D'ebano e di smeraldo

di arisky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Avviso ai lettori: questa storia doveva essere una one-shot, ma mi sono lasciata prendere la mano ed è uscita fuori un po’ più lunga del previsto… Questo è l’unico motivo per cui ho deciso di dividerla in tre capitoli, ma la scena è una, perciò tutti e tre i capitoli sono indispensabili l’uno all’altro.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
 
 
“Guar…da…mi…”.
Un’istante.
D’ebano e di smeraldo.
Poi, finalmente, la pace.
 
 
*   *   *
 
 
“Il Signore Oscuro desidera vederti… alla Stamberga Strillante”.
Una voce, ormai solo un lontano ricordo di quelle che furono un tempo le note altere e sprezzanti di Lucius Malfoy, mi destano dalla perenne angoscia che è ormai la mia vita.
Mi volto lentamente verso la figura alle mie spalle. Il suo aspetto è la trasposizione tangibile della rovina tradita dalla voce. Dell’antica eleganza, raffinatezza e superbia di Malfoy resta soltanto il ricco abito nero, intarsiato di fini decorazioni in argento.
Abilmente svuotati di ogni emozione, i miei occhi neri fissano le sue iridi, argentee anch’esse, brutalmente marchiate dalla furia del Signore Oscuro. Senza proferire parola, mi appresto a prepararmi all’incontro che mi è appena stato annunciato; il mezzo per farlo lo conosco fin troppo bene…
“Legilimens”.
Scandisco la formula non verbale dell’incantesimo, senza perdere il contatto visivo col mio macabro messaggero. Le barriere occlumantiche di Malfoy, come previsto, risultano estremamente deboli, vulnerabili, quasi inesistenti. Le oltrepasso senza sforzo per avere accesso alla sua mente e, dopo qualche secondo, trovo ciò che mi occorre.
 
Sullo sfondo, l’ammasso di legno marcio che riconosco essere le pareti della Stamberga Strillante. Il pallore spettrale e scheletrico della mano del Signore Oscuro impatta violentemente contro l’altrettanto pallida guancia di Malfoy. All’eco di quello schiocco asciutto, segue il sibilo freddo e acuto della sua voce, che soffia crudele al Mangiamorte un ordine.
“Va’ a cercare Severus, portalo da me!”.
Poi, abbassando le sue serpentine iridi verticali, rosse come il sangue, sulla Bacchetta di Sambuco tra le sue dita, aggiunge, in un ghigno pensieroso: “Devo chiedergli un… servizio. Vai!”.
 
Esco dalla mente di Malfoy, lasciandolo stordito e spossato.
Un terribile presentimento mi attanaglia le viscere.
Non una parola. Non un gesto. Non il minimo impercettibile mutamento nel mio volto.
Solo la lealtà alla mia missione; al Bene Superiore.
Sempre.
E svanisco nel cielo in una nuvola di fumo.
 
 
*   *   *
 
 
Pavimento di degrado, soffitto di rovina, pareti di abbandono: la vecchia Stamberga non è poi così diversa da come la ricordavo.
In un angolo, i resti di quello che anni fa fu un letto a baldacchino, prima che il mio corpo, sbalzato via da un Incantesimo di Disarmo detestabilmente inaspettato, lo riducesse alla catasta informe di legno che ora giace sotto il mio attento sguardo.
Eppure, anche se la carcassa appare la stessa, tutto è drammaticamente cambiato da allora. Ogni cosa.
Una sensazione di gelo innaturale penetra attraverso le finestre sventrate, circuisce sadicamente le mie membra, fino a trafiggermi e impossessarsi del mio essere: il gelo dei Dissennatori, ormai macabri abitanti ad Hogsmeade.
Ma non solo…
È il gelo di colui che, in gioventù, desiderai con tutto me stesso poter chiamare “mio Signore”.
È il gelo di colui in nome del quale ho spezzato l’unico spiraglio di bellezza che si sia mai affacciato dalla cortina nera della mia esistenza.
È il gelo di colui la cui presenza rinnova e alimenta costantemente il ribrezzo che provo verso me stesso.
Il Signore Oscuro mi gira attorno da qualche minuto, senza smettere di osservarmi, di leggermi. Un lembo della sua pesante veste nera striscia a terra sulla scia dei suoi passi, schiavo obbediente ai piedi del padrone.
Istanti di silenzio e tensione, che sfrutto per guardarmi ancora attorno e studiare abilmente la situazione.
I miei occhi vengono improvvisamente attratti da uno strano bagliore, proveniente da un angolo della stanza particolarmente appartato. Lì, sospesa a mezz’aria, una sorta di bolla, il leggero e freddo lucore argenteo a farle da membrana. Socchiudo gli occhi per oltrepassare quell’impalpabile barriera e, al suo interno, inquietante nella sua immobilità, scorgo il serpente, Nagini. Comprendo all’istante, dalla pesante traccia magica che percepisco nell’aria, che quella bolla è intrisa di incantesimi di protezione, oscuri ed estremamente potenti. Tutto lascia intendere quanto grande sia il valore di quel demone strisciante… e quanto grande sia la paura del Signore Oscuro di un’imminente minaccia ad esso.
Immediatamente, le parole di Silente riecheggiano prepotenti nella mia mente.
 
“Se Lord Voldemort cesserà di mandare Nagini a eseguire i suoi ordini, ma la terrà al sicuro accanto a sé, sotto protezione magica, allora credo che sarà bene dirlo a Harry”.
 
È tempo.
È l’ora di rivelare a Potter quell’orrendo e brutale segreto, la sua unica possibilità di uccidere definitivamente, per sempre, il Signore Oscuro.
Sono ormai parecchi minuti che mi trovo al suo cospetto, senza che lui abbia rotto il silenzio in altro modo che con l’impercettibile fruscio della sua veste sul pavimento logoro. Non conosco ancora con certezza il motivo della sua urgente chiamata, tuttavia inizio a strutturare, ad erigere, pezzo dopo pezzo, in gran segreto nell’impenetrabilità della mia mente, un pretesto che possa indurlo a lasciarmi andare.
Andare alla ricerca di Potter.
E andare via da lui, da qui, il più in fretta possibile.
In tutti questi anni da spia, ho rischiato la morte ad ogni incontro, ma stavolta è diverso: lo stesso volto pallido e serpentino che ho visto innumerevoli volte lasciarsi pervadere completamente da ogni scellerata emozione, ora risulta illeggibile. L’odore acre del pericolo allerta i miei sensi…
Mentre l’Oscuro continua a vagare per la stanza, rigirandosi senza posa la Bacchetta di Sambuco tra le dita bianche e sottili, faccio il primo tentativo. Chiudo la mente e lascio che la voce fuoriesca calma, modulata, suadente, decisa.
“Mio Signore, la resistenza sta crollando… Lasciatemi cercare il ragazzo. Consentitemi di portarvi Potter. So che posso trovarlo, mio Signore. Vi prego”.
“Ho un problema, Severus”.
Il suo inconfondibile sibilo freddo e acuto, così secco, gela l’intera stanza. Se il mio intento era quello di aggiungere altre parole, esse rimangono impigliate alla mia gola, ghiacciate.
In silenzio, osservo la macabra figura davanti a me. Ha arrestato i suoi passi… ma non le sue mani, che continuano a torturare il pregiato legno, le dita come serpenti le cui spire strisciano infide e letali lungo la bacchetta.
D’un tratto la solleva, costringendomi a puntare i miei occhi di fango su di essa.
Una domanda.
“Perché con me non funziona, Severus?”.
Una domanda apparentemente innocua.
Una domanda letalmente pericolosa.
Sono stato tante cose nella mia vita, ma mai uno stupido né un ingenuo. Con un brivido accuratamente celato, mi appresto ad affrontare la conversazione della quale sospettavo l’imminente arrivo già da qualche giorno.
Saldo e diritto come un pilastro, le mani dietro la schiena, le imperturbabili iridi nere nelle sue rosse. La voce piatta, ma abilmente arricchita di una lieve nota di falsa ammirazione. Rispondo.
“Avete compiuto magie straordinarie con quella Bacchetta, mio Signore, e solo nelle ultime ore”.
“No, no! Io sono straordinario, ma la Bacchetta… mi resiste”.
Ancora una volta il suo sibilo a coprire le mie ultime parole, come se in realtà non avesse davvero bisogno del mio intelletto… come se conoscesse già la risposta al suo stesso quesito. Nonostante il tono di finta incredulità che ostenta.
Tento quindi la via dell’adulazione, sfruttando un suo punto debole per rassicurarlo.
“Non c’è bacchetta più potente, Olivander stesso lo ha detto”.
Il potere assoluto, indiscusso: ciò che il Signore Oscuro brama di più.
Riesco ad attrarre per qualche attimo la sua attenzione sul senso delle mie parole, attimi in cui mi concedo pochi, brevi respiri, e ne approfitto all’istante per sferrare un altro colpo dello stesso calibro.
“Stanotte, quando troverete il ragazzo, la Bacchetta non fallirà, ne sono sicuro”.
Irretisco l’Oscuro con la dolce visione del suo secondo desiderio, dipingendolo con voce profonda, musicale, penetrante: l’uccisione di Potter. Permetto al mio volto di lasciarsi sollevare da un leggero moto di sfrontatezza e orgoglio nel rafforzare quell’indispensabile certezza, e alle mie narici di fremere di un simulato piacere.
Nel silenzio che segue, lui si para dinanzi a me, immobile. Il volto appena inclinato, gli occhi spalancati fissi nei miei.
Sono istanti. Di fango e di sangue.
La sua fronte dura e contratta nel tentativo di penetrare la mia mente.
L’ormai costante ed esperto utilizzo dell’Occlumanzia mi permette di difendermi, di respingerlo.
È una lotta di sole menti: fuori, tutto è perfettamente immobile.
Attacchi ravvicinati e rapidi, che non allentano la morsa, che scavano, che cercano altro…
Lui non si fida delle mie parole. Non si fida di me.
Io non riesco a farlo fidare di me.
Interrompo quella pericolosa battaglia priva di armi e, inchiodando ulteriormente il mio sguardo al suo, come a voler catturare con la forza la sua attenzione e imprimergli ogni singola parola a fondo, scandisco con tono chiaro e deciso:
“La Bacchetta risponde a voi; e a voi solo”.
“Davvero?”, mi domanda in un sussurro vibrante di bramosia.

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Capitolo 2
*** II ***


“La Bacchetta risponde a voi; e a voi solo”.
“Davvero?”, mi domanda in un sussurro vibrante di bramosia.
Ho sempre considerato le parole come armi, colpi essenziali, asciutti, taglienti, da assestare al giusto momento, allo scopo di ottenere. Non le ho mai utilizzate per parlare. La mia fredda, imperturbabile maschera è la mia bocca; il silenzio la mia voce.
Trattengo quell’istante sospeso, mentre la mia mente arguta è spinta all’opera da riflessioni e sospetti, morbosamente occultati in me.
Poco dopo, distendo leggermente il volto spigoloso fino ad allora contratto, mentre piego impercettibilmente gli angoli della bocca verso l’alto, in un ghigno appena accennato di calma, sicurezza, malvagia complicità. Queste forme embrionali di acerbe emozioni, si impastano sapientemente anche alla mia voce quando, con riverenza, concludo la mia risposta. Due sole parole.
“Mio Signore”.
In tutti questi anni da Mangiamorte, per vocazione prima, per redenzione poi, ho potuto constatare con i miei occhi come siano sempre state due le passioni a rendere l’Oscuro Signore mortalmente pericoloso: la paura e l’ossessione.
L’ossessione.
La sento, la percepisco ovunque: sul suo volto disumano, nelle sue insistenti domande, nei suoi agghiaccianti silenzi. Cresce ogni secondo che passa, schiaccia col suo peso ogni mio tentativo.
E… la sento iniziare a gravare, poco a poco, un macigno dopo l’altro, sulla mia sorte.
Il Signore Oscuro sgancia gli occhi dai miei, li abbassa pensieroso, quel tarlo che ancora li divora, e riprende a girarmi attorno lentamente, come un serpente che avvolge con letale calma la preda nelle sue viscide spire.
“La Bacchetta risponde veramente a me?”.
Ancora la sua voce, che si sposta insieme a lui, giungendomi da ogni lato come se volesse precludermi ogni via di scampo. Ormai fuori dal mio campo visivo, abbasso le palpebre a terra e serro le labbra, frustrato e impotente.
Lo percepisco di fianco, alle spalle, ovunque. Come un animale braccato che si guarda attorno per individuare il cacciatore, mi volto bruscamente, quello scatto innaturale che tradisce l’estenuante tensione. Lo ritrovo accanto a me, ma dal lato opposto, che mi fissa diffidente dopo aver concluso l’ennesima domanda, la stessa domanda nell’ennesima sfumatura.
Io non rispondo, tutte le mie energie impiegate a tenerlo d’occhio in ogni suo subdolo movimento.
Sono dolorosamente consapevole degli imperdonabili errori che sto iniziando a commettere, logorato dal protrarsi di questo macabro interrogatorio. Un qualunque mago potrebbe definirli dettagli irrilevanti… Ma io so come la più piccola, insignificante sfumatura fuori posto possa risultare fatale al cospetto dell’Oscuro.
Senza darmi respiro, egli sfrutta spietatamente quell’istante di dubbio ed esitazione sfuggito al mio finora impeccabile controllo, e continua imperterrito, sfiancante.
“Sei un uomo intelligente Severus, di certo devi saperlo…”.
Lui sa. È giunto a quella scottante verità che sto tentando di occultare, ne intuisce la presenza in me.
Io so. Io conosco fin dall’inizio la risposta che vuole ardentemente strapparmi. E percepisco sempre più chiaramente, ogni denso e infinito attimo che passa, che questa sapienza, presto, si trasfigurerà nella mia condanna…
Il Signore Oscuro torna furtivo alle mie spalle, poi dal lato opposto, ricalcando passi e parole.
“In chi è riposta la sua lealtà?”.
Lo ascolto immobile, perso nella crescente angoscia delle mie riflessioni. Tuttavia, appena il sibilo si spegne, mi costringo immediatamente a distaccarmene, per evitare una seconda, potenzialmente fatale, risposta mancata.
Tento di riagganciarlo a me. Volto, sguardo, attenzione, energia: ognuno di quei ponti tra il mio essere e il mondo proteso a forza verso di lui. E scandisco.
“In voi”.
Il suono impercettibilmente forzato, una nota stridula a tradirlo. Dietro la mia schiena, le dita incastrate in un tormentato intreccio.
Deglutisco. Respiro. Ingoio controllo; inalo freddezza.
Con rinnovata, rassicurante imperturbabilità, aggiungo:
“Ovviamente, mio Signore”.
Vorrei concedermi un ghigno di simulata complicità con l’Oscuro per rafforzare ulteriormente la mia precaria posizione. Ma, dinanzi a lui, nessuno ha mai avuto il diritto di potersi prendere qualcosa, qualsiasi cosa, senza che gli venisse concessa come il più prezioso dei privilegi, per il quale dover rendere grazie in eterno. Nulla può essere sottratto al suo controllo.
Neanche il proprio tempo.
Neanche la propria salvezza.
Ancor prima che l’eco della mia voce profonda abbia accennato a spegnersi, il suo sibilo acuto la sovrasta, in una subdola lotta tra melodie. Entrambe macabre, dissonanti, ma opposte.
“La Bacchetta di Sambuco non può servirmi adeguatamente perché… io non sono il suo vero padrone”.
L’inflessione della sua voce, ogni sfumatura, ogni pausa, ogni elemento abilmente studiato per conferire quella sorta di eclatante, ridicola teatralità con la quale egli ha sempre amato irretire i suoi spettatori; quel desiderio di destare una crudele, infida sorpresa per le sue geniali conclusioni come il più sottile dei piaceri per il suo ego.
Mi scruta attentamente per studiare la mia reazione.
Io rimango impassibile, gli occhi fissi su di lui: privi di stupore per la sua rivelazione, di cui conosco la verità ormai da svariato tempo; colmi di preoccupazione nel tentare di comprendere quale personale, precipitosa, pericolosa interpretazione dell’enigma la sua mente avrà stillato.
La mia vita è appesa a un filo che si consuma ogni secondo di più… e io so, che se sarà destinato a strapparsi definitivamente o a ricucirsi ancora, rattoppato dall’ennesima cicatrice, non sarà la verità assoluta a sancirlo; sarà la sua verità.
Non tarda ad esporla.
“Essa appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario”.
Calca sadicamente sulle ultime due parole, come a volerle marchiare nell’aria.
Il respiro si mozza in gola. La fronte, all’apparenza eternamente piatta, si contorce di dolore.
I miei terribili sospetti si materializzano davanti ai miei occhi, sempre più tangibili…
Attimi di silenzio assordante.
Il Signore Oscuro si avvicina, agile e pericoloso, e pronuncia la sua verità, spogliata di ogni filtro, mistero o enigma. Ruvida nella sua nudità.
“Tu hai ucciso Silente, Severus. Finché vivi, la Bacchetta di Sambuco non può essere veramente mia”.
I sospetti mutano in certezze, i fantasmi in corpi. Violentemente.
Inclino leggermente il viso, un solco che trema fra le mie sopracciglia, ma lascio che gli occhi indugino su di lui, temerari, per poter guardare il volto della condanna che mi attende. Perché, ormai, non ho più dubbi sul mio destino, la sentenza è stata emessa: il mio cuore pulsante nel petto, il mio respiro nei polmoni, il mio sangue che scorre nelle vene sono la minaccia, l’ostacolo al potere assoluto del Signore Oscuro, e come tali, devono essere soffocati. La mia vita deve essere spezzata.
È questione di attimi.
Attimi di frenetiche riflessioni.
Non ho più una ragione a questo mondo per cui vivere. L’unica che abbia mai avuto è morta anni fa, uccisa dall’orrore di ciò che scelsi di diventare. Da allora non ho vissuto un singolo giorno in cui ogni primo bagliore dell’alba, assieme alla luce nascente di ogni nuovo mattino, non recasse con sé   rimorso, pentimento e odio verso me stesso.
Ho votato la mia vita a questa missione, ho sacrificato ogni mio gesto, ogni mia scelta, la mia stessa libertà alla fedeltà e al ricordo dell’amore per quell’unica ragione, per permettere a quel balsamo di lenire in parte il dolore delle terribili ferite che io stesso ho inferto al mio cuore, credendolo inscalfibile come pietra.
In altre circostanze, avrei accolto la morte come la sospirata liberazione da questa vita di vuoto, d’ombra, di menzogne, di diffidenza. Ma morire ora significherebbe aver fallito, significherebbe aver vissuto nel dolore invano, significherebbe esser venuto meno alla promessa fatta a lei. Mi basterebbe anche soltanto un’ora in più di vita, per cercare Potter e rivelargli quel fondamentale segreto. Per tornare finalmente libero.
La mia mente acuta non tarda ad intravedere l’ovvia, semplice soluzione.
Conosco la verità sulla lealtà della Bacchetta di Sambuco, so in chi è riposta: non sarà la mia morte a conferire al Signore Oscuro quel potere così ardentemente bramato. Rivelando ciò, sarei assolto immediatamente…
Ma a quale prezzo? Quali atrocità attenderebbero il vero padrone della Bacchetta? Dovrei forse permettere che venga spezzata la vita di una giovane anima ancora pura, in cambio della mia, ormai sporca e perduta?
Da anni ormai ho promesso che non avrei più visto morire nessuno se non chi non fossi riuscito a salvare.
È ora di scegliere. Scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile.
Scelgo il silenzio.
E ascolto la sentenza.

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Capitolo 3
*** III ***


È ora di scegliere. Scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile.
Scelgo il silenzio.
E ascolto la sentenza.
“Sei stato un servo bravo e fedele, Severus… ma solo io posso vivere per l’eternità”.
Sono i miei ultimi istanti di vita.
Sospesi. Sfuggenti. Cristallizzati nel gelo della condanna.
Nel rumore assordante del mio cuore che tenta di perforarmi il petto e fuggire da un destino ormai segnato, il panico inizia ad emergere dalle barriere imperturbabili del mio volto. Ma i miei occhi, laghi profondi, neri d’ombra e di niente, lucenti di coraggio e sacrificio, non si abbassano. Attendono di poter vedere, per un istante soltanto, quel lampo di luce verde che li spegnerà.
È questione di attimi.
Tormentati. Estenuanti. Logoranti.
Ma quelle due parole, le sole terribili amanti delle labbra dell’Oscuro, non arrivano, mentre i secondi continuano a scorrere pesanti, bruciando il mio tempo.
Una folle, insensata speranza si accende nella mia mente, e come un pazzo la afferro, stringendola convulsamente.
Costringo a forza il poco fiato raccolto ad uscire dalla mia bocca.
“Mio Signor-“.
Una frustata.
La Bacchetta di Sambuco incide l’aria come un pugnale e lacera le mie parole.
Accade tutto terribilmente in fretta.
La bolla che, fino ad un istante prima, proteggeva il serpente, ora soffoca me. Lotto disperatamente contro quelle letali pareti, che mi asfissiano e intorpidiscono le mie membra, fino a farle cedere. Accasciato sul pavimento, la schiena contro la ruvida parete di legno scrostato, tento in ultimo di smaterializzarmi, ma gli incantesimi che permeano la splendida, ipnotica, mortale trappola me lo impediscono.
Ora capisco… Spossato, smetto di dibattermi e abbasso con angoscia gli occhi sull’orrenda morte che mi attende. Striscia ai miei piedi, i famelici occhi gialli illuminati da un voluttuoso scintillio.
L’Avada Kedavra non è abbastanza per un uomo vissuto nell’oscurità, temprato dal dolore: una fine troppo misericordiosa, troppo rapida, troppo immediata. Più facile e veloce che addormentarsi. Io, Severus Piton, non merito pietà neanche alla chiusura.
 La voce del Signore Oscuro soffia due parole in Serpentese.
“Nagini, uccidi”.
Un attimo.
Scempio della carne. Dolore nel gelo.
Ad ogni affondo di quelle zanne assassine, ad ogni squarcio sulla mia gola, urla disumane lacerano il silenzio, quella stessa gola che geme la sua tortura.
Consapevole della fine imminente, mi lascio andare senza ritegno: spezzo la maschera con le mie stesse mani e do voce al mio dolore, come mai avevo fatto prima.
Il demone strisciante colpisce ancora, il sadico piacere nel protrarre la mia agonia.
Ancora.
E ancora.
Sento ormai il veleno scorrere nelle mie vene, spodestando il sangue che a fiotti si riversa sulla mia casacca.
Dopo un ultimo interminabile, goduto, definitivo affondo, il serpente abbandona il mio corpo.
In un silenzio glaciale, l’Oscuro si ritira, lasciandomi agonizzante nell’agonia di quelle pareti.
Rimasto solo, esalo qualcosa di simile ad un sospiro, di dolore e sconfitta. Ho fallito.
Sento a poco a poco la vita abbandonare la mia carne dilaniata, il sangue scivolare rapidamente via dalle mie vene strappate. Cola su di me.
Così rosso di scempio e violenza, tuttavia non riesce ad imporsi sul nero della mia veste. Nulla è mai riuscito a vincerlo: è ciò che sono stato, che sono e che sarò, per sempre.
Nero.
Nero come l’ombra.
Nero come il vuoto.
Nero come l’ignoto.
Nero come la solitudine che, ancora una volta, mi condanna. La solitudine, nel cui mare il vitale segreto che custodisco morirà. E tutto sarà perduto.
Mi perdo nelle mie amare riflessioni, gli occhi socchiusi, i sospiri che fuoriescono dalla mia bocca sempre più deboli, le dita tra le piaghe sanguinanti del mio collo, ostinate, nel ridicolo tentativo di rallentare la piena del vermiglio fiume.
È un rumore a scuotermi, un rumore di passi. Giunge fioco ai miei sensi morenti, ma basta a farmi sollevare le palpebre.
Non è possibile, sarà sicuramente l’illusione di una mente in agonia…
Eppure, quelle tre figure diventano sempre più nitide, il ticchettio dei loro passi sul pavimento sempre più chiaro. Mi sforzo di ignorare il dolore, mi concentro, e fisso il mio sguardo su di esse.
Non mi sono sbagliato: Potter mi osserva da lontano, seguito dalla Granger e da Weasley.
Durante la mia desolata esistenza, la mia anima non l’ha mai assaporata, eppure ora la riconosco all’istante: la gratitudine. Ho sacrificato la gioia, la pace, la libertà, mi sono fatto brutalmente strappare via la vita, ed essa mi sta concedendo una seconda possibilità. L’ultima.
Recludo forzatamente in me il passato, l’odio, il rancore, i pregiudizi verso i tre Grifondoro, e mi affretto a parlare per attirare la loro attenzione. Ma dalla mia gola massacrata spirano solo rantoli di sangue.
Vedo Potter avvicinarsi e inginocchiarsi accanto a me, richiamato dai miei rochi sospiri… o forse da qualcos’altro, qualcosa che gli vedo brillare nello sguardo per la prima volta: una neonata scintilla di pietà.
Inaspettatamente, la sua mano va a premere incerta le baluginanti ferite, sostituendo la mia, ricaduta, debole e inerte, sul pavimento.
Per qualche istante, rimaniamo immobili a fissarci, consci dell’urgenza della situazione, ma incapaci di interrompere quel flusso di domande mute e mute risposte, di calunnie e accuse rinfacciate, di dubbi e sospetti vacillanti.
La fretta mi chiama, recupero il controllo e, senza sprecare altro tempo, evoco nella mia mente le immagini, i segreti, le informazioni da lasciare in eredità a Potter. Le visualizzo, le raduno e, con le poche energie che mi restano, le esalo. La familiare, eterea, evanescente sostanza argentea aleggia via da me.
Lentamente, porto una mano ormai cerea ad indicare quel flusso di ricordi e, scosso da tremiti di dolore, riesco ad emettere un sussurro soffocato.
“Prendi…prendi…”.
Confusamente, distinguo la Granger porgere a Potter una fiala. Il ragazzo, con un lieve movimento di bacchetta, cattura i miei ricordi e li riversa al suo interno. Fissa per un istante la piccola ampolla, trepidante, come se percepisse già la fondamentale importanza del suo impalpabile contenuto.
Manca poco…
Gli ultimi battiti come sospiri del mio cuore.
Gli ultimi sospiri come gocce dalla mia bocca.
Le ultime gocce purpuree come lacrime dalle mie vene.
Una lacrima solitaria, l’ultima, dai miei occhi.
Non sono sicuro di meritarmelo, ma voglio far avverare il mio ultimo desiderio, già tacitamente espresso: voglio addormentarmi con i suoi occhi nei miei, e null’altro.
Gli occhi della mia unica ragione, gli occhi del mio unico amore, gli occhi della mia unica luce.
La madre li donò in eredità al figlio diciassette anni fa, identici…
Cerco Potter con lo sguardo.
“Guar…da…mi…”
Un istante. D’ebano e di smeraldo.
Poi, finalmente, la pace.

 
 
 
 
Nota dell’Autrice:
Salve a tutti lettori! Questa è la mia prima fanfiction sul mondo di Harry Potter. Adoro il parsonaggio di Severus Piton e ci tenevo a fare delle riflessioni su questo momento così cruciale della sua storia.
Alcuni chiarimenti:
  • Ho scritto la storia seguendo passo dopo passo la scena del film, cercando di dar voce ad ogni espressione del grandissimo Alan Rickman; tuttavia risultano alcune differenze in quanto ho voluto integrare alcuni elementi dei libri che personalmente preferisco, come ad esempio l’ambientazione della scena nella Stamberga Strillante
  • Le prime parole di Piton, la sua richiesta di essere lasciando andare a cercare Harry, provengono anch’esse dal libro. Ho voluto sottolineare in questa storia l’estrema tensione e pathos della scena, e queste parole secondo me sono fondamentali a farci capire come anche un uomo tutto d’un pezzo come Severus possa non risultare infallibile.
 
Che altro dire? Dato che tengo particolarmente all’interiorità di questo personaggio, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se l’avete trovato descritto bene e se la tensione crescente del momento vi ha convolto.
Ringrazio tutti i visitatori!
 
Arisky

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