Spifferi

di Queen of Superficial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Enter the players ***
Capitolo 2: *** Questo andirivieni del cazzo ***
Capitolo 3: *** Quella grande cretina di Anna Karenina ***
Capitolo 4: *** Le capacità diagnostiche di Synyster Gates ***



Capitolo 1
*** Enter the players ***


 

 

“Noi abbiamo sognato il mondo.
Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile,
ubiquo nello spazio, fermo nel tempo.
Ma abbiamo ammesso nella sua architettura
tenui ed eterni interstizi di assurdità,
per sapere che non è reale.”

J.L. Borges, Finzioni

 

Silenzio.
Capelli color grano al confine tra la realtà e la curva audace del collo, mentre lei si dedicava a faccende senza importanza; candele, conchiglie; una drusa di ametista che, nonostante gli sforzi, non era mai nel posto giusto.
La casa era una casa di campagna, come ce ne sono tante; né più grande, né più piccola di quella di qualunque fiaba. In ogni caso, non speciale. 
La bambina sedeva nella penombra, in attesa, avvolta da un complesso sistema di scialli e maglioni; l’odore dell’inverno penetrava dal bosco fino alle mura e tutto acquistava la consistenza di ciò che non è destinato a durare a lungo, l’acqua in una pozzanghera, o i ricordi di un tempo. Aveva gli occhi chiusi, i sensi in allerta, e si sforzava di respirare all’unisono con le galline distanti.
“Mamma?”, chiamò, rivolta alla donna che sentiva trafficare a qualche metro da lei. Il sole era ormai calato e la bambina sapeva che quella era l’ora delle sue streghe personali, quelle senza corpo né poesia che si spostavano inquiete in attesa che qualche sprovveduto lasciasse loro aperto uno spiraglio per intrufolarsi nella realtà. Aspettò il segnale, la frase di rito che spalancava le porte al suo mondo interiore di trepidante mistero.
“È tardi, amore; va’ a prepararti per la nanna. Ma prima chiudi la finestra, altrimenti entrano gli spifferi”.

 

Venticinque anni dopo,
 gli spifferi erano entrati

 

atto I

Un motivo che,
 per quieto vivere,
 chiamiamo Shakespeare

 

Questo governo non lavora con il favore delle tenebre.
Ovunque si posi il sole c’è anche un’ombra; è un dato di fatto universalmente accettato. Grace appoggiò la tazza di caffè sul relativo, imprescindibile e fino ad allora mai sostituito tavolino, chiedendosi quante ovvietà uno dovesse pensare prima di approdare ad una qualche forma di certezza. Urlò qualcosa alla gente al di là del vetro; qualcosa che nessuno capì o volle capire. Si era svegliata male, come spesso le accadeva in quel periodo dell’anno in cui le giornate si allungavano e le speranze bruciavano, consumando più in fretta la cera delle candele. 
Ascoltami bene.
William stava dormendo un sonno ignaro e pacifico al piano di sopra; un fatto di per sé semplice che le ricordò quanto in fretta si incanalava negli interstizi della realtà un sentimento così piano e discreto come l’abitudine. A lungo, svegliarsi l’uno senza l’altra era parso non solo impossibile, ma anche scorretto.

Ora si faceva, come tutto il resto si fa. 
Ascoltami bene, Grace; tu non sei dio, e comunque, a scanso di equivoci, ti garantisco che nessun dio si preoccuperebbe in questo modo.  
Sì, ma passiamo tanto di quel tempo a dire la parola ‘impossibile’ che dimentichiamo quanto spesso, e quanto in fretta, l’impossibile invece si palesi, si assesti, ci invada il divano, rovesci tutte le carte e le edizioni da collezione di Vogue, stenda i piedi sul tavolino da caffè che nessuno ha mai voluto cambiare e diventi la norma. Com’è che scriveva Joan Didion in quel romanzo straziante? La vita cambia in un istante. Ti siedi a tavola per cena, e la vita come la conoscevi è finita. 
William si affacciò dalla scala: “Tesoro?”
Grace si accorse di James seduto in poltrona soltanto perché parlò.
“Ti chiama tesoro? Tu detesti essere chiamata tesoro”.
“Non da lui”.
“E perché no?”
“Perché lo pensa seriamente”.
Sentendosi ignorato, l’uomo in questione scese le scale.
“Tesoro, sei qui. Ti sto chiamando da tantissimo tempo, a cosa servono i cellulari?”
“Non a farsi geolocalizzare in casa, amore mio. Vuoi del caffè?”
“Un tè, grazie… ah, James”.
“Ah, William”.
“Ah, per favore smettetela. Non sono neanche le nove del mattino”.
“Ho un po’ di jet lag”.

Grace guardò William per un lungo istante, e le vennero in mente due cose: l’espressione ‘una specie di silenziosa trasparenza’, che aveva usato una volta Michel Foucault ma non ricordava a che proposito, ed un dipinto di Carel Fabritius che si chiamava Il cardellino. Gli consegnò una tazza, una sorta di tè alla passiflora, e si guardò a disagio l’anello che lui le aveva messo al dito. Sua madre, incastonata tra le spighe dorate di un campo in una foto analogica che si teneva in ostinato equilibrio contro il dorso di metà della Recherche di Proust sulla biblioteca della veranda, gettava sulla scena uno sguardo che sembrava il preludio di un’avventura indimenticabile.
William diede un sorso alla tazza e fece una smorfia mortificata: “Sa di rimpianti”.
Grace e James si guardarono interminabilmente, chiedendosi se tra le loro conoscenze figurasse qualcuno che si fosse mai bevuto un rimpianto e potesse confermare. Ma, quando Grace assaggiò la bevanda, non potè fare a meno di capire: in effetti, sapeva di rimpianto.
“Scusate, ho interrotto qualcosa? — disse William facendo gesti tra James e Grace, nonché da capo il tè — È tanto che non vi vedete, avrete molte cose da dirvi”.
La vita è tutta una palestra per imparare a stare lontani dalle persone che ami senza sentirne la distanza, pensò Grace. Senza soffrire. Una volta l’aveva detto a suo fratello Conor, che le aveva risposto “ed io cosa dovrei dirti, ora?”
Dovresti dirmi che mi sbaglio”, gli aveva risposto Grace, “Hai vent’anni. I vent’anni sono fatti esattamente per questo”.

Interno, giorno, qualche ora più tardi.
Il sole caldo della California. Lo sciabordio dell’oceano. La quieta respirazione delle rose nel patio.

Non si è mai parlato abbastanza della difficoltà di crescere i figli altrui.
“È come scrivere con le bic”.
“Scusa?”
“Io odio scrivere con le bic, però amo il profumo che quell’inchiostro lascia sul foglio. Capisci cosa intendo?”
Non lo capiva.
Erano passati già da un po’ i tempi in cui ogni frase detta doveva essere un perfetto compendio di arguzia ed intelligenza, una specie di superstizione di stampo estetico e morale nel complicato rapporto tra lei ed il mondo. Intanto, certuni insistevano nel tenere vive le tradizioni su cui si erano intrecciate le loro esistenze, anche se nessuno ricordava più perché.
“Dobbiamo parlare seriamente”, annunziò quella specie di cartomante fuori servizio che lui si era scelto come compagna di vita.
Che palle, pensò lui. Lui era James, ma per tutti era Jimmy.
“Una tazza di tè?”, propose Grace, che non andava facendo altro da quella mattina, ma lo disse guardandolo e lo disse in quel modo che, lui lo sapeva, significava che palle. Si sorrisero. La cartomante li vide, e si rabbuiò. Matt Shadows entrò abbattendo di netto la porta d’ingresso, e non fece in tempo a sfilarsi gli occhiali da sole specchiati.
“Che cazzo è?”, chiese, indicando allarmato un brutto scheletro di cartapesta.
“È tua madre”, gli rispose la cartomante.
“Non mi sembra”.
L’orologio a cucù batté le cinque del pomeriggio.
Valary Sanders si sporse sulla ringhiera della veranda e cominciò a urlare “sciò, sciò.” in tono monocorde ad un ristretto stormo di gazze ladre che si intrattenevano in giardino.
Conor uscì dalla cantina con e braccia cariche, lanciò una bacchetta alla pendola del nonno che ancora suonava, la mancò, e ritenne di osservare — come sempre — che in famiglia ci si scervellava da generazioni a trovare nuovi modi, creativi ed il più rumorosi possibile, di rompere i coglioni.
“Infatti tu suoni la batteria”, gli rispose sua sorella Grace.
“Come lo zio James”, disse Jimmy.
“Per colpa dello zio James”, rettificò Shadows.
“Quel vecchio stronzo”, aggiunse Zacky Vengeance, portando i suoi troppi anni incastrati in un paio di ingiustificabili calzoncini alla zuava dentro l’affollato salotto. I bambini sciamavano qui e là becchettando caramelle e distruggendo le decorazioni di Halloween.
“Dobbiamo fare un figlio”, pigolò la cartomante a Jimmy, che la ignorò in un modo così plateale da risultare quasi sonoro.
“Facciamo prima il tè”, intervenne Grace, e condusse la sventurata verso i fornelli.
“Non dovevamo far mettere un muro, qui?” urlò Grace a Jimmy, muovendo il braccio come per accarezzare lo spazio vuoto tra la cucina e il salone.
Matt e Zacky si guardarono eloquentemente: “Noi chi?”
“Sì, dovevamo”, urlò Jimmy di rimando, “ma poi tu sei partita per l’Inghilterra e non ne abbiamo fatto più niente”.
“Sai perché sono andata a Londra: dovevo.”
“E volevi. Londra ti ha portata via da me e tu ti sei fatta portare.”
“C’era un motivo.”
“Un motivo che, per quieto vivere, chiamiamo Shakespeare.”
“Sai bene che è proprio per Shakespeare che ci sono andata. Il resto è accademia e maldicenze.”
Matt si chinò per sussurrare più agevolmente qualcosa a Zacky. Qualcosa che suonò come secondo te lo sanno che i loro rispettivi compagni si trovano qui con noi, in questa stanza?, ma furono interrotti da Jimmy che disse: “L’uomo che sussurrava alle chitarre ritmiche. Hai finito?”
Shadows aveva finito.
Valary no: stava ancora urlando “sciò, sciò.” alle gazze ladre.

“Dunque, parlaci di quest’Inghilterra”, aveva chiesto solennemente Zacky Vengeance. Lui, Matt, Jimmy, e Grace si erano ritirati nel piccolo spazio terrazzato che ospitava un tavolo ed alcune sedie, lontani dal baccano dei bambini, che la cartomante stava cercando di rabbonire per placare il suo desiderio di maternità, e lontanissimi da William e Conor, usciti per comprare chissà quale imprescindibile oggetto necessario al prosieguo dei festeggiamenti.
“È davvero un bel posto. Secondo me avete fatto male a mollare tutto e naufragare fin qui sul Mayflower, seicento anni or sono”.
“Chi dice seicento anni or sono al giorno d’oggi?”
“Lei dice seicento anni or sono”, spiegò Jimmy, “dice anche egregio, delucidare, interstizio, chiama piatti e bicchieri ‘stoviglie’, e sa qual è il nome del riflesso della luce sull’acqua”.
“E qual è?”
“Gibigiana.”
“Sono sconvolto.”
“Sei nato sconvolto.”
“Questo pure è un dato di fatto.”
“Come mai abbiamo smesso di drogarci?”
“Jimmy per poco non moriva.”
“Ah, sì.”
“E, invece, come mai abbiamo iniziato?”
“Pensavamo che avremmo scritto canzoni più interessanti.”
“Ed era vero?”
“In effetti, era così.”
Calò comprensibilmente il silenzio.
“Sciò, sciò.”
“Valary, smettila.”
Tanto non se ne vanno.
Grace si tirò su raccogliendo le gambe contro il petto, appoggiò la testa sulle ginocchia e guardò Jimmy: “Te la ricordi quella vecchia filastrocca sulle gazze ladre?”
Lui rise. “Come no. Una gazza porta dolore, due gazze portano gioia…”
“Valary, conta un po’ queste gazze.”, intervenne Shadows.
“Non le contare, magari non lo vogliamo sapere.”, ribatté saggiamente Zacky Vengeance.
“Sono sette.”
“Sette gazze… sette gazze sono…”
“Sono un segreto che non va mai rivelato.”, dissero Grace e Jimmy all’unisono, scambiandosi uno sguardo carico di affetto.

 

Atto II
Avevo un appuntamento

 

Si svegliò in un groviglio di lenzuola e sudore, e somigliò a qualcuno che riemergeva da un abisso in cerca di aria. L’orologio segnava le tre del mattino; quello che lei, in altri tempi, avrebbe definito il cuore della notte. Da un po’ non era più sicura che la notte avesse un cuore; o che lo avesse lei, per quel che valeva. Cercò il corpo addormentato di William due volte, prima di ricordarsi che William non era lì ma all’estero per lavoro, e che quindi i suoi occhi di ghiaccio non potevano raffreddare le fiamme che sentiva bruciare nel petto al posto dei polmoni. Si alzò ed infilò la doccia senza guardare niente; non un mobile, non un libro. L’acqua fredda le sciolse un po’ il groppo di disperazione nello sterno. Ancora fradicia d’acqua, ma più calma, afferrò il cellulare e lo chiamò.
“Will?”
“Piccola, stai bene? Un altro incubo?”
Il sollievo le sgretolò la pietra del pianto, e si chiese se sarebbe mai più riuscita a piangere, nel caso in cui le cose con William un giorno fossero andate male e lo avesse perso. Perché le cose vanno male, a volte. Capita. Terribilmente male. Può succedere. A chiunque. In qualsiasi momento. Anche se è già esausto, anche se non ha ormai più lacrime, anche se non ne può già più. Le venne la paradossale nostalgia di riuscire ad affrontare il dolore intera ed esserne devastata, invece di avere la sensazione che qualsiasi nuovo dolore finisse per abbattersi su un edificio già marcio e pericolante, e che nessuna tragedia potesse più fare la differenza. L’inglese ha una parola per tutto. Dull. Una particolare sfumatura di vuoto, un preciso tipo di inerzia. Pietrificata e insofferente, le sembrava che il cervello volesse ritirarsi da qualsiasi attività più complessa di un sospiro. Le pesava qualsiasi cosa, tremendamente ed inesorabilmente, per di più in un modo vuoto e stanco che non aveva alcun senso spiegare.
“Mi manchi tanto, Will”
“Anche tu mi manchi, piccola. Torno presto. È questione di giorni, lo sai”.
Cosa doveva fare? Farsi trovare viva per non turbare la pace del suo solenne e gentilissimo fidanzato? Sempre così presente, mai una parola fuori posto, sembrava uscito da una fabbrica di fidanzati ideali, o direttamente dai sogni di sua madre. Lo rassicurò, oppressa da un training lungo una vita sull’importanza di non arrecare disturbo alla gente, e chiuse la chiamata. In salotto accese le lampade più discrete che c’erano, mise un disco dei Dire Straits e si stese davanti al camino spento, pregando per niente in particolare, se non che le passasse il vuoto, e si ricordò una frase letta una volta in un libro, che diceva è più facile morire di niente, che di dolore. Al dolore si reagisce, al niente no.

Gettò un’occhiata distratta alle carte sulla scrivania e le vennero in mente i giorni e le settimane passati a scarnificare il Re Lear. Quanto tempo occorre per spogliare qualcosa… Vestire le sembrò, allora, un gesto molto più fluido e immediato. Si rese conto, con la forza di un’illuminazione, che mettere è sempre molto più semplice che togliere. Pensò a quanto è facile prendere un’abitudine o sviluppare una dipendenza, e quanto invece è complicato abbandonarla. Doveva essere qualcosa che aveva a che fare con l’istino naturale dell’uomo all’aggiunta, all’accumulo e all’addizione.
Ma se aggiungere è spesso confortante (anche se a volte rischia di trasformarsi in un fardello), togliere è sempre terapeutico. Magari, perfino rivelatore.
“Una cosa è certa”, disse ad alta voce, “occorre un coraggio che nessuno di noi ha. eppure, ce lo dobbiamo per forza inventare. Non è un caso che la strada per il paradiso sia una scala in salita, e quella per l’inferno un comodo scivolo”.
Forse il punto era smettere di insistere ad aggiungere, a far camminare quel cervello così stanco da non tollerare neppure i sospiri. Forse quel niente le serviva da reset. 

William era arrivato alla quarta telefonata in otto ore.
“Se chiama un’altra volta, appena torna lo ammazzo. Poi lo abbraccio. Ma per prima cosa lo ammazzo.”
“Certo che sei strana forte.”
“Non capisco perché si preoccupi tanto."
“Rettifico, non sei strana: sei fuori di testa. Lo hai chiamato nel cuore della notte, è il tuo fidanzato, sa che stai passando un periodo difficile, è il tuo fidanzato, il suo lavoro lo tiene lontano e non può starti accanto come vorrebbe, tu stai male ed è preoccupato per te: è il tuo fidanzato.”
“Non sono sicura di aver capito, è il mio…?”
“È il tuo fidanzato. Lo stesso uomo che ti è stato amico e confidente, prima, e che hai mandato al manicomio per mesi, anche se ti piaceva moltissimo. Perché sei fuori di testa. Quello che, prima di chiederti di sposarlo, a chiesto a me sei volte se era una buona idea; perché lo sa bene, che sei fuori di testa. E tu lo sei, fuori di testa.”
“Il tuo camice è così bianco da essere quasi catarifrangente, mi fa male a guardarlo” disse Grace ridendo, e nello schermo del suo telefono l’amica di una vita alzò le sopracciglia fin quasi a staccarsele. Si sentì gracidare debolmente una rana in lontananza. La rana, precisamente, era una raganella australiana; si chiamava Alfonso.
“Io lo so come sei tu.”, andò avanti l’Oracolo Meridionale, gettando il cuore oltre l’ostacolo che in questo caso era la rana, “Tu sei romantica. Tu infili i fiori nei vasi vuoti in casa di chiunque, apri le finestre per far passare l’aria, mi scrivi per mesi elencandomi sei cose impossibili prima di colazione perché ti sembra una buona idea; tu costruisci cattedrali, sempre, ovunque. Non importa quanto sia misero il materiale con cui ti ritrovi a doverlo fare, tu prendi due assi di legno e tiri su Nôtre Dame, ed anche se quel legno sa perfettamente di non essere altro che comune, stronzissimo legno, in mano a te si sente pietra santa. Perché tu sei fatta così.”
Grace bucò con lo sguardo il vetro della finestra davanti a sé, oltre la quale Londra sonnecchiava sotto un manto di neve.
“Nôtre Dame è bruciata, Oracolo.”
“Come?”
La ragazza spostò gli occhi di nuovo sull’amica, che aveva ingaggiato una feroce battaglia contro lo stetoscopio intorno al suo collo.
“Nôtre Dame è bruciata.”
L’Oracolo le gettò un’occhiata saggia, uscita dal buio di diverse ere.
“Ma è esistita.”
La rana sullo sfondo assentì, molto distante.

“Devo andare, Will”.
Un bacio più fugace di un’ostia e Grace era già fuori dalla porta, con un libro in mano ed una borsa ricolma dio sapeva di cosa. William si spettinò con una mano e con l’altra resse il pesante uscio di legno e metallo, indeciso se lasciarla andare oppure mettersi una buona volta di traverso tra lei e tutto il resto e scavalcare scalzo lo zerbino per frapporre se stesso tra il mondo fuori e la donna che amava. E non capiva.
“Devi proprio andare, tesoro?”
“Devo proprio andare.”
“E non posso venire con te?”
Grace pensò che i suoi anni le sembravano mille, e che non era bastato uno stuolo di amici che l’avevano vista bambina e con lo sguardo l’avevano accompagnata ovunque la sua testa dura volesse andare per metterla al sicuro dalle eccezioni; lo dimostrava il fatto che era riuscita a trovarsi un compagno che era anche l’unico uomo inglese mai esistito che ritenesse un suo preciso dovere dimostrarle affetto continuamente. William la adorava come un’icona sacra, non faceva che baciarle le mani e chiederle se fosse tutto ok, ed ogni volta che provava a farlo presente all’Oracolo questa le rispondeva dal turno in ospedale ricordandole, a giusta ragione, che era fuori di testa.
Non aveva cuore, né forza, né motivi per dirgli che due occhi azzurri la svegliavano ogni notte, che probabilmente sarebbe stato così per tutta la vita, e che non erano i suoi.
Tornò indietro sui suoi passi per baciarlo di nuovo, questa volta sul serio, senza rispondere alla domanda.
Ipocrita.
C’era una voce nella sua testa.
Lui lo sa. Lo ha sempre saputo e non può accettarlo, quindi finge che non sia vero. È la strada più semplice, lo sai anche tu. E ti sta bene. Perché non lo lasceresti per nulla al mondo, lo ami, ma è un amore che non ha niente a che vedere con l’amore. E sai anche questo.
“Ti prego, lascia che ti accompagni.”
Grace strinse le dita intorno al libro che aveva in mano.
“D’accordo.”, disse.
Ipocrita

L’aereo era atterrato in ritardo e le mancava l’aria.
Conor le andò incontro sventolando una felpa che non serviva a nulla, in quel periodo dell’anno. La investì un fortissimo odore di oceano non appena le porte della lobby si dischiusero sulla realtà.
“Will, fratellone! Ci sei anche tu!”
Si abbracciarono in quel modo in cui William lo abbracciava sempre, come aggrappandosi ad una parte di Grace che esisteva fuori di lei e che — lo sapeva bene — Grace amava più di qualsiasi altra cosa.
Sentiva il vestito aderirle addosso per qualcosa che non era il caldo della California, e fu grata dell’aria che le schiaffeggiava il viso sulla decappottabile nera. Inspirò forte le note di agrumi nel vento e quasi non si accorse che si erano fermati in un viale che conosceva bene, con le siepi di ligustro ai lati potate con la precisione di chi cerca disperatamente una pace mentale che gli sarà preclusa fino alla fine del mondo.
Un uomo anziano le aprì la portiera dell’auto e le porse una mano per aiutarla a scendere; in quella stretta riconobbe la familiarità che le stritolava lo stomaco.
“Grace”, disse l’uomo, “come stai, figlia mia? Barbara sarà furiosa, penserà che non mangi.”
“Joe”, disse Grace, senza riuscire a fermare una lacrima.
Smise di sentire qualsiasi rumore mentre entrava in casa, lasciava che Barbara la abbracciasse e la rimproverasse di essere troppo magra, riconosceva quel divano, quella piccola libreria, quella collezione di foto alle pareti, sorpassava la cucina, — forse William le sfiorava un braccio, o forse uno spiffero l’aveva trovata — entrava nel giardino sul retro e lontana da tutto, colta da un capogiro, crollava in ginocchio tra le rose.

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Capitolo 2
*** Questo andirivieni del cazzo ***


Atto III

Henry David Thoreau, Julio Cortázar,
Gabriel García Márquez,
e l’indimenticabile capolavoro,
“Il coglione inglese”

 

And you…
you were the one I treated worse,
only because you loved me the most.
Florence + The Machine, Grace

 

William ci restava sveglio la notte.
Misurava la stanza a grandi passi e si chiedeva cosa mai avessero da dirsi Grace e quell’uomo così profondamente diverso da lei. Cosa avessero in comune. Aveva accettato la cosa con tutta la sportività che si era imposto di sfoggiare — in fondo, lei era la sua fidanzata — ma rabbrividiva a sentirla ridere nell’altra stanza, sempre in piedi a quelle ore improbabili, al telefono con lui dall’altra parte dell’oceano. Jimmy c’era sempre stato e ci sarebbe stato sempre. Si manifestava continuamente, allungando la sua ombra nella loro vita in comune in mille piccoli modi: un libro che lui non avrebbe mai scelto per lei, e che Grace invece riceveva come un’ostia e sfogliava con gli occhi illuminati di una bambina; un mazzo di fiori per una ricorrenza nota solo a loro due, della cui natura e importanza William era completamente all’oscuro; una volta, perfino due tazze così assurde, ma così assurde che ebbe la tentazione di romperle apposta. Tutto quel traffico di posta e pacchi, per non menzionare le lunghe lettere di cui non vedeva proprio la necessità considerate le interminabili e frequenti telefonate, rappresentavano un universo privato da cui William era evidentemente escluso. La cosa che lo rendeva più furioso era che non sembrava esserci modo per avere informazioni un po’ più precise; a Grace non si sarebbe mai azzardato a chiederlo apertamente, perciò aveva provato ad indagare con Conor. “Sono mai stati più uniti di così?”
“Da quando si conoscono, non si sono mai separati volentieri”, rispose laconico il ragazzo, asciugando i piatti che lui tirava fuori dall’acquaio. William si ricordò all’improvviso della volta in cui Grace gli aveva raccontato che Milady, una delle sue più care amiche, riusciva ad affrontare discorsi seri solo lavando i piatti, immersa fino ai gomiti in una misteriosa pozza di acqua e sapone.
“Voglio sapere se sono stati fisicamente insieme. Dal punto di vista romantico, Conor.”
Conor restò con una ciotola in mano ed un’espressione indecifrabile sul giovane viso. “Mi stai chiedendo se hanno mai scopato, e trattandosi di mia sorella la risposta è: non lo so e non lo voglio sapere.”
William aveva tossito a disagio, rendendosi improvvisamente conto della tempesta di inopportunismo che rappresentava quella domanda.
“È che sono così legati… mi è difficile non preoccuparmi, ecco.”
“Non ti biasimo.”
A William si era gelato il sangue ed aveva gettato uno sguardo oltre il vetro della finestra; Jimmy e Grace, nel patio, gli davano le spalle seduti su due chaise-longue vicine, e confabulavano chini l’uno verso l’altra in un conclave intimo. Vide la sua fidanzata sfilare con un gesto confidenziale il bicchiere di mano all’uomo, prendere un sorso e gettare indietro la testa, abbandonando i capelli ai capricci del vento. Un piatto gli cadde dalle mani ed andò in frantumi nell’acqua piena di sapone, sollevando — con buona pace di Milady e della sua maieutica dell’acquaio — una piccola coltre di bolle attraverso la quale lo raggiunse, definitiva, la voce di Conor: “Secondo me dovresti parlargliene.”
“Parlare a chi di cosa?” intervenne una voce femminile dalla timbrica inconfondibile. Conor lasciò un canovaccio in mano a Valary e si eclissò il più velocemente che poté.
William gli impartì una benedizione a mente, e sorrise amaro chiedendosi cosa mai era accaduto per convincere la donna a smettere di cercare di mettere in fuga le gazze.
“Mi suggeriva di parlare alla mia fidanzata del suo rapporto con il vostro Jimmy.”
Disse proprio così, il vostro Jimmy, come se dai Jimmy altrui ci si potesse invece aspettare un comportamento più appropriato, in linea con le norme non scritte del vivere sociale.
Valary annuì con aria saggia. “Sei geloso. Ti capisco.”
“Non è che io sia geloso, è che loro sono così…”
“… intimi?”
“Stavo per dire uniti.”
“Ti chiedi se scopano?”
William alzò gli occhi al cielo, ma il cielo non rispose. Valary ignorò la teatralità del gesto, ma non riuscì a non pensare: Shakespeare.
“La risposta è che non si sa. Nessuno lo sa. Ma, se vuoi la mia opinione, probabilmente sì. Di sicuro c’è stato un periodo in cui lo facevano, e parecchio.”
William avrebbe voluto pregarla di tacere mentre si cavava compostamente gli occhi, ma colse istantaneamente il parallelismo con Macbeth e ritenne che a Grace non avrebbe fatto piacere. Quel che non seppe mai è che in quell’aranceto ammarato sulla costa della California, per un lungo attimo, e tra due persone che non avrebbero mai potuto essere più diverse tra loro, Shakespeare era stato un pensiero simultaneo e comune.
“E come mai hanno smesso?”
“Io non credo affatto che abbiano smesso.”
“Valary, ti imploro.”
Lei lo guardò comprensiva. “Scusami, hai ragione. È che Jimmy è mio amico da una vita, Grace lo è da quando l’ho conosciuta, e trovavo che fossero una coppia perfetta. Lo penso ancora. Senza offesa.”
“Nessuna offesa.” ribatté, dissimulando una fitta in un fianco.
“Erano molto felici, ma non si può dire che siano mai stati propriamente una coppia.  Non ci sembrava affatto strano perché sono due persone… beh, molto particolari.”
“Senz’altro”, concordò lui a denti stretti.
“Nessuno li ha mai visti darsi un bacio in pubblico, per dire. A parte una volta.”
“Quando?”
Valary lo guardò sorpresa. “Beh, quando Jimmy ha rischiato di… Grace non te l’ha mai raccontato?”
“Mi ha detto che è stato molto male, ad un certo punto. Che si è pensato che non ce l’avrebbe fatta. Ma poi ce l’ha fatta.”
Lei sorrise. “Jimmy è invincibile.”
“Sì, l’ho sentito dire.”
“In quei momenti Grace non ha mai lasciato il suo capezzale. Quando lui si è svegliato, lei era lì. C’eravamo quasi tutti, a dire il vero. Era una giornata bellissima e fredda. Lei stava leggendo un libro accanto al suo letto; da subito e non senza una bella scena, i medici avevano compreso che il concetto di ‘orario di visite’ non si applicava a quella ragazza. Lui ha aperto gli occhi e l’ha guardata, e lei ha sollevato i suoi dal libro. Il tempo si è fermato nei binari. Nessuno ha detto una parola, neppure la madre di Jimmy; nessuno si è mosso. Il libro è caduto dalle mani di Grace dritto a terra e lei ha fatto un unico movimento che includeva più azioni, sai come fa lei…”
“Sì, si infila dentro una crepa della realtà e per un attimo smette di rispondere al mondo, come tutti siamo costretti a fare, ed è il mondo che risponde a lei. Quella donna sa essere un miracolo, in culo le leggi della fisica.”
Valary lo fissò stupita: “Hai detto una parolaccia.”
“Cosa ti fa pensare che sia un evento straordinario?”
“Non ti ho mai sentito dire parolacce.”
“Non mi hai neanche mai sentito cantare Bombs over Baghdad degli Outkast, eppure anche quella è una cosa faccio spesso. Lo giuro.”
Valary sovrappose in un lampo la canzone a quel distinto gentiluomo inglese, e scoppiò a ridere. Per un lungo istante le piacque moltissimo, e se ne dispiacque. Si sorrisero, imbarazzati da una temporanea complicità. Lo guardò bene e lo trovò molto bello, informazione che in precedenza aveva registrato solo di sfuggita, perché lui non era il suo genere né il suo tipo; molto bello, e molto brillante. Le dispiacque anche quello, mentre lo guardava mettere da parte un canovaccio e voltarsi, con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e le braccia che si incrociavano sul petto evidenziando le vene mentre si appoggiava di spalle all’acquaio, maledicendo l’ovvia chiaroveggenza di Milady e chiunque avesse mai avuto un posto nel cuore della sua Amazing Grace.
“Scusami, ti ho interrotta. Va’ pure avanti.”
Valary si riscosse dall’incantesimo, rendendosi conto nel contempo che lui era perfettamente consapevole dello sguardo incantato che lei gli stava rivolgendo: “Sì, dov’ero? Ah, a quell’unico movimento; si è sporta in avanti ed ha premuto un pulsante per chiamare gli infermieri, si è chinata su di lui e lo ha baciato. Un bacio casto, semplicissimo, a labbra chiuse. E infinito. Perfino il medico che è arrivato di corsa ha avuto un attimo di esitazione a separarli. Ma poi il tempo ha ripreso a scorrere, ed uno sciame di camici bianchi si è affollato intorno al suo letto. Lei è emersa da quella curiosa nevicata di operatori sanitari ed ha guardato Brian, mio cognato Brian, dritto in faccia. Lui l’ha seguita subito. Poi lei ha fatto una carezza a mio marito, stretto la mano della mamma di Jimmy ed è uscita dalla stanza. Brian mi ha raccontato che sono scesi fino al cortile dell’ospedale, e lì, prima che lui potesse fare qualsiasi cosa, Grace si è piegata in avanti ed ha urlato. Un urlo straziante. Mi ha detto che non aveva mai sentito un suono così primordiale, pieno di dolore e sollievo insieme. Poi si è presa una pausa dagli studi e gli è stata accanto per tutta la lunga riabilitazione; hanno vissuto insieme per mesi. Nessuno si è neppure sognato di questionare o anche solo di chiedere lumi sulla decisione presa, nemmeno la ragazza di Jimmy.”
“Jimmy aveva una ragazza all’epoca?”
“Certo. La cartomante.”
“Senza dubbio ha una storia personale avvincente, questa cartomante. Ed anche un nome di battesimo, mi pare. Si chiama…”
“Lo sappiamo, come si chiama.”, tagliò corto Valary, impedendogli di finire la frase.
William si voltò di nuovo a lanciare uno sguardo accigliato fuori dalla finestra. A giudicare dalle braccia che Grace librava in alto, come indicando qualcosa, si stava tenendo una conversazione sul cielo; parlavano di nuvole, o di angeli, lui non poteva saperlo. Non sapeva quella e molte altre cose.
“Qual era il libro?”
Valary, che aveva seguito il suo sguardo, dovette riscuotersi dai propri personali pensieri, che in quel momento riguardavano precisamente lui.
“Come?”
“Ricordi qual era il libro che stava leggendo Grace quando Jimmy si è svegliato?”
“Era Disobbedienza civile di Henry David Thoreau.”
Improvviso come un rimpianto, Jimmy prese la mano di Grace, se la portò al viso e la baciò. William strinse i pugni sul bordo del lavabo. Valary gli assestò una pacca condiscendente su una spalla: “Non perderci la testa, William, non ne vale la pena e non è una guerra che ti conviene combattere: loro sono intoccabili, l’uno per l’altra. Però chiedi spiegazioni a Grace, se ti fa stare così male. Ne hai tutto il diritto.”

 

Can you cast out a demon,
can you wrangle the wind?
Will you stay when she’s breathing
the blowback again?

“Jimmy, io ci sarò. Non discutere con me.”
“Grace, sono già morto una volta. Non ho intenzione di concedere bis. Adesso vai, il tuo fidanzato ti sta aspettando.”
“Non discutere con me”, disse di nuovo, flebile.
Lui si avvicinò e le prese il viso tra le mani.
“Non mi sognerei mai di discutere con te. Sei tu che discuti con me.”
“Non sopporto l’idea che tu affronti tutto questo senza di me. Senza sapere come andrà a finire.”
“Non possiamo saperlo e basta, piccola. Che differenza fa se tu ci sei oppure no? Questa è davvero l’unica cosa che devo proprio fare da solo.”
“Ma se io fossi lì…”
“Ascoltami bene, Grace; tu non sei dio, e comunque, a scanso di equivoci, ti garantisco che nessun dio si preoccuperebbe in questo modo.”
Grace aveva dovuto imparare l’arte del gelo apparente per bilanciare una sensibilità d’animo infinita ed insopportabile che a volte, per quanto cercasse di difendersi, le divorava il cuore peggio di un dolore; ma non riuscì a fermare le lacrime neppure per tutto l’oro del mondo mentre lo stringeva forte, e non sapeva più dove finisse la sua pelle e iniziasse quella dell’uomo assurdo, meraviglioso e imprevedibile che la cullava tra le braccia come una bambina. Perché lei era una bambina in confronto a lui, che comunque non le avrebbe mai permesso di dimenticarlo.
“Voglio stare con te.”, gli disse, contro il collo tiepido. I suoi capelli, aculei indisciplinati come lui, e come lui provati da una vita in cui non si erano risparmiati niente, le pungevano il viso.
“È fuori discussione”, rispose Jimmy, irremovibile, “non permetterò che tu stia in quella stanza mentre mi aprono il cuore. Non potrei mai farti una cosa del genere.”
“E se qualcosa va storto?”
“Se qualcosa va storto, sei stata l’amore della mia vita.”
Ed io sono stato un completo idiota ogni minuto di ogni giorno che ti ho permesso di stare lontana da me, da un’altra parte e con un altro uomo.
Lei gli colpì debolmente il petto con un pugno chiuso, come in uno di quei romanzi vittoriani che non le erano mai piaciuti.
“E se muori, Jimmy?”
Se tu muori, io muoio con te. Ogni cosa muore con te. Le stelle del cielo ed i pesci nel mare. Le cinque del pomeriggio ed il profumo del caffè. Il silenzio appena prima di dormire. La serena democrazia delle foglie. Il suono della voce di Johnny Cash ed i cedri di New Orleans. Le lenticchie. Le mie inesorabili liste di cose, che non sono mai cose normali come appuntamenti dal dentista o scadenze; sono cose da pensare in un museo, da fare in un giorno di pioggia, da dire in balcone, da amare in silenzio, dal profondo del cuore. Cose di cui aver cura e da donare, se non puoi fare nient’altro, a qualcuno che ami e che sta soffrendo, o si è smarrito, o ha preso la vita per una canzone di Lana Del Rey e tutto è diventato un cunicolo di cui non vede la fine. Cose importanti.
“E se muoio sarò un fantasma infaticabile. Aspetta, quale dei tuoi amati scrittori lo aveva già detto?”
“Julio Cortázar. Ma lui si riferiva alle case in cui era stato felice.”
“Tu sei stata la casa in cui sono stato più felice.”
Lei sospirò, un sospiro rotto dal pianto, e forse da un sorriso.
“Se muori, Jimmy”, gli disse, guardandolo dritto negli occhi senza sciogliere quell’abbraccio, “col cazzo che muori senza di me. Mi hai sentita bene? Col cazzo.”
“Non stanno bene certe parole in bocca ad una signorina.”
“Non le direi, se tu non fossi un imbecille.”
Jimmy le rivolse uno dei suoi soliti sorrisi da stregatto.
“Dovremmo fare qualcosa di grandioso, nel caso io muoia. Qualcosa che resti per tutti gli anni a venire. Ti viene in mente niente del genere?”, suggerì.
Grace lo guardò: “Un figlio?”
Jimmy sbatté le palpebre interdetto ed assorbì l’informazione, poi sorrise e le diede un piccolissimo bacio sul naso.
“Veramente pensavo a qualcosa tipo una festa memorabile al Johnny’s ma sì, va bene, facciamo anche un figlio.”
Lei gli diede un lieve schiaffo su un braccio.
Fuori, gli uccelli ignari cantavano tra i rami degli aranci. 

 

I’ve got a mind to see the headlights shining
on that old white line between my heart and home,
sick of spending Sundays wishing they were Mondays
sitting in the park alone;
give my best to anyone who’s left
 who’s ever done me any loving way but wrong,
and tell’em that the pride
 of just the other side of nowhere
 is going home.

 

“Sei uno stronzo.”
“Sì, Brian?”
“Non dire sì, Brian. Di’: sono uno stronzo, Brian.”
“Sono uno stronzo, Brian. Contento?”
“Sì.”
Brian Haner Jr, in arte Synyster Gates, fece un lungo periplo del salotto con le mani sui fianchi ed il suo migliore amico, affondando un po’ di più nel divano con un sorriso indecifrabile, lo guardò curioso. Brian si fermò di colpo: “In realtà no, non sono affatto contento. E tu sei uno stronzo.”
“Sì, questo mi è chiaro”, rise Jimmy.
“Per dio, James. Vuoi lasciarla andare? Vuoi che tutto ciò che avete sfumi in un blando fondale?”
Un blando fondale?”
Brian schiaffeggiò l’aria per comunicargli l’irrilevanza di quella osservazione.
“Tu la ami, lo so io e lo sai tu. Devi piantare la cartomante in questo momento, correre là fuori ed andare a strappare la donna della tua vita dalle braccia di quel coglione inglese.”
“Non era un film, Il coglione inglese?”
“Quello era il paziente inglese, idiota.”
“Mi sembra un uomo abbastanza paziente, in effetti.”
Brian si bloccò, scrollò le spalle, si mise le mani sui fianchi e sbuffò, cercando nel pavimento la soluzione a quel casino: “Senza dubbio è molto inglese. Cristo, James…”
“La prossima che dirai sarà Spirito santo, James? Per completare l’invocazione della santissima trinità.”
“Sei esasperante.”
Brian si accese una sigaretta con le mani che gli tremavano e lanciò un’occhiata in tralice a Jimmy. Fulmicotone.
“Ma cosa vuoi che faccia? Che le dica Grace, molla il tuo fidanzato e la sua composta imbalsamazione e vieni con me, che sono pazzo, ho abusato di droga ed alcol in ogni quantitativo e variante possibile, ed ho un leggero problema congenito al cuore che potrebbe portarmi presto alla tomba?”
Il chitarrista allargò le braccia come se cercasse di spiccare il volo e fissò dritto negli occhi l’amico, che gli restituì uno sguardo impassibile e leggermente divertito.
“Potresti, sì. O potresti dirle semplicemente che è l’amore della tua vita.”
“Ma gliel’ho detto.”
“E lei che ha risposto?”
Jimmy sbuffò, allargò le gambe e gettò la testa all’indietro sulla spalliera del divano, battendosi le mani aperte sulle cosce. A Brian, tutt’a un tratto, sembrò incredibilmente stanco.
“Ha detto che dovremmo fare un figlio.”

Brian spalancò gli occhi e gli si dislocò la mascella.
“Cristo, James!”

“L’hai già detto.”
Spirito santo, James!”
Calò un silenzio carico di elettricità.
“Comunque lo sapeva già.”, disse Jimmy con un sorriso debole, “Sapeva bene di essere l’amore della mia vita. Ed io so bene che lei prova le stesse cose per me. Non mi spiego come sia possibile, ma è così.”
Il silenzio si protrasse.
“Però anche William la ama.”
Brian inarcò un sopracciglio rischiando una mezza paresi.
“Lo vedo che la ama, Brian, è inutile che mi guardi come un pezzo di presidente caduto dal monte Rushmore. E come non potrebbe, lei è meravigliosa. È un bravo ragazzo. Un po’ ingessato, d’accordo, però le somiglia, la sta a sentire, la rende felice. Non si droga, non beve, non sparisce, le ha messo un anello al dito e, cosa ben più importante, il suo migliore amico non sei tu. E non è affatto il bacchettone che credi. Lui è infinite volte meglio di me, per lei. Ed è questo che desidero che lei abbia: il meglio possibile.”
Brian saltò sul posto, in uno scatto isterico di frustrazione, poi si voltò verso di lui e si riposizionò le mani sui fianchi. A Jimmy venne da ridere, sembrava la madre di qualcuno; solo, con più eye-liner. Seguì una breve pausa. “Jimmy”, urlò Brian all’improvviso, fendendo l’aria e piegandosi sulle ginocchia. “Jimmy!”
“Sono qui, ti sento!” ribatté l’altro, che iniziava ad averne abbastanza di quella scena da romanzo d’appendice. Il chitarrista saltellò fino al divano come una cavalletta.
“Ho delle domande.”, annunziò, grave, chinandosi su di lui e stampandogli un primo piano così da vicino che rasentava il tentativo di bacio.
“Spero di avere risposte che ti soddisfino.”, sospirò Jimmy.
“Tu e Grace vi conoscete da un po’.”
Jimmy si massaggiò gli occhi, sentendo l’alito lievemente alcolico dell’amico a pochi centimetri dalla faccia: “Questa non è una domanda”, osservò piatto. E venne ignorato.
“Siete sempre insieme, quando siete qui. Lo siete sempre stati. Avete pranzato insieme, cenato insieme, avete dormito nello stesso letto, abbracciati. Lo so, vi ho visti. Quando lei si è trasferita a Londra sei stato inconsolabile, perché col cazzo che io mi bevo i tuoi giochetti da esperto dissimulatore — e non se li beve nemmeno tua madre, se lo vuoi sapere. Nemmeno quel quadro sgarrupato da retrobottega che definisci fidanzata per amor di pace se li beve. Comunque, sei stato a Londra più volte da quando ci vive lei che in tutta la tua vita precedente. Le mandi fiori, libri, dischi, racconti, le demo di quello che scrivi. Le telefoni quasi ogni giorno. Suoni il pianoforte per lei. Pensi a lei costantemente — ti ricordi quel negozio in cui abbiamo accompagnato Michelle ed abbiamo visto quell’assurdo portapenne da scrivania a forma di testa del David di Michelangelo? L’hai comprato a lei perché sapevi che l’avrebbe adorato. Non ti ho mai visto comprare niente alla cartomante, non sono nemmeno sicuro che tu sappia o ricordi cosa le piace. O come si chiama.”
“Ma certo che lo so, si chiama…”
Brian alzò una mano a paletta: “Lo sappiamo tutti benissimo come si chiama! Ma non ce ne frega niente e non è questa la domanda. La domanda è: sei mai stato a letto con Grace?”
Jimmy si riscosse dal torpore che gli aveva provocato la cronaca delle sue attenzioni per Grace e guardò Brian dritto negli occhi.
“Scusami?”
“Te la sei mai scopata?”
Silenzio. Battiti di palpebre.
“Forse mi trovi indelicato. Riformulo. Hai mai fatto l’amore con Grace?”
“Non riesco a capire cosa vuoi che ti dica.”

“La verità, Jimmy! Voglio che tu la smetta di fare San Giacomo protomartire che si immola alla nobile causa del meglio e rinunzia coscienziosamente all’amore della sua vita per offrirle l’equilibrata prospettiva di un marito che si mette la camicia per lavare quattro piatti e gira con un set di rasatura in osso e mi confessi, finalmente, che questa relazione delirante non è soltanto platonica.”
Jimmy sorrise, allungò le gambe, rovesciò la testa e guardò intensamente il soffitto. Brian odiava vedergli quello sguardo di saggia consapevolezza che, ben lungi dall’ammantarlo di croccante mistero per il gentil sesso, lo faceva piuttosto sembrare la versione punk di nonna Papera.
“Hai presente L’amore ai tempi del colera?”
Il chitarrista strabuzzò gli occhi, faticando a credere alle proprie orecchie.
“Cosa ho presente?”
“Il romanzo di Gabriel García Márquez che parla della storia di Florentino Ariza e Fermina Daza, due che si mettono insieme solo passati i settant’anni, nonostante lui l’abbia amata da lontano ed intensamente per tutta la vita e sia in effetti stato il suo primo amore, pur lasciandole sposare un dottore in medicina, Juvenal Urbino, che non solo ha un brutto carattere, ma pure una sinistra fissazione per i pappagalli parlanti. Però è una bravissima persona.”
“Jimmy”, gli rispose, serio, Brian, “Si può sapere di che cazzo stai parlando?”
Non un suono.
“Perché hai pensato a quel romanzo?”
Jimmy sospirò. “Perché lei lo ama moltissimo.”
“Con tutto il rispetto, ma cosa ce ne frega adesso di quali fottuti libri ami Grace?”
“Non sto parlando del libro, Brian. Sto parlando del suo dottore.”
“William sarebbe il dottor Urbino?”
“Non lo so, forse.”
Brian parve rifletterci un attimo, poi sbottò: “Ma cosa dici! Che devo sentire! Questa è la vita vera, Jimmy, non un romanzo di Cecilia…”
“Gabriel, Márquez si chiama Gabriel. Come tu sia approdato da Gabriel a Cecilia francamente è un mistero”
“Chi se ne fotte, Jimmy! Sto parlando seriamente! Io non posso credere che tu deponga le armi e perda una guerra che manco hai voluto combattere, e che per inciso secondo me avresti già vinto. Invece di proiettare personaggi inventati su persone reali per far quadrare i conti delle tue decisioni del cazzo."
Jimmy gli sorrise con affetto. “Una cosa è certa, però. Se in questa proiezione io sono Ariza, Grace è Fermina e William è Juvenal Urbino, tu sei senza dubbio il pappagallo.”

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Capitolo 3
*** Quella grande cretina di Anna Karenina ***


Atto IV
Quella grande cretina di Anna Karenina


«È un peccato imbattersi ancora in un suicidio che non sia per amore». 
— dr Juvenal Urbino, L’amore ai tempi del colera

 

Era impossibile sapere se fosse stata l’Europa o l’amore a renderli diversi, perché le due cose accaddero al contempo. 

 

Il jet lag.
Ma non era mai davvero il jet lag.
Grace allungò una mano, nel buio, a sfiorare il torace di William disteso accanto a lei; lui colse un bagliore della pietra che portava al dito, sospirò e cercò di pensare a tutto ciò che avrebbe voluto e dovuto dirle, ma soprattutto a quale fosse la giusta formula per non turbarla. Ci pensò a lungo e, tra le varie opzioni, alla fine scelse la peggiore.
“Devo chiederti una cosa.”
Lei ci mise diversi secondi a dirgli: “Ti ascolto.”
“Promettimi solo di non ritrarti.”
“Perché dovrei ritrarmi? Non sono mica Van Gogh.”
Suo malgrado, William sorrise.
“Mi ami?”
Sentì il sordo battito del proprio cuore invadere la stanza mentre aspettava una risposta.
“Certo.”
Chi cazzo risponde ‘certo’?, pensò William, da dove umanamente uno la può prendere mai una tale certezza — la sicumera, l’hybris di rispondere ‘certo’ a una domanda come questa, che ammette solo due risposte, che per inciso sono ‘sì’ e ‘no’. Si agitò compostamente ed in silenzio, come faceva sempre.
“E tu mi ami?”
“Ma certo, Grace.”, si affrettò a dire, poi pensò sono uno stronzo. Sono uno stronzo e questo è un autogol veramente meschino e prevedibile. “Certo che ti amo”, aggiunse, “sei l’amore della mia vita. Sei ogni cosa, per me. Non riesco neppure ad immaginare un universo in cui tu non sia…”, mia, stava per dire, ma ci ripensò, “accanto a me.”
Sentì il peso lieve di quei lunghi capelli accarezzargli il viso; distinse, nell’oscurità, gli occhi di lei che lo scrutavano indagatori e avvertì la sua bocca a pochi centimetri dalla propria. Si era avvicinata, sollevata su di lui, e attendeva tranquilla.
“Cosa c’è, Will?”
Lui sospirò e sentì il fragore di tutto il saldo terreno dell’esperienza che gli si sbriciolava sotto i piedi e diventava inutile, scoprendo che la saggezza dell’età non è che una pratica di auto-rassicurazione messa in atto da tutti quanti nell’illusione di arrivare preparati e capaci di proteggersi da ciò da cui non ci si può mai, in nessun caso, proteggere. Stava per fare una domanda chiave, e gli venne quasi da sorridere pensando alla scientificità del linguaggio; era proprio una chiave, che avrebbe potuto aprirgli finalmente Grace tutta intera, oppure chiudergliela per sempre. Dipendeva da quanto era fortunato.
“Tu e Jimmy…”
La guardò con attenzione per cogliere in lei qualcosa che non trovò, e lei lo sorprese appoggiandosi addosso a lui, la testa abbandonata sul suo torace, il profumo di miele, le mani che giocavano con il corpo dell’uomo che conosceva così bene. William raccolse tutto il coraggio che riuscì a trovare.
“Siete stati a letto insieme?”
Ancora un silenzio insopportabile.
“Intendi in questi giorni o in generale?”
William sentì un freddo impensabile chiuderglisi a tenaglia intorno al cuore.
“In generale.”
Pausa.
“Per te è importante saperlo?”
“Sì, temo che lo sia.”
Grace alzò la testa e raggiunse le sue labbra; mentre lo baciava poteva intuire l’ampolla di mercurio che il sospetto gli aveva rotto dentro, una sostanza tentacolare, corrosiva e diffidente. Pensò che, se non gli avesse dato le risposte che le chiedeva, non l’avrebbe mai più toccata come aveva sempre fatto, e l’idea le risultò insopportabile. Ma si concesse il lusso di una controdomanda.
“Posso sapere soltanto perché me lo chiedi?”
Lui le accarezzò i capelli. “Non hai lasciato che ti toccassi, da quando siamo qui. Ho pensato che fosse perché ti sembrerebbe di tradirlo, il che vorrebbe dire che ti senti legata a lui prima che a me, e non ti nascondo che il pensiero delle mani di un altro uomo addosso a te mi riempie la testa di rumore e furia.”
Grace risalì fino al suo viso, lo baciò di nuovo e se lo tirò addosso, in una muta promessa. Lui si fermò all’improvviso: “Non è solo per questo che te lo chiedo. È che vi vedo, insieme, e sembrate così…”
“Lo capisco. Però adesso facciamo l’amore?”
William non seppe, né volle o avrebbe potuto dirle di no. Mentre la guardava da quella prospettiva, che lo faceva sentire un privilegiato, scoprì che averla gli allentava la morsa nel petto; toccarla come e dove lui sapeva, accogliere in cambio sospiri come minute preghiere, baciarle quel punto sotto il collo in cui lei era così sensibile, sentirle gemere il suo nome ed affondargli le mani nei capelli in un gesto così familiare e rassicurante che già da tempo gli aveva reso insignificante e dimenticabile qualsiasi altra donna che avesse mai avuto. Quando ebbero finito restò dentro di lei, come sempre, con la faccia affondata tra i suoi capelli e le sue labbra dolci che lo riempivano di piccoli baci in attesa che il loro respiro riprendesse il suo corso.
“Allora?”, sussurrò, “Siete stati a letto insieme?”
“Posso farti notare, con delicatezza, che mi poni questa domanda mentre sei ancora dentro di me?”
“Lo so. Ho un’età ma non sono ancora del tutto rincoglionito.”
Grace lo costrinse a guardarla in viso e serrò di nuovo le gambe intorno a lui; lo baciò con tenerezza e la profonda intimità di quel contatto lo stordì come un incantesimo, poi lo guardò per un lungo attimo e scosse lentamente la testa.
“No? Cosa no?”
“Vuoi sentirtelo dire.”
“Sì.”, rispose William. Poi aggiunse, “per favore.”
“No, non sono mai stata a letto con Jimmy.”
William le crollò addosso schiacciandola con tutto il sollievo del mondo, in un modo che la costrinse a sorridere e tornare ad accarezzargli i capelli. Si mosse un po’ dentro di lei per il puro gusto di strapparle un piccolo sospiro, per l’ebrezza di poterlo fare. E di essere il solo.
“Da quant’era che convivevi con questo macigno?”
“Da un po’.”
“E perché non me l’hai chiesto prima?”
“Perché, nel caso in cui la risposta fosse stata , non lo volevo sapere. Tu perché non mi hai risposto subito?”
“Perché, nel caso in cui avessi aspettato una risposta per fare l’amore con me, non saresti stato l’uomo che io credo tu sia.”
“E che uomo sarei stato?”
“Uno che non avrei mai potuto amare.”
“Ma io non sono quell’uomo.”
“No.”
“E tu mi ami.”
“Moltissimo.”
Il dottor Juvenal Urbino le diede un bacio sulla fronte, uno sulle labbra e tornò soddisfatto dalla sua parte del letto, aprendole le braccia perché vi si accoccolasse dentro; la familiarità del suo corpo e del suo profumo e la consapevolezza di essere tornato da quel viaggio privato in lei ancora una volta, gli misero addosso un senso di insopprimibile trionfo ed una gran voglia di pace. Assolse Jimmy da peccati che non aveva commesso, e di cui, in ogni caso, non si sarebbe mai pentito. Il vento soffiava portando uno strano afrore di zagare. Si addormentò sereno e sognò le gazze ladre.
Grace, dal canto suo, rimase sveglia ancora a lungo, con gli occhi fissi nella notte.

 

Fino ad allora l’aveva sorretto la finzione che il mondo fosse quello che passava, passavano i costumi, la moda: tutto meno lei. Ma quella sera vide per la prima volta in modo consapevole come stesse passando la vita di Fermina Daza, e come passasse la sua stessa vita, mentre lui non faceva altro che aspettare.

 

“Ieri notte William mi ha chiesto se siamo mai stati a letto insieme.”
“Spero per voi di sì e che inoltre vi sia chiaro il procedimento, altrimenti — detesto dirtelo, ma avete un grave problema coniugale.”
Grace sorrise gettando la testa all’indietro in quel modo che Jimmy avrebbe sostituito senza indugio a quell’insignificante cartolina che era la Monna Lisa, al Louvre. In cornice d’oro e con un’acquasantiera accanto, perché il fortunato passante che avesse avuto in sorte di catturare lo spettacolo della natura che era il fotogramma di Grace ridente avesse la possibilità di farsi un opportuno segno della croce ringraziando contrito il divino labirinto degli effetti e delle cause.
“Sei un cretino, Jimmy.”
“Lo so. Anche Brian voleva saperlo, in ogni caso.”
“Cosa gli hai detto?”
“Niente. Ho citato Márquez. Tu cosa hai detto a William?”
“Gli ho detto di no.”
“Mi sembra un’ottima risposta.”, commentò con un sospiro, chinandosi per ravvivare il fuoco del camino nella tavernetta in cui lui e Grace si erano chiusi in un coro di sussurri a mezza voce, nell’indifferenza generale. Il freddo era piombato all’improvviso, quella mattina, ed in un modo così strano che si faticava a crederlo casuale. La guardò avvicinarsi e le studiò i fianchi, mentre si sedeva sul tappeto accanto al fuoco e stendeva le lunghe gambe, accarezzando ogni cosa con lo sguardo come una bambina. Si domandò se anche con William portava quei maglioni informi ed enormi che la coprivano a stento, giunco com’era, lasciando intuire ogni curva ed ogni spigolo e scatenando nel maschio — pensò, con piglio antropologico — il desiderio atavico che solo la tentazione della purezza più innocente e sensuale sa suscitare. La voce di lei gli giunse da un’altra galassia, domiciliata presso una tribù di minuscoli alieni arrapati.
“Ma innanzitutto mi ha chiesto se lo amassi.”
“Io non tanto.”, fu pronto a rispondere, “Tu, invece, sono sicuro di sì.”
“Possiamo parlare seriamente per un attimo?”
“Possiamo fare quello che vuoi, però concedimi di non restare impassibile mentre mi riferisci della tua conversazione romantica notturna con il fidanzato.”
Grace lo guardò vacillare un momento, lasciar perdere il fuoco e crollare a sedere sconfitto sul piccolo divano.
“Credevi che io e lui non facessimo l’amore?” gli chiese, stupita.
“No, certo che no. Lo davo per scontato. Ma saperlo è una cosa, e sentirselo dire un’altra.”
Le fiamme crepitavano nel camino e Jimmy non riuscì a fare a meno di seguire la curva delle sue gambe nude che si muovevano senza pace sul tappeto.
“E com’è?” le chiese, pentendosene all’istante.
“Com’è cosa?”
“Ti piace il sesso con lui? Se la cava bene?”
“Se la cava egregiamente, è un fenomeno. Ma che domanda è? Che avete tutti ultimamente, con questi punti interrogativi inopportuni che vi gravano in testa?”
Jimmy sorrise, e la guardò con disarmante onestà: “Ho sempre pensato che andare a letto con te fosse qualcosa che pochi uomini potevano avere il coraggio di fare. Non che non se lo immaginassero tutti, sia chiaro; qualsiasi maschio eterosessuale che ti abbia vista anche solo per un attimo non ha potuto fare a meno di desiderarti con tutte le sue forze. Ma tra il desiderio e l’atto c’è un mare in tempesta. E mettere in pratica il desiderio di te è una cosa che richiede un fegato mostruoso; nessuno può pensare di esserne davvero all’altezza.”
Fissò la linea della bocca di lei che si apriva in un moto di sorpresa, gli occhi grandi che indugiavano su di lui con dentro l’ombra di un’incredulità inquieta.
“Sei serio?”
“Serissimo, e sono certo di avere assolutamente ragione.”
“Mi fai sembrare una divinità fluviale."
“Ma tu sei una divinità fluviale. E lo sai, non serve che te lo dica io. Il punto, che mai finirà di sbalordire tutti, è che non te ne potrebbe importare di meno. Il che, paradossalmente, moltiplica dentro numeri inimmaginabili la tua sensualità.”
“Stai decisamente esagerando.”
“Chiedi a William, vedi lui che ti dice.”
“A me sembra che gli venga molto naturale.”
“Sarà bravo a mantenere l’ombra di un contegno, ma scommetto che ogni volta gli gira la testa e si sente un ragazzino alle prime armi. Tu sei un miracolo, piccola, ma un miracolo impegnativo.”
“Magari sei tu che cerchi una giustificazione generale ad una tua superstizione personale. La verità è che i punti fermi non ti piacciono, Jimmy, hai sempre amato i puntini sospensivi, le anomalie e le eccezioni. I tenui ed eterni interstizi di assurdità di cui scriveva Borges.”
“C’è sempre qualcuno che scrive qualcosa, e tu li leggi tutti.”
“Chiunque ci conosca dà per scontato che andiamo a letto insieme perché è normale che sia così. Non abbiamo il diritto di sorprenderci se sono curiosi.”
“Io infatti non mi sorprendo; sei tu, quella sorpresa.”
“Lei non te lo chiede mai?”
“Se io e te andiamo a letto insieme?”
“Sì.”
“Non ne ha il coraggio.”
“Ma tu ci vai, con lei?”
“Certo che ci vado, non sono mica un monaco. Hai preso lo pseudonimo Reverendo un po’ troppo alla lettera?”
“E ti piace?”
“Sono un uomo, piccola, siamo bestie elementari. Ci basta poco. Ed il troppo ci intimidisce, inevitabilmente”, le rispose, indicandola con un sigaro pestilenziale che si accese aspettandosi proteste che non arrivarono.
Grace guardò il suo Jimmy imporsi una disinvoltura non da lui, sorridendole benevolo e tranquillo, e si rese conto d’un tratto di quanto gli uomini fossero disposti a semplificare le cose complesse pur di rendersele digeribili. Nonostante lo ritenesse la persona più intelligente che conosceva, con un moto di violenta tenerezza si ritrovò a registrare che lui riteneva insopportabile il pensiero che lei andasse a letto con qualcuno che non era lui, quindi semplicemente decideva di non pensarci. Dal canto suo William si tormentava con l’idea di condividere il suo corpo con Jimmy, quando ciò di cui lei credeva fosse più logico preoccuparsi era piuttosto la prospettiva di condividere il suo cuore, che lei riteneva un organo di gran lunga più pericoloso e pieno di mistero di ciò che aveva tra le gambe, per quanto il pensiero di quella cosa lì li facesse sospirare. Si pentì all’improvviso di aver capito con tanta inattesa semplicità che rendere manifesto il fatto di andare o non andare a letto con lei, per William e Jimmy, erano nient’altro che due modi opposti ed uguali di rivendicarne il pieno possesso.
Si alzò per andare a sedersi accanto a lui.
“Puoi farti più in là? Sei troppo poco vestita.”
“Jimmy…”
“Ti prego, non chiamarmi così.”
“Come vuoi. Marisa.”
Lui scoppiò a ridere e le passò un braccio intorno alle spalle, avvicinando il viso al suo: “Piccola Grace”, le sussurrò dolcemente, “ma come devo fare con te?”

 

Fu la fine della notte perché lui non si azzardò a giocare giochi proibiti con una donna che gli aveva dato troppe prove di conoscere l’altra faccia della luna. 


“Will?”
“Dimmi, amore mio.”
“È facile, il sesso con me?”
William restò con lo spazzolino in bocca e la fissò attraverso lo specchio; giocava con la stoffa leggera della camicia da notte di seta e guardava ovunque tranne che lui.
“Non sono sicuro di capire che intendi.”
“Non è che magari incuto soggezione, o…”
Lo guardò misurarla ineffabile, sciacquarsi la bocca ed asciugarsi il viso; d’un tratto lo desiderò moltissimo, come non le era mai capitato prima. Un flusso languido e rovente che le partiva dall’ombelico. William le sorrise dallo specchio e pensò vedo che abbiamo scassato un sigillo importante, poi le disse: “Sì, un po’. Non sono mai riuscito a farci l’abitudine, sei così bella ed io resto sempre interdetto quando sento che hai bisogno di me. Come ora, ad esempio.”
Incapace di trattenersi oltre, Grace gli si schiantò sul petto e respirò forte il suo odore, coprendogli il collo ed il mento di baci.
“Ti dispiacerebbe spiegarti un po’ meglio?”, gli chiese infine, stordita dal sapore della sua pelle.
“Vorrei, ma non so come. Per riuscirci, non devo pensarci troppo. Quando ti offri a me, e sento che è proprio me che vuoi — non sesso, e non semplicemente sesso con qualcuno che ti piace o che ami, ma vuoi me, che è da me che parte tutto ciò che poi tu traduci in questa danza. Una come te dovrebbe solo concedersi ad un povero questuante, ma tu no: tu ti dai. E soprattutto chiedi. Sei inebriante, e devo sempre chiudere fuori l’ansia di non saperti dare quello che vuoi e meriti. Ogni singola volta con te è una grazia ricevuta.”
For Grace received.
“Mi sembra che tu ci riesca sempre molto bene, però.”
“Grazie.”
“Adesso, prendimi.”
“Agli ordini.”
“Ma prima baciami.”
Più tardi lei gli raccontò a lungo, tracciando con la punta delle dita complicati arabeschi d’amore sul suo corpo intorpidito e sazio, della teoria di Jimmy su loro e Márquez; gli disse anche che quel libro gliel’aveva regalato lei molti anni prima, e William non poté reprimere una fitta di gelosia al pensiero che anche a lui era toccato lo stesso dono.
“Quindi io sarei uno che pensava che i galli fossero maledetti perché si erano prestati a negare Gesù Cristo per tre volte? Non c’è che dire, sono lusingato.”

 

Invece quel giorno vide la presenza fisica di qualcosa che fino ad allora era stata solo una certezza dell’immaginazione. 

 

William e Jimmy erano rimasti inavvertitamente da soli in cucina; l’uno con un leggero maglione estivo, davanti a pentole e padelle, e l’altro — che non ammetteva neppure la possibilità dell’esistenza di un indumento così inutile come un maglione estivo — dentro una t-shirt tempestata di crani umani, in lite con un cavatappi ed una bottiglia di Sauvignon blanche particolarmente refrattaria ad aprirsi. Cercarono di dissimulare l’evidenza di starsi dando ostinatamente le spalle finché divenne insopportabile continuare; la flemma inglese in cui l’altro si era trincerato affettando le cipolline urtò Jimmy al punto di spingerlo a dire qualcosa.
“Ho sentito che il sesso tra voi va alla grande.”
William posò rumorosamente una schiumarola. “Io ho sentito che l’argomento di conversazione che va per la maggiore negli ultimi giorni è andare a letto con la mia fidanzata, e non posso nascondere quanto poco la cosa mi entusiasmi.”
Jimmy tacque, ma sorrise.
“Però comunque sì, va molto bene. Lei è instancabile, e molto fantasiosa.”
“Da un gentiluomo come te non mi sarei mai aspettato una becera provocazione del genere.”
“Ti auguro di non scoprire mai di cosa sia capace un gentiluomo come me, Jimmy.”
Questa volta il sorriso si trasformò in una risata. La bottiglia finalmente si stappò con un rumore secco, e Jimmy prese due calici dalla credenza e li riempì, guardando l’altro di sbieco.
“Vuoi fare a botte, Shakespeare?”, gli chiese, porgendogliene uno.
“Non sono un grande amante del vino bianco.”, rispose lui, accettandolo.
“Neanche io, ma in mancanza d’altro…”
Vuotarono i bicchieri d’un fiato.
“Non voglio litigare con te, Will.”
“Neanch’io, James.”, fu la risposta, ed i calici vennero riempiti di nuovo.
“Mi dispiace che tu abbia pensato che le cose tra me e Grace fossero ambigue. Mi dispiace perché ha fatto soffrire lei, ed io non voglio che soffra.”
William si sentì responsabile di un non ben identificato e odioso crimine contro l’innocenza.
“Che cos’hai?”, chiese all’improvviso.
Jimmy si voltò, accanto a lui: “Hm?”
“So che non… che non te la passi benissimo. Fisicamente, intendo. Grace è preoccupata.”
“Oh, quello. Ho una cardiomegalia congenita. Il cuore troppo grande, insomma. A momenti ci restavo, qualche anno fa, ma ho maltrattato così tanto il mio fisico che ora devo sottopormi ad un’operazione oppure il rischio sarà troppo alto. Niente di trascendentale, ma Grace è molto protettiva. Lo sai.”
William lo guardò in silenzio, ed ebbe il tatto di non dare a quello sguardo la benché minima sfumatura di pietà; Jimmy gliene fu grato, ma non glielo disse. Gli disse, invece: “Grace vorrebbe restare per l’intervento, ma io sono assolutamente contrario.”
William annuì serio, senza una parola.
“Riportatela a Londra”, aggiunse all’improvviso, guardando il muro davanti a sé, “Sposala, dalle dei figli, rendila felice. Non darle sempre ragione. Portala via. Se mi succede qualcosa, non deve essere qui.”
William pensò di doverlo rassicurare, di dirgli che non sarebbe accaduto niente di male.
“Se ti succede qualcosa e lei non è qui con te, non se lo perdonerà mai.”, disse invece.
“Ma se c’è io non me lo perdonerò mai!” sbottò Jimmy, “Che uomo sarei, con che coraggio potrei mai pensare di averla sottoposta a questo strazio, di averla lasciata come se lasciarla fosse una cosa possibile, o pensabile. Ti prego, William. Solo a te posso chiedere di aiutarmi a impedirle di farsi questo.”
Non ebbe risposta, e riempì di nuovo i bicchieri in un moto di rabbia. “Ma mi senti? Che discorsi, che situazione del cazzo… sto delirando e lo so bene. Lei non accetterà mai di non essere presente; ha la testa più dura del granito, la bambina. E se tu provassi ad intervenire in qualche modo penserebbe che lo fai per gelosia, non riuscirebbe più a guardarti e resterebbe senza me e senza te. Non c’è via d’uscita. Non posso proteggerla. Non sono mai stato in grado di fare la cosa giusta, con lei.”
“Jimmy”, sospirò William, “Sei tu quello che fa sempre la cosa giusta, tra noi. Io sono solo stato più concreto. Forse anche meno galante.”
“Ma quando mai… Non glielo hai mai fatto pesare. Di noi due, intendo. Non importa cosa pensassi nel privato della tua testa. Non avrei potuto sperare che incontrasse un uomo migliore di te. O non te l’avrei mai lasciata.”
William sorrise. “Dovrei ringraziarti? Cos’è, una concessione?”
“È un fatto.”, rispose asciutto Jimmy, e si guardarono in silenzio per un attimo. Poi avvicinarono i calici, ed un piccolo, sonoro cling mise fine a quella conversazione ed alla bottiglia di vino.
“Mi ritrovo a doverti dare un consiglio fondamentale, caro William, che spero accoglierai con la grazia di un vangelo.”
“Spara.”
“Sentiti pure libero di andare in crisi per qualsiasi cosa, ma farti rodere dalla gelosia. Se decidi di essere geloso di Grace, e non c’è bisogno che io ti spieghi perché, sarà un biglietto di sola andata per il manicomio. Tanto la vorranno sempre tutti, l’hanno sempre voluta tutti. E ci proveranno in molti. Ma non dargliela vinta; non guardare quelle orde barbariche di capi, colleghi, amici di amici, che, abbagliati dall’illusione che Grace sia una cosa che basta limitarsi a guardare da fuori, faranno un po’ gli splendidi nel tentativo di accaparrarsene un pezzetto. Grace non si dà a pezzetti, come ben sai; si dona, e a fiumi.”
William rise: “Fu la prima cosa che capii di lei quando mi spuntò davanti in una sala piena di persone che, come sempre, guardavano solo lei; è il Niagara, ed io ho solo due mani. Per questo non sono mai stato geloso di lei, in generale. Sono geloso di te, in particolare.”
Si squadrarono cordiali, come a dire che anche quella era andata a posto. Un’altra doppia firma sotto un contratto illeggibile.
“La tua metafora comunque non regge.”
“Come?”
William sorrise, guardando nel bicchiere: “Urbino e Ariza, per tutto il romanzo, non si scambiano mai neppure una parola.”
“Non su carta, forse.”, rispose l’altro, impassibile.
Un altro sguardo, occhi azzurri dentro occhi azzurri.
“Abbi cura di lei.”
“Sempre. E tu aiutami ad aver cura di lei, avendo cura di te.”
Quando Grace, Conor e gli altri rientrarono, si bloccarono sull’uscio davanti alla scena surreale di loro due che ridevano insieme nelle assurde poltrone del salotto.

 

«Noi uomini siamo poveri schiavi dei pregiudizi» le aveva detto una volta. «Invece, quando una donna decide di andare a letto con un uomo, non esiste ostacolo che non superi, né fortezza che non abbatta, né considerazione morale che non sia disposta a mettere da parte: non c’è Dio che valga.»

 

“È successo, non è così?”
Jimmy si scostò a fatica la mascherina dell’ossigeno, aprì gli occhi e ratificò, stanco, un cambio di metafora letteraria: “Ma dove pensi che stiamo, dentro Anna Karenina?
“È successo, l’hai fatto, ti sei scopato la mia ragazza.”
La mascella di William sembrava aver cambiato forma, da quanto era tesa; le parole erompevano dalle sue labbra sottili in un sibilo feroce.
“Stai calmo, Alekseij Aleksandrovič. Se hai deciso di farti venire un infarto però siamo nel posto giusto; ancora una volta, mi stupisce il tuo intuito organizzativo ma non brilli per considerazione. Pensa a Grace, non possiamo certo lasciarla entrambi.”
William si irrigidì e tirò un pugno ad un porta-strumenti di ferro.
“Quando esci di qui voglio ucciderti con le mie mani. Quindi non morire sul tavolo operatorio, stronzo. Hai capito?”
Jimmy annuì, e lo guardò lasciare la stanza con la certezza assoluta che il furibondo fidanzato di Grace ci avesse piuttosto tenuto a ricordargli che era suo dovere sopravvivere per lei.

per non infrangere l’incantesimo del rancore,


“È uno scandalo.”
“Grace, non esageriamo ora…”
Brian si era già pentito per metà di averle riferito di aver ascoltato di nascosto quella conversazione.
“Fermina Daza va bene, ma non ho intenzione di ammettere di essere associata in alcun modo a quella grande cretina di Anna Karenina.”
L’uomo sospirò, sbuffò e poi sorrise. Lei ostentava una calma eterea e innaturale.
“Voi siete gente di ottime letture ed io non posso dire di aver presente il romanzo. Me lo riassumi?”
“C’è questa imbecille che, pur avendo una perla di marito, si perde dietro alla passione per un uomo incolore — un mellifluo e palmare ufficiale dell’esercito russo di nome Alekseij Vronsky, — mandando a carte quarantotto la sua intera vita e risolvendo, infine, il disastro buttandosi sotto un treno in corsa. Se si fosse suicidata un po’ prima, avremmo risparmiato almeno quattrocento pagine di deliqui isterici, mosse da operetta e sindromi di Stoccolma.”
Brian annuì con aria solenne e la guardò svolazzare avanti e indietro per la piccola sala d’aspetto deserta, con il vestito bianco che la faceva sembrare più che mai un’eroina di un romanzo russo.
“Devo andare a parlare con Alekseij Aleksandrovič.”
“Gli auguro buona fortuna.” 

 

Sentì quanto pesava il tempo trascorso dopo che se n’era andata, quanto le costava essere viva, quanto amore le ci sarebbe voluto per amare il suo uomo come Dio comandava.

 

“Hai il mio cuore, il mio tempo, la mia completa attenzione; è da me che torni a casa, è con te che divido il letto. Porto l’anello che mi hai messo al dito. Sai perfettamente che il mio corpo è incluso nell’interminabile lista delle cose che hai di me. Quindi cosa c’è ancora, William?”
Niente lo faceva vergognare come quando lei lo chiamava William; riusciva a ricordargli simultaneamente sua madre, i tempi della scuola, ed il fatto che lei sembrava essere sempre misteriosamente un gradino al di sopra di tutta la razza umana, fallibile e fallace, che non si era comunque mai preoccupata di rappresentare.
“Avrei dovuto oppormi, impedirti di venire qui. Sapevo che sarebbe stata una catastrofe, era inevitabile. Si cade sempre dalla parte da cui si pende; è una legge di Murphy ed anche una legge della vita.”
“Mi sembra disonesto, Will, dare la colpa alle circostanze.”
La colpa non è delle stelle, Bruto, ma soltanto nostra.
“Citare Shakespeare questa volta non salverà nessuno.”
“Perché, ha mai salvato qualcuno?”
“Sì, me. Molte volte.”
La vide, stanca e chiarissima in quell’abito lungo e bianco, e provò l’irrazionale urgenza di abbracciarla; fu sollevato quando lei prese l’iniziativa leggendogli nel pensiero, ed il profumo di miele e cocco dei suoi capelli che gli sfioravano il viso lo commosse fino alle lacrime.
“Sei un idiota, Will.”
“Ho riletto il tuo Re Lear, mentre non c’eri. Tutta la teoria della sottrazione. Incredibilmente lucida, soprattutto dal momento che proviene da una persona affollata come te; non ti invidio, Grace. Non deve essere facile.”
“Non è né facile né difficile. È ciò che sono. E tu sei un uomo brillante, Will, un uomo che amo. Ma sei cieco.”
“Perché mai?”
Lei stava già tornando verso le porte dell’ospedale, quando gli rispose: “Perché sta per entrare in sala operatoria, ed io non sono lì con lui ma qui con te a ricordarti cose che dovresti già sapere.”

 

«È incredibile come si possa essere tanto felici per così tanti anni, in mezzo a tante baruffe, a tante seccature, cazzo, senza sapere in realtà se è amore o se non lo è». 

 

Erano usciti tutti; soltanto lei restava. Si stava infilando un camice verde, si era legata i capelli, ed ignorava l’anestesista con una tale disinvoltura che al medico stesso venne il dubbio legittimo di non essere davvero lì.
“Si sente pronto?”, chiese a Jimmy, tanto per fare qualcosa.
“Dottore, ma le pare? Che domanda è? No che non mi sento pronto.”
“Lei è la moglie?”, cambiò discorso l’anestesista, in palese imbarazzo.
“Di chi?”
L’uomo avvampò, tacque e tornò alle sue inquietanti ampolle.
“A proposito; Alekseij Aleksandrovič mi ha minacciato di morte, prima.”
“È il suo modo di farti gli auguri.”
“Quindi lo ammetti.”
“Che cosa?”
“Che lui è Alekseij Aleksandrovič.”
“Cos’è tutta questa smania di fare il conte Vronsky che hai tu, piuttosto? Era un cretino.”
“Anche Anna Karenina lo era, e forse anche più di lui.”
Grace gli sorrise e gli prese la mano. “Ho detto proprio la stessa cosa.”
“È ora, James. Adesso la addormentiamo, e quando si sveglierà tutto sarà finito”, disse il dottore, avvicinandosi con la soluzione.
Jimmy si voltò verso Grace: “Sciogliti i capelli. Per favore.”
Lei sospirò, gli accarezzò il viso, tolse la cuffia e guidò la mano di lui fino al fermaglio che tratteneva la cascata d’oro che le si riversò sulle spalle quando lui glielo tolse. Erano i capelli di sua madre, il viso di sua madre, il cuore invincibile di sua madre che sarebbe morta pur di risparmiarle l’ignobile e ingrata impotenza che sentiva montarle dentro, annullando ogni altra cosa di lei.
“So esattamente qual è l’ultima cosa che voglio vedere prima di chiudere gli occhi.”, le disse. Lei gli strinse la mano più forte, e l’anestesista cercò di scomparire mentre gli chiedeva di contare fino a zero partendo da dieci.
Grace colse il bagliore senza eguali dei suoi occhi azzurri un istante prima che le palpebre si abbassassero.
“Non è costretta ad entrare in sala operatoria con lui, lo sa. E sarebbe anche più sicuro.”, le disse con dolcezza il dottore.
“Se qualcosa andasse storto…”, rispose, incerta, lei.
“Non potrà comunque fare nulla. Potrebbe essere addirittura d’intralcio, in una procedura di rianimazione.”
Grace respirò forte, sentendo che nella gola le si formava qualcosa di solido e pesante.
“Dottore”, disse, “ho un brutto presentimento.”
“È normale che sia così, ma vedrà che non è nulla. La mente ed il cuore sotto pressione fanno strani scherzi.”
“Lo dica a lui… soprattutto del cuore.”
Il medico sorrise, e sorrise anche lei.
“Vada a prendere una boccata d’aria, la farò avvertire tempestivamente in qualsiasi caso.”
La guardò inginocchiarsi lentamente accanto alla barella e baciare una mano a Jimmy, e non poté fare a meno di chiedersi se qualcuna lo avrebbe mai baciato allo stesso modo.
“Grazie.”, disse. Si rialzò composta e uscì. L’anestesista represse un brivido vedendo i suoi lunghi capelli svanire oltre le porte, lasciando il posto allo staff; se lei l’avesse guardato un po’ più a lungo, avrebbe notato che la targhetta del nome appuntata sul suo camice diceva dr. J. Urbino. Ma non lo seppe mai. 

 

Senza proporselo, senza neppure saperlo, dimostrò con la sua vita la ragione del padre, il quale aveva ripetuto fino all’ultimo respiro che non esisteva nessuno con maggior senso pratico, né spaccapietre più ostinati né direttori più lucidi e pericolosi dei poeti.

 

William se la vide apparire davanti, aprì la bocca, la richiuse, la guardò impotente strapparsi di dosso il pastrano verde e inginocchiarsi a terra prendendosi la testa tra le mani. Fu un attimo in cui non ebbe il tempo di pensare o fare niente. Matt Shadows lo urtò sorpassandolo e per poco non lo mandò lungo disteso a terra, ma gli fece molto più male l’occhiata di rimprovero che l’uomo gli rivolse mentre si precipitava bocconi accanto a Grace, prendendola tra le braccia monumentali che si ritrovava. William si riscosse, lo scostò e la tirò su, contro il suo petto, l’unico posto al mondo dove aveva senso che lei fosse in quel momento così delicato; amore mio, le sussurrò mentre le ricopriva i capelli di baci, amore mio, sono qui, sono qui con te. Lei, inizialmente inerme, lo strinse forte e si lasciò andare ad un torrente di lacrime; la sua camicia blu divenne il muro del pianto. Mi dispiace, mi dispiace tanto. Sembrava così piccola, così indifesa addosso a lui. Farei qualsiasi cosa pur di non vederti stare così. Se potessi scambiarmi di posto con lui lo farei di corsa, pur di farti stare meglio. Lei sgranò gli occhi e li inchiodò nei suoi, poi lo colpì forte su un braccio: “Non dirlo. Non pensarlo nemmeno.” William la strinse a sé ancora più forte, sospirando di preoccupazione e sollievo.

 

«Preferisco intendermi con Dio senza intermediari».

 

Zacky fumava una sigaretta dopo l’altra, oppresso da una nube di fumo e pensieri. Faceva un freddo gelido, ancestrale e definitivo, ed il buffo montone che aveva addosso non gli riparava le mani ed il collo dalle sferzate di quel vento d’oltremondo.
Ma quanto ci mettono? Sono passate sei ore.
Fu allora che lo travolse, e l’impatto fu tale da fargli cadere la sigaretta di mano. Un suono che nessun essere umano poteva produrre, certo, ma lo seppe; seppe che era lei, ed una coltre di nebbia fitta gli calò nel cervello.

 

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Capitolo 4
*** Le capacità diagnostiche di Synyster Gates ***


A Giada,
Sully,
alla quale non mi stancherò mai di ricordare che
 per due giorni all’anno da quando la conosco, e per tutta la vita,
sarà sempre la mia ragazza.


Atto V
L’inferno non sono le cose che durano per sempre.
L’inferno è il cambiamento. 

 

La quieta respirazione delle rose nel patio fece cadere Grace preda di una stanchezza che sembrava la somma di tutte le stanchezze del mondo. Si lasciò sopraffare e si stese sull’erba piena di rugiada. Hai vinto, pensò, io ho perso e tu hai vinto. Cosa vuoi, ancora?
Si sentì un’ingrata. Arrivando con passi leggeri alle sue spalle, Conor provò ad aprirsi un varco tra le nubi che gravavano in testa a sua sorella e le si stese accanto.
“Ciao, sorellina.”
“Ciao, fratellino.”
“Andiamo, quando vuoi.”
Non era stato necessario che litigasse con la cartomante; l’aveva fatto Brian al posto suo, quando era piombata come un avvoltoio ferito ed aveva strepitato che nessuno l’aveva avvertita, che era un suo diritto sapere, che le avevano rubato qualcosa, sottratto una scelta. Niente da dire, aveva ragione. Grace era rimasta in silenzio a subire i velati insulti della donna finché lei non si era rivolta a William e gli aveva urlato “come puoi accettarlo?”; a quel punto, si era alzata in piedi e l’aveva guardata. Guardata e nient’altro. Lei si era zittita subito ed aveva ripreso a litigare con Brian, che sentiva di poter inspiegabilmente affrontare con più serenità; Brian era un anacoreta mistico, un pappagallo esotico, un chitarrista mostruosamente bravo ed autoreferenziale, dotato di un cuore tenero ed un pungente senso dell’umorismo che spesso faceva ridere solo lui, ma soprattutto era uno stronzo di fama internazionale. Uno che non si faceva alcun problema ad essere il più preciso e crudele possibile per amor di chiarezza. E amava Jimmy di un amore inesauribile e straziante che la cartomante avrebbe fatto fatica anche solo ad immaginare. Le disse che era una sciocca ed un’illusa, e che aveva solo se stessa da incolpare per quanto era stata cieca. Grace cercò di scacciare i ricordi e di concentrarsi sui piccoli movimenti irrequieti di suo fratello accanto a lei; non avrebbe mai smesso di odorare di latte e zucchero cotto come quand’era bambino.
“Ti ricordi quella cosa che ti ho detto una volta, che la vita è tutta una palestra per imparare a stare lontani da quelli che vorremmo invece avere vicino?”
“Certo che me ne ricordo.”
L’umidità del giardino dei Sullivan li immergeva in un letargo irreale in cui era più facile volersi bene senza fare domande.
“Non credermi sempre. Anche il desiderio di imparare a sopportare la lontananza è una conseguenza di qualcosa, sai?”
“E di cosa?”
“Del tentativo di parare colpi che non puoi parare. Di abituarsi alla perdita e all’abbandono. Io non sono mai stata brava in questo; ho il terrore di essere abbandonata.”
“Però non si direbbe.”
“Allora vuol dire che la palestra funziona. Ma non risolve nulla, ovviamente.”
Conor aveva gli occhi ed i capelli di un lupo fulvo; gli uni erano spesso socchiusi e gli altri sempre più lunghi, come se la California gli stesse crescendo dentro e non fosse piuttosto lui a farsi uomo all’ombra di quelle palme improbabili. Non era mai stato tanto felice come da quando era andato a vivere con Jimmy; era lui la ragione per cui la Cartomante seguitava a sentirsi rispondere che un figlio in casa c’era già, non ne serviva un altro. Si assicurava che seguisse le lezioni all’università, gli insegnava a perfezionarsi con la batteria, lo teneva lontano dalla droga e moderava il consumo di alcol, lo consolava dagli episodici e strazianti dolori del cuore e gli fasciava le ferite quando cadeva dallo skateboard, il che accadeva spesso.
“Sei così magra che se soffiassi voleresti via. Tutta questa storia ti sta consumando. Hai pensato a quel che vuoi fare? Resti con Jimmy o con William?”
Grace non rispose: pensava a quando Florentino Ariza si accorse che era possibile amare più di una persona, e tutte quante con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna.
Il cuore ha più stanze di un bordello”, disse sottovoce.
“Come?”
“Niente.”
Conor cercò parole che non aveva.
“Io voglio bene ad entrambi, lo sai, quindi qualsiasi cosa farai andrà bene. Ma Jimmy…”
Come spiegare ad un ragazzo di vent’anni a cui hai fatto da madre e da guida che non si tratta di una scelta, che non c’è proprio nessuna scelta?
“Va bene, andiamo” tagliò corto lei, e fu in piedi con un saltello. Conor lasciò cadere l’argomento e si aggrappò istintivamente alle sue gonne per alzarsi, dandole la curiosa sensazione che in fondo il tempo passava senza passare. Il viso di William apparve timidamente sulla portafinestra in veranda. Barbara lo stava rincorrendo con un enorme fetta di crostata al limone che lui fu costretto ad accettare; sorrise alla donna, e poi sorrise a lei, che lo raggiunse in un intenso profumo di fiori e brina.
“Sono felice che tu sia qui, Will.”
Lui si sorprese così tanto che rischiò di farsi andare il dolce di traverso; prese un sorso d’acqua, e rispose: “Non volevo insistere, non volevo essere invadente. Ma non volevo neppure lasciarti sola. So quanto sei testarda, ma so anche…”
“Grazie.”
“Di cosa?”, le chiese, sfiorandole le labbra con un bacio che sapeva di limone.
Le tornarono in mente, definitive come una profezia, le parole dell’Oracolo: ricordati che un uomo disposto a proteggerti da tutto, anche da te stessa, è un uomo che quantomeno non si merita di soffrire.
“Forza, faremo tardi.”

 

If you could read my mind, love
what a tale my thoughts could tell
just like an old time movie
about a ghost from a wishing well
in a castle dark, or a fortress strong
with chains upon my feet;
you know that ghost is me,
and I will never be set free
as long as I’m a ghost that you can see.

 

Difficilmente un dolore improvviso uccide; un sollievo improvviso, invece, può farlo. Il dolore annulla, mentre il sollievo ti rende d’un tratto acutamente consapevole di ogni cosa; dello spazio che occupi, dei muscoli e dei vessilli del tuo corpo, di odori, rumori, colori, sapori. Dell’imperscrutabile ed onnipresente ironia dell’Universo.
“Karenina… e Karenin, vedo.”
“Ciao, Vronsky.”
Seduto in quella poltrona, e con la barba lunga, sembrava incastrato in un dipinto di un’altra epoca. La cartomante abbozzò un sorriso e si fece evidente violenza nel tentativo di essere ospitale, ma ripiegò in fretta verso la cucina per aiutare Barbara a sistemare le vivande.
Grace posò la mano su quella di lui e la strinse.
“Ma guardati. Ti trovo bene.”
“Mi prendi in giro.”
“Sei qui, Jimmy.”
“Sono qui e non posso né bere né fumare. Non posso più suonare. Ti sembra equo? Come se lui non potesse… scusami, ricordami che cazzo fai tu nella vita, William?”
“Io lavoro. A differenza tua.”
I due uomini si sorrisero.
“Devo allestire un’arena di fortuna per un combattimento tra galli?” chiese Brian, schiantandosi sul divano lì vicino.
Il punto era proprio quello. Brian considerava Jimmy cosa sua, e come tale a volte elargiva la grazia di concederlo in prestito; non certo alla cartomante, ma a Grace sì. Volentieri.
“Non direi, no. Non oggi almeno, mi sento uno straccio. Questo figlio di puttana invece è in gran forma, mi stenderebbe senza difficoltà.”

“Cosa farete con il tour?”, si informò William.
“Ecco, appunto…” intervenne Shadows, apparendo dal nulla come la benedizione che in effetti era, “Se per sua sorella va bene, Jimmy ha pensato che Conor potrebbe prendersi una pausa dagli studi e sostituirlo per un po’, finché non sta meglio. Che ne dici, ragazzino?”
“Mi sembra una splendida idea”, sussurrò Grace.
Conor proruppe in un’espressione di gioia e si lanciò ad abbracciare Jimmy; lui rise con tenerezza, ma Grace si accorse che cercava di non commuoversi e sentì il proprio cuore sciogliersi nel petto.
“Bene, è tutto sistemato. Grace, tesoro, mi prenderesti un cuscino?”
“Da quando la chiami tesoro? Lei detesta essere chiamata tesoro."
“Che io ricordi, lo fai anche tu.”
“Ho smesso.”
“Ed io ho iniziato. Comunque, se non ti piace tesoro… Grace, amore mio, questo dannato cuscino…?”
“Arriva, non ti agitare.” disse lei, e si alzò.
“Io sono nato agitato.”
William stava scomodo su una sedia e lo guardava tranquillo, con i gomiti appoggiati alle ginocchia.
“Perché non vieni a stare un po’ da noi a Londra? Magari cambiare aria ti fa bene”, disse.
“Se pensi che le mie condizioni mi rendano inoffensivo, amico, ti sbagli di grosso; quindi forse vuoi riconsiderare la tua gentile proposta e portare la tua bella fidanzata molto lontano da qui il prima possibile.”
Risero entrambi.
“Dico sul serio.”
“Grazie. Ci penserò.”
“Pensaci.”
“Grace, che miracolo hai fatto? Questi due a breve si metteranno insieme, te lo dico.” intervenne Brian, estraendo con un gesto stanco un pacchetto di sigarette da un punto non specificato dei jeans.
“Buon per loro, sarebbero una bella coppia.”
“Non so se me la sento di andare a letto con lui, però.”, disse Jimmy.
“Non è necessario, un’unione può essere anche soltanto platonica.”
“Ma un uomo ha pur sempre delle esigenze. Poi chi può dirlo, magari col tempo sboccia qualcosa…”
“Sono lusingato. Grazie, Jimmy.”
“Di niente, sono obiettivo” ribatté pronto Jimmy, prendendo un bicchiere di aranciata dal tavolino da caffè, “ho sempre pensato che tu fossi un gran bell’uomo.”
“Anche tu sei molto affascinante.”
“Provo uno strano misto di tenerezza e paura. Soprattutto paura”, intervenne Grace, luminosa nel sorriso che le veniva dal fondo dell’anima.“Vorrei tanto fare due passi.”
“Ti accompagno.”

Alzarlo dalla sedia non fu difficile, né lo fu adeguare l’andatura alla sua. Nonostante la fatica Grace lo sentiva forte contro di lei, e stargli così vicina la fece sentire liquida.  Irreale. Nel giardino di casa di Jimmy crescevano solo le rose che lei aveva piantato; il sole di un febbraio gentile inondava gli alberi di una sfumatura d’oro brunito, lo stesso colore degli occhi di Grace, che non erano mai stati così determinanti nella piega che stava per prendere la realtà.
“Grazie per Conor.”
“Non ti consento di ringraziarmi, averlo accanto mi ha reso un uomo migliore; sai che sono pazzo di lui. E di te.”
Lei sorrise e strinse il suo braccio.
“Penso sempre ai rimpianti.”
“Fai male, piccola. Avvelenano il fegato.”
“Quelle sono le piccole meschinità quotidiane.”
“Allora compromettono la funzionalità delle ghiandole surrenali, se preferisci — in ogni caso, non fanno bene.”
“Siamo stati vigliacchi, Jimmy?”
“Tu no, io sì. Io me ne sarei dovuto andare nella gloria, lasciarti da sola ad ardere di passione, le mani vuote e il cuore in fiamme; levarmi di mezzo, consentirti di idealizzarmi e restarmene lì dove non posso più deluderti o darti riposte che non vuoi sentire, cristallizzato nella perfezione di un ricordo, vincendo finalmente William e tutto il suo charme inglese. Avrei ridotto il suo grande amore per te a ben poca cosa, di fronte alla voragine che ti avrei lasciato dentro. Invece sono qui, come vedi, e non c’è un fato avverso contro cui ci possiamo romanticamente scagliare; possiamo prendercela solo con noi stessi e con le nostre decisioni. Non ho avuto il coraggio di lasciarti, e ci ho condannati tutti e due.”
“Dici che è una condanna?”
“Dover essere responsabili delle proprie scelte? Perché, ti sembra per caso un picnic?”
Grace scoppiò a ridere.
“Comunque sia, vedi di non trovarlo mai, questo coraggio.”
Jimmy sorrise senza guardarla, ma le prese la mano e la baciò. Lo faceva spesso, quel baciamano silenzioso a dita intrecciate; molto più intimo e profondo della maggior parte del sesso che Grace avesse fatto in vita sua.
“Tu non mi hai mai delusa, Jimmy. Mai, davvero. Non ne sei capace.”
“Certo che ti ho delusa. Se così non fosse, questo”, disse, con una piccola stretta che le fece sentire la consistenza dura dell’anello all’anulare, “sarebbe mio”.
“Questo non è che un pezzo di roccia.”
“Non è vero, questo significa qualcosa: significa che qualcuno si è preso la responsabilità di te e si è assunto anche il rischio di non essere all’altezza del compito. Io non ho fatto che incasinarti, e dio solo sa quanta merda abbiamo affrontato insieme a causa mia.”
“C’era un poeta che diceva: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.”
Jimmy scosse la testa, e fu il suo turno di sorridere.
“Qui i fiori nascono e crescono solo perché li pianti tu. Non tormentarti, piccola. Ti ho sempre amata e ti amerò sempre, ma non ti macerare nel rimpianto per come sarebbe andata ‘se’. Hai a disposizione solo questa vita, per quanto ti piaccia immaginarne altre cento. E la devi vivere.”
“Non senza di te.”
“E infatti sono qua.”
Si fermarono e lui la guardò con una tale intensità che Grace fece istintivamente un passo indietro. Poi si riebbe, perché se c’era una cosa che Jimmy aveva imparato era che Grace aveva questa capacità non del tutto umana di riafferrare il ritmo delle cose prima ancora che le cose scoprissero di avere un ritmo; gli infilò una mano sotto la maglia e toccò, lettera per lettera, la scritta fiction che lui aveva dallo sterno all’ombelico.
“Sei la sola promessa che non posso proprio infrangere.” le disse Jimmy con tutto il corpo che rispondeva al tocco delle sue dita, imparando un nuovo modo di respirare.
“Perché no?”
“Perché mi tormenteresti in eterno, ecco perché. Mi fotteresti la testa.”
“Sono anni ed anni che tu mi fotti la testa.”
Lui sorrise.
“Il punto è che mi è sempre piaciuto da morire.”
“Ora togli quella mano dal mio torace, o mi farai fare qualcosa di stupido.”
Sorrise anche lei e obbedì. Ripresero a camminare sottobraccio dentro la loro primavera privata.
“Conor mi ha chiesto cosa ho intenzione di fare. Dice che la questione della scelta tra te e William mi consuma.”
“Perché, c’è una scelta?”
“È quel che gli ho detto anch’io.”
Stretta a lui, l’universo vorticava in un modo strano; più precisamente, le rispondeva. Le rispondeva senza che lei avesse fatto alcuna domanda.
“Di Conor non ti preoccupare, ci inventeremo qualcosa. Troveremo il modo di spiegargli che essere adulti e contemporaneamente essere noi è un gran casino” la rassicurò, liberandosi dalla stretta per passarle il braccio intorno alle spalle. Lei gli prese la mano che le sfiorava il collo.
“In ogni caso, mio fratello tifa per te.”
“Ci mancherebbe altro.”
“Ti ama più della sua vita.”
“È reciproco.”
“Sai che c’è, Jimmy? Te lo dico io cosa vale più di un anello.”
“Va bene, sono molto curioso.”
“Quando il mio giovane e innocente fratello ha deciso di venire a studiare in California l’idea era che passasse a cena da te qualche volta e che stesse a casa tua per un paio di giorni in attesa di sistemarsi al campus; ma quando siamo atterrati, gli avevi già sgombrato la stanza degli ospiti ed appeso le bacchette al muro in ordine di grandezza.
Perché per te non c’è un verbo che mi riguardi che si coniughi al singolare. È sempre tutto un noi. Un faremo, risolveremo, troveremo, capiremo. Potrebbero fondere tutto l’oro della terra e non varrebbe comunque un decimo di questo. Di te.”
“Adesso purtroppo devo baciarti.”
“Fino ad un minuto fa stavi facendo l’adulto responsabile.”
“Non me ne frega un cazzo. Vieni qui.”

Quando si era messa con William ed aveva chiamato Jimmy per dirglielo, aveva cercato a lungo parole che le suonarono insulse nel momento stesso in cui le pronunciava, mentre un pipistrello davanti a lei tagliava a metà l'orbita della luna nel gelo inglese.
“Credo sia quello giusto, Jim.”
“E cosa te lo fa dire?”
“Non lo so. Una sensazione?”
“No, Grace, non sono le sensazioni che ti fanno capire se una persona è giusta per te oppure no. Sono cose concrete.”
“Per esempio?”
“Per esempio, ti tratta bene? Molla tutto e corre da te? Riesci a parlargli, parlargli davvero? Ti ascolta, soprattutto? Ti fa sentire come se fossi tu la prima cosa, la cosa più importante di tutte? È solo ragionevolmente egoista, ma sempre disposto a farsi da parte se tu stai male? Sa evitare di ferirti, anche involontariamente, e se accade sa riparare a quanto ha fatto? È maturo abbastanza per una come te, sa proteggerti anche da te stessa, comprenderti senza giudicarti, e stare sempre, sempre dalla tua parte, innanzitutto quando è la cosa più difficile da fare?”
“Perché tu meriti un uomo così, Grace, e non perché sei la mia piccola Grace. Tu sei algida, insondabile, una mina vagante. Sei molto intelligente, ma discontinua, e tendi a cadere nei tuoi abissi personali chiudendo fuori tutti gli altri. Lui questo lo sa? Sa come fare per evitare che tu ti faccia del male da sola? Si è posto il problema?”
“E' un po' presto per dirlo, Jimmy.”
“Allora è un po' presto per definirlo quello giusto.”


“Ti ho amato ogni giorno che Dio ha messo in terra da quando ti ho visto per la prima volta, Vergine Maria zombie e tutto il resto, ma ti giuro su quello che vuoi che proprio non ti capisco.”
“Non voglio rovinare quel che abbiamo, Grace.”
“E cosa abbiamo? La casa dei fantasmi? Un ragazzo da crescere insieme? Amici improponibili? Strane idee sull’aldilà?”
“Finirei per incasinare tutto.”
“Ti sopravvaluti. È già tutto incasinato, da sempre.”
“A proposito di aldilà, mio padre mi ha raccontato cosa hai detto a Dio quel giorno in cui ero in sala operatoria, quando sei entrata correndo nella cappella dell’ospedale.”
“Davvero?”
Jimmy annuì, e disse: “Ti prendi tutti e due, figlio di puttana, o nessuno. Mi hai sentito?  Questo è l’unico scenario accettabile. Mi ha detto che per un attimo ha pensato parlassi di me e William. Poi ha capito che parlavi di me e te.”
“Hai presente quella poesia scema che mi piace tanto, sul tavolo ci sono sempre due tazze? Mentre cercavo il cuscino, ho visto che nel tuo armadio c’è ancora la mia corda per saltare. William neppure lo sa, che amo saltare la corda.”
“Con lui condividi altre cose. Tanto per cominciare, il letto.”
“Non essere triviale.”
“Non sono triviale, sono obiettivo.”
“Beh, allora non essere obiettivo.”
Jimmy sospirò, lasciando la parte di pozzo dei desideri per ritrasformarsi in un attimo nel pozzo di saggezza che era sempre stato. “William ti ha dato molto, me lo dici sempre. Ed io ti credo.”
“Non è stato lui ad insegnarmi come far saltare il tappo di una bottiglia con un’altra bottiglia.”
Lui rise.
“Non mi ha mai neppure portata a vedere i Fall Out Boy, cosa che invece tu hai fatto. Due volte.”
“La prima perché ci tenevi, e la seconda perché quel deficiente di comesichiama aveva chiaramente deciso di provarci con te. Altrimenti col cazzo che vedevo due volte i Fall Out Boy, piccola. Hurley suona la batteria in un modo che mi offende nell’intimo.”
“Intanto l’hai fatto.”
“Sì, ma per ragioni più che altro egoistiche. Ti ho portata a vedere anche i Killers perché sospettavo avessi una mezza cotta per Brandon Flowers.”
“Oh, lo so bene. Ma che ci posso fare, io amo vederti ai concerti degli altri; le smorfie che fai se non ti piace una canzone… Il modo in cui non riesci, per quanto ti sforzi, a non tenere il ritmo della batteria con le mani. Spesso e volentieri, addosso a me.”
Jimmy mise su un’espressione pensierosa.
“Da quant’è che non ti porto a cena?”
“Da quando Conor è venuto a vivere con te, addio romanticismo. Ci segue dappertutto.”

 

Inoltre, la clandestinità spartita con un uomo che non era mai stato tutto suo, e nella quale più di una volta entrambi avevano conosciuto l’esplosione istantanea della felicità, non le era sembrata una condizione indesiderabile. Al contrario: la vita le aveva dimostrato che forse era stata esemplare. 


“Che stiamo aspettando? Che ci lascino per mettersi insieme?”, chiese polemica la cartomante, osservando Jimmy e Grace che cospiravano abbracciati tornando verso casa.
“Oh, carissima! Hai ancora delle corde vocali? Per un attimo avevo avuto la beata impressione che le avessi perse.”
“Senti, Brian.”
“No, sentimi tu: dovete concentrarvi intensamente e smettere di rompergli il cazzo, okay? Fatelo per me. Fatelo per l’equilibrio del mondo, per il bene superiore, per il solstizio d’inverno. E non chiamarmi Brian!”
"Come ti devo chiamare?”
“Non mi devi chiamare e basta!”
“Ma ha bevuto?”, si informò Zacky, mentre la cartomante ripiegava stizzita in cucina.
Shadows si strinse nelle spalle. “Farebbe differenza?”
Synyster Gates aprì le braccia come il cristo di Rio de Janeiro; Johnny, seduto su una sedia di vimini a studiare l’orizzonte, gettò a Shadows un lungo sguardo implorante, come se lui potesse essere in qualche modo risolutivo. Quello fece spallucce.
“Fermi tutti. Signori, forse c’è ancora una speranza."
Zacky rise piano. “Sì. C’è pure un promesso sposo in cucina.”
“Ci sarebbe anche una fidanzata di Jimmy, a dire il vero.”, aggiunse saggiamente Johnny. Synyster lo incenerì: “Non considerarla, quella.”
Il bassista era lento a capire. “Come non considerarla? È una persona.”
“Ma quando mai! Al massimo è un soprammobile.”
“Ma Brian…”
“Zitto Matthew, stai zitto! Sto cercando di pensare”
“È tarantolato.”, sentenziò Zacky.
“No, è stronzo.”, rettificò Shadows.
Jimmy e Grace erano ormai arrivati al patio e fecero una certa fatica a sciogliere l’abbraccio per fissare le quattro vedette con uno sguardo che Johnny Christ interpretò correttamente come velato da una certa pietà.
“Avete bisogno di un po’ di tempo da soli.”
“Siamo appena stati un po’ di tempo da soli, Brian.”
“Più tempo.”, si sfilò le chiavi dell’auto dalla tasca posteriore dei jeans e le porse a Grace: “Andate a farvi un giro.”
Jimmy le afferrò. “Va bene, ma guido io.”
“Puoi guidare?”
“Mi hanno operato, mica ritirato la patente.”
“D’accordo, avviso William e…”
Il chitarrista la stroncò sul nascere.
“Andate. Ci penso io ad avvisare tutti. Su, andate.”
“Con tatto, per favore.”
“Ma certo, io sono una persona piena di tatto. Sono il signore indiscusso della delicatezza. Mi chiamavano mano lenta.”
“Quello è Eric Clapton, Synyster.”
“Dio mio, ma quanto parlate tutti, oggi! Andatevene, forza!”
“Va bene, ce ne andiamo!”
“Ma dove?” pigolò debolmente Barbara, portando un vassoio pieno di tartine, con inequivocabile rassegnazione. Ed un piccolo sorriso.

 

Così aveva finito per pensare a lui come non si era mai immaginata che si potesse pensare a qualcuno, presagendolo dove non era, desiderandolo dove non poteva essere, svegliandosi d’improvviso con la sensazione fisica che lui la contemplasse nel buio mentre lei dormiva, sicché il pomeriggio in cui udì i suoi passi risoluti sulla scia di foglie gialle del giardinetto faticò a credere che non fosse un’ennesima burla della sua fantasia.


La strada correva veloce; loro un po’ di più. Grace non riusciva a staccare lo sguardo dal polso di Jimmy sul volante. Lui cantava, piano.
I hope it’s worth it, here on the highway…
“Che cos’è?”
“Niente, una cosa che ho scritto sotto Natale. Andrà nel prossimo album.”
“È bella.”
“È triste. Forse dovrei scrivere una canzone d’amore per te. Magari mi faccio aiutare da mano lenta per il bridge.”
“Sono certa che ti direbbe di sì.”
“Scherzi? Non vede l’ora.”
D’istinto, gli mise una mano sulla gamba. Lui, come sempre, la prese e la baciò.
“Magari una ballad strappacuore, di quelle che ti piacciono tanto. Un’ode alle tue lunghissime gambe. Al fatto che sei del tutto fusa. Incredibilmente dolce. Spaventosamente intelligente. Perfetta. Troppo bella per me. Troppo bella per chiunque, in realtà, quindi tanto vale che stai con me.”
“Se dovessero aver ragione i buddisti, e la reincarnazione fosse un’opzione percorribile, sappi che ho intenzione di passare con te anche tutte le prossime vite.”
“Featuring Lana del Rey.”
“Prevedo una hit.”
“Per tutti i biscotti cotti sulle fiamme dell’inferno!”
“Per tutti i cosa?”
“Ho mancato l’uscita per il cimitero.”
“Sei anche il primo nella storia dell’umanità che se ne lamenta, per tua informazione.”

 

In preda al panico lo raccontò alla zia Escolástica, e fu lei a prendere la decisione, col coraggio e la lucidità che non aveva avuto a vent’anni, quando si era vista costretta a scegliere la propria sorte. «Rispondigli di sì» le disse. «Anche se stai morendo di paura, anche se poi te ne pentirai, perché comunque te ne pentirai per tutta la vita se gli rispondi di no.»


“Che ci facciamo al cimitero?”
“Non volevi un appuntamento romantico?”

Si fermarono sotto i rami frondosi di un lentisco che faceva ombra ad un piccolo tumulo. Lei guardò la luce giocare con i suoi occhi azzurri mentre si inginocchiava a leggere l’inscrizione sulla lapide e, per qualche inspiegabile ragione, sorrise.
“Facciamo uno scambio?” Disse Jimmy all’improvviso.
“D’accordo. Di che si tratta?”
Lui si voltò di poco, le prese la mano ed estrasse qualcosa dalla tasca.
“Togli quello che hai e metti questo.”
Era un diamante rosa. Aspettò una reazione qualsiasi. Grace crollò in ginocchio insieme a lui e lo strinse forte, poi si tolse l’anello di William dietro la sua schiena e cercò all’indietro quello che lui le porgeva, infilandoselo al dito.
“Mi stai chiedendo di sposarti in un cimitero?” gli chiese, con il viso dentro il suo collo.
La voce di Jimmy era bassa e dolce. “Non ti sto chiedendo niente. Ti sto solo informando che lo farò.”
“E tutti i discorsi grondanti buonsenso e legittima preoccupazione con cui mi hai intrattenuta fino a poco fa?”
“Me lo porto dietro da un bel po’, ormai. Lui non ti aveva ancora chiesto di sposarlo e ce l’avevo già. Non pensavo sul serio di dartelo, un giorno. Poi mi hai chiamato per darmi la notizia che ti eri fidanzata e mi sono preso una sbronza epocale con Brian.”
“E questo invece lo stiamo dicendo perché…”
“Perché sei sempre stata mia. Anche, e soprattutto, quando ci sforzavamo di fingere che potesse non essere così.”
Si rialzarono inciampando nell’erba fresca, sorreggendosi a vicenda, ridendo.
“Jim, posso farti una domanda?”
“Oh, che il signore mi protegga.”
“Tu lo sapevi? Te lo immaginavi che saremmo arrivati a questo, a prometterci eterna fedeltà dentro un cimitero? Perché io ero venuta solo a trovarti, e per giunta con William.”
“Ma inizialmente volevi venire da sola.”
“Sì, ma… volevo solo vederti. Davvero.”
“Perché volevi vedermi?”
“Perché non mi fido delle capacità diagnostiche di Synyster Gates. Ed anche perché non riuscivo a pensare di stare un minuto di più lontana da te.”
“Allora ti sei risposta da sola, non credi?”
Grace giocherellò con il suo nuovo anello e Jimmy si concentrò sui suoi capelli lunghi, sul suo vestito leggero.
“Bene. Non ci resta che sistemare le cose, allora.”
“Accompagno William in aeroporto e nel frattempo gli parlo. Dio, detesto dovergli dare questo dolore.”
“Lo so.”
Lo guardò estrarre il telefono e comporre un numero.
“Conor? Bello dello zio Jimmy, ascoltami; prendi le chiavi della mia auto, mia sorella Kelly ed andate a farvi un giro. Un lungo giro. Noi grandi dobbiamo parlare. Ti raccomando, comportati da galantuomo e non ti scordare che anche io ho in ostaggio tua sorella.”
Conor rise, dall’altra parte del ricevitore. Come sempre, fece come Jimmy gli aveva detto senza porre una sola domanda.
In veranda regnava un’atmosfera tesa.
“Era Jimmy”, rispose agli sguardi interrogativi degli altri, “mi ha detto di prendere Kelly, l’auto e di fare un lungo giro, perché i grandi devono parlare.”
“Sia lode alla Vergine della Pazienza” sussurrò Brian a Shadows, “sta accadendo”. 
 

aveva trovato in casa un disastro che l’aveva fatto tornare alla realtà. 


Fu un’ecatombe.
Una di quelle struggenti, rumorose, cinematografiche.
Con Brian nella parte della versione metal di Rossella O’Hara, e urla bastevoli a cagionare uno tsunami che si tirasse Huntington Beach a mare con tutti i suoi pittoreschi abitanti.
M. Shadows, allenato da decenni di urla belluine dentro un microfono, riusciva a dare alla discussione una certa poesia musicale. Era anche l’unico intonato, quasi eufonico nei suoi ripetuti tentativi di riportare la diatriba nei binari limitando gli insulti al minimo sindacale. Rafa Alcantara sfortunatamente era troppo basito ed impegnato ad afferrare i dettagli della spinosa faccenda per avere la prontezza di riflessi che gli sarebbe occorsa a mettere mano alla telecamera e regalare al successivo album degli Avenged Sevenfold il miglior behind the scenes della storia del genere.
“Ma perché, lei non è sempre stata la ragazza di Jimmy, scusa?”, si informò innocentemente presso Barbara.
La cartomante lo sentì e menò un urlo da banshee che bloccò l’intera band sul posto con una piacevole incursione nel viale dei ricordi.
“Sto avendo un terribile déjà-vu”, soggiunse Johnny Christ, scordandosi per un attimo che stava cercando di capire come mai Lacey insistesse ad intervenire nella discussione in favore di Grace pur avendole rivolto la parola tre volte in tutto nella sua vita.
“Sono perfettamente d’accordo.”, disse Shadows, abbassando il tono di un’ottava con fare meditabondo.
Poi il decimo girone dell’inferno, quello in cui i dannati guardano una telenovela messicana su un divano sfondato circondati da ogni parte dagli Iron Maiden, riprese a pieno ritmo. La cartomante sbandò vistosamente, inciampò nel tappeto e rimbalzò prima contro Zacky Vengeance e poi contro un muro. Jimmy si ruppe due costole nel tentativo di non ridere, perché in ogni caso le voleva bene. Valary, antica divinità orisha delle questioni chiuse ancor prima di aprirle, la rimise in piedi in malo modo e la informò: “Te ne devi fare una ragione, capisci” senza punti interrogativi alla fine. La poveretta strillò di nuovo, prese un vaso (che peraltro aveva comprato lei) e lo scagliò a Brian, il quale lo schivò per un pelo e ruggì di rimando: “Non ti sto lasciando io, cretina!”
“È colpa tua!”
“Certo che è colpa mia, è sempre colpa mia! Il conflitto in Medio Oriente è colpa mia! Guarda Shadows quanto è bello, anche quello è colpa mia!”
“Per favore, cerchiamo di lasciare mia madre fuori da questa storia.”, disse compunto Shadows, scalciando i cocci del vaso in un angolo del salotto.
“Cerchiamo anche di fare uno sforzo collettivo e darci tutti quanti una calmata!”
“Ma perché la signora Sullivan è qui?”, chiese timidamente Rafa, che era solo passato a riportare un amplificatore.
“Che ne so, ti pare? Sto cercando di dirle andiamo a casa da due ore, ma ha paura che mio fratello si affatichi. Ho dovuto chiamare papà” gli rispose Katie, tentando non senza pathos di schiodare sua madre dall’immota preoccupazione che la ancorava al pavimento del salotto.
Jimmy, placido come un animale sacro, osservava impassibile l’intera scena dalla sua poltrona con una tazza in mano, piena ed apparentemente invulnerabile al caos.
Brian Haner, senior, fece il suo ingresso trionfale in casa quasi sfondando la porta, rivelando un insospettabile parallelismo con Shadows.
“Brian”, chiamò il figlio, “si può sapere cosa cazzo sta succedendo?”
“Barb, tesoro, andiamo a casa”, suggerì alle sue spalle Joe Sullivan a sua moglie, andando pieno di premura a prenderla per un braccio per condurla fuori.
“Io riporto indietro Joe e Barbara. Voi vedete di mettere fine a questa scena inqualificabile. Tu”, ingiunse alla cartomante, “vieni, ti do un passaggio.”
“La porto a casa io.”
“Jimmy…”
Lui si alzò in piedi e si massaggiò gli occhi, stanco. Brian Haner, junior, gli rivolse uno sguardo carico di apprensione.
“Stai tranquillo, Brian. È giusto, è il minimo.”
“Chi l’avrebbe mai detto, sotto tutto questo eye-liner c’è un gentiluomo”, osservò sua sorella.
“Io sono un gentiluomo.”
“No, tu sei un temerario irresponsabile!”, squittì Synyster Gates, prima di rivolgersi marziale alla signora recentemente tornata single, “Fallo agitare e ti giuro che diventerai una decorazione natalizia di dubbio gusto!”
La casa piombò in un silenzio irreale per tutto il tempo che Jimmy stette via. I suoi compagni di band, Valary e Lacey erano seduti scomodi in punta al divano o sui tavoli, contemplando il camino spento.
Quando la porta si aprì, quasi saltarono.
Grace aveva gli occhi di chi ha pianto e la postura di chi non avrebbe potuto fare altrimenti.
“Dov’è Jimmy?” chiese, notando la poltrona vuota.
“Ha accompagnato a casa la sua ex fidanzata.”
“Com’è andata?”
“È stato tutto molto shakespeariano. Ti sarebbe piaciuto.”
“No, io credo di no. Lui come sta?”
“Abbastanza bene, considerate le circostanze. A te com’è andata?”
“È stato molto triste.”
“Lui si è arrabbiato?”
“No. No, lui non si arrabbia. Il che a volte è peggio.”
Un piccolo singhiozzo, e Brian era già balzato in piedi a prenderla tra le braccia. Valary lo osservò con curiosità perché, pur essendo sua amica da sempre nonché praticamente sua cognata, quell’uomo era sempre una sorpresa.
“Su. Era l’unica cosa sensata da fare o non ve lo sareste mai perdonati. Avreste sofferto sempre, e soffrire non serve a niente. Mi senti? A niente e a nessuno. Lui è una testa di cazzo, pieno di paranoie, e fin troppo generoso. Gli servi tu a darsi una regolata. Tu e Conor. Capito? Ti immagini poi, noi in tour con Conor e lui da solo in questa casa con lei? E tu sposata con un altro, in Inghilterra? Chi lo tiene, se tu non ci sei? Chi lo ama, se non lo ami tu?”
“Tutti lo amano, Brian”, rispose lei con un sorriso, asciugandosi le lacrime, “Con lui non si può fare altrimenti.”
“Lo so anch’io e non è facile, credimi. Ma quel che volevo dire è che sei la cosa migliore per lui. Io sto tranquillo, quando so che lui è con te.”
Grace sgranò gli occhi e si scambiò un’occhiata di mutuo stupore con Shadows che, da bravo se stesso qual era, monitorava l’orologio per decidere quando era il momento di preoccuparsi perché Jimmy stava tardando troppo.
“Ho bisogno di dormire. Avvisatelo voi quando torna, per favore.”

Brian non riusciva a smettere di pensare a quanto Jimmy gli aveva detto qualche tempo prima, quando insieme a tutti gli altri insisteva per sapere se andasse a letto con Grace.
Il sesso è il modo che tutti hanno di quantificare la concretezza di una relazione tra due persone ma vedi, Bri, non è quello il punto; il punto è che puoi desiderare una donna con tutta la forza e la furia che hai, sentirla in un posto dentro in cui non riesci a far entrare nemmeno te stesso, pensare a lei così intensamente da iniziare ad avere le allucinazioni olfattive e sentirne il profumo dove non può essere e non è, e nel frattempo appendere al collo di un’altra il cartello ‘fidanzata’, costruirci perfino più o meno una vita senza avere il minimo dubbio su chi vorresti affianco, se ti avvertissero che sei in punto di morte. La risposta nel mio caso è Grace, sempre Grace, soltanto Grace. Grace oggi, domani e per l’eternità, dal momento in cui l’ho vista per la prima volta. Per cui è del tutto irrilevante che la mia risposta alla tua domanda sia ‘sì’ o ‘no’, perché tanto non cambierebbe niente di quel che lei è per me. Questo è un sentimento che non esiste nella realtà, Brian; è un amore così forte, così inappellabile che basta a se stesso, non sa cosa diavolo sia il dubbio, perché chiedimi se per un secondo, anche un solo fottutissimo secondo, io non abbia avuto la matematica certezza del suo amore per me. Sono il primo, l’unico e l’ultimo che la farà sentire così nella vita e, per Dio, non manderò tutto a puttane.”
“Se il sentimento è davvero quello che descrivi”,
gli aveva risposto Brian, “allora le tue sono paranoie inutili, perché semplicemente non puoi mandare tutto a puttane. Nemmeno se ci provi.”
“Posso sempre morire.”
“Non finché io sono vivo.”

Synyster fucking Gates si schiarì la gola e spedì la sigaretta a farsi benedire oltre il cancello d’ingresso proprio mentre l’auto di Jimmy appariva in fondo al viale; lo accompagnò con gli occhi in una manovra di parcheggio piuttosto audace e poi andò ad aprirgli la portiera.
“Com’è andata?”
“Ha pianto come una fontana e non ha detto una parola per tutto il tragitto. Mi è venuta un’idea per l’album, a proposito, poi ti racconto. Chi c’è dentro?”
“Shadows e Val, gli altri sono andati tutti a casa. Zacky si lamentava che gli resterà un livido nel punto in cui la tua ex è andata a sbattere prima di franare in un muro, e ci ha tenuto a specificare che le tue discutibili scelte sentimentali si ripercuotono sempre in maniera fisica su di lui.”
“Un po’ melodrammatico, per essere un tagliatore di cravatte.”
“Sono senza dubbio d’accordo con te ma, del resto, come si dice: Dio ce l’ha dato, e guai a chi ce lo toglie.”
Si sorrisero, complici.
“Come stai, Jim?”
“Sto bene. Un po’ stordito, ma bene.”
“Ti misuro la pressione e me ne vado a casa, così non svegli Grace. È andata a dormire, ci ha chiesto di avvisarti.”
Entrarono in casa e notarono che Valary aveva già in mano lo sfigmomanometro.
Mentre prendeva posto al tavolo del salone e si toglieva la felpa per scoprirsi il braccio, Jimmy lasciò andare un sospiro e si rivolse di nuovo a Brian: “Sai cos’è successo con William?”
“Mi ha detto solo che non si è arrabbiato, e che è stato tutto molto triste.”
“Conor è tornato?”
“Sì, è già a letto.”
“Tutto regolare”, disse Valary con un sorriso, “Possiamo andare a casa.”
“Hai mangiato?”, si informò Brian.
“No.”
“Lo sapevo. Tiro fuori qualcosa dal frigo, voi iniziate ad andare.”

 

Era come se avessero saltato l’arduo calvario della vita coniugale, e fossero andati dritti all’essenza dell’amore. Passavano il tempo in silenzio come due vecchi sposi  scottati dalla vita, al di là delle trappole della passione, al di là degli scherzi brutali delle illusioni e dei miraggi dei disinganni: al di là dell’amore.

 

Le ombre degli alberi fuori dalla finestra giocavano ad imbastire storie sul muro della camera da letto. Lo sentì rientrare nel dormiveglia e si mosse piano tra le lenzuola; i passi cauti, il rumore di un indumento che cade su una sedia, le scarpe calciate via, poi il suo corpo sul letto; la abbracciò da dietro e inspirò a fondo il profumo dei suoi capelli.
“Sei sveglia?”
“Sì. Hai mangiato? Ti preparo qualcosa?”
“Ho mangiato giù con Brian, se n’è appena andato.”
Grace si girò nel suo abbraccio e lo baciò sulle labbra.
“Non hai bevuto.”
“Certo che no. Mi baci per questo?”
“Ti bacio per tutte le buone ragioni del mondo. Conor sta dormendo?”
“Come un sasso. Ho fatto un salto in camera sua.”
Gli occhi azzurri di Jimmy catturavano la poca luce che entrava dai lampioni del cortile.
“Non mi chiedi com’è andata con William?”
“Non voglio farti del male.”
“Sento dei rumori. C’è qualcosa sotto il letto?”
“Non credo. Ma, anche se fosse, ucciderò i mostri per te.”
Si sorrisero nella penombra.
“Ora cosa facciamo?”, gli chiese Grace.
“Possiamo dormire. O fare l’amore, e poi dormire.”
Lei si sentì invadere dal panico istantaneo della felicità.
“Fare l’amore e poi dormire mi sembra un’ottima idea.”
La porta si aprì cigolando sui cardini.
“Ragazzi? Vi disturbo?”
Si sorrisero di nuovo.
“Entra.”, disse Jimmy.
Conor, quasi un metro e novanta, si stropicciava gli occhi come un cucciolo.
“Sono venuto a vedere se andava tutto bene. Volevo aspettarti sveglio, Jimmy, ma sono crollato.”
“Che ci fai in piedi?”
“Ho avuto un incubo.”
“Vieni qui un minuto. Poi ci alziamo e metto su una tazza di latte caldo per tutti.”, gli disse sua sorella, allungando un braccio.
“Vuoi che chiuda la finestra, prima?”, chiese Conor, “A quest’ora saranno già entrati un sacco di spifferi.”
“Non importa.”
Grace gli fece posto e Conor si stese accanto a lei; tra lui e Jimmy, sentì tutti i pezzi di una vita che andavano finalmente a posto senza alcuna fatica.
“Quindi quando vi sposate?”
“Non abbiamo ancora stabilito una data. Perché, vai di fretta?”, gli rispose Jimmy, dandogli un colpetto affettuoso sulla fronte.
“No, figurati. Tanto siete sposati da sempre, anche se non lo sapevate. Sono felice che alla fine tu abbia scelto Jimmy.”
“Non ho fatto alcuna scelta, mi sono solo limitata ad essere onesta su quale fosse l’uomo che non potevo proprio perdere.”
“E quale?”
“Quello che aveva nell’armadio la mia corda per saltare.”

 

Florentino Ariza ascoltò senza battere ciglio. Poi guardò dalle finestre il cerchio completo del quadrante della rosa dei venti, l’orizzonte nitido, il cielo di dicembre senza una sola nuvola, le acque navigabili per sempre, e disse: «Andiamo a dritta, a dritta, a dritta, ancora verso La Dorada.»
Fermina Daza sussultò, perché riconobbe l’antica voce illuminata dalla grazia dello Spirito Santo, e guardò il capitano: era lui il destino. Ma il capitano non la vide perché era annichilito dal tremendo potere di ispirazione di Florentino Ariza.
«Lo dice sul serio?» gli chiese.
«Fin da quando sono nato» disse Florentino Ariza, «non ho detto una sola cosa che non sia sul serio.»
Il capitano guardò Fermina Daza e vide sulle sue ciglia i primi fulgori di una brina invernale. Poi guardò Florentino Ariza, la sua padronanza invincibile, il suo amore impavido, e lo turbò il sospetto tardivo che è la vita, più che la morte, a non avere limiti.
«E fino a quando crede che possiamo continuare con questo andirivieni del cazzo?» gli domandò.
Florentino Ariza aveva la risposta pronta da cinquantatré anni sette mesi e undici giorni, notti comprese.
«Per tutta la vita» disse. 

 

 

"Era un pappagallo spelacchiato e maniaco, che non parlava quando glielo chiedevano bensì nelle occasioni più impensate, ma allora lo faceva con una chiarezza e un uso della ragione non molto comuni negli esseri umani." 
Gabriel García Márquez, a proposito di Synyster Gates
 
Le canzoni citate nei capitoli sono: Grace, Florence + The Machine; Blowback, The Killers; Just the other side of nowhere e If you could read my mind, Johnny Cash.
Gli estratti in corsivo dal capitolo terzo (atto IV) in poi provengono tutti da L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez.
La frase di apertura del V atto è di Sula, di Toni Morrison.
 
Mi scuso senza riserve con Julio Cortázar per avergli ricordato che è morto (so che non gli piace); con l’uomo che nella vita reale è William, così indispensabile al mio cuore, il Paziente Inglese che attende con coraggio me, il suo Giudizio Universale — è bene che sappia che quando devo scrivere un uomo decente, scrivo sempre di lui; con gli uomini che, nella vita reale, sono Brian, Zachary e Matthew, e con la donna che è Valary; con Sua Curiosa Santità l’Oracolo, che tutt’oggi vaticina dal suo studio medico con molta più cognizione di causa di Paolo Fox; con Milady, che è amica mia e non di Grace, ed il di lei acquaio; con Grace, per averle messo addosso molto più peso di quanto chiunque possa portare; con Liev Tolstoij e quella grande cretina di Anna Karenina per non essere mai stata quel tipo di donna ed aver sempre scelto, semmai, di essere il treno.
Dio, invece, sono io che non l’ho perdonato. E non lo farò mai.
 
A voi vorrei dare un’informazione cruciale.
In origine, la fine di questa storia doveva essere diversa; avevo infatti scritto un epilogo che contemplava due possibili alternative lasciate al buon cuore dei lettori.
Ma Jimmy, nell’ineffabile eternità in cui ora si trova, fa quel che ha sempre fatto anche in vita: esattamente il cazzo che gli pare. 
 
Buon quarantesimo compleanno, cor cordium.
Come ogni cosa mia, anche questa è più tua che mia (e quindi nostra), nonché per te;
per l’ordine implacabile della tua testa ed il generoso disordine del tuo cuore.
Sei sempre stato, e sempre sarai, la mia invincibile estate.
 
Ad una certa tazza di tè vorrei dire che è stato soltanto per lei che mi sono presa 24 ore di permesso dalla mia esistenza fenomenica terrena ed ho scritto, infaticabile, tutta la notte e tutto il giorno. Senza le sue parole, forse questa storia non sarebbe mai finita.
Grazie, Alice; non aver mai paura di attraversare lo specchio, io sarò sempre con te.
Con affetto,
il tuo fantasma gentile

 

Dicono che c’è un tempo per seminare,
ed uno più lungo per aspettare;
io dico che c’era un tempo sognato
che bisognava sognare. 



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