Run to You

di GiulsYes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Oggi sono qui per raccontarti una storia, una storia che mi riguarda. Una storia che in realtà non amo raccontare perché mi piace tenerla per me, pensando che sia unicamente mia. Non posso dire di averla vissuta in prima persona, ma mi è stata raccontata nei minimi dettagli dalle persone coinvolte e anche da quelle che vi hanno assistito; ho sbirciato abusivamente tra i loro diari, ma… shh non diteglielo, sarà un segreto che dovrà restare tra di noi. Ti posso assicurare che ogni tassello è stato accuratamente selezionato, comprovato e sistemato perché potesse arrivare tra queste pagine digitali per poter essere letto e compreso da altre persone.
Sarò con te in ogni parola e in ogni riga per accompagnarti in questo breve, ma intenso percorso.
Chi sono? Non te lo svelerò. Per ora voglio custodire questo segreto. Anche se sono proprio curioso di sapere chi tu pensi che io sia. Dai sfogo al tuo lato investigativo!
Tenterò di riportarti lì, a quei giorni, per far sì che anche tu venga a conoscenza di questa parte di storia mai raccontata. Ci accompagnerà in questo viaggio anche uno dei miei scrittori preferiti, Massimo Gramellini, con le citazioni tratte dai suoi libri. Libri che porto nel mio cuore.
Sei pronto? Ci vediamo nella prossima pagina.
 
 
 
«Ora che l’anima hai imparato ad amare, trova la gemella e mettetevi a volare.»
«Trovare la mia anima gemella! E come si fa?»
«Per perderti nel blu, gira pagina anche tu…»
 



BookTrailer
https://www.youtube.com/watch?v=XCjRVhepP5E

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


 
Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire.
Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi.
 
 
Agosto 2015
Doveva cominciare una nuova vita.
Aveva perso tutto.
La serie tv costruita sulla sua vita era stata un fiasco, un fallimento totale. E oltretutto, ora, era presa di mira da molte persone che la definivano oscena, razzista, omofoba e altri aggettivi ripugnanti con cui Rachel poteva riempire un intero diario, se non due.
Aveva raggiunto la vetta del suo successo con Funny Girl.
«Non sei portata per la televisione», questo le avevano detto. E lei, ormai, non poteva che essere d’accordo.
La sua fama, la sua popolarità era stata effimera, ora era solo una ragazza come tante che ha fallito. Che ci aveva provato e non ce l’aveva fatta. Non c’era più nulla per lei a Los Angeles e tanto meno a New York, ora che aveva lasciato la NYADA e il suo ruolo a Broadway.
L’unico posto che le rimaneva a cui tornare era Lima. E figuriamoci se aveva voglia di tornarci tanto presto e da perdente quale era ora.
Rachel aveva sempre immaginato il suo ritorno in Ohio in maniera molto teatrale. Avrebbe vinto un Tony come minimo, avrebbe ottenuto qualche ruolo a Broadway tra i musical che tanto si ostinava a guardare fin da piccola, come Wicked, West Side Story, Cabaret. Con Funny Girl c’era riuscita. Il musical appartenente al suo idolo più assoluto: Barbra Streisand.
“Ma io non sono Barbra Streisand” pensò Rachel sdraiata sul suo divano.
Erano le tre del pomeriggio e lei era ancora lì, nel suo appartamento a Los Angeles. Da un mese a questa parte, dopo la sua sconfitta, non faceva altro che mangiare cibi grassi, guardare la tv e leggere tutte le recensioni negative che giravano su di lei per il web, nel buio più completo del suo soggiorno. Ormai non si sforzava nemmeno di raggiungere il letto per andare a dormire, si assopiva lì. Direttamente sul divano.
Era finita in una nuvola nera di autocommiserazione e rassegnazione tale che nessuno poteva più farla rinsavire. Aveva ricevuto mille telefonate dai suoi due papà, dai suoi amici, ma non aveva risposto a nessuno. Ogni giorno Kurt, il suo migliore amico, chiamava. Ma nulla. Lasciava giusto qualche messaggio a lui e ai suoi genitori per fargli sapere che era viva, ma quando riprovavano a contattarla, nulla. La sua mano si bloccava e lasciava semplicemente che il telefono squillasse estraniandosi dal mondo come se fosse lontana anni luce da lì. Doveva uscirne da sola, se mai l'avesse fatto, se mai ci fosse riuscita.
Rachel cominciò a fare zapping tra i canali tv nel tentativo di trovare qualcosa di interessante e finalmente trovò una puntata di The Flash. Non le dispiaceva come serie, certo non era il suo genere, ma conosceva abbastanza bene Sebastian, il protagonista che interpretava Barry Allen. Sebastian faceva parte degli usignoli, inizialmente era... diciamolo, uno stronzo. Ma poi, con il tentato suicidio di Karowsky era, in un certo senso, cambiato. Le faceva strano pensare che perfino uno come Sebastian era riuscito a sfondare con una serie tv e lei invece, dopo appena una puntata, aveva rovinato la sua intera carriera.
D'un tratto il suo cellulare cominciò a vibrare e il display si illuminò nel buio della stanza, segno di un nuovo tentativo da parte di qualcuno di salvarla dall'involucro autolesionista che si era costruita attorno a sé stessa.
Rachel si sollevò leggermente scocciata dallo sforzo obbligato e stava già per cliccare il pulsante rosso sul display, se solo non avesse visto la foto che era comparsa sullo schermo.
Rachel si ricompose velocemente sul divano. Si mise seduta con il cuore che batteva a mille e si portò i capelli dietro le orecchie, come se lui potesse in qualche modo vederla. Non importava dove lei fosse o con chi, il suo cuore batteva sempre così quando c’era di mezzo lui.
Premette il tasto verde e si portò lentamente il cellulare all’orecchio abbassando la televisione con il telecomando per non far capire che era a casa.
«Ciao Finn! Come stai?», chiese con tono un po’ troppo energico.
«Io bene Rachel, tu piuttosto, come stai?»
Sentire la sua voce le fece perdere un battito, da quanto non la sentiva! Quasi ne aveva dimenticato il suono inebriante, con quell’impronta marcata, ma allo stesso tempo dolce. Quella voce ancora oggi, nonostante tutti gli anni che erano passati, la faceva sciogliere come se fosse un pupazzo di neve al sole. Sentire Finn le accese qualcosa dentro, le diede un calore e un senso di pace che ormai non provava da mesi. Non si erano più sentiti da quel giorno in cui lei aveva preso il telefono per chiamarlo – dopo che Finn era fuggito senza nemmeno salutarla – ringraziandolo dei fiori e di essere venuto fino a New York per presenziare al suo debutto a Broadway con Funny Girl. La loro telefonata fu breve, piena di disagio. In quel momento si sentiva come se, dopo anni di ricerca, fosse appena riuscita a ritrovare il tassello che mancava nella sua vita.
«Io? Benissimo! Ora sono a prendere un caffè con... un amico», rispose vivace.
Se, contaci che lui ti abbia creduto. Di certo non è stupido.
Il suo tentativo era più che evidente, ma a Rachel non importava. Non voleva mostrarsi debole. Se c’era una cosa che aveva imparato negli anni di liceo era che mai si sarebbe dovuta mostrare debole davanti a qualcuno. Soprattutto se davanti a te c’era Santana Lopez. Quegli anni avevano forgiato il suo carattere acuendone alcune parti leggermente spiacevoli, levigandone altre altrettanto spiacevoli e alimentandone, però, anche i lati buoni.
«Rachel», cominciò lui piano con tono quasi accusatore. «Anche se non ci vediamo e non parliamo da tanto, ti conosco. Non parli con nessuno e tutti, compreso me, hanno visto il pilota della tua serie.»
Rachel si stava arrabbiando. Chi era lui per giudicarla? Soprattutto visto come si erano concluse le cose tra di loro. Però ciò che faceva montare di più la sua rabbia era la sconfitta e il fatto che lui lo sapesse. Era ovvio che lo sapesse, le bastava muovere una ciglia perché lui capisse ciò che le passava per la testa.
«E quindi? Cosa vorresti dire con questo?», chiese lei mettendosi sulla difensiva.
Rachel faceva sempre così. Quando la situazione le era scomoda tentava di attaccare per prima. Per lei la vita era sempre una guerra da combattere, in ogni ambito. La tentazione di attaccare il telefono era alta e sembrava che lui se ne fosse accorto dal tono che usò e dal modo attento con cui soppesò le parole successivamente.
«Non ti sto giudicando Rachel, ma ne so qualcosa di fallimenti. Non estraniarti dal mondo...»
Questo era troppo perfino per lei. Passi pure il resto del mondo, ma non poteva permettere a lui, il suo Finn, di considerarla una fallita. Così la ragazza buttò fuori tutto d’un fiato: «E tu come ti permetti di farmi la morale? Dopo che te ne sei andato in giro per la Georgia invece di tornare anche se avevi fallito? Di tornare da me? La differenza tra il mio fallimento e il tuo è che il mio l’ha visto tutta l’America!»
«Lo so, ma tu non sei come me. Questa non sei tu. Questa non è la Rachel che io conosco. Tu sei forte, sei un pilastro e un esempio di forza e caparbietà per tutti.»
«Beh, non lo sono più. Forse non mi conosci bene come pensi. Siamo troppo distanti ora.»
Prima di riattaccare il telefono dalla rabbia, Rachel sentì Finn, la persona che amava più di tutte, l’unica che avesse mai amato, dire quasi in un sussurro: «Ci troveremo sempre.»
E le lacrime che le pizzicavano gli occhi da mesi finalmente si riversarono fuori come un fiume in piena che sgorga dai suoi argini.
 
***
 
Barry stava cercando di portare i prigionieri meta-umani in un posto sicuro, prima che Harrison Wells facesse esplodere, ancora una volta, l’acceleratore di particelle, quando Snart gli si ritorse contro.
A Rachel piaceva Snart: non era il classico cattivo, perché infondo si sapeva che era buono già dal primo scontro che i due avevano affrontato l’uno contro l’altro. Quello che non gli piaceva era la smania di Barry di salvare tutti.
Si, devo ammetterlo, sono d’accordo pure io con te, Rachel. Flash, sei troppo moralista cavolo!
Certo se avesse avuto lei quei poteri avrebbe fatto altrettanto probabilmente, ma non si sarebbe data tante colpe come faceva lui. A volte si vince, a volte si perde. Ma lei non l’aveva mai pensata così, non esisteva solo il bianco e il nero nella vita. Lei credeva nel grigio. Credeva nella vita e nella forza di volontà che poteva permetterti di fare qualsiasi cosa tu desiderassi o di diventare la persona che vuoi e che sei destinato ad essere.
Su una cosa Finn aveva ragione. Lei non era così. Lei era sensibile agli insulti, ma andava avanti. Dopo anni con Santana Lopez come poteva buttarsi giù così, ora che era arrivata fino a questo punto?
Adesso era determinata a redimersi, come una fenice voleva rinascere dalle sue ceneri più forte e più bella di prima. Ma l’unico modo per farlo era tornare al proprio nido, vicino alle persone che amava e che l’amavano a loro volta.
Rachel aveva deciso: sarebbe tornata in Ohio, nella casa dei suoi genitori. Sarebbe ripartita, in un modo o nell’altro, e avrebbe rimesso in piedi la sua vita. Il suo posto non era a Los Angeles e nemmeno a New York. Forse aveva anche un’idea di come farlo: sarebbe ripartita dal principio, dove la sua voce e le sue capacità avevano realmente cominciato a prendere forma, dove aveva lasciato una parte di sé. Un luogo che ora non esisteva più.
Ma solo quando la puntata di Flash sarebbe giunta al termine.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


 
I “se” sono il marchio di fabbrica dei falliti. Nella vita si diventa grande “nonostante”.
 
Settembre 2015
«Mi sei mancato Kurt.»
Rachel allungò leggermente il braccio sul tavolino del bar per prendere fra le sue dita la mano dell’amico. Un amico che aveva uno sguardo vuoto, uno sguardo che lei non vedeva dai tempi di Karowsky a scuola che faceva il bulletto con lui.
Kurt era abbigliato, come il suo solito, con capi molto sgargianti e appariscenti. La camicia che aveva scelto quella mattina era di un verde scuro chiazzata con altri colori opachi tra cui il blu, il nero e l’arancio; i pantaloni erano di un azzurro acceso e ai piedi indossava un paio di mocassini verde smeraldo; i suoi capelli erano corti ai lati, mentre nella parte alta erano perfettamente pettinati all’insù, fermati con il gel e la lacca. Un classico stile alla Kurt Hummel.
«Sei sparita Rachel, sono mesi che non ti sento e non ti vedo», disse Kurt con una nota di amarezza nella voce.
«Kurt, l’hai vista anche tu la mia serie. Di certo non potevo farmi vedere in giro come se niente fosse...»
Rachel era vestita di tutto punto: portava degli stivali neri alti fino al ginocchio, una gonna beige che le arrivava a metà coscia con le collant nere che le fasciavano le gambe magre, rese sode dagli anni passati a studiare danza; la parte superiore del corpo era coperta da una blusa nera che lasciava intravedere il seno e una piccola porzione di pelle della pancia; teneva i capelli castani e lisci sciolti che le ricadevano sulle spalle e la frangetta era accuratamente pettinata sulla fronte. Non aveva nulla fuori posto, nonostante il viaggio appena intrapreso.
Vedendo che l’amico non proferiva parola, proseguì: «Cosa c’è che non va Kurt?»
«Io», cominciò il ragazzo indeciso. Prese un respiro profondo e si rivolse all’amica con il cuore in mano. «Sono stati mesi difficili Rachel, io e Blaine ci siamo lasciati e Finn non c’è. Lui è sempre all’università dopo il fallimento con il Glee e la sua successiva chiusura, sta stabilmente in dormitorio e non dà esami, mio papà è sempre via per i congressi e le innumerevoli riunioni che il suo ruolo comporta, ho lasciato temporaneamente la NYADA… e tu mi hai abbandonato.»
Ora sì che Rachel si sentiva in colpa: avrebbe preferito essere investita da una macchina piuttosto che ascoltare quello che aveva appena detto Kurt. Lei aveva pensato solo al suo dolore, senza curarsi di quelli intorno a lei e delle loro vite, come sempre. Pensava di essere l’unica a soffrire e l’unica ad avere il diritto di farlo. “Perché io mi impegno” era la scusa che utilizzava sempre con sé stessa per giustificare quello che in realtà era il suo egoismo.
«Lo so», confessò con gli occhi fissi sul bicchiere di caffè di fronte a lei. «So di essere imperdonabile, ma vedi, mentre ero sull’aereo, ho pensato a un modo per redimermi che potesse avvantaggiare anche te.»
A quelle parole, il ragazzo sollevò istantaneamente la testa dalla sua bevanda, posò gli occhi verde-azzurri in quelli color cioccolato di Rachel, per la prima volta da quando si erano incontrati, e rimase in trepidante attesa.
«Noi riapriremo il Glee club del liceo McKinley.»
«Scherzi?», chiese Kurt pieno di incertezza. «E come hai intenzione di fare visto che la Sylvester ha in mano tutto il consiglio?»
Solamente il fatto di essere riuscita a creare un piccolo spiraglio in Kurt – che Rachel colse dallo sguardo dell’amico su di lei – le dava speranza. Un sentimento che non provava da molto tempo e che quasi le sembrava sconosciuto.
«Ho parlato con il presidente del consiglio poco fa», informò Kurt orgogliosa di sé. «Poi vedremo che cosa potrà fare.»
Kurt si limitò ad annuire e ad elargirle un sorriso quasi di circostanza, come se fosse incerto della verità nelle parole di Rachel. Era solita non mantenere la parola data, infatti. Il ragazzo ricordava benissimo com’era finita l’ultima promessa che si erano fatti loro due. Finì con Kurt in attesa su un marciapiede sotto la pioggia. Quella volta si erano ripromessi che non importava cosa sarebbe accaduto nelle loro vite, ma si sarebbero comunque trovati a New York, dov’era il loro vecchio loft, sei mesi dopo la partenza di Rachel per Los Angeles; perché la loro amicizia valeva più di qualsiasi altra cosa potesse accadere loro. Invece lei non si era mai presentata a quell’appuntamento, venendo meno alla promessa che si erano fatti. Quel ricordo ancora oggi gli doleva.
«Hai più sentito Finn?», chiese senza far trasparire la sua curiosità nel conoscere la risposta.
«Sì, mi ha chiamata un paio di giorni fa. Come tutti, ha visto la mia serie tv, se così si può definire.»
Rachel prese un sorso del suo caffè, ancora bollente, per nascondere il tremolio al labbro inferiore di cui soffriva ogni volta quando si parlava di Finn. Lui era il punto debole di Rachel. Qualche anno prima lei stava per rinunciare a qualsiasi cosa per Finn. Ai suoi sogni, alle sue speranze, al suo futuro, tutto ciò solo per sposarlo e stare con lui. E visto come erano andate le cose alla fine, forse se non si fosse fatta convincere a salire su quel maledetto treno per New York quel giorno, ora le cose sarebbero diverse.
Ma di certo, per lei, non era il momento di parlare con i se, era giunto quello di intraprendere la via dei nonostante.
«Ma non importa», disse Rachel – più a sé stessa che a Kurt – per risvegliarsi dai suoi pensieri. «È giunto il momento di guardare avanti, di guardare al nostro futuro, non voglio più fossilizzarmi, troverò la mia strada e tu sarai al mio fianco.»
Kurt annuì, questa volta molto più sicuro di prima, d’altronde nessuno poteva battere Rachel in caparbietà e un nuovo progetto come quello proposto da lei lo entusiasmava e risvegliava quella parte euforica che c’era in lui, soffocata dagli ultimi avvenimenti della sua vita.
 
***
 
Rachel era a Lima da poche ore e ancora non era riuscita a passare per casa per posare la valigia e farsi una doccia rigenerante. Appena il taxi si fermò nel vialetto di casa sua, un peso le si spostò dallo stomaco. Casa.
Infilò le chiavi nella toppa, e aprì la porta di quella che era stata la sua dimora per diciassette anni e non si stupì di trovarla proprio come l’aveva lasciata. Era in camera sua, ad osservare tutti i suoi diciassette anni appesi alle pareti tra foto con gli amici e parenti e trofei di danza e canto conquistati appoggiati agli scaffali, quando suo padre varcò la soglia della sua stanza.
«Tesoro», disse lui allargando le braccia e stringendola forte. «Grazie a Dio sei qui.»
«Papà dov’è?», chiese Rachel preoccupata guardandogli le spalle senza intravedere nessuno. «Che succede?»
«Amore, io e tuo padre stiamo divorziando», disse lui semplicemente, sedendosi sul letto a baldacchino.
«No, non è possibile!», imprecò Rachel con le lacrime che minacciavano di uscire nuovamente. «Sono morta e sono finita all’inferno.»
«Le cose tra di noi erano complicate già da tempo. Abbiamo deciso di aspettare a dirtelo finché non fossi uscita dal tuo isolamento, già avevi tanto a cui pensare», Rachel annuì debolmente. «Ne riparleremo comunque.»
Quanto? Quanto le persone avevano sofferto mentre lei si isolava pensando che la sua vita fosse finita per una serie tv andata male?
«Senti», lo fermò lei prima che uscisse. «Non so ancora per quanto resterò a casa. A te sta bene?»
«Puoi restare con me tutto il tempo che vuoi, ma abbiamo messo in vendita la casa da un paio di settimane», disse lui.
Suo padre prese un respiro profondo e prima di voltarsi ed uscire dalla stanza disse: «Si dice che bisogna perdere ogni cosa, prima di trovare sé stessi.»
Una cosa era certa: Rachel aveva perso tutto.
 
***
 
Rachel era eccitatissima quel giorno. Aveva curato ogni singola parte del suo aspetto quella mattina prima di uscire: dai capelli minuziosamente lisciati, al trucco non troppo eccessivo e all’abbigliamento formale. Voleva apparire autoritaria, ma non voleva incutere soggezione nei potenziali nuovi membri del Glee club.
Il club audio e video stava aiutando lei e Kurt a trasportare fuori le attrezzature che appartenevano all’aula di informatica. Quest’ultima si era instaurata in quella che prima era la sala di musica sotto la dittatura di Sue Sylvester. In quell’aula Rachel racchiudeva tutti i suoi preziosi e più bei ricordi. Sì, anche le litigate con Santana e Queen.
La sua vita all’interno di quella stanza era stata tutto fuorché idilliaca, ma comunque ciò che prevaleva più di tutti era la sensazione di casa e di calore che emanava. Tutti i suoi ricordi più brutti, ma soprattutto quelli più belli erano proprio lì. La sua voce era cresciuta lì.
«Grazie a tutti ragazzi!», cinguettò Rachel. «Il club audio e video e il Glee club hanno sempre mantenuto ottimi rapporti negli anni e manterremo questa tradizione intatta.»
«Sì grazie!», esclamò Kurt che sembrava essere in fibrillazione quanto Rachel, se non di più. «Promettiamo di imparare tutti i vostri nomi. E anche quelli dei musicisti!»
I ragazzi si guardarono con lampi che attraversavano i loro occhi dall’eccitazione per la nuova avventura che gli si prospettava davanti. Avevano entrambi il loro scopo e questo gli bastava, per ora.
 
***
 
Di ritorno a casa, Rachel si sentiva finalmente bene. Certo, qualcosa ancora le mancava, ma il solo fatto di avere un obiettivo la faceva sentire in pace e allo stesso tempo entusiasta. Risvegliava in lei la voglia di lottare, la ferocia che tanto la caratterizzava, la voglia di mettersi in gioco e di distinguersi sempre dagli altri.
Qualcosa tuttavia le mancava, la tentazione di diffondere la notizia della sua piccola vittoria nel poter ridar vita al Glee club premeva in lei e c’era solo una persona in realtà a cui avrebbe voluto comunicarla. A lui.
Proprio come ogni cosa che le accadeva di importante nella sua vita, aveva voglia di condividerla con lui. Spesso si era chiesta se questo potesse voler dire qualcosa, ma non era il momento di farlo. L’euforia del momento la portò a non riflettere sulle sue azioni. Rachel prese il telefono e lo chiamò. L’incessante squillo regolare dell’attesa della risposta alla chiamata quasi le fece scoppiare il cuore dal petto e dopo un numero di squilli impossibili da contare, e quando Rachel ormai credeva che non avrebbe più risposto, la voce di Finn si diffuse nel suo orecchio mettendo fine alle sue sofferenze e facendo sì che riprendesse a respirare.
«Ciao Rachel», disse lui in tono apatico.
Il suo tono così distaccato la fece desistere e la ferì leggermente, tuttavia era troppo orgogliosa per darlo a vedere.
«Ciao Finn.»
«Tutto qua? Non hai altro da dirmi?», chiese lui con un’intonazione fin troppo rude.
«No. Tu hai niente da dirmi?»
«Guarda che mi hai chiamato tu!», tuonò Finn spazientito. «Mi hai chiamato per dirmi niente?»
E non ha tutti i torti, Rachel.
«Certo che non è così», disse lei addolcendo la voce nell’imbarazzo. «Volevo solo sapere come stavi. Kurt mi ha detto che non dai gli esami.»
«Rachel», la richiamò con tono accusatore. «Di certo non sei nella posizione di potermi fare la predica.»
«In realtà un po’ sì! Io almeno ci sto provando a rimettere in piedi la mia vita.»
«Ah, sì? E come?», le chiese Finn quasi deridendola. «Crogiolandoti nella disperazione del tuo appartamento di Los Angeles? Cosa ci stai a fare ancora lì?»
Era tipico di Finn. Quando soffriva, attaccava. Ma non come faceva Rachel, lui era infimo. Sparava come un cecchino senza dosare il colpo. Sapeva benissimo dove mirare ancora prima di prendere il fucile; semplicemente puntava, sparava e ti massacrava. Sempre.
Rachel incassò la botta, anche perché questa volta era prontissima a reagire.
«In realtà sono in Ohio», approfittò del silenzio creatosi per contrattaccare. «Ho rimesso in piedi io il Glee club. A differenza tua, come vedi, io non mi sono arresa.»
Dall’altra parte Rachel udiva solo un respiro regolare, così continuò: «Devi rimettere in piedi la tua vita, Finn. Proprio come hai detto tu di fare a me. Io l’ho fatto, ora tocca a te», la ragazza prese un respiro profondo. «Ci sentiamo, Finn.»
Attese una risposta che non arrivò mai, così si limitò a chiudere il telefono e ad infilarlo nella tasca dello spolverino.
Era sola.

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


 
Non so se in amore vince chi fugge, ma di sicuro chi perde rimane dov’è: immobile.
 
Giugno 2016
Il momento tanto atteso era arrivato. Stare dietro alle quinte del palco non le era mai parso più gratificante. Certo, la voglia di starci lei, in prima persona, per cantare come ai vecchi tempi le faceva gola ed era carica di invidia da vendere, ma un senso di orgoglio placava il suo egoismo.
Aveva cresciuto lei quei ragazzi. Rachel li aveva portati a migliorarsi, ad amarsi, a diventare amici e ad accettarsi a vicenda proprio come aveva fatto Will Schuester per lei e i suoi amici anni or sono. Ora, nonostante le Nuove Direzioni non si fossero ancora esibite e i vincitori non fossero ancora stati proclamati, lei, in cuor suo, sapeva di aver già vinto. Aveva conquistato l’affetto e il rispetto di quei ragazzi e aveva anche creato un gruppo di amici che si potevano definire tali nonostante le diversità che li caratterizzavano. Era riuscita a far riaccadere in quella scuola un miracolo a cui quelle mura avevano già assistito in passato.
Ma che dico? Diamo a Cesare ciò che è di Cesare! Rachel, infondo, era pure molto egoista. Voleva quel trofeo. E lo desiderava ad ogni costo!
«Ragazzi. Mani al centro!», tuonò agitata ed euforica battendo le mani. «Non pensate a nulla su quel palco, divertitevi e basta. Mostrate il vostro talento e i giudici lo vedranno. Portiamoci a casa quel trofeo già nostro di diritto!»
Ecco, appunto.
E a dirla tutta, ma proprio tutta, Rachel non aveva fatto tutto da sola, ma anche Kurt aveva i suoi meriti.
I ragazzi scossero la testa sorridenti. Ormai se lo aspettavano da Rachel Berry. Alzarono le braccia esultanti simultaneamente e si avviarono sul palco per l’esibizione.
Kurt le si affiancò. «Sono agitato, ma euforico.»
«Anch’io. Abbiamo fatto un ottimo lavoro con loro», disse indicando i ragazzi. «Cosa pensi che faremo ora?»
«Credo sia arrivato il momento di tornare dove è il nostro posto. Qui il nostro lavoro è finito, dobbiamo riprenderci le nostre vite.»
Rachel annuì debolmente, assorta nei suoi pensieri carichi di ansia per il futuro incerto. Quasi si sentiva come quella sera delle finali con tutto il suo mondo pieno di incertezze e dubbi.
Osservò i suoi ragazzi cantare e ballare, ognuno di loro come fosse un’unica cosa con l’altro. Una macchina ben oliata, un unico corpo che si muove nello stesso tempo nell’auditorium in perfetta sincronia. Lo spazio riempito dalle voci, la vista dalla loro coreografia.
«Lo credo anch’io», disse a Kurt.
Quindi era questo che provava al tempo Will Schuester ad ogni loro esibizione. Gioia, fierezza, orgoglio. Il suo cuore si gonfiò e i suoi occhi si inumidirono con la fine della loro performance. Il pubblico esplose in fischi, urla e applausi alzandosi dai sedili del teatro.
Avevano certamente vinto.
Da dietro le quinte, Rachel esultava delle attenzioni del pubblico come se fossero rivolte direttamente a lei. Si ricordò la sera della sua prima a Broadway, nei panni di Fanny Brice, e quasi l’emozione di quel momento si equiparò a quella che aveva provato quel giorno. Come allora, si godette gli applausi e le acclamazioni delle persone scorgendo ogni singolo individuo che occupava la sala. Proprio come quella sera, i suoi occhi si posarono su una figura slanciata posizionata nel fondo del teatro che stava appoggiata con la spalla all’uscita di emergenza.
Era lui.
I loro sguardi si incrociarono non appena lei posò i suoi occhi su di lui.
Da quanto la stava guardando?
Il tempo sembrò fermarsi, lei negli occhi di lui e lui negli occhi di lei. Tutto sparì in un secondo; la musica, le persone, ogni rumore si appiattì e risultò ovattato alle loro orecchie.
C’erano solo loro.
Finn e Rachel. Rachel e Finn.
Tutto fu spezzato in un momento e i suoi occhi persero il contatto con lui. Kurt la prese sottobraccio e la trascinò sul palco per il momento della proclamazione dei vincitori.
Rachel scosse la testa come a risvegliarsi dal trans e sorrise per il pubblico mentre avanzava nell’auditorium. Il momento tanto atteso era arrivato. Avevano lavorato per ben dieci mesi per questa occasione ed era decisa a godersela al meglio.
Si strinse nella sua squadra e il presentatore cominciò.
«Bene bene bene. Eccoci al momento più atteso», prese le tre buste che gli stava porgendo una donna e ne scartò una. «Al secondo posto abbiamo… i Vocal Adrenaline!»
Il gruppo finito secondo in classifica non fu molto contento e nemmeno tanto sportivo, ma questo in realtà già era stato appurato negli anni e nessuno se ne preoccupò quando scesero dal palco gettando il trofeo per terra. Furono anche fortunati, perché questo rimbalzò appena nelle scalette e si fermò poco sotto il palco uscendone illeso. Il direttore dei Vocal Adrenaline si precipitò a raccoglierlo e insieme ai suoi ragazzi si diresse a passi pesanti verso l’uscita.
«Sono cose che capitano», disse il presentatore nel tentativo di stemperare la tensione e l’alone di imbarazzo che si erano creati.
Estrasse la busta del primo posto e i ragazzi non si stupirono quando venne urlato il nome delle Nuove Direzioni.
Non si stupirono, è vero, ma comunque si misero ad urlare dalla felicità. Si strinsero tutti attorno a Rachel e Kurt e lei li abbracciò entusiasta. Ricordava benissimo quell’istante in cui sentì dire anche lei che erano stati proclamati vincitori su quello stesso palco. L’entusiasmo, la sensazione che tutte le granite in faccia prese negli anni, tutti gli sbagli, gli sforzi, le lotte con Sue Sylvester erano stati finalmente ripagati. In realtà quel giorno, proprio come oggi, lei se lo sentì subito, lo sentì dentro nelle budella ancora prima di cominciare l’esibizione. Sapeva che quel giorno avrebbero vinto.
«Sono fiera di voi», disse loro sussurrando. «E vi ringrazio per avermi dato la possibilità di far parte di tutto questo, di questo momento.»
Tutti le sorrisero. Mentre si stringevano gli uni agli altri, tornò a posare gli occhi nell’angolo in cui prima vi era Finn. Lo vide di spalle, allontanarsi di soppiatto.
Proprio come aveva fatto quel giorno alla sua prima.
Il suo corpo si mosse in automatico, si congedò appena con i ragazzi, e corse con tutto il fiato che aveva in corpo alla velocità che le permettevano i suoi sandali con i tacchi. Si addentrò nel corridoio e scorse Finn entrare nell’aula di musica. Appena lei vi mise piede entrambi si fermarono.
Il ragazzo rimase di spalle, immobile davanti al pianoforte. Solo pochi metri li separavano e Rachel non riuscì a ricordare qual era l’ultima volta che erano stati così vicini fisicamente.
«Mi sei corsa dietro», disse con voce atona il ragazzo.
«Dovevo. Non posso permetterti sempre di scappare. Lo hai fatto al mio debutto a Broadway e prima ancora quando sei venuto a New York dopo il tuo fallimento», disse la ragazza con il fiatone mentre era ancora sulla porta. «Non puoi continuare a scappare da me. Prima o poi dovrai affrontare quello che c’è tra noi a viso aperto.»
«Non ora», sentenziò voltandosi. «Non ancora almeno.»
Rachel sospirò contraddetta. Non era abituata a non ottenere ciò che voleva. «Perché?»
Finn prese un respiro profondo, interdetto se svelarsi a lei completamente oppure rimanere nell’ombra che tanto lo confortava. Sì, è confortante a volte non sentirsi dire ciò che dovresti fare. È confortante crogiolarsi nel fondo piuttosto che lottare per risalire. Ma Finn era nel più profondo dei pozzi questa volta e non aveva nemmeno i mezzi per provare ad appigliarsi e risalire.
«Perché non sono come te. Non sono pronto, non siamo pronti.»
«Che vuoi dire? Spiegami, non capisco!», urlò lei con le lacrime che minacciavano di uscire.
«Non sono abbastanza per te. Non ancora. Non ho un vero e proprio scopo, non so cosa farne della mia vita. Tutto ciò che ho fatto fino ad ora è sfociato in continui fallimenti, uno dietro l’altro. Non posso chiederti di aspettarmi, so che prima o poi riuscirai a trovare qualcuno migliore di me. Qualcuno che possa essere alla tua altezza. Io ora non lo sono e forse non lo sarò mai.»
Finalmente, ogni tassello nella mente di Rachel tornò al suo posto. Ogni cosa ora le era chiara, ogni comportamento, ogni azione di Finn compiuti nell’ultimo anno prendevano senso. Il problema risiedeva in lui, non in lei.
Si era sempre sentita inferiore a lui, d’altronde lei era un nonnulla al liceo. Era una bimba incapace di vestirsi e di pettinarsi in maniera decente che caricava video su YouTube di sé stessa che cantava, non era di certo la capitana delle cheerleaders, mentre lui al tempo era il quarterback della squadra di football, il più bello e popolare della scuola. Ma ora, ora le cose erano ben diverse. Lei era cresciuta, riusciva a vestirsi per qualsiasi occasione nel modo giusto, si era fatta la frangetta ed aveva raggiunto almeno uno dei suoi più grandi sogni, ovvero sbarcare a Broadway. Certo, non era uno dei migliori momenti per la sua popolarità e da Broadway era arrivata a Lima a dirigere il Glee club della scuola di paese, ma ciò pesava comunque nelle spalle del Finn di adesso. Il Finn perso, senza obiettivi per il futuro.
Non sapeva esattamente che cosa fosse meglio fare o dire a Finn in quel momento per aiutarlo, ma come abbiamo già detto, Rachel è egoista.
La ragazza fece l’unica cosa che voleva fare ormai da anni. Si mosse velocemente, tagliò di netto i pochi passi che li separavano e prese il viso di Finn tra le mani. Gli accarezzò dolcemente la guancia continuando a guardarlo fisso negli occhi e si stupì che quest’ultimo la lasciasse fare.
Accarezzò ogni parte del suo viso, portò le mani dietro la sua nuca e si alzò in punta di piedi per eliminare completamente quella distanza forgiata dagli anni passati lontani l’uno dall’altra, posando le sue labbra sulle sue.
Si baciarono e lo fecero come se non si fossero mai lasciati e il tempo trascorso separati non fosse mai esistito.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


 
L’istinto la guidò a una conferenza che non c’entrava niente con il suo sogno. Ma chi incomincia a cercare ciò che ama finirà sempre per amare ciò che trova.
 
Luglio 2017
Un momento chiave stava per farsi largo nella vita di Rachel: la laurea.
Sì, avete capito bene. Rachel aveva pregato in ginocchio tutta l’estate Carmen Tibideaux per avere un’altra possibilità di studiare tra le mura della sua scuola, la rinomata New York Academy of the Dramatic Arts. Per un intero anno non fece altro che studiare diligentemente tutte le discipline che le mancavano per laurearsi. Niente sgarri, niente provini. Lo aveva ripetuto a sé stessa un’infinità di volte.
Solo una volta rischiò di venire meno al suo tacito patto. Quando misero in scena Wicked a Broadway. Wicked fu per Rachel ciò che la mela fu per Eva. Tuttavia, a differenza di quest’ultima, lei resistette e non cedé alla tentazione. Quella scuola aveva ancora molto da darle, e lei in quell’anno aveva appreso il più possibile. Si era fatta bruciare la gola e sanguinare i piedi per quel pezzo di carta che era la laurea. Alla fine del suo percorso però, la lezione più grande gliela aveva insegnata sempre e comunque Cassandra July aiutandola a non spezzarsi con le critiche, bensì ad utilizzarle per crescere.
Rachel doveva solo esibirsi. Questa era per loro la cerimonia di laurea. Cantare, questo avrebbe fatto di lì a pochi minuti. Esibirsi davanti a un’infinità di persone tra cui manager, produttori, direttori di teatri e tantissime altre figure di rilievo nel mondo dello spettacolo.
Non era agitata, anzi, si sentiva calma dentro. Credeva nelle sue potenzialità ora più che mai dopo tutto ciò che aveva passato.
Kurt aveva appena finito la sua performance e si era accomodato tra gli spettatori per assistere alle successive esibizioni.
Rachel avanzò al centro della sala circolare, quella adibita alle esibizioni della NYADA, e si posizionò al centro davanti alla band. Individuò subito i suoi due papà seduti proprio tra le prime file che si stavano sbracciando per attirare la sua attenzione, riappacificati per l’occasione. Solo Kurt, oltre ai suoi genitori, era venuto a sostenerla. Non che avesse molta scelta considerando che anche lui si sarebbe laureato oggi, con lei. Più il tempo passava, più loro due diventavano la stessa cosa. Due facce della stessa medaglia, inseparabili.
Una parte di lei desiderava che Finn si palesasse quel giorno, d’altronde l’aveva sempre sostenuta e ritrovarlo nei suoi traguardi più importanti era diventata una consuetudine.
Ma questa volta le cose erano diverse, non si vedevano e non si sentivano da quel giorno in cui lei l’aveva baciato. Anche allora, come tutte le volte precedenti in cui si stavano per avvicinare, lui era corso via da lei.
Rachel aveva raggiunto ormai la fase dell’accettazione. Non potevano stare insieme e lei non poteva di certo fare come al liceo e pregarlo in ginocchio di correre da lei. In parte, si sentiva di meritare qualcosa di meglio dalla persona che desiderava al suo fianco. Se Finn non credeva in sé stesso, non era lei la persona giusta per aiutarlo a crescere. Doveva cavarsela da solo, lei in tutti quegli anni aveva ricavato solo dolore dal porgergli la mano.
Sussurrò al pianista la sua canzone e tornò a posizionarsi al centro della sala. Proprio come per lo Showcase invernale e prima ancora al cosiddetto “falcia matricole”, aveva optato per fare quello che Mercedes definiva “piazzarsi e cantare”. Quando possiedi una voce come quella di Rachel, l’aggiunta della danza non diventa un perfezionamento dell’esibizione, ma una distrazione dalla voce stessa.
Prese un respiro profondo e cominciò.
Finita la performance non c’era una sola persona nella stanza che non avesse la bocca completamente spalancata. Solo una di queste osò, a dispetto di Carmen Tibideaux, applaudire. Rachel seguì il rumore delle mani che schioccano l’una contro l’altra.
Tutto poteva aspettarsi, tranne che lui.
Jesse St. James.
 
***
 
Rachel, una volta che furono finite tutte le esibizioni, si avvicinò ai suoi genitori che le porsero un mazzo di fiori.
«Complimenti tesoro», dissero i due papà baciandole uno alla volta la fronte. «Hai raggiunto uno dei tuoi obiettivi più importanti. Siamo così fieri di te.»
«Grazie», disse Rachel lusingata.
Anche se i suoi due papà non stavano più insieme, era comunque contenta. Aveva superato la cosa.
A volte le persone smettono semplicemente di amarsi, ma ciò non vuol dire che il bene che si sono voluti sparisca tutto d’un tratto, anzi. L’amore è indelebile. Una volta che l’hai provato per una persona non smette mai di esistere. Lui, o lei, diventa parte di te e lo porterai sempre nel cuore in ogni cosa che fai.
«Ti aspettiamo alla macchina per andare a festeggiare, tesoro.»
In quel momento arrivò Kurt che la abbracciò e la strinse forte. «Dovunque ci porterà il futuro so che staremo insieme per la vita.»
«Oh, Kurt. Tutto questo non sarebbe mai avvenuto senza di te. Ce l’abbiamo fatta, insieme.»
Una lacrima sfuggì a tutte e due e tornarono ad abbracciarsi.
«Penso ci sia qualcuno di molto più importante di me con cui dovresti parlare. Madame Tibideaux l’ha fulminato quando ha applaudito», disse indicando la figura alle sue spalle. «Ti aspetto fuori.»
Il suo migliore amico le accarezzò il braccio prima di sparire insieme ai suoi genitori e a quelli di Rachel.
Andò incontro a Jesse, che evidentemente la stava aspettando osservando ogni suo movimento. Era vestito di tutto punto. Uno smoking classico con il papillon e una valigetta alla mano.
«Quanto tempo», disse Rachel mentre si avvicinava e si stringeva sul suo lungo vestito.
Rivedere Jesse risvegliava in lei varie tipologie di emozioni: rabbia, per l’umiliazione subita da parte sua anni or sono, quando le aveva gettato le uova addosso; agitazione perché ancora una parte di lei provava qualcosa per lui. Jesse St James era l’unico ragazzo che le aveva fatto provare dei sentimenti che non fossero quelli per Finn. Portava i capelli più corti di un tempo, ma era comunque bello, allora come oggi.
«Già. Sono qui in veste ufficiale però», disse lui gonfiando il petto.
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire che cerco dei nuovi talenti. Una protagonista, per la precisione», disse con un sorriso furbo sul volto. Un sorriso che Rachel conosceva più che bene. «Come sicuramente sai ora sono un uomo d’affari. Sto mettendo in scena a Broadway un nuovo show tutto mio. Che ne penseresti di Jane Austen Sings?»
In realtà Rachel non lo sapeva.
Alla ragazza mancò di un battito. Era ovvio che la proposta le facesse gola, anche se arrivava del tutto inaspettata.
«Ovviamente», la incalzò il ragazzo. «Lavoreresti a stretto contatto con me. E chi non lo vorrebbe?»
Rachel era già abituata alla vanità di Jesse, a dirla tutta non le pesava. Era esattamente così anche lei, sicura di sé stessa e non si tirava indietro dal dimostrarlo a sua volta. Anche se lui era certamente più vanitoso di lei, che aveva più insicurezze.
Jesse, infatti, era sempre stato sicuro di sé fin da quando lo aveva conosciuto credeva nelle sue capacità e ostentava sempre sé stesso sfacciatamente, senza paure a differenza di Rachel.
Erano due menti molto affini e le loro voci insieme erano come una bomba nucleare. Nulla li fermava quando cantavano insieme.
«Ci rifletterò», disse Rachel mestamente. «Ci vediamo, Jesse.»
La ragazza se ne andò, lasciando il ragazzo solo. Molti pensieri affollavano la mente di Rachel mentre si dirigeva dai suoi genitori.
Si era appena laureata e già aveva la possibilità di tornare a Broadway. Forse le decisioni prese fino ad ora non si rivelavano poi così sbagliate.

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


 
Gli amori non finiscono con il tempo. Cambiano forma, scavando nuove profondità. E se ci lasciano non è perché sono durati troppo, ma perché a un certo punto hanno incontrato il vuoto.
 
Novembre 2018
«Tutto pronto?», chiese Jesse mentre trasportava l’ultimo scatolone sul camioncino che avevano noleggiato.
«Mi mancherà questo posto.»
Il loft che avevano affittato lei e Kurt era stato il suo primo appartamento a New York. Jesse si era trasferito lì qualche mese prima, mentre erano alla ricerca di una nuova dimora da poter condividere. Anche se la ragazza sperava in cuor suo di non trovarla per rimanere lì.
«Come sei sentimentale Rachel, il nuovo appartamento ha due bagni! E il terrazzino!»
«A me piaceva anche avere un solo bagno.»
«Sì, appunto. Perché ci passavi tutto il tempo tu.»
«Non è vero», rise lei.
Rachel sapeva che Jesse aveva ragione. I suoi rituali per la cura e l’igiene risalivano quasi alla sua nascita ed erano tanto tassativi e necessari quanto erano lunghi. Per qualcuno che vuole sfondare nel mondo dello spettacolo l’aspetto è tutto infondo.
«Sì, è vero. E ti prego, non piantare il muso ora. Abbiamo bisogno di più spazio», disse Jesse accarezzandole un braccio. «È un cambiamento necessario.»
«Hai ragione», disse Rachel mentre prendeva la sua orchidea dal tavolo da pranzo che lei e Kurt avevano comprato al mercatino delle pulci.
Tutto l’appartamento era vuoto. Tutta la sua vita nuovamente impacchettata e infilata su un camioncino per recarsi in una nuova dimora. In parte sperava fosse l’ultima volta che cambiava casa, si sentiva una nomade. Quante case aveva cambiato negli ultimi anni?
Ve lo dico io: troppe.
Salì in macchina e infilò la sua piantina fra i piedi per tenerla ferma durante il viaggio. Jesse si accomodò al posto di guida e, una volta acceso il motore, partirono alla volta del loro nuovo appartamento.
Era un palazzo moderno tappezzato di vetrate. Un portiere uscì immediatamente dalla grande porta a vetro per accoglierli.
«I signori St. James?»
«In realtà io mi chiamo Berry. Rachel Berry», disse porgendogli la mano.
Il portinaio si imbarazzò. «Io… mi scusi signorina.»
Rachel fece un gesto con la mano, come a dire di lasciar perdere. «Non si preoccupi. Jesse, prendi subito la scatola contenente i miei traguardi così la sistemo appena saliamo», disse al ragazzo che fece ruotare gli occhi mentre estraeva ciò che aveva richiesto dal camioncino. L’usciere si precipitò subito ad aiutarli.
Salirono le scale portando il peso dei primi scatoloni utili ed entrarono. Un lungo corridoio portava al soggiorno contornato dalle vetrate che lasciavano intravedere Manhattan. Si riusciva anche a scorgere il Central Park se ci si affacciava nel terrazzino. La cucina era nella stanza adiacente al soggiorno, vi erano due camere da letto di cui una completa di bagno e gli altri servizi in un locale a parte. Tutto ciò che Jesse le aveva promesso.
Non vi era certo dubbio che fosse incantevole. Un classico ideale di appartamento che tutti vorrebbero a New York. Non era stato facile trovarlo, Jesse aveva smosso tutte le sue conoscenze e c’erano comunque voluti mesi per averlo e un altro mese era stato necessario per riuscire ad ammobiliarlo.
«Allora? Ti piace?», chiese il ragazzo posando il pesante scatolone che conteneva i trofei di Rachel. «Ma era davvero necessario portarli da Lima?»
«Beh, certo. Quelli mi danno la forza di andare avanti ogni giorno e di coltivare le mie passioni.»
Inoltre, gonfiano il tuo ego. Ops, mi devo ricordare di non intromettermi troppo.
«Un trofeo per una gara di danza vinta a Lima di quando avevi tre anni? Davvero?», chiese Jesse rigirandosi il piccolo cimelio della vittoria di Rachel tra le dita con sguardo carico di dubbio.
La ragazza fu fulminea nel strapparglielo voracemente dalle mani e stringerselo al petto. «Ovviamente. Questo è anche il primo che ho vinto.»
«Che ne dici allora?»
«Sì, mi piace. Vado a sistemare le mie cose», disse baciando la sua guancia e sparendo con la sua piantina nella camera da letto.
«D’accordo. Io ti porto su gli scatoloni poi vado a prendere una pizza per stasera. Nessuno dei due ha certamente voglia di cucinare.»
«Sì!», urlò Rachel e Jesse si avviò fuori.
La ragazza prese a mano a mano gli scatoloni che le servivano per la camera. Pescò le lenzuola pulite da uno scatolone, ancora incellofanate dalla lavanderia. Stava inserendo i cuscini nelle federe quando le squillò il telefono.
Lo schermo mostrava una foto di lei e Kurt che avevano fatto la sera della laurea. Rispose subito.
«Ciao Rachel! Allora, come stai?», gridò il suo amico facendo perderle l’udito.
«Bene, siamo appena entrati nel nuovo appartamento.»
«Dobbiamo assolutamente fare una cena a quattro! Voglio vederlo!», tuonò la voce di Kurt dall’altro lato del telefono.
«Sì. Lasciaci il tempo di sistemarci poi vi invitiamo più che volentieri.»
«Hai sentito la novità?»
«Quale?», chiese Rachel curiosa mentre inseriva il vivavoce e sistemava i cuscini sul letto.
«Quella di Finn. Si laurea tra tre giorni.»
Rachel si zittì e una fitta le prese lo stomaco. Lui non glielo aveva detto. Certo, non erano niente ora, ma sapeva anche che sarebbe stata felice di sapere dei suoi traguardi. Infondo si erano sempre sostenuti a vicenda.
Vedendo che l’amica non rispondeva, Kurt si affrettò a riempire il silenzio carico di disagio. «Probabilmente ti scriverà. Non è ancora pronto.»
«Non mi importa.»
Le importava eccome invece. Scusami, l’abitudine.
Si sedette ai piedi del letto e lo sguardo le ricadde sulla foto scattata alle finali del Glee. Le ultime finali. Lei era accanto a Finn che la stringeva dolcemente a sé.
Era capace di rovinare ogni momento della sua vita. Macchiandolo con la sua assenza o con il tagliarla fuori, che amava tanto fare. Proprio in quel momento, in cui aveva compiuto un nuovo passo importante della sua vita andando a vivere con qualcuno, anche senza sentirla o vederla, lui era riuscito a macchiare quel momento con la sua presenza. Che gli costava un messaggio per avvertirla?
Kurt la risvegliò dalla malinconia che provava a quei pensieri. «Rachel, ho una cosa importante da chiederti. In realtà, io e Blaine avremmo una cosa importante da chiederti.»
«Basta che non riguardi i prossimi giorni. Sai che ho la prima e sarò impegnata. Inoltre, sto tenendo a riposo la voce, non posso stare molto al telefono.»
«No, certo, figurati.»
«Allora dimmi tutto!», esclamò Rachel con finto entusiasmo.
I suoi pensieri erano ancora per lui. E una piccola percentuale era impegnata a rimuginare sui prossimi giorni frenetici che aveva davanti. La preparazione per il musical, il trasloco…
«Preferirei di persona, nulla di importante. Quando finirete di sistemarvi ci vedremo.»
«D’accordo. Ora vado, ho davvero moltissime cose da fare.»
«A presto», disse Kurt prima di attaccare il telefono.
Rachel aveva voltato pagina ora. Era sola in quella nuova casa che aveva affittato con Jesse St James.
Ormai non c’era più spazio per Finn nella sua vita.

La trovate già completa su Wattpad con intersezioni inedite del narratore.

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