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Le lancette dell’orologio segnano le ore dodici, e se non
fosse per la luce del giorno che trafigge il vetro opacizzato del lucernaio, a
Dean sembrerebbe che il tempo sia rimasto congelato nell’esatto istante in cui ha
ritrovato Sam sul pavimento del bunker, privo di sensi.
Non sta bene, e Dean lo sa. Per quanto si sia sforzato negli scorsi giorni di
tappezzare la nuova condizione con un patchwork poco riuscito di
normalità, tutto intorno a Sam ha già cominciato ad assumere le tinte
inequivocabili di qualcosa che Dean non riesce ad associare a suo fratello.
Se ci prova, scatta qualcosa: un errore irreversibile del sistema per il
suo cervello.
Il sondino nasogastrico ha cominciato a scavare una piccola
piaga sulla narice e Dean non è sicuro di poter tollerare l’idea che suo
fratello cominci a perdere sangue anche da lì. Ne ha già vomitato abbastanza
nei giorni scorsi quando ha provato a fargli mangiare qualcosa per bocca, e
questa mattina ha trovato del sangue anche sulla federa del cuscino, accanto
all’orecchio.
Lo fissa a mani giunte, Dean. Perché Sam Winchester sprizzava forza e vitalità
sino a una settimana fa, e non crede che un mostro senza nome, e senza alcuna
menzione sui tomi del bunker, possa davvero aver causato tutto questo.
Lo fissa a mani giunte perché crede che se le dita non si trattenessero a
vicenda, l’una con l’altra, abbarbicate come radici di un albero secolare,
probabilmente sferrerebbe un pugno alla lampada, al bicchiere con le medicine
accanto a Sam, alla sacca della flebo alimentare, o a quella della fisiologica,
o a quella degli antibiotici, e no. No. Non andrebbe bene.
Sam dorme. Il suo petto si alza e si abbassa a ritmo
regolare e gli sembra di sentire un lieve fruscio di sottofondo, come il ronzio
di una mosca.
Dunque Dean lo lascia dormire, perché crede che sia la cosa migliore da fare,
nonché l’unica che possa fare, in questo momento.
Lo fissa a mani giunte perché se anche solo uno di quei signori dei piani
alti fosse ancora in ascolto e non ha volutamente risposto alle sue
preghiere, per noia o per sfizio, allora Dean sarebbe disposto a perdonarlo se
si palesasse lì, dinnanzi a lui, in questo preciso istante, a proporgli
qualcosa.
Davvero, Dean gli lascerebbe la più totale carta bianca: un intrigo, uno
scambio, un patto. Qualsiasi cosa. Sacrificare dieci vergini su un altare?
Consideralo fatto.
La sua anima? Anche subito.
Il mondo intero al posto di Sam? Perfetto. Tutto tuo, amico.
E mentre le labbra lacerate di Sam sono schiuse come a richiamare
qualcosa da un mondo lontano, Dean continua a fissarlo a mani giunte.
Perché non ha un briciolo di fede, Dean. Ma Sam, sì.
Sam crede in queste cose, e se ci fosse lui su quel letto al posto suo,
probabilmente Sam lo starebbe facendo e Dean non vuole che la sua battaglia sia
inferiore a quella che Sam porterebbe avanti per lui.
Dean vuole solo che il suo fratellino riapra gli occhi e gli
faccia ancora quel suo solito sorriso screpolato e rimbambito che fa ogni
qualvolta riemerge dagli abissi dell’incoscienza, e di cui non professerà mai
parola alcuna su quanto lo ami, quel sorriso capace di riportarlo indietro di
almeno trent’anni. No, no.
Sono cose che Sam non deve sapere. Deve saperle solo lui, e qualunque cosa,
forza, essere, fottuta creatura immonda del cazzo sia in ascolto in quel
momento.
Devono saperlo tutti, che a Dean Winchester non importa a chi dovrà rendere
grazia per i prossimi vent’anni, a chi dovrà innalzare altari, votare un
pellegrinaggio o ergere un tempio.
A Dean Winchester non importa chi verrà a prelevare la sua anima ancora una
volta, a quanti dannati dovrà togliere ogni centimetro di pelle a carne viva e
poi flagellare, quanto sangue dovrà versare all’Inferno e quante apocalissi
dovrà ancora scatenare.
Per l’ennesima volta: tutti devono sapere che a Dean
Winchester non frega assolutamente nulla che non sia quel ragazzo sul letto, i
cui respiri si fanno sempre più rarefatti, le fosse intorno agli occhi sempre
più scure, la pelle sempre più pallida.
Dean ha le mani giunte, perché sul suo grembo c’è il Libro
dei Dannati.
- Questa fanfiction nasce dalla Vignette-ficchallenge del gruppo
Hurt/Comfort Italia,
che ha visto la creazione di fanfiction brevi, introspettive e “statiche”,
concentrate in un’unica scena e con la quasi totale assenza di movimento dei
personaggi.
Le parole chiave di questa che avete appena letto sono: Mezzogiorno, Malato e
Credere, e ho tentato di inserirle tutte e tre ^_^
Ne raccoglierò altre in questa stessa entry man mano che le scriverò.
Consideratele la mia comfort-zone: in questo momento mi sto dedicando ad un
progetto particolarmente impegnativo nonché al sesto ed ultimo capitolo di Double, double
thorns and trouble (per gli amici, la Cactus!fic) quindi questa collezione
verrà aggiornata in modo irregolare. ;)
Il titolo della collezione viene da “A mano a mano” di Rino
Gaetano
Sam non può essere serio, lui adora quelle
schifezze.
Le volte in cui era finito in ospedale
da bambino, erano l’unica cosa che avrebbe mangiato, e davvero, non può essere
cambiato così tanto da quel moccioso petulante che in ospedale incrociava le
braccia rifiutando di mettere nello stomaco qualsiasi altra cosa. Dean non
capisce proprio perché adesso storca il naso di fronte alla gelatina che gli sta
innalzando sul suo cucchiaio, appropinquandolo alle sue labbra forse con un
entusiasmo eccessivo; forse con un fare un po’ troppo lezioso e allegro, forse
con un pizzico di smaniosa reminiscenza di un passato che mette a rischio la
sua negli-anni-conquistata dignità di uomo adulto, deve riconoscerlo –
ma al diavolo.
Sam avrà pure trenta-e-passa anni, ma quello sguardo torvo con cui lo fissa con
il suo unico occhio libero dalle bende, quel broncio screpolato e incrostato
dal sangue sono sempre quelli del fratellino che costringeva a mettersi a letto
prima che arrivasse l’infermiera di turno a rimproverarlo per non aver mangiato
nient’altro che le gelatine, anche quelle che non gli spettavano (sicuramente
Sam ricorderà Tom Kydd, quel bambino del letto accanto che si era schiantato
contro un albero dopo aver preso l’auto del padre, e che lui aveva convinto a
smettere di mangiare le gelatine e a cederle a Sam, in quanto ‘Se
continuerai a mangiare le gelatine che ti danno qui, i denti non ti
ricresceranno mai più, amico. Prova piuttosto con il pollo!’ Dean ne ride
ancora quando ripensa a quel bambino smilzo e pallido con le gengive sdentate
perennemente infiammate per colpa sua).
È davvero poco credibile che Sam faccia adesso
l’offeso, dovrebbe essere felice! Quelle gelatine sono l’unica cosa che potrà
mangiare per le prossime settimane, almeno sino a quando non ripeteranno una
serie di esami i cui nomi a Dean sfuggono, e accerteranno che sì, il suo
stomaco ha superato bene il post-operatorio e potrà riprendere a mangiare le
schifezze salutistiche che tanto gli piacciono.
In fondo, poteva andare peggio: la Marabecca è
una creatura di cui non aveva mai sentito parlare, e se non fosse stato per
Josh Castiglione e le sue fottute origini siciliane, probabilmente Sam sarebbe
ancora sul fondo di quella cisterna abbandonata in attesa di diventare il
banchetto di Natale di un fetido avanzo del Purgatorio.
Cosa ci facesse una Marabecca nelle desolate foreste al nord del Michigan non è
dato saperlo, ma non è dato sapere neanche perché Sam abbia deciso di seguire
un caso per i cazzi propri senza neanche un back-up degno di questo nome,
Cristo! Quando, dopo un giro di chiamate ai cacciatori di sua conoscenza, Josh
lo ha ricontattato per dirgli della telefonata di Sam di qualche giorno prima,
e di avergli parlato di una Marabecca, Dean ne era rimasto spiazzato. Che
figlio di puttana, aveva pensato. È andato davvero a caccia senza di
lui!
Sì, poteva andargli decisamente peggio: Sam
poteva ritrovarsi con un fratello maggiore bastardo che avrebbe preso
sul serio quella serie di stronzate che gli aveva vomitato addosso l’ultima
volta, rabbioso come un cane idrofobo, prima di scendere dall’Impala con le sue
cose e congedarsi virtualmente per sempre da lui. ‘Non cercarmi più’,
‘da questo momento le nostre strade si separano’, ‘addio, Dean’ e
altre puttanate da casalinga isterica di mezza età. Probabilmente non sa
neanche cosa significhino veramente quelle frasi; probabilmente l’idea che non
lo stesse cercando non ha sfiorato neanche l’anticamera del suo cervello, e
forse, è stato questo pensiero a permettergli di aggrapparsi alla vita, nonostante
le ossa spaccate, due-tre organi compromessi e i giorni senza tempo passati a
digiuno, a mollo nella più insonorizzata, putrida oscurità.
Eccome, se poteva andargli peggio: Sam si ritrova lì, in un comodo letto
d’ospedale, con il caldo, stupido sorriso di suo fratello che vorrebbe
provvedere al suo nutrimento nonostante le sue rimostranze, felice come avesse
appena vinto alla lotteria.
Dean, da parte sua, si sente miracolato:
poteva starsene ancora sullo sgabello di un bar a scolarsi l’ennesimo whiskey dopo
essere stato con l’ennesima ragazza incontrata lì fuori mentre suo fratello era
chissà dove; poteva andare a massacrare un altro covo di vampiri senza neanche
guardare in faccia le teste che si sarebbe prodigato a far saltare e poi
tornare in un motel, squallido e disastrato come la sua anima.
Poteva trovare un Sam sul carrello di una cella frigo, o ancor peggio, poteva
trovare un Sam che non volgesse lo sguardo del suo unico occhio ancora buono
verso di lui, né mettesse su quel broncetto tipico del suo Sam, e poteva
non dover agitare quel cucchiaino di plastica ricolmo di gelatina rossa,
richiamando quell’aeroplanino che il Sam di quattro anni aveva adorato e che
forse, se non fosse per la mise di uomo-adulto-e-indipendente-dal-suo-fratellone
che tanto lo fa sorridere, adorerebbe ancora.
Dean ha ancora tutto ciò. Quindi, ha tutte le
ragioni per avere quel sorriso ebete stampato sulle labbra e quell’espressione
di gioia eccessiva in volto.
Ha di nuovo il suo Sammy: non c’è traccia di perdita né di sconfitta.
Fine
___________ - Grazie infinite a Enid per il betaggio lampo e
completissimo! ;) - Come al solito, è stata scritta di getto. Mi rifiuto di
rileggerla. Ugh. - Questa fanfiction nasce dalla Vignette-ficchallenge del gruppo Hurt/Comfort Italia, che ha visto la
creazione di fanfiction brevi, introspettive e “statiche”, concentrate in
un’unica scena e con la quasi totale assenza di movimento dei personaggi.
Se volete partecipare anche voi, la challenge è ancora in corso insieme ad
altre ;)
- Le parole chiave sorteggiate per questa vignette
sono le seguenti: Gelatina, Buca, Perdere
- Ne raccoglierò altre in questa stessa entry man mano che le scriverò.
Consideratele la mia comfort-zone: in questo momento mi sto dedicando ad un
progetto particolarmente impegnativo nonché al sesto ed ultimo capitolo di Double, double thorns and trouble (per gli
amici, la Cactus!fic – che è in ritardo, ma la riprenderò non appena mi sarò
portata a buon punto con il progetto di cui vi parlavo) quindi questa
collezione verrà aggiornata in modo irregolare. ;)
Da un punto di vista puramente logico, Dean non dovrebbe
avere alcun dubbio circa la buona riuscita della cura. In fondo, ci è passato personalmente,
e quale miglior esperienza se non la propria?
Un paio di sorsi di una poltiglia trangugiata d’un fiato e l’improvvisa
scoperta che anche l’inferno può avere un sapore, tutto qui.
Certo, questo se si esclude la violenta rivolta cellulare che sovviene pochi
secondi dopo, che è un po' come se da ogni cellula del corpo si levasse un
profondo grido di protesta mentre il loro DNA viene resettato e portato allo
stato pristino. Questo, in effetti, è lontano dall’essere ‘tutto qui’.
Poi però arriva la liberazione; il ritorno allo stato originario che,
normalmente, si presenta con la forma della cena di ieri, dell’altro ieri, del
mese scorso ed anche quella del Natale del ’91 (patatine fritte e hamburger del
Biggerson’s, con l’aggiunta del dessert da un dollaro, lo ricorda ancora).
Considerato però il loro curriculum recondito di atrocità, Dean oserebbe dire
che la cura per il vampirismo non è poi così male.
Per lo meno, questo era stato il suo primo pensiero quando, anni prima, quel
vecchio figlio di puttana di Samuel Winchester gli porse sotto al muso la tazza
fumante, salvando la vita a lui e, indirettamente, adesso anche a Sam.
La notte scorsa, Dean ha infatti ripescato la vecchia ricetta dalle pieghe
dell’agenda di papà dopo aver fracassato il cranio a quel succhiasangue di
merda che ha osato toccare qualcosa di così intimamente suo come suo
fratello. Un teppista. Un povero coglione probabilmente tramutato in vampiro da
qualcuno più furbo di lui che gli ha propinato il suo sangue come una nuova droga.
Un po’ alla vecchia maniera, insomma – nulla di apparentemente pericoloso per
lui, ma pericolosissimo per Sam, che non ha saputo ignorare lamenti di quel che
credeva un povero ragazzo in overdose (ed è una delle ragioni per cui ha
trovato terribilmente appagante spalmare il suo cervello sul cemento a suon di
martellate).
La pozione l’aveva porta a Sam come fosse qualcosa di sacro.
I canini aguzzi e tremanti di suo fratello, affondati sulle proprie labbra per
non affondare su qualcos’altro, avevano cozzato contro la tazza di latta.
Ha usato le stesse parole di Samuel e forse, ne ha ricalcato involontariamente
anche l’espressione del viso, mentre ha osservato Sam
cadere carponi sul pavimento a rimettere tutto il magro contenuto del suo
stomaco.
Ed è guarito. Ha funzionato.
Dal momento in cui quello stronzo gli aveva sanguinato in bocca, alla purga di
Nonno Samuel non passano neanche due ore. Meno di quante ne erano passate con
lui, figurati se non avesse funzionato!
Perché non avrebbe dovuto farlo, del resto?
Legge l’interrogativo anche nelle palpebre assottigliate di
Sam, ed è qualcosa che non riesce a tollerare.
Nonostante la febbre e il feroce mal di testa (Se è identico al suo, Sam lo
ricorderà per tutta la vita), Sam asseconda le sue ossessioni con disarmante
arrendevolezza.
Niente zanne sotto le labbra, nessuna fame di sangue di simil-maiale, niente fotofobia, niente udito sopraffino – nulla.
Il dito che gli ha bucato sanguina quel che basta sulla cartina al tornasole:
la reazione, è quella più logica.
Suo fratello è umano. Di nuovo umano, come lo è sempre
stato.
Ne ha tutte le conferme del mondo, e può mettere fine alla sua ricerca
spasmodica del contrario.
Tira un sospiro di sollievo, ma qualcosa di vischioso nel suo petto gli
impedisce di restituire all’etere tutta la tensione accumulata. Lo sguardo
fuori fuoco di Sam incatenato sul suo volto non è di aiuto, richiama sussurri
insidiosi sepolti nella mente, e non va bene.
Salva Sam, e se non puoi farlo, allora uccidilo.
Sono passati tanti anni, ma l’eco di quel dubbio continua a fare male.
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- Non
betata - Come al solito, è stata scritta di getto. Mi rifiuto di
rileggerla. Ugh. - Questa fanfiction nasce dalla Vignette-ficchallenge del gruppo Hurt/Comfort Italia, che ha visto la creazione di fanfiction brevi, introspettive e
“statiche”, concentrate in un’unica scena e con la quasi totale assenza di
movimento dei personaggi. Se volete partecipare anche voi, la
challenge è ancora in corso insieme ad altre ;)
- Le parole chiave sorteggiate per questa vignette sono le
seguenti: Ansia, Mani, Tornasole
- Ne raccoglierò altre in questa stessa entry man mano che le scriverò.