1802 di lady lina 77 (/viewuser.php?uid=18117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci - Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Dwight
Enys, a cavallo, galoppava a ridosso della scogliera in quel tratto
di mare e terra dove mancava da quasi cinque mesi. Da quando era
partito per la Francia con Ross Poldark era stato animato da due
sentimenti contrastanti e difficilmente conciliabli: il desiderio di
accrescere la sua conoscenza medica sulle malattie mentali e la
voglia di tornare a casa da sua moglie.
Aveva
appreso molto dal dottor Pinel durante il suo soggiorno parigino e
allo stesso tempo assieme a Ross aveva svolto lavori di spionaggio
per la corona e ora, entrambi, stavano tornando a casa con un lungo
resoconto sul
riarmamento delle
truppe di Bonaparte da portare a Wichman. Ma per non dare
nell'occhio, era stato stabilito che partissero in due tempi diversi
e così lui si era portato avanti, lasciando Ross a Roscoff
per altre
tre settimane a redarre il resoconto che poi un uomo di fiducia
avrebbe portato a Londra.
Prima
di partire Ross aveva chiesto all'amico di andare a Nampara, per
prima cosa, per accertarsi che Demelza stesse bene e per darle un
supporto medico circa la gravidanza ormai avanzata e Dwight, ridendo,
aveva chiesto se questo dovesse essere fatto prima di andare a far
visita a sua moglie e l'amico, serio come non mai, aveva detto
'ovviamente'.
Non
che lo avesse preso sul serio ma giunto a casa sua, dopo aver
galoppato come un forsennato dal porto, aveva scoperto che quel
pomeriggio Caroline era uscita ed era andata proprio a Nampara a far
visita a Demelza. In effetti non era atteso e il giorno del suo
ritorno era stato annunciato in modo vago nelle sue lettere e quindi
era fattibile e normale che Caroline non rimanesse in casa tutto il
giorno in sua attesa.
E
così, volente o nolente, sarebbe stata proprio Nampara la
prima
tappa del suo ritorno in patria.
Quando
giunse a Nampara, una piacevole brezza e un tiepido cielo azzurro
quasi primaverile lo accolsero. L'inverno stava finendo e la
primavera stava fiorendo in tutto il suo splendore e anche quelle
coste fredde e spesso sferzate dal vento sembravano gridare con gioia
alla bella stagione.
Dwight
scese da cavallo e fu Prudie, nell'aia a dar da mangiare alle galline
seguita da Garrick, che lo vide per prima.
La
serva spalancò gli occhi, lo guardò come si
guarda un fantasma e
poi con lo sguardo si mise alla ricerca di qualcun altro. "Giuda...
Siete tornati?! Adesso? E il signor Ross?" - chiese in sequenza,
allarmata.
Dwight
smontò da cavallo, sorridendole. "Sono tornato solo io per
ora,
Ross, per non destare sospetti sulla nostra collaborazione,
tornerà fra tre settimane. Sono stato a casa e mi hanno
detto che
mia moglie è quì, sono venuto a riprenderla e a
porgere i miei
saluti a Demelza, insieme a un messaggio di suo marito".
Prudie
balbettò qualcosa e poi corse dentro casa. "Signora,
signoraaaaa!!!".
Dalla
porta sbucò la testolina bionda di Clowance e appena lo
riconobbe,
la bambina gli
corse incontro
urlando.
"Zio Dwight, zio Dwight!!! Mammaaaaa, c'è zio Dwight!".
Gli
volò in braccio e il medico si accorse che era cresciuta di
qualche
centimetro e di peso e che scoppiava di salute. Era una bellissima
bambolina Clowance, forse la bimba più bella della zona e
Ross
sarebbe stato estasiato dal rivedere la sua principessina... "Hei
Clowance, sono davvero contento di vederti".
La
bimba lo abbracciò. "C'è il mio papà?".
Spiaciuto
di doverla deludere, Dwight le accarezzò i boccoli biondi. "No,
ma tornerà fra pochi giorni. Per ragioni complicate che ci
inventiamo noi grandi, non potevamo viaggiare insieme".
La
piccola sembrò triste
ma Dwight le fece il solletico sulla pancia facendola ridere e poi la
rimise a terra.
E
in quel momento Caroline, vestita con un elegante abito blu
all'ultima moda, i capelli raccolti e il fido Horace in braccio,
comparve con Demelza alla porta di Nampara.
Gli
occhi di sua moglie brillarono e per un attimo Dwight si
immaginò
che forse per una volta avrebbe dato vita a un momento romantico e
per nulla cinico. Insomma, mancava da mesi, si meritava un
pò di
romanticismo e anche Caroline sicuramente...
La
donna gli si avvicinò di alcuni passi con una espressione
indecifrabile e infine, dopo avergli dato un leggero pugno sulla
pancia, lo abbracciò. "Dottor Enys, stai per caso
sperimentando
come curare gli infarti facendomene venire uno?".
Dwight
rise, era Caroline, sarebbe SEMPRE stata Caroline,
cosa si aspettava di diverso?
"Un 'Mi sei mancato' sarebbe stato più romantico".
"Ohhh,
romantico un corno! Mi hai lasciata sola per mesi, mi sono dovuta
consolare facendo compere come se non ci fosse un domani e ora vuoi
pure romanticismo?".
"Certo".
"E
magari un abbraccio?".
"Certo".
"E
magari un bacio?".
"Ovviamente".
"Cinque
mesi, dottore...".
"Perdonami"
- le disse baciandole prima la mano e poi le labbra
quando lei lo raggiunse e poté sentire il suo profumo
inebriante
nelle narici. Le era mancata come l'aria...
"Mi farò perdonare".
Caroline
lo abbracciò di nuovo. "Ti conviene, dottore".
Demelza
li lasciò soli per alcuni istanti prima di avvicinarsi con
Clowance
e Prudie. La sua gravidanza era avanzata, era ormai al settimo mese e
il piccolo che portava in grembo non sembrava tanto piccolo, viste le
dimensioni del suo ventre. "Dwight..." - sussurrò
emozionata, contenta di averlo lì anche se inaspettatamente.
Era
tornato e forse anche Ross...
Il
medico la abbracciò e poi la fissò con sguardo
clinico. "Sei
radiosa, ti trovo davvero in forma".
Demelza
si accarezzò il ventre. "Molto in forma, sembro una sfera".
"Significa
che va tutto bene, Ross era davvero molto in ansia per la tua
gravidanza".
A
quelle parole, Demelza divenne seria. "Lui non c'è? Nelle
sue
lettere era molto evasivo e anche se so che non poteva dire troppo,
non sapere come sta realmente e quando tornerà mi ha messa
davvero a
dura prova".
Dwight
le accarezzò il viso. "Purtroppo come puoi immaginare, non
potevamo farci vedere a partire insieme, al momento è a
Roscoff a
compilare scartoffie da inviare a Londra, ma sarà a casa fra
al
massimo tre settimane".
"Sta
bene?" - chiese Demelza.
Dwight
le strizzò l'occhio. "Benissimo, in salute e tutto intero.
E'
quasi diventato accorto e saggio, ci crederesti?".
Caroline
rise. "Neanche un ossicino rotto? Santo cielo Horace, Ross
Poldark sta diventando vecchio".
"Si
dice saggio, mia cara" - la corresse il marito prima di
riabbracciarla.
Demelza
lo invitò ad entrare per prendere un té
e Dwight, stanco per la cavalcata, acconsentì con piacere
anche se
non vedeva l'ora di andare a casa per stare con sua moglie.
Si
sedettero accanto al camino acceso e nell'ora successiva Dwight
raccontò del viaggio, dei pericoli corsi e di quelli
evitati, di
Ross, del cibo
francese,
del suo lavoro, del clima e della qualità dei loro alloggi.
Era
incantevole sentirlo parlare con quell'entusiasmo e tutti risero
quando parlò dell'ansia di Ross circa la gravidanza di sua
moglie.
Demelza
sospirò, divertita ed intenerita. "Ross non ha mai avuto un
buon rapporto con le mie gravidanze. E' sempre così ansioso".
Dwight,
sorseggiando il té, le sorrise. "Temo sia un difetto di
tutti
gli uomini innamorati".
Caroline
lo bloccò. "Oh quante smancerie dottore! Vuoi o no
raccontarci
anche delle donnine francesi? Non mi dire che non hai mai allungato
l'occhio o io stessa ti darei del folle.
O del prete bacchettone!".
Dwight
la baciò. "E allora sono folle!".
Poi le lanciò uno sguardo malizioso... "Ma non un prete...".
Demelza
sorrise ancora guardandoli, guardando
l'amore, sentendo
forte la nostalgia di Ross e la
tristezza
che non fosse lì anche lui. Ma mancava poco...
Prudie
e Clowance portarono dei biscotti e guardandosi attorno, Dwight si
accorse che mancava qualcuno. "E Jeremy? Dov'è?".
Clowance
sbuffò. "Fuori, coi suoi amici, a pescare in spiaggia. E non
mi
vuole, non vuole nemmeno Mary Lennex".
Demelza
guardò verso la finestra. "Adora pescare e con gli altri
bambini della sua età si diverte a farlo, la considera la
sua
missione per contribuire all'economia domestica ora che Ross non
c'è.
E ovviamente quando è coi suoi amici, non vuole la sorella
fra i
piedi".
Dwight
accarezzò la testolina di Clowance. "Sono certo che resti la
sua preferita".
"E
poi" - intervenne Caroline - "Non ti perdi niente, gli
uomini quando sono in gruppo tendono a diventare stupidi".
Dwight
occhieggiò la moglie, gustandosi quell'aria di casa e
famiglia che
tanto gli era mancata. "Chi è Mary Lennex?".
Demelza
rise. "Oh, la piccola innamorata di Jeremy! Ha dieci anni, è
figlia di un sarto di Sawle e adora mio figlio. Dovresti vedere come
lo guarda quando si incontrano e a lezione da Rosina... Fanno
così
tenerezza".
Dwight
rise, il tempo scorreva e i bambini crescevano. "E non sei
preoccupata?".
Demelza
scosse il capo. "No, ha solo undici anni, credo che a parte
qualche sguardo sognante, non ci sia nulla di preoccupante da temere.
Per almeno qualche anno...".
Dwight
ridacchiò.
"Che
c'è? Perché ridi?" - chiese Demelza.
"E'
il figlio di Ross, un Poldark. Fossi in te non sarei così
tranquillo...".
Caroline
gli diede un'altra pacca. "Santo cielo, ti sembrano cose da dire
a una donna incinta?".
Dwight
si alzò dalla sedia, toccando la pancia di Demelza. "Mi
sembra
che tutto proceda bene e che Ross abbia ottimi motivi per stare
tranquillo. Per quanto riguarda Jeremy e la sua spasimante,
sicuramente suo
padre quando lo saprà,
sarà orgoglioso. Tu invece Demelza, tieni gli occhi
aperti...".
"Giuda...".
Clowance,
stanca di quei discorsi
tutti su suo fratello,
sbuffò. "Papà mi porterà un regalo?".
Dwight
annuì. "Ovviamente".
"E
a Jeremy?".
"Ovviamente".
"E
a mamma?".
"Ovviamente".
La
bimba toccò il pancione col ditino della mano. "E a questo
quì?".
"Ovviamente"
- rispose ancora Dwight, eruppendo in una ennesima risata.
Demelza
strinse a se la sua bambina, sperando di vivere a breve le stesse
emozioni col ritorno di Ross. Gli mancava così tanto e anche
se
aveva cercato di essere forte, sentiva il bisogno di averlo vicino,
di appoggiarsi a lui, di stringerlo, di sentire l'odore della sua
pelle e il sapore dei suoi baci. "Sta davvero bene? Sta davvero
tornando?".
Dwight
le accarezzò la mano. "Sta bene e non ha avuto pensieri che
per
te. Tornerà presto, tornerà anche prima di quel
che pensi".
Con
gli occhi lucidi, Demelza lo abbracciò. "Grazie".
Dwight
le accarezzò la schiena. "E ora su, al piano di sopra. Devo
tenere fede a una promessa prima di andare a casa".
"Non
vorrai davvero visitarmi?".
"Certo
che sì".
Caroline,
dal divanetto, sbuffò. "Fallo Demelza o mi darà
il tormento da
medico represso tutta la sera e io avrei altri piani...".
"Quali
piani?" - chiese Clowance, curiosa.
Demelza
e Dwight avvamparono ma Caroline non si scompose minimamente. "Lo
scoprirai fra qualche anno...".
Dwight
sospirò, eccola la sua cinica, amata, esplosiva Caroline.
Era a
casa, era finalmente a casa...
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
"E
allora mia cara, che è successo durante la mia assenza?" -
chiese Dwight appena, finalmente, furono soli in camera loro dopo una
lauta cena cucinata in fretta e furia dalla cameriera più
fidata di
Caroline. Era stato tutto delizioso e non era certo che il merito
fosse solo dell'ottima cucina della cuoca scelta da sua moglie
raffrontata al cibo di quart'ordine mangiato spesso in Francia, era
proprio essere a casa, lì, a sentire il profumo di famiglia
che
rendeva tutto buono e dolce come il miele.
Caroline
rise, slacciandosi un bottone del vestito. "Oh dunque... Due
mesi fa Demelza, incinta, ha aiutato Bessie Smith a partorire. E
l'ascesso della signora Tinghell è guarito e il suo dente
è salvo.
I bambini dei Tiggs hanno avuto lo scorbuto e io e Demelza abbiamo
riempito la loro casa di arance per tutto l'inverno e poi...".
Dwight
rise, si avvicinò e la bloccò baciandola.
"Intendevo cosa è
successo a te! Ai miei pazienti ci penserò domani".
Caroline
lo fissò, maliziosa. "Oh, quindi l'ascesso della signora
Tinghell non è stato il tuo primo pensiero in terra
francese?".
"Il
secondo... Il primo eri tu".
Soddisfatta,
Caroline si sbottonò un altro bottone del vestito. "Oh beh,
io
mi sono... divertita a volte. Ho giocato a dadi con alcune amiche e a
volte ho vinto e a volte ho sfiorato la povertà, poi ho
aiutato
Demelza in tutte le attività in cui vuole sentirsi
coinvolta, ho
giocato ovviamente con Horace, mi sono annoiata e ho ovviato alla
cosa facendo compere e... E poi basta, dopo tutto sono una donna
frivola!".
Dwight
la baciò ancora era frivola e assolutamente irresistibile.
"Molto
frivola...".
Lei
si avvinghiò a lui, cingendogli le spalle con le braccia. "E
tu, dottore? Che hai combinato?".
Dwight
si allentò la camicia, facendole notare un grosso livido
sotto la
spalla. "Mi sono quasi rotto una costola".
Caroline
per un attimo sembrò entrare in allarme. "Ti sei cacciato in
qualche guaio pericoloso, spinto da Ross Poldark?".
Dwight
rise, pensando a quanto stupido fosse stato il suo infortunio. "In
realtà sono scivolato dalle scale dell'osteria che mi
ospitava a
Parigi. Erano piccole, malmesse, era mattino presto e c'era poca luce
e sono caduto a terra come un cencio vecchio".
Caroline
scoppiò a ridere, di cuore. Poi tornò a indossare
uno sguardo
malizioso e con un gesto sensuale avvicinò le sue labbra al
livido,
baciandolo sulla pelle in un modo che fece sentire Dwight sull'orlo
dell'estasi. "Che cosa poco virile, dottor Enys! Avrei
preferito ti fossi ferito durante un combattimento corpo a corpo con
un gendarme napoleonico" - sussurrò, con la bocca contro il
suo
petto.
Dwight,
col fiato corto, affondò le mani fra i suoi capelli biondi.
"La prossima volta" - sussurrò, baciandole prima
il capo e poi il collo.
Caroline
si stiracchiò come una gatta, coinvolta da quelle attenzioni
che le
erano mancate come l'aria. "Sono contenta che tu sia quì".
Dwight
la strinse a se. "Anche io. Mi sei mancata! Sarebbe tutto
perfetto se anche Ross fosse quì con la sua famiglia.
Demelza sta
bene ma sembra stanca e sta affrontando tutta la gravidanza da sola.
Ross era molto in ansia per questo...".
Caroline
si fece seria. "Demelza è forte, lei c'è sempre
per tutti.
Sarebbe ora che QUALCUNO venga ad esserci anche per lei".
"Ross
sarà quì presto" - la rassicurò Dwight.
"Sarà
meglio per lui...". Poi Caroline avvicinò le labbra a quelle
del marito, finché i loro fiati si mischiarono. "Ma ora,
dobbiamo per forza parlare dei Poldark?".
Dwight
catturò le sue labbra. "No, decisamente no".
Erano
stati lontani a lungo, tanto dolore li aveva divisi prima
della partenza, c'era
una culla vuota che Dwight voleva assolutamente riempire ed era certo
che lo volesse anche Caroline. Ma prima di questo, voleva di nuovo
respirare, vivere, immergersi in sua moglie.
Con
frenesia si spogliarono e crollarono sul letto che a Caroline troppo
a lungo era sembrato freddo e vuoto.
E
il resto del mondo smise di esistere.
...
Nel
letto, in una stanza illuminata dalle candele, circondata dai figli e
con ai piedi Garrick, Demelza ripose il libro che aveva appena letto
ai bambini. Anche se stavano crescendo, amava quel genere di
passatempo serale con loro, soprattutto quando Ross non c'era e
all'imbrunire la nostalgia diventava difficile da combattere.
"Mamma,
papà torna davvero fra pochi giorni?" - chiese Jeremy che al
ritorno dalla pesca era stato felicissimo di rivedere Dwight.
Demelza
annuì. "Poche settimane, amore mio". Era consapevole che a
Jeremy suo padre fosse mancato tantissimo e spesso si era trovata
preoccupata per il rapporto fra i due ora che suo figlio non era
più
così piccolo da non fare domande.
"E
ci porterà i regali!" - esclamò Clowance, stretta
alla sua
bambolina dai capelli rossi.
Demelza
annuì, accarezzandosi il pancione dove il figlio minore,
come ogni
sera, aveva preso ad agitarsi dandole infiniti calci.
Clowance
rise, appoggiando la manina sul suo ventre. "Anche lui o lei
aspettano i regali di papà!".
"Può
darsi!" - rispose Demelza. "Però la cosa più
bella è
averlo a casa, anche senza regali".
Clowance
non sembrò molto convinta. "Ma coi regali, è
meglio!".
"Mamma?"
- la chiamò Jeremy.
"Dimmi".
"Perché
papà sta sempre lontano da casa? Non gli piace stare con
noi?".
Quella
domanda in un certo senso la ferì perché in
passato era successo
tanto, c'erano state ferite profonde inferte fra loro e la lontananza
era stata la cura necessaria a guarirle... Ma questo non poteva
raccontarlo ai bambini, non avrebbero capito e ormai quelle ferite
erano scomparse e il motivo che portava Ross lontano era tutt'altro.
"Jeremy, tuo padre ci ama più di qualsiasi altra cosa e
quando
è via, non pensa ad altro che al momento in cui
potrà
riabbracciarci tutti".
"E
allora perché?".
Gli
accarezzò i capelli, quei boccoli tanto simili a quelli di
suo
padre. "Perché tuo padre è un uomo eccezionale,
unico, un
eroe... E ad uomini così spettano compiti importanti, che
solo in
pochi possono portare a termine. E ci manca quando non c'è,
ma
dobbiamo solo essere orgogliosi di lui e di quello che fa".
Clowance
la fissò, curiosa. "E che fa?".
Demelza
strinse a se i bambini. "Quello che aveva promesso per i suoi
figli quando è nata vostra sorella Julia, rende il mondo un
posto
migliore per voi, per quando sarete grandi".
Jeremy
rimase un attimo in silenzio, pensieroso. "Io sono bravo quando
lui non c'è? Sono bravo come lui?".
"Certo!
Anzi, spesso sai anche essere più galante".
Jeremy
rise. "Glielo dirai a papà quando torna? Che sono stato
bravo?".
Demelza
lo strinse a se, comprendendo il desiderio di Jeremy di essere
apprezzato da Ross. Quando era nato, suo marito era stato
emotivamente lontano da suo figlio ed ora era come se il bambino lo
percepisse e tentasse di ottenere, con la sua approvazione, la
ricucitura definitiva di quello strappo. "Certo! E lui sarà
fiero di te".
"E
di me?" - intervenne Clowance.
"Anche
di te".
"Da
grande sarò anche io un eroe?" - domandò ancora
Jeremy.
"Sono
sicura di sì!".
"Come
papà?".
Demelza
sorrise dolcemente. "Se c'è una cosa che mi auguro per te,
è
che tu diventi come lui. E so che lo farai, che sarai un grande uomo,
gentile, buono, che lotterà per le cose giuste e
saprà amare la
donna fortunata che avrà la fortuna di averti".
Era davvero il più grande augurio che potesse fare a suo
figlio
perché Ross era un uomo a volte complicato, a volte
sfuggente,
spesso fumantino, ma era buono, aveva un animo a suo modo candido e
sì, aveva sbagliato e le aveva spezzato il cuore il passato
e lei
aveva fatto altrettanto con lui, ma era stato proprio tramite questi
errori che avevano capito di appartenersi e avevano scelto di lottare
per loro e per stare insieme, invece che separarsi. Nessuno sarebbe
stato ai suoi occhi come Ross, mai, nessun poeta, nessun
aristocratico, nessuno. E sapeva che per Ross era la stessa cosa e
che nessuna ai suoi occhi sarebbe mai stata come lei.
Incurante
di quei pensieri, Jeremy ragionò sulle parole della madre. "Io
sposerò Mary
Lennex?".
"Non
lo so Jeremy. Lei... O un'altra! Sei ancora piccolo, chissà
cosa ti
riserverà il futuro".
"Ma
io voglio sposare Mary
sul serio!".
Gli
diede un pizzicotto sulla guancia, dolcemente. "D'accordo!
E allora perché oggi hai preferito uscire a pesca coi tuoi
amici
invece che stare con lei?".
Jeremy
rise, come se sua madre avesse appena chiesto una cosa ovvia. "Ma
dai, è una cosa da maschi!".
"Io
so pescare!" - lo corresse sua madre.
"Ma
tu sei la mamma! Sai fare tutto".
"Anche
Mary! Esci a pesca con lei e lo scoprirai!".
Jeremy
sbuffò. "Va bene, qualche giorno la porterò con
la nostra
barca".
Clowance
si mise seduta, ritta come un fusto. "Vengo anche io!".
Demelza
la spinse scherzosamente sul letto. "No, non si va coi
fidanzatini". Insomma, anche se erano bambini
Jeremy
e Mary meritavano la loro privacy e per ora era meglio non pensare ai
discorsi sull'amore fatti da Dwight poco prima
e sul fatto che dovesse stare all'erta. Anche se aveva deciso di
chiedere a Ross di fare un discorso sull'amore al figlio, appena
fosse tornato a casa.
Clowance
si imbronciò. "E allora io vado con papà, quando
torna".
"Ottima
idea" - la tranquillizzò Demelza. Poi spense le candele, si
stava facendo tardi... "E ora, a nanna!".
"Ma
il fratellino in pancia, scalcia ancora" - fece notare Clowance.
Demelza
sospirò. "Smetterà e dormirà anche
lui".
Jeremy
rise. "A papà farà ridere sentire i calci che
da!".
Il
cuore di Demelza si strinse al pensiero di Ross. Era così
lontano e
aveva perso tanto dei suoi figli ed era certa che ne stava
soffrendo... Eppure, erano due cuori e un battito, come si erano
detti alla partenza... Ed era certa che in cuor suo poteva sentire
tutte le emozioni che lei viveva sulla sua pelle attraverso i loro
figli. Mancava poco, era stanca e aveva bisogno di lui ma sarebbe
stata forte finché non lo avesse riabbracciato.
"Buona
notte, mamma" - sussurrarono i bambini.
E
lei si sentì in pace col mondo, nonostante tutto,
quando Jeremy iniziò a canticchiare la ninna nanna che lo
tranquillizzava da piccolo e che anche il bimbo in arrivo sembrava
apprezzare...
Il
silenzio calò poi e lei, prima di addormentarsi, si
sentì la donna
più fortunata del mondo.
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Alla
fine non ce l'aveva fatta ad aspettare tre settimane e dieci giorni
dopo Dwight, dopo aver finito di compilare le scartoffie da affidare
al suo messo per essere portate a Londra, Ross si era imbarcato e da
Roscoff aveva raggiunto finalmente l'Inghilterra.
Giunto
a terra, dopo aver dato le ultime istruzioni al suo
uomo di fiducia, aveva noleggiato un cavallo ed era partito a spron
battuto verso la sua terra, verso casa, verso la sua famiglia...
Ross
era sempre stato, negli anni, un uomo amante del rischio, poco
avvezzo alle regole, parecchio attratto dai pericoli e sempre
desideroso di vivere nuove emozioni ma stavolta quei cinque mesi
lontani da casa gli erano pesati. Forse era l'età, forse
stava
finalmente maturando o forse semplicemente avrebbe voluto stare a
casa con sua moglie e i suoi figli a godersi l'attesa del nuovo
bambino in arrivo, dopo i tumultuosi avvenimenti che l'avevano visto
coinvolto prima della sua partenza coi francesi, con Tess e con tutto
il macello che ne era conseguito. Tante volte aveva messo in ansia i
suoi cari e forse in passato se n'era curato poco ma ora era diverso
e quei cinque mesi erano stati così carichi di ansia e
preoccupazione per chi aveva lasciato a casa... Era stato attento,
non aveva cercato i pericoli e quando erano stati inevitabili, si era
mosso ponderando ogni sua parola o mossa, guidato dalla saggezza e
dalla pacatezza di Dwight. Si era guadagnato fiducia ad alti livelli
dell'esercito napoleonico, aveva raccolto, senza correre eccessivi
rischi, notizie sul riarmamento di Bonaparte e anche tante piccole
informazioni minori che però di certo avrebbero fatto gola
ai
vertici politici londinesi.
Ma
non era soddisfatto, non del tutto... Ormai l'avventura e il gusto
per essa avevano lasciato il posto a un uomo più maturo che
a casa
aveva lasciato anima e cuore e non vedeva l'ora di tornarvi.
Avrebbe
voluto stare accanto a sua moglie, lei gli era mancata più
di tutti.
Spesso non era stato un marito eccellente, spesso l'aveva fatta
soffrire e lasciata sola e di certo aveva commesso nei suoi confronti
errori imperdonabili che difficilmente un amore non autentico sarebbe
stato capace di superare. Ma ci erano riusciti e attraverso mille
tempeste, tanti errori da parte di entrambi, molto dolore ma sorretti
da un rapporto vero, unico e raro, avevano raggiunto la vetta del
loro rapporto e la piena consapevolezza che nel mondo, loro, erano
stati capaci di trovare la propria anima gemella, l'unica persona in
grado di completarli. Demelza aveva ragione, due cuori, un battito...
Non era un uomo romantico ma quella definizione di loro due gli
appariva così perfetta da riuscire a commuoverlo, quando in
quei
mesi di lontananza pensava a lei. Chissà com'era diventato
il suo
pancione? E Clowance, Jeremy? Erano cresciuti? E Garrick, il caro
vecchio Garrick stava bene? E la fattoria, la miniera? Santo cielo,
amava l'avventura ma sempre avrebbe amato di più il momento
di
tornare a casa nel suo mondo.
Inspirando
a pieni polmoni la profumata aria di primavera, galoppando sotto un
cielo azzurrissimo e un clima insolitamente caldo, Ross
superò
diversi borghi e dopo aver oltrepassato Truro, costeggiò la
scogliera in una strada che percorreva da sempre e conosceva a
memoria.
Si
fermò un attimo, rallentando, a osservare il mare, spesso
tumultuoso, a
volte
avaro di pesci, talvolta
in tempesta ma suo, nel suo essere selvaggio e meraviglioso insieme.
Costeggiando
la scogliera lentamente, riappropriandosi di quei posti che erano
suoi, Ross giunse finalmente alla sua spiaggia, a Hendrawna, dove
spesso aveva banchettato coi suoi amici e la sua famiglia, dove a
volte nelle sere estive passeggiava con Demelza e dove portavano i
bambini a giocare.
Fu
allora che si accorse che qualcuno stava venendo a riva con la sua
barca. Ross strabuzzò gli occhi e pregò Dio che
non fosse ancora
una volta Demelza, incinta, ad essere uscita a pescare da sola. Santo
cielo, se fosse stata lei, le avrebbe sbraitato contro anche se non
la vedeva da cinque mesi! Non gli aveva forse permesso di riposare e
stare attenta? Gli avrebbe fatto venire i capelli bianchi molto
presto, sua moglie...
Eppure,
guardando meglio, si accorse che non era Demelza la provetta
pescatrice ma due figure piuttosto basse, dall'aspetto infantile e...
E uno dei due lo conosceva!
Incuriosito,
anche divertito ma in fondo orgoglioso, Ross scese da cavallo e a
piedi si avviò lungo il sentiero che portava alla spiaggia,
raggiungendo i due a passo spedito. "Hei, mi auguro che ti sia
preso cura della mia barca con attenzione in questi mesi!" -
disse, alzando le mani in segno di saluto. Santo cielo, Jeremy,
finalmente rivedeva suo figlio... Che lo sapeva, amava pescare, ma
chi l'avrebbe detto che aveva già imparato ad uscire in
barca da
solo?
Jeremy
si bloccò, restò a guardarlo inebetito come se
avesse visto un
fantasma, coi pantaloni rigirati fino alle ginocchia e le maniche di
camicia tirate su fino al gomito. Era cresciuto di due o tre
centimetri ad occhio, il suo viso era ancora infantile ma a Ross
sembrava diventato così grande...
"Papà?!"
- esclamò il ragazzino, quasi non credendo ai suoi occhi.
"PAPAAAAA'!!!". Incurante della compagnia femminile vicino
a lui, gli corse incontro, travolgendolo con un abbraccio.
Beh,
era cresciuto ma riusciva ancora a prenderlo in braccio. "Jeremy!".
"Papà,
sei quì! Dovevi tornare fra dieci giorni!!! Sei
quì, sei davvero
quì!!!" - urlò, stringendolo con tutta la forza
che aveva.
Ross
rispose all'abbraccio, quanto gli era mancato quel bambino arrivato
in un momento tumultuoso e che aveva faticato molto ad accettare,
all'inizio. E che tante battaglie aveva visto, pur non comprenendole,
per fortuna... "Non ce la facevo più a mangiare cibo
francese,
mi mancavano i manicaretti di tua madre!".
Jeremy
rise.
Ross
lo rimise a terra. "Fatti guardare!".
"Sono
cresciuto?".
"Un
bel pò! Hai pescato qualcosa?" - gli chiese Ross, osservando
il
mare.
Il
bambino scosse la testa. "No, sono solo uscito a fare un giretto
in barca con lei!" - disse, indicandogli una bambina dai capelli
biondi che, timidamente, se ne era rimasta in disparte. "Lui
è
mio padre" - precisò poi, alla ragazzina.
Ross
la osservò incuriosito, chiedendosi chi fosse quella
bimbetta,
perché Jeremy fosse in giro in barca con lei e quanto fosse
cresciuto suo figlio in quei cinque mesi. Aveva lasciato un bimbetto
e trovava un ragazzino in dolce compagnia. La bambina aveva circa
dieci, undici anni come Jeremy, indossava un abitino rosso e aveva i
lunghi capelli biondo cenere chiusi in una treccia da cui sbucavano
ribelli boccoli che non volevano essere domati. Non sembrava la
figlia di un minatore e non gli sembrava di averla mai vista in giro.
Non indossava abiti particolarmente eleganti ma nemmeno poveri
stracci come molte delle bambine del posto. "Chi è questa
signorina, Jeremy?".
Lui
arrossì. "E' la mia... ehm... una mia amica".
Ross
lo occhieggiò divertito, notando che era arrossito. Si
sentì un pò
un intruso a dire il vero, ma anche decisamente orgoglioso che il
fascino Poldark, generazione dopo generazione, continuasse nella sua
infallibile scalata al successo. "Oh, amica è? Molto
piacere,
come ti chiami?" - chiese alla bambina.
Lei,
timidamente, si avvicinò. "Mary Lennex, signore".
"Vivi
quì?".
"Vivo
a Bodmin, in inverno. D'estate vengo quì nella villa dei
nonni per
respirare aria di mare".
Ross
ci pensò su e si ricordò di aver già
sentito il nome dei Lennex...
"Sei la nipote di Reginald Lennex, il banchiere di Bodmin?".
"Sì".
"Ho
disturbato la vostra passeggiata?".
Mary
e Jeremy arrossirono. "NOOOO!".
La
piccola precisò subito. "In
realtà devo
tornare a casa, sono quasi in ritardo, alle quattro la nonna vuole
che sia con lei per fare merenda e bere il tè".
Ross
le sorrise. "Capisco".
Jeremy
lo abbracciò, cingendogli la vita. "Papà, sei
tornato per
restare?".
Ross
gli accarezzò i capelli. "Oh, sarete stufi di avermi per
casa,
te lo assicuro. La mamma? Clowance?".
"Sono
a casa, Prudie sta arando l'aia e Clowance la voleva aiutare. Ma lei
fa disastri e getta fieno dappertutto mentre gioca con Garrick".
Ross
rise, Clowance era una piccola peste e il suo aspetto da bambolina
bionda strideva decisamente con la sua natura vivace e a volte
impertinente. Accarezzò i capelli di Jeremy, poi gli
strizzò
l'occhio. "Comincio ad avviarmi verso casa, ci vedremo lì
quando torni".
"Ma
io voglio tornare adesso, con te!" - si lamentò il bambino.
E
Ross,
anche se desiderava stare con lui,
si sentì di impartirgli la prima lezione da galantuomo della
sua
vita. In fondo Jeremy era ancora decisamente piccolo per capire come
si trattano le donne... "Credo sarebbe scortese se lasciassi
tornare a casa Mary da sola".
"Ma
la volevo accompagnare!" - sbottò lui - "Ma adesso che sei
quì...".
"Beh,
adesso che sono quì non cambia nulla. Sarebbe una cosa
carina
accompagnare a casa la tua amica".
Mary,
arrossendo, intervenne nel loro discorso. "Non importa signore,
so tornare da sola. Sono grande, avrò undici anni il mese
prossimo".
"Oh,
sicuramente. Ma Jeremy è e sarà comunque il tuo
cavaliere, giusto?"
- chiese al figlio, strizzandogli l'occhio di nascosto.
Jeremy
sospirò. "Giusto".
Insieme,
tutti e tre, dopo aver sistemato la barca nella grotta percorsero a
ritroso il sentiero che portava alla strada e Ross montò a
cavallo,
salutando i due. "Mary, è stato un piacere conoscerti.
Jeremy,
non tardare troppo".
Jeremy
rise un pò impacciato e poi, a sorpresa, prese Mary per
mano. Un
gesto galante, si augurò Ross. Ma...
"Dai
sbrigati a correre, così facciamo in fretta!".
Ross
li vide sparire nella vegetazione a velocità sostenuta e
quando
furono abbastanza lontani, scoppiò a ridere contento. Di
essere a
casa, di aver visto suo figlio e di aver appreso che forse iniziava a
guardare le ragazze,
ma doveva
decisamente affinare la tecnica
e i suoi modi gentili
se non voleva andare incontro a profondi e sentiti rifiuti dal gentil
sesso. Era quasi ora di quei discorsi da uomini che un padre deve
fare al figlio, pensò,
anche se questo lo faceva sentire vecchio...
Ne avrebbe parlato con Demelza
che di certo era più informata di lui circa la situazione...
E
al pensiero di Demelza, decise che era tardi, che aveva fretta e che
tutto quel che voleva era andare a casa a riabbracciarla. E
così
spronò il cavallo e velocemente percorse la distanza che
ancora lo
separava da Nampara.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Quando
la sagoma di Nampara, illuminata dal sole del pomeriggio, si
stagliò
davanti a lui, Ross si sentì finalmente a casa. Solo un
altro passo,
un abbraccio alla sua bambina bionda, un bacio a sua moglie e una
carezza al suo cane e lui sarebbe stato in pace col mondo.
Spesso
era stato lontano
dalla sua terra e dalla sua casa negli ultimi anni,
come fece suo padre un tempo, dopo che sua madre era morta. Ross non
lo aveva mai capito del tutto e di certo spesso si era trovato in
disaccordo con lui e
il suo modo di vivere, ma
da qualche anno a quella parte aveva preso a pensarla in maniera
diversa, soprattutto ad ogni suo ritorno a casa. Quanto poteva essere
stata
duro
per Joshua varcare quella porta e non trovare Grace ad attenderlo?
Aveva amato intensamente sua madre, viveva per lei e perderla gli
aveva fatto perdere se stesso e ora Ross, adulto,
marito
e padre a sua volta, non poteva e non voleva nemmeno provare ad
immaginare cosa avrebbe provato se tornando, Demelza non fosse stata
lì ad aspettarlo. Era
la sua più grande paura e di certo lo era stata per suo
padre che si
era trovato a viverla giorno dopo giorno per lunghi anni e adesso, da
adulto, poteva comprendere meglio quel genitore tanto assente e fuori
dalle righe che non c'era mai e se c'era, sembrava perso in un mondo
solo suo che era inaccessibile a tutti. Il dolore aiuta a crescere e
a comprendere quello degli altri, aveva imparato in quegli anni... Si
era sentito solo e sperso quando era tornato dalla guerra e Nampara
era in rovina, suo padre morto ed Elizabeth era fidanzata con Francis
ma quello sarebbe stato nulla rispetto al vuoto incolmabile che
sarebbe stato perdere Demelza. E così ora guardava a suo
padre con
meno intransigenza, provando pena nei suoi eccessi di vivere degli
ultimi anni perché in realtà tutto ciò
che lui aveva cercato di
fare era colmare un vuoto incolmabile e ora Ross lo aveva capito...
Forse
tardi, perché non aveva avuto tempo di dirglielo.
La
prima voce che udì in lontananza fu quella di Prudie che
urlava
dietro a una gallina che sfuggiva alla sua presa, seguita dalla
risata infantile di Clowance che doveva trovare tutto questo molto
divertente.
Appena
giunse al cancello, la domestica si bloccò. Rossa in viso,
trafelata, spalancò gli occhi come se avesse appena visto un
fantasma. "Giuda!".
Ross
smontò da cavallo, tirando giù la sua sacca da
viaggio. "Hai
la stessa aria di quando Jud tornava dopo giorni di baldoria nelle
taverne di Truro!" - scherzò.
"Ma
non dovevate essere ancora...".
"In
Francia? Sì, ma mi annoiavo e tu sai che odio annoiarmi. Ho
semplicemente preso la prima nave che mi è capitata a tiro".
Poi Ross si guardò attorno e da una balla di fieno
sbucò la
testolina bionda di sua figlia. Clowance saltò
giù, piena di spighe
fra i capelli, poi gli corse incontro saltandogli al collo.
"Papààààà!!!".
La
abbracciò. Era ancora più bella, paffuta, con le
guance rosse di
chi scoppia di salute e gli occhi trasparenti e chiari come quelli di
sua madre. Ah, forse aveva un debole per lei e il suo giudizio non
era obbiettivo, ma avrebbe potuto giurare che era la bambina
più
bella del mondo. "Clowance" - sussurrò, baciandole la
fronte e rimettendola a terra. Era cresciuta anche lei di qualche
centrimetro e con quell'abitino azzurro primaverile che indossava
e che doveva averle cucito sua madre,
era una principessina
in miniatura.
"Hai fatto la brava?".
"Sì!
E tu sei tornato presto!" - gli fece notare la piccola. "Mi
hai portato un regalo?".
Ross
le indicò la sacca. "Sbircia lì dentro, ti ho
portato una
bambola francese coi capelli biondi come i tuoi".
Emozionata
e contenta, la bimba non se lo fece ripetere e si gettò sul
sacco.
Ross sorrise guardandola, poi si guardò attorno, osservando
una
assenza assordante. "Demelza dov'è?" - chiese a Prudie.
La
domestica gli indicò la casa. "In camera, sta riposando".
"Oh".
D'accordo, poteva anche ritenersi commosso che sua moglie per una
volta avesse ascoltato i suoi consigli rimandendo tranquilla e calma
in quei mesi di gravidanza, però... Però non era
commosso affatto
perché Demelza raramente lo ascoltava, non amava poltrire e
quindi
questo lo metteva in allarme. Accidenti a lei, in un verso o
nell'altro, incinta, quella donna era sempre fonte di preoccupazioni
per lui! "Sta male?".
"Ha
solo un pò di mal di schiena" - rispose Clowance al posto di
Prudie, tirando fuori la bambola dal
sacco, eccitata. Abbracciò il padre, contenta,
affondò il visino
contro il suo ventre e Ross le accarezzò i capelli. "Mal di
schiena?" - chiese a Prudie.
La
donna alzò le spalle. "Cose normali da donna incinta, sta
benissimo ma oggi ha voluto riposare. Andate in camera, sarà
felice
di vedervi".
Ross
gli posò gentilmente una mano sulla spalla. "Vado subito.
Sbircia pure tu nella sacca, ti ho portato uno scialle di lana".
"E
per mamma?" - chiese Clowance.
Ross
si inginocchiò, prendendo dalla sacca due pacchetti. "E' una
sorpresa".
"E
per Jeremy?".
Ross
sorrise, pensando a suo figlio in dolce compagnia. "C'è
dentro
un set da pesca e una nuova canna. E ora, vado a salutare la mamma".
"Vengo
anche io!!!" - sentenziò Clowance, prima che Prudie la
bloccasse. "Tu resti quì, monella, ad aiutare Prudie".
La
bimba si imbronciò. "Ma...".
Ross
le accarezzò la testolina. "Tesoro, ci vedremo
più tardi ma
ora mi lasci per un pò da solo a salutare la mamma?".
"Va
bene" - mormorò Clowance, decisamente poco entusiasta.
Ross
lasciò allora l'aia, entrando in casa e salendo le scale,
attento a
non fare rumore.
Quando
entrò nella stanza, un tranquillo silenzio lo avvolse, un
silenzio
che sapeva di casa, di pace, di famiglia... Era la sua stanza e
avvertiva il profumo dei fiori che riposavano nei vasi e che tanto
amava sua moglie, ogni cosa era in ordine, sul comodino c'erano
alcuni libri, alla toeletta era appoggiato uno scialle e sul letto,
comodamente addormentata, di lato, col braccio sotto la testa, c'era
lei...
Bellissima
come la ricordava, coi lunghi capelli rossi sparsi sul cuscino,
l'espressione serena, le guance rosee e la mano che teneva libera
appoggiata delicamente sul pancione. Sentì stringersi la
gola nel
vederla, rendendosi conto di quanto le era mancata e di come gli
fosse costato partire, lasciandola sola su quella scogliera, coi
fuochi che si accendevano in segno di sfida ai francesi.
Lei, finalmente lei, la sua compagna, la sua migliore amica, sua
moglie, la sua amante, la madre dei suoi figli... Santo cielo, quel
pancione che quando era partito ancora non c'era era il segno
evidente che era stato via troppo e che ora non voleva perdersi
più
niente di lei e di quel nuovo figlio in arrivo. Demelza era stata
forte e aveva sopportato la gravidanza da sola, come purtroppo, anche
se per motivi diversi, aveva fatto anche in passato. Ed era
orgoglioso di lei e meno di se stesso che ancora una volta era
rimasto distante quando avrebbe dovuto rimanere lì, accanto
a sua
moglie, soprattutto dopo le vicende concitate che avevano preceduto
la sua partenza. Tess, i francesi, gli intrighi, i segreti, il dolore
sul volto di Demelza quando aveva dovuto mentirle per proteggerla, i
Despard, tutto era ancora piutosto bruciante nei ricordi di Ross.
Ma
ora era lì e sarebbe stato il più premuroso dai
mariti. Lei lo
meritava e lui aveva bisogno di starle vicino per annullare la
distanza di mesi fra loro.
Garrick,
che dormiva fedelmente sul letto, al fianco della
sua padrona come
a volerla proteggere, si svegliò. Scodinzolando contento gli
si
avvicinò saltando giù dal letto e dopo aver
ricevuto una
carezza,
gli si accodò tornando vicino a Demelza.
Dormiva
profondamente, tanto da non accorgersi di nulla. Ma stava bene, la
conosceva e sapeva leggere dal suo viso ogni traccia di malessere, se
fosse stato presente. Ma non c'era, dormiva serena e come gli aveva
raccomandato, riposava...
Restò
a guardarla senza muoversi per lunghi istanti, ma poi non ce la fece
più e le
accarezzò dolcemente i capelli e lei,
vestita della sola sottoveste, sotto una leggera copertina color
crema, si mosse lievemente e poi aprì gli occhi.
E
lo fissò come aveva fatto Prudie poco prima, come se fosse
stato un
fantasma! La cosa lo fece scoppiare a ridere. "Santo cielo, devo
essere diventato davvero brutto in questi mesi, visto il modo in cui
mi guardate tutti!".
Demelza,
a bocca aperta, si mise a sedere
di scatto.
Ogni traccia di sonno era sparita dal sul viso ed ora era
semplicemente confusa. Lui non avrebbe dovuto essere lì
ancora per
almeno dieci giorni... "Ross?... Ross, Ross!!!". Lo
abbracciò talmente forte che lui sentì il fiato
mancargli. Le
braccia esili di sua moglie gli cinsero le spalle, il suo viso
affondò contro il suo collo e lui la strinse a se,
accarezzandogli
la schiena. "Demelza..." - sussurrò semplicemente, fra i
suoi capelli,
gustandosi finalmente la sensazione di averla fra le braccia.
La
sentì tremare e la abbracciò ancora
più forte. "Sono quì,
sono quì amore mio...". La baciò, prima sulla
fronte e poi,
dopo averle preso il viso fra le mani, sulle labbra. Un bacio dolce,
gentile ma anche pieno di passione. Le era mancata così
tanto... Per
un attimo, solo un attimo ripensò alla freddezza fra loro al
suo
primo ritorno da Londra dopo sette mesi di lontananza, ma ormai quei
tempi erano passati, le ombre si erano dissipate ed entrambi erano
cresciuti come coppia e persone, avevano imparato a capirsi,
ascoltarsi, parlarsi e soprattutto perdonarsi.
E
quindi si gustò solo quel bacio, a lungo desiderato ed
agognato.
Quando
si lasciarono, Demelza scoppiò finalmente a ridere, il
turbamento
passato ed ora solo felice. "Ma non dovevi essere ancora in
Francia? Che ci fai quì? Sei scappato? Hai combinato qualche
guaio?
Sei ricercato?".
Ross
si sentì tutto sommato orgoglioso del fatto che lo ritenesse
tanto
temerario. "In realtà, nulla di tutto questo! Ho
semplicemente
preso una nave qualche giorno prima del previsto. Non avevo promesso
di tornare a casa prima della mietitura?".
"E
tutto intero..." - sussurrò Demelza, col sorriso sulle
labbra.
"Tutto
intero!".
"Lo
sei?".
"Sì,
decisamente! Vuoi controllare?".
Demelza
rise ancora. "Mi fiderò!".
"E
quindi ho mantenuto la mia promessa... E tu, a quanto vedo, la tua".
Demelza
si accigliò. "Quale?".
"Stai
riposando!" - le fece notare Ross,
divertito
- "Non lo avrei mai ritenuto possibile". Si sedette accanto
a lei e poi la osservò con sguardo clinico. "Fatti vedere!".
Demelza
si sfiorò il ventre, dolcemente, prima di prendere una mano
di suo
marito per appoggiarsela dove cresceva
il loro bambino.
"Credo di assomigliare a Prudie ormai".
Ross
rise, prima di spingerla scherzosamente sul letto per poi
raggiungerla e baciarla ancora. "Ah, non pensarci, Prudie non mi
fa venire in mente certi pensieri"
- le sussurrò con malizia nell'orecchio.
Si
baciarono, a lungo, mentre le mani di Ross non lasciavano il ventre
dove cresceva suo figlio. Era stato lontano così tanto che
forse per
quel bambino, la sua voce doveva apparire decisamente sconosciuta. Si
rannicchiò contro sua moglie, la strinse a se gustandone il
profumo
e la vicinanza e si sentì a casa. "Nostro figlio
penserà che
un estraneo sia entrato in casa" - sussurrò, con una nota di
rammarico nella voce.
"Che
vuoi dire, Ross?".
"Non
conosce la mia voce e non sa nulla di me".
Demelza
sorrise dolcemente. "Non è vero, sa tutto. Gli ho parlato io
di
te".
Le
accarezzò il viso, lei era la cosa migliore che la vita gli
avesse
donato ed era felice di essere stato tanto intelligente da sposarla e
di aver donato ai suoi figli una madre del genere. "Stai bene?"
- disse solo.
"Sì.
E tu? E' andato tutto bene?".
Ross
annuì, poi si accomodò nel letto accanto a lei,
stringendola a se
ed accarezzandola sulla schiena. "Sì, sai, credo di essere
diventato saggio e attento. Non ho corso particolari rischi, mi sono
mosso con prudenza e alla fine più che una romantica e
coraggiosa
spia, mi sentivo un borghese di mezza età in viaggio di
piacere".
Demelza
sembrò divertita dalla cosa. "Nemmeno un graffio?".
"Nemmeno
uno! E nessuno che abbia desiderato uccidermi, ci crederesti?".
"Faccio
un pò fatica ad essere onesta, soprattutto visti i rischi
che hai
corso quì prima di partire, coi francesi! Poco
più di cinque mesi
fa ti sei battuto a duello con quel generale nel nostro fienile".
Ross
si rabbuiò alcuni istanti, ricordando anche il carico di
dolore su
sua moglie di quei giorni e deciso a non commettere mai più
quell'errore. "Come dicevo, sono diventato saggio da allora.
Quì
invece è andato tutto bene? Tess ha creato problemi? Jacka?
George
Warleggan?".
Demelza
sospirò. "Tess credo che abbia lasciato il villaggio, non si
è
più vista. Jacka è... Jacka, borbotta, sbraita
nelle locande ma si
è calmato. George Warleggan non si è
più visto e da quando ci ha
annunciato la partenza per Londra, è sparito da Trenwith".
Ross
annuì. "Ottimo! Allora ti sei annoiata?".
Demelza
si stiracchiò. "Oh, non molto. Avevo la casa a cui badare, i
bambini, ho fatto la zia di Loveday e io e Caroline abbiamo
organizzato molte cene nel nostro salotto, coi miei fratelli e le
loro mogli. Hai visto i bambini?".
Ross
annuì. "Sì, ho lasciato Clowance nell'aia con
Prudie mentre
Jeremy...". Si bloccò, poi si mise seduto sul letto, deciso
a
chiedere spiegazioni. "Da quando il nostro piccolo bambino ha
una fidanzata o qualcosa di simile?".
Demelza
scoppiò a ridere. "Hai conosciuto Mary?".
"Li
ho visti in spiaggia mentre tornavo! Santo cielo, mi sono sentito
vecchio".
"In
effetti sei un quasi-suocero" - gli fece notare lei,
scherzosamente.
"Non
lo dire!".
Demelza
si sedette. "In realtà credo che sia più un'amica
del cuore,
sono ancora due bambini. Si trovano bene insieme ma penso che per una
vera fidanzata ci sarà da aspettare qualche anno. Anche se
Dwight
dice che dovremmo iniziare a fare uno di quei discorsi sull'amore,
con lui... E visto che sei quì, credo che sarà
compito tuo!".
Ross
spalancò gli occhi. Ok, aveva senso, era un discorso fra
uomini e
non poteva lasciare tutto sulle spalle di Demelza, ma questo comunque
faceva paura. Non era troppo presto?
Ne sarebbe stato capace? O avrebbe farfugliato frasi senza senso
facendo credere a Jeremy di avere un idiota come padre? Era facile
essere una spia o un minatore o un politico, ma parlare a un figlio
delle 'faccende della vita'? Santo cielo, era solo ieri che era un
neonato ed ora era un ragazzino che guardava le ragazze!
"Che dovrei dirgli?".
"Saprai
trovare le parole".
"Dammi
un consiglio".
"Sei
un uomo, ci sarai passato prima di lui da questa fase".
"Non
a undici anni".
"Jeremy
è allora più precoce di te".
Ross
sprofondò di nuovo fra i cuscini,
pregando che suo figlio non diventasse come suo padre.
"Non voglio essere un suocero".
"E
io una suocera! Non così presto!".
Lui
sorrise. "Sei ancora una bambina".
"Una
bambina che aspetta un bambino, interessante...".
Ross
si stiracchiò, prima di alzarsi dal letto e recuperare i due
pacchetti che aveva portato di sopra. Era
decisamente ora di cambiare argomento, almeno per ora. "Ho
portato un dono per ognuno e questi sono per voi".
"Oh
Ross". Demelza lo abbracciò di nuovo, commossa. "Non
dovevi, a me basta che tu sia quì".
Le
accarezzò il viso. "Sapevi che sarei tornato per tempo, l'ho
promesso e non avrei mancato per nulla al mondo alla parola data".
Lo
sguardo di Demelza si addolcì. "Due pacchetti?".
Le
accarezzò ancora il pancione. "Per te e lui... o lei".
Demelza
prese un profondo respiro, si emozionava ancora come una bambina
quando Ross
le
faceva dei regali. Non succedeva spesso ma quando accadeva, erano
gesti fatti col cuore e legati a momenti importanti
che non aveva mai dimenticato.
Si sentì felice che fosse lì, finalmente a casa,
finalmente con
loro. "Mi sei mancato così tanto..." - sussurrò,
mentre
apriva i pacchetti.
Ross
le prese la mano, intrecciando le dita con le sue. "Anche tu,
più di tutti".
I
pacchetti furono aperti e Demelza,
emozionata,
rimase a bocca aperta. Uno conteneva una meravigliosa e morbida
copertina di lana bianca, perfetta per tenere al caldo nella culla il
loro piccolo, l'altro un bellissimo bracciale d'oro, abbellito da una
fila di piccoli smeraldi rossi incastonati in esso. "Ross..."
- mormorò, senza fiato.
La
baciò ancora sulle labbra, felice di perdersi in esse. "Sono
stato via a lungo, troppo, lasciando sulle spalle ancora tutto a te.
Ma ti ho promesso devozione per il resto della mia vita e di cercare
di essere un buon marito e questo regalo è il minimo che
potessi
darti per quello che fai e continui a fare per me e tutti noi".
Demelza
si strinse a lui, commossa, nascondendo il viso nella sua camicia per
evitare che vedesse i suoi occhi lucidi. "Grazie..." -
disse solo.
"E io, io non ho nulla da darti".
Ross
scosse la testa. "Cresci i miei figli, me ne stai per dare
un'altro e ci sei. E sei mia. Non potrei chiedere altro, non voglio
altro. Anzi...".
"Cosa?".
Ross
rise, stavolta meno serio di quanto non fosse stato fino a poco
prima. "Vorrei fare un bagno, vorrei che mia moglie mi
strofinasse la schiena e poi vorrei cenare con i miei figli. E dopo
cena, usare questa stanza da letto in modo meno colloquiale di
adesso!".
Anche
Demelza rise. "Giuda Ross, sono quasi all'ottavo mese di
gravidanza!".
"Beh,
manca un mese e passa al parto, direi che è perfetto" -
commentò lui, prima di baciarla ancora e ancora, perdendosi
in lei.
Era
a casa, finalmente era tornato dove aveva sognato di essere per
cinque lunghi mesi.
E sarebbe stata una notte interessante e decisamente lunga...
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Fu
una cena rumorosa dove Prudie, per una volta, si superò. In
onore
del signor Ross, con l'aiuto dei bambini, in
poco tempo cucinò
della carne con patate e carote e riuscì anche a mettere nel
forno
una torta in
modo che in quella
serata tanto attesa, Nampara si trasformasse
quasi in una festa di Natale.
Demelza
rimase quasi in silenzio, in disparte, lasciando che fossero i
bambini a godersi il padre mentre mangiavano, sapendo che poi avrebbe
avuto suo marito tutto per se appena giunti in camera.
Jeremy
raccontò a Ross di quanto fosse diventato bravo a pescare
ottenendo
la promessa di uscire a breve in barca con lui, dei giochi coi suoi
amici, di come si fosse reso utile a casa e dei progressi fatti a
scuola con Rosina mentre Clowance,
da sempre incuriosita dai cunicoli della Wheal Grace,
ottenne di accompagnare suo padre in miniera quanto prima dopo
avergli giurato di essere sempre stata obbediente e bravissima e di
aver aiutato la mamma.
Demelza
osservò Ross e nei suoi occhi vide l'orgoglio per i suoi
figli. Lui
non parlò molto, lasciò ai bambini l'onore di
intrattenere la
serata e finita la cena, per un pò si misero tutti e quattro
davanti
al camino a godersi il calore delle fiamme che, anche se era ormai
primavera, risultavano gradevoli la sera, quando imbruniva.
I
bimbi chiesero al padre della Francia, se fosse diventato un eroe
della nazione e se gli avrebbero dato una medaglia ma alle risposte
non troppo esaltanti del padre circa le sue avventure oltre-Manica,
cambiarono argomento ricominciando a raccontare la loro vita in
quegli ultimi mesi.
Alle
nove Prudie venne a chiamare i bambini per andare a letto e Clowance
protestò all'idea di dover tornare a dormire nella
cameratta.
Ross
le diede un leggero pizzicotto sulla punta del nasino
all'insù.
"Ognuno deve dormire nella sua stanza e la mia è con la
mamma.
La tua in fondo al corridoio...".
"Ma
io e Jeremy abbiamo dormito con mamma in questi mesi, le abbiamo
tenuto compagnia" - protestò la bimba.
"E
io ringrazio tutti e due, ma ora ci penso io a tenere compagnia alla
mamma come è giusto che sia".
Demelza
ridacchiò, Ross sembrava decisamente divertito ma anche
deciso a
riappropriarsi dei suoi spazi. Le sarebbero mancati i suoi bambini ma
era anche decisamente contenta di tornare ad essere una donna e una
moglie e non solo una mamma. "Coraggio bambini, salutate vostro
padre e correte a dormire".
"Sentito
marmocchi!" - tuonò Prudie - "Si va a letto senza storie!
Voi e io!".
Prudie
strizzò un occhio ai due ma prima di riuscire a portare i
bambini di
sopra, Clowance si fermò e tornò indietro,
correndo ad abbracciare
Garrick che sonnecchiava davanti al fuoco. "Posso portarlo a
dormire con me e Jeremy?".
Garrick
sbuffò ma Demelza, annuendo, lo spinse a seguire i figli.
"Certo,
sarà contento di stare con voi".
In
realtà Garrick non pareva molto felice di allontanarsi dal
calore
del camino ma, sonnecchioso, fece quanto richiesto e sparì
con i
bambini e Prudie su per le scale.
Ross
si stiracchiò sul divano, attirando Demelza a se. "Dovremmo
andare a letto anche noi".
"Hai
sonno?".
"No"
- le rispose, con sguardo malizioso. "Amo i nostri figli ma non
vedevo l'ora che andassero a dormire!".
Demelza
rise, si alzò dal divano e poi gli porse la mano,
facendosela
stringere da lui. "Sbrigati allora, prima che i bambini cambino
idea".
Ross
si alzò a sua volta. "Chiuderemo la porta a chiave!".
"Buono
a sapersi".
E
per mano, salirono al piano di sopra.
La
camera era illuminata da uno scoppiettante camino che Prudie aveva
acceso poco prima e sei candele poggiate sulla toeletta e sul
davanzale davano all'ambiente un'atmosfera ancora più
ovattata e
riposante.
Ross
entrando, si sentì definitivamente a casa. "Finalmente una
notte in una vera camera da letto!".
Demelza,
sedutasi alla toeletta a legarsi i capelli in una lunga treccia,
rise. "In Francia dove dormivi?".
Ross
si sedette sul materasso, togliendosi gli stivali. "In camere
d'albergo. Che forse saranno eleganti e raffinate ma mai potranno
essere come la propria stanza e il proprio letto".
Lei
si alzò e lo raggiunse, sedendosi sulle sue gambe. "E' bello
averti a casa" - disse solo, baciandolo sulle labbra.
"E'
bello ESSERE a casa!" - ribadì lui, di rimando.
Lo
abbracciò, godendo di quegli attimi di pace col viso
affondato sulla
spalla di suo marito. "I bambini sono così contenti, non li
vedevo così eccitati a tavola da tanto".
"Sono
cresciuti in questi pochi mesi. Mi sembra di essere stato via un
secolo, quando li guardo".
"Sono
ancora piccoli" - li rassicurò lei. "E nel caso ti
sembrassero grandi, a breve ci sarà un piccolo essere umano
tutto
nuovo a ricordarti cosa significhi avere figli piccoli".
Ross
le accarezzò il pancione. "Andrà tutto bene,
vero?".
"Giuda
Ross, certo! Sìì ottimista".
"Non
è una cosa che mi riesce bene, soprattutto quando sono
coinvolte le
persone che amo".
Gli
sorrise, prima di baciarlo. "La Francia ti ha reso più
romantico".
Le
mani di Ross le accarezzarono i fianchi in modo lento e sensuale.
"Sono un uomo che è rimasto lontano dalla sua donna per
cinque
lunghi mesi e ora non desidero altro che averti e riconquistarti".
"Non
mi devi riconquistare" - gli rispose, baciandogli il collo.
"Ma
preferisco andare cauto, essere galante e non rischiare di farti
arrabbiare".
Demelza
parve divertita. "Giuda, stai diventando decisamente saggio!
Apprezzo i tuoi sforzi!"
"Buono
a sapersi" - sussurrò lui, baciandola a sua volta sulla
spalla.
"Eccetto
che...".
Demelza
alzò il viso di scatto e Ross si bloccò. "Cosa?".
"Avevi
detto che avresti parlato con Jeremy di Mary e dell'amore e a tavola
non ne hai fatto parola!".
Ross
sospirò, accarezzandole il viso. "Parlarne a tavola, davanti
a
tutti, lo avrebbe solo imbarazzato. Io alla sua età, e anche
quando
era più grande, mi vergognavo da morire quando mio padre si
metteva
a parlare di donne e quindi credo che affronterò il discorso
con lui
quando usciremo in barca, da soli".
Lei
rimase davvero stupita da quelle parole. Ross era sempre stato un
uomo che agiva d'istinto ancor prima di pensare eppure sembrava
cambiato, improvvisamente cresciuto e sicuramente più
consapevole
delle proprie responsabilità. "Non diventare troppo
assennato o
rischierai di perdere il tuo fascino" - lo ammonì.
Ross
scoppiò a ridere. "Oh, non crucciarti! Credo che potrei
ancora
fare a pugni con George al Red Lion se mi punzecchiasse a dovere".
Demelza
scosse la testa, divertita. "Bene, allora tutto è a posto! E
trovo sia una buona idea quella di uscire in barca con Jeremy! Manca
solo una cosa...".
"Cosa?".
"Le
donne francesi? Come le hai trovate?".
La
domanda di Demelza era scherzosa ma detta con un tono malizioso che
lo lasciò momentanemente a corto di parole. Era
così affascinante e
seducente quando ci si metteva... "Le donnine francesi erano
piuttosto belle ma...".
"Ma?".
"Ma
io e Dwight abbiamo standard troppo elevati e quelle poverine hanno
dovuto ammettere la loro sconfitta davanti al fascino femminile
inglese".
"Giuda,
sei diventato romantico davvero!".
"E
se senza giri di parole ti dicessi che voglio fare l'amore con te, mi
troveresti ancora romantico?".
Demelza
finse di pensarci su. "Non è molto galante ma ti perdono a
una
sola condizione! Spegni tutte le candele".
"Perché?".
"Perché
per quanto le donne inglesi siano più seducenti di quelle
francesi,
io con questa pancia non mi sento affatto tale. E preferirei il
buio".
Ross
rise. "Sai vero, che questa è una cosa davvero sciocca?".
Demelza
si alzò e indietreggiò fino alla scrivania dove
c'erano alcune
candele, guardandolo con aria di sfida. "Sarà anche una cosa
sciocca ma io le spegnerò lo stess...".
Con
un balzo Ross si alzò, prendendola per la vita e
sollevandola con la
stessa facilità con cui si solleverebbe una piuma. Era
incinta
eppure era leggera come una libellula e la maternità l'aveva
resa
ancora più affascinante e seducente. "Il giorno in cui
sembrerai una matrona, prometto, te lo farò sapere. Ma quel
giorno
non è ancora arrivato".
Fingendosi
dispiaciuta, Demelza tentò di divincolarsi per sfuggire alla
sua
presa e raggiungere nuovamente la scrivania. "Questo è un
gioco
sporco!".
"Sono
una spia del governo inglese, che ti aspettavi?".
"Lasciami!".
"Neanche
morto!".
"E
se urlassi ai bambini di correre quì?".
Lui
ricambiò lo sguardo di sfida. "Ho chiuso la porta a chiave,
mia
cara, ci andrebbero a sbattere contro..." - sussurrò,
baciandola sul collo e facendola rabbrividire.
Demelza
sospirò, arresa al fatto che lui l'aveva in pugno e che la
cosa non
le dispiaceva
affatto. Quelle labbra sulla sua pelle erano come lingue di fuoco e
improvvisamente non sentì più nulla se non la
presenza fisica di
suo marito finalmente accanto a lei. "L'ultima volta che mi hai
portata a letto in braccio, sono rimasta incinta, ricordi?" -
sussurrò, raggiungendo le sue labbra.
Ross
ricambiò il bacio. "Beh, questa volta decisamente, non
corriamo
alcun
rischio".
La
baciò ancora, portandola a letto. La poggiò
delicatamente sul
materasso, in un gesto veloce si sfilò la maglia
e poi la raggiunse, facendo scivolare le mani sotto la sua camicia da
notte. Santo cielo, non aveva fatto altro che desiderare tutto questo
per mesi...
Attento
a non farle male o a farla sentire scomoda, la racchiuse fra le sue
braccia baciandola con foga, abbandonandosi all'amore carnale che per
troppo tempo non aveva potuto vivere con lei.
E
nessuna candela fu spenta...
...
Le
braci del camino erano quasi spente ma né Ross né
Demelza parevano
sentire il freddo.
Nudi,
stretti fra le braccia l’uno dell’altro e ancora
perfettamente
svegli, semplicemente si godevano la vicinanza reciproca e il piacere
di essere ancora insieme.
Le
mani di Ross, dolcemente, le accarezzavano i capelli e la schiena e
lei di rimando gli sfiorava il petto con le dita, perfettamente
serena ed appagata da quanto appena vissuto. Per quei cinque mesi era
stata solo una madre e la signora di Nampara e ora con Ross era
tornata ad essere anche donna e moglie. “Alla fine abbiamo
fatto
ancora come volevi tu” – sussurrò
mollemente, sospirando.
“Cosa?”
– chiese Ross, appagato quanto lei e desideroso di averla
ancora e
ancora dopo quei mesi di lontananza, ma timoroso di nuocerle per via
della gravidanza.
Demelza
sorrise. “Le candele… Alla fine non ne abbiamo
spenta nessuna”.
Ross
rise, di rimando. “Oh, PER UNA VOLTA l’ho avuta
vinta”.
“Tu
l’hai sempre vinta!”.
“In
realtà l’ultima parola spetta a te da
sempre!” – borbottò
lui. “Ma stavolta ho vinto io e non me ne rammarico, amo
guardare
il corpo di mia moglie mentre faccio l’amore con lei e il
fatto che
tu sia incinta di certo non ha intaccato la mia attrazione per te,
nel caso non te ne fossi accorta”. Era strano, non capiva
questo
lato del carattere di Demelza… Era una amante appassionata
ma in un
certo senso timida nel farsi vedere nuda da lui, come se non avesse
mai superato qualche strano senso di inferiorità che la
attanagliava
da sempre.
“Una
donna incinta non è molto bella da vedere!”.
“Non
sono d’accordo!” – ribadì lui.
“E poi non è naturale?
Aspetti il mio bambino, non credi che ne sia felice?”.
Demelza
alzò il viso a guardarlo negli occhi. “Non hai
più paura? Come
una volta, come successe per Jeremy…?”.
Ross
divenne serio. “Oh, io ho sempre paura, quale stolto non ne
avrebbe? Le incognite sono molte, il destino rimane incerto ma alla
fine tu e i nostri figli mi avete insegnato che il risultato finale e
la meta valgono ogni attimo di terrore che potrò mai
vivere”.
Un
movimento del bimbo nel suo ventre fu colto da Demelza come un segno
che lui o lei volessero farsi conoscere dal suo papà. Prese
la mano
di Ross e dolcemente la poggiò nel punto dove il bambino
scalciava.
“Lo senti? E’ così scatenato,
è il più vivace dei nostri
figli”.
Il
cuore di Ross prese a battere più forte. Suo figlio, che
aveva
immaginato, pensato, desiderato conoscere per tutti quei lunghi mesi
di lontananza era finalmente lì, reale e vicino. Il suo
erede nel
mondo, come Jeremy, Clowance e come avrebbe potuto essere la sua
Julia, il bambino concepito dopo un periodo concitato, pericoloso,
difficile, in una notte d’amore e passione totali come lui e
Demelza forse non avevano mai vissuto. Senza ombre, senza
recriminazioni, senza segreti, senza dolori a dividerli. Il figlio
dell’amore maturo, quello vero che non teme
confronti… Accarezzò
il ventre di sua moglie, rapito dal movimento vivace del piccolo.
“Questi sono i calci di una bambina dispettosa e piena di
grinta”
– sentenziò infine, non immaginando altro che una
femminuccia.
Demelza
lo guardò divertita. “Bambina? Come lo
sai?”. “Oh, io sono
molto sensibile al fascino delle donne della mia vita e lei
è una
bambina! Ne sono certo come sono certo che ci sia una vena di rame
ricchissima nei cunicoli inesplorati della Wheal Grace”.
“Stai
paragonando nostra figlia a una miniera?” – chiese
Demelza,
scoppiando a ridere.
Anche
Ross rise, stringendo a se sua moglie e baciandola sulla spalla.
“Lo
trovo un complimento per Isabella-Rose”.
“Allora
ti ricordi il suo nome?”.
“Come
potrei scordare il nome della nostra bambina?”.
Lei
gli prese entrambe le mani nelle sue, intrecciando le loro dita. Il
lenzuolo le scivolò dalla schiena lasciandole scoperto il
seno e il
ventre ma non si sentì imbarazzata. “Le piace la
musica, quando è
troppo agitata si calma se canto o se suono la spinetta”.
“Sarà
una cantante, quindi? Niente futuro da minatore, per la mia piccola
erede?”.
Demelza
rise ancora. “Temo di no!”.
Ross
finse di rammaricarsi, ma poi attirò sua moglie a se per
baciarla
sulle labbra. “Mi sei mancata”.
Demelza
si strinse a lui. “Anche tu… Come
l’aria…”.
Rimasero
stretti abbracciati a lungo, in uno strano silenzio carico di parole
non dette che fu Ross a rompere. “Lo avresti mai
detto?”.
“Cosa?”.
“Che
ci saremmo amati così, quando ci siamo sposati?”.
Demelza
sospirò. “No… In realtà non
ci credevo per niente”.
Questo
un po’, pur capendolo, lo ferì.
“Davvero?”.
Lei
alzò le spalle, sentendosi un po’ a disagio a
raccontare dei suoi
sentimenti in quei primi mesi di matrimonio. Era un argomento in un
certo senso difficile e non lo avevano mai affrontato prima.
“Eri
gentile, buono con me. E questo mi bastava, non potevo aspirare ad
altro. Sapevo che non mi amavi quando mi hai sposata e sapevo anche
di non poter competere con la donna che allora era nei tuoi
sogni”.
Ross
si irrigidì, ricordando quanto avesse sbagliato e quanto,
pur senza
volerlo, avesse fatto soffrire sua moglie. Era un ragazzino in un
certo senso, più immaturo della giovane moglie che aveva
sposato, un
ragazzino che seguiva un sogno adolescenziale perfetto e utopistico
non rendendosi conto che era la realtà che aveva accanto la
realizzazione di quell’utopia. “Eppure ti sbagliavi
perché io mi
sono innamorato ben presto di te”.
Demelza
scosse la testa. “Forse. O forse no…”.
“Che
vuoi dire?” – chiese Ross allarmato. “Hai
ancora dubbi su di
me?”.
Demelza
gli sorrise, tornando ad abbracciarlo. “No. Voglio solo dire
che
per com’era allora, non sbagliavo a pensarla così.
Ma il tempo e
le cose che sono successe ci hanno fatto crescere e scoprire lati di
noi che non conoscevamo. Ci siamo plasmati Ross, a vicenda. Ed
è
stato bello ma in alcuni momenti anche doloroso, eppure non rimpiango
nulla. Nemmeno gli errori, soprattutto gli errori. Miei e
tuoi…
Perché ci hanno portati qui, adesso, in questo letto, felici
e con
una bambina in arrivo”.
Ross
rimase in silenzio per lunghi istanti, pensando al significato della
parola ‘errori’. Demelza aveva parlato al plurale,
degli errori
di entrambi e sia lui che lei erano consapevoli che c’erano
nel
loro rapporto zone d’ombra su cui era meglio non far luce. Ma
in
fondo, era così importante sapere tutto? Ross sapeva quanto
bastava
di Demelza, che era la donna giusta per lui, il suo amore, non il
primo della sua vita ma quello di tutta la vita, che era una madre
amorevole e che era una donna buona, gentile e dall’animo
puro. E
che la amava e sapeva che lei lo amava con altrettanta passione.
C’era davvero bisogno di sapere altro? No, perché
quell’altro
erano le manchevolezze umane che ogni persona possiede, che ci
rendono forse fallibili ma terreni, capaci di cadere e rialzarsi. E
lui amava Demelza come lei amava lui ed entrambi avevano fatto loro i
pregi e i difetti di ognuno, accettandoli e sì, anche
custodendoli
come facenti parte di se stessi. Forse lui avrebbe sbagliato ancora,
forse lo avrebbe fatto lei ma la cosa certa era che tutti e due, in
quel momento, non avrebbero voluto andare avanti da soli ma fermarsi,
tendere la mano a chi era caduto per poi proseguire insieme.
“Sai
una cosa, amore mio? Hai ragione, in fondo che importa di cosa
è
stato? Ci ha portati qui, a questo momento. E Demelza, questo momento
è tutto quello che voglio”.
Lei
lo baciò, con dolcezza ma anche passione. “Anche
io Ross, anche
io…”.
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Ross
aveva passato i primi giorni a sistemare faccende burocratiche e a
dare un occhio a conti e libri contabili con Pascoe e ai documenti
della Wheal Grace assieme a Zachy. La sua miniera prosperava, i furti
che l’avevano vista coinvolta prima della sua partenza erano
cessati, Tess era sparita dalla faccia della Cornovaglia e Jacka
sembrava aver trovato il luogo adatto alle polemiche nelle osterie
più a buon mercato della zona dove per pochi penny poteva
ottenere
Gin e un luogo dove sproloquiare senza che nessuno facesse caso a
lui.
Nel
frattempo si era anche riappropriato delle abitudini famigliari a lui
più care: svegliarsi al mattino col chiasso fatto da Prudie
e dai
bambini, il saluto sonnecchioso a sua moglie sempre più
incinta, la
colazione, i lavori della fattoria, osservare i bambini che andavano
a scuola da Rosina, l’andirivieni dalla sua miniera, il
profumo
della cena sul fuoco e la serata o a chiacchierare davanti al camino
o in camera, desideroso solo di stare con Demelza. Avevano
organizzato anche delle allegre cene con i suoi cognati e le loro
famiglie, si era divertito a conoscere meglio la sua nipotina Loveday
pregustando quando avrebbe avuto in braccio Isabella-Rose, avevano
cenato con Dwight e Caroline e ogni cosa era tornata al suo posto
tranquillo e sereno.
Dopo
dieci giorni dal suo ritorno, finalmente era riuscito a ottenere una
giornata totalmente libera da impegni e aveva organizzato di uscire
in barca al mattino con Jeremy per quella famosa chiacchierata sulle
ragazze che gli aveva chiesto di fare Demelza. E al pomeriggio
avrebbe portato Clowance in miniera. La bambina sembrava davvero
attratta da quel luogo che gli appariva misterioso e voleva esplorare
con lui i cunicoli. Aveva promesso a Demelza che l’avrebbe
accompagnata semplicemente la primo livello, il più semplice
e
sicuro e che non l’avrebbe persa di vista nemmeno un secondo.
In
realtà lo divertiva il temperamento vivace e assolutamente
anticonvenzionale di sua figlia che aveva l’aspetto di una
bambolina ma la forza di volontà e la sfacciataggine tipica
di un
Poldark che sa cosa vuole, lo chiede e se non lo ottiene, lo
pretende. A volte, osservando i suoi figli, si chiedeva come sarebbe
stata Julia. Era una bambina placida e tranquilla, diversa da
Clowance, ma chissà che temperamento avrebbe avuto,
crescendo… Ora
avrebbe avuto quattordici anni, l’età in cui lui
aveva conosciuto
Demelza, sarebbe stata una ragazzina e forse avrebbe vissuto il
periodo dei primi amori in modo più consapevole di Jeremy e
lui si
sarebbe fatto il fegato amaro vedendola crescere ed allontanarsi.
Ma
tutto questo non lo avrebbe mai saputo e Julia sarebbe rimasta sempre
la dolce bambina paffuta che la sera amava giocare sulle sue
ginocchia.
Ma
ora c’erano altri figli che crescevano e in ricordo di quella
bambina persa, doveva essere un buon padre per i suoi fratelli.
Era
ancora l’alba e il cielo era rosato quando con Jeremy, felice
come
una Pasqua, spinse la barca in acqua assieme a lui. “Avresti
preferito andare a pescare coi tuoi amici? O… con Mary?
– gli
chiese a bruciapelo, mentre prendevano il largo.
Allegramente,
non cogliendo il senso di quell’allusione, Jeremy
saltellò sulla
barca sedendosi davanti a lui che remava. Indossava dei semplici
pantaloncini lunghi fino al ginocchio e una camicia bianca e Ross,
osservandolo, si rese conto che man mano stava perdendo le fattezze
da bambino assumendo quelle di un ragazzino. “No, io volevo
venire
con te! Non ci andiamo mai insieme, sei sempre lontano”.
Jeremy
aveva fatto quelle affermazioni con leggerezza, ma Ross si
sentì
terribilmente in colpa perché era vero. Londra e il
Parlamento prima
e adesso anche il suo impiego come spia per il Governo lo tenevano
lontano da casa a lungo, troppo a lungo… E Jeremy non era
poi così
piccolo per non accorgersene. “Mi dispiace”
– disse solo,
chiedendosi se un giorno, crescendo, Jeremy glielo avrebbe
rinfacciato con più veemenza.
Il
bambino lo fissò per un attimo, dubbioso su cosa dire.
“Mamma dice
che lo fai per noi, per rendere il mondo un posto più bello
per me e
Clowance”.
Ross
sorrise, Demelza a volte era fin troppo comprensiva verso le sue
mancanze e lui era consapevole di averne avute molte nei confronti
della sua famiglia nel corso degli anni. Soprattutto verso Jeremy,
che aveva accolto a fatica nel suo cuore e che era nato in un momento
burrascoso del suo matrimonio dove aveva gettato via quasi tutto
inseguendo un sogno che lo aveva portato quasi a non vedere
più la
sua famiglia e quanto avessero voglia di averlo vicino. Jeremy era il
figlio che lo aveva avuto meno di tutti, quello che si era trovato a
vivere sulla sua pelle grossi momenti di crisi fra lui e Demelza,
quello che più di tutti lo aveva visto galoppare via lontano
da
Nampara. Ma Ross sapeva di amarlo, sapeva di volere il meglio per lui
e anche se a volte era il suo desiderio di avventura a portarlo
lontano, ora era anche consapevole di quanto quello che faceva
avrebbe reso il futuro dei suoi figli un po’ migliore.
“Lo pensi
anche tu, vero?”.
Jeremy
si fece serio. “A volte…”.
“Cosa?”.
“A
volte pensavo che non mi volevi molto bene”.
Jeremy
lo disse arrossendo, quasi fosse in imbarazzo lui stesso nel dire
quelle parole. E Ross si sentì di nuovo in colpa e
decisamente più
consapevole del suo ruolo di padre molte volte, troppe volte assente.
E si maledìì per non essere riuscito a fare di
più con lui. “Non
è così e spero che tu lo capisca”.
Lui
annuì. “Sei un eroe?”.
“Vorrei
esserlo ma in fondo sono solo una persona normale”.
“Io
dico ai miei amici che lo sei”.
Ross
allungò una mano a prenderlo sulle sue ginocchia.
“Lo pensi sul
serio?”.
“Sì.
E adesso ho capito che gli eroi devono anche fare cose grandissime e
quindi non possono sempre stare comodi a casa. Lo so che mi vuoi
bene, anche a mamma e a Clowance. E a Garrick e a Prudie un
pochino”.
In
quell'istante Ross fu molto grato che ci fosse Demelza accanto ai
bambini. Sopperiva a tante sue assenze, cresceva i bambini al meglio,
felici e facendoli sentire amati ed era capace di renderlo migliore
sia come persona che agli occhi dei suoi figli. In realtà
non era un
eroe, non si sentiva tale e aveva compreso di essere assolutamente
imperfetto in tante cose ma sentire quelle parole da suo figlio gli
riempì d'orgoglio il cuore perché era vero, amava
la sua famiglia
più di qualsiasi altra cosa e questo non sarebbe mai stato
messo in
discussione. "Sai che faremo? Insomma, a volte c'è poco
tempo
per stare insieme ma se lo passiamo al meglio, recupereremo i momenti
in cui siamo stati lontani".
Jeremy
sembrò convincersi di quella proposta. "Come una squadra?".
"Cosa?".
"Lo
dice sempre la mamma. Siamo una squadra noi Poldark di Nampara".
Quel
riferimento diede a Ross la scusante per agganciarsi al discorso che
intendeva fare a suo figlio. "Esatto! Tu, io, Clowance e il
fratellino o sorellina in arrivo. O come te e Mary quando siete
insieme".
Jeremy
spalancò gli occhi. "Io e Mary?".
Sembrava
imbarazzato e Ross si accorse che doveva proseguire con prudenza per
evitare che suo figlio si chiudesse in se stesso. Non erano molte le
occasioni in cui aveva parlato con lui da uomo a... quasi uomo e
quindi gli veniva complicato capire quale fosse il modo giusto per
raggiungere la coscienza di suo figlio ed ottenere la sua attenzione.
Spesso aveva fatto discorsi e paternali a Geoffrey Charles ma con
Jeremy era un campo ancora inesplorato e questo lo rendeva dubbioso e
timoroso. Il tempo era passato troppo in fretta dannazione, dalla
nascita di suo figlio! "Tu e Mary, quando giocate insieme o
uscite in barca, non siete una squadra?".
"No,
lei fa remare solo me!".
Ross
scoppiò a ridere. "D'accordo, forse è giusto
così, è una
questione di buona educazione con una donna! Ma intendevo che dividi
il tuo tempo con lei e quindi insieme, siete una squadra".
Jeremy
sembrò dubbioso. "Porta sempre il pane e la marmellata
quando
la vedo, il pomeriggio. E facciamo a metà! Significa essere
una
squadra?".
Ross
si grattò la guancia pensando che in fondo Jeremy era
davvero,
ancora, solo un bambino e forse si stava preoccupando per niente.
"Ehm... sì! E ti piace?".
"La
marmellata?".
"No,
Mary!". Santo cielo, quanto era complicato...
Il
bambino sospirò, poi con la mano smosse un pò
d'acqua facendola
dondolare dalla barca. "Sì, quasi sempre. A volte meno, a
volte
tanto. Ma mi fa sentire strano certe volte quando lei c'è".
"Strano
in che senso?".
Jeremy
ci pensò su, come a cercare le parole. "Fisicamente strano".
Ross
per poco, a quelle parole, non si cappottò dalla barca. Che
intendeva per FISICAMENTE? Jeremy aveva solo undici anni, non era
ancora il tempo per certe... pulsioni... Giusto? Vero? E nemmeno lui
era pronto per affrontare certi argomenti e Giuda, appena giunto a
casa avrebbe fatto giurare a Demelza che avrebbe affrontato lei certi
discorsi con Clowance anche perché lui non ne sarebbe uscito
vivo da
quella gita in barca. Avrebbe voluto essere ovunque, in Francia in
arresto o a Hyde Park a sfidare Monk, sarebbe stato tutto
più
semplice che quello... "Fisicamente... In che senso?" -
chiese, con terrore.
Jeremy
si toccò lo stomaco. "Mi fa un pò male
quì quando la guardo".
Ross
tirò un sospiro di sollievo. "Solo lì?".
"Sì,
che altro dovrei sentire?".
"NIENTE,
NIENTE!!! E'' tutto normale, sta tranquillo". Ross guardò il
cielo ringraziando tutti gli dei della volta celeste per aver
allontanato da lui almeno per un pò un discorso fra uomini
un pò
più intimo.
Ma
la sua gioia durò poco.
"Papà".
"Sì".
"Posso
chiederti una cosa?".
"Certo".
Jeremy
arrossì. "Il mio amico Jimmy Been dice che suo fratello
grande
gli ha raccontato che i maschi e le femmine grandi fanno cose strane
quando sono da soli. Dice che si mettono tutti nudi e...
Papà, dice
cose che mi sembrano davvero disgustose e brutte da fare".
Ecco,
ora forse era il momento di cappottarsi in mare sul serio. E ora come
diavolo ne usciva? Era normale, certo, molti ragazzini
all'età di
Jeremy iniziavano a scambiarsi in modo fantasioso informazioni
sull'intimità. Era un passaggio dovuto e una
curiosità sana e di
certo era normalissimo che le conclusioni a cui arrivavano a una
età
così acerba fossero ancora distorte, ma al diavolo, cosa
doveva
dire??? Perché non se n'era rimasto in Francia ancora un
pò,
dannazione a lui? Dov'era Dwight quando serviva? E come doveva
rispondere? Mentire? No, avrebbe reso Jeremy ancora più
curioso di
quel mondo sconosciuto e l'avrebbe forse potuto percepire come
qualcosa di morboso e sbagliato. Essere onesto? Beh, sì, ma
considerando che aveva davanti un bambino ancora undicenne che da
quel discorso avrebbe iniziato la sua vera crescita per diventare un
uomo. Aveva una grossa responsabilità davanti e per la prima
volta
forse si rese conto di quanto difficile fosse essere padre. "Credo
che il tuo amico abbia detto una mezza verità".
Jeremy
spalancò gli occhi. "Qual'è la mezza
verità vera?".
Ross
prese un profondissimo respiro, cercando di essere ciò che
suo padre
non era stato per lui. Joshua era stato fin troppo esplicito con
certe spiegazioni e ai tempi aveva ottenuto solo di farlo
imbarazzare. Ma non voleva che succedesse anche fra lui e Jeremy e
pur omettendo qualcosa, voleva essere sincero. "Gli uomini e le
donne grandi hanno una loro vita intima e di coppia che rende ancora
più profonda la loro unione. Questa è la parte
vera. Quella falsa è
che non è vero affatto che è una cosa disgustosa".
Jeremy
sbiancò, deglutendo. "Anche tu e mamma...?".
Ross
gli prese la mano, invitandolo ad avvicinarsi. "Beh, sei grande
abbastanza per capire che io e la mamma non siamo solo la tua mamma e
il tuo papà. Prima di voi figli, noi siamo stati e ancora
siamo
soprattutto una coppia. Siamo un uomo e una donna che si amano, due
sposi, la mamma è mia moglie, la mia migliore amica, la mia
compagna
e io sono altrettanto per lei. Esiste un mondo oltre a quello che tu
e Clowance vedete e quel mondo, intimo e che appartiene solo a due
persone che si amano, rende ancora più profondo un legame.
Donarsi
l'uno all'altra non è una cosa sporca o brutta ma al
contrario, una
delle più belle che la vita ti regalerà. Ora sei
piccolo, questo
mondo non ti appartiene ancora e non ti apparterrà per anni,
non
devi vivere nulla finché non sarai grande abbastanza per
renderti
conto di quanto amare una donna sia speciale ma capirai, col tempo,
che ho ragione".
Jeremy,
imbarazzato, annuì. Rimase in silenzio alcuni istanti ma poi
alla
fine alzò il viso, sorridendo. "Posso non pensarci, adesso?
Mi
fa impressione".
"Assolutamente
non devi pensarci!".
"Posso
solo giocare con Mary e andare in barca con lei e fare merenda con il
suo pane e marmellata?".
"DEVI
fare solo questo".
Jeremy
sospirò, rinfrancato. "Per fortuna. E posso anche pensare
che
tu e la mamma siete solo il mio papà e la mia mamma senza
altro?".
Ross
gli accarezzò i capelli. "Non devi farti domande, per te io
e
la mamma siamo noi, quelli che siamo sempre stati. Il resto
è
qualcosa che non ti appartiene e che ti apparterrà da
grande, quando
amerai qualcuno come io amo la mamma".
Jeremy
annuì e poi, ridendo, prese la canna da pesca. Era
decisamente
stanco dei discorsi seri e si sentiva un pò strano dopo quel
discorso, come se per la prima volta vedesse sotto una luce nuova i
suoi genitori. Ma anche decisamente più sereno.
"Papà, se non
peschiamo, mamma ci sgrida! Che si mangia a pranzo se torniamo senza
niente?".
"Oh,
hai perfettamente ragione! E non posso certo portare tua sorella alla
Wheal Grace a stomaco vuoto".
Jeremy
rise. "Clowance se non mangia, diventa più brontolona di
Prudie".
"Tua
sorella ama il cibo!".
"Come
tu ami la mamma?".
Ross
rise di nuovo. Era un bambino sveglio ma dai modi simpatici e
gentili, schietto ma educato, furbo ma ancora piccolo
per tanti aspetti del suo carattere. "Sì, più o
meno".
Jeremy
lo fissò incuriosito, facendo alla fine un'ultima domanda.
"Papà,
quelle cose che fanno gli uomini e le donne grandi, da soli, poi
fanno nascere i bambini?".
Ross
sorrise. "Sì" - rispose, semplicemente. Perché
mentire?
Jeremy
si rasserenò del tutto. "E allora ti credo, se siamo nati
noi
allora è una cosa bella davvero".
Ross
si sentì orgoglioso di se stesso e forse lo sarebbe stata
anche
Demelza quando glielo avrebbe raccontato. "Esatto. Hai altre
domande?".
Jeremy
scosse la testa e Ross comprese che forse, per qualche anno, poteva
stare tranquillo. Per altri discorsi complicati c'era decisamente
tempo...
E
rasserenato, raggiunse una caletta che pullulava di pesci, godendosi
finalmente del tempo con quel figlio troppo a lungo tenuto lontano,
ricordando la sua nascita e come si era annunciato al mondo, proprio
su quella barca dove Demelza era entrata in travaglio. Un cerchio si
chiudeva, in un certo senso. La storia che era iniziata su quella
barca dando la vita al
suo bambino, ora lo vedeva fare i primi timidi passi nel mondo dei
grandi
segnando un altro passaggio della sua esistenza.
E Ross era fiero di esserci, stavolta.
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
La
gravidanza di Demelza era ormai agli sgoccioli e il parto avrebbe
potuto avvenire da un giorno all'altro.
Ross
aveva passato le settimane dividendosi fra la Wheal Grace al mattino
e il lavoro nei suoi campi il pomeriggio dove, con Prudie e i
bambini, aveva raccolto il grano e preparato i terreni per le
successive culture.
Demelza
si era occupata, impossibilitata a lavorare fuori a causa del suo
pancione, a preparare pranzi e cene per tutti e a fare conserve da
consumare in inverno quando, con un neonato in casa, avrebbe avuto
meno tempo per fare questo genere di cose.
Quella
mattina, dopo l'alba, con la piccola Clowance Ross si era recato a
Truro per degli acquisti richiesti da Demelza per il bimbo in arrivo
e per il parto. Jeremy si era rifiutato di venire, aveva detto che
erano cose da femmine e che avrebbe preferito stare a casa a finire
di sistemare il grano e così, con un lista scritta di
proprio pugno
dalla moglie, padre e figlia si erano recati al mercato in cerca di
lenzuola nuove,
spugne, stoffe per cucire pannolini e abitini e sapone per il bucato
e per lavare il piccolino appena fosse nato. Dwight gli aveva
consigliato un sapone molto delicato e particolare e Ross sapeva bene
che i consigli del suo amico erano legge e andavano seguiti,
soprattutto quando si trattava di salute.
Con
Clowance che gli teneva la mano e saltellava contenta non smettendo
di chiacchierare, Ross riuscì a trovare tutto l'occorrente
nel giro
di un paio d'ore e poi, pieno di borse e pacchetti, aveva portato la
figlia
a fare uno spuntino in una locanda che vendeva dolciumi.
Così
come gli era piaciuto stare in compagnia di Jeremy in barca, allo
stesso modo si godeva il tempo con Clowance che era vivacissima, era
dotata di una lingua tagliente ed era curiosa e poco incline alle
regole come era sempre stato lui. Quando ce l'aveva portata, alla
Wheal Grace si era intrufolata in ogni cunicolo che le era capitato a
tiro, sporca di polvere aveva esultato con Zachy per un filone di
rame trovato mentre lei era lì e quella mattina non era
stata zitta
un attimo nel tentativo di convincerlo di quanto la sua bambola
avesse bisogno di vestitini nuovi.
"Papà,
ci vogliono vestiti estivi! La mia bambola ne ha solo di lana e ora
sarà estate!".
Ross
rise mentre, con la piccola per mano, si avvicinavano alla locanda
dove fare lo spuntino. "Dicono che le bambole siano freddolose,
lasciamola vestita così o le verrà il
raffreddore".
"Dicono
sbagliato, sono voci falsissime!".
"Diremo
allora a mamma, con la stoffa che le avanza,
di fare qualche abitino anche alla tua bambola".
Clowance
annuì. "Giura!".
"Giuro!".
La
bambina sorrise e riprese a saltellare contenta quando, davanti alla
porta della locanda per poco non si scontrarono con un uomo e un
bambino che vi uscivano. Due figure che non vedevano da tanto e che
Ross di certo conosceva benissimo, tanto da fargli pensare a quanto
il destino fosse capriccioso e dispettoso. "George? Valentine?"
- esclamò, spalancando gli occhi e sentendo un nodo in gola
nel
rivedere quel bambino a cui si era imposto di non pensare e che
sperava di non rivedere più, come aveva promesso prima di
partire
per la Francia.
Anche
Clowance lo riconobbe. "Papà, lo ricordi? Lui è
Valentine, è
venuto a casa nostra!".
Anche
George si irrigidì, colto totalmente di sorpresa.
Guardò Ross e
nonostante i loro rapporti fossero migliorati dopo l'affare coi
francesi e l'inaspettata collaborazione che li aveva uniti, decise
che era meglio mantenere le distanze. Per lui, per Ross, per tutto...
"Ross Poldark!" - disse, a mento alto - "I francesi
non ti sopportavano più e ti hanno rispedito
quì?".
Ross
mascherò un sorriso, in fondo così George rendeva
tutto più
semplice. Non si erano più rivisti dalla sua partenza e
Demelza gli
aveva detto che effettivamente, dopo aver lasciato Trenwith,
né lui
né nessun altro Warleggan si era più fatto vedere
e tutti si erano
trasferiti a Londra oppure, appunto, lì a Truro quando
c'erano da
seguire gli affari locali. "I francesi sono noiosi e come sai,
amo la vita movimentata. Quì posso mantenermi in forma!
Tutto a
posto? Hai occupato come si deve il tuo seggio a Westminster?".
"Ovviamente!
E tu? Hai salvato la nazione da qualche altro tentativo di
invasione?".
Ross
ridacchiò. "In realtà devo ammettere che il mio
incarico è
stato di una noia mortale!".
George
addocchiò i mille pacchetti che teneva in mano. "E' per
questo
che hai cambiato mestiere e ti sei messo a fare il facchino?".
Ross
alzò le spalle. "Potrebbe essere un'idea o un buon modo per
arrotondare le entrate ma in realtà sto solo facendo delle
commissioni per conto di mia moglie".
George
alzò un sopracciglio, piuttosto divertito dal vedere il suo
eterno
rivale nei panni di domestico agli ordini della moglie che un tempo
era stata la sua domestica. "Capisco!" - commentò, in tono
sarcastico.
Clowance,
stanca di quel chiacchierare, si rivolse a Valentine. "Non sei
più venuto a giocare a casa mia".
Valentine
osservò Ross in modo apparentemente ostile. Era cresciuto di
qualche
centimetro dall'ultima volta che lo aveva visto e il suo viso
sembrava serio e decisamente poco contento e gioioso. Sembrava
annoiato da quella passeggiata col padre e in effetti una mattinata
con George Warleggan non doveva essere l'apoteosi del divertimento
per nessuno, tanto meno per un bambino di otto anni...
George
rispose alla
bambina per
conto
del figlio.
"Perché non c'è motivo per cui Valentine venga a
casa tua,
bambinetta! E' tua figlia?" - chiese a Ross.
"Miss
Clowance Poldark in carne ed ossa".
George
sospirò. "I Poldark son sempre troppi e stanno zitti troppo
poco. Ma devo ammettere che è graziosa".
Ross
osservò Clowance strizzandole l'occhio. "Prendilo come un
grandissimo complimento, cosa di cui George è avaro".
"Cavaliere
George Warleggan!" - lo corresse il suo rivale, tronfio del
titolo acquisito.
"Cavaliere..."
- ripeté Ross, sospirando.
Clowance
lo osservò in cagnesco, non convinta da quell'affermazione.
"Cavaliere? E dov'è la vostra spada, signore? I cavalieri
VERI
ne hanno una! E un cavallo bianco e un'armatura!".
Stizzito,
George alzò ancora di più il mento. "Non mi serve
niente di
tutto questo! E tu non hai modi garbati e sei insolente! Ma
d'altronde con una famiglia così...".
Ross
rise ancora, in fondo si stava divertendo e, poteva scommetterci,
pure George. "E la famiglia a breve sarà ancora
più grande.
Sarete circondato da Poldark ovunque vi muoviate!".
George
ci mise un attimo a capire a cosa Ross alludesse ma poi, dopo qualche
istante di sorpresa, riprese il suo solito e sprezzante cipiglio.
"Prospettiva terrificante. Ma sono un gentiluomo e quindi mi
sento in dovere di farti gli auguri".
"Auguri
accettati" - rispose Ross apprezzando lo sforzo, soprattutto
perché George con le sue chiacchiere gli stava rendendo
più
semplice cercare di evitare di concentrarsi sulla presenza del
piccolo Valentine che, coi suoi ricci neri e i suoi occhi scuri era
forse la rappresentazione vivente più evidente del
più grande
errore della sua vita. Ogni notte pregava che non fosse
così, che
semplicemente il bambino avesse preso i colori di Elizabeth ma in
cuor suo sapeva che quel sospetto che in troppi covavano, era fin
troppo vicino alla realtà.
George,
incurante o forse volutamente indifferente ai suoi pensieri, riprese
la parola. "Quindi la... domestica... è di nuovo incinta. In
fondo per le donne del popolo è una condizione naturale che
non
desta preoccupazione, a differenza di quanto accade per le delicate
donne di buona famiglia".
Improvvisamente
il fantasma di Elizabeth e la sua morte si materializzò fra
loro e
Ross impallidì, ricordando quel giorno terribile, quel corpo
giovane
ormai senza vita steso su quel letto e quanto ne era conseguito per i
suoi figli. Forse George voleva, a modo suo, infondergli
tranquillità, ma in realtà le paure che Ross
provava per Demelza
erano reali e decisamente collegate anche a quel giorno.
"Mi auguro che sia così, anche se lo sai anche tu che il
parto
è una incognita che fa paura".
George
abbassò il viso. "Immagino di sì. Ma nel tuo
caso, suppongo
che andrà tutto bene".
"Come
fai a dirlo?".
George
fece un ghigno di scherno. "Ti va SEMPRE tutto bene, in un modo
o nell'altro".
Stanco
di quel discorso e di rimanere ai margini senza che nessuno gli
prestasse attenzione, dopo aver scalciato un sasso lontano, Valentine
strattonò il cappotto di Ross e lo fronteggiò a
viso duro. "Avevate
detto che potevo venire a trovarvi a casa vostra e alla vostra
miniera! E invece io sono andato via e anche voi!".
Gli
occhi di Clowance scrutarono il padre con curiosità e anche
George
si irrigidì, attento a valutare la risposta che avrebbe dato
al
bambino.
Ross
deglutì e poi osservò quel piccolo essere umano
che portava il
cognome Warleggan ed era meglio che fosse così. Per tutti
e per sempre!
Per Valentine in primis e poi per George, per Ursula, per Geoffrey
Charles. Quella notte doveva rimanere un segreto che nessuno doveva
rivelare anche per rispetto al ricordo di Elizabeth... E poi,
soprattutto, per il bene della sua famiglia, di Demelza che aveva
sofferto senza meritarsi quel torto, per i suoi bambini. Quella notte
era passata e tutto ciò che ne era conseguito aveva trovato
una sua
collocazione nel mondo che non doveva essere sovvertita. Si
sforzò
di sorridere e poi, con un gesto gentile, accarezzò i ricci
neri di
Valentine. "Beh, io lavoro molto spesso lontano e anche tu ora
vivi in bellissime case lontane da Nampara. E per quanto riguarda la
miniera... E' a tuo padre che dovresti chiedere consigli ed
è con
lui che dovresti andare ad esplorarle. Lui ha le miniere più
grandi
e funzionanti
di tutta la Cornovaglia e la Wheal Grace è un granellino di
sabbia
al loro confronto. Ed è un maestro a farle funzionare al
meglio, se
chiederai a lui avrai il migliore fra i maestri. Io sono solo un
dilettante".
George
rimase spiazzato da quelle parole ma con uno sguardo gli
comunicò un
muto ringraziamento. Quell'aiuto inaspettato da Ross, quelle parole
che una volta lo avrebbero gonfiato come un pavone e fatto gongolare
fino allo sfinimento, ora erano un balsamo per il suo animo
tormentato e per il suo ruolo di padre
che molto aveva sbagliato e che troppi dubbi e paure nutriva nei
confronti di quel figlio che non gli somigliava per niente.
Ma
fu grato a Ross soprattutto per il senso di quelle parole e per
l'effetto che avrebbero avuto su Valentine nel giudicarlo da
lì in
futuro. Ross era autorevole agli occhi del bambino e quanto detto
avrebbe agevolato il rapporto fra loro più di qualsiasi
azione lui
avrebbe potuto intraprendere. Lui
lo aveva aiutato con Hanson e i francesi e con quelle parole Ross
risanava il suo debito nei suoi confronti. "Bene Ross, ammetti
la mia superiorità!".
"Ovviamente...".
George
picchiettò sulla schiena di Valentine. "Sentito! Hai a
disposizione il maestro migliore, non accontentarti dei dilettanti".
Ross
sospirò, sentendosi in pace con se stesso per aver fatto la
cosa
giusta anche se lo sguardo di Valentine non sembrava convinto. Lo
ignorò, come era giusto che fosse. "Ora devo andare, mia
moglie
mi aspetta per pranzo".
George
annuì. "Io anche...". Poi osservò Clowance. "E
tu,
impara a tenere a freno la lingua se non vuoi diventare impertinente
come tuo padre".
Clowance
sbuffò, senza remora di essere notata. "Mamma dice che
bisogna
dire sempre cosa si pensa".
George
la guardò storto. "Oh, immagino. Tua madre non è
campionessa
di buone maniere".
"Mamma
è la migliore! E anche la Wheal Grace e il mio
papà".
Prima
che la situazione degenerasse, Ross prese per mano la piccola,
trascinandola via. "Ci vediamo a Westminster".
George
si allontanò con Valentine. "Tornerai a breve?".
"Non
a breve" - ammise Ross - "Sono stato lontano troppo a lungo
e ora voglio rimanere a casa e godermi la mia famiglia e i miei
figli".
"Capisco..."
- rispose George, trascinando via Valentine. "Buona giornata".
"A
te" - rispose Ross, riprendendo la strada per casa a ritroso.
Clowance,
imbronciata, picchiò a terra il piedino. "Papà,
il papà di
Valentine è antipatico! E Valentine è cattivo".
Ross
sorrise, sua figlia era così combattiva e irriverente... "E'
QUASI meglio di quel che sembra. E Valentine non è cattivo".
"Sì
he lo è! Quando è venuto a scuola da zia
Morwenna, ha fatto
piangere Bessie Been".
Ross
sospirò. "Sono sicuro che non l'ha fatto apposta".
"Invece
sì" - ribadì la bambina, sicura.
Ross
non le rispose, deciso a non dire più nulla di Valentine.
Era un
Warleggan ed era responsabilità di George crescerlo. Nel
bene e nel
male...
E
quasi leggendogli nel pensiero, Clowance proseguì nella sua
invettiva. "Suo papà dovrebbe insegnargli a fare il bravo!".
Suo
papà... Già, suo papà... E Ross
sentì stringersi il cuore.
...
Tornarono
a casa prima di pranzo, trovando Demelza che piegava alcuni vestiti
dei bambini.
Clowance
le corse incontro e Demelza la abbracciò, prima di mandarla
a
lavarsi le mani e prepararsi per pranzare.
Ross
poggiò sul tavolo pacchi e pacchetti. "Credo di essermi
superato e di essere ormai pronto a fare la massaia e la spesa per
tutta casa!".
"Hai
trovato tutto?" - chiese Demelza, avvicinandosi al tavolo con la
curiosità di sbirciare nei pacchetti.
"Tutto!".
"Clowance
ha fatto la brava?".
"Sì,
ma ho dovuto prometterle che cucirai
come se non ci fosse un domani degli abiti nuovi per le sue bambole".
Demelza
sospirò,
poi lo baciò sulle labbra. "Oh, fantastico! Fra una poppata
e
l'altra non mi annoierò".
Ross
sorrise, ma di un sorriso forzato. L'incontro con George e Valentine
e il ricordo della morte di Elizabeth riportavano in vita antichi
fantasmi e vecchie paure e Demelza era così vicina a
partorire
che... E se fosse successo qualcosa di brutto? Se qualcosa fosse
andato storto? Se l'avesse persa?
A
quei pensieri, d'istinto la abbracciò, baciandola sulla
nuca. E
Demelza reagì ricambiando l'abbraccio ma fissandolo con aria
interrogativa. "Ross, va tutto bene?".
"Sì,
perché?".
"Sei
strano...".
"Semplicemente,
esprimo
affetto per
mia moglie...".
"Ross!".
No, Demelza non era affatto persuasa da quella spiegazione...
Lui
sospirò, poi si sedette sulla sedia. "Sai, a Truro abbiamo
incontrato
per caso
George e Valentine e...".
Lo
sguardo di Demelza si fece serio ed impallidì
impercettibilmente
come succedeva ogni volta che sentiva quei nomi. Che
era successo? "Avete
litigato?".
Ross
scosse la testa. "No, in realtà è stata anche una
conversazione piacevole. Strana... ma divertente".
"Ottimo".
"Però...".
Demelza
deglutì. "Però cosa?".
Ross
le prese le mani, stringendole forte. "Mi è venuta in mente
Elizabeth e la sua morte e questo mi ha ricordato che ho paura. Per
te e per quello che sta per succedere".
Demelza
sorrise dolcemente, rendendosi conto che le paure di Ross erano tutte
per lei e che il ricordo di Elizabeth non era più una
minaccia per
loro da molto. Gli accarezzò la guancia, lo baciò
e poi gli
stropicciò scherzosamente i capelli. "Giuda Ross, mi sento
un
leone! Andrà tutto bene e io mantengo sempre la parola data.
Non
avere pensieri brutti, non è il caso".
Ross
rispose al sorriso, appoggiando il capo contro la fronte di sua
moglie. "Sono uno sciocco?".
Lei
rise. "Sì... Ma sei uno
sciocco dolce e che amo".
Avrebbe voluto chiedergli di Valentine ma sapeva che Ross non amava
affrontare quell'argomento e in fondo, insieme e in un tacito
accordo, avevano scelto di non farlo più. Per Ross era
doloroso
quanto per lei e non c'era motivo di scoperchiare coperchi che
tenevano celate verità pericolose.
E
poi...
E
poi in quel momento non poté dire nulla. Sentì un
dolore sordo al
ventre e alla schiena, schizzò in piedi e sotto di lei
comparve una
pozza d'acqua che scendeva dalle sue gambe. "Giuda!".
Anche
Ross scattò in piedi. "Che c'è?" - chiese, nel
panico.
"Ho
rotto le acque, corri a chiamare Prudie!".
"Sei
sicura?".
"Giuda,
sto per allagare il nostro salotto!
Ross, sbrigati!!!" - gli urlò.
Lui,
in panico, guardò verso la porta. "E' colpa mia? Ti ho
agitato?".
Demelza
sbuffò, in fondo era pure una situazione buffa a modo suo.
Si
appoggiò al tavolo, prese un profondo respiro e poi rispose.
"Sì,
nove mesi fa è stata colpa tua ma non ho voglia di parlarne
adesso.
Corri a chiamare Prudie! O Dwight!!!".
"Ora?".
"Ora!"
- urlò lei - "Tua figlia sta per nascere!".
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
E
con questo capitolo, auguro a tutti una serena Pasqua e Pasquetta.
"Torno
subito".
Con
un bacio, portando con se i bambini perché non rimanessero
soli in
salotto, Ross era corso a Killawarren a chiamare Dwight e Demelza si
era fatta aiutare da Prudie a salire in camera, a cambiarsi d'abito
indossando una comoda camicia da notte e a mettersi a letto.
A
differenza dei parti precedenti, molto veloci, questa volta le
contrazioni erano violente ma più prolungate l'una
dall'altra e
Demelza poteva riprendere così fiato anche se temeva che
questo
significasse un parto più lungo.
Con
dei gesti gentili, Prudie le asciugava il sudore dal viso e cercava
di tranquillizzarla. "Ho preparato lo stufato per stasera.
Sarebbe carino riuscire a cenare tutti insieme ragazza, dopo tutta la
fatica che ho fatto. Vedi di sfrattare in fretta questo signorino o
signorina o Prudie si sentirà offesa".
Demelza,
nonostante tutto, rise. "Ross dice che sarà una bambina".
Prudie
le strinse la mano. "Una piccola peste come Clowance...?".
"Magari
sarà più tranquilla".
"O
magari ancor più rumorosa" - sbottò la domestica,
fingendosi
disperata anche se Demelza lo sapeva, adorava i piccoli di Nampara.
Una
nuova contrazione la colse lasciandola senza fiato. "Giuda
Prudie, ho partorito otto anni fa e non ricordavo fosse così
complicato e doloroso. O forse, sto diventando vecchia e non sopporto
più come prima il male" - mormorò,
rannicchiandosi fra le
coperte.
Prudie
le accarezzò i capelli, percependo a pelle il dolore della
sua
padrona. "Sciocchezze, il signor Ross dice che siete ancora una
ragazzina e in effetti è così. E' che i bambini
Poldark sono
dispettosi e complicati e questi sono i risultati".
In
quel momento, trafelato, entrò Dwight. Vestito solo con la
camicia,
coi capelli spettinati, corse da lei seguito da Ross che era pallido
come un cencio. "Demelza, sono quì. Ci siamo, è?"
-
esclamò il medico, appoggiando la sua borsa sul comodino.
Demelza
annuì, mettendosi composta sul cuscino. "Già,
pare di sì".
Poi guardò Ross. "Lui che ci fa quì? Ross,
sparisci!".
Il
marito le si avvicinò. "Demelza...".
Giuda,
non voleva che lui la vedesse in quelle condizioni.
"Ross, vattene!".
"Voglio...
voglio solo essere... voglio..." - balbettò, spaventato come
uno scolaretto al primo giorno di scuola. La comprendeva, sapeva che
aveva un pessimo rapporto col suo corpo quando si trattava di
gravidanza e parto ma lui la vedeva come sempre, come sua moglie, la
sua amante, la sua compagna e la madre dei suoi figli e non poteva
esserci differenza in questo, in un momento del genere. "Ti
prego".
La
sua voce tremava e lei capì che aveva paura più
di tutti e che
avrebbe voluto rimanere. Ma non se la sentiva, non voleva, lui doveva
essere utile altrove. Allungò una mano e gliela strinse,
cercando di
dargli coraggio. "Va di sotto, sono con Dwight, al sicuro. E
c'è
anche Prudie. Va dai bambini, hanno bisogno di te, non possiamo
lasciarli da soli così a lungo, ci vorranno ore".
Ross
spalancò gli occhi. "Ore?".
Dwight
gli posò la mano sulla spalla. "Ross, i bambini si
concepiscono
in pochi istanti ma per farli nascere ci vuole un pò
più di tempo e
fatica. Lei ha ragione, va di sotto e fa quello che fanno tutti i
padri! Fa avanti e indietro in salotto, scava un solco e bevi del
rum, noi qua sopra faremo la nostra parte senza averti in mezzo ai
piedi".
Ross
strinse
i pugni, capendo che non poteva fare altrimenti. Si
inginocchiò, la baciò sulla fronte e le
sfiorò il viso in una
carezza. "Posso fidarmi di te? Posso lasciarti con la certezza
che ti troverò tutta intera quando tutto sarà
finito?".
Demelza
gli sorrise. "Direi che puoi...".
Si
baciarono ancora, un bacio nervoso, poi lui andò a
malincuore di
sotto. "Dwight, te l'affido".
"Sta
tranquillo".
Quando
il marito se ne fu andato, Demelza sprofondò esausta sul
materasso.
"Dwight, cerchiamo di fare presto! O Ross impazzirà e io
anche".
Dwight
sorrise, sedendosi accanto a lei nel letto. "Ci prenderemo il
nostro tempo, che al tuo scalpitante marito piaccia o no. A volte mi
chiedo quanti figli ci vorranno a Ross prima di arrivare al momento
del parto con meno terrore...".
Demelza
rise, nonostante tutto. "Credo non succederà mai,
è nella sua
natura trovare qualcosa di cui essere preoccupato".
Dwight
le accarezzò la fronte. "Direi che è un buon
sintomo di amore
per te, dopo tutto... Frustrante certo, ma non possiamo pretendere la
perfezione".
Demelza
gli fu grata per quelle parole che alleggerivano la situazione e
rinfrancavano il suo spirito, per la sua vicinanza e per la sua
presenza di amico, oltre che medico. "Grazie".
"Dovere"
- rispose l'amico, prima di diventare un efficente medico e guidarla
in quel travaglio che si preannunciava lungo e in un parto forse meno
veloce degli altri.
...
Le
ore passarono in fretta e il pomeriggio lasciò il passo alla
sera. I
lamenti di Demelza giungevano di sotto e Ross era stato costretto a
portare fuori i bambini nella stalla per distrarli.
Jeremy
e Clowance erano preoccupati e non erano più così
piccoli per non
capire la sofferenza della madre e l'enormità di quanto
stava
succedendo. Ross tentava di apparire normale ma la sua faccia terrea
esprimeva appieno la paura e l'angoscia per sua moglie, che i figli
percepivano chiaramente.
Diedero
da mangiare ai vitellini, ritirarono il bucato e lo piegarono e
all'ora di cena Ross scaldò il cibo e mangiarono in
silenzio, con
Clowance rannicchiata sulle sue ginocchia come faceva quando era
più
piccola e faceva un brutto sogno. L'assenza
di Demelza, anche se ovviamente giustificata, pesava su tutti come un
macigno, era l'anima della casa, della famiglia, della tavolata e
senza di lei loro potevano ben poco. "Papà"
- disse
la bimba,
sgranocchiando del pane controvoglia - "Io non lo voglio questo
fratellino se mamma sta male così".
Ross
le accarezzò i capelli biondi, stringendo a se anche Jeremy.
"Credo
che vostra madre non la pensi allo stesso modo,
è un tipo di sofferenza che poi le porta gioia.
Ama essere la vostra mamma e avere dei figli e il dolore che prova
ora, è quello che ha provato quando siete nati voi... Anche
io
vorrei che non soffrisse ma ho imparato che amare una donna significa
anche avere poi dei figli. Starà bene e noi le staremo
vicini e
saremo contenti quando abbracceremo il nuovo fratellino o sorellina".
"Toccherà
le mie bambole?" - chiese Clowance.
"E
le mie costruzioni di legno?" - aggiunse Jeremy - "Non le
faccio toccare mai a nessuno, nemmeno a Clowance".
Ross
rise. "Beh, forse lo farà. Glielo permetterete?".
"NOOO!"
- risposero i bambini, in coro.
Ross
si grattò la guancia perplesso. Iniziavano bene...
"Jeremy, hai undici anni..." - gli fece notare. "E una
amichetta del cuore...".
"Ma
le costruzioni sono mie lo stesso!" - ribadì il ragazzino,
imbronciato.
Finirono
di cenare e poi Ross portò fuori a fare due passi Garrick,
coi
bambini, attraversando i terreni attorno a casa. Al ritorno, ancora
nulla era successo e coi suoi figli si mise davanti al camino, lo
accese, li fece mettere comodi e quando li vide assonnati, li
spronò
ad andare a letto.
"Non
voglio!" - disse Jeremy, deciso. "Non finché non vedo
mamma!".
"Nemmeno
io!" - ribadì Clowance.
Ross,
arreso davanti a quella testardaggine tipicamente Poldark,
andò a
prender loro due cuscini e delle coperte e dopo averli fatti stendere
sui divani, promise che li avrebbe svegliati appena il piccolo fosse
nato.
Clowance
appoggiò la testa contro le sue gambe, Jeremy si
addormentò
nell'altro divano e sul salotto calarono
il silenzio e il buio della tarda sera.
Solo
il fuoco illuminava l'ambiente e donava un certo tepore a quella sera
sì estiva, ma decisamente fresca.
Osservò
le fiamme e pensò che quella era l'ora della giornata che
preferiva, quella dove lui e Demelza si trovavano lì a
parlare di tutto e
niente, godendo della compagnia reciproca. A volte discutevano di
politica, della miniera, a volte lui si incaponiva su qualcosa e lei
allora
lo
guardava con quel suo sorriso furbo che lo faceva vacillare e spesso,
cambiare idea sulle sue convinzioni.
Era dannatamente così brava a farlo e sembrava conoserlo
meglio di
quanto lui conoscesse se stesso.
Quanto
gli mancava...
Pensò
ad altre sere simili, come quando lei se n'era andata pensando che la
tradisse con Tess. Ma ora non era solo, ora non c'erano tensioni e
accanto a lui avvertiva il respiro placido dei suoi figli e tutto
andava bene e sarebbe andato ancora meglio. Poi ripensò alla
cena e
gli venne in mente un'altra cena passata da solo, coi bambini. Quel
giorno pensava che Demelza se ne fosse andata per sempre con Hugh
Armitage e lui si era sentito smarrito e sperso, disperato, incapace
anche di urlare il suo dolore per quanto questo fosse
lancinante. E quella notte terribile aveva capito che lui dipendeva
da lei, che sua moglie era il suo centro, il suo tutto e che senza
Demelza non avrebbe saputo andare avanti.
Guardò
alle scale, rendendosi conto che ora regnava uno strano silenzio. Ed
ebbe paura...
Finché,
in quelli che gli sembrarono
interminabili minuti di immobilità, non udì un
pianto. Vigoroso,
squillante, potente. Nessuno dei suoi figli alla nascita aveva un
pianto e una voce così.
Guardò
l'orologio, mancavano dieci minuti a mezzanotte. Ed era di nuovo
padre...
Clowance
e Jeremy mormorarono nel sonno ma senza svegliarsi e lui, col cuore
in gola e una gioia indescrivibile nel cuore, si alzò
tentando di
non turbare il riposo di sua figlia.
Prudie
corse di sotto, trafelata e tutta rossa in viso. "Signore!".
Ross
andò da lei, ansioso, incredulo, ancora indeciso se essere
felice o
spaventato. "E allora?"
- chiese, strattonandola.
"E'
nata! E' una bambina bella grassa, che urla come una pescivendola e
piena di grinta! E scoppia di salute, anche se ci ha davvero fatti
penare a lungo per venire al mondo".
A
quelle parole, Ross sudò freddo. "Demelza?".
"Stanca,
ma sta bene".
Anche
Dwight comparve dalle scale, con un sorriso raggiante. "Pare che
fra una quindicina di anni avrai in casa un altro pretendente per una
delle tue figlie".
Ross
sentì il suo corpo diventare molle, le braccia cedergli e il
sollievo coglierlo come un'onda improvvisa che ti coglie sulla
battigia. "State coi bambini, vado da lei...".
Prudie
gli si parò davanti. "Aspettate, torno su a dare una mano
alla
signora a lavarsi e cambiarsi. E a sistemare la piccola".
E poi corse su, ciabattando rumorosamente.
Dwight
poggiò le mani sulle spalle di Ross. "E' andato tutto bene,
ora
Demelza dovrà solo riposare alcuni giorni e poi sarà
quella di prima".
Ross
sospirò, ma tutte le sue paure non si erano ancora placate.
"Non
le succederà nulla di male?".
Dwight
rimase in silenzio e comprese che in quel momento l'amico stava
pensando ad Elizabeth e alla sua morte dopo il parto di Ursula. Ma
non era la stessa cosa, non sarebbe mai stata la stessa cosa per
nessuna donna e Dwight lo sapeva purtroppo fin troppo bene. "Sta
bene e starà ancor meglio domani. Non farti strane idee,
sali di
sopra e goditi tua figlia. E' una bambolina deliziosa, resterai
estasiato".
Ross
annuì e dopo aver affidato a Dwight il compito di svegliare
i
bambini, salì di corsa di sopra dove trovò Prudie
che borbottava
perché era arrivato prima che lei potesse portare via le
lenzuola
e gli stracci sporchi.
Ross
praticamente la travolse e poi corse da sua
moglie.
Il
fuoco ardeva anche in camera e dal camino sprigionava il suo calore.
Demelza era seduta su due cuscini, con indosso solo una sottoveste
bianca smanicata, i suoi lunghi capelli le cadevano morbidamente
sulle spalle e il viso era arrossato dalla fatica e dalla gioia. In
mano stringeva un fagottino e Ross, avvicinandosi, vide prima di
tutto un ciuffetto nero che spuntava dalle coperte.
Demelza
gli sorrise. "Ho saltato la cena, scusaci...".
Le
si sedette accanto, abbracciandola e stringendo a se entrambe. "Non
farlo più".
Rimasero
così, in silenzio, per lunghi istanti, respirando ognuno il
profumo
dell'altro e assaporando il calore dei rispettivi corpi di nuovi
vicini, pronti a sostenersi.
E
poi la piccola star della serata si lamentò, reclamando
attenzione...
Entrambi
abbassarono lo sguardo e Ross la vide. Eccola, era arrivata un'altra
donna a rubargli il cuore. Era una bambolina davvero, con il visino
tondo, gli occhi verdi come quelli della madre e i capelli neri come
i suoi. Il perfetto connubio nato dall'unione dei suoi genitori
che proprio in quella stanza, su quel letto, l'avevano concepita nove
mesi prima in una serata memorabile dove erano stati spie,
combattenti per la patria, abili doppiogiochisti ma soprattutto,
sposi e amanti appassionati.
Aveva delle guanciotte immense, un nasino all'insù e la
bocca a
forma di cuore e soprattutto, una espressione vivace e biricchina che
lo conquistò subito. "E' meravigliosamente Poldark, dalla
punta
dei capelli a quella dei piedi" - disse, baciando con
delicatezza la fronte di sua figlia. "Benvenuta piccola
Isabella-Rose, ti sei fatta attendere ma ne è valsa
decisamente la
pena".
La
piccola si agitò riconoscendo la sua voce e con la manina
paffuta
afferrò una delle sue dita, stringendola forte.
Ross
rise. "Ha dei bei muscoli".
"E
una voce potente!" - aggiunse Demelza.
Ross
annuì. "Me ne sono accorto. Mi auguro che non
sarà troppo
rumorosa".
Demelza
non rispose, limitandosi a rannicchiarsi contro di lui. Ross le
baciò
i capelli, ne respirò il profumo e godette di quel contatto
come se
la stesse rivedendo dopo anni. La
cullò fra le sue braccia, pensando a quanto fossero state
dure le
ultime ore per lei. "Come
stai?".
"Stanca...
Ma felice".
"Sono
morto di preoccupazione! Gli altri parti sono stati così
veloci
rispetto a questo...".
Demelza
sorrise. "Forse sto un pò invecchiando".
Scherzando,
anche se non voleva assolutamente riprovare i brividi di quella
giornata, Ross le diede un buffetto sulla guancia. "Quando
avremo Henry che farai allora? Due giorni di travaglio?".
Demelza
alzò il capo di scatto, guardandolo con aria interrogativa.
"Henry?".
"Non
doveva chiamarsi così il nostro prossimo figlio?".
"In
realtà era il nome destinato ad Isabella-Rose nel caso fosse
stata
un maschio".
"Oh,
peccato..." - disse Ross, fingendosi rammaricato ma in
realtà
sollevato dalle parole di sua moglie. Avevano tre figli, bastavano ed
avanzavano. E lui non sarebbe sopravvissuto a un altro parto...
Demelza
si accorse che scherzava e anche se stanca, proseguì in quel
gioco.
"Dimmelo domani, magari. Ora dopo dieci ore di travaglio, non
voglio sentir parlare di altri figli".
Ecco
il momento trionfale! Ross prese la palla al balzo. "Vorrei ci
fosse quì un notaio in questo momento, per prendere nota
delle tue
volontà e di quanto hai detto".
Demelza
scoppiò a ridere. "Sei sleale!".
"E
tu mi farai morire se resterai incinta di nuovo!".
"Non
è mica solo colpa mia, se succederà... E
l'alternativa e il come
evitarlo, non sono fra i miei programmi, Ross".
Lui
la strinse a se, ancora una volta affascinato dalla sua forza e dalla
sua capacità di avere la risposta sempre pronta. Cosa
sarebbe stata
la sua vita senza di lei? Era il suo sole e l'anima di Nampara come
un tempo lo era stata sua madre. Nessuna, nessun'altra donna avrebbe
potuto essere per lui ciò che lei era diventata. Era sua
moglie e
lui era il padre dei figli che lei aveva messo al mondo. Il resto non
contava, non contava più... "Ti amo" - sussurrò
baciandola, mentre Isabella-Rose gorgogliava fra loro mordicchiandosi
le manine.
Demelza
le accarezzò la testolina, prima di abbassarsi la spallina
della
sottoveste e darle il seno. "Ha fame".
Ross
si sedette accanto a loro, stringendole a se e facendo poggiare
Demelza sul suo petto. "E' una bambina fortunata, è nata in
una
bella famiglia. E ha te come madre". Lo disse a lei, ma anche a
se stesso. Se Demelza non fosse stata ciò che era, forte e
capace di
sostituirlo e sopperire alle sue assenze, lui non avrebbe potuto
vivere il genere di vita che si era scelto e che spesso lo portava
lontano.
In
quel momento la porta si aprì e Clowance e Jeremy corsero
dentro,
seguiti da Prudie. "Giuda, mi sono scappati e sono corsi quì
come delle furie appena hanno saputo...".
Demelza
sorrise e i suoi occhi brillarono appena vide i figli più
grandi.
Allargò le braccia e accolse anche loro sul lettone.
Ross
lanciò un'occhiataccia ai due. "Fate piano, vostra madre
è
stanca e vostra sorella piccola".
"Faremo
pianissimo!" - disse Clowance, sbirciando la sorellina. "Hei!
Ma non ha i capelli come i miei!".
Ross
annuì. "Li ha come me!".
"Ma
non è giusto!" - borbottò la piccola.
Demelza
la strinse a se. "Beh, non sei contenta? Sarai l'unica bionda
della famiglia".
Clowance
ci pensò su. "Ohhh".
Jeremy
abbracciò Demelza. "Mamma, stai bene?".
"Sì".
Il
ragazzino osservò la sorellina, toccandole la manina.
"Sembra
un pò grassa! Come Clowance da piccola".
Clowance
gli diede una manata. "Hei".
E
Ross li divise. "Su, non vorrete presentarvi a vostra sorella
così, litigando! Volete prenderla in braccio?".
Clowance
e Jeremy si illuminarono. "Sì!".
Demelza
staccò la piccola dal seno, si tirò su la
spallina dell'abito e
la
consegnò alle braccia di Jeremy.
I
due bambini osservarono la sorellina,
la tennero stretta fra loro, la descrissero in modi anche buffi che
forse a Isabella-Rose non avrebbero fatto piacere se avesse potuto
comprenderli, ma a Ross e Demelza brillavano occhi e cuore,
osservandoli.
Ross
strinse a se sua moglie, rendendosi conto che stava vivendo un altro
momento perfetto della sua vita, come pochi ce n'erano stati e tutti
assieme a Demelza. "Santo cielo amore
mio,
guarda cosa abbiamo fatto" - disse, riferendosi ai tre piccoli
davanti a loro, col cuore rivolto anche a Julia sempre amata, sempre
presente nei suoi pensieri.
"Già,
guarda cosa abbiamo fatto..." - ripeté lei, orgogliosa,
stanca
ma felice.
Prudie
sospirò, avvicinandosi alla porta per lasciarli soli.
Ma
Ross la richiamò. "Resta!".
"Signore?".
"Resta.
Fai parte anche tu di questa famiglia, ormai".
Gli
occhi di Prudie brillarono e
si avvicinò per conoscere meglio la nuova arrivata. E
quella fu per lei e per tutti una notte indimenticabile.
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
Isabella-Rose,
che i suoi fratellini avevano ribattezzato Bella, si
dimostrò da
subito una bimba tosta, dal caratterino forte e con una voce potente.
Il
trucco per salvare timpani e vetri era anticiparla prima che avesse i
primi morsi della fame perché se no iniziava a strillare con
una
vocina talmente acuta da far scappare Garrick e Prudie in biblioteca,
chiudendo al porta a doppia mandata per salvarsi da quel frastuono
che aveva fatto comprendere a tutti che i tempi del silenzio e della
tranquillità a Nampara, erano definitivamente finiti.
Ross
rideva di questo aspetto di sua figlia, che dimostrava di essere
esigente e cocciuta quanto lui... O meglio, ne rideva quando
strillava di giorno, la notte ovviamente prendeva la faccenda con
meno filosofia ed allora era Demelza a ridere, mentre si affaccendava
ad allattarla prima che i suoi strilli arrivassero a svegliare tutti
i poveri pescatori di Sawle.
Ma
per il resto era una bambina adorabile che quando era in buona non
lesinava sorrisi immensi a chi la teneva in braccio, soprattutto a
suo padre che, nel giro di un nulla, aveva già compreso che
quella
marmocchia si era guadagnata la sua devozione e tutti i sì
del mondo
da lì all'eternità. Certe volte Ross,
guardandola, si sentiva
idiota e si rendeva conto di avere una faccia da ebete che divertiva
Clowance che lo prendeva in giro, ma non poteva farci nulla, le sue
figlie femmine lo avevano in pungo e Bella, coi capelli neri come i
suoi e gli occhioni chiari come quelli della madre, era l'esserino
più perfetto che quell'amore avesse prodotto, come i suoi
fratelli
prima di lei. E quella paternità arrivata a
un'età più matura, era
quella che stava vivendo più consapevolmente
perché se era pur vero
che la vita era piena di incognite, non avrebbe più permesso
che le
sue paure lo allontanassero spiritualmente da chi amava più
di
tutto. Aveva capito che non poteva modificare un destino a volte
avverso ma che era suo dovere e diritto godere delle cose belle che
la vita gli donava, senza dover pensare troppo ai se e ai ma che
condizionano le esistenze di ogni uomo.
Demelza,
dopo il parto, era rimasta a letto per tutto il periodo che le aveva
prescritto Dwight e Ross le era rimasto accanto, stando lontano dalla
miniera e da tutto il resto. Si era stupito dell'arrendevolezza della
moglie ma poi Demelza gli aveva spiegato che voleva godersi tutto di
quella maternità giunta quando pensava che non sarebbero
arrivati
altri bambini e forse l'ultima per loro e che quindi rimanere a letto
a poltrire con Bella era per lei un piacere che voleva vivere attimo
dopo attimo.
Quando
la piccola compì un mese, fu battezzata nella piccola
Chiesetta di
Sawle. Gli ospiti erano pochi, solo gli amici più stretti e
Geoffrey
Charles, tornato dall'accademia per l'occasione.
E
così, fra Prudie, i fratelli di Demelza con le loro
famiglie, Zachy,
gli Enys, Pascoe, Bassett, Falmouth, il cugino, i fratellini e i
genitori, la piccola Bella si apprestava in una domenica ventosa, a
fare il suo ingresso ufficale nella comunità.
Mentre
Demelza si preparava e aiutava Clowance e Jeremy a fare altrettanto,
Ross uscì a fare due passi con la piccola, già
vestita di tutto
punto con un vestitino bianco in pizzo e una cuffietta del medesimo
colore sulla testolina.
Camminando
nel silenzio della scogliera, con la bambina fra le braccia avvolta
in quella copertina che le aveva portato da Parigi
e che lei adorava e che riusciva a tranquillizzarla e a farla
dormire, raggiunse il punto dove tanti anni prima aveva portato Julia
per mostrarle il mondo. E come allora strinse a se sua figlia, la
baciò sulla testolina e in silenzio le promise che avrebbe
vissuto e
agito per
lei e i suoi fratelli, perché fossero persone libere e
felici.
E che la loro sarebbe sempre stata una casa felice dove avrebbero
regnato risate e amore e che non avrebbe permesso più a
nessuna
ombra di offuscare il sorriso bellissimo di sua moglie che gli aveva
ridato vita, speranza, un futuro e una famiglia.
Bella
si stiracchiò fra le sue braccia davanti a quel suo lungo
monologo.
E in quel momento giunse Jeremy a chiamarlo. "Papà, mamma ha
detto di sbrigarti a tornare che si deve andare in Chiesa".
Ross
si voltò verso di lui e Jeremy lo raggiunse. Gli
poggiò il braccio
sulle spalle rendendosi conto che in
altezza gli arrivava alle spalle ormai e che quando
era nato non gli aveva prestato molte attenzioni e non se n'era mai
preso particolarmente cura. E nemmeno di sua madre... Quante
cose erano cambiate, da allora. "Le
nostre donne hanno finito di prepararsi?".
"Più
o meno. Perché ci mettono tanto?" - chiese il bambino. "Noi
in due minuti ci vestiamo!".
Ross
sbuffò, arruffandogli i capelli. "Questo è uno di
quei misteri
del mondo femminile che non ci è ancora dato l'onore di
conoscere".
Jeremy
annuì. "Le femmine sono strane, anche Mary è
strana. Il mese
scorso giocavamo a fare il bagno al mare, gliel'ho chiesto l'altro
giorno e mi ha urlato contro di ripassare fra sei giorni. Non ho
capito il perché... Ma era arrabbiatissima davvero, tutto
d'un
tratto! Mi ha un pò stufato, meglio tornare a giocare coi
maschi".
Ross
coppiò a ridere, intuendo la natura femminile del problema.
"Ahh
Jeremy, facci l'abitudine, le donne nascono strane e strane rimangono
tutta la vita. A volte si arrabbiano per cose che non comprendiamo ma
in fondo non saremmo niente senza di loro".
"Io
sto benissimo!".
Ross
rise di nuovo. "Fra qualche anno la penserai diversamente".
"Non
lo so. Per ora ho cambiato idea e le ho detto che non la voglio al
rinfresco per Bella!".
"Non
l'hai invitata?".
Jeremy
incrociò le spalle. "No, è isterica!".
E
in quel momento, vestita con un abitino rosso confezionato da sua
madre, anche Clowance apparve all'orizzonte. "VI SBRIGATEEEEE?".
Bella
sussultò davanti a quella voce squillante, Jeremy e Ross si
guardarono negli occhi
e dovettero ammettere che in fondo davvero, erano strane le donne.
"Figliolo?".
"Sì".
"Anche
tua sorella fra qualche anno diventerà strana, rassegnati".
"Anche
Bella?".
"Anche
lei, sì" - gli rispose, osservando la testolina mora della
neonata.
E
poi, insieme, tornarono a Nampara per andare tutti insieme in Chiesa.
...
La
neonata si comportò tutto sommato bene e per tutta la
cerimonia
dormicchiò fra le braccia di sua madre. Come madrina fu
scelta
Morwenna e come padrino Dwight, due scelte atte a suggellare che per
i Poldark gli amici e i parenti facevano tutti parte della loro
famiglia.
Morwenna
fu felice del suo ruolo e sembrava rinata. Ora era donna, moglie e
madre nel senso pieno e bello della parola e la piccola Loveday, che
ormai aveva un anno, coi suoi gorgoglii e versetti aveva intrattenuto
e strappato un sorriso a tutti i partecipanti alla cerimonia.
Isabella-Rose
Poldark fu consacrata a Dio nel pieno del sonno e nemmeno la
benedizione riuscì a svegliarla. Solo la spinetta che si
mise a
suonare a fine cerimonia le fece aprire gli occhi, facendola girare
incuriosita verso la fonte di quel suono.
Ross
rise e Dwight suggerì che forse la sua figlioccia sarebbe
diventata
una cantante un giorno. O una pianista...
Cosa che a Ross sembrò assurda.
Il
banchetto a Nampara durò tutto il giorno in un allegro
chiasso
condito da dolci e portate succulente, musica, chiacchiere e bambini
rumorosi che correvano ovunque.
Solo
verso sera, all'imbrunire, Nampara trovò un alone di pace
quando
tutti se ne furono tornati a casa loro con la pancia piena e l'animo
contento.
Demelza
aveva dovuto ritirarsi in camera con la bambina per allattarla e
Caroline, che con Dwight era rimasta per dare una mano a Prudie a
sistemare la tavola, l'aveva seguita.
Sedute
sul letto, la bionda ereditiera si sporse ad osservare la bambina.
"Sono inquietanti, vero?".
"Chi?".
"Questi
cosini urlanti e pieni di rughe... Non so come facciano ma riescono a
farci affezionare a loro e poi se le cose vanno male, rimaniamo
fregate".
Demelza
le poggiò una mano sulla sua, cercando di darle coraggio.
Comprendeva le paure di Caroline che si nascondevano dietro al suo
ostinato cinismo, le capiva ed erano state anche le sue paure anche
se per carattere, le aveva affrontate a suo tempo in modo diverso.
"Anche con gli uomini è così. Quando ci
innamoriamo di loro
vediamo tutto bello ma poi ci fanno arrabbiare, preoccupare, soffrire
certe volte... Ma in
fondo siamo tutti legati dall'amore ed è questo che conta,
in mezzo
alle tempeste della vita".
Caroline
abbassò il capo. "Vorrei avere la tua stessa filosofia di
vita
e non avere paura come te".
Demelza
la guardò negli occhi. "Chi ti dice che non abbia paura?".
"I
tuoi gesti, la tua serenità, la tua gioia mentre guardi tua
figlia".
Demelza
spostò Bella perché si attaccasse all'altro seno.
"La amo e mi
godo la gioia di averla e di averla conosciuta. Ma questo non
significa che non abbia paura, ne ho sempre. Però
non le permetto di rovinare il bello che la vita mi ha dato".
"E
come fai? Come hai fatto a raggiungere questo modo di pensare dopo
aver perso Julia?".
Demelza
sospirò. "E' la vita, la dobbiamo solo accettare e certe
cose
non si possono cambiare. E' stato difficile all'inizio, soprattutto
per Ross. E questo ci aveva allontanati e non gli aveva permesso di
sentirsi davvero vicino a Jeremy quando è nato. Per molto
questo...
e altro... ci hanno divisi. Riaprire il nostro cuore a nuovo amore
dopo una perdita è un grande salto nel vuoto ma io sono
contenta di
averlo fatto. E ora anche Ross. E' stato un lungo percorso ma ora
eccoci quì" - concluse, baciando la fronte di Bella.
"Caroline, abbi fiducia nella vita e nel futuro. Non potrà
andare sempre male e dobbiamo essere pronti ad abbracciare il bene.
Nessuno cancellerà il ricordo di Julia e Sarah ma noi, anche
per
loro, abbiamo il dovere di vivere. Se c'è qualcosa che le
nostre
figlie ci hanno insegnato, è che la vita è un
privilegio non
concesso a tutti".
Caroline
ricambiò le sua parole con uno sguardo pieno di comprensione
e
ringraziamento. Lei e Demelza potevano apparire diverse come il
giorno e la notte ma sicuramente erano l'esempio vivente che in
amicizia, come in amore, spesso sono gli opposti ad essere perfetti
insieme. E Demelza con la sua dolcezza
e la sua filosofia di vita forse semplice ma sicuramente autentica,
era quanto di meglio potesse capitare
a una donna viziata, materiale e spesso cinica come lei.
"Quindi, dovrò
accogliere con gioia qualsiasi moccioso grinzoso la natura mi
mandi?".
"Suppongo
di sì!" - rise Demelza - "Ma magari non avrà
troppe
rughe, tu e Dwight siete tanto belli che...".
Caroline
alzò un sopracciglio, ironicamente. "Sarebbe auspicabile che
dopo nove mesi di inferno, il parto, i dolori e il povero Horace
messo di nuovo da parte, il pargolo o la pargola si degnino quanto
meno di essere carini e presentabili".
Demelza
rise di nuovo. "Faglielo sapere e detta le tue condizioni,
quando accadrà!".
Caroline
si morse il labbro, indugiando. In realtà erano alcune
settimane che
lei e Dwight volevano rendere partecipi Demelza e Ross della loro
novità ma con la nascita di Bella non volevano offuscare
quello che
era a tutti gli effetti il momento
dei Poldark.
Ma ormai la festa di Battesimo era finita, gli ospiti se n'erano
andati, i bambini dormivano, Prudie anche, completamente ubriaca,
e in casa rimanevano solo loro due e al piano di sotto i loro mariti
che confabulavano di chissà che. "Lo farò prima
di andare a
letto, allora...".
Demelza
ci mise qualche istante a capire. "Cosa?".
"Questo
discorsetto al marmocchio raggrinzito!".
La
rossa la fissò, guardò il suo ventre e le mani
che le
tremavano
e poi realizzò. "Caroline! Davvero? Da quando?".
L'amica,
senza scomporsi, alzò le spalle. "Sono al secondo mese,
l'intruso dovrebbe nascere a fine anno o al massimo a gennaio.
Dwight, che vuoi che ti dica? E' tornato ispirato dalla Francia
probabilmente e in quattro e quattrotto mi sono trovata incinta e
senza possibilità di fuga!".
Gli
occhi di Demelza si inumidirono dall'emozione e dalla gioia. Dwight e
Caroline avevano sofferto così tanto e ora si meritavano
tutto il
bene e la fortuna del mondo. La abbracciò, commossa. "Oh
amica
mia...".
Caroline,
imbarazzata, tossicchiò. "Ecco, ora potresti farmi il grande
piacere di non piangere? Odio i momenti commoventi e ho dovuto
ribadirlo pure a Dwight quando gli ho dato la notizia
e si stava per mettere a fringare come una fontana francese.
Gioiamo ma con cautela. In fondo potrebbe andar male. O potrebbe
essere un marmocchio brutto e raggrinzito".
Demelza
la abbracciò di nuovo, captando ancora una volta una difesa
in quel
cinismo ostinato. "Andrà bene. E sarà un bambino
favoloso".
"Ne
sei sicura?".
"Convintissima".
Caroline
le sorrise. "Attenta a quello che dici! Se mi esce un
mostriciattolo, te lo rifilo!".
Demelza
scoppiò a ridere, contenta come se a essere incinta fosse
stata lei.
"Giuda Caroline, se sarà maschio lo faremo sposare con
Bella.
Se sarà femmina, saranno amiche come noi... Comunque vada,
sarà una
nascita che porterà gioia ad entrambe le famiglie".
Richiamati
da quel frastuomo, Ross e Dwight salirono di sopra.
"Che
succede? Fate più baccano di Bella quando strilla per la
fame".
Caroline
si avvicinò a Dwight, prendendolo sotto braccio. "Puoi
smetterla di fare il finto tonto e l'indifferente e dare la notizia a
Ross. Io ho già vuotato il sacco con Demelza".
"Car...Caroline?"
- balbettò il medico.
Ross,
che non ci capiva un accidente, guardò Demelza. "Amore
mio...?".
La
moglie sospirò, Caroline rise e Dwight si schiarì
la voce. "Pare
che a breve ci sarà un altro Battesimo".
Ross
si grattò la cicatrice. "Di chi?".
Demelza
scoppiò di nuovo a ridere, Ross per certe cose aveva
l'intuito di un
bradipo.
Caroline
guardò Dwight, spronandolo a continuare. Ma anche lui
sembrava aver
smarrito il senso della ragione
e quindi, come al solito, era la donna a dover fare tutto il lavoro.
"D'accordo, a breve un nuovo, piccolo, rugoso e rumoroso Enys
arriverà a detronizzare il povero Horace".
Ross
si guardò attorno, poi osservò Dwight.
"Quindi...?".
"Sì
Ross" - si insinuò Caroline. "Certo che vista la tua
persipacia, mi chiedo se non siano folli quelli del Governo ad averti
scelto come spia".
Ross
comprese, capì e la gioia superò tutto il resto
come del resto era
stato poco prima per Demelza. "Già, devono essere davvero
folli! E io sono il più felice fra gli amici" - disse,
abbracciando Dwight e Caroline. "Congratulazioni,
amici miei".
La
vita aveva trionfato, di nuovo. E stavolta - e tutti ne erano certi -
non avrebbe tirato nessuno scherzo mancino.
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci - Epilogo ***
La
piccola Sophie Enys nacque il 28 dicembre 1802 e Caroline le fu grata
di averle permesso di festeggiare il Natale e di averle reso
possibile il party per il nuovo anno. Era una creatura perfetta che
appena si mostrò al mondo, spense ogni timore dei suoi
genitori che
avevano vissuto in apnea quei nove mesi di attesa. Biondissima e dai
lineamenti fini come quelli della madre, con gli occhi color
ghiaccio, la carnagione rosa e delle guance paffute, era il ritratto
della salute e della bellezza. Sarebbe diventata grande, affascinante
e bellissima e sarebbe diventata il sogno di ogni uomo che avrebbe
incrociato il suo cammino. Il Capodanno fu festeggiato in
tranquillità a casa degli Enys, con la sola compagnia dei
Poldark
che avevano accettato con gioia quell’invito non mondano ma
dal
tono casalingo dove gli adulti avrebbero potuto chiacchierare
tranquillamente e i bambini giocare in libertà.
La
piccola Bella, di sette mesi, coi suoi ricciolini scuri e il visino
impertinente come quello del padre, si dimostrò da subito
gelosa
della nuova arrivata e appena la madre la prese in braccio,
tentò di
graffiarla per ripristinare il suo primato.
Ross
rise, ricordando alla piccolina di casa che un giorno forse Sophie
sarebbe diventata la sua migliore amica e compagna di giochi e che
quindi doveva essere gentile ma lo sguardo corrucciato della bimba
era piuttosto eloquente sul fatto che non fosse d’accordo.
Bella
si stava dimostrando la più vivace della cucciolata dei
Poldark, la
più rumorosa, la più precoce. A sei mesi
già gattonava ovunque e
se Garrick non stava attento, si aggrappava alla sua coda e iniziava
a ridere. Aveva una voce acuta e se strillava perché
contrariata da
qualcosa, faceva tremare i vetri della casa.
Adorava
i fratelli e la madre mentre col padre era addirittura ruffiana ed
autoritaria quando reclamava le sue attenzioni.
L’inverno
fra il 1802 e il 1803 si dimostrò freddo e nevoso oltre
misura e il
Battesimo di Sophie fu celebrato solo in primavera, ad aprile, quando
il clima iniziò ad addolcirsi un po’.
La
piccola si dimostrò tranquilla e fra le braccia dei genitori
dormicchiò tutto il tempo senza protestare, durante la
cerimonia.
Come padrino e madrina furono scelti Ross e Demelza che accettarono
con emozione quella nomina tanto importante e frutto di amicizia e
fiducia.
Durante
la cerimonia, Jeremy tenne fra le braccia una annoiata Bella che
borbottava e piagnucolava per la noia mentre Clowance ridacchiava al
loro fianco, incuriosita da quel rito tanto antico ma desiderosa
anche di uscire presto all'aperto per correre e sfogare la sua
vivacità.
Le
bambine dei Poldark erano due bellezze totalmente opposte e mentre
crescevano Clowance diventava sempre più bionda e Bella
sempre più
mora. Jeremy invece era ormai quasi alto come la madre. Adorava la
natura, andare a pescare e tutti gli animali di Nampara che accudiva
personalmente. Finita l’estate del 1802, Mary era tornata in
città
e lui ci era rimasto male per alcuni giorni ma poi se n’era
dimenticato e tutto era ripreso come prima della loro conoscenza,
segno che ancora non era maturo per sentimenti più
articolati e
profondi. Demelza ne era segretamente felice, in realtà pur
orgogliosa di vedere suo figlio diventare uomo, voleva che fosse
ancora per un po’ il suo bambino e questo Ross non smetteva,
scherzosamente, di rinfacciarglielo… E per il momento era
effettivamente così perché Jeremy le era molto
legato, era
protettivo nei suoi confronti ed era il leader delle sorelline minori
che lo adoravano. E Ross era fiero di lui che si stava dimostrando un
ragazzino assennato e migliore di quello che era stato lui e anche se
si rendeva conto che avevano caratteri completamente diversi, era
felice di come suo figlio stesse crescendo, orgoglioso della sua
intelligenza vivace, della sua curiosità e
dell’animo delicato e
gentile che dimostrava e che aveva ereditato sicuramente da sua
madre.
Dopo
il Battesimo, a casa degli Enys si tenne un grande ricevimento con
ospiti i più influenti personaggi della zona ma anche tante
persone
meno abbienti ma sicuramente amici sinceri dei neo-genitori. Drake e
Morwenna, con la piccola e simpatica Loveday, Sam e Rosina, il fido
Zachy, Pascoe e tanti altri allietarono la giornata e fecero di
Sophie la reginetta incontrastata della festa.
La
piccola, vestita con un elegante abitino in seta bianco e una
cuffietta in testa, dimenava le gambette tutta contenta ogni volta
che qualcuno le si avvicinava per farle i complimenti, dimostrandosi
vanitosa quanto e più della madre.
Ma
fu Caroline, al momento del brindisi, a lanciare la
‘bomba’ che
fece ammutolire tutti.
“Gentili
ospiti, amici, parenti, persone care, io, mio marito Dwight, Sophie e
ovviamente Horace vi ringraziamo per essere qui con noi in questo
giorno per noi di gioia assoluta dopo anni che, come sapete, sono
stati avari di eventi da festeggiare. E’ una bella giornata,
mia
figlia dopo tanta fatica è nata sana ed ha pure un musetto
carino,
Horace la tollera abbastanza e io di notte dormo quanto basta, quindi
brindiamo alla festeggiata e a tutti noi perché il periodo
favorevole prosegua per tutti per sempre. E’ una bella festa
e
spero di rivedervi tutti qui fra un anno circa per ripeterne una
simile”.
Ross,
Demelza e gli altri li guardarono smarriti e Dwight, dopo essersi
schiarito la voce, diede maggiori spiegazioni.
“Ehm… pare che a
me e mia moglie piaccia festeggiare il Natale accogliendo nuovi
figli. Non ci aspettavamo succedesse tanto presto ma se tutto va
bene, a dicembre arriverà un mini-Enys bis”.
"UNA
mini Enys" - lo corresse Caroline che, vedendo lo sbigottimento
generale ed essendo di natura poco propensa alle sceneggiate di
giubilo e alle smancerie, riprese la parola. “La Francia ha
ispirato decisamente le doti amatorie di mio marito e a farne le
spese saranno la mia linea e il mio povero cane che si
troverà
relegato in un angolo affinché noi possiamo occuparci di due
marmocchie urlanti… E quindi, brindiamo a questo nuovo
piccolo
intruso sperando sia grazioso quanto la sorella. Qui nascono solo
femmine e sono certa che anche questo nuovo nanerottolo lo
sarà.
Quindi, lunga vita anche a Melliora Enys” - concluse, alzando
il
calice e smorzando sul nascere ogni momento emotivamente commovente.
Se c'era da festeggiare, si doveva ridere, occhi lucidi e frasi di
circostanza erano banditi da casa sua e questo era ormai chiaro a
tutti.
Ross
osservò Demelza, senza fiato. “Melliora?
Un’altra? Che nome
strano!”.
“Shhh
Ross”.
"Sì,
ma il nome...".
"ROSS!!!".
Lui
capì che era meglio sorvolare, le sorrise e poi per primi,
andarono
a congratularsi con gli amici. “Che dire?”
– esclamò Ross
all’amico, allargando le braccia per abbracciarlo.
Dwight
rise. “Solo questo: Viva la Francia e i suoi
frutti”.
Demelza
abbracciò Caroline mentre gli altri ospiti brindavano
contenti alla
novità. "Giuda Caroline, non mi hai detto niente".
"Dovevo
assimilare la notizia e farla digerire ad Horace" - si scusò
lei, con allegra impertinenza.
Demelza
le sorrise. “Ora che c’è Sophie fa meno
paura, vero?”.
Caroline
annuì. “Un po’
meno…”.
Demelza
la tenne forte, trattenendo la commozione perché sapeva che
Caroline
non la gradiva. “Saremo circondante da rumorosissime bambine
il
prossimo anno”.
“Non
me lo dire, non me lo ricordare…”.
Risero,
tutti. Il futuro era radioso e anche Horace dopo tutto se ne sarebbe
fatta una ragione.
…
Ross
e Demelza tornarono a casa mano nella mano, al tramonto, in una
giornata in cui il cielo era diventato rosso fuoco e anche il mare
sembrava aver cambiato tonalità per diventare rosa confetto
come i
dolcetti preparati per il Battesimo di Sophie.
Mano
nella mano osservarono i loro figli che, avanti di loro di alcuni
passi, giocherellavano e scherzavano. Jeremy teneva sulle spalle la
piccola Bella che rumorosa, si esibiva in risate e gridolini,
Clowance trotterellava felice al loro fianco sgranocchiando un
dolcetto che si era portata via dal rinfresco e loro… loro
erano
semplicemente felici per quanto avevano costruito.
“Due
figlie in un anno… Non ti sembra incredibile?”
– commentò
Ross.
“Beh
no, succede” – rispose Demelza, con un sorriso
furbo.
Ross
la guardò terrorizzato. “Non mi dirai
che…”. Deglutì.
“DEMELZA!!!”.
Lei
scoppiò a ridere. “Tranquillo, non aspetto nessun
bambino. Tu sei
stato ispirato dai francesi quando erano qui, Dwight dalla Francia
quando eravate la. Ma per quanto mi riguarda, gli effetti di tale
ispirazione su di noi sono terminati! Quanto meno al
momento...”.
Ross
sospirò. “Dio sia lodato”.
Demelza
annuì. “Sì Ross, sia lodato. Per tutto
questo che abbiamo e ci ha
dato. E per ciò che verrà”.
Ross
si trovò d’accordo con lei. Avevano sofferto,
pianto, erano
caduti, si erano rialzati e avevano sempre proseguito insieme. Fianco
a fianco, con chi amavano di più. “Sei felice,
Demelza?”.
“Sì”.
Ross
la strinse a se. “Anche io”. E si rese conto che
era tutto ciò
che contava per lui, per loro, per il loro mondo. Che cresceva,
assieme a una nuova generazione di bambini che si stavano affacciando
alla vita e sarebbero stati la loro impronta per sempre indelebile su
quella terra che tanto amavano. E nonostante fosse spesso pessimista
di natura si, c'era da essere felici e su questo era d'accordo anche
lui.
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