Piume sparse

di _Lightning_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ali ***
Capitolo 2: *** Là fuori ***
Capitolo 3: *** Fermo, immobile ***



Capitolo 1
*** Ali ***


 

             ©_Lightning_
 
Genere: introspettivo, sentimentale
Personaggi: Levi Ackermann, Erwin Smith
Contesto: S3
Avvertimenti: Eruri (implicita), drabble
[165 parole]
 
      




 
Lo lascia andare.

Libera le ali abbattute sul prato spoglio della sua schiena, ingabbiate da costole e scapole rotte.
Fremono di penne tinte di scarlatto, a vergare memorie e pensieri altrettanto sanguigni. Ali che non hanno mai sfiorato alcun albero, alcuna nuvola, ma che sono sempre state tese verso l'alto. Hanno sbattuto per troppo tempo in una gabbia arrugginita, troppo piccola, che precludeva loro il cielo – lo stesso ironicamente specchiato negli occhi di chi le porta.
Adesso si dispiegano, agili e ampie, sebbene spezzate. Catturano il vento e oscurano il sole.

Erwin non ha mai volato, in vita sua. Ma Levi sa che spiccherà comunque il volo. E lo lascia andare.

È lui, il Comandante. Deve aprire la strada e segnare la rotta, per il momento in cui toccherà il cielo anche lui, in un giorno non troppo lontano che inseguirà con ogni respiro.
 
Grazie.
 
Gli accarezza l'orecchio, in un frullio leggero di piume che forse è solo un pensiero.
 

 


Note dell'Autrice:

Salve, Lettori! 
Questo è il mio primo, primissimo esperimento su quell'opera meravigliosa che è Attack on Titan, che mi ha scardinato il cuore più o meno diciotto volte o più. Il mio rapporto con questo anime/manga è un po' travagliato: l'ho preso, mollato, ricominciato e messo in pausa svariate volte, sia la serie che il cartaceo, e adesso sono finalmente in pari. Non ho però fatto alcun rewatch previo alla seconda parte della terza stagione... per questo, non mi sento assolutamente ferrata sui personaggi. Questa non vuole essere un'apologia dell'OOC, anzi: se trovate stonature, fatemele notare! La raccolta in sé è nata proprio per fare un po' di pratica con le varie introspezioni, prima di gettarmi, forse, su esperimenti più arditi :')

Ho voluto cominciare da Erwin e Levi, giusto per tenermi sul "sicuro" ♥ (non mi capita spesso di shippare yaoi, ma quando capita qualcuno crepa male di sicuro :D)
Spero di non aver snaturato troppo nessuno dei due, e spero lascerete un commento per farmi capire come "ingranare" con i vari personaggi! Comunque, i 
pomodori sono lì nell'angolo nel caso vi fosse bisogno.
Alla prossima,


-Light-

 

 

 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.
Questa storia è scritta senza scopo di lucro.


©_Lightning_

©Hajime Isayama
 

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Capitolo 2
*** Là fuori ***



             ©_Lightning_
 
Genere: introspettivo, angst
Personaggi: Reiner Braun, Bertholdt Huber, Falco Grice (menzione)
Contesto: S4 – Ep.3
Avvertimenti: ReiBert (implicita), flashfic, trigger!suicidio
[453 parole]
 
      




La libertà è lì dentro, racchiusa in quel cunicolo buio e metallico sporco di polvere da sparo, premuta contro un bossolo pronto a partire.

Così gli hanno insegnato, sin da quando sa tenere in mano un'arma: tanti, troppi anni passati a calpestare sogni e bugie.

La libertà è nella canna di un fucile. Va presa tra due dita, caricata e lasciata partire, con gli occhi fissi sull'obiettivo, per far esplodere fuochi rossi all'altezza del cuore. Per proteggere – bugia – per redimersi – bugia – per reclamarsi al mondo – bugia. Per gridare, assieme a ogni sparo "io sono qui". Anche se lui non c'è mai stato davvero – e soprattutto per quello.

Per vivere. Per vivere. È lì anche lei, nella canna di quel fucile. La vita.
La vita è lì dentro, oltre l'amaro del ferro premuto sul palato, oltre la scia salata che gli tappa il naso, schiacciata da oblio e saliva e bugie. A un tiro di grilletto da lui.

È lì dentro.

 

Il fischio di un merlo, da fuori; un gorgheggio di note lievi.
 

È lì dentro.
Sbarra gli occhi, umidi di pressione e asfissia.

 

Un filo di vento si intrufola da uno spiraglio e si tende sulla sua nuca madida.
 

È lì dentro.
Contrae il pollice. Un respiro raschia contro il metallo.

 

Sferragliare di ruote e pistoni, un raggio di tramonto che brucia il pavimento, l'odore di frittelle appena cotte che gli solletica le narici.
 

Assaggia il rancido della polvere da sparo.
È lì dentro.
Reiner ingoia ferro e paura.

 

Un grido improvviso, di rabbia e pianto.
Una vibrazione netta viaggia contro il muro e spezza il tempo a metà.

 

È là fuori.
 

Reiner si ferma, e il mondo tace.
 

“Oltre le mura e il mare.”
 

Reiner non respira. Il suo cuore salta, ricade di schianto, inciampa su se stesso.
 

“Casa. È ancora là fuori.”
 

Sputa fuori un respiro e l'aria gli aggredisce i polmoni, li assedia d'ossigeno e frescura – pizzica appena la lingua con un sentore di libertà sfiorata.
 

Un sospiro stremato arriva fino a lui, soffocato dai rumori della città, e lo scalpiccio di passi stanchi risuona all'esterno.
 

Aggrappa una mano alle sbarre e si affaccia sul mondo, che scorre come ogni altro giorno. Vede la figura minuta e ricurva di Falco in lontananza.
Lo vede andar via – si vede andar via.

Ombre sbiadite lo attorniano, danzano nella luce del tramonto, coi calzoni al ginocchio e una cartella sulle spalle. Quella più alta gli si accosta, gli sferra un pugno amichevole sulla schiena.

Ne sente il fantasma tra le scapole, gli scivola lungo le vertebre in un brivido tiepido.
 

“È là fuori.”
 

Quella voce, lontana, risuona di casa, e libertà, e vita.
E Bertholdt, Reiner lo sa, non gli ha mai mentito.

 E Bertholdt, Reiner lo sa, non gli ha mai mentito

 


Note dell'Autrice:

Ciao, ho finito il rewatch di AoT e sto sotto a un treno di feels difficili da digerire. E ho capito che, sì, Reiner è decisamente il mio personaggio preferito di tutta la serie, lati oscuri inclusi. Fight me.
E quale modo migliore di inaugurare l'amore per un personaggio, se non con una bella introspezione inerente a un tentato suicidio? :D Scherzi a parte, dato il tema delicato, ci ho messo tutto l'impegno possibile nel non snaturare la scena.

L'impaginazione mi rendo conto sia un po' ostica, ma a sinistra ci sono i pensieri e le azioni di Reiner, a destra ciò che avviene all'esterno, incluse le azioni di Falco, e al centro "Bertholdt" (o meglio, il suo ricordo) che parla. Shippo apertamente ReiBert, ma qui il rapporto è interpretabile come preferite :)
Spero sia risultato comprensibile, e sarò felice se vorrete lasciare un voto e/o un commento per farmi capire cosa vi è piaciuto ♥ Un grazie infinito alla mia Guascosa Miryel per il feedback preziosissimo ♥

Alla prossima secchiata d'angst,

-Light-

P.S. Uso la grafia tedesca più antiquata per il nome di Bert – quindi Bertholdt Huber e non Bertolt/Berthold (comunque esistenti) Hoover/Fubar.

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Capitolo 3
*** Fermo, immobile ***


  

             ©_Lightning_
 
Genere: introspettivo, malinconico
Personaggi: Bertholdt Huber, Reiner Braun (menzione)
Contesto: S1 (vago)
Avvertimenti: one-shot, headcanon
Bonus: Colonna sonora-> Little One

[832 parole]
 
      


















È tutta la vita che Bertholdt cammina rimanendo fermo.

Si sente sempre qualcosa attaccato ai piedi, sotto la suola delle scarpe. Un’ombra, che si allunga e deforma senza mai cambiare peso. Sa che è quella, a zavorrarlo – a rendere ogni suo gesto e movimento e passo molto più lenti di quanto non vorrebbe. Come se fosse sempre, costantemente nel corpo del Colossale, schiacciato da migliaia di tonnellate di carne fumante e ossa.

Eppure, non è quel mostro a pesargli nei piedi, addensandogli l’anima nei talloni. Non c’è la forma del Colossale, nell’ombra che lo segue passo passo.

È il Bertholdt bambino che ha lasciato indietro, ad artigliarsi alle sue caviglie. Per frenarlo. Per farlo voltare.


Girati, guardami. Guardami.


Non è sempre la sua voce, a chiamarlo. A volte è la voce dell’uomo impiccato. A volte è la voce di suo padre.


Guardami, Bertholdt. Guardami.


Bertholdt non si volta, mai. Non vuole vedere se stesso fermo, immobile, al capezzale di un ammalato. Non vuole vedere la pelle diafana di suo padre, sottile come carta di riso attraverso la quale si possono veder pulsare le vene.

A volte è l’uomo impiccato ad avere la voce di suo padre. E quelle sono le volte in cui nei sogni corre, corre a perdifiato, coi passi che tuonano come quelli del Colossale. Non vuole vedere gli occhi neri dell’uomo appeso, col volto divorato dal rimorso e gonfio d’ipossia, irriconoscibile – potrebbe essere il volto di chiunque, di chiunque.

Non si volta mai. Non ha niente da offrire a nessuno di loro.

Né al bambino che ha sacrificato tutto se stesso, colmo di speranza, per una causa in cui ha finito per credere, ma che non è mai stata il primo motivo per cui combatteva. Né a suo padre coi polmoni corrosi dalla malattia, ancora fiero, ma con l’animo colmo di fiele per aver affidato suo figlio a un destino incerto. Né tantomeno all’uomo impiccato – quel padre vinto dal rimorso, con figli ormai perduti che ha lasciato indietro – a lui non può più offrire nulla, nulla.


Girati, Bertholdt. Guardami.


È l’uomo impiccato, è se stesso bambino, è suo padre – non l’ha mai guardato negli occhi, quando era allettato, non ha mai voluto mostrargli la paura che si portava nelle pupille ogni volta che gli era accanto, né vedere quella annidata nelle sue. È un morbo contagioso, la paura, più di qualunque tubercolosi: ti segue viscida e ti trattiene il cuore nel palmo con dita scheletriche. Basta un'occhiata per farla radicare in fondo al petto, per vedere  lo spettro di un’altra persona invece del proprio padre, del proprio figlio.


Pa’, quando diventerò un Guerriero ti farò portare al mare, al sole. Guarirai, promesso.


Ricorda ancora la sua mano impacciata racchiusa nella sua stretta salda, nonostante fosse ormai pelle e ossa, una pergamena incartapecorita di vene, calli e tendini. Il sorriso così sottile da sembrare una spaccatura sul volto cereo, che conservava comunque due chiazze rossicce e ilari sugli zigomi, memoria di risate roboanti e di qualche bicchierino di troppo. Le ciglia d’inchiostro che sfarfallavano stanche, a schermare il verde delle iridi.


Fa’ quello che devi, Bertl, ma sii sempre un guerriero, mi hai capito? Sempre, non solo per me.


Bertholdt aveva annuito, senza capire del tutto, donandogli solo uno dei suoi rari, schivi sorrisi spontanei. Dubita di aver capito davvero anche adesso che è in battaglia, se una parte di lui è ancora ferma, immobile di fianco a quel letto, con una mano ancorata a quella debole, eppure salda di suo padre. I suoi piedi sono sempre inchiodati lì, dove non c’è nulla da cui possa davvero fuggire – niente Giganti, né spari, né demoni. Sa solo che quello è il suo posto – sono i suoi posti, dove nessuno può vederlo.


Bertholdt, guardami.


Non sa chi glielo stia chiedendo, adesso. Ma teme comunque di vedere la propria paura riflessa in occhi altrui. Abbassa gli occhi, china il capo.

«Bert! Ehi, sei qui?»

La mano ampia e ferrea di Reiner si posa sulla sua spalla, fa pressione. Lo schiaccia contro la sua ombra, e quella sembra allentare la stretta feroce sui suoi piedi. Alza lo sguardo, intercettando per un istante quello interrogativo del compagno, coi riflessi d'ambra infiammati dai raggi solari, ma lo rifugge subito, ritroso. Si sente riportare alla realtà.

Il sole sta calando oltre le colline aride che accerchiano il cratere del campo d’addestramento. Dall’interno della baracca del refettorio arriva l’acciottolio vivace di stoviglie e posate, il vociare soffuso degli altri soldati – demoni. Fuori risuona il tintinnio delle attrezzature per i dispositivi di manovra, mosse da pigre folate come sonagli a vento malinconici. Liberio torna a essere un miraggio tremolante.

«Sì,» risponde, con un cenno del capo. Socchiude gli occhi a quella mezza bugia. «Sono qui.»

Fermo, immobile. Accanto a chi ama, in mezzo alla morte. Ancora un Guerriero, sempre un Guerriero, nonostante tutto. Qui e altrove.

Reiner annuisce in silenzio. Gli rivolge il sorriso poco convinto di chi è abituato a mentire spesso e sa vedere oltre il velo sottile di una bugia altrui. Una pacca sulla schiena suggella la fine del discorso e allo stesso tempo una muta comprensione. Rientra senza aggiungere altro, lasciandolo solo nell’oro rosso e liquido del tramonto. Il sole morente stiracchia le ombre verso l’orizzonte, dove i suoi occhi si appuntano spesso, creando finestre da aprire col cuore.


Guardami.


Uno sguardo fugace, un battito di ciglia nere, pozzi verdi boschivi, brillanti. Poi Bertholdt dà le spalle alle mura e al sole, la schiena diritta, i piedi pesanti ma agili, le falcate ampie. La sua ombra si allunga dietro di lui, colossale.

Riprende a camminare, ma non si è mai mosso da lì, da casa.

 
 E Bertholdt, Reiner lo sa, non gli ha mai mentito

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
suvvia, dopo aver affrontato Reiner, non potevo certo lasciare da parte Bert, no?
In realtà queste sono due shot "preparatorie" studiate per prendere confidenza coi personaggi, prima di affrontarli insieme in un progetto che, molto probabilmente, esulerà da questa raccolta *spamspamspam*

Spero che la resa di Bert sia risultata convincente ♥ Nei suoi silenzi, è un personaggio che dal punto di vista introspettivo offre moltissimo, ma il rischio di snaturarlo è dietro l'angolo, quindi ogni critica o appunto è bene accetto!
Ah, e se volete buttare via il cuore, ho allegato la colonna sonora con cui l'ho scritta lassù :D
Ringrazio di cuore la mia Guascosa Miryel per aver fatto da prima lettrice, oltre che per avermi permesso di usare la sua fanart meravigliosa come banner del titolo ♥ Andatela a mipiacciare si instagram, dannati! *voce di Shadis* -> miryartefp

 
Grazie a chiunque abbia letto fin qui, e a tutti coloro che hanno commentato/votato la storia, qui o su Wattpad ♥ Il vostro riscontro è prezioso!
Alla prossima, ovviamente con altro angst,

-Light-

 

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