un assoluto bisogno di quello o di una camomilla e, dato che di quest’ultima non vi era traccia all’orizzonte, non le rimaneva una grande scelta.

Le trattative tra Lord Beckett e Davy Jones furono piuttosto veloci, a dire il vero. Del resto, il secondo si era strappato il cuore dal petto per un motivo e non aveva nessuna intenzione di essere costretto a starvi vicino. Anche se lo scrigno si trovava a più di 100 metri di distanza dalla nave, iniziava già ad avvertire i preamboli di quello sconvolgimento interiore da cui cercava, ormai, di scappare da anni. Un dannato non aveva bisogno di un cuore per provare sentimenti: quelli li lasciava volentieri ai mortali. Trovava divertente vedere come si affannavano, nella sciocca illusione di poter ottenere la piena felicità, uno stato che all’essere umano non era permesso raggiungere. Provare sentimenti significava alternarne positivi e negativi, in un circolo vizioso che portava sempre e comunque ad una perenne insoddisfazione o ad un dolore senza limiti. E, se il prezzo per un attimo fugace di felicità erano anni di sofferenze, allora preferiva non provarne affatto.
In tutto questo, Mary si mantenne a debita distanza, cercando di fare tutto il possibile per non attirare l’attenzione dell’uomo-pesce. Per quanto detestasse molti tratti caratteriali di quel personaggio, capiva bene che cosa significasse avere il cuore spezzato ed essere condannato ad amare una persona di un livello irraggiungibile. Nel suo caso, un ragazzo con un QI superiore a 200 (più di Einstein), mentre in quello di Jones, una divinità marina. Voleva assolutamente evitare di turbarlo con la sua presenza, a meno che, chiaramente, non fosse stato proprio indispensabile. Occasione che, purtroppo, si manifestò proprio due minuti dopo.

‹‹Che ne è stato della ciurma di Sparrow?›› Beckett non perse tempo ad introdurre l’argomento, comportandosi da vero Lord inglese, se proprio Mary poteva dire la sua. Mr. Mercer, al contrario, la riteneva un’assurda perdita di tempo, ma non osò contraddire il suo superiore. Si limitò ad affiancarlo in silenzio, non prima, però, di aver lanciato un’occhiata significativa alla ragazza.
Vedendo che, però, Jones non pareva incline a parlare, decise di entrare più nello specifico, in modo da testare la sua reazione. Cutler Beckett era praticamente certo che l’uomo-polpo non si sarebbe mai aspettato da parte sua delle domande su una persona in particolare, specie una donna sconosciuta. Se ne avesse saputo qualcosa, non sarebbe riuscito a rimanere impassibile, anche qualora avesse mentito. Parlò ancora, facendole segno di avvicinarsi: ‹‹Stiamo cercando una giovane donna con i capelli castani molto corti (per l’epoca il caschetto era considerato uno scandalo o un abominio. Nell’alta società, le nobildonne che dovevano tagliarsi i capelli perché rovinati o per qualunque altro motivo, si munivano di parrucca). E’ caduta in mare durante l’attacco della tua creature ed il corpo non è stato ritrovato›› Quell’uomo era dannatamente bravo a bleffare, qualità che doveva essergli stata particolarmente utile nei suoi traffici commerciali. E, a quanto pare, sapeva sfruttare anche gli elementi di stress della controparte, dato che, vedendola avvicinare, Davy Jones iniziò subito ad innervosirsi: ‹‹T-tenete lontano quell’abominio dalla mia nave!››

L’urlo improvviso fece bloccare di scatto la poveretta, che rischiò seriamente di sbilanciarsi e cadere dalla lunga e stretta passarella che era magicamente apparsa per collegare gli scogli alla nave. A quanto pare possedere il cuore di Jones dava diritto a dei privilegi. Cosa di cui Mary si sentiva troppo onorata e avrebbe volentieri fatto a meno, dato che soffriva di vertigini, aveva paura delle cose pericolanti, dell’acqua, delle onde alte, degli scogli, delle cose viscide, dei mostri, delle piovre, di dare fastidio alle persone, di essere presa in giro, di essere fissata e, soprattutto di Mr. Mercer.

Per riassumere la scena, la poverina, ovviamente, stava camminando su una passerella viscida e scivolosa larga non più di quaranta centimetri, lunga un centinaio di metri, ma con uno spessore irrilevante (e con lei la favoletta del “reggerà qualunque peso perché è magica” non attaccava), ad una quindicina di metri dall’acqua, agitatissima in quel punto, a giudicare dall’altezza assurda delle onde che si infrangevano nell’insenatura disseminata di suri scogli aguzzi. Il suo tentativo di tirarsi un po’ su di morale con il pensiero “Almeno in questo punto pericoloso non possono esserci gli squali” sfumò nel momento esatto in cui si accorse che ad attenderla dall’altra parte c’erano almeno una dozzina di uomini pesce con la testa di squalo. E allora!

Come se non fosse già abbastanza sottopressione, aveva addosso gli sguardi di metà reggimento, una ciurma di dannati dalle sembianze mostruose, di cui uno con la testa da polpo (Ma che trauma ha avuto! Nd: tutti. Non chiedete, fidatevi. Nd: me) che non vedeva l’ora di vederla evaporare, che ridacchiavano ogni volta che la vedevano perdere l’equilibrio. Ma erano seri? Si erano accorti che se fosse caduta sarebbe morta non appena toccata l’acqua? E poi perché loro non avevano avuto nessun problema? Non dovevano essere i maschi quelli con problemi di equilibrio?
Dopo due minuti di traumi, Maria Vittoria si decise a percorrere la parte restante, 98 metri (Non giudicate! Nd: Mary), strisciando, con le braccia che abbracciavano la tavola. Il tenente Groves l’avvisò, preoccupato, che così era anche peggio, ma a quel punto non era più in grado di alzarsi, senza rischiare di perdere l’equilibrio e cadere. “Se gli fosse importato veramente mi avrebbero aspettato, invece di correre e lasciarmi indietro” pensò lei, deprimendosi ancora di più.

Dopo quelle che le parvero ore, riuscì finalmente a raggiungere il ponte della nave, anche se rischiò di cadere proprio all’ultimo, nel vano tentativo di sfuggire alle grinfie di Mr. Mercer. Quest’ultimo, infatti, l’aveva aspettata con le braccia aperte per tutta la durata del suo calvario, sfoggiando un’espressione che chiunque avrebbe scambiato per preoccupazione paterna, ma che lei aveva subito riconosciuto come una tacita minaccia, molto in stile “Sono il fantasma formaggino! Vieni che ti spalmo sul panino!”.
Giunta, finalmente a destinazione, accettò estrema gratitudine il fazzoletto offertole da Mr. Davis, che ormai era l’addetto, per asciugare le lacrime che, senza che lei se ne accorgesse, avevano iniziato a sgorgarle per l’eccessiva paura. Vedendola in questo stato, i marinai smisero di ridere e, persino il cinico Davy Jones fu tentato di estinguere la sua insulsa vita porgerle un bicchiere d’acqua. Poi, tuttavia, si rese conto che non rientrava nel copione e si costrinse, dunque, a continuare a guardarla in cagnesco.
‹‹Non avete risposto alla mia domanda›› gli fece notare Lord Beckett.

Davy Jones, finalmente parlò, ma nel farlo non si rivolse a lui, ma a Maria Vittoria, alla quale si gelò il sangue nelle vene: ‹‹E’ morta. L’ho uccisa appena dopo aver ricevuto la chiamata››
‹‹N-no, non…›› tentennò lei, che ancora tentava di trovare una spiegazione plausibile.
‹‹Di solito non uccido le donne, non le ritengo degne di incontrare la mia lama. Se non fossi stato così arrabbiato per il cuore, l’avrei lasciata andare›› fece una pausa, in modo da potersi beare dello sguardo scioccato della ragazza ‹‹Ammetto che quando il caro Cutler mi ha chiesto di lei, inizialmente ho pensato che fosse una sua spia, ma poi ho visto te, Maria Vittoria Francesca Lorena De’ Medici… Immagino che avrai insistito affinché il nostro piccolo Lord mi richiamasse immediatamente, perché magari Lucia Parodi poteva essere ancora viva. Chi l’avrebbe detto che la tua impazienza avrebbe causato un altro lutto?››

Lord Beckett strinse leggermente la presa sulla sua spalla, come per volerla ammonire di non lasciarsi spaventare dai poteri di quell’essere. Lui stesso aveva sentito una stretta al cuore, quando aveva sentito pronunciare il suo nome proprio con una tale disinvoltura. Del resto, che giocare con forze sconosciute non fosse una buona idea era risaputo e, se il suo desiderio di vendetta non fosse stato così avvolgente, non ci avrebbe mai provato.
‹‹Pensate davvero che conoscere i nostri nomi vi garantisca un controllo completo delle nostre vite?›› rispose lei, cercando di ostentare una sicurezza che non possedeva affatto. Maria Vittoria conosceva il potere che conoscere un nome dava e, se Davy Jones lo sapeva, significava che i suoi poteri andavano ben oltre la sua immaginazione. I film della Disney lasciavano intendere che l’uomo-polpo adorasse giocare con la psiche dei più deboli, proprio come nel caso di Weatherby Swann, ma non parlavano, certo, della sua capacità di analizzare così bene l’animo di una persona. Del resto, non ci voleva un genio per capire che un padre avrebbe seguito un tiranno (e sì, sto parlando proprio di te, Cutler Beckett! Nd: Mary) solo se minacciato per mezzo della sua unica figlia che, casualmente, era l’unica donna presente sulla Perla Nera. Sembrava un uomo estremamente intelligente, ma nulla di più.

‹‹Zitto, abominio! Cosa ti fa pensare che io abbia intenzione di parlare con te?›› l’uomo scattò in avanti, sperando di riuscire a sfruttare un attimo di disattenzione da parte delle giubbe rosse, per poter eliminare quell’essere spregevole che, a causa della troppa vicinanza del cuore, gli stava facendo tornare alla mente dei ricordi che avrebbe voluto cancellare.
‹‹La grammatica, ahhh!›› l’urletto finale fu causato da un improvviso, ma provvidenziale, strattone di Beckett, che la trasse a sé (ergo finirono entrambi a terra come due cretini, dato che avevano all’incirca la stessa altezza e lo stesso peso, ma per fini narrativi, fingeremo tutti che sia riuscito a proteggerla con fare galante). Meno di un secondo dopo, la spada si Jones fendette l’aria nel punto in cui prima si trovava la ragazzina, per poi essere bloccata da quella di Mr. Mercer. A quanto pare, la sciabola non serviva solo per minacciare Maria Vittoria, ma anche per poter contrastare la chela-braccio di Davy Jones, grazie al maggior spessore. Da quando quell’uomo era così previdente? Mary si convinse ancora di più dell’idea che farlo arrabbiare fosse una pessima idea.
La prova di forza dei due “maschi alfa” fu, fortunatamente interrotta da Lord Beckett, che ricordò cortesemente al loro ospite che, se al prossimo colpo ti testa, avrebbe dato l’ordine di sparare al suo prezioso cuore.
‹‹Avrei fatto un favore a tutti: ma vi rendete conto di che assurdità quelle della sua specie vanno blaterando? Che razza di risposta è la grammatica?›› sbottò lui, sconcertato, dopo aver dovuto rinfoderare la spada.

‹‹Da un punto di vista scientifico, uomini e donne appartengono alla stessa specie, ovvero quella degli homines sapientes, quindi la frase che ha appena pronunciato non ha molto senso, a dire il vero. Ma la classificazione di Linnaeus giungerà solo nel 1758, quindi posso capire la confusione›› tentò coraggiosamente (nascosta dietro Lord Beckett) di mettere i puntini sulle i, per poi spiegare: ‹‹Ad ogni modo, il “te, Maria Vittoria eccetera, eccetera”, oltre a dare sfoggio delle vostre conoscenze impressionanti, è anche un complemento di vocazione, il che presuppone che vi steste rivolgendo al soggetto sopracitato. Non so se mi sono spiegata bene…›› alla vista del suo sorriso furbo, l’uomo-polpo ripensò seriamente all’eliminazione fisica, ma non ebbe il tempo di progettare nulla, perché quella prese coraggio e gli si avvicinò velocemente. Poi, mani sui fianchi e occhi puntati nei suoi, gli domandò, decisa: ‹‹Lucia Parodi è viva?››
‹‹Oltre a parlare a vanvera sei anche dura di Comprendonio: mi sembrava di averti già detto che è morta per colpa tua›› se l’uomo si limitò a ringhiarle fu, probabilmente solo per lo stupore della sua azione repentina. Chi poteva essere così idiota da avvicinarsi ad una creatura mostruosa, dotata di poteri sovrannaturali, senza cuore (letteralmente), nemico del genere femminile e, soprattutto, che aveva appena tentato di trafiggerla con una lama?

‹‹Si trova su questa nave, in questo momento?›› continuò lei, imperterrita, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.
‹‹No: non voglio donne sulla mia nave››
‹‹E’ nelle segrete’››
‹‹No!››
‹‹O magari nella vostra cabina…››
‹‹NO!››
‹‹Perfetto, è nella vostra cabina. Sono in grado di liberarla, o servono dei poteri particolari per farlo?››
‹‹COSA DI E’ MORTA NON FRIUSCITE A COMPRENDERE?!?!?›› perse, definitivamente, la pazienza.
‹‹La logica è contro di voi, ed inoltre ho una discreta abilità nel capire quando una persona mente›› ribatté lei, mentre tornava nella “zona sicura”, per poi domandare a Lord Beckett il permesso per poter perlustrare la cabina del capitano. Una volta accordatole, si incamminò a passo spedito lungo il ponte, sotto lo sguardo rabbioso dell’uomo-polpo, ma una volta giunta al centro del ponte si bloccò di colpo.

‹‹Hem, scusate, dove posso trovarla, all’incirca? Scusate, ma non sono molto pratica delle navi, hehehe›› domandò, portandosi una mano dietro la nuca con fare imbarazzato, e facendo cadere le braccia a tutti i presenti.
‹‹Donne…›› mormorarono tutti in coro e, se Mary non commentò, fu solo perché le premeva l’urgenza di trovare l’amica.
‹‹Mr. Mercer…›› chiamò Lord Beckett. Ormai non si sorprendeva nemmeno più per queste sue “uscite”.
‹‹L’accompagno io, My Lord›› lo precedette lui, che ormai era abituato a farle da bambinaia 24 ore su 24 ‹‹Se vede un ragno un po’ più grande del normale o si spaventa con il buio, poi stanotte tocca a me non chiudere occhio perché la mocciosa ha gli incubi››
‹‹Basta anche un ragno più piccolo del normale›› ammise lei, imbarazzata.
‹‹Appunto›› sospirò lui, esasperato, per poi precederla verso quella che doveva essere la cabina di comando e che, tra parentesi era anche ben visibile dal ponte.

‹‹Hem, lo sapevo che era quella, volevo solo esserne sicu… Ahio!››
‹‹Cammina›› l’ammonì lui, per poi afferrarla per un braccio e trascinarla nelle tenebre.
‹‹Site sicuro che mandarla da sola con quell’uomo sia stata una buona idea?›› domandò James Norrington, reso inquieto dalle grida femminili che si udivano di tanto in tanto in lontananza.
‹‹State tranquillo, Commodoro: vi posso assicurare che è tutto nella norma›› se le parole di Beckett dovevano confortarlo, non ci riuscirono per niente. “Speriamo solo che la sua intuizione fosse giusta e che abbia fortuna” si limitò a pensare, mentre attendeva il ritorno dei due.
 
*IN THE MEAN TIME*
‹‹Immagino di non doverti neanche dire che potrebbero esserci trappole nascoste ovunque, pronte a scattare non appena tocchi qualco…›› l’ammonimento di Mr. Mercer fu interrotto dal suono di un organetto da camera. Immediatamente, l’afferrò per la parte posteriore del colletto della maglia e la sollevò, in una scena che assomigliava molto a mamma gatta che afferra il cucciolo per la collottola.
‹‹Scusatemi tanto, non ho resistito, hehehe›› si scusò lei, mentre cercava di convincere l’uomo a riposarla a terra.
‹‹Tu non vai da nessuna parte: non ho nessuna intenzione di controllare ogni due secondi che tu non ti metta nei pasticci. E se non stai ferma, mi costringi a legarti e caricarti in spalla come un sacco di patate›› la minacciò lui. Se le fosse successo qualcosa, avrebbe dovuto risponderne a Lord Beckett e non aveva nessuna intenzione di fallire una missione per colpa di una mocciosa che non voleva saperne di crescere.
Fece per avviarsi verso il letto, unico punto che pareva abbastanza grande per poter nascondere un corpo, quando fu bloccato dalla mocciosa: ‹‹Aspettate: attimo… L’organetto prima ha suonato, giusto?››

‹‹Pensavo che vi importasse leggermente di più della vostra amica. Perché perdere tempo con uno stupido strumento?››
‹‹Intanto non è uno stupido strumento, ma un autentico organo di epoca medievale. Per una persona della mia epoca è praticamente impossibile vederne uno, figuriamoci suonarlo, ma non è questo il punto›› lo corresse lei, scocciata.
‹‹E quale sarebbe, allora, sentiamo››
‹‹Gli organi antichi hanno una particolarità: devono essere suonati in due. O meglio, dato che per funzionare necessita di una grande quantità d’aria, occorreva che una seconda persona azionasse un meccanismo che assomigliava tantissimo al soffietto per attizzare il camino››
‹‹Voi, però ci siete riuscita da sola›› le fece notare l’uomo, che ancora non riusciva a comprendere l’utilità della discussione.
‹‹Immagino che il capitano dell’Olandese Volante possa anche godere di alcuni vantaggi che trascendano le tecnologie contemporanee, ma ciò non toglie che un organo necessiti di un qualche meccanismo che gli permetta di ottenere aria da riversare dalle canne, manuale o automatico che sia. Quando ero alle medie aiutavo con l’organo della mia parrocchia, dato che l’organista era venuto a mancare, quindi so come funziona. E sono abbastanza certa che, la presa d’aria vada chiusa dopo l’utilizzo dello strumento››

‹‹Non potrebbe averlo lasciato così per la fretta di rispondere alla chiamata?›› le fece notare lui, anche se la vena scettica nella voce stava, via, via lasciando il posto ad una interessata.
‹‹Una persona che ama la musica tratta il proprio strumento come un prolungamento della propria persona: non rischierebbe mai di fargli del male. E poi per chiudere la presa d’aria ci vuole veramente una frazione di secondo e Davy Jones è dotato di una velocità sovraumana››
‹‹Quindi, perché lasciare il passaggio per l’aria aperto, se non serve allo strumento in sé?›› domandò retoricamente l’uomo, mentre posava delicatamente la fanciulla a terra (talmente delicatamente che la sentirono urlare fin a Port Royal) e si avvicinava all’organo.
La struttura non pareva aver subito modifiche tali da presupporre una nicchia nascosta e via dicendo, ma conoscendo Davy Jones, mai dire mai.
‹‹Se stessimo parlando di un libro, probabilmente, lo strumento si aprirebbe una volta suonata una canzone particolare che funge da chiave. Peccato che io sappia suonare solo con gli accordi o poco più e che non abbiamo idea di quale possa essere il brano segreto›› sospirò lei, appoggiando le mani sui tasti, con fare esasperato. L’unica soluzione sembrava essere supplicare Jones di eseguire la sequenza e liberare la sua amica, ma dubitava fortemente che avrebbe assecondato la sua richiesta. Ed era praticamente certa che Lord Beckett non avrebbe minacciato nuovamente il capitano dell’Olandese, solo per lei.

Proprio quando stava per perdere definitivamente le speranze, l’aiuto giunse proprio dalla persona da cui meno se lo sarebbe aspettato.
‹‹C’è un motivo per cui alcuni tasti non hanno suonato?›› le domandò Mr. Mercer.
‹‹Non saprei… forse dovevo premerli con maggior forza›› ipotizzò lei, anche se iniziava ad avere qualche dubbio, anch’ella. Quando fece scorrere le dita su tutti i tasti e si rese conto che solo due suonavano e che anche questi, una volta premuti non suonavano più, capì che non poteva essere una coincidenza.
‹‹Mr. Mercer, siete consapevole di essere un genio, vero?›› domandò lei, mentre si preparava a tentare tutte le combinazioni possibili.
‹‹Siete la prima a dirmelo, Miss›› nonostante la voce impassibile, non riuscì a nascondere un sorrisetto divertito.
“E siamo passati dal tu al voi” pensò lei, trionfante, mentre si accingeva a provare delle nuove combinazioni. Nell’arco di cinque minuti, ritenne di poter escludere tutti i tasti, escluse le tre scale centrali. Che il Signore fosse stato così generoso da lasciarle un pezzo semplice da individuare? Magari!

‹‹Queste note ti ricordano qualcosa?›› domandò lui, che iniziava ad avvertire un certo mal di testa, a fuia di sentire suonare le stesse note.
‹‹Dubito di essere all’altezza di un maestro come Davy Jones. Sicuramente il suo pezzo è troppo difficile per le mie limitate abilità, e poi, potrebbe anche trattarsi di un qualche brano andato perduto nella mia epoca o di una sua creazione… Chissà›› commentò lei, pensierosa, mentre ripercorreva mentalmente l’ultima sequenza individuata ‹‹Comunque, sta andando stranamente bene: io di solito ho la memoria di un pesce rosso, non so se si era notato…››
‹‹Sì››
‹‹Grazie tante, mai una volta che riusciate a sollevarmi un minimo la mia autostima›› borbottò lei, fingendosi offesa. Ora che ci pensava, era incredibile come si fosse sciolta nel parlare con l’uomo. Fino a non troppo tempo prima aveva il terrore anche solo di respirare in sua presenza, ed ora riusciva a scherzare (senza mai prendersi troppa confidenza, sia chiaro) con lui.

‹‹Ma tu non hai un’autostima›› le fece notare lui, ovvio.
‹‹Detesto quando avete ragione›› sospirò lei, facendo ridacchiare l’altro ‹‹Comunque, seriamente, non è normale che io stia riuscendo a suonare con così tanta facilità… è come se mi ricordasse un qualche pezzo suonato tanto tempo fa, se solo capissi che cosa…››
‹‹Tanto tempo fa? Voglio proprio vedere quando avrai la mia età!›› la prese in giro lui, per poi riacquisire la sua solita serietà ed aiutarla con delle domande: ‹‹A che età hai iniziato a suonare?››
‹‹A undici ed ho smesso il secondo anno di liceo, a causa del troppo studio… ma sono comunque cinque anni›› ammise lei, mesta.
‹‹In base alla difficoltà, in che periodo pensi di averlo imparato?››
‹‹E’ piuttosto semplice a dire il vero, quindi potrei escludere gli ultimi tre anni›› rifletté, seppur continuasse a pensare che, con ogni probabilità, ricordare il nome e le note del pezzo sarebbe stato a dir poco impossibile.

‹‹Quanti dei brani imparati nei primi due anni hai ripetuto più volte o, comunque, avevano un significato o delle parole particolari che ti possono aver colpito in qualche modo?››
‹‹Non saprei, davvero non ricordo un gran che di quel periodo… potrebbe essere uno dei brani che ho imparato a scuola per il professore di musica, ma davvero non… Aspettate un attimo! Forse mi è tornata in mente una cosa che potrebbe conoscere anche Davy Jones, ma devo provare a ripetere queste note più velocemente, per assicurarmene›› Maria Vittoria fu improvvisamente colta da un’illuminazione.
‹‹Immagino che non mi resti altro da fare che tapparmi le orecchie››
‹‹Ha, ha, ha, molto divertente… Comunque ve lo consiglio anch’io, date le mie innate abilità canore… e quando dico innate, intendo proprio non nate›› ridacchiò lei, per poi tentare quanto prefissato.

‹‹EUREKA! EUREKA! E’ In taberna quando sumus… è un brano stupido di età medievale: quindi anche Davy Jones può averlo sentito da qualche parte. Deve averlo utilizzato come password, ipotizzando che degli Inglesi ben educati non potessero conoscerlo››
‹‹Ne sei sicura?›› domandò lui, scettico.
‹‹Non resta che provare per saperlo… Posso consigliarvi di tapparvi le orecchie? Temo che nel canto io sia addirittura peggio che nel suono…›› ammise lei, imbarazzata.
‹‹Non avevo dubbi›› scosse la testa, per poi rubare un guanciale dal letto di Jones e prepararsi ad affrontare la tempesta.
Mary prese un bel respiro e poi iniziò la sua performance:

In taberna quando sumus,
non curamus quid sit humus,
sed ad ludum properamus,
cui semper insudamus.
 
Quid agatur in taberna,
ubi nummus est pincerna,
hoc est opus ut quaeratur,
si quid loquar, audiatur.
 
Quidam ludunt, quidam bibunt,
quidam indiscrete vivunt.
Sed in ludo qui morantur,
ex his quidam denudantur;
quidam ibi vestiuntur,
quidam saccis induuntur…
 
Come la canzone fu terminata, si udì un suono agghiacciante provenire dallo strumento, che fece balzare la poveretta giù dallo sgabello. Se Mr. Mercer non l’avesse trascinata via in tempo, sarebbe rimasta schiacciata sotto il peso della struttura che crollava, sollevando un polverone immenso. Da quant’è che Jones non faceva manutenzione?
Quando la visibilità tornò ad essere quanto meno decente, i due poterono scorgere una figura distesa in quella che doveva essere la base dell’organetto.
‹‹Lucia!›› Mary corse verso di lei come una furia, apprestandosi a prenderle un polso per assicurarsi che fosse ancora viva. Come lo fece, tuttavia, questa si mosse, o meglio, si stiracchiò come un gatto dopo il pisolino pomeridiano. Si era seriamente addormentata in una situazione del genere?

‹‹Mary››
‹‹Lu!››
‹‹MARY!››
‹‹Lu?››
‹‹MARYYY!!!››
‹‹AHHH! AIUTOOO! Non di nuovo, per favore!›› La scena avvenuta con Francesca, si ripeté un’altra volta, tra le risa di Mr. Mercer e le suppliche di Mary.
 
*IN THE MEAN TIME*
Lord Beckett stava discutendo animatamente con Davy Jones, cercando di tenerlo buono fin tanto che quei due scansafatiche perlustravano le sue stanze. Possibile che ci mettessero così tanto? Poteva aspettarsi una tale incompetenza da Maria Vittoria, ma non certo dal suo braccio destro che, da quando era stato assunto, non aveva mai tardato un solo secondo nell’esecuzione di un compito. Che quella strana ragazzina lo stesse influenzando?
‹‹Vi posso garantire che Maria Vittoria è una ragazza estremamente educata e riservata. Non so che esperienze abbiate avuto in passato, ma vi posso garantire che durante il suo soggiorno a Port Royal non ha mai creato scompiglio nemmeno tra i ranghi del reggimento, cosa che sfido la maggior parte delle donne a fare (Non sono i soldati a rincorrere le fanciulle, no, no… Maschilista depravato! Nd: donne) …›› il Lord non fece in tempo a terminare la frase, che la fanciulla in questione fu vista correre a tutta velocità verso la passarella (gridando come una cretina, tra l’altro), inseguita da quella che doveva essere l’amica scomparsa.

‹‹Estremamente educata e riservata…›› ripeté Mr. Davis, facendo l’occhiolino all’uomo-polpo che, sempre più perplesso osservava la scena. Per un attimo, scordò anche la rabbia che aveva provato nel momento in cui aveva udito il suono del suo amato organo. Per il suo bene, sperava sinceramente che non avesse osato mettere le sue manacce sulle sue cose, anche se dubitava fortemente che l’individuo che l’accompagnava sapesse strimpellare un qualunque strumento.
‹‹Ma non doveva uscire dalla porta sull’altro lato della nave?›› domandò un altro marinaio. Il poveretto non era ancora abituato agli strani comportamenti della ragazza, in cui rientrava il senso d’orientamento di un pachiderma col raffreddore.
‹‹Ma c’è un motivo per cui le sue amiche la trattano tutte così, non appena la vedono? Non sta rischiando la sua vita per salvarle?›› domandò, ancora, James Norrington, sempre più perplesso dallo svolgersi degli avvenimenti.
‹‹Ma soprattutto, prima non aveva paura della passerella?›› domandò ingenuamente Groves. Ancora non aveva udito il detto “la paura fa novanta”.
Ignorando completamente i pettegolezzi di quel branco di suocere, Cutler Beckett domandò il resoconto del salvataggio al suo braccio destro, che era appena uscito con estrema calma dalla cabina del capitano.

‹‹Tutto regolare, signore: Lucia Parodi era tenuta prigioniera all’interno di un organetto da camera. L’unico modo per aprire il meccanismo era suonare un’assurda canzone in una lingua strana››
‹‹In taberna quando sumus››
‹‹Avete udito tutto?››
‹‹Purtroppo sì, anche se mi chiedo come una ragazza così tranquilla possa averla sentita››
‹‹Quando si tratta di Innocenti, ho imparato che è meglio non chiedere… Ha blaterato qualcosa sui tormentoni delle Medie, ma non ho la benché più pallida idea di che cosa possa significare››
Cutler Beckett stava per dire qualcosa, ma fu interrotto da un grido di Groves: ‹‹Lord Beckett, si mette male… La furia bionda è tornata!››
‹‹La furia bionda?›› domandò lui, confuso, per poi far cadere l’occhio sulla passarella e fare due più due. Francesca era riuscita a raggiungerli chissà come ed ora correva in contro a Maria Vittoria dall’altro lato della tavola. Quest’ultima, ritrovandosi dunque in trappola, non vide altra soluzione se non abbassarsi, evitando la collisione, cosa che, però, non riuscirono ad evitare le amiche.

Le due, scontrandosi a grande velocità, persero l’equilibrio e sarebbero anche precipitate in mare, se non fosse stato per un’azione repentina di Maria Vittoria, che le afferrò per un braccio ciascuna e rimase ancorata all’asse con le gambe. Come se lo sforzo ed il terrore non fossero sufficienti, doveva reggere il proprio peso, sommato a quello delle amiche, da una posizione non proprio ottimale, dato che si trovava a testa in giù.
Udendo le grida delle due (Maria Vittoria era troppo terrorizzata per respirare, figuriamoci per parlare), Lord Beckett si affidò ancora una volta al suo uomo più fidato: ‹‹Mr. Mercer…››
‹‹Subito, My Lord›› rispose lui, con tono freddo e distaccato, anche se in realtà dentro di se si domandava per l’ennesima volta: “Ma chi me l’ha fatto fare?”.
*****
Anno 1729, 18 maggio, h 22,30
Port Royal, Giamaica (Ufficio di Lord Beckett)
 

Per immensa gioia di Mary, il ritorno era stato decisamente più semplice dell’andata. L’Olandese si era diretto verso il molo, permettendo ai passeggeri di risparmiarsi quasi quattro ore di cammino e scalata al buio. Del resto le giubbe rosse non erano particolarmente allenate e lo stesso Lord Beckett era un esemplare di topo da biblioteca: il suo sforzo massimo era portare una pila di libri dalla libreria alla scrivania (e da quando Maria Vittoria era “entrata nella sua vita”, il pesante compito era stato affidato a lei). Poteva anche aspettarselo.
Dopo una mezz’oretta di tragitto percorso in religioso silenzio, la comitiva raggiunse finalmente la magione Swann, riconvertita in covo diabolico di Cutler Beckett e rivendicato dai suoi uomini come “caserma di lusso”. Se con il suo studiato arrivo a Port Royal (a cavallo su una barca… alla faccia del trash!) aveva gettato le basi per una dittatura in cui avrebbe comandato con il pugno di ferro, l’arrivo di Mary vanificò tutto. O meglio, non lei in quanto persona, ma in quanto rappresentante della tradizione culinaria italiana.

Avete presente il detto “dategli un dito e loro si prenderanno tutto il braccio”? Ecco: questo è proprio quello che accadde quando Maria Vittoria ebbe la malaugurata idea di offrire a Cutler Beckett e Mr. Mercer qualche pasticcino che aveva preparato per fare una pausa dopo un lungo pomeriggio di studio. Il Lord era rimasto estasiato e li aveva fatti assaggiare anche al tenente Groves che, troppo gentile come al suo solito, aveva lodato le sue abilità con i camerati, manco impiattasse dolci fatti di oro zecchino. Poi, avendo questi ultimi fatto pressione perché potesse prepararne anche a loro, Mary aveva avuto la malaugurata idea di accontentarli… e da allora non se n’era più liberata. E nemmeno Cutler Beckett, se era per questo.
Una volta avuto un assaggio di quella che era, alla fine dei conti, solo un esempio della cucina casalinga italiana, non erano più riusciti a farne a meno. Guardavano il cibo tradizionale inglese, che avevano sempre apprezzato fino a quel momento, con occhi diversi. Non potevano più tollerare una vita senza quel ben di Dio e, soprattutto, non riuscivano a sopportare l’idea che solo pochi eletti potessero approfittarne 24 ore su 24. Avevano indetto il primo sciopero della storia, rifiutandosi di indossare la divisa e svolgere i compiti di routine.

A dire il vero, data la loro ben nota incompetenza, era già come se Mr. Mercer lavorasse da solo, in un certo senso, ma Lord Beckett non se la sentì di farglielo notare (e poi cosa ne avrebbe pensato l’opinione pubblica?). Aveva così optato per il piano B: passare da tiranno malefico a magnate di corte. Permise a ufficiali e sotto ufficiali di soggiornare nella villa principale e suddivise i soldati semplici nelle numerose dependance che costellavano i giardini circostanti. Forse la prospettiva di essere temuto e obbedito era leggermente troppo estrema. Anche se non era ancora molto certo della decisione di viziare così tanto i propri soldati. Cosa ne avrebbero pensato il re e l’opinione pubblica?
Per la prima volta ringraziò di aver deciso di cominciare il suo piano per il dominio del globo (però, ambizioso il piccoletto! Nd: Marta) da un’isola sperduta nei caraibi. Per la sua rete di spie sarebbe stato uno scherzetto far credere a Londra che la presenza dei suoi uomini all’interno della villa fosse dovuta al solo scopo difensivo. Cosa che avrebbe anche contribuito ad ampliare l’idea che la pirateria avesse ormai raggiunto livelli di pericolosità tali da rendere insicure perfino le zone più povere e dimenticate.

Tornando a noi, i nostri baldi avventurieri decisero di recuperare le energie perdute durante la lunga camminata, abbuffandosi come tanti bei maialini e costringendo, di conseguenza, la povera Mary a trascorrere ore in cucina. Ed oltre al danno la beffa, perché come la poverina provò ad assaggiare un cucchiaio di zuppa, Lucia le saltò addosso, urlandole frasi motivazionali sull’importanza di una dieta equilibrata di svolgere un’adeguata attività fisica. Maria Vittoria provò a convincerla che il digiuno non era propriamente una dieta equilibrata, ma quella non volle saperne niente e chiuse la dispensa a chiave.

Poi, affamata e stanca, dovette litigare per quasi un’ora con Mr. Davis, che non voleva permetterle di vedere Lord Beckett per parlargli della situazione delle amiche. L’uomo, infatti, una volta tornati dall’escursione fuori programma, era filato nello studio, senza parlare con nessuno e lasciando ai suoi ufficiali il compito di interrogare le ragazze. Non che non si fidasse della parola del Lord, ma era consapevole dei “metodi” che all’epoca erano considerati all’ordine del giorno e, anche se dubitava che sarebbero state sottoposte al suo trattamento con Mr. Mercer, preferiva di gran lunga che non fossero interrogate affatto. In più conosceva bene Cutler Beckett e il suo odio per i pirati ed i loro simpatizzanti.

A porre fine alla discussione, Mr. Mercer che se la caricò in spalla come un sacco di patate (alla faccia del “a mo’ di sposa delle fanfiction! Nd: Mary), come se niente fosse, e la portò fino al letto di Beckett. Una volta giunti dall’altra parte, Maria Vittoria bofonchiò un “buona notte” e fece per entrare nella propria stanza, quando fu sbattuta violentemente contro la parete. Sentendo il corpo dell’uomo così vicino, si portò istintivamente le mani alla gola, temendo che potesse strangolarla da un momento all’altro.
L’uomo inarcò leggermente un sopracciglio, che nella sua lingua, significava che era alquanto turbato, ma Mary era troppo preoccupata per accorgersene. Quando l’uomo rafforzò la presa sulle sue spalle e la risbatté contro il muro, poco mancò che le venisse una crisi di panico. Iniziò a tremare visibilmente e sottili scie di lacrime iniziarono a formarsi intorno al suo pallido volto (no, questa volta non è il cerone).

‹‹Smettila di fare sceneggiate: non ti ho nemmeno sfiorata!›› gridò lui, per poi scrollarla di nuovo violentemente per le spalle. E meno male che non l’aveva nemmeno sfiorata.
‹‹S-Scu… mi dispiace, non lo faccio più›› anche solo pronunciare quelle poche parole le costò uno sforzo enorme, in quel momento, ma all’uomo non pareva importare: ‹‹Mi dispiace? Sai dire solo questo? Quando la finirai di fare la vittima e commiserarti? Continui a dire che nella tua epoca anche le donne contano qualcosa e hanno il diritto di dire la loro e poi ti comporti esattamente come una di quelle nobildonne spocchiose che non sanno far altro che svenire per ogni piccola cosa!››
L’ultima frase ebbe l’effetto di far spalancare ancora di più gli occhi della poveretta, azione che non passò inosservata agli occhi dell’uomo: ‹‹Pensi che io sia uno stupido? Che solo perché provengo da un’epoca arretrata non possa capire le dinamiche della vostra assurda società? Che non mi sarei accorto che è strano che una figlia di contadini possa permettersi di mantenere una casa in cui vive da sola, una macchina e tutto quanto? Che non è possibile che una plebea sappia stare a tavola in maniera ancora più impeccabile di Lord Beckett e appaia educata, pur provenendo da un’epoca in cui i canoni dell’educazione sono totalmente mutati?››
‹‹M-ma io, io…››

‹‹Chi diavolo è Maria Vittoria Francesca Lorena De’Medici? Che fine hanno fatto i tuoi fratelli e i tuoi genitori? Perché muori dalla voglia di parlare con due marinai vecchi e strambi? Perché c’è un c***o di becchino che continua a telefonarti ad ogni ora del giorno e della notte? Voglio la verità e la voglio adesso… Altrimenti ti riporto immediatamente indietro da Lord Beckett, gli racconto tutto e faccio impiccare le tue amiche ingrate nella prima esecuzione pubblica disponibile! SONO STATO ABBASTANZA CHIARO?!?!?›› le urlò lui, con tutto il fiato che aveva in gola. Era stufo di fare da babysitter ad una donna che si rifiutava di crescere, di assecondare le follie di una rampolla viziata e, soprattutto, di dover discutere con quella che si era dimostrata essere l’ennesima ameba. Quando la prima notte l’aveva vista impugnare una semplice scopa per difendere le sue amiche, aveva avuto la sensazione di aver trovato un soggetto interessante da testare, e la stessa sensazione era rimasta nei giorni in cui l’aveva tenuta rinchiusa in quella piccola cella e pestata a sangue, senza che lei si lamentasse una sola volta. Ma questo suo atteggiamento capriccioso era l’ennesima priva di quanto si fosse sbagliato. Le donne non valevano nulla e l’unica cosa che erano in grado di fare era circuire quegli incapaci che glielo lasciavano fare. E quella mocciosa non faceva, certo, eccezione.

“Se avesse voluto farlo, avrebbe già avuto mille occasioni” si rese conto lei, in un attimo di lucidità. Era arrabbiato, questo era chiaro, ma per i suoi canoni quelle non erano altro che velate minacce. Se avesse realmente avuto intenzione di farle del male non avrebbe perso tempo ad avvisarla e, soprattutto, avrebbe dovuto chiedere il permesso a Cutler Beckett. E quest’ultimo, come dimostrato dalla faccenda del salvataggio di Lucia, al momento non sembrava particolarmente intenzionato a concederglielo.
Forte di questa nuova consapevolezza, la ragazza si prese un attimo, riflettendo su cosa fosse meglio fare, ma poi convenne che fosse meglio rispondere, sebbene intendesse rivelare il meno possibile: ‹‹A-avete capito tutto quanto. Innocenti è solo una copertura per evitare di creare problemi alla mia famiglia, o averne, dipende dai punti di vista. E’ una storia interessante, a dire il vero, ma visto che è un po’ lunga ho preferito non rompervi le scatole con i dettagli… Però mi rendo conto che a questo punto è necessario che vi renda parteci…››
‹‹No grazie›› la freddò subito lui. Come Mary aveva ipotizzato, la sola cosa che spaventava Mr. Mercer più di deludere Lord Beckett erano i pettegolezzi delle donne. Però, geniale come trovata. Avrebbe fatto bene a tenerla a mente, nel caso in futuro ne avesse avuto bisogno di nuovo.

‹‹Delle vostre storielle da nobildonna viziata ne faccio volentieri a meno›› l’uomo scosse la testa e fece per alzarsi. Ma chi glielo faceva fare di perdere tempo con quel caso disperato?
‹‹E poi, che cosa c’entra il becchino?›› gli domandò lei, fingendosi confusa. La domanda era stata effettivamente pensata per cercare di dissolvere un minimo la tensione creatasi, ma Mary mai si sarebbe aspettata che Mr. Mercer scoppiasse a ridere.
‹‹Questa te la concedo›› riuscì, infine a pronunciare, asciugandosi una lacrima formatasi per il troppo riso. Come diavolo faceva quella a sparare sempre la cavolata giusta al momento giusto? Se falliva con la carriera da archeologa, poteva benissimo diventare giullare di corte. Il loro re ne sarebbe stato entusiasta, specie per le sue insospettabili abilità culinarie. E a tal proposito…
‹‹Mocciosa! Ho voglia di torta di mele: muoviti a prepararmene una!›› tale richiesta non fece altro che aumentare lo shock della poverina. Ma era diventato lunatico, per caso? Un attimo prima la minacciava e quello dopo le chiedeva di preparargli una torta? All’una di notte?

‹‹Ma è tardi, e poi avete appena cenato e…›› si bloccò in tempo, prima di lasciarsi scappare commenti che non era certa che l’uomo avrebbe apprezzato.
‹‹Ho una fame atroce e se c’è una cosa che odio è dormire a stomaco vuoto›› proseguì lui, battagliero. Ma non aveva appena mangiato un pasto che avrebbe tranquillamente potuto saziare tre uomini adulti? L’ipotesi che Mr. Mercer appartenesse alla razza Sayan si fece, ancora una volta, strada nella sua mente.
‹‹Ma mi mancano il lievito e latte: oggi pomeriggio dovevo fare la spesa, ma…›› cercò di persuaderlo lei, ma lui non volle sentir ragioni: ‹‹Vorrà dire che la faremo adesso››
‹‹All’una di notte? A Genova? Ma è pericoloso a quest’ora…›› tentò ancora di dissuaderlo lei, ma lo sguardo di fuoco che le lanciò lui fu sufficiente a convincerla: ‹‹Hem, volevo dire che fare una passeggiata nei carugi di Genova a quest’ora dev’essere un’esperienza meravigliosa… Ho seeempre sognato di scappare dai borseggiatori e scansare le prostitute… Per rivivere le emozioni della gita ad Amsterdam dell’anno scorso. E poi che cos’ho da temere con un guerriero del vostro calibro al mio fianco?››

L’uomo non si degnò nemmeno di rispondere e Mary sospettò che non avesse udito nemmeno una parola, concentrato com’era sul pensiero della torta. Meglio così.
Con un sospiro, cercò di ricomporsi un minimo: non poteva certo presentarsi al supermarket all’una e mezza del mattino in quello stato, specie se con lei ci sarebbe stato Mr. Mercer (individuo leggermente sospetto). Riacquisita una parvenza di normalità, si affrettò a raggiungere l’uomo che già l’attendeva in macchina. Alla faccia dello spirito d’adattamento: ma era umano quello?
*****
Anno 2019, 19 gennaio, h 02,20
Genova, Italy (caruggi di Genova)
 

Maria Vittoria e il suo inquietante accompagnatore stavano tornando dall’automobile, che Mary aveva dovuto lasciare a venti minuti circa dal Supermarket. Viva i parcheggi liguri! Se Mary fosse stata da sola non si sarebbe mai nemmeno sognata di girare a quell’ora in dei quartieri così mal frequentati nemmeno in macchina, figurarsi a piedi. Per la prima volta si ritrovò a ringraziare il cielo di avere quel bruto accanto. Mr. Mercer, infatti, oltre ad essere di grandissimo aiuto con il trasporto borse della spesa (era pur sempre un gentleman del ‘700), aveva l’abilità di terrorizzare chiunque incontrasse il suo sguardo. E, sempre per la prima volta, Mary ringraziò che nella sua epoca non ci fossero più gli uomini di una volta. Se così non fosse stato, i due se la sarebbero cavata con molto di più che le sole occhiatacce da parte dei malviventi locali.

Contro ogni più rosea previsione, i due riuscirono a raggiungere il posteggio, incolumi ed a caricare tutto il “bottino” nel baule dell’auto. Mary, però, non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo che le sue orecchie captarono una serie di gemiti sommessi provenire da fuori dalla struttura. Trascorsero una decina di secondi e, non udendo più nulla, pensò di esserselo sognato. Doveva piantarla di lasciarsi suggestionare anche dal fruscio delle foglie spostate dal vento. Se c’era una cosa su cui il suo compagno di disavventure aveva ragione era che doveva piantarla di abbattersi e mettersi a frignare per ogni singola cosa. Poi, se fosse stata sola, allora un po’ d’ansia era comprensibile, ma sapendo di essere accompagnata da un mercenario che era una sorta di macchina da guerra, la cosa era a dir poco ridicola.
‹‹Pensavo che non ti piacesse l’idea di rimanere fuori casa di notte››

Le parole sarcastiche di Mr. Mercer ebbero l’effetto di farla scendere dalle nuvole: ‹‹Scusate, mi era solo parso di sentire delle grida femminili, ma devo essermi sbagliata››
‹‹Muoviti che ci sono due torte che mi aspettano!›› ordinò lui, mentre prendeva posto nei sedili posteriori (a quanto pare gli piaceva l’idea di scrutarla dall’ombra e vedere la sua reazione terrorizzata) e batteva la mano guantata sul sedile del guidatore, come a volerla incitare a fare in fretta.
‹‹Ma non era una?›› gli domandò lei, anche se già conosceva la risposta.
‹‹Il movimento mi mette sempre appetito›› annuì lui, serio.
“E’ proprio un bambino” commentò lei, nei suoi pensieri, ma evitò abilmente di renderne partecipe anche il diretto interessato. Quest’ultimo, tuttavia, parve interpretare la sua espressione divertita e non ci pensò due volte prima di afferrarla per le spalle e tirarla violentemente contro il sedile (tutto questo mentre stava guidando, mannaggia a lui: Nd: Mary).
‹‹Hey, ma io non ho detto niente!›› provò a discolparsi lei, mentre premeva sul freno e tentava disperatamente di tenere fermo il volante. Meno male che erano appena partiti e che la velocità era piuttosto contenuta, sennò un paio di tamponamenti non glieli toglieva nessuno.
‹‹Però l’hai pensato››

‹‹Ma che cosa vuol dire? Da quando in qua esistono i crimini di pensiero? Non siamo mica sotto regime!›› ribatté lei, alquanto scocciata. Vada per la violenza gratuita (e giusto perché voleva impartirle un insegnamento e perché proveniva da un contesto sociale in cui tale comportamento era presso che normale)), vada per le minacce, il caratteraccio e le voglie da donna incinta, ma se c’era una cosa che non riusciva proprio a tollerare era la mancanza di prudenza. Non poteva aspettare che scendessero dall’auto per farle uno scherzetto del genere?
‹‹Io faccio quello che mi pare›› annunciò lui, fiero, aumentando la presa, tra l’altro.
‹‹Sentite, voi… Aspettate un attimo, lo sentite anche voi?›› Il brusco cambiamento di argomento era dovuto al rimanifestarsi delle voci che aveva udito poco prima. Non poteva essere una coincidenza.

‹‹Sarà una prostituta o una donna accerchiata da dei malviventi›› rispose lui con nonchalance e sfoggiando un’espressione del tipo “Where’s the probelm?” ‹‹Hey, che diavolo stai facendo?››
‹‹Non è evidente? Vado ad aiutarla›› gli rispose lei, con altrettanta nonchalance, mentre parcheggiava a lato del marciapiede e spegneva l’auto.
‹‹Tu? HAHAHA… Non sai nemmeno farti rispettare da due mocciose in croce e pensi di dare una lezione di vita a dei delinquenti! Ma ti senti?›› riuscì a pronunciare lui, tra una risata e l’altra. Ciò che, però, l’uomo non si aspettava era che la ragazza scendesse effettivamente dall’auto ed iniziasse ad incamminarsi verso il luogo da cui provenivano le grida: ‹‹Hey, tu, dove stai andando?››
Mary si bloccò sui suoi passi e pronunciò, senza neppure voltarsi per parlare con il suo interlocutore: ‹‹So che potrà sembrarvi assurdo, ma esiste una sorta di profonda empatia che connette noi donne. Se vediamo che una di noi sta male o è nei guai, sentiamo il bisogno di aiutarla. C’è, poi, chi lo ignora e chi non ci riesce, fatto sta che nessuna di noi riesce a non pensare a che cosa accadrebbe se si trovasse al suo posto. Io vi invidio Mr. Mercer, vi invidio perché avete la forza necessaria per fare davvero del bene ed intervenire in queste situazioni. Ma io non sono voi e mi sa tanto che questa poveretta dovrà accontentarsi delle mie esigue capacità…›› anche se l’ultima frase era chiaramente volta a fare ironia, all’uomo non sfuggì la ferrea stretta dei pugni che teneva lungo i fianchi e lo sguardo velato di chi è consapevole di stare per piangere, ma sa di non poterlo fare.

“Se voleva proprio fare la dura, poteva almeno accertarsi che non ci fosse uno specchio dall’altro lato della strada” ridacchiò mentalmente lui, mentre la vedeva correre tra i vicoli. Era proprio una mocciosa.
 
*FIVE MINUTES LATER*
Nonostante le urla di “aiuto” fossero piuttosto nitide, Mary impiegò quasi cinque minuti per riuscire ad individuare il luogo esatto. Maledetti vicoli! Possibile che li avessero costruiti per far perdere i delinquenti, ma funzionassero solo con chi doveva prestare soccorso? Bah, li avranno costruiti a caso per risparmiare, come loro solito, e poi avranno inventato la leggenda del “è per contrastare i pirati” per fare scena, come loro solito.
Una volta giunta sul posto, fece un passo indietro e si nascose dietro una fila di palazzi, il cuore che le batteva a mille. “Alla faccia dei vandali, questi sono quanto meno armati!” si ritrovò a pensare, terrorizzata. Quando aveva avuto quel colpo di testa, aveva automaticamente pensato a dei ragazzi ubriachi all’incirca della sua età, non si aspettava certo dei criminali efferati. Se Mr. Mercer fosse stato lì, non avrebbe avuto problemi, ma lei? Che cosa poteva fare lei per aiutare quella donna, anzi, ragazza, dato che ad occhio e croce doveva avere almeno un paio d’anni in meno di lei?

L’ennesimo urlo, tuttavia, le fece prendere la decisione più folle della sua vita: fece un respiro profondo e poi avviò il piano “sorella maggiore in versione padre siciliano con canottiera bianca e  fucile in mano per scacciare i mosconi della figlia”. Era un nome un po’ lungo, ma, se avesse funzionato, avrebbe pensato a qualcosa di più interessante.
‹‹Eccoti qua!›› l’urlo fece voltare tutti i presenti, che osservarono piuttosto perplessi la strana ragazza con un grembiule a fiori (era così stanca che non l’aveva tolto prima di uscire di casa) che fulminava la loro vittima con lo sguardo. Non fecero in tempo a domandare che cosa diavolo volesse a quell’ora, che Mary si avvicinò e riprese ad urlare come una matta: ‹‹Dove pensavi di andare, eh, CRETINA! Papà è fuori di sé e la mamma continua a piangere da ore… E tu dov’eri? Fuori a fare la cretina nei vicoli come le ragazze dai capelli sciolti! Brutta figlia degenere!››

La commediola improvvisata dovette fare colpo perché un paio di quelli tentò di fare qualche domanda, ma lei fu svelta a sovrastarli col proprio tono di voce (essere stonati ha i suoi vantaggi, muhahaha Nd: Mary): ‹‹Ah, ma adesso vedi che ti succede: tu ora vieni IMMEDIATAMENTE con me e se non hai intenzione di seguirmi con le buone, TI CI PORTO A CALCI NEL SEDERE!››
Detto questo, la prese per un orecchio e la costrinse a seguirla per i vicoli. Fortunatamente, la poveretta aveva intuito il suo piano e si era prodigata per aiutarla a far sembrare tutto più realistico. Finse addirittura di piangere, opporre resistenza e ad implorare di non dirlo a “Zia Cunegonda”. Se fossero riuscite a sopravvivere, dovevano assolutamente vedersi per un caffè.
‹‹Sei di qui? Sei in grado di ritornare sulla strada principale da sola?›› le domandò Mary, mentre la invitava a correre.

‹‹No, ma dovrei riuscire a ricordarmi la strada›› rispose lei, con il respiro affannato, per poi riscuotersi nel momento in cui sentì un qualcosa di caldo avvolgersi intorno alle sue spalle: ‹‹Hey, ma che stai facendo?››
‹‹Ti conviene accettare quella giacca: siamo a meno quattro stanotte e il vento di Genova non perdona›› la bloccò, prima che potesse restituirgliela. I vestiti della poverina erano praticamente a brandelli e non voleva nemmeno immaginare che cosa avrebbero potuto farle, se avesse incontrato altri malintenzionati lungo il suo cammino.
‹‹M-ma tu come farai?›› balbettò lei, ancora troppo scossa dagli avvenimenti precedenti per riuscire a comprendere appieno la gravità della situazione.
‹‹Tranquilla, io ho sempre caldo, e poi non riesco a muovermi bene con anche la giacca, comunque, piacere, Maria Vittoria›› le sorrise lei, senza smettere di correre nemmeno per un secondo. Dietro di loro, già si udivano le voci e l’eco dei passi dei loro inseguitori. Evidentemente avevano intuito che qualcosa non andava. Oppure non l’avevano ben guardata in faccia e avevano passato che fosse sufficientemente passabile per i loro scopi, cosa molto più probabile.
‹‹E-emanuela, g-grazie per avermi salvata››

‹‹E’ ancora presto per cantare vittoria… ora è meglio se ci dividiamo. Tu prendi la strada a destra e io quella a sinistra… cerchiamo di fregarli›› spiegò lei, decisa.
‹‹Ma la via di sinistra non porta alla principale…›› le fece notare lei, rallentando per un istante, ma fu subito spronata da Mary: ‹‹Corri più veloce che puoi, io aspetto qualche secondo e lascio che mi vedano. Prima o poi ci raggiungerebbero comunque: sono molto più veloci di noi e, soprattutto, sono drogati: non sentono la fatica. Io conosco bene la città: posso nascondermi in un luogo sicuro ed aspettare che mi superino. Tu rimani nascosta vicino alla via principale e aspetta che arrivino i soccorsi: la polizia dovrebbe arrivare a momenti››
‹‹Hey, aspetta un attimo…›› Emanuela, non vedendola più al suo fianco si girò e la vide cinquanta metri più indietro, davanti al famoso bivio. “Fa che ce la faccia” pregò, per poi sussurrare un semplice, ma non per questo meno intenso “grazie” a quella sconosciuta che stava rischiando la vita per un’oca buona a nulla come lei. Se fosse riuscita a salvarsi, sarebbe tornata a casa, avrebbe chiesto scusa ai suoi genitori e si sarebbe impegnata al massimo per diventare una persona migliore.

Persa nei suoi pensieri, scontrò un uomo piuttosto alto che stava venendo nella sua direzione e finì a terra. Dolorante, fece per rialzarsi, ma rimase pietrificata nell’osservare il numero incredibile di cicatrici che gli deturpavano il volto. “Un altro maniaco senza scrupoli” realizzò, terrorizzata, per poi rannicchiarsi su sé stessa e chiudere gli occhi, tremando. Le parole che pronunciò, tuttavia, la lasciarono completamente senza parole: ‹‹Dove hai preso quella giacca?››
Non seppe mai nemmeno lei la ragione, ma, in qualche modo, sentì di potersi fidare di quell’uomo dal volto inquietante e gli indicò la strada presa dalla sua salvatrice.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12- Ritrovarsi e doversi già dire addio (Parte 2) ***


Capitolo 11- Ritrovarsi e doversi già dire addio
Parte seconda- Un nuovo lato di Mercer
 
Anno 2019, 19 gennaio, h 02,00
Genova, Italy (caruggi di Genova)
 

Nonostante Maria Vittoria si fosse fermata solo per pochi secondi, già si sentiva gli inseguitori addosso, come cani da caccia che inseguono la preda. Quando aveva spiegato ad Emanuela che si sarebbe nascosta finché non l’avessero sorpassata, non stava mentendo, ma se questi le stavano così addosso, non ne avrebbe avuto la possibilità. Provò, allora a seminarli, ma pur spingendo il proprio corpo ai limiti estremi, la sua velocità era quello che era. I suoi inseguitori, al contrario, erano veloci e, soprattutto, non parevano avvertire il peso della fatica. E poi dicevano che le droghe erano dannose per gli sportivi… Seriously? Ma se questi correvano come delle lepri!

Mary provò a svoltare in un vicolo un po’ più stretto dei precedenti, sperando di rallentarli. Non che avesse molta altra scelta, dato che doveva comunque avvicinarsi alla strada principale, se voleva sperare di farsi individuare dalla polizia prima che avvenisse il peggio. La tattica sembrò, effettivamente funzionare, dato che li sentì imprecare e rallentare visibilmente. Accorgendosi di non essere più inseguita, cadde preda dei dubbi, come suo solito: non avrò sbagliato strada? Avrò preso un vicolo cieco? Avranno chiuso la strada per dei lavori?
Colta da un’improvvisa insicurezza (Strano… Nd: Marta, Francesca e Lucia), fomenta tra l’altro dal panico per la brutta situazione in cui si era cacciata, fece la cosa peggiore da fare in questi casi: si voltò per controllare. L’astuta fanciulla pensò che non sarebbe stato un peccato capitale, se mentre si voltava avesse continuato a correre, ma non aveva calcolato né la possibilità di spaventarsi ulteriormente (cosa che avvenne, dato l’aspetto inquietante dei suoi assalitori), né quella di andare a sbattere contro un ostacolo inaspettato. Non fece nemmeno in tempo a voltarsi per accertarsi della natura dell’impedimento, che fu spintonata in avanti e per poco non cadde a terra. A quanto pare l’ostacolo era un energumeno non particolarmente alto, ma ben pizzato. Come avevano fatto a prevedere i suoi movimenti?

Non fece in tempo a pensare ad un piano di fuga, che si ritrovò la strada sbarrata da ambo i lati. Non che ci volesse molto, dato che si era andata a rintanare in una stradina secondaria strettissima. Mannaggia a lei e alle sue idee stupide! In una situazione normale avrebbe anche potuto sperare di sfruttare il poco spazio per mettere in difficoltà i suoi inseguitori, dato che erano molto più grossi di lei, ma andiamo: non era mica Rambo! Sette uomini sarebbero stati troppi per lei anche se fossero stati disarmati. E poi, persino gli Ateniesi nella battaglia dell’isola di Salamina erano riusciti a sfruttare questo stratagemma solo perché le navi nemiche li attaccavano solo da un lato.
Si guardò intorno per vedere se ci fosse una scaletta d’emergenza, una finestra nascosta o, per lo meno, qualche sporgenza delle pareti, ma anche lì non ebbe fortuna. Perché nei film americani c’era sempre qualcosa di utile per filarsela sui tetti e lì niente? Persino Fantozzi aveva più fortuna di lei!

Il primo colpo arrivò dopo meno di tre secondi, ma Maria Vittoria era già pronta, con i riflessi tesi per schivarlo, mossa che, però, la portò a sbilanciarsi e ad essere più vulnerabile per un prossimo. Mary sapeva che la mossa più sicura per evitare di farsi male sarebbe lasciarsi colpire, ma scaricare la potenza dell’impatto il più possibile, grazie al movimento del corpo. Il problema è che, per quanto potesse avere i sensi all’erta, non era perfettamente in grado di stabilire in che punto l’avrebbe colpita o se, in realtà, si trattasse di una finta per afferrarla e bloccarla. Il rischio era troppo elevato e, in più, sperava di utilizzare a proprio favore il fatto che la stessero evidentemente sottovalutando, per riuscire a scansare l’unico che l’attendeva alla sua sinistra e fuggire. L’uomo in questione, tuttavia, non si fece cogliere impreparato e dopo la sorpresa iniziale, fece uno scatto in avanti e, con una poderosa manata, la sbatté di faccia contro una parete.
Mary non fece nemmeno in tempo a dire “Ahi”, che un secondo soggetto le tirò due pugni ed una gomitata al centro della schiena, spezzandole il respiro. Il dolore era talmente forte che rischiò seriamente di svenire, tant’è che quando si sentì girare verso di loro, iniziò a vedere tutto nero.
La banda dovette accorgersene, perché quello un po’ più altro la tenne sollevata per i capelli e le ringhiò nelle orecchie: ‹‹Non osare svenire, se non vuoi vederci i*******e ancora di più››.
L’unico lato positivo di sentire così tanto dolore era che non aveva più la forza per piangere o spaventarsi, ragion per cui riuscì perfino a rimanere immobile ed in silenzio.

‹‹Dov’è’››
‹‹Che cosa?›› domandò lei, con fare confuso. A sua discolpa possiamo dire che essere sballottata in quel modo non doveva giovare particolarmente alle funzioni cerebrali.
Gli altri, però, non parvero pensarla allo stesso modo, perché le arrivò subito uno schiaffo talmente forte da farle sanguinare zigomo e labbro. “Tranquilla” le dicevano a Karate, “Tranquilla: lo schiaffo è una mossa che non crea nessun danno”, dicevano, “Se lo utilizzano i genitori ci sarà un motivo!”, dicevano… Tranquilla un corno: a momenti le spezzava l’osso del collo! Quanti miti dell’infanzia sfatati in un’unica notte.
‹‹L’altra ragazza!›› le urlò di nuovo lo stesso di prima, non facendo altro che accrescere il suo mal di testa.
‹‹Non lo so: ci siamo separate poco fa… non so nemmeno se sia di qua e conosca le nostre strade›› cercò di essere il più convincente possibile e, del resto aveva anche detto una mezza verità.
La risposta non piacque all’“addetto alle mazzate” (come l’avrebbe poi soprannominato lei, in seguito), che la scagliò a terra con un calcio, strappandole alcune ciocche di capelli, nel mentre, dato che quello che la tratteneva non si aspettava tale mossa da parte sua. Il “volo” le fece sbattere la testa contro la parete, ma del resto poteva anche aspettarselo, dato il pochissimo spazio che intercorreva tra questa e quella di fronte. Nemmeno un bambino avrebbe avuto lo spazio sufficiente per sdraiarsi completamente a terra.

Il suo tentativo di rialzarsi e portare le mani alla testa, nella vana speranza che potesse smettere di girare, fu preso come un atto di ribellione e l’uomo di prima la bersagliò di calci alle costole e allo stomaco. I colpi le impedirono ancora una volta di respirare e fu costretta ad iniziare la respirazione tramite diaframma che utilizzavano nella lotta a terra. Questa, tuttavia, era stata studiata per tutt’altre situazioni, ragion per cui, ad ogni ondata di dolore particolarmente violenta, faceva sempre più fatica. Fu, però in quell’attimo di disperazione che comprese che assecondarli ed essere remissiva l’avrebbe, comunque, portata alla morte. Tanto valeva reagire: al massimo sarebbe morta comunque, ma almeno, presa dal combattimento, avrebbe sofferto meno il trapasso. Ben che andasse, invece, la polizia sarebbe arrivata in tempo per salvarla.
Quando meno se l’aspettava, Mary afferrò di scatto la gamba che l’aveva colpita con entrambe le mani e, trainandosi con le braccia, ruotò con il corpo di circa novanta gradi e sfrutto la torsione del corpo per colpirgli la caviglia della gamba portante con le proprie. L’uomo perse, irrimediabilmente l’equilibrio, cadendo a terra e dandole l’occasione per alzarsi in piedi e colpirlo con un calcio alla nuca, facendogli perdere i sensi. Non vedendolo più muovere, Maria Vittoria tornò immediatamente in sé e si domandò, terrorizzata, se non avesse impresso troppa forza nel calcio e gli avesse fracassato il cranio. No, non era possibile: non poteva averlo fatto davvero. Non poteva aver ammazzato un uomo. Era andata a Karate proprio per imparare a controllare la forza che le derivava dalla rabbia e non voleva credere di essere finita, ancora una volta, preda dei più bassi istinti. Che le assenze accumulate nell’ultimo mese, sommate alla pausa delle vacanze di Natale, avessero causato questa regressione del proprio autocontrollo? Non voleva crederci. Ormai non era più una bambina: erano cose che non dovevano succedere, indipendentemente dalla gravità della situazione.

Lo shock le impedì di reagire alle nuove raffiche di colpi che partirono dai compagni della vittima e, la fine della “botta di adrenalina” non fece altro che ampliare il dolore straziante che stava provando in quel momento. Proprio quando pensava di essere tremendamente vicina allo svenimento, tuttavia, udì delle grida e, un attimo dopo, i due che la stavano colpendo smisero improvvisamente. Mary non aveva il coraggio di aprire gli occhi, ma, udendo nuovi grida ed echi di colpi, si costrinse a farlo e, per l’ennesima volta, si sentì mancare il respiro. Mr. Mercer era proprio lì, davanti a lei, e stava facendo a pezzettini tutti coloro che osavano avvicinarsi. Beh, davanti si fa per dire: dato che il carugio era troppo stretto, si mise di lato, ma il senso della sua presenza era quello. “Sembra la scena de La bella e la bestia in cui lui salva lei dai lupi” il pensiero riuscì, in qualche modo, a strapparle un debole sorriso.
Poco dopo si udirono le sirene delle auto delle forze dell’ordine e persino lo sgherro di Beckett comprese che fosse meglio non farsi beccare di nuovo da Bianchi e Rossi. Questa volta avevano come la vaga impressione che non se la sarebbero cavata solo con qualche torta.
‹‹Andiamocene da questo c***o di posto›› sentenziò il poeticissimo Mercer. Notando che, però, la ragazza non dava segni di vita, si voltò verso di lei, guardandola per la prima volta da quando arrivato. ‹‹Mocciosa! Che cosa stai aspettan…do…›› non si può dire che provò dolore o dispiacere: non era nel suo personaggio. Ma ci rimase male e molto. Vuoi perché non aveva mai preso in considerazione che qualcun altro oltre a lui potesse pestarla, vuoi perché l’aveva vista dieci minuti prima in perfetta salute ed ora la ritrovava in quello stato pietoso, fatto sta che per un attimo non seppe come reagire.

Il grembiule, ormai divenuto inutilizzabile, sembrava quello di un macellaio (potete immaginare di che colore fosse, ormai, tinto) ed anche la parte superiore dei vestiti non era, certo, in condizioni migliori. Per quanto riguarda le ferite, già a prima vista poteva stimare una frattura alla mandibola e forse anche al setto nasale, a giudicare dal colore e dal gonfiore, e temeva anche un buon numero di costole incrinate. Mani e braccia erano piene di tagli ed immaginava che presto si sarebbero coperte di lividi, così come buona parte del busto e del volto, in cui spiccava tra l’altro, una profonda ferita che, partendo dallo zigomo, arrivava fino al mento.
Ma a sconvolgerlo non fu l’entità delle ferite, quanto piuttosto lo stato catatonico in cui la ragazza sembrava caduta. Non piangeva, né tremava (e già lì poteva preoccuparsi, conoscendola): semplicemente stava. Era lì, seduta per terra in maniera quasi disinvolta e, se non fosse stato per il suo sguardo vuoto, la si sarebbe potuta dire un’adolescente stravaccata sugli spalti del campo sportivo in attesa del proprio turno. I suoi occhi, sempre accesi e pieni di vita ed emozioni, erano ora spenti e fissi davanti a sé. L’uomo era proprio davanti a lei, ma non pareva vederlo: il suo sguardo andava oltre, andando a posarsi su un corpo steso, immobile, a terra.
Come a voler confermare i suoi pensieri, la fanciulla sentenziò con un tono neutro che, però nascondeva un turbine di emozioni a cui, al momento, non riusciva ancora a dare un nome: ‹‹E’ morto. L’ho ucciso io››

Mr. Mercer analizzò la scena del crimine e non gli ci volle molto per capire che il tale era ancora vivo e vegeto. Non sentendosela, però di farle notare che se fosse stata appena più attenta, si sarebbe accorta che stava russando come un trombone, si limitò a dire: ‹‹E’ solo un po’ stordito e la robaccia che deve aver preso deve avergli dato il colpo di grazia. Dormirà ancora per qualche ora come un angioletto››
La rivelazione non sembrò, però, sollevarla un gran che: ‹‹Resta il fatto che ho perso il controllo ed ho seriamente rischiato di uccidere un uomo. Non è per questo che ho preso lezioni di karate››
‹‹E meno male, altrimenti saresti morta›› constatò lui con un tono talmente serio da far uscire la fanciulla dal suo stato di trance ‹‹Iniziavo quasi a pensare che andassi in palestra solo per vedere il tuo amato››
L’ultima frase, ebbe l’effetto di sbloccarla definitivamente, tant’è che si lasciò perfino scappare un debole sorriso.
‹‹Andiamo a casa›› mormorò lui, ancora mezzo scocciato per la piega imprevista degli eventi.
‹‹Andiamo a casa›› concordò lei, sospirando. L’espressione imbronciata dell’uomo che si apprestava a raccoglierla da terra, per poco non le fece scappare un altro sorrisetto divertito. Certe volte sapeva essere davvero un bimbo adorabile.

‹‹E solo perché dopo domani dovrai prepararmi la torta di mele con la cannella›› mise in chiaro lui, mentre iniziava la lunga camminata verso casa con lei tra le braccia (Sììì! A me la gioia e la gloria delle Mary Sue! Finalmente posso dire di essere stata trasportata a “mo’ di sposa”! Nd: Mary. Se vuoi ti trasporto come meglio ti si addice, un bel sacco di patate, e ti incrino definitivamente le costole, facendogli bucare i polmoni e morire tra atroci sofferenze. Nd: Mr. Mercer. Nooooo! Nd: Mary).
“Vuole fare il duro, ma poi si propone implicitamente di portarmi fino a casa in braccio e mi condona le faccende domestiche per i prossimi due giorni e le torte da due passano a una” pensò lei, mentre scuoteva la testa, seriamente divertita. Forse non era poi così crudele come pensava.
‹‹Non vorrei mai che guidare ti arrecasse dei danni permanenti… Poi chi lo spiega a Lord Beckett che non puoi più girare con quei libri giganti?››
Forse.
*****
 
Anno 2019, 19 gennaio, h 04,00
Genova, Italy (Casa di Mary)
 

Erano ormai le quattro quando le stanche membra di Maria Vittoria toccarono finalmente il letto. Appena arrivati a casa, Mr. Mercer l’aveva scaricata in bagno e le aveva portato la famosa cassetta del pronto soccorso, comprata per karate, ma utilizzata solo per feriti gravi al di fuori della palestra (come succede sempre quando una persona compra un oggetto specifico per uno scopo, ma si ritrova ad utilizzarlo solo in altre occasioni). L’uomo non le offrì aiuto per lavare e medicare le ferite, né lei glielo domandò. Non voleva fare come i personaggi di libri e film che, anche se feriti lievemente, si fanno toccare da mezzi sconosciuti a caso. E poi era quasi certa di riuscire a completare l’opera anche da sola, sebbene con grandi difficoltà e tempistiche allucinanti.
Quando ebbe finito, si diresse lentamente verso la sua stanza, con Mr. Mercer al seguito che non perdeva un solo movimento. Per quanto stentasse ancora a capire che cosa potesse averla spinta a rischiare la propria vita in maniera così stupida, non poté fare a meno di stimare questo suo nuovo atteggiamento battagliero. Ora che aveva smesso di piangersi addosso, aveva lasciato spazio ad una grinta che non era certo una donna potesse possedere. O, almeno, non le donne occidentali che conosceva lui e, soprattutto non una nobile viziata (A tal proposito, doveva ricordarsi di indagare su questo punto. Prima aveva lasciato perdere solo perché non aveva voglia di arrabbiarsi e finire con il ridurla in maniera tale da non renderle più possibile cucinare un dolce). Questa era la chiara dimostrazione che, se datagli le giuste opportunità, anche le donne potevano sviluppare caratteristiche caratteriali interessanti (Brutto maschilista, misogino depravato! Nd: donne).

Assicuratosi che fosse giunta a letto sana e salva, fece per uscire dalla stanza, ma fu bloccato dalla sua flebile voce: ‹‹Signor Mercer...››
‹‹Sì?›› domandò lui, a metà tra il confuso e lo scocciato. Se voleva seriamente che le raccontasse una favola della buona notte, poteva anche scordarselo. Non l'avrebbe fatto nemmeno se fosse stata in punto di morte.
‹‹Grazie›› una semplice parola, unita ad un sorriso ebbe l'effetto di scaldargli il cuore, tant'è vero che le rispose, accorato: ‹‹La prossima volta li lascio fare e poi ti dò il colpo di grazia››
Perché doveva essere sempre così senza cuore?
Vedendo la sua espressione terrorizzata, tuttavia, pensò che fosse ancora traumatizzata dalla brutta esperienza e si decise ad intervenire, volendo evitare che il suo capo lo punisse per così poco: ‹‹Però, se volete, per UDITE BENE: solo questa volta, posso restare con voi finché non vi addormentate››
Il solo udire quella frase le fece venire un colpo. No, no, no, Signore, ti prego: aiutami tu. Io non ce la faccio a sopravvivere all'idea che questo tizio inquietante mi fissi nel buio. Per non destare sospetti sulla vera natura dei suoi pensieri, tuttavia, si costrinse a dire: ‹‹NO! Hem, volevo dire no, grazie. Non potrei maaai sopportare l'idea di avervi tenuto sveglio tutta la notte solo per colpa delle mie assurde paure››
Vedendola irrigidirsi e sbiancare, l'uomo si convinse che la sua presenza all'interno della stanza non fosse sufficiente a rinfrancare il suo povero animo straziato e, di conseguenza, si sentì in dovere di proporre: ‹‹Mi rendo conto che, forse, dopo una situazione del genere una ragazza si possa sentire confortata solo se qualcuno veglia su di lei da vicino e le tiene la mano›› Si costrinse perfino ad esibire un sorriso tirato, in modo da apparire il più possibile confortante.
Odddio, questo ora aspetta che mi addormenti per strapparmi il cuore dal petto e portarlo a Davy Jones come souvenir! Lo si capisce solo guardando il sorriso sadico che ha stampato in volto.

‹‹M-ma non sarebbe conveniente... Nella vostra epoca passare la notte nella stessa stanza è considerato uno scandalo gravissimo: non potrei maaai sopportare l'idea di vedere il vostro onore macchiato di cotale onta!›› Se non fosse stata terrorizzata all'idea di trascorrere la notte con uno che poteva sgozzarla nel sonno, sarebbe scoppiata a ridere a metà frase.
Dev'essere più coinvolta di quanto pensassi. Non l'ho mai sentita straparlare così. ‹‹E va bene, ma solo per questa notte... e se lo dici a qualcuno ti faccio pentire di essere nata›› minacciò lui, mentre... sollevava le coperte?
Aiutooo! Io lo sapevo che questo voleva farmi fuori! Lo dicevo che si stava comportando in maniera troppo strana. Devo assolutamente fare qualcosa, e alla svelta! Saltò giù dal letto ad una velocità che non credeva nemmeno di possedere e mise praticamente "alla porta" l'uomo: ‹‹Vi dico che non è assolutamente necessario! E poi sto benissimo: sono più scattante di una Ferra... Ahi!›› Manco a dirlo, sfiorò le costole di sinistra col gomito, provando un dolore atroce.
‹‹A me non sembra proprio›› rispose, infatti, lui. Se avesse giudicato male l'entità delle ferite e le sue condizioni si fossero aggravate durante la notte, preferiva essere presente. Se non fosse intervenuto per tempo, avrebbe dovuto passare un brutto quarto d'ora con Lord Beckett.

‹‹Vi dico che sto bene!››
‹‹Insisto!››
‹‹NO. GRAZIE.›› e con queste parole chiuse la porta. Stremata, si lasciò scivolare a terra contro la superficie liscia che la divideva dall'uomo dei suoi incubi.
"Però questa volta ti ha salvata" le fece notare una vocina nella sua testa. "Già, anche se lo ha fatto solo per non avere guai con il suo superiore" rifletté lei, scuotendo il capo. Tuttavia, ciò non toglieva il fatto che le avesse effettivamente salvato la vita e trasportata per dei chilometri in salita, dopo la fatica fatta nel pomeriggio per raggiungere l'Olandese Volante. La paura che provava nei suoi confronti non era una scusa sufficiente per trattarlo male e non ringraziarlo.
E lei sapeva bene come impiegare quelle ore in cui, tanto, non sarebbe riuscita a prendere sonno a causa delle forti emozioni provate in quella giornata...
*****
 
Anno 2019, 19 gennaio, h 08,30
Genova, Italy (Casa di Mary)
 

Dato che la sera prima avevano fatto tardi, Mr. Mercer si concesse il lusso di alzarsi addirittura alle sette del mattino. La prima cosa che fece, come da routine, fu controllare l’orologio che lasciava sempre sul comodino accanto al letto e, quando vide l’orario si depresse non poco. Da quando in qua dormiva più di tre ore ogni due giorni? Sconsolato, diede la colpa all’imminente arrivo della vecchiaia e decise di consolarsi con una bella colazione all’Italiana. Carpe diem*.
Immaginatevi, dunque, la sua delusione quando, giunto proprio davanti alla porta della cucina, si ricordò che la mocciosa non era, certo, in condizioni di cucinare di prima mattina. Arrabbiato col mondo, si diresse a passo marziale in salotto per dedicarsi all’unica attività che lo aiutava a rilassarsi: scuoiare mocciose rompiscatole lucidare le armi. Giunto di fronte alla sala da pranzo, tuttavia, fu attirato da un profumino invitante (alla Tom e Gerry, per intenderci) che lo spinse ad entrare. Mele, cannella, brioche appena sfornate, limone e cos’altro? Un insieme di odori dalle mille sfumature invase le sue narici e, come in uno stato di trance, si ritrovò a camminare lentamente verso di loro.

“Vieni, Ianiro, vieni da noi! Siamo così dolci e croccanti… Non vorrai aspettare che ci raffreddiamo o che qualcuno ci mangi al posto tuo?” quando si sentì, perfino chiamare per nome (con la storpiatura che gli aveva affibbiato una bidella piuttosto anziana che lavorava nella scuola della mocciosa, per giunta), comprese di essere definitivamente impazzito. Ma, come Ulisse tentato dalle sirene, la consapevolezza di aver scoperto la propria debolezza più grande non fu sufficiente a dissolvere l’illusione.
Quando, finalmente, dando fondo a tutta la propria forza di volontà, riuscì a riprendere (in parte) possesso delle proprie facoltà mentali, era già seduto di fronte alla tavola imbandita, con la tovaglia direttamente legata al collo a mo’ di tovagliolo ed i pugni serrati sulle posate. E a quel punto che fai, te ne privi? Eh, no! In 45 minuti riuscì a mangiare quello che un friulano adulto avrebbe faticato in due settimane. Torte, pasticcini, pancake, omelette, brioches, panini imbottiti alla Scooby Doo, pane appena sfornato con marmellata fatta in casa, salumi toscani e chi più ne ha, più ne metta. Se lo Spirito Santo aveva previsto un momento in cui permettere anche alla sua povera anima di convertirsi, doveva essere proprio quello. Nessuna legge fisica poteva spiegare come una mocciosa ferita ed imbranata oltre ogni limite fosse riuscita a preparare tutto quel ben di Dio prima di andare a letto e, soprattutto, come fosse possibile che cibi cotti almeno tre ore prima fossero ancora caldi. Di forno in casa ce n’era uno solo, se si escludeva il forno a legna nel cortiletto e, non essendo lei nemmeno capace di accendere un accendino, sicuramente, non aveva potuto accendere dei falò nel giardino come l’altra volta. E poi vi era la questione tempo: non era scientificamente possibile cuocere tutta quella roba nella mezz’ora in cui era rimasta sveglia, ufficialmente per auto-medicarsi in bagno. Ed era praticamente impossibile che avesse lasciato la stanza durante la notte: i suoi riflessi eccezionali lo avrebbero fatto svegliare immediatamente.

E, parlando della mocciosa, dove si trovava in quel momento? Poteva dire con certezza che non si trovasse nel piano superiore, dato che era appena passato in tutte le stanze, e poi di solito lo salutava sempre, appena lo sentiva passare nel corridoio. L’unica spiegazione era che fosse ancora nella sua stanza e il suo istinto gli diceva che qualcosa non andava. Nel mese in cui avevano convissuto pacificamente, l’aveva quasi sempre trovata in piedi entro le sette per preparare la colazione e ripassare prima delle lezioni. E comunque, non l’aveva mai vista dormire per più di tre ore di fila (Chissà come mai! Non ho un essere insensibile che mi tira giù dal letto nel cuore della notte perché ha voglia di torta alle mele, no, no! Nd: Mary) e dubitava seriamente che avesse deciso di cambiare abitudine proprio il giorno in cui poteva riabbracciare le sue amichette rompiscatole.
Stava ancora male: non c’era altra spiegazione. Aveva dato per scontato che, trattandosi di una donna, se la sua salute fosse stata anche minimamente grave, avrebbe fatto scene a non finire, ma forse aveva sottovalutato la sua testardaggine per l’ennesima volta. Quando aveva visto che riusciva a camminare da sola, aveva deciso di accontentarla e concederle i suoi spazi, ma forse non era stata una buona idea. Ed alla luce delle nuove considerazioni, si pentì anche di non essersi imposto quando lei aveva affermato di essere in grado di medicarsi da sola.
Senza perdere un solo istante, si precipitò giù dalle scale, per accertarsi delle sue condizioni, consapevole che, se le fosse successo qualcosa, Lord Beckett non ne sarebbe stato affatto felice.
Ciò che l’uomo non poteva prevedere era che Mary fosse stata alzata tutta la notte per cucinare, in modo da ringraziare l’uomo per averle salvato la vita la sera precedente. Era riuscita a finire giusto in tempo per il suo risveglio ed era stato solo un caso se i due non si erano incrociati sulle scale, mentre lui saliva verso il soggiorno e lei scendeva per andare, finalmente a riposarsi un po’. Immaginatevi, dunque, la gioia immensa che provò la fanciulla, quando, appena addormentatasi, fu strappata al mondo dei sogni da un colosso urlante che la scuoteva come se stesse lavando i panni al fiume.

‹‹C-che succede?›› mormorò lei, con la voce ancora impastata dal sonno.
‹‹Sono quasi le otto e mezza e tu ancora dormi!›› esclamò lui, con voce preoccupata oltre ogni dire (per i suoi livelli, intendiamoci).
‹‹E quindi?›› fece per rispondere lei, sempre più confusa, ma poi, notando l’espressione visibilmente preoccupata dell’uomo (aveva increspato gli angoli della bocca di ben tre millimetri e mezzo ed aveva inarcato entrambe le sopracciglia), fu colta da un dubbio atroce: ‹‹Oh no, la VERSIONE DI GRECO! Sono in ritardo… se non mi materializzo a scuola all’istante la prof mi uccide!›› Il suo cervello stava già progettando macchinosi piani per sfuggire all’ira del suo docente, quali fuggire in Messico, acquistare un gregge di pecore e darsi alla macchia in Molise, o addirittura tornare in Toscana e cancellare la sua falsa identità. E, se non fosse stato per il pronto intervento di Mr. Mercer, avrebbe certamente compiuto un gesto estremo.
‹‹E’ sabato›› le fece notare lui, scocciato dal fatto che, di tutto ciò che era capitato nei giorni precedenti, l’unica cosa che la preoccupasse fosse una stupida iscrizione in una lingua inutilizzata da secoli.

‹‹Ma voi non capite! Se arrivo in ritardo quella mi ucci… Cos… E’ sabato? Non è venerdì?›› domandò lei, ancora piuttosto disorientata.
‹‹Ieri e la versione l’hai già fatta, tra pianto e stridor di denti›› la corresse lui, facendo riferimento all’atteggiamento irrazionale dei suoi compagni di classe, che avevano passato l’ora di inglese a scongiurare tutto il Pantheon greco e buona parte di quello fenicio. Quando Mrs. Parker aveva cortesemente domandato il perché stessero legando il professor Fellegara sulla cattedra, dopo averlo bendato, avvolto in un asciugamano color porpora e cosparso di farina1, l’“amato” della mocciosa aveva eroicamente risposto: ‹‹Mio padre mi ha fatto giurare sull’altare di Baal2 che avrei lottato fino alla morte per sconfiggere i nemici del mio popolo››. E quando quest’ultima gli aveva domandato di che cosa diavolo stesse parlando, lui aveva proseguito pronunciando una filippica contro il milanese imbruttito, visto come piaga del placido popolo ligure. La restante parte dell’ora era trascorsa cercando di persuadere i classicisti disperati del fatto che, da circa duemila anni a questa parte, sacrificare un uomo per propiziarsi una buona versione non era conforme ai testi di legge. E pensare che, quando aveva fatto irruzione nell’aula per sequestrare Maria Vittoria, si erano dichiarati tutti atei.

‹‹Ah, già, è vero hehehe›› ricordò lei, portando una mano dietro il capo, con fare imbarazzato.
‹‹Non stai dimenticando qualcosa?>>
‹‹No, non mi sembra prop… Ah, no, aspetta... il registro elettronico! La prof avrà già caricato i voti delle versioni…›› si rese conto, terrorizzata all’idea di non aver ottenuto un risultato decente.
‹‹E’ davvero l’unica cosa che ti preoccupa al momento?››
‹‹Beh, sì… c’è forse qualcosa che non ricordo?›› domandò lei, imbarazzata.
‹‹Che ne dici di ieri sera?›› le diede un indizio lui, alquanto seccato.
‹‹Ieri sera, ieri sera… Oddddio, le mie amiche! Come ho potuto dimenticarmene? Saranno state messe sotto torchio per tutta la notte ed io mi sono messa a dormire come se niente fosse!›› esclamò lei disperata ‹‹Mi vesto immediatamente!››
Probabilmente scese dal letto troppo in fretta, perché le gambe cedettero e cadde a terra come una pera cotta. Mr. Mercer, che avrebbe tranquillamente potuto sorreggerla, fece un passo più in là e si spostò dalla sua traiettoria, non avendo nessuna intenzione di sprecarsi per una deficiente che non riusciva nemmeno a centrare il punto di una discussione.
‹‹Le ferite, mocciosa, le ferite›› le ricordò lui alla fine, esasperato. Perché di tutti proprio a lui?

‹‹Ferite? Quali feri… Ahio! Ah, queste ferite! Ma allora non era un sogno›› constatò lei, riuscendo finalmente a rimettere tutti i pezzi del puzzle nel giusto ordine.
‹‹Mi spieghi come diavolo è possibile dimenticarsi una cosa del genere? Se non fosse stato per me a quest’ora saresti…›› la mossa successiva di Mary trasformò la sua rabbia in stupore.
La ragazzina l’aveva infatti abbracciato di slancio, completando la frase: ‹‹Morta, lo so. Grazie Signor Mercer, mi avete salvato la vita›› concluse lei, sorridendo. Notando l’espressione scioccata dell’uomo riuscì a soffocare a stento una risata, cosa che non sfuggì al diretto interessato. Quest’ultimo non impiegò più di tre secondi a scollarsela di dosso e indirizzarle un bel pugno in testa.
‹‹Se hai la forza per esibirti in tali scandalose manifestazioni di affetto, allora potevi anche alzarti ad un orario decente ed evitarmi un infar…to›› troppo tardi, si rese conto dell’errore, che, per sua sfortuna, non sfuggì alla mocciosa.
‹‹Eravate preoccupato?›› domandò lei, incerta. Che novità era mai questa?
‹‹Di perdere il posto›› la frenò lui, dandole un altro colpo, secondo il principio “semper melius abundare quam deficere”.
‹‹Grazie: non ci ero arrivata!›› gli rispose lei scocciata, per poi borbottargli un “ricordatemi di farvi vedere Quo vado quando torniamo a casa”. ‹‹E comunque, giusto a titolo informativo, mi ero appena addormentata›› sospirò lei, col la tristezza nel cuore. Ma era mai possibile che da quando quell’uomo insostenibile era entrato nella sua vita non riuscisse mai a dormire decentemente? Già c’erano la scuola e i problemi in Toscana a farle perdere preziose ore di sonno: un altro elemento di disturbo era decisamente troppo.
‹‹Ma se sei andata a letto alle quattro›› le fece notare lui. Ma che mocciosa viziata.
‹‹E mi sono alzata alle quattro e cinque per cucinare›› completò lei.
‹‹Impossibile, ti avrei sicuramente sentita salire le scale›› la bloccò lui, convinto.

‹‹Ho cercato di fare il più piano possibile per non disturbarvi e, comunque sarete stato stanco dopo la giornatina di ieri. Per non parlare di quando mi avete trasportato per dei chilometri in salita per arrivare fin qui. Mi sarei preoccupata se vi foste svegliato, semmai›› cercò di spiegargli lei in maniera diplomatica, cosa che però non impedì all’uomo di afferrarla per il colletto del pigiama e sollevarla da terra: ‹‹Stai forse insinuando che sto invecchiando?!?!?››
Notando le fiamme ardenti all’interno delle sue pupille, la ragazza si affrettò a rispondere: ‹‹Ma se vi ho appena detto che avete percorso dei chilometri in salita su un terreno dissestato nel cuore della notte con un peso morto di 60 chili… Ma di cosa stiamo parlando?›› Ma era serio?
Soddisfatto dalla risposta, l’uomo la lasciò ricadere a terra, per poi domandarle, con un ampio ghigno: ‹‹Si può sapere per quale motivo ti è venuta l’ispirazione culinaria alle quattro del mattino? Perché se le carneficine ti danno questa carica, la prossima volta ti porto sul posto di lavoro e mi impegno per fare una buona impressione…››
‹‹NO, NO, NO! Per carità!›› esclamò subito lei, terrorizzata, per poi affrettarsi ad aggiungere: ‹‹E’ solo che dopo quello che è successo ieri mi sono venute in mente delle cose e, insomma, non era che riuscissi a dormire un granché…›› ammise lei, imbarazzata oltre ogni modo. Mr. Mercer era certamente abituato ad affrontare pericoli ed a convivere con fantasmi ben peggiori dei suoi. Le dispiaceva fare scenate per così poco di fronte a lui.
‹‹E allora perché non avete voluto che rimanessi con voi?›› sospirò lui, alzando gli occhi al cielo.
“Perché mi fate ancora più paura dei tizi di ieri sera non è la cosa migliore da dire, vero?” pensò lei, nervosa, per poi decidere di rimanere sul vago: ‹‹Mi dispiaceva disturbarvi per così poco, hehehe››

‹‹Hmm…›› si limitò a constatare lui, poco convinto, per poi borbottare il classico “donne”.
Sollevata, Mary si affrettò a cambiare argomento: ‹‹Io vado a prepararmi, anche se temo che oggi impiegherò più del solito, hehehe… Scusatemi›› concluse con un’espressione decisamente demotivata.
‹‹Mezz’ora in più o in meno non cambia un granché: voi donne siete sempre così luuunghe›› acconsentì lui sospirando, mentre lei si scusava nuovamente e si dirigeva a passo mal fermo verso il bagno.
L’uomo si sedette sul suo letto, fingendo uno sguardo annoiato, ma, non appena la vide sparire dietro l’angolo, non riuscì a soffocare un sorrisetto divertito. Maria Vittoria era quasi più veloce di lui nel prepararsi, il che la rendeva la più svelta di tutte le donne che avesse mai avuto la sventura di incontrare. Era pur vero che gli abiti moderni erano più semplici da indossare, ma era quasi certo che la maggior parte delle mocciose della sua età impiegassero almeno il quintuplo del tempo per scegliere l’outfit (termine che aveva imparato a fuia di ascoltare i discorsi senza senso delle femmine che andavano a scuola con lei. Ora sì che la sua esistenza era davvero completa!), truccarsi, acconciarsi i capelli ed ammirarsi nello specchio. Il fatto era che adorava prenderla per il c**o.
*****
 
Anno 1729, 19 maggio, h 09,00
Port Royal, Giamaica (sotto il letto di Beckett)
 

Fortunatamente, contro ogni più rosea aspettativa, l’interrogatorio di Francesca e Lucia non si protrasse oltre le dieci di sera. Cutler Beckett non vi prese parte, ufficialmente perché troppo impegnato nel progettare i nuovi attacchi contro i pirati, anche se in realtà tutti sospettavano che volesse rimanere qualche ora da solo per autoelogiarsi davanti allo specchio e dire cose del tipo “Alla faccia tua!” alle foto di suo padre e dei suoi due fratelli maggiori. E, conoscendo il suo ego smisurato, probabilmente non erano troppo lontani dalla realtà. Il Lord tuttavia prima di rinchiudersi nel suo antro muschioso (come la servitù aveva preso a riferirsi al suo ufficio, dato che ultimamente tendeva a rinchiudervisi anche per giorni interi, manco fosse un eremita solitario), aveva ordinato che si trattasse solo di qualche domanda di routine e che, poi, fossero scortate nelle stanze degli ospiti. E non utilizzò tali delicatezze nei loro confronti solo perché erano molto carine, erano le uniche a sapere dove si trovava la rossa (Ebbene sì, anche se non se ne rendeva ancora conto, si era preso una bella cotta per Marta, ma non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura) o perché voleva dimostrare quanto fosse superiore a quello squilibrato e maleducato di Sparrow.

Ad ogni modo, dopo una serata fatta di bagni con petali di rosa (dove le avessero trovate, non si sa), massaggi, manicure, pedicure e trattamenti a capelli e viso che non avrebbero ricevuto manco alla spa, le due poterono finalmente godersi un bel sonno ristoratore su un vero letto dopo quasi un mese da quando si erano imbarcate sulla Perla Nera. La mattina seguente ebbero addirittura il coraggio di lamentarsi del fatto che in Giamaica a maggio facesse caldo. Ma davvero? Se a fare tale affermazione fosse stata una persona qualunque, probabilmente sarebbe stata linciata dalla servitù, ma dato che erano state due ragazze incredibilmente carine, l’intera guarnigione si fece in quattro per risolvere il loro problema. Ecco spiegato il motivo per cui, quando Theodore Groves andò a chiamarle per scortarle sotto il letto di Lord Beckett (all’epoca, come abbiamo già detto, serviva uno chaperon anche per questo), le trovò spaparanzate su due poltrone rivestite di fine broccato, con quattro soldati che le sventolavano con foglie di palma e altri due che gli servivano delle bevande fresche.
Troppo buono per esprimere anche il più lieve commento, il tenente si limitò a riferirgli gli ordini di Beckett ed a scortarle nelle sue stanze private. I tre stavano gattonando sotto il letto (sì, non esiste un termine più signorile per descrivere il tragitto attraverso le due epoche), quando udirono un discorso che li fece impietrire sul posto.
 
*Da ora i pensieri e commenti di Lucia, Fra e Theodore verranno riportati in corsivo negli intermezzi del dialogo tra Mary e Mr. Mercer*
 
‹‹Allora?›› la voce dell’uomo lasciava presagire che la sua pazienza aveva ormai quasi raggiunto il suo (minuscolo) limite.
‹‹E’… è proprio necessario?›› domandò Mary, con fare titubante. Chiaramente non era una di quelle situazioni in cui sentirsi a proprio agio.
‹‹Tu cosa dici?›› le rispose lui, sempre più impaziente.
‹‹M-ma non so se sia il caso, insomma… ci conosciamo da poco e… e io…››
‹‹Per la miseria: è quasi un mese che ti sopporto e viviamo insieme 24 ore su 24 e tu ancora non ti fidi di me?›› sbottò lui, incollerito.
 
“Mio Dio, sarà meglio intervenire, prima che faccia del male a quella poveretta!” ma il tentativo cavalleresco di Groves fu brutalmente interrotto da un placcaggio congiunto di Lucia e Fra.
“Fermo, stupido!”
“Ma siete forse impazzite? Non volete salvare la vostra amica?”
“Sei tu che non capisci: questa è un’ottima opportunità per Mary” gli sibilò Fra in un orecchio, mentre ancora non mollava la presa.
“Continuando ad aiutarla non fai il suo bene. Mary ha bisogno di sciogliersi un po’ con i ragazzi e quale occasione migliore di questa?” le fece eco Lucia.
“Ma di che cosa state parlando?” domandò lui a metà tra lo sconvolto e l’inorridito.
 
‹‹N-non è che non mi fidi… cioè, in realtà non proprio, ma non è questo il caso… E’ solo che non ho mai condiviso una cosa del genere nemmeno con le mie amiche, figuriamoci con un maschio›› balbettò lei, in evidente imbarazzo.
‹‹Dubiti forse della mia esperienza? Hai una vaga idea di quello che ho visto nei miei viaggi in Cina e Giappone? Io conoscevo queste pratiche quando tu non eri ancora nata››
 
“Visto? Lui ha esperienza!” gli tirò una gomitata Francesca.
“Sì, esperienza nel trucidare la gente” borbottò Theodore, sempre più in imbarazzo per la piega che stavano prendendo gli eventi. Il suo commento, tuttavia, fu totalmente ignorato, dato che Lucia si apprestò subito a sostenere l’amica: “Marta l’ha sempre detto che il problema di Mary era che i ragazzi della nostra età non sono abbastanza maturi. Quando l’ha detto pensava, probabilmente a Cutler Beckett, dato che i nostri due piccioncini condividono l’amore per libri polverosi e pietre dimenticate, ma immagino che anche il suo sottoposto possa andare bene”.
 
‹‹No, no, va bene: mi fido, mi fido!›› strillò la poveretta, terrorizzata dalla voce alquanto incollerita dell’uomo. Seguì un fruscio di tessuti che fece temere al povero Groves il peggio.
Il discorso che seguì, tuttavia, ribaltò completamente le teorie dei tre spettatori indesiderati: ‹‹Allora, è molto grave?››
‹‹Si può provare con una cucitura alla buona, ma nemmeno io so dire per quanto reggerà›› rispose l’uomo con fare di chi se ne intendeva.
“Oh mio Dio! Altro che fidanzato: le occorre l’aiuto urgente di un medico!” pensarono tutti simultaneamente, ipotizzando che stessero parlando di una ferita piuttosto grave.
‹‹Mr. Mercer, vi prego: guardatemi negli occhi e ditemi la verità. Quanto mi resta?››
‹‹Pochi giorni, così come poche ore… difficile a dirsi››
‹‹Ciò non toglie che ormai sono rovinata: la mia vita è finita! Se gli altri mi vedessero così…››
 
‹‹COSI’ COME?!?!?›› gridarono i tre in coro, saltando fuori da sotto il letto e facendo quasi venire un infarto a Maria Vittoria. Quest’ultima, compreso infine che si trattava solo di Groves e delle sue amiche, divenne rossa come un peperone e si nascose velocemente dietro alla schiena dell’uomo.
‹‹Ci mancavate solo voi! Avete una vaga idea di quanto tempo ho impiegato per convincerla ad uscire dal bagno stamattina? Donne e i loro stupidi complessi!›› sbottò Mr. Mercer irritato.
‹‹Più che stupido complesso si tratta di realtà oggettiva›› ribatté lei, picata ‹‹Vorrei proprio vedere cosa fareste al mio posto››
‹‹MI STAI FORSE DANDO DELLA DONNICCIOLA?››
‹‹Perché dovete sempre travisare tutto!›› piagnucolò lei, intenta a massaggiarsi la testa dolorante, dopo l’ennesimo colpo ricevuto dall’uomo.
 
‹‹Si può sapere di che state parlando?›› domandò Francesca che, come i due compari, ormai non ci capiva più niente ‹‹Prima sembrava che stessimo rovinando un momento intenso, poi che Mr. Mercer stesse diagnosticando una ferita mortale e ora state litigando come due suocere!››
‹‹Da quanto ci state spiando, esattamente›› domandò Mary, ancora più imbarazzata di prima, mentre Mr. Mercer si limitava a sfoggiare un ghigno compiaciuto per la piega che stavano prendendo gli eventi. Mannaggia all’orgoglio maschile.
Poi, notando lo sguardo poco raccomandabile dell’uomo e temendo che potesse orchestrare un qualcosa di allucinante per metterla in imbarazzo, si decise a confessare: ‹‹Ho rotto il pssspsss››
‹‹Cosa?›› domandarono tutti, non riuscendo a capire nulla a causa del tono troppo basso.
‹‹il pssspsss››
‹‹Che hai detto?››
‹‹Il CORPETTO CONTENITIVO!›› urlò alla fine, stufa di girarci intorno.
‹‹Il cosa?›› domandò Theodore Groves, vagamente perplesso.
‹‹Quella manna dal cielo che fa sembrare che i miei pettorali siano di una grandezza umana›› spiegò lei con un sibilo. Ma perché tutte a lei?
Vedendo che, però, il tenente non pareva capire, Mr. Mercer la spinse in avanti, rassicurandola: ‹‹Smettila di fare scene: non si vede quasi la differen…›› Non fece, però, in tempo a terminare la frase che Groves iniziò a strillare: ‹‹Buon Dio! Che cosa diavolo vi è successo? State bene? Vi hanno avvelenata?››
E meno male che non doveva vedersi la differenza. Mai chiedere consiglio ad un uomo su queste cose, mai!
*****
 
Anno 1729, 19 maggio, h 12,00
Port Royal, Giamaica (Olandese Volante)
 

I nostri cinque avventurieri giunsero sul luogo del meeting con “appena tre ore di ritardo, cosa più unica che rara, considerata la componente femminile del gruppo”, come si premurò di far notare il comprensivo e per nulla misogino Davy Jones.
Ciò che il capitano dell’Olandese non poteva sapere era che tre quarti del tempo erano stati impiegati per convincere Groves che l’improvviso ingrandimento dei due “canotti” di Mary non era dovuto ad un’improvvisa malattia, che sì, riusciva a camminare senza inciampare anche se non si vedeva i piedi e che no, cadeva sempre dalle scale perché era imbranata, non per una problematica fisiologica.
Il restante era stato speso nel tentare di uscire dalla magione Swann, dato che le giubbe rosse presenti, cappeggiate dal Tenente Groves, si erano scagliate contro Mr. Mercer, accusandolo di maltrattare Miss. Mary. A onore del vero, l’uomo l’aveva effettivamente trascinata per i capelli sotto il letto, e poi, ancora per tutte le rampe di scale, ma era solito riservarle trattamenti ben peggiori di quello e nessuno (a parte Theodore la sera in cui l’aveva prelevata dall’infermeria) aveva mai dato segno di preoccuparsene. Cos’era cambiato in poche ore?

Avete presente il detto “la bellezza non è tutto”? SBAGLIATO, SBAGLIATO, SBAGLIATO! L’elemento estetico fa eccome e questa ne è la prova evidente. Maria Vittoria quella mattina aveva deciso di truccarsi, vestirsi in maniera elegante ed addirittura acconciarsi i capelli (tantissimo per i suoi standard), in maniera tale da non focalizzare l’attenzione sulle poche ferite che i vestiti non sarebbero riusciti a nascondere. Se c’era una cosa che Mary odiava era truccarsi, dato che non voleva rischiare che un ragazzo le chiedesse di uscire, per poi scappare una volta che si fosse reso conto di com’era realmente. Era ben consapevole del proprio misero aspetto e non aveva nessuna intenzione di prendersi delusioni perfettamente evitabili.
Gli unici momenti in cui violava il suo “voto” erano le gare o gli stage di Karate e il post gare o stage di karate. A lei i lividi e le ferite “di guerra” non dispiacevano: erano la prova evidente della sua fatica e, in tutta onestà, era talmente bella che talvolta finivano persino per migliorarne l’aspetto.
Ciò che non è bello per noi, tuttavia, non è detto che non sia bello per qualcun altro… e questo è esattamente quello che accadde in quel momento. Vuoi perché il dislivello tra il “prima” e il “dopo” trucco e parrucco era incredibile, vuoi perché nel ‘700 le donne formose andavano di moda, fatto sta che improvvisamente l’intero reggimento si fiondò in suo soccorso, manco fosse la principessa intrappolata nella torre dal drago cattivo. Imbarazzante.

In tutto questo Maria Vittoria, non avvezza a quel genere di attenzioni, si imbarazzò come non mai e si avvicinò istintivamente a Mr. Mercer per tutta la durata del tragitto. Tale azione, tuttavia, non sfuggì all’occhio attento del Tenente Gillette che, preoccupatissimo, fomentò la folla, sostenendo che la sua non-figlia fosse, ormai, affetta dalla Sindrome di Stoccolma. Non utilizzò certo quel termine, dato che la psicologia non era ancora diventata una scienza, ma il senso era decisamente quello e seppe rinvigorire i cuori dei novelli paladini della giustizia.
Il risultato fu, ovviamente, tre quarti di reggimento stipato in un ospedale da campo (l’infermeria non era abbastanza grande per contenerli tutti) e il restante ancora disperso lungo le insenature della baia. Maria Vittoria apprezzò, tuttavia, il loro gesto. Non capitava, certo, tutti i giorni che qualcuno osasse sfidare il colosso per aiutarla, quale che fosse la motivazione. “E a proposito del colosso…” sorrise lei dentro di sé “tirarmi i capelli non sarà un goffo tentativo di distogliere l’attenzione dal fatto che le ferite mi impediscono di muovermi in maniera fluida?”. Il bestione parve cogliere il senso dei suoi pensieri, perché le ringhiò in avvertimento, per poi accelerare e distanziarsi da lei di qualche passo. “E questo conferma la mia ipotesi…” confermò lei, divertita. Certo, avrebbe preferito di gran lunga che la trasportasse come la sera precedente, ma in cuor suo sapeva che l’uomo non avrebbe mai fatto una cosa del genere davanti ad un testimone, nemmeno se la persona in questione fosse stata il suo “onorato signore”. Non rientrava decisamente nel personaggio e, in tutta onestà, non se ne dispiaceva completamente. L’immagine dei tre giorni nella stanza buia e dei tentativi di strangolamento erano ancora nitidi nella sua mente e non sarebbe, certo, bastato un mese per cancellarli. Meno entravano in contatto e meglio era, per il momento.
E le cose non fecero altro che peggiorare: la location, curata da Lord Beckett in persona, era una grotta buia, umida, con la “pavimentazione” viscida e il soffitto pericolante. E pensare che in una scena di “Pirati dei caraibi” 3, la Disney aveva osato rappresentare una scena in cui Lord Beckett offriva il tè a Will Turner e Davy Jones in deliziose tazzine di porcellana da collezione… Ma con che coraggio? (Che tra parentesi, avete presente il “Giorno” di Parini, in cui l’autore sottolinea, ironicamente, che, per permettere al nobile di scegliere se fare colazione con il caffè o la cioccolata, una popolazione intera era stata brutalmente sfruttata? Ecco, immaginatevi quanti poveri innocenti potevano aver perso la vita perché il tè indiano e la porcellana cinese avessero potuto giungere fino a lui con poca spesa… Nd: Mary)

Alla faccia del raffinato uomo di cultura, estimatore dell’etichetta e del buon gusto. O la classicità penetrata nella cultura anglosassone aveva perso un po’ di quei toni armonici (il locus amoenus, tanto per fare un esempio! Nd: Mary), oppure l’ambiente tetro si addiceva maggiormente al personaggio. Ogni malvagio che si rispetti necessita di un covo nascosto…
Maria Vittoria scivolò più volte lungo il tragitto, non facendo altro che aggravare le sue già precarie condizioni di salute. La prima volta, vedendola cadere, Mr. Mercer si spostò poco più in là (come suo solito), mentre il tenente Groves lo rimproverava con lo sguardo e si apprestava cavallerescamente a soccorrerla. L’uomo, tuttavia, dovette sottovalutare la pendenza del cunicolo e la pesantezza della ragazza, poiché finì col rovinarle addosso e farli scivolare per una ventina di metri. Questo fu essenzialmente il motivo per cui, una volta giunti nella grotta principale, i suoi abiti erano così mal ridotti che Davy Jones la additò immediatamente, dandole della fanciulla dai capelli sciolti, della donna che presiedeva ai crocicchi, etc.
‹‹Evidentemente la maledizione dell’Olandese gli dà anche il super potere della vista›› borbottò Francesca, parecchio innervosita all’idea che quell’essere maschilista si permettesse di fare certi commenti a priori e trovandosi a più di 200 metri di distanza.

‹‹Zitta, donna!››
‹‹E anche l’udito, vedo… All inclousive, insomma›› gli fece eco Maria Vittoria che, forse complice la stanchezza ed il dolore, per una volta non si era depressa per i commenti maligni. L’unico momento di “baldanza” della sua vita (per i suoi canoni), tuttavia, ebbe breve durata, dato che i presenti nell’arco di due secondi non riuscirono più a trattenere le risate ed esplosero.
‹‹Ragazza dai facili costumi? Mary? Ma se si veste più di una suora!›› si mise a sghignazzare Francesca.
‹‹Hey, non è vero!››
‹‹Si tappa le orecchie e si mette a gridare argomento tabù, quando sente parlare di ciò che accade quando due persone sco…›› la descrizione di Lucia parve, effettivamente, rispecchiare il soggetto, dato che questa non perse tempo a sovrastare la sua voce, strillando: ‹‹ARGOMENTO TABU’!!!››
‹‹Appunto›› constatò Lucia, spostandosi la frangetta, con aria esasperata.
‹‹E poi è troppo ingenua ed infantile›› analizzò Mr. Davis.
‹‹Ma…››
‹‹Per non parlare del fatto che non ha nemmeno un ragazzo›› proseguì Lucia.
‹‹Hey, sono stata con un ragazzo due anni fa!›› protestò lei, con fierezza.
‹‹Che ti ha scaricata dopo un mese perché non volevi concludere›› la bloccò Fra.
‹‹M-ma prima che ci mettessimo insieme mi aveva detto che per lui non era un problema aspettare il matrimonio…››
‹‹Te l’avrà detto solo nella speranza che ti infurbissi man mano che proseguiva la relazione››
‹‹Continuando così non troverà mai un buon partito›› concordò Lord Beckett che, fortunatamente, non aveva ben compreso la motivazione della rottura del fidanzamento. Benedetta sia l’ingenuità degli uomini delle epoche passate.
‹‹E’ ancora una bambina›› per la prima volta l’affermazione di Gillette ottenne un’approvazione generale.
‹‹Ma ho 19 anni!›› si lamentò lei, imbronciata.
‹‹18›› la corresse Mr. Mercer ‹‹e se non la pianti di fare i capricci, l’alba del 15 di febbraio non la vedrai nemmeno con il binocolo››
‹‹NO, per carità!››
E così il delirio si concluse, con estrema gioia del Tenente Gillette, che ancora faticava a sopportare l’accostamento di “la mia bambina” e “matrimonio” nella stessa frase. In tutto questo, Davy Jones era sempre più perplesso, ma non aveva nessuna intenzione di abbassarsi a domandare chiarimenti a quel gruppo di mortali con già un piede nella fossa.
 
*ONE HOURS LATER*
La riunione della setta dei giovani esploratori, fortunatamente, non si protrasse troppo a lungo. Del resto, nessuno dei presenti aveva intenzione di rimanere in quell’ambiente insalubre più dello stretto necessario. E come dargli torto?
Quella messa più a dura prova dal freddo e dall’umidità della grotta era, indubbiamente Maria Vittoria. Le ferite riportate la sera precedente (e il correre di notte a gennaio nei vicoli di una città in cui un giorno c’è “allerta vento” e l’altro pure, senza giacca), sommate alla fatica e alle privazioni di sonno avevano inevitabilmente portato l’acerrima nemica di ogni classicista: la febbre. Quella disgrazia del creato, serpe infida, male supremo del vaso di Pandora che impedisce al “buon studente” di memorizzare le informazioni in maniera corretta (specie quando, dai 39 °C in su, iniziano le allucinazioni). Ad ogni modo, per quanto desiderasse sedersi anche solo per qualche istante, sapeva che l’umidità del terreno non avrebbe fatto altro che aggravare le sue già compromesse condizioni di salute.

Troppo concentrata anche solo per sperare di riuscire a rimanere in piedi, perse quasi completamente il senso del tempo e non ascoltò quasi nulla della conversazione. Non che i nostri poco misogini uomini avessero una considerazione del genere femminile tale da fargli anche solo passare dall’anticamera del cervello l’idea di rendere partecipi le fanciulle. Del resto era solo delle loro vite che si stava parlando.
Notò appena Mr. Mercer che, di tanto in tanto, le arruffava i capelli, con un movimento che ricordava quello con cui il padrone accarezza un cucciolo. Se a farlo fosse stato chiunque altro, avrebbe potuto anche pensare che si trattasse di un’involontaria manifestazione d’affetto, ma conoscendolo era decisamente più probabile che l’avesse scambiata per un cane. Quelle mani, comunque, erano un po’ troppo vicine al suo collo per i suoi gusti… Se non fosse stata stordita dalla febbre, molto probabilmente sarebbe schizzata via senza pensarci due volte. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è senz’altro meglio.
Rimase, invece, lì imbambolata, a bearsi di quel poco calore che il corpo dell’uomo le cedeva. Non era molto, ma al confronto con il freddo umido dell’ambiente era certamente qualcosa, e l’uomo pareva essersene accorto, dato che, con la scusa di controllarla, le stava praticamente incollato. Doveva davvero tenere alla cucina italiana.
Non c’è, dunque, da stupirsi se, nel momento in cui Lord Beckett concluse le trattative, concedendo a Davy Jones di portare Lucia con sé, finché non avessero catturato Jack Sparrow, Mary borbottò, mezza stordita: “Uhm, sì: una bella crociera per Lucia!”

Ai presenti, inizialmente pare strano che la fanciulla avesse reagito così bene alla notizia, ma, pensando che si fosse semplicemente stancata di farsi trattare come una pezzuola da piedi dalle sue amiche. Mr. Davis stava, appunto, per lodare la sua finalmente ritrovata intelligenza, quando quella si precipitò a ritrattare: “Lucia? Crociera? Olandese volante, ma nuotante, nuotante sotto il mare. Mare uguale acqua e acqua uguale umidità. Umidità uguale male per i capelli ricci, che diventano ancora più ricci… Ma tanto Lucia ha i capelli lisci, quindi perché mi stavo preoccupando?”
‹‹Se non lo sai tu…›› le fece notare Mr. Davis, ovvio.
‹‹In effetti, hehehe. Comunque, scherzi a parte, ci sia qualcosa di sbagliato in tutto questo…›› rifletté lei, pensosa.
‹‹Tu dici?›› la rimbeccò la diretta interessata che, ora più che mai, era tesa come la corda di un violino.
‹‹Uhm, direi di sì›› annuì lei, poco convinta. La febbre doveva essersi veramente alzata, se non era riuscita nemmeno ad accorgersi dell’ironia mal celata nella frase dell’amica. Fortunatamente, prima che Lucia la strangolasse, un’improvvisa consapevolezza la pervase: ‹‹Dite che sia il caso di lasciare una ragazza da sola con un equipaggio di soli uomini?››
‹‹Cioè, di tutta questa situazione la prima cosa che noti è l’etica medievale?›› Francesca era senza parole, Lucia ormai aveva perso le speranze. I Settecenteschi, dal canto loro, al contrario parvero prendere sul serio il rimarco della ragazza e, dopo un breve consulto, stabilirono di dare in ostaggio Lucia e il pappagallo di Cotton che, dopo attente ricerche, era risultato essere una femmina.

A quel punto, finalmente, a Mary sorse qualche lievissimo sospetto: ‹‹Hey, aspettate un attimo, ma chi ci garantisce che il Signor Jones non abbia fatto questa richiesta per vendicarsi del fatto di non essere riuscito a giustiziare l’unica donna che è riuscito a trovare dopo chissà quanto tempo a bordo della sua nave?››
‹‹Alleluja!›› esclamarono le amiche in coro. A quanto la relazione simbiotica instauratasi tra Mercer e Mary giovava solo a quest’ultimo, che otteneva la sua intelligenza per osmosi, mentre questa ampliava la propria dose di ottusità.
‹‹Da quanto non sfogate le vostre frustrazioni misogine su qualcuno, precisamente?›› volle indagare Mary, posizionandosi davanti a Davy Jones con gambe larghe, mani sui fianchi e sguardo battagliero. La febbre le aveva dato alla testa: ora oltre ad averle inibiti i ricettori della paura, le ingannava la vista. Perché Davy Jones stava ruotando di 180 ° mentre lei gli stava parlando? O era la stanza a muoversi?
Vedendola comportarsi in maniera strana e, trovandosela all’improvviso davanti agli occhi, Jones fu, per un attimo incerto. Non era abituato ad avere a che fare con le donne. La voce secondo cui “donna a bordo porta male”, che aveva diffuso proprio a seguito della sua grande delusione amorosa, da un certo punto di vista gli si era ritorta contro. Era vero che, da allora, non aveva più dovuto sopportare la sgradevole vista di quelle infide serpi della stessa razza di Calipso, ma non aveva nemmeno più avuto la possibilità di sfogare le proprie frustrazioni personali sull’oggetto della sua rovina. 24 ore ogni dieci anni non erano assolutamente sufficienti e di questo si rammaricava profondamente. Senza volerlo, la mocciosa aveva toccato un nervo scoperto.
Accortisi dell’incertezza dell’uomo-polpo, Mary si convinse maggiormente della sua tesi, e lo stesso parve fare Lucia, dato che impallidì oltre ogni limite e perse i sensi.
‹‹Si è solo addormentata›› tranquillizzò tutti Francesca, dopo essersi assicurata delle sue condizioni. Non che potesse sorgere qualche dubbio al riguardo, dato che fin da subito il suo rissare aveva pervaso la caverna, accrescendo man mano che si diffondeva nei cunicoli e rischiando di far crollare le poco stabili pareti rocciose.
Notando gli evidenti segni di cedimento della struttura, persino Lord Beckett fu costretto a dichiarare chiusa la discussione. Ciò non impedì, comunque, a Maria Vittoria di tampinarlo per tutta la durata del tragitto, implorandolo di ripensarci, oppure di mandare lei al suo posto. Del resto, Lucia la più intelligente del gruppo e, nonostante non conoscesse le lingue antiche, avrebbe potuto assisterlo nel suo lavoro di ricerca, sfruttando le traduzioni degli esperti. Cadde più volte lungo il percorso (Maledetta imbranataggine! Nd: Mary), ma si rialzò sempre, dando sfoggio di un’energia (Testardaggine. Nd: Merce) che nemmeno sapeva di possedere. E i suoi piagnistei accompagnarono il Lord fin nel suo ufficio.

‹‹Hai finito?›› incredibile come riuscisse a risultare calmo nonostante tutto.
‹‹Per favooore! SIG, SOB!››
‹‹Ho detto di no››
‹‹Ma perché? Ahi!››
‹‹Ha detto di no›› Mr. Mercer spiegò con totale naturalezza il motivo che l’aveva spinto a colpirla per l’ennesima volta al centro della zucca.
Vedendo che lacrime e lamentele non portavano da nessuna parte, decise di utilizzare un tono serioso: ‹‹Lucia è gravemente ammalata. Anche il più piccolo sforzo potrebbe costarle la vita e le forti emozioni potrebbero compromettere il suo stato. Per non parlare dell’ambiente insalubre in cui sarebbe costretta a vivere. E questo senza contare la minaccia costante del capitano e della sua ciurma. Se non vi è possibile convincere Jones a rispettare i suoi patti ugualmente, allora vi prego di mandare me al suo posto. Del resto Lucia è ha una mente geniale e potrebbe svolgere il mio lavoro cento volte meglio››
‹‹Una serie di motivazioni eccellenti, non v’è dubbio›› constatò Lord Beckett, mentre prendeva posto alla scrivania.
“Perché non sembra minimamente toccato dalle mie parole?” si domandò Maria Vittoria, sempre più preoccupata.
‹‹Ma…›› Appunto.
‹‹Nel tuo ragionamento c’è una falla››

‹‹Ovvero?›› domandò lei, inquieta. Davvero non riusciva a capire dove volesse andare a parare.
‹‹Tu sei facile da controllare. Le tue amiche, la tua famiglia, i tuoi compagni di classe, di allenamento, persino i bambini che hai incontrato nelle segrete… hai così tante debolezze che mi lasci davvero l’imbarazzo della scelta››
‹‹Ma Lucia è malata: non forse anche questa una debolezza?››
‹‹Stando a quanto affermi tu. Ma che cosa so io di lei?››
‹‹Non la conoscete ancora, ma sono sicura che…››
‹‹Ti dirò quello che ho visto: quando siete state imprigionate una sola è rimasta e quella non era lei. Potete giurare e rigiurarmi la vostra assoluta lealtà, ma in questo mondo non c’è spazio per gli errori e le incertezze. Quindi la mia risposta resta no. La tua amica bionda può tornare con te, ma Lucia salirà su quella nave e su questo non ci piove.››
“Non so se essere grata che non voglia darmi in pasto a Davy Jones, oppure deprimermi per la poca considerazione che ha della mia persona” questi furono i pensieri di Mary, mentre, rassegnata, seguiva Mr. Mercer verso la camera padronale. Già, quell’insensibile non l’aveva nemmeno lasciata salutare la sua amica.
 
 
Note:
* L’espressione fa riferimento alla celeberrima frase di Orazio (Odi 1, 11). Come ben sappiamo, tale espressione non è propriamente il punto focale dell’ode, scritta (come emerge dal testo) per dissuadere una donna che aveva conosciuto dal consultare indovini, cartomanti (all’epoca non si chiamavano proprio così, ma il senso è quello) dall’interrogarsi su un futuro inconoscibile ed incerto. L’ode si conclude esortando a concentrarsi maggiormente sul presente, tempo che appartiene all’uomo e di riuscire ad apprezzare veramente ciò che si possiede (questa parte è stata, poi, erroneamente interpretata dai più come un invito a cogliere l’attimo, nel senso di godere dei piaceri della vita… Ed ecco perché oggi giorno si sentono tante persone citare quest’espressione a sproposito… Sig!). Ian Mercer deve averla sentita pronunciare da Lord Beckett e anch’egli , non conoscendone l’ubicazione nel contesto dell’opera, la utilizza con una connotazione sbagliata.
1- Riferimento ai versi dell’Orestea in cui si ricorda il sacrificio di Ifigenia, chiamata dal padre Agamennone, con la scusa di darla in sposa ad Achille, per poterla sacrificare per propiziarsi una buona navigazione verso Troia.
2- Francesco si rifà giocosamente alla tradizione secondo cui Annibale bambino sarebbe stato costretto dal padre ad effettuare un tale giuramento proprio sull’altare del dio della pioggia e delle tempeste. Questo sarebbe stato, secondo gli storici dell’epoca, il motivo che aveva spinto il cartaginese a tramare contro Roma finché non esalò il suo ultimo respiro.

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Capitolo 14
*** Special Mr. Mercer come Achille ***


Special – Di quando Mary riuscì a rovinare l’infanzia di Mercer.
Mai discute con una classicista disperata alle due di notte.
 

‹‹Perché?›› il silenzio che avvolgeva le strade a quell’ora tarda fu spezzato da Mercer.
Maria Vittoria, per alcuni secondi rimase spiazzata dall’iniziativa dell’uomo. Il signor Mercer era di indole taciturna: non che fosse timido o quant’altro, semplicemente non riteneva opportuno utilizzare più parole del necessario. Per quanto Mary avesse tentato di spezzare il silenzio pesante che aleggiava nella casa dall’arrivo del nuovo ospite, quest’ultimo non pareva per nulla interessato ad intrattenere una conversazione con una nullità come lei. Si esprimeva a grugniti, e stava a lei capire se stesse esprimendo il suo dissenso o il suo consenso nei confronti di un determinato argomento. Apriva bocca solo per rivolgerle critiche taglienti, ed anche lì non si dilungava più del dovuto.

‹‹A cosa vi riferite, Mr. Mercer?›› fortunatamente era riuscita a reprimere l’impulso di sbottare un semplice “Cosa?”. Sapeva quanto il signor Mercer detestasse chi non gli si rivolgeva in maniera educata, e non aveva nessuna intenzione di farlo arrabbiare. Era già abbastanza inquietante sapere che fosse seduto dietro di lei, intento a lucidare dei coltelli da lancio*, senza, tuttavia, distogliere gli occhi da lei per un solo istante. La sensazione di essere osservata da un sadico assassino mentre faceva una versione sulla concezione dell’aldilà di Platone non era di certo confortante, specie se ci si trovava da soli in una casa isolata nel cuore della notte. Ogni tanto si voltava, nella speranza di non vedergli compiere mosse sospette, ma, dopo che le aveva rivolto un ghigno inquietante (aveva inclinato il labbro inferiore di quasi due millimetri verso il basso), mentre lucidava con voluta lentezza un corto spadino, non aveva più avuto il coraggio di controllare. “Ti seguirà ovunque, sarà la tua ombra e i miei occhi” le parole di Cutler Beckett continuavano a tormentarla in quei momenti. A quanto pare era abituato a seguire gli ordini alla lettera.

‹‹Perché vi dannate su quel mucchio di fogli inutili, traducendo da lingue inutili su argomenti ancora più inutili?›› nonostante il tono di disprezzo con cui aveva pronunciato quelle parole, Maria Vittoria non poté fare a meno di notare il cambiamento di atteggiamento nei suoi confronti. Per la prima volta, invece di trattarla alla stregua di una mocciosa o di una sguattera (“apprendista… apprendista sguattera” nd: Maria Vittoria; “perché mi ricorda Jack Sparrow quando non lo chiamano capitano?” nd: me), era passato dal tu al voi¹. Che fosse riuscita a guadagnarsi il suo rispetto, almeno in parte? Strano. Non aveva fatto nulla che potesse apparire “meritevole di encomio” agli occhi di un uomo i cui canoni etici erano leggermente sfasati rispetto all’opinione comune. Solo poche ore prima le aveva fatto una filippica sul perché, per una mocciosa incapace, frapporsi tra una ragazza e cinque uomini fosse un’azione idiota. Cosa poteva essere cambiato in così poco tempo? Forse gli era piaciuto l’arrosto al latte? Sì, quella era decisamente l’idea più plausibile.
‹‹Conoscete il greco antico Mr. Mercer?›› domandò, sempre più stupita, la ragazza. In quel momento la sorpresa aveva sovrastato il suo orgoglio classicista.
‹‹No, ma lavorando per Lord Beckett ho avuto modo di impararne l’alfabeto ed i termini più utili per le sue ricerche sugli antichi manufatti. Tra questi rientrano il termine “aldilà”, “morte” e
“anima”››

‹‹Devo dedurre che la morte non sia un argomento di vostro interesse? Eppure ero convinta che un uomo del vostro calibro (per non dire del vostro mestiere) lavorasse a stretto contatto con essa›› ribatté, mentre fingeva di cercare un vocabolo sul dizionario, mostrando una calma ed una nonchalance che non possedeva affatto. Del resto, concentrarsi sul libro era certamente meglio che attendere una reazione violenta da parte dell’uomo, qualora le sue parole lo avessero contrariato.
‹‹Non ne avete idea›› la frase, sussurratale vicino all’orecchio destro, accompagnata da un altro dei suoi ghigni cupi, le fece inevitabilmente prendere un colpo. Ma doveva proprio comparirle davanti senza un minimo di preavviso? Come se non le facesse già abbastanza paura! E, tra parentesi, come capperoski faceva a muoversi così silenziosamente nonostante la sua stazza?
(Cervello di Mary: ora mi uccide, ora mi uccide, ora mi uccide! Perché non potevo nascere carina e piena di virtù? Avrei fatto la Mary Sue di professione: mi sarei fatta odiare dai fan più severi, ma cavolo, ne sarebbe valsa la pena per sopravvivere!)
Contro ogni previsione Mercer riprese a parlare: ‹‹Tutte questi discorsi sull’aldilà non sono altro che favolette raccontate ai bambini, alle donne e ai codardi. Non esiste nessun paradiso ad accogliere chi ha sofferto: è solo una delle tante bugie con cui i potenti legano a sé i più deboli. La morte è, forse, l’unica cosa concreta nella vita e, quando giunge, la speranza di ottenere un futuro felice scompare. Ma, forse per una ragazzina ingenua è meglio far finta che io non abbia mai parlato.››

‹‹E il fatto che voi abbiate appena parlato così a lungo con una mocciosa fastidiosa (e che non l’abbiate ancora buttata giù da un dirupo) non è, forse, essa stessa la prova dell’esistenza dei miracoli?›› Maria Vittoria non seppe mai dove avesse trovato il coraggio per ribattere, ma nel dubbio ne diede merito all’ennesimo intervento divino. Idea che, osservando il successivo svolgersi dei fatti, non parve poi così sbagliata. Mercer, infatti, non l’attaccò, né le la minacciò, né le rammentò quale fosse il suo posto (a inizi del Settecento maschilismo e classismo regnano sovrani); si limitò, al contrario a… sorridere? (= increspò le labbra di addirittura quattro millimetri verso l’alto) Alla faccia del deus ex macchina!
Mary, motivata dalla mancanza di ira (vabbè, più ira del solito) negli occhi dell’uomo, si arrischiò a proseguire il discorso: ‹‹Comunque, avete un’idea di “dopo-la-morte” (evitò accuratamente di non nominare il termine “aldilà” per non infastidirlo) molto simile a quella classica›› notando che il signor Mercer aveva sollevato un sopracciglio con fare perplesso, si affrettò a spiegare: ‹‹Non parlo del pensiero dell’autore che sto traducendo in questo momento, nello specifico, ma mi riferisco in maniera più generale alla concezione pagana dell’oltretomba. Ora non voglio dilungarmi ed annoiarvi con i miei discorsi inutili su storia, cultura e persone vissute migliaia di anni orsono. Mi limiterò a proporvi l’esempio di un personaggio di un poema epico di cui forse avrete sentito parlare da Lord Beckett. Achille, semidio dal corpo quasi completamente invulnerabile, avendo ricevuto una profezia sul proprio futuro, scelse di vivere una vita breve, ma piena di gloria, piuttosto che una vita lunga, ma priva di essa. Tuttavia, quando Odìsseo, un suo ex compagno di battaglia, discese nell’Ade, gli apparve e gli disse che, dopo aver visto la condizione delle anime dopo la morte, avrebbe preferito vivere sulla terra come l’ultimo dei suoi servi, piuttosto che essere un eroe nel mondo dei morti. C’è anche un’altra concezione “classica” di morte, vista come totale annullamento dell’anima, che è, però, di età successiva. Chi viene definito “ateo”, normalmente, si basa su un’idea classicista che non ha nulla di nuovo e “rivoluzionario”, anche se nella maggior parte dei casi lo ignora. Avere dubbi è assolutamente umano, ragion per cui è stupido pensare che i nostri avi, non se li siano già posti. Non avere gli strumenti per rispondere in maniera soddisfacente ad una domanda non significa non porsela››

‹‹Mi ero quasi scordato che parlare con una donna significasse impiegare quasi cinque minuti per centrare il punto di un discorso›› sospirò Mercer, riprendendo a lucidare le sue armi. Per un attimo aveva creduto di aver scorto qualcosa di interessante in quella ragazza, ma aveva evidentemente preso un granchio.
‹‹Mi è semplicemente stato insegnato che ciò su cui si vuole focalizzare maggiormente l’attenzione del lettore deve essere inserito all’inizio.›› ribatté quella, alzando lievemente le spalle, per poi aggiungere con un sorrisetto furbo: ‹‹anche se, effettivamente, avrei potuto tagliare l’ultima parte. A che pro dirvi cose che già sapete?››
‹‹Ah, dimenticavo che a voi ragazzine piacciono i bei guerrieri delle favole. Non voglio entrare nel merito, ma sappi che mi basterebbero poche parole perché il tuo “principe azzurro” si trasformi in un rospo ripugnante›› ecco perché Mercer non conferiva mai col gentil sesso.
‹‹Che cos’hai contro i rospi? Sono carinissimi!›› era quasi più indignata per l’offesa rivolta all’animaletto che per i commenti maschilisti dell’uomo. Del resto era ben conscia della scarsa opinione che gli uomini del passato (e purtroppo non solo loro) avevano delle donne. Discutere sull’argomento l’avrebbe condotta solo verso lo strangolamento, conoscendo il soggetto con cui aveva a che fare. Mercer era un uomo razionale, concreto, ragion per cui sarebbero stati i fatti a convincerlo e non le parole: ‹‹Ammetto che quando avevo undici anni Achille non mi dispiaceva affatto, poi mi sono iscritta al classico ed ho scoperto mooolte cose. Tipo che se la faceva con Patroclo, che era pure più vecchio di lui. Ma chi siamo noi per giudicare i costumi di un altro popolo, io mi domando…››

‹‹Ma Lord Beckett aveva detto che erano cugini…›› per quanto confidasse nelle parole del suo padrone, non poté fare a meno di sbiancare davanti alla rivelazione. Come poteva una fanciulla dire una cosa del genere a cuore leggero?
‹‹Ops, sono riuscita a spoilerarvi il fulcro della vicenda ed a rovinarvi l’infanzia con poche parole, che errore imperdonabile›› sospirò Mary, portandosi una mano alla fronte, con fare plateale.
‹‹Non utilizzate le mie parole contro di me!›› tuonò alquanto contrariato. Le ferite all’orgoglio erano sempre le peggiori. ‹‹E comunque Patroclo non può essere più vecchio di Achille perché…››
‹‹Perché era più debole in battaglia e Achille cercava sempre di proteggerlo?›› completò lei la frase, con una punta di ironia nella voce.
Forse quella ragazzina era meno stupida di quello che pensava. Decise, comunque, che non si sarebbe mai abbassato a mostrarle il suo apprezzamento per così poco. Non aveva, però, calcolato di tradirsi con le parole: nel momento stesso in cui aveva ricominciato a darle del voi, Maria Vittoria aveva capito di avere la vittoria in tasca.
‹‹Gli assomigliate molto, sapete?›› continuò la ragazza, accennando un lieve sorriso, mentre iniziava a riporre i libri. Lo studio poteva aspettare. Non aveva nessuna intenzione di gettare via quella che era, probabilmente, l’unica possibilità di instaurare una conversazione col signor Mercer. Del resto, parlargli l’avrebbe certamente aiutata a diminuire il terrore che provava ogni volta che le passava vicino (ogni singolo secondo della giornata, grazie al suo simpaticissimo capo). Lei era una fifona, mannaggia la miseria: non potevano costringerla a passare 24 ore su 24 con un tizio inquietante che, tra l’altro l’aveva tormentata anche nei sogni (Lui può tutto nd: Mary) dal suo arrivo a Port Royal.
‹‹A un rospo?›› domandò quello, alzando un sopracciglio.

‹‹No, ad Achille!››
‹‹Dovreste prendere spunto dall’ironia inglese. Quella italiana lascia abbastanza a desiderare>>
‹‹Ero seria›› ribatté lei, sfoggiando un’espressione imbronciata pari a quella di un bambino di sei anni.
‹‹Ma voi state male!›› disse Mercer, afferrandola per la collottola (l’aveva scambiata per un gatto, per caso?) e scaraventandola, senza tanti complimenti, sul divanetto del salotto.
Che cos’aveva intenzione di fare? (Cervello di Mary: Aiuuuto! L’ho fatto arrabbiare… ora mi picchia!) Vedendolo avvicinare con aria minacciosa, la ragazza si rannicchiò e protesse la testa con le braccia, pronta a ricevere la sua dose quotidiana di mazzate. Dopo alcuni secondi, tuttavia, notando che il dolore non arrivava, aprì un occhio, osservandolo, con fare circospetto.
Mercer era in piedi davanti a lei, mani sui fianchi e occhi rivolti verso il cielo. Nei suoi 30 anni di servizio non aveva mai incontrato una tipa simile. Un momento si prendeva gioco di lui e subito dopo si rannicchiava su sé stessa, tremando come una foglia. Chi capiva le donne era bravo. ‹‹E’ evidente che le ferite che avete riportato oggi ieri sera erano più serie di quel che pensavo›› si chinò verso il suo viso, squadrandola con attenzione, facendola arrossire per l’imbarazzo. Non potendo immaginare che tale reazione fosse dovuta al fatto che Maria Vittoria non era abituata al contatto umano, si convinse ancora di più della sua elucubrazione. ‹‹Penso che sia il caso di mandare a chiamare un medico, ma nel frattempo… dove tenete le sanguisughe?››
‹‹Sanguisughe?!›› esclamò Mary preoccupatissima, sbiancando nel mentre.

‹‹Sì, per la pressione›› spiegò sospirando, utilizzando lo stesso tono che si usa con i bambini.
‹‹Hem, vi posso assicurare che nella mia epoca il salasso non è più utilizzato in medicina.›› più che cercare di convincerlo, sembrava implorarlo con lo sguardo. ‹‹E comunque non ve ne sarebbe bisogno, dato che sono sana come un pesce… lividi a parte, hehehe›› disse portandosi una mano dietro la testa, con fare imbarazzato.
‹‹Cosa c’entro io con Achille e gli eroi delle leggende, allora? Vi sembro forse giovane, biondo, alto e muscoloso?›› ritornò sull’argomento, stranito. Quella ragazza riusciva a cambiare stato d’animo più spesso che un camaleonte il colore della pelle. Dire che era lunatica era un eufemismo.
‹‹Vi sembro forse alto e muscoloso?›› lo scimmiottò lei ‹‹Disse un individuo alto un metro e novantasette capace di sollevare di peso 4 ragazze, tra cui la sottoscritta che pesa sessanta chili tondi tondi. Forse vi sentirete basso se paragonato a quei Vikinghi dei vostri compatrioti, ma qui in Italia l’altezza media degli autoctoni si aggira intorno al metro e settantacinque. E tra parentesi, ho scoperto da poco che, in realtà, i Vikinghi più alti non superavano il metro e settantasei e la notizia mi ha scioccata alquanto.››
Mercer riuscì a stento a trattenere una risata: quando parlava di storia le si illuminavano gli occhi e nulla sembrava in grado di fermarla. Gli sarebbe piaciuto portarsela dietro in battaglia, per il solo divertimento di vedere che cosa si sarebbe inventata per uscire dalla brutta situazione. ‹‹E con i capelli biondi e l’età come la mettiamo?›› chiese, divertito.
‹‹Chi ha mai detto che i nostri prodi fossero biondi?››

‹‹L’autore?›› fece lui ovvio ‹‹E se state pensando di appellarvi al fatto che fosse cieco, sappiate che con me le leggende non attaccano››
‹‹Disse il futuro co-capitano dell’Olandese volante›› bisbigliò lei tra sé e sé, ma evidentemente il tono non era sufficientemente basso.
‹‹Come avete detto?›› domandò infatti Mercer, confuso.
‹‹Hem, niente, meri pettegolezzi… cose che voi uomini non potete comprendere›› si salvò lei in extremis ‹‹Comunque la mia argomentazione non interessa Omero in sé, quanto piuttosto il suo popolo. E’ stato dimostrato tramite reperti archeologici che la guerra di Troia, che sta alla base del poema, è stata condotta veramente dalla popolazione Micenea, per ottenere il controllo dello stretto dei Dardanelli. Sapete meglio di me dove si trova e quanto potesse essere utile ai fini commerciali. L’iliade, per secoli, è stata tramandata oralmente da aedi che, essendo dediti all’arte dell’improvvisazione, hanno, inevitabilmente cambiato molti particolari, specie influenzati dalla propria cultura. L’uso del carro da guerra come strumento bellico e non solo come mezzo di trasporto, la cremazione dei cadaveri invece dell’inumazione, la sostituzione dei tratti somatici tipici della popolazione autoctona con quella dei conquistatori, giusto per fare degli esempi. Quindi, l’Iliade, essendo stata trascritta dopo l’arrivo della popolazione dorica, che, a differenza degli “occupati”, poteva vantare capelli biondi, occhi azzurri e un fisico statuario, non ha potuto che risentirne. La stessa dea Atena è diventata bionda, con gli occhi “grigi da civetta” ed i tratti somatici tipici delle popolazioni nordiche››
‹‹Mi stai, forse, dicendo che Achille era moro?››
‹‹Si tratta di un personaggio mitologico, comunque, chi per lui combatté effettivamente la fatidica guerra di Troia lo era. E ti dico di più: era basso, con una fronte prominente e, molto probabilmente, … il monociglio!››

Questa volta Mercer non riuscì proprio a trattenere una fragorosa risata. Nulla poté il suo pesante addestramento e la lunga carriera di spia, contro l’immagine di un Achille col monociglio.
Maria Vittoria, dal canto suo, non riusciva a credere ai suoi occhi. Se avesse saputo che bastavano i suoi discorsi da classicista disperata per far ridere il signor Mercer, ne avrebbe usufruito fin da subito. Forse si sarebbe risparmiata una buona dose di minacce, botte e incubi.
‹‹Per quanto riguarda l’età, invece, molti soldati erano certamente giovani: lo stesso Achille partì da Ftia quando era solo un fanciullo. Tuttavia, eroi come Menelao ed Ulisse non dovevano essere poi così giovani. Secondo il mito, a partire alla volta di Troia sarebbero stati tutti i pretendenti di Elena, in virtù di un precedente patto che li legava a Menelao. Di conseguenza, sapendo che Elena all’epoca dei fatti doveva avere quarant’anni suonati, e che, a meno che non si trattasse del primo caso di Toy Boy della storia, chi anelava alla sua mano doveva essere almeno suo coetaneo. Si può, quindi, dedurre che la maggior parte dei capi Achei avesse pressappoco la vostra età.››
‹‹Rimango sempre più scioccato›› commentò Mercer che, nel frattempo era riuscito a ricomporsi.
‹‹Da quello che dico o da come lo dico?›› domandò, fingendo uno sguardo inquisitore, accentuato dal sollevamento del sopracciglio destro.
‹‹Entrambe, suppongo››
‹‹Questa ve la concedo›› ridacchiò lei ‹‹Comunque, giusto a titolo informativo, quando dicevo che assomigliavate ad Achille, o Odisseo, che forse rende ancor meglio l’idea, intendevo l’aspetto di ricerca interiore››
‹‹Perdonate la franchezza, Miss., ma avendo giusto un paio di anni in più di voi, ed anche un po’ d’esperienza, credo di aver già visto, conosciuto, ricercato e assimilato tutto ciò di cui potevo avere necessità.››
‹‹Per l’appunto, vi trovate in quello che credete essere lo stadio finale della vostra entità caratteriale (evitò volutamente di utilizzare il termine “spirituale”, ben conscia delle sue idee al riguardo di ciò che tale parola gli richiamava nella mente). Siete abbastanza scettico nei confronti di ciò che non si trova concretamente davanti ai vostri occhi, ed avete imparato con l’esperienza che conviene mettersi al servizio di chi, non solo gode di buone capacità strategiche e di comando, ma è anche disposto a tutto pur di raggiungere i propri obbiettivi. Ragion per cui avete scelto di affidare la vostra vita nelle mani di Lord Beckett, ed avete iniziato voi stesso a servirvi di ogni genere di escamotage per svolgere il vostro lavoro e sopravvivere.››

‹‹Pensate davvero che sia così semplice analizzarmi?››
‹‹Ma certo che no! Stavo solamente facendo un esempio, ma vi prego di scusarmi se vi ho dato quest’impressione›› si affrettò a scusarsi Maria Vittoria. Non era assolutamente sua intenzione intromettersi in questioni che non la riguardavano, specie se si trattava della vita tormentata di un uomo (inquietante) con cui non aveva alcuna confidenza. ‹‹Non sono uno psicologo, né voglio cercare di analizzarvi, del resto non vi conosco nemmeno. Tuttavia, mi sembra abbastanza chiaro che nessuno nasce con le stesse caratteristiche caratteriali ed emotive che raggiunge da adulto. Come mi facevate notare poc’anzi, sono le esperienze e, ovviamente le inclinazioni personali, a determinare che genere di persona dobbiamo diventare. Credo che ci sia stato un periodo in cui anche voi credevate a dei “miti”, “valori”, “idee” che si sono rivelati essere errati o, semplicemente, inutili per il percorso che avete scelto. Il giovane Achille paga con la propria vita il prezzo della fama, convinto che l’onore ed il riconoscimento del proprio valore siano le vie per ottenere la felicità. E’ un eroe, come avete affermato anche voi all’inizio della discussione, ha combattuto per dieci anni e superato infinite peripezie ancora prima di raggiungere il campo di battaglia. E’ convinto di aver ormai compreso tutto della vita e chiunque lo osservi ne è fermamente convinto. Quello che ritroviamo nell’Odissea, tuttavia, non sembra nemmeno la stessa persona… incredibile, vero? Nei momenti di massima tensione si è costretti a scegliere se affidarsi esclusivamente alle esperienze passate o prendere in esame anche le altre strade possibili. Essere come Achille, inarrestabile nelle sue decisioni e nei suoi principi, oppure Odisseo, che anche dopo molti errori, riesce a raggiungere Itaca, la meta del suo viaggio. Sono proprio curiosa di sapere cosa sceglierete, quando arriverà il vostro momento di massima tensione!›› concluse Mary, che ormai lo stava fissando con lo stesso sguardo di una ragazzina pettegola durante un pigiama party.
‹‹Ma possibile che ogni volta che mi illudo che stiate facendo un ragionamento serio, finite con il rovinare tutte le mie aspettative?›› fece lui, sollevando gli occhi al cielo.

‹‹Hm… sì, tipico di me, direi›› gli diede ragione lei, piuttosto convinta, per poi esclamare, allarmata: ‹‹Santo cielo, è tardissimo! E io non ho ancora finito i compiti… ma perché quando inizio a parlare non riesco mai a fermarmi?››
‹‹Me lo domando anch’io›› sbuffò Mr. Mercer, scocciato. No, decisamente quella mocciosa linguacciuta non aveva niente di interessante. Forse.
 
Note:
* Per chi si stesse chiedendo da quando in qua Mercer possiede tali armi, mi sembra doveroso sottolineare che, in effetti, non le possedeva… prima di confiscarle a Maria Vittoria. Il primo giorno aveva perquisito ogni angolo della casa, che, fortunatamente per lui, non era molto grande. Immaginatevi la sua sorpresa nel momento in cui aveva ritrovato “il kit d’emergenza” di Mary. Non lasciatevi ingannare dal nome che aveva affibbiato alla sua collezione, Maria Vittoria non sarebbe mai uscita di casa con delle armi che nel suo Paese non era consentito utilizzare. Si divertiva semplicemente a comprarli all’asta, oppure a fabbricarli lei stessa, al solo scopo collezionistico. La ragazza, da brava nerd qual era, era alquanto gelosa suoi gingilli e, se non fosse stato per il timore che l’agente di Beckett le infondeva, non gli avrebbe mai permesso di sfiorarli. L’unica sua consolazione era sapere che il signor Mercer, avendo trascorso molto tempo in Giappone, sapeva come utilizzare kunai, shuriken, jitte, kyoketsu-shoge, chakram, Ninjatō, tanto e wakizashi senza rovinarli. Le uniche armi di cui non si era impadronito, ma che si era comunque premunito di chiudere a chiave nel suo comodino, erano i kakute e i tessen, in quanto, a detta sua, “avrebbero potuto minare alla sua virilità” (secondo la tradizione erano utilizzati da ninja donne e gheishe).
1- Ovviamente nella realtà Mercer parlerebbe in Inglese, per cui al posto del voi probabilmente avrebbe aggiunto un “miss” o altre forme di cortesia

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Capitolo 15
*** Capitolo 13- Segreti svelati ***


Capitolo 13- Segreti svelati
Di quando un becchino tentò di seppellire Mercer ante tempo.
 
 
Anno 2019, 31 gennaio, h 23,30
Genova, Italy (casa di Mary)
 

Due settimane erano ormai trascorse da quel fatidico giorno. Maria Vittoria non aveva più avuto occasione di confrontarsi seriamente con il suo coinquilino, che aveva ripreso a snobbarla, ma il loro strano rapporto stava migliorando a vista d’occhio. Mr. Mercer si stava lentamente abituando ai nuovi ritmi che fare da balia ad una ragazzina implicava e, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, l’idea di non dover tornare in una casa vuota dopo una lunga e faticosa missione non gli dispiaceva poi così tanto. A Port Royal tutti lo temevano e, all’infuori di Lord Beckett, nessuno aveva l’ardire di avvicinarsi a lui, a meno che non fosse stato strettamente necessario. “Lo scozzese” lo additavano gli altri soldati, invidiosi per i suoi successi e troppo codardi per parlargli faccia a faccia. E i civili non erano da meno. Come dargli torto, dato che le voci sui suoi “metodi” per estorcere confessioni ed eliminare gli ostacoli sul cammino del suo padrone erano riuscite ad arrivare persino nel “Nuovo Mondo”. Non che la prospettiva di essere circondato da un branco di codardi ed esseri inetti lo allettasse, ma restava comunque il fatto che una vita di solitudine poteva essere piuttosto noiosa.

Intendiamoci, continuava a non sopportare il suo lato infantile ed il piangersi addosso tipico dei rampolli di nobile stirpe, ma al mondo c’era decisamente di peggio. Tipo le mocciose che giravano con delle scarpe perfino più alte ed instabili di quelle settecentesche, mezze nude e con dei pigmenti in volto che avrebbero dovuto servire per farle “sembrare più belle”, ma il cui unico risultato era quello di rendere difficile il riconoscimento anche da parte dei famigliari più stretti. Oppure le donne della sua età che si atteggiavano da ragazzine cretine, invece di occuparsi della casa, dei figli, del marito e del lavoro. Perché sì, a quanto pare le donne erano così astute da aver lottato affinché, oltre ai loro già numerosi doveri, potessero avere anche il diritto a ammazzarsi di fatica in ambito lavorativo in cui si facevano il c**o quadro, ma venivano comunque discriminate dai colleghi. (Ma Mr. Mercer, non siamo più nei primi del Novecento! Nd: Mary) L’uomo aveva come la vaga impressione che le fondatrici dei movimenti a favore dei diritti delle donne avessero avuto in mente un modello di donna più simile a quello della madre di Maria Vittoria. Non l’aveva ancora conosciuta di persona, ma da quanto aveva potuto capire, era una donna di classe, intraprendente e capace in ambito lavorativo e per niente frivola o dedita ad atteggiamenti stupidi. Una donna consapevole di valere in quanto individuo e, per nulla preoccupata all’idea di dover dimostrare qualcosa a qualcuno. Una donna fiera di essere donna e di dare il meglio di sé, nell’ottica secondo cui per quale motivo si dovrebbe dimostrare di valere quanto un uomo, se tanto uomini e donne hanno già pari dignità? (Lettrici che lo guardano scioccate da un ragionamento così elaborato per un uomo del ‘700… A quanto pare, è vero il detto che viaggiare apre la mente)

Maria Vittoria, dal canto suo, aveva, involontariamente fatto delle scoperte che l’avevano portata a rivalutare Mr. Mercer e a smettere di fare incubi su di lui. In primis, il fatto (svelatole dalle sue amiche che, prima della partenza di Lucia, erano riuscite a fare un salto in camera di Beckett per salutarla e scusarsi per il loro atteggiamento egoista) che l’uomo avesse fatto una bella lavata di capo a Lucia e Francesca, raccontato che cosa aveva dovuto subire Maria Vittoria da quando aveva scelto di rimanere in prigione per loro e minacciate di morte se le avessero riferito qualcosa. Inutile dire che dopo dieci minuti lo sapeva perfino il garzone che vendeva ostriche davanti al porto… E avete presente quando Maria Vittoria era rimasta scioccata all’idea che nessuno fosse venuto a sapere del suo rifiuto in diretta da parte di Francesco? Indovinate un po’ chi gli era piombato in casa alle tre di notte, assicurandosi che avrebbe tenuto la bocca chiusa? Quando Maria Vittoria aveva sentito per caso i maschi che ne parlavano (il loro spogliatoio era separato da quello delle femmine da una sottile parete di cartongesso, che non avrebbe concesso l’anonimato neanche ad una mosca), non riusciva a crederci.

Il timore nei suoi confronti si era pian piano trasformato in una forma di rispetto-timore reverenziale, alla luce delle continue abilità che l’uomo dimostrava di possedere ogni giorno. Prima tra tutte, la conoscenza delle lingue e delle culture lontane. Se Lord Beckett era una sorta di guru per quanto riguarda le lingue morte, il suo secondo lo era nelle moderne. Inglese, Francese, Spagnolo, Portoghese, Tedesco, Russo, Olandese, Indiano, Vietnamita, Cinese, Coreano e Giapponese, solo per fare alcuni esempi. Per non parlare dei numerosissimi stili di combattimento, culture, tecniche di sopravvivenza e di navigazione che aveva avuto modo di conoscere durante i suoi viaggi come spia-sicario di Beckett.
La prima volta che si era azzardata a porgli qualche domanda sui suoi viaggi, temendo che potesse arrabbiarsi, si era già preparata spiritualmente per prendersi una caterva di botte, ma, contro ogni aspettativa, l’uomo si era limitato a pronunciare un paio di frasi in maniera fredda. Quando, poi, aveva capito che la fanciulla non era interessata ai pettegolezzi sui paesi esotici, quanto piuttosto* alla narrazione dei combattimenti e delle strategie difensive che aveva avuto modo di vedere e, perché no, anche alle avventure da lui vissute in prima persona, aveva iniziato a parlare con sempre maggior disinvoltura. Mr. Mercer aveva trovato in Maria Vittoria un’ascoltatrice attenta e paziente (cosa che faceva, tra l’altro, emergere il suo orgoglio maschile troppo a lungo represso. Del resto, per una volta che aveva una fan!) e lei aveva trovato in lui un pozzo inesauribile di aneddoti curiosi di cui andava matta. (Ed ecco fatta la perfetta simbiosi fungo-alga per dare origine ad un lichene! Nd: Fra)

Ciò non significa che fossero improvvisamente diventati due amiconi (figuriamoci), ma la convivenza aveva, certamente, trovato un suo equilibrio. E di questo Mary non avrebbe potuto essere più grata. Era certa che Mr. Mercer non si fosse dimenticato della questione “in sospeso” sulla sua identità ed ora che si era completamente rimessa, poteva aspettarsi un quarto grado da parte sua, da un momento all’altro. E l’occasione giunse proprio quella sera.
♪Isse no se de fumikomu goorain bokura wa

‹‹Stordita! Ti suona quell’aggeggio infernale!››
‹‹Chi è?››
‹‹C’è scritto chiamata dall’Aldilà. Che c***o vuol dire?››
‹‹C-come chiamata dall’Aldilà?›› domandò lei, incredula. Del resto Mr. Mercer non conosceva l’Italiano: non poteva trattarsi di uno scherzo.

♪Nanimo nanimo mada shiranu
Issen koete furikaeruto mō nai bokura wa♪


‹‹Che vuoi che ne sappia: il telefono è tuo, mica mio››
‹‹E’ un modo di dire… C’è, per caso, un’immagine sullo schermo?›› domandò lei, sperando di poterci capire qualcosa di più.
‹‹Una lapide, pare. Con sopra il tuo nome, la data di nascita e quella… di oggi. Hahaha sentito, mocciosa? Sta suonando la tua ora hahaha›› iniziò a sghignazzare lui, senza ritegno. Sì, si era decisamente sciolto rispetto ai primi giorni.
‹‹Ah, ho capito, è il signor Becchino… Però non me lo ricordavo così tecnologico da riuscire a cambiare il nome e l’immagine di un contatto su un altro dispositivo. Deve esserci lo zampino di sua nipote… Quella ragazzina è un piccolo hacker›› constatò lei, per nulla scossa, apprestandosi a rispondere.
 
*THREE MINUTES LATER*
‹‹Perché lo chiami signor becchino?›› domandò lui, stranito, quando la ragazza ebbe modo di chiudere la conversazione. Da quel che aveva avuto modo di capire “becchino” era il corrispondente dell’inglese “undertaker”.
‹‹Perché, vista la sua professione, ha fatto richiesta all’anagrafe di poter cambiare il proprio cognome da Cecchino a Becchino. Una sorta di nome d’arte, insomma hehehe››
‹‹Hmm›› si limitò a mugugnare lui, fissandola diffidente. Era evidente che quella non fosse l’unica risposta che si aspettava da lei in quel momento.
“L’ora della verità è giunta” pensò lei, tra sé e sé, mentre raccoglieva il coraggio a due mani, apprestandosi a fargli una di quelle proposte che non capita di ricevere tutti i giorni: ‹‹Avete voglia di accompagnarmi al cimitero?››
Notando che l’uomo aveva assunto un cipiglio alquanto sinistro, tuttavia, si affrettò a specificare: ‹‹Non per il mio funerale››
L’uomo parve alquanto deluso dall’affermazione, cosa che non fece altro che aumentare i timori della ragazza. Portarlo con sé in Toscana era davvero una buona idea? Non che avesse molta scelta, comunque, dati i restrittivi ordini impostigli da Cutler Beckett… Sarebbe stato un luuungo viaggio.
 
*****
 
Anno 2019, 31 gennaio, h 10,30
Paesino sperduto in provincia di Pisa, Italy (pompe funebri)
 
Ad accoglierli all’ingresso del tetro negozio, una porta costruita sul modello dell’entrata dell’Inferno e corredata di incisione sull’architrave, recante le famose parole:
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
 
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore;
 
dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, o voi ch’ intrate.”

Scritta non più rassicurante di quella che componeva lo slogan pubblicitario della compagnia: “Dietro le nuvole c’è sempre il sole”, con un chiaro riferimento al fatto che ciò che arreca danni ad alcuni, può giovare ad altri…
Vuoi perché non conosceva l’Italiano, vuoi perché si era convinto che il proprietario fosse “tanto fumo e poco arrosto”, non si fece minimamente intimorire. Non sapendo che cosa li avrebbe aspettati all’interno del luogo angusto, tuttavia, bloccò Maria Vittoria con un gesto e le fece segno di seguirlo mentre lui la precedeva all’interno. Ricordiamo che Maria Vittoria era abituata ad individui del calibro di Francesco e la persona più coraggiosa che conosceva era il suo maestro di Karate che, a parte gli scherzi, aveva ottant’anni. Nessuno può giudicare, dunque, se lo seguì con gli occhi a cuoricino, sospirando “Finalmente un vero uomo!”.

L’interno del loculo negozio era decisamente più moderno di quanto ci si potesse aspettare a prima vista. Passando sopra l’illuminazione cupa di cui il proprietario si serviva per mantenere l’immagine che si era creato per battere la pubblicità della concorrenza (il mos maiorum vince sempre su tutto), assomigliava in tutto e per tutto alle normali agenzie delle pompe funebri. I colori del mobilio erano di un paio di tonalità più scure del normale, ma il design era decisamente all’avanguardia. Di bare inquietanti esposte neanche l’ombra e lo stesso si poteva dire di macchie di sangue e ragnatele. Dopo una rapida analisi del luogo, Mr. Mercer si voltò verso di Mary, rivolgendole un ghigno, come per dire “pensavate davvero di poter spaventare me?”. La ragazza, dal canto suo, intuendo i suoi pensieri, sospirò pesantemente, per poi indicargli una piccola porta di legno mal messa che pareva condurre in un ripostiglio.
Maria Vittoria gli fece segno di seguirlo, dato che conosceva la strada, ma anche questa volta l’uomo volle precederla. Ah, perché non ci sono più gli uomini di una volta?

La porticina cigolante si apriva su uno stretto pianerottolo da cui scendeva una scala a chiocciola di legno tutto tarlato che, per grande gioia di Maria Vittoria che aveva il terrore delle cose pericolanti, non faceva altro che scricchiolare e dondolare ad ogni loro più piccolo movimento. Inoltre, dato che in quel lato della struttura non arrivava la corrente elettrica, i visitatori erano costretti a farsi luce con una di quelle torce antiche che si vedono nei film. Una volta giunti a metà, un congegno avrebbe fatto rovesciare dei secchi d’acqua sulla stessa, costringendoli a terminare il percorso al buio, udendo registrazioni di grida di dolore sommesse, risate diaboliche in lontananza e colpi e richieste d’aiuto di persone che avrebbero dovuto essere “sepolte vive”.
Per ovviare il problema, di solito Maria Vittoria utilizzava una torcia elettrica, ma questa volta voleva che il suo compagno potesse godersi tutti i “benefit” del servizio “I becchini di ieri, oggi e domani”. L’uomo, a dire il vero, non parve avere problemi a raggiungere la base della scala, ma la stessa cosa non si poteva dire di Maria Vittoria che, imbranata com’era, si fece metà scale rotolando come una palla da biliardo che finisce in buca. Letteralmente. Ad aspettare i malcapitati dopo l’ultimo gradino, infatti, c’era una finta fossa scavata nel terreno, corredata di scheletro finto. Davanti ad essa il famoso becchino che, travestito da medico della peste (perché, come aveva imparato, il termine “becchino” nacque proprio nel periodo della Grande Peste, per via delle maschere utilizzate per “contrastare” la malattia), si faceva trovare davanti alla fossa con una lanterna in una mano e un badile dell’Ikea nell’altra… Sì, una volta scoperta la provenienza, non faceva poi così tanta paura.

Il resto dell’ambiente era arredato con bare di ogni dimensione e colore, poste su tavolini come si vedeva nei primi anni del ‘900. E quella era proprio l’immagine che Giovanni Becchino voleva dare della sua camera mortuari: un’attività a conduzione familiare che nasceva nella seconda metà dell’800 e mirava a seguire i propri clienti ed i loro discendenti fino alla fine dei giorni. Letteralmente. Come testimoniavano i volantini, distribuiti in piccole pile ordinate sui tavolini posti accanto ad ogni feretro, vicino ai santini del defunto. Al centro, il proprietario che, con un’aria ancora più lugubre che dal vivo, guardava verso lo spettatore con uno sguardo che pareva passare oltre. La scritta sottostante recitava un versetto evangelico: “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”, corredato di “1857I becchini di ieri, oggi e domani”.

Maria Vittoria, ripresasi dalla brutta caduta, stava giusto per riemergere dal buco, quando Mr. Mercer pensò bene che fosse il caso di finire con “Un piede nella fossa”, camminandole sulla testa e raggiungendo indenne la zona sicura del pavimento. Chiunque avrebbe potuto dare la colpa al buio, ma Mary poteva giurare che l’avesse fatto apposta per metterla ancora più in difficoltà. Preferì, comunque, rimandare il diverbio, dato che al momento la cosa che più le premeva era uscire di lì. Il signor Giovanni era sicuramente un vecchietto simpatico, ma era comunque prossimo ai novanta e, prima che gli venisse un attacco di Alza Imer, avrebbe gradito trovarsi il più lontano possibile da una fossa nel terreno. Già era caduta nel suo stesso scherzo. Letteralmente. Non aveva nessuna intenzione di “cadere” nell’altro senso del termine. Era ancora giovane ed aveva troppe cose da fare, tipo trovare Marta, decifrare la lineare A, cose del genere, insomma.
‹‹Signor Giovanni? Ha detto che voleva vedermi? Ci sono altri aggiornamenti su… SIGNOR GIOVANNI!›› l’urlo era dovuto al fatto che l’arzillo vecchietto, adocchiato un possibile cliente alto quasi due metri, l’aveva abilmente colpito con la pala dietro alla nuca, facendolo collassare a terra, privo di sensi. Non voleva assolutamente lasciarsi scappare l’occasione di vendere una bara di tali dimensioni, perché si sa, le bare su misura costano molto di più di quelle standard.

‹‹Oh, sei tu, Maria Vittoria! Da quanto tempo… e mi hai portato un amico, a quanto vedo. Un amico che frutterà un bel mucchio di quattri…››
‹‹Non si può dire che sia proprio un mio amico, è…›› lo corresse lei, pensosa.
‹‹Nessun problema allora! E se tieni la bocca chiusa ti dò una percentuale sulla vendita, che ne dici?››
‹‹Signor Giovanni!›› esclamò lei, indignata.
‹‹Pff… I giovani d’oggi, troppo moralisti per i miei gusti: e fatevela una risata!›› mise il broncio come un bambino a cui viene negato di andare a giocare al parco con gli amichetti.
‹‹Una risata, dite?›› rifletté lei, titubante ‹‹In effetti, un’idea ce l’avrei…››
*****
 
Anno 2019, 31 gennaio, h 12,30
Paesino sperduto in provincia di Pisa, Italy (cimitero)
 
 

‹‹L’era propri’un brav ragass›› (traslitterazione dialettale malamente riuscita)
‹‹Era così giovane!››
Il primo senso che Mr. Mercer riacquistò una volta rinvenuto, fu l’udito. Inizialmente le parole gli giunsero sotto forma di suoni intermittenti e sconnessi tra l’oro e poi, quando riuscì ad intenderne il senso, non capì chi le stesse pronunciando. Eppure aveva sempre goduto di un’ottima memoria da quel punto di vista.
Ancora confuso, tese l’orecchio, nella speranza di riuscire a comprendere qualcosa di più. La sua vista lo tradiva e gli arti parevano ancora intorbiditi. Al momento non riusciva a capire bene dove si trovasse e, del resto, non aveva un’idea molto chiara di cosa gli fosse accaduto. Ricordava vagamente di aver accompagnato la mocciosa a trovare un vecchietto svitato in un negozio di bare, ma poi il vuoto più totale.
La prima voce che riconobbe fu proprio quella della mocciosa: ‹‹Vabbè, dai, non esageriamo: era già sulla cinquantina›› Non l’avesse mai detto: tale frase suscitò subito il biasimo della folla, costituita prevalentemente da ultra ottantenni: ‹‹Vuoi forse insinuare che siamo vecchie?››

‹‹Ma assolutamente, ci mancherebbe… Le signore, pardon, signorine invecchia… hem, volevo dire crescono sempre più lentamente degli uomini, lo sanno tutti›› si salvò lei in extremis, vedendo già borsette, bastoni, stampelle e riviste di “Gente” arrotolate, protese minacciosamente verso di lei.
‹‹Hmm…›› mormorò la più arzilla, poco convinta. La signorina Fogliani aveva ricoperto per oltre 57 anni l’ambita carica di maestra del paese (nel dopo guerra significava essere l’unica con lo stipendio fisso, in quanto impiegata statale, e, dunque, l’unica ad essere dotata delle più innovative attrezzature tecnologiche. Tanto per fare un esempio, la televisione. La sua abitazione, diventava, quindi, per acclamazione popolare, centro di ritrovo durante le trasmissioni più in del momento, come San Remo) ed era abituata a fiutare le menzogne dei suoi sfortunati studenti.
A salvarla dall’ingrata situazione, tuttavia, intervenne il deus ex macchina… letteralmente, dato che Don Emanuele Traversa scese dalla Panda per proseguire il rito funebre. E si sa, per i credenti il prete durante le celebrazioni, benedizioni e somministrazioni dei sacramenti rappresenta Gesù Cristo, ergo Dio. ‹‹Maria Vittoria, cara, vuoi condividere con noi qualche pensiero sul tuo caro defunto?››

“Defunto a chi?” pensò Mr. Mercer, in un misto di confusione e risentimento.
‹‹Sì, certo, grazie Don Emanuele… Intanto ci tenevo a ringraziare tutti i presenti per esservi radunati con così poco preavviso. Sono certa che Ianiro Mercenario riesce a sentire tutto il vostro affetto anche nel posto in cui si trova in questo momento… SIG, SOB, SIG, SIG… Scusate, ho bisogno di un momento… il dolore è troppo forte›› si interruppe lei, con voce spezzata.
La mocciosa lo credeva davvero morto? Mr. Mercer sorrise, diabolico, al pensiero di poter udire che cosa lei pensasse davvero di lui. Quasi quasi aspettava ancora qualche minuto, prima di palesarsi.
Don Emanuele si apprestò a confortarla, passandole un fazzoletto e ponendole una mano sulla spalla per infonderle un po’ di coraggio: ‹‹Non piangere, Mary-vì1, il tuo amico si trova sicuramente in un posto migliore in questo momento››
Le sue parole, tuttavia, ottennero l’effetto opposto: Mary riprese a singhiozzare con ancora più forza: ‹‹N-non lo so… E’ proprio questo il punto! SIG, SOB! Mr. Mercer non ha condotto proprio una vita esemplare. Ha tradito, torturato tante persone… Ha perfino ucciso degli innocenti! Non ha risparmiato neanche i bambini… SIG, SIG!››
Don Emanuele, sorpreso dalla fantasia della ragazza, si divertì ancora di più a partecipare allo scherzo: ‹‹M-ma cara, devi pensare all’immensa misericordia del nostro Signore. Sono certo che il nostro fratello Ianiro, alfine, si sia pentito››
E daie con quel nome di m***a.

Anziché rassicurarla, l’uomo non fece altro che farla sprofondare ancora di più nello sconforto: ‹‹Non ha fatto in tempo… SIG, SOB, SOB! La morte, di nero ammantata (il Signor Giovanni) lo ha colto all’improvviso››
Don Emanuele l’abbraccio, lasciando che desse sfogo alle sue lacrime: ‹‹Mary-vì, non disperare: se Ianiro è diventato tuo amico, sono sicuro che nascondeva sicuramente del buono dento di sé››
‹‹L-lo credi davvero?›› domandò lei, sciogliendo finalmente l’abbraccio e tirando su col naso un paio di volte.
‹‹Ma certo, e ne sono testimonianza i bei momenti che avete vissuto insieme›› vedendo che la ragazzina annuiva, la invitò a raccontarne alcuni. Era troppo curioso di vedere fin dove la sua risaputa fantasia l’avrebbe spinta.
‹‹N-non so da dove cominciare… ci conosciamo da poco tempo, ma abbiamo vissuto così tante esperienze indimenticabili insieme›› fece lei, titubante.
‹‹Immagino che il vostro primo incontro sia stato esemplare›› l’aiutò lui, trattenendo a stento le risate. Da quando Mary-vì era diventata così brava a recitare?
‹‹E’ un ricordo un po’ confuso, sapete, io non ho una buona memoria con i volti. La prima cosa che mi ha colpito di lui è stato il suo caloroso abbraccio. Non ne ho mai sentiti di così forti e a presa sicura…››
‹‹Ti stava consolando dopo una brutta notizia, immagino›› interpretò lui.

‹‹No, stava cercando di stritolare me e le mie amiche. Il caldo era dovuto dai nostri corpi spremuti insieme e dal caldo soffocante dei Caraibi›› nel dirlo, tornò seria per un momento, per poi riscoppiare a piangere.
‹‹Oh… Ma poi vi siete chiariti, immagino. Avete avuto modo di parlare in privato››
‹‹Sì, per tre giorni è stato praticamente l’unica persona che ha rischiarato le mie buie giornate…››ammise lei.
‹‹Ah, beh, dolcissimo, direi›› fece lui, supportato dalle vecchiette.
‹‹… dato che quando apriva la porta della mia cella per torturarmi ed estorcermi informazioni che non possedevo, la luce dell’esterno mi accecava sempre››
‹‹Ah, ma quindi poi vi siete conosciti meglio e ti ha liberata? Però, che avventura! Non so perché, ma mi ricorda l’incontro tra Lucia e l’Innominato…›› l’excursus letterario dell’uomo fu rovinato dalla voce fredda della fanciulla: ‹‹No, il suo capo mi ha ricattata utilizzando le vite delle mie amiche e gli ha ordinato di sorvegliarmi 24/7››
‹‹Chi l’avrebbe mai detto… Quindi è stata la convivenza a farvi conoscere meglio ed a migliorare i vostri rapporti›› dedusse lui.
‹‹Suppongo che si possa dire così›› sorrise lei, per poi recuperare quell’aria malinconica: ‹‹Sapete, il primo periodo è stato veramente difficile: ogni motivo era buono per picchiarmi, minacciarmi e farmi finire nei guai con le forze dell’ordine. La notte non riuscivo più a dormire: ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo il suo volto sorridente mentre mi sollevava da terra e cercava di spappolarmi la carotide con una mano sola. Dicevo che dovevo rimanere in piedi fino a tardi per cucinare e studiare, ma la verità è che non avevo il coraggio di affrontarlo anche nei miei incubi>>
‹‹Ma poi…›› le disse Don Emanuele, facendole segno di continuare.
‹‹Siamo arrivati qui per parlare con il Signor Giovanni, ed è successo, beh, lo vedete anche voi… SIG, SOB, SOB!››
‹‹Cioè, ha continuato a tormentarti?›› le domandò lui, estremamente divertito dalle sue trovate per aumentare la suspence.
In tutta risposta, Mari Vittoria si arrotolò le maniche della felpa, mostrando una serie innumerabile di lividi, tagli e segni di ogni forma e colore: ‹‹Questi sono tutti di oggi… Si è approfittato del fatto che non potessi staccare le mani dal volante per seviziarmi››

Notando le ferite, Don Emanuele iniziò a nutrire qualche lievissimo sospetto sulla veridicità delle affermazioni della fanciulla. In effetti, ora che ci pensava, per quale motivo una ragazza così riservata con lei avrebbe avuto occasione di conoscere così tanto bene un uomo (con una differenza di età così elevata) da invitarlo a pernottare nella propria casa?
I suoi dubbi furono, però, dissipati da un grugnito animalesco, susseguito da “volo-di-coperchio-di-bara”, che colpì in pieno la povera fanciulla. Quest’ultima, colta alla sprovvista, perse l’equilibrio e cadde all’indietro. Se il coperchio della cassa non fosse stato “over size”, sarebbe passato tranquillamente attraverso l’apertura della fossa, facendole fare un volo di cinque metri. Fortuna volle che la ragazza atterrasse proprio sopra il coperchio, incastrandolo, così, nel bordo esterno della tomba. Il suo primo istinto fu quello di alzarsi da quel luogo instabile, ma, avvertendo un poco rassicurante tremolio della “struttura”, decise di evitare movimenti troppo veloci.
‹‹Si può sapere che diavolo stai dicendo? Cos’è tutta questa buffonata?›› le urlò lui, piazzandosi con le gambe divaricate sulla cornice dell’apertura, ad altezza della sua vita. Ora non poteva più muoversi.
‹‹Ah, ecco, i tagli mi avevano un po’ sconcertato, ma ero sicuro che fosse uno scherzo…›› iniziò a dire Don Emanuele, confortato dalle parole dell’uomo. Fu, però, costretto a ricredersi nel momento in cui quello aggiunse: ‹‹Non sono così idiota da ferirti mentre guidi. Non ho nessuna intenzione di andare giù di strada! Ora non ti ricordi più nemmeno quando ti punisco?››

‹‹C-cosa? M-ma…›› Don Emanuele sbiancò di colpo. Era tutto vero? Quel mostro le aveva fatto del male? Ma perché non l’aveva chiamato? La sarebbe andata a prendere immediatamente!
I due, però, parvero ignorarlo. ‹‹He, he, he, ve l’avevo detto che il funerale non sarebbe stato il mio›› ridacchiò lei, mentre si rigirava le parole pronunciate la sera precedente.
L’uomo non parve gradire particolarmente il commento, perché strappò la pala al becchino (non prima di ringhiargli un “Io e te facciamo i conti più tardi, vecchio!”) e fece per apprestarsi a scagliarla nella fossa e seppellirla viva: ‹‹Tu dici? Io, invece, penso proprio che sia giunto il momento di sotterrare questa faccenda. Pensavo di aspettare ancora un po’, ma questa volta mi hai veramente fatto arrabbiare››
‹‹EHHH?!?!?›› strillò lei, terrorizzata, vedendolo calare la pala verso di lei, in maniera minacciosa.
‹‹E dì pure addio alle tue amate rose rosse: non te le meriti›› continuò lui, imperterrito.
‹‹No, no, per favore! Era solo uno scherzo…››
‹‹Io, invece, sono serio››
‹‹Hey, aspetti, non può farlo!››
“Ema alla riscossa” pensò Mary, raggiante.

‹‹Da che mondo e mondo uccidere una ragazza vile, oltre che punibile sia dalle leggi umane che da quelle divine››
“Ben detto!” pensò lei, felice che il suo amico stesse prendendo le sue difese nonostante la figura minacciose ed imponente dell’uomo.
‹‹E soprattutto, è inaccettabile…››
Che faccia del male ad un innocente? Che uccida una persona senza pensarci due volte? Che un uomo maturo non sappia accettare uno scherzetto innocente?
‹‹… che non le lasci nemmeno il tempo per confessarsi. Che ne è stata della formula di rito: di’ le tue ultime preghiere?››
‹‹Cosa?›› bell’amico che era. Ma perché gli squilibrati dovevano capitare tutti a lei?
*****
Anno 2019, 31 gennaio, h 18,00
Luogo X, Italy (carcere Segretissimo)
 

*Immaginate, sempre, la voce del narratore di Fantozzi*
Maria Vittoria ed il Signor Giovanni se la cavarono solo per l’intervento disarmato (sono pur sempre sacerdoti) del seminario di ***, in provincia di Pisa, mobilitato dalla Santa Sede di Roma.
Il corpo militare gruppo sacerdotale era, infatti, finito su tutti i giornali per la storia assai particolare che li aveva visti convertirsi e prendere i voti. I dodici (“come gli apostoli”, avevano fatto notare i più credenti) facevano parte di un reparto speciale della “Folgore” e, durante una missione, il loro aereo era precipitato nel bel mezzo del deserto del Shara. Grazie alle loro incredibili abilità erano riusciti, chissà come, a fare atterrare l’aereo privato in modo tale da riuscire a sopravvivere. Feriti e completamente disorientati, erano riusciti a sopravvivere per quasi 52 ore, servendosi unicamente delle tecniche di sopravvivenza apprese durante il loro duro addestramento. Quando stavano, ormai, per perdere le speranze, il meno ateo del gruppo (perché credeva in antichissimi riti celtici), aveva recitato l’unica preghiera che ricordava dall’epoca del catechismo.

Dopo pochi minuti, sulla cima di una duna lì di fronte, era apparsa una comitiva di sacerdoti copti, che li avevano avvistati e soccorsi. Quello che ai poveretti era apparso come un miracolo, li aveva spinti alla conversione e, infine, al cambio di carriera. Congedati con onore, avevano scelto di dedicare il resto della propria vita alla cura del prossimo e, in particolare, di chi, come loro, dopo una vita poco onorevole, aveva sentito la necessità del perdono. Erano entrati, dunque, nell’ordine sacerdotale di S. Filippo Neri, che aveva fatto della Confessione l’atto più alto di servizio nei confronti della comunità. Il che significava che chiunque, per qualunque motivo, in qualunque luogo e momento poteva chiedere di essere confessato (Mica come nelle chiese moderne dove è già un miracolo trovare un confessore libero durante la messa. Nd: Mary). Anche se è vero che, conoscendo le leggende sul loro conto, era assai raro che qualcuno osasse disturbarli nel cuore della notte per motivi di coscienza. Eppure avevano affisso un cartello sulla porta del loro convitto su cui si invitava i fedeli a non farsi “problemi nel svegliarli anche nel cuore della notte, dato che loro non se ne sarebbero fatti a pestarli prima di somministrargli il sacramento”. Chissà come mai?

C’era poi chi, all’interno della comunità dei fedeli, non li vedeva di buon occhio. I complottisti, in particolare, sostenevano che non avessero perso tutti i contatti con gli ex commilitoni o che, addirittura, fossero stati inviati sotto copertura per spiare i collaboratori dello Stato Vaticano. Teoria che, in effetti, avrebbe spiegato come fossero riusciti a trovare Maria Vittoria ed altri ragazzi, quando pochi anni prima, si erano persi nella “selva oscura”, per sfuggire ad un manipolo di criminali poco sobri. (Vi ricordate le scuse che Mary affibbiava all’istruttore per giustificare le proprie assenze da Karate? Forse non erano poi così tanto campate per aria…)
Ad ogni modo, in dodici bastarono a malapena per riuscire a trattenere Mr. Mercer lo stretto necessario per permettergli di sfogare la propria rabbia prima di rivalersi sulla poveretta. Resisi conto delle sue incredibili potenzialità, pensarono bene di proporgli di unirsi alla loro causa, al che l’uomo, per poco non li mandò a benedire. (In effetti, in quanto sacerdoti… hahaha Nd: Mary. Vuoi subire la nostra ira? Nd: la banda dei dodici. No, no, ci mancherebbe… Vi prego, risparmiatemi! Nd: Mary).

Ed ora erano lì, in un luogo sperduto nella campagna Laziale, in un carcere detentivo di massima sicurezza, costruito interamente all’interno del basamento di una montagna. L’entrata, nascosta da una parete rocciosa coperta da rampicanti (manco fossimo nella giungla. Nd: tutti. Shhh! Era solo per creare un po’ di atmosfera. Nd: me), in particolare, ricordava quei film di avventura in cui l’esploratore trovava il covo segreto dell’acerrimo nemico, proprio in un nascondiglio simile a quello. I servizi segreti italiani, oltre ad essere molto abili, erano anche trash, a quanto pare.
I due, non appena arrivati, erano stati scortati all’interno da due agenti piuttosto seri e taciturni. Si vedeva lontano un miglio che erano stati costretti a farsi carico di quell’incarico ingrato. “In effetti, per due agenti di alto livello, essere degradati a dare da uscieri per una mocciosa non deve essere proprio un vanto”, si ritrovò a riflettere Mr. Mercer che, in un certo senso, sentiva di capire la frustrazione che i due stavano provando in quel momento. Del resto anche lui, seppur in un’epoca ed in un contesto differenti, si era ritrovato nella medesima situazione nel momento in cui Lord Beckett gli aveva ordinato di farle da balia. E, a proposito di mocciosi, quella che gli camminava accanto e che non aveva ancora strangolato solo perché voleva prima scoprire cosa stesse nascondendo, si era dimostrata incredibilmente taciturna. Eppure di solito non si faceva problemi a discorrere persino con gli sconosciuti, pur di spezzare i silenzi imbarazzanti. Doveva aver capito la serietà della situazione o, cosa ancora più probabile, si stava preparando mentalmente per affrontare l’interrogatorio che, di lì a poco, avrebbe dovuto condurre.

Avete capito bene: interrogatorio. A quanto pare, quando diceva di essere particolarmente interessata al caso del “secondo Jack lo squartatore”, non scherzava affatto. Non che avere a che fare con un pericoloso criminale fosse la massima ambizione della vita di una mocciosa viziata, ma, come gli aveva spiegato mentre erano in viaggio, era stata praticamente costretta a partecipare alle indagini sul recupero dei corpi delle giovani vittime. L’incriminato, infatti, sin dal momento della sua costituzione, aveva messo bene in chiaro che avrebbe parlato solo con tale Kore. Gli investigatori, non avendo informazioni sufficienti per rintracciare il possibile testimone, avevano lanciato numerosi appelli sui mas media, sperando che costui/costei riconoscesse la descrizione dell’uomo e si facesse avanti.

Data la giovane età e ingenuità estrema, tuttavia, la mocciosa in questione si era resa conto di essere coinvolta nella vicenda, solo cinque anni dopo (12 anni). Inizialmente i commissari con cui aveva condiviso i suoi sospetti non le avevano creduto, ma poi, resisi conto dell’inettitudine e ingenuità dell’individuo, avevano contattato i servizi segreti, che l’avevano portata ad incontrare il criminale in questione. Da lì era iniziato il lungo calvario che, dopo sei anni, la vedeva ancora protagonista di incubi continui sui racconti dettagliati sugli omicidi dell’uomo. La poveretta, infatti, per cercare di entrare in una forma fittizia di empatia con l’uomo, era stata costretta ad ascoltare per filo e per segno tutti i pensieri e le crudeltà commesse dall’uomo su ogni singola vittima. Solo a quel punto, lei poteva porgli delle domande per riuscire ad ottenere informazioni sul nome e l’ubicazione del cadavere e restituire, dunque, ai familiari delle vittime dei resti su cui piangere.
L’uomo, tuttavia, divertito dal suo macabro gioco, si limitava a fornirle indizi tratti dalle mitologie delle culture più antiche. La ragazza, a quel punto doveva (da sola: questa era un’altra condizione espressa dall’uomo) effettuare delle ricerche per scoprire le versioni integrali delle leggende a cui faceva riferimento e, poi, cercare di risolvere l’enigma, attraverso i verbali redatti dagli agenti competenti per i relativi casi di sparizione e le informazioni reperite sul territorio in cui era avvenuto il delitto.

E in tutto questo, seguendo la regola implicita e fondamentale del gioco: mai rivelare informazioni personali, se non attraverso richiami al mito, alla storia antica o alla letteratura. Del resto, quale mocciosa sarebbe stata felice di sapere che un sadico assassino conosce il suo nome, cognome e indirizzo di casa? A volte le sbarre di una cella non paiono abbastanza per scongiurare l’immagine di un incubo.
I pensieri dell’uomo furono interrotti dalla voce di una delle guardie che, con una freddezza invidiabile, si raccomandarono: ‹‹Ricordate di non mostrare emozioni, non sbilanciarvi con giudizi positivi o negativi nei confronti del suo operato. Non distogliete mai lo sguardo: lo prenderà come un sintomo di debolezza. Non rivelate i vostri veri nomi, e parlate sempre nel codice concordato. Quando vi rivolgete a lui dovete chiamarlo…››

‹‹Orione›› la tranquillità con cui Mr. Mercer pronunciò quella parola, spiazzò completamente la ragazza, che non riusciva a comprendere come avesse fatto a capirlo. Non gliene aveva mai parlato fino ad ora e, a dire il vero, l’unica volta in cui aveva raccontato quel brutto episodio della sua infanzia, era stato durante la prigionia di Port Royal. Fece mente locale, cercando di ricordare i volti delle persone presenti in quel momento, ma l’immagine di Mr. Mercer proprio le mancava. I tre bambini, le sue amiche, Elisabeth, il governatore che era arrivato verso la fine, i prigionieri, la colonna che rideva, le due guardie in servizio… La colonna che rideva? “Vuoi vedere che non me lo sono sognata?” pensò Maria Vittoria, prima di girarsi verso l’uomo e domandargli, scioccata: ‹‹V-voi, eravate voi? La colonna che rideva, quella sera… eravate voi!››
‹‹Di cosa stai parlando?›› domandò lui, confuso dal suo ennesimo sproloquio.
‹‹La seconda sera a Port Royal, quando ho raccontato le mie due scemate per calmare i bambini, ci stavate spiando?›› formulò, finalmente, una frase di senso compiuto.
‹‹Bene. La tua piccola testolina allora ogni tanto funziona›› ghignò lui, per poi superarla ed entrare in ascensore, al seguito delle guardie.
‹‹M-ma voi…›› borbottò lei, profondamente imbarazzata dalla situazione. Le aveva spiate per ore fin dal loro arrivo a Port Royal e, oltre ad averle fissate anche mentre dormivano, aveva udito tutti i loro sproloqui. Non c’era da stupirsi se la riteneva una mocciosa… Che figura!
 
*THREE MINUTES LATER*
Ad accoglierli davanti alla porta della sala interrogatori, un agente che, fortunatamente, aveva un’aria un po’ più gioviale (e soprattutto di bell’aspetto! Nd: Mary. Perché secondo te con tutte le belle donne che avrà intorno viene a guardare te? Nd: Mercer. Talvolta sognare non costa nulla. Nd: Mary).
‹‹Maria Vittoria!›› la salutò subito lui, sfoggiando un bel sorriso sincero. Come facesse a mantenere quell’aura allegra, con tutte le confessioni brutali a cui doveva assistere, era davvero un mistero.
‹‹Buona sera, Signor Esposito››
‹‹Ancora con quel signor? Andiamo, ci conosciamo quasi da sei anni… e poi non sono mica così vecchio!›› fece il finto offeso.
‹‹E io come al solito le rispondo che quando ci siamo conosciuti io avevo solo 12 anni. E poi mi sembrerebbe maleducato dare del tu ad una persona che potrebbe essere mio padre›› lo prese in giro lei.

‹‹Eddai, Maryyy, non abbiamo così tanti anni di differenza!››
‹‹Mr. Mercer, quanti figli hanno in media gli uomini a 22 anni?›› domandò lei, approfittando del fatto che nel ‘700 le coppie si sposavano molto prima. Certo, di solito erano le ragazze a sposarsi in giovanissima età, ma comunque i casi di giovanissimi accasati non erano poi così rari.
‹‹Legittimi o non?›› volle precisare, con fare serio. Perché non riusciva mai a capire gli scherzi?
‹‹Legittimi, Mr. Mercer, legittimi (o, almeno, voglio sperare)››
‹‹Tre o quattro, senza considerare i gemelli›› mentre proferiva il suo verdetto, badò bene di lanciare un’occhiata significativa all’uomo, quasi a voler dire “quindi tieni le tue manacce lontano dalle mocciose ingenue, fallito!”. A sua discolpa possiamo dire che, nella società di fine ‘600 in cui Mr. Mercer era cresciuto, le persone tendevano ad apparire quasi sempre serie e composte. Gli unici a dimostrarsi così apertamente amichevoli erano prevalentemente individui privi di scrupoli pronti ad approfittarsi dell’ingenuità di fanciulle di buona famiglia, per il proprio tornaconto personale.
‹‹Come siete crudeli!›› gli rispose l’agente, facendo la scena madre. Notando gli sguardi severi dei due colleghi che li stavano fulminando con lo sguardo, tuttavia, si decise a recuperare un minimo di contegno: ‹‹Hem, … che ne dite se iniziamo ad entrare? Prima iniziamo e prima finiamo››

Maria Vittoria, tornata improvvisamente seria, annuì piano, per poi attraversare la porta che l’uomo le stava galantemente tenendo aperta. Fece per fare lo stesso gesto anche per Mr. Mercer, ma l’occhiata di fuoco che quello gli rivolse, lo spinse ad alzare le mani in stile “mi arrendo” e a precederlo, ridacchiando con fare nervoso.
Esposito, notando l’espressione sempre più seria della ragazza, le si avvicinò e le bisbigliò: ‹‹Se non te la senti, possiamo aspettare un attimo, oppure provare domani. Non sei costretta a farlo, lo sai?››
‹‹Tranquillo, ho avuto solo un momento…, ma ora sto bene, grazie. Posso farcela›› gli rispose, facendo del suo meglio per sfoggiare un sorriso tirato. Anche se il signor Esposito era gentile con lei, sapeva perfettamente quale fosse il suo ruolo all’interno della vicenda. Non poteva tirarsi indietro di fronte ad una richiesta esplicita da parte dei servizi segreti, neanche se ne fosse andato della sua vita. E questa consapevolezza, se possibile, la opprimeva ancora più della situazione in sé. Per non parlare del fatto che, in tutti quegli anni non aveva potuto farne parola con nessuno, ad eccezione della psicologa offertale d’ufficio dall’agenzia. Non che le fosse stato vietato, ma, sapete, quale persona sana di mente crederebbe mai ad una storiella del genere? Perfino i suoi genitori, quando aveva provato a metterli al corrente, l’avevano completamente ignorata, preferendo guardare il derby Milan-Inter.
Non ne aveva parlato nemmeno con le sue migliori amiche, temendo che queste potessero pensare che si inventasse delle storie assurde solo per attirare l’attenzione. E poi, loro avevano già i loro problemi a cui fare fronte: non aveva il cuore di caricarle anche del proprio fardello.

A volte aveva fantasticato sulla possibilità di raccontare tutto a Francesco e che questo decidesse di accompagnarla in questa grande avventura. E che magari, lavorando insieme, la loro amicizia si trasformasse in qualcosa di più… (Non giudicate, okay? Ero pur sempre una ragazzina con gli ormoni a mille! Nd: Mary) Ciò che non si sarebbe mai aspettata era che la prima persona che le avrebbe offerto sostegno in quei momenti bui sarebbe stato proprio Mr. Mercer. Come rovinarsi il mito del principe azzurro a 19anni.
Scherzi a parte, l’idea che a casa ci fosse qualcuno a sostenerla mentre si preparava ad affrontare momenti delicati come quello, la faceva sentire in qualche modo più sollevata. Era vero che non si poteva dire che i due avessero un vero rapporto, ma sapere di avere il progenitore di Steven Seagal, Arnold Schwarzenegger e Silvester Stallone dalla sua parte, la confortava parecchio.
‹‹Piccola Kore? Bentornata!›› la voce palesemente finta dell’uomo la distolse dai suoi pensieri. Era incredibile come, a distanza di anni, riuscisse ancora a farle gelare il sangue nelle vene sin da subito.

Istintivamente, alzò lo sguardo che, fino ad allora, aveva tenuto incollato al pavimento ed i suoi occhi furono immediatamente incatenati in quelli dell’uomo. Orione (così si faceva chiamare) non doveva avere più di 45 anni e, se non fosse stato per l’aura maligna che lo circondava e la luce folle che si specchiava nei suoi occhi, avrebbe anche potuto essere definito un bell’uomo. Un uomo estremamente abile, intelligente, ricco di qualità, ma che aveva scelto di percorrere la via delle tenebre. I capelli, metà bianchi e metà neri e gli occhi, uno rosso e l’altro nero come la pece, parevano riflettere la duplice potenzialità impressa dalla natura nel suo animo.
‹‹E non sei sola…›› la presenza di Mr. Mercer doveva averlo infastidito.
“Che c’è, cacciatore, non sei abituato a confrontarti con delle persone forti? Eppure mi sembrava che con le donne e le ragazzine indifese non ti facessi tanti problemi” se non le fosse stato vietato di attaccarlo apertamente o giudicarlo, glielo avrebbe gridato in faccia.

‹‹Chi è?›› le domandò subito lui, in maniere quasi difensiva. Il cacciatore odiava non avere tutto sotto controllo, e non conoscere il nome e la storia di chi gli stava davanti lo mandava completamente in bestia. Cercava di dissimularlo, ovviamente, ma il fatto stesso che stesse ponendo la domanda a lei, di cui riteneva di conoscere già tutto, ne era la prova evidente. Un uomo che si credeva onnipotente, degno di giudicare se una persona dovesse vivere o morire, ma aveva paura di ciò che non conosceva. Lo stesso meccanismo del “raccontare per miti e favole”, che a prima vista poteva apparire come un semplice gioco macabro, altro non era che uno stratagemma per avere l’illusione di possedere una persona attraverso la sua storia.
‹‹Risponderti e rovinarti la magia della storia? Se mi conosci così bene come dici, non avrai problemi a capire di chi si tratta›› il tono della voce non risultò tagliente come avrebbe voluto, ma era già un miglioramento rispetto all’agitazione che la coglieva di solito durante gli interrogatori. L’idea di confonderlo con la presenza di un uomo praticamente incapace di manifestare emozioni stava dando i suoi frutti.

Orione non si scompose minimamente, c’era d’aspettarselo. Si limitò a sfoggiare un sorrisetto sadico ed a confermare: ‹‹Sì, sono bravo con le storie››
‹‹Ma non siamo qui per parlare della storia del mio accompagnatore›› cambiò argomento lei, sperando di riuscire a sfruttare la curiosità dell’uomo a proprio vantaggio ‹‹Che cosa mi sai dire di questa ragazza?››
L’uomo diede una veloce occhiata alla fotografia mostratagli dalla sua interlocutrice, ma non parve ritenerla di particolare interesse, dato che riportò subito la sua attenzione su Mr. Mercer.
‹‹Allora?›› lo incalzò lei. Quella sera non aveva nessuna intenzione di assecondare i suoi giochetti.
Orione dovette notare la sua impazienza, perché rifocalizzò la sua attenzione su di lei: ‹‹Perché non me lo dici tu?››
‹‹Marina De Gasperi, 19 anni, con due fratelli a carico di 11 e 7 anni. Frequentava il quinto anno al liceo artistico e sognava di diventare una disegnatrice di fumetti. Giocava a pallavolo da 14 anni ed era appena stata selezionata per entrare a far parte della squadra nazionale, quando i suoi genitori sono venuti a mancare. Ha smesso di giocare per sfruttare tutte le ore libere per lavorare come cameriera in un locale per mantenere sé stessa ed i due fratelli. E nonostante il dolore e le grandi difficoltà non ha mai perso il sorriso. Sorriso che i suoi fratelli, gli amici, i compagni di classe ed i conoscenti continuano a ricordare anche a 10 anni dalla scomparsa. E che il suo assassino non si è fatto problemi a cancellare. Ti dice niente?›› il teatrino era appena iniziato e lei stava già perdendo la pazienza.

‹‹No, non mi dice niente››
Udendo la risposta, Mary serrò i pugni e dovette contare fino a venti, per evitare di perdere la calma e strangolarlo. Sapeva perfettamente dove voleva andare a parare e sapeva anche che l’unico modo per riuscire ad ottenere le informazioni che le servivano era assecondarlo. Sbuffando pesantemente, estrasse dalla cartellina che le aveva dato il Signor Esposito una seconda immagine.
Curioso dalla strana reazione avuta dalla mocciosa, Mr. Mercer si azzardò a lanciare un’occhiata veloce alla fotografia e dire che rimase di sasso era un eufemismo. La donna, se così si poteva definire l’ammasso di carne insanguinato di cui non si distinguevano più nemmeno gli arti, era assolutamente irriconoscibile. Nella sua vita gli era capitato di vedere molti cadaveri brutalmente seviziati, ma mai una cosa del genere. Persino le carcasse divorate dalle bestie selvagge avevano un aspetto migliore di quello. Quello non era un semplice assassino: era un folle, una bestia completamente priva di controllo.
‹‹Ora ti viene in mente qualcosa?›› come riuscisse ancora a mantenere un tono apparentemente calmo era un mistero anche per lei stessa.
‹‹Mhh, forse. Puoi essere un po’ più specifica?››
Maria Vittoria dovette dare fondo a tutte le sue riserve di pazienza e autocontrollo per evitare di prenderlo a schiaffi. Se voleva sapere dove trovare i resti di quella poveretta doveva sottostare alle sue regole: ‹‹Qual è la sua storia?››

Udita la domanda che tanto agognava, prese a raccontare, mentre contemplava la foto, come se si trattasse di un’opera d’arte: ‹‹Ah, quanti ricordi… Così giovane, sorridente, dolce con i bambini, eppure così… odiosa. Una donna che passa il 95% del suo tempo fuori casa, che rifiuta tutte le generose offerte di matrimonio degli amici di famiglia, nonostante l’insistenza dei parenti che volevano solo garantirle una sicurezza economica. Si credeva indipendente, superiore a un uomo… li sfidava addirittura! Proprio non sapeva quale fosse il suo posto, ma io sono stato così magnanimo da insegnarglielo...››
Per un attimo Mr. Mercer pensò che sarebbe esplosa. Sapeva bene cosa Maria Vittoria e buona parte delle persone della sua epoca pensassero di chi faceva discorsi di questo tipo. E lui stesso, per quanto si rifiutasse di ammetterlo apertamente, si rendeva conto che in una società del genere una distinzione di ruoli così rigida tra uomo e donna era, ormai, impensabile (per non dire ridicola). Fu dunque a dir poco sorpreso, nell’udire il tono assolutamente apatico con cui la ragazza gli si rivolse di nuovo: ‹‹Generoso da parte di uomini dell’età di suo padre di proporsi ad una diciannovenne e di ricattarla pure››
‹‹Vero?›› ghignò lui, maligno. Se solo avesse potuto strangolarlo
‹‹Ti piacerebbe sapere che cosa le ho fatto?›› perché sembrava il tono di un genitore in procinto di raccontare una storia della buona notte?
‹‹Molto›› sussurrò lei, riuscendo ancora una volta a mantenere il controllo.
‹‹Non sai quanto ciò mi renda felice, piccola Kore!›› la luce folle che brillava nei suoi occhi l’avrebbe sicuramente perseguitata nei sogni almeno per i prossimi tre mesi.

*Il racconto sui dettagli è tagliato per ovvi motivi*
‹‹Allora, ti è piaciuta la storia?›› osò domandarle, dopo averla costretta ad ascoltare quasi tre ore di dettagli macabri su azioni altrettanto macabre ai danni di una povera ragazza innocente.
‹‹Molto›› rispose lei, meccanicamente, pronunciando la parola che, da sei anni a questa parte, le era stato insegnato a pronunciare in oltre 127 interrogatori. I suoi occhi gridavano “pietà”, ma il suo cervello la costringeva a rimanere in piedi, inflessibile ed imperturbabile.
‹‹Sono felice di esserti piaciuto, piccola Kore… o forse dovrei iniziare a chiamarti Persephone. Se Hades ti accompagna, non sei più una bambina›› volle insinuare lui.
Notando la strana luce dei suoi occhi, si affrettò a stroncare il suo discorso: ‹‹Non è Ade››. Già al secondo anno in cui aveva iniziato a lavorare al caso, gli agenti l’avevano ammonita riguardo a possibili domande di questo genere. L’uomo aveva deciso di costituirsi dopo averla identificata come Kore: se avesse anche solo avuto il sospetto che era cambiata o cresciuta, non avrebbe più collaborato.

‹‹Sei ancora la mia piccola Kore?›› la domanda, posta quasi di getto, sconvolse la ragazza. Era davvero così importante per le sue macabre fantasie sapere se lei fosse un personaggio mitologico piuttosto che un altro? E poi se pensava che le fosse Kore, non doveva essersi già messo con il cuore in pace, sapendo che era destinata a diventare Persefone?
‹‹Sì›› si costrinse a rispondergli. Ed in effetti, pensando alla sua vita in chiave metaforica, si poteva dire che lei fosse ancora una ragazzina ingenua, nonostante l’età.
La risposta parve rassicurarlo, perché, dopo un pesante sospiro di sollievo, riacquisì la solita espressione da “schiaffi”.
‹‹Allora, qual è il nome di questa ragazza?›› prima avrebbero saputo a quale personaggio mitologico si riferiva e prima avrebbero saputo dove trovare il corpo.
‹‹Mpf, così però non è valido, piccola Kore: io ti ho già raccontato tutta la storia e tu non mi hai ancora raccontato niente del tuo accompagnatore…›› fece il broncio lui. Tre anni.
‹‹Ma se io te lo dico, tu poi non mi dirai il nome che mi serve›› le fece osservare lei, perfettamente impassibile.
‹‹Che cosa proponi, dunque?›› le domandò lui, divertito dalla piega che stava prendendo la situazione.
‹‹Io ti racconto come l’ho conosciuto, ma non ti rivelerò quale dei numerosi personaggi che ho incontrato sia finché non mi avrai dato l’indizio››

Ci fu un attimo di silenzio in cui Maria Vittoria temette che l’uomo si rifiutasse di parlare. Era già capitato in passato, ed ogni volta aveva rallentato le indagini per mesi. E lei un ritardo questa volta non poteva proprio permetterselo. Già Lord Beckett non sarebbe stato affatto felice di sapere che una volta ogni due mesi si doveva recare così lontano dal punto di contatto tra le due epoche, figurarsi se avesse dovuto tornare in Lazio tutte le settimane per sette o otto mesi.
La risata del cacciatore fu uno shock per tutti. Stava seriamente ridendo?
‹‹Sei proprio sicura di essere ancora Kore? Non è da te cercare di contrattare con me…››
‹‹Sono piena di sorprese›› si limitò a commentare lei, ancora a dir poco scioccata per l’evolversi della situazione.
‹‹Inizi a ricordarmi la ragazza della foto. In effetti, ora che ci penso anche tuo padre cerca continuamente di maritarti, sebbene tua madre continui a ripetergli che sei ancora una bambina. Per non parlare delle continue proposte di matrimonio che ricevi dai tuoi coetanei e non››

Per un attimo le si gelò il sangue nelle vene. Come faceva a sapere dei tentativi di matrimonio combinato di suo padre e dei suoi amici nobili?
‹‹Non è che la piccola Kore si è stufata di farsi difendere da Demetra ed ha deciso di sfidare i propri pretendenti in corse (truccate) come Atalanta?››
Ah, okay, stava parlando ancora del mito… Che infarto! Svelato il mistero, si affrettò a negare: ‹‹Per carità, gli sport violenti e faticosi sono cose da maschi! Io preferisco di gran lunga dedicarmi al punto croce d’estate e alla maglia d’inverno›› Non invito i ragazzi, che mi chiedono di uscire solo per “portarmi a letto”, a Karate, promettendogli che uscirò con loro solo se mi batteranno in combattimento dopo la lezione. E Marco-sensei non è d’accordo con me e non li malmena talmente tanto che, quando arriva l’ora della verità, non riescono nemmeno più a reggersi in piedi e devono dare forfait. No, no.
La cosa inquietante era che, pur vedendola una volta ogni tre mesi, in una stanza da interrogatorio nascosta sotto terra, riusciva sempre ad individuare dei racconti che descrivevano alla perfezione la sua vita. L’ennesima prova che, se avesse scelto di sfruttare la sua intelligenza fuori dal comune per buone cause, avrebbe potuto aiutare davvero l’umanità a progredire. E invece aveva dovuto fare come Luke Skywalker, che pur essendo perfino più potente del maestro Yoda nella forza, aveva dovuto passare al lato oscuro. Mannaggia a lui!
‹‹Allora, questa storia?››

‹‹In cambio di?›› domandò lei, con fare furbo.
‹‹Non abbiamo forse concordato che ti avrei rivelato il nome della ragazza?››
‹‹Il patto era che tu mi avresti dato un indizio dopo il mio racconto. Quindi la carta Atalanta te la sei già bruciata››
‹‹Non ti sfugge niente hahaha›› ridacchiò l’uomo, per poi concludere: ‹‹E sia, ti rivelerò anche un altro nome, ma senza indicarti la fotografia. Starà a te indovinare la sua storia››
‹‹Ma ci saranno ancora cinquanta donne di cui non sono ancora stati individuati i resti! E’ praticamente impossibile che io riesca ad interrogare familiari e amici di tutte quante anche a distanza di vent’anni›› gli fece notare lei, sconsolata.
‹‹Abbiamo concordato un indizio soltanto e poi, se ti aiutassi troppo che gusto ci sarebbe? E’ da un po’ che desidero metterti alla prova per valutare se hai appreso bene i miei insegnamenti, hahaha››
‹‹Non mi hai insegnato proprio un bel niente›› gli ringhiò immediatamente lei. Al diavolo il protocollo: se pensava che sarebbero bastati dei racconti aberranti per trasformarla in un’assassina si sbagliava di grosso.
‹‹Lo vedremo. Lo vedremo.›› le sorrise lui, malignamente, per poi incoraggiarla: ‹‹Allora, questa storia?››

‹‹Mi trovavo al fiume a fare il bagno con le altre ninfe ed a giocare a palla, mentre spettegolavamo (Reality: pigiama party a casa di Francesca, partitone di monopoli e “spetteguless”)››
‹‹Una volta uscita dall’acqua, ho visto un fiore meraviglioso e non ho saputo resistere alla tentazione di coglierlo. Non appena l’ho fatto, tuttavia, una forza sovraumana mi ha trascinato di sotto terra e il varco che si è creato mi ha condotto nel regno dei morti (Reality: arrivate a casa di Mary, quest’ultima si è insospettita per i rumori provenienti da sotto il letto ed ha cercato di indagare. Mr. Mercer, però, l’ha trascinata sotto il letto, in un varco dimensionale che conduce, per l’appunto nel passato. E, a rigor di logica, si può dire che, essendo tutti i Settecenteschi già morti da secoli, si tratti proprio di un regno di morti)››
‹‹Là ho incontrato Hades, il signore di quelle terre che, dopo una breve permanenza, ha stretto un patto con mia madre, Demetra (Reality: Lord Beckett, che controlla Port Royal ed ha ormai il dominio di tutti i mari, dopo la prigionia di Mary ha parlato con la madre al telefono)››
‹‹Sarei rimasta nell’Ade per tre mesi all’anno, corrispondenti al numero di semi di Melograno che avevo mangiato, inavvertitamente, aiutando Hades nei giudizi ai dannati e tenendogli compagnia nelle lunghe notti del suo regno. Per il restante, avrei potuto tornare sulla Terra e riprendere la mia vita di tutti i giorni (Reality: i 3 semi di melograno che la tengono legata al ‘700 sono le sue amiche, i giudizi ai dannati sono le “grazie” che Mary riusciva ad ottenere per bambini, donne e ragazzi che riusciva a salvare dalla forca, le notti sono lunghe perché si riferiscono alle notti insonne di Mary e Lord Beckett durante le loro sedute di studio mattissimo e disperato)››

‹‹Durante la mia prigionia ho incontrato Caronte, che mi traghetta sempre tra il Regno dei vivi e il regno dei morti (Reality: Mr. Mercer che la trascina sotto il letto per i capelli), Argo dai cento occhi (riferito alla frase di Beckett: “ti seguirà sempre: sarà i miei occhi e la tua ombra), Thanatos (Reality: Mr. Mercer è il suo assassino, nonché più fedele collaboratore), Hypnos (Reality: Mr. Mercer la tormenta anche nei suoi incubi), Cerbero, guardiano che devo sempre rabbonire con le mie focacce (Reality: Mr. Mercer che cerca di corrompere col cibo) e le tre furie, che mi hanno tormentato nei primi giorni di prigionia, ma con cui poi ho instaurato una splendida amicizia (Reality: Tommy, Charlotte e Edward)››

‹‹Ci sono stati anche diversi colpi di scena. Un dannato piuttosto bellicoso ha tentato di trapassarmi il cuore con una spada e, se non fosse stato per il pronto intervento di Hades e di Thanatos, non sarei qui in questo momento (Reality: stessa scena sull’Olandese volante). Un’altra volta, la ninfa Menta ha attentato alla mia vita per questioni poco chiare. Sosteneva, infatti che il suo abbandono e le numerose sventure che l’avevano colpita fossero state causate dalla mia persona, anche se sono abbastanza certa di non aver avuto alcuna responsabilità al riguardo (I tentativi di omicidio colposo di Francesca, che l’aveva accusata di aver “montato” i pirati con le sue storie assurde, spingendoli fino al punto di sacrificarla ad un Kraken)››

‹‹Quell’infame del giardiniere, Ascalafo se non ricordo male, ha fatto la spia, raccontando a Lord Hades che avevo mangiato due semi di Melograno (Reality: James Norrington che racconta delle presunte morti di Marta e Lucia, i due semi di melograno). E tutto questo mentre Menta attentava senza sosta alla mia vita e quel disgraziato di Thanatos mi teneva ferma. E tutto questo solo perché era più bella e più donna di me. Quando gli ho chiesto che cosa intendesse, ha avuto il coraggio di rispondermi che me lo dirà quando sarò più grande. Ma ho già quasi 19 anni, dico! (Reality: stessa scena con Mr. Mercer al posto di Thanatos e Francesca al posto di Menta››

‹‹Ma c’è stato anche chi ha mostrato un minimo di compassione ed ha provato ad aiutarmi, a differenza di mio padre Zeus che, come al solito, lascia sbrigare tutto a mia madre e perde le sue giornate correndo dietro a donne più giovani che vogliono solo il suo potere (Reality: esattamente tale e quale a suo padre). E del mio amore platonico di una vita, Apollo, che sollazzandosi tra una bella mortale e l’altra, non si è minimamente accorto della mia assenza. E dire che pochi giorni fa, tra l’altro, mi ha fatto intendere che se decidessi di scendere a compromessi su un certo aspetto della mia morale (che ha a che fare con cose che andrebbero fatte solo dopo il matrimonio), ci farebbe anche un pensierino a mettersi con me. Ma che onore, non aspettavo altro! (Reality: esattamente tale e quale a Francesco)››

‹‹L’ha detto davvero?›› volle indagare Mr. Mercer e anche Orione, che se la stava ridendo da quando aveva iniziato a parlare, drizzò le antenne.
‹‹Già›› confermò Maria Vittoria, ormai completamente rassegnata a rimanere zitella a vita e a non avere mai nessun uomo che le regalasse una rosa rossa il giorno del suo compleanno.
“Buono a sapersi” pensò Mr. Mercer, mentre faceva scrocchiare le nocche delle mani e meditava sul se fosse il caso di porgergli un’altra visitina notturna.
‹‹E i due cavalieri che hanno aiutato la piccola Kore?›› ricentrò il discorso il cacciatore, che si era ormai interessato alla vicenda.
‹‹Sono due e, scommetto che riuscirai ad individuarne almeno uno›› gli rispose Maria Vittoria, cogliendo al balzo l’occasione per ribaltare il modo in cui in quegli anni si erano svolti gli interrogatori.
‹‹Hermes?›› che tristezza avere a che fare con dei geni.
‹‹Esatto›› rispose lei, con tono lugubre, per poi tornare a raccontare: ‹‹E’ venuto a prendermi dopo l’ennesimo abuso da parte di Hades e dei suoi adepti, senza curarsi delle conseguenze che l’eventuale ira di Thanatos e il suo padrone avrebbero potuto comportare (Reality: il salvataggio di Theodore Groves quando Mary si trovava in infermeria, vessata da Mr. Mercer)››
‹‹Non ricordavo un dettaglio del genere nel mito›› le fece notare lui, facendo la faccia di chi la sapeva lunga.
‹‹Ma la Kore qui presente vive nel XXI secolo, non ai tempi del mito ed è ovvio che Hades non la volesse rinchiudere nel suo regno solo per contemplarla… E dato che la fanciulla non aveva alcuna intenzione a dargliela (la verità sulla loro identità), non faceva altro che vessarla continuamente e a mandarle Thanatos affinché la persuadesse›› Maria Vittoria rimase volutamente sul vago, per aumentare le possibili interpretazioni e, di conseguenza la suspance.
‹‹E l’altro eroe?››

‹‹Non ci crederete mai: qual è la divinità che tenta l’approccio con qualunque essere sia dotato di apparato respiratorio, sia esso uomo, donna, piumato, squamato o in qualsiasi sua altra forma?››
‹‹Io?›› domandò lui, prontamente, mentre esibiva un sorrisetto compiaciuto.
‹‹Va bene l’autostima, ma fino a prova contraria non sei ancora una divinità… e poi, BLAH, che schifo! Non voglio neanche pensarci!››
‹‹Io sono un dio, come testimonia il colore dei miei capelli e dei miei occhi. Sono destinato a regnare su tutta l’Asia come Alessandro Magno2, hahaha›› si pavoneggiò lui.
‹‹La prima volta che ti ho incontrato ho pensato più a Crudelia Demon, ma forse Alessandro Magno si addice di più al tuo ego›› lo derise lei, ma notando l’occhiata di fuoco rivoltale dall’uomo, si decise a cambiare argomento: ‹‹Seriamente, quale divinità del mito ha queste caratteristiche?››
‹‹Poseidone?›› domandò lui, con un sopracciglio sollevato. Davvero non capiva dove volesse andare a parare.
‹‹Proprio lui›› confermò Mary, ridacchiando.
‹‹E cos’avrebbe spinto un individuo dalla dubbia morale come lui a prendere le tue difese? Voleva forse sposarti al posto di Hades?›› udendo l’ultima frase, Maria Vittoria scoppiò a ridere come una cretina, lasciando gli ascoltatori di stucco. Del resto Mr. Mercer non poteva ancora capire quale fosse il nome nascosto da quel Segnal: la descrizione degli atteggiamenti un tantino libertini di Poseidone, non aveva niente a che fare con lui.

‹‹Scusate›› riuscì a dire Maria Vittoria tra una risata e l’altra: ‹‹E’ che ogni volta che Poseidone sente il mio nome e il termine matrimonio nella stessa frase, rischia l’infarto hahaha››
Capendo, finalmente di chi si trattasse, Mr. Mercer dovette fare sforzi da ernia per non scoppiare a ridere a sua volta.
‹‹E a cosa sarebbe dovuto questo cambiamento, se posso chiedere?›› domandò il cacciatore, sinceramente curioso dell’ultima trovata della ragazzina.
‹‹Ne ignoro il motivo, ma pare che sia stato colto da un improvviso desiderio di paternità… forse per via di tutti i figli illegittimi che ha lasciato nell’arco dei secoli›› ma Mary mai avrebbe pensato che Mr. Mercer le avrebbe svelato l’arcano proprio in quel momento.
‹‹Eh, già, il nostro caro Poseidone si è messo sulla giusta careggiata da un paio di anni: da giovane era un esempio di dissolutezza. Gira voce che abbia avuto anche una figlia da una relazione illecita, ma che non l’abbia riconosciuta per non infangare il buon nome della sua famiglia e perché, forse, ancora troppo giovane››

‹‹Cosa?!›› domandò Maria Vittoria totalmente spiazzata. Stavano parlando della stessa persona? Ma il tenente Gillette non era solo un maniaco del controllo e della perfezione?
‹‹Dovrebbe avere all’incirca la tua età›› proseguì l’uomo, con estrema tranquillità, tanto per confonderla ancora un po’. Che nervi!
La tensione fu spezzata dall’ennesima risata di Orione: ‹‹Beh, suppongo che dovrò chiederti di raccontarmi le tue storie più spesso. Del resto, il tuo maestro, modestamente, è un vero genio nel campo››
‹‹Modestamente›› si limitò a fargli eco lei. Ormai non aveva più nemmeno voglia di contestare.
‹‹E i tre giudici infernali? Che impressione ti hanno fatto?›› volle indagare ancora Orione, che nutriva una certa simpatia per quelle figure e, in particolare per Minos, dati i suoi trascorsi poco pacifici a Cnosso.
‹‹Non ho ancora avuto il piacere di incontrarli, ma qualcosa mi dice che il momento arriverà presto›› improvvisò lei.
‹‹Un vero peccato›› commentò Orione serio: ‹‹Del resto, se avessi già terminato il tuo percorso nell’Ade, non saresti più Kore››
‹‹Questo è ancora tutto da vedere›› commentò lei, rivolgendogli uno sguardo di fuoco che avrebbe potuto mettere in fuga il mostro di Lochness. Talvolta lo “sguardo di famiglia” aveva la sua utilità.

Gli agenti, che monitoravano costantemente tutte le loro mosse, dovettero resistere all’impulso di intervenire, dato che Maria Vittoria aveva tutta l’aria di un aruspice pronto a sgozzare un vitello per leggerne il fegato. Persino Mr. Mercer ebbe un attimo di confusione al riguardo. Del resto, chi si sarebbe mai aspettato uno sguardo così carico d’odio da parte di una pazzoide squinternata che soleva girare vestita di rosa fuxia e con un grembiule a fiori?
Ma, come sempre accade in questi casi, il diretto interessato, non fece una piega. Sconsolata, Maria Vittoria sospirò pesantemente, per poi domandare al cacciatore il pagamento dovuto per la sua allegra storiella.
‹‹Come sei utilitarista… Davvero vuoi dirmi che non ti piacciono queste ore trascorse insieme? Certo, è meglio quando siamo solo noi due. L’atmosfera ha un nonsoché di profano, non credi?›› la prese in giro lui.

‹‹Se non contiamo l’equipe di agenti, tecnici, medici e psicologi che ci fissano costantemente da dietro i vetri oscuri, sì, siamo da soli. E sì, parlare di carneficine, asportazioni di organi e stupri a danno di ragazze della mia età è proprio il mio passatempo preferito›› lo freddò lei.
‹‹Dovresti prendere le cose con più leggerezza, sai?›› ebbe addirittura il coraggio di consigliarle.
‹‹Dille quel c***o di nome, così posso tornarmene a casa e mangiare, finalmente!›› la finezza di Mr. Mercer pose fine alla discussione.
‹‹Ti sei scelta un accompagnatore simpatico, devo ammetterlo›› la prese in giro il cacciatore ‹‹e dire che l’avevo scambiato per un innocuo vecchie…››
‹‹MUOVITI!››
‹‹E va bene, ma che modi!›› sbuffò lui, per poi riacquisire una parvenza di calma e parlare: ‹‹Il nuovo nome è Polissena. Ah, quanto ho amato quella ragazza… mi è quasi dispiaciuto ucciderla, hahaha››

‹‹Polissena…›› ripeté Mary tra sé e sé. Se la memoria non la ingannava, doveva essere una delle figlie di Priamo, sovrano di Troia durante l’epica battaglia narrata nell’Iliade. Ricordava la sua storia, a linee generali, ma la cosa che la preoccupava di più era il fatto che, essendo un personaggio minore, nel corso dei secoli, sul suo conto era stato scritto di tutto e di più. Anche solo la descrizione estetica poteva aver subito chissà quanti cambiamenti, anche solo nell’ambito del poema stesso. Persino il confronto con le foto delle vittime rimanenti sarebbe stato difficoltoso. Ecco come dare un indizio ad una persona, senza dirle niente di utile. Maledetto Orione!
‹‹Ora tocca a te, Kore: qual è il nome del tuo amico?›› gli occhi gli brillavano, tale era la bramosia di ricevere un’informazione che, per lui, era assolutamente vitale.
Maria Vittoria si voltò un attimo verso Mr. Mercer, e poi parlò, sorridendo: ‹‹Vi presento Thanatos, Argo, Hypnos, Cerbero e Caronte››
‹‹Quale dei cinque?›› domandò lui, sospettoso.
‹‹Tutti e cinque››
‹‹Tutti e cinque?››
‹‹E’ multitasking›› confermò lei, ridacchiando. E ora come farai, Orione? Non ti piace non avere una parola d’ordine per avere l’illusione di avere una persona in pugno? Ma che peccato.
 
*****
Dopo aver velocemente svolto quelle due o tre procedure di routine e salutato il signor Esposito (che era saltato fuori essere così gentile con Maria Vittoria solo perché sperava di arrivare alla bella madre. Come al solito), raggiunsero il parcheggio.
Per tutta la durata dei colloqui con agenti e psicologi, Mary aveva tenuto un lieve sorriso di cortesia, che lasciava cadere ogni volta in cui le pareva di non essere osservata. Quando avevano lasciato la struttura, tuttavia, la sua espressione si era fatta cupa oltre ogni dire ed un pesante silenzio era calato sui due compagni di viaggio. Mr. Mercer non poteva dire di esserne rattristato, del resto, era un estimatore della pace e tranquillità e i momenti in cui la mocciosa aveva la decenza di lasciarlo in pace, erano più unici che rari. Ciò che lo preoccupava, tuttavia, era il fatto che una pentola, a fuia di accumulare pressione, esplode, il che significava poca pace e molti problemi per lui.
Contro ogni previsione, riuscirono a raggiungere la macchina, senza cedimenti emotivi o altri problemi. Mr. Mercer stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, quando la mocciosa si fermò di colpo. Non emetteva un suono, ma il suo corpo era percorso da fremiti.

‹‹E adesso che c’è?›› le domandò lui, per pure cortesia.
Non l’avesse mai fatto: la fanciulla, che fino a due secondi prima appariva morente, si girò repentinamente e gli si fiondò addosso con l’agilità di una tigre. L’uomo, accortosi del pericolo, provò anche a scansarsi e a scrollarsela di dosso, ma nulla è mai sufficiente contro la necessità di sfogarsi di una donna. Mai dare anche solo la vaga impressione di essere interessati ai tumulti dell’animo di una femmina, penserà che vi prestiate ad ascoltare pazientemente ore ed ore di piagnistei, lamentele, commiserazioni e filippiche contro il genere maschile di cui, tra l’altro, fate parte.
 
Note:
*Licenza poetica hahaha. So che è scorretto utilizzare “quanto” e “piuttosto”, ma nello scritto ho sempre avuto l’impressione che rendesse di più l’idea… Quindi, dato che tanto si tratta di un’umile fanfiction, li uso entrambi muhahaha.
1- Don Emanuele la chiama con un soprannome perché la conosce da quando è nata ed in più i due hanno solo cinque anni di differenza… Sì, è entrato in seminario giovanissimo. Anche Maria Vittoria, al di fuori dall’ambito ecclesiastico, lo chiama per soprannome (Ema). “Don Emanuele” le suona ancora un po’ strano.
2- Grazie alla mia professoressa di Storia, che soleva riempirci le notti di paginate e paginate di appunti su dettagli inutili sui personaggi storici di qualsiasi epoca, ho avuto anche l’onore di conoscere il colore di occhi e capelli di Alessandro Magno. E, tra parentesi, non l’avrei mai nemmeno sospettato, dato che gli affreschi e i mosaici che lo ritraggono lo mostrano ora biondo e ora moro. Ecco spiegato il perché in qualsiasi luogo della Terra giungesse, lo salutavano come una divinità… non erano solo lecchini, allora, hahaha.

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Capitolo 16
*** Capitolo 14- La confessione di Mary ***


Capitolo 14- La confessione di Mary
Di quando Beckett capì che cosa si prova ad essere madre
 
Ecco spiegato come una ragazzina così ipersensibile riuscisse a reggere la pressione degli interrogatori.
‹‹Mocciosa?›› provò a richiamare la sua attenzione dopo quasi 30 minuti di pianto ininterrotto, in cui lui, come ogni buon confidente, non era riuscito a spiccicare neanche una parola. Ma perché le donne fanno domande, se poi non ascoltano le risposte?
‹‹H-hai visto la foto? L’ha praticamente fatta a pezzi. La vedeva come un pezzo di carne, non come un essere umano dotato di un’anima e di una coscienza›› era la frase più lunga che fosse riuscita a pronunciare in quella mezz’ora.
‹‹Ho visto, ma ormai è morta: cosa te ne…›› un uomo di tatto, non c’era che dire.
‹‹Beh, non lo era per ben oltre la metà di quello che le ha fatto. Ti rendi conto? Lo implorava di ucciderla e lui ha continuato a farle del male per quasi tre ore›› Mary non riusciva a smettere di piangere.
‹‹Te l’ha detto solo per spaventarti›› affermò lui, con fare tranquillo.
‹‹L’avrei pensato anch’io se i risultati delle autopsie delle altre vittime non avessero dimostrato che diceva la verità. E con ogni probabilità, non erano nemmeno sedate: hanno sentito ogni millimetro di lama che affondava nella loro carne››

Se Mr. Mercer era sconvolto dalla rivelazione, non lo diede a vedere: ‹‹Anche se si diverte a raccontarti delle storie, è pur sempre un assassino. Il fatto che non abbia ucciso te, non significa che con i suoi altri bersagli sia stato altrettanto magnani…›› L’uomo si accorse troppo tardi di aver toccato un altro tasto dolente.
‹‹P-perché non ha ucciso anche me? Una mocciosa viziata e odiosa meritava, forse, di vivere più di una madre di famiglia, di una fidanzata, una sorella, un’amica?›› riprese a singhiozzare lei.
‹‹Non esageriamo: al mondo c’è di peggio di una bambina un po’ ingenua›› cercò di sdrammatizzare lui.
‹‹Vi posso assicurare che all’epoca ero un essere orribile… e probabilmente sotto sotto lo sono ancora. E’ per questo che mi ha lasciata in vita, vero? Vuole che diventi come lui!››
Udendo l’ennesimo delirio, l’uomo se la scollò di dosso con una mossa decisa. Poi, ponendole le mani sulle spalle (onde evitare che decidesse di invadere di nuovo il suo spazio vitale), le domandò esasperato: ‹‹Ma di che diavolo stai parlando?!›› Ma perché doveva sempre avere degli attacchi di panico quando erano soli?
Maria Vittoria ebbe un attimo di esitazione prima di rispondere. Era una buona idea parlarne con un mezzo sconosciuto, non particolarmente ben disposto nei suoi confronti, per altro? Non avrebbe mai potuto capire. Eppure una vocina nella sua testa avanzò una tesi non trascurabile: “Se non gli importa nulla di te, non ti farà male il suo giudizio”. A ben pensarci, non sembrava un’idea tanto malvagia. Se non avesse compreso il suo stato d’animo, non l’avrebbe giudicata e se l’avesse giudicata, l’avrebbe fatto in una maniera distaccata che non avrebbe potuto nuocerle. Il lato positivo di vivere con uno sconosciuto dal cuore di pietra.

Finalmente decisa, sollevò il capo e lo fissò dritto negli occhi, iniziando quello che si preannunciava essere il discorso più serio che avesse mai fatto in tutta la sua vita: ‹‹Sto per svelarvi un segreto di cui non ho mai parlato a nessuno›› seguì una breve pausa per aumentare la suspence (e acquisire la forza spirituale per affrontare il discorso) ‹‹Forse non ve ne siete accorti, ma io sono una persona… strana››
Mr. Mercer, che si aspettava tutt’altra rivelazione, a momenti cascava a terra per il troppo ridere. Maria Vittoria attese pazientemente che terminasse di fare il buffone; non si esimé, tuttavia, dal scrutarlo con aria severa e a braccia incrociate, sbuffando di tanto in tanto. Quando l’uomo diede, finalmente segno di aver finito, si apprestò a precisare: ‹‹Non strana in quel senso. Quelli che vedete sono solo gli effetti collaterali di una vita di privazioni (di sonno), solitudine (con l’unica compagnia dei libri), esclusione (dalla vita sociale) e reclusione (in biblioteca)›› la sincera convinzione ed i gesti plateali con cui accompagnò ogni singola parola causarono una nuova serie di risate incontrollate da parte dell’uomo. Del resto, sostenere che una studentessa conducesse una vita di grandi sacrifici e privazioni di fronte ad un soldato/sicario part-time era di per sé piuttosto surreale.
‹‹Quello che sto cercando di dirvi›› gli ringhiò lei, ottenendo finalmente un minimo di considerazione da parte del suo nolente interlocutore ‹‹è che tendo ad avere degli atteggiamenti istintivi che non rientrano propriamente nella norma di comportamento, non so se mi spiego…›› aggiunse, poi, imbarazzata. Era solo una sua impressione, oppure Mr. Mercer stava facendo i salti mortali pur di metterla ancor più in difficoltà? Cattivo!

‹‹Come parlare con i libri e abbracciarli prima di riporli?››
‹‹Ma no!››
‹‹Ti conviene! Lord Beckett fa lo stesso e nessuno si è mai permesso di dire che fosse una cosa strana›› le ringhiò contro lui, con fin troppo ardore. Forse la tesi di Marta su una possibile MerBeckett non era poi così infondata.
‹‹No, no, no, assolutamente! Non mi permetterei mai, hehehe›› si affrettò a discolparsi lei, prima che fosse troppo tardi ‹‹E comunque intendevo azioni più… stravaganti››
‹‹Coprirti con un lenzuolo e girare nella scuola di notte, illuminando le stanze con dei ceri funebri e pronunciando parole strane in lingue ormai dimenticate?››
‹‹Così mi fai sembrare un fantasma che infesta gli edifici disabitati. Non pensavo che qualcuno potesse travisare la notte nazionale del liceo classico peggio di Marta…›› borbottò lei, seriamente offesa.
‹‹Pagare una quota mensile per farti pestare sei ore a settimana, quando io posso farlo gratuitamente 24 ore su 24?››
‹‹A karate non ci insegnano a pestarci!›› sbottò lei, indignata.
‹‹Come no… chiamare un becchino che di nome fa Becchino nel cuore della notte?››
‹‹Ancora con questa storia! Si occupa di seppellire le vittime del cacciatore, lo sai››
‹‹Piangere ogni volta che leggi della morte di un personaggio storico?››
‹‹Ma non ti sembra straziante l’idea che delle persone con cui avresti potuto instaurare dei profondi legami di amicizia siano morte secoli o addirittura millenni prima di te? Non potrò mai discutere di strategia con Cesare, né convincerlo a scaricare quella serpe di Cleopatra››
‹‹Non potrò mai dire a Seneca che l’argento reagisce a contatto con i veleni e che quindi non è costretto a mangiare solo la frutta da lui colta e bere l’acqua direttamente dalla fonte. Non potrò mai dire a Leonida ed ai suoi uomini che il loro sacrificio alle Termopili salverà la Grecia, così come non potrò mai urlare agli Spartani che Aristodemo non si è sottratto alla battaglia perché codardo, ma perché ordinatogli dal suo re››
‹‹Non potrò mai dire a Ramsete I che la propaganda inganna i contemporanei, ma non i posteri. Gli Ittiti hanno tranquillamente ammesso di aver pareggiato: perché il faraone, invece, ha deciso di mettere insieme un teatrino con tanto di finti monumenti trionfali?›› sarebbe potuta andare avanti per ore, ma Mr. Mercer si affrettò a fermarla: ‹‹E questo ti sembra normale?››

‹‹Perché? Non è normale, forse, preoccuparsi per la sorte di sconosciuti vissuti migliaia di anni fa?›› gli fece notare lei, nuovamente in lacrime.
‹‹No!››
‹‹SIG, non classicisti…›› sospirò la ragazza, mentre scuoteva lievemente il capo. Quando si dice “non dare le perle ai porci”
‹‹Hai detto qualcosa?››
‹‹No, no, ci mancherebbe…›› mentì lei, notando lo sguardo minaccioso dell’uomo, che ormai stava esaurendo la sua poca pazienza. (Cervello di Mary: “Patres conscripti, dimittete illi non enim scit quid dicat!1”)
‹‹A questo punto mi viene da domandarti che cosa tu intenda con strano›› la derise lui, ormai definitivamente convinto che qualunque fosse la motivazione del suo delirio, non si trattasse di nulla di serio. Ma perché le adolescenti (come le aveva sentite chiamare da i pochi adulti che aveva incontrato nella scuola della mocciosa) si facevano sempre delle paturnie per niente? E soprattutto, perché invece di farsi consolare dal suo “amato”, andava a rompere i c******i a lui?
‹‹Beh, forse…›› Maria Vittoria finse di rifletterci sopra un attimo, per assumere uno sguardo gelido e proferire: ‹‹Conficcare un servizio da tè giocattolo nella pancia di un bambino rompiscatole››
‹‹Effettivamente… In che senso?›› Mr. Mercer si interruppe bruscamente, notando l’espressione seria e, allo stesso tempo malinconica, della ragazzina. Perché aveva la strana sensazione che quello non fosse un semplice esempio astratto?
‹‹Qual è la prima cosa che fa una bambina di quattro anni, quando un bambino di cinque le arriva addosso con la bicicletta di proposito, facendole male e buttandole all’aria i giocattoli appena disposti per il “rituale del tè”?››

‹‹Si mette a frignare? Chiama la mammina?›› fece lui, con tono annoiato. Ancora non riusciva a capire dove volesse andare a parare.
‹‹Beh, a quanto pare il mio istinto non doveva essere ben omologato›› anche se il tono con cui aveva “sganciato la bomba” era apparentemente neutrale, dentro si sentiva avvampare. Aveva davvero appena rivelato una cosa del genere ad uno sconosciuto? Che cosa avrebbe pensato di lei, dopo aver ascoltato la fine della sua confessione? L’avrebbe trattata ancora allo stesso modo, o avrebbe aumentato le precauzioni nei suoi confronti? E, soprattutto, non le avrebbe vietato di andare a Karate, vero, vero, VERO?
Il suo flusso di coscienza fu interrotto dal suo interlocutore che, contro ogni aspettativa, non aveva perso il suo fare tranquillo e distaccato: ‹‹Quindi lui ti ha distrutto i giocattoli…››
‹‹Hem, sì…›› confermò lei, imbarazzata.
‹‹E tu gli hai infilato delle tazzine nello stomaco…››
‹‹Hem, sì…›› annuì, se possibile ancora più imbarazzata di prima.
‹‹Di che cosa erano fatte?››
‹‹Plastica e ceramica››
‹‹Quante tazzine?››
‹‹Quando mi sono resa conto di cosa stessi facendo ero già arrivata alla terza… più due piattini infilati per un terzo della loro lunghezza. Se fosse svenuto, non avrebbe potuto soffrire a sufficienza…››
‹‹Tutto qui?››
‹‹Tutto qui›› Nella sua testa sembrava sempre tutto così terribile e complicato da spiegare, ma ora che aveva trovato il coraggio e, soprattutto il giusto interlocutore, non pareva poi questa gran cosa. Certo, ciò che aveva fatto all’epoca restava un atto imperdonabile, ma era anche vero che era piccola e non aveva ancora una grande percezione di cosa fosse giusto e cosa sbagliato.

‹‹Era così difficile?››
‹‹Beh, ora che ci penso no… dopo tutto ora mi controllo decisamente di più›› si trovò a riflettere la ragazza. Ora si sentiva decisamente più leggera, quasi si fosse liberata da un macigno che le gravava sul petto.
‹‹E quindi questo è il motivo per cui paghi il tuo istruttore di Karate per pestarti›› completò il quadro, lui.
‹‹Beccata›› confermò lei, annuendo tristemente ‹‹Ho sempre avuto problemi a controllare la rabbia e, specie quando ero più piccola, avevo un gusto spiccato per cose che la maggior parte delle persone considera aberranti. Tipo: chissà che cosa succede se sbatto la testa del mio compagno di banco contro il muro finché non gli spacco il cranio e gli posso estrarre le cervella. Crescendo, fortunatamente, ho avuto modo di comprendere che certe azioni portano dolore e sofferenza e non ho più avuto tentazioni del genere. O, almeno non così spesso›› detto ciò, fece una breve pausa, per poi proseguire, questa volta con un’espressione più positiva: ‹‹E in tutto questo le arti marziali sono state la mia salvezza. Non trattandosi del Karate tradizionale, tendiamo ad allenarci a contatto, cosa che, ovviamente, preclude un impatto troppo forte a danno del nostro compagno. Ed è stato lì che ho capito che anche un semplice pugno può lasciare dei lividi dolorosi o, comunque, arrecare sofferenza. E che, alla fine, per quanto i macabri scenari elaborati istintivamente dal mio cervello possano apparire invitanti, nulla di tutto ciò può competere con il dolore inflitto ad una persona››
‹‹Quindi la prossima volta che mi viene affidata una missione posso portarti con me e non devo preoccuparmi di trattenermi…››
La ragazza non parve cogliere la sottile ironia nella voce dell’uomo, perché si affrettò a gridargli: ‹‹No, no, no, per carità! Non fate del male alle persone!››
‹‹Ma non hai detto che le carneficine non ti disgustano?›› la prese in giro lui, convinto che ciò che la mocciosa aveva appena raccontato non fosse altro che un insieme di paturnie miste a paure/ insicurezze di “adolescente-complessata”. Inutile dire che, quando la udì pronunciare la frase successiva, ci rimase parecchio male.
‹‹Infatti… peccato che io non riesca a tollerare la sofferenza delle persone››

‹‹Ma è un contro senso!›› le fece notare lui, disorientato dall’assurda piega che stava prendendo la situazione. Seriamente erano passati dal “Oh mio Dio, Mr. Mercer, vi prego, non spaventate quei poveri gattini” al “Il racconto del vostro linciaggio mi sembra interessante, che ne dite di discuterne davanti ad una bella tazza di tè?”?
‹‹In realtà no: sto semplicemente dicendo che da un punto di vista idealistico mi piacerebbe sapere cosa si prova a compiere delle certe azioni, ma nella pratica so che sarebbe sbagliato sotto ogni punto di vista e completamente contrario alla morale. Per di più ho scoperto di non riuscire a sopportare la sofferenza degli altri… E ANCHE LA MIA, LA MIA SOPRATTUTTO!›› l’urlo finale era dovuto al fatto che il suo interlocutore, udendo la seconda parte del discorso, aveva pensato che colpirla in quel momento sarebbe stato molto divertente. Ma perché si divertiva a rigirare sempre le sue parole come voleva?
Ad ogni modo, ora che aveva “vuotato il sacco”, non le restava che attendere il verdetto del suo ascoltatore. Si augurava fortemente che non fosse troppo severo nei suoi confronti… del resto, essere redarguita da un pericoloso assassino su un argomento del genere significava che non aveva speranze.
‹‹Quindi nella mera ipotesi che io decida, per un qualche motivo, di raccontarti per filo e per segno i particolari di una vecchia missione, tu mi ascolteresti senza giudicare?›› perché questa volta sembrava così serio?
‹‹Certo, ci mancherebbe. Chi sono io per giudicare. Anche se, ovviamente, rimarrebbe sottointeso il fatto che certi tipi di azione siano assolutamente contrari alla mia morale›› la decisione della ragazza di rispondere in maniera sincera fu, probabilmente, la più indicata in quel momento, dato che anche l’uomo pareva indeciso sul se esternare a sua volta alcuni pensieri, oppure lasciar cadere l’argomento. Non era che… ‹‹Pensavo che voi e Lord Beckett parlaste di tutto››

‹‹Tra di noi non ci sono segreti: io ripongo una totale fiducia nei suoi confronti e lui fa lo stesso nei miei riguardi›› affermò lui, senza la minima esitazione. L’ammirazione che provava per il suo superiore era decisamente evidente. La loro era una relazione strana, ma in un certo senso Mary sentiva di invidiare un po’ questo loro rapporto. Si lamentava spesso di quanto fosse triste il fatto che lei non avrebbe avuto la minima esitazione a gettarsi nel fuoco per qualunque dei suoi amici, mentre nessuno avrebbe fatto lo stesso per lei. Ma la verità era che nemmeno lei era stata sincera e si era fidata di loro fino in fondo o, in caso contrario, gli avrebbe già rivelato la sua vera identità, senza paura che questi si fingessero suoi amici solo in vista del suo status sociale. Se avesse avuto la possibilità di rincontrare le sue amiche, avrebbe “calato la maschera”, era una promessa.
‹‹Ma temete che provi ribrezzo qualora aggiungiate più particolari del necessario›› completò lei per lui, curandosi di utilizzare lo stesso termine utilizzato dall’uomo in precedenza, in modo da creare almeno una parvenza di empatia.
‹‹Non disturberei mai Lord Beckett con tali stupidaggini. E’ già abbastanza impegnato con i suoi ambiziosi progetti per curarsi di tali dettagli›› l’uomo tentava di apparire indifferente, ma orami il fatto che stesse fingendo era chiaro ad entrambi.
‹‹E non volete appesantire la sua già gravosa coscienza, dato che lui è pur sempre un uomo di cultura e non…›› intuì Maria Vittoria.
‹‹un assassino›› completarono insieme.

‹‹Ma bene: ora mi faccio anche analizzare da una mocciosa. Come sono caduto in basso›› commentò lui, sarcastico, ma Mary non pareva avere nessuna intenzione di lasciar perdere. Non la prima volta in cui aveva la possibilità di instaurare una discussione seria con lui e diminuire le reciproche incomprensioni.
‹‹Qui nessuno analizza nessuno. Si parla e basta›› affermò lei, seria ‹‹E comunque sono abbastanza certa che un antichista appassionato come lui si faccia molti meno problemi al riguardo di quello che pesiate voi››
‹‹Dubito che i suoi manoscritti possano contenere qualcosa di anche solo vagamente paragonabile a ciò a cui assisto in una sola delle mie missioni›› le fece notare lui, scettico.
‹‹Non sottovalutate il gusto per l’orrido e i particolari osceni2 delle opere classiche… potrebbero rovinarvi l’infanzia›› nel pronunciare l’ultima parte di frase assunse l’espressione e il tono di voce di chi aveva visto cose che ai mortali non dovrebbe essere permesso di conoscere.
‹‹Ne dubito fortemente, Miss…›› iniziò a dire lui, per poi interrompersi bruscamente dopo aver letto appena due righe di un carme di Catullo tradotto in Inglese che Mary aveva appena cercato su Internet.
‹‹Se siete rimasto scioccato da questo, vi sconsiglio caldamente di leggere Lucio e l’asino di Pseudo-Luciano e il Satyricon di Petronio… tra zoofilia, pedofilia, violenze di ogni tipo e su ogni genere di essere respirante, orge, atti osceni in luogo pubblico e chi più ne ha più ne metta, sono seriamente in grado di rovinare l’infanzia di chiunque›› continuò lei, con l’aria di chi la sapeva lunga.
‹‹Lord Beckett si lamenta spesso del fatto che i copisti medievali non abbiano voluto continuare a ricopiare i manoscritti pagani, ma ora inizio ad intuirne il motivo… Sto iniziando a rivalutare i cristiani bigotti›› il tono completamente serio dell’uomo costrinse Mary a fare sforzi da ernia per evitare di scoppiare a ridere. Non poteva permettersi di rovinare il momento.

‹‹Oh, ma tu guarda: si è fatto tardi! E casa dista quasi quattro ore di macchina da qui…›› si rese, finalmente, conto lei, dopo aver dato un’occhiata veloce all’orario sul telefonino. Perché non si decideva ad indossare un orologio come tutte le persone normali? L’incontro con Orione doveva essersi prolungato ben più del previsto e la sua crisi di panico non aveva fatto altro che ritardare ulteriormente la loro partenza.
‹‹Te ne sei accorta ora?›› borbottò lui che, per quanto abile ad adattarsi perfino nelle condizioni più avverse, non aveva ancora imparato a rimanere per più di tre ore senza mangiare. Notando l’ennesima espressione imbarazzata della stordita con cui aveva a che fare, si decise a proporre, sospirando: ‹‹Per stanotte ci conviene fermarci qui. Se ti lasciassi guidare a quest’ora, molto probabilmente finiresti fuori strada›› Ma quanta fiducia nelle sue capacità tutta in una volta!
‹‹Niente da fare›› si oppose immediatamente lei ‹‹Vi avevo detto che saremmo tornati a casa non appena terminato l’incarico ed è esattamente quello che faremo›› Se c’era una cosa che Maria Vittoria odiava era infrangere le promesse. Pur sforzandosi non riusciva proprio a comprendere la gente che giurava di fare o non fare una determinata cosa, ma poi veniva meno ai patti. Ma che promettevano a fare, se tanto già avevano intenzione di non rispettare gli accordi? E, oltretutto, era consapevole dello sforzo che l’uomo aveva compiuto per accompagnarla in quello strano viaggio. Per quanto Mr. Mercer dissimulasse la cosa, era evidente la sua avversione per questo mondo ignoto così simile, eppure così diverso dal suo. Un mondo in cui la forza bruta non poteva risolvere tutti i suoi problemi e, al contrario, incrementava la possibilità di passare dei guai con le forze dell’ordine.
‹‹E chi mi assicura che da qui alle quattro del mattino non ti venga un colpo di sonno e ti sfugga di mano il volante?›› domandò lui, sempre più scettico.
‹‹Avrò bisogno del vostro aiuto, ovviamente›› annunciò lei, mentre apriva la portiera e prendeva posto sul sedile del guidatore.
‹‹Nel caso in cui te ne sia dimenticata, io non posso guidare›› quel “non posso” era l’ennesimo riflesso dell’orgoglio maschile che, anche in questo caso, pur di non dire “non sono capace di” avrebbe trovato qualunque scusa possibile (e impossibile).

‹‹Non vi sto chiedendo di sostituirmi alla guida›› “per carità” avrebbe volentieri aggiunto ‹‹Ma, se mi conoscete bene, sapete che l’unico strumento per impedirmi di prendere sonno sono gli aneddoti… e visto che voi, casualmente, stasera mi sembrate in mood ho-voglia-di-raccontare-la-storia-della-mia-vita-e-tu-ascolterai-ogni-singolo-dettaglio-senza-fiatare, ho pensato che potremmo coniugare le due cose, che ve ne pare?››
‹‹E cosa ti dà l’impressione che mi piaccia raccontare le atrocità che ho commesso come se fossero delle storielle della buona notte, di grazia?›› l’espressione cupa e il tono astioso con cui pronunciò quella frase, le fece intuire che, forse, l’aveva mal giudicato.
‹‹Beh, quando Lord Beckett… e la mia stessa madre (la cosa non le andava ancora giù) vi hanno ordinato di usare la forza con me, non mi sembravate così scontento…›› gli fece notare lei, seppur timorosa di una sua possibile reazione violenta.
L’uomo, stranamente, non parve aversene a male e, anzi, le rispose quasi ridacchiando: ‹‹Ma tu sei un caso speciale. Fra di noi c’è un certo feeling: l’ho capito la prima volta che… come si dice qui da voi?››
‹‹Che mi avete vista?›› completò lei, seppur ancora non riuscisse a capire dove volesse andare a parare.
‹‹Dalle mie parti si dice più che ti ho pestata, ma immagino che il senso sia all’incirca lo stesso››

‹‹Rassicurante›› commentò lei, con voce completamente apatica. Ormai era avvezza al suo modo di fare e non si spaventava nemmeno più (a volte).
‹‹Come stavo dicendo, tra di noi si è instaurato un legame simile a quello che si crea tra…››
‹‹Coinquilini? Zio e nipote?›› tentò lei, prima che l’uomo dicesse cose che era certa di non voler sentire in una radura isolata nel bel mezzo di un bosco che non conosceva e nel cuore della notte, per giunta.
‹‹Uhm, no, direi più un qualcosa del tipo carceriere e vittima prediletta›› ecco, appunto.
‹‹Mooolto rassicurante›› disse lei, questa volta con voce ben più accorata.
Mr. Mercer, tuttavia, parve ignorare completamente i segnali che la ragazza gli stava inviando con gli occhi, perché continuò il suo discorso, come se niente fosse: ‹‹Non è una cosa che si prova con tutte (le vittime). E’… come spiegare? Un sentimento di profonda affezione, che tal volta sfocia nella gelosia e desiderio di possesso…››
‹‹Tipo quando vi siete infuriato perché pensavate che preferissi essere picchiata da Marco-sensei?››
‹‹Io non sono affatto geloso di quel mezzo uomo che si diverte a fare lo sbruffone con chi è più debole di lui!›› negò subito lui. Ianiro, mai sentito il detto “Excusatio non petita accusatio manifesta”? Il fuoco vivo che bruciava nei suoi occhi era la prova evidente di quanto, in realtà, non fosse ancora riuscito ad accettare che il classico “italiano medio” potesse competere con lui nel combattimento corpo a corpo. E pensare che Maria Vittoria aveva perso quasi tre ore per spiegargli che nella sua epoca lo studio e la pratica delle arti marziali si erano diffuse in quasi tutto il mondo e che era normale che un esperto potesse avere una chance contro di lui (che, con tutta la stima del mondo, si era pur sempre addestrato nel Settecento, quando le tecniche combattive lasciavano abbastanza a desiderare). Mary, provando pena per il suo sconvolgimento emotivo (e incapacità di accettazione della dura realtà), aveva persino provato a convincerlo ad iscriversi anche lui ad un corso avanzato di autodifesa. Non l’avesse mai fatto: questo a momenti la mandava all’altro mondo solo per dimostrare la sua superiorità nei confronti del neonominato rivale. Quando mai Marco-sensei gli aveva dato una spinta quella sera!
‹‹Senti chi parla…›› mormorò lei, orami abituata al suo modo di fare e pensare poco obiettivo e democratico. Perché lui non si divertiva a fare lo stesso con lei, le cameriere, i bambini, i vecchietti un po’ “suonati”… No, no.

‹‹Hai forse detto qualcosa?›› percependo la (poco) velata minaccia nella voce, decise di utilizzare il suo asso nella manica: ‹‹Ho detto ora si mangia. Vi ho messo la cena nella borsa-frigo rossa e bianca che trovate sul sedile di destra, ma visto l’orario, capirò se non vi sentite di mang…›› Mary non fece nemmeno in tempo a finire la frase che lui aveva già aperto il borsone, contemplandone il contenuto con la stessa intensità con cui Cutler Beckett ammirava i manoscritti antichi appena trovati.
Approfittando dei pochi attimi di tranquillità, Maria Vittoria si decise a riportare il discorso sul piano della serietà: ‹‹Volete forse farmi credere che non vi piace provocare dolore alle altre persone?››
‹‹Non fraintendere›› borbottò lui, tra un boccone e l’altro ‹‹Se incutere timore nelle persone non mi piacesse, non farei questo lavoro›› Chiarì, quasi temesse di perdere la sua aura inquietante. ‹‹Ma non mi paragonare a quello squilibrato che abbiamo appena incontrato. Solo un pazzo potrebbe trarre piacere dal seviziare in tale modo una persona››
‹‹Quindi, vediamo se ho capito bene: non avete nessun problema a spaventare e uccidere, mentre per quanto riguarda la tortura siete della scuola poca ma buona. E non vi piace infierire sulle vostre vittime›› ricapitolò lei, seppur poco convinta.
Come se le avesse letto nel pensiero, le domandò: ‹‹Non sei convinta?›› più che una domanda era una constatazione.
Mary, in tutta risposta, si limitò a guardarlo attraverso lo specchietto retrovisore ed a sollevare entrambe le sopracciglia, come per dire: “Ma davvero?”, al che lui si sentì in dovere di specificare: ‹‹E’ per i primi giorni a Port Royal, vero?››

‹‹Un mese è un po’ pochino per dimenticare un’esperienza del genere, non trovate?›› fece lei, ironica, per poi prendere coraggio e centrare il punto della discussione: ‹‹E non mi venite a dire che tutto ciò che avete fatto era strettamente necessario e attenente agli ordini, perché non credo che Lord Beckett vi abbia chiesto di trascinarmi per i capelli per tutti i corridoi e pestarmi a sangue ancora prima di aver raggiunto la cella degli interrogatori. Davanti a tre bambini terrorizzati, per giunta›› parlò tutto d’un fiato, tanto che alla fine le venne pure il fiatone.
Mr. Mercer, ascoltò lo sfogo senza minimamente scomporsi e, solo poi ricominciò a parlare: ‹‹Ti senti meglio?››
‹‹Molto, grazie›› annunciò lei, non dando alcun segno di essersi accorta della nota di ironia malamente celata nella voce dell’uomo ‹‹Non avete idea di da quanto tempo desiderassi dirlo… Mi sento molto più leggera!››
‹‹Sono felice per te… anzi, non me ne può fregar di meno. Pensa a concentrarti su quello che stai facendo, piuttosto: stai per tirare sotto una comitiva di suore›› le fece notare lui. Non che la cosa gli avrebbe impedito di dormire di notte, figuriamoci. Il suo timore era che, conoscendo la mocciosa in questione, non se lo sarebbe mai perdonato e, al fine di fare penitenza ed espiare le sue colpe era capacissima di costringerlo a seguirla in un lungo ed interminabile pellegrinaggio in tutte le mete storiche del cristianesimo. Come avrebbe fatto a cucinare in quelle condizioni, se aveva addirittura problemi ad accendere un fuoco? (Cioè, questa è la cosa che ti preoccupa di più? Nd: Mary. Ovviamente. E ora ho voglia di torta alle mele: muoviti a prepararmene una. Nd: Mercer. Ma non hai ancora finito di mangiare! E poi come faccio a cucinarti una torta in macchina? Nd: Mary. Questa è la conferma dei miei dubbi. Nd: Mr. Mercer)
‹‹Uhssignur!›› esclamò lei, in preda al panico. Per non si sa quale miracolo, riuscì ad evitarle, ma in compenso centrò in pieno un pino, sull’altro lato della strada. Ma perché tutte a lei? Suore: dovevano essere suore vestite di nero. Non poteva mica incontrare delle suore vestite di bianco, grigio o celeste, no! Figuriamoci se poteva avere un minimo di fortuna. E tra parentesi, se sai di essere anziana, ergo non hai più i riflessi di una volta, vestita di nero, di notte, in una via senza nemmeno un lampione, ad un orario infame… Perché cavolo cammini in mezzo alla strada? Va bene confidare nella protezione del loro amatissimo sposo, ma da lì a tentare il suicidio ne passa di acqua sotto i ponti.
*****
Anno 2019, 01 febbraio, h 04,30
Genova, Italy (casa di Mary)
 

‹‹E’ stato un miracolo!››
‹‹Affatto››
‹‹Sì, invece!››
‹‹Mocciosa! Quante volte ti devo ripetere che i miracoli non esistono?››
‹‹E secondo voi è un caso se l’auto è magicamente ripartita dopo la preghiera delle suore alla madonna di Lourdes?››
‹‹Magicamente? Ma se hai smanettato sul motore per quasi un’ora!››
‹‹E io vi sembro in grado di riparare un’auto o portare a compimento una qualsiasi altra attività utile senza fare pasticci?››
‹‹No››
‹‹E allora converrete con me che non può che trattarsi di un intervento divi…›› la ragazza si interruppe bruscamente, quasi avesse avvertito il gelo (metafisicamente parlando) che proveniva dall’interno della casa.

Il suo accompagnatore, tuttavia, non parve avvertire lo stesso turbamento, poiché aprì incautamente la porta d’ingresso. Entrò nell’edificio a passo sicuro, trascinandosi dietro una sempre più recalcitrante Maria Vittoria, che doveva aver iniziato ad intuire che qualcosa non andava. Sarà stato il senso di colpa per non avvertito i Settecenteschi della “gita” imprevista, sarà stata l’auto di pattuglia parcheggiata poco distante dalla sua abitazione (e in quella irta stradina non c’erano molte abitazioni), sarà stata la bandiera della Compagnia delle Indie Orientali che sventolava dal suo balcone… Hey, ma dov’era finito il suo tricolore? Chi aveva osato occultare la bandiera doveva pagare con il sangue il prezzo del suo tradimen… Ma avevano lasciato lo striscione con la sigla S.P.Q.R? Allora, non dovevano essere dei teppisti pericolosi: li aveva evidentemente giudicati male.
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di un libro che veniva chiuso con un rumore secco, seguito dallo stridere di alcune sedie e da mormorii concitati. I due non ebbero nemmeno il tempo di connettere quei due neuroni che si ritrovavano in testa, che si ritrovarono faccia a faccia con la fonte di tale scombussolamento.
‹‹Bentornati. Vi stavamo aspettando›› seduto a capotavola (Ma se il tavolo è tondo? Nd: Mercer. E io come la descrivo la sua posizione ai nostri lettori? Già sono due povere anime pie: evitiamo di far scappare anche loro. Nd: me), Cutler Beckett in persona, che li scrutava con la stessa ed identica espressione di un genitore che ha atteso per tutta la notte il rientro dei figli adolescenti che sono andati di nascosto in discoteca. Gli occhi gonfi e arrossati, il volto solcato da profonde occhiaie (Io ho sempre le occhiaie. Nd: Cutler), i corti capelli castani arruffati (Ma come fai a dirlo se sopra ho la parrucca? Nd: Cutler. Dopo più di 36 ore con un parrucchino, anche Donald Trump avrebbe i capelli veri disastrati. Nd: Mary). Aveva tutta l’aria di uno che li aveva aspettati alzato tutta la notte.

E gli altri presenti non parevano aver trascorso una notte migliore: alla sua destra Gillette era praticamente accasciato contro la spalla di Theodore. Quest’ultimo, pur faticando anch’egli a mantenere gli occhi aperti, tentava ancora di darsi un certo ritegno (sebbene i suoi gomiti stessero pian piano scivolando in avanti sul tavolo). Alla sua sinistra, tre ufficiali di marina che Maria Vittoria aveva visto solo in un paio di occasioni e di sfuggita (per intenderci, il trio che aveva messo a soqquadro l’ufficio di Beckett per la frenesia di recargli la notizia della fuga di Miss Swann e delle tre millennials). Questi, invece, erano visibilmente stati costretti ad attendere a questo obbligo e continuavano a sbuffare e parlottare tra loro, come se non avessero nemmeno notato il loro arrivo.
“Ecco spiegata la presenza della bandiera della Compagnia delle Indie Orientali” collegò, infine, Mary. Del resto poteva anche aspettarselo: qual era l’inglese che avrebbe mai anche solo pensato di affiancare una bandiera gigantesca ad una miniatura della bandiera inglese3? Cutler Beckett, e chi sennò? Il primo inglese cosmopolita della storia…
Nella penombra riusciva ad intravedere anche alte figure, ma, onestamente, né lei né il compare avevano nessuna intenzione di rimanere abbastanza a lungo da scoprirlo. E anche qualora fossero proprio stati colti da un desiderio infrenabile di placare la propria curiosità, il tono di voce di Beckett l’avrebbe stroncato sul nascere.

I due arretrarono lentamente verso la porta, quasi temessero che il Lord avrebbe potuto balzare al di là del tavolo come una belva feroce e dilaniare le loro carni. Nel farlo, tuttavia, Mary rovesciò un paio di secchi (Ma le giubbe rosse avevano sfruttato l’attesa per fare le pulizie, per caso? Nd: Mary) e urtò la schiena contro qualcosa di viscido che, già sapeva, avrebbe irrimediabilmente compromesso la sua già “instabile” situazione-chioma. Scocciata, fece per scollarsi dalla superficie collosa, quando si sentì afferrare per il polso destro e tirare velocemente in quella direzione. Come avrebbe capito non appena i suoi due neuroni fossero stati in grado di connettersi, se Mr. Mercer non avesse avuto dei riflessi così pronti, Davy Jones le avrebbe staccato la testa dal collo con un rapido movimento della sua spada (arrugginita, pure).
‹‹Chi accidenti ha avuto l’idea di trasportare questo maschilista, misogino, psicopatico in casa mia?›› questa fu la prima cosa che la sveglia ragazza riuscì a dire (dopo essersi prudentemente allontanata dal raggio d’azione dell’uomo-calamaro, ovviamente. A quanto pare poteva muoversi solo saltando nei secchi di acqua salata che gli uomini di Beckett avevano posizionato nella stanza, probabilmente dopo avergli creato una “stradina” che conducesse dalla spiaggia di Port Royal fino alla ex camera da letto del Governatore Swann).
‹‹Io›› biasciò la figura sdraiata sul divanetto del soggiorno, che si rivelò essere Lucia. Sotto di lei, Mr. Davis, Norrington e Francesca, che le reggeva la testa sul grembo. Fissava Mary come se volesse darle fuoco, ma l’espressione sollevata che le era sfuggita quando l’aveva vista entrare dalla porta sana e salva, mostrava quanto, in realtà, si fosse preoccupata. I due impavidi giovani, al contrario, non mostravano alcuna emozione. Atteggiamento dovuto al fatto che, per un Settecentesco4, l’idea di essere così indecentemente vicini a due giovani e belle fanciulle non poteva che paralizzare completamente il gentiluomo che era in lui.
In tutta onestà, una tale manifestazione di pudore Mary se la sarebbe aspettata da Theodore o James, ma mai da uno come Mr. Davis che passava le sue giornate a fare “cat calling” non appena vedeva passare un esemplare del gentil sesso (che non fosse Maria Vittoria: a tutto c’era un limite). Decisamente una bella sorpresa, che avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio nei giorni successivi.

‹‹Lu, stai bene!›› esclamò Mary, saltellando in stile Cappuccetto-rosso verso l’amica che da quasi due settimane aveva dato per dispersa nel Mare dei Caraibi, in compagnia di una ciurma di dannati. L’unica magra consolazione era averla saputa in compagnia di James Norrington, che, subito dopo essere stato promosso ad “Ammiraglio” (per aver, seppur non intenzionalmente, bistrattato Mary, com’era ormai diventato uso), era stato esiliato sull’Olandese Volante con la scusa che Davy Jones doveva essere controllato da un uomo di fiducia e che fosse già a conoscenza della questione “cuore” (ma in realtà perché, subito dopo la sua promozione, Lucia e Francesca si erano lasciate scappare che il caro ex-commodoro era diventato il sogno erotico di Marta. Fanciulla che, sempre casualmente, era diventata l’amore platonico di Lord Beckett).
Maria Vittoria non fece, però in tempo a a sincerarsi delle condizioni dell’amica, perché fu bloccata da altri due figuri fin troppo conosciuti. E sì, stiamo parlando proprio di loro: i mitici ed inseparabili agenti dai cognomi più stereotipati nella raffigurazione dell’italiano all’estero. Bianchi, in particolare, si era appostato di fronte alla finestra e da quasi cinque minuti fingeva di sbirciare attraverso la tendina, quasi volesse creare l’atmosfera tipica dei film polizieschi. Ecco spiegata la causa della penombra nella stanza. E poi, come se non fossero già stati l’incarnazione dello stereotipo fatto a persona, insomma. Rossi, dal canto suo, aveva colto l’occasione per puntare una torcia contro Maria Vittoria, facendola bloccare sul posto.
‹‹Confessa›› la incalzò subito lui, prima che potesse riprendersi dalla sorpresa.
‹‹E’ davvero convinto che una torcia sia sufficiente perché un criminale confessi tutti i suoi crimini?›› gli fece notare Francesca, scettica. Le avevano riferito che i due agenti in questione fossero altamente incompetenti, ma non sospettava fino a quel punto.
‹‹Nemmeno Mary sarebbe così sprovveduta da arrendersi per così poco›› l’appoggiò Lucia che condivideva la stessa perplessità nei confronti dei metodi poco convenzionali dei due. Non fece, però, in tempo ad aggiungere altro che fu costretta ad assistere, suo mal grado, ad una scena pietosa in cui Maria Vittoria iniziava a sudare freddo ed a confessare ciò che (a suo avviso) era stata una colpa imperdonabile (addormentarsi alle tre di notte a metà rosario; non aver salutato la vicina di casa perché, imbambolita come suo solito, non l’aveva vista; aver bruciato un pancake).
‹‹Non voglio crederci…›› mormorò Francesca, a dir poco sconvolta, mentre Lucia si limitava, dignitosamente, a scuotere leggermente il capo. Era decisamente una causa persa.
‹‹Non era questo che volevo sapere›› Rossi interruppe bruscamente il suo flusso di coscienza.

Come ripresasi da un attimo di trance, la ragazza domandò, incerta: ‹‹Che cosa, allora?››, per poi aggiungere: ‹‹In effetti, è da un po’ che mi stavo domandando il motivo della vostra visita›› Del resto, per una volta era abbastanza certa di non aver fatto nulla che potesse attirare l’attenzione delle forze dell’ordine.
‹‹Ci è stata fatta una segnalazione. Lei e il suo… coinquilino? Che cosa stavate facendo il 19 gennaio intorno alle due del mattino?›› domandò Rossi, mentre da una tasca interna alla giacca estraeva dei documenti che non promettevano nulla di buono.
‹‹Ma l’avete vista bene in faccia?›› scattò Francesca, a dir poco scioccata all’idea che qualcuno potesse sospettare davvero la sua amica di un qualsiasi crimine ‹‹Vi sembra forse in grado di commettere un reato che vada oltre il rubare una caramella ad un bambino?››
‹‹Ma se non va neanche in discoteca… La cosa più trasgressiva che poteva fare a quell’ora era fare after per studia…›› tentò di appoggiarla Lucia, ma fu repentinamente interrotta dalla chiamata in causa: ‹‹Stavamo facendo la spesa›› Lo affermò con la stessa disinvoltura di un’ancella babilonese che coglie un fiore dai giardini pensili.
‹‹Alle due di notte?›› le fece notare il poliziotto, udendo quella che gli pareva la scusa più patetica mai udita in tutta la sua carriera (poi un giorno, nell’aprile 2020 avrebbe arrestato un Milanese che, per scusare la sua infrazione del Lock Down, avrebbe sostenuto di essere venuto in provincia di Genova per comprare della focaccia).
‹‹Ma certo›› confermò lei, con la stessa ingenuità e disinvoltura con cui Agrippina sfuggiva ai tentativi di omicidio del figlioletto Nerone. Cosa che fece cadere le braccia a tutti i presenti, ad eccezione di Mercer, che si limitò a dire: ‹‹Posso confermare››
Nell’udire le parole dell’uomo, i Settecenteschi iniziarono a sospettare che vi fosse un fondo di verità. Del resto, Mr. Mercer era conosciuto per l’immensa serietà: non avrebbe mai appoggiato una truffa a danno delle forze dell’ordine (seppur non si trattasse di quelle della sua epoca). E tali sospetti furono definitivamente confermati dalle successive parole della ragazza: ‹‹Se non mi credete, vi posso mostrare lo scontrino: per fortuna conservo tutte le fatture in una cartelletta. Mi piace tenere i documenti in ordine, nel caso in cui i miei genitori vogliano dei chiarimenti sulle spese che affronto durante la loro assenza››

I due agenti si presero un paio di minuti per analizzare la carta e confrontarsi, dopo di che Rossi prese nuovamente la parola: ‹‹E per quale motivo avete sentito l’urgenza di fare la spesa a quell’ora, se non sono indiscreto?››
‹‹Comprendo perfettamente il vostro scetticismo: io stessa, quando Mr. Mercer mi ha gentilmente domandato di uscire ad un orario del genere, ho pensato che volesse scherzare›› concordò lei, mentre lanciava un’occhiataccia al compagno di (dis)avventure, in modo da apparire più convincente.
Il chiamato in causa, sempre stando al gioco, si limitò a dire: ‹‹Volevo la torta di mele›› Lo disse con una tale fermezza di spirito e naturalezza che, per un attimo, i presenti si ritrovarono a pensare: “Beh, se voleva la torta di mele…”. Impiegarono quasi dieci minuti per rendersi conto di come, in realtà, tale spiegazione non fosse per niente esaustiva.
La freddezza di Mr. Mercer, tuttavia, non impedì all’agente Bianchi di commentare: ‹‹Mhh, qui c’è scritto che questo scontrino è stato battuto alle 02,19 e se la memoria non mi inganna, questo supermercato si trova a meno di venti minuti dal luogo in cui, alle 02,53, abbiamo ritrovato degli uomini stesi a terra in una pozza di sangue in un vicolo laterale››
‹‹Che inaspettata coincidenza, non è vero Ianiro?›› disse Mary con gli stessi nervi saldi di un Vichingo, in procinto di attaccare gli Angli. Da quando in qua riusciva a mentire così spudoratamente? La convivenza con Mr. Mercer stava indubbiamente dando i suoi frutti.
‹‹Una coincidenza davvero, mia piccola bloody Mary›› a quanto pare l’uomo trovava molto divertente darle il nome di uno spettro assassino del folklore britannico, ogni qual volta lei utilizzava quell’orrenda italianizzazione del suo nome.

‹‹Sette uomini con un’età compresa tra i 28 e i 47 anni? Vestiti di nero, con un ghepardo cucito dietro la giacca. Non vi dicono niente?›› proseguì ancora Bianchi.
“E chi ha fatto caso a come erano vestiti? Non sono mica Francesca!” avrebbe voluto ribattere Mary, ma aveva come la vaga impressione che fosse meglio lasciar parlare Mr. Mercer, il quale, in effetti, non esitò a dire: ‹‹Assolutamente niente››
Maria Vittoria stava per aggiungere: “E non avete prove per dimostrare il contrario”, quando da dietro la porta della cucina fece la sua comparsa la prova, con tanto di testimone oculare. ‹‹Questa è tua: grazie per l’altra sera… Non so che cos’avrei fatto se non fossi intervenuta›› a parlare, Emanuela, la “foresta” (così i liguri indicano i non autoctoni) che aveva aiutato a sfuggire ai sette individui sospetti la notte del 19 gennaio. Quando le aveva prestato la giacca, non aveva idea che gli agenti che l’avrebbero soccorsa sarebbero risaliti a lei con così tanta facilità.
‹‹M-ma come?›› balbettò lei, ancora mezza scioccata dalla surreale piega che stava prendendo la situazione. Quando la ragazza le porse la giacca, Mary la ricevette con la stessa iniziativa di un automa e riuscì a malapena ad articolare un “g-grazie”.
‹‹Come siamo risaliti a te?›› completò Bianchi ‹‹A parte il fatto che la giacca era sicuramente piena delle tue impronte digitali e, come ben sai, quando hai ritirato la nuova carta d’identità elettronica, il comune ha richiesto di rilevare la tua impronta. Ma non abbiamo nemmeno dovuto perdere tempo per analizzare l’indumento, dato che la chiamata anonima che abbiamo ricevuto quella sera proveniva proprio dal tuo cellulare››
‹‹Oh, mannaggia… dovevo immaginarlo›› sospirò lei, arrabbiata con sé stessa per la poca circospezione con cui aveva agito quella sera. Come se non si sentisse già abbastanza in colpa all’idea di aver coinvolto anche Mr. Mercer in quella brutta storia, solo per il suo ennesimo colpo di testa.

‹‹La signorina qui presente ha, poi, testimoniato di essere stata soccorsa da una giovane donna con dei capelli assurdi, un grembiule a fiori e due hem… avete capito, no?›› domandò, mentre cercava di mimare due enormi “protuberanze” nella zona petto.
A quel punto la componente maschile presente in sala si divise in due gruppi. Il primo (che chiameremo “gruppo-pudici”), capeggiato da Groves, si distinse per discrezione, pudicizia e comportamento impeccabile. Il secondo (che nomineremo, invece, “team-mancanti di tatto”), che ovviamente faceva capo a Mr. Davis, iniziò a ridacchiare sguaiatamente e a guardare nella sua direzione con così tanta insistenza da costringerla a nascondersi dietro Mr. Mercer. E potete immaginare l’immensa gioia e lo spirito caritatevole dell’uomo, all’idea di essere stato sfruttato per l’ennesima volta come paravento. Come se lui, invece, amasse essere al centro dell’attenzione!
Fortunatamente, a toglierla dall’imbarazzo, ci pensò il collega del pessimo mimo: ‹‹Quello che il mio collega intendeva dire è che non abbiamo impiegato molto a fare due più due. Abbiamo atteso i risultati delle analisi, del tracciato telefonico e delle carte burocratiche e poi siamo venuti qui per porvi qualche domanda di rito. Sì, avete capito bene: solo di rito. Per vostra fortuna la signorina Fumagalli ha testimoniato in vostro favore e, comunque, i suoi aggressori avevano una fedina penale talmente lunga che se l’avessimo stampata avremmo dovuto disboscare la foresta amazzonica››
‹‹Ergo, da buoni Genovesi, avete preferito risparmiare sull’inchiostro e la carta›› concluse Mary, con tono lugubre. Ma perché i Liguri dovevano essere così taccagni anche nei confronti delle questioni di pubblica sicurezza? Senza contare che i soldi non sarebbero stati neppure i loro, dato che per quelle cose si utilizzavano i fondi pubblici.
‹‹Non so di cosa lei stia parlando›› fece lo gnorri, per poi proseguire: ‹‹Come dicevo, siamo venuti fin qui per incontrarvi, ma abbiamo trovato solo questi individui sospetti che parevano, tra l’altro, abbastanza turbati per la vostra improvvisa sparizione››

No, non ditemi che hanno scoperto…

‹‹Non è necessario che impallidisca (ulteriormente): per vostra fortuna se indagassimo sull’identità di questi strani personaggi ci ritroveremmo contro almeno tre diverse ambascerie. Un incidente diplomatico che il nostro paese, in questo momento, non si può assolutamente permettere…›› la rassicurò lui, seppur scocciato dal fatto che dovesse esserci sempre qualche problema burocratico ad intralciare il corretto funzionamento della giustizia.

Fiuuu!

‹‹Ed infatti non è per questo che siamo rimasti qui ad aspettarvi›› aggiunse Bianchi, che stava... sogghignando? Cosa avevano in mente quei due?
‹‹Ah no?›› domandò lei, innocentemente, mentre dentro di sé l’ansia la stava lentamente uccidendo.
‹‹Visto che i vostri amici non parevano avere una grande dimestichezza con il telefono›› e con questo lanciò un’occhiata significativa in direzione del Lord, il quale, non appena udita la parola maledetta, fu immediatamente scosso da una serie di brividi. Lo shock della “prima telefonata” doveva essere ancora ben impresso nella sua mente. ‹‹Ci abbiamo pensato noi a contattare i tuoi genitori…›› l’attimo di silenzio che seguì la rivelazione le fece temere il peggio. Era da quasi due mesi che non li vedeva, ufficialmente per questioni lavorative, e non osava nemmeno immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se fossero stati contattati dalla polizia e, tornando di fretta e furia, avessero trovato quella confusione in casa. Era ufficialmente una donna morta.
‹‹Ma non hanno risposto››

“E allora ditelo che lo fate apposta!”

‹‹Non essendo ancora trascorse nemmeno 24, per il momento, non potevamo nemmeno attivare le procedure di ricerca in caso di sequestro di persona. E, del resto, in casa non vi era alcun segno di infrazione e, per di più, la mattina presto la tua vicina vi aveva visti uscire in auto››
‹‹A quel punto, la nostra presenza non era più richiesta e non restava che lasciarvi un biglietto con la richiesta di recarvi in questura non appena foste tornati, ma…››
Ma? Oddio, e adesso cos’è successo? Mi sento morire: perché deve sempre fare queste pause strazianti?
‹‹Alla signorina Fumagalli è venuta l’idea di cercarti su Instagram per vedere se avessi postato qualcosa che ci potesse far capire dove ti trovassi in quel momento. E a quel punto, perdere cinque minuti in più o in meno non faceva, poi, tutta questa differenza›› il sorrisetto divertito era la prova tangibile del fatto che non avessero curiosato sui social solo per umana preoccupazione o spirito del dovere. Lo sapeva che sotto sotto i presenti erano solo un branco di suocere curiose come delle scimmie.
‹‹Non abbiamo trovato il tuo profilo… Ti hanno mai detto che dovresti essere più social?›› proseguì Rossi, per poi assumere un tono decisamente più serio ‹‹In compenso abbiamo trovato…›› e daie altra pausa snervante. Ma volevano proprio ucciderla?

‹‹Un profilo fake gestito da tale Chrys_becchino04, che riportava alcuni post interessanti sul tuo conto… tanto per fare qualche esempio, minacce di morte, sondaggi su quale fosse la bara più adatta al tuo incarnato, directs in cui studiava piani per occultare il tuo cadavere insieme ai suoi seguaci, … Ma la cosa che ci ha lasciati più perplessi è il numero spropositato di followers che seguono la pagina›› non appena l’uomo ebbe pronunciato quelle parole, Mary iniziò ad avvertire l’inquietante sensazione di essere osservata. Commise l’errore di voltarsi per capire di chi si trattasse e l’ansia crebbe a dismisura. Perché aveva come il vago sospetto che Mr. Mercer avesse intenzione di aumentare i suoi simpatizzanti, creando una pagina del tipo: “in quanti modi posso pestare Maria Vittoria?”?
Contro ogni aspettativa, questa volta la ragazza non parve particolarmente preoccupata dalla rivelazione. Si limitò a commentare, in maniera pacata: ‹‹In effetti, ultimamente mi sembrava un po’ troppo tranquilla››
‹‹Vuoi dire che sai chi è?›› volle indagare, subito, Francesca. L’idea che la sua amica fosse vittima di cyber bullismo da parte di una psicopatica amante dell’occulto non l’aggradava per niente.
‹‹Difficilmente mi dimentico di chi prova a seppellirmi›› e dicendo ciò, rivolse uno sguardo in direzione del caro Ianiro, che pareva dire: “Sarai sempre nel mio cuore”. L’uomo, in risposta, levò gli occhi al cielo, quasi a volere dire: “Non desideravo altro!”.
Nessun altro parve accorgersi del reciproco scambio di sguardi, ma tutti si focalizzarono sull’estrema serietà con cui aveva pronunciato la frase. A dire il vero, l’unico scopo della fanciulla era stato quello di accrescere il pathos, ma i presenti non erano parsi cogliere l’ironia celata tra quelle parole. Resasi conto di aver, forse, leggermente esagerato, si affrettò a specificare: ‹‹Ma non ci è mica riuscita, eh!››
‹‹E questo dovrebbe rassicurarci?!›› esclamarono Fra, Lucia ed Emanuela, a metà tra lo shock e l’esasperazione.
‹‹Massì, era solo una bambina all’epoca! E’ sempre stata un po’ gelosa del fatto che trascorressi molto tempo con suo zio ed ha ed ha pensato che organizzarmi un bel funerale fosse il modo migliore per attirare la sua attenzione››

‹‹Ribadisco: e questo dovrebbe rassicurarci?!›› dire che Lucia era allucinata era un eufemismo.
‹‹Posso immaginare la reazione del poveretto…›› commentò, invece, Mr. Davis, appena ripresosi dallo stato catatonico in cui lui e il vicino erano piombati per colpa di Lucia. Inutile dire che la risposta di Mary, per poco, non ce lo fece ripiombare: ‹‹Già: dovevate vedere la sua faccia hahaha Era semplicemente estasiato all’idea che, di tutti i suoi nipoti, solo la piccola peste avesse ereditato il suo estro creativo. Si è commosso, poverino!››
‹‹M-ma dico, ti sembra normale?›› squittì Emanuela, scioccata.
‹‹E tu cosa ridi, scimmione?›› sibilò, invece, Francesca, alla volta di Mr. Mercer ‹‹Ti rendi conto che si tratta di concorso in omicidio e occultamento di cadavere?!››
‹‹No, no, ragazzi, non avete capito hahaha›› Maria Vittoria, piegata letteralmente in due dalle risate, non riusciva a trovare le forze necessarie per spiegarsi.
‹‹Cosa ride, anche questa? Ma si può sapere che cos’hanno fatto questi due cretini?›› Francesca era, ormai fuori di sé: la preoccupazione per la sparizione dell’amica si era subito tramutata in rabbia. Rabbia che ora necessitava solo di essere sfogata sulla prima persona fruibile. Inutile dire chi facesse al caso suo… ‹‹Se scopro che mentre ero preoccupata siete spariti per incontrare degli spacciatori… E mi rivolgo soprattutto a te, Maria Vittoria Innocenti: questa è la volta buona che in una bara ci finisci davvero!››

‹‹Nel nuovo modello rosa polvere?›› domandò lei tra una risata e l’altra, anche se un osservatore attento avrebbe potuto cogliere una sottile nota di speranza.
‹‹TI HO GIA’ DETTO CHE IL ROSA NON RIENTRA NELLA TUA ARMOCROMIA!›› l’urlo di Van Gogh Francesca, contro ogni aspettativa, fu subito soppiantato da un tono decisamente più pacato (e oserei dire professionale), mentre le spiegava per l’ennesima volta quali colori e tonalità rientrassero nella palette di un “inverno bright”.
‹‹Quindi non posso indossare il karategi?›› finse di domandarsi lei, tra sé e sé. Quanto adorava fare impazzire la stilista che c’era in Fra.
‹‹Quando ho elencato i colori che ti valorizzano, ho detto bianco, per caso?››
‹‹No, non mi sembra…››
‹‹E ALLORA PERCHE’ C***O LO PRENDI ANCORA IN CONSIDERAZIONE?!!!››

La ramanzina sui colori proseguì per una buona mezz’ora. A onore del vero, i più galanti tra i presenti avevano anche tentato di convincere la fanciulla posseduta dallo spirito di Coco Chanel a risparmiare la poveretta, ma nemmeno Mr. Mercer in quel momento avrebbe potuto fare qualcosa per salvarla. Una volta che Francesca si era definitivamente calmata (e non perché avesse esaurito le sue puntualissime argomentazioni, ma perché la privazione di sonno le aveva prosciugato le energie), Maria Vittoria ebbe modo di spiegare, finalmente (ed una volta per tutte) la questione “becchino e nipote haker”. Una cosa, però, era certa: di tutti i segreti che custodiva con gelosia, quello della conoscenza del signor Giovanni era decisamente l’ultimo che si sarebbe aspettata avrebbe attirato la curiosità delle sue amiche, dei Settecenteschi e, perfino di due agenti di polizia. E dire che non aveva mai fatto segreto di avere un becchino di fiducia… Bah!
Il resto della mattinata era trascorso sfogliando la famigerata pagina di Chrysantemina (“il crisantemo è il fiore che più rispecchia il nostro lavoro e le speranze che nutriamo nelle generazioni future”, “Un giorno spero di poter passare la nostra azienda ad un nipote che porterà questo splendido nome!”… Ed era nata una bambina. Il resto della storia si racconta da sé) e ridendo/ commentando i video del finto funerale di Ianiro Mercenario. Ora, i nostri amati personaggi non conoscevano certo l’Italiano, ma la barriera linguistica non gli impedì di capire che qualcosa non suonava in quel nome. Inutile dire che, nonostante le minacce dell’uomo, nei giorni a seguire il fantasioso soprannome si diffuse tra le schiere della marina britannica. Dopo una settimana non un solo uomo a Port Royal non lo additava in quel modo quando camminava per strada.

Se Maria Vittoria non fu scorticata viva e poi data in pasto alla ciurma di Jones fu solo perché Mr. Mercer era ancora reduce da una brutta strigliata da parte del suo superiore. A quanto pare Lord Beckett non aveva particolarmente gradito il modo con cui aveva trattato la fanciulla durante la loro “allegra scampagnata”. Aveva dovuto guardare per tre volte il pezzo di video in cui il suo fidato sottoposto tentava di colpirla con un badile, prima di convincersi di non stare sognando.
Certo, non era così sprovveduto da non aver notato la poca grazia (per non dire completa mancanza di galanteria) con cui l’uomo interagiva con Miss Innocenti, ma da lì a pensare che potesse minacciarla a parole o addirittura con i gesti…
Se il nostro caro Cutler avesse dedicato un po’ meno energie ai suoi malefici piani di conquista del mondo e prestato un po’ più d’attenzione a ciò che lo circondava, se ne sarebbe accorto ben prima. Del resto, ormai era l’unico in tutta Port Royal a non sapere che “la nuova studiosa al servizio di Beckett” veniva minacciata, percossa e trascinata per i capelli lungo tutti i corridoi della villa. Perfino la ciurma di Sparrow aveva sentito qualche voce al riguardo, sebbene non vi avesse dato molto peso. Nemmeno un pirata si sarebbe potuto aspettare un tale comportamento da parte di membro della marina britannica.

Maria Vittoria, che non era una santa, in un primo momento si compiacque di vederlo, infine, subire la punizione che si meritava. Non che questo potesse cancellare le angherie che aveva subito in quei giorni, intendiamoci, ma era pur sempre una piccola soddisfazione personale. Per di più, mai si sarebbe aspettata che un uomo freddo e calcolatore come Lord Beckett prendesse così facilmente le sue difese. Era il suo uomo migliore contro una ragazzina imbranata, che conosceva a malapena e che in più occasioni aveva apertamente denigrato o addirittura minacciato. Solo un paio di settimane prima le aveva detto esplicitamente che la stava brutalmente sfruttando solo perché era stupida e “facile da controllare”. Ma era davvero la stessa persona?
Poi, terminato l’attimo di goliardia, aveva iniziato a provare vergogna per il suo atteggiamento infantile ed il suo sorrisetto soddisfatto aveva, ben presto, lasciato il posto al senso di colpa. Dopo tutto Mr. Mercer era stato sì il suo spietato carceriere e il suo tormento, ma era anche colui che le aveva salvato la vita in più occasioni. E poi, strano ma vero, nonostante il timore assoluto che nutriva nei suoi confronti, era stato l’unico a cui aveva confidato i turbamenti del suo animo e alcune vicende passate che non era mai riuscita ad affrontare. Negli ultimi tempi, ogni volta che aveva avuto paura o bisogno d’aiuto, il primo pensiero era sempre andato a lui (per immensa gioia del “prescelto”, ovviamente).

Inizialmente l’aveva temuto: era innegabile, e per certi aspetti lo faceva ancora, ma pian piano avevano iniziato a capirsi e a rispettare (un po’ di più) alcune esigenze dell’altro. Certo, c’era ancora molto su cui lavorare. Maria Vittoria doveva capire che era ormai giunto il momento di crescere e comportarsi da persona matura e stava ancora lavorando sulla questione “colpi di testa” (vedi la fuga dalla finestra per andare a Karate, l’intromissione nel combattimento di Mr. Mercer con i ladri, il salvataggio avventato e disorganizzato di Emanuela). Mr. Mercer non riusciva a smettere di minacciare o pestare chiunque si mettesse sul suo cammino o su quello del suo “signore e padrone” ed aveva ancora non poche difficoltà a comprendere il significato delle parole “empatia” e “perdono”. Entrambi avevano ancora molto da lavorare, chiaramente in aspetti e modalità diverse, sulla questione “fiducia” nei confronti delle altre persone e nel riuscire ad esprimere in maniera “convenzionale” i propri sentimenti.

A farla “ritornare sul pianeta Terra”, una frase di Lord Beckett che la lasciò completamente spiazzata: ‹‹E’ evidente che non siete ancora in grado di comportarvi in maniera adeguata nelle missioni diplomatiche. Forse sarà il caso che vi allontaniate per un po’ da Port Royal››

Evvai, Evvai! Niente tizi inquietanti in giro per casa! Niente minacce di morte e botte gratuite! Niente sveglia alle 5 del mattino e, soprattutto, niente più problemi con la scuola e la giustizia!

Peccato che la frase successiva le fece perdere 20 anni di vita: ‹‹Sono sicuro che un viaggio a Singapore vi aiuterà a ritrovare il controllo mentale che avete perso. Del resto, il lavoro sul campo è quello in cui avete sempre reso meglio…››

Evvai, Evvai, Evv… No, aspettate un attimo: Mr. Mercer in missione a Singapore? Quello stesso Mercer che si era dimostrato essere una cosa come 100 volte più forte del personaggio rappresentato nella saga cinematografica? Avrebbe massacrato Barbossa (suo personaggio preferito, tra l’altro), Elisabeth, Will e la ciurma in cui, guarda caso, risiedeva l’ultima speranza di salvare Marta.

Fu, dunque, principalmente per questo che si intromise nella conversazione, tentando di convincere Cutler Beckett a riconsiderare la sua decisione. Non fece, però, nemmeno in tempo a finire una frase che fu subito tacciata dalle sue amiche di soffrire della Sindrome di Stoccolma. Emanuela, non avendo la giusta confidenza per fare una tale osservazione, rimase in silenzio, ma il suo sguardo la diceva lunga su come la pensasse al riguardo. A nulla valsero i suoi tentativi di far intuire alle sue amiche la vera fonte delle sue preoccupazioni. Eppure aveva davvero provato di tutto: commenti ambigui, riferimenti “casuali” al limite dello sgamo, gomitate, sguardi significativi, labiale, alfabeto muto, farfallese, mimo. Ci mancavano solo i segnali di fumo e poi le aveva davvero provate tutte. E la cosa divertente, in tutto questo, era che gli altri, a differenza delle sue amiche, non si erano persi nemmeno una mossa. Dal loro punto di vista, sembrava un mix tra una scimmia acrobata in preda ad un attacco di isteria e un operaio ottocentesco, ormai alienato senza alcuna via di scampo. Udendo per prima volta il farfallese, in particolare, ebbero il serio timore che il troppo studio le avesse dato (definitivamente) alla testa. Se avessero potuto conoscere i cartoni animati della Walt Disney, avrebbero potuto scambiarla per gatto Silvestro.
Ma Maria Vittoria era troppo impegnata a cercare di attirare l’attenzione delle sue amiche, per potersi accorgere degli sguardi preoccupati degli altri (indesiderati) spettatori. Non riuscì, dunque, a capacitarsi del fatto che la loro opinione sul suo status mentale fosse improvvisamente peggiorata.

La situazione si risolse solo quando Lucia, dando ancora una volta prova della sua intelligenza superiore, giunse, attraverso i suoi ragionamenti (quindi, sì, lo sforzo da ernia di Mary era andato completamente sprecato), alle stesse conclusioni di Mary. Avuta l’illuminazione, bisbigliò qualcosa nell’orecchio di Francesca e, quando anch’ella fece segno di aver capito, le due si prodigarono attuare il piano “metti-in-buona-luce-un-pericoloso-criminale-assassino-e-maschilista”.
Fu così che, sotto gli sguardi allibiti di tutti, le tre misero in scena un mix tra la narrazione di un poema epico da parte del rapsodo (Maria Vittoria, of course) e una tragedia classica, corredata di coro (Lucia e Francesca, che, alla greca, si cimentarono nel canto, nel ballo e nella recitazione). Tutto questo in un tentativo (disperato) di far passare Mr. Mercer per l’“eroe dei due mondi” (letteralmente parlando). Maria Vittoria raccontò le res gestae di Ianiro Mercenario la sera in cui aveva combattuto fieramente contro i ladri che si erano introdotti nella sua abitazione. Tralasciò alcuni particolari (il fatto che anche lei avesse partecipato ai combattimenti XD) e ne aggiunse di nuovi (improvvisamente i ladri da una decina erano passati a 23, ed erano anche armati fino ai denti con gli ultimi ritrovati in campo di industria della guerra). Presentò se stessa come la povera e completamente passiva vittima della situazione (come meglio si confaceva ad una fanciulla nel ‘700), preda di svenimenti compulsivi e corredata di fazzoletto bianco, che sventolava con fare drammatico ogni qual volta vedeva un individuo sospetto.

I due agenti, che avevano sovrainteso alle indagini e avevano analizzato i filmati del sistema di video sorveglianza interno alla villetta, non riuscivano più a smettere di ridere.
‹‹Fragile fanciulla? Ma dove?!›› esclamò infatti Bianchi, a metà racconto, subito seguito dal collega: ‹‹Ma se ne ha stesi due con la pade… Hem, con la potenza delle sue lacrime innocenti, ovviamente›› Il cambio di atteggiamento era essenzialmente dovuto al fatto che Maria Vittoria, posizionatasi dove solo i due pettegoli agenti la potevano vedere, aveva sollevato un cartello, che recava la scritta: “SE MI REGGETE IL GIOCO, CUCINO TUTTO QUELLO CHE VOLETE PER DUE SETTIMANE”.
E, infatti, anche Bianchi si affrettò a correggere il tiro: ‹‹E io ci tenevo a specificare che non è indifesa, di più. L’incarnazione della dama della poesia provenzale fatta a persona!››
Raccontò, poi, del suo eroico salvataggio, avvenuto la notte del 19 gennaio. Questa volta non ebbe nemmeno bisogno di mentire o ingigantire i particolari, dato che l’uomo si era comportato davvero in maniera impeccabile. La cosa giovò, per altro, anche ai nostri due baldi agenti, che ne approfittarono per prendere appunti, che poi sarebbero confluiti nel verbale, a chiusura del caso Emma Fumagalli.

Su idea di Francesca, in più, decise di descrivere il comportamento di Mr. Mercer come quello del classico tsundere o, comunque, uomo misterioso dal fascino nascosto che finge di comportarsi in maniera rude con le persone o di non avere a cuore l’incolumità delle stesse, per poi comparire all’ultimo e salvare la situazione. E quest’immagine fu quella che, in effetti, colpì maggiormente i loro improvvisati spettatori. Perfino Davy Jones parve ritenerla una spiegazione ragionevole per comprendere il comportamento dell’unico essere umano su tutto il globo di cui non era mai riuscito a decifrare l’animo. Cosa che avrebbe dovuto fatto riflettere tutti quanti, ma che invece passò in secondo piano rispetto al “poema romanzato” delle tre folli giovani. Vedremo, poi, con che conseguenze
 

Note:
1- Modifica della celebre citazione evangelica “Padre, perdona loro perché (letteralmente quel “perché” sarebbe un “infatti”) non sanno quello che fanno”, resa in latino “Pater, dimitte illis non enim sciunt quid faciunt”. La frase di Maria Vittoria, invece, significa letteralmente “Senatori, perdonatelo, infatti, non sa quello che dice” ed è basata sul gioco di parole che c’è in latino tra la parola “padri” e “senatori”, che sono molto simili (à “patres” e “patres conscripti”).
2- Termine con cui la mia professoressa di Greco delle superiori si riferiva a “atti osceni in luogo pubblico”… Cosa che i miei compagni ed io abbiamo scoperto l’ultimo anno. In pratica ci siamo resi conto di non aver capito buona parte della letteratura greca per colpa di questo ed altri fraintendimenti (tipo “fornaia”, “attrice” e “cortigiana” per “prostituta”).
3- Chiaramente non si tratta della versione attualmente vigente della bandiera inglese (Inunion Jack). A chi fosse curioso, consiglio vivamente di andare a cercare le versioni precedenti, perché aiutano davvero a capire come stesse mutando la concezione “nazionalistica” (per quanto si possa definire la questione britannica) anche nell’opinione pubblica.
4- Nel caso in cui vi steste chiedendo per quale motivo io mi ostini a riferirmi ai personaggi di potc, chiamandoli “i Settecenteschi” (che suona così male), si tratta di un riferimento ad un esame di diritto medievale e moderno in cui la professoressa (che ho adorato) continuava a parlare di questi “codificatori settecenteschi”. Ne parlava così tanto e in maniera tale che ho iniziato a pensare a loro quasi fossero un’entità sovrannaturale. E il tutto è culminato con un incubo in cui mia sorella correva a chiamarmi, gridando: “Sono qui!” “Qui chi?” “I codificatori settecenteschi!” “Aiuto, e cosa vogliono da noi?” … Niente, scusate lo sclero.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 15- Mr. Mercer in un Night ***


Capitolo 15- Mr. Mercer in un night
Molestare le ragazze? Siete rimasti indietro: nel 2018 quelli in pericolo sono i maschi!
 
 
Anno 2019, 14 febbraio, h 01,00
Genova, Italy (casa di Mary)
 
Erano passate quasi due settimane da quando i Settecenteschi, Lucia, Francesca, Emanuela e l’accoppiata Bianchi-Rossi avevano “espugnato” la sua casa e le cose si erano, ormai, quasi ristabilite. Cutler Beckett, dopo aver assistito all’improvvisato teatrino, aveva deciso, colto da un’improvvisa ondata di clementia, di non rimuovere Mr. Mercer dal suo incarico. Non che lo spettacolino pacchiano delle tre donzelle fosse stato particolarmente convincente, ma perché, come disse: ‹‹Mr. Mercer, non mi avevate detto di essere così popolare tra le giovani donne››. No, scusate, quello lo disse dopo… Hey, ma ha detto davvero così? Quel piccolo… non diciamo cosa, sennò la nostra storia non diventa più adatta ad un pubblico di minori… Comunque, ebbene sì, l’aveva detto davvero e non a torto, se proprio dobbiamo essere sinceri. Chiunque avrebbe potuto pensare una cosa del genere se avesse visto tre ragazze intessere lodi sulla sua persona, esaltando gesta del pari “E’ riuscito ad aprirmi la bottiglietta quando avevo sete: è il mio eroe!”. Per non parlare del fatto che stavano praticamente facendo i salti mortali pur di convincere Lord Beckett a non “portarglielo via”.

Ad ogni modo, ciò che disse in quel momento fu: ‹‹Ho come la vaga impressione che i fatti non si siano svolti proprio come li avete raccontati. Specie la leggenda per cui avrebbe trasportato Miss Innocenti in braccio per più di 10 chilometri…››
“Era praticamente l’unica cosa vera!” gli avrebbe voluto gridare la diretta interessata, ma fu costretta a trattenersi.
‹‹Ma sono anche convinto che, se non ci fosse un fondo di verità, non avreste organizzato questo teatrino›› E con queste poche parole aveva implicitamente concesso a Mr. Mercer di rimanere il carceriere ufficiale di Mary. Potete immaginare la gioia della poveretta. Riuscì a trattenersi dallo scoppiare in lacrime, solo focalizzandosi sull’immagine di Marta rinchiusa nello scrigno di Davy Jones, in attesa di essere salvata.

Poi, sempre a proposito di clementia, sentendosi in colpa per aver compiuto troppe buone azioni tutte in una volta (non se la sentiva proprio di essere così crudele da illudere i suoi nemici di avere una qualche speranza di ottenere clemenza nella lotta contro la Compagnia. Non sarebbe stato corretto nei loro confronti), Lord Beckett aveva ben pensato di ordinare un’impiccagione di massa, approfittando dell’assenza della sua assillante assistente. Il suo fidato gli aveva, infatti, riferito che quel giorno Miss Innocenti avrebbe avuto la temutissima simulazione di seconda prova. Nessuno dei due aveva ben capito di che cosa si trattasse nello specifico, ma dal comportamento nervoso (oltre ogni limite) dei compagni di classe, avevano intuito che non sarebbe stata una passeggiata e che, se erano fortunati, l’avrebbe tenuta impegnata per sei ore. Se a quelle si sommavano le due che avrebbe impiegato per gli spostamenti casa-scuola e l’ora di attesa prima che il ministero pubblicasse le prove, loro avrebbero avuto tutto il tempo per agire indisturbati.

Quello che Lord Beckett non aveva calcolato era che Maria Vittoria frequentava il liceo classico, unico indirizzo a cui il ministro dell’istruzione Bassetti aveva semplificato la prova e aumentato il tempo a disposizione per portarla a termine. Se prima i maturandi dovevano tradurre 18 righe di versione in tre ore, ora ne avevano a disposizione 6 per tradurre 8/9 righe scarse di latino, il cui testo era corredato di pretesto e post-testo, e confrontarlo con uno greco (con traduzione), attraverso la risposta a tre semplicissime domande. Inutile dire che in meno di due ore la studentessa aveva già consegnato la prova (riservandosi anche il tempo per suggerire ai vicini di banco) e in meno di tre era già nell’ufficio di Beckett per consegnargli i documenti sugli ancestrali della regina Nefertiti, come concordato. E lì lo trovò, ancora in veste da camera, mentre apponeva le ultime firme ai documenti che gli avrebbero permesso di far impiccare tutti i prigionieri attualmente presenti nelle carceri di Port Royal. Potete immaginare la sua faccia, quando se la vide comparire davanti, così presto. E quando quella gli domandò che cosa avesse intenzione di fare con quelle carte, rivolgendoglisi con un’espressione genuina ed innocente senza pari su questa terra, non ebbe il coraggio di deluderla.

Fu così che Mr. Mercer, invece dei documenti ufficiali che stava attendendo da ore, ricevette un ordine di rettifica da parte del suo superiore. L’impiccagione doveva essere svolta, ma i prigionieri dovevano solo fingere di morire soffocati. Sarebbe stata una farsa in grande stile, per far sentire “minacciati” i pirati più influenti e spingerli a cantare, nel duplice senso del termine.
In tutto questo, tuttavia, come potrete ben immaginare, Maria Vittoria sapeva perfettamente cosa Cutler Beckett stava per fare: aveva solo finto di riporre ingenuamente fiducia “nella gloriosa morale e risaputa clementia del Lord che avrebbe presto dominato su tutti i Mari e gli Oceani”. Avendo visto i film e letto i romanzi derivati, ricordava bene l’impiccagione di massa e aveva anche una vaga idea del periodo in cui sarebbe avvenuta. Per essere più tranquilla, tuttavia, aveva chiesto ai suoi “uccellini” (ora capiva come si sentiva Jafar, muhahaha) di tenere monitorata la situazione prigioni e questi non avevano avuto alcuna difficoltà a carpire le informazioni utili alle sveglissime e guardigne1 sentinelle di Port Royal.

Un altro problema che dovette affrontare in quei giorni fu spiegare a Mr. Mercer il motivo dell’improvvisa nostalgia nei suoi confronti che l’aveva attanagliata, casualmente, nel momento in cui Cutler Beckett aveva nominato la destinazione del suo viaggio. Mary, inizialmente, aveva tentato di rimanere sul vago, ma quando lui l’aveva messa con le spalle al muro (letteralmente), aveva inteso che, forse, sarebbe stato il caso di dirgli la verità. Se voleva giungere viva alla mattina del suo compleanno, come le aveva gentilmente ricordato il suo graditissimo ospite.
E con verità, intendeva tutta la verità. E quale modo migliore di dimostrargli la veridicità delle sue parole, se non mostrargli i primi tre film di Potc? No, non era uno scherzo e sì, ci aveva riflettuto bene: non era un altro dei suoi soliti colpi di testa (forse).

Nonostante fosse passato poco più di un mese e mezzo da quando aveva fatto conoscenza con alcuni personaggi di Potc, gli si era affezionata subito e non aveva nessuna intenzione di lasciarli morire, seguendo il corso della storia, senza aver tentato nulla per salvarli. Del resto, se proprio loro, a distanza di tre secoli, si erano potuti incontrare, doveva esserci un motivo. Sarebbe bastato che a incontrare i Settecenteschi fossero state delle persone nate prima del 2003 e queste non avrebbero potuto conoscere la loro storia, né aiutarli a cambiare il corso del loro destino.
Una volta giunta a questa conclusione, rimaneva la questione sul chi caricare di questo pesante fardello. La prima persona a cui aveva pensato era stata, ovviamente, Cutler Beckett. Era l’uomo più vicino a lei in quel momento che avesse un potere sufficiente per riuscire a scegliere di cambiare il corso di alcuni eventi, se solo lo avesse voluto. E poi, amore platonico per Hector Barbossa a parte (Sentito? Hector! Porta lo stesso nome del mio personaggio preferito dell’Iliade: non può essere una coincidenza! Nd: Mary), era il personaggio che ammirava di più dal punto di vista intellettuale e strategico. Inoltre, leggendo il romanzo a lui dedicato, specie la parte inerente alla sua infanzia, aveva scoperto alcune sue sfaccettature caratteriali che le ricordavano la se stessa di alcuni anni prima. Poi, però, l’aveva conosciuto, e si era subito resa conto che la sua sete di potere e i problemi di gestione dell’ansia sarebbero stati degli ostacoli non trascurabili.

Aveva, allora, pensato a Elisabeth, vera ed unica signora delle Mary Sue, ma al momento non aveva assolutamente idea di dove si potesse trovare, e poi aveva come la strana sensazione che c’entrasse qualcosa con la sparizione di Marta insieme a Jack Sparrow durante la battaglia con il Kraken. Anche se non fosse stata coinvolta, rimaneva, comunque, una pedina inaffidabile. E gli alti che le venivano in mente erano tutti o troppo distanti, o troppo volti al conseguimento di cause personali, oppure non avevano un potere sufficiente che gli permettesse di fare qualcosa di concreto per alterare la storia.
Fu così che, un po’ per esclusione, un po’ perché dopo la “scampagnata” in Toscana le sembrava di potersi fidare di lui (per certi aspetti), decise di raccontargli tutto. Contro ogni aspettativa, l’uomo ascoltò in pacato silenzio fin dall’inizio e non fiatò nemmeno quando la ragazza lo fece accomodare sul divano per vedere la prima cassetta della saga (ebbene sì, Mary aveva ancora delle videocassette della Walt Disney). Il primo ed unico commento che fece fu: “Ma io non sono così vecchio, basso e debole”. Come aspettarsi di meno da un orgoglio maschile ferito
Giunti agli ultimi atti del terzo film, tuttavia, Maria Vittoria spense istintivamente il televisore e, nonostante le proteste dell’uomo, si rifiutò categoricamente di consegnargli il telecomando. Mr. Mercer provò prima con le buone (non aveva, infatti, nessuna voglia di alzarsi dal divano… Su una cosa la mocciosa aveva ragione: si stava proprio bene con la copertina da pensionati. Qualunque cosa “pensionati” significasse), ma, al terzo richiamo andato a vuoto, si erse in tutta la sua altezza e fece per strapparglielo con la forza. Le aveva appena afferrato il polso con il solito garbo che lo caratterizzava, che vide il corpo tremante di lei e gli occhi che stavano diventando sempre più lucidi. No, no… Non stava per farlo, vero? Non le aveva (ancora) fatto nulla che potesse giustificare un tale comportamento.

‹‹Mocciosa?›› il silenzio che seguì gli fece intendere che stava per accadere esattamente ciò che aveva temuto. L’unica situazione per cui nessun addestramento poteva preparare e che non si sentiva assolutamente in grado di affrontare: il pianto di una donna. Oltra ad essere un qualcosa di estremamente fastidioso e snervante, era l’unica cosa al mondo in grado di far sentire un uomo completamente inerme. E se c’era una cosa che lui odiava era non avere la situazione sotto controllo.
‹‹N-no, non piangere, p-per favore… aspetta un attimo!›› tentò, invano, di arrestare l’inevitabile. Ma non esisteva un manuale, un tappo, un qualcosa? Come poteva fermare quella cosa, senza pervenire all’eliminazione fisica del soggetto? Se si fosse trattato di un uomo, almeno, gli sarebbe bastato puntargli un coltello alla gola per farlo smettere di frignare, ma con una donna avrebbe solo peggiorato la situazione. Una cosa che andava davvero al di là della sua comprensione. (Maschilista! Nd: donne)

Snif, Snif.

No, no, no! Pessimo segnale! Prima iniziavano a tirare su col naso e poi

SIG, SOB, SOB!

Ecco, appunto! ‹‹B-basta adesso: si può sapere che ti è preso? Se proprio vuoi piangere, aspetta almeno che io ti abbia punita per non aver tenuto nascosto tutto questo!›› vedendo che tali parole non erano riuscite a confortarla (chissà come mai…), tentò, allora con le suppliche: ‹‹Non è più conveniente anche per te piangere una volta sola?›› Vedendo che neanche questa tecnica pareva funzionare, stremato, provò a scuoterla leggermente per le spalle ‹‹Moccio… Marì Victoria!››
Udire il suo nome pronunciato in maniera così poco civile (non a caso quei barbari degli Anglosassoni fanno parte del Common law e non del Civil law), ebbe l’effetto di placare un minimo il suo pianto. Approfittando di quell’attimo in cui sentiva di riuscire a pronunciare qualche parola senza essere interrotta dai singhiozzi, Mary si affrettò a spiegare: ‹‹M-mi dispiace, è che non penso che sia il caso di mostrarvi le prossime scene…›› per poi aggiungere, con un tono di voce ancora più flebile: ‹‹e a dire il vero, non credo di riuscire a reggerle nemmeno io››
‹‹Spero che tu stia scherzando›› partì subito in quarta lui, senza nemmeno finire di ascoltare quello che aveva da dire ‹‹Sapere in anticipo come Lord Beckett sconfiggerà definitivamente l’ultima resistenza della pirateria ci farà guadagnare un sacco di tempo prezioso e salverà un sacco di nostri uomini›› poi la fissò con lo sguardo più perforante che avesse mai ricevuto e le rivolse le ultime parole taglienti: ‹‹Molti di loro li hai anche conosciuti e ti hanno aiutato quando eri a Port Royal. Sei pronta a condannarli solo per un tuo capriccio? Proprio tu che sostenevi di non riuscire a sopportare la sofferenza delle perso…››
‹‹MORIRA’!›› l’urlo della ragazza, aggravato dal fatto che non avesse mai osato interromperlo prima d’ora, le diede la sua completa attenzione.

‹‹DI CHE STAI PARLANDO: CHI MORIRÀ?›› le urlò lui, di rimando, mentre la scuoteva con violenza per le spalle. Come si permetteva quell’insulsa ragazzina di interrompere un uomo che stava parlando? (Maschilista depravato e anche violento! Nd: tutte)
Come Mary trovò la forza per riuscire a rispondere in un momento come quello, fu un mistero anche per lei: ‹‹Lord Beckett…›› il solo pronunciare quel nome ebbe l’effetto di irrigidire l’uomo, che aumentò ulteriormente la presa e fece per ringhiarle contro nuove minacce. La ragazza, tuttavia, rendendosi conto che se l’avesse lasciato parlare, la questione si sarebbe risolta molto male (letteralmente, per quanto la riguardava), lo precedette e parlò senza mai prendere fiato: ‹‹Non riuscirà a sconfiggere i pirati: morirà e con lui buona parte del suo equipaggio. E i sopravvissuti periranno in avventure successive. Il povero Groves morirà nel quarto film, e così anche Gillette. Morirete anche voi, ucciso da Davy Jones e in una maniera orribile›› detto ciò, fu di nuovo assalita dai singhiozzi. Ora che aveva esternato le sue preoccupazioni, il peso che le opprimeva il petto si era notevolmente alleggerito, ma non aveva dissolto la tristezza immensa che il solo pensiero di poterli perdere le provocava.
‹‹E-E’ per questo che non volevo che vi avvicinaste a Davy Jones… e per colpa della mia incapacità avete già dovuto confrontarvi con lui per ben due volte›› SIG, SOB! ‹‹Io non voglio che moriate!›› La nuova ondata di pianto, però, fu bloccata da un’azione completamente inaspettata. Mr. Mercer le si avvicinò e, senza dire niente, la… abbracciò! Così, su due piedi, senza nemmeno un attimo di preavviso. Ma le voleva far venire un infarto, per caso? E poi che gli era preso? Non sembrava nemmeno lui! Quando aveva deciso di metterlo al corrente di tutto, si era preparata mentalmente a subire la sua ira in ogni forma e manifestazione, compreso l’occultamento di cadavere, ma mai si sarebbe aspettata un comportamento del genere. I suoi occhi, solitamente duri e fermi, ora erano illuminati dalla luce del divino perdono. Persino le sue mani, con cui aveva sparso il sangue di centinaia di innocenti, ora parevano guidate dal Santo Spirito, mentre si avvicinavano al suo volto, come a volerla rassicurare.

Vedendolo agire in maniera così adulta e civile, Maria Vittoria si sentì ancora più in colpa per aver dubitato di lui. Tra le lacrime di commozione, si affrettò a dirgli: ‹‹M-mi dispiace… Volevo dirvelo prima, ma non sapevo di chi potermi fidare. Se Lord Beckett lo venisse a sapere, si muoverebbe subito per cambiare gli eventi, ma così facendo rischierebbe di peggiorare la situazione. Se la storia cambia adesso, rischiamo di non riuscire più a prevedere cosa accadrà poi…›› Ma lui, ancora una volta, seppe sorprenderla. La zittì con dolcezza, come se volesse dirle: “sei già perdonata: che non se ne parli più”. Poi, rivolgendole uno sguardo carico di caritatevole amore cristiano, sollevò la mano destra verso una ciocca ribelle (quale delle tante? Ti ricordo che ho i capelli ricci. Nd: Mary) che le era sfuggita dalla coda, e… l’afferrò bruscamente per i capelli, per poi scagliarla a terra e iniziare a pestarla come se non ci fosse stato un domani.
Altro che santo silenzio e muto perdono: quella era la pace che precedeva la tempesta, l’attimo che precedeva l’ira meditata di Gesù quando cacciò i mercanti dal Tempio. Mr. Mercer era il bruto di sempre e Maria Vittoria non era ancora riuscita a capire che, se non si sbrigava a “scendere dalle nuvole”, non sarebbe sopravvissuta ancora a lungo nel mondo reale. Chissà che i due, in futuro, non avrebbero beneficiato delle reciproche differenze, migliorando i propri punti deboli… Ma, ahi loro, sarebbe occorso ancora mooolto tempo.

Ad ogni modo, dopo averla pestata dolcemente (“Solo legni dolci per la mia vittima prediletta” Nd: Mr. Mercer. “Ma chi sei, Don Camillo?” Nd: Mary) per un certo periodo di tempo, si concesse qualche istante per riprendere fiato e osservarla. Nonostante ci fosse “andato molto piano” per i suoi standard, la ragazza pareva aver accusato il colpo. Era rannicchiata a terra in posizione fetale, le braccia a proteggere la cassa toracica (e un po’ più in su😂). Alla centesima, Maria Vittoria aveva finalmente capito che l’uomo non l’avrebbe mai colpita alla testa, ergo proteggerla e lasciare scoperte altre zone dolorose era assolutamente inutile e controproducente. Ciò non l’aveva, tuttavia, esentata dal provare un dolore altrettanto lancinante. Mr. Mercer era un maestro nel provocare sofferenza nelle persone, senza lasciare segni fisici troppo evidenti sul loro corpo.

Così, senza che potesse fare nulla per evitarlo, due lunghe scie di lacrime si fecero strada lungo il suo volto (Avete presente quando ricevete una pallonata in faccia molto forte e, anche se non volete piangere, gli occhi iniziano a lacrimare da soli per riflesso? Lo stesso avviene dopo aver ricevuto colpi di una certa potenza in determinati punti… Chi pratica sport a contatto vero lo sa bene). Vederla così indifesa e tremante gli fece sentire come una morsa alla bocca dello stomaco, un senso di vuoto opprimente. Era una sensazione nuova per lui e, se qualcuno gli avesse chiesto di descriverla, non era certo che ci sarebbe riuscito. Inizialmente non riuscì a comprendere che cosa gli stesse provocando questa dolorosa sensazione, ma poi, lasciando cadere ancora una volta lo sguardo sui suoi occhi spaventati, finalmente capì. Era… la fame. (Non giudicatelo: è la prima volta in vita sua che salta colazione, merenda delle undici, pranzo, merenda e tè delle cinque. In più, la visione dei film aveva posticipato la cena di addirittura 47 minuti… una situazione drammatica, oserei dire…)

Grazie al richiamo del suo stomaco della coscienza, l’uomo decise che di botte (per il momento) la fanciulla ne aveva avute a sufficienza. E, se anche così non fosse stato, infierire più a lungo sul suo fragile corpicino avrebbe potuto compromettere la buona riuscita della cena e dei pasti per i giorni successivi, ergo, forse era bene trattarla con più cura. (Ma che sono, un cane? Nd: Mary)
Il resto della serata trascorse in una parvenza di tranquillità, con Mary che cercava di raccontare a Mr. Mercer il resto della storia, senza causare nuovamente la sua ira. L’uomo, tuttavia, parve riconoscere i suoi sforzi, perché la rassicurò subito: ‹‹Non ti preoccupare: per stasera ne hai già ricevute a sufficienza. Parla in assoluta libertà… Se proprio dovessi contrariarmi in qualche modo, vedrò di segnarmelo sull’agenda e conteggiartelo con le prossime punizioni›› Magnanimo, lui.
Dopo che la ragazza ebbe terminato il suo resoconto, volle indagare: ‹‹Ma se non vuoi aspettare all’ultimo per cambiare la storia, allora perché non hai voluto che partissi per Singapore?››
‹‹Beh, perché…›› Vedendola portare le braccia a protezione della testa e chiudere gli occhi, la interruppe, inarcando un sopracciglio: ‹‹C’è un qualche motivo per cui sembra che tu ti stia riparando dal sole, in casa, alle dieci di sera?››

‹‹E’ solo una precauzione… nel caso in cui doveste cambiare idea sul posticipare la mia eventuale punizione, hehehe›› si scusò lei, senza, tuttavia, dar segno di voler abbassare le braccia. Poi, udendo l’ennesimo sbuffo dell’uomo, si affrettò a rispondere al suo precedente quesito: ‹‹Se voi foste partito subito, non sarei riuscita a mostrarvi niente, né a chiedervi di non sterminare la ciurma di Capitan Barbossa››
‹‹E perché mai dovrei assecondare una richiesta così stupida?›› ridacchiò lui. Ogni giorno la sua ingenuità lo stupiva di più.
‹‹Perché è l’amore della mia vita e non lo sa ancora, ovviamente›› Esclamò, portando le mani al petto, con finta costernazione. Si prendeva gioco di lei? Ce l’avrebbe messa tutta per corrispondere allo stereotipo di mocciosa viziata e frivola. ‹‹Come faccio a sposarlo, altrimenti?››
‹‹E…?›› tagliò corto lui, capendo l’antifona.
‹‹E, per quanto io disprezzi i pirati, al momento sono l’unica speranza di salvare Marta. Se è rimasta davvero a bordo della Perla Nera al momento dell’attacco, ora si trova all’interno del forziere di Jones… in compagnia di un donnaiolo smodato, pazzo, alcolizzato, criminale e assassino›› nel pronunciare gli “attributi” di Jack Sparrow, la sua voce divenne particolarmente acuta e stridula. Ecco perché andava così d’accordo con Cutler Beckett.

‹‹Un altro ottimo motivo per sterminarli dal primo all’ultimo›› deliberò Mr. Mercer, in tutta tranquillità. Haha sempre più simpatico.
‹‹Non sarebbe più soddisfacente aspettare che i pirati la salvino, per poi ucciderla con le vostre mani?››
Il gioco non dovette dispiacergli, perché dopo una finta pausa riflessiva, rispose: ‹‹Ma, in effetti non sarebbe male, come prospettiva… Peccato che riusciresti sicuramente a trovare un modo creativo per impedirmelo››
‹‹Già, e se non mi venisse in mente niente di utile mi basterebbe rivolgermi a Lord Beckett…›› ecco la frecciatina, muhahaha.
Mr. Mercer non parve capire l’allusione, perché si mise a ridacchiare: ‹‹Ah sì? E cosa ti fa pensare che Lord Beckett prenderebbe ancora le tue difese? Vi consiglio caldamente di non montarvi troppo la testa: non gli siete così indispensabile come credete›› Lo smacco subito poche ore prima doveva pesare parecchio.
‹‹Io no, forse, ma la mia amica dalla chioma fiammeggiante sì…›› non fece nemmeno in tempo a finire di parlare, che lui proruppe in una grossa risata. Se non fossero stati già seduti sul divano, sarebbe certamente caduto a terra, trascinando lei con lui, data la sua forza impressionante. Così, invece, Mary riuscì a spostarsi velocemente, slittando sul divano, verso il punto più distante dall’uomo (e ciò nonostante, per poco non le finì addosso, comunque).
Quando le sembrò che l’uomo fosse nuovamente in grado di ascoltarla (e che non l’avrebbe spiaccicata contro lo schienale del divano), commentò: ‹‹Devo dedurne che non vi siete reso conto dei sentimenti, se così li possiamo definire, che il vostro onorato signore ha sviluppato per Marta. E poi sarei io la bambina…››

La faccia che Mr. Mercer face nell’udire quelle parole non fece altro che confermare i suoi sospetti: ‹‹Quindi, confermo, non vi siete accorto di niente››
‹‹E di cosa mi sarei dovuto accorgere, di grazia?›› esclamò lui, indignato più per il fatto di non essersi accorto dei turbamenti d’animo del suo capo che del fatto che la fanciulla in questione gli stesse simpatica come i Cristiani a Diocleziano.
‹‹Mah, per esempio del fatto che ultimamente le retrocessioni all’interno della marina sono avvenute quando, casualmente, un soldato si permetteva di fare commenti poco signorili sulla fanciulla in questione?›› finse di riflettere lei.
‹‹No, anche se ho notato un atteggiamento uguale e contrario nei confronti di chi metteva in luce le tue mancanze››
Mary non colse l’ironia racchiusa in quelle parole e, anzi, colse l’occasione per chiarire il dubbio che la assillava da settimane: ‹‹Lo dicevo io che ultimamente Beckett tendeva a promuovere chi mi bistrattava. Pensavo di immaginarmi le cose, ma se me lo confermate anche voi, allora…››
‹‹Siete davvero seria?›› il fatto che avesse utilizzato il “voi” le fece intuire quanto a Mr. Mercer importasse la verità sulla questione. Doveva davvero tenere molto al suo datore di lavoro (e te ne accorgi ora? Nd: tutti).
‹‹Purtroppo sì›› confermò lei ‹‹E prima che mi ammazziate per aver arrecato offesa al vostro onorato signore, vi pongo un quesito, a cui gradirei che rispondeste in maniera sincera. Se Lord Beckett, uomo che ammirate e stimate tantissimo, vi chiedesse la mano di vostra figlia o vostra sorella, voi accettereste senza esitare?››
‹‹Quando possiederò una famiglia ci penserò… ovvero mai, per mia fortuna››
‹‹Lo prendo per un menomale che non mi trovo in questa situazione perché sarei moralmente costretto ad accettare, ma non sarei mai tranquillo, sapendola nelle sue mani›› riassunse lei ‹‹E non dite di no, perché sappiamo entrambi che ho ragione››

Il fatto che non l’avesse uccisa seduta stante sarebbe già stata una conferma sufficiente alle sue supposizioni, ma il fatto che l’uomo avesse tentato di sviare il discorso, chiudeva definitivamente il cerchio: ‹‹Visto che siamo in tema di domande indiscrete, posso sapere da cosa nasce questo tuo improvviso odio nei confronti della pirateria? Mi sembrava che il tuo unico scopo nella vita in questo momento fosse mettere i bastoni tra le ruote alla Compagnia nella lotta contro quella feccia››
‹‹Non vi sfugge niente›› commentò lei, sfoggiando un sorriso evidentemente falso. Non era assolutamente da lei, cosa che mise subito in allarme l’uomo. Per essere una mocciosa viziata aveva un po’ troppi segreti, per i suoi gusti.
‹‹Come sempre››
‹‹Come sempre›› sospirò lei, per poi riprendere a parlare: <mettere i bastoni tra le ruote alla Compagnia quando commette delle azioni contrarie ai diritti inviolabili dell’uomo, cosa che ultimamente accade un po’ troppo spesso per i miei gusti… E voi non fingete di non capire: so benissimo che cosa stavate progettando di fare la settimana scorsa. Da quando in qua impiccare delle persone (senza un giusto processo, tra l’altro) è una cosa moralmente e legalmente corretta?››
‹‹Non potrai controllare gli affari di Lord Beckett per sempre, lo sai?›› le fece notare lui, trattenendosi dall’aggiungere: “persino ora non hai nemmeno la vaga idea di quante affari che non ti andrebbero a genio sta concludendo”.
‹‹Non fatemici pensare: sto già male solo all’idea di tutti quei bambini che in quest’unico mese sarebbero finiti sotto terra solo perché figli di un contrabbandiere o imbarcati sotto costrizione su una galena rubata›› sospirò, mentre assumeva una posizione più comoda e posava il mento sulle mani intrecciate. Si sedeva sempre così quando pensava a qualcosa di spiacevole e la cosa non sfuggì a Mr. Mercer, che intuì fosse meglio lasciar perdere le batoste, per una volta, e non interromperla. ‹‹E fidatevi se vi dico che nessuno capisce ciò che prova Cutler quando sente nominare un pirata meglio di me. Penso solo che il suo metodo non sia quello giusto, tutto qua››

‹‹Per essere una mocciosa che non sa distinguere una cima da una fune, giudicate la pirateria con un po’ troppa enfasi, per i miei gusti. Che cosa ne puoi mai sapere tu di commerci, navigazione, saccheggi, marina e quant’altro?›› Sebbene le sue parole potessero apparire dure, non vi era alcuna traccia di accusa nel suo sguardo. Si trattava di una semplice constatazione: voleva capire e nient’altro.
Ciò diede a Mary la forza per proseguire la conversazione: ‹‹Io? Assolutamente niente›› ammise, senza alcun problema: ‹‹Fino a qualche anno fa non avevo nemmeno idea che i pirati esistessero ancora nella mia epoca. Poi…›› si concesse una piccola pausa prima di proseguire. Prese un bel respiro e, prima di ricominciare a parlare, il suo cuore mancò un battito: ‹‹Sapete, i miei tre fratelli sono ufficiali di marina mercantile: primo, secondo e terzo, manco a farlo apposta, hehehe… o forse dovrei dire erano, dato che sono stati dichiarati dispersi in mare da sei anni, ormai. La loro nave stava facendo ritorno in Italia, quando sono stati avvistati dei pirati dei giorni nostri. Il primo in comando (non chiedermi il grado perché non ne ho la minima idea: so quelli dei miei fratelli solo per miracolo) ha inviato un segnale di allarme e poi il vuoto. Quando i soccorsi sono arrivati, la nave era già colata a picco da un pezzo e degli uomini a bordo neanche l’ombra. Dopo sei mesi di ricerche infruttuose, sono stati tutti dichiarati dispersi e il caso è stato chiuso››
‹‹Non è colpa di nessuno, dicevano. Sapevano che quella rotta non era sicura e avevano voluto rischiare comunque, dicevano. Ma la verità è un’altra…››
‹‹Dai la colpa alla burocrazia e alla corruzione dei piani alti›› la sua non era una domanda, ma una semplice constatazione. Chissà quanti discorsi del genere gli era toccato sentire nel corso della sua lunga carriera. E quasi tutti veritieri, per giunta, date le dinamiche del periodo storico in cui viveva.

‹‹Anche loro hanno le loro colpe, non dico di no. Del resto, quale uomo sano di mente manderebbe delle persone disarmate in una zona che brulica di pirati e trafficanti, solo perché la legge di alcuni stati di cui attraverserebbero le acque vieta il trasporto e l’utilizzo di armi sui mercantili?›› il suo tono di voce si stava pian piano alterando, man mano che toccava gli argomenti che aveva più a cuore.
‹‹Mi state dicendo che non gli è permesso portare nemmeno un fucile?›› domandò lui, seriamente scioccato dalla scoperta. Maria Vittoria non pensava che l’avrebbe pressa così sul personale, ma meglio così. Un auditore empatico era sempre meglio di uno annoiato.
‹‹Neanche un coltello che non sia da utilizzare per scopi culinari›› rincarò la dose lei ‹‹L’unica cosa che gli è concessa (a volte) è avere a bordo un mercenario che li istruisca su come rallentare gli eventuali attacchi pirata. Sì, rallentare, perché come potrebbero fare di più da disarmati contro dei criminali armati? E i trucchi sono del calibro di disegna la sagoma di una pistola sul cartone e poi mostrala, sperando che i pirati se la bevano… Perché i pirati locali non sanno perfettamente che non possono utilizzare armi, no, no››
Dire che Mr. Mercer era indignato era un eufemismo. Ma quale pazzo avrebbe mai permesso ai suoi uomini di svolgere degli incarichi che equivalevano ad un suicidio di massa? Maria Vittoria trascorreva le sue giornate a lodare i progressi della legislazione moderna e di come i diritti dell’uomo avessero nettamente migliorato anche le condizioni dei lavoratori. Se questo era il progresso di cui parlava, allora preferiva vivere felicemente nel Settecento, dove le guerre erano dichiarate apertamente e la gente comune non si doveva sacrificare solo per mantenere uno stato di pace apparente. Perché era ovvio che se, proprio negli stati di provenienza di quei criminali, vigevano certe leggi anche per i forestieri, i governi locali dovevano essere a conoscenza del fenomeno e favorirlo.

‹‹Comunque, non ho nulla contro le Istituzioni italiane: fanno tutto ciò che possono pur di mantenere rapporti pacifici con gli altri Paesi. E poi dicono che noi Italiani siamo tutti mafiosi e non rispettiamo mai le regole. Se così fosse i miei fratelli sarebbero qui, adesso›› le sue parole confermarono la teoria dell’uomo per cui i Paesi civili moderni non erano molto distanti da quelli della sua epoca.
‹‹Se la colpa non è dello Stato, allora di chi è?›› volle indagare lui. La ragazzina prima aveva fatto un’affermazione che gli aveva fatto intuire che avesse le prove per poter affermare che tale “tragico incidente” avrebbe potuto evitarsi.
A quella domanda, il sorriso di Maria Vittoria si fece ancora più mesto, fino ad assumere quasi i connotati di una smorfia dolorosa: ‹‹Avete presente quando, dopo l’incontro con Orione vi ho detto che un tempo ero solo una mocciosa viziata e che se fossi morta allora, sarebbe stato un bene per tutti?››
‹‹Difficilmente dimentico una donna che piange tra le mie braccia, in un bosco isolato, di notte›› la frecciatina era sicuramente rivolta a prendersi una rivincita dopo il “difficilmente dimentico chi cerca di seppellirmi” pronunciato da Maria Vittoria, due settimane prima.
In condizioni normali, Mary sarebbe sicuramente scoppiata a ridere, oppure avrebbe finto di tenergli il broncio. Questa volta, tuttavia, si limitò a constatare, con tono perfettamente freddo e distaccato: ‹‹Immagino che sia così›› Poi fece un respiro profondo e pronunciò le parole che aveva avuto premura di pronunciare, sin dall’inizio di quella conversazione: ‹‹A volte mi comporto alla stregua di una bambina di tre anni per riuscire a perseguire determinati scopi. Per convincere Lord Beckett a non impiccare tutte quelle persone, tanto per fare un esempio››
‹‹O quando in prigione avete finto di non saper individuare le costellazioni che, immagino, i vostri fratelli vi abbiano insegnato per prime››

‹‹Come ho detto, non vi sfugge mai niente›› scosse lievemente la testa, lei, per poi riprendere il discorso: ‹‹Ma c’è stato un tempo in cui ero molto peggio di così... Mi vantavo di essere una principessa e, come tale, guardavo tutti dall’alto in basso e avevo delle pretesa da piccola diva. Ero viziata come pochi e non sapevo accettare un no come risposta, nemmeno dai miei familiari. Ero davvero una persona terribile, ma, nonostante questo, i miei fratelli mi volevano un bene dell’anima. Per loro ero la principessina di casa e mi viziavano decisamente più del necessario. Ma me ne sono resa conto solo a 12 anni, quando la nave con a bordo i miei fratelli non ha fatto ritorno››
‹‹Sapete, era la prima volta che si trovavano tutti e tre sulla stessa imbarcazione. Così come era la prima volta che prestavano servizio su una nave trasporto-container: era un lavoro decisamente svantaggioso e che non li avrebbe aiutati a progredire nei ranghi. Ed era anche la prima volta che sceglievano di imbarcarsi per un mese, invece che due e mezzo. Strani i casi della vita, eh?››
‹‹Per una volta mi trovo d’accordo con voi›› proferì l’uomo, forse perché ancora toccato dall’argomento “marinai morti eroicamente in servizio”.

‹‹BEH, INVECE NO: PER NIENTE!›› l’urlo improvviso della ragazza lo lasciò completamente di stucco. Ed era la prima volta che gli capitava in tutta la sua carriera. ‹‹Il caso non c’entra un bel niente: i miei fratelli hanno accettato quell’incarico solo perché la qui presente mocciosa viziata gli ha fatto talmente tanta pressione che loro, troppo buoni, non sono riusciti a rifiutarsi. E tutto solo perché volevo che arrivassero in tempo per la mia festa di compleanno›› quando arrivò a pronunciare l’ultima frase, lo fece con una voce appena udibile e con una calma apparentemente inscalfibile.
‹‹Patetica, non è vero?›› domandò lei, con sguardo spento, anche se l’uomo ritenne che fosse meglio non proferire parola al riguardo. Di certo, non si aspettava una confessione del genere, ma ora iniziava a comprendere un po’ meglio il perché di questi suoi cambiamenti repentini di atteggiamento. Probabilmente, per rimediare ai suoi problemi caratteriali precedenti, doveva aver scelto di mutare drasticamente la sua personalità. La cosa più stupida che avesse potuto fare, insomma. Quando una persona cerca di essere ciò che non è con troppa insistenza, finisce con il perdere la cognizione della propria vera identità e per apparire “finta” o “sbagliata” agli occhi degli altri. E la mocciosa doveva esserne accorta, perché in quel periodo era evidente il suo tentativo di “selezionare” i vecchi aspetti caratteriali che sentiva come propri e quelli nuovi che avvertiva come adatti a formare la sua vera personalità. Attività di ricerca interiore che, probabilmente l’avrebbe tenuta impegnata ancora per alcuni anni, come dimostravano le attuali incoerenze (es. Combattere contro dei criminali indossando un grembiule a fiori), ma che l’avrebbe, finalmente, portata al suo obbiettivo iniziale. Diventare una versione migliore di sé stessa.

‹‹Incredibile come un unico giorno possa stravolgere completamente la vita di una persona. E lo stesso si può dire del mio compleanno: sono nata il giorno del martedì grasso e, fin tanto che ero piccola, è capitato più volte che il Carnevale cadesse proprio il 15 di febbraio. Dal 2012 però, caso strano, tale festività è caduta sempre molto più in là, spesso a marzo. E sempre nello stesso anno ho scoperto che il giorno dopo San Valentino è dedicato alla festa dei… singles! E poi mi chiedo perché sono sfortunata in amore, bah!›› ecco, era tornata la solita Mary ‹‹Comunque, questo è l’anno buono: un ragazzo mi regalerà una meravigliosa rosa rossa, me lo sento!››
‹‹Se speri ancora in un’improvvisa dichiarazione d’amore da parte di quel deficiente, sei messa addirittura peggio di quel che pensavo›› La prese in giro lui, cogliendo l’invito della ragazza a cambiare argomento.
‹‹Haha, molto divertente. Comunque non sono così disperata…››
‹‹Lo sei››
‹‹No, non lo sono››
‹‹Lo sei››
‹‹Oh, e va bene! Forse lo sono un pochettino, ma che cosa c’è di male?›› domandò lei, innocentemente.
‹‹Tutto, quando si tratta di quell’ameba che sa solo prendere bei voti a scuola e fare delle proposte indecenti alle ragazzine disperate›› constatò lui, duro.
‹‹Non sono… così disperata›› mentre rispondeva, dovette reprimere l’istinto di mostrare un’espressione disgustata. Certe proposte, un gentiluomo del passato non le avrebbe avanzate nemmeno ad una “ragazza dai capelli sciolti”.
Mr. Mercer dovette intuire il suo pensiero, perché si limitò ad annuire, concorde.

Intuendo che fosse il caso di troncare la discussione, decise di renderlo partecipe delle ultime news sulla sua famiglia. Così, tra l’altro, avrebbe evitato che l’uomo la tartassasse ancora con domande del tipo “I tuoi genitori quando tornano?”, “Sono proprio sicuri che l’assenza di uno chaperon non comprometta il buon nome della loro famiglia?” o “Possibile che si fidino a lasciare una mocciosa da sola per quasi due mesi?”. Quando voleva, sapeva essere davvero assillante. ‹‹Ah, tra parentesi, poco fa ho sentito mia madre: ha detto che il 15 tornano a casa. Giusto in tempo per il mio compleanno: che fortuna!››
‹‹Già, che fortuna inaspettata›› mormorò lui, ironico. Per lui sopportare una persona 24 ore su 24 richiedeva già uno sforzo erculeo, figurarsi altre due.
‹‹Siete la prima persona a non bramare l’arrivo della mia avvenente madre, sapete?›› ridacchiò lei, notando la sua espressione corrucciata ‹‹Ma sono certa che non vedrete l’ora di conoscere mio padre: sapete, l’abilità nello storpiare e italianizzare i nomi stranieri l’ho ereditata proprio da lui››
‹‹Posso immaginare››
‹‹L’altro giorno mi ha chiesto: come procedono le ricerche per Catlero? E quando gli ho fatto notare che il suo nome è Cutler Beckett, mi ha risposto: E io che ho detto? Catlero Bacchetta›› Quell’uomo era un mito.
Mr. Mercer, in quel momento, non sapeva se provasse più rabbia per il modo orrendo in cui il nome del suo superiore era stato ridotto, oppure shock all’idea che esistesse davvero qualcuno in grado di storpiare i nomi peggio della mocciosa lì presente: ‹‹Per caso ha trovato altri… soprannomi?›› la domanda, apparentemente nata da una genuina curiosità, era in realtà volta a trovare i mezzi per s*****e i suoi commilitoni. Sarebbe stata la giusta vendetta per aver diffuso a Port Royal quel soprannome orribile che aveva quasi distrutto l’aura di mistero che aveva costruito con fatica attorno alla sua figura.

‹‹Uhm, vediamo›› rifletté lei, non sospettando minimamente delle losche intenzioni del suo coinquilino, come suo solito ‹‹Michael Davis è diventato Michelangelo Deviso, Theodore Groves, Teodoro Groverio, Gillette lo pronuncia come il capo di abbigliamento, Jack Sparrow, Giacomo Sparrovo, Edward, Eduardo e gli altri non me li ricordo, ma ti posso assicurare che sono uno meglio dell’altro, hahaha… Comunque, Mr. Mercer, perché state prendendo appunti?››
‹‹Non vorrei rischiare di dimenticarmi queste perle›› mentì lui. E con questo, la questione verità su Potc era ufficialmente conclusa. Forse.
Nei giorni seguenti, invece, come preannunciato, non vi erano stati avvenimenti degni di nota. Mary continuava a svolgere il suo dovere di studentessa, congiuntamente a quello per onorare la promessa fatta a Cutler Beckett. Non doveva più inventarsi scuse per passare al Porto Antico a chiedere informazioni ai marinai sul tratto di mare in cui i suoi fratelli erano scomparsi, dato che, ormai, Mr. Mercer conosceva le sue motivazioni. In più, da un paio di settimane, arrivava sempre puntuale in palestra: un vero record, per quanto la riguardava. Anche se, a tal proposito, un dubbio la assillava: aveva come la vaga sensazione di starsi presentando a lezione allo stesso orario di sempre. Com’era possibile che prima fosse considerato un ritardo e ora non più, se l’orario delle lezioni non era mutato di una virgola? Marco-Sensei sosteneva che la causa di questa sua sensazione fosse il fatto che il parroco avesse fatto regolare le lancette dell’orologio, in maniera più precisa, ma i conti non tornavano comunque!

E a proposito di campane, l’unico rintocco dell’una interruppe la pace della sera e i pensieri della ragazza che, tra una cosa e l’altra, si era distratta e aveva scordato che cosa stesse facendo. Diede la colpa alla stanchezza e si apprestò a riordinare le due montagne di pagine sparse che aveva il coraggio di chiamare “appunti”, prima di godersi, finalmente qualche ora di meritato riposo. Mentre riponeva i libri, si ritrovò a canticchiare: “E’ l’una di notte, e tutto va bene2!”. Avere quasi 19 anni e non sentirli.
Come a voler smentire la sua frase, il suo cellulare iniziò a squillare a tutto volume. Non appena la fanciulla udì la prima nota della sigla giapponese di Naruto Shippuden, si lanciò a pel di leone verso l’oggetto diabolico, sperando di riuscire ad abbassare il volume prima di destare l’orco Mr. Mercer dal suo sonno. E, inaspettatamente, parve riuscire nell’impresa.
Sospirò sollevata, per poi raccogliere l’oggetto delle sue preoccupazioni e cercare di scoprire quale essere immondo avesse avuto l’indecenza di contattarla ad un orario del genere. Non poteva essere il Signor Giovanni: lui chiamava solo ed esclusivamente nel cuore della notte, in modo da scocciare il più possibile.

Come lesse il nome del contatto, tuttavia, si sciolse come neve al sole. Francesco, l’essere perfetto, nonché amore della sua vita. E, guarda a caso, di tutti i giorni in cui poteva cercarla con una certa insistenza, proprio il giorno di San Valentino. “Coincidenze, io non credo” ridacchiò tra sé e sé, mentre si dava una rapida sistematina ai capelli e si apprestava a rispondere. A che servisse farsi bella se, tanto, il suo “amato” non avrebbe potuto vederla, era un mistero.
‹‹Sì, pronto?›› simulò la più totale freddezza e compostezza, quando, in realtà su suo volto si era già impresso un sorriso da ebete, con tanto di occhi da pesce lesso.
‹‹Mary, meno male che hai risposto! Ti prego, aiutaci! SIG, SOB!›› la voce incerta del ragazzo fu interrotta da una serie di singhiozzi incontrollati. Pareva quasi che qualcuno vicino a lui stesse piangendo.
Maria Vittoria, che era ancora mezza imbambolata dal sonno, non riuscì a comprendere subito la gravità della situazione. Anzi, stava per dire qualcosa di molto intelligente, come “Sì, ti amo anch’io”, quando un’altra voce si sostituì a quella del proprietario del telefonino: ‹‹Mary, vieni subito, per favoreee. Qui si mette male: siamo circondati!››

‹‹Jack?›› ma che stava succedendo? Cosa significava “siamo circondati”? Era un attacco terrorista? Li volevano rapire, forse? Ne doveva sapere di più, e alla svelta, se voleva anche solo sperare di arrivare in tempo per fare qualcosa. Si sforzò, quindi, di rimanere lucida e calma, mentre gli parlava: ‹‹Jack, cerca di rimanere calmo e concentrato: devi dirmi dove siete››
‹‹COME C***O FACCIO A STARE CALMO? Tu non sai…››
‹‹No, non so. E se non mi spieghi che cosa sta succedendo, non posso nemmeno dare indicazioni alla polizia…›› ribatté lei, sempre sforzandosi di apparire calma.
‹‹NO, NIENTE POLIZIA!›› la interruppe Francesco, improvvisamente rinvenuto, dopo aver udito tale parola.
‹‹E perché scusa? Non siete nei guai?›› domandò lei scettica. Non era che si erano andati ad infilare in una situazione poco “pulita” e che la situazione era sfuggita loro di mano?
‹‹Tu non capisci… Se mia madre viene a sapere che mi trovavo in un posto del genere, mi disintegra!›› esclamò lui, in preda al panico. In effetti, la signora Ciuffreda sapeva essere, hem, pressante
‹‹Ovvero?›› domandò lei, per l’ennesima volta, sperando che le dicessero, finalmente, dove diavolo si trovassero.

Sfortunatamente, proprio in quel momento iniziarono a sentirsi delle interferenze di rete che, sommate a dei rumori indefiniti in sottofondo, non rendevano affatto possibile la comunicazione. L’ultima cosa che la ragazza udì, prima che la linea cadesse definitivamente, fu: <<’Fa’n c**o quella t***a di Marta e quel suo c***o di lavoro!››
Ottimo: e ora cosa poteva fare? Oltre a pestare a sangue chi aveva osato insultare gratuitamente la sua amica, ovviamente, ma quello era sottointeso. E per poter attuare la sua vendetta, ahi lei, doveva prima recuperare i due deficienti.
Sospirando, si apprestò a fare l’unica cosa che poteva permetterle di trovare qualche informazione utile sulla situazione in cui si trovavano i nostri due (anti)eroi, ovvero contattare il fratellino di Marta. Come? Sulla chat di “Clash of clans”, ovviamente. Il piccolo e dolce Fabietto non avrebbe mai risposto ad un SMS normale di una vecchia racchia come lei. Come aveva voluto precisare in un paio di occasioni, l’unica delle amiche di sua sorella a cui avrebbe risposto era quella gran gnocca di Francesca.

E così era stato, anche quando Marta, Lucia e Francesca erano sparite a bordo di una nave pirata in un’epoca lontana. La madre di Maria Vittoria aveva contattato le madri delle altre, spiegandogli a grandi linee quello che Cutler Beckett le aveva detto, rassicurando, così, le famiglie sul loro stato di salute. Tuttavia, mentre la famiglia di Lucia non aveva grossi problemi economici, quelle di Francesca e Marta traevano il loro sostentamento quasi ed esclusivamente dallo stipendio delle due ragazze. Maria Vittoria aveva, dunque, adottato lo stratagemma di fargli pervenire settimanalmente delle somme di denaro che, spacciate per lo stipendio percepito dalle due durante le “missioni di scoperta archeologica” (solo lei e Beckette potevano trovare una scusa così scadente), erano in realtà direttamente erogate dal conto personale di Mary. Quest’ultima, infatti, ogni mese riceveva dai genitori una somma che assomigliava più ad uno stipendio che a una paghetta e, dato che negli ultimi anni aveva scelto di vivere come una normalissima studentessa delle superiori, aveva messo da parte un discreto gruzzolo. E se i soldi non li usava per aiutare qualcuno, cosa era nata vergognosamente ricca a fare?
E a tal proposito, la famiglia di Marta era un caso limite: tutti i soldi che entravano in quella casa finivano, irrimediabilmente nelle mani del padre, giocatore d’azzardo incallito. Quell’uomo era una bestia: non c’era nascondiglio che non riuscisse a trovare e non c’era centesimo che non riuscisse a fiutare. L’unico modo che Mary aveva, dunque, per essere certa che la madre e il fratellino di Marta avessero il denaro necessario per pagare le bollette e fare la spesa era consegnargli i soldi precisi, giorno per giorno. Tale tattica, tuttavia, avrebbe potuto mettere in imbarazzo la signora Canessa (di origini Emiliane). Emozione che, invece, non avrebbe provato nessun ligure, alla vista di belle banconote fumanti; e si dava il caso che questo fosse l’unico aspetto caratteriale che caratterizzasse entrambi i fratelli.

Tuttavia, riuscire a comunicare con la dolce creatura (Quello lì è Tremotino, altroché! Nd: Mary) non era affatto semplice, come esposto in precedenza. L’unico trucchetto che aveva trovato Mary, per dimostrare di essere degna di parlare con lui nonostante il misero aspetto (Fa anche lo schizzinoso, il marmocchio. Nd: Mary) era stato quello di sconfiggere il suo villaggio (Liv. 13) di Clash of Clans. Riuscendo nell’intento con un misero municipio di livello 9, si era meritata il suo rispetto. O meglio, SenecaPadre86 se l’era meritato, Maria Vittoria chi la conosceva? Moccioso arrogante. Glielo aveva mai detto nessuno che peccare di ὕβϱις (= tracotanza. Ho provato a traslitterare il termine con l’alfabeto latino, ma non si può proprio vedere) conduceva alla rovina? Doveva raccontargli di Agamennone e la guerra di Troia un giorno o l’altro.
E così, anche quella sera:

*CHAT DEL CLAN*
SenecaPadre86: Urgente: dove ha lavorato tua sorella prima di partire?
SuperGoku04: Chissà… non posso mica ricordarmi tutti i posti da cui l’anno cacciata
(Cervello di Mary: e l’H dove l’hai lasciata? SIG, SOB, SOB!)
SenecaPadre86: Peccato. Era l’unica speranza di Francesca.
SuperGoku04: …
 
*REALITY*
Fabio ricordava talmente poco gli spostamenti della sorella che le aveva appena inviato la posizione e una brochure illustrativa, con tanto di tre buoni per dei Cocktail gratuiti. Nominare l’amica bionda dava sempre i suoi frutti.
“Bene, bene, bene: che cos’abbiamo qui?” borbottò, mentre dava un’occhiata veloce al volantino pubblicitario. Il luogo in cui i suoi due compagni di Karate si trovavano era, evidentemente, un luogo di perdizione o, come lo chiamava la gente comune, “un Night” (immaginarsi la vocina stridula del tipico Milanese che fa a fare un “Apericena”). Ma che diavolo ci facevano quei due in un posto simile? E no, era sicura al 100% che non si trovassero lì per scelta, perché l’esperienza dell’ultima gita aveva traumatizzato tutti: maschi e femmine, professori e studenti. La famosa uscita didattica in cui avevano pernottato in un Bordello. Illegale persino per le leggi della liberale Olanda. Gestito da Bielorussi che non parlavano altro che la loro lingua. In un pessimo quartiere. Frequentato da una banda di criminali che, se la bellezza media dello studente del liceo classico fosse leggermente superiore agli standard, non si sarebbero fatti problemi a prendersela anche con la loro classe.

Ad ogni modo, pensare ai traumi del passato non sarebbe servito a nulla. Ora come ora l’unica cosa che importasse era raggiungere il luogo in cui ipotizzava che potesse trovarsi l’amore della sua vita. E anche Jack, sì, se lo ricordava. Ma soprattutto Francesco. Una volta salita in macchina, avrebbe chiamato la Polizia e spiegati i suoi sospetti. Le sue informazioni non erano molte, ma era certa che avrebbero almeno inviato una pattuglia a controllare. Se ci fossero state risse, spari o qualunque altra situazione grave se ne sarebbero accorti subito e avrebbero saputo cosa fare.
Prese le sue decisioni, l’ultima cosa da sistemare era Mr. Mercer. Maria Vittoria, per quanto avrebbe desiderato non dover andare da sola in un luogo del genere, non se la sentiva di svegliarlo. E non lo diceva solo perché le spiaceva tirarlo giù dal letto a quell’ora, ma soprattutto perché temeva in una sua violenta reazione. In più, c’era sempre la possibilità che le proibisse di andare, e, in una situazione simile, non poteva assolutamente rischiare.
Risoluta, prese una penna, un foglio di carta e annotò velocemente un messaggio in cui spiegava dove fosse diretta e perché. Se Mr. Mercer si fosse svegliato prima del suo rientro avrebbe, per lo meno, saputo dove fosse. Fatto ciò, si avviò verso la porta d’ingresso, cercando di fare meno rumore possibile. La sua camminata ricordava quella di gatto Silvestro quando cerca di avvicinarsi alla gabbietta di Titti, senza fare rumore. Se solo si fosse potuta vedere dall’esterno, sarebbe scoppiata a ridere da sola.

Poi, raggiunto il suo scopo, scese velocemente le scale che portavano al garage, e poi dritta in auto. I suoi amici la aspettavano: non c’era un minuto da perdere.
‹‹Bene, bene, che cosa abbiamo qui?›› la frase, pronunciata da una voce cupa e misteriosa e accompagnata da un coltello premuto contro la giugulare, le fece gelare il sangue nelle vene.
Qualcosa le diceva che, invece, un po’ di tempo lo avrebbe perso.

Dopo qualche secondo di puro smarrimento, la ragazza si decise a sollevare lo sguardo verso lo specchietto retrovisore e l’immagine che vi vide riflessa, le fece scappare un sospiro di sollievo. Fortunatamente, era solo Mr. Mercer, con il suo contorto senso dell’umorismo.
Quest’ultimo, sentendola rilassarsi, ritrasse il pugnale, sbuffando, per poi lasciarsi scappare un: “E’ la prima volta che qualcuno si tranquillizza dopo aver visto la mia faccia. Sei proprio assurda, tu”.
Maria Vittoria, dal canto suo, non perse tempo e lo redarguì seduta stante: ‹‹Ma dico, vi sembra il caso? Mi è quasi venuto un infarto… pensavo che foste un rapitore!››
‹‹Chi mai potrebbe nutrire un tale interesse da spingerlo a rapirti?›› le fece notare lui, ridacchiando sotto i baffi. Adorava spaventarla e, ancor più, prenderla per il c**o.
‹‹Non è una questione di gusti. Per quello non ho di che preoccuparmi…›› rispose subito lei, indispettita, mentre cercava la sua immagine riflessa nello specchietto di sinistra, nella vana speranza che la sua precedente affermazione non fosse, poi, totalmente veritiera. Ma forse avrebbe fatto meglio a non guardare e mantenere quella soave illusione. E, come se ciò non bastasse, nel vedere la sua espressione delusa, Mr. Mercer non riuscì a trattenersi dal ridere e fare sarcasmo. Quell’uomo mancava davvero di empatia e spirito di compassione.
Maria Vittoria, comunque, scelse saggiamente di ignorarlo (la sua inesistente autostima non avrebbe retto uno scontro diretto con la dura verità) e completò il suo discorso: ‹‹Penso che il titolo, l’influenza e la ricchezza della mia famiglia gli farebbe decisamente più gola››
‹‹Non fa una piega›› ammise lui, nella cui mente era ancora vivido il ricordo di quella che, allora, aveva ritenuto essere una semplice rapina. Con il senno di poi, avrebbe potuto insospettirsi anche solo notando come i presunti “topi d’appartamento” non avessero tentato di rubare neanche un francobollo, ma allora non conosceva ancora la vera identità della ragazza. Chi se lo sarebbe mai aspettato?

‹‹Comunque, come avete fatto?›› gli domandò lei, che ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse riuscito a giungere fin lì, prima di lei e senza farle sospettare nulla. Ma che era, un ninja?
‹‹Se svelassi tutti i miei trucchi non sarebbe più divertente, non trovi? Rovinerei l’alone di mistero, capisci?›› Le sembrava di sentir parlare Marco-Sensei. La sua influenza non gli faceva bene per niente!
‹‹Smettereste di farmi perdere anni di vita, però›› borbottò lei, che stava ancora tentando di calmare il battito cardiaco. Un giorno o l’altro ci sarebbe rimasta secca: se lo sentiva.
L’uomo ridacchiò, di rimando, mentre cercava una posizione più comoda e domandava, con un’inaspettata disinvoltura: ‹‹Dove siamo diretti?››
‹‹Siamo?›› domandò subito lei, confusa ‹‹Ma non mi volete chiedere cosa sto facendo o, comunque, cercare di ferma…?››
‹‹So già tutto›› la interruppe subito lui, facendole il segno universale dello “STOP”, con la mano. L’espressione dei suoi occhi lasciava intendere che stesse pensando qualcosa del tipo: “Certo che è proprio lenta!”.
‹‹M-ma come?›› si astenne dall’aggiungere: “se non lo so nemmeno io che gli ho parlato al telefono. Sarebbe parsa ancor meno professionale (e sveglia) di quanto già non fosse.
‹‹I piagnistei di quelle due donnicciole si sarebbero sentiti fino a Genova›› le fece notare lui, ovvio, per poi incitarla a partire.
“Come dargli torto?” pensò lei, imbarazzata. ‹‹Siamo diretti in un luogo che potrebbe essere definito un incrocio tra una taverna e una casa chiusa›› cercò di spiegargli, utilizzando due immagi che anche un Settecentesco avrebbe potuto avere ben chiare.
‹‹Non avevi detto che la prostituzione fosse illegale nel tuo Paese?››
‹‹Lo è, ma come sempre esistono dei cavilli legali che permettono di allentare le strette maglie della legge. E dove non arrivano i cavilli, arriva la corruzione›› sospirò lei, rattristata. Se c’era un crimine che la rattristava, quello era proprio l’istigazione/costrizione alla prostituzione. Maria Vittoria, sarà anche stata una ragazza “all’antica”, cultrice di valori che ormai erano considerati obsoleti, ma non credeva di scostarsi troppo dall’opinione generale femminile, se pensava che quel tipo di costrizione fosse 1000 volte peggiore della morte e 100 della tortura. Davvero non riusciva a immaginare l’esistenza di uomini capaci di compiere delle azioni così indegne, senza il minimo rimorso, o, ancora peggio, autoconvincersi che la loro merce fosse felice di assecondarli. Avrebbe veramente voluto conoscere uno di quei clienti, per chiedergli di guardarla negli occhi e giurarle che pagare per forzare un essere umano indifeso non gli facesse venire gli incubi per il resto della loro vita. Lei, dopo l’esperienza ad Amsterdam non riusciva più nemmeno a vedere “Pretty Woman”.

‹‹Bel posto in cui sono andati a rintanarsi…E tu insisti a sbavare dietro ad uno così?›› E via con la frecciatina del giorno! Se non criticava qualcosa non era contento. Che nervi.
‹‹Non si sono diretti lì per puro diletto, se è questo che state insinuando››
‹‹Ma certo: deve essersi perso mentre coglieva le rose, in inverno, per poterti dichiarare il suo amore incondizionato. Poi deve aver visto una fanciulla ferma ad un crocicchio e chiesto indicazioni per raggiungere la valle in cui gli uccellini cinguettano tutto il giorno, i fiori non sfioriscono mai e il cielo è sempre solcato dall’arcobaleno. Come ho fatto a non pensarci!›› Se non fosse stata arrabbiata per le continue frecciatine su un argomento per lei così sensibile, avrebbe potuto avere la tentazione di scoppiare a ridere. Mr. Mercer aveva raccontato tutta la storiella simulando una voce femminea e imitando le movenze di un’oca giuliva che non ha ancora nemmeno rivolto la parola all’uomo dei suoi sogni, ma già pianifica il matrimonio e la loro vita insieme. Se solo non avesse dovuto guidare, lo avrebbe volentieri filmato: uno spettacolo del genere accadeva una volta sola nella vita.
‹‹Non posso garantire per Jack, ma posso giurare sul fatto che non mi metterò mai più a dieta in vita mia che Francesco non entrerebbe in un posto del genere nemmeno sotto tortura. Non dopo il viaggio d’istruzione dell’anno scorso›› lo sguardo che fece mentre parlava, gli fece intendere che fosse meglio non indagare sull’argomento, ragion per cui si limitò a domandare: ‹‹Qualcosa che dovrei sapere sulle taverne moderne?››

‹‹La musica al loro interno è assordante e, insieme alle luci stroboscopiche può compromettere il senso dell’orientamento, se non siete abituato. Le ragazze hanno un’età inversamente proporzionale alla quantità di pelle scoperta, ma non sono delle ragazze dai capelli sciolti: è la moda del nostro tempo che è così. Se proprio non resistete alla tentazione di approfondire la conoscenza con una donna o un uomo, non si sa mai…Ahio, stavo scherzando!›› perché quel bruto doveva essere sempre così manesco?
‹‹Dicevo, se proprio dovete,›› la sua bocca diceva così, ma il suo sguardo pareva intimargli: “Provate anche solo a pensarci e vi faccio mangiare insalata e broccoli per il resto dei vostri giorni” ‹‹accertatevi che abbiano almeno metà coscia coperta. Le altre, come dicevo, potrebbero essere minorenni e, quindi, un biglietto di sola andata per il carcere. E non fatevi fregare dall’età che dimostrano: il trucco può davvero fare miracoli››
‹‹Niente risse, niente infrazioni della legge e, soprattutto: non accettate nulla che vi venga offerto. Nelle altre regioni, di fronte ad un cocktail offerto, si può concedere il beneficio del dubbio, ma qui siamo in Liguria e nessuno fa niente per niente. Chiaro?››
‹‹Cristallino›› rispose lui, esasperato. Ma chi si credeva di essere, sua madre?
*****

Anno 2019, 14 febbraio, h 01,30
Genova, Italy (Quartiere inventato)
 

Fortunatamente, il locale indicatole dal fratellino di Marta era situato in un quartiere non troppo distante dalla casa di Mary, ma le occorsero comunque quasi 30 minuti per giungervi. Se non avesse rispettato i limiti di velocità vigenti avrebbe, certamente, potuto guadagnare qualche minuto, ma ne valeva davvero la pena? Cinque minuti avanti o indietro non avrebbero, certo, fatto la differenza: se i suoi amici si fossero trovati in serio pericolo, anche giungere dopo soli tre minuti avrebbe potuto essere inutile. Se, invece, avessero “esagerato” nel metterla in allarme, allora 25 o 30 minuti non avrebbe fatto tutta questa differenza. In più, mentre scendevano verso “valle”, era stata ricontattata dall’agente Rossi (ormai l’aveva inserito tra i numeri preferiti in rubrica), che le aveva riferito che la pattuglia inviata a controllare il luogo sospetto non aveva rinvenuto niente di particolarmente significativo. L’unica cosa da segnalare era qualche gruppo di ragazzi e uomini “brilli” che facevano un po’ troppa confusione, ma la musica era, comunque, talmente alta da sovrastarli.
Due agenti avevano, comunque, rivolto qualche domanda agli addetti all’entrata, dato che, trattandosi di un locale “esclusivo”, veniva presa traccia dei documenti identificativi dei clienti e i loro nomi venivano segnati su dei registri. Nessuna traccia di Francesco e Jack, tuttavia.
A quel punto, potevano solo sperare che il luogo da cui Francesco aveva chiamato si trovasse nelle vicinanze del locale e che i due ragazzi fossero ancora lì. Altrimenti non sarebbero mai riusciti a trovarli da soli.

Mentre cercava parcheggio, si ritrovò a pensare a quante volte aveva sognato che capitasse una cosa del genere, anche il suo ruolo e quello di Francesco erano invertiti. Nella sua mente di ragazzina ingenua, sarebbe stato un ottimo modo perché il suo “principe azzurro” comprendesse i sentimenti che provava per lei (Ma dove? Quell’ameba si innamora di qualunque essere respirante, tranne te! Nd: Mercer) e le si proponesse, magari regalandole una bella rosa rossa… Ma chi voleva prendere in giro? Certe cose uno sgorbio come lei le poteva giusto leggere nei libri. Da bambina poteva ancora sperare che, da grande, il suo aspetto sarebbe migliorato, ma ormai aveva già 19 anni e ciò che era fatto, era fatto. Il suo aspetto non avrebbe più potuto subire cambiamenti significativi o, comunque, sufficienti a “salvare” in qualche modo la situazione. Che, tra parentesi, le sarebbe davvero piaciuto poter incontrare chi aveva deciso di scrivere che tutte le principesse delle favole dovessero possedere una bellezza fuori dal comune. Così illudevano le bambine! E anche gli avidi pretendenti di queste ultime. Specie se, poi, i genitori ed i fratelli delle sopracitata parevano delle divinità greche. Le ingiustizie della vita, SIG!

Comunque, tornando a noi, non appena Mary e Ianiro giunsero sul vasto piazzale alla fine del quale sorgeva il famigerato Night (già dalla descrizione si può capire come si tratti di un posto completamente inventato. Da quando in qua in Liguria (specie nel Levante) ci sono pianure abbastanza vaste da consentire la costruzione di una piazza di certe dimensioni?) “La rosa dei venti”, assisterono ad una scena oltremodo indecorosa. Francesco e Giacomo erano praticamente rannicchiati su loro stessi, abbracciando le gambe strette al petto e dondolandosi avanti e indietro, mentre fissavano il vuoto, con occhi vacui. Nel frattempo, i “pretendenti” li circondavano e non risparmiavano commenti provocanti.
A quanto pare, Francesca (la bugia che Mary aveva raccontato a Fabio non era, poi, così distante dalla realtà), prima di essere incatenata ad uno scoglio, aveva promesso a Marta che, nel caso in cui le fosse capitato qualcosa, l’avrebbe sostituita nell’ultimo lavoretto serale che aveva ottenuto. Se non si fosse presentata per un lungo periodo, al suo “rientro” l’avrebbero certamente licenziata. E lei questo non poteva permetterselo, non di nuovo. La sua famiglia aveva tremendamente bisogno di quei soldi.
Marta, tuttavia, aveva scordato di riferirle il dettaglio della divisa “appariscente” e “mooolto poco coprente” che le dipendenti che servivano dietro i banconi dovevano indossare. Aveva, inoltre, sbadatamente tralasciato di dirle che alcune sue colleghe, nel mentre, si esibivano in spogliarelli e danze poco consone su una pedana rialzata, situata al centro della stanza principale e che copriva quasi l’intera lunghezza della sala. Tutto intorno, personaggi di dubbia reputazione, sedevano su comode poltroncine di diverse forme e spessori, bevendo come se non ci fosse un domani e “godendosi lo spettacolo”. Alcuni di questi, inoltre, solevano intrattenersi con bellissime donne che davano tutta l’aria di non essere loro congiunte, né fidanzate, né conoscenti. Chi ha orecchie per intendere, intenda. E, talvolta, anche qualche barista o ballerina, si univa a loro, specie se aveva bisogno di “arrotondare”.

A onore del vero, tale servigio non era richiesto alle nuove arrivate, ma le occhiate che le avevano lanciato alcuni clienti le avevano fatto intendere che, una volta terminato il suo turno, avrebbe potuto avere qualche piccolo problema nel tornare a casa. Ancora vestita e viva, soprattutto. Preoccupata (e a buona ragione), aveva pensato di contattare Giacomo, detto Jack, (l’unico compagno di classe di cui si fidasse e che non le sbavasse dietro come un cammello), che aveva trascinato in quell’avventura anche Francesco, con cui praticava Karate. Quest’ultimo, che stava per mandarlo a quel paese per averlo disturbato nel pieno di una versione di Greco, come aveva sentito nominare la bella, era corso sotto casa di Jack, che abitava a soli dieci minuti da lui. A quel punto, i due baldi giovini dovevano decidere il da farsi. Si trattava di una situazione delicata, che non capitava proprio tutti i giorni di affrontare. Un singolo errore avrebbe potuto compromettere la buona riuscita della “missione di salvataggio” e condurre tutti e tre alla rovina.

L’unico lato positivo in quella situazione era che, per lo meno, Francesca aveva avuto la lucidità di chiedere aiuto a due karategi esperti. Se fossero insorse delle complicazioni, avrebbero saputo cosa fare e, soprattutto, non trattandosi di Karate tradizionale, in quegli anni avevano ricevuto accorte indicazioni su come affrontare anche i “combattimenti per strada”. Indicazioni, come “L’importante nella vita, così come nel combattimento, è… fare scena!”. E fu proprio a questo savio principio di Marco-Sensei che i due si ispirarono, mentre decidevano di non prendere l’auto, ma di giungere fino a destinazione (10 km), correndo. Sarebbe stata un’entrata spettacolare, degna di Schwarzenegger, senza dubbio. C’era, però, un piccolo dettaglio che i due non avevano calcolato: nessuno dei due era Schwarzenegger. Ed infatti giunsero a destinazione completamente “spompati” e talmente sudati che le poche ragazze presenti badarono bene di stargli alla larga, altro che acclamare i loro nomi con occhi adoranti.
Ad attenderli, inoltre, una triste sorpresa: il locale malfamato non era uno, ma due. Le insegne, in realtà, una piccola differenza l’avevano: sotto una delle due, infatti, si poteva leggere una piccola scritta blu luminescente, che recava le lettere “LGBT”.
Caso volle, però, che Francesco, cieco come una talpa, avesse appositamente scelto di non indossare gli occhiali, nella vana speranza di riuscire a fare colpo su Francesca (Ma se sei fidanzato, cretino! Nd: Jack. Ma portiamo lo stesso nome: è un segno! Nd: Francesco. Hey, anch’io faccio “Francesca” di terzo nome! Nd: Mary. Mocciosa: dignità. Nd: Mercer), e che si fosse fatto accompagnare dall’unico ragazzo talmente ingenuo da non capire che cosa quella scritta potesse significare. Fu, dunque, questo il motivo principale per cui i due decisero di entrare in entrambi (chiedere indicazioni va contro la morale maschile), partendo prima con quello più vicino: il locale “friendly” nei confronti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Vi capitarono, tra l’altro, l’unico giorno della settimana in cui si “esibivano” solo giovani uomini; ma nemmeno quest’ultimo dettaglio fece intuire ai nostri svegli anti(eroi) l’orientamento sessuale del “pubblico”.
Ed ecco spiegato come i due “salvatori” si erano trasformati in damigelle da salvare…

“E’ proprio vero che sono cambiati i tempi” sospirò Mr. Mercer, che ancora non riusciva a credere ai propri occhi. Da quando in qua le vittime di violenza per o pera di un “branco” erano degli uomini e non una ragazza dal fisico divino e che soleva uscire abbigliata in maniera poco consona persino per i canoni del XXI secolo? Adolescenti brutti come la fame, pure. Ma in che mondo erano finiti?
“Imbarazzante” commentò mentalmente Mary, mentre si apprestava ad allontanare i soggetti molesti. Anche se, ad onore del vero, il malinteso era nato, per lo più, per colpa dei suoi amici. Del resto, quale non-spogliarellista entrerebbe in un locale gay a petto nudo (già, si erano tolti la maglietta durante la corsa per non rischiare di bagnarla di sudore… come se potesse servire a qualcosa. Bah, maschi! Nd: me), in pieno inverno, ed esibendosi in pose “seducenti”? Erano proprio due deficienti.
Poi, però, vedendoli ancora seduti a terra, piangenti, sentì una stretta al cuore e non se la sentì di infierire oltre. Del resto, le donne erano abituate a “stare in guardia” e studiare trucchi per difendersi, specie se erano costrette a raggiungere un luogo a piedi ad orari poco consigliati. Per Francesco e Jack, invece, doveva essere un’esperienza nuova… e traumatizzante. Che poi, le sarebbe tanto piaciuto sapere per quale motivo gli uomini non si facevano problemi a fare “cat calling” o, addirittura molestare le donne, ma, come era la loro dignità ad essere presa di mira, ecco che urlavano terrorizzati, scappavano, chiamavano le forze dell’ordine, cercavano vendetta, … (anche senza un vero motivo). Giusto per fare un esempio, una volta una signorina transgender aveva bussato contro il finestrino della macchina del padre di Mary, per chiedere indicazioni. Non l’avesse mai fatto: questo aveva cacciato un urlo talmente forte da essere udibile fino dalla Francia e poi aveva tentato di investirla. Gli omofobi erano strani.

‹‹Tieni: prenderai un accidente, altrimenti›› Francesco comprese a che cosa si riferissero quelle parole, solo quando si tolse dal capo l’oggetto che gli aveva momentaneamente oscurato la visuale. Maria Vittoria lo aveva appena centrato con la stessa giacca che aveva prestato ad Emanuela poche settimane prima.
‹‹G-grazie Mary (*pronuncia letterale all’italiana*)›› riuscì a pronunciare a fatica, mentre ancora cercava di trattenere le lacrime. Era stata l’esperienza peggiore della sua vita e non l’avrebbe augurata nemmeno al suo peggior nemico. Ora capiva perché le sue amiche e la sua fidanzata lo pregavano sempre di accompagnarle a casa, quando faceva buio e si pentì di tutte le volte in cui, scocciato, gli aveva detto di “darsi una mossa”, di “non fare le bambine” o che “tanto casa loro era a due passi”. Si sentiva uno schifo al solo pensiero dell’egoismo e dell’ignoranza che aveva dimostrato in quei frangenti.

Vedendo che, però, il ragazzo non dava segno di riprendersi, la ragazza gli consigliò: ‹‹Sentiti libero di sfogarti: è il minimo, dopo tutte le mie crisi isteriche a cui hai assistito hahaha››
‹‹Tu non hai mai pianto, però›› le fece notare lui. Allora ogni tanto faceva caso anche a quello che faceva lei. Joy!
‹‹Non in pubblico: non sembro né abbastanza attraente, né abbastanza indifesa per potermelo permettere. Ma a casa… a volte mi ritrovo a pensare che mi converrebbe scrivere allerta meteo arancione sulla porta della mia stanza. Eviterei ai miei genitori di affogare nel mio mare di lacrime›› ridacchiò lei, per poi proporgli, con un tono più serio: ‹‹Se mi giuri che, poi, non ti terrai tutto dentro, ti racconto una cosa che non sa nemmeno Takashi-Sempai››
‹‹Hai seriamente un segreto così importante?›› la prese in giro lui, che ben sapeva dell’amore platonico che tutte e sue compagne di karate provavano per lui.
‹‹Ebbene sì, lo confesso›› ammise lei, simulando un’aria sconfitta.
‹‹Allora, immagino non potermi assolutamente perdere quest’occasione…››
‹‹Prova a raccontarlo a qualcuno e ti faccio perseguitare dal mio coinquilino dal coltello facile›› lo freddò subito lei. L’espressione terrorizzata dell’amico le fece intendere che aveva afferrato il concetto.
‹‹Quando avevo sette anni, mi sono allontanata dai miei genitori durante una festa a Via Reggio e, proprio quando pensavo di essermi completamente persa, ho visto una signora molto bella, che indossava dei vestiti simili a quelli delle Winx››
Udendo quelle parole, Francesco scoppio a ridere: ‹‹Hai chiesto indicazioni ad una prostituta?››
‹‹Con il senno di poi ho fatto bene: chi meglio di loro conosce le vie meno sicure di una città? E comunque era molto gentile›› Mary sorrise a quel ricordo. Quanto era ingenua all’epoca. Se solo fosse stata un po’ più grande avrebbe capito quale fosse la sua reale occupazione e avrebbe chiesto ai suoi genitori di assumerla nella loro tenuta di campagna. Del resto avevano sempre bisogno di cameriere, addette alle pulizie e governanti ‹‹Quando mi ha vista avvicinarmi, mi ha detto di essere una prostituta e mi ha chiesto se sapessi che cosa significasse. E io le ho risposto, bella tranquilla: sei una fata!››

‹‹Sei davvero assurda›› le disse lui, sempre più perplesso.
‹‹Sai perché ho risposto così? Perché tutte le volte che guardavo le Winx alla televisione, mio padre litigava con mia madre, dicendole che non poteva permettere a sua figlia di guardare un cartone animato dove c’erano delle ragazze vestite da prostitute. E così è nato l’equivoco›› ridacchiò lei, per poi giungere, finalmente al punto della discussione: ‹‹Le ho chiesto perché fosse così tanto truccata e lei mi ha risposto che il trucco è l’armatura di una donna. Se una donna lo mette, sa di non poter piangere, perché le lacrime lo scioglierebbero, restituendole un aspetto vergognoso3››
Udendo una riflessione tanto profonda, Francesco non rispose nulla: non avrebbe saputo che cosa dire. Una cosa, però, era certa: non avrebbe mai più pronunciato il termine “prostituta” con disprezzo.
‹‹Tutto questo per dire che quando mi vedete truccata non sta per cadere il cielo… Sì, lo so che lo dite, non sono sorda a tal punto. Comunque, dicevo, quando sono truccata è perché so che rischio di scoppiare a piangere come una fontana››
‹‹Ma quindi alle gare…››
‹‹Non rimango impassibile di fronte agli insulti perché sono strana, non provo sentimenti o qualunque altra cavolata vi venga in mente. Semplicemente so che sarebbe un’azione inutile e che, tanto, nessuno prenderebbe le mie difese… A parte Takaschi-Sempai, ovviamente. Il mio eroe c’è sempre per me!›› ironizzò lei, alla fine, rendendosi conto di aver fatto prendere una piega poco positiva al discorso. Se i suoi amici e compagni non capivano che, anche se non era bella ed era forte quasi quanto loro, aveva dei sentimenti, non aveva nessuna intenzione di essere più esplicita di così nello spiegarglielo.
Come volersi a dimostrare, l’unica parte del discorso che interessò a Francesco fu l’ultima: ‹‹Hahaha Takashi-Sempai! Un giorno dovrete spiegarmi che cos’ha il maestro che io non possiedo. Com’è possibile che tutte le donne cadano ai suoi piedi?››

‹‹Umiltà›› Francesco ebbe come la sensazione che quella parola avesse assunto una dimensione concreta e l’avesse trafitto ‹‹Saggezza›› altra pugnata ‹‹Prestanza fisica›› duplice pugnalata.
‹‹Ma ha ottant’anni!›› obbiettò lui, offeso nel profondo dell’orgoglio.
‹‹Esatto. Quindi, ti consiglio di iniziare a fare le flessioni non solo quando ti vuoi presentare ad una ragazza, sperando di fare colpo›› raffica di pugnalate ‹‹Galanteria›› pugnalata ‹‹Coraggio›› altra pugnalata ‹‹Conoscenza delle lingue vive››
‹‹Hey, questo è sleale!›› si lamentò lui. Poverino, non era colpa sua se aveva scelto il classico.
 
Nel mentre, Jack e Mr. Mercer osservavano la scena straniti. Erano abbastanza vicini da poter vedere che cosa succedeva, ma troppo lontani per poter udire le loro parole.
‹‹Che cosa gli è preso?›› domandò, infatti, il Settecentesco, vedendo Francesco che si stava via a via accasciando a terra, contorcendosi ogni volta che Mary apriva bocca, peggio di Giulio Cesare alle Idi di Marzo.
‹‹Mary (*sempre pronunciato all’italiana* lo sta trafiggendo›› gli rispose Giacomo, come se fosse la cosa più normale del mondo.
‹‹Ma se non ha niente in mano›› gli fece notare lui.
‹‹Non sono ferite fisiche…›› disse Jack, vago. La sua espressione sofferente mostrava l’empatia che provava per il compagno, in quel momento.
‹‹E questo rumore stridulo che copre la musica?›› domandò, ancora, Mr. Mercer, sempre più sconcertato.
‹‹La convinzione che va in frantumi›› sentenziò lui, enigmatico. “Aveva ragione la prof. Bardolasa: chi pecca di ὕβϱις fa sempre una brutta fine…” si trovò a pensare, nel mentre.
 
 
Note:
1- (Chi l’ha notato è un grande) ho giocato con il duplice significato del termine latino “vigilia”, che al singolare significa, appunto veglia (ovvero stare svegli), servizio di guardia notturna, … Mentre al plurale significa, generalmente “sentinella”. Scusate i miei scleri notturni, hehehe.
2- Chi è vecchio come me, avrà certamente collegato la frase al cartone animato “Robin Hood” della Disney.
3- Un piccolo tributo ad un anime (tratto dall’omonima serie di Light Novel giapponese “Saiunkoku Monogatari”, che io purtroppo non posso leggere perché non sono mai stati tradotti né in inglese, né in altre lingue all’infuori del giapponese, SIG!) che ho adorato quando ero una ragazzina.

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