La Valchiria del Re (3)

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** Yggdrasill e le Sirene ***
Capitolo 3: *** Il drago di Kiev pt.I ***
Capitolo 4: *** Il drago di Kiev pt.II ***
Capitolo 5: *** Amarti e onorarti ***
Capitolo 6: *** Conto in sospeso ***
Capitolo 7: *** Incubi di nebbia ***
Capitolo 8: *** Le porte del Valhalla pt.I ***
Capitolo 9: *** Le porte del Valhalla pt.II ***
Capitolo 10: *** Benvenga la pace ***
Capitolo 11: *** Epilogo: La Valchiria del Re ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***


1. L’INIZIO DELLA FINE

Nel capitolo precedente …
Hildr riaprì gli occhi con un dolore acuto che le martellava nella testa. Si trovava in quella che sembrava una chiesa, con l’altare, le candele e un grande crocifisso di legno appeso al soffitto.
“Hildr, ti stavo aspettando da anni.”
Lei atterrì. Seduto sui gradini sotto l’altare c’era una persona che lei conosceva bene.
Era Alfred.
 
 
Hildr sbatté le palpebre più volte nella speranza che quello fosse solo un incubo. Quando riaprì gli occhi, per sua sfortuna Alfred era ancora lì. Era cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto a York. Ora è il Re del Wessex. Aveva i capelli lunghi e arricciati alle punte, la barba e un grosso anello al dito a indicare il suo status di reale.
È bello rivederti.” Disse Alfred timidamente.
La ragazza si mise in piedi e si guardò intorno in cerca di una via di fuga. La chiesa si trovava dentro il castello, perciò ogni anfratto doveva essere presieduto dalle guardie.
“Devo andarmene.”
Alfred fece un passo avanti e Hildr indietreggiò. Portò una mano alla cintura per prendere le sue armi, ma erano sparite sia la spada sia l’ascia.
“Abbiamo prelevato le tue armi per precauzione.” Le spiegò Alfred.
“Che vuoi? Perché mi hai rapita?”
“Era l’unico modo per vederti. Non saresti mai venuta se te lo avessi chiesto.”
Hildr aggrottò le sopracciglia, smarrita del tutto.
“Non capisco. Perché volevi vedermi?”
Alfred sorrise con imbarazzo, sembrava lo stesso ragazzino di un tempo.
“Ho saputo che Ivar ha sconfitto Bjorn. Volevo complimentarmi.”
“Ti stai complimentando con la futura regina di Kattegat.” Replicò Hildr, risoluta.
“R-regina?”
Lei drizzò la schiena e sollevò il mento, o almeno così era solita fare la regina Aslaug.
“Ho acconsentito a sposare Ivar, dunque hai appena rapito la regina dei vichinghi.”
“Io credevo che tu volessi combattere. Non mi aspettavo che tu intendessi diventare regina.”
“Le cose sono degenerate. Allora, che cosa vuoi da me?”
Alfred la guardò come se volesse scavarle dentro fino a raggiungere la sua anima. Era la stessa ragazza di sempre, i lunghi capelli neri che ricadevano sulla schiena, la pelle chiara e segnata da qualche cicatrice, il consueto sguardo di sfida. Era lei ma al tempo stesso non era lei.
“Volevo parlarti. Sei qui con Ivar? State preparando un attacco?”
“Non ho tempo per questo. Se non torno a Kattegat entro tre giorni, Ivar verrà a cercarmi. Devo mettermi immediatamente in viaggio.”
Hildr sentiva freddo, sebbene la stanza fosse riscaldata dalle torce. Aveva fretta di andare via, l’agitazione la stava divorando.
“Hildr, concedimi pochi minuti. Ti lascerò andare dopo che mi avrai ascoltato. Ti prego.”
La voce di Alfred risuonava talmente disperata che Hildr sbuffò per l’irritazione.
“Sono qui da sola per motivi personali. Devo riportare una persona a Kattegat.”
“Isobel, lo so. Ho fatto sorvegliare casa sua per assicurarmi di non avere problemi.”
Hildr incrociò le braccia al petto e assunse un’espressione infastidita.
“Di che stai parlando? I Vichinghi non vengono nel Wessex da anni.”
“Ora che Kattegat ha di nuovo un sovrano, ho paura che vogliate attaccarci. Quando i miei uomini mi hanno informato dell’arrivo di un’imbarcazione vichinga, mi sono agitato. Il mio regno ha già fin troppe tribolazioni per occuparsi anche di una invasione.”
Hildr si accigliò a quelle insinuazioni. Lei e Ivar avevano ancora troppi problemi da risolvere in ‘Rus, di certo non pensavano al Wessex.
“Puoi stare tranquillo, Alfred. Kattegat non vuole vendicarsi del Wessex. Non vi attaccheremo in nessun modo.”
“Ne sei sicura?” domandò Alfred con esitazione.
Hildr si lasciò sfuggire una risata, era così stanca che non riusciva a restare imbronciata per molto.
“Ti prometto che non attaccheremo il Wessex. Hai la mia parola, re Alfred.”
Alfred sorrise quando la ragazza gli allungò la mano, al che lui la strinse con vigore.
“La tua parola mi basta, regina Hildr.”
“Per te sono solo Hildr.”
“E io per te sono solo Alfred.”
 
“Qui ci sarà sempre un posto per te. Se la vita a Kattegat non dovesse piacerti, se i doveri di regina dovessero annoiarti, saresti la benvenuta alla mia corte.”
Alfred aveva scortato Hildr al porto di persona. Ad attenderla c’era l’imbarcazione guidata dai vichinghi e una figura incappucciata. Era Isobel; i capelli biondi erano una prova inconfondibile.
“Sei gentile, Alfred. Kattegat potrà anche non piacermi più un giorno, ma lì c’è Ivar.”
“E dove c’è Ivar ci sei tu.” Disse Alfred.
“Sempre.”
Uno degli uomini sulla barca suonò il corno per segnalare la partenza. Tornare a Kattegat era un viaggio piuttosto lungo ed era meglio partire subito.
“Queste sono tue.”
Alfred le riconsegnò le sue armi, fidate amiche che l’avevano difesa durante ogni battaglia.
“Addio, Alfred.”
“Addio, Hildr.”
 
Tre giorni dopo
Hildr si meravigliava ogni volta che guardava Aila. Era la bambina più bella che avesse mai visto. Aveva quasi un anno, ora i suoi occhi erano curiosi e cominciava a sorridere quando qualcosa la faceva stare bene. Le accarezzò la guancia paffuta e sorrise. Era incredibile che quella piccola creatura fosse la salvezza di Kattegat.
“Saresti un’ottima madre.” Esordì Isobel.
“Ho già un bambinone di cui occuparmi. Ivar sa essere peggio di un neonato.”
Le ragazze si misero a ridere, consapevoli che Ivar alle volte era più infantile di Aila.
“Ivar ti ha chiesto di sposarlo. È meraviglioso!”
Hildr abbozzò un sorriso incerto. Dopo quanto accaduto a Kiev, alcune certezze erano crollate. L’anno trascorso alla corte russa aveva stravolto il suo modo di vedere le cose.
“Le cose tra me e Ivar sono complicate. Ho accettato di sposarlo perché ho promesso a Ragnar e agli dèi di proteggerlo.”
Isobel sgranò gli occhi. Quella era una novità sconvolgente. Aveva sempre invidiato il rapporto fra Hildr e Ivar, il loro amore era un’aura luminosa che li avvolgeva.
“Cos’è successo, Hildr? Sei cambiata.”
“Ivar ha baciato un’altra donna, la principessa di Kiev. Lui dice che lo ha fatto per ottenere il suo appoggio, ma io non so se crederci.”
Era bello riavere Isobel, poteva finalmente sfogarsi con una persona fidata ed esternare ogni dubbio. Durante l’anno a Kiev si era spesso sentita sola, anche se Kyra e Igor le avevano fatto compagnia. L’amicizia preziosa che avrebbe sempre portato nel cuore era quella con Johannes, che per lei aveva rappresentato una sorta di figura paterna.
“Ivar ha una strategia per ogni cosa. Dovresti parlane con lui, approfondire e dissipare ogni preoccupazione.”
“Io e Ivar non riusciamo più a parlare come prima.” ammise Hildr, afflitta.
Isobel le toccò la spalla a mo’ di consolazione, un gesto che valeva più delle parole.
“Da oggi ci sono di nuovo io al tuo fianco. Affronteremo qualsiasi cosa insieme.”
Hildr sorrise per davvero dopo lungo tempo. Stare con Isobel e Aila, aver ritrovato la sua famiglia, era una gioia immensa che voleva godersi prima che Kattegat la risucchiasse nei suoi problemi.
 
Ivar continuava a conficcare il coltello nel legno duro del tavolo. Hildr non era ancora tornata. Era in ritardo di un giorno. Poteva essere successo di tutto, dall’imbarcazione assaltata dai pirati alle guardie sassoni che li avevano scoperti. Più pensava a lei e più il terrore di perderla gli faceva mancare il respiro. Malgrado il loro rapporto si fosse complicato, niente avrebbe cancellato quello che provava per lei. Hildr era tutto per lui. Era la sua Valchiria.
“Ivar, sono qui! L’imbarcazione è al porto!” gridò Hvitserk dalla strada.
Ivar vide il fratello sfrecciare in direzione del mare e lentamente si alzò per trascinarsi con la stampella. Ogni passo era più doloroso del precedente, ultimamente le sue ossa sembravano più fragili e i dolori erano aumentati. Eppure la felicità ora offuscava i brutti pensieri. Lei era tornata ed era tornato anche il sole.
“Posso vederla?” stava chiedendo Hvitserk.
Isobel stringeva al petto un fagotto di coperte, una piccola mano sbucava con le dita che si muovevano.
“Lei è Aila.” Disse Isobel, la voce fredda.
Ivar trattenne una risata nel costatare che Hvitserk non sapeva prendere in braccio la bambina. Isobel lo aiutò, poi si tirò indietro per allontanarsi da lui.
“Aila, lui è quello scemo di tuo padre.” Disse Hildr.
Hvitserk la fulminò con lo sguardo prima di tornare a cullare la bambina. Avrebbe voluto abbracciare anche Isobel, ma lei neanche lo stava guardando. Aveva messo un muro invisibile fra di loro che era difficile da valicare.
“Bentornate a casa.” Disse Ivar con un sorriso.
Hildr si voltò verso di lui e fece un cenno con la testa. Si avvicinò ad Ivar tenendo gli occhi su Hvitserk per controllarlo.
“Tuo fratello è un imbecille.”
Ivar rise di cuore. Hildr era là, a pochi centimetri da lui con la solita espressione corrucciata. Le prese la mano e ne baciò il dorso a lungo. Dopodiché le cinse la vita con il braccio per attirarla.
“Sei tornata da me.”
Hildr si era irrigidita, quella vicinanza era strana per entrambi. Gli diede una pacca sulla spalla e si staccò da lui. Un graffio sul mento di Ivar richiamò la sua attenzione.
“Che diamine è successo? Quel graffio non c’era quando sono partita una settimana fa.”
Ivar era lieto che Hildr si preoccupasse di lui in quel modo, certe cose proprio non cambiavano.
“Parliamo in privato. Vieni.”
Hildr lanciò un’occhiata a Isobel, la quale annuì per darle il permesso di seguire Ivar.
È bellissima. Ha preso tutto dalla mamma.” Disse Hvitserk.
Isobel riprese Aila e la strinse a sé come a volerla proteggere da lui. Il loro matrimonio era finito da un pezzo, fingere che fossero ancora legati non serviva a niente.
“Puoi vederla quando vuoi, ti basta avvisarmi tramite una serva.”
“Dove andrete ad abitare? La dimora reale è grande abbastanza per tutti.”
Hvitserk rimase ferito dalla freddezza di Isobel. Era la ragazza più dolce che avesse mai conosciuto, una delle doti per cui si era innamorato di lei, ma ora era come parlare con una statua.
“Andrò a stare nella vecchia casa di Hildr, quella dove abitava con suo zio Floki. Non me la sento di stare nella dimora reale dove ci sei anche tu.”
“Isobel, noi possiamo riprovarci. Dammi una possibilità.” La supplicò Hvitserk.
Isobel era ancora innamorata di lui, lo sarebbe stata per sempre, ma il tradimento non era concepibile.
“Hai preferito Bjorn al nostro matrimonio e a nostra figlia, questo mi basta. Non torneremo insieme.”
 
Hildr era seduta sul bordo del letto e ascoltava Ivar che la ragguagliava sui recenti eventi.
“Bjorn non era morto, non del tutto almeno. Oleg si è precipitato qui per supportare Kattegat contro l’esercito di Bjorn. Le cose si sono messe male per noi, abbiamo perso molti uomini e siamo stati costretti alla ritirata. Oleg e Vadim sono accampati fuori da Kattegat, nei boschi.”
Ivar non osò guardare la ragazza perché non poteva sopportare critiche, non in un momento delicato per il regno.
“Che Thor ti fulmini col suo martello!” sbraitò Hildr.
“Capisco che la situazione …”
“Taci, Ivar.”
“Come vuoi.”
Ivar si zittì all’istante per non contrariarla ancora di più. Hildr iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, le mani sui fianchi e la bocca contratta in una smorfia.
“Se Gunnhild e Ingrid riescono a riprendersi Kattegat, per noi sarà impossibile restare vivi. Dobbiamo liberarci di loro il prima possibile. È un bene che Oleg sia qui col suo esercito. Un buon piano può garantirci la vittoria.”
“Non sappiamo dove si nascondano i seguaci di Bjorn. Abbiamo perlustrato i posti noti ma senza riscontri. Hai una vaga idea di dove possano essere?”
Ivar sorrideva compiaciuto alla vista di Hildr. Era una vera regina non tanto nell’aspetto quanto nell’animo. Si reputava incapace di regnare, eppure si stava dimostrando una leader nata.
“Devono essere vicino a Kattegat per raggiungerla in fretta, ma abbastanza lontani da non essere visti. Conosciamo un posto così?”
Il re si grattò il mento con fare meditabondo, la sua mente stava cercando un posto che si adattasse a tali esigenze.
“L’isola di Samsø è perfetta. Le sue coste nascondono l’entroterra impedendo la visuale e ci vogliono soltanto tre ore per arrivare a Kattegat.”
“Zia Helga mi raccontò che Samsø è l’isola delle Nixen*, gli spiriti d’acqua con sembianze umane. Si dice che siano creature bellissime.”
“La più bella è qui davanti a me.” Disse Ivar con malizia.
Hildr inarcò il sopracciglio, quelle moine non avrebbero scalfito la corazza che vestiva quando era con Ivar. Sentiva nel profondo che qualcosa nella loro relazione si era spezzato.
“Resta serio, Ivar. Dobbiamo avvisare Oleg e dirgli di preparare l’esercito. Quando possiamo partire?”
“Penso che dopodomani potremo muoverci verso Samsø. Mando subito qualcuno ad avvertire Oleg.”
 “Ottimo. Io vado Isobel e Aila.” Disse Hildr.
Ivar deglutì, però non riuscì a mandare giù anche l’indifferenza di Hildr.
“E’ ora di cena. Non resti qui?”
Hildr notò l’espressione delusa del ragazzo, e si sentì in colpa perché ne era la causa. Si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia.
“Ho bisogno dei miei spazi. Dammi tempo.”
“Torneai a casa per la notte? Mi farebbe piacere.” Mormorò lui.
“Va bene.”
 
“E quindi andiamo a Samsø per dare una lezione agli accoliti di Bjorn.” Concluse Hildr.
Affondò ancora le mani nella ciotola ma tastò il vuoto. Aveva mangiato tutto senza rendersene conto. Il suo stomaco brontolava, segno che aveva fame, però abbandonò la ciotola con un sospiro.
“Che hai?” chiese Isobel, cullando Aila.
“In Wessex ho incontrato Alfred. Non so se dirlo ad Ivar.”
Isobel smise di canticchiare e fissò l’amica come se avesse due teste e i tentacoli.
“Re Alfred, intendi? Se Ivar scopre che hai parlato con lui, andrà su tutte le furie.”
“Tenerglielo nascosto è controproducente. Anche se …”
“Hildr, che hai in mente?”
Hildr ridacchiò e fece spallucce, nella sua mente stava prendendo forma un’idea malsana
“Ivar ha baciato la principessa, giusto? Io potrei prendermi una misera rivincita dicendogli che Alfred mi ha confessato il suo amore per me.”
Isobel alzò gli occhi al cielo, era la cosa più sciocca che avesse udito. Hildr doveva essere davvero ferita se ricorreva a quei mezzi per vendicarsi.
“Stai soffrendo molto, Hildr. Mi dispiace.”
“Amo immensamente Ivar, ma quello che ha fatto è difficile da dimenticare.”
Hildr aveva perdonato Ivar, lo aveva fatto per il bene di Kattegat, ma del resto era umana e i sentimenti erano come coltelli affilati. Ogni ferita poteva essere mortale.
“Non lasciare che la rabbia cancelli l’affetto. Tu e Ivar siete fatti per stare insieme.”
Le parole del Veggente riecheggiarono nella testa di Hildr come una condanna a morte.
“Io e Ivar non staremo insieme per sempre, così ha predetto il Veggente.”
Isobel le afferrò la mano e le regalò un sorriso di incoraggiamento.
“Il Veggente non conosce bene Hildr la Valchiria.”
 
Quando Hildr fece ritorno nella dimora reale, trovò la sala del trono completamente immersa nel silenzio. Non c’era nessuno.
“Ivar?”
“Mia signora, bentornata.”
Hildr sobbalzò per lo spavento. Una ragazza era entrata a passo felpato e si era inchinata al suo cospetto. Era una sensazione talmente strana per la nuova regina.
“Dov’è il re?”
“Si è ritirato nelle vostre stanze. Mi ha raccomandato di dirvi che dovete raggiungerlo nell’ala est per la notte.”
“Ti ringrazio.”
La serva si inchinò di nuovo e uscì con la rapidità di una preda che fugge dal cacciatore. Hildr rivide se stessa da bambina che faceva le riverenze al cospetto di Aslaug. Erano trascorsi dieci anni e tutto era cambiato, in meglio o in peggio ancora non era chiaro. Seguendo le istruzioni della ragazza, si incamminò verso l’ala est. Da sempre le stanze private dei regnanti si ubicavano a ovest, perciò quel cambio di rotta doveva essere una novità di Ivar.
“Ivar, sei qui?”
“Entra pure.”
Quando aprì la porta, Hildr fu accolta dal calore della legna che ardeva nel camino. Ormai la primavera stava portando via gli ultimi stralci d’inverno, presto sarebbe arrivata la bella stagione. Non conosceva quella stanza, non l’aveva mia vista in tanti anni di frequentazione con la famiglia reale.
“Perché siamo qui? Credevo che i sovrani alloggiassero nell’altra ala.”
Ivar si stava togliendo i supporti alle gambe, gemendo di dolore ad ogni pezzo che staccava dai propri arti inferiori.
“Perché non voglio dormire dove hanno dormito Ragnar, Lagertha, mia madre, Bjorn e Gunnhild. Voglio uno spazio tutto nostro. Ti sta bene?”
Hildr sorrise, contenta di avere una camera che appartenesse solo a loro. Non era molto grande, ma abbastanza spaziosa per farci entrare un letto, un tavolo con due sedie, un mobile di medie dimensioni per i vestiti e un vetro incorniciato per specchiarsi.
“Mi sta bene. Mi piace questa stanza.”
“Bene.” Disse Ivar.
Il suo viso era illuminato dalle fiamme che si riflettevano nei suoi occhi, sembravano un mare di oro. Hildr amava quegli occhi, azzurri come il mare quando è calmo, capaci di scovare i suoi segreti più reconditi.
“Ti lamenti parecchio. Stai bene?”
“Sto bene.”
Ivar digrignò i denti mentre sganciò l’ultimo supporto, le gambe gli dolevano più di prima. Hildr si sedette accanto a lui con sguardo apprensivo, detestava vederlo soffrire.
“Posso aiutarti, se vuoi. Ho raccolto abbastanza gramigna per un mese.”
Hildr stava per alzarsi quando Ivar l’agguantò per il polso. Non voleva che andasse, seppure per pochi minuti. Sentiva il bisogno fisico di sentirla vicino.
“Resta. Mi basta questo.”
“Va bene. Almeno lascia che ti aiuti a prepararti per la notte.”
Ivar annuì e lei iniziò a spogliarlo, ogni movimento corrispondeva ad un rantolo di dolore. Hildr ripiegò i vestiti con cura, anche se il vero intento era quello di non guardare il petto nudo del ragazzo. C’era un certo imbarazzo fra di loro, era una sensazione tremenda che aumentava la tensione nella stanza.
“Vuoi che ti sciolga le trecce?” domandò Ivar.
Hildr si riscosse dai pensieri, benché la sensazione di disagio fosse ancora opprimente.
“Sì.”
Si sedette a terra con le gambe incrociate e sentì le dita di Ivar che lavoravano sulle ciocche per sciogliere l’acconciatura. Era piacevole, talmente tanto che le scappò un sospiro soddisfatto. Sin da bambina adorava che fosse lui a scioglierle i capelli, era un momento in cui esistevano solo loro. C’era un tale livello di intimità in quella banale azione che avrebbe fatto impallidire la luna.
“I tuoi capelli sono neri come le piume dei corvi di Odino. Sono bellissimi.” Disse Ivar.
Il ragazzo fece scorrere le dita fra le ciocche lentamente, poi prese il pettine in osso e incominciò a pettinarle la lunga chioma.
“Non devi riempirmi di complimenti. Ti ho già detto che ti sposerò.”
“I complimenti non sono un mezzo per convincerti a restare con me. Vorrei che tu mi sposassi perché mi ami. Non voglio un matrimonio finto, voglio qualcosa di reale.”
Hildr si alzò di scatto, interrompendo ogni azione di Ivar. I capelli sciolti sembravano un manto scuro simile al cielo di notte.
“Lo sai.” Mormorò lei.
“Io non so più niente, Hildr. Non so che pensare di me, di noi, di questo matrimonio.”
La ragazza si accasciò sul tavolo, a debita distanza da lui. Finiva così quando stavano insieme, o si avvicinavano o si allontanavano.
“Lo sai che ti amo.”
Ivar sorrise per un breve istante, poi si rabbuiò subito.
“Davvero mi ami? Però non mi parli come prima, non mi baci, non mi tocchi. Non voglio questo per noi. Voglio di più, molto di più.”
“Allora non avresti dovuto baciare Katya!”
Ivar accusò il colpo, abbassò gli occhi e imprecò a bassa voce.
“So di aver commesso un errore, ma sai che l’ho fatto per garantirci una alleata in più. Katya può farci comodo contro Oleg. Se pensa che sono attratto da lei, sono sicuro che ci aiuterà”
“E non pensi a me? Vedere il tuo futuro marito che bacia un’altra non è piacevole.”
“Tu hai baciato Vadim, ti è andata discretamente bene.” Ribatté lui.
Hildr andò da lui per tirargli uno schiaffo che gli lasciò il segno sulla guancia.
“Era un bacio contro la mia volontà. Pensi che andrei in giro a baciare il primo che capita solo per farti un dispetto? Mi fai schifo, Ivar.”
“Tu preferisci baciare Alfred. Dico bene?”
La ragazza lo guardò con sgomento, era impossibile che avesse saputo dell’incontro con Alfred.
“Di che stai parlando?”
Ivar usò la stampella per mettersi in piedi, malgrado il dolore, e stare alla stesa altezza.
“I tuoi vestiti sono impregnati di incenso. È una sostanza che usano i cristiani nelle loro chiese, quindi o sei andata a pregare oppure hai visto Alfred. Deduco dalla tua espressione stupita che hai incontrato il Re.”
“Sì, ho visto Alfred. Voleva rivedermi e salutarmi.”
Il ragazzo rise senza entusiasmo, era troppo ferito nell’orgoglio per mantenere la calma.
“Oh, Alfred avrebbe preferito vederti nel suo letto.”
Hildr assorbì quelle parole velenose, sostenendo lo sguardo perfido di Ivar.
“Almeno lui nel suo letto vuole vedere me e non Katya.”
Ivar serrò le dita intorno al polso della ragazza e accostò la bocca al suo orecchio.
“Non prenderti gioco di me, Hildr. Non sono noto per essere un uomo paziente.”
“Io ti uccido se perdi la pazienza e ti metti a fare il matto.” Replicò lei con calma.
“Uccidimi. Avanti, fallo.”
Ivar le cacciò in mano il proprio pugnale, uno dalla lama sottile e dall’elsa in semplice osso lavorato. Hildr gli puntò l’arma contro il cuore, graffiandogli la pelle.
“Uccidere te significa uccidere una parte di me.”
“E non vorresti rinunciare a quella parte di te?”
Ora si guardavano come fossero sul punto di ammazzarsi a vicenda. Rabbia ed eccitazione facevano la lotta a suon di sguardi e parole.
“Tu rinunceresti a qualcosa che ti fa male e bene al tempo stesso?”
“Io non rinuncerei mai a te.” Sussurrò Ivar.
Hildr cercò di allontanarsi ma lui le avvolse le braccia intorno alla vita per tenerla ferma. I loro corpi erano attaccati, il calore si miscelava all’adrenalina.
“Non mi avrai così facilmente, Ivar.”
Ivar sfoderò un sorriso vittorioso, uno di quelli che avrebbe dedicato ad una guerra conclusa nella gloria. Sfiorò la bocca di Hildr con la propria mentre con la mano sinistra le slacciava i nodi della casacca.
“Quando finiremo di farci la guerra?”
Hildr avrebbe voluto rispondere, ma tutto ciò che uscì dalle sue labbra su un gemito. Ivar le stava baciando il collo, voleva farle perdere il controllo almeno per qualche ora. La sua speranza si sciolse come neve al sole quando la punta del pugnale gli pungolò l’addome.
“La guerra non finisce mai.” Bisbigliò Hildr con un sorriso.
Ivar fece scorrere la mano sull’elsa dell’arma fino a coprire quella di Hildr e fece una lieve pressione sulla pelle. Un rivolo di sangue colò dalla ferita.
“Sarai la mia morte, Hildr la Valchiria.”
Hildr si liberò dalla presa e guardò Ivar con intensità, imprimendo nella memoria ogni dettaglio di quel viso che aveva amata sin da adolescente.
“Io sono innamorata di te come prima. I miei sentimenti non son cambiati. A cambiare è la fiducia che ripongo in te.”
I giochi erano finiti. Adesso si parlavano a cuore aperto. Ivar si rigirò il pugnale fra le mani, quasi preferiva pugnalarsi che affrontare quel discorso.
“Se non ho la tua fiducia, allora non ho niente.”
“Guadagnati la mia fiducia da capo.” Disse Hildr.
Ivar guardò i nodi tatuati sul proprio pettorale sinistro, incisi a vita sul cuore per rimarcare il legame indissolubile. Avrebbe lottato contro Odino in persona per Hildr.
“Sarai di nuovo la mia valchiria. È una promessa.”
 
Ivar non riusciva a dormire. C’era qualcosa di indefinito che disturbava il suo sonno. La dimora reale era silenziosa, solo il crepitio del camino spezzava la monotonia. Accanto a lui c’era Hildr che dormiva beatamente. La sua guancia premeva contro la spalla di Ivar, era probabile che nel sonno si fosse girata verso di lui. Depositò un bacio sulla testa della ragazza e sgusciò fuori dal letto. Aveva bisogno di una boccata d’aria, dunque si trascinò a fatica sino alla balconata. Da lì poteva vedere tutta Kattegat, il porto, il mare agitato dalle onde.
“Il buio spaventa anche i cuori più coraggiosi.”
Ivar riconobbe quella voce roca e biascicata: era il Veggente. Dopo la sua morte doveva aver raggiunto un nuovo stadio di vita che lo aveva reso immortale. Spesso gli faceva visita per qualche controversa predizione.
“Dimmi, Veggente, che cosa vedi nel buio?”
Le fiamme nel camino si ravvivarono, divampando come se il fuoco fosse un’entità viva. Hildr si mosse nel letto solo per coprirsi, tornando a dormire poco dopo.
“Il buio mi permette di scorgere nelle viscere dell’universo. Vedo molte cose. Vedo che un giorno una donna piumata governerà Kattegat. Vedo terre nuove bagnate di sangue. Vedo il bianco che sventola nel cielo. E vedo...”
Ad Ivar non piacque quella esitazione. Ogni reticenza era una premonizione di morte.
“Vedi cosa?”
“Vedo l’oscurità più nera. Vedo l’inizio della fine per tutti voi. L’inizio della fine!”
Le fiamme presero la forma di un’ascia e il Veggente svanì nella notte. Ivar non lo cercò, sapeva che prima o poi sarebbe tornato per consegnare la sua saggezza.
“Ivar, stai bene?”
Hildr era alle sue spalle, i capelli arruffati e gli occhi assonnati. Ivar finse un sorriso rassicurante, non c’era bisogno di farla preoccupare.
“Non riuscivo a dormire e avevo bisogno d’aria. Torna pure a letto.”
“Non ci casco. Hai la faccia che fai quando qualcosa ti turba. Che c’è?”
Ivar l’abbracciò, lasciandosi consolare dall’unica persona che era in grado di placare le sue tempeste interiori. Hildr ricambiò l’abbraccio e gli accarezzò la nuca.
“Non mi lasciare.”
“Sono qui.”
Ivar non resistette, fu impossibile per lui trattenersi. Prese il volto di Hildr fra le mani e la baciò con passione. Se l’oscurità più nera stava per investirli, era meglio rubare momenti luminosi prima che fosse troppo tardi.
“Torna a letto, Hildr.”
“Solo se tu vieni con me.”
Hildr lo riportò a letto senza problemi, aveva capito che Ivar era agitato e voleva che gliene parlasse. Siccome il ragazzo era restio a condividere le proprie ansie, decise che almeno lo avrebbe aiutato a riposare. Ivar poggiò la testa sul petto di Hildr, il battito del suo cuore era rassicurante. Sperava che quel rumore durasse per sempre. Si lasciò andare quando le mani di lei gli massaggiarono le spalle per farlo rilassare.
“Come farei senza di te?”
“Saresti già morto da un pezzo. Ti ho salvato le chiappe reali un sacco di volte.” Disse Hildr.
Ivar rise, sentiva che la tensione stava abbandonando il suo corpo. Baciò lo spazio fra i seni attraverso la camicia da notte, e lei rabbrividì.
“Ti faccio ancora questo effetto?”
“Ti tiro una ginocchiata in faccia se non la smetti di sorridere.” Lo minacciò Hildr.
Il ragazzo sghignazzò e si tirò su per darle un bacio sulla bocca. Riavere la sua fiducia non sarebbe stato facile, ma ne valeva sicuramente la pena.
“Buonanotte, mia valchiria.”
“Brutto asino.”
 
Salve a tutti! ^_^
Eccomi tornata per la terza e ultima parte di questa storia. Con la 6B si conclude la serie e anche la mia raccolta di storie.
Come sempre rielaboro gli eventi della serie inserendo nuovi personaggi e situazioni.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Nixen: termine plurale che in tedesco indica le sirene, note anche nella mitologia nordica.

 

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Capitolo 2
*** Yggdrasill e le Sirene ***


2. YGGDRASILL E LE SIRENE

Hildr non ne poteva più di ascoltare le storie di Floki. Suo zio si faceva prendere troppo la mano quando raccontava le gesta degli dèi. Aveva tredici anni e voleva solo finire il lavoro per andare a giocare fuori, invece il costruttore stava lavorando ad una nuova imbarcazione e aveva chiesto alla nipote di assisterlo. Fortunatamente con loro c’era anche Ivar, che ora lucidava la propria ascia per passare il tempo.
“Adesso possiamo andare?”
Floki rise per la disperazione nella voce di Hildr. Era una ragazzina energica, ma spesso e volentieri il suo unico desiderio era sedersi in riva al mare con gli altri coetanei per pescare.
“Hildr, fammi finire di raccontare la storia.”
“E’ l’ennesima, zio.”
Ivar ghignò, era divertente quando la sua amica si lagnava. Floki smise di segare un pezzo di legno per arruffare i capelli di Hildr.
“Questa storia ti piacerà, parla del mare.”
Hildr si sedette vicino ad Ivar e posò la testa sulla sua spalla, al che il ragazzino le circondò le spalle con il braccio.
“Avanti, Floki, racconta la storia.”
Floki si accomodò su un pezzo informe di legno e si grattò il mento.
“Voi sapete che le Nixen sono spiriti marini che nuotano a riva quando adocchiano una preda, sapete che uccidono senza indugio e che macchiano le acque con il rosso del sangue.”
“Sì, ce lo hai detto tu stesso.” Disse Ivar.
“Quello che non sapete è che un Nix si innamorò e desiderò diventare umano.”
Hildr sgranò gli occhi, non conosceva quell’aspetto romantico in relazione a creature nate per uccidere.
“Ci è riuscito?”
Floki sogghignò, finalmente aveva ottenuto l’attenzione totale della nipote.
“Presso il lago di Fagertärn, c’era una volta un povero pescatore che a stento riusciva a sopravvivere. La sua unica ricchezza era la bellissima figlia che si prendeva cura di lui e degli altri tre figli maschi. Arrivò l’inverno e con esso sfamare la famiglia diventò ancora più arduo. Durante un giro in barca il pescatore incontrò un Nix, che gli offrì una pesca abbondante in cambio della figlia. Il pescatore fu costretto ad accettare. Quando arrivò il giorno di tenere fede al patto, il Nix chiese alla fanciulla di seguirlo sott’acqua per sposarlo, ma lei si conficcò un pugnale nel cuore pur di non andare con lui.”
Hildr corrugò la fronte, quel finale drammatico non le piaceva. Nella sua testa aveva già immaginato che il Nix e la fanciulla si fossero sposati per vivere per sempre insieme.
“La morale sarebbe di non fidarsi dei Nix se non vuoi conficcarti un pugnale nel cuore?”
Floki rise a crepapelle, l’ingenuità della nipote era ilare. Le accarezzò la guancia e le diede un buffetto sul naso.
“La morale è che il vero amore può far male e richiede enormi sacrifici.”
“Altrimenti non sarebbe vero.” disse Ivar.
Hildr guardò l’amico e arricciò il naso, non pensava che lui fosse il tipo da frasi amorose.
“Tu ci credi davvero?”
“Sì, io ci credo. La persona giusta vale ogni singolo sacrificio.”
La ragazzina fu scossa da un brivido. Lo sguardo di Ivar era talmente intenso da farla rabbrividire.
“Allora ci credo anche io.”
 
 
Due giorni dopo
Hildr osservava l’isola di Samsø dalle torri di Kattegat, ossia il punto più alto della città. Non riusciva a scorgere l’entroterra, tutto ciò che vedeva erano il mare e la costa sabbiosa.  A poche miglia c’era Anholt, l’isola che da anni ospitava gli Hòlmganga e altri giochi vichinghi. Lei stessa aveva rischiato di restare uccisa in quella competizione, ma destino aveva voluto che Ivar rinsavisse all’ultimo minuto.
“Ehilà!”
Isobel la stava salutando con la mano mentre sollevava il vestito per risalire la scaletta a pioli. Aveva lasciato Aila alle cure di una balia per parlare con Hildr, voleva sapere come stava l’amica e quali erano le sue intenzioni.
“Che ci fai qui, Isobel?”
Hildr l’aiutò a salire sulla pedana della torre e insieme si misero a guardare il panorama.
“Volevo vederti prima della partenza. Ti senti pronta?”
“Non lo so. Le battaglie mi sfiancano ultimamente.” Rispose Hildr.
“Non vuoi più combattere?”
Isobel era sorpresa da quella rivelazione. L’amica si era dimostrata sin da subito incline alla lotta, quella specie di rassegnazione era preoccupante.
“Sono stanca, Isobel. Sono stufa di questa vita. Quando ero piccola, volevo combattere nell’esercito di Ragnar, conquistare nuove terre, dimostrare di valere. Io volevo essere una semplice guerriera, invece mi sono ritrovata a capo di un intero esercito e fra poco sarò regina.”
“Hai parlato con Ivar dei tuoi dubbi?” domandò Isobel.
“No. Se Ivar sapesse queste cose, rimarrebbe deluso. Lui è convinto che io sia destinata a regnare e risplendere nella memoria dei posteri. Tutte sciocchezze per me.”
Hildr voleva una vita semplice come quella dei suoi genitori. Svolgevano i compiti che Odino aveva previsto per loro, tornavano a casa e andavano a dormire con il cuore in pace. Il cuore di Hildr, invece, era bellicoso e in un costante stato di rabbia.
“Ivar ha ragione. Sarai una regina magnifica, ma questo non ti obbliga ad esserlo.”
“Isobel, le cose non sono così semplici. Ho accettato di sposare Ivar e di essere regina, non posso tirarmi indietro dopo queste promesse. Se è il destino che gli dèi hanno scelto per me, io posso solo adattarmi.”
“Magari il destino vuole una mano per cambiare.” Suggerì Isobel.
Hildr fece un sorriso, sebbene sapesse che niente e nessuno poteva ostacolare il volere divino.
“La vita è molto più complessa, mia cara amica.”
“Mia signora, il re è pronto a salpare.” Annunciò Sigrid.
Era una delle shieldmaiden che Hildr avrebbe allenato una volta salita al trono. Ivar l’aveva messa a capo di un manipolo di donne guerriere perché era convinto che avrebbe donato maggiore forza all’esercito. Sigrid era una diciassettenne di umili origini, orfana di padre e abitava con la madre che tesseva abiti per la città. I suoi capelli erano di un castano in netto contrasto con i brillanti occhi verdi; era bella quanto feroce. La rabbia repressa era per lei fonte di forza in combattimento.
“Devo andare. Mi raccomando, sta attenta e non ti fidare di nessuno.”
“Sarà fatto.” Disse Isobel.
Hildr abbracciò brevemente l’amica e scese dalla torre per dirigersi verso il porto.
 
Ivar si era svegliato all’alba per accogliere Oleg in città. Dopo un rapido giro di bevute, si erano seduti a tavolino per studiare una strategia di difesa. La costa di Samsø era un impedimento difficile da aggirare, ma Ivar aveva previsto un piano di assalto che avrebbe funzionato. Poche ore dopo si erano spostati nel porto per preparare le armi e aggiornare i soldati.
“Ivar, eccomi.” Disse Hildr.
Il ragazzo sorrise d’istinto, felice che lei fosse lì. Con l’armatura addosso era ancora più bella.
“Ti piace il regalo?”
Quando Hildr si era svegliata, aveva trovato una nuova tenuta da combattimento sul letto. Ivar le aveva regalato una corazza con l’incisione di un cavallo alato in onore del suo soprannome. Le Valchirie, difatti, volavano su cavalli alati per raccogliere i morti dai campi di battaglia.
“Lo trovo eccessivo ma comunque bello. Lo apprezzo.” Rispose Hildr.
“Stai divinamente.” Si complimentò Ivar.
Hildr sorrise e si morse le labbra, non voleva dimostrarsi troppo disponibile. Ivar avrebbe dovuto sudare per riconquistare la sua fiducia.
“Dov’è Oleg?”
“Si sta mettendo d’accordo con i suoi timonieri. Vadim non è qui.”
Hildr si sedette sul bordo dell’imbarcazione e sfiorò la superficie dell’acqua.
“Abbiamo dei conti in sospeso a Kiev. Pensi che Vadim lo abbia scoperto e stia cercando il nostro amico?”
Il riferimento era a Dir, il fratello di Oleg che si era alleato con Ivar per riprendere il trono ‘Rus e salvare Igor.
“Può darsi. Oleg sembra tranquillo, ma potrebbe fingere. Vuole a tutti i costi Kattegat, glielo leggo negli occhi.”
“Ivar, dobbiamo fare molta attenzione. Oleg ha un esercito che noi non abbiamo.” Disse Hildr.
Ivar annuì e le strinse la mano, poi sorrise per rassicurarla.
“Ho già in mente qualcosa. Vedrai, entro due settimane diremo addio al principe.”
“Lo spero bene. Non lo voglio invitare al nostro matrimonio.”
Ivar le lanciò un’occhiata maliziosa, al che lei alzò gli occhi al cielo.
“Dunque ci pensi al nostro matrimonio. Molto bene.”
“Sta zitto, oppure ti taglio la gola.”
“Ti amo ancora di più quando mi minacci.” Disse Ivar.
Hildr gli tirò un pugno sul braccio e sbuffò. Si mise in piedi quando vide Oleg avvicinarsi con un sorriso beffardo sulle labbra.
“Hildr, è un piacere rivederti. Mio cugino Vadim sente molto la tua mancanza.”
Ivar indurì la mascella, la gelosia gli faceva accapponare la pelle. Oleg lo stava stuzzicando, pertanto sarebbe stato al suo gioco.
“Perché Vadim ha ottimo gusto in fatto di donne.”
“Principe Oleg, è tutto pronto.” Annunciò un soldato russo.
“Mettetevi comodi, si parte!”
 
Hildr continuava a sbirciare nell’acqua da quando erano salpati. Cercava qualcosa, o qualcuno, che apparteneva alle leggende.
“Speri di trovare la verità assoluta in mare?”
Oleg l’affiancò al parapetto della nave, i suoi occhi tenebrosi la guardavano di sottecchi.
“Spero di trovare una Nix, uno spirito d’acqua mutaforma.”
Hildr andò a sedersi accanto ad Ivar, che intanto stava intagliando un pezzo di legno.
“E’ un demone, capisco.” Disse Oleg.
“E’ una sirena.” Lo corresse Hildr.
Ivar mise da parte il coltello, avrebbe ripreso il lavoro più tardi. Aveva in mente un ninnolo da regalare alla sua futura moglie.
“Sono spiriti acquatici che suonano musiche incantate col violino. Solo il bersaglio che hanno in mente può udire la musica. È un mezzo per attirare la vittima e tagliargli la gola con una lama. Si dice che siano creature dall’aspetto incantevole, belle come la luna quando è piena e alta nel cielo.”
Hildr gli diede una leggera gomitata, sapeva che Ivar stava cercando di spaventare lo straniero con racconti di mostri marini.
“Non tutte le Nixen sono mostri. Alcune storie raccontano che questi spiriti abitino vicino ad un ruscello o ad un fiume e che da essi prendano forza. Possono anche insegnare ad un musicista a suonare talmente bene da fa danzare gli alberi e le cascate.”
“Ne avete mai vista una?” chiese Oleg, incuriosito.
“Io no. Però mio zio Floki ne ha vista una mentre costruiva una barca giù al fiume.” Disse Hildr.
“Io ho visto una Nix e ho udito la sua musica magica.” Asserì Ivar con fierezza.
Hildr gli rivolse un’occhiata sgomenta, non le aveva mai confessato di aver incontrato uno spirito d’acqua.
“E quando l’avresti vista?”
Ivar sorrise e le prese le mani per poi baciare ciascuna nocca.
“Sei tu la mia sirena, bellissima e l’unica capace di ammaliarmi. Non c’è creatura marina o terrestre che possa emulare la tua magnificenza.”
Hildr arrossì, era da tempo che il ragazzo non le dedicava parole d’amore così cariche di sentimento.
“Vuol dire anche che sono letale.”
“Una freccia dritta al cuore, mia adorata.” Replicò Ivar.
Hildr rise e gli diede un’altra gomitata per allontanarlo da sé.
“Le frecce sanno essere mortali, Ivar.”
Oleg studiava la coppia con cura, c’era qualcosa fra di loro che non riusciva a spiegarsi. Aveva amato sua moglie in passato ed era stato tradito, quindi si chiedeva se fosse possibile amarsi follemente come si amava la giovane coppia.
“Cosa dobbiamo aspettarci a Samsø? Immagino che i seguaci di Bjorn siano piuttosto indispettiti.”
Ivar spostò lo sguardo sul principe, detestandolo per aver interrotto quel momento con Hildr.
“Non saprei. Ora è Gunnhild a guidare i seguaci di Bjorn. È una donna determinata, dobbiamo aspettarci di tutto.”
“E’ una valida shieldmaiden, una delle migliori dopo Lagertha.” Disse Hildr.
“Anche tu non sei male, o sbaglio?” fece Oleg.
“Faccio del mio meglio.”
Ivar aggrottò la fronte e scosse la testa, non era d’accordo con quella sottovalutazione.
“Hildr è la shieldmaiden migliore, anche più di Lagertha. Datele in mano un arco e compirà magie.”
“Ivar, non esagerare.” Lo riprese Hildr.
“Ricordi quella volta che ci siamo allenati nel bosco e hai colpito la spalla di Ubbe con la freccia? È lì che ho capito subito il tuo enorme potenziale.”
Hildr ridacchiò al pensiero di quella freccia e alla faccia del povero Ubbe. Anche lei in quel momento aveva compreso che arco e frecce erano la sua arma, il suo marchio.
“Ubbe è tornato in città con le lacrime agli occhi. Giornata memorabile!”
Oleg vide il timoniere gesticolare verso di lui, si stavano avvicinando all’isola.
“Ci siamo quasi. Da qui il tragitto si fa periglioso.”
Ivar e Hildr si sporsero oltre la parete dell’imbarcazione per guardare la costa di Samsø che compariva a pochi chilometri. Macchie scure svettavano verso il cielo, erano gli alberi più antichi dell’intero stretto di Kattegat. Secondo la leggenda, Odino aveva indetto un banchetto a Samsø con tutti gli dèi per festeggiare la vittoria sul popolo dei giganti. Alla fine del banchetto Odino aveva eretto al centro dell’isola un albero di frassino e lo aveva chiamato ‘Yggdrasill’ in onore del mondo. Infatti, era noto per essere l’albero primordiale da cui avevano preso vita tutti gli altri mondi.
“Quando saremo a riva, andremo all’albero di frassino posto al centro dell’isola.” Disse Ivar.
Oleg capì subito che Ivar si stava riferendo al grande arbusto che spiccava sugli altri per altezza e bellezza.
“Perché proprio quell’albero?”
“E’ Yggdrasill, l’albero creato da Odino per generare i mondi. È il simbolo della vita.”
Hildr sorrise alla vista dell’albero, era un avvenimento importante per chi credeva negli dèi. Suo zio Floki l’aveva portata una sola volta a Samsø per ammirare Yggdrasill e le aveva recitato un’antica formula.
“So che un frassino s’erge, lo chiamano Yggdrasill. Alto tronco lambito d’acqua bianca di argilla. Di là vengono le rugiade che piovono nelle valli. Sempre s’erge verde.”*
Oleg non comprese le parole di Hildr, per lui erano solo frottole pagane.
“E’ lì che Gunnhild si nasconde?”
“Sì. Yggdrasill è un albero sacro, quindi è lì che è andata.” Confermò Ivar.
 
Hildr incoccò una freccia nell’arco e tese le braccia in avanti, pronta ad attaccare chiunque li assaltasse. Ivar e Oleg camminavano dietro di lei, entrambi silenziosi e guardinghi. Un sottoposto di Oleg sguainò la spada e la puntò verso la boscaglia che li attendeva.
“Sento qualcosa, una specie di fruscio.” Mormorò Ivar.
Hildr annuì e avanzò piano, gli occhi che oscillavano fra le fronde in cerca della fonte del rumore.
“Stiamo perdendo tempo. Andiamo all’albero!” disse Oleg, spazientito.
“E’ un albero sacro, porta rispetto.” Ribatté Hildr, stizzita.
Oleg non si curò dell’avvertimento, brandì la spada e superò Hildr. I russi lo seguirono come cani fedeli, mentre Ivar restava indietro per aspettare la ragazza.
“Credi che ci abbiano visto arrivare e che siano armati?” domandò Hildr.
“Può darsi. L’effetto sorpresa sarebbe un’ottima strategia.” Disse Ivar a bassa voce.
Proseguirono insieme, spalla a spalla, e intanto si guardavano intorno per avvertire eventuali pericoli.
“Faremo una grande festa quando ci libereremo di Oleg.” Sussurrò Hildr.
Ivar sorrise, trovandosi d’accordo con l’idea di celebrare l’interruzione di quella tremenda alleanza.
“Danzeremo, balleremo e mangeremo a volontà. Poi andremo nelle nostre stanze e daremo sfogo alla passione.”
“Voli troppo con la fantasia, Ivar.”
“Mi piace fantasticare su noi due avvolti fra le lenzuola.”
Hildr lo fulminò con lo sguardo, non era l’occasione adatta per quel corteggiamento sfrontato.
“Concentrati sulla battaglia. Lascia perdere le tue stupide fantasie.”
La risatina di Ivar si spense non appena raggiunsero Oleg. Hildr aveva abbassato l’arco, la bocca aperta per lo stupore. Oleg, invece, sorrideva trionfante.
“Ivar, oggi è una bella giornata!”
Yggdrasill si ergeva in tutto il suo splendore, il tronco duro e dalle venature perfette, le foglie dalla lamina a forma pennata erano verdi e rigogliose, i fiori a corolla emanavano una dolce fragranza. Attorno all’arbusto c’erano i seguaci di Bjorn, tutti erano inginocchiati e disarmati. Avevano le mani posate sulla terra e guardavano di fronte a sé.
“Si sono arresi.” Disse Ivar, incredulo.
Hildr perse subito lo stupore, la sua attenzione si focalizzò su Gunnhild. La donna non c’era, o era scappata o si stava nascondendo per un attacco.
“Dov’è Gunnhild? Non la vedo.”
Ivar esaminò i volti dei presenti e non riconobbe la regina in carica di Kattegat. Serrò la mascella perché, come sempre, la vittoria non era mai facile. Zoppicò fino a uno degli uomini inginocchiati e gli sollevò il mento con la spada; era il fabbro, lo riconobbe all’istante.
“Dove si trova Gunnhild? Parla oppure sarai sottoposto all’aquila di sangue.”
L’uomo grugnì, i denti marci gli conferivano un’immagine selvaggia.
“Non meriti di saperlo, storpio.”
Hildr lo spinse per terra e gli premette lo stivale contro la gola senza fare troppa pressione.
“Rispondi, maledetto. O preferisci che il mio piede ti schiacci la trachea?”
“Il re storpio si fa difendere dalla sua puttana.” Commentò l’uomo con una risata.
Ivar andò su tutte le furie, non era dell’umore per mettersi a battibeccare per futili ragioni. Estrasse un pugnale dalla cintura e lo infilzò nella gola dell’uomo. Il sangue schizzò, riversandosi intorno al corpo come acqua che scorre in un fiume.
“Ripeto: dov’è Gunnhild?”
Hildr rimase impassibile, anche se dentro stava andando a fuoco. Non le piacque il gesto di Ivar, però sapeva che usare la forza era l’unico modo per ottenere informazioni. I sostenitori di Bjorn avrebbero difeso la loro regina anche a costo di morire.
“Uccideteli tutti.” Ordinò Oleg.
Ivar ebbe un lieve fremito, non gli piaceva che il principe avesse preso in mano le redini della situazione.
“Prendo io le decisioni, principe. Fatti da parte.”
Hildr avvertì la tensione fra i due uomini, sarebbe sfociata nel sangue se non fosse intervenuta. Le venne in mente l’idea peggiore di sempre. Se c’era una cosa che i vichinghi amavano più del proprio re, erano gli dèi. Tolse la spada dalla mano di Ivar, si avvicinò all’albero e puntò l’arma contro il tronco.
“Se non ci dite dove si trova Gunnhild, io scortico Yggdrasill.”
Un sussulto riecheggiò fra i seguaci di Bjorn. La paura era stampata sui loro volti come se la morte volasse sopra le loro teste. Sapeva che minacciare un oggetto sacro sarebbe stato utile.
“Io lo so!” gridò una voce fra la folla.
Un soldato di Oleg obbligò la donna a mettersi in piedi e la tenne ferma per le braccia. Ivar la guardò con i suoi occhi azzurri che ora si erano fatti più tenebrosi.
“Parla.”
“Gunnhild si trova presso l’altare per l’estremo saluto a Midgard.”
Hildr e Ivar si scambiarono un’occhiata loquace, consapevoli di cosa parlasse la donna.
“Dunque?” volle sapere Oleg.
Ivar recuperò la spada da Hildr e si incamminò nella direzione opposta all’albero.
“Dobbiamo andare a nord. In fretta!”
 
Hildr stava per accodarsi al gruppo quando udì un flebile suono. Sollevò l’arco e girò su se stessa, ma non vide nessuno che suonava. Il suono man mano si fece più forte e chiaro, era una melodia dolce e avvolgente.
“Hildr! Hildr!” bisbigliò una voce.
Dietro di lei non c’era nessuno. I seguaci di Bjorn erano stati accerchiati dai soldati di Oleg per essere condotti a nord. Era sola, o almeno così credeva.
“Hildr, vieni! Hildr!”
La voce proveniva dalla spiaggia, sembrava vicina e lontana al tempo stesso. Strinse le mani sull’arco e seguì la musica. Ora il suono era cambiato, il ritmo era più cadenzato e allegro. Quando affondò gli stivali nella sabbia, squadrò ogni angolo per capire chi producesse la musica. Ancora una volta non vide nessuno.
“Hildr, bambina mia.”
Fu allora che vide una figura di donna emergere dall’acqua. Era sua madre. Indossava una veste bianca e vaporosa, i capelli neri galleggiavano nell’aria come i tentacoli di una piovra. Se Johannes fosse stato presente, l’avrebbe paragonata a Medusa.
“Madre? È impossibile …”
“Tutto è possibile, mia dolce Hildr.”
Hildr sentì gli occhi pizzicarle, avrebbe voluto piangere di gioia. Rivedere sua madre era un dono immenso che non pensava di poter mai ricevere nella vita.
“Madre, perché sei qui?”
“Per ricongiungermi con te. Ogni madre vuole stare con la propria figlia per sempre.”
“Anche io voglio stare con te per sempre.”
La donna fece un volteggio, la sua risata cristallina accompagnava ogni movimento.
“Vieni. Raggiungimi, Hildr. Resta con me per sempre.”
“Sì, madre.”
“Per sempre.”
Hildr d’improvviso si sentì strattonare, cercò di dimenarsi ma fu inutile.
“Hildr, no!”
Ivar era lì che la stringeva fra le braccia e al contempo la tratteneva. Hildr solo allora si rese conto di essere entrata in acqua. I vestiti erano zuppi fino alla vita e così anche le punte dei capelli. Il suo arco giaceva abbandonato sulla spiaggia.
“Che è successo? Io non ricordo di essere entrata in mare.”
Ivar l’abbracciò ed emise un sospiro di sollievo. Era tornato indietro quando aveva notato l’assenza della ragazza.
“Che cosa hai visto?”
Hildr guardò l’acqua, ma ormai la donna era svanita. Avvertì un dolore tremendo al petto come se le avessero strappato il cuore.
“Mia madre era qui. Mi ha detto che voleva stare con me per sempre e che dovevo entrare in acqua per ricongiungermi con lei.”
“Non era una tua madre. Era una Nix che voleva ingannarti.” Disse Ivar.
Che stupida, pensò Hildr. Le Nixen erano mutaforma con la propensione all’omicidio, pertanto una di loro aveva preso le sembianze di sua madre per attirarla in acqua e tagliarle la gola.
“Ivar, vedere i morti non è positivo. È un presagio nefasto.”
Se i defunti comparivano sotto una qualsiasi forma, significava che qualcosa di catastrofico stava per accadere. Floki lo ripeteva sempre: abbi paura dei morti come hai paura dei vivi.
“Ne parleremo più tardi. Adesso usciamo dall’acqua e torniamo a casa.”
Hildr lo aiutò a camminare in acqua, per lui era più difficile per via della stampella.
“A casa? Pensavo fossimo qui per Gunnhild.”
L’espressione di Ivar fu sufficiente per comprendere che la situazione era degenerata.
“Gunnhild si è lanciata dalla scogliera per riunirsi a Bjorn nel Valhalla.”
Hildr si tolse la giacca e strizzò le maniche, poi recuperò l’arco e lo fissò sulla schiena.
“E perché hai quella faccia scura?”
“Perché Bjorn ha sposato anche una certa Ingrid.” Disse Ivar.
“Bjorn aveva due mogli? Audace!” si meravigliò Hildr.
“Ci siamo liberati di Gunnhild, ma questa Ingrid è scappata insieme al consigliere di Bjorn.”
Ivar era nervoso, sembrava che qualsiasi mossa facesse gli si ritorcesse contro. Più si avvicinava al trono e più esso prendeva le distanze da lui.
“Ci occuperemo anche di Ingrid. Vedrai che ce la faremo.” Lo consolò Hildr.
Il ragazzo finse un sorriso, ma era terrorizzato di perdere tutto ciò che aveva guadagnato. Prima il Veggente e poi la madre defunta di Hildr, erano inequivocabili avvertimenti di una calamità imminente.
 
Isobel ancora non si abituava alle feste vichinghe, erano troppo caotiche per lei. Dopo l’annuncio che la regina Gunnhild era morta, Ivar aveva organizzato una festa alla dimora reale per celebrare la sua ascesa al trono. Presto lui e Hildr sarebbero stati i legittimi sovrani di Kattegat. Ma mentre Ivar brindava con Oleg, Hildr restava seduta in disparte a rosicchiare una coscia di gallina.
“La tua fame è grande quanto il mondo.” Disse Isobel, ridendo.
Hildr si pulì la bocca con la mano e fece spallucce, dopodiché si riempì il piatto di verdure bollite.
“Com’è andata la giornata? So che Hvitserk è rimasto qui in città.”
“Per questo sono rimasta tutto il giorno in casa con Aila. Sapevo che Hvitserk era rimasto in città per sbrigare delle faccende per conto Ivar, dunque ho evitato in tutti i modi di incontrarlo.”
Isobel sentiva gli occhi di Hvitserk addosso da quando era entrata nella sala reale, ma lo aveva bellamente ignorato. Tradendo Ivar aveva tradito anche lei e la loro bambina; non meritava il perdono.
“Te lo dicevo che non ci si può fidare di Hvitserk.”
La loro conversazione fu interrotta dal silenzio che era piombato nella stanza. Oleg aveva alzato il boccale e aveva assunto il portamento regale, schiena dritta e testa alta.
“Oggi è una giornata importante per tutti noi poiché abbiamo sconfitto Bjorn e il suo seguito. Kattegat prospererà sotto il governo di Ivar. Questa terra mi ha dato molto, una vittoria e nuovi amici. A tal proposito voglio invitare Ivar e la sua consorte a Kiev per l’ultima volta.”
Ivar guardò Hildr, comunicavano anche se parole. Entrambi avevano in mente la stessa cosa: andare a Kiev e unirsi a Dir per sconfiggere Oleg.
“Principe Oleg, io e Hildr siamo onorati. Accettiamo con molto piacere il tuo invito! Skall!”
“Skall!” esclamarono tutti all’unisono.
Hildr simulò felicità, però la stanchezza soffocò quel breve istante di finzione. Tornare a Kiev, rivedere Katya e Vadim, non era ciò che si aspettava. Ivar le riservò un sorriso raggiante a cui lei rispose con un cenno della testa.
“Hildr, stai bene?” domandò Isobel, preoccupata.
“No. Non sto affatto bene.”
 
Era notte fonda quando i festeggiamenti giunsero al termine. Oleg era così ubriaco che fu trasportato in camera dalle sue guardie. Quando la sala reale si svuotò, Ivar si accasciò sul trono. Era esausto e gli facevano molto male le gambe.
“Ti serve qualcosa per il dolore?”
Hildr stava ancora mangiando, a volte era sorprendente la quantità di cibo che riusciva a ingurgitare.
“Sto bene. Hai visto Hvitserk?”
“Eccomi.”
Hvitserk faceva ritorno dopo aver accompagnato un suo amico ubriaco a casa.
“Ecco il fratello scemo e inutile.” Disse Hildr.
Lasciò perdere il cibo, di colpo le era passata la fame. Bevve l’ultimo sorso di birra nella speranza che l’alcol l’aiutasse ad alleggerire la sensazione negativa che le attanagliava lo stomaco, ma per sua sfortuna non funzionò.
“Quando smetterai di tormentarmi, Hildr? Non sei più divertente.”
“Siamo solo all’inizio, idiota.”
Ivar sbuffò, quei due insieme si facevano la guerra come cane e gatto. Non era in vena di mettersi a fare l’arbitro di quello scontro.
“State zitti e ascoltatemi. Dobbiamo agire su due fronti: da un lato c’è Oleg e dall’altro c’è Ingrid. Io e Hildr andremo a Kiev per allearci con Dir, mentre Hvitserk resterai qui a cercare informazioni su Ingrid. La nostra posizione al potere è precaria, abbiamo bisogno di rafforzarla.”
“E come? I fedelissimi di Bjorn non mi daranno risposte.” Disse Hvitserk.
“Sei inutile, lo dico sempre.” borbottò Hildr.
Ivar le lanciò un’occhiataccia di rimprovero, non era il momento adatto per le battute.
“Fratello, usa la persuasione per carpire le informazioni. Laddove non riesci con le buone, allora usa le cattive. Ingrid è a piede libero e potrebbe mettersi in contatto con gli altri re e jarl.”
“Ci penso io.” affermò Hvitserk.
“Beh, allora siamo in un mare di guai!” disse Hildr, brusca come al solito.
“Basta con questa stupida faida. Dobbiamo essere uniti.” Disse Ivar.
Hildr fece una smorfia di disgusto, proprio non capiva perché Ivar continuasse a giustificare il fratello che lo aveva tradito.
“Io non mi fiderò mai di Hvitserk, neanche da morta. Se ti ha tradito una volta, lo farà di nuovo.”
“A quel punto potrai uccidermi.” Replicò Hvitserk.
Hildr afferrò un coltello e se lo fece passare fra le dita con gesti abili.
“Non tentarmi, Hvitserk.”
Ivar si sfregò gli occhi arrossati, era stata una lunga giornata e voleva solo riposare.
“Andiamo a dormire. Da domani ci aspettano battaglie decisive.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Se avete visto la 6b, saprete che ho modificato l’addio di Gunnhild per adattarlo alla mia storia. Come sempre rielaboro gli eventi della serie in maniera del tutto personale.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
- Yggdrasill è davvero l’albero sacro da cui si dipartono gli altri mondi, mi sono informata;
- la favola del pescatore è una storia che proviene dalla foresta di Tiveden.
*versi dell’Edda Poetica, opera antica che contiene gran parte della mitologia nordica.

 

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Capitolo 3
*** Il drago di Kiev pt.I ***


3. IL DRAGO DI KIEV PT. I
Le giornate soleggiate erano le preferite di Ivar. Potersi crogiolare in spiaggia senza rischiare il congelamento era meraviglioso. Le onde mormoravano in sottofondo e il sole gli riscaldava le guance. Era tutto perfetto. Soprattutto perché insieme a lui c’era Hildr.
“Per tutti gli dèi! Ma perché le donne devono indossare questi vestiti?!”
La ragazza stava bisticciando con i nastri che le ornavano i capelli; Helga aveva tanto insistito perché si rendesse presentabile in occasione della festa di primavera.
“Ti aiuto io, dai.”
Hildr si sedette sul tronco d’albero che erano soliti occupare quando scendevano in spiaggia. Ivar sciolse i nastri gialli e lavorò sui nodi causati dalle mani della ragazza.
“Questa festa è stupida, dovrebbe essere abolita. Tu che sei il figlio della regina non puoi cancellarla?”
“No. Mia madre adora questa festa, soprattutto perché può sfoggiare i gioielli che un tempo appartenevano a mia nonna.”
Hildr fece una smorfia di dolore quando Ivar le tirò indietro le ciocche con troppa forza.
“Quindi io devo sembrare ridicola con questa acconciatura solo perché Aslaug vuole ingioiellarsi? Che idiozia!”
Un’altra persona sarebbe stata punita per aver parlato della regina in quel modo, ma Hildr era ormai una di famiglia e le era concessa qualche libertà in più.
“Non sei ridicola, Hildr. Secondo me sei bellissima.”
Ivar si morse la lingua, ma non poteva rimangiarsi il complimento. Era innamorato di Hildr da mesi, lo teneva nascosto a tutti e faceva male. Avere diciassette anni e il cuore gonfio d’amore era una combinazione letale.
“Sembro una foca con i codini. Orribile!” si lamentò Hildr.
“Hai mai visto una foca con i codini?”
Hildr scoppiò a ridere, e Ivar si sentì stranamente leggerlo. Sapere di essere la causa di quelle risa era un orgoglio.
“Mai dire mai, Ivar. Allora, stasera è la volta buona che trovi una moglie?”
Girava voce a Kattegat che i principi erano in cerca di moglie, soprattutto perché con la scomparsa di Ragnar la successione al trono era un grave problema. Era necessario preservare la successione per via matrimoniale prima che qualcuno si intromettesse.
“Non voglio sposare la prima che capita.”
Hildr si girò verso di lui con l’espressione sbigottita.
“Non ti facevo un tipo romantico. Ti piace una ragazza, vero? Chi è?”
Ivar arrossì tanto da sentire caldo nonostante la brezza marina fosse fresca.
“Ehm … io … no, non mi piace nessuna.”
“Sei tutto rosso! Chi ha rubato il cuore del nostro principino?”
Hildr gli pizzicò le guance, ma dentro sentiva una punta di gelosia che la pungolava nel vivo. Temeva che il suo migliore amico l’avrebbe abbandonata se si fosse sposato.
“L’unica ragazza della mia vita è la mia amica foca con i codini.”
Era vero, Hildr era la sola e unica donna nella sua vita oltre ad Aslaug. Nessuna sarebbe mai stata come lei, una presenza costante e rassicurante.
“Io non sono un granché, Ivar. Ti servirà una moglie prima o poi.”
Ivar le toccò un nastro fra i capelli, giallo e nero che combaciavano alla perfezione. Erano così vicini che si sarebbero potuti baciare.
“Tu mi ricordi Idunn, la dea della primavera. Si racconta che Loki la rapì per salvarsi la vita, al che tutta la natura iniziò a morire e gli dèi iniziarono a soffrire. Odino ordinò che Loki fosse torturato per riavere Idunn. Alla fine il dio degli inganni riuscì a salvare se stesso e Idunn grazie a delle bacche.”
“Perché ti ricordo questa dea?” domandò Hildr.
Ivar sorrise, lasciandosi sfuggire un sospiro alla vista di Hildr.
“Perché sei bella e preziosa come Idunn. La natura soffriva senza di lei, e anche io soffrirei senza di te. Tu sei la mia primavera, Hildr.”
 
Due giorni dopo
Ivar era immerso nei pensieri mentre la nave scivolava sull’acqua a gran velocità. Erano in viaggio da due giorni, diretti in ‘Rus. Il tragitto fino a Kiev era tranquillo, il mare era limpido e per fortuna non c’era stato nevischio. Ormai era arrivata la primavera, e con essa tutti i buoni propositi per la bella stagione. La primavera a Kattegat era mite, una miscela perfetta tra freddo e caldo, e per questo era la sua stagione preferita. Hildr, invece, preferiva l’inverno per via della neve e dell’acqua che diventava ghiaccio. Ivar sorrise e guardò in basso per vedere che la ragazza dormiva ancora. Si era rannicchiata contro di lui, lo faceva d’istinto da quando dormivano insieme, e le scostò una ciocca di capelli dal viso. Era così bella e pacifica che gli batté forte il cuore. L’avrebbe sposata non appena si fosse concluso l’affare a Kiev. Hildr era l’amore della sua vita e quel legame andava celebrato con grandi onori.
“Sembra innocua quando dorme.” Disse Oleg, indicando la ragazza.
“Non è innocua neanche quando dorme, fidati. Che ti serve?”
Ivar aveva studiato Oleg durante tutto il viaggio, aveva notato che era più agitato del normale. Qualcosa del ritorno a casa lo spaventava, il che offriva un vantaggio ai due giovani vichinghi.
“Voglio assicurarmi che vediamo le cose ancora nello stesso modo.” Rispose Oleg.
“Quali cose?”
Il principe si sedette su una cassa e iniziò a girare l’anello intorno al dito, segno che qualcosa lo turbava.
“Vorrei che tu convincessi Igor ad essere più docile. È un ragazzino che tende alla ribellione. Poiché sembra essersi affezionato a te, vorrei che tu gli indicassi la giusta via.”
“Scommetto che la giusta via sia sottomettersi a te.” disse Ivar.
“Chiamala come ti pare. Fedeltà o sottomissione, cambia poco.”
Oleg era indisposto, chiaramente irritato dal fatto che Igor gli sfuggisse sempre dalle mani.
“Farò il possibile per aiutarti.”
“Ti ringrazio, Ivar.”
Ivar sorrise per cortesia, ma nella sua mente stava già delineandosi un piano che avrebbe lasciato a bocca asciutta il russo.
 
Hildr sbadigliò e mugugnò, la luce del giorno le faceva bruciare gli occhi.
“Ben svegliata, dormigliona.” Disse la voce di Ivar.
Lei affondo il viso nel petto del ragazzo per ripararsi dalla luce e si strinse a lui in cerca di calore; in mare aperto faceva sempre più freddo.
“Siamo arrivati?”
“Manca poco. Apri gli occhi, voglio farti vedere una cosa.”
Hildr si mise seduta e si sfregò gli occhi per scacciare il sonno, eppure restava ancora assonnata. Si passò una mano fra i capelli di malavoglia, era troppo stordita per essere lucida.
“Voglio solo vedere del cibo ora. Muoio di fame.”
Ivar rise perché l’unica certezza in un mondo incerto era la fame di Hildr.
“Mangerai dopo. Adesso guarda davanti a te.”
La ragazza riconobbe Kiev anche a distanza, le sue architetture dai tetti a goccia erano inconfondibili. Poche ore e sarebbero giunti a destinazione.
“Mi stai dicendo che mangerò a Kiev? Ma io ho fame adesso!”
“Ti sto dicendo che il nostro trionfo si sta avvicinando. Arriviamo a Kiev, ci riuniamo a Dir e poi ce ne andiamo.”
“Hai fretta, eh.”
Ivar le rivolse uno sguardo malizioso e inarcò le sopracciglia.
“A Kattegat c’è un matrimonio che ci aspetta. Ho molta fretta.”
Hildr guardò l’anello all’anulare, la pietra preziosa riluceva ai raggi del sole. Permise ad un barlume di felicità di farle battere il cuore.
“E poi a Kattegat si mangia meglio.”
Ivar assunse l’espressione da cane bastonato, offeso che lei avesse spostato la conversazione sul cibo.
“Rovini sempre l’atmosfera.”
“La fame vince su tutto, mio caro Ivar.”
 
Il sole stava cedendo il passo alla sera quando le navi attraccarono al porto di Kiev. Hildr fu la prima a scendere per sgranchirsi le gambe, non ne poteva più di viaggiare avanti e indietro. Ivar scese con più calma, era più lento per via della stampella. Si appoggiò alla spalla della ragazza per reggersi in piedi.
“Stai bene?”
“No. La gamba sinistra mi fa molto male.”
Hildr si preoccupò perché Ivar era pallido e sudava, forse aveva la febbre.
“Resisti un altro po’. Ho tutto l’occorrente per aiutarti.”
Oleg abbaiò alcuni ordini prima di avvicinarsi ai suoi alleati, era più rilassato ora che era a casa.
“Siete affamati? A palazzo avranno imbandito una tavola abbondante.”
“Non ho fame. Sono davvero stanca e vorrei solo andare a letto.” Disse Hildr.
Ivar capì che aveva inventato quella scusa per non ammettere davanti a Oleg che era lui a essere stanco. Hildr lo proteggeva sempre.
“Certamente. La vostra stanza è sempre la stessa. Uno dei miei uomini vi accompagnerà a palazzo, io devo sbrigare alcune faccende in città.”
Hildr annuì con un sorriso, non era necessario far intendere al nemico che Ivar non stava bene. Un soldato le toccò il gomito e le indicò un carro che attendeva fuori dal porto.
“Ce la fai a camminare?”
“Sì.” biascicò Ivar.
Hildr lo prese a braccetto e seguirono il soldato, l’andamento della camminata era lenta per dare tempo alle gambe del ragazzo di muoversi.
 
Ivar e Hildr furono accolti da Vadim sulla soglia dei cancelli. Vestito tutto di nero, sembrava un’ombra nella notte.
“Bentornati a Kiev, amici miei.”
Hildr si era accorta che la temperatura di Ivar era aumentata, doveva portarlo dentro prima che peggiorasse. Scese dal carro e andò dritta verso Vadim.
“Oleg ha detto che possiamo andare nella nostra stanza. Sai, sono veramente distrutta dal viaggio.”
Vadim ridacchiò, tutta quella fretta era inusuale per Hildr. In quel mese di lontananza i suoi sentimenti per la vichinga non erano cambiati, era ancora infatuato di lei e riaverla a palazzo era una gioia immensa.
“Scappi da me, Hildr?”
Hildr avrebbe voluto dargli una testa, scavalcarlo e portare Ivar al sicuro, ma doveva pur fare i conti con la realtà. Per eliminare Oleg ci voleva pazienza e soprattutto una buona recita.
“Sono incinta.”
Ivar alle sue spalle tossì perché la saliva gli era andata di traverso. Gli veniva da ridere, ma si diede un contegno per sostenere quella farsa.
“Non è bene lasciare una donna incinta al freddo e al buio.”
Vadim prima guardò Ivar e poi Hildr, la sua espressione da pesce lesso era la cosa più divertente che la coppia vichinga aveva visto negli ultimi tempi.
“S-sei in-incinta?”
“Esatto. Hai presente quella cosa che dura nove mesi e ti fa diventare la pancia grossa come un bidone di birra? Ecco, quella!”
Vadim scosse la testa come a voler cancellare quella notizia.
“Capisco. Andate pure, non vi trattengo oltre.”
 
Hildr chiuse la porta della stanza e poggiò la fronte sulla superficie di legno. Attraversare il palazzo con Vadim che la fissava era stata un’impresa titanica. Ora poteva tornare a respirare.
“Sei incinta, eh?”
Ivar alternava risate e rantoli di dolore. Si era buttato sul letto e si stava togliendo i supporti alle gambe.
È stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Oleg e Vadim non dovevano vederti in queste condizioni.”
Hildr si premurò di accendere il fuoco e di sistemare per bene le coperte sul letto. Aprì la bisaccia che aveva portato con sé e frugò in cerca degli ingredienti che le servivano.
“Grazie, Hildr.” Sussurrò Ivar.
“Non dirlo neanche. Spogliati, su.”
Mentre lei pestava le foglie di gramigna in una scodella, Ivar si svestì a fatica. Ogni movimento corrispondeva ad un gemito sofferente.
“Se volevi vedermi nudo, bastava chiedere.”
Hildr sorrise e alzò gli occhi al cielo, almeno il dolore non gli aveva ancora intaccato l’umorismo.
“Ti caleresti i pantaloni ogni volta che mi vedi, Ivar.”
Ivar si sdraiò sul letto, ringraziando la morbidezza delle pellicce, e si scoprì le gambe.
“E’ che non riesco a resistere al tuo fascino, mia adorata.”
Hildr usò le dita per stendere la pasta verdognola ottenuta dalla gramigna sulla pelle arrossata delle gambe. Massaggiò l’area con movimenti calcolati e circolari in modo da attenuare il dolore. Era talmente esperta che Ivar pian piano riuscì a rilassarsi, sentiva i muscoli che si allentavano.
“Sei bollente. Penso che tu abbia la febbre.”
In effetti Ivar aveva la pelle che scottava e gli faceva male la testa, il viaggio doveva averlo fatto ammalare.
“Devo riprendermi in fretta. Devi aiutarmi, Hildr.”
“Potrei abbassare la febbre con la corteccia di salice e poi usare anche un po’ di olmaria per il mal di testa.”
Ivar le strinse la mano, captando l’ansia che stava avendo il sopravvento.
“Hildr, io mi fido di te. Puoi curarmi solo tu.”
“Ci provo.”
La nottata trascorse fra misture ed erbe pestate. Hildr fece bollire l’acqua due volte, una prima per immergere la corteccia di salice e la seconda per intingere l’olmaria. Erano piante medicinali che sua madre utilizzava per curare molte persone che si recavano da lei.
“Cos’è questa puzza?” domandò Ivar.
Si era rivestito e si era infilato sotto le coperte per stare al caldo. Hildr tornò da lui con due scodelle piene di brodaglia.
“La corteccia di salice emana cattivo odore quando viene usata come bevanda.”
“Non merito un bacio prima di bere questa roba?”
Hildr gli stampò un bacio sulla guancia, ma Ivar ne approfittò per rubarle un vero bacio. La ragazza si ritrasse con un sorriso e gli mostrò di nuovo le scodelle.
“Ora bevi.”
Il viso di Ivar si contrasse mentre beveva, la corteccia di salice era la cosa peggiore che avesse ingerito. L’olmaria fu più facile da ingerire.
“E adesso?”
“Adesso hai bisogno di dormire. Dai tempo al corpo di guarire.”
“Resterai con me?”
“Sempre.” disse Hildr.
 
Alla fine Hildr si era addormentata. Il fuoco si era spento e la stanza si era fatta più fredda, ma sotto le coperte il calore era piacevole. A interrompere il riposo furono ripetuti colpi alla porta.
“Ivar! Ivar, apri. Sono Igor!”
Hildr si trascinò fino alla porta e Igor le saltò addosso per abbracciarla. Era diventato più alto e robusto, ora raggiungeva la stessa altezza della ragazza.
“Hai portato del cibo? Ho troppa fame.”
“Vadim mi ha chiesto di invitarvi tutti nella sala principale per questo pomeriggio. Ha organizzato un ricco banchetto.”
Ivar nel frattempo si era svegliato con la dolce immagine di Hildr e Igor abbracciati. Ultimamente aveva pensato spesso che un figlio sarebbe stato un dono immenso, ma ogni sogno si sgretolava per via della sua debolezza fisica.
“Igor, sei cresciuto!”
Il ragazzino si fiondò fra le braccia di Ivar, a stento tratteneva lacrime di felicità. Il vichingo era il primo vero amico che aveva.
“Che ne dite di uscire? Ci sono bancarelle di dolci giù in strada.”
“Te la senti?” chiese Hildr.
Ivar si tastò la fronte, la febbre era scesa e il mal di testa si era alleggerito. Stava molto meglio. Forse un po’ d’aria fresca lo avrebbe aiutato.
“Me la sento.”
 
Hildr spazzolò il piatto in un baleno. Era ghiotta di miele e quella pasta dolce che Igor le aveva offerto era la cosa più buona che avesse mangiato a Kiev.
“Posso averne ancora?”
La cuoca della bancarella era soddisfatta che la ragazza apprezzare le sue pietanze. Annuì e si mise subito a preparare un altro dolce.
“Tu mangi più di un intero esercito.” Scherzò Igor.
Hildr bevve il tè, bevanda calda e dolce che aveva già assaggiato in ‘Rus, e fece spallucce.
“Che dire, ho uno stomaco grande quanto Asgard. Va a prendermi il piatto, forza.”
Igor tornò dalla cuoca e attese che il pasticcio fosse impiattato.
“Dammi la mano.” disse Ivar.
Hildr allungò il braccio con la fronte corrugata, non capiva il perché di quella richiesta. Ivar aveva visto una goccia di miele sul palmo della mano, dunque la leccò via. La ragazza tirò indietro la mano come se si fosse scottata.
“Smettila! Non fare così.”
“Ammettilo che ti è piaciuto.” Replicò Ivar con un sorriso.
“Mi innervosisci, brutto caprone.”
Hildr alzò gli occhi di scatto, aveva l’impressione che qualcuno li spiasse. In effetti, c’era una figura dal volto coperto che li guardava.
“Ivar, c’è qualcuno dietro di te che ci spia.”
Quando Ivar si voltò per controllare, la figura non c’era più. Era comparsa alle spalle di Hildr, al riparo da occhi indiscreti, e fece cenno di seguirlo.
“Vieni.”
Hildr seguì Ivar senza capire, solo dopo scorse la silhouette oscura che camminava davanti a loro. Strinse le dita intorno all’elsa del pugnale appeso alla cintola, pronta alla difesa. Ivar era ancora debole per via della febbre, quindi toccava a lei fare il lavoro sporco.
“Ben ritrovati.” Disse la figura.
Hildr e Ivar rimasero interdetti quando Dir mostrò il viso. Non avrebbero mai immaginato che l’ex fuggitivo sarebbe stato tanto avventato da ripresentarsi in quella che un tempo era stata la sua cella.
“Principe Dir, cosa fate qui?” indagò Ivar.
“E’ il momento. Sono pronto ad affrontare Oleg. Raggiungetemi a Novgorod e unitevi al mio esercito. Quando avrò organizzato l’attacco, tu e Igor riceverete un pugnale come segnale per fuggire da Kiev.”
Hildr non ebbe il tempo per elaborare il messaggio che Dir era sparito, fagocitato dalla folla che entrava e usciva dalla cittadella.
“Ci siamo.” Mormorò Ivar, entusiasta.
 
Hildr aveva mangiato a stento, nonostante dalle cucine continuavano a servire pietanze gustose. Rimuginava sulle direttive di Dir da ore. Dopo aver avvistato una Nix con le sembianze di sua madre, temeva che la sfortuna stesse virando verso di loro. Un defunto che tornava su Midgard era un cattivo presagio.
“Hildr, non mangi? Che strano.” Esordì Kyra.
Lei e Hildr si erano scambiate un rapido saluto, poi Oleg avevano chiamato tutti a cena. Kyra era avanti con la gravidanza, entro tre mesi il bambino sarebbe nato.
“Stavo riflettendo su quanto abbia un bell’aspetto questo piatto.”
Fu costretta a mangiare per non destare sospetti. Nessuno doveva capire che lei e Ivar stavano architettando qualcosa. Ad aggravare la situazione era la presenza di Katya. La principessa, ornata da pizzi e gioielli, sedeva accanto a Oleg e degustava le portate con eleganza.
“Hildr vi ha dato la bella notizia?” disse Vadim.
Hildr avrebbe voluto rigurgitare i dolci mangiati quella mattina, ma si limitò a indurire la mascella.
“Quale?” domandò Oleg, curioso.
“La nostra Hildr aspetta un bambino.”
La forchetta di Kyra cadde per terra con un tonfo sonoro, lo shock era dipinto sulla sua faccia come un quadro.
È vero?”
“Sì, è vero. Io e Hildr diventeremo genitori.” Disse Ivar, sorridendo.
La bugia era stata detta e ora bisognava mandare avanti quel teatrino. Ivar si accorse che Katya aveva gli occhi lucidi, quella notizia l’aveva ferita.
“Congratulazioni! Un figlio è una grande benedizione.” Disse Oleg.
Hildr simulò un sorriso di gentilezza, non era il caso di essere smascherati. La vittoria su Oleg era ad un soffio, bastava restare concentrati e tutto sarebbe andato per il meglio.
“Allora, diteci un po’ come vi siete accorti di essere innamorati.” Disse Katya.
Ivar bevve tutto il vino per ingoiare l’amaro in bocca. Katya lo stava stuzzicando senza sapere che lui non ci sarebbe cascato.
“Ho capito di essere innamorato di Hildr quando mi ha colpito con una freccia. Noi stavamo bisticciando per una banale scodella di minestra, così lei afferrò l’arco e mi piantò una freccia nel braccio. È stato in quel preciso istante che ho capito: avrei voluto litigare con lei per il resto della mia vita. Se ami qualcuno durante un litigo significa che lo ami davvero.”
Hildr ricordava bene quel giorno, si era arrabbiata talmente tanto che aveva zittito Ivar con una freccia. Se scavava nella sua memoria, in ogni ricordo vedeva Ivar. Solo e soltanto lui.
“Te lo sei meritato, eri davvero presuntuoso su quella minestra.”
Una risata attraverso la tavolata, specialmente Igor che aveva le lacrime agli occhi. Solo Katya non si stava divertendo.
“E tu, Hildr, quando lo hai capito?”
“L’ho capito mentre Ivar mi sistemava dei nastri colorati fra i capelli. Era la festa di primavera e mia zia mi aveva obbligata a indossare quegli affari in testa. Io e Ivar ci siamo incontrati in spiaggia come tutti i giorni e lui mi ha aiutata con l’acconciatura. Poi mi ha paragonata alla dea Idunn e mi ha detto che ero io la sua primavera.”
Ivar sorrise raggiante, quel ricordo era marchiato a fuoco nella sua memoria. Era una delle tante volte in cui aveva provato a confessare i propri sentimenti, ma alla fine non ci era riuscito. Era incredibile pensare che Hildr presto sarebbe diventata sua moglie.
“Siete melensi, mi fate venire il voltastomaco.” Disse Kyra.
Hildr incrociò lo sguardo di Vadim, la guardava come se volesse trafiggerla seduta stante.
“L’amore è così, dolce e amaro insieme.” Asserì Ivar.
Katya si sforzò di sorridere, però ottenne solo un misero sorriso. La mandava su tutte le furie il modo in cui Ivar guardava Hildr, era totalmente perso per lei. E poi quella storia della freccia era stato un colpo duro da incassare. Credeva che Ivar provasse qualcosa per lei, invece era ancora più innamorato di Hildr.
 
“Non sei incinta.” Disse Kyra.
Dopo cena, aveva invitato Hildr nelle proprie stanze per una chiacchierata tra amiche. Ora sedevano accanto al fuoco con una tazza di tè in mano.
“Sono davvero incinta.”
Hildr avrebbe mantenuto la copertura fino a quando non sarebbe tornata a Kattegat. Certo, Kyra in passato si era dimostrata sua amica, ma ora non era sicuro fidarsi di lei.
“Mi dispiace per te. Tra poco avrai le caviglie così gonfie che non potrai camminare per giorni. Per non parlare del mal di schiena, della fame eccessiva e degli sbalzi d’umore.”
“Ne vale la pena.” Mentì Hildr.
Non aveva mai desiderato diventare madre, e le parole di Kyra stavano rafforzando la sua posizione.
“Lo storpio è diverso. Sembra il tuo cagnolino. La crisi è passata?”
“Io e Ivar stiamo cercando di risolvere i nostri problemi. Non è sempre facile, ma non molliamo.”
Kyra si accarezzò la pancia rotonda con fare meditabondo. Invidiava la vichinga perché aveva conosciuto il vero amore. Lei e Vadim andavano d’accordo, ma il loro era un matrimonio combinato e i sentimenti non c’entravano niente.
“Si vocifera che Dir sia stato a Kiev oggi. Tu lo hai visto?”
“No. Ho fatto una passeggiata con Ivar e Igor all’interno delle mura.”
Hildr era brava a mantenere il sangue freddo. Non avrebbe ceduto per nessuna ragione, anche se non capiva perché la russa fosse interessata al principe.
“Il nemico del mio nemico è mio amico.” Disse Kyra.
“Dipende da chi consideri nemico e amico.” Ribatté Hildr.
“Se voi vichinghi state tramando qualcosa con Dir, sappiate che ve ne pentirete.”
Hildr restò ferma, non batté ciglio e non contrasse la bocca.
“Nessun pentimento per chi non commette peccato.”
“Sei furba, Hildr. Sei molto furba.”
 
Ivar stava tornando in camera quando udì dei passi provenire dal fondo del corridoio. Katya era dietro di lui da quando si era congedato da Oleg.
“Katya, che c’è? Mi stai pedinando.”
“Hildr è incinta. Come hai potuto? Io credevo che fra di noi ci fosse un sentimento.”
Ivar non poteva ammettere di aver sfruttata, non poteva rischiare che lei spifferasse tutto a Oleg.
“Hildr a breve diventerà mia moglie, devi capirlo. Fra noi due non c’è mai stato niente, è stato solo un bacio. Io amo Hildr.”
“Oh, lo so che la ami. A cena ho trattenuto i conati di vomito mentre raccontavate le vostre favolette d’amore.”
L’abito bianco e soffice di Katya era in netto contrasto con il nero della sua rabbia.
“Mi dispiace se ti ho fatto credere che fossi interessato a te. Sei bella e affascinante, ma non sei la donna giusta per me.”
“Tu preferisci quella donnaccia lurida con il portamento di una sguattera!”
“Sul serio mi stai attaccando perché sono innamorato della mia futura moglie? È inconcepibile!”
L’atteggiamento della principessa era strano. Se prima si era comportata in maniera pacata ed educata, ora tirava fuori un caratteraccio che Ivar non si spiegava.
“Ivar, ascoltami bene. Il nemico del mio nemico è mio amico.”
Ivar voleva saperne d più, ma Katya stava già fuggendo lontana da lui.
 
Ivar fu sbattuto al muro non appena mise piede nella stanza. Hildr stringeva il pugnale con la punta rivolta verso il petto del ragazzo. Pensava fosse un intruso.
“Che stai facendo?”
È successa una cosa, Ivar. È allarmante.”
Ivar prese posto sul letto e si mise in ascolto, mentre lei gettava occhiate furtive fuori dalla finestra.
“Kyra mi ha detto che Dir oggi è stato visto alla cittadella. Mi ha anche chiesto se noi due abbiamo a che fare con lui. Non ti sembra strano?”
“Molto strano. Kyra non è il tipo che si interessa alla politica.”
Hildr si sedette e si passò una mano fra i capelli. Dopo l’agguato della Nix vedeva ombre malvagie in ogni angolo.
“Ho un brutto presentimento. Se Kyra ha dei sospetti di conseguenza ce li avranno anche Vadim e Oleg.”
“Prima Katya mi ha fermato in corridoio e mi ha detto che il nemico del suo nemico è suo amico.”
Hildr sentì una fitta di gelosia tremenda. Il solo pensiero che Ivar e Katya fosse stati insieme le faceva ribollire il sangue.
“Tu e Katya? Mmh, capisco.”
“Non capisci. Non è successo niente.” Disse Ivar.
“L’hai baciata di nuovo?”
Il ragazzo fece un respiro profondo, doveva calmarsi prima di affrontare quel discorso.
“Non ci siamo toccati. Hildr, io ti giuro sugli dèi che tra me e Katya non c’è niente.”
“Fatico a crederci.”
Hildr era insicura della loro relazione. Katya aveva piantato il seme del dubbio e lei lo stava coltivando. Suo padre le ripeteva che fidarsi di qualcuno significa affidargli la propria anima e sperare che la preservi.
“Cosa posso fare? Io voglio che tu mi creda.”
“Giuramelo per davvero.” Lo incitò Hildr.
Ivar doveva compiere un passo importante perché un giuramento implicava verità assoluta infrangibile. Portò lo sguardo su di lei e le afferrò la mano sinistra, quella dove figurava l’anello di Aslaug.
“Io giuro su Aslaug, mia madre e regina di Kattegat, che tra me e Katya non c’è niente. Io giuro su Ragnar, mio padre e re di Kattegat, che il mio cuore appartiene solo a te.”
Hildr sapeva che quel giuramento era reale. Giurare sui genitori era la promessa più importante di un uomo.
“Accetto il tuo giuramento.”
Ivar le baciò la mano, poi le regalò uno splendido sorriso.
“Me lo merito un bacio?”
“Solo questa volta.”
Hildr si chinò per baciarlo e Ivar le cinse la nuca con la mano per attirarla a sé. Fu un bacio lento e desiderato, un ulteriore giuramento che il loro amore era vivo e forte.
“Qualunque cosa accada noi porteremo avanti la nostra copertura. Se non riusciamo a sconfiggere Oleg, torneremo a Kattegat il prima possibile. Fidati di me, Hildr.”
“Mi fido di te.”
 
 
Salve a tutti! ^_^

Qui ho mescolato la serie tv con eventi di mia invenzione.
Le cose si fanno complicate a Kiev, chissà!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
-Idunn e il mito del rapimento esistono davvero.

 

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Capitolo 4
*** Il drago di Kiev pt.II ***


4. IL DRAGO DI KIEV PT. II

L’indomani Hildr si alzò ben presto per far visita a Johannes. Era l’unico vero amico a palazzo, l’unica persona che le aveva offerto sostegno senza nulla in cambio. Ivar dormiva ancora, la temperatura era scesa e il pallore stava svanendo. Il clima freddo di Kiev non aiutava la sua salute.
“Hildr.” Biascicò il ragazzo, la voce assonnata.
“Sono qui. Che c’è?”
Ivar aprì un occhio solo e vide che la ragazza si stava sciacquando il viso; indossava già calzoni e stivali.
“Dove vai? E’ l’alba. Torna a dormire.”
“Voglio fare visita a Johannes prima del grande esodo. Capisci cosa intendo.”
Hildr voleva rivedere il vecchio bibliotecario prima di fuggire da Kiev e raggiungere Novgorod. Gli addii erano brutti ma necessari.
“Torna entro un’ora. Il grande esodo potrebbe essere già alle porte.” Disse Ivar.
“Lo farò.”
Dopo essersi vestita ed essersi acconciata i capelli in due semplici trecce, recuperò la spada e la depositò nel fodero. Quel palazzo non era sicuro per loro, dunque era meglio essere preparati. Se Kyra sapeva di Dir, allora anche Vadim ne era conoscenza. Non potevano rischiare di mandare tutto a monte.
“Hildr, torna un attimo qui.”
Hildr pensò che la febbre fosse tornata, e non era il momento adatto per una malattia di stagione. Si avvicinò a lui e gli tastò la fronte, che era fresca al punto giusto.
“Che hai?”
“Dammi un bacio prima di andare.”
La ragazza aggrottò le sopracciglia con uno sbuffo, detestava quel romanticismo quando la loro vita era in pericolo.
“Ti odio.”
“Fingo di crederci.” Replicò Ivar.
Hildr gli stampò un bacio sulla bocca, ma il ragazzo la trattenne per approfondire quel contatto. Se stavano per morire, tanto valeva darsi gli ultimi baci.
“D-devo andare.” Disse Hildr, staccandosi.
“Vai pure. E cerca di restare viva!”
“Ci proverò!”
 
La biblioteca non era cambiata, anzi il numero di libri accatastati era aumentato. L’odore di chiuso e di carta impregnava l’aria, eppure non era sgradevole. Lo spazio era illuminato da fiaccole che il bibliotecario doveva aver appena acceso per studiare. La dedizione che aveva per quei manoscritti era qualcosa di incredibile.
“Johannes, sei qui?”
Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo!
L’uomo era chino su un plico di fogli ingialliti, gli angoli erano rovinati ma la grafia era perfettamente leggibile. Era talmente preso dalla lettura che non si era accorto di lei.
“Johannes, ehilà!”
Johannes trasalì, la lente di vetro che usava per leggere gli scivolò dall’occhio. Quando realizzò la presenza della ragazza, spalancò la bocca per la sorpresa.
“Oh, Hildr! Ragazza mia!”
Il minuto dopo Hildr fu intrappolata in un abbraccio stretto e caloroso, tipico del bibliotecario.
“Così mi strozzi.”
“Credevo di non rivederti mai più. Come mai sei qui? Sei da sola?”
“Io e Ivar siamo qui su invito di Oleg. Abbiamo trionfato su Bjorn e festeggiamo insieme un’ultima volta.”
Hildr si appoggiò alla parete e con le dita sfiorò un vecchio manuale di pelle blu.
“Sono giorni importanti per tutta Kiev. Stasera arriverà il Santo Vescovo per la commemorazione di domani. Oleg vuole farsi bello davanti a voi vichinghi.”
“Commemorazione di cosa?”
Johannes andò dalla parte opposta della biblioteca per prendere un libro e mostrarlo alla ragazza.
“Questa è la Bibbia, il libro sacro dei cristiani. Questa è la crocifissione.”
Hildr sfogliò le pagine e vide un uomo crocifisso con il collo che ciondolava sul petto e gli occhi chiusi. Era un’immagine a lei sconosciuta poiché gli dèi di Asgard erano sempre rappresentati con addosso armature luccicanti e gioielli preziosi.
“Perché lo hanno crocifisso?”
“Perché le persone sono terrorizzate da ciò che non comprendono.” Rispose Johannes.
“E quindi domani ricordate questo avvenimento?”
“Esatto. Un membro della corte porterà la croce sulle spalle in memoria della via crucis, arriverà nel cortile del palazzo e il Vescovo leggerà il passo della Bibbia.”
Hildr sentiva che gli ingranaggi nella sua testa stavano girando: una grande folla a Kiev poteva essere una buona occasione per Dir.
“Prima cosa stavi leggendo? Era latino.”
Il bibliotecario le fece cenno di avvicinarsi al leggio e indicò un foglio di pergamena con grande emozione.
“Questa è una grande scoperta che proviene da un monastero di Mercia. Un mio amico monaco mesi fa è venuto fino a qui per mostrarmi questa meraviglia scovata nella biblioteca della regina Kwenthrith. Si tratta di una pagina scritta da Lucrezio. Non sappiamo a quale opera appartenga, ci sto lavorando da qualche settimana.”
Hildr fece mente locale e ricordò che la regina di Mercia un tempo aveva viaggiato per mare con Ragnar. Ricordò anche che Athelstan, il più caro amico di Ragnar, era un monaco originario del Wessex. Era straordinario come le loro vite si incrociassero ripetute volte.
“Che significa la frase che stavi leggendo?”
“Significa: la goccia scava nella pietra non grazie alla forza ma grazie alla costanza. Insomma, devi perseverare se vuoi ottenere qualcosa.”
Johannes le picchiettò la mano sulla spalla con fare paterno, quella giovane donna gli ricordava la sua dolce bambina andata perduta.
“Ivar è bravo a perseverare, ottiene sempre quello che vuole.” Scherzò lei.
“Ragazza mia, le cose non sempre vanno come vorremmo.”
Hildr abbozzò un mezzo sorriso, sapeva bene che il destino giocava una partita tutta sua. Neanche Odino poteva ostacolare ciò che il Fato aveva scelto.
“Dai, fammi vedere altri libri.”
 
Ivar si trascinava sulla stampella lungo il corridoio che portava alla sala principale. Hildr non era ancora tornata, ci avrebbe scommesso un occhio che sarebbe rimasta con Johannes per tutta la mattinata. Era una ragazza curiosa, le piaceva imparare cose nuove e la biblioteca era un ottimo posto per tale scopo.
“Salve, Ivar.” Lo salutò Vadim.
Il cugino di Oleg era alto e snello, bei capelli ordinati, divisa lucidata, e tutta quella perfezione era snervante.
“Salve a te, Vadim. Sai dove posso trovare Oleg?”
“Non è a palazzo. E’ andato in città per prepararsi all’arrivo del Santo Vescovo. E’ il periodo di Pasqua, noi cristiani celebriamo la morte e la resurrezione.”
Ad Ivar veniva da ridere per quelle bizzarre credenze cristiane, ma annuì per non essere maleducato.
“Ci aspettano grandi festeggiamenti, eh? Oleg deve averci invitati apposta.”
“Suppongo di sì. La Pasqua è un momento sacro, quindi Oleg ha voluto rendervi partecipi.”
Vadim era più alto di Ivar, lo guardava dalla testa ai piedi con altezzosità.
“Perché Oleg avrebbe invitato due vichinghi ad una celebrazione cristiana? E’ strano.”
Ivar aveva dei sospetti che lo tormentavano. Invitare due pagani in un momento sacro per i cristiani era controverso, di sicuro sotto c’era molto di più. Kiev diventava sempre meno sicura col trascorrere delle ore.
“Non ho una spiegazione per tutte le azioni di Oleg.” Disse Vadim.
“Ivar, non puoi capire che cosa ho visto nella biblio- … oh, Vadim!”
Hildr era emersa dal fondo del corridoio con un sorriso radioso, la visita a Johannes era stata produttiva. Vadim fece un inchino e sorrise, sebbene la sua mascella fosse serrata.
“Hildr, nelle tue condizioni dovresti riposare. Non fa bene frequentare un posto umido come la biblioteca.”
“Nelle mie condizioni?”
“Hildr sa cavarsela benissimo anche se aspetta un bambino.” Intervenne Ivar.
Hildr si era dimenticata di quella bugia, era troppo eccitata da quello che le aveva mostrato Johannes.
“Oh, sì, il bambino! Il mio adorato e tenero bambino! Io sto bene, lui o lei sta bene, stiamo bene!”
Vadim fece oscillare lo sguardo fra i due, c’era qualcosa che non lo convinceva.
“Ora devo andare al porto. Ci vediamo a cena. Buona giornata.”
“Anche a te. E porta i nostri saluti a Oleg.” Disse Ivar.
Quando rimasero da soli, Hildr buttò fuori l’aria che aveva trattenuto.
“C’è mancato poco che scoprisse l’inganno.”
“Adorato e tenero bambino?” fece Ivar ridendo.
Anche Hildr rise, la tensione pian piano si stava sciogliendo.
“Non sapevo cos’altro dire, ero nel panico!”
“Chissà cosa diresti di me.”
La ragazza prese a giocare con una ciocca di capelli, attorcigliandola intorno all’indice.
“Direi ‘il mio fastidioso e insopportabile Ivar’, mi sembra accurato.”
Ivar fece un sorriso malizioso, avvicinando la bocca a quella di Hildr ma senza baciarla.
“Stai forse ammettendo che sono tuo?”
“Ho detto che sei fastidioso e insopportabile.”
La ragazza deglutì, quella vicinanza era un affronto che la rendeva debole. Per quanto lottasse, Ivar era capace di annebbiarle i sensi con un solo sguardo.
“Ma hai anche detto che sono tuo, questo è ciò che conta.”
“Ivar, tu sei proprio …”
“Cosa sono?” sussurrò lui.
Ora fra i loro corpi non c’era mezzo spiraglio, era schiacciati l’uno contro l’altra. Hildr non resistette oltre. Avvolse le mani al collo di Ivar e ingaggiò un bacio ricco di passione. Le mani di Ivar si strinsero intorno ai fianchi della ragazza per tenerla a sé mentre il bacio si infiammava sempre più. Le loro bocche alternavano morsi e gemiti, un mix di amore e lussuria da far girare la testa.
“Tu sei proprio un bastardo.” Disse Hildr, il respiro mozzato.
Ivar ghignò e la baciò ancora con la stessa intensità.
“Mi piaci tremendamente quando mi insulti.”
Stavano per baciarsi di nuovo quando nel corridoio si udì un cigolio. Sembrava che il rumore provenisse dal muro a cui erano addossati.
“Hai sentito?”
Ivar accostò l’orecchio al muro e sentì che il rumore si faceva più limpido. Spostando lo sguardo verso il basso, si accorse di un piccolo buco simile ad una serratura.
“E’ una porta. C’è un passaggio segreto dietro il muro.”
Hildr sfoderò la spada e la puntò contro la porta, pronta a colpire chiunque venisse fuori. Quando un altro cigolio fu udibile, i due indietreggiarono in attesa. Dal passaggio segreto uscì Katya. La sua giacca di pelliccia bianca era ricoperta di polvere e tra i capelli castani c’era una ragnatela.
“Venite dentro, forza!” bisbigliò la principessa.
Ivar entrò per primo e Hildr lo seguì con la spada sguainata nell’eventualità che quello fosse un attentato alle loro vite. Il passaggio segreto si rivelò essere uno spazio quadrato piuttosto grande, con le pareti di pietra grezza e il pavimento umido.
“Perché siamo qui?” volle sapere Ivar.
“Per questo.”
Katya estrasse dalla pelliccia un pugnale con una ‘D’ incisa sulla lama. Hildr e Ivar si scambiarono un’occhiata fugace.
“Quello è il pugnale di …”
“Sì. E’ il segnale di Dir.” Disse Katya.
Hildr indirizzò la punta della spada alla gola della principessa, un centimetro e l’avrebbe ferita.
“Chi ci dice che non sia un trucco di Oleg? Fidarsi di te è difficile.”
Katya non si mosse, restava ferma con tutta la dignità del suo rango.
“Non ve lo dice nessuno. Vi dovrete fidare di me. Domani ci vedremo al banco del falegname non appena il Vescovo inizierà la commemorazione.”
“Oleg sarà distratto e la folla sarà la nostra via di fuga.” Aggiunse Ivar.
A Hildr diede sui nervi la complicità fra Ivar e la principessa, ma non volle dare spettacolo della sua gelosia. Mise la spada al suo posto e annuì.
“A domani.”
 
Il giorno dopo
Ivar osservò con estrema attenzione il viavai sotto la finestra della camera. La cerimonia del Venerdì Santo aveva riunito a Kiev tutti i cittadini, i nobili e i membri del clero. Quella calca era il mezzo più sicuro per uscire dalla città.
“Il piano è questo: rubiamo il carro del falegname, ci dirigiamo alle porte della città e approfittiamo della confusione per fuggire.”
Hildr contò le frecce nella faretra, si fissò l’arco sulla schiena e allacciò la spada in vita.
“D’accordo.”
Ivar si voltò verso di lei, quel tono di voce spento lo preoccupava. La ragazza non aveva dormito molto, i segni del mancato sonno erano visibili in cerchi scuri sotto gli occhi.
“Che ti prende? Sei troppo silenziosa.”
“Sono pronta.” Disse Hildr, sistemandosi i guanti.
“Hildr, parla con me. Ti prego.”
“Stavo pensando alla Nix. E se oggi morissimo? Siamo solo noi due e un ragazzino!”
Ivar zoppicò fino a lei e le accarezzò la guancia con dolcezza.
“Oggi sopravvivremo. Noi due siamo una bella coppia, possiamo farcela.”
“Lo spero.”
Un’ora dopo il palazzo si svuotò, la corte e la servitù si erano riversate in cortile per presenziare alla commemorazione. Da una finestra Ivar vide un uomo trasportare una grossa croce di legno verso Oleg. Era il momento per sferrare il loro attacco.
“Hildr, sai cosa fare. Io vado a chiamare Igor.”
Si separarono in una manciata di secondi, il tempo a disposizione era esiguo e dovevano sfruttarlo appieno. Mentre Ivar si dirigeva nelle stanze di Igor, Hildr scese alla cittadella per andare al banco del falegname.
“Ti serve qualcosa, ragazzina?” domandò l’uomo.
C’erano soltanto lui e suo figlio, stavano svolgendo gli ultimi lavori prima di unirsi agli altri per la commemorazione. Ivar aveva pianificato la strategia nei minimi dettagli, perciò Hildr proseguì con sicurezza.
“Mi serve il vostro carro.”
Il falegname tentò di replicare ma Hildr gli aveva già tirato un pugno che lo fece cadere sulle ginocchia. Poiché non dovevano esserci complicazioni, usò l’elsa della spada per colpirlo alla testa e farlo svenire.
“Aspetta! Sta calma! Non ucciderci!” la supplicò il ragazzo.
Hildr non si fece ostacolare dalle emozioni, non poteva commettere errori. Atterrò il giovane con un calcio all’addome e gli colpì la testa con un pezzo di legno per tramortirlo.
“Che forza!” esclamò Igor.
Ivar e Katya erano arrivati insieme e stavano parlando di qualcosa che Hildr non riusciva a capire.
“Saliamo sul carro e andiamo via.” Disse Ivar.
Lui prese le redini e si mise in testa, Igor si sedette al suo fianco, Hildr e Katya si nascosero sotto il telo che copriva parte posteriore del carro.
“Hai intenzione di uccidermi?” domandò Katya.
La vichinga e la principessa erano piegate sulle ginocchia, le spalle incollate e le teste vicinissime. Hildr le lanciò un’occhiataccia.
“Se avessi voluto ucciderti, ti assicuro che saresti già morta. Ora sta zitta, mi devo concentrare.”
Il carro si stava muovendo verso le porte della città, in direzione opposta a dove si stava svolgendo la commemorazione. I cavalli rallentarono fino a fermarsi, al che Ivar emise un fischio. Hildr recepì il messaggio, incoccò una freccia e tese l’arco in avanti. La punta sbucava appena fuori dal telo del carro e da quell’angolazione era possibile intravedere le due guardie.
“Dove state andando?” indagò una guardia, faccia seria e occhi arcigni.
“Torniamo a casa. Abbiamo il permesso.” Disse Ivar, un vago accento russo.
“Cosa c’è sotto il telo?”
L’uomo sollevò il telo e sgranò gli occhi, pronto a urlare per avvertire gli altri. Hildr balzò in piedi e scoccò una prima freccia contro l’uomo e una seconda contro l’altra guardia. Igor scese dal carro e andò ad aprire i cancelli.
“Lavoro eccellente.” Disse Hildr tra sé.
Ivar sollevò gli occhi su di lei e sorrise, era fiero ogni volta che la ragazza centrava un bersaglio.
“Ti ho già detto che ti amo quando fai così?”
“Almeno un milione di volte.”
Katya si intristì perché ormai era palese che l’amore di Ivar per Hildr era vero. Avrebbe voluto essere amata e amare allo stesso modo, ma il cielo aveva scelto per lei una strada diversa e ben più tortuosa.
“Possiamo andare.” Disse Igor, tornando a bordo.
Hildr liberò un sorriso quando si lasciarono Kiev alle spalle e con essa tutto il marcio della corte.
 
Due giorni dopo
“Assaltare il palazzo non sarà facile. L’importante è tenere a mente che il popolo non deve essere attaccato perché abbiamo bisogno del suo appoggio per regnare.”
Dir stava illustrando il piano di attacco al suo esercito, fra cui anche Ivar e Hildr.
“Secondo te come si difenderà Oleg?” domandò lei.
“Non ne ho idea. Sento che oggi resteremo sorpresi.”
Ivar aveva sentito dire dai soldati che Oleg aveva dato fuoco al mausoleo dedicato alla prima moglie in preda ad una crisi di nervi. Quella voce era stata trasmessa direttamente dalla corte, quindi Dir doveva avere una spia fra i ranghi della nobiltà.
“Siamo pronti ad avanzare, principe.” Comunicò un soldato.
Dir indossò l’armatura e accettò la spada che sua moglie gli stava consegnando. Salì a cavallo e il suo esercito lo imitò.
“Andiamo a fare fuori quel ratto di fogna!” esclamò Hildr.
Lei e Ivar avrebbero cavalcato insieme poiché le gambe del ragazzo non potevano gestire la cavalcata. Dopo aver aiutato Ivar a montare in sella, Hildr stiracchiò le dita e poi salì anche lei.
Il tragitto non fu lungo, Novgorod distava un paio d’ore da Kiev. Il viaggio fu accompagnato da uno spettacolo naturale: i raggi del sole che timidamente spuntavano e si riflettevano sulla neve creando giochi di luce.
“Il mio cavallo non sta fermo un attimo.” Si lamentò Igor.
Il ragazzino stava in sella a un cavallo nero di razza pura, un regalo di Dir per onorare il giovane principe.
“Perché non tieni bene le redini, tienile più corte.” Suggerì Ivar.
Igor esultò quando il cavallo eseguì i suoi ordini grazie al consiglio del vichingo.
“Ha funzionato!”
“Beh, diciamo che so il fatto mio.” Disse Ivar sorridendo.
“Non ti vantare troppo.” Lo rimbeccò Hildr.
Ivar le pizzicò i fianchi e lei sobbalzò, sembravano cane e gatto. Igor li trovava divertenti, era come guardare una commedia a teatro e ridere dall’inizio alla fine.
La spedizione proseguì in silenzio e nel massimo dell’ordine, ciascuno conosceva la propria posizione e la rispettava. Doveva essere una macchina ben oliata per riuscire a fare irruzione a Kiev, città blindata per eccellenza per via del palazzo reale.
“Ci siamo.” Bisbigliò Igor.
Il palazzo si stagliava contro un cielo bianco, una grossa montagna di pietre munita di finestre e decorazioni orientali. Le porte erano chiuse ma non c’erano guardie appostate.
“Entriamo. Voglie tre arcieri in prima difesa!” ordinò Dir.
“Quattro è meglio. Che ne dici, Hildr?”  fece Ivar.
Hildr sorrise, finalmente c’era un po’ di azione per un animo combattivo come il suo. Superò due file di soldati e si avvicinò ai tre arcieri di Dir. Il principe con un cenno della testa le diede il permesso di agire.
“Passami arco e freccia, Ivar.”
Ivar slacciò l’arco e prese una freccia dalla faretra, dopodiché Hildr si armò e mirò contro la porta. Acuì l’udito per captare dei rumori, ma c’era soltanto silenzio. Anche Ivar non sentiva niente, il che faceva sorgere alcuni dubbi.
“C’è troppo silenzio. Com’è possibile?”
La risposta arrivò quando le porte si aprirono. I tre arcieri puntarono contro le guardie, mentre Hildr puntò l’arco verso le finestre.
“Non c’è nessuno.” Osservò Igor.
Effettivamente non c’erano guardie, non c’erano soldati e non c’erano cittadini. Le strade erano deserte, le case erano chiuse e le bancarelle erano state dismesse.
“Entriamo, ma facciamo attenzione.” Disse Dir.
Mentre i cavalli trottavano nella cittadella, Hildr notò delle figure sfocate che passavano di finestra in finestra. Ripensò alla conversazione enigmatica avuta con Kyra, i riferimenti ai nemici e al tradimento. Tornò indietro da Ivar perché forse aveva messo insieme i punti e il puzzle aveva preso forma.
“Ivar, io entro. Vadim è ancora lì, forse si prepara ad un attacco a sorpresa.”
“Pensi di poterlo dissuadere sbattendo le ciglia?” replicò lui, stizzito.
“Sbattendogli il cranio contro la parete, è più utile.”
Ivar fece un ghigno divertito, adorava quando lei gli teneva testa in quel modo.
“Entreresti anche se ti dicessi di no, perciò sei libera di fare quello che vuoi.”
“Ci vediamo dopo.”
Hildr corse sul lato est del palazzo, era a conoscenza di un ingresso secondario che consentiva l’accesso alla biblioteca. Da lì sarebbe risalita ai piani superiori per trovare quelle figure perché il suo istinto le dice che Vadim e Kyra c’entravano qualcosa.
 
Hildr si lasciò alle spalle l’ultima rampa di scale, ora si ritrovava nel cuore del palazzo. Non c’era nessuno, né soldati né nobili. Mancava anche la servitù. Tutti avevano lasciato l’edificio abbandonando Oleg da solo. Quella assenza era strana, del resto l’esercito giurava fedeltà assoluta e giurava di morire per il proprio comandante. Come mai gli uomini di Oleg lo avevano abbandonato dall’oggi? E come mai il palazzo era stato evacuato in soli due giorni?
“Oh, eccoti qui.”
Hildr sollevò l’arco e tese la corda, però non scoccò la freccia. Davanti ai suoi occhi c’erano Vadim, Kyra e Johannes; indossavano pesanti mantelli neri. Erano loro le figure che aveva visto prima.
“Perché siete ancora qui? E perché siete così tranquilli? Dir in questo momento sta assediando il palazzo.”
“Lo sappiamo, ecco perché siamo ancora qui.” rispose Kyra.
Vadim fece un passo avanti e Hildr rafforzò la presa sull’arco.
“Non ti muovere. Forza, rispondi alla domanda: perché siete così tranquilli?”
“Perché noi siamo alleati di Dir. Siamo noi i suoi infiltrati a corte.” Disse Vadim.
La testa di Hildr girava, quelle informazioni erano troppe da assorbire in poco tempo.
“Sono confusa. Io credevo che tu fossi leale a Oleg.”
“Dir mi ha contattato dopo la fuga da Kiev. Mi ha riferito che Ivar lo aveva aiutato a fuggire insieme a Igor. Quando Oleg è tornato a Kattegat settimana scorsa, io sono rimasto qui con la scusa di assistere Kyra. La verità è che ho incontrato Dir a Novgorod per metterci d’accordo sul piano da attuare.”
“In tutto questo è coinvolta anche Katya, che vi ha dato il pugnale.” Aggiunse Kyra.
Hildr abbassò l’arco senza, però, deporre la freccia. Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.
“Voi avete complottato contro Oleg nonostante vi abbia presi con sé a corte?”
“Oleg è un tiranno che ottiene ciò che vuole solo con la violenza. Ha ucciso sua moglie Nika, ha ucciso suo fratello, ha rapito Igor, ha cercato di uccidere anche te.” disse Vadim.
Il puzzle era completo: Kyra odiava Oleg per averle portato via Nika; Vadim odiava Oleg per avergli portato via i cugini e il fratello; Dir voleva riprendere Igor per salvarlo dalle grinfie di Oleg; lei e Ivar lo volevano morto per aver cercato di ammazzarli e prendersi Kattegat.
“Scommetto che Katya lo detesta perché è un pessimo marito.”
“Tutti in ‘Rus hanno un valido motivo per odiare quel porco.” Disse Kyra.
Le carte in tavola erano cambiate, stravolte dai recenti eventi. Come diceva spesso zia Helga, morto un tiranno se ne fa un altro. Vadim era forte e il suo legame con Dir lo rendeva ancora più intoccabile.
“Tu e Dir avanzerete pretese su Kattegat? Perché se così fosse, nessuno di voi uscirebbe vivo da questa stanza.”
Vadim e Kyra si guardarono, la loro era una complicità nata da quel matrimonio costretto che alla fine era sfociato in una bella amicizia.
“Tu e Ivar potete stare sereni, non abbiamo pretese su Kattegat. Dopo oggi ognuno andrà per la propria strada e non ci incontreremo più.”
Hildr non poteva sapere se davvero avrebbero mantenuto la parola, ma per ora poteva soltanto sperarci.
“Allora addio.”
“Buona fortuna, regina Hildr.” Disse Johannes con un sorriso.
Hildr si limitò a salutarlo con un gesto della mano e un piccolo sorriso, non era in vena di addii sentimentali. Kyra, invece, le diede una leggera spinta amichevole.
“Spacca il culo a quello storpio se sarà necessario.”
“Lo farò.”
Mentre Johannes portava Kyra fuori dal palazzo, Vadim restò qualche minuto in più.
“Malgrado il complotto e i segreti, quello che provo per te è vero. Avrei voluto avere una possibilità con te, Hildr.”
“Per me esiste solo Ivar. Non c’è spazio per nessun altro.”
Vadim sospirò, sebbene sapesse di andare incontro all’ennesimo rifiuto. Le diede un bacio sulla guancia e le accarezzò il mento.
“Addio, mio splendido angelo.”
 
“La freccia si è conficcata perfettamente nel petto. Ho una mira eccellente!”
Igor stava ripetendo per la centesima volta il momento in cui aveva ucciso Oleg. Ivar continuava a ridere e a complimentarsi, si prendeva una pausa solo per bere. Hildr si era accucciata vicino al fuoco ed era rimasta quieta, era spossata e non aveva voglia di parlare.
“Hildr, saresti stata fiera di me.” disse ancora Igor.
Lei sorrise senza dire niente, era a corto di parole. Ivar si era accorto del suo umore cupo, quindi decise di affrontare la questione.
“Igor, per favore, prendimi altro vino.”
Dopo che il ragazzino si fu allontanato, Ivar versò il vino nel fuoco per svuotare il bicchiere.
“Qualcosa non va? Non dici niente da quando abbiamo lasciato Kiev.”
“Sto riflettendo.”
Le fiamme brillavano negli occhi scuri di Hildr, era come fuoco che galleggia su un mare in tempesta.
“Vorrei essere partecipe delle tue riflessioni.”
“Sento che sta per accadere qualcosa di terribile. Ho questa sensazione che mi opprime.”
“Ti sei lasciata suggestionare troppo dalla Nix.”
Ivar cominciava a essere preoccupato perché, se lei aveva quei timori, era probabile che davvero una calamità stesse per abbattersi su di loro.
“Vedere i defunti è un presagio di morte, Ivar. Non possiamo sottovalutare la cosa.”
 “Magari non siamo noi le vittime del presagio. Magari morirà qualcun altro.”
Hildr gli rivolse uno sguardo torvo, quell’ottimismo alimentava la rabbia.
“Ivar …”
Ivar scosse la testa e la prese per mano, bloccando il flusso di parole.
“Ascoltami tu, Hildr. Noi torneremo a Kattegat, ci sposeremo e regneremo come abbiamo progettato. Una volta ti ho detto che siamo noi a riscrivere il nostro destino, questo è il momento per farlo. Siamo indissolubili come i nodi che portiamo sul corpo.”
Le abbassò la manica della giacca per mettere in mostra i nodi tatuati nella parte interna del polso.
“Hai ragione.”
Ivar le sollevò il mento con le dita e la guardò negli occhi con una tale intensità da farle venire i brividi.
“Qualunque cosa accada, anche la peggiore, io e te rimarremo insieme per sempre.”
“Insieme.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Anche questa volta avrete notato che ho combinato gli episodi della serie con eventi di mia invenzione per adattarli alla storia. Questo è stato un capitolo di passaggio, ma tenete bene a mente che alcuni dettagli sono fondamentali.
Il prossimo capitolo sarà smielato da morire, preparatevi!
Fatemi sapere cosa pensate.
Alla prossima, un bacio.
 

 

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Capitolo 5
*** Amarti e onorarti ***


5. AMARTI E ONORARTI

Un mese dopo
Ivar non credeva che il fatidico giorno sarebbe arrivato. Aveva fantasticato a lungo e più volte, ma si prospettava qualcosa di diverso da come si era immaginato. Quel giorno avrebbe sposato Hildr, la sua migliore amica, la sua fedele Valchiria, la persona più cara della sua vita. Avevano scelto di sposarsi nel mese di thrimilce perché considerato un periodo propizio in quanto l’erba era più verde e abbondante, un segno positivo. Sebbene fosse il suo secondo matrimonio, Ivar sentiva che questa era la volta giusta. Non aveva dormito per l’agitazione, a stento aveva mangiato e ora stendeva gli abiti meglio che poteva affinché non fossero stropicciati.
“Ivar, posso entrare?”
“Certo, fratello.”
Hvitserk entrò con un pacco sotto il braccio, la pelle che lo avvolgeva era morbida e lucida.
“E’ appena arrivato. Cos’è?”
Ivar prese il pacco e lo aprì per assicurarsi che il contenuto fosse integro. Aveva faticato per ottenerlo ma ne era valsa la pena.
“E’ un regalo per Hildr. Mi è costato due navi e un gregge di pecore, però non importa.”
“Due navi per un regalo? Mi sembra esagerato.” Disse Hvitserk.
“Niente è esagerato quando si tratta di Hildr. Sei andato dal fabbro? La spada deve essere perfetta.”
Ivar aveva programmato ogni singolo dettaglio. Quella giornata doveva essere spettacolare a tutti i costi, non erano concessi errori o ritardi.
“Ora vado dal fabbro. Ci vediamo in spiaggia?”
“Sii puntuale. La cerimonia inizia a mezzogiorno.”
Hvitserk non capiva l’entusiasmo del fratello, del resto si era già sposato e avrebbe dovuto essere più rilassato. Senza porsi altre domande, si incamminò verso la bottega del fabbro per non incappare nell’ira di Ivar se avesse fatto tardi.
 
Quando Isobel andò a casa di Hildr, quella che Ivar aveva costruito per lei, rimase delusa. Si aspettava che l’amica fosse già in piedi, invece dormiva beatamente; ogni tanto russava pure.
“Hildr! Andiamo, svegliati! Forza!”
Hildr si sentì scuotere per il braccio, ma continuò a dormire. Si stava così bene sotto le coperte che non avrebbe mai voluto lasciare il letto.
“Hildr! Oggi ti sposi! Svegliati!”
Isobel non andò per il sottile, non c’era tempo da perdere. Saltò addosso all’amica e la prese dalle spalle per scuoterla. Hildr aprì gli occhi e sbuffò, indifferente al peso di Isobel addosso.
“Non si può mai dormire in pace.”
“Come fai a dormire quando fra due ore ti sposi? Abbiamo tantissime cose da fare. Devi farti il bagno, devi indossare l’abito, devi sistemarti i capelli, dobbiamo ritirare la nuova spada.”
“Ho il tempo per uno spuntino?” domandò Hildr, la voce assonnata.
“Mangerai al banchetto, ora muoviti!”
Hildr si mise seduta e si sfregò gli occhi, però il sonno non voleva svanire. Il suo stomaco brontolava, quindi si alzò per mangiare una mela e scolarsi un boccale di acqua.
“Che hai detto che devo fare?”
Isobel spalancò la bocca, era surreale l’indifferenza della vichinga.
“Ma ti ricordi che giorno è oggi?”
Hildr addentò la mela e fece spallucce, non capiva tutta quell’ansia. Era ancora troppo stordita dal sonno per connettere con la realtà. Pian piano notò un abito appeso alla porta, una ghirlanda sul tavolo e un paio di orecchini luccicanti.
“Per tutti gli dèi, oggi mi sposo!”
Isobel sospirò per il sollievo, ora era certa che l’amica fosse sveglia. Ricordava ancora l’emozione di quando aveva sposato Hvitserk, all’epoca lo amava e credeva che sarebbero invecchiati insieme. La vita, però, sa essere imprevedibile e spesso divide le strade di chi si è unito.
“Temevo lo avessi dimenticato. Tu fatti il bagno, io vado a ritirare la spada.”
“Ai vostri ordini, generale!” scherzò Hildr.
Isobel alzò gli occhi al cielo e si precipitò a Kattegat per l’appuntamento con il fabbro. La cerimonia vichinga richiedeva che gli sposi facessero voto di matrimonio usando delle spade, ecco perché il fabbro aveva lavorato senza sosta per realizzare le armi più belle di sempre.
“Isobel, buongiorno!” esclamò il fabbro.
“Buongiorno a te, Galmr. E’ pronta la spada?”
“E’ pronta ed è una meraviglia.”
Galmr le mostrò la spada più spettacolare che avesse mai visto. La lama era piatta e ben affilata, ornata su entrambi i lati da rune di buon augurio. L’elsa era fatta di metallo coperto da inserti di ambra, un omaggio alla pietra preferita di Hildr. Alla luce del sole si accorse che la lama era percorsa da una scritta incisa a caratteri sottili. Ormai viveva a Kattegat da un anno ma faceva ancora fatica a imparare la lingua; era più facile parlarla che leggerla.
“Che cosa significa questa frase?”
“Significa ‘l’amore cancella le distanze’, lo diceva sempre mia madre.” Rispose Hvitserk.
Isobel non lo degnò di uno sguardo, sforzandosi di rimanere impassibile. Riconsegnò la spada a Galmr perché la incartasse.
“Perché sei qui? Eravamo d’accordo che fossi io a ritirare la spada.”
“Lo so, ma è l’unico modo per vederti. Faccio il possibile per poterti parlare.”
Hvitserk si avvicinò e Isobel indietreggiò, era ancora ferita dal suo tradimento per perdonarlo.
“E’ la sposa che porta la spada, quindi puoi anche andartene. Qui me la sbrigo io.”
“Isobel, ti scongiuro, dammi la possibilità di spiegarti.”
Isobel ritirò la spada e la puntò contro Hvitserk, sebbene fosse custodita dalla pelle e quindi innocua. Il gestito serviva a rendere chiara la sua posizione ostile.
“Non abbiamo nulla da dirci. Hildr ha ragione quando dice che sei stupido e inutile, lo hai dimostrato più volte. Ti tollero solo perché sei il padre di Aila, ma da me non avrai niente di più.”
“Isobel, ti prego …”
Isobel gli diede le spalle e andò via senza voltarsi, anche se sentiva un peso opprimerle il petto.
 
“Ahia! Non tirare così forte!” si lamentò Hildr.
Dopo aver fatto il bagno e aver mangiato altre due mele, si era seduta davanti allo specchio per lasciare che Isobel la preparasse. Sul tavolino davanti a sé giaceva la collana di sua madre, quella con il pendolo di ambra, e Hildr la strinse fra le mani. Era strano pensare che si sarebbe sposata senza i suoi genitori, eppure quel giorno era arrivato e lei non riusciva ad essere totalmente felice. C’era qualcosa che non andava, lo sentiva fin sotto la pelle. L’incontro con la Nix a Samsø aveva stravolto la sua prospettiva, aveva messo in agitazione il suo animo. Era convinta che gli dèi le stessero inviando un messaggio, difficile era decifrarlo.
“Ho finito. Ora puoi guardarti!” disse Isobel, battendo le mani.
Hildr tornò alla realtà e scosse la testa, era una giornata importante e le preoccupazioni non erano ammesse. Quando si guardò allo specchio, quasi non si riconobbe. La cerimonia vichinga prevedeva che la sposa portasse i capelli sciolti giacché rappresentava l’ultimo baluardo della sua vita da nubile. Le lunghe ciocche nere erano lisce sulla schiena, alcune erano adornate da piccole pietre bianche. Sulla testa era posta una coroncina di fiori e di nastri rossi, simile a quella che aveva indossato Aslaug quando aveva sposato Ragnar.
“Grazie, Isobel. I miei capelli sembrano decenti adesso.”
Isobel rise, anche se in effetti quella semplice acconciatura era costata un pettine rotto per via dei nodi di cui Hildr non si curava.
“E’ il momento di indossare l’abito. La sarta ha fatto un lavoro egregio, è stupendo.”
Hildr non era appassionata di abiti, aveva sempre indossato casacca e calzoni per muoversi con agilità, ma doveva ammettere che quello era davvero un capolavoro di sartoria. Si trattava di una tunica bianca di base su cui andava indossata una giacca color oro lunga e
con le maniche svasate. La giacca aveva intarsi blu notte lungo le cuciture e una cinta in vita dello stesso colore. A completare il tutto c’erano gli orecchini a forma di conchiglia e la collana di ambra. Erano tessuti pregiati, lavorati con cura a mano, e l’attenzione alle minuzie era strabiliante. Gli intarsi, infatti, erano rune di amore e fortuna che si alternavano.
“Come sto?” chiese Hildr, facendo una giravolta.
Isobel si commosse e sfoggiò un ampio sorriso. Era la sposa più bella che avesse mai visto.
“Come direbbe Ivar, sei più bella di Freya.”
“Difatti Ivar si sbaglia. Fosse stato per me, mi sarei sposata in mezzo al bosco con la tenuta da battaglia.”
“Hildr, prova ad essere vagamente romantica almeno oggi.” La rimproverò Isobel.
Hildr ridacchiò, consapevole che la dolcezza non era una caratteristica che possedeva. Qualcuno bussò alla porta e Isobel aprì, trovandosi di fronte una giovane donna in abiti eleganti.
“Mia signora, è ora di andare.” Disse Sigrid.
Hildr si diede un’ultima controllata allo specchio. Sospirò, l’ansia che iniziava a farsi sentire.
“Sono pronta.”
 
Ivar aveva deciso di svolgere il rito in spiaggia nell’esatto punto dove si erano sposati in passato Floki ed Helga. Hildr aveva accettato subito la proposta, per lei era importante ripercorrere i passi dei suoi zii.
“Smettila di muoverti come un cane con le pulci.” Disse Hvitserk, sgranocchiando una noce.
Ivar proprio non riusciva a stare fermo. Continuava a sistemarsi la giacca e i capelli, faceva scricchiolare le dita della mano, disegnava cerchi nella sabbia con la stampella.
“Voglio solo che sia tutto perfetto, io compreso.”
Tutta Kattegat si era radunata in spiaggia per assistere alla cerimonia, pertanto il ragazzo sperava che le cose filassero lisce. Già era il suo secondo matrimonio e la gente spettegolava, ci mancava l’ennesimo fallimento e il suo cuore si sarebbe spezzato per sempre.
“Ci siamo.” Disse Hvitserk.
Il corno suonò per annunciare l’arrivo della sposa. Ivar sentì il respiro mancargli, le emozioni si dibattevano in lui come farfalle intrappolate. Intravide Hildr che superava la cunetta per scendere in spiaggia, era accompagnata da Isobel e Sigrid. Notò subito la sua chioma nera come il manto di un corvo.
“Ivar, va alla tua postazione.” Gli disse la sacerdotessa.
Per officiare la cerimonia era stata chiamata una delle sacerdotesse nate a Kattegat e che poi aveva viaggiato in cerca dei luoghi sacri agli dèi. Ivar raggiunse l’altare, ovvero un banchetto di legno sotto un arco decorato da nastri bianchi e fiori, e si mise in attesa.
 
A un certo punto Isobel si staccò da Hildr per precederla e porta la spada forgiata. In verità, spettava ad un consanguineo quell’azione, ma Hildr non aveva altri parenti in vita e quindi la scelta era ricaduta sulla persona più vicina a lei. Da lontano riconobbe la figura di Ivar, vestito di blu e oro come lei. Indossava un mantello e un’ascia alla cintola in onore di Thor.
“Sigrid, dammi la mano.” Bisbigliò Hildr.
La ragazza, per la quale era un immenso privilegio accompagnare la futura regina all’altare, le strinse la mano per rassicurarla.
“Andrà tutto bene, mia signora.”
Hildr voleva scappare, rifugiarsi nei boschi e accucciarsi dietro un albero. C’era l’intera città a presenziare, facce verdi di invidia e altre rabbiose; poche erano le persone emozionate. Piantò i piedi nella sabbia, bloccando anche Sigrid. Ivar inclinò la testa nel tentativo di capire quella interruzione.
“Hildr, cammina. Non essere ridicola.” Sussurrò Isobel.
“Qualcosa non va?” chiese la sacerdotessa.
Il silenzio avvolse la spiaggia, soltanto la brezza marina spezzava l’atmosfera. Hildr sentiva i battiti del cuore nelle orecchie, temeva che esplodesse da un momento all’altro. Si calmò solo quando guardò l’espressione triste di Ivar. Non poteva lasciarlo lì da solo.
“Procediamo.”
Sigrid la scortò fino all’altare e Isobel si posizionò alla sua sinistra come testimone. Quando Hildr osò alzare lo sguardo, Ivar stava sorridendo raggiante. Poche volte lo aveva visto così felice.
“Stavi scappando, vero?”
“Taci, Ivar. Non vorrei darti un pugno in faccia proprio oggi.”
Ivar ridacchiò, finalmente la tensione si stava sciogliendo un poco.
“Sei incantevole. Freya è nulla paragonata a te.”
Hildr era troppo nervosa per replicare, quindi si girò verso la sacerdotessa e annuì per incominciare il rituale.
“Prima della cerimonia ho sacrificato una capra per Thor e ne ho raccolto il sangue per garantire fertilità e gioia a questa coppia.”
La sacerdotessa sollevò la scodella in modo che i presenti la potessero vedere, dopoché intinse un mazzetto di ramoscelli d’abete e schizzò il sangue sugli sposi e sugli invitati.
“Ora che gli sposi si scambino le spade!”
Come stabilito dal rituale, il giorno prima Ivar aveva recuperato una delle spade di Ragnar seppellite nella sua tomba. Prese dunque l’arma, ne baciò la lama segnata da tante battaglie e la donò a Hildr. La ragazza a sua volta gli donò la spada forgiata quella mattina. Ivar sorrise nel leggere la frase incisa.
“L’amore cancella le distanze.”
“Nella speranza di restare sempre vicini.” Disse Hildr con un sorriso.
La sacerdotessa prelevò le spade, le benedisse con il sangue restante nella scodella e le depose da parte. Innalzò le braccia al cielo come a voler richiedere l’intervento degli dèi e chiuse gli occhi per maggiore solennità.
“Gli dèi hanno riunito tutti noi in questo giorno sacro per assistere all’unione di due anime e di due corpi. Per volere degli Aesir, procediamo con lo scambio degli anelli.”
Sigrid infilò gli anelli nella punta della spada di Ivar e la sacerdotessa allungò l’arma verso gli sposi.
“Durante lo scambio pronunciate il giuramento.”
Ivar per primo afferrò l’anello, prese la mano di Hildr e ne baciò il dorso. Le infilò la fascia all’anulare e chinò il capo.
“Sei sangue del mio sangue, ossa delle mie ossa, ti dono il mio corpo così noi due saremo uno, ti dono il mio spirito fino alla fine della nostra vita.”
Poi fu il turno di Hildr, che sfilò l’anello dalla spada e lo fece scivolare all’anulare di Ivar.
“Ora siamo reciprocamente legati da una promessa non facile da spezzare, impareremo insieme a crescere in saggezza e in amore affinché la nostra unione sarà forte e durevole in questa e nella prossima vita.”
La sacerdotessa prese la spada e rivolse la punta a terra, il sangue iniziava a seccarsi sulla lama.
“Mettete le mani sull’elsa per l’ultima parte del rito.”
Hildr e Ivar unirono le mani sull’elsa, le loro dita si incastrarono alla perfezione. La sacerdotessa schizzò altro sangue sulle loro mani congiunte per l’estrema benedizione.
“Per volere di Odino e con la benevolenza di Freya, io vi dichiaro marito e moglie.”
“Ora baciatevi!” esclamò Isobel.
L’attimo dopo Ivar attirò Hildr a sé per baciarla, suggellando quella promessa di matrimonio per sempre. E mentre intorno a loro esplodevano applausi e fischi, Freya con la sua mano invisibile consacrava la nuova coppia.
 
Hildr si sentiva soffocare per il caldo eccessivo. La sala reale era gremita di gente, alcuni bevevano, altri giocavano a dadi e altri ancora danzavano. L’atmosfera si era fatta asfissiante, e di certo la giacca dell’abito era fin troppo stretta per respirare.
“Esco un momento.” Disse, sventolandosi la mano sul viso.
Isobel, che stava allattando Aila, annuì e la seguì con lo sguardo. Ivar aveva visto la scena, perciò si congedò dal gruppo con cui stava parlando per tornare a tavola.
“Che ha?”
“E’ uscita. Va da lei.” disse Isobel.
Ivar uscì in terrazza, le torce illuminavano il cammino. Hildr era di spalle, poggiata al parapetto, con la testa rivolta al cielo.
“Freya, sei tu?”
Lei rise senza voltarsi, riconoscendo subito quella voce.
“Smettila, idiota.”
Ivar l’affiancò e le diede una leggera spallata, non smetteva di sorridere.
“Come desiderate, regina Hildr.”
“Non chiamarmi così. Suona così … strano.”
“Suona benissimo.” Replicò lui, facendo l’occhiolino.
“Lo sapevo che lo avresti detto.”
Hildr si mise una ciocca dietro l’orecchio e ridacchiò.
“Perché sei uscita?”
“Perché faceva troppo caldo dentro, e questo vestito mi soffoca.”
“Non è che stai cercando di scappare? Stamattina mi hai fatto preoccupare.”
Hildr sospirò, non poteva fingere di non aver pensato alla fuga poche ore prima.
“Stamattina volevo scappare. Il matrimonio, il trono, il potere, sono cose lontane da me.”
“Lo so che fai tutto questo per me, Hildr. Lo so che resti al mio fianco perché lo hai promesso a Odino e a Ragnar. Io te ne sono molto grato.”
Ivar sapeva che quel matrimonio era il risultato di un giuramento, sapeva che Hildr era leale e che mai avrebbe infranto ciò che aveva giurato.
“Ivar, io voglio essere tua moglie e starti accanto, ma non volevo che fosse coinvolto anche il trono. Lo sai che ho sempre desiderato una vita semplice insieme a te, magari in una bella casetta lontana da tutto.”
Hildr gli accarezzò le nocche e fece incastrare le loro dita. Ivar abbozzò un sorriso malinconico.
“Vorrei darti tutto ciò che desideri, ma quel trono è nostro. Meritiamo di regnare su Kattegat.”
“Meritiamo di essere felici, Ivar. Conta solo questo.”
La sete di potere di Ivar offuscava il suo giudizio, spesso non era in grado di vedere al di là del trono. Lo aveva voluto e se l’era preso, ora meritava di regnare.
“Tu mi rendi felice, Hildr.”
“Amore e potere non vanno mai d’accordo.” Disse Hildr.
Floki ed Helga avevano vissuto un amore felice e puro perché non erano stati contaminati dal potere, mentre Ragnar aveva più volte tradito le sue mogli perché accecato dal suo status di re.
“L’amore cancella le distanze.” Sussurrò Ivar.
Hildr sorrise, non riusciva a resistere al romanticismo smielato di Ivar. Se lei era salda come una roccia, lui era magmatico come lava.
“Ti odio quando sei melenso.”
Ivar le stampò un bacio sulla bocca e uno sul naso.
“Non è vero, mi adori quando sono melenso. E sappi che le sorprese non sono finite qui!”
“Ivar, che cosa hai combinato?”
“Oh, lo vedrai e resterai a bocca aperta!”
 
Ivar aspettava in corridoio da circa mezz’ora, iniziava ad essere irrequieto. La parte finale della cerimonia di matrimonio stabiliva che la sposa tornasse in camera con la sua testimone per prepararsi alla notte. Isobel comparve sulla soglia pochi minuti dopo con un sorriso soddisfatto.
“Abbiamo finito. Puoi entrare. Buonanotte!”
Ivar la salutò con un cenno della testa, d’improvviso era nervoso e gli sudavano le mani. La prima notte di nozze lo terrorizzava. Hildr era una donna ed era in perfetta forma, magari avrebbe voluto passare la notte come una qualsiasi coppia normale. Le paure di Ivar si dissiparono quando, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, vide Hildr seduta per terra a mangiare un pezzo di pane alle noci.
“Stai ancora mangiando?”
“Fuefto fane è fuoniffimo!” disse lei masticando.
Ivar scoppiò a ridere, ogni dubbio che si scioglieva davanti a quella scena comica.
“Puoi lasciare il pane e venire qui?”
Hildr a malincuore abbandonò il piatto sul tavolo e andò da lui, che stava rovistando nella giacca in cerca di qualcosa.
“Che c’è?”
Ivar estrasse un panno di pelle nera e lo depositò nelle mani della ragazza.
“Aprilo, è per te. E’ un regalo da parte mia.”
Hildr rimase sbigottita quando vide cosa si celava nel panno: era una splendida collana a girocollo di metallo prezioso decorato da pietre rotonde di ambra.
“Ivar, questo è un …”
“E’ un brísingamen simile a quello di Freya.”
Il brísingamen era un gioiello che i nani avevano forgiato appositamente per Freya, era uno dei simboli con cui la dea veniva identificata. Nessuna donna aveva mai osato indossare un gioiello simile.
“Tu sei pazzo! Ti sarà costato una fortuna … io … non posso accettarlo.”
“Certo puoi, anzi devi! Hildr, meriti questo e altri mille gioielli. So che non sei il tipo che indossa monili, ma questa collana è perfetta per te.”
“Tu hai la testa bacata, Ivar.”
Ivar prese il brísingamen con cautela, fece voltare Hildr e le appuntò il gioiello al collo.
“Sei splendida.” Le disse, baciandole la spalla.
“Devo aspettarmi altre folli sorprese?”
“Solo un’altra.”
Ivar si sbottonò la camicia e le indicò un segno sul petto. Sotto il tatuaggio dei nodi ce n’erano due nuovi: il nome di Hildr e accanto una freccia la cui punta era rivolta verso il cuore.
“Sei definitivamente pazzo. Tatuarti il mio nome? Che cosa stupida!” disse Hildr, ridendo.
“E’ una cosa romantica. E poi, dico sempre che sei letale e tagliente come una freccia.”
Hildr era arrossita, sebbene tentasse di mascherare l’imbarazzo. Quei gesti plateali di Ivar la stupivano ogni volta. Se anni addietro lo aveva considerato solo il suo migliore amico, adesso considerarlo suo marito era una sensazione strana ma bella.
“Io non ti ho fatto nessuna sorpresa, mi dispiace. Pensavo che non fosse necessario.”
“Hai accettato di diventare mia moglie, questo è un immenso regalo.” Sussurrò Ivar.
“Non ho accettato, diciamo che me lo hai imposto chiedendomelo davanti a tutti!”
Hildr si scostò da lui e si avvicinò al tavolino per bere, anche se continuava a sghignazzare per l’espressione offesa di Ivar.
“Con te spesso ci vuole il pugno di ferro altrimenti mi scivoli via dalle mani.”
“Ivar Senza Ossa, re di Kattegat, flagello dell’umanità, che ha paura di una semplice shieldmaiden! Uh uh!”
Ivar ridacchiò, confortato nel sapere che quella giocosità nel loro rapporto non era cambiata negli anni.
“Non prenderti gioco di un povero uomo che soffre per amore.”
Hildr si appoggiò al bordo del tavolino, un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. I capelli neri come inchiostro erano in netto contrasto con il bianco candore della camicia da notte.
“Spogliati.”
“Come, scusa?” fece Ivar, confuso.
“Spogliati e stenditi sul letto.”
“Hildr …”
Lei si morse le labbra, la lussuria baluginava nei suoi occhi scuri.
“Spogliati, Ivar. Voglio vederti nudo.”
Ivar ebbe un momento di incertezza, poi ricordò a se stesso che quella era Hildr e che non doveva provare nessuna vergogna. Si tolse la casacca, si liberò dei supporti alle gambe e indugiò sui calzoni. Lei lo fissava con interesse e malizia, questo diede l’impulso al ragazzo di togliersi anche l’ultimo indumento.
“Contenta?” chiese lui, nel tentativo di smorzare la propria ansia.
Hildr lo osservò con attenzione, ammirando ogni singolo muscolo che rivestiva le spalle, il petto e l’addome. I tatuaggi si rincorrevano sulla pelle in nere linee intricate, rune e simboli, parole di buon auspicio, e i due nodi sul pettorale sinistro. Il suo sguardo scese fino alle gambe, che Ivar cercava di nascondere con le braccia. La cosa assurda era che Hildr amava anche quegli arti diversi, non erano un difetto bensì un punto di grande bellezza.
“Molto contenta.”
Ivar si irrigidì sotto lo sguardo di Hildr, detestava che qualcuno guardasse le sue gambe malate. Eppure negli occhi della ragazza non c’era indiscusso, c’era solo amore.
“Hai intenzione di lasciarmi qui tutto solo?”
Hildr si tuffò letteralmente sul letto, facendo svolazzare le coperte. Ivar si tirò con le braccia indietro fino a poggiare la schiena alla parete.
“Ci conosciamo da quattordici anni.” disse lei, pensierosa.
“Ci sopportiamo da quattordici anni.” la corresse Ivar.
Si misero a ridere entrambi, spezzando quella malinconia che stava avendo la meglio. Hildr gli strinse la mano e si accoccolò a lui.
“Se penso alla mia vita, vedo te in ogni singolo momento. Tu ci sei sempre stato.”
“E ci sarò per sempre. Te lo prometto.”
Ivar si chinò a baciarla, un modo per rasserenarla. Loro non si sarebbero mai divisi, cascasse il cielo su Midgard.
“Anche io prometto che ci sarò per sempre.” bisbigliò Hildr.
I minuti successivi trascorsero in silenzio, ognuno perso nella propria testa. Poi fu Ivar a mettersi sul fianco e a tracciare con l’indice il contorno delle labbra di Hildr.
“Perché sono l’unico senza vestiti? Non mi sembra corretto.”
“Perché tu obbedisci agli ordini della regina.” Rispose lei con fare teatrale.
“E cosa desidera ora la mia regina?”
Hildr gli cinse la nuca con la mano e lo attirò in un bacio carico di dolcezza. Alle volte era strano baciare il suo migliore amico, il ragazzo con cui era cresciuta, ma ogni bacio era la riprova di quanto fossero forti i loro sentimenti. La mano di Ivar scivolò con delicatezza lungo la schiena di Hildr, infilandosi nei capelli, per arrivare a tirare i lacci sul davanti della camicia da notte; una lenta ma piacevole tortura. Quel semplice bacio ora era diventato un groviglio di pura passione, un gioco di labbra e di lingue che cresceva di intensità. Le dita della ragazza si serrarono sulla treccia di Ivar come quando impugnava la sua spada e sciolse l’acconciatura intricata, lasciando che i capelli ricadessero liberi sulle spalle. Se Ivar era bello con i capelli intrecciati come soleva la tradizione vichinga, era ancora più bello con le ciocche sciolte.
“Ivar …” sussurrò Hildr.
Lui la guardò con un fuoco negli occhi che avrebbe potuto farla bruciare all’istante. Ivar stava ansimando sulle sue labbra, provocandole una caterva di brividi in tutto il corpo.
“Che c’è?”
“Ti amo.”
Lei non era il tipo di persona che pronuncia le famose paroline molto spesso, perciò quelle rare occasioni erano speciali. Fra i due Ivar era sempre stato quello più aperto in fatto di sentimenti.
“E io amo te.” ribatté lui con un sorriso.
Hildr gli accarezzò le labbra e poi fece scendere la mano sul mento, sul petto tatuato e giù fino a toccare i muscoli sodi dell’addome. Ivar reagì con un respiro brusco, le dita sottili della ragazza erano come fiamme sulla pelle. Hildr gli scivolò sopra, mettendosi a cavalcioni senza fargli male alle gambe; ogni gesto era così accorto che era in conflitto con la furia che aveva in battaglia. Ivar le sfiorò il collo e lei ne approfittò per stringergli la mano, baciando ciascuna nocca. La fede, una semplice fascia metallica, era incisa all’esterno con i loro nomi.
“Ivar, giurami che niente e nessuno ci separerà. Non voglio che il potere corrompa il nostro rapporto.”
Ivar amava il potere, lo bramava sin da quando era bambino e tutti lo sottovalutavano per la sua disabilità. Ma amava anche Hildr, forse l’amava da quando era entrata in casa sua con le guance sporche per via dell’incendio. Cosa desiderava di più, Hildr o il potere?
“Te lo giuro.”
Prima che Hildr potesse fare altre domande, lui la zittì con un bacio. Insinuò le mani sotto la camicia da notte per liberarsene, voleva sentire la sua pelle contro la propria. Sospirò quando si trovò il seno nudo di Hildr sotto gli occhi. A volte stentava a credere che tutta quella bellezza appartenesse solo a lui.
“Vedi qualcosa che ti interessa, Ivar?”
“Decisamente sì.”
Ripresero a baciarsi con maggiore foga finchè non furono un intrico accaldato di corpi. Un bacio inghiottiva un gemito, una mano toccava pelle bollente, e così via. Ivar emise un gemito gutturale quando Hildr incominciò a muovere i fianchi, strofinandosi contro di lui.
La notte proseguì ricca di amore e lussuria, con mani che toccavano punti deboli e caldi e sguardi lascivi.  
 
Ivar si svegliò di soprassalto, aveva avuto un incubo di cui non ricordava molto. Accanto a lui Hildr dormiva serena, avvolta nel calore delle coperte. La luce di un nuovo giorno albeggiava sul mare, inondando Midgard con i suoi primi raggi. Guardò fuori dalla finestra e a stento trattenne una imprecazione. Il Veggente lo fissava con i suoi bulbi oculari neri e vuoti, eppure capaci di scorgere immense verità. Si rivestì in fretta e con la stampella zoppicò fino al balcone, lontano il più possibile da Hildr.
“Perché sei qui?”
“Perché ho visto. Ho visto, Ivar.”
“Che cosa? Parla, avanti.”
Le labbra del Veggente si contrassero in una smorfia, la sua testa ondeggiava mentre la sua mente leggeva fra le righe del mondo.
“Ho visto un manto bianco. Luci infuocate bagnate nel sangue. Ho visto cascate dagli occhi. Ho visto pezzi sparsi nell’erba. E ho visto lei.”
“Lei chi?”
Ivar trasalì quando il Veggente si voltò verso di lui con uno scatto. La sua bocca putrida tremolava.
“La Valchiria piangerà sangue e nessuno potrà impedire al Fato di spezzarle le ali.”
“Ti riferisci a Hildr?”
Il Veggente allungò la mano rugosa nel buio come se volesse afferrare la scia di verità che gli aveva trafitto la mente.
“Oh, la Valchiria giungerà sul campo per raccogliere i caduti. Giungerà e Freya spezzerà le sue ali e la sua armatura. La Valchiria giacerà al suolo, il petto trafitto da una ferita che non si risanerà.”
Ivar agguantò il braccio del vecchio, ma toccò solo l’aria.
“Hildr morirà?”
“Il corpo vivrà, ma l’animo perirà.”
Il Veggente scomparve, al suo posto un raggio di sole illuminava la pietra della dimora reale.
“Ivar? stai bene?”
Hildr si era svegliata e, avendo notando la sua assenza, si era allarmata. Ivar si sforzò di sorridere, anche se dentro stava crollando.
“Sto bene. Guardavo Kattegat con gli occhi di un re.”
La ragazza rise e scosse la testa, ignara di quella profezia che pendeva su di lei come una spada.
“Re dei miei stivali, torna a letto. E’ ancora presto.”
“Ai vostri ordini, regina.”
Ivar si distese a letto e Hildr appoggiò la testa sul suo petto, ascoltando il battito accelerato del cuore.
“Il tuo corre batte davvero veloce. Davvero stai bene?”
“Batte così perché sono vicino alla mia fantastica moglie.”
Hildr gli diede un pugno sulla spalla, però doveva ammettere che tutte quelle smancerie non erano poi tanto fastidiose.
“Sta zitto, idiota.”
Ivar sorrise e la strinse forte fra le braccia. Se tutto stava per andare in malora, che almeno la stringesse ancora una volta.
 
 
Salve a tutti! ^_^

Vi avevo promesso un capitolo melenso, ma come sempre c’è qualcuno che deve rovinare l’atmosfera con le sue premonizioni. Chissà!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
- Tutti particolari relativi al matrimonio e il brísingamen sono vere, mi sono informata per bene.
- thrimilce è il mese di maggio secondo un antico calendario germanico.

 

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Capitolo 6
*** Conto in sospeso ***


6. CONTO IN SOSPESO

Cinque mesi dopo
Ivar sbadigliò senza curarsi di sembrare indisposto. Erano ore che ascoltava le lamentele dei cittadini su qualsiasi faccenda – capre rubate, il prezzo del pesce, verdura marcia – e si stava annoiando. Nel frattempo gli era anche venuto un terribile mal di testa. L’uomo che stava parlando ora stava zitto, segno che aveva concluso la sua lagna.
“Me ne occuperò io. Avanti il prossimo!”
Un ragazzo alto e robusto fece un inchino e incrociò le braccia dietro la schiena; era il figlio di un pescatore deceduto poche settimane prima a causa di una tempesta.
“Re Ivar, sono al vostro cospetto per una questione urgente.”
“Parla pure.”
Gli occhi di Ivar si focalizzarono sul tavolo alle spalle del ragazzo, un sorriso gli spuntò sulle labbra. La sera prima lui e Hildr avevano iniziato a stuzzicarsi durante la cena per poi finire dritti in camera da letto per tutta la notte. I ricordi dei loro baci erano ancora vividi e gli facevano venire la pelle d’oca.
“… quindi la Regina sta influenzando mia sorella.”
Di colpo Ivar tornò alla realtà, aggrottando la fronte verso il ragazzo.
“Hai menzionato la Regina?”
“Sì, Re Ivar. La Regina sta reclutando quasi tutte le donne di Kattegat per addestrarle al combattimento. Ora che mio padre è morto, c’è bisogno che mia sorella si sposi per sistemarsi. Non posso occuparmi sia di lei sia di mia madre con il mio modesto lavoro. La Regina sta influenza le donne, le sta convincendo che tutte loro possono essere al pari degli uomini. I matrimoni sono diminuiti negli ultimi mesi e sono aumentati i divorzi.”
Quella non era la prima lamentela. Altri uomini – fratelli, padri e mariti – si erano recati da lui per denunciare la condotta di Hildr. Sebbene Ivar fosse d’accordo con lei, doveva anche accontentare il popolo.
“La Regina influenza le donne perché un modello da seguire. Se tua sorella vuole combattere, è libera di farlo. Non devi imporle un matrimonio che non vuole. Se vuoi ricavare il denaro, ti conviene intensificare la pesca.”
“Ma io non –“
Il ragazzo si interruppe quando Ivar alzò la mano.
“Sei congedato.”
Il giovane pescatore chinò il capo e uscì con le spalle ingobbite dallo sconforto. Ivar doveva scambiare due parole con la Regina prima di sopportare altre denunce.
 
Hildr osservava lo stuolo di ragazze davanti a sé. Nei mesi precedenti un gran numero di donne aveva espresso il desiderio di diventare shieldmaiden e si erano rivolte a lei per essere addestrate. Ovviamente era stata ben lieta ad accettare ogni richiesta, anche a discapito degli uomini che iniziavano a lamentarsi.
“Tre sono le regole fondamentali di una shieldmaiden. La prima è essere una guerriera nel cuore. Potete anche spazzare il vialetto di casa, ma l’importante è avere l’animo da combattente. La seconda è lottare sempre per ciò che è giusto a prescindere dal giudizio altrui. La terza regola, importantissima, è avere rispetto per se stesse e non scendere mai a compromessi.”
“Neanche con il Re?” domandò una voce alle sue spalle.
Ivar si trascinava sulla stampella verso di lei, attento a non scivolare sulla sabbia.
“Cinque minuti di pausa.” Disse Hildr.
Mentre le ragazze rompevano le righe, lei andò da Ivar per avere un minimo di privacy.
“Che bel panorama.” Commentò lui, guardando il mare.
“Che ti serve? Non fai mai visita durante l’addestramento.”
Ivar gettò un’occhiata alla folla dietro di lei, il numero era nutrito e alcune erano donne di una certa età.
“Non mi aspettavo che un numero così elevato partecipasse all’addestramento.”
Hildr rise senza divertimento, sapeva che quella visita nascondeva una motivazione diversa.
“Non sei qui certo per complimentarti. Che succede?”
“La gente si lamenta della tua condotta, Hildr.”
“Gli uomini si lamentano della mia condotta.” Lo corresse lei.
Ivar indurì la mascella, tentava di reprimere parole velenose.
“Se tutte le donne di Kattegat vengono qui, chi resterà in città ad occuparsi della casa e dei figli? Alcune di loro aiutano i mariti al mercato.”
“Sei venuto fin qui a dirmi queste fesserie? Lo sai che non ci casco.”
Ivar le mise la mano sulla spalla e col pollice le accarezzò il mento.
“Lo sai che io sono sempre dalla tua parte. Sono contento se Kattegat si riempie di shieldmaiden, le donne sono migliori in battaglia. Il problema è che tenere a bada gli uomini sta diventando difficile. Non voglio che tu diventi il bersaglio della loro ira.”
“E tu lo sai che questa città ci odia. E’ da quando siamo ragazzini che questa gente ci sottovaluta perché ci considera uno storpio e una ragazzina. Se posso aiutare queste donne a difendersi dal pregiudizio maschile, allora sono felice di farlo.”
Ivar sospirò, proprio non riusciva a opporsi a Hildr. Ogni volta che cercava di imporsi, lei ribaltava la situazione e stravolgeva tutto.
“Sei così testarda che ti amo da impazzire.”
Hildr sorrise trionfante, era strabiliante come lui non fosse capace di resisterle.
“Perché sono fantastica e ho sempre ragione.”
“Concordo che sei fantastica, ma sul fatto che hai ragione …”
“Brutto caprone!”
Ivar rise quando Hildr gli tirò un pugno sul petto. Fece scendere la mano lungo il fianco fino a cingerle la vita per avvicinarla sé.
“Ci penso io a rimettere in riga gli uomini. Non riceverai nessun disturbo.”
“Quanto è bravo mio marito!” scherzò Hildr.
“Questo è un chiaro tentativo di corruzione.” Replicò Ivar, sorridendo.
Hildr si allungò verso di lui e lo baciò, sperando di dissuaderlo dal suo atteggiamento autoritario da re. Ivar si perdeva in ogni bacio, dimenticandosi del mondo circostante. Avrebbe affrontato Ragnarok se Hildr lo avesse continuato a baciare con quella passione.
“Ora sparisci, maritino. Io ho del lavoro da fare qui.”
“Ai vostri ordini, regina.”
Ivar rimase a guardarla con un sorriso mentre Hildr tornava a radunare le donne. Se solo avesse potuto, avrebbe fermato il tempo per tenerla con sé per sempre.
“Ah, Ivar!”
“Sì?”
“Ti amo anche io, però mi irriti lo stesso!” gridò lei, un sorrisino sulle labbra.
“Lo so, mia cara!”
 
Due giorni dopo
“Aila, sta buona. Va tutto bene.”
Isobel sentiva le braccia intorpidite, non sapeva neanche lei da quanto tempo stava cullando Aila. La bambina non smetteva di piangere, ormai aveva il viso arrossato dalle lacrime.
“Posso?”
Hvitserk emerse dal fondo del corridoio, era scalzo e aveva i capelli sciolti. Era bello come quando Isobel lo aveva conosciuto, forse anche più bello.
“Non smette di piangere. Scusa se ti abbiamo svegliato.”
“Nessun problema. Posso provarci io?”
Hvitserk allungò le braccia e Isobel gli passò la bambina. Il pianto disperato di Aila si placò con qualche carezza e qualche bacino sulla guancia paffuta.
“Non sento questo silenzio da ore.” Bisbigliò Isobel, sorpresa.
“Perché Aila vorrebbe stare di più con il suo papà.” Disse lui.
In effetti la bambina si stava addormentando fra le braccia di Hvitserk che la dondolavano; era una scena tenera.
“Lo sai che puoi stare con Aila quando vuoi.”
“Ma io voglio stare anche con te.”
Isobel abbassò lo sguardo, non era in grado di reggere gli occhi tristi di Hvitserk. Dalla camera di Ivar e Hildr provenivano delle risatine, si stavano divertendo un sacco. Anche lei in passato aveva riso con suo marito, poi in seguito al tradimento tutto si era fatto triste.
“Tu volevi stare con Bjorn. Non ti è mai importato di me.”
“Ho sbagliato a seguire Bjorn. Però devi capire che gli dèi mi hanno affidato una missione: tocca a me uccidere Ivar.”
Isobel sgranò gli occhi, quella rivelazione era inaspettata.
“Sei tornato per uccidere Ivar? Sai che Hildr non te lo permetterà mai.”
“Non lo so cosa riserva il futuro per me e Ivar, io so soltanto che sono tornato per rivedere te e la bambina. Aila è la cosa più preziosa della mia vita.”
“Aila resterà per sempre la tua bambina, ma il nostro matrimonio è finito. Mi dispiace, Hvitserk, ma tu mi hai lasciata quando avevo bisogno di te. Senza Hildr e Ivar io sarei morta. Sono in debito eterno con loro.”
Isobel ricordava bene la prima volta che aveva visto Hildr a York, sporca di sangue e con l’arco puntato sui nemici. Sembrava un angelo nero.
“Le cose cambieranno molto presto.” Disse Hvitserk a bassa voce.
“Di che stai parlando?”
Il ragazzo controllò che non ci fosse nessuno, non voleva che orecchie indiscrete ascoltassero.
“Ivar sta progettando qualcosa. So che ha inviato due uomini per convocare qualcuno a Kattegat.”
“Qualcuno chi?” volle sapere Isobel.
“Non so chi di preciso, ma è qualcuno di potente.”
Forse Hildr aveva avuto ragione sul brutto presentimento che aveva avvertito mesi addietro. Qualcosa di distruttivo stava per accadere.
 
Tre giorni dopo
Hildr quasi cadde dal letto mentre si rotolava fra le coperte. Mugugnò un’imprecazione, però rimase con il braccio quasi a terra.
“Sei tremenda. Dovresti andare in letargo come gli animali.” Disse Ivar.
“Shh, lasciami dormire ancora un po’.”
“Lo dici sempre e poi ti risvegli fra due giorni.”
Hildr dovette aprire gli occhi quando si accorse che il posto accanto a sé era vuoto. Ivar si era messo seduto e si stava massaggiando le ginocchia.
“Stai bene?” domandò con voce preoccupata.
“Sto bene. Ho solo qualche dolorino, sarà colpa dell’inverno che si avvicina.”
Ivar stava soffrendo di più negli ultimi tempi, aveva spesso attacchi di febbre e dolori lancinanti. Hildr si alzò, fece il giro del letto e si inginocchiò davanti a lui. Gli prese le mani e ne accarezzò il dorso.
“Ivar, hai le mani bollenti. Hai di nuovo la febbre?”
“Ti giuro che sto bene. Non ho la febbre. Sono soltanto accaldato, capita quando dormi accanto a una donna bella come te.”
Hildr non credette a una sola parola. La sua pelle scottava e aveva gli occhi lucidi, segni inequivocabili di febbre. Dovunque lo toccasse, fronte, guancia, braccia, sembrava bruciare.
“Rimettiti a letto. Ti preparo qualcosa per la febbre. E non si discute!”
Ivar era troppo stanco per ribattere, fingere di stare bene era ormai inutile. Si sdraiò e si coprì, posando la testa dolorante sul cuscino.
“Ho molti impegni oggi. Non posso restarmene a riposo tutto il giorno.”
Hildr intinse un panno nell’acqua fredda, dato che il secchio era rimasto fuori tutta la notte, e glielo poggiò sulla fronte.
“Stai male, Ivar. Ti sta capitando sempre più spesso. Un re malato non è di nessun aiuto.”
Ivar sorrise, era rassicurante sapere che lei si sarebbe presa cura di lui in ogni momento. Si liberò nell’aria una piacevole fragranza di camomilla mentre Hildr metteva i fiori in infusione in una scodella d’acqua.
“Hai mai pensato di fare la guaritrice? Sei brava.”
Inge, la madre di Hildr, aveva lasciato in eredità alla figlia un taccuino in cui ero annotate tutte le sue ricette curative, le piante da usare e i tempi di infusione. Era uno dei pochi oggetti che si erano salvati dall’incendio.
“Forse un giorno ci penserò. Ecco, bevi questo.”
Ivar bevve l’infuso di camomilla con calma, godendosi il buon sapore e il calore della ciotola. Hildr, intanto, aveva cambiato la benda sulla fronte per sostituirla con una più fredda. I suoi occhi erano colmi di agitazioni, e ad Ivar si strinse il cuore.
“Hildr, non fare così. Domani starò meglio. Vieni, stenditi con me.”
La ragazza si sdraiò al suo fianco e prese ad accarezzargli i capelli, ora freddi e bagnati per via della benda. C’era qualcosa che non andava in lui, quegli attacchi di febbre continui erano il segnale che c’era dell’altro sotto.
“La tua malattia sta peggiorando. Me ne accorgo, sai.”
Ivar deglutì, di colpo la camomilla era diventata amara. Si sforzò di sorridere.
“Non ti libererai di me, se è questo che credi. Ti darò il tormento ancora per molto.”
Hildr si fiondò fra le sue braccia, affondando la guancia contro il suo petto. Sentire il battito del suo cuore significava che per ora era ancora vivo.
“Il futuro è incerto.”
Ivar la strinse forte e le baciò i capelli. Fece il possibile per reprimere le lacrime.
“Il nostro futuro è insieme, mia regina.”
 
Due settimane dopo
“Pss! Pss!”
Isobel si guardò intorno per capire chi la stesse chiamando. Dietro un barile di birra spuntava la testa di Hvitserk.
“Che stai facendo là dietro? Mi segui?”
“Devo dirti una cosa.”
Con riluttanza – ma anche un pizzico di eccitazione – Isobel seguì Hvitserk fra le stradine strette di Kattegat.
“E’ successo qualcosa? E’ morto qualcuno?”
Andò a sbattergli contro quando Hvitserk si arrestò di colpo. Si massaggiò la fronte dolorante e si morse le labbra.
“Ti ricordi quando ti ho detto che Ivar ha invitato dei pezzi grossi? Beh, sono qui. Due enormi imbarcazioni sono appena entrate nel porto.”
“Sai chi sono?”
A Isobel non piacque affatto l’espressione accigliata di Hvitserk. Ogni emozione traspariva sul suo volto come fosse un libro aperto.
“Purtroppo sì. Si tratta della Regina Jorunn con suo figlio Eskol e di jarl Einer con la moglie Feima.”
“Quanto dobbiamo preoccuparci?” chiese Isobel.
Hvitserk guardò il porto, laddove una piccola folla stava accogliendo i nuovi arrivati. Floki gli aveva raccontato alcune storie sulla regina e sullo jarl che avrebbero fatto accapponare la pelle anche al forte Thor.
“Jorunn ed Einer sono famosi per essere crudeli e feroci. Se Ivar li ha invitati significa che c’è una guerra all’orizzonte.”
“Dobbiamo avvisare subito Hildr.”
 
Hildr sollevò la propria spada in modo che tutte le donne presenti potessero vederla. Conficcò la punta nella sabbia e tratteggiò dei disegni confusi.
“Scegliere la vostra arma di battaglia non è facile. Dovete tenere a mente fattori importanti: il peso, il metallo e l’aderenza. Se l’arma pesa più di voi, sarete in svantaggio. Se il metallo è scadente e si frantuma, sarete in svantaggio. Se la mano non aderisce bene, sarete in svantaggio. Ogni svantaggio vi avvicina sempre di più alla morte.”
“Come facciamo a capire qual è l’arma giusta?” domandò una ragazza in prima fila.
Hildr le offrì la spada e, quando la ragazza la prese, le scivolò di mano.
“Avete visto? L’arma è scivolata perché la mano della vostra compagna non aderisce bene all’elsa. Inoltre, la spada pesa troppo per lei che è così minuta. Scegliere l’arma giusta è una questione di istinto, la troverete solo quando ce l’avrete in mano.”
Un’altra ragazza alzò la mano e Hildr fece un cenno con la testa per concederle la parola.
“E voi come avete capito che la vostra arma di battaglia è l’arco?”
“Ho preso l’arco, l’ho imbracciato e ho scoccato una freccia. Era stabile sulla spalla, la mia mano era ferma e il mio sguardo era vigile. Così ho realizzato che sarebbe stata la mia arma.”
“Mia signora, il principe vi cerca.” Disse Sigrid.
Hildr si voltò e vide che Isobel e Hvitserk si sbracciavano per farsi notare. Era così strano vederli insieme, dunque doveva essere capitata una sventura.
“Per oggi abbiamo finito. Ci vediamo domani, e nel frattempo pensate alla vostra arma.”
Dopo aver risalito la collina di sabbia, Isobel si precipitò per afferrare la mano di Hildr.
“Vieni subito al porto. Ci sono ospiti.”
“Ospiti? Non ne sapevo niente.”
Hvitserk prese l’altra mano e la strattonò verso Kattegat, mentre Isobel la guardava con gli occhi preoccupati.
“Jorunn ed Einer sono qui.”
Sulla regina e sullo jarl circolavano svariate voci, una delle tante era quella di Floki che aveva raccontato a Hildr la ferocia di quei personaggi.
“Padre degli dèi, proteggici tu.”
 
Ivar sedeva sul trono mentre gli ospiti gli porgevano i consueti saluti. La regina Jorunn non si era inchinata, non era da lei, ma aveva comunque sfoggiato il sorriso più cortese che avesse in serbo. Einer e la moglie, invece, si inchinarono e offrirono al nuovo re una cesta di doni. L’ultimo a salutare Ivar fu Eskol, un ventenne dalla corporatura muscolosa e un tatuaggio sulla tempia.
“E la regina dov’è? Ho saputo che possiede una grande bellezza.”
Ivar strinse i braccioli del trono, anche se avrebbe voluto serrare le mani intorno al collo del ragazzo. Eskol era in età da matrimonio e quella curiosità nei confronti di Hildr era allarmante.
“La regina è molto bella, ma soprattutto è letale. Non le piace chi le dà fastidio.”
Come se fosse stata evocata, Hildr irruppe nella sala in compagnia di Isobel e Hvitserk.
“Oh, eccola! Salve, regina Hildr.” Disse Einer con un inchino.
Hildr non lo degnò di uno sguardo, la sua attenzione era rivolta solo ad Ivar.
“Mi sono persa qualcosa? Non mi aspettavo ospiti tanto … illustri.”
Ivar captò nella sua voce la rabbia ma non era il caso di fare una scenata. A fatica si mise in piedi e raggiunse la ragazza, dunque le circondò i fianchi col braccio.
“Gentili ospiti, sono onorato di presentarvi Hildr. Mia moglie, regina di Kattegat e comandante dell’esercito.”
“Quante qualità in un corpicino così piccolo.” Disse Jorunn con sarcasmo.
“Nella botte piccola c’è buon vino!” esclamò Einer ridendo.
Hildr non rise, sentiva i muscoli paralizzati dalla rabbia. Ivar rafforzò la presa su di lei per non farla scalpitare.
“Hildr è giovane, ma vi assicuro che è davvero eccezionale.”
“Io non ho dubbi.” Disse Eskol, un sorriso malizioso sulle labbra.
Hildr gli lanciò un’occhiataccia disgustata, quel ragazzo le faceva rivoltare lo stomaco.
“Perché i nostri gentili ospiti sono a Kattegat?”
“Per la guerra.” rispose Jorunn.
Ivar avvertì ogni muscolo di Hildr irrigidirsi, la collera vibrava in ciascuna fibra del suo corpo.
“Quale guerra? Non capisco.”
“Chiariremo tutto a cena con una festa per celebrare l’arrivo dei nostri amici.” Disse Ivar.
Una serva accompagnò l’entourage nelle proprie stanze, lasciando i due regnanti da soli. Hildr si staccò da lui e gli diede uno spintone.
“Stupido imbecille! Che cosa hai fatto?”
“Ho fatto quello che serve, Hildr. E ora preparati per la festa, indossa qualcosa di appropriato per una regina.”
La voce di Ivar era farcita di autorità, un tono che raramente aveva usato con lei.
“Perché stai rovinando tutto, Ivar?”
“Ne parliamo dopo, ora va a cambiarti.”
Il cuore del giovane Re si spezzò mentre guardava la ragazza lasciare la sala del trono con espressione afflitta. Per ogni ferita che procurava ad Hildr, ne procurava una identica a se stesso. Era un circolo vizioso di amore e dolore.
 
Hildr fece il suo ingresso nella sala reale a festa cominciata. Tutti gli invitati erano seduti e stavano già bevendo, chiacchierando e ridendo. Al capo del tavolo era seduto Ivar, con gli ospiti speciali accomodati di fronte per conversare meglio. Hvitserk e Isobel erano stranamente vicini alla sedia che spettava alla regina. Tutti e tre erano curiosi di scoprire cosa avesse in mente Ivar. Quando Hildr prese posto, scambiò uno sguardo preoccupato con Hvitserk.
“Regina Hildr, siete splendida.” Disse Feima con un sorriso timido.
Hildr aveva indossato la corona che un tempo era appartenuta ad Aslaug, un sottile cerchio di metallo intricato e con una pietra azzurra incastonata al centro. Anche il suo abito, ricamato a regola d’arte, era blu e argentato per riprendere i colori della corona.
“Vi ringrazio. Anche voi siete molto bella, Feima.”
Ivar cercò di prendere la mano, ma Hildr sollevò il calice per non farsi toccare. Eskol aveva notato quel particole, infatti sghignazzò con le labbra premute sul bordo del bicchiere.
“Siete sposati da molto tempo ormai, eppure non avete ancora figli.” Disse il principe.
“Non vedo perché questo debba essere un vostro affare.” Ribatté Hildr, risoluta.
“Perché una regina non ancora gravida dopo mesi di matrimonio desta attenzione.“
Einer ridacchiò, adocchiando la pancia rigonfia della moglie per via della gravidanza.
“Ivar, ragazzo, devi sbrigarti prima che la tua regina diventi vecchia e sia da buttare.”
Hildr strinse la mano intorno al calice talmente forte da far sbiancare le nocche.
“Non è una questione di cui dovreste preoccuparvi.”
Jorunn si rese conto che la giovane regina era sull’orlo del baratro, una parola sbagliata e sarebbe precipitata.
“Oppure la nostra ragazzina non regge una gravidanza? Portare in grembo un figlio richiede una certa resistenza.”
A quel punto Hildr prese un respiro e fissò gli occhi inferociti sull’anziana Jorunn.
“Avete portato in grembo vostro figlio per novi mesi e qual è stato il risultato? Un emerito imbecille! Meglio non avere figli che averne uno inutile come Eskol.”
Ivar era mortificato, socchiuse gli occhi per accusare il colpo. Una regina aveva il compito di sostenere il re durante una trattativa, invece Hildr stava mandando tutto a monte con il suo caratteraccio.
“Hildr non intendeva offendere Eskol. Lei stava dicendo che …”
Jorunn zittì Ivar con uno sguardo, non aveva bisogno di parlare per imporsi. Anziché offendersi, la vecchia regina si mise a ridere.
“E’ risaputo che mio figlio è un imbecille, non lo nego. Mi fa piacere che qualcuno abbia avuto il fegato di dirmelo in faccia.”
Eskol si agitò sulla sedia, il trattamento che sua madre gli riservava da sempre era atroce. Lo umiliava e lo denigrava solo perché non era furbo e forte come lei.
“Sarò anche imbecille, ma a letto sono una tigre.”
“Ho qualche dubbio.” Mormorò Isobel.
Hildr si portò una mano alla bocca per nascondere una risata, ma comunque attirò l’attenzione di tutti.
“Vuoi farti un giro?” propose Eskol.
Quella scintilla bastò per infiammare Hvitserk. Con uno scatto rapido agguantò Eskol per il colletto e lo spinse per terra, poi gli assestò un pugno in faccia.
“Non rivolgerti a mia moglie in questo modo, oppure la prossima volta assaggerai la lama della mia ascia.”
“La prima volta che Hvitserk mi sta simpatico.” Bisbigliò Hildr, contenta.
Ivar la fulminò con gli occhi e scosse la testa per la disperazione. Credeva di poter tenere a bada la sua famiglia, invece aveva solo peggiorato le cose. Hildr e Hvitserk non si sarebbero piegati ai suoi ordini.
“Adesso basta! Eskol, rimettiti in piedi. Hvitserk, datti una calmata. E tu, Hildr, stanne fuori.”
Il sorriso di Hildr si spense come una candela offuscata dal buio. Ivar non le aveva mai impedito di agire o di parlare, aveva sempre richiesto la sua opinione. Quel divieto faceva più male di una spada conficcata nella carne.
“Come desiderate, re Ivar.”
Si sfilò la corona e la sbatté sul tavolo, incurante dello shock che la sua azione stava causando. Deporre la corona significava rinunciare allo status di regina, significava abbandonare il re sul trono. Significava allontanarsi da Ivar.
“Le premesse per la guerra sono deboli.” Commentò Jorunn.
“Quale guerra? Avanti, parlate!” sbottò Hvitserk.
Ivar deglutì e sospirò, dopodiché si mise in piedi con l’ausilio della stampella. Tirò fuori dalla giacca un piccolo ninnolo, un soldato intagliato nel legno. La paura scosse Hildr dall’interno, avvolgendosi come una spirale intorno al suo stomaco. Era un pezzo della scacchiera di Alfred.
“Ivar, no …”
“Andremo in guerra contro il Wessex. Andremo in guerra contro Re Alfred.”
Isobel chiuse con gli occhi, il dolore mentale ora era anche fisico. Se i vichinghi avevano intenzione di attaccare la sua patria, tutta la sua gente sarebbe stata sterminata. Hvitserk l’abbracciò di istinto, felice che lei si lasciasse consolare senza riluttanza.
“Perché? Perché ora?”
Ivar non guardava nessuno, aveva piantato gli occhi su quel giocattolo.
“Per vendicare la colonia vichinga in Wessex che è stata distrutta. E’ giunto il momento di ricordare ai sassoni che noi vichinghi siamo i veri dominatori.”
Il silenzio della sala fu spazzato via da urla, schiamazzi e applausi. Tutti erano eccitati all’idea di fare la guerra, di spaventare i sassoni e vendicare gli amici perduti. Ivar elargì sorrisi finti e strette di mano, accettando complimenti e auguri. Si voltò in cerca di Hildr, ma non vide nessuno. La corona giaceva sul tavolo, una reliquia oscura. La porta della sala si aprì e si richiuse subito, fu possibile scorgere solo il fruscio di un abito blu.
 
“Hildr, ti supplico, apri la porta.”
Nessuna risposta. Ivar l’aveva cercata dappertutto, ispezionando la dimora reale e anche casa di Isobel. Si era recato addirittura nella casa che aveva fatto costruire per lei sul terreno dei genitori. Dopo un paio di ore aveva capito che l’unico rifugio plausibile fosse la vecchia casa di Floki lungo il fiume.
“Hildr, apri questa maledetta porta!”
“Hildr è morta!” gridò lei dall’interno.
Ivar appoggiò la fronte contro la porta ed emise un sospiro sofferto. Voleva vederla, parlarle, abbracciarla, baciarla. Voleva spiegarle cosa stava succedendo, però non poteva farle carico di quel peso. Non era giusto.
“Ho bisogno di vederti. Ti scongiuro, Hildr, aprimi. Voglio solo vederti.”
“Ho detto che Hildr è morta! Per te è morta!”
Ivar colpì la porta con la stampella e ottenne solo una porzione di legno staccato.
“Amore, ti prego …”
Hildr si precipitò fuori con l’ira che le scorreva nelle vene. Spalancò la porta e gli tirò un cazzotto in pieno volto. Ivar arretrò, toccandosi il naso sanguinante.
“Perché, Ivar? Perché stai rovinando tutto? Credevo che fossi felice ora che sei re e che ci siamo sposati.”
“Io sono felice di essere tuo marito. E’ l’onore più grande della mia vita.”
“Non è vero. Se ti sentissi onorato, non mi volteresti le spalle in questo modo.” Disse lei.
“E’ più complicato di così.”
Hildr sbuffò, non sapeva più come comprendere le ragioni del ragazzo.
“Perché io non ti basto?”
“Non si tratta di questo. Tu mi basti. Anzi, sei più di quanto desidero. Il fatto è che sono stanco di starmene su quel trono ad ascoltare lamentele idiote. Ho bisogno di movimento, di fare qualcosa di grande. Voglio che il mio nome sia ricordato da tutti.”
Ivar tese la mano ma la fece ricadere, incapace di toccarla.
“Io mi ricordo il tuo nome e lo ricorderò per sempre. Lascia stare questa guerra, ti prego.”
“Non posso. Devo farlo. E’ necessario.”
Hildr fece un passo indietro, quella vicinanza era dolorosa.
“Se Kattegat muove guerra contro il Wessex, io verrò meno alla promessa che ho fatto.”
“Hai fatto una promessa?”
“Quando sono andata in Wessex per prelevare Isobel e Aila, sono stata scortata al palazzo di Alfred. Ho parlato con lui e gli ho promesso che i vichinghi non avrebbero invaso il suo regno.”
Ivar emise una risata perfida, una di quelle che metteva tutti a disagio.
“Ah, il caro Alfred. Avete solo parlato o sei finita nella sua camera da letto?”
“Ci risiamo! Tu e le tue idiozie sul sesso!”
“Idiozie? Tu parli con Alfred senza dirmi niente e io devo pensare davvero che vi siate limitate a quello? Andiamo, Hildr, lo sai che io non posso darti quello che potrebbe darti un uomo normale.”
Hildr si passò le mani tra i capelli con frenesia. Non poteva tollerare un altro minuto in più con lui.
“Ma io ho scelto te! Non mi importa quello che potrebbe darmi un altro uomo, io voglio solo quello che puoi darmi tu.”
“E perché non mi hai detto della promessa con Alfred?”
“Perché sapevo che avresti reagito male. E poi non immaginavo neanche che tu volessi invadere il Wessex.”
Ivar si grattò la fronte, gli girava la testa per tutte quelle grida.
“Kattegat andrà in guerra con l’aiuto di Jorunn ed Einer. Sei con me o contro di me, Hildr?”
“Sono contro di te.”
 
Salve a tutti! ^_^
E quando tutto sembrava andare bene … Ivar ne combina una delle sue!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
 

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Capitolo 7
*** Incubi di nebbia ***


7. INCUBI DI NEBBIA

Tre giorni dopo
Ivar se ne stava sul pontile ad osservare gli uomini che caricavano sulle navi scorte di cibo, scudi e armi. Entro una settimana sarebbero partiti alla volta del Wessex, dunque i preparativi erano nel pieno del fervore. Nella sua mente i pensieri si accavallavano, una parte di essi era rivolta alla guerra e l’altra parte era rivolta a Hildr. Sua moglie si era rifugiata nella baracca di Floki da tre giorni e non aveva intenzione di uscirne, tant’è che aveva anche annullato l’addestramento con le apprendiste shieldmaiden.
“Fratello.” Lo salutò Hvitserk.
Ivar annusò un odore salmastro sui vestiti del fratello, deducendo la sua sosta prima del porto.
“Sei stato da Hildr, vero?”
“Sì. Voleva che le portassi l’arco e la faretra.”
“Come sta?”
Hvitserk fece spallucce e riservò uno sguardo divertito al fratello.
“Sta bene. Ed è infuriata con te.”
“Hildr è sempre infuriata con me.”
Ivar strinse la mano attorno alla stampella, avrebbe voluto spaccarsi la testa con quella. Soffrire per amore era tedioso, e ancor di più lo era nel bel mezzo di una guerra.
“Perché adesso? Se hai deciso di attaccare Alfred, ci deve essere un valido motivo.”
“Guarda i miei occhi.”
Hvitserk fissò gli occhi del fratello, scoprendo una tonalità di azzurro troppo scura.
“Sono blu. Quando i tuoi occhi sono blu significa che sei in grave pericolo di farti male.”
Ivar annuì, poi spostò lo sguardo sul vasto piano del mare.
“E cosa mi diceva la mamma da bambino quando i miei occhi erano blu?”
“Ti diceva ‘non oggi, Ivar’.”
“Sto avendo frequenti attacchi di febbre, sudore freddo e dolori alle ossa.” Ammise Ivar.
Hvitserk sbarrò gli occhi, la consapevolezza di quanto accadeva lo colpì allo stomaco come un pugno.
“Oh, no. No.”
“Già.”
Ivar chiuse gli occhi mentre Hvitserk continuava a guardarlo nello shock totale.
“Tu stai morendo, Ivar.” mormorò Hvitserk, allibito.
“Sì. Ho incontrato diversi guaritori ma non c’è nulla da fare. Le mie ossa non sono in grado di reggermi.”
Ivar aveva mantenuto il segreto per mesi, fingendo di andare a caccia quando in realtà si recava fuori Kattegat per far visita ai guaritori. Stando alla loro opinione, le sue gambe stavano cedendo repentinamente perché la malattia si stava diffondendo.
“Hildr lo sa?” domandò Hvitserk.
“No, e non deve saperlo. Non voglio che inizi a preoccuparsi e a trattarmi come un malato. Io voglio che lei si comporti come suo solito.”
Hvitserk non aveva mai compreso appieno l’amore di Ivar per Hildr, gli sembravano solo fantasie romantiche. Invece adesso capiva l’immenso sentimento che provava per quella ragazza e capiva che niente li avrebbe mai separati per davvero.
“Le si spezzerà il cuore.”
“Per questo ho bisogno che tu stia al suo fianco. Quando non ci sarò più, Hildr diventerà il bersaglio di molta gente perché una donna al potere da sola è una minaccia per tutti. Anche per nostra madre è stata dura, non voglio che anche Hildr soffra allo stesso modo.”
“Farò del mio meglio, fratello.” Promise Hvitserk.
Ivar sorrise e gli diede una pacca sulla schiena, uno dei rari momenti fraterni che passavano insieme. Se ripensava alla sua vita, vedeva soltanto Hildr. Lei era una presenza costante che non lo aveva mai abbandonato, e anche dopo la morte sarebbe rimasta nel suo cuore.
“Ora mi toccherà faticare per farmi perdonare da lei.”
“Non lo auguro a nessuno.” Disse Hvitserk con una risata.
 
“E la spada ucciderà tutti i nemici! Il sangue bagnerà tutta la terra!” canticchiava Hildr.
“Hildr, smettila!” la rimproverò Isobel.
Poche ore prima la sassone si era presentata alla capanna di Floki insieme ad Aila per stare con Hildr, dato che la regina aveva lasciato la città. Ormai era buio e tornare in città sarebbe stato difficile, quindi avrebbero dormito là.
“Che c’è? Ad Aila piace questa canzone.”
La bambina, infatti, si era appisolata fra le sue braccia in poco tempo.
“Si è addormentata solo per non doverti sentire cantare, sei davvero stonata.”
“Sono già simpatica, non posso essere anche intonata!” replicò Hildr.
Isobel alzò gli occhi al cielo, a volte l’umorismo di Hildr era fastidioso.
“E questa simpaticona pensa di tornare a casa?”
Hildr depose Aila nella cesta e le accarezzò il nasino, era la bambina più bella che avesse mia visto.
“Se sei qui per difendere Ivar, puoi anche andartene.”
“Sono qui perché mi dispiace vedervi litigare sempre. Vorrei che Hvitserk avesse lottato per me come fa Ivar con te.”
Isobel frattanto aveva messo il pentolone a scaldare per preparare una minestra, avrebbe cenato con l’amica per tenerle compagnia il più possibile.
“Ivar lotta solo per il potere.”
“Non è vero. Lui ti ama tanto, altrimenti non ti avrebbe sposata.” Disse Isobel.
Hildr stava affilando la spada, più per distrarsi che per reale necessità. Parlare di sentimenti la metteva a disagio, era come combattere senza armatura.
“Ogni re ha bisogno di una moglie da esibire. Lo stesso vale per Ivar. Mi ama, però ama di più quel maledetto trono. Lui vuole la gloria eterna, vuole essere ricordato dai posteri, e può farlo solo se combatte per ottenere il potere.”
Isobel tagliò le verdure, le buttò nella pentola e mescolò tutto con il cucchiaio di legno.
“Perché sei tanto delusa dalla sua scelta di invadere il Wessex?”
“Perché ho promesso ad Alfred che non avremmo attaccato il suo regno. Inoltre, non vedo l’esigenza di un simile attacco. Insomma, perché adesso? Perché il Wessex?”
Hildr lasciò cadere la spada per terra, ora era nervosa e indispettita. Sentiva sotto pelle che quella decisione di Ivar nascondeva un altro intento, qualcosa che lei non riusciva a capire.
“Magari lo fa per gelosia. Se toglie di mezzo Alfred è un bene per il vostro rapporto.”
“Ivar è geloso ma non fino a questo punto. E poi non avrebbe bisogno di una stupida guerra per dissipare la sua gelosia.”
Isobel sussultò quando qualcuno bussò alla porta. Attraverso un buco nella parete riconobbe la parte finale di una stampella.
“E’ Ivar. Lo faccio entrare?”
Hildr sospirò e scosse la testa, ci avrebbe pensato da sola.
“Esco io. Tu e Aila restate qui.”
L’aria fresca di settembre investì la piccola stanza quando la porta fu aperta. Hildr si appoggiò allo stipite con le braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate.
“Che vuoi?”
Ivar fece un sorriso timido, si sentiva in imbarazzo ora che se la trovava davanti. La fiaccola che reggeva si rifletteva nei suoi occhi chiari, sembrava che fuoco e mare si fossero mischiati.
“Voglio parlare con te e chiarire le cose. Ti va di andare nel nostro fortino?”
A Hildr sfuggì un sorriso, non si era trattenuta alla menzione del fortino.
“Andiamo, idiota.”
 
Il fortino era rimasto identico a come lo avevano lasciato. Si trattava di una caverna naturale scavata nel bosco alle spalle di Kattegat, l’avevano scoperta durante una battuta di caccia insieme a Ubbe e Hvitserk. Avevano arredato l’interno con una coperta rubata dai rispostigli della dimora reale e un paio di cuscini cuciti da Helga.
“Questa topaia è rimas- … oh, per tutti gli dèi!” esclamò Hildr.
Il fortino non era come lo ricordava. La vecchia coperta logora era stata sostituita con una nuova e più imbottita; i cuscini erano stati cuciti di recente; un tavolino basso stava al centro e sopra vi era una candela che semi-illuminava la caverna.
“E’ un tentativo di corruzione? Non funziona.”
“E’ un tentativo di riappacificazione.” La corresse Ivar.
Sul tavolo, però, c’era anche un mazzo di ortensie dai petali color lilla. Hildr sfiorò i fiori con cura, stando accorta a non sgualcire neanche una foglia.
“I fiori preferiti di mia madre.”
“Sono anche i tuoi preferiti.” Disse Ivar.
Lei scostò subito la mano, la fronte corrugata per la rabbia.
“Non sarà un mazzo di fiori a convincermi. Hai detto che vuoi parlare, allora parla!”
Ivar si sedette sulla coperta, era troppo esausto per stare ancora in piedi.
“Kattegat ha bisogno di questa guerra. Abbiamo bisogno di imporre il nostro potere per dimostrare che siamo degni del trono. Un paio di mesi fa Jorunn voleva invadere Kattegat, e ci avrebbe distrutti col suo esercito numeroso. Jarl Einer stava organizzando una rivolta contro di noi. Capisci? Il Wessex è la nostra occasione per dimostrare ai nemici che siamo forti.”
“Io non ne sapevo niente.” Disse Hildr, confusa.
“Te l’ho tenuto nascosto perché non volevo preoccuparti. Volevo che ti godessi la vita pacifica che tanto desideri.”
La ragazza si sentì in colpa per averlo insultato. Era così accecata dalla rabbia da non aver compreso fino in fondo le sue intenzioni.
“Io voglio una vita pacifica con te. Se tu sei preoccupato, allora voglio esserlo anche io. Siamo sposati, regniamo su Kattegat, e il peso del fardello deve essere condiviso.”
Ivar sorrise, era così bello sentirsi dire quelle parole di conforto. Se solo Hildr avesse saputo la verità.
“Mi dispiace di averti tenuta all’oscuro. È solo che tu pensi sempre a difendermi, e questa volta volevo proteggerti io.”
Hildr si inginocchiò davanti a lui e gli prese le mani, sorrideva anche lei.
“Ho giurato a Odino e a Ragnar di difenderti sempre. Ivar, tu sei il mio migliore amico e io voglio affrontare con te tutte le sfide.”
“Come quando hai sputato addosso a Sveinn perché mi aveva rubato l’ascia?”
All’epoca Hildr aveva solo quattordici anni ma la sua forza d’animo era già emersa.
“Proprio così. Devo sputare addosso a qualcuno? Ci sto. Devo pugnalare qualcuno? Ci sto. Qualsiasi cosa pur di difenderti.”
Una scintilla esplose nel petto di Ivar, bruciava come una fiamma viva. Quella scintilla lo portò a cingere la nuca di Hildr e attirarla in un bacio. La foga del bacio era talmente intensa che Hildr dovette aggrapparsi alla giacca di lui per non cadere.
“Anche io farei qualsiasi cosa per te.” sussurrò Ivar.
Hildr gli stampò un bacio sulla bocca, dopodiché lo spintonò per farlo stende sulla coperta. Si sedette sul suo bacino, assicurandosi di non intaccargli le gambe, e si sfilò la casacca. Ivar d’istinto si leccò le labbra, del resto era così quando stava con lei.
“E’ un tentativo di corruzione? Sta funzionando benissimo.”
“Sta zitto, Ivar.”
In una manciata di secondi Ivar si ritrovò a petto nudo, camicia e stampella chissà dove. La bocca di Hildr intraprese una piacevole e bollente discesa di baci a partire dal collo, le spalle, il petto ricoperto di tatuaggi, e giù fino all’addome. Quando Ivar avvertì il respiro caldo di lei sull’orlo dei calzoni, sentì un brivido lungo la schiena. Hildr avrebbe avuto dei dubbi se avesse visto le sue gambe fasciate.
“Ferma, ferma, ferma!”
Lei si bloccò e sollevò le mani, però non accennò a cambiare posizione.
“E’ successo qualcosa?”
Ivar dovette formulare una scusa plausibile in fretta, prima che lei si insospettisse.
“Voglio provare una cosa. Stenditi.”
Un luccichio malizioso brillò negli occhi di Hildr, che si distese supina sulla coperta e si sciolse i capelli. Le ciocche setose si erano sparpagliate a raggiera come i raggi di un sole nero.
“Cosa stai pensando in quella testolina, mio re?”
Le mani di Ivar tremavano mentre le slacciava i pantaloni, ogni sua sicurezza stava scemando. Gli girava la testa tanto da essere costretto a chiudere gli occhi per un istante. Si massaggiò le tempie pulsanti con le dita nel tentativo di lenire il dolore.
“Ivar, che hai?”
Hildr si mise seduta e coprì le mani di lui con le proprie, notando che la sua fronte era calda.
“S-to bene. Mi gira solo la testa.”
“Non stai bene. Ti esce il sangue dal naso.”
Ivar si toccò il naso e le dita si imbrattarono di rosso. Si accasciò contro la parete della caverna, il capogiro ancora lo disorientava. Hildr strappò un pezzo della propria casacca e lo usò per tamponargli il sangue.
“Hai di nuovo la febbre. Hai le vertigini e ti esce il sangue dal naso. Ivar …”
Ivar non sopportava quella vena di disperazione nella voce di Hildr, era proprio quella che aveva cercato di evitare. Decise di mentire un’altra volta.
“Ieri sono caduto da cavallo. Sono uscito da solo per cercare questa caverna perché non volevo che qualcuno lo sapesse, ma durante il tragitto non sono riuscito a condurre il cavallo e sono caduto. Ecco spiegato il sangue e il capogiro.”
“E come spieghi la febbre? Gli attacchi sono sempre più frequenti.” Obiettò Hildr.
Ivar non sapeva più che bugia propinare. Era stanco di mentire. Era stanco di essere se stesso. Avrebbe voluto essere un ragazzo comune, con una vita semplice e un corpo sano. Ma soprattutto avrebbe voluto regalare a Hildr una vita degna di essere definita tale. Come poteva vivere davvero se doveva sempre occuparsi di lui?
“E’ febbre di stagione. Sto bene, Hildr.”
Lei si morse le labbra, ingoiando l’ansia che la divorava dentro. Dopo l’apparizione della Nix nulla era stato più lo stesso, tutto si era sconvolto.
“Torniamo in città, hai bisogno di metterti a letto.”
Hildr stava per alzarsi ma Ivar le strinse la mano per bloccarla.
“Restiamo qui per stanotte. Tra due giorni parto e voglio passare più tempo con te.”
“Hai bisogno di cure. Devi rimetterti in sesto per la partenza.” Disse Hildr.
“Ci pensiamo domani. Adesso restiamo qui. Ti prego.”
La ragazza rifletté qualche secondo, poi si rivestì e si sdraiò sulla coperta. Ivar si accoccolò con la testa sul suo petto, lasciandosi calmare dai battiti del suo cuore.
“Questa guerra non ha comunque senso.” Disse lei.
“Il senso c’è, è solo che tu non riesci ancora a coglierlo. Ci riuscirai presto.” Replicò Ivar.
Hildr sciolse l’acconciatura di Ivar e affondò le mani fra i suoi capelli, ogni carezza corrispondeva a un sospiro.
“Verrò con te.”
Ivar sollevò la testa con espressione incredula ma anche felice.
“Pensavo che non fossi d’accordo con l’invasione.”
“Infatti non sono affatto d’accordo con questa tua folle idea. Ma tu hai bisogno di me, potrebbe venirti di nuovo la febbre e potresti aver bisogno di cure. Inoltre, non mi fido a lasciarti da solo con Jorunn, Eskol ed Einer.”
“Non sarei mai potuto partire senza il mio comandante dell’esercito.”
Hildr rise e roteò gli occhi, anche se nel profondo aveva paura di fallire. Il ruolo di comandante era sempre stato ricoperto da un uomo, mentre adesso l’esercito avrebbe dovuto agire al servizio di una ragazzina inesperta.
“L’esercito non mi darà mai retta, mi considerano una incapace.”
Ivar inarcò il sopracciglio, non gli piaceva quella improvvisa insicurezza.
“Tu vali più di loro. Il fatto che siano uomini di una certa età e con una certa esperienza non conta niente perché tu sei più forte. Hildr, tu in battaglia sei davvero unica. Se ti vedessi con i miei occhi, capiresti che sei una guerriera eccezionale.”
“Dici così solo perché sono tua moglie.” chiosò Hildr.
“Dico così perché io stesso mi spavento quando ti vedo combattere.”
Hildr scoppiò a ridere, immaginando il ragazzo che si impauriva mentre lei scoccava frecce.
“Sei un cretino.”
“Un cretino felice di averti al suo fianco in questa guerra.”
Ivar le diede un bacio lento, quasi sofferto, e l’abbracciò stretta per timore che potesse sfuggirle ancora.
 
Due giorni dopo
“Il problema è trovare il miglior punto di attracco.” Stava dicendo Hvitserk.
Intorno al tavolo c’erano anche Jorunn, Eskol, Einer e i due sovrani di Kattegat.
“Perché non attracchiamo al porto?” domandò Eskol.
Ivar lo guardò come se gli fossero spuntate due teste. Non era possibile essere così stupidi.
“Se vuoi derubare una casa passi dalla porta principale? Ovviamente no, altrimenti ti scoprirebbero. Anche noi non possiamo passare dal porto altrimenti perdiamo già in partenza.”
“Eskol, chiudi quella bocca.” Lo rimproverò Jorunn.
Hildr bevve solo per soffocare il ghigno contro il bicchiere. Squadrò bene la mappa che Ivar aveva disegnato, il risultato dei vaghi ricordi della loro breve permanenza in Wessex.
“Possiamo aggirare il porto principale se navighiamo in acque secondarie.”
“Per navigare in acque secondarie serve conoscerne la geografia.” Precisò Einer.
Ivar capì al volo il piano di Hildr, le loro menti erano affini anche senza parlare.
“La Regina ha ragione. Se attraversiamo un fiume secondario, quindi aggirando il porto, possiamo arrivare in Wessex senza essere visti. A Chichester c’è un accesso al mare che possiamo sfruttare.”
Jorunn guardò prima Hildr e poi Ivar, sembrava annoiata come al solito.
“Come facciamo a raggiungere il castello? Sono sicura che Alfred abbia guardie ovunque.”
“Non raggiungiamo il castello.” disse Hvitserk, sorridendo compiaciuto.
Einer sbuffò e bevve in una sola sorsata tutta la birra del suo bicchiere, era infastidito dal mistero sulla strategia.
“Volete spiegarvi meglio oppure andremo alla cieca?”
“Andremo alla cieca.” Disse Ivar.
Jorunn lo guardò con un certo interesse, era affascinata dalla mente del giovane re.
“Scommetto che hai già progettato tutto.”
Ivar fece spallucce, il suo sguardo furbo era presente dall’inizio della riunione.
“Sono sempre cento passi avanti.”
“Le tue gambe non funzionano, come fai a compiere dei passi?” scherzò Eskol.
Hildr recuperò il boccale di birra dal centro del tavolo e lo rovesciò in faccia al principe.
“Tua madre ti aveva ordinato di chiudere la bocca, avresti dovuto ubbidire.”
Eskol rideva mentre si puliva la faccia con la manica. Si alzò per asciugarsi il petto con uno straccio.
“La Regina sa il fatto suo. Che carattere peperino, mi piace! È così che sei sotto le lenzuola?”
Hildr, che ormai non poteva più tollerare quelle battute di cattivo gusto, si mise in piedi e riservò un’occhiata inferocita ad Eskol.
“Adesso basta.”
L’attimo dopo Eskol fu colpito da un pugno in piena pancia. Hildr rincarò la dose dandogli una ginocchiata in mezzo alle gambe.
“Hildr, penso sia sufficiente.” Intervenne Ivar con voce seria.
Hildr si sentì soddisfatta quando Eskol cadde per terra tra gemiti di dolore. Jorunn si passò una mano sulla fronte, delusa ancora una volta dall’inadeguatezza del figlio.
“Sei debole come tuo padre. Che schifo!”
Hvitserk e Ivar repressero una risata, mentre Hildr rise liberamente.
“Direi che possiamo allestire le navi.” Disse Einer, imbarazzato.
 
L’allestimento delle navi richiedeva impegno e attenzione. Posizionare gli scudi affinché non si staccassero e cadessero in mare era un lavoro di precisione. Alcuni uomini stavano caricando a bordo acqua, coperte e altro materiale per la sopravvivenza. Una decina di shieldmaiden si occupava di affilare le armi e poi di depositarle sulle navi.
“Come vogliamo procedere? Ci serve un piano.” Disse Hvitserk, indicando le navi.
Hildr arricciò il naso, quella mattina il suo cervello non voleva mettersi in moto. Lei e Hvitserk erano a capo dell’esercito, quindi spettava a loro decidere come si sarebbero mossi i guerrieri.
“Ora la regina tace. Strabiliante!” ironizzò Jorunn.
Ivar circondò le spalle di Hildr con un braccio e sorrise per stemperare la tensione.
“Hildr ha un ottimo piano. Esponilo pure, mia cara.”
La ragazza non aveva pensato a niente, il panico della prima guerra da comandante offuscava ogni sua capacità di elaborare un pensiero logico. La mano calda di Ivar si strinse intorno alla sua spalla per infonderle coraggio, era un modo per farle sapere che lui la supportava.
“Il Wessex è noto per le sue colline, in particolare quelle di Edington.”
“Edington è un ottimo posto dove attirare Alfred.” Aggiunse Ivar.
Uno scudo scivolò in acqua e si frantumò, scheggiando il fianco della nave. Una shieldmaiden si era salvata per un pelo.
“Vado a controllare che succede.” Disse Hvitserk.
Hildr si accorse che il sole era alto nel cielo, dunque era mezzogiorno e lei era in ritardo per l’assemblea con le sue guerriere.
“Io devo selezionare le shieldmaiden da portare con noi. Ci vediamo più tardi.”
Einer alzò la mano e Hildr gli fece cenno di parlare con la testa.
“Posso venire? Purtroppo non ho mai visto l’addestramento delle shieldmaiden.”
“Venite pure, jarl Einer. Ci sarà da divertirsi.”
I due si avviarono verso la spiaggia fra le risate, di certo Einer aveva detto qualcosa che aveva fatto ridere Hildr. Ivar inclinò la testa seguendo con gli occhi il modo in cui ondeggiavano i fianchi di Hildr mentre camminava.
“Serve un secchio per la bava, Ivar?” fece Jorunn, seccata.
“Jorunn, noi due dobbiamo stabilire i termini del nostro accordo.”
La regina batté le mani, gli anelli che scintillavano al sole.
“Musica per le mie orecchie!”
 
Isobel finalmente poteva rilassarsi ora che Aila si era addormentata. La tranquillità ebbe breve durata perché la porta fu scossa da ripetuti colpi.
“Sono Hvitserk. Apri.”
Isobel sbucò fuori solo con la testa, non voleva farsi vedere in camicia da notte da lui.
“Che vuoi? È tardi e Aila si è appena addormentata.”
“Domani salpiamo e io ho bisogno di parlare con te.”
Hvitserk era visibilmente turbato, perciò lei lo lasciò entrare per non lasciarlo a vagare in città in quelle condizioni.
“Che succede? Sei stravolto.”
“Ivar sta morendo.”
Isobel dovette mantenersi alla maniglia della porta per non cadere.
“C-che stai ... oh, cielo! Hildr lo sa?”
“No. Ivar glielo tiene nascosto da mesi.”
Hvitserk si passò le mani fra i capelli, era disperato. Se il fratello fosse morto, il trono sarebbe stato suo e lui neanche sapeva se regnare era nei suoi obiettivi.
“Sono molto dispiaciuta, Hvitserk. Ivar non sarà una persona facile, ma è tuo fratello ed è il marito di Hildr.”
Poi Hvitserk fece un respiro profondo per riprendere il controllo. La determinazione aveva spazzato via l’agitazione.
“Se Ivar muore per Hildr sarà dura mantenere il trono.”
“Immagino che molti vorranno quel trono. Potremmo aiutarla?”
Hvitserk si sedette sul letto per ammirare Aila, era raggomitolata fra le coperte ed era la cosa più tenera che avesse mai visto.
“Non lo so. Non so nemmeno se torneremo vivi. Questa guerra sarà difficile, io e Hildr potremmo non tornare.”
Isobel sentiva le lacrime agli angoli degli occhi e tirò su col naso, avrebbe voluto trattenere anche la tristezza.
“E io come faccio se voi non tornate? Io e Aila saremo costrette a scappare.”
Hvitserk andò da lei e le mise le mani sulle spalle a mo’ di consolazione.
“Farò il possibile per tornare da voi. Non posso abbandonarvi un’altra voi.”
“Hvitserk …”
“Io ti amo, Isobel. Nonostante tu mi odi e mi allontani, io ti amo ancora.”
Fingere non serviva più a niente, specialmente in un momento cruciale come quello, e Isobel decise di porre fine alla farsa.
“Non ti odio, non potrei mai. Io sono innamorata di te, però sono ancora ferita.”
“Magari un giorno mi perdonerai.” Sussurrò Hvitserk, speranzoso.
Isobel sorrise e gli scoccò un bacio sulla guancia.
“Sicuramente.”
“E’ meglio andare, si è fatto tardi.”
Hvitserk stava per uscire quando Isobel gli prese la mano, impedendogli un altro passo.
“Ti va dormire con me e Aila?”
“Sì! Assolutamente sì!”
Dopo aver sistemato Aila al centro del letto e averla coperta per bene, Hvitserk e Isobel si disposero ai lati opposti. Era la prima volta che trascorrevano un momento insieme come una vera famiglia. Aila si mosse nel sonno e si accucciò contro il petto di Hvitserk.
“Buonanotte, bambina mia.”
 
Hildr si girava e rigirava nel letto, non riuscendo a prendere sonno. Era bloccata nel dormiveglia, il che la rendeva più sofferente del solito.
“Hildr! Hildr!”
Spalancò gli occhi nell’udire una voce femminile chiamare il suo nome. Ivar stava dormendo, i capelli castani liberi sul cuscino.
“Hildr! Vieni fuori, segui la mia voce.”
Hildr scese dal letto e seguì la voce lungo il corridoio, la stava guidando nella sala del trono.
“Chi c’è?”
“Hildr! Hildr! Guarda bene.”
In mezzo alla sala prese forma una nube bianca che pian piano si andò diradando. Alla fine prese le sembianze di una donna. Era Inge, sua madre.
“Madre? Non capisco.”
Inge sorrideva e saltellava in giro per la stanza con i piedi scalzi.
“Hildr! Guarda meglio.”
Comparve una seconda nube bianca che prese le sembianze di suo padre. Gellir fece una delle sue risate buffe, quelle che facevano sempre divertire Hildr da bambina.
“Voi siete morti anni fa.”
Inge e Gellir cominciarono a danzare, ridendo come due bambini. Hildr sbatté le palpebre per scacciarli via, eppure la coppia continuava a ballare.
“Che sta succedendo? Perché siete qui? Voi non siete reali!”
“Hildr! Guarda ancora meglio.”
La ragazza sobbalzò quando una nube le volteggiò intorno. Il fumo bianco si trasformò in Aslaug. Anche la regina defunta iniziò a ballare insieme a Inge e Gellir.
“Basta! Basta! Andate via!”
Hildr sapeva che non era reale, non era possibile che i morti stessero danzando davanti a lei. Erano morti, sepolti sotto terra da anni, erano solo un mucchio di ossa.
“Voi non siete qui. Non siete davvero qui.”
Voleva correre, nascondersi in camera e svegliare Ivar, ma le sue gambe non si muovevano.
“Resta con noi, Hildr. Resta con noi!” disse sua madre.
Hildr provò a scappare, però i piedi erano incastrati nelle assi del pavimento. Cadde con le ginocchia a terra.
“Basta! Lasciatemi stare!” gridò fra le lacrime.
 
Ivar si girò su un fianco e subito notò lo spazio vuoto. Hildr non era proprio in stanza.
“Dove sei finita?”
Raccolse la stampella e si sforzò di mettersi in piedi, malgrado il dolore alle gambe. Il rumore di vetri rotti riecheggiò in tutta la dimora. Si affrettò a raggiungere la sala del trono con la paura che Hildr fosse stata aggredita.
“Basta! Basta! Vi supplico, basta!” stava gridando lei.
Era a terra, mani e ginocchia premute sul pavimento, i capelli che le ricoprivano il viso. Stava piangendo e tremando. Ivar le accarezzò la schiena per calmarla.
“Hildr, va tutto bene. Sono qui. Apri gli occhi.”
D’improvviso Hildr cadde distesa per terra, era sudata e respirava a bocca aperta con affanno.
“I-ivar?”
“Sono io.”
Ivar scivolò accanto a lei grazie alla stampella, dopodiché le scostò i capelli bagnati per guardarla bene.
“Dove sono andati? Loro sono … erano qui …”
“Loro chi? Sei stata aggredita? Raccontami.”
“I miei genitori e tua madre erano qui, ballavano e ridevano. Sono andati via?”
Hildr era stravolta, la voce ridotta a un filo e le lacrime seccate sulle guance. Ivar le accarezzò il mento col pollice.
“Era solo un incubo. Non c’è nessuno.”
Sognare i defunti era un monito significativo, era come prevedere il futuro scrutando la morte.
“Ivar, qualcuno sta per morire.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Come sempre Ivar e Hildr hanno questo rapporto di odio e amore, ma alla fine tornano insieme.
Troppi defunti che tornano dal Valhalla, ops!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 

 

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Capitolo 8
*** Le porte del Valhalla pt.I ***


8. LE PORTE DEL VALHALLA PT. I

Il giorno dopo
Ivar aveva dato gli ordini finali per gli ultimi preparativi, di conseguenza i guerrieri si accodavano per salire a bordo delle navi e occupare il proprio posto. Einer e Jorunn comandavano ai loro eserciti come disporsi, confrontandosi anche sulla strategia.
“Ivar, eccomi.”
Hvitserk indossava già la tenuta e aveva le guance segnate di rosso, il sangue animale del sacrificio. Insieme a lui c’erano Isobel e Aila, il che stupì Ivar dato che mancava un membro della famiglia.
“Dov’è Hildr?”
“Attende il suo turno dal sacerdote per essere benedetta dal sacrificio.” Rispose Hvitserk.
“Sembra piuttosto scossa. È successo qualcosa?” chiese Isobel.
Ivar non aveva chiuso occhio dopo aver trovato Hildr piegata sul pavimento. L’aveva riportata a letto e l’aveva tenuta stretta per tutta la notte.
“Ha avuto un incubo la scorsa notte, nulla di preoccupante.”
“Ivar, noi siamo pronti!” gridò Einer, sventolando la mano.
Ivar annuì e con un cenno della testa comunicò ai suoi uomini di affrettarsi.
“Per tutti gli dèi di Asgard.” Mormorò Hvitserk, scioccato.
L’attenzione di tutti fu attirata da Hildr che attraversava il pontile con la sua schiera di shieldmaiden. Mentre lei indossava l’armatura che le aveva regalato Ivar, le sue guerriere indossavano una tenuta nera con intarsi color argento. Tutte portavano i capelli in acconciature intricate, le spade nel fodero e i loro visi erano segnati da strisce di sangue sotto gli occhi.
“La Valchiria.” Disse Ivar, un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Il silenzio accompagnò l’arrivo delle shieldmaiden, fiere come lupe dal manto scuro che si preparano ad attaccare.
“Niente male, eh?” disse Hildr, indicando il manipolo alle sue spalle.
“La cosa più incredibile che abbia mai visto!” esclamò Isobel, battendo le mani.
Hildr le diede una leggera spallata, anche se era ben consapevole dell’effetto prodotto da quell’entrata teatrale.
“Neanche nel Gladsheimr* gli dèi fanno un simile ingresso.” Disse Ivar.
“Che dire, noi shieldmaiden sappiamo il fatto nostro!”
Hildr e Ivar si guardavano con un tale sentimento che Isobel sentì un brivido lungo le braccia. Era strabiliante il modo in cui si amavano e riuscivano a trasmetterlo solo con uno sguardo.
“Possiamo partire o perdiamo altro tempo?”
Jorunn si era avvicinata, l’espressione più arcigna del solito. Voleva arrivare in Wessex e mozzare qualche testa.
“Possiamo partire.” Acconsentì Ivar.
Jorunn ed Einer salirono a bordo della stessa nave, mentre Eskol decise di viaggiare con la gente di Kattegat pur di stare lontano dalla perfida madre.
“Mi mancherete.” Disse Isobel, la voce impastata dalla commozione.
Hildr l’abbracciò forte quasi da toglierle il respiro. Aveva salvato Isobel, l’aveva accolta nella sua famiglia e l’aveva vista diventare madre. Benché non fossero collegate dal sangue, erano sorelle nell’anima.
“Fa attenzione, Isobel. Proteggi Aila. Se qualcosa ti spaventa o se qualcuno ti minaccia, lascia Kattegat senza indugiare.”
Isobel si strinse all’amica, poteva essere il loro ultimo abbraccio e doveva approfittarne.
“Lo farò. Sta attenta anche tu. Ti voglio bene.”
“Ti voglio bene anche io.”
Hildr scostò la coperta dal viso di Aila e si chinò a baciarle la guancia, poi chiuse gli occhi e con una preghiera la raccomandò agli dèi.
“Dì al timoniere di tenersi pronto.” Disse Ivar.
Hildr gettò una lunga occhiata a Kattegat, al suo porto, ai tetti semi-distrutti. Annusò ancora una volta quell’aria pregna di fumo, erbe e cibo bollito. Guardò il terreno dove un tempo sorgeva casa dei suoi genitori.
“Addio per ora, mia cara Kattegat.”
Quando Ivar fu certo che lei fosse lontana, abbracciò Isobel e Aila. La sassone rimase pietrificata poiché loro non si erano mai scambiati simili gesti d’affetto.
“Prenditi cura di Hildr quando non ci sarò più.”
Isobel sbarrò gli occhi, ormai rossi di pianto, e si aggrappò ad Ivar per salutarlo un’ultima volta.
“Ci penserò io a lei.”
Quando fu il turno di salutare Hvitserk, Isobel ebbe un tuffo al cuore. Malgrado tutto, loro erano legati da un sentimento muto ma ancora vivo.
“Voglio sistemare le cose. Voglio essere il marito e il padre che meritate.” Disse Hvitserk.
“Pensa a restare in vita, al resto ci pensiamo dopo.”
Il ragazzo prese Aila fra le braccia e le baciò la testa, assaporando quegli ultimi istanti con sua figlia.
“Sarà meglio andare. Arrivederci, Isobel.”
Isobel si sforzò di sorridere per incoraggiarlo, poi gli afferrò la mano e la strizzò un paio di volte.
“Arrivederci, Hvitserk.”
 
Tre giorni dopo
Hildr non ne poteva più di camminare, le gambe tremavano per lo sforzo eccessivo. Poche ore prima erano attraccati a Chichester e da lì avevano proseguito a piedi poiché vi era tutta terra ferma. La schiera di comandanti e soldati procedeva a passo spedito e in silenzio, solo le armi che strusciavano sul terreno facevano rumore.
“Quanto manca? Sto per morire!” si lamentò Eskol.
Il principe era sudato e affannato, non aveva mai camminato tanto in vita sua. Hildr si girò a guardarlo e rise, sembrava un bambino capriccioso.
“Cammina e sta zitto. Non manca molto.”
Ivar incespicò e la stampella cedette, facendolo cadere a terra. Hildr e Hvitserk si precipitarono per aiutarlo a rialzarsi, dopodiché lo fecero sedere su un masso.
“Anche lo zoppo non ce la fa più. Prendiamoci una pausa.” Disse Eskol.
“Io adesso ti spacco la faccia!” lo minacciò Hildr.
Avrebbe attaccato quello stupido principe se Ivar non l’avesse trattenuta per il polso.
“Lascialo stare, Hildr. Non è il momento.”
“Ce la fai a camminare?” chiese Hvitserk.
Le persone intorno a loro non si erano fermate, avevano continuato a marciare come se nulla fosse. Anche Einer e Jorunn, pur notando la caduta del giovane re, avevano ordinato di proseguire.
“Ce la faccio.”
Ivar lentamente recuperò la stampella e si mise in piedi, sentiva le ossa bruciare per il dolore.
“Manca poco a Edington, al massimo un’ora.” Disse Hvitserk.
Hildr si accorse che Ivar era stremato, la fronte imperlata di sudore e le labbra tremolanti.
“Hvitserk, tu guida i nostri alle colline. Io e Ivar vi raggiungiamo fra qualche minuto.”
“Non è necessario. Posso farcela.” Obiettò Ivar.
“Ma io devo fare pipì, non ci riesco con tutta questa gente intorno.”
“D’accordo.”
Hvitserk annuì e riprese il tragitto, fischiando affinché i soldati di Kattegat lo seguissero. Dopo che la turba si fu allontanata, Hildr emise un sospiro di sollievo.
“Vado finalmente a fare pipì. Tu assicurati che non ci sia nessuno.”
Ivar rise, alle volte la sua regina sapeva essere comica. Quello era in rituale che negli anni si era ripetuto, soprattutto quando Hildr era l’unica ragazza in un gruppo di maschi.
“Secondo me Eskol dovrebbe restare all’accampamento.”
“Creperebbe subito sul campo di battaglia.” Disse lei da dietro un cespuglio.
Ivar si morse il labbro, reprimendo un urlo di rabbia. Ad ogni osso che gli faceva male corrispondeva una bugia. Hildr era ignara delle sue condizioni precarie di salute, e lui continuava a mentirle spudoratamente. Ma era giusto? Era davvero necessario nasconderle la verità?
“Uh, la mia vescica ringrazia.”
Ivar scosse la testa per tornare alla realtà, non era il momento adatto per pendersi nei propri pensieri.
“Dovremmo raggiungere gli altri, presto farà buio.”
Hildr si aggiustò i pantaloni e risistemò la giacca della tenuta, una macchia nera in tutto quel verde del bosco.
“Hai ragione. Vieni, appoggiati a me.”
Lei gli offrì il braccio e Ivar accettò, era l’unica persona da cui si lasciava aiutare senza vergogna. Si incamminarono a braccetto e a passo moderato, godendosi anche un po’ il bel panorama.
 
Ivar si era già coricato quando Hildr entrò nella tenda con una ciotola ricolma di carne.
“Non hai fame? Io sto morendo! Mangerei anche te in questo momento.”
“Ne sono certo.” Replicò lui ridendo.
La ragazza si tolse gli stivali e la giacca, si sedette e si sciolse le trecce. Secondo la tradizione vichinga, dopo il matrimonio soltanto il marito poteva vederla con i capelli sciolti.
“Domani è il grande giorno. Sei agitato?”
Ivar prese un pezzo di carne e lo mangiò piano, allungando i tempi di risposta. Era agitato, sì, ma non per lo scontro. La sua preoccupazione era quella di lasciare Hildr da sola.
“Sono tranquillo. Il nostro piano di attacco è ottimo e funzionerà. Tu?”
“Sono agitata perché so di aver infranto la promessa fatta ad Alfred. So che non è quello che vuoi sentirti dire, ma lui non è mai stato nostro nemico.”
“So che la tua amicizia con Alfred è importante, però questa guerra è necessaria.” Disse Ivar.
Hildr grattò con l’unghia il fondo della ciotola, immaginando di grattare via anche quella sensazione di paura che la tormentava.
“Credo che Alfred morirà. La sirena e la danza dei defunti sono segni inequivocabili di morte.”
Ivar dovette distogliere lo sguardo per non piangere. Se solo Hildr avesse saputo cosa li aspettava.
“Sarà meglio riposare, domani ci aspetta una giornata faticosa.”
“Mmh.”
Quella notte dormirono abbracciati, l’uno si confortava nel calore dell’altra.
 
Hildr uscì dalla tenda un’ora dopo l’alba. Ivar non c’era, quindi supponeva che fosse già in riunione con Einer e Jorunn.
“Regina, Ivar desidera la vostra presenza.” disse una shieldmaiden.
“Grazie.”
Vide che Ivar e Hvitserk si sporgevano oltre il precipizio per guardare chissà cosa. Con loro c’erano anche Jorunn e Einer. Si affrettò a raggiungerli, curiosa di scoprire cosa attirasse la loro attenzione.
“Sono qui. Che succede?”
“C’è nebbia dappertutto.” Spiegò Hvitserk.
Hildr guardò giù dalla collina: il bosco era ricoperto da una fitta coltre di nebbia che impediva la vista. Era impossibile capire chi o cosa si muovesse sotto la massa bianca.
“Questa nebbia ostruisce la visuale per chilometri e chilometri.” Disse Einer.
“Quindi attaccare dal bosco è diventato inutile.” Aggiunse Jorunn.
Ivar stava zitto, scrutava la piana sotto di loro con la massima concentrazione. Gli ingranaggi del suo cervello stavano girando per elaborare un nuovo piano.
“Cambiamo zona. Ci accampiamo a valle.”
Jorunn aggrottò le sopracciglia e si portò le mani sui fianchi, assumendo la postura da regina.
“Perché a valle? Da qui possiamo controllare gli spostamenti dei sassoni.”
“Perché la nebbia potrebbe impiegare giorni per diradarsi.” Rispose Hildr.
Ivar annuì e regalò alla ragazza un sorriso appena accennato.
“A valle potremo riconsiderare la strategia d’attacco, perciò dobbiamo sbrigarci a scendere. Alfred in questo momento starà evacuando il castello e si starà muovendo. Tocca a noi anticiparlo.”
“Seguiremo il nuovo piano.” Acconsentì Einer.
“Anche Jorunn lo farà, se vuole restare viva.” la minacciò Hildr.
Jorunn indurì la mascella, detestava essere trattata in quel modo da un branco di ragazzini. Eppure aveva bisogno del patto con Ivar per mantenere il trono nel suo regno.
“Va bene.”
“Ordino all’esercito di sgomberare.” Disse Hvitserk.
Hildr aspettò che gli altri si allontanassero per avere un confronto con Ivar. Entrambi continuavano a guardare la nebbia che si stendeva sugli alberi.
“Che hai in mente, Ivar? Dimmi la verità.”
“Cambio radicale di strategia. Ti fidi di me?”
“Lo sai che odio quando tieni per te le strategie. La guerra è alle porte e io in qualità di comandante devo essere al corrente di tutto.”
Ivar la squadrò per un istante, poi sorrise con malizia e fece un mezzo inchino.
“Era questo che volevo sentire! Ti illustrerò il mio piano durante la discesa.”
“Ti detesto quando fai così.” Mormorò Hildr, stizzita.
 
Ormai era calata la notte, il buio era piombato sulla boscaglia e i gufi accendevano i loro vispi occhi gialli. L’accampamento era completo, alcuni guerrieri stavano arrostendo la carne e altri allestivano i giacigli per la notte.
Al centro delle tende, intorno al fuoco, Hildr si era riunita con le sue shieldmaiden per un rapido ragguaglio sulle modalità di combattimento.
“Se puntate la spada troppo in alto finirete per sbilanciarvi. Tenete l’arma sotto la spalla.”
“E se l’avversario punta al nostro addome?” chiese una ragazza.
Hildr sfoderò la propria spada, quella che Ivar le aveva donato per le nozze, e simulò la scena d’attacco.
“Il trucco è questo: se con una mano tenete la spada in alto, allora con l’altra o difendente l’addome oppure usate un coltello a lama sottile. È un gioco coordinato di movimenti. Ad ogni gesto ne corrisponde un altro nello stesso momento.”
“E’ la favoletta della buonanotte?” scherzò una voce maschile.
Hans era un soldato di Jorunn, un omone altro due metri e con le spalle più larghe del fianco di una nave.
“Hai qualche problema?” domandò Hildr, indispettita.
“Questo branco di pecorelle ha un problema. Non sono addestrate a dovere.”
Sigrid sguainò la spada nuova di zecca e la puntò alla gola di Hans; l’angolazione era svantaggiosa poiché lui era molto più alto.
“Non osare dubitare del nostro addestramento.”
Hans scoppiò a ridere, trattenendosi lo stomaco per placare la risata.
“Uh, la bambina si è offesa. Scusami, invocherò gli dèi perché perdonino la mia sfrontatezza.”
I compagni di Hans risero a crepapelle, e anche alcuni soldati di Kattegat si stavano divertendo troppo.
“Movimenti coordinati.” Disse Hildr.
Sigrid colse al volo il suggerimento, quindi estrasse il pugnale dalla cintola e lo puntò al fianco di Hans. L’omone trasalì, stupito dal dolore dell’arma che gli pungolava la pelle.
“Se spingo la lama di un solo centimetro, inizi a sanguinare. Se spingo la lama di dieci centimetri è probabile che colpisca il fegato e che ti uccida. Vuoi morire?”
“Ora stai zitto, Hans?” lo canzonò Hildr.
Hans provò a fare un passo avanti per attaccare Sigrid, ma una seconda shieldmaiden gli stava puntando l’ascia contro il ginocchio.
“Non ti conviene attaccare la mia amica.”
Questa volta fu Hildr a ridere, era sempre uno spasso vedere gli uomini spaventati da una donna che reagisce.
“Vedi, Hans, mai sfidare una shieldmaiden. Rischi di rimetterci la pelle o le palle, dipende.”
Hans si scostò dalle due donne e indietreggiò fino ad arrivare alla sua tenda. Ivar, seduto accanto al fuoco, sollevò il bicchiere in onore di Hildr.
“Un brindisi alla regina e alle sue shieldmaiden. Skall!”
“Skall!” gridarono tutti all’unisono.
 
Ivar si rigirava fra le dita il pezzo che Alfred gli aveva lasciato dopo la loro partita a scacchi. Più lo guardava e più in lui divampava la rabbia. Era come se il suo stesso sangue fosse in fermento per l’imminente scontro.
“Ci stai ripensando?”
Hildr si era stesa su un fianco, non riusciva mai a dormire prima di una battaglia.
“No. Questa guerra mi serve.”
“Davvero vuoi uccidere Alfred? È stato l’unico a trattarci con gentilezza. Inoltre, è sposato e ha un figlio. Non mi sembra necessario.”
Ivar abbassò lo sguardo su di lei e le accarezzò la fronte per spostarle una ciocca di capelli.
“Ti sei rammollita, Hildr. Siamo vichinghi e siamo dei conquistatori. Non ci sono gentilezze che reggano.”
Hildr si mise seduta e si sfregò le braccia per scacciare il freddo, anche se ipotizzava che quei brividi provenissero dalle parole del ragazzo.
“Noi due potremmo dare inizio a una nuova era. Potremmo avviare un periodo di prosperità e pace. La guerra non è sempre la soluzione.”
“Che cosa desideri?”
“In che senso?”
Ivar si puntellò su un gomito, i suoi occhi si concentrarono solo su di lei come fosse l’unica cosa esistente. Le sfiorò il naso con l’indice.
“Sei diventata regina per supportarmi. Sei venuta in guerra per supportarmi. Sei al mio fianco da sempre per proteggermi. Fai tutto per me. Ma qual è il tuo più grande desiderio?”
Hildr arrossì, non era abituata allo sguardo penetrante di Ivar che pareva leggerle nell’anima.
“Beh … io … non lo so.”
“Lo sai. Che cosa desideri, Hildr?”
Lei emise un sospiro stanco, come se avesse represso a lungo i suoi sogni.
“Desidero vivere con te lontano dalla guerra e dal trono. Vorrei che fossimo due semplici ragazzi. La gloria non è un obiettivo da perseguire col sangue. Ormai siamo famosi, ci conoscono addirittura in ‘Rus! Abbiamo lottato per tutta la vita, direi che è giunto il momento di fermarsi.”
“Non pensavo volessi una vita tranquilla. Hildr, tu bruci come il fuoco!” disse Ivar.
Hildr fece un sorriso per poi tornare subito seria. Si morse le labbra mentre deglutiva a fatica.
“E’ che sono stanca, Ivar. Non ce la faccio più. Non sopporto altri intrighi, altre fughe e altri morti. In soli due anni abbiamo affrontato quello che una persona affronta in dieci anni.”
“Perché siamo nati per questo! Siamo troppo in gamba per mollare tutto.”
Ivar non capiva le ragioni di Hildr, o fingeva di non capire per non ammettere che lei non aveva tutti i torti.
“Anche i più forti devono fermarsi.”
 
Due giorni dopo
Hvitserk si sciacquò il viso con l’acqua ghiacciata del ruscello, un ottimo metodo per svegliarsi in fretta. Era l’alba, tutti stavano ancora riposando e lui poteva godersi quella pace ancora per un po’. Quella mattina avrebbero messo in atto la strategia di Ivar. La guerra era ormai inevitabile. Ripensò a Isobel e Aila, voleva tornare da loro il primo possibile. Anni addietro non aveva mai pensato di mettere su famiglia, invece ora voleva soltanto riabbracciare la sua bambina. Se le cose si fossero messe male, Aila avrebbe ereditato il trono di Kattegat e anche il lignaggio della sua famiglia. Però, e questo Hvitserk lo temeva, di sicuro i nemici si sarebbero fiondati a capofitto su di lei pur di accaparrarsi il trono. Sperava con tutto se stesso che Hildr restasse viva tanto a lungo da tenere Aila lontana dal trono il più possibile.
“Disturbo?”
Ivar lo affiancò, la stampella che lasciava impronte sul terreno bagnato di rugiada.
“Pensavo ad Aila e al retaggio maledetto che si porta dietro. È nipote di Ragnar Lothbrok, è nipote di Ivar Senz’Ossa e Hildr la Valchiria, è figlia di un vichingo e di una sassone.”
“È benedetta dagli dèi!” disse Ivar.
D’altronde il nome stesso della bambina significava ‘benedetta’, pertanto gli dèi vegliavano su di lei sin dalla nascita.
“Spero solo che non diventi regina, sarebbe un destino troppo crudele.” Disse Hvitserk.
Ivar pensò a Hildr, alla corona che si intrecciava alle sue ciocche, al suo trono su cui si erano sedute Lagertha e Aslaug prima di lei. Tutte e tre regine destinate a lottare e a soffrire per volontà divina.
“I destini crudeli fanno parte della nostra famiglia.”
Hvitserk guardò il fratello e notò come i suoi occhi fossero più scuri, un blu intenso galleggiava nelle sue pupille.
“I tuoi occhi sono blu, Ivar.”
Ivar lo sapeva, sentiva il suo corpo debole e afflitto dal dolore. Eppure non era intenzionato a mostrarsi fragile.
“Non oggi, fratello mio. Non oggi.”
La loro conversazione fu stroncata dal brusio di voci alle loro spalle. Anche Jorunn ed Einer si erano svegliati, uscendo dalla stessa tenda. Ivar ghignò, non avrebbe mai immaginato che la guerra potesse portare a certi risvolti.
“Lo sapevi che sono amanti?”
“Certo. Si vede chiaro come il sole.” Disse Hvitserk con una risata.
Poi lo sguardo di Ivar si illuminò come la luce fosse esplosa: Hildr era apparsa in mezzo alla calca di soldati, stava bisticciando con i lacci della casacca. Ivar andò subito da lei come un lupo che segue la luna.
“Serve una mano?”
La ragazza sbuffò e grugnì, quella casacca proprio non ne voleva sapere di collaborare.
“Sì, prima che dia una testata al tronco di un albero.”
“Si sono incastrati i lacci, nulla di irreparabile.” Disse Ivar.
Le sue dita si mossero scattanti per districare i nodi, un’abilità che aveva acquisito dopo anni a sciogliere le reti da pesca di Floki.
“Abbiamo tutto il necessario per le trappole?”
“Sì, abbiamo raccolto tutto l’occorrente. Siamo pronti a installare le trappole. Fatto!”
Hildr poté finalmente indossare la giacca della tenuta e sistemare l’ascia alla cintola. Recuperò l’arco e la faretra dalla tenda e le issò sulla schiena, sentendosi protetta dalle proprie armi.
“Ti senti bene? Sei piuttosto pallido.”
Ivar era bianco come un cencio, e quel pallore non era passato inosservato all’occhio esperto della ragazza.
“Non ho dormito, sono molto stanco. Mi riposerò quando sarà tutto finito.”
Hildr gli mise le mani a coppa intorno al viso, c’era qualcosa negli occhi di Ivar che le faceva accapponare la pelle.
“Ivar, i tuoi occhi sono diversi. Sono più blu del solito.”
“Non ti preoccupare. Sto bene, dico davvero. Pensiamo a restare concentrati.”
La ragazza gli cinse il collo con le braccia e si avvicinò fino a far sfiorare le loro labbra.
“È difficile restare concentrata quando tuo marito è l’uomo più bello di Midgard.”
“Ah, sì? Tuo marito è davvero fortunato ad aver sposato te.”
“Assolutamente vero!”
Ivar colse l’occasione per baciarla, forse una delle ultime. Fece scivolare la mano lungo la schiena di Hildr per poi attirarla a sé, voleva sentirla addosso ancora una volta.
“Hildr …”
Hildr scosse la testa e lo baciò di nuovo con una passione tale da far rabbrividire entrambi.
“Lo so, Ivar.”
“Avete finito o dobbiamo aspettare l’arrivo di Ragnarok?” li riprese Jorunn.
Ivar e Hildr risero per l’impazienza della vecchia regina, si sentivano come due ragazzini sgridati dalla mamma. Dopo un altro bacio si unirono al resto del gruppo.
 
“La strategia è cambiata per via della nebbia che non ci permette di restare in cima alla collina. Il nuovo piano è questo: mutilare i soldati di re Alfred. Mutilando un gran numero di uomini, sarà necessario l’intervento dei soccorritori e tutta quella gente sarà alla nostra mercé.”
Ivar stava in piedi davanti ai tre eserciti, sfoggiando la sua autorità di re in maniera impeccabile.
“Sicuro che funzionerà?” volle sapere Einer.
“Sì, certo. Alfred chiamerà i soccorritori, fidatevi.”
Una shieldmaiden alzò la mano per richiedere la parola, era una donna sulla trentina che aveva abbandonato la fattoria paterna per andare in guerra.
“E se Alfred non chiamasse i soccorritori? È un’opzione da considerare.”
Hildr fece un passo avanti per mettersi accanto ad Ivar, la loro differenza di altezza aveva uno scarto di circa dieci centimetri.
“Alfred è un cristiano devoto, farà il possibile per salvare i suoi uomini. La sua morale religiosa gli impone di pensare al prossimo. Come ha previsto Ivar, i soccorritori ci saranno.”
“Come mutileremo i sassoni?” domandò Jorunn, curiosa.
Ivar usò la stampella per indicare una gran quantità di legna ammucchiata in un angolo.
“Costruiremo delle trappole con la legna e le nasconderemo sotto le foglie. Le faremo scattare quando la prima linea sassone tenterà un attacco.”
Hans, l’omone che imperterrito infastidiva le shieldmaiden, fece spallucce per manifestare la sua incredulità.
“E poi come agiremo? Dobbiamo pur posizionarci in qualche modo.”
“Ovviamente abbiamo pensato anche a questo.” Disse Hildr.
“Ascoltiamo la regina!”
Hildr roteò gli occhi, non sopportava più quello sbruffone. Si mise le mani sui fianchi per non metterle attorno al collo dell’uomo.
“Fai poco lo spiritoso, Hans. Io e Hvitserk abbiamo stabilito la disposizione dei soldati secondo parametri oggettivi. Alterneremo una linea di guerrieri con le asce e una di shieldmaiden con l’arco. Inoltre, costruiremo un ponte su cui saranno disposti altri arcieri. Una cinquantina di guerrieri, invece, saranno collocati lungo i fianchi. Così sarà possibile attuare un attacco simultaneo su più lati.”
“E’ un ottimo piano se lavoriamo tutti insieme.” Disse Hvitserk.
La sera precedente lui e Hildr erano rimasti a parlare fino a tardi, avevano fatto ipotesi e le avevano smontate, avevano bisticciato e si erano chiariti, fino alla soluzione definitiva. Ivar si era sbellicato dalle risate nel vedere la moglie e il fratello litigare come quando erano adolescenti.
“Che il lavoro abbia inizio!” annunciò Einer.
 
Due giorni dopo
Il silenzio tombale che precede una battaglia è carico di adrenalina mista a paura. I vichinghi si erano posizionati, le trappole erano state piazzate e il ponte era stato eretto. Le sentinelle avevano comunicato che Alfred era vicino, pochi minuti e sarebbe giunto sul luogo dello scontro. Hildr stava sul ponte, le braccia tese per tenere l’arco in procinto di scoccare la freccia. Ivar teneva gli occhi chiusi e le orecchie in ascolto per captare qualsiasi rumore.
“Sono vicini.”
Hvitserk scese dal ponte dato che lui avrebbe guidato gli uomini a terra.
“Possiamo ancora ritirarci. Siamo in tempo.” Bisbigliò Hildr.
Ivar le lanciò un’occhiata decisa, la determinazione bruciava ogni fibra del suo corpo.
“Non ci ritireremo. Possiamo vincere.”
Hildr aveva sperato fino all’ultimo che Ivar rinsavisse, che accantonasse quella stupida guerra per il bene di Kattegat e quello del Wessex. Non aveva alcun senso quel desiderio bellico. Eppure non poteva lasciarlo da solo, lo aveva promesso a Ragnar e a Odino. Sarebbe rimasta con Ivar fino alla fine dei giorni.
“Vedo Alfred con tutto l’esercito.” Riportò Jorunn.
Hildr era focalizzata sull’arrivo dei sassoni quando un’ombra la obbligò a distogliere l’attenzione dal bersaglio. Vide quattro uomini sgattaiolare verso nord con le armi sfoderate.
“Ivar, perché degli uomini vanno a nord? Non è parte della strategia.”
“Non lo so.”
Ivar aveva serrato la mascella e si era morso il labbro, indice che stava mentendo.
“Hai tre secondi per dirmelo, oppure ti butto giù da questo ponte.”
“Stanno intercettando la carrozza di Elsewith per ucciderla.”
Hildr strinse le dita intorno all’elsa della spada talmente forte da avvertire le decorazioni a rilievo pungerle il palmo.
È crudele! I ricognitori hanno detto che nella carrozza c’è anche il figlio di Alfred.”
Ivar la guardò come se la vedesse per la prima volta, era allibito da quella informazione di cui non era a conoscenza.
“Jorunn mi ha detto che nella carrozza c’è solo Elsewith. Mi ha chiesto il permesso di ucciderla perché Mannel, il padre di Elsewith, ha ucciso il fratello di Jorunn. Per questo motivo ha accettato di allearsi con noi.”
“Jorunn ti ha mentito. Sa bene che in quella carrozza c’è anche un bambino, ma lo ha tenuto per sé pur di vendicarsi. Ivar, questo non posso sopportarlo. Nessun bambino deve restare coinvolto.”
Ivar lesse negli occhi di Hildr quel senso di giustizia che tanto le invidiava. Lei aveva un’etica di ferro che lui non aveva mai avuto in vita sua. Pochi erano i vichinghi con una coscienza tale da risparmiare dolore ai nemici.
“Vuoi andare a salvare il bambino.”
“E’ mio dovere. Ho infranto la promessa fatta ad Alfred, però voglio almeno provare a salvare suo figlio.”
Ivar si fece scappare un sorriso, non ce la faceva a resistere alla risolutezza di Hildr. Lei era uno spirito libero che doveva seguire la sua rotta, e lui glielo avrebbe concesso.
“Torna subito qui dopo che avrai messo in salvo il bambino. Cerca di non farti ammazzare.”
Hildr lo abbracciò di slanciò e gli diede un bacio a stampo, dopodiché si arrampicò oltre il ponte per scendere giù.
“Ivar, ti amo.”
Ivar le accarezzò il mento e cercò di imprimere nella mente ogni dettaglio del suo viso: gli occhi scuri e luminosi, le labbra rosee e screpolate, qualche lieve lentiggine, e quei capelli neri che lui adorava alla follia.
“E io amo te.”
Hildr balzò a terra, le foglie schizzarono al suo atterraggio. Dopo di lei anche Sigrid era scesa.
“Che fai?”
“Vengo con voi, mia signora.” Rispose Sigrid.
“Andiamo, shieldmaiden. Mostriamo loro cosa sappiamo fare.”
Ivar guardò le due ragazze correre verso la carrozza con il cuore in gola.
Il suo tempo su Midgard stava per concludersi e il suo unico desiderio era quello di rivedere Hildr ancora una volta. Per l’ultima volta.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questo è un capitolo di preparazione alla battaglia. Ci sono parecchi sentimenti in ballo, chissà come andrà a finire.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Palazzo di Odino ad Asgard

 

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Capitolo 9
*** Le porte del Valhalla pt.II ***


9. LE PORTE DEL VALHALLA PT.II

I piedi di Hildr ciondolavano dal trono, era una bambina e la seduta era troppo grande per lei. Dall’altra parte c’era Ivar, la coperta sulle gambe e il solito broncio sul viso; era un bambino scontroso e di cattivo umore.
“Ora che facciamo?” chiese Hildr.
Il bambino si mise in testa la corona di sua madre e fece una riverenza all’amica.
“Fingiamo di essere i miei genitori. Possiamo essere re e regina per un giorno.”
“Ma io non voglio essere una regina. Io voglio essere una guerriera!”
Hildr saltò giù dal trono, prese un pezzo di legna dal camino spento e lo agitò come fosse una spada. Conosceva le storie mitiche su Lagertha, shieldmaiden e regina di Kattegat, e aveva sempre sognato essere forte come lei.
“Se combatti, puoi morire. Io che faccio da solo?” obiettò Ivar.
“Allora vieni a combattere con me. Insieme possiamo essere invincibili!”
Hildr alle volte aveva delle idee strampalate che Ivar non capiva mai appieno. Lei aveva solo otto anni ma sembrava già sapere cosa volere dal futuro, mentre lui a dieci anni non riusciva neanche a camminare.
“Come posso combattere se le mie gambe sono malate? Sii seria, Hildr.”
Hildr si sedette sul bracciolo del trono di Ivar e gli mise un braccio intorno alle spalle, sebbene fosse più minuta di lui.
“Tu non sei la tua malattia. Tu sei Ivar!”
“E se non bastasse?”
“A me basti tu. Il mio migliore amico, mio fratello, la mia famiglia. Il mio Ivar.”
Ivar sorrise timidamente, felice che Hildr gli volesse quel bene immenso. Lei era l’unica amica che aveva, l’unica roccia a cui fare affidamento, l’unica persona che non lo aveva mai abbandonato.
“Anche a me basti tu. Migliori amici per sempre?”
Hildr lo abbracciò e annuì, stampandogli un poi un bacio sulla guancia.
“Migliori amici per sempre.”
 
Combatti come vivi, ecco cosa le ripeteva sua madre. Hildr sapeva che erano parole sagge, ma non era possibile metterle in pratica in ogni occasione. Se decidi di vivere nella pace, allora devi perseguire la pace. Ma lei lottava da quando aveva sedici anni, dunque aveva perseguito la strada della guerra e doveva adattarsi a questa scelta. Questi erano i pensieri che affollavano la sua testa mentre correva verso la carrozza di Elsewith. Aveva disatteso la promessa di non belligeranza fatta ad Alfred, ma non avrebbe permesso a nessuno a uccidere la sua famiglia. Elsewith e il bambino erano innocenti buttati nella mischia.
Un boato fece tremare il terreno, seguito da urla e dal suono del corno.
“La guerra è iniziata.” Disse Sigrid.
Hildr si voltò indietro e vide i sassoni correre incontro ai vichinghi, ma la loro corsa veniva interrotta dalle trappole che li trafiggevano e li uccidevano. Decise di ignorare le grida strazianti e riprese la strada verso la carrozza. Si accorse che era troppo tardi quando vide i quattro uomini assaltare il mezzo di trasporto. Uno di loro teneva la portiera aperta mentre l’altro tirava fuori Elsewith. Gli altri due, invece, frugavano all’interno in cerca del bambino.
“Io penso al bambino, tu aiuta Elsewith.” Ordinò Hildr.
Sigrid annuì e si lanciò contro l’uomo che manteneva la portiera, trafiggendolo alla schiena con l’ascia. Quello cadde a terra in una pozza di sangue. L’altro uomo si avventò sulla ragazza e lei fece il possibile per difendersi.
“Il mio bambino! Il mio bambino!” strillava Elsewith.
Hildr prese l’arco, incoccò una freccia e la tirò contro uno degli assalitori. L’uomo andò a sbattere sul fianco della carrozza, la freccia gli usciva fuori dalla spalla. Senza perdere tempo, Hildr tirò fuori la spada e lo colpì al fianco. L’uomo cedette con le mani che tentavano di fermare il sangue.
“Siamo dalla tua parte. Che stai facendo?”
“Non siamo dalla stessa parte se uccidi un bambino.” Disse Hildr.
Gli spinse la suola dello stivale sulla gola e gli conficcò la spada nel petto. La lama gocciolava sull’erba mentre la trascinava per attaccare il secondo uomo. Un pianto risuonò nella carrozza, e l’attimo dopo Hildr vide che il bambino era stato trovato. L’assalitore era Hans, stringeva il piccolo come fosse un sacco di patate.
“Ecco la guastafeste!” esclamò l’omone.
“Lascia andare il bambino. Adesso!”
Hildr non riusciva a concentrarsi, le grida di battaglia alle sue spalle sovrastavano i suoi pensieri. Era come se mente e corpo fossero in due posti diversi. Il suo braccio minacciava Hans con la spada, ma la sua testa pensava ad Ivar sul ponte.
“Che ti importa? Questo moccioso è un sassone, è un nostro nemico.”
“Ha tre anni, non può essere un nemico!” Replicò lei, incredula.
Hans non era intimidito affatto, anzi era infastidito da lei che gli intralciava il ritorno al campo. Jorunn lo avrebbe pagato a buon prezzo se avesse ucciso la regina e il bambino.
“Levati di mezzo, stupida.”
Hildr, che detestava sia lui sia il suo carattere rozzo, sollevò la spada e gliela puntò al cuore. Era molto più bassa di lui, però Vadim le aveva insegnato che poteva sfruttare quello svantaggio.
“Lascia il bambino.”
Elsewith gridò mentre veniva strattonata lontano dalla carrozza, il vestito che si strappava ad ogni passo. Sigrid stava ancora lottando contro uno dei quattro uomini, quindi non era disponibile. Hildr doveva rimediare prima che il danno fosse irreparabile. Salvare il bambino era la priorità, poi avrebbe pensato a Elsewith.
“Ora mi hai fatto arrabbiare.”
Hans depose a terra il bambino, che rimase immobile con le mani in bocca, e si avventò su Hildr. La ragazza fu sbalzata all’indietro, battendo i gomiti sulle pietre dure; per un soffio non diede una testata ad un masso appuntito. La spada era volata via, giaceva chissà dove insieme all’arco. Sebbene avesse la vista appannata, riusciva a vedere la battaglia che si stava consumando nella fitta boscaglia. Spade che cozzavano, schizzi di sangue, braccia e gambe mutilate, guerrieri che cadevano senza vita. Doveva tornare da Ivar, ma per farlo era necessario liberarsi di Hans.
“Sai una cosa, Hans? Ora devi proprio morire.”
Hildr si rimise in piedi, benché l’equilibrio fosse ancora instabile, ed estrasse dalla cintola l’ascia. Hans rise e subito dopo allungò le braccia per afferrarla, ma la ragazza si piegò sulle ginocchia e gli piantò l’ascia nella pancia. Usò quell’appiglio per ficcare la lama nelle viscere dell’omone, che ricadde sulle ginocchia col sangue che sgorgava copioso. Hans però non si arrendeva, agguantò Hildr per i capelli e la spinse per terra. La ragazza ora si trovava schiacciata sotto il corpo di Hans che incombeva su di lei, sentiva il sangue caldo bagnarle la giacca. L’odore di ferro era nauseante e si univa alla testa che pulsava per il dolore.
“Tu morirai con me.” Mormorò Hans.
Hildr sentì la mano dell’uomo avvolgersi attorno al collo, il respiro iniziava a mozzarsi e i polmoni bruciavano per la mancanza di ossigeno. Il pianto isterico del bambino le diede l’impulso utile per difendersi. Tese le braccia ai lati per tastare il terreno in cerca di qualcosa da usare come arma. Quando riuscì a raccattare il masso appuntito, sorrise malgrado tutto. Sbatté le palpebre più volte poiché lo strangolamento stava smorzando le sue forze. Si fece coraggio e con uno sforzo immane mosse le braccia. Hans spalancò la bocca, il sangue cominciava a colargli dai denti. Hildr gli aveva conficcato la punta del masso nella nuca.
“Muori da solo, bastardo.”
Hildr sgusciò da sotto il corpo esanime di Hans e vomitò quel poco che aveva mangiato. Il collo era pieno lividi e ingoiare la saliva era doloroso. Anche respirare era difficile, sembrava di avere acido nei polmoni.
“Mia signora, state bene?” domandò Sigrid con affanno.
La ragazza aveva ucciso il suo aggressore a suon di ascia, gli aveva quasi mozzato una gamba.
“Prendi il bambino e portalo al sicuro all’accampamento sassone.” Biascicò Hildr.
Ogni parola le provocava dolore alla gola e tentò di lenirlo massaggiandosi la parte, ma tutto risultava inutile. Nonostante la fatica, era contenta di aver salvato il bambino. Ora doveva aiutare Elsewith.
“Voi che farete, regina? Non posso lasciarvi in queste condizioni.”
Sigrid non era in forma, aveva vari tagli sulle mani e sul volto, e il ginocchio era gonfio.
“Io torno da Ivar. Tu e il bambino vi dovete nascondere perché Jorunn non si arrenderà.”
“Come desiderate, mia signora. È stato un onore combattere al vostro fianco.”
Sigrid abbracciò Hildr come fosse una sua sorella, e un po’ lo era considerate le giornate intere trascorse insieme.
“Sei una shieldmaiden eccezionale. Continua così, Sigrid. Sono fiera di te.”
 
Ivar osservava con soddisfazione il campo di battaglia impregnato di sangue. La sua tattica di usare trappole per mutilare le prime linee sassoni di attacco stava funzionando. I soldati di Alfred si accasciavano uno dopo l’altro come foglie secche. Dal ponte vedeva Hvitserk mietere vittime brandendo la spada con maestria, dimostrandosi un valoroso combattente. Vedeva anche Alfred che si aggirava fra i suoi soldati deceduti come un’anima in pena.
“Che diamine succede?” sbraitò Jorunn, inferocita.
Ivar solo allora notò un uomo che stava strascinando Elsewith per i capelli. La regina si dimenava invano poiché la presa del suo rapitore era troppo forte. Se era stata catturata, dov’era Hildr? E Sigrid?
“Dov’è il bambino? Quel moccioso doveva essere dilaniato!” stava sbottando Jorunn.
Ivar non capiva più niente, i suoni intorno a lui giungevano ovattati e le immagini erano distorte. La sua unica preoccupazione era Hildr, non era tornata e non aveva salvato Elsewith.
“Ivar!”
Quella voce era inconfondibile, l’avrebbe riconosciuta fra mille come fosse la propria. Hildr stava ai piedi della scaletta con l’arco in una mano e la spada nell’altra. I capelli erano in disordine e i vestiti erano macchiati di sangue, ma ad allarmare Ivar furono i segni rossi e i lividi sul collo.
“Che ti è successo?”
“Ho ucciso Hans e salvato il bambino.” Rispose Hildr, sorridendo compiaciuta.
Jorunn aveva ascoltato quello scambio di battute e la sua rabbia era cresciuta a dismisura. Aveva accettato di sostenere Ivar solo per avere la vendetta su Elsewith, invece non stava ottenendo nulla di ciò che il re di Kattegat le aveva promesso.
“Ivar, sporco traditore!”
Il sorriso di Hildr si tramutò in sguardo assassino quando vide che Jorunn si stava fiondando su Ivar con un coltello. Non avrebbe perso suo marito perché un’anziana regina voleva vendetta per un evento accaduto anni prima. Sollevò l’arco e la freccia saettò colpendo Jorunn al cuore. La regina si portò le mani al petto e sbiancò, dopodiché cadde giù dal ponte. Lo schianto la uccise definitivamente.
“Mi hai salvato di nuovo le chiappe!” disse Ivar con una risata.
Hildr forzò un sorriso, la gola le faceva troppo male per parlare. Il corpo di Jorunn giaceva nella terra in posizione scomposta, le braccia erano piegate in modo anormale. Un’altra regina maledetta dal potere.
“Lasciami! Lasciami!”
Elsewith gridava e si divincolava senza risultati, le mani del suo aggressore erano troppo forti per liberarsi. Ivar notò il modo in cui Hildr aveva raddrizzato la schiena, la mano che velocemente andava a stringere l’ascia.
“Hildr, no!”
La ragazza, però, non gli diede retta. Corre da Elsewith e le afferrò la mano, tirandola verso di sé. La regina sassone si aggrappò a lei mentre cadevano insieme sul terreno umido. A pochi centimetri da loro scattò una trappola, facendole trasalire.
“Spostati!” disse Hildr.
Dopo che Elsewith rotolò di fianco, la vichinga partì all’attacco contro l’uomo che aveva assaltato la carrozza. Hildr lo spintonò per farlo inginocchiare, dopodiché gli tirò un calcio in faccia. L’uomo bloccò quel calcio, agguantò la sua caviglia e la buttò per terra.
“Ora sono davvero arrabbiata.” Disse Hildr fra sé.
L’ascia era volata via, la spada era dispersa e l’arco era accanto al corpo di Jorunn. Senza armi poteva affidarsi solo alle proprie forze.
“Hildr, lascia stare! Lascia stare!” stava gridando Ivar.
Hildr sapeva che lasciar perdere era la cosa migliore, del resto Elsewith era una nemica in quel momento. Ma come poteva far morire la moglie di Alfred dopo aver infranto la loro promessa? Non era giusto, non se voleva regnare onestamente. Combatti come vivi, si ripeté.
“Elsewith, la cintura! Dammi la tua cintura!”
Elsewith sciolse la cintura di cuoio che adornava il suo abito e la lanciò a Hildr, che strisciò fino a lei per recuperarla.
“Alle tue spalle!” l’avvisò Ivar dal ponte.
Hildr ebbe il tempo di girarsi che l’uomo le era già addosso. Le diede uno schiaffo tanto forte da graffiarle la guancia, ma questo non la fece arrendere. Scostò l’uomo dandogli una ginocchiata fra le gambe, poi si alzò e gli attorcigliò la cintura al collo.
“Ivar! Ora!”
Ivar rubò l’arco da una shieldmaiden che stava sul ponte, prese la mira e fece saettare la freccia. Un secondo dopo l’uomo stramazzò perché la punta della freccia gli aveva perforato una tempia. Hildr raccattò l’ascia e la piantò nel petto dell’uomo, che morì seduta stante.
“G-grazie.” Disse Elsewith.
“Torna da Alfred.” Suggerì Hildr.
Mentre la ragazza sassone fuggiva per tornare al proprio campo, Hildr si prese qualche istante per riprendere fiato. Sentiva male dappertutto, di sicuro aveva lividi e ossa indolenzite in ogni parte del corpo.
“Abbiamo sconfitto le prime linee di difesa!” annunciò Hvitserk.
Aveva i capelli striati di sangue e di terra, anche i vestiti erano macchiati di rosso. Dalla sua spada gocciolava ancora sangue fresco. Nei suoi occhi c’era una vivacità che faceva paura.
“Ora passiamo alla nuova fase del piano.” Disse Ivar, sorridendo.
Hildr era confusa, non capiva a quale nuova fase facesse riferimento.
“Di che stai parlando? Credevo che andassimo in guerra e basta.”
“Una fase necessaria in ogni guerra è la negoziazione. Alfred dovrebbe accettare una tregua se vuole mantenere il trono.”
 
 
Hildr era offesa per non essere stata informata di quella parte del piano che includeva un dialogo con la fazione opposta. La pianura era invasa dai soldati: da una parte c’erano i vichinghi e dall’altra c’erano i sassoni. Al centro figuravano Alfred e Ivar, separati da una bandiera bianca come simbolo di resa momentanea.
“Credevo che avessimo un accordo.” Esordì Alfred.
“Non era mia intenzione rompere il nostro accordo.” Replicò Hildr.
Ivar serrò la mascella, proprio non riusciva ad accettare il legame fra la moglie e il re sassone.
“Non c’è spazio per l’amicizia. Ricordi questo?”
Alfred al volo arraffò l’oggetto che il vichingo gli aveva lanciato: era un pezzo degli scacchi che anni prima gli aveva regalato.
“Te l’ho donato in segno di amicizia. Sei tu che ora hai ribaltato il gioco.”
“Tu mi hai insegnato a giocare.” Disse Ivar.
Alfred cercò lo sguardo di Hildr, che fissava la bandiera pur di non guardarlo.
“Giochi davvero bene, Ivar. Muovi le pedine con maestria.”
Ivar fece un buffo inchino, una parodia per ridicolizzare il suo nemico. Sorrideva come il dio Loki prima di un inganno.
“Tutto sta nel capire come e quando muovere le pedine giuste.”
Alfred era visibilmente demoralizzato, aveva ormai compreso che quella guerra era soltanto all’inizio.
“Tu non vuoi davvero la pace, Ivar Senz’Ossa. Tu sei un sinonimo di terrore per questo mondo.  Tu non vedi e non provi la pietà dei comuni mortali.”
Ivar smise di sorridere, permettendo ad un’ombra di oscurargli il viso.
“Arrenditi, Alfred. Non hai le pedine giuste per vincere.”
“E’ così, Hildr? Mi hai preso in giro per assediare il mio regno. Stupido io a reputarti mia amica!”
Hildr era stufa di essere considerata un pezzo degli scacchi. Alfred e Ivar se la contendevano come fosse la pedina da usare quando il gioco stava per finire. Ma lei non era un banale pezzo di legno, lei non era un soldatino da spostare su una scacchiera, lei non era il premio ambito da entrambi. Lei era una donna, una shieldmaiden e una regina. Era Hildr la Valchiria e sceglieva le proprie battaglie.
“Siete entrambi stupidi se pensate che questa guerra avrà un risvolto positivo. C’è chi vince e c’è chi muore. Non c’è la pedina che salva la partita e fa vincere tutti e due. Non sarò io a porre fine ai vostri deliri di onnipotenza. O morite o vivete, questo è il vero gioco.”
“Giochiamo.” Disse Ivar.
“Giochiamo.” Accordò Alfred.
 
“Sei stata magnifica prima. Le tue parole sono st-…”
Ivar si beccò uno schiaffo da Hildr che lo fece zittire. La ragazza chiuse gli occhi per placare i nervi, il respiro concitato manifestava la sua rabbia.
“Hildr …”
“Taci, Ivar. Ora mi spieghi che cosa sta succedendo davvero.”
“In che senso? Stiamo combattendo, non vedo molte spiegazioni.”
Hildr gli prese il mento fra le dita e lo costrinse a guardarla in faccia, voleva leggere nei suoi occhi la risposta.
“Mi nascondi qualcosa, lo vedo nei tuoi occhi. Che cos’è?”
Ivar si morse il labbro pur di non confessare. Non poteva dirle la verità e spezzarle il cuore mentre erano sull’orlo di una guerra tremenda.
“Qualsiasi cosa accada oggi sappi che io ti amo alla follia. Sappi che sei sempre stata l’amore della vita, anche quando ancora non sapevo di amarti. Sappi che senza di te non avrei resistito a lungo. Sappi che darei anima e corpo per te.”
Hildr era immobile, i muscoli atrofizzati da quelle parole disperate. Qualcosa stava andando male. Ivar le avvolse le mani a coppa intorno al viso e le accarezzò le guance.
“Ivar, che sta succedendo?”
“Sarai sempre la mia primavera. La mia valchiria. La mia Hildr.”
E poi fu tutto chiaro. Ogni cosa ebbe senso all’improvviso: gli attacchi di febbre, i dolori lancinanti, la fretta di sposarsi e i regali; la visita della Nix, il ballo dei defunti e quel presentimento che la perseguitava.
“Ivar, esci e combatti! Codardo!” stava sbraitando Alfred.
Hildr rimase ferma mentre Ivar si muoveva verso il campo di battaglia. Le mancava l’aria. Non riusciva a pensare con lucidità. Il cuore batteva tanto da temere che esplodesse.
“Hildr, che fai? Andiamo!” la incitò Hvitserk.
“E’ un suicidio.” Sussurrò lei, stravolta.
“Come hai detto?”
Hvitserk sembrava sereno, quasi rassegnato, e quella fu la prova che lui era a conoscenza del vero piano del fratello.
“Ivar si sta suicidando.”
“Hildr, lasciami spiegare. Non è come cr-…”
Ma Hildr non lo stava più ascoltando, era sorda a ogni voce che non fosse quella del proprio dolore. La collera, la disperazione e la frustrazione la stavano erodendo come un veleno mortale. Non si era mai sentita tanto soffocata dal dolore come in quel momento. Il suo mondo stava per crollare e lei stava per essere schiacciata dalle rovine senza avere possibilità di salvezza.
 
Ivar sapeva che era giunta la fine. La sua fine. Odino aveva scritto il suo destino anni fa e ora stava per compiersi inesorabilmente. Il tempo su Midgard è breve per gli esseri umani, ma lui aveva avuto la fortuna di vivere avventure straordinarie. Arrivò claudicando sul campo di battaglia, reggendosi alla stampella come fosse uno scoglio durante una tempesta. La guerra era ovunque intorno a lui, sangue, terra, grida e armi. Più avanzava e più la morte volteggiava su di lui. Le premonizioni del Veggente si rivelate vere: il manto bianco era la bandiera, le luci infuocate bagnate nel sangue erano le spade, i pezzi sparsi nell’erba erano i soldati mutilati.
Sfilò la spada dalla schiena di un sassone e la brandì in un ultimo atto di gloria.
“Abbiamo paura della morte? No! Noi non vogliamo morire nei nostri letti come i vecchi, ma vogliamo riunirci con i nostri cari nel Valhalla!”
Trafisse un soldato nemico nell’addome, poi gli diede il colpo di grazia con un altro fendente nel costato. Il sangue si riversò sulla terra, i fili d’erba intrisi da quel liquido viscoso.
“Ivar! No!” lo stava implorando Hildr.
Ivar si girò e incontrò lo sguardo atterrito di un giovane sassone, aveva all’incirca la sua età. Se ne stava lì con le ginocchia che tremavano, il respiro accelerato e la mano che mal reggeva il pugnale.
“Non avere paura.” Gli disse Ivar.
Il giovane sassone sbarrò gli occhi, capendo che il vichingo gli aveva appena dato il permesso.
La lama del pugnale penetrò la carne di Ivar una volta, poi due volte, poi tre volte. La lama lo trafisse ancora e ancora e ancora, finché Ivar non smise di respirare. Il sangue stava inondando il suo corpo dall’interno, sgorgando dalla bocca in fiotti copiosi.
Ebbe la forza di voltarsi per guardare Hildr per l’ultima volta.
 
Hildr era partita all’attacco insieme a Hvitserk. Poteva salvare Ivar. Anzi, doveva salvarlo. Se lui fosse morto, anche una parte di lei sarebbe andata persa. Si gettò nella mischia con furia accecante, voleva solo uccidere chiunque le sbarrasse la strada. Vedeva Ivar che camminava e si guardava intorno, era maledettamente tranquillo mentre andava incontro alla morte.
“Ivar! No!” lo implorò lei.
Ivar la ignorò, continuando ad avanzare mentre pronunciava il suo ultimo discorso da re.
“Alla tua destra!” l’avvertì Hvitserk.
Hildr sentì la spada di un sassone graffiarle la gamba, il sangue prese a fuoriuscire dal ginocchio. Non poteva perdere altro tempo, dunque tramortì l’uomo con un calcio alla pancia e poi gli infilò la spada nel cuore. Nessuna pieta, disse a se stessa. Proseguì per avvicinarsi ad Ivar, ogni passo era un nuovo nemico da abbattere. La sua spada mieteva morti a destra e a sinistra, accompagnata da un’ira nera come la notte. Prima mozzava una mano, poi trafiggeva una gola. Prima infilzava la spada in una gamba, poi colpiva alla testa. Intorno a lei c’erano solo cadaveri, alcuni già deceduti e altri che stavano scivolando nella morte. Era ricoperta di sangue e terra, i capelli erano una massa informe, e sembrava che mugugnasse come una belva feroce.
Poi accadde l’inevitabile. Un sassone pugnalò Ivar ripetute volte. Mentre veniva accoltellato le sue ossa cominciarono a spezzarsi, facendolo gemere per la sofferenza. Hildr sentì un ronzio nelle orecchie che per un attimo le offuscò la vista. Ivar stava già morendo da mesi e quella guerra era il suo modo per salire nel Valhalla come un eroe.
Ivar si voltò verso di lei, sorrideva con il sangue che zampillava sul mento.
“Ivar!”
Si lanciò a capofitto su Ivar e gli prese la testa con delicatezza, incurante del sangue che ora le sporcava le mani.
“Ivar! Ti supplico, resisti. Non mollare. Resta con me.”
Stava piangendo a dirotto, scossa da singhiozzi e brividi. Non aveva mai pianto così. Era un lamento primordiale, oscuro, qualcosa che forse nessun umano aveva mai provato.
“Non mi lasciare. Ti prego, amore mio. Non mi lasciare.”
La mano di Ivar strinse quella di Hildr, era una presa debole ma resistente.
“H-hildr …”
“Shh, non parlare. Non ti affaticare.”
Le lacrime della ragazza bagnavano il volto di Ivar, acqua e sangue mi mescolavano.
“Migliori amici per sempre?” Sussurrò Ivar, ormai allo stremo delle forze.
Hildr posò la fronte su quella di Ivar e gli diede un bacio sulle labbra.
“Migliori amici per sempre.”
Gli occhi del vichingo si fecero di nuovo azzurri, liberi dal supplizio della malattia con cui era nato. Il sangue gli riempì la bocca, poi espirò.
“Ivar! Ivar! No! No!”
La guerra si era fermata, tutti stavano in silenzio e avevano deposto le armi.
Le grida di Hildr squarciarono il cielo. Piangeva, gridava, pregava Odino, supplicava, stringeva il corpo senza vita di Ivar.
 
Alfred dovette chiudere gli occhi perché non era in grado di sopportare quella vista. Le grida disperate di Hildr, il suo pianto convulso, il modo in cui abbracciava Ivar erano fonte di dolore anche per lui. Aveva sempre visto Hildr spavalda e fiera, sorridente e arrabbiata, ma non l’aveva mai vista tanto sofferente. Ora appariva fragile, sul punto di spezzarsi se il vento avesse soffiato un po’ più forte. Depose la spada per terra e si tolse la corazza: la guerra era finita. Il suo esercito lentamente arretrò, rispettando il momento di lutto dei vichinghi.
“Non così presto!” tuonò Hildr.
Come se la furia si fosse personificata, la ragazza estrasse un coltello dalla cintura e agguantò il giovane soldato che aveva pugnalato Ivar.
“Hildr, non farlo. Non è necessario.” Disse Alfred.
Hildr, però, non ragionava più. Era abbagliata dal dolore e dalla rabbia, era un concentrato pericoloso di violenza. Sporca di sangue com’era, sembrava una dea della morte.
È necessario per me.” Rispose lei.
Hildr si avventò sul giovane sassone con calci e pugni. Lui tentava di difendersi, ma lei infieriva con una brutalità spaventosa. Lo picchiò fino a farlo cadere a terra, continuando a colpirlo in faccia più volte.
“Hildr, basta!” disse Alfred.
La ragazza scoppiò a ridere, una risata perfida e agghiacciante. Una parte di lei, quella umana e sensibile, era deceduta insieme ad Ivar.
“Basta, hai ragione.”
Tirò i capelli del giovane sassone e gli tagliò la gola. Alfred sospirò, eppure non disse niente. In fondo Hildr aveva salvato sua moglie e suo figlio, perciò il debito era quantomeno stato ripagato.
 
Hvitserk aveva assistito a quell’assassinio con noncuranza. Giustizia era stata fatta. Peccato che la morte del sassone non potesse riportare Ivar in vita. Era palese che Hildr non sarebbe stata più la stessa, non dopo aver perso l’unica persona che era sempre stata con lei. Non aveva mai compreso il legame fra Hildr e Ivar, era troppo sacro e irraggiungibile per essere capito. Loro si amavano e si odiavano, si baciavano e si insultavano, ma non si erano mai separati per davvero. Ivar era una parte di Hildr e viceversa.
“Hildr, andiamo via. Dobbiamo seppellirlo.”
Hildr lo guardò con una cattiveria inusuale per lei. Poi il suo sguardò si addolcì quando guardò Ivar, tramutandosi in lacrime di nuovo. Si accasciò accanto al corpo di Ivar e lo accarezzò, stringendogli la mano sinistra dove stava la fede.
“Presto saremo insieme, amore mio. Te lo prometto.”
Hvitserk sperò che la promessa di Hildr fosse dettata solo dal dolore. Se lei si fosse tolta la vita, le cose sarebbero soltanto peggiorate.
 
 
Hvitserk si era ritrovato a stringere fra le braccia una Hildr in pieno delirio. Piangeva, singhiozzava e sussurrava il nome di Ivar. Pregava gli dèi che le restituissero il marito. Ora stavano presenziato al funerale che per concessione di Alfred poteva essere svolto in territorio sassone. Era stato eretto un semplice muro di massi bianchi e il corpo di Ivar era stato deposto su un pezzo di legno che fungeva da barella. Gli avevano coperto la casacca sporca di sangue con un mantello nero, gli aveva lavato il viso e gli avevano acconciato i capelli. Fra le mani era stato sistemato il suo amato pugnale con la lama di osso, un vecchio regalo di Aslaug.
Alfred si avvicinò a Hildr in silenzio e con passo felpato, rispettava in pieno il suo dolore.
“Dopo ordinerò ai miei uomini di costruire una piccola struttura in pietra che funga da mausoleo. Mi occuperò di tutto io stesso.”
“Grazie.” Disse Hvitserk.
Hildr accarezzò i capelli di Ivar e fu attraversata dall’ennesima ondata di dolore. Desiderava solo chiudere gli occhi e stendersi accanto a lui. Voleva salire nel Valhalla con Ivar, sedere accanto a lui al banchetto di Odino e vivere insieme per sempre.
“Hildr, andiamo. Non possiamo fare più niente. Torniamo a casa.” Mormorò Hvitserk.
Hildr si chinò a lasciare un bacio sulla fronte di Ivar. Si sentiva debilitata, dilaniata, distrutta. Il suo intero essere era stato raso al suolo. Una freccia l’aveva trafitta al petto e non sarebbe mai guarita da quella ferita mortale.
“Addio, amore mio.”
 
 
Il Veggente aveva osservato la morte di Ivar con un sorriso, lui lo aveva predetto e il fato si era appena realizzato. Quello che lo preoccupava era Hildr. Scrutando nell’animo della ragazza aveva visto il buio, una tenebra minacciosa e infinita. L’aura di Hildr era stata limpida sin da bambina, ma ora era lercia di empietà e desolazione. Era un’anima tormentata.
Oh, la Valchiria giungerà sul campo per raccogliere i caduti. Giungerà e Freya spezzerà le sue ali e la sua armatura. La Valchiria giacerà al suolo, il petto trafitto da una ferita che non si risanerà.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Che fatica scrivere questo capitolo, ugh. Alcune scene (es. il discorso di Ivar) sono riprese interamente dalla serie. Altre scene come sempre sono state inserite da me per adattarle alla storia.
Spero di essere riusciva a trasmettervi il dolore di Hildr.
Niente sarà più come prima per lei, lo vedrete nel prossimo capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 10
*** Benvenga la pace ***


10. BENVENGA LA PACE
 
Un mese dopo
Grigio. Questo era il colore della vita a Kattegat dopo la morte del re. Sembrava che l’intera città si fosse chiusa nel lutto. Le strade erano piuttosto silenziose, poche risate strisciavano fra i passanti. Il centro era gremito di persone che camminavano a testa bassa, mormorando e senza rivolgere gli occhi alla dimora reale. La dimora adesso era abitata solo da Hvitserk e da Isobel. La regina si era isolata fuori città, rinchiusa nel dolore e nell’angoscia. Nessuna l’aveva più vista da quel giorno. Era tornata a Kattegat insieme a Hvitserk, ma poi era svanita senza lasciare traccia. Isobel sapeva che si era rintanata nella vecchia capanna di Floki lungo il fiume, però aveva tenuto l’informazione per sé. Se la regina aveva bisogno di spazio per affrontare la perdita, lei rispettava la sua scelta.
“Abbiamo un problema.”
Hvitserk irruppe nella sala del trono con espressione lugubre, segno che qualcosa di grave era appena accaduto.
“Che succede?” domandò Isobel, allarmata.
Da quando la regina era sparita, loro due avevano assunto la carica temporanea di sovrani. Toccava a loro far rispettare le leggi, punire i criminali e mandare avanti la città.
“Ingrid è qui. Vuole reclamare il trono.”
Isobel sospirò e si portò una mano alla fronte, le brutte notizie sembravano non avere mai fine.
“Ci serve lei.”
“La devi convincere a tornare.” Disse Hvitserk.
 
Isobel quasi scivolò per la terza volta mentre camminava sui ciottoli. Doveva persuadere la regina a tornare a Kattegat per affrontare Ingrid. La situazione era già complicata, ci mancava una regina decaduta che reclamava il suo posto. Ebbe un fremito di paura quando arrivò alla catapecchia di Floki. Non vedeva la sua amica da un mese e aveva il timore che fosse cambiata a tal punto da non riconoscerla. Bussò un paio di volte e indietreggiò.
“Non c’è nessuno.”
“Sono Isobel. Apri, per favore.”
“Ho detto che non c’è nessuno.”
Isobel tirò un calcio alla porta e agguantò la maniglia per strattonarla, eppure non ebbe risultati.
“Hildr, lo so che ci sei. Ho bisogno di parlarti. È urgente.”
Trascorsero almeno cinque minuti di silenzio prima che la porta cigolasse mentre veniva aperta.
“Che vuoi?”
Isobel sbarrò gli occhi, colta alla sprovvista. Hildr non era più la stessa. Si era tagliata i capelli fino alle spalle, le ciocche erano una massa confusa di nero. Era magra, le guance scavate e gli occhi segnati da violacee occhiaie.
“Ehm … io … sì, devo dirti una … cosa.”
Isobel non era in grado di formulare una frase sensata, era troppo scioccata dall’aspetto di Hildr.
“Beh, parla.”
Anche la voce era diversa, più roca e aggressiva. La ragazza fiera e vivace di un tempo non c’era più.
“Ingrid è qui per reclamare il trono. Lei è la moglie legittima di Bjorn.”
Hildr inarcò il sopracciglio e fece spallucce, indifferente alla notizia.
“Sbrigatevela voi. È un moscerino, vi basta scacciarla via.”
La porta stava per richiudersi ma Isobel la bloccò con il piede e afferrò il polso dell’amica.
“Ivar non vorrebbe vederti così.”
“Ivar è morto. Posso fare e stare come voglio.” Replicò Hildr, stizzita.
“Lui sarà anche morto ma il suo sogno di regnare su Kattegat è ancora vivo. Pensaci bene.”
Isobel la guardò un’ultima volta e si incamminò per tornare in città. Se dovevano vedersela da soli, lei voleva aiutare Hvitserk quanto più possibile.
 
Hvitserk continuava a muovere la gamba su e giù, era troppo nervoso per darsi una calmata. Ingrid sedeva di fronte a lui, indossava un abito elegante e una corona fra i capelli biondi. Sorrideva come se il mondo fosse suo.
“Ebbene? Ormai credo che la soluzione sia solo una: cedere il regno a me.”
“Non se ne parla proprio.” Obiettò Isobel.
Ingrid rise, dopodiché si alzò per accomodarsi sul trono della regina. Agganciò le gambe ai braccioli e distese le braccia.
“Questo trono è vuoto. Il re è morto e la regina è invisibile. Vi serve una guida.”
“Bjorn è morto un anno fa, hai perso ogni pretesa di potere.” Disse Hvitserk.
“Senza un sovrano questa città collasserà. C’è bisogno di una persona adatta, che non scappi quando il maritino muore.”
“Di certo non c’è bisogno di una canaglia come te.”
Hildr comparve sulla soglia con le braccia incrociate e lo sguardo glaciale. Isobel sorrise per la commozione mentre Hvitserk si inchinò per porgere gli onori.
“Stavo giusto dicendo a Ingrid che Kattegat ha già una regina.”
“Ma a quanto pare Ingrid non ha compreso bene.” Disse Hildr.
Ingrid si mise seduta composta, l’audacia di prima iniziava a scemare. Sperava davvero di non incontrare nessuna opposizione, invece la regina si era presentata e doveva affrontarla.
“A cosa ti serve un regno se lo storpio non c’è più? Io posso sostituirti.”
Hildr abbassò la testa al nome di Ivar. Era una ferita grande quanto una voragine e ogni secondo minacciava di risucchiarla.
“Vattene, Ingrid, prima che sia troppo tardi.”
Ingrid non si mosse, anzi accavallò le gambe e rimase seduta sul trono. Era un atto di sfida, ma Hildr non stava abboccando all’amo perché aveva già pescato.
“Le tue minacce non mi spaventano. Alcuni seguaci di Bjorn sono venuti con me, attendono fuori da Kattegat e sono pronti ad assaltare la città.”
Hvitserk e Isobel si agitarono, non erano preparati ad un attacco a sorpresa. Hildr era serena, o meglio la sua espressione era fredda come la pietra.
“Non c’è più nessuno. Sei sola, Ingrid. Lo storpio, come lo chiami tu, mi ha insegnato a tenere gli occhi bene aperti. Ieri notte passeggiavo in città quando ho notato una spirale di fumo provenire da Anholt. Stamattina ho inviato una squadra a controllare. Quando tu sei salpata per raggiungere Kattegat, la squadra ha accerchiato Anholt e i tuoi seguaci.”
Ingrid schizzò in piedi, la bocca contratta in una smorfia di disappunto. Le sue speranze si erano miserabilmente sciolte come neve al sole.
“Questo regno è mio! Mi appartiene!”
Hildr alzò gli occhi al cielo, non era in vena di bisticciare con una regina decaduta che faceva i capricci.
“Gettatela in gattabuia!”
Ingrid tentò la fuga ma Sigrid le sbarrò la strada, l’agguantò per il braccio e la spinse fuori dalla dimora reale. Ogni cellula del vecchio regno di Bjorn era stata annientata.
“Grazie, Hildr.” Disse Isobel.
Hildr le fece un cenno con la testa, non sopportava lo sguardo impietosito dell’amica.
“Hvitserk, prepara una nave per domattina. Avvisa Sigrid e un paio di altri uomini, basteranno.”
Il ragazzo rimase sorpreso, la bocca spalancata. Lei non era uscita di casa per giorni e adesso voleva addirittura navigare per mare.
“Dove siamo diretti?”
“In Wessex. È ora di stipulare la pace con re Alfred.”
 
Due giorni dopo
Isobel se ne stava rintanata in un angolo dell’imbarcazione con il muso lungo. Hvitserk e Sigrid stavano delineando la rotta da seguire per abbreviare il tragitto; era venuto fuori che la giovane shieldmaiden era un’ottima navigatrice e che conosceva le mappe. Hildr, invece, si era accucciata in disparte, lo sguardo perso nel vuoto, le mani che giocavano con la fede nuziale. Isobel voleva parlarle ma aveva paura di disturbarla. Hildr era solita parlare tanto, ridere e fare battute, ma ora quella gioiosità era svanita. Ora era una donna afflitta dal dolore, solitaria e distante.
“Smettila di fissarmi.” Esordì Hildr.
Isobel trasalì e si morse le labbra, imbarazzata per essere stata scoperta. Poi si disse che quella Hildr, la sua migliore amica, sua sorella. Prese posto accanto a lei, sebbene la vichinga avesse sbuffato per essere stata importunata.
“Ti devo dire una cosa.”
“Che c’è?”
Isobel fece un respiro profondo, ma lo sguardo distaccato di Hildr non era d’aiuto.
“Sono incinta. Il padre è Hvitserk.”
“Va bene.”
“V-va bene? È tutto quello che hai da dire?!”
Hildr sospirò, desiderava solo tornare alla capanna e restare da sola.
“L’ho capito che tu e Hvitserk siete tornati insieme. Aspettate un figlio? Sono contenta per voi. Però non ti aspettare lacrime di gioia e applausi da me. Io sono morta con lui quel giorno.”
Isobel era consapevole che una parte di Hildr non era mai tornata da quel campo di battaglia. Non osava neanche immaginare il suo dolore, era una ferita troppo cruenta e personale per cercare di capirla.
“Perdonami. Non era mia intenzione offenderti.”
“Non è colpa tua, Isobel. È solo che io non riesco a pensare a niente. Penso solo e sempre ad Ivar. Lui non era soltanto mio marito, era il mio migliore amico e l’unica famiglia che io abbia mai avuto. Ho perso i miei genitori, ho perso Helga e Floki, ho perso Aslaug, ma Ivar è sempre rimasto al mio fianco. Sento di aver perso una parte del mio corpo e della mia anima.”
Hildr era scoppiata a piangere dopo giorni di silenzio. Aveva trattenuto le lacrime per così tanto tempo che adesso si stava riversando per il troppo dolore.
“Non ci sono parole di conforto adatte. So che la sua morte ha causato un vuoto che non si colmerà mai. È giusto così. Sembrerà strano, ma non serve a niente dirti che passerà quando sappiamo entrambe che non è vero. Hai tutto il diritto di essere arrabbiata e di soffrire. Quello che ti chiedo è di essere arrabbiata e di soffrire al mio fianco.”
Dopo il funerale di Ivar e dopo la sepoltura, era tornata a Kattegat e si era isolata. Per un mese non aveva parlato con nessuno, si era limitata a mangiare e a dormire il necessario. Poi c’era stata quella volta che, scossa da un raptus si rabbia cieca, si era tagliata i capelli. Che senso aveva la sua lunga chioma se Ivar non avrebbe più passato le dita fra le ciocche?
“La sua mancanza mi uccide.” Sussurrò Hildr fra le lacrime.
Isobel l’abbracciò fronte e la cullò come faceva con Aila quando aveva un brutto sogno.
“Un giorno, chissà quando, il dolore diminuirà e forse starai un pochino meglio.”
 
Wessex, castello di Re Alfred
Alfred chinò in capo per salutare il Vescovo, dopodiché si diresse in cortile per stare con suo figlio. Il piccolo Edward aveva tre anni, era un bambino tranquillo ma molto curioso; gli piaceva stare con i cavalli e giocare con la terra.
“Mio sire! Mio sire!”
Un domestico stava correndo per raggiungerlo, le guance rosse per lo sforzo.
“E’ successo qualcosa?”
“I vichinghi sono qui. La Regina Hildr chiede udienza con voi.”
“Sono armati?”
“No, sire. C’è la Regina Hildr in compagnia di un altro vichingo e di una ragazza bionda.”
Alfred si impensierì, una scossa di paura gli vibrò in corpo. Perché Hildr era lì? Era davvero venuta senza esercito? Del resto un soldato sassone aveva ucciso Ivar e il dolore della vichinga avrebbe potuto scatenare un’altra guerra. Doveva risolvere la faccenda prima che fosse troppo tardi.
“Aprite i cancelli, accoglieteli nella sala principale. Mi occupo io della Regina.”
Il servo tornò di corsa al primo piano per comunicare alle guardie di aprire i cancelli. Alfred dalla finestra spiò l’ingresso dei nuovi arrivati. Hildr camminava in testa, un cappuccio nero a coprirle il volto. A seguire c’erano Hvitserk e Isobel, una ex suddita del Wessex. Si fece coraggio e scese per dare loro il benvenuto. Se Hildr era tornata da lui c’era di sicuro un valido motivo.
“Re Alfred.” Disse Isobel, facendo un inchino.
Alfred ricambiò con un altro inchino e salutò Hvitserk con una frettolosa stretta di mano. Poi il suo sguardo si posò su Hildr, rimanendo allibito alla sua vita. Non era la donna che conosceva. La cosa che più lo colpivano erano i capelli corti, la folta chioma di un tempo era stata recisa come la vita di Ivar su quel campo di battaglia.
“I tuoi capelli …”
“Cos’avete tutti contro i miei capelli?” sbuffò lei.
Hvitserk scosse la testa come a dire di non aggiungere altro sull’aspetto della ragazza, al che Alfred annuì piano.
“Come mai siete qui?”
Hildr si passò una mano fra i capelli, ricordando per un breve istante la sensazione delle dita di Ivar che le facevano le trecce.
“Per stipulare la pace. Voglio un trattato firmato da entrambi per porre fine a qualsiasi ostilità passata e futura fra i nostri regni.”
Alfred arrossì di colpo, non sapeva se essere sconvolto o stupito, o ambedue le opzioni.
“Un trattato del genere è tutto ciò che desidero. Perché proprio adesso?”
“Perché ho dei progetti per Kattegat che richiedono la pace per essere attuati.” Disse Hildr.
Hvitserk e Isobel si scambiarono un’occhiata confusa, nessuno dei due immaginava che la regina avesse dei progetti per un regno di cui sembrava non volersi più occupare.
“Allora seguimi nel mio studio. Parliamo io e te da soli.” Suggerì Alfred.
 
Hildr si scaldava le mani al camino mentre Alfred chiudeva la porta. L’inverno in Wessex era meno rigido di quello di Kattegat, ma il viaggio in mare le aveva intirizzito le dita delle mani che ora tendevano ad un colore bluastro.
“Vuoi qualcosa da bere?” chiese Alfred, cortese.
“No. Voglio concludere la questione e andarmene.”
C’era una nuova venatura nella voce di Hildr, qualcosa di spento e vuoto. Qualcosa che spaventava lo stesso Alfred.
“Quali piani hai per Kattegat? Devono essere grandi piani se vuoi scendere a patti con chi ha causato la morte di tuo marito.”
La bocca di Hildr si contrasse in una linea dura, l’anulare sinistro si era piegato alla menzione di Ivar.
“Mio marito ha causato la sua stessa morte. Lui era malato da tempo e stava peggiorando, sarebbe morto a breve. Ha voluto la guerra solo per morire sul campo da battaglia come un eroe e salire nel Valhalla.”
“Questo non lenisce le tue sofferenze.” disse Alfred.
Hildr fece spallucce, voltandosi verso di lui con espressione risoluta. Aveva imparato quell’atteggiamento da Aslaug, che anche nei momenti più difficili si era mostrata incrollabile.
“Nulla al mondo può lenire la mia sofferenza. Dunque, sei disposto alla pace?” 
“Sono ben disposto. Vorrei solo capire i termini del trattato.”
La regina vichinga si sedette di fronte a lui, le mani incrociate sul grembo e le gambe accavallate. Non era brava con la diplomazia, lei era migliore in battaglia, ma quella pace era necessaria.
“Kattegat e il Wessex non si faranno più guerra, né ora né per i prossimi cento anni. Se una delle parti viene meno all’accordo, allora il trattato sarà considerato nullo e si giungerà alla guerra. Però confido che entrambi terremo fede all’accordo.”
Alfred rimuginò sulla proposta, era allettante e capitava in un momento di debolezza politico-economica del Wessex.
“Il trattato avrà la durata di cento anni?”
“Fra cento anni noi saremo morti, quindi toccherà ai posteri rispettare il trattato. Ogni cinque anni verrà rinnovato affinché le parti si attengano ai termini. Che ne pensi?”
Hildr sembrava sincera, oltre ad apparire molto stanca e deperita. Alfred non riusciva a capire se quell’accordo fosse reale, del resto uno dei suoi uomini aveva strappato ad Ivar la vita.
“Perché la pace? Non comprendo.”
Hildr si sfiorò il collo, era rassicurante la collana di ambra di sua madre.
“Perché voglio sistemare le cose prima di lasciare Kattegat.”
“Come, prego?”
La ragazza tornò accanto al fuoco, allungando le mani per scaldarsi ma anche per non sottostare allo sguardo confuso di Alfred.
“Voglio abdicare. Passerò la corona a Hvitserk e Isobel, se lo meritano. Io sono diventata regina solo per supportare Ivar, ma ora lui non c’è più e quel trono per me non ha alcun senso. Prima, però, devo risolvere i conflitti del regno. Non voglio che Hvitserk e Isobel ereditino certe rogne. Mi sono già liberata della minaccia di Ingrid, ora è bene che io firmi la pace con il Wessex.”
“E dove vuoi andare a stare?”
Hildr non aveva ancora scelto una meta. Kattegat era sempre stata casa sua, ma ormai per lei era diventata una maledetta scatola di ricordi che facevano male. Ogni angolo della città, ogni albero, ogni fonte d’acqua le ricordavano Ivar. Dolore su dolore, ecco come stava vivendo negli ultimi tempi.
“Navigherò per mare e mi fermerò quando ne avrò voglia.”
“Potresti restare qui. Il Wessex è grande, potresti insediarti ovunque.” Disse Alfred.
“Non potrei mai vivere nella terra bagnata dal sangue di Ivar.”
Il re sassone poggiò la schiena contro l’alto schienale della sedia, le dita incrociate sotto il mento. Il suo regno era fragile, un’altra guerra e sarebbe stato spacciato. Quel trattato era come oro colato per lui.
“Vada per il trattato. A chi lo facciamo stilare?”
Hildr continuava a dargli le spalle, ma sul suo viso si era accesa una speranza che poi era svanita subito dopo.
“Lo stiliamo noi due, sia in lingua sassone sia in lingua norrena. Elsewith e Hvitserk faranno da testimoni. Firmeremo il trattato con il sangue, giusto per dare maggiore enfasi alla pace.”
Alfred aprì un cassetto, prese un foglio e l’inchiostro, dopodiché con la mano indicò la sedia dove la ragazza si era seduta prima.
“Iniziamo?”
Hildr si accomodò, intinse una piuma nel liquido nero e incominciò a scrivere.
 
Isobel da bambina aveva fantasticato su come sarebbe stata la vita di corte. All’epoca il sovrano era Ecbert, amante dello svago e dei piaceri. Il castello sotto la sua direzione era luogo di feste, balli, banchetti abbondanti, e lei dalla finestra della sua umile casa sognava parteciparvi. Ora che era diventata una principessa vichinga, il desiderio infantile di entrare a corte si era avverato. Sedeva al tavolo con Alfred ed Elsewith, con Hvitserk accanto e Hildr dall’altro capo.
“Non accadeva dai tempi di Ragnar e Ubbe di avere ospiti vichinghi a palazzo.” Disse Alfred.
“L’onore è anche nostro, sire.” Replicò Isobel con un sorriso.
Hvitserk e Hildr la guardarono come se avesse appena sputato nel piatto. Loro non capivano tutte quelle cerimonie, non dopo che Isobel aveva lasciato la sua terra natia da tempo.
“Brindiamo!” esclamò Alfred.
Mentre tutti sollevavano i calici, Hildr rimase a fissare il vino rosso mentre la sua mente tornava al giorno in cui aveva perso Ivar. Poteva ancora sentire il sangue caldo del ragazzo sulle mani e sui vestiti. Era una sensazione che le faceva venire il voltastomaco. Dovette fare dei respiri profondi per reprimere i conati di vomito.
“Non ce la faccio più.” mormorò Elsewith.
“Che succede, mia cara?” le domandò Alfred.
Isobel sobbalzò sulla sedia quando Elsewith si alzò di colpo. La regina era pallida, aveva gli occhi angosciati, ed era strano il modo in cui stava guardando Hildr.
“Io devo confessarti una cosa. Non posso tenere tutto dentro.”
Hildr aggrottò le sopracciglia, stupita dal comportamento della sassone.
“Di che si tratta?”
“Ivar potrebbe essere vivo.” Disse Elsewith.
La sedia di Hildr strisciò sul pavimento con uno stridore tremendo mentre si alzava, le mani serrate intorno al bordo del tavolo per incassare quel colpo in pieno stomaco.
“Che diamine stai blaterando? Parla!”
Elsewith drizzò la schiena e affrontò lo sguardo truce della vichinga.
“Credo che Ivar si trovi in un monastero di Mercia. Quella notte un soldato di guardia mi ha riferito che un carro aveva prelevato la salma di Ivar e che uno degli uomini che avevano manomesso la tomba aveva parlato di un monastero in Mercia.”
Hvitserk ingoiò il pezzo di carne che gli si era incastrato in gola, sperando di mandare giù anche quel boccone amaro. Il silenzio, invece, rendeva tutto più vero.
“Perché mai Ivar dovrebbe andare a stare in un monastero?”
Hildr impiegò qualche minuto a capire la sequenza degli indizi: Johannes le aveva detto mesi prima che un suo amico gli aveva fatto recapitare un testo antico trovato nella biblioteca reale di Mercia. Non poteva essere una coincidenza. Non quando di mezzo c’era una mente sopraffina come quella di Ivar.
“Quanti monasteri ci sono in Mercia?”
Alfred non sapeva cosa fare, al che Hvitserk fece un cenno con la testa per farlo parlare.
“C’è n’è uno a pochi chilometri dalla capitale e un altro si ubica lungo il mare.”
“Quello nei pressi del mare quando dista da qui?” volle sapere Hildr.
“Non è una buona idea …” tentò di dire Alfred.
“Dista circa sette ore.” Intervenne Elsewith.
Lei era in debito con Hildr per averle salvato la vita e quella di suo figlio, dunque ora doveva restituirle il favore.
“Mi serve un cavallo. Mi metto subito in viaggio.” Disse Hildr.
Spalancò le porte della sala da pranzo e si incamminò verso le stalle, le emozioni le ronzavano nel cervello come uno sciame di api.
“Hildr, è buio e viaggiare è pericoloso.” L’avvertì Alfred.
Si voltò verso di lui con la rabbia stampata in faccia, non avrebbe sopportato nessun rifiuto.
“Io devo vederlo con i miei occhi. Se quel bastardo è vivo, io devo trovarlo e devo ucciderlo con le mie mani!”
“Io vengo con te.” disse Hvitserk.
Alfred alzò gli occhi al cielo, combattuto fra restare al sicuro nel suo castello e aiutare Hildr a scoprire la verità.
“Vengo anche io. Procuriamoci fiaccole e armi.”
 
Sette mesi prima, Kiev
Ivar si assicurò che Hildr dormisse prima di sgattaiolare fuori dalla stanza. Era notte fonda e il palazzo era immerso nel silenzio, una buona occasione per muoversi indisturbato. Si stava dirigendo in biblioteca per scambiare due parole con Johannes poiché aveva un piano che includeva la partecipazione attiva del bibliotecario. Il corridoio non era buio come immaginava, anzi la scia luminosa delle fiaccole illuminava i suoi passi.
“Johannes, sei qui?”
Il bibliotecario stava russando, avvolto in un cumulo di coperte polverose. Ivar lo scosse affinché si svegliasse.
“Habere non haberi!” pronunciò il vecchio, svegliandosi di soprassalto.
“Johannes, sei a Kiev. Non ci sono latini da combattere.” Disse Ivar, seccato.
Il bibliotecario arrossì per la vergogna, era solito sognare le scene che leggeva nei testi che studiava.
“Re Ivar, cosa vi porta qui?”
Ivar si lasciò cadere sul letto, la gamba sinistra gli dava il tormento da quando aveva abbandonato il caldo giaciglio della sua stanza.
“Katya mi ha detto che anche tu fai parte della cospirazione contro Oleg. Sono felice che siamo dalla stessa parte.”
“Prevedo una richiesta da parte vostra.” Disse Johannes.
Il giovane vichingo fece un sorriso meschino.
“Quando Dir conquisterà Kiev, tu lascerai la terra dei ‘Rus e andrai a Mercia. Hildr mi ha detto che lì conosci un monaco.”
“È vero. E cosa dovrei fare nel regno di Mercia?”
“Dovrai aspettare me. Secondo i miei calcoli, e sono certo siano giusti, fra qualche mese la mia malattia prenderà il sopravvento e potrebbe uccidermi. Per allora io mi troverò in Wessex per sfidare re Alfred.”
“Cosa c’entro io?” chiese Johannes, smarrito.
“Io troverò un modo per raggiungere il monastero quando la malattia sarà arrivata all’ultimo stadio. Tu nel frattempo dovrai trovare un guaritore capace di curarmi, o quantomeno di alleviare i sintomi della mia malattia.”
“Perché non vuoi morire? Il tuo destino è salire nel Valhalla.”
Ivar aveva sempre creduto nel Valhalla, nelle sue immense sale dorate dove dèi ed eroi banchettavano in allegria senza sosta, ma non era quella la sua destinazione finale. Non da quando Hildr aveva accettato di essere la sua compagna.
“Non voglio morire perché voglio stare con Hildr. Mi aiuterai?”
Johannes non aveva grandi progetti per il futuro, l’unica certezza è che voleva lasciare Kiev e non metterci più piede. Voleva viaggiare, cercare testi antichi da studiare e dormire sotto le stelle.
“Ti aiuterò.”
 
Un mese prima, Kattegat
Hildr si era avviata verso la spiaggia per ultimare l’addestramento delle shieldmaiden, avrebbe strascorso l’intera mattinata con loro. Ecco perché Ivar ora bussava alla porta di Einer. Ad aprire fu Feima, la pancia che sbucava prima del resto del corpo.
“Salve, Re Ivar. Desiderate qualcosa?”
“Vorrei discutere con vostro marito di una faccenda delicata.”
“Certo. Entrate.”
Feima richiuse la porta dopo essersi assicurata che il corridoio fosse sgombro, dopodiché uscì in città per lasciare che i due uomini facessero affari in privato.
“Ivar, non mi aspettavo visite.” Disse Einer.
“Poco fa ho discusso i termini dell’alleanza con Jorunn. Sai cosa mi ha chiesto?”
Einer bevve una generosa sorsata di vino e si stravaccò sul letto.
“Lo so. Vuole ammazzare la moglie di Alfred per vendicare il fratello. Hai accettato?”
Ivar aveva acconsentito alla richiesta di Jorunn ma non l’avrebbe rispettata poiché la vecchia regina non meritava alcuna soddisfazione.
“Ovvio che sì. Tu che vuoi?”
“Io voglio un accesso al commercio di Kattegat. So che questa città è nota per la pesca e io ho bisogno di una parte del prodotto.”
“Potrai venire a ritirare una parte del pescato due volte al mese.” Disse Ivar.
Einer sorrise e si riempì ancora il bicchiere di vino, doveva ammettere che il sapore era migliore di quello che beveva nelle sue terre.
“Va bene. Ora ditemi voi cosa volete. Siete qui per una ragione, giusto?”
Ivar era compiaciuto per come stavano andando le trattative, tutto procedeva meglio di quanto si aspettava.
“Giusto. Io sto morendo, la mia malattia mi uccide ogni giorno di più. È assai probabile che io muoia durante la guerra contro Alfred, ed è qui che voi entrate in gioco. Farò in modo che un soldato sassone mi pugnali mentre indosso una pesante armatura. Userò del sangue finto per simulare una emorragia. Prima dello scontro berrò un infuso di arunya, una pianta che garantisce morte apparente, in modo da sembrare morto a tutti gli effetti. Dopodiché toccherà a voi spos- …”
“Fermatevi un attimo! State davvero parlando di morte?”
Ivar sospirò, detestava perdere tempo con chi non stava al passo con la sua mente.
“Sì. L’arunya mi aiuterà a rallentare i battiti del cuore tanto da sembrare morto. Dopo il mio funerale, quando tutti saranno lontani dalla mia sepoltura, i vostri uomini mi porteranno in un monastero a Mercia.”
Einer non sapeva se ridere o urlare per quel piano diabolico. Eppure Ivar sembrava serio e lucido di mente.
“Vi fingerete morto per andare in un monastero?”
“Esatto. In quel monastero ci sarà un guaritore che proverà a curare la mia malattia.”
Ivar aveva pensato ad ogni singolo dettaglio, aveva trascorso notti intere a pianificare la sua fasulla dipartita mentre Hildr dormiva sul suo petto. Era per lei che faceva tutto questo.
“E se il guaritore cura la vostra malattia?” chiese Einer.
“Tornerò da Hildr.”
“E se il guaritore non cura la vostra malattia?”
Ivar odiava quell’incognita del piano, era una variante che non poteva essere prevista in nessun modo.
“In quel caso morirò in Mercia. Non voglio che Hildr si illuda, perciò devo fare tutto all’oscuro. Se lei sapesse che esiste una cura e se alla fine si rivelasse inutile, soffrirebbe il doppio. Preferisco che lei mi veda morire in battaglia piuttosto che in un monastero.”
Einer scoppiò a ridere, era assurdo quel teatrino che Ivar voleva mettere in piedi.
“Voi siete un folle, Ivar. Avrete il mio aiuto.”
Ivar lo ringraziò con un cenno del capo, poi uscì dalla sua camera prima che qualcuno notasse la sua assenza.
 
Un mese prima, Wessex – Edington
“Sire! Sire!”
Elsewith si svegliò nell’udire il proprio nome. Fuori dalla tenda vedeva l’ombra di un soldato. Alfred aveva avuto un altro svenimento, pertanto decise di lasciarlo riposare. Indossò una coperta sulle spalle e uscì dalla tenda.
“Il Re ha bisogno di riposo. Riferisci a me.”
Faceva talmente freddo che Elsewith si pentì di essere uscita, però sembrava che il soldato fosse sconvolto da quanto accaduto.
“Prima ho fatto un giro di ronda nei pressi della sepoltura di Ivar Senz’Ossa. Ho visto due uomini che caricavano la salma del vichingo su un carro.”
Solo poche ore prima si era tenuto il funerale di Ivar, con Hvitserk che abbracciava una Hildr stravolta dalle lacrime. Elsewith stentava a credere che Hildr potesse piangere in quel modo primitivo, quasi come se le avessero strappato il cuore dal petto. Avevano deciso di seppellire Ivar in Wessex per evitare che a Kattegat qualcuno deturpasse la sua tomba.
“Conosci quegli uomini?”
“No, vostra maestà. Ho solo colto poche parole, gli uomini parlavano in norreno.”
La regina sassone si strinse nella coperta, un brivido le correva per tutta la schiena. I morti non tornavano in vita, quindi non aveva motivo di essere spaventata.
“E cosa dicevano?”
“Ho solo capito ‘monastero’ e ‘Mercia’, vostra maestà. Devo chiamare gli altri soldati per controllare?”
“No, lascia perdere. Ivar è morto, non può far del male a nessuno.”
Il soldato fece un inchino e tornò alla sua postazione di vedetta. Elsewith rientrò nella tenda senza la leggerezza di prima. Ivar Senz’Ossa era davvero morto?
 
Non era nemmeno l’alba quando raggiunsero il monastero. Avevano cavalcato tutta la notte al buio e al freddo. Mentre Hvitserk e Alfred arrancavano stremati dalla fatica, Hildr spingeva il cavallo ad andare più veloce. Si fermò solo quando intravide le guglie della chiesa del monastero.
“Hildr, aspetta. È un luogo sacro.” Disse Alfred, smontando da cavallo.
Hvitserk si appoggiò al fianco dell’animale per sgranchire le gambe doloranti, non aveva mai affrontato una simile cavalcata.
“Non mi interessa. Devo entrare.” Disse Hildr.
Aveva sfoderato la spada, una troppo leggera per la sua mano, e si era diretta verso il portone a passo di marcia.
“Non puoi fermarla.” Disse Hvitserk.
Alfred dovette rassegnarsi, la ragazza era ormai inarrestabile.
“Ehi! Monaci! Aprite!” strillò Hildr.
“Non apriranno ad una donna. Sono molto severi su questa regola.” Disse Alfred.
Hildr sbatté l’elsa della spada contro il portone, poi diede uno strattone alla catena che lo chiudeva. Nessuna risposta.
“Se non aprite questo portone, giuro che vi squarcerò la gola e poi sguazzerò nel vostro lurido sangue!”
La faccia barbuta di un monaco fece capolino da una finestra, era terrorizzato.
“Per l’amore del cielo, cosa state facendo?”
Hildr gli rivolse un’occhiata assassina, lo avrebbe volentieri trafitto con una freccia se avesse avuto il suo arco a disposizione.
“Apri questo portone, vecchio! Oppure vi ucciderò tutti quanti!”
“Aprite.” ordinò Alfred.
Due monaci accorsero ad aprire il portone, nessuno dei due osava guardare Hildr negli occhi. La regina vichinga entrò a passo spedito, l’abito nero che ondeggiava insieme a lei, la spada nella mano, l’espressione inferocita. Pareva uscita da un girone dell’inferno.
“Ivar! Bastardo, fatti vedere!”
“Hildr.”
Johannes era là, le mani giunte in segno di preghiera. Hildr sbarrò gli occhi come se avesse ricevuto uno schiaffo.
“Dov’è quel verme di Ivar?”
“Seguimi.”
 
Hildr sentì il dolore esplodere in ogni fibra del suo corpo. Aveva visto Ivar morire. Lo aveva tenuto fra le braccia mentre spirava. Lo aveva seppellito. Invece Ivar era lì, proprio davanti a lei. Era disteso con la coperta fino al mento, i capelli sciolti e la pelle pallida. Sembrava in pace.
“Lui è … è vivo?”
“Per ora sì. Le cose sono complesse, Hildr.” Disse Johannes.
Era incredibile. Hildr aveva passato un mese a singhiozzare, a invocare il nome di Ivar, a vagare per Kattegat di notte come un’ombra. E lui era al sicuro in un monastero.
“C-che significa? Io l’ho seppellito. Lui non respirava più. C’era il suo sangue sulle mie mani.”
“Ivar usato una sacca di sangue di maiale, l’ha cucita dentro la giacca insieme alla protezione. Poi ha assunto l’arunya per fingersi morto. Gli effetti della pianta durano più o meno sette ore, quindi avete avuto tutto il tempo per il funerale. Quando si è risvegliato, voi eravate già tornati al vostro accampamento. Un certo Einer lo ha trasportato con un carro fino a qui.”
Hildr si accasciò al tavolo presente nella piccola cella, sopraffatta dalle emozioni. Voleva ridere e piangere, urlare di gioia e di disperazione.
“E tu che c’entri?”
“Ivar sapeva che facevo parte della cospirazione contro Oleg. Mi ha detto lui stesso di venire in questo monastero e di attendere il suo arrivo. Mi ha dato il compito di trovare un guaritore perché la sua malattia stava peggiorando.”
“Hai trovato il guaritore?” domandò Hildr, la voce che tremava.
Johannes lasciò la stanza per chiamare il guaritore e tornò pochi minuti dopo in compagnia di un uomo di bassa statura e con la barba lunga sul petto.
“Lui è il guaritore. L’ho scovato in un villaggio durante il mio viaggio per venire qui.”
Hildr fissava Ivar come se da un momento all’altro balzasse fuori dal letto per aggredirla. Era impazzita? Stava avendo un incubo? Si diede un pizzico sul braccio per avere la certezza che fosse reale.
“Chiedigli come sta Ivar. Chiedigli se sopravvivrà.”
Johannes tradusse e Hildr vide il guaritore che spiegava gesticolando in direzione di Ivar.
“Dice che Ivar ha subito una grave perdita e che ha bisogno di riposo. Capiremo meglio le sue condizioni quando riprenderà conoscenza.”
“Una grave perdita? Di che tipo?”
Johannes sollevò la coperta per mostrarle la perdita in questione. Hildr si portò le mani sulla bocca per lo stupore.
“Oh.”
Ivar non aveva più le gambe. Era stata rimossa la porzione che andava dal ginocchio in giù. Quanto restava erano le conosce che terminavano in due moncherini fasciati.
“Il guaritore gli ha amputato le gambe per fermare la diffusione della malattia. È stata un’operazione lunga e dolorosa per Ivar. Sappi che la malattia c’è ancora, è solo più lenta adesso.”
I polmoni di Hildr ebbero uno spasimo. Stava soffocando in quella stanza. Scappò via, correndo come se fosse inseguita da chissà quale nemico. Andò in cortile e vomitò nel primo anfratto che trovò. La sua mente le inviò sprazzi di ricordi che alimentarono il suo dolore: il sangue di Ivar sulle mani, il suo respiro che si spezzava, la sua testa che ciondolava per terra. Hildr si piegò per vomitare di nuovo. Alzò gli occhi al cielo per rivolgersi direttamente al Padre degli dèi. 
“Odino, perché mi fai questo?”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ve lo dicevo che Johannes e la Mercia erano importanti!
Ivar come sempre ha ideato un piano diabolico.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 

 

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Capitolo 11
*** Epilogo: La Valchiria del Re ***


EPILOGO: LA VALCHIRIA DEL RE

“Queste si chiamano Valchirie; Odino le manda in ogni battaglia,
esse scelgono gli uomini cui toccherà la morte e decidono la vittoria.”
(Snorri Sturluson, Edda in prosa)
 
Due settimane dopo
L’aria era fresca e limpida, diversa da quella pregna di fumo di Kattegat. Hildr osservava le distese di terra che circondavano il monastero come uno scrigno. Erano trascorse due settimane, quel vecchio edificio era diventato il suo alloggio. Johannes aveva allestito una cella per lei, mentre Hvitserk andava e veniva ogni due giorni. Alfred aveva ospitato Hvitserk e Isobel a tempo illimitato, l’unica scadenza era segnata dalla convalescenza di Ivar. Il ragazzo continuava ad essere stazionario, i battiti del cuore erano ancora lenti ma presenti, e spesso aveva avuto attacchi di febbre. Si era svegliato poche volte e comunque non era stato in grado di riconoscere nessuno. Hildr sedeva al suo capezzale ogni giorno in attesa che si svegliasse.
“Disturbo?” domandò Johannes.
“Ivar è sveglio?”
“Non ancora. Ci vuole pazienza, ragazza mia. Il suo corpo deve rigenerarsi col tempo.”
La pazienza era una delle doti di cui Hildr non disponeva, non quando Ivar era bloccato fra la vita e la morte.
“Come è arrivato all’arunya? È una pianta rara e poco usata proprio per i suoi effetti pericolosi.”
“Ha usato questo.”
Johannes estrasse dalla tasca della tunica un piccolo libricino che Hildr conosceva bene: era il taccuino di sua madre, quello che riportava le sue annotazioni.
“Ecco perché non lo trovavo più!”
“Ivar ha pensato davvero a tutto.” Disse Johannes.
Nella mente di Hildr stava prendendo forma un pensiero, o meglio un ricordo di una conversazione avvenuta anni addietro fra sua madre e Ragnar.
“Quel maledetto ha pianificato persino i dettagli. Una volta suo padre Ragnar ha finto di essere morto, e si è fatto addirittura seppellire, per sorprendere i nemici. L’astuzia è una pecca di famiglia.”
La verità era che lei amava Ivar anche per la sua astuzia, ma in quel momento era stata quella virtù a separarli.
“Lui lo ha fatto per te. Se si risveglia è un bene, ma se il suo piano non serve a niente è solo un grande dolore. Lui voleva evitare che tu soffrissi ancora. Voleva che ti ricordassi di lui come un eroe.”
“Ma lui non è un eroe. È un bambino che gioca a fare il re.”
“Johannes! Johannes!” lo chiamò un monaco.
Hildr e il bibliotecario si precipitarono nella cella che ospitava Ivar. Il ragazzo era sveglio, veramente lucido dopo tre settimane. Sgranò gli occhi quando riconobbe sua moglie.
“H-h-hildr?” sussurrò con voce roca.
“Stupido imbecille!”
Hildr gli tirò uno schiaffo tanto forte da lasciargli il segno sulla guancia, dopodiché si fiondò su di lui per abbracciarlo. Ivar si crogiolò fra le sue braccia, facendoci consolare dal calore familiare e dall’odore di lei.
“Perdonami.”
“Non ti perdono. Ti odio. Sei un bastardo.” Mormorò Hildr.
Eppure lo stringeva come se da quell’abbraccio dipendesse la sua vita. Per un mese si era disperata, aveva permesso al lutto di dilaniarla dentro, aveva pianto fino ad addormentarsi. Adesso aveva la possibilità di vederlo, toccarlo e parlargli. La felicità faceva a botte con la tristezza.
“Mi dispiace, Hildr. Non avrei mai voluto questo per noi.”
Johannes fece cenno al monaco di lasciarli da soli, avevano bisogno di confrontarsi e anche di insultarsi un po’.
“Perché non me lo hai detto? Avremmo trovato una soluzione insieme.”
Ivar si scostò e con i pollici le accarezzò le tempie, era diversa dall’ultima volta che l’aveva vista.
“Hai i capelli corti.”
Lei sbuffò, sembrava che la gente desse più importanza ai suoi capelli che ai suoi sentimenti.
“Li ho tagliati perché li odiavo. Odiavo che tu non fossi lì a intrecciarmi i capelli ogni giorno.”
“Sei bella lo stesso.” Disse Ivar, gli occhi malinconici.
“Non iniziare con le moine. Io ti ho fatto una domanda ed esigo una risposta.”
Hildr si tirò indietro per sedersi ai piedi del letto, lontana dalla tentazione di riempirlo di baci dappertutto. Poteva amarlo e odiarlo al tempo stesso?
“Ho capito che la malattia stava degenerando quando ho avuto la febbre a Kiev. Da allora i sintomi sono peggiorati, il dolore alle ossa era ingestibile. Ho capito che stavo morendo. Mi sono rivolto a diversi guaritori ma nessuno di loro sapeva come aiutarmi. Mi restava poco tempo e non volevo morire in un letto come un malato, quindi ho deciso che avrei avuto una morte gloriosa e ho dichiarato guerra al Wessex. Quella colonia andava vendicata, era l’occasione perfetta.”
“E il piano che hai ordito con Johannes ed Einer?” domandò Hildr.
“Sebbene la morte fosse dietro di me, ho pensato che avere un’altra opzione era la cosa giusta. Ho inviato qui Johannes e gli ho chiesto di cercare un guaritore capace. Poi ho stretto un patto con Einer affinché mi accompagnasse qui dopo il funerale. Lo so che sembra assurdo, ma ho cercato in tutti i modi di restare vivo.”
Hildr doveva ammettere che quel piano non faceva una piega. Ivar era uno stratega eccellente, e ne aveva dato prova persino in punto di morte.
“Saresti tornato da me?”
“Certamente.” Disse Ivar senza esitare.
“Hai cercato una cura per tornare a Kattegat e regnare?”
Ivar scosse la testa, uno sprazzo di delusione vagò nel suo sguardo.
“Ho cercato una cura per stare con te. Non lo hai ancora capito?”
“Capito cosa?”
Hildr era talmente confusa che a stento avrebbe ricordato il suo nome se qualcuno glielo avesse chiesto.
“Io non voglio tornare a Kattegat. Io non voglio regnare. Non voglio più essere Ivar Senz’Ossa.”
“E cosa vuoi?”
Ivar tese la mano per afferrarle il mento e farsi guardare in faccia.
“Voglio essere solo Ivar, un semplice ragazzo di campagna. E voglio essere tuo marito. Voglio quella vita tranquilla che tu desideri. Basta potere, basta guerre, basta sofferenze.”
Era stato quello l’obiettivo di Ivar sin dall’inizio: voleva che il famigerato Senz’Ossa morisse per lasciare spazio al ragazzo che meritava pace e amore. Doveva uccidere una leggenda per riavere indietro la sua vera vita. Ma l’unico modo per vivere in pace era far sapere a tutti che lui era morto, così nessuno avrebbe cercato vendetta e loro avrebbero vissuto in serenità.
“Sei sicuro di voler rinunciare al potere? È quello che hai sempre sognato.” Disse Hildr.
“Quello che ho sempre sognato ce l’ho avuto davanti agli occhi per anni e non l’ho mai visto perché ero abbagliato dalla sete di potere. Ora finalmente vedo. Vedo te, solo te.”
Hildr si era commossa, ma trattenne le lacrime per non apparire vulnerabile. La vita le stava offrendo una seconda chance che andava colta al volo.
“Ti odio.”
Ivar scoppiò a ridere, un suono che lei sentì vibrare nelle orecchie e irradiarsi nel petto.
“E io odio te.”
 Ivar Senz’Ossa e Hildr la Valchiria erano morti, era tempo di ricostruire qualcosa di solido sulle loro ceneri.
 
Un anno dopo, Wessex
“L’infuso di malva aiut- … Ivar, smettila! Mi stai distraendo.”
Ivar rise e continuò a giocare con un laccio della casacca di Hildr, giusto per irritarla ancora di più. Lei gli lanciò un’occhiataccia ma lo lasciò perdere, era inutile spendere le energie per dissuaderlo dall’infastidirla.
“Sei così carina quando ti arrabbi.” Disse lui.
“Ti stacco un dito a morsi quando mi arrabbio.” Replicò Hildr.
Ivar dopo una lunga convalescenza si era stabilizzato, la febbre non gli era più venuta e le ferite da amputazione si erano rigenerate alla perfezione. Poiché tutti – amici e nemici – sapevano che era morto, avevano deciso di restare a vivere nel Wessex. Alfred in persona si era premurato di donare loro una piccola e sperduta tenuta di campagna. Non c’erano altre case o altre persone nei dintorni, e il villaggio più vicino distava all’incirca un giorno di cammino.
“Lo dici sempre ma non lo fai mai.” La sfidò Ivar ridendo.
Hildr fece roteare gli occhi, stufa di quel giochetto infantile.
“Prima o poi ti ucciderò, e non sarà per finta.”
La vita procedeva stranamente bene. Non c’erano riunioni da presiedere, nessuna difesa da erigere, nessuna orda nemica da combattere. Le loro giornate trascorrevano in quel meraviglioso clima di quiete. Lei studiava il taccuino di sua madre per imparare le arti della guarigione e lui intagliava pezzi di legno a volontà. Preparavano la cena insieme, chiacchieravano sul portico della tenuta, poi andavano a dormire. Era una routine nuova per loro ma era bello mettersi a letto senza preoccupazioni.
“Lo so che mi ami e che mi terrai con te il più a lungo possibile.” disse Ivar.
“Se stai zitto e fai il bravo, allora potrei anche tenerti.”
Hildr rise per il broncio del ragazzo, quindi gli stampò un bacio sulle labbra.
“Chissà cosa starà combinando Hvitserk. Le bambine lo staranno facendo impazzire.”
Dopo che Hildr aveva rinunciato al ruolo di regina, l’onore – o l’onere, dipende – era toccato a Hvitserk e Isobel. I due erano tornati insieme ed erano diventati genitori della splendida Eyra, un nome scelto da Hildr ancora una volta. Lei sentiva la mancanza di Isobel, Aila ed Eyra e sperava di rivederle al più presto, ma era felice di non dover sopportare Hvitserk.
“Hvitserk è stupido, merita di impazzire.”
Ivar ridacchiò, era proprio vero che alcune cose non cambiavano mai. Intanto era calato il buio e iniziava a tirare un venticello fresco.
“Rientriamo, comincia a fare freddo.”
Hildr si alzò e richiuse il taccuino, poi aprì la porta per fare entrare Ivar. Il ragazzo non usava più la stampella dato che non era necessaria, ora si trascinava facendo leva sulle braccia.
“Perché mi guardi così, Hildr?”
La ragazza, infatti, si era appoggiata allo stipite della porta e lo aveva osservato mentre si arrampicava sulla sedia. Miriadi di volte aveva visto Ivar che si spostava strisciando come un serpente, ma adesso l’assenza delle gambe le provocava un forte senso di colpa.
“E’ solo che … io … io mi sento egoista. È come se ti avessi obbligato a restare in vita e a sopportare tutto questo.”
“Con ‘tutto questo’ ti riferisci al fatto che per muovermi devo letteralmente strisciare per terra come un verme? Intendi che non potrò stare mai più in piedi?”
Hildr avvertì una sensazione terribile allo stomaco. Ogni volta che discutevano sull’argomento si sentiva male.
“Sì, mi riferisco a quello. Mi dispiace immensamente.”
Ivar sorrise, a volte sua moglie era la donna più insicura di Midgard.
“A me non importa aver perso le gambe, tanto anche prima mi servivano a ben poco. E non sei egoista. Al massimo quello egoista sono io che ho finto di essere morto e ti ho fatta soffrire. Smettila di incolparti per qualcosa che non hai fatto.”
“Ma tu …”
“Ma io sono felice così!” esclamò Ivar.
Hildr si sedette di fronte a lui e fissò le venature del tavolo. Ivar le prese la mano sinistra e depose un bacio sulla fede nuziale.
“Non è colpa tua, Hildr. Io ho scelto di amputare le gambe e sempre io ho scelto di vivere in questa maniera. A me sta bene. Non c’è nulla di cui dispiacersi. Anzi, sono io quello che dovrebbe preoccuparsi.”
“Di cosa dovresti preoccuparti?” chiese Hildr, guardinga.
“Beh, degli altri uomini. Io non ero un granché prima che avevo le gambe, ora sono peggiorato di sicuro. Magari al villaggio qualche bel giovane affascinante, con il corpo perfetto, potrebbe corteggiarti.”
“Magari se il bel giovane è meno fastidioso di te potrei farci un pensierino.”
Ivar si sforzò di ridere, però in fondo temeva davvero che un giorno lei si sarebbe accorta che quel matrimonio non era abbastanza e che sarebbe andata via.
“Continuerò ad essere fastidioso.”
Hildr gli strinse la mano e sorrise, sciogliendo ogni singolo dubbio.
“E io continuerò ad essere infastidita da te.”
 
 
Cinque anni dopo
I respiri affannati di Hildr rimbombavano nelle orecchie di Ivar. Il loro rifugio era caldo e accogliente, pelle contro pelle. Era mattino presto quando si era svegliati, salutati dall’arancio dell’alba che penetrava dalle finestre. Tra una chiacchiera e l’altra erano finiti a baciarsi, ogni bacio diventava sempre più veemente. Poi si erano spogliati, sparpagliando i vestiti sul pavimento con noncuranza. E alla fine si erano ritrovati nudi, avvinghiati in un abbraccio lussurioso. Hildr lo attirò in un bacio di pura passione, alternando morsi e sospiri.
“La mia adorata moglie ha qualche richiesta?” sussurrò Ivar al suo orecchio.
Lei elargì un sorriso talmente malizioso da fargli venire i brividi. Era così bella con i lunghi capelli neri sparsi sul cuscino, la bocca gonfia per i baci e le guance arrossate.
“Il mio maritino lo sa cosa voglio.”
La ragazza piegò il collo di lato per baciare il palmo della mano di Ivar, un ordine che lui capì al volo. Lei faceva così quando voleva che lui obbedisse. Come un bravo soldatino, Ivar eseguì l’ordine facendo delicatamente scivolare la mano fra le gambe di Hildr.
“E’ questo che vuoi?”
Lei ridacchiò e si morse le labbra, totalmente rapita dal ragazzo.
“Mmh.”
La mano di Ivar compiva movimenti cauti e calcolati, ogni gemito di Hildr lo incitava a proseguire. L’intimità era uno degli aspetti del loro matrimonio che era cambiato, del resto avevano tanto tempo libero a disposizione per fare qualsiasi attività avessero voluto.
“Va bene così?” soffiò Ivar, la voce roca.
Hildr in risposta gli tirò leggermente i capelli per avere accesso al suo collo e regalargli una scia di baci caldi. Ivar deglutì e chiuse gli occhi, beandosi di quella bocca che gli faceva vibrare la gabbia toracica. Riaprì gli occhi per guardare Hildr contorcersi sotto il suo tocco. La sua mano si fece più audace, voleva mandarla sull’orlo del baratro.
“Ivar.”
Ivar tremò per come era stato pronunciato il suo nome, la voce di lei era bassa e sussultante. Lo sguardo di Hildr si era fatto liquido, la sua bocca gemeva. Pochi istanti dopo emise un sospiro, il respiro mozzato e la fronte imperlata di sudore. Ivar sorrise e le diede un lungo bacio.
“Stai bene?”
“Sto benissimo.”
Hildr si alzò per andare a bere, ogni passo fuori da quel riparo caldo era un brivido di freddo. Tornò di corsa a letto e poggiò la schiena contro il muro, mentre Ivar si accoccolò sul suo petto.
 “Te l’ho mai detto che sei bella?”
“Fin troppe volte!” ribatté lei ridendo.
Lui sollevò la testa per farle la linguaccia, poi si mise sghignazzare.
“Perché è vero che sei bella. Sei meravigliosamente bella.”
Hildr fece una smorfia, quelle smancerie non erano pane per i suoi denti. Ivar era bravo a fare i complimenti ed era molto romantico, invece lei faceva il possibile per mostrarsi dolce ogni tanto.
“Tu sei un adulatore nato. Non potevi, che ne so, essere bravo a cucinare? Ci sarebbe tornato utile.”
Ivar si allontanò per occupare la propria parte di letto, incrociò le braccia e si finse offeso.
“Io cucino benissimo.”
Hildr si mise a ridere come se quella fosse la barzelletta più divertente del mondo.
“Far cuocere la carne sul fuoco non significa saper cucinare.”  
“Neanche le tue verdure bollite sono un capolavoro, eh!” disse Ivar.
La ragazza gli tirò un ceffone sulla nuca e gli diede una gomitata. Era davvero offesa da quella mancanza di rispetto.
“Almeno io so affettare gli ortaggi! Brutto caprone!”
“In tutta sincerità, affetti in maniera disordinata e senza un filo logico.”
Hildr spalancò la bocca per insultarlo ma Ivar la zittì con un bacio. La spinse contro il materasso, premendosi contro di lei con tutto il corpo. Sapeva di essere fortunato a stare con lei. Insomma, Hildr avrebbe potuto scegliere un uomo con due gambe e un corpo in grado di soddisfarla, invece aveva scelto lui con una malattia incurabile e problemi di autostima.
“Oh, Ivar, giuro che ti lascerò morire di fame.” Lo minacciò lei.
Ivar inarcò il sopracciglio e fece un sorriso pericoloso, poi con l’indice percorse lo spazio fra i seni e scese fino a toccarle l’ombelico.
“E se mi facessi perdonare?”
Hildr gli cinse il collo con le braccia e sorrise ad una spanna dalle sue labbra.
“Inizia a darti da fare, più tardi tratteremo i termini dell’accordo.”
 
Otto anni dopo
“Fai un bel respiro, prendi la mira e scossa la freccia.” Disse Hildr.
Aila tese la corda dell’arco, puntò la freccia e mise a fuoco il bersaglio. Il tiro andò male, la freccia si conficcò nella terra a molta distanza dal fantoccio di paglia.
“Sono pessima.” Si lamentò Aila.
Aveva quattordici anni e Hvitserk pensava che fosse giunta l’ora di imparare a combattere. Isobel aveva deciso che solo Hildr e Ivar erano in grado di addestrare la figlia per diventare una shieldmaiden potente.
“Ieri hai centrato il bersaglio tutte le volte. Oggi sei distratta. Che succede?”
Aila si sedette per terra con uno sbuffo, non aveva voglia di essere interrogata. Aveva gli stessi capelli biondi di Isobel e gli occhi chiari di Hvitserk, ma il carattere sembrava essere quello introverso di Ivar quando era adolescente.
“Non succede niente.”
Hildr le accarezzò la schiena e lasciò che la nipote appoggiasse la testa sulla sua spalla. Le lasciò un bacio una fronte.
“Io sono qui per qualsiasi cosa. Sei preoccupata? Hai litigato con qualcuno?”
“Mamma non vuole che io vada a passare l’estate con Edward al castello.”
Edward era il figlio di Alfred, aveva diciassette anni ed era il ragazzo più educato di tutto il Wessex. Edward e Aila si erano conosciuti anni fa durante un incontro per rinnovare il trattato di pace fra i loro regni. Da allora erano stati inseparabili. Quando non stavano insieme, si scrivevano biglietti in cui raccontavano le loro giornate; l’uno aveva insegnato la propria lingua all’altra.
“Tua madre non capisce certe cose. Per lei sei ancora una bambina.” Disse Hildr.
“Quali cose?” fece Aila, rossa in viso.
“Ti piace Edward. È evidente, cristallino, palese.”
La ragazzina si coprì con le mani, si sentiva scoperta come se avesse rubato una pagnotta di pane.
“Mamma e papà non devono saperlo. Promesso?”
“Te lo prometto. Comunque, posso accompagnarti io al castello. Potremmo fermarci un paio di giorni, così tu starai con Edward e io mangerò dell’ottimo cibo.”
Aila sorrise raggiante, quella proposta era un dono degli dèi. Voleva rivedere Edward dopo un inverno di lontananza, voleva abbracciarlo e sentirlo parlare per ore di mitologia greca e latina.
“Quando partiamo?”
“Dove andate?” volle sapere Ivar.
Lui ed Eyra erano seduti sul portico della tenuta a intagliare pezzi di legno. La nipote amava passare il tempo con lui fra lezioni di intaglio e racconti su Asgard. Era una bambina che sapeva usare le mani: intagliava il legno, cuciva abiti, intrecciava capelli e adorava incidere le rune sui sassolini. Aila, al contrario, amava viaggiare con la fantasia al di là di Kattegat, imparava poesie e leggeva i libri che le regalava Edward, e soprattutto voleva diventare una guerriera come Hildr.
“Zia mi porta a fare visita a Edward per un paio di giorni!” disse Aila al settimo cielo.
Ivar corrugò la fronte, quei sassoni fetenti erano dappertutto.
“Tu e tua zia avete un debole per i sassoni.”
“Tu hai un debole per la gelosia.” Scherzò Hildr.
Aila ed Eyra risero per lo sguardo in cagnesco che si stavano scambiando gli zii. Se un minuto prima si baciavano, quello dopo si insultavano.
“Potete venire anche tu ed Eyra. Possiamo stare tutti insieme.” Disse Aila.
“A palazzo hanno dei bei tessuti, potrei cucire a tutti dei nuovi vestiti.” Rifletté Eyra.
Ivar era accerchiato: Hildr, Aila ed Eyra lo guardavano con gli occhioni dolci. Lui non poteva resistere, pertanto fu costretto ad annuire.
“Vada per questa gita di famiglia!”
Le nipoti corsero in casa a preparare le bisacce, le loro risate riecheggiavano fra le stanze. Hildr si accomodò accanto ad Ivar, gli prese la mano e gli baciò le nocche.
“Aila ha una cotta per Edward, ecco perché la voglio accompagnare. Non voglio andarci per vedere Alfred.”
“Dammi un bacio e forse mi passerà il malumore.”
Ivar ne approfittò per baciarla con foga, infilandole le dita fra quei capelli neri e setosi per cui andava pazzo.
 
Tre anni dopo
“Ora pratica un segno lungo l’asse centrale … sì, brava.”
Ivar ed Eyra stavano realizzando l’elsa di un pugnale da un pezzo di legno. La nipote, che ora aveva sedici anni, era una promettente forgiatrice di armi. Infatti, a Kattegat stava facendo un apprendistato presso il fabbro per imparare a creare ogni sorta di arma.
“Adesso che faccio? Non riesco a capire.” Disse Eyra.
“Guarda con attenzione, c’è qualcosa che non quadra.”
Eyra studiò il pezzo di legno ma non vide nulla, solo dopo un’accurata occhiata si rese conto che restava un lembo non inciso.
“E’ questo, vero?”
“Vero.”
Ivar sorrise e le diede un buffetto sul naso. Eyra somigliava ad Aslaug, aveva i capelli rossicci e una spruzzata di lentiggini sul naso come lei. A volte anche il suono della sua voce somigliava a quella dell’ex regina.
“Ditemi che sono un genio.” Disse Hildr alle loro spalle.
Uscì sul portico sventolando il taccuino di sua madre, un sorriso compiaciuto sulle labbra.
“Sei un genio.” Dissero Eyra e Ivar all’unisono.
Hildr si sedette in mezzo a loro e aprì una pagina del libricino per indicare la ricetta di un preparato.
“Questa potrebbe essere una svolta. Leggendo le annotazioni di mia madre ho scoperto che l’acqua bollente è un ottimo disinfettante. Ciò significa che possiamo disinfettare nell’acqua calda coltelli e aghi prima di ricucire e cauterizzare le ferite.”
“Quindi?” volle sapere Eyra.
“Secondo mia madre questo ridurrebbe il rischio di infezione. Buono a sapersi, no?”
“Ottimo a sapersi.” Disse Ivar con un sorriso.
Hildr negli anni aveva approfondito le sue conoscenze nel campo della guarigione, grazie anche agli appunti della madre. Almeno tre volte alla settimana vagava per i boschi in cerca di piante e fiori da testare per carpirne gli effetti. Questo le aveva permesso di capire che la camomilla poteva essere anche un rimedio per dormire bene.
“Aila sta tornando.” Disse Eyra.
Dalla collinetta stavano risalendo Aila ed Edward. La ragazza era andata al porticciolo del villaggio per accogliere il principe sassone. Ora camminavano fianco a fianco e ridevano.
“Dove sono stati per tutto questo tempo? Aila è uscita presto stamani.” Disse Ivar, sospettoso.
“Magari si sono appartati.” Ipotizzò Eyra.
“E tu che ne sai di queste cose? Hai solo sedici anni!”
Hildr alzò gli occhi al cielo, Ivar aveva un’indole paterna che lo faceva essere fin troppo protettivo con le nipoti.
“Ivar, non fare il guastafeste. Le ragazze sono grandi abbastanza per capire certe cose.”
Eyra andò incontro alla sorella, voleva mostrarle con orgoglio l’elsa che aveva intagliato.
“Quando Eyra parla di appartarsi intende che Edward e Aila hanno fatto sesso?”
Hildr gli rivolse uno sguardo truce, doveva smetterla di ficcanasare nelle faccende private delle nipoti.
“Smettila con queste sciocchezze. Aiala ha diciassette anni ed è in grado di fare le sue scelte. Comunque Eyra ti stava prendendo in giro.”
Ivar abbassò il mento, imbarazzato per la sua mania di controllo. Temeva solo che le sue nipoti scegliessero l’uomo sbagliato.
“A te Edward sta simpatico? A me sembra solo un ragazzino troppo alto e troppo stupido.”
“A te dà fastidio che tua nipote sia innamorata. Non fare il padre geloso.” Lo rimbeccò Hildr.
Quando i tre ragazzi furono vicini, Edward si inchinò per porgere i doverosi saluti.
“Hildr, Ivar, sono lieto di rivedervi.”
Era un giovanotto attraente, capelli ricci e neri, occhi marrone scuro e quelle spalle larghe che facevano avvampare le fanciulle. Aila, però, si era invaghita del suo carattere timido, riflessivo e amante della lettura. Era il ragazzo più colto che avesse mai conosciuto, parlava il latino e di recente stava studiando il greco.
“Noi stavamo meglio senza vederti.” Disse Ivar.
Hildr si passò una mano sulla fronte, sconcertata dalla maleducazione del marito.
“Lascialo perdere, Edward. Resti anche a cena?”
“Sì, se per voi va bene.”
“Va benissimo!” si affrettò a dire Aila.
“Andiamo al lago? Vorrei raccogliere altri rametti per fare un cesto.” Disse Eyra.
“Andate pure, io e Ivar prepareremo da mangiare.” Disse Hildr.
 
Aila sedeva sulla riva del lago e strappava i fili d’erba per poi attorcigliarseli intorno alle dita. Eyra stava setacciando il perimetro come un cane in cerca dell’osso, era proprio decisa a realizzare un cesto da regalare agli zii.
“Sembri distante. Stai bene?” chiese Edward.
Aila abbozzò un sorriso, però lui aveva ragione sul fatto che fosse distante. C’era un quesito che le dava il tormento da un mese.
“Nella tua ultima lettera hai scritto che a corte è arrivata la principessa Griselda.”
Griselda era la principessa di Northumbria, futura erede al trono a soli diciassette. Era orfana di madre e suo padre era molto malato, mancava poco alla sua ascesa. Era amica di infanzia di Edward, avevano seguito diverse lezioni di catechismo insieme in Wessex.
“Arriverà a corte fra due giorni. Perché ti interessa?”
Edward era ingenuo, troppo indulgente per capire le intenzioni che si celavano nei cuori altrui. Lui vedeva del buono in tutti, anche nei peggiori.
“Avete organizzato una festa per il suo arrivo?” domandò Aila.
“Sì. Mia madre ha organizzato un banchetto lussuoso. Il padre di Griselda è un alleato di mio padre da anni.”
Aila avrebbe voluto dargli uno spintone per fargli aprire gli occhi, ma Edward era così dolce che non meritava un simile trattamento.
“Hanno invitato Griselda per una proposta di matrimonio. Vogliono che tu la sposi.”
Edward lo aveva intuito, sua madre gli aveva parlato di Griselda per giorni e giorni, elogiandola e dipingendola come la moglie perfetta. Il problema era che la volontà dei genitori si scontrava con i suoi sentimenti.
“Lo so.”
Aila strappò con troppa forza un ciuffo d’erba e quasi cadde all’indietro.
“Tu la vuoi sposare? Sei innamorato di lei?”
Edward le prese la mano e col pollice le accarezzò il dorso, le mani della ragazza erano sempre fredde mentre le sue erano sempre calde. Una combinazione perfetta.
“Io non sono innamorato di Griselda.”
Lo sapeva che Griselda costituiva una parte importante poiché il regno di Northumbria era grande e prosperoso, tra l’altro entro pochi mesi sarebbe diventata regina e il Wessex sperava che volesse rinnovare l’alleanza. La via matrimoniale era quella più facile per garantirsi il suo appoggio, e questo Elsewith lo aveva tenuto più volte presente. A sua madre non interessavano i sentimenti del figlio, lei voleva solo ottenere un regno solido e forte.
“Sei innamorato di qualcuno?” osò chiedere Aila.
Ormai Aila aveva capito di provare dei sentimenti per il suo migliore amico, era stato chiaro sin da subito. Anche sua zia Hildr e zio Ivar erano stati migliori amici per anni prima di sposarsi.
“Non ho tempo per queste cose.”
“In che senso?”
Edward distese le gambe e poggiò il peso sui gomiti, il viso rivolto al sole.
“Mio padre ha intenzione di ritirarsi. Le sue condizioni di salute stanno peggiorando. A Natale sarò incoronato re. Tutto il mio tempo viene assorbito dalle lezioni con i precettori, dalle riunioni con i consiglieri reali e dagli incontri con il Vescovo.”
Aila trattenne il respiro. Stava brancolando nel buio.
“Diventerai re fra quattro mesi? È … surreale!”
“Credimi, ne cono cosciente. Ormai ho compiuto venti anni ed è il momento giusto per salire al trono. Mio padre vuole sistemare la faccenda prima di morire.”
Anche Hildr in passato aveva sistemato i problemi del regno per poi cedere la corona Hvitserk e Isobel, quindi il comportamento di Alfred era sensato. Quello che invece non aveva senso erano le tempistiche.
“Tu stai per diventare re e Griselda sta per diventare regina. Entrambi vi troverete alla stessa festa fra pochi giorni. Non ti sembra strano?”
Edward si grattò la nuca in imbarazzo, lo faceva quando veniva messo all’angolo. Aila era lì che lo guardava con occhi indagatori, eppure nel suo sguardo vi era anche un pizzico di tristezza.
“Aila, mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo.”
La ragazza dapprima sollevò le sopracciglia, poi emise un sospiro di rabbia.
“E’ una festa di fidanzamento. Tu e Griselda vi sposerete.”
È stato già tutto deciso. Non posso oppormi al volere dei miei genitori.” Disse Edward.
Aila si alzò e si spazzolò i calzoni, tentava in tutti i modi di evitare lo sguardo bastonato del ragazzo.
“Eyra, andiamo! Si è fatto tardi.”
“Ma io devo ancora raccogliere i rametti!” disse la sorella.
“Lascia stare quegli stupidi rametti. Andiamo! Adesso!”
Eyra buttò a terra i rametti raccolti e seguì la sorella con le spalle ingobbite. Edward si affrettò a raggiungerle, anche lui sembrava turbato come Aila.
“L’hai offesa?” domandò Eyra.
“Le ho detto che dovrò sposarmi fra qualche mese.” Disse Edward a bassa voce.
La vichinga arricciò le labbra per il disappunto. Sapeva della cotta di Aila per Edward, ecco spiegato perché ora la sorella camminava a gran velocità come uno struzzo inferocito.
“E le hai detto quella cosa?”
Edward arrossì e scosse la testa. Solo Eyra conosceva il suo segreto, era l’unica persona con cui poteva parlare liberamente delle sue emozioni.
“Non ancora.”
 
Ivar fissava la soglia della porta come un gatto che aspetta un topo. Hildr non si capacitava di quanto fosse ridicolo il marito.
“La porta ti ha fatto del male? Sembra che tu voglia darle fuoco.”
“Quel principino non mi piace per niente.” Grugnì Ivar.
Hildr mise da parte la pianta che stava studiando per concentrarsi sulla conversazione.
“I sassoni non sono male. Hvitserk ha sposato una sassone. Io ho salvato un sassone. Aila si è infatuata di un sassone.”
Ivar la guardò in tralice, non era brava con le rassicurazioni.
“Tu, Hvitserk e Aila avete gusti discutibili.”
“Tu hai sposato Freydis, quindi taci.” Ribatté lei.
“Sono passati vent’anni, è storia vecchia.” Disse Ivar sulla difensiva.
Hildr gli diede un colpetto alla coscia con il piede, attenta a non fargli troppo male.
“Tu mi hai richiusa in gattabuia. Hai voluto che combattessi agli Hòlmganga. Hai sposato Freydis. Hai baciato Katya. Hai dichiarato guerra ad Alfred contro la mia volontà. Ti sei finto morto. Ma io sono ancora qui dopo venti anni.”
“La morale sarebbe che ero un idiota?”
Hildr rise, anche se in effetti quella domanda era piuttosto sensata.
“Anche oggi sei un idiota. Comunque, la morale è che alla fine conta solo quello che provi. Noi stiamo insieme perché abbiamo lottato, ci siamo separati e ci siamo ricongiunti. Se Aila è innamorata di Edward non importa da dove provenga, conta solo quello che vogliono. Oggi non avremmo questa vita se non l’avessimo voluta.”
Ivar si guardò la fede nuziale, il ricordo del loro matrimonio era vivido. Hildr era al suo fianco da più di venti anni nonostante i litigi, gli intrighi e i momenti difficili.
“Hai ragione.”
“Oh, lo so.”
“Però Edward non mi piace lo stesso.”
Hildr si sporse per baciarlo e metterlo così a tacere.
 
Due giorni dopo
Edward ad un certo punto della festa si era allontanato per prendere una boccata d’aria. Era stato sotto pressione per tutto il giorno, iniziando dalla madre che gli aveva fatto provare numerose giacche e finendo con Griselda che raccontava storie noiose sul padre. Si era nascosto su un angusto balcone del castello, sin da bambino si rifugiava lì quando il mondo lo opprimeva.
“Edward.”
Si voltò e sorrise più felice che mai. Aila era là, le mani sui fianchi e l’espressione vergognosa. Indossava un abito verde con intarsi in oro che metteva in risalto i suoi occhi chiari.
“Sei qui.”
“Hildr mi ha convinta ed Eyra ha cucito l’abito per me. Ivar ha protestato un po’, ma lo sai com’è fatto mio zio. Non potevo lasciarti da solo stasera.”
Edward si avvicinò e le sfiorò una ciocca bionda con la delicatezza che si riserva ad una preziosa reliquia. Era più alto di lei tanto che con il mento toccava la fronte della ragazza.
“Aila, ti ringrazio. Avevo bisogno che la mia più cara amica fosse qui con me.”
Aila aveva perso le speranze, erano svanite quando aveva messo piede nel castello. Edward era suo amico e sarebbe rimasta al suo fianco nonostante tutto. Nonostante avesse voglia di baciarlo e stringersi a lui.
“Prego.”
Edward rise e avvolse le braccia intorno a lei, sollevandola da terra per farla volteggiare.
 
Un anno dopo
Il cielo sguazzava in un mare di rosso e blu che si mischiavano al tramonto. Hildr era seduta sul portico ad ammirare quello spettacolo. Pensò a Floki, chissà dove si era cacciato quello zio tutto matto. Pensò ad Helga nel Valhalla che danzava con sua figlia. E pensò ai suoi genitori che sedevano al banchetto di Odino e brindavano in allegria.
“Tienimi per mano al tramonto, quando il giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle.”*
“Poetico.”
Hildr sorrise d’istinto. Facendo riferimento alle sue parole, gli tese una mano che lui afferrò con vigore. Lentamente si fece scivolare accanto a lei e le mise un braccio attorno alle spalle.
“A che stai pensando?”
“All’incendio che ha portato via i miei genitori. È stato l’inizio di tutto.”
“Mi ricordo quando sei entrata nella sala reale con le guance sporche di fuliggine e i piedi scalzi. Eri la bambina più stramba che avessi mai visto.”
Hildr ricordava molto bene l’attimo in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di Ivar per la prima volta. Quell’istante li aveva legati per sempre.
“Era destino che quella notte l’incendio distruggesse la mia casa e la mia famiglia.”
“Molte cose che ci sono capitate erano volute dal destino. Noi due ci siamo conosciuti per volere del destino. Se quella sera Hvitserk non ti avesse accolta in casa, io e te non ci saremmo mai parlati. Io sarei rimasto il ragazzo scontroso e malato di sempre e tu saresti diventata una contadina nella fattoria di famiglia.”
“O magari ci saremmo sposati lo stesso.” Azzardò Hildr.
“Una come te non avrebbe mai notato uno storpio come me.” Disse Ivar.
Lei emise un piccolo sospiro, consapevole delle infinte vie che avrebbero potuto prendere le loro vite. Invece le loro strade si erano incrociate e i loro passi si erano fusi.
“Io ti avrei notato. Per me non sei mai stato uno storpio. Per me sei sempre stato Ivar.”
Ivar sorrise e le diede un bacio sulla tempia, attirandola di più a sé.
“E io avrei fatto l’impossibile per farmi notare da te.”
“Smielato.” Borbottò Hildr, ma stava ridendo.
“Ricordi quando ti ho chiesto di sposarmi la prima volta? Eravamo in fuga da Kattegat.”
“Me lo ricordo.”
“E ti ricordi cosa ti ho detto sul nostro destino?”
Hildr si perse nei meandri della memoria, quasi poté sentire sulla pelle il vento che tirava quella notte.
“Mi hai detto che potevamo riscrivere le cose a modo nostro e che potevamo sfidare il fato che gli dèi avevano stabilito per noi. Mi hai detto che potevamo superare tutti i limiti.”
“Esatto. Lo abbiamo fatto, Hildr. Abbiamo scelto di vivere come volevamo. Prima abbiamo voluto la guerra e poi abbiamo voluto una vita lontana da tutti, e ci siamo presi entrambe le cose.”
“Cosa cerchi di dirmi?”
Ivar la guardò con gli occhi ricolmi d’amore e di ammirazione. In essi divampava il fuoco che li aveva uniti venti anni orsono.
“Che noi due eravamo destinati a stare insieme. Ti sto dicendo che, nonostante il Fato e gli dèi, noi ci saremmo trovati comunque.”
Hildr alzò gli occhi al cielo, però in cuor suo stava sorridendo. Loro insieme avevano fatto grandi cose, battaglie cruente, lotte per il trono, strategie di ogni tipo. Erano nodi indissolubili.
“Migliori amici per sempre?”
Ivar ridacchiò e le strinse la mano facendo incastrare le loro dita. Quella era più di una banale domanda, era una promessa. Era la promessa di restare insieme finché la morte non li avrebbe separati, ma anche in quel caso si sarebbero ritrovati nel Valhalla.
“Migliori amici per sempre.”
Hildr appoggiò la testa sulla sua spalla e si lasciò sfuggire un sorriso. Era davvero felice.
“Comunque resti uno stupido caprone.”
“E tu una mula impazzita.”
Le loro risate risuonarono nella notte, forti e cristalline come campane che suonano a festa.
Freya li osservò dal palazzo di Folkvang* e sorrise dolcemente: per una volta il Fato era stato riscritto e gli dèi non si erano opposti.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci giunti alla fine di questa avventura. Ivar l’ho lasciato vivere perché sapete che do sempre un lieto fine ai personaggi perché è giusto e mi piace pensare che in un universo parallelo siano felici.
Questa storia mi ha dato tante soddisfazioni e ho imparato molte cose sulla mitologia norrena e sulla storia facendo le ricerche.
Spero di aver reso i personaggi simili alla serie tv e di non averli stravolti troppo.
Grazie di cuore a voi per aver seguito la storia. Vi sarò sempre grata.
Un bacio grande grande,
la vostra Lamy__
 
*storicamente il primo figlio maschio di Re Alfred si chiamava Edward, ha regnato tra la fine del IX e l’inizio del X secolo d.C.
*citazione di Hermann Hesse
*Folkvang è il palazzo dove mitologicamente risiede Freya.
 
PS. Ma se scrivessi una storia su Aila, Eyra e Edward? Vi piacerebbe?

 

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