L'amour est le pire des monstres

di Picci_picci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Era di ritardo. Troppo di ritardo. Con il tailleur blu pavone giacca-pantalone firmato Agreste e le Louboutin classiche nere, tacco dieci centimetri, Marinette stava facendo la sua entrata nella Maison Agreste dove sarti, stilisti, illustratori e stagisti si stavano facendo in quattro.

Con passo di carica oltrepassò tutti gli uffici e, con le cartelline ben strette in mano, aprì la porta in fondo alla stanza. Trovò Natalie alla sua postazione, una scrivania situata alla parte destra della stanza, che si mimetizzava nell'arredamento bianco e nero dell’ufficio.

“Monsieur è già arrivato?”, domandò alla robotica assistente.

“Certamente, è lei di ritardo”, guardò brevemente l’orologio e poi continuando a scrivere al computer, “di ben sei minuti e mezza.”

Con un sospirò si avvicinò alla porta seguente, l’ultima. Batté le nocche due volte sulla superficie lignea bianca e aspettò.

“Avanti.”

Abbassò la maniglia ed entrò.

Monsieur Agreste non si scomodò nemmeno ad alzare lo sguardo, troppo preso a leggere l’ultimo numero di Vogue, e l’accolse con un “ricordami perché non ti ho ancora licenziata, Marinette? Questo è il tuo secondo ritardo in tre settimane.”

“Vero, ma..”

“Io ti prego di non continuare quella frase. Piuttosto, perché non devo licenziarti?”

“Perché sono solo una stagista e sono brava”, rispose lei anche se sembrava più una domanda.

“Sfortunatamente per me, troppo brava”, le rispose lui alzando gli occhi sulla sua figura.

“Sono le cartelline che ti avevo chiesto ieri?”

“Ieri, alle undici e quarantacinque.”

“Oh, ora tieni anche l’orario?”

Marinette gli lanciò un’occhiata tra l’esasperato e il divertito, mentre gli passava le cartelline tanto richieste.

“Come mai di ritardo?”

Si immobilizzò sulle sue Louboutin e pensò se fosse una buona idea raccontare cosa era successo al suo mentore. No, non doveva farlo preoccupare inutilmente, perciò decise di rispondere con la battuta di un vecchio amico.

“È un storia buffa, sai?”

Un dolore sordo all’altezza del petto la colpì mentre ripeteva le parole del suo amico.

“Preferisco non saperla.”

Rimase là qualche altro secondo, tempo che Gabriel visionasse gli ultimi fogli, per poi consegnarglieli, “portali in sartoria e vedi di spiegare bene i materiali che voglio. Siamo vicini alla sfilata, non voglio errori.”

“Mancano tre mesi.”

“Ergo, poco. Tre mesi nel campo della moda sono niente...ma cosa vi insegnano all’università?”

“Sicuramente, non ci insegnano a sopportare un mastino come Gabriel Agreste.”

“Ti salvi solo perché mi hai dato del mastino.”

“Solo?”, chiese Marinette giocosa e con un sorriso sincero sul volto.

“E anche perché sei brava”, gli concesse lui.

“Avrei dovuto registrarlo.”

“Hai perso l’occasione.”

Si sorrisero a vicenda, poi Marinette uscì dall’ufficio.

“Dove va, mademoiselle?”

“Natalie, solo Marinette. Sono mesi che lavoro qui dentro.”

“Certo, mademoiselle.”

Lei alzò gli occhi al cielo, non l’avrebbe mai avuta vinta con Natalie.

“Vado in sartoria”, rispose Marinette mentre usciva dall’ufficio.

Attraversò di nuovo gli uffici, entrò nell'ascensore e scese di due piani.

“Mari..”

Lei abbassò la testa verso la testolina di Tikki che spuntava dalla sua giacca blu.

“Va tutto bene.”

Poco convinta, la kwami annuì per scomparire di nuovo nella tasca.

***

Si era appena messa a sedere alla sua scrivania, posta esattamente di fronte a quella di Natalie, dopo aver fatto la maison su e giù più volte. Oggi, Gabriel era più attivo che mai e pretendeva lo stesso dai suoi dipendenti, e Marinette lo avrebbe fatto volentieri se non fosse stato per le scarpe che portava ai piedi.

“Marinette.”

Si alzò di scatto dalla sedia, mentre Gabriel usciva dal suo ufficio. Alzò due dita in alto, segno che voleva il suo cappotto perché doveva andare via e lei si precipitò a prenderlo, mentre Natalie si preparava per andare con lui.

“Dove va, Monsieur, se posso sapere?”

“Devo controllare di persona alcuni fornitori e poi torna Adrien dal viaggio all’estero, vado a prenderlo.”

“Capisco.”

“Natalie, tu vieni con me, mentre Marinette ho bisogno che tu resti qui ad occuparti della maison.”

“Io?”, chiese Marinette sbalordita con gli occhi fuori dalle orbite.

“Tu. Devi solo stare qui e fare il tuo lavoro e, se qualcuno avrà qualche problema, verrà da te. Troppo difficile?”, chiese impegnato a mettersi il giubbotto.

“No no, monsieur.”

“Bene.”

E se ne andarono tutti e due, senza salutare. Per quanto Gabriel (e un po’ anche Natalie) fosse migliorato nei rapporti sociali, il concetto di saluto non era ancora entrato nella sua testa.

Sorrise e scosse la testa, sedendosi alla scrivania.

“Tikki”, disse sottovoce.

La sua amica spuntò subito fuori a guardarla.

“Sono al timone della nave, Gabriel mi ha lasciato il controllo”, disse euforica.

“Te lo meriti. In questi mesi sei stata impeccabile”, le rispose affettuosa. 

Marinette annuí contenta, mentre sistemava la sua scrivania.

“Quindi”, sentì la vocina piccola di Tikki, “non ti fa nessun effetto il fatto che Adrien sia tornato da Londra?”

Forse un tempo, rifletté Marinette. Ora era solo contenta che il suo amico tornasse a Parigi e, per rispondere alla domanda di Tikki, scosse la testa in un cenno negativo.

“Ti è davvero passata la cotta per Adrien”, esclamò stupita la kwami.

“Ci è voluto molto, ma sì, mi è passata. Adrien adesso è solo un mio amico.”

La kwami guardò preoccupata la sua protetta. La vita sentimentale di Marinette non era mai andata molto bene, ma negli ultimi mesi era peggiorata in un modo tale che Tikki non pensava essere possibile.

“Mari… Luka prima ti ha mandato un messaggio.”

Marinette prese il telefono con un peso sul cuore e lesse velocemente le poche righe inviatele dal ragazzo: Ho portato anche gli ultimi scatoloni dai tuoi, così non devi tornare qui. Stammi bene, Luka.

Bloccò lo schermo del telefono e tornò al suo lavoro.

“Tutto apposto?”, si informò ancora preoccupata Tikki.

“Oggi non dobbiamo tornare nel mio vecchio appartamento. Luka ha portato gli ultimi scatoloni dai miei.”

“Non ti scoccia tornare a vivere a casa con i tuoi genitori?”

“No, sono contenta di stare per un po’ con mamma e papà, come hai vecchi tempi.”

“Hai ragione”, disse la kwami con rinnovato spirito, “e adesso forza, a lavoro.”

***

Da quanto non metteva piede a Parigi? Troppo tempo.

“Moccioso, sei impalato in mezzo all’aeroporto da cinque minuti, muoviti!”

Si ridestò con la soave voce di Plagg e si mosse per recuperare il suo bagaglio: due valigie nere con rifiniture oro del marchio Agreste. Aguzzò la vista, ma sul nastro trasportatore non passò nessuna delle sue valigie.

“Stavi cercando queste?”, si girò verso la voce piatta e maschile, trovandosi lì davanti suo padre.

Gabriel Agreste in completo grigio e cappotto color cammello Agreste, svettava all’interno dell'aeroporto. 

“Papà”, lo salutò il biondo con voce calda. Persino quell’uomo freddo, che sempre più stava conoscendo come un essere umano, gli era mancato.

“Figliolo.”

Si avvicinarono e si abbracciarono per qualche secondo, “come è andato il master in economia.”

“Molto bene, in realtà. Avevi ragione, mi ha fatto bene cambiare aria e finire il mio percorso di studi a Londra.”

“Ne sono contento”, e poi con una mano sulla spalla condusse il figlio verso Natalie che ai suoi piedi aveva le tanto ricercate valigie.

“Buonasera, monsieur Adrien.”

“Natalie, che piacere vederti.”

“Signore, dovremmo tornare in atelier..”, disse la segretaria verso Gabriel.

Ma lui la interruppe prima che finisse la frase, “no, mi fido delle scelte della mia stagista.”

“Stagista?”, chiese sbalordito Adrien, “e chi è?”

“Lo scoprirai, non preoccuparti”, gli disse Gabriel spingendolo in macchina, “ora torniamo a casa.”

***

Appena varcò la soglia di casa, si tolse le Louboutin che gli avevano ucciso i piedi quel pomeriggio.

“Tesoro”, esclamò Sabine sbucando dalla cucina, “la cena è quasi pronta.”

Mentre Marinette si toglieva la giacca del completo e si sedeva a tavola insieme a suo padre, sua madre continuò l’interrogatorio, “come è andata la giornata?”

Ma Marinette sapeva troppo bene dove sarebbe andata a finire quella conversazione, “molto bene, in realtà. Monsieur Agreste mi ha lasciato la guida dell’atelier oggi.”

“Ma davvero?!”, esclamò entusiasta sua madre.

“Brava la mia Marinette”, esclamò suo padre battendogli una sonora pacca sulla spalla.

Si sedettero tutti e tre a tavola e iniziarono a mangiare la zuppa cinese.

Sabine mentre girava la sua zuppa disse casualmente, “sai, oggi è passato Luka.”

“Lo so”, rispose Marinette, “mi ha mandato prima un messaggio.”

Ecco dove voleva andare a parare sua madre.

“E tu…”

“E io, cosa? Tra noi è finita mamma e va bene così, l’abbiamo deciso insieme.”

“Sì, certo tesoro. Mi chiedo solo se tu stia bene. La vostra convivenza è stata così improvvisa che siamo rimasti scioccati e lo siamo anche ora che è finita.”

“Quello che vuole dire tua madre”, disse Tom dolcemente, posando il cucchiaio visto che aveva finito la zuppa, “è che noi siamo felici, se tu sei felice. Ma rendici più presenti nella tua vita, rendici partecipi delle tue decisioni. Noi ti appoggeremo sempre.”

Marinette annuì, smettendo di mangiare. Improvvisamente aveva perso l’appetito.

“Colpa mia. Non ero convinta della mia scelta, ma l’ho fatto comunque.”

“È quello che non capiamo”, commentò Sabine prendendo le zuppiere di tutti e tre, convinta che nessuno di loro avrebbe mangiato altro, “non è da te agire così impulsivamente, ma sappiamo che avrai avuto i tuoi motivi.”

Lei sorrise triste, nonostante tutto aveva dei fantastici genitori.

“Va bene, non preoccupatevi.”

“Non puoi non dirci non preoccuparci, bambina”, le disse Tom, “un genitore si preoccuperà sempre dei suoi figli.”

Marinette annuì, dette un bacio ai suoi e salì in camera sua.

La sua cameretta, quante ne aveva vissute lì dentro. Nonostante gli scatoloni sul pavimento, Mariette poteva rivedere la sua stanza come era un tempo con le pareti rosa e le foto di Adrien là dove il muro aveva dei rettangoli più chiari.

Sospirò, “forza Tikki, mettiamo un po’ a posto e poi a dormire.”

Togliendo le cose da gli scatoloni e sistemandole a giro per la stanza, Marinette ripensò a quanto era successo negli ultimi mesi. L’addio di Chat Noir, la convivenza con Luka per togliersi il bel gatto nero dalla testa e il lavoro da Gabriel Agreste. Tutte le sue scelte erano state affrettate e prive di senso, e tutte dettate dall’abbandono del suo chaton.

Dopo aver convinto Papillon a lasciare i suoi piani e dare loro il miraculous della farfalla e del pavone, lei e Chat Noir si erano detti addio. Finché non ci sarebbe stata una nuova minaccia per Parigi, loro sarebbero rimasti in silenzio nelle loro vesti civili.

Non pensava che quella decisione, presa da entrambi troppo frettolosamente, le avrebbe fatto così male. Invece, era stato così e ora ne pagava le conseguenze.

Accarezzò la scatola del miraculous della farfalla...prima o poi avrebbe dovuto riportarla a maestro Fu, ma aveva paura di scoprire qualcosa su Chat Noir che le avrebbe fatto del male, come il miraculous del gatto nero tornato dentro il grammofono.

Sospirò, ripensando all’ultimo incontro con il suo chaton poco dopo che Papillon aveva consegnato loro i gioielli magici da l’ascensore della Tour Eiffel. Le sue condizioni erano state chiare: avrebbe accettato la resa, ma nessuno avrebbe dovuto scoprire la sua identità, e i due eroi avevano accettato.

Papillon era entrato dentro l’abitacolo dell’ascensore ed era sceso giù, poco dopo l’ascensore era risalito portando come passeggeri due scatole in legno contenenti i due miraculous scomparsi. Qualche minuto dopo, i due eroi si dicevano addio, mentre gli occhi parlavano per loro, con una muta promessa: nessuno si sarebbe mai scordato dell’altro.

Poi volarono via, per non incontrarsi più.

E così era successo, pensò tristemente Marinette guardando ancora fuori dalla finestra. Lei aveva continuato ad aspettarlo, ma sapeva che lui non sarebbe venuto, che lui non l’avrebbe aspetta e che lei sarebbe rimasta sola un altro po’.

Angolo autrice
Eccomi qua, con una nuova storia. Che dire, spero che questa nuova storia vi piaccia come la precedente e che sia riuscita ad esprimere e farvi comprendere la situazione iniziale della storia.
Non preoccupatevi, non ho abbandonato "Loop", penso che ritornerò con una nuova one-shot sul loro matrimonio futuro, ma sarà tra un po'.
Per ora dovete sorbirvi questo mio nuovo sclero ahahhha.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui,
Cassie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Marinette uscì dalla metro diretta alla maison nella sua tuta rosso fuoco con maniche a tre quarti e pantaloni a palazzo...non sarebbe di certo passata inosservata. I capelli sciolti le solleticavano il volto e i piedi stavano iniziando una protesta, visto che anche oggi aveva scelto di indossare le Louboutin nere. Com’è che diceva sua madre quando era piccola? Ah, sì: chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire. 
Ma nel suo caso: se per Agreste vuoi lavorare, allora i tuoi piedi dovrai torturare. La borsa a tracolla nera completava il look e Tikki stava là, comodamente seduta. Passeggiando vide il suo riflesso davanti alla vetrina e tutto quel rosso e nero le ricordarono Ladybug. Da quanto non si trasformava? Da quanto non vedeva il suo chaton? Sospirò, e con più energia di prima, continuò a camminare.
Quando varcò la porta a vetri dell’edificio Agreste, l’occhio le cadde sull’orologio e strabuzzò gli occhi. Lei era una ritardataria nata, letteralmente visto che i suoi genitori avevano dovuto aspettare tre giorni in più del previsto perché lei non voleva venire al mondo, e chiunque lo sapeva. Poteva capitare che arrivasse puntuale, ma stavolta era diverso. 
Non era nè di ritardo né puntuale.

Era in anticipo. Di ben dieci minuti.

Ancora frastornata da ciò, entrò dentro l’ascensore e le porte si chiusero immediatamente dopo di lei.

***

Quando il Gorilla gli aprì la porta della macchina, dovette di nuovo abituarsi alla vista della Maison Agreste. Su un edificio parigino risalente alla belle époque, svettava la scritta in nero a caratteri cubitali ‘Agreste’ e già, dalle porte a vetri, vedeva il lussuoso e moderno mobilio. La maison era uno dei posti più belli di Parigi, dove antico e moderno si univano in una perfetta armonia e un perfetto equilibrio.

“Vogliamo andare?”, chiese suo padre dietro di lui.

Annuì e, insieme, entrarono.

Suo padre a passo di marcia si diresse verso l’ascensore, mentre lui si fermò a salutare la segretaria Corianne. Gli era sempre stata simpatica quella bionda signora dell'onnipresente tailleur nero, e forse era dovuto ai dolci che gli regalava quando era piccolo.

Quando si girò per prendere l’ascensore, il suo cuore iniziò a battere forte.

Con la coda dell’occhio aveva visto un lampo rosso dai capelli blu notte. La sua lady.

Corse verso il macchinario, e verso di lei, ma non fu abbastanza veloce, perché le porte di chiusero prima, portando via suo padre e la ragazza.

***

“In anticipo? Devo preoccuparmi, Marinette? È successo qualcosa di grave?”

Con lo sguardo tra l’indignato e il mortificato, guardò il suo capo, “è così incredibile che io sia in anticipo per mio volere e non per una misteriosa forza mistica?”

Gabriel la guardò con un sopracciglio alzato.

“Va bene, ha ragione. Sinceramente, anche io sono sconvolta da me stessa.”

“Speriamo che questa sia la prima di molte volte. Vorrei evitare di licenziare la mia migliore stagista per dei ritardi.”

“Ma..”, la risposta le morì in gola, “miglior stagista?”, chiese con un sorriso da folle.

“Chi l’ha detto?”

“Lei.”

“Avrai sentito male.”

Lo sapeva. Lo aveva sognato. Che figuraa, perché doveva sempre commettere questi errori? Dov’era la buca nel terreno in cui sprofondare?!
Le porte dell’ascensore si aprirono con un ding che la riscosse dai suoi pensieri.
Con le guance leggermente arrossate, che facevano pendant con la sua tuta, Marinette guardò di sottecchi Monsieur.
Lui, in risposta, le fece l’occhiolino.
Aspetta, cosa?! Le cose erano due: o stamattina sua madre le aveva messo degli allucinogeni nel cappuccino o non si era sognata nulla. Qualcosa nel profondo del cuore, e Tikki dal profondo della sua borsa, le fecero credere alla seconda ipotesi.

La miglior stagista di Gabriel Agreste.

Chiamate il 118, ragazza parigina in iperventilazione!

“Marinette?”

“Sì!”, rispose lei con voce troppo stridula per essere normale.

“Va in magazzino e porta questi”, le disse Gabriel porgendogli dei fogli, prima di entrare in ufficio.

“Certo, subito.”

Ancora con la borsa in spalla, rientrò in ascensore per scendere. Quello che tutti chiamavano magazzino, poteva essere tutto tranne che un magazzino. Era un enorme stanza, in realtà tutto il terzo piano, dove sistemati in appositi appendiabiti si trovavano tutti gli abiti utilizzati per gli shooting fotografici. Sullo stesso scaffale si poteva trovare un vestito da sera, degno dei migliori red carpet, e una normalissima t-shirt; o ancora, delle decoltè tacco quindici centimetri accanto a delle sneakers da uomo. Qualsiasi cosa tu volessi, lì dentro c’era. Era l’armadio delle meraviglie che chiunque avrebbe voluto.

“Zuccherino, come mai oggi così...come dire, sgargiante?”, questa era la voce che l’aveva accolta lì anche il primo giorno.

Paul Fillem, Paul per gli amici. Alto un metro e settantacinque, abbronzato trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque, riccio e moro con gli occhi azzurri. Bello come il sole. Gay dichiarato, tanto creare una strage di cuori in maison.

“Bonjour, Paul”, disse Marinette camminando verso la postazione dell’amico. Eh sì, se doveva chiamare amico qualcuno all’interno della maison, quello era sicuramente Paul. Con i suoi modi strambi e le sue perle di saggezza, che di saggezza non avevano niente, trovava sempre il modo di tirarla su di morale.

“Monsieur, ti manda queste”, continuò lei, dandogli i fogli.

Lui li prese e li scrutò con aria attenta: se c’era qualcosa in cui era serio, era il suo lavoro.

“Capisco”, disse posando i fogli da parte, “tra poco arriveranno altri vestiti e devo fare posto.”

“Ma ci entreranno?”, quel magazzino era già stipato di vestiti, come potevano mettercene altri?

“Devono entrarci, è il mio lavoro. Gabriel Agreste potrà anche essere il mastino della maison, ma qui dentro”, disse allargando le braccia come ad abbracciare la stanza, “il re sono io.”

“Mi scusi, direttore”, rispose Marinette con un sorriso mettendosi a sedere davanti al bancone dell’ingresso e dando le spalle a l’ascensore.

“Re, prego.”

“Scordatelo.”

Poi, fu come se a Paul si fosse accesa una lampadina, e si sporse dall’altro lato del bancone per raccontarle l’ultimo nuovo pettegolezzo.

“Lo sai?”, chiese con tono carico di aspettativa.

“Ma sapere cosa, se sto sempre rinchiusa in quell’ufficio? Sei tu quello che mi tiene aggiornata sui pettegolezzi, quindi spara”, disse lei mettendosi comoda e ordinando un caffè alla stagista di Paul.

“Bene”, disse lui poggiando tutti e due i palmi sul bancone.

“Si dice che Adrien Agreste sia tornato.”

Marinette lo guardò annoiata, era questo il grande scoop?

“Allora, non dici niente?”, esclamò lui deluso per la reazione, o non reazione, dell’amica.

“Che dire? Lo sapevo?”

“E non mi hai detto nulla?!”, esclamò offeso portandosi una mano al petto. Dio, come era teatrale.

“Paul, ti sei scordato il fatto che io sono andata a scuola insieme ad Adrien? Ovvio che lo sapessi, siamo rimasti in buoni rapporti.”

Lui annuì, dando ragione all’amica.

“Ma questa, non la puoi sapere.”

“Cosa?”, domandò lei sorseggiando il suo caffè.

“Dicono che Adrien sia tornato dopo aver finito il master di economia a Londra, per gestire le finanze della maison e, in un futuro, prendere il posto del padre.”

Marinette sputò tutto il caffè che aveva in bocca.

“Cosa?!”

“Oh, questa era la reazione che volevo.”

“Ripeto: cosa?!”

“Hai sentito benissimo, zuccherino.”

“Adrien come mio..capo.”

Sì, okay che la sua mega cotta le era passata, ma c’era un limite a tutto.

“Parlando di altro”, come poteva voler parlare di altro?, “come stanno le cose su, ai piani alti?”

“Non ne parliamo”, gli rispose Marinette, sconsolata, “siamo vicini alla sfilata e monsieur sta dando il tormento a tutti.”

“Il buon vecchio e caro Agreste, non cambia mai.”

“Se un giorno finirò all’inferno troverò lui come torturatore, mi sveglierà alle undici e quarantacinque di notte per chiedermi delle cartelline”, disse poggiando i gomiti sul bancone e prendendosi la testa fra le mani.

“Bellezza.”

“Paul, non è che se mi dici che sono bella, sto automaticamente bene.”

Lui le alzò la testa con due dita per guardarla negli occhi, “infatti non dicevo a te. Sarai anche bella, ma non sei il mio tipo. Dicevo a lui”, disse guardando con un sorriso da rimorchio davanti a lui.

Marinette si girò e ciò che vide la mandò in tilt, tanto da rovesciare il caffè sul bancone.

“Ma cos’hai oggi contro questo caffè, me lo dici?”

Le parole di Paul la svegliarono dalla catalessi, “mi dispiace”, esclamò mortificata scendendo dallo sgabello.

“Non provare a pulire”, disse Paul in modo minaccioso, “se sporchi quella tuta, ti denuncio alla polizia della moda.”

“Ma..”

“Stai lontana, la mia stagista pulirà il macello.”

Lei annuì, mortificata.

Una risata dietro di lei, le ricordò chi aveva assistito alla scena. Si girò imbarazzata e incontrò gli occhi ridenti di Adrien.

“È bello vedere come certe cose non cambiano mai.”

“Se intendi la mia goffaggine, non posso darti torto.”

Lui si avvicinò a lei di qualche passo. Cavolo, quanto era diventato alto?! Con i tacchi, lei riusciva ad arrivargli al mento. La zazzera di capelli biondi era un po’ più lunga, aveva un velo di barba del giorno prima, ma che nonostante ciò gli stava di incanto. Per non parlare dei suoi muscoli… Quell’uomo doveva essere illegale.

“Ciao, Marinette.”

“Ciao, Adrien.”

Poi lui l’abbraccio. Il suo profumo le invase i sensi: Gabriel, profumo della maison Agreste uscito cinque anni fa. Si era scordata quanto gli donava quel profumo.

Inspirò profondamente e poi si staccò, doveva rimanere lucida, santo cielo!

Adrien la guardò in quegli occhi celesti, il bel volto incorniciato dai capelli corvini...e quella tuta! Quella tuta lo stava mandando fuori di testa. Marinette gli ricordava così tanto la sua lady che si lasciò sfuggire un “sei bellissima.”

Lei arrossì, tanto da diventare un tutt’uno con la tuta.

Lui, di riflesso, si imbarazzò e gli si imporporarono le guance.

“Come mai da queste parti?”, le chiese, cercando di annullare quell’imbarazzo che si era creato.

Lei lo guardò con gli occhioni grandi spalancati e la testa inclinata di lato, poi, come resasi conto della domanda che le aveva posto, si ridestò, “sono la stagista di tuo padre.”

“Sei tu la fantomatica stagista?!”

Le orecchie di Marinette arrossirono e, incapace di parlare, annuì.

“Volevo farti i miei complimenti”, esclamò lui con un sorriso.

“Per cosa? Per avere il capo più inflessibile che conosca?”

Questo era il lato nuovo che aveva scoperto di Marinette, pensò Adrien. Quel lato un po’ sfacciato, ironico e determinato che aveva avuto il piacere di conoscere solo un anno fa, ma di cui si era totalmente innamorato. Figuratamente, non letteralmente innamorato.

Adrien rise, “per quello ti faccio gli auguri. Mio padre sa essere tosto, ne so qualcosa. Ti faccio i complimenti per essere riuscita a colpire così tanto mio padre, non è semplice entrare nelle sue grazie.”

“Me ne sono accorta.”

Continuarono a guardarsi negli occhi a nemmeno venti centimetri di distanza, fermi sul posto, non muovendo un muscolo.

“Che carini, fate il gioco del silenzio come all’asilo? Posso giocare?”

Marinette si girò e vide Paul che la guardava eccitato.

“Mi spiace, ma devo andare. Mio padre mi reclama”, si scusò Adrien.

“Certo, capisco. Io arrivo subito.”

Adrien annuì e si voltò per sparire negli ascensori.

Paul si sporse da dietro Marinette, “se sei interessato, chiamami!”

Prima che le porte dell’ascensore si chiusero, Adrien si grattò dietro la testa mettendo su un sorriso imbarazzato.

“Paul!”, esclamò la ragazza, colpendo l’amico sul braccio con una manata, solo dopo che Adrien se ne era definitivamente andato.

“Che c’è? Lo hai visto? È un figo pazzesco!”

“L’ho visto anche troppo bene”, sussurrò Marinette con aria sognante. Per l’amor del cielo, Marinette, non di nuovo!

“Devo tornare su da Gabriel.”

“Certo, fuggi pure.”

Marinette si girò con un sopracciglio alzato, “cosa?”

“Te lo spiego quando cresci e i tuoi ormoni smettono di agitarsi.”

“I miei ormoni sono perfettamente calmi”, sì, certo, come no.

Paul alzò una mano svolazzandola per aria, come se non fosse importante. 

Impotente, anche sui suoi ormoni, Marinette tornò nel suo ufficio.

“Monsieur la cerca.”

“Buongiorno anche a te, Natalie.”

Ma la segretaria continuò imperterrita il suo lavoro.

Andò verso la porta bianca e, come di rito, bussò due volte, aspettando un invito ad entrare.

“Monsieur, mi aveva chiama...ta?”

Lo sguardo di Marinette si calamitò sulla figura di Adrien, in piedi dietro il padre. Con la camicia bianca arrotolata fino ai gomiti e i primi due bottoni lasciati aperti, i pantaloni cargo e le scarpe da tennis dal taglio elegante... quello davanti a lei era un uomo.

“Sì, ho bisogno che tu faccia alcune cose per me. Prendi appunti.”

“Certamente”, rispose lei prendendo la penna dalla tasca del pantalone e un'agenda dalla mensola dell’ufficio. Ormai era diventata una routine lasciare agende o blocchi di appunti in giro per l’ufficio; non si poteva mai sapere quando monsieur volesse qualcosa, bisognava sempre esseri pronti a tutto.

“Innanzi tutto, vai in sartoria e controlla i modelli, se qualcosa non ti torna, appuntati tutto e vieni a riferire a me. Poi, dovresti andare a portare questo fascicolo agli uffici di Vogue, mi raccomando è top secret, quindi discrezione. Visto che sei fuori ufficio, passa anche dalla lavanderia e ritira i due abiti a nome Agreste.”

“Scusi”, disse Marinette interrompendolo, “ma non ha una segretaria per questo?”

“Ho anche una stagista.”

“Giusto.”

“Come dicevo prima di essere interrotto, dopo la lavanderia fermati alla pasticceria dei tuoi genitori e prendimi quei macarons che mi piacciono tanto e i croissant dell’ultima volta.”

“E quali sono?”

“Quelli dell’altra volta.”

“Descrizione esaustiva, devo dire”, rispose lei continuando ad annotarsi tutto.

Quando alzò lo sguardo vide Gabriel che la guardava con un sopracciglio alzato.

“Mi scusi.”

Gabriel abbassò lo sguardo per vedere le ultime carte.

“Però, tutti i torti non li ho.”

Alla battuta di Marinette, lo stilista la guardò con tanto d’occhi.

“Fatemi capire”, si intromise Adrien, “tra voi due è sempre così?”

Marinette arrossì e chi rispose fu Gabriel, “ogni volta, sfortunatamente.”

“Penso che in realtà ti piaccia.”

Un’occhiataccia colpì Adrien in pieno e lui alzò le mani in segno di resa e un ghigno furbo sul volto.

Quel ghigno. I capelli biondi sbarazzini. Gli occhi verdi.

Chaton.

Un dolore al cuore colpì Marinette, tanto che rimase immobile con gli occhi sgranati. Vedeva i due Agreste che parlavano, ma non sentiva le loro voci. Si risvegliò solo quando sentì il peso di una mano sul suo viso.

Voltò lo sguardo e incontrò quello verde di Adrien, “stai bene, Marinette?”

Lei lo guardò e dopo qualche secondo di silenzio si allontanò di un passo, lasciando che la mano del biondo scivolasse lungo il suo volto fino a cadere lungo il fianco del suo proprietario.

“Sì…”, ripeté con voce più ferma, “sì.”

Si voltò verso il suo capo chiudendo l’agenda, “sarà meglio che vada, ho molto da fare.”

Gabriel guardò incuriosito il comportamento dei due.

“Certo, vai”, e Marinette si congedò con un cenno del capo, e finché lei non uscì dalla porta, lo sguardo di Adrien rimase calamitato alla sua figura.

Ah, l’amour.

Angolo autrice
Che dire? Questo è il nuovo capitolo e penso si noterà molto l'atmosfera del "Diavolo Veste Prada", perdonatemi ma è uno dei film che adoro. Complice di questa atmosfera parigina è la nuova seire tv con Lily Collins "Emily in Paris", che ho letteralmente divorato. Se avete un po' di tempo libero e non sapete cosa fare, vi consiglio di guardarla. Ringrazio ancora tutti voi che mi supportate, vi adoro! Spero di non aver deluso le aspettative con questo nuovo capitolo.
Cassie

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Era appena uscita dalla lavanderia e cercava di non inciampare nei suoi stessi piedi, visto i due completi neri Agreste che le impedivano di vedere correttamente.

“Marinette!”

Inciampò sui suoi stessi passi, ma riuscì a non cadere sul marciapiede; se avesse fatto cadere i due completi, monsieur l’avrebbe torturata fino alla fine dei suoi giorni.

Si girò verso il punto in cui aveva sentito urlare il suo nome ed ecco che vide Adrien Agreste correrle incontro. Come se fosse una scena di un film, Adrien correva a rallentatore verso di lei, con i capelli biondi che ondeggiavano ad ogni suo passo e il cappotto color cammello che, lasciato aperto, svolazzava dietro di lui.

Scosse la testa e la sua scena da film romantico scomparve.

“Adrien, che ci fai qui?”

Quando arrivò vicino a lei, fermò la sua corsa, “è da un po’ che non passiamo del tempo insieme, volevo rimediare.”

Quanto era dolce?

“Ehm sì, però sto lavorando…”

“Ti accompagno. Dove altro devi andare?”

“Alla pasticceria dei miei.”

Improvvisamente gli brillarono gli occhi, “perfetto. Quelli dalli a me”, disse prendendole dalle braccia i due vestiti.

“Sono con la macchina, posiamo questi e andiamo a piedi, va bene?”

Annuì e insieme andarono incontro al Gorilla.

“Può portarli alla maison Agreste per me? Basta che lei le consegni a Natalie”, chiese Marinette preoccupata di non svolgere il suo compito come doveva.

Il Gorilla guardò nella direzione del suo padrone e, dopo un cenno affermativo di Adrien, annuì.

Dopo che l’autista se ne andò, come in un tacito accordo, si incamminarono verso la pasticceria dei Dupain-Cheng senza dire una parola.

Camminarono fianco fianco, con l’imbarazzo di Marinette che cresceva sempre di più con tutto quel silenzio.

“Quindi”, iniziò lei per rompere il ghiaccio, “com’era Londra?”

“Fantastica, in realtà. Però, mi è mancata Parigi...ha quel ce n’est pa.”

“Ti capisco. Parigi è magica.”

Adrien guardò di sottecchi Marinette, che puntava i suoi occhi blu sulla sua amata Parigi, e quello sguardo gli accese una lampadina. Era lo stesso, identico, sguardo d’amore che aveva ogni volta la sua lady quando ammirava dalla Tour Eiffel la sua città. In quel caso era notte ma le luci della torre illuminavano quei suoi occhi cristallini che li rendevano ancora più magici. Marinette si girò verso di lui con un sorriso dolce sul volto.

“Perché sei voluto andare via da Parigi? Ce lo siamo chiesto tutti.”

“Diciamo che avevo bisogno di cambiare aria. Dovevo restare tranquillo e smettere di pensare.”

“Problemi di cuore?”, chiese premurosa Marinette.

Adrien fece un mezzo sorriso, “diciamo.”

“Comprendo.”

Adrien la guardò con occhi curiosi, “davvero?”

Marinette annuì, guardando da un’altra parte.

Anche se Adrien voleva indagare oltre, l’arrivo alla pasticceria dei Dupain-Cheng lo fermò.

Marinette aprì la porta che, a causa della campanellina sopra di essa, li accolse allegramente.

“Mamà?”

Sabine uscì dal retro bottega e quando vide Adrien, le brillarono gli occhi. Chissà quanti film mentali si starà facendo in questo momento, pensò sconsolata Marinette. Sua madre, per quanto potesse essere calma e tranquilla, era proprio come lei: saltava sempre a conclusioni.

“Buongiorno, ragazzi. Adrien, caro, è meraviglioso vederti di nuovo da queste parti.”

Adrien si grattò dietro la nuca, imbarazzato, “grazie, madame Cheng. Sono appena tornato da Londra.”

“Chiamami solo Sabine. Cosa posso fare per voi?”

“Mi ha mandato Gabriel, vorrebbe i suoi soliti macarons e le brioches che gli ho portato la scorsa volta e, ti prego, dimmi che ricordi quali erano”, disse Marinette supplicando.

“Per tua fortuna ho un’ottima memoria, non preoccuparti tesoro.”

Mentre Sabine preparava il sacchetto per monsieur Agreste, Adrien si ritrovò per l'ennesima volta a guardare Marinette.

“Deve essere duro, essere la stagista di mio padre.”

“Duro è un eufemismo.”

“Diciamo solo”, intervenne madame Cheng, “che Gabriel da il suo bel carico di lavoro. In questi giorni, poi, Marinette ne farebbe anche a meno.”

“Perché mai?”

Sabine guardò con un sopracciglio alzato prima Marinette e poi Adrien.

“Vedi”, disse alla fine, “Marinette deve ancora finire di sistemare gli scatoloni del trasloco.”

“Ti trasferisci?”, chiese lui alla ragazza al suo fianco.

“Per fortuna, torna.”, rispose Sabine, contenta di riavere finalmente sua figlia a casa.

“Ehm va bene, mamma. Se hai fatto, io andrei o monsieur vorrà il tacco di queste Louboutin.”

Dopo aver salutato, i due uscirono velocemente dal negozio e si avviarono verso la maison Agreste, passando dal parco lì vicino.

“Se posso sapere, perché sei tornata dai tuoi?”

Marinette arrossì e evitò il suo sguardo. 

“Mi spiace, non devi sentirti costretta o altro..”

Ma Marinette lo interruppe, “no, va bene. Diciamo, che non sei l’unico ad aver avuto problemi di cuore.”

“Facciamo così”, disse Adrien con ritrovato entusiasmo, “se tu mi dici quello che è successo a te, io ti dico quello che è successo a me.”

Quanto le poteva fare male aprirsi un po’ con Adrien?, “ci sto.”

“Inizio io”, comunicò con lui, passandosi una mano fra i capelli, “ero innamorato follemente di questa ragazza e, possiamo dire, ci univa una collaborazione lavorativa. Quando questa collaborazione”, disse Adrien sempre più in difficoltà, “è finita, è finita anche la nostra relazione. Sempre che di relazione si potesse parlare, insomma, non è mai successo..”, e poi lasciò la frase in sospeso facendo un gesto a mani aperte come a voler completare la sua spiegazione.

Marinette annuì. Lo capiva bene, troppo bene.

“Anche a me è successo qualcosa del genere. Sono stata abbandonata, anche se non credo che questa sia la parola più adatta. Tra l’altro ho preso io questa decisione, o meglio, l’abbiamo presa insieme. Da lì, le cose sono precipitate. Sono andata a convivere con Luka, pensando, credo, di riempire il vuoto lasciato. Come hai visto non è andata bene.”

“Mi dispiace, Mari.”

Lei alzò la mano scuotendola, “non ti preoccupare, è passato. L’unica buona cosa che mi è successa è stato andare a lavorare per tuo padre. Ma ora basta parlare di me”, si girò verso di lui e lo guardò con determinazione, “ti prego, sii sincero, è vero che vuoi prendere il posto di tuo padre?”

Spiazzato da quella domanda, Adrien si fermò in mezzo alla strada.

“Ne parlano tutti in maison.”

“Aspetta? Cosa?! In quell’edificio non girano i pettegolezzi, ci nascono!”

Vedere Adrien, il perfettissimo e gentilissimo Adrien, imprecare contro il nulla, fu qualcosa che Marinette trovò esilarante.

“Onorato che le mie sfortune ti portino tanto divertimento.”

Lei finì di ridere e cercò di guardarlo con serietà, “ti preoccupi tanto, per niente. Sono solo voci.”

“Voci che porteranno a delle aspettative. Non so ancora se voglio dirigere la parte economica dalla maison, questi due mesi sono di prova, per vedere se farebbe al caso mio. Già c’è mio padre che mi sta col fiato sul collo, non voglio altre persone.”

Marinette lo guardò di sottecchi; aveva provato la stessa cosa quando era Ladybug.

Mise da parte il suo dolore e prese Adrien per le mani, “un mio amico, una volta, mi disse di credere in me stessa e di ignorare le aspettative e i giudizi degli altri, perché sennò sarei affondata in essi e non sarei mai stata me stessa. Le stesse parole le dico a te.”

Adrien la guardava con occhi sgranati e la bocca aperta.. non poteva essere, giusto?

Marinette pensando che il ragazzo non fosse ancora convinto, gli strinse le mani, “A me piace il tuo vero te, Adrien.”

Poi, lei si girò e ciò che vide la fece sbiancare: la statua di Ladybug e Chat Noir. Inconsapevolmente, le mani che univano i due si strinsero in una presa d’acciaio.

“Secondo te che fine hanno fatto?”, si sentì sussurrare la debole voce di Marinette.

“Non lo so”, disse Adrien, “ma spero che ovunque siano, stiano insieme”, concluse stringendo ancora di più le mani di Marinette.

Già, penso la ragazza, sarebbe un bellissimo sogno. Ma sarebbe solo quello: un sogno, irrealizzabile.

“Andiamo o Gabriel vorrà le mie Louboutin.”

“Ti rendi conto che non le potrebbe indossare; sono da donna.”

“Questo non gli impedisce di volerle.”

E Adrien guardò Marinette camminare via, diretta alla maison.

Marinette.

O Ladybug?



Angolo Autrice
Ebbe sono tornata! Premetto che cercherò di aggiornare ogni settimana per non lasciarvi troppo con il fiato sospeso e avere così una continuità. Ringrazio tutte voi! La storia è seguitissima e non potete capire quanto questa cosa mi faccia felice. E sorpresa. Non avrei mai detto che le mie storie potessero piacere.
Un saluto e un abbraccio a te che sei arrivato fin qui. 
Cassie

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Poteva essere lei. Lei poteva essere Ladybug. O forse si era immaginato tutto pur di ritrovare la sua lady?

“Se continui a camminare così, mi farai perdere l’appetito”, esclamò Plagg già stanco di quella situazione.

Dopo aver passato un silenzioso tragitto con Marinette, una volta arrivato alla maison, Adrien era tornato a Villa Agreste per riflettere su quanto la sua testolina bionda aveva appreso. Erano passati venti minuti da quando erano tornati a casa e la situazione era la medesima: Adrien stava camminando in cerchio passandosi via via le mani tra i capelli.

“Non capisci, Plagg.”

“Cosa? La fame nel mondo? Perché in realtà la capisco benissimo, hai mai provato a non mangiare per due ore consecutive del camembert? Questa è la fame.”

Adrien si fermò e guardò con occhi stralunati il suo kwami.

“Che c’è?”

“Io non ti capisco.”

“Ma basta! Sta diventando il tuo motto di vita: io non capisco. Cosa non capisci, cosa c’è da capire?”

“Marinette.”

“Cosa ha fatto adesso quella povera ragazza?”

“Mi ha detto una cosa, una frase…”, poi si perse con lo sguardo come a rivivere il momento appena passato con la ragazza.

“Anche io ti dico un sacco di cose e un sacco di frasi, ma non ti peni così tanto per me.”

Adrien lo guardò male e si accomodò sulla sedia davanti alla scrivania.

“Marinette ha detto una frase che dissi tempo fa a Ladybug mentre ero trasformato. Sapeva le esatte parole, Plagg, lo stesso discorso. Il problema è che lo può sapere così dettagliatamente solo una persona: Ladybug.”

“Quindi?”, chiese speranzoso il suo kwami. Vedrai ce l’aveva fatta, il suo ragazzo. Finalmente aveva attivato il suo cervello, pensò Plagg.

“Quindi o lei è Ladybug o è così intima con Ladybug da saperlo.”

“Cosa?”

“Potrebbe essere la migliore amica di Ladybug o sua sorella! In fondo sono molto simili loro due.”

Plagg lo guardò attentamente, pensando che stesse scherzando. Ma il suo portatore era serissimo, quasi entusiasta dell’idea che aveva partorito.

Gli ultimi suoi neuroni si sono suicidati, non c’è altra spiegazione, pensò il kwami della distruzione. 

“Okay, e pensi che Ladybug rivelerebbe il suo segreto alla sua migliore amica o a sua sorella?”

“Oh, non lo so. Ma non posso andare lì e chiederle: ‘scusa per caso sei Ladybug?’. Morirebbe sul colpo per il suo imbarazzo. E forse anche io.”

“Quindi, qual’è il piano?”

Adrien incrociò le braccia sconsolato e guardò il soffitto; poi un ghigno famigliare si formò sulle sue labbra.

“Non mi piace quando hai quella faccia, non mi piace per niente.”

Lo sguardo che gli lanciò, confermò ancora di più le idee di Plagg.

Marinette ti conviene rinchiuderti in casa perché sta arrivando una tempesta di nome Adrien Agreste.

***

“Tesoro, com’è andata oggi?”

“Bene, perché?”, chiese Marinette mentre stava per salire in camera sua.

“Oh, niente, chiedevo. Poi, sai, ho visto Adrien..”

“Cosa vorresti insinuare?”, chiese con le braccia incrociate e un sorriso.

“Sai come si dice: morto un Papa, se ne fa un altro.”

“Mamma..”

“E questo Papa mi piace molto più del precedente.”

“Mamma!”

“Cosa ho detto?”, chiese Sabine innocentemente.

Marinette scosse la testa e salì in camera sua. Ci mancava solo una madre che facesse il tifo per lei e Adrien.

Quando le arrivò un messaggio sul telefono, sul suo viso si formò un sorriso spontaneo.

Era una foto di Alya e Nino, in viaggio in Australia. Si erano presi qualche mese di vacanza e di stop dalla vita parigina, e in due giorni avevano fatto le valigie ed erano saliti su un aereo. Avevano chiesto anche a lei di venire...ma voleva seriamente fare la terza in comodo e lasciare Gabriel Agreste? No, grazie.

Quindi, ogni giorno, Alya le inviava foto e video per farle vedere che bellezza di posto si era persa.

Le sue dita indugiarono sulla tastiera. Voleva scriverle del ritorno di Adrien, ma sarebbe stato giusto stravolgere il viaggio della sua amica? No, e poi, molto probabilmente, Nino lo sapeva già.

Che bellezza! Divertitevi anche per me! Qui ho un mastino di nome Gabriel Agreste che mi da il tormento. 

“Mari, tutto okay?”

“Certo! Sono contenta per loro, hanno trovato la loro felicità.”

Poi si mise il pigiama, una camicia da notte in raso che stonava con le temperature che piano piano iniziavano a calare, e finì di sistemare anche l’ultimo scatolone.

Per finire completamente il suo trasloco, doveva appendere di nuovo le luci al suo terrazzino e, munitasi di un cardigan in lana rosa, si avviò di sopra.

“Sai”, disse improvvisamente a Tikki mentre stava facendo passare il filo di luci alla ringhiera, “forse dovrei tingere la camerina.”

“Davvero?”, chiese la kwami. Tikki non ci vedeva nulla di sbagliato nel rosa confetto...e poi era il colore preferito di Marinette.

“Sì. Pensavo di bianco.”

“Solo di bianco?”

“Così daremo più luce all'ambiente.”

Non era da Marinette dipingere qualcosa solo di bianco. Lei era colorata e vivace, non sfociava mai nel pacchiano, ma nemmeno nell’ordinario.

Tikki annuì distrattamente, quando sentì un rumore di qualcosa che si schiantava per terra. Era uno dei vasi con i fiori viola che piacevano tanto alla sua protetta. Si girò per dirglielo, ma trovò Marinette bloccata con lo sguardo puntato verso l'orizzonte...o meglio verso qualcuno. 

Chat Noir si trovava appollaiato sul tetto poco distante rispetto a dove erano loro, girato di spalle. Tikki si nascose velocemente tra i cocci del vaso incriminato, mentre Marinette rimaneva immobile, con una mano davanti alla bocca e una che teneva la catena di lucine.

Era lui, pensò Marinette.

Non lo stava sognando, era davvero lui.

Girati, ti prego girati. 

Ho bisogno di vederti negli occhi.

Ho bisogno di vedere che stai bene.

Come se avesse ascoltato i pensieri di Marinette, si voltò e lei poté vedere di nuovo, dopo molto tempo, i suoi magnifici occhi verdi.

Stava per aprire la bocca, per chiamarlo, ma lui scappò via nel buio della notte.

“Chaton..”, sussurrò con mezza voce.

Tikki poco dopo uscì dal suo nascondiglio e trovò Marinette sempre nella stessa posizione.

“Mari..”, niente continuava ad essere immobile, “Marinette, dai..”

Dopo la quinta volta, la ragazza fece un sospiro e scese dal terrazzino, entrò in camera sua e si infilò dentro le calde coperte del suo letto. 

“Tutto a posto?”

Marinette scosse la testa da sotto le lenzuola, “non ero pronta a rivederlo, tutto qui.”

La kwami si gettò tra le braccia della sua protetta, “ci sono io, qui.”

“Lo so, Tikki”, disse abbracciando il piccolo esserino.

***

Pensò di star sognando, ma la canzone classica, Dio le ricordava così tanto un suono familiare, continuava a suonare. Sentì dei colpi leggeri sulla guancia e aprì gli occhi, trovando Tikki che fluttuava davanti al suo viso con il suo cellulare in mano. La sua suoneria, ecco cos’era.. Strizzò gli occhi per abituarsi alla luce dello schermo e quando lesse il nome Monsieur, si agitò.

Improvvisamente sveglia, rispose “allô?”

“Marinette, finalmente, è la seconda volta che ti chiamo. Che fine avevi fatto?”

Lei guardò la sveglia sul suo comodino e quando lesse le due del mattino voleva sprofondare, “mi scusi, stavo dormendo. Cosa è successo? Hanno sbagliato i vestiti della sfilata?”

“Peggio.”

Cosa poteva esserci peggio di quello?, “c-cosa è suc..successo?”, chiese lei con voce malferma.

“Mi mancano i documenti sulla location.”

“Cosa?”

“Si vede che stavi dormendo. Mi mancano i documenti firmati dal comune per la location della sfilata.”

“Capisco. Ma quelli vanno solo messi in archivio prima della sfilata e la sfilata è tra tre mesi, abbiamo ancora tempo per archiviare tutti i documenti correttamente.”

Dall'altra parte della cornetta c’era il silenzio e Marinette si sentì gelare il sangue nelle vene.

“Tu pensi che abbiamo tempo, ma non abbiamo tempo! Tra poco ci sarà la sfilata e io esigo quei documenti, quindi, domani, prima di venire in maison, vai molto gentilmente in comune a ritirarli e me li porti.”

Marinette non riuscì a dire altro che, con un freddo ‘buonanotte’, Gabriel buttò giù.

Almeno si era scomodato a darle la buonanotte.

Si prese la testa tra le mani, infilando le dita fra i capelli. Non ci bastava l’improvvisa ricomparsa di Chat Noir, ora ci si metteva anche Gabriel.

Avrebbe fatto meglio ad addormentarsi al più presto perché tra poco sarebbe dovuta andare in comune, a ritirare in documenti, molto gentilmente.

***

“Perché l’hai fatto?” chiese Plagg il giorno dopo.

Ieri sera, quando il bel damerino si era trasformato improvvisamente, dopo che era tornato a casa si era chiuso in un muto silenzio e non aveva voluto aprire bocca. Ora gli doveva una spiegazione, pensò il kwami stizzito.

Adrien era appena uscito dal bagno, quando si tolse l’accappatoio per vestirsi.

“Che schifo!”, disse Plagg alludendo alla nudità del suo padrone.

“Ti ricordo che questa visione la vorrebbero avere mezze ragazze di Parigi e non solo.”

“Per fortuna, non sono una ragazza!”

“Si può sapere cos’hai contro la nudità?”

“Si può sapere cos’hai contro i vestiti?”

Adrien sbuffò e prese un paio di boxer.

“Meglio?”, chiese una volta indossati.

“Diciamo. Vuoi rispondere alla mia domanda?”

Adrien ci pensò su mentre si abbottonava la camicia bianca.

“Avevo bisogno di uscire e schiarirmi le idee. Le uniche volte che ci riesco sono quando mi trasformo in Chat Noir.”

Plagg ingurgitò la sua ultima fetta di formaggio, “non credo abbia funzionato, visto il silenzio in cui ti sei chiuso.”

Lui annuì, “ho visto Marinette sul suo balcone e, si può dire, che i dubbi sono tornati più forti di prima. Sarei la persona più felice di questo mondo se Marinette e Ladybug fossero la stessa persona”, disse infilando la giacca blu della stessa tonalità del pantalone.

Si guardò allo specchio sistemandosi i capelli.

“Dio, Plagg, mi manca così tanto.”

Il kwami gli volò vicino, fino a posarsi sulla sua spalla, “lo so ragazzino, lo so.”

***

Questa giornata era iniziata male e Marinette sapeva che sarebbe finita male.

Innanzitutto, si era svegliata con un diavolo per capello e delle occhiaie che toccavano il pavimento, perciò aveva dovuto legare i capelli in uno chignon alto e utilizzare chili di correttore. Come se non bastasse si era rovesciata la crema del cornetto sul completo e, quindi, era volata di sopra a cambiarsi con un tubino nero lungo fino al ginocchio e smanicato. Dopo aver salutato i suoi genitori e aver preso il lungo cappotto color cammello, era uscita di casa diretta al comune per ritirare i fogli. Non aveva fatto i conti col fatto che gli uffici non aprivano fino alle otto e lei era arrivata là mezz’ora prima. 

Di questo passo sarebbe arrivata alla maison di ritardo, l’ennesimo.

Fece su e giù davanti all’entrata con il rumore dei tacchi delle sue Philipp Plein che si scontravano sul marciapiede.

Quando vide una persona entrare dalla porta secondaria, ringraziò il cielo. 

“Mi scusi”, chiamò a gran voce, “mi scusi davvero, ma devo ritirare dei fogli importantissimi a nome di Gabriel Agreste..”

“Deve attendere l’orario di apertura degli uffici”, rispose la donna da un improponibile acconciatura di capelli e gli occhi verdi.

“La prego”, disse Marinette afferrandole il braccio paffuto, “se non le ritiro ora, arriverò in ritardo a lavoro e verrò licenziata”, vedendo la donna che la guardava dal basso verso l’alto, a causa della sua bassezza, con occhi annoiati, Marinette straparlò pur di tenerla ancora lì, “come se non bastasse mi sono appena trasferita dai miei perché la convivenza con il mio ragazzo non è andata per niente bene, i miei migliori amici se ne sono andati a fare un viaggio in Australia e la persona di cui ero innamorata è riapparsa all'improvviso dopo mesi di assenza.”

Dopo aver finito il suo monologo, guardò la paffuta signora con timidezza.

“Prego mi segua, ma solo per questa volta le faccio questo favore. Sembra disperata.”

Era proprio così, pensò Marinette.

Dopo che ebbe ricevuto i tanti agognati documenti da quella che aveva scoperto si chiamasse Henrietta, la ringraziò con una delle brioches di suo padre che si portava dietro e scappò verso la metro.

***

Una volta entrata nel suo ufficio si levò di volata il suo cappotto, lasciò la borsa e bussò alla porta di Gabriel.

“Mademoiselle, è di ritardo.”

“Lo so, Natalie.”

Quando ricevette l’avanti di Gabriel Agreste, Marinette entrò nell’ufficio del mastino.

Esattamente come ieri, Adrien si trovava in piedi dietro il padre a controllare un plico di fogli.

“Buongiorno, Marinette”, la salutò il biondo con un sorriso dolce e uno strano sguardo negli occhi.

“Buongiorno, Adrien.”

Allo schiarimento di voce di Gabriel Agreste, Marinette puntò gli occhi celesti su di lui.

“Sei di ritardo.”

Marinette a quel punto scoppiò, “sono di ritardo perché qualcuno mi ha chiamato alle due di notte, alle due di notte!, per dei documenti. Documenti da prendere in comune che non apre prima delle otto. Quindi mi scusi, se invece di trenta minuti di ritardo ne ho fatti solo dieci.”

Gabriel si tolse gli occhiali e la guardò, “quelli che tieni in mano sono i documenti che ti avevo richiesto?”

“Sì”, disse Marinette porgendoli. 

Lui annuì e rimise gli occhiali.

“Papà, sei stato un po’ cattivo.”

“Ho richiesto ciò di cui avevo bisogno.”

“Ma sei stato cattivo.”

“Non per farvelo notare, ma io sono ancora qui. E sì, Gabriel, è stato cattivo.”

“Forse ho un po’ esagerato, ma ti sei riconfermata quello che pensavo: la miglior stagista.”

Le guance di Marinette si imporporarono in un modo che Adrien trovò adorabile.

“G-grazie.”

“Marinette..”, disse Gabriel con un velo di rimprovero.

“Lo so, niente balbettii. Io vado se non ha bisogno di altro”, e dopo un cenno affermativo, Marinette uscì.

Si mise a mettere in ordine il cappotto e la borsa, accese il computer e controllò la sua agenda.

“Marinette.”

Saltò per aria e la sua mano corse al suo cuore che batteva furiosamente, davanti a lei Adrien Agreste la guardava curioso come un gatto.

“Dimmi Adrien, cosa posso fare per te?”, chiese lei più calma.

“Venire a cena con me.”

Marinette perse la facoltà di parlare e gli occhi le schizzarono fuori dalle orbite. Aveva sentito male, sicuramente. Quando lui, però, si sporse in avanti, arrossì.

“Sulla tua agenda non c’è segnato nulla, quindi presumo che tu sia libera.”

Marinette ancora in trance non riusciva a parlare. La botta che le venne data alla gamba dalla kwami, però rimise parzialmente in senso il suo cervello. Grazie, Tikki.

“Ehm, va bene?”

“È una domanda o un’affermazione?”

“Quello che preferisci tu.”

“Va bene, allora passo sotto casa per le otto, okay?”

Marinette annuì con un sorriso da bambola assassina sul volto; solo quando Adrien se ne andò, riuscì a respirare normalmente.

“Mademoiselle.”

“Sì, Natalie?”

“Un po’ di contegno.”

“Sì, Natalie.”


Angolo autrice
Ebbene, ecco un nuovo capitolo, sono riuscita a pubblicarlo prima del previsto! Penso che il capitolo si commenti da solo, le cose si stanno finalmente scaldando ragazzi! Unico appunto che faccio: inserisco alcune parole o modi di dire tipicamente fracesi, come allò che è il tipico modo di rispondere al telefono.
Spero che sia tutto chiaro e che la storia vi stia piacendo.
Rimanete sintonizzati che ne vedremo delle belle!
Cassie.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Marinette fece l’unica cosa ragionevole in quel momento: si rinchiuse in bagno. 

Fece su e giù per la toilette delle donne, occhieggiando di tanto in tanto il suo riflesso nell'enorme specchio posto davanti ai tre lavandini. Si posò una mano sulla fronte. Che faccio ora?, si chiese la ragazza. Tikki uscì dalla piccola trousse che Marinette si era portata dietro per sistemare il mascara leggermente colato dalla troppa sudorazione. 

Era preparata a tutto, ma non a questo! Aveva affrontato con sangue freddo tutte le minacce che incombevano su Parigi, e andava fuori di testa...per questo! Non poteva farcela, oggi tre uomini le stavano facendo girare la testa: Chat Noir, Adrien e Gabriel.

“Dovresti rilassarti.”

“Rilassarmi?! Come faccio a rilassarmi? Non capisci la catastroficità della cosa!”

Prese la trousse e si rinchiuse in uno dei bagni, sedendosi sul water chiuso.

“Il mio cervello non può sopportare tutto questo! Non ce la fa.”

“Pensala più come un'uscita tra amici, sarà divertente!”

“Divertente un corno, chissà cosa faremo, dove andremo…”

Lo sguardo di Marinette si puntò sulla porta del bagno e rimase là, fermo.

Tikki, non capendo, la scosse per un braccio.

“Oddio, come è possibile!”

“Cosa?”

“Non so come vestirmi!”

Tikki corrucciò gli occhi e poi sorrise.

Nonostante tutto, era sempre la stessa Marinette.

La ragazza rufolò dentro la trousse, convinta di essersi portata dietro il telefono e, quando lo trovò, attivò subito la chiamata.

“Ho un’urgenza grande quanto l’intero patrimonio di Chanel.”

E dopo questa esclamazione, restò qualche altro secondo al telefono per poi schizzare fuori dalla toilette.

***

Era divertente, doveva ammetterlo. Dopo il suo invito a cena, Marinette era rimasta a sedere sulla sedia della sua scrivania torturandosi le mani per, poi, uscire velocemente.

Inutile dire che l’aveva seguita.

“Maniaco”, sussurrò una voce, che ricordava quella di Plagg, da dentro la sua giacca.

Continuò a seguire Marinette e a guardare il suo fantastico corpo fasciato in quel tubino nero; adesso capiva perché suo padre era così tanto acclamato.

Ciò che lo risvegliò dai suoi pensieri, non completamente innocenti, fu il rumore della porta della toilette femminile che si chiuse.

Adrien non capiva, “è andata in bagno?”

“Ragazzo, impara: quando succede qualcosa, qualsiasi cosa, le donne si rifugiano nel bagno.”

“Scusa ma, non lo so, una stanza o uno sgabuzzino non sarebbe meglio?”

“Valle a capire le donne. Gli esseri più incomprensibili del pianeta.”

“Subito dopo di te”, rispose Adrien sussurrando alla sua giacca.

In risposta ricevette un pugno sul pettorale.

Qualche secondo dopo, vide la figura di Marinette uscire e andare dentro l’ascensore.

Stava per seguirla, quando uno schiarimento di voce lo distrasse.

“Cosa c’è di così importante da non controllare i bilanci della mia sfilata?”, chiese Gabriel con tono autoritario.

Adrien si portò una mano dietro la nuca, come faceva sempre quando era in imbarazzo, e lo guardò con gli occhi verdi. Era stato beccato.

Gabriel si guardò intorno e le uniche cose che vide furono la porta del bagno delle signore e Marinette che entrava in ascensore. Comprese la situazione in qualche secondo.

“La mia stagista?”

“Prima di essere la tua stagista, è la mia amica.”

“Passa in secondo piano”, rispose con tono glaciale, “mandami fuori di testa Marinette e ti rinchiudo in casa in nome dei bei vecchi tempi, chiaro?”

Adrien sorrise, “ti sei veramente affezionato a lei.”

Come ogni volta che si parlava di sentimenti, Gabriel scacciò la questione con un: “pensala come ti pare, ma non sottovalutare la mia minaccia.”

Subito dopo se ne andò e Adrien decise che era meglio seguire il padre per non farlo arrabbiare. Di Marinette se ne sarebbe occupato quella sera a cena.

***

“Dimmi tutto, dolcezza.”

Visto che Alya era dall’altra parte del mondo, a Marinette era rimasta un’unica persona a cui chiedere consiglio: Paul.

“Adrien Agreste mi ha invitata a cena”, disse in trance.

Paul la guardò, “E allora? Non capisco dove sia il problema; in fondo siete amici e sai gli amici escono la sera. A proposito di questo, mi devi ancora quell’aperitivo.”

“No, Paul.”

“Fidati, ti dico di sì. È l’aperitivo che hai saltato perché dovevi andare con quello sciatto del tuo ex da qualche parte.”

“Lo sciatto ex ha un nome ed è Luka..”

“Fa lo stesso”, rispose lui interrompendola.

“Ed io non mi riferivo all’aperitivo”, concluse Marinette la sua frase.

“Credo mi abbia invitata ad un appuntamento.”

Paul si girò verso di lei mettendo su la faccia più scioccata del suo repertorio.

“CHE COSA?!”

“È esattamente la stessa cosa che mi sto chiedendo anche io!”

“Mon Dieu, ragazza mia! Questo è lo scoop del secolo!”

“E dovrà rimanere segreto.”

“Non puoi chiedermi di tacere.”

“Non ti sto chiedendo di tacere, ti sto chiedendo di non fare la comare come al tuo solito. Voglio che rimanga un segreto. Mi fido di te.”

Paul la guardò deluso, “quando mi dici queste cose, non posso dirti di no.”

Marinette sorrise.

“Quando è il grande evento?”

“Stasera.”

“Stasera?! E me lo dici così come se stessi parlando del tempo?”

“Perché?”, domandò la ragazza ancora più spaesata di quanto lo era prima.

“Perché abbiamo un sacco di lavoro da fare!”

“Lo so, sono andata in crisi. Non mi ha nemmeno detto dove andremo e non so come vestirmi, insomma se-”

“Marinette”, disse Paul fermando il suo sfogo, per niente necessario, e prendendola per le spalle, “lascia fare all’esperto.”

“Ora sì che ho paura.”

***

Dopo che ebbe finito alla maison, andò dritta a casa sua per prepararsi a quello strano e inaspettato appuntamento. Già, mica l’aspettava dai tempi delle medie quella proposta.

Mentre saliva le scale, pensò a come dire ai suoi genitori dell’uscita con Adrien. Insomma, si era appena ufficialmente lasciata con Luka, come avrebbero visto la cosa?

A quanto pare, si era fatta troppi problemi per nulla perché, appena spalancò la porta di casa, trovò Paul e sua madre parlare davanti a una tazza di tè.

“Oh, ciao tesoro! Perchè non mi hai parlato prima di questo tuo simpatico collega?”

“Madame, così mi fa arrossire”, esclamò prendendo un biscotto, “ma continui pure, adoro i complimenti.”

Sua madre esplose in una risata e gli versò altro tè, “e poi, perché sono dovuta venire a sapere da Paul che stasera esci con Adrien?”

Avrebbe strozzato Paul, poco ma sicuro. Gli lanciò un’occhiataccia e poi si rivolse a sua madre, “vedi, me lo ha chiesto oggi, è appena tornato a Parigi e penso voglia ricordare i vecchi tempi”, e poi, per rendere ancora più vere le sue parole, “avrebbe invitato anche Alya e Nino, ma sono in Australia.” 

Sabine annuì, ma per chi l’aveva presa sua figlia? Per il suo bene, fece finta di nulla, sperando che andasse tutto bene tra lei e il ragazzo per il quale aveva una cotta dalle medie, “va bene tesoro, per me e tuo padre non ci sono problemi.”

Marinette annuì e si trascinò sopra Paul e l’enorme borsone che aveva con sé.

“C’è un cadavere da nascondere lì dentro?”, chiese la ragazza indicando il borsone.

“No”, esclamò Paul tutto sorridente, “Sii felice perchè la tua fata madrina è arrivata.”

***

“Guarda che capolavoro!”, esclamò Paul dopo un’ora e mezza.

“Grazie, Paul.”

“Non dicevo a te, dicevo al trucco, ai capelli..”

“A qualsiasi cosa su cui tu hai messo le mani”, concluse Marinette.

“Sabine!”, esclamò Paul affacciandosi al piano di sotto, “guardi in che capolavoro ho trasformato sua figlia!”

Ovviamente, Sabine fu lì in un attimo, “tesoro, sei una meraviglia!”

Sì, Paul era stato bravo, Marinette doveva ammetterlo. Aveva preso in prestito uno dei vestiti firmati Agreste dal Magazzino, un vestito corto e svasato con una profonda scollatura e smanicato. Le decolletè tacco dieci erano blu come il vestito, mentre la borsetta con la ‘A’ di Agreste era rosso fuoco. I capelli sciolti e il trucco nero che le allungava gli occhi, completavano il suo look. 

“Bella, vero?”

“Stupenda.”

“Hey, voi due potete smettere di fare così? Siete inquietanti.”

“Dolcezza, io e tua madre stiamo solo diventando amici.”

Marinette scosse la testa e i capelli, lunghi fino al seno, ondeggiarono. 

“Bene, se mi date il permesso, io scendo che tra poco dovrebbe arrivare Adrien.”

Annuirono e, dopo aver preso il cappotto con all’interno Tikki, scese. Dette un bacio a sua madre e a Paul, poi andò fuori, sul marciapiede, ad aspettare ad Adrien.

“In ansia?”, sentì la voce di Tikki che si era trasferita nella borsetta.

“Cosa te lo fa capire?”

“Il ticchettio delle tue scarpe che battono sul marciapiede. Fermati e fai un bel respiro.”

Fece come le era stato suggerito da Tikki, ma si voltò quando sentì il rombo familiare di una macchina. 

Dalla vettura argento scese, dal posto di guida, Adrien Agreste con un completo nero e la camicia bianca. Era illegale così vestito.

“Ehi!”

“Ciao”, rispose lei imbarazzata. 

Lui le si avvicinò e gli lasciò due baci sulle guance, “vogliamo andare?”

“C-ce-certo.”

Ti prego ancora i balbettii no, non adesso, implorò Marinette.

Adrien, da vero galantuomo, le aprì la portiera del sedile passeggero e la fece entrare nella vettura. Quando anche il ragazzo fu al posto di guida, partirono.

“Dove mi porti?”, chiese dolcemente Marinette.

“In un posto speciale. Almeno per me.”

Poi rimase in silenzio e Marinette non ebbe il coraggio di dire altro.

Quando Adrien fermò la macchina davanti ad un comunissimo palazzo, Marinette lo guardò curiosa. Si era aspettata una cena al ristorante o una serata al cinema, ma a quanto pare il rampollo degli Agreste aveva altre idee per lei.

Adrien le aprì la portiera dell’auto e con un mano la condusse fuori.

“Vieni”, disse poi, sempre con una mano tra le proprie e portandola sulle scale antincendio.

Ora non riusciva proprio a capire.

Adrien aveva mai portato una ragazza ad un appuntamento?, si domandò sempre più spaesata Marinette. Oddio, aveva mai portato una ragazza ad un appuntamento?! E se sì, chi? 

Marinette, ripigliati!

Il loro si poteva considerare un appuntamento?

Marinette.

E se era un appuntamento?

Marinette!

La voce che la stava sgridando aveva la familiare tono di Tikki, doveva ammetterlo.

Era troppo curiosa e si sa, la curiosità uccise il gatto.

Fermò brevemente la sua scalinata verso l’alto, pensando a quante volte lei quella frase l’aveva detta al suo Chaton.

“Tutto bene?”

“Sì, certo”, rispose allo sguardo preoccupato di Adrien.

Continuarono a salire e non ce la fece più. Con guance arrossate e gli occhi puntati sulle sue fantastiche scarpe, però erano davvero fantastiche!, chiese, “Adrien, questo è un appuntamento?”

“Definisci appuntamento?”, domandò con quel ghigno, che sempre più adornava la sua faccia, fermando la loro salita.

Mon Dieu, la curiosità non avrebbe ucciso il gatto, avrebbe ucciso lei!

“Ecco..bè...definire un appuntamento… Appuntamento vuol dire appuntamento, un’uscita.”

“Anche gli amici escono”, constatò lui. Quanto era adorabile Marinette impacciata in quel modo?

“Infetti!”

Lui la guardò con un sopracciglio alzato e un sorriso sul volto.

“Santoro quello che volevo credere io.”

Oh, quanto gli era mancata la Marinette che balbettava parole senza senso?

“Allora, io ho capito quello che volevi dirmi”, disse lui appoggiandosi con il bacino alla ringhiera di metallo, “ma facciamo che ti do la possibilità di ridirlo senza sbagliare?” 

Fosse facile, mio caro Adrien. Però, prese un profondo respiro e riprovò, “Infatti, sarebbe quello che vorrei sapere io.”

Lui rispose con le guance leggermente arrossate, “se è un appuntamento da amici o qualcosa di più?”

Marinette arrossì involontariamente e annuì.

“Non lo so, lo lascio decidere a te.”

Ma che risposta era?! Questa sarebbe stata una classica battuta da… da Chat Noir.

Ancora perplessa di quei pensieri, Marinette non si era accorta che Adrien l’aveva ripresa per mano e l’aveva portata fino al tetto.

“Mademoiselle, la cena è servita.”

Prima vide l’inchino di Adrien e poi la rosa rossa che le porgeva. Ancora sconvolta, prese il fiore con mani tremanti e si guardò intorno.

Era lo stesso tetto su cui Chat Noir l’aveva portata.

Era lo stesso tetto su cui Chat Noir aveva dichiarato il suo amore per Ladybug con una rosa.

La stessa rosa rossa che lei teneva in mano.



Angolo Autrice
Potete odiarmi per aver concluso il capitolo così, ma potete amarmi per aver aggiornato così velocemente (ero molto ispirata), guardiamo il lato pieno del bicchiere!
Cos'altro dire? Grazie a tutti quelli che sono arrivati qui e per lasciarmi sempre un commento. Non so se riuscirò ad aggiornare entro il weekend, come faccio sempre, perché questa settimana sono un po' oberata di lezione. Non so che dire, se non GRAZIE perché la storia sta piacendo molto ed io ne sono entusiasta!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




Ancora in trance, Marinette guardò Adrien con occhi sgranati. Come era possibile?

E se lui...se lui fosse…

No, impossibile.

Eppure… Lei non lo aveva mai raccontato a nessuno di quel balcone.

Si sedette davanti al tavolo finemente decorato con una tovaglia bianca e dei petali di rose, apparecchiato di tutto punto. La terrazza, addobbata con candele e rose (ancora rose), dava su una splendida vista di Parigi.

“Ti piace?”

Lei lo guardò dal basso verso l’alto. Se le piaceva? Era perfetto, era tutto perfetto, persino la quiche lorraine cucinata come quella di sua madre, il suo piatto preferito. Ma lui come faceva a saperlo? Non aveva mai rivelato quel dettaglio ad Adrien e Alya non sapeva il giusto procedimento per cucinarla...ma Chat Noir sì, gliel’aveva cucita lei stessa.

Si schiarì la voce e posò la rosa sul tavolo, “è incredibile.”

Adrien risultò quasi deluso dalla sua risposta e, con un sorriso di circostanza, “ne sono lieto.”

Marinette prese la forchetta e il coltello, “spero che la quiche lorraine sia buona almeno la metà di quella che ti ho cucinato io….chaton.”

Lui alzò la testa di scatto con un sorriso folle sul volto, “my lady..”

Restarono a guardarsi negli occhi per infiniti attimi, blu nel verde e verde nel blu, ancora increduli di avere davanti a loro il soggetto dei loro pensieri e dei loro desideri. 

Con un fruscio secco, Marinette si alzò dalla sedia prendendo la sua borsa.

“Aspetta”, disse lui prendendola per un braccio, “dove vai?”

“Dove vado? Dove vado?!”

Si tolse la mano di Adrien, Chat Noir, dal braccio e lo guardò con sguardo truce, “il tuo invito era solo un inganno!”

“Non lo farei mai, insettina.”

“Insettina un corno! Lo hai fatto, Adrien”, quanto era strano pronunciare il suo nome ora che sapeva la verità?, “mi hai portata qui, solo per capire se ero davvero Ladybug.”

“Scusa, se non l’ho chiesto durante la riunione di oggi in Maison.”

Lei scosse la testa e si allontanò, “non capisci.”

“A quanto pare, è diventato il mio stile di vita.”

“Io l’avevo detto”, disse Plagg spuntando dal nulla.

“Plagg, non adesso.”

“È un piacere rivederti, Marinette.”

Lei, nonostante tutto, sorrise.

“Anche per lei è un piacere, ma in questo momento dovresti zittirti.”

“Grazie Tikki”, disse Adrie, grato.

Guardò di nuovo la sua lady, “ho fatto la cosa che ritenevo più giusta.”

“Tipo andare via da Parigi e lasciarmi?”,non lo aveva ancora perdonato per quello e dubitava di riuscire a farlo.

“Tipo andare a convivere con Luka?”

“Io non me ne sono andata!”

“Peccato che tu non abbia nemmeno fatto niente per farmi rimanere!”

“Non volevo complicare le cose”, disse sottovoce, “ma ti ho aspettato, sempre. Anche quando convivevo con Luka, ho aspettato te.”

“Adesso sono qua.”

Guardò Parigi, la sua amata Parigi, e disse quello che non pronunciava da troppo tempo, “Tikki, trasformami.”

Dopo un'improvvisa luce rossa, Adrien trovò davanti a lui Ladybug, Marinette, con le lacrime agli occhi.

“My..”, ma non finì mai la frase perché, con yo-yo alla mano, Marinette volò via.

“Cosa ho fatto, adesso?”

“L’idiota”, concluse Plagg con uno sbadiglio.

***

Si pettinò lentamente i capelli, svogliatamente. Non voleva andare a lavoro oggi, voleva rimanere sdraiata sul letto a contemplare il nulla.

“Mari”, disse Tikki passandole la collana col ciondolo a forma di “M”.

“Sì?”

“Perché ieri sera ti sei arrabbiata così tanto?”

Si prese del tempo per rispondere, mentre lisciava i pantaloni a palazzo neri che aveva addosso. 

“Perché ci avevo sperato. Avevo sperato che Adrien, non so, si fosse accorto di me, che provasse qualcosa per me. Quando ho scoperto la verità, mi sono sentita delusa ed ingannata e...ho reagito così. Lo ammetto, non è stata la mia migliore reazione, ma lui è stato scorretto.”

Tikki annuì, nascondendosi nella borsa grande che solitamente Marinette usava per andare a lavoro, “vedrai che chiarirete tutto.”

Marinette indossò il blazer nero sopra il top bianco e finì di legare un foulard, degli stessi colori di cui era vestita, al collo.

Uscì di casa salutando velocemente i suoi genitori ed entrò nella strade affollate di Parigi. Si guardò intorno: le persone sorridevano e camminavano allegramente, il sole splendeva illuminando le strade della città e gli innamorati passeggiavano serenamente. Tutto questo si scontrava con il suo mood di quella mattina. Indossò i grandi occhiali neri da sole, per celare la sua stanchezza e quella vivacità che oggi lei non riusciva a mostrare, e s'incamminò dalla parte opposta, chiamando un taxi.

“Se hai bisogno di un passaggio, posso accompagnarti io.”

Marinette si girò al suono di quella voce e indietreggió; Adrien Agreste accanto ad un Corvette nera le sorrideva.

“No, grazie. Aspetterò il mio taxi o andrò a piedi.”

“My lady..”, ma venne interrotto da lei.

“Non chiamarmi così, non in veste civile.”

“Pensi davvero che qualcuno potrebbe collegare un nomignolo a, bè, tu sai cosa.”

Aveva ragione, doveva ammetterlo, ma questo non significava che sarebbe andata con lui.

“In ogni modo, arrivederci.”

“Hai deciso di ignorarmi?”

“Se ti stessi ignorando, non ti parlerei.”

Adrien ghignò, come aveva fatto a non collegarlo prima a Chat Noir?

“Lo sai che adoro le sfide.”

Abbassò gli occhiali da sole sul naso e lo guardò con occhi determinati, “vedremo, Agreste.”

Si ritirò gli occhiali su e se ne andò con il suono delle sue Louboutin che l’accompagnava ad ogni suo passo.

“Amo quando fa così.”

“Io no, vuol dire che ci sarà una bella gatta da pelare”, e dopo questa sua perla di saggezza, Plagg si mangiò un’altra fetta di camembert.


Angolo Autrice
Buon lunedì e lo scrivo con una faccia non molto allegra; il lunedì è sempre il giorno più traumatico per me, ma spero che questo possa regalarvi un sorriso. Mi scuso, il capitolo è più corto del solito, ma non vi volevo lasciare troppo con il fiato sospeso ahahahah.
Ancora grazie mille,
Un abbraccio.
Cassie

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Marinette arrivò in maison giusto in tempo. 

“Marinette.”

“Sì, monsieur Agreste?”, non si era ancora tolta la giacca, ma se Gabriel la chiamava con quel tono c’era da preoccuparsi.

“Mi puoi spiegare perché hanno improvvisamente annullato la location della mia sfilata?”

“Cosa?”

Non era possibile, non dopo tutta la trafila che aveva fatto per ottenere i documenti!

“Guardali”, disse lui con tono glaciale, passandole una cartellina rossa con la A dorata di Agreste.

La aprì e davanti a lei si palesò una grande croce rossa con le lettere ‘rifiutato’.

“Io non capisco.”

“Ma guarda, nemmeno io.”

“Le avevano accettate, era tutto sistemato!”

“Non abbastanza, a quanto pare.”

“Cosa faremo adesso?”

Lui la guardò negli occhi per qualche minuto, poi alzò due dita in aria: voleva il cappotto.

Uscì dall’ufficio di monsieur e prese la giacca blu scuro dell’uomo.

“Andrò io personalmente. Tu, Marinette, rimani qui e ferma l’agenzia pubblicitaria, non vogliamo rischiare di produrre manifesti e inviti sbagliati.”

“Certamente, monsieur.”

“E quando mio figlio si degnerà di arrivare..”

Il rumore della porta che si apriva  interruppe la frase di Gabriel. Adrien Agreste con un completo bianco, quanto gli stava bene il bianco?, e camicia nera, fece il suo ingresso guardando con un sopracciglio alzato lo strano trio riunito là dentro: Natalie, Marinette e suo padre.

I suoi occhi si posarono automaticamente sulla figura slanciata della sua lady. 

Errore peggiore non poteva commetterlo; quel top la valorizzava più di quanto avrebbe dovuto, dal seno al fianco e anche il ventre piatto lasciato leggermente scoperto dai pantaloni neri a vita alta.

“Oh, ci hai onorato della tua presenza”, esclamò Gabriel.

“Lo so che avevi bisogno di me.”

“Solo per potermela rifare con qualcuno.”

“Per quello ti basto io”, commentò Marinette inserendosi nel discorso.

Gabriel la guardò con un sopracciglio alzato.

“E non provi a dire no, è la verità”, continuò lei con il dito indice puntato verso di lui, “basta vedere nemmeno due minuti fa.”

Se Adrien era sorpreso? Decisamente. Doveva ancora abituarsi a quello scambio di battute pungenti e alla complicità tra il padre e l’amata, ma era felice di ciò. Gabriel Agreste non era certo conosciuto come un uomo espansivo, ma con Marinette, il biondo vedeva l’affetto che il padre provava per lei.

“Cosa è successo due minuti fa?”

“Il comune ha rifiutato il luogo della mia sfilata.”

“Come è possibile?”

“Chiedilo a Marinette.”

La ragazza, dietro il suo capo, strinse le mani in due pugni e serrò la mandibola. 

La luce nei suoi occhi era come quella di Ladybug, pensò Adrien. Eppure, il rossore diffuso sulle guance era la prova inconfutabile che era Marinette, solo lei riusciva ad arrossire così dolcemente.

“Sto andando in comune personalmente.”

“Devo allertare la protezione civile?”

“Come siamo spiritosi oggi”, rispose Gabriel con un sorriso sulle labbra.

“Lo sono sempre.”

Marinette, con le braccia incrociate sul fianco, sussurrò, “certo, come no.”

“Cosa?”, domandò monsieur Agreste girandosi verso di lei.

“Niente.”

Il sorriso da bambola assassina sul volto fece capire a Gabriel che non era proprio “niente”.

“Come dicevo prima che tu arrivassi, Marinette rimarrà a gestire la maison e te”, disse lapidario suo padre indicandolo.

Le cose si facevano interessanti.

“Cosa?”, esclamò Marinette.

“Sei sorda oggi?”

“No”, rispose lei ricomponendosi, “è che non so come potrei gestire la maison e stare dietro a Adri, monsieur Adrien.”

Monsieur cosa?

“Esattamente come fai sempre cara”, intervenne Natalie, “Monsieur, la macchina è arrivata.”

Se ne andarono tutti e due, senza salutare.

Dopo che la porta si fu chiusa, Adrien si girò con un ghigno sul volto verso Marinette.

“Allora..”

“Allora niente”, disse lei togliendo la giacca e posandola sullo schienale della sua sedia.

Senza la giacca era ancora peggio, lo stava letteralmente torturando. Quel top era quasi peggio della tuta a pois...quasi.

“Mi vuoi spiegare il monsieur Adrien di poco fa?”

“Cosa c’è da spiegare? Tu sei uno dei miei capi, è giusto che ti chiami in modo appropriato.”

“Marinette..”, iniziò lui tra l’amareggiato e l’arrabbiato.

“Tu fai il tuo lavoro, io faccio il mio. E possibilmente non parli.”

Lui nonostante tutto sorrise, “amo quando mi dai gli ordini.”

Lei fece finta di non sentirlo, si sedette alla scrivania e alzò la cornetta del telefono. 

“Bonjour, Henri, hai già iniziato con la stampa degli inviti?”

Adrien non ascoltò più, si rintanò nell'ufficio di suo padre, pronto a controllare cartelline su cartelline di bilanci. Avrebbe fatto impazzire la sua lady più tardi.

***

La suoneria del suo cellulare la interruppe dall’ennesima email da parte dei fornitori che stava leggendo.

“Paul, è successo qualcosa di grave?”

“Sì.”

Marinette scattò a sedere e fece il giro della scrivania, “cosa?”

“Ti aspetto da tutta la mattinata, signorina! Ieri sera ho praticamente fatto una magia, il minimo è che tu mi racconti com'è andata con tu sai chi.”

Non ce l'avrebbe mai fatta ha sedare la curiosità di Paul… Cosa si inventava ora? Perché era stata così deficiente da metterlo in mezzo?

“Ehm, senti oggi ho un po’ da fare-”

“Non ci provare”, la interruppe lui, “per cinque minuti di tua assenza, la maison non finirà in bancarotta. Scendi. Ora.”

Chiuse la chiamata senza nemmeno salutarla.

In quel momento, Adrien aprì la porta dell’ufficio e vide la faccia da funerale di Marinette.

“Tutto bene?”

Lei saltò per aria, il tacco cedette e si ritrovò spiaccicata sulla scrivania.

La sua testa le faceva male già prima, non aveva bisogno anche di una botta. O di una caviglia dolorante. O del fianco che pulsava terribilmente. Ma perché a monsieur Agreste non piacevano le scarpe basse? 

Sentì due mani gentili che, prendendola per la vita, la tirarono su.

“Stai bene?”

Alzò gli occhi e si vide quelli verdi di Adrien a meno di due centimetri da lei.

“S-sì”, Marinette suona più convincente, “sì, grazie.”

Posò le mani sui suoi avambracci, cavolo ma quanti muscoli aveva?, e mise qualche altro centimetro di distanza.

“Esattamente, perché indossi questi tacchi killer?”

“Chiedilo a tuo padre. Se poi ti da una risposta senza lanciarti niente addosso, fammelo sapere.”

Lui scosse la testa e rise.

Quanto era bello il suo sorriso? Marinette, basta!

“Ti fa male?”

“Eh?”, che bella risposta intelligente.

Lui si accovacciò ai suoi piedi, “la caviglia. la caviglia ti fa male?”

Lei rimase immobile e lo guardò con gli occhi sgranati.

Il biondo alzò di poco l’orlo del pantalone, sfiorò leggermente con i polpastrelli la sua caviglia e risalì di qualche centimetro. Con due dita girò il collo del piede e, “cosa fai? Il principe azzurro che prova la scarpetta a Cenerentola?”

“Plagg”, disse il suo padrone a denti stretti prendendolo per la collottola e rimettendolo dentro la giacca.

“Che ho detto?”

“Dovresti farti più spesso gli affari tua”, esclamò una voce da dentro la borsa di Marinette.

“Il moccioso è affar mio.”

Adrien si mise una mano sulla fronte spettinando i capelli e Marinette ebbe l’istinto di sistemarglieli come faceva sempre con Chat. Per fortuna, si fermò appena in tempo.

“La caviglia dovrebbe essere a posto.”

“Grazie”, rispose lei tornando stabile su due piedi.

Ad interrompere il momento fu il cellulare di Marinette che emise il classico trillo di quando le arrivava un messaggio. 

Azionò il messaggio vocale di Paul di sovrappensiero, non curandosi del volume troppo alto.

Mannaggia ad Adrien ed i suoi ormoni!

“Tesoro mio, carissima, ti conviene muovere quel tuo bel sodo sederino o tutta la maison sentirà ciò che ho da dire.”

Dove era una voragine in cui sprofondare? Le andava bene anche una fossa. Si accontentava anche di una buca, ma voleva sparire.

“Vai”, disse Adrien indicando la porta, sorridendo alla faccia buffa di lei.

Marinette annuì e si precipitò fuori.

“Oh”, disse il ragazzo prima che lei andasse via, “di pure al tuo amico che ha ragione.”

“Su cosa?”, chiese la ragazza con sguardo accigliato.

“Sul fatto che hai un bel sederino sodo.”

“Adrien!”

In compenso di sentire Paul, la maison sentì l’urlo di Marinette.

***

“Oh, finalmente”, esclamò Paul appena Marinette varcò la soglia del magazzino. Posò il suo cappuccino caramellato e fece sedere la ragazza di fronte a lui.

“Ti sei proprio fissato con questa roba”, disse Marinette bevendo un sorso della bevanda di Paul.

“Sì e sei pregata di non finirmelo.”

Avvicinò la sua sedia a quella della mora finché le loro ginocchia non si toccarono, “raccontami tutto. E con tutto intendo anche i dettagli piccanti.”

“Non ci sono stati-“

“Sì che ci sono stati”, la interruppe Paul, “con Adrien Agreste anche bere un po’ d’acqua diventa piccante.”

Lei alzò gli occhi al cielo e, mentalmente, gli diede ragione.

“Prima che tu mi interrompessi, volevo dire che alla fine non c’è stato alcun appuntamento. Adrien è dovuto andare via per una urgenza.”

In conclusione, Marinette aveva trovato quella la scusa più plausibile. Non poteva rivelargli la verità, non poteva rivelargli che Adrien era anche un bel supereroe che andava in giro con una tuta nera attillata...decisamente attillata.

Gli ormoni!

“Come è possibile? Quale urgenza?”

“Non so, ma mi è sembrato veramente preoccupato.”

“Ti vado a prendere la tequila”, disse lui risoluto.

“Non mi serve la tequila per accettare un appuntamento non finito con Adrien”, in realtà ne aveva molto bisogno, “forse conviene rimanere amici.”

“Ora serve a me la tequila.”

“Non esagerare”, disse lei, prendendo un altro sorso del cappuccino al caramello.

“Tutto quel lavoro. Ti avevo reso una strafiga degna delle migliori passerelle.. Potevi chiamarmi, ci saremmo andati a bere qualcosa insieme e così la mia fantastica creazione non sarebbe andata sprecata.”

“Bere non è la soluzione a tutto.”

“Ma ai problemi sì!”

***

Marinette, quando tornò alla sua scrivania, trovò la porta di Gabriel metà aperta e, dalla sua postazione, riusciva a vedere un Adrien Agreste con le maniche della camicia rimboccate sugli avambracci che leggeva un foglio pieno di numero. Rimase bloccata sulla sua sedia, non riusciva a muovere un muscolo, troppo incantata da lui. Quando passò una mano fra i suoi capelli, sbottonandosi i primi due bottoni della camicia, fu troppo per la povera mente della ragazza. Solo lei sentiva tutto questo caldo?

Rimase incapace di muoversi anche quando gli occhi verdi si scontrarono con i suoi. Era stata beccata in pieno. Arrossì fino alla punta delle orecchie e voltò velocemente lo sguardo verso lo schermo del suo computer.

Oh. Mamma. Mia.

Ma cos’era oggi? Il giorno della sfiga?

Ad interrompere l’imbarazzante momento fu l’arrivo di un arrabbiato, meglio dire incazzato, Gabriel Agreste che a passo di carica si rinchiuse nel suo ufficio.

Lo sguardo di Marinette era alquanto perplesso e solo grazie all’occhiata lanciatele da Natalie, capì di dover seguire il suo capo.

Entrò nell'ufficio in punta di piedi, con timore, e non si azzardò ad aprire bocca.

Gabriel si tolse il cappotto e lo volò malamente sulla sedia (male, lui amava i suoi cappotti) e alzò quattro dita in aria: voleva un caffè. 

Marinette si girò per prepararlo, ma Natalie l’anticipò: aveva già preparato lei una tazzina di caffè italiano nero, senza zucchero.

“Papà”, disse Adrien che si era alzato dalla sedia e guardava il padre preoccupato, “che è successo?”

“Che è successo?”, chiese lui con mezzo sorriso, “è successo che la Francia è governata da incapaci, che Parigi è governata da incapaci!”

“Papà, calmati.”

“No, che non mi calmo”, disse finendo in un sol sorso la tazzina di caffè.

“Non hanno accettato la richiesta per la location?”, chiese Marinette senza la solita sicurezza. Adrien si girò a guardarla con un sopracciglio alzato: ora che sapeva la verità, era strano pensare che lei potesse parlare con quel tono di voce. Era strano che anche Marinette parlasse con quel tono. Era strano e basta.

“Hanno fatto di peggio.”

“Cosa?”

“Hanno accettato la nostra richiesta e poi l’hanno rifiutata. Per essere precisi, il sindaco l’ha rifiutata.”

“E perché?”, chiese Adrien.

“Perché qualcuno ha fatto trapelare che ho definito Marinette la mia miglior stagista.”

“Quindi? Non capisco come possa interessare al sindaco.”

Fu il sussurro alla sue spalle, pronunciato con un odio tale, che fece fermare i pensieri di Adrien.

“Chloè.”

Quella brutta… Gliel'avrebbe pagata cara; Gabriel non doveva rimetterci.

Lo sguardo di Marinette fece quasi paura ad Adrien, tanto che si portò le mani sulla nuca, ricordandosi di quella volta che Ladybug aveva colpito Chat Noir con il suo yo-yo in testa...quel bernoccolo gli era rimasto per settimane.

“Adesso mi sente quella principessa.”

“Marinette, non c’è bisogno-”, ma la frase di Gabriel venne interrotta.

“Ce n’è bisogno invece! Abbiamo lavorato duramente per questa sfilata e non lascerò che una ragazzina troppo viziata ed egoista rovini tutto.”

Gabriel sorrise e con una mano indicò la porta, “vai. Una macchina della Maison sarà a tua disposizione.”

Marinette e Gabriel si guardarono una frazione di secondo e si capirono: lui era d’accordo con lei. Uscì di fretta e furia, con la giacca in una mano e la borsa nell’altra, attraversando velocemente gli uffici.

Premette il tasto dell’ascensore, ma mentre aspettava, il suo nome urlato da Adrien la fece voltare.

“My lady”, disse quando pochi centimetri li separavano.

Lei lo guardò dritto negli occhi, troppo arrabbiata per essere timida, “cosa c’è.”

“Promettimi che farai la brava e non la ridurrai a pezzi”, disse mentre mezzo ufficio si era girato a guardarli.

“Ma-”

“Almeno promettimi che non ricorrerai a metodi di tortura tipo il tuo yo-yo.”

A denti stretti si ritrovò a dire, “va bene.”

Poi l’ascensore arrivò alle sue spalle, “vado dalla biondina.”

“Buona fortuna”, disse lui lasciandole un bacio all’angolo della bocca.

Un bacio. All’angolo della bocca.

Mentre tutto l’ufficio li stava guardando.

Poi se ne andò come se niente fosse.

Lei si rintanò nell’ascensore, rossa come un peperone.

Oggi non era il giorno della sfiga, era il giorno “Tutti contro Marinette”.

E quel giorno non era ancora finito.



Angolo autrice
Buongiorno a tutti e buona festa di ogni Santi! Già che ci sono vi faccio gli auguri di Halloween, anche se di ritardo. Mi scuso per il ritardo del mio aggiornamento, ma la scuola mi sta massacrando, ma prometto di cercare di pubblicare una volta a settimana.
Vi mando un bacio e vi ringrazio per il supporto.
Cassie

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Fece un sospiro. 

Dopo essersi ripresa dallo scompenso cardiaco causato da Adrien, Marinette era salita a bordo di una delle vetture argento della famiglia Agreste, diretta al Grand Hotel de Paris. Ora si trovava davanti alla porta di entrata e si ripeteva nella mente uno dei mantra di Gabriel: ‘comportati come se il mondo fosse ai tuoi piedi, come se tu fossi su uno scalino più in alto rispetto a tutta l’umanità.’ 

Indossò gli occhiali da sole, la giacca era solo appoggiata sulle sue spalle e, dall’incavo del gomito, pendeva la sua borsa nera firmata Gabriel Agreste dell’ultima collezione, a cui lei stessa aveva partecipato: era l’immagine della classica donna parigina, sofisticata e di potere.

L’immagine di una persona è tutto, può dire molte di cose.

Se per questo può mandare anche fuori pista, l’immagine di Adrien e quella di Chat Noir sono completamenti differenti. O forse, lo erano; quel bacio era stato proprio un gesto da Chat Noir. 

Stava di nuovo arrossendo. E non poteva permetterselo ora.

Entrò nella hall con passo di carica, quasi non degnò d'uno sguardo il receptionist.

Se sua madre l’avesse vista ora, l’avrebbe presa a botte con una baguette.

“Madame, dove va?”, chiese cordiale il dipendente dietro il bancone.

Lei si girò e abbassò di poco gli occhiali da sole, “prego?”.

Lui si irrigidì, nervoso; il tono alla Gabriel Agreste funzionava sempre.

“Madame, mi scusi, ha un appuntamento-”, ma venne interrotto.

“Sa chi sono io?”

Il dipendente la guardò accigliato.

“Sono la stagista personale di Gabriel Agreste, mi ha mandato lui”, ecco il suo biglietto da visita, la sua carta vincente.

“Monsieur Agreste?”

“Ne conosce altri?”

L’uomo, alto e allampanato con i capelli tirati indietro da un chilo di gel, deglutì, “e per quale motivo, se posso sapere?”

“Devo incontrare una persona, alloggia in questo hotel sotto anonimato. So già dove devo andare e chi devo incontrare, quindi, se mi lascia libera, io andrei.”

Prima che il dipendente dicesse qualcosa, lei lo fermò alzando una mano, “sono tenuta a mantenere il segreto; Gabriel ci tiene molto.”

“Ehm”, Marinette vide esattamente quanto l’uomo era difficoltà, ma d'altronde non si può dire di no a Gabriel Agreste.  E infatti, “va bene, madame, prego.”

Marinette sorrise brevemente ed entrò in ascensore.

Bene, il primo passo era andato.

Sapeva già dove alloggiava Chloè e non ci mise molto tempo ad individuare la sua suite. 

Evitando da essere vista da dei camerieri o dal personale dell’hotel, bussò velocemente.

“Jean pierre, è aperto!”

Sì, sono proprio Jean pierre, pensò Marinette.

Abbassò la maniglia e entrò, “sai dovresti controllare di persona chi bussa alla tua porta.”

Chloè, seduta sul suo divano bianco e con una vestaglia di seta rosa lunga fino ai piedi, si girò di scatto, “Marinette Dupain-Cheng.”

“Sì, è il mio nome”, disse lei avvicinandosi e posando la sua borsa sulla poltrona là accanto.

“Come sei entrata qui?”, chiese gettandosi i biondi capelli lunghi alle spalle, con un gesto stizzito, “fa niente, chiamo la sicurezza.”

“Non ti conviene scomodarli, sarò breve.”

“Bene. Parla”, le rispose l’altra sedendosi e accavallando elegantemente le gambe.

Marinette si ritrovò a pensare che Chloe potesse anche essere una stronza, ma avrebbe ucciso per avere almeno metà della sua grazia. Grazia nel portamento, non di certo per altro.

La mora rimase in piedi guardandola negli occhi, “Gabriel avrebbe dovuto tenere la sua sfilata al Trocadero, ma a quanto pare la richiesta del suolo pubblico è stata rifiutata senza un apparente motivo.”

“E allora perché sei qui? Ti sembro un impiegato del comune?”

“No, ma mi sembri la figlia del sindaco.”

Lei sorrise come il gatto cheshire, “e quindi? Dovrei farti un favore?”

“No, non dovresti impicciarti della mia vita.”

“Cosa ti dice che è stata colpa mia’”

“Ti prego, Chloè, non prendermi per stupida. Non ci siamo mai sopportate, ma abbiamo sempre riconosciuto le qualità dell’altra, anche quando pensavamo di non farlo.”

La bionda sorrise e prese un sorso di quello che Marinette decretò un Martini, “se sai già tutto questo, perché sei qui?”

“Perché non deve rimetterci Gabriel per il nostro astio!”

“Vorrei davvero capire cosa lui vede in te. “

“Forse il talento che tu non hai.”

Si era spinta oltre, lo sapeva, ma era stato più forte di lei. Di solito era Chat Noir quello che gestiva l’opinione pubblica, lui ci sapeva fare con certe cose, lei si arrabiava subito.

“Vai fuori di qui! Esci!”

“Chloè..”

“Fuori!”

Marinette la guardò negli occhi e si ricordò che, anche se molto in fondo, Chloè aveva un lato buono.

“Me ne vado”, decretò prendendo la sua borsa, “ma so che sei migliore di così.”

Lei incrociò le braccia al petto, “non ti conviene sfidarmi.”

“Volevo dire tutto il contrario”, possibile che quella ragazza prendesse tutto per un affronto?!

“Ricordati chi ha convinto Adrien a partire per Londra.”

Marinette spalancò gli occhi, “non ci provare..”

“Ci proverò eccome. L’ho convinto a partire perché me lo hai chiesto tu. Mi hai pregato di farlo. Ad essere sincera mi sfugge ancora il perché…”

“Avevo bisogno di riflettere. Con lui qui, non sarei riuscita a farlo.”

“Qualsiasi cosa sia, hai la mia risposta”, e la liquidò.

Marinette uscì infuriata da quella suite; non aveva risolto nulla, anzi aveva fatto di peggio. 

***

“Come è andata?”, chiese Adrien appena varcò la soglia della maison.

“Con te non dovrei nemmeno parlarci.”

“E perché?”

“Perché sono arrabbiata con te”, rispose lei entrando dentro l’abitacolo dell’ascensore.

“E per cosa, di grazia?”

Lei lo guardò con gli occhi spalancati, “Sul serio? Per il bacio!”

“Quel bacio innocente?”

“Me lo hai dato davanti a tutto l'ufficio!”

Lui alzò le spalle sorridendo, “anche tu baci Paul.”

“Sì, ma non in quel modo!”

“E quale modo sarebbe?”, chiese avvicinandosi pericolosamente al suo volto.

Lei arrossì e deglutì a vuoto; Cavolo, non ce l’avrebbe mai fatta!

“Lo sai.”

“Forse l’ho dimenticato.”

Forza Marinette, sei un’eroina, sei coraggiosa, “come se mi volessi, come se fossi tua, come se tu non desiderassi altro”, disse sottovoce.

Lui la guardò negli occhi mortalmente serio, “Perché è così, hai dannatamente ragione.”

Le porte dell’ascensore si spalancarono e le due sarte là davanti guardarono la scena incuriosite.

Marinette si imbarazzò ancora di più e camminnò velocemente verso il suo ufficio, lontano da occhi indiscreti.

Adrien dietro di lei, la tallonava.

“Rovinerai la mia reputazione”, disse continuando a camminare spedita.

“Non siamo nel settecento.”

“hai ragione, ma non voglio nemmeno passare per quella che se la spassa con il figlio solo per arrivare al capo.”

“Fidati, se ce la spassassimo, ora non saremmo così.”

“Bene.”

“Bene.”

Entrarono e andarono dritti nell’ufficio di Gabriel.

“Non ha voluto sentirne.”

“Ci hai parlato civilmente?”

“Certo.”

Gabriel la guardò con un sopracciglio alzato.

“Non si può parlare civilmente con quelle persone.”

Lui chiuse di scatto il giornale che stava leggendo, “dobbiamo trovare un’altra location, e dobbiamo farlo in fretta. Sempre che ce ne sia una disponibile.”

“La troveremo.”

“Dobbiamo.”

Rimasero tutti e tre in silenzio, ognuno assorto nei loro pensieri.

“Adrien guarda gli ultimi bilanci e fai una stima del budget rimasto. Marinette, tu chiama l’agenzia pubblicitaria e digli di tenersi pronti, passa al setaccio tutte le location rimaste e cerca di farti venire una delle tue brillanti idee.”

“Va bene, monsieur”, disse, uscendo.

Questa non ci voleva.

***

Erano le otto di sera e lei era ancora rinchiusa in ufficio. Possibile che non ci potesse essere un’alternativa? L’unica cosa buona era che la stampa non era ancora venuta a conoscenza della cosa. Sospirò, inviando un messaggio a sua madre dove le comunicava che avrebbe fatto tardi a lavoro e che avrebbe mangiato un panino fuori.

“Penso che per oggi, tu abbia fatto il possibile.”

“Non abbastanza.”

Adrien rimase fermo immobile davanti alla sua scrivania.

“Se n’è andato anche mio padre, l’orario di lavoro è finito e tu devi riposarti.”

Lei scosse la testa, in parte era colpa sua se quel casino era successo, “Non voglio deluderlo.”

“Non lo farai.”

“Già, perchè l’ho già fatto.”

Lui scosse la testa, “non ho ancora capito il vostro legame.”

Lei sorrise, spegnendo il computer “hai ragione, forse è meglio tornare a casa.”

Aveva cambiato discorso, non voleva parlarne.

“Ti do un passaggio.”

“Ti ringrazio, sono apposto così.”

“Marinette..”

“Sono apposto così, monsieur Adrien.”

Lì, lui non ci vide più.

La prese per un braccio e la schiacciò contro la porta, “Marinette”, disse con voce bassa e arrabbiata, “puoi farmi di tutto, puoi dirmi di tutto, ma non ti azzardare a far finta di non conoscermi, non trattarmi così.”

Marinette deglutì e sentì il respiro caldo di Adrien su di lei.

Cavolo, doveva rimanere lucida.

Lo toccò per una spalla e lo allontanò.

“Non chiamarmi mai più Monsieur Adrien.”

Lei lo guardò negli occhi e cedette, “va bene.”

Lui annuì, “ora ti porto fuori a mangiare e non voglio sentire discussioni a riguardo.”

Marinette lo guardò male, ma si morse la lingua.

Uscirono per strada e salirono sulla macchina nera di Adrien.

“Cosa vuoi?”

Lei rimase muta.

“Bene, allora scelgo io per tutti e due.”

Dopo qualche minuto, parcheggiò la macchina lungo la Senna e continuarono a piedi. Marinette si guardò intorno e, nonostante il dolore insopportabile ai piedi, sorrise; Parigi di notte era ancora più bella.

“Hai sempre avuto quello sguardo, sai?”

Lei lo guardò incuriosita.

“Quando guardi Parigi hai sempre quello sguardo di completa adorazione, ami veramente questa città. È la prima cosa che mi ha fatto innamorare di te.”

Lei rimase bloccata a quelle parole.

Non poteva, però, sganciarle una bomba del genere. 

Non ora, non così.

“Come traumatizzare una ragazza in meno di tre secondi.”

Due sguardi si posarono sulla giacca di Adrien, dove un esserino nero spuntava dal taschino.

“Che c’è? Si mangia?”

“Io sì, tu no.”

“Ma come?!”

“Non te lo meriti.”

“Nemmeno tu, se per questo.”

Marinette rise, “Tu e lui siete sempre così?”

“Se non peggio”, rispose Adrien.

“Quindi cosa mangiamo?”, chiese lei.

“Ora mi parli?”

“La fame sta vincendo la mia rabbia.”

“Concordo. Voglio il camembert!!”

“Ma tu non sei arrabbiato.”

“Moccioso, io con te sono arrabbiato sette giorni su sette, ventiquattr’ore su ventiquattro-”

“Ho capito, ho capito”, disse lui alzando le mani in aria.

Quando sentirono le note di una canzone parigina, si avvicinarono e videro il carretto dei gelati di Andrè.

“Ecco la nostra cena.”

Marinette lo guardò e si beò della sua vista, “dovresti essere illegale Adrien Agreste.”

Poi, andò a salutare allegramente Andrè.

Lui rimase indietro a guardarla: la camminata sicura sui tacchi, i capelli neri che si muovevano ad ogni passo (vivi come lei), il suo sorriso dolce e contagioso, gli occhi che brillavano.

Era la cosa più dannatamente perfetta che avesse mai visto.



Angolo autrice
Bene, sono tornata! Notizia che non so se vi farà felici, ma il prossimo capitolo è già in fase di scrittura quindi penso di poterlo pubblicare antro domenica, ergo: due aggiornamenti in una settimana! Detto ciò, ringrazio ancora di cuore ogni persona che legge e commenta questa storia.
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Andrè non aveva voluto sentire storie e per “quella meravigliosa coppia di piccioncini” aveva realizzato una sola ed enorme coppa gelato. Adesso stavano passeggiando lungo la Senna, vicini, con Adrien che teneva la coppa gelato e Marinette che, con la paletta alla mano, stava mangiando il gelato alla vaniglia. Plagg, ovviamente, si stava mangiando tutto il cioccolato.

Andrè non aveva previsto il cioccolato nella coppa dei due innamorati, ma una voce che il gelataio aveva interpretato come quella di Adrien aveva richiesto il gelato al camembert. Quando Andrè, inarcando un sopracciglio, aveva risposto che non aveva un gusto così bizzarro, sempre quella voce, aveva preteso il gelato al cioccolato.

Se era stata una scena divertente? Cavolo, Marinette l’avrebbe ricordata anche in punto di morte! Era strano aver visto un Adrien Agreste impacciato e arrossito.

“Questo gelato è proprio buono, ma mai quanto il mio camembert.”

“Vorrei vedere, con la figuraccia che mi ha fatto fare”, disse Adrien al suo kwami, stando attento che nessuno li vedesse.

“Plagg non è mai stato un tipo sottile”, commentò Tikki dalla spalla della sua portatrice su cui era seduta.

“Non l’avrei mai detto.”

“La vaniglia è buona?”, chiese Adrien.

“Spettacolare”, rispose lei.

Lui, senza dire nulla, prese la paletta di Marinette colma di gelato alla vaniglia e se la mise in bocca. Marinette si ritrovò ad arrossire; era un gesto così intimo e famigliare che le fece battere più forte il cuore. 

Cavolo, gli faceva sempre lo stesso effetto.

“Sì, è proprio buona”, disse con voce roca, ridandole la paletta.

“Te lo avevo detto”, rispose, quasi senza voce.

Poi continuarono a camminare in silenzio, finendo in breve tempo la coppa gelato.

Quando Marinette sentì le note della “Vie en rose” si girò verso Adrien.

“L’hai organizzato tu?”

“Fidati, non sarei mai stato tanto fortunato. Ricordi? Io sono la sfortuna.”

“E io la fortuna.”

“Allora, forse è per questo che sono felice da quando ti ho incontrata.”

La voglia che aveva di baciarlo era troppa, ma non poteva. Non poteva cascare nella trappola dagli occhi verdi.

Si girò di scatto verso la balaustra del Pont Neuf per evitare di fare un meraviglioso errore del quale, poi, si sarebbe pentita, e guardò l’acqua della Senna scorrere placida.

Lui si mise accanto a lei, con gli avambracci in avanti, posati sulla struttura del ponte.

In sottofondo, continuava a scorrere lenta la “Vie en Rose”.

“Dovrei tornare a casa”, disse lei sottovoce, temendo di spezzare l’incantesimo.

“Va bene.”

Ma nessuno dei due voleva andarsene, nessuno dei due voleva lasciare l’altro.

Rimasero lì un altro po’.

Adrien prese la mano di Marinette fra le sue e se la portò alla labbra: un baciamano che voleva dire molto, almeno per loro due.

Lei sorrise e, per la prima volta da quando si erano veramente rivisti, gli sfiorò il volto con le dita tremanti, “chaton..”

“Temevo che non l’avrei più sentito dire.”

Plagg stava per aprire bocca, ma la gomitata di Tikki fu un chiaro segnale.

Adrien avvicinò il suo volto a quello della sua lady e lei non si tirò indietro.

Le loro labbra stavano per sfiorarsi, erano così vicini che Adrien poteva sentire l’odore del gelato alla vaniglia che Marinette aveva mangiato.

Un suono forte e insistente, ruppe la magia: il telefono di Marinette.

Lei si allontanò imbarazzata e pescò il cellulare fuori dalla borsa. Lampeggiava ‘Monsieur’ a caratteri cubitali ed erano le dieci e mezzo.

“Allo?”

“Ammetti che sto migliorando, sono solo le dieci e mezza.”

“Sì, ma non è normale che mi chiami a quest’ora.”

“Sei o non sei la mia stagista?”

Marinette sospirò, “lo sono.”

“Bene, domani voglio delle brioches con la glassa argentata dalla pasticceria di tuo padre.”

Marinette allontanò il telefono dall’orecchio e lo guardò, pensando di aver sentito male.

“Altro?”, chiese dopo aver riportato il telefono al suo posto.

“Sì.”

“Cosa?”

“Lasciati i capelli sciolti, truccati solo con il correttore e il mascara e indossa l’abito a vestaglia rosa cipria.”

Ma si era drogato?!

“Da quando decide come mi vesto?”
“Da quando sono il tuo capo.”

Marinette annuì anche se lui non potè vederla.

“Bene, non scordarti niente di quello che ti ho detto. Buona serata e dì a mio figlio che lo voglio a casa prima dell’una di notte.”

Cosa, cosa, cosa? Spalancò gli occhi e disse ciò che tutti avrebbero detto in quel momento, “io non sono con Adrien.”

“Sì, e io sono Ladybug e vado a giro con una tuta rossa a pois.”

E con questa massima, attaccò.

“Cosa è successo?”, domandò Adrien con un sorriso sul volto, segno che aveva ascoltato tutta la conversazione.

“Vedo sempre di più le somiglianze con tuo padre.”

Mise il telefono nella borsa e fece cenno anche a Tikki di entrare, “credo che sia l’ora di andare a casa.”

“Sai”, iniziò Adrien mentre si stavano avviando verso la macchina, “dovrei portarti a casa per mezzanotte, come le principesse.”

“Allora è una fortuna che io non sia Cenerentola.”

“No, tu, invece che graziose scarpette di cristallo, indossi tacchi killer.”

“Vogliamo vedere se uccidono veramente qualcuno, gattino?”

***

Adrien accostò la corvette nera davanti alla pasticceria dei Dupain-Cheng.

“Marinette”, disse lui prima che lei scendesse.

“Sì?”

“Rispetto al discorso che facevamo prima-”

“Se i miei tacchi possono veramente uccidere?”

Lui rise, “in parte. Forse non sarai Cenerentola, ma fidati: sei una principessa.”

Lei sorrise, “un po’ mi mancava il tuo atteggiamento da ruffiano.”

“Sono serio.”

“E ruffiano.”

Scese dalla macchina e con un “buonanotte chaton”, si incamminò verso casa.

Poi, come se le fosse scattato qualcosa, corse verso la macchina e si chinò dal lato del guidatore. Lui abbassò subito il finestrino, “cosa c’è?”

“Puoi controllare che tu padre non si sia drogato?”

***

Marinette stava camminando nei corridoi della maison, vestita esattamente come le era stato richiesto da monsieur. L’abito a vestaglia in seta rosa, per quanto bello potesse essere, lo riteneva inadatto per stare in ufficio, i capelli oggi erano più in disordine che mai -non ne volevano sapere di stare in piega- e le decolleté nude che aveva indossato le stavano uccidendo il piede. Ritirò da Lorraine i nuovi bozzetti della sartoria, ma, mentre stava tornando nel suo ufficio, una mano la agguantò per un braccio, trascinandola dentro lo sgabuzzino del personale delle pulizie.

“Ma che cavolo?”, esclamò accendendo la luce.

Tra scaffali di prodotti per le pulizie e scope, gli occhi celesti di Paul la stavano trafiggendo.

“Pensavo di essere tuo amico.”

“Lo sei”, rispose Marinette non capendo l’assurda situazione.

“E mi tradisci così?!”

“Quando mai ti ho tradito?”

“Perché non mi hai detto nulla?!”

Okay, non stava capendo e, soprattutto, il suo orecchio stava sanguinando dalle urla di Paul.

“Puoi spiegarmi di cosa stiamo parlando, per favore?”

“Oh”, disse lui incrociando le braccia al petto, “ora fai finta di non capire?”

“Paul. Ti prego.”

Lui alzò gli occhi e, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi facendo cadere tre scope, si arrese, “mi avevi detto che alla fine non c’era stato nessun appuntamento con Adrien Agreste.”

“Ed è la verità.”

“Bè, non secondo mezzo ufficio che vi ha visto baciarvi davanti all’ascensore.”

Marinette arrossì, “anch’ io bacio te.”

“Fidati, mon amour, non in quel modo. E poi, Josephine ha detto che ieri eravate ad un appuntamento, una passeggiata romantica lungo la Senna.”

Non può essere, pensò Marinette. Sbiancò e con voce tremante chiese, “ci ha visto?”

Lui la guardò accigliato, “al Pont Neuf. Ha detto che sembravate intimi.”

Lei si portò le mani nei capelli, “in quanti lo sanno?”

“Lo sapevo, mi hai mentito!”

Marinette lo guardò con occhi sgranati e, quando lui cercò di aprire la porta, lo fermò, “non è come pensi.”

“Allora spiegami.”

Marinette sospirò.

“Quando Adrien è partito tra noi c’era.., come posso dire?, qualcosa? Sì, diciamo che c’era qualcosa. Poi è partito e tutto è scivolato via. Però…”

“Però è tornato”, disse lui guardandola.

“Sì e quei sentimenti sono tornati con lui. Ma non voglio mettermi con Adrien, non voglio che pensino che io sia una raccomandata o peggio…”
“Nessuno lo penserebbe”, disse lui schiaffeggiandole un braccio, “sappiamo quanto sei brava.”

“Sappiamo anche quanto il mondo della moda sia spietato”, disse lei con un sorriso triste.

“Oh, zuccherino”, esclamò lui, abbracciandola.

Marinette si rannicchiò nel petto di Paul aspirando il suo profumo dolciastro.

“Facciamo così”, disse lui mentre ancora la stringeva a sè, “a quelle malelingue ci penso io. Tu vedi di fare chiarezza tra il tuo cuore e la tua testa e rifletti se ne vale la pena.”

Lei si allontanò da lui, “secondo te, vale la pena?”

“Per quel pezzo di manzo di Adrien Agreste? Sempre.”

Lei, incredibilmente, scoppiò a ridere, “idiota.”

“Sono di parte, che ci vuoi fare.”

Paul aprì la porta, pronto per tornare al suo lavoro, ma prima di uscire da quel confessionale, lasciò un ultimo consiglio a Marinette, “prima di tornare da monsieur, rifatti il poco trucco che indossi. Hai il mascara colato.”

“Paul”, disse lei, “grazie.”

***

Dopo essere passata dal bagno, Marinette entrò dentro l’ufficio di monsieur trovando Adrien seduto accanto alla scrivania del padre.

“Che ci fai tu qui?”

Lui ghignò, “è il mio futuro ufficio. Tu, invece?”

“Tuo padre”, disse a denti stretti.

Lo sguardo di Adrien cambiò in un attimo: da giocoso e allegro a serio e dispiaciuto.

“Che è successo? Ieri sera ci siamo lasciati-”

“Quello è successo.”

Si alzò in piedi e si piazzò davanti a lei, “spiegati.”

“Ci hanno visto ieri sera e adesso tutto l’ufficio ne parla! Se lo sommiamo poi al bacio che mi hai dato..”

“Per mia sfortuna, mancato bacio.”

All’occhiata eloquente della sua lady, si zittì.

Adrien scosse la testa, “vado fuori e-”

“E niente, peggioreresti la situazione. Quello che ti chiedo è di essere più attento e discreto.”

Adrien sorrise e il cuore di Marinette saltò un battito.

“Quindi mi chiedi di essere più discreto, ma non mi chiedi di smettere.”

Cavolo. Arrossì sotto quella constatazione e sotto quello sguardo, ma non abbassò i suoi occhi. Era vero: quelle attenzioni la facevano andare in bestia, ma avrebbe mentito a se stessa a dire che non le piacevano.

“Bene, siete tutti e due qui”, esclamò Gabriel facendo il suo ingresso.

“I cornetti?”, continuò rivolgendosi a Marinette.

“Sulla sua scrivania, sono ancora caldi. Questi sono gli appunti della sartoria.”

Prese i fogli porti da Marinette, leggendoli attentamente.

“Okay, possiamo andare?”

“Dove?”, chiese Adrien al padre.

“Sul set fotografico.”

Marinette lo guardò stralunata, “che set?”

“Il tuo set”, rispose lui impassibile.

“Cosa?!”, esclamò lei.

Adrien ghignò: sarebbe stata una giornata divertente, ne era sicuro.



Angolo autrice
Buongiorno a tutti e buona domenica! Eccomi con il secondo aggiornamento, come promesso. Rigrazio ancora tutte le persone che seguono, leggono e commentano questa storia, mi spronate a fare sempre di più e a scrivere con tutta me stessa!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Quando Monsieur Stronzo Agreste le aveva detto che avrebbe fatto un servizio fotografico, pensava che l'avrebbe diretto, che avrebbe controllato i vestiti, il make up e compagnia bella. Invece no; avrebbe dovuto fare tutto questo e posare. 

Lei.

Posare.

Lei che non riusciva a non inciampare ovunque, che era così goffa da versare una tazza di caffè su un completo bianco perla di Chanel, doveva posare.

Gabriel ieri sera si era veramente drogato!, lei ne era sicura, ma Adrien giurava che suo padre stava bene.

Ma fatemi il piacere, quando mai Gabriel Agreste era stato bene di mente?

Voleva morire, ufficiale.

Si trovavano sul set e lei stava guardando la macchina fotografica con tale odio che l’avrebbe potuta fare esplodere. La cosa che la innervosiva di più? Che il biondo principino non si era tolto di mezzo secondo dal viso quel ghigno.

“Andrà bene”, disse il soggetto dei suoi pensieri, venendole vicino.

“La fai facile tu, riesci ad essere bello in qualsiasi momento e in qualsiasi posa.”

“Mi stai dicendo che sono bello?”

Lei lo guardò di striscio, “lo afferma tutta la popolazione femminile della Francia, se non del mondo.”

“Ma a me interessa solo quello che pensi tu”, disse sussurrando vicino al suo viso.

Un colpo di tosse da parte di Gabriel la fece rinsavire.

Si girò verso il suo datore di lavoro e lo guardò con tutta la rabbia che possedeva in corpo.

“Anche se continui a guardarmi così, non cambio la mia decisione.”

“Probabile, ma mi farà star meglio.”

“Marinette”, disse Gabriel guardandola negli occhi, “è infantile.”

Lei sbarrò gli occhi, “pensi sia infantile? Ti ho detto che non voglio fare un servizio fotografico e tu per ripicca mi fai diventare il volto del nuovo numero di Vogue!”

“C’è gente che pagherebbe per essere al tuo posto.”

“Io. Non. Voglio. Essere. Su. Vogue.”

“Tu. Ci. Andrai”, disse Gabriel con un sorriso, “discussione chiusa.”

Adrien scoppiò a ridere, “solo tu potresti volere una cosa del genere, Marinette.”

“Concordo”, disse Paul uscendo dal camerino, “non  posso andarci io in copertina? Sarei fantastico.”

“L’intervista non è su di te.”

Marinette si girò a trecentosessanta gradi, puntando il dito contro Gabriel, “intervista?”

“Mia e tua. Dobbiamo avere visibilità dopo quello che sta succedendo alla nostra sfilata.”

 Marinette fece un respiro profondo, in parte era colpa sua per quello che stava succedendo e se con un servizio fotografico e un'intervista avrebbe potuto aiutare, lo avrebbe fatto.

“Bene”, esclamò lei, “vado a prepararmi”, e si diresse in camerino con Paul dietro.

Quando i due Agreste le avevano raccontato il piano malvagio, la prima persona che lei aveva chiamato era stata Paul che era subito venuto da lei per aiutarla e per farsi fare un autografo dal direttore di stile di Vogue. Amico carissimo che era.

Quando entrò, trovò già una stilista, un truccatore e una hair stylist.

“Tesoro”, disse la donna bionda con un atteggiamento di superiorità, “non preoccuparti abbiamo già scelto tutto, così non dovrai faticare.”

Eh, no. Se avrebbe posato, lo avrebbe fatto alla sua maniera e con il suo stile, su questo non si discuteva.

“Grazie, ma penso che deciderò io cosa indossare”, disse Marinette con il tono deciso da Ladybug, “voglio qualcosa che rispecchi il mio stile, ma anche le tradizioni cinesi di mia madre.”

Si avvicinò allo stand degli abiti e gli studiò con occhio critico, “avete un gonna in tulle rosa?”

“No”, rispose sempre la donna bionda con un pacchianissimo completo verde mela di Prada.

“Oh, sì invece”, intervenne Paul, “mentre gironzolavo qui intorno ho trovato uno stand che-”

“Paul”, disse Marinette con un’occhiata eloquente.

“Sì, giusto. Te la vado a prendere.”

Marinette continuò a cercare, fino a quando decise di optare per un top nero con il collo alla coreana rifinito in bianco e un giacchetto di jeans chiaro, corto e con le maniche a tre quarti arricciate decorate con perle e dietro il disegno di due dragoni intrecciati dai colori oro e rosa (e ovviamente con la scritta Agreste a caratteri cubitali, visto che quel capo dalla stagione scorsa lo aveva ideato lei).

Posò il tutto sulle mani della donna bionda, con un sorriso falso sul volto, “scelgo questi.”

“Come desidera.”

Con il truccatore e la parrucchiera fu più facile, adorarono l’idea di sperimentare qualcosa di nuovo come quel look e si misero subito all’opera.

“Come procede qua?”, disse Adrien palesandosi.

Lei si girò a guardarlo, con le iridi celesti che spiccavano a causa dell’enorme nero che gli contornava gli occhi e i capelli mezzi fermati da dei bigodini.

“Diciamo che va.”

“Adrien!”, esclamò la donna avvicinandosi a lui con quel completo verde mela, “è da un po’ che non ti vedo qui.”

“Hai ragione, Michelle”, rispose allontanandosi di un passo da quella donna che prontamente si riavvicinò. Cavolo, sapeva cos’era uno spazio personale? E questo profumo dolce che indossava gli stava facendo venire un attacco di nausea.

“Ero a Londra.”

“Oh, lo so sciocco”, disse arpionandoli un braccio, “è uscita la notizia su ogni rivista.”

Che qualcuno lo salvasse da quella donna.

Uno schiarimento di voce, fu la sua salvezza.

“Scusami, come ti chiami? Michela?”, chiese Marinette con un sopracciglio alzato mentre la parrucchiera le stava fissando i capelli.

“Michelle”, rispose a denti stretti.

“Ovvio, Michelle, cara, saresti così gentile da trovare Paul e quella gonna rosa? Non credo di poter fare un servizio fotografico con questa vestaglia di seta.”

Michelle con riluttanza annuì e dopo aver salutato Adrien con un “caloroso” abbraccio -anche troppo, aveva sentito il suo seno spiaccicarsi sul suo petto- , se ne andò.

“Tesoro”, disse la parrucchiera guardandola dallo specchio, “ho finito”, disse inserendo il fermaglio dal richiamo cinese nella acconciatura stile Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”, “stai attenta come ti muovi, okay? Mi trovi sul set per gli ultimi ritocchi.”

Tutti e due la lasciarono da sola nel camerino con Adrien.

“Allora sei veramente la mia eroina”, esclamò lui appoggiandosi con il fianco alla postazione del trucco.

“Ho visto un micetto in difficoltà e ho pensato di aiutarlo.”

“Bè”, disse con uno slancio del bacino, avvicinandosi a lei, “il micetto ha apprezzato il tuo intervento.”

“Ne sono lieta”, disse lei, stavolta per niente intimorita (forse a causa di completo verde-mela o per quel ghigno di Adrien che lo faceva assomigliare terribilmente a Chat Noir), avvicinandosi a lui fino a sfiorare la punta del suo naso con il suo.

Lui le accarezzò una guancia, “è sempre stato così difficile raggiungerti. Eppure mi sembra che ora sia più facile.”

“Forse è perché voglio farmi raggiungere.”

“Perché sono Adrien Agreste?”

Lei spalancò gli occhi, ma non si mosse di un centimetro. Come poteva il suo chaton pensare una cosa del genere?!

“No”, disse lei con la voce strozzata, “non lo pensare mai più. Mi sarò innamorata di Adrien Agreste, ma l’amore della mia vita è il mio compagno d’avventure, il mio partner in battaglia...e quello sei tu, mon chaton.”

Adrien sorrise e… Cavolo i suoi occhi erano sempre stati così splendenti?

“Eccomi!”, il tonfo della porta e l’arrivo di Paul fece allontanare di scatto i due.

“Oh”, disse il castano con un sorriso folle sul volto, la gonna di tulle rosa in mano e un boa fucsia al collo, “se volete io-”

“No”, disse Adrien, interrompendolo, “stavo andando.”

Tempo che il biondo chiudesse la porta che Paul si era già fiondato su Marinette, “allora quelle malelingue avevano ragione: esci veramente con Adrien Agreste.”

Cosa fare? 

Negare, ovviamente.

“Ma cosa dici?! Siamo solo amici.”

“Gli amici non voglio portarsi a letto a vicenda.”

“Parlando di altro”, disse Marinette con un gesto della mano, “cosa ci fai con quel boa di piume fucsia?”

Lui alzò le sopracciglia, “vuoi veramente saperlo?”

“No, passo.”

Lui sorrise, sfregandosi le mani, “bene, indossiamo questa gonna?”

***

Lei sospirò guardandosi allo specchio. Non pensava che la gonna sarebbe stata così corta, ricordava un po’ il tutù di una ballerina. Indossò le decolleté nude e scosse la testa. 

“L’amore della mia vita”, lo aveva definito così.

Cosa cazzo aveva fatto?

Come aveva potuto dire una cosa del genere?

Cavolo se era deficiente!

Si torturò le mani; lui non aveva risposto.

Non aveva detto niente a quella sua ammissione, era rimasto lì a guardarla con quegli occhi verdi così splendenti.

“Mari, basta”, disse Tikki volandole vicino, prima di aver controllato di essere sole nel camerino.

“Sono stata così stupida.”

“No, no, sei stata coraggiosa.”

Marinette si girò a guardare la kwami, “non dovevo. Non posso pretendere nulla da lui, non dopo averlo respinto per così tanti anni, non dopo averlo mandato via da Parigi.” 

“Mari, tu..”

“Io niente, non cercare di scusarmi”, rispose con gli occhi pieni di lacrime; ma non ne avrebbe versata una, anche lei aveva sofferto abbastanza.

Puntò di nuovo il suo sguardo sul suo riflesso, non sembrava più la ragazza dolce e onesta. 

Non era più la super eroina coraggiosa.

Non era nulla.

 

Sorrise davanti all’ennesimo messaggio di Adrien.

“Incredibile quanto tu e Adrien state legando in questo periodo, non riuscite più a staccarvi”, osservò Tikki.

Marinette annuì, dandole mentalmente ragione.

Erano passati solo quattro giorni da quando Papillon si era arreso e lei aveva detto addio a Chat Noir; e al solo pensiero del gatto nero, il suo stomaco si contorceva in una morsa.

Dopo nemmeno un giorno da quell’avvenimento aveva incontrato Adrien Agreste per strada, accidentalmente o forse per volere del destino.

Avevano passato la giornata che rimaneva assieme, ridendo e scherzando, lei senza balbetti ma con un po’ di timidezza; quando arrivò il momento di tornare alle loro abitazioni, si promisero di sentirsi il giorno dopo.

E così era successo, dando il via a un continuo messaggiare e incontrarsi. 

Fu il commento fatto da Tikki che la portò a riflettere per una giornata intera, non rispondendo ai messaggi del biondo.

Lei stava iniziando a dipendere da Adrien e lui da lei, stavano continuando a cercarsi ininterrottamente e questo la spaventava perché un rapporto del genere lo aveva avuto solo con il suo Chaton. Rimase con quel pensiero nella mente per tutto il pomeriggio, tanto che quando suonarono alla porta si spaventò.

“Tutto apposto?”, chiese Adrien sulla soglia di casa sua.

“Sì, come mai?”,rispose lei, sbalordita.

“Non mi stavi rispondendo ai messaggi da tutto il pomeriggio e mi stavo preoccupando.”

“Oh”, disse Marinette spiazzata, “avevo dei progetti da finire e la suoneria del cellulare bassa, non ho visto il telefono per tutto il pomeriggio. Scusami.”

“Di niente”, disse lui con un sorriso sollevato, “hai voglia di fare un passeggiata?”

Lei mise su un sorriso di scuse, “devo finire il vestito per l’università, domani ho la scadenza. Facciamo domani?”

Lui sorrise, quanto era bello quando lo faceva?, e annuì; poi si avvicinò e le lasciò due baci sulla guancia. 

Dopo che ebbe chiuso il portone, Marinette si rifugiò in camerina. Quello che era appena successo confermava ancora di più la sua ipotesi: si stavano innamorando, un amore malato alla ricerca di una persona che non c’era più. 

Perché lei poteva far finta di nulla, ma l’abbandono di Chat Noir l’aveva colpita più di quanto pensasse e, forse, Adrien cercava di colmare il vuoto di sua madre -se non ci fosse stato quel piccolo problema delle identità segrete, Marinette avrebbe saputo che il vuoto che cercava di colmare Adrien era quello della sua lady.

Lei doveva mettere un punto a quella storia o si sarebbero fatti del male a vicenda e Adrien era l’ultima persona su questo pianeta a cui lei voleva fare del male.

 

Provò a stare un giorno senza contattare Adrien, ma fallì miseramente. Lui la attirava come una falena è attirata dalla luce.

Doveva trovare un altro modo per non far soffrire il biondo e in fretta, perché più giorni passavano, più lei gli donava una parte di se.

 

A notte fonda si alzò e attivò il cellulare.

“Mari”, disse Tikki con voce assonnata, “che fai a quest’ora?”

“Uno sbaglio”, disse cliccando sul nome di Chloè.

Da quella scelta non si tornava più indietro.

 

Due giorni dopo, Adrien si sarebbe imbarcato nel volo di linea Parigi-Londra delle 17.00 p.m e lei sarebbe andata a salutarlo, con un sorriso sul volto, come fanno le vere amiche.

Stranamente, Chloè non si era opposta più di tanto a quella sua malsana idea: era dell’opinione che il suo migliore amico di infanzia stesse sbandando e che l’allontanamento da Parigi gli avrebbe fatto solo del bene - “lo faccio solo ed esclusivamente per lui, mica per te Dupain Cheng-, ma Marinette la ringraziò lo stesso.

Quel master era l’occasione della vita di Adrien (gliene aveva parlato qualche giorno fa, ma aveva già deciso di non partecipare, e forse la causa era proprio lei) e Marinette non voleva essere la causa dell'infelicità del ragazzo, non voleva precludergli delle possibilità che si meritava.

Aveva fatto un passo indietro e lo aveva fatto solo per lui.

***

“Marinette”, disse Paul entrando, “smetti di pensare riesco a vedere da qui il fumo del tuo cervello.”

Venne vicino a lei e la guardò nello specchio, “forza, aspettano solo te di là.”

La notizia che andava a peggiorare sempre di più la sua giornata.



Angolo Autrice
Mi scuso tantissimo per il ritardo di questo capitolo, ma la scuola mi sta uccidendo! Spero di essermi fatta perdonare rivelando il perché Marinette abbia allontanato Adrien (come direbbe Gabriel Agreste: "Ah, l'amour"). Come potete notare, anche nella mia storia questi due sono proprio dei tonni quando si parla di relazioni amorosi, ma ehi, nessuno è perfetto.
Ringrazio ancora tutti i lettori e tutte le persone che mi supportano per questo mio viaggio.
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il servizio fotografico? Era stato più semplice del previsto, in realtà. Dopo le prime incertezze, aveva preso confidenza con la macchina fotografica e stava risultando più semplice del previsto posare (soprattutto grazie al fondotinta super coprente che non mostrava quanto in realtà era arrossita). 

Adesso, i due Agreste erano davanti al monitor per giudicare con occhio critico le foto di lei, mentre Marinette era ancora al centro del set, circondata da luci bianche accecanti e sfondi rosa pastello.

“Tesoro, sei stata fantastica!”, esclamò Paul che per tutto il tempo aveva fatto il tifo per lei. Gli mancavano solo i pon pon e sarebbe stato un cheerleader fantastico.

“Grazie”, rispose lei con un sorriso.

Si avvicinarono ai due Agreste e Marinette stette attenta di non incrociare lo sguardo verde di Adrien.

“Sei pronta?”, chiese Gabriel alzando un sopracciglio.

“A?”

Lui scosse la testa, “a volte mi chiedo perché ti ho assunto… L’intervista.”

“Ah”.

“Andiamo.”

Non ebbe nemmeno il tempo di cambiarsi che l’accompagnarono in una piccola stanza, con enormi finestre che davano sulla Ville Lumière. Insieme a Gabriel si sedette su un divanetto bianco, di fronte ad una donna sui trentacinque anni che sedeva su una poltrona.

“Buongiorno”, disse la donna sistemando il suo blazer grigio abbinato ai jeans slavati, “sono Madeline.”

“Buongiorno”, rispose secco Gabriel con un cenno del capo.

Per sopperire alla mancanza di partecipazione di monsieur, Marinette si stampò un sorriso in faccia e allungò la mano, “piacere, Marinette Dupain-Cheng.”

Madeline sorrise di fronte alla ragazza e le strinse con forza la mano, “la famosa stagista. Per me è un piacere conoscerti.”

In quel momento entrò Adrien e si appoggiò ad una delle finestre.

“Vuole unirsi, monsieur Adrien?”, chiese la donna portandosi una mano al caschetto castano.

Al ‘monsieur’, Adrien storse la bocca e scosse la testa, “non è per me questa intervista.”

Madeline annuì, anche se delusa: un intervista di Adrien Agreste andava sempre a ruba.

“Bene, iniziamo.”

Marinette aveva sempre pensato che le interviste fossero delle allegre chiacchierate; bè si era sbagliata completamente e lo aveva capito grazie a Ladybug e Nadia Chackman. Per questo lasciava gestire tutta quella parte di pubbliche relazioni a Chat Noir, lui era bravo, sembrava esserci nato con i giornalisti (e ora che sapeva la sua identità, sapeva perché); ma Chat Noir, alias Adrien Agreste, non sembrava volerle dare una mano questa volta.

Se la sarebbe dovuta cavare da sola.

In realtà, la maggior parte delle domande riguardavano Gabriel, il suo cambiamento e la sfilata della maison che era alle porte, e Marinette fu ben felice di intervenire poco e di parlare del suo lavoro.

“Allora Marinette”, esclamò Madeline con gli occhi celesti che brillavano, “abbiamo un alone di mistero intorno alla tua figura.”

Non andava mai a buon fine quando iniziavano così.

“Solo perché non mi conoscono, fidati, sono tutto tranne che misteriosa.”

Lei rise brevemente, “credo che sia l’ora di conoscerti, in questo caso. Raccontaci un po’ della tua famiglia.”

Marinette rise imbarazzata e iniziò a gesticolare, come faceva sempre quando era nervosa, “non c’è molto di cui parlare. Ho una madre e un padre come tutti. Mi sono sempre stati accanto e hanno sempre appoggiato le mie scelte; gli amo moltissimo, non so cosa farei senza di loro.”

“Capisco. Hai detto che hanno sempre appoggiato le tue scelte.”

“Sì.”

“Anche quelle sbagliate?”

Marinette inclinò la testa di lato.

“Secondo alcuni fonti, sei andata a convivere con il tuo ex ragazzo, il musicista Luka Couffaine, anche se vi frequentavate da poche settimane.”

Le si chiuse la bocca e lanciò un’occhiata ad Adrien: aveva le mani chiuse in un pugno, tanto che le nocche erano bianche, e la mascella rigida.

“Sì...è- è vero”, rispose con voce malferma.

“E come mai questa scelta improvvisa?”

Inghiottì a vuoto; lo faceva per la maison, solo ed esclusivamente per la maison. 

“Non così improvvisa come si pensa. Io e Luka ci conosciamo da quando avevamo quindici anni, sapevo chi era la persona con cui facevo questo passo.”

“Però è durata poco: sei mesi.”

“È vero.”

“È come mai?”

Strinse il tulle della gonna per avere qualcosa a cui aggrapparsi, “perché mi sono accorta che non era la persona giusta per me.”

“Basta così”, disse Gabriel autoritario, “la mia stagista non risponderà più a domande sulla sua vecchia relazione.”

Marinette guardò il suo capo, grata. Le sembrava un po’ impossibile, ma se Gabriel la stesse proteggendo?

“Certamente”, disse Madeline un po’ spiazzata dal tono di Gabriel, “ho un’ultima domanda per te, Marinette: c’è qualcuno nella tua vita? Qualcuno di speciale?”

“Probabile”, disse non osando guardarlo, “io lo spero.”

Madeline finì di appuntarsi la risposta e dopo si salutarono.

Riuscì solo a incrociare lo sguardo arrabbiato di Adrien, prima che la ragazza dal completo verde mela la portasse via per farla cambiare. 

Velocemente si svestì e indossò il suo abito rosa a vestaglia, mentre rispondeva al messaggio di Paul che le diceva che era tornato in maison per una urgenza più importante della nuova borsa di Louis Vuitton. Sciolse i capelli dall’ acconciatura, indossò le scarpe tacco dieci, prese la borsa e, dopo aver salutato tutti, uscì. 

“Non ti sei struccata?”

“No”, rispose monotona a Gabriel, “dov’è Adrien?”, aveva urgentemente bisogno di parlargli.

“È uscito qualche secondo fa.”

Lei spalancò gli occhi.

“Vai pure, ci vediamo dopo in maison.”

Lei non lo ringraziò ne disse niente, iniziò solo a correre in direzione delle scale.

Le fece di corsa, così come l'atrio dell’edificio e uscì in strada. Guardò a destra a sinistra finché non vide una testa bionda che camminava verso una Corvette nera.

Adrien.

Corse verso di lui e lo chiamò a gran voce.

Lui si bloccò e, lentamente, si girò verso di lei che gli finì addosso.

Adrien la prese al volo, indugiando più del dovuto sui suoi fianchi.

“Prima o poi mi farai prendere un colpo”, disse mettendola ritta sui suoi piedi, “perché corri sui tacchi? Potresti farti male.”

“Adesso sembri mia madre”, disse lei con un sorriso, “e comunque è a causa tua, sei sparito.”

Gli occhi di Adrien si scurirono e la rabbia tornò prepotentemente. Pensare alla sua lady con quel musicista da quattro soldi, a lui che la bacia, a lui che la tocca, a lui con lei nel suo letto… Strinse le mani in due pugni, “fidati, è stato meglio.”

“Adrien”, disse lei mettendo una mano sul pugno chiuso.

Lui puntò i suoi occhi arrabbiati su di lei e Marinette si sentì sprofondare, “perché?”

“Perché, cosa?”

“Perché sei andata a convivere con lui.”

Non era una domanda, era una richiesta, voleva una risposta.

Marinette lasciò la mano dell’amato e improvvisamente si sentì la timida ragazzina di quattordici anni.

“Pensavo che… pensavo che fosse il miglior modo per scordarti.”

Adrien guardò gli occhi celesti lucidi, contornati dal trucco scuro, “davvero?! Peccato non saperlo prima, sarebbe potuto servire anche a me.”

Lei scosse la testa, “ti prego, Adrien-”

“Ti prego, cosa?! Io mentre ero a Londra ho sofferto, mi sei mancata da morire, ma non ho mai, e dico mai, pensato o sfiorato un’altra ragazza. Invece, tu… Cavolo se penso che siete stati insieme sei mesi, mi verrebbe di picchiarlo a sangue.”

Lei cercò di soffocare un singhiozzo, ma non ci riuscì. Premette forte la mano davanti alla bocca perché non voleva crollare davanti a lui, non sarebbe crollata davanti a lui.

Adrien si sentì improvvisamente svuotato di ogni energia guardando quegli occhi celesti che stavano soffrendo e dai quali stavano scendendo delle lacrime.

“Devo andare”, esclamò lui aprendo la portiera della macchina.

Marinette non fece niente per impedirglielo.

***

Adrien entrò in maison che era praticamente sera; aveva bisogno di controllare dei bilanci e sperava di non incontrare Marinette, anche se, conoscendola, sapeva che l’avrebbe incontrata alla sua scrivania, con lo sguardo basso e pronta a parlargli.

Per questo rimase sorpreso quando non la trovò, era tutto spento, ma, in compenso, l’ufficio di suo padre era illuminato.

Una volta che si fu palesato al cospetto di Gabriel, quest’ultimo iniziò a parlare, “che è successo?”

“A cosa ti riferisci?”, disse lui lentamente, sedendosi di fronte alla figura del padre.

“A Marinette. L’ho lasciata che correva per le scale rischiando di rompersi l’osso del collo pur di parlati e, dopo quindici minuti, mi arriva un messaggio da parte di Marinette che mi chiede di poter lavorare da casa.”

Adrien sospirò.

“Ti avevo detto che se avresti fatto qualcosa a Marinette, ti avrei rinchiuso in casa.”

Il biondo scosse la testa, “ho esagerato lo ammetto, ma lei è stata con quel..quel…musicista”, disse con veleno.

“Chissà perché, ma penso che musicista non sia la parola che volevi utilizzare.”

“Perché è vero, volevo solo essere educato.”

“Bene, allora per essere educato anche io, ti dirò che sei un coglione.”

Adrien guardò sconvolto suo padre. Se Plagg fosse stato lì, avrebbe dato ragione a Gabriel.

“Marinette è stata molto male, sia durante la convivenza che dopo. Non mi ha voluto raccontare tutta la verità, ma stava così perché una persona importante l’aveva lasciata. So cosa vuol dire quando una persona che è l’intero tuo mondo scompare dall’oggi al domani.”

“Papà…”

“Gli ho solo dato una mano, tutto qui.”

Adrien appoggiò gli avambracci sulle ginocchia, “hai fatto molto di più: gli sei stato accanto quando io non ho potuto. Adesso capisco perché siete così uniti.”

Gabriel annuì e portò davanti al viso le mani congiunte, “c’è solo una cosa che mi sto domandando.”

“Dimmi.”

“Perché sei ancora qui?”

Padre e figlio si sorrisero a vicenda, “sarà meglio che rimedi, se non voglio di nuovo essere rinchiuso in casa.”

“Ti conviene, non stavo scherzando.”

Lui si alzò dalla sedia e si avviò verso l’uscita, “papà?”

Gabriel lo guardò con gli occhi grigi che luccicavano, “grazie, davvero.”

***

Marinette sistemò la montagna di fazzoletti di carta accartocciati nel cestino e posò la bottiglia di vodka alla pesca sulla scrivania.

Dopo che era tornata, cercando di trattenere tutte le lacrime, aveva chiamato Paul -sì, di nuovo- che dopo aver sentito la sua voce da “piccolo cucciolo bastonato”, testuali parole di lui, era venuto dopo un’ora con un pacco formato famiglia di fazzoletti e una bottiglia di vodka. 

Menomale che sua madre e suo padre erano fuori per un catering perché sennò non sarebbe mai riuscita a scappare dall’interrogatorio di Sabine.

Aveva passato il resto del pomeriggio a piangere e a bere insieme ad un Paul più triste di lei per la reazione del biondo.

Ah, Adrien! Perché le faceva sempre lo stesso effetto? Cavolo, aveva decisamente esagerato con la vodka. Al diavolo Paul con i suoi problemi di alcolismo! Menomale era andato a casa sua, perché se avrebbero continuato di quel passo, si sarebbe presa una sbronza mega galattica e domani a monsieur che gli avrebbe raccontato?

Scusi, ieri sera mi sono ubriacata con un altro suo dipendente perché ho litigato con suo figlio? No, decisamente, non sarebbe stato l’ideale.

“Esci un po’ fuori, ti farà bene un po’ d’aria”, consigliò Tikki.

Marinette annuì e, dopo aver indossato sopra i leggins neri un maglione rosso, uscì sul suo terrazzino. Accese le luci e, come un flashback, si ricordò che grazie a quella catena di lucine, lei aveva avuto l’occasione di rivederlo, pochi giorni prima. Sembrava passata un’eternità da quel breve incontro di occhi.

Sentì una folata di vento alle sue spalle e si strinse le braccia con le mani.

“Ti sei arrugginita. Un tempo avresti capito subito che ero io.”

Il cuore le prese a battere più velocemente, ma cercò di non farglielo notare.

Rimase di spalle, come bloccata, “forse è perché non ti sento arrivare da troppo tempo. O forse non volevo illudermi.”

Lui sorrise anche se lei non potè vederlo. Con una lentezza disarmante la girò verso di lui e la guardò in quei grandi occhi celesti che ora erano limpidi come un cielo in piena estate e leggermente rossi.

Lei aveva… aveva pianto per lui.

Nella sua testa, Adrien, si insultò nei peggiori modi possibili. Come aveva potuto essere la causa della sua tristezza? Come aveva potuto ferirla?, lei che era la sua musa, la cosa più bella che avesse mai visto, il suo tutto e il suo nulla, lei che era il suo sorriso e il suo cuore.

Le prese il viso tra le mani e la baciò, la baciò come se fosse la sua ultima occasione per farlo. Assaggiò quelle labbra che aveva desiderato per anni, finalmente aveva scoperto che sapevano di miele e non di ciliegia come aveva pensato la prima volta che l’aveva vista.

Mordicchiò quelle labbra così soffici e piene, così da Marinette, e si beò di quella sensazione come un assetato che dopo lunghi giorni riceve da bere.

Si staccarono dopo infiniti attimi, tutti e due con il fiatone, ma con le fronti che si toccavano ancora. 

Adesso, anche le labbra di Adrien sapevano di miele e, era sicuro, quel gusto, d’ora in avanti, sarebbe stato il suo preferito.

Marinette lo guardò da sotto in su, non osando muoversi, “è successo veramente? No, perché Paul mi ha fatto bere un quantitativo di alcol che mi basterà per il prossimo anno e-”

La risata di Adrien, la interruppe, “fortunatamente è tutto vero.”

“E perché non sento Plagg con una delle sue battute brillanti?”

“Sulla battute brillanti di Plagg, potremmo stare ore a discuterne, my lady, ma se hai notato, sono qua vestito con una tuta nera e delle orecchie da gatto.”

Lei rise, “bè, mi piacciono le tue orecchie da gatto.”

“Vorrei vedere, my lady”, disse tornando ad assaggiare quelle labbra al sapore di miele.

Il sapore più dolce che avrebbe assaggiato per il resto della sua vita e che sarebbe stato solo suo.



Angolo autrice
Scusatemiii, sono imperdonabile: di nuovo di ritardo. Mi spiace, ma in questo sono identica a Marinette, due ritardatarie croniche!
Ebbene sì, dopo dieci e lughi capitoli, siamo arrivati a l'agognato bacio che tutti stavamo aspettando. 
Ma non pensate che sia finita qui, i nostri protagonisti dovranno affrontare qualche altro problemino ;)
I commenti li lascio a voi e, come sempre, grazie per essere arrivati a leggere fino a qui.
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quando si staccarono, Marinette rabbrividì, ma non per il freddo.

“Cosa facciamo adesso?”

“Qualsiasi cosa voglia fare tu, milady.”

Marinette strinse le braccia intorno al suo corpo e si rannicchiò contro Chat Noir che, prontamente, la strinse a se.

“Intanto, potrei parlare con Adrien?”

“Ci stai già parlando, insettina.”

“Hai capito cosa intendo, chaton.”

Lui sbuffò divertito e sciolse la trasformazione.

“Hai capito?! Il moccioso aveva bisogno della lavata di capo da parte del paparino per rinsavire! Mba, se lo avessi saputo prima, mi sarei risparmiato molte pene.”

“Plagg…”

“Lavata di capo?”, chiese Marinette alzando la testa, “questo mi interessa.”

“Niente di ch-”, ma la frase di Adrien fu interrotta.

“Un cazziatone con i fiocchi, ecco cos’era.”

“Plagg!”

Marinette scoppiò a ridere, “hai subito un cazziatone da Gabriel Agreste e sei ancora vivo?”

“Qualcosa mi dice che li conosci di più te, i cazziatoni di mio padre.”

Lei si finse pensierosa, “può darsi.”

“Coccinella cattiva”, disse Adrien mordendole il naso.

“Quello è tuo padre.”

“Una coccinella?”

Lei lo guardò storto.

“Vogliamo entrare o continuiamo a stare qui fuori al freddo?”

“Scendiamo solo se mi racconti cosa c’entra Gabriel.”

“Ricattatrice”, disse prendendole la mano, “ma sappiamo che farei qualsiasi cosa tu mi chiedessi.”

“Ruffiano”, rispose lei prima di scendere in camera sua.

Dopo di lei fu il turno di Adrien che, con un balzo aggraziato, entrò e la prese per i fianchi.

“Altri potrebbero dire innamorato, sai?”, rispose annusando i suoi capelli. Sapevano di zucchero a velo e gli ricordavano i macarons.

Marinette arrossì leggermente, cercando di non farglielo notare.

Si sedettero sul letto, abbracciati.

“Quindi, Gabriel?”

“Diciamo che mi ha raccontato alcune cose e ho finalmente scoperto il perché del vostro legame.”

Lei lo guardò con gli occhi sbarrati, “Adrien, davvero, mi dispiace per quello che ho fatto-”

Lui appoggiò il suo dito indice sulla sua bocca, “l’importante siamo noi due, qui, ora.”

E la baciò, di nuovo. E ancora. E ancora. E ancora.

Marinette appoggiò le mani sul suo petto, fermandolo. Con la bocca gonfia e arrossata per i troppi baci e i capelli arruffati, Adrien la desiderò ancora di più.

“Per quanto mi faccia piacere intrattenermi con il gatto più bello di tutta Parigi, devi tornare a casa.”

Adrien mise su il broncio, “spero tu stia scherzando.”

“No no, affatto. Non voglio che Gabriel svegli mezza Parigi.”

“Senza offesa, ma penso che mio padre sia piuttosto consapevole di dove mi trovo e soprattutto con chi mi trovo”, rispose riavvicinando la ragazza a lui.

“Sai cosa intendo.”

Lui allargò gli occhi e abbassò le labbra in giù, sporgendo il labbro.

“Non provare a farmi gli occhi da cucciolo. Adrien, non ci provare! Sai che non riesco a dire di no agli occhi da cucciolo!”

Lui le baciò la punta del naso, “è esattamente per questo che lo  faccio.”

Marinette sospirò e lo guardò negli occhi verdi che tanto amava, “voglio fare le cose a modo, con calma. E fidati, quello che stavamo facendo prima su questo letto, non era affatto quello che intendo.”

“Lo sai che mi stai chiedendo molto, vero?”

“Ti sto chiedendo di andare a casa.”

“E io do ragione alla tua bella”, esclamò Plagg apparendo accanto a Marinette.

La ragazza si sistemò velocemente il sopra del pigiama visto che stava facendo vedere più del necessario.

“Plagg.”

“Niente ‘Plagg’, biondino. Voglio tornare a casa, dobbiamo tornare a casa. E Marinette, non preoccuparti, è roba che ho già visto.”

Marinette arrossì così tanto che fu incapace di parlare.

“Plagg!”, esclamò Tikki lanciandogli uno scappellotto.

“Che c’è?”

“Tu non sai cosa sia la finezza.”

“Ma se è il mio secondo nome?”

E mentre i due kwami litigavano, Adrien cercò di sbloccare Marinette.

“My lady, mon amour, ci sei? La tua testolina mi sta ascoltando?”

“No, è troppo occupata ad essere in imbarazzo.”

Lui scoppiò a ridere, “sei uno spasso.”

“Se la mia goffaggine e la mia timidezza ti fanno tanto ridere..”

Lui le prese il viso tra le mani grandi, “Plagg è fatto così, lascialo stare.”

Lei annuì.

“Facciamo così”, disse Adrien sempre più vicino al viso dell’amata, “io ora vado a casa e ti tolgo Plagg di torno, così ti rilassi.”

“Guarda che ti sento, moccioso!”

“E poi ci vediamo domani in ufficio.”

Marinette a quelle parole si riscosse, “non è che potremmo-”

“Non dire niente in ufficio?”

Lei mise su uno sguardo di scuse, “vorrei prima dirlo ai nostri genitori.”

“Facciamo solo ai tuoi genitori, penso che mio padre sospettasse qualcosa da molto tempo.”

“Cavolo che imbarazzo, come farò a guardare Gabriel negli occhi?”

Adrien rise di fronte alla drammaticità di Marinette.

“Quindi faremo come gli amanti segreti.”

Lei arrossì alle parole di lui.

“Mi piace”, concluse Adrien con un bacio a stampo, “Plagg, trasformami!”

Quando Marinette aprì gli occhi, davanti a lei si ritrovò le iridi allungate di Chat Noir.

“Ci vediamo domani, chaton?”, chiese facendo tintinnare il campanellino che portava al collo.

“Ci puoi giurare.”

Prima di uscire dalla botola, si scambiarono un lungo quanto appassionato bacio.

“Ho un’ultima domanda, insettina: come mai le tue labbra sanno di miele?”

Lei arrossì, ma rispose comunque, “è il balsamo per labbra che uso da sempre. La ricetta è di mia nonna e tra gli ingredienti c’è il miele, forse è per quello.”

“Bene”, disse lui baciandola un'altra volta, “non cambiare mai balsamo per le labbra.”

Dopo altri tre o quattro, chi ne teneva più il conto?, baci, Marinette rimase da sola insieme a Tikki.

“Sai, Mari, ti vedo finalmente felice.”

“Perché lo sono, Tikki”, disse con un sorriso a trentadue denti sul volto, “ti dirò, mi fa quasi paura provare così tanta felicità.”

“Ne sono contenta”, rispose la piccola kwami abbracciandola come meglio poteva, “te lo meriti.”

Marinette si sedette sul letto, “dovrei dirglielo Tikki? Del master di Londra e Chloè?”

Lei guardò la sua protetta negli occhi e vide che la linea di preoccupazione che solcava la sua fronte era tornata, “per ora, goditi il momento.”

Lei annuì con, ancora, un’espressione seria.

Lo schermo del suo cellulare si illuminò.

Buona notte, my lady. Mi manca già il sapore del miele, mon amour.

“Hai ragione, Tikki”, disse rispondendo al messaggio di Adrien per poi addormentarsi. 

Con il sorriso sulle labbra e senza la ruga di preoccupazione sulla fronte.

Tikki si addormentò più serena.

***

Marinette entrò in maison con gli occhialoni da sole calati sugli occhi e un tailleur nero con i pantaloni a sigaretta. Le decoltè tacco dieci a spillo verdi, così come la borsa e la camicetta in seta, completavano il look.

“Buongiorno”, esclamò Adrien dal completo grigio tortora che indossava, mentre stava aspettando l’ascensore.

“Buongiorno”, disse Marinette impassibile.

Appena entrarono nell’ascensore e le porte automatiche si chiusero, i loro corpi si avvinghiarono, gli occhiali da sole di Marinette volarono sul pavimento e loro bocche si cercarono fameliche.

“Buongiorno, mon amour.”

“Buongiorno, chaton.”

“Cos’è questo odore incantevole?”, disse baciandola ancora.

“Incredibili i livelli della tua golosità”, trafficò per un po’ dentro la sua borsa, tirandone fuori un sacchettino di carta, “ti ho portato una brioches e qualche macarons.”

“Questo si che è un buongiorno”, disse lui avvicinandosi per baciarla.

Il ‘din’ dell’ascensore, però, gli fece staccare subito.

Marinette controllò di essere in ordine allo specchio del cubicolo, mentre Adrien raccoglieva gli occhiali di lei.

“Ti erano caduti”, disse porgendoglieli mentre uscivano.

“Chissà perché.”

Attraversarono i corridoi fino ad arrivare alla porta del loro ufficio.

“Sai tutto questo nero e verde mi ricorda un certo gatto.”

“Può darsi”, rispose lei enigmatica.

“Lo hai fatto per me?”, chiese lui con un ghigno.

Sul volto di Marinette si formò un mezzo sorriso, “può darsi.”

E fecero il loro ingresso nell’ufficio del mastino.



Angolo autrice
Buongiorno a tutti e buon traumatico lunedì! Il capitolo era già pronto due giorni fa, ma non ho avuto un attimo di tempo libero per pubblicarlo, scusatemii.
Bene, questo capitolo è solo fluff, non ho voluto inserire ne problemi o drammi, ma solo e semplicemente Adrien e Marinette che finalmente si sono ritrovati (era anche l'ora).
Detto questo, vi ringrazio ancora infinitamente e ci vediamo al prossimo aggiornamento.
Cassie

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


“Oh, buongiorno”, disse Gabriel appena li vide entrare. E sì, si accorse che tra i due era cambiato qualcosa; soprattutto la macchia di rossetto rosa sulla camicia bianca di Adrien.

“Bu-buongior-giorno.”

“Marinette.”

“Cosa ho fatto adesso?”, chiese lei esasperata e drammatica, come solo lei poteva fare.

“Non si balbetta. Non se si è la mia assistente. Pensavo l’avessimo superata questa fase.”

“S-sì.”

“Marinette!”

“Mi creda non lo faccio apposta.”

“E perché lo fai?”

“Perché sono in imbarazzo!”

“E perché sei in imbarazzo?”

“Perché ieri sera ho baciato suo figl-”, la voce di Marinette si bloccò improvvisamente, mentre, dietro di lei, la risata di Adrien proruppe.

“Dov’è una fossa in cui sparire?”

Gabriel guardò i due, scettico, e soffermò la sua attenzione sulla sua stagista che si stava guardando le scarpe verdi di Jimmy Choo.

“Fammi capire sei imbarazzata solo per questo?”

“Solo per questo?! Certo, che sono imbarazzata, penso che la mia faccia lo dica da sola.”

“Già, è leggermente in autocombustione”, parlò Adrien per la prima volta da quando erano entrati in quell’ufficio.

“Sappi che non aiuti così”, rispose piccata lei.

“Se vi può consolare”, disse Gabriel alzando la voce per far fermare i due, “lo avevo già capito.”
Marinette allargò gli occhi e sbiancò.

Adrien si ritrovò a pensare se era possibile cambiare il colore del viso così velocemente.

“Possiamo mandare a monte la nostra idea di mantenerlo segreto”, esclamò lei sconsolata sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania del mastino.

“Non penso di averti detto di sederti.”

“Papà..”

“E poi mi spiegate questa cosa di mantenere il segreto?”

“Vedi”, iniziò Adrien sedendosi sull'altra sedia, “Marinette voleva tenere la notizia segreta ancora per un po’. Voleva dirlo prima ai suoi genitori e evitare dei pettegolezzi qua in maison.”
“Quel genere di petegolezzi?”

“Quel genere”, gli confermò il figlio.

“Su quello non dovete preoccuparvi. Chiunque farà allusioni del genere, lo licenzierò in tronco.”

“No! No, no, no. Non è quello che voglio, okay? Un attimo di tranquillità, vi chiedo solo questo. Poi se lo vorrete, lo annunceremo anche tramite dei cartelloni pubblicitari però-”

“Sì, ho capito”, la interruppe velocemente Gabriel.

Marinette spalancò la bocca, pronta per replicare, ma la mano di Adrien sul suo ginocchio la fermò.

“Guarda a proposito di cartelloni pubblicitari”, disse Monsieur passando ai due un cartoncino formato A3, “questo sarà la copertina di Vogue del prossimo mese e uscirà tra una settimana. E la città sarà tappezzata dal marchio Agreste.”

“E dalla mia faccia”, disse sconsolata Marinette.

Dovette ammettere che non era venuta male, anzi. Era di profilo, con lo sguardo che guardava la telecamera mentre sorrideva per una battuta che aveva fatto Paul. Ma voleva veramente che tutta Parigi, anzi no, tutta la Francia, la guardasse? Cavolo, no. Ci era già passata con Ladybug e non ci teneva a riprovarlo.

“Mon amour, sei bellissima.”

Lei annuì.

“Non sei contenta?”

“Sì, certo che lo sono, solo non mi piace che così tanta gente ne abbia accesso.”

“Lo capisco, anche troppo bene, ma poi passa, fidati”, disse Adrien accarezzandole il volto.

“Per quanto mi renda lieto vedervi così, qui si lavora.”

Marinette scattò subito in piedi, “certamente, monsieur, mi scusi-”

“Bene”, disse lui interrompendola di nuovo, “non abbiamo ancora una location, ma questo non vuol dire che gli abiti non debbano essere pronti. Vai in sartoria e guarda a che punto sono, poi vai in magazzino con il nuovo inventario e controlla che sia arrivato tutto e che sia già sistemato.”

“Perfetto”, disse Marinette annotando tutto su uno dei suoi mille taccuini, “altro?”

“Per ora no, puoi andare.”

Marinette con un cenno del capo uscì.

“Tra parentesi, il resto della maison non deve sapere nulla, chiaro?”, disse la ragazza affacciata dalla porta.

“Signorsì, signora.”

“Certamente.”

***

“Oh, che cosa romantica!”

“Lo so”, disse un eccitata Marinette ad un altrettanto eccitato Paul.

Sì, è vero, non voleva che nessuno in ufficio lo sapesse, ma Paul era escluso.

Se non lo diceva a lui, a chi lo doveva dire?

“Siete fantastici davvero. Certo, Adrien lo vedrei meglio con me, ma visto che hai giurato che è assolutamente etero, sono lieto che stia con te.”

“Oh, grazie Paul, mi rincuori sempre.”

“Che dire, mi viene naturale.”

Marinette con l’inventario alla mano stava girando tra gli scaffali del magazzino, come le aveva chiesto monsieur, con Paul dietro che la controllava e sfruttava l’occasione per un po’ di sano gossip.

“Come ti ho già detto, sei l’unico a saperlo e tale deve rimanere.”

“Io e monsieur Agreste.”

“Ti prego, non ricordarmelo! Oggi mi sono comportata come al mio primo giorno di lavoro.”

“Spero non gli abbia anche rovesciato il caffè sul completo bianco ghiaccio.”

“Paul!”

“Scusa, ma è stato un momento troppo esilarante.”

“Per te.”

“Pensa, sarà un bel racconto per i tuoi futuri figli dalle bellissime chiome bionde: come la mamma ha conosciuto il nonno.”

Lei si girò e lo colpì al braccio con la cartellina.

“Ti ricordo che lo conoscevo di già.”

“Ah, va bene, vedo che qualcuno è suscettibile oggi. Eppure non dovresti vedere il mondo in rosa e pieno di cuorinici?”

“Solo perché sto finalmente con l’amore della vita, non devo comportarmi così. Sono realista, sai?”

Paul la guardò con un sopracciglio castano arcuato, “va bene, farai la brava stagista ora, ma fuori maison ci comporteremo da due adolescenti con la loro prima cotta?”

“Ci puoi giurare.”
“Bene, perché mi devi ancora un aperitivo.”

“Ho capito, ci vediamo appena smonto.”

***

Si era pure comportata da professionale stagista con Paul, ma mentirebbe se dicesse che non vedesse il mondo in rosa. Oggi sembrava che tutto le sorridesse, perfino Natalie che la stava guardando da tutto il pomeriggio come se fosse una pazza.

Bè, come dargli torto?

E no, non era pazza d’amore per Adrien (ovviamente era anche quello, certo che era pazza di lui), ma a causa della maledetta porta aperta dell’ufficio di monsieur da dove poteva avere una perfetta visuale della testa bionda del suo chaton, si distraeva decisamente troppo.

Quell’uomo dove essere illegale tanto che era bello. E perfetto. E gentile. E lo aveva già detto che era bello?

Certo bisognava contare anche i suoi innumerevoli difetti, che solo ora aveva avuto il piacere di scoprire, come l’orribile senso dell’umorismo, il voler per forza dare un soprannome alle cose o alle persone, il suo ego e un kwami con altrettanti difetti e innamorato del formaggio più puzzolente di tutta la Francia.

Ma lo amava anche per quello.

Lo amava.

Esisteva un sentimento più forte?

Esistevano parole più forti di un ‘ti amo’? 

No, secondo lei, niente era più forte del sentimento che provava per quell’uomo che riusciva a vedere dallo spiraglio della porta come una perfetta stalker.

"Mademoiselle."

Il braccio che poggiava sulla scrivania e sosteneva la testa di Marinette, cedette, e presto la ragazza si trovò a battere una testata sulla scrivania.

“Sì, Natalie?”, chiese ancora dolorante, mentre con una mano si sfregava la testa. Cavolo l’unica cosa di cui aveva bisogno ora era un livido.

“Odio dirlo, mademoiselle, ma dovrebbe lavorare, non rimanere a guardare l’aria.”

Marinette arrossì, ma fu grata per la scelta di parole di Natalie.

“Certamente. Scendo in archivio.”

Prese alcuni fogli e il telefono per poi prendere l'ascensore e scendere nei sotterranei dell’edificio dove si trovava l’archivio. Sperava di far luce sulla faccenda ‘questione location’ per la sfilata che ormai ci sarebbe stata di lì a poco. E, sicuramente, così facendo, non sarebbe stata distratta ‘dall’aria’.

Appoggiò il telefono e la cartellina di fogli su una delle scrivanie in legno dell’archivio e accese la luce. Davanti a lei si snodavano migliaia di scaffali in legno di quercia pieni zeppi di fascicoli, libri e scatoloni; le pareti bianche appene tinte e la luce accecante donavano luminosità all’ambiente, mentre il parquet sotto di lei scricchiolava.

Si avvicinò allo scaffale più vicino tirandone fuori il quadernone ad anelli con la data di quell'anno.

“Allora è qui che ti sei rintanata.”

Sapeva chi era stato parlare ancor prima di girarsi, “direi più che sto facendo il mio lavoro, chaton.”

Lui, appoggiato allo stipite della porta, sorrise beffardo, “come guardare l’aria.”

Involontariamente, arrossì, “era ovvio che lo avessi sentito.”

“Oh, su, my lady, in realtà lo trovo molto eccitante.”

Si avvicinò a lei  prendendola per i fianchi, “Anche questo archivio in realtà.”

“Scordatelo. Non farò sesso in un archivio.”

“Per quanto lo desiderassi, non vorrei che la nostra prima volta sia così.”

Lei lo guardò negli occhi, nonostante le guance arrossate, e lui non si trattenne più.

Le prese il viso tra lei mai e la baciò come se non ci fosse un domani.

Tornò ad assaporare il gusto del miele che, cavolo, amava, sentì di nuovo la sua pelle morbida tra le sue mani, la curva della vita fino a quella del fianco fasciate da quei pantaloni neri che lo stavano facendo impazzire. Immerse le sue mani nei suoi capelli, neri come la notte e così soffici. Marinette era perfetta, unica e sua.

“Adrien, non-”

“Shshh.”

Continuarono a baciarsi e, per l'amor diddio, Marinette sarebbe morta volentieri in quel momento.

Un colpo di tosse fece staccare tutti e due.

Mentre Adrien la teneva ancora per la vita e lei aveva le mani appoggiate sul petto di lui, si guardarono negli occhi.

Marinette, con gli occhi spalancati, e una faccia sconvolta, “ti prego dimmi che-”

“Penso di sì, mon amour.”

Marinette girò di un quarto la testa e confermò la loro ipotesi.

Forse era meglio se fosse morta veramente mentre baciava Adrien.

“Fatemi capire, scendo fin qui sotto per cercare la mia stagista e la trovo incollata alle labbra di mio figlio.”

“Possiamo spiegare”, disse Adrien con un sorriso furbo ma ancora con la sua lady tra le braccia.

“Davvero?”

“Bè, è una storia buffa.”

Gabriel incrociò le braccia al petto, “chissà perché le tue storie sono sempre buffe.”

Marinette, avendo riacquistato un barlume di lucidità, si staccò dall’abbraccio del suo fidanzato e guardò Gabriel come se volesse sprofondare da un momento all’altro.

“Ero venuta giù per cercare i fogli rifiutati dal comune..”

Gabriel la interruppe, “e li cercavi nella bocca di mio figlio?”

Marinette spalancò gli occhi, quasi scandalizzata, mentre Adrien scoppiò a ridere.

“Bella questa, papà.”

“Io farei meno lo spiritoso, ce n’è anche per te”, gli disse senza scomporsi un attimo, con quel suo tono glaciale che avrebbe fatto paura anche al peggiore dei dittatori.

“Riguardo a te”, continuò posando lo sguardo grigio e freddo sulla stagista.

“A mia difesa, posso dire che mi è saltato addosso.”

“Non direi che tu ti sia lamentata”, commentò Adrien suscettibile.

“Come farlo se una bellezza del genere ti salta addosso?”, esclamò lei. Poi si portò una mano alle labbra e chiuse gli occhi, “voglio sparire.”

“Notizia flash: non sta funzionando”, commentò secco Gabriel.

“potrebbe almeno far finta che ciò accada?”

“No.”

“Mi porta fuori suo figlio da qui, così posso lavorare?”

“Sì questo posso farlo. Tra cinque minuti ti voglio di sopra Adrien, sennò ti segrego in casa.”

Mentre vedevano Gabriel Agreste sparire, Adrien commentò “è diventata la sua minaccia preferita.”

Marinette trattenne le risa a malapena.

“Ridi quanto vuoi, fai pure”, poi l’avvolse di nuovo tra le sue braccia, “ci vediamo stasera?”

“Devo andare ad un aperitivo con Paul o non mi parlerà mai più.”

“Ci vediamo dopo?”

“Può darsi. Ma solo se fai il bravo gattino.”

“Miao.”

***

Quando aveva ricevuto il messaggio di Marinette di incontrarsi alla Tour Eiffel pensava sotto la torre e non sopra. Ma quando aveva visto un lampo rosso sfrecciare nel cielo buio di Parigi e fermarsi in cima alla struttura in ferro, aveva capito cosa la sua insettina volesse e non perse tempo a trasformarsi per raggiungerla.

Rivederla vestita da Ladybug e sopra quella torre a scrutare la città sotto di loro,fu come un colpo al cuore, come se stesse avendo di nuovo un colpo di fulmine. E in effetti, ogni volta che la vedeva era come se fosse la prima volta che si innamorava di lei.

“My lady, non dovremmo utilizzare i nostri poteri per scopi personali, sai?”

“Come se a te interessasse. Hai passato troppo tempo lontano da Parigi per ricordarti che nel duo sono io la ragione?”

“Anche se passassi tutta la vita lontano da Parigi, non mi scorderei mai di te.”

Lei si avvicinò sinuosa nella sua tuta a pois, allacciandogli le braccia al collo, “come siamo romantici.”

“Sono sempre romantico.”

“Certo”, disse lei annuendo e chiudendo gli occhi mentre faceva incontrare le loro labbra in un bacio.

“Quindi per ora ci incontreremo così?”, chiese lui indicando i loro travestimenti.

“Per il momento”, confermò lei, “e non dirmi che non ti piace.”

“Non lo direi mai. Anche perché è qui che ho capito di amarti veramente.”

“Davvero?”, chiese lei inclinando la testa.

Lui annuì, “te lo avevo accennato durante la nostra passeggiata notturna”, disse giocando con un suo codino, che tra parentesi era così strano vederli i capelli acconciati in quel modo visto che non li portava più raccolti così, “eravamo in uno dei nostri turni di ronda, quando ci siamo fermati qui e tu scrutavi dall’alto la città. E i tuoi occhi erano illuminati dalle luci dalla torre, ma non solo. Brillavano di luce proprio grazie all’amore che provi per questa città. In quel momento ho pensato che volevo essere anch’io visto con quello sguardo di completa adorazione e ho capito di amarti veramente.”

Marinette con le lacrime agli occhi gli accarezzò una guancia, “e pensare che siamo stati così ciechi per tutto quel tempo.”

“Ma ora non più”, rispose lui prendendole il viso e baciandole la fronte.

“Ora non più”, confermò lei.

E si baciarono.

Inutile dire che seguirono molti altri baci.



Angolo Autrice
Sono di nuovo di ritardo e sono imperdonabile. Mi dispiaceee, ma tra la scuola e i regali d Natale sono completamente fusa, davvero. Non posso nemmeno dire che sia stato un capitolo particolarmente impegnativo perché non lo è stato, ma è solo colpa mia e del mio poco tempo a disposizione. Sorry.
Come potete capire, questo è un capitolo di passaggio e probabilmente ce ne sarà anche un altro, ma servono per la struttura della storia.
Detto questo vi mando un bacione e, come sempre, vi ringrazio di essere arrivati fino a qui.
Cassie

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Adrien pensò a come era potuto accadere. Come poteva esser tutto scivolato tra le sue mani così facilmente? Ora che era finalmente felice, ora che l’aveva trovata… se esisteva un Dio, gli voleva davvero così male?

“Adrien”, disse sommessamente Plagg, un tono così insolito e strano per un kwami allegro e spensierato come lui.

“Sto bene”, rispose lui seccamente mentre si sistemava il cappotto blu e camminava velocemente.

“Ma-”

“Voglio stare in pace, Plagg, va bene?!”

Si fermò spazientito, passandosi la mano tra i capelli. Fece un respiro profondo e provò a calmarsi; sbraitare contro Plagg non sarebbe servito a nulla, lui non c’entrava niente.

“Mi dispiace.”

L’esserino nero sbucò tra il cappotto e la camicia bianca, “io ci sono per te.”

Plagg si rintanò velocemente nella tasca e lui non capì il perchè, all'inizio.

Poi sentì il rumore dei tacchi sulle mattonelle.

Poteva essere chiunque, tutte in maison portavano i tacchi, era una regola non scritta di Gabriel.

Eppure lui sapeva che non era chiunque.

Si passò le mani sui jeans blu e voltò la testa.

Era Lei.

 

Parigi, 8:30 di mattina

 

Nella sua gonna svasata nera e camicia rosa shocking, Marinette fece il suo ingresso nell’ufficio di Monsieur.

“Sei di ritardo.”

“Bonjour, monsieur”, disse lei posandogli davanti un croissant appena sfornato e il nuovo numero di Vogue.

“Allora, vuoi dirmi perché sei di ritardo o no?”

Marinette pensò a cosa rispondere e alla fine optò per la verità, “mi sono svegliata tardi.”

Gabriel alzò un sopracciglio guardandola male.

“Mi dispiace, sono mortificata.”

“Mi sembra il minimo”, disse lui prendendo la rivista dove spiccava la foto di una Marinette sorridente.

Ancora in piedi, la ragazza dondolò sui suoi tacchi, “è incredibile che sia riuscito ad anticipare la pubblicazione del numero settimanale”, esclamò alludendo al giornale che aveva tra le mani il suo capo.

“L’ho anticipata solo di qualche giorno ed ha avuto un ottimo impatto sulla maison.”

“Ne sono lieta.”

“Visto che non abbiamo risolto ancora alla questione location e ormai mancano poche settimane alla sfilata. Tu ti sei fatta venire un’idea?”

Lei lo guardò dispiaciuta; odiava deludere monsieur, “no.”

“Fammi capire: sei arrivata di ritardo e non hai neppure un’idea?”

Lei scosse la testa non azzardandosi ad abbassare il capo, sennò si sarebbe arrabbiato ancora di più.

La porta si spalancò all'improvviso.

“Nessuno ti ha insegnato a bussare?”, disse Gabriel verso l’idiota che aveva osato interromperlo.

Quando però il suo sguardo lasciò la figura di Marinette, incontrò gli occhi verdi e sorridenti di suo figlio.

“Se non l’hai fatto tu, non vedo chi avrebbe dovuto farlo, papà.” 

Gabriel sospirò esausto, “pensavo di averlo fatto.”

Ma il suo commento venne ignorato bellamente, mentre Adrien si chinava per dare un bacio sulla guancia di Marinette, “di cosa parlavate?”, chiese poi togliendosi il cappotto blu.

“Ti sei messo i jeans?”, chiese invece il padre.

“Sì”, rispose il biondo incerto, “è un problema?”

“Non te li avevo visti più indossare dalla tua adolescenza.”

“Ho pensato che era arrivato il momento di cambiare”, poi si mise a sedere, “comunque, di che parlavate?”

“Di Marinette che è arrivata in ritardo e senza un’idea per la sfilata.”

“Mon amour, non dovresti fare tardi la sera con il tuo fidanzato.”

Lei in tutta risposta sgranò gli occhi e gli dette una manata sul braccio.

“Fuori dal mio ufficio.”

“Ma-”

“Niente ma. Fuori. Ora.”

Marinette annuì e uscì, sedendosi alla sua scrivania.

Poco dopo venne raggiunta anche da Adrien, “a quanto pare siamo tutti e due in punizione.”

“Per colpa tua che mi hai fatto fare tardi ieri sera.”

Lui rise e si sedette sulla sedia davanti alla sua scrivania, “sei tu quella che vuole tenere la relazione segreta. Non lamentarti delle conseguenze.”
“Io non mi sto lamentando delle conseguenze. Io mi sto lamentando di te”, disse piccata incrociando le braccia sulla scrivania.

“Che posso dire, mi mancavi.”

“Ti rendi conto che ci stiamo frequentando da nemmeno una settimana, vero?”

“I miei quattro giorni e tredici ore preferiti”, esclamò lui allungandosi sulla scrivania.

Marinette sorrise di riflesso, ma un colpo di tosse li fece tornare a posizioni più consone.

“Ve ne prego”, disse guardandoli Natalie, alzandosi gli occhiali da vista.

Marinette arrossì, mentre Adrien rise “va bene, Natalie.”

Poi si alzò aggiustandosi i polsini della camicia bianca, “sarà meglio che mi faccia perdonare dal mastino e inizi a lavorare.”

“Oh, perchè, lavori?”

Lui la guardò sorpreso e ridente, mentre si avvicinava a lei, “più di quanto tu pensi”, disse tirandole una ciocca di capelli che aveva lasciato sciolti.

Poi con passo sicuro si diresse verso la porta dell’ufficio di monsieur senza bussare.

“Mi dici cos’hai contro il battere la tua mano sulla porta?”

La porta fu chiusa e Marinette non riuscì più a sentire nulla.

Quando bussarono alla porta dell’ufficio, Natalie e Marinette si scambiarono un’occhiata: monsieur non aspettava nessun visitatore ed era semplicemente strano che qualcuno di non richiesto venisse in quella stanza.

“Avanti”, disse Natalie con il suo solito tono neutro.

La porta fu aperta lentamente, “scusate se vengo  a disturbare ai piani alti, ma dovevo assolutamente parlare con Marinette.”

Il ciuffo castano di Paul si girò nella direzione della ragazza, alzando vittorioso il nuovo numero di Vogue Magazine.

Gli occhi celesti brillavano dall’entusiasmo, “O. Mon. Dieu. Hai visto come sei venuta bene?”

“Sì, Paul”, disse lei imbarazza. Non doveva essere qui, non era mai successo che un dipendente venisse qui senza essere chiamato.

“Merito anche della gonna rosa di tulle che ti ho scovato.”

“Certo, Paul”, disse lei lanciando un’occhiata a natalie.

“E hai visto che la tua faccia tappezza tutta Parigi?”, continuò lui.

“Ovvio, Paul”, rispose lei sempre in trance.

“E questa camicia rosa sgargiante?”

“Sì, Paul.”

Lui sbattè la rivista sulla sua scrivania, “non mi stai ascoltando!”

“Cosa?”, lei saltò per aria, “no, cioè-“

“Non mi stavi ascoltando!”

Cavolo, aveva tirato fuori la parte isterica di Paul.

“No, ascolta”, disse alzandosi dalla scrivania e prendendolo per le spalle, “ne parliamo dopo-“

“Tu non mi stavi ascoltando!”

“Aspetta-“

“Non mi ascoltavi!”

“Hai ragione, hai ragione, okay? Non ti stavo ascoltando e mi dispiace, ma non dovresti stare qui. Ne parliamo dop-“

Uno schiarimento di voce attirò la sua attenzione, “che cosa succede qui? Dopo tutto questo, ora facciamo anche gli show, Marinette?”

La ragazza impallidì, “sono mortificata, monsieur. Paul stava andando.”

“Io..”

Marinette gli strinse forte le spalle, “stavi andando no?”

“Certamente. Buon lavoro.”

Quando Paul uscì, Marinette si preparò al cazziatone che però non arrivò.

Accanto a lui, infatti, c’era Natalie che con il tablet in una mano con l’altra offriva un caffè a monsieur. Il caffè lo calmava sempre.

“A lavoro, Marinette”, esclamò il boss una volta finito il caffè, “non ti pago per guardare il mobilio o me.”

E dopo questa massima, rientrò nel suo ufficio.

Marinette voltò la testa verso Natalie, “grazie”, disse veramente grata alla donna.

Lei scrollò le spalle, “non ho fatto niente e, almeno stavolta, non era colpa tua.”

Marinette fece un mezzo sorriso e si rimise a lavoro.

***

Marinette sospirò; quella giornata sembrava infinita. Paul si era arrabbiato con lei, ma dopo che gli aveva portato uno dei fantastici cappuccini con il caramello che tanto amava, l’aveva perdonata.

Monsieur le teneva ancora il broncio, o meglio una faccia di duro granito che era impossibile da scalfire, e Adrien non lo vedeva dalla mattina. 

Incredibile quanto si era abituata a lui nella sua vita, a come fosse diventato indispensabile per lei così velocemente. 

Se voleva che la loro storia funzionasse, avrebbe dovuto dirlo ai suoi genitori e smetterla di nascondersi agli occhi di tutti.

Quando arrivò la sua pausa caffè del pomeriggio, ringraziò il cielo e comunicò a Natalie che sarebbe scesa nella sala caffetteria della maison.

Era uno dei pochi posti che amava e in cui riusciva ad essere tranquilla. Al piano terra, dietro il pannello della scritta “AGRESTE” e dove si trovava il bancone della reception, si trovava una piccola sala dai vetri oscurati (per evitare i paparazzi) che era accessoria di ogni cosa per godersi una tranquilla pausa.

Appena arrivata, ringraziò ogni kwami che la sala fosse deserta e avviò la macchinetta del caffè. In un piattino mise tre macarons e con la tazzina alla mano si mise a sedere in uno dei bianchi tavolini.

Un bacio improvviso sulla guancia la sorprese.

“My lady”, disse sfiorandole il collo con la punta del naso.

Lei mugugnò soddisfatta, “è da tutto il giorno che non ti vedo.”

“Lo so”, disse lui lasciandole un bacio a stampo, “dovevo lavorare e far sbollire mio padre.”

“È ancora arrabbiato con me?“, Chiese Marinette preoccupata.

“Nah”, rispose lui allontanandosi da lei andando verso il frigorifero, “c’è qualcosa da mangiare? Con tutti quello che dovevo fare non ho mangiato.”

Lei si alzò, “lascia fare a me. Tu siediti e prenditi una pausa.”

Lui annuì e le lasciò il posto, mentre Marinette cercava di arrangiarsi con quello che trovava per fargli un panino.

“Ehy”, esclamò una voce dal taschino della camicia di Adrien, “io vorrei non morire di fame.”

“Quando mai”, esclamò Adrien prendendogli una fetta di camembert.

“Prendimi pure in giro, poi vedremo se continuerai quando ti dovrai trasformare per trovare la tua bella.”

“Va bene”, disse Marinette interrempondoli e posando davanti ad Adrien un piatto in ceramica bianca con il suo panino, “abbiamo capito, Plagg, hai ragione.”

“Oh, qualcuno di intelligente allora esiste!”, poi come se niente fosse, mangiò, o meglio divorò, la fetta di formaggio.

Marinette abbracciò da dietro Adrien, mentre lui, seduto al tavolino, poggiava il capo sul ventre di lei, “non dovresti incoraggiarlo, my lady.”

“Hai ragione”, sussurrò lei, “ma adesso abbiamo un po’ di tempo per noi e, per quanto mi diverta, non vorrei trascorrerlo a vedere te e il tuo kwami che litigate.”

“Più uno scambio di opinioni.”

lei sorrise alzando un sopracciglio, “chiamalo pure come vuoi.”

Poi si abbassò e lo baciò.

“Voglio dirlo.”

“Cosa?”, chiese lui prendendole una mano tra le sue.

Marinette ignorò i brividi e le scosse che il suo tocco le avevano appena causato e cercò di concentrarsi su ciò che voleva dire, “do nii.”

Adrien tirò fuori il ghigno, “riprovaci.”

Lei arrossì resasi conto che aveva sbagliato a parlare, di nuovo, come quando era al collegè.

“Volevo dire”, prese un respiro profondo, “di noi. Voglio dire che stiamo insieme.”

Gli occhi di lui brillarono, “davvero?”

Marinette annuì.

“Ne sei sicura?”, chiese Adrien alzandosi e prendendole il viso tra le mani, “lo vuoi davvero?”

“Sennò non te l'avrei chiesto.”

Lui sorrise e la baciò forte, “mi hai appena rallegrato la giornata.”

“Bene, perché lo dovrò dire a miei genitori e pensavo di farlo stasera.”

“Questa è la mia eroina dalla tuta rossa a pois.”

“Vieni a cena da noi?”

“Certo, chi si perderebbe la cucina di tuo padre?”

Plagg, dietro di lui, annuì, “concordo.”

“Ho il dubbio che tu stia con me solo per aver accesso alla pasticceria dei miei.”

Lui la prese per la vita e la attirò a sé, “fidati, è per ben altri motivi.”

Sulle sue labbra nacque un sorriso spontaneo, “lo spero”, disse prima di baciarlo.

***

Parigi, 18:30 di pomeriggio

 

Marinette finì di sistemare gli ultimi documenti e gli ultimi appunti per monsieur, pronta per tornare prima a casa e dare una mano a sua mamma per la cena con Adrien. In poco tempo era diventato un evento così importante per Sabine, che nemmeno se si fosse presentata la Regina Elisabetta II sarebbe stata così in ansia.

“Mademoiselle.”

“Sì, Natalie?”

“Devo uscire per un compito che mi ha affidato monsieur Agreste”, disse neutra mentre indossava il suo abituale cappotto, senza nessuna decorazione e senza nessun colore, solo nero e semplice come Natalie.

“Capisco.”

“Per favore, rimani in ufficio finché non verrà l’appuntamento per monsieur Agreste, poi sei libera di tornare a casa.”

“Certamente, nessun problema. Per che ore è fissato l’appuntamento?”

“Doveva essere già qui, in realtà.”

“Va bene.”

Natalie stava uscendo ma si fermò sulla porta, “non so se ti può interessare, ma monsieur Adrien è uscito qualche minuto fa per andare a comprare dei fiori.”

Lei sorrise e scosse la testa, ‘gli avevo detto che non ce n’era bisogno’, pensò.

“Grazie mille, Natalie.”

Quando rimase da sola nel suo ufficio, si prese un momento di pausa. Cavolo era così eccitata ed in ansia che non c’erano abbastanza parole per descriverlo! 

Stava con l’uomo che amava da una vita e tra poco lui avrebbe ufficialmente conosciuto i suoi genitori; le sembrava di vivere in un sogno, un sogno che finalmente si realizzava. Forse tutti quegli anni di sofferenza e dolore erano per portarci a questo, a questo lieto fine.

Non sentì bussare alla porta, ma sentì chiaramente la maniglia che si abbassava.

“Bonsoir”, esclamò Marinette alzandosi, ma se ne pentì poco dopo.

“Bonsoir, Dupain-Cheng.”

“Che ci fai qui, Chloe?”

Lei scosse il capo biondo, “ho un appuntamento con Gabriel Agreste”, incredibile come riuscisse a mantenere quel tono di superiorità in territorio nemico.

Marinette indicò l’agenda, “non ti dispiace se controllo.”

“Affatto”, rispose la bionda sistemando la borsa Louis Vuitton al suo braccio.

La mora aprì velocemente l’agenda di monsieur per scoprire che Chloè aveva ragione, lei era l’appuntamento delle 18:30.

“Bene”, continuò mantenendo un comportamento il più professionale possibile, “vado a dirgli che sei arrivata.”

Non riuscì a muovere le sue Louboutin nude che la voce di Chloè la fermò, “prima vorrei parlarti, se possibile.”

Ad enfatizzare di più ciò, appoggiò la borsa sulla sedia posta davanti alla scrivania di Marinette e si tolse il pellicciotto bianco che indossava.

Marinette giurò che odiò dover apprezzare l’outifit della bionda, ma chiunque avrebbe invidiato il tubino sportivo nero firmato Armani jeans abbinato a quel sandalo gioiello tacco quindici centimetri. I suoi piedi, che già stavano soffrendo per il suo tacco dieci, le fecero male un po’ di più al pensiero di stare tutto il giorno su un tacco quindici.

“Certo, dimmi tutto.”

Sinceramente? Non sapeva cosa aspettarsi visto che la sua ultima chiacchierata con la bionda non era stata proprio piacevole.

“Mentre scendevo ho incontrato Adrien, incredibile quanto riesca ad essere sempre più bello.”

“Possiamo sorvolare questi commenti?”

“Come ti dicevo, ho incontrato Adrien e mi ha raccontato un paio di cose e mi ha invitato ad un pranzo con la sua nuova ragazza.”

Non avrebbe mai sopportato un pranzo con Chloè, questo era sicuro, ma per Adrien avrebbe fatto questo e altro.

“E..?”

“Mi ha detto che la ragazza in questione sei tu. Tu, Marinette, sei la sua ragazza.”

“Quindi?”, chiese la mora incrociando le braccia sotto il seno in maniera difensiva, “Problemi? Sei ancora innamorata di lui?”

La bionda portò un piede in avanti in un modo aggraziato così da far brillare gli Swarovski sul sandalo, “non sono innamorata da Adrien da moltissimo tempo, forse non mi è mai realmente piaciuto un quel senso”, disse mettendo le braccia sui fianchi, “ma sono una sua amica, se non la sua migliore amica. E tu, dopo quello che mi hai chiest-“

“Avevi detto che non saresti tornata sull’argomento”, la interruppe Marinette, “hai impedito persino la sfilata di monsieur con questo ricatto.”

“Non mi interessa di una stupida sfilata, a me interessa Adrien.”

Marinette, seppur piena di rabbia verso Chloè e la sua chioma perfetta nella piega ondulata, rimase colpita di quanto la bionda tenesse ad Adrien. Certo in un modo quasi contorto lo dimostrava, però era impressionante.

“Voglio solo che stia bene e che sia felice.”

“Anche io”, disse Marinette per trovare un punto in comune.

“Ah, davvero”, esclamò sarcastica la bionda, “lo pensavi anche quando mi hai chiesto di convincerlo ad accettare il master a Londra?”

La morta si sentì presa in contropiede.

“Io-“

“Mi spiace dirtelo, Marinette Dupain-Cheng, ma in quel caso hai pensato solo a te stessa.”

La ragazza indietreggiò, “non capisci..”

“Fin troppo, hai mai pensato di non essere l’unica con una ferita di cuore? Ho accettato la tua proposta di mandare Adrien a Londra perché ho pensato che fosse la miglior cosa per lui e la sua miglior occasione, ma so anche quanto ha sofferto.”

“Non ha sofferto solo lui”, si sentì di dover precisare Marinette.

“Certo che no”, rispose Chloè ricomponendosi, “le tue occhiaie e il tuo sorriso triste non sono passate inosservate all'elite di Parigi. Ma è successo solo perché hai preso tu questa decisione.”

Marinette stava pensando a come troncare quel discorso, quando la porta lasciata metà aperta, cigolò.

Un Adrien alquanto confuso e con un mazzo di fiori ai suoi piedi, le stava guardando.

Marinette si sentì il cuore stringere in una morsa e lo stomaco si ribaltò sotto sopra; le veniva da vomitare. Possibile che lui avesse sentito?

Quando la guardò negli occhi ebbe la sua risposta e sentì le lacrime iniziare a formarsi.

“Non..non è vero, giusto?”, le domandò il biondo guardandola negli occhi, “quello che ha detto Chloè su Londra, quello che tu le hai chiesto di fare.. Dimmi che non è vero, Marinette.”

La stava supplicando con gli occhi verdi, la stava supplicando di dire che non era vero, che aveva sentito male e che si era sbagliato, ma lei non riusciva ad emettere alcun suono; non davanti ai suoi occhi che le ricordavano l’incontro che ebbe anni fa con Chat Noir sul suo balcone, aveva lo stesso sguardo triste e deluso.

Gli occhi verdi iniziarono a luccicare, “Marinette dì qualcosa!”, esclamò avvicinandosi di un passo, “dimmi qualsiasi cosa!”, gridò con rabbia.

“Io…”

Non riusciva a parlare.

Non poteva deluderlo.

Non voleva deluderlo.

“Io, cosa? Io, cosa, Mari!”

Non poteva mentirgli in faccia spudoratamente. Non lo aveva mai fatto e non avrebbe iniziato ora, non al suo Chaton.

“È...è vero”, rispose con voce tremante mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.

Lui la guardò con la bocca e con gli occhi spalancati, quasi incapace di poter credere alle sue orecchie. 

Sentì gli occhi di tutti puntati su di lei, ma le importavano solo degli occhi verdi che la stavano guardando con rabbia e delusione.

Poi quegli occhi sparirono, Adrien stava uscendo con passo di carica fuori dall’ufficio.

“Che fai qui?”, esclamò Chloè.

Marinette non le importò se si mostrava alla sua peggior nemica, che forse non lo era più così tanto, come un panda con il mascara colato e con gli occhi rossi dal pianto, e si voltò per affrontarla, ma incontrò un paio di occhi grigi.

Monsieur. Alias, Gabriel Agreste.

“La signorina Chloè ha ragione”, e con un cenno indicò la porta.

Non se lo fece ripetere due volte e, incurante dei tacchi a spillo di dieci centimetri, iniziò a correre verso l’amore della sua vita.



Angolo autrice
Lo so, sono pessima: è quasi Natale e dovremmo essere tutti più buoni e io vi pubblico questo. MA, ma, era giunto il momento e non potevo più rimandarlo; per questo ci ho messo più del necessario a scriverlo, a corrggerlo e pubblicarlo, mi sento orribile a rovinare questi due che finalmente si erano messi insieme.
Bene, come sempre ringrazio tutti voi e concludo questo triste capitolo con un motto parigino che praticamente riassume il tutto: C'est la vie.
Un bacio,
Cassie


p.s: chiedo venia se ho commesso qualche errore di scrittura o battitura, ma ho cercato di fare i salti mortali per poterlo pubblicare entre il weekend.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


“Adrien!”

A poco importava se si fosse rotta l’osso del collo in quella folle corsa con i tacchi a spillo, ma mai lo avrebbe lasciato andare.

Lui era immobile, al centro della hall della maison Agreste. Si voltò lentamente verso di lei, mostrandole gli occhi verdi arrossati per l’imminente pianto. La visione dei suoi occhi la fecero arrestare; le sembrava che qualcuno le avesse appena dato un pugno in faccia.

“Cosa c’è?”, gli chiese lui in tono duro, “devi ancora svelarmi uno sporco segreto?!”

“Adrien..”, riuscì a dire lei a fatica, “ti prego io..”

“Io, cosa, Marinette?!”

“Almeno lasciami spiegare!”, esclamò lei spalancando le braccia, completamente disperata.

Lui si passò la mano tra i capelli, spettinandoli, “ti do dieci minuti, poi me ne vado.”

Lei annuì cercando le parole giuste, “ecco, io...è vero: ho chiesto a Chloè di spingerti ad accettare il master a Londra.”

Adrien si passò una mano sugli occhi, “dovrei ringraziarti per l'onestà?”

“L’ho fatto perché tu non perdessi questa occasione e...e… e perché avevo pau-paura”, disse lei abbassando lo sguardo.

“Paura?”, esclamò lui di un’ottava più alta.

Lei annuì, smuovendo i capelli neri, “avevo appena perso”, si bloccò un attimo e lo guardò negli occhi sperando che capisse chi era il soggetto della sua frase; e lui, ovviamente, capì, “e mi stavo così velocemente affezionando a te che quasi ne dipendevo. E anche tu, non dirmi diversamente.”

Lui annuì, restando ancora in silenzio.

“Ho avuto paura di quanto stessi dipendendo da te e avevo paura che questo fosse causato dalla mia recente perdita. Non volevo illuderti nè farti star male, ma se devo essere veramente sincera, io non volevo continuare a star male perché l’amico in nero che avevo perso, non era solo un amico. Mi sono accorta che lo amavo, ma era troppo tardi per dirlo. E, poi, improvvisamente, mi trovo a ri-innamorarmi di te e.. e ho avuto paura. Per questo ti ho allontanato e ho fatto quello che ho fatto.”

Dopo il suo discorso, alzò lo sguardo cercando quello di Adrien, ma lui guardava oltre di lei, non voleva guardarla negli occhi.

“Mi dispiace”, disse lei con voce rotta.

A quelle parole, lui si girò guardandola con tutta la rabbia di cui era capace.

“Mi sembra il minimo che ti dispiaccia! Capisco il tuo punto di vista, il tuo motivo”, disse lui gesticolando con le mani, “ma il problema è che tu, tu Marinette, hai scelto per tutti e due. Non mi hai considerato, hai semplicemente preso una decisione ed è stata quella!”

“Io...Adrien..”

Lui la guardò con sguardo freddo e impassibile.

Lei non era Marinette, la sua lady, la ragazza di cui si era innamorato tempo fa.

“La conversazione finisce qui”, e con falcate pesanti si incamminò verso l’uscita.

“Adrien!”, gli urlò lei come ultima speranza. Ma lui non si voltò, camminò dritto davanti a sé fino a che non si trovò in strada e sparì dalla sua vista.

A quel punto, Marinette non trattenne le lacrime e nemmeno i singhiozzi. Si accasciò sul pavimento, portando una mano alla bocca, cercando di far silenzio.

Riconobbe subito il sandalo tacco quindici ricoperto di swarovski che si fermò accanto a lei, “datti un contegno se non vuoi che tutti ne parlino.”

“La maison è praticamente vuota, lasciami in pace Chloè”, esclamò lei con rabbia, tra le lacrime. Poteva almeno piangere il suo dolore in pace?!

“Non lo sai? In questo posto anche i muri hanno le orecchie e gli occhi.”

Marinette sentì il rumore di oggetti che si muovevano, poi vide un elegante mano con unghie smaltate di rosa pastello porgerle un fazzoletto di carta.

“Non ti ho mai voluto vedere insieme ad Adrien, ma non ti ho nemmeno mai voluto vedere in questo stato. Bè, forse un tempo…”

“Grazie...credo.”

Restano per un po’ in silenzio, Marinette ancora sul pavimento che si asciugava le lacrime, Chloè in piedi  accanto a lei.

“Bene, direi che il momento è durato anche troppo”, esclamò di punto in bianco la bionda.

“Concordo.”

Chloè uscì dall’edificio, senza dire altro, mentre Marinette si alzò per tornare in ufficio a prendere le sue cose.

Al protetto, nello spazio chiuso dell’ascensore, si guardò allo specchio: si sistemò e ravvivò i capelli, asciugò le lacrime e tolse il mascara colato.

Nessuno avrebbe dovuto sapere nulla perché nessuno sapeva della sua relazione con Adrien.

Forse avrebbero potuto sistemare le cose, forse avrebbe potuto rimediare e Adrien avrebbe potuto perdonarla.

Ma sapeva anche lei che se c’era qualcosa che Adrien detestava erano i bugiardi e chi ostacolava il prossimo.

Cavolo, lei aveva fatto entrambe le cose!

Sospirò e si diresse a testa alta nel suo ufficio.

Per fortuna, Monsieur era rientrato nel suo studio; non ce l’avrebbe fatta a fingere che andasse tutto bene.

Prese velocemente il cappotto, la borsa e il telefono, leggendo gli ultimi messaggi.

Due di Alya che le inviava le foto del nuovo posto che avevano visitato lei e Nino, uno di Paul che l’aggiornava su un pettegolezzo sentito sulla segretaria del secondo piano e uno di sua madre. Le chiedeva a che ore Adrien sarebbe venuto. Prima che scoppiasse di nuovo a piangere, uscì da quell’edificio.

***

Quando arrivò a casa, si tolse le scarpe alte e il cappotto, lasciò la borsa al suo ingresso e scappò di sopra. O meglio, cercò di farlo.

“Tesoro, dove vai? Per favore prima apparecchia la tavola, poi potrai andare a farti bella per Adrien”, e Sabine concluse la frase con una risata giuliva.

Come avrebbe affrontato sua madre?

E suo padre?!

Loro si era fidati di lei e l’avevano supportata come sempre e ora li avrebbe delusi, di nuovo.

Dopo Luka, anche Adrien.

“Mamma”, disse cercando di non mostrarsi abbattuta, “Adrien stasera non verrà.”

Probabilmente, non verrà mai più. Non dopo la reazione che ha avuto, così impassibile e freddo che non sembrava nemmeno lui.

“Oh”, Sabine posò sul ripiano della cucina la torta salata che teneva tra le mani e cercò di non apparire delusa, “ha avuto un impegno? Chiedigli se vuol venire domani…”

“...non verrà, maman.”

La vista del volto di sua madre era diventato troppo e alzò lo sguardo al cielo.

“Tesoro, vuoi-“

“No”, tirò su col naso e fece un sorriso triste, “voglio solo andare in camera mia.”

Sua madre la abbracciò brevemente, “va bene, parlo io con tuo padre.”

Marinette annuì e si rinchiuse nella sua mansarda. Chiuse a chiave la botola e a quel punto di lasciò andare.

Mentre piangeva, si tolse la camicia rosa shocking e la gonna, indossando invece il suo caldo e comodo pigiama.

Piegò i vestiti che si era tolta e li appoggiò sulla scrivania; fu a quel punto che la vide.

Davanti al computer era posata un’unica rosa nera.

La prese con delicatezza tra mani e, se possibile, pianse ancora più di prima.

“Marinette”, la voce tenue di Tikki le arrivò ovattata.

“Marinette, ti prego basta.”

“Non posso”, rispose lei tra un singhiozzo e l’altro, “è finita, Tikki.”

“Non dire così.”

“Perché non dovrei?! L’hai vista, no?”, disse indicando la rosa.

Tikki annuì, “è un buon-“

“Non lo è, Tikki!”

Dopo l’urlo di Marinette, rimase per qualche secondo il silenzio rotto solo dai respiri affannosi di Marinette e quelli impauriti di Tikki.

“Scusami, non volevo.”

La kwami la abbracciò.

“Questa rosa me l’ha portata lui, ormai è il suo marchio di fabbrica”, disse con un sorriso che spuntava in mezzo alle lacrime, “la rosa nera è simbolo di abbandono e solitudine.”

La portò al petto e abbassò il capo, annusandone il profumo.

Avrebbe giurato che aveva sentito leggermente anche Gabriel, il profumo che solitamente Adrien usava.

“È finita. È finita, Tikki.”



Angolo Autrice
Buonasera a tutti! Tranquilli, le feste non mi hanno ancora ucciso, sono viva. So che sono di ritardo e che il capitolo è un po' più corto rispetto al solito, ma questo doveva essere Il Capitolo, con la C maiuscola, della tristezza. E non potete capire quanto è stato difficile scrivere la rottura di questi due e la conseguente disperazione dei protagonisti. Pensare che ho affrontato solo Marinette e, che molto probailmete, ora mi tocca Adrien, mi strazia il cuore. 
Oltre a questo e ai drammi da pazza scrittrice quale sono, vi ringrazio infinitamente e mi scuso per eventuali errori.
Vi auguro buon anno e spero che possiate godervi gli ultimi giorni di vacanza,
Noi ci vediamo sempre qui,
Cassie

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Il sole illuminò l’enorme stanza da letto del giovane Agreste, ma non svegliò proprio nessuno. Adrien, infatti, era già in piedi con indosso solo un paio di pantaloni grigi della tuta e, appoggiato alle grandi vetrate, ammirava il sole che sorgeva.
La luce gli ferì gli occhi verdi, ma a lui non importò, non importava più nulla.

Non gli importava delle occhiaie che aveva a causa della notte passata in bianco.

Non gli importava della stanchezza.

Non gli importava della tristezza o del dolore.

Oramai, non gli importava più nulla.

L’unica luce della sua vita, l’unico sole, se ne era andato, era stato adombrato. 

Rimase ad ammirare il paesaggio davanti a lui e gli venne in mente che la sua lady era solita a farlo. 

Con un gesto fulmineo prese il libro là vicino e lo scagliò contro il muro.

Gli aveva mentito!
Per tutto questo tempo, l’aveva guardato in faccia e nascosto la verità. Come era riuscita a farlo con una tale disinvoltura?
A lui, poi!
L’aveva giurato amore e poi...poi...scopre questo! Cavolo, lui era stato un anno lontano da suo padre, dalla sua città e lei aveva orchestrato tutto.

Voleva che stessero lontani, voleva allontanarsi da lui.

Non riusciva a capire!

Si mise seduto sul letto, poi crollò all’indietro con il busto guardando il soffitto.

In realtà capiva, capiva il suo pensiero e cosa l’aveva spinta a farlo.

Ciò che non capiva era perché non ne aveva parlato con lui; insomma, erano due persone adulte che di regola dovevano comunicare e riuscire a risolvere insieme i problemi, invece no! Era stata zitta e aveva agito alle sue spalle!
Cosa doveva fare?

Come doveva comportarsi con lei?

Si passò una mano tra i capelli biondi e li vennero in mente i suoi occhioni celesti pieni di lacrime che lo guardavano e, improvvisamente, sentì anche lui gli occhi lucidi.

Poteva essere arrabbiato nero con lei, ma la vista di Marinette in lacrime gli avrebbe sempre spezzato il cuore.
Nonostante tutto, lei è una parte di lui.
Meglio dire, era.

“Oh, Adrien!”, esclamò un esserino nero, volandogli accanto.

“Che c’è, Plagg? Niente ‘moccioso’?”

“Non puoi ridurti a zero per una ragazza, non di nuovo.”

“Il problema è questo”, esclamò il padrone alzandosi di botto, “lei non è una ragazza, lei è Marinette, è la mia lady, è La ragazza.”

“La ragazza con la ‘L’ maiuscola? Quella ragazza?”

Adrien sospirò e per l’ennesima volta si passò la mano fra i capelli, “sì.”

“Amico...sei messo male.”

“Davvero? Non l'avrei mai detto.”

Un colpo alla porta fece nascondere subito Plagg.

“Oggi vieni in maison?”, chiese suo padre, stranamente preoccupato.

Indeciso, Adrien fece passare il peso da un piede all’altro.

Vedendo il silenzio davanti a quella domanda, Gabriel scrollò le spalle, “tra quindici minuti io vado, se vuoi venire, scendi per quell’ora”, poi chiuse la porta e Adrien sentì i passi del padre che si allontanavano.

Crollò sul divano e rimase a fissare il nulla davanti a sé per un tempo indefinito.

Nella testa gli rimbombarono le parole di Plagg: “non puoi ridurti così per una ragazza, non di nuovo.”

No, non lo avrebbe fatto.

Non avrebbe stoppato la sua vita un’altra volta.

Asciugò una lacrima che scendeva sul suo volto e guardò l’orologio.

Aveva ancora sette minuti.

***

Quella mattina fece fatica ad aprire gli occhi. Un po’ perché non aveva dormito, un po’ perché da quanto era depressa e senza vita, ieri sera non si era struccata, ed ora, anche grazie al mascara mezzo colato, aveva le ciglie attaccate.

Si alzò con una tale sgraziatezza che sicuramente non avrebbe potuto essere paragonata ad una principessa disney; tranne, forse, Anna (Tikki amava i cartoni della Disney, in special modo Frozen).

La prima cosa che fece fu lavarsi il viso nella speranza di tornare a vedere correttamente, poi prese il cellulare e guardò se le era possibile lavorare da casa per oggi.

Non ce l’avrebbe fatta a rivederlo oggi.

Non ce l’avrebbe mai fatta e basta!

Vedere la sua delusione e la sua rabbia negli occhi era stato...anzi, è stravolgente. E in senso negativo.

Anche al solo pensarci le veniva da piangere, come avrebbe potuto guardarlo negli occhi?

Oh, mannaggia a lei a quando aveva valicato il confine della professionalità!

Il trillo del suo telefono la scosse e vide la risposta affermativa da parte di monsieur. Bene, avrebbe potuto mangiare quella vaschetta di gelato alla stracciatella in santa pace.
Legò i capelli in una crocchia alta e disordinata, indossò la vestaglia rosa shocking sopra il pigiamone in pile viola, poi scese in cucina a recuperare il dolce in questione con ai piedi le ciabatte nere con delle simpatiche orecchie da gatto.
Sicuramente, chi l’avrebbe vista ora, non avrebbe mai potuto pensare a lei come una stilista.
O ad una che potesse lavorare nel campo della moda.

Sicuramente, sarebbe apparsa come una disperata con il cuore in mille pezzi.

Ed, in realtà, era effettivamente ciò.

***

Passò tutto il tragitto in macchina a pensare come sarebbe stato rivederla.

Avrebbe dovuto ignorarla?

Avrebbe dovuto guardarla con odio?

Bè, si era fatto tante paranoie per nulla visto che lei non era alla sua scrivania.

Era di ritardo come suo solito, pensò.

Solo qualche ora più tardi, dopo che di lei non si era vista nemmeno l'ombra, apprese da Natalie che quest’oggi la signorina Marinette avrebbe lavorato da casa. Suo padre in persona le aveva dato il permesso.
Annuì, distaccato, e continuò a controllare quei numeri che improvvisamente stavano iniziando a girare.

Arrivata la sera, decise che era arrivato il momento di tornare a casa, indossò il cappotto nero e passò di nuovo davanti alla sua scrivania.
Mentre era da solo, dentro l’abitacolo dall’ascensore, pensò che in realtà fosse un bene che Marinette non si fosse presentata in maison quel giorno.

Era stato un bene, perché lui non si era dovuto preoccupare di come comportarsi vicino a lei.

Era stato un bene, perché non aveva dovuto fingere che non gli importasse niente di lei.

Era stato un bene, perché lei non si era accorta che il suo sguardo cadeva, ogni cinque secondi, verso la sua scrivania.

Era stato un bene, perché non si era accorta che lui l’amava ancora.

Certo, era stato proprio un bene.

***

“Capisci, Paul?! Capisci?!”

“Certo che capisco, ma anche tu a farti scappare quel bocconcino!”

Bene, si era scoperto che Paul e sua madre erano diventati veramente amici.

Infatti, dopo aver passato la mattina ad ammazzarsi di lavoro, e anche il pomeriggio, mangiando gelato e dolci vari rubati dalla pasticceria dei suoi genitori, si era presentato in camera sua Paul con un aperitivo a domicilio e, dietro di lui, spuntava la faccia di Sabine con un sorriso di scuse.

Doveva ringraziare il cielo per avere delle persone che si preoccupavano così tanto per lei; e anche Paul per aver portato alcol ed altro gelato.

“Per due volte te lo sei fatto scappare!”

“Non infierire”

“Continuerò a farlo.”

Sì, ovviamente, aveva raccontato a Paul tutto ciò che ieri era successo.

“Grazie, sei unico”, rispose Marinette affondando per la milionesima volta il cucchiaio dentro la vaschetta di gelato.

“Lo so.”

“Ero ironica.”

“Io no”, rispose lui bevendo un sorso di birra.

Poi le strappò il cucchiaio dalle mani e se lo portò alla bocca.

Improvvisamente non la circondavano le pareti di camera sua, ma era sulla Senna, di sera, e stava passeggiando accanto ad Adrien. Avevano appena comprato il gelato da Andrè e lui stava assaggiando il suo, rubandole la paletta.

“Ingrasserai di 10 kg così!”

L’immagine di loro due che camminavano di sera sulle sponde illuminate della Senna sparì e si ritrovò davanti agli occhi lo sguardo aggrottato e di rimprovero di Paul.

“Di qualcosa dovrò pur morire. Così non lo rivedo domani a lavoro.”

Lui scosse la testa, tenendo sempre a distanza il cucchiaio, “sei intelligente, speravo ci fossi già arrivata.”

“A cosa?”, chiese Marinette con le mani che iniziavano a gelare a causa della vaschetta che teneva tra esse.

“Che non potrai fuggire da lui per tutta la vita. Lo rivedrai prima o poi, soprattutto se lavori per suo padre.”

La ragazza lasciò il gelato e sprofondò tra i cuscini che aveva posato sul pavimento per stare più comodi, “pensi che dovrei licenziarmi?”, il pensiero era arrivato così, fulmineo, e lei lo aveva espresso senza rifletterci su.

Il sorso di birra andò di traverso a Paul tanto che stette a tossire per alcuni secondi.

“Stai scherzando spero! Quel posto senza di te sarebbe una noia incredibile, chi mi farà più ridere con le sue figuracce con monsieur?”

Lei lo guardò male e lui si ricompose.

“Volevo dire: non posso stare senza la mia migliore amica.”

“Lavoravi lì da prima di me.”

Lui sbuffò, “e che c’entra? Mi sarò abituato alla tua presenza.”

Marinette sorrise e lo abbracciò di slancio; voleva molto bene a Paul, non sapeva come, ma lui era diventato fondamentale nella sua vita.

Lui ricambiò la stretta, prima un po’ impacciato, poi con più decisione.

“Anche io ti voglio bene.”

“Sì sì, certo. Possiamo finire il momento sdolcinato?”

Lei rise e poco dopo anche lui si unì a lei.

“Bene, allora domani mattina ti aspetto in maison?”

La faccia di Marinette sbiancò in un attimo, “devo proprio?”

Lui la guardò male, poi cedette, “se lo fai ti ridò il gelato.”

Marinette rifletté: la proposta era allettante.

“Ma tu mi accompagni?”

Davanti agli occhi celesti spaventati, Paul annuì, “a patto che tu non faccia il solito ruolo della ragazza disperata, struccata e malconcia per una rottura.”

“Ma-”

“Niente, ma. Noi non cadiamo nei clichè, lavoriamo da Agreste.”

“Io-”

“O ti rendi presentabile o scordati che io ti passi a prendere.”

Marinette alzò il sopracciglio, pronta a rispondergli a tono.

“E scordati del gelato.”

Questo era ingiusto e scorretto!

“Va bene”, annuì sconsolata.

Paul alzò le braccia al cielo in segno di vittoria, gasandosi più del dovuto.

“E ora ridammi il gelato!”



Angolo autrice
Buonasera gente! Oggi la giornata non è stata al top, quindi mi sono rinchiusa nella scrittura, sperando di risollevarmi il morale e al contempo rallegrare voi (anche se con questo capitolo la vedo un po' dura). Detto questo, ringrazio infinitamente tutti voi che leggete, commentate o mi aggiungete nelle storie preferite/da ricordare, per me è sempre fonte di forza!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Come aveva promesso a Paul, aveva fatto di tutto per non apparire la classica ragazza disperata dal cuore spezzato.

Si era fatta una bella doccia e aveva asciugato con insolita cura i suoi capelli, cercando di non far capire che aveva passato la serata tra gelato ed alcol (più gelato che alcol). Era stata davanti al suo armadio per una buona decina di minuti, cercando con tutta se stessa di non cadere nel provocante richiamo della tuta, ma di vestirsi in maniera appropriata, da degna stagista di monsieur Agreste. 

Aveva tirato fuori la sua parte più da Marinette, scegliendo un look composto solo da sfumature di rosa: la gonna dritta che finiva a metà coscia era di un rosa shocking sgargiante, la camicia era rosa chicco con le spalline decorate da piccole perle. Per non parlare del cappotto dritto e lungo fino alle ginocchia che presentava una texture scozzese, però dalle mille sfumature di rosa.

Le scarpe erano probabilmente la cosa più sobria: delle semplici décolleté nude tacco dodici centimetri di Oscar de la Renta. Aveva lasciato i capelli lisci, al naturale, aveva passato molto tempo a truccarsi -il che era strano.

Aveva scoperto che per stendere l’eyeliner doveva essere completamente concentrata e, di conseguenza, non pensava ad altro che: “non sbagliare”. 

Se lo avesse saputo prima, non avrebbe passato la sera tra alcol e gelato per dimenticare Adrien, ma tra gelato e eye-liner.

Il gelato non si molla in nessun caso!

Insomma, era restata così concentrata sul fatto che restare attenta a come stendere l'eyeliner non la faceva pensare ad Adrien, che aveva finito per sbagliare, quindi aveva dovuto struccarsi metà occhio e rifarlo da capo.

Ci aveva messo cinque minuti più del necessario; facciamo dieci.

Aveva, poi, perso del tempo per trovare la catena d’oro che indossava come collana insieme al ciondolo con la A di Agreste.

Era scesa di corsa e aveva recuperato la borsa che solitamente usava per lavoro, quella nera dell’ultima collezione autunno-inverno di Agreste, e vi aveva attaccato una catena dorata dalla quale pendevano delle perle e il logo della maison. L’aveva realizzata lei stessa ed era fiera del risultato. 

Aveva deciso che si sarebbe circondata da piccole gioie e speranze, come quella catena, per evitare di scendere nella tristezza e nella depressione.

Forse in molti si staranno chiedendo: come ha fatto Marinette a fare tutte queste cose di prima mattina quando siamo tutti degli zombie? 

Semplicemente, la mora era alzata dalle cinque del mattino, incapace di dormire dell’altro a causa di un certo ragazzo biondo. Alla fine ci aveva rinunciato e aveva speso quel tempo a prepararsi per la mattina di lavoro.

Adesso si trovava sul marciapiede davanti alla boulangerie dei suoi genitori con gli occhialoni da sole calati sugli occhi, e aspettava Paul.

Cavolo, per una volta che era in orario sarebbe arrivata in ritardo a causa sua!

Sospirò e guardò il cellulare nella speranza che le fosse arrivato un messaggio da parte del suo amico.

Nulla, il vuoto totale, vedeva solo la foto dell’abito da red carpet che lei e Gabriel avevano disegnato assieme: un abito bianco semplice e ricercato, esattamente come Gabriel Agreste. 

Il rumore di una macchina che si avvicina, le fece spegnere il telefono e posarlo in borsa. 

Paul la guardava da dietro i suoi occhiali da sole comodamente seduto nella sua macchina blu cobalto.

“Bene, vogliamo andare o continuiamo a scrutarci?”

Marinette si avviò velocemente dentro la macchina, stranita dal fatto che Paul non avesse fatto nessun commento.

“Come va?”

“Mi stai chiedendo se mi è passata la depressione? Perché no, non mi è passata.”

“Bè, a me non è passata la sbronza, siamo pari.”

Marinette abbassò gli occhialoni, evitando di commentare che non era affatto la stessa cosa. 

“Vorrei non incontrarlo”, disse lei rialzando gli occhiali.

“La vita non va mai come vogliamo.”

Lei annuì e restarono per un po’ in silenzio, con solo la radio che annunciava le ultime notizie.

“Piuttosto”, iniziò il suo amico mettendo la freccia per girare a destra, “perché hai deciso di travestirti da fata confetto?”

Ora sì che riconosceva che Paul.

***

Varcò la porta della maison con le sue Oscar de la Renta, agguantandosi alla borsa come se fosse un salvagente.

“Visto?”, disse Paul che era accanto a lei, “niente di cui preoccuparti: è sempre la solita maison, con le solite persone.”

“Dillo per te”, esclamò lei togliendosi gli occhiali.

“Bene fatina, andiamo.”

“Smettila di chiamarmi così.”

Lui chiamò l’ascensore, “e perché? Sei vestita di rosa.”

“E quindi? Nessuno può indossare il suo colore preferito?”

Entrarono dentro l’ascensore e salirono verso l’ultimo piano.

“Hai il ciclo?”

Marinette spalancò gli occhi e lo colpì con la borsa.

“Scusami. Pre ciclo.”

Lei lo colpì di nuovo con la borsa proprio mentre le porte dell’ascensore si aprirono.

“Oh, finalmente”, gridò Paul spingendola fuori, “vi avverto”, continuò gridando attirando l’attenzione degli altri dipendenti, “oggi è più aggressiva e incazzosa che mai. Sapete, il pre ciclo.”

Le porte si chiusero prima che Marinette potesse colpirlo di nuovo. 

Quando si girò, tutte le persone nella stanza la guardavano.

Sentì il sangue affluirle al viso e con voce timida, “non fateci caso...sapete come è fatto.”

Si incamminò velocemente verso il suo ufficio, evitando di guardare chiunque negli occhi.

Varcando la porta, trovò Natalie che, come sempre, era seduta alla sua scrivania intenta a lavorare.

“Bonjour, Natalie.”

“Bonjour, mademoiselle.”

Con calma e cercando di fare poco rumore, appoggiò la borsa per terra sotto la sua scrivania e si tolse il cappotto che appese allo stendi abiti là vicino.

“Monsieur è già arrivato?”

“Certamente, l’aspetta nel suo ufficio.”

Marinette prese un bel respiro e sistemò i capelli dietro l’orecchio: l’ansia la stava attanagliando.

“Marinette”, si girò sorpresa al suo nome pronunciato dall'algida segretaria...molto probabilmente era la primissima volta che Natalie la chiamava con solo ed esclusivamente il suo nome, “puoi stare tranquilla, monsieur Adrien non è ancora arrivato.”

Lasciò andare un sospiro di sollievo che non sapeva di aver trattenuto.

“Grazie, Nati.”

“Non prendiamoci troppe confidenze.”

Incredibile, Natalie era riuscita a farla sorridere, “certamente.”

Come di rito, bussò ed aspettò il permesso per entrare.

“Avanti.”

Monsieur l’accolse con un cenno del capo mentre sfogliava l’ennesimo numero di Vogue.

“La porta è chiusa?”

“Come sempre, monsieur.”

Cavolo, voleva licenziarla?!

Annuì e posò la rivista.

Ahia, le cose si mettevano male. Monsieur non lasciava mai la lettura di Vogue, mai, nemmeno per rimproverarla. 

Dondolò sui suoi tacchi in attesa della sentenza e pensando a quanti scatoloni avrebbe dovuto fare per portare via la sua roba da lì.

“Sai, quando ieri l’altro sei corsa dietro a mio figlio, io sono rimasto da solo con la signorina Chloè”, ma non riuscì a finire la frase perché fu interrotto.

“La prego, se mi vuole licenziare me lo dica subito.”

“Licenziare?”, chiese Gabriel guardando una spaventata quanto agita Marinette.

Lei annuì.

“Perché mai dovrei licenziarti?”

“Per quello che è successo con Adrien?”

Lui scosse la testa e le fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui.

“Quello che è successo con Adrien è una faccenda privata e non lavorativa. Se mai ti licenzierò, sarà per uno dei tuoi innumerevoli ritardi.”

Marinette ammutolì e lo guardò.

“Chloè mi ha raccontato cosa è successo tra te e Adrien e il perché mio figlio è volato a Londra per un anno”, fece un sospiro sbottonandosi la giacca, “da una parte gli ha fatto bene lasciare Parigi per un po’... è cresciuto ed è diventato un uomo. Vorrei capire perché tu hai agito così.”

Marinette iniziò a torturarsi le mani e a guardare fuori dalla finestra alle spalle di monsieur.

“Ha presente quando diventa completamente dipendente da una persona? Quando quella persona diventa il centro del tuo mondo? Adrien stava diventando questo per me e avevo paura che avrei perso anche lui...e io…”

Si fermò incapace di parlare.

Monsieur, che finora era rimasto impassibile ad ascoltare il suo racconto, intervenì, “tu ti volevi proteggere dal dolore di un abbandono.”

Imbarazzata, Marinette annuì e si guardò le mani posate in grembo.

“So cosa si prova, sai? L’ho vissuto con mia moglie. Quando se ne è andata, se n'è andato un pezzo del mio cuore...il dolore che ho provato e che provo tutt’ora è indescrivibile. Ma ringrazio il signore per aver vissuto quegli anni felici con mia moglie...non devi aver paura di perdere qualcuno, sennò non vivrai mai la felicità. Fidati l’ho sperimentato.”

Marinette aveva gli occhi lucidi; era raro che monsieur si aprisse e che parlasse della moglie, l’ultima volta che l’aveva fatto era quando aveva lasciato Luka.

“Come dovrei fare?”, disse aprendo le mani verso l’alto, “ho rovinato tutto.”

La voce rotta e gli occhi lucidi della ragazza colpirono Gabriel...si era affezionato a lei come se fosse una figlia.

“Lo sai solo tu cara.”

Lei annuì e rimase in silenzio.

“Adesso, prendi carta e penna, ti voglio sul pezzo oggi.”

Scattò in piedi e recuperò il suo solito taccuino, “mi dica, monsieur.”

Lui fece un mezzo sorriso, “vai in sartoria e fai un giro di controllo. Chiedi a Sharon i documenti che avevo richiesto l’altro giorno e fatti venire in mente come poter risolvere il problema della location. Infine vai dall’avvocato e raccogli la cartellina che deve darti.”

Marinette finì di annotare, “altro?”

Sentì la serratura della porta scattare e, ancora prima di sentire la sua voce, sentì il suo profumo, “papà?”

Fu più forte di lei, si girò verso di lui e incontrò gli occhi verdi che amava.

Adrien, spiazzato dall’incontro improvviso con lei, si allontanò di un passo.

La tensione e l’imbarazzo potevano fendere l’aria.

“Mademoiselle”, disse Adrien con un cenno del capo.

Marinette si sentì morire dentro; stava utilizzando contro di lei la stessa moneta che aveva utilizzato con lui tempo addietro e, solo ora, capiva come si era sentito Adrien quando lo aveva chiamato monsieur. 

Rimase immobile e indurì lo sguardo, non gli avrebbe dimostrato il suo dolore, poco ma sicuro.

Si era disperata anche troppo e per troppo tempo.

“Se non c’è altro, io vado, monsieur”, disse non staccando gli occhi di dosso da Adrien.

“No, puoi andare.”

Se ne andò a passo svelto, superò la sua scrivania, uscì dal suo ufficio e continuò a camminare di fretta e furia tra i corridoi della maison finché non vide la scritta “toilette”. 

Velocemente si rinchiuse in uno dei bagni e si appoggiò alla porta di spalle con ancora il suo taccuino in mano.

“Mari..”

“Non ce la faccio a vederlo, Tikki.”

“No sei stata bravissima ora, ti sei comportata da persona matura.”

“Sì e ora sono rinchiusa in bagno come un’adolescente.”

Tikki si appoggiò alla guancia della sua protetta, “vedrai, con il tempo andrà sempre meglio.”

“Cosa dovrei fare? Non vuole avere a che fare con me.”

“Dagli tempo; è una cosa grossa da digerire.”

Lei annuì e strinse il taccuino, “mi manca.”

Tikki si avvicinò di più alla ragazza e Marinette le accarezzò il capino, cercando di trattenere le lacrime.

***

L’unica cosa che Marinette non sapeva era che dall’altra parte del muro, rinchiuso in una delle cabine del bagno, Adrien stava avendo una conversazione non proprio seria con il suo kwami.

“L’ho ferita?”

“Bè, lei ha ferito te.”

“Sì…”

Plagg alzò un sopracciglio, guardandolo.

“Sei arrabbiato con lei?”

Il biondo alzò il capo e lo guardò con occhi decisi, “sì.”

“La ami?”

“Forse”, rispose meno deciso.

“Ma non vuoi che soffra.”

Adrien annuì.

“Continuerà, anzi continuerete, a soffrire se non chiarite e continuate a trattarvi così.”

“Sai”, iniziò il ragazzo dopo un momento di silenzio, “potresti avere ragione.”

“Moccioso, io ho sempre ragione!”

Adrien uscì dal bagno e dall’espressione che assunse sul viso, Plagg capì che il moccioso non aveva capito un accidente.

E lui avrebbe avuto un’altra gatta, e bella grossa, da pelare.

Ma un dio-gatto non poteva avere un po’ di pace?


Angolo Autrice
Eccomi tornata, sono viva! Se ve la dovete rifare con qualcuno, rifatevela con il computer assente e la mia ignoranza di non riuscire a pubblicare con il telefono... Il capitolo era pronto due giorni fa, ci tengo a farvelo presente ahahahha.
Detto questo, ringrazio tutti quelli che leggono questa storia e mi supportano!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Uscì dalla toilette con una nuova forza che ben presto andò a farsi benedire quando vide che dalla porta accanto usciva Adrien.

Troppo tardi per scappare, troppo tardi per far finta di nulla; i suoi occhi verdi l’avevano già puntata.

Rimasero per qualche secondo in silenzio a guardarsi negli occhi, come pietrificati.

“Eri in bagno?”, chiese lui neutro.

“Ehm..sì? Per caso, è diventato un crime?”

Lui scosse la testa e quel movimento mosse anche il ciuffo lungo di capelli, “no no.”

Rimasero di nuovo in silenzio, incapaci di portare avanti quella conversazione.

“E che cavolo! Dobbiamo rimanere qua a fare le belle statuine?”

“Plagg!”, brontolò subito Tikki dal suo nascondiglio, “taci!”

Si sentì un borbottio, poi il taschino della giacca blu che portava Adrien smise di muoversi.

“Possiamo parlare?”

Marinette stupita da quella richiesta, annuì.

Adrien allora iniziò a camminare, facendole strada e stando ben attento a non toccarla.
Marinette era convinta che prendessero l’ascensore, ma quando il ragazzo entrò nelle scale di servizio, lo guardò dubbiosa.

Lui scosse la testa, “fidati, non tirerò fuori il mio lato da serial killer per ucciderti.”

Marinette spalancò così tanto gli occhi che ad Adrien venne da sorridere, “mi leggi nel pensiero?”, chiese stralunata lei.

“Ti conosco”, rispose semplicemente lui.

Imboccarono le scale e salirono verso l’alto, nonostante Marinette fosse convinta che loro si trovassero all’ultimo piano, ma una volta spinto il maniglione antipanico della porta che trovarono alla fine della rampa, si dovette ricredere.

Davanti a lei si estendeva una terrazza panoramica che si affacciava su Parigi, sormontata da una copertura di travi di ferro e vetro.

Rimase incantata da quella meraviglia tanto che si era scordata di Adrien al suo fianco.

Il biondo intanto guardava con ammirazione la ragazza...incredibile come riuscisse a mantenere uno spirito di bambina e allo stesso tempo essere la donna determinata che aveva imparato a conoscere grazie a Ladybug.

“Ci venivo spesso quando ero piccolo...era il mio posto segreto.”

Marinette si girò verso Adrien con occhi dolci, “davvero?”

“Bè, nessuno che lavora qui conosce questo posto, tranne Natalie, mio padre e il Gorilla.”

“Ovvio”, rispose con un sorrisetto lei.

Marinette si avvicinò al parapetto, posando una mano sul vetro di fronte a lei.

“Sai, la maison è un edificio che risale alla belle epoque e dopo la realizzazione della Tour Eiffel, il ferro stava spopolando. Per questo realizzarono delle travi di ferro come semi copertura. Fu utilizzato come pergolato, tanto che fecero crescere dell'edera su tutta la struttura.”

“Doveva essere bellissimo.”

Adrien alzò le spalle, “non lo sapremo mai. Mio padre, quando comprò l'edificio, fece togliere l’edera e coprire tutto con le lastre di vetro, come per realizzare una serra.”

Marinette portò le mani al petto e camminò verso il centro di quella terrazza. Nel silenzio più totale si sentiva solo il rumore dei suoi tacchi sul pavimento  e il rumore del traffico in lontananza.

“È un luogo bellissimo. Mi ricorda un po’ la piramide al Louvre.”

Adrien proruppe in una leggera risata, “è vero.”

Rimasero in silenzio, senza guardarsi ma continuando a puntare gli occhi sul panorama.

“Ti ho portato qui per poter parlare senza che orecchie indiscrete ci ascoltassero.”

Marinette annuì mentre l’ansia la stava logorando.

“Adrien-”

“Io ho capito il tuo punto di vista, Marinette, davvero; ma non posso far finta che non sia accaduto nulla, capisci?”

Lei annuì, lo comprendeva.

“E cosa vuoi fare?”

“Per ora? Lavorare. Voglio che torniamo a lavorare normalmente e portare in scena questa sfilata. Voglio che diamo il nostro meglio e che la situazione fra noi due non interferisca.”

Marinette lo guardò negli occhi verdi, “mi stai dicendo che non chiariremo?”

“In questo momento non so nemmeno cosa pensare! Ma so che non voglio lasciare da solo mio padre e so che non lo vuoi nemmeno tu.”

Lei si allontanò di un passo e lo guardò freddamente; ad Adrien sembrò di avere davanti Ladybug incazzata.

“Se è quello che vuoi. Faremo finta di niente”, concluse camminando via.

“Non ho detto questo”, urlò lui dandole le spalle.

“Davvero?!”, rispose di rimando girandosi, “notizia flash, chaton, non affrontare il discorso è far finta di niente!”

“Lady..”

“Niente lady.”

E se ne andò da quella terrazza coperta con una incazzatura a mille.

Non era decisamente la sua giornata.

***

Scesa in ufficio portò a termine qualsiasi faccenda possibile ed immaginaria pur di non sedersi su quella sedia a nemmeno dieci metri e una porta di distanza da Adrien.

Cavolo se era ridotta male.

A fine giornata, i piedi le dolevano a causa dei tacchi e le sue gambe bramavano così tanto di sedersi che alla fine non ce la fece più e si sedette sul divanetto in corridoio.

Si tolse le Oscar de La Renta e appoggiò le gambe sulla superficie morbida mentre si sosteneva la testa con una mano.

“Stai bene?”, le chiese la piccola voce di Tikki.

“Meglio di quanto possa sembrare… Sono solo stanca.”

“Non preoccuparti, hai quasi finito e potrai andare a riposarti a casa.”

Sì, certo, voleva vedere se sarebbe riuscita a riposarsi con un certo biondo in testa.

“Sei stata implacabile oggi”, esclamò monsieur che silenziosamente l’aveva raggiunta.

Tolse subito la gambe dal divanetto per fare posto a Gabriel che si sedette accanto a lei.

“Volevo dimostrarle che ci tengo e che non voglio perdere il mio posto.”

Gabriel annuì e la guardò di traverso, “sicura che non sia per un certo ragazzo biondo che per tutto il giorno ha lavorato nel mio ufficio. Oh, e per essere più chiaro, intendo mio figlio.”

Marinette arrossì e guardò davanti a lei, “potrebbe aver aiutato.”

Rimasero in silenzio e la ragazza fu colta da un deja-vù.
Pochi mesi prima, nel suo ufficio, avevano avuto una conversazione del genere quando la stava consolando per la rottura con Luka.

“Marinette, ricorda che solo tu puoi decidere il tuo destino e che solo tu puoi sapere cosa sia meglio per te. La vita è più breve di quanto si pensi, sai? E passarla provando rancore e tristezza… bè, non è vita.”

La ragazza annuì trattenendo le lacrime, “ha ragione, monsieur.”

“Io ho sempre ragione.”

Poi si alzò sistemandosi la giacca e guardandola con un sopracciglio alzato, “e invece di pensare a mio figlio in quella tua bella testolina, fatti venire un’idea per la sfilata perché per ora abbiamo in programma solo un evento in streaming e vorrei evitare.”

La mora annuì con un sorriso, “certo, monsieur.”

***

Arrivò a casa stremata, non si fermò nemmeno a prendere la vaschetta del gelato, andò dritta in camera a sdraiarsi con poca grazia sul letto.

Tikki le volò vicino, togliendole le scarpe col tacco e spostandole i capelli dal viso. 

Marinette rimase con gli occhi chiusi ad ascoltare solo il suo respiro. Piano piano, sentiva il suo cervello smettere di pensare e di scendere in un leggero dormiveglia. Doveva proprio riposarsi un po’ dopo la notte in bianco scorsa. Non sarebbe di certo caduto il mondo se si fosse appisolata per cinque minuti.

La voce di Tikki che le urlava nell’orecchio la risvegliò.

Aprì gli occhi ancora mezza intontita, vide Tikki che le stava parlando ma non riuscì a cogliere cosa le diceva, ma l’occhio le cadde sulla sveglia.

Erano le 21:30. Per quanto aveva dormito?!

“Marinette!”, il suo nome urlato a pieni polmoni da Tikki la mise sull’attenti.

“Cosa c’è?”

Tikki le passò il telefono aperto sulla pagina di cronaca che a grandi caratteri cubitali riportava la scritta: “Rapina in corso alla banca di Parigi, i rapinatori stanno scappando a bordo di un suv nero. Tutte le forze della polizia sono al loro inseguimento, ma sembra che ne stiano perdendo le tracce.”

Guardò Tikki e si capirono subito. 

“Sembra che abbiano bisogno di aiuto.”

“Dire anche io.”

Si appuntò la via in cui i rapinatori si trovavano e, nemmeno cinque minuti dopo, Ladybug volava tra i tetti di Parigi.

***

Stava seguendo i rapinatori dall’alto, cercando di capire come poterli fermare.

Da quanto aveva capito, erano armati e per questo la polizia era restia ad avvicinarsi.

“A quanto pare abbiamo avuto la stessa idea.”

Si girò verso la voce che aveva parlato, trovando Chat Noir accanto a lei.

“Siamo pur sempre i supereroi di Parigi.”

Continuarono a camminare uno a fianco all’altro sui tetti di Parigi, come se fossero tornati indietro di qualche anno fa, quando ancora combattevano le akuma di Papillon.

“Cosa sappiamo per ora?”

“Che sono armati, per questo la polizia non si avvicina; ha paura che ci vadano di mezzo i civili.”

Chat annuì serio.

Cavolo, la tuta nera attillata la stava deconcentrando.

“Dobbiamo evacuare il prossimo quartiere.”

Lei concordò e pratica, disse, “vado ad avvisare le forze dell’ordine, tu continua a seguirli.”

“Certo, milady.”

Si bloccò un attimo a quel nomignolo e lo guardò con occhi spalancati; ma durò ben poco, nemmeno qualche secondo. Parigi aveva bisogno della sua eroina, no di una ragazza innamorata.

Corse via e andò ad avvertire il tenente Rogers.

***

Sapeva che avrebbe potuto incontrarla; in realtà ci sperava. 

Non sapeva che sarebbe successo veramente.

Lei era...incredibile.

Lo sguardo serio e determinato, la sua forza e quella tuta...cavolo, era così attillata che riusciva a vedere tutte le sue forme.

“Smetti di fare il gatto in calore”, disse mentalmente con una voce che somigliava vagamente a quella di Plagg.

“Concentrati, deficiente!”, togliamo il vagamente. Quella era proprio la voce di Plagg.

“Stanno evacuando”, disse Ladybug tornando al suo fianco.

“Bene. Penso sia il momento di chiamare un po’ della tua fortuna, lady.”

Lei lo guardò giocosa, “ci puoi scommettere, Chaton.”

Richiamò il Lucky Charm, guardando con occhio critico il telo da spiaggia.

“Non mi mancavano i tuoi assurdi lucky charm.”

“E a me non mancava la tua ironia.”

“Sappiamo entrambi che scherzi, mi adori.”

Tutti e due si bloccarono a quella frase e si guardarono negli occhi cercando di capire come agire.

Marinette inghiottì a vuoto: doveva pensare alla sicurezza di Parigi, veniva prima di tutto. Persino prima di lei e dei suoi sentimenti.

Sospirò e capì velocemente come usare il Lucky Charm.

“Pronto per il piano?”

Lui rispose con voce monotona e non decisa come al solito, “sono nato pronto.”

Gli spiegò il piano, brevemente: il telo da spiaggia avrebbe impedito la visuale al guidatore, sorprendendoli, e loro avrebbero sfruttato ciò per entrare e disarmarli.

Semplice, veloce e conciso.

E così andò, perché sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa ma nulla avrebbe distrutto l’intesa tra Ladybug e Chat Noir.

Una volta acciuffati i ladri e la refurtiva, li consegnarono alla polizia.

“Ladybug, Chat Noir, grazie mille. Avete salvato la situazione”, disse loro il tenente Rogers togliendosi il berretto.

“Dovere.”

Ladybug si girò e vide una folla assatanata di giornalisti con a capo Nadia Chackman. Un brivido freddo le percorse la schiena; quella donna le faceva paura più di Papillon. 

Il suono dei suoi orecchini le ricordò che aveva ancora pochi minuti prima di trasformarsi.

“Devo andare, sto per ritrasformarmi”, disse voltata verso Chat Noir.

“Ti manca troppo poco tempo e casa tua è troppo distante.”

“Mi nasconderò qui vicino.”

“Davvero?”, disse lui inarcando un sopracciglio, “con la zona evacuata e solo i poliziotti e i giornalisti nel raggio dei prossimi chilometri? Ti facevo più furba di così.”
“Non saranno chilometri”, disse lei incrociando le braccia e punta sul vivo, odiava dargli ragione per una cosa così ovvia.

“Io non ho usato il mio potere e ho tutto il tempo di questo mondo.”

“Quindi?”

“Fidati.”

La prese tra le braccia e velocemente volarono sui tetti di Parigi.

Lasciarono ben presto la folla di giornalisti, ma erano ancora nella zona controllata dalla polizia.

Era ormai il suo ultimo bip e stava per rivelare la sua identità. Si aggrappò al collo del gatto nero, “chaton”, disse con una certa urgenza nella voce.

Velocemente, Chat Noir entrò in una delle case evacuate, appena in tempo prima che lei tornasse la solita Marinette.

“Dove sono finite le scarpe?”

Marinette guardò i suoi piedi nudi posati sul linoleum.

Arrossì velocemente, ma gli rispose a tono, “ero a casa, quando ho sentito la notizia, e mi sono trasformata subito. Tu a casa stai con le scarpe?”

“No, se sono le tue scarpe killer.”

“Sono delle Oscar de La Renta, tacco a stiletto di dieci centimetri-”

“Delle scarpe killer”, disse lui interrompendola.

Si guardarono con il silenzio che si faceva sempre più pesante.

“Il tuo piano?”

“Diremo che ti ho trovato in uno di questi appartamenti, stavi dormendo e per questo non sei scesa quando è stato dato l’ordine di evacuazione. Ti ho vista e ti ho portato in salvo. Il fatto che tu non abbia le scarpe, avvalerà di più la nostra storia.”

“Quindi sarei una damigella in pericolo?”

“E io il cavaliere che ti salva.”

Lei lo guardò con le braccia incrociate e sguardo corrucciato e lui cedette, “va bene, non sei una damigella in pericolo. Anche perché sei armata di uno yo-yo e da scarpe killer-”
La manata sul braccio arrivò subito e scoppiarono a ridere.

“Forza, principessa, ti porto a casa”, disse prendendola in braccio in stile sposa, “Così puoi anche ricaricare il tuo kwami”, continuò alludendo alla piccola Tikki che riposava tra le mani di Marinette.

La mora annuì e quando la polizia li fermò, incredibile ma vero, credettero alla loro storia e pochi minuti dopo Marinette si trovò al sicuro della sua stanza.

“Grazie”, disse rivolta all’eroe in nero.

“Lo sai che la tua sicurezza è una priorità per me”, rispose lui serio.

“Lo so.”

Con un cenno del capo, Chat Noir se ne andò e lei rimase da sola nella sua stanza.

Frettolosamente si spogliò e indossò il suo caldo pigiama, pronta per andare a dormire, mentre Tikki mangiava lentamente un biscotto con le gocce di cioccolato.

Salì le scale fino ad arrivare al suo letto, prese il cellulare e lo mise in carica, ma i suoi occhi indugiarono su una notifica appena arrivata.

Non voglio che ci siano silenzi imbarazzanti tra noi, siamo sempre stati un duo… un fantastico duo! Possiamo tornare ad essere partner lavorativamente parlando?

Un sorriso spontaneo nacque dalle sue labbra e inviò senza pensarci un pollice in su: voleva tornare ad essere la sua partner.



Angolo autrice
Sì, sono tornati Ladybug e Chat Noir!! Spero che siate carichi perché ormai siamo agli sgoccioli della storia e vediamo sempre più i personaggi a 360°.
Ringrazio sempre tutti voi e chiunque si fermi a commentare questa storia...mi riempite sempre il cuore!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Era uscita di corsa da casa, di corsa aveva preso la metrò e di corsa aveva chiamato l’ascensore.

Peccato che anche l’elevatore non potesse correre.

“Aspetta!”

Bloccò le porte dell'ascensore per far entrare la persona ritardataria come lei.

“Grazie.”

Quando però si vide gli occhi verdi di Adrien, desiderò di non essere stata così gentile.

Sì, certo, dopo il messaggio di ieri sera avevano chiarito...ma l’imbarazzo rimaneva.

Si mise dal lato opposto dell'ascensore, il più lontano possibile da lui e puntando lo sguardo sulle sue Louboutin nere. Sentì uno sbuffo e le guance le si imporporarono...lo conosceva troppo bene per non sapere cosa pensava.

“Dillo”, gli sussurrò.

Lui girò il capo biondo con uno sguardo interrogativo, “cosa?”

“Quello che ti tormenta”, davanti allo sguardo ancora più perso del biondo, decise di spiegarsi meglio mentre arrossiva sempre di più, “sei vestito alla rinfusa, con i capelli spettinati e lo fai sempre quando sei nervoso. E poi hai puntato lo sguardo verso l’alto e hai sbuffato e, sarà strano, ma lo fai ogni volta che sei pensieroso.”

Lui fece un sorriso e Marinette sentì il suo mondo tornare a girare.

“Mi stavo chiedendo perché una certa ragazza sia così distante.”

“Forse perché è imbarazzata.”

“E da cosa?”

“Dalla situazione?”, doveva essere un’affermazione ma era più una domanda.

“Ed è così?”

“Probabile.”

Rimasero per il resto del tragitto in silenzio, senza guardarsi nemmeno per sbaglio.

Quando Marinette sentì il ding, segno che era arrivata a destinazione, sospirò di sollievo. Stava sentendo troppa tensione, decisamente troppa.

Camminò velocemente verso l’ufficio con Adrien che la seguiva, ma si tenne a distanza da lei. E pensare che qualche giorno prima, in quello stesso corridoio, la stava praticamente tallonando.

“Buongiorno, Natalie.”

“Bonjour, mademoiselle. Monsieur Adrien.”

Marinette prese posto dietro la sua scrivania come se niente fosse e preparandosi per il giorno di lavoro che l’attendeva.

Adrien rimase qualche secondo tra le due scrivanie, indeciso su che fare, poi si diresse verso lo studio del padre dopo un cenno di saluto alle due donne.

La mora sospirò per l’ennesima volta, già in ansia di prima mattinata. Come sarebbe arrivata a sera?!

L’occhio le cadde su un post-it rosa acceso, che era solita utilizzare per i promemoria, attaccato sullo schermo del suo computer. La calligrafia elegante e svolazzante di Gabriel Agreste la guardava impaziente.

Ormai manca poco alla sfilata e siamo in alto mare, vedi di spremere le meningi! In mattina passa in sartoria, alle 12:30 pranzerai con me e con la direttrice di Vogue Francia. Per il pomeriggio ci aggiorniamo. Il programma non è modificabile. 

Gabriel Agreste

Semplice. Veloce. Coinciso. A volte odiava il suo capo. Prese la sua agenda e scrisse tutte le nuove informazioni appena ricevute.

Oggi non era giornata, se lo sentiva.

“Marinette.”

Alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi verdi di Adrien. Si era tolto il soprabito, era solo in camicia bianca e con un plico di fogli in mano.

“Sì?”

“Dovresti fare una cosa per me: ho sottolineato alcuni numeri di questi bilanci per il settore tessile e dovresti controllarmi quante e che tipo di stoffe sono rimaste. Dobbiamo fare una specie di inventario o i numeri non torneranno mai.”

E il tempo per farlo dove lo avrebbe trovato? “Ehm… Vedi, ho già ricevuto i miei impieghi da tuo padre-”

“Questo lo ricevi da me.”

“Sì, ma ho già tutto pieno e-”

“Non è un problema mio.”

Aprì la bocca per replicare, ma Adrien fu più veloce.

“Marinette, ti prego, è il tuo lavoro.”

Il suo lavoro era stare agli ordini di monsieur, non hai suoi. Strinse le labbra in una linea sottile per evitare di dire parolacce e annuì brevemente.

Adrien le sorrise grato e le lasciò il plico di fogli sulla scrivania per poi sparire.

Quel sorriso te lo faccio sparire appendendoti a testa in giù dalla Tour Eiffel con lo yo-yo.

Oppure potrei vedere se i miei tacchi sono veramente dei killer.

Pensò, guardandosi le Louboutin nere. Si prese la testa tra le mani e si massaggiò le tempie.

“Mademoiselle?”

“Sì, Natalie?”, chiese senza alzare lo sguardo.

“Le conviene sbrigarsi o non riuscirà a fare tutto in tempo.”

Lei annuì, chi lo avrebbe mai detto?

“Tenga.”

Per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione la guardò negli occhi chiari. Le stava passando un fascicolo blu scuro con la A dorata al centro, logo della maison.

La prese senza esitazioni e guardò il contenuto: era una colonna di numeri a quattro cifre e accanto ad ogni numero si trovava la descrizione di una determinata stoffa.

“Cataloghiamo ogni tipo di stoffa con un codice a quattro cifre, così è più semplice trovarle e fare un inventario. Le basterà confrontare queste cifre con quelle che gli ha dato monsieur Adrien, andare alla ricerca di tale stoffa e vedere se è ancora presente nel magazzino.”

Lei guardò grata il piccolo tesoro che aveva tra le mani, “sei la mia salvezza.”

Per la prima volta, Marinette notò qualcosa in quello sguardo freddo e celeste: felicità e orgoglio. 

Marinette le sorrise e si alzò pronta per andare in sartoria.

“Allora, io vad-“

“MARINETTE!”

Sia Natalie che la ragazza si girarono a vedere la porta bianca e chiusa di monsieur.

Adesso che aveva combinato?

“Le conviene andare, mademoiselle”, ma la voce della segretaria non era ferma come sempre.

Marinette deglutì a vuoto e con il taccuino in mano, entrò nella tana del lupo.

Gabriel le dava le spalle, lo sguardo arrabbiato puntato fuori dalla finestra e le spalle rigide. Adrien, dall’altro canto, era seduto alla sua nuova scrivania posta vicino a quella del padre, con i capelli sparati in aria. Appena la vide il suo sguardo si accese e corse verso di lei. 

“Lo hai visto?!”, la voce tonante di Gabriel Agreste la risvegliò e portò il suo sguardo celeste su di lui.

“Cosa?”

Le lanciò contro una rivista che prese prontamente.

Maison Agreste: vicina al fallimento?

La casa di moda del noto stilista sembra non avere ancora un luogo pronto per la sfilata della Fashion Week che si terrà a breve. Che il grande Gabriel Agreste sia ai ferri corti?

L’articolo continuava, ma Marinette non aveva la forza di leggerlo, era già abbastanza scioccata così. 

“M-ma...come.. io-”

L’occhiataccia di Gabriel la zittì prontamente. Lui odiava i balbettii e lei di certo non voleva farlo arrabbiare ancora di più.

“Folli! Dei folli! Non capisco chi abbia assunto gli incapaci che hanno scritto questo articolo. Marinette, vai-”

“No”, la voce di Adrien interruppe prontamente il padre, “Marinette ha da svolgere un compito per me.”

Ah, ora i compiti affidatigli da Adrien erano più importanti di quelli di monsieur?

“Non mi interessa! Marinette è la mia stagista!”

“Può farlo solo lei, monsieur”, Adrien aveva indurito lo sguardo e aveva assunto una posa seria: non stava più parlando con suo padre, ma con il direttore di questa maison.

“Solo lei conosce così bene questo settore e ho bisogna che svolga al più presto la cosa così da finire gli ultimi bilanci e vedere cosa ci è rimasto del budget. In questo modo, potremo affrontare anche la questione location-”

“Location che non si trova! Sono Gabriel Agreste, non posso presentare la mia collezione in un magazzino qualsiasi.”

Padre e figlio si guardarono in cagnesco, poi Adrien, senza togliere gli occhi da quelli grigi di Gabriel, parló, “Marinette, ti prego, vai.”

Silenziosamente, lei uscì dall’ufficio per dirigersi giù in sartoria con in sottofondo le grida dei due Agreste.

***

Era l’ennesima stoffa che si passava tra le mani e misurava con il metro e non ne poteva più, stava per arrivare alla fine della sua pazienza. Ovviamente il pranzo con monsieur era stato rimandato e Marinette aveva finito col stare tutto il giorno rinchiusa in una stanzino della sartoria a contare e misurare le stoffe (tralasciando l’ora e mezzo di pausa pranzo che aveva passato con Paul nel cafè qui vicino).

La stanza stretta e lunga, dalle monotone pareti bianche, era variopinta dagli innumerevoli colori delle innumerevoli stoffe, addossate contro le pareti in apposite librerie o più semplicemente riunite in delle ceste che occupavano gran parte del parquet. L’unico posto più sgombro era l’enorme scrivania, su cui Marinette si era appoggiata per misurare la stoffa, con sopra di essa un’unica finestra che illuminava la stanza.

Sospirò e si passò una mano davanti agli occhi stanchi. Le Louboutin erano abbandonate sul pavimento e lei era seduta su una sedia imbottita, con il busto accasciato sulla scrivania e lo sguardo posato al di fuori della finestra. Il sole era quasi del tutto calato, segno che tra poco sarebbe potuta tornare a casa e godersi un bagno caldo; le mancavano solo due stoffe per raggiungere la sua vasca da bagno.

Un lieve bussare alla porta la distrasse.

Adrien, con la camicia arrotolata sopra i gomiti, la guardava appoggiato alla parete, la porta dietro di lui chiusa, e uno sguardo stanco faceva capolino tra i suoi occhi verdi.

“Mi mancano solo due stoffe, poi potrai avere il tuo inventario completo.”

Lui scosse la testa, “non importa.”

Lei spalancò gli occhi: era stata tutto il giorno china su quelle stoffe, quando avrebbe potuto impiegare il suo tempo in ben altro (tipo trovare una location), e lui ora gli veniva a dire che non importava? Quando l’aveva fatta passare per una cosa di vita o di morte?

“Non guardarmi così.”

“Così come?”, gli rispose lei stizzita.

“Come se mi volessi appendere a testa in giù dalla Tour Eiffel.”

Non aveva tutti i torti. 

“Sarebbe divertente!”, esclamò una terza voce.

Marinette alzò lo sguardo per vedere Plagg che fluttuava per stanza. Poi si avventò verso una stoffa ricoperta di lustrini, “Bella”, disse eccitato, “si mangia?”, attaccò un morso alla stoffa, per poi ritrarsi schifato, “no, direi di no.”

A quella scena Marinette scoppiò in una fragorosa risata con tanto di lacrime agli occhi; Plagg non deludeva mai e continuava a sorprenderla.

Adrien cercò di soffocare il risolino per mantenere un'espressione seria, “Plagg, smettila. Qui non si può mangiare niente.”

“Allora sfamami tu. Sei qui per questo no?”

Gli occhi di Adrien brillarono di rabbia, “sì, tanto sennò che ci sto a fare? Il mio compito non è proteggere Parigi, è sfamare un kwami ingordo.”

“Meno lamentele e più cibo.”

“Plagg!”, esclamò arrabbiata una quarta voce seguita dal corpicino rosso di Tikki che svolazzava intorno all’altro kwami, “le buone maniere?”

“Mai esistite.”

“Se volete ho un pacchetto di biscotti al cioccolato”, disse Marinette per sedare la discussione.

Plagg gli volò davanti, “ecco il vero cervello del gruppo, signori!”

La mora rise, prese i biscotti dalla borsa e gli aprì davanti alle due creature.

“Mi spiace averti rinchiusa qui tutto il giorno.”

Lo sguardo di Marinette tornò serio, “lo spero bene.”

“Ma dovevo farlo.”

“E perché di grazia?”

“Non so se hai visto, ma mio padre era leggermente incazzato oggi per quell’articolo”, si passò le mani tra i capelli, nervoso, per poi abbassare lo sguardo, “non volevo che tu subissi la sua ira.”

Marinette strinse le mani, compassione e rabbia le stava provando in egual misura. 

L’aveva mandata qui per evitare la rabbia di Gabriel che avrebbe sfogato su chiunque avrebbe visto, ne era sicura; le voleva così bene da inventarsi quella mansione per lei. 

L’aveva protetta come se fosse una damigella in pericolo...e lei non lo era. Quando lui era a Londra, nessuno l’aveva protetta da Gabriel Agreste, ma l’aveva imparato a gestire, a capire che le cattiverie che diceva in quei momenti di rabbia non le pensava veramente. 

“Ti ringrazio, ma non ce n’era bisogno.”

“Potresti smettere di fare l’orgogliosa e determinata per un momento ed accettare che qualcuno si preoccupa per te?”

“Bè, scusa tanto se quando eri a Londra ho imparato a proteggermi da sola e a gestire tuo padre.”

“A Londra mi ci hai mandato tu!”

“Oh, allora è questo il punto! È sempre questo.”

Marinette non ricordava di essersi alzata in piedi, ma l’aveva fatto e ora si trovava a pochi centimetri da Adrien, tutti e due che si guardavano in cagnesco.

“Mi dispiace. Io...non riesco a dimenticarlo”, sussurrò Adrien con voce stanca.

“Non ti chiedo questo, ma nemmeno di trattarmi come una damigella in difficoltà. Non lo sono mai stata”, con un sorriso si allontanò, “insomma sono pur sempre l’eroina di Parigi.”

Adrien sorrise di rimando, “e come potrei scordarmelo?”, rispose retorico.

***

Stava camminando per strada con solo il rumore delle sue Louboutin come compagnia. 

“Adrien ti ama ancora, sai?”

“Non voglio sperarci troppo, Tikki.”

“Sennò non avrebbe fatto quello che ha fatto.”

“Anche questo è vero.”

Sente la sua borsa che si muove sul suo fianco, “e tu non sei stata così gentile.”

“Lo so, però..”, l’orgoglio l’aveva bloccata. Come sempre.

“Sembrate le coppie di quei film romantici che guardiamo sempre il giovedì”, commentò la kwami.

Marinette sorrise: il giovedì romantico, ecco a cosa si riferiva Tikki. Ogni sera del giovedì si guardavano un bel film d’amore, con gelato e fazzoletti a portata di mano.

La mora si trovò a dare ragione a Tikki per metà: nel film avevano sempre tutti un happy ending...lo avrebbe avuto anche lei?

Sperava di sì. 

In realtà la sua speranza era diventata una vera e propria ancora di salvezza da quando Adrien l’aveva portata alla terrazza coperta della maison. In quel preciso momento di era sentita in pace con se stessa come non le succedeva da molto tempo e lo stesso valeva per Adrien.

In quel frangente, in quei pochi secondi, Marinette si era sentita più che mai vicino al biondo, in una maniera che non le era mai capitata. Come se le loro anime si fossero viste per la prima volta e non avessero più voluto lasciarsi. Che cosa strana che è l’amore.

Per tutti quegli anni gli aveva giurato amore eterno, eppure ha capito quanto realmente lo amava quando è stata vicina a perderlo, quando lui ha scoperto la verità. E quando su quella terrazza, lo ha rivisto, ha rivisto il suo amore nei suoi occhi, si è sentita come un assetato che riesce a bere dopo lunghi giorni trascorsi nel deserto.

Adrien aveva ragione a definire la terrazza il posto più bello di tutta la maison. 

Ed ecco che accade. In una stradina, al calar della sera, con solo due persone intorno a lei che cercano di sbrigarsi per tornare a casa propria, esattamente come lei.

Le è venuta un’idea.

E, doloroso da dirsi, ma doveva assolutamente chiamare Chloè.


Angolo autrice
Scusatemiii, davvero, sono imperdonabile: è da quasi due settimane che non aggiorno. Anzi, togliamo il quasi. Per me questi giorni sono stati davvero stancanti e senza minuti liberi. So che vi ho fatto aspettare più del solito, però il capitolo è anche un po' lunghino, dai! E poi, siamo alle ultime battute ormai... mancano pochissimi capitoli e potrò dichiare conclusa anche questo mio impegnativo progetto che voi tutti avete letto e sostenuto, e non potete capire quanto questo mi renda felice e orgogliosa!!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Marinette si mosse a disagio sulla sedia del bar, girando svogliatamente il suo cappuccino. Avrebbe fatto tardi a lavoro di quel passo… Monsieur le aveva concesso solo due ore di permesso e, solamente, perché lei gli aveva promesso che se quell’incontro fosse andato a buon fine, sarebbe successo un miracolo.

A quel punto, vinto anche dalla curiosità, Gabriel aveva accettato e le aveva dato due ore di tempo. E ne era già passata una. Sospirò e per la milionesima volta guardò lo schermo del suo cellulare. Era passato solo un minuto.

Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre batteva velocemente il piede calzato Louboutin sul pavimento. Bevve un sorso di cappuccino, attenta a non sporcare la camicia bianca con le maniche esageratamente a sbuffo. La collana con il ciondolo di Agreste brillò momentaneamente colpita da un raggio di sole.

Sospirò di nuovo con il corpetto nero che indossava sopra la camicia e le bloccava il respiro. Ma perché delle cose così belle erano anche così scomode?

Finalmente, vide da lontano la persona che stava aspettando. 

Occhialoni tondi da diva, capelli dorati in perfetta piega, completo giacca e gonna firmato Chanel. Chloè era sempre dannatamente perfetta.

Si sedette di fronte a lei, mentre posava il bauletto bianco di Prada sulla sedia accanto. Non si dissero niente, mentre Chloè ordinava una brioche e un caffè. Solo quando arrivò la sua ordinazione, la bionda si tolse gli occhiali da sole e puntò gli occhi celesti sulla mora, “quindi? Perché mi hai chiamato ieri sera, Marinette?”

La ragazza finì di bere il cappuccino, poi rispose, “devo chiederti un favore.”

“Ci stai prendendo l’abitudine.” 

Marinette sorrise, “ma non mi hai detto di no.”

“Hai detto che era per Adrien.”

La mora annuì e la guardò negli occhi, “ho bisogno di una tua consulenza, possiamo dire.”

Chloè ghignò, “per come rendere decenti i tuoi capelli? Mi spiace, ma non c’è rimedio a quello.”

Marinette strinse il bordo del tavolo e chiuse gli occhi. Calma, non saltarle al collo.

“No. È una questione più tecnica.”

La bionda addentò il cornetto con perfetta grazia, senza nemmeno fare una briciola, e inarcò un sopracciglio. Ma come faceva ad essere così perfetta?!

“E perché hai chiamato me?”

“Perché si da il caso che tu sia la figlia del sindaco e che abbia terminato a pieni voti una laurea in scienze politiche.”

“Sei informata bene.”

“Ho fatto le mie ricerche come tu le hai fatte su me.”

“Touchè.”

Finì la brioches e tamponò la bocca con un fazzolettino di carta, stando attenta a non sciupare il rossetto.

“Sono tutta orecchie, Dupain-Chen.”

Marinette le spiegò la sua idea dettagliatamente e, quando ebbe finito, gli occhi celeste ghiaccio di Chloè brillarono.

“Non pensavo che l'avrei mai detto, ma ben fatto, Marinette.”

Si sorrisero a vicenda e si concordarono su come agire; tempo cinque minuti dopo, si salutavano con un cenno della mano e imboccavano strade differenti con tutte e due gli occhiali da sole calati sul naso.

***

Corse nell’atrio della maison fino a raggiungere gli ascensori, con il corsetto che le comprimeva i polmoni e i pantaloni attillati neri che facevano attrito.

Entrò di corsa nell’abitacolo dell’ascensore e premette il tasto per l’ultimo piano. Appena fu sola, si tolse gli occhiali da sole, ficcandogli nella sua solita borsa nera, mentre cercava di regolarizzare il respiro.

“Brava, Marinette!”

Aprì gli occhi e guardò Tikki che le volava davanti.

“Ho solo fatto quello che mi era stato chiesto: avere un’idea.”

“Oh, ma hai fatto molto di più”, esclamò la piccola su di giri, “hai messo da parte la rivalità con Chloè e avete collaborato per il bene della maison.”

Marinette annuì, mordendosi il labbro, “Chloè non è male...va solo”, si interruppe cercando di trovare il termine adatto, “capita, ecco.”

La kwami sorrise e si andò a nascondere nella borsa della sua protetta.

Uscì appena le porte metalliche si aprirono, superò di corsa i vari uffici fino ad arrivare al suo. Non si tolse nemmeno la giacca e la borsa da tanto che era agitata, ed entrò nell'ufficio del mastino.

Un paio di occhi verdi e un paio di occhi grigi si posarono su di lei, guardandola spalancati. Poi lo sguardo del suo capo si indurì e alzò un sopracciglio, “ma si può sapere perché non hai bussato?! Adrien ti ha attaccato la sua brutta abitudine?”

Marinette si ammutolì e arrossì: si era scordata di bussare, una delle regole fondamentali di monsieur, insieme a quella di indossare tacchi alti.

“Ecco io-”

“Esci fuori e bussa. Se ti darò il permesso, entrerai.”

Marinette lo guardò strabiliata mentre sentiva Adrien che sghignazzava.

“No, aspetti. Le devo dire una cosa-”

“Me la dirai dopo e solo se ti darò il permesso.”

“Monsieur-”

“Fuori!”

Strinse le mani in due pugni e fece un respiro profondo. Era riuscita a sopportare Chloè, poteva farcela. Poteva farcela.

“Bene.”

Uscì dall’ufficio, posò la borsa e la giacca con calma e tornò davanti alla porta bianca di Gabriel. Sentì un colpetto sulla spalla e si girò verso Natalie.

“Non ha ancora bevuto il suo caffè. Sarà bene che tu glielo porti”, le disse passandole un piattino in ceramica con sopra il caffè fumante.

Si sorrisero complici e, come di rito, bussò due volte e aspettò.

E aspettò.

E aspettò.

Non ci credeva, non la stava facendo entrare di proposito!

Bussò di nuovo con più insistenza, “ho il caffè!”

Monsieur non rinunciava mai alla sua bevanda divina, nera e italiana; Marinette ci teneva a sottolineare il mai.

Sentì le voci di Adrien e Gabriel, poi le arrivò un “avanti!”

Entrò, chiudendo la porta e poggiando il caffè sulla scrivania davanti al suo capo.

Adrien, camicia celestina e pantaloni neri, era in piedi dietro la sedia del padre. La guardava curioso con quel sorriso sfacciato sul volto: aveva la solita faccia da schiaffi che aveva quando si trasformava. 

“Spero che tu abbia qualcosa di davvero importante da dirmi.” 

Marinette guardò Gabriel con un sorrisino di vittoria.

Monsieur posò la tazzina di caffè finita sulla scrivania e la guardò soddisfatto, “ti è venuta un’idea.”

Marinette annuì e al cenno del suo capo, si sedette davanti a lui.

“Perché sembra che mi sia perso un importante segreto di stato?”, chiese Adrien guardando i due che sembravano condividere un segreto tutto loro.

“Perché è così”, rispose il padre, “spiega, Marinette.”

Lei annuì e si sfiorò soprappensiero il ciondolo con la A della collana che portava. 

“Ho avuto un’idea per la location della sfilata.”

Adrien esplose in un sorriso, “chissà perché non mi sconvolge più di tanto, hai sempre avuto idee geniali, lady.”

Gabriel inarcò un sopracciglio, “potete evitare il dramma amoroso davanti a me?”

I due arrossirono ma rimasero in silenzio.

“Ebbene? Marinette, non leggo ancora nella mente; spiegami la tua idea.”

“Qualche giorno fa, Adrien mi ha portato sulla terrazza panoramica della maison e… cavolo, non capisco ancora perché non abbiamo avuto prima questa idea!, è perfetta. Antico e moderno si fondono con eleganza, la linea è pulita e ordinata, ma spettacolare. E, soprattutto, si affaccia su un meraviglioso panorama parigino. Quel posto è la quinta essenza della maison, rispecchia perfettamente lo stile Agreste!”, si prese un attimo di pausa per studiare la reazione di Gabriel, ma lui ovviamente era impassibile, “oggi mi sono incontrata con Chloé.”

“Quella Chloè?”, chiese stupito il biondo.

“Ne conosciamo altre?”, rispose lei retorica.

Monsieur si schiarì la voce.

“Certo”, riprese la ragazza, “le ho chiesto se era possibile organizzarla in così poco tempo e mi ha risposto che la maison è un edificio privato, quindi nessun documento o affare burocratico ci può mettere i bastoni tra le ruote. Inoltre, abbiamo avuto un’altra idea: Adrien mi ha raccontato che questo è un edificio che risale alla belle epoque, ma non ha mai avuto nessun riconoscimento. Parlando con Chloé, ha detto, che muovendo i fili giusti, potrebbe riuscirci a procurare la targa onorifica e far rientrare la maison negli edifici storici di Parigi in tempo per la sfilata.”

Dopo aver concluso il suo monologo, si zittì guardando i due Agreste.

Non si aspettava i salti gioia, ma almeno un brava sì.

Invece quei due rimanevano immobili a guardarla, senza nessuna espressione. 

Aveva qualcosa in faccia?

“Marinette è…”, ma le parole di Adrien vennero meno.

Mon Dieu, aveva detto una cazzata, vero? Aveva sprecato tempo per niente, giusto?

Iniziò ad arrossire e ad aprire bocca per iniziare a scusarsi, ma un sorriso di Gabriel la interruppe.

“Quello che mio figlio vuole dire, è che hai avuto un’idea geniale. Non mi era mai passato per la testa, ma mi sembra la soluzione migliore e soprattutto la più efficace. Nessuno potrà mai battere questa location, perché, come hai detto prima tu, è la quintessenza di Agreste.”

Annuì convinto e iniziò a dettare ordini, “Marinette chiama i pubblicitari e dai il via a stampare gli inviti, la location sarà la maison Agreste, poi vai in sartoria e dagli una svegliata. Dì a Natalie di convocare una conferenza stampa per mezzo giorno, chiunque dovrà sapere che Agreste non sta fallendo.”

“Certo, monsieur.”

Si guardarono negli occhi.

“Marinette?”

“Sì?”

“Cosa ci fai ancora impalata qui? Muoviti.”

“Sì sì, certo, ha ragione.”

Agitata si girò, ma andò a sbattere contro la sedia e continuò a muoversi, quasi saltellando su quei tacchi, e attentando alla sua vita e a quella degli oggetti presenti fino a che non uscì dall’ufficio.

“È proprio pazza”, sussurrò Adrien guardando la porta chiusa dalla quale era uscita Marinette.

“No, è geniale”, affermò Gabriel.

***

Marinette non aveva avuto un minuto libero da quando aveva sganciato la bomba o, come avevano iniziato a nominarla in maison, l’idea dell’era Agreste. Perchè avessero sempre bisogno di dare un soprannome a qualunque persona o evento, rimaneva un mistero. Si trovava nell’area caffetteria della maison mentre spelluzzicava qualcosa in attesa del suo appuntamento.

“Bonjour, ma joulie.”

“Sarebbe più adatto bonsoir, Paul.”

Si alzò per salutarlo con due baci sulle guance, poi si sedettero uno di fronte all’altro con Paul che beveva il suo amatissimo cappuccino al caramello.

“Allora? Come sta la salvatrice della maison?”

“Con i piedi doloranti...le Louboutin mi stanno uccidendo.”

“Okay, dimmi qualcosa che non so.”

“Sei incredibile.”

“Ripeto: dimmi qualcosa che non so.”

“Un bagno di umiltà ti farebbe bene.”

“Devo dirlo veramente di nuovo?”, chiese Paul retorico alzando un sopracciglio.

“No, grazie”, rispose lei sbuffando.

“Deduco che a parte l’idea geniale le cose non stiano andando bene con il tuo principe.”

Marinette lo guardò male.

“Direi che non vanno affatto.”

Paul finì il cappuccino, “che posso dirti? Non puoi lavorare da Agreste e pretendere pure di avere altre gioie nella vita. Non ci si può fare niente, è scientificamente provato.”

La mora alzò un sopracciglio, “davvero?”

“Certo”, rispose Paul con stizza, “non vedi? Io sono ancora single! Io, io che sono uno dei più belli e intelligenti ragazzi di Parigi.”

“E anche modesto.”

Il castano mosse una mano in aria, dichiarando che non era importante.

“Hai bisogno di un mano?”

“No, dovrei aver quasi fatto. Ho tutto sotto crollo, tranne il fatto che Monsieur vuole costruire un nuovo ascensore solo per trasportare gli ospiti fino alla terrazza; ha detto che farli salire all’ultimo piano e poi farli salire le scale di servizio, sarebbe una caduta di stile.”

“Bè, ha ragione.”

“Non dare corda alla sua pazzia!”

“Bè, ma ha ragione!”

“Non si può costruire un ascensore in una settimana.”

Paul assunse la postura brevettata da dispensatore di perle di saggezza: sguardo serio, sopracciglia arcuate e mani sui fianchi.

“Lavorando da Agreste ho imparato due cose: uno, se Gabriel Agreste vuole una cosa la ottiene, due, Monsieur ha sempre ragione.”

Lei alzò gli occhi al cielo e annuì.

“Hai ragione.”

“Dimmi qualcosa che non so.”

“Paul!”

***

Era rimasta fino all’ultimo con Gabriel Agreste in terrazza per definire gli ultimi progetti, poi lui era sceso a prendere i cappotti e lei era rimasta a mettere a posto.

“Oggi non ti sei fermata mai.”

Marinette non si girò nemmeno per rispondergli, aveva già capito chi era, “con tuo padre in questo stato? Impossibile farlo.”

Adrien annuì, anche se lei non riusciva a vederlo. Fissò la sua figura esile che cercava di non far trasparire il dolore che ormai sta provando ai piedi massacrati da quelle scarpe killer. Eppure, rimaneva di una bellezza sconvolgente, tutto in lei gridava: unica.

Unica nella sua bellezza.

Unica nella sua gentilezza.

Unica nella sua determinazione.

Unica nel suo dolce modo di arrossire.

Unica in quel corpetto nero che gli aveva fatto sperimentare pensieri che nemmeno pensava poter partorire da solo nella sua mente. Sempre che quella stesse funzionando a modo...il sangue gli era sceso in parti decisamente meno consone.

“Forza”, disse raggiungendola e prendendola per le mani, “finiremo domattina, ora bisogna riposare.”

Marinette guardò imbarazzata le loro mani, poi arrossì, “ehm, sì...cioè, ecco.. non so”, poi tacque mordendosi la lingua.

Quanto le era mancata la dolce e timida Marinette.

“Milady, ho detto basta. Ora devi pensare solo a riposarti, la tua mente ha già fatto fin troppo per questa maison.”

Ed era vero, si disse Adrien. Aveva visto quanto aveva lavorato sodo, anche prima che lui tornasse da Londra. Aveva lavorato con Gabriel ai nuovi modelli, alla scelta dei tessuti, aveva seguito passo passo la sartoria. Si era occupata di coordinare tra loro i vari uffici e di contattare i vari venditori ed, infine, aveva salvato la sfilata con la sua idea geniale. E pur di farlo aveva collaborato con Chloè, da non credere. Non la finiva mai di smettere di sorprenderlo. Lei sospirò un po’, poi, tolse le mani tra le sue. Adrien si schiarì la voce, riacquisendo lucidità, “dobbiamo andare.”

“Dove?”

“Giù.”

In silenzio scesero le scale fino a raggiungere il loro ufficio dove Gabriel li attendeva con i loro cappotti in mano.

“Marinette, ceni da noi”, disse il mastino porgendole la giacca.

“Oh, la ringrazio, ma i miei genitori-”

“Uno: la mia non era una domanda, due: i tuoi genitori li ho già avvisati io e hanno detto che non c’è nessun problema.”

“Ah”, disse semplicemente la ragazza, rimanendo a bocca aperta.

Gabriel fece loro un cenno del capo e si avviò verso l’ascensore.

“My lady, dovresti chiudere la bocca o ci entreranno le mosche.”

Marinette socchiuse gli occhi e, stizzita, afferrò la borsa nera e raggiunse il suo capo.

***

Il viaggio in macchina era stato piuttosto silenzioso, con Adrien che guardava insistentemente Marinette, la ragazza che si torturava le mani con lo sguardo fuori dal finestrino e Monsieur che borbottava qualcosa di tanto in tanto.

Quando arrivarono alla villa e si sedettero al tavolo (Gabriel a capotavola e i due ragazzi ai suoi lati), il mastino ne ebbe abbastanza.

“Quindi? Passeremo la serata come delle mummie mute e impassibili?”

“Dovresti essere fiero di noi”, iniziò Adrien con il tipico ghigno da Chat Noir, “l’abbiamo imparato da te.”

“Adrien, ti prego, non iniziare.”

“Concordo”, aggiunse Marinette bevendo un bicchiere d’acqua.

Fu servita la prima portata e spostarono la non-conversazione su il tema sfilata.

“L’ascensore è un’esagerazione, monsieur.”

“L’ascensore è d’obbligo.”

“Non stiamo...esagerando?”

“Non esiste questo vocabolo quando si parla della mia sfilata.”

“Ma se nell'ultima settimana della moda mi ha detto il contrario.”

“Bè, la situazione cambia da sfilata a sfilata.”

Marinette buttò giù l’ultimo boccone, pronta a controbattere, quando Gabriel si rivolse al figlio.

“Adrien, qual’è il budget rimasto?”

“Ecco”, iniziò pulendosi la bocca con il tovagliolo, “non dovendo pagare una cifra esorbitante per la location, è avanzato veramente molto da-”

“Ti prego!”, lo interruppe Marinette con sguardo di sfida, “non vorrai appoggiare questa pazzia!”

Lui si strinse nelle spalle e la guardò divertita, “non vedo perché no.”

“Visto”, si rivolse Gabriel alla ragazza, vittorioso, “due contro una.”

“Incredibile quanto in realtà vi somigliate”, rispose Marinette incrociando le braccia sotto il seno.

“Suvvia, non fare la difficile.”

“Io? La difficile?”, esclamò la mora alzando la voce di un’ottava.

Il biondo sorrise divertito: ecco il fuoco che le bruciava dentro e che l’aveva fatto innamorare di lei al primo sguardo.

“Pardon”, rispose lei, “non sono una megalomane ed egocentrica come te.”

Lui alzò le mani, “dico solo che negli ascensori capitano le cose più inaspettate.”

Marinette arrossì subito non appena capì l’allusione: il bacio all’angolo della bocca che Adrien le aveva dato davanti all’ascensore, tutte le loro conversazioni dentro quell’abitacolo, e quel bacio, che di casto non aveva niente, che si erano scambiati il giorno dopo che si erano messi insieme.

Cercò di riprendersi scostando lo sguardo da quello verde di lui, “dipende dai punti di vista.”

Gabriel sorrise sotto i baffi, “domani voglio tutti i preventivi sulla mia scrivania.”

Marinette annuì, “oui, monsieur.”

Mangiarono il dolce con in sottofondo i commenti ironici che padre e figlio si scambiavano, poi, venne il momento di salutarsi.

“La ringrazio, monsieur, era tutto squisito.”

“Lo so”, rispose lui facendole indossare la giacca, “davvero bel corpetto.”

Lei si accarezzò la stoffa, sentendo al tatto le stecche di balena sotto di essa, “sa com’è, è Agreste.”

Si sorrisero complici, poi Adrien venne verso di loro con il cappotto indosso.

“Non ti lascio tornare da sola”, rispose lui allo sguardo interrogativo della ragazza.

Marinette aprì la bocca per replicare, ma, “sono consapevole che ti sai perfettamente difendere da sola, che indossi delle scarpe killer ed eccetera, ma sono più sicuro se ti accompagno io.”

“Concordo”, si affrettò ad aggiungere Gabriel per evitare che il battibecco tra i due durasse più del necessario.

Marinette si mise la borsa al braccio, “bene.”

Adrien annuì e andò ad aprirle il portone.

“Ah, Marinette-”

“I preventivi per l’ascensore, lo so.”

Gabriel sorrise vedendo i due avviarsi fianco a fianco verso la corvette nera del figlio.

Eh sì, Monsieur Agreste aveva sempre ragione.



Angolo autrice
Buonasera e scusatemiii, ho fatto un errore madornale: ero convinta di aver aggiornato la storia e, invece, non lo avevo fatto. Sono una frana, davvero! Bè, non voglio dilungarmi molto, ma la storia finalmente sta prendendo la piega giusta, ragazzi. Anche perché, ve lo dico in anticipo, mancano solo uno/due capitoli e l'epilogo ;)
Ringrazio tutte le persone che stanno leggendo e commentando questa storia perché, sul serio, senza di voi, non sarei arrivata fin qui.
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Il viaggio in macchina era stato silenzioso, solo quando Adrien accostò la macchina al marciapiede osò aprire bocca, “grazie per avermi accompagnata.”

“Figurati”, disse lui spegnendo il motore, “non sarei riuscito a dormire, altrimenti.”

Lei sorrise, “sempre il solito ruffiano.”

“Che posso farci?”, disse lui ridendo.

Si passò una mano tra i capelli biondi, “sei stata fantastica. Sei fantastica”, disse lui con gli occhi verdi che brillavano, “non te lo avevo ancora detto.”

Lei scosse la testa, “oggi me lo hanno detto così tante persone che penso che non sia reale.”

Lui spostò la testa di lato e la guardò serio, “non pensarlo mai, my lady. Sei unica, geniale e fantastica, e se le persone lo dicono è perché è la verità.”

Lei sorrise dolcemente e puntò lo sguardo sul ciuffo di capelli biondi che gli era caduto davanti agli occhi. Istintivamente allungò una mano sistemandogli i capelli all’indietro mentre gli occhi verdi la guardavano brillando di luce propria.

La mano di Marinette scese fino alla sua guancia e lì ci resto per qualche minuto. 

“Buonanotte, Chaton.”

Lui ghignò, “buonanotte, mia signora.”

Tolse la mano dal volto di lui e subito sentì freddo come se le mancasse il contatto caldo con la pelle lui, ma si scrollò velocemente quella sensazione e scese dalla corvette.

“Ci vediamo domani in maison.”

Lui annuì e lei camminò velocemente verso casa per fuggire dall’improvviso freddo che stava provando. L’ultima cosa che vide furono i suoi brillanti occhi verdi che la guardavano come se non desiderassero altro.

***

La mattina, si sa, non è mai facile. Soprattutto se devi litigare al telefono con cinque ditte diverse di ascensori. Stava chiudendo l’ultima chiamata proprio mentre finiva di indossare le Louboutin. Sospirò dandosi una veloce controllata allo specchio: maglia nera a maniche lunghe che però le lasciava scoperte le spalle e gonna a ruota a vita alta in chiffon azzurro chiaro. Capelli sciolti, l’immancabile collana con il ciondolo Agreste e un girocollo di perle. 

Aspetta, quello cos’era? Si avvicinò allo specchio scrutando un punto preciso sotto l’occhio sinistro: gli era colato del mascara. Passò il dito indice sotto l’occhio incriminato, eliminando quella sbavatura. Ora era perfetta. 

Scese di sotto dove prese il cappotto, dello stesso colore della gonna, che Monsieur gli aveva regalo per la sua prima Fashion Week e la sua immancabile borsa nera.

Doveva fare veloce o sarebbe arrivata in ritardo contando anche il traffico della metro.

Si fermò in pasticceria per salutare i suoi genitori, ma si bloccò davanti a quella scena.

Adrien stava amabilmente conversando con sua madre, mentre Tom continuava ad ingozzare il biondo con ogni leccornia possibile e Sabine gli faceva gli occhi a cuoricino. Per non parlare del Paul euforico che stringeva le mani di sua madre come se avessero appena vinto la lotteria.

“Ma che accidenti..”, la domanda le morì in bocca da quanto era scioccata.

“Oh, bonjour, tesoro”, esclamò Sabine accorgendosi della presenza della figlia.

Gli occhi celesti incontrarono subito quelli verdi di lui in una muta domanda.

“Sono venuto a prenderti per andare a lavoro insieme e, mentre ti stavo aspettando, i tuoi mi hanno fatto assaggiare qualche dolce.”

“Vorrai dire tutta la pasticceria.”

“Su, bambina, non esagere.”

Alle parole di Tom, Adrien ghignò, “già, Marinette, non esagerare.”

Lei alzò gli occhi al cielo e guardò Paul, “e tu?”

“Oh, bonjour, Paul, che bello vederti qui”, esclamò il chiamato in causa con una voce in falsetto.

“Oh, bonjour, Paul”, ripeté lei con voce monotona, “che bello vederti, perché sei qui?”

“Ricordi? Il patto? Quello in cui io devo accompagnarti a lavoro dopo che il tuo cuore a fatto crack perché ti sei lasciata con il modello più bello di tutta la Francia, così da evitare che tu diventi una single sciatta dopo una rottura?”

Se l’era sognato, vero?

Non l’ha detto ad alta voce, vero?

Ma dalle facce stralunate dei suoi, gli occhi sbarrati e il ghigno di Adrien e la faccia da angelo di Paul, capì che non se l’era sognato.

Diventò rossa e strinse i pugni lungo i fianchi.

“Sono due giorni che vado a lavoro in metro, se non sbaglio”, rispose lei stizzita.

“Va bene”, esclamò il suo amico alzando le mani, “avevo voglia di macarons e dovevo aggiornarmi con tua madre.”

“Ma possibile che venite tutti qui per i dolci?!”

Adrien rise, “mi sa che i dolci sono una scusa”, disse guardandola dritto negli occhi.

Ecco, non poteva lanciarle quello sguardo così dal niente. Non lo sguardo che la uccideva interiormente e scatenava i suoi ormoni a palla.

Respirò profondamente, prima di guardare determinata il quartetto.

“Bene, adesso che vi siete riempiti la pancia, possiamo andare? Non so se avete notano, ma è già tardi.”

Paul spazzolò una mano in aria, “tanto ormai ci sei abituata.”

“Concordo”, gli fece eco Adrien. 

“Ehi!”, rispose lei guardandoli. Poi riflettè qualche secondo e aggrottò la faccia, “no, okay, avete ragione.”

Adrien rise e passò una mano tra i capelli, “direi che possiamo andare.”

Lei annuì e guardò Paul in una muta domanda: vieni?

Il moro scosse la testa, “tesoro, devo finire di spettegolare con tua madre, poi vi raggiungo in maison.”

Sabine, elettrizzata, annuì, “vado a fare due tazze di tè!”

Marinette guardò sconcertata la scena, “voi due mi fate paura.”

Poi uscì insieme ad Adrien e si diressero verso la corvette.

***

“Sai”, iniziò lui mentre Marinette, sprofondata nel sedile nero della macchina, scriveva gli ultimi appunti su quei dannati ascensori.

“Adoro come ti sei vestita oggi.”

“Adrien, me lo dici sempre, ogni giorno.”

“Perché è la verità”, gli lanciò un’occhiata di sfuggita per poi tornare a guardare la strada, “valorizzi il tuo corpo in una maniera incredibile.”

Marinette tossì. Forte.

Cavolo le era andata di traverso la sua stessa saliva.

“Ehm, grazie..credo.”

Lui ghignò.

Passarono alcuni metri prima che Adrien parlasse di nuovo, “è vero?”

“Che cosa? Dell’ ascensore? Credo proprio di sì, per nostra sfortuna.”

Lui scosse la testa, “intendevo quello che ha detto Paul.”

Marinette arrossì e si finse impegnatissima a controllare un documento, “Paul dice molte cose.”

“Il moccioso intende dire se è vero che ti sei disperata come una scema per lui e se il tuo cuore a fatto veramente crack.”

“Grazie, Plagg. Non avrei saputo spiegarlo meglio.”

“Figurati ragazzino.”

Marinette guardò fuori dal finestrino e chiuse gli occhi. Cosa doveva dirgli? 

La piccola manina di Tikki che le stringeva un dito la fece sorridere e gli dette la forza. 

“Ha ragione Paul”, iniziò con voce incerta e con il viso voltato dalla parte opposta, “quando mi hai lasciato, mi sono sentita persa...pensavo di dare le dimissioni.”

Adrien inchiodò improvvisamente facendo stridere le ruote, “cosa?!”

Lei annuì, continuando a non guardarlo, “si può dire che ero la classica immagine di ragazza disperata che è stata appena mollata: pigiamone in pile, montagna di fazzoletti e gelato. Se vogliamo essere sinceri anche un po’ di alcol, anche se è stato prerogativa di Paul, principalmente.”

Adrien annuì...nella fase alcol ci era passato pure lui. Rimise in moto la macchina così da eliminare la fila che si stava creando dietro di loro.

“So che la colpa è stata mia e io...non riuscivo a perdonarmi, non riesco a perdonarmi”, esclamò passandosi una mano sulla fronte, “ti ho fatto soffrire.”

Adrien strinse le mani sul volante fino a che le nocche non gli diventarono bianche, “e io ho fatto soffrire te”, rispose con voce grave.

Lei si girò di scatto, “no, Adrien-“

“Non mi scusare, my lady. Avevo promesso a me stesso che avrei fatto tutto il possibile per non farti soffrire….e ora si scopre che sono io la causa.”

Plagg alzò gli occhi al cielo, “ non essere drammatico.”

“Plagg ha ragione. Abbiamo superato questa fase, no? Tutti e due abbiamo sbagliato, siamo andati avanti.”

Rimasero in silenzio mentre riflettevano sulle loro ultime parole.

Arrivati davanti alla maison, scesero dalla macchina e si avviarono all’interno dell’edificio mentre Adrien lanciava le chiavi a l’autista così che parcheggiasse la Corvette.

Il loro cammino fu accompagnato solo dal rumore dei tacchi di Marinette sul pavimento in marmo della maison.

Quando entrarono dentro l’abitacolo dell'ascensore, Adrien scoppiò, “siamo davvero andati avanti?”

E intendeva molte cose con quella domanda: siamo andati avanti nella nostra vita? Ci siamo scordati l’uno dell’altro? Adesso saremmo solo degli amici che si scambiano qualche saluto e che ricordano la loro passata relazione come una storiella per bambini?

Marinette scosse la testa, “non lo so, Chaton.”

Ma tutti e due pensavano la stessa cosa: non potrei mai dimenticare la mia anima gemella.

***

“Ho bisogno di un ascensore in una settimana!”

“Monsieur, è impossibile.”

“Nulla è impossibile per Gabriel Agreste!”

Cavolo stava parlando di se stesso in terza persona.

“Ho chiamato le migliori ditte di Parigi”, iniziò Marinette per cercare di calmarlo , “e i responsi sono sulla sua scrivania.”

Lui scosse la testa bevendo la tazzina di caffè che la mora gli aveva portato per farlo rimane calmo.

Non si può dire che non ci avesse provato.

Per tutto lo scambio di battute con Gabriel, Adrien era rimasto alla sua scrivania, bellissimo in un completo blu firmato Agreste, controllando plichi di fogli e numeri con un sorriso sul volto, ma lo sguardo pensieroso.

Gabriel schioccò le dita davanti alla faccia di Marinette che si riprese con un sussulto.

“Ti eri incantata.”

A quel punto, Adrien scoppiò in una fragorosa risata mentre lei arrossiva.

“Cosa devo fare, monsieur?”

“Prendi l’agenda.”

Andò velocemente nel suo ufficio per recuperare l’oggetto con la gonna azzurrina che svolazzava dietro di lei, poi tornò dal suo capo.

L’aprì ad oggi e, vedendo tutte le cose che doveva fare, volle seppellirsi.

“Dove hai un buco?”

“Non ce l’ho”, rispose pacata la ragazza.

“Bè, trovalo. Andrai di persona a parlare con queste ditte.”

Marinette aprì e chiuse la bocca per diverse volte, poi esclamò “sta scherzando?”

“Ti sembra che io stia scherzando?”

Perché Gabriel Agreste ne era capace?

“Ma è un ascensore!”

“Devo di nuovo dirti perché è fondamentale?”, chiese con un sopracciglio alzato.

Cavolo, no! Si era già sorbita il suo monologo sull’importanza di questo dannato ascensore per quindici minuti di fila. Quindici minuti a parlare di un ascensore...assurdo!

Lei scosse la testa e rimase in silenzio.

“Sei la mia stagista?”

“Sì, monsieur.”

“E allora trova il tempo.”

“Certo, monsieur.”

Le fece cenno di andare e lei si congedò, ma, invece che sedersi alla sua scrivania, corse al piano di sotto. 

Sapeva già che oggi non si sarebbe seduta un attimo.

Maledetto ascensore.

***

Era il terzo caffè che beveva, e lei odiava il caffè. Ma doveva svegliarsi, tipo subito. 

Era stata in sartoria, poi dai grafici, all’ufficio di pubbliche relazioni e in municipio per organizzare gli ultimi permessi per mettere a norma il tutto.

Doveva ancora controllare gli ultimi vestiti confezionati per riportare un feedback a monsieur e parlare con le varie ditte.

E i piedi erano già in rivolta per le fantastiche scarpe che indossava. Ma perché aveva indossato proprio oggi le Louboutin da 12 centimetri?

Un leggero bussare la distolse dai suoi pensieri. Si era rinchiusa in una delle milioni di toilette per madame della maison, peccato che davanti a lei si trovava la figura di Adrien Agreste. Si era tolto la giacca ed era rimasto solo in camicia bianca e pantaloni blu. Quell’uomo era illegale.

“Sei nel bagno delle donne”, riuscì a dire. Davvero Marinette? Di tutte le frasi, proprio questa?

“Lo so”, ghignò lui, “e devo ancora capire perché il genere femminile si nasconde sempre qui. Cosa ci trovate in un bagno?”

“È l’unico posto in cui la gente ti lascia in pace”, rispose scrollando le spalle, “o almeno, dovrebbe”, continuò lanciandogli un occhiata.

“Te l’ho detto moccioso”, esclamò Plagg uscendo dal suo nascondiglio, “valle a capire le donne.”

Marinette sorrise e poggiò la tazzina sul ripiano in marmo del lavandino.

“Che ci fai, Adrien?”

“Bè, ecco...possiamo dire che ho visto quanto lavoro avevi da fare e volevo aiutarti.”

Lei lo guardò sorpresa e con un sorriso sulle labbra: quello era il suo chaton.

“Quindi, visto che dovevo uscire per una commissione sono andato a parlare con quelle famose ditte.”

“Davvero?”

Lui annuì, “ce n’è una che è disposta, dietro un compenso da capogiro, a installare l’ascensore in sei giorni.”

Lei spalancò gli occhi.

“Ho già riferito a mio padre e firmato il contratto. A quanto pare avremo il nostro ascensore.”

Marinette rimase impalata per qualche secondo, con tanto di bocca spalancata, poi corse verso di lui abbracciandolo.

“Grazie, grazie, grazie! Mi hai salvato! E hai salvato pure i miei piedi.”

Lui sorrise e la strinse a se, godendosi appieno il contatto fisico con lei.

“Allora sono davvero tacchi killer.”

Lei si allontanò da lui con le guance arrossate e incatenò gli occhi celesti con i suoi, “ci puoi scommettere”, disse con voce monotona.

E poi non capì più nulla perché le labbra di Adrien si stavano avvicinando pericolosamente alle sue e desiderava così tanto quel bacio. Avvertì l’odore di Adrien (profumo Gabriel e muschio bianco) e capì quanto gli era mancato.

Il bussare alla porta ruppe la magia e tutti e due la guardarono come bambini scoperti a mangiare la Nutella.

“Occupato”, urlò Marinette con voce malferma.

Tutti e due avevano il respiro affannato e si guardavano di sottecchi.

“Sarà meglio andare.”

La ragazza annuì.

Adrien si voltò per aprire la porta, ma Marinette lo fermò mettendogli una mano sulla spalla.

Il corpo del biondo reagì subito e rabbrividì per quel contatto inaspettato.

“Grazie, Adrien, davvero.”

Lui la guardò con gli occhi sinceri, “lo sai che farei di tutto per te.”

Marinette sorrise e annuì, “spero che tu sappia che è reciproco.”

Adrien ghignò e velocemente si chinò lasciandole un bacio sulla guancia, indugiando più del dovuto sulla sua pelle morbida. Cavolo, gli era mancata la sua pelle che sapeva di vaniglia. Ancora di più, le mancavano le sue labbra al gusto di miele. 

Lei si irrigidì e arrossì: era diventata una corda di violino ma voleva ancora Adrien così vicino.

“Certo che lo so”, disse lui dolce, poi ghignò divertito, “non puoi vivere senza di me.”

Poi le dette le spalle e aprì la porta di quel bagno che era diventato un confessionale.

È maledettamente vero, pensò Marinette mentre guardava le perfette e muscolose spalle di Adrien allontanarsi.

Si affrettò a seguirlo, aveva ancora molto lavoro da fare, ma almeno l'ascensore era sistemato.


Angolo autrice
Sono di ritardo? Giusto un po', forse parecchio. Mi sto rendendo conto che è sembre più difficile lasciare questi personaggi e dare loro una degna conclusione. Bè, mi spiace dirlo, con tutta me stessa, ma ecco a voi, ufficialmente, il penultimo capitolo di questa storia...mancano solo l'ultimo e l'epigolo.
Grazie mille a tutti coloro che mi accompagneranno fino alla fine della storia, vi adoro!
Un bacio,
Cassie

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Erano stati cinque giorni estenuanti.

Perché?

Perché erano i giorni della Fashion Week di Parigi.

Giorni in cui modelle, stilisti, attori, celebrità e fashion influencer prendevano d’assalto la capitale francese in un turbinio di paillettes, abiti estrosi e tacchi vertiginosi.

Marinette, in tutto questo, si sentiva l’unica rimasta sana di mente in un mondo di pazzi. O l’unica pazza in un mondo di sani, decidete voi la migliore opzione.

Ormai nell'elite parigina e nel mondo della moda, chiunque conosceva il nome di Marinette Dupain-Cheng: stagista e braccio sinistro di monsieur Agreste (il braccio destro rimaneva sempre e comunque Natalie); aveva già fatto qualche anno fa la sua ‘entrata in società’, come continuava a chiamarla Paul, ed era apparsa come volto in copertina in un numero di Vogue.

Cosa l’aveva portata, però, ad essere sulla bocca di tutti? Semplice, il fatto che aveva partecipato ad ogni sfilata, e ad ogni party, in compagnia di Gabriel Agreste.

Il portamento aggraziato, anche se talvolta buffo per qualche incidente (tipo il far rovesciare un calice di cristallo durante il brindisi di Valentino), la spiccata eleganza degli abiti e il sorriso dolce, avevano incantato chiunque. La franco-cinese aveva spopolato e conquistato qualsiasi persona l’avesse incontrata. Alcuni articoli, addirittura, la designavano come la degna erede del genio di Gabriel Agreste grazie alla linea semplice, impeccabile ed elegante -anche se non indossava l’espressione di pietra di monsieur.

La coppia Gabriel Agreste e Marinette Dupain-Cheng era stata la stella di quella settimana, come Brad Pitt e Angelina Jolie nel panorama hollywoodiano, tanto che i giornali li avevano definiti “la coppia che si completa a vicenda: gentilezza da parte di lei, autorità da lui”, o ancora “il padre-figlia che il mondo della moda stava aspettando!”. 

In tutto questo, Marinette voleva sotterrarsi e morire lentamente.

A causa dell’ intoppo della location per la loro sfilata, Marinette stava partecipando agli eventi mondani e contemporaneamente finiva di preparare l’evento della maison Agreste.

Sia lei che Natalie stavano facendo gli straordinari fino a tarda notte, mentre Paul si occupava della sua immagine pubblica e di farla dormire abbastanza.

Ormai mancavano pochi giorni a quella che sarebbe stata la sfilata delle sfilate (monsieur si era leggermente montato la testa. E pure Paul).

“Dolcezza”, girò lo sguardo e trovò sulla porta del suo ufficio il suo migliore amico.

“Oui?”

“Sono le sette passate e domani hai un brunch alle dieci e mezzo, devi riposarti.”

“Non preoccuparti-”

Paul la fermò alzando una mano in aria, “passo da te, domani mattina, alle otto in punto per prepararti.”

Marinette sospirò, mettendosi le mani nei capelli.

Aveva detto a Paul che riusciva a prepararsi da sola, ma la risposta di lui era stata: “secondo te, mi perdo la possibilità di renderti un figa pazzesca e di prendermi il merito con la stampa? Amo, scordatelo, domani sono da te.”

E quindi, da quando era iniziata la Fashion Week, si era trovata Paul a casa sua ogni giorno e quasi ad ogni ora. In effetti, stava più lui a casa sua che lei; ci mancava solo che rimanesse a dormire. Era convinta che sua mamma lo avrebbe adottato volentieri come secondo figlio...quei due insieme le facevano seriamente paura, soprattutto quando si scambiavano quello sguardo da “io so cose che tu non sai, ma presto capirai ciò che abbiamo combinato”. 

In più, durante quella settimana, aveva avuto poche occasioni per parlare con Adrien, ma tante per posare con lui. Non aveva partecipato come lei a tutti gli avvenimenti della settimana della moda, ma alla maggior parte sì. Ed inutile dire che tutti erano andati in visibilio...ci credo, con un Adrien Agreste in smoking anche io perderei la testa. Avrebbe mentito fino alla fine della sua vita, ma la verità era che gli ormoni gli erano schizzati alle stelle e, pure lei, aveva perso la testa.

Forse era per questo che aveva stretto più forte il braccio di Adrien, quando sono entrati insieme al party di Michael Kors? O che ha fatto di tutto per non far avvicinare la biondina con il completo verde mela che l’aveva assistita al suo servizio fotografico per Vogue?

Cavolo, stava impazzendo.

Tutta colpa della settimana della moda.

Sì, certo, come no.

“Marinette.”

Girò lo sguardo da Paul ad Adrien che la stava chiamando dal suo ufficio.

“Sì?”, rispose lei urlando e sistemando dei documenti in una cartella.

“Domani sei al brunch?”, continuò ad urlare lui dall’altra stanza.

“A quanto pare sì!”, rispose lanciando un’occhiata a Paul.

“Ti passo a prendere così andiamo insieme?”

Erano queste esatte parole che facevano prendere uno scompenso cardiaco alla mora.

“Se per te non è problema, va bene.”

“Lo sai che non-“

“La volete smettere di urlare da un ufficio all’altro e parlare come le persone normali?!”, tuonò monsieur.

Marinette di alzò e camminò velocemente sui tacchi alti fino ad affacciarsi dalla porta dell’ufficio di Adrien e Gabriel.

Anche Adrien si era alzato per andare da lei, ma quando alzò lo sguardo e la vide già lì che lo guardava con gli occhioni celesti contenti, sorrise.

“Dicevi?”

“Che lo sai che per me non è mai un problema.”

Lei sorrise.

“Non so se ve lo siete dimenticati”, iniziò Gabriel, “ma domani siamo tutti e tre inviati al brunch, quindi andremo tutti e tre insieme. Arriverà la nostra macchina a prenderti.”

Accanto a Marinette spuntò Paul con un sorriso birichino sulle labbra e la mora si preoccupò di già.

“Monsieur, su, non faccia il terzo incomodo.”

Marinette sbiancò e lo guardò.

L'occhiataccia che gli lanciò monsieur fece gelare anche l’equatore.

“È arrivato l’inverno o sbaglio?”, sussurrò Paul a Marinette, ma a voce troppo alta.

Lei gli dette una gomitata nelle costole, ma non servì a niente.

“Giuro, è la nuova Elsa.”

Marinette gli dette una manata più forte.

“Che c’è?”, esclamò lui mezzo indignato.

“Paul, gli conviene tacere se non vuole che la trasformi in una statua di ghiaccio in quanto nuova Elsa.”

A quel punto, Adrien scoppiò in una fragorosa risata. 

“Voglio morire”, sussurrò Marinette.

“Possibilmente dopo la mia sfilata”, replicò Gabriel. 

La mora scoccò un’occhiata esasperata.

“L'ascensore?”, chiese il suo boss.

Non ce la poteva fare.

“Hanno quasi finito.”

“Hai da fare?”

“Da morire.”

Gabriel la guardò sfogliando l’ennesimo numero di Vogue, “perché hai tutto questo desiderio di morte?”

A quel punto non ce la fece e ruotò gli occhi al cielo, “secondo lei?”

Adrien ghignò, ma prima che potesse aprire bocca, Marinette lo fermò con una mano alzata. Puntò il dito indice sui due Agreste e uscì dal loro ufficio, lasciando la porta aperta.

“Siete tornati insieme tu e Adrien?”

Inciampò nei suoi stessi piedi finendo con il sedere per terra, “che cosa?! No!”, scosse la testa e poi sussurrò, “no...perché me lo chiedi?”

Paul le allungò una mano, che lei prese, e la tirò su finché non si stabilì su due piedi.

“Sai.. l’intesa, la complicità… sembrava”, poi scosse la testa, “okay, l’ho sperato. Con tutto me stesso.”

Lei scosse la testa ma prima che potesse rispondere, la voce roca di Adrien dal suo ufficio li raggiunse, “nessun divertimento per questo povero gatto. Ci abbiamo sperato.”

Marinette arrossì, “Adrien!”, urlò con tutto il fiato nel suo corpo.

“Civilmente, ho detto. Parlare. Civilmente”, ribadì Gabriel dalla sua scrivania. 

Marinette sbuffò e si sedette alla sua postazione.

Paul alzò una mano per salutarla.

“Ci vediamo domattina alle otto”, disse la ragazza a mo di saluto.

“No.”

“Come no?”

“No, perché ci vediamo prima. Tua mamma mi ha invitato stasera a cena da voi”, e uscì dalla stanza.

Che cosa aveva combinato facendo incontrare quei due?

Un messaggio in arrivo la distrasse dal sbattere la testa contro la scrivania.

 

Passo domani mattina alle 7:30 con i documenti firmati e approvati.

-Chloe

 

Riesci a passare nel pomeriggio? Domani ho un brunch. Scusami.

-Marinette

 

Forse non hai capito o hai problemi di vista. Passo domani mattina in maison alle 7:30, punto. Dopo ho da fare e non mi interessa se tu devi presenziare ad un brunch.

E ringrazia il cielo che vengo a portateli e ti faccio saltare tutta la trafila del comune!


Era già tanto così, non poteva aspettarsi troppi favori da Chloè.


Va bene. Puoi passare da casa mia, invece che in maison?

-Marinette

 

Questo si può fare. Fammi trovare pronti dei cornetti vuoti con la glassa alla vaniglia.

-Chloe

Marinette rispose con un pollice in su e si rimise a lavoro.

Dopo del tempo, si trovò la mano di Natalie davanti il volto.

“Cosa posso fare per te, Natalie?”

“Andate a casa, mademoiselle. Qua finisco io.”

“Oh, no, non potrei, davvero.”

“Sono già le otto e mezza, la sua famiglia la sta aspettando. Vada a casa, domani sarà impegnativo.”

“Come tutto il resto della settimana.”

Natalie annuì con la sua solita espressione impassibile, anche se vide un lampo di contentezza nei suoi occhi.

La ragazza si stiracchiò e prese le sue cose, “grazie mille, Natalie.”

“Dovere, mademoiselle.”

Si incamminò nei corridoi vuoti fino a raggiungere l’ascensore, dove premette il tasto di prenotazione e aspettò che arrivasse al suo piano. Accanto a lei, si trovava il cantiere per il famoso ascensore che avrebbe portato fino al tetto. Scosse la testa con un sorriso sul volto.

“Marinette?”

Si voltò di novanta gradi e vide Adrien che le veniva in contro.

“Hai smontato ora?”, le domandò lui preoccupato.

Lei annuì.

“Non dovresti affaticarti tanto.”

“Ce la faccio, Adrien. Ricordi? Sono la Ladybug di tutti i giorni”, disse facendo riferimento al nomignolo che lui le aveva dato tanto tempo fa, nella speranza di alleggerire la tensione e quella improvvisa stretta allo stomaco.

“E non solo. Per mia fortuna.”

Le porte dell’ascensore si aprirono e loro entrarono al suo interno pigiando il tasto per il piano terra.

Rimasero in silenzio con Marinette che batteva il piede per terra dall’ansia di rimanere in un luogo chiusa con lui, da sola. Aveva passato la settimana con lui, ma sempre in compagnia degli altri, e quando si trovava da sola in sua compagnia, aveva paura di se stessa e di quello che avrebbe potuto fare.

E mentre nella sua testa, Marinette stava dirigendo un film da premio Oscar, l’ascensore fece uno scossone e grazie alla sua irrequietezza si trovò a battere il sedere per terra per la seconda volta in quel giorno. O meglio, stava per finire per terra. In realtà, si ritrovò spiaccicata sul petto di Adrien che prontamente la strinse a se.

Cavolo, era fottuta.

Si beò di ogni attimo tra le sue braccia e delle sue mani calde e grandi sui suoi fianchi.

“Certo che quei tacchi killer e la tua goffaggine sono un attentato alla tua stessa vita.”

Lei annuì, non osando guardare la trappola che erano i suoi occhi verdi, “ne sono consapevole.”

Con lo sguardo fisso sul suo petto, vide che la cravatta, nel tentativo di salvare lei nel suo incontro ravvicinato con il pavimento, si era storta. Senza pensarci troppo su, allungò le mani e gliela sistemò.

Il pomo d’adamo di Adrien fece su e giù.

Poi, per stemperare la tensione, mise le mani sul bavero giacca, spianandola, “scusa, era storta.”

“Niente, anzi: sentiti libera di farlo tutte le volte che vuoi.”

Lo lasciò andare, allontanandosi di due passi e mettendo distanza tra loro due. Mancavano ancora quattro piani, solo quattro. Strinse le mani a pugno nel tentativo di trattenersi dal toccarlo di nuovo.

Rimasero in silenzio finché non uscirono nella hall della maison.

“Ti accompagno casa?”

“Oh, non voglio disturbarti-”

“Lo sai che non lo è, non sei mai un disturbo .”

Lo guardò negli occhi verdi e si rese conto di non aver mai desiderato con così tanto ardore di voler essere baciata.

“Oh, ce l’hai fatta! Pensavo che ti avrei aspettata per tutta la sera. No, scherzo, ti avrei portata giù di peso, nel caso.”

Quando Paul si rese conto degli sguardi di fuoco che si lanciavano i due, si chiese se non aveva interrotto qualcosa.

“Tutto apposto?”, si trovò a domandare il castano.

“Certo”, si riscosse veloce Marinette, “sei a cena da me, giusto?”

Al cenno affermativo di Paul, la ragazza continuò, “allora, mi porti tu a casa, così lasciamo libero Adrien.”

“Forse è meglio che ti accompagni lui, sai-”

“Sai, un corno. Siamo diretti nello stesso posto, è inutile far sprecare tempo a lui. Andiamo.”

Lo guardò con lo sguardo che Paul conosceva molto bene: ‘ho deciso così e faremo così, anche se cascasse il mondo’. Era in quei casi che il ragazzo riconosceva in lei la degna erede di Agreste.

“Va bene”, disse sconfitto alzando le mani in aria, “andiamo. Ci vediamo, Adrien.”

Lei annuì, salutando il biondo con un cenno della mano e un sorriso di circostanza, “a domani.”

“A domani”, le fece eco lui.

***

“Ma io non riesco ancora a capire perché non sei voluta andare con lui”, esclamò Paul la mattina dopo mentre sistemava le ciocche more di Marinette in piega con i bigodini.

“Te l’ho già ripetuto ieri sera”, rispose lei scocciata di dover tornare di nuovo sull’argomento; l’aveva già messa alla gogna ieri per quella faccenda. Chloe era già passata quella mattina lasciandole i documenti approvati e svariati commenti di quanto fosse impresentabile appena sveglia, mentre lei, già alle 7:30 di mattina, era truccata e pettinata manco dovesse presentare agli Emmy.

“Sì, ma io non ho ancora capito!”

“Cosa c’è da capire? Cosa vuoi che ti dica? Che sono ancora innamorata di lui? Che avevo una tremenda voglia di baciarlo tanto che mi prudevano le mani? È questo che volevi sapere?!”

“Sì!”, esclamò lui incurante del pudore o della vergogna. 

“No! Paul, non posso farmi di nuovo del male, non posso illudermi.”

“Ma sei ancora innamorata di lui.”

“Chi non è innamorato di Adrien Agreste?”

“Touchè.”

Poi, in silenzio, Paul continuò a prepararla.

“Sabine, cara, vieni che ho finito!”

“Arrivo subito, Paul. Tesoro, vuoi un caffè?”

“No, cara, grazie lo stesso.”

Marinette ascoltò basita quella conversazione. 

Ripeto: cosa aveva creato?!

Mentre sua madre stava salendo le scale, la mora ne approfittò per guardare il suo riflesso nello specchio a figura intera. I capelli erano sciolti e sistemati in una piega perfetta, il trucco era leggero, quasi inesistente, e un vestito ocra dal corpetto stretto e la gonna svolazzante fino alle ginocchia, completava il look. Sembrava così solare, piena di vitalità. Paul poteva pure essere una comare, ma, di certo, sapeva come comunicare tramite un’immagine; anche perché nel mondo della moda, l’immagine era tutto.

“Tesoro, sei bellissima”, esclamò Sabine.

“Esattamente come nei cinque giorni precedenti.”

Cavolo, erano già passati cinque giorni dall’inizio della Fashion Week?

“Oh, ma bella in modo diverso. Oggi sembri proprio...Marinette”, la Marinette solare e allegra, la goffa Marinette che affronta la vita con un sorriso.

Oggi non era né Ladybug né la stagista di monsieur Agreste...solo...Marinette.

Lei annuì e indossò il sandalo dal tacco largo (e vertiginoso) nero con la fibbia tempestata di pietre rosse e verdi con rifiniture oro. Poi prese la piccola borsa a tracolla in pendant con le scarpe e si girò verso i due.

“Che vi sembra?”

Paul e Sabine, nella stessa identica posa, mani giunte e portate al petto, sorrisero.

“Bellissima.”

“Favolosa.”

“Grazie.”

Scesero di sotto dove Marinette salutò tutti e si diresse fuori.

Accanto al marciapiede si trovava di già una berlina nera dai vetri oscurati che aspettava solo lei. Quando la portiera si aprì e ne scese un Adrien Agreste con un completo di lino grigio tortora, camicia bianca e occhiali da sole calati sul naso, il suo cuore perse un battito. Anche più di uno, se doveva essere sincera.

Il biondo fischiò piano in segno di apprezzamento e lei arrossì nemmeno fosse una quindicenne.

“Mi erano mancate le tue gote rosse”, esordì lui con un ghigno.

“Buongiorno anche a te, Adrien.”

“Buongiorno, my lady.”

Con le guance sempre rosse entrò in macchina dove trovò monsieur ad attenderla.

“Bonjour, monsieur Agreste.”

“Marinette”, disse lui appena si sedette vicino, “sei incantevole.”

“Grazie.”

Si trovò, poi, stretta tra i due Agreste e non riuscì a capire se era la cosa migliore o peggiore che le fosse capitata.

Cercò di calmarsi e di nascondere il nervosismo; non era la prima volta che partecipava a questi eventi, ma l’ansia prendeva sempre il sopravvento.

“Tranquilla”, le sussurrò Adrien ad un orecchio facendole venire brividi ovunque, “Sarai fantastica come sempre.”

Scesero dall’auto ed entrarono in uno dei locali più esclusivi di Parigi con passo sicuro e calcolato. Adrien le porse la mano per aiutarla a salire alcuni scalini, poi, con sommo dispiacere, la lasciò andare. A meno che stessero insieme (e non era il loro caso), non dovevano avere tali atteggiamenti per non fomentare chiacchere.

Solo cavalleria e cortesia, gli ripetè nella mente la voce di Gabriel.

“Stai bene?”

“Sì, certo”, rispose con un sorriso alla domanda di Adrien.

Un ippopotamo sarebbe riuscito ad essere più convincente.

Passarono la prima mezz’ora nei soliti convenevoli e conversazioni leggere con la maggior parte delle persone presenti nella stanza.

“Per quanto tempo dobbiamo ancora restare?”, chiese Adrien sottovoce, chinandosi vicino alla testa di Marinette.

“Ancora un po’, temo.”

E in un lampo la vide: la bionda dal completo verde mela che durante il suo servizio fotografico per Vogue ci aveva provato con Adrien.

Presa da una gelosia dello stesso colore del completo della donna, si girò verso Adrien e lo guardò dritta negli occhi verdi.

“Che c’è?”, mormorò lui, stranito dal comportamento della ragazza.

Rimase per un attimo senza parole, poi, le venne l’idea, “hai la cravatta storta.”

Così, iniziò a sistemare la cravatta (già perfetta), il colletto della camicia (già perfetto) e il bavero della giacca (quello era un po’ storto).

“Non che mi voglia lamentare”, iniziò Adrien mentre lei stava ancora armeggiando con il nodo della sua cravatta, “ma perché lo stai facendo?”

“Hai detto che potevo farlo quando volevo.”

“Se prendi così alla lettera i miei inviti, dovrei spingermi un po’ più in là.”

Marinette arrossì e gli lanciò l’occhiata alla Ladybug, “Adrien!”, sussurrò mezza alterata.

Lui proruppe in una risata che ben presto svanì.

Sentì la mano di lui sul fianco, in maniera quasi possessiva, e indurì lo sguardo verde.

Lei si girò e si trovò imbarazzata più di cento volte prima.

“Luka”, proruppe con voce incerta.

“Ciao, Marinette”, e come si conveniva si salutarono con due baci sulle guance.

La mano di Adrien strinse di più il suo fianco.

“Agreste.”

“Couffaine”, rispose lui al saluto del chitarrista.

“Com’era Londra?”

Mon Dieu.

“Incantevole”, disse il biondo a denti stretti.

“Che ci fai qui?”, esclamò Marinette per evitare che i due si scannassero prima della fine del brunch.

Gli occhi di Luka si addolcirono mentre si posarono su lei, “sono tornato ieri pomeriggio a Parigi dopo la tournée con Jagged Stone. Mi hanno invitato a partecipare agli eventi mondani.”

Adrien alzò un sopracciglio, “che fortuna”, esclamò con ironia.

“Almeno mi ha dato la possibilità di vederti”, rispose Luka di rimando lasciando un bacio sul dorso della mano di Marinette.

Quando sentì anche l’altra mano di Adrien sul suo fianco, mentre l’altra si stringeva in un pugno, capì che era l’ora di andarsene.

“Lieta anche io di averti rivisto, Luka. Ora, scusaci, ma dobbiamo andare a controllare le ultime cose per la sfilata della maison Agreste.”

Acchiappò Adrien per un braccio, scordandosi degli avvertimenti di monsieur, e lo trascinò fuori dalla sala.

“Prendimi per il braccio come se mi stessi scortando da qualche parte”, sussurrò lei a mezza voce.

“Cosa?”

“Fallo e basta.”

E come era sempre successo nel loro duo, Adrien eseguì prendendola sottobraccio.

Appena furono fuori da occhi indiscreti, Marinette prese la mano di lui e una volta individuata la porta con su scritto toilette, rinchiuse tutti e due lì dentro. A chiave (tanto per essere sicuri).

“Devo ancora capire perché voi donne scegliete sempre il bagno.”

“A chi lo dici, moccioso”, esclamò Plagg uscendo.

Marinette guardò i due con un sopracciglio alzato.

“Plagg?”

“Sì?”

“Dentro la borsa”, disse lei continuando a guardare truce il biondo.

Plagg aprì bocca, contrariato, “cosa? Ma io non-”

“Dentro. La. Borsa”, ripeté lei glaciale, “ora.”

Il kwami nero, deciso a non sfidare una Ladybug incazzata, fece come gli era stato detto e raggiunse Tikki dentro la borsa della mora.

“Che ti è preso oggi?”, esclamò lui.

“A me? A me, che è preso?”, domandò lei retorica, “piuttosto, cos’era quello che è appena successo?”

Adrien incrociò le braccia al petto, “non mi piaceva come ti guardava.”

“Non è una giustificazione! Sembrava che gli volessi tirare un pugno!”

“Togli il sembrava, glielo avrei dato volentieri.”

Marinette lo guardò a bocca spalancata, “sei solo un gatto possessivo, non vuoi che gli altri abbiano i tuoi stessi giochi anche se tu non li usi più.”

“Fidati che certi giochi vorrei ancora usarli.”

Si trovarono faccia a faccia, tutti e due ansanti e con i nervi a fior di pelle.

“Non mi piace essere di proprietà di qualcuno, io appartengo solo a me stessa.”

“Lo so”, disse lui scuotendo il capo, “ma se non vuoi essere di proprietà di nessuno, come dici tu, perchè porti quella collana?”

Istintivamente, portò la mano al collo dove trovò la famigliare collana con il ciondolo “A” di Agreste, la stessa collana che indossava sempre come con i suoi orecchini magici. 

“Perché mi ricorda chi sono adesso: la stagista di tuo padre, e perché sia chiaro a chi è votata la mia fedeltà.”

Lui ghignò e si avvicinò a lei di un passo, annullando la distanza, “allora è vero che non te lo ha detto.”

“Cosa?”

“Quel ciondolo, la collana a cui tieni tanto, te l’ho regalata io prima che partissi per Londra, così che avessi sempre una parte di me con te”, si passò una mano tra i capelli, imbarazzato, “ma non sono riuscito a dartela, mi sembrava troppo intimo. Ho chiesto a mio padre di consegnartela e di non dirti che era da parte mia, ma pensavo che non mi avrebbe dato retta...invece”, e con due dita sfiorò il ciondolo a forma di A. 

Marinette trasalì e boccheggiò svariate volte prima di ritrovare la voce, “quindi, è da parte tua?”

“A di Agreste; A di Adrien.”

Come aveva fatto a non collegare prima?! Si sentiva così stupida.

“Perché? Perché questo regalo?”

“Per lo stesso identico motivo per il quale tu mi hai sistemato la cravatta davanti a tutti lì dentro”, disse indicando con un gesto del capo la porta, “segnare il territorio, gelosia..chiamala come vuoi.”

Marinette rimase immobile con le guance arrossate e gli occhi spalancati, incapace di dire altro.

Adrien la guardò con gli occhi verdi scuri dal desiderio, la bocca contratta in una linea.

E, come era sempre successo, si capirono in un secondo, perché loro erano i mitici Ladybug e Chat Noir. 
Volevano smettere di giocare al gatto e il topo, smettere di rincorrersi, di rifiutarsi e di far finta di niente.
Loro si appartenevano da sempre, dalla prima volta che i loro sguardi si erano incrociati.

“Bene”, esclamò Marinette sbloccando la porta e prendendolo per mano, “andiamo a segnare il territorio insieme.”

Adrien fece il suo mezzo sorriso da cortocircuito ormonale, “non aspettavo altro, mia signora.”


Angolo Autrice
Ma quanto è luungoo? Mi sono superata, ammettetelo.
E prima che mi arrivino sputi o insulti: DEVE ANCORA USCIRE L'EPILOGO. Lo so, sono cattiva perchè non vi ho ancora dato un finale con la F maiuscola...vi terrò con l'ansia fino alla fine ahahah. Spero di pubblicarlo al più presto, forse dopo Pasqua? Per questo non sto a dilungarmi, vi sorbirete tutti i miei ringraziamenti al prossimo aggiornamento ;)
Come sempre vi mando un bacio,
Cassie

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


Passò l’ultima volta il rossetto rosso sulle labbra, stando attenta a non sbavare.

“Tesoro, ti tremano le mani.”

“E a te no?”, rispose lei di rimando a Paul.

Era arrivato Il giorno, il grande giorno della sfilata della maison Agreste con conseguente party. Era stata tutto il pomeriggio a controllare ogni minimo dettaglio: dalla passerella alla musica, dalle modelle agli abiti. Per non parlare della supervisione su truccatori e parrucchieri per i vari briefing creativi. 

Adesso, lei e Paul si erano ritirati nel regno di lui (ovvero il magazzino) per prepararsi all’evento. Non poteva perdere tempo, Marinette, per tornare a casa sua o, peggio, andare a Villa Agreste per sistemarsi.

“Sì, no”, disse Paul incerto, “non sono io la mente creativa della sfilata, non è su di me che hanno aspettative.”

“Grazie, Paul, adesso sì che non ho ansia.”

“Sono qua per questo.”

Rilesse un’ultima volta il messaggio di incoraggiamento che le aveva mandato Alya e poi ricontrollò la scaletta nella sua agenda. Ormai l’aveva imparata a memoria.

“Rilassati”, le sussurrò Paul, “sennò farai una figuraccia assicurata come è successo il tuo primo giorno di lavoro.”

Lei si portò una mano sugli occhi, “ti prego, non ricordarmelo.”

Si guardò nello specchio cercando un errore o qualcosa che non andava.

Il vestito che indossava era scarlatto dal corpetto con le stecche di balena, le spalline sottili con pizzo nero ed effetto vedo non vedo. La gonna in chiffon scendeva morbida, ondeggiava ad ogni suo passo, e l’orlo era decorato da inserzioni di pizzo nero. I capelli erano rinchiusi in un morbido, e volutamente spettinato, raccolto con alcune ciocche more che le incorniciavano il volto. Il trucco? Una semplice linea di eyeliner nera, ad enfatizzare i suoi occhi celesti, e rossetto rosso.

Non si era mai sentita più sexy e elegante di così.

“Vuoi tenere quegli orecchini anche oggi?”, le chiese Paul mentre annodava il papillon bianco. 

Faceva veramente la sua porca figura in smoking.

“Sì”, rispose Marinette credendo impensabile di riuscire a portare a termine la serata senza il supporto silenzioso di Tikki.

“E la collana?”

Sfiorò con due dita il ciondolo in questione che, da quando aveva scoperto tutta la storia dietro, non si era mai tolta.

Lei e Adrien non avevano ancora realmente parlato dopo il branch; erano stati troppo impegnati. Eppure, qualcosa era cambiato: negli sguardi che si lanciavano, nelle parole che si rivolgevano come se esistessero solo loro due, nei tocchi frequenti quando erano vicini. Nel tacito accordo da parte di lui di accompagnare lei ogni giorno a casa e di andarla a prendere, nella tacita promessa di lei di far sorridere lui il più possibile facendogli gravare il meno possibile il peso dell’eredità della maison.

“La tengo”, disse sicura guardando il suo riflesso con occhi sicuri.

Le labbra di Paul si aprirono in un sorriso degno del gatto cheshire, “bene. Perfetto, oserei dire.”

“Dobbiamo andare”, disse lei, marciando sulle decolletè in pizzo nero dal tacco a spillo vertiginoso.

Paul annuì serio, mentre la prendeva sottobraccio per scortarla al nuovo e tanto bramato ascensore per arrivare alla terrazza. 

Nella salita, Marinette torturò la clutch in pendant con il suo vestito e dove al suo interno si trovava la sua fidata kwami che quella sera faceva il tifo per lei.

“Ti prego, fermati. Stai mettendo ansia pure a me.”

“Bene perché dovresti averne.”

“E perché?”

“Perché se questa sfilata andrà male, sarà la fine della mia carriera. Monsieur non mi vorrà più come stagista e mi licenzierà, io non metterò più piede in maison e non ti vedrò più. Finirò per morire dalla vergogna nel mio letto, sola soletta.”

Paul la guardò scettico, “ti sei scordata della parte in cui vieni derisa dagli altri stilisti.”

Marinette alzò le mani al cielo, “vedi, per questo sei il mio migliore amico.”

“In quanto tale, ti dico seriamente che dovresti calmarti. Io sarò qui a darti una mano, tutti quanti te la daremo, e tutto andrà per il meglio.”

Respirò profondamente e misero piede sulla terrazza coperta allestita per l’occasione: ai lati si potevano trovare enormi composizioni di fiori dai toni neutri, al centro troneggiava la passerella bianca ed intorno ad essa delle sedie bianche. Rimaneva, poi, vicino al famoso ascensore, uno spazio libero allestito con un piccolo banchetto per intrattenere gli ospiti prima della sfilata. Passando lì accanto, Marinette fermò uno dei camerieri nella divisa bianca e gli prese dal vassoio un bicchiere di champagne. Lo buttò giù tutto in un sorso.

“Sai, affogare l’ansia nell’alcool non è una buona idea.”

Si girò e spalancò gli occhi in automatico.

Gabriel e Adrien Agreste camminavano verso di lei con passo sicuro trasmettendo fascino da tutti pori, vestiti tutti e due con uno smoking nero, con papillon, Agreste.

“Non credo”, disse Paul al suo fianco per interrompere il silenzio causato dalla secchezza nella gola di Marinette, “l’alcool non risolve qualsiasi cosa.”

“Disse l’alcolizzato”, commentò Marinette con voce roca.

Cavolo, quanto cazzo era bello Adrien?

“Non sono io quella che si è appena scolata un bicchiere di champagne.”

Gabriel interruppe tutti con una gesto della mano.

“Tutto pronto?”

Marinette annuì, “devo fare l’ultimo giro di perlustrazione, ma per ora tutto procede come dovrebbe essere.”

“Bene”, disse Gabriel posando lo sguardo sulla targa di riconoscimento in quanto edificio storico che, grazie a Chloe, era stata da poco installata. Avevano fatto inserire anche una doppia targa per la terrazza che avevano intitolato “Terrasse Emiliè”.

Monsieur si riprese velocemente, “avete visto che bella figura fa l’ascensore?”

“Fantastica”, esclamò serio Paul.

“Bene, io vado a fare quel controllo che vi dicevo prima”, disse Marinette per non continuare a vedere quella pazzia per un trabiccolo elettrico.

Andò dietro i tendoni color crema che separavano la passerella dal backstage, scrutando minuziosamente che tutto fosse in ordine.

“Allora, l‘ascensore-“

“Ti prego, pure tu no”, pregò lei girandosi verso Adrien.

Lui rise e le andò incontro, occupandosi di controllare le postazioni delle modelle...lui ne capiva molto più di lei su quel fronte. 

“Facciamo così”, iniziò il biondo, “io mi occupo dei modelli, tu controlla gli abiti e la scaletta.”

Marinette annuì e in silenzio fecero ciò che avevano concordato.

Quando lei ebbe finito si girò a vedere Adrien che stava finendo di controllare l’ultima postazione di una delle modelle.

“È incredibile che tu ne sappia così tanto”, disse Marinette alludendo a ciò che lui stava facendo.

“Bè, ci sono cresciuto. Penso sia normale per il figlio di Gabriel Agreste.”

“Uhm, è anche normale stare così bene in uno smoking per il figlio di Gabriel Agreste?”

Spalancò gli occhi un attimo dopo.

Non lo aveva detto seriamente.

Non poteva averlo fatto.

Adrien ghignò sornione.

Sì, lo aveva detto.

Urgeva che tenesse sotto controllo gli ormoni.

“Sai, nemmeno tu sei male.”

Con la testa ancora tra le nuvole, Marinette se ne uscì con un, “cosa?”

Il biondo si avvicinò a lei fino a giocare con una ciocca dei suoi capelli, “Marinette, stasera sei stupenda. Quando ti ho visto mi si è mozzato il respiro e, da allora, non riesco più a staccarti gli occhi di dosso.”

Marinette annaspò un po’, alla ricerca dell’ossigeno che improvvisamente gli era mancato.

Solo lei sentiva tutto quel caldo?

“Mi fa piacere saperlo.”

Cosa aveva detto?!

Erano rimasti in quella terra di nessuno e, cavolo, Marinette sapeva che non era indifferente ad Adrien e viceversa (perfino un cieco se ne sarebbe accorto!), ma nonostante tutto nessuno stava compiendo quel passo.

Insomma, quanto ci voleva a baciare una persona?, si chiese Marinette mentre si perdeva negli smeraldi di Adrien.

Coraggio. Coraggio e paura di non essere rifiutati. E lei aveva una fottuta paura di essere rifiutata...se fosse successo, stavolta non l’avrebbe retto, non sarebbe più riuscita a rialzarsi.

La voleva ancora? Anche dopo ciò che lei aveva fatto?

“Marinette!”, la voce di Gabriel che la chiamava come la matrigna cattiva di Cenerentola, li risvegliò dalla loro trance.

“Arrivo!”, urlò lei di rimando, inciampando sui tacchi pur di raggiungerlo velocemente.

Allungò una mano indietro, tranquillizzando Adrien che era già pronto a soccorrerla, “sto bene, sto bene.”

Alzò un lembo del vestito e camminò a passo spedito verso Monsieur, “sì?”

“Tutto pronto?”

“Tutto perfetto.”

“L’ascensore funziona?”

“Sì”, rispose euforico Paul, “l’ho provato.”

Marinette li guardò stranita, “siamo tutti arrivati da quell’ascensore!”

“Non si sa mai.”

Continuarono a rigirarsi nei dintorni della terrazza, controllando qualsiasi cosa mentre gli altri dipendenti della maison stavano arrivando. 

“Pronta?”, chiese Gabriel arrivando al fianco di Marinette.

“A cosa?”

“Dobbiamo fare gli onori di casa, stanno per arrivare gli ospiti. Siamo veloci, non dilunghiamoci troppo, poi andiamo dietro le quinte e iniziamo a coordinare. Paul è già lì, truccatori e parrucchieri già all’opera.”

La mora annuì, “va bene, monsieur.”

E così, dettero il via.

***

Era andata.

Incredibile, ma vero, la sfilata era finita.

Un SUCCESSO.

C’erano stati applausi, complimenti e ringraziamenti. Anche a lei: Monsieur l’aveva ringraziata davanti a tutti dopo il suo discorso di conclusione.

Era euforica.

Era su di giri.

E lo champagne che continuava a rifilargli Paul non aiutava.

“Sei stata grande!”, le urlò il suo migliore amico in faccia.

“Sono stata grande! Siamo stati grandi!”

E si strinsero in un abbraccio stritolante.

“Contegno”, sussurrò Natalie nella loro direzione con un sorriso sul volto.

Natalie. Che sorrideva.

Allora i miracoli esistevano veramente.

Erano ancora dietro le quinte, quando dei passi veloci vennero verso il trio.

“È stato fantastico!”, esclamò Adrien facendo volteggiare Marinette per aria, “non si era mai organizzata una sfilata più bella in maison.”

“Non esagerare”, gli rispose Marinette arrossita, ma con un sorriso sul volto.

“Fidati non esagero. E ora, vieni, mio padre ti vuole.”

La prese per mano, fregandosene dei pettegolezzi, e la portò fuori, nella calca degli stilisti e giornalisti.

“Ah, la stagista che tutti vorrebbero!”, esclamò Valentino vedendola.

“L’ho istruita bene.”

E continuarono a parlare finché una mano smaltata di rosso si poggiò sulla sua spalla. 

“Niente male, Dupain-Cheng. Alla fine la tua idea si è rivelata vincente”, disse Chloe con cenno del capo. In un abito stretto e lungo con spacco laterale, spalline sottilissime e di un bianco accecante, Chloe Bourgeois brillava come degna figlia di Audrey. Le labbra, tinte di un rosso cupo come le unghie, si piegarono in un sorrisino, “certo, senza di me, non ce l’avresti fatta.”

Marinette annuì nella sua direzione, “non posso darti torto.”

“Chloe!”, esclamò Adrien che finora era rimasto in disparte a guardare.

“Tesoro!”, e gli butto le braccia al collo stringendolo in un abbraccio...normale? Sincero? No da boa constrictor? 

Allora alle cose tra loro erano cambiate veramente.

Marinette, che aveva ancora gli occhi fuori dalle orbite, bevve l’ennesimo calice di champagne.

Adrien e Chloe continuarono i giusti convenevoli quando un tintinnio fece zittire tutti.

“Signori”, iniziò monsieur, “sono lieto che abbiate trovato di vostro gradimento questa nuova location, ma vi prego di raggiungere la terrazza panoramica de Le Grand Paris dove continueranno i festeggiamenti della maison Agreste.”

Tutti annuirono e piano piano lasciarono la terrazza. Monsieur scese giù velocemente per raggiungere per primo il nuovo locale della festa per fare gli onori di casa, mentre Marinette, Adrien e Paul rimasero indietro per salutare gli ospiti con i dovuti rispetti.

“Incredibile”, disse Paul quando anche l’ultimo fu salito in ascensore, “sono stanco morto.”

“Non vieni al party?”, chiese la mora mentre sistemava l’ultimo abito dentro la sua custodia.

“Vengo solo per l’alcol. Mai dire di no all'alcol, soprattutto se pagato da Gabriel Agreste.”

“La tua fedeltà a mio padre è proprio massima eh”, disse Adrien scoppiando in una risata.

Paul scosse la testa e approfittò di quel momento per dileguarsi, “lo so. Ragazzi è giunto per me il momento di andarmene. Vado a posare queste cartelle al piano di sotto e, poi, dritto verso l’alcol. Ci si vede al party!”, imboccò la tromba delle scale e sparì.

Loro due rimasero un attimo in silenzio mentre una terza voce interveniva, “quello lì va denunciato agli alcolisti anonimi.” 

Plagg volava davanti alle loro facce con una fetta di camembert tra le mani.

“Bè, tu andresti denunciato per l’eccessivo uso di camembert. Direi che siete pari.”

“Moccioso, non dire una tale assurdità! Il camembert è nettamente superiore a un po’ di alcol.”

Marinette sorrise divertita, “vogliamo andare?”

“Oui, mademoiselle.”

Adrien le prese il braccio e insieme entrarono nell’abitacolo dell'ascensore tanto voluto da monsieur.

Una volta intrappolati lì dentro, Marinette iniziò come sempre a battere il tacco della scarpe sul pavimento di linoleum, in ansia. Rimanere da soli, in uno spazio stretto, le provocava sempre quella stretta allo stomaco.

“Vogliamo parlare?”, le chiese Adrien rompendo quei secondi di silenzio.

“Dobbiamo?”

“Non ho mai amato il silenzio.”

“Oh, lo so molto bene.”

Fissarono le porte in acciaio, non accennando a niente.

“My lady?”

Lei si girò, quasi sorpresa, a quel nomignolo.

Una volta capito che aveva la sua attenzione, Adrien continuò, “oggi sei stata fantastica. Sei sempre fantastica. E penso di essermi innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista.”

Rimase in silenzio e così anche Marinette.

“Credo che non si possa smettere di amare una persona.”

Il cuore di lei perse un battito, anzi smise proprio di funzionare, quando sentì quelle parole.

“Credo, anzi, sono sicuro che ti amo ancora. E non posso smettere, non ci riesco. Direi che Luka è stato la prova del nove...cavolo, vorrei spaccare il naso a quel chitarrista da strapazzo.”

Marinette rimase ancora in silenzio, non credendo alle sue parole. Il dolore alle dita dei piedi, lo strattone allo stomaco...era tutto sparito. Sentiva solo il sangue che le scorreva nelle orecchie e il battito del suo cuore.

Adrien si girò con gli occhi spalancati, quasi impauriti, “non dici niente?”

Gli ci volle un momento per capire quelle parole, poi sospirò, “porto ancora la tua collana”, disse accarezzandola con un dito. 

“Ho bisogno di sentirlo, che tu me lo dica.”

“Adrien, ti amo”, disse lei con voce spezzata dall’emozione, “e spero che tu possa perdonarmi per quello che ho fatto.”

Lui scosse la testa prendendole il volto tra le mani. I loro occhi si scontrarono, verde contro celeste, “l’ho già fatto, insettina.”

Lei sorrise, un sorriso di gioia pura, e lo baciò.

Lo baciò forte, per ricordarsi com’era farlo.

Lo baciò forte, per ricordare a tutti e due cosa avevano perso in quei giorni.

Lo baciò forte, perché lo amava come non aveva amato nessun altro.

“Sì!”

Quell'urlo di vittoria gli fece staccare con occhi spalancati, ma quando videro i loro kwami ballare una specie di macarena improvvisata, sorrisero.

“Oh, Adrien”, esclamò Tikki volando intorno a loro, “sono così contenta che finalmente avete chiarito e tu sia tornato da Marinette!”

“E io sono così contento che siamo finiti i sospiri drammatici e la tragica situazione!”, esclamò Plagg convinto.

Adrien lo ignorò e si rivolse a Tikki, “non me ne vado più”, poi guardò la sua lady negli occhi stringendole di più il volto, “è una promessa.”

Lei gli accarezzò le mani, “non terrò più tutto dentro, te lo prometto.”

“Bene.”

“Bene.”

“Bene”, aggiunse Plagg, “vissero tutti felici e contenti. Ora possiamo andare al party che ci sono gli stuzzichini al camembert?”

Marinette lo guardò interrogativa.

“Ho dovuto costringere mio padre”, disse semplicemente il biondo. 

Marinette rise e una volta che l'ascensore fu arrivato al piano terra, si avviarono verso il party.

“Mia signora?”

“Sì?”, rispose Marinette con un sorriso e gli occhi celesti che brillavano.

Lui la baciò con le mani sulla vita, “non mi interessa un accidente, stasera vieni a casa con me e ti tolgo questo vestito.”

“Sissignore”, disse lei sempre ridendo.

Lui la baciò di nuovo, “e chiunque saprà quanto ti amo.”

Lei annuí di nuovo e lui la baciò di nuovo.

“Dio, quanto mi era mancato il sapore di miele sulle tue labbra.”

“Andiamoo! Stuzzichini al formaggio!”

“Plagg, piantala”, disse la vocina di Tikki.

Marinette rise e lasciò un dolce bacio sulla punta del naso di Adrien.

“Arriviamo, arriviamo.”

Entrarono al party della maison Agreste mano per mano e se ne andarono insieme.


Il giorno dopo, tutti i giornali parlavano dell’avvicinamento tra la stagista e il figlio di Gabriel Agreste.

Il giorno dopo, un Paul affetto dal dopo sbronza chiamò Marinette eccitato e chiedendo i dettagli.

Il giorno dopo, Gabriel sorrise vedendo la mora prendere posto a colazione al tavolo di Villa Agreste.

Il giorno dopo, Adrien e Marinette si svegliarono sorridenti e continuarono a baciarsi.

Il giorno dopo, Plagg si chiese se era meglio la situazione tragica con sospiri d’amore e tristi o quella in cui i due non riuscivano a tenere le mani e le labbra a posto.

In ogni modo, gli facevano male gli occhi e le orecchie.

Mon dieu, che sciocchi portatori aveva.


Angolo autrice

Sembra strano mettere un punto a questa storia, sembra strano scrivere "the end", eppure sta succendendo. Questa è la stata la mia prima grande storia: quella a cui ho dedicato tempo e sudore, quella a cui ho dedicato ore e ore di idee folli... è un po' il mio bambino e mi sembra strano lasciarlo andare via. Ma l'happy ending è finalmente arrivato! Come ha detto Plagg: tutti vissero felici e contenti. 

Ma ora, veniamo ai ringraziamenti che mi sembra più che doveroso fare!

Grazie, inanzitutto, a questi personaggi che hanno preso forma nella mia testa (che hanno abitato la mia testa!) e mi hanno permesso di scrivere questo racconto. Grazie Plagg, mi ispiri sempre idee contorte e sei di ispirazione.

GRAZIE a tutti voi. Voi che avete letto, commentato, seguito e preferito questa storia, perché senza di voi molto probabilmente mi sarei fermata ai primi capitoli e poi avrei abbandonato l'impresa. Grazie davvero perché, forse a voi sembrerà poco, ma il supporto e la gioia che i vostri commenti scatenavano in me, non avrò mai abbastanza parole per descriverlo. 

Ringrazio, inoltre, il vero protagonista di tutta questa storia: l'ascensore. Lui è stato una costanza in tutta la storia, il mio filo conduttore. Che siano benedetti gli ascensori!

GRAZIE A TUTTI VOI CHE SIETE ARRIVATI FIN QUI A LEGGERE GLI SCLERI DI QUESTA PAZZA.

Aiutatemi ad ingoiare questa pillola amara, a scrivere queste ultime parole, a salutarvi un'ultima volta.

Un bacio,
Cassie

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