Ma dammi la mano (e torna vicino)

di Snehvide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Southern Faith ***
Capitolo 2: *** Marabecca ***
Capitolo 3: *** Doubts ***



Capitolo 1
*** Southern Faith ***


Southern Faith

Le lancette dell’orologio segnano le ore dodici, e se non fosse per la luce del giorno che trafigge il vetro opacizzato del lucernaio, a Dean sembrerebbe che il tempo sia rimasto congelato nell’esatto istante in cui ha ritrovato Sam sul pavimento del bunker, privo di sensi.
Non sta bene, e Dean lo sa. Per quanto si sia sforzato negli scorsi giorni di tappezzare la nuova condizione con un patchwork poco riuscito di normalità, tutto intorno a Sam ha già cominciato ad assumere le tinte inequivocabili di qualcosa che Dean non riesce ad associare a suo fratello.
Se ci prova, scatta qualcosa: un errore irreversibile del sistema per il suo cervello.

Il sondino nasogastrico ha cominciato a scavare una piccola piaga sulla narice e Dean non è sicuro di poter tollerare l’idea che suo fratello cominci a perdere sangue anche da lì. Ne ha già vomitato abbastanza nei giorni scorsi quando ha provato a fargli mangiare qualcosa per bocca, e questa mattina ha trovato del sangue anche sulla federa del cuscino, accanto all’orecchio.
Lo fissa a mani giunte, Dean. Perché Sam Winchester sprizzava forza e vitalità sino a una settimana fa, e non crede che un mostro senza nome, e senza alcuna menzione sui tomi del bunker, possa davvero aver causato tutto questo.
Lo fissa a mani giunte perché crede che se le dita non si trattenessero a vicenda, l’una con l’altra, abbarbicate come radici di un albero secolare, probabilmente sferrerebbe un pugno alla lampada, al bicchiere con le medicine accanto a Sam, alla sacca della flebo alimentare, o a quella della fisiologica, o a quella degli antibiotici, e no. No. Non andrebbe bene.

Sam dorme. Il suo petto si alza e si abbassa a ritmo regolare e gli sembra di sentire un lieve fruscio di sottofondo, come il ronzio di una mosca.
Dunque Dean lo lascia dormire, perché crede che sia la cosa migliore da fare, nonché l’unica che possa fare, in questo momento.
Lo fissa a mani giunte perché se anche solo uno di quei signori dei piani alti fosse ancora in ascolto e non ha volutamente risposto alle sue preghiere, per noia o per sfizio, allora Dean sarebbe disposto a perdonarlo se si palesasse lì, dinnanzi a lui, in questo preciso istante, a proporgli qualcosa.
Davvero, Dean gli lascerebbe la più totale carta bianca: un intrigo, uno scambio, un patto. Qualsiasi cosa. Sacrificare dieci vergini su un altare? Consideralo fatto.
La sua anima? Anche subito.
Il mondo intero al posto di Sam? Perfetto. Tutto tuo, amico.

E mentre le labbra lacerate di Sam sono schiuse come a richiamare qualcosa da un mondo lontano, Dean continua a fissarlo a mani giunte.
Perché non ha un briciolo di fede, Dean. Ma Sam, sì.
Sam crede in queste cose, e se ci fosse lui su quel letto al posto suo, probabilmente Sam lo starebbe facendo e Dean non vuole che la sua battaglia sia inferiore a quella che Sam porterebbe avanti per lui.

Dean vuole solo che il suo fratellino riapra gli occhi e gli faccia ancora quel suo solito sorriso screpolato e rimbambito che fa ogni qualvolta riemerge dagli abissi dell’incoscienza, e di cui non professerà mai parola alcuna su quanto lo ami, quel sorriso capace di riportarlo indietro di almeno trent’anni. No, no.
Sono cose che Sam non deve sapere. Deve saperle solo lui, e qualunque cosa, forza, essere, fottuta creatura immonda del cazzo sia in ascolto in quel momento.
Devono saperlo tutti, che a Dean Winchester non importa a chi dovrà rendere grazia per i prossimi vent’anni, a chi dovrà innalzare altari, votare un pellegrinaggio o ergere un tempio.
A Dean Winchester non importa chi verrà a prelevare la sua anima ancora una volta, a quanti dannati dovrà togliere ogni centimetro di pelle a carne viva e poi flagellare, quanto sangue dovrà versare all’Inferno e quante apocalissi dovrà ancora scatenare.

Per l’ennesima volta: tutti devono sapere che a Dean Winchester non frega assolutamente nulla che non sia quel ragazzo sul letto, i cui respiri si fanno sempre più rarefatti, le fosse intorno agli occhi sempre più scure, la pelle sempre più pallida.

Dean ha le mani giunte, perché sul suo grembo c’è il Libro dei Dannati.

 E non sa quanto ancora potrà ignorarne il peso.

fine

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- Grazie infinite a Spoocky per il betaggio ;)

- Questa fanfiction nasce dalla Vignette-fic challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia, che ha visto la creazione di fanfiction brevi, introspettive e “statiche”, concentrate in un’unica scena e con la quasi totale assenza di movimento dei personaggi.
Le parole chiave di questa che avete appena letto sono: Mezzogiorno, Malato e Credere, e ho tentato di inserirle tutte e tre ^_^
Ne raccoglierò altre in questa stessa entry man mano che le scriverò. Consideratele la mia comfort-zone: in questo momento mi sto dedicando ad un progetto particolarmente impegnativo nonché al sesto ed ultimo capitolo di Double, double thorns and trouble (per gli amici, la Cactus!fic) quindi questa collezione verrà aggiornata in modo irregolare. ;)

Il titolo della collezione viene da “A mano a mano” di Rino Gaetano

- Grazie per aver letto <3

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Capitolo 2
*** Marabecca ***


Marabecca

Sam non può essere serio, lui adora quelle schifezze.

Le volte in cui era finito in ospedale da bambino, erano l’unica cosa che avrebbe mangiato, e davvero, non può essere cambiato così tanto da quel moccioso petulante che in ospedale incrociava le braccia rifiutando di mettere nello stomaco qualsiasi altra cosa. Dean non capisce proprio perché adesso storca il naso di fronte alla gelatina che gli sta innalzando sul suo cucchiaio, appropinquandolo alle sue labbra forse con un entusiasmo eccessivo; forse con un fare un po’ troppo lezioso e allegro, forse con un pizzico di smaniosa reminiscenza di un passato che mette a rischio la sua negli-anni-conquistata dignità di uomo adulto, deve riconoscerlo – ma al diavolo.
Sam avrà pure trenta-e-passa anni, ma quello sguardo torvo con cui lo fissa con il suo unico occhio libero dalle bende, quel broncio screpolato e incrostato dal sangue sono sempre quelli del fratellino che costringeva a mettersi a letto prima che arrivasse l’infermiera di turno a rimproverarlo per non aver mangiato nient’altro che le gelatine, anche quelle che non gli spettavano (sicuramente Sam ricorderà Tom Kydd, quel bambino del letto accanto che si era schiantato contro un albero dopo aver preso l’auto del padre, e che lui aveva convinto a smettere di mangiare le gelatine e a cederle a Sam, in quanto ‘Se continuerai a mangiare le gelatine che ti danno qui, i denti non ti ricresceranno mai più, amico. Prova piuttosto con il pollo!’ Dean ne ride ancora quando ripensa a quel bambino smilzo e pallido con le gengive sdentate perennemente infiammate per colpa sua).

È davvero poco credibile che Sam faccia adesso l’offeso, dovrebbe essere felice! Quelle gelatine sono l’unica cosa che potrà mangiare per le prossime settimane, almeno sino a quando non ripeteranno una serie di esami i cui nomi a Dean sfuggono, e accerteranno che sì, il suo stomaco ha superato bene il post-operatorio e potrà riprendere a mangiare le schifezze salutistiche che tanto gli piacciono.

 

In fondo, poteva andare peggio: la Marabecca è una creatura di cui non aveva mai sentito parlare, e se non fosse stato per Josh Castiglione e le sue fottute origini siciliane, probabilmente Sam sarebbe ancora sul fondo di quella cisterna abbandonata in attesa di diventare il banchetto di Natale di un fetido avanzo del Purgatorio.
Cosa ci facesse una Marabecca nelle desolate foreste al nord del Michigan non è dato saperlo, ma non è dato sapere neanche perché Sam abbia deciso di seguire un caso per i cazzi propri senza neanche un back-up degno di questo nome, Cristo! Quando, dopo un giro di chiamate ai cacciatori di sua conoscenza, Josh lo ha ricontattato per dirgli della telefonata di Sam di qualche giorno prima, e di avergli parlato di una Marabecca, Dean ne era rimasto spiazzato. Che figlio di puttana, aveva pensato. È andato davvero a caccia senza di lui!

 

Sì, poteva andargli decisamente peggio: Sam poteva ritrovarsi con un fratello maggiore bastardo che avrebbe preso sul serio quella serie di stronzate che gli aveva vomitato addosso l’ultima volta, rabbioso come un cane idrofobo, prima di scendere dall’Impala con le sue cose e congedarsi virtualmente per sempre da lui. ‘Non cercarmi più’, ‘da questo momento le nostre strade si separano’, ‘addio, Dean’ e altre puttanate da casalinga isterica di mezza età. Probabilmente non sa neanche cosa significhino veramente quelle frasi; probabilmente l’idea che non lo stesse cercando non ha sfiorato neanche l’anticamera del suo cervello, e forse, è stato questo pensiero a permettergli di aggrapparsi alla vita, nonostante le ossa spaccate, due-tre organi compromessi e i giorni senza tempo passati a digiuno, a mollo nella più insonorizzata, putrida oscurità.
Eccome, se poteva andargli peggio: Sam si ritrova lì, in un comodo letto d’ospedale, con il caldo, stupido sorriso di suo fratello che vorrebbe provvedere al suo nutrimento nonostante le sue rimostranze, felice come avesse appena vinto alla lotteria.

 

Dean, da parte sua, si sente miracolato: poteva starsene ancora sullo sgabello di un bar a scolarsi l’ennesimo whiskey dopo essere stato con l’ennesima ragazza incontrata lì fuori mentre suo fratello era chissà dove; poteva andare a massacrare un altro covo di vampiri senza neanche guardare in faccia le teste che si sarebbe prodigato a far saltare e poi tornare in un motel, squallido e disastrato come la sua anima.
Poteva trovare un Sam sul carrello di una cella frigo, o ancor peggio, poteva trovare un Sam che non volgesse lo sguardo del suo unico occhio ancora buono verso di lui, né mettesse su quel broncetto tipico del suo Sam, e poteva non dover agitare quel cucchiaino di plastica ricolmo di gelatina rossa, richiamando quell’aeroplanino che il Sam di quattro anni aveva adorato e che forse, se non fosse per la mise di uomo-adulto-e-indipendente-dal-suo-fratellone che tanto lo fa sorridere, adorerebbe ancora.

Dean ha ancora tutto ciò. Quindi, ha tutte le ragioni per avere quel sorriso ebete stampato sulle labbra e quell’espressione di gioia eccessiva in volto.
Ha di nuovo il suo Sammy: non c’è traccia di perdita né di sconfitta.

 Fine

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- Grazie infinite a Enid per il betaggio lampo e completissimo! ;)
- Come al solito, è stata scritta di getto. Mi rifiuto di rileggerla. Ugh.
- Questa fanfiction nasce dalla Vignette-fic challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia, che ha visto la creazione di fanfiction brevi, introspettive e “statiche”, concentrate in un’unica scena e con la quasi totale assenza di movimento dei personaggi. Se volete partecipare anche voi, la challenge è ancora in corso insieme ad altre ;)
- Le parole chiave sorteggiate per questa vignette sono le seguenti: Gelatina, Buca, Perdere
- Ne raccoglierò altre in questa stessa entry man mano che le scriverò. Consideratele la mia comfort-zone: in questo momento mi sto dedicando ad un progetto particolarmente impegnativo nonché al sesto ed ultimo capitolo di 
Double, double thorns and trouble (per gli amici, la Cactus!fic – che è in ritardo, ma la riprenderò non appena mi sarò portata a buon punto con il progetto di cui vi parlavo) quindi questa collezione verrà aggiornata in modo irregolare. ;)


 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Doubts ***


Doubts

 

Da un punto di vista puramente logico, Dean non dovrebbe avere alcun dubbio circa la buona riuscita della cura. In fondo, ci è passato personalmente, e quale miglior esperienza se non la propria?
Un paio di sorsi di una poltiglia trangugiata d’un fiato e l’improvvisa scoperta che anche l’inferno può avere un sapore, tutto qui.
Certo, questo se si esclude la violenta rivolta cellulare che sovviene pochi secondi dopo, che è un po' come se da ogni cellula del corpo si levasse un profondo grido di protesta mentre il loro DNA viene resettato e portato allo stato pristino. Questo, in effetti, è lontano dall’essere ‘tutto qui’.

Poi però arriva la liberazione; il ritorno allo stato originario che, normalmente, si presenta con la forma della cena di ieri, dell’altro ieri, del mese scorso ed anche quella del Natale del ’91 (patatine fritte e hamburger del Biggerson’s, con l’aggiunta del dessert da un dollaro, lo ricorda ancora).
Considerato però il loro curriculum recondito di atrocità, Dean oserebbe dire che la cura per il vampirismo non è poi così male.
Per lo meno, questo era stato il suo primo pensiero quando, anni prima, quel vecchio figlio di puttana di Samuel Winchester gli porse sotto al muso la tazza fumante, salvando la vita a lui e, indirettamente, adesso anche a Sam.
La notte scorsa, Dean ha infatti ripescato la vecchia ricetta dalle pieghe dell’agenda di papà dopo aver fracassato il cranio a quel succhiasangue di merda che ha osato toccare qualcosa di così intimamente suo come suo fratello. Un teppista. Un povero coglione probabilmente tramutato in vampiro da qualcuno più furbo di lui che gli ha propinato il suo sangue come una nuova droga. Un po’ alla vecchia maniera, insomma – nulla di apparentemente pericoloso per lui, ma pericolosissimo per Sam, che non ha saputo ignorare lamenti di quel che credeva un povero ragazzo in overdose (ed è una delle ragioni per cui ha trovato terribilmente appagante spalmare il suo cervello sul cemento a suon di martellate).

La pozione l’aveva porta a Sam come fosse qualcosa di sacro.
I canini aguzzi e tremanti di suo fratello, affondati sulle proprie labbra per non affondare su qualcos’altro, avevano cozzato contro la tazza di latta.
Ha usato le stesse parole di Samuel e forse, ne ha ricalcato involontariamente anche l’espressione del viso, mentre ha osservato Sam cadere carponi sul pavimento a rimettere tutto il magro contenuto del suo stomaco.
Ed è guarito. Ha funzionato.
Dal momento in cui quello stronzo gli aveva sanguinato in bocca, alla purga di Nonno Samuel non passano neanche due ore. Meno di quante ne erano passate con lui, figurati se non avesse funzionato!
Perché non avrebbe dovuto farlo, del resto?

Legge l’interrogativo anche nelle palpebre assottigliate di Sam, ed è qualcosa che non riesce a tollerare.
Nonostante la febbre e il feroce mal di testa (Se è identico al suo, Sam lo ricorderà per tutta la vita), Sam asseconda le sue ossessioni con disarmante arrendevolezza.
Niente zanne sotto le labbra, nessuna fame di sangue di simil-maiale, niente fotofobia, niente udito sopraffino – nulla.
Il dito che gli ha bucato sanguina quel che basta sulla cartina al tornasole: la reazione, è quella più logica.

Suo fratello è umano. Di nuovo umano, come lo è sempre stato.
Ne ha tutte le conferme del mondo, e può mettere fine alla sua ricerca spasmodica del contrario.

Tira un sospiro di sollievo, ma qualcosa di vischioso nel suo petto gli impedisce di restituire all’etere tutta la tensione accumulata. Lo sguardo fuori fuoco di Sam incatenato sul suo volto non è di aiuto, richiama sussurri insidiosi sepolti nella mente, e non va bene.

Salva Sam, e se non puoi farlo, allora uccidilo.


Sono passati tanti anni, ma l’eco di quel dubbio continua a fare male.

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- Non betata
- Come al solito, è stata scritta di getto. Mi rifiuto di rileggerla. Ugh.

- Questa fanfiction nasce dalla Vignette-fic challenge del gruppo 
Hurt/Comfort Italia, che ha visto la creazione di fanfiction brevi, introspettive e “statiche”, concentrate in un’unica scena e con la quasi totale assenza di movimento dei personaggi. Se volete partecipare anche voi, la challenge è ancora in corso insieme ad altre ;)
- Le parole chiave sorteggiate per questa vignette sono le seguenti: Ansia, Mani, Tornasole
- Ne raccoglierò altre in questa stessa entry man mano che le scriverò.


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