Il Rituale - Rosso come il sangue

di Jane P Noire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo + Capitolo 1 ***


Parte prima
ROSSO COME IL SANGUE
 
 
 
Come Egli creò e concesse agli uomini di pensare parole di sapienza, 
così creò anche me e mi concesse di rimproverare gli angeli vigilanti, figli del cielo.

(Libro di Enoch, XIV)
 
 
 
 
Prologo
 
 

Camminavo sul marciapiede bagnato di pioggia.
Era così buio che facevo fatica a distinguere i contorni degli edifici e dei negozi del centro della città, ma continuavo a camminare senza chiedermi perché quell’oscurità continuasse a seguirmi.
Il vento mi scompigliava i capelli e mi graffiava la faccia, mentre la pioggia mi appiccicava il pigiama alla pelle, ma non sentivo freddo. I miei piedi nudi toccavano l’asfalto bagnato e ruvido, ma non sentivo dolore o fastidio.
Poi il terreno cambiò da un passo all’altro e sentii i miei piedi che si bagnavano di un liquido diverso dall’acqua fredda e selvaggia della pioggia. Era denso e caldo. Più andavo avanti più il liquido si appicciava alla pianta dei piedi, ma continuavo a camminare verso il buio della notte.
Improvvisamente, trovai un intralcio che mi impedì di proseguire. Provai a scavalcarlo, ma per qualche ragione non ci riuscii.
Abbassai lo sguardo e vidi una gamba stesa in terra. Mi domandai cosa ci facesse una gamba nel centro di Portland in una notte piovosa come quella. Mi accorsi subito dopo che c’era un’altra gamba, a fianco della prima. E poi un braccio. E un busto coperto di un liquido denso e scuro che aveva un odore metallico. Una testa ricoperta da una zazzera di capelli scuri di pioggia e sangue.
E capii.
 
§

Mi svegliai con un grido che mi moriva in gola, il cuore che mi batteva furiosamente nel petto e un fischio nelle orecchie. A fatica, mi tirai a sedere e poggiai la schiena contro la testata del letto, con le lenzuola che frusciavano sul mio corpo e con un gemito sulla punta della lingua.
Il fracasso di un tuono che scoppiava dalle nuvole sopra il tetto della mia casa mi fece sobbalzare. Spostai subito gli occhi sul vetro della finestra, sul quale si abbattevano mille gocce di una pioggia forte.
In preda ad un’angoscia anche fin troppo familiare, mi tastai il petto e mi stupii di scoprire che la canottiera di cotone che indossavo per dormire era asciutta e calda del tepore del letto. Mi passai una mano fra i capelli annodati e scompigliati e mi accorsi che anche essi erano asciutti e mi solleticavano dolcemente la pelle del collo e delle clavicole.
Allora, rincuorata dalla sicurezza di non aver mai veramente messo piede fuori dalla mia stanza quella notte e che ciò che avevo visto fosse solamente frutto del mio subconscio, tornai a dormire.
 
 

.1.
 
 
A Portland i temporali non erano una novità. Per questo motivo non mi stupii più di tanto quando quella mattina al suono della sveglia seguì quello fragoroso di un tuono.
Era solamente la fine di settembre, ma le temperature erano calate drasticamente negli ultimi giorni per colpa di quella maledetta pioggia. Il vento sempre più freddo muoveva le foglie ormai marroni e secche, le nuvole nere oscuravano il cielo.
Con un gemito insofferente, mi costrinsi ad alzarmi dal letto e andare nel mio bagno privato per una lunga doccia calda. Quando tornai in camera mia, con un senso di fastidio contro il meteo insopportabile di questa città perennemente nascosta da una coltre di nuvole nere e grigie, mi sforzai di trovare qualcosa di adatto da indossare per la giornata. Optai per un cardigan pesante color senape con dei grossi bottoni avorio, indossato sopra una leggera maglietta di cotone nero e un paio di jeans scuri.
Non mi truccavo mai e non persi tempo di provarci nemmeno quella mattina. Mi limitai a massaggiare la mia pelle anche fin troppo pallida con della crema idratante e passare un filo di burro di cacao sulle labbra a forma di cuore e screpolate per colpa del freddo. Poi mi pettinai i capelli. Erano di un biondo cenere striati da sfumature di un giallo e oro non ben definite, ed erano perennemente arruffati e indomabili; li tenevo sempre legati per impedire che le ciocche mi ricadessero sugli occhi o sul viso. Dal momento che la pioggia e il vento avrebbero vanificato qualsiasi tipo di coda di cavallo o altre acconciature, quella mattina li intrecciai strettamente in una lunga treccia laterale.
Prima di uscire, mi imposi di recuperare il cappello contro la pioggia che mi aveva regalato la mia amica Adeline, quello che mi faceva sembrare una specie di fungo e mi elettrizzava i capelli come se avessi preso la scossa, ma che svolgeva in modo efficace la sua funzione. E comunque, nessuno avrebbe fatto caso a cosa indossavo dal momento che a scuola ero una specie di reietto.
Da quando sette anni prima il mondo era quasi finito, le cose erano cambiate in modo radicale per l’intera umanità. Ma specialmente per me.
Nella mia mente idealista di bambina di dieci anni, credevo davvero che gli umani sarebbero stati felici di scoprire l’esistenza dei Vigilanti – angeli caduti dal Paradiso e che erano rimasti sulla Terra per proteggere la razza umana dalle forze del male. Invece, in un mondo ormai prevalentemente privo di fede, la loro presenza non era stata accolta con entusiasmo da tutti. E ora, quando la gente mi guardava, non vedeva altro che la casa in cui abitavo e gli angeli che mi avevano cresciuta. Ma mi ripetevo che non poteva essere un problema perché nessuno doveva sapere la verità sulla mia identità e sul motivo per cui ero stata adottata dal leader della legione di Portland.
Aprii la porta della mia stanza e cacciai un urletto isterico, quando inciampai nelle lunghe gambe di Seth.
Seth era la cosa più simile ad un fratello che io avessi mai avuto e anche la prima persona che si era mostrata gentile e disponibile nei miei confronti. Sin da quando ero una bambina rimasta orfana da soli pochi giorni, lui mi aveva trattata come la sorella minore che non aveva mai avuto: mi portava i biscotti al cioccolato quando ero triste, mi accompagnava a scuola quando pioveva troppo per avventurarmi sui mezzi pubblici, mi tormentava quando voleva che facessi qualcosa per lui. Seth mi faceva sentire come se appartenessi a questa casa, a questa famiglia. Sapevo bene che non era così, ma quando ero insieme a lui era facile fingere che ci fosse un posto per me nel mondo.
Nel momento in cui il resto della legione era venuto a conoscenza della mia vera identità, tutti avevano cambiato atteggiamento nei miei confronti: c’era chi mi guardava con disgusto, c’era chi mi temeva e c’era chi mi ignorava. Ma non importava, perché io avevo Seth.
Con i suoi riflessi pronti e rapidi, lui circondò i miei fianchi con le mani e mi sorresse un secondo prima che gli cadessi addosso. Mi aiutò a tornare in posizione verticale e, quando sollevai la testa per poterlo guardare in viso, mi accorsi che si stava trattenendo per non scoppiare a ridermi in faccia.
Gli lanciai un’occhiataccia. «Non è divertente, Seth. Mi stavi facendo cadere.»
«Scusami, Roe», disse, mentre l’angolo destro delle sue labbra continuava a tremare e sollevarsi in un sorriso sghembo. «Non volevo quasi ucciderti con la mia stazza incredibilmente forte e muscolosa.»
Sbuffai, irritata come ogni volta che si atteggiava in quel modo arrogante. Anche se dovevo ammettere almeno a me stessa che aveva più di un motivo per andare fiero e vantarsi del suo corpo: i tanti anni di allenamento gli avevano scolpito il petto ampio e spazioso, le spalle larghe e le braccia muscolose e forti. Inoltre, con quei boccoli biondissimi che gli sfioravano la mascella squadrata, i suoi occhi dorati capaci di trapassarti da parte a parte come la lama di un coltello, le sopracciglia folte e i lineamenti del viso dolci e morbidi, aveva lo stesso identico aspetto degli angeli che venivano raffigurati nei dipinti nelle chiese.
Eppure, incrociai le braccia al petto e lo fulminai ancora una volta con gli occhi.
Lui scoppiò a ridere.
Evidentemente non apparivo così minacciosa come avrei voluto, ma la cosa non mi sorprese: nel mio aspetto non c’era niente di intimidatorio. Ero bassa almeno trenta centimetri in meno rispetto a lui e infinitamente più esile. Poi, con i miei occhi verdi così sproporzionatamente grandi per il mio viso, sembravo una specie di bambola.
«Perché accidenti eri appostato fuori dalla mia stanza come un maniaco?»
«Un maniaco, davvero?»
Non risposi alla sua provocazione. Mi limitai a fissarlo, con le palpebre assottigliate sugli occhi.
Lui ricambiò il mio sguardo, ma a differenza mia lo fece con un sorriso storto stampato sulla faccia. Poi le sue sopracciglia si aggrottarono verso il centro della fronte e i suoi lineamenti si irrigidirono appena, mentre le sue mani mi massaggiavano le braccia sopra la stoffa pesante del cardigan. «Stai bene? Hai un aspetto orribile…»
«Oh, ti ringrazio, Seth. Era solo questo che volevi dirmi, o c’era dell’altro?»
Lui si schiarì la gola e si passò una mano fra i capelli. «Scusa, non intendevo in quel senso, lo sai.» Mi penetrò con i suoi intensi occhi dorati. «Hai avuto un incubo?»
Esitai prima di dare una risposta.
L’ultima volta che avevo avuto degli incubi vividi e spaventosi come quello che mi aveva svegliato quella notte, il mondo era sull’orlo dell’Apocalisse. E Seth lo sapeva, perché era proprio lui che correva nella mia camera ogni notte per strapparmi dall’orrore dei sogni di fiamme eterne e sangue, di oscurità profonde e urla incessanti.
Abbassai lo sguardo sulla punta dei miei anfibi neri. «Non era niente», dissi con un filo di voce.
«Cosa non era niente?»
Mi costrinsi a sollevare il viso per poterlo guardare in faccia e per rendere le mie parole più credibili possibili. «A tutti può capitare di avere un incubo, una volta ogni tanto.»
«Certo.» Seth mi sorrise in modo rassicurante, scostandomi dietro l’orecchio una ciocca che mi era sfuggita dalla treccia. Indugiò a lungo con le nocche delle dita fresche contro la guancia bollente. «Ma tu non sei come tutti gli altri.»
Mi morsi il labbro inferiore per non urlare. «Come se non lo sapessi.»
«Tu sei speciale, Rowan», proseguì come se non avessi mai aperto bocca.
Senza riuscire ad impedirmi di farlo, pensai a quella data di scadenza che continuava ad avvicinarsi sempre di più e che segnava la fine della mia vita come la conoscevo. «Super speciale.»
«Roe…» Seth sospirò con forza, gonfiando e sgonfiando subito dopo il petto come un palloncino bucato. La sua mano scivolò sulla mia nuca e con una leggera pressione mi costrinse a tenere gli occhi fissi nei suoi. «Io la intendevo come una cosa buona.»
Questa volta, quando mi morsi il labbro lo feci con troppa forza e mi tagliai. Succhiai via il sangue e finsi che le lacrime che mi stavano salendo agli occhi fossero a causa del dolore che mi ero provocata.
«Che cosa hai sognato?» mi domandò Seth dopo eterni istanti di esitazione da parte di entrambi.
Sospirai. «Era buio e pioveva fortissimo, non riuscivo a vedere bene, ma sapevo di star camminando nel centro della città quando…»
«Quando?»
«Quando ho visto il corpo di un ragazzo.» Feci un sospiro tremulo e sostenni lo sguardo dei suoi occhi, che era diventato improvvisamente più profondo e scuro. Il battito frenetico del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie e la paura mi ingoiava gli organi interni in una voragine. «Ma era solo un sogno, vero? Solamente un incubo…»
«No, Rowan.»
«No?»
Lui inspirò bruscamente e poi, senza prendere una pausa tra una parola e l’altra, disse: «Daniel Sterling è stato trovato morto la notte scorsa.»
Sentii che tutta l’aria che avevo nei polmoni sparì di colpo e fui sconquassata da un terribile senso di nausea. Se non mi fossi aggrappata al braccio che Seth aveva allungato verso di me, probabilmente le mie gambe non avrebbe più sostenuto il peso del mio corpo e io avrei finito con lo svenire sul pavimento del corridoio.
Nel mio incubo non avevo visto il volto del ragazzo perché mi ero svegliata prima. Ma quello era il corpo di Daniel Sterling. Ne ero certa. Quella zazzera di capelli castani era davvero inconfondibile.
Io e Daniel non eravamo amici. Infatti, nonostante frequentassimo lo stesso liceo sin dal primo anno, non ci eravamo mai rivolti la parola. E le uniche volte in cui avevamo interagito l’una con l’altro era stato perché Daniel, come molte altre persone in città, mi insultava o si prendeva gioco di me. Una volta lo avevo sentito riferire a voce anche fin troppo alta uno dei suoi amici un commento non molto gentile – o forse troppo gentile – sul mio fondoschiena e c’era mancato davvero poco che non gli spaccassi il naso con un pugno ben assestato.
Potevo dire in tutta tranquillità di aver detestato Daniel Sterling. Ma questo non significava che meritasse di morire.
Pensando a tutte le volte che avrei voluto ucciderlo con le mie stesse mani, mi sentii mancare la terra sotto i piedi.
«C-come è morto?» balbettai. La mia gola era più arida del deserto. «Era giovane e giocava nella squadra di football della scuola. Cosa può essergli capitato?»
«Lui…» Seth si passò nuovamente la mano fra i capelli e deglutì a fatica. «Rowan… lui…»
Mi allarmai e mi appiattii contro la porta chiusa della mia camera, perché Seth non balbettava mai. Anche quando era in imbarazzo o in difficoltà, parlava con voce ferma e decisa. Era una delle tante cose che ammiravo di lui.
Deglutii a fatica il nodo che mi stringeva la gola. «Lui?»
«È stato ucciso.»
«U-ucciso?» Il senso di nausea e di colpa che aveva stretto il mio stomaco poco prima mi fece tremare con violenza, tanto che cominciai a sentire il bisogno di sedermi o avrei perso i sensi.
Morto.
Ucciso.
Sì, Daniel era un ragazzo superficiale e arrogante ed ero sicura di non essere l’unica che non lo sopportava. Ma certamente non meritava in alcun modo di venir assassinato.
«Come? Chi? Perché?» Le domande avevano cominciato a sgorgarmi via dalle labbra come acqua che perde da un rubinetto guasto.
«Rowan, ascoltami, è una situazione brutta.» Seth mi strinse le spalle tra le dita con così tanta forza che sentii dolore dove i suoi polpastrelli affondavano nella mia carne. «Secondo mio padre non dovrei dirti niente di questa storia, ma tu conoscevi il ragazzo e dovresti conoscere la verità.»
Senza riuscire a mettere bene a fuoco il suo viso, gli piantai gli occhi in faccia. «Brutta quanto?»
«Chiunque lo abbia ucciso…» Seth serrò la mascella e deglutì, come se pronunciare quella parola lo facesse star male fisicamente. Era diventato più bianco del muro alle sue spalle. «Secondo il medico legale non c’era una goccia di sangue nel suo corpo.»
«Oddio.»
Sentii chiaramente il sangue defluire dal mio viso e, anche se non avevo uno specchio, sapevo di essere sbiancata. Il mondo intorno a me cominciò ad ondeggiare pericolosamente e le mie ginocchia cedettero sotto il peso del mio corpo.
Seth mi circondò la vita con le braccia e mi sollevò da terra prima che potessi cadere sul pavimento. Con un calcio aprì la porta chiusa della mia camera da letto e, una volta dentro, mi adagiò con delicatezza sul materasso dalle lenzuola ancora sfatte. Lui prese posto al mio fianco e mise una mano alla base della mia schiena.
Avvicinò il viso al mio orecchio. «Respira.»
Mi presi la testa fra le mani, nascondendo il volto fra le ginocchia. Cominciai a respirare profondamente e lentamente nel tentativo di placare la nausea e il mal di testa. Ma non c’era niente che io potessi fare per poter soffocare il panico che mi serrava il cuore e lo stomaco in una morsa dolorosa.
Mi strinsi le gambe al petto e issai il mento sulle ginocchia. Sentivo le lacrime salirmi agli occhi, perché anche se odiavo Daniel Sterling mi spezzava il cuore pensare che qualcuno potesse avergli fatto una cosa del genere.
«Il sangue serve per…» Ingoiai le lacrime, con molta fatica. «Un rituale di sangue, vero?»
«Così sembrerebbe.» Lui mi strinse subito le mani, che avevano cominciato a tremare. «Ma non devi preoccuparti di questo adesso. Ce ne stiamo occupando noi con la polizia.»
«Seth», pronunciai il suo nome con voce lamentosa e flebile, «ma io l’ho sognato. Sai cosa significa…»
«Significa», mi rivolse un sorriso tirato che non contagiò i suoi occhi, «che noi scopriremo chi è stato e lo manderemo da dove è venuto – come abbiamo sempre fatto e come faremo fino alla fine dei giorni.»
Voltai la testa verso di lui, adagiando la guancia alle ginocchia. Le lacrime mi avevano appiccicato le ciglia le une alle altre. «Pensi che sia stato un demone?»
«Chi altro?»
«Ma perché? Daniel era un semplice umano – uno stronzo, sì, ma non tanto da meritare una cosa del genere.»
«E che ne so. Capire cosa passa per la testa dei demoni non è mai stata la mia priorità.»
«Ma il sangue, Seth…» mi interruppi di colpo, incapace di parlare ancora.
Anche lui rimase in silenzio per eterni istanti, con gli occhi fissi sul parquet della mia camera. «Hai ragione. Il sangue ha molto potere, anche quello di un comune mortale.»
Chiusi gli occhi. «Se io l’ho sognato…»
«Non lo sappiamo ancora», mi interruppe. Mi accarezzò la schiena con delicatezza e indugiò con le dita sulla mia nuca. «Se questo fosse il principio di un’Apocalisse, Roe, ti giuro che la fermeremo di nuovo.»
«Quella è stata un’eccezione. Non puoi fermare la fine del mondo, Seth. Nessuno può», gli ricordai con tono molto più accondiscendente di quanto avrei voluto.
«Posso provarci, maledizione!»
Scivolai verso il suo petto e abbandonai la testa nell’incavo del suo collo, mentre le lacrime tornavano con forza sui miei occhi. «Ti detesto quando fai così.»
Scoppiò a ridere e io sentii il suo petto tremare contro il mio. «Perché divento troppo irresistibile persino per te?»
«Perché mi fai credere che ogni cosa sia possibile.»
Seth sospirò profondamente e si lasciò cadere con la schiena sul materasso, trascinandomi verso il basso con il suo petto che mi faceva da cuscino. Le sue dita si immersero nei miei capelli e strinsero a pungo una ciocca sulla mia nuca. Le sue labbra si posarono sulla mia tempia. Quando parlò il suo alito mi solleticò la pelle. «Siamo angeli, Roe. Ogni cosa è possibile.»
«Non per me.» Nascosi il naso nella piega della sua felpa e soffocai il pianto. «Come questo mondo, anche io ho una data di scadenza e non c’è niente che tu possa fare per impedirlo.»

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


.2.
 
 
Seth mi aveva consigliato di non andare a scuola, quel giorno, e io mi ero trovato pienamente d’accordo con lui.
Quando lui non aveva più potuto rimandare ed era uscito insieme al resto dei Vigilanti, io ero rimasta nel bozzolo delle lenzuola ancora sfatte e mi ero addormentata con il profumo e il calore della presenza di Seth ancora su di me. Ma quando mi svegliai, con il sudore che mi appiccicava i capelli al collo e il cuore che mi era balzato in gola, capii che non potevo affatto fare come lui avrebbe voluto che facessi. Non potevo restare nella mia camera a fingere che questa faccenda non avesse niente a che fare con me, o con quello che ero.
Alzarmi in piedi mi costò uno sforzo enorme, ma lo feci.
Mi cambiai di vestiti e indossai un paio di pantaloncini da corsa sopra dei leggings termici e una felpa impermeabile con il cappuccio.
La mia treccia era sfatta e arruffata dopo averci dormito, così la disfai del tutto e legai i capelli sempre più mossi e aggrovigliati in due strette trecce alla francese.
Recuperai il mio cellulare dallo zaino e mandai un messaggio, per poi nasconderlo nella tasca della felpa.
Fuori pioveva così intensamente che facevo fatica a vedere il viale di ingresso della casa, al quale si affacciava il mio balconcino. Ma non importava: ero scivolata via da quella finestra così tante volte che avrei potuto muovermi persino ad occhi chiusi. Infatti, con gesti meccanici e automatici, aprii la finestra e sollevai le braccia per attaccarmi al cornicione. Sollevai il peso del mio corpo facendo leva sui miei muscoli allenati e mi sbilanciai in avanti, dandomi la spinta con le gambe. Poi mi lanciai nel vuoto. Tre metri di altezza potevano essere tanti per un comune mortale, ma io atterrai con grazia e con un delicato ciaf quando i miei anfibi atterrarono in una pozzanghera.
Sollevai il cappuccio per ripararmi dalla pioggia e cominciai a correre verso Foster-Powell.
 
§
 
C’era un demone alle mie spalle. Lo sapevo perché la mia pelle bruciava e formicolava, perché i peli mi si erano rizzati sulle braccia e perché sentivo una pressione dolorosa al centro del petto. 
Dal momento che mi allenavo da praticamente tutta la vita, agii di istinto. Girai di scatto verso il vicolo alla mia destra e attesi il momento giusto.
Afferrai il braccio che si era proteso verso di me e, girando su me stessa, lo torsi dietro una schiena ampia e muscolosa. Strinsi ancora di più fino a che non sentii lo scrocchio delle ossa sotto la mia pressione e il sibilo di dolore proveniente dalla creatura. Ma poi persi forza e, senza sapere come, mi ritrovai due braccia ad avvolgermi con violenza il busto e spingermi la schiena contro un petto duro come la pietra.
Cercai di dimenarmi, invano. Cercai di guadagnare qualche centimetro per scalciare e liberarmi, invano. Stavo caricando la testa in avanti per colpire la nuca contro il mento del mio aggressore, quando lui parlò: «Smettila di fare la difficile, dannazione!» sbottò una voce calda e morbida come il miele. Una voce che conoscevo bene.
Voltai appena la testa, ma non riuscii a vedere altro che una chioma di riccioli neri e una spalla incollata alla mia. «Hawke?» mormorai senza fiato.
«E chi altri?» Sentii quella risata bassa e roca che solo lui riusciva a fare, mentre la presa delle sue mani attorno al mio corpo si allentava appena.
Diedi uno strattone. «Lasciami.»
«Dipende.» Anche se non potevo vederlo, sentii come le sue labbra si piegarono in un ghigno. «Tenterai di spezzarmi di nuovo il braccio? Guarisco in fretta, ma non significa che non sento dolore.»
«Scusa, avrei dovuto controllare prima, ma sono nervosa e tu mi stavi attaccando alle spalle.» Ero anche furiosa per aver perso quel combattimento, ma questo non lo dissi: ero troppo orgogliosa per ammettere la sconfitta. «Ora puoi lasciarmi.»
Hawke fece come gli avevo chiesto e, mentre mi voltavo per guardarlo in faccia, mi massaggiai i punti in cui le sue dita avevano stretto troppo la pelle delle mie braccia.
Lui sembrava essere completamente a suo agio, anche se la pioggia che gli inzuppava i vestiti e gli arruffava i capelli neri come la pece. Aveva un libro sotto il braccio e le lunghe gambe affusolate fasciate da un paio di blue jeans scoloriti.
Non appena i suoi occhi neri incrociarono i miei, mi rivolse quello stupido ghigno che avrei voluto cancellargli a forza di pugni. «Mi spezzi il cuore, splendore.»
«Cosa?» Lanciai una rapida occhiata verso la strada principale per accertarmi che la gente fosse ignara dell’incontro clandestino tra un demone e… be’, me in quel vicolo puzzolente di muffa e umidità.
Hawke agitò le braccia nello spazio tra i nostri corpi. «Pensavo che quello tra di noi fosse un rapporto speciale. Tu non uccidi me, io non uccido te. Oppure siamo tornati alle vecchie abitudini?»
Intrecciai le braccia al petto, proteggendomi dal vento freddo che si infilava sotto la felpa. «Ti ho già detto che mi dispiace. Non sapevo che fossi tu.»
Lui si passò una mano fra i riccioli neri. Goccioline di pioggia gli ricaddero sugli zigomi sporgenti. «Sei stata tu a chiamare me, splendore. Quanti altri demoni hai contattato?»
«Tu sei l’unico.»
Infatti Hawke era l’unico demone con cui parlavo senza dover pensare a come ucciderlo nei prossimi cinque secondi. L’unico demone che non mi faceva venire voglia di allungare una mano verso il mio stivale per tirare fuori la lama benedetta che tenevo nascosta. Ma soprattutto, era l’unico che sapevo sarebbe stato sincero con me senza alcuna riserva o preoccupazione di ferire i miei sentimenti.
E io avevo bisogno di risposte oneste, anche se brutali.
Nascose le mani nelle tasche della vecchia giacca di jeans consumata che indossava. «A quale onore devo questa convocazione improvvisa? Non mi sognerei mai di dire di no ad uno della tua razza, splendore, ma avevo un pomeriggio fitto di impegni.»
«Ah, davvero?» Sollevai un sopracciglio.
«Naaah.» Si strinse nelle spalle. «Io vivo in attesa di una tua chiamata.»
Ignorai il suo sarcasmo con una smorfia di insofferenza – Hawke a volte riusciva persino ad essere più pungente di me. «Ho bisogno di parlarti di una cosa importante.»
«Lo so.» Si fece incredibilmente serio e distolse lo sguardo dal mio viso. I muscoli della sua mascella erano tesi e duri. «Lo so che a volte ci vediamo a scuola e tu mi reggi il gioco e fingi che siamo due normali amici mortali. Ma so che non lo siamo davvero.»
Hawke aveva l’abitudine di presentarsi a scuola un paio di volte l’anno come se avesse sempre frequentato lì. Non so bene quale stratagemma demoniaco attuasse per non destare sospetti tra gli umani, e non ero del tutto sicura di volerlo sapere, quindi non glielo avevo mai chiesto. Soprattutto perché non faceva niente di male: si concedeva qualche settimana dai suoi doveri di demone, confondendosi con il suo aspetto umano nella folla di adolescenti svogliati e annoiati, per darsi l’illusione di un po’ di normalità. A volte parlavamo, a volte avevamo persino mangiato nella mensa insieme. Ma poi lui scompariva e nessuno sembrava ricordarsi di lui, a parte me.
«Hawke…»
«E so che non mi avresti chiamato se non fosse una cosa seria.»
Con la pioggia che mi entrava in bocca ogni volta che la aprivo per parlare, feci un cenno della testa verso la tavola calda dall’altro lato del marciapiede. «Togliamoci da questa pioggia, per favore.»
Il suo sorriso tornò e la serietà abbandonò del tutto i suoi lineamenti. «Solo se paghi tu, splendore.»
«Sai che novità.»
Attraversammo veloci la strada ed entrammo nel locale. L’aria calda mi provocò un immediato senso di sollievo e l’odore del caffè e dei dolci che proveniva dalla cucina mi aprì lo stomaco.
Adesso che ci pensavo, non avevo mangiato niente per tutto il giorno ed ero incredibilmente affamata. Ordinai un caffè nero e un panino al formaggio.
Hawke rivolse un sorriso smagliante alla cameriera e chiese una cioccolata calda.
Mentre aspettavamo le nostre pietanze, il silenzio si protrasse a lungo e io cominciai a sentirmi sempre più nervosa.
Mi guardavo in giro, come se aspettassi di trovarmi di fronte una creatura infernale pronta a rubare il sangue di un’altra povera vittima innocente. Ma oltre noi, una coppietta che si scambiava effusioni in un angolo e un uomo d’affari che beveva caffè mentre sfogliava un giornale, la tavola calda era piuttosto vuota. C’era un fantasma in un angolo, ma sembrava più interessato ai dolci che non poteva più gustare che alle persone che lo attraversavano per errore. Quindi lo ignorai: non avevo il tempo per pensare anche a quella stranezza della mia vita.
Nascosi le dita nell’orlo delle maniche della felpa, mentre Hawke mi fissava con il mento poggiato sui palmi delle mani.
«Sei davvero nervosa», notò. Aggrottò le sopracciglia scure verso il centro della fronte e piegò la testa di lato. «Tu non sei mai nervosa.»
Mi morsi il labbro inferiore, poi mi passai una mano sulla testa per accertarmi che le trecce fossero ancora a posto. Solo una ciocca era sfuggita all’acconciatura e io la sistemai velocemente dietro l’orecchio.
«Okay, se ti mordi il labbro, vuol dire che è roba seria. E sono ufficialmente nervoso anche io.» Hawke si protese in avanti, poggiando i gomiti sul tavolo. «Dimmi che succede.»
«Hai sentito?» domandai.
Hawke mi fece un sorriso ampio e ingenuo che mi fece venire voglia di prenderlo a schiaffi. «Splendore, io sono il Guardiano dell’entrata settentrionale per l’Inferno. Sento un sacco di cose.»
Nessuno riusciva ad esasperarmi come faceva Hawke e, sebbene non volessi ucciderlo veramente, mi faceva sempre desiderare di potergli fare male sul serio. Fui costretta a stringere i pungi e serrarli sulle mie ginocchia per non farmi avanti e abbattere le nocche sul suo naso perfettamente dritto.
Seth diceva sempre che tendevo a perdere la calma troppo velocemente, e questo poteva essere un problema in un combattimento. Ma, nonostante gli esercizi e la meditazione, non riuscivo mai ed estinguere le fiamme che mi bruciavano lo strato sottile sotto la pelle. 
Mi sporsi verso di lui in modo che nessun altro potesse sentire di cosa stavamo parlando. «Hai sentito parlare di un ragazzo che è stato completamente prosciugato del suo sangue?»
Lui sgranò gli occhi e il nero delle sue pupille inghiottì quasi del tutto le sue iridi. La sua pelle era sempre pallida, ma in quel momento mi sembrò ancora più bianca. Ogni briciola di strafottenza era sparita. «Completamente?» ripeté.
«Così sembrerebbe.»
Si passò una mano sulle labbra, senza staccare gli occhi dai miei. «Cazzo.»
«Già.»
«E immagino che…»
Si interruppe perché la cameriera era tornata al tavolo con i nostri ordini.
Quando lei si allontanò, mi affrettai ad addentare il mio panino per placare i morsi della fame e mettere qualcosa nello stomaco che continuava a contorcersi su se stesso dall’agitazione.
«Immagini che cosa?» lo incitai a proseguire.
«Immagino che tu abbia ottenuto questa informazione da quel bel Vigilante biondo che ti segue ovunque come un cagnolino.»
Mi accigliai. «Seth non mi segue ovunque.»
Sbatté le lunghe ciglia nere un paio di volte, come se fosse un personaggio di un cartone animato, e curvò le labbra in un sorriso sornione. «È il tuo ragazzo?»
Quasi mi strozzai con il boccone di panino che avevo in bocca. Tossii tanto da diventare viola e, bevendo due lunghe sorsate di caffè, riuscii a deglutire. «Cosa? No! Assolutamente no.»
«Non c’è bisogno di essere così categorici. È un gran bel figo.»
«Come?»
«Ho detto che è un gran bel figo.» Si strinse nelle spalle e, quando si accorse dei miei occhi sgranati e le labbra schiuse, un sorriso serafico gli piegò la bocca. «Sono un demone, splendore. A noi piacciono le cose belle e quel Seth è davvero un piacere per gli occhi. Perché non ti piace?»
Spalancai così tanto gli occhi che temetti potessero uscirmi fuori dalle orbite. Ma poi mi imposi un po’ di contegno e lo fulminai con lo sguardo, mentre serravo i pugni sul tavolo. «Ti pare il momento?»
«Sono un demone», ripeté, stringendosi nelle spalle. «Per me, è sempre il momento per queste cose.»
«Sì, ma non ti ho chiesto di venire qui per parlare della mia vita sentimentale.»
«Io invece credo proprio che dovremmo parlare della tua vita sentimentale, che mi pare di capire essere inesistente.» Sorrise, compiaciuto del modo in cui non ero proprio riuscita a non spalancare la bocca e arrossire.
Mi detestai per quella parte così umana di me. «Vuoi essere preso a pugni?»
«Per caso, hai fatto giuramento di restare vergine fino al matrimonio? È questo che fate voi della vostra razza? Troppo puri per sporcarvi con…»
«Hawke!»
Lui fece una risatina sottovoce, mentre abbassava lo sguardo e prendeva un sorso della sua bevanda. «Scusa, ma non riesco a trattenermi quando mi guardi in quel modo – tutta rossa e scandalizzata come se il sesso fosse chissà quale peccato capitale.»
«No, ti guardo come se fosse del tutto fuori luogo parlare di questo mentre ti sto dicendo che un ragazzo è stato ucciso per il suo sangue.»
Si imbronciò come se lo avessi messo in punizione. «Sto cercando di sdrammatizzare…»
«Cerca di sdrammatizzare dopo che abbiamo parlato di quanto sia grave questa storia.»
«Come vuoi, ma prima vorrei finire la mia bevanda.» Bevve un ultimo sorso di cioccolata. Due baffi marroni gli macchiarono il labbro superiore e lui li leccò subito con movimento rapido della lingua.
Distolsi lo sguardo con una smorfia di disgusto.
«Non ho sentito niente sulla morte di quel ragazzo», disse. «Né sul suo sangue.»
Sollevai gli occhi dal mio piatto ormai vuoto. Mi sentii improvvisamente molto peggio e mi pentii di avere lo stomaco pieno. «Ma tu pensi che possa essere stato un demone?»
«Che altro?» Fece un vago cenno della mano, come se avesse voluto scacciare una mosca. «Ho visto molte cose brutte durante gli anni della mia esistenza, te lo posso garantire, ma non riesco ad immaginare un umano che esegue un rituale di sangue.»
«Ma sette anni fa le cose sono cambiate parecchio, quando i Vigilanti sono usciti allo scoperto.»
«Questo è vero.» Tamburellò un polpastrello contro il tavolo, gli occhi neri assorti in un pensiero lontano. Poi sollevò la testa con uno scatto. «Farò delle domande in giro.»
«Okay, grazie.»
Si alzò in piedi e si passò una mano fra i riccioli. Mi fece l’occhiolino. «Immagino che ci vedremo in giro, splendore.»

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


.3.
 
 
«Ieri non sei venuta.»
Sollevai lo sguardo e vidi Adeline che si appoggiava contro l’armadietto di fianco al mio. I jeans scoloriti le cadevano perfettamente sui fianchi. La felpa verde oliva le stava lievemente corta, le maniche le lasciavano scoperto l’osso sporgente del polso e l’orlo non copriva una striscia di pelle color avorio della pancia.
Adeline era la mia unica amica, dal momento in cui anche lei era il soggetto principale di continue battute meschine e commenti maligni.
La prima volta che l’avevo incontrata e avevo sentito il chiacchiericcio che la seguiva ovunque andasse, credevo che fosse a causa degli occhiali da vista spessi come fondi di bottiglia che portava sul naso, o per colpa dei tratti asiatici della madre mescolati insieme a quelli irlandesi del padre che la rendevano unica e diversa. Ma poi avevo scoperto il vero motivo: Adeline poteva vedere le anime delle persone come un alone di colori e luci diverse che le circondavano. Il suo era un talento raro, che lei non aveva mai nascosto a nessuno, anche quando l’aveva resa la vittima delle stesse cattiverie che dovevo subire io.
Ci eravamo conosciute al primo anno di liceo e, quando mi aveva detto quello che poteva fare, io le avevo creduto immediatamente. Se io ero capace di vedere gli spiriti, perché non avrei dovuto credere che esistevano persone capaci di vedere le anime?
Ci eravamo alleate contro l’ignoranza e la cattiveria dei nostri coetanei, per poi non separarci più.
Sebbene mi fidassi ciecamente di lei, non le avevo mai parlato della mia vera identità e lei non mi aveva mai dato l’impressione che sospettasse la verità. Una parte di me, però, era sicura che lei sapesse: la mia anima non poteva essere come quella degli umani.
Sospirai, pronta a pronunciare l’ennesima bugia: «Ho avuto la febbre. Il giorno prima sono stata sorpresa da un temporale e devo aver preso freddo.»
«Che palle questa pioggia!»
«Già.» Le rivolsi un’occhiata di sfuggita. «Immagino che non vedi l’ora di trasferirti in Florida, finito il liceo.»
«Assolutamente. Non vorrò mai più vedere la pioggia per il resto della mia vita.»
«Potrebbe essere una cosa un po’ complicata.»
«No, per niente. Appena inizia a piovere, mi trasferisco in un altro posto assolato.»
«Hai già pensato a tutto, vedo.»
«Mi piace essere organizzata, lo sai.» Fece un sorriso complice, poi allungò una mano per sistemarsi gli occhiali sul naso.
Chiusi il mio armadietto e insieme ci avviammo lungo il corridoio.
Adeline si aggrappò al mio braccio per farsi guidare tra le auree troppo luminose e colorate che la distraevano e l’abbagliavano. «Senti, ieri non sei uscita dal letto proprio per niente?»
Mi allarmai e mi irrigidii, preoccupata al pensiero che potesse avermi vista in città mentre mi recavo o tornavo dal mio incontro clandestino insieme a Hawke.
Deglutii a vuoto, mentre i muscoli della mia schiena si tendevano al massimo. «Perché?»
«Perché è successa una cosa brutta.»
«Ah.» Mi afflosciai su me stessa e incurvai le spalle in avanti. «Ti riferisci a Daniel Sterling.»
Si fermò sul posto e mi fissò con i suoi occhi a mandorla nascosti dalle spesse lenti degli occhiali. «Lo sai?»
Seth mi aveva detto che avevano cercato di insabbiare la verità sulla morte di Daniel Sterling in ogni modo possibile, ma purtroppo le voci erano circolate troppo velocemente per essere controllate e la notizia del suo omicidio aveva raggiunto troppe orecchie per poter essere messa a tacere. Per fortuna, però, nessuno era a conoscenza dei dettagli e questa era l’unica cosa che importava.
«Me l’ha detto Seth.»
Adeline riprese a camminare, senza staccare gli occhi dal mio profilo. «Immagino che sia un bene che i Vigilanti stiano indagando insieme alla polizia.»
«Immagino di sì.»
Entrammo nell’aula di chimica e prendemmo i nostri posti vicini nel terzo banco dalla cattedra.
Mi afflosciai sulla mia sedia e abbandonai la fronte sul tavolo, mentre intorno a noi le persone parlavano con voce bassa e tono grave. Non avevo bisogno di sentirli per sapere qual era il loro argomento principale.
«Stai bene?»
«Non lo so», confessai. Non aveva senso mentirle su questo. «Mi sento davvero strana. Quando l’ho saputo mi sono sentita malissimo, perché lo odiavo davvero. Ma era solo un ragazzo e ora è morto…»
Fece un sospiro un po’ melodrammatico. «Già. Ho provato la stessa cosa.»
Poggiai una guancia sul palmo della mano. «Ci ha dato il tormento per anni e lo odiavo per questo. Ma ho sempre sperato che un giorno lui sarebbe cresciuto e si sarebbe reso conto che quello che ci diceva era sbagliato. E ora… lui non crescerà più.»
Adeline fece un secondo sospiro. Aprì la bocca per parlare, ma la chiuse con uno scatto.
Improvvisamente nell’aula cadde il silenzio. Pensai che fosse perché era entrato il professore per dare inizio alla lezione, ma quando aprii gli occhi mi accorsi che sulla soglia dell’aula c’era un ragazzo.
Liam Sterling, il fratello di Daniel.
Si fermò a pochi passi dal nostro banco e mi piantò gli occhi dritti in viso. Ricambiai il suo sguardo, con la schiena dritta come uno spillo e la mascella serrata.
Ci eravamo sempre e diligentemente ignorati, anche quando ci eravamo ritrovati nella stessa stanza, ma quel giorno Liam mi guardò davvero. E io guardai lui.
Non ci avevo mai veramente fatto caso, ma Liam era un ragazzo molto bello. Era alto, molto più di me, tanto che per poterlo guardare negli occhi ero costretta a rovesciare la testa all’indietro. Aveva il volto di un dio greco, con quella mascella marcata e squadrata e quel naso dritto e perfetto. I capelli castani erano lievemente arruffati sulla testa a causa dell’umidità della pioggia e delle ciocche gli ricadevano sulla fronte.
Poi lui abbassò di colpo la testa e camminò per prendere posto sulla sedia davanti alla mia. Vidi i muscoli della sua schiena tesi sotto il maglioncino grigio e i capelli umidi di pioggia che gli si appiccicavano alla nuca.
Si voltò con uno scatto così improvviso che mi fece sobbalzare sulla sedia. «Vorrei parlarti.»
Sentii Adeline trattenere il fiato alla mia sinistra.
Io sgranai gli occhi. «Cosa?»
«Vorrei parlarti», ripeté molto lentamente, come se fossi sorda o avessi un deficit dell’apprendimento.
E a quel punto fu impossibile trattenere la risatina sarcastica che mi sconquassava il petto. «Parlare con me? Sono per caso finita in un universo parallelo in cui io e te parliamo?»
Liam tese le labbra in una smorfia che sembrava avere tutta l’intenzione di essere un sorriso. Solo che non fu un successo. «Hai ragione. Noi non siamo amici e a malapena possiamo definirci conoscenti. Ma ho davvero bisogno di parlare con te.»
«Perché?»
«Perché mi serve un favore e tu sei l’unica a cui posso chiedere.»
«Io…»
L’intera aula era rimasta in silenzio, in attesa di una mia risposta o di una mia reazione. Sentivo perfettamente gli occhi di ogni singola persona presente fissi sulla figura alta e slanciata di Liam protesa verso la mia, rigida e statuaria sulla mia sedia.
Per fortuna il professore entrò nella classe e Liam fu costretto a tornare a guardare davanti sé. E solo quando mi ritrovai di fronte alla sua schiena riuscii a rilasciare il respiro che avevo trattenuto.
In sottofondo sentivo il professore che spiegava mentre disegnava formule sulla lavagna, dietro di me udivo il brusio del chiacchiericcio degli studenti che non prestavano attenzione e il fruscio delle penne che scorrevano sui quaderni. Ma io passai l’intera lezione con la matita in mano, ferma a pochi millimetri di distanza dalla pagina che rimase perfettamente bianca, e con gli occhi fissi sulla nuca di Liam Sterling.

§

«Oh, merda!» Adeline si batté una mano sulla fronte, per poi alzare gli occhi al cielo e imprecare una seconda volta.
«Che succede?»
«Ho dimenticato il libro di matematica nel mio armadietto.» Si voltò verso la porta che si era appena chiusa alle nostre spalle e piegò la bocca in una smorfia. «Devo prenderlo per forza per fare i compiti.»
«Allora vai a prenderlo.» Le feci un cenno con le mani. «Ti aspetto.»
Si mordicchiò l’unghia del pollice, come faceva ogni volta che era nervosa. «Pensavo che Seth ti avesse detto di tornare subito a casa.»
Era vero. Quella mattina, Seth si era raccomandato almeno un centinaio di volte affinché tornassi a casa appena finite le lezioni. Tutta quella apprensione feriva un po’ il mio orgoglio, ma allo stesso tempo mi scaldava il cuore al pensiero che ci fosse qualcuno che si preoccupava sempre per me. Però sapevo anche che Adeline aveva paura di camminare da sola per la città, perché le auree delle persone che incontrava per strada la accecavano e la distraevano troppo per potersi orientare. Si perdeva spesso e aveva sempre problemi a trovare la strada di casa.
Sollevai una spalla e le strizzai l’occhio. «Non succede niente se ti accompagno per un tratto.»
«Dici sempre così, poi finisce che mi accompagni fino alla porta di casa.»
«E dove sarebbe il problema?»
Si rosicchiò l’unghia per un lungo istante, senza dire una parola. Poi nascose la mano nella tasca dei suoi jeans e drizzò la schiena.
«Dammi cinque minuti, okay? Prendo il libro e torno.» Poi vidi la sua chioma di capelli neri e blu sparire dietro le porte.
Io diedi le spalle all’entrata della scuola ed estrassi il telefono dalla tasca posteriore dei jeans. Scrissi un veloce messaggio a Seth per informarlo che avrei accompagnato Adeline a casa sua e di non entrare in paranoia se non rincasavo nella prossima ora, perché la mia amica abitava dalla parte opposta della città.
Stavo fissando lo schermo dello smartphone in attesa di una risposta, quando una mano dalle dita forti mi arpionò una spalla.
Sobbalzai dalla sorpresa, ma reagii senza attendere la seconda mossa del mio avversario: mi spinsi in avanti e, usando il peso del mio corpo come leva, sollevai il nemico sulla schiena e lo feci atterrare con una capriola ai miei piedi. 
Liam picchiò la nuca contro l’asfalto e gli occhiali da vista gli scivolarono dal naso. Rilasciò con un sibilo il respiro e gemette per il dolore.
«Cazzo», imprecò a denti stretti.
Lasciai di colpo la presa sul suo avambraccio e mi portai le mani alla bocca. «Oh, porca merda!»
Lui aprì un occhio e mi rivolse una specie di sorriso, misto ad una smorfia di dolore. «Ma che ti insegnano in quella casa?»
Con il cuore che mi era salito in gola, mi inginocchiai al suo fianco, mentre lui si sollevava per mettersi a sedere.
Mi sporsi subito in avanti e gli toccai la schiena per accettarmi che non gli avessi fatto davvero male. Sotto la stoffa del suo cardigan, le sue ossa mi sembravano ancora intatte. Allora gli schiaffeggiai una spalla. «Ma che diavolo pensavi di fare?»
Lui sgranò gli occhi e, ora che non portava gli occhiali, mi accorsi di quanto fossero grandi e profondi. Avevano una forma dolce e armoniosa, come quella deli occhi di un cervo. Erano castano chiaro, così chiaro da sembrare caramello fuso.
Wow. Erano davvero belli.
Ma io non dovevo pensare a certe cose perché la realtà era che non mi importava niente di lui. Inoltre, lo avevo appena sbattuto in terra come uno dei manichini con cui Seth mi faceva allenare.
Alzai gli occhi al cielo. «Perché mi attaccate tutti alle spalle, in questi giorni?»
«Non ti ho attaccata alle spalle!» ribatté. Recuperò gli occhiali dal suolo e li inforcò con uno scatto piuttosto violento. «E poi sei tu che mi hai scaraventato a terra come se fossi un sacco di patate. Quindi, dovrei essere io quello arrabbiato.»
«Mi hai afferrato una spalla e…»
Mi lanciò un’occhiataccia che spense le parole che stavo per pronunciare. «Ti ho chiamato due volte, ma non mi hai risposto.»
«Non ti ho sentito.» Sostenni il suo sguardo irato, con uno che ero certa fosse ancora più furioso del suo. Sollevai il mento e intrecciai le braccia al petto. «E comunque, non ti è stato insegnato che non è carino afferrare una ragazza per le spalle?»
«Non ti ho afferrata. Ti ho toccato una spalla per richiamare la tua attenzione.»
«È la stessa cosa!»
Inspirò di scatto come se volesse replicare ancora, ma all’ultimo secondo cambiò idea e scoppiò a ridere. Una risata vera e profonda, un suono rauco e inesperto come ridere fosse una cosa strana e insolita.
Avvertii una stretta alle pareti dello stomaco e un formicolio nella punta delle dita, ma lo ignorai.
«Devi aver sbattuto la testa più forte di quello che credevo», commentai. Piegai la testa di lato e allungai una mano dietro la sua nuca. Accarezzai l’attaccatura dei suoi riccioli castani alla ricerca di una ferita.
Lui smise di ridere con la stessa rapidità con cui aveva cominciato. Abbassò lo sguardo sul mio braccio teso in avanti e poi lo sollevò di nuovo per fissarlo sul mio volto.
Avvolse il mio polso fra le dita, ma questa volta la sua fu una stretta delicata che mi incendiò ogni terminazione nervosa dell’arto che stava toccando.
Mi feci indietro con uno scatto improvviso.
Dio, sembrava che non avessi mai parlato o toccato un ragazzo prima. Mi stavo davvero comportando come una stupida, come… un’umana.
Mi alzai in piedi e lui fece lo stesso.
Feci schioccare la lingua contro il palato e sollevai il mento. «La mia risposta è no.»
Sbatté le ciglia un paio di volte e la sua espressione confusa mi fece venire voglia di accarezzare la ruga che si era creata fra le sue sopracciglia. Invece intrecciai le braccia al petto.
«La tua risposta è no?» ripeté.
«Prima hai detto di aver bisogno di un favore. La mia risposta è no.»
«Ma non sai nemmeno cosa devo chiederti», disse. «Potresti almeno ascoltarmi solo per cinque minuti? Se dopo ancora non vuoi avere nulla a che fare con me, ti lascerò in pace. Lo giuro.»
«Anche se volessi – e non voglio – non posso. Devo accompagnare Adeline a casa, e poi devo correre alla villa.»
«Ma Adeline non è ancora qui.» Si guardò intorno come a voler dimostrarmi di aver ragione. «Puoi ascoltarmi almeno fino a che non arriva?»
C’era così tanta determinazione nel suo sguardo, così tanta tenacia nel modo in cui parlava, così tanta sicurezza nel modo in cui si poneva. Ma allo stesso tempo riuscivo a vedere chiaramente le sue fragilità.
Mi afflosciai su stessa come un palloncino bucato. «Che cosa vuoi da me, Liam?»
Lui inspirò così tanto da gonfiarsi il petto, poi gettò fuori l’aria e disse: «Aiutami a trovare l’assassino di Daniel.»
Spalancai la bocca come se volessi replicare, ma la richiusi subito dopo. Credevo che nessuno fosse a conoscenza dei dettagli sulla morte di Daniel Sterling, invece sembrava proprio che Liam sapesse molto più di quanto avrebbe dovuto. 
«Ma... Che cosa? Perché lo sta chiedendo proprio a me?»
«Perché nessun altro in città ha le tue conoscenze.»
«Ma che c’entrano le mie conoscenze?»
Fece un passo verso di me, e io ne feci subito uno indietro. «Io so che cosa è successo a mio fratello e so che lo sai anche tu.»
«Non so di che cosa tu stia parlando…»
«Invece io credo proprio di sì.»
Deglutii a vuoto. «Non so cosa pensi di sapere, ma…»
«Rowan, non c’era più sangue nel suo corpo. E non so cosa accidenti significa», disse con voce tremante, come se si stesse sforzando di trattenere le lacrime. «Va bene mentire al resto della città, capisco che certe informazioni devono restare un segreto. Ma Danny era mio fratello e io devo capire chi gli ha fatto una cosa del genere.»
Ingoiai il nodo che mi aveva serrato la gola. «Io non ne so molto più di quanto ne sai tu.»
«Ma tu sei cresciuta in mezzo a loro e potresti aiutarmi a capire.»
Il dolore che provava mi si riversò dentro come se mi appartenesse. Sentivo perfettamente il suo cuore che si spezzava e sanguinava, e fui così tanto sopraffatta dalla sua sofferenza che sarei potuta scoppiare a piangere.
Allungai una mano, come se avessi voluto stringere la sua in un gesto di conforto, ma all’ultimo secondo cambiai idea e lasciai ricadere il braccio lungo il busto.
«Ascoltami», dissi, «non posso immaginare quanto tutto questo possa essere difficile e doloroso per te. Ma non penso che indagare per conto tuo possa aiutarti in qualche modo. Forse dovresti tornare a casa e lasciare che siano le autorità competenti a gestire tutta questa storia. Sono sicura che troveranno il vero colpevole.»
«Non trattarmi con accondiscendenza.»
«Cercavo solo di essere gentile.»
«Non voglio la tua gentilezza. Ho bisogno del tuo aiuto!»
«Sterling, parliamo chiaro: giocare a fare Sherlock Holmes non riporterà Daniel in vita.»
«Lo so. Voglio solo che lui abbia giustizia» esclamò. «E poi pensavo che tu avresti voluto la stessa cosa. Non è questo che fate tu e la tua famiglia?»
«Ma cosa vuoi che faccia in pratica? Ce l’hai un piano?»
«Io...» Liam scosse la testa. «Prima ho bisogno di più informazioni. Niente di quelli che è successo a Daniel ha senso.»
«E dopo? Dopo che avrai ottenuto le informazioni che cerchi. Che succede dopo?»
«Ancora non lo so.»
«Non è un gran bel piano, fattelo dire.» Feci scoccare la lingua contro il palato. «Io non penso che tu sappia davvero cosa mi stai chiedendo di fare.»
Lui abbassò lo sguardo e serrò la mascella, rendendo la linea della sua mandibola ancora più dura. «Aiutami lo stesso. Un piano mi verrà in mente non appena ci capirò qualcosa. Ti prego.»
Abbassai lo sguardo sulla punta delle scarpe. Come facevo ogni volta che ero nervosa, mi mordicchiai il labbro inferiore.
Alzai di nuovo gli occhi per osservare il suo volto.
Dio, era davvero molto bello e io mi detestavo per il modo in cui non riuscivo più a non vederlo.
Però dovevo essere onesta con me stessa: anche se il suo aspetto fisico non mi era affatto indifferente, Liam non mi piaceva. Ma allo stesso tempo, suo fratello era appena stato ucciso in modo terribile e il colpevole ancora camminava libero, e credevo fermamente che nessuno meritasse di soffrire così tanto.
Sospirai e incurvai le spalle in avanti.
Mi stavo facendo sconfiggere dagli occhi ricolmi di dolore di Liam Sterling.
Lui fece un altro mezzo passo in avanti, invadendo completamente il mio spazio personale. Istintivamente arretrai ancora e mi ritrovai con la schiena contro il muretto del parcheggio. Avvertivo comunque il calore del suo corpo sulla mia pelle attraverso gli strati dei vestiti che ci separavano.
«Ti prego, dimmi che mi aiuterai.»
Avrei tanto voluto dire di no, voltargli le spalle e fingere che tutta quella faccenda non mi toccasse. Ma anche se fossi riuscita a ignorare gli incubi che facevo ogni notte, non ero sicura di poter dimenticare gli occhi pieni di dolore e supplica con cui Liam Sterling mi stava guardando in quel momento. Ed ero certa che non avrei mai potuto ignorare il modo in cui mi sentivo – accaldata, nervosa, eccitata – adesso che eravamo così vicini.
Lanciai un’occhiata alla mia destra, dove la porta si era aperta e Adeline ci veniva incontro con il libro di matematica sotto il braccio e le sopracciglia aggrottate verso il centro della fronte.
«Possiamo parlarne in un altro momento, lontano dagli altri?»
«Perché?» Liam seguì il mio sguardo e, quando capì, fece un vago cenno d’assenso. Serrò la mascella e fece un passo indietro. «Se vi può fare comodo, posso darvi un passaggio con la macchina.»
Piegai la testa di lato e mi morsi di nuovo il labbro.
Un posto sul sedile dell’auto di Liam, al caldo dell’aria condizionata e all’asciutto, avrebbe fatto comodo sia a me sia ad Adeline. Ma avevo appena ammesso a me stessa di essere fisicamente attratta da lui. Ero troppo orgogliosa per poter accettare anche questo.
Scossi la testa. «Non fa niente.»
«Sei sicura?»
Feci schioccare la lingua sul palato, piegando le labbra in un sorriso serafico. «Non dimenticare che non siamo amici.»
Non siamo amici, mi ripetei mentalmente.
Liam fece un sorriso diverso da tutti quelli che gli avevo visto fare. Era storto, più ampio verso il lato destro delle labbra. E maledettamente affascinante.
«Giusto» disse. Poi mi salutò con un cenno del capo e andò via.
Adeline mi raggiunse. Le sue calosce di gomma facevano rumore ogni volta che affondavano in una pozzanghera. «Che succede con Liam Sterling?»
«Non lo so ancora.»
Con gli occhi fissi sulla schiena ampia di Liam, che camminava con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni, Adeline tornò a mordicchiare l’unghia del pollice. «Roe, la sua aura…»
«Suo fratello è morto da meno di quarant’otto ore, Addy. È normale che la sua aura sia diversa.»
Lei scosse la testa. «Però, quello non è dolore. C’è solo rabbia.»

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


.4.
 
 
 
 
C’era una fantasma lungo il viale della villa.
All’inizio non ne ero sicura, perché gli spiriti non erano fatti di materia e i loro corpi si confondevano con ciò che li circondava. Poi, però, come un vecchio televisore che finalmente si sintonizza sulla giusta antenna, i lineamenti della figura che camminava avanti e indietro lungo la riva del fiume divennero sempre più chiari. Ed ebbi un tuffo al cuore quando riconobbi una zazzera di capelli castani su una testa dai lineamenti duri ma perfetti, due spalle larghe e un petto ampio, braccia e gambe dai muscoli scolpiti da ore e ore di allenamento.
«D-Daniel?» La mia voce tremava. Mi schiarii la gola e ripetei, con tono fermo e calmo: «Daniel Sterling.»
Il fantasma si volto con uno scatto.
Seth mi aveva insegnato subito che i nomi avevano un grande potere. Eppure, nonostante lo avessi fatto moltissime volte prima, non smettevo mai di stupirmi di vedere uno spirito che si faceva sempre più nitido fino a sembrare che potesse tornare ad essere fatto di carne ed ossa quando veniva chiamato con il suo nome.
Guardai Daniel e cercai di ignorare il profondo taglio sulla sua gola e quelli altrettanto profondi sui suoi polsi. Mi imposi di non distogliere lo sguardo dal suo volto, che con la morte aveva perso del tutto il sano colorito dell’abbronzatura e il rossore delle guance.
Lui mi osservò per eterni istanti. I suoi occhi castani, più scuri di quelli di suo fratello, vagarono per eterni istanti sul mio viso.
Mi tolsi il cappuccio della felpa dalla testa e ignorai la pioggerella che lasciava minuscole goccioline fra le ciocche che erano sfuggite alla mia coda di cavallo.
Gli rivolsi un sorriso. «Mi riconosci?»
Fece un cenno della testa. «Sei Rowan Monroe.»
«Sì.»
Un sorriso amaro gli piegò le labbra quando sollevò i polsi in avanti. «Sono morto, vero?»
Uno stretto nodo mi serrò la gola, impedendomi di dar voce alle mie parole. Mi morsi il labbro e annuii.
«Sono stato a casa mia. Ho provato a parlare con Liam, ma lui non mi vede e non mi sente.» Distolse lo sguardo e lo rivolse al fiume, il torrente che scorreva rapido davanti ai nostri occhi. «Tu, invece, ci riesci?»
«Io sono speciale», dissi, mentre camminavo lentamente verso di lui.
Fece un ghigno, identico a quello che faceva quando era ancora vivo. Solo che era infinitamente più triste e malinconico. «Lo dicevo che eri strana.»
Strozzai una risata e nascosi la bocca dietro una mano. Era morto, ma continuava a prendermi in giro. Nonostante tutto, ero davvero contenta che fosse rimasto così se stesso.
Tornai a guardarlo. «Daniel, sai cosa ti è successo?»
«Non ne sono sicuro.» Abbassò lo sguardo sulle sue ferite. «Stavo tornando a casa dopo una festa e c’era qualcuno che mi seguiva, ma ogni volta che mi voltavo non vedevo altro che oscurità. Poi ho sentito qualcosa che mi afferrava per le spalle e…»
«Non devi dirmelo», mi affrettai ad interromperlo, notando il panico nei suoi occhi.
Lui mi fissò per eterni istanti. «Era un uomo. Ma non era un uomo. Ha senso?»
Feci cenno di sì. «Probabilmente era un demone. Alcuni sanno assumere forma umana.»
Lui sgrano gli occhi. «Un demone
Mi limitai a sollevare le spalle.
Daniel fece una risatina rauca. «Immagino che abbia senso. Se esistono gli angeli, perché non dovrebbero esistere anche i demoni?»
«Già.»
«Ma perché un demone dovrebbe farmi una cosa del genere, Rowan?»
«Io… non lo so.» Il nodo nella mia gola si fece ancora più stretto. Le lacrime mi offuscavano la vista e il corpo di Daniel tornò ad essere trasparente. «Ma troveremo un risposta, te lo prometto.»
«Ti ringrazio.» Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, come se stesse studiando la sua stessa condizione. Tornò a guardarmi. «Ha detto che non ero quello che cercava.»
«Cosa?»
«Il demone… La cosa che mi ha ucciso. Credo che fossi già morto, perché lo vedevo di spalle e non sopra di me. Però l’ho sentito: ha detto che non ero io quello che cercava.»
Deglutii a vuoto, mentre il panico mi serrava la gola e mi faceva rivoltare lo stomaco nella pancia. Per un istante, tutto intorno a me cominciò ad ondeggiare e le mie ginocchia persero forza.
Che cosa voleva dire?
Aprii la bocca per chiederglielo, ma Daniel aveva nascosto le mani nella giacca che indossava la notte in cui era morto e aveva ancora una volta rivolto lo sguardo sul letto del fiume. Lo fissava con intensità, come tutti gli spiriti che avevo incontrato prima di lui.
«Non so perché sono qui.»
Mi portai le mani al ventre, dove una voragine di paura aveva ingoiato tutti i miei organi interni.
Tirai su con il naso e fissai a mia volta il fiume. «È stata l’acqua ad attrarti qui.»
Lui mi rivolse un’occhiata interrogativa.
«Devi attraversare il fiume», riposi. «In questo modo, potrai oltrepassare il Velo e… andare oltre.»
Sollevò un sopracciglio e, se non fosse stato per la sua figura tremolante e incorporea, avrei facilmente potuto credere che fosse ancora vivo e in piedi al mio fianco. «E la luce? Non dovrebbe esserci una luce bianca e bellissima?»
Mi morsi un labbro per non ridere. Tutti i fantasmi che avevo incontrato da quando ero solo una bambina mi avevano rivolto quella stessa domanda e tutti erano rimasti profondamente delusi nello scoprire la verità.
«Devi solo attraversare il fiume, Sterling.» Feci un cenno del capo verso la riva e un sorriso incoraggiante. «Il fiume è il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. Solo quando lo avrai superato, potrai andare oltre.»
«Come il fiume Acheronte nella Divina Commedia
Mi strinsi nelle spalle e scossi il capo per allontanare una ciocca di capelli da davanti gli occhi. «Tutte le storie hanno un fondo di verità.»
«Che cosa c’è dall’altro lato della riva?» Sembrava spaventato e, anche se in vita era stato uno stronzo e io lo avevo odiato, in quel momento desideravo soltanto poterlo rassicurare.
Però non potevo mentire su una cosa del genere. «Non lo so.»
Stava fissando la sponda opposta del fiume, con le palpebre abbassate sugli occhi. «Credi che ci sia la luce, dall’altro lato?»
«Spero proprio di sì.»
Lui fece un passo in avanti e immerse i piedi nell’acqua verde scuro del fiume. Fece un altro passo e il torrente gli bagnò i jeans fino alle ginocchia.
Quando sarebbe arrivato al centro del letto, lui sarebbe sparito dalla mia vista. Sentii le lacrime salirmi agli occhi, come ogni volta che vedevo qualcuno che oltrepassava il Velo.
Improvvisamente, Daniel si voltò verso di me. La luce del sole che stava tramontando lo trapassava. Era sempre più trasparente, tanto che faticavo a vedere i contorni della sua figura tremolante.
«Non avere paura», lo rassicurai.
«Non ho paura per me.» Scosse la testa e distolse lo sguardo. «Liam non si darà pace, Rowan. Si caccerà nei guai per capire chi mi ha fatto questo e perché.»
Ripensai alla determinazione che aveva scorto negli occhi di Liam solo qualche ora fa, mentre parlavamo nel parcheggio della scuola. Sospirai e incurvai le spalle in avanti. «Lo so.»
«Tu non mi devi niente. Ma, ti prego, non permettere che mio fratello mi raggiunga prima del tempo solo perché vuole darmi giustizia.»

§
 
La villa in cui vivevo era una grande casa di pietra e mattoni scuri, una figura ampia e minacciosa, arroccata al di sopra di una collina i cui pendii si bagnavano direttamente in uno degli affluenti del fiume Columbia.
Sin da quando ero una bambina, mi era sempre piaciuto arrampicarmi sul tetto della casa e guardare le linee delle strade e dei palazzi della città sotto i miei occhi.
I Vigilanti, nella loro vera forma angelica, avevano delle ali capaci di sopportare pesi molto elevati e in grado di resistere in volo per ore. Io potevo saltare molto in alto e riuscivo a lasciarmi cadere da altezze spaventose senza farmi male, ma volare non mi era concesso. E non credevo che fosse del tutto giusto, ma ormai avevo capito presto che la vita era fatta da ingiustizie.
Eppure, nonostante l’invidia e il senso di rabbia che mi bruciava il sangue nelle vene, l’altezza non mi aveva mai spaventata, anzi la cercavo di continuo. Quello era l’unico posto dove riuscivo a concentrarmi e pensare.
Nella mia testa continuavo a ripercorrere la breve conversazione che avevo avuto con Daniel sulla riva del fiume.
Ha detto che non ero io quello che cercava.
Cosa poteva significare? Cosa stava cercando quel demone? Cosa poteva essere così importante da uccidere un ragazzo innocente e ignaro? E soprattutto, se non era Daniel o il suo sangue ciò che voleva, avrebbe ucciso ancora per trovare ciò di cui realmente aveva bisogno?
Più passavano i minuti, più domande si affacciavano nella mia mente.
La notte ormai era calata sulla città e la pioggia aveva smesso di scendere dal cielo. L’umidità mi aveva arricciato ancora di più i capelli, che per una volta tanto avevo deciso di lasciare liberi e indomabili lungo la schiena e sulle spalle. Il vento freddo mi graffiava la faccia e mi aveva intorpidito le dita delle mani e dei piedi.
«Sapevo che ti avrei trovato qui.»
Quando alle mie spalle avvertii il suono di passi felpati sulle tegole del tetto e il fruscio di un battito di ali, come ogni volta, le mie labbra si incurvarono in un sorriso e le mie preoccupazioni si dissiparono in un istante.
Elias, oltre ad essere il padre di Seth, era il leader della legione di Portland e l’uomo incaricato della mia custodia.
La prima volta che lo avevo visto ero rimasta assolutamente senza parole.
Lo avevo fissato a lungo, mentre posava i piedi sul pavimento di quella vecchia chiesa e camminava lentamente verso di me, con la braccia tese in avanti. Brillava di una luce bianca e calda che mi faceva pizzicare gli occhi ma che non riuscivo a smettere di fissare, le sue ali dalle piume bianche erano spiegate in tutta la loro ampiezza dietro la sua schiena e si estendevano ben oltre le sue spalle larghe. Si era inginocchiato per poter raggiungere l’altezza del mio viso e mi aveva rivolto un sorriso rassicurante. Mi aveva promesso che mi avrebbe portato in un luogo sicuro, poi mi aveva avvolto il busto con le sue braccia forti ed enormi e avevamo spiccato il volo nel cielo.
Ancora oggi, quando lo vedevo, tornavo ad essere per qualche istante quella bambina spaventata nascosta dietro l’altare di quella chiesa.
Elias richiuse sulla schiena le ali, fino a ritrarle completamente all’interno delle scapole. Si lisciò le pieghe sulla maglietta termica nera della sua tenuta da combattimento e si inginocchiò per poter prendere posto al mio fianco. «Hai saltato la cena, scricciolo.»
Non distolsi lo sguardo dallo scheletro della città di fronte ai nostri occhi. «Non mi sono accorta del passare del tempo.»
«Seth ti ha messo da parte qualche cosa, ne sono certo.»
Non risposi, ma sorrisi.
Non era la prima volta che saltavo i pasti e non era la prima volta che Seth litigava con metà legione per costringerli a lasciarmi qualche avanzo in modo che potessi mangiare quando più ne avevo voglia. E ogni volta, mi attendeva in cucina per potermi fare compagnia.
Elias mi accarezzò una guancia con il dorso della mano. «Che succede, scricciolo?»
Mi morsi il labbro inferiore, ma non dissi niente.
«Puoi parlare con me, Rowan. So che Seth ti ha detto la verità su cosa è successo a quel ragazzo.» La sua mano scivolò sulla mia spalla e la accarezzò sopra il tessuto del maglione che indossavo. «Non sono arrabbiato, né con te né con lui.»
«Ti ha anche detto che ho sognato la sua morte?» domandai in un filo di voce.
«Sì, me l’ha detto.»
Aprii la bocca, poi cambiai idea all’ultimo secondo e la richiusi. Guardai il suo profilo, con le parole che mi morivano in gola.
La sua barba bionda era spessa e folta, ma curata sulle guance magre e sulla mandibola dalla linea morbida. Il naso aveva una piccola gobba, nel punto in cui era stato rotto più volte. Gli occhi, della stessa tonalità ambrata di Seth e tutti i Vigilanti, erano fissi su un punto indefinito davanti a noi.
«Cosa credi che significhi?»
«Non lo so ancora», mi rispose. «Dovrò conferire con gli Arcangeli al più presto, per avere delle risposte più chiare.»
Gli Arcangeli erano i capi dei Vigilanti: erano loro a prendere le decisioni importanti. Tutto ciò che facevamo era osservato ed esaminato da loro, e il loro giudizio era definitivo.
Sapevo di averne visto uno quando ero una bambina, ma non ricordavo nient’altro se non l’accecante luce bianca che lo avvolgeva e l’odore del cioccolato che mi riempiva le narici.
Mi morsi il labbro e fissai lo sguardo sulla riva del fiume. Daniel era sparito da ore, ma per qualche strana ragione continuavo a guardare il punto in cui lo avevo visto per l’ultima volta. «Ho visto il suo fantasma.»
Elias si voltò verso di me. «Il fantasma del ragazzo Sterling?»
Annuii, il labbro ancora stretto nella morsa dei denti.
Elias spostò lo sguardo sul fiume, poi tornò a guardare me. «Ha oltrepassato il Velo?»
Ancora una volta, feci cenno di sì.
«Ti ha detto altro?»
«Ha detto che a ucciderlo è stato un uomo, che non era un uomo. Ho immaginato che si riferisse ad un demone di alto rango, capace di assumere sembianze umane.»
«Hai immaginato bene.» Elias fece un cenno del mento, la mascella serrata e i pugni stretti. «Grazie per averglielo chiesto. Questo ci aiuterà molto nella ricerca.»
«Ha anche detto che…» I denti tagliarono la carne del mio labbro e io succhiai via il sangue. Sentii la paura tornare a contorcermi le budella. «Ha sentito il demone che diceva qualcosa. Diceva che lui non era quello che stava cercando.»
Elias assottigliò le palpebre sugli occhi. Mi fissò in silenzio per eterni istanti. «Ha detto così?»
Feci un cenno d’assenso. «Che cosa può voler dire?»
Non mi diede alcuna risposta.
Si sforzò si mostrarsi rilassato, ma lo conoscevo da tutta la vita e riuscii comunque a notare i segni della tensione che cercava di nascondermi. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso che però rimase teso e rigido sulla bocca. La linea della sua mascella restò immobile e dura, le sue spalle rigide come se fossero fatte di pietra.
Mi accarezzò la testa. «Non ti devi preoccupare di queste cose, Rowan. Ci pensiamo noi.»
La rabbia mi incendiò i sensi, ma tentai di scacciarla. L’orgoglio mi ruggiva come un leone nel petto, ma lo ignorai. Serrai i pugni sulle ginocchia e drizzai la schiena. «Elias, ad un certo punto io dovrò fare qualcosa.»
«No, tu devi restare al sicuro.»
Mi alzai in piedi con uno scatto e lo fulminai con lo sguardo. Le mani mi tremavano lungo i fianchi e avevo il respiro affannato. «Il mio diciottesimo compleanno è fra qualche mese. Ho tempo fino a quel giorno per essere degna della grazia, poi sarà game over.»
I muscoli del suo viso si fecero ancora più tesi. «Non ho dimenticato.»
Le lacrime mi salirono dalla gola agli occhi, mentre dall’esasperazione mi stringevo delle ciocche di capelli fra i pugni. «Come posso dimostrarmi degna, se non faccio mai niente?»
Anche Elias si sollevò in piedi. Le sue ali spuntarono dalla schiena e si spiegarono in tutta la loro ampiezza. Anche nel buio della notte, erano bianche e splendenti. I suoi occhi erano fissi nei miei, e bruciavano come fiamme. «Non puoi uscire per affrontare i demoni, Rowan. Non posso permettere che tu ti esponga a questo pericolo, a questa…»
«A questa tentazione?» lo sfidai, facendo un passo in avanti. Ma quando lui non replicò e, abbassando lo sguardo, richiuse le ali sulla schiena, io barcollai all’indietro come se mi avessero colpita in pieno petto. «Oh, Dio.» Lo guardai, con le lacrime che mi pizzicavano gli occhi e la gola che mi bruciava ad ogni respiro. Mi portai le mani alla bocca, per soffocare il singhiozzo che mi aveva squarciato il petto. «Tu hai paura che io mi dimostri essere tutto ciò che gli Arcangeli temono. Tu non credi che io possa essere degna della grazia
Elias allungò un braccio in avanti, mentre il fuoco nei suoi occhi si trasformava in dolore. «Rowan…»
«Tu credi che non abbia una possibilità, per questo mi hai sempre tenuta nascosta.» Arretrai fino a raggiungere il bordo del cornicione. «Tu pensi che io sia come gli altri della mia razza. Io sono un’arma pericolosa.»
«Rowan…» ripeté, la voce roca e gli occhi sofferenti. Fece un passo in avanti.
Ma io avevo smesso di ascoltarlo.
Gli voltai le spalle e, senza esitazioni, saltai giù dal tetto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


.5.
 
 

Hawke era tornato a scuola.
Lo avevo capito ancora prima di avvertire il bruciore sulla pelle e la pressione nella pancia, ancora prima di intravedere nella folla della mensa i suoi riccioli neri e il suo ghigno demoniaco.
Strinse la presa sul suo vassoio e, avvertendo la mia presenza come io percepivo la sua, si voltò per farmi l’occhiolino. Poi cominciò a camminare verso il mio tavolo.
Adeline, che sedeva di fronte a me e doveva aver seguito la traiettoria del mio sguardo, trattenne il fiato. «Porca merda.»
Aumentai la presa sulla lattina di cherry coke che stavo bevendo. «Lo so.»
In realtà, gli umani non avrebbero dovuto sapere nulla dell’esistenza dei demoni, per tutta una lunga serie di regole cosmiche sul libero arbitrio e bla, bla bla… ma Adeline non poteva ignorare questa verità. «Non ha un’anima», disse con un filo di voce. I suoi occhi non lasciavano la figura imponente e nera di Hawke, che continuava a camminare dritto verso la nostra postazione.
«Lo so», ripetei.
Lei si sistemò la montatura spessa sul naso. «Però è un figo da paura.»
Scoppiai a ridere, mentre notavo che lui piegava le labbra in un sorriso soddisfatto. Era ancora parecchio lontano dal nostro tavolo, ma doveva aver sentito lo stesso.
Adeline assottigliò gli occhi e tornò a guardarmi con le sopracciglia aggrottate. «Non è la prima volta che lo vedo, vero?»
Feci una smorfia. «Ti prego, non fare domande.»
In quel momento, la sedia di fianco alla mia strusciò sul pavimento e Hawke scivolò con eleganza silenziosa sul sedile.
«Posso sedermi, vero?»
«Sei già seduto», gli fece notare Adeline. Eppure non sembrava troppo turbata dalla sua presenza al nostro tavolo, o dall’assenza della sua anima. Continuava a fissarlo con le sopracciglia aggrottate e un’espressione concentrata che le faceva arricciare le labbra.
«Addy», mi allungai verso la sua parte di tavolo per attirare la sua attenzione, «lascia perdere, okay?»
Hawke fece un sorriso smagliante e rubò una patatina dal mio piatto. «Se vuole fissarmi, lasciala fare.»
Gli lanciai un’occhiataccia.
Adeline arricciò la punta del naso. «Non mi fido di te.»
«E fai bene, tesoro. Non dovresti fidarti di chi non ha un’anima.»
Adeline sostenne il suo sguardo. «Sai che posso vedere le anime?»
«Certo. È un dono di cui andare fieri.»
Le sue palpebre si assottigliarono ancora di più. «Che cosa sei?»
Aprii la bocca per parlare, ma Hawke fu più veloce di me. «Non addentriamoci in questa strada tortuosa, mia cara. Finiremmo tutti in guai davvero grossi», disse, appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi in avanti. «Diciamo solo che sono un… collaboratore dei Vigilanti.»
Incapace di trattenermi, scoppiai a ridere così forte che mi strozzai con la saliva.
«Che cosa?» Gli lanciai un’occhiata sbieca, mentre tossivo un paio di volte. «Tu un collaboratore dei Vigilanti?»
Hawke si strinse nelle spalle e appoggiò un braccio allo schienale della mia sedia. «Be’, splendore, sono un tuo collaboratore, no?»
Quando non riuscii a trovare niente con cui replicare, mi rivolse un sorriso complice che mi fece venire il prurito alle mani per quanta voglia avevo di prenderlo a pugni.
«Io devo andare a lezione.» Adeline si alzò in piedi e afferrò il suo vassoio ormai vuoto. Mi fissò intensamente da dietro le lenti spesse dei suoi occhiali. «Oppure hai bisogno che resti insieme a te?»
Scossi la testa. «Va tutto bene.»
Lei annuì e se ne andò, non senza aver scoccato un’occhiata minacciosa al demone che mi sedeva a fianco.
«Mi piace la tua amica.» Hawke la guardò mentre camminava con passo incerto verso la porta che si affacciava al corridoio principale.
Gli diedi un pugno sulla spalla, abbastanza forte da fargli male. «Non ti permettere», sibilai a denti stretti.
«Tranquilla, non condannerei la sua anima solo perché mi piace come mi tiene testa.» Voltò la testa verso di me solo quando il profilo di Adeline sparì oltre la porta. «Quella ragazza ha sangue di demone nelle vene, lo sapevi?»
Annuii. «Lo avevo immaginato, quando mi ha detto che poteva vedere le anime.»
«E non ti disturba?»
«No.» Scossi la testa e spostai i capelli legati in una coda di cavallo dietro le spalle. «In fondo, nemmeno io sono esattamente normale.»
«Tu sei una rarità.»
«Io sono…» Mi morsi il labbro prima di poter finire quella frase. La conversazione che avevo avuto con Elias sul tetto della villa ancora mi risuonava nella testa. Il solo pensiero della sua mancanza di fiducia mi spezzava il cuore di continuo, come una lama infilata nel petto e che non riuscivo ad estrarre.
Poggiai la lattina di cherry coke e incrociai le braccia sotto il seno. «Perché sei qui, Hawke?»
Lui addentò la sua fetta di pizza. «Ho pensato che sarebbe stato più facile indagare da qui.»
«Perché?»
«Perché non ho scoperto niente laggiù. Da qualche parte dovrò pur cominciare, no?»
Istintivamente, come avevo già fatto almeno dieci volte negli ultimi venti minuti, spostai lo sguardo sul tavolo dall’altra parte della mensa.
Liam Sterling era seduto circondato da persone che gli parlavano, ma lui era chino sul suo piatto con gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso e la bocca che si apriva solo per mangiare qualche boccone del suo pranzo. I capelli castani erano arruffati come al solito e gli ricadevano sulla fronte in modo disordinato. La linea dura e dritta del naso spiccava contro la luce che proveniva dalla finestra al suo fianco.
Quel giorno indossava un maglioncino a righe blu e nere e dei jeans larghi che cadevano in maniera stupenda sui suoi fianchi snelli. Quando era entrato nella mensa, mi ero incantata nel fissare la sottile striscia dell’elastico della sua biancheria visibile oltre la cintura dei pantaloni.
Erano passati due giorni da quello nel parcheggio e ancora non avevamo parlato. E sebbene io mi sforzassi di continuare ad ignorarlo come facevo prima, tutte le volte che ci trovavamo nella stessa stanza i miei occhi individuavano la sua figura in un secondo e tornavano costantemente a posarsi su di essa, come se io fossi il magnete e lui la calamita.
«Chi è il tizio che continui a fissare con la bava alla bocca?» domandò Hawke, avvicinandosi al mio orecchio.
«Cosa? Nessuno.» Mi allontanai con uno scatto, drizzando la schiena. Non avevo bisogno di uno specchio per sapere che ero arrossita quanto una barbabietola. «E non ho la bava alla bocca.»
«Splendore», Hawke ghignò come un gatto che ha messo il topo in un angolo, «io sono un demone.»
«Sì, lo so.» Alzai gli occhi al cielo. «Non c’è bisogno che me lo ripeti in continuazione, non è una cosa che posso dimenticare.»
«Allora non prendermi per il culo. Io sento cosa provi, specialmente quando sono emozioni così forti e peccaminose…» Fece un cenno del mento in direzione del tavolo a cui era seduto Liam, che in quel momento aveva alzato la testa e guardava nella nostra direzione. «E tu lo desideri.»
«Non…» Mi schiarii la voce, costringendomi a mostrarmi disinteressata. «Lui non mi piace.»
«Sei davvero adorabile e ingenua.» Mi circondò le spalle con un braccio e avvicinò il viso al mio. Il suo alito era caldo e aveva il sapore della pizza che aveva appena mangiato, quando parlò il suo respiro mi scostò alcune ciocche di capelli sulla guancia. «Non deve piacerti per desiderarlo.»
Gli assestai una gomitata fra le costole, e gli mostrai il pugno per minacciarlo. Lui ridacchiò nel mio orecchio, ma comprese il messaggio e tornò al suo posto.
Lanciai un’ultima occhiata furtiva verso Liam. Ancora non aveva distolto lo sguardo e fissava nella nostra direzione.
«È il fratello del ragazzo di cui ti ho parlato», dissi, tornando a guardare Hawke.
«Benissimo.» Ingoiò l’ultimo boccone e mi fece un sorriso. «Possiamo unire l’utile al dilettevole, allora.»
Scossi la testa con così tanta forza che la mia coda si allentò e delle ciocche di capelli mi finirono davanti agli occhi. «Assolutamente no, Hawke. Non lo coinvolgerò in questa storia: è un umano.»
«E allora?» Sollevò le sopracciglia. «Splendore, è lui è già coinvolto. Sento quello che prova e so che non smetterà di sentirlo tanto presto.»
Serrai la mascella e con i denti stretti sibilai: «Lo so.»
«Quindi non sarebbe meglio stare al suo fianco quando i demoni lo troveranno? Perché lo sai anche tu che lo troveranno.»

§
 
Avevo aspettato per tutto il giorno di trovare Liam da solo per potergli parlare lontano da occhi e orecchie indiscrete, ma i suoi amici non lo lasciavano nemmeno per un secondo. Così, alla fine delle lezioni, mi ero appostata vicino alla sua Mercury Comet come una stalker e avevo atteso il suo arrivo.
Quando lo avevo visto comparire, con lo zaino su una spalla e il vento che gli scompigliava i capelli, mi ero tesa come la corda di un violino. Il mio cuore aveva cominciato a battere ad un ritmo così frenetico da farmi male alle costole e divenni estremamente consapevole di ogni singola cosa del mio aspetto: i capelli che la pioggia aveva reso crespi e arruffati, il labbro inferiore che veniva continuamente torturato dai miei denti, la mancanza di curve femminili in zone come i fianchi o il seno, il modo in cui i jeans mi stavano larghi sulle gambe sottili.
Scossi la testa e cercai di ignorare quei pensieri così stupidi e umani. Non era importante il mio aspetto, né il fatto che lui non mi trovasse attraente tanto quanto io facevo io con lui.
Ciò che era veramente importante era che Liam si stava infilando in un pasticcio davvero gigantesco. Lui non mi piaceva, ma non potevo lasciarlo indifeso di fronte alle attenzioni dei demoni.
Lui si fermò a qualche passo di distanza da dove mi trovavo io, con le labbra schiuse come sul punto di parlare e gli occhi lucidi dietro le lenti degli occhiali.
Incrociai le braccia al petto e drizzai la schiena. «Tu non lascerai perdere, vero?»
Fece un sorriso storto, scuotendo piano la testa. «Non posso.»
«Puoi, e dovresti.»
«Danny non era solo mio fratello, Rowan. Era il mio migliore amico.» Mi si avvicinò così tanto che riuscivo a sentire perfettamente l’odore del suo profumo – menta fresca e frizzante – e il calore del suo corpo. Abbassò il mento per potermi fissare dritta negli occhi. «Ti prego, dimmi che sei qui perché hai deciso di aiutarmi.»
Mi schiarii la gola e sostenni il suo sguardo. «Sono qui per impedirti di farti uccidere.»
«Da quello che ho visto l’altro giorno, sarai una guardia del corpo perfetta», commentò, facendo un cenno della testa verso il punto del parcheggio in cui qualche giorno prima lo avevo scaraventato a terra.
Sorrisi e arrossii, imbarazzata e allo stesso tempo compiaciuta dalle sue parole.
«Ma non ho bisogno della tua protezione», aggiunse tornando a guardarmi negli occhi. «Sono piuttosto capace di prendermi cura di me stesso.»
«Non contro questa cosa, Sterling.» Scossi la testa, ignorando la ciocca ribelle di capelli che mi era finita negli occhi. «Tu davvero non hai idea del pericolo che stai correndo.»
Lui serrò i muscoli della mascella e la linea della sua mandibola divenne ancora più dura. I suoi occhi erano fissi sulla ciocca che continuava a svolazzare intorno al mio viso. Cogliendomi di sorpresa, sollevò una mano per riavviarla dietro il mio orecchio. Indugiò a lungo con le dita sulla pelle gelida della mia guancia.
Una scarica elettrica incendiò le mie terminazioni nervose, e trattenni il respiro. Chiusi gli occhi, ma poi mi costrinsi a fare un passo indietro.
Lui lasciò ricadere il braccio lungo il fianco e strinse il pugno. «Allora spiegamelo.»
«Liam…»
«Perché lo farò comunque, con o senza il tuo aiuto. Almeno potresti dirmi contro cosa sto lottando.»
Rovesciai la testa all’indietro per poter continuare a guardare le sue iridi color caramello. «Non posso proprio fare o dire niente per farti cambiare idea?»
Quando scosse la testa, il sorriso sghembo che mi faceva venire le gambe molli tornò sulla sua bocca. «Proprio niente.»
Mi mordicchiai il labbro inferiore, quando notai che alle nostre spalle si era raccolto un gruppetto di spettatori curiosi che ci fissavano. «Possiamo andare via di qui?»
Lui lanciò un’occhiata indietro. «Ti preoccupi della mia reputazione, o della tua?»
Alzai gli occhi al cielo. «Mi preoccupo che possano sentire
«Va bene.» Tirò fuori le chiavi della macchina dalla tasca dei jeans e me le agitò davanti al viso. «Dove vuoi andare?»
«Al fiume.»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


.6.
 
 

Ero pericolosamente cosciente della vicinanza del mio corpo a quello di Liam. Camminava al mio fianco, così vicino che la sua spalla sfiorava la mia e le sue dita di tanto in tanto toccavano le mie.
Avevamo lasciato la macchina a Downtown, ma avevamo camminato senza meta e in silenzio per così tanto tempo che ci eravamo lasciati il centro della città alle spalle e avevamo raggiunto la parte più isolata e spoglia delle rive del fiume Columbia.
All’improvviso, Liam si fermò per potersi togliere gli occhiali dal naso e passarsi una mano sulla faccia. Con la montatura leggera e trasparente ancora stretta fra le dita, mi piantò gli occhi da cervo dritti in faccia. «Senti, Rowan, volevo ringraziarti per aver accettato di aiutarmi, ma…»
Piegai la testa di lato. «Ma?»
«Ma se mi dici che esistono anche i vampiri, credo proprio che darò di matto.»
Non riuscii a trattenere un sorriso divertito. «Niente vampiri. Quella è solo una storia.»
«Okay, bene.» Si infilò nuovamente gli occhiali e riprese a camminare.
Nascosi le mani nelle tasche della giacca. «Però se mi vuoi chiedere perché hanno rubato tutto il suo sangue, sappi che non posso darti una risposta definitiva.»
«Perché?»
«Perché non lo so nemmeno io.»
Sospirai e sollevai lo sguardo. Le nuvole nere coprivano il cielo come una coperta e una pioggia delicata annebbiava l’aria di fronte ai nostri occhi.
Liam calciò un sassolino. «E i Vigilanti con cui vivi lo sanno?»
«Non ne sono sicura.» Mi strinsi nelle spalle. «A me non dicono molto. Mi hanno informato di quello che è successo a Daniel solo perché veniva a scuola con me.»
Lui non disse nulla. Continuò a camminare a passo lento e cadenzato al mio fianco, con le mani che ciondolavano lungo i fianchi e i capelli che venivano mossi dal vento.
«Senti», posai una mano sul suo braccio per attirare la sua attenzione e fare in modo che mi guardasse negli occhi, «vorrei dirti una cosa, ma ho bisogno che tu giuri di non dirlo a nessun altro.»
Le sue sopracciglia folte si abbassarono sugli occhi, donando al suo viso un cipiglio confuso. Però annuì. «Lo giuro.»
«Forse non ci vorrai credere, o forse penserai che io mi stia approfittando di te in un momento di debolezza», cominciai, torcendomi le dita. «Però vedo quanto stai male e vorrei poterti dare qualcosa per farti stare meglio.»
Lui spalancò gli occhi e la bocca. «Ti stai per caso riferendo al sesso?»
«Che cosa
L’aria mi defluì dai polmoni mentre l’imbarazzo mi faceva arrossire così tanto che sentivo la pelle andarmi a fuoco. Poi, senza rifletterci sopra nemmeno per una frazione di secondo, tirai indietro una gamba e lo calciai sul retro del ginocchio con forza. Lui perse l’equilibrio e crollò in terra, proprio mentre io gli voltavo le spalle e cominciavo a camminare nella direzione opposta alla sua.
Lui mi seguì, zoppicando e saltellando sul posto. «Potresti smetterla di picchiarmi, per favore? Non so se nessuno te lo ha mai detto, ma sei piuttosto forte e io sono solo un umano.»
«Be’, tu potevi non dare per scontato che io volessi saltarti addosso solo per tirarti su il morale.» Mi voltai per poterlo fulminare con gli occhi; i capelli mi frustarono una parte del viso. «Chi diavolo ti credi di essere?»
«Scusa, hai ragione.» Arrestò di colpo il passo, quando si accorse che mi ero bloccata. «Non avrei dovuto assumere niente.»
Incrociai le braccia sotto il seno e sollevai il mento. «Infatti.»
Alzò le mani in segna di resa, camminando lentamente verso di me come se stesse approcciando un animale selvatico. «Però, devi ammettere anche tu che quello che hai detto era piuttosto ambiguo.»
Ripensai alle parole che avevo pronunciato poco prima e arrossii violentemente quando mi accorsi davvero quanto era facile fraintendere il senso di quello che stavo dicendo. Però, di certo, non lo avrei ammesso con lui. «E tu dovresti essere un po’ meno presuntuoso!»
Inarcò un sopracciglio. «Presuntuoso
«Sì, presuntuoso. E anche arrogante.» Lo sfidai sollevando il mento. «Insomma, è una cosa che ti capita spesso? Donne che si gettano nel tuo letto con l’intento di farti stare meglio?»
Lui fece una smorfia. «Direi di no.»
«Però credevi che lo volessi io?»
«Ho frainteso. Ti ho già detto che mi dispiace.»
Abbassai gli occhi sul suo petto e lo squadrai. Liam era alto e snello, ma le sue spalle ampie e i muscoli dei suoi pettorali che premevano contro la stoffa del maglione sembravano definiti e forti. Wow. Però quando tornai a guardarlo in faccia, mi mostrai indifferente. «Io sono cresciuta insieme agli angeli, Sterling, e tu al confronto non sei poi così affascinante.»
Alzò gli occhi al cielo, però aveva incurvato le labbra in un sorriso divertito capace di farmi vibrare le pareti dello stomaco. Due adorabili fossette comparvero ai lati della bocca. «Mi dispiace davvero tanto, te lo ripeto. Ma ne hai ancora per molto?»
«Credo di aver finito.» Feci un sorriso soddisfatto. «Accetterò le tue scuse.»
«Ti ringrazio.» Alzò le mani come se avesse voluto toccarmi, ma cambiò idea all’ultimo secondo e lasciò che gli ricadessero lungo i fianchi. «Ora vuoi dirmi cosa volevi dire prima?»
Mi morsi il labbro inferiore. «Ho visto Daniel, il giorno in cui abbiamo parlato nel parcheggio.»
Liam perse il colore dal viso e barcollò all’indietro come se lo avessi colpito in piena pancia. «Come?»
«Posso vedere i fantasmi.»
Aprì la bocca e la richiuse un istante dopo. «Come?» ripeté.
«Posso vedere i fantasmi e, quel giorno, ho incontrato lo spirito di Daniel.» Mi passai una mano fra i capelli e distolsi lo sguardo. «L’ho aiutato a passare oltre.»
Anche se tenevo gli occhi fissi davanti a me, sapevo che Liam continuava a fissarmi. Potevo sentire i suoi occhi sul mio profilo, come se mi stesse toccando con le mani. Il calore della sua presenza mi investiva e mi faceva rabbrividire.
A forza di mordermi il labbro, me lo ero tagliata di nuovo e ora sentivo in bocca il sapore del sangue.
«Ti ha parlato?» mi domandò con voce estremamente rauca. Non avevo bisogno di voltarmi per sapere che stava trattenendo le lacrime.
«Sì.» Sospirai e mi costrinsi a tornare a guardarlo.
Aveva gli occhi lucidi dietro le lenti trasparenti degli occhiali, le labbra umide perché continuava a passarci sopra la lingua, il respiro affannato gli alzava e gli abbassava il petto e creava delle piccole nuvolette di vapore bianco davanti al viso. «Cosa ti ha detto?»
«Ha detto che è venuto a casa vostra, che ha provato a parlare con te.»
Liam trasse un sospiro di scatto e l’aria si bloccò a metà strada, quando lui trattenne il respiro. «Davvero?»
«Ha anche detto che…» Deglutii le lacrime che mi erano salite agli occhi. «Ha detto che sa che non ti arrenderai mai, ma non vuole che tu lo raggiunga prima del tempo per dargli giustizia.»
Lui rimase in silenzio per eterni istanti e io gli lasciai il tempo e lo spazio affinché elaborasse ciò che gli avevo appena confidato.
Lo osservavo attraverso le ciglia umide di pioggia, mentre deglutiva più volte facendo ondeggiare il pomo d’Adamo sulla gola e mentre infilava e toglieva ripetutamente le mani dalle tasche dei pantaloni.
Alla fine inspirò profondamente e rilasciò con forza l’aria dal naso. Sollevò gli occhi dal suolo e tornò a guardarmi. «Grazie per avermelo detto.»
«Non c’è di che.»
Mi rivolse una specie ghigno. «Questo è anche meglio del sesso.»
Scoppiai a ridere, mentre le mie guance prendevano fuoco. «Buono a sapersi.»
«Quindi…» Si sistemò la montatura degli occhiali sul naso. «Puoi vedere i fantasmi?»
«Già.»
«Da quanto tempo?»
Mi strinsi nelle spalle. «Da sempre.»
«E non hai paura?»
«All’inizio, ne avevo molta. Soprattutto perché i fantasmi hanno l’aspetto di quando muoiono e, nella maggior parte dei casi, non è una bella vista.» Feci una breve pausa per inumidirmi le labbra con la lingua. «Però poi ho capito che non vogliono farmi del male. Anzi, hanno bisogno del mio aiuto. Quando muoiono, sono confusi e non sanno cosa fare.»
Liam non aveva distolto gli occhi dal mio viso nemmeno per un istante. L’intensità del suo sguardo mi faceva venire le vertigini. «E Daniel… che aspetto aveva quando lo hai visto?»
Scossi la testa. «Non voglio dirtelo. Però era sereno: mi ha persino presa in giro perché ero l’unica che riusciva a vederlo.»
«Che stronzo», disse con il sorriso che gli piegava la bocca. Fece una risatina a bassa voce e scrollò la testa, sconsolato. «Doveva per forza fare le stronzo anche in quel momento.»
Feci spallucce. «Non mi sono offesa. Non in quel momento.»
«E tutte le altre volte?»
«Be’…» Feci una smorfia, «sì.»
«Mi dispiace, Rowan.» Sospirò e si passò una mano sull’attaccatura dei capelli sulla nuca. «Avrei dovuto dire qualcosa, farlo smettere, ma…»
«Eri troppo impegnato a fingere che non esistessi?»
«Io…»
Sentii qualcosa di doloroso attraversarmi il petto e la delusione mi fece mancare il respiro per qualche istante. «Cavolo», borbottai. «Allora è vero.»
«Non intendevo…» Si bloccò, serrando di colpo la mandibola.
«Non fa niente», lo liquidai. «Insomma, nemmeno io avevo fatto troppo caso a te prima di tutta questa storia.»
«Se ti fa stare meglio, credo di aver commesso un errore a ignorarti per tutto questo tempo.»
Scoppiai a ridere e alzai gli occhi al cielo, mentre dentro il mio stomaco uno stormo di farfalle impazzite spiccava il volo. «Dici così solo perché ti serve il mio aiuto.»
«So che può sembrare così.» Ancora una volta, si massaggiò la nuca. «Però inizio a pensare che non sia solo per quello. Insomma, questa è solo la seconda volta che parliamo e mi hai già dimostrato di essere la persona più interessante che conosco.»
«Eh, già.» Colta da uno straordinario senso di sicurezza e coraggio, gli camminai incontro fino a fermarmi esattamente a pochi centimetri di distanza. Il suo naso mi sfiorava la fronte e il suo profumo di menta mi pizzicava le narici. Rovesciai la testa per guardarlo negli occhi. «Dopotutto, io sono la ragazza che riesce a vedere i fantasmi e scaraventa le persone a terra come sacchi di patate.»
Il suo pomo d’Adamo danzò sulla gola quando deglutì a vuoto, e notai come ogni singolo muscolo del suo corpo si era teso in avanti. Non indietreggiò e sostenne il mio sguardo. «Appunto.»
Lo aggirai e ricominciai a camminare lungo la riva del fiume.
«Tornando a parlare di cose serie…» Mi interruppi, mordicchiandomi il labbro inferiore.
«Già.» Liam mi affiancò e diede un calcio al mucchietto di foglie che intralciava il percorso. «Il sangue… perché
«Il sangue, anche quello di un mortale, ha un grande potere. Dopotutto, è alla base della vita. Per questo glielo hanno rubato.»
Aggrottò le sopracciglia dalla confusione, ma la rabbia gli aveva fatto stringere i pugni lungo i fianchi e irrigidire i muscoli delle spalle. «E che diavolo ci fanno? Lo bevono?»
«È possibile.» Ci pensai su per qualche istante, poi aggiunsi: «Anche se è più probabile che lo usino per un rituale magico.»
Lui chiuse gli occhi. «Ora mi dirai che sono state delle streghe?»
«Veramente non ci avevo pensato.» Piegai la testa di lato e arricciai il naso. «Ma mi sembra improbabile: le streghe hanno lo scopo di mantenere l’equilibrio naturale delle cose.»
«Aspetta, le streghe esistono davvero?»
«Sì, esistono davvero.»
«Cazzo.» Si passò una mano sul viso. «Cos’altro esiste?»
Mi fermai e gli strinsi le dita attorno al polso per bloccare anche lui.
Lui mi guardava con aria interrogativa, mentre io lo fissavo come si poteva guardare l’orlo di un precipizio. Sapevo che se continuavo a parlare, non potevo più tornare indietro. Ma se non lo facevo, lui si sarebbe fatto del male. «Liam, devi capire che ci sono delle regole cosmiche molto severe tra le forze del bene e del male. E la regola numero uno è che gli umani non devono sapere nulla di tutto questo, perché potrebbe avere conseguenze sul loro libero arbitrio.»
«Però i Vigilanti hanno rivelato la loro esistenza», replicò.
«Sono stati costretti», spiegai. «Il mondo stava per finire e gli umani se ne sono accorti. Non c’era modo di intervenire senza venire allo scoperto.»
«Aspetta, rallenta un attimo.» Liam si toccò la nuca e si inumidì le labbra con un sensuale movimento della lingua. Fui costretta a distogliere lo sguardo. «Quindi, quello che stai cercando di dirmi è che… Se c’è un lassù, deve anche essere un laggiù
Feci un cenno del mento. «Esattamente.»
«Cazzo.»
«Ma nessun mortale dovrebbe saperlo», ripresi.
«Perché no? Non sarebbe meglio essere preparati, o quantomeno consapevoli?»
Gli lanciai un’occhiata fugace. «Se avessi la certezza che fare qualcosa di sbagliato ti costasse un biglietto di sola andata per laggiù, lo faresti?»
Fece una smorfia. «Be’, no.»
«Appunto. Niente più libero arbitrio, niente più equilibrio.»
Lui rimase in silenzio per eterni istanti.
Dovevo ammettere che stava prendendo la notizia molto meglio di quanto avrei immaginato. Credevo che mi avrebbe dato della pazza, o che si sarebbe messo a ridere, o che sarebbe scappato a gambe levate. Invece lui continuava a restare relativamente calmo, nonostante le imprecazioni sussurrate e il modo in cui deglutiva a vuoto.
«Okay», disse alla fine. «Però ora tu me lo stai dicendo – e non penso di voler sapere come fai tu a sapere tutte queste cose.»
«Ho dovuto dirtelo», spiegai. «Tu hai detto che non ti saresti fermato, hai detto che avresti indagato da solo. E ai demoni non piace quando le persone ficcano il naso nei loro affari.» Gli fissai gli occhi color caramello, che non si staccavano dal mio viso. «E ti farai uccidere, o peggio, dannerai la tua anima per l’eternità.»
«Quindi…» Fece un profondo respiro prima di continuare: «Mi stai dicendo che sono stati dei demoni a uccidere mio fratello. Per rubargli il sangue.»
«Un demone», specificai. «Non so quale e non so perché. Ma so che ha infranto un sacco di regole.»

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


.7.
 
 

«È strano.»
Voltai con uno scatto la testa verso Liam. «Cosa è strano?»
Il corridoio dell’ultimo piano della scuola era sempre deserto ed era il posto perfetto per nascondersi da occhi indiscreti. Io e Liam eravamo seduti sul pavimento ricoperto da uno spesso strato di polvere, con le schiena poggiate al muro ammuffito e le spalle che si sfioravano.
Ci eravamo dati quell’appuntamento clandestino per poter consultare insieme le pagine di un vecchio libro sui rituali di sangue che io avevo fotografato con il mio cellulare.
Quando ero scivolata di nascosto nella biblioteca della villa, la notte prima, non sapevo bene cosa cercare e quindi avevo finito con l’immortalare ogni singola pagina di quel tomo così alto che per sfogliarlo per intero ci erano volute ore.
Liam si tolse gli occhi dal naso e si massaggiò le palpebre. «Il funerale di Daniel sarà tra un paio di giorni.»
«E cosa c’è di strano?»
«I miei genitori stanno organizzando il suo funerale, ma la sua anima ha già trovato pace – grazie a te, ci tengo a precisare.» Con la nuca incollata al muro, abbassò la testa per incontrare i miei occhi con i suoi. «Mi sembra una cosa inutile.»
Mi mordicchiai il labbro e fissai lo sguardo sul muro della parete opposta. «Forse, ma io ho sempre creduto che i funerali fossero soprattutto per i vivi, e non per i morti.»
«Che intendi?»
«Daniel ha trovato la pace, è vero. Ma tu?» Tornai a guardare il suo viso dai lineamenti perfetti. «Tu sei riuscito ad accettare la sua morte?»
Abbassò le palpebre. «Non credo che ci riuscirò mai, Rowan.»
Dio, il suo dolore era così familiare e così intenso che lo sentivo sulla mia stessa pelle, lo sentivo nelle mie membra.
Gli toccai una spalla con dita incerte e tremanti. «Non lo dimenticherai mai, questo è vero, ma riuscirai ad andare avanti anche tu.»
Lui rimase in silenzio per eterni istanti. Poi schiuse le palpebre e tornò a fissarmi con quella sua intensità disarmante. «Tu hai mai… No, scusa, è una domanda troppo personale.»
«Stavi per chiedermi se ho mai perso qualcuno?»
Lui serrò i pugni sulle ginocchia e annuì. «Non devi rispondermi, però.»
«Mia madre è morta quando ero solo una bambina.» Inspirai a fondo e abbandonai la testa contro il muro. Il dolore che sentivo nel centro del petto, come ogni volta che pensavo a mia madre, era troppo forte per poter essere ignorato. «Sono stati dei demoni.»
Lui imprecò sottovoce.
«So tutte queste cose», proseguii, «non solo perché sono stata cresciuta dai Vigilanti, ma perché le ho vissute.»
«Rowan.» La sua voce tremava, ma la mano che mi toccò il braccio era ferma. «Mi dispiace davvero tanto.»
«Anche a me.» Mi voltai per guardarlo. «Però adesso sai perché sono così sicura che riuscirai a superarlo.»
Lui fece una lunga pausa. «Ti va di venire con me?»
«Al funerale di Daniel?»
«Sì.»
Mi morsi il labbro. «Non lo so, Liam. Io non credo che sia una buona idea…»
«Hai detto che credi che i funerali siano soprattutto per i vivi, no?» Si sporse in avanti e io d’istinto arretrai. «Be’, io ti sto chiedendo di venirci con me.»
«Io…» Mi morsi il labbro.
Ma per fortuna, la campanella suonò annunciando la fine della nostra ora di buco e mi salvò dal dover replicare con una risposta che non ero pronta a dare.
Lui si alzò in piedi e mi allungò una mano. Non la afferrai e mi alzai per conto mio.
A quel punto, Liam infilò la mano nella tasca dei jeans. Mi rivolse un sorriso storto e incerto. Solo una fossetta comparve sulla sua guancia sinistra. «Almeno pensaci, okay?»
«Ci penserò», promisi.
Lui annuì, mentre il suo sorriso si ampliava e contagiava anche l’altro angolo delle sue labbra. Entrambe le fossette presenti ai lati della bocca. Mi fece un vago cenno del mento. «Vai avanti senza di me.»
«Okay.» Arrossii violentemente quando sollevai lo sguardo e mi accorsi di quanto era vicino. «Ci vediamo in giro.»
«Sì, ci vediamo.» E lo osservai, mentre spariva oltre la porta del bagno.
Cercando di togliermi il rossore che imporporava le mie guance e placando la pressione che sentivo nel centro del petto, recuperai con calma tutte le mie cose dal pavimento. Poi mi avviai.
Stavo camminando verso le scale, con la testa china e la borsa tracolla, quando sentii un rumore sordo e sospetto provenire da dietro la porta chiusa del bagno dei ragazzi. Irrigidii le spalle e mi bloccai proprio di fronte ad essa. I miei muscoli erano tesi al massimo e i miei sensi si affinarono.
Con il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio, bussai piano. «Liam, va tutto bene?»
Dall’altro lato della soglia c’era solo silenzio.
Bussai ancora. «Liam?»
Quando non ricevetti nessuna risposta, mi allarmai e, senza pensarci due volte, spalancai la porta ed entrai nel bagno dei ragazzi.
Cacciai un urlo, mentre il mio cuore faceva una capriola nel petto.
Sul pavimento di mattonelle verdi, c’era il corpo snello e asciutto di Liam. Le sue gambe erano piegate in modo strano e le braccia erano abbandonate sopra la sua testa. Quando mi inginocchiai al suo fianco, mi accorsi che aveva gli occhi chiusi, la montatura degli occhiali storta sul viso e perdeva sangue dal naso.
Scossi lievemente la sua spalla. «L-Liam?»
«Non credo che il tuo Principe Azzurro si sveglierà tanto presto», annunciò una voce calda e melliflua che proveniva dalle mie spalle. Un ragazzo dalla pelle scura come il caffe e gli occhi neri, uscì allo scoperto con passo strascicato e le mani nelle tasche dei jeans. «Credo di avergli dato una botta bella forte.»
Davanti ai miei occhi c’era un demone di livello superiore. E lo capii con un istante di ritardo.
Alzò un braccio e il suo dorso atterrò con forza disumana sulla mia guancia. La potenza dello schiaffo mi scaraventò sul pavimento, ma io non feci in tempo a sentire dolore alla spalla che aveva colpito il muro e alla caviglia che si era storta sotto il peso del mio corpo. La mano forte del demone si serrò sulla mia gola e mi sollevò da terra come se pesassi meno di una piuma.
Graffiai la sua pelle scura e scalciai per potermi liberare dalla sua morsa, ma sembrava tutto inutile.
Il demone sorrise, piegando la testa di lato. «Che peccato. Mi dispiace sempre uccidere le belle ragazze.»
Ero perfettamente consapevole che la mia riserva di ossigeno stava per finire. Sentivo nella testa un fischio incessante e il petto che mi bruciava come se andasse in fiamme. Per questo motivo non mi accorsi del movimento alle mie spalle, fino a che la pressione delle dita del demone sulla mia gola si allentò di colpo e io crollai ancora una volta in terra.
Inalando quanta più aria che potevo, sollevai la testa per capire cosa fosse successo. La mia vista era offuscata da un milione di puntini bianchi, ma riuscii a vedere il demone che ondeggiava sul posto e Liam alle sue spalle con un gigantesco vocabolario fra le mani. Sgranai gli occhi quando sollevò il libro ancora una volta e colpì il demone in piena faccia, facendolo cadere contro il lavandino. A quel punto, quando fu certo che quello restava a terra, lanciò il vocabolario in terra e corse verso di me.
Si inginocchiò al mio fianco e mi sfiorò con la punta dei polpastrelli il collo. «Cazzo. Stai bene?»
Tossii quando provai a rispondere e l’aria che entrava nella trachea mi bruciò come fuoco, così mi limitai ad annuire con un cenno del mento.
Mi aggrappai al braccio che mi stava tendendo e mi sollevai in piedi. «Tu… stai bene?»
«Sì, credo.» Liam diede una rapida occhiata alle nostre spalle per assicurarsi che il demone non si fosse mosso. «Che cosa è?»
«Un demone», risposi con la voce che mi graffiava le corde vocali. Tossii ancora quando, contro ogni logica e buon senso, scoppiai a ridere. «E tu lo hai atterrato con un vocabolario di…» Allungai il collo per leggere la copertina, «francese? Studi francese?»
«Te lo dicevo che sono capace di prendermi cura di me stesso.» Mi rivolse una specie di sorriso, misto ad una smorfia di dolore. «Mi ha preso di sorpresa appena sono uscito dal bagno. Credo di aver sbattuto la testa.»
«Ha preso di sorpresa anche me, e io sono stata addestrata a combatterli.» Serrai la mascella, furiosa per la facilità con cui mi ero fatta distrarre e cogliere impreparata.
Liam fece un sospiro. «Adesso che facciamo?»
Rivolsi lo sguardo oltre la sua spalla e notai che il demone si era sollevato sulle braccia e scuoteva la testa, riprendendo il controllo delle sue funzioni motorie.
«Attento!» Tirai il braccio di Liam e lo spostai dietro di me, mentre mi piegavo in avanti e recuperavo dallo stivale il pugnale dalla lama benedetta che mi portavo sempre dietro.
Quando il demone si lanciò contro di me, con una mano spinsi Liam dalla parte opposta per allontanarlo dalla traiettoria e mi piegai sulle ginocchia per schivare il colpo. Da qui feci scattare la lama in avanti e recisi l’arteria della coscia del demone e poi, sollevandomi verso l’alto, alzai il braccio e gli colpii anche la spalla.
Il demone cacciò un urlo e indietreggiò, facendo strisciare il piede della gamba ferita sul pavimento e portandosi il braccio sanguinante al petto. Mi lanciò un’occhiata furiosa, mentre la sua pelle si assottigliava e le pupille si stringevano.
La paura mi strinse lo stomaco, ma non prese il sopravvento. Il demone stava per assumere la sua vera forma demoniaca e, se ci fosse riuscito, sarebbe stato un problema perché in quel modo avrebbe avuto molta più forza e molta più facilità nell’utilizzare i suoi poteri – tutti i demoni di alto rango avevano un qualche tipo di potere. Dovevo restare concentrata.
In quel momento, la porta del bagno si spalancò e la luce fredda delle lampade al neon del corridoio mi impedii di capire a chi appartenesse la figura che si stagliava sulla soglia.
«Alastor!» Hawke entrò nel bagno dei ragazzi, con la sua solita silenziosa eleganza e gli occhi neri fissi sul demone di livello superiore.
Avevo ancora la vista invasa da puntini bianchi e neri, ma non osavo chiudere gli occhi né allentare la presa sul mio pugnale.
Il demone non sembrava per nulla intimidito, ma non distolse lo sguardo da Hawke. Lui camminava con la schiena dritta e le mani in tasca come se non fosse una gran cosa che un demone di livello superiore si trovasse nel bagno dei ragazzi di un liceo. Si fermò al mio fianco e abbassò lo sguardo verso di me. «Splendore, vedo che hai un problemino.»
Alzai gli occhi al cielo. Poi allungai la lama del pugnale verso Alastor, che era arretrato fino a toccare il muro con le spalle, e gliel’avvicinai fino a sfiorare la sua gola con la punta. La carne aveva cominciato a reagire alla pressione della mia lama benedetta. «Che diavolo vuoi?»
«Interessante scelta di parole», mi fece notare Hawke.
Alastor piegò la testa di lato, fissandomi con intenso interesse. «Che cosa sei?»
«Dal momento che sono io quella con il pugnale puntato contro la tua gola, io chiedo e tu rispondi. Funziona così, o non te l’ha mai spiegato nessuno?» Aumentai la stretta sull’impugnatura del pugnale e feci un mezzo passo in avanti. «Che cosa vuoi?»
Alastor indicò con la mano sporca del suo sangue nero un punto alle mie spalle.
Mi voltai giusto il tempo necessario per vedere Liam appoggiato con un braccio alla parete di uno dei box del bagno, con il naso che ancora sanguinava ma gli occhi ben vigili e attenti.
Tornai a guardare il demone. «Perché?»
«Perché lui sa.»
Io avvicinai ancora di più la punta della lama contro il collo del demone Alastor. La sua pelle cominciò a bruciare nel punto in cui l’acciaio gli toccava la carne. «L’Inferno doveva pensarci prima di mandare qualcuno ad uccidere suo fratello.»
Alastor fece una smorfia. «Gli umani non devono sapere.»
«Ah. Ho capito.» Hawke fece un sospiro e mi posò una mano sulla spalla del braccio che avevo teso contro il demone. «Dai, allenta la presa, splendore. È solo un sicario mandato per uccidere il ragazzo: non sa nulla.»
Alastor non disse nulla. I suoi occhi neri erano fissi sulla lama che gli stava bruciando la pelle morbida della gola tanto da farla diventare nera e necrotica. E prima che potessi affondare il pugnale ancora più fondo nella sua gola, un fumo nero e denso avvolse l’intero bagno e mi accecò.
La puzza di uova marcie mi invase le narici e mi bruciò i polmoni.
Lo zolfo demoniaco mi rendeva cieca e mi faceva lacrimare gli occhi, ma cercai di affinare al meglio che potevo gli altri sensi. La puzza era insopportabile e mi faceva girare la testa, così cominciai a respirare piano dalla bocca. Strinsi con forza la presa sul mio pugnale e mi misi in ascolto alla ricerca di un suono che potesse indicarmi dove si trovava il demone.
Due mani forti si strinsero improvvisamente attorno alla mia vita. Prima ancora che potessi reagire, sentii una voce calma e vellutata nel mio orecchio: «Sono io.»
«Hawke!» Smisi subito di agitare le gambe e mi abbandonai contro di lui. «Che succede?»
Fece una risatina sommessa. «Alastor ha optato per un’uscita di scena un po’ troppo teatrale, ma niente di ingestibile.»
Mi passai la mano libera sugli occhi gonfi e umidi di lacrime. «Lo zolfo mi sta bruciando.»
«Lo so, splendore.» Lui strinse maggiormente le dita sui miei fianchi e mi attirò contro il suo petto. «Ti portò fuori da qui, okay?»
Scossi con forza la testa e mi aggrappai al tessuto della sua maglietta. «Devi prima pensare a Liam.»
«L’ho portato fuori appena ho capito cosa stava per fare Alastor. È al sicuro», replicò subito. La sua mano mi riavviò dietro le orecchie le ciocche di capelli che mi erano ricadute sulla faccia. «Ora devi fidarti di me e mettere via il pugnale.»
Annuii. Rivolsi subito la lama verso l’interno del mio polso, lontano da lui, per impedirmi di ferirlo per sbaglio. Poi mi piegai e la nascosi nuovamente all’interno del mio stivale.
Lasciai che mi stringesse le dita attorno al braccio e mi guidasse fuori dal bagno. Barcollai sulle mie gambe e incespicai tra i suoi piedi, mentre facevamo un percorso che riuscivo a vedere a malapena attraverso le lacrime e il bruciore. Sbattei le palpebre più volte, ma ancora facevo fatica a distinguere i contorni delle figure che mi circondavano. Però sentivo un gran fracasso di persone che strillavo e porte che sbattevano.
Hawke aprì le doppie porte dell’ingresso e la luce di metà mattina mi accecò per una seconda volta.
«Ma che succede?» chiesi, accorgendomi delle luci blu e rosse delle volanti della polizia e il suono delle urla degli studenti e degli insegnanti.
Hawke allentò la presa sul mio braccio e mi guidò verso un angolo del parcheggio con una mano ferma sulla basa della mia schiena. «La gente ha visto il fumo e ha pensato che ci sia stata un’esplosione di qualche tipo.»
«Oddio.» Mi fermai e mi guardai intorno. Avevo ancora la vista sfocata, ma adesso vedevo molto meglio rispetto a qualche istante prima. Nel parcheggio c’era un vero casino. «Ma stanno tutti bene, vero?»
«È solo zolfo, splendore. Puzza da morire e a te bruceranno gli occhi per un po’, ma non fa male a nessuno.» Hawke mi spinse ancora e mi indicò un muretto basso con il palmo della mano. «Dai, siediti.»
Crollai a sedere con un gemito di insofferenza. Un istante dopo, però, drizzai la schiena. «Aspetta, dov’è Liam?»
«Sono qui.» La sua voce profonda mi giunse alle orecchie un secondo prima che la sua mano sfiorasse la mia. Per colpa dello zolfo che mi faceva ancora bruciare gli occhi, non mi ero accorta che mi ero seduta proprio al suo fianco.
Mi voltai completamente verso di lui e gli incorniciai il volto con entrambe le mani, esaminandolo. Il naso aveva smesso di sanguinare e quello che aveva perso poco prima si era seccato sulla pelle tra le narici e le labbra. I suoi occhi, rossi e gonfi, erano coperti dalle palpebre abbassate per metà.
«Come stai?» Spostai le dita sulla sua nuca, dove avvertii sotto i miei polpastrelli il rigonfiamento di un brutto bernoccolo. «Hai detto che hai sbattuto la testa. Hai vertigini, o nausea?»
Lui fece un sorriso storto e avvolse le dita attorno al mio polso. Però non mi tolse la mano dal suo collo, anzi la tenne ferma esattamente dov’era. «Sto bene, Rowan. Gli occhi mi bruciano da morire, ma sto bene.»
Sospirai di sollievo. «Continua a sbattere le palpebre. Il bruciore passerà tra poco.»
«Tu stai bene?» Le sue dita mi accarezzarono il braccio e poi la spalla fino a fermarsi sul mio collo indolenzito.
Mi schiarii la gola e sentii un dolore fortissimo. Però dissi: «Tutto okay.»
«Oh, ma quanto siete carini!» tubò Hawke con voce sognante. Solo in quel momento mi ricordai della sua presenza, e sobbalzai.
Liam fece scivolare le mani lontano dal mio corpo e irrigidì i muscoli della mascella. «Ma che diavolo è successo?»
«Buffo!» Hawke fece una risatina e nascose le labbra dietro una mano affusolata. «Ha detto “diavolo”.»
Gli lanciai un’occhiataccia. Poi mi massaggiai una tempia, ignorando il principio di emicrania che stava per esplodermi nella testa. «Il demone deve aver capito che stavo per ucciderlo e si è aperto un portale per laggiù. Ecco da dove viene lo zolfo.»
Liam sgranò così tanto gli occhi, che gli occhiali gli scivolarono sulla punta del naso. Mi accorsi che una delle lenti era crepata e la montatura trasparente era tutta storta. «I demoni possono farlo?»
«I demoni possono fare un sacco di cose strane», rispose Hawke.
Liam sollevò un dito e indicò il mio amico demone, mentre le sue sopracciglia folte si aggrottavano verso il centro della fronte. «E tu chi saresti?»
«Hawke.»
Liam spostò gli occhi su di me.
Mi strinsi nelle spalle e feci una smorfia quando sentii dolore. «È una specie di amico.»
«Una specie?» Hawke si accigliò.
«Mi fido di lui», aggiunsi. «È meglio se per adesso ti fai bastare questa risposta, però.»
«Okay, allora…» Liam si inumidì le labbra con la lingua e fece vagare gli occhi color caramello per il parcheggio per poi tornare su di me. «Ricapitolando, un demone sicario ha provato ad uccidermi perché so la verità. È una cosa normale?»
«A dir la verità, no», rispose Hawke al posto mio. Si appoggiò al muretto con una spalla e intrecciò le gambe all’altezza delle caviglie.
«Ha ragione», dissi. Toccai la spalla di Liam per costringerlo a distogliere lo sguardo da Hawke, che si esaminava le unghie con profondo interesse. «Ti ricordi quando ti ho detto che ci sono delle severe regole cosmiche tra il bene e il male? Questo significa anche che i demoni non possono andarsene in giro ad uccidere gli umani come gli pare e piace.»
Liam seguì il filo dei miei pensieri e quando capì le sue pupille si dilatarono così tanto da inghiottire tutto il castano dei suoi occhi. «Quindi… stai dicendo che…»
«Sta dicendo», lo interruppe Hawke con tono annoiato, «che qualcuno sta infrangendo un sacco di regole. E il Grande Capo non ne sarà affatto contento.»
Lo fissai con le labbra schiuse, mentre la paura mi serrava la bocca dello stomaco. «Se qualcuno sta agendo contro il volere del Grande Capo, le cose sono anche peggio di quello che credevo.»
«Aspettate un attimo.» Liam fece il gesto di una pausa con le mani che formavano una T. «Il Grande Capo sarebbe… quello che penso?»
Hawke scrollò le spalle e con un dito indicò il suolo. «Il Grande Capo.»
«Cazzo.» Liam si passò una mano sulla bocca. Poi la tolse per parlare ancora, ma si interruppe prima ancora di cominciare perché Hawke si era irrigidito quanto una statua.
«Porca merda!» esclamò.
Seguii la traiettoria del suo sguardo e trattenni il respiro. «Porca merda!»
Liam si allarmò e si alzò in piedi. «Porca merda cosa
Io non riuscivo a distogliere lo sguardo dal SUV nero che si era fermato di fianco ad una lunga fila di volanti della polizia. Dalla portiera scorrevole scesero sette Vigilanti, alti e possenti, avvolti nelle loro tenute da combattimento nere e che con i loro occhi dorati scrutavano il parcheggio. Riconobbi subito Elias che apriva la fila e si faceva largo tra la folla di persone in preda al panico.
Mi voltai con uno scatto violento, ignorando la fitta di dolore che sentii al collo e alla schiena. Fissai gli occhi sul volto di Hawke, che aveva perso tutto il suo colorito. «Vattene
«Rowan…» Lui strinse la mascella in una morsa e serrò i pugni. «Posso lasciarti da sola?»
Annuii, ma mi portai istintivamente una mano sulla gola. «Starò bene, non preoccuparti.»
Lui mi rivolse un cenno, poi cominciò a camminare a passo spedito. Si confuse tra la folla di studenti, insegnanti e poliziotti. Poi sparì.
Liam sospirò profondamente tornò a sedersi al mio fianco. «Perché lo hai mandato via?»
«Non… Lui non va molto d’accordo con i Vigilanti.»
Sentii la sua mano che sfiorava la mia, che risaliva lungo il mio braccio e mi scostava i capelli ormai sciolti dietro le spalle. «Che cavolo di giornata, eh?»
Lo guardai. «Sei sicuro che vuoi ancora avere a che fare con tutta questa storia?»
«Immagino di non avere più una scelta.»
«Già. Ho cercato di avvertirti.» Sospirai, afflosciandomi su me stessa. «E vuoi ancora che io venga con te al funerale di Daniel?»
«Adesso devi venirci», replicò con quel suo sorriso che gli faceva comparire le fossette sulle guance e capace di farmi battere forte il cuore. Le sue dita ancora mi accarezzavano il collo sul punto lasciato scoperto dal colletto del maglione, regalando una lunga serie di brividi lungo la colonna vertebrale. «Se i demoni stanno cercando di uccidermi, non è compito tuo proteggermi?»
«Ma io non sono un Vigilante.»
«Però sei cresciuta con loro, sei stata addestrata come loro.» Fece un cenno della testa e mi rivolse un sorriso. «E sei davvero brava. Non avevo mai visto niente di più bello in vita mia.»
Uno stormo di farfalle – o forse erano dei veri e proprio mostri volanti – prese il volo all’interno del mio stomaco. Arrossii e mi riavviai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Be’, ho fatto del mio meglio. Anche se io non avevo un vocabolario…»
«Mia madre dice sempre il francese potrebbe tornarmi utile. Non immaginavo fino a che punto.»

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


.8.
 
 

Erano giorni che non entravo nella villa passando per la porta principale.
Da quando avevo litigato con Elias, avevo avuto troppa paura di dover affrontare il secondo round di quella discussione, così deviavo tutte le volte verso il retro della casa e mi arrampicavo fino ad appendermi al cornicione della mia finestra. Ma sapendo che la maggior parte della legione si trovava a scuola per indagare sugli avvenimenti di quella mattina, fui abbastanza tranquilla da tirare fuori le chiavi dalla tasca della mia borsa e aprire la porta di ingresso.
Quando Elias mi aveva individuato tra la folla di studenti urlanti e in preda al panico, mi aveva rivolto un cenno e mi aveva praticamente obbligato ad andare da lui. Dal momento che era impossibile – e soprattutto, sbagliato – nascondere la presenza di un demone di alto rango nel mio liceo, gli avevo raccontato in modo superficiale cosa era successo nel bagno dei ragazzi senza fare il nome di Liam, o parlare del coinvolgimento di Hawke. Il tutto senza mai staccare lo sguardo dalla punta dei miei anfibi. Lui aveva annuito e grugnito qualcosa, forse un’imprecazione. Poi aveva ordinato a Zachary, un Vigilante poco più grande di Seth che si era trasferito nella legione di Portland solo qualche mese prima, di accompagnarmi a casa. Mi ero rifiutata.
Salii subito nella mia camera, desiderosa di una lunga doccia calda per togliermi di dosso la puzza di zolfo e donare un po’ di sollievo alle mie membra doloranti.
Strillai quando spalancai la porta e sbattei contro una schiena ampia e dura come la pietra. «Seth! Che diavolo fai davanti alla porta come uno stoccafisso?»
«Merda! Stai bene?» Le sue mani mi avvolsero le spalle e i suoi occhi dorati intercettarono subito i miei.
«Credo di sì.» Gli lanciai un’occhiataccia. «Che ci fai nella mia camera?»
«Ti stavo aspettando, perché sono giorni che entri dalla finestra. Non credevo che avresti usato la porta.»
«Be’, ho usato la porta.» Scivolai via dalla sua presa e lo aggirai per andare verso il letto. Gettai in terra la borsa con i libri e, dopo aver sfilato il pugnale dallo stivale, mi tolsi le scarpe.
Seth sospirò alle mie spalle. «Senti, Roe, so che hai litigato con mio padre. Però, non pensavo che fossi arrabbiata anche con me…»
«Non sono arrabbiata con te – anche se devi toglierti questa abitudine di appostarti davanti alla mia porta.»
«Davvero non sei arrabbiata con me?»
«Mi dispiace se ti ho evitato, non era mia intenzione.» Mi voltai lentamente verso di lui. Le maniche del maglione che indossavo erano lunghe tanto che mi nascondevano le dita, e io le tirai ancora più giù chiudendo i pungi nella stoffa. «Ma non volevo correre il rischio di incrociare Elias.»
Seth aprì la bocca per parlare, ma la richiuse un secondo dopo. Arricciò la punta del naso e fece un mezzo passo in avanti, mentre la linea della sua mascella si induriva. «Cos’è questa puzza?»
«Ah.» Mi passai una mano fra i capelli. «Zolfo.»
«Zolfo
«Ho avuto un incontro spiacevole con un demone di alto rango, a scuola.» Mi strinsi nelle spalle, ignorando la fitta di dolore che quel gesto mi provocò al collo e alla schiena. «Gli stavo facendo il culo, allora se l’è data a gambe. Tuo padre e gran parte della legione sono a scuola per indagare.» Assottigliai le palpebre sugli occhi. «Non lo sapevi?»
«No, cazzo.» Si passò una mano fra i soffici capelli biondissimi e sbuffò. «Sono stato fuori tutta la notte a cacciare un demone Succubo.»
Non era una novità che Seth andasse a caccia da solo: era troppo arrogante per fare un buon lavoro di squadra. E, dal momento che era anche troppo bravo, nessuno gli diceva niente. Elias odiava saperlo fuori senza qualcuno a coprirgli le spalle. E anche io. Ma Seth tornava sempre, e lo faceva con incredibili storie di come era riuscito a mandare all’Inferno le creature che vi appartenevano.
Distolsi lo sguardo dal suo viso. «Sì, be’…»
Lui strabuzzò gli occhi dorati, quando il suo sguardo si posò sul mio collo. In un secondo, fu di fronte a me. Mi scostò i capelli dietro le spalle e con la punta dei polpastrelli mi sfiorò la pelle delicata e indolenzita della gola. Poi spostò la mano sulla mia guancia e mi accarezzò lo zigomo tumefatto. Non mi ero ancora vista allo specchio, ma sapevo che la mia pelle bianca era chiazzata da lividi neri nei punti in cui le dita del demone Alastor mi avevano afferrata e colpita.
Repressi a fatica un gemito di dolore.
«Cazzo», imprecò. «Ti ha aggredita?»
Annuii e mi morsi il labbro. «Mi dispiace. Ero distratta e mi ha colto di sorpresa.»
Le sue sopracciglia si alzarono così tanto che sparirono oltre la linea dei suoi capelli biondissimi. «Ti dispiace
«Non doveva succedere. Non avrei dovuto farmi trovare impreparata.»
«Non doveva succedere che un demone ti attaccasse nella tua scuola! Punto!» replicò. La sua mano scivolò sulla mia spalla e strinse forte la stoffa del mio maglione fra le dita. «Ti ha ferita in altri punti?»
Scossi la testa.
Mi fissò negli occhi per eterni istanti. «Sapeva chi sei? È per questo che ti ha attaccata?»
«No, non lo sapeva.» Distolsi lo sguardo dalle sue iridi dorate e magnetiche.
Era imperativo che nessuno scoprisse la mia vera identità – specialmente i demoni, che mi percepivano come un’umana, ma che sarebbero arrivati a orde se avessero sentito l’odore del mio sangue. Per questo motivo era stato quasi impossibile convincere Elias a lasciarmi frequentare la scuola pubblica.
E ora, decidendo di aiutare Liam, stavo incasinando tutto.
«Rowan.» Le dita di Seth si strinsero sul mio mento con una pressione abbastanza forte da costringermi a sollevare la testa. «Roe, che cosa sta succedendo?»
Avevo la gola secca e dolorante. Le bugie che gli stavo dicendo mi bruciavano la trachea più di quanto aveva fatto lo zolfo demoniaco. «Non so di cosa stai parlando.»
Seth sospirò e lasciò andare la presa sul mio viso. «Ti prego, Roe, parlami.»
Mi morsi il labbro con così tanta forza da spaccarlo. Non dissi una parola.
«Non è normale che un demone ti attacchi a scuola senza nessun motivo, lo capisci? Ha detto qualcosa? Cercava qualcosa?» indagò.
La pressione delle sue dita sulla mia spalla aumentò tanto da farmi male, ma io non dissi nulla.
«Si tratta di Daniel Sterling, vero?» domandò.
«Non…» Feci un sospiro tremulo nel tentativo di scacciare le lacrime che mi erano salite agli occhi e deglutii il nodo che mi serrava la gola. Addentai il labbro inferiore. «Credo… di sì. Sarebbe una coincidenza troppo grande, ma il demone non ha detto niente in merito.»
«Cristo, Rowan», sospirò. «Poteva farti male davvero.»
«No, non poteva. Sono più forte di qualsiasi Vigilante e della maggior parte dei demoni. Inoltre, tu mi hai addestrato: mi hai insegnato a difendermi sin da quando ero una bambina.» Sollevai le ciglia e lo guardai dritto nelle iridi dorate. «So come fare il culo ad un demone – alto o basso rango che sia.»
«Non significa che dovresti farlo, però», disse, appoggiando entrambe le mani sulle mie spalle e accarezzandomi il collo con i pollici. «Preferirei che ne restassi fuori, Roe.»
«Ma io…»
«Ti ho promesso che avremmo trovato il responsabile, e lo faremo.»
«Non riesco a smette di pensare a quel sogno, Seth», confessai con un filo di voce. «Non riesco a smettere di pensare che dovrei fare qualcosa.»
Lui fece una lunga pausa prima di parlare. «So che vorresti venire a cercare il demone che lo ha ucciso insieme a noi…»
«Elias non me le permetterebbe mai.» Incrocia le braccia al petto e lo osservai attraverso le ciglia. «E nemmeno tu.»
«Nessuno dei due vuole che tu ti faccia male.»
Feci una smorfia.
«Non mi credi?»
«Credo che tu non voglia che io mi faccia male.»
«Rowan, mio padre ti adora», mi disse. «Avrete anche litigato, ma lo sai anche tu che ti considera una figlia.»
Però non si fida di me, né del mio potere. Ignorai la fitta di dolore che quel pensiero mi aveva procurato e dissi: «Se uscire a cacciare il demone insieme a voi non è possibile, almeno lasciatemi fare qualcosa. Qualunque cosa.»
«Ad esempio, fare ricerche in biblioteca sui rituali di sangue?» Seth mi rivolse un’occhiata penetrante.
«Lo sapevi?»
«Se non volevi farti scoprire, potevi almeno mettere a posto il libro.»
Feci una smorfia. «Ci ho provato, ma lo scaffale era troppo in alto e non sono riuscita a raggiungerlo.» Il suo labbro superiore fremette e io gli puntai contro il dito. «E non ridere. So di essere bassa, non c’è bisogno di rigirare il coltello nella piaga.»
Lui si schiarì la gola e nascose il sorriso beffardo dietro il palmo di una mano.
Mi morsi il labbro e tirai ancora di più l’orlo delle maniche. Mi azzardai a guardarlo dal basso verso l’alto. «Lo hai detto a qualcuno?»
«No. Ho rimesso a posto il libro.»
«Grazie.»
Mi accarezzò la guancia tumefatta con il dorso della mano. «Io ti coprirò sempre le spalle, Roe.»
Mi sciolsi in un sorriso. «Lo so.»
«Se vuoi fare qualche ricerca, a me sta bene», disse. «Però, promettimi che se trovi qualcosa, verrai prima da me.»
Mi sentii morire. Il senso di colpa mi strinse lo stomaco in una morsa dolorosa, mentre i palmi delle mani si imperlavano di sudore freddo.
Mi tagliai il labbro con i denti e annuii. Non potevo fidarmi della mia voce in quel momento e non volevo pronunciare ad alta voce una bugia simile.
Ero una persona orribile.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


.9.
 
 

La mattina del funerale di Daniel Sterling mi preparai con calma, mentre il sole si faceva strada fra le nuvole e scaldava lievemente l’aria autunnale.
Mi asciugai i capelli e poi li legai in una lunga treccia che mi ricadeva su una spalla. Indossai un paio di pantaloni scuri e attillati e un dolcevita nero dal tessuto morbido. Dall’armadio tirai fuori anche una giacca di pelle che poi infilai nella borsa nell’eventualità che le temperature calassero. Spinta da non sapevo bene quale impulso – forse il desiderio di farmi vedere da Liam – decisi anche di mettere un po’ di mascara sulle mie ciglia e un filo di lucidalabbra sulla bocca.
Poi, dopo una lunga occhiata nello specchio, mi feci coraggio e scesi al piano inferiore per incontrare Seth, che la sera prima si era offerto di accompagnarmi fino al cimitero.
Però, ad attendermi con la schiena al muro di fianco alla porta di ingresso, c’era qualcun altro. E io mi bloccai sull’ultimo scalino con il cuore in gola e le dita che si serravano attorno al corrimano.
Elias mi venne incontro prima che potessi aggirarlo e uscire dalla porta. «Rowan, dobbiamo parlare.»
Chiusi gli occhi, mentre il dolore mi scavava una voragine nel petto. Scesi l’ultimo scalino e mi sistemai il collo alto del dolcevita sulla gola. I lividi erano spariti nel giro di mezza giornata, ma in pubblico dovevo fingere che fossero ancora lì perché un’umana non guariva così velocemente.
«Adesso non posso», dissi. «Sto andando al funerale di Daniel Sterling.»
«Va bene.» Elias fece un passo verso di me e mi strinse le dita attorno al braccio. I suoi occhi dorati intercettarono subito i miei, provocandomi una fitta di dolore al petto. Si costrinse a piegare gli angoli della bocca in un sorriso, ma io lo conoscevo da tutta la vita: riuscivo a notare perfettamente la linea dura della sua mascella tesa e i muscoli del viso in tensione. «Quando torni mi puoi concedere cinque minuti? Per favore.»
«Perché dovrei, Elias?» Sollevai il mento con fare orgoglioso, anche se il cuore mi stava sanguinando nel petto così tanto che persino respirare era diventato doloroso. «Per sentirmi ancora una volta dire che devo restarmene chiusa in casa fino a che gli Arcangeli non verranno a farmi fuori? Mi sa che passo.»
«No.» I suoi occhi erano dolci proprio come lo erano stati quella volta di tanti anni fa all’interno di quella chiesa. E faceva davvero troppo male. «Quello che ti ho detto l’altra sera… Scricciolo, io…»
«Non chiamarmi così, maledizione!» sbottai.
«Okay.» Le sue dita erano ancora strette attorno al mio avambraccio. Un tempo erano rassicuranti e calde e, nonostante la ruvidità dei calli e le cicatrici che si era procurato nelle battaglie contro i demoni, le sue carezze non mi avevano mai disturbato. Ora quella pressione era dolorosa tanto quella che sentivo nel centro del petto. «Rowan, quello che intendevo l’altra sera era solo… Io mi preoccupo per te. Lo sai.»
«È questo il fottuto punto.» Con uno strattone, mi liberai dalla sua presa e afferrai la maniglia della porta. Serrai la mandibola e implorai alle mie lacrime di tornare indietro prima che lui le notasse. «Non lo so.»

§
 
Seth rimase al mio fianco per tutto il tempo, in fondo alla fila di persone vestite di nero e con gli occhi gonfi che erano venute a porgere l’ultimo saluto al corpo di Daniel Sterling.
La maggior parte dei presenti non sembrava essere molto contenta della nostra presenza e continuava a lanciare occhiate per niente gentili nella nostra direzione. Ma ci eravamo abituati, e non ci facemmo troppo caso.
Liam sedeva nella prima fila di sedie, con la testa china e le dita di una mano intrecciate con quella della donna che gli sedeva di fianco e che presumevo essere sua madre. Gli assomigliava molto, con i lunghi capelli color miele e gli stessi lineamenti armoniosi del viso. Quando lui si era accorto della mia presenza, mi aveva rivolto un sorriso che mi aveva fatto schizzare il cuore fuori dal petto. Però non si era avvicinato ed era rimasto vicino alla madre.
Era così bello da farmi male.
Negare l’attrazione che provavo per lui era diventato qualcosa di impossibile. Non avevo alcuna esperienza in fatto di ragazzi – e a essere sinceri, in qualsiasi altro ambito sociale che non fosse prendere a calci o pugni, o disperdere rispostacce. Ma conoscevo la parola giusta per descrivere quelle sensazioni. Certo, il mio orgoglio mi imponeva di negare l’evidenza – specialmente con Hawke, che ammiccava in modo davvero fastidioso ogni volta che Liam si avvicinava a me, e con Adeline, che era la mia migliore amica e si era accorta subito del modo in cui i miei occhi seguivano ogni movimento di Liam. Ma almeno con me stessa dovevo essere sincera: c’era una sola spiegazione a quello sfarfallio nello stomaco ogni volta che mi sorrideva, a quel formicolio alle dita ogni volta che mi era vicino, quella vibrazione nella parte bassa del mio ventre quando mi toccava.
So che non avrei dovuto fare quel tipo di pensieri, perché l’angoscia e la sofferenza che Liam provava in quel momento erano evidenti nei lineamenti del suo volto. Ma non potevo farne a meno. Specialmente ora che indossava quel completo elegante e nero che gli ricadeva in maniera favolosa sulle spalle ampie e sulle gambe muscolose.
L’umidità gli aveva arricciato i le punte dei capelli sulla nuca e intorno alle orecchie, e io sentivo lo stupido e irrefrenabile desiderio di passare le mani fra i suoi riccioli castani. Volevo stringerlo a me e consolarlo con le mie mani e le mie labbra, fino a cancellare del tutto il dolore dal suo cuore.
Ma non potevo.
Non dovevo.
Anche se mi spezzava il cuore e anche se era parecchio dura da accettare, Elias e il resto della legione avevano ragione sul mio conto: io ero un’arma molto pericolosa, e dovevo tenere le mie emozioni sotto controllo.
Alla fine della cerimonia, le persone cominciarono a raccogliersi intorno a Liam e ai suoi genitori per fare le condoglianze e porgere quelle parole di conforto che io sapevo essere inutile. Loro risposero con sorrisi cordiali e strinsero molte mani, tenendo le teste vicine e le espressioni vacue.
Io rimasi ancora in disparte, con la sola presenza di Seth ad impedirmi di scoppiare a piangere. O peggio, correre verso Liam e abbracciarlo.
La mano di Seth si posò sulla mia spalla, richiamando la mia attenzione. Mi rivolse un sorriso. «Vuoi andare?»
Mi morsi il labbro e annuii.
Liam sollevò di scatto la testa e i nostri sguardi si incrociarono. Anche se eravamo parecchio distanti, l’intensità dei suoi occhi color caramello riuscì ad entrarmi dentro e farmi rabbrividire. Lo vidi piegarsi in avanti per sussurrare qualcosa nell’orecchio dell’uomo al suo fianco che immaginai essere il padre, poi camminò verso di noi.
Si fermò a qualche centimetro di distanza, ma sembrava essere molto più lontano. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e, dopo aver scoccato una rapida occhiata che non seppi interpretare verso Seth, mi rivolse un cenno del mento. «Ehi.»
Mi asciugai le mani umide di sudore freddo sui jeans e mi schiarii la gola. «Ehi.»
«Grazie per essere venuta.»
«Certo.» Mi scostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «È stata proprio una bella cerimonia», dissi, mentalmente dandomi della deficiente un secondo dopo. Ma che cavolo dicevo?
Infatti le sue sopracciglia si aggrottarono verso il centro della fronte. Aprì la bocca, poi la richiuse. «Mia madre sarà felice di saperlo», rispose.
Non replicai. Non volevo dire altre idiozie.
«Stiamo andando a casa per una specie di ricevimento.»
«Oh.» Mi morsi il labbro. «Allora non ti trattengo oltre.»
«Veramente», Liam fece un mezzo passo in avanti, «volevo chiederti se ti andava di venire.»
«Ehm…» Spostai gli occhi verso Seth, che era rimasto in disparte per lasciarsi parlare, ma non troppo lontano per non essere in grado di sentire la nostra conversazione. Gli lanciai un’occhiata disperata. «Io non…»
«Se sei già impegnata con… lui, non c’è problema», aggiunse Liam. La voce gli era diventata molto roca un momento prima di pronunciare quel pronome, ma l’antipatia nei confronti dei Vigilanti era un sentimento così comune tra gli umani che non ci feci troppo caso.
«No, nessun impegno.» Seth fece un cenno. «Puoi andare.»
«Ma…»
Lui fece un solo passo per colmare la poca distanza tra di noi, per poi abbassare la testa e parlare in modo che solo io potessi sentirlo: «Il tuo amico ha bisogno di te, Roe.»
Spostai gli occhi su Liam, che ci osservava con le sopracciglia inarcate e la mascella tesa. «Non è proprio mio amico.»
Seth mi rivolse un sorriso storto, mentre mi spostava la treccia dietro le spalle. «Lui non sembra pensarla allo stesso modo.»
«Io… A dir la verità, noi…» Sospirai, incapace di trovare qualcosa di convincente con cui controbattere. Eravamo amici? Non ero così sicura, ma sapevo che una parte di me avrebbe potuto concedersi il lusso di sperare di esserlo. E magari anche di essere di più che amici. Tornai a guardare Liam perché proprio non riuscivo a farne a meno. Mi morsi il labbro. «Va bene, andrò con lui.»
«Mandami un messaggio quando vuoi che ti venga a prendere.» Poi senza darmi il tempo di replicare e dirgli che non c’era problema e che potevo tornare alla villa per conto mio, Seth allungò una mano verso Liam e, stringendogliela, disse: «Sono davvero dispiaciuto per la tua perdita. Se ti fa sentire meglio, sappi che sia la polizia sia noi Vigilanti stiamo facendo del nostro meglio per trovare al più presto il responsabile. Questo crimine non rimarrà impunito.»
Liam strinse ancora di più i muscoli del viso. Rispose alla stretta di mano, ma non disse una parola.
Se non fosse stato per il lampo di dolore che gli aveva attraversato gli occhi, sarei intervenuta a prendere le difese di Seth. Ma lo avevo visto. Avevo visto la sofferenza e la rabbia che lo corrodevano dentro, e avevo capito che non era una questione personale.
Con un ultimo cenno del capo, Seth mi accarezzò la schiena e poi si incamminò lungo il viale.
Mi abbracciai il busto e sbirciai Liam attraverso le ciglia. «Sei sicuro di volermi a casa tua? Le persone non sembrano essere molto contente della mia presenza. Sai come mi chiamano, vero?»
La “puttana dei Vigilanti” era il mio affascinante soprannome nei corridoi della scuola. E sinceramente non mi dispiaceva nemmeno troppo. In fondo ero più che consapevole che se avessero saputo cosa ero veramente la mia nomea sarebbe peggiorata moltissimo. Non che poi mi importasse davvero della mia reputazione.
Lui fece una smorfia. «Sì. Ma che vadano a farsi fottere, Rowan. Io sono sicuro.»
Mi porse una mano, ma non attese che io l’accettassi: fece subito scivolare le dita lungo il mio palmo, fino ad intrecciarle con le mie e stringerle in una stupenda morsa forte e decisa. Ero così sconvolta da quel gesto intimo e inatteso, così in balia delle emozioni e delle sensazioni che la sua pelle provocava alla mia, che non riuscii a dire nemmeno una parola. E quando mi tirò il braccio, io mi lasciai trasportare come se fossi una bambola di pezza.
Mi riscossi solamente quando si fermò di fronte alla sua Comet e mi aprì la portiera del passeggero. Sbattei le palpebre un paio di volte, guardando il sedile dai rivestimenti in pelle senza vederlo veramente.
Avevo la gola più secca del deserto quando mi costrinsi a sollevare gli occhi sul viso bellissimo ed estremamente sofferente di Liam. «Lee…»
Lui mi rivolse un sorriso così triste e malinconico che mi spezzò il cuore. «Non voglio stare con loro, Rowan. Tutta quella gente che non sa cosa veramente successo a Daniel, tutte quelle persone che non sanno cosa si prova e fingono di farlo. Io voglio solo stare con te
E di fronte ad una simile confessione, non potei fare altro che annuire e sedermi sul sedile del passeggero. Mi tremavano le mani quando allacciai la cintura e le serrai in due pugni sopra le ginocchia quando lui entrò nella macchina e mise in moto.
Il primo tratto di strada per uscire dal cimitero fu così silenzioso da farmi fischiare le orecchie.
«Daniel mi chiamava così…» disse ad un certo punto.
«Così come?»
«Lee.»
Mi morsi il labbro. «Oh, mi dispiace. Non volevo…»
«No.» Scosse la testa e mi rivolse un sorriso talmente bello da farmi venire il batticuore. «Mi piace che mi chiami così. Non credevo che avrei più sentito quel soprannome.»
«Ah.» Deglutii a vuoto.
Mentre imboccavamo una strada secondaria, Liam trasse un sospiro profondo. «Quel Vigilante che è venuto insieme a te oggi…»
«Seth?»
«Sì.» Notai che strinse con maggiore forza le mani attorno al volante. «È il tuo ragazzo?»
Così sorpresa da quella domanda, scoppiai a ridere senza potermi fermare in tempo. «Perché me lo chiedete tutti?»
«Perché sembra il tuo ragazzo. Oggi, per esempio, non ha smesso di toccarti nemmeno per un secondo.»
«Che?»
«Ti… vi stavo guardando. Se non aveva il braccio attorno alle tue spalle, giocava con i tuoi capelli o ti accarezzava la schiena.» Cambiò la marcia e la macchina svettò in avanti. «Se ho frainteso…»
«Hai frainteso», dissi, brusca. Distolsi lo sguardo dal suo profilo e lo rivolsi oltre il mio finestrino. Le strade di periferia erano circondate da alberi e boschi, le cui foglie erano ancora verdi ma punteggiate di rosso e arancione. «Seth è la cosa più vicina ad un fratello che abbia mai avuto e non l’ho mai visto in nessun altro modo.»
«Lui lo sai?»
Feci un’altra risatina. «Certo che lo sa. E comunque lui ha una compagna. Si chiama Ophelia ed è bellissima.»
«Anche tu lo sei.» Mi lanciò un’occhiata sbieca. «E sono sicuro che lui se ne sia accorto.»
Mi voltai con uno scatto. «Io…»
«Non dirmi che non sai di essere bella, perché non ci credo.»
«Non sono orribile da guardare, certo, ma…»
Lui scoppiò a ridere, senza mai distogliere gli occhi dalla strada. «Non sei orribile da guardare?» mi scimmiottò.
«Senti, non… Non funziona così.» Scossi la testa e mi riavviai una ciocca di capelli che era sfuggita dalla treccia dietro l’orecchio. «I Vigilanti amano una sola persona. Non so bene perché – forse ha a che vedere con il fatto che un tempo erano immortali. Ma loro non si innamorano mai prima di incontrare quella persona e non si innamorano mai una seconda volta, anche se il loro compagno muore.»
Liam rimase in silenzio per lunghi istanti. «Suona molto romantico.»
«Tu dici? A me sembra crudele.» Sbirciai nella sua direzione, poi tornai a guardare la strada. «La vita di un Vigilante è imprevedibile, visto che il loro unico compito è quello di cacciare e uccidere i demoni. Non sai quanti ne ho visti, di vedovi e vedove che passano il resto delle loro vite in solitudine e con il cuore spaccato a metà.»
«E questa Ophelia… anche lei è un Vigilante?»
«Sì.» Fissai i pungi che avevo stretto così tanto da ferirmi i palmi con le unghie, mentre un nodo mi stringeva la bocca dello stomaco. «Il sangue angelico non deve essere mischiato con quello degli umani, o qualsiasi altra razza. È severamente proibito.»
«Perché?»
«Perché…» Mi morsi il labbro e fissai gli occhi sugli alberi che costeggiavano la strada. «Perché
«Okay, cambiamo discorso.»
«Sì, grazie.»
«Hawke… Quel tizio che ci ha aiutato con il demone, quello con cui mangi a scuola e che ti ronza sempre intorno…» Con la coda dell’occhio notai che aveva appena voltato la testa verso il mio sedile, «è lui il tuo ragazzo?»
Mi strozzai con la saliva. «Che?»
«Mi sembrate parecchio intimi…»
«Non siamo poi così intimi.» Alzai gli occhi al cielo. «Ma perché vuoi a tutti i costi che io abbia un ragazzo?»
Lui serrò la mandibola e strinse i pugni sul volante. Invece di rispondere, accostò la macchina sul ciglio della strada e spense il motore.
Voltò la testa verso di me. «In realtà, Rowan, io non voglio che tu abbia un ragazzo.»
Mi mancò il respiro. «Cosa?»
Cogliendomi del tutto impreparata, Liam si spinse oltre il cambio delle marce, adagiando il palmo della mano sul mio sedile e avvicinando pericolosamente il viso al mio. Era così vicino che riuscivo a vedere ogni sfumatura castano chiaro dei suoi occhi, così vicino che il suo profumo di menta mi stordiva i sensi, così vicino che il suo alito caldo che infrangeva sulla mia bocca mi mandava in estasi.
Mi concessi solamente uno stupendo secondo per crogiolarmi nella sensazione di puro piacere che mi aveva provocato quella vicinanza. Poi arretrai fino a schiacciare la schiena contro lo sportello.
«Perché fai sempre così?» mi domandò con sguardo ferito.
«Così come?»
«Ti tiri indietro ogni volta che mi avvicino, come se avessi paura che possa veramente toccarti.»
Sgranai gli occhi. «E tu vorresti toccarmi?»
«Sì.»
Una sola sillaba e il mio corpo prese fuoco.
«Lo voglio in modo assurdo», proseguì lui, e ogni parola che pronunciava mi elettrizzava la pelle e mi toglieva il respiro. «Lo voglio così tanto da restarci sveglio la notte. Non riesco a smettere di pensare ad altro da quando mi ha sbattuto il culo a terra nel parcheggio.»
Trattenni il respiro. I miei occhi scesero sulle sue labbra e mi domandai stupidamente che sapore avessero.
«All’inizio credevo che fosse solo perché mi stavi aiutando», disse.
«E non è così?» mormorai con un filo di voce.
«Non è così nemmeno un po’.» Scosse la testa, alcune ciocche castane gli ricaddero sulla fronte. Volevo spostargliele con una carezza, ma non osai muovere un muscolo. Non mi fidavo di me stessa quando ero con Liam: se lo avessi toccato, avrei fatto qualcosa di folle. Come baciarlo. «Mi sento così solamente per te, per quella che sei e le cose che dici e le cose fai.»
«Non mi conosci nemmeno», replicai con voce roca. Era ancora troppo vicino. «Insomma, avremmo parlato sì e no quattro o cinque volte.»
«È vero. Eppure sento di conoscerti meglio di quanto conosco chiunque altro dei miei amici a scuola.» Si fece ancora più vicino. «E sento che solo quando sono insieme a te, io sono me stesso.»
Un dolore atroce mi squarciò il petto. Lui non sapeva cosa ero realmente. Lui credeva che fossi come lui: un’umana finita per sbaglio in un pasticcio creato dai demoni che disubbidivano alle regole del Grande Capo. E nel momento in cui avrebbe scoperto la verità, avrebbe reagito come tutti gli altri: avrebbe provato paura, o disgusto.
«Tu non sai niente di me, Liam.»
«Allora dimmelo», mi supplicò con voce tremante di passione. L’intensità che mi trasmettevano il suo tono e le sue parole mi fece rabbrividire. «Permettimi di conoscerti meglio, permettimi di avvicinarmi.»
Inspirai profondamente. Per sfuggire al suo viso che si faceva sempre più vicino, portai la mano alla maniglia e spalancai lo sportello sul quale mi ero spalmata. Mi gettai fuori dell’auto e respirai quanta più aria potevo.
Mi sentivo così accaldata che mi stupii di non avere il corpo in fiamme. Il vento freddo mi riscosse i pensieri, ma sentivo il calore della pelle di Liam ancora sulla pelle.
Il suono della portiera che sbatteva, mi fece capire che Liam mi aveva seguito fuori e ora stava aggirando il cofano della Comet per venirmi incontro. Non mi diede il tempo di indietreggiare e mi avvolse le mani attorno ai fianchi. Il tessuto del dolcevita che indossavo era troppo sottile e io sentivo perfettamente il calore della sua pelle contro la mia.
«Forse avevi ragione tu e sono solo presuntuoso», disse. «Ma io sento che sei attratta da me tanto quanto io lo sono da te. Sento che reagisci quando mi avvicino, o quando ti tocco. Però non ti lasci andare.»
Avrei voluto tanto fare quello che mi riusciva meglio e dar voce a qualche commento pungente, o fare qualche battuta sarcastica. Ma dalla mia gola non usciva niente, se non sospiri tremanti e affannati.
«Hai…» Si interruppe, serrando la presa sulla mia vita e incollando le nostre anche. Mi mancò il respiro quando avvertii ogni centimetro dei nostri corpi fondersi. «Ti comporti così perché non sei come me?»
Mi irrigidii. «Cosa ti fa pensare che io non sia una comunissima e banale umana?»
«Rowan, in te non c’è proprio niente di comune o banale.» Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «E comunque, come puoi essere umana se parli di noi come se appartenessi ad un’altra razza? Se sei più forte e più veloce anche dell’essere umano più allenato? E se i tuoi lividi sono spariti nel giro di poche ore?»
«Okay, te lo concedo, Sterling: sei intelligente.»
«Nah.» Piegò le labbra in quel suo sorriso storto che faceva impazzire i mostri volanti nel mio stomaco, mentre i suoi pollici si agganciavano ai passanti dei miei pantaloni. «È solo che ti osservo. Tutto il fottuto tempo.»
Abbassai lo sguardo sulla sua camicia e mi mordicchiai il labbro. «Liam, questo non ha niente a che fare con me. Lo capisci?»
«Che intendi dire?»
«Sei triste e arrabbiato per quello che è successo a Daniel, e io ti sto aiutando. Forse non ne capirò niente di psicologia, ma so che non sono veramente io a piacerti…»
«Questa è una stronzata bella e buona!» mi interruppe con tono brusco. Abbassò il mento per avvicinare i nostri visi. «Non puoi pretendere di capire cosa sento, quando nemmeno io ci sto capendo qualcosa.»
«Liam…»
«No, smettila.» Inspirò e il respiro gli si bloccò a metà strada. «Se non provi le stesse cose, va bene. Farò un passo indietro, e non ne parleremo più. Ma non pensare di poter sapere cosa provo.»
«E che cosa provi, Liam?»
«Sto davvero soffrendo per quello che è successo a Daniel. Fa un male cane e ogni mattina mi sveglio con un vuoto nel centro del petto che mi toglie il respiro.» Strinse i pungi attorno alla stoffa del mio dolcevita, attirandomi sempre di più verso di lui. «Ma sono attratto da te perché sei dannatamente bella e coraggiosa, perché hai un fuoco dentro che illumina ogni cosa, perché sei una tale forza della natura che io posso solo sperare di essere degno delle tue attenzioni. E questo – noi – non ha niente a che fare con mio fratello.»
Abbassai lo sguardo. Il labbro inferiore stretto nella morsa dei miei denti.
Non potevo abbandonarmi a quelle parole. Non dovevo. Però, accidenti, lo volevo da impazzire.
«Senti, io non ho tutta questa esperienza in fatto di relazioni…»
«Sì, certo.» Alzai gli occhi al cielo.
Liam era uno dei ragazzi più popolari a scuola. E sapevo anche perché: era bello, veniva da una famiglia più che benestante e giocava a football. Per un ragazzo di diciotto anni, quello era tutto ciò che serviva per essere una superstar agli occhi delle ragazze della nostra età. E infatti in passato era uscito con le ragazze più carine e popolari. Mi era capitato più di una volta di sentir parlare di lui nei bagni femminili, o sussurri nei corridoi.
«Dico davvero.» Sospirò. «Sono stato con altre – so che lo sai e non ho intenzione di mentire. Ma non è mai stato così.»
«Così come, Liam? Una caccia ai demoni?»
«Quello che sto cercando di dirti è che…» Quando rilasciò un sospiro, il suo alito si infranse contro la pelle del mio viso. «Mi sento legato a te in un modo che non riesco a spiegarmi. E sento che anche tu provi lo stesso. Ma se mi sto sbagliando, se sto vedendo solo ciò che desidero vedere, dimmelo adesso. Ti chiederò scusa e non proverò mai più a toccarti.»
«Te l’ho già detto, Lee. Tu non mi conosci. Non sai nemmeno chi… cosa sono.»
Abbassò la testa verso di me e sfiorò la punta del mio naso con la sua. I suoi occhi non lasciarono i miei nemmeno per un istante. «Dimmelo.»
«Se adesso ti dico la verità», ignorai le lacrime che minacciavano di salirmi agli occhi, «cambierà ogni cosa. Non potremmo più tornare indietro.»
«Io non voglio tornare indietro. Non voglio tornare alla mia vita prima di conoscerti.»
«Tu non mi vorrai più.»
«Rowan, tu davvero non hai idea di quanto io ti voglia.» Una sua mano scivolò dal mio fianco alla mia nuca, stringendo la punta della mia treccia in un pugno. Incollò le nostre fronti. «Dubito fortemente che esista qualcosa che tu possa dirmi per farmi smettere.»
«Okay.» Mi districai dal nostro abbraccio e incrociai le braccia al petto, per proteggermi dal freddo che sentivo ora che ero così lontana dal calore del suo corpo e stavo per mettere a nudo la mia anima. «Io sono una Nephilim.»

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


.10.
 
 
«Una… cosa
«Sono metà angelo e metà umana», spiegai in un sussurro. «E conosci quella regola in grammatica che dice che due negazioni fanno un affermazione?»
Lui annuì, teso. «Sì.»
«Be’», mi strinsi nelle spalle, «nel mio caso è l’esatto contrario. A quanto pare, la progenie di due creature buone è sempre un essere malvagio.»
Liam inarcò un sopracciglio. «Tu malvagia?»
Scossi la testa. «Tu non capisci.»
«Allora spiegamelo.»
«I Nephilim sono stati annientati più di mille anni fa dai demoni e dai Vigilanti.» Gli voltai le spalle perché non riuscivo più a sopportare l’intensità delle sue iridi. Deglutii a fatica il nodo di lacrime che mi era salito in gola. «I primi desiderano il nostro sangue, perché ha il sapore e l’odore del Paradiso; mentre i secondi erano stati incaricati dagli Arcangeli, le autorità di lassù, di distruggerci perché eravamo un pericolo per la razza umana.»
«Rowan.» La sua mano che si posò sulla mia sulla spalla e la sua voce profonda troppo vicina al mio orecchio mi fecero tremare di piacere. «Non ho bisogno di conoscerti da molto tempo per sapere che non c’è niente di malvagio o pericoloso in te.»
«Sbaglio, o ti ho atterrato come un sacco di patate la prima volta che ci siamo parlati?»
«Ma quello era…»
«Io sono pericolosa», lo interruppi con tono che non ammetteva repliche. «Il mio sangue angelico mi dona una forza e una velocità superiore a quella di qualsiasi umano, dei Vigilanti e anche dei demoni di basso rango, posso guarire in fretta e sono in grado di sopportare forti sforzi fisici. Ma il mio lato umano, quello che definisce i miei pensieri e i miei sentimenti, è ciò che mi rende suscettibili alle emozioni e agli istinti.»
Liam mi guardò a lungo la guancia che era rivolta verso di lui. «Rowan, non capisco. Come fa ad essere una cosa tanto brutta?»
«Io sono pericolosa», ripetei. Sentivo le lacrime bruciarmi gli occhi, ma impedii loro di riversarsi sul mio viso. Non mi sarei mai perdonata se fossi scoppiata a piangere davanti a lui come una cretina. «Lo sapevi che i Nephilim erano definiti anche giganti? E, che tu ci creda o no, non è una metafora. Erano davvero dei giganti. Il loro potere era cresciuto così tanto da trasformali in veri e propri mostri. Avevano rinnegato i loro padri angeli e si rifiutavano di vivere in pace insieme agli umani. Volevano regnare sulla Terra come gli angeli governano il Paradiso e i demoni l’Inferno.»
«Okay, e questo spiega perché dici che è severamente proibito ai Vigilanti di stare con gli umani.» Fece un passo in avanti, io uno indietro. «Ma, Rowan, tu non sei come loro.»
«Forse non adesso. Ma potrei trasformarmi in qualsiasi momento in un mostro gigante e fare del male a chiunque proverà a fermarmi, anche le persone che adesso amo.» Abbassai lo sguardo sulle mie mani. Quelle non erano le mani di una ragazza di diciassette anni. Le unghie erano corte e mangiucchiate. I calli dovuti a tutti gli anni di allenamento mi inspessivano la pelle dei palmi e delle dita. Quelle erano le mani di un mostro, capace di atti terribili.
«Tu non faresti mai del male a nessuno», si interruppe e alzò una spalla, «be’, nessuno che non sia un demone.»
«Quando i Nephilim si trasformavano in giganti, perdevano la loro memoria umana. Non riconoscevano nemmeno i loro genitori umani, gli amici di quella metà della loro vita. E li uccidevano senza provare alcun rimorso.»
Lui rimase in silenzio per quella che mi sembrò un'eternità.
Allora mi feci coraggio e sollevai gli occhi su di lui. Liam mi osservava con attenzione, con le sopracciglia aggrottate verso il centro della fronte e le labbra schiuse come se fosse sul punto di parlare. Ma nei suoi occhi non c’era né la pura né il disgusto che io avevo temuto di trovare. «A te non succederà.»
«Come fai ad esserne così sicuro?»
«Perché tu sei buona.»
«Buona?» Sollevai un sopracciglio, mentre le mie labbra si piegavano in una smorfia. «Puoi descrivermi con mille parole, Liam, ma “buona” decisamente non è una di quelle.»
«Invece, “buona” è proprio una delle prime parole che userei per descriverti, subito dopo “bellissima” ovviamente. E sai perché?»
Scossi la testa, il labbro inferiore torturato dalla fila superiore dei denti.
«Perché hai deciso di aiutarmi in una folle caccia ai demoni per impedire che mi faccia ammazzare o che finisca laggiù. Perché stai indagando sul demone che ha ucciso mio fratello, anche se Danny ti trattava di merda sin dal primo giorno.»
Alzai gli occhi al cielo nella speranza di cacciare indietro tutte le lacrime che mi offuscavano la vista. «Liam, avevo tutta l’intenzione di indagare sulla morte di Daniel anche prima che me lo chiedessi tu. E non per qualche ragione nobile e altruista, credimi. Né per dimostrare ad altri che sono capace di fare il culo ad un demone – alla villa, l’intera legione è consapevole di cosa posso fare e ne ha paura.»
«Allora perché?»
«Perché io…» Mi morsi il labbro, indecisa se continuare a parlare, oppure no. Alla fine mi decisi di mandare al diavolo la ragione perché tanto ormai mi ero spinta troppo oltre e non aveva senso trattenersi ancora. «Perché il mio tempo per scadere.»
Liam impallidì e barcollò sul posto come se lo avessi colpito al petto. «Che cazzo vuol dire che il tuo tempo sta per scadere? Sei malata?»
«In un certo senso.» Sospirai con forza. «Io sono diversa dagli altri della mia razza, perché mio padre non è un angelo qualunque. Lui è un Arcangelo, uno dei preferiti del Grande Uomo lassù
Liam sgranò gli occhi così tanto che la montatura leggera dei suoi occhiali scivolò fino alla punta. Deglutì a vuoto un paio di volte, poi si schiarì la voce. «E quale?»
«Meglio che tu non lo sappia. Ma è solo grazie a lui se non sono stata fulminata nel momento stesso in cui sono uscita dal grembo di mia madre. Non che questo abbia impedito ai demoni di dare la caccia a me e chiunque abbia mai provato a proteggermi.»
Calciai con rabbia un sasso. «È così che è morta mia madre. I demoni cercavano me, perché mi ero tirata una pellicina e mi era uscita una minuscola goccia di sangue dal dito. Ci trovarono nel giro di qualche minuto. Abbiamo provato a scappare, ma noi avevamo una vecchia monovolume usata e loro le ali. Ci raggiunsero e… Mamma si è messa davanti a me per proteggermi. Ma era solo un’umana e…» Le lacrime avevano offuscato tutti gli alberi che avevo intorno, e adesso vedevo solo una massa informe di arancione e giallo. «Prima di cadere in terra, mi disse di scappare e io lo feci senza nemmeno guardarmi indietro. Corsi all’interno di una chiesa lì vicino e rimasi dietro l’altare per ore, a piangere e pregare che non mi trovassero. Il parroco uscì dalla sacrestia, mi vide e chiamò Elias – forse non lo sai, ma alcuni preti e poliziotti collaboravano con i Vigilanti da ancora prima che questi annunciassero la loro esistenza al resto dell’umanità. Lui venne con metà della legione. Mentre gli altri affrontavano i demoni, Elias mi portò in salvo. Mio padre gli aveva dato l’incarico di tenermi al sicuro fino al compimento dei miei diciotto anni.»
Mi abbracciai il busto, cercando di colmare quel vuoto che sentivo dentro di me ogni volta che ripensavo a come avevo perso mia madre e come ora stavo perdendo Elias. Ma non avevo finito di parlare: «È stato solo qualche mese dopo che Elias mi disse cosa ero veramente, quali rischi correvo. E soprattutto quanto tempo mi restava. Mi disse che gli Arcangeli mi hanno concesso diciotto anni per dimostrare di essere diversa dagli altri della mia razza e per mostrarmi degna della grazia, il perdono divino.»
«Che succede quando avrai compiuto diciotto anni?» Liam aveva la voce estremamente rauca dopo esser rimasto in silenzio per così tanto tempo ad ascoltare.
Nascosi le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni e sollevai le spalle, anche se non c’era proprio niente di leggero in tutta quella situazione. «Gli Arcangeli verranno da me. Incluso mio padre.»
«E?»
«O riceverò la grazia, o mi uccideranno.»
«Quando…» La sua voce si spezzò a metà della frase. Si schiarì la gola e ci riprovò: «Quando è il tuo compleanno?»
«Fra due mesi.»
«Cazzo.» Liam si passò una mano sulla bocca e distolse lo sguardo dal mio viso.
«Quando ho saputo della morte di Daniel, ho pensato che se io avessi trovato e ucciso il demone responsabile, mi sarei dimostrata degna. È tutta la vita che cerco un’occasione per dimostrare che posso essere migliore dei miei antenati. Che merito di vivere.» Feci un sorriso amaro. «Come vedi, non sono così buona come credevi. Voglio solo… Io non voglio morire, Liam.»
Lui si voltò verso di me con uno scatto, poi si mosse in avanti e mi raggiunse con due sole falcate. Ancora una volta mi avvolse i fianchi con le braccia e fece in modo che ogni centimetro dei nostri corpi fosse incollato. Il petto gli si muoveva freneticamente contro il mio e sentivo il battito del suo cuore riverberarsi anche nelle mie costole. O forse era solo il mio.
«Tu sei buona. Sono loro gli stronzi che ti hanno affidato un compito impossibile.»
«Liam, le storie sui Nephilim sono tutte vere. Hanno massacrato intere civiltà e loro hanno paura che possa ricapitare. E anche io ho paura… Non voglio morire, ma non voglio nemmeno diventare come loro.»
«E lo capisco. Davvero.» Mi accarezzò la curva del fianco, attirandomi sempre di più contro di lui. «Ma nessuno è interamente buono o cattivo. Tutti hanno un po’ di entrambe le cose dentro. Sono le scelte che facciamo che determinano dove andrà la nostra anima quando sarà tutto finito. Me lo hai detto tu, la prima volta che mi hai spiegato come funziona tutto questo casino. Libero arbitrio. E loro te lo stanno portando via.»
Chiusi gli occhi e aprii la bocca per parlare: «Ma…»
«Non sei un essere malvagio, a dispetto di quello che tu credi di te stessa. Non riesco nemmeno a immaginare come sia stata la tua vita e non fingerò di farlo. Ma, credimi, io ho visto la bontà e la bellezza della tua anima e non posso permettere che tu ti convinca che non ce ne sia», disse.
Inspirai profondamente il suo profumo di menta. «E non ti importa che potrei trasformarmi in un mostro gigante e uccidere te e tutti quelli che conosci.»
«Sarai sexy anche in versione gigante, ne sono sicuro.»
«Liam…» Alzai gli occhi al cielo.
«Non mi importa di quale sangue scorre nelle tue vene.»
Mi morsi il labbro per reprimere il sorriso di sollievo e gioia che mi stava spuntando sulle labbra. Il petto si liberò del peso che mi aveva oppresso fino a quel momento, e io mi sentii finalmente libera di respirare. «Okay.»
«Okay», ripeté. Mi scostò dietro la spalla la treccia e mi accarezzò il collo. Anche se l’istinto mi diceva di allontanarmi, questa volta non lo feci. «Allora non devi più spaventarti ogni volta che provo a toccarti.»
«Non ho paura.» Sollevai gli occhi sui suoi.
«Per caso…» Esitò per qualche istante, poi dopo aver espirato profondamente dal naso, disse: «Per ottenere la grazia devi restare vergine? È per questo che ti tiri sempre indietro?»
Arrossii tanto da sentirmi il viso andare a fuoco, e gli colpii la schiena con uno schiaffo piuttosto forte. «Sei davvero arrogante, lo sapevi, vero?»
«E tu sei violenta. Ma non fraintendere, è una delle ragioni per cui mi piaci così tanto.»
«Anche tu mi piaci, Lee», confessai. «E una parte di me detesta sentirsi in questo modo.»
«Perché sono presuntuoso e arrogante?»
«E anche più cocciuto di un mulo.»
«Buona a sapersi.»
«Ma no, non è per quello. È perché non riesco a concentrarmi su niente.»
«Ti distraggo troppo? Passi le giornate a pensare a me?»
«Liam, questa è una faccenda seria. Quel demone nel bagno dei ragazzi è riuscito a cogliermi di sorpresa perché io ero troppo distratta da te. Poteva farti del male sul serio, e poteva fare del male a me.»
«Vorrà dire che mi porterò sempre dietro un vocabolario.»
Gli lanciai un’occhiataccia. «Non scherzare.»
«Hai ragione.» Strofinò la punta del naso contro la mia guancia, facendomi rabbrividire fra le sue braccia che subito si strinsero attorno al mio corpo. «Sai, potresti insegnarmi a combattere.»
«Io non credo che…»
Mi interruppi di colpo quando sentii un gemito sommesso alle mie spalle. Voltai la testa con uno scatto così violento da frustarmi una guancia con la punta della treccia. Osservavo la strada secondaria doveva avevamo fermato la macchina. Era una stradina piccola e stretta, circondata da fitti boschi su entrambi i lati. E non c’era nessuno.
«Che succede?» mi domandò Liam. La sua voce era tesa.
«Non…» Sentii di nuovo quel gemito sofferente e mi interruppi. «Credo che di aver sentito qualcosa.»
«Un demone?»
Non risposi.
Una ragazza era sbucata da dietro un albero e, nel vedere il suo aspetto, trattenni il fiato.
Non poteva avere molti più anni di me, con quel viso dalle guance tonde e piene e con gli occhi grandi come quelli di un cerbiatto spaventato. Si passava si continuo la mano sui capelli neri e cortissimi, mentre si guardava intorno con aria spaurita e persa. Indossava una lunga camicia da notte bianca ed era scalza. E se non fossero stati tutti quei indizi a farmi credere che la ragazza di fronte a me fosse morta, i tagli profondi che aveva sulla gola e sui polsi erano una prova decisamente impossibile da ignorare.
Avvolsi le dita nella mano di Liam. «C’è un fantasma. E ha le stesse ferite di Daniel.»

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


.11.
 
 

«T-tu… Tu riesci a vedermi?» Il fantasma della ragazza sgranò i suoi occhi enormi quando si accorse che la stavo guardando davvero.
Annuii. «Riesco a vederti.»
Il fantasma fece saettare gli occhioni verso la figura di Liam, fermo come una statua al mio fianco e con le dita che si stringevano attorno alle mie. «Anche lui può vedermi?»
«Lui no, mi dispiace.»
«Oh.» Il fantasma abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi che sfioravano le foglie secche.
«Come ti chiami?»
La ragazza sembrava sul punto di scoppiare a piangere. «Teresa.»
«Io sono Rowan, e questo è Liam.» Senza lasciare la presa sulle dita di lui, feci un passo in avanti verso il corpo trasparente del fantasma. «Ricordi cosa ti è successo?»
Non sapevo mai come approcciare un fantasma che non sapeva di essere morto, quindi ponevo sempre quella domanda per cercare di interpretare le loro reazioni. Era terribile ogni volta dover vedere la consapevolezza negli occhi di quegli spiriti quando capivano che non avrebbero più visto i loro cari, sentito il sole sulla loro pelle, il suono della pioggia contro il vetro delle finestre, assaporato i loro piatti preferiti…
Teresa si passò ancora una volta una mano fra i capelli, lisciandosi la frangetta contro la fronte. Ripeté il gesto così tante volte da cominciare a schiaffeggiarsi le tempie con forza. «Oddio», piagnucolò. «Sono morta, vero?»
«Sì, mi dispiace.» Abbassai lo sguardo sulla sua camicia da notte macchiata di sangue rosso scuro. Cercai di reprimere un brivido quando i miei occhi si posarono sul profondo taglio che le aveva squarciato la gola. «Ti ricordi come sei morta? Eri a casa tua, vero?»
«Stavo dormendo, quando ho sentito un rumore provenire dal giardino. Pensavo che fosse il mio cane, così sono uscita per controllare.» Teresa si strinse le braccia nude attorno al corpo come se avesse freddo. Ma era morta: non poteva sentire il freddo, o il caldo. «E poi ho visto un’ombra che si avvicinava sempre di più.»
«Un’ombra?» indagai.
«E quando mi sono sentita afferrare per le caviglie, ho visto un uomo. Ma non era veramente un uomo: aveva degli artigli al posto delle unghie e delle zanne al posto dei denti.» Rabbrividì. «Che cosa era?»
«Sei riuscita a vedere altro, Teresa?»
Scosse la testa. «Ho sentito un dolore alla gola e…»
Io barcollai sul posto. Se non avessi avuto la mano stretta in quella di Liam, probabilmente sarei caduta in terra.
Quella notte avevo fatto un sogno uguale al racconto di Teresa. E mi ero svegliata nel cuore della notte madida di sudore e con un dolore atroce alla gola, come se anche la mia fosse stata squarciata dagli artigli del demone. Merda. Stava succedendo di nuovo. Proprio come mi capitava ogni notte sette anni prima, anche adesso i miei sogni corrispondevano perfettamente alla realtà. E questo poteva significare solo una cosa.
Mi feci forza e ingoiai la bile che mi era salita in gola. «Teresa, quell’uomo… ti ha detto qualcosa? Lo hai sentito parlare?»
Teresa mi guardò a lungo con i suoi grandi occhi sgranati. «No. Non ha detto niente.»
Chiusi gli occhi, mentre le parole di Daniel mi risuonavano nella testa come un tamburo.
Ha detto che non era me che stava cercando.
E ora l’aveva trovato. E aveva ucciso ancora.
Sentii Liam irrigidirsi al mio fianco e serrare con maggiore forza le dita alle mie. Ma rimase in silenzio, mentre io mi concentravo solo sulla conversazione con il fantasma che lui non poteva sentire.
Teresa si portò le dita sulla lacerazione che l’aveva uccisa. «Oddio, cosa mi ha fatto?»
Feci un altro passo in avanti. «Stai tranquilla, adesso non soffrirai più, te lo prometto.»
«Io…» Si guardò intorno, sempre più spaurita. «Dovrei vedere una luce, non è vero?»
Mi venne da piangere, e scossi la testa. «Non… Devi attraversare il fiume.»
«Il fiume?» Teresa si voltò verso il torrente d’acqua che scorreva a metri di distanza da dove ci trovavamo noi. Eravamo troppo lontani e troppo in alto perché potessimo raggiungere la riva, ma riuscivo a vederla benissimo. E sapevo che Teresa non avrebbe avuto problemi a raggiungerla. I fantasmi erano fortemente attratti dall’acqua, il portale che separava questo mondo da quello degli spiriti.
Lei tornò a guardarmi. «Devo solo entrare nel fiume?»
Annuii. «Noi non possiamo scendere, ma ti guarderò fino a che non sarai passata oltre. Te lo prometto.»
«Troverai quella cosa che mi ha ucciso, vero? Lo dirai alle autorità, vero?» Teresa strinse i pungi lungo i fianchi. «Lui non deve passarla liscia.»
Deglutii il nodo di lacrime che mi serrava la gola. Non riuscivo a parlare, così mi limitai ad annuire con aria solenne.
«Grazie.» Lei mi rivolse un cenno, poi cominciò a fluttuare verso la riva.
Con un singulto mal trattenuto, abbandonai la testa contro la spalla ampia di Liam. Le lacrime che mi offuscavano la vista ma tenni gli occhi fissi sulla figura tremolante e trasparente della ragazza che entrava con cautela nel fiume.
Liam abbassò la bocca verso il mio orecchio, mentre avvolgeva le mie spalle con un braccio. «Cosa sta succedendo?»
«Sta passando oltre», disse, asciugandomi con il dorso della mano libera una lacrima che mi era scivolata sulla guancia. «Non so perché, ma mi commuovo sempre quando succede.»
Liam adagiò le labbra sulla mia tempia e depositò un delicato bacio sulla mia pelle. Mi strinse contro il suo fianco, mentre le lacrime mi scivolavano sulle guance e oltre il mento.
Quando Teresa raggiunse il centro del letto del fiume e sparì, io voltai le spalle al torrente e mi imposi di cacciare indietro tutte le lacrime che mi erano salite.
Liam mi accarezzò la schiena. «Cosa ti ha detto?»
Inspirai con forza e cominciai a camminare verso la Comet di Liam. «Devo andare subito alla villa e parlare con Seth.»
«Perché?» Liam mi seguì e, quando mi raggiunse, tornò a prendermi per mano.
Aumentai d’istinto la stretta delle dita nelle sue. «Mi ha descritto il demone che l’ha uccisa. Non so ancora di quale demone si tratta, perché non mi ha dato molti indizi a parte artigli e zanne che appartengono alla maggiore parte dei demoni di alto rango, ma lei aveva le stesse ferite di Daniel. E non può essere una coincidenza, soprattutto perché…»
Liam aggrottò le sopracciglia verso il centro della fronte, osservando con preoccupazione i miei denti che tornavano a torturare il labbro. «Soprattutto perché?» mi incitò.
«Perché quando ho visto Daniel, lui mi ha riferito che il demone aveva parlato dopo che lui era morto. Devi sapere che subito dopo la morte, specialmente se così violenta, lo spirito resta legato al corpo e Daniel… Ha sentito quello che detto.»
«E sarebbe?»
Chiusi gli occhi. «Volevo dirtelo prima, Lee, ma non volevo turbarti oltre. Inoltre, non sapevo nemmeno io cosa intendesse… e non volevo gettarti addosso anche questo.» Mi morsi il labbro con così tanta forza da farmi male. «Già devi fare i conti con l’esistenza dei demoni e confrontarti con la mia vera identità. Volevo darti un po’ di respiro…»
«Rowan.» Liam avvolse il mio mento con due dita e mi costrinse a sollevare la testa verso la sua. «Di che cosa stai parlando?»
«Daniel ha detto che…» Mi feci coraggio e schiusi le palpebre. Le sue strabilianti iridi color caramello erano fisse sul mio viso. «Il demone ha detto che Daniel non era quello che stava cercando.»
Liam lasciò andare la presa sul mio viso e strinse i pugni lungo i fianchi. «Non era lui quello che cercava?» ripeté con un sibilo furente.
Gli appoggiai i palmi al petto e strinsi i pungi attorno alla stoffa della sua camicia per impedirgli di indietreggiare. «Mi dispiace davvero. Dio, mi spezza il cuore vederti soffrire così. È per questo che non volevo dirtelo.»
«Tu…» Serrò la mascella con così tanta forza che sentii i suoi denti scricchiolare sotto la forte pressione. «Ti porto a casa.»
«No, dobbiamo parlare.» Lo strattonai con forza fino a che il suo petto non si scontro con il mio. «Non puoi dirmi che sei attratto da me e che vuoi conoscermi, e poi voltarmi le spalle alla prima difficoltà.»
«Non…» I muscoli della sua mascella ebbero uno spasmo. «Non sono arrabbiato con te, se è quello che pensi.»
«Però sei arrabbiato.»
«Certo che sono arrabbiato, cazzo!» urlò. La vena del suo collo si gonfiò in maniera spaventosa e un rossore gli tinse le guance.
Aprì la bocca, sicuramente per continuare a inveire – con tutte le ragioni del mondo. Poi, però, richiuse le labbra con uno scatto e inspirò con forza. Senza aggiungere una parola, mi aggirò e camminò con passo furente verso la macchina. Sobbalzai quando chiuse la portiera del guidatore con così tanta violenza da far ondeggiare il veicolo su se stesso. A passo incerto e tremante, lo seguii all’interno dell’abitacolo.
Quando lui accese il motore e partì a tutta velocità lungo la strada, mi aggrappai alla cintura di sicurezza e mi appiattii contro il sedile. «Dovevo dirtelo, lo so, ma non sapevo come.»
«Non importa, Rowan», replicò. Però dal tono che aveva usato – un sibilo furioso e sofferente – mi sembrava che importasse eccome.
«Lee, ti prego…»
«Adesso non ce la faccio, okay?» Si voltò verso di me per una frazione di secondo, ma fu più che sufficiente. Aveva gli occhi pieni di lacrime e i lineamenti del viso stravolti da dolore. E tutte le parole che avevo intenzione di pronunciare mi morirono in gola. «Ho bisogno di stare da solo per un po'.»

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


.12.
 
 

Con un calcio colpii il sacco da boxe che avevo di fronte.
Ripensai alla nuca di Liam Sterling e i suoi capelli castani che erano soliti arricciarsi sulle punte, le uniche cose di lui che ero riuscita a vedere dal giorno del funerale di Daniel, e sentii il mio potere risalire in superficie e la rabbia elettrizzarmi la pelle.
Tirai indietro il braccio e sferrai un pugno.
Ripensai alla rigidità dei muscoli delle sue spalle e della sua schiena ben visibili oltre lo strato dei suoi vestiti, mentre aveva continuato a camminare lontano da me anche se lo avevo chiamato a gran voce più di una volta. Avvertii un dolore nel centro del petto, una fitta di delusione mista a qualcos’altro – qualcosa a cui però non riuscivo proprio a dare un nome – mi fece ribollire il sangue nelle vene.
Sollevai la gamba destra e diedi un altro calcio.
Ripensai a come lui aveva abbassato gli occhi ed evitato accuratamente di incrociare il mio sguardo ogni volta che entrava nella stessa aula in cui mi trovavo anche io.
Spostai il peso del mio corpo su una gamba sola, poi tirai un gancio contro la pelle dura del sacco, e poi un pugno.
Ripensai a come lui mi aveva voltato le spalle ogni volta che mi aveva vista avvicinarmi, e il modo in cui questo comportamento mi feriva nel profondo, come se lui avesse un qualche potere su di me.
Ruotai su me stessa e colpii il sacco con un calcio alto, e poi un ginocchio. Saltellai sul posto, inspirai per rilassare il battito cardiaco e concentrarmi. Tirai indietro il peso del corpo, per poi sbilanciarmi in avanti e sferrare una raffica di pugni.
Lo chignon che avevo sulla nuca si era quasi del tutto sciolto e le gocce di sudore mi appiccicavano i capelli alle tempie e alla nuca.
«Rowan?»
Il mio potere libero di potersi esprimere durante l’allenamento era risalito fino alla superficie e agiva ancora prima che io potessi fermarlo. Mi voltai con uno scatto, e feci appena in tempo a vedere una chioma di boccoli rossi che si abbassava di colpo per schivare il pugno che non ero riuscita a controllare.
«Porca merda!» Abbassai subito le mani e mi irrigidii sul posto.
La bellissima Vigilante che mi trovavo di fronte si drizzò sulle gambe e mi rivolse un sorriso serafico. «Bel pugno.»
«Fee, mi dispiace tantissimo.»
Ophelia scosse la testa e i suoi lucenti capelli vermigli le ricaddero sulla schiena. «Dispiace a me. Non volevo interrompere il tuo allenamento, ma…» Fece un vago cenno del mento. «Tesoro, stai sanguinando.»
Abbassai subito lo sguardo e notai con orrore che aveva ragione: le fasciature che avevo legato attorno alle mani erano macchiate da chiazze rosso scuro sulle nocche. Imprecai.
«Improvvisamente la villa aveva lo stesso odore del Paradiso», continuò lei, «quindi mi sono preoccupata e sono venuta a controllare che fosse tutto a posto.»  
D’istinto, nascosi la mano dietro la schiena. «Merda, mi dispiace davvero. Non me ne sono nemmeno accorta.»
«Posso vedere?» Ophelia allungò un braccio.
Come le mani di tutti i Vigilanti, anche le sue erano ricoperte di calli, e mi ritrovai a fare un accenno di sorriso quando le sue ruvidità si scontrarono con le mie.
Ophelia mi sciolse la fasciatura dalla mano destra con movimenti circolari e attenti. Quando l’ultimo strato della fascetta si staccò dalla mia ferita aperta e l’odore del mio sangue – l’odore del Paradiso – le invase le narici, lei trattenne il respiro e chiuse gli occhi per un istante.
Sapevo che ognuno sentiva un profumo diverso, a seconda della cosa che più amava. Per Seth, ad esempio, il mio sangue aveva l’odore delle patatine fritte e io non perdevo mai l’occasione per prenderlo in giro per questo.
Mi morsi il labbro e chiesi: «Tu che cosa senti?»
Senza distogliere lo sguardo dalle mie nocche, Ophelia piegò le labbra in un sorriso misterioso. «Biscotti al burro d’arachidi.»
Strozzai una risata. «Davvero?»
«Già.» Mi lanciò un’occhiata fugace, poi tornò ad esaminare le mie ferite.
Abbassai gli occhi sulla mia mano, una macchia scarlatta tra le dita bianche di Ophelia. «Io sento solo odore di sangue. Metallico e nauseante.»
«Perché è il tuo sangue.» Mi lasciò andare. «Comunque, non è niente di grave. Dovrebbe guarire tra qualche ora.»
«Grazie.» Cominciai a disfare le fasciature anche all’altra mano.
Sentivo il suo sguardo scrutare il mio profilo con attenzione. Le lancia un’occhiata rapida.
Immaginai che fosse tornata da poco da un turno di caccia, perché i boccoli rossi avevano la forma delle trecce in cui lei li aveva legati e perché indossava ancora la tenuta da combattimento. I pantaloni di quello spesso materiale resistente le fasciavano le gambe toniche e slanciate, mentre la canottiera termica che veniva indossata sotto la giacca per poter preservare il calore corporeo quando erano in volo le avvolgeva il seno tondo e perfetto e le curve morbide dei fianchi.
La tenuta da combattimento dei Vigilanti non era un look molto lusinghiero su una donna, ma Ophelia era splendida anche vestita in quel modo.
Era davvero di una bellezza disarmante. Ogni volta che mi trovavo al suo fianco, mi sentivo molto piccola e insignificante.
Le prime volte che l’avevo incontrata, quando si era trasferita a Portland da poco e aveva cominciato a frequentare Seth, l’avevo odiata con tutto il cuore. Non che fossi gelosa di Seth, il quale era sempre riuscito a bilanciare perfettamente le sue giornate tra cacciare i demoni e passare del tempo con la sua nuova stupenda compagna, il tutto senza mai ignorarmi o dimenticarsi dei nostri appuntamenti – come il solito allenamento mattutino, quando lui tornava dal turno di caccia e prima che io andassi a scuola; o le nostre colazioni domenicali nella mia tavola preferita a Downtown. Eppure avevo sempre voglia di prenderla a pugni.
Con il tempo le cose erano cambiate, perché lei ci aveva provato davvero a diventare mia amica. Era stata dura ingoiare il mio orgoglio, ma avevo imparato a vedere tutte quelle qualità che la rendevano davvero una buona amica e una buona compagna per mio fratello adottivo. Certo, a volte la odiavo ancora per la sua bellezza fatta di perfezione ed eleganza, ma eravamo comunque diventate prima due alleate in una casa in cui la presenza maschile prevaleva, e poi amiche.
«Stai bene?» mi chiese.
«Certo.» Alzai gli occhi su di lei, ignorando la solita fitta di invidia. «Sto sempre bene.»
Ophelia si appoggiò contro il tavolo sul quale erano adagiate le diverse armi con cui mi ero allenata quel giorno – vari pugnali da lancio, un’ascia e, la mia preferita in assoluto, una spada cinese jian. Il suo sopracciglio rosso era sollevato e conferiva un’aria scettica al suo volto diafano. «Sei sicura?»
«Perché me lo chiedi?»
«È solo che questa è la prima volta che riesco a vederti dopo una settimana e ti trovo mentre le stai dando di santa ragione a un povero sacco da boxe. Sono preoccupata.»
«Sto bene», ripetei. «Dovevo solo sfogarmi un po’.»
«Okay. Ti credo.» Si scostò sulla schiena i capelli, ma non smise di osservarmi con attenzione. «Però sappi che se vuoi parlare con qualcuno, io sono sempre disponibile.»
Gettai in terra le fascette sporche di sangue. Sapevo che avrei dovuto bruciarle il prima possibile, ma decisi che lo avrei fatto più tardi. In ogni caso, non correvamo nessun rischio: la casa era protetta da incantesimi e un cerchio di sale.
Ora mi avvicinai al tavolo su cui era appoggiata Ophelia e presi di nuovo fra le mani la spada.
Ophelia mi rivolse un sorriso complice. «Vuoi allenarti ancora?»
«Tu sei qui, perché rinunciare a questa opportunità?» Mi strinsi nelle spalle, poi feci ruotare la spada un paio di volte, prendendo confidenza con il peso e la lunghezza dell’arma – non che ne avessi davvero bisogno. «Oppure pensi di non potermi battere?»
Lei scoppiò a ridere. «Io so di non poterti battere.»
I miei occhi erano fissi sulla lama argentata della jian. Non sapevo perché mi fossi sentita così attratta da quell’arma, ma dal primo momento in cui l’avevo presa in mano avevo saputo che non avrei più voluto utilizzarne un’altra. Mi era sembrato che quella spada fosse stata creata perché io potessi maneggiarla, come se fosse sempre stata una parte del mio braccio.
«Se non vuoi, non fa niente.»
«E va bene. Basta che la smetti di guardarmi con quegli occhioni verdi da cucciolo.» Ophelia si alzò in piedi e andò verso lo scaffale delle armi per recuperare un’arma. Scelse una katana, che entrambe sapevamo si bilanciava perfettamente nella sua mano affusolata e si adattava alla sua statura slanciata.
 Ci posizionammo una di fronte all’altra.
Ci studiammo per qualche istante, poi cominciai ad attaccare, perché ero sempre io quella impaziente e impulsiva. Caricai in avanti e agitai la jian verso Ophelia, che con rapidità di riflessi si difese alla perfezione, indietreggiando con passi veloci e precisi e intercettando ogni mio colpo con la sua katana. Mi fermai solamente quando la sua schiena quasi toccò il muro della parete opposta; abbassai la lama e camminai per tornare nella postazione iniziale.
«Sei tornata da una ronda?» domandai, mentre sbirciavo fuori dalla finestra. Le nuvole oscuravano la luce del sole. «Di mattina?»
Lei annuì. «Con la morte di quei due ragazzi, Elias ha deciso di organizzare dei turni anche di giorno.»
Mi morsi il labbro.
I demoni erano perfettamente in grado uscire con la luce del sole, ma preferivano il buio e l’oscurità. Per questo motivo, di solito, i Vigilanti restavano a casa a riposare durante il giorno e uscire a caccia quando calava la notte.
«Hai visto niente di particolare?»
Ophelia scosse i riccioli rossi. «Solo qualche Pandemone, ma sai anche tu che sono innocui. Gli piace scherzare a spostare gli oggetti con la telecinesi, niente di più.»
Sollevai la spada e tornai in posizione di attacco. «Seth ti ha detto di quella ragazza, Teresa?»
«Quella che hai aiutato a far passare oltre? Sì.» Sospirò. Scrollò le spalle, e tornò in posizione. «Povera ragazza. Aveva la mia età.»
Avanzai ancora verso di lei con i miei colpi forti e precidi, ma Ophelia era sempre stata molto veloce e riusciva a parare ogni affondo. Io ero più forte di lei e i miei affondi le facevano tremare il braccio con cui teneva la katana, ma mi stava resistendo meglio di quanto avrebbe fatto chiunque altro. E lo apprezzavo molto: solo in questo modo potevo davvero migliorare.
«E ti ha anche detto che sogno queste morti, proprio come sognavo gli avvenimenti di sette anni fa?» continuai.
Quelle parole la distrassero, e lei non riuscì a parare il mio ultimo affondo. Fermai la lama a mezzo centimetro dalla sua gola, impedendomi all’ultimo istante di ferirla. Quando la vidi deglutire a vuoto sapevo che non era per la paura che potessi colpirla. Era per quello che avevo detto. «Pensi… Elias pensa che questa possa essere l’inizio di un’Apocalisse?»
«Non lo so. Elias non mi dice niente. E nemmeno Seth.» Abbassai la spada e la feci ricadere lungo il mio fianco con la punta rivolta verso il pavimento. Fissai gli occhi sulla mano che impugnava saldamente l’elsa. «Non vogliono che io abbia niente a che fare con questa storia.»
«Perché sei una ragazza?» si alterò lei. Ophelia prendeva molto sul serio le sue posizioni femministe. Le donne all’interno della legione non avevano quasi mai la possibilità di uscire a caccia: dopotutto, il futuro dei protettori della Terra dipendeva da loro e dalle loro capacità riproduttive. Era brutto dirlo in questi termini, ma era anche la verità. Ophelia aveva lottato con ogni fiato che avevo in corpo per convincere la sua famiglia a lasciarla venire a Portland, e ancora oggi lottava con la sua tenacia e la sua determinazione per non lasciarsi mettere da parte dagli uomini della legione.
Ovviamente, però, i membri della legione non mi permettevano di uscire di casa per motivi completamente diversi dal voler proteggere me, o il mio utero possibilmente fertile. «Perché sono un mostro, Fee.»
Lei sbuffò con violenza e con altrettanta forza gettò in terra la katana. I suoi occhi dorati sembravano aver preso fuoco. «Tu non sei un mostro.»
Avevo ancora lo sguardo fisso sulla mia spada. «Anche se non rischiassi trasformarmi in un gigante, sono davvero imprevedibile. Seth me lo ripete di continuo. Nessuno si fida di me abbastanza, nessun affiderebbe la propria vita nelle mie mani. Cavolo, l’intera legione ha persino paura di mangiare nella stessa stanza in cui mi trovo io.»
«Be’, sono degli idioti! E io mi fido di te.»
Alzai gli occhi al soffitto per cacciare indietro le lacrime. «Lasciamo perdere.»
«No, che non lasciamo perdere. Non mi piace che pensi queste cose di te stessa.» Mi si avvicinò e mi accarezzò la pelle del braccio lasciata scoperta dalla canottiera con cui mi stavo allenando. Quando parlò di nuovo, addolcì il suo tono di voce: «Tu sei molto di più del sangue che ti scorre nelle vene, Roe.»
«Forse.» Mi strinsi nelle spalle, mentre il dolore nel centro del petto tornava e mi spezzava il respiro.
Liam aveva detto le stesse cose il giorno del funerale, eppure mi aveva ignorata per quattro giorni. Forse aveva cambiato idea nei miei confronti. Forse aveva iniziato a metabolizzare le cose che gli avevo detto, le storie sui Nephilim che gli avevo raccontato, e aveva capito che desiderare un mostro come me era pura follia. E quel pensiero mi faceva così male che sentivo dolore persino nelle mie membra e nei miei muscoli.
«Posso farti una domanda?» chiesi. Quel tono di voce così sottile e incerto mi faceva sentire stupida e umana. Ed era una cosa che odiavo con tutta me stessa. Ero una stramaledettissima e tostissima Nephilim e non avrei dovuto avere problemi con i ragazzi umani. Eppure li avevo. E sentivo il disperato bisogno di parlarne con qualcuno che capisse.
«Certo.»
«Quando… Quando ti sei accorta che amavi Seth?»
Avevo ancora gli occhi fissi sulla lama della spada, ma riuscii a percepire come il corpo di Ophelia si era teso in avanti. «Stai dicendo che hai incontrato un ragazzo?»
«Già.» La guardai attraverso le ciglia umide di sudore. «È una cosa così strana? In fondo, sono per metà umana e ho diciassette anni.»
«Non è strano per quello.» Scosse i boccoli rossi. «È perché tu… be’, sembra che non ti importi molto delle persone, a parte Adeline.»
«Ed è così, ma lui…» Mi morsi il labbro, incapace di trovare le parole giuste per esprimere il groviglio di emozioni e pensieri che avevo dentro.
Ero fisicamente attratta da Liam, e questo era così chiaro che negarlo era praticamente impossibile. Ma il vero problema era che cominciava a piacermi lui. Mi piaceva la sua voce profonda e roca, ma anche le cose che diceva e i pensieri che esprimeva. Mi piaceva la sua figura slanciata e la linea dura della sua schiena muscolosa, ma anche come la sua presenza emanasse calore e luce ovunque andasse. Mi piacevano le sue labbra carnose, il modo in cui si muovevano quando parlava o quando le aveva avvicinate così pericolosamente alle mie, ma anche le parole che articolava con esse. Mi piacevano le sue mani lunghe da pianista e come avevano toccato la mia pelle con esperienza e delicatezza, ma anche i gesti che faceva come quando teneva la porta aperta per una professoressa o come quando in mensa aiutava un amico a portare il vassoio.
Dio, ero un caso disperato.
Ophelia piegò la testa di lato, un sorriso serafico sulle labbra rosa. «Cosa è successo tra di voi?»
«Ancora niente.» Mi passai una mano fra i capelli umidi di sudore, a disagio come non ero mai stata in tutta la mia vita. Riposi la spada al suo posto. «Frequentiamo la stessa scuola sin dal primo anno, ma da poco abbiamo cominciato a… frequentarci, credo che si possa dire così. E lui ha detto di volermi conoscere meglio. Ha anche detto che mi…»
«Che ti desidera?» mi venne in aiuto, quando mi bloccai di colpo e arrossii.
Annuii, il labbro sempre più stretto nella morsa dei miei denti.
«E tu?»
«Io cosa?»
«Tu lo desideri?»
Avvampai, perché non avevo mai avuto una conversazione del genere con nessuno prima d’ora. Dio, era così imbarazzante. «Io… sì, accidenti.»
«Allora dove sarebbe il problema?» Piegò la testa di lato. «Come hai detto tu, sei per metà umana e hai diciassette anni. È giusto che tu faccia le tue esperienze.»
«Ma sono anche per metà angelo e gli angeli amano una sola persona.» Mi abbracciai il busto con entrambe le braccia, mentre una voragine di paura e inquietudine mi scavava lo stomaco. «E se fossi come voi, e lui fosse l’unica persona di cui mi innamorerò? Avrebbe senso, Fee, visto che prima di lui io non avevo mai provato il minimo interesse nei confronti di nessun altro e adesso io…» Mi bloccai, incapace di continuare. Trassi un sospiro violento. «Il che mi fa sentire ancora più stupida, perché lui è umano e forse ha già cambiato idea…»
«Cosa ti fa pensare che abbia cambiato idea?»
Mi morsi il labbro, sperando che quel dolore attutisse quello che sentivo nel petto. «Perché sono quattro giorni che mi ignora.»
«E perché avrebbe dovuto farlo?» Arricciò la punta del naso.
Non risposi. Non potevo certo dire a Ophelia che avevo rivelato ad un umano la mia vera identità. Non importava quanto io fossi attratta da lui, o quanto forte batteva il mio cuore quando eravamo vicini. C’erano un’infinità di regole che me lo proibivano, e io le avevo infrante tutte. Sarei finita in un mucchio di guai, e anche Liam.
«Credo che dovresti affrontarlo», mi disse Ophelia.
«Tu dici?»
Mi spostò dietro le orecchie le ciocche di capelli che erano fuoriuscite dal disordinato chignon che avevo sulla nuca. «Tu sei una creatura celeste. E soprattutto, una donna bellissima e indipendente.»
Le mie labbra si piegarono in un sorriso.
«Affrontalo e digli quello che provi», concluse.
Feci una smorfia. Parlare di sentimenti non era mai stato il mio forte. «Forse dovrei lasciar perdere e basta… In fondo, gli umani sono fatti così: si dimenticano in fretta e cambiano compagno ogni mese.»
«Tu non sei così facile da dimenticare, Roe. Sei speciale.»
Alzai gli occhi al cielo. «Super speciale.»
«Lo sai che non parlavo del tuo sangue. Tu sei una ragazza speciale e se lui non se ne rende conto, puoi sempre prendere quell’idiota a calci.»
Scoppiai a ridere.
Finalmente riuscivo a respirare un po’ meglio.

§
 
Quando l’ennesimo incubo mi svegliò con un grido che mi saliva in gola e il sudore che imperlava la pelle, sapevo che non sarei più riuscita ad addormentarmi. Sebbene gli occhi facessero fatica a restare aperti e il corpo mi urlasse di tornare sotto il tepore delle coperte, mi infilai una vestaglia di pile sopra la canottiera leggera con cui dormivo e scesi al piano inferiore della villa.
Ero maledettamente stanca e lo sentivo in ogni muscolo del mio corpo, che protestava con forza a ogni scalino che scendevo e che mi allontanava dal materasso e dal bozzolo che avevo creato con le coperte. Ormai non riuscivo a dormire per più di due ore di fila e non credevo che sarei riuscita a sopportare la mancanza di sonno ancora per molto. Ma non potevo proprio costringermi a chiudere le palpebre e sperare che il sonno tornasse, se tutto ciò che sognavo era la morte violenta e dolorosa di ragazzi innocenti.
All’interno delle mura in pietra e mattoni della villa scuri regnavano il silenzio assoluto e il buio totale. Metà della legione dormiva profondamente dopo gli estenuanti nuovi turni di guardia nelle ore diurne. L’altra metà era uscita come ogni notte, avvolta nelle tenute da combattimento nere e muniti di armi benedette, per andare a cacciare i demoni.
Per questo motivo mi sentii tranquilla di poter andare al piano inferiore senza incontrare nessuno – specialmente Elias. Lui usciva sempre e solo di notte, perché durante il giorno era occupato con tutte quelle questioni amministrative e logistiche di cui non ero mai riuscita a capire niente.
Una volta avevo provato a chiedergli da dove arrivassero gli stipendi dei Vigilanti, ed Elias mi aveva portato nel suo studio per mostrarmi carte e documenti che attestavano una serie di donazioni o cose del genere che riempivano la cassa generale della legione, ma mi aveva annoiato così tanto che avevo smesso di fare attenzione dopo solo dieci minuti.  
Entrai nella cucina e, senza accendere la luce per non attirare l’attenzione di coloro che erano rimasti in casa, mi versai del latte caldo in una tazza e presi due biscotti al cioccolato dalla dispensa.
Mangiai in silenzio e con calma, godendomi con un gemito davvero imbarazzante la dolcezza del burro e l’amaro del cioccolato fondente che si fondevano nella mia bocca. Ripensai per un secondo alla conversazione che avevo avuto con Ophelia quel pomeriggio e immaginai che quello per me era l’odore del Paradiso.
Con la tazza stretta fra le dita, per impedirmi di finire tutta la scatola dei biscotti, mi costrinsi a tornare al piano superiore. Ero ancora molto stanca e il latte caldo mi aveva donato un piacevole tepore al corpo, rilassandomi. Ma non morivo dalla voglia di tornare a sognare morte e sangue; così non girai subito sulla destra per infilarmi nella mia camera da letto. Continuai a percorrere il lungo e stretto corridoio fino ad aprire piano la cigolante porta della biblioteca.
Notai con un sorriso che il manuale sui rituali di sangue che l’ultima volta non ero riuscita a riporre sul suo alto scaffale era stato spostato su una mensola decisamente più alla mia portata.
Poggiai la tazza di latte sul lungo tavolo in legno pregiato, pregando che non lasciasse il segno, e afferrai il grosso libro con entrambe le mani perché avevo la sensazione che pesasse il doppio di me e non volevo che cadesse in terra con un tonfo che avrebbe svegliato le persone rimaste in casa. Tornai al tavolo e, bevendo di tanto in tanto sorsi di latte caldo, sfogliai le pagine senza vederle veramente.
I miei pensieri continuavano a tornare su Liam, sulla sofferenza che avevo visto nei suoi occhi e la vulnerabilità che mi aveva mostrato quando mi aveva chiesto del tempo da solo.
Senza potermi controllare, ripensai al suo corpo che si era modellato alla perfezione con il mio, alle sue mani che si erano posate sui miei fianchi, al suo viso che si era avvicinato così tanto al mio che sarebbe bastato un respiro per baciarci e alla sua voce roca che vibrava di passione. Ripensai soprattutto alla sensazione di calore che mi aveva infuocato la pelle e quella piacevole pulsazione nel basso ventre che mi aveva fatto arricciare le dita dei piedi.
Poggiai la fronte sul tavolo, con un gemito di insofferenza.
Ma quando potevo essere stupida? Stavo davvero pensando a lui nel cuore della notte, con un peso che mi schiacciava il petto e le lacrime che mi offuscavano la vista? Scossi la testa con forza, facendo ricadere alcune ciocche di capelli sugli occhi. Diavolo, no. Non lo avrei permesso.
Quando sentii dei passi provenire dal corridoio appena fuori la porta chiusa della biblioteca, mi irrigidii sulla sedia. Strinsi forte la tazza fra le mani e, attenta a non fare il minimo rumore, scivolai in un angolo buio della stanza. Non avevo niente da nascondere, ma non volevo rischiare di dovermi ritrovare di fronte a qualcuno e provare a spiegare cosa ci facevo ancora sveglia a quell’ora.
«… demoni Raum, padre?» stava chiedendo Seth. «Tu stai bene? Stai sanguinando.»
Nonostante tutto quello che stava succedendo tra di noi, mi sentii mancare al pensiero che Elias fosse ferito. Una morsa dolorosa mi fece stringere il cuore nel petto, tanto che pensai che fosse diventato una specie di nocciolina.
«Solo un graffietto. Non preoccuparti», rispose Elias. Parlavano a voce abbastanza alta perché potessi sentirli anche con la porta chiusa. Non immaginavano che qualcuno potesse essere sveglio a quell’ora della notte. «Ma non parliamo di me. Parlatemi di quello che avete scoperto. Siete sicuri?»
«Sì», rispose Zachary. Riuscivo a sentire la tensione nelle sue parole, tanto che mi sembrava di poterlo vedere come se gli fossi stata di fronte: la schiena dritta come se fosse fatta di marmo, la mascella serrata con violenza e le spalle irrigidite.
«Stesse modalità?» chiese ancora Elias.
«Sì, gola e polsi tagliati e niente più sangue. Proprio come le altre due vittime.»
«Un’altra morte», sospirò Elias.
Mi portai le mani alla bocca per soffocare il singhiozzo che mi era salito in gola. Quella notte era morto qualcun altro. Allora era questo il motivo per cui avevo avuto un altro dei miei incubi, vivido e spaventoso proprio come quello che avevo avuto le notti in cui erano morti Daniel e Teresa.
«Padre», intervenne Seth. La sua voce aveva un tono grave che mi fece accapponare la pelle. «C’è dell’altro. E non ti piacerà.»
«Peggio di così non può andare.»
«Ti pentirai di averlo detto», disse Zachary con tono amareggiato. «Siamo venuti a sapere che le ultime due vittime erano delle benedizioni
Questa volta, non riuscii a trattenere il singulto che mi uscì dalla bocca e dallo shock quasi persi la forza sulla tazza che tenevo in mano. Questa era davvero una pessima notizia.
«Cristo!» imprecò Elias. «Ne siete certi?»
«Sì.»
«Questo spiegherebbe perché il ragazzo Sterling ha detto di essere stato un errore: lui era umano», intervenne Zachary.
«Padre, pensavamo che fosse un demone di basso rango che si diverte a sfidare le regole degli Inferi. Ma adesso che sappiamo che non è così, dobbiamo riferirlo immediatamente agli Arcangeli.»
Sentii qualcuno sospirare con forza. Sembrava essere stanco tanto quanto lo ero io.
«Lo farò», disse Elias. «Ma sinceramente non so come andrà a finire. Ci avevano concesso solo un mese di tempo per trovare un demone che ruba sangue umano e non credo proprio che ci daranno più tempo per questo.»
«Un mese di tempo?» ripeté Zachary. «E poi cosa? Scenderanno sulla Terra?»
Ci fu solo silenzio dall’altra parte della porta e io intuii la risposta.
Merda.
Zachary giunse alla mia stessa conclusione e imprecò a voce parecchio alta. «Non possono farlo, questo vorrebbe dire che…»
«Lo so cosa vuol dire», tagliò corto Elias. «Ma non è una nostra scelta e lo sapete.»
«I sogni di Rowan…» mormorò Seth. «Aveva ragione lei: questa potrebbe essere la fine.»
«No», annunciò Elias. «Non è la fine perché troveremo questo figlio di puttana prima che si arrivi a tanto. Abbiamo già fermato l’Apocalisse e lo faremo ancora.»

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


.13.
 
 

Quando Liam uscì dalle doppie porte di ingresso della scuola, io lo stavo aspettando con la schiena appoggiata contro il muro di fianco.
Quel giorno avevo deciso di affrontarlo proprio come mi aveva suggerito di fare Ophelia. Non perché mi mancasse, né perché avessi voglia di fargli notare a suon di calci nel sedere che io ero una stracazzutissima creatura celeste e che non avevo bisogno di lui. Okay, lo ammetto, forse anche per quello. Ma soprattutto perché le notizie che avevo appreso la notte precedente avevano la precedenza su qualsiasi cosa stesse capitando nella sua stupida testolina umana.
Quella mattina ero stata ferma davanti all’armadio per un tempo indefinito, e alla fine avevo optato per un abbigliamento tutto nero – pantaloni attillati sulle gambe sottili, maglietta a maniche lunghe con una scollatura rotonda e la giacca di pelle che avevo indossato così tanto da consumarla in più punti. Quando mi aveva vista uscire di casa vestita in quel modo, Ophelia mi aveva fatto l’occhiolino e mi aveva detto che somigliavo ad un ninja. Lo presi come un complimento.
Prima ancora che Liam potesse accorgersi di me e voltarmi le spalle come aveva fatto tutte le volte negli ultimi giorni, lo afferrai con forza per un braccio e lo strattonai. Lo attirai contro il muro sul quale ero stata appoggiata fino a pochi istanti prima e, mentre lui tratteneva il respiro e faceva cadere in terra lo zaino, lo immobilizzai con un braccio sul petto e una mano appoggiata al muro al lato della sua testa.
«Cazzo!» imprecò.
«Dobbiamo parlare», annunciai.
Liam alzò gli occhi al cielo, mentre un angolo delle sue labbra si piegava verso l’alto. «Dovevo immaginare che mi avresti picchiato di nuovo.»
Sfoggiai un sorriso beffardo. «Sterling, questo non lo definirei picchiare.»
«Ah, no?» Piegò la testa da un lato. Le sue mani si allungarono verso il mio corpo e si avvolsero attorno ai miei fianchi. I suoi palmi si issarono sulla curva della mia vita sopra i pantaloni, mentre le sue dita affondavano nel tessuto della mia maglietta. Fu impossibile ignorare il lungo brivido che mi percorse l’intera colonna vertebrale, e il cuore mi esplose nel petto quando notai che il suo sorriso si ampliava per il modo in cui il mio corpo reagiva al suo. Accorciò la distanza dei nostri visi e mi sfiorò il lobo dell’orecchio con il labbro inferiore. «E come lo chiameresti, esattamente
Tirai indietro la testa e alzai il braccio verso la sua gola, spingendolo sempre di più contro il muro e lontano dalla mia bocca. Lo fulminai con lo sguardo, anche se gran parte della rabbia era rivolta verso di me e il desiderio incontrollabile che provavo per lui. «Smettila di toccarmi.»
Le sue dita scivolarono sulla mia schiena e mi solleticarono la pelle da sopra il tessuto leggero della maglia, attirandomi sempre di più contro il suo petto che si muoveva seguendo il ritmo frenetico del suo respiro. Quando le nostre anche si incollarono, mi accorsi di quanto anche lui reagisse alla mia vicinanza, e mi mancò il respiro. «Pensavo avessimo appurato che ti piace che io ti tocchi…»
«No.» Tornai in me con la stessa velocità con cui mi ero persa nel desiderio. Lo lasciai andare e, dopo aver fatto un paio di passi all’indietro per tornare ad una distanza di sicurezza, incrociai le braccia sotto il seno. «Non dopo che mi hai ignorata per quattro giorni.»
Un muscolo guizzò sulla sua mascella. «Ascolta, io…»
«No!» Alzai una mano e interruppi ogni scusa che avrebbe voluto rifilarmi e alla quale avrei quasi sicuramente creduto perché – Dio, quanto potevo essere stupida? – non volevo altro che si giustificasse. Mi aggrappai al mio orgoglio e proseguii: «Non ho il tempo di stare appresso ai tuoi fottuti sbalzi d’umore da umano.»
Lui abbandonò la nuca contro il muro e sospirò. Abbassò le palpebre per un secondo, e riaprì gli occhi non riuscii a interpretare lo sguardo che mi stava rivolgendo. Era forse pietà? Compassione? Disgusto? «Rowan…»
Abbassai il mento. «Possiamo stare l’intera giornata a parlare di come tu mi abbia ferita, ma…»
«Io ti ho ferita?» Mi lanciò un’occhiata penetrante, le sopracciglia aggrottate sulla fronte. «Te lo giuro, non era mia intenzione. Ferirti era l’ultima cosa che volevo.»
«Be’, a questo punto non ha più importanza cosa volevi oppure no.» Mi scostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Quel giorno avevo deciso di lasciarli sciolti sulle spalle e me ne pentivo ogni secondo che passava. «E comunque, adesso abbiamo cose più importanti di cui parlare.»
Strinse i pugni lungo i fianchi, mentre i suoi occhi si abbassavano e intercettavano i miei. C’era qualcosa di indecifrabile nelle sue iridi color caramello, un fuoco ardente e violento che infiammava il suo sguardo e me, che mi perdevo dentro l’intensità della sua passione. «Vorrei finire questa conversazione. Non voglio che le cose tra di noi restino così. Io…»
«E io ti ho già detto che non ho tempo, Liam», replicai, asciutta. «Quello che avevamo a nostra disposizione si è ridotto di parecchio, e la situazione è diventata mille volte più grande di me e te.»
A quel punto lui si staccò dal muro e mi osservò con attenzione da dietro le lenti dei suoi occhiali. «Hai scoperto qualcosa?»
«Ho scoperto qualcosa.» Mi guardai intorno. Il parcheggio della scuola era praticamente deserto, ma io non riuscivo a smettere di sentirmi inquieta e osservata. Non mi piaceva per niente. «Ma non posso dirtelo qui.»
«Va bene.» Tirò fuori dalla tasca dei jeans le chiavi della Comet e si piegò in terra per recuperare lo zaino. «Dove vuoi andare?»
«A Northwest. Dobbiamo andare da una persona che può aiutarci», dissi, cominciando subito a camminare con passo spedito verso la sua macchina.
Lui mi seguì. Aprì lo sportello dal lato del passeggero e lo tenne aperto per me. «Chi dobbiamo incontrare?»
Senza degnarlo di uno sguardo, scivolai sul sedile. Solo quando la mia schiena fu incollata allo schienale e la mia testa abbandonata al poggia testa, mi azzardai a scoccargli un’occhiata dal basso verso l’alto. Mentre si appoggiava al tettuccio della macchina, Liam mi fissava con la mascella serrata e i muscoli delle braccia tesi al massimo sotto lo strato del maglione color crema che indossava.
Sospirai. «Non ti piacerà, ma non abbiamo altra scelta. Da soli non possiamo farcela.»

§
 
Indicai a Liam la nostra destinazione finale – una gigantesca villa in stile vittoriano nel quartiere più esclusivo della città.
Una volta che la macchina si fermò, uscii dall’abitacolo senza aspettare che spegnesse il motore o accertarmi che mi seguisse. Quando sentii il suo sportello sbattere alle mie spalle e poi i suoi passi che correvano per mantenere il mio passo, non riuscii a non fare un sorriso compiaciuto. Volevo fargli sudare ogni secondo che passavamo insieme: non si meritava che io mi comportassi bene con lui.
«Adesso me lo dici di chi è questa… Wow!» Liam si interruppe nel momento esatto in cui mi vide spostare il peso del corpo su una gamba e aprire il cancelletto con calcio alto.
La staccionata di legno pitturato di bianco cedette sotto la suola dei miei anfibi e si sbriciolo in tanti pezzetti sull’erba verde e curata del giardino. Ops. Ero così arrabbiata con Liam e così preoccupata dalle nuove notizie che avevo appreso, che non ero riuscita a controllare i miei poteri e, senza rendermene conto, dovevo aver messo un po’ troppa forza nella gamba.
Liam trattenne il respiro, mentre si avvicinava e mi sfiorava la spalla con la sua. «Hai spaccato la staccionata per farmi capire che è quello che vorresti fare al mio collo dopo che ti ho ferita, o perché ti sta antipatica la persona che vive qui?»
«Alla persona che vive qui piace farsi aspettare, e non abbiamo tempo per i suoi modi da prima donna.»
«Però vorresti spaccarmi il collo, vero?»
«Un pochino.»
«Ne prendo nota.»
Lo superai e mi diressi verso l’interno della villa, più per nascondergli il sorriso che mi aveva incurvato le labbra che per l’urgenza di tutta la situazione.
Prima ancora che potessimo salire gli scalini della veranda, la porta di ingresso della casa si aprì e Hawke scivolò oltre la soglia. Sollevai le sopracciglia e mi strozzai con la mia stessa saliva, notando con orrore che indossava una corta vestaglia di seta rosa e… nient’altro. I riccioli neri erano disordinati sulla testa e si irradiavano da tutte le parti come se si fosse appena alzato dal letto – il che, conoscendolo, era altamente probabile.
«Splendore, hai saltato la scuola per venirmi a trovare.» Ammiccò, appoggiando una spalla allo stipite. «Lo sai quanto mi piace quando fai la cattiva ragazza…»
Lo fulminai con gli occhi, mentre salivo le scalette.
Liam era rimasto indietro, con la bocca aperta e un dito sollevato. «Tu… tu sei…»
Sapevo che doveva aver intuito qualcosa sulla sua vera natura, quando eravamo stati attaccati dal demone Alastor e Hawke era accorso in nostro – mio, aveva voluto precisare lui stesso – aiuto. Però non aveva fatto mai nessuna domanda in merito. E io non gli avevo detto niente dal momento che, prima di adesso, non ce n’era stato bisogno.
Hawke ignorò le parole sconnesse di Liam e fissò gli occhi neri sui pezzi di legno della staccionata sparsi sul suo giardino. «Hai rotto di nuovo la mia bella staccionata. Non hai idea di quanto ci abbia messo a dipingerla, dopo le tue volgarissime scarpe l’hanno danneggiata la prima e la seconda e la terza e…»
«Ho capito, Hawke. Ma non ho sempre il tempo di stare ad aspettare che tu venga ad aprirmi il cancello.»
«E se fossi stato nudo?»
Abbassai gli occhi sui suoi non-indumenti. «Sei nudo.»
«E se fossi stato in compagnia?»
«Lo sei?»
«Be’, no, ma…»
«Perfetto, perché dobbiamo parlare», annunciai, puntando verso la porta.
Lui si parò davanti, spalancando le braccia e le gambe per impedirmi di andare oltre. La vestaglia si aprì un po’ sul davanti, e io distolsi subito lo sguardo. «Aspetta un attimo, splendore…»
«Dai, spostati. Vi devo parlare di una cosa seria.»
«A tutti e due?»
«Sì», rispose per me Liam, facendo un passo in avanti. Entrambi sapevamo che non avevo veramente bisogno di essere protetta, ma lui si posizionò comunque con una spalla di fronte al mio corpo come se avesse voluto farmi da scudo. Se non fosse stato per il mio stupido cuore che aveva cominciato a battere con violenza contro la cassa toracica, il mio orgoglio mi avrebbe mosso a dargli una spinta e lanciargli un’occhiataccia.
Hawke sgranò gli occhi, poi la sua espressione si trasformò da incredula ad ammiccante nel giro di un solo secondo. «Ma davvero?»
«Non è così. Noi non siamo…» Perfetto! Avevo persino cominciato a balbettare come una tredicenne. Peggio di così non poteva andare. Sospirai e mi morsi il labbro, ricomponendomi. «Suo fratello era la prima vittima: ha tutto il diritto di sapere cosa diavolo sta succedendo.»
«E cosa sta succedendo?»
«È quello che ho intenzione di dirvi, se tu la smettessi di fare stupide allusione e ci facessi entrare in casa!»
«Io, in realtà, mi stavo chiedendo cosa sta succedendo tra di voi.» Fece vagare lo sguardo da me e Liam. I suoi occhi neri erano pieni di divertimento. «L’ultima volta che vi ho visti non riuscivate a staccarvi le mani di dosso, ma adesso sento…» fece una pausa per annusare l’aria come un cane da tartufo, «energie negative. Più da parte tua che sua – il che non è una novità. Diciamoci la verità, splendore: sei una stronza. E lo intendo come un complimento. Sai quanto mi arrapano le stronze.»
Io sibilai un’imprecazione colorita tra i denti, e Liam strinse i pugni lungo i fianchi.
«Avete forse litigato?» Hawke tirò in avanti il labbro inferiore, in un broncio da bambino capriccioso.
«Smettila di cazzeggiare e facci entrare!»
Lui continuò a ignorarmi e inspirò a pieni polmoni l’aria dello spazio tra la mia spalla e quella di Liam. «Oh. La sento ancora. La lussuria, il più dolce dei peccati – sa quasi di cioccolato, che voi ci crediate o no. Tu non hai smesso di desiderarlo e lui desidera te. Emanate un profumo davvero… Cavolo, non ci sono parole nemmeno per me.»
Io mi irrigidii sul posto, stringendo i pugni lungo i fianchi e conficcandomi le unghie nei palmi delle mani. Stavo per prenderlo a calci.
Liam abbassò lo sguardo su di me, catturandomi con i suoi occhi color caramello. «È un demone, vero?»
Mi limitai ad annuire.
«Non sono un demone comune, Fossette», precisò Hawke, agganciando i pollici alla cintura della vestaglia. La stoffa si scostò ancora e mise in mostra la pelle lucida e abbronzata del suo torace. «Io sono il Guardiano dell’entrata settentrionale per l’Inferno. Tra le altre cose…»
Liam rimase in silenzio per eterni istanti. Poi annuì come se si fosse dato una risposta ad una domanda che era solo nella sua testa; piegò la schiena per raggiungere il mio orecchio con le labbra e sussurrò: «Avevi ragione: non mi piace.»
Hawke gli fece l’occhiolino. Aveva sentito il suo commento, ne ero certa. «Spero mi perdonerai se non ti dico il mio nome, ma non mi fido di te.»
«Ma io so qual è il tuo nome. Ti chiami Hawke.»
«Quello è solo un soprannome», spiegai. «Se sei in possesso del nome di un demone, potresti utilizzarlo contro di lui – per esempio in un incantesimo di evocazione, o di vincolo. Per questo motivo, a meno che non siano stupidi, non lo dicono mai a nessuno.»
Hawke strizzò ancora una volta l’occhio. «E io non sono stupido.»
Liam spostò l’attenzione su di me. «Tu sai come si chiama veramente?»
«No.»
Hawke fece un sospiro. «Mi fido di Rowan, ma non mi fido delle persone con cui vive.»
Liam aprì la bocca, ma prima che potesse dire altro, io feci un mezzo passo in avanti. «Ragazzi, sentite, la lezione di demonologia dovrà aspettare. Ho scoperto cosa realmente sta cercando il nostro assassino.»
A quel punto, Hawke si appiattì contro la porta e ci lasciò lo spazio necessario per entrare in casa.
Il sicuramente molto costoso lampadario di cristallo appeso al soffitto dell'ingresso non avrebbe dovuto sorprendermi, conoscendo il proprietario della casa, però non riuscii a non spalancare la bocca. Alzai un dito. «Quello è nuovo?»
Hawke si strinse nelle spalle. «L’ho vinto ad un’asta.»
«I demoni vanno alle aste?» domandò Liam.
«Te l’ho già detto, Fossette: i demoni fanno un sacco di cose strane.»
Hawke aprì la porta del soggiorno, una stanza ampia e luminosa, decorata e arredata come un salottino inglese del diciannovesimo secolo, e ci indicò il divano in velluto rosso. Liam accettò l’invito implicito e si sedette sui soffici cuscini, posando gli avambracci sulle ginocchia. Dopo eterni istanti di esitazione, Hawke mi diede una spintarella e io mi decisi a prendere posto al fianco di Liam.
Hawke quasi si lanciò sulla poltrona a un lato del divano. Quando accavallò le gambe, la vestaglia si sollevò molto più di quello che avrei voluto e i miei occhi furono catturati da qualcosa che non avrei mai e poi mai voluto vedere.
Feci una smorfia, mentre mi coprivo gli occhi con il palmo di una mano. «Non potresti metterti almeno un paio di mutande?»
«Mi dimentico sempre che non hai mai visto un…»
«E se mai ne dovessi vedere uno, stai pur certo che non sarà il tuo.»
Hawke trattenne il respiro. Non potevo vederlo, ma sapevo che aveva assunto una finta espressione indignata. O forse non era poi così tanto finta: Hawke credeva davvero che ogni donna, umana o no, lo desiderasse. «Così ferisci il mio orgoglio, splendore.»
«Se non ti copri subito, ferirò qualcos’altro!»
«E va bene…»
Sentii un fruscio non ben definito, poi avvertii la mano calda di Liam che mi sfiorava il braccio. Avvolse le dita attorno al mio polso e mi scostò la mano dagli occhi. «Puoi guardare, adesso.»
Hawke inarcò un sopracciglio. «Contenta?»
«Molto.»
«Allora?» mi incitò lui. «Cosa vuole il nostro assassino?»
«Sangue angelico.»
Hawke sgranò gli occhi così tanto che per un istante pensai che gli sarebbero usciti fuori dalle orbite. Cercò di ricomporsi al meglio che poteva, ma il pallore non abbandonò la sua pelle e le labbra rimasero schiuse. Si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle cosce. «Ne sei sicura?»
Annuii con un brusco movimento del mento. «Questa notte, alla villa, ho sentito per sbaglio una conversazione…»
«Cazzo se mi piaci quando fai la cattiva ragazza», commentò Hawke, tornando ad abbandonare la schiena contro i cuscini del divano. Un sorriso serafico gli piegava le labbra e un luccichio diabolico gli illuminava gli occhi neri. «Insomma, prima origli una conversazione che non avresti dovuto ascoltare, poi salti la scuola per venire a casa mia e infine distruggi in mille pezzettini la mia bella staccionata. Devo ammettere che sei davvero mooolto sexy in questo momento.»
Con la coda dell’occhio vidi Liam serrare i pugni sulle ginocchia e irrigidire i muscoli della schiena come se fosse diventato una statua.
«Hawke», strinsi le mascelle, «sono a tanto così dal prenderti a calci nel culo. Che ne dici di smetterla di fare il coglione e ascoltare?»
«Okay.» Alzò le braccia sopra la testa. «Continua. Cosa dicevano i tuoi amichetti Vigilanti nel cuore della notte?»
«Hanno scoperto che le ultime due vittime erano benedizioni
Il viso di Hawke perse ogni traccia di divertimento. «Merda.»
«Aspettate», Liam si sporse sul bordo del divano, «di che state parlando? Che cosa è una benedizione
Girai la testa verso di lui. «Ricordi quando ti ho parlato dei demoni la prima volta e ti ho raccontato di come Lucifero si rivoltò contro Dio e alcuni angeli lo seguirono, cadendo dal Paradiso?»
Lui annuì bruscamente. La tensione del suo corpo era ancora piuttosto evidente, ma, quando mi vide completamente rivolta verso di lui, notai un lieve rilassamento della sua postura e un addolcimento nei lineamenti del suo viso. «Hai detto che alcuni rimasero con lui fino alla fine e divennero i demoni di alto rango, Re e Principi degli Inferi. Mentre altri si accorsero del loro errore quando ormai erano già sulla Terra e furono puniti con la mortalità e il compito di proteggere l’umanità, diventando quelli sono oggi i Vigilanti.»
«Esatto.» Annuii, mentre mi inumidivo le labbra con la lingua. «Anche le benedizioni sono angeli, solo che non parteciparono alla rivolta di Lucifero. Sono quelli che vengono mandati sulla Terra per adempiere a compiti specifici – per esempio, per proteggere una persona che farà del bene, o impedire che un’altra ceda alle tentazioni dei demoni. Per questo, alcuni li chiamano anche Custodi.»
Liam sollevò un sopracciglio. «Angeli… Custodi
«Sì, lo so: sembra una specie di favola per bambini.» Gli rivolsi un sorriso tirato e sollevai una spalla. «Ma è esistono davvero. E per mescolarsi ai mortali, vengono affidati alle cure di una famiglia di essere umani, ignari della loro vera natura fino al momento in cui il Cielo non richiama a svolgere il loro dovere.»
«Il loro sangue è potente, molto più di quello dei Vigilanti – che potano dentro di sé la macchia del peccato dei loro antenati. Per questo motivo sono molto desiderati dai demoni», aggiunse Hawke. «Ma crescere così a stretto contatto con gli umani nasconde il loro odore, il che li rende praticamente impossibili da trovare.»
«Ed è per questo che il demone ha commesso un errore la prima volta, quando ha… trovato Daniel», mormorai. Scoccai una rapida occhiata al profilo di Liam, che al sentir pronunciare il nome del fratello aveva indurito la mascella con forza. «Credeva che fosse una benedizione, ma solo dopo aver preso il suo sangue si è accorto dello sbaglio.»
Hawke sospirò in modo melodrammatico. «Questo è un fottuto casino, splendore.»
«Lo so.»
«Il sangue angelico, specialmente quello di una benedizione…» Hawke scosse la testa, le labbra tese in una linea fina. Si grattò il mento, dove un accenno di barba scura spiccava sulla sua pelle abbronzata. «Ci sono almeno tre diversi tipi di rituale che mi vengono in mente, e sono uno peggio dell’altro.»
«Quali?» Mi spinsi così tanto in avanti che quasi scivolai oltre il bordo del divano.
«Meglio che tu non lo sappia per il momento.»
Stavo per replicare, ma cambiai idea un secondo prima di aprire la bocca. Non avevamo il tempo di metterci a discutere. «Come vuoi tu. Però, nel frattempo, abbiamo anche un secondo problema.»
«Ah, cazzo», commentò Hawke, abbassando le palpebre sugli occhi e massaggiandosi le tempie. «So già cosa stai per dire.»
«Cosa? Cos’altro può esserci?» domandò Liam.
La sua mano si strinse alla mia e la notizia che stavo per dare era troppo brutta per ritirare le dita dalle sue.
«Gli Arcangeli hanno dato un mese di tempo a Elias e la legione per trovare il colpevole, poi scenderanno loro sulla Terra e…» Mi morsi il labbro, incapace di continuare.
«E faranno piazza pulita di tutti i demoni, che siano colpevoli o no», concluse Hawke al posto mio. «E a quel punto, il Grande Capo sarà costretto a mandare il suo esercito per combattere.»
«Sarà l’Apocalisse, l’eterna lotta tra le forze del male e del bene», dissi infine io.
«M-ma…» Liam boccheggiò e le sue dita si strinsero ulteriormente nelle mie. «Ma non abbiamo quasi avuto l’Apocalisse solamente sette anni fa?»
Hawke scoppio in una risata aspra. «Fossette, tu non hai idea di quante volte questo mondo si sia ritrovato a un passo dalla sua fine.»
«Devi capire che quando il mondo è stato creato», intervenni io, «è stato fatto con una data di scadenza stampata sul retro. Tutto questo prima o poi deve finire e ci saranno sempre delle forze che faranno in modo che accada.»
Hawke si alzò in piedi e si scrocchiò le ossa della colonna vertebrale. Ero così presa dalla nostra conversazione, che mi accorsi troppo tardi dello spacco della sua vestaglia che si apriva sempre di più. Almeno adesso indossava un paio di boxer bianchi sotto – non che questo mi aiutasse molto, ad essere sincera. «Il punto è che né il Grande Uomo lassù né il Grande Capo laggiù vogliono veramente che il mondo finisca tanto presto», disse. «In un modo o nell’altro, entrambi amano l’umanità così com’è. Ma ci sono delle regole e siamo tutti costretti a seguirle.»
«Tranne lo stronzo che ha ucciso mio fratello e altre due persone», esclamò Liam.
«Ed è per questo che il mondo sta per finire, Fossette.» Hawke fece un vago cenno della mano. «Il che mi porta ad una domanda importantissima?»
Sospirai, molto più stanca di quanto non fossi qualche minuto prima. «Quale?»
«Cosa è successo tra di voi?»
Alzai gli occhi al cielo. «Dio, quanto sei imbecille! Davvero questo era il momento per fare una domanda del genere?»
«Sono un demone, Rowan: è sempre il momento per una domanda del genere.» Si strinse nelle spalle e mi rivolse un ghigno. «Emanate desiderio da ogni poro. È quasi impossibile essere nella stessa stanza insieme a voi persino per me. E se il mondo sta davvero per finire, splendore, vuoi morire vergine?»
Non ci vidi più e persi del tutto il controllo. Allungai un braccio e il pugno che lo colpì in piena faccia lo prese abbastanza di sorpresa da farlo barcollare sul posto e poi crollare sulla poltroncina che aveva occupato fino a qualche istante prima. Le nocche mi facevano male nel punto in cui avevano colpito la sua mascella marcata, ma mi sentii molto meglio. Il mio potere si assopì lentamente e la mia pelle smise di pizzicare. Inoltre, ero molto soddisfatta del mio gancio: Hawke era un demone di alto rango e colpirlo non era sempre così facile.
Liam mi guardava con affascinato stupore. «Bel colpo.»
«Lo so.» Gli rivolsi un sorriso compiaciuto.
Hawke si massaggiò la parte lesa. Strozzò una risata, che si trasformò subito in un gemito di dolore quando contrasse i muscoli del lato della faccia che avevo preso a pugni. «Okay, me lo sono meritato.»
«Direi di sì.»
Liam alzò un braccio, come facevamo in classe. «Io ho una domanda seria. Se le benedizioni sono impossibili da trovare, come ha fatto questo demone a trovarne due? E cosa gli ha fatto credere che Daniel fosse uno di loro?»
Hawke continuava a massaggiarsi con movimenti circolari la guancia che si stava arrossando. Mi lanciò un’occhiata sbieca, ma complice. «Immagino si sia servito di un incantesimo.»
«Credi davvero che le streghe abbiano aiutato un demone?»
«Non sopravvalutare le streghe, splendore.» Hawke scrollò le spalle. «Se il demone ha offerto loro una grossa somma di denaro, o qualche favore molto vantaggioso in cambio dei loro servigi, è probabile che abbiano accettato. Io stesso ho collaborato con qualche Congrega, in passato.»
Merda. Questa non era per niente una buona notizia. «Ma io… Non conosco nessuna Congrega da queste parti. Inoltre, i loro incontri sono illegali.»
Mi rivolse il suo ghigno diabolico. «Questo non significa che abbiano davvero smesso di incontrarsi.»
«Fantastico…»
«Senti, io conosco una strega. Lei potrebbe aiutarci, o chiedere alla sua Congrega. Ma devi darmi un po’ di tempo per organizzare un incontro.»
«Quanto?»
«Una settimana, forse qualcosa di più.»
«Okay, organizza la cosa. Ma ricorda che abbiamo solo un mese prima che gli Arcangeli…»
«Lo so, lo so», tagliò corto lui. «Non c’è bisogno che me lo ricordi. Ma per il momento questa è l’unica cosa che posso fare.»
«Va bene.» Lanciai un’occhiata sbieca a Liam che si era alzato insieme a me. «Allora noi ce ne andiamo.»
«Di già?»
Agitai le mani nella direzione della sua vestaglia. «Tu puoi tornare a fare quello che stavi facendo.»
Hawke ammiccò. «Fatemi un favore, prima che il mondo come lo conosciamo finisca, cercate di sistemare qualunque cosa stia succedendo tra di voi… possibilmente senza vestiti.»
Sbuffai, ma non riuscii a trattenere una risata.
Mentre oltrepassavo la poltroncina su cui era seduto, gli toccai la spalla. «Ci vediamo in giro, Hawke.»
Lui mi prese di sorpresa e allungò un braccio con velocità soprannaturale, afferrandomi la mano e bloccandomi il posto. Mi guardava con serietà, il nero nei suoi occhi intenso e scuro come l’inchiostro. «Rowan.»
«Sì?»
«Io non lo so cosa vuole veramente questo tizio, ma qualunque demone farebbe carte false per arrivare a te e…»
«Non lo farà», lo rassicurai. La mia voce era ferma e sicura, perché credevo davvero a quello che stavo per dire: «E se lo farà, rispedirò le sue chiappe demoniache dritte all’Inferno.»
«Bene.» Mi baciò il dorso della mano che teneva stretta fra le sue dita, senza mai interrompere il contatto di visivo. «Perché se dovesse succederti qualcosa, giuro che farò in modo che l’intero mondo ne pagherà le conseguenze.»
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, liberandomi della sua presa. «Adesso stai esagerando.»
Lui piegò le labbra in un sorrisetto. «Sai quanto mi piace fare il drammatico.»

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


.14.
 
 

«Stai bene?»
Liam mi guardava da dietro il bordo della tazza di caffè che stava bevendo. I suoi occhi color caramello mi scrutavano con attenzione e le sue sopracciglia erano aggrottate verso il centro della fronte. Non potei fare a meno di notare che la ruga che si era creata sopra l’attaccatura del naso era davvero carina.
Dopo essere usciti dalla casa di Hawke, Liam mi aveva chiesto se volevo tornare a scuola per le ultime lezioni del pomeriggio ma io avevo risposto che se proprio dovevamo affrontare la fine del mondo avrei avuto bisogno di una massiccia dose di zuccheri. Così, dopo avermi rivolto un sorriso che era riuscito a farmi saltare il cuore nel petto, mi aveva portato nella mia tavola calda preferita a Downtown, quella in cui andavo ogni domenica mattina insieme a Seth e che faceva i migliori biscotti al cioccolato della città.
Eravamo da lì da quasi venti minuti, e quelle erano le prime parole che ci rivolgevamo.
Abbassai lo sguardo sul mio piattino ormai vuoto. Recuperai con il polpastrello dell’indice tutte le briciole dei biscotti che avevo divorato. «Ultimamente non dormo bene», confessai.
«Come mai?»
Sospirai profondamente, gli occhi ancora fissi sui resti dei biscotti. «Tra i miei poteri… Faccio dei sogni molto vividi. E ogni mattina scopro che questi sogni sono eventi realmente accaduti.»
«Tipo… delle visioni? O delle premonizioni?»
«No, non posso prevedere il futuro. Vedo solo quello che succede nel momento in cui succede, o poco dopo.»
«Come…» Liam spalancò la bocca.
«Non lo so. L’unica cosa che so è che mi capitava sette anni fa, quando il mondo stava per finire. E mi sta capitando adesso.» Mi strinsi nelle spalle. «Nessuno me lo hai mai spiegato – visto che gli ultimi Nephilim sono stati annientati mille anni fa – ma credo che, dal momento che una parte del mio sangue viene direttamente da lassù, io sia in grado di sentire quando il mondo è sull’orlo dell’Apocalisse, come una sorta di avvertimento. O, cosa molto più probabile, un richiamo a combattere tra le schiere del bene.»
Liam rimase in silenzio per eterni istanti. Poi adagiò la tazza di caffè sul tavolo. «Mi dispiace. Deve essere molto difficile per te.»
Sollevai una spalla, fingendo noncuranza, poi succhiai via dal dito una goccia di cioccolato che si era sciolta con il calore della mia pelle. «Con tutto quello che ti ho raccontato nelle ultime settimane, immagino che nemmeno tu abbia dormito tanto bene…»
«Infatti. Il mondo mi sembra un posto diverso, adesso.» Si passò una mano fra i riccioli castani e mi osservò attentamente mentre pulivo con la lingua ogni sbaffo di cioccolata che avevo sulle dita.
Quando mi accorsi che il gesto aveva qualcosa di indecente e che Liam seguiva con attenzione ogni movimento della mia bocca, lasciai ricadere le mani sulle ginocchia.
«Te lo dicevo che era più facile non sapere.»
«Non mi pento di niente, però.» Prese un sorso di caffè. Avevo scoperto che lo beveva molto dolce – prima lo avevo visto svuotarci dentro almeno tre bustine di zucchero.
Abbassai lo sguardo di nuovo sul mio piatto. C’era ancora un’invitante briciola che reclamava la mia bocca, ma dopo essermi leccata le mani davanti a lui come una pervertita, non avevo alcuna intenzione di ripetere il gesto. «Speriamo che Hawke entri presto in contatto con quella Congrega. Abbiamo bisogno di risposte, e subito.»
Lui fece un sorriso storto, distogliendo lo sguardo dalla mia bocca. «Devo ammetterlo: mi ha sorpreso sapere che sei così in confidenza con un demone. Un demone di alto rango, oltretutto.»
«Hawke è diverso.» Feci un vago cenno con il mento. «Ma nessuno dei due dimentica che…»
Mi interruppi di colpo, quando un brivido forte e freddo mi percorse l’intera spina dorsale, dai reni alla nuca. Mi aggrappai al bordo del tavolo, mentre una sensazione di umido mi gelava e mi irrigidiva i muscoli.
Lanciai un’occhiataccia al fantasma che era solito divertirsi a passarmi attraverso con l’intento di attirare la mia attenzione. Se lui non fosse già morto e se gli sguardi avessero avuto il potere di uccidere, in quel momento quello spirito sarebbe passato a miglior vita. «Dio, quanto ti odio quando fai così!»
Liam si irrigidì. «Cosa ho fatto?»
«Non tu.»
«Stai parlando con un fantasma?»
«Sì.» Sospirai e mi passai una mano fra i capelli, poi feci un cenno alla sedia sulla quale lo spirito si era accomodato. «Andy è il vecchio proprietario di questa tavola calda. Viene qui per tenere d’occhio la nipote, e adora passarmi attraverso solo per farmi incazzare o per irritarmi con richieste stupide che non posso esaudire.»
Liam lanciò un’occhiata alla sedia che ai suoi occhi era vuota. Le sue sopracciglia erano schizzate oltre la linea dell’attaccatura dei suoi capelli. «Quello spirito dovrebbe ringraziare il cielo di essere già morto», commentò poi, immergendo il naso nella tazza. «Perché lo sguardo che hai adesso fa davvero paura…»
Andy si agitò sul posto. «Ha ragione. Fai paura…»
«Vattene, prima che trovi il modo di fare del male fisico ad uno spirito.»
Andy, un uomo grosso e largo che era morto di infarto qualcosa come due decenni prima, mi rivolse un ghigno. «Hai cambiato ragazzo?»
«Che cosa?»
«Di solito vieni con quel Vigilante biondo. Quello che ti tratta come se fosse una bambolina di porcellana e non ti fa alzare dalla sedia nemmeno per prendere il caffè.»
«Seth è solo gentile», replicai.
«Come ti pare.» Andy indicò Liam con un cenno della testa. «Se vuoi sapere la mia opinione…»
«Non voglio.»
«Mi piace di più questo qui. Almeno lui ti guarda come se fossi davvero una ragazza.»
«Io sono una ragazza.»
«Intendevo», alzò gli occhi al soffitto, «che lui ti fissa come se fosse sul punto di toglierti i vestiti di dosso.»
«E questo particolare te lo fa apprezzare di più?» Inarcai un sopracciglio, poi scoppiai in una risatina. «Sei un pervertito, Andy.»
«L’amore non è niente senza passione.»
«Se non hai nient’altro da dirmi, puoi anche tornare a svolazzare in cucina come al tuo solito. Addio!»
Andy tornò subito serio. «No, dobbiamo parlare.»
Gli scoccai un’occhiata rapida, poi tornai a fissare il contenuto della mia tazza. Non volevo che il resto dei clienti si accorgesse che avevo smesso di parlare con Liam da un pezzo e mi stavo rivolgendo principalmente ad una sedia vuota. «Adesso non posso.»
«Ti devo proprio parlare di una cosa importante.»
«Andy, per l’ennesima volta, la mia risposta è no!» replicai, esasperata. «Non posso dire a tua nipote che sta per sposare uno stronzo. Non sono affari miei e, dal momento che sei morto da vent’anni, non sono nemmeno affari tuoi.»
«Non è di quello che dobbiamo parlare», disse il fantasma.
«E allora di cosa?»
«Ho incontrato lo spirito del ragazzo che è morto ieri notte, dall’altro lato del Velo.»
Mi drizzai sulla sedia, mentre le mie dita perdevano forza e la tazza mi scivolava via dai palmi umidi di sudore freddo. «Che cosa?»
«Si chiamava Simon, ed era un ragazzo davvero simpatico.»
Liam mi osservava con sguardo pieno di confusione, ma non mi fece domande. Rimase ad ascoltare la mia metà di conversazione, nel vano tentativo di capirci qualcosa.
Io scoccai una rapida occhiata agli altri tavoli occupati, per accertarmi che ancora non avessero fatto caso alle mie stranezze, poi tornai a prestare la mia completa attenzione al fantasma che mi sedeva di fianco.
«E cosa ti ha detto?» domandai. «Si ricorda cosa gli è successo?»
Andy annuì solennemente. «Mi ha detto che è riuscito a vedere il suo assassino. Ho pensato che volessi saperlo, così che lo avresti riferito ai Vigilanti.»
«Era un demone?»
L’espressione di Liam si trasformò da confusa a preoccupata, mentre le sue sopracciglia si abbassavano sugli occhi. «Che cosa dice?»
Riferii in un sussurro quello che mi aveva appena detto Andy, poi tornai a prestare attenzione al fantasma. «Era un demone?»
Lui annuì ancora una volta con espressione grave. «Secondo Simon, il demone aveva degli artigli e delle zanne. E aveva le ali.» Provò a toccare la mia mano, ma mi passò attraverso le dita come un fumo gelido e umido. «Rowan, ha detto che aveva grandi e ampie ali dalle piume nere.»
«Porca merda!»
«Porca merda cosa?» Liam si sporse oltre il mio lato di tavolo. Sembrava essere sul punto di scavalcarlo. «Che cosa ti sta dicendo?»
«Andy», non distolsi gli occhi dal volto tremolante e trasparente del fantasma, «grazie per avermelo detto e per ringraziarti proverò a parlare con tua nipote. Ma adesso, potresti lasciarci da soli, per favore?»
Lui fece un cenno della testa e cominciò a fluttuare verso la cucina, dove la nipote cantava e cucinava a tempo di vecchia una canzone.
«Rowan.» Liam intrecciò le nostre dita, mentre i suoi occhi intercettavano i miei. «Cosa succede?»
«Basandomi sulla descrizione dell’ultima vittima, il demone che stiamo cercando è di alto rango. Quasi sicuramente un Principe o un Re dell’Inferno.»
«Dall’espressione che hai in questo momento, mi pare di capire che è parecchio grave. Vero?»
«Sono i demoni peggiori. Hanno una vasta gamma di poteri, e comandano centinaia di demoni di livello inferiore.» Liberai le dita dalla stretta di quelle di Liam e affondai le mani nei capelli, stringendo con forza parecchie ciocche. «Dovrò dirlo a Elias. Non posso omettere questa informazione: loro devono sapere cosa aspettarsi quando sono fuori per i turni di caccia.»
«Se glielo dici…» Lui cerco di prendere ancora una volta la mia mano, ma io glielo impedii, nascondendo le mie sotto il tavolo. Deglutì a vuoto, mentre uno sguardo ferito gli attraversava gli occhi. «Lui ti impedirà di indagare insieme a me?»
«Non gli ho detto cosa sto… stiamo facendo.» Scossi la testa e infilai le dita oltre l’orlo delle maniche della maglietta che indossavo. «In realtà, sa che ho parlato con i fantasmi delle persone che sono state uccise e Seth ha scoperto che sto facendo delle ricerche per conto mio. Ma non ho detto a nessuno di noi due e, sicuro come la morte, non gli dirò di aver coinvolto anche Hawke.»
«Se lo sapessero, tu saresti nei guai?»
«Non con Seth. Lui mi copre sempre le spalle, anche quando faccio qualcosa che non dovrei. Ma gli altri…» Scossi la testa e mi morsi il labbro inferiore. «Già non accettano la mia vera natura. Non so come potrebbero reagire nel sapere che collaboro con i demoni e con gli umani, e onestamente non sono così tanto desiderosa di scoprirlo.»
«Mi dispiace, Rowan.» Abbassò lo sguardo sui palmi aperti delle sue mani, abbandonati sul tavolo. «Se avessi saputo… Non avrei dovuto chiederti di aiutarmi.»
«Forse mi hai forzato un po’ la mano, è vero, ma sai bene che avrei indagato in ogni caso.» Mi strinsi nelle spalle e tornai a poggiare le braccia sul tavolo.
Questa volta, quando lui allungò la mano per prendere la mia, glielo lasciai fare. Ero ancora arrabbiata con lui, ma il mondo stava per finire e un demone di alto rango se ne andava in giro ad uccidere angeli: potevo concedermi di stringere la sua mano nella mia, e godere di quella piacevole sensazione che mi nasceva nel petto ogni volta che mi toccava. Le sue dita erano calde e morbide, mi stringevano con delicatezza e con forza allo stesso tempo. Non sembrava per nulla turbato dai calli e le ruvidità sul mio palmo. Anzi, mi accarezzò l’interno polso con il pollice, provocandomi un brivido che mi scosse l’intero braccio, dalla punta delle dita alla spalla.
«E soprattutto mi dispiace di averti ferita», aggiunse. «Davvero.»
«Non ha più importanza, Liam. Il mondo sta finendo: niente ha più importanza.»
«Invece, per me è importante», replicò.
«Liam…»
«Fammi spiegare, okay? Perché non stavo dicendo cazzate quando ho detto che ti desidero, né quando ho detto che voglio conoscerti.»
«Però?»
«Però non volevo che mi vedessi mentre soffrivo e mi incazzavo per aver scoperto che mio fratello è morto per un fottutissimo errore.»
«Credo… Credo di capire.» Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo sulle nostre dita intrecciate. «Ma ho pensato che non volessi… Pensavo che ti fossi spaventato nel sapere cosa sono veramente.»
«Cosa? No!» Scosse la testa con vigore e delle ciocche castane gli ricaddero sulla fonte. «Te l’ho detto l’altro giorno, Rowan, non mi frega un cazzo del sangue che ti scorre nelle vene. Non era una bugia.»
«So che hai detto così, però…»
«Il fatto che avessi bisogno di tempo da solo, non significa che starti lontano mi sia piaciuto. Perché non mi è piaciuto nemmeno un po’.»
«Lee, ascolta, questa cosa tra di noi», agitai la mano libera nello spazio che ci separava, «non deve essere più di quello che è. Siamo attratti l’uno dall’altra, ma non dobbiamo per forza fare qualcosa in merito.»
«Ma io voglio fare qualcosa in merito.» La sua stretta aumentò e le sue labbra si piegarono in un sorriso con tanto di fossette. I suoi occhi sembravano bruciare. Sapevo cosa provava, perché lo sentivo anche io. Il desiderio era così forte che mi mancava l’aria. «Ad essere del tutto onesti, Rowan, io voglio fare molte cose in merito.»
Fissai gli occhi sulle nostre mani. Mi sembrava assurdo come le mie dita, così piccole e bianche, fossero fatte apposta per intrecciarsi con le sue, lunghe e abbronzate. Eppure era proprio così.
Sollevai le palpebre e lo guardai attraverso le ciglia. «E quindi cosa suggerisci di fare?»
«Per prima cosa, dobbiamo smettere di allontanarci a vicenda.» Si inumidì le labbra in un sensuale – troppo sensuale – movimento della lingua. «Ho fatto uno sbaglio a tagliarti fuori in questi giorni, ma volevo che tu continuasse a vedermi come un gran figo capace di accettare perfettamente l’esistenza di demoni, streghe e tutta questa roba qui.»
«E invece sei solo un gran figo che ha perso suo fratello e ha appena scoperto che il mondo non è quelle che credeva?»
«Pensi comunque che sia un figo?» Mi guardò con gli occhi che luccicavano e le labbra schiuse.
Sorrisi. «Se ti rispondo di sì, inizierai a montarti la testa?»
«Forse un pochino.» Ridacchiò. «E visto che siamo in vena di complimenti, Monroe, ci tengo a dire che tu sei una strafiga spaziale.»
Alzai gli occhi al cielo, ma le labbra si mossero di loro spontanea volontà e si piegarono verso l’alto.
«Comunque, tornando al punto», si schiarì la gola e cercò di reprimere il sorrisetto soddisfatto che gli aveva incurvato la bocca carnosa, «io non… Dannazione, Rowan, io non volevo farti vedere quanto aver perso Danny mi abbia reso vulnerabile. Chiamiamolo orgoglio maschile, chiamiamola pure stupidità. Tutto quello che vuoi, purché tu mi perdoni.»
«Lee», strinsi le sue dita, «questo lo capisco davvero. Il dolore di aver perso qualcuno che amavi con tutto il cuore, lo conosco e lo comprendo.»
«Lo so.»
Mi guardò per eterni istanti, con quelle iridi color caramello che scavavano una voragine nel mio petto. No, non una voragine. Quello era un segno, un grande segno a forma di Liam Sterling marchiato a fuoco sul mio cuore.
«Vuol dire che mi perdoni?»
Sospirai. «Sì, okay.»
«Quindi…» Sollevò le nostre dita intrecciate e tornò ad accarezzarmi l’interno polso con lenti movimenti del pollice. Sorrise quando notò la pelle d’oca sul mio braccio. «Posso toccarti senza rischiare che mi stacchi la testa con un calcio, o che mia dia uno dei tuoi ganci in piena faccia?»
Sollevai lo sguardo e non mi ritrassi dalla sua intensità nemmeno quando sentii le guance andarmi a fuoco e il basso ventre pulsarmi in maniera favolosa. «Puoi toccarmi.»
«Grazie a Dio!» I suoi polpastrelli si infilarono sotto l’orlo della mia manica e mi accarezzò il braccio fino a raggiungere l’incavo del mio gomito. Mi osservò da dietro le lenti degli occhiali, in attesa di una mia reazione. Solo quando mi vide trattenere il fiato e rabbrividire sotto la sua pelle, sorrise più ampiamente di prima e fece comparire le fossette ai lati della sua bocca. «Devo confessarti che è tutto il giorno che spero di sentire queste parole.»
«A tal proposito…»
«Sì?»
«No, non quello.» Alzai gli occhi al cielo. «Però stavo pensando che dovrei cominciare ad allenarti. Sai, insegnarti le basi e magari mostrarti come usare un’arma benedetta – visto che solo quelle sono in grado di uccidere i demoni.»
«Davvero?»
Annuii con gesto secco del mento. «Se continuiamo con questa indagine, prima o poi ci troveremo davanti a dei demoni che faranno di tutto per ucciderci e non posso proprio preoccuparmi della tua incolumità.»
«E se a me piacesse che ti preoccupi della mia incolumità?»
Ricambiai il suo ghigno. «E se a me piacesse prenderti a calci nel culo?»

§
 
Mentre tornava nella posizione iniziale che gli avevo mostrato, Liam mi lanciò un’occhiata che non seppi bene interpretare. Un luccichio divertito rischiarò le sue iridi che si erano scurite per il desiderio quando lo avevo atterrato in terra e avevo sfiorato il suo inguine con l’interno della mia coscia.
Ci stavamo allenando nella palestra al piano terra della villa di Hawke – sì, aveva una palestra, e anche super attrezzata – da più di un’ora. Il sudore gli aveva appiccicato i capelli sulla fronte e sulla nuca, incollato la maglietta leggera contro i muscoli decisamente scolpiti del petto e dell’addome. Aveva il respiro affannato e un rossore che gli imporporava le guance.
Ed era bello da farmi mancare l’aria.
Anche io ero sudata, tanto che sentivo la canottiera che aderiva perfettamente alla mia schiena come una seconda pelle. Ma a differenza di lui che aveva il fiato corto, io ancora resistevo abbastanza bene grazie a tutti gli anni di duro allenamento e alla mia forza soprannaturale.
Avevamo cominciato ad allenarci solo da qualche giorno e lui migliorava sempre di più. Alcune mosse gli risultavano ancora un po’ impacciate, ma sin dalla prima volta mi aveva sorpreso per la facilità con cui imitava le mie mosse senza alcuna fatica e con fluidità dei muscoli. Si vedeva che sapeva quello che faceva, anche se non era mai stato allenato nel combattimento corpo a corpo prima di quel momento.
Mi sistemai i capelli nuovamente in uno chignon sulla nuca e poi piegai la testa di lato, mentre lo guardavo attraverso le ciglia umide di sudore. «Non mi avevi detto di non essere completamente incapace…»
«In realtà, credo proprio di avertelo detto», mi fece notare.
Si sollevò l’orlo della maglietta per asciugarsi il sudore che gli gocciolava sulla fronte e questo mi diede la possibilità di dare una sbirciatina ai muscoli che nascondeva sotto i vestiti: una tartaruga definita e perfetta che gli modellava l’addome, e due rientranze stupende sui fianchi proprio sopra l’elastico dei pantaloni che sparivano oltre di essi. Wow. Non ci avevo mai fatto caso prima, ma a quanto pareva il football faceva davvero miracoli al fisico.
Distolsi lo sguardo più in fretta che potevo e mi schiarii la gola per impormi un certo autocontrollo, che sentivo di star per perdere.
«Chi ti ha insegnato a fare a pugni?» domandai.
Liam si sistemò la fascetta sulla mano e si strinse nelle spalle. «Danny faceva a botte con qualcuno almeno una volta alla settimana. Era una testa calda, e non andava d’accordo quasi con nessuno.»
Annuii. «Me lo ricordo.»
«A volte si infilava in situazioni troppo grandi per lui e io ero costretto ad intervenire per dargli una mano.» Fece un sorriso malinconico. «Non mi piaceva, ma quando vedevo mio fratello in uno scontro uno contro cinque, mi buttavo nella mischia. E sai com’è, no? A forza di prenderle, impari anche a darle.»
«Sei un bravo fratello, Liam», dissi.
Lui sospirò forte, portandosi le mani sui fianchi snelli. «Ero. Ero un bravo fratello.»
«Lo sei ancora», precisai. Gli camminai incontro fino a che fui abbastanza vicina per toccarlo e gli accarezzai la pelle del braccio. «Non importa se lui non c’è più: tu sei ancora suo fratello. Insomma, guarda tutto quello che stai facendo e quanto stai rischiando pur di potergli dare giustizia. Questo ti rende davvero un bravo fratello.»
Lui abbassò per un secondo gli occhi sulla mia mano che gli stava toccando – forse lo stavo proprio palpeggiando – il bicipite duro come la pietra e squisitamente sudato, poi li sollevò con uno scatto improvviso sui miei. Per allenarsi non portava gli occhiali, e le sue iridi mi sembravano ancora più intense e luminose. Vidi perfettamente come il desiderio tornò a scurirgli lo sguardo e infiammarlo.
«Grazie», mormorò.
«Lo penso davvero.»
«È questo il punto, Rowan.» Fece un mezzo passo verso di me e annullò del tutto la distanza tra i nostri corpi. Il calore della sua pelle si irradiava sulla mia. «Tutto quello che dici mi arriva sempre dritto all’anima. Non so come ci riesci. Però sento che quando sono insieme a te, il dolore per averlo perso è più sopportabile.»
Mi morsi il labbro. «Io… Non faccio niente di che.»
«Tu fai tutto.»
Allungò un braccio, forse per accarezzarmi il viso o per scostarmi via dagli occhi quella ciocca di capelli troppo corta per rimanere ferma nello chignon, ma io lo intercettai. Non so perché lo feci. Forse perché sentivo i nervi a fior di pelle, o forse perché la carne mi bruciava per il desiderio di essere toccata da lui. Ma afferrai il suo avambraccio con entrambe le mani e mi lanciai su di lui; avvinghiai le gambe attorno al suo busto e mi lasciai ricadere sul tappetino, trascinandolo in terra insieme a me. E, mentre lui imprecava per la forza con cui aveva colpito la schiena, gli bloccai i polsi sopra la testa e gli salii a cavalcioni.
«Ti stai distraendo», gli feci notare, incapace di trattenere un ghigno.
Lui trattenne il respiro. «Non vale.»
«Certo che vale.»
«Stavamo facendo una pausa…»
«I demoni non fanno pause, e nemmeno noi.»
Lui abbassò lo sguardo sulla scollatura della mia canottiera e in quel momento lo sentii perfettamente. Il rigonfiamento sul cavallo dei suoi pantaloni premeva in maniera favolosa contro il mio pube. Sapevo che avrei dovuto alzarmi, o quanto meno spostarmi. Invece, senza nemmeno rendermi conto di quello che facevo, mi strusciai lievemente in avanti e poi indietro, rilasciando un lento sospiro quando un piacere sconosciuto mi faceva arricciare le dita dei piedi e mi scaldava lo stomaco.
Lui emise un suono roco dal profondo della gola e il suo alito caldo si infranse sulla mia bocca. «Dio», gemette. Mi cercò con gli occhi, le sopracciglia abbassate sulle palpebre. «Che stai facendo?»
«Non lo so.» Mi morsi un labbro. «Ti sto facendo male?»
«Decisamente no.» Mi guardò con gli occhi che bruciavano dello stesso desiderio che infuocava me. Si liberò della mia presa con uno strattone e, una volta libero di poter muovere le braccia, le avvolse attorno alla mia vita. Agganciò le dita alla stoffa dei miei leggings e guidò i miei fianchi affinché ripetessero quel movimento che piaceva tanto ad entrambi.
Quando schiusi le labbra, un gemito mi uscì dalla bocca. Mi piegai in avanti. I nostri visi erano così vicini che se avessi voluto avrei potuto baciarlo.
«Dio, mi farai impazzire», mormorò a denti stretti. Allungò il collo per sollevare la testa verso la mia. Le sue labbra erano a pochi millimetri di distanza e, questa volta, ne ero certa, gli avrei permesso di baciarmi.
«Oh, wow!»
Il tono divertito di Hawke mi fece sobbalzare, e con un salto mi alzai in piedi. Anche Liam si alzò, molto più lentamente di quanto avevo fatto io.
Hawke si bloccò sulla soglia della palestra con le braccia incrociate al petto e ammiccò. «Mi dispiace davvero di aver interrotto questo momento così sexy…»
«Non fa niente», dissi. Ero arrossita così tanto da andare a fuoco, ma cercai di far finta di niente. Issai le mani sui fianchi. «Che succede?»
Hawke indicò con un pollice un punto alle sue spalle. «Abbiamo un ospite a sorpresa.»
«Chi?»
«Ecco…»
«Sorpresa!» esclamò una voce che conoscevo fin troppo bene.
Adeline, con gli occhiali da sole enormi che la facevano assomigliare ad una specie di insetto, uscì dal suo nascondiglio dietro la schiena di Hawke e sollevò una mano per salutare.
E io imprecai.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


.15.
 
 

Adeline era completamente a suo agio, come se stare seduta sul divano nella casa di proprietà di un demone non fosse una gran cosa. I capelli neri le scivolavano come seta sulle sue spalle e sulla sua schiena, mentre lei girava freneticamente la testa per guardarsi intorno. Gli occhiali da vista avevano preso il posto da quelli da sole e da dietro le spesse lenti trasparenti i suoi occhi scuri e a forma di mandorla cercavano di catturare ogni dettaglio del salottino in stile diciannovesimo secolo in cui ci eravamo raccolti.
Hawke, con la schiena incollata al muro della parete opposta al divano, la guardava con estremo interesse, senza perdersi nemmeno il più minuscolo movimento o la più indecifrabile espressione sul suo volto. Almeno, per una volta, indossava abiti veri – jeans neri e maglietta grigia – invece di quella minuscola e ridicola vestaglia rosa che copriva poco e niente alla quale sembrava molto affezionato. Adeline era mezza cieca anche con gli occhiali da vista e probabilmente non sarebbe riuscita comunque a vedere niente, ma non avrei mai voluto che corresse il rischio – come avevo fatto io.
Liam era seduto sulla poltroncina di fianco al divano e continuava a sollevare le ciglia per lanciarmi occhiate apprensive. Sentivo l’intensità delle sue iridi che mi bruciava la pelle della guancia rivolta verso di lui, ma non osai abbassare lo sguardo per incrociare il suo.
Io ero raggomitolata sul bracciolo della sua poltrona, con il labbro stretto nella morsa dei miei denti e il sudore che mi si freddava sulla pelle.
Da quando la mia migliore amica si era presentata alla villa di Hawke, qualche minuto prima, non ero riuscita a trovare una sola parola da dire. Alla fine, sbuffai e drizzai la schiena. «Okay, chi di voi due stronzi le ha detto come venire fino a qui?»
Hawke alzò le braccia sopra la testa. «Non io.»
Abbassai lo sguardo su Liam, che scosse i riccioli castani. «Nemmeno io.»
«Non sono stati loro», intervenne Adeline. Si sporse fino a raggiungere il bordo del divano. «Sei stata tu. Ti ho seguita.»
Sgranai gli occhi, incredula. «Mi hai seguita?»
Adeline aveva sempre molti problemi ad orientarsi. Se non c’era qualcuno al suo fianco che l’aiutasse a restare sul marciapiede, non riusciva nemmeno a trovare la strada per casa sua. Eppure era riuscita a seguirmi senza perdersi o farsi male? Cavolo, non sapevo proprio se incavolarmi con lei per aver corso un tale rischio o batterle una mano sulla schiena e farle i complimenti per essere riuscita non finire sotto una macchina.
Adeline si strinse nelle spalle e cominciò ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno all’indice. «Non è stato difficile. La tua anima è diversa da tutte le altre. Riesco ad individuarla anche in mezzo alla folla.»
Sospirai e incurvai le spalle, afflosciandomi su me stessa come un palloncino bucato. Abbassai gli occhi sulla moquette rosso ruggine del salottino. «Sapevo che conoscevi la verità sul mio conto.»
«Perché non me l’hai detta tu?»
«Perché sto cercando di proteggerti.»
Lei sollevò un sopracciglio con fare estremamente scettico. «Vorresti proteggermi da… te
Alzai una spalla. «Tra le altre cose, sì, anche da me.»
«Non sei completamente umana, e allora? Questo non vuol dire che tu sia malvagia – cosa che non posso dire per il tuo amichetto appoggiato al muro, che un’anima nemmeno ce l’ha.»
Hawke ci rivolse un ghigno. «Infatti, io sono estremamente malvagio.»
Adeline lo ignorò. «Rowan, tu sei la mia migliore amica e ti conosco meglio di quanto tu creda. So che stai combinando qualcosa.» Spostò per un secondo l’attenzione su Liam e assottigliò le palpebre, osservando la sua mano abbandonata sul bracciolo della poltrona e molto vicino alla mia coscia. «Qualcosa che va ben oltre il fatto che tu e Sterling avete cominciato a farvi gli occhi a cuoricino ogni volta che vi incrociate nei corridoi.»
«Noi non…» Mi morsi il labbro. Che diavolo di senso aveva negare l’evidenza? Io e Liam non riuscivamo a toglierci gli occhi di dosso, anche quando ci trovavamo alle parti opposte di una stanza. Era ovvio che Adeline, che a scuola era sempre al mio fianco, se ne fosse accorta. «Senti, è vero che stiamo tramando qualcosa. Ma quello che stiamo facendo…»
«Riguarda la morte di Daniel, vero?»
Mi ammutolii.
Adeline prese il mio silenzio come una risposta positiva, e alzò il mento. «Voglio aiutarti. Per questo ti ho seguita fino a qui.»
«Io non credo sia una buona idea…»
«E io credo che tu non dovresti fidarti di un tizio che ha l’aspetto di chi potrebbe cambiarti la vita con una scopata, ma non ha un’anima.» Indicò Hawke con un brusco cenno del mento, ma non staccò mai gli occhi dai miei.
Lui ridacchiò forte, sicuramente lusingato dal commento pungente della mia migliore amica. Ma, prima che potesse aprire la bocca e dar voce ad una delle sue porcate, si beccò un’occhiataccia da parte mia che lo fece tacere immediatamente.
Adeline continuò ad ignorarlo e proseguì: «E credo anche che non dovresti fidarti di Liam Sterling, perché è il classico imbecille che gioca a football e perché ti guarda come se ti volesse toglierti i vestiti di dosso.»
Liam si schiarì la gola, chiaramente a disagio. Soprattutto perché la seconda parte era vera.
Adeline si abbandonò contro i cuscini del divanetto rosso, intrecciando le braccia al petto e fulminandomi gli occhi. «Hai bisogno di me, amica mia. Che tu voglia ammetterlo, oppure no.»
Cercavo qualche argomentazione abbastanza forte per farle cambiare idea, ma non riuscivo ad elaborare un pensiero compiuto. Sapevo di volerla tenere al sicuro e il più lontano possibile dalla verità che aveva già capito da sola, ma non trovavo le parole adatte. E forse la ragione per cui non riuscivo a trovare qualcosa con cui controbattere era perché lei aveva ragione: io avevo veramente bisogno di lei.
«Sei davvero sicura di voler sapere cosa stiamo facendo? Di voler esser coinvolta in questi omicidi? Perché se ti diciamo la verità, sarai in pericolo.»
Lei si allungò oltre il bordo del divano per stringermi la mano nella sua. «Rowan, io posso vedere le anime. Credo di essere perfettamente in grado di gestire qualche mistero.»
Così, dopo esserci scambiati delle occhiate di assenso e intesa, le raccontammo tutto quello che sapevamo sugli ultimi strani omicidi e quello che avevamo scoperto fino a quel momento. Io parlavo a voce bassa e ferma senza mai distogliere lo sguardo da quello della mia migliore amica che stavo condannando al pericolo, mentre Liam e Hawke ogni tanto prendevano parola per aggiungere dei dettagli che ritenevano importanti.
Quando le spiegazioni finirono, Adeline rimase in silenzio per eterni istanti. Poi sollevò gli occhi sulla figura di Hawke, ancora con la schiena incollata alla parete opposta al divano sul quale lei era seduta. «Quindi, ora stai cercando di entrare in contatto con una strega?»
«Sì. Ma non è così semplice: le streghe tendono a restare nascoste.» Si strinse nelle spalle. «Sanno bene che i demoni vogliono usarle per i loro incantesimi, e che gli angeli vogliono punirle per il sangue demoniaco che scorre nelle loro vene.»
Adeline abbassò la testa e gli occhiali scivolarono sulla punta del suo nasino. «Io… sono una strega, vero?»
«Adeline», mi inginocchiai davanti al suo viso e le toccai una mano, «cosa ti fa pensare che tu non sia umana?»
Lei alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Senti, anche se non fossi in grado di vedere le anime, devi ammettere anche tu che la storia della mia bis nonna che incontra per caso un uomo bellissimo sul ciglio della strada e… puff, nove mesi dopo è nato mio nonno ha qualcosa di demoniaco.»
«Decisamente», commentò Hawke con un sorriso diabolico sulla bocca.
Adeline gli scoccò un’occhiata sbieca, poi tornò a guardare me. «Sono una strega, vero?»
«Immagino di sì», risposi con sincerità. «Tecnicamente, ogni creatura con sangue di demone viene definita una strega.»
Hawke si tese in avanti. «Di solito, le streghe più potenti sono quelle di prima generazione. Ma la magia è imprevedibile: a volte è possibile che i poteri si manifestino più tardi. E lei tue capacità… non ti spaventare, okay, ma mi ricordano un po’ i demoni Succubi, che si nutrono delle anime dei mortali.»
Sgranai gli occhi, incapace di decidermi se spaccargli la faccia per aver confidato i suoi sospetti sulle sue origini demoniache alla mia già parecchio spaventata amica, o correre a riparare i danni e consolare Adeline prima che cedesse al panico che le leggevo negli occhi.
«Porca merda!» Adeline spalancò così tanto le palpebre che gli occhiali le scivolarono lungo la punta del naso. «Ad essere sincera, ho sempre saputo di essere diversa, ma sono un essere cattivo? E finirò con il mangiare l’anima dei mortali come faceva il mio bis nonno?»
Hawke fece un ulteriore passo in avanti, scuotendo la testa. «Se non hai mai provato… fame alla presenza di Rowan, dubito seriamente che tu possa essere un pericolo per la razza umana.»
Lei mi osservò per eterni istanti. «Che intendi per fame?» domandò, tornando poi a guardare Hawke.
«Credimi, se avessi mai sentito il bisogno nutrirti della sua anima, sapresti di cosa sto parlando.» Si strinse nelle spalle, e tornò a poggiare la schiena contro il muro. «Quindi non corri nessun rischio.»
«Adeline», strinsi le dita attorno al suo polso esile e ossuto, «non sei un essere cattivo. Il fatto che tu condivida il sangue con un essere come il tuo bis nonno, non significa che tu sia come lui. Inoltre, se ti può far sentire meglio, nessuno in questa stanza è davvero umano.»
«A parte quell’imbecille di Sterling.»
«È la seconda volta che mi dai dell’imbecille. Sono stato davvero così terribile a scuola con voi?» Liam aggrottò le sopracciglia e si indicò il petto con entrambe le mani.
«Per essere terribile, avresti dovuto parlarci… o almeno, degnarci della minima attenzione», gli feci notare, incurvando le labbra verso il basso. «Cosa che non hai mai fatto prima che iniziasse tutta questa storia.»
Liam annuì, abbassando lo sguardo. «Già. È vero, allora. Sono un imbecille.»
La mia migliore amica piegò la testa di lato, mentre si sporgeva oltre il mio viso per guardarlo meglio. «Un po’. In fondo, da una prospettiva esterna, rispecchi alla perfezione i canoni del giocatore di football. Ma devo ammettere che in questo momento ti sto rivalutando… E se Rowan ti guarda come se ci fosse qualcosa degno di essere visto, allora forse è così.»
Sentii gli occhi di Liam posarsi sulla mia nuca, e fu quasi impossibile non voltarmi e rivolgergli un sorriso.
Hawke si schiarì la gola. «Posso fare una domanda?»
Sollevai un sopracciglio, voltandomi lentamente verso di lui. Aveva una mano nascosta nella tasca anteriore dei jeans e un’altra alzata come quando si vuole fare una domanda ad un professore. Era ridicolo. «Da quando in qua ti fai problemi prima di aprire bocca?»
Lui ignorò la mia frecciatina. «Cosa vedi quando guardi la sua aura? Sono sempre stato curioso», domandò, facendo un cenno della testa nella mia direzione ma senza distogliere gli occhi neri da quelli di Adeline.
Lei abbassò lo sguardo e mi fissò con espressione titubante e incerta.
Le rivolsi un cenno e un sorriso incoraggiante. «Puoi dirlo.»
«Vedo…» Inspirò di scatto e gonfiò il petto. «Un grigio scuro, quasi nero tutto intorno a te.»
Improvvisamente, come se fossi stata colpita senza preavviso da un volante calcio nello stomaco, sentii le lacrime salirmi agli occhi e il respiro che mi si mozzava a metà strada. Mi morsi il labbro con così tanta forza da farmi male, ma quel dolore non era niente al confronto della fitta che avvertii al centro del petto.
Era come avevo sempre temuto. Non importava quanto io mi fossi impegnata per dimostrarmi degna della grazia. Semplicemente non avevo alcuna speranza. La malvagità era dentro di me come un cancro che cresceva senza che me ne accorgessi. E un giorno sarebbe esploso, trasformandomi nel mostro gigante e spietato che avevo sempre temuto di diventare.
Liam si agitò sulla poltrona. «Che cosa significa?»
Non lo guardai in viso, quando spiegai: «Solitamente più un’anima è scura, più è malvagia.» Tirai su con il naso e solo in quel momento mi accorsi che non ero riuscita a trattenere le lacrime. «Elias aveva ragione: non ho nessuna possibilità.»
«No, cazzo.» Liam si alzò in piedi come un fulmine. «Noi non faremo di nuovo questa conversazione del cazzo», replicò. Circondò i miei fianchi e mi strinse al suo petto, combattendo contro i miei tentativi di liberarmi dalla morsa delle sue braccia.
Se avessi veramente voluto, avrei potuto facilmente allontanarlo. Dopotutto, lui era solo un umano e io ero molto più forte di quanto lui avrebbe mai potuto sognare di essere. Ma la realtà era che non volevo che mi lasciasse andare e che mi tenesse stretta a lui per moltissimo tempo ancora. Per questa ragione, abbandonai la testa sulla sua spalla, mentre le sue mani mi accarezzavano dolcemente le punte dei capelli che mi solleticavano la base della schiena.
«Guardami», mi ordinò quando smisi di dimenarmi nel suo abbraccio. Sollevai il viso dalla sua spalla e fissai gli occhi nei suoi. «Non so di preciso cosa ti abbia detto Elias, ma so che non ha ragione. Tu non sei malvagia.»
«Infatti», proseguì Adeline, che guardava nella nostra direzione con le sopracciglia aggrottate, «stavo per aggiungere che la tua anima è anche bianca. Di un bianco puro e luminoso, come quello delle anime dei Vigilanti.»
Mi passai una mano sugli occhi che bruciavano di lacrime. Sospirai con forza. «Non significa niente. Quello è solo il sangue di mio padre.»
Lei piegò la testa di lato. «Hai detto che sei metà angelo e metà umana. Quindi chi è tuo padre, un Vigilante?»
Scossi la testa. «Un Arcangelo.»
«Oh, wow», commentò Adeline in un sussurro.
«Se è così», intervenne Hawke, «allora forse nemmeno il resto significa quello che credi tu, splendore. Forse stai solo espiando peccati che non hai commesso.»
«Che intendi dire?» chiese Liam. Le sue dita ancora mi accarezzavano i capelli.
Hawke si strinse nelle spalle e fece una smorfia. «Non lo so, Fossette, è tanto che non controllo il regolamento, ma da quel che ricordo non è esattamente permesso ad un Arcangelo fare le zozzate con un’umana.»
«E perché deve essere Rowan a pagare per questo?» si indignò Liam.
«Perché gli Arcangeli non hanno un’anima», risposi con un filo di voce. «Non ne hanno bisogno: sono parte integrante di lassù.»
«Be’, questa è una stronzata! Lui fa qualcosa di sbagliato e tu ne devi pagare le conseguenze? Col cazzo!»
Sorrisi, mentre altre lacrime mi offuscavano la vista.
Liam era bellissimo. Gli occhi bruciavano come se stessero prendendo fuoco, i muscoli delle spalle e delle braccia erano così in tensione che le vene sotto lo strato della pelle erano più visibili del solito, le labbra carnose schiuse in un’espressione indignata.
«Rowan, ascoltami.» Adeline si alzò in piedi. «Io ho visto un sacco di anime nel corso della mia vita. Per esempio, quella di Eva Turner è di uno schifoso marroncino cacca perché lei sceglie di essere una stronza con tutti. L’anima di Paul Newman, invece, il tizio che mi ha dato ripetizioni di matematica al secondo anno, è di un adorabile azzurro pastello perché lui sceglie di aiutare chi ne ha bisogno e fare un sorriso a tutti quelli che incontra, anche a chi lo tratta male. Capisci quello che ti sto dicendo?»
Liam mi riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise. «Libero arbitrio.»
«Hanno ragione loro, splendore.» Hawke sollevò una spalla. «La regola numero uno rimane sempre quella. Nemmeno gli Arcangeli possono infrangerla.»
«Okay.» Feci un respiro profondo e tremulo, nel tentativo di calmarmi. Mi asciugai quelle lacrime che erano sfuggite al mio controllo con il dorso della mano e fissai gli occhi sul volto sorridente di Adeline. «Se si parla di libero arbitrio, allora immagino di non poter fare o dire nulla per farti cambiare idea, vero?»
La mia migliore amica scosse la testa con vigore. Le sue labbra si piegarono in un sorriso ampio e radioso.
«È meraviglioso, ragazzi!» Hawke fece un passo in avanti, con gli occhi che brillavano di una luce demoniaca. «Questo vuol dire che siamo una squadra? Tipo la Scooby-gang, che va a caccia di mostri e fantasmi?»

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


.16.
 
 

Con l’arrivo del mese di ottobre, le solite piogge dell’Oregon non fecero che peggiorare, mettendo fine a quelle sporadiche giornate di sole caldo.
Anche quel giorno pioveva piuttosto forte e, mentre aspettavo Adeline, mi ero appiattita contro il muro di fianco alle doppie porte dell’ingresso della scuola per ripararmi sotto il cornicione del tetto. Avevo infilato la coda di cavallo in cui avevo legato i capelli dentro il colletto del mio dolcevita celeste e avevo nascosto le mani così fredde che mi facevano male nelle tasche della giacca di pelle.
Quello stare ferma mi rendeva intrattabile, dal momento che sentivo come il mio potere continuava a risalire in superficie con fare irrequieto e l’adrenalina che mi infuocava il sangue ogni volta che avvertivo un demone nelle vicinanze della scuola. A causa della mia natura e di tutto il potere che mi costringevo a reprimere attivamente in ogni istante, stare ferma senza fare niente per me era qualcosa di impossibile. In quel momento non desideravo altro che andare in palestra per potermi allenare con Liam. Eppure rimasi esattamente dove ero, perché non me la sentivo proprio di lasciare che Adeline raggiungesse la villa di Hawke per conto suo.
Avevo gioito quando mi era arrivato un messaggio al cellulare, perché mi aveva dato qualcosa da fare, invece che restarmene con un piede e la schiena poggiati contro il muro a fissare la pioggia che bagnava il parcheggio della scuola. Ma poi non ero riuscita a reprimere uno sbuffo, nel momento in cui avevo letto il contenuto del messaggio e il suo mittente.
Hawke aveva creato un gruppo di chat, in modo che fosse più facile contattare tutti nello stesso momento. L’idea era buona, ma ciò che odiavo di quel gruppo era che il demone lo aveva nominato “Scooby-gang” e che lo usava principalmente per inviare foto non richieste dei suoi addominali – degli addominali super definiti, dovevo ammetterlo almeno con me stessa, ma di sicuro non interessanti quanto quelli di Liam.
Questa volta, in allegato alla foto di lui con indosso solamente un paio di boxer neri e molto attillati, c’era anche un indirizzo e un orario. Sorrisi quando riconobbi il luogo in cui ci stava chiedendo di andare, mentre i ricordi dei nostri incontri clandestini degli ultimi anni mi invadeva la mente e mi scaldavano il petto.
Senza nemmeno rendermene conto, Hawke era diventato una parte molto importante della mia vita; e, contro ogni buon senso e insegnamento di Elias, mi ero fidata di lui sin dalla seconda volta che l’avevo visto. Avevo fatto molto affidamento sul suo aiuto, quando volevo dare la caccia a qualche demone di nascosto dalla legione. Anche se dovevo ammettere che, da quando lo avevo conosciuto, non avevo mai attaccato un demone solo per la sua natura: Hawke mi aveva dimostrato che non tutti erano uguali, solo perché creature appartenenti a laggiù. Però quando mi imbattevo in demoni pericolosi che vivevano al limite tra ciò che era e non era permesso fare, io non rimanevo in disparte. E il mio amico – forse perché credeva che fosse divertente, o forse perché si annoiava – mi accompagnava sempre. Avevamo passato parecchie serate sui tetti della città a osservare i movimenti di altre creature infernali e poi seguirli nei vicoli più bui per poterli rispedire laggiù.
In quel momento, persa nei ricordi, avvertii la presenza di Liam che mi riportò alla realtà. Era davvero incredibile come riuscissi a sentirlo anche senza vederlo, a capire in che punto della stanza si trovasse anche senza cercarlo, ad avvertire la forza del suo sguardo su di me e il calore della sua pelle anche quando eravamo lontani.
Senza potermelo impedire, sorrisi e rovesciai la testa all’indietro per poterlo guardare meglio mentre mi camminava incontro. Il mio cuore mancò qualche battito, perché era sempre così bello. Con il cappuccio della felpa blu alzato sulla testa e una vecchia giacca di jeans imbottita, con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni e il borsone della squadra di football sulla spalla, mi venne vicino fino a fermarsi a pochi centimetri di distanza. «Ciao, bellissima.»
«Ciao.» Arrossii, ma finsi che il rossore sulle mie guance fosse colpa del vento freddo che mi graffiava la pelle. Poi feci cadere gli occhi sul suo borsone e aggrottai le sopracciglia. «Ma non dovevi andare agli allenamenti?»
«Dovevo.»
«Liam», lo ripresi con un sospiro, «non dovresti trascurare le tue attività da umano. Finirai nei guai, se salti un altro allenamento.»
Si strinse nelle spalle. «Sto pensando di lasciare la squadra in ogni caso.»
«Cosa? Perché?»
«Perché giocare, dopo tutto quello che è successo, non mi sembra più divertente come una volta. E soprattutto perché tra poche settimane il mondo potrebbe finire.» Si tolse gli occhiali dal naso per asciugare le goccioline di pioggia che gli avevano imperlato le lenti. «Sapere che l’intera umanità è sull’orlo di un’eterna guerra fra le forze del bene e del male, cambia la prospettiva delle cose. Il football, al confronto, non è poi così importante.»
«Ma quando – e vorrei farti notare che non ho detto “se” – riusciremo ad impedire l’Apocalisse, il mondo tornerà ad essere quello di sempre e la tua vita dovrà tornare alla normalità.»
Lui allungò una mano per accarezzarmi una guancia. Le sue nocche erano fredde sulla mia gota bollente e arrossata. Sorrise e fece comparire quelle sue stupende fossette. «Te l’ho già detto: io non voglio tornare alla mia vita prima che tu ne facessi parte.»
«Non ho detto questo», replicai. In effetti, nemmeno io riuscivo ad immaginare le mie giornate senza Liam. Non sapevo bene come avremmo fatto funzionare qualsiasi cosa ci fosse tra di noi, né per quanto tempo sarebbe potuta durare. Ma, come lui, non io volevo tornare alla mia vita prima di lui. Gli sfiorai il polso. «Però anche il football fa parte della tua vita. E inoltre, siamo al terzo anno. Non dovresti mollare proprio adesso, visto è altamente probabile che il football ti garantirà un’ottima borsa di studio. Non volevi andare a Harvard?»
Lui sbuffò, ma il suono che gli uscì dalle labbra somigliava di più ad una risata. «Stiamo davvero parlando di college?»
«Perché no?»
«Okay.» Liam si abbandonò con una spalla al muro al mio fianco e mi sfidò con lo sguardo, abbassando leggermente il mento per avvicinare la sua testa alla mia. L’aria che separava i nostri visi era diventata pura elettricità. «Allora, miss Monroe, dimmi quali sarebbe i tuoi piani per il college. Dove vorresti andare?»
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo, per sfuggire all’intensità delle sue iridi color caramello. «Io… non ci ho mai pensato.»
«Perché credi che non potrai andarci, vero?»
«Tra poche settimane potrei… non essere più qui.»
«Ma quando – e vorrei farti notare che non ho detto “se”», mi rivolse un ghigno, «compirai diciotto anni e riceverai la grazia, avrai tutta una vita davanti per fare tutto ciò che desideri.» Mi accarezzò di nuovo la guancia e mi scostò dietro l’orecchio una ciocca di capelli. Ancora non lo guardavo in viso, ma riuscivo perfettamente a sentire il calore e la dolcezza dei suoi occhi su di me. «Non hai preso mai in considerazione l’idea, vero?»
Scossi la testa. «A dir la verità, no.»
«Se tu potessi fare quello che vuoi, cosa sceglieresti?»
Ci pensai un po’ su. «Immagino che non mi dispiacerebbe andarmene da Portland e iscrivermi all’università.»
Il mio cellulare vibrò di nuovo. Un’altra foto di Hawke in biancheria intima. Sbuffai.
Liam mi lanciò un’occhiata. Anche lui aveva il telefonino in mano con un’espressione contrariata stampata in viso. «Lo hai ricevuto anche tu?»
«Sì», riferii, sollevando il telefono ancora aperto sulla foto indecente. «Purtroppo.»
«Ho come la sensazione che se gli dicessimo di smettere, ne manderebbe di più come risposta.»
«Giusta sensazione.»
«Continuiamo ad ignorarle.»
«Fosse così facile…»
«Non ho detto che è facile.» Scosse la testa e si abbandonò nuovamente contro il muro al mio fianco. «Anzi, lo detesto. Soprattutto se so che anche tu le stai guardando.»
Piegai la testa di lato. «Sei geloso?»
Non rispose. Si limitò a far guizzare un muscolo sulla mascella e serrare i pugni attorno alla bretella dello zaino. «Nel messaggio di prima, diceva che tu sai a quale tavola calda si riferisce.»
Annuii, mentre con la manica della giacca mi asciugavo la pioggia che mi aveva inumidito la fronte e le guance. «Sì, è un posto a Foster-Powell in cui andiamo spesso. Il proprietario non è del tutto umano e la clientela di solito si fa gli affari propri.»
«Ci andate spesso?» ripeté. «Tu e lui da soli?»
«Be’, sì.» Mi mordicchiai il labbro per trattenere un sorriso. «Sei davvero geloso.»
«Be’, se proprio ci tieni a sentirmelo dire, sì. Sono geloso.» Fece una smorfia. «Considerato quello che provo per te, non è una cosa così strana.»
«Senti, Hawke è…» Mi interruppi, incapace di trovare una parola adotta. Hawke era tante cose per me, eppure non avevo mai avuto il bisogno di spiegare la nostra relazione a nessuno prima. Sospirai. «Siamo amici, credo.»
«Credi?»
«È difficile spiegare il rapporto che ci lega. La maggior parte del tempo non lo capisco nemmeno io», confessai. «So che mi fido ciecamente di lui e che non voglio ucciderlo come tutti gli altri demoni, ma… è complicato.»
Lui annuì. Si piegò in avanti e mi toccò la spalla con la sua. «Non mi hai mai detto come sei diventata l’amica di un demone», mi fece notare.
«Non lo so nemmeno io. È successo e basta.»
Vidi Liam aprire la bocca, ma si bloccò quando le doppie porte dell’ingresso si aprirono e Adeline uscì fuori dalla scuola.
Gli occhiali da sole che la facevano sembrare un insetto erano sul naso e lei era così concentrata sul suo cellulare che mi venne a sbattere contro. Quando riprese l’equilibrio su entrambe le piante dei piedi, ci mise qualche istante per mettermi a fuoco dietro le lenti scure. «Oh, merda. Scusa.»
«Non fa niente.» Mi misi la borsa con i libri a tracolla e indicai il suo telefono. «Hai ricevuto il messaggio?»
Lei lanciò una rapida occhiata a Liam, poi tornò a guardare lo schermo del cellulare. «Sì. Ed è davvero insopportabile che abbia degli addominali così perfetti. Odiarlo è più difficile.»
Scoppiai in una risatina.
«Stavi aspettando me?»
«Sì, poi è arrivato anche Liam.»
Lui tirò fuori dalla tasca dei pantaloni le chiavi della Comet. «Vi do un passaggio.»
«Grande! Non avevo nessuna voglia di avventurarmi sui mezzi pubblici con questa fottuta pioggia.» Adeline cominciò a camminare verso il centro del parcheggio.
Quando mi accorsi che per evitare di guardare l’anima di un ragazzo del primo anno non stava deviando e stava camminando dritta contro un muretto, le afferrai il braccio e l’attirai al mio fianco.
Mi rivolse un cenno. «Grazie.»
Liam le lanciò uno sguardo pieno di curiosità. «Il fatto che cammini sempre come se fossi ubriaca o mezza cieca, è per colpa delle anime che vedi?»
«Io sono mezza cieca.» Adeline si aggiustò la montatura nera sul naso e poi si riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ma le anime non aiutano. Sono troppo luminose. È come andare in giro in piena notte con dei fari perennemente puntati negli occhi.»
«Deve essere difficile, per te.»
Lei fece un vago cenno della mano, liquidando la faccenda come se non fosse un grande problema. In realtà, me lo aveva confidato lei stessa, in alcuni momenti era davvero un problema: per esempio, non poteva prendere la patente perché dietro ad un volante sarebbe stata un pericolo per sé e per gli altri, e aveva sempre bisogno di muoversi con qualcuno che la guidasse. «Ormai ci sono abituata e ho imparato a conviverci. Anzi, senza mi sentirei perduta.»
Tornò a rosicchiare l’unghia del pollice. Con quegli occhiali non riuscivo a vedere la sua espressione, ma quel gesto mi faceva capire quanto fosse veramente nervosa. «Secondo voi, cosa deve dirci Hawke?»
«Spero che abbia a che fare con quella Congrega di streghe che doveva contattare», mormorai, pensierosa. «Quella è l’unica pista che abbiamo al momento.»
«Ma perché non potevamo parlarne a casa sua?»
«Perché Hawke adora quella tavola calda.» Mi strinsi nelle spalle e sorrisi.
«Quel demone è davvero strano», commentò Adeline.

§
 
Liam aveva fermato la macchina in un parcheggio al chiuso vicino all’indirizzo della tavola calda in cui dovevamo andare.
Il percorso a piedi fino alla nostra destinazione mi rese parecchio nervosa, dal momento che continuavo ad avvertire la presenza di demoni alle nostre spalle. Era una cosa piuttosto normale: in città era sempre pieno di demoni di basso rango che si mescolavano agli umani. Non facevano niente di male, quindi li lasciavo in pace.
Quando entrammo nel locale, mi guardai subito intorno. Ovviamente, Hawke non c’era.
In compenso, c’era il solito fantasma che teneva il naso appiccicato alla vetrina dei dolci con aria sognante e malinconica. Non ci avevo mai parlato, perché non prestava mai attenzione a nient’altro che non fossero le torte e i biscotti che non poteva più mangiare. Mi faceva pena, ma ogni volta che provavo ad approcciarlo, lui fluttuava via con un sospiro.
Fui la prima a prendere posto sui divanetti attorno ad uno dei tavoli in fondo al locale. Pochi istanti dopo, Adeline si sedette al mio fianco e Liam si accomodò sulla poltroncina di fronte.
La cameriera ci raggiunse in un secondo per prendere le nostre ordinazioni. Non mi sfuggirono né il sorriso civettuolo né l’occhiata che rivolse a Liam. Capivo perché lei ne fosse rimasta affascinata, dal momento che era davvero molto bello, ma non riuscii ad impedire alla mia gelosia di infuocarmi il sangue nelle vene. E quando lui ricambiò il sorriso, l’irritazione mi fece serrare i pugni sul tavolo e irrigidire la schiena. Lei si allontanò con passo sobbalzante per riferire alla cucina i nostri ordini – caffè per tutti, un panino al formaggio per Liam, un frullato alla fragola per Adeline e biscotti al cioccolato per me. 
A quel punto, io fissai lo schermo del televisore che si trovava in un angolo della stanza. Il volume era completamente abbassato e il volto del giornalista era troppo anonimo per attirare veramente la mia attenzione, ma in questo modo era più facile fingere di non vedere Liam che cercava i miei occhi con i suoi pieni di confusione. Sapevo che non aveva senso essere gelosa. Quello che Liam aveva rivolto alla cameriera era solo un sorriso di cortesia. Eppure il pensiero che una ragazza umana e normale come lui potesse ricevere le sue attenzioni mi faceva ribollire le viscere dalla rabbia e dalla gelosia. Soprattutto perché io non avrei mai potuto essere normale.
All’improvviso non fui più costretta fingere di essere interessata alla televisione, perché mentre leggevo i titoli delle ultime notizie qualcosa aveva davvero catturato la mia completa attenzione.
«Porca merda!» esclamai, spalancando gli occhi e portandomi le mani alla bocca.
Anche Adeline e Liam fecero scattare gli occhi sullo schermo piatto.
Quella mattina era stata trovata una quarta vittima. Si chiamava Valerie Greenwood e aveva sedici anni. Ovviamente il telegiornale non disse nulla in merito, ma ero certa che anche Valerie fosse una benedizione – ancora ignara dei suoi poteri e che ora non avrebbe mai potuto adempiere alla sua missione. Le autorità erano ufficialmente alla ricerca di un serial killer. Gli umani non sapevano che il sangue delle vittime era stato rubato, o avrebbe cominciato a credere all’esistenza di vampiri o altre creature del folklore che erano state ispirate dai fin troppo reali demoni che popolavano la terra; ma non erano stupidi: erano capaci di fare due più due, dal momento che le ferite e le modalità che avevano portato alla loro morte erano le stesse.  
Liam tornò a dare le spalle alla televisione. «Cazzo.»
«Non riesco proprio a capire cosa accidenti vuole questo demone», mormorai, «ma tre benedizioni morte? È davvero tanto sangue.»
«Cosa può ottenere con tutto quel sangue?» domandò Adeline. L’unghia del pollice veniva incessantemente torturata dai suoi denti.
Sospirai, mordicchiandomi il labbro inferiore. «Ho guardato in ogni libro alla villa e a casa di Hawke; ho fatto ogni tipo di ricerca possibile, lo giuro, ma ogni volta che si arriva al paragrafo sugli usi del sangue angelico la frase si interrompe. È come se anche i libri di testo si rifiutassero di contemplare un atto così terribile.»
«Arrivati a questo punto, dopo che sono morte quattro persone, è davvero importante capirlo?» chiese Liam con voce brusca. Aveva abbandonato la testa sui palmi e poggiato i gomiti sui tavoli. La tempesta che si abbatteva nei suoi occhi, la disperazione e la rabbia che vi leggevo dentro, mi spezzava il cuore.
«Non è che io muoia dalla voglia di sapere cosa gli passa per la testa, credimi, ma capire che tipo di rituale ha intenzione di eseguire potrebbe aiutarci a trovarlo e fermarlo», spiegai.
Nel momento in cui la cameriera tornò con una caraffa di caffè, ci ammutolimmo. Sorrise ancora in direzione di Liam, ma questa volta lui non la degnò nemmeno di uno sguardo. Lei sembrava piuttosto risentita dal suo cambio di umore e sembrò proprio sul punto di evaporare fumo dalle orecchie quando vide che lui, forse senza nemmeno rendersene conto, aveva cominciato ad allungare una mano lungo il tavolo per sfiorare le mie dita in cerca di conforto. Non mi vergogno di ammettere che provai una grande soddisfazione nel notare la sua espressione furiosa, quando si accorse che accettavo la mano di Liam e ricambiavo la stretta, intrecciando le nostre dita.
Hawke entrò nella tavola. Ci individuò in un istante e, dopo aver rivolto l’occhiolino alla cameriera che invece continuava a fissare Liam e le nostre mani che si toccavano, prese posto sui divanetti.
«So che ti piace farti aspettare», dissi, quando la ragazza se ne andò con passo furente, «ma sei stato tu a chiederci di venire qui, quindi potevi farci la cortesia di presentarti in orario.»
«Quanta aggressività…» commentò. Mi fece il gesto degli artigli che graffiavano ed emise una specie di miagolio, imitando un gatto all’attacco.
Alzai gli occhi al cielo.
«Abbiamo appena scoperto che c’è stata una quarta vittima», spiegò Adeline.
«Sì, ho saputo.»
«Per caso, anche i demoni hanno un gruppo in chat in cui si scambiano le informazioni?» lo apostrofò lei.
Lui piegò la testa di lato. «A dir la verità, sì.»
«Non ci credo…»
«Credici.» Le fece l’occhiolino.
«Mandi anche a loro foto di te in mutande?»
«No, quello è un onore che riservo solo per i miei amici della Scooby-gang.»
«Il tempo stringe, Hawke», mi intromisi brusca, per interrompere il loro scambio di battute. «Dimmi che sei riuscito a contattare quella Congrega di streghe.»
«Per questo vi ho chiesto di vederci qui. Be’, per questo», fece un ghigno diabolico quando la cameriera gli posò davanti al viso un piatto di pancake ancora fumanti, «e perché avevo una gran voglia di questi.» Cominciò a mangiare con foga, sporcandosi il mento con lo sciroppo d’acero e lo zucchero a velo.
«Allora?» lo incitai.
«Allora, sono finalmente riuscito ad entrare in contatto con quella strega di cui vi parlavo. Mi ha detto che si incontreranno per una riunione questo sabato in un ristorante a Richmond.» Si pulì con la lingua la goccia di sciroppo che gli era scivolata sul mento. Poi fece vagare lo sguardo sui presenti attorno al tavolo e aggiunse: «Ci ha concesso del tempo per parlare prima della mezzanotte, quando la loro riunione avrà inizio.»
«Mezzanotte, davvero?» Adeline fece una specie di sorriso, che però somigliava più ad una smorfia. Parlare di streghe la rendeva estremamente nervosa, da quando aveva scoperto di essere una di loro.
«Quella è l’ora delle streghe, zuccherino. Sembra banale, ma è vero.» Piegò la bocca in quel suo ghigno che lui credeva essere irresistibile, ma che io trovavo parecchio irritante. E a giudicare dall’occhiataccia che gli lanciò Adeline, nemmeno lei era stata conquistata al cento per cento. «Comunque, pensavo di andare lì per le undici e mezzo. Non dovrebbe volerci molto.»
Mi morsi il labbro. «Le undici di sabato sera?»
«È un problema per te, splendore? Avevi un impegno con il tuo gruppo di preghiera?»
Assottigliai le palpebre sugli occhi e strinsi i pugni. «La smetti di fare queste battute di merda sui Vigilanti? Cominci a farmi incazzare…»
Liam si intromise nella conversazione prima che scavalcassi il tavolo per abbattere un pugno sulla faccia di Hawke. «Potrebbe essere un problema per te uscire dalla villa a quell’ora?»
Annuii e mi afflosciai sul posto. «Anche se non fosse per il nuovo coprifuoco che hanno imposto a tutti i minorenni… Mi tengono sotto controllo, ultimamente.»
«Sospettano qualcosa?»
«Non credo.» Arricciai la punta del naso e feci una smorfia di insofferenza. «Ma sanno che detesto starmene con le mani in mano e che voglio fare qualcosa. E loro vogliono impedirmelo. Sai, per la storia che potrei diventare un mostro gigante e tutto il resto…»
«Potresti dire loro che vieni a dormire a casa mia?» propose Adeline, sistemandosi la montatura degli occhiali sul naso. «Anzi, potresti davvero restare a dormire a casa mia. Mia mamma sarà fuori città per tutta la settimana…»
«No», replicai, dopo aver fatto scoccare la lingua sul palato e incrociato le braccia sotto il seno. «Tu non verrai. E nemmeno tu, Liam.»
«Che cosa?» sbottarono entrambi all’unisono.
Hawke scoppiò a ridere.
Io lanciai un’occhiata penetrante prima ad uno e poi all’altra. «Sentite, se Hawke ha ragione…»
«Io ho sempre ragione», borbottò lui.
Lo ignorai, anche se non riuscii ad impedirmi di alzare gli occhi al cielo. «Se Hawke ha ragione e le streghe sono coinvolte in questa storia, non è sicuro per voi.»
«Ma non puoi andare da sola con lui!» esclamò Liam.
«Mi stai offendendo, Fossette», disse Hawke.
«Liam ha ragione», intervenne Adeline. «Ci starà aiutando, è vero, ma ancora non mi fido di lui.»
Hawke sbuffò. «Disse la ragazza con sangue di demone nelle vene…»
«Sentite», scossi la testa e drizzai la schiena, «capisco che vogliate proteggermi tanto quanto io voglio proteggere voi. E capisco come può sembrare da una prospettiva esterna: lui è un demone e non prende seriamente nemmeno la morte di quattro persone…»
«Ehi, ma che succede? Per caso oggi è la giornata nazionale del “prendiamocela con Hawke” e nessuno mi ha avvisato? Se avessi saputo che avreste cominciato a colpirmi da tutte le parti, mi sarei messo un giubbotto antiproiettili.»
Ancora una volta, sorvolai sul suo commento sarcastico. Spostavo di continuo gli occhi dal viso corrucciato di Adeline a quello indignato di Liam. «Io mi fido di lui.»
Hawke cambiò subito espressione e fece un sorriso trionfo, abbandonandosi contro lo schienale del suo divanetto. «Visto?» Fece un cenno nella mia direzione. «Lei si fida di me.»
«E voi dovete fidarvi di me», aggiunsi, notando che nessuno dei due sembrava abbastanza convinto.
Liam sospirò. «Va bene. Faremo uno sforzo. Ma veniamo lo stesso.»
«Lee…»
«Veniamo lo stesso», ripeté con tono che non ammetteva repliche. Non mi guardava più in viso e teneva gli occhi fissi sul piatto ancora intonso. «Non entreremo per parlare con le streghe se pensi che non sia sicuro per noi, però vi aspetteremo fuori.»
«Ma…»
I suoi occhi color caramello saettarono con velocità impressionante verso l’alto e, incatenandosi ai miei, mi inchiodarono sul posto e bloccarono ogni parola che stavo per pronunciare. «Rowan, se dici che capisci che voglio…» spostò gli occhi su Adeline, poi tornò a guardare me, «che entrambi vogliamo proteggerti quanto tu vuoi proteggere noi, allora devi lasciarcelo fare.»

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


.17.



 
Ero da poco entrata nello studio di Elias per chiedergli il permesso per dormire a casa di Adeline quel fine settimana, quando Seth era entrato nella stanza come un uragano. Si fermò a metà strada tra la scrivania e la porta, lasciandola spalancata.
Mi bastò un solo sguardo per capire che era appena tornato a casa dopo un turno di caccia. Indossava ancora la tenuta da combattimento e non si era nemmeno tolto dalla vita la cintura delle armi, dalla quale pendevano due spade benedette dalla lama lucente e affilata. I suoi capelli biondi erano così bagnati di pioggia che gli si appiccicavano alle guance scavate e gli gocciolavano lungo il collo.
Prima mi lanciò un’occhiata penetrante con i suoi magnetici occhi dorati, poi li fissò sul viso stoico del padre. «Spero proprio che tu non glielo lascerai fare.»
Spalancai la bocca, ma non trovai una sola parola da dire.
Seth era sempre stato dalla mia parte, anche quando non era d’accordo e anche quando sbagliavo. Il fatto che in questa occasione non mi affiancò, mi ferì così tanto che per qualche istante fu difficile persino respirare.
Elias si abbandonò contro lo schienale della sua poltrona e intrecciò le dita sotto il mento. Mi guardò per un solo istante, poi abbassò lo sguardo. «In realtà, sto ancora valutando.»
Parlavano come se non fossi nemmeno nella stanza. E a quel punto, le parole tornarono di colpo a riempirmi la bocca, ma erano troppo brusche e volgari per poter essere pronunciate. Mi morsi il labbro, costringendomi a restare in silenzio. In fondo, ero lì per chiedere cortesemente il permesso di passare la notte fuori dalla villa. Se avessi cominciato a sbraitare e urlare come al mio solito, Elias mi avrebbe sicuramente impedito di uscire di casa per il resto della mia vita – che, a dir la verità, al momento sembrava ammontare poco più di un mese… sempre che fossimo riusciti a fermare l’Apocalisse.
«Non c’è proprio un cazzo di niente da valutare», esclamò Seth. Il suo volto aveva perso tutto il suo solito colorito dorato. Ma i suoi occhi, quando si voltò per guardarmi dall’alto verso il basso, ardevano come non li avevo mai visti fare. Era incazzato nero. «Tu rimani a casa, e basta.»
Ancora una volta spalancai la bocca. Un gemito di insofferenza mi sfuggì dalla gola. «Ma, Seth…»
«Non tirare troppo la corda, Rowan. C’è un motivo se abbiamo imposto un nuovo coprifuoco a tutti i bambini!»
«Io non sono una bambina!»
«Invece .» Si passò una mano fra i capelli, staccandosi dalle tempie le ciocche che la pioggia aveva incollato alla pelle. «Non capisci? È troppo pericoloso! C’è un demone di alto rango a piede libero che cerca…» Serrò di colpo la mandibola, frenando le parole che gli stavano sfuggendo dalle labbra. Non sapeva che avevo origliato la loro conversazione fuori dalla porta della biblioteca e che ero perfettamente a conoscenza che cosa voleva tenermi nascosto. «Be’, non sappiamo di preciso cosa vuole, ma in ogni caso qualunque demone sarebbe più che contento di metterti le mani addosso.»
Drizzai le spalle e sollevai il mento, sostenendo il fuoco dei suoi occhi con il mio. «Sono perfettamente capace di difendermi.»
«Lo so.» Seth allargò le braccia e sospirò con forza. «Maledizione, Rowan, lo so. Ma questo non significa che tu debba farlo.»
Non era la prima volta che pronunciava quella frase. Non significa che tu debba farlo.
Mi ammutolii.
Quella volta, dopo che Alastor mi aveva aggredita nel bagno dei ragazzi a scuola, credevo che fosse solo spaventato all’idea che qualche demone potesse arrivare a me e al mio sangue. Come potevo dubitare di lui e della sua apprensione quando era in piedi di fronte a me e mi osservava la pelle macchiata dai segni blu e viola dei lividi con occhi così colmi di preoccupazione?
Ora, però, non ero così sicura. Non significa che tu debba farlo.
«Perché no?» Sentivo la rabbia incendiarmi la pelle e il dolore che mi scavava una voragine nel petto.
Seth sgranò gli occhi; fece un passo indietro e sollevò le braccia in avanti, come se avesse voluto difendersi da un attacco imminente.
«Rowan, calmati», mormorò la voce melodica di Elias alla mia sinistra.
Continuai a fissare il volto Seth. «Perché non dovrei affrontare i demoni che cercano di uccidermi?»
«Rowan, devi calmarti subito», mi riprese ancora Elias. La voce era più ferma e più alta.
I miei occhi erano ancora fermi su Seth, mentre sollevavo il mento e puntavo un dito contro il suo petto. «Forse perché anche tu pensi che sia un rischio troppo grande? Non per la mia salute, certo, ma per la vostra e per quella degli umani.» Feci un passo in avanti e lui uno indietro. «Anche tu credi che, nonostante tutto l’impegno e l’addestramento, scatenerò la maledizione dei Nephilim e mi trasformerò in un mostro gigante!»
«Rowan, stai bruciando il tappeto! E se non ti dai subito una cazzo di calmata, darai fuoco all’intera villa!» sbottò Elias, alzandosi in piedi e battendo un pugno sulla scrivania.
Sobbalzai. Abbassai lo sguardo sul mio corpo e rimasi senza parole.
Porca merda.
Elias aveva ragione: sul tappeto persiano e super costoso c’era un cerchietto nero e fumante in prossimità del punto in cui si trovavano i miei piedi.
Fissai, meravigliata e allo stesso tempo spaventata a morte, il bagliore luminoso e bianco che si irradiava dal mio petto e si propagava sulle braccia e sulle gambe fino alle punte delle dita. Ero appena diventata una specie di stella sul punto di esplodere. Era una cosa che non mi capitava da anni, che perdessi così il controllo sul mio potere fino a renderlo visibile… e distruttivo. L’ultima volta avevo dodici anni e avevo dato fuoco alla mia scrivania. Da quel giorno in poi, tutti i Vigilanti della casa se la davano a gambe quando mi vedevano entrare nella loro stessa stanza per paura che dessi alle fiamme qualcos’altro.
Inspirai e espirai più volte, fino a che il fuoco celeste che ardeva dentro di me si assopiva sempre di più.
Però le lacrime cominciarono a invadermi gli occhi e annebbiarmi la vista. «Sono tutte stronzate, vero?»
Seth spostò lo sguardo sul padre, che aveva nascosto gli occhi dietro i palmi delle mani, poi tornò a guardarmi, con le pupille nere che inghiottivano quasi del tutto l’oro delle sue iridi. «Cosa sono stronzate?»
Avevo l’affanno e sentivo la gola bruciarmi come se fossi sul punto di piangere fiamme al posto delle lacrime. «Libero arbitrio un paio di palle! È già tutto scritto nel libro del Grande Uomo lassù, vero? Le nostre scelte non sono davvero nostre. Io non ho mai davvero avuto la scelta di poter essere diversa da quelli della mia razza. E non ho mai davvero avuto nessuna possibilità di vivereoltre il mio diciassettesimo compleanno.»
Seth barcollò sul posto come se lo avessi preso a pugni. Non disse una sola parola.
E io compresi che avevo ragione.
Incapace di sopportare ancora i suoi occhi, mi voltai con uno scatto verso la scrivania. Fu un gesto così violento che mi schiaffeggiai la guancia con le punte dei capelli. Sperando che il fuoco dentro di me non provocasse danni, appoggiai cautamente i palmi sul legno scuro e robusto, spingendomi in avanti per intercettare lo sguardo di Elias. «Guardami», gli ordinai.
Lui lo fece. Con un sospiro affranto, alzò gli occhi e li fissò nei miei.
«Se devo morire tra poco più di un mese sotto la spada di un Arcangelo, molto probabilmente proprio quella di mio padre, almeno concedimi il tempo di stare con i miei amici e dire addio.»
Sapevo che era un colpo basso usare il mio destino imminente per spingerlo a concedermi il permesso di passare la notte fuori dalla villa, ma ormai avevo capito che non aveva davvero importanza. Era tutto già stato deciso nel momento in cui ero stata concepita, ancora prima di nascere il mio destino era stato segnato. E se davvero era destinata a diventare un mostro, allora forse non era poi così sbagliato cominciare subito a comportarmi come tale.
Sostenni il suo sguardo.
Seth si agitò al mio fianco ed emise una specie di fischio quando espirò l’aria che aveva trattenuto nei polmoni.
Elias non distolse lo sguardo dal mio volto. «Va bene. Puoi andare.»
A quel punto, drizzai la schiena e voltai le spalle ad entrambi. Ignorai Seth che richiamava il mio nome e il sospiro tremante provenire dalle labbra di Elias.

§

Stavo ripiegando i pantaloni di flanella del pigiama, quando Ophelia sbucò fuori dal mio armadio e agitò davanti ai miei occhi la stampella con appeso il vestito nero a maniche lunghe, quello che lasciava scoperte le spalle e che aderiva al mio corpo come una seconda pelle. Me lo aveva regalato lo scorso la Natale. Io non lo avevo mai indossato.
Scossi la testa mentre infilavo nello zaino la maglietta slabbrata e vecchia che usavo per dormire. «Fee, non mi serve quel vestito.»
Lei mi ignorò e tolse il vestito dalla stampella, per poterlo piegare con cura. Ammiccò, mentre le sue labbra tinte di rosso si piegavano in un sorriso serafico. «Un bel vestito potrebbe sempre tornare utile.»
«Sto solo andando a casa di Adeline.» Mi strinsi nelle spalle. «Usciremo con dei nostri amici di scuola, poi dritte a casa.»Era una bugia credibile, e forse nemmeno troppo lontana dalla realtà. Dopotutto, avevamo veramente intenzione di uscire con dei nostri amici di scuola. Il fatto che ci saremmo recati in un ristorante di lusso a Richmond per incontrare una Congrega di streghe era solo un dettaglio trascurabile. «Non saràuna serata troppo…» agitai la mano in direzione dell’abito, «elegante
Ophelia fece scorrere lentamente i polpastrelli sul tessuto morbido del vestito piegato e adagiato sul materasso, vicino alla borsa piena per metà. «E tra questi amici, per caso c’è anche quel ragazzo di cui abbiamo parlato l’altro giorno nella palestra?»
Mi morsi un labbro. «Sì.»
Lei scoppiò a ridere, gettando i boccoli rossi all’indietro. «Questo vuol dire che le cose tra di voi… procedono bene?»
Arrossii violentemente, pensando a quanto le cose tra me e Liam procedessero bene. La mia mente corse ai tanti momenti che avevamo passato seduti vicini o mezzi sdraiati l’uno sull’altra sul divano di velluti del salottino di Hawke, a leggere vecchi libri di demonologia e antiche copie della Bibbia; alle lunghe occhiate complici e capaci di racchiudere mille parole che ci scambiavamo quando eravamo costretti a sedere a tavoli diversi durante il pranzo; a quei momenti fugaci e rubati nei corridoi della scuola, quando mi prendeva per mano e mi accompagnava alla mia lezione successiva; e soprattutto ai nostri allenamenti, al suo corpo snello e forte che si modellava al mio quando combattevamo.
«Sì, direi di sì.»
«Dall’espressione che hai in questo momento, mi sembra di capire che ti servirà sicuramente questo vestito.»
«Fee…»
«Non lo dirò a nessuno, tranquilla.» Si strinse nelle spalle e gettò il vestito nella borsa. «Ma domani quando torni voglio sapere ogni dettaglio. E ti prego di non tralasciare quelli più piccanti»
«Non c’è proprio nessun dettagliopiccante da raccontare», mormorai.
«Non ci credo nemmeno un po’.» Lei mi cercò con i suoi occhi dorati e dolci.
La morsa sul mio labbro inferiore divenne più forte. Mi lasciai cadere pesantemente sul materasso, abbandonando la schiena all’indietro e intrecciando le dita sullo stomaco. «Fee, io mi sto innamorando di lui.»
Ophelia si sdraiò al mio fianco, sorridendo. «Non ci vedo niente di male.»
«Ma io non posso stare con lui», mormorai.
«Perché no?»
«Perché lui è così buono, altruista, gentile. E soprattutto umano. Mentre io sono… Cavolo, anche se non fossi stronza di prima categoria, sono una specie di soprannaturale bomba a orologeria sul punto di esplodere. Non posso permettere che lui…» Serrai le palpebre, bloccando le lacrime che stavano risalendo ai miei occhi. «Non voglio fargli del male.»
Lei si puntellò su un gomito. «Di che cavolo stai parlando? Tu non faresti mai del male ad un umano.»
«Ophelia, persino Seth ha detto che non ho alcuna possibilità di scegliere il mio destino. Succederà e basta. L’unica cosa che posso fare adesso è cercare di limitare i danni per quando…»
Ophelia mi interruppe: «Seth non direbbe mai una cosa del genere.»
Con il dorso della mano mi asciugai l’unica lacrima che non ero riuscita a trattenere. «Sì, che lo ha detto. Non hai saputo del litigio che abbiamo avuto nello studio di Elias, prima?»
«Quale litigio?»
«Davvero non sai niente? Seth ha lasciato per sbaglio la porta aperta. L’intera legione ci ha sentito urlare.»
Lei scosse la testa. «Sono tornata da poco alla villa. Mi sono cambiata, e ho incontrato Zachary in corridoio che mi ha detto che avresti passato la notte fuori e che avevi bisogno di aiuto con la borsa. Non vedo Seth dalla notte scorsa.»
Aggrottai le sopracciglia. «Aspetta un attimo. Zachary ti ha detto che avevo bisogno di aiuto con la borsa?»
«Sì, non gliel’hai detto tu?»
«Io e Zachary ci saremo a malapena scambiato due parole da quando due anni fa si è trasferito dalla legione di New Orleans.»
Ophelia fissò il lenzuolo viola scuro del mio letto. «Forse, avendo saputo del tuo litigio con Seth ed Elias, avrà pensato che avevi bisogno di parlare con un’amica e mi ha mandato qui.»
«Come se a Zachary, o qualunque altro membro della legione, importasse un fico secco di quello di cui ho bisogno!»
«Dai, Roe, non fare così…»
«Come ti pare.» Mi alzai in piedi e mi piegai per recuperare gli anfibi da sotto il letto. «Ad ogni modo, sì, io e Seth abbiamo litigato. Ma non ci siamo detti niente che io non sapessi già. Ho anche dato fuoco al tappeto nello studio di Elias, giusto per dimostrare che davvero non c’è modo di sfuggire alla maledizione dei Nephilim.»
«Non è vero.»
«Sì, Fee, è vero.» Le lanciai un’occhiata sbieca.
Scosse la testa, agitando i suoi stupendi boccoli rossi. «Non è possibile che Seth abbia detto una cosa del genere, Roe. Devi aver capito male. C’è sempre una scelta da poter fare.»
Non avevo capito male, ma ero davvero stanca di ribattere. Litigare con Seth mi aveva prosciugato tutte le forze dal corpo e adesso mi risultava difficile persino continuare a respirare.
Così mi limitai a sollevare le spalle. «Forse.»
 
§

Uscii di casa e, mentre la macchina attraversava la città grigia e umida di pioggia, io feci tutto ciò che era in mio potere per non pensare a Seth e ai momenti che avevamo condiviso in tutti quegli anni insieme. Richiusi tutti i ricordi dei suoi sguardi complici e dei suoi sorrisi dolci in una scatola che archiviai in un angolo del mio cervello, concentrandomi solo e soltanto sul compito che dovevo portare a termine quella sera.
Cercai anche di non pensare all’assenza di scelte che avevo di fronte. Certo, avere la certezza che non avrei ricevuto la grazia mi faceva stare così male che avevo la sensazione che un camion mi avesse investita e poi avesse inserito la retromarcia solo per passarmi sopra una seconda volta. Però, a essere sinceri, arrivati a quel punto, non mi importava più di cosa sarebbe successo a me. Una parte del mio cervello aveva già accettato il mio destino da molto tempo: sarei morta molto presto. Ma questo non significava che non avrei sfruttato i pochi giorni che mi restavano per rendere questo mondo – il mondo di Liam e Adeline e gli altri umani che sceglievano di essere buoni – un posto migliore.
E quando il taxi si fermò nella parte residenziale di Rose City Park, di fronte alla casa di Adeline, io pensavo solamente alle streghe.
Entrai e la mia migliore amica provò a fare la padrona di casa, offrendomi del thè al gelsomino e qualche biscotto all’anice. Io, che non sopportavo né il sapore né l'odore dell'anice e che credevo che il thé al gelsomino fosse solamente acqua calda un po' profumata, rifiutai con un sorriso. Così salimmo al piano superiore e ci chiudemmo nella sua stanza.
Nel momento in cui lei aveva notato il vestito che Ophelia aveva infilato nella mia borsa, mi aveva costretto ad indossarlo. «Solo per farmi vedere come ti sta, poi te lo togli», aveva detto.
Io in realtà non volevo, ma mi aveva dato il tormento fino a che non avevo ceduto e avevo sostituito i miei semplici jeans e maglione con quel miniabito aderente nero. Mi fasciava il corpo come una seconda pelle e saliva oltre il decente sulla mia coscia ad ogni movimento che facevo; però, mentre mi studiavo nello specchio, dovetti ammettere che metteva ben in risalto quelle poche e delicate forme che avevo – quella del mio seno a dir poco microscopico, e soprattutto quelle dei muscoli allenati delle braccia e delle gambe.
Mentre lei si truccava di nero gli occhi a mandorla, mi sbirciò dallo specchio. «Cavolo», commentò.
«Lo so.» Sospirai con fare esageratamente tragico. «Con questo vestito faccio fatica persino a respirare.»
«No, con “cavolo” io intendevo…» Si voltò e mi scrutò da capo a piedi. «Dove la tenevi nascosta tutta quella mercanzia, tesoro? Hai un fisico da paura.»
Stavo per replicare con una battuta sarcastica e pungente, come al mio solito, quando lei aggiunse: «Sterling ci resterà secco, quando ti vedrà con quel vestito.»
Mi ammutolii e abbassai lo sguardo sulle mie gambe lasciate scoperte dall’orlo super corto della gonna. «Tu dici?»
Lei scoppiò in una risata. «Ma ce li hai gli occhi? Quel ragazzo ti guarda come se fossi tu la ragione per cui il sole sorge e tramonta.»
«Adesso esageri…»
«Non direi.» Arricciò la punta del nasino e la montatura dei suoi occhiali si sollevò appena. «Non sono sicura che lui mi piaccia, ma devo dire che sto lentamente cambiando idea sul suo conto. Insomma, ti tratta con rispetto e si vede che ci tiene moltissimo a te. E tu sei la mia migliore amica: vedo come e quanto anche tu tieni a lui. Ma…»
«Ma?» Inarcai un sopracciglio. «È uno stupido giocatore di football?»
«Anche quello. Però quello che mi impensierisce è la sua anima.»
«La sua anima?»
«Te l’ho già detto quel giorno nel parcheggio. Io non so spiegarmelo bene perché non ho mai visto un’anima come la sua, ma… Roe, c’è qualcosa di strano
«Che intendi dire? Cosa vedi?»
In quel momento, suonò il campanello.
Doveva essere proprio Liam che veniva a prenderci per accompagnarci all’indirizzo che Hawke ci aveva mandato qualche ora prima – e, sì, lo aveva fatto allegandoci un’immagine di lui senza la camicia.
Lei tornò a sorridere come prima. «Oh, ti prego, aspetta», mi supplicò, mentre finiva in fretta e furia la linea di eyeliner sui suoi occhi. «Voglio vedere la sua faccia quando ti vedrà vestita così.»
La ignorai e, con il cuore che mi martellava con violenza contro la cassa toracica, scesi al piano di sotto, dimenticandomi che avevo ancora i capelli sciolti e che ero ancora scalza. E soprattutto tutto quello che Adeline aveva detto sull’anima di Liam.
Quando aprii la porta di ingresso, come ogni volta, mi mancò il respiro mentre uno stormo di mostri volanti cominciò ad agitarsi nel mio stomaco.
Dio, ero davvero una persona orribile. Avrei dovuto tenerlo il più lontano possibile da me, e invece io mi stavo irrimediabilmente innamorando di lui.
Quella sera non indossava gli occhiali e i suoi occhi da cervo sembravano ancora più grandi del solito. Dalle fiamme che ardevano nelle sue iridi, capii subito cosa stava pensando e quella passione bollente mi incendiò ogni lembo di pelle che lui accarezzava con lo sguardo. Mi scrutò con estremo interesse, dalla punta dei miei piedi scalzi alle ciocche bionde dei miei capelli, soffermandosi più a lungo dove l’orlo del vestito mi accarezzava le cosce e dove la stoffa mi fasciava i fianchi e il seno.
Trattenne il respiro, mentre continuava a lasciar scorrere lo sguardo sul mio corpo. «Cazzo, così non va bene per niente.»
Mi morsi il labbro. «Adeline ha insistito affinché lo indossassi, ma non penso che sia stata una buona idea.»
«Infatti.» Fece un mezzo passo in avanti. «Come diavolo faccio a concentrarmi se tu sei vestita così? Sei stupenda.»
Arrossii, ma non abbassai lo sguardo. Mi scostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Dici così perché non porti gli occhiali. Non vedi bene…»
«In realtà, ci vedo benissimo anche senza.» Si strinse nelle spalle e fece per sistemarsi la montatura sul naso, ma lasciò ricadere il braccio lungo i fianchi quando si ricordò che non c’era. «Sono solo occhiali da riposo.»
«Allora perché li porti sempre?»
Scrollò le spalle. «Per non sembrare uno stupido giocare di football.»
«Ah.»
«Già. Ah.» Ancora una volta i suoi occhi scesero sulle mie gambe. «Dio, sei davvero da mozzare il fiato.»
Avvampai. «Grazie.»
A quel punto, Adeline scese la scala che collegava i due piani della casa e mi rivolse un sorriso birichino e uno sguardo di intesa dietro le lenti spesse degli occhiali. «Non c’è di che», mi sussurrò mentre mi superava.
«Ciao, Adeline», la salutò Liam. Però i suoi erano incollati sulle mie clavicole scoperte.
Lei gli lanciò un’occhiata e il suo sorriso beffardo si ampliò. «Sterling, ti consiglio di asciugarti la bava alla bocca. Rowan è una strafiga, è vero, ma abbiamo delle cose importanti da fare questa sera…»

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


.18.
 
 
 
 
 
Una Shelby Mustang rossa si parcheggiò di fronte alla Comet blu di Liam, e Hawke scivolò fuori dall’abitacolo con la sua solita eleganza silenziosa. Infilando le mani nelle tasche della giacca di pelle nera, ci venne incontro e ammiccò in modo esagerato quando i suoi occhi neri scesero sulle mie gambe nude. «Bella mercanzia, splendore», commentò, avvolgendomi le spalle con un braccio e rivolgendomi quel suo ghigno. «Adesso capisco perché Fossette vuole così tanto entrarti nelle mutande…»
Assestai una gomitata fra le sue costole, lanciandogli un’occhiata di avvertimento. «Non cominciare.»
Con una risatina sghignazzante, mi lasciò andare.
Rivolse un sorriso smagliante a Adeline, che lo scrutava con sospetto con le palpebre assottigliate sugli occhi a mandorla, e un cenno del mento in direzione di Liam, che rispose con una smorfia di disappunto. «Tutti pronti per questa entusiasmante avventura?» domandò, agitando le mani ancora nelle tasche della giacca.
Adeline arricciò la punta del nasino, mentre si voltava e mi rivolgeva la sua totale attenzione. «Davvero non possiamo entrare? Davvero io non posso entrare?»
«Meglio di no.» Scossi la testa con fare risoluto. «Fino ad ora sei riuscita a non attirare l’attenzione delle Congreghe della città, Addy, e, credimi, ti conviene che le cose restino in questo modo.»
Lei sbuffò e mi voltò le spalle, fingendo che le gomme della macchina di Liam fossero la cosa più interessante del mondo.
Io mi scambiai una lunga occhiata con Liam, che continuava a far vagare gli occhi sul mio corpo – come, d’altronde, aveva fatto da quando mi aveva vista, per tutta la durata del tragitto in macchina e mentre aspettavamo Hawke. Quando le sue iridi si mescolarono alle mie, aprì la bocca come se avesse voluto dire qualcosa, ma poi cambiò idea all’improvviso e la richiuse.
Hawke mi rivolse un cenno della testa. «Andiamo, splendore?»
«Okay», mormorai, incamminandomi verso l’entrata del ristorante più elegante e lussuoso che io avessi mai visto in tutta la mia vita. In quel momento, fui davvero contenta di indossare quel vestito: forse non avevo le curve giuste, ma almeno non erano il paio di jeans e il maglione oversize che ero solita indossare.
Liam avvolse il mio braccio fra le dita affusolate e mi trattenne al suo fianco. Abbassò il mento e incurvò le spalle per avvicinarsi a me, mentre io rovesciavo la testa all’indietro per continuare a guardare meglio quel suo viso dai lineamenti perfetti.
«Stai attenta», sussurrò lui ad un centimetro dalle mie labbra.
Mi inumidì la bocca con la lingua e mi schiarii la gola. «Io sono sempre attenta.»
«Lo so.» Fece quel suo sorrisetto storto che mi faceva venire le gambe molli. «Ma ripeterlo non fa mai male.»
«Non devi preoccuparti di niente. Io e Hawke faremo solo una chiacchierata con loro per scoprire se sanno qualcosa.»
Liam inspirò di scatto e con un sospiro rilasciò tutta l’aria. Il suo alito caldo si infranse sulla mia bocca, provocandomi una lunga serie di brividi. «So che ti fidi di lui e so anche che lui tiene a te abbastanza da non metterti in situazioni pericolose, ma comunque non mi piace lasciarti andare.» Mi scostò dietro le spalle i capelli e cominciò ad accarezzarmi con il pollice la linea della mia gola, dal mento all’attaccatura delle clavicole. «Vorrei poterti seguire ovunque, ma sono solo un umano…»
Non riuscii ad impedirmelo e passai una mano sulle ciocche ribelli dei suoi capelli castani che gli sfioravano la fronte. «Non dirlo come se fosse una cosa brutta.»
«Se mi impedisce di stare con te, lo è.»
Abbassai lo sguardo e mi morsi il labbro.
Sapevo che la sua natura umana avrebbe dovuto costituire un ostacolo per noi due, ma non era così. Provavo comunque dei sentimenti travolgenti per lui, sentimenti che non ero capace di soffocare o ignorare. Mi stavo innamorando di lui alla velocità della luce, dopo averlo veramente conosciuto solo da poche settimane, come se il mio cuore e la mia anima avessero sempre saputo di appartenere a lui.
E anche se sapevo che la fine – la mia, o quella del mondo – era molto vicina, non esitai un secondo a replicare: «Niente di impedisce di stare con me, Liam. Solo perché non puoi seguirmi ovunque, non vuol dire che io non ti porto sempre con me.» Avvolsi le dita attorno al suo polso e spostai la sua mano sul mio petto. Dietro la cassa toracica il mio cuore batteva all’impazzata e si andava a scontrare contro la delicata pressione del suo palmo aperto. «Tu sei sempre qui dentro.»
Liam trattenne il respiro e abbassò ancora la testa fino a che la sua fronte si incollò alla mia. Il suo naso mi sfiorava le sopracciglia e la sua bocca era tremendamente vicina alla mia, tanto che potevo sentirne il calore e immaginarne il sapore. «In questo momento ho davvero una voglia matta di baciarti.»
Alzai di qualche millimetro il mento per andargli incontro. Schiusi le labbra.
Lui scosse la testa. «Ma non adesso. Non così.» E mi lasciò andare.
Poi, con la mano di Hawke ferma sulla base della mia schiena, entrai nel ristorante.
Ci fermammo di fronte al bancone dell’accettazione, dove un ragazzo con indosso uno smoking nero e l’acne sulle guance ci accolse con un sorriso cordiale ma freddo. «Avete una prenotazione?» domandò.
Hawke sfoggiò il suo sorriso più smagliante. «Abbiamo un appuntamento con Diana. Lei mi sta aspettando.»
Il ragazzo spalancò gli occhi scuri e alzò le sopracciglia verso l’attaccatura dei suoi capelli scuri. Fu abbastanza veloce a ricomporsi e indicarci con una mano l’ascensore dalle porte color oro che si trovava alle sue spalle. «Immagino conosciate la strada.»
«Sì, la conosco.»
Salimmo in completo silenzio fino a raggiungere l’attico del palazzo.
Il rumore di posate e bicchiere che tintinnavano e il debole brusio delle conversazioni dei commensali si spensero nel momento esatto in cui io e Hawke entrammo nella sala.
Lui tornò ad avvolgermi un braccio intorno alle spalle e, se non fossi stata estremamente nervosa, me lo sarei scrollata di dosso con una gomitata nelle costole. Ma ero nervosa e lasciai che il calore della sua pelle sulle mie spalle scoperte placasse i miei nervi. Mi guidò tra i tavoli, rivolgendo sorrisi qua e là come se conoscesse tutti.
Mi morsi un labbro, mentre osservavo ogni viso presente in quella sala affollata. Ci stavano guardando tutti. «Sono tutte streghe?»
«La maggior parte, sì.» Abbassò la bocca sul mio orecchio. «Alcuni sono demoni di basso rango, altri sono solo umani che credono di sapere qualcosa sulla magia, e altri ancora sono lontani discendenti delle streghe che ormai nelle vene hanno sangue demoniaco così diluito da non aver alcun potere.»
«Lo sai che questi tipi di incontri non sono proprio legali, vero?»
Lui fece una risatina, scuotendo i riccioli neri. «Sii contenta che non seguono le regole, splendore, o noi non avremmo nessuno che può darci le informazioni di cui abbiamo bisogno.»
«Io sono la prima a infrangere tutte le regole, lo sai.» Mi strinsi nelle spalle. «Mi chiedevo solo come fanno ad incontrarsi all’insaputa dei Vigilanti…»
«Incantesimi, splendore. Ci sono un numero infinito di magie capaci di nascondere la tua presenza agli altri. E non sono nemmeno troppo difficili. Forse persino Adeline sarebbe capace di farlo, se qualcuno le mostrasse come. E questa è una Congrega molto numerosa e molto potente: un incantesimo del genere per loro è più facile di quello che immagini.»
Assottigliai le palpebre sugli occhi. «Tu come conosci questa Congrega?»
«Conosco una strega di questa Congrega…»
«E come la conosci?»
«Le ho fatto un favore anni fa. Una specie di patto con il diavolo… non so se mi spiego», disse.
«Ti spieghi benissimo», mormorai. Lo guardai dal basso verso l’alto, mordicchiandomi il labbro inferiore. Sebbene lo conoscessi da molti anni, c’erano ancora molte cose che non sapevo sul suo conto. «Non mi ero resa conto che fossi un Patteggiatore…»
I Patteggiatori erano quei demoni che, attraverso un contratto legale, potevano prendere possesso dell’anima di un mortale in cambio di qualsiasi cosa loro desiderassero. Per quanto suonasse orribile, non era nemmeno una violazione delle regole: gli umani che firmavano sapevano bene a cosa stavano rinunciando e sceglievano comunque di farlo.
«Credevo che tu dovessi solo controllare l’entrata degli Inferi che sbuca in questa parte del mondo mortale», aggiunsi, senza staccare gli occhi dal suo profilo.
«Quello è il mio incarico ufficiale da qualche secolo ormai. Ma qualunque demone di alto rango ha il potere e anche il diritto di corrompere le anime mortali. Un po’ come in un negozio ogni commesso deve vendere un certo numero di articoli, il compito di noi demoni è quello di dannare quante più anime possiamo. Qualsiasi demone, specialmente quelli di alto rango, possono reclamare un’anima che ci è stata consegnata secondo le regole.»
«E questa strega… ti ha consegnato la sua anima con un patto?»
«Solo un pezzetto», disse, mentre con il dito mi indicava un tavolo apparecchiato per tre. Una ragazzina che non poteva avere più di sedici anni sedeva da un lato, mentre degustava una bistecca al sangue delle dimensioni della sua testa. I capelli castano ramato erano tagliati alla francese e una frangettina le sfiorava la parte alta della fronte. Un vestito grigio dal taglio sartoriale e rigido le fasciava un corpicino da folletto e le lasciava scoperte le braccia magre come due fili d’erba. «Diana è venuta da me sapendo a cosa andava incontro.»
«Ma se tu hai il diritto sulla sua anima quando morirà, come dice il contratto, perché lei ti deve un favore? Il debito è già stato pagato, e anche a caro prezzo se vuoi sapere la mia opinione.»
«No, grazie, non voglio sapere la tua opinione. Sei una persona troppo buona e so che non approveresti il mio lavoro di demone – che comunque non ho più svolto con la frequenza con cui avrei dovuto da quando ti ho conosciuta.» Mi avvicinò le labbra all’orecchio e uno strano brivido mi serpeggiò lungo la schiena. «Tu mi stai cambiando.»
«Dovrei sentirmi in colpa?» Inarcai un sopracciglio.
«Be’… non lo so.» Si strinse nelle spalle. «Io però lo intendevo come un complimento: sei riuscita a rendere più buono – per quanto potrà mai essere buona una creatura infernale – uno stronzo come me.»
Non riuscii ad impedirmi di sorridere.
Anche lui piegò gli angoli delle labbra verso l’alto in un sorriso che non aveva niente della sua solita arroganza e la sua ironia maliziosa. Era il più genuino che gli avessi mai visto fare.
«Comunque, Diana non mi ha dato la sua anima per intero. Il contratto che le ho proposto chiedeva in cambio un favore e un po’ della sua anima.»
Spostai lo sguardo sulla strega seduta a qualche tavolo di distanza da dove ci trovavamo noi. Assottigliai le palpebre mentre tornavo a guardare Hawke. «Le hai proposto questo patto perché preferivi avere un debito con una strega piuttosto che la sua anima, vero? È così potente?»
«Oh, sì. In questo momento le potrei chiedere qualsiasi cosa.»
«Eppure tu hai intenzione di chiederle solo una piccola informazione, una che lei potrebbe non avere.» Mi fermai e lo inchiodai sul posto con lo sguardo. Gli sfiorai il bicipite con la punta delle dita. La sua pelle era sempre molto calda, anche se faceva freddo e lui indossava solamente una maglietta a maniche corte e la giacca di pelle lasciata aperta sul petto. «Perché? Non è molto demoniaco…»
«No, non lo è.» Lui distolse lo sguardo dal mio viso. «Ma me lo hai chiesto tu.»
«Hawke…»
Ma avevamo ormai raggiunto il tavolo e la strega si accorse della nostra presenza, così io richiusi di scatto la bocca.
Lei sollevò per un solo istante lo sguardo su di noi e poi tornò a prestare la sua totale attenzione alla bistecca davanti a lei.
Hawke lo prese come un invito a sedersi e, dopo aver fatto rumorosamente strisciare le zampe della sedia sul pavimento, si abbandonò su di essa. Mi lanciò un’occhiata, allora io lo imitai e presi posto al suo fianco.
«Principe», lo accolse la ragazzina.
Con la bocca spalancata, mi voltai con uno scatto violento per guardare Hawke. Una parte di me aveva sempre avuto il sospetto che lui in realtà fosse un Re o Principe dell’Inferno. Ma averne la certezza, in quel momento, mi fece accapponare la pelle. Senza nemmeno saperlo, ero diventata l’amica – se così poteva definirsi il nostro rapporto – di uno degli angeli che duemila anni prima aveva seguito Lucifero nella sua ribellione e dannato per sempre la sua anima.
Porca. Merda.
Hawke mi rivolse un sorrisetto storto, evidentemente divertito dalla mia reazione.
«Non ti vedo da molto tempo, e ora decidi di presentarti nella mia casa con…» La strega spostò lo sguardo su di me e, con un’espressione di disgusto, mi indicò i denti della forchetta, «questa cosa. Devo dire che sono piuttosto delusa.»
Se non fossi stata sconvolta e sorpresa dalle sue parole, mi sarei incazzata moltissimo per essere stata definita una “cosa”. Ma lei dava l’impressione di sapere benissimo cosa ero e questo aveva la priorità sul mio orgoglio e la mia rabbia. «Conosci la mia vera identità?»
La streghetta sollevò appena un sopracciglio. «Certo. E devo dire di non essere molto contenta di avere un esemplare della tua razza sotto il mio tetto.»
«Diana», intervenne Hawke, dopo aver abbassato per un secondo lo sguardo sui miei pugni serrati e la mia espressione furiosa. «Garantisco io per lei.»
«Quando si tratta di Nephilim, Principe, non mi fido nemmeno di te. C’è un motivo se la sua razza ha smesso di esistere…»
Sbattei con violenza un pungo sul tavolo, facendo tintinnare le posate e i bicchieri, e mi sporsi in avanti. «Continua ad insultarmi, nana, e sarà il tuo naso a smettere di esistere!»
Lei piegò le labbra in un sorriso, come se si fosse aspettata quella reazione da parte mia. E questo mi fece infuriare ancora di più. Avevo così tanta voglia di prenderla a pugni che le mani mi prudevano e il sangue mi bruciava nelle vene.
«Diana», ripeté Hawke. Aveva intrecciato le dita sul tavolo e fissava la strega con i suoi penetranti occhi neri. «Non mi importa proprio un cazzo di niente della tua opinione. Fattela piacere, perché tu mi devi un favore e io sono qui per riscuotere.»
Lei abbandonò le posate sul piatto e avvolse tra le dita piccole il bicchiere di vino rosso. «Un debito con una strega è una cosa molto potente, Principe. Sei sicuro di voler sprecare questa occasione per una come lei?»
«Sai cosa sta succedendo in questo momento?» domandò lui, appoggiando la schiena contro lo schienale della sua sedia e incrociando le braccia al petto.
«Se ti riferisci alle quattro persone che sono state ritrovate senza il loro sangue, sì, la Congrega è stata informata.»
«Allora saprai cosa significa.» Senza aspettarsi una vera risposta, Hawke si sporse in avanti con i gomiti sulla tovaglia e proseguì: «Significa che la fine del mondo è alle porte e, dal momento non ho nessuna voglia di passare il resto della vita a combattere una guerra eterna, sì, ho bisogno di quel favore.»
Diana nascose il naso nel suo calice e si prese tutto il suo tempo per assaporare il vino. «Molto bene. Cosa vuoi?»
«Abbiamo scoperto che le vittime erano delle benedizioni», la informai con tono gelido, mentre cercavo ancora di placare la furia che mi incendiava il sangue. «Per trovarle, l’assassino deve aver fatto affidamento ad un incantesimo. Non c’è altro modo di scovarne una: il loro odore è completamente nascosto da quello dei mortali con cui vivono.»
«Sì, è corretto.» Diana appoggiò il bicchiere sul tavolo e tornò ad impugnare le posate e tagliare la bistecca.
«Voi sapete chi potrebbe aver fornito al nostro assassino tale incantesimo?» domandò Hawke.
«Siamo state noi – e per una somma di denaro molto alta.»
«Voi? Avete collaborato con un demone?» mi indignai. Con uno scatto violento, mi alzai dalla sedia e sbattei una mano sul tavolo.
Lei non si scompose. «Non abbiamo infranto nessuna regola.»
«Collaborare con i demoni non è permesso, piccola deficiente.»
Tremavo dalla rabbia e, dalla puzza di bruciato che sentivo nell’aria, dovevo aver perso di nuovo il controllo sul mio potere. Se non fossi riuscita a trattenermi, quella sera avrei dato fuoco anche alla tovaglia e tutto il ristorante oltre al preziosissimo tappeto di Elias.
«A chi avete dato l’incantesimo, Diana?» chiese Hawke con voce molto più modulata della mia.
Lei fece una risatina, mentre io sentivo una furia velenosa e potente scuotermi le membra e sapevo che trattenermi ancora sarebbe stato difficile. «Non posso dirtelo, Principe.»
«’Fanculo alla privacy, Diana», sbottò Hawke. Era ovviamente arrabbiato, ma a differenza mia, era rimasto seduto sulla sua sedia con un’espressione annoiata stampata sulla faccia. «Stiamo parlando della fine del mondo. E tu non vuoi che il mondo finisca. Il nostro piccolo patto del secolo scorso ti ha procurato un biglietto di sola andata per laggiù. Credimi, dolcezza, non è un bel posto.»
Ah.
Wow.
A quanto pareva, quella piccola deficiente non era poi così tanto piccola.
Lei sussultò appena. «Non abbiamo collaborato con i demoni», disse. Il suo tono era molto meno sicuro e arrogante. «La persona che è venuta a comprare l’incantesimo era un umano.»
Mi bloccai sul posto, con le mani ancora ferme sulla tovaglia e gli occhi fissi sul volto da folletto della strega che avevo di fronte.
Hawke si sporse in avanti. «Un umano?»
«Esattamente. Per questo motivo gli abbiamo dato l’incantesimo. Non pensavamo che sarebbe successo… tutto questo.»
Hawke rise e gettò la testa all’indietro. «E cosa cazzo pensavi che sarebbe successo, di preciso?»
Lei non rispose.
«Quale umano?» domandai io, sporgendomi in avanti.
«Non lo so.»
La mia mandibola si staccò con violenza dalla mascella. «Non lo sai?»
«Non lo so», ripeté. «Era solo un umano con molti soldi. La Congrega ha bisogno di denaro per andare avanti.»
«Ma ti rendi conto di cosa avete fatto?» Stavo per esplodere e ogni creatura in quella stanza sapeva che se lo avessi fatto sarebbe stata la sua fine. «Quattro persone sono morte per colpa vostra!»
«Noi non abbiamo ucciso nessuno», replicò Diana, senza scomporsi e senza distogliere lo sguardo dal suo piatto.
Serrai pugni sulla tovaglia. «Il vostro incantesimo ha portato alla morte di quattro persone, stronza!»
«Un incantesimo è solo un incantesimo, come una spada è solo una spada.» Sollevò appena gli occhi scuri per un secondo. «Le intenzioni dietro l’uso di tali strumenti non sono una nostra responsabilità.»
Mi voltai verso Hawke. «Sto per prenderla a calci nel culo», annunciai, mentre il mio potere risaliva in superficie e io mi preparavo a colpirla.
Lui avvolse le dita sul mio polso e mi trattenne dalla sua parte del tavolo. Alzò lo sguardo su di me. «Non abbiamo il tempo.»
Diana sorrise, tesa ma compiaciuta. «Immagino che questo significhi che il nostro debito è stato pagato, Principe. Io non devo più niente a te, e tu non devi più niente a me.»
«Certo.» Hawke teneva ancora le dita intrecciate al mio polso quando si alzò in piedi con calma, senza fare il minimo rumore. Piegò le labbra in un sorriso che ebbe il potere di gelarmi il sangue nelle vene. «Ma sappi che quello che tu hai scelto di fare, dando l’incantesimo a quello umano, mi ha molto contrariato. E se quando riusciamo a fermare l’Apocalisse, tu verrai da me una seconda volta per farti allungare ancora la vita, me ne fregherò delle regole e taglierò la tua gola e quella di ogni membro della tua Congrega per poi banchettare sulle vostre carni fino a scoppiare.»
Poi, mentre la strega sussultava e serrava le dita attorno alle sue posate, Hawke mi spinse verso l’uscita con una mano sulla schiena.
L’intera stanza era nel silenzio più assoluto e tutti ci guardarono uscire.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


19
 
 
 
 
 
«Un umano!» esclamai un secondo dopo che le porte dell’ascensore si rischiusero alle nostre spalle. Sentivo ancora le guance accaldate a causa della rabbia e l’adrenalina che mi scorreva nel sangue. Stare ferma e in silenzio era praticamente impossibile.
Hawke abbandonò la schiena contro la parete. «Guarda che ho sentito. L’ultima volta che ho controllato avevo due orecchie perfettamente funzionanti.»
Mi voltai verso di lui con uno scatto. «Un umano», ripetei. «Perché un umano dovrebbe aver bisogno di sangue angelico, Hawke?»
Lui non rispose subito. Si limitò ad alzare la testa e osservare il numero dei piani che stavamo percorrendo con lentezza davvero insopportabile. «Possiamo discutere e fare ipotesi su questo più tardi. Prima c’è una cosa di cui dobbiamo parlare noi due da soli, e abbiamo solo pochi piani per farlo.»
«Di che diavolo parli?»
«Rowan, io so cosa succede se uccidi un umano.»
Incespicando nei miei stessi piedi, barcollai all’indietro fino a sbattere con la schiena contro la parete opposta alla sua. «Lo sai?»
«Sono un Principe dell’Inferno.» Mi scoccò una rapida occhiata sbieca. «E soprattutto sono su questa terra da più di duemila anni. Certo che lo so.»
Assottigliai le palpebre sugli occhi e sollevai il mento. «È per questo che sei rimasto al mio fianco per tutto questo tempo?»
Hawke picchiò la nuca contro la parete, imprecando. «Cristo, Rowan, ma perché pensi che tutto abbia a che fare con il tuo sangue?»
«Perché è così!»
«Non per me, cazzo.» Serrò le labbra e inspirò forte dal naso. «E nemmeno per Liam e Adeline. Quando accidenti vorrai capirlo?»
Mi morsi il labbro, incapace di trovare qualcosa con cui replicare.
«Li ho visti una volta, sai?» Fece una pausa, e mi scoccò una rapida occhiata. «I Nephilim nella loro vera forma.»
«Erano dei mostri, vero?»
«Erano bellissimi
«No, non è vero», mormorai.
Ancora prima di accorgermi che si era avvicinato, sentii le sue nocche sulla mia guancia e la sua carezza fu così dolce e delicata da sorprendermi. Sentii uno strano ed inaspettato sfarfallio nello stomaco, una vibrazione piacevole nella pancia. La pelle cominciò a bruciare e il sangue affluì con violenza nei punti in cui le sue dita mi toccavano. Sollevai lo sguardo con uno scatto e incontrai le sue iridi scure che mi fissavano con un’intensità tale da farmi rabbrividire.
Hawke non mi aveva mai guardata in quel modo, e in quel momento non sapevo proprio come interpretarlo.
«Erano bellissimi», ripeté. «Erano potenti e maestosi. Nei loro occhi ardevano le fiamme del fuoco celeste e la loro pelle sembrava essere fatta di marmo bianco e lucido.»
«Hawke…»
«Quando ti ho vista per la prima volta, ho riconosciuto subito il fuoco celeste nei tuoi occhi – un fuoco che non ha un cazzo di niente a che fare con quella specie di scintilla nei Vigilanti – e io…» Serrò le labbra e i muscoli della sua mandibola fremettero. La sua mano si aprì sulla mia guancia. «Ho vissuto per moltissimi anni, Rowan, e tu sei la creatura più bella che io abbia mai visto su questa terra. Di tutte le cose che il Grande Uomo lassù ha creato… tu sei quella che non si aspettava e sicuramente la più imprevedibile di tutte, ma anche la più meravigliosa. Questa è la ragione per cui sono rimasto al tuo fianco per tutto questo tempo.»
«Ma…» deglutii a vuoto, «i Nephilim uccidevano gli umani. Li uccidevano come se fossero meno dei moscerini, come se tutto quello che avessero significato per loro prima della maledizione fosse sparito.»
«Chi dice che sia una maledizione, splendore?»
«Io.» Non riuscivo a distogliere gli occhi dai suoi. Erano neri e profondi come due pozzi infiniti e misteriosi. «Se dovessi diventare così, ne morirei. Quella sono io adesso – la ragazza in parte umana che è di fronte a te in questo momento, la ragazza che hai conosciuto in questi anni – ne morirebbe. Non potrei sopportare l’idea di fare del male alle persone che fanno della mia vita mortale.»
Lui fece un sorriso malinconico e vidi tutti gli anni della sua esistenza pesargli sulle spalle. «Lo so, Rowan.»
Inspirai a fondo e, per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, mi accorsi che Hawke aveva davvero un buon odore. Non eravamo mai stati così vicini come in quel momento. Ma ora il suo profumo mi avvolgeva come una coperta. Era dolce e speziato allo stesso tempo. Come la cioccolata.
«So che se uccidessi un essere umano – anche se lui o lei fosse il vero responsabile di questi omicidi – diventerei quello che ho sempre avuto paura di diventare.» Le lacrime mi spezzavano il fiato in gola. Lui ne catturò una con il polpastrello del pollice. «Ma non posso nemmeno lasciare che questo tizio continui con… qualsiasi cosa stia cercando di fare. E se davvero io non ho scelta e sarò costretta a diventare un vero Nephilim, allora è giusto che io lo faccia per una buona causa.»
Le dita di Hawke scivolarono sulla mia mandibola, poi sulla mia nuca e mi attirarono il viso contro il suo. Quando parlò, il suo alito caldo e dolce si infranse contro le mie labbra: «Tu hai una scelta. Puoi lasciare che sia io ad ucciderlo.»
Scossi la testa, la fronte incollata alla sua. I suoi capelli mi solleticavano la pelle delle tempie. «No, Hawke, non puoi farlo nemmeno tu.»
«Certo che posso. Sarà un gioco da ragazzi, più facile che spezzare un ramoscello.»
Mi allontanai quel poco necessario affinché riuscissi a mettere bene a fuoco i lineamenti del suo viso. «Guarda che anche io so cosa succede se un demone uccide un umano che non è sulla lista del Triste Mietitore. È una grave violazione delle regole.»
Lui chiuse gli occhi, ma non disse niente.
«Non ci sono mai stata, ma non credo proprio che le Fosse Infernali siano un buon posto dove passare il resto dell’eternità…»
«In effetti, ci sono delle pessime recensioni su Trip Advisor
Scoppiai a ridere, mentre lui mi lasciava andare e faceva un mezzo passo all’indietro. «Ma non mi importa, Rowan. Farei qualsiasi cosa – lecita e non – purché tu sia salva.»
Lo guardai a lungo, incapace di replicare. La sua voce non aveva tentennato nemmeno per un secondo. I suoi occhi neri non avevano lasciato i miei. Era sincero.
Annullai la distanza fra di noi e lo abbracciai in un impeto di affetto, avvolgendogli il collo con le braccia e appoggiando la testa sulla sua spalla. «Lo so», mormorai. «È per questo motivo che non voglio che tu lo faccia.»
A quel punto, le porte dell’ascensore si aprirono. Lo guardai in viso, mentre mi allontanavo da lui per oltrepassare la soglia. «Ti prego, non dire a Liam quello che ci siamo detti sulla maledizione. Nemmeno a Adeline.»
«Sarò muto come un pesce.» Intercettò le mie dita; le strinse forte per un solo istante, poi le lasciò andare.
Uscendo dall’edificio, il vento freddo tipico di ottobre riuscì a placare le emozioni contrastanti che sentivo dentro e che mi scuotevano le membra. Mi strinsi nella giacca di pelle e camminai a passo spedito verso la Comet di Liam e la Mustang di Hawke.
Adeline era appoggiata contro la portiera del guidatore della macchina blu con gli occhi abbassati sull’asfalto e l’unghia del pollice stretta fra le due file di denti. Liam camminava avanti e indietro davanti al cofano della sua auto, con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni e i muscoli della mascella tesi al massimo. Entrambi ci vennero incontro, quando ci videro.
«Com’è andata?» domandò Adeline.
Hawke fece un sorriso diabolico. Era tornato ad essere il solito se stesso, come se quei momenti di dolcezza e premura in ascensore non ci fossero mai stati. «Rowan, come al suo solito, si è arrabbiata e stava per prendere a calci nel culo la strega con cui parlavamo.»
Feci un sorrisino. «Guarda che sei tu quello che ha appena minacciato di mangiare l’intera Congrega. E devo dirlo, è stato parecchio inquietante» dissi, mentre gli occhi di Adeline si spalancavano e la bocca di Liam si schiudeva.
«Oltre alle varie minacce, vi hanno detto qualcosa di utile?» chiese Liam, tirando fuori le mani dalle tasche.
Io e Hawke ci scambiammo una lunga occhiata di intesa, poi riferimmo quello che Diana ci aveva detto.
Adeline si portò le mani alla bocca. «Un umano?»
«Già.»
«Ma quale essere umano farebbe una cosa del genere? In teoria, i mortali non dovrebbero nemmeno sapere dell’esistenza delle benedizioni.»
Intrecciai le braccia al petto per schermarmi dal freddo. «Forse un umano posseduto. I demoni di alto rango sono perfettamente capaci di influenzare le menti degli umani e costringerli a fargli fare tutto quello che vogliono.»
«Oppure un umano che odia davvero gli angeli», intervenne Hawke.
Sollevai gli occhi su di lui, che mi fissava con serietà. «Credi davvero che possano essere stati loro?»
«Ricordi quella mattina alla tavola calda, quando ti ho detto che non riuscivo ad immaginare un essere umano fare una cosa del genere e tu hai replicato che l’intera umanità è cambiata da quando i Vigilanti sono usciti allo scoperto?»
«Be’, sì, ma…»
«Devi ammetterlo, splendore: non sarebbe così strano…»
«Detesto quando fate così, voi due! Ci siamo anche noi qui, quindi siete pregati di dirci di cosa state parlando», sbottò Adeline.
«Dell’Ordine dei Figli di Dio», spiegai.
Liam perse di colpo il cipiglio corrucciato, e inarcò un sopracciglio. «Vi state riferendo a quella specie di setta di religiosi che odia i Vigilanti? Quella della chiesa cattolica nel quartiere di Portsmouth?»
Annuii, massaggiandomi le palpebre.
Da quando i Vigilanti erano usciti allo scoperto e l’umanità era venuta a sapere che al mondo esisteva molto di più di quello che credeva, erano nati parecchi movimenti che contrastavano la loro esistenza – come se protestare potesse rendere tutto meno reale. Erano davvero ridicoli. Ma l’Ordine dei Figli di Dio non era un gruppetto di fanatici e basta. Non avevo la minima idea di come questi imbecilli sapessero tutte quelle cose sul nostro mondo, ma le sapevano. Ed era fottutamente spaventoso, dal momento che non solo si addestravano fin da bambini allo stesso modo in cui venivano addestrati i Viglianti, ma anche perché coltivavano il vischio e usavano armi in ferro – altamente tossiche per qualsiasi creatura celeste, compresa la sottoscritta.
In poche parole, se loro erano davvero coinvolti in qualche modo a quegli omicidi, noi eravamo in un mare di merda. Noi non potevamo intervenire contro gli esseri umani perché avremmo interferito con il loro libero arbitrio.
 «Se l’Ordine c’entra davvero qualcosa in tutta questa storia», mormorai, «cosa cavolo se ne fa del sangue? Loro detestano qualsiasi cosa abbia a che fare con gli angeli caduti da lassù. Credono che siano una specie di abominio, l’incarnazione del peccato che cammina e vola.»
«Non lo so», rispose Hawke. Aveva lo sguardo perso in qualche pensiero. «Ma ha senso, Rowan. Nessun altro umano saprebbe dell’esistenze delle streghe e di un incantesimo del genere.»
Mi mordicchiai il labbro, pensierosa. Aveva ragione: quello che diceva aveva senso, e anche parecchio.
«Ma come la vuoi gestire? Non è che possiamo presentarci alla loro porta e chiedergli se stanno uccidendo degli angeli caduti dal cielo. Specialmente noi due.»
«Possiamo andare noi», propose Liam. Fece un passo in avanti e indicò Adeline con un cenno della testa. «Voi due siete andati a parlare con le streghe, io e Adeline possiamo parlare con una setta di umani fanatici.»
Incrociai le braccia al petto e sostenni il suo sguardo. «Non credo proprio che sia una buona idea.»
«Io credo che sia un’idea fantastica, invece.» Liam fece un altro passo in avanti e annientò la distanza tra noi due. «Tu non puoi andare a parlare con loro, perché saresti in pericolo. E nemmeno Hawke, perché se odiano gli angeli, non voglio nemmeno immaginare quanto possono odiare i demoni.»
«Ha ragione», disse Hawke.
«No, che non ha ragione.» Assottigliai le palpebre, e tornai subito a prestare la mia totale attenzione dal volto di Liam. «Dici così solo perché vuoi farmela pagare per averti fatto aspettare qua fuori, mentre parlavo con le streghe. Vorresti farmi fare la stessa cosa.»
«In un certo senso, sì, è vero.» Almeno era onesto, dovevo concederglielo. «Però sai che ho ragione.»
«Sì, ma…» Mi bloccai di colpo.
La sensazione di bruciore sulla pelle era tornata, molto più forte di prima. Mentre i peli mi si rizzavano e una dolorosa pressione mi schiacciava il petto, compresi che non eravamo più al sicuro.
Liam, come sempre, si accorse subito del mio cambiamento. Posò una mano sul mio fianco. «Che succede?»
«Avverto dei demoni…»
Hawke si schiarì la gola e alzò le braccia. «Splendore, io sono proprio qui di fianco a te.»
«No, è diverso. È più intenso.»
«Io sono intenso.»
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. «Nel senso, che avverto più di un demone.»
«Quanti?»
«E che ne so. Mica sono un radar demoniaco.»
Hawke scrutò il marciapiede sul quale ci trovavamo e quello dalla parte opposta della strada. Poi serrò i pugni sui fianchi e strinse la mascella. «Cazzo, adesso li sento anche io.»
«Che ci fanno qui?» domandai. «Pensi che sia stato mandato qui per far del male a Liam e Adeline, come quel sicario nel bagno dei ragazzi?»
«Quale sicario?» si allarmò Adeline.
Hawke posò i suoi occhi neri su di me. «Tutto è possibile, splendore. E finché non sappiamo chi c’è davvero dietro a tutto questo teatrino, non escludo nessuna possibilità.»
Mi voltai con uno scatto così violento che mi schiaffeggiai una guancia con le punte dei capelli. Posai una mano sul petto di Liam e lo spinsi verso la sua macchina. «Vattene
«No!» Mi strinse i polsi fra le dita. «No, io rimango con te. Non ti lascio da sola. Posso combattere come mi hai insegnato tu.»
«Lee, no!» Feci scivolare le mani sul suo collo e poi sulla sua nuca, costringendolo ad abbassare la fronte sulla mia. «Un conto sono io che ti sbatto il culo su un materassino, un altro sono demoni che vogliono ucciderti. Lo capisci?»
La sua mandibola si serrò con così tanta violenza che sentii i suoi molari sbattere gli uni contro gli altri. I muscoli del suo viso erano tesi e i suoi occhi si scurirono. «Rowan…»
«Ti prego, non farmi questo. Non sei pronto a combattere contro un demone vero, e io non posso sopportare che ti facciano del male.»
Lui espirò con forza il respiro e il suo alito che sapeva di menta frizzante si infranse sulla mia bocca. Alla fine annuì. «Ti giuro su Dio, però, che se non torni da me entro cinque minuti, vengo a cercarti.»
Ridacchiai, mentre il sollievo mi alleggeriva il petto e mi permetteva di tornare a respirare in modo corretto. «Sono brava, ma cinque minuti sono troppo pochi.»
«Arrivano. Sono due arpie, splendore», mi avvisò Hawke. Teneva gli occhi sulla strada. «Ti conviene tirare fuori qualche asso nella manica, o dovrò cavarmela da solo e non sarà altrettanto divertente.»
«Se per asso nella manica intendi armi, sono preparata.»
«Perfetto! La nostra serata è diventata mille volte più interessante, splendore», esclamò lui, mentre cambiava forma e assumeva il suo vero aspetto demoniaco.
La sua pelle abbronzata si assottigliò sempre di più fino a diventare di un rosso lucido e brillante. Al suono spaventoso di ossa che scrocchiano, seguì quello del delicato fruscio delle piume e due enormi e ampie ali nere sbucarono sulla sua schiena. Le sue unghie si allungarono sempre di più fino a che gli artigli non ne presero il posto, e quando mi rivolse un sorriso malizioso mi accorsi che le zanne avevano fatto lo stesso con i denti.
«Porca merda», commentò Adeline ferma con le mani sulla bocca e la schiena incollata allo sportello del passeggero della Comet.
Liam mi fissò, gli occhi spalancati. «Dimmi che anche tu hai degli artigli, perché quelle cose laggiù…»
«Io non ne ho bisogno. Sono una Nephilim: sono più forte persino di lui.»
Hawke ghignò. «Ti piacerebbe…»
Continuai a tenere d’occhio le figure nere che si avvicinavano, mentre la paura affinava i miei sensi e mi elettrizzava la pelle.
Con una mano nel centro del suo petto, spinsi Liam verso la sua Comet. «Per l’amor di Dio, vattene. Ci vediamo a casa di Hawke.»
Allora Liam mi aggirò per entrare nella macchina.
Io mi piegai in avanti e tirai fuori dagli stivali i miei due pugnali dalla lama benedetta. Strinsi le dita attorno ai manici e inspirai profondamente per impormi la calma necessaria per concentrarmi. Lasciai che il mio potere risalisse sulla superficie e mi abbandonai alla sensazione di bruciore che precedeva ogni battaglia che avevo dovuto affrontare.
Come un suono lontano e ovattato, sentii il motore della Comet che ruggiva e poi lo stridio delle ruote sull’asfalto quando la macchina prese velocità e sfrecciò dalla parte opposta.
Ma io tenevo gli occhi fissi sulle due figure che si avvicinavano.
La luce del lampione le illuminò e io non riuscii ad impedirmi di trasalire. Erano davvero brutte. Quando Seth mi aveva fatto studiare le varie specie di demone, avevo visto delle foto sui libri di demonologia, ma dal vivo erano anche peggio.
Le arpie erano demoni con sembianze di donne così magre che le loro ossa premevano con forza contro la pelle dalla carnagione grigiastra, con un paio di ali da pipistrello che in quel momento erano spalancate dietro le loro schiene scheletriche.
«Che schifo», commentai, quando furono abbastanza vicine e notai un particolare che prima mi era sfuggito. I loro seni flosci erano completamenti esposti al freddo del vento autunnale e non era per niente una bella vista. «Ma sono completamente nude e… be’, che schifo!»
Prima ancora che potessi sentire la risata divertita di Hawke, una delle due aveva spiccato il volo ed era atterrata sulla sua schiena. Lui l’afferrò per il collo e cominciò a lottare contro gli artigli che gli sfioravano il viso e poi la gola.
Non ebbi il tempo di correre in suo aiuto, che l’altra arpia si scagliò contro di me. Una mano artigliata sfiorò la mia testa e un gemito di frustrazione uscì dalle sue labbra viola quando io mi abbassai per schivare anche il secondo tentativo.
Feci subito scattare un braccio in avanti e affondai il pugnale sulla coscia magrissima e grigia che avevo di fronte. Il demone cacciò uno strillo acuto capace di perforarmi i timpani e spalancò la bocca.
Tirai indietro anche l’altra mano per colpirla al ventre con il mio secondo pugnale, ma un inaspettato dolore alla schiena bloccò il mio movimento a metà strada. L’arpia mi aveva ficcato gli artigli nella pelle, mentre con l’altro braccio mi teneva ferma.
Digrignai i denti per trattenere l’urlo che mi era nato in gola e per sopportare la fitta che mi tolse il respiro.
Passai sotto la sua ascella per toglierle il vantaggio della posizione. La mano che mi aveva artigliato la schiena restò incollata alla mia pelle e si storse in modo innaturale, mentre quella che mi teneva ferma perse forza e mollò la presa. Mentre lanciava un altro grido di frustrazione, io affondai il pugnale nella sua schiena. Lo spinsi sempre più in avanti fino a toccare il cuore oltre le ossa della sua spina dorsale e della cassa toracica. L’arpia strillò ancora, questa volta il suo urlo di dolore fu così acuto da farmi venire la pelle d’oca. Poi prese fuoco e sparì in una nuvola di cenere e puzza di zolfo.
Mi voltai giusto in tempo per notare Hawke con qualcosa tra le mani e un mucchietto di cenere ai suoi piedi.
«Le hai strappato il cuore?» Feci una smorfia. «Che schifo.»
Lui gettò l’organo in terra prima che potesse andare in fiamme e sparire insieme al resto del corpo del demone. «È un classico. E tu mi consoci: sono un amante dei vecchi metodi.»
«Resta comunque una schifezza.»
«Devi ammettere, però, che…» Si bloccò di colpo, mentre il sorriso si trasformava in un’espressione di orrore. Hawke tornò subito in forma umana, ma la sua pelle aveva perso tutto il colorito dell’abbronzatura ed era di un bianco pallido e spaventoso. «Rowan?»
«Che c’è?»
«Stai sanguinando.»
Irrigidendo ogni muscolo del corpo, mi ricordai dell’artiglio dell’arpia che mi aveva lacerato la pelle della schiena. E solo in quel momento avvertii il calore del liquido che mi macchiava il vestito e mi colava lungo la colonna vertebrale.
«Merda», commentai.
Non riuscivo a vedere quanto fosse grave la ferita, ma non poteva essere poi tanto male dal momento che sentivo solo un fastidioso bruciore all’altezza della scapola destra. Però sanguinavo, e questo la rendeva grave a sufficienza.
Hawke fece un passo indietro. Scosse la testa e indietreggiò ancora. «Devi andartene da qui. Arriveranno altri demoni, attratti dall’odore del tuo sangue.»
«Hawke…»
«Va’ a casa mia», mi ordinò, continuando ad allontanarsi dal sangue del Paradiso che mi correva sulla pelle e che lui bramava. «Sono un Principe e nessun demone avrà le palle di seguirti lì.»
Annuii, ma non mi mossi di un millimetro.
«Nel frigo c’è una bottiglietta senza l’etichetta: è acqua santa. Usala per disinfettare la ferita», proseguì. Avvinghiò le dita attorno alla maniglia della sua macchina. «E nella camera degli ospiti ci sono dei vestiti puliti. Brucia quelli che indossi e ogni cosa che tocca il tuo sangue.»
«Tu dove vai?»
«Lontano.» Spalancò la portiera, ma i suoi occhi neri erano fissi nei miei. Le pupille si erano assottigliate come quelle di un gatto e la fame che gli leggevo dentro mi faceva rabbrividire. «Rowan, non voglio ucciderti.»
«Lo so.» Non so perché, ma sentii le lacrime salirmi agli occhi. «Ma perché? È nella tua natura, e lo capirei se tu volessi… mangiarmi.»
Lui continuava a trattenere il respiro per non sentire l’odore che emanavo. Abbassò la testa sul sedile del guidatore e piegò le labbra in un sorriso malinconico. «Perché per me la cosa più vicino al Paradiso non è il tuo sangue… Sei tu

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


20
 
 
 
 
 
La luce del bagno era gialla e gettava ombre scure sul viso di Liam, deformato in un’espressione di orrore mista a preoccupazione.
Mi guardava attraverso lo specchio di fronte a noi, con la pelle più bianca dell’asciugamano che teneva fra le braccia e gli occhi sgranati. In una mano, stringeva così forte la bottiglietta di acqua santa che la plastica si era accartocciata sotto la pressione delle sue dita.
Deglutii a vuoto e chiusi gli occhi, incapace di sopportare ancora a lungo il suo sguardo. «Devo spogliarmi e liberarmi dei vestiti sporchi di sangue, ma non credo che riuscirò a farlo se mi guardi così.»
«Perché, come ti sto guardando?»
«Come se fossi la cosa più brutta che tu avessi mai visto in vita tua.» Alzai le palpebre e fissai i suoi occhi riflessi nello specchio, poi abbassai lo sguardo sul lavandino. «Avrei dovuto chiedere aiuto ad Adeline…»
Ma Adeline era corsa a cercare Hawke nel momento stesso in cui avevo raccontato quello che era successo con i demoni arpia: voleva accettarsi che non si avvicinasse alla villa fino a che non avessi smesso di sanguinare del tutto.
Pensare a Hawke mi provocò una fitta nel centro del petto. O forse era solo il dolore della ferita che, prima di quel momento, non ero riuscita ad avvertire per colpa dell’adrenalina che mi scorreva nel sangue.
Liam abbandonò l’asciugamano sul piano del lavandino e posò la bottiglietta di acqua santa, poi avvolse i miei fianchi con entrambe le mani e mi costrinse a voltarmi con il viso rivolto verso il suo.
«Rowan», inspirò con forza ed espirò il respiro con altrettanta violenza, «sarò estremamente diretto.»
«Va bene.»
«La tua ferita è la cosa più brutta che abbia mai visto. Tu sei tutto l’opposto.»
«Buono a sapersi.» Sollevai di nuovo gli occhi sui suoi, mordicchiandomi il labbro inferiore. «Allora non ti dispiacerà aiutarmi a togliere il vestito? Non credo di riuscirci da sola.»
«Dispiacermi?» Le sue dita affondarono maggiormente nella pelle dei miei fianchi, mentre i nostri bacini si incollavano. Abbassò il mento e la punta del suo naso sfiorò la mia. Mi mancò il fiato. «Sono settimane che non faccio altro che sognare questo momento.»
«Il momento in cui un’arpia mi avrebbe artigliato la schiena?»
«Quello proprio no.» Scosse la testa e delle ciocche castane gli solleticarono la fronte. «Ma ho sognato ogni notte di toglierti i vestiti.»
Piegai le labbra in un sorriso, mentre il mio cuore spiccava il volo. «Non sarà una situazione molto sexy, però, dal momento che sanguino e ogni volta muovo le braccia sento che la ferita mi tira la pelle.»
«Hai ragione.» Abbassò lo sguardo sulle mie labbra per un secondo, poi tornò a guardarmi con i suoi intensi occhi color caramello. «Curiamo la ferita e poi pensiamo a tutto il resto.»
«Mi sembra un’ottima idea.» Mi appoggiai al bordo del lavandino e mi morsi ancora una volta il labbro. «Solo… non farmi male.»
«Lo prometto.»
Il suo pomo d’Adamo danzò sulla gola seguendo il movimento della saliva quando deglutì in maniera rumorosa e lenta. Poi strinse le dita attorno i lembi dell’abito all’altezza delle mie spalle lasciate scoperte e, attento a non farmi male, lo abbassò fino a che non scivolò oltre il mio reggiseno e si arrotolò sui miei fianchi.
Mi maledissi per non aver scelto di indossare biancheria intima più accattivante, magari qualche pizzo o trasparenza, invece di quello in cotone nero che avevo comprato al supermercato qualcosa come un secolo prima.
Trattenni il respiro, in attesa di leggere disgusto o delusione nei suoi occhi.
In fondo, in me non c’erano curve piene e generose in cui affondare le dita; sebbene i miei muscoli fossero forti e affilati, ero sempre stata magra e con le ossa che premevano contro la pelle bianca e segnata da cicatrici argentate e rosa che mi ero procurata nel duro allenamento con lame affilate e nei miei primi tentativi di saltare da grandissime altezze.
Non ero di certo un bel vedere.
Eppure gli occhi di Liam si scurirono di un desiderio forte e violento che si infranse sulle mie membra come un’onda. Le sue iridi quasi del tutto inglobate dal nero delle pupille percorsero ogni centimetro di pelle lasciata nuda ed esposta e la lambirono con una passione e un desiderio tali che mi fecero rabbrividire.
«Dio», gemette lui, passandosi la lingua sulla bocca.
Il mio sangue prese fuoco e un formicolio piacevole nel basso ventre mi fece arricciare le dita dei piedi. Mi ritrovai a sospirare, come se mi stesse toccando con le mani invece che limitarsi ad accarezzarmi con lo sguardo.
«Sei davvero stupenda…» sussurrò, alzando gli occhi nei miei.
Mi sentii in fiamme e credevo che mi sarei sciolta sotto di lui come gelato nel microonde.
Mi accarezzò le costole sporgenti con la punta dei polpastrelli e ogni mia terminazione nervosa si elettrizzò. Quando le sue unghie mi solleticarono una cicatrice appena sotto il ferretto del reggiseno fui costretta a mordermi il labbro per non urlare di piacere.
Chiusi gli occhi. «La ferita?»
«Giusto.» Liam indietreggiò appena e, facendomi nuovamente voltare verso lo specchio, spostò le dita sulla parte bassa della mia schiena, provocandomi un forte brivido che mi serpeggiò lungo l’intera colonna vertebrale.
Si schiarì la gola una e poi una seconda volta. Non disse niente.
«È tanto male?» mi agitai. Cercai di sbirciare oltre la mia spalla destra, ma non riuscivo a vedere il punto esatto in cui l’artiglio mi aveva lacerato la pelle.
Liam inspirò. «Lo ribadisco: è la cosa più brutta che abbia mai visto. Sembra profonda. Deve fare un male assurdo.» Mi lanciò un’occhiata sbieca e rapida, poi aggiunse subito: «E non provare a mentirmi dicendo che stai bene. Sarai forte quanto ti pare, ma lo vedo quanto deve far male…»
«Brucia un pochino», ammisi con un sorriso appena accennato.
«Che devo fare?»
«Devi controllare che sia pulita: il veleno demoniaco mi impedisce di guarire.»
«Non…» Strinse la mascella. «Non vedo un accidente. C’è un sacco di sangue.» Bagnò l’asciugamano che aveva lasciato sul piano del lavandino e mi pulì il taglio con movimenti lenti e delicati.
Se non fosse stato per il dolore che sentivo ogni volta che le fibre dell’asciugamano sfregavano contro la pelle, sarei impazzita per il desiderio e il piacere che mi provocava la sensazione della sua pelle sulla mia.
Lui si accorse, come sempre, della mia tensione e mi guardò in viso attraverso lo specchio. «Parlami, così non penserai al dolore mentre sistemo questo schifo.»
Serrai le mani attorno al bordo del lavandino e strinsi così forte la mascella da sentire i denti scricchiolare sotto tanta pressione. «Di cosa vorresti che parlassi?»
Lui ci pensò per qualche istante. «Parlami dei fantasmi. Non mi hai mai detto come mai riesci a vederli.»
«Be’…» Feci un vago cenno del mento. «In quanto metà umana e metà angelo, la mia intera esistenza è una specie di ponte tra il mondo dei mortali e quello degli spiriti. Sono come una porta aperta tra le due realtà.»
Ignorai con tutte le mie forze il bruciore che mi attraversò la carne che era entrata in contatto con l’artiglio del demone quando lui la bagnò con l’acqua santa. Digrignai i denti per impedirmi di urlare.
«Continua a parlare con me, bellissima», mi disse, accarezzandomi un fianco con dolcezza. La sua voce profonda mi fece attorcigliare le pareti dello stomaco. «Parlami.»
«Non so che dire… Non riesco a concentrarmi…»
«Quel giorno che eravamo in quella tavola calda a Downtown, hai detto che il vecchio proprietario torna spesso lì per osservare la nipote», mi ricordò lui, senza distogliere l’attenzione dalla mia schiena. «Immagino che significhi che gli spiriti possono tornare in questo mondo anche dopo aver oltrepassato il Velo.»
Il bruciore alla ferita non si era attenuato, ma mi sforzai di parlare con voce calma e controllata. «Possono farlo, sì. Ma non è una cosa semplice. Come per tutto il resto, ci sono delle regole molto severe.»
Inspirai a pieni polmoni quando avvertii una pressione dolorosa nel punto della scapola dove l’artiglio era affondato nella mia carne. Non riuscivo a capire cosa stava facendo Liam, ma vedevo dal riflesso del suo viso nello specchio che era completamente concentrato: la linea della sua mascella era dura e testa e le sue mani si muovevano sulla mia pelle in modo che oscillavano dall’insopportabile all’eccitante.
«Liam, che stai…»
«Ci sono quasi. Tu continua a parlare con me.»
«Okay.» Presi un respiro profondo. «Quindi… dicevo che non è così facile tornare qui. Ogni passaggio è strettamente controllato dal Triste Mietitore e quello è uno tosto da convincere.»
«Il Triste Mietitore? Chi sarebbe?» domandò. Continuava a tenere gli occhi fissi sulla mia schiena.
«Ha avuto un sacco di nomi e rappresentazioni nei secoli. Alcuni li conosci, grazie ai racconti della mitologia greca e romana e anche al poema di Dante. C’è chi se lo immagina come un anziano signore che traghetta le anime oltre il Velo, altri come uno scheletro vestito di nero con in mano una falce. Alcuni pensano che sia un dio, altri credono che sia un angelo.»
«E qual è la vertà?»
«E chi lo sa…»
Un dolore pungente mi sconquassò le membra e mi morsi il labbro fino a tagliarlo per non urlare. Il sangue mi invase le papille gustative nel momento in cui il bruciore cessò di colpo.
«Porca merda», gemetti.
«Scusa», mormorò lui con tono dolce. Tolse le mani dalla mia schiena e notai che erano completamente sporche del mio sangue. «Avevi un pezzo di artiglio nella ferita. Ecco perché non stavi guarendo.»
Sgranai gli occhi. «Porca merda», ripetei.
«Già», rise. «Ma ora l’ho tolto.»
«Grazie», mormorai, incontrando i suoi occhi nello specchio.
«Non c’è di che.»
Ancora una volta, cercai di sbirciare la ferita oltre la spalla e ancora una volta non riuscii a vedere niente di più di alcuni lembi di pelle macchiati di rosso sangue. «Immagino che avrò un’altra cicatrice… Guarisco in fretta, è vero, ma il mio corpo è sempre un corpo umano.»
Prendendomi completamente di sorpresa, Liam abbassò la testa per depositare un dolce e lieve bacio sulla mia spalla nuda. Le sue labbra erano calde e morbide e io persi completamente la testa quando toccarono la mia pelle. Chiusi gli occhi, abbandonando la testa sulla sua spalla.
«Perché lo hai fatto?» domandai.
«Perché lo volevo.» La sua bocca era umida e mentre parlava mi solleticava la pelle delicata dell’incavo del collo. «Perché voglio te
Schiuse le labbra e la sua lingua bollente mi accarezzò la carne della spalla e del collo. Ancora una volta, non riuscii a controllarmi e diedi voce ad un lungo mugolio estasiato.
Lui sorrise e sentii la sua bocca che si muoveva sulla mia pelle. «Dio, non fare questi suoni così eccitanti, o non usciremo tanto presto da questo bagno.»
Schiusi le palpebre e incontrai i suoi occhi, scuri di desiderio. «Allora smetti di… fare quello che stai facendo.»
«Non riesco a resistere.»
Abbassai lo sguardo sulle sue mani macchiate di rosso. «Sei sporco del mio sangue fino ai gomiti eppure non sai resistere? Non sei disgustato?»
«Disgustato? Quella è proprio l’ultima delle emozioni che potrei mai provare in tua presenza, Rowan.» Fece strusciare la punta del naso nell’incavo del mio collo. «Hai un odore pazzesco, lo sai, vero?»
«Il mio sangue…» Un altro gemito mi sfuggì dalla bocca quando mi baciò un punto delicato dietro l’orecchio e lui rise, «ha lo stesso odore del Paradiso. È l’odore di ciò che più amiamo al mondo.»
Liam spostò le labbra sulla mia mandibola e con la punta delle dita mi accarezzò lo stomaco nudo. La mia schiena adesso era incollata al suo petto, e la stoffa del suo maglione mi solleticava la pelle.
«Interessante.»
«Perché è interessante? Che cosa senti?»
Mi fece voltare verso di lui e mi intrappolò, poggiando i palmi ancora sporchi di sangue sul lavandino ai lati dei miei fianchi. «Non te lo voglio dire.»
«Oh, ma dai.» Gettai la testa all’indietro, quando Liam tuffò il viso sulla mia gola per depositare una lunga e bollente scia di baci umidi che andavano dall’orecchio alla clavicola. Non riuscii ad impedirmelo e avvolsi le dita attorno ai riccioli castani dei suoi capelli, attirandolo sempre di più verso di me. «Sono mezza nuda di fronte a te. Non sono mai stata così esposta di fronte a qualcuno. Il minimo che potresti fare è dirmi questa cosa su di te.»
Liam strinse nuovamente le mani attorno alla mia vita e, incollando i nostri bacini e spingendomi sempre di più contro il piano del lavandino, adagiò la fronte alla mia. A quel punto, ignorare il rigonfiamento nei suoi pantaloni che premeva contro la mia coscia fu impossibile.
«Oppure», disse, «potrei togliermi anche io la maglietta. Così saremo pari.»
Abbassai lo sguardo sulla stoffa del suo maglione che sfiorava il mio busto nudo. Mi morsi il labbro, mentre il desiderio mi travolgeva come un’onda. Volevo vederlo, e soprattutto volevo toccarlo.
Alzai gli occhi nei suoi. «Potresti.»
Non se lo fece ripetere. Portò una mano sulla nuca e si sfilò il maglione e la maglietta dalla testa con un unico movimento fluido delle braccia. E in quel momento non mi importava più niente di scoprire quale fosse il profumo che sentiva in questo momento. Non mi importava del mio sangue che aveva impregnato l’aria di quella minuscola stanza. Non mi importava niente di demoni e angeli. Tutto ciò che contava era il ragazzo a petto nudo che avevo di fronte agli occhi.
I suoi muscoli erano perfetti sotto lo strato di pelle liscia che li fasciava. Erano sodi e duri sotto le mie dita che li percorrevano con avida ed eccitata curiosità. Erano acciaio rivestiti di seta e…
Dio. Era possibile desiderare così tanto una persona?
«Rowan», mi chiamò.
Fu difficile staccare gli occhi da tutta quella meraviglia, ma lo feci. Liam mi guardava con il desiderio che gli infuocava le iridi e con le labbra umide a pochi centimetri dalle mie.
«Sì?»
«Non voglio fare il presuntuoso, okay? Ma se mi guardi così, io devo baciarti.» Sfiorò il mio naso con la punta del suo e sentii la bocca pizzicarmi dalla voglia che avevo di assaporare la sua. «Devo. Lo capisci?»
«Sì.»
E mi baciò.
All’inizio fu dolcissimo e delicato, come una carezza le sue labbra sfioravano appena le mie. La morbidezza della sua bocca carnose che prendeva confidenza con la mia. Una lunga serie di piccoli baci e delicati morsi.
Con un gemito, schiusi le labbra e lasciai che la mia lingua incontrasse la sue. Calda e bagnata. Si intrecciarono in un secondo, dando inizio ad una danza eccitante che seguiva il ritmo dei nostri respiri affannati e dei sospiri di piacere.
Immerse le mani nella pelle dei miei fianchi e incollò ogni centimetro quadrato del suo petto al mio. La sensazione della sua pelle liscia e dura contro la mia ruvida mi fece rabbrividire con così tanta forza che mi cedettero le ginocchia.
Le sue braccia si strinsero con maggiore forza attorno alla mia vita e mi sollevò da terra per depositarmi sul piano del lavandino. Spalancai le gambe e avvinghiai le cosce all’altezza delle sue anche.
La sua lingua continua a rincorrere la mia, le sue labbra restavano incollate alle mie.
Le sue mani mi accarezzavano la schiena, attente al punto in cui la ferita aveva cominciato a rimarginarsi, e poi si immersero nei miei capelli, stringendo nel pugno una ciocca sulla nuca. Alcune dita scivolarono sotto la spallina del reggiseno, poi oltre la coppa per potermi accarezzare un lato del seno.
Gettai la testa all’indietro, mentre sentivo i capezzoli premere contro la stoffa della mia biancheria e desiderare ardentemente di essere toccati da quelle mani così meravigliose.
Le mie esploravano la carne setosa delle sue braccia forti, delle sue spalle ampie, delle curve dure dei suoi addominali. Quando il suo bacino si scontrò con il mio, affondai le unghie nella sua schiena e mugolai un gemito estasiato.
Il suo odore di menta mi avvolgeva e mi inebriava.
Il suo calore mi infuocava la pelle.
Non avevo mai provato sensazioni di questo genere.
Lui si allontanò di qualche millimetro per riprendere fiato. «Cazzo, dobbiamo rallentare.»
Mi aggrappai alla cintura dei suoi jeans, attirandolo di nuovo verso di me. «Perché?»
«Non dire così, maledizione.» Nascose il viso nell’incavo del mio collo e mi baciò la gola. «Dio, sto per prenderti su questo maledetto lavandino. Ma meriti di più.»
Mi inumidì le labbra. Avevano ancora il suo sapore. «C’è di più?»
Sembravo una bambina, ma non potevo farci niente se non avevo nessuna esperienza. Prima di quella sera, non avevo nemmeno mai baciato un ragazzo.
Lui fece un sorriso dolce, mentre mi accarezzava con le nocche la guancia sicuramente più rossa di un pomodoro. «C’è molto di più.» I suoi occhi erano così scuri di desiderio che mi sentii fremere ogni cellula. «E voglio dartelo. Voglio esplorare ogni centimetro del tuo corpo favoloso, voglio toccarti fino a farti gridare e voglio assaggiare il tuo sapore per scoprire se è buono come l’odore che sento in questo momento. Voglio vederti godere per ore e ore.»
Ero sul punto di esplodere e le sue parole mi stavano facendo impazzire, mentre lo immaginavo fare tutto quello che diceva di volermi fare.
«Oddio.»  
Lui rise con la bocca ancora sulla mia gola. «Ma adesso non abbiamo tempo. E io voglio tempo, Rowan. Ho bisogno di tempo per fare tutte le cose che desidero farti da quel maledetto giorno nel parcheggio.»
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


21
 
 
 
 
 
«Come va?» La voce di Hawke che proveniva dall’altro lato della cornetta del mio cellulare era tremante e vulnerabile come non l’avevo mai sentita prima.
Mi ero fatta una lunga doccia, passando eterni istanti sotto il getto dell’acqua calda e togliendomi di dosso ogni residuo di sangue che mi imporporava la pelle. Poi mi ero cambiata di vestiti – per qualche strana ragione, Hawke aveva un armadio pieno zeppo di abiti femminili nella camera degli ospiti – e avevo indossato un paio di leggings e una canottiera, sopra il quale avevo infilato un lungo cardigan di lana pesante e soffice.
«Sto bene», dissi. Mi passai una mano fra i capelli ancora bagnati. «La ferita si sta richiudendo, e ho smesso di sanguinare da un po’. Potresti tornare a casa.»
«Meglio di no. Voglio essere sicuro di non trovarmi nelle vicinanze del tuo sangue.»
«Sei con Adeline?»
«Sì. Mi ha portato in un chiosco aperto tutta la notte per tenermi occupato.» Lo sentii sorridere. «Stiamo mangiando dei tacos.»
«Tacos?»
«Sì, tacos.» Lui soffocò a stento una risata. «La realtà è che mi sta tenendo sotto controllo, anche se non c’è bisogno.» Sospirò. «Rowan, non ti farei mai del male.»
Trasalii. Le parole che mi aveva rivolto qualche istante prima di salire sulla sua Mustang ancora mi risuonavano nelle orecchie. Per me la cosa più vicino al Paradiso non è il tuo sangue… Sei tu.
«Hawke…» Mi morsi il labbro. «Quello che hai detto prima…»
«Sapevo che non avresti fatto finta di niente», mi provocò. Riuscivo quasi ad immaginarmi la piega storta del suo sorriso, mentre parlava.
«Devo capire cosa intendevi.»
«Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro ed esplicito, splendore.»
Un nodo mi strinse la gola. «Ma Hawke… Io…»
«Non capisco perché tu sia così sconvolta?» Fece un sospiro e il suo respiro si infranse contro la cornetta con un fruscio. «Non riesci a credere che un demone possa essere capace di amare, o non riesci a credere che qualcuno possa amare te?»
«So che i demoni possono amare», risposi. Avevo sentito delle storie in merito e niente di quello che avevo imparato in questi anni insieme a Hawke mi aveva fatto credere che non potessero essere vere. Sapevo anche che il modo di amare di un demone era molto diverso rispetto a quello degli umani e degli angeli… come, però, non lo avevo mai saputo.
«Ma, Hawke… perché io?»
«Perché no?» Fece una risatina che mi strinse ancora di più il nodo che avvertivo alla gola. «Sei così dannatamente bella che fai girare la testa a chiunque, ma tu non te ne rendi nemmeno conto; il tuo coraggio raggiunge e molto spesso supera i limiti della responsabilità, eppure non ti fermi mai di fronte a nessuna sfida; sei determinata in un modo che sconfina parecchie volte nella cocciutaggine, ma non ti ho mai vista gettare la spugna; sei divertente in modo sarcastico, ma mai con l’intenzione di essere veramente cattiva con nessuno. Hai tutte le qualità perfette per far perdere la testa a chiunque, anche un demone come me.»
Sorrisi, perché aveva elencato tutti i miei difetti peggiori come se fossero la cosa più bella di questo mondo. «Ma perché non me l’hai mai detto?»
«Sarò anche un Principe dell’Inferno, splendore, ma non sono così spietato da prendermi ciò che desidero senza prendere in considerazione i sentimenti altrui.» Sospirò profondamente. Mi sembrava di poterlo vedere mentre si passava una mano fra i riccioli e sollevava gli occhi al cielo. «E tu non provi per me quello che provo io. Quello è un sentimento che hai riservato per Fossette, e nessuno di noi due può farci niente.»
Sospirai, mentre scostavo la tenda della finestra che si affacciava sul cortile interno della villa, dove Liam aveva acceso il fuoco e stava bruciando il mio vestito nero, il mio reggiseno e gli asciugamani che aveva usato per pulire e medicare la mia ferita. Le fiamme creavano giochi di luci e ombre sul suo viso dai lineamenti da dio greco, la linea dritta del naso e la curva marcata della sua mandibola e i contorni della sua bocca carnosa.
Sentivo ancora il calore delle sue labbra sulle mie, delle sue mani sui miei fianchi e sulla mia schiena, del suo corpo che premeva contro ogni centimetro quadrato del mio.
Però c’era un “ma” gigantesco come una casa che mi pesava sulle spalle.
«E prima di Liam? Perché non me lo hai detto prima che lui entrasse a far parte della mia vita? Hai sicuramente avuto moltissime occasioni per farlo in questi quattro anni.»
«Sarebbe cambiato qualcosa?»
Forse sì, sussurrò una vocina nella mia testa. La ignorai subito. «Non lo so, Hawke.»
«A me è sempre bastato averti nella mia vita. Credi che sia troppo altruista per un demone?»
«Un po’. Ma tu non sei un demone qualunque.»
«No, non lo sono.» Lo sentii sospirare con violenza. «Dio, questa conversazione mi sta uccidendo. Possiamo chiuderla qui?»
«Se ti dico che non voglio perdere la tua amicizia», feci una pausa per mordicchiarmi il labbro, «sono una stronza senza cuore?»
«Sì.» Lui ridacchiò. «Ma nemmeno io voglio perdere la tua amicizia. Quindi facciamo finta che questo episodio non sia mai accaduto, così che io possa tornare a scherzare sopra ogni cosa. Detesto essere serio.»
«Okay.» Mi morsi il labbro inferiore. «Ti concedo di fare una battuta sulla mia verginità per alleggerire la tensione, e poi nessuno dei due parlerà mai più della mia vita sessuale né dei tuoi sentimenti.»
Lui rise forte nel mio orecchio. «Divertiti questa notte, splendore. Io e Adeline mangeremo tacos fino all’alba.» Poi, senza aggiungere altro, chiuse la telefonata.
Io abbandonai il cellulare sul comodino e sprofondai nel materasso morbido del letto che occupava il centro della stanza.
Mi sentivo una stupida.
Nella mia vita non c’era mai stato nient’altro se non la data del mio diciottesimo compleanno che si avvicinava sempre di più e quel desiderio disperato e vano di dimostrarmi degna della grazia. Avevo passato tutto il tempo nella palestra della villa ad allenarmi per diventare più forte, per imparare a scacciare i demoni reali e quelli che popolavano i miei incubi. Non c’era stato altro a cui pensare e in questo modo non mi ero mai accorta di altro.
Fino a che non avevo scaraventato Liam a terra nel parcheggio della scuola. Fino a che non mi ero immersa nella profondità delle sue iridi color caramello e ci ero sprofondata dentro. A quel punto, era cambiato tutto. Io ero cambiata.
«Va tutto bene?»
Liam appoggiò una spalla contro lo stipite della porta e mi guardò con attenzione.
Spostai lo sguardo dal soffitto e sostenni il suo.
Anche lui si era cambiato di vestiti, perché i suoi si erano sporcati di sangue e acqua santa. Ora indossava dei pantaloni grigi di una vecchia tuta consumata e una t-shirt bianca. Nonostante fosse l’abbigliamento più casual mai esistito, io lo trovavo assolutamente stupendo. Come sempre, d’altronde.
Sospirai a fatica, mentre un peso doloroso mi opprimeva il petto. «Non ne sono del tutto sicura…»
«Hai chiamato Hawke?»
Feci un cenno del mento. «È con Adeline. Non torneranno a casa fino a che non saranno sicuri che la mia ferita sarà completamente guarita, il che significa che staranno fuori tutta la notte.»
Lui non disse nulla. Si limitò a fare un cenno di assenso e distogliere lo sguardo dal mio viso per rivolgerlo alla finestra.
L’eco della confessione di Hawke ancora mi risuonava nella testa. «Mi hai chiesto come sia diventata amica di un demone.»
«Sì.» La linea della sua mandibola era tesa.
«Avevo quattordici anni la prima volta che l’ho incontrato.» Spostai lo sguardo oltre la finestra, dove il fuoco che aveva acceso ancora bruciava ciò che restava dei nostri vestiti insanguinati. «Stavo seguendo un demone Camaleonte da sola, perché volevo dimostrare a Seth che potevo fare le cose che facevano i Vigilanti.»
«Perché non ne sono sorpreso?»
Mi strinsi nelle spalle, poi gli rivolsi un sorriso ironico mentre mi passavo una mano fra i capelli umidi. «Per scavalcare un cancello, mi sono ferita un ginocchio. Non me ne sono nemmeno accorta, fino a che il mio sangue non ha attirato l’attenzione di tutti i demoni che si trovavano nelle vicinanze. Nel giro di pochi minuti ero circondata. Potevo provarci, e ne avevo tutta l’intenzione, ma sapevo che non sarei mai riuscita a ucciderli tutti. In quel momento è arrivato Hawke. Lui è un demone di alto rango e, non appena lo hanno visto, gli altri sono scappati.» Deglutii a fatica il nodo che mi aveva serrato la gola. Il ricordo di quel pomeriggio mi riempiva la testa e il cuore.
Prima di quel momento non mi mai ero davvero resa conto di quanto avrei sofferto se avessi dovuto perderlo per un qualsiasi motivo.
«Credevo che li avesse mandati via per avermi tutta per sé e… che ne so, mangiarmi, immagino. Invece mi ha dato un fazzoletto da avvolgere attorno al ginocchio ferito e mi ha detto di tornare a casa.»
Liam sollevò le sopracciglia. «Tutto qui?»
Annuii. «L’ho rivisto qualche settimana dopo essermi iscritta alla scuola pubblica che camminava nei corridoi del liceo e che frequentava le lezioni come se fosse la cosa più normale del mondo. L’ho affrontato, certa che volesse qualcosa in cambio per avermi salvato la vita.»
«E lui cosa voleva?»
Lo guardai dritto negli occhi, incapace di dire una parola.
«Lui vuole… te.» Liam fece un sorriso triste, ma sostenne il mio sguardo. «Vero?»
«Come lo sai?»
«L’ho sospettato quando ci ha aiutato con il demone nel bagno, ma ne ho avuto la certezza la prima volta che siamo venuti qui. L’ho capito dal modo in cui ti guarda.»
«Il modo in cui mi guarda…»
«Io ti guardo allo stesso modo.» Si passò una mano fra i capelli.
«Io non ci avevo mai fatto caso prima di questa notte», confessai.
«Avevo capito anche questo.»
«Credevo volesse solo un alleato. E – mentirei se lo negassi – era quello che volevo io. Lo volevo così disperatamente che ho sempre liquidato le sue avance e le sue battute come se fossero uno scherzo. Mi sono aggrappata a lui, a questo nostro rapporto strano e che nemmeno io riuscivo a spiegarmi, perché tutti alla villa mi trattavano come se fossi un mostro. Invece lui sapeva cosa sono veramente e non gli è mai importato niente. E anche perché…» Mi inumidì le labbra con la lingua. «Perché sapevo che lui sarebbe sempre stato in grado di comprendere e accettare le mie oscurità.»
Liam sospirò, ma non replicò.
Io distolsi lo sguardo, mentre allungavo una mano per grattarmi il punto in cui la pelle in via di guarigione sulla scapola prudeva e tirava.
«Ti fa male la ferita?» si allarmò.
Voltai la testa verso la spalla destra. «Non molto.»
«Fammi controllare.»
Entrò nella stanza e si sedette sul bordo del letto, al mio fianco. Il suo respiro caldo e dal frizzante profumo di menta mi solleticò la guancia. Afferrò i lembi del cardigan che indossavo e lo fece scivolare lungo il mio braccio; poi scostò i bordi della canottiera e sfiorò con la punta dei polpastrelli la pelle intorno alla ferita che si stava rimarginando molto più lentamente di altre che mi ero procurata nel corso degli anni – le ferite demoniache erano così.
Avvertii un lungo brivido attraversarmi la colonna vertebrale per intero, mentre le sue dita mi accarezzavano la pelle della schiena. Mi morsi il labbro per non emettere alcun suono imbarazzante… come quelli che avevo fatto in bagno poco prima.
«Si sta cicatrizzando», disse.
«Lo riesco a sentire.»
«Deve essere pazzesco.»
«Sono fatta così.» Mi strinsi nelle spalle.
Lui sospirò e scosse la testa. «Ma perché fai sempre così?»
«Faccio cosa?»
«Ti sminuisci ogni volta che qualcuno dice qualcosa di bello su di te», mormorò, mentre mi accarezzava la pelle nuda del braccio, «come se avessi paura ad ammettere che la tua sola esistenza è un miracolo.»
«La mia esistenza è un errore, Liam.»
«Non parleresti in questo modo, se tu potessi vederti come ti vedo io…»
Mi voltai completamente verso di lui. Le sue iridi sembravano molto più scure in quel momento, mentre i suoi occhi erano fissi sulla mia bocca. «E tu che cosa vedi?»
«Io vedo solo te, Rowan, la creatura più bella che sia mai esistita. Non solo fisicamente, ma anche il tuo cuore e la tua anima sono bellissimi.» Le sue dita scivolarono lente sul mio collo e il suo pollice cominciò ad accarezzare la linea della mia mandibola. «Ed è per questo motivo che detesto l’idea di doverti dividere con qualcun altro. Specialmente con qualcuno molto più bravo a proteggerti di quanto sarò mai capace di fare io.»
«Punto primo, io non ho bisogno di essere protetta.»
«Lo so bene. Ma desiderare di poter proteggere la ragazza che ti piace è un istinto atavico in un ragazzo.»
«Ata… che?»
«Significa innato.» Liam sorrise e immerse le mani nei miei capelli, giocando con alcune ciocche.
«Cavolo, chi avrebbe mai immaginato che uno stupido giocatore di football conoscesse certi termini sofisticati…»
Liam rise, facendo impazzire quei mostri che vivevano nel mio stomaco e che presero a volare con violenza nella mia pancia.
«Comunque, paroloni a parte, dovrai imparare a reprimere i tuoi istinti misogini, Sterling. Io so prendermi cura di me stessa.»
Arrotolò una ciocca di capelli attorno al suo dito. «Qual è il secondo punto? Avevi detto che questo era solo il primo punto.»
«Tu non mi stai dividendo con nessuno.»
«Ma lui è innamorato di te. E forse nemmeno tu te ne rendi conto, ma a volte… Ci sono volte in cui sembra…» Mi piantò gli occhi in faccia. «Tu lo ami?»
Aprii la bocca, ma poi mi affloscia su me stessa, mentre il «no» che avevo sulla punta della lingua e che stavo per pronunciare mi moriva in gola. La consapevolezza mi colpì in pieno petto con la violenza di un pugno nello stomaco.
«Sì», ammisi in un sussurro. Abbassai lo sguardo. «Io credo di amarlo in un modo che nemmeno io sono certa di comprendere fino in fondo.» Mi feci coraggio e tornai a sbirciare la sua espressione da dietro le ciglia. «Ma so anche che quello provo per te non l’ho mai provato per Hawke, né per nessun altro.»
«Sarò anche un egoista. Anzi, lo sono sicuramente, ma io non… Non voglio perdere anche te, lo capisci? Perdere Danny mi ha fatto spezzato il cuore, Rowan, ma perdere te mi distruggerebbe.»
Mi sentii morire nel sentirgli pronunciare quelle parole. Il mio petto fu squarciato da un dolore fortissimo che mi tolse il respiro per qualche istante.
Poggiai le mani sul suo petto, all’altezza del suo cuore pieno di dolore e rabbia che al momento batteva furiosamente contro il mio palmo. «Stai dicendo che ti farò del male?»
«Sto dicendo che ti ho dato il potere di farlo.» Lui fece scivolare le mani lungo la mia colonna vertebrale in una carezza che mi fece rabbrividire dai reni alla nuca. «Non so di preciso quando è cominciato. Se dovessi guardarmi indietro, non riuscirei ad individuare il momento esatto in cui è successo. Ma adesso so che il mio cuore ti appartiene.»
Sentivo di non meritare i suoi sentimenti non solo perché non mi ritenevo degna dell’affetto di una persona buona come lui, ma soprattutto perché aveva ragione. Io lo avrei distrutto.
Lui intercettò una lacrima con il pollice e la asciugò via dalla mia guancia con una dolce carezza. «Ti ho spaventata?»
Scossi la testa.
«Allora perché piangi?»
«Perché, anche se riuscissimo ad impedire l’Apocalisse, questa storia può finire solamente in due modi: o morirò, o mi trasformerò in un gigante. E se io… se continuassi a restare al tuo fianco, se continuassi a baciarti, ti farò del male. E non voglio, Liam.»
«Davvero non capisci, Rowan?»
«Cosa?»
Liam continuò a guardarmi negli occhi, mentre mi asciugava le lacrime con baci e carezze. «Io ti sto dando il permesso
«Lee, io…»
«Ti prego, fai del mio cuore a pezzi quello che ti pare. Ma se anche tu provi per me anche solo una briciola di quello che provo io per te, smettila di respingermi.»
Le sue parole mi entrarono dentro e mi attraversarono il sangue come la lava, che lenta e inesorabile ricopre tutto ciò che tocca e brucia. Le sue parole mi sciolsero e mi cambiarono nel profondo dell’anima.
E se davvero dovevo morire o scatenare la maledizione dei Nephilim nelle prossime settimane, almeno per quella notte il mio lato umano si meritava che mi lasciassi andare ai sentimenti che provavo per Liam Sterling in quel momento.
Mi stavo innamorando di lui.
No.
Mi ero già innamorata di lui.
Mi sporsi in avanti, avvolgendogli il collo e stringendomi al suo petto fino a che non gli montai in braccio, con le gambe ai lati dei suoi fianchi e le bocche a pochi millimetri di distanza. Il mio seno, nudo sotto il sottile strato della canottiera, sfiorava la pelle calda dietro la sua maglietta di cotone.
Lui strinse i miei fianchi e mi tenne ben ferma sulle sue gambe, con i bacini che si toccavano in maniera così favolosa da farmi rabbrividire e fremere di impazienza.
Questa volta fui io a dare inizio al bacio. Abbassai la testa sulla sua e gli sfiorai delicatamente le labbra con le mie. Una carezza dolce e soffice come il tocco di una piuma.
Poi lui si concesse un sospiro di puro piacere e schiuse la bocca, e il bacio si trasformò immediatamente in qualcosa di infinitamente più vorace e passionale. La sua lingua si intrecciò con la mia, mentre le sue dita si andavano ad annodare tra le ciocche dei miei capelli.
Con un mugolio che mi sgorgava dalle labbra, mi staccai appena per poterlo guardare in viso. «Quelle cose…» Mi interruppi e mi schiarii la voce, quando mi accorsi di quanto fosse roca. «Quelle cose che dicevi di volermi fare.»
«Sì?»
«Mostramele.»

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


.22.
 
 
 
 
 
 
Liam mi guardò con occhi rapiti, inumidendosi la bocca carnosa con un sensuale movimento della lingua e deglutendo a vuoto. «Rowan, non ti ho detto quello che provo per te per ottenere questo in cambio. Non sei costretta a fare niente per cui non sei pronta.»
«Lo so.» Sfiorai la punta del suo naso con la mia. «E ammetto di non essere pronta per tutto. Ma voglio che tu mi mostri alcune di quelle cose. Lo voglio davvero. Lo voglio da settimane.»
Liam chiuse gli occhi, emettendo un verso gutturale e profondo che mi fece rabbrividire e arricciare le dita dei piedi.
«Mostramele», ripetei con voce ferma.
«Sei davvero sicura?»
La mia bocca era a pochi centimetri di distanza dalla sua e fremeva dalla voglia di essere ancora una volta toccata e baciata.
Lui tirò indietro la testa, cercandomi con lo sguardo. «Ho bisogno di sentirtelo dire, Rowan. Non credo di poterlo fare se non ti sento dire che sei sicura.»
«Sì, sono sicura.»
Lui gemette di nuovo come se le mie parole fossero in grado di provocargli piacere, mentre mi stringeva i fianchi fra le mani e le dita affondavano nella pelle sopra l’elastico dei miei leggings.
Fui scossa da un brivido forte quando spostò le mani verso il mio busto e mi accarezzò la pelle nuda delle braccia, sfilandomi di dosso il cardigan. Lo aiutai nei movimenti e scoppiai in una risatina nervosa quando lo vidi gettare l’indumento alle sue spalle con gesto di stizza. Ma quando si tuffò sulla mia gola e mi baciò dall’incavo del collo fino alle clavicole, la risata mi morì in gola e immersi le mani nei suoi capelli soffici, rilasciando cadere la testa all’indietro.
Allora afferrai i lembi della sua maglietta e lo aiutai a sfilarsela oltre la testa.
Gli accarezzai i capelli arruffati dove ci avevo passato le mani e dove il cotone li aveva elettrizzati. Percorsi i lineamenti della sua mascella e della sua mandibola, la durezza delle sue ossa sotto la pelle del viso. Con la punta del pollice seguii la linea delle sue labbra, le prime labbra che avevano toccato le mie e le uniche labbra che volevo sentire su di me. Con l’indice imitai la curva del pomo d’Adamo che spuntava sulla sua gola.
Liam cercò i miei occhi con una tacita richiesta, mentre afferrava i lembi della canottiera che indossavo. Io annuii. Sì, volevo che mi vedesse. Sì, volevo che mi toccasse. Sì, sì, sì.
E non sentii vergogna quando Liam fece vagare gli occhi sulla pelle bianca e ruvida del mio addome magro e ricoperto da cicatrici, delle mie clavicole che premevano contro la carne, delle mie braccia esili ma allenate, dei miei seni piccoli e asimmetrici.
Mi accarezzò la schiena con la punta delle dita, e un lungo brivido mi percorse l’intera colonna vertebrale. Si spinse in avanti depositò una scia di baci sul mio collo fino a scendere lungo il solco dei miei seni nudi.
«Non mi merito tutto questo…» mormorò, roco.
Io ero non ero d’accordo con lui, ma avevo perso la voce e non riuscii a dirglielo a parole. Allora mi strinsi maggiormente al suo petto, incollando la pelle nuda alla sua.
Quasi gridai quando il suo pollice mi sfiorò delicatamente il capezzolo che si era inturgidito e mi morsi il labbro per trattenere i gemiti. Affondai le unghie nella sua carne nel momento in cui la sua lingua sostituì il dito e cominciò a disegnare cerchi concentrici sulla pelle sensibile.
Con una mano sulla mia nuca, Liam guidò il mio viso verso il suo e mi baciò. Mi baciò con molta più foga di quanto avesse fatto prima nel bagno. La sua lingua lambiva la mia come una fiamma, senza mai stancarsi o averne abbastanza.
Sentendomi fremere da capo a piedi, mi gettai all’indietro e lo trascinai giù insieme a me, infilando le mani oltre l’orlo dei pantaloni della sua tuta.
I muscoli delle sue braccia erano tesi al massimo, mentre sosteneva il peso del suo corpo per non schiacciarmi. Li accarezzai con le dita e poi l’intero palmo, modellando le mie mani contro le curve dure dei suoi bicipiti che a mano a mano che ci allenavamo insieme diventavano sempre più forti e definiti.
Mi guardò a lungo negli occhi, alla ricerca di un’esitazione o di un dubbio. «Vuoi che mi fermi?»
«Non ti azzardare!»
Ridacchiò contro la mia bocca. «Grazie a Dio…»
Mi inarcai sotto di lui, quando le sue labbra si spostarono sul mio collo e scovarono un punto particolarmente sensibile tra la gola e la clavicola. Incollai il suo bacino al mio. Il rigonfiamento nei suoi pantaloni premette con il centro del mio corpo e un forte gemito mi sfuggì dalla bocca.
Sentii le mani di Liam afferrare l’elastico dei miei leggings, mentre i suoi occhi tornavano a fissare i miei occhi. «Voglio vederti, Rowan. Voglio vedere ogni centimetro quadrato del tuo corpo. Posso?»
Con il labbro stretto fra i denti e muscoli tesi al massimo, annuii con un gesto secco della testa.
Con un altro verso gutturale roco, Liam sospirò e cominciò ad abbassarmi i pantaloni oltre le cosce e fino alle caviglie. Sollevai i fianchi per aiutarlo a liberarsi dei miei abiti, ma rimasi immobile sul materasso quando mi ritrovai completamente nuda ed esposta sotto il suo sguardo scuro e profondo.
Fece vagare gli occhi sulle ossa sporgenti delle caviglie e delle ginocchia, sui muscoli in tensione dei polpacci e quelli rigidi come la pietra delle mie cosce. Poi si fermò a fissare la parte di me che nessuno prima di quel momento aveva mai visto.
Mi accarezzò l’interno coscia con la punta delle dita, senza mai distogliere gli occhi dal mio punto centrale. Sentivo una pulsazione provenire proprio da lì e un calore infuocato che si irradiava fino alle mie estremità.
«Dio», sospirò con un gemito estasiato che gli usciva dalla gola. Sollevò gli occhi sul mio viso. «Sei davvero stupenda. Ogni cosa di te è meravigliosa, Rowan.»
Strinsi le dita attorno alla stoffa del copriletto. «Dal momento che sappiamo che Lui è davvero lassù, potremmo lasciarlo fuori da questa camera da letto? Non vorrei che vedesse, o sapesse…»
Scoppiò a ridere. «Giusto. Non lo dirò più.»
«Ti ringrazio.»
Liam tornò a sdraiarsi sopra di me, accarezzandomi dolcemente un fianco con movimento circolari e infilando una gamba fra le mie. Strofinò la punta del suo naso contro la mia guancia. «Stai bene?»
«Sono un po’ nervosa, adesso che sono completamente nuda.»
«Vuoi che mi fermi?»
Scossi la testa. «Voglio che ti togli anche tu i vestiti.» Infilai le mani oltre l’orlo dei suoi pantaloni e solleticai la soffice peluria che era nascosta sotto i boxer. «Voglio vederti.»
Un angolo delle sue labbra si sollevò verso l’alto. «Come desideri.»
Si alzò in piedi e fece scivolare i pantaloni della tuta e la biancheria intima fino alle caviglie. Quando i miei occhi incontrano la sua erezione di dimensioni davvero piacevoli, il calore che avvertivo fino a qualche istante prima divampò in me e io mi sentii prendere fuoco.
«Ti piace?» mi chiese.
Mi morsi il labbro e annuii. Dirlo ad alta voce era davvero troppo imbarazzante, ma era la verità. Mi piaceva da morire tutto il suo corpo e volevo che si sbrigasse a tornare al letto perché sentivo il bisogno fisico di averlo nuovamente a portata di mani.
Si sdraiò al mio fianco, accarezzandomi dolcemente la pelle nuda dei fianchi e poi scendendo sulle mie cosce. Tornai in tensione quando la punta delle sue dita sfiorò il centro del mio corpo. Avvertii una scarica elettrica percorrermi la pelle, ma l’idea che fosse così vicino ad una parte di me a cui nessuno era mai stato così vicino mi terrorizzava.
«Stai bene?»
«Mh-mh.»
«Sei sicura? Sei diventata più rigida di una statua di pietra.»
«Io…»
«Ci fermiamo in qualsiasi momento, Rowan, anche adesso se vuoi», mi ricordò. Le sue dita si allontanarono un po’ dal mio centro e cominciarono a realizzare disegni astratti sulla pelle del mio interno coscia. Era piacevole, molto piacevole. Ma non riuscivo a rilassare i muscoli. «Questa notte non succederà niente che tu non desideri. Hai tu il controllo – non solo perché sei molto più forte di me.»
«Lo so.»
«Vuoi che mi fermi?»
Ci pensai a lungo. Alla fine scossi la testa.
Mentre le sue carezze proseguivano e lui mi lambiva la guancia e il collo con la bocca e la lingua, il mio corpo cominciò a rilassarsi sempre di più. Tornai a sciogliermi sotto il suo tocco e quando le sue mani si avventurarono nuovamente sul mio centro io mi abbandonai e schiusi le ginocchia.
«Voglio toccarti.» Si issò su un gomito per potermi guardare il viso. «Posso?»
Annuii, aprendo sempre di più le gambe per lasciargli lo spazio necessario.
Liam si fermò. «Devi dirlo, Rowan.»
«Puoi toccarmi.» E per rendere il concetto più chiaro, avvolsi le dita attorno il suo polso, guidandolo verso il centro della mia tensione.
E finalmente mi toccò.
Mi morsi il labbro con violenza per non urlare. Chiusi di scatto le palpebre e dietro di esse vidi delle scintille, mentre le sue mani facevano magie sulla mia pelle sensibile e pulsante.
Anche lui diede voce ad un gemito, nascondendo il viso nell’incavo del mio collo. «Cazzo, quanto sei bagnata. È davvero meraviglioso.»
Mugolai qualcosa che nemmeno io riuscii a comprendere.
Liam non smise mai di toccarmi e schiuse le labbra per lambire di nuovo la pelle della mia gola con la lingua. Sentivo che ogni muscolo del mio corpo era diventato di gelatina, mentre le pulsazioni nel mio centro aumentavano.
E a un certo punto le dita di Liam non erano più su di me, ma dentro di me e io non fui più in grado di trattenermi. Dalle labbra mi uscirono mille gemiti e versi piuttosto rumorosi che, invece di imbarazzarlo o divertirlo, lo incitarono a muoversi sempre più veloce e farmi perdere completamente la testa.
La mia mano si mosse di sua spontanea volontà e andò a stringersi attorno alla base della parte più dura di lui, che fino a qualche istante prima premeva contro il mio fianco.
Le dita di Liam non si fermarono, ma lui trattenne il respiro. «Rowan?»
«Voglio toccarti», dissi. La mia voce era poco più di un sussurro rauco. «Ma non so come devo fare per farti piacere.»
«Fai tutto quello che vuoi.» I muscoli dei suoi fianchi ebbero un guizzo, mentre si muoveva e la pressione dentro di me aumentò, regalandomi un piacere più intenso e più forte. «Tutto quello che fai mi dà piacere. Te lo giuro. Tutto, cazzo.»
Così, mentre lui continuava a muovere la mano su e dentro di me, anche io cominciai a dimenare la mia su di lui. I suoi gemiti si mescolarono ai miei, fino che non catturò la mia bocca con la sua e mi coinvolse in un bacio così forte e bollente che facevo fatica persino a respirare.
Poi la pressione aumentò e aumentò e qualcosa dentro di me si ruppe, mentre un lungo grido che proveniva dal profondo del mio corpo mi esplose in bocca e nella sua.
Liam non smise di toccarmi, mentre gridavo con le labbra incollate alle sue e gli spasmi mi facevano tremare il corpo. Nemmeno io smisi di toccarlo nemmeno quando un fiotto di liquidò caldo mi bagno il braccio e la mano.
Mi ci vollero parecchi istanti – o forse ore intere – per riprendere il controllo sul battito frenetico del mio cuore e portare ad un ritmo normale il mio respiro. Le nostre carni erano lucide di sudore e incollate le une alle altre.
Liam mi accarezzava la pelle delle cosce e dei fianchi, mi baciava la fronte e le guance e la bocca.  
Improvvisamente si alzò in piedi, donandomi una visuale perfetta del suo fondoschiena sodo e muscolo.
Mi issai su un gomito. «Dove vai?»
«A prendere un asciugamano.» Mi fece l’occhiolino e sparì dietro la porta del bagno. Quando tornò pochi istanti dopo aveva una salvietta umida con sé e la utilizzò per pulirmi la mano con carezze dolci e premurose. Dopo aver finito, la gettò in terra per tornare a sdraiarsi al mio fianco.
«Che hai intenzione di fare?» domandai, adagiando la testa sul suo petto, dopo che lui mi aveva avvolto le spalle con un braccio e i fianchi con una gamba.
«Voglio dormire al tuo fianco. Posso?»
«Nudi?»
«Decisamente sì.»
Scoppiai a ridere. «E va bene.»
Infilò le dita nei miei capelli, accarezzandomi il cuoio capelluto in maniera così favolosa da riaccendere tutte quelle parti di me che non avevo mai conosciuto prima di quella notte.
«Buonanotte, Rowan.»
«Buonanotte, Liam.»
 
 
Nel mio sogno c’era Liam. Era bello come sempre, con i riccioli castani scompigliati sulla testa e gli occhi che brillavano come due fiamme ardenti. Non indossava gli occhiali, quindi mi sembravano ancora più grandi e ancora più del solito.
Però c’era anche qualcosa di davvero strano.
Liam aveva gli occhi di un castano così chiaro da sembrare caramello fuso, dolci e appassionati. Mentre adesso nelle sue iridi c’era solo il fuoco e l’oro del fuoco che divampava attorno a lui. Le sue mani lunghe e affusolate erano sporche di rosso, di un color cremisi intenso e scuro che ricopriva per intero la sua pelle dalla punta delle dita agli avambracci. Anche la sua felpa grigia era macchiata da una chiazza enorme che occupata tutto il suo torace.
In un istante capì che quello era sangue.
Provai ad allungare una mano verso di lui, ma i miei muscoli non collaboravano e le mie membra erano così pesanti che mi obbligavano a rimanere immobile a guardarlo, mentre il sangue si allargava sempre di più attorno al suo corpo.
Tutto intorno a lui c’era una luce bianca e calda che mi accecava e mi bruciava così tanto che guardarlo faceva lacrimare gli occhi. Con un tuffo al cuore, riconobbi le fiamme del fuoco celeste che avevo sempre tenuto nascoste dentro di me e che ora lo avvolgevano e lo consumavano come un foglietto di carta che perisce e si accartoccia su stesso a causa del calore.
Quando odorai l’aria del luogo buio e cupo in cui ci trovavamo e sentii il suo profumo di menta frizzante che permeava ogni singola molecola d’aria che mi entrava nel naso, capii che quello era l’odore del Paradiso – l’odore di ciò che io più amavo al mondo. Quel profumo poteva significare una cosa sola. Gli Arcangeli erano giunti sulla Terra per porre fine alla mia esistenza e punirmi per le atrocità che avevo commesso.
Ma ormai era troppo tardi.
Liam perdeva sangue e bruciava nelle fiamme del fuoco celeste. Liam stava per morire di fronte ai miei occhi.
Ed era tutta colpa mia.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


.23.
 
 
 
 
 
Mi svegliai di soprassalto e mi tirai a sedere con uno scatto. Il sudore mi imperlava la pelle e l’aria non riusciva ad entrare correttamente nei miei polmoni, mentre il sapore acido della bile e della paura mi salivano nella bocca.
Stavo per vomitare.
Sentii le coperte frusciare al mio fianco e, quando abbassai gli occhi, notai la figura snella e slanciata di Liam che dormiva ancora. Le palpebre erano abbassate sugli occhi e i capelli erano un groviglio di riccioli castano chiaro sul cuscino. Il petto nudo e liscio si muoveva in modo regolare ad ogni suo respiro profondo. Le mani che fino a qualche istante avvolgevano il mio corpo erano abbandonate sul materasso.
Ci misi un istante di troppo per ricordare cosa era successo tra di noi solo qualche ora prima.
Le lacrime cominciarono a pungermi gli occhi, protestando contro di me affinché potessero riversarsi e bagnarmi il viso. Ma non mi meritavo nemmeno di poter piangere.
Cazzo, cosa avevo fatto? Liam dormiva, ignaro che la ragazza al suo fianco sarebbe stata la sua condanna. Ignaro che l’affetto e il desiderio che aveva provato per il mostro con cui ora condivideva il letto lo avrebbe portato alla morte.
Dovevo andarmene.
Dovevo lasciarlo.
Gettai subito le gambe fuori dal letto e comincia a vestirmi più in fretta che potevo. Mi stavo infilando la canottiera, quando sentii Liam svegliarsi. Evitavo accuratamente di guardarlo, ma con la coda dell’occhio vidi che si stava mettendo a sedere e mi osservava con le sopracciglia aggrottate verso il centro della fronte.
«Che succede?»
«Devo andare a casa.» La mia voce era più fredda di un vento gelido.
E lui se ne accorse. Irrigidì le spalle. «Perché?»
Che palle, non trovavo le mie mutandine. Decisi che ne avrei fatto a meno, dal momento che dovevo andarmene di lì il prima possibile e non avevo tempo di andarmi ad avventurare per la stanza alla ricerca di un indumento che lui stesso mi aveva tolto qualche ora prima. Agguantai i leggings e li infilai senza biancheria intima. «Perché devo andare a casa. Non posso più stare qui.»
«Non capisco.»
Saltellai sul posto mentre mi infilavo gli anfibi, senza nemmeno preoccuparmi di allacciarmeli perché avrei perso troppo tempo. «Non devi capire. Devo andare via di qui adesso
«Okay.» Liam inspirò a fondo e si alzò in piedi. Cercai di ignorare il fatto che fosse ancora nudo e che camminava dritto verso di me. Indietreggiai con uno scatto e andai a sbattere contro lo stipite della porta. Lui aggrottò le sopracciglia. «Rowan, che succede?»
«Te l’ho appena detto. Devo andarmene.»
«Questo l’ho capito. Quello che non capisco è il perché.» Cercò ancora una volta di avvicinarsi, ma si bloccò di scatto quando mi vide arretrare così tanto da spalmarmi contro alla porta chiusa. «Che cosa ho fatto?»
Serrai le palpebre, perché non sopportavo il dolore nella sua voce e lo sguardo ferito che aveva negli occhi. «Niente. Tu non hai fatto niente.»
«Non ci credo. Qualche ora fa mi chiedevi di stare insieme nel modo più intimo possibile, e ora nemmeno mi guardi in faccia.» Si passò una mano fra i riccioli spettinati. «Devi dirmi cosa ho fatto, così che possa rimediare.»
«Non hai fatto niente», ripetei. Quella era l’unica cosa vera che potevo dirgli.
«Abbiamo corso troppo? Ti ho fatto del male?»
Mi passai una mano nei capelli. Erano un groviglio di nodi. «No, no. Tu non mi hai fatto male, ma io… Io devo andare a casa.»
«Va bene.» Sospirò. Si piegò per recuperare i boxer da sotto le coperte e li infilò con fluidità. «Dammi un secondo per vestirmi. Ti accompagno con la macchina.»
«No!»
«Rowan», spostò lo sguardo sulla radio sveglia, «sono le tre di mattina. Non puoi andare in giro in questo modo…»
«Non ho bisogno del tuo aiuto!»
Lui barcollò sul posto, mentre io ingoiavo le lacrime e il dolore, e mi infilavo il cardigan di lana sopra le spalle nude. Una parte di me si sentiva morire per il modo in cui lo stavo trattando, ma il lato più ragionevole della mia mente sapeva che stavo finalmente facendo la cosa giusta. La prima cosa giusta da quel giorno nel parcheggio.
«So benissimo che sai come badare a te stessa, ma…»
«Liam, io ho commesso un errore.»
Si bloccò. «Un errore?»
«Questo», indicai il letto sfatto, «è stato un errore. Io non avrei mai dovuto…»
«Non è stato un errore, Rowan.» Mi fissò dritto negli occhi e io non riuscii a distogliere l’attenzione. I suoi erano color caramello, non dorati e infuocati come quelli che avevo visto nel mio sogno. Era ancora il mio Liam, vivo e vegeto. «Questa notte è stato maledettamente giusto. È stata la cosa più bella della mia vita.»
Oddio.
Sentii fisicamente il rumore del mio cuore che andava in mille pezzi, tanto che per non crollare in terra fui costretta a tenermi al muro. Eppure mi feci coraggio; sollevai il mento e ingoiai il dolore delle parole che stavo per pronunciare, ma che dovevo dire se volevo salvargli la vita.
«Rowan, io ti…»
«Forse non lo è stato per te», lo interruppi, «ma per me è stato un errore. Un errore che non ho più intenzione di ripetere.»
Allora uscii e mi fiondai fuori dalla villa. Come una stupida, mi voltai più volte prima di gettarmi in strada per controllare se lui mi seguiva. Ma Liam non mi seguì.
Santo cielo, avevo fatto un vero e proprio casino.
 
 §

Camminai per le strade buie e umide della città senza avere una meta precisa. Non sapevo dove andare, e non riuscii a trovare una risposta nemmeno quando un tuono scoppiò sopra alla mia testa e la pioggia cominciò a cadermi addosso.
Una parte di me desiderava poter tornare indietro e gettarmi tra le braccia di Liam, confessargli che mi ero innamorata di lui e che non credevo nemmeno ad una delle parole che avevo appena pronunciato. Un’altra parte voleva correre a cercare Hawke, dirgli che in realtà amavo anche lui e che avevo bisogno che lui mi dicesse che le mie oscurità e i miei difetti non fossero cose da cui fuggire, ma aspetti da accettare e accogliere. Un’altra ancora voleva correre a casa mia e buttare giù Seth dal letto per confessargli tutte le bugie che gli avevo raccontato e chiedere il suo aiuto per sistemare quel casino.
Ma non potevo fare nessuna di quelle cose, così continuai a camminare fino a che la pioggia non mi incollò i vestiti al corpo e i capelli alla faccia, fino a che non cominciai a tremare come se avessi le convulsioni, fino a che i piedi non riuscirono più sopportare il mio peso e le ginocchia cedettero a causa del dolore e della stanchezza.
Non seppi come, mi ritrovai accovacciata su me stessa in un vicolo stretto e buio nel quartiere di Pearl District. La stradina era delimitata da due grandi palazzi in mattoni rosso scuro, di cui uno dei due doveva per forza essere un ristorante indiano perché sentivo la puzza delle spezie che mi entrava nel naso e mi sconquassava lo stomaco. Ma ero troppo stanca persino per alzarmi in piedi. Vomitai in un angolo.
Mentre la pioggia mi penetrava nelle ossa e mi entrava nella bocca, inspirai lentamente e brevemente per placare i crampi alla pancia. Sollevai le ginocchia e le avvolsi con le braccia, nascondendo il viso tra di esse.
Non alzai la testa nemmeno quando sentii un fruscio di ali e il suono di un paio di scarponi che camminava verso il punto in cui mi ero rannicchiata contro il muro.
«Rowan.»
«Vattene via, Seth!»
Alzai lo sguardo in tempo per vederlo nascondere e ritirare le ali dietro le scapole, e togliersi dalla testa il cappuccio della giacca per lasciare che i suoi capelli si bagnassero sotto il getto violento della pioggia. L’altra mano era agganciata alla cintura delle armi, vicinissima alla spada cinese – un dao per la precisione – che pendeva lungo il suo fianco. Anche se non potevo vederle, sapevo che teneva nascoste altre armi sotto la giacca della tenuta e dietro l’orlo dei pantaloni.
Lui ignorò ciò che gli avevo detto e si accovacciò di fronte a me, posando una mano sulla mia gamba. Era calda e ruvida contro il mio polpaccio, dove i leggings si erano incollati alla pelle e mi avevano gelato le ossa. «Dobbiamo toglierci dalla strada. È troppo pericoloso.»
Non dissi nulla.
Lui avvicinò il viso al mio e mi afferrò il mento, costringendomi a sollevare gli occhi sul tuo viso. «È tutta la notte che ti cerco.»
«Perché?»
«Fai sul serio, cazzo?» Sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Ho sentito l’odore del tuo sangue davanti ad un ristorante di Richmond e me la sono fatta nei pantaloni dalla paura che ti fosse successo qualcosa, quando invece mi avevi detto che saresti solo stata a casa di Adeline. Quindi adesso…» Si bloccò, osservandomi con le palpebre leggermente abbassate sugli occhi e le gocce di pioggia che gli imperlavano le lunghe ciglia bionde. «Stai piangendo?»
Non so come avesse fatto ad accorgersene, dal momento che ero talmente zuppa che le lacrime si erano mischiate all’acqua piovana, e non mi importava nemmeno. Inoltre, avevo il cuore troppo a pezzi per potermi mettere a controbattere e fare l’orgogliosa. Mi limitai a tirare su con il naso e mordermi il labbro.
Lui sospirò forte e mi scostò dalla fronte una ciocca di capelli che si era incollata contro la mia tempia.
«Non toccarmi», scattai, incollando sempre di più la schiena al muro.
Fece subito ricadere la mano. «Che cosa è successo?»
«Demoni arpia. Ora sono morte, ma una mi ha graffiata sulla scapola mentre lottavamo.»
«Adeline sta bene?»
Annuii. «L’ho mandata via non appena le ho sentite arrivare.»
«Dobbiamo levarci dalla strada, Roe. Io non sono l’unico che ti sta cercando. Tutti i demoni della città sono sulle tue tracce.»
Strinsi i pugni sulle ginocchia e strinsi forte le palpebre. «Non ce la faccio.»
«La ferita è così grave?» Le sue mani si spostarono sulle mie spalle. «Fammi vedere la schiena. Stai ancora sanguinando?»
Scossi la testa. «Liam ha medicato la mia ferita e bruciato i miei vestiti.»
«Liam?» Seth inarcò un sopracciglio.
Mi passai una mano sul viso bagnato. Annuii.
«E tu che cazzo ci facevi con Liam Sterling? Avevi detto che…»
«Lo so, maledizione! So che cosa ho detto e – come hai già capito – era una bugia.»
«Perché mentire?»
«Perché…»
«Non ti fidi più di me?»
A quel punto crollai in mille pezzi.
Aprii la bocca e le parole cominciarono a sgorgarmi fuori come l’acqua scivolava via da un rubinetto rotto. «Ho fatto un casino, Seth.»
Seth sospirò profondamente, mentre si passava una mano fra i capelli biondissimi e grondanti di acqua. I suoi occhi dorati luccicavano anche nel buio della notte e del vicolo in cui trovavamo. «Capisco che tu abbia voglia di essere una normale adolescente. Lo capisco davvero, Roe, e vorrei poterti dare una vita normale. Ma non sei normale. Non siamo normali.»
«Lo so. Sono un mostro!»
Chiuse gli occhi, inspirando profondamente. L’acqua grondava via dai suoi capelli e percorreva i contorni delle sue ossa che sporgevano contro la pelle del suo viso. «Dopo che te ne sei andata ho parlato con mio padre: mi ha detto perché avete litigato e so perché pensi queste cose su te stessa.»
«Anche tu pensi lo stesso…»
«No, Roe, io non credo affatto che tu sia un mostro. Non l’ho mai creduto.»
Le lacrime mi inondarono gli occhi, tanto che fu difficile mettere a fuoco i lineamenti del suo viso che si trovava a pochi centimetri di distanza dal mio. «Volevo soltanto… Volevo fare la cosa giusta. Mostrarmi degna. Ho pensato che se davvero non ho alcuna possibilità di vivere dopo il mio diciottesimo compleanno, almeno potevo usare il tempo che mi restava per trovare il demone che sta uccidendo le benedizioni e sistemare questo casino prima che arrivassero gli Arcangeli.»
«Tu sai che…» Assottigliò le palpebre sugli occhi, poi capì perché nessuno mi conosceva bene quanto lui. Annuì con un cenno secco del mento. «Eri nella biblioteca, quella notte. Ho visto il libro sul tavolo, ma credevo che ti fossi dimenticata di metterlo a posto. Avrei dovuto capirlo.»
«Sapevo che se te ne avessi parlato tu mi avresti detto di lasciar perdere. Ma questo è il mondo di Liam e Adeline: non posso lasciar perdere. Se le mie uniche possibilità sono morire o trasformarmi in un gigante, voglio che succeda mentre cerco di salvare il mondo in cui loro dovranno vivere per il resto delle loro vite.» Tirai su con il naso. «Ma ho fatto un casino.»
«Ascoltami», mi strinse le mani attorno ai fianchi e mi sollevò in piedi con la forza delle sue braccia, «verremo a capo di questa situazione insieme, te lo prometto, ma non qui e non adesso.»
Abbandonai la schiena contro il muro, mentre Seth continuava a cingermi la vita con le braccia.
«Lui morirà per colpa mia», dissi, mentre il pianto mi spezzava la voce e le lacrime mi bruciavano la faccia e la gola.
«Cosa?»
«Mi trasformerò in un gigante e lo ucciderò. L’ho visto
«Rowan…»
Scossi la testa, mentre la mia voce si alzava sempre di più: «Io sono innamorata di lui, ma lo ucciderò lo stesso. Questa è la mia punizione per aver creduto di avere una scelta.»
«Non puoi saperlo.»
«L’ho sognato
«Cosa hai visto?»
«Liam…» Soffocai il pianto e strinsi forte le palpebre, «lui era ricoperto di sangue. Non ne ho mai visto così tanto in vita mia. E il fuoco celeste lo avvolgeva e lo bruciava. Lui stava morendo proprio di fronte ai miei occhi e io non facevo niente per salvarlo.»
Le mani ruvide e piene di calli di Seth mi incorniciarono il viso e mi costrinsero a non distogliere lo sguardo dal suo. «Diversamente da quello che pensi tu, Roe, io so che tu sei sempre stata più forte della maledizione dei Nephilim. Non ucciderai nessuno. E non morirai nemmeno tu.»
Sconfitta dal dolore che mi aveva provocato separarmi da Liam e stanca come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, mi accasciai contro la spalla di Seth. La giacca della sua tenuta da combattimento era bagnata e il materiale resistente di cui era fatta era duro e ruvido contro la mia guancia.
Lui mi accarezzò alla base della nuca, mentre mi avvolgeva il busto con un braccio solo. «Te lo giuro, troveremo una soluzione insieme. Però adesso andiamo via.»
«Non posso andare alla villa. Ho bruciato il tappeto…»
«‘Fanculo il tappeto! Era vecchio e nessuno lo spolverava da almeno un decennio. Hai fatto un favore a tutti: stavamo solo aspettando una scusa per sbarazzarcene.»
Un debole sorriso riuscì a incurvarmi le labbra.
Il suo si ampliò, mentre mi scostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Andiamo a casa, okay?»
Alla fine annuii.
Lasciai che mi stringesse al suo petto, mentre gli avvolgevo le braccia attorno al collo e mi aggrappavo ai suoi muscoli. Sentii il fruscio delle piume e, quando alzai lo sguardo, non mi stupii nello scoprire che le sue ali bianche e immense erano spiegate in tutta la loro ampiezza dietro la sua schiena.
Poi cominciò ad agitarle e spiccammo il volo.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


.24.
 
 
 
 
 
Ero stata già nella camera di Seth almeno un migliaio di volte prima di quella notte, ma per qualche strana ragione mi sembrava tutto infinitamente diverso.
Il letto era sempre nel centro della stanza e le lenzuola blu scuro erano come al solito perfettamente in ordine e lisce sul materasso. L’abat-jour sul comodino era accesa ed emanava come sempre quel bagliore giallognolo che faceva sembrare la mia pelle quella di una malata terminale, mentre si abbinava perfettamente con il colorito dorato della sua. La scrivania era immacolata e la libreria addossata lungo la parete opposta metteva in mostra i libri di demonologia e le vecchie copie della Bibbia organizzati e sistemati in ordine di grandezza. Era tutto pulito e organizzato, proprio come piaceva a lui, eppure a me sembrava tutto diverso.
Forse ero semplicemente io ad essere diversa.
Eravamo entrati dalla finestra che aveva lasciato aperto prima di uscire e andare a caccia. Mentre le sue ali e i suoi vestiti avevano gocciolato lungo il parquet, era corso alla porta e l’aveva chiusa con due giri della chiave. Aveva recuperato dei vestiti puliti dalla sua cassettiera e me li aveva offerti, consigliandomi di andare nel suo bagno privato ad asciugarmi e togliermi di dosso gli indumenti bagnati che mi si erano incollati alla pelle e mi facevano tremare forte.
Quando tornai nella stanza, con indosso i pantaloni di una sua vecchia tuta che mi stavano infinitamente larghi sulle gambe sottili e una maglietta grigia che era così grande che il mio busto e le mie braccia sparivano in essa, notai che anche lui si era cambiato e asciugato.
Mi attendeva seduto sul bordo del suo letto, con i gomiti poggiai sulle ginocchia e la testa fra le mani. Accorgendosi della mia presenza sulla soglia tra il bagno e la camera da letto, alzò la testa e mi inchiodò sul posto con i suoi occhi magnetici.
«Prima di tutto, voglio dirti alcune cose», annunciò, alzandosi in piedi. Troneggiava su di me, ma non in modo minaccioso.
Mi dondolai sui piedi. «Okay.»
«Quello che è successo nello studio di mio padre…»
«Non ne voglio parlare, Seth.»
Lui mi afferrò il mento con una mano e mi costrinse a guardarlo negli occhi. «Non sapevo cosa stava succedendo tra voi due. Se avessi saputo cosa vi siete detti quella sera e cosa quella conversazione ha scatenato dentro di te – perché lo so che il tuo unico pensiero è stato quello di darti la colpa – non me ne sarei stato lì, zitto e fermo come uno stoccafisso.»
Mi morsi il labbro per costringermi a non interromperlo.
«Ci sono rimasto di merda, Roe. Ecco perché non sapevo cosa dire.» Scosse la testa e serrò la mandibola. «Non avevo idea che tu pensassi queste cose su di te. O meglio, lo sapevo, ma non credevo che mio padre ti avesse fatto credere che tu avessi ragione.»
«Lui… ha paura di me. Come tutti gli altri.»
«No, Rowan, lui ha paura per te. Sa cosa ti farebbe – cosa farebbe a quella che sei adesso – se dovessi fare del male a qualcuno.»
Feci una smorfia. «Questo non cambia molto le cose, Seth. Lui comunque non crede che io abbia la possibilità di sconfiggere la maledizione. Lui non si fida di me.»
«Ma io sì.» Le sue dita scivolarono dal mio mento alla mia spalla. Strinse il tessuto della maglietta fra le dita e il suo calore si propagò fino alla punta delle mie dita. «Io non ho alcun dubbio che riuscirai a dimostrarti degna della grazia e che vincerai la maledizione dei Nephilim. Conosco la tua anima, Roe, e so quanto tu sia buona – anche se ti sforzi tanto di fingere il contrario.»
«Seth, io…»
«E cosa più importante di tutte, io non credo che tu sia un mostro. Detesto che tu usi quella parola nei tuoi confronti.»
Sollevai gli occhi sul suo viso. Sembrava sincero, e Dio solo sapeva quanto io volevo credere alle sue parole. «Ma allora perché? Perché cerchi sempre di tenermi lontana da tutto, se non pensi che sia perché il mio potere mi trasformerà in un gigante?»
«Cristo, è una domanda seria?»
«Sì, Seth, è una domanda seria. Rispondimi.»
«Perché ti voglio bene, Rowan. Perché sei la mia sorellina e, se dovesse succederti qualcosa di male, io ne morirei.» Mi venne incontro e posò entrambe le mani sulle mie spalle. «Senti, lo so che sei molto forte e so che sei perfettamente capace di prenderti cura di te stessa. Lo so davvero. So anche che se mai dovessimo batterci sul serio, tu mi faresti il culo in meno di un minuto.»
Piegai le labbra in un sorriso serafico. «Datti un po’ più di credito. Sei uno dei migliori Vigilanti dello Stato.»
«Ma non sono forte come te», replicò. E io non aggiunse niente, perché era la verità. «Il punto è che anche se so tutte queste cose, ogni volta che ti guardo, vedo la bambina con le trecce e gli occhi troppo grandi per il suo visetto che piangeva tutte le notti e che io consolavo, che sorrideva solamente quando si trovava di fronte ai biscotti al cioccolato, che si scusava ogni volta che si faceva male come se fosse colpa sua se il suo sangue è una calamita per i demoni. E non posso fare a meno di voler proteggere quella bambina.»
Abbassai lo sguardo sui miei piedi nudi. «Eravamo entrambi dei bambini, Seth. Ma poi siamo cresciuti.»
«Lo so. Per questo voglio anche chiederti scusa.» Mi scostò dietro l’orecchio una ciocca di capelli che era fuoriuscita dal disordinato e umido chignon che avevo sulla nuca. «Non avrei dovuto tenerti chiusa in casa come se fossi una bambola di porcellana che rischia di rompersi al primo colpo. Avrei dovuto permetterti di respirare e uscire, e dimostrare a tutti questi stronzi – incluso mio padre – che non sanno un cazzo di te e che tu sei abbastanza forte da fare il culo ai demoni come tutti noi, senza trasformarti in un gigante.»
«Lo credi davvero?»
«Lo credo davvero.» Le sue dita indugiavano ancora sulla mai guancia, e mi accarezzarono la gota con le nocche. «Adesso dimmi cosa cazzo ti sta succedendo, perché mi stai mettendo una paura del diavolo.»
E io glielo dissi.
Senza mai fermarmi se non per fare brevi pause per inumidirmi la bocca e riprendere fiato, gli raccontai tutte quelle cose che gli avevo omesso e tutti quei dettagli sull’indagine che anche lui stava conducendo e che erano di vitale importanza. Parlai di Hawke e di quanto fosse diventato importante per me; del sangue di demone che scorreva nelle vene di Adeline e che le aveva donato straordinarie capacità; dell’altruismo e la determinazione di Liam che mi avevano fatto innamorare di lui. Gli riferii anche ciò che avevamo scoperto grazie alla non poi così generosa collaborazione delle streghe e delle teorie di Hawke sul coinvolgimento dell’Ordine dei Figli di Dio.
Non seppi come, ci ritrovammo sdraiati sul suo materasso immacolato, con le spalle che si toccavano e le schiene incollate alla tastiera del letto.
Quando finalmente finii di parlare, Seth rimase in silenzio per quelle che mi sembrarono ore intere. Io lo osservavo attraverso le ciglia ancora umide di lacrime e pioggia.
Alla fine si voltò verso di me e tese una mano. «Fammi vedere la ferita sulla tua schiena», ordinò.
«Che cosa?» Spalancai le labbra e sgranai gli occhi. «Questa è la prima cosa che vuoi sapere dopo tutto quello che ti ho appena detto? Nessun commento sulla mia strana relazione con un demone di alto rango, o imprecazioni nello scoprire che la mia migliore amica è una strega, o rimproveri perché mi sono innamorata di un umano?»
«Sto ancora elaborando tutte queste informazioni. Quindi, sì, la cosa che mi preme sapere in questo momento è in che condizione è la tua ferita, per essere certo che stia guarendo correttamente e che quell’umano non abbia fatto un pasticcio.»
«Seth…»
«Voltati e fammi vedere», disse.
Mi morsi un labbro e gli diedi le spalle. Lui mi afferrò i lembi della larga t-shirt che indossavo e la sollevò per scovare il punto della mia schiena in cui l’artiglio dell’arpia mi aveva graffiato.
Io non sentivo più dolore, ma Seth decise comunque di volerci passare sopra un generoso strato di crema a base di arnica e altre erbe medicinali di cui ignoravo il nome. Rabbrividì al primo tocco perché l’impasto era freddo e puzzava da morire.
Trattenni il respiro, e poi non riuscii più a restare in silenzio: «Seth, devi parlare con Elias, e lo sai anche tu.»
«Non posso.»
«Sì, che puoi.» Voltai appena la testa per poterlo guardare in faccia, ma lui mi tenne ferma e continuò a medicare la mia ferita. Sbuffai e mi limitai ad osservarlo da dietro la mia spalla. «Non importa quale sarà la mia punizione, purché lui mandi qualcuno ad indagare sull’Ordine. Magari ci stiamo sbagliando e loro non c’entrano niente, ma non possiamo escluderlo a prescindere.»
«Rowan, non capisci.» Sospirò e mi abbassò nuovamente la maglietta.
Anche se la pomata aveva cominciato a provocarmi un bruciore sulla lesione, lo ignorai e mi voltai. «Cosa non capisco?»
«Beatrice è in città. È arrivata ieri sera, dopo che te ne sei andata.»
«Porca merda.»
Porca merda davvero.
Beatrice era il leader della legione di Seattle, ed era spietata. Persino i demoni conoscevano il suo nome e i suoi metodi crudeli per ottenere informazioni e risultati.
Tutte le case dei Vigilanti avevano un bunker sotterraneo o una cantina dove tenere i prigionieri, o evocare i demoni più pericolosi. Ma giravano voci sugli orribili strumenti di cui non osavo nemmeno ripetere il nome in quella di Seattle. Il solo pensiero di ciò che quella donna combinava là sotto mi faceva venire la pelle d’oca e la nausea. Sì, i demoni non erano proprio delle belle personcine e io pe prima mi ero allenata tutta la vita per imparare ad ucciderli e rispedirli nelle profondità dell’Inferno. Ma la tortura? Era davvero troppo, persino contro i demoni.
E come se non bastasse, Beatrice mi odiava. Mi odiava sul serio. Era disgustata dalla mia sola esistenza e, ogni volta che veniva in visita per motivi di lavoro, io avevo preso l’abitudine di nascondermi nella mia camera per interi giorni pur di sfuggire a quel suo sguardo dorato e spaventoso.
«Perché è qui?» domandai con voce rauca.
«Hanno trovato una vittima con le stesse identiche ferite a Seattle, un paio di giorni fa. Lei è venuta qui con qualcuno dei suoi qui per confrontare le nostre indagini.»
«Porca merda.»
«Già. L’assassino si sta spostando anche nelle città vicino, e non è un buon segno.» Seth mi accarezzò la base della schiena. «Ma adesso capisci che se dovessi parlare con mio padre di… tutta questa roba, lui sarà costretto a riferirlo a Beatrice, perché è più alta in grado di lui, e lei…»
«Lo so.» Mi morsi il labbro, mentre il gelo della paura mi scivolava sotto le ossa. «Mi ucciderà, anche se questo dovesse scatenare l’ira di mio padre – cosa di cui dubito fortemente. Com’è che dice sempre? Meglio chiedere perdono, che il permesso.»
«Non le permetterò di avvicinarsi a te.»
Lo fissai negli occhi. «Ma che hai intenzione di fare, Seth? Non puoi tacere questo tipo di informazioni a tuo padre, o al resto della legione. Se l’Ordine è davvero coinvolto in questi omicidi, gli altri devono saperlo.» Scossi la testa, mentre il senso di colpa mi schiacciava il petto e mi impediva di respirare correttamente. Dio, che casino. «Non hai mai mentito così, nemmeno per me.»
«Lo so, ma non vedo un’altra soluzione.»
«Ma, Seth…»
«Senti, non piace nemmeno a me. Però non posso rischiare di perderti.» Si alzò in piedi e agganciò le mani ai fianchi. Quando inspirò, il petto si sollevò e si gonfiò sotto il leggero tessuto della t-shirt. «Per il momento, dobbiamo risolvere questo casino senza l’aiuto della legione.»
«Dobbiamo?» ripetei. Senza potessi controllarmi, le mie labbra si erano piegate di loro spontanea volontà in un sorriso. Era tutta la vita che speravo che mi coinvolgesse nei suoi piani e nelle sue missioni. «Nel senso di noi due insieme? Vuol dire che mi permettere di indagare con te?»
Alzò un sopracciglio e sollevò un angolo della bocca, assumendo un’espressione ironica. «Meglio che tu lo faccia con me, piuttosto che con un demone di alto rango, una strega e un umano.»
Mi ammutolii.
Sebbene la Scooby-gang – lo dovevo ammettere, quel nome cominciava a piacermi – fosse una squadra composta da persone a cui ero molto affezionata e insieme eravamo stati capaci di scoprire molto più di quanto era stata in grande l’intera legione di Vigilanti della città, Seth aveva ragione. Soprattutto se si fosse arrivato ad un inevitabile scontro.
Incrociai le braccia. «Okay. Qual è il piano?»
Seth lanciò un’occhiata alla sua sveglia, poi sospirò. «Dovresti dormire un po’, prima.»
«Non posso dormire!» Alzai gli occhi al cielo quando lui aprì la bocca per replicare: «Anche se volessi, non ci riuscirei dopo tutto quello che è successo questa notte.»
Lui sembrò sul punto di dire qualcosa. Poi sospirò e annuì con aria sconfitta.
Io gioì e saltellai sul posto, improvvisando una mini danza della felicità – sempre molto attenta a non muovere troppo la schiena per non rischiare di riaprire la ferita.
Seth fece un sorriso storto. «Dovremmo trovarti dei vestiti adatti. E recuperare le tue spade dall’armeria.»
Spalancai la bocca, arrestando di colpo la mia stupida danza della felicità. «Armi e… tenuta da combattimento? Perché?»
«È domenica, Roe.» Mi rivolse un ghigno serafico. «Andiamo in chiesa.»

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


.25.
 
 
 
 
 
Quella tenuta da combattimento mi calzava a pennello.
I pantaloni mi fasciavano perfettamente le gambe dai muscoli sottili e affilati, mentre la canottiera termica mi avvolgeva il petto come una seconda pelle. Solo la giacca aveva le maniche un po’ troppo lunghe per le mie braccia esili, ma dopo averle arrotolate un paio di volte sui polsi avevo notato che riuscivo a muovermi senza alcun impaccio o impedimento. Allora avevo infilato i miei anfibi comodi e allargati per tutte le volte che li avevo indossati, e come sempre vi avevo nascosto dentro un paio di pugnali dalla lama benedetta.
Dal momento che io ero troppo bassa e la spada cinese jian era perfetta tra le mie mani ma troppo lunga per tenerla lungo il fianco, l’avevo assicurata saldamente alla mia schiena.
Quando Seth aveva infilato la seconda spada alla cintura delle armi che aveva legato in vita, aveva ruotato le spalle prima in avanti e poi indietro, lasciando che le ali si schiudessero dietro la sua schiena in tutta la loro ampiezza.
Mi ero alzata il cappuccio sulla testa e avevo teso le mani verso di lui, pronta per uscire dalla finestra allo stesso modo in cui eravamo entrati qualche ora prima. Detestavamo fare le cose di nascosto, ma non potevamo rischiare di attirare l’attenzione di Beatrice o uno dei suoi Vigilanti.
Seth mi aveva avvolto i fianchi con le braccia, mentre io mi aggrappavo al suo busto intrecciando le braccia attorno al suo collo e stringendo le dita al tessuto della sua giacca. Poi eravamo volati via.
Ora ci trovavamo sul tetto dell’edificio di fronte alla chiesa dell’Ordine dei Figli di Dio.
Non so di preciso cosa mi aspettassi di trovare, ma di certo non era quello che mi ero immaginata quando pensavo ad una chiesa di uomini fanatici e folli, capaci di impugnare un’arma e uccidere qualsiasi creatura. Credevo che mi sarei trovata di fronte ad un edificio in stile gotico come la Cattedrale di Notre Dame, o un esempio di architettura classica come gli antichi templi greci e romani.
Invece quella che avevo davanti agli occhi non sembrava molto diversa da tutte le altre chiese cattoliche della città. Semplice e quasi anonima, si incastonava perfettamente in quella via del quartiere di Portsmouth tra due edifici in mattoni rossi e marroni. Un rosone gigantesco era il protagonista principale della facciata insieme ad un imponente porta di legno di ciliegio le cui ante in quel momento erano state spalancate per accogliere i fedeli. Dietro quella che da fuori potevo solo supporre essere la navata principale, era collegato un piccolo edificio un po’ bruttino, di un intonaco arancione e ocra, squadrato e tozzo, nel quale sapevo erano collocati gli uffici parrocchiali e gli alloggi per i membri dell’Ordine.
Seth teneva una mano ferma sulla cintura, vicinissimi all’elsa del suo dao, mentre i suoi occhi scaglionavano attentamente la strada opposta attraverso le gocce di pioggia.
Io, invece, ero troppo elettrizzata e nervosa e non riuscivo proprio a starmene ferma. Avevo cominciato a camminare avanti e indietro sul cornicione del tetto.
Seth si tolse il cappuccio dalla testa e si passò una mano fra i boccoli biondissimi. «Potresti smetterla di camminare così vicina al bordo?»
«Perché?»
«Mi stai rendendo nervoso. Devo ricordati che non hai le ali e se dovessi cadere ti faresti tanto male?»
Sbirciai di sotto. Erano almeno venti piani di altezza, quelli che dividevano me dal marciapiede sottostante. “Farmi tanto male” sarebbe stato l’eufemismo dell’anno. Sapevo saltare da grandi altezze, ma questo era troppo persino per me.
Continuai a fare avanti e indietro, stringendomi nelle spalle. «Non riesco a stare ferma.»
«Me ne sono accorto.»
Saltai giù dal cornicione e gli andai incontro. «Dimmi ancora una volta qual è il tuo piano? Perché, fattelo dire, non mi sembra un granché. È domenica e saranno tutti lì.»
«Proprio perché è domenica è un buon piano.»
Arricciai la punta del naso. «Non ti seguo.»
«La domenica mattina c’è la messa, Rowan. Qualsiasi fanatico religioso che si rispetti non salterebbe la messa domenicale per nessun motivo.» Mi lanciò un’occhiata sbieca. «E mentre loro saranno dentro a fare le loro preghiere da ipocrita, noi entreremo al piano superiore dell’edificio indisturbati.»
«Per fare che cosa, esattamente?»
«Per trovare delle prove del loro coinvolgimento.» Si voltò verso di me e posò le mani sulle mie spalle. «Seguimi un attimo, okay? Se abbiamo le prove che loro sono i responsabili, o che sono collegati al responsabile, le porteremo a mio padre e a quel punto lui e il resto della legione saranno troppo occupati a chiudere questa faccenda per farti domande scomode.»
«E se l’Ordine non c’entra proprio niente?»
«Ci penseremo dopo.»
«Giusto.» Inspirai profondamente. «Una cosa alla volta.»
Seth fece scivolare una mano sulla mia nuca, dove i capelli erano legati in una treccia bagnata che si era appiccicata alla pelle, e mi costrinse ad incollare la fronte alla sua. Da quella vicinanza i suoi occhi erano diventati un solo occhio dorato e sfocato, ma non distolsi lo sguardo. «Ti fidi di me?»
«Certo.» Mi morsi il labbro. «Ma sai che se entriamo dentro e troviamo resistenza, io non posso ucciderli.»
Fece un sorrisetto sbilenco. «Andiamo, Roe, tu sei una stracazzutissima Nephilim: so che sei più che capace di occuparti di qualcuno senza ucciderlo.»
«Sì che ne sono capace, ma così è più difficile…»
Con un colpetto sulla fronte e una stretta attorno ai miei capelli, Seth mi lasciò andare. Adesso che riuscivo a metterlo a fuoco nonostante la pioggia fitta e le nuvole nere che oscuravano il cielo, mi accorsi della tensione che gli irrigidiva i lineamenti del viso dietro il sorriso.
Lo affiancai e guardai di sotto. La gente aveva cominciato a raccogliersi davanti alla porta di ingresso della chiesa. Mi sembrava assurdo che fra le teste di quelle persone devote ci potessero essere anche quelle di essere umani capaci di far fuori un Vigilanti e un demone, capaci di far fuori me.
«Allora, cosa pensi di trovare?»
«Sì, Biondino, illuminaci», esclamò una voce profonda e morbida come velluto che proveniva dalle nostre spalle. Una voce calda e derisoria che conoscevo molto bene, che riusciva sempre a farmi sorridere e irritare allo stesso tempo. «Cosa pensi di trovare?»
Mi voltai verso con uno scatto.
Hawke era nella sua forma demoniaca, con le ali dalle piume nere e lucide completamente spigate oltre le sue spalle muscolose e con la pelle rosso fuoco che spuntava da sotto le maniche corte della maglietta che indossava. Mi rivolse un ghigno diabolico e agitò la punta degli artigli in un saluto con la mano.
Spalancai la bocca e la pioggia mi entrò dentro.
Un secondo dopo, Seth estrasse la spada dalla custodia e la rivolse con un gesto fluido del polso contro la gola di Hawke, che tornò immediatamente in forma umana e sollevò le braccia sopra la testa.
«Calma, Biondino. Vengo in pace.»
Richiusi le labbra e feci subito un paio di passi in avanti per avvolgere le dita attorno al polso di Seth e costringerlo ad allontanare la lama benedetta dalla pelle delicata della gola del mio amico.
«Seth, fermati!»
Seth spostò gli occhi sui miei, interrogativo. «Che fai?»
«Non fargli del male. Lui è il demone di cui ti ho parlato», spiegai.
I muscoli della sua mascella guizzarono di colpo quando la serrò violentemente. Abbassò la spada e fece un passo indietro, ma notai che non aveva smesso di stringere l’elsa tra le dita; la sua presa era così forte da farsi sbiancare le nocche.
Hawke piegò la testa di lato, guardandomi con i suoi pozzi neri. «Gli hai parlato di me, splendore?»
Ignorai il suo solito tono derisorio che mi faceva innervosire e mi concentrai sul punto. «Non eri con Adeline a mangiare tacos? Lei dov’è adesso?»
«A casa mia, con Liam.»
A sentirlo nominare, sentii una fitta al cuore. Cercai di ignorarla, invano. «Stanno bene tutti e due?»
«Sì, splendore, stanno bene. Cosa che non posso dire di te, visto che hai un aspetto davvero di merda.» Mi accarezzò la pelle blu e violacea che mi cerchiava gli occhi. «Hai dormito?»
Seth sbuffò.
Io voltai appena la testa per guardarlo oltre la spalla. «Potresti darci qualche secondo?»
Lui grugnì qualcosa di incomprensibile. «Vado…» agitò la spada verso il cornicione dal lato opposto del tetto, «a controllare la strada.» Si allontanò lentamente e senza staccare lo sguardo dalla mano di Hawke che ancora mi accarezzava la gota. Con la coda dell’occhio, notai anche che non aveva smesso di stringere le dita affusolate attorno all’elsa.
Hawke lanciò un’occhiata alle mie spalle, poi tornò a guardarmi. «Sta sentendo ogni cosa che diciamo, vero?»
Annuii. «È probabile, ma gli ho detto tutto quindi non c’è niente che diremo che lui non sa già.»
Lui fece un cenno del mento. «Allora, hai dormito? E non mentirmi.»
«Non proprio», confessai, stringendomi le braccia attorno al busto. Seth mi aveva consigliato di riposare, prima di uscire. E sebbene io fossi stanca come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, non ero riuscita a chiudere occhio.
«Si vede», commentò Hawke con una smorfia. Eppure nella sua voce non c’era nemmeno l’ombra del suo solito tono scherzoso.
Alzai le ciglia e lo guardai dritto in faccia. Sembrava davvero preoccupato. «Come mi hai trovata?»
«Il tuo odore…»
Mi allarmai. «Sanguino ancora?»
«No, no.» Scosse la testa e agitò i riccioli neri sulla fronte. Le sue dita scivolarono dalle mie occhiaie al mio zigomo, poi con il pollice seguì il profilo della mia mascella. «Ma profumi di caprifoglio. Riconoscerei quel profumo ovunque.»
Seth sbuffò ancora più forte alle nostre spalle.
E questo mi riportò alla realtà. Irrigidii le spalle e feci un passo indietro, facendo in modo che la sua mano ricadesse nello spazio lasciato vuoto tra i nostri corpi. «Non saresti dovuto venire fin qui.»
Hawke si passò una mano fra i riccioli neri e delle gocce di pioggia gli ricaddero sulle spalle e sugli zigomi.  «Rowan, che cazzo succede?»
Sollevai il mento. «Succede che mancano poche settimane all’arrivo degli Arcangeli, Hawke. Il tempo del cazzeggio è finito. Io e Seth risolveremo questa cosa nel modo giusto.»
Lui mi osservò a lungo; poi scosse la testa con aria delusa. «Sono un demone, Rowan. So quando menti. E tu lo stai facendo proprio ora. Sento letteralmente la puzza delle tue bugie.»
Sapevo che mentire in presenza di Hawke sarebbe stato inutile, ma volevo provarci comunque dal momento che la verità non lo avrebbe mai convinto a lasciarmi.
«Ti prego, Hawke…»
«Mi preghi di fare cosa, Rowan?» Le sue pupille si assottigliarono mentre mi fulminava con lo sguardo. Stava perdendo la calma, e il suo aspetto demoniaco stava risalendo sulla superficie. «Diversamente da quello che dici tu, dovevo venire qui perché il tuo adorato Fossette mi ha chiamato in preda ad una crisi isterica dicendo che te ne eri andata nel cuore della notte come se avessi avuto un razzo su per il culo e che non rispondevi più al telefono.»
In effetti era andata proprio così. Era fuggita via da lui come se la casa avesse cominciato ad andare a fuoco. E, Dio, ero stata una stronza di prima categoria.
Chiusi gli occhi, mentre il senso di colpa tornava a schiacciarmi il petto e impedire all’ossigeno di entrarmi nei polmoni. Il ricordo dello sguardo ferito che aveva animato gli occhi color caramello di Liam mi provocò una fitta di dolore al centro del petto, togliendomi del tutto il respiro.
Ma cos’altro avrei potuto fare per tenerlo al sicuro? Forse non era un gran piano, forse non ci avevo riflettuto abbastanza bene e forse mi ero lasciata sopraffare dalla paura di perderlo, ma stare lontana da lui ancora mi sembrava l’unica soluzione possibile.
Hawke proseguì: «Ma che cazzo succede? Io e te siamo una squadra – che tu voglia ammetterlo oppure no, lo siamo da molto prima dell’inizio di questo casino – e poi di punto in bianco decidi che non lo siamo più. Sinceramente, splendore, non mi frega un cazzo se non vuoi più avere niente a che fare con Liam o Adeline. Ma non puoi fare una cosa del genere a me!»
Per impedirmi di fare qualcosa di stupido, ad esempio abbracciarlo come avevo fatto nell’ascensore la sera prima, aggrappai le dita attorno alla cinghia che teneva legata la jian dietro la mia schiena.
Inspirai a fondo, ignorando l’acqua che mi grondava addosso e che entrava in bocca ogni volta che l’aprivo per parlare. «Va’ a casa, Hawke.»
«Dici sul serio, cazzo?»
«Sì. Dico sul serio.» Sostenni il suo sguardo nero e profondo.
Lui scosse la testa e piegò le labbra in una smorfia. «Io non so cosa è cambiato in una sola notte, ma so che non può essere tutta colpa dei miei sentimenti per te o delle prestazioni sessuali di Liam. Quindi non me ne vado. Non ti lascio da sola ad affrontare quegli stronzi, Rowan. Sento la puzza di vischio fin da qui. Quella roba può ucciderti.»
«Io non sono sola.» Feci un cenno della testa verso Seth, che ancora fingeva di perlustrare la zona. «Non sono così incosciente da affrontarli da sola.»
Lui mi lanciò un’occhiata che mi spezzò il fiato.
Come cavolo avevo fatto a non accorgermi prima del modo in cui mi fissava, dell’intensità con cui mi accarezzava il profilo con gli occhi? Il senso di colpa aumentò.
Sospirò. «Come accidenti devo fare con te, Rowan?»
«Che intendi dire?»
«Tu davvero non ti rendi conto di cosa significa essere innamorati per un demone.» Mi afferrò entrambe le spalle e mi scosse. «Io non posso vivere senza di te. Brucerei tutto il fottuto mondo se significasse salvarti la vita.»
Il respiro mi si mozzò nella gola, mentre le mie mani si serravano ancora di più attorno alla cinghia sul mio petto. Un peso insopportabile mi oppresse il centro del petto e sentivo le lacrime salirmi agli occhi.
«Hawke, so che passiamo gran parte del tempo a bisticciare, ma nemmeno io non voglio perderti», confessai. Ne ero stata certa nel momento in cui Seth mi aveva chiesto di consegnarli il vero di nome di Hawke e io, anche se non sapevo quale fosse, mi ero rifiutata categoricamente. Non avrei mai potuto permettere che lo usassero contro di lui e non avrei mai potuto sopportare che gli fosse fatto del male.
I suoi occhi neri sembravano essere diventati grandi come due palle da golf. La presa sulle mi spalle allentò fino a scomparire del tutto. Indietreggiò come se lo avessi colpito con uno dei miei calci rotanti e si passò una mano fra i capelli.
Feci un passo verso di lui. «Hawke…»
«Aspetta un attimo», mi interruppe e alzò una mano. Io mi bloccai. Mi fissava con le labbra schiuse e gli occhi spalancati. «Che significa esattamente? Che sono il tuo amichetto demone super speciale?»
«Credevo avessi detto che anche se ero una stronza se dicevo che non volevo perdere la tua amicizia, nemmeno tu lo volevi.»
«Sì, l’ho detto, però…»
«Ma comunque, no, non era quello che intendevo.»
Lo guardai negli occhi e vidi che lui capiva cosa provavo, anche se nemmeno io ci riuscivo del tutto. Era un demone e poteva sentirlo dall’odore che emanavo, come una sorta di allarme per le emozioni violente e peccaminose. Sapevo bene che amare un demone era uno dei più gravi dei peccati… e io amavo Hawke. Forse non era il modo in cui voleva che io lo amassi, ma lo amavo comunque.
«E Liam? Non sei innamorata di lui?»
«Sì.»
«Quindi, quello che stai dicendo è che tu… Tu ci ami entrambi?»
Mi morsi il labbro. «Immagino di sì.»
Lui si passò si nuovo le dita fra i riccioli scuri, distogliendo lo sguardo. «Be’… cavolo! Questa proprio non me l’aspettavo.»
«Ascoltami», la mia voce era roca e appena udibile, «non abbiamo il tempo per fare questa conversazione. Ma dal momento che nessuna bugia funzionerà con te, ti sto dicendo la verità. Non so bene in che modo sono legata a te, ma so che non voglio rischiare di perderti. Ed è per questo che ti chiedo di andare via.»
«Non puoi dirmi che anche tu provi qualcosa per me e poi chiedermi di lasciarti», replicò. Fece una specie di risata. «Anzi, mi correggo: è ovvio che tu lo dica. Tu non fai mai una cosa che abbia senso.»
Feci un sorriso debole. «Hawke, nessuno di noi due può uccidere gli umani senza pagarne le conseguenze. Non voglio che a farlo sia tu.»
«Mi prendi per il culo? Stai cercando di proteggermi? Pensi davvero che mi freghi qualcosa di finire sulla lista nera del Triste Mietitore, o del Grande Capo?»
«No, ed è questo il punto.»
«Lascia che mi puniscano. Non mi importa.»
«Hawke, non si tratta solo di loro.» Deglutii a vuoto. «Beatrice è in città.»
Lui sbiancò. «Cazzo.»
«Se lei dovesse venire a sapere di noi…» Scossi la testa, disgustata al solo pensiero della crudeltà e la freddezza dell’anima di quella donna orribile. «La conosci, Hawke, e sai bene quanto può essere spietata. Per ottenere quello che vuole, ci farebbe a pezzi nel peggiore dei modi: userebbe me per arrivate a te, e te per arrivare a me.»
«Rowan?»
Mi voltai appena per incrociare lo sguardo con quello di Seth. «Che c’è?»
«La messa sta per iniziare. Dobbiamo entrare.»
«No, cazzo!» esclamò Hawke. «Io e te dobbiamo finire questa fottuta conversazione. Non mi lascerai così!»
Seth alzò gli occhi al cielo e mi porse una mano. «Abbiamo una finestra di una sola ora per fare quello che dobbiamo fare. Poi dovremmo aspettare un’altra settimana, e come sapete il tempo a nostra disposizione è parecchio limitato. Dobbiamo andare adesso
Annuii.
«Ti prego», mi supplicò Hawke.
Mi spinsi in avanti e avvolsi il suo collo con entrambe le braccia. Prima ancora che lui potesse ricambiare quel fugace e imbranato abbraccio, io mi allontanai.
«Va’ a casa, e non permettere a Liam e Adeline di venirmi a cercare.» Camminavo all’indietro, mentre mi avvicinavo al cornicione e senza mai staccare gli occhi dal viso di Hawke.
Lui scosse la testa, con la mascella tesa al massimo. «Non lo faranno mai. E nemmeno io.»
Quando gli fui abbastanza vicina, sentii Seth che mi avvolgeva la vita con un solo braccio e cominciava ad agitare le ali.
Strinsi le palpebre mentre fulminavo Hawke. «Non fare cazzate, ti prego.»

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 
.26.
 
 
 
 
 
Una volta entrati nell’edificio, il caldo mi accolse e io non riuscii ad impedirmi di trarre un sospiro di sollievo; mi tolsi il cappuccio dalla testa e sgrullai via le gocce di pioggia dai capelli e dalla giacca della tenuta.
Misi da parte tutte le mie emozioni ingarbugliate e cercai di concentrarmi solo sulla missione. Non potevo proprio permettere che i miei sentimenti confusi e scombussolati avessero la meglio: per una volta, dovevo ragionare con lucidità.
Mentre le sue ali si ritiravano all’interno delle sue scapole, Seth si guardò intorno con le palpebre assottigliate sugli occhi dorati e una mano sull’elsa della spada più vicina. «Fai attenzione. Devono aver inserito della polvere di vischio nei condotti d’areazione», mormorò, portandosi la punta dell’indice sul naso.
Annusai a pieni polmoni e me ne pentii un istante dopo. L’odore dolciastro e forte della pianta mi entrò nelle narici con violenza, facendomele pizzicare così tanto che pensai di essere sul punto di fare lo starnuto più rumoroso della storia. Chiusi la punta del naso tra le dita e riuscii a trattenerlo, facendomi lacrimare gli occhi. Quando il pizzicore passò, cominciò il fuoco nei polmoni e nelle mie vie aeree che erano entrate in contatto con la polvere di quella pianta così velenosa.
«Porca merda», imprecai, respirando piccole quantità di aria.
«Ti avevo detto di fare attenzione, non di inalarlo», mi fece notare.
Lo ignorai, con un’alzata di spalle. Quando mai facevo quello che si diceva?
Mi guardai intorno.
Visti da dentro, gli edifici parrocchiali non aveva nulla di particolare o degno di nota. Erano un’anonima strutta ordinata e squadrata, dalle pareti così bianche da far male agli occhi. Sembrava una specie di reticolato di stanze con le porte chiuse che si affacciavano su una serie di lunghi corridoi stretti collegati fra loro fino a formare una strana forma geometrica, precisa e spigolosa.
Noi eravamo entrati dalla finestra aperta, e ora ci trovavamo a gocciolare sul pavimento in mattonelle color ocra.
Seth mi allungò una mano e, dopo aver intrecciato le dita alle sue, mi lasciai guidare per il piano all’apparenza deserto. Entrambi però avevamo i sensi all’erta e le mani pronte a scattare verso le nostre armi.
Mi bloccai di scatto e aumentai la stretta delle dita in quelle di lui, quando mi accorsi che stavamo seguendo le indicazioni verso l’ufficio personale del parroco – nonché capo dell’Ordine.
Alzai un sopracciglio. «L’ufficio?»
«Da qualche parte dobbiamo pur cominciare a guardare.»
«Chi nasconderebbe le prove di un piano malvagio nel proprio ufficio?»
«Dove credi che tenga tutte i suoi documenti importanti e segreti mio padre?» Si strinse nelle spalle.
«È una cosa stupida. È il primo posto dove andrebbero a controllare.»
«O l’ultimo. Guarda te, per esempio: non saresti mai entrata lì e loro lo sanno.»
«Sei davvero un insopportabile so-tutto-io…» Alzai gli occhi al cielo, ma mi lasciai trascinare verso il suddetto ufficio.
Improvvisamente Seth strinse con maggiore forza le dita attorno alle mie e si bloccò, trascinando entrambi nella rientranza di una porta chiusa. Sentii al mio fianco tutti i suoi muscoli che si tendevano al massimo come le corde di un violino, mentre le sue dita lasciavano le mie e si serravano attorno al pugnale legato alla gamba.
«Che succede?» sussurrai.
«C’è una guardia armata.»
«Che cosa?» Sgranai gli occhi, mentre mi sporgevo appena per sbirciare oltre il nostro nascondiglio.
Aveva ragione: nel centro del corridoio, di fronte ad una larga porta a due ante, c’era un uomo.
Indossava degli indumenti scuri che assomigliavano in modo impressionante ad una via di mezzo tra la tenuta da combattimento dei Vigilanti e la divisa delle squadre speciali della polizia. Ma la cosa peggiore era che tra le mani teneva saldamente una spada corta con la lama di ferro lucido e affilato rivolta verso il pavimento. Quella era roba professionale, e mi chiesi come dei preti del cavolo avessero fatto a rimediare un’attrezzatura del genere.  
«Porca merda», mormorai con un filo di voce, mentre tornavo a nascondermi dietro la spalla di Seth. «Questi tizi non scherzano.»
«Non l’avevi capito dalla puzza di vischio?»
Gli scoccai un’occhiataccia che sapevo essere parecchio eloquente. Il cuore mi batteva all’impazzata e l’adrenalina mi scorreva nel sangue. «Un conto è la puzza di vischio per tutto l’edificio, un altro è una fottuta spada di ferro e un’armatura di ultima generazione.»
Seth si sporse ancora una volta. La guardia ancora non si era accorta della nostra presenza. «Non mi sembra che ce ne siano altri.»
«Okay.»
Ma lui mi fermò prima ancora che potessi fare un solo passo verso la guardia, agguantandomi il polso. I suoi occhi dorati erano stati quasi del tutto inghiottiti dal nero delle sue pupille dilatate. «Che vuoi fare?»
«Mi occupo di lui, così possiamo entrare in quella maledetta stanza.»
«Rowan…» Scosse la testa.
«Non lo voglio uccidere. Ma, a meno che tu non abbia un’idea migliore, dobbiamo metterlo fuori gioco per qualche ora.»
«Okay, ma…»
«Ricordi? Sono una stracazzutissima Nephilim, me lo hai detto tu prima. Posso occuparmi di lui senza ucciderlo.»
Mi liberai della sua presa, che si era allentata, e cominciai a camminare silenziosamente lungo il corridoio.
La guardia si accorse di me solo quando entrai nel suo campo visivo, il che la rendeva una guardia davvero pessima e anche una un po’ stupida. Alzò la spada e mi accorsi con sorpresa che sapeva maneggiarla con esperienza e destrezza. La teneva come se fosse il perfetto prolungamento del suo braccio.
Purtroppo per lui io ero più forte, più veloce e più… be’, più tutto.
La guardia fece un affondo nella mia direzione, e io mi scansai di lato per evitare la lama. Senza perdere un secondo, afferrai il polso della mano che reggeva la spada per impedirgli di attaccare di nuovo e alzai l’altro gomito per colpirlo dritto sul naso. Sentii il terribile crac delle ossa che si rompevano e quel suono mi riempii le orecchie. Però non potevo fermarmi, così alzai il ginocchio e colpii la sua tempia con un calcio rotante.
Con un rantolo, la guardia cadde a terra. 
Mi voltai verso Seth, che mi camminava incontro con il dao tra le mani, e gli rivolsi un ghigno pieno di soddisfazione. «Visto? Un gioco da ragazzi.»
Lui lasciò vagare gli occhi sulla figura stesa in terra e la porta. Poi mi fissò con sguardo pieno di disappunto. «Sta sanguinando su tutto il pavimento.»
«Non esagerare. Gli ho solo rotto il naso, e avrà un gran mal di testa quando si sveglierà. Ma non l’ho ucciso.»
A quel punto, anche lui incurvò le labbra in un sorrisetto. «Sei un’esibizionista.»
«Forse un po’.»
Senza smettere di sorridere e scuotere la testa con fare sconsolato, si inginocchiò di fronte alla serratura della porta.
«Che fai?» domandai.
«Cosa ti sembra che faccio?»
«Sai come forzare una serratura?»
«Sì. Dammi una delle tue forcine per capelli.»
«Sul serio?» Sgranai gli occhi.
Ero molto scettica e mi stavo già preparando una serie di commenti sarcastici da dire nel momento in cui sarei stata costretta a sfondare la porta con la forza. Però portai le mani alla treccia e sfilai una delle forcine che tenevano ferme quelle ciocche che erano troppo corte e sfuggivano dall’acconciatura.
Seth cominciò ad armeggiare con la serratura, mentre io mi guardavo intorno con fare irrequieto. «Credi che arriveranno altre guardie?» chiesi.
«Non lo escluderei.»
Lanciai un’occhiata alla povera guardia sanguinate e priva di sensi poco più in là rispetto a dove ci trovavamo noi. Aveva i capelli biondi, ora sporchi del suo stesso sangue. Il volto era pallido, ma privo di alcun segno. «Sembra avere la mia età.»
«È probabile che sia così.»
«Che posto di merda.»
Seth alzò gli occhi su di me per un solo istante. «Sono guerrieri. Come noi.»
«Solo che noi combattiamo contro i demoni, creature infernali che minacciano e corrompono l’umanità. Mentre loro…» Sospirai e mi scacciai una ciocca di capelli dagli occhi con il dorso della mano, «Dio solo sa cosa combinano.»
«Stiamo per scoprirlo.»
E sentii un clic. Mi voltai giusto in tempo per vedere Seth alzarsi in piedi e abbassare la maniglia della porta, che si aprì senza alcun impedimento.
Wow! Ero davvero impressionata. Non credevo che ci sarebbe riuscito.
Lui mi fece l’occhiolino, come se avesse letto il mio pensiero. O forse aveva semplicemente interpretato la mia evidente espressione meravigliata. «Chiamami Bond, James Bond.»
Con una spallata e un’alzata di occhi verso il soffitto, lo superai ed entrai nello studio. Ma un secondo dopo, senza fiato, mi bloccai sulla soglia.
«Porca merda.»
Seth, che mi aveva seguito dentro la stanza, inciampò nei miei piedi. Per non perdere l’equilibrio, si aggrappò ai miei fianchi e mi costrinse a fare qualche passo in avanti. Le mie ginocchia cedettero e se non fosse stato per le sue mani sulla mia vita sarei crollata in terra.
Lui si allarmò. «Che succede?»
«Guarda.»
Sulla scrivania c’erano mille carte sparpagliate di disegni che, a giudicare dai colori intensi del nero e del rosso, sembravano scene dell’orrore molto dettagliate. Ma ciò che aveva catturato tutta la mia attenzione erano gli strumenti appoggiati con noncuranza sul legno scuro del mobile. Quelli erano strumenti di tortura. Tortura vera e propria, di quelle capaci di farti desiderare di poter morire piuttosto che continuare a respirare e sopportare. Ed erano tutti in ferro – materiale altamente tossico per gli angeli e i demoni.
Seth camminò a passo rigido verso la scrivania e, con le dita avvolte in un guanto di pelle che aveva recuperato dalla tasca della giacca, sollevò quella che sembrava in tutto e per tutto una museruola. Poi un collare legato ad una catena con anelli spessi. E poi uno strano oggetto molto simile ad uno schiaccianoci di grandi dimensioni che avevo visto solo una volta raffigurato in un libro: quel coso era capace di spezzare le ali degli angeli e dei demoni, che erano la parte più sensibile di tutto il corpo.
Seth serrò la mandibola. «Anche se non sono coinvolti negli omicidi, troverò un modo per fargliela pagare per queste schifezze.»
Deglutii a fatica, mentre la bile mi risaliva dallo stomaco alla bocca creandomi un terribile senso di nausea che era quasi impossibile da ignorare.
Camminai verso la scrivania e presi con mani tremanti i fogli sparsi sul legno. La maggior parte erano progetti per nuovi strumenti di tortura e immagini piuttosto vivide e crude delle conseguenze che tali oggetti avrebbe procurato all’anatomia di una creatura celeste o infernale.
Sì, stavo seriamente per vomitare.
«E questi si fanno chiamare Figli di Dio?» mormorai con un filo di voce. «Non esiste dio che approverebbe una cosa del genere. È orribile
Seth abbassò lo sguardo sulle mie mani. «Mettiti i guanti. Non so quanta di questa roba sia sicura per noi. Forse l’hanno cosparsa di polvere di ferro, o di vischio.»
Annuii e feci come mi aveva suggerito.
Senza dire una sola parola, cominciammo a spulciare tra i fogli e disegni alla ricerca di qualcosa – a quel punto mi sarebbe bastata qualsiasi cosa – che li legasse alle morti di quelle settimane.
Dopo eterni minuti, con le mani che mi tremavano dentro i guanti, presi tra le dita un foglio con sopra disegnato con pastello a cera nero un pentagono rovesciato.
«Porca merda.»
Seth fu al mio fianco in un secondo e sbirciò il simbolo da sopra la mia spalla.
Voltai la testa e incrociai lo sguardo, con un nuovo pensiero che mi nasceva nelle profondità del cervello e diventava sempre più reale e spaventoso ad ogni secondo che passava. «Seth», sussurrai in preda ad un conato di vomito.
Lui posò una mano sulla mia schiena. «Cosa ne pensi?»
«E se non fosse il demone a controllare loro, ma loro a controllare il demone?» Tornai a guardare il simbolo del pentacolo rovesciato. «Avrebbe senso. Se l’Ordine è andato dalle streghe per comprare l’incantesimo di localizzazione delle benedizioni, avrebbero anche potuto acquistare quello per vincolare un demone.»
«Ma per vincolare la volontà di un demone di alto rango, dovresti conoscere il suo nome.»
«Venire a conoscenza del nome di un demone non è una cosa impossibile.» Feci vagare lo sguardo sugli strumenti abbandonati sulla scrivania. «Specialmente se sai essere… persuasivo
Seth non disse una parola. Serrò le labbra in una linea retta e fina; prese il foglio dalle mie mani e, dopo averlo ripiegato in quattro, lo nascose nella tasca interna della sua giacca.
Recuperò il cellulare da quella posteriore dei pantaloni e scattò quante più foto che poteva, immortalando ogni angolazione degli strumenti e dei disegni dell’orrore che mi riempivano la testa e che non sarei mai riuscita a dimenticare.
Mi morsi il labbro. «Dici che può bastare, come prova?»
«Forse non prova al cento per cento che siano coinvolti negli omicidi e nei furti di sangue angelico», sospirò, mentre tornava a infilare il cellulare nella tasca e puntava il suo sguardo dorato sul mio viso, «ma è sufficiente perché mio padre e il resto della legione vangano qui a controllare.»
Mi abbracciai il busto, mentre il gelo della paura mi si insinuava nelle ossa e il senso di disgusto tornava a sconquassarmi lo stomaco. «Userebbero tutta questa roba contro di loro.»
«Per questo devono saperlo.»
«Va bene, allora andiamocene da questo posto di merda. Non sopporto più nemmeno la vista di questa stanza.»
Lui annuì. Posò di nuovo una mano sulla mia schiena nel punto in cui la jian mi sfiorava le scapole, e mi guidò fuori dalla porta. Ma una volta superata la soglia, con il fiato a metà strada fra i polmoni e la gola, si bloccò.
Di fronte a noi c’erano quattro guardie.  

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


27
 
 
 
 
 
Le guardie ci stavano attendendo fuori dalla porta dello studio, con indosso le loro tenute ultramoderne e resistenti, e armate fino ai denti con spade, pugnali e asce. Le loro lame di ferro brillavano contro la luce fredda delle lampadine al neon del corridoio.
In un secondo, la mia mano corse alla mia schiena e impugnò l’elsa della jian, sfilandola dal fodero.
Sapevo di non poter uccidere nessuno dei nostri assalitori se non volevo scatenare la maledizione, ma non mi sarei battuta a mani nude contro questi stronzi.
Mi giurai che non avrei tolto nessuna delle loro vite, anche a costo della mia, ma allo stesso tempo promisi a me stessa che non li avrei lasciati uscire da quel corridoio sulle loro gambe. Non dopo quello che avevo visto in quello studio.
Non attesi che fossero loro a fare la prima mossa.
Lasciai che il mio potere emergesse dalle profondità in cui lo seppellivo ogni giorno e fui invasa da un lungo brivido quando lo sentii arrivarmi fino allo strato più superficiale della pelle.
Mi lanciai in avanti e mi spinsi contro la guardia più vicina.
Tenendo la lama della mia spada verso l’interno del braccio, avvolsi quello libero attorno al suo collo e usai quella posizione di vantaggio per gettare il corpo in terra con una capriola, facendogli colpire il pavimento con la schiena e la nuca e quindi tramortendolo.
Senza nemmeno dover riprendere fiato, mi scostai per schivare un affondo dell’uomo che avevo di fronte. Avvolsi le dita attorno al suo braccio e ruotando su me stessa per acquisire il controllo, agitai la jian in avanti e gli tagliai la mano. Quello cacciò un urlo spaventoso, mentre il sangue zampillava fuori dal moncherino e mi macchiava il collo e metà del viso. Ignorai il liquido caldo che mi colava sulla gola e mi spinsi in avanti. Con un salto gli montai addosso e gli strinsi le cosce attorno al collo, per poi sfruttare il peso del mio corpo e lanciarmi in terra e rotolare sul pavimento, portando lui insieme a me e spezzandogli l’osso della spalla.
Mi alzai in piedi con uno scatto e corsi verso Seth, che si muoveva come un danzatore tra le spade delle altre due guardie. Aveva ferito una con un colpo preciso sull’arteria femorale e si stava dedicando all’altra.
Gli andai in aiuto e, proprio un istante prima che la guardia a cui lui stava dando le spalle sollevava un pugnale di ferro e mirava alla sua schiena, io lo tirai per il retro della divisa con così tanta forza da farlo volare e sbattere la schiena contro il muro opposto. Quando fu a terra, sollevai uno scarpone e lo feci atterrare con violenza sulla gamba già ferita e gli spezzai la rotula.
Mi voltai per aiutare Seth con l’ultima guardia rimasta in piedi, quando sentii una forte pressione come un cazzotto sulla coscia e poi un pizzico leggero.
Con un sibilo di frustrazione, abbassai lo sguardo sulla mia gamba da dove usciva una siringa che era riuscita a superare lo spesso strato dei pantaloni della tenuta e mi aveva bucato la pelle. Mentre allentava la presa su di essa, l’uomo che avevo appena atterrato mi guardava con un ghigno soddisfatto, che io cancellai subito con un calcio in piena faccia che gli fece perdere i sensi.
Con un tonfo, la guardia con cui Seth stava combattendo cadde in terra privo di coscienza e io trassi un sospiro di sollievo.
Allora riposi la jian nella sua custodia sulla mia schiena e estrassi la siringa dalla mia coscia. Con le dita che mi tremavano per colpa dell’adrenalina, portai l’ago vicino al naso e serrai la mandibola con violenza quando riconobbi l’odore della roba che mi avevano iniettato. «Vaffanculo!»
Seth mi raggiunse in un secondo. Mi scostò i capelli dagli occhi e cercò il mio sguardo con la preoccupazione che gli sformava i lineamenti del viso. «Cosa succede?»
«Qui dentro c’era del vischio.» Con un cenno del mento indicai la guardia priva di sensi che avevo di fronte. «Questo stronzo è riuscito ad iniettarmelo.»
«Cazzo», imprecò lui. Mi incorniciò il viso con entrambe le mani, fissando i suoi occhi dorati nei miei. La paura li aveva resi duri e impenetrabili, come l’oro nel suo stato metallico. «Resta concentrata. Puoi farcela?»
Mi morsi il labbro e cercai di cacciare la nebbia che aveva cominciato ad appannare la mia mente. Sapevo che il mio sangue in parte umano avrebbe combattuto l’avvelenamento, che se fossi stata un angelo mi avrebbe ucciso all’istante. Eppure avvertivo che i miei sensi cominciavano ad intorpidirsi. Sentivo la lingua impastarsi al palato, le dita delle mani e dei piedi che formicolavano, e la vista che si offuscava.
«Vaffanculo!» ripetei. La mia voce aveva già perso la forza di qualche istante prima.
Seth strinse la mascella e i muscoli del suo viso guizzarono, mentre mi avvolgeva le braccia attorno ai fianchi un secondo prima che le mie ginocchia perdessero forza.
Con un gemito debole e flebile di cui mi vergognai moltissimo, mi accasciai contro il suo petto. In lontananza mi sembrava di sentire il suono di scarponi che battevano sul pavimento. Delle ombre scure si avvicinavano nel punto in cui ci trovavamo noi.
«Ne arrivano altri…» mormorai, aggrappandomi alla giacca di Seth.
«Ti porto via.»
Scossi la testa. «Non faremo mai in tempo.»
Quando aumentò la stretta attorno alla mia vita, sentii che i suoi muscoli del petto e delle braccia si tendevano al massimo per sostenere il peso del mio corpo. «Non ti azzardare nemmeno a pensare che ti lascerò qui.»
Mi costrinse ad aggrapparmi a lui con un braccio stretto attorno al suo collo e cominciò a trascinarmi verso le scale.
Il mio corpo aveva smesso di seguire gli ordini del mio cervello e, per quanto io mi sforzassi e mi urlassi di continuare a muovermi, quello rimaneva fermo e rigido contro il fianco di Seth. Infatti, dopo essere inciampata per l’ennesima volta sull’ennesimo scalino, lui fu costretto a sollevarmi di peso, con una mano sotto le ginocchia e una sulla schiena per trascinarmi via come se fossi una specie di principessa da trarre in salvo.
Detestavo quella sensazione e odiavo ancora di più sapere che non c’era nulla che io potessi fare per non essere un peso in quel momento. Ero completamente in balia degli altri e potevo solo sperare che Seth corresse il più veloce possibile.
Stava salendo i piani superiori senza fermarsi un secondo, mentre alle nostre spalle il resto delle guardie ci seguiva. Ad ogni piano sembravano farsi sempre più vicine.
Io non riuscivo a mettere bene a fuoco la vista, quindi non riuscivo a capire quanti fossero, ma un angolo del mio cervello capì quello che Seth si rifiutava di accettare. Non c’era via di scampo.
La consapevolezza mi invase come un’onda e il panico mi serrò la gola.
Stavo per morire.
Stavo per morire, e non avevo nemmeno mai detto a Lima che mi ero innamorata di lui. Stavo per morire, e non ero stata onesta con lui. Stavo per morire, e lui avrebbe sempre pensato che io mi fossi pentita della notte più bella della mia vita.
Stavo per morire, e non avrei potuto dire a Elias che mi dispiaceva per tutti i guai che avevo combinato nella mia breve vita da ribelle. Stavo per morire, e non ero ancora riuscita a dimostrargli che potevo essere di più di quello che credeva o temeva che io fossi.
Seth spalancò la porta del tetto il bagliore bianco e tenue della giornata piovosa mi accecò per qualche secondo, riportandomi alla realtà.
No, cazzo. Non così.
Non ero ancora morta, e potevo ancora fare la cosa giusta. Mi aggrappai alla giacca della sua tenuta. «Devi lasciarmi.»
«No, maledizione. Posso ancora farcela.» Dietro le sue spalle, mi accorsi del bagliore bianco e caldo delle sue ali avevano cominciato a spiegarsi. E ancora più dietro, le guardie che forzavano la porta i cui cardini stavano per cedere sotto la violenza dei colpi ripetuti.
Serrai le palpebre e le riaprii, nella speranza di vedere di nuovo in modo normale. Ma era ancora tutto sfocato. «No, non puoi. Il vischio è entrato nell’arteria femorale e si sta rapidamente diffondendo, questo significa che sto per svenire.  E tu non puoi portare me priva di sensi, combattere tutti loro e scappare tutto nello stesso momento. Lo capisci?» Strinsi le mani attorno al suo viso e catturai i suoi occhi con i miei. L’oro delle sue iridi era l’unica cosa che riuscivo a vedere con certezza. «Porta quelle prove a tuo padre. Sai anche tu che hanno la precedenza.»
Chiuse gli occhi e scosse la testa. «Non ti lascio. È escluso.»
«Seth, ci addestrano da quando siamo bambini a fare scelte difficili e a mettere il bene superiore davanti alle nostre vite e a quella di coloro che amiamo.» Gli accarezzai la guancia e percorsi la linea dura dello zigomo con il pollice. «Lasciami andare, e fai la cosa giusta.»
La porta del tetto si spalancò con un tonfo, e io sobbalzai tra le braccia di Seth, che forse senza nemmeno rendersene conto aveva aumentato la stretta attorno alle mie membra.
Oltre l’offuscamento e l’annebbiamento del veleno non riuscivo a contare quanti fossero, ma dalla quantità di divise e ombre scure che riuscivo ad intravedere capivo perfettamente che fossimo in netto svantaggio numerico.  
«Rowan!»
Proprio mentre le guardie e il blu scuro delle loro divise si avvicinavano sempre di più al punto in cui ci trovavamo noi, il mio corpo smise del tutto di collaborare.
E io persi i sensi.

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
 
 
 
 
Sentivo caldo, ma non quel tipo di caldo afoso e insopportabile che si avverte solitamente nei pomeriggi di piena estate. Quello che provavo ora era piacevole e avvolgente, come quello emanato dal fuoco che scoppiettava in un camino in una serata di inverno.
Non riuscivo a distinguere o riconoscere la stanza in cui mi trovavo in quel momento, perché la luce bianca che mi avvolgeva era troppo forte e abbagliante per riuscire a mettere a fuoco qualsiasi dettaglio. Eppure mi sembrava un luogo familiare e accogliente. Un posto sicuro.
Quando era stata l’ultima volta che mi ero sentita al sicuro? Non esitai un secondo a rispondermi: quando ero stata tra le braccia di Liam.
Liam.
Il mio cuore perse un battito al ricordo dell’ultima volta in cui l’avevo visto e dell’espressione di puro dolore che gli aveva stravolto i lineamenti del viso quando gli avevo detto tutte quelle bugie orribili per allontanarlo.
Mi guardai intorno in preda ad un panico che ormai conoscevo bene. Dio, che cosa avevo fatto? Che cosa era successo?
Cercai di ricordare come fossi finita in quel posto indefinito, ma nella mia mente c’era solo il volto di Liam e la sua voce tremante di passione mentre mi implorava di restare con lui e dirgli cosa mi stava succedendo. Ma non potevo dirglielo, perché lui non avrebbe voluto credermi. Si fidava troppo di me e non credeva che avrei potuto scatenare la maledizione dei Nephilim e ucciderlo.
Ma… ora non potevo più fare del male a nessuno.
Capii solo in quel momento dove mi trovavo. Ero morta. E per qualche strana ragione a me sconosciuta mi trovavo nel Paradiso. No, non era possibile. Scossi la testa con fare risoluto. Non potevo essere lassù. Ci doveva essere un errore.
«Nessun errore. Sei esattamente dove dovresti essere», replicò una voce alle mie spalle. Era un suono melodioso e vellutato, come una musica.
Mi voltai lentamente.
Di fronte a me c’era un uomo che mi veniva incontro. La luce era molto più intensa attorno alla sua figura, ma mentre si faceva sempre più vicino cominciai a riconoscere i lineamenti del suo viso affilato e del suo corpo slanciato. Sussultai e feci un passetto indietro. Wow. Quello era Viggo Mortensen, uguale identico a quando interpretava il suo ruolo ne Il Signore degli Anelli.
Ricordavo di aver avuto una specie di ossessione per lui da quando ero una bambina e, in una notte in cui gli incubi mi impedivano di prendere sonno, Seth mi aveva costretto a vedere l’intera trilogia. Ricordavo anche di aver desiderato che Aragorn fosse mio padre e…
Porca merda!
«Tu… sei…» Deglutii a vuoto, mentre sgranavo gli occhi e il cuore perdeva qualche battito. «Cavolo, e chi si immaginava che mio padre era davvero Viggo Mortensen!»
L’Arcangelo Michele con la faccia di Viggo Mortensen piegò la testa di lato, mentre i suoi occhi diventavano completamente bianchi e luminosi. Immaginai che non fosse contento del mio sarcasmo.
Si fermò esattamente di fronte a me, così vicino che i suoi piedi nudi sfioravano i miei avvolti negli anfibi. «Io sono un Arcangelo e parte integrante dell’essenza del Regno di Dio, figliola.» Feci una smorfia a quell’ultimo appellativo. «Posso assumere l’aspetto che tu preferisci, avere l’odore di ciò che più ami e parlare con la voce che ti rassicura di più.»
«Mia madre…» Sentii le lacrime salirmi agli occhi al solo pensare a lei. «Lei come ti vedeva?»
Michele/Viggo distolse i suoi occhi bianchi e inquietanti dal mio viso, per rivolgerli su un punto non ben definito oltre le mie spalle. «Osservavo tua madre da quando era una bambina. La sua purezza e la sua bontà erano una rarità in un mondo sempre più crudele ed egoista come quello in cui vivi. Non sarei mai dovuto scendere per incontrarla, ma… volevo conoscerla.»
Non era affatto una risposta alla mia domanda, ma… Cavolo! Non mi aspettavo affatto quella specie di confessione. Sapevo bene che gli Arcangeli non avevano un’anima e quindi non potevano provare emozioni umane, ma da come lui parlava di mia madre sembrava proprio che quanto meno tenesse a lei.
«La amavi?» domandai senza potermi fermare prima.
Michele/Viggo tornò a guardarmi. I suoi occhi emanavano un bagliore bianco e magnetico. Mi inquietavano da morire, ma allo stesso tempo non riuscivo a distogliere lo sguardo. «Lei ti ha amato più della sua stessa vita, più di qualsiasi altra cosa al mondo.»
Ancora una volta non aveva affatto risposto alla mia domanda. Abbassai lo sguardo sulla punta delle mie scarpe, i denti che torturavano il labbro inferiore. «Lo so.»
«Il suo sacrificio è stato un’altra prova della sua sconfinata purezza.»
«Lei è lassù?» Le lacrime mi offuscavano la vista giù confusa dal bagliore che emanava la presenza di mio padre. «Ti prego, dimmi che è lassù e che è felice.»
«Fino a che sarai in vita, non ti è permesso ricevere queste risposte.»
«Aspetta un momento!» Sgranai gli occhi e allungai le braccia per fare il gesto della pausa con le mani. «Non sono morta? Perché a me pare di ricordare che… l’Ordine mi ha iniettato del vischio e io sono svenuta. Seth è un bravo combattente, ma dubito seriamente che sia riuscito a salvarmi da quel casino.»
Michele/Viggo fece un cenno del mento che mi sembrò molto poco angelico. «Non sei morta. Non ancora.»
«E allora dove cavolo siamo?»
«Siamo in un luogo di transazione.»
«Tipo il limbo?»
«Non proprio.»
«Allora, sto… sognando?»
«Se preferisci chiamarlo “sognare”, puoi farlo.»
Okaaay. A quanto pareva, mio padre era il re delle non risposte. Era meglio lasciar perdere e non insistere troppo con le domande, soprattutto perché i suoi occhi completamente bianchi mi mettevano un po’ di paura.
«Rowan, non mi è permesso intervenire nella tua vita. La possibilità che ti è stata data al momento della tua nascita ti è stata concessa per tua madre, e non per me.»
Lo fissai, mentre le sue parole mi entravano nel petto e mi scavavano un buco gigantesco nel cuore. «Tu… volevi uccidermi?»
«Tua madre era così pura e… Padre ha creduto che la sua benevolenza potesse aiutarti a intraprendere un cammino diverso da quello dei tuoi predecessori.»
«E quando lei è morta», aggrottai le sopracciglia, «non sei stato tu a chiedere ad Elias di crescermi e proteggermi, vero? È stato… Dio?» Sgranai gli occhi e mi strozzai con la saliva, mentre lo vedevo annuire con aria solenne. Porca merda! «Cioè, proprio Dio in persona?»
«Padre dà sempre una seconda possibilità.»
Wow.
Insomma, cos’altro c’era da dire?
«Ho promesso ai miei fratelli che non mi sarei fatto coinvolgere come avevo fatto con tua madre e lasciare che fossi tu a fare le tue scelte», continuò lui.
Mi guardai la punta delle scarpe come se fosse la cosa più interessante del mondo. «Però, scusa se te lo faccio notare, adesso tu sei qui e mi stai parlando.»
Michele/Viggo non parlò.
E io proseguii, perché proprio non riuscivo a sopportare quell’imbarazzantissimo silenzio che si era creato fra di noi: «Anche se onestamente mi sembra che stiamo facendo due conversazioni diverse, visto che io dico una cosa e tu replichi con una che non c’entra assolutamente niente.»
«Tu le somigli così tanto, Rowan», disse.
Per la prima volta in vita mia, rimasi senza parole. Lo fissai, con la bocca spalancata e la lingua completamente paralizzata.
Ingoiare il nodo che mi serrava la gola e le lacrime che mi erano salite agli occhi fu quasi impossibile. Avrei tanto voluto poter dare sfogo al pianto e gettare le braccia al collo di mio padre, e poter piangere come una bambina in cerca di affetto. Ma rimasi immobile, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni stretti con così tanta forza che le unghie mi erano entrate nella carne dei palmi. Michele non era il padre affettuoso e dispensatore di abbracci di cui avevo bisogno in quel momento.
Però aveva detto una cosa bellissima. Tutto ciò che io avevo sempre voluto era poter assomigliare alla mamma. Essere bella come lo era lei, con i suoi capelli color grano e il sorriso capace di illuminare un’intera stanza. Essere generosa come lei, che lasciava sempre mance anche fin troppo generose ai camerieri e faceva passare avanti alla fila al supermercato le persone anziane. Essere buona come lei, che si alzava per far sedere una donna incinta sul bus anche se era stanca morta dopo una lunga giornata di lavoro.
«La tua anima è corrotta dal mio errore, ma è anche luminosa e pura come quella di tua madre», continuò. La sua mano si posò sulla mia spalla e il peso di quella pressione mi fece ingobbire. «Per questo infrangerò ancora una volta le regole.»
«Davvero?»
Michele/Viggo posò i suoi spaventosi occhi bianchi sul mio viso e rimase in silenzio per eterni istanti prima parlare con voce greve e profonda, una voce che mi fece rabbrividire anche se avevo caldo: «Presto dovrai fare una scelta, Rowan. Una che cambierà completamente la tua vita. Non posso dirti quando succederà, né cosa scegliere.»
«Lo immaginavo», commentai alzando gli occhi al cielo.
«Ma devi essere preparata a quello che ti succederà quando ti sveglierai.» Fece una pausa, durante il quale io deglutii a vuoto il sapore acido e metallico della paura che mi era salito sulla lingua. «Ci sarà un momento in cui vorrai uccidere qualcuno e un altro in cui vorrai morire. Implorerai la tua morte, o quella di qualcun altro.»
«Quindi…» Ignorai la paura che mi scorreva nelle vene come acqua gelata. «Il punto è sempre quello: o mi trasformerò in un vero Nephilim, diventando quello che tutti hanno sempre temuto che diventassi, o dovrò morire.» Lo guardai in viso, ignorando il brivido che mi provocavano i suoi occhi bianchi e luminosi. «Non ho altre possibilità?»
«Hai molte scelte di fronte a te.» Mio padre distolse lo sguardo ancora una volta. «E ognuna rappresenta un cammino diverso, una fine diversa.»
«Però quello che mi stai dicendo è che ci sarà per forza una fine, no?» Lui non rispose. Allora io, anche se la sua pelle era calda da farmi male, avvolsi una mano attorno al suo braccio e lo costrinsi a tornare a guardarmi. «Maledizione, dammi una risposta che io possa capire. La fine di cui parli… è la mia, vero? Io dovrò morire?»
«C’è sempre una fine per ogni cosa, figlia mia.»

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