When Valentine's Day Comes

di GReina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** UshiTen - Insieme per scommessa ***
Capitolo 3: *** MatsuHana - Perché no? ***
Capitolo 4: *** BokuAka - Tutto per una palla ***
Capitolo 5: *** SemiShira - Tu mi odi, io ti amo ***
Capitolo 6: *** SakuAtsu - Ci sto provando ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Premessa

Questa è una raccolta di OS dedicate a San Valentino!
Ne ho scritte cinque e dubito ne farò altre, ma mai dire mai!
Per il momento posterò queste durante l'arco della giornata, vi avviso già che sono per la maggior parte coppie secondarie che in pochi hanno calcolato, ma che ho rivalutato di recente e semplicemente adoro!

Lasciatemi qualche commentino se vi va!
xxx

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Capitolo 2
*** UshiTen - Insieme per scommessa ***


Wakatoshi era stato fortemente indeciso se andare o no a quella festa di compleanno, ma alla fine – per quanta poca voglia avesse di socializzare – si era detto che sarebbe stato scortese rifiutare l’invito di Yamagata, così era andato.
“Alloraa…” disse indeciso Ushijima a metà serata “io non sono mai andato sulla luna.” gli amici risero.
“Ma no! Devi dire qualcosa che noi potremmo aver fatto! Se no finisce che qui non beve nessuno.” Wakatoshi corrucciò gli occhi.
“Ma se vince chi beve di più come avete detto, allora sarebbe illogico da parte mia rischiare che voi beviate.”
“Era solo un modo di dire, Ushiwaka!” rise Semi “Non ci sono dei veri vincitori.”
“Ci devono sempre essere dei vincitori.” lo contraddisse.
“D’accordo, d’accordo, allora cambiamo gioco.”
“Ma è già il terzo che cambiamo!” Yamagata ignorò Ohira, poi finì di bere la birra che aveva in mano e mise la bottiglia al centro del cerchio dei ragazzi. “Questo non potrebbe essere più semplice.”
“Il gioco della bottiglia? Davvero?” lo derise Semi.
“Sta’ zitto, ci sarà comunque da divertirsi!” poi passò a spiegare le regole a Ushijima: “È semplice, se la bocca della bottiglia si punta su di te, dovrai scegliere tra obbligo o verità, e quindi accettare di fare qualsiasi cosa sceglieremo come obbligo per te o di rispondere sinceramente a qualsiasi domanda.”
“E chi vince?” chiese il capitano per capire meglio. L’altro sembrò pensarci per un po’, ed infine disse:
“Chi rispetta meglio le poche condizioni che ti ho detto.” Wakatoshi annuì anche se confuso: dover eseguire l’obbligo o dire la verità non era complicato, eppure perché ciò avvenisse la bottiglia avrebbe dovuto indicarlo, e quello sarebbe stato del tutto casuale.
Logico o non logico, Ushijima notò con sorpresa che quel gioco era divertente. Lui aveva poca immaginazione, ma osservare i suoi compagni inventarsi tremendi obblighi o chiedere scomode verità non era male.
Infine, toccò a lui scegliere: “Obbligo o verità?”
“Obbligo.” disse subito. Non che avesse qualcosa da nasconde, ma era davvero curioso di vedere se sarebbe stato capace di portare a termine qualsiasi cosa gli amici avessero scelto per lui. Mettersi alla prova, dopotutto, era il suo pane quotidiano.
“Lo so!” urlò Goshiki “Lo so io, ragazzi!” alzò la mano come fossero a scuola. Tsutomu era del primo anno, e raramente aveva avuto il coraggio di essere così energico per qualcosa che riguardasse il suo capitano. Probabilmente l’alcol aveva aiutato, in ogni caso Wakatoshi si limitò ad annuire nella sua direzione per paura che anche una sola parola potesse farlo spaventare.
“Devi proporre a Tendou-senpai un appuntamento per San Valentino!!” tutto il gruppo rise e applaudì per quell’idea mentre Ushijima metteva in piedi un’espressione confusa.
“Ma così obbligherei Tendou a prendere parte a un gioco che non ha scelto.”
“Lui non è mica obbligato a dirti di sì!” lo contraddisse Semi.
“Non voglio giocare con i suoi sentimenti…” gli amici sembrarono essere d’accordo con lui finché Soewaka, il più ubriaco del gruppo, non urlò:
“Sono le regole, Ushiwaka! O preferisci perdere?” Wakatoshi ci pensò su, infine decise che fare una semplice domanda a Tendou – quella sera assente per impegni familiari – non avrebbe fatto male a nessuno.
 
Certo, quella situazione non sembrò più tanto semplice quando il centrale si ritrovò ad accettare con piacere il suo invito.
“Devo dire che questo appuntamento last-minute mi ha stupito, Wakatoshi-kun.” il rosso aveva appena finito di raccontargli le parti più divertenti della sua riunione di famiglia della sera prima e stavano passeggiando sul lungomare dopo aver finito di mangiare quando Tendou fece quel commento.
“Non ti è piaciuto?” chiese con un filo d’ansia l’altro, ma il centrale si affrettò a tranquillizzarlo:
“No, no, mi sono divertito. Solo che non ti pensavo il tipo da appuntamenti galanti.” Ushijima non disse nulla per un po’, e Tendou gli lasciò il suo tempo per rispondere.
“Non sapevo esattamente cosa si facesse in queste occasioni, quindi ho chiesto aiuto alla squadra e Semi mi ha detto di scegliere un buon ristorante e che una passeggiata serale sarebbe stata carina.
“Mh-mh.” mormorò il rosso “Quindi i ragazzi sanno che siamo usciti insieme?” chiese nonostante conoscesse la risposta. Le guance di Ushijima si imporporarono ed il capitano si ritrovò a ringraziare la poca illuminazione della sera.
“Sì.” fecero solo un altro paio di passi dopo quell’affermazione prima che Wakatoshi si arrestasse. Tendou seguì il suo esempio mentre si voltava curioso verso l’altro.
“In realtà, mi hanno detto loro di invitarti. Abbiamo giocato ad obbligo o verità, e questo era quello che dovevo fare.” Ushijima osservò a fondo l’altro. Non voleva ferirlo, ma doveva essere sincero con lui. Tendou sembrò per un attimo sorpreso per quella confessione; un lampo di delusione sembrò attraversargli gli occhi, i quali però si intenerirono subito dopo.
“È così, allora? In effetti ha più senso.” sembrava quasi come se la cosa lo divertisse come d’altronde lo divertivano molte cose, ed in effetti era proprio quel suo particolare che piaceva tanto a Ushijima. Il centrale riprese a camminare e lo schiacciatore insieme a lui.
“Sei arrabbiato?” si ritrovò a chiedergli. Tendou di solito era particolarmente loquace, ma sembrava aver perso quella caratteristica dopo le loro ultime battute. Ci mise qualche secondo a rispondere.
“Non ce l’ho con te. Era un gioco, e hai seguito le regole come fai sempre.” Wakatoshi corrucciò gli occhi. Di solito il rosso era molto più diretto di così. “Sei il mio migliore amico, mi piace uscire con te, e sono single. Non avrei comunque fatto nulla questa sera.” scrollò le spalle “Mi sono divertito, anche se mi hai invitato solo per un obbligo.” Ushijima si fermò ancora, ma questa volta l’altro non sembrò notarlo.
“Satori.” il centrale subito si arrestò voltandosi sorpreso. Era la prima volta che Wakatoshi lo chiamava per nome.
“Anche io mi sono divertito.” gli disse “Vorrei rifarlo, presto.” ed ecco che la luce parve tornare negli occhi di Tendou finalmente di nuovo divertiti e vivaci come avrebbero sempre dovuto essere.
“Puoi chiedermi di uscire quando vuoi, Wakatoshi-kun. È quello che fanno gli amici.”
“Non come amico.” specificò l’altro “Intendo ad un appuntamento.”
“Se iniziassimo a frequentarci potrebbero definirti strano.” Ushijima non capì.
“Perché?”
“Perché io sono strano.” rispose come se fosse ovvio, e come se fosse ovvio il castano rispose:
“Tu mi piaci così. Se sei strano, vuol dire che mi piacciono le cose strane.” e, dopo appena un attimo, Satori rise. Rise così forte che dovette piegarsi in due tenendosi la pancia. Per quanto Ushijima fosse felice che Tendou fosse tornato di buon’umore, davvero continuava a non capire.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” accadeva spesso che le sue semplici risposte facessero divertire la gente o, peggio, facessero in modo che lo fraintendessero.
“No, no.” agitò una mano l’altro mentre si raddrizzava “È solo che anche tu mi piaci molto, Wakatoshi-kun. E mi hai appena ricordato il perché.” Ushijima sorrise soddisfatto, poi prese ad avvicinarsi al rosso.
“Semi mi ha detto che c’è anche un’altra cosa che avrei dovuto fare, affinché fosse un vero appuntamento.”
“Ah, sì?” chiese Tendou ridendo sotto i baffi con l’aria di chi già sapeva di cosa si trattasse “E cosa sarebbe?” chiese comunque.
“Vorrei baciarti.” anche Satori si avvicinò.
“Be’, puoi farlo.” sorrise. Wakatoshi arrossì quando si rese conto di non sapere bene come fare, quindi cercò di visualizzare quello che facevano nei film e iniziò ad avvicinarsi all’altro.
“Oh?” fece il centrale dopo il primo insicuro contatto “Qualcosa in cui sono più bravo del Ragazzo Miracoloso?”
“Mi dispiace…”
“Mh, vuol dire che ti insegnerò.”
“Imparerò facendo tanta pratica.” e Tendou rise ancora, più per la semplicità e l’innocenza con cui l’aveva detto che per le parole stesse.
“È la pratica che rende perfetti.” concordò tornando a baciare il suo ragazzo.

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Capitolo 3
*** MatsuHana - Perché no? ***


n.a.
Sappiate che mi sono divertita molto a scrivere di loro! Li ho sempre ignorati come ship vedendoli solo di fondo per la IwaOi.
Poi ho scoperto che il fandom li chiama “la coppia dei meme” e che essenzialmente sono due cazzoni troppo simpatici e innamortati. Quindi eccomi qui!!
Buona lettura!
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Hanamaki era il miglior amico di Matsukawa sin dal primo anno di liceo. Si erano conosciuti al club di pallavolo e per entrambi era stato subito chiaro quanto fossero affini. Non c’era persona al mondo con cui Matsukawa preferisse stare di più che con Hanamaki, quindi – anche se farlo lo costringeva ad allungare notevolmente il tragitto da fare a piedi – con piacere il corvino passava ogni mattina da casa dell’altro per andare insieme a scuola. Mattsun non si era mai vergognato ad ammetterlo: amava trascorrere il tempo con il suo migliore amico e che gli altri dicessero quello che volevano sul loro rapporto! Finché a Makki non interessava e gli permetteva di restargli a fianco, andava bene così.
“Non sto dicendo che Killer Sofà non sia trash, ma che Zombie Ass sia mille volte peggio!” erano proprio sulla strada per il Seijou quando – per l’ennesima volta – si ritrovarono a parlare di film di quarta, anzi quinta categoria. “Mille volte peggio il che vuol dire mille volte meglio!” Matsukawa rise di gusto alle parole dell’amico.
“Va bene, lasciamo perdere!” si arrese all’evidenza che non sarebbero mai stati d’accordo “Però non puoi negare che Kung Fury li batte tutti.” Makki iniziò a ridere talmente tanto che furono costretti a fermarsi mentre Mattsun si divertiva più per la reazione dell’amico che per le scene del film.
“Hai ragione! Quel film è maledettamente geniale per quanto è trash!”
“Ti va di rivederlo stasera da me?”
“E lo chiedi??” gli rispose subito il più basso. Tra loro era sempre così: risate e divertimento. Erano una coppia perfetta, perché mai tra loro c’era stata noia o imbarazzo.
Mancavano pochi metri per arrivare a scuola quando Takahiro si fermò, quindi l’altro seguì il suo esempio e – seguendo il suo sguardo – prese a leggere la lavagnetta esposta del ristorante che avevano di fianco:

 
“Promozione per gli innamorati!
Vieni con la tua metà e mangia a sazietà!”
 
Seguiva il prezzo fisso dell’offerta e la data di quando si sarebbe svolta: 14 febbraio.
A Makki e Mattsun bastò solo guardarsi negli occhi per capire. Ghignarono all’unisono ed iniziarono a stabilire i piani per quel giorno.
“Se dovremo fare finta di stare insieme pretendo che tu mi venga a prendere a casa!” sentenziò Hanamaki. Issei rise.
“Dobbiamo fingere di stare insieme solo al ristorante!” l’altro finse un broncio, quindi il corvino roteò gli occhi. “Dimmi, quand’è stata l’ultima volta in cui siamo usciti solo noi due o anche in gruppo con i ragazzi e non sono passato a prenderti?” Makki sorrise ed annuì soddisfatto.
“E voglio un mazzo di fiori.”
“Solo se tu compri a me dei cioccolatini, tesoruccio.” si sporse per dare tanti rapidi baci in aria nella sua direzione, quindi l’altro rise e lo spinse via mettendogli una mano sulla faccia.
“Te li compro, ma tanto li mangio io!” dopodiché sentirono la campanella della scuola suonare, quindi affrettarono il passo e misero da parte – almeno per il momento – i loro piani per San Valentino.
 
Passò una settimana ed infine la sera di San Valentino arrivò. Non abitavano troppo distanti dal ristorante, quindi Matsukawa decise di non prendere la macchina di suo padre e di fare invece due passi. Come stabilito pochi giorni prima con Hanamaki, Issei si vestì bene. Aveva pantaloni blu scuro, una camicia bianca ed una giacca abbinata sotto il cappotto, ma si era rifiutato di indossare la cravatta come invece aveva suggerito sua madre. Osservò ancora il mazzo che reggeva in mano e sorrise prima di suonare il campanello di casa Hanamaki. Fu proprio il suo migliore amico ad aprire la porta. Quella sera era più bello che mai: con i pantaloni bordeaux, la camicia nera e la giacca bianca, Matsukawa era sicuro che avrebbe rimorchiato in un secondo se solo non si fossero finti una coppia. Un senso di sollievo invase il petto del corvino quando capì di non dover tenere alta la guardia quella sera in un ristorante pieno di coppiette felici.
Sorrise contento quando Takahiko adocchiò cosa l’altro reggeva in mano e iniziò a ridere come un matto commentando tra le lacrime:
“Che cavolo di fiori sono quelli?”
“Non hai mai specificato che fiori volevi!” gli porse i cavolfiori e Makki li afferrò felice per poi posarli poco dopo sul comò d’ingresso per afferrare invece una scatola di cioccolatini.
“Ne ho già mangiati la metà!” lo avvertì ridendo soddisfatto mentre il corvino afferrava il regalo ridendo a sua volta.
Fecero la strada scherzando come sempre mentre finivano i pochi dolci che erano sopravvissuti alla bocca di Takahiko.
“Va bene mangiarne la metà, ma perché morderli e poi rimetterli dentro?” chiese con una mezza smorfia Mattsun mentre si rigirava mezzo cioccolatino tra le mani.
“Ma era alla cannella! A chi piace la cannella?”
“A me piace!”
“Allora ecco perché l’ho rimesso dentro.” il corvino assottigliò gli occhi, ma non commentò oltre e si mise in bocca il dolce.
“Disgustoso.” commentò l’altro, e Mattsun sapeva che non si stava riferendo al fatto che l’avesse già morso lui.
“A te piace lo zenzero e mi fai tante storie per la cannella?”
“Che ha che non va lo zenzero!?”
“Sei impazzito? Pizzica da morire! E poi che sapore ti rimane in bocca oltre che dolore e bruciore?” continuarono a parlare dei loro discutibili gusti fino alla meta di quella sera, entrarono e diedero il nominativo con cui si erano prenotati.
“Matsuhana.” lesse la donna all’ingresso nel registro del posto “Eccovi, vi ho trovato. Il mio collega vi porterà al vostro tavolo.”
“Quindi ora che si fa?” chiese Makki.
“Ordiniamo da mangiare fino a scoppiare?” chiese lui con tono ovvio prendendolo in giro. Il castano gonfiò le guance mentre corrucciava gli occhi rendendosi adorabile.
“Intendevo per la nostra farsa. Dovrei farti piedino?” ghignò “Oppure potrei accarezzarti il braccio mentre rido a una tua battuta!” non attese risposta che lo fece davvero, toccandolo con la sinistra mentre la destra la usava per sventolarsi un’invisibile chioma lunga di capelli:
“Sei così divertente, Mattsun-chan!” disse in falsetto forse più forte di quanto avrebbe dovuto. Matsukawa rise.
“Smettila di farmi ridere, mi fanno già male le guance!” accadeva fin troppo spesso con lui. Hanamaki rispose con un sorriso che presto accompagnò sbattendo esageratamente le ciglia:
“Troppo stanche di arrossire per me?” e mentre il corvino rideva ancora, un cameriere si avvicinò loro per prendere le ordinazioni.
“Oh, veramente non abbiamo ancora-” iniziò Issei, ma Takahiko lo interruppe sventolando in aria una mano con fare noncurante.
“Ci porti il mix di frittura più grande che avete come antipasto, e poi prendiamo due cheeseburger doppi ben cotti e con tanto formaggio. Le patatine sono di contorno, vero?” Hanamaki confermò l’ordine quando l’uomo gli rispose in maniera affermativa.
“E poi una cola e una fanta.” concluse. Fu solo quando il cameriere andò via che il castano sembrò rendersi conto dello sguardo allibito dell’altro.
“Che c’è?” chiese con un sorriso “Vuoi dirmi che non volevi cheeseburger e fanta? Sono pronto a regalarti una nuova scatola di cioccolatini se non è così!” Matsukawa si limitò a fissarlo con un sorriso mentre l’altro ritrattava “D’accordo, mezza scatola di cioccolatini. Ma è scontato, no?” fece ridere il corvino.
“Risparmia la mezza scatola. Era proprio quello che volevo”.
Considerato l’orario che avevano scelto, il cibo non ci mise molto ad arrivare. Spazzolarono in fretta l’antipasto che sembrava essere studiato almeno per quattro imboccandosi di tanto in tanto a vicenda, e quando Matsukawa notò una macchia di maionese vicino alle labbra dell’altro, ghignò e capì che era arrivato il suo momento di vendicarsi per tutte le carezze ed i piedini che l’altro gli aveva dato durante tutta la cena. Si alzò lentamente per poi sporgersi verso l’amico. Questi lo guardò confuso, e ancora di più lo fu quando iniziò a chinarsi per arrivare estremamente vicino alla sua faccia.
“Vuoi che mi comporti da fidanzato?” chiese, poi sollevò un pollice e con quello gli tolse la maionese dalla bocca, infine si leccò il dito. Issei rise nel vedere come l’altro deglutì a corto di saliva, poi tornò composto al suo posto.
Tornarono a scherzare come prima. Mattsun sapeva da tempo di avere una cotta per Makki. All’inizio aveva fatto di tutto per non pensarci perché temeva che questo avrebbe potuto rovinare la loro amicizia, eppure davvero non aveva potuto smettere di credere che sarebbero stati perfetti insieme. Il loro rapporto era già perfetto, e se stare insieme voleva dire aggiungere a tutto quello baci e sesso… perché non farlo?
Quando il cameriere tornò al loro tavolo per chiedere se volessero il dolce, entrambi erano più che sazi per tutto quello che avevano già mangiato, ma poi Mattsun ricordò di aver letto di sfuggita che sul menù avevano i profiterole, e certo non poteva non ordinare il dolce preferito di Takahiko. Il corvino osservò con tenerezza gli occhi del castano illuminarsi alla sua ordinazione, e quando il dolce arrivò si divertirono non poco nel lottare per mangiarne più dell’altro.
Fu quando pagarono che il locale iniziò veramente a riempirsi di clienti, cosicché i due si ritrovarono a complimentarsi a vicenda per la scelta dell’orario mentre tornavano verso casa.
Parlarono ancora di tutto e di niente e prima che se ne accorgessero casa di Hanamaki fu davanti a loro.
“La serata non può finire così presto!” si ritrovò a pensare nel panico il corvino. Il più basso stava esitando a salutarlo, e a Mattsun piacque credere che stesse avendo i suoi stessi pensieri.
“Pensa a un modo per prolungare la serata. Pensa a un modo per prolungare la serata!!” cercò di convincersi, quindi – del tutto in tilt – fece un passo avanti e diede un bacio sulla bocca al suo migliore amico. Si staccò in fretta da lui e lo guardò con un misto d’eccitazione, ansia e preoccupazione.
“Mi hai appena dato un bacio!!” disse Takahiko quasi ne volesse una conferma verbale. Issei arrossì prima di distogliere lo sguardo e grattarsi in imbarazzo la nuca.
“Era per restare in tema, no?” rispose continuando a non guardarlo.
“Oh.” mormorò il castano, quindi Mattsun sollevò di scatto la testa ed i suoi occhi confermarono quello che avevano ipotizzato le sue orecchie: Makki era deluso.
“Vuoi che lo rifaccia?”
“Sicuro!” quindi il corvino sorrise e tornò a baciarlo, stavolta con la lingua. Makki sollevò le braccia e con quelle gli circondò il collo mentre lui gli afferrava i fianchi ed intensificava il bacio.
“Ti va di entrare?” chiese roco il più basso. Matsukawa sorrise.
“Sicuro.” ripeté con la stessa intonazione che poco prima aveva usato l’altro. Takahiko rise e gli diede un leggero pugno sul braccio per quella presa in giro, poi gli afferrò la mano e lo trascinò in camera sua.
Se stare insieme voleva dire aggiungere a tutto quello baci e sesso… perché non farlo?

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Capitolo 4
*** BokuAka - Tutto per una palla ***


ATTENZIONE!!! LEGGERI SPOILER DAL MANGA
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Bokuto non aveva mai smesso di avere sbalzi d’umore. Quella caratteristica era parte di lui e già da molti anni aveva capito di dover imparare a conviverci, ma si era preso del tempo, aveva fatto con calma. Si era detto che non c’era motivo di provare a combatterli fintanto che era al liceo. D’altronde era ancora un ragazzo e poteva permettersi di dipendere dagli altri. Aveva i propri amici; sapeva di potersi fidare di loro, così per anni aveva lasciato che fossero altri a risolvere i suoi problemi al posto suo perché – nonostante la serietà della sua condizione lo spingeva spesso a percepire le cose, che fossero belle o brutte, in maniera diversa da come faceva il resto del mondo – riconosceva che i suoi erano problemi insignificanti che alla peggio gli avrebbero potuto far perdere una partita di pallavolo.
Tutto quello, tuttavia, era dovuto cambiare alla fine del liceo. Aveva deciso di prendere in mano la propria vita e con essa le proprie responsabilità durante una partita dei Nazionali. Se gli avessero chiesto cosa quel giorno ci fosse stato di diverso rispetto agli altri, Bokuto senza esitazione avrebbe risposto: “Akaashi”. Sapeva quanto l’alzatore fosse in ansia per quel Torneo e non poteva più permettersi di aggiungere anche il peso delle sue crisi sulle sue spalle.
Bokuto Koutarou – giocatore professionista da ormai sette anni – soffriva ancora di sbalzi d’umore, ma aveva imparato a conviverci e dominarli. Fu solo grazie a questo che, quando il compagno gli disse che avrebbe lavorato fino a tardi nel giorno di San Valentino, lui poté subito mascherare la propria depressione con un sorriso.
“Pensa positivo.” era il suo mantra quando sentiva di stare per diventare triste, così aveva guardato Akaashi e risposto:
“Vorrà dire che passerò a prenderti a lavoro e andremo a cenare tardi sotto le stelle in un posto romantico!”
 
Quando il 14 febbraio arrivò, Bokuto era felice. Si impose di non pensare che in quel momento Akaashi stava probabilmente lavorando stanco ed esasperato come lo era stato negli ultimi giorni a causa dell’importante consegna che aveva tra poco. Invece, si concentrò sul come rendere quella serata perfetta e indimenticabile per il suo compagno.
Passò la mattina ad allenarsi con i propri compagni di squadra, scoprendo che Kageyama aveva qualche misteriosa sorpresa in serbo per Hinata e che Miya e Sakusa avevano prenotato due posti in un centro benessere termale che li avrebbe coccolati e fatti riposare per l’intera giornata.
“Giusto in modo che Omi-Omi raduni tutte le proprie forze in modo tale che la notte-” ma Bokuto non seppe mai cosa il biondo volesse che facesse il suo compagno, perché questi lo zittì con un sicuramente doloroso scappellotto sulla nuca.
Pranzò insieme agli amici prima che tutti si separarono per andare ognuno verso i propri appuntamenti, quindi a Bokuto non rimase altro che prepararsi in vista di quella sera.
Qualche giorno prima aveva comprato o prenotato tutto l’occorrente, cosicché i suoi compiti per quel pomeriggio si limitarono al dover passare a ritirare ciò che serviva dai vari negozi.
La prima tappa fu il fioraio, poi la tintoria ed infine il ristorante dal quale aveva ordinato i piatti preferiti di Keiji. Tornò a casa e lì si fece con calma una doccia nell’attesa che la sera arrivasse. Quando si fu fatto un certo orario, poi, si vestì e profumò, prese le chiavi dell’auto, il cesto da pic-nic con dentro il cibo, la coperta ed i fiori. Mise il tutto in macchina e partì alla volta dell’ufficio di Akaashi.
“Non devo giocare, non devo giocare.” il suo compagno non aveva ancora finito di lavorare, per questo motivo Koutarou aveva deciso di fare due passi finendo in un parco poco distante dove molte volte – in attesa
del corvino – aveva avuto modo di giocare a pallavolo con gli universitari del quartiere. Stava osservando una loro partita da un po’ per la quale, vestito elegante com’era, aveva dovuto faticare parecchio per trattenersi.
Distrarsi fu più facile quando il pianto di un bambino attirò la sua attenzione. Si allontanò dal campo di gioco illuminato per raggiungere la fonte del rumore.
“È per questo che mi hai fatto venire fino qui a quest’ora, tesoro?” stava dicendo una donna – sicuramente sua madre – al bambino che piangeva “Non posso recuperartela, è troppo in alto! Domani te ne compro una nuova.” era abbastanza tardi, quindi Bokuto dovette avvicinarsi per capire di cosa i due stessero parlando mentre fissavano l’albero lì accanto. La donna stava ancora cercando di far muovere il figlio verso casa cercando di spiegargli che era buio e che non potevano fare nulla. A quel punto, il giocatore fu abbastanza vicino da poter vedere l’oggetto intrappolato tra i rami, quindi si ritrovò ad aprire maggiormente gli occhi piacevolmente sorpreso mentre il bambino diceva piangendo:
“Ma non è giusto! È la palla che mi ha regalato papà, io non ne voglio altre!!” era proprio una palla da pallavolo, e quello aggiunto all’attaccamento che il bambino sembrava avere verso l’oggetto lo spinse ad intervenire.
“Hey, Hey, Hey!!” provò a tranquillizzarlo sorridendo “È tua quella bella palla?” il piccolo lo guardò piagnucolante ed annuì, così Koutarou si tolse la giacca, si allentò la cravatta e si tirò su le maniche della camicia.
“Ora te la prendo!” la donna tentò di fermarlo:
“La prego, non ce n’è bisogno! È troppo in alto.” ma Bokuto si limitò ad agitare una mano per aria per dire che non era niente di che, poi prese ad arrampicarsi.
L’atleta se l’era sicuramente immaginato più semplice, ma una volta che aveva iniziato non poteva certo deludere la speranza che era nata sul volto di quel ragazzino! Gli era bastato guardare i suoi occhi illuminarsi per convincersi che avrebbe a tutti i costi dovuto portare a termine il suo compito. Cinque minuti e una camicia del tutto sudata dopo, quindi, l’uomo riuscì ad arrivare al ramo criminale per strappargli l’ostaggio e lanciarlo al bambino felice tre metri sotto di lui.
“Grazie, signore!!” urlò questi entusiasta, ed entusiasta era anche Bokuto, finché il ramo che gli reggeva le gambe non iniziò a cedere facendolo cadere rovinosamente. Le sporgenze dell’albero sottostanti attutirono di molto la caduta, ma non per questo non fu dolorosa. Sentì la donna gridare spaventata e vide il bambino coprirsi gli occhi con una mano prima di toccare il suolo con la schiena.
“Aih, Aih, Aih…” si lamentò tentando – senza successo – di rialzarsi.
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Tardare così tanto non era da lui. Akaashi aveva tentato di non agitarsi, ma era difficile continuare a rimanere tranquillo dopo aver trascorso un’ora ad aspettare invano il proprio compagno. Aveva tentato di chiamarlo più volte al cellulare, ma questo continuava a suonare a vuoto fino alla segreteria. Aveva provato allora a contattare i suoi amici, ma molti – probabilmente impegnati con ogni genere di appuntamento romantico – non risposero, mentre altri gli dissero sconsolati di non poterlo aiutare. Non gli era rimasto quindi che tornare a casa con i mezzi pubblici per controllare che non fosse lì e in tal caso chiamare la polizia per capire che fine avesse fatto. Una parte di sé si rendeva conto che quello poteva anche sembrare estremo visto che non erano passati giorni o infinite ore dalla sua scomparsa, eppure Bokuto era un caso particolare. Non aveva mai più avuto crisi serie dalla fine del liceo, ma Keiji sarebbe stato un idiota a credere che i suoi sbalzi d’umore depressi fossero cessati. I due uomini vivevano insieme ormai da più di tre anni, e sebbene l’atleta avesse da tempo imparato ad autogestire i propri momenti negativi, Akaashi aveva sempre saputo riconoscerli quando arrivavano, anche se l’altro li mascherava ormai in fretta con sorrisi e pensieri positivi. Se lo immaginò quindi del tutto depresso e da solo chissà dove, e l’ansia crebbe. Stava per aprire la porta di casa ed urlare a gran voce il suo nome quando il cellulare squillò e lui – senza neanche guardare chi fosse – rispose esclamando:
“Koutarou!”
“Emmh, no… ma chiamo per lui.” era la voce di una donna. “Questo numero è segnato come contatto d’emergenza del signor-”
“È successo qualcosa a Koutarou??” chiese immediatamente nel panico.
“Sta bene.” si affrettò a dire la donna “Ha subito una brutta caduta, ma non ha riportato danni permanenti. Avrà solo alcune difficoltà a muoversi per qualche settimana. L’ho chiamata per sapere se può venirlo a prendere.” seguì il nome dell’ospedale in cui era ricoverato e a chi si sarebbe dovuto rivolgere Akaashi per raggiungere la stanza di Bokuto. Il corvino non perse tempo e – entrando in casa giusto il tempo per recuperare le chiavi della propria auto – corse in fretta verso l’amore della sua vita.
“Keijiiii!!” urlò questi dal letto non appena lo vide. Nella stanza erano presenti solo lui, una donna e un bambino. La donna si presentò, ma Akaashi ignorò sia lei che il bambino per concentrarsi sull’uomo che amava.
“Kou! Che cosa è successo? Stai bene??”
“Sto bene.” mise il broncio “Ma dicono che non posso giocare per almeno due settimane! Due!!” incrociò le braccia indispettito “Hanno proprio esagerato!” Akaashi sospirò quando si rese conto che l’altro stava davvero bene, quindi si voltò verso la donna e si inchinò:
“Scusi la scortesia di poco fa.” le porse la mano presentandosi. Bokuto gli spiegò che era stata lei a chiamare l’ambulanza quando era caduto dall’albero, così il corvino si ritrovò a ringraziarla profondamente.
“Non dica così, d’altronde è per riprendere la palla a mio figlio che si è fatto male.”
“Ma lei avrà sicuramente avuto dei piani per San Valentino, mi dispiace.” un lampo di tristezza sembrò passare dietro gli occhi della donna che sorrise triste mentre poggiava teneramente una mano sopra la testa del figlio:
“Non ho nessun programma per San Valentino ormai da tre anni.” Akaashi capì che sarebbe stato indiscreto approfondire l’argomento, quindi riprese a rivolgersi al proprio compagno:
“Tu faresti di tutto per una palla, vero?” Bokuto spalancò gli occhi, come se non capisse l’esasperazione dell’altro. Poi indicò la palla in questione.
“Ma guarda, Keiji! È da pallavolo!!” così a lui non rimase che ridere mentre scuoteva la testa.
“E ora è ancora più speciale!” urlò il bambino mostrando ad Akaashi l’autografo del giocatore professionista sul cuoio facendo ridere esaltato e soddisfatto Bokuto.
“Ora andiamo, tesoro.” lo richiamò sua madre. Poi questa si inchinò verso Keiji “Lo lascio alle sue cure.” il corvino si inchinò di rimando mentre il bambino correva verso il malato e – sporgendosi sul letto – lo abbracciava forte. Akaashi vide Bokuto trattenere un gemito di dolore prima che il più piccolo dicesse:
“Grazie!! Sei il mio eroe!!” il che fece passare ogni possibile sofferenza fisica da parte per Koutarou che si illuminò abbracciando a sua volta il bambino.
“E mi raccomando, gioca tanto a pallavolo!!” gli urlò mentre il piccolo usciva felice dalla stanza trascinato dalla mamma. Bokuto rimase a sorridere in quella direzione per qualche secondo, poi guardò Akaashi e riprese a lamentarsi come quando era appena entrato:
“Keijiiii!!” lui si sedette sul bordo del letto e iniziò ad accarezzarlo con tenerezza mentre questo piagnucolava ancora “Avevo organizzato tutto benissimo per questa sera! Non è giusto! Tu non ti saresti dovuto preoccupare così tanto! Volevo farti rilassare!” si imbronciò con sé stesso, così lui gli tolse il muso con un bacio.
“Ogni serata è perfetta insieme a te, Kou.” lo fece sorridere. Dopodiché lo aiutò ad alzarsi e con calma raggiunsero il bancone di quel piano d’ospedale dove Bokuto dovette firmare dei documenti per essere dimesso. Rientrarono in casa passando solo davanti al suo ufficio per recuperare il cibo da pic-nic che il suo compagno aveva sistemato nel portabagagli della macchina.
“Quindi hai fatto tutto questo per un bambino che piangeva?” gli chiese Akaashi quando – mentre mangiavano la cena comodi sul divano – Bokuto gli raccontò di come fosse stato attirato verso l’albero.
“Non potevo lasciare che rimanesse triste!!” Keiji sorrise, e quanto disse in seguito gli venne naturale, quasi quelle parole avessero aggirato il filtro cervello-bocca:
“Saresti un padre stupendo.” il corvino si rese conto dell’entità di quelle parole solo quando notò lo sguardo di Bokuto. Il suo cuore perse un battito e poi accelerò all’improvviso nell’apprendere quello che aveva appena fatto. Arrossì e stava giusto per dire qualcosa per banalizzare quando gli occhi dell’altro divennero due stelle luminose oscurate da un ancora più luminoso sorriso.
“Keijiii!” si sporse per abbracciarlo, ma il dolore alla schiena lo costrinse a desistere. Così Akaashi rise e lo aiutò avvicinandosi al posto suo. Si baciarono con tenerezza per alcuni secondi, poi Bokuto – serio e leggermente in ansia – gli chiese:
“Credi che io sia pronto?” Akaashi dovette sospirare per calmare il proprio tumulto. Adesso che quell’idea gli era entrata in testa non c’era modo affinché l’immagine di Bokuto che giocava e rideva con un eventuale loro figlio lo abbandonasse.
“Sì.” confermò.
“E noi? Siamo pronti per questo?” il corvino respirò ancora a fondo, poi gli afferrò la mano sinistra e gli baciò la fede nuziale vecchia di due anni.
“Lo siamo”.

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Capitolo 5
*** SemiShira - Tu mi odi, io ti amo ***


La Shiratorizawa, certo, non poteva dirsi scontenta di quella giornata. Non avrebbero rappresentato Miyagi nel secondo Torneo Nazionale dell’anno, ma continuavano a tenere alto il nome della scuola. Era risaputo che per loro era fin troppo facile sconfiggere la maggior parte delle squadre liceali, ma tutt’altra storia erano quelle universitarie. Non era stato semplice, ma alla fine avevano prevalso in ogni partita d’allenamento di quel giorno e adesso – appagati e stanchi – stavano tornando ai dormitori dell’Accademia con il pulmino della squadra. Dopo una giornata del genere, quindi, avrebbero anche potuto senza problemi sopportare il guasto al motore che li costrinse a dormire in motel.
Questo era ciò che Shirabu pensava, almeno fino a quando il coach Washijo non ebbe finito di parlare con la receptionist di quel motel da due soldi che fortunatamente si erano ritrovati a soli due chilometri a piedi da dove il loro mezzo si era fermato.
“Mi dispiace, ragazzi, ma non hanno abbastanza stanze. Dovrete dividerle.”
“Io e Wakatoshi ne prendiamo una!!” urlò immediatamente Tendou alzando una mano al cielo mentre avanzava verso Washijo per afferrare un mazzo di chiavi alla cieca. Il professore lo guardò male per il tono che aveva usato, ma non poté far altro che accettare. In poco tempo, tutti i suoi amici si erano trovati un compagno di stanza e Shirabu fu costretto ad accontentarsi di chi restava.
“Allora andiamo?” Kenjiro strabuzzò gli occhi quando si rese conto che avrebbe dovuto dividere la stanza con Semi.
“Perché lui?” si ritrovò a lamentarsi in silenzio “Di tutti i membri della squadra doveva capitarmi proprio l’unico che mi odia?” ma non disse nulla e si limitò a seguirlo.
“Certo che non poteva proprio andarci peggio!” commentò l’albino mentre salivano le scale. Shirabu stava per concordare quando si rese conto che il senpai non si stava riferendo al fatto che avrebbero dovuto stare insieme per la notte, ma al motel in generale. Rise quando notò il modo con cui storceva il naso per ogni cosa.
“Che c’è? Mai dormito in un motel economico?”
“Perché, tu sì?”
“Non siamo tutti ricchi come te.” Shirabu si pentì subito del tono che aveva usato. Non voleva essere irrispettoso, ma il continuo non capire dei suoi compagni di scuola quanto per lui la situazione economica fosse diversa aveva iniziato ad irritarlo già molto tempo prima. I suoi amici davano quindi per scontato che lui non arrivasse mai in ritardo agli allenamenti perché non capivano che i mezzi pubblici potevano tardare o scioperare; gli annunciavano a cose già fatte quanti soldi avrebbe dovuto mettere per un regalo perché non capivano che non avrebbe mai potuto permettersi la loro stessa quota e non capivano che per lo stesso motivo non poteva uscire a fare baldoria tanto spesso quanto facevano loro.
“Giusto…” mormorò Semi senza aggiungere altro. Shirabu arrossì per la rabbia e la vergogna. Eita era al terzo anno mentre lui al secondo, sapeva che avrebbe dovuto scusarsi, stava lottando per farlo quando l’albino parlò ancora:
“Siamo arrivati. Questa è la nostra stanza.” il più piccolo annuì e seguì l’altro all’interno sbattendo sulla sua schiena quando questi si arrestò di colpo.
“Ma cosa-?” iniziò a chiedere, poi capì: quella era una stanza matrimoniale, non doppia.
“Quindi era questo che intendeva il coach.” constatò il castano superando il più grande e poggiando la propria borsa sul letto. Poi iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di un modo in cui potersi sistemare, ma la stanza era solo provvista di letto, comodini, e comò con un vecchio televisore sopra.
“Posso sistemarmi a terra se ti-”
“Non dire sciocchezze.” non lo fece finire il più grande “Il letto è abbastanza grande per entrambi”.
Era ancora presto, così Semi e Shirabu raggiunsero il resto degli amici nell’aria comune e lì si organizzarono per cenare. Le battute della squadra – una volta scoperta la situazione dei due alzatori – non si risparmiarono, soprattutto perché con la mezzanotte sarebbe arrivato anche San Valentino, ma né lui né Semi sembrarono darci molto peso.
A Shirabu piaceva Semi. Anche troppo. Gli aveva rubato il posto in squadra, e già questo era bastato affinché i suoi occhi venissero sempre attratti in direzione della panchina. Si sentiva in soggezione quando lui lo osservava. Sapeva di dover soddisfare le aspettative, altrimenti avrebbe reso vana l’inattività di Semi nel suo ultimo anno di liceo. Erano molte le volte in cui – guardandolo – non riusciva ad impedirsi di sentirsi in colpa. Sapeva di essere più bravo, quello era un dato oggettivo, eppure Eita sembrava davvero amare giocare a pallavolo e Kenjiro era la ragione per cui non poteva farlo tanto spesso quanto avrebbe voluto. Arrossì e distolse lo sguardo quando il più grande lo sorprese a fissarlo, e non appena ebbe finito di mangiare corse subito in camera farfugliando a Semi che l’avrebbe aspettato sveglio per aprirgli la porta.
Dovette attendere poco perché l’altro bussasse. Com’è ovvio nessuno di loro aveva il pigiama né cose come lo spazzolino da denti, quindi Shirabu indossava solo una maglia quando andò ad aprire al compagno. Semi lo squadrò da capo a piedi, quindi il più piccolo arrossì e si affrettò a ritrarsi.
“Non ho intenzione di morderti, sai?” lo prese in giro ridendo il più grande mentre lui si infilava sotto le coperte.
“Sembrava di sì.” rispose lui tranquillo, e Semi rise ancora. Si spogliò in fretta, si lavò alla ben e meglio e lo raggiunse nel letto. Il castano lo guardò con occhi spalancati quando si accorse che aveva intenzione di dormire solo in mutande, ma gli voltò presto le spalle quando Eita rispose alla sua espressione con un ghigno divertito. L’albino spense la luce del comodino e rimasero in silenzio per un po’. Sembrava quasi lo sarebbero rimasti fino all’indomani mattina quando Semi parlò:
“Sei stato bravo, oggi.” Shirabu non si voltò, ma mormorò un ringraziamento.
“Anche tu.” disse poco dopo.
“Non ho giocato poi moltissimo…” il più piccolo si irrigidì e non rispose, poi fu di nuovo Semi a parlare:
“Perché continui a darmi consigli su come migliorare? Con gli altri del terzo anno non lo fai.” Kenjiro dovette rifletterci prima di rispondere.
“So quanto sei bravo e voglio che tu sia migliore. Ma se ti dà fastidio smetterò.”
“Non mi dà fastidio.” negò subito “Ma noi giochiamo nello stesso ruolo. Tu sei titolare, aiutare me potrebbe essere controproducente.” Shirabu si voltò in modo tale da poter guardare – nella penombra della stanza – il proprio senpai.
“Io non la vedo in questo modo. Voglio solo aiutarti.”
“Vuoi aiutare me e non gli altri del terzo?” il castano arrossì. Non avrebbe di certo potuto ammettere che la cotta che aveva per lui lo spingeva a fare ciò di cui aveva bisogno.
“Gli altri del terzo mi mettono un po’ in soggezione. È difficile per me dire cosa fare a una persona più grande.” Semi rise, ma Shirabu non avrebbe saputo dire se divertito oppure no.
“Io invece non ti metto in soggezione?”
“Tu più di tutti.” rispose d’impeto il più basso, poi arrossì talmente tanto che fu sicuro di essere stato visto nonostante il buio nella stanza. “È solo che qualcosa mi spinge a volerti aiutare. Questo ti infastidisce?” chiese sulla difensiva. Dopodiché vide la sagoma di Semi scuotere la testa in un segno di diniego.
“È solo che mi confonde. Credevo che tu mi odiassi.” Shirabu spalancò gli occhi del tutto scioccato a quell’affermazione e non poté fare a meno di avvicinarsi all’altro per cercare di capire se fosse serio.
“Che cosa!? Ma da dove ti viene in mente questa idea?? Semmai sei tu che odi me!” si fissarono in silenzio per un po’. Gli occhi di entrambi ormai abituati alla penombra gli permisero di studiarsi a vicenda, e dopo un tempo che a Kenjiro parve interminabile, Eita sorrise divertito.
“Sarà vero quello che dice Tendou, allora.” l’altro si limitò a fissarlo curioso in attesa che continuasse, ma quando Semi lo fece quasi sperò di poter tornare indietro: “Dice che c’è troppa tensione sessuale, tra noi due.” Shirabu sapeva di non essere mai arrossito tanto. Avrebbe voluto allontanarsi, nascondere il viso tra i cuscini, ma il suo corpo era del tutto immobilizzato, così il più grande poté continuare.
“Potremmo farlo.” sussurrò mentre i suoi occhi scendevano alle labbra dei più piccolo ed il suo corpo si avvicinava “Testare la teoria di Tendou, e guadagnarci in ogni caso una notte di sesso, che lui abbia ragione oppure no.” il castano non riuscì a rispondere. Invece, deglutì e – come l’altro – passò dal guardarlo negli occhi a fissargli le labbra. Nel frattempo, Semi si era avvicinato e adesso erano a pochi millimetri l’uno dall’altro, tanto che Shirabu poteva sentire il fiato di Eita sulla pelle.
“Che ne dici?” chiese piano e roco. Il più piccolo non poté far altro che gemere e Semi prese quel verso come un “Sì.”
Si baciarono. Shirabu non aveva mai baciato nessuno con la lingua, prima, eppure era sicuro di essere andato bene. Semi non perse tempo e immediatamente lo sovrastò approfondendo il contatto. Il castano – probabilmente per la prima volta in vita sua – non riusciva a pensare lucidamente e la cosa lo terrorizzò. Semi gli aveva messo una mano sotto la maglietta e strusciato il bacino addosso quando come un salvagente lanciato ad un naufrago uno sprazzo di lucidità fece rinsavire Shirabu che spinse via il compagno di squadra con forza.
“Non posso!” urlò quasi terrorizzato.
“Perché no?” Kenjiro rispose a quella domanda con lo sguardo più incazzato che avesse mai rivolto all’altro alzatore prima di arrossire, distogliere lo sguardo e rispondere a parole:
“Io credo… che potrei essere innamorato, quindi non sarebbe giusto farlo.” passò un secondo di silenzio, poi Eita sospirò afflitto e si passò una mano tra i capelli.
“Lo so.”
“Tu cosa!?”
“Insomma, lo immaginavo.” si corresse “D’altronde è ovvio da come lo guardi.”
“Lo?” si chiese Shirabu, e stava per fare la stessa domanda ad alta voce quando Semi continuò:
“Ma lui ha Tendou, Shirabu. Devi fartela passare, sia per te che per loro. Non ne verrà niente di buono se continuerai ad andare dietro a Ushiwaka.” il più piccolo spalancò gli occhi prima di colpire forte e indispettito il suo senpai in pieno petto.
“Ma di cosa stai parlando! A me non piace Ushijima!!” era rosso di rabbia per la sicurezza con cui l’altro aveva affermato una cosa simile.
“Sei proprio un imbecille! Sei tu quello che-!” si interruppe appena in tempo. L’impeto del momento aveva fatto in modo da oscurare tutti i suoi freni inibitori. Deglutì prima di voltare le spalle all’altro nascondendo la testa sotto il cuscino.
“Sono io quello che- cosa, Shirabu.” era una domanda che non suonava tanto come tale. Kenjiro fece finta di non sentirla, ma gli riuscì più difficile quando Semi lo sovrastò di nuovo costringendolo a guardarlo.
“Sono io cosa.” ripeté non curandosi degli occhi lucidi del più piccolo. Questi provò ancora a fuggire da quella stretta, e non riuscendoci distolse perlomeno lo sguardo.
“Lascia stare.”
“Dimmelo.”
“Perché vuoi farmelo dire!?”  urlò arrabbiato “Tanto hai capito benissimo cosa stavo per dire.” Semi lo guardò per qualche secondo, ancora gli reggeva le spalle così che l’altro non potesse fuggire. Poi, senza preavviso, si calò sul suo volto e lo baciò con passione. Shirabu riuscì a mettere le braccia tra i loro corpi per spingerlo via.
“Sei un bastardo, smettila!”
“Perché!? Se ti piaccio dovresti volerlo anche tu.”
“Non se lo fai solo per testare una stupida teoria di Tendou!” ansimò Shirabu. Aveva il fiato corto, il viso arrossato e le lacrime intrappolate sugli occhi dai quali non permetteva loro di sfuggire.
“Non voglio testare una teoria di Tendou.” disse Semi dopo un po’. Il tono di voce totalmente diverso da quello usato solo pochi istanti prima. “Io credevo che a te piacesse Ushiwaka e…” sospirò, poi sembrò cambiare idea abbandonando del tutto la frase precedente.
“Non voglio testare una teoria di Tendou.” ricominciò “Voglio stare con una persona altruista, che pensa agli altri prima che a sé stessa. Che sopporta quei cazzoni ricchi dei suoi amici per affetto. Che non fa altro che adocchiare la panchina a bordocampo per paura che l’alzatore che ha sostituito non lo giudichi all’altezza. Voglio stare con una persona intelligente, che studia con passione ma che non penserebbe mai di vantarsi della propria media con gli altri.” Shirabu rimase senza fiato nel sentire tutto quello. Non avrebbe mai creduto che Semi lo osservasse tanto.
“Ma tu devi permettermelo. Devi darmi una possibilità.” lo accarezzò dolce su una guancia ed una lacrima traditrice raggiunse le sue dita che subito si mossero rapide per asciugarla.
“Non dobbiamo per forza fare sesso, ma ti prego permettimi di baciarti ancora.” il castano deglutì prima di annuire. Semi sorrise e tornò con le labbra sulle sue. Il bacio che ne seguì fu molto più dolce e lento di quelli precedenti. Shirabu ricambiò, ma Eita non era stupido. Sapeva che il più piccolo ancora stentava a credere di piacergli. Quindi, quella di andarci piano con lui fu una decisione facile da prendere.
Non si spinsero oltre i baci, quella notte. Semi si sarebbe guadagnato la sua fiducia, gli avrebbe fatto capire che teneva davvero a lui, che voleva davvero provare a costruire qualcosa, e solo allora avrebbe accettato di fare l’amore con l’alzatore che secondo tutti avrebbe dovuto odiare.
“Sta succedendo davvero?” sussurrò Kenjiro labbra su labbra. Semi rise, poi buttò uno sguardo alla sveglia analogica che era sul comodino.
“Dev’essere la magia di San Valentino.”

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Capitolo 6
*** SakuAtsu - Ci sto provando ***


n.a.
Ho lasciato la SakuAtsu per ultima perché... be', che posso dirvi: LI AMO! Quindi chiudo in bellezza. Spero di avervi fatto un po' di compagnia oggi!
Con questi due splendidi imbecilli vi do la buonanotte! Grazie a tutti quelli che hanno trovato il tempo per recensire! 
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Non c’era speranza che Atsumu riuscisse a prendere sonno. Aveva corteggiato Sakusa per mesi prima che questi gli concedesse un appuntamento e anche una volta ottenuto quello aveva dovuto faticare parecchio per avere il primo rapido e casto bacio sulla bocca. Per quanto per lui non fosse la norma ad Atsumu aveva fatto piacere andare piano. Aveva iniziato a flirtare con Kiyoomi per semplice divertimento, come faceva con tutti, ma poi qualcosa era cambiato. Il suo era diventato un vero e proprio corteggiamento quando si era accorto di trovare Sakusa più interessante di chiunque altro e più andava avanti, più era sicuro che lo fosse davvero.
Avevano iniziato a frequentarsi solo da sei settimane e poche volte in quell’arco di tempo Atsumu aveva potuto prenderlo per mano. I baci, poi, erano ancora più rari. Ogni cosa con Kiyoomi doveva essere fatta con calma, ma se all’inizio Atsumu aveva creduto che non sarebbe riuscito a resistere, adesso sapeva di essersi sbagliato. Certo, procedere così lentamente da una parte lo faceva impazzire, eppure dall’altra ogni piccolissimo e normalmente insignificante gesto per Atsumu e Kiyoomi valeva quanto cento gesti plateali messi insieme. Quando giocavano a pallavolo e Sakusa sceglieva di battere il cinque solo a lui, quando gli si sedeva vicino nell’autobus della squadra rinunciando al suo abituale sedile solitario, quando gli sfiorava la mano mentre camminavano fianco a fianco, o quando gli lanciava quei sorrisi lievi ma chiaramente dolci e felici… tutto quello faceva sentire Atsumu in un modo in cui nessuno era riuscito mai a fare, riusciva a farlo sentire speciale.
Nessuna sorpresa, quindi, che Atsumu ebbe trascorso la notte prima di San Valentino del tutto insonne oltre che più che eccitato all’idea di quello che lui e Kiyoomi avrebbero fatto l’indomani.
In sei settimane di frequentazione, certo, avevano avuto diversi appuntamenti. Eppure, non erano mai mancati gli insulti di Osamu al riguardo: “Quello che fate voi due potrebbero farlo tranquillamente anche due semplici amici!” Atsumu fingeva di non darci peso, che gli andasse bene così, ma segretamente pregava affinché potessero avere un vero appuntamento, pieno di smancerie dolci e cliché romantici.
“Ti do carta bianca per San Valentino.” gli aveva detto un giorno Sakusa sorprendo il biondo “Non farmene pentire.” Atsumu aveva quindi iniziato da subito ad organizzare la loro serata per il 14 febbraio, e per tutto il tempo aveva sperato davvero che Kiyoomi non si sarebbe pentito della fiducia che gli aveva mostrato. Ecco, quindi, che una frase poco importante per qualunque altra coppia diventava qualcosa di fondamentale per loro: “Mi fido di te.” gli aveva detto Sakusa con quelle parole; “So che mi conosci e che rispetterai la mia fobia”.
E tra ansia e trepidazione, finalmente il giorno di San Valentino era arrivato.
Sebbene mancassero ancora infinite ore al loro appuntamento, Atsumu iniziò già a preparare tutto. Tirò fuori dall’armadio i vestiti che avrebbe indossato, poi cambiò idea e li conservò per uscirne altri ripetendo la stessa scena altre tre volte. Si assicurò che i cioccolatini che aveva fatto a mano fossero ben disposti nella scatola d’asporto decorata che aveva comprato e si fece la doccia più approfondita della sua vita, perché avrebbe dovuto essere perfetto per Kiyoomi. Quando si fu asciugato ed ebbe indossato dei vestiti comodi per stare a casa, si rese conto di aver esaurito tutto ciò che poteva fare in vista di quella sera, quindi cercò di allentare la pressione cucinando – per una volta – il pranzo per sé stesso ed Osamu.
Aveva appena portato il cibo in tavola quando suo fratello lo vide e commentò:
“Hai un aspetto orribile.” per quanto gli insulti di Osamu non lo toccassero ormai da anni, quel giorno la sua frase ebbe il potere di farlo agitare.
“Cosa!? Ma se mi sono appena fatto la doccia.”
“Il sapone non lava via le occhiaie. Sembri un cadavere.” Atsumu si passò una mano sul volto. Le ore di sonno che aveva perso quella notte avevano iniziato a farsi sentire già da qualche tempo, e questa era anche la ragione per cui aveva optato per una doccia gelida nonostante fosse febbraio.
“Il tuo appuntamento è solo stasera, no? Potresti anche provare a dormire.” e Atsumu – un paio di ore più tardi – lo fece. D’altronde, l’ultima cosa che voleva era sbadigliare in faccia a Sakusa dandogli l’impressione di trovare la loro serata noiosa.
“Tsumu.” sentì chiamare dopo quello che gli era sembrato appena un secondo da quando aveva chiuso gli occhi steso sul suo letto. “Tsumu.”
“Mmh?” chiese contrariato. “Mi hai consigliato tu di provare a dormire e poi non me lo lasci fare?” pensò scontento.
“Come mai sei già a casa?” Atsumu corrugò la fronte mentre apriva un solo occhio.
“Ma che dici?” chiese roco e confuso.
“Il tuo appuntamento, no? È andato male?” il biondo si sollevò del tutto per guardare suo fratello. Stava per chiedergli ancora delucidazioni quando si accorse che il cielo era buio, al di là della finestra.
“Cazzo!! Che ore sono!??” scattò immediatamente in piedi più sveglio di quanto non lo fosse mai stato.
“Stai dicendo che non sei uscito??”
“Samu! L’orario!” non aveva tempo per farsi prendere in giro.
“Sono le dieci, sei in ritardo di tre ore. Cosa vorresti fare?” Atsumu afferrò nel panico il proprio cellulare chiedendosi perché diamine la sveglia non avesse suonato, poi si accorse che era morto.
“Proprio oggi doveva rompersi??” era attaccato alla presa, quindi non poteva essere la batteria e davvero non capiva il problema. Corse in bagno a lavarsi i denti il più in fretta possibile, poi afferrò i cioccolatini dal frigo ed infilò scarpe e giubbotto senza preoccuparsi di cambiarsi i vestiti. Sapeva di non avere speranze, tuttavia provò comunque ad andare al luogo dell’appuntamento. Ovviamente, Sakusa non era lì.
Atsumu si afferrò disperato i capelli, poi rimontò in macchina e si diresse verso l’appartamento di quello che sperava ancora di essere il suo ragazzo. Bussò con insistenza fin quando il corvino non aprì la porta con un cipiglio arrabbiato in viso.
“Omi!”
“Atsumu. Vedo che sei vivo.”
“Omi, mi dispiace!”
“Cos’è successo?” Atsumu cercò di recuperare il fiato che aveva perso per salire le scale del palazzo fino all’interno di Sakusa per non dover aspettare l’ascensore. Deglutì e rispose decidendo di non mentire.
“Io… mi sono addormentato, Omi.” la rabbia e la delusione passarono sul viso di Kiyoomi e lì rimasero. Atsumu capì che fino a quel momento aveva voluto dargli il beneficio del dubbio, ma che adesso aveva deciso di poter tranquillamente essere furioso con lui.
“Torna a dormire, allora.” fece per chiudere la porta, ma Atsumu la bloccò in fretta con una mano urlando:
“No!” Kiyoomi guardò prima la mano del biondo, poi il suo viso, e sembrava stesse per iniziare a sbraitare quando Miya lo precedette.
“Devi ascoltarmi.” disse serio. “È vero, mi sono addormentato. Avrei potuto inventare una qualsiasi scusa, ma non l’ho fatto.”
“E vorresti essere premiato per questo??”
“No!” fu l’immediata risposta dell’altro, una vena infastidita nella voce. “Non voglio essere premiato per essere stato sincero con te, Omi, perché lo sono sempre, perché è una cosa che mi viene naturale e che dovrebbe essere naturale. Ma voglio un premio, sì. Lo voglio perché per me è tremendamente difficile tutto questo, cazzo!” il corvino non seppe come rispondere, quindi lui continuò:
“Non ho mai avuto una relazione seria perché non ho mai sentito l’esigenza di impegnarmi per nessuno. All’inizio credevo che con te non sarebbe stato diverso, e invece eccome se lo è, Omi! Con te tutto è diverso.” il seme della paura sbocciò sul volto di Sakusa. Atsumu sapeva quanto quel discorso potesse farlo spaventare, sapeva dell’insicurezza di Kiyoomi, sapeva quanto il corvino odiasse essere diverso, ma decise di andare avanti.
“Sì, mi sono addormentato, perché non ho fatto altro, in questi giorni, che pensare al nostro primo San Valentino e a come renderlo perfetto. Mi sono addormentato perché stanotte ero troppo eccitato all’idea di passare questa serata insieme a te per riuscire dormire!” disse “E dopo tutto questo non è giusto, Omi. Non è giusto che tu mi sbatta la porta in faccia, non è giusto che mi giudichi per un singolo errore in sei settimane di relazione e quasi un anno di corte. Perché io ce la sto mettendo davvero tutta, ci sto provando davvero, per quanto mi venga difficile. Per tutta la vita non ho fatto altro che frequentare per un paio di giorni una persona e poi passare al sesso. Da sempre non ho fatto altro che prendere il piacere che volevo senza farmi troppi scrupoli. Tu sei la persona che voglio di più, e non posso neanche toccarti! E non ho mai minimamente pensato di volere un premio per questo, ma se me ne puoi concedere uno, allora perdona questo mio stramaledetto errore! Perché ci sto provando così tanto, Omi, ad essere buono per te,” gli si inclinò la voce “e mi piaci così tanto che la tensione per uno stupido appuntamento di San Valentino non è mai stata più forte, e tutta questa tensione mi ha spinto a non dormire stanotte e io…” la voce gli si affievolì. Un groppo gli si era formato in gola, sapeva di avere gli occhi lucidi. Aveva organizzato quella serata in ogni minimo dettaglio, e adesso era rovinata. Si schiarì la gola mentre distoglieva lo sguardo da quello nero pece di Sakusa. Stringeva ancora la scatola di cioccolatini sottobraccio, quindi continuando a guardare a terra li porse al più alto.
“Ti ho preparato questi. Mi sono disinfettato le mani e tutto, prima di farli. Accetta almeno questa scatola prima di mandarmi via.” Kiyoomi non la prese, quindi il biondo sollevò gli occhi con una morsa sul cuore. Lo sguardo di Sakusa era indecifrabile. Atsumu in passato era riuscito a leggerlo meglio con la mascherina addosso. Lo vide deglutire e lo fece anche lui. Poi lo schiacciatore gli afferrò il bavero del suo cappotto e lo attirò verso di sé. Il battito di Miya accelerò, la sua confusione era tale da non capire se quel gesto fosse per urlargli meglio contro o per baciarlo. Ebbe la risposta quando le labbra di Sakusa si poggiarono sulle sue.
Non si erano mai baciati in quel modo. Fu un bacio urgente, appassionato, bagnato. Quando Kiyoomi interruppe il contatto, Atsumu lo guardò sorpreso e sussurrò:
“Non sei costretto a fare così. A me sta bene continuare come abbiamo sempre fatto.” non voleva che l’altro fraintendesse il suo discorso di poco prima.
“Sta’ zitto.” fu la risposta del corvino “Avevo intenzione di farlo anche prima che tu mi dessi buca.” ringhiò prima di tornare sulle sue labbra. Atsumu gemette e ricambiò con affetto e passione.
“Scusa…” lo mormorarono all’unisono, e all’unisono risero.
“Non devi scusarti per esserti addormentato.”
“E tu non devi scusarti per volere andare piano. Non voglio che tu lo faccia.” Kiyoomi indugiò mentre abbassava lo sguardo, quindi Atsumu gli accarezzò una spalla per far sì che tornasse a guardarlo.
“Dico sul serio.” gli disse dolce “Mi piace il nostro rapporto. E mi piaci tu, tantissimo. Non ho bisogno di nient’altro che questo.” lo accarezzò ancora sopra i vestiti. Sakusa osservò la sua mano lisciargli la maglietta, poi la afferrò con la sua e se la portò al viso in modo tale che Atsumu potesse accarezzarlo sulla pelle.
Il biondo sospirò. Un piccolo ed innocente gesto agli occhi di chiunque poteva valere più di cento gesti plateali per loro. Si baciarono ancora, Atsumu posò con poca attenzione la scatola di cioccolatini sul comò d’ingresso della casa di Sakusa mentre questi lo spingeva ad entrare e chiudeva la porta dietro di lui. Il biondo non aveva ancora staccato la destra dalla guancia di Kiyoomi quando alzò la sinistra per accarezzargli i capelli. Il corvino si spinse con più insistenza sulle sue labbra intrappolandolo tra il proprio corpo e la porta.
Nulla era andato secondo i piani, quel San Valentino; stava andando meglio.

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