Il Cavaliere Nero

di eddiefrancesco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PRIMO CAPITOLO ***
Capitolo 2: *** SECONDO CAPITOLO ***
Capitolo 3: *** TERZO CAPITOLO ***
Capitolo 4: *** QUARTO CAPITOLO ***
Capitolo 5: *** QUINTO CAPITOLO ***
Capitolo 6: *** SESTO CAPITOLO ***
Capitolo 7: *** SETTIMO CAPITOLO ***
Capitolo 8: *** OTTAVO CAPITOLO ***
Capitolo 9: *** NONO CAPITOLO ***
Capitolo 10: *** DECIMO CAPITOLO ***
Capitolo 11: *** UNDICESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 12: *** DODICESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 13: *** TREDICESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 14: *** QUATTORDICESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 15: *** QUINDICESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 16: *** SEDICESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 17: *** DICIASSETTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 18: *** DICIOTTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 19: *** DICIANNOVESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 20: *** VENTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 21: *** VENTUNESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 22: *** VENTIDUESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 23: *** VENTITREESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 24: *** VENTIQUATTRESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 25: *** VENTICINQUESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 26: *** VENTISEIESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 27: *** VENTISETTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 28: *** VENTOTTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 29: *** VENTINOVESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 30: *** TRENTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 31: *** TRENTUNESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 32: *** TRENTADUESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 33: *** TRENTATREESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 34: *** TRENTAQUATTRESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 35: *** TRENTACINQUESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 36: *** TRENTASEIESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 37: *** TRENTASETTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 38: *** TRENTOTTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 39: *** TRENTANOVESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 40: *** QUARANTESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 41: *** QUARANTUNESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 42: *** QUARANTADUESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 43: *** QUARANTATREESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 44: *** QUARANTAQUATTRESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 45: *** QUARANTACINQUESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 46: *** QUARANTASEIESIMO CAPITOLO ***
Capitolo 47: *** QUARANTASETTESIMO CAPITOLO ***



Capitolo 1
*** PRIMO CAPITOLO ***


Inghilterra, 1863 Sua grazia la duchessa di Barroughby era oltremodo contrariata. Lady Hester Pimblett, sua dama di compagnia da circa quattro mesi, lo intuì all'istante dalla fronte aggrottata e dalle labbra serrate in una linea dura. - Abbiate la bontà di portarmi immediatamente il poggiapiedi! - le ordinò la duchessa in tono stizzoso, gli occhi scuri che sprizzavano scintille, la cuffia di pizzo bianco che fremeva per la collera, mentre l'abito di rasatello nero parve trasformarsi all'improvviso in una corazza indossata per scendere in campo. - E chiudete le tende. Mi sta venendo un'emicrania.- In momenti come quello Hester si scopriva a domandarsi se valesse proprio la pena occuparsi di un'anziana signora invece di vivere con i suoi genitori o una delle sue sorelle maritate da poco, sospettando che i suoi tentativi per alleviare gli immaginari malesseri della duchessa sarebbero risultati vani. Vedendola spiegazzare la lettera che aveva appena ricevuto fra le sue dita adunche, si chiese quale potesse esserne il contenuto per suscitare una simile reazione. L'ingiuriosa missiva sembrava scritta in una calligrafia maschile, che a giudicare dal furore della duchessa non doveva essere quella del suo adorato figliolo. Di conseguenza, concluse, o il mittente era il figliastro, il famigerato duca di Barroughby, o la lettera lo riguardava. Hester le avvicinò il piccolo sgabello in modo che potesse appoggiarvi i piedi, poi chiuse le pesanti tende di damasco e preparò il flacone di profumo che la duchessa non avrebbe mancato di applicarsi sulle tempie. - Ha il coraggio di venire qui! - proruppe questa con inaudita veemenza. - Quel brutto furfante! Quella canaglia! Se fosse a conoscenza anche solo della metà dei suoi misfatti, suo padre si rigirerebbe nella tomba. - Dunque, lord Adrian Fitzwalter, il primogenito del defunto duca, noto anche come il Cavaliere Nero, stava tornando a casa. Dato che non vi aveva mai messo piede dal giorno del suo arrivo, Hester dovette ammettere di essere curiosa di vederlo da vicino. Un paio di volte le era stato indicato in mezzo alla folla di un ricevimento, fra innumerevoli bisbigli e congetture. Il suo potere di seduzione era talmente leggendario che, se lei fosse stata più attraente, avrebbe avuto motivo di temere la sua presenza. Comunque, non essendolo, non correva il rischio di richiamare la sua attenzione ed era libera di abbandonarsi all'innocua eccitazione di pregustare la sua venuta. Jenkins, il vecchio maggiordomo, apparve sulla soglia del salotto. Pur essendo piuttosto duro d'orecchio, sarebbe dovuto essere sordo come una campana per non udire le invettive della duchessa. - Portate del vino per sua grazia, per favore - lo pregò Hester. - Un tino? Per farne che cosa, milady? - - Vino. Del vino per sua grazia -. - Oh, benissimo, milady - Il maggiordomo si allontanò e lei riportò la sua attenzione sull' irata nobildonna. - Elliott, per fortuna, si trova all'estero - riprese sua signoria, trascurando il piccolo particolare che attendeva da mesi il ritorno del figlio. - Dovrei rifiutare l'accesso in questa casa a quel mascalzone. Lo metterò immediatamente alla porta. L'impudenza di quel delinquente! - Hester la lasciò vaneggiare, ben sapendo che la duchessa non desiderava né aveva bisogno di una risposta per seguitare a esprimere stizzosamente la sua opinione. - Si, non lo degnero' neanche di un saluto, fingerò di non accorgermi di lui. Può alloggiare in una locanda del villaggio, se vuole, ma qui non starà! - Si coprì gli occhi con un gemito. - Dov'è il mio profumo? Mandate a chiamare il dottor Woadly. Mi sento malissimo. Mi gira la testa -. - Subito, vostra grazia - rispose Hester, anche se non si affrettò a chiamare un valletto per ordinargli di far venire il medico, ma prese a tamponarle alcune gocce di profumo sulla fronte. Dubitava alquanto della necessità di una visita del dottor Woadly, che veniva già convocato fin troppo spesso a Barroughby Hall per una serie di svariati, insignificanti malesseri. - Quando arriverà il duca? - - Oggi, naturalmente. Oh, la faccia tosta di quell'individuo! Non ha nemmeno aspettato una mia risposta. - - Perché sapevo che avrei trovato una calda, gioiosa accoglienza - ribatté una profonda voce maschile. Girandosi di scatto, Hester scorse l'uomo in piedi sulla soglia, appoggiato allo stipite in una posa indolente, le braccia incrociate sul petto. Molto alto, possedeva una magnifica figura, messa in risalto dalla giacca azzurra da mattina, una camicia di lino bianco, pantaloni avana e stivali al ginocchio. Aveva i capelli neri, al pari delle folte ma ben disegnate sopracciglia ed era talmente bello, che lei non dubito' neanche per un attimo di avere di fronte a sé il Cavaliere Nero in persona. Se c'era una cosa incongruente nel suo aspetto era il viso estremamente pallido, poiché, oltre a una condotta dissoluta, l'aggettivo nero faceva anche pensare a una carnagione olivastra o abbronzata dal sole. Hester accennò una riverenza e andò a mettersi in disparte. Dopo averle lanciato una rapida occhiata, lui riportò la sua attenzione sulla duchessa che lo stava fissando con un misto di collera, sbigottimento e, si stupi' lei, quella che poteva essere soltanto paura. Non aveva mai immaginato che esistesse una persona capace di spaventare la duchessa in tutta l'Inghilterra, ma evidentemente si era sbagliata. O forse la sua reazione non era poi tanto sorprendente, poiché c'era qualcosa nella schiacciante personalità di quell'uomo che sembrava incutere come minimo un timore reverenziale. Momentaneamente ammutolita, sua grazia seguì con lo sguardo il figliastro che avanzava nella stanza e prendeva posto su una poltrona senza attendere di essere invitato a farlo. Immaginando che la sua presenza non fosse gradita, Hester si diresse alla porta. - Dove andate? - la richiamò la duchessa. - Non vi ho autorizzata a lasciarmi - - Ritengo che la vostra deliziosa compagna non desideri apparire indiscreta, madre - osservò il duca. - Non è così, signorina...- Si volse a guardarla con un'espressione vagamente interrogativa che lei trovò piuttosto snervante. Meno bella delle sue sorelle, non era abituata a essere squadrata in quel modo, tantomeno da un uomo con la reputazione del duca. Senza lasciarle il tempo di rispondere, la duchessa interloquì, decidendosi finalmente a presentarla. - È lady Hester Pimblett, la figlia di lord Pimblett - - Lietissimo, lady Hester - Sollevandosi appena dalla poltrona, il duca le rivolse un sorriso ironico, leggermente autocritico, che la indusse a realizzare come avesse acquisito la sua fama di seduttore. Con il suo aspetto, il suo sguardo penetrante e quel sorriso non doveva avere difficoltà a conquistare il cuore di molte fanciulle. Benché non si considerasse inferiore al duca, appartenendo a una famiglia tanto antica se non aristocratica quanto la sua, lei si sentì arrossire. - Voglio che restiate. Non mi sento bene - affermò cupa la duchessa. Evidentemente, dopo lo choc iniziale causato dall'improvvisa comparsa del figliastro, stava riacquistando la padronanza di sé. Lui annuì, forse perché preferiva evitare di discutere, e Hester si rassegnò assistere a una conversazione imbarazzante. - Esigo di sapere quale altro disgustoso episodio vi ha portato qui questa volta - dichiarò la duchessa, imbaldanzita dalla piccola vittoria riportata. - Non potrebbe darsi che desiderassi rivedere la mia matrigna? - Per tutta risposta, la duchessa emise un suono sprezzante. - La donna in questione era sposata? È per questo che vi siete dovuto rifugiare in campagna e turbare la nostra quiete? - - No, non era sposata, ma non è per questo che sono qui. - - Perché, allora? - Anche se rimase perfettamente immobile, un lampo di collera sfrecciò negli occhi del duca.

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Capitolo 2
*** SECONDO CAPITOLO ***


- Ho tutto il diritto di tornare a casa mia. - - Non mi meraviglio che siate stato costretto a lasciare Londra. Immagino che ancora una volta vi siate battuto a duello.- - Immaginate quello che vi pare, vostra grazia. Non vi disturberò che per un breve periodo. Dov'è Elliott? - - Ancora in Francia, grazie a Dio. - - Ah. Per quando è previsto il suo ritorno? - - Da un giorno all'altro, Adrian, da un giorno all'altro. Confesso che sono felice che si trovi ancora all'estero. Preferisco che non venga contaminato dell'ennesimo scandalo in cui siete coinvolto. Non pensate proprio mai a noi? Non pensate mai a vostro fratello? No, non prendetevi la briga di rispondere. È chiaro come il sole. Voi non pensate che a voi stesso. - Il duca di alzò in piedi lentamente. - Con il vostro permesso, mi ritiro nella mia stanza.- - Non ho ancora finito con voi. Voglio sapere che cos'avete fatto! - - Per quanto sia convinto dell'autenticità del vostro interesse, io ho finito con voi, vostra grazia. Il mio avversario non è stato il solo a restare ferito e a meno che non vogliate che macchi di sangue il tappeto, vi consiglio di non trattenermi. Buongiorno, lady Hester. I miei omaggi, vostra grazia. - - Desiderate che chiami un valletto? - domandò Hester attraversando la stanza. - Hester! - la richiamò la duchessa in tono brusco. - Venite subito qui! Ho bisogno di voi! - Con un certo divertimento, Adrian vide esitare l'ultima dama di compagnia della sua matrigna, o schiava, come sempre considerava quelle sventurate. Poi, con una somma meraviglia, la vide assumere un'espressione risoluta. - Se volete scusarmi, vostra grazia, sarò da voi fra un minuto.- Adrian avrebbe sorriso compiaciuto per quell'aperta disobbedienza, se non avesse saputo che così facendo avrebbe contribuito soltanto ad alimentare la collera della sua matrigna e a rendere le cose ancor più difficili per lady Hester. Perché una giovane donna nobile e ricca trascorreva le sue giornate ad accudire quell'arpia?,si domandò. Doveva avere ben altre opportunità, anche se non era una bellezza. Pimblett. Conosceva quel nome e ricordava delle figlie, ma non una Hester. Helena Pimblett veniva giudicata assolutamente splendida. Lui l'aveva vista una volta a teatro e gli era parsa una donna frivola, piena di sé. Alcuni suoi conoscenti che se ne intendevano sostenevano che anche la sorella minore era incantevole. Tuttavia, non aveva mai sentito parlare di una terza sorella e il motivo appariva chiaro. A Londra, una ragazza come quella sarebbe passata pressoché inosservata. Eppure, non era del tutto priva di attrattive. Gli occhi color fiordaliso erano frangiato da lunghe ciglia scure,lo stesso colore dei suoi capelli, raccolti in un semplice nodo sulla nuca. Aveva una pelle di seta, il colorito sano di chi è cresciuto in campagna, lineamenti delicati e un naso di cui nessuna donna avrebbe potuto vergognarsi. Vestiva semplicemente ma con buongusto e possedeva una figura più che passabile. E a giudicare da come aveva reagito all'ordine imperioso della duchessa, doveva anche essere una ragazza fuori dal comune. In quel momento lady Hester apparve sulla soglia, seguita da Jenkins e da due valletti. A quel punto, la ferita gli doleva in modo atroce e sentiva il sangue filtrare attraverso la fasciatura. Ciononostante, non si sentiva tanto malandato da aver bisogno dell'aiuto di tre uomini. - Mi sono presa la libertà di mandare a chiamare il chirurgo per il duca, oltre al dottor Woadly - annunciò lei con una voce amabile, piacevole quanto la sua espressione. Si rivolse alla duchessa prima di portare lo sguardo su di lui esaminandolo senza batter ciglio, quasi fosse stato un insetto sotto vetro. Adrian ricambiò lo sguardo, più per curiosità che per altro, quindi decise di tentare a sua volta un esperimento e le sorrise con tutto il suo fascino che riuscì a mettere insieme. - Vi ringrazio, lady Hester. - Lei non arrossì, non abbassò gli occhi né lo fissò in modo sfacciato. Si limitò a tornare al suo posto. La sua reazione, o mancanza di reazione, non aveva alcuna importanza, si disse Adrian. Perché avrebbe dovuto averla essendo una ragazza tanto insignificante? E poteva anche darsi che, pallido e smunto com'era a causa della perdita di sangue, lui non apparisse nella sua forma migliore. Sì, questo avrebbe spiegato come mai una donna della sua età fosse rimasta insensibile al suo fascino. Deciso a ignorarla, si avviò zoppicando alla porta. - Jenkins, se mi permettete di appoggiarmi al vostro braccio, potete congedare i valletti. Non appena sarà arrivato, mandate il chirurgo nella mia stanza.- - I sali, lady Hester! - le ordinò la duchessa. Senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, lei accorse a prendersi cura della sua matrigna. - Devo avere un aspetto davvero spaventoso - mormorò Adrian dirigendosi verso le scale ed evitando di appoggiarsi troppo al vecchio maggiordomo. - Che cosa vi aspettate, vostra grazia? - - Niente, non ho detto niente. - - Si, invece. Avete detto che vi aspettate qualcosa.- - Mi riferivo al ritratto di mio padre. È molto sporco e mi aspetto che venga pulito al più presto.- Indugiarono sul pianerottolo per osservare il ritratto del quinto duca di Barroughby, appeso accanto a quello più piccolo della sua prima moglie. - Bei tempi - sospirò Jenkins. - Ero più giovane allora.- - Bè, se è per questo, lo eravamo tutti - gli fece notare il sesto duca di Barroughby, affrontando con cautela la seconda rampa di scale. - Non è necessario che assumiate quell'aria così cupa, John.- Adrian sorrise al chirurgo che gli stava bendando la ferita alla coscia. - Mi è capitato di peggio. - - Che cosa ve l'ha procurata, questa volta? - domandò John Mapleton. - Non una spada.- - Una pistola da venti passi di distanza.- - Ah. - - Ho perso una certa quantità di sangue, ma non mi causerà un danno permanente, mi ha assicurato il chirurgo di londra.- - Buon per voi.- Mapleton si raddrizzò sbuffando. - Vi è andata bene ancora una volta. Un giorno o l'altro non sarete tanto fortunato. Finirete per farvi ammazzare.- - Non avevo molto da temere dal mio avversario. Temevo piuttosto che il suo proiettile colpisse il mio padrino o un innocente spettatore.- - Uhm. Per quale ragione vi siete battuto? Una donna?- - Già. - Alzando il piede, Adrian lo posò cautamente sul tappeto. Sul tavolo accanto alla poltrona su cui sedeva c'erano una bacinella di acqua arrossata dal sangue e il panno che il chirurgo aveva usato per lavargli la ferita, oggetti che sembravano fuori posto nella stanza sfarzosamente arredata con la sua costosa carta da parati, le comode poltrone di broccato, i tavoli di squisita fattura e il grande letto a baldacchino. - Vostra o di Elliott? - Lui non rispose. Rimase muto e immobile. Accigliandosi, Mapleton riprese a riporre i suoi ammennicoli nella borsa. - Di Elliott, evidentemente. Avrei dovuto immaginarlo. Quell'irresponsabile se l'è svignata in Europa e voi vi siete addossato la colpa. Tanto per cambiare.- - È tutto a posto adesso, quindi preferirei non parlarne.- Adrian sobbalzò nell'appoggiare il peso del corpo sulla gamba ferita. - Dovreste riposare, vostra grazia. Ditemi, non vi è venuto in mente di prendere una carrozza per venire qui?- - Drake aveva bisogno di moto e dopo tanti mesi a Londra, io avevo bisogno di respirare dell'aria pulita.- La voce sommessa del dottor Woadly risuonò nel corridoio. - Temo che la mia venuta abbia causato un'indisposizione alla mia matrigna - aggiunse in tono sarcastico. - Potreste mandarla a Dower House.- - Perché dica a tutti che l'ho messa alla porta?- - Non ha alcun diritto di stare a Barroughby Hall. Vostro padre l'ha lasciata a voi.- - È vero.- Adrian estrasse un sigaro dalla tasca del panciotto e accese un fiammifero. - Data la mia reputazione, suppongo che una macchia in più non faccia una grande differenza. Non che non ci abbia pensato. Mio padre, però, voleva che lei restasse qui. Insieme a jenkins.-

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Capitolo 3
*** TERZO CAPITOLO ***


- Vostro padre è morto dieci anni fa.- - Non immaginavo che ci fosse un limite di tempo per le promesse fatte al capezzale di una persona morente.- - Dovrebbe esserci.- - È un argomento talmente spiacevole, John - ribatté Adrian espirando una boccata di fumo. - Sedetevi e bevete un brandy con me - Mapleton esitò un istante prima di annuire. - Se mi permettete di servirvelo - - Sono ben contento di non dover muovere un dito - Mapleton si avvicinò a un tavolo su cui si trovavano una caraffa e alcuni bicchieri di cristallo. Versò il liquore in due di essi e gliene porse uno prima di sedergli accanto. - Dovreste mettere Jenkins a riposo. Assegnategli un cottage e una pensione. Sta diventando troppo vecchio per il lavoro che fa e il suo udito...- - Lo so. Ogni volta che vengo qui lo trovo peggiorato. Mi sono accertato che non svolga che le mansioni meno faticose perché un giorno che ho accennato vagamente alla sua età, credevo che si sarebbe messo a piangere. Il vecchio Jenkins con le lacrime agli occhi è uno spettacolo davvero seccante. - - Dovete sempre scherzare su tutto, milord?- - Facilita le cose - - Mi stupisce che la duchessa non abbia voluto sbarazzarsi di lui. Non mi sembra che abbia la pazienza necessaria per sopportare i suoi errori.- - Ah, ma su questo punto posso fornirvi una spiegazione. Jenkins era già un uomo di mezza età quando lei sposò mio padre. Quindi, se Jenkins è troppo vecchio per fare il suo lavoro, quanti anni ha la duchessa?- - Volete dire che se ammettesse che Jenkins deve andare in pensione, ammetterebbe che anche lei sta invecchiando? - - Esatto. - - E immagino di poter arguire che, assumendo una giovane donna non troppo attraente come dama di compagnia, si illuda di continuare a essere la donna più bella della casa.- - È probabile. Da quanto tempo si trova qui lady Hester?- - Circa quattro mesi.- - È un aiuto prezioso, non è vero?- - Credo che il dottor Woadly non esiterebbe a convenirne - - Capisco. Meno chiamate da Barroughby Hall? - - Così pare - - Credo che abbiamo indovinato per quale ragione lei risultati tanto gradita alla mia matrigna, ma perché pensate che lady Hester accetti di restare qui?- - Non ne ho la più pallida idea. Può darsi che non abbia altre alternative - - E i suoi genitori? Sono morti? - - Oh no, sono entrambi vivi e vegeti. Mi risulta che stiano facendo un lungo viaggio in Europa. Pare che lord Pimblett avesse l'impressione che il clima sarebbe stato benefico per la sua gotta, o così mi ha detto lady Hester. Mi ha rivolto alcune domande su quella malattia. Una ragazza oltremodo intelligente e premurosa. - Il che mi riporta al mio quesito iniziale. Perché potrebbe desiderare di starsene rinchiusa in questo eremo insieme alla mia stimabile matrigna?- - Perché non lo chiedete a lei?- - Forse lo farò.- Mapleton si accigliò e Adrian sospirò costernato. - Oh, no. Voi no. Vi garantisco che non corre alcun pericolo di cadere nelle grinfie del Cavaliere Nero - Il chirurgo ridacchiò, vuotò il bicchiere e si alzò. - Lo so. Ora devo proprio andare. Prendetevi cura di quella gamba. Niente cavalcate nei prossimi giorni.- Gli rispose annuendo distrattamente. - Chissà per quanto tempo ancora resterà qui?- - Lady Hester?- Assentì con il capo. - Perché dovrebbe andarsene adesso, dopo aver già sopportato così a lungo la duchessa? - - Perché, sebbene noi due sappiamo che non ha nulla da temere da me, lei potrebbe non essere dello stesso parere.- Quella sera Hester si sforzò di concentrare la propria attenzione sulla partita a picchetto che stava giocando con la duchessa e di non consentire al suo sguardo di deviare in direzione della porta. In effetti, non esisteva alcun motivo per cui dovesse continuare a farlo. Chi all'infuori di un domestico sarebbe potuto entrare nella stanza, visto che il duca non era sceso a cena? A causa della ferita, aveva riferito Jenkins, aggiungendo che il dottor Mapleton non la riteneva particolarmente grave. Lei tuttavia nutriva il forte sospetto che si fosse rifiutato di continuare ad ascoltare le accuse della sua matrigna, una ragione più che comprensibile. - Dunque, lady Hester, non avevate mai visto il mio figliastro prima di stamattina?- domandò la duchessa. Stava vincendo la partita e doveva essere per questo che sembrava più di buonumore, si disse Hester, rallegrandosi di aver barato. - No, vostra grazia - - Eppure, immagino che abbiate frequentato gli ambienti più esclusivi della società londinese - - Non sono andata spesso in società, vostra grazia - - Come mai? Il vostro rango avrebbe dovuto darvi la certezza di essere bene accetta - Hester si sforzò di non agitarsi sulla sedia, ben sapendo che la duchessa le avrebbe rimproverato quella manifestazione di nervosismo. - Preferivo restare a casa - - Con vostra madre? Molto affettuoso da parte vostra - mormorò la duchessa mentre contava le prese che aveva fatto. Se le piaceva crederlo, lei non intendeva certo contraddirla. Era molto meglio del dover ammettere che le era oltremodo difficile vedere le sue splendide sorelle ricevere tutte le attenzioni, mentre lei veniva trattata più o meno come un soprammobile. - Ho vinto un'altra mano - esultò la duchessa. - Elliot è abilissimo con le carte, sapete. A volte riesce a battere perfino me.- - Sul serio, vostra grazia? - - Oh, sì. È molto richiesto ai tavoli da gioco, sempre che ai balli si lascia persuadere ad abbandonare le danze. Cosa che non accade di frequente, vi assicuro.- Lei si limitò ad annuire. - Ma apprezzerete voi stessa i suoi pregi quando sarà qui.- La duchessa aprì il ventaglio e si accigliò. - Speriamo che allora il duca se ne sia già andato - Hester avrebbe voluto chiederle perché non lo cacciava di casa se trovava tanto odiosa la sua presenza, ma sapeva che detestava essere interrogata. Di conseguenza, non le restava che interrogare se stessa in proposito, oltre che rimuginare sulla personalità del duca. In un certo senso, era più che all'altezza della sua fama. Non le era certo mancato il tempo di osservare la gente ai ricevimenti e, francamente, non le era mai capitato di vedere un uomo più affascinante. Dall'altro canto, aveva dimostrato una pazienza assai stupefacente e del tutto imprevista con la sua bisbetica matrigna. Sarebbe stato logico aspettarsi che un uomo che aveva commesso tutte le malefatte che gli venivano attribuite fosse irascibile e pronto a offendersi. Forse il fatto che la duchessa fosse sua parente spiegava quel suo atteggiamento. Lanciando un'ennesima occhiata alla porta, Hester scorse la cameriera della nobildonna in piedi sulla soglia. - Credo che sia ora di ritirarci, vostra grazia - disse accennando in direzione di Maria. - Ah, si. - La duchessa si alzò facendo ruotare la gonna nera ricamata di perline attorno alla sedia con un gesto aggraziato. - Voi non venite? - - Fra qualche minuto. Ho lasciato il mio libro in biblioteca. Vorrei leggere un po' prima di dormire.- - Vi rovinerete gli occhi. O vi addormenterete con la candela accesa e darete fuoco alla casa.- - Starò molto attenta, vostra grazia - ribatté lei cercando di non badare a quel rimprovero. - Oh, va bene - sbuffò la duchessa raggiungendo la bruna Maria. - Non state sveglia fino a tardi, mi raccomando.- Come se facessi sempre le ore piccole, pensò Hester prendendo una candela e lasciando il salotto. Non avendola mai vista prendere in mano un libro o un giornale, e tantomeno leggerli, non si stupiva che la duchessa non avesse alcun rispetto per la lettura. Imboccò il lungo corridoio che portava alla biblioteca, una stanza in cui la sua datrice di lavoro non metteva mai piede e in cui lei si rifugiava ogniqualvolta desiderava stare un po' sola. Una stanza silenziosa e un tantino solenne, simile a una chiesa vuota, ma che a lei piaceva tanto di più per l'atmosfera di benevolo abbandono che vi regnava.

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Capitolo 4
*** QUARTO CAPITOLO ***


Barroughby Hall era una costruzione immensa, opera di diverse generazioni e di diversi architetti, ognuno dei quali sembrava aver cercato di superare l'altro nello sperperare il patrimonio dei Fitzwalter. Per fortuna anche la tenuta era enorme e alcuni duchi avevano investito saggiamente il loro denaro in opere d'arte, oltre che in vantaggiose transazione di affari, ragion per cui la famiglia non aveva motivo di temere di restare al verde. Attualmente, sia la casa sia il parco circostante erano spettacolari. Di forma quadrata, con un cortile centrale a cui si accedeva dall'atrio, la residenza di campagna dei Barroughby vantava una galleria lunga quasi un miglio, traboccante di statue e preziosi dipinti acquistati in Europa. I soffitti delle sale principali erano tutti affrescati da sommi maestri. Perfino i caminetti erano dei capolavori. La sala da pranzo poteva accogliere facilmente un centinaio di commensali attorno al gigantesco tavolo di mogano. C'erano cinquanta stanze da letto, senza contare quelle della soffitta, destinate al piccolo esercito di domestici. C'erano poi il salotto grande e il salotto piccolo, la biblioteca, lo studio del duca, due sale da fumo, una per il biliardo, l'atrio in stile Tudor, il soggiorno della servitù e la cucina, a una deplorevole distanza dalla sala da pranzo. Pur non essendo un luogo accogliente in cui vivere, aveva i suoi pregi e non tutti di carattere architettonico. Lì, lei non veniva perennemente paragonata alle sue più avvenenti sorelle e non era costretta a prendersi cura di sua madre, la quale, credendosi di salute cagionevole, pretendeva una continua assistenza e accettava la sua come dovuta. Era vero che anche la duchessa accusava parecchi malesseri, ma non così spesso, e le dimostrava una maggiore gratitudine per le cure che le prestava. Inoltre, realizzò Hester, adesso l'eccitante presenza del Cavalliere Nero contribuiva a rendere fuori del comune la sua permanenza in quella casa. Una volta in biblioteca, prese il suo libro, uscì e si diresse verso le scale di servizio, la via più breve per raggiungere la sua stanza. Mentre passava davanti alla cucina, udì le voci dei domestici intenti a sbrigare le ultime faccende della giornata. Arrivata in cima alle scale, indugiò nel corridoio nel rendersi conto che una delle porte fra dove si trovava lei e la sua stanza, una porta che aveva sempre visto accuratamente chiusa, era leggermente aperta. Con tutta probabilità si trattava della stanza del duca e lei avrebbe dovuto passarvi davanti. A quel pensiero si sentì assalire da un curioso misto di eccitazione e paura, finché non si disse che si stava comportando in modo ridicolo. Si aspettava forse che il duca balzasse fuori della stanza, l'afferrasse per un braccio e la trascinasse all'interno? Quell'immagine le parve talmente... talmente romanzesca che fu costretta a soffocare una risata. Come se lei avesse mai potuto trasformarsi in un'eroina. Inoltre, con la gamba ferita, era assai improbabile che lui se ne stesse appostato dietro la porta. Rinfrancata, si avviò risolutamente lungo il corridoio, ma rallentò il passo all'altezza della porta socchiusa. Un gemito le giunse all'orecchio. Non essendoci nessuno nelle vicinanze, varcò cautamente la soglia. All'interno regnava una totale oscurità, poiché non un raggio di luna filtrava dalle tende accuratamente tirate. Sollevando la candela, notò le armoniose proporzioni e l'elegante arredamento della grande stanza. Compreso il letto a baldacchino, con i tendaggi aperti e la figura addormentata del duca, distesa di fianco e rivolta verso la porta. Non sembrava certo una persona temibile in quel momento, pensò lei sorridendo delle sue fantasticherie di poco prima. Non sembrava neanche l'uomo freddo e sarcastico di quel mattino né lo scellerato dipinto dai pettegolezzi. Con i capelli arruffati e gli occhi chiusi assomigliava piuttosto a un bambino biricchino... sebbene nelle sue labbra sensuali non ci fosse nulla di infantile. A un tratto lo vide agitarsi e rotolare supino gettandosi un braccio sul viso. Un braccio nudo e muscoloso. Realizzando che con ogni probabilità non indossava niente al di sotto delle coperte, Hester indietreggiò, pronta a darsela a gambe. Il duca di lasciò sfuggire un altro gemito, forse aveva bisogno di aiuto. Forse lei avrebbe dovuto chiamare qualcuno, ma poi sarebbe stata costretta a spiegare come mai si trovasse in quella stanza. Ricordò di aver udito la voce del suo cameriere personale nel soggiorno della servitù. Avrebbe potuto suonare il campanello e andarsene prima che questi si presentasse. Il cameriere avrebbe pensato che fosse stato il duca a chiamarlo. Decidendo che era la cosa migliore, avanzò nella stanza, dato che il cordone del campanello pendeva accanto alla testiera del letto. E se fosse passato qualcuno? Avrebbe visto la luce. Hester soffiò sulla candela, attese che la vista le si fosse abituata all'oscurità, poi si avvicinò lentamente al letto e afferrò il cordone, esitando la frazione di un istante per osservare l'uomo addormentato. Lui si spostò ancora una volta, girandosi verso di lei e scoprendosi una spalla. Sobbalzando Hester tirò il cordone e lasciò la stanza il più rapidamente e il più silenziosamente possibile. Rimasto solo, Adrian Fitzwalter sollevò le palpebre e sorrise. Il giorno seguente si lasciò cadere su una panchina di pietra del giardino, fredda e dura quanto il cuore della sua matrigna, e allungò la gamba sinistra davanti a sé. Gli doleva molto e benché credesse a quanto gli aveva assicurato Mapleton, ossia che non si trattava di una ferita grave, non poteva fare a meno di chiedersi quando sarebbe stato in grado di andarsene, o almeno di uscire a cavallo. Tuttavia, tanto valeva che nel frattempo si godesse il giardino, che aveva visto così di rado ultimamente, e il tepore di quella eccezionalmente mite giornata autunnale. Lasciò vagare lo sguardo sulle aiuole fiorite, sui viottoli e sul boschetto. La sua matrigna si era data un gran daffare o comunque era stata molto impegnata a impartite ordini. Del giardino di sua madre restava ormai ben poco. Tutto era convenzionale adesso e, a suo avviso, privo di qualsiasi bellezza naturale. D'un tratto si domandò che cos'avrebbe detto suo padre di quella totale trasformazione, poi si diede dello sciocco. Suo padre non avrebbe aperto bocca, qualsiasi cosa pensasse. Era sempre stato un uomo molto taciturno. Fin troppo taciturno, salvo in un'unica memorabile occasione. Quanto alle migliorie che non gli piacevano, la sua matrigna non sarebbe vissuta in eterno. Dopo la sua scomparsa lui avrebbe risistemato ogni cosa com'era stata una volta, prima che sua madre morisse quando lui non aveva che dieci anni e la sua vita cambiasse per sempre. Forse aveva fatto male a venire a Barroughby, con tutti i ricordi che conteneva. Sarebbe dovuto restare a Londra almeno fino a Natale e affrontare a viso aperto anche quell'ultimo scandalo. Costringendosi a concentrarsi sul profumo delle rose, si sforzò di dimenticare il viso rigato di lacrime di Elizabeth Howell e il corpicino del suo bimbo appena nato, disteso privo di vita in una culla di legno accanto al sudicio, stretto lettuccio. Chinandosi in avanti, si massaggiò le tempie, come se con quel gesto avesse potuto cancellare i ricordi. Aveva fatto quanto era stato in suo potere, ben sapendo che non sarebbe mai riuscito a compensare Elizabeth per la perdita del suo onore, della sua felicità e del suo bambino. - Mia cara duchessa! Come dovete essere prostrata - Adrian girò la testa talmente di colpo in direzione del salotto principale, che una fitta lancinante gli trafisse il collo. La voce apparteneva al canonico Layton Smeech, il vicario della chiesa locale. Occupava quella carica da diversi anni per merito della duchessa ed evidentemente le era abbastanza grato da sentirsi in dovere di leccarle i piedi.

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Capitolo 5
*** QUINTO CAPITOLO ***


Subito dopo udì una voce femminile mormorare un saluto e gli parve di riconoscere quella di Hester Pimblett. Un insolito sorriso gli curvò leggermente le labbra. Una giovane donna straordinaria, quella Hester. Esternamente così timida e schiva, così docile e obbediente. Ma solo esternamente, poiché ci volevano non poca forza interiore per ignorare gli ordini della duchessa e non poco coraggio per entrare nella stanza da letto del dissoluto Cavaliere Nero, benché apparentemente addormentato. Bè, non coraggio, forse. Solo curiosità femminile. O un'indole appassionata al di sotto di quella facciata di estremo riserbo. Adrian si alzò a fatica. Non era la prima volta che incontrava una donna del genere, il tipo di donna che si serviva della trappola della modestia per richiamare l'attenzione di un cinico mascalzone. Una volta che fossero stati soli avrebbe detto che si stavano comportando in modo estremamente sconveniente, continuando a premere il corpo esile e sinuoso contro il suo. Si trattava di ipocrisia della più bell'acqua, e lui era un esperto di tale caratteristica. Un'altra voce gli giunse all'orecchio, la voce di un uomo più giovane. Lui ignorava che attendessero visite, quel giorno, il che non faceva meraviglia, considerata l'ostilità dei suoi rapporti con la duchessa. Chi poteva essere quell'uomo? Forse una persona da evitare come la peste, al pari del canonico Smeech. O forse un giovanotto che corteggiava la schiva lady Hester. Un'ipotesi interessante che meritava un'indagine più approfondita, se non altro perché gli avrebbe fornito il diversivo che gli occorreva. Con un sorriso privo di ilarità, Adrian rientrò in casa zoppicando. - Una, uh, sgradita sorpresa per voi, non ne dubito vostra grazia - la compati' il canonico Smeech. - Nessuno può sapere quanto soffro - si lagno' la duchessa. - Hester, il mio ventaglio! - Seduta su una poltroncina situata sulla destra e un tantino arretrata rispetto al sofà su cui troneggiava la duchessa, Hester allungò un braccio per porgerle l'oggetto richiesto. Il canonico si avvicinò a una finestra e lei sorrise al reverendo Hamish McKenna, il curato che accompagnava l'augusto religioso e che appariva notevolmente a disagio. Impossibile dire se perché fosse intimidito dal lusso che lo circondava o perché ignorasse come reagire ai malesseri accusati dalla robusta duchessa. Ciononostante, riuscì in qualche modo a restituirle il sorriso. - Si, nessuno conosce le mie sofferenze - continuò la duchessa. - Un'altro scandalo. Il nome dei Fitzwalter, che è anche quello di mio figlio, trascinato nel fango. Che cosa deve fare una povera madre? - - Forse se parlaste al duca...- azzardò il curato con il suo marcato accento scozzese. La duchessa trasalì, il canonico Smeech lo fulminò con un'occhiata. - Non era che un suggerimento.- - Un suggerimento del tutto fuori luogo - lo rimproverò il suo superiore. - La duchessa non ha né la voglia né il bisogno di insudiciarsi con il duca. - Hester non seppe impedirsi di compatire il reverendo McKenna. Non doveva essere facile lavorare con il canonico Smeech, che apparteneva a quella categoria di sacerdoti che si occupavano soprattutto e innanzitutto delle poche necessità dei loro parrocchiani facoltosi, lasciando la maggior parte del lavoro sulle spalle dei loro assistenti. - Qualcuno ha nominato il duca? - domandò Adrian varcando la soglia. Il reverendo McKenna balzò in piedi, la duchessa si accigliò, il canonico si inchinò. - Vostra grazia - sorrise, - non vi aspettavamo.- - Lo Immagino - ribatté lui prendendo posto accanto alla sua matrigna. - È un pezzo che non ci vediamo, canonico Smeech - Hester notò che la duchessa si scostava come se il figliastro fosse affetto da una malattia contagiosa. Notò anche che lui appariva ben riposato, che la gamba non gli creava difficoltà, che i suoi capelli erano assai più in ordine dell'ultima volta che lo aveva visto, che indossava abiti confezionati su misura e che non sembrava essersi accorto di lei. Un particolare che non avrebbe dovuto stupirla né sgomentarla. - Milord, permettetemi di presentarvi il mio curato, il reverendo Hamish McKenna - Il canonico si piegò in un ossequioso inchino, costringendola a reprimere un sorriso. Appariva chiaro che il povero Smeech non voleva offendere né il duca né la duchessa. - La vostra matrigna ci stava appunto parlando della vostra ferita - - Ah, si? Dev'essere stato un discorso molto breve, dato che le ho detto ben poco al riguardo. Accomodatevi, Smeech. Anche voi, reverendo - Il canonico arrossì a quelle parole scortesi. Avvampando dalla radice dei suoi capelli rossi alla punta del mento cosparso di lentiggini, McKenna sedette di fronte a Hester, che gli rivolte un sorriso comprensivo. La presenza del duca era sufficiente a proiettare una nuvola nera sulla conversazione più banale, un fatto che le parve tanto più evidente quando lui portò la sua attenzione su di lei. Adrian fece passare lo sguardo da lady Hester, che indossava un semplicissimo abito azzurro e sedeva come una servetta accanto alla sua matrigna, al viso in fiamme del giovane curato. Era impossibile che quel ragazzino avesse già ricevuto gli ordini, si disse, finché lui non sorrise a Hester. No, non così giovane, si corresse. E che pensare di lei, così fredda e composta? - Spero che abbiate dormito bene, lady Hester - - Benissimo, grazie. E voi? - - Anch'io - ribatté Adrian con una certa perplessità. Tanto che si chiese se la sera prima non avesse immaginato di vederla entrare nella sua stanza. Poteva anche darsi che si fosse trattato di un sogno e avesse suonato lui stesso per chiamare Jenkins, che aveva mandato a prendergli qualcosa da bere per combattere l'insonnia. Per diversi minuti rimasero in un silenzio carico di tensione che lui si guardò dal tentare di allentare. Intuiva che la sua matrigna moriva dalla voglia di lamentarsi di lui. Se la sua presenza glielo impediva, sarebbe rimasto lì per il resto della giornata. Quanto agli altri, compresa lady Hester, se ne infischiava del loro disagio. Poi lady Hester si rivolse al canonico. - Mi risulta che il raccolto sia stato particolarmente abbondante, quest'anno. - Ah, infatti...uh, si. Ottimo, ottimo - Smeech si lanciò in un lungo panegirico sul raccolto e sul bestiame, palesemente compiaciuto dal suono della propria voce. C'era qualcosa che non andava, realizzò Adrian. Non toccava a quel timido topolino condurre la conversazione né lei avrebbe dovuto scoccare occhiate d'intesa al reverendo McKenna, quasi condividessero un segreto. Non quando il duca di Barroughby era presente. - immagino che abbiate già riscosso le vostre decime - dichiarò, senza curarsi di sembrare maleducato. Il canonico Smeech si schiarì la gola - Si, milord - - Ero sicuro che non avreste mancato di farlo.- Lady Hester si accigliò curvando leggermente le labbra all'ingiù. Dunque disapprovava le sue osservazioni. Pazienza. Con ogni probabilità le cose che aveva sentito dire di lui erano ben peggiori della sua mancanza di rispetto per un pomposo ipocrita come quello. Alzandosi, lei si rivolse alla duchessa. - Con il vostro permesso, vostra grazia, avevo promesso al reverendo McKenna di mostrargli il giardino quando fosse venuto a trovarci in una giornata di sole. Questa sembrerebbe ideale.- McKenna si mise in piedi goffamente e arrossì ancora di più. - Infatti. Ne sarei felice.- Potrei scommetterci, pensò Adrian. - Evidentemente lady Hester preferisce evitarmi... oggi.- Un lampo di collera le sfrecciò negli occhi, rapidissimo ma sufficiente a fargli capire che aveva afferrato la sua allusione e che lui non aveva immaginato di vederla nella sua stanza la sera prima. - Vi stupisce, quando vi comportate in modo così disgustosamente villano? - domandò la duchessa. - Mi ferite, vostra grazia - ribatté Adrian inalberando un'aria mortificata e posandosi una mano sul cuore, ripromettendosi al contempo di mostrarsi più gentile con lady Hester. - Hanno il mio permesso di andarsene.-

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Capitolo 6
*** SESTO CAPITOLO ***


A dire il vero, era fortemente tentato di unirsi a loro, ma il pensiero di dover nascondere la propria andatura zoppicante o, peggio ancora, di sentirsi compatire lo indusse a restare dov'era. Jenkins apparve sulla soglia e si inchinò quanto glielo permisero i reumatismi. - Sir Douglas Sackcloth-and-Ashes e sua figlia, vostra grazia - annunciò. - Sir Douglas Sackville-Copper e sua figlia Damaris - spiegò la duchessa ai due sconcertati sacerdoti. - Povero Jenkins, comincia a perdere l'udito.- Adrian non si disturbo' a nascondere un sorriso beffardo. Cominciava a perdere l'udito? Jenkins era sordo da quindici anni. - Fateli entrare - gli ordinò la duchessa e lui si rallegrò di non essersi offerto di passeggiare in giardino. Senza dubbio quella visita sarebbe risultata interessante. Ricordava bene sir Douglas, un gentiluomo di campagna dotato di buone maniere, una scarsa intelligenza e una smisurata ambizione. Quanto a Damaris, non la vedeva da cinque anni. Lei ne aveva circa dodici, all'epoca ed era una bambina molto graziosa, anche se non troppo sveglia. Sir Douglas avanzò nella stanza, il portamento militare e il corpo di cinquantenne straordinariamente ben conservati. - Mio caro duca! - esclamò afferrandogli la mano e scuotendola con vigore. - Ho saputo al 'George' del vostro ritorno.- Si volse verso la duchessa e il canonico. - Buon pomeriggio vostra grazia. Canonico Smeech.- si inchinò a lady Hester e degnò appena di un cenno il reverendo McKenna. Subito dopo Damaris Sackville-Copper entrò nel salotto. Adrian si rese conto all'istante che era diventata una fanciulla di straordinaria bellezza. Sui suoi capelli scuri era posato un cappellino verde bosco, la cui veletta lasciava intravedere due limpidi occhi grigi che lei si affrettò ad abbassare modestamente, ombreggiando le seriche guance con le sue lunghe ciglia. Il costume da equitazione di velluto verde modellava una figura perfetta, il suo portamento era elegante e aggraziato. Se fosse apparsa a Londra al suo fianco, si disse Adrian, avrebbe fatto sensazione. Lui, però, era abituato a fare sensazione e per qualche ragione misteriosa quella prospettiva lo lasciò piuttosto indifferente. Avrebbe preferito presentarsi con lady Hester al braccio. Sorrise fra sé. Quello sì che avrebbe fatto una assai diversa sensazione. Il Cavalliere Nero che si presentava in pubblico insieme a una donna insignificante...i pettegolezzi non avrebbero avuto fine. Scoccò un'occhiata a Hamish McKenna per vedere come reagisse un sacerdote davanti a un simile splendore. Il reverendo McKenna sembrava completamente stregato. E lady Hester? Non doveva certo gradire quella visita. Invece la vide sorridere alla ragazza, apparentemente senza traccia di invidia. Doveva essere una donna più unica che rara se non era gelosa di una bellezza del genere. Alzandosi per salutarla, Adrian si chiese perché mai non provasse assolutamente niente, oltre a una blanda curiosità. Che stesse invecchiando? O aveva visto troppe belle donne in vita sua? Quando le tese la mano, Damaris si ritrasse come un cavallo ombroso, una reazione prevedibile in una ragazza di campagna e che non gli procurò il benché minimo fastidio. Allorché suo padre tossicchio', lei gli porse la mano guantata, ma come se temesse che lui gliela staccasse con un morso. - Stavamo per fare una passeggiata in giardino - disse sorridendo lady Hester. - Forse la signorina Sackville-Copper desidera unirsi a noi.- - Volentieri - si affrettò ad accettare Damaris evitando di guardarlo. - Una magnifica idea - approvò sir Douglas. - Davvero magnifica. Immagino che il duca sia un esperto in botanica.- - Purtroppo, la mia indisposizione mi costringe a restare a casa - ribatté lui. Benché non desiderasse rimanere con la sua matrigna, sapeva che la sua gamba non avrebbe sopportato una lunga camminata. Avrebbe atteso che gli altri se ne fossero andati e sarebbe tornato nella sua stanza. Meglio la noia, della compagnia della duchessa e del canonico Smeech. Damaris si illuminò alle sue parole. Hester e il reverendo girarono sui tacchi senza lasciargli il tempo di cogliere la loro espressione. Non che lui tenesse in modo particolare a sapere che cosa pensavano del suo rifiuto, beninteso. - Niente di grave, spero? - si informò sir Douglas. - Solo una ferita superficiale. Il medico mi ha ordinato di riposare.- - Perché non andate anche voi, sir Douglas?- Gli propose la duchessa con la consueta mancanza di tatto. - Anche voi, canonico. Potrete così mostrare a sir Douglas quel bellissimo cespuglio che mi avete consigliato di piantare accanto al roseto. Io vi aspetterò qui, poiché tutti dovete restare per il tè.- La piccola comitiva non tardò a scomparire alla vista. Adrian si accingeva ad alzarsi, quando la duchessa si voltò decisa verso di lui. - Sapete che cosa sta cercando di fare quell'uomo, non è vero? - - Quale uomo? - - Sir Douglas, ovviamente.- Lui inarcò un sopracciglio. - No, ma immagino che stiate per dirmelo.- - Non guardatemi in quel modo, Adrian. Quello che sto per dirvi è asclusivamente per il vostro bene.- - Bè, in tal caso non mi resta che ascoltarvi.- - Ha delle mire su di voi.- - Mire carnali? - La duchessa arrossì e boccheggiò. - No! Naturalmente no, essere abietto! Vuole che sposiate sua figlia.- - Capisco.- - Damaris è la sua esca.- - E io la preda? - - Il vostro titolo - precisò la duchessa, sogghignando quanto poteva permettersi una nobildonna del suo rango. - Desidera che lei diventi la prossima duchessa. Quella piccola nullità! - - È una bellissima ragazza.- - Non hanno legami familiari che valga la pena menzionare e io non intendo veder finire questa proprietà nelle mani della figlia di Douglas Sackville-Copper.- - Dato che probabilmente non sarete più di questo mondo quando io mi sposerò, non vedo perché dobbiate preoccuparvene - ribatté Adrian alzandosi in piedi. - Avete intenzione sì o no di prendere sul serio questa faccenda? Sir Douglas vi tenderà delle trappole dappertutto. Siamo tutti a conoscenza della vostra reputazione e come voi stesso mi avete fatto notare con tanta leggerezza, lei è una bellissima ragazza. Dovete tenervi alla larga da lei. Non vi permetterò di perseguire i vostri piaceri egoistici.- Fu Adrian adesso ad accigliarsi, dato che conosceva una sola persona che fosse più egoista di quella donna, ed era suo figlio. - Quindi dovrò astenermi dal deflorare Damaris Sackville-Copper? - - Dovete proprio usare parole del genere davanti a me? - - Non è quello che state cercando di dirmi? Che a sir Douglas potrebbe non importare in che modo riuscirà a farmi sposare sua figlia? Che, in sostanza, potrebbe buttarmela fra le braccia? - - Visto che vi ostinate a esprimervi in questo modo, sì.- - Evidentemente eravate troppo preoccupata per accorgervi che la fanciulla in questione non sembra vedermi di buon occhio.- - Non cercate di fare il furbo con me, Adrian. Sappiamo tutti e due che riuscireste a sedurre un sasso se ve lo proponeste. Non vi manca certo la pratica.- Lui accennò una riverenza. - Grazie del complimento, vostra grazia. Credo che sia il primo che mi abbiate mai fatto.- - Tenetevi alla larga da quella ragazza e basta! - - Ma come farò a soddisfare i miei turpi desideri, che secondo voi determinano ogni mia decisione? - domandò Adrian con calma ingannevole. - Non vi aspetterete che viva in castità come un monaco.- - Non mi interessa, purché non mettiate in repentaglio l'onore della nostra famiglia.- Il suo onore e quello del suo benamato figliuolo, puntualizzò lui mentalmente. - Non mi piacciono le domestiche - dichiarò, chiedendosi fino a quando la duchessa intendesse battere su quel chiodo. - Lady Hester, allora? - - Siete una canaglia, uno sciagurato! Come potete anche solo pensare di traviare la figlia di lord Pimblett? - A un tratto un gelido sorriso le curvò le labbra. - D'accordo, provateci. Nemmeno voi avrete successo con lei.-

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Capitolo 7
*** SETTIMO CAPITOLO ***


- Non vedo perché. Se sono in grado di sedurre un sasso, riuscirò certo a sedurre lei - - Non è una frivola, sventata ragazza in cerca di emozioni forti. È una brava, tranquilla, responsabile giovane donna che conserverà la sua virtù per suo marito.- - Significa che devo aspettarmi una processione di buoni partiti attraverso Barroughby Hall? - - Non siate insolente.- - Sembrava in rapporti piuttosto amichevoli con il reverendo McKenna.- - State cercando di fare lo spiritoso? Lady Hester non è tanto stupida da sposare un prete di campagna, anche se lui appartiene a una famiglia benestante. Gente che si è arricchita con il commercio.- - Oh, naturalmente in tal caso non è neanche da prendere in considerazione. E sir Douglas? È vedovo da anni.- - Come dite? La figlia di lord Edgar Pimblett e quell'uomo? - - Sarebbe un buon matrimonio per lei.- La sua matrigna lo guardò con qualcosa di molto simile al rispetto. - Può darsi che abbiate ragione, Adrian. Hester è già in là con gli anni ed è tutt'altro che bella.- Adrian si disse che avrebbe dovuto immaginare che se la sua matrigna avesse approvato una sua idea, lui non avrebbe tardato a trovarla pessima. Infatti, in quello stesso momento l'idea di lady Hester sposata a sir Douglas gli parve assolutamente ridicola, pur non sapendosene spiegare la ragione. L'unica cosa su cui non aveva dubbi era che ne aveva abbastanza di quella conversazione e più che abbastanza della sua matrigna, per quel giorno. - Se volete scusarmi, salirò nella mia stanza. La gamba mi fa un male del diavolo.- Si inchinò e si diresse alla porta. - Fatemi il favore di non usare termini tanto volgari in mia presenza, Adrian. E no, non vi scuso.- Ma il duca era già scomparso al di là della soglia. Sentendosi non dissimile dal Pifferaio Magico, Hester precedette la piccola comitiva lungo il sentiero che portava al roseto. Poco dopo il reverendo McKenna le si affiancò e anche Damaris non tardò a raggiungerla, mettendosi alla sua sinistra. - Bè, non è un uomo terribile?- bisbiglio', gettandosi un'occhiata nervosa di sopra la spalla, quasi si aspettasse che il duca la stesse inseguendo. - Papà sostiene che è soltanto uno scavezzacollo... scavezzacollo! Ho sentito delle cose talmente orrende su di lui.- Che Adrian Fitzwalter avesse un che di perverso appariva fin troppo chiaro, si disse Hester nel ricordare le sue parole di poco prima. Doveva essere stato sveglio quando lei era entrata nella sua stanza, aveva realizzato al colmo dell'umiliazione. Eppure, se fosse stato dissoluto quanto affermavano la duchessa e chiunque altro all'infuori di sir Douglas, non avrebbe continuato a fingersi addormentato. Avrebbe fatto qualcosa di spaventoso, per esempio saltare giù dal letto e baciarla muovendo le labbra piene che si curvavano in quei sorrisi segreti sulle sue. Lentamente. In una carezza sensuale. Premendo il corpo atletico contro il suo. Abbracciandola con sfrenata passione, forse persino sollevandola fra le braccia e depositandola sul letto... - Oh, mio Dio, stiamo camminando troppo in fretta?- si allarmò Damaris. - Sembrate senza fiato, lady Hester.- - No, no, sto benissimo - la rassicurò lei sforzandosi di ricomporsi. Da quando in qua possedeva una fantasia così sbrigliata? - Dobbiamo mostrarci caritatevoli - azzardò il reverendo McKenna, pur lasciando intuire che non sarebbe stato facile. Lanciò a Damaris un'occhiata di sottecchi e Hester avrebbe potuto giurare di sentirlo sospirare. - È molto attraente - dichiarò. - Sì, ma in modo subdolo, sgradevole - ribatté Damaris. - E ho saputo da fonte sicura che non si dedica alle disgustose occupazioni solo a Londra. La figlia del macellaio ha raccontato alla mia cameriera di averlo visto con i suoi occhi uscire da quella casa di Stamford Street, una volta che è stato qui.- Hester sapeva a quale casa si riferisse la ragazza in quel tono sprezzante. Perfino il piccolo villaggio di Barroughby aveva un postribolo. - Era proprio sicura che fosse lui? - le domandò, trovando difficile credere che un uomo come il duca fosse costretto a pagare per quel tipo di prestazioni. - Bè, lo ha visto di spalle... ma aveva la sua statura ed era molto ben vestito. E quando lui ha augurato la buonanotte, ha riconosciuto la sua voce.- Hester non rispose, il reverendo McKenna si limitò a fissare il suolo. - Come mai è tornato qui? - volle sapere Damaris. - Non corre buon sangue fra lui e la duchessa.- - È stato ferito.- - Come? - - In un duello, o così mi è parso di capire.- - Oh, Gesù. Non fa meraviglia che la duchessa lo detesti. E pensare che mio padre...- Damaris si interruppe e arrossì. - È illegale battersi a duello! - - Ho l'impressione che molte delle cose che vengono attribuite al duca siano contro la legge.- - Avete intenzione di restare a Barroughby Hall?- Hester si fermò per guardarla. - Perché non dovrei?- - Ma a causa della sua reputazione, mia cara. Nessuna donna è al sicuro con lui.- Lei riprese a camminare. - Forse non una bella donna - precisò, sperando che Damaris mangiasse la foglia. - Io non lo indurrò certo in tentazione.- - Tuttavia sarebbe prudente consigliare alla duchessa di suggerirgli di andarsene - dichiarò il reverendo con insolita audacia. Hester riusciva benissimo a immaginare come avrebbe reagito la duchessa ai consigli di Hamish McKenna, prete o non prete. - Sono convinta che si annoierà presto e se ne tornerà a Londra, quindi cerchiamo di non creare altri dissensi in famiglia.- - Ma...- - Oh, lasciamo perdere questo spiacevole argomento - gli ordinò Damaris con un piccolo broncio. Il reverendo McKenna tacque di colpo. I tre giovani svoltarono in direzione del roseto, lasciando indietro i due uomini più anziani. A giudicare dai brani di conversazione che Hester riuscì a cogliere, stavano parlando della situazione economica del duca, come meglio erano in grado di fare delle persone senza una vera cognizione di causa. Se solo Douglas fosse stato un po' più consapevole del pericolo che correva. Doveva essere un ingenuo se si illudeva che il duca potesse considerare sua figlia soltanto come una ragazza da marito e non come oggetto di desiderio, eppure da quanto stava dicendo appariva chiaro che lui non pensava che al titolo e alle ricchezze che sarebbero appartenute alla moglie del duca di Barroughby. Scandali e chiacchiere non sembravano avere alcun valore per lui. Pur giudicando sincere le accuse che gli aveva rivolto Damaris, lei non aveva il benché minimo dubbio che Adrian Fitzwalter possedesse una capacità di persuasione sufficiente a far vacillare l'onore della più virtuosa delle donne, qualora si fosse preso la briga di ricorrervi, cosa che avrebbe potuto decidersi a fare con una bella ragazza come quella. Se alla capacità di persuasione si aggiungevano il suo fascino e il suo aspetto... bè, quale donna non sarebbe stata tentata di sorvolare su molte altre cose? Una situazione che non presagiva nulla di buono per Damaris né per il reverendo McKenna, pensò Hester, sorprendendolo a lanciarle un'alta occhiata. Non era necessario un grande intuito per accorgersi che era cotto di lei ed estremamente preoccupato a causa della presenza del duca. Povera ragazzo. Il suo amore era condannato al fallimento poiché, anche supponendo che non riuscisse a rifilare la figlia al duca di Barroughby, sir Douglas si sarebbe dato da fare per cercarle un partito altrettanto vantaggioso. Hester soffocò un sospiro. I suoi genitori non avevano simili ambizioni per lei. Dopo che Helena aveva sposato il figlio di un facoltoso industriale e Henrietta un pastore che godeva della protezione di un ricchissimo lord, sembravano convinti di aver ormai compiuto il loro dovere. Dopotutto, lei non costituiva una preda ambita, o così lasciavano capire. Quel pensiero le bruciò come sempre, sapendo che la sua situazione sarebbe potuta essere diversa. Possedeva una mente pronta e intelligente. Se avesse potuto ricevere un'istruzione migliore, avrebbe almeno trovato conforto nello studio.

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Capitolo 8
*** OTTAVO CAPITOLO ***


Invece era ridotta a fare la dama di compagnia a un'irascibile vecchia signora che si lagnava di tutto e tutti, tranne che di suo figlio Elliott. Possibile che un figlio fosse un tale modello di virtù e l'altro un'incarnazione del demonio? Se Adrian Fitzwalter era un demonio, doveva essere un demonio estremamente percettivo. Nessun altro sembrava condividere la sua opinione sul canonico Smeech, che aveva detestato fin dal primo momento, quando lui l'aveva squadrata con tanta condiscendente compassione. Lo aveva sentito criticare il duca con un veleno quasi uguale a quello della sua matrigna, solo per vederlo sorridergli con tutta l'adulazione che aveva il coraggio di sfoderare in presenza della duchessa. Il duca, però, non avrebbe dovuto trattarlo con tanta villania. Il canonico, in fondo, rappresentava la chiesa d'Inghilterra. Forse, considerati il piacere e la frequenza con cui commetteva i peccati più nefandi, la sua avversione nei confronti di un sacerdote non doveva stupire. - Non è meravigliosa? - domandò Damaris sollevando una rosa per mostrargliela e cogliendola alla sprovvista. - Non trovate anche voi, reverendo McKenna? - - Meravigliosa - convenne lui avvampando, mentre Damaris si affrettava a chinarsi su un altro bocciolo. Scorgendo le sue guance leggermente arrossate, Hester si chiese se fosse a causa di quel brusco movimento o perché anche lei si era resa conto che quella risposta non si riferiva in senso stretto alla rosa. Si augurò che Damaris si innamorasse di Hamish McKenna. Sarebbe potuto capitarle un marito peggiore e lei desiderava saperla al sicuro dalle macchinazioni di suo padre. E se proprio doveva essere sincera, anche da quelle del Cavalliere Nero. Adrian trascorse i giorni successivi rinchiuso nella sua stanza, dove almeno non era costretto a sopportare le recriminazione della sua matrigna né a fare conversazione con sir Douglas e sua figlia, che venivano in visita ogni giorno, né ad ascoltare il canonico che tentava di riportarlo sulla retta via, cercando al contempo di non offenderlo. Non vide più lady Hester, ma immagino' che fosse occupatissima ad accudire la sua matrigna, i cui svariati malesseri dovevano essersi acuiti a causa del ritorno del fgliol prodigo. Se rimpiangeva una cosa dell'isolamento che si era imposto, era la possibilità di approfondire la conoscenza di quell'interessante damigella. Non dava affatto l'impressione di invidiare a Damaris Sackville-Copper la sua bellezza. Probabilmente perché, avendo due sorelle stupende, era abituata a essere la più insignificante dovunque andasse. Tuttavia aveva trovato stupefacente la sua apparente mancanza di gelosia nei confronti del giovane reverendo. Si fidava del proprio intuito e aveva l'assoluta certezza che McKenna fosse perdutamente innamorato di Damaris Sackville-Copper. Se n'era accorto anche lady Hester o più semplicemente non le importava? Anche il fatto che sir Douglas avesse grandiosi progetti per la figlia appariva penosamente chiaro, oltre che del tutto inutile, dato che lui non intendeva sposarsi ancora per molto tempo. Aveva già abbastanza responsabilità senza assumersi anche quelle di una moglie e di eventuali figli. In ogni modo, si era ormai stancato a morte della compagnia di se stesso. A peggiorare le cose cominciò a piovere, rendendo la sua stanza terribilmente tetra. L'unica consolazione di quel tempaccio era che in una giornata come quella nessun visitatore sgradito si sarebbe azzardato a venire a Barroughby Hall. Di conseguenza, si disse, poteva avventurarsi in biblioteca, una stanza in cui la sua matrigna non metteva mai piede, Jenkins non avrebbe mancato di accendervi il fuoco, dato che viveva perennemente nel terrore che la muffa aggredisse la preziosa biblioteca del defunto duca. Infatti, come aveva sperato, le fiamme scoppiettavano allegramente nel camino rendendo la stanza simile a una caverna tappezzata di volumi e dandogli l'impressione di essere come Robinson Crusoe, abbandonato su un'isola deserta con alcuni libri come unica compagnia. Un fatto che non lo turbò in modo particolare avendo trascorso tante ore in quella stanza accogliente che era stata la preferita di suo padre e di sua madre. La pace che vi regnava lo avviluppò. Quanto preferiva stare lì invece di frequentare club e teatri, circondato da quelli che venivano chiamati i dandy del Cavalliere Nero. Nessuno dei suoi compagni di bisbocce londinesi era quello che si poteva definire un buon amico. Si limitavano a divertirlo e aiutarlo a passare il tempo. Adrian scelse un libro a caso, un romanzetto di una certa signora Radcliffe, e si sistemò in una poltrona dall'alto schienale. Appoggiando il piede sinistro alla grata del focolare, si accinse a documentarsi sulle terrificanti vicissitudini affrontate dalla virtuosa eroina dei Misteri di Udolfo. Cullato dal calore del fuoco e dal ticchettio della pioggia sui vetri, non tardò ad appisolarsi e scivolare in un sogno, un ricordo. Elizabeth che giaceva in quella squallida, soffocante stanzetta. Il suo lungo, doloroso travaglio. Le sue grida e i suoi singhiozzi. L'interminabile, angosciosa attesa del medico e l'espressione sfiduciata di questi non appena varcata la soglia. Poi il terrore che gli si era dipinto sul viso quando lui lo aveva afferrato alla gola e si era presentato. Troppo tardi. Lui era arrivato troppo tardi. Il medico era arrivata troppo tardi. Ma c'era un'altra persona nella stanza. Una donna silenziosa ed efficiente che fasciava e vezzeggiava il bambino morente. Poi, con immensa tenerezza, si era rivolta a Elizabeth e le aveva asciugato la fronte imperlata di sudore, prima di volgere uno sguardo indulgente e comprensivo verso di lui. Era lady Hester, il cui sorriso agi' come un balsamo sul suo animo esacerbato. - Vostra grazia! - Adrian si destò di soprassalto. Lady Hester lo stava scrollando delicatamente, osservandolo preoccupata. Senza riflettere, le chiuse il viso fra le mani avvicinandolo al suo e la baciò avidamente, quasi avesse potuto abbeverarsi alle sue labbra come un assetato in un deserto. Per la frazione di un istante lei si abbandonò, la bocca soffice e docile sotto la sua. Come la desiderava, realizzò Adrian, sbigottito dalla violenza di quella sensazione. Ma non fu che un attimo. Lei si ritrasse, fissandolo con quello che poteva essere sia stupore sia orrore, mentre si strofinava le labbra per cancellare il suo tocco; una donna completamente diversa da quella che aveva sognato. Lui imprecò contro la propria idiozia. Diamine, non era nemmeno carina. Doveva averla baciata perché era ancora in preda agli effetti del sogno. - Che cosa volete? - l'apostrofo' , appoggiandosi stancamente allo schienale della poltrona, in attesa che lei lo schiaffeggiasse, lo coprisse di invettive, scoppiasse in lacrime o fuggisse dalla stanza. Hester non fece niente di tutto questo. Indietreggiò di un passo studiandolo, mentre nei suoi sfavillanti occhi azzurri lo sbalordimento lasciava il posto alla perplessità. - Perché l'avete fatto? - bisbiglio'. - Perché no? - - Perché non è certo un comportamento da gentiluomo.- - E data la mia reputazione, considerate le voci che circolano su di me, questo vi meraviglia?- - Si, vostra grazia.- Che strana ragazza. Non reagiva mai come le altre femmine della sua età e del suo rango? Si domandò lui. Un sorriso cinico gli curvò le labbra. - La mia matrigna vi direbbe che sono tutt'altro che un gentiluomo.- Lei annuì lentamente. No, non per assentire, ma piuttosto come se stesse riflettendo sulle sue parole con gravità che in quel momento gli parve estremamente sconcertante. - In effetti, siete stato molto maleducato con il canonico Smeech. - - È un avido ipocrita.- - Non è una buona ragione. Rappresenta la chiesa.- - E Immagino che questo lo giustifichi.-

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Capitolo 9
*** NONO CAPITOLO ***


- E Immagino che questo lo giustifichi.- Quella donna senza pretese, nel suo semplice, disadorno abito grigio, lo fissò con una tale fermezza che per quanto lui si sforzasse di persuadersi che la sua opinione lo lasciava del tutto indifferente, riuscì a farlo sentire piuttosto a disagio. - No, non lo giustifica, anche se condivido il vostro parere. Comunque, non potete aspettarvi che cambi perché lo trattate con la massima scortesia. Vi converrebbe servirvi della vostra influenza per farlo trasferire in una canonica in cui avrebbe meno occasioni di mostrarsi avido e ipocrita. - - Bene, bene, bene - commentò lui, mettendosi in piedi a fatica. - Sembrate molto sicura della mia influenza.- Si avvicinò con passo claudicante al caminetto e si appoggiò alla mensola. - Il vostro stesso rango ve la conferisce.- - Non i miei attributi personali?- - Mi dispiace di avervi disturbato, vostra grazia. Se volete scusarmi...- - No, non vi scuso.- Stranamente, malgrado un breve momento di imbarazzo, Adrian si stava divertendo. Forse perché erano anni che qualcuno non reagiva nei suoi confronti con qualcosa di diverso da una palese avversione o una viscida adulazione. - Che cosa state facendo qui?- - Ero venuta a cercare un libro - - E invece avete trovato me. Come mai non siete sgattaiolata via? - - Stavate... sognando. Mi è parso...- - Che non fosse un bel sogno? - - No, vostra grazia.- - Non lo era, in effetti. Mosso dalla gratitudine perché mi avevate svegliato, vi ho baciata. Un momento di debolezza.- - Immagino che abbiate spesso dei momenti del genere - osservò lei con la massima calma. Adrian si accigliò. - Dov'è la mia matrigna? Non pretende la vostra costante assistenza? - - Si è addormentata. È per questo che sono venuta a prendere un libro. Scusatemi per avervi disturbato, vostra grazia.- Tutt'a un tratto, lui si rese conto che non voleva che se ne andasse. - Non è necessario che scappiate. Non parlo con nessuno da tre giorni. Sedetevi accanto al fuoco e raccontatemi come mai siete venuta a vivere in casa mia. - Hester esitò, combattuta fra il desiderio di darsela a gambe e quello di restare. Se ne sarebbe dovuta andare, lo sapeva, soprattutto dopo quel bacio impulsivo e impudente che sembrava confermare la sua fama di incallito libertino. Tuttavia, a causa dell'espressione che aveva visto sul suo viso quando lo aveva svegliato, adesso si sentiva più al sicuro con lui. Allora era apparso assai diverso dal nobiluomo seducente, cinico e provocante. Le era sembrato vulnerabile quanto chiunque altro e i suoi occhi erano stati pieni di angoscia, al pari dei gemiti che gli erano sfuggiti dalle labbra quando era entrata in biblioteca e che l'avevano spinta ad avvicinarsi. Quanto al bacio, non aveva mai provato niente di così inatteso ed eccitante in vita sua. Non era mai stata baciata da un uomo e la sensazione che quel gesto le aveva suscitato era stata meravigliosa esattamente quanto aveva immaginato. Né mai si era sentita così lusingata. Era incredibile che il Cavalliere Nero, noto per il suo buon gusto in fatto di donne, l'avesse fatta segno di una simile attenzione, anche se l'aveva riportata di colpo alla realtà ammettendo di averla baciata in un momento di debolezza. La correttezza esigeva che se ne andasse, ma il suo cuore solitario le stava dicendo di restare e per una volta Hester decise di prestargli ascolto. Nessuno li avrebbe scoperti, poiché la duchessa aveva il sonno profondo e si era appena addormentata in salotto. Perciò si diresse alla poltrona posta accanto a quella occupata fino a poco prima dal duca e vi si sedette compostamente. - Dunque, lady Hester, come mai siete venuta a Barroughby Hall?- - Mia madre è in corrispondenza con la vostra matrigna e quando ha saputo che la duchessa stava cercando una dama di compagnia, ha pensato che io potessi essere la persona adatta - Spiegò lei, sforzandosi di guardarlo senza batter ciglio, di ricordare a sé stessa che era un donnaiolo e che l'attenzione che le stava dedicando non aveva nulla a che fare con lei a livello personale. - E voi che cos'avete pensato? - Adrian andò a piazzarsi dietro la sua poltrona impedendole di vederlo in faccia. Il suo interessamento sembrava tanto sincero da creare una sorta di intimità infinitamente più pericolosa di quanto non lo fosse stato il bacio. Lei, comunque, intendeva tenere a mente chi e che cosa fosse quell'uomo, e chi e che cosa fosse lei. - Non avendo prospettive migliori, ho accettato.- - Non avevate prospettive migliori? - Adrian non si stupi' del suo silenzio. Sapeva bene che cosa significasse. - Ma non può piacervi stare qui.- - È una magnifica tenuta. Adoro il giardino e...- Mosse la mano in un gesto circolare. - la biblioteca.- - La mia matrigna non è una donna facile.- - Può darsi che si sia un po' addolcita durante la vostra assenza.- Il duca rispose con un suono sprezzante. - La duchessa mi ha permesso di cambiare ambiente.- - Lo Immagino - convenne lui, riprendendo a passeggiare avanti e indietro. - Ho visto le vostre sorelle a Londra, ma non credo di aver mai visto voi. - - Senza dubbio non mi avrete notata.- - Vi succede spesso di passare inosservata?- - Si, vostra grazia.- - Non sembra che la cosa vi turbi più di tanto.- Lei scrollò le spalle. - Le mie sorelle sono bellissime, io no. Non c'è niente che possa fare in proposito.- - Capisco - Hester ne dubitava alquanto. Un uomo tanto attraente non poteva capire che cosa significasse sentirsi il brutto anatroccolo della famiglia. Tornando presso il caminetto, lui riprese a studiarla in un modo che la rese sempre più nervosa. - Mi chiedo che cosa desiderate in realtà, lady Hester - - Ve l'ho già detto, vostra grazia. Un libro.- Adrian le sorrise, un sorriso più autentico di quanto lo avesse mai visto rivolgere a qualcuno, compresa Damaris Sackville-Copper. - Volevo dire dalla vita.- - Non penso che...- - Oh, Immagino che pensiate spesso e volentieri. Lasciate che indovini i vostri segreti desideri.- Hester si accinse ad alzarsi. - Vostra grazia, non...- - Primo, l'attenzione.- lei si accigliò. - Devo protestare...- - Secondo, l'emozione.- - Se con questo vi riferite al tipo di emozione a cui voi sembrate anelare, vi garantisco che posso benissimo farne a meno. Poiché evidentemente vi limitate a divertirvi alle mie spalle, vi lascio, vostra grazia, con o senza il vostro permesso.- - Vi prometto che parlerò soltanto del più e del meno - La pregò lui in modo del tutto inatteso e con un sorriso affascinante. - Il tempo, la mia ferita, il fungo degli zoccoli del mio cavallo. Qualsiasi cosa, scegliete voi, purché vi tratteniate ancora un po' .- Hester si rese conto all'improvviso che non c'era niente in quell'uomo che non fosse seducente, sia che si trattasse del suo aspetto, della sua voce o del modo in cui riusciva a rendere invitante ogni parola, intimo ogni gesto. - Ritengo di essermi trattenuta fin troppo a lungo. Buongiorno vostra grazia.- Corse alla porta, poi gli rivolse un sorriso ironico. - Riferirò alla vostra matrigna che vi sentite meglio e che cenerete con noi.- Rimasto solo, Adrian fissò le fiamme e si sforzò di convincersi che, tutto sommato, Hester Pimblett non era niente di speciale. Erano entrambi dei figli incompresi, l'unico, piccolo particolare che condividessero. Bè, oltre a quel bacio. E lui non sarebbe sceso a cena, pur trovando oltremodo allettante la prospettiva di chiacchierare con lady Hester. - Dove siete stata, lady Hester? - la interpellò la duchessa non appena lei rientrò nel salotto. Non essendosi mai sentita più frastornata in vita sua, Hester si augurò di non venire ulteriormente interrogata sulla propria assenza. Un desiderio che vide esaudirsi allorché la duchessa balzò su dal sofà con insospettata energia e agitò una lettera come una bandiera. - Ho appena ricevuto una notizia estremamente emozionante! - Anche se riteneva di aver già provato fin troppe emozioni per quel giorno, lei si stampò un sorriso smagliante sulle labbra tentando di calmarsi.

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Capitolo 10
*** DECIMO CAPITOLO ***


- Elliott torna a casa domani! - esultò la nobildonna. - Il mio adorato figliolo, qui, domani! - Interruppe le sue esclamazioni e una piccola ruga le solcò la fronte. - Sempre che Adrian acconsenta a mandare a Barroughby il landò. Oh, ma deve farlo. Pensate, il mio caro, caro ragazzo finalmente a casa! - fece un'altra pausa. - Sembrate piuttosto assente questo pomeriggio.- Hester stava ancora riflettendo sulle strane parole della duchessa. Perché era necessario l'autorizzazione del duca per mandare una carrozza? Non era lei a comandare a Barroughby Hall? Non l'aveva forse ereditata alla morte del marito? Si era sempre comportata come se ne fosse la proprietaria e spendeva a piene mani. A onor del vero, il duca si era spesso riferito a Barroughby Hall come a 'casa mia', ma lei aveva dato per scontato che intendesse la casa della sua famiglia. Se invece era l'unico signore e padrone della tenuta, perché sopportava la presenza di una donna che vedeva come il fumo negli occhi e che avrebbe potuto mandare via quando e come avesse desiderato? Un mascalzone non avrebbe esitato a farlo. - Sono talmente felice per voi - dichiarò, sforzandosi di apparire al settimo cielo e dicendosi che se non fosse stata attenta, avrebbe rischiato di diventare ipocrita quanto il canonico Smeech. Tuttavia, non poté fare a meno di paragonare la reazione della duchessa alla notizia del ritorno di lord Elliott con quella che aveva dimostrato nel ricevere la lettera che annunciava l'arrivo del duca. Bè, uno era un figliastro, l'altro suo figlio. Non sarebbe stata la sola a prediligere il sangue del suo sangue. - Scrive da Dover per dirmi che non vede l'ora di essere qui!- Riprese la duchessa. Si avvicinò alla finestra e fissò il viale di accesso, quasi si aspettasse di veder comparire la carrozza di lord Elliott in quel medesimo istante. - È stato malato e si è ripreso solo adesso. Dovrò rimproverarlo per averlo nascosto alla sua mamma.- - A che cosa si deve tutta questa agitazione? - Domandò il duca in tono noncurante mentre entrava nel salotto. - Siamo stati derubati? - Hester portò lo sguardo in direzione della porta nella speranza di svignarsela, pur sapendo di essere intrappolata come una mosca in una ragnatela. Non le restava che dimenticare il bacio e sforzarsi di conservare la padronanza di sé. - Naturalmente no - ribatté la duchessa. - Elliott sta tornando a casa.- - Ah, si? - osservò lui, fissando la sua matrigna con uno sguardo talmente glaciale che Hester si scoprì a ringraziare il cielo che nessuno l'avesse mai guardata in quel modo e all'improvviso ricordò che il duca era anche considerando un uomo violento. Preoccupata soltanto per gli altri spaventosi difetti che gli venivano attribuiti, se n'era dimenticata, ma chiunque lo avesse visto in quel momento non avrebbe avuto difficoltà a convincersene, benché quell'espressione si cancellasse alla stessa velocità con cui era apparsa. La sua reazione iniziale parve incrinare la felicità della duchessa. - Spero che non creerete complicazioni, Adrian - si allarmò. - Non io - ribatté il duca prendendo posto sul sofà. - Anzi, sono impaziente di rivedere Elliott.- - Meglio così. A differenza di 'certe persone' lui cerca di non impensierire la sua famiglia.- Il duca ignorò l'allusione. - Che cos'altro dice il caro Elliott?- - Sarà qui domani, se manderete a Barroughby il landò.- - Dio non voglia che possa fare qualcosa per rinviare ulteriormente il suo arrivo. Naturale che avrà il landò.- - Dobbiamo ordinare un tè molto speciale per domani - continuò la sua matrigna senza ringraziarlo. - Ah. Dovremo uccide il vitello grasso? - Strane parole, pensò Hester. Non era lui il figliol prodigo, quello che scialacquava la sua eredità per finanziare vizi e piaceri di ogni sorta? - E dovremmo proprio dare un ricevimento o un ballo per festeggiare il suo ritorno dall'Europa - proseguì la duchessa. Lei non riuscì a soffocare la propria costernazione. Aveva trascorso troppe ore mortificate e noiose a fare tappezzeria per rallegrarsi alla prospettiva di un ballo o di altri eventi mondani. Ma realizzando che il duca la stava guardando, si affrettò a sorridere. - Un'idea magnifica - mentì. - Troppo faticoso. E troppo costoso.- - Avrei dovuto immaginare che avreste rovinato la nostra gioia - si lagnò la duchessa. - A quanto pare, non avete problemi a sperperare il denaro per perseguire i vostri ignobili piaceri, ma se io propongo di dare un ballo...cosa che avremmo dovuto fare da tempo, come si conviene al nostro rango... tutt'a un tratto scoprite di essere al verde.- - A parte le spese, qualora decidessi di acconsentire, chi penserebbe a organizzarlo? - - Io, ovviamente - - Non ne dubito - borbottò il duca. Scoccò a Hester un'occhiata perspicace, destinata a farle capire che sapeva benissimo su chi sarebbe ricaduta la maggior parte del lavoro e che la compativa di tutto cuore. - I preparativi per un ballo richiedono una fatica non indifferente - proseguì, riportando la sua attenzione sulla matrigna. - Comunque, se siete disposta a sobbarcarvene, suppongo di riuscire a trovare il denaro necessario.- Hester si rivolse alla duchessa - Dato che il duca non sarà certo in grado di ballare, vostra grazia, forse dovremmo posticipare la data del ballo.- La nobildonna la guardò come se le avesse proposto di farsi decapitare. - Mi risulta che vada in giro tutta la notte in cerca di bevande alcoliche. Riuscirà di sicuro a fare qualche passo di danza in omaggio alle convenienze.- - Caspita, vostra grazia, mi commuove il pensiero che teniate alla mia partecipazione. In tal caso, lady Hester, dobbiamo assolutamente dare il ballo.- La duchessa la fulminò con un'occhiata, quasi l'idea fosse stata sua. - Tutta la contea sarà ansiosa di rivedere lord Elliott - Tentò di rabbonirla. Come aveva sperato, la duchessa sorrise. - Oh, certamente. Tutti lo adorano.- Non tutti, pensò Hester. Non il duca. - Dovrete aiutarmi a scrivere gli inviti. Vediamo, quale sarebbe il giorno migliore? - - Non dovremmo consultarci con vostro figlio, vostra grazia? Può darsi che dopo un viaggio così lungo voglia riposare per qualche giorno.- - Vedo che a lady Hester sta sempre a cuore la salute del suo prossimo.- Lei si sforzò invano di non arrossire. - Non ci avevo pensato - convenne la duchessa. - Avete ragione, naturalmente. E potremo averlo tutto per noi per un certo tempo - Rise gaiamente come una donna di vent'anni più giovane. - È talmente popolare che sarà invitato ogni giorno a battute di caccia e passeggiate a cavallo, ed è talmente compiacente che non rifiuterà mai. - - Elliott non dice mai di no - confermò il duca alzandosi in piedi. - Salgo nella mia stanza. Tutto questo parlare mi ha stancato.- - Come preferite - Lui si inchinò cortesemente. - Vostra grazia. Lady Hester.- Girando sui tacchi, si diresse alla porta. - Si è mai visto un uomo più esasperante? - sbottò la duchessa non appena se la fu richiusa alle spalle. - Mi sembra un peccato che vi occorra il suo consenso per dare un ballo - osservò Hester. - Se lo è! Che questo vi serva di avvertimento mia cara. Accertatevi che vostro marito vi lasci un patrimonio personale, non una rendita amministrata dal suo erede. È molto seccante, ve lo garantisco.- Lei annuì doverosamente, registrando tutta la portata di quelle parole. Il duca, evidentemente, possedeva il totale controllo sia della proprietà sia del patrimonio liquido. Per quanto la duchessa si lamentasse, non si poteva negare che fosse generoso, poiché solo la settimana precedente la sua matrigna aveva fatto rimodernare diversi gioielli, ordinare tre abiti nuovi, alcuni cappelli e cinque paia di scarpe. I pasti erano invariabilmente ottimi e abbondanti, i vini dei migliori, i domestici ben vestiti.

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Capitolo 11
*** UNDICESIMO CAPITOLO ***


- Dunque, chi dobbiamo invitare? - riprese la duchessa, tornando a sedersi sul sofà. - Immagino che sia impossibile escludere sir Douglas e sua figlia. - - Si, vostra grazia - confermò lei, armandosi di carta, inchiostro e penna. Poi si rese conto che la duchessa la stava fissando in modo strano. - Qualcosa non và, vostra grazia?- - Sembrate accaldata, Hester.- - Dev'essere l'eccitazione causata dall'arrivo di vostro figlio e dalla prospettiva del ballo - ribatté pronta, augurandosi che fosse una giustificazione sufficiente. - Sir Douglas non è molto anziano per avere una figlia di quell'età, non è vero? - - No, vostra grazia.- Che cosa diavolo aveva in mente quella donna? Strano, di solito parlava di sir Douglas con palese disprezzo. Quel giorno però sembrava disposta a mostrarsi benevola nei suoi confronti. Forse la notizia del ritorno di Elliott l'aveva messa di buonumore. - E sembra anche in buona salute.- - Si, vostra grazia.- La duchessa non disse altro su sir Douglas, limitandosi a ordinarle di aggiungere il suo nome alla lista degli invitati, che ben presto comprese cinquanta famiglie. Quando ebbero terminato, era ora di vestirsi per la cena. Il duca non le raggiunse a tavola e Hester tentò di persuadersi che era ben contenta di fare a meno della tensione che la sua presenza avrebbe indubbiamente creato. - È in ritardo di tre ore - dichiarò il duca, indicando con un cenno del capo l'orologio antico posto sul tavolo di lacca del salotto. Seguendo la direzione del suo sguardo, Hester si sforzò di non sospirare. Il landò era stato mandato al villaggio, il tempo era ottimo. Benché fosse difficile prevedere l'ora esatta dall'arrivo di lord Elliott, anche lei si stava stancando di aspettare inutilmente. - Dovremmo prendere il tè - continuò il duca. Dato che stava fissando la sua matrigna, Hester lo osservò in silenzio. Stava appoggiato alla mensola del caminetto in un atteggiamento di aggraziata noncuranza che non la ingannò neanche per un attimo. Scorgeva la tensione nel suo corpo elegantemente vestito, la collera nella posizione delle sue spalle, la frustrazione nella sua fronte aggrottata. - Sciocchezze - protestò la duchessa. - Elliott non ha che un lieve ritardo. Forse è stato costretto a riposarsi un po' dalla fatica del viaggio.- - Senza dubbio - assentì il duca, affatto colpito. - Tuttavia, non vogliamo che lady Hester muoia di fame.- - Sto benissimo - si affrettò a ribattere lei, desiderando di potersi ritirare nella sua stanza. Non aveva la benché minima voglia di assistere a una lite familiari. - Ma sarei un pessimo padrone di casa se non facessi del mio meglio per provvedere alle vostre necessità.- C'era qualcosa nel tono in cui aveva pronunciato quelle parole che richiamò la sua attenzione e allorché portò lo sguardo su di lui, Hester si pentì immediatamente di averlo fatto. Ancora una volta le stava rivolgendo quel sorriso segreto che sembrava promettere di essere pronto a darle qualsiasi cosa potesse desiderare da un uomo attraente. Quante volte mentre sedeva contro una parete a un ricevimento aveva udito quel tipo di osservazioni e quante volte aveva risposto mentalmente, sempre con maggiore intelligenza dei diretti interessati. Ora però sembrava essere diventata terribilmente stupida, poiché non le venne in mente da dire se non: - Non ho alcuna fretta di prendere il tè, vi assicuro - La duchessa si alzò e si avvicinò alla finestra, fremendo per quello che aveva tutta l'aria di essere un misto di nervosismo ed eccitazione, e facendo ondeggiare le numerose balze dell'abito di leggera seta azzurra. - Non vedo proprio che male ci sia aspettare ancora qualche minuto.- Dovete dirmi se c'è qualche altra cosa che possa procurarvi, lady Hester - intervenne il duca con un inchino e un malizioso sfavillio nello sguardo. - Purché non sia troppo costoso - interloquì la duchessa senza voltarsi. - Apprezzo la vostra generosità, vostra grazia, ma sono pienamente soddisfatta.- - Dovete essere una persona rara per sentirvi soddisfatta - - Fate sembrare la soddisfazione una cosa molto noiosa, vostra grazia.- - Non lo è? - - Per un uomo della vostra indole, può darsi, ma per me va benissimo.- il duca inarcò le sopracciglia nere. - Si direbbe che la mia indole non riscuota la vostra approvazione.- - Conoscendovi appena, non sono nella posizione migliore per giudicare.- - In tal caso siete davvero una donna rara, poiché la maggior parte della gente non si fa scrupoli di giudicarmi, che mi conosca o meno.- - Di che cosa state chiacchierando voi due? - volle sapere la duchessa, gettando loro un'occhiata di sopra la spalla e ricordandole che c'era un altro paio di orecchie nella stanza. Un vero peccato, perché stava cominciando a divertirsi. Aveva l'impressione che le fosse stata offerta la possibilità di intravedere la personalità del duca e avrebbe voluto apprendere di più. - Avete mandato i cavalli migliori, non è vero, Adrian? - Tornò a domandare la duchessa. - I migliori. Temo però di essere responsabile del suo ritardo, dato che ho mandato la mia carrozza più bella, la pariglia più veloce e una grossa somma di denaro per coprire le spese a cui Elliott potesse andare incontro alla locanda. - confermo lui. - Oh, ecco il landò! - gridò a un tratto la duchessa eccitata e sollevata, fissando il lungo viale tortuoso che portava a Barroughby Hall. - Riesco a vedere Elliott. Venite, Hester, guardate! - Raggiungendola alla finestra, lei vide la carrozza nera con lo stemma ducale sullo sportello, tirata da due cavalli altrettanto neri, che stava risalendo il viale. All'interno sedeva un giovanotto con il cappello in testa. Più di questo solo l'occhio di una madre era in grado di distinguere da quella distanza. La duchessa attese che la vettura fosse scomparsa dietro le scuderie, poi si girò con aria di trionfo. - Avete visto, Adrian? Vi avevo detto che avremmo dovuto aspettarlo per il tè. Sarà affamato dopo un viaggio così lungo, povero ragazzo.- Sollevando la gonna voluminosa, si precipitò fuori del salotto, evidentemente con l'intenzione di accogliere il figlio adorato alla porta principale. Hester realizzò di essere rimasta sola col duca, così come notò che la duchessa aveva dimenticato lo scialle. Consapevole tanto della fresca aria autunnale quanto del cuore che le martellava in petto, decise di portarglielo. Chinandosi sul sofà, raccolse lo scialle di morbida lana. Il duca inarcò un sopracciglio. - Sembra che abbiate una gran fretta di conoscere quel modello di virtù. - osservò estraendo un sigaro dal taschino della giacca. - Non mi è mai capitato di conoscere una simile rarità.- - Se non state attenta, lady Hester, potreste farmi ingelosire.- Intuendo dal suo sorriso ironico che la stava canzonando, lei lo fissò senza batter ciglio. - Se lui è tanto virtuoso, dovreste esserlo anche voi.- Adrian sgranò gli occhi. Non avrebbe mai cessato di stupirlo quella ragazza? Lo stava affrontando da pari a pari, un'altra caratteristica che la distingueva da tutte le donne che avesse mai conosciuto. Alcune, quelle vanitose, si credevano superiori a lui. Altre, quelle speranzose, si comportavano in un modo patetico che sfiorava il ridicolo. - Non dovreste portare lo scialle alla duchessa? Noi non vogliamo che si buschi un malanno? - - No, vostra grazia, noi non vogliamo.- Lui la seguì con lo sguardo, riflettendo sull'enfasi con cui aveva pronunciato le ultime parole. Noi, inteso come voi e io insieme? Noi contro gli altri? Non più soli. Un allettante pensiero. Un allettante, stupido pensiero. Accese il sigaro e la seguì, decidendo che il suo stomaco era in grado di assistere al tenero incontro tra madre e figlio, se non altro per vedere come la stupefacente lady Hester avrebbe reagito al suo fratellastro, il biondo e affascinante lord Elliott Fitzwalter.

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Capitolo 12
*** DODICESIMO CAPITOLO ***


Quando raggiunse l'atrio, un paio di valletti stava già portando dentro un grosso baule, dirigendosi verso la scalinata. All'esterno, altri tre erano pronti a ricevere diversi bagagli meno ingombranti sotto le direttive del cameriere italiano di Elliott. Elliott, apparentemente sano come un pesce in tutto il suo metro e ottantacinque di statura, i capelli schiariti dal sole dell'Italia meridionale, gli occhi ancora più azzurri nel viso abbronzato e vestito all'ultima moda europea, incontrò sua madre sulla soglia, un tiepido sorriso sulle labbra mentre lei lo abbracciava. - Come stai, Elliott, mio caro ragazzo? - - Molto meglio, mamma, ora che sono qui con voi.- La duchessa tornò a buttargli con slancio le braccia al collo, ma l'attenzione di lui si era già spostata sul fratellastro. - Vedo che avete altri ospiti, mamma.- La duchessa si tirò indietro. - Già - - Elliott, molto gentile da parte tua esserti finalmente deciso ad arrivare - fu l'accoglienza del duca. Con un mezzo sorriso, lord Elliott continuò a scrutare l'atrio. Infine posò lo sguardo su Hester, che attendeva pazientemente ai piedi delle scale con lo scialle sul braccio, più simile a una brava domestica che a una ragazza aristocratica. La duchessa non aveva tutti i torti a essere tanto fiera del figlio, notò lei. Alto, attraente, biondo con occhi azzurri, aveva modi piacevoli, il portamento eretto e i movimenti atletici. Quel sorriso sbilenco contribuiva a renderlo ancora più seducente ed era del tutto privo del sarcasmo di quello del fratello. Erano quasi della stessa altezza e possedevano una voce pressoché identica. Hester notò altresì che per essere stato troppo malato per mettersi in viaggio, lord Elliott appariva in ottima salute, in netto contrasto con l'aspetto che aveva avuto il duca al momento del suo arrivo. - E chi è questa incantevole creatura? - domandò dirigendosi verso di lei. Quando le prese la mano nella sua, Hester divenne consapevole di due cose. La prima, che il duca li stava osservando. La seconda, che malgrado i suoi modi cortesi e il suo bell'aspetto, trovava assai sgradevole il suo tocco, benché non ci fosse niente di tanto evidente che potesse giustificare quella sensazione. Tranne forse una certa aria accorta nella sua espressione. Il tipo di espressione con cui un uomo doveva esaminare le inquiline di una casa di tolleranza prima di sceglierne una. Quel paragone le balzò alla mente con tanta rapidità e tanta chiarezza da lasciarla momentaneamente interdetta. Subito dopo si diede della sciocca. Forse la sua mente era stata influenzata dalla presenza e dalla reputazione del Cavalliere Nero. - Buon giorno, milord - mormorò accennando una riverenza. Accorrendo, la duchessa chiuse il braccio del figlio nelle lunghe dita simili ad artigli. - Questa è lady Hester Pimblett. Hester, mio figlio, lord Elliott Fitzwalter.- - Lietissimo, lady Hester - ribatté lui prima di rivolgersi alla madre. - Non mi avevate detto che era così deliziosa - aggiunse, premendo le labbra sul suo dorso della mano. Lei si sforzò di non lasciare trapelare la propria irritazione. La credeva tanto stupida da non accorgersi che la sua adulazione era decisamente vergognosa? Mille volte meglio che un uomo le spiegasse di averla baciata in un momento di debolezza, piuttosto che essere fatta oggetto di un così falso apprezzamento. Ritirando la mano, porse lo scialle alla duchessa. - Cominciavamo a disperare di rivederti - dichiarò il duca, avvicinandosi. - Sono stato trattenuto da un impegno improvviso.- - Lo Immaginavo - commentò suo fratello in tono sarcastico. Com'era possibile che la voce di un uomo fosse così calda un momento e così glaciale un momento dopo? Si chiese Hester portando lo sguardo su di lui. E com'era possibile che un sorriso assomigliasse tanto a una minaccia? Stranamente, lord Elliott parve del tutto indifferente all'ostilità del fratello. - Quando mi sono fermato a Londra, ho saputo che eri stato ferito in un duello.- - Infatti - - Mi dispiace - - Te ne parlerò più tardi - il duca avanzò di in passo verso il fratellastro. - A quattr'occhi - La compostezza di lord Elliott vacillò per la frazione di un istante prima che sua madre tornasse ad afferrargli il braccio e lo trascinasse verso il salotto. - Vieni, Elliott, ti abbiamo aspettato per prendere il tè.- - Sapevo di poter contare su di voi, mamma. Muoio di fame. - Venite, lady Hester - le ordinò la duchessa. Lei fece un paio di passi attraverso l'atrio, poi portò lo sguardo sul duca che non si era mosso - Vostra grazia? - - Mi è passato l'appetito - borbottò lui, raggiungendo la porta in due falcate e spingendo da parte i valletti. La sua brusca sgarberia era in netto contrasto con l'amabilita del fratello, pensò Hester, mentre seguiva lord Elliott e sua madre. E la curiosità che provava per la causa di quell'animosita' famigliare aumentò, poiché appariva chiaro che era dovuta a un motivo ben più serio di una diversità di trattamento da parte della duchessa. - A onor del vero, mamma, mi meraviglio di trovare qui Adrian - osservò lord Elliott mentre la conduceva al suo posto abituale sul sofà. - È venuto per rimettersi. Un'altro increscioso episodio nella sua viziosa esistenza, temo. Ma non roviniamoci la giornata con i misfatti di Adrian. Com'è l'Italia? - - Torrida, soleggiata, meravigliosa - rispose lui con un sorriso caldo quanto il sole italiano. - Mi dispiace solo di non esservi stato vicino durante questa ennesima, dura prova. Quando ho saputo di Adrian, mi trovavo a Londra ed ero in viaggio verso casa. Credevo che fosse stato ferito gravemente. - - Affatto. Come hai potuto vedere con i tuoi occhi.- - Ne sono lieto.- Lord Elliott sorrise a Hester che esitava incerta sulla soglia. - Accomodatevi, lady Hester. Ah, ecco il tè.- Lei si scostò per far passare la governante e una cameriera che disposero i vassoi traboccanti di leccornie sul grande tavolo rotondo di fronte al fuoco. Poi sedette sulla poltrona più lontana, accanto alla finestra. Lanciando un occhiata fuori dei vetri, vide il duca camminare lungo il sentiero, a capo chino, con aria meditabonda, l'andatura zoppicante. Poteva darsi che non fosse stato ferito gravemente, ma certo più di quanto desse a vedere. Perché nascondeva la reale entità della sua ferita? Per apparire inattaccabile alle aggressioni verbali della duchessa? Possibile che l'opinione di questa avesse su di lui un effetto maggiore di quanto non lasciasse trapelare, così come lui aveva su di lei un effetto ben più grande di quanto non osasse dimostrare? Riportò l'attenzione sulla duchessa e il suo figlio prediletto, mentre le domestiche finivano di sistemare le tazze e si eclissavano discretamente. - Stiamo organizzando un ballo in tuo onore, Elliott - annunciò la duchessa versando il tè. Un'espressione annoiata e stizzita, più simile a quella della madre che a quella del fratello, gli sfrecciò sul viso. - Che meraviglia, mamma - commentò con simulato entusiasmo. - Dovrete riservarmi almeno due balli, lady Hester - - Con piacere - acconsentì lei, mentendo solo a metà. Sarebbe stata un'esperienza completamente nuova venire invitata da un giovanotto così affascinante e pur avvertendo in lui qualcosa che non quadrava, era disposta a rivedere la sua prima impressione, giudicandola errata, influenzata dalla tensione che regnava nella casa. Poi ricordò a sé stessa che lord Elliott non aveva ancora visto Damaris Sackville-Copper. Avrebbe fatto bene a non illudersi di essere invitata a ballare se non per dovere. - Suppongo che allora Adrian se ne sarà già andato.- A lei non era venuto in mente che il duca potesse non essere presente al ballo e trovò quella prospettiva piuttosto demoralizzante. E perché mai, si rimproverò, dato che non avrebbe comunque ballato con lei? In effetti, a causa della ferita alla gamba, non avrebbe ballato affatto.

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Capitolo 13
*** TREDICESIMO CAPITOLO ***


-Non ho la più pallida idea di quanto abbia intenzione di trattenersi - ribatté la duchessa. - Sai bene che non si degna mai di informarmi dei suoi andirivieni. - Afferrò un sandwich e la fissò freddamente. - Se avete finito, lady Hester, potete lasciarci - Benché non avesse bevuto che un sorso di tè, lei sapeva riconoscere un congedo quando ne udiva uno. - Ci vediamo a cena - aggiunse la duchessa. Lord Elliott si alzò e si inchinò con un sorriso di scusa e una quasi impercettibile scrollata di spalle. - A più tardi, lady Hester.- Hester si annodò i nastri della cuffia sotto il mento e si avvolse lo scialle di lana attorno le spalle. Era una bella giornata, anche se fredda, e aveva bisogno di una boccata d'aria. L'atmosfera della casa si era fatta ancora più opprimente, grazie all'accrescersi della tensione causata dall'arrivo di lord Elliott. Dopo essere sgattaiolata giù dalle scale posteriore, si diresse verso le scuderie, una meta che aveva scelto per due ragioni. Innanzitutto perché le piaceva il loro calore e l'odore della paglia le ricordava la stalla di casa sua, dove soleva rifugiarsi ogniqualvolta le sue sorelle si accapigliavano. Il secondo luogo, perché si trovavano nella direzione opposta a quella presa dal duca. Gli stallieri, che si stavano dirigente verso l'ala della servitù dopo una giornata di lavoro, la salutarono con un cenno mentre entrava nell'edificio fiocamente illuminato, lasciandola in una gradita solitudine. Non era la prima volta che lei vi si recava e conosceva quasi tutti i cavalli. Mentre percorreva il corridoio centrale, notò la pariglia nera del duca e il suo cavallo da sella che scalpitava impaziente. Era stato fermo troppo a lungo, immagino'. - Ma non mi fiderei di te più di quanto non mi fiderei del tuo padrone - bisbiglio', fermandosi per ammirarlo. - Vale a dire per niente, ci scommetto.- Girandosi di scatto, Hester vide il duca in piedi al centro del corridoio, il peso del corpo appoggiato sulla gamba ferita, le braccia incrociate sull'ampio petto, la faccia a stento rischiarata dalla scarsa illuminazione, tanto da impedirle di scorgere la sua espressione. Lentamente, prese ad avanzare verso di lei. - Suvvia, non siate timida, lady Hester. Siete una donna intelligente, quindi non mi aspetto che vi fidiate di me - - Dopo quanto è accaduto ieri, potete starne certo - Lo rimbecco' lei, in un tono reso tagliente dalla sorpresa, mentre avrebbe di gran lunga preferito apparire indifferente. - Buona sera, vostra grazia - tentò di passargli davanti, ma lui le bloccò la strada. - Non è necessario che ve la diate a gambe. Vi prometto di tenermi a prudente distanza.- - Non ho paura di voi.- - Mia cara ragazza, mi state forse dicendo che sto perdendo la mia capacità di incutere terrore e timore riverenziale in un petto femminile? - Hester lo sbirciò con circospezione, desiderando di riuscire a vederlo meglio. - Sarebbe preferibile che cercaste di incutere ammirazione e rispetto.- Lui si portò una mano al cuore. - Significa che 'non' suscito ammirazione e rispetto? Ahimè, bella fanciulla, ditemi che non è vero, altrimenti sarò costretto ad affogare le mie pene in quell'abbeveratoio.- - Un bel tuffo non vi farebbe male - ribatté lei seccamente, facendo del proprio meglio per non ridere. - Ma allora i capelli si incollerebbero alla mia fronte febbricitante e vi garantisco che non susciterei certo ammirazione.- - Mi riferivo all'ammirazione per i vostri pregi, non per il vostro aspetto.- Adrian indietreggiò vacillando di un paio di passi, un braccio sugli occhi. - Me misero! La bella fanciulla vorrebbe che diventassi famoso per i miei pregi... un'impresa disperata.- Lasciò ricadere il braccio. - Temo che sia troppo tardi per ispirare sentimenti del genere - aggiunse più seriamente. - Non è mai troppo tardi. - - Che cosa potete saperne voi? - domandò lui a bassa voce in tono improvvisamente intimo. - Non siete altro che un'irreprensibile, rispettabile giovane donna.- Hester arrossì e il cuore le accelerò i battiti. - De... devo andare, vostra grazia.- Adrian non si mosse di un passo. - Immagino che il mio caro fratellino incuta ammirazione e rispetto. Tutte le donne sembrano pensarlo.- Lei non seppe come rispondere, riluttante a farsi coinvolgere in quel conflitto familiare. - Non lo conosco abbastanza da poterlo dire.- - Ma che cosa vi suggerisce la vostra mente?- - Non saprei, ora come ora.- - Dunque mi state dicendo che evitate di esprimere giudizi affrettati?- - Mi auguro di non giudicare mai troppo in fretta, qualora mi fossi lasciata influenzare dalla prima impressione.- - È mai possibile che, malgrado la mia notoria reputazione, non siate propensa a disprezzarmi? - Hester annuì. - Una donna più unica che rara, che non presta ascolto ai pettegolezzi. Ditemi, di grazia, lady Hester, qual è stata la prima impressione che avete avuto di me? - - Ho pensato che tenevate a freno la collera con notevole abilità.- - Come? Non vi hanno colpita il mio aspetto attraente o il mio spirito caustico?- - Se mi fate delle domande per ricevere dei complimenti, state perdendo il vostro tempo.- - Restate ancora un momento - la prego' Adrian, mentre lei si accingeva di nuovo a girargli attorno. - Non vi fidate di me, non è vero?- - Sebbene non creda ciecamente ai pettegolezzi, li sento, vostra grazia, e dopo quello che ho udito, non ritengo prudente fidarmi di voi.- - Ah! - - Voi me l'avete chiesto e io vi ho risposto, vostra grazia - - Oh, non sono affatto offeso. Anzi, applaudo la vostra razionalità e la vostra saggezza, lady Hester. C'è solo una cosa che vorrei dirvi e poi potrete andarvene, come sembrate tanto ansiosa di fare. Spero che non vi fiderete neanche del caro Elliott.- - Perché non dovrei? - Hester lo osservò un istante tentando di interpretare la sua espressione indecifrabile. - Dopotutto è un uomo maledettamente affascinante. Potreste perdere la testa.- - Se non 'perdo la testa' per il famigerato, attraente e seducente Cavalliere Nero, perché dovrei perderla per vostro fratello? - - Fratellastro.- - D'accordo, fratellastro.- - Quindi, può darsi che lui sia solo pericoloso la metà di quanto lo sono io...ma pur sempre pericoloso.- - Avete intenzione di trattenermi fino all'ora di vestirmi per la cena?- lo apostrofo' Hester, alquanto seccata e completamente sconcertata. Sembrava talmente sincero da indurla a credere che fosse davvero preoccupato per lei, cosa che le toccò il cuore. - Va bene, scappate pure, mia cara, purché mi promettiate di non fidarvi di nessuno dei due.- Lei si costrinse a incontrare i suoi occhi. - Lui non mi ha baciata sulla bocca, vostra grazia, né ha tentato di fare approcci sconvenienti - ricordò sia a sé stessa che a lui. - Se io non prendo le mie decisioni basandomi sulle chiacchiere, non le prenderò nemmeno basandomi su ciò che mi dite voi.- Lui indietreggiò per lasciarla passare, consentendole finalmente di vederlo in faccia. Hester desiderò di non averlo fatto, poiché la sua espressione dura e fredda le gelò il sangue nelle vene. - Se dovesse succedere qualcosa, non dite che non vi avevo avvertita. - - Per esempio? - - Non sono l'unico Fitzwalter accusato di essere un rubacuori - ribatté lui tornando al suo tono scherzoso. L'aveva messa in guardia. Adesso toccava a lei dargli o non dargli retta. - Non credo di correre grossi rischi - osservò Hester con altrettanta leggerezza. - Ora devo proprio chiedervi scusa.- E corse via senza guardarsi in dietro. Meglio così, si disse Adrian. Cominciava a piacergli fin troppo stare solo con lei. Le conveniva evitarlo, purché evitasse anche Elliott. Imprecando a denti stretti, si avvicinò al suo stallone - Ho tentato, Drake - mormorò accarezzandogli il collo. - Ho fatto il possibile - Lady Hester non aveva la più pallida idea del pericolo che correva. Una donna come lei, sola, insignificante, non più giovanissima, poteva cadere facilmente vittima delle attrattive di Elliott.

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Capitolo 14
*** QUATTORDICESIMO CAPITOLO ***


Temeva purtroppo che i suoi consigli restassero inascoltati, poiché sebbene sostenesse di non affrettarsi mai a giudicare, lei non avrebbe certo creduto a qualsiasi cosa potesse dire il duca di Barroughby. Inoltre, il fascino travolgente di Elliott era capace di conquistare la più virtuosa delle donne. La porticina all'altra estremità delle scuderie si spalancò e Jenkins percorse il corridoio a tutta la velocità consentita dalle sue vecchie gambe. Sentendo il suo respiro affannoso nel silenzio, Adrian si volse preoccupato nella sua direzione. Forse avrebbe davvero dovuto metterlo a riposo, che la duchessa fosse o meno d'accordo, che lo stesso Jenkins fosse o meno d'accordo. - Vostra grazia! - ansimò. - Che cosa c'è? È successo qualcosa?- - È venuto il ragazzo Bolby, tutto agitato, vostra grazia. Si tratta di suo padre. Pare che non passerà la notte.- Lui deglutì a stento, poi si affrettò ad afferrare una sella. - Devo chiamare uno stalliere, vostra grazia?- - No, faccio da solo.- - Non indossate abiti adatti per cavalcare, vostra grazia.- - Non me ne importa un accidente. Dov'è il ragazzo?- - È già tornato a casa. Ha detto che non poteva trattenersi per parlarvi, ma che sperava che sareste andato.- - Porgete le mie scuse alla duchessa e agli altri - disse lui allacciando il sottopancia a Drake. - Non cenerò in casa stasera. - Fischiettando un allegro motivetto, Elliott teneva attentamente d'occhio la porta delle scuderie. Incredibile quante cose interessanti si riuscisse a vedere dalla finestra della sua stanza, si disse. Come per esempio, lady Hester che entrava nelle scuderie e Adrian che la raggiungeva alcuni minuti più tardi. Mentre il suo cameriere continuava a disfare i bagagli nello spogliatoio adiacente, estrasse l'orologio e lo consultò ancora una volta. Era un quarto d'ora che il fratellastro era scomparso all'interno dell'edificio. Prima ancora che avesse la possibilità di richiedere l'orologio, lady Hester ne uscì a precipizio come se avesse il diavolo alle calcagna. Che cosa pensare? La prima e più ovvia conclusione era che Adrian si fosse recato nelle scuderie per un incontro privato con la ragazza. A che scopo? Non poteva trattarsi di affari, dato che Adrian amministrava gelosamente la proprietà e il patrimonio di famiglia. Non gli occorreva né avrebbe desiderato un'ingerenza da parte della dama di compagnia della sua matrigna. Poteva darsi che avessero parlato della duchessa, anche se sembrava altamente improbabile. In fondo, che cosa c'era da dire? Adrian non nutriva la benché minima simpatia per la donna che aveva preso il posto di quella santa di sua madre, soprattutto dopo che questa aveva dato a suo padre un altro figlio da amare. Quindi non restava che un unico motivo che potesse indurlo a desiderare un colloquio a quattr'occhi con una giovane donna. O era in procinto di, o era già riuscito a sedurla, un concetto stupefacente, considerata la mancanza di attrattive di lady Hester. Forse, molto semplicemente, non c'erano altre femmine disponibili a portata di mano. In effetti, sua madre sembrava aver assunto le domeniche scegliendo immancabilmente le più brutte. Tuttavia poteva anche darsi che lady Hester possedesse delle doti nascoste. Il fatto che apparentemente Adrian la trovasse abbastanza di suo gusto da darle la caccia non era una cosa da prendere alla leggera. Ricordava bene le ragazze Pimblett, poiché Helena aveva furoreggiato durante la stagione del suo debutto in società. Ma era una strega fredda ed egoista, e la sorella minore una sciocca. Di quella Hester non si ricordava affatto. Doveva aver debuttato all'epoca in cui lui aveva quella relazione con la ballerina spagnola, quindi non faceva meraviglia che non avesse notato una ragazza così insignificante. Consuelo era stata eccitante, focosa e oltremodo impegnativa. Adrian aveva sempre avuto buongusto in fatto di donne. Era stato il primo a scoprire Elizabeth Howell, che non aveva avuto niente di speciale finché lui, Elliott, non le aveva procurato gli abiti più eleganti e un parrucchiere. Comunque, quelle elucubrazioni erano del tutto inutili, oltre che una perdita di tempo. Molto meglio riflettere su quanto stava accadendo sotto i suoi occhi. Lady Hester, gli venne in mente, aveva delle belle mani, sottili e con lunghe dita affusolate. Gli piacevano le donne che possedevano quel tipo di mani: accarezzavano con maggiore abilità. Forse Adrian aveva percepito una qualche passione repressa in quella ragazza in apparenza piena di riserbo. E se era già una colomba sporca, quanto più facile sarebbe stato per lui convincerla a infilarsi nel suo letto. Tutto sommato, quella visita a quell'asfissiante di sua madre prometteva di rivelarsi meno noiosa del previsto. - Giuseppe, vado a fare quattro chiacchiere con lady Hester- gridò al suo cameriere lasciando la stanza. - Oh, lord Elliott! - boccheggiò Hester, arrestandosi di botto sulle scale nel vederlo scendere verso di lei, il sorriso sbilenco su suo bel viso. - Non è ora di vestirsi per la cena? - domandò, sforzandosi di non sembrare ansiosa di proseguire, nel timore che le venisse chiesta una spiegazione. - Pensavo di avere il tempo di fare una passeggiata in giardino. Vorreste concedermi l'onore di accompagnarmi?- L'avvertimento del duca le balzò all'istante alla mente, ma osservando il giovane uomo che le sorrideva con tanta amabilità, l'espressione cortesemente interrogativa, si disse che non correva un gran rischio ad acconsentite. Inoltre, forse lord Elliott sarebbe stato in grado di illuminarla ulteriormente sulla misteriosa personalità del suo fratellastro. Quando le porse il braccio, vi posò leggermente la mano. Lui gliela coprì con la sua e lei si meravigliò di trovare tanto sgradevole quel gesto innocuo. Era troppo intimo, dato che si conoscevano da poche ore, e troppo possessivo. - La mamma sembra entusiasta della vostra compagnia - dichiarò lord Elliott guidandola verso la porta principale. - Sono contenta di essere al servizio della duchessa.- - Spero che resterete a Barroughby Hall per un certo tempo. Mia madre è meno irascibile quando ha accanto una persona paziente.- - Vi vuole molto bene - gli fece notare Hester, rendendosi conto che si stava dirigendo verso il boschetto. - Ci sono dei magnifici fiori da questa parte - aggiunse, accennando con la mano verso le aiuole. Lui deviò immediatamente nella direzione indicata. - Mi stupisce che la vostra famiglia possa fare a meno di voi.- - I miei genitori stanno viaggiando in Europa, al momento, e le mie due sorelle si sono sposate da poco. Non vogliono certo avermi con loro.- - Peggio per loro e meglio per noi, soprattutto adesso che Adrian si trova qui. La mamma diventa talmente nervosa.- - Ora è felice di avervi a casa. Peccato che non siate potuto arrivare prima.- Lord Elliott le scoccò un'occhiata penetrante, cogliendo evidentemente il suo velato rimprovero. Infatti si affrettò ad assumere un tono contrito. - Avrei dovuto parlarle più a lungo della mia malattia. Purtroppo, dubito che le sarebbe piaciuto sapere che mentre si trovava in Europa, il suo caro ragazzo era rimasto vittima di una passione senza speranza per una giovane francese molto nobile e molto ricca. La signora in questione mi aveva respinto in modo piuttosto esplicito e io ero troppo sconvolto per fingermi allegro davanti a mia madre.- - Molto premuroso da parte vostra, milord - commentò Hester, chiedendosi se fosse la verità. Per qualche ragione misteriosa, non riusciva a immaginarlo con il cuore spezzato. Anche mentre le pronunciava, aveva avvertito nella sua voce una superficialità che smentiva le sue parole. - Ormai dovete conoscere bene mia madre. Non crederebbe mai che una donna sia capace di respingermi, perciò ho inventato la storia della malattia.- - Avete mentito per non addolorarla? - - Non siate critica nei miei confronti, lady Hester. Confesso che ho preferito risparmiarmi la sua reazione, ma non è certo un delitto! -

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Capitolo 15
*** QUINDICESIMO CAPITOLO ***


Fermandosi, si volse verso di lei e le sorrise con tutta l'innocente malizia di un bambino che tenti di ingraziarsi una persona adulta. - Non è vero? - Ma non era un bambino e lei non seppe impedirsi di pensare che avesse fatto male a mentire a sua madre. La duchessa era stata in pensiero per lui, credendolo sofferente e lontano da casa. - Avete dimostrato una notevole mancanza di riguardo spaventando vostra madre.- - Siete una donna dal cuore di pietra - rise lord Elliott. - Del tutto immune al mio fascino, crudele fanciulla.- A Hester non piacque sentirsi definire in quel modo, nemmeno per scherzo. - Troverete che le rose hanno una splendida fioritura quest'anno - osservò distogliendo lo sguardo e affrettando il passo. Lui si fermò di nuovo e questa volta si portò la sua mano alle labbra. - Siete una donna molto dolce e io mi pento amaramente dei miei peccati - mormorò, fissandola con uno sguardo supplichevole. Un'espressione che sarebbe risultata assai più efficace se lei vi avesse percepito un minimo di sincerità. Che però non avvertì, anche se un lieve rossore le imporporo' le guance. - Penso che dovremmo rientrare, milord.- - Come desiderate, milady. - Camminarono in silenzio per alcuni minuti, finché lui non si arrestò di colpo e le pianto' gli occhi in faccia. - Che cosa sapete del duca? - Che mi abbia letto nel pensiero? Si chiese freneticamente Hester. - Non lo avevo mai incontrato prima che venisse qui.- - Non avevate sentito parlare di lui?- - Siete a conoscenza di quello che dice la gente della sua scandalosa condotta?- - Ho sentito le chiacchiere, lord Elliott. - - Disgraziatamente, qui non si comporta meglio di come si comporta a Londra. Gli abitanti del villaggio potrebbero raccontarvi parecchie cose sulla sua dissolutezza.- Rammentando l'accenno di Damaris Sackville-Copper alla casa di Stamford Street, lei rimase in silenzio. - Che cosa sapete della sua ultima infamia?- - Pochissimo. L'unica cosa che so per certo è che si è battuto a duello ed è rimasto ferito. Credo che ci fosse di mezzo una donna.- - Questo dovrebbe bastare a persuadervi di stare in guardia da lui. - Lei abbassò lo sguardo sulla calda mano maschile che copriva ancora la sua. Strano come tutti si premurassero di metterla in guardia. Tanta apparente sollecitudine...e da persone che conosceva appena. Il fatto che i due fratelli si detestassero a vicenda poteva essere sufficiente a spiegare i loro avvertimenti. Però a quale sarebbe stato opportuno credere? Se doveva dare ascolto ai pettegolezzi, era del Cavalliere Nero che avrebbe dovuto diffidare. Il bacio che le aveva rubato in biblioteca non era forse la prova delle sue inclinazioni libertine? Per contrasto, fino ad allora lord Elliott Fitzwalter si era comportato da perfetto gentiluomo, benché in un modo eccessivamente confidenziali. Il suo cuore le disse di non fidarsi di nessuno dei due. Per il momento. - Vogliamo entrare, milord? Sta rinfrescando.- - Pa'! Pa'! - L'anziana signora Bolby scrollò delicatamente il marito addormentato. - Guarda, pa'. È il giovane duca, è venuto a trovarti.- Avanzando nel minuscolo cottage, Adrian sorrise all'uomo che gli aveva insegnato a cacciare, che lo aveva portato con sé in lunghi vagabondaggi attraverso la tenuta e aveva ascoltato le sue lamentele, compatendolo in silenzio. - Come state, Bolby? - - Prego, sedetevi, vostra grazia - lo invitò la signora Bolby, offrendogli lo sgabello accanto al letto che aveva occupato fino a quel momento. - Oh, no...- - Vi prego.- Con un cenno di assenso, lui vi si lasciò cadere e prese nella sua la mano nodosa del vecchio. Bolby sollevò lentamente le palpebre. - Siete voi, non è vero? Domandò in un soffio, ma con un malizioso sfavillio nello sguardo che lo indusse a pensare che ci volesse ben altro che la morte per sconfiggere il vecchio guardiacaccia. - Sono io - rispose nel loro modo consueto di salutarsi. - Sto morendo, padroncino.- Sua moglie scoppiò in singhiozzi e Bolby alzò gli occhi al cielo. - Povera vecchia ragazza, non riesce ad abituarsi all'idea. Ma quando è l'ora, è l'ora.- Adrian annuì. - Lo avete sempre detto. Immagino che le volpi stiano dando festa.- Il vecchio ridacchiò, finché non fu costretto a interrompersi per riprendere fiato. - Ho insegnato a Tom tutto quello che so, ma non impara in fretta, vostra grazia.- Ammiccò al figlio in piedi in un angolo, alto, magro e muto, ma visibilmente attanagliato dall'angoscia. - Non come voi, vostra grazia.- - Forse perché ha il cuore troppo tenero.- - Chi è stato a frignare come un poppante quando ha scoperto di aver ucciso un cerbiatto? - Lui scrollò le spalle, ma il vecchio rafforzò la stretta attorno alla sua mano. - Ah, quelli erano bei tempi, padroncino. Ricordate quella volta che avete infilato un piede nella strozzatura di una trappola e io vi ho detto che sareste dovuto restare lì finché non vi foste staccato la gamba a morsi? - - Non avrei dovuto disobbedirvi.- - Dio, se ero arrabbiato. Voi però l'avete presa allegramente - Sapevo che se avessi atteso il tempo sufficiente, mi avreste perdonato e sareste tornato.- - Ma non molti bambini sarebbero rimasti lì ad aspettare al buio, canticchiando una canzoncina per di più.- - Probabilmente degli altri bambini avrebbero tagliato la funicella.- - E rovinato un ottima trappola.- Sentendo il respiro del vecchio guardiacaccia farsi più affannoso, Adrian cominciò a pensare di essersi trattenuto troppo a lungo. Si accinse ad alzarsi, ma la signora Bolby gli fece cenno di non muoversi. - Lo avete tirato su di morale, vostra grazia. Restate ancora un po'.- Bolby lo fissò con un'espressione grave sulla faccia rugosa. - Ho una cosa da chiedervi, vostra grazia.- - Sarò felice di accontentarvi.- Che cos'era un'altra promessa a un letto di morte? Senza dubbio, qualunque essa fosse, la richiesta di Bolby non gli avrebbe procurato più problemi né gli sarebbe costata più della prima. - Mia moglie ha paura di restare senza casa. Tom è un bravo figliolo. Si sposerà in primavera e dice che lei potrà andare a vivere con loro, ma io dico che due donne sotto lo stesso tetto non portano che guai.- - Farò in modo che vostra moglie non debba preoccuparsi. Avete la mia parola.- lo rassicurò lui. Bolby ricadde sui cuscini. - Sapevo di poter contare su di voi - mormorò. Tornando a casa dopo aver prestato le sue cure a un uomo che era caduto da cavallo e si era ferito alla testa, John Mapleton svoltò in un vicolo acciottolato. Il muro di pietra di un magazzino correva lungo un lato. Dall'altro, una serie di usci dava accesso a delle misere casette a schiera, munite di minuscole finestrelle e di cenciose tendine. Non essendo il posto in cui un uomo solo dovesse trovarsi dopo mezzanotte, Mapleton affrettò il passo. A un tratto, una seconda sagoma imboccò il vicolo dall'estremità opposta, un uomo alto che camminava verso di lui, ammesso che camminare fosse il termine adatto. Non che vacillasse, ma procedeva in uno strano modo, simile al rollare di una nave su un mare in tempesta. Comunque, lui non ebbe difficoltà a riconoscere gli effetti di troppe abbondanti libagioni, così come con suo sommo sgomento gli parve di riconoscere l'uomo che si aggirava in quelle condizioni in un luogo pubblico. - Vostra grazia? - bisbiglio'. L'uomo si fermò - Chi diavolo siete? - Benché la voce fosse pressoché identica a quella del duca, Mapleton lo conosceva troppo bene per non rendersi conto che non si trattava di lui, bensì il suo fratellastro. - Dovreste andare a casa, lord Elliott.- - Ah, siete voi, dottore? Come siete gentile a preoccuparvi tanto per me.- - State dando spettacolo, milord.- - Io? E chi mi vede? - Elliott descrisse un ampio gesto con la mano. - E poi, tutti penseranno che si tratti del duca. Com'è che si dice? Il lupo perde il pelo ma non il vizio.- - Lo so. Ragion di più perché rientrate a Barroughby Hall.- - Quel vecchio, insopportabile mucchio di pietre.-

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Capitolo 16
*** SEDICESIMO CAPITOLO ***


Girandosi verso il muro del magazzino, Elliott si sbottonò i calzoni. - Dio se mi sento meglio.- il chirurgo si accigliò nauseato. - Come siete volgare! - - Dovreste stare dall'altra parte - lo scherni' Elliott. E sghignazzò allorché Mapleton balzò di lato per sfuggire al getto che scendeva lungo la cunetta. - Non sembrate affatto contento di vedermi. Senza dubbio vi dispiace che non sia morto.- - Affermare che mi stupisce che non lo siate sarebbe più esatto. Vedo che continuate a bere troppo. Avete seguito il mio consiglio e rinunciare almeno all'oppio? - - È stato l'oppio a rinunciare a me. Costa troppo - ribatté Elliott con la massima calma, riabbottonandosi i calzoni. Mapleton non si prese la briga di nascondere l'antipatia che provava per quel giovanotto. Essendo a conoscenza di quanto era successo al capezzale del quinto duca morente, capiva meglio di chiunque altro come stessero le cose fra Adrian e il suo fratellastro. L'avrebbe urlato volentieri al mondo intero, se Adrian non gli avesse fatto giurare di tacere. - Che cosa state aspettando? - Lord Elliott gli si avvicinò. - Non so che farmene di voi.- - Anche questo mi stupisce, data la vostra predilezione per le puttane.- - State cercando di offendermi, Mapleton? - Gli si piazzò di fronte, un ghigno sul suo bel viso, una ciocca di capelli che gli pendeva su un occhio iniettato di sangue. - Dovrete trovare qualcosa di meglio. Per il bene di quel martire di Adrian, sarete lieto di sapere che anche se mi piace spassarmela, non sono stupido.- - Per il bene di Adrian, ne sono lieto.- - Non sono il solo che dovreste mettere in guardia contro certe malattie. Non sono io a essere in rapporti tanto amichevoli con Sally Newcombe e le sue ragazze. Se siete così preoccupato per Adrian, dovreste chiedergli di permettervi di visitarlo. So quanto vi piacciono queste cose.- L'implicazione contenuta nelle sue parole era talmente chiara, villana e scioccante che il chirurgo rimase senza parole mentre, barcollando leggermente, lord Elliott Fitzwalter continuava per la sua strada. Essendo più mattiniera della duchessa, Hester di solito faceva colazione da sola. Evidentemente quella mattina non faceva eccezione, poiché non trovò nessuno nella piccola sala da pranzo quando vi entrò. Indugiò un istante per osservare l'effetto dei raggi del sole che filtravano dalle tendine di pizzo, proiettando delle ombre danzanti sulla carta da parati disseminata di fiori in toni pastello. I mobili di ciliegio erano talmente lucidi da potervisi specchiare, e diverse stampe di fiori e frutta erano appese alle pareti. Lei adorava quella stanza, tanto più accogliente dell'enorme sala da pranzo, benché da questa si godeva una vista assai più spettacolare. Quando aveva espresso la sua ammirazione, Jenkins le aveva detto che era stata una delle stanze preferite della defunta duchessa, aggiungendo non senza compiacimento che la nuova duchessa non si era mai presa la briga di modificarne l'arredamento. In quel momento, mentre si stava godendo il sole e la squisita colazione, Hester convogliò il suo pensiero sugli abitanti di Barroughby Hall. La duchessa non costituiva un enigma. Era una donna frivola ed egoista che stravedeva per il figlio e disapprovava il figliastro. La sola cosa che lei doveva fare per non suscitare le sue ire era obbedirle in tutto e per tutto e tenere la bocca chiusa, niente di particolarmente difficile. Erano il duca e il fratellastro a gettarla in confusione. La sera prima, durante la cena, lord Elliott si era mostrato estremamente affidabile e attento. Le aveva rivolto spesso la parola, o almeno ogni volta che la duchessa non aveva richiesto la sua attenzione, riuscendo quasi a farle dimenticare il disagio che la sua vicinanza le aveva suscitato nel parco. In seguito, quando le aveva raggiunte in salotto con la faccia arrossata, aveva dichiarato che il brandy che aveva bevuto era più forte di quello a cui era abituato e aveva proceduto a intrattenerle con i racconti dei suoi viaggi. Quando al Cavalliere Nero, la rendeva più perplessa che mai. Il loro incontro nelle scuderie l'aveva turbata profondamente, sia a causa di quello che aveva detto sia dell'eccitazione che l'aveva assalita nel sapersi sola con lui, anche se si era sforzata di negarlo. I pettegolezzi che aveva udito lo descrivevano come un debosciato dongiovanni, un uomo dedito unicamente ai propri piaceri. Eppure, se fosse stato così, perché avrebbe dovuto mantenere con tanta generosità una donna che non faceva mistero di detestarlo? Senza dubbio finanziava anche le costose abitudini di lord Elliott...un comportamento atipico in un mascalzone egoista. Benché l'avesse baciata e l'avesse seguita nelle scuderie, lei non si era mai sentita in pericolo. Sorpresa, imbarazzata, emozionata, ma né in periodo né in trappola. Il duca la incuriosiva altresì per i suoi repentini sbalzi di umore, per quel suo passare dalla facezia alla serietà con inattesa velocità. E se avesse preso sul serio i suoi avvertimenti, non avrebbe avuto difficoltà a persuadersi che un uomo del genere tenesse a lei. Ma qualsiasi cosa provasse al momento, aveva udito le chiacchiere su di lui e non riusciva a dimenticarle. Non vedendolo presentarsi a cena, i suoi parenti avevano dimostrato la massima indifferenza, finché Jenkins non aveva annunciato che il duca era andato a trovare il vecchio Bolby. Quell'informazione aveva contrariato la duchessa, tanto che lei aveva deciso che se avesse chiesto chi fosse il vecchio Bolby, avrebbe contribuito soltanto a peggiorare la situazione. Ciononostante, dopo essersi coricata, aveva trascorso diversi minuti a frugarsi nella mente in cerca di un qualche riferimento al vecchio Bolby, purtroppo senza successo. - Che cosa state facendo qui? - La voce aspra del duca la trasse dalle sue fantasticherie. Sobbalzando, lo vide avanzare zoppicando nella stanza, la faccia ancor più terrea del giorno del suo arrivo. Vestiva con gli abiti che aveva indossato la sera prima, aveva gli stivali infangati e i capelli talmente scarmigliati da sembrare quasi un selvaggio. - È caldo quel caffè? - domandò, afferrando la sua tazza e vuotandola in un unica sorsata. Poi scostò una sedia e trasalì nel lasciarvisi cadere. - Vi sentite male, vostra grazia? - - No, non mi sento male.- - Vi duole la gamba? - Lui la fissò con un'espressione stanca e cinica al contempo. - Anche se apprezzo il vostro interessamento, lady Hester, preferirei un po' di pace e di silenzio.- Lei abbassò lo sguardo sul piatto. Di fronte a tanta villania, non le restava che tacere. Quanto alle sue condizioni, appariva chiaro che si era ubriacato. Forse era perfino caduto da cavallo. Ma data la sua mancanza di gentilezza, non provò per lui la benché minima compassione. - Jenkins! - urlò il duca. - Uova e pancetta - gli ordinò quando il maggiordomo si presentò. - E dell'altro caffè, per me e per lady Hester, per favore.- - Vi porto subito una farinata d'avena, vostra grazia. - - Ho detto uova e pancetta.- - Non sono nutrienti quanto la farinata d'avena vostra grazia - mormorò Jenkins evitando il suo sguardo truce. - Voglio uova e pancetta! - ripeté imperiosamente il duca e questa volta Jenkins annuì. Dopo che il maggiordomo si fu richiuso la porta alle spalle, lui tirò un pesante sospiro, si appoggiò allo schienale della sedia e chiuse gli occhi. - Dovrò parlargli - borbottò. - Farinata d'avena, ma davvero. Preferirei mangiare del fango. - Sollevò le palpebre e la guardò. - Pensate che la farinata d'avena sia più nutriente? - - Credo che quello che penso io non abbia alcuna importanza, vostra grazia. Mangerete comunque ciò che vi pare.- Il duca rise, una risata più simile a un latrato che a uno scoppio di ilarità. - Mi avete capito bene, almeno su questo punto. E ormai dovete anche aver capito che a volte Jenkins sente soltanto quello che vuol sentire. -

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Capitolo 17
*** DICIASSETTESIMO CAPITOLO ***


Si raddrizzò sulla sedia e tornò a fissarla. - Immaginerete senza dubbio che abbia passato la notte a sbevazzare. - - Non ho la più pallida idea di dove siate stato e di quello che avete fatto. Non è affar mio.- - Molto ben detto, milady. Una risposta vaga, poco impegnativa ... peccato però che l'effetto sia un tantino rovinato dalla piega dura delle vostre labbra e dal rimprovero che vi leggo nello sguardo.- Il maggiordomo rientrò con un vassoio che conteneva un piatto da portata con coperchio e una seconda caffettiera d'argento. - Era ora, Jenkins. Sono stato costretto a fare conversazione per ingannare l'attesa. Riempite la tazza di lady Hester, per favore.- - Posso chiedere come sta Bolby stamattina, vostra grazia?- Mormorò Jenkins mentre versava il liquido bollente nella tazza di lady Hester. - È morto - rispose il duca in tono neutro, senza guardare né il maggiordomo né lei. - Ne sono desolato, vostra grazia.- - Si, jenkins.- - Assisterete al funerale, vostra grazia? - Il duca annuì, continuando a fissare la tavola. - Domani mattina.- Il maggiordomo si ritirò discretamente. - Il signor Bolby era un vostro amico? - azzardò Hester. - Già - - Mi dispiace che sia morto.- il duca la squadrò freddamente. - Non lo avete mai visto né conosciuto. Perché dovrebbe importarvi che sia vivo o morto? - L'unica risposta che le venne in mente fu che le dispiaceva perché era stato suo amico, ma immaginando la sua reazione preferì tacere. Adrian cominciò a mangiare, tentando di ignorare la silenziosa presenza di lady Hester. Ricordò invece tutte le cose di cui aveva parlato con Bolby, le battute di caccia e gli svaghi, le passeggiate e gli scherzi, finché il vecchio guardiacaccia non era diventato tanto debole che lui aveva voluto a tutti i costi che la moglie lo sostituisse al capezzale. La povera donna aveva pianto tutte le sue lacrime e infine, quando il marito aveva esalato l'ultimo respiro, aveva lanciato un grido, un suono lugubre che lui si augurava di non sentire mai più in vita sua. Poi Tom, che era rimasto in silenzio per tutta la notte, aveva cominciato a piangere, il corpo magro scosso dai singhiozzi. Realizzando che in quel momento la sua presenza era di troppo, lui se l'era svignata per tornare a casa. Quando era arrivato a Barroughby Hall, la gamba gli doleva in modo atroce. L'unica cosa che desiderava adesso era mangiare un boccone e andare a letto. Non voleva starsene seduto lì, insieme a una ragazza nei cui occhi scorgeva tanta tenera pietà, come se comprendesse il suo dolore. - Siete sicuro di sentirvi bene, vostra grazia? - Lui la guardò in cagnesco, desiderando che lo lasciasse solo. - Sto benissimo.- - State piangendo.- Quelle parole furono pronunciate come un soffio. Adrian si passò una mano sulle guance con un gesto indispettito. - Mi è entrato qualcosa in un occhio.- Lei si alzò e girò attorno al tavolo, fermandosi di fronte ed estraendo un fazzoletto dalla manica. - Permettetemi di dare un'occhiata.- - Non è niente. Un granello di polvere o di fuliggine.- - Vostra grazia, per piccolo che sia, un corpo estraneo potrebbe causarvi una fastidiosa irritazione.- Era troppo stanco per discutere, troppo sfinito per spiegarle perché mentiva, si disse Adrian. Perciò si girò sulla sedia e alzò il viso verso di lei. Con la fronte aggrottata e le labbra strette, Hester gli prese il mento fra le dita e gli esaminò gli occhi. Aveva un tocco delicato ma fermo, simile a quello di una brava infermiera. - È un peccato che apparteniate a una famiglia titolata - osservò lui, sforzandosi di non notare che i suoi occhi erano di un'incantevole sfumatura di azzurro. - Perché, vostra grazia? Volgete lo sguardo in direzione della finestra, per favore.- - Perché con il piglio autoritario che avete, sareste stata un'ottima governante.- Lei gli lasciò andare il mento. - Non vedo niente - dichiarò indietreggiando. Adrian si sforzò di non sentirsi smarrito a causa della perdita del suo tocco. Non era necessario un intuito particolare per capire che l'aveva offesa. Benché non ne avesse avuto l'intenzione, sentirsi paragonare a una governante non doveva costituire un gran complimento e gli dispiaceva di averla addolorata. Che cosa gli prendeva? Come mai provava un sentimento del genere? Era il Cavalliere Nero e nessuna donna perbene avrebbe dovuto avvicinarlo. - Avete l'aria stanca, vostra grazia. Dovreste coricarvi.- - È quello che intendo fare. Vi piacerebbe unirvi a me? - Hester lo fissò a bocca aperta - No, non mi piacerebbe affatto - rispose, precipitandosi fuori della stanza come se lui avesse cominciato a spogliarsi davanti a lei. Quella scandalosa proposta non gli avrebbe procurato alcun rimorso, si disse Adrian. Era meglio per tutti e due che lei lo giudicasse nel peggiorare dei modi. Hester si fermò davanti alla porta della biblioteca per tentare di riprendere fiato. Si torse nervosamente le mani, ricordando ancora la sensazione che le aveva procurato la barba del duca contro i polpastrelli e l'espressione intensa dei suoi occhi neri. Come se le stesse chiedendo qualcosa. Che cosa? Che cosa poteva desiderare da lei? Dividere il suo letto sembrava la risposta più ovvia e più sconvolgente. Insignificante com'era, non si era mai aspettata che un uomo le facesse una richiesta simile, tantomeno il duca di Barroughby e tanto più dopo quanto aveva visto mentre gli esaminava gli occhi. Non c'era stato niente di lascivo in quegli occhi, nemmeno il consueto, cinico sarcasmo. Aveva intravisto una bramosia, uno struggimento che l'avevano commossa. Forse avrebbe dovuto davvero fare la governante, se riusciva a considerare il Cavalliere Nero più come un uomo che anelava alla sua comprensione che come la canaglia che veniva ritenuto. Oh, si stava comportando in modo assurdo e fin troppo sentimentale. Un uomo come quello...che cosa poteva saperne, che bisogno poteva avere della tenerezza? Non desiderava che un tipo di amore e lei non era disposta a dargli. Né ora né mai. - Non me ne vado, vi dico. Non finché non avrò visto il duca! Le giunse una voce maschile dai pressi dell'ingresso di servizio. C'era una stanzetta accanto alla porta che, le aveva spiegato Jenkins, il duca usava come ufficio per ricevere i fittavoli della tenuta. Evidentemente, un fittavolo scontento insisteva per parlargli. Un'altra voce maschile, più sommessa, parve opporsi alla richiesta, una voce che assomigliava in modo sospetto a quella del canonico Smeech. Non toccava certamente a interferire negli affari della proprietà, a meno che non si trattasse di una questione che riguardava direttamente i suoi parrocchiani. In quel momento, lord Elliott scese di corsa le scale. Sorrise nel vederla e malgrado le riserve che nutriva nei suoi confronti, Hester non poté fare a meno di sentirsi scaldare dalla sua amabilità, così in contrasto con la freddezza che era solito dimostrare il suo fratellastro. - C'è qualcosa che non và - osservò in tono gioviale. - Credo che un fittavolo desideri vedere il duca.- Un'altra richiesta ad alta voce giunse alle loro orecchie, confermando quelle parole. - Così pare - dichiarò lord Elliott. - Immagino che non sia ancora tornato - si accigliò. - È stato fuori tutta la notte.- - È in casa. L'ho lasciato poco fa in sala da pranzo.- - Ah, si? - Lord Elliott la percorse con uno sguardo sfrontato che non le piacque affatto. - Sta facendo colazione. Mi risulta che sia stato a trovare un amico di famiglia, che è spirato durante la notte.- - E chi sarebbe quest'amico? - - Un certo Bolby - - Oh, il vecchio Bolby, ovviamente.- Lord Elliott non parve per niente colpito da quella notizia. - Immagino che Adrian sia passato prima da lui e sia finito...altrove.- Con suo sommo disappunto, Hester si rese conto che poteva anche essere la verità. Ignorava a che ora fosse spirato Bolby e per quanto tempo il duca fosse rimasto presso di lui.

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Capitolo 18
*** DICIOTTESIMO CAPITOLO ***


Pur non dubitando che la morte di Bolby lo avesse sinceramente addolorato, purtroppo sarebbe stato consono al comportamento che gli veniva attribuito trasferendosi in una taverna per affogare le sue pene nell'alcool. La duchessa apparve in cima alle scale, volgendo uno sguardo imperioso attorno all'atrio. - Dov'è Adrian? Quella canaglia! È qui neanche da una settimana e si comporta già come se questa casa fosse un albergo! - - Sta facendo colazione, mamma...o così mi hanno detto - ribatté Elliott, scoccando a Hester un'occhiata eloquente che le diede l'impressione che in qualche modo la stesse incolpando. Non era colpa sua se il duca stava facendo colazione dopo essere stato fuori fino al mattino. - Credo che abbia passato la notte al capezzale di un morente, vostra grazia.- La duchessa si avviò maestosamente lungo le scale. - Adrian che va a trovare un uomo morente? Crederei di più se mi dicessero che la regina Vittoria ha dormito nella stalla.- Si fermò sugli ultimi scalini, mentre il rumore della lite aumentava di volume. - Cos'è questo abominevole fracasso?- - Sembra che qualcuno voglia parlare con Adrian, mamma - - Perché non và nell'ufficio allora? Sentirà certo questo chiasso. Quell'egoista non pensa che al suo stomaco. Hester, andate a chiamarlo immediatamente! - Lei esitò, seccata. Non era una domestica e non toccava a lei andare a chiamare nessuno. Grazie al cielo, Jenkins apparve trotterellando nel corridoio. - Posso esservi utile, vostra grazia? - - Si. Il mio figliastro si trova nella sala da pranzo piccola.- Il maggiordomo assunse un'aria allibita. - C'è un pollastro in sala da pranzo? Chiederò subito al ragazzo Bolby di cacciarlo via, vostra grazia. Per fortuna sta aspettando il duca nell'ufficio.- Ricordando quanto aveva detto il duca, Hester si chiese se Jenkins non avesse frainteso di proposito le parole della duchessa. Portando lo sguardo su lord Elliott, lo vide voltarsi per nascondere un sorriso divertito. - No, no! - gridò la duchessa spazientita. - Il mio figliastro, il duca, si trova in sala da pranzo! Andate immediatamente a chiamarlo. Non sopporto questo fracasso a quest'ora del mattino! - - Neanch'io, vostra grazia - dichiarò seccamente il duca. Si volsero tutti in direzione del corridoio per vederlo avanzare verso di loro. Non sembrava neanche lontanamente stanco come quando lo aveva lasciato, si meravigliò Hester. Forse il cibo lo aveva ristorato. In ogni modo, qualunque ne fosse la causa, aveva gli occhi sfavillanti, un'espressione di sfida e modi sbrigativi. - Buongiorno a tutti.- La duchessa scoccò un'occhiata torva al maggiordomo, poi al figliastro, ma lui la ignorò. - Vostra grazia, il ragazzo Bolby e il reverendo canonico Smeech desiderano parlarvi a proposito del cottage di Bolby - annunciò Jenkins. - Sarò subito da loro. Poiché si tratta di una faccenda che riguarda la proprietà, lascio tutti voi alle vostre piacevoli occupazioni.- dichiarò il duca dirigendosi verso l'ufficio. - Vieni a fare colazione, Elliott - gli ordinò sua madre. - Mi aspetto di trovarvi in salotto quando avrò terminato, lady Hester. Dobbiamo finire di scrivere gli inviti per il ballo - - Si, vostra grazia.- Madre e figlio si allontanarono, lui gettandosi un'occhiata contrita di sopra la spalla, lei con aria di dignità offesa. Hester decise di andare a prendere il libro nella sua stanza e leggere un po'. Molto probabilmente la duchessa non avrebbe finito tanto presto di mangiare, considerato che si sarebbe interrotta parecchie volte per criticare il figliastro. Invece di salire immediatamente la scalinata, però, attese che lord Elliott e sua madre avessero girato l'angolo. Quando giudicò che fossero seduti a tavola, si avviò lungo il corridoio oltrepassando in punta di piedi la sala da pranzo, da cui provenivano gli irati borbottii della duchessa, e si diresse verso l'altra estremità della casa. Una strada piuttosto lunga e tortuosa per raggiungere la scale di servizio, ma che la portava molto vicino all'ufficio del duca. - Credi che sia il momento opportuno per parlarne? - Stava domandando il duca in tono pacato. - Lui non mi ha lasciato altra scelta, vostra grazia - Ribatté una giovane, concitata voce maschile. - Avevamo appena lavato mio padre, che era già alla porta per dirci che dovevamo andarcene.- - È vero, canonico? - chiese il duca con una voce così minacciosamente soave che Hester si rallegrò di non averne mai udita una simile prima di allora. Spinta dalla curiosità di vedere il pomposo prelato in una situazione imbarazzante, strisciò cautamente verso la porta e sbirciò all'interno. La stanza che fungeva da ufficio era piccola e imbiancata a calce. Dalla finestra priva di tende irrompeva la luce del sole e dei libri contabili erano allineati su alcuni scaffali infissi nelle pareti. Il duca sedeva dietro una scrivania che aveva più o meno le dimensioni della stanza, lasciando soltanto lo spazio sufficiente per la sedia su cui si stava dimenando il canonico Smeech. Un giovane alto e scarno, con un folto ciuffo di capelli color sabbia e il viso coperto di lentiggini, stava in piedi in un angolo, gli occhi gonfi e arrossati dalla mancanza di sonno o dal pianto, o da tutti e due, rigirandosi il cappello fra le mani. Le occhiate che scoccava al duca erano supplichevoli, quelle che rivolgeva al canonico piene di astio. - Vostra grazia...Con il vostro beneplacito, in questi ultimi cinque anni i Bolby sono rimasti in quel cottage, benché abbiano sempre pagato l'affitto in ritardo e abbiano assistito di rado alle funzioni religiose. La duchessa e io ne abbiamo parlato molte volte e so che lei conviene con me che è ora che il cottage venga assegnato a una famiglia più meritevole, in grado di apprezzare la generosità della duche...la vostra generosità, vostra grazia. Ho appunto in mente la famiglia Ideale. Due coniugi onesti, rispettabili, con diversi bambini. Ho tentato di mostrarmi misericordioso...- spiegò il canonico. Il giovanotto emise un suono strozzato e strinse con forza i pugni lungo i fianchi, come se resistesse a stento alla tentazione di colpire il grasso canonico. - Misericordioso, vostra grazia - continuò questi, fulminandolo con un'occhiata. - Ma Tom mi ha letteralmente messo alla porta. Di conseguenza, non mi resta che ricorrere a vostra grazia.- - Non potevate aspettare che Bolby fosse stato sepolto?- Il canonico, non rimane insensibile alla riprovazione che vibrava nella voce del duca, poiché delle gocce di sudore gli imperlavano la fronte e si passò un dito all'interno del solino. - Vostra grazia, io...- - E tutto perché mia mamma non ha voluto vendergli la sua chioccia - sbottò Tom. - Di che diavolo state parlando? - volle sapere il duca, facendo passare lo sguardo dall'uno all'altro, mentre si appoggiava allo schienale della sedia e allungava la gamba ferita davanti a sé. - Mia mamma aveva una chioccia fantastica. Una vera bellezza. E lui voleva comprargliela, ma lei non ha voluto vendergliela. Da allora ha fatto di tutto per buttarci fuori.- Il duca indirizzo' un'occhiata ancor più malevola al canonico Smeech. Poi, a un tratto, sorrise. - Devi sbagliarti, Tom. Un gentiluomo come questo non può essere tanto meschino. Non per un pollo.- - Gli Smith hanno bisogno del cottage, vostra grazia.- - E voi avreste dovuto aspettare. Chi sono questi Smith? Non ricordo una famiglia con questo nome nel registro dei fittavoli.- - Sono arrivati da poco, vostra grazia. La duchessa ha dato la sua approvazione e in effetti, vostra grazia, sono persone perbene, affidabili e lavoratori.- - Molto gentile da parte vostra aver aiutato la duchessa, e di conseguenza anche me, a dirigere la tenuta.- - Vostra grazia, è che io... cioè noi... abbiamo sempre cura di accertarci che vengano assunte delle persone meritevoli nella vostra tenuta.- - Eh, già! Sono suoi parenti. - proruppe il giovane Bolby. - È vero, canonico? -

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Capitolo 19
*** DICIANNOVESIMO CAPITOLO ***


- È vero canonico Smeech? - Il canonico tornò a schiarirsi la voce, lanciato a Tom un'occhiata decisamente assassina per un sacerdote. - Lontani parenti, vostra grazia.- - Bè, se sono imparentati con voi, non dubito che meritino qualcosa.- E non qualcosa di buono, aggiunse Hester mentalmente, cogliendo l'ironia nella voce del duca. Come dovettero percepirla anche gli altri ascoltatori, dato che Tom parve gongolare e l'espressione che si dipinse sulla faccia del canonico mentre si sforzava di non scoccare al duca un'occhiata altrettanto micidiale la indusse a coprirsi la bocca per soffocare una risatina. - Non c'è un altro cottage per questi Smith? - - Non abbastanza grande, vostra grazia.- - Vostra grazia - interloquì Tom, evidentemente rabbonito dalla reazione del duca alla controversia. - Sappiamo che dobbiamo andarcene, anche se per mia mamma sarà un grosso dolore lasciare la casa in cui è entrata sposa. È solo che lui avrebbe dovuto pazientare e darci il tempo di prepararci.- - Sono d'accordo. In ogni modo, se questi Smith sono così eccezionali, sarei uno sciocco a non permettere loro di restare, benché siano vostri parenti, Smeech. Quindi, ecco che cosa farò.- Aprendo un cassetto della scrivania, il duca tirò fuori un foglio di carta, una penna e una boccetta d'inchiostro. - Tom, intendo donare alla tua famiglia il cottage e l'acro di terra su cui si trova.- - Cosa!? - gridarono i due uomini all'unisono, l'uno felice e incredulo, l'altro costernato. - Farò costruire un altro cottage per gli Smith. Accanto alla canonica, probabilmente. Ed essendo loro parenti, Smeech, sarete lieto di sapere che chiederò loro un affitto solo appena più alto di quello che pagavano i Bolby.- Palesemente contrariato, il canonico estrasse un grande fazzoletto e si asciugò la faccia, ma rimase in silenzio. Del resto, che cosa avrebbe potuto dire? Si chiese Hester. Il duca lo aveva messo completamente fuori combattimento. E nel notare il sorriso malizioso che gli curvava le labbra mentre si chinava sul foglio, si rese conto che lo pensava anche lui. A un tratto alzò lo sguardo e lo portò in direzione della porta. Inorridita, realizzò di essersi sporta troppo in avanti per ascoltare e che la sua gonna doveva essere visibile. Afferrandola, la tirò indietro con uno strattone. Troppo tardi. - Ah, lady Hester! - la chiamò il duca. Pur imprecando contro se stessa per essersi trattenuta a lungo, si stampò in faccia un sorriso e varcò la soglia. - Buongiorno, vostra grazia... canonico. Stavo andando nella mia stanza.- Quando lui le restituì il sorriso, ebbe la curiosa sensazione che sapesse benissimo perché era passata da quella parte, così come aveva intuito che l'interessamento del canonico per gli Smith non era del tutto disinteressato. Un uomo pericolo, si disse. Cominciò a indietreggiare, augurandosi che lui non se ne accorgesse mentre riprendeva a scrivere. - Permettetemi di presentarvi Tom Bolby, lady Hester - Disse il duca senza sollevare lo sguardo. - Non dubito che diventerà un bravo guardiacaccia come lo è stato suo padre.- Mentre lei accennava un inchino, il giovanotto si illuminò al punto di darle la certezza che fosse la prima volta che sentiva di essere stato nominato guardiacaccia della tenuta. - Lo diventerò, vostra grazia. Cioè, vi garantisco che ci proverò. Grazie - Il duca agitò la penna in un gesto noncurante, prima di tornare a intingerla nell'inchiostro. Scoccò un'altra occhiata al canonico Smeech. - Come mai oggi non avete portato con voi il vostro curato? Strana domanda, penso Hester... come apparve chiaro che la giudicava tale anche il canonico. - No, vostra grazia. Sta visitando gli ammalati, stamattina - - Mentre voi vi occupate dei cottage dei fittavoli? Bè, non importa. Siete un uomo molto impegnato, Immagino. E lui dev'essere un bravo assistente per consentirvi di portare a termine tante incombenze.- - Si, vostra grazia, lo è.- - Scozzese, non è vero? - - Si, di Edimburgo.- - La mia matrigna sta organizzando un ballo e avremo bisogno di tutti i giovani che riusciamo a trovare. Spero che non abbiate nulla in contrario a permettere ai sacerdoti di ballare.- - No, affatto, vostra grazia. Verranno molto volentieri - Hester era quasi riuscita a raggiungere ancora una volta la porta, quando il duca la inchiodò con uno sguardo d'acciaio. - Credo che siamo tutti impazienti di andarcene. Ecco l'atto di donazione, Tom. Sono sicuro che non vedi l'ora di tornare da tua madre.- - Si, vostra grazia. Grazie, vostra grazia. Buongiorno, vostra grazia.- Inchinandosi ripetutamente, Tom Bolby uscì a ritroso nel corridoio. Poco dopo si udì il rumore dei passi che si allontanavano di corsa. Il duca sospirò, ma con gli occhi sfavillanti di ironia. - Non c'è niente come la carità cristiana, non è vero, canonico Smeech? - - No, vostra grazia.- - Fra poco la duchessa sarà in salotto. Vorrete parlarle, senza dubbio. So quanto le siano gradite le vostre chiacchiere.- - Grazie. Mi tratterrò con piacere.- Il duca si alzò. - Buongiorno, canonico.- - Buongiorno, vostra grazia - si inchinò Smeech prima di lasciare la stanza. - Temo proprio di aver sconvolto quel degno gentiluomo - Rifletté il duca ad alta voce mentre tornava a sedersi, così come Hester stava riflettendo che non aveva alcun motivo per restare lì. Tuttavia, era incapace di costringersi ad allontanarsi. - Non ne dubito, vostra grazia, e per di più credo che siate felice di averlo fatto.- Lui la fissò stupefatto. - Sembra che riusciate a leggermi nel pensiero con incredibile precisione. Avete del sangue gitano nelle vene?- - No, vostra grazia. Lo avete lasciato capire in modo piuttosto evidente.- - Un altro mio terribile difetto, a quanto pare - si accigliò. - Voi per contro siete abilissima nel nascondere i vostri veri sentimenti.- - Quando è necessario, vostra grazia.- Lui si accigliò ancora una volta, ma a differenza dell'altra, questa volta le diede l'impressione di essere quasi in collera. - Dovete proprio continuare a chiamarmi 'vostra grazia'? - È il titolo che vi spetta...- un sorriso malizioso le curvò le labbra, - ... vostra grazia.- - Spetta anche all'arcivescovo di Canterbury e converrete che non sono la persona più indicata per condividere un titolo così onorifico con quell'illustre prelato.- - Da quanto mi risulta, è il modo in cui ci si deve rivolgere a chi possiede il titolo di duca, che lo meriti o meno.- - Ciononostante, voglio che mi chiamate...- Hester trattenne il fiato, ansiosa di sapere quale appellativo sconveniente le avrebbe proposto, forse perfino l'uso disdicevole del suo nome di battesimo. - Milord. Solo quando saremo soli, naturalmente, per non scandalizzare la buona società.- - Dato che tali momenti saranno certamente rari, non ho nulla in contrario a farlo, milord. Ora devo proprio andare.- Hester si affrettò a battere in ritirata, dicendosi che se non fosse stata attenta, chiacchierare con il duca avrebbe finito per piacerle fin troppo. Mentre chiudeva la porta e tornava zoppicando alla sedia, Adrian sorrise fra sé. Si era goduto ogni minuto di quella conversazione con lady Hester. L'espressione che aveva sul volto mentre attendeva che lui le rivelasse come desiderava essere chiamato! Non aveva mai conosciuto una donna capace di rendere l'anticipazione così affascinante. Quanto alle sue labbra dischiuse, la tentazione di baciarla era stata pressoché irresistibile e se la gamba non gli avesse fatto tanto male da trasformare ogni passo in una tortura, non avrebbe esitato a farlo. Specialmente quando il suo accenno al reverendo McKenna era sembrato lasciarla del tutto indifferente. O era la donna più imperscrutabile di tutta l'Inghilterra, o il giovane sacerdote non era che un sacerdote per lei. Un fatto a cui non avrebbe dovuto attribuire la benché minima importanza. Come non avrebbe dovuto rallegrarsi in modo così assurdo che lei fosse venuta a sapere che aveva regalato il cottage alla famiglia Bolby.

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Capitolo 20
*** VENTESIMO CAPITOLO ***


Non gli occorreva né desiderava le sue lodi e la sua approvazione. Se avesse cominciato a tenere alla sua opinione su ciò che faceva, sarebbe andato a cacciarsi in un mare di guai. Aveva già abbastanza preoccupazioni senza aggiungervene altre. Avrebbe fatto meglio a ricordare che la stupefacente lady Hester lo aveva spiato. Ma per quanto si sforzasse di trovare deplorevole la sua curiosità, gli venivano da ridere immaginandola intenta a origliare dai buchi delle serrature. Era davvero una ragazza affascinante e gli sarebbe quasi dispiaciuto lasciare Barroughby Hall. - Purtroppo è vero, mamma. Adrian si è rifiutato di parlarmene... limitandosi a grugnire come un orso infuriato e dicendomi di andarmene.- riferì Elliott a sua madre alcune ore più tardi mentre prendevano il tè. - Con tutta probabilità il canonico aveva ragione anche quando ha affermato che l'atto di donazione sarebbe risultato legalmente valido.- - È uno stupido a regalare un cottage in eccellenti condizioni e un acro di terra fertile a gente come i Bolby, per quanto affetto sembrasse nutrire per quel vecchio manigoldo. Non mi è mai piaciuto Bolby e sono convinta che abbia sempre cacciato di frodo.- - Non mi stupirebbe che Adrian l'avesse fatto solo per mandare il canonico su tutte le furie. Forse ci converrebbe consultare il nostro legale a Londra.- - Oh, a che servirebbe? - gemette sua madre. - Adrian chiederebbe un altro parere, poi lo faremmo noi e così via. No, neanche a parlarne.- concluse con un pesante sospiro la duchessa. - Se non si può fare altrimenti. Però è seccante pensare che la proprietà scompaia pezzo dopo pezzo. Suppongo che dovremmo ringraziare il cielo che Adrian non l'abbia ancora venduta.- - Non ne avrebbe il coraggio! - - Credo che avrebbe il coraggio di fare qualsiasi cosa - osservò Elliott. - Oh, ma dov'è finita lady Hester? Le avevo spiegato esattamente dove avrebbe trovato il mio scialle. - Hester apparve in quel preciso momento sulla soglia del salotto con lo scialle in mano. Dopo essersi inchinata a lord Elliott, consegnò l'indumento alla duchessa e sedette accanto al tavolo del tè. - Desiderate che versi io, vostra grazia? - La duchessa si accigliò e scosse la testa - L'ho già fatto io. Siete a conoscenza dell'ultima follia del duca? - lei finse con la massima innocenza - Follia, vostra grazia? - Nessuno doveva sapere che aveva origliato e voleva sentire che cosa ne pensasse la duchessa della generosità del duca. - Ha regalato un cottage e il podere annesso al figlio di quello che un tempo è stato il nostro guardiacaccia! - - È stato gentile da parte sua, ovviamente, anche se forse un po' avventato. Ora dovrà sostenere le spese della costruzione di un altro cottage.- interloquì Elliott. - Penso che il duca possa permettersi di far costruire diversi cottage - ribatté lei riempiendogli la tazza. - Non è questo il punto. Quel Bolby era uno scansafatiche, oltre che un pagano, e Adrian ha dato l'impressione di premiarlo.- Hester non aveva considerato la donazione in quella luce, ma non poteva darle torto, qualora il vecchio Bolby fosse stato l'uomo che lei aveva descritto. - Sir Douglas Saxon-Cowper e la signorina Saxon-Cowper, vostra grazia - annunciò Jenkins. - Chi? - salto' su lord Elliott. - Oh, è talmente seccante! - si lagnò la duchessa. - Si tratta di sir Douglas Sackville-Copper e di sua figlia. Avrei dovuto immaginare che sarebbero venuti. Dovrei far dire che non sono in casa.- - Ma siete in casa, mamma. E a me farebbe piacere vederli. Fateli entrare, Jenkins.- Il maggiordomo introdusse sir Douglas, il quale irruppe nella stanza come un cane che fosse stato appena sguinzagliato durante una partita di caccia. Si inchinò compitamente alla duchessa e più distrattamente a lady Hester, senza mai smettere di sorridere a lord Elliott. Damaris era invece scivolata nella stanza con inimitabile grazia. Indossava un modello incantevole, con gonna di seta azzurra, di pizzi e di nastri, e un graziosissimo cappellino di paglia ornato da ramoscelli di fiori che riprendevano quelli dei mazzolini ricamati sull'abito. Era bellissima e degna di venerazione e il sole accendeva dei brillanti riflessi nei suoi capelli scuri e mentre sorrideva a lord Elliott un lieve rossore le tinse le guance. Lui balzò in piedi e si affrettò ad andarle incontro indugiando un istante per salutare suo padre. - Non ditemi che questa è la piccola Damaris! - esclamò, quasi fosse rimasto folgorato. La ragazza arrossì ancora di più, mentre lui la guidava a una poltrona accanto alla finestra, il più lontano possibile da sua madre che li osservava con qualcosa che non era certo approvazione. - Dov'è il duca stamattina? - domandò sir Douglas, evidentemente sperava ancora di conquistare il premio più ambito. - Non ne ho la più pallida idea. Non volete accomodarvi, sir Douglas? - lui si lasciò cadere sul sofà accanto alla nobildonna, che parve sul punto di svenire in modo del tutto nuovo e che senza dubbio era causato dalla vicinanza del baronetto. L'atmosfera divenne ancora più tesa quando il duca entrò nella stanza. - Jenkins mi ha riferito che avevamo visite, ma non mi ha detto che una delle tre Grazie si era degnata di scendere fra noi mortali - dichiarò. E pur trattandosi di vergognosa adulazione, Damaris parve compiaciuta, tanto che distolse lo sguardo da lord Elliott per sorridere all'uomo che fino a quel giorno aveva tanto temuto. Mentre il duca salutava con un breve cenno sia la matrigna sia sir Douglas prima di dirigersi verso Damaris. Hester si rese conto che si sarebbe anche potuta trovare su un altro pianeta per l'attenzione che le prestavano i due Fitzwalter. E peggio ancora, veniva trattata come una domestica. La duchessa stava lasciando l'organizzazione del ballo quasi interamente sulle sue spalle. Non c'era via di scampo, evidentemente, né dai ricevimenti né dagli uomini che si comportavano come se lei non ci fosse. - Non siete d'accordo lady Hester? - domandò sir Douglas. Lei gli rivolse un sorriso educato - Prego? - - Stavo dicendo che questo ballo sarà assolutamente meraviglioso e che speravo che Damaris potesse darvi una mano. La duchessa mi stava dicendo quanto le siete utile occupandovi di molti piccoli, ma necessari dettagli.- Lady Hester è un miracolo di efficienza - dichiarò la duchessa. Quel complimento era talmente raro che lei rimase interdetta. Guardando le altre persone presenti, per poco non sobbalzò nel notare che il duca la stava fissando con uno sguardo assorto, mentre l'attenzione del suo fratellastro era ancora concentrata su Damaris, la quale teneva modestamente gli occhi bassi. - Non so davvero come la mia matrigna riuscirebbe a dare un ballo senza di lei.- osservò il duca in tono indolente. - Alla sua età, si comincia ad aver bisogno di aiuto - Hester si accigliò. Non intendeva venire usata per provocare la duchessa e le seccava che il duca lo facesse, e in presenza di estranei per di più. Il fatto che lord Elliott reprimesse a stento un sorriso non la consolo' affatto. La duchessa scoccò al figliastro un'occhiata velenosa, poi sorrise a sir Douglas. - Il duca è sempre così spiritoso. Comunque ha perfettamente ragione sul valore che ha per me lady Hester. Mi dispiacerà perderla, anche se sarà una moglie straordinaria per un uomo fortunato.- Che cosa diavolo stava dicendo? Si chiese Hester. Era la conversazione più imbarazzante a cui avesse mai assistito, iniziando col frugarsi nella mente in cerca di un pretesto per svignarsela. - Speriamo che voi e vostra figlia possiate partecipare al ballo - il duca si rivolge al baronetto rompendo il pesante silenzio. - Oh, ma certo. Mi dispiace solo che domani dovrò partire per Londra. Affari, sapete. Tuttavia farò in modo di tornare in tempo per il ballo.- - Abbiamo già ricevuto la risposta affermativa del duca di Chesterton, come anche del conte di Wopping-Hedgehorn e del caro visconte Albany con la sua incantevole moglie. -

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Capitolo 21
*** VENTUNESIMO CAPITOLO ***


- Si direbbe che la lista degli invitati si sia allungata notevolmente. Dovremo prepararci a ricevere l'intera Camera dei Lord? - osservò il duca. - Naturalmente no! Sono tutti amici di famiglia.- - Non vedo il duca di Chesterton dal giorno del funerale di mio padre. In effetti, credevo fosse morto.- - Oh, è vivo e vegeto, ti assicuro - rise lord Elliott - Ha trovato un modo molto interessante per mantenersi giovane - - Quale sarebbe, milord? - volle sapere sir Douglas. - Coglie dall'albero un frutto ogni volta più acerbo.- Hester avvampò. Anche lei aveva sentito parlare del duca di Chesterton e sapeva che Elliott si riferiva alle sue amanti. Il viso del duca si oscurò e perfino la duchessa parve un tantino a disagio. Damaris prese un'aria perplessa, sir Douglas preoccupata. - Finirà per fare indigestione se continua a mangiare la frutta acerba - osservò con la massima serietà. - Senza dubbio - convenne il duca. - A proposito, credo che i nostri frutteti daranno un ottimo raccolto quest'anno, sir Douglas - continuò, cambiando abilmente argomento. - Ne sono lieto, vostra grazia. Devo parlarvi di quella varietà di mele che abbiamo coltivato di recente - La convenzione si spostò sull'agricoltura, almeno fra il duca e sir Douglas. Mentre lord Elliott e Damaris continuavano a bisbigliare. La duchessa si rivolse al figlio diverse volte e sempre lui le diede una breve, cortese risposta, prima di riportare la sua attenzione sulla ragazza. Hester rimase in silenzio e nessuno parve accorgersene. Infine sir Douglas si alzò e lanciò un'occhiata eloquente alla figlia. - Purtroppo, vostra grazia, dobbiamo andarcene - La duchessa inclinò il capo in un cenno aggraziato, mentre Damaris si alzava in piedi, per poi i due fratellastri salutarono la fanciulla con distinti ed eleganti baciamano. Lei deglutì a stento, Damaris parve inchiodata al pavimento. - Buongiorno, signorina - la congedo' bruscamente la duchessa, facendole riacquistare all'improvviso le sue facoltà motorie. I giorni successivi si trascinano con tormentosa lentezza per Adrian, costretto a restare in casa, mentre la sua gamba si riprendeva dallo sforzo a cui l'aveva sottoposta. Questa volta l'attesa gli parve più angosciosa della prima a causa del ritorno di Elliott. Mapleton gli aveva già raccontato di averlo incontrato ubriaco lungo un vicolo e riferito le sue frasi oscene. E per colpa del fratellastro era costretto ad ignorare Hester e fingere di corteggiare Damaris mentre avrebbe desiderato fare l'opposto. Purtroppo, era l'unico modo per proteggerla. Se Elliott sospettava che lui nutrisse il benché minimo interesse per una donna, si metteva d'impegno per sedurla e sfortunatamente con successo. Lo aveva fatto con altre e ultimamente con Elisabeth Howell. Di conseguenza non gli restava che fingere la massima indifferenza nei confronti di lady Hester, per quanto quell'atteggiamento fosse contrario al desidero del suo cuore. Appena la gamba fu in condizioni migliori, si occupò di diverse questioni riguardanti la presenza di Elliott a Barroughby Hall. Era già andato a parlare con diversi bettolieri, dicendo loro che avrebbe saldato i debiti attuali del fratello, ma non uno di più. I tavernieri avevano acconsentito alla sua richiesta di limitare la quantità di birra e vino che servivano al fratello. Sapeva che Elliott non avrebbe mancato di recarsi anche da Sally Newcombe. Così seduto sul divano di broccato rosso, osservò l'altrettanto vistoso broccato cremisi che rivestiva le pareti, i lampadari di cristallo e le tende di velluto color porpora. Quella stanza poteva essere definita un misto di anticamera e sala di esposizione. Durante la sua attesa iniziò una vera e propria processione di bellissime ragazze vestite solo di un meraviglioso sorriso e pochissima neglige di seta rosa che rivelava più di quanto non celasse. Lui notò soddisfatto che nessuna delle 'impiegate' della casa era poco più di una bambina, malnutrita o contusa. Pur non vivendo un'esistenza facile, con Sally se non altro erano al sicuro quanto potevano esserlo delle donne che esercitavano quella professione. Senza di lei sarebbero diventate delle mendicanti o delle passeggiatrici e molte di loro sarebbero già morte. Infine Sally si degnò di comparire, era una donna formosa sui trentacinque anni, ma nascondeva bene la sua età grazie a un uso intelligente dei cosmetici. - Fuori, ragazze - ordinò e la sfilata di donne si diresse alla porta con palese disappunto. In gioventù, Sally era stata la sua amante, la sua maestra e la sua amica. Mentre gli sedeva accanto, Adrian la guardò con affetto. - Che piacere rivedervi, Adrian.- - Anche per me Sally.- Sally gli si fece più vicino - Non sono venuto per queste cose - - Perché allora? In nome dei vecchi tempi? - - No, sono venuto per avvertirti che Elliot è tornato - Sally torse la bocca in una smorfia disgustata. - L'ho saputo, ma non voglio averlo qui. Non dopo l'ultima volta. Daphne si è spaventata a morte. È fuggita la settimana dopo. Parente o no, potete dirgli che non è bene accetto in questa casa.- - Capisco, e mi dispiace molto per Daphne. Ma qualunque cosa io possa dirgli, Elliott non mi ascolterà mai. Finirà ugualmente per presentarsi alla tua porta. - Stringendosi addosso la vestaglia di seta azzurra, Sally scosse la testa. - La sbarrerò. - Adrian le prese la mano incontrando i suoi occhi esperti - Se non lo farai entrare, non so proprio che cosa sarebbe capace di combinare. - lei tornò a scuotere il capo - Devo pensare alle mie ragazze.- - Lo so. Credimi Sally, lo so - rafforzando la stretta attorno alla sua mano Adrian insisté -Ti pagherò tutto quello che vorrai.- - Vi costerà molto. - - In tal caso, pagherò molto. Non vuoi farmi questo favore Sally? - la udì sospirare. - Bè...ho una ragazza che potrebbe essere adatta. Quella nuova, Desirée.- - La francese dai capelli scuri che è entrata per prima?- - Dimmi, questa Desirée non è nuova...- - Del mestiere? Buon Dio, no. Viene da Parigi. Si comportano in modo diverso, queste francesi. Sa come difendersi, quella lì. Tiene un coltello sotto il cuscino. Se qualcuno può essere al sicuro con quel delinquente, è Desirée. - Lui estrasse il portafoglio e aspettò. - Vi costerà venti sterline a visita. E mi terrò anche quelle che paga lui.- Adrian annuì. Era denaro speso bene se impediva a Elliott di cercare di sedurre delle giovani donne meno in grado di difendersi. Vedendola sbirciare le altre banconote nel portafoglio, sospettò che si fosse pentita di non aver preteso una cifra maggiore. Sapeva però che non gli avrebbe chiesto di più. Una volta che stringeva un patto, lo manteneva. Dopo essersi ficcata il denaro nel corpino della vestaglia, Sally gli sorrise. - Non avete fretta, non è vero, Adrian? - domandò a bassa voce, accarezzandogli una coscia. - Non sono occupata.- Percepì il suo alito caldo sulla guancia, la pressione del suo seno contro il braccio, il profumo a buon mercato che emanava dalla sua pelle...e all'improvviso si odio'. Era già abbastanza sporco, non aveva bisogno di insudiciarsi ancora di più. - Mi spiace, ma ho molte cose da fare. Forse avrai saputo che la duchessa ha intenzione di dare un ballo.- - Si, l'ho sentito dire - ribatté lei, gli occhi di nuovo duri e taglienti. - Come vedi, devo andare - si inchinò Adrian. - Grazie, Sally. Ringrazia anche Desirée, se sarà necessario. Non lo dimenticherò.- Annuendo, Sally lo seguì un istante con lo sguardo. Poi corse alla finestra e lo vide montare il suo magnifico stallone nero. - No, sono sicura che non lo dimenticherete, vostra grazia. Non dopo aver pagato venti sterline - aggiunse con un sospiro. Nel frattempo, seduto su un comodissimo sofà nel salotto della villa dei Sackville-Copper, Elliott osservava Damaris che stava suonando il pianoforte. Indossava un abito delizioso di mussola verde chiaro, una costosa collana e mezzi guanti di pizzo.

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Capitolo 22
*** VENTIDUESIMO CAPITOLO ***


Elliott avrebbe ammirato l'abito con maggiore entusiasmo se avesse rivelato di più della sua figura e avrebbe ammirato con maggiore entusiasmo la sua esecuzione se avesse posseduto un minimo di talento. In ogni modo, la sua abilità non lo interessava affatto, benché si fosse accorto che le donne dotate di orecchio musicale riuscivano a imprimere il loro senso del ritmo in altre, più focose attività. Terminato il brano, Damaris si volse a guardarlo - Desiderate ascoltare qualcos'altro, milord? - - Sarei felice se potessimo rinunciare a un'eccessiva formalità - rispose a bassa voce, alzandosi e avvicinandosi al piano. - Vi prego, non volete chiamarmi Elliott? - - Oh, ma non potrei mai! Non starebbe bene.- - Lo so, ma in tal caso io potrei chiamarvi con il vostro bel nome, invece di usare il vostro lunghissimo cognome - Avvampando, lei abbassò lo sguardo sulle dita posate sulla tastiera. - Immagino che purché non lo facciamo in pubblico, non ci sia nulla di male, milord.- bisbiglio' con timidezza - Elliott.- - Elliott.- - Bene. Ora mi piacerebbe sentire qualcosa di più vivace, Damaris.- lei si mordicchiò il labbro inferiore, mentre frugava fra gli spartiti posti sullo strumento. Elliott iniziò a provare una leggera eccitazione e desiderò che non ci fosse un valletto piantato fuori dalla porta. Avrebbe solo dovuto usare una certa cautela. Quanto alle eventuali conseguenze, non aveva alcun motivo di temere. Sir Douglas sarebbe stato troppo preoccupato di salvaguardare il buon nome della famiglia per desiderare che il disonore della figlia divenisse di dominio pubblico. Quando Damaris alzò lo sguardo su di lui, Elliott lo tenne avvinto con il suo per un lungo momento...abbastanza a lungo da provare un senso di trionfo. Sarebbe stata sua, e presto. In quel medesimo istante, il maggiordomo apparve sulla soglia. - Il reverendo McKenna - annunciò scostandosi per lasciare passare il giovane pastore, che dopo un'occhiata a Elliott e Damaris avvampò quanto lei. - Mi dispiace... disturbare - balbettò, guardandosi attorno come un uomo che cerchi una via di scampo da un edificio in fiamme. Piace anche a lui, realizzò Elliott e quel pensiero accrebbe il suo desiderio, come sempre riusciva a fare ogni competizione in quel campo. Infilarsi nel letto di Damaris battendo sul tempo Adrian e quel babbeo... bè, sarebbe stata una doppia vittoria. - In che cosa posso servirvi? - domandò Damaris con una sfumatura di fastidio nella voce, senza alzarsi dallo sgabello. - Ho pensato... cioè, mi sono chiesto se, dato che vostro padre è partito, non vi occorresse ...Se avessi potuto esservi utile.- - Grazie, reverendo McKenna, ma non mi viene in mente niente.- - Oh, bè, in tal caso vi auguro il buongiorno.- McKenna si piegò in un goffo, comico inchino e lasciò la stanza. Damaris rimase immobile un istante fissando la porta con una piccola ruga fra le sopracciglia, finché Elliott non le si avvicinò. - Vogliamo cominciare? - - Come desuderate, Elliott - gli sorrise la ragazza. Quello stesso pomeriggio, la duchessa si mise a letto con un leggero mal di stomaco e Hester chiese il permesso di arrivare fino al villaggio di Barroughby, una camminata di circa cinque miglia. Faceva freddo e stava per piovere, le fece notare la duchessa. Lei però, non intendeva lasciarsi scoraggiare dal tempo e le dimostrò di essere equipaggiata a dovere, con un paio di scarpe robuste, che la duchessa ebbe la gentilezza di definire orrende. L'abito e il mantello di lana l'avrebbero protetta dall'aria pungente e, benché poco vezzosa, la cuffia che portava avrebbe costituito un'efficace barriera contro il vento. Infine la nobildonna acconsentì a lasciarla andare, a patto che facesse una selezione del tessuto e dei nastri che le occorrevano per l'abito da sera. La sarta, avrebbe dovuto recarsi a Barroughby Hall con i campioni per consentirle di fare una scelta definitiva, ma la incaricò di scartare tutto ciò che non ritenesse adatto. La duchessa aveva tante fisime e limitazioni sulle stoffe e sulle tinte, che Hester si augurò di riuscire ad accontentarla quando si fosse recata al negozio di abbigliamento. Ormai portato a termine quel compito, era libera di svagarsi un po' o di avviarsi per tornare a casa. Mentre indugiava di fronte alla vetrina della modista, si disse che quel giorno non era l'unica a desiderare di allontanarsi da Barroughby Hall. Jenkins, infatti, l'aveva informata con aria preoccupata che il duca se n'era andato 'chissà dove' subito dopo aver fatto colazione. Anche Elliott era uscito per recarsi alla villa dei Sackville-Copper. Non che i loro andirivieni la riguardassero, ovviamente. Occhieggio' i tagli di tessuto che riusciva a scorgere attraverso il vetro, poi sorrise della propria stupidità. Aveva resistito a stento all'impulso di ordinare un nuovo abito da ballo, sostenendo una spesa del tutto ingiustificata. Aveva indossato una sola volta quello di velluto azzurro e acquistarne un altro così presto sarebbe stato uno sperpero, oltre che pura vanità. Inoltre, qualsiasi cosa avesse indossato, non sarebbe mai riuscita a richiamare l'attenzione che senza dubbio avrebbe monopolizzato Damaris. Un'occhiata al cielo coperto la indusse a decidere di tornare a casa prima che cominciasse a piovere. Si incamminò di buon passo, finché non scorse il reverendo McKenna che stava percorrendo lentamente la strada che fiancheggiava la piazza del mercato, il capo chino e le spalle curve. Poteva darsi che qualcosa lo avesse rattristato, si disse, sapendo che il benessere dei parrocchiani gli stava a cuore più di quanto stesse al canonico. - Reverendo McKenna! - lo chiamò. Lui si fermò e si volse nella sua direzione. - Ah, lady Hester! - esclamò andandole incontro. - Come state? - - Benissimo, reverendo. Volete prendere un tè insieme a me? - - No, grazie. Devo andare. La signora Nandy non si sente bene, oggi. Siete venuta da sola in città? - - Si, mi piace camminare. Non dovrei correre alcun pericolo durante il giorno.- - Certo. - convenne lui con aria assente. - E voi come state? - gli domandò Hester, notando la sua aria depressa. Il reverendo McKenna la fissò così a lungo e con espressione afflitta da farle temere che fosse veramente malato. - Grazie, va tutto bene. - rispose infine. - Come se la cava la signorina Sackville-Copper senza il padre? - domandò Hester ben sapendo di ficcare il naso, ma tacitando i propri scrupoli dicendosi che stava cercando di aiutarlo. - A meraviglia, Immagino. - lei fu quasi sicura di aver individuato la causa del suo abbattimento, ma ignorava come comportarsi. Si trattava di un tasto delicato, soprattutto con un uomo timido come quello, e lei aveva già superato i limiti della discrezione. - Non le manca certo la compagnia - borbottò McKenna con voce appena udibile, prima di portare lo sguardo su di lei. - Venite, vi accompagno fino alla strada per Barroughby Hall - Doveva rattristarlo perfino quel breve riferimento a Damaris, pensò Hester mentre si incamminavano. - La signorina Sackville-Copper riceve molte visite? - - Già - rispose lui, poi rialzò la testa con un sorriso sulle labbra che non contribuì a mitigare la sofferenza che gli ardeva negli occhi. - È stato molto gentile e generoso da parte del duca regalare il cottage ai Bolby. Credete che lord Elliott avrebbe fatto lo stesso? - - Mi piacerebbe crederlo. Sembra un giovanotto in gamba - Continuò il reverendo McKenna, dandole la certezza di non essersi sbagliata sul motivo della sua angoscia. - La signorina Sackville-Copper è come un quadro incantevole che attira molti ammiratori. Non è un oggetto inanimato però. Possiede un cervello e della idee. Può darsi che si senta momentaneamente lusingata dai complimenti di un altro, ma questo non significa che debba prendere le sue decisioni in base a questo. - E avrebbe fatto bene a ricordare a sé stessa che il duca non avrebbe tardato a trasferirsi in un pascolo più verde. Avrebbe preteso bellezza, ricchezza e nobiltà.

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Capitolo 23
*** VENTITREESIMO CAPITOLO ***


Esistevano diverse famiglie disposte a sorvolare sulle scandalose attività che gli venivano attribuite per accaparrarsi un magnifico partito come il duca di Barroughby. - Lo pensate sul serio? - domandò il reverendo McKenna. - Si, certo. - gli rispose senza esitazioni. - Vorrei che se ne andassero tutti e due - dichiarò lui in tono risentito. Nel notare la sua espressione stupita, curvò le labbra in un mesto sorriso che la rallegrò. - Lord Elliott è troppo attraente. Fa apparire sbiaditi gli altri uomini. E benché il duca sia stato generoso con i Bolby, non mi piace saperlo nel vicinato.- A un tratto le venne in mente che se desiderava ricevere delle risposte ad alcune domande sul passato del duca, quello poteva rivelarsi il momento giusto e che il reverendo McKenna fosse in grado di fornigliele. - Quindi le chiacchiere che circolano su di lui sono vere? - - Ritengo che alcune siano esagerate. Mi auguro che alcune siano esagerate.- - Quali per esempio? - - Oh, non posso parlare di cose simili con voi - si schermì lui con modestia che avrebbe fatto onore a molte fanciulle. - Comunque, ho sentito alcune chiacchiere dalle mie sorelle. E inoltre, se devo restare a casa sua, dovrei sapere con chi ho a che fare, non trovate? - - D'accordo milady. - - Raccontatemi cosa è successo a Oxford.- - Oh, quello. È stato l'inizio della sua ignominiosa carriera. Pare che il duca abbia litigato per una ragazza in una taverna, una lite che non tardò a degenerare in una rissa. Scoppiò un incendio e la taverna venne rasa al suolo dalle fiamme. Diverse persone rimasero ferite, compreso un suo amico, il conte di Ravensbrook, che riportò delle ustioni gravissime. Il padre del duca, che già non stava bene, si aggravò dopo averlo saputo. Spirò pochi giorni dopo.- - Terribile - mormorò Hester. - Accaddero altre cose a Oxford. Debiti di gioco e...altre donne. Colombe sporche, così dicono. Perfino qui..- Si interruppe, arrestandosi di botto. - Non credo che sia un argomento adatto alle vostre orecchie.- Hester ne convenne mentalmente, avendo scoperto che non le piaceva affatto sentir parlare delle donne del duca. - È strano che un uomo del genere abbia passato tutta la notte al capezzale di un uomo morente...- riprese il reverendo. - Prego? - - Il duca è rimasto accanto al vecchio Bolby per tutta la notte, finché non ha esalato l'ultimo respiro.- - Davvero? - - Me l'ha detto suo figlio.- Quella prova di una profonda devozione, le riuscì più gradita del previsto. Finché non ricordo' le altre donne che avevano costellato la vita del duca. - Bè, devo lasciarvi adesso. Buongiorno lady Hester.- - Buongiorno reverendo. Vi prego di non dimenticare quanto vi ho detto sulla signorina Sackville-Copper. Vi trova simpatico, sapete. - un mesto sorriso gli curvò le labbra. - Non è la simpatia quella che desidero - bisbiglio' prima di portarsi due dita alla tesa del cappello e girare sui tacchi. Rimasta sola, Hester affrettò il passo. Una rapida occhiata le aveva confermato che altre nuvole si stavano ammassando nel cielo. Ma giudicò di avere il tempo di tornare a casa prima che cominciasse a piovere. Decise quindi di prendere una scorciatoia che attraversava quel rione. Gli edifici della zona venivano usati come magazzini da parecchi allevatori di pecore e commercianti di lana. Giunse ben presto nei pressi della strada di cui aveva sentito parlare dai domestici quando pensavano di non essere uditi, la famigerata Stamford Street in cui abitava Sally Newcombe, nonostante i ripetuti tentativi di scacciarla del canonico Smeech. Il canonico era perfettamente a conoscenza del modo in cui Sally e le sue jezabel si guadagnavano da vivere. Hester affrettò il passo, ansiosa di allontanarsi da quel posto e dal ricordo di una frase del reverendo McKenna. 'Perfino qui' aveva detto, riferendosi a determinate occupazioni del duca. Rabbrividendo, Hester si augurò che le chiacchiere sul duca e Sally Newcombe non fossero la verità. In fondo, perché un uomo come lui avrebbe dovuto pagare per ricevere l'affetto simulato di una donna? A pochi passi di distanza iniziava Stamford Street. Più risoluta che mai, continuò per la sua strada, anche se a un passo un tantino più lento e decoroso, finché un grido e un battere di zoccoli sull'acciottolato non la indusse a fermarsi di colpo. Imprecando a bassa voce, Adrian tirò le redini con tale violenza che Drake minacciò di impennarsi. - Toglietevi di mezzo, maledetta sciocca! - urlò alla donna che camminava in mezzo alla strada. Alla vista dello sguardo atterrito nel volto pallidissimo di Hester Pimblett, desiderò di essere rimasto da Sally. Hester lo fissò per la frazione di un istante, poi abbassò gli occhi e arrossì, e Adrian si chiese se in qualche modo non avesse indovinato da dove veniva. Il che era assolutamente ridicolo. - Che cosa diavolo state facendo in mezzo alla strada? - le domandò mentre smontava da cavallo. - E in questo quartiere per di più? - - Potrei chiedervi la stessa cosa, milord, se non pensassi di conoscere già la risposta - ribatté Hester arricciando il naso. Fu solo allora che Adrian realizzò di avere addosso il profumo di Sally. - Potreste venire aggredita o derubata - dichiarò lui. - Da un venditore di profumi ambulante? Stavo tornando a casa e poiché il tempo sta peggiorando, ho preso la strada più breve.- - Questo non è un posto adatto a una donna.- - Non è neanche un posto adatto a un duca - lo rimbecco' lei con un'impertinenza che lo lasciò senza fiato. - Se volete scusarmi, milord, è meglio che vada.- - Non fate che fuggire da me.- - Non dovrei forse? Mi pareva che mi aveste chiesto di stare in guardia da voi.- Touche', penso' Adrian. - Ciononostante, milady, devo insistere affinché mi permettiate di accompagnarvi. - Raccolse le redini e le offrì il braccio. Con palese riluttanza, Hester gli posò la mano sul braccio. - Preferireste che vi seguissi di qualche passo, come un eunuco al seguito di un sultano? - - A dire il vero, dubito assai che qualcuno potrebbe scambiarvi per un eunuco, milord.- Parlava sul serio o no? Se si, doveva criticarlo aspramente per ciò che in apparenza aveva fatto quel giorno. Se scherzava, doveva averlo perdonato. A un tratto, e in modo del tutto atipico, Adrian si scoprì a non sapere che cosa dire. Fu lady Hester a rompere il silenzio, senza guardarlo. - Come mai le strade sono diventate malsicure ultimamente, milord? A causa della vostra presenza nella zona? - Che Dio mi aiuti, si disperò lui. Ho detto troppo nelle scuderie. Deve giudicarmi una canaglia della peggiore specie...e con questa puzza addosso come potrebbe non farlo? - Perché lo sono - rispose infine. - Come mai siete venuta a piedi al villaggio? Perché la duchessa non vi permette di usare una carrozza? - - No, milord. Perché mi piace camminare.- - La prossima volta potrete usare il landò, se lo desiderate - - Preferisco andare a piedi.- Mentre proseguivano in silenzio, Adrian si scoprì ad anelare di sapere che cosa stesse pensando, ma a tenere di chiederglielo. - La vostra famiglia... stanno bene? - - Si, milord.- Quel suo maldestro tentativo di rompere il ghiaccio lo disgusto' al punto di fargli decidere di tacere. - Siete stato estremamente generoso a regalare il cottage ai Bolby - dichiarò Hester dopo qualche minuto. Lui si volse a guardarla ma quella dannata cuffia gli impediva di vederla in faccia. - Sciocchezze. Sono nostri dipendenti da anni.- - Non tutti si sarebbero mostrati tanto generosi. Ho anche sentito dire...- Si interruppe e non continuò che quando la sua curiosità stava diventando pressoché intollerabile. - Ho anche sentito dire che siete rimasto tutta la notte al capezzale del vecchio Bolby.- Lui annuì, chiedendosi chi glielo avesse detto. Chiunque fosse stato, gli era immensamente grato per averle fatto sapere che per quanto lei lo disprezzasse, non era poi un emerito mascalzone.

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Capitolo 24
*** VENTIQUATTRESIMO CAPITOLO ***


Quando Hester si fermò, la fissò perplesso mentre si girava verso di lui con un'espressione preoccupata e gli toglieva la mano dal braccio. - Perché frequentate quei posti, milord? - - Quali posti? - - La casa di Sally Newcombe.- - Come fate a sapere che ci sono stato? - - Mi state dicendo che non è vero? - - Non avete il diritto di rivolgermi una domanda simile.- - Lo so - Anche se avvampò, Hester continuò a osservarlo senza batter ciglio. - Mi meraviglio che una donna della vostra posizione sociale possa perfino avere il coraggio di nominare dei luoghi del genere - ribatté seccamente. - Non siete tenuto a rispondere, milord. Volevo solo cercare di capire.- - Non credo che abbiate idea di ciò che mi state chiedendo. - Non sono una bambina, milord. Ammetto di non conoscere il mondo come potete conoscerlo voi o la maggior parte degli uomini. Ma voglio sapere perché gli uomini frequentano luoghi simili quando...- - Quando? - - Quando esistono tante donne sole che accetterebbero con gioia la loro compagnia.- - Donne come voi? - Adrian la studiò con simulato sbigottimento. - Mi state dicendo che sareste disposta a offrire il tipo di compagnia intima che fornisce Sally? - la derise. A quel punto rimase veramente sbigottito nel vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime. - Vi prego, non prendetevi gioco di me.- Deglutì a stento e lui maledisse il sarcasmo che aveva fatto - Pensavo che avreste potuto spiegarmelo, tutto qui. So bene che non sono cose che mi riguardano. Ma non possono essere...salutari nemmeno per voi.- Benché fosse profondamente commosso dall'interessamento che dimostrava per la sua salute, Adrian non aveva la benché minima voglia di parlare con lei di Sally Newcombe e delle sue colleghe. - Come avete detto voi stessa, non sono cose che vi riguardano e la professione di Sally non riguarda che lei.- - La professione esercitata da Sally è un peccato mortale - - Parlate come Smeech. Che cosa può saperne lui, o voi, della vita di Sally? Sapete che è stata abbandonata da sua madre e chiusa in un orfanotrofio quando non aveva che cinque anni? Sapete che all'età in cui voi incominciavate a fare a meno delle tenere cure della vostra governante, lei era già stata aggredita diverse volte? - - So di essere fortunata. Capisco quale terribile sorte possa toccare a molte donne. Ma non molte di loro conoscono un duca. Non potreste fare qualcosa per aiutarla? - - Gliel'ho proposto, ma Sally ha rifiutato. Anche lei possiede il suo orgoglio. Quanto alle sue ragazze, neanche loro hanno molte possibilità di scelta.- - Voi si, però - ribatté Hester, ancora decisa a comprenderlo. - Potete avere qualsiasi donna, eppure continuate...- - A frequentare Sally? - lei annuì. - Oggi, quando sono andato a trovarla, ci sono andato da amico e solo da amico.- - Ne sono lieta, milord. Non sono sicuri quei posti.- Un sorriso ironico gli curvò le labbra, procurandole l'impressione che il loro rapporto, qualunque esso fosse, era tornato alla normalità. - E pensare che queste parole escono dalla bocca di una ragazza che si aggira da sola in un quartiere malfamato! - - Sapete benissimo che durante il giorno non è pericolo.- - E non avete paura dello scandalo che nascerebbe se foste vista da sola in un posto del genere? - - E pensare che queste parole escono dalla bocca di un uomo che è stato coinvolto in più scandali dei giorni della settimana.- - Mio Dio, siete davvero insolente. La mia matrigna non avrebbe potuto trovare una dama di compagnia più degna di lei neppure se l'avesse cercata col lanternino.- - È raro che io sia insolente con le persone più anziane di me. - lo informò Hester con un certo sussiego, poiché andava fiera del proprio autocontrollo. - È questo il bello, mia piccola volpe. Vedervi seduta così composta e silenziosa, sapendo che quella vostra mente intelligente sta formulando dei pensieri così maligni. - Lei avvampò, ma più per il piacere che le procurava il suo sguardo pieno di calore che per la vergogna che provava all'idea che lui avesse scoperto uno dei suoi segreti. - Vergogna, disonore, ricadranno su di me! - Lo guardò, aspettando di vederlo sorridere. Lui invece, la stava studiando con una strana serietà. - Come mai non vi siete sposata? - - Perché... perché nessuno me l'ha mai chiesto. Né sono mai stata innamorata.- - Mai? - Hester scosse la testa. - E voi? Siete mai stato innamorato? - Adrian scosse la testa a sua volta. - Mai. - A un tratto si schiarì la voce e lei si scoprì di nuovo in grado di respirare. - Non mi sono sposato perché non ho ancora trovato la donna adatta. Vi renderete conto che con la mia reputazione di donnaiolo non sento in modo particolare la mancanza di una moglie.- - Una breve relazione vi soddisfa? - - Senza dubbio.- - Non vi credo.- - Eh? - - Non credo che siate né soddisfatto né felice - Adrian si scostò da lei, l'espressione infastidita. - Non mi conoscete, lady Hester. Vi rifiutate di conoscermi. Né potete capirmi. - - Posso tentare di farlo. - ribatté lei, scorgendo la solitudine al di sotto del fastidio. - Anch'io mi sento sola. Molte volte.- - Avete la vostra famiglia.- - Anche voi. - Non le rispose che un suono di scherno. - Ho due bellissime sorelle e io sono insignificante. Ho un padre che desiderava dei figli maschi e mia madre che non pensa che alle relazioni mondane. Desideravo ricevere un'istruzione, ma non era considerato opportuno. A volte ho l'impressione di essere una trovatella, rinvenuta in un cesto fuori dalla porta.- - Non siete insignificante - bisbiglio' il duca. Hester lo fissò al colmo dell'incredulità, dicendosi che quel complimento era privo di valore, uno scherzo garbato e nient'altro. Prendendole le mani, lui incontrò i suoi occhi. - Volete che vi dica che cosa vedo quando vi guardo? - Un cenno di assenso fu tutto ciò che lei riuscì a mettere insieme. - Vedo una dolce, paziente giovane donna che rende la mia casa più tollerabile di quanto non lo sia stata per anni. Vedo due magnifici, onesti occhi azzurri. Vedo forza interiore, intelligenza, vera modestia e diplomazia. - Le sue dita le accarezzarono le mani facendole galoppare il sangue nelle vene. - Vedo...- Adrian si interruppe lasciandole ricadere le mani. - Si? - - Vedo il mio landò che sta venendo verso di noi.- Hester si ritrasse alla stressa velocità, perfettamente consapevole di quanto vicini fossero stati fino a un attimo prima e di quali congetture potesse suscitare una simile intimità. - È Elliott - dichiarò il duca. Si voltò improvvisamente verso di lei. - Non prestategli mai ascolto, Hester. Non credete a una sola parola di quanto vi dice. E non restate mai sola con lui. - - Ma perché...- - Perché ve lo dico io. - Abbassò la voce fissandola con un'intensità che le parve oltremodo seducente. - Perché su questo punto dovete fidarvi di me.- Prima che lei avesse la possibilità di trovare una risposta, il londo' si arrestò di fronte a loro. - Salve, Adrian. Buongiorno, lady Hester - gridò lord Elliott mentre il cocchiere saltava a terra e gli apriva lo sportello. - Sono venuto a prendervi, lady Hester, perché al mio ritorno a Barroughby Hall mi sono accorto che il tempo stava peggiorando. E quando mia madre mi ha detto dove eravate andata, ho ritenuto prudente venirvi incontro.- Hester si rese conto che il cielo si era scurito ancora di più, ma era stata troppo immersa nella conversazione per accorgersene prima. - Quanta sollecitudine - osservò il duca in tono piatto. Altrettanto spassionatamente, lord Elliott portò lo sguardo su di lui. - Puzzi come una puttana.- Anche se aveva ragione, lei rimase scioccata dal fatto che un gentiluomo usasse un simile linguaggio in presenza di una signora. Dimostrava una tale mancanza di rispetto tanto per lei quanto per il fratello maggiore. - Vi chiedo perdono. Ho fatto cadere una boccetta di profumo in un negozio. - Dichiarò lei con aria contrita. Non ebbe il coraggio di guardare il duca, ma si augurò che non la smentisse.

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Capitolo 25
*** VENTICINQUESIMO CAPITOLO ***


- È una fortuna che tu sia tornato dai tuoi vagabondaggi in tempo per venire in cerca di lady Hester - disse il duca con suo enorme sollievo. - Ho trascorso un piacevole pomeriggio in compagnia della deliziosa signorina Sackville-Copper - gli rispose Elliott. Hester azzardò un'occhiata al duca, giusto in tempo per vedere un lampo di collera sfrecciargli sul viso. Ripensò al senso di calore che aveva suscitato in lei solo pochi minuti prima. Come spiegarsi adesso la sua irritazione per il fatto che il fratellastro fosse stato da Damaris? Che le servisse di lezione, si disse. Non doveva dimenticare che il Cavalliere Nero era un maestro nell'arte della seduzione e non doveva illudersi che la simpatia che le dimostrava fosse genuina. Ciò che aveva detto non era che pura adulazione. Cosa che però non spiegava perché lei avesse preso tanto sul serio i suoi avvertimenti riguardo a lord Elliott. - Hatley, alzate il mantice prima che piova - ordinò il duca al cocchiere. - Vi conviene salire in carrozza, lady Hester.- Non avendo una buona scusa per indugiare, Hester si affrettò a obbedire. Sedendole di fronte, lord Elliott impartì un brusco ordine e il landò si avviò, girando in direzione di Barroughby Hall. Lei desiderò che il mantice fosse ancora abbassato, poiché non le piaceva sentirsi chiusa in uno spazio tanto ristretto insieme a lord Elliott. Poi si rese conto che il duca cavalcava di fianco al landò, dalla sua parte, e si sentì assalire da un immenso sollievo, pur realizzando che era esattamente l'opposto di quanto avrebbe provato gran parte della gente. Malgrado la vivacità del suo stallone, il duca riusciva a tenere sotto controllo con la pressione delle sue lunghe gambe, quelle sue gambe muscolose che lei aveva non poche difficoltà a non guardare. - Siete stata gentile a sbrigare una commissione per mia madre - iniziò lord Elliott richiamando la sua attenzione. - Ero contenta di uscire.- - Vi piace camminare? - - Si, milord.- Poi appoggiandosi allo schienale del sedile, lord Elliott portò lo sguardo fuori del finestrino. Gli unici suoni che rompevano il silenzio erano il cigolio delle ruote, il pesante battere di zoccoli dei cavalli che tiravano la carrozza e quello più leggero prodotto dallo stallone del duca. - C'è una cosa di cui devo assolutamente parlarvi, lady Hester - riprese lord Elliott fissandola con la stessa intensità del fratello. - Voglio che stiate in guardia dal duca.- - Perché, milord? - - Conoscete la sua fama. Non vi sembra una ragione sufficiente? - Fu allora che Hester realizzò quale fosse la differenza nel modo in cui la guardavano i due uomini mentre pronunciavano i loro avvertimenti. Il duca era sembrato sincero, come se fosse preoccupato solo per lei. Nell'espressione del fratello si percepiva più astio che un reale interessamento nei suoi confronti. - Vi ringrazio, milord, e vi prometto che starò molto attenta. Lord Elliott le scoccò un'occhiata perspicace che si trasformò rapidamente in una ferita. - Oh, vi prego, lady Hester, sapete bene che non avete nulla da temere da me.- Lei si rimproverò per essere stata tanto trasparente. - Non dubito che siate un gentiluomo - Ribatté, augurandosi più che credendo che lo fosse. Un caldo sorriso gli curvò le labbra. - Ne sono lieto.- - E io sono perfettamente consapevole della reputazione del duca - continuò Hester, avendo cura di imprimere un tono pacato alla sua voce. Una reazione diversa avrebbe potuto indurlo a sospettare...che cosa? Che il duca non le incuteva più alcun timore. Che anzi la incuriosiva e destava perfino la sua compassione. Che forse stava cominciando a provare qualcosa che assomigliava all'amore per quell'uomo poco amato. Non poteva, non doveva sperare che un giorno il duca ricambiasse i suoi sentimenti. Lei era la poco attraente, scialba Hester Pimblett e lui il bellissimo, dissoluto Cavaliere Nero. La carrozza si fermò ai piedi della scalinata da cui si accedeva a Barroughby Hall. - Eccoci arrivati - disse senza alcuna necessità e sforzandosi di mascherare il suo sollievo. Lo sportello venne aperto e lei si accinse a scendere, aspettando di essere aiutata da Hatley. Fu il duca invece a tenderle la mano. Una rapida occhiata di sopra la spalla le mostrò che la faccia di lord Elliott era atteggiata a un fiero cipiglio, tanto da indurla a chiedersi se non ci fosse qualcosa nel sangue dei Fitzwalter in grado di creare espressioni tanto colleriche. Benché apparisse impassibile e il suo gesto un atto di semplice cortesia, nel medesimo istante in cui lei posò la sua mano su quella del duca, un fremito di eccitazione le percorse le vene. E a quale velocità prese a batterle il cuore quando incontrò i suoi occhi neri. - Molto gentile, vostra grazia - disse prima di abbassare la voce a un bisbiglio. - Grazie di tutto, milord.- Poi entrò in casa senza degnare di un'occhiata l'uomo che ormai considerava il suo protettore, che lui lo fosse o meno, che lei dovesse o meno giudicarlo tale. Adrian precedette il fratellastro nell'atrio e dopo che tutti e due ebbero consegnato a un valletto guanti e cappello, si volse a guardarlo con occhio torvo. - Viene nel mio studio! - - Chi ti credi di essere per comandarmi a bacchetta?- - Il duca di Barroughby - ringhiò lui e per una volta Elliott ritenne prudente ignorare i suoi modi bruschi e seguirlo. - Che cosa c'è questa volta? - domandò non appena ebbero varcato la soglia. - C'è l'hai con me perché ho preso il landò senza chiederti il permesso? - Adrian gli chiuse la porta alle spalle. - Non ti azzardare mai più a usare quel linguaggio davanti a una signora! - - Come mai? - si informò Elliott, fingendo una spensieratezza che era ben lontano dal provare e ricordando quanto fosse abile il fratellastro nel battersi a duello. Si lasciò cadere con fare indolente su una delle poltrone, mentre Adrian camminava nervosamente avanti e indietro come una tigre chiusa in gabbia. - Come hai osato parlare di prostitute di fronte a lady Hester, maledetto, disgustoso libertino! - - Ah! - Elliott ignorò l'insulto, intuendo che la collera di Adrian era causata da un altro motivo. - Evidentemente, va benissimo frequentare case del genere, e portarsene appresso l'odore...per quanto garbata sia stata la scusa che ti ha trovato lady Hester... però non se ne deve parlare in presenza di una signora.- rispose fingendosi assorto. Adrian si rese conto di aver sbagliato ad affrontarlo così presto. Quel furfante aveva scambiato la sua considerazione per un autentico interesse nei confronti di lady Hester, cosa che la metteva in pericolo, come lui sapeva fin troppo bene per esperienza. Ricordò a sé stesso che doveva fargli credere che il suo obbiettivo fosse la bella e vuota Damaris. - Spero che non parlerai in quel modo davanti a Damaris Sackville-Copper.- - Oggi non l'ho fatto. Anche lei sembrava felice di vedermi - - Purché tu ti limiti a vederla.- - Siamo gelosi, non è vero? - - Non voglio assolutamente che ti comporti con lei come hai fatto con Elisabeth Howell.- fu Elliott adesso a guardarlo con occhio torvo. - Perché credi che io sia tornato qui? Sapevo che prima o poi avresti finito per ricomparire. Non azzardarti mai più a fare una cosa tanto spregevole! - - Altrimenti? Mi farai arrestare? Per quale reato? Elisabeth era una sciocca che si illudeva di essere innamorata di me. Visto che non rifuggiva da altre... diciamo, più focose manifestazione amorose, perché avrei dovuto tirarmi indietro?- - L'hai lasciata a Londra, sola e senza un soldo, incinta e terrorizzata - - Non era sola. Suo fratello si trovava in città, come credo che abbia scoperto tu stesso.- Elliott accennò in direzione della sua gamba ferita. - Quel pivellino? Era perfino più sprovveduto di lei. L'ultima volta che l'ho visto, piangeva come un neonato perché era sicuro di finire in galera per avermi ferito.- - Quindi come intendi impedire alle ragazze di offrirsi a me, tu con la tua aria di santo diretto al martirio? -

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Capitolo 26
*** VENTISEIESIMO CAPITOLO ***


- Adrian lo guardò con rabbia - Voglio che tu smetta di approfittarti di loro - - Anche se mi limito a seguire l'esempio del mio fratello maggiore? - - Io non ho mai sedotto e abbandonato delle credulone - - Oh, è vero. Sei il virtuoso della famiglia - - E tu sei un demonio. Ti proibisco di avvicinarti a Damaris - - Si tratta di Damaris adesso, caro fratello? - lo scherni' Elliott, ben sapendo che detestava sentirsi chiamare 'fratello'. - Penso che dovremmo lasciare che sia l'incantevole signorina Sackville-Copper a decidere chi preferisce, non trovi, fratello? E che vinca il migliore.- - D'accordo Elliott. Che vinca il migliore.- Elliott gli sorrise con identica freddezza, facendogli capire che aveva raccolto la sfida. - Che cosa dovrebbe fare il migliore? - domandò la duchessa, irrompendo nella stanza dopo un brevissimo colpetto alla porta. - Vincere - rispose Elliott. - Vincere che cosa? - insistette sua madre, facendo passare lo sguardo dall'uno all'altro. - Una gara - la informò Adrian. La duchessa lo guardò in cagnesco. - State cercando di attaccargli il vizio del gioco? Tu non giochi, vero, Elliott? - - No, mamma. Non si tratta di denaro.- Un'espressione sollevata le si dipinse sul viso. - Grazie al cielo, non gli permetti di corromperti. Ma dov'è lady Hester, Elliott? Immagino che sia stata felice che tu le sia andato incontro.- - Senza dubbio. Molto riconoscente - le rispose in tono noncurante e Adrian ebbe non poche difficoltà a restare impassibile. - Non è in salotto? - la duchessa scosse il capo. - Sarà salita a cambiarsi - la nobildonna girò sui tacchi preparandosi ad andarsene. - Stavamo scommettendo su chi sarebbe riuscito a conquistare il cuore di Damaris Sackville-Copper - Dichiarò Adrian, calandosi nei panni dell'avvocato del diavolo. - Spero che stiate scherzando - ribatté la duchessa senza traccia di ilarità, voltandosi lentamente a guardarlo. - Non è che la figlia di un semplice baronetto, di recente nomina per di più. Non è certo una moglie adatta per nessuno dei due.- - Nessuno ha parlato di matrimonio.- - Queste sono esattamente le parole lascive che avrei dovuto aspettarmi da voi.- - Ma dovete ammettere che è stupenda. E giovane.- - Damaris sarà la moglie ideale per un cavaliere o un baronetto, ma mai per un duca o per il figlio di un duca.- - Suo padre è ricchissimo.- - Il denaro conta meno del rango. Tanto varrebbe che fosse povera in canna.- - Non lo resterebbe a lungo se dovesse ritrovarsi senza un soldo. Una ragazza così bella non tarderebbe a trovare un protettore.- Anche mentre quelle parole gli uscivano dalla bocca, Adrian si rese conto che era la verità. Se suo padre avesse perso fino all'ultima sterlina, Damaris non sarebbe riuscita a cavarsela da sola. A differenza di Hester. In una situazione del genere lei sarebbe riuscita a trovare il modo per tirare avanti, non solo con la sua vita, ma con il suo onore e la sua dignità intatti. - Oh, mamma, non vi accorgete che sta cercando di farvi abboccare? Perché non gli chiedete chi è andato a trovare lui? - - Non capisco neanche perché stavate parlando di Damaris Sackville-Copper. Non è nemmeno degna di essere presa in considerazione. Diamine, perfino lady Hester sarebbe meglio di lei. Anche se i suoi figli sarebbero piuttosto brutti, qualora le assomigliassero. - concluse la duchessa in tono condiscendente. Nauseato, Adrian si girò dalla finestra in tempo per cogliere il cenno di assenso di Elliott...e per vedere lady Hester in piedi sulla soglia. A giudicare dalle sue guance in fiamme, doveva aver udito le ultime parole della duchessa. Non aveva mai odiato la sua matrigna come in quel momento. E non aveva mai ammirato Hester come in quel momento, mentre avanzava nella stanza con stupefacente disinvoltura. Adrian riusciva benissimo a immaginare quanto le costasse ostentare una simile calma. - La sarta verrà qui domani pomeriggio, vostra grazia - mormorò mentre i due uomini si inchinavano. - Benissimo - assentì la duchessa con aria un tantino colpevole, inducendolo a chiedersi se quella donna così egocentrica non si fosse resa conto di aver offeso qualcuno. - Parlatemi dei tessuti che avete selezionato - le ordinò, indicandole la poltrona davanti alla sua. - Vi prego di scusarmi fino all'ora di cena, vostra grazia. Avevate ragione quanto alla lunghezza della strada. Infatti mi sento piuttosto esausta. - Adrian represse a stento un sorriso compiaciuto, certo al pari di Hester che la duchessa non avrebbe potuto contraddirla. - Va bene - convenne infatti. Hester fece una riverenza e lasciò la stanza. - Dubito che vi abbia sentito, mamma - dichiarò Elliott, che evidentemente si era lasciato ingannare da lei. - In caso contrario, Immagino che dovremo procurarvi un'alta persona che vi tenga compagnia.- - Potresti sempre decidere di restare qui tu - osservò Adrian, rallegrandosi in cuor suo dell'occhiata velenosa che gli scoccò il fratellastro. - Niente mi piacerebbe di più, naturalmente - mentì lui con spudoratezza, sorridendo alla madre. - Ma un uomo della mia posizione sociale deve farsi vedere a Londra.- - Soprattutto se deve cercarsi una moglie adatta. A meno che tu non abbia già deciso di accontentarti di Damaris Sackville-Copper.- la duchessa frugò il viso del figlio con uno sguardo ansioso. - Naturalmente no. Ho solo pensato che fosse un dovere di buon vicinato andarla a trovare.- - Capisco, un dovere.- lo derise Adrian. - Che cosa volete saperne voi del dovere? Non vivete che per il vostro piacere - lo rimbecco' acidamente la sua matrigna. - Ancora una volta vengo condannato. Perciò come un condannato, tolgo il disturbo. - sospirò lui inchinandosi, per poi andare via. Con un sospiro, Hester richiuse la porta dietro di sé. E mentre avanzava nella stanza arredata troppo pesantemente per i suoi gusti, si avvicinò al tavolo su cui si trovavano il preventivo delle spese per il ballo, i primi suggerimenti per il menù della cena, l'elenco dei fiori e le risposte affermative di diversi invitati. Benché avesse cercato di mantenere i costi entro un limite ragionevole, la duchessa non si era mostrata neanche lontanamente moderata quanto aveva sperato, sostenendo che Adrian poteva ben permettersi di sborsare tutto il denaro necessario. Ma non fu questo a farla sospirare e lasciarsi cadere sulla sedia di fronte alla toeletta. Si disse che non doveva permettere alle parole della duchessa di turbarla. Era una donna frivola e stupida e se la trovava poco attraente ... bè, aveva ragione. Eppure il duca l'aveva trovata interessante. Sebbene sembrava molto interessato anche a Damaris, un fatto normale e prevedibile. In quel momento desiderò di non aver mai conosciuto il duca di Barroughby. Sarebbe stato preferibile non avergli mai parlato, non aver mai provato quei fremiti di eccitazione. La duchessa aveva almeno lodato la sua efficienza nell'organizzare il ballo. Doveva averlo pensato sul serio, altrimenti non ne avrebbe mai parlato a sir Douglas. Deglutendo a stento, si impose di cancellare il duca dalla sua mente. Poi deglutì una seconda volta, poiché aveva la gola arida e indolenzita, senza dubbio a causa dello sforzo che le costava non scoppiare in lacrime per l'inattesa dichiarazione della duchessa. Con dita abili e veloci si sfilò le forcine e scosse i capelli. Afferrò la spazzola e cominciò a passarla nei folti capelli castani, guardandosi al contempo allo specchio e chiedendosi come sarebbe stata con una chioma corvina, o bionda. O perfino rossa. Qualsiasi tinta all'infuori di quel banalissimo castano. Se avesse avuto gli occhi verdi invece di azzurri? Le labbra un po' più sottili? E il naso... bè, per fortuna non c'era niente da ridire sul suo naso. L'unica cosa che avesse in comune con Helena e Hanrietta era il naso perfetto dei Pimblett. Anche la sua figura non era male. Mise giù la spazzola e prese in considerazione l'idea di trarre il massimo dalle sue doti naturali, per poche che fossero, la sera del ballo.

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Capitolo 27
*** VENTISETTESIMO CAPITOLO ***


Hester intendeva indossare per il ballo, l'abito di velluto azzurro con l'ampio colletto di pizzo a berta, lunghi guanti bianchi e delle rose bianche nei capelli. Con aria ancora più assorta, inclinò la testa e pensò alla modesta berta, destinata a coprirle il petto e l'attaccatura del seno. La pelle chiara e levigata delle spalle e della gola non era deturbata che dal piccolo neo al di sopra del seno sinistro. Considerato come apparivano alcune donne con le loro vertiginose scollature, non aveva motivo di vergognarsi di quella parte della sua anatomia. Perché non fare a meno della berta? Solo per una volta. Tanto per vedere che cosa sarebbe successo. Era sciocca e vanitosa, si rimproverò. Se un uomo si fosse sentito attratto da un pezzetto di pelle in mostra, non sarebbe certo stato il tipo di uomo che lei desiderava. E sapeva nel suo intimo che non sarebbe mai riuscita a competere con Damaris Sackville-Copper, nemmeno se si fosse presentata completamente nuda. Un colpetto alla porta annunciò l'ingresso di Mabel, la cameriera che le aveva assegnato la duchessa il giorno del suo arrivo. Hester si girò sulla sedia in direzione della ragazza dalla faccia rubiconda. Neppure lei era una bellezza, pensò. Nessuna donna della casa lo era, realizzò all'improvviso. Solo la duchessa poteva essere definita tale e con una fitta di disperazione si chiese se quella non fosse stata la ragione principale per cui la nobildonna aveva acconsentito ad assumerla. Forse temeva che una donna più attraente potesse offuscare la sua matura beltà. - Vi sentite bene, milady? Desiderate che torni più tardi per aiutare a vestirvi? - domandò Mabel, esitando sulla soglia. - Ho un po' di mal di gola. In effetti, credo che non scenderò per la cena. Volete essere così gentile da porgere le mie scuse alla duchessa? - - Devo portarvi su qualcosa da mangiare, milady? - lei annuì - Dell'acqua e sale per fare dei gargarismi, per favore. Penso che stasera mi convenga restare sola. Se vado subito a letto, domani sarò completamente guarita. Aiutami a spogliarmi, per favore, poi portate le mie scuse alla duchessa - Mabel si affrettò ad obbedire. Rimasta sola, Hester si infilò una calda camicia da notte di flanella e si coricò. La gola le doleva davvero, non le occorreva che una cena leggera e una lunga notte di sonno per tornare in forma. Anche il fatto che le sarebbe stata risparmiata la compagnia della duca, della sua matrigna e del suo fratellastro non le dispiaceva per niente. Mabel tornò poco dopo con un vassoio. - La duchessa spera che domani vi sentirete abbastanza bene da poter definire il menu.- - Molto gentile da parte sua preoccuparsi per la mia salute - osservò lei, evitando di curvare le labbra in un sorriso sarcastico. Mabel le rimase accanto mentre mangiava e dopo qualche minuto lei notò che si stava torcendo nervosamente le mani. - Mi sento già meglio - la rassicurò dopo aver bevuto una tazza di tè. - Non si tratta di questo, milady, anche se sono contenta che non abbiate nulla di grave.- - Di che cosa allora? - - Bè, milady, visto che me lo chiedete...- la ragazza si guardò intorno spaventata. - Vi risulta che Barroughby Hall sia infestata dai fantasmi? - - No, non l'ho mai sentito dire - rispose Hester con la massima serietà, pur trovando ridicole simili credenze in epoca moderna. - Nemmeno io, ma potrei giurare... bè, può darsi che mi sbagli, ma a volte ho la strana sensazione di essere osservata.- Lei sospettò che quella scioccherella si fosse lasciata influenzare dalle storie di spettri che venivano raccontate nell'ala della servitù. - Quant'è che provate quella sensazione, Mabel? - - Quando sono sola nella mia stanza, prima di addormentarmi - - Forse di tratta di Jenkins che sta perlustrando la casa dopo aver sentito un rumore o sta chiudendo le porte.- - No, non è lui, milady. Non vi siete ancora accorta che è sordo come una campana? Oh, no, non è lui che si aggira per la casa durante la notte. Ve lo posso garantire.- - Non potrebbe trattarsi di qualcun altro, forse una persona che soffre di insonnia? - - Non credo, milady, perché sento dei rumori proprio fuori della mia porta. Una volta ho perfino trovato il coraggio di sbirciare nel corridoio, ma non ho visto nessuno.- - Capisco. Vi piacerebbe cambiare stanza, Mabel? Forse dividere quella di una delle altre cameriere? - - Si certo, milady. Sono arrivata al punto che non riesco più a chiudere occhio.- - Domani mattina ne parlerò alla duchessa.- Un largo sorriso illuminò la faccia di Mabel mentre ritirava il vassoio. - - Grazie tante, milady. Non voglio creare problemi, ma bè... è davvero seccante, sapete. - - Lo Immagino. Buona notte, Mabel.- - Buonanotte, milady.- Hester si girò e si rigiro' irrequieta, la gola dolorante e il corpo in fiamme. Doveva aver finito per addormentarsi, pensò assonnata. Deglutendo a fatica, si raddrizzò sul letto con l'intenzione di bere un sorso d'acqua, solo per sentirsi mettere in mano un bicchiere. - Grazie, Mabel - bisbiglio', ormai consapevole di una presenza accanto al letto e rallegrandosi che la cameriera si fosse presa la libertà di vegliarla. L'acqua le allevio'il dolore tornando a convincersi che non fosse che un semplice raffreddore. Non fu che quando depositò il bicchiere sul comodino che si rese conto che la persona accanto a letto non era una donna, ma un uomo. - Chi è? - si allarmò, tirandosi le coperte fino al mento. - Elliott - mormorò sua signoria, accendendo un fiammifero e accostandolo alla candela. Hester lo fissò a bocca aperta, mentre lui le sorrideva come se avesse avuto tutto il diritto di trovarsi lì. E subito dopo, con la stessa repentinità, ebbe la certezza che Mabel non soffriva di allucinazioni e che se qualcuno si aggirava per la casa per spiare gli abitanti di sesso femminile, non poteva essere che quell'uomo. - Che cosa state facendo qui? - chiese all'armata. - Sono stato l'ultimo a salire a coricarmi e quando sono passato davanti alla vostra stanza, mi è parso di sentire qualcosa di insolito. Ho voluto accertarmi che non aveste bisogno di qualcosa.- Parlava in tono pacato e la spiegazione che le aveva fornito assomigliava molto più ad una giustificazione. - La mia gola va molto meglio, grazie.- - Non avete l'aria di star bene - argomentò lui, continuando a fissarla senza accennare ad andarsene. - Ho il naso chiuso - ribatté Hester e nonostante il buonsenso che aveva tentato di inculcarsi un minuto prima, desiderò che la lasciasse in pace. - Mabel mi ha raccontato che sente degli strani rumori durante la notte - aggiunse spiando la sua reazione. - Salgo sul tetto a guardare le stelle nelle notti serene. Sarei diventato un astronomo, se non avessi dovuto studiare tanto. - Lei non seppe se credergli o no. Sembrava piuttosto sincero, anche se questo non giustificava la sua presenza in quella stanza. A un tratto venne colta da un violento starnuto e si rallegrò di vederlo finalmente balzare indietro. - Buonanotte allora, Hester - bisbiglio' con una irritante confidenza. - Spero che adesso dormirete meglio - - Buonanotte, milord - lui, grazie al cielo, non aggiunse altro, limitandosi a dirigersi alla porta. Hester si disse che il suo comportamento era abbastanza ambiguo da consigliarle di avvertire Mabel e le altre domestiche di stare attente. Una mano gli si serrò con forza attorno alla gola, mentre un braccio gli circondava la vita con una stretta altrettanto micidiale e lo trascinava nella stanza da letto del duca. - Che diavolo stavi facendo? - ruggi' Adrian, sbattendo il fratello contro una parete. - Lascia...mi...andare - boccheggiò Elliott, cercando invano di spazzargli via la mano. Lui l'abbasso' ma solo per afferrarlo alle spalle. - Che stavi facendo nella stanza di lady Hester? - - Avevo sentito un rumore mentre vi passavo davanti. Volevo semplicemente vedere se le occorreva qualcosa -

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Capitolo 28
*** VENTOTTESIMO CAPITOLO ***


Adrian percepì l'odore del vino nel suo alito. - Quanta premura! Mi prendi per un idiota, piccolo verme corrotto? Puoi considerarti fortunato che lei non si sia messa a urlare, svegliando tutta la casa - Si sforzò di tenere a freno il proprio furore. Era seriamente tentato di fargli male, ma non poteva permetterselo. Elliott si liberò dalla sua stretta e si raddrizzò il panciotto. Bè, in ogni modo non l'ha fatto.- - Ha diritto alla sua privacy. Sei ubriaco? - - Un po'. Mi aiuta ad ammazzare il tempo - ribatté Elliott, ormai convinto di non correre più alcun pericolo. - E a te che cosa importa se bevo del vino? Viene dalle cantine di mio padre. Inoltre, non sei troppo sobrio nemmeno tu. Vedo che ti sei dato al porto.- Accennò col capo in direzione della bottiglia aperta, posta sul tavolo accanto al letto. - Almeno è il 'mio' porto e io non mi intrufolo nelle stanze da letto delle signore. - Adrian incrociò le braccia sul petto, consapevole del furioso martellare del suo cuore, che non si era attenuato da quando aveva udito un fruscio e guardato nel corridoio per vedere il fratellastro uscire dalla stanza di Hester. - Accidenti, ti comporti come se l'avessi violentata - protestò Elliott, avvicinandosi al tavolo e versandosi del porto in un bicchiere. -Come mai tutt'a un tratto siamo diventati così cavallereschi? E per quella donna? Probabilmente è stato quanto di più vicino a divertire un uomo potrà mai arrivare.- - Chiudi quella sudicia bocca e vattene immediatamente.- - Se no? Dirai a mia madre che sono stato un bambino cattivo? Non ti crederà, soprattutto se io le dirò di aver visto te uscire dalla stanza di Hester. - Adrian lo fissò in cagnesco, ma non rispose. Elliott aveva ragione, e lo sapeva. - Non è poi tanto brutta, a proposito. Non in camicia da notte. Sapevi che ha un neo oltremodo delizioso al di sopra del seno sinistro? E anche un bel seno. Perfetto, in realtà. Chi l'avrebbe mai immaginato? - - Vattene, Elliott. Subito.- - Sei stato tu a 'invitarmi' a entrare, caro fratello, con i tuoi modi inimitabile.- - Sta' alla larga dalle donne di questa casa. Se vuoi spassartela, và in città e pagane una.- - Perché ti scaldi tanto? Non avrai intenzione di sedurla tu?- - Pensavo che sedurre le vergini fosse una tua specialità - - Stai cercando di irritarmi? - - Può darsi. Perché no? Tu fai molte cose per irritare me - - E perché non dovrei? Mi rendi la vita amara. - - Io rendo la vita amara a 'te'? - - Esatto. Mi tieni sempre a corto di fondi, finché non sono costretto a supplicarti come un mendicante.- - Oh, ma davvero? Ti passo un cospicuo mensile - - Tu sai perfettamente che un uomo del mio rango ha una certa posizione da mantenere.- - Diverse posizioni, direi, preferibilmente con una povera ragazza ingenua, non abbastanza esperta da saper evitare i mascalzoni come te.- - Già che stiamo parlando di denaro, me ne serve altro - ribatté Elliott senza la benché minima contrizione. - Chiedilo a tua madre.- - Sai benissimo che non posso. Così come sai benissimo che tu puoi permettertelo, caro fratello. Perché essere tanto spilorcio? - - Se non tenessi tirati i cordoni della borsa per tutti noi, saremmo falliti da un pezzo - - Schiocchezze, e lo sai.- Adrian si avvicinò al tavolo e si versò un altro porto. Elliott aveva ragione. Era immensamente ricco. Comunque sapeva anche che, se avesse dato a Elliott un'altra somma di denaro, tanto valeva che l'avesse presa e gettata a mare. - Se mi sposassi, mi aumenteresti il mensile? - Lui mandò giù il vino in un colpo solo, godendo per un istante del calore che gli procurò mentre squadrava freddamente il fratellastro. - Chi è la fortunata a cui ti proponi di offrire la tua mano? Damaris Sackville-Copper? Tua madre non ne sarebbe affatto contenta.- - Ovviamente no. Con lei mi limito a svagarmi, niente altro - - Chi, allora? Elisabeth Howell? - Elliott si affrettò a scuotere il capo, una reazione che indusse Adrian a provare disprezzo ancora una volta. - Immagino quindi che tu non abbia ancora fatto la tua scelta. - Elliott osservò il fratellastro, così eretto, severo, implacabile. E in quel momento desiderò con tutte le sue forze di riuscire a mandarlo su tutte le furie, per ripagarlo almeno in parte del modo in cui lo aveva sempre fatto sentire stupido e indegno. Di conseguenza, se fosse riuscito a farlo arrabbiare anche solo un poco, lo avrebbe fatto, cominciando a chiedersi quale potenziale futura moglie potesse scegliere per indispettirlo di più. Dubitava che Adrian nutrisse un qualche interesse per Damaris, oltre ad ammirare un bel viso e una figura splendida, altrimenti l'avrebbe corteggiata con maggior ardore. Chi poteva suggerire? Una donna completamente disadatta. Una donna a cui Adrian avesse avuto la certezza che lui non sarebbe mai stato fedele. Una donna che Adrian avesse giudicato troppo al di sopra di quel mascalzone di suo fratello. La risposta perfetta gli balzò improvvisamente alla mente. - Lady Hester - Lo osservò attentamente, in attesa di una qualche reazione. Non vide che un ghigno sardonico. - Avrei dovuto immaginare che stavi scherzando. - Per quanto indecifrabile apparisse la faccia di Adrian, nei suoi occhi era affiorata un'emozione che assomigliava in modo sospetto allo sbigottimento. Qualsiasi reazione emotiva era talmente insolita in lui, che perfino la più moderata lo avrebbe riempito di gioia e qualora si fosse aspettato di scorgerne una, avrebbe puntato sulla collera, non sulla costernazione. Per una volta esultò, era riuscito ad annientare quel suo maledetto autocontrollo! Era talmente soddisfatto che continuò infervorato: - Non scherzo affatto. Non pensi che mi renderà migliore? - - Nessuno riuscirebbe a farlo.- - Questo lo credi tu. Io invece sono di tutt'altro parere - Adrian si sforzò disperatamente di restare padrone di sé, ma le sue emozioni erano in subbuglio. Possibile che Elliott stesse parlando sul serio? Intendeva veramente corteggiare Hester...e con intenzioni onorevoli? Anche se in realtà la riteneva troppo superiore a Elliott, non poté fare a meno di ammettere che se mai fosse esistita una donna in grado di salvarlo dalla rovina, non poteva che essere Hester Pimblett. Se Elliott si fosse sposato, pensò, anche lui sarebbe stato finalmente libero? Come sarebbe stato vivere senza doversi preoccupare di ogni femmina che veniva a contatto con Elliott? Come sarebbe stato non essere più costretto a pagare i suoi debiti di gioco, i negozianti che gli facevano un credito illimitato, o il silenzio di individui la cui sola vicinanza lo facevano sentire sporco? Aveva sperato così a lungo che Elliott maturasse e abbandonasse i suoi vizi, e più di una volta era arrivato a desiderare la sua morte... qualsiasi cosa pur di essere libero dalla promessa che aveva fatto. Che l'antico, venerabile nome della famiglia a cui suo padre aveva tenuto tanto venisse irrimediabilmente disonorato, e non restasse più soltanto macchiata la reputazione di un'unica pecora nera. Eppure, mentre contemplava quella visione di libertà, Adrian ebbe l'assoluta certezza che Hester teneva in mano anche la sua opportunità di essere mai felice. Se avesse potuto sposarla, la sua esistenza sarebbe stata totalmente diversa, invece dell'ignobile caos di quella che conduceva a Londra. Se avesse rinunciato a Hester, quel sacrificio non lo avrebbe finalmente sciolto dal vincolo che aveva contratto al letto di morte di suo padre? Lui, e solo lui, aveva promesso a suo padre di fare tutto ciò che fosse in suo potere per conservare intatta la reputazione di Elliott. Quindi solo lui, avrebbe fatto quell'ultimo sacrificio qualunque cosa gli fosse costato, per il bene di Elliott, per il bene di suo padre, e soprattutto per il bene di Hester. Perché non sarebbe mai riuscito a diventare degno del suo amore. - È vero che non è una bellezza, ma possiede una figura aggraziata e due occhi magnifici. Non sei d'accordo, Adrian? -

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Capitolo 29
*** VENTINOVESIMO CAPITOLO ***


Non poteva. Non era assolutamente in grado di preferire parole di esortazione e incoraggiamento, non ora che il pensiero di Hester sposata con un altro, con Elliott, era ancora così nuovo e sconvolgente. - Capisco. Dubiti delle mie intenzioni. Ti assicuro, però, che sarà la moglie ideale per me. Guarda come se la cava la mamma. Pensa che cosa potrebbe fare per me.- Con un'occhiata alla faccia scura del fratello, Elliott lasciò la stanza con passo baldanzoso. Hester non ebbe la possibilità di parlare al duca, la mattina seguente, poiché quando scese per fare colazione, con il naso gocciolante e gli occhi lacrimanti, Jenkins la informò che il duca era già uscito per recarsi dalla signorina Sackville-Copper. Non sarebbe rientrato che la sera. Mentre sedeva nel salotto dei Sackville-Copper e guardava Damaris senza vederla, Adrian offriva un'ottima imitazione di un uomo stregato dalle note dell'arpa. Non notava nemmeno le numerose prove delle capacità della ragazza sparse nella stanza: acquerelli, ricami, pastelli, reticelle, coprischienali all'uncinetto, un parafuoco dipinto, l'arpa e il pianoforte. Si chiese se Hester si sentisse meglio. Prima di uscire era stato tentato di mandare a chiamare il medico, ma la sua matrigna non lo aveva trovato affatto necessario. - I Pimblett sono tutti forti come tori - aveva dichiarato senza dimostrare alcuna preoccupazione e per una volta lui le aveva creduto, poiché per quanto ignorante fosse la duchessa in diversi campi, aveva passato tanto di quel tempo con medici e guaritori, da essere arrivata a intendersene più di loro. Aveva anche desiderato di restare a casa, quel giorno, ma non aveva potuto farlo, così come non aveva potuto correre il rischio di lasciar trapelare i sentimenti che provava per Hester di fronte al fratellastro. Se Elliott avesse sospettato fino a che punto lei gli stava a cuore, l'avrebbe corteggiata con accanimento, solo per portargli via l'oggetto del suo desiderio. Se lui non avesse ballato tanto spesso con lei, forse la vita e la reputazione di Elizabeth Howell sarebbero state ancora senza macchia invece di essere disonorata, abbandonata e privata del suo bambino. Elliott non avrebbe esitato a comportarsi nello stesso modo con Hester. O no? Due giorni addietro avrebbe potuto giurare che il fratellastro non pensava che a sé stesso, ma era stato prima che Elliott gli comunicasse la sua intenzione di sposare Hester. Possibile che la sua presenza toccasse anche lui, e con la stessa intensità? Possibile che quel mostro di egoismo fosse così percettivo? E possibile che anche per lui Hester rappresentasse la sola speranza di poter avere una vita migliore? Imprecò mentalmente contro la propria stupidità, dato che perfino adesso era incapace di rinunciare del tutto all'idea di chiederle di diventare sua moglie. A livello nazionale sapeva che non avrebbe dovuto ascoltare la voce del suo cuore. L'amava troppo per condannarla a portare i suoi fardelli. Per quanto l'amasse. Per quanto appassionatamente la desiderasse immaginandola nel suo letto come sua legittima moglie. Quanta gioia avrebbe provato nello stare fra le sue braccia con l'assoluta certezza di essere il primo. Non c'erano state altre donne nella sua vita di cui potesse affermare la stessa cosa. No, si disse. Impossibile. Ma rinunciare a lei per cederla a un uomo che non la meritava! Che di sicuro l'avrebbe resa infelice. Incapace di sopportarla, Adrian si costrinse a cancellare quell'immagine dalla sua mente. Poi, sobbalzando, si rese conto che la musica era cessata. - Siete stata bravissima - dichiarò, mentre Damaris lo fissava con palese ripugnanza. Respinse l'arpa e intrecciò le mani sottili nel grembo dell'ampia gonna di seta. Per quanto arrendevole e modesta apparisse, Adrian intuì che era altamente improbabile che riuscisse mai a indurla a sperare di ricevere una sua proposta di matrimonio. Se era un buon giudice in fatto di donne, e con la sua esperienza doveva esserlo, Damaris Sackville-Copper non desiderava neanche di stare nella stessa stanza con lui, figurarsi diventare sua moglie. - Temo di non intendermi di musica per arpa - dichiarò per giustificare la sua mancanza di attenzione. - Volete che suoni il pianoforte? - propose lei tanto distrattamente da spingerlo a domandarsi come avrebbe reagito se le avesse chiesto di suonare la cornamusa. Quella conversazione imbarazzante venne interrotta dall'arrivo di sir Douglas, evidentemente appena rientrato da Londra, a giudicare dalle sua faccia arrossata e dai suoi abiti da viaggio. - Papà! - gridò Damaris con tanta gioia quanto sollievo. Corse ad abbracciare il padre, che sorrise alla figlia e poi al loro aristocratico ospite. - Lieto di trovarvi qui, vostra grazia.- - Spero che il vostro viaggio sia stato soddisfacente - ricambiò Adrian, scorgendo il compiacimento nei suoi occhi mentre si scioglieva dall'abbraccio di Damaris. Cercò di immaginare la sua reazione alla notizia che il duca di Barroughby avrebbe preferito sposare l'insignificante Hester Pimblett. Una tentazione a cui resistette a stento. - Molto proficuo, vostra grazia, anche se rimpiango di aver dovuto rinunciare al piacere della vostra compagnia. Accomodatevi, prego. - - No, grazie, non voglio disturbare. Sarete stanco. - - Dovete assolutamente restare. Insisto - ribatté sir Douglas, ignorando l'ostinato mutismo della figlia. Adrian annuì. Aveva una parte da recitare ed era rassegnato a recitarla. - Fantastico - si illuminò sir Douglas sorridendo alla giovane coppia. - Come sta vostro fratello? E la duchessa? - - Benissimo - rispose lui, notando che Damaris sembrava più interessata alla conversazione, ora che si era spostata su altri membri della sua famiglia. Ma certo nemmeno lui poteva continuare a non accorgersi dell'antipatia che dimostrava Damaris nei suoi confronti. - Sono desolato, però, di dovervi informare che lady Hester è malata. - - Oh, mio Dio, mi auguro che non si tratti di una cosa seria - Si allarmò Damaris. - Un raffreddore. Speriamo tutti che guarisca presto.- - Sarebbe un peccato se si sentisse troppo male per partecipare al ballo - osservò ancora Damaris. - Ha lavorato così duramente per organizzarlo. È una segretaria impareggiabile - convenne Adrian in tono annoiato. - La mia matrigna la ritiene preziosa. Purtroppo è talmente discreta e taciturna che a volte mi è difficile ricordare che si trova nella stanza. - Rivolte a Damaris un sorriso seducente, destinato a farle capire che gli sarebbe stato impossibile dimenticare la sua presenza nella stanza. Accigliandosi, lei gli scoccò un'occhiata sprezzante. - Io la trovo molto simpatica. Molto amabile e dolce - Proruppe indignata. Sir Douglas si schiarì la voce così all'improvviso e così forte da dare l'impressione che fosse stata una fucilata. - Il duca non intendeva criticarla, naturalmente - Fulminando la figlia con un'occhiata. Appariva chiaro che non credeva ancora che un matrimonio fra lei e il duca fosse senza speranza. - È effettivamente taciturna e dolce. Solo che non possiede una grande vivacità, eh, vostra grazia? - - Sarà senza dubbio un'ottima moglie per un tranquillo gentiluomo di campagna - osservò Adrian, detestando il personaggio che era costretto a interpretare e sentendosi il più disgraziato degli uomini a causa della verità di quelle parole. - Ultimamente ho riflettuto che le capacità del canonico Smeech sono sprecate in una parrocchia così piccola. Ho un amico imparentato con il vescovo di Lincoln e mi pare di ricordare che avevano bisogno di un nuovo decano alla cattedrale. È chiaro che il posto qui resterà vacante, ma ritengo che abbiamo un buon candidato a occuparlo nel reverendo McKenna, purché sia in grado di pagare quanto occorre per ottenere la nomina.- Disse Adrian cambiando abilmente argomento. - Oh, sarebbe straordinario! - esclamò Damaris con gli occhi scintillanti.

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Capitolo 30
*** TRENTESIMO CAPITOLO ***


- La sua famiglia è piuttosto benestante, quindi sono sicura che il costo del beneficio non sarà al di là delle sue possibilità... purché si tratti di una somma ragionevole - Concluse Damaris. - Non credo che sarà un prezzo troppo alto per un uomo che appartiene a una famiglia agiata. Sono convinto che lo aspetta una brillante carriera ecclesiastica - continuò Adrian, in modo che sir Douglas non dubitasse che il reverendo McKenna godeva del suo favore. - Sembra un pastore molto abile. Mi stupisce che lo abbiate notato, vostra grazia.- ribatté sir Douglas. - Sono molte che tessono le lodi del reverendo McKenna. Non sono sordo ai loro elogi. Ovviamente, una volta ottenuta la carica avrà bisogno di una moglie.- - Sul serio? - Damaris trasalì. - Direi proprio di sì. Anzi, ho la certezza che la maggior parte delle donne nubili della parrocchia gli abbia già messo gli occhi addosso.- Damaris aggrottò la fronte e avvampò distogliendo lo sguardo. Suo padre la studiò con circospezione, prima di riportare la sua attenzione su Adrian. - Immagino che sarebbe un buon partito per molte di loro - Ammise a malincuore. - Sarebbe un buon partito per qualsiasi ragazza! - sbottò Damaris all'improvviso, alzando la testa e fissandoli con aria di sfida. - È un uomo meraviglioso. Gentile, generoso, di buon carattere...- Si interruppe nel cogliere l'espressione di suo padre che la stava osservando con una via di mezzo fra l'incredulità e il disorientamento. - È tutto ciò che dovrebbe essere un religioso. E sarei fiera di diventare sua moglie! - terminò Damaris. Adrian nascose un sorriso soddisfatto. Damaris aveva fatto la scelta migliore. Malgrado la gola ancora irritata e un leggero mal di testa, Hester non dubitava di essere ormai in via di guarigione e che l'indomani sarebbe stata completamente in forma. Quanto a quel giorno, era ben contenta di restarsene a letto, lontano dalla duchessa e dagli altri membri della famiglia. Forse era arrivato il momento che lasciasse Barroughby Hall. La situazione stava diventando troppo confusa, le sue emozioni troppo contrastanti. Per quanto noioso potesse essere vivere con i suoi genitori o le sue sorelle, cominciava a rendersi conto che la noia e la tranquillità che ne derivavano non erano prive di una certa attrattiva. Non era più sicura di niente per quanto riguardava i suoi rapporti con i due fratellastri. Un momento aveva la certezza che il duca tenesse a lei, subito dopo si comportava come se gli stesse meno a cuore del suo cavallo. E sebbene lord Elliott si mostrasse seducente, nessuno l'aveva fatta sentire più a disagio. Adesso però, a mano a mano che si faceva sera senza che il duca tornasse a casa, si trovava costretta a guardare in faccia la realtà. E la realtà era che si stava innamorando di un uomo che non l'avrebbe mai sposata. A meno che non desiderasse infliggersi un perenne crepacuore, se ne sarebbe dovuta andare. Decise quindi di restare a Barroughby Hall solo fino al ballo. Aveva tanto lavorato per mettere a punto i preparativi e aveva tutto il diritto di parteciparvi, ma dopo sarebbe partita. Destata dal trambusto proveniente dal corridoio, Hester sollevò le palpebre a fatica e si guardò intorno nella stanza. A giudicare dall' angolazione dei raggi della luna, mezzanotte doveva essere passata da poco e un'occhiata all'orologio posto sulla mensola del camino glielo confermo'. - Toglimi quelle dannate mani di dosso, ti ho detto! - Risuonò un'impastata voce maschile. Quelle parole furono seguite da un tonfo che assomigliava a quello prodotto da una caduta. Decisa a vedere che cosa stesse succedendo, Hester respinse le coperte, si infilò la vestaglia e socchiuse la porta, sbirciando nel corridoio fiocamente illuminato. Con suo sommo rammarico, appariva chiaro che non era lord Elliott il più ubriaco dei due, bensì il duca, che affrontava il fratello come una furia e si reggeva a stento sulle gambe. - Non toccarmi, lasciami in pace! - urlò Adrian. - D'accordo, come vuoi. Per quello che me ne importa, puoi anche cadere e spezzarti l'osso del collo - - Ti piacerebbe, vero? Così diventeresti tu il duca.- - Almeno non sarei più costretto a elemosinare ogni centesimo! - gridò Elliott. - Elliott! Sei tu, Elliott? - La porta della stanza della duchessa si spalancò e la nobildonna irruppe nel corridoio al colmo dell'indignazione, i capelli avvolti nei bigodini di carta e la vestaglia strettamente annodata. - Adrian! Avrei dovuto immaginarlo. Siete sbronzo. Avete lasciato i Sackville-Copper in queste deplorevoli condizioni? Domani ne parlerà tutto il circondario.- - Ho lasciato sir Douglas in condizioni ancora peggiori - Ribatté il suo figliastro. - Quel poveretto era piuttosto giù di corda, essendosi finalmente reso conto che sua figlia non diventerà mai la duchessa di Barroughby.- Benché il duca fosse ubriaco fradicio, cosa che le dispiacque, Hester si sentì più esultante che sgomenta a quella notizia. Adrian non intendeva sposare Damaris. - Bè, Immagino che dovrei ringraziare il cielo per questa piccola grazia - ammise la duchessa. - Ma non riuscite mai a pensare agli altri, Adrian? Sveglierete tutti e lady Hester ha bisogno di riposare - Accennò in direzione della sua porta e lei trattenere il fiato, augurandosi che non si accorgessero che stesse origliando. - Se io posso fare a meno di lei, voi potete almeno evitare di disturbarla - - Dio non voglia che dobbiate fare qualcosa per guadagnarvi il denaro che vi do - la scherni' il duca. Quelle parole parvero restare sospese nell'aria al di sopra della tensione esistente fra loro, mentre la duchessa lo fissava inviperita. Poi alzò la mano e lo schiaffeggiò su tutte e due le guance. - Non azzardatevi mai più a rivolgervi a me con una tale insolenza! - strillò. Lui non batté ciglio. - A quanto pare, non vi preoccupate più di disturbare lady Hester. Mi ero illuso che aveste avuto un momento di carità cristiana. O che forse aveste deciso che lady Hester sarebbe stata una moglie adatta a Elliott, come sembra credere lui.- Hester si portò una mano alla bocca per soffocare un gemito. Quell'idea non era affatto di suo gusto. Sposarlo...mai! Avrebbe preferito mille volte restare zitella. - Che cosa state blaterando? - domandò la duchessa, volgendosi verso il figlio con aria incredula. Hester si sporse un tantino in avanti. - Penso che sarebbe meglio rimandare questa discussione a domani mattina, quando saremo tutti ben riposati, mamma - - Per una volta sono d'accordo con Elliott. Buona notte, vostra grazia. Notte, Elliott. - - Elliott - riprese la duchessa, chiaramente con l'intenzione di ricevere subito una risposta. - Dimmi che si è inventato tutto. Lady Hester...e te? È assurdo, assolutamente inconcepibile.- Hester fu tutt'altro che contenta di sentirsi liquidare in quattro e quattr'otto. Fu tentata di farsi vedere, quando si accorse che stava per starnutire. Portandosi la mano al naso, si affrettò a indietreggiare, anche se non riuscì a trattenere lo starnuto. - Ecco! Sapevo che Adrian l'avrebbe svegliata - bisbiglio 'la duchessa. Sentendo avvicinarsi i suoi passi, Hester si precipitò sul letto e tirò su le coperte fino al mento per nascondere la vestaglia. - Sta ancora dormendo, grazie a Dio - mormorò la nobildonna apparendo sulla soglia. - Ma che sciocchezze... Elliott? Elliott? - - Buonanotte, mamma - borbottò lui, chiudendo la porta della sua stanza. Dio come si era infuriata quando Adrian le aveva annunciato che il suo caro ragazzo considerava la scialba, insignificante Hester Pimblett degna di diventare sua moglie. Quasi quasi sarebbe valsa la pena farle una seria proposta di matrimonio solo per vedere la faccia di sua madre, anche se avrebbe preferito sposare una delle statue del giardino. Hester Pimblett doveva essere calda quanto una donna di marmo a letto. Ma se quel suo aspetto compassato e pudibondo non fosse stato che una facciata? Questa sì che era un'ipotesi interessante.

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Capitolo 31
*** TRENTUNESIMO CAPITOLO ***


Elliott aveva conosciuto alcune ragazze come lei, tutte modestia, in apparenza. Ma almeno erano state carine e desiderabili. Hester invece era decisamente banale. Senza dubbio, una donna del genere sarebbe stata fin troppo felice che il marito soddisfacesse altrove la sua concupiscenza, salvo nelle occasioni necessarie a concepire dei figli. E se lui si fosse sposato, sua madre avrebbe dovuto smettere di trattarlo come un bambino. Poteva darsi che non giudicasse Hester alla sua altezza, ma era pur sempre la figlia di un conte e sembrava molto abile nel trattare la duchessa nei suoi momenti di maggiore irascibilità. Sì, lady Hester Fitzwalter. Poteva capitargli di peggio e lei avrebbe colto al volo l'occasione di procurarsi un marito così bello e affascinante. Non fu per nessuno di questi motivi, tuttavia, che finì per decidere di corteggiarla e chiederle di diventare sua moglie. L'avrebbe sposata perché sposandola avrebbe fatto soffrire a quell'arrogante di Adrian le pene dell'inferno per il resto dei suoi giorni. - Sono così contenta che vi sentiate meglio, milady - Dichiarò Mabel la sera del ballo infilandole un'altra forcina nei capelli. - Sarebbe stato un vero peccato se non foste potuta intervenire, dopo tutto quello che avete fatto. - Hester sorrise, osservando nello specchio della toeletta la sua elaborata acconciatura. Era un capolavoro di riccioli e rose, ottenuto dopo diverse applicazioni del ferro per ondulazioni e un sapiente intreccio di steli e fiori. In primo momento aveva rifiutato la proposta di Mabel di farle i capelli, benché questa le avesse promesso di dimostrarle ciò che aveva imparato dalla sorella maggiore che lavorava come cameriera a Londra, ma la ragazza era sembrata talmente delusa, che lei aveva finito per acconsentire. Ciononostante, non si era illusa che un'acconciatura fosse in grado di modificare il suo aspetto. Eppure adesso doveva ammettere di aver fatto bene ad accettare. I suoi capelli erano alla moda quanto quelli di sua sorella Helena. Anzi, pettinata così, le pareva perfino di assomigliare alla sua sorella maggiore. L'ironia della sorte era che non aveva mai desiderato tanto di apparire scialba in vita sua, dato che l'unica persona che probabilmente avrebbe notato un cambiamento nel suo aspetto era lord Elliott. Dopo ciò che aveva appreso origliando e mai dimenticato, si era sentita incredula e sgomenta, e per un certo tempo si era augurata che lui si fosse limitato a scherzare. Purtroppo, sembrava invece che facesse sul serio, visto che non l'abbandonava un istante. Anche senza la sgradita corte di lord Elliott, sarebbe stata felice di lasciare Barroughby Hall, poiché la situazione stava diventando insostenibile. Damaris sembrava ormai dimenticata dai fratelli Fitzwalter. Un giorno il reverendo McKenna aveva accompagnato il canonico Smeech a Barroughby Hall, meravigliandola per il cambiamento sopravvenuto in lui. Le aveva anche lasciato capire che si sentiva piuttosto ottimista sul fatto che Damaris accettasse di sposarlo, e con il consenso di suo padre, in parte già ottenuto grazie all'improvviso trasferimento a Lincoln del canonico. Smeech sarebbe partito di lì a due settimane e Hamish McKenna lo avrebbe sostituito come parroco della chiesa di St. Andrew, a Barroughby. - Spero che la duchessa apprezzi tutto il vostro lavoro - Dichiarò Mabel avvicinandosi. - Se siete pronta, milady, adesso vi stringerò le stringhe del busto.- - Sono sicura che lo apprezza - mentì Hester. La duchessa aveva rischiato di farla impazzire criticando ogni sua decisione, pur rifiutandosi di prenderne una, dal tipo di punch al menu della cena. Aveva cambiato idea sul numero dei suonatori dell'orchestra, poi l'aveva cambiata ancora una volta. Aveva fatto tante di quelle storie per scegliere il tessuto del suo abito, che lei avrebbe voluto mettersi a urlare. Si alzò dalla sedia per sottoporsi all'allacciatura sempre più stretta delle stringhe. - Penso che possa bastare - disse prima che gli energici strattoni di Mabel le mozzassero il fiato. La serata sarebbe già stata abbastanza difficile anche senza l'impossibilità di respirare. Mabel prese l'ampia crinolina a cerchi e l'aiuto a indossarla, annodando il nastro alla vita. La ragazza le aveva preparato l'abito di velluto azzurro e rinfrescato la berta di merletto da aggiungere dopo che questo fosse stato abbottonato, dato che lei aveva finito per rinunciare a una sconveniente esposizione del seno. - Ecco milady - Molto lentamente e molto attentamente, Mabel abbassò l'abito. Hester infilò le braccia nelle maniche e la ragazza l'aiuto a sistemare il corpino, lasciando ricadere la gonna voluminosa. Indietreggiò di un passo, poi la fece girare verso l'alta specchiera accanto all'armadio. Quindi sollevò la berta di merletto che parve un centrino moscio fra le dita. - Siete proprio sicura di volerla mettere, milady? State benissimo senza. - Hester studiò la propria immagine con occhio critico, Meravigliandosi che una pettinatura diversa o il colore e il taglio di un abito riuscissero a fare una tale differenza. L'abito non era nuovo e l'aveva indossato un'altra volta, ma con la berta. Senza quell'ampio colletto, il corpino sembrava evidenziare la sua pelle chiara e la morbida rotondità del suo seno. L'elaborata acconciatura, così in contrasto con il consueto, semplice nodo sulla nuca, sembrava conferirle un po' dell'avvenenza delle sue sorelle. Almeno non si sarebbe sentita come una mendicante invitata a un banchetto per errore e se lord Elliott l'avesse notato, pazienza, perché forse in tal caso se ne sarebbe accorto anche suo fratello. - La berta, milady? - - No - decise lei con improvvisa determinazione. Se quello doveva essere il suo unico e solo ballo a Barroughby Hall, avrebbe avuto il coraggio di presentarsi così com'era. - Ne faccio a meno .- Mabel curvò le labbra in un largo sorriso e anni entusiasta. - Noi...la servitù... abbiamo notato che lord Elliott si è mostrato molto attento verso di voi, milady.- - Mi stava aiutando a organizzare il ballo, niente altro. - ribatté Hester seccamente. Se ne penti' all'istante. - Scusatemi, Mabel. Sono solo nervosa. Spero che tutto fili liscio - le sorrise. - E ho il terrore che Jenkins si renda conto che dirgli che avevamo bisogno che servisse il punch e tenesse il conto dei bicchieri di cristallo non era che un trucco per impedirgli di confondere i nomi degli invitati.- Mabel, per fortuna, le restituì il sorriso. - Mi chiedevo appunto come avreste fatto, milady, ma avrei dovuto immaginare che avreste trovato una soluzione.- - Ora dovete giurarmi di conservare il segreto anche con gli altri domestici. Non vorrei che Jenkins se l'avesse a male.- - Lo giuro, milady, e con piacere perché non credo che sia mai esistito un uomo più gentile di lui.- Hester si allaccio' il semplice filo di perle attorno al collo e si infilò i guanti bianchi. Afferrando il ventaglio, si guardò un'ultima volta allo specchio. - Penso di essere pronta. Mi aspetterete in piedi, Mabel? - Domandò, sapendo che non sarebbe mai riuscita a spogliarsi da sola. - Naturalmente. Resterò qui o nel salotto della duchessa.- Annuendo, lei si diresse verso il pianerottolo in cima alle scale. Al di sotto il duca e il suo fratellastro erano già in attesa, uno scuro, imbronciato e immobile nell'impeccabile frac nero, l'altro biondo, sorridente e intento a battere un piede come se fosse impaziente di lanciarsi nel vortice delle danze. Portando lo sguardo sul primo, che appoggiava il peso del corpo sulla gamba sana, Hester si chiese se quella sera avrebbe ballato. Se avrebbe ballato con lei. Poi trasse un profondo respiro e si sforzò di convincersi che non aveva importanza. L'indomani avrebbe annunciato che intendeva partire per recarsi dalla sorella maggiore, che Helena e suo marito desiderassero o meno averla con loro.

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Capitolo 32
*** TRENTADUESIMO CAPITOLO ***


I due uomini si voltarono simultaneamente nella sua direzione. - Mia cara Hester! - esclamò Elliott, affrettandosi ad avanzare e prendendole la mano nella sua nel medesimo istante in cui lei raggiungeva l'ultimo scalino. - Siete meravigliosa stasera...e in ottima salute, sono lieto di notare.- Rivolse un'occhiata al suo silenzioso fratellastro. - Non è vero, Adrian? - - Già - - Suppongo che riservi le buone maniere ai nostri ospiti - Osservò malignamente Elliott sistemando la sua mano sull' incavo del braccio e conducendola al posto che le spettava nella fila che avrebbe ricevuto gli invitati via via che arrivavano. - La mamma non tarderà a scendere. - - Dovrei andare a vedere se Jenkins ha ogni cosa sotto controllo - asserì Hester tirando via la mano. - È tutto a posto - ribatté lui tornando ad afferrargliela. Hester infatti aveva organizzato il ballo con cura e precisione, come lui ben sapeva dopo essersi annoiato a morte ad assistere ai preparativi. L'unica cosa fuori programma, pensò, era lo stupefacente cambiamento nel suo aspetto. Quel colore le donava moltissimo, dando un notevole risalto all'azzurro dei suoi occhi. La sua acconciatura rivaleggiava con qualunque altra avesse mai visto a Londra e la faceva apparire sofisticata, perfino carina. Mentre le imprigionava la mano sul suo braccio, Elliott si disse che forse diventare suo marito non sarebbe stato un sacrificio tanto grande. - Spero che mi riserverete alcuni balli - mormorò. Quando lei lo fissò stupita, sorrise da un orecchio a orecchio. - Saremo la seconda coppia nella quadriglia, dopo Adrian e mia madre, naturalmente.- - Naturalmente - bisbiglio' lei senza degnare di uno sguardo Adrian. Del resto neppure lui l'aveva più guardata dopo la prima occhiata. Elliott sentì attenuarsi alquanto il suo compiacimento. Adrian, evidentemente, si era rassegnato all'idea che il suo scapestrato fratello impalmasse quella virtuosa fanciulla. In quel momento la duchessa apparve in cima alle scale. Il suo abito di raso verde era vistosamente costellato di gale e fronzoli vari. Portava un' enorme collana di smeraldi e lunghi orecchini di smeraldi le pendevano dalle orecchie. Aveva uno scialle di finissima trina sulle spalle e una massa di riccioli raccolti al sommo del capo. Si avviò lungo la scalinata, poi si fermò guardando Hester con occhio torvo. - Lady Hester! - gridò in tono di totale riprovazione. - Che diavolo avete indosso? - - Credo che si chiami un abito da ballo - rispose seccamente il duca senza lasciarle il tempo di aprir bocca. - È indecente! - sentenziò la duchessa riprendendo a scendere gli scalini. - Vi proibisco nel modo più assoluto di indossare una cosa del genere mentre siete in casa mia - Sapendo che molto presto avrebbe lasciato Barroughby Hall, lei raddrizzò le spalle con l'intenzione di ribellarsi, dato che l'abito della nobildonna era appena meno scollato del suo. Il duca avanzò di un solo passo, ma che fu sufficiente a indurre la sua matrigna ad arrestarsi di botto. - Questa è casa mia. Lady Hester è mia ospite e se desidera indossare quell'abito, lo indosserà, che sia o no castigato - Dal suo tono di voce appariva chiaro che l'abito non riscuoteva la sua approvazione più di quanto non riscuotesse quella della duchessa. Hester batté rapidamente le palpebre per ricacciare le lacrime di frustrazione che le erano salite agli occhi. Bel successo aveva ottenuto per aver cercato di farsi notare. - Io lo trovo delizioso, mamma - la difese lord Elliott, anche se con notevole ritardo. Lei non gliene fu affatto grata. - Mi dispiace di potervi causare un eventuale imbarazzo. Se lo desiderate, tornerò nella mia stanza a mettere una berta - Dichiarò con una calma che le costo' quel poco che le restava del suo autocontrollo. - No, no, lasciate perdere. - grugnì la duchessa. - Andiamo a prendere i nostri posti nel salone.- - Posso consigliarvi di avvolgervi più strettamente lo scialle, vostra grazia? C'è una corrente d'aria e siete piuttosto scoperta. - Domandò il duca. Anche se sbuffò indignata, lei si affrettò a obbedire. Si erano appena allineati, quando una voce annunciò dalla soglia: - Sir Douglas Sackcloth-Cooper e la signorina Sackville-Copper - Hester girò la testa così di scatto da far scricchiolare il collo. - Oh, Gesù, che cosa sta facendo Jenkins qui? Doveva occuparsi del punch. - Il duca storse le labbra in quello che assomigliava in modo sospetto al tentativo di reprimere un sorriso. Del resto, non era stato lui a sgobbare per ore e ore, a sopportare i capricci della duchessa, a preoccuparsi tanto per un abito solo per sentirselo criticare. - Jenkins deve aver dimenticato il ruolo più importante che gli è stato assegnato stasera. Farò in modo di ricordarglielo - dichiarò prima di dirigersi verso l'atrio. - Avrei dovuto immaginare che sir Douglas sarebbe arrivato per primo - borbottò la duchessa, mentre Damaris si stagliava nel vano della porta. Indossava un abito incantevole, di seta rosa cipria bordato da metri e metri di pizzo. Aveva i capelli acconciati con abilità, la pelle del viso, del collo e della gola tanto perfetta da apparire traslucida. Hester scoccò un'occhiata ai due uomini che aveva accanto. L'espressione del duca era indecifrabile, quella di lord Elliott fin troppo chiara. Sul suo viso si leggeva un'aperta ammirazione. Sir Douglas avanzò dietro sua figlia. - Buonasera, vostra grazia. E a voi vostra grazia. Stasera sembrate più giovane che mai - si inchinò. - Troppo gentile, sir Douglas - Fece passare lo sguardo da questi a Hester. - Devo pregarvi di accertarvi che lady Hester trascorra una piacevole serata. Temo che altrimenti sarà talmente occupata da non avere il tempo di ballare.- - Oh, ben volentieri, vostra grazia.- Adrian avrebbe voluto rompergli una gamba. Come avrebbe voluto romperla a Elliott. Desiderava che solo lui ballasse con Hester. Cosa impossibile, ovviamente. Pur se contro la propria volontà, era costretto a fare da cavaliere alla sua matrigna e poi ballare con ogni giovane donna disposta ad accettare il suo invito. Come aveva potuto trovarla insignificante? Doveva essere stato cieco. Non c'era nulla di insignificante nei suoi sfavillanti occhi azzurri, nulla di scialbo nelle sue labbra simili a boccioli di rosa, nulla di banale nella massa dei suoi capelli in cui bramava di affondare le dita. Ma non osava nemmeno guardarla perché, se l'avesse fatto, gli sarebbe tornato in mente tutte le ragioni per cui l'amava e gli sarebbe stato difficile rinunciare a lei. Era per questo che in quegli ultimi giorni aveva passato a Barroughby la maggior parte del suo tempo, riuscendo a trarre conforto dal pensiero che se vi si fosse recato, non avrebbe tardato a venire a sapere se vi si trovava anche Elliott. Per poi concludere che forse Hester costituiva l'unica speranza di salvezza per il fratello. - Il reverendo canonico Smeech. Il reverendo McKenna - Annunciò un valletto. Adrian si sforzò di non lasciar trapelare il disgusto che gli ispirava il canonico. - Congratulazioni per la vostra nomina, canonico - gli sorrise. Il pomposo sacerdote si gonfiò come un tacchino. - Vi ringrazio, vostra grazia. Sì, un grandissimo onore. Decano della cattedrale di Lincoln! Mi auguro solo di esserne all'altezza.- Mi auguro solo che non combiniate troppi guai a Lincoln, pensò Adrian. Ma probabilmente, si consolo', il canonico sarebbe risultato più innocuo in una grande cattedrale che in una piccola parrocchia. Lo sguardo del reverendo McKenna corse immediatamente alla flessuosa figura di Damaris che gli sorrise con tale gioia da non lasciare dubbi sull'oggetto del suo amore. - Il duca di Chesterton. La signorina Smith.- Adrian portò lo sguardo in direzione dell'atrio. Riconobbe il duca di Chesterton, un insopportabile snob che aveva ripudiato la figlia minore dopo che questa aveva sposato il suo maestro di danza.

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Capitolo 33
*** TRENTATREESIMO CAPITOLO ***


Accanto al duca di Chesterton, che aveva i capelli di una tonalità nerastra del tutto innaturale e le guance imbellettate, camminava una pallidissima, piuttosto graziosa ragazza con indosso un abito che lasciava in mostra un'abbondante porzione di seno al di sopra di un vitino assurdamente sottile. Se l'ultima amante del duca fosse arrivata in fondo alla serata senza perdere i sensi, pensò Adrian, sarebbe stato un miracolo. Diversi altri invitati arrivarono contemporanea e Adrian fu occupato a riceverli finché non giunse il momento di aprire le danze. Si sforzò di soffocare la costernazione causata dal fatto di non essere lui il cavaliere di Hester, ma Elliott. Prima che potesse chiederle il secondo ballo, un valzer, sir Douglas l'allaccio alla vita. Essendo il padrone di casa, gli fu impossibile restarsene seduto come avrebbe desiderato. Fu costretto a invitare una delle amiche della duchessa. Da quel momento non ebbe la minima possibilità di avvicinarsi a Hester. O lei stava ballando, o si stava accertando che alle altre ragazze non mancasse un cavaliere, o stava guidando un'anziana signora verso una sedia o pilotando un maturo gentiluomo in direzione delle sale da fumo o da gioco. Mentre frugava la stanza con lo sguardo in cerca di lei dopo una polka particolarmente estenuante, si accorse che Elliott era immerso in un piuttosto intimo tete-a-tete' con la signorina Smith. Chesterton aveva lasciato la stanza da alcuni minuti, probabilmente per fumarsi un sigaro, ma la signorina Smith non dava affatto l'impressione di sentire la sua mancanza. Subito dopo, con un sorriso invitante, la signorina Smith uscì sulla terrazza. Un paio di minuti più tardi Elliott attraverso' il salone fermandosi di tanto in tanto per scambiare qualche parola con alcuni ospiti, ma non appena raggiunse l'estremità della stanza sgattaiolò a sua volta sulla terrazza dirigendosi verso il boschetto. Il significato di quelle manovre gli parve fin troppo chiaro. Evidentemente Elliott non si era svagato a sufficienza a Barroughby Hall e adesso aveva trovato il sistema per alleviare la...noia. - Vostra grazia? - Sobbalzando, Adrian si voltò. Hester si era materializzata al suo fianco e lo stava fissando con uno sguardo perspicace che lo turbò non poco. - Sì? - - È quasi l'ora di servire la cena. Avete visto lord Elliott, per caso? - Adrian valutò le sue alternative. Avrebbe potuto rispondere che ignorava dove fosse Elliott, ma i padroni di casa dovevano precedere gli invitati in sala da pranzo e la cena che Hester aveva progettato con tanto cura si sarebbe irrimediabilmente rovinata in attesa dei valletti mandati in cerca del suo fratellastro. Avrebbe potuto offrirsi lui stesso di rintracciarlo e riportare indietro sia Elliott sia la signorina Smith. Oppure avrebbe potuto mandare lei a perlustrare il boschetto. Che lo trovasse pure insieme all'amante di un'altro uomo. Allora, indubbiamente, ogni probabilità di un matrimonio fra loro sarebbe sfumata. Distruggendo di conseguenza forse la sola occasione di ravvedersi che potesse mai avere Elliott. - Milord? Sapete dove si trova lord Elliott? - lo sollecito' Hester. Adrian sollevò lo sguardo sul suo viso ansioso. Doveva assolutamente prendere una decisione. Doveva decidere se tentare di eliminare qualsiasi possibilità di un matrimonio tra Hester e il suo fratellastro, anche se non avrebbe mai potuto sposarla lui stesso. Mentre lei lo fissava, così calma e allo stesso tempo con le guance arrossate, prese una decisione, non pensò che a lei. Elliott le avrebbe certo reso la vita amara se l'avesse sposata. - Mi pare di averlo visto dirigersi verso il boschetto - - Grazie, milord - rispose Hester prima di allontanarsi. Si incamminò rapidamente verso il boschetto, chiedendosi in quale direzione fosse andato lord Elliott, indispettita che avesse scelto proprio quel momento per prendere una boccata d'aria. Doveva aver saputo che era quasi l'ora di servire la cena. Sospirando, si inoltrò fra i cespugli e non aveva fatto che pochi passi quando un suono la indusse a fermarsi di colpo. Erano due voci che bisbigliavano, una maschile e una femminile. Sconvolta, avanzò ancora di un paio di passi, poi ricordò che aveva appena lasciato il duca e che era impossibile che lui l'avesse oltrepassata e si trovasse là dentro. Quindi la voce profonda che le giungeva all'orecchio doveva appartenere a lord Elliott, che evidentemente aveva trovato una compagna disponibile per la sua passeggiata nel parco. Cosa che probabilmente spiegava come mai si fosse scordato della cena. Decisa a rinfrescargli la memoria, Hester proseguì e girò un angolo... arrestandosi di botto nel vedere che Elliott e la donna che lo accompagnava non si limitavano a chiacchierare, benché riuscisse ad afferrare dei suggerimenti incredibilmente osceni impartiti dalla voce stridula della signorina Smith. E nel boschetto, per di più. A breve distanza dagli ospiti radunati nel salone. Girando sui tacchi, Hester tornò verso casa, solo per trovare il duca esattamente dove lo aveva lasciato. Lo fissò senza batter ciglio, la faccia in fiamme quasi fosse stata lei a giacere fra le braccia di lord Elliott, mentre si sforzava di decifrare la sua espressione. Aveva saputo che cos'avrebbe trovato? L'aveva mandata di proposito nel boschetto? O ancora una volta aveva voluto divertirsi alle sue spalle? - La cena subirà un lieve ritardo - mormorò passandogli davanti. Non udì il pesante sospiro che gli sfuggì dalle labbra. Il corridoio dal piano superiore era immerso nel silenzio. Gli invitati se n'erano andati, la duchessa si era coricata, lord Elliott si era ritirato nella sua stanza. Mabel l'avevo aiutata a spogliarsi, le aveva sciolto i capelli ed era stata congedata, dopo averle fornito la preziosa informazione che il duca aveva detto al suo cameriere personale che non avrebbe avuto bisogno di lui. Dal di sotto giungevano le voci smorzate dei domestici ancora intenti a portar via i resti della cena sotto le istruzioni del duca. Hester sedette alla toeletta e si guardò allo specchio senza vedersi. Perché il duca l'aveva mandata nel boschetto? Era la domanda a cui aveva tentato di trovare una risposta dal medesimo istante in cui aveva sorpreso lord Elliott con la signorina Smith. Perché aveva voluto che sapesse che tipo di uomo era il suo fratellastro? L'aveva già messa in guardia contro di lui. Aveva forse pensato che non gli credesse e desiderato darle una prova? La riteneva tanto cieca? O tanto sensibile all'adulazione di un uomo da non rendersi conto fino a che punto Elliott si annoiasse con lei, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere? Esisteva un'altra spiegazione, ossia che il duca nutrisse dei sentimenti profondi per lei e desiderasse impedirle di subire il fascino apparente di Elliott. Ma non doveva neppure osare di pensare... Avrebbe osato invece, si disse con determinazione. Quella sera avrebbe osato ritenersi degna dell'amore del duca. Avrebbe preferito osare dar voce ai suoi segreti sentimenti. - Vi amo, Adrian Fitzwalter - bisbiglio' alla propria immagine - Vi amo! - Alzandosi, prese a misurare la stanza a passi concitati. Aveva intenzione di andarsene, se non il giorno seguente, non appena avesse preso gli accordi necessari. Poteva anche darsi che non lo rivedesse mai più. Si fermò per guardarsi allo specchio ancora una volta. - Quanto ti senti di osare? - mormorò. Prima che avesse il tempo di rispondersi, udì i passi ben noti oltrepassare la porta della sua stanza. Traendo un profondo respiro e chiamando a raccolta tutto il proprio coraggio, si diresse alla porta, uscì in punta di piedi nel corridoio e si avviò verso la stanza da letto del duca, in cui scivolò senza bussare prima che la sua risoluzione l'abbandonasse, e si chiuse adagio la porta alle spalle. Il duca, che non l'aveva sentita entrare, stava in piedi accanto alla finestra fissando la notte serena rischiarata dalla luna piena.

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Capitolo 34
*** TRENTAQUATTRESIMO CAPITOLO ***


Hester fu tentata di tornare indietro, finché non si rese conto di quanto solo apparisse, quasi stesse guardando fuori nella speranza di scorgere...che cosa? Una amica? Un'amante? Una moglie? - Milord? - sussurrò. Lui si girò di scatto. - Che cosa state facendo qui?- - Devo parlarvi - rispose lei avvicinandosi. - Questi non sono né il momento né il il luogo più indicati per qualsiasi tipo di conversazione.- - Si, lo sono, poiché domani informerò la duchessa che intendono andare da mia sorella il più presto possibile. Potrebbe non presentarsi mai un'altra occasione.- - Avete intenzione di partire? - Il duca parve in procinto di avanzare verso di lei, poi esitò. - Si, milord.- - Perché? - - Perché non posso essere felice qui.- - Capisco. - Hester ebbe l'impressione di sentirlo soffocare un sospiro mentre si avvicinava a un lume e strofinava un fiammifero. La fiammella guizzò per la frazione di un istante illuminandogli l'incavo delle guance, creandogli delle ombre misteriose attorno agli occhi seminascosti dalle palpebre. - Forse è meglio così - Una volta acceso il lume, le indicò una poltrona in un angolo lontano dalla luce e dal letto, ma lei rimase in piedi. - Di che cosa dovete parlarmi con tanto urgenza, lady Hester? - - Voglio sapere perché mi avete mandata nel boschetto. Dubito che ignoraste dov'era andato vostro fratello e con chi.- - Mio Dio, riuscite a leggere in me così facilmente? - - Mi avete fornito un'indicazione precisa e dubito che ci sia qualcosa che vi sfugge di quanto avviene in questa casa. Ditemi, speravate forse di scioccarmi? - Il duca si voltò verso di lei, senza però incontrare i suoi occhi. - Non esattamente.- - Che cosa allora? Perché mi avete mandata a spiarli? - Lui non rispose. - Pensavate forse che dovessi vedere con i miei occhi che tipo di uomo sia lord Elliott? - - Già - borbottò il duca, continuando a evitare il suo sguardo - Perché? - gli chiese con il cuore in gola. - Perché ho pensato che fosse giusto.- - Mi sono fidata di voi quando mi avete chiesto di farlo. E non sono così ingenua come sembrate credere. Mi sono accorta da diverso tempo che vostro fratello non è un gentiluomo - - Bè, nemmeno io lo sono, eppure vi siete fidata di me.- - Perché affermate di non essere un gentiluomo? Non vi ho mai visto comportarvi in modo scorretto.- - Tranne quel giorno in biblioteca.- - Vi avevo colto alla sprovvista. Nonostante ciò che dicono gli altri, vi considero un uomo d'onore, milord, e continuerò a credere che non siete il depravato che vi ritiene la gente finché non mi dimostrerete il contrario.- Adrian alzò finalmente lo sguardo e la fissò, l'espressione austera e sconfitta allo stesso tempo. - Voi non mi conoscete. Non sapete che cosa ho fatto. E poi, perché dovrebbe importarvi se il Cavaliere Nero è o non è un depravato? - Hester si arrotolò nervosamente la cintura della vestaglia intanto alla mano. - Perché vi voglio bene. E penso che voi ne vogliate a me - Bisbiglio', desiderando di poterlo vedere meglio. - Mi state dicendo che riuscite a tenere a un uomo che ha frequentato delle prostitute? Che si è ubriacato un'infinità di volte in un'infinità di luoghi pubblici? Che gioca d'azzardo quando gliene viene voglia?- - Fin qui assomigliate a molti giovani uomini della vostra posizione sociale.- - Oh, ma sono peggio di loro, Hester. Non immaginate quanto.- - Non vi credo. Non posso.- Un ghigno sarcastico gli torse le labbra. - In tal caso, mia cara ragazza, la vostra capacità di giudizio lascia molto a desiderare. Avete mai sentito raccontare in che modo iniziai la mia illustre carriera a Oxford? - - So qualcosa di quell'episodio.- Lui si avvicinò a un tavolo e si versò del brandy, quindi sollevò il bicchiere e fece roteare il liquore ambrato. - Per mettervi in grado di giudicare con obiettività, vedo che dovro' fornirvi tutte le prove. Accomodatevi, prego. Ci vorrà del tempo.- Hester sedette obbediente nella poltrona indicata, mentre lui mandava giù il brandy in un colpo solo. Poi prese a camminare avanti e indietro ravviandosi i folti capelli neri con le dita. - Avevo un caro amico, un conte gallese, Griffin Branwynne - Iniziò senza degnarla di uno sguardo. - Griffin aveva una relazione con una ragazza di dubbia reputazione, benché all'epoca nessuno dei due ne fosse a conoscenza. In ogni modo, alcuni nostri amici lo sapevano e una sera, in una taverna, ci illuminarono in proposito. Malgrado quello che possiate aver sentito dire del temperamento gallese, Griffin possedeva un sangue freddo maggiore del mio ed era disposto a lasciar correre finché non avesse parlato con la sua amante.- Fece una pausa, poi riprese in tono ancor più cinico. - Io però, il nobile duca di Barroughby, ritenni che fosse nostro dovere difendere l'onore della ragazza. Insultai l'informatore dandogli del mascalzone e della canaglia. Lui rispose per le rime. Eravamo tutti e due piuttosto alticci , devo aggiungere, e pronti a venire alle mani. Griffin tentò di impedircelo ma noi ci rifiutammo di prestargli ascolto.- Sospirò. - Non avemmo neanche il buongusto e l'intelligenza di andare a batterci fuori - Per la prima volta dall'inizio del racconto, un lampo di dolore gli sfrecciò sul viso. - Io urtai e rovesciai un lume. Lo sentii cadere, ma non vi badai. Ero troppo occupato a ridurre in poltiglia il mio avversario. Quando mi accorsi che il locale era in fiamme, era ormai troppo tardi. Non potevamo far niente per domare l'incendio. Uscii vacillando, lasciando dentro il mio avversario. Ero talmente ubriaco che mi dissi che quel farabutto meritava di morire carbonizzato.- Adrian abbassò la voce a un bisbiglio pronunciando le parole più lentamente. - Quando qualcuno urlò che un altro uomo era rimasto all'interno, mi congratulai con me stesso, finché il dubbio che l'altro uomo potesse essere Griffin non si insinuò nella mia mente ottenebrata. Allora diventai frenetico e ancora più inutile. - Trasse un profondo respiro, ma continuò a fissarla senza batter ciglio. - In realtà, ero ormai in preda a una vera e propria crisi isterica. Nessuno mi permise di avvicinarmi alla taverna. Ero troppo ubriaco, troppo fuori di me. Sarei sicuramente rimasto ucciso. Offrii delle ricompense esorbitanti a chiunque fosse stato disposto ad andare a prendere Griffin. Nessuno fu tanto pazzo da prendermi sul serio. Poi crollò una parte del tetto. - Impotenza, angosciosa e disperazione gli vibrarono nella voce. - Ero convinto che il mio amico fosse morto. Grazie al cielo, il taverniere sentì parlare di Griffin e prima ancora che io me ne rendessi conto, si gettò un sacco bagnato sulla testa e si tuffò coraggiosamente nell'edificio. Trovò Griffin e lo trascinò fuori. Fu un bettoliere a salvargli la vita, non io- - È per questo che non siete mai andato a trovarlo? Perché vi vergognavate? - domandò Hester in un soffio. - Avete mai visto una persona gravemente ustionata, lady Hester? - lei si limitò a scuotere la testa. - È un dolore atroce e le cicatrici...- Non fu necessario che terminasse la frase, poiché la sofferenza che gli lesse negli occhi le fece capire quanto dovesse essere stato terribile. - Quando infine riprese i sensi, Griffin si rifiutò di parlarmi. Non mi permise di entrare nella sua stanza. Si rifiuta ancora di vedermi. Si è ritirato nella sua proprietà nel Galles e non permette a nessuno di avvicinarlo. - È stato lui a deciderlo, Immagino - azzardò Hester per cercare di confortarlo. Lui strinse i pugni lungo i fianchi. - Voi non lo conoscevate, non sapete quali promesse avesse in sé. Sarebbe diventato un grand'uomo, Hester. Un grande capo politico. Io l'ho privato di questa possibilità. Tanto valeva che lo avessi amazzato. - - Si è trattato di un incidente.- - Oh, ma non sapete ancora tutto, angelo mio.

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Capitolo 35
*** TRENTACINQUESIMO CAPITOLO ***


Continuò Adrian in tono amaro, squadrandola freddamente. - Non ho ammazzato Griffin e me la sono cavata senza un graffio. Ma la mia idiozia uccise mio padre come se gli avessi sparato con la mia pistola.- - In che modo...- - Nutriva grandi speranze per me, mio padre, e benché possa sembrarvi presuntuoso da parte mia, non senza qualche fondamento. Ero un ottimo studente, di bell'aspetto, simpatico a tutti. Un po' scapestrato, è vero, ma niente di eccezionale. Niente che l'età e la maturità non avrebbero guarito, o così credeva lui.- Aggrottò la fronte. - Poi ricevette la notizia di quello che avevo combinato. Fu un fiero colpo. La mia imperdonabile imprudenza gli procurò l'attacco mortale. Quando arrivai qui, era in punto di morte. Ero stato un'enorme delusione per lui e fu quella delusione ad ucciderlo.- Hester si sentì salire le lacrime agli occhi alla vista della sua immensa angoscia, al pensiero che stesse rivivendo quei momenti spaventosi rievocandoli. - Ora dovreste tornare nella vostra stanza. Qualcuno potrebbe trovarvi qui e se uno scandalo in più a me non farebbe né caldo né freddo, a voi potrebbe procurare dei grossi problemi. - lo udì bisbigliare. Aveva ragione, ovviamente, ma lei non era ancora pronta ad andarsene. - Avete commesso una sciocchezza, ma è stato molto tempo fa e da allora non avete cessato un istante di pentirvene. Nemmeno adesso riesco a credere che siate colpevole di tutti i misfatti che vi vengono attribuiti.- Un'improvvisa illuminazione la folgorò nel ricordare la lotta interiore che gli aveva letto negli occhi prima che la mandasse in cerca del fratello. - Si tratta di Elliott, non è vero? È lui a fare tutte quelle cose spaventose...e voi ve ne accollate la responsabilità. Perché vi sentite in colpa dell'incendio? - - Voi non potete capire che tipo di rapporto ci sia fra me e mio fratello - ribatté lui, ancora una volta gelido e remoto. - Si, lo capisco. Dato che siete convinto che ciò che la gente dice di voi non conti, vi addossate tutte le colpe della sua immoralità.- - Che importa? - domandò Adrian a denti stretti, tornando a voltarsi verso la finestra. - Ho fatto una promessa a mio padre sul letto di morte. Gli ho promesso che il nome di Elliott non sarebbe mai stato macchiato dal disonore.- Curvò le spalle e abbassò la voce a un sussurro appena percettibile. - Come il mio.- Eccola finalmente la chiave di quei rapporti conflittuali! E l'errore del duca di Barroughby. - Vi illudete di proteggere Elliott impedendogli di subire le conseguenze delle sue malefatte? - - Naturalmente. La mia reputazione era già infangata. Che differenza poteva fare per me uno scandalo in più o meno?- Tornò a volgersi verso di lei tentando di riassumere il suo atteggiamento cinico. - Anche se francamente non immaginavo fino a che punto sarebbe caduto in basso.- - Ma non capite, milord? - domandò Hester alzandosi in piedi. - Facendo ricadere tutte le colpe su di voi, gli permettete di essere immorale. Di continuare a precipitare lungo la china. Non lo state affatto aiutando.- - Come sembrate sicura. Siete qui da meno di sei mesi, mi conoscete da poche settimane, conoscete Elliott anche da meno.- - Ho due occhi per vedere. Una mente per comprendere.- - No, non siete affatto in grado di comprendere.- Le si avvicinò guardandola in cagnesco. - Non potete sapere quanto io mi sia sentito in colpa da quella sera a Oxford. Non eravate qui, non avete visto quanto si vergognasse e fosse sconvolto mio padre. L'unica consolazione che gli restava era il pensiero che Elliott era ancora giovane e senza macchia. Quella promessa è stata la sola cosa che potessi dargli per cercare di farmi perdonare. E da allora ho sempre cercato di farmi perdonare.- - Perché ultimamente siete rimasto sempre lontano da Barroughby Hall? - - Cosa? - - Non lo avete fatto perché credevate che Elliott avesse intenzione di chiedermi di sposarlo? Non lo avete fatto perché non desideravate intromettervi, anche se tenevate a me? - - Hester io...- - Non vi siete mai preso la briga di prendere in considerazione i 'miei' sentimenti in tutti i vostri progetti e sacrifici? - Lui la fissò a bocca aperta. - Si, l'ho fatto. È per questo che stasera vi ho mandato nel boschetto. Avevo una tale paura che Elliott vi rendesse infelice...- - E non mi avete attribuito un'intelligenza o un buonsenso sufficiente ad accorgermene da sola? - Adrian tacque, troppo scioccato per pronunciare una sola parola. - Quanta arroganza da parte vostra! Quanta presunzione! Voi non offrite protezione...la date, che sia o meno desiderata. Non sono una bambina. Sono capacissima di vedere al di là di una vuota adulazione. Non spetta a voi decidere ciò che è giusto per me.- - Mi sono limitato a fare quella che giudicavo la cosa migliore - ribatté lui sulla difensiva. - Quella che 'voi' giudicavate la cosa migliore.- Hester trasse un profondo respiro e tutta la collera che provava si dissolse alla vista della sua costernazione. - Non potete controllare il mondo intero, milord. Non potete assumervi la responsabilità di tutti quanti né potete continuare a proteggere lord Elliott. Non è un bene né per lui né per voi né per le altre donne che lui potrebbe decidere di sedurre. Dovete fermarlo, responsabilizzarlo. Vostro padre ignorava che cosa sarebbe diventato, altrimenti non vi avrebbe mai estorto una promessa del genere.- - È troppo tardi. Non posso modificare quanto è accaduto. Il mondo intero mi considera una canaglia, un depravato, e lo farà sempre, quindi perché non approfittare di questi preconcetti? - - Perché vi danneggiano, oltre a nuocere a vostro fratello. Inoltre, la gente dimentica. Voi siete capace di ricordare gli scandali degli ultimi cinque anni? - - Certo. Visto che ero coinvolto nella maggior parte di essi.- - Voi o lord Elliott? - - Oh, che differenza fa chi di noi due fosse coinvolto? - Ringhiò Adrian tornando presso la finestra. - Per me moltissima, milord. - - Ma non dovrebbe essere così - la rimbecco' lui girandosi di scatto. - Non dovrebbe avere alcuna importanza. Non può esistere un futuro fra voi e un uomo come me, per quanto vi desideri! - Nessuno dei due si mosse. Nessuno dei due oso' respirare. Hester si sentì sommergere da un'ondata di pura, abbagliante felicità. Adrian la desiderava! Lo aveva confessato! Lo pensava sul serio. Aveva sognato per tutta la vita di udire quelle parole da un uomo come lui, un uomo che non la desiderasse per i suoi legami familiari o che, fosse un marito adatto. Un uomo che avesse un bisogno disperato di ciò che lei aveva da offrire. Un uomo che avrebbe potuto scegliere qualsiasi donna e che invece aveva scelto lei. Gli si avvicinò quasi inconsciamente, attratta dal fuoco del suo desiderio e della sua passione, anelando a perdersi nel suo calore e nel suo amore. Adrian si ritrasse bruscamente. - Non toccatemi! - la intimò. - Ma io volevo solo...- Vide l'amore che le brillava negli occhi, realizzò che desiderava stringerlo a sé in un abbraccio affettuoso e la sofferenza che già lo tormentava aumento' a dismisura, poiché non meritava né la sua stima né il suo aiuto e tantomeno il suo amore. - Ascoltatemi, Hester. Non ho bisogno del vostro interessamento né del vostro conforto. Sono l'uomo che ho costruito con le mie stesse mani e ho imparato a conviverci. Non chiederò mai a nessuna donna di vivermi accanto. Ho scelto la mia strada e intendo percorrerla...da solo. - Non è necessario che siate solo.- Lui sapeva che cosa gli stesse offrendo e ne conosceva il valore, così come sapeva che non avrebbe mai potuto accettarlo. - Si, devo. Voglio stare solo - dichiarò fermamente, dicendosi che la stava chiudendo per sempre fuori del suo cuore. - Non è vero.- Non era una domanda, ma la constatazione di un fatto incontrovertibile. Una battaglia infuriò fra il suo cuore e la sua mente, le sue speranze e il suo passato, il suo desiderio e il suo terrore.

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Capitolo 36
*** TRENTASEIESIMO CAPITOLO ***


Fra la maledizione del presente e la salvezza del futuro che Hester gli consentiva di intravedere. Fra l'amore indulgente e comprensivo che lei gli offriva e la sua indegnita'. Lei sola di tutte le donne che avesse conosciuto, lei sola avrebbe potuto donargli la pace e la vera felicità. Chi sarebbe riuscito a resistere a una simile tentazione? Lui, stanco di vivere, amareggiato, solo, convinto di essere costretto a raccogliere ciò che aveva seminato? Quella donna. Quell'amore che gli avrebbe restituito la sua integrità, che avrebbe colmato il vuoto della sua esistenza, così come il suo amore per lei colmava il vuoto del suo cuore. Perciò si arrese. Avvicinandosi, l'attrasse a sé. Con un sospiro Hester gli scivolò fra le braccia e allorché i loro corpi si toccarono, l'amore che provavano l'uno per l'altro esplose in una miriade di prismi iridescenti. Le fiamme dell'estasi divamparono fra loro, fiamme che in Adrian bruciarono le scorie accumulate nel corso degli anni rendendolo di nuovo puro, simile a un metallo appena forgiato. - Vi amo - mormorò, gli occhi resi ancora più scuri dalla passione. Lei reagì al calore del suo desiderio abbandonandosi all'ardente struggimento che la pervadeva, sapendo che solo quell'uomo l'avrebbe completata. Il suo bacio avido spazzò via le sue ultime riserve. Stare sola con lui in quella stanza era giusto. Il suo abbraccio era necessario. Il suo corpo contro di lei era perfetto. Mentre Adrian la stringeva a sé, divenne penosamente consapevole di desiderare che lui l'amasse totalmente, e che fossero sposati o no le parve del tutto irrilevante. Interrompendo il bacio, lui sollevò la testa e un caldo sorriso gli illuminò il viso abitualmente cupo. - Dovete andare, Hester, perché altrimenti vi solleverò fra le braccia e vi porterò nel mio letto, e allora la buona opinione che avete di me finirà in mille pezzi.- Aveva ragione, Hester lo sapeva. Sarebbe dovuta tornare nella sua stanza prima che fosse tentata di dimenticare tutti i dettami della società che vietavano di fare l'amore fuori del matrimonio. Tuttavia, le era impossibile lasciarlo immediatamente. - Sono sicura che scoprirò il paradiso nelle vostre braccia, milord - sussurrò appoggiandosi al suo petto. Con un gemito soffocato, Adrian la scostò da se. - Dico sul serio, Hester - l'ammoni' con voce roca. - Voi siete troppo seducente e io non sono neanche lontanamente rispettabile come voi sembrate credere.- - Nemmeno io - - Come? Cosa sentono le mie orecchie? La coscienziosa, pudica lady Hester è una ragazza sfacciata, dopotutto? - - Solo con voi, milord. - - In tal caso non c'è che un sistema per accertarci che questo rimanga un nostro segreto.- Lei li fissò con aria interrogativa. - Dovete diventare mia moglie.- Hester aveva appena aperto la bocca per rispondere, quando a un tratto lui si accigliò e le poso' l'indice sulle labbra. - Consentitemi di dirvelo in modo meno arrogante e presuntuoso...per dimostrarvi che sono capace di cambiare.- Si lasciò cadere su un ginocchio e le prese la mano nella sua. - Vi prego, lady Hester, volete farmi il grandissimo onore di diventare mia moglie? - Troppo emozionata per pronunciare parola, lei si limitò ad annuire. Adrian si alzò e le depositò un altro bacio sulla guancia. - Non vi merito e non merito tanta felicità.- Questa volta fu Hester a posargli un dito sulle labbra. - Tutta la felicità che sono in grado di dare sarà vostra. Avete ragione, però. Devo andare.- Volse attorno lo sguardo. - Per il momento - lui ridacchiò. - Buonanotte allora - Hester si avviò lentamente alla porta, poi si girò a un passo dalla soglia con un radioso sorriso. - Chissà che cosa dirà la duchessa? - osservò in tono malizioso. - Forse non ci conviene annunciare subito il nostro fidanzamento. Prima lasciate che trovi un modo per persuaderla a trasferirsi a Dower House, la villa vicina a questa in cui di solito abitano le vedove dei duchi di Barroughby. Non voglio che accusi voi di averla buttata fuori, come senza dubbio si esprimerebbe.- - Se ritenete che sia la cosa migliore - acconsentì di buon grado Hester. - Ora che so che mi amate, niente altro sembra avere importanza.- Girando sui tacchi, scivolò fuori silenziosamente com'era entrata. Dopo che se ne fu andata, Adrian rimase dove era per diversi minuti, limitandosi a lasciarsi sommergere da quel senso di ineffabile, incredibile gioia. Finché non cominciò a prendere seriamente in considerazione quello che la duchessa, e altre persone, avrebbero potuto dire. Emergendo dalla nicchia buia in cui si era nascosto, Elliott fece passare uno sguardo malevolo dalla porta della stanza di Hester a quella del fratello. E così, Adrian l'aveva avuta. La 'sua' Hester. Come spiegare altrimenti la presenza di lei nella stanza di Adrian, i suoi abiti in disordine, l'espressione raggiante che aveva avuto sul viso nel lasciarlo? Francamente, non esisteva una donna virtuosa in tutto il paese se Hester Pimblett era disposta a giacere con un uomo che non era suo marito. Quanto ad Adrian...come era potuto essere tanto sciocco da credere che Adrian la ignorasse perché non la trovava abbastanza attraente? Il semplice fatto che lei vivesse in casa sua avrebbe dovuto fargli capire che cosa sarebbe accaduto. Avrebbe dovuto Immaginare che il fratello stava tessendo una deduzione molto, molto sottile. Senza dubbio si era recato così spesso al villaggio solo per infiammare il desiderio di Hester. E forse al suo ritorno a tarda notte non era andato direttamente nella sua stanza. - E ha il coraggio di criticare me! - si infuriò Elliott. Probabilmente se l'era portata a letto anche per fargli dispetto, sapendo che lui intendeva sposarla. Tipico di Adrian. Non poteva neppure permettergli di avere una sposa vergine. Un'insipida, bruttina sposa vergine. All'improvviso un'altra idea gli si affacciò alla mente. Se Adrian l'aveva avuta senza averla sposata, ebbene, avrebbe potuto averla anche lui. Mentre all'alba della mattina seguente, dopo una notte insonne, cavalcava in direzione del villaggio, il duca di Barroughby non si era mai sentito più confuso, incerto ed eccitato in vita sua. Un momento veniva assalito da un'esultante speranza al pensiero che una donna intelligente come Hester gli voleva bene. Subito dopo era pieno di dubbi, assolutamente convinto di essere indegno di lei. Convinto che Hester non avesse la più pallida idea di ciò che lui aveva fatto, in quale caos avesse trasformato la sua esistenza. Che lei non vedesse che il suo bel viso e le sue enormi ricchezze, cieca al suo ignobile passato. Che sarebbe dovuto partire all'istante e non rivederla mai più, e che forse il dolore che inevitabilmente sarebbe seguito avrebbe finalmente pagato il giusto prezzo per le terribili sofferenze che aveva inflitto. Eppure, perfino in quei momenti sapeva benissimo di non possedere la forza necessaria per compiere un simile sacrificio. Da quel debole mascalzone che era, non riusciva a tollerare neppure l'idea di vivere senza di lei. Possibile che il loro matrimonio fosse un errore, in quelle circostanze? Si chiedeva altresì come l'avrebbe presa Elliott. Si sarebbe rassegnato o avrebbe dato in escandescenze, con risultati probabilmente catastrofici? O aveva ragione Hester? Era davvero ora di lasciare che Elliott subisse le conseguenze delle sue azioni? Ansioso di sentire un altro parere, aveva finalmente deciso di fare un'altra cosa che non aveva mai fatto prima di allora, ossia confidare le sue preoccupazioni a un amico, John Mapleton, che era già a conoscenza di molte vicende che riguardavano la sua famiglia. Adrian lanciò Drake al galoppo per quasi tutta la strada che portava a Barroughby e solo quando vide tingersi di rosa il cielo dietro la casa del chirurgo, gli venne in mente che poteva essere troppo presto per andare a trovarlo. D'altra parte, solo a quell'ora poteva avere la certezza di trovarlo in casa.

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Capitolo 37
*** TRENTASETTESIMO CAPITOLO ***


Adrian gettò le redini di Drake sul cespuglio di fianco alla porta e bussò ripetutamente. Fu un Mapleton con la barba lunga ad aprirgli. - Adrian! - esclamò, evidentemente per lo sbalordimento causato da quella visita quasi antelucana. - Siete ferito? - - Sto benissimo, immagino - ribatté lui con un sorriso. Riacquistando le buona maniere, Mapleton lo introdusse nel suo studio, una stanzetta ingombra di carte, libri e strumenti vari. Una cameriera sopraggiunse di corsa e fissò il duca con aperta curiosità. - Posso prendervi il cappello e il cappotto, vostra grazia? - - No, non è il caso. Non ho intenzione di trattenermi a lungo. - Và pure, Nancy.- Il chirurgo attese che la cameriera avesse lasciato la stanza. - Non volete accomodarvi, Adrian? - - Si, grazie, John. - Si tolse il cappello, sedette e se lo mise sulle ginocchia. - Devo parlarvi.- Mapleton lo studio' con aperta curiosità. - Sono lieto di ascoltarvi.- Adesso che il momento di parlare era arrivato, la sua consueta reticenza a trattare questioni personali tornò a prendere il sopravvento. Mentre lui esitava, Mapleton attese pazientemente, senza fornirgli alcun aiuto né motivo di andarsene. - Mi dispiace, ho commesso un errore - dichiarò Adrian di punto in bianco balzando in piedi. Per un uomo che aveva ormai superato la mezza età, il chirurgo era in grado di muoversi con sorprendente agilità. Raggiunse la porta prima che lui l'aprisse e vi si appoggiò contro guardandolo in faccia. - Sedetevi e raccontatemi tutto.- Benché tentato di spingerlo da parte, Adrian aveva un bisogno disperato di sentire un altro parere e quindi obbedì. - È successa una cosa, John - esordì in tono grave. - Ah, sì? - Il chirurgo gli sedette di fronte, dietro la scrivania. - Ho chiesto a lady Hester di diventare mia moglie.- Mapleton sgranò gli occhi. - Non scherzereste mai su una cosa del genere, vero milord? - - No, sono serissimo.- - In tal caso, sono felice per voi. Felice! - Il sorriso che gli curvava le labbra lasciò il posto a un'espressione accigliata non dissimile da quella dell'uomo che aveva davanti. - C'è forse un problema di cui non sono a conoscenza? - - No. - - Perché allora siete così abbattuto? Sono sicuro che sarà un'ottima moglie per voi.- - Bè, un problema c'è, un problema di cui siete a conoscenza, John. La mia reputazione.- - Che non meritate.- - Ma che comunque ho. Non è egoistico da parte mia chiedere a una donna così irreprensibile di legarsi a me?- - E lei che cosa pensa di questo problema, milord?- - Sostiene che la gente dimenticherà.- - Vi avevo detto che era una donna intelligente. Sono pienamente d'accordo con lei.- Adrian non era persuaso, come il chirurgo realizzò all'istante. - Quella ragazza possiede un enorme buonsenso, milord, e se non si fa scrupolo di sposarvi, ritengo che dovreste accettare.- Ridacchiò gaiamente. - Mio Dio, non desiderate sposarla, milord? - - Con tutto il cuore. È solo che non avrei mai immaginato...- - Che qualcuno si prendesse la briga di guardare al di là della maschera del Cavaliere Nero? - - Più o meno.- - Bè, lei l'ha fatto. Non è una bellezza, però.- Fu Adrian a ridacchiare, questa volta. - Ne ho avuto fin sopra ai capelli delle cosiddette belle donne e credetemi se vi dico che preferirei di gran lunga vedere il viso di Hester accanto al mio sul cuscino che quello di qualsiasi altra. - - Adesso ho la certezza che siete innamorato.- - Una diagnosi piuttosto esatta, amico mio.- - C'è altro che vi turba? - domandò Mapleton dopo un silenzio cameratesco durante il quale ancora una volta Adrian non provò che gioia. - Purtroppo si, lo ammetto. C'è la questione di Elliott.- - Che cosa gli succede adesso? - - Afferma di voler sposare lady Hester.- Mapleton emise un suono di scherno. - Ah-ha! Questa sì che è pura follia.- - Lui afferma di essere sincero.- - E dopo tutti i suoi inganni e sotterfugi, voi gli credete? - - Non so se credergli o no. Comunque, non è questo il guaio, dato che Hester non lo avrebbe mai preso in considerazione.- - Allora qual è il guaio? - - Lo conoscete. Pensate che tollererà che la sposi io? - - Se ne fosse innamorato, potrebbe commettere una sciocchezza. Però non riesco a immaginarlo soffrire per amore di lady Hester. Innanzitutto, non è abbastanza bella per i suoi gusti.- - È quello che pensavo anch'io. Ma è stato lui il primo ad averne l'idea, non io, e come avete detto voi stesso, lei sarà un ottima moglie.- - Non per lui. Le spezzerebbe il cuore entro un mese. Non riuscirebbe a esserle fedele neanche per mille sterline. Non pensate che sia arrivato il momento che smettiate di preoccuparvi per lui? È maggiorenne, sapete.- - Lo dice anche Hester. Ma temo che si tratti di una vecchia abitudine.- - Un'abitudine che dovete interrompere.- Un sorriso ironico gli curvò le labbra. - Lei ritiene che in realtà io gli abbia permesso di soddisfare i suoi capricci.- - Una donna di buonsenso, come vi ho detto.- - A quanto pare, sono in netta minoranza.- Adrian tirò un pesante sospiro. - Mi limitavo a cercare di aiutarlo.- - Non dubito che lady Hester lo sappia come lo so io.- - Ma abbandonarlo...- - Quante donne ha abbandonato lui? - - Troppe, lo so. Forse se gli passassi un mensile più...- - Non lo troverebbe mai sufficiente.- - Avete ragione - A un tratto Adrian prese una decisione. - Gli darò diecimila sterline e i suoi cavalli. Se un giorno resterà al verde, capirà che è solo a causa della vita troppo sregolata e dispendiosa che conduce.- - E quando lo capirà e verrà a supplicarvi di dargli altro denaro, voi che cosa farete? - - Francamente non lo so. Non posso lasciarlo morire sul lastrico, no? - - Bè, cerchiamo di non preoccuparci prima del tempo - dichiarò Mapleton alzandosi. - Auguriamoci che tutto vada per il meglio. E ora che ne direste di fare colazione? - Adrian gli sorrise. - Avevo una tale fretta di parlarvi, che sono uscito senza mangiare un boccone. Muoio di fame e a Drake farà bene riposare, ma poi dovrò affrettarmi a tornare a casa.- - D'accordo. Spero che vi piaccia la farinata d'avena.- - Avete per caso parlato con Jenkins? - domandò Adrian con aria sospettosa mentre si alzava a sua volta. - Io mangio sempre la farinata d'avena.- ribatté il chirurgo battendosi la mano sullo stomaco prominente. - È molto nutriente.- - Dato che mi avete restituito la tranquillità di spirito, vi consentiro' di darmi da mangiare tutto quello che vi pare.- Hester scese di corsa le scale non appena giudicò che la colazione fosse pronta. Pur non avendo chiuso occhio, si sentiva fresca e piena di vita perché Adrian Fitzwalter l'amava e lei sarebbe diventata sua moglie. Forse, si augurò, lo avrebbe trovato nella piccola sala da pranzo, impaziente di vederla quanto lo era lei di vedere lui. Forse avrebbero perfino avuto la possibilità di stare un po' da soli. Bè, non proprio soli, si rammarico', poiché i domestici sarebbero andati avanti e indietro dalla cucina. Un pensiero deludente, ma neanche lontanamente deludente e sconcertante quanto il realizzare che lord Elliott si trovava già i sala da pranzo e che del duca non c'era traccia. - Buongiorno, milord - lo salutò freddamente. Lord Elliott, che aveva l'aspetto di un uomo che non dormisse da parecchi giorni o avesse bevuto eccessivamente, le scoccò un'occhiata talmente penetrante da farla temere che sapesse che lei lo aveva visto insieme alla signorina Smith. - Buongiorno, mia cara - ribatté, avanzando e afferrandole la mano. Mentre se la portava alle labbra e vi depositava un bacio assai più lungo del necessario, le accarezzò il palmo con il pollice. - Evidentemente, stare in piedi fino alle ore piccole non nuoce alla vostra bellezza, lady Hester.- Perplessa e imbarazzata, lei ritirò la mano con uno strattone. - Siamo u po' bisbetici, non è vero? - osservò Elliott con un sorriso sarcastico. - È normale, dopo aver lavorato tanto.- - Sono solo stanca, milord - mentì Hester, dicendosi che le conveniva fingere che quella fosse una mattina come altre.

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Capitolo 38
*** TRENTOTTESIMO CAPITOLO ***


Avvicinandosi alla credenza, Hester si servì delle uova strapazzate, del pane tostato e delle aringhe...e non si accorse che lui girava la chiave nella serratura della porta che dava sul corridoio e se la ficcava in tasca. Poi si avvicinò a sua volta alla credenza, si versò una tazza di caffè e mentre lei sistemava il suo piatto sul tavolo allungò un braccio, chiuse a chiave la porta di servizio e intascò anche quella. - Avete già fatto colazione, milord? - gli domandò Hester, notando che era ancora in piedi. - No, sono affamato.- Posò la tazza e la fissò. - Terribilmente affamato.- A lei non piacque quella tutt'altro che velata insinuazione. - Mangiate allora, milord. - ribatté in tono glaciale. - Oh, ho tutte le intenzioni di farlo.- Girando attorno al tavolo, le si piazzò accanto. - Molto presto.- Hester girò la testa per alzare lo sguardo su di lui. - Le aringhe sono squisite.- - Non sono le aringhe quello che avevo in mente.- - Oh. - Lei riportò la sua attenzione sul piatto sforzandosi in tutti i modi di ignorare la sua presenza dietro di sé. Quando lui le poso' una mano sulla spalla sussultò violentemente. - Mi piacete, Hester - bisbiglio', chinandosi in modo che quelle parole suonassero intime al suo orecchio. Deglutendo a stento, lei mise giù la forchetta con dita tremanti. - Ne sono lusingata.- Sentì l'altra mano di lui calarle sull'altra spalla e all'improvviso avvertì le sue labbra sulla nuca. - Milord! - gridò, respingendo la sedia e balzando in piedi. - Che cosa state facendo? - - Sto baciando l'oggetto del mio desiderio - le sorrise Elliott. - Vi comportate in modo inqualificabile - dichiarò lei, sperando di non sembrare spaventata quanto si sentiva. - Io vi trovo piuttosto piacevole.- - Milord! Avete perso la testa.- - Non la perdo mai - affermò lui con la massima calma avanzando di un passo nella sua direzione. - Vostra madre sarà qui a momenti...- - Mia madre viene qui di rado e mai la mattina dopo un ballo. Dormirà almeno fino a mezzogiorno.- - Il duca...- - È andato al villaggio.- Hester boccheggiò a quella notizia inattesa. - Sorpresa? - Lei si affrettò a riacquistare la padronanza di sé. Poteva benissimo darsi che Elliott mentisse. - Perché dovrei essere sorpresa? - - Per nessuna ragione in particolare, suppongo. Potrei giurare che sia andato a trovare Sally Newcombe.- Hester ne aveva avuto abbastanza delle sue menzogne e della sua mancanza di rispetto. Si diresse risoluta alla porta, girò la maniglia. La porta non si aprì. - Si è inceppata.- - È chiusa a chiave - la informò Elliott alle sue spalle. A un tratto le artigliò un braccio, la fece girare e la premette contro di sé. - Non volevo essere disturbato.- - Lasciatemi andare! - Fissandolo in preda al panico, Hester scorse sul suo viso una smodata bramosia e un'altra cosa. Collera. Una collera cieca, furibonda, che l'atterri' di più. - Lasciatemi andare! - Ripeté ancora. - Che cosa vi prende? Come mai siamo così sdegnate, lady Hester? Un po' ipocrita da parte vostra, non trovate? - - E voi dovete essere un esperto di ipocrisia, non è vero, milord? - - Che fuoco! Che temperamento! E pensare che vi avevo giudicata una donna insulsa e fredda. Evidentemente mi sono sbagliato.- Le coprì la bocca con le labbra umide e calde, mozzandole il fiato e suscitandole un'invincibile ripugnanza. - Piantatela! - urlò quando lui infine si ritrasse. - Chiamerò i domestici.- Elliott sorrise e scosse il capo, allentando un tantino la stretta. - Non ve lo consiglio, mia cara. Non dopo quanto è successo stanotte.- - Che ...che cosa è successo stanotte? - - Vi ho vista sgattaiolare fuori della stanza di Adrian. Bella dama di compagnia che siete per mia madre, devo dire. Chissà in che modo reagirà quando la informerò delle vostre passeggiate notturne.- Hester lo fissò, incapace di emettere un suono. Inorridita al pensiero che l'avesse spiata. Penosamente consapevole di come avrebbe fatto apparire l'episodio della notte scorsa alla duchessa, che l'avrebbe riferito ai suoi genitori, ai suoi amici, perfino alle sue conoscenze più superficiale. Lui rafforzò la stretta. - Naturalmente non è necessario che si arrivi a tanto.- - No, infatti. Come non è necessario che io informi vostra madre del vostro incontro con la signorina Smith.- - Fate pure - ridacchiò lord Elliott. - Diteglielo. Mia madre sa bene chi è la signorina Smith. Crederà che sia stata lei ad adescarmi.- - Siete un mascalzone, milord.- - Si, penso di sì. Anche egoista, perché no? Posso permettermelo, dato che il mio caro fratello si prende tanto a cuore le sue responsabilità.- La sua espressione si indurì di colpo. - Voi però non vi trovate in una posizione altrettanto vantaggiosa.- - Che cosa volete? - - Solo quello che avete dato ad Adrian. Una notte di piacere. Forse due.- - Noi non...- - Oh, vi prego, lady Hester. Non c'è bisogno che vi atteggiate a timida verginella con me. Non vi servirà a nulla.- - Adrian e io abbiamo intenzione di sposarci.- Il suo cipiglio si intensificò e una strana espressione gli sfrecciò sul viso. - Ve l'ha detto lui, vero? Un vecchio trucco.- - Non si tratta di un trucco. È innamorato di me e io sono innamorata di lui.- - Mente. Non vi sposerà mai. Non se la sentirà di contaminare la vostra purezza con la sua reputazione di debosciato.- Hester si contorse e si dimenò disperatamente. Se tutta la casa doveva apprendere quanto era accaduto quella notte, pazienza. Qualunque cosa era preferibile all'essere imprigionata nell'abbraccio micidiale di quell'uomo. - So tutto di voi. So che Adrian non ha fatto nemmeno la metà delle cose che gli vengono attribuite. Si è sempre addossato la colpa dei 'vostri' misfatti. - lo accusò. - Guarda, guarda, guarda, è stato incredibilmente loquace. È chiaro, deve tenere a voi più di quanto io pensassi. Ero infatti sicuro che vi avesse presa unicamente per fare dispetto a me.- - Non mi ha presa! - - Tanto più sciocco da parte sua. Questo, tuttavia, dovrebbe significare che sarà ancora più deciso a tener segreta la vostra visita notturna, non vi pare? - Lord Elliott continuò a fissarla con occhi pieni di odio. - Se stasera non verrete da me, divulgherò sul suo conto le chiacchiere più abiette che mi verranno in mente e credetemi, mia cara, riesco a farmi venire in mente delle cose davvero disgustose. Ho diversi conoscenti che saranno fin troppo felici di confermare i pettegolezzi che metterò in circolazione, dietro un piccolo compenso, beninteso. E trattandosi del Cavaliere Nero, parecchie altre persone non si disturberanno a indagare sulla veridicità della fonte. A voi la scelta, Hester. O una notte con me per salvare quel che resta della reputazione di Adrian o lo distruggerò. - - Ne sareste capace dopo tutto quello che ha fatto per voi? - Lord Elliott avvicinò la faccia alla sua. - Voi, lady Hester, non siete la persona più indicata per criticarmi dopo essere sgusciata fuori dalla stanza di mio fratello come una sguardrina. Non vi chiedo che di prostituirvi ancora una volta, per il suo bene.- Anche se avvampò, Hester incontrò il suo sguardo senza batter ciglio. - Non sono una prostituta! - - Una distinzione puramente accademica. - Elliott la lasciò andare e lei si precipitò alla porta, scrollando la maniglia e tempestando di pugni il battente. - Lascerei perdere se fossi in voi, mia cara. La porta è spessa e Jenkins è sordo come una campana.- - Ma altri non lo sono. - Poiché le dolevano le mani, smise di battere e tornò ad affrontarlo. - So perché siete così pieno di rancore. Adrian si prende troppe libertà. Decide per gli altri, che loro lo desiderino o meno. È quello che gli ho detto stanotte, quando era pronto a sacrificarsi, a rinunciare alla sua felicità per il vostro bene. Non avrebbe mai rivelato i suoi sentimenti per me se io non gli avessi assicurato che non avrei mai potuto amarvi. È per questo che mi trovavo nella sua stanza, per scoprire una volta per tutte se tenesse a me.-

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Capitolo 39
*** TRENTANOVESIMO CAPITOLO ***


Lo sguardo di Elliott vacillò per la frazione di un istante. - Bè, è chiaro che sapete come pungolare l'orgoglio di un uomo. In ogni modo, me ne infischio se mi disprezzate. Sarete mia o sarà Adrian a pagarne le conseguenze.- - Vi avverto! Non azzardatevi ad avvicinarvi di nuovo a me! - - Non per il momento. Ma ricordate le mie parole. Mia madre sarà informata di quanto è successo fra voi e Adrian se stasera non verrete nella mia stanza dopo che tutti si saranno coricati. Allora dimostrerò ad entrambi fino a che punto si può rovinare una reputazione. - Riferirò al duca ciò mi avete proposto.- Senza scomporsi, lord Elliott si lasciò cadere su una sedia a braccia conserte. - Come preferite. Mi è del tutto indifferente. La decisione spetta a voi, mia cara. Una notte con me o distruggerò il Cavaliere Nero. - Hester lo squadrò come se fosse stato un insetto schifoso, poi aggrottò la fronte fingendo di riflettere. - Se stasera verrò da voi, rinuncerete alle vostre licenziose abitudini?- - Convincerete il vostro amante a lasciarmi in pace? - - Vi assumerete la responsabilità delle vostre azioni? Adrian sarà finalmente libero dai suoi doveri verso di voi? - - Se stasera verrete da me e sposerete Adrian e convincerete vostro marito ad aumentare il misero mensile che mi passa, cercherò di comportarmi come un bravo bambino.- - Elliott! Sei tu? - si udì la voce querula della duchessa al di là della porta. - Cos'è tutto questo chiasso? - - Niente di serio, mamma. Jenkins mi ha inavvertitamente chiuso qua dentro insieme a lady Hester.- Menti'. - Jenkins! - urlò la duchessa. - Jenkins! - - Oh, come posso credervi? - gemette Hester senza badare all'interruzione. - Perché ve lo dico io - ribatté lord Elliott a bassa voce, la faccia dura e fredda come il ghiaccio. - Malgrado ciò che potete pensare, non sono del tutto privo di senso dell'onore.- - Siete l'individuo più spregevole che abbia mai conosciuto. - Non ancora, mia cara, non ancora.- - Perché volete avermi, sapendo che vi disprezzerò dal principio alla fine? - Le labbra di lui si torsero in un ghigno sardonico. - Perché vi desidera Adrian e non posso negare che sia un uomo di enorme buongusto.- La porta si spalancò all'improvviso rivelando una seccatissima duchessa e un avvilitissimo Jenkins. - Non riesco a capire come io abbia fatto a chiuderla e poi perdere la chiave - borbottò il maggiordomo esaminando la serratura. - Vogliate scusarmi, vostra grazia - mormorò Hester passandole davanti. - Bè, ma è inaudito! - - Immagino che sia stanca - ribatté lord Elliott a mo' di spiegazione, mentre sorrideva fra sé, ormai certo che quella notte sarebbe stata sua. Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare quel poco che restava della reputazione di Adrian. Perché lo amava. Sollevando il cappello in segno di saluto, Adrian uscì dalla casa di Mapleton e si diresse verso il cavallo con tutte le intenzioni di tornare a casa e parlare con Hester il più presto possibile. Forse stava ancora dormendo, pensò con un sorriso. Si era coricata molto tardi quella notte. Il sorriso gli si cancellò dalle labbra. Dopo aver parlato con Hester avrebbe affrontato Elliott e gli avrebbe comunicato che da allora in poi avrebbe dovuto cavarsela da solo. A un tratto si fermò di botto poiché, mentre una carrozza lo oltrepassava, gli parve di riconoscere la passeggera seduta all'interno. Era impossibile. Che cosa avrebbe mai potuto farci Elizabeth Howell in quel villaggio dello Hampshire? Anche se avrebbe preferito di gran lunga tornare subito a casa, Adrian ebbe la netta sensazione che prima gli conveniva indagare sul misterioso arrivo di Elizabeth Howell. Si sarebbe dovuta trovare a Manchester con suo fratello. Si affrettò quindi a raggiungere il cortile della locanda in cui si era fermata la carrozza e attese che la donna che pensava fosse Elizabeth ne fosse scesa. Poi entrò nella sala comune e si guardò intorno con aria casuale, come se stesse meditando di bere qualcosa e non cercando qualcuno. Attorno a lui la gente tacque all'istante, poiché non accadeva spesso che il duca di Barroughby frequentasse il Bull and Calf. La maggior parte degli avventori erano agricoltori dei dintorni o viaggiatori di passaggio. L'occhio gli cadde infine su una donna sola, seduta in un angolo appartato come se tentasse di passare inosservata. Era Elizabeth. Che diavolo stava facendo lì? Era forse venuta per affrontare Elliott? Pur essendo un motivo comprensibile, non ne avrebbe ricavato che dispiaceri. Sarebbe stato assai meglio per lei ricominciare da capo e se Elliott doveva essere abbandonato a se stesso, anche per lei era preferibile lasciarsi il passato completamente alle spalle. Adrian le si avvicinò, notando vagamente che per una volta la sua reputazione gli venivano in aiuto. Nessuno infatti avrebbe trovato strano l'interesse del duca di Barroughby per una donna, soprattutto per una donna giovane e carina. O meglio, realizzò mentre prendeva posto sulla panca, per una giovane donna che un tempo era stata carina. Le sofferenze causate dal parto e dalla perdita del suo bambino apparivano ancora evidenti dal suo viso troppo pallido, dai cerchi scuri al di sotto degli occhi troppo lucidi e dal tremore della mano sporca che si tendeva per afferrare il boccale di birra che aveva davanti. E cosa assai peggiore, l'innaturale rossore che le imporporava le guance dimostrava chiaramente che non stava bene. - Salve, Elizabeth - mormorò, temendo che un tono di voce normale mandasse in pezzi il suo apparentemente precario equilibrio. Trasalendo, lei si ritrasse e lo fissò. - Sono io, il duca di Barroughby.- - Siete venuto per offrirmi un'altra volta il vostro aiuto? - Adrian si sforzò di comportarsi come se non ci fosse nulla di strano, benché tutto lo fosse, dal suo aspetto al fatto che viaggiasse sola, al febbricitante luccichio dei suoi occhi. - Si. - - Lui è con voi? - domandò Elizabeth, portando lo sguardo al di sopra della sua spalla e facendolo girare attorno alla stanza. Gli avventori che avevano osservato il duca di soppiatto tornarono immediatamente a dedicare la loro attenzione ai loro bicchieri e alle loro conversazioni. - È fuggito? - chiese la ragazza. - Chi? - - Elliott, naturalmente. È qui con voi? È riuscito a fuggire dalle segrete del maniero? - Adrian si accigliò. - Non capisco - bisbiglio', pur temendo di capire fin troppo. - Sua madre lo tiene prigioniero. Lo so. Sono venuta per liberarlo.- Poi, a un tratto, Elizabeth boccheggiò, le pupille dilatate dal terrore. - Non riuscirete a impedirmelo. Lo salverò! - Si sollevò dalla panca accingendosi ad alzarsi, ma lui le poso' una mano sul braccio. - Sono venuto per aiutarvi.- - Sul serio? - - Si, certo.- Non aveva mai visto nessuno che avesse bisogno di aiuto più di quella povera, patetica creatura. - Mi stupisce solo che siate qui. Non siete andata a Manchester, Elizabeth? Avevate il viaggio pagato.- - Non posso andarci, non mentre lui era in prigione. È per questo che non è venuto da me. Non può. Né sono sicura.- Il comportamento di Elliott aveva avuto gravissime conseguenze in passato, ma mai fino a quel punto. Adrian si frugò freneticamente nella mente in cerca di una soluzione. Non poteva lasciarla lì. - Mi ama - continuò lei come se recitasse una monotona cantilena. - Mi amerà sempre. E quando sarà libero, andremo a prendere il nostro bambino.- Mio Dio, era pazza! Aveva visto lui stesso il neonato privo di vita, aveva toccato le sue piccole dita inerti. - Oh, Elizabeth - mormorò, sporgendosi per accarezzarle la mano. - Elizabeth, lasciate che vi aiuti.- Lei si alzò, a un tratto rianimata. - Possiamo andare? Da Elliott? - - Si, ma non subito - ribatté, stringendole la mano. Il calore che si sprigionava dalla sua pelle gli fece capire che ardeva di febbre. Doveva portarla da qualcuno in grado di prendersi cura di lei. Non dal medico. Il dottor Woadly veniva chiamato troppo spesso dalla duchessa per mostrarsi imparziale.

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Capitolo 40
*** QUARANTESIMO CAPITOLO ***


Probabilmente il dottor Woadly avrebbe voluto chiudere quella povera ragazza in un manicomio. Lui era entrato una volta in uno di quei posti, quando alcuni suoi conoscenti gli avevano proposto una visita a Bedlam come un divertente passatempo pomeridiano. Era stato ubriaco fradicio, altrimenti non avrebbe mai acconsentito. E in seguito aveva desiderato di esserlo stato ancora di più, poiché da allora le scene raccapriccianti a cui aveva assistito gli si erano impresse nella memoria in modo indelebile. Non poteva permettere che a Elizabeth venisse inflitto un simile trattamento. L'avrebbe portata da John Mapleton. - Venite con me, Elizabeth.- Stringendo gli occhi, lei esitò e ritirò bruscamente la mano. - Devo andare subito da lui! Devo salvarlo! - gridò, richiamando l'attenzione degli altri avventori. - Elliott non è prigioniero, Elizabeth...sta cercando di convincere sua madre a conoscervi. Sono sicuro che vi ha spiegato che tipo di donna è.- Gli parve quasi di sentirlo calunniare la duchessa, calandosi nei panni del figlio incompreso di una madre castrante, tanto bisognoso dalla compassione e dell'amore di quella povera ragazza. Una tattica che aveva usato altre volte, come lui ben sapeva. Elizabeth annuì lentamente. - Alla mia matrigna basterà vedervi per volervi bene. Ma non vi piacerebbe essere più preparata a un incontro tanto importante? Vi condurrò in un'altra locanda, una che abbia delle stanze più adatte a una signora. Potrete lavarvi e cambiarvi d'abito. Acconciarvi i capelli. Poi andremo insieme a Barroughby Hall.- - Voglio vederlo subito! - - Vestita da viaggio, Elizabeth? - - Non ho portato altro con me.- - Ovviamente. Avrei dovuto immaginarlo. Pensavate a un salvataggio, non a un incontro con la duchessa. Vogliamo stupirla con la vostra avvenenza? Vi comprerò un abito nuovo oggi stesso. Immediatamente. Poi potrete indossarlo per recarvi a Barroughby Hall. Non sarebbe bello? - Vedendola titubare, Adrian incalzò. - Forse compreremo anche dei nastri da mettere nei capelli. Elliott ha parlato a sua madre dei vostri magnifici capelli.- Pur essendo una mostruosa bugia, parve sortire l'effetto desiderato. - E un paio di scarpe. E che ne direste di un mazzolino di fiori? Sembrereste una sposa.- Lei si avvolse una ciocca attorno alle dita sudice, richiamandogli alla mente in modo raggelante uno dei suoi gesti abituali e civettuoli di un tempo. - Si, vero? - - Certo. Prima però dovremo mangiare qualcosa, no? Muoio di fame e anche voi dovete avere appetito, dopo un viaggio così lungo. Pensare che avete fatto tanta strada tutta da sola. Elliott sarà così fiero di voi.- Elizabeth sorrise, una commovente, pietosa ragazza nei cui occhi febbrili si era accesa la speranza, e Adrian si disprezzò per averla ingannata. Ma doveva farlo. Doveva condurla da Mapleton. Con suo sommo sollievo, lei lo fissò con aria ansiosa. - D'accordo. Vogliamo andare allora, vostra grazia? - - Si, Elizabeth.- Adrian si alzò e si erse in tutta la sua persona, incutendo ai presenti un timore reverenziale e costringendoli a tacere. Poi le prese il braccio e la scortò fuori della taverna con la massima dignità, ignorando le occhiate curiose che li seguirono. Gli parve il minimo che potesse fare. La duchessa veleggiò nel salotto e prese posto sul sofà con aria insolitamente languida, senza nemmeno notare quanto apparisse tesa Hester mentre cuciva quella che sarebbe dovuta diventare una borsetta a rete, ma che i punti irregolari avrebbero reso inservibile. Si era punta l'indice quando la porta si era aperta e adesso, nel realizzare che non si trattava di Adrian, abbassò lo sguardo per vedere se il dito non stesse sanguinando. Dopo essere fuggita dalla sala da pranzo, si era azzardata a chiedere a Mabel di cercare di scoprire dove fosse il duca. La cameriera, grazie al cielo, non le aveva dato l'impressione di trovare strana la sua richiesta ed era tornata poco dopo con la sconcertante notizia che il duca si era recato al villaggio per vedere il chirurgo. Jenkins giurava che il fatto di aver ballato doveva avergli infiammato la ferita, cosa che non le era difficile credere, benché lui la notte scorsa non ne aveva fatto parola. Probabilmente, pensò frustrata e rassegnata allo stesso tempo, non aveva voluto impersierirla. Ma come mai non era ancora tornato? Era rimasta seduta in salotto, dal quale si godeva la vista migliore del viale di accesso, per quella che sembrava un'eternità, aspettandosi di vederlo apparire da un momento all'altro. Possibile che la ferita fosse tanto infiammata che il dottor Mapleton non gli avesse permesso di cavalcare fino a casa? E in tal caso, perché non aveva noleggiato una carrozza? - Il ballo è stato un gran successo, non è vero? - osservò la duchessa con un sorriso compiaciuto. - Tanta fatica, ma quanta soddisfazione. Ne erano tutti entusiasti.- Hester annuì, estrasse il fazzoletto per asciugare la goccia di sangue e rimase in silenzio. - Elliott è stato molto ammirato. Sempre così brillante. È un ballerino instancabile. Assomiglia tanto a me quando ero giovane.- Lei si scoprì a rallegrarsi di non aver conosciuto la duchessa in gioventù. - Tuttavia, questi ricevimenti vanno dati di rado. I domestici si innervosiscono. Guardate come Jenkins ha chiuso a chiave quella porta, stamattina.- - Si vostra grazia - mormorò Hester, desiderando di avere il coraggio di riferire l'inqualificabile comportamento del figlio. Non lo fece perché dubitava che la duchessa avrebbe creduto alle sue parole ed era meglio che quella spinosa questione venisse risolta senza la sua interferenza. O almeno le parve che fosse meglio, ancora una volta impaziente di parlare con Adrian dell'ultimatum di lord Elliott. Che cos'avrebbe fatto se quella sera lui non fosse rientrato? - Ah, bene! Ecco qua il nostro caro ragazzo! - asclamo' la duchessa all'ingresso del figlio. - Sei stato molto ammirato, ieri sera.- Elliott sorrise alla madre e Hester si sforzò di rimanere impassibile, ma sentì il suo sguardo librarsi su di sé come una minacciosa nuvola nera. - Non tutti mi ammirano, mamma - ribatté lui sedendole accanto. - Bè, se non lo fanno, sono dei sempliciotti - lo difese la duchessa a spada tratta. - Non credo che lady Hester sarebbe d'accordo con voi.- Senza lasciarle il tempo di aprir bocca, lei alzò gli occhi e sorrise alla duchessa. - Vostro figlio è molto attraente e balla benissimo.- - Hai visto, Elliott? Perfino lady Hester ti ammira.- - Oh, mamma. Immagino che questo resti da vedere. - Hester balzò in piedi. Non riusciva assolutamente a sopportare di stare nella stessa stanza con quell'uomo. - Se volete perdonami, vostra grazia, temo di non essere abituata a coricarmi così tardi. Vorrei salire a riposarmi nella mia stanza.- - Ma certo. - Acconsentì la nobildonna di buon grado. Elliott si alzò mentre lei riponeva il cucito. - Infatti. Non vogliamo che la cara lady Hester sia troppo stanca.- convenne lui con un sorriso malizioso. Quel sorriso e quelle parole le fecero capire che le conveniva stabilire una linea di condotta da adottare indipendentemente dal ritorno di Adrian. - Perché stiamo andando lì? - piagnucolò Elizabeth mentre Adrian la conduceva lungo il vialetto di accesso della casa di John Mapleton. I pazienti di solito usavano la porta accanto all'ambulatorio, ma c'era una targa di fianco al battente e lui non voleva che Elizabeth la vedesse. Inoltre, era assai probabile che gli avventori della taverna stessero già spettegolando sul duca e la donna sconosciuta, quindi tanto valeva servirsi dell'ingresso principale. - Mi avevate promesso di comprarmi un abito nuovo.- Elizabeth appariva in condizioni anche peggiori di prima, malgrado il pranzo che lui le aveva offerto e che lei aveva consumato con parecchie moine e sollecitazioni da parte sua. Pur sperando che Mapleton diagnosticasse che cibo e riposo non avrebbero tardato e rimetterla in salute, non poteva fare a meno di intuire che la morte l'aveva purtroppo segnata.

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Capitolo 41
*** QUARANTUNESIMO CAPITOLO ***


Adrian condusse Elizabeth davanti lo studio di Mapleton. - Lo farò, Elizabeth, vi comprerò un abito nuovo, ma ho pensato che prima saremmo dovuti passare da qui. È la casa di un carissimo amico di Elliott. Si sarebbe offeso se non vi avesse conosciuta subito. Potrete ripulirvi e rinfrescarvi prima che andiamo a fare acquisti. Non vi piacerebbe? - - Voglio andare da Elliott.- Elizabeth si arrestò di botto. - Mi è così vicino. Riesco a sentirlo. So che ha bisogno di me.- - Non desiderate farvi bella per lui? Potrete lavarvi, acconciare i capelli, e nel frattempo io andrò a noleggiare una carrozza che ci porterà in giro per i negozi e poi a Barroughby Hall.- Anche se non parve troppo persuasa, lei gli consentì di pilotarla alla porta. Quando venne ad aprire, Nancy gli scoccò un'occhiata perplessa. - Il dottor Mapleton è occupato con un paziente, vostra grazia - dichiarò, facendo scorrere uno sguardo carico di riprovazione sulle guance smunte, le gonne infangate e la cuffia di traverso di Elizabeth. Ecco un'altra persona che avrebbe avuto un succoso pettegolezzo da raccontare sul Cavaliere Nero, si sgomento' Adrian. Hester si rendeva conto della vera natura del pettegolezzo? Doveva augurarselo, altrimenti le chiacchiere di quel giorno avrebbero potuto costituire una dura lezione. - Che cos'è questa storia? - si agitò Elizabeth. - Non sono malata. - - Siamo venuti a trovare Mapleton come amico, non come medico - Menti' lui. - È un vecchio conoscente di Elliott e mio. - Tornò a rivolgersi a Nancy. - Avvertite il signor Mapleton che c'è il duca di Barroughby. La signorina e io lo aspetteremo nel suo studio.- Con un'ossequiosa riverenza, la cameriera si affrettò a dirigersi verso la porta posteriore della casa in cui si trovava l'ambulatorio. - Venite, Elizabeth - la sollecito' Adrian, guidandola nella stanza rivestita di pannelli di mogano. Si augurò che John non tardasse troppo. Era sempre più impaziente di tornare da Hester, ma non poteva abbandonare Elizabeth. Non come aveva fatto Elliott. Dopo alcuni minuti, che parvero ore, Mapleton entrò nello studio. - Non vi aspettavo di rivedervi così presto, vostra grazia - dichiarò, salutandolo con un breve cenno del capo e concentrando la sua attenzione su Elizabeth. Nancy, evidentemente, doveva avergli parlato di lei. - John, posso presentarvi la signorina Howell, una buona amica di Elliott? Ho pensato che avreste desiderato conoscerla.- - Oh, infatti, senza dubbio. Come state, signorina Howell? - Inchinandosi, il chirurgo le prese la mano e un'espressione preoccupata gli si dipinse sul viso. - Benissimo, grazie. Ma il duca si sbaglia. Non sono la signorina Howell. Sono lady Fitzwalter.- - Siete la moglie di Elliott? - domandò Adrian sforzandosi di nascondere il suo scetticismo. - Oh, si. Abbiamo dovuto tenerlo segreto perché sua madre non avrebbe approvato. Cambierà idea appena mi conoscerà, ne sono sicura.- Mapleton lanciò ad Adrian un'occhiata interrogativa a cui lui non poté rispondere che con una quasi impercettibile scrollata di spalle. Elizabeth non gliene aveva mai fatto parola prima di allora, ma era stata in pieno travaglio quando lui l'aveva rintracciata e quindi non in condizioni di ragguagliarlo sui particolari del suo rapporto con Elliott. Che non fosse legalmente sua moglie, non ne dubitava affatto. Tuttavia, Elliott non avrebbe esitato a inscenare una falsa cerimonia se quello fosse stato l'unico mezzo che gli avrebbe consentito di sedurre una riluttante, giovane donna. - È per questo che mi state offrendo ancora una volta il vostro aiuto, vero, vostra grazia? Perché sapete che le piacero'. Anche Elliott è ansioso di rivedermi. Me l'ha scritto.- - Vi ha scritto? - - Certo. Ho le sue lettere nella borsetta.- Un radioso sorriso le illuminò il viso. - Potete leggerle, se volete. E mostratele al vostro amico, perché è chiaro che non mi credete.- Mapleton arrossì con aria colpevole, mentre Adrian afferrava la borsetta di lei chiedendosi a quale nuovo gioco stesse giocando suo fratello. All'interno, trovò diversi fogli di carta. Alcuni erano fatture, altri pagherò per piccolo somme di denaro a nome di Elizabeth Howell, tutti firmati dall'elegante calligrafia di Elliott. - Vedete quanto mi ama? - - Lo vedo.- - La signorina gradirebbe riposare e bere qualcosa prima di proseguire per Barroughby Hall? - domandò Mapleton con un'altra occhiata significativa indirizzata ad Adrian. - Stavo per andare a comprarle un abito elegante. Comunque, accetteremmo volentieri un bicchiere di vino.- - Per brindare agli sposi - aggiunse il chirurgo. - Chiederò alla cameriera di portarlo.- Tirò il cordone del campanello per chiamare Nancy, indicando furtivamente ad Adrian di avvicinarsi a lui e allontanarsi da Elizabeth. - Accertatevi che beva quello che le manderò - mormorò in un soffio. - Devo visitare un altro paziente, ma tornerò non appena mi sarà possibile.- Quando se ne fu andato, Elizabeth cominciò a riporre tutti i fogli nella borsetta con una cura amorevole e agghiacciante al contempo. - Mi ama - bisbiglio' dopo aver ripiegato ogni pezzo di carta, tanto che Adrian credette che sarebbe impazzito anche lui. Nancy comparve mentre Elizabeth metteva via l'ultimo. Aveva in mano un vassoio su cui si trovava un bicchiere di quello che sembrava vino rosso. - Oh, mio Dio, ho dimenticato un bicchiere per voi, vostra grazia - esclamò con credibile costernazione. Poi gli strizzò l'occhio in modo talmente palese da fargli temere che Elizabeth se ne accorgesse. Per fortuna, lei stava ancora armeggiando con la borsetta. - Ecco, Elizabeth - disse Adrian porgendole il bicchiere. - Bevetene un sorso mentre la cameriera va a prendere il mio. Per tenervi in forze.- - Il brindisi...- - Brinderemo al ritorno del dottor Mapleton.- Apparentemente persuasa, lei si accostò il bicchiere alle labbra, poi lanciò un urlo atterrito e gettò il calice sul pavimento, frantumandone la parte superiore. - Ha un sapore orrendo! - gridò, balzando in piedi e asciugandosi la bocca. - Mi avete ingannata! - Raccolse lo stelo del calice e ne punto' l'estremità frastagliata in direzione di Adrian. - Non state aiutando me! State aiutando lei! - Nancy boccheggiò sulla soglia e il bicchiere che aveva in mano scivolò a terra. - Correte a chiamare John! - le ordinò Adrian. La cameriera scomparve nel medesimo istante in cui Elizabeth lanciava un altro urlo e si scagliava su di lui impugnando lo stelo spezzato come un pugnale. Adrian le afferrò il braccio. Il vetro acuminato gli passò rasente al collo. - Smettetela, Elizabeth! - le intimò mentre lei inciampava. Tornò ad afferrarle il braccio, ma Elizabeth si dimenò con violenza. - No! Vi ucciderò! Vi ucciderò! - gridò, battendo le palpebre e vacillando mentre si accovacciava come un felino pronto a balzare. Poi si gettò su di lui e ruzzolarono entrambi sul pavimento. Benché respirasse a fatica e avvertisse una fitta dolorosa alla gamba ferita, Adrian riuscì a imprigionarle il polso della mano che reggeva lo stelo spezzato. Lo strinse con tutte le forze finché lei non emise un grido e lasciò andare l'arma improvvisata. Subito dopo, con un sospiro, perse i sensi e sarebbe caduta, se lui non l'avesse già tenuta per il polso. Sollevandola fra le braccia, la depositò delicatamente sul divano. - Che cosa è successo, in nome del cielo? - domandò Mapleton irrompendo nella stanza. - Le avevo somministrato un sedativo.- - A quanto pare, ha impiegato un bel po' a fare effetto - Ribatté Adrian che aveva ormai riacquistato la calma. Si chinò a raccogliere il bicchiere rotto e boccheggiò per l'acuto dolore che avvertì all'inguine. Imprecò a denti stretti alla vista del tessuto strappato dei pantaloni e della macchia di sangue che si stava allargando sempre di più. - Mi ha ferito - mormorò, non riuscendo a credere di non essersene accorto. Si raddrizzò e barcollò, colto da un improvviso capogiro.

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Capitolo 42
*** QUARANTADUESIMO CAPITOLO ***


Mapleton si affrettò a sorreggere Adrian. - Sedetevi, milord. Nancy, và a prendere la mia borsa e poi spazza via tutti questi vetri.- Rapidamente, abilmente, esaminò la ferita attraverso lo strappo. - È poco profonda, grazie a Dio - borbottò. Estrasse il suo fazzoletto e lo premette sulla lacerazione. - Vicina all'altra però. Un paio di centimetri e il danno sarebbe stato molto più grande.- - Mi rallegro che non lo sia. Che cosa intendete farne di lei?- Adrian accennò in direzione di Elizabeth. - Tenete premuto il fazzoletto fino al ritorno di Nancy - gli ordinò il chirurgo prima di avvicinarsi al divano e studiare Elizabeth con aria assorta. - Non c'è dubbio che sia fuori di senno, ma non saprei dire con certezza se si tratta di un disturbo temporaneo o di una condizione duratura.- - Ma non è tutto, vero? - - Purtroppo no. Temo che sia tisica. In ogni modo, di qualunque cosa si tratti, è grave.- - C'è un posto in cui possa ricevere le cure necessarie? Le spese saranno a mio carico, naturalmente.- Mapleton lo fissò cupamente. - Avete idea di quali siano i suoi rapporti con Elliott? È possibile che siano sposati?- - Ne dubito.- - Poco fa ha detto che l'avevate già aiutata in passato.- Lui annuì.- Si sarebbe dovuta trasferire a Manchester, da suo fratello.- - Lontano da Elliott?- - Appunto.- Nancy entrò con la borsa e una bacinella di acqua calda. Dopo aver lanciato ad Adrian un'occhiata distratta e aver osservato Elizabeth con maggior compassione, lasciò la stanza. - La vostra domestica sembra del tutto insensibile al mio fascino - notò lui in tono asciutto. - Strano, non è vero? Toglietevi i pantaloni. Vi pulirò la ferita e la bendero'. Vi consiglio di passare la notte al villaggio.- - Impossibile.- Si era già trattenuto a Barroughby fin troppo. Doveva tornare da Hester. - Se montate a cavallo potreste avere un'emorragia. Avete già perduto una certa quantità di sangue a causa dell'altra ferita. Sarebbe pericoloso perderne ancora.- - E se andassi al passo? - - Vi converrebbe restare qui. Ho una stanza...- - Grazie, John, ma non è possibile. Comunque, vi sarei grato se ospitaste Elizabeth almeno finché non le avrò trovato un'altra sistemazione.- - Questa non è una casa di cura, milord - si accigliò il chirurgo. - Non sono attrezzato per trattare pazienti del genere.- - Non voglio che finisca in un manicomio. Scriverò ai suoi parenti a Manchester. Può darsi che sia scappata e che loro non sappiano dov'è andata.- - Mi sembra una buona idea, ma ci vorrà del tempo prima di ricevere una loro risposta.- - Non c'è un posto nei paraggi in cui potrebbe venire accolta per alcuni giorni? - domandò Adrian, cominciando a disperarsi. - Sentite che cosa farò, milord. Sembrava completamente esausta e con tutta probabilità quell'attacco l'ha privata delle poche forze che le restavano. Potrà rimanere qui finché la febbre non sarà scesa, purché non si dimostri aggressiva.- - Vi ringrazio, John. Nel frattempo cercherò qualcuno che l'accompagni a Manchester nella mia carrozza. Una volta arrivata a destinazione, pagherò per tutte le cure che saranno necessarie.- - Conosco un medico che esercita a Manchester, un brav'uomo di cui potrete fidarvi, sia per quanto riguarda la diagnosi sia per il costo della terapia. Vi scriverò il suo indirizzo.- - Bene. Ora non resta che trovare una persona disposta a viaggiare con lei.- - Potrei chiederlo a Nancy e a suo marito, sempre che siano d'accordo. Lei è un'ottima infermiera e lui risulterebbe molto utile per aiutare la signorina Howell a salire a scendere dalla carrozza.- Il chirurgo rifletté un istante. - Immagino che potremmo tenerla sotto sedativi per la maggior parte del viaggio.- - In tal caso lascerò Elizabeth alle vostre cure.- Adrian gli prese la mano. - Vi sono immensamente grato.- - Non pensateci neanche, milord. Ora che ci siamo occupati della signorina Howell, toglietevi i pantaloni.- Lui obbedì cercando di continuare a premere il più possibile il fazzoletto insanguinato. - C'è un modo in cui potreste sdebitarvi - dichiarò Mapleton, immergendo un panno nell'acqua calda. - Dite pure. Tutto quello che desiderate - acconsentì Adrian, trattenendo il fiato mentre il chirurgo gli lavava la ferita. Mapleton esitò, scoccandogli un'occhiata severa. - Non permettete a Elliott di cavarsela a buon mercato, questa volta. E non guardatemi in quel modo. Sappiamo tutti e due che è lui il responsabile delle condizioni di questa povera ragazza.- Lasciando ricadere il panno sporco nella bacinella, afferrò una benda e cominciò ad avvolgerla attorno alla ferita. - Pensavo che per lui sarebbe molto meglio non avere alcun legame con il passato, quando lo manderò per la sua strada.- - Non sono completamente d'accordo, milord, ma voi lo conoscete meglio di me.- - Allora lasciate che mi occupi di Elizabeth, mentre costringo Elliott a cavarsela da solo. Sarà infinitamente preferibile per lei non avere più nulla a che fare con lui.- - Come desiderate - si rassegnò Mapleton annodando la benda. - A quanto pare mi resteranno due cicatrici. Peccato che non mi abbia colpito l'altra gamba. Avrei avuto due cicatrici gemelle.- - È stata una giornata davvero straordinaria. Bene, vi presterò un paio di calzoni. Non è il caso che la gente azzardi inutili congetture.- Adrian sorrise fra sé dicendosi che sarebbe stato un bello spettacolo nei pantaloni troppo corti e troppo larghi dell'amico. - Con ogni probabilità, circolano già un sacco di chiacchiere. Adesso, se avete finito, accetterò in prestito i vostri calzoni e vi lascerò ai vostri pazienti.- - Ho finito. Ma andate piano, mi raccomando. Non ho la benché minima voglia di venire chiamato a Barroughby Hall in piena notte né desidero che mi macchiate i pantaloni. A differenza di certa gente, non ne possiedo che due paia.- - Andrò a un dignitosissimo passo - lo rassicurò Adrian, anche se avrebbe preferito galoppare a briglia sciolta e al diavolo le conseguenze. Cavalcando adagio non sarebbe arrivato a casa prima di mezzanotte. - Grazie ancora per avermi aiutato con Elizabeth.- - Speriamo che tutto si risolva nel migliore dei modi.- - Dato che sposerò Hester, ne sono assolutamente sicuro.- Hester posò la mano sulla maniglia della porta di Elliott. Avrebbe preferito affrontarlo al fianco di Adrian, ma Adrian non era ancora rientrato, sebbene fosse quasi mezzanotte. Di conseguenza non restava che vedersela da sola e dargli a sua volta un ultimatum, un ultimatum che gli avrebbe impedito di continuare a infastidirli. L'unica arma in possesso di Elliott era la minaccia di uno scandalo, che aveva usato per anni per manipolare il fratellastro. Il duca era un uomo orgoglioso, schiacciato dal peso di una promessa fatta al padre morente. Lei non aveva fardelli di sorta e se Elliott si illudeva di servirsi della stessa arma per costringerla a disonorarsi quando era più che disposta ad accettare la presunta reputazione di Adrian come prezzo necessario da pagare per diventare sua moglie, stava per scoprire fino a che punto si sbagliasse. Con aria risoluta aprì la porta e scivolò all'interno. Una sola candela posta su un tavolo rischiarava la stanza sfarzosamente arredata. Hester non la degnò quasi di uno sguardo, tutta la sua attenzione concentrata sull'uomo in piedi di fronte alla finestra, che si girò lentamente e la guardò con una strana, inaspettata espressione. Aveva immaginato che apparisse trionfante, se non altro in un primo momento. Invece sembrava stupito e perfino deluso. Perché era andata dal lui? Ma non durò che la frazione di un istante. Subito dopo Elliott le sorrise e si piegò in un inchino beffardo. - Diamine, quale onore, lady Hester.- - Non per me - bisbiglio' lei varcando la soglia e chiudendo la porta. - Suvvia, dovreste sentirvi lusingata. Non vi capita certo tutti i giorni che un uomo come me vi desideri.- - Non considero un complimento il fatto che un uomo come 'voi' mi desideri.- Lui strinse gli occhi. - Non è necessario che restiate se vi ispiro tanta ripugnanza.-

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Capitolo 43
*** QUARANTATREESIMO CAPITOLO ***


Ma Hester era molto determinata. - Avete detto che in caso contrario distruggereste vostro fratello.- Per tutta risposta, Elliott assentì con un lento cenno mentre le si avvicinava. Incrociando le braccia, Hester lo fissò senza batter ciglio. - Ditemi una cosa, milord. Credete davvero che perché sono una ragazza insignificante sia anche stupida e priva di amicizie?- - Non sono né la vostra intelligenza né le vostre conoscenze che mi interessano.- - Né a me le vostre. In ogni modo, ho pensato che questa potesse essere l'occasione migliore che mi si potesse presentare per parlarvi a quattr'occhi e darvi un ultimatum , milord.- Lui si arrestò di botto. - Voi? - la scherni'. - Voi vorreste dare un ultimatum a me?- - Appunto.- - Dovrebbe essere interessante.- Hester alzò il mento in un gesto di sfida. - Non siete il solo in grado di rovinare una reputazione con qualche chiacchiera ben congegnata, milord. Anch'io possiedo dagli amici, persone influenti che si muovono nelle più alte sfere. - Notando che lui si accingeva a protestare, alzò la mano per imporgli di tacere. - Per esempio, la moglie di lord Paris Mullholland è una carissima amica. Li conoscete, per caso? - Lo vide accigliarsi, poiché lord Paris Mullholland era molto conosciuto a Londra. Poi Elliott curvò le labbra in un sorriso ironico. - In effetti, era piuttosto popolare prima che sposasse quella piccola nullità.- - Può darsi che non abbia più l'influenza di un tempo, ma esistono molte persone che non esiteranno a prestargli ascolto. Conosco anche molto bene la famiglia del Cancelliere dello Scacchiere, i Radcliffe-Belling della Compagnia delle Indie Orientali e una delle più vecchie amiche di mia madre è dama di corte della regina Vittoria. E ovviamente mia sorella Helena ha diverse amiche che adorano spettegolare. Quindi come vedete, milord, non siete l'unico a poter suscitare un vespaio di pettegolezzi. Finora non avevo mai deciso di esercitare la mia influenza. Ma lo farò se sarà necessario e temo di non possedere la pazienza di vostro fratello. Comincerò a scrivere delle lettere nel medesimo istante in cui uscirò da questa stanza. Se sarà necessario.- - Brutta stupida...- - No, non sono stupida.- - Io ho degli amici, come li ha mia madre, se è una battaglia verbale quello che volete.- - Che tipo di amici avete, milord? Persone la cui opinione viene tenuta in gran conto? Ne dubito. Quanto a vostra madre, in questi ultimi dieci anni è rimasta alquanto ai margini della società, come dovete rendervi conto. Qualunque influenza possa aver esercitato è notevolmente diminuita.- Lo guardò dritto negli occhi. - E com'è conosciuta? Come una madre che stravede per suo figlio e lo vizia in modo indecente. L'ho sentita descrive così più di una volta, da mia madre e da altri.- Hester si erse in tutta la persona e sorrise. - Io viceversa come sono conosciuta? Come una mite, riservata, onesta giovane donna. Come vostra madre ha avuto la gentilezza di precisare, sono piuttosto brutta, milord, perciò nessuno crederebbe mai che possa avere dei motivi personali per screditarvi.- - Lo crederebbero senz'altro se raccontassi che siete entrata nella mia stanza di notte con l'intenzione di...- - Di che cosa, milord? Di sedurre lord Elliott Fitzwalter? La timida, schiva, modesta Hester Pimblett che cerca di sedurre l'audace, affascinante lord Elliott Fitzwalter? La sola idea verrebbe considerata assolutamente ridicola. Oppure direste che siete voi a sedurre me? Non vi farebbe certo onore.- - Dovete volere molto bene ad Adrian se siete disposta a rischiare la vostra parola contro la mia.- - Lo amo.- Balzando in avanti, lui l'afferrò per un braccio. Forse non posso rovinare lui, ma posso rovinare voi.- - Non lo farete.- - Oh, certo che lo farò. Vi privero' della vostra virtù. Vi renderò indegna di diventare la moglie di chiunque.- - Che cosa ne ricaverete?- - Un'enorme soddisfazione, anche se non è necessario che lo sappiano gli altri. Lo saprete voi e lo saprò io, e grazie alla vostra preziosa onestà, non essendo più vergine vi rifiuterete di prendere marito.- A un tratto l'attiro' bruscamente contro di sé. - Distruggerò la vita di Adrian come lui ha rovinato la mia.- - No. Non siete malvagio fino a questo punto.- Elliott allentò la stretta e un lampo di improvvisa comprensione gli sfrecciò sul viso. - Capisco perché Adrian si è innamorato di voi. Tanta indulgenza, tanta fiducia...una mistura inebriante.- Poi tornò ad artigliarle il braccio affondandole le dita nella carne. - Ma dato che non posso avere il vostro amore, prenderò quello che posso, se la mia sola soddisfazione dovrà essere quella di restituirgli una parte delle sofferenze che mi ha procurato.- - Dopo tutto quello che ha fatto per voi...- - Dopo tutti i sensi di colpa che mi ha fatto provare quando non mi sono comportato che come si comportavano i miei amici? Ditemi, Hester, sapete che cosa significa avere un martire per fratello? Aspettare che lui si precipiti a salvarvi, che voi lo desideriate o no? Vedergli in faccia quella sua aria di superiorità? Desiderare di cancellarla per l'eternità, di fare qualcosa di talmente spaventoso da indurlo a perdere per una volta quel suo stramaledetto autocontrollo, a reagire come un essere umano e non come un santo? Bè, può darsi che questa volta finalmente ci riesca.- - Lasciala andare, altrimenti ti ucciderò! - Quelle parole echeggiarono nella notte. Elliott e Hester si voltarono simultaneamente per vedere Adrian sulla soglia, i pugni stretti e la faccia alterata dal furore. Elliott la spinse via con una tale violenza da farla cadere sul pavimento. - Mi hai sentito, Adrian, dannato arrogante, saccente moralista?- lo investì guardandolo con occhio torvo. - Sono stufo marcio delle tue interferenze nella mia vita! - Ignorandolo, Adrian corse ad aiutare Hester a rialzarsi. - State bene? - - Si - bisbiglio' lei, aggrappandosi con forza alla sua mano come ad un'ancora di salvataggio. - Oh, si, sta benissimo. Sta bene ed è felice. Ti ama. Voi due potrete sposarvi e mettere al mondo uno stuolo di marmocchi ipocriti e bigotti.- - Chiudi il becco, Elliott. Sceglierai tutta la casa.- - Che me ne importa? Che vengano. Così potrai sputare il tuo veleno, metterli contro di me, come hai fatto con lei.- - Mettermi contro di voi? L'avete fatto da solo. - trasecolò Hester. - Avevo intenzione di chiedervi di diventare mia moglie.- - Avrei rifiutato, nettamente, categoricamente, che fossi o meno innamorata di vostro fratello. Non avrei mai potuto volervi bene, lord Elliott.- Per la frazione di un istante, mentre il dolore gli sfrecciava nello sguardo, lui parve incredibilmente simile al fratellastro. Ma non fu che un attimo, poi quell'espressione lasciò il posto a una di odio. - Per il tuo bene, sono contento che tu non le abbia fatto del male. - dichiarò Adrian con deliberata lentezza. - Come avresti reagito in tal caso? Mi avresti messo in castigo nell'angolo? Mi avresti trattato come un bambino, come mi hai sempre trattato? - - Come meriti! - - Dovreste essergli grato per il fatto che si sia addossato le colpe dei vostri peccati - lo rimproverò severamente Hester massaggiando le braccia indolenzite. - Grato? Voi mi siete grata per la proposta che vi ho fatto? - Lei si volse verso Adrian, guardando con amore e consapevole allo stesso tempo che nemmeno lui era del tutto senza colpa. - C'è l'ha con voi perché siete stato troppo protettivo.- - Ti è mai venuto in mente che avrei potuto non gradire che mi stessi sempre addosso come una bambinaia? - gridò Elliott. - Se ti fossi comportato da uomo, ti avrei trattato da uomo.- - Ma sentitelo! L'uomo che ha trascorso tante e tante ore a spassarsela nei bordelli, nelle taverne e nelle bische clandestine. Che per poco non ha ammazzato il suo miglior amico durante una rissa di ubriachi. Dove sei stato tutto il giorno, sant'Adrian? Da Sally Newcombe? Da quel modello di virtù? -

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Capitolo 44
*** QUARANTAQUATTRESIMO CAPITOLO ***


Adrian guardò il fratellastro in cagnesco. - Sono stato a trovare Mapleton e ho incontrato una...una nostra comune amica. Non ho mai preteso di essere perfetto. Sono più che consapevole dei miei peccati.- - Bè, chi avrebbe mai immaginato che un giorno ti avrei sentito ammetterlo? - lo derise Elliott. - Ciononostante, si è assunto la responsabilità di molti dei vostri - gli fece notare Hester. - Gliel'avevo forse chiesto io? Te l'avevo mai chiesto?- - No, ma avevo promesso a nostro padre...- - Te l'ho chiesto io? - - È questo che avresti preferito? Addossarti la responsabilità dei tuoi numerosi misfatti? Hai il coraggio di criticarmi per averti protetto? - - Si, ammesso che quello che hai fatto possa sempre essere definito protezione.- - Di che diavolo stai parlando? - domandò Adrian in tono glaciale. - Quella puttanella, Daphne...sei convinto che l'abbia maltrattata senza una buona ragione, non è vero? Solo perché sono un bruto e un vizioso. Bè, non è vero e lei era tutt'altro che innocente. Stava rovistando nelle mie tasche e quando me ne sono accorto, si è messa a urlare, a piangere, ad accusarmi di averla aggredita.- La voce gli si alzò di tono. - Ti è mai passato per la testa di chiedere a me che cosa fosse successo? No. Ti sei limitato a prestare ascolto a quella sguardrina. Mi avresti creduto se me lo avessi chiesto? Neanche per sogno. Avresti accettato la parola di una prostituta contro la mia.- Adrian prese un'aria allibita. - Ma avevi sempre...- - Non mi hai mai dato la possibilità di spiegarmi, Adrian, che sono capace di cambiare se lo voglio...e se tu me lo permetterai.- Mentre i due uomini, così simili in molti sensi e così diversi in tanti altri, si fissavano a vicenda, Hester azzardò: - Lo desiderate veramente, Elliott? - - Naturale che lo desidero. Ma non posso farlo da solo. Se avessi una moglie al mio fianco...- - Non Hester - lo interruppe Adrian. - Vi prego, Hester - la supplicò Elliott. - Mi...mi sono comportato male, specialmente oggi. È che sono talmente poco abituato a comportarmi correttamente, a fare le cose nel modo giusto. Vi ho vista uscire dalla stanza di Adrian e da allora sono stato pazzo di gelosia. Dovete credermi.- Si lasciò cadere in ginocchio e giunse le mani. - Voglio che diventiate mia moglie e mi aiutiate a ravvedermi.- Lei riusciva a stento a credere a quanto stava accadendo, mentre faceva passare lo sguardo dal supplichevole lord Elliott al duca che aveva chinato il capo e fissava assorto il pavimento. Quando era una ragazzina aveva spesso fantasticato di avere due corteggiatori e che entrambi chiedessero la sua mano. Un sogno tanto meraviglioso quanto irrealizzabile, aveva pensato. Quello però non era un sogno meraviglioso. Era un incubo. Perché sapeva di avere in mano la chiave della salvezza dell'uno e della felicità dell'altro. Lei, la scialba, insignificante Hester Pimblett! - Sai bene che ho ragione, Adrian - proseguì Elliott. - Ti chiedo quest'ultima cosa e non ti darà più alcun fastidio. Lasciala a me.- Il duca rialzò la testa. - No. Puoi avere del denaro e dei cavalli, ma non ti lascerò sposare la donna che amo. Non potrei mai rinunciare a lei. Ne ho troppo bisogno, l'amo troppo profondamente. È l'unico sacrificio che non posso fare né per salvare la tua vita o l'onore della mia famiglia, e neppure per mantenere la promessa che ho fatto a nostro padre.- Mentre Elliott si alzava in piedi, Hester osservò sia l'uno che l'altro al colmo dell'incredulità. - Avete dimenticato che spetta a me decidere chi sposare o non sposare? Siete gli uomini più egoisti che abbia mai avuto la sfortuna di conoscere. Forse non dovrei sposarmi affatto.- Adrian la fissò stupefatto. Elliott avvampò e un sincero disappunto gli si dipinse sul viso. Poi con un pesante sospiro, Adrian distolse lo sguardo. - Immagino che abbiate ragione, Hester- ammise a bassa voce. - Forse sarete più felice senza di me, per quanto vi desideri. O per quanto abbia bisogno di voi. O per quanto vi ami...- La voce gli si spense in un sospiro disperato. - Oh, Adrian! - sussurrò lei, girandogli attorno e afferrandogli le spalle per costringerlo a guardarla. - Sarei una sciocca a lasciarvi. Voi potete anche essere tanto nobile da sacrificarvi per amore, ma io non lo sono. Vi amo e ho bisogno di voi quanto voi avete bisogno di me.- La speranza gli affiorò nello sguardo, l'ombra di un sorriso gli aleggiò sulle labbra. - State piangendo - bisbiglio'. - E nemmeno io per un granello di fuliggine - ribatté Hester, tirando su col naso e sorridendo, mentre gli allacciava le braccia attorno al collo. - Piango perché sono felice.- - Bè, non è una scenetta deliziosa? - interloquì Elliott in tono beffardo, la collera che gli ardeva negli occhi azzurri. - Cala il sipario, applauso, fine dello spettacolo.- Mentre Hester e Adrian si scostavano l'uno all'altro, la duchessa si precipitò nella stanza, la vestaglia di sghimbescio, i capelli avvolti nei bigodini di carta. - Che cosa succede qua dentro? Siete diventati tutti matti? Hester, che cosa state facendo nella stanza da letto di mio figlio? Esigo una spiegazione.- - È stato lui a invitarmi - ribatté lei senza scomporsi. La duchessa portò lo sguardo sul foglio, che le rivolse un sorriso accattivante, ogni traccia di collera apparentemente dissolta, come neve al sole. - Non immaginavo che sarebbe venuta davvero, mamma. - Dichiarò allargando le mani in un gesto sconsolato. - Mi sono limitato a canzonarla, ma lei evidentemente mi ha preso sul serio. Questa povera ragazza è convinta che io sia innamorato di lei. Ed era estremamente ansiosa di scoprire in che modo le avrei dimostrato il mio amore, devo aggiungere. Confesso che sono rimasto scioccato quanto voi nel trovarla qui.- Hester avanzò di un passo, pronta a ribattere, ma Adrian la trattenne. - Ti consiglio di state attento a quello che insinui, Elliott.- Lo ammonì in toni soave. - Ma è assurdo! - esclamò la duchessa con il suo solito tatto. - Non ho mai sentito una simile sciocchezza in vita mia. Hester Pimblett e te? - - Preferireste forse che accettassi la proposta di matrimonio del vostro figliastro? - domandò Hester. Sbuffando, la duchessa si rivolse a Elliott. - Questa ragazza è pazza. - - No, non lo è - dichiarò Adrian. - Ma ne conosco un'altra che potrebbe benissimo esserlo. Comunque, Elliott la conosce meglio di me. Ricordi che ho accennato di aver incontrato una nostra comune amica a Barroughby, quest'oggi? Si chiama Elizabeth Howell.- - Io non ne ho mai sentito parlare - lo rimbecco' la sua matrigna. - Non ho mai detto che lo aveste fatto voi.- Elliott fece sfrecciare lo sguardo dalla madre al fratello come un topo in trappola. - Non ho la più pallida idea di chi sia la persona a cui ti riferisci.- - Permettimi di rinfrescarti la memoria. Mi hai visto ballare con lei nella Pump Room a Bath, quando aveva appena debuttato in società. Una ragazza graziosa, esangue, che allora giudicasti degna di essere corteggiata, così come avevi corteggiato e sedotto tante altre. Che cosa trovavi attraente, Elliott? I suoi lineamenti delicati o il fatto che io avessi ballato con lei? - - Sei tu quello che è uscito di senno.- - No, affatto. L'hai sedotta e quando hai scoperto che era incinta, l'hai abbandonata. Ha dato alla luce tuo figlio alcune settimane fa.- - Quindi quella lì sostiene che il bambino è mio? Il padre potrebbe essere chiunque.- - La trovai in una misera stanzetta nel retro di un magazzino nei bassifondi, mezza morta di fame e divorata dalla febbre. - Ragion di più per credere che fosse matta da legare quando l'hai trovata. Non intendo assolutamente lasciarmi incastrare da una pazza.

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Capitolo 45
*** QUARANTACINQUESIMO CAPITOLO ***


Adrian lo fissò con un misto di rimprovero e di pietà. - Non sei curioso di avere notizie di tuo figlio, Elliott? - Per una frazione di un istante un'espressione interrogativa gli apparve su viso, poi scomparve. Guardò la madre e si accigliò. - Sta mentendo, ve l'ho detto.- - Ti assomigliava molto, Elliott.- - Assomigliava? - chiese la duchessa. - È morto.- - Elliott! È possibile che ciò che sostiene Adrian sia la verità? - - Sapete bene che sta solo cercando di screditarmi. Mi ha sempre detestato. È sempre stato geloso di me.- Annuendo, sua madre portò sul figliastro uno sguardo carico di disprezzo. - Non intendo ascoltare oltre le vostre menzogne.- - Non ti interessa apprendere come mai sono a conoscenza delle attuali condizioni di Elizabeth, o hai intenzione di cancellarti dalla memoria la povera creatura che hai abbandonato? - domandò lui ignorando la matrigna. Elliott si raddrizzò.- Non sono tenuto ad ascoltare queste assurdità.- - Stasera ascolterete tutti e due quanto ho da dire, altrimenti non vedrete più un centesimo.- - Questo è un vile ricatto.- Ribatté Elliott. - Una pratica a cui mi risulta tu non sia totalmente estraneo - gli fece notare Adrian, accennando in direzione di Hester. - Elizabeth Howell si trova a Barroughby, in questo momento. È venuta qui, persuasa che tua madre ti tenesse prigioniero. Quella poveretta voleva liberarti.- - Venite, mamma. Andiamocene immediatamente da questa casa.- - Se adesso ve ne andate, non vi darò più un soldo.- - Può farlo, sai, Elliott - gemette la duchessa. - Può buttarci fuori e tagliarci i viveri.- - Mamma, o venite via subito con me o me ne andrò senza di voi e non mi rivedrete mai più.- La duchessa tese le mani in un gesto remissivo, trasformata all'improvviso in una vecchia patetica. - Non chiedermi una cosa simile, Elliott. Non gli crederò, ma non posso vivere in miseria.- - Preferite il suo denaro a me? - - Elliott! - - Benissimo - ringhiò lui, gli occhi che sprizzavano fuoco e fiamme. - Non ho bisogno di voi. Non ho bisogno...- punto' il dito in direzione di Hester. - ...di lei. E non ho bisogno...- conficcò l'indice nel petto di Adrian. - ... né di te né del tuo denaro. Non so che farmene del tuo aiuto, delle tue accuse né delle tue maledette interferenze. Lascio questa casa e mi auguro con tutto il cuore di non rivedere mai più nessuno di voi - Concluse, precipitandosi fuori della stanza e sbattendosi la porta alle spalle. - Elliott! - urlò la duchessa, avanzando di un passo e poi cadendo in ginocchio. - Seguitelo, Adrian. Vi prego! - Lui scosse la testa, la bocca serrata in una linea dura, i pugni stretti lungo i fianchi, malgrado l'espressione compassionevole dei suoi occhi. - Non questa volta, vostra grazia. Non questa volta.- Hester si avvicinò alla nobildonna singhiozzante. Inginocchiandosi, la prese fra le braccia e alzò lo sguardo su Adrian. - È sempre vostro fratello.- sussurrò. Un pesante sospiro gli sfuggì dalle labbra. - Poiché me lo chiedete voi, Hester, cercherò di trattenerlo.- Non fu che quando Adrian fu uscito zoppicando dalla stanza che Hester realizzò che c'era qualcosa di strano nei suoi pantaloni e una macchia di sangue sul pavimento. Hester era appena riuscita a trascinare la duchessa in lacrime fino a una poltrona, quando udì dei passi pesanti lungo le scale. - Elliott! - gridò la nobildonna speranzosa. Quando la porta si spalancò, lei non seppe che cosa sperare. Si raddrizzò alla vista di un agitatissimo Jenkins in camicia da notte e papalina in piedi sulla soglia. - Si tratta del duca, lady Hester. È uscito per montare il suo cavallo ed è stramazzato a terra svenuto.- - Dov'è adesso? - domandò Hester, tentando di liberarsi dalla stretta della duchessa. - Lo abbiamo disteso sul sofà dello studio. Ho mandato un valletto a chiamare il dottor Mapleton.- - Bene.- approvò lei, riuscendo finalmente a districarsi dalle dita adunche della nobildonna. - Dite a Maria di venire qui e prendersi cura della duchessa. Io scenderò subito nello studio.- Con un cenno del capo il maggiordomo si ritirò. - Non lasciatemi, Hester! - gemette la duchessa mentre lei correva alla porta. Hester si volse a guardarla con sincero compatimento. - Devo andare dal duca. Manderò un valletto in scuderia per vedere se vostro figlio è ancora lì. In caso contrario, lo stalliere potrà prendere un cavallo e recarsi al villaggio. Elliott non può aver fatto tanta strada.- - Si, si, avete ragione - si rianimò la duchessa. - Quanto alla faccenda del bambino illegittimo, è impossibile che sia vera.- - Se il duca afferma che lo è, ritengo che dovremmo credergli. Ci sono altre cose, vostra grazia, altre ... attività...di vostro figlio che il duca vi ha tenuto nascoste per molto tempo, in nome di una promessa che aveva fatto a suo padre sul letto di morte.- - Mio figlio non ha segreti per me.- si inalberò la duchessa, ma appariva chiaro che il dubbio si era insinuato in lei. - È un ragazzo vivace, un po' sventato, che forse ha subito l'influenza di amici scapestrati. Si - aggiunse raddrizzandosi, di nuovo in possesso della sua indomabile forza di volontà e della fiducia cieca che riponeva nel figlio. - Può darsi che abbia commesso qualche errore. È normale in un giovane così esuberante. E Immagino che le donne...- - Elizabeth Howell merita certo il vostro aiuto e la vostra pietà - bisbiglio' Hester, rendendosi conto che per quanto si sforzasse, la duchessa non riusciva a ignorare completamente quell'ultima malefatta del suo adorato rampollo. In vestaglia e camicia da notte, sconcertate e confuse, sia Mabel sia Maria si precipitarono nella stanza e si arrestarono perplesse. - Jenkins ha detto che una di noi doveva venire qui immediatamente, ma non sapeva bene quale delle due.- Spiegò Mabel. - Maria, accompagnate la duchessa nella sua stanza e restate con lei - le ordinò Hester. - Io vado nello studio.- Un nervosissimo Jenkins l'attendeva ai piedi delle scale. - È tornato in sé, milady - dichiarò. - Dice che si tratta della gamba. Sembra che sia stato ferito ancora una volta al villaggio. Ha perso parecchio sangue. Niente di grave, secondo lui. - Con un sospiro di sollievo Hester percorse il corridoio a tutta la velocità consentita dall'artrite del maggiordomo. - Speriamo che il chirurgo non tardi troppo.- - Uno schioppo? Oh, no, milady, non è stato colpito da uno schioppo, ma da un pezzo di vetro.- - Come dite? Un pezzo di vetro? - gli fece eco lei mettendosi a correre. - Fate portare immediatamente dell'acqua e delle bende - Gli gridò di sopra la spalla. Entrando nella stanza, vide Adrian decisamente terreo disteso con la gamba alzata e le palpebre abbassate. - Signore! - - Vi rivolgete a me o al Padreterno? - domandò il duca aprendo gli occhi e sorridendo. Lei gli si inginocchiò accanto e gli prese teneramente la mano. - Penso di capire perché le donne svengono tanto spesso. L'attenzione che si riceve è davvero gratificante. - - Siete ferito seriamente? - - No, si tratta soltanto della mia gamba. Di nuovo.- Hester osservò la macchia rossa sui suoi pantaloni. - Jenkins mi ha riferito che siete stato colpito da un pezzo di vetro.- - La sventurata Elizabeth. Era convinta che stessi tramando contro di lei, povera ragazza. - - Vi duole molto? - - Non tanto quanto mi doleva il cuore quando disperavo di farmi amare da voi. - Lei gli restituì il sorriso, poi realizzò che la macchia si stava allargando. - Devo procurarmi delle bende...- Si mise in piedi, ma lui le si aggrappò alla mano e la tirò giù accanto a sé. - Dovessi morire disanguato, non vi lascerò andare finché non mi avrete promesso che mi sposerete il più presto possibile.- Un sorriso indulgente e felice le curvò le labbra. - Naturalmente...ma non vi sposerò se non mi libererete la mano immediatamente.- Adrian allentò la stretta all'istante. - D'accordo. La lascio andare, per il momento, finché non potrò appropriarmene ufficialmente nella chiesa del villaggio.-

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Capitolo 46
*** QUARANTASEIESIMO CAPITOLO ***


Girando sui tacchi, Hester andò quasi a sbattere contro Mabel, che aveva in mano una bacinella d'acqua e diverse strisce di tessuto bianco sul braccio. - Sta morendo? - domandò, fissando il duca con gli occhi sgranati - Dev'essersi riaperta la ferita. Immagino che avremo bisogno di altra acqua. - Portò lo sguardo su di lui e aggrottò la fronte. Aveva riabbassato le palpebre. Forse stava molto peggio di quanto le avesse lasciato capire. - Si, milady - ribatté la cameriera, indietreggiando in direzione della porta. A un tratto Adrian emise un gemito che indusse Mabel a fuggire come un topolino terrorizzato e Hester a tornare a precipizio accanto al sofà. - Milord! - Lui aprì un occhio e le rivolse un sorriso canagliesco. - Se n'è andata? - - Si.- Hester fu tentata di rimproverarlo per averle spaventate, solo che subito dopo realizzò che se era in vena di scherzare, non doveva essere tanto grave. - Abbiamo mandato a chiamare il dottor Mapleton.- - Non riuscirà affatto a farmi sentire meglio.- Afferrandole una mano, Adrian l'attrasse a sé. - Questo sarà molto più efficace.- La baciò avidamente, appassionatamente, cosa tanto più sorprendente in quanto fino a pochi minuti prima era apparso così debole e pallido. Poi la lasciò andare con palese riluttanza e le accarezzò la guancia. - Questa è l'unica medicina che mi occorre.- - Per quanto apprezzi la vostra valutazione, milord, mi sentirò più sollevata quando il dottor Mapleton mi avrà assicurato che non ho motivo di preoccuparmi.- - No, non è possibile - si accigliò lui. - Ma è un chirurgo...- cominciò a protestare lei. Adrian le mise un dito sulle labbra. - Dovete smetterla di chiamarmi con tutti quei titoli altisonanti. Vostra grazia, milord. Voglio essere il vostro amore.- - Amore mio - mormorò Hester, dandogli un altro bacio sulla bocca calda e invitante. - Perché non chiediamo a Jenkins di rimandare indietro John? Si limiterà a dirmi che me l'aveva detto e che avrei dovuto riposare. - farfugliò Adrian fra un bacio e l'altro. Lei si tirò indietro. - Sa che siete stato ferito una seconda volta? - - È successo a casa sua.- - Quindi sa anche di Elliott e della signorina Howell? - - Sa tutto di Elliott. Lo sa da diverso tempo e sembra che sia completamente d'accordo con voi. Sostiene che avrei dovuto lasciare che se la sbrigasse da solo molti anni fa.- Un sorriso sbilenco gli torse le labbra. - Ero andato a trovarlo stamattina. Per la verità, malgrado tutte le vostre belle e commoventi parole, non riuscivo a credere che voleste sposare un mascalzone come me. John mi ha convinto che sapevate quello che stavate facendo.- - In tal caso gli esprimerò la mia riconoscenza, anche se devo confessare che trovo un tantino sconcertante l'idea che abbiate prestato ascolto più a lui che a me.- - Suona piuttosto brutto, non è vero? Sapevo di essere disperatamente innamorato di voi e desideravo tanto credere che aveste parlato sul serio. Dovevo solo averne la certezza.- - E cioè chiedere un altro parere, come se si trattasse di una malattia? - - In un certo senso.- Lei lo abbracciò. - Vi perdonerò, purché non dubitiate mai più di me.- - Non ho dubitato di voi quando sono tornato stasera e ho visto che la porta della vostra stanza era aperta. Ho pensato che ci fosse qualcosa di strano, poi ho sentito la vostra voce proveniente dalla stanza di Elliott.- - Che cosa avete pensato esattamente? - - Che Elliott ne stesse combinando una delle sue.- - Sono lieta che vi siate fidato di me.- - Voi vi eravate fidata di me. Come avrei potuto essere da meno? - Hester gli rivolse un caldo sorriso, poi tornò a farsi seria. - Come avete incontrato la signorina Howell? - - L'ho vista arrivare a Barroughby. E perdere il bambino...- Emise un sospiro. - Ho pregato Mapleton di fare tutto ciò che è in suo potere per lei. Mi assumerò tutte le spese necessarie. Mi sembra il minimo che io possa fare.- Lei gli accarezzò una guancia. - Ed Elliott? Ammesso che riusciate a rintracciarlo? - - Non lo so - rispose con sincerità Adrian stringendola a sé. - Francamente non lo so.- Jenkins apparve sulla soglia. - Milord! - sibilò nel vederla semisdraiata sul sofà fra le braccia del duca. - Va tutto bene, Jenkins - lo rassicurò lui. - Lady Hester e io siamo fidanzati e ci sposeremo presto.- - Prego, vostra grazia? - Adrian alzò la voce. - Lady Hester e io stiamo per sposarci.- Dato che il maggiordomo rimase impassibile, lei pensò che non avesse ancora sentito bene. Poi lo vide piegarsi in un inchino ossequioso. - Congratulazioni, vostra grazia. Il dottor Mapleton è arrivato.- Il chirurgo sorrise a Hester che si era alzata per salutarlo. - I miei migliori auguri per le prossime nozze, milady.- - Grazie - rispose lei arrossendo. - Per quanto mi piacerebbe stare qui ad ascoltare voi due colombi decantare i pregi l'uno all'altro, ho del lavoro da fare.- Mapleton posò la borsa sul tavolo e l'apri', occhieggiando i pantaloni del duca. - Dovrete toglierveli ancora una volta, milord, perciò devo pregare lady Hester di lasciarci soli.- Adrian annuì, mandandole un bacio sulla punta delle dita. - Mi dispiace per i vostri calzoni, John. Ordinatevene un paio e dite al sarto di mandarmi il conto.- - Oh, lo farò, non dubitate. Ora giù quei calzoni, milord.- - Per quanto tutto ciò sia seccante, sarò felice di accontentarvi.- - Così non può andare, milord. Non potete continuare a riaprirvi delle vecchie ferite e perdere del sangue. Finora siete stato molto fortunato a evitare un'infezione, ma non potete fare sempre assegnamento sulla fortuna, sapete.- Adrian trasalì mentre Mapleton cominciava a ripulirgli la lacerazione. - Lo so. Seguirò il vostro consiglio. In fondo, avrò un'incantevole giovane donna per tenermi compagnia durante la convalescenza.- Il chirurgo ridacchiò. - Se avessi immaginato che era quello che ci voleva, averi assunto prima un'infermiera.- - Ne dubito, data la mia reputazione.- - A cui non ho mai creduto.- - Sarete contento di sapere, John, che Elliott ha lasciato questa casa, e probabilmente per sempre.- - Davvero? E quando? - - Stanotte.- - Ah. Ho sentito un cavallo galoppare attraverso i campi e mi è parso di intravedere un cavaliere. Può darsi che fosse lui.- Mapleton tornò a chinarsi sulla ferita. - Era ora che toglieste il guinzaglio a quello sciocco. Era come una cancrena che avvelenava tanto la vostra vita quanto la sua.- - Le amputazione non sono mai facili, John. Dovreste saperlo meglio di chiunque altro.- - Infatti, milord.- Alzandosi, Mapleton prese a frugare nella sua borsa in cerca di qualcosa, che evidentemente localizzò. - Avete del brandy a portata di mano? - Adrian gli indicò lo stipo. - Perdonatemi se non vi ho offerto prima qualcosa da bere.- - Non è per me. È per voi.- Avvicinandosi allo stipo, il chirurgo riempì un grande bicchiere di brandy, che Adrian osservò con diffidenza. - Prima vi porteremo nella vostra stanza. Poi dovrò cauterizzare la ferita.- Molto più tardi e dopo aver atteso a lungo fuori della stanza di Adrian attanagliata dall'angoscia, Hester venne rassicurata dal chirurgo, il quale dichiarò che il duca sarebbe guarito presto ora che la ferita era stata cauterizzata. Finalmente si alzò dalla sedia dalla spalliera rigida del corridoio su cui aveva vegliato e pregato, ma non andò direttamente nella sua stanza, benché non si fosse mai sentita più esausta in vita sua. In punta di piedi si diresse verso la porta di quella di Adrian, come aveva fatto quella prima sera che sembrava tanto lontana nel tempo, e la dischiuse piano piano con l'intenzione di accertarsi personalmente che riposasse tranquillo. Lo vide disteso nel letto, più o meno nella stessa posizione dell'altra volta. Questa volta, però, non lo osservò incuriosita né affascinata e spaventata al contempo, bensì con lo sguardo tenero di un'amante. Si concesse il lusso di fissarlo mentre dormiva, sapendo che un giorno avrebbe condiviso quel letto.

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Capitolo 47
*** QUARANTASETTESIMO CAPITOLO ***


Non contenta di tenersi a prudente distanza, Hester si azzardò ad avvicinarsi al letto di Adrian, rabbrividendo all'odore di carne bruciata che le colpì le narici. A un tratto la mano di lui scattò da sotto le coperte, le afferrò il polso e la tirò giù accanto a sé. - Questa volta non ho alcuna intenzione di lasciarvi andare senza un bacio.- Le sorrise. - Il dottor Mapleton vi ha ordinato un assoluto riposo.- - Non mi fa male la bocca. Solo quella dannata gamba.- La baciò con tenerezza infinita. Hester si ritrasse. - Se qualcuno mi trovasse qui...- Adrian si coprì gli occhi con la mano in un gesto di simulata vergogna. - Oh, Dio non voglia! Uno scandalo. Il Cavaliere Nero ha colpito ancora! - Abbassò la mano e atteggiò le labbra a un broncio infantile. - Avete detto che non vi importava della mia reputazione.- - Non mi importa, infatti, ma non vedo la necessità di favorirla.- Si imbroncio' lei a sua volta, anche se lo sfavillio dei suoi occhi tradiva il suo reale stato d'animo. - La gente dirà che mi sposate perché siete costretto a farlo.- - Non mi importa per quale ragione la gente dirà che mi sposate, purché lo facciate, e presto.- - Ebbene, milord...- - Adrian.- - Ebbene, Adrian, devo pensare alla 'nostra' reputazione e a quella dei nostri...- Esitò, arrossendo sia per l'imbarazzo sia per il desiderio. - Figli? - concluse lui in tono seducente. - Voglio un sacco di figli. I 'vostri' figli.- - I 'nostri' figli.- - Di conseguenza - continuò lui con voce ancora più roca, - dovrò mettermi d'impegno per condurre una vita esemplare. Cosa che non dovrebbe essere troppo difficile, visto che non avrò mai la tentazione di uscire di casa mia.- Tornarono a baciarsi, questa volta con una passione travolgente che Hester si sentì terribilmente scostumata, una sensazione a cui si abbandonò senza riserve, finché non urtò inavvertitamente contro la gamba ferita di lui facendolo sobbalzare con violenza. - Mi dispiace - gemette nel medesimo istante in cui realizzava che non erano ancora sposati e che se non fosse stata attenta, avrebbe finito per comportarsi in modo estremamente sconveniente. - Che ne sarà di Elliott? - bisbiglio'. - Pensate che riuscirà a cambiare? - Lui scrollò le spalle. - Non ne ho idea.- - Se tornasse a casa, che cosa fareste? - - Non fatene parola alla duchessa, ma sono convinto che non tornerà mai. L'ho visto altre volte su tutte le furie, ma mai come stanotte. Pensava sul serio ciò che diceva.- - Che cosa credete che gli succederà? - Un mesto sorriso gli curvò le labbra. - Credo che se la caverà, sapete. Credo che voi aveste ragione e io torto. Non sarei dovuto essere tanto protettivo nei suoi confronti. E credo che sia capace di cambiare. Ha dimostrato di non essere del tutto irrecuperabile manifestando il desiderio di sposarvi, mio angelo.- - Mi farete diventare vanitosa. Siete sempre stato buono e rispettabile. Io non c'entro affatto.- - Mi avete dato la speranza quando non ne avevo nessuna. Forse anche Elliott troverà una donna che gli ridarà la speranza.- - Me lo auguro con tutto il cuore, Adrian, per il vostro bene quanto per il suo.- - E per quello di mio padre - mormorò lui fissandola con amore. - Finirete per farmi piangere - lo avvertì Hester, mettendosi in piedi con riluttanza e notando che non era la sola le cui emozioni minacciavano di risolversi in lacrime. - Dovete riposare.- - Accidenti a questa gamba! - Adrian le chiuse tutte e due le mani nelle sue. - Vi lascerò andare solo se mi promettete di sposarmi appena possibile.- - Appena la vostra gamba sarà guarita.- - Sta' già meglio.- - Bugiardo. Dovrò scrivere ai miei genitori in Europa. E alle mie sorelle.- Un'espressione preoccupata gli si dipinse sul viso. - Immagino che dovrò chiedere a vostro padre il permesso di sposarvi. Chissà che cosa penserà all'idea che la sua amata figliola sposi una canaglia come me? - Questa volta fu lei a rivolgergli un sorriso malizioso. - Ho l'impressione che se li invitaste a soggiornare presso di noi, lasciando loro la possibilità di scegliere tra questa proprietà e la vostra casa londinese, come preferiscono...- - Dimostrando loro la mia enorme ricchezza?- Hester annuì. - Confesso che mio padre è piuttosto sensibile al fascino del denaro. Sono persuasa che giustificherebbe le vostre... Intemperanze del passato in simili circostanze e purché riveliate la vostra eterna devozione nei miei confronti.- - L'avete, Hester, lo sapete. E per sempre - ribatté Adrian con totale sincerità e incommensurabile gioia. Lei indietreggiò di un passo prima di cedere alla tentazione di dimenticare tutto ciò che avesse mai imparato sul comportamento di una signora e raggiungerlo sotto le coperte. - Scriverò loro stasera stessa.- Poco dopo che la duchessa si fu trasferita a Dower House di sua spontanea volontà, la famiglia Pimblett al gran completo invase Barroughby Hall in un turbine di fierezza e di felicità, benché nessuno fosse più felice e più fiero di Hester, che per la prima volta in vita sua era diventata il centro dell'attenzione dei suoi genitori. Lady Pimblett dichiarò di aver sempre saputo che la sua secondogenita avrebbe fatto uno splendido matrimonio. Dopo una comprensibile fitta di gelosia alla vista dell'opulenza di Barroughby Hall, le sue sorelle le augurarono di essere felice quanto lo erano loro. Il supponente e piuttosto ottuso lord Pimblett ammutoli' per lo sbalordimento e non ritrovò la parola per diversi giorni, un effetto che sua moglie e le sue figlie considerarono una sorta di benedizione. Quando Clara Mullholland, moglie di lord Paris Mullholland, ricevette la lettera in cui Hester le annunciava il suo fidanzamento, corse a dare la notizia al marito tanto rapidamente quanto glielo permise la sua avanzata gravidanza. Paris Mullholland osservò che il matrimonio sembrava essere diventato contagioso ultimamente e si augurò che Hester non rimpiangesse di aver contratto l'infezione. - Come sai bene, mia cara, l'amore ha annientato costituzioni assai più robuste della sua - Dichiarò strizzando l'occhio. Clara ribatté che la sua amica non si sarebbe mai sposata in modo avventato. Le chiacchiere scandalose che circolavano sul duca di Barroughby dovevano essere infondate se una giovane donna assennata come Hester Pimblett lo giudicava degno di aspirare alla sua mano. E tutti i loro amici ne convennero. -----------------------------------------FINE-------------------------------------------

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