Once Upon Another Story - la storia continua

di jarmione
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giorno della maledizione ***
Capitolo 2: *** Il caos ***
Capitolo 3: *** L'arresto di Jareth ***
Capitolo 4: *** Il confine ***
Capitolo 5: *** La soluzione ***
Capitolo 6: *** Qualcosa di speciale ***
Capitolo 7: *** Le statue ***
Capitolo 8: *** Divisioni e ritrovi ***
Capitolo 9: *** Le prime soluzioni ***



Capitolo 1
*** Il giorno della maledizione ***


Avevo promesso ad Evelyn80 il seguito.

E' già scritto, devo solo revisionare i vari capitoli e poi pubblicarli; dato che lavoro e, per fortuna, non manca, se ritardo vi chiedo scusa.

Buona lettura

 

 

 

 

IL GIORNO DELLA MALEDIZIONE

 

 

Jareth volò in alto nel cielo, allontanandosi da quel posto smielato il più velocemente possibile.

La terra di Ooo era sempre stata un luogo troppo caotico per i suoi gusti; i suo Goblin erano cento volte più tranquilli e meno stupidi.

Osservò la boccetta che aveva nelle zampe.

Era davvero sicuro di volerla usare? Non era solo Sarah che avrebbe subito la vendetta, ma sarebbero finiti di mezzo anche altri innocenti di tante altre terre e mondi.

Ma ormai era tardi per tornare indietro.

Volò ancora fino a scomparire in un bagliore di luce e riapparire altrove, dove l'oscurità regnava sovrana.

L'unica luce derivava da un falò su di una montagna.

Ogni sera, alcuni membri, tra i cattivi, dei vari mondi si radunavano lì e si raccontavano le malefatte del giorno, oppure usavano quel luogo come rifugio per stare tranquilli.

Jareth aveva partecipato alcune volte, ma era già da tempo che non andava.

Quando venne visto, gli occhi furono puntati su di lui.

Si tramutò nella sua forma Fae e si avvicinò

Solo una donna anziana era lì, accanto al fuoco.

“Jareth!” si stupì “Non mi aspettavo di vederti”

“Sono qui per affari” rispose “Mamma Dalton” salutò con un cenno del capo l'anziana e sorridendole con fare amichevole “E' sempre più bella”

“E tu sei un adulatore, Jareth” ridacchiò lei, facendogli l'occhiolino “Se solo avessi qualche anno di meno...”

“Lei sarebbe la mia regina” Confermò Jareth, facendole il bacia mano “Come mai si trova qui?” domandò, anche perché non si aspettava di trovare qualcuno proprio quella sera.

“Avevo bisogno di tranquillità” rispose la donna “Dovevo riflettere”

“La vedo turbata” osservò Jareth “Cosa la cruccia in questo modo, mia dolce signora”

Mamma Dalton non aveva bisogno di parlare per farsi capire.

Guardò Jareth negli occhi e lui intese subito.

“Capisco...” si portò la mano al mento “...è una bella grana, me ne rendo conto”

“Non ho grandi soluzioni” aggiunse la donna “Mio figlio Averell manda sempre tutto in malora e non lo fa nemmeno apposta”

“Forse la soluzione ce l'ho io” commentò Jareth mostrando alla donna la boccetta.

Mamma Dalton la osservò, ma non aveva idea di che cosa fosse e, per tale motivo, non disse nulla.

Continuava ad osservare il fuoco davanti a lei, seduta su di un masso lì vicino, immersa nei suoi pensieri.

Jareth fece lo stesso, sedendosi accanto a lei.

“Non posso dire di comprendere a pieno il suo stato” disse lui “Ma, se può esserle d'aiuto, ho un modo per far uscire i suoi figli dalla prigione”

Mamma Dalton guardò la boccetta che Jareth si rigirava fra le mani

“Quella?”

Lui annuì “Non ha proferito parola in merito, quindi deduco che sappia già a cosa serve”

La donna scosse la testa “Non sono esperta di cose magiche, sono più una donna razionale e pratica” rispose “Spiegami”

Jareth sospirò, ci mancava solo che doveva fare lezione di magia ad una donna che non la possedeva.

Cercò di essere breve.

“Posso solo dirle che non appena verserò il contenuto di questa ampolla nel falò, le nostre vite cambieranno radicalmente e noi due, compresi i suoi figli, staremo bene”

Mamma Dalton era scettica.

“Devo forse dedurre che lei non è d'accordo con la mia causa?”

Mamma Dalton rifletté “Non posso dire di essere favorevole” commentò “Ho quattro figli in un penitenziario ed una figlia affidata a loro...”

“Come già detto, le posso garantire, mia dolce signora, che i suoi figli staranno bene e vivranno in un luogo diverso da quello attuale”

“Ma, Evelyn, mia figlia...”

“Sono al corrente del suo stato” disse Jareth “Però ammetto che so solamente gli effetti sulle persone esistenti...ma non so quelli che avrà su bambini ancora non nati”

Mamma Dalton rabbrividì “No...” scosse la testa “Ecco un motivo per cui non sono d'accordo!”

la donna si alzò in piedi e puntò il dito contro Jareth “Non mi importa il motivo per cui vuoi fare quello che stai per fare, ma non sarà mio nipote a subire gli effetti collaterali di quella cosa!” esclamò “Esistono anche innocenti e non saranno i miei figli e mio nipote a finire in mezzo al tuo tarlo mentale!”

Mamma Dalton, di istinto, gli tirò una borsata in testa e si voltò con l'intenzione di andarsene.

Jareth, per la prima volta, si infuriò con la donna e mosse la mano in avanti, bloccandole il cammino e sollevandola a mezz'aria.

Anche se per un bambino non nato non c'erano garanzie, prometteva una vita normale a tutti ed un posto di livello se lo seguiva.

Ma la donna era ostinata; per lei la famiglia veniva prima di tutto.

Se lei non acconsentiva avrebbe pagato.

Lui avrebbe “salvato” solo i figli di lei in quanto non li conosceva e non aveva nulla contro di loro

“Io posso offrirle la libertà, denaro e potere...” le disse “...le sto offrendo la possibilità di riscattarsi”

Pian piano la rimise a terra e le diede il permesso di muoversi “Che cosa sceglie? Con me o contro di me?”

“Tu sei pazzo, Jareth” sibilò la donna “Sarò una furfante e rapino la macelleria del paese ogni giorno, ma sono leale nei confronti della mia famiglia, perciò mi dispiace...” si mise la borsetta a tracolla “...Non sono incline a ottemperare alla tua richiesta”

Jareth sospirò e si voltò, dandole le spalle “Sa una cosa, Mamma Dalton?” un altro sospiro “L'ho sempre considerata una donna ragionevole, nonché una grande alleata, in lei ho sempre trovato una madre dolce e pronta ad aiutarmi quando ne ho avuto bisogno...” strinse i pugni e poi mosse una mano facendo apparire una sfera “...Vorrei che mi credesse quando le dico...che farà molto più male a me che a lei” senza preavviso, si girò di scatto e lanciò la sfera contro la donna che, di riflesso, si portò le mani davanti al volto per ripararsi.

Ovviamente non servì a nulla.

Nel giro di un istante, Mamma Dalton si pietrificò; nel suo sguardo un grido di aiuto.

Quel gesto, anche se premeditato, lo fece restare sconvolto.

Lanciò un grido che rimbombò per tutta la zona.

Aveva fatto un gesto stupido.

Ma ormai era fatto; si ricompose e cercò di stare calmo.

Aprì la boccetta, che emise un rivolo di fumo viola per segnalare che il contenuto è attivo.

Fece un profondo respiro e versò il contenuto nel falò

“Mi dispiace, Sarah” mormorò, voltandosi verso la stutua di Mamma Dalton “Se tu mi avessi ascoltato, nulla sarebbe successo...lo sto facendo per te”

Venne avvolto da una spessa nube viola.

Il respiro gli mancò.

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Capitolo 2
*** Il caos ***


Quanto tempo era passato?

Un secondo? Un istante? Secoli?

Tutto a Storybrooke si era fermato, comprese le persone.

Stretti l'uno all'altro, immobili, sembravano freezzati.

Amy spalancò gli occhi all'improvviso, un residuo di nube viola scomparve proprio in quell'istante senza lasciare traccia.

Respirò come se fosse appena riemersa dopo ore di apnea e si accorse che intorno a lei c'era un silenzio glaciale,che durò poco.

“Amy...” udì accanto a se.

Volse lo sguardo verso quella voce, così calda e così familiare.

Lui era lì, la stava osservando con gli occhi lucidi e la bocca spalancata.

“Papa...”

“Dio mio, Amy” la ragazza si ritrovò stretta in un abbraccio soffocante e pieno di paura...paura che lei scomparisse da un momento all'altro.

Ricambiò quella stretta, sentendo le sue lacrime scorrere lungo le guance.

“Ti ricordi di me?”

lui annuì.

Ricordava, ricordava tutto; ogni cosa, ogni gesto, ogni parola...ogni vita.

Michael aveva nella sua testa due vite, quella fasulla e quella reale; il problema è che quella fasulla lo stava tormentando, specie per tutto quello che aveva dovuto fare a causa del sindaco...o meglio, re di Goblin.

“Perdonami, Amy”

Lei non sapeva cosa dire.

Come poteva perdonare a suo padre qualcosa che non aveva commesso?

Non poteva perdonarle qualcosa che neanche sapeva di aver fatto o che, se lo sapeva, non l'aveva scelto lui.

Rimase stretta a lui ancora un po', voleva sentirlo a pieno, voleva essere sicura che fosse tutto reale.

Quando si divisero, Amy lo guardò negli occhi “Che cosa era quella cosa viola che ho visto?”

Michael scosse la testa “Non lo so, ma sono intenzionato a scoprirlo”

Amy annuì e poi spostò il suo sguardo oltre le spalle del padre.

Ad osservarli c'era qualcun altro.

“Ciao, ragazzina” ammiccò Loki, venendo ricambiato da un cenno del capo della ragazza.

Ma altro aveva attirato la sua attenzione.

Amy lo guardò negli occhi parecchio, prima di capire che poteva usare il suo nome...il suo vero nome.

“Sherlock...”

lui aveva un mezzo sorriso, ma era anche preoccupato.

Si avvicinò e la strinse forte a se “Sei più astuta di quanto pensassi” la stretta si fece più salda “Perdonami, Amy”

Lei non riuscì più ad essere arrabbiata con lui, anzi! Si era persino scordata il perché lo fosse.

L'importante era averlo con lei.

“Ehm...” un colpo di tosse li fece voltare “Mi spiace disturbare, ma sta succedendo il finimondo la fuori” disse Loki, indicando alle sue spalle e facendo sentire a tutti il rumore di gente inferocita.

“Sherlock!” un'altra voce e un'altra persona apparvero nella stanza “Devi venire a vedere”

“Dottor Gale...”

“Amelia, ben svegliata” il dottore si accorse di essere osservato intensamente “Voi andate, penso io a lei”

Michael e Sherlock annuirono.

“Amy, torno presto” la rassicurò Michael

Sherlock allungò una mano e strinse quella di lei, avvertendo un pizzicorino sul palmo...sembrava carta.

“A dopo, Amy” Sherlock ammiccò e se ne andò, seguendo Michael.

“Me ne vado anchio” disse Loki “Meglio non essere presenti in questi casi” salutò con un cenno del capo e se ne andò.

“Prevedo caos” disse il dottore, avvicinandosi ad Amy “Approposito, il mio vero nome è John, John Watson”

Amy sorrise e lasciò che John la visitasse.

Quella nube e quell'onda di energia avevano creato non solo panico, dovuto al risveglio così improvviso, ma anche rabbia e rancore.

Molti avevano intuito che il sindaco era coinvolto ed avevano radunato la folla affinché si ribellino.

Il problema era che il sindaco non si trovava.

 

*****

 

Dopo la scomparsa della nube, Sarah aprì gli occhi e si accorse che Jareth si posto davanti a lei come a volerle fare da scudo.

Si guardò attorno, senza capire.

Non era cambiato nulla...o no?

“Jareth...?”

lui si voltò e le sorrise “Sì, mia preziosa?”

Lei non trovava le parole per esprimere nulla; tutto ciò che aveva in testa, oltre al caos, erano le stesse domande che aveva già posto:

Perchè?” oppure “Che cosa hai fatto?”

Ma aveva già le risposte e quindi era inutile ripeterle.

“Non è...cambiato nulla” mormorò infine, guardandolo sperando fosse vero.

“Tu credi?” domandò lui, muovendo la mano e facendo apparire dal nulla una palla di cristallo.

Sarah non potè fare a meno di trattenere il fiato e indietreggiare; l'aveva fatto davvero, aveva portato la magia in quel luogo.

Jareth sorrise ed infine rise; una rista che non prometteva nulla di buono.

“Che intenzioni hai?” chiese Sarah, non ottenendo risposta “Hai detto che volevi la tranquillità, come pensi di ottenerla con la magia?”

“La otterrò, non temere” rispose Jareth mentre faceva ondeggiare la sfera sulla mano “La otterrò senza problemi”

Quest'ultima frase lasciò intendere a Sarah che la tranquillità che cercava l'avrebbe ottenuta con la forza.

“No...no, Jareth, non farlo!” implorò lei.

“Mi stai implorando, Sarah Williams?” il suo viso si avvicinò pericolosamente a quello di Sarah, così vicino da sussurrarle nell'orecchio “Non mi hai implorato così quando ho rapito il tuo amato fratellino”

Sarah si sentì male. Tutto si aspettava tranne che il rinfaccio di quella volta.

Jareth la schernì con un sorriso e la superò “Ricordati che faccio sempre tutto per te, mia preziosa” e si avviò lungo la stessa strada dalla quale erano giunti, cambiando, poi, la sua forma e scomparendo fra gli alberi in un fruscio di ali.

 

*****

 

Luke raggiunse l'abitazione dove Evelyn era stata rinchiusa. Si sentiva uno schifo e sperava che fosse tutto a posto.

Quando spalancò la porta, dopo aver avuto un piccolo litigio con la chiave, entrò con un po' troppa foga.

“Evelyn!” la chiamò, ma nulla.

Si accorse subito dopo che era stesa a terra priva di sensi.

“Evelyn!” subito la soccorse, prendendola in braccio “Evy, svegliati” ma lei non si mosse.

Luke frugò nelle tasche e tirò fuori il cellulare, cercando di trovare subito i numeri di suo interesse.

 

*****

 

Quando Michael e Sherlock uscirono in strada videro un gruppo ampio di persone che camminavano in direzione del municipio.

In testa c'era il nuovo sceriffo.

“Ma che diavolo...?” Michael intuì che qualcosa non andava.

“Ho cercato di fermarlo, ma è stato inutile” una voce alle sue spalle lo fece trasalire “Approposito, Charles Xavier” aggiunse, prima che qualcuno potesse porre domande.

“E come l'avresti fermato?” domandò Sherlock “Non sembri tanto forte da bloccarlo”

Charles non rispose, ma Sherlock cambiò espressione in un batter d'occhio.

“Un mutante, interessante”

Charles proseguì il discorso “Posso entrare e controllare la mente delle persone, ma lui non mi permette di accedere”

“Prima o poi mi spiegherai meglio” disse Michael tagliando corto “Seguitemi”

si avviò verso la folla, cercando di raggiungere al più presto la testa.

“Dov'è il Dottore?” domandò Sean

“E' andato al Bad & Breakfast” rispose spiccio Charles, aggiungendo poi “Erik li ha incitati bene” riferendosi alla folla.

“Non l'avevo notato” disse sarcastico Michael, raggiungendo Erik e parandosi davanti a lui “FERMI!” gridò a gran voce, obbligando la folla a fermarsi.

“Fatti da parte Kostner, o chiunque tu sia!”

Michael non sapeva da dove cominciare, ma non era così che doveva andare.

Avrebbe voluto avere KITT con lui, almeno avrebbe saputo cosa fare.

“Ascoltatemi!” ordinò “Qualunque cosa stiate provando, qualunque sia la motivazione che vi spinge a fare questo, io vi capisco e sono pienamente d'accordo con voi!”

nessuno fiatò e lui proseguì “Con la forza non si otterrà nulla”

“Fatti da parte” sibilò Erik, mutando la sua espressione da arrabbiato ad infastidito “E tu...” rivolto a Charles “...smettila di cercare di entrare nella mia testa!”

Michael e Charles si scambiarono un'occhiata e quest'ultimo gli fece intendere che avrebbe fatto qualcosa.

Michael non poté fare altro che spostarsi e lasciarli passare.

“Hai in mente un piano?” domandò Sherlock, rivolto a Charles.

“Dammi un minuto” chiuse gli occhi e porto un dito alla tempia, come se stesse pensando intensamente a qualcosa...o qualcuno.

“Non lo trovo...” si concentrò ancora “Il sindaco...Jareth, non è qui”

“Come può non essere qui?” domandò Michael “E' impossibile, nessuno ha lasciato la città e neanche lui può andarsene”

“Lo so! Ma non c'è, è impossibile”

“O forse non stai cercando attentamente” si intromise Sherlock “Non so se ci avete fatto caso, ma ne dubito, che sotto alla quantità esagerata di profumo che utilizza vi è un lievissimo odore di penne bruciate” spiegò “E questo anche prima di oggi, ergo, Jareth non è un semplice stregone, ma credo possa mutare la sua forma in un pennuto e...” alzò gli occhi verso il cielo, sorridendo, mentre un barbagianni, dalle piume bianche e oro, sorvolava sulle loro teste.

Michael spalancò la bocca “Non ci credo...”

“Dovevo aspettarmelo” si rimproverò Charles “Ti servirà aiuto” aggiunse rivolto a Michael “So a chi chiedere, tu inizia ad andare verso la casa del sindaco” Michael annuì e si avviò “Sherlock...” non disse altro...non a voce, per lo meno.

Sherlock annuì e si avviò.

 

*****

“Dottor Gale!” qualcuno chiamò John dall'altro reparto e lui, dopo essersi assicurato che Amy stesse bene, se ne andò lasciandola sola.

Nonostante il caos creatosi dallo spezzarsi della maledizione, Amy si aspettava di sentire molto più caos di quello.

Invece, la maggior parte delle persone, stavano approfittando per ritrovarsi e abbracciarsi.

Amy avrebbe voluto fare lo stesso con sua madre e con suo zio, ma non sapeva dove fossero; appena fuori di lì, sarebbe andata subito a cercarli.

E KITT... -Accidenti! KITT!- è vero, si era scordata di KITT!

Le prese il panico; dove era? Stava bene? La maledizione lo aveva ritrasformato in macchina?

Prese il suo orologio dal comodino accanto al suo letto e se lo mise, attivandolo

“KITT?” chiamò “KITT, mi senti?”

Ma nulla, il suo orologio rimase in silenzio.

Un fremito percorse tutta la sua schiena e dovette fare un profondo respiro per calmarsi.

-Un passo alla volta, Amy- pensò -Prima di tutto, esci da questo posto e poi vedi il da farsi-

Si rimise le scarpe, ricordandosi solo in quel momento del pezzetto di carta che aveva in mano.

Era un biglietto; lo aprì.

 

Cappella familiare 5

 

Non c'era scritto altro.

Amy rabbrividì; avrebbe dovuto tornare al cimitero e non era certo il luogo che voleva vedere in quel momento.

Ma se Sherlock le aveva dato quel biglietto, voleva dire che quel luogo era importante.

Si mise anche la giacca ed uscì dalla stanza, fermandosi appena vide la figura di Jeff Darwin entrare nell'ospedale.

Amy fece mente locale per ricordare il nome che aveva letto dell'uomo; alla fine se lo ricordò

“Joe...?”

L'uomo si voltò verso di lei “Tu!” le punto il dito contro con fare minaccioso, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu... “Dove è mia sorella?”

sembrava preoccupato.

“I-io...”

“Signor Dalton?” la voce di un infermiera richiamò la loro attenzione “Lei è Joe Dalton?”

“E allora?” domandò lui bruscamente

“Potrebbe venire con me?” chiese la donna gentilmente, ignorando le maniere brusche con cui Joe aveva comunicato “Si tratta di...” guardò le carte che aveva in mano “...sua sorella, Evelyn Dalton”

Joe la seguì senza far storie, lasciando Amy da sola.

Mina...Evelyn era lì?

Che era successo? Perchè?

Fece per seguire Joe, ma una mano sulla sua spalla la obbligò a fermarsi.

“E' tutto a posto, si riprenderà presto” disse una voce maschile.

“Chris...”

“Luke” sorrise appena lui “Lucky Luke”

Amy si battè una mano sulla fronte; faticava a ricordarsi tutti i nomi che aveva letto e sentito.

“Che è successo?” chiese

“Semplice crisi di panico” spiegò Luke “Nelle sue condizioni non è l'ideale, ma sta bene non temere” sospirò, assumendo uno sguardo cupo “Capisci perché devo portarla via di qui?”

Amy annuì

“Finché non sarà tutto finito non intendo lasciarla a Storybrooke” proseguì lui “Ne va della sua salute...e quella del bambino, anche lui pare stare bene”

Amy sospirò “Non credo che possiate uscire dalla città”

“Si è spezzata la maledizione, magari è libero anche il confine” azzardò lui, ma Amy scosse la testa.

“Jareth è troppo astuto e maligno” disse lei “Sarebbe troppo facile”

“Che cosa suggerisci?”

Amy ragionò.

Qualunque cosa stesse bloccando il confine era sicuramente pericoloso.

Poteva essere una magia o altro.

E se fosse stato qualcosa di non visibile?

Troppe erano le domande e nessuna risposta era adeguata.

Solo KITT avrebbe potuto aiutarli; ma era ancora un lupo? Oppure era tornato ad essere una macchina?

In entrambi i casi, Amy era sicura che lui poteva aiutarla; pensò al foglietto che le aveva dato Sherlock con il riferimento del cimitero.

Non sapeva perché, ma era sicura che una risposta l'avrebbe trovata proprio lì.

“Amy” Luke richiamò la sua attenzione “Se posso fare qualcosa, dimmelo”

“Ma...Evelyn, lei...”

“Starà bene” la rassicurò lui “è con suo fratello e a breve arriveranno anche gli altri”

Amy si sentì più tranquilla...più o meno; non si fidava di Joe, ma finché c'erano gli altri tre...

“Seguimi”

Ed insieme, uscirono dall'ospedale, imboccando il sentiero che portava all'interno della foresta.

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Capitolo 3
*** L'arresto di Jareth ***


Sono indecente, indegna e faccio pietà.

Ma spero che questo capitolo abbia reso questa attesa/ritardo mega galattico, un po’ soddisfacente.

Dove eravamo rimasti?

Amy e tutta Storybrooke si sono ripresi dalla maledizione e lei è uscita dall’ospedale con Lucky Luke per cercare KITT.

 

 

 

 

Trovare KITT risultò essere un’impresa a dir poco epica.

Storybrooke era grande, ma la foresta che lo circondava anche di più e chiamarlo a gran voce non sarebbe servito a molto.

Anche se Luke la stava aiutando come meglio poteva, Amy poteva benissimo notare quanto pesasse all’uomo essere lì.

Era meglio se fosse rimasto in ospedale, accanto ad Evelyn e suo figlio.

Sospirò, ben sapendo che lei non aveva alcun potere su di lui.

Tornò a dedicarsi alla ricerca di KITT e lì realizzò una cosa...era inutile girare intorno e avrebbe dovuto seguire il “consiglio” di Sherlock sin da subito.

La cappella numero 5.

Con un brivido, che le percorse tutta la schiena, Amy cambiò direzione e raggiunse il cimitero, sempre seguita da Luke il quale non faceva domande e si limitava ad andarle dietro.

Sembrava che la seguisse perché non sapeva che fare, come un cagnolino smarrito, in realtà era sicura che Luke ne sapesse una più del diavolo.

Giunti al cimitero, Amy corse verso la cappella numero 5, ma la trovò chiusa...sigillata.

Provò a battere i pugni sulla fredda pietra che fungeva da porta, sembrava essere intenzionata a buttarla giù.

Ma era ovvio che non ci sarebbe riuscita.

“Pensi che sia qui?” domandò Luke, ma Amy non sapeva cosa rispondere.

La cappella conduceva sotto terra tramite delle scale e poi lo spazio non sarebbe nemmeno stato adatto a contenere KITT in versione auto, sempre se era tornato ad esserlo.

Amy non era così intelligente come credeva, non era nemmeno sicura che l’indicazione di Sherlock si riferisse a KITT.

Probabilmente aveva preso un abbaglio, chissà cosa le era saltato in mente.

“Non lo so, non lo so!” esclamò, battendo altri pugni “KITT!” chiamò “Ti scongiuro se sei qui, rispondi!”

Non ottenne risposta...non a voce, per lo meno.

Sentì lo scricchiolio delle foglie dietro la cappella, dovuto a dei passi che si avvicinavano.

Erano passi strani, sembravano prodotti da due persone diverse.

Luke la fece indietreggiare e si parò davanti a lei, ma Amy non voleva essere protetta.

Chiunque fosse voleva affrontarlo personalmente.

Da prima spuntarono delle gambe e, successivamente, spuntarono delle zampe.

“Amy?” fu la domanda incredula che udirono da una voce femminile.

Una voce che Amy conosceva molto bene.

“Mamma…”

Luke si fece da parte e lasciò spazio alle due donne, che si strinsero in un lungo abbraccio.

Un abbraccio tanto agognato e che Amy sentiva il bisogno di avere.

Sua madre era l’unica che non aveva visto da quando erano giunti a Storybrooke e, per un attimo, Amy aveva persino pensato che non ce l’avesse fatta.

Luke si limitò ad osservarle, con uno strano sorriso sul volto.

La somiglianza fra le due era incredibile.

Il bambino di Evelyn...il suo bambino, avrebbe avuto una qualche somiglianza con lui?

Certo, era ovvio che ne avesse, dopo tutto era lui il padre, ma sarebbe stato totalmente identico a lui o a lei?

Erano domande alle quali non avrebbe avuto risposta finché non lo avrebbe visto.

Scosse la testa e tornò ad osservare le due donne.

Dopo essersi sciolte da quel lungo abbraccio, Amy volse lo sguardo alle spalle della madre.

“KITT” Amy si fiondò subito verso l’enorme lupo nero e lo strinse.

“E’ un piacere rivederti, Amy” disse lui e, come ben si aspettava, la ragazza sgranò gli occhi incredula.

“Tu...tu…”

“Sei fortunata che adesso capisco cosa stai provando” disse KITT, facendo sorridere Luke “E no, non so perché sono ancora intrappolato in questa forma pelosa e fastidiosa”

Amy non disse altro, ma lo strinse di nuovo, felice di avere di nuovo KITT con sé.

Allora aveva davvero capito l’indizio di Sherlock, KITT si trovava davvero lì.

“Ho bisogno del tuo aiuto” disse Amy al suo migliore amico.

Non servì dire altro.

I tre notarono che le orecchie di KITT si muovevano come se stesse cercando di captare qualcosa.

“Dobbiamo raggiungere la casa del sindaco”

 

*****

 

la villa più sfarzosa di Storybrooke era stata completamente circondata.

Porta di ingresso, porta sul retro e persino le finestre, nulla poteva entrare e nemmeno uscire.

Vani erano i tentativi di reclamare la presenza del sindaco il quale, ben nascosto, li osservava dall’alto e constatava quante menti stupide vi erano al mondo.

Se da una parte vi era un’orda di gente adirata che avrebbe usato fuoco e forconi, dall’altra vi era Michael, solo e che cercava di tenerli tutti a bada.

Ovviamente non stava avendo successo.

Fu questione di pochi istanti, prima che in suo soccorso arrivasse qualcuno.

Era tornato Charles e con lui vi era il proprietario del negozio dei pegni.

Questo fece scattare un campanello di allarme a Jareth.

Anche se la sua forma era più “umana” rispetto a quella che aveva nel suo mondo, il re di Goblin temeva che questi parlasse o si schierasse contro di lui.

Il tutto ben sapendo che la pozione era stato proprio lui, re ghiaccio, a consegnargliela.

Osservò i tre cercare di tenere a bada la massa di persone inferocite, ma erano tentativi sempre più vani fino a che Charles non prese da un gancio dietro della cintura una corona d’oro.

Allungò le mani e fece per mettergliela sulla testa, ma fu interrotto.

“FERMI!” gridò qualcuno, proveniente da dietro l’abitazione.

Prima fece il suo arrivo KITT che, sfruttando il fatto di essere un lupo, balzò davanti al trio e ringhiò nei confronti della folla.

Molti indietreggiarono, altri fuggirono terrorizzati.

Poi venne raggiunto da Amy e Bonnie, che subito si avvicinò a Michael e gli rivolse un enorme sorriso.

Un sorriso dolce, ma che smorzò quasi subito in quanto avevano altro a cui pensare.

Jareth rimase sbalordito, c’era parecchia gente che lo difendeva, indistintamente dal motivo per cui lo facevano.

Ma c’era qualcosa che lo fermava nell’essere “lieto” di questo.

Il fatto che non c’era la sua Sarah a difenderlo.

Da una parte era ovvio, dopo tutto l’aveva trattata male, ma dava comunque fastidio.

Osservò meglio e la vide farsi strada, assieme alla sua amica Maddy...no...Marceline, se non ricordava male.

Una vampira, che aveva dovuto mettersi un cappello esageratamente enorme per evitare di essere colpita dalla luce del sole.

“Simon!” esclamò Marceline, andando verso l’ingresso dell’abitazione “Simone, che stai facendo?”

“Amy?” Sarah rimase sbalordita nel vedere Amy schierata verso Jareth.

“Ucciderlo non vi ridarà quello che vi ha tolto” disse Amy, rispondendo alla domanda muta di Sarah e di tutti “Non vi porterà a nulla!”

“Ma ci farà stare molto meglio!” disse qualcuno dal fondo

“E’ vero!” ribatterono dal centro

“A morte quel rettile di Jareth!” sbottò qualcun’altro.

Erik, che capeggiava la folla, si avvicinò pericolosamente ad Amy, tanto che KITT si mise in mezzo.

Ma Erik non era intenzionato a fermarsi.

“Fatti da parte” sibilò

“Prova a spostarmi” rispose di rimando KITT, lasciando sbalordito per un attimo Michael.

“Dateci quel bastardo e ce ne andremo” ribatté Erik, chiudendo un attimo gli occhi e poi volgendo lo sguardo verso Charles “E tu smettila!” sbottò “Vogliamo lui, datecelo e non vi faremo nulla”

“Simon, vieni via!” disse Marceline, ma Simon scosse la testa.

“Mi dispiace, Marceline, non posso” rispose l’uomo, facendo portare a Marceline le mani sulla bocca per soffocare un grido.

Jareth avrebbe voluto godersi lo spettacolo ancora per un po’.

Adorava, in particolar modo, vedere quelli che prima erano sul retro della casa e che adesso cercavano di farsi largo per vedere cosa succedeva all’ingresso.

E sì, avrebbe voluto stare lì ad osservare beatamente la scena, ma decise che era meglio intervenire per due buoni motivi: il primo, a breve avrebbero fatto irruzione dentro casa e non avrebbe gradito vedere il suo mobilio andare in frantumi, secondo, Charles stava cercando di entrare in contatto con lui.

Era strabiliante come un mutante del suo calibro riuscisse ad essere così discreto e non sbandierare ai quattro venti la sua posizione.

Saltò giù dal rampo e con una planata passò sulle teste della gente e si mise davanti al gruppo che lo sosteneva.

“Quanto ardore” disse “Siete qua per vedermi?”

la folla tentò di parlare in simultanea e tutto ciò che si ottenne fu il caos più totale.

Erik li zittì tutti e prese l’immediata parola.
“Ci hai tolto le nostre vite” disse “Le nostre identità e persino le famiglie” cercò di trattenere un grido di rabbia “Devi pagare per ciò che hai fatto”

“E tu credi che torce e forconi siano utili?” domandò “Credimi, non puoi farmi nulla”

“Erik, ascoltami” intervenne Charles “Ucciderlo non ci ridarà indietro quanto ci è stato tolto”

“Fatti da parte, Charles”

“No, aspetta” lo fermò il mutante “Se lo uccidi, avrà vinto lui e resteremo qui per sempre” poi si rivolse alla folla “Potete imprigionarlo, potete incatenarlo in una torre e persino torturarlo”

“Molto gentile” fu il commento sarcastico di Jareth, ma questo non impedì a Charles di proseguire.

“Ma non potete ucciderlo”

Per qualche secondo calò il silenzio, le persone sembravano d’accordo, anche se dentro di loro avrebbero preferito ucciderlo.

E, di fatti, qualcuno cercò di dare retta a quell’istinto.

La folla più esterna urlò di rabbia e cercò di farsi strada per ottenere la propria vendetta.

Jareth non mosse un dito.

La sua situazione era già compromessa e non avrebbe dato a nessuno altri motivi per tentare di ucciderlo.

Gli bastò volgere lo sguardo verso Charles e questi allungò di nuovo le mani e mise la corona sulla testa di Simon.

“NO!” gridò Marceline, ben sapendo cosa sarebbe successo.

Simon si levò in aria, facendo fermare la folla e creando attorno a se una bufera di neve e ghiaccio.

La sua barba bianca iniziò ad allungarsi, la sua pelle divenne più bianca di quanto già non fosse ed i suoi occhi sembravano come ciechi.

Non vedeva Marceline che tremava e non sentiva la sua voce che lo implorava di smettere.

Non sentiva nemmeno la sua stessa voce che cantava e faceva capire che dentro di sé c’era ancora umanità.

 

Making your way in the world today

Takes everything you've got.

Taking a break from all your worries

Sure would help a lot.

Sometimes you wanna go

Where everybody knows your name.

 

La folla venne fatta indietreggiare dalla bufera, tanto che scapparono via.

Qualcuno venne travolto da essa, ma riuscì a liberarsi dalla morsa gelata e andarsene.

I pochi rimasti, tra i quali Erik, erano ancora intenzionati a farla pagare a Jareth.

Quando Simon tornò a terra, Charle gli tolse immediatamente la corona e la rime agganciata alla cintura e Marceline lo guardò terrorizzata.

Simone si ridestò, non ricordando nemmeno cosa avesse appena fatto.

Ma non ci volle una scienza per capirlo e poi...gli bastò incrociare lo sguardo di Marceline.

Jareth non fece una piega, lasciò riprendere le persone dallo sgomento provocato da re ghiaccio e poi le lasciò avvicinare.

Sentì le il freddo delle manette che avvolsero i suoi polsi e si lasciò spintonare verso la strada.

“Fermi!” esclamò Sarah, parandosi davanti a tutti e guardando Jareth dritto negli occhi.

Non era intenzionata a difenderlo ma nemmeno ad attaccarlo.

Non sapeva nemmeno lei cosa stava facendo.

“Liberati” disse, ma Jareth sorrise ironico e lasciò che Erik e gli altri lo portassero via.

Quando la folla se ne andò, lasciando il gruppo di “difensori” solo, il silenziò regno sovrano.

Appena sicuri che nulla sarebbe più accaduto, ci fu modo per tutti di salutarsi con le loro vere identità.

Simon andò verso Marceline, lo fece lentamente “Marcy…”
“Me lo avevi promesso” disse “Questa maledizione era riuscita a fare qualcosa di buono, non dovevi rimetterla”

“Era necessario”

“Perché difenderlo?”

“Perché...ho collaborato anche io a questa maledizione, sono colpevole quanto lui”

Marceline si portò le mani alla bocca di nuovo “Simon…”

“Mi dispiace, Marcy, non posso più farti promesse” e la superò, andandosene via, sotto lo sguardo implorante della ragazza.

Sarah guardò Amy e sembrava intenzionata a saltarle addosso.

Perché aveva permesso a quelle persone di prendenrlo?

Dopo averle lanciato uno sguardo di fuoco, si voltò e corse via...senza voltarsi.

Amy non sapeva cosa fare, tutto ciò che voleva in quel momento era avere Sherlock con sé.

Ma lui non c’era e non aveva idea del perché.

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Capitolo 4
*** Il confine ***


Ammetto che avrei voluto cancellarla questa storia, ma l’altro giorno la stavo rileggendo e mi è tornata l’ispirazione.

Io spero sempre di non aver fatto qualcosa di troppo osceno o caotico e resto sempre disponibile a critiche e quant’altro.

Buona lettura

 

 

 

Con Jareth fuori dai piedi, la città sembrava essersi calmata.

La maggior parte delle famiglie si erano già ricongiunte mentre altre attaccavano volantini in giro per il centro con caricature alla buona del famigliare o amico di loro interesse.

Tutto era ripreso a scorrere come se niente fosse, anche se molti cercavano ancora una risposta sul perché non erano tornati a casa.

Amy si era ricongiunta con la sua intera famiglia e per KITT...viste le sue dimensioni avevano dovuto trovare un’alternativa.

Risultato? Dormiva nel garage dell’officina di Bonnie.

Michael era tornato al suo vecchio posto di sceriffo e con lui anche Luke.

Erik era rimasto, uno del suo calibro faceva comodo vista la situazione e visto il prigioniero.

Erano passati alcuni giorni ed Amy non aveva più visto né Sarah ne Marceline.

La prima era arrabbiata con lei, ma non sapeva il perché e non aveva modo di mettersi in contatto con la ragazza per saperlo.

La seconda badava a Simon, il re ghiaccio, tanto da non avere più una vita sociale.

Considerando che era una vampira e non usciva di giorno, la sua attività notturna era limitata.

L’unica con cui si vedeva ancora era Evelyn la quale viaggiava sempre in compagnia di uno dei fratelli, solitamente Averell.

Amy aveva faticato non poco per memorizzare i reali nomi di tutti quanti, specie quelli dei quattro fratelli di Evelyn.

Era giunta al punto che, per sbaglio, aveva dato a Joe il nome del minore e le reazioni non erano state simpatiche.

La ragazza stava bene, per fortuna, ma era arrabbiata con Luke e lo evitava in ogni modo.

Lui le lasciava spazio ma non smetteva, comunque, di tenerla d’occhio.

Da quando si era risvegliata, però, Amy si rese conto di non aver più visto molta gente...tra cui Sherlock.

Aveva provato ad andare a casa sua, attendere anche due ore, ma di lui non vi era traccia.

Sapeva, tramite il padre, che si erano divisi poco prima del caos alla villa di Jareth e da all’ora non l’avevano più visto.

Ovunque fosse, pregò che stesse bene, ma aveva voglia di rivederlo.

Ad ogni modo, le sue giornate erano un continuo dividersi tra il lavoro con lo zio Devon ed Evelyn.

Insieme all’amica cercavano ancora di capire come muoversi, cosa fare e come agire.

Sentivano che c’era qualcosa di pronto e che a breve sarebbe scoppiato.

“Evelyn, lasciatelo dire…” disse Amy “Tu dovresti dare retta a Luke e andartene” questo fece arrabbiare di più Evelyn “Non fare quella faccia, sono stata la prima a proporlo”

“Primo, scordatelo, non me ne vado e di certo non con Luke visto quello che ha fatto” precisò “Secondo, il confine è bloccato, nessuno lascia la città e lo sai”

Amy sospirò e cercò sostegno da William, che alzò le spalle sospirando a sua volta e continuando a pulire le tazze di caffè.

“Non pensi al tuo bambino?”

“E tu non pensi a me? Ai miei fratelli e la mia vita?” ribatté lei “Accidenti, sembri Luke!”

“Forse gli do ragione”

“Forse sei completamente sciroccata, tanto da far sembrare Averell intelligente”

Era inutile discutere con Evelyn, non avrebbe cambiato idea.

Amy finì di bere il suo tè e pagò a William quanto spettante, lanciandogli uno sguardo misto tra grazie dell’aiuto che non mi hai dato ed il fai qualcosa, ti prego.

Ma cosa poteva fare lui? Nessuno poteva fare niente.

Amy fece per uscire, lasciando Evelyn con il fratello, ma si bloccò quando vide la porta aprirsi.

“Ehi, Will, una birra, grazie” disse chi era entrato.

Amy, grazie alla sua memoria, abbinò subito il nome corretto.

“Logan?”

L’uomo si voltò verso di lei e le fece un piccolo sorriso “Ehi, ragazzina”

“Sei sparito nel nulla, dove sei stato?” domandò Amy

“Nella miniera e...al confine”

Per fortuna erano solo lei ed Evelyn in quel locale, altrimenti il silenzio che si era creato sarebbe stato glaciale.

“Che facevi al confine?” domandò Evelyn, avvicinandosi

“Stiamo cercando un modo per varcarlo e capire quale magia lo stia bloccando” rispose Logan “Ovviamente non abbiamo scoperto nulla”

Le due ragazze si scambiarono un’occhiata interrogativa.

Abbiamo? Lui e chi altro?

“Quanti siete?” domandò Amy

“Non farmici pensare” sorseggiò la sua birra “Sono circondato da un branco di idioti e poi, come fai a non saperlo, visto che il tuo ragazzo è con me?”

Amy sgranò gli occhi “Sherlock?”

“Non lo sapevi?” domandò Logan ed Amy scosse la testa “Oh, beh, adesso lo sai”

Bevve ancora, tutto d’un fiato, poi posò il boccale, pagò ed uscì senza dire altro.

Amy restò immobile qualche istante, poi si scusò ed uscì di corsa.

“Logan” lo fermò appena in tempo e non servì parlare, lui aveva già capito perché era lì.

“Va a casa, ragazzina, non è luogo per te il confine”

“Non lo è per nessuno” ribatté Amy “Portami con te”

“Tu sei pazza” Logan salì sul suo pick up e mise in moto.

“Aspetta” Amy si appoggiò al finestrino “A differenza vostra, io sapevo chi ero e ho cercato di farlo capire anche a voi”

Logan sospirò

“Potrei esservi di aiuto”

“Potrebbe essere pericoloso” disse Logan “E non ci serve una ragazzina senza poteri o simili”

“Sherlock non ha poteri e nemmeno tu hai poteri adatti a combattere qualcosa di magico” allungò la mano e prese quella di lui, passando delicatamente le dita sulle cicatrici fra le nocche “Tu vuoi sapere cosa blocca il confine per liberarti di questo”

Logan si incupì, ritirò la mano “Sta alla larga dal confine, ragazzina” e partì.

“Logan!” ma lui non la poteva più sentire.

Nel frattempo, Evelyn era uscita e si era messa vicino a lei “Amy…”

“Odio gli adulti” disse “Se divento così, sei autorizzata a spararmi”

“Non ho ammazzato Joe, figurati se ammazzo te”

 

*****

 

La situazione al confine era in fase di stallo.

Nessuno osava superare il cartello che segnava la fine della città e più che chiacchiere non si faceva altro.

“Vi rendete conto che stare qui a fissare la strada non ci porta da nessuna parte?” domandò sarcastico Loki, ricevendo un’occhiataccia da parte di tutti.

“Hai idee migliori?” domandò Michael, ben sapendo che nessuno sapeva esattamente cosa fare o cosa potesse accadere.

Ciò che li fermava era la paura di finire uccisi e, dato che tutti ci tenevano alla propria vita, era ovvio che nessuno si muovesse.

“Sta arrivando Logan” comunicò Luke, indicando alle sue spalle.

Il pick up si fermò non molto distante dal gruppo e Logan scese, avvicinandosi.

“Alla buon’ora lupetto” disse Loki “Si era detto un orario e tu arrivi adesso?”

“Scommettiamo che prendo quella tua faccia e la spiaccico sull’asfalto, rifacendo le strisce?”

Loki mosse le mani e fece apparire dei pugnali “Provaci”

“Basta, smettetela!” ordinò Michael, mettendosi in mezzo ai due “Vi sembra il caso?”

“Parla col compagno lingua lunga” disse Loki, facendo salire a Michael la rabbia.

Ma questi non fece in tempo a ribattere, che si udì uno sparo.

Luke, con il braccio alzato, aveva fatto partire un colpo per zittirli tutti.

“Il prossimo non do garanzie” disse e questo fece placare gli animi.

Accanto al cartello, c’era Simon.

Egli osservava sia in cielo che in terra, alla ricerca di qualche indizio che lo aiutasse a capire cosa bloccasse il confine.

Lui non aveva poteri, a meno che non metteva la corona la quale, per ragioni di sicurezza, aveva Charles nel suo studio.

Avevano provato a lanciare oltre l’insegna qualunque cosa.

Sassi, terra e persino una penna, che nessuno osò recuperare e che tanto era scarica.

Logan, una volta, aveva proposto di lanciare Loki per vedere gli effetti, ma la situazione era degenerata e alla fine erano andati via.

“Avverto qualcosa” disse Simon “Ma non riesco a vedere nulla”

“E’ magia e nessuno la può vedere” si intromise Loki “nemmeno io...è fastidioso”

“Possibile che siamo qua in sette e nessuno riesce a venirne a capo?” domandò Michael “E’ assurdo”

“Se riuscissi a trovare il TARDIS sarei in grado di dirvi di più” si rammaricò il Dottore “Ho recuperato solo il mio cacciavite sonico ma non funziona come dovrebbe”

“In che senso?” domandò Logan “Non dirmi che non avvita bene”

“Ah ah, divertente” borbottò il Dottore, tornando a spiegare a chi lo avrebbe capito “Rileva tutto, ma quando lo punto verso il confine non rileva nulla e...smette di funzionare”

“Tu cosa ne pensi?” domandò Luke rivolto a Sherlock.

“Abbiamo tentato con oggetti, ma non abbiamo considerato le persone”

“A parte lui” disse il Dottore riferendosi a Logan, che voleva tentare con Loki.

“E’ vero...le persone!” Sherlock guardò gli altri e si batté le mani sulla fronte “Come ho potuto essere così cieco!”

“Se ti esprimessi con più specifiche, forse capiremo anche noi” disse Logan, incrociando le braccia.

“Ma come fate a non capire? È così ovvio!”

“Io sono un Dio, non un cervellone” commentò Loki

“Appunto! Tu sei un Dio!”

Loki sgranò gli occhi e mormorò a Michael “Non so se considerarlo un complimento oppure no”

“Ragionate” disse Sherlock, cercando di mantenere tutti sulla sua stessa lunghezza d’onda “Il tuo...la tua macchina” disse rivolto a Michael “E’ alta tecnologia, qualcosa di sofistico e sanno tutti che la scienza e la magia non sono mai andate d’accordo, lei...lui, infatti ricorda tutto, tu…” si rivolse poi al Dottore “Tu non sei del tutto umano e grazie a questa tua caratteristica, la tua mente non era stata compromessa del tutto, infatti hai ricordato prima di molti di noi e Loki...beh, non serve dire perché ricordi”

“Peccato” commentò Loki “Mi sarebbe piaciuto sentire elogi alla mia persona”

“Amy era dentro KITT quando è accaduto” realizzò Michael, dando a Sherlock la prova di aver capito dove volesse andare a parare “La sua memoria è rimasta intatta grazie a lui”

“Esatto!” esclamò Sherlock “Se la maledizione non ha avuto effetto su di loro, forse sono anche gli unici che possono varcarlo”

Loki, essendo uno degli interessati, fece un passo indietro e agitò le mani avanti “Scordatelo” disse “Solo perché non ha avuto effetto, non significa che non ne abbia adesso”

“Io non ricordavo nulla fino all’arrivo di Amy” precisò il Dottore “E’ rischioso per tutti ed io non intendo mettere a rischio nessuno”

“KITT adesso è...è poco tecnologico e non voglio rischiare che gli succeda qualcosa e non intendo mettere a rischio Amy”

“Chi tra loro è meno a rischio di perdita?” domandò Sherlock, ben sapendo che la risposta alla sua domanda era ovvia.

Tutti si voltarono verso Loki.

“No...non ci penso nemmeno”

“Loki, ascolta” tentò di intermediare Michael “Tu sei veramente l’unico che non ha subito attacchi alla memoria e questo per via del tuo essere”

“Quindi sacrificare me aiuterebbe voi a capire qualcosa?” domandò Loki, scuotendo la testa “Grazie, ma no grazie, preferisco restare chiuso in questa squallida città piuttosto che darvi una mano”

Luke sospirò.

Loki sarebbe stato un valido aiuto e lui voleva sapere cosa c’era oltre il confine e...capire come oltre passarlo.

Era ancora intenzionato a portare via Evelyn e se Loki non voleva collaborare...si dovevano usare le maniere forti.

Abbandonò il suo lato ragionevole e guardò Logan.

Questi sorrise e si schioccò le dita “Era parecchio che desideravo farlo”
Senza preavviso e con immensa soddisfazione, Logan prese Loki per il colletto e la parte dietro della giacca e lo lanciò come se fosse un sacco di patate.

Con un grido, Loki volò oltre il confine, uno strano bagliore illuminò il valico ed infine il Dio cadde a terra.

Dopo un attimo di panico, Loki si rialzò in piedi.

Osservò le sue mani, il suo corpo e si toccò ovunque per essere sicuro di non avere niente di rotto.

“Loki?” Michael si preoccupò.

Loki non risposte subito, si passò le mani alla testa e, lentamente tornò indietro.

Non appena fu di nuovo dall’altra parte, fece dei respiri profondi e guardò Logan “Tu...tu me la pagherai e anche cara”

“Intanto sei stato di aiuto”

“Allora?” domandò Sherlock, smorzando sul nascere qualunque tipo di litigio fra i due.

Loki sbuffò e si rivolse agli altri “C’è qualcosa, è la stessa cosa che cercava di penetrarmi nella mente quando è giunta la maledizione” disse “probabilmente un meccanismo che cancella la memoria o altro, ma con me pare non funzioni”

“Questo perché sei un Dio” disse Sherlock “Ora che sappiamo qualcosa di più in merito, possiamo parlare solo con una persona”

“Se parli del biondino impomatato che ci ha portato qui, sappi che quello non dirà una parola” gli ricordò Logan.

“A noi no” Sherlock guardo Michael “Ma ad Amy sì”

Michael sentì cedere il terreno sotto ai suoi piedi.

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Capitolo 5
*** La soluzione ***


Ehilà! Come va?

Vorrei ricordare che non segue esattamente quello che è accaduto nella serie originale da cui ho tratto ispirazione (C’era na volta) quindi ciò che accade lì non è detto che accada anche qui.

Infatti, come potrete leggere, spiegherò chiaramente come far sbloccare il confine senza usare quello che fanno nella serie TV.

Spero che vi piaccia lo stesso.

Buona lettura.

 

 

 

“Prego?” Amy guardò suo padre con aria scioccata “Parlarci? Già che ci siamo potreste chiedermi di andarci insieme”

“Amelia Jean Knight, non usare questo tono e linguaggio con tuo padre” la rimproverò Bonnie

“Tanto non mi darebbe retta” precisò Amy, ignorando bellamente il rimproverò “Avreste dovuto chiedere a Sal...Sarah, lei è la diretta interessata”

“A lei ci sta parlando Sherlock, ed io parlo con te” disse Michael, al che Amy si zittì.

Sherlock non si era fatto vedere per giorni e adesso si scopre che stava parlando con Sarah per convincerla ad andare da Jareth.

Perché non era venuto da lei invece che andare da Sarah?

E perché lei era così gelosa?

Fece un profondo respiro e poi, senza dire nulla, uscì da casa e corse fuori.

Ignorò i richiami di suo padre e gli ordini di fermarsi della madre, voleva solo uscire e andare altrove.

Quanto le mancavano le discussioni familiari dei fratelli di Evelyn, erano forse meno invadenti dei suoi genitori.

Appena fuori, corse a più non posso fino a che non svoltò l’angolo.

Lì rallentò ed iniziò a vagare per le strade senza meta.

Però si accorse di non essere sola.

“Anche se ormai sono tutti abituati alla tua presenza, non credi che sia strano seguirmi in quel modo?” domandò a chi stava dietro di lei.

“Almeno adesso posso entrare nella maggior parte degli edifici” disse KITT, avvicinandosi e facendola sorridere “Amy, dovresti dare retta a Michael”

“E scendere a patti con Jareth? No grazie, ho già dato e guarda in che situazione siamo” sospirò Amy, sedendosi sulla prima panchina che trovò “KITT, questa situazione è colpa mia”

“A me risulta che sia stato Jareth e portarci tutti qua” disse KITT “Nella mia memoria non ho nulla che ricolleghi tutto questo a te”

“Eppure lo è” ribatté Amy “KITT, mentre ero in giro a tentare di salvare tutti, ho rischiato di dividere una famiglia e far passare per pazzo un Dio e...ho fatto impazzire Sherlock”

Amy non si era scordata di quanto accaduto a casa del detective.

Sherlock non voleva e non vuole compromettersi e lei, ancora ragazzina, si era invaghita di lui e tutt’ora sentiva di esserne totalmente persa.

Però era vero, tra lei e Sherlock c’era la stessa differenza di età che correva tra Luke ed Evelyn e loro avevano già avuto problemi.

Amy si era informata, da dove provengono loro l’età di Evelyn era perfetta per un matrimonio e persino per avere figli.

Non avrebbe mai rischiato di andare contro la legge come succede da dove viene lei e tanti altri.

Amy non voleva sposarsi, non adesso per lo meno e non voleva neanche dei figli.

Sentiva solo impulsi tipici dei ragazzi della sua età e...e la voglia di avere Sherlock accanto.

Ma perché non si era fatto più vedere?

Amy si convinse in tutti i modi che fosse semplicemente impegnato, ma a volte credeva che la evitasse proprio per non incappare in sentimenti strani.

Ed ora ci si metteva pure Jareth.

Magari, se parlava con lui, poi lo avrebbe rivisito.

Ma se così non fosse?

“KITT...secondo te, mi odia?”

Non serviva tecnologia a KITT per capire a cosa si riferisse Amy “Perchè non lo chiedi a lui?” e con il muso le fece cenno di guardare avanti.

Sherlock era lì, davanti a lei, vestito con il suo solito impermeabile.

“Sherlock…” Amy si alzò e gli corse incontro, non resistendo alla voglia di stringerlo.

Grazie a Dio venne ricambiata.

Rimasero stretti a lungo, Amy respirò il suo profumo e ne rimase inebriata.

Lo tenne stretto perché temeva che lasciandolo lui sarebbe scomparso di nuovo.

“Perché sei sparito?” domandò Amy “Ho provato a contattarti per giorni ma tu sei sparito nel nulla”

“Ho lavorato al confine” rispose lui, continuando anch’egli a tenerla stretta “Sappiamo che non agisce tutti ma non sappiamo come togliere la maledizione”

Amy sospirò e poi si divisero “Pensi che parlare con Jareth servirà?”

Sherlock scosse la testa “No, ma servirà ad avere maggiore chiarezza”

“E Sarah?” chiese poi Amy “Lei perché dovrebbe parlare con Jareth?”

“Lei per altri motivi diversi dal confine e, infatti, sta già provvedendo” rispose Sherlock “Amy, mi dispiace”

Amy sospirò “Non fa niente” disse abbassando lo sguardo “Però non sparire più...ti prego”

Sherlock annuì e le posò un dolce bacio sulle labbra.

Un bacio tanto agognato e meraviglioso come il primo.

Quando le loro labbra si divisero, Amy lo sentì tremare appena.

“Amy…”

“Scusami” si staccò da lui “Hai ragione, scusami”

“Senti, che ne dici di fare quello che ti ha detto tuo padre?”

Amy sbuffò e poi guardò verso KITT, ma questi era già andato via senza che lei se ne accorgesse.

Sapeva essere in buona mani.

Grazie tante pensò Amy, maledicendolo. Avrebbe preferito avere anche lui accanto.

“Tu verrai con me...vero?” domandò e Sherlock annuì e, prendendola per mano, si avviarono verso la centrale.

 

*****

 

Jareth se ne stava all’interno della sua cella in silenzio.

Seduto in modo scomposto sulla brandina, come se fosse sul suo amato trono, osservava con uno strano sorriso stampato sul volto Sarah la quale, dopo aver parlato con Sherlock, si era ritrovata a tentare di far cambiare idea al re di Goblin.

Ma lui non sembrava ascoltarla, era intento solo a fissarla e pensare.

“Mi stai a sentire?” chiese ad un certo punto Sarah, obbligandolo a prestarle attenzione.

“Certamente” rispose lui, anche se non era vero.

“Quindi?” domandò di rimando Sarah “Che mi rispondi?”

Jareth si alzò e si avvicinò pericolosamente alle sbarre, facendo indietreggiare Sarah di un passo.

Anche se non era sola, ma con Luke che supervisionava, aveva comunque timore.

Nonostante i loro trascorsi e quello che aveva passato, Sarah aveva ancora timore di quel re tanto bello quanto crudele.

Ancora sentiva strane morse alle stomaco all’incrocio di quegli occhi penetranti e freddi come il ghiaccio, nonostante la loro eterocromia.

“So che non sei qui di tua spontanea volontà” disse Jareth “Non mi incanti, Sarah Williams, tu non hai cambiato idea su di me”

Sarah deglutì e cercò di guardarlo con aria di sfida “Io so solo che mi hai fatto passare ore dentro ad un labirinto per il solo gusto di vedermi impazzire”

“Sei stata tu a sfidarmi, io ho solo eseguito il tuo ordine” le ricordò Jareth “Tu mi hai chiesto di rapire Toby ed io l’ho fatto, mi hai sfidato e ti ho assecondata, mi hai rifiutato ed ho provato a farmene una ragione, ma tu…” si morse le labbra “Tu hai rifiutato la mia unica richiesta, il mio solo desiderio e questo non posso perdonartelo”

“Il tuo desiderio è folle” sentenziò Sarah “Tu sei folle”

“Folle?” sorrise Jareth “Può darsi e, in effetti, non hai tutti i torti” e lì, Sarah iniziò a tremare “Sono un folle, perché ho fatto qualunque cosa fosse in mio potere per averti, persino questa maledizione doveva essere un modo per vendicarmi e averti, ma tu no...sei stata più furba e poi si è messa in mezzo quell’altra umana e non sono riuscito ad ottenere ciò che voglio!” esclamò, facendo allarmare Luke, il quale si avvicinò a Sarah.

Ma lei lo tranquillizzò e lasciò che Jareth proseguisse “Tutto quello che hai voluto io l’ho fatto, ho sovvertito l’ordine del tempo e ho messo sotto sopra il mondo intero…”

Sarah fece un profondo respiro “Ed ora sei stremato di vivere in funzione di ciò che mi aspetto da te?”

Jareth sembrò infuriarsi, ma fece di tutto per usare il suo famigerato autocontrollo “Tu non sai cosa significa” disse “E non mi serve la pietà di un umana che viene qua per farmi cambiare idea, dicendo frasi come se fosse una scolaretta che ripete la lezione” Jareth sapeva di averla in pugno “Non sei sincera, Sarah, perciò vattene, in questo momento sei tu a non avere alcun potere su di me”

Sarah si sentì spalle al muro.

Era vero...era tutto vero.

Stava ripetendo la lezione, nemmeno aveva idea di cosa dire sul serio e, come sempre, stava dando tutto per scontato.

Voleva provare a ribattere, ma non fu in grado e Luke, capendo che il discorso era ormai finito, accompagnò Sarah fuori.

“Mi dispiace” disse “Non sono riuscita a convincerlo”

“Non fa niente” la tranquillizzò Luke “Hai fatto del tuo meglio e sei stata bravissima”

“Si ma…”

“Ora vai a casa, non pensarci e vedrai che una soluzione si trova”

Sarah sospirò e fece per andarsene, ma si bloccò quando vide Sherlock ed Amy arrivare.

Il suo sguardo si incupì ed Amy avvertì un brivido lungo la schiena.

“Ehi, Sarah, tutto ok?”

“No” rispose secca “Non è ok, Jareth non mi ha dato retta”

“E adesso?” domandò Amy

“Perchè non ci provi tu?” la voce di Sarah era tagliente “Magari ti da retta vista la tua difesa”

“Sarah, perché fai così?”

“Guarda come ci ha ridotti? Perché lo difendi?”

“E tu perché eri dalla parte di chi lo voleva morto?” chiese Amy di rimando.

“Non sono affari tuoi”

“Anche Luke era dalla sua parte, ma lui non lo guardi male e nemmeno Sherlock” quest’ultimo, insieme a Luke, si erano messi in disparte.

Non volevano finire in mezzo a due donne che discutevano.

“Loro…”

“Loro cosa, Sarah?” la zittì Amy “Pensi che sia stato facile per me avere memoria e vagare per strada sapendo che nessuno mi conosceva? La mia famiglia, mio padre...io li conoscevo ma loro no, tu eri con la tua famiglia, tu non sei stata divisa”

Sarah abbassò lo sguardo ed Amy, sapendo di aver esagerato, sospirò e si avvicinò alla ragazza.

La strinse forte, cercando di infonderle tutto il bene che le voleva.

“Io non posso conoscere i vostri trascorsi, ma tu sei davvero l’unica che può aiutarci” disse Amy “tu sei la chiave per risolvere questo mistero ed io farò qualunque cosa in mio potere per aiutarti”

Poco dopo, Amy avvertì Sarah ricambiare la stretta e la sua voce sussurrarle all’orecchio Jareth è innocente.

Poi si divisero e Sarah se ne andò, rivolgendo un piccolo sorriso ad Amy, che ricambiò.

“Le donne resteranno sempre un mistero” commentò Luke, con l’approvazione di Sherlock “Da qui ci penso io” aggiunse, con l’intenzione di far entrare Amy in centrale.

“Aspetta, Sherlock vieni con me” ma lui scosse la testa

“Attenderò qui, ma non posso entrare” ma lei non era convinta “Non me ne vado, sarò qui quando uscirai”

Sarah si lasciò guidare da Luke fin dentro alla centrale.

Rivedere quelle celle non era piacevole e non si era scordata la sua permanenza al loro intero, anche se breve.

Giunta davanti alla cella di Jareth, questi nemmeno la osservava e già sapeva con che intento era lì.

Amy non sapeva come iniziare il discorso e nemmeno cosa dire esattamente.

Preferì optare per il caso e lasciar fare a lui il suo corso.

“Ci sono stata anche io lì dentro” disse Amy “Anche se con una permanenza più breve”

“Se sei venuta per deridermi, sappi che sei capitata male e che non sei gradita” rispose Jareth, senza neanche guardarla.

Aveva lo sguardo fisso verso il basso e nella sua mente vi era un solo pensiero. Sarah.

Quella ragazza sapeva tormentarlo con un solo sguardo.

Sapeva provocare in lui emozioni forti che mai in vita sua aveva provato e che mai credeva di poter avere.

Lui aveva davvero forti sentimenti per lei, ne era davvero innamorata come diceva quel dannato libro.

Amy non conosceva a fondo i loro trascorsi, anche se ne aveva letto qualcosa, ma sapeva molto bene che Jareth non era cattivo come lo descrivevano e come lui stesso cercava di apparire.

“Prima che la maledizione si spezzasse…” cominciò Amy “Ho fatto qualunque cosa fosse in mio potere per attirare l’attenzione della mia famiglia e dei miei amici, il tutto per poter porre fine a tutto...” sospirò “a tutto quello che hai creato tu per attirare l’attenzione”

Jareth sorrise nervosamente “Pensi che voglia attirare l’attenzione, ragazzina?” domandò sarcastico “Ti comunico che per avere attenzione non ho bisogno di scagliare maledizioni, quindi non perdere tempo e vattene anche tu”

“No” rispose risoluta Amy “Non me ne vado”

Jareth a quel punto si alzò e si avvicinò alle sbarre, con l’intenzione di incutere timore.

Ma Amy non si mosse, non indietreggiò e non sembrava avere paura.

Vedendo che Jareth rimase spiazzato da questo comportamento, decise di proseguire.

“Tu hai scagliato questa maledizione con l’intenzione di vendicarti” disse “ma a quale scopo? Sarah non avrebbe mai saputo chi eri e tu avresti vissuto con la memoria intatta...con il rimorso eterno”

“Ma sarei stato un mortale” specificò lui “La mia stessa vendetta mi avrebbe ucciso, che vantaggio ne avrei tratto secondo te?”

“Che il tuo dolore avrebbe avuto una fine” rispose Amy “Una fine che non sarebbe esistita se tu non avessi lanciato la maledizione”

Jareth rimase colpito e non solo nel vivo.

Amy aveva la stessa età di Sarah ed entrambe erano ragazze indipendenti, con la testa sulle spalle, ma che non avrebbe mai immaginato essere così mature.

Sarah lo aveva rapito, in tutti i sensi, mentre Amy era e sarebbe stata un ottima alleata se solo le avesse dato ascolto tempo addietro.

“Jareth, so che lo hai fatto per lei” proseguì Amy “Ma Sarah non ha bisogno di questo come dimostrazione che tu ancora pensi a lei”

Jareth fissò i suoi occhi in quelli di Amy “Che dovrei fare?”

“Dirci come spezzare la maledizione al confine” rispose lei “Sappiamo solo che su Loki non ha alcun effetto, ma se dovesse passare Sarah lei verrebbe di nuovo catapultata nella vita che tu hai scelto per lei e si dimenticherebbe di nuovo di te”

Jareth scosse la testa “L’unico modo per spezzare l’incantesimo sul confine è che in questa città arrivi un nuovo abitante, ma questa città non esiste sulle mappe e non esisterà fino ad allora”

Amy aveva avuto modo di vedere l’ubicazione esatta di Storybrooke e, di fatti, secondo le matte si trova nel bel mezzo di una foresta e che per caso sfocia sul mare.

Ma sia da terra che da acqua, nessuno ci poteva passare in quanto il giro delle navi, mercantili e non, era tutt’altro.

Storybrooke era isolata totalmente.

A causa di ciò, Amy non capì come potesse qualcuno entrare in città “Se Storybrooke non esiste e se il confine è bloccato...come può qualcuno accedervi?”

Jareth scosse la testa “Io non ho mai detto che arriva dall’esterno”

Amy riuscì finalmente a capire, si voltò verso Luke e questi prese la sua giacca ed uscì.

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Capitolo 6
*** Qualcosa di speciale ***


Salve! Questo è un capitolo di transito, ma che è necessario per “capire” i prossimi.

Buona lettura.

Questo capitolo lo dedico a Evelyn80 la quale non solo mi SOPPORTA, ma...ama la coppietta che c’è descritta.

 

 

HOLE GULCH

PRIMA DELLA MALEDIZIONE

 

Evelyn attendeva poco distante dal confine della città.

Era il tramonto e gli abitanti si affrettavano a tornare nelle loro dimore, prima che fosse buio, per potersi dedicare alle attività serali.

Solo il saloon stava aprendo per gli uomini che facevano le ore piccole e per le signorine che li avrebbero intrattenuti.

Lei, invece, aveva poco tempo e a breve sarebbe dovuta tornare al penitenziario dai fratelli in quanto il suo permesso di uscire sarebbe scaduto.

Questa era la vera fortuna che aveva, non essere davvero una detenuta e quindi aveva il permesso di uscire liberamente.

Questo aveva agevolato i contatti fra mamma Dalton e i fratelli, che purtroppo restavano dentro e non potevano uscire salvo evasioni.

Ovviamente, essendo lei donna, aveva l’obbligo di un tutore maschio e gli unici erano i fratelli, perciò stare al penitenziario era purtroppo un obbligo.

Ma quel giorno...quel particolare giorno, uscire era un obbligo assoluto e solo la signorina Betty e sua madre sapevano il perché.

Per quanto assurdo e strano fosse, mamma Dalton non aveva detto nulla di cattivo, anzi!

Approvava, aveva esultato...ed era felice per lei.

E tutto nonostante ci fosse di mezzo Lucky Luke, colui che aveva arrestato i suoi fratelli.

Anche se non le era andato giù quell’arresto, la madre aveva sempre detto una cosa.

Lucky Luke ha fatto il suo dovere, sono i tuoi fratelli che sono stupidi e si sono fatti catturare, quindi che si sbrighino ad evadere”

In poche parole, ad ognuno il suo lavoro.

Evelyn osservava l’orizzonte e continuava a sperare in una figura nera e solitaria che arrivava.

Ma non accadde nulla, nessuno stava arrivando e ormai era tardi per lei.

La signorina Betty, essendo comunque libera di uscire e gestire le sue faccende, quel giorno si era offerta di accompagnarla e, quindi, aveva il passaggio per tornare indietro.

Salì sul carretto con aria sconsolata.

“Non essere triste” disse la signorina Betty, sorridendo “Avrà avuto un imprevisto, può capitare nel suo caso”

“Sì, può darsi” mormorò sconsolata, mentre la signorina Betty faceva muovere i cavalli e si accingeva ad andare al penitenziario.

Evelyn non badò al percorso che stavano facendo e nemmeno osò voltarsi indietro.

Aveva paura che facendolo sarebbe rimasta delusa nel vedere il vuoto.

Aveva anche un altro cruccio...dirlo ai fratelli.

Ma come? Come poteva dirgli che si era impegnata da tempo e ci era pure rimasta prima del matrimonio e...con colui che li aveva arrestati?

Joe, come minimo, l’avrebbe strangolata e ridotta in poltiglia tanto da far sembrare le sberle rivolte ad Averell un gioco dell’asilo.

Più volte aveva pensato a come parlare con loro, ma ogni sua fantasia si concludeva con un ceffone da parte di Joe.

Alla fine, aveva optato per tenere tutto nascosto finché possibile, se non anche chiedere al direttore di farla tornare a casa.

E tutto entro breve.

Però si doveva chiedere il permesso dei tutori e dar loro la motivazione e sarebbe stata punto e a capo.

“Signorina Betty…”

“Si, Evelyn?”

“Che cosa ho fatto?” era una domanda retorica, ma la signorina Betty aveva già capito.

Evelyn, nonostante fosse un po’ gelosa della donna, si era dovuta ricredere ed aveva trovato in lei un’alleata che mai avrebbe pensato di avere.

“Hai fatto una cosa normalissima e che chiunque altra avrebbe fatto” rispose “E non temere, ai tuoi fratelli ci penso io se osano dire o fare qualcosa” aggiunse risoluta.

Evelyn si immaginò la signorina Betty che inseguiva i suoi fratelli per tutto il penitenziario con la scopa in mano e lanciando loro maledizioni e oggetti di ogni genere.

Sì, era decisamente una visione che stuzzicava la risata.

“Grazie, signorina Betty”

La donna sorrise, poi avvicinò le labbra all’orecchio di Evelyn “Ti consiglio di guardare avanti” le sussurrò ed Evelyn obbedì.

Poco distante dal penitenziario, ormai ben in vista, c’era una sagoma scura che le stava aspettando.

Evelyn sentì una morsa allo stomaco ed un groppo alla gola con occhi lucidi in contemporanea.

“L-Luke”

La signorina Betty fece fermare il carretto “Ti conosco” disse “I cavalli sono più lenti”

Questo le bastò, Evelyn sorrise e scese dal carretto, iniziando a correre verso Luke, la signorina Betty riprese con calma poco dopo.

Evelyn fece più in fretta che poté e appena fu vicino a lui, gli si fiondò fra le braccia.

Lo strinse forte, venendo ricambiata.

“Perdona il ritardo” mormorò il cowboy, ma Evelyn si era già scordata ogni cosa.

“Mi hai fatta preoccupare” disse lei, rivolgendogli un piccolo sorriso.

“Ora sono qui” la tranquillizzò lui.

Dopo essersi assicurata che Luke non stava per scappare nell’immediato, si staccò da lui e dedicò un saluto anche al suo carissimo Jolly Jumper “Ehi, amico” lo salutò con un dolce bacio sul muso “Mi sei mancato, vecchio mio”

Jolly nitrì in segno di approvazione.

-Il mio fascino è tale da far innamorare qualunque tipo di donna- pensò il cavallo, lasciando poi Evelyn nelle mani del suo padrone.

“Come stai?” domandò lui

Evelyn ebbe qualche difficoltà a dargli una vera risposta.

Cosa poteva dirgli? Come poteva dirglielo?

Questo non sfuggì a Luke, che si preoccupò “Evelyn…” la obbligò a guardarlo negli occhi “C’entra qualcosa Joe o gli altri tuoi fratelli”

“N-no, non c’entrano”

“Mmh” Luke non era convinto “Altre evasioni fallite e nuovi anni di carcere?”

“Magari” si lasciò sfuggire e, accorgendosene, si tappò subito la bocca.

“Evelyn, sei strana” disse Luke “Salve signorina Betty” salutò poi, visto che nel frattempo era arrivata la signorina Betty.

“Oh, salve signor Luke” cinguettò con un gran sorriso “Io inizio ad entrare, non metterci troppo” si rivolse ad Evelyn e questa obbedì.

“Siamo a rischio qui fuori” disse Evelyn a Luke, se i miei fratelli ci vedessero…”

“Non mi importa” tagliò corto il cowboy “E so che non è per loro che sei preoccupata, che succede?”

Evelyn fece un respiro profondo e richiamò a sé tutte le forze possibili.

Non poteva più girarci intorno.

“A-aspetto un bambino” confessò e chiuse gli occhi, aspettandosi di tutto.

Luke era sempre stato un tipo solitario ed era famoso per la strage di cuori che faceva al suo passaggio.

Non era un tipo da impegni e ancora si chiedeva come avesse fatto ad innamorarsi di lei e mantenere duraturo quel rapporto.

Essendo che lei era l’unica con cui aveva avuto un rapporto oltre al semplice bacio, così almeno sperava, non c’erano dubbi di chi fosse questo nuovo arrivo.

Aveva paura che quella confessione lo avrebbe allontanato definitivamente da lei.

Avere incombenze simili prima del matrimonio era disonorevole e talvolta le donne erano costrette a dare i bambini in orfanotrofi.

Non essendo più pure come si sperava, o venivano date in sposa obbligatoriamente con chi aveva contribuito alla creazione della nuova vita, oppure venivano spedite a lavorare nei saloon.

Evelyn non voleva finire in un saloon, ma non voleva neanche costringere Luke a sposarla e farsi carico di una creatura.

Evelyn si stava facendo qualunque tipo di fantasia ed era così immersa in questi pensieri da non essersi accorta dello strano sorriso di Luke e della sua faccia color peperone.

Infatti, senza troppo preavviso, Luke la strinse di nuovo e chiuse le sue labbra su quelle di lei in un dolce e lungo bacio.

Nemmeno si erano accorti della signorina Betty lì accanto.

Quest’ultima era uscita per avvisare Evelyn di entrare, ma vedendoli si era fermata ed era rimasta ad osservarli commossa.

Quando si divisero, Evelyn era senza parole “L-Luke”

“Non potevi darmi notizie migliori” disse lui, accarezzandole il volto.

“N-non sei...insomma...arrabbiato?”

Lui scosse la testa “Perché dovrei?” chiese “Non ti posso garantire una stabilità, ma farò qualunque cosa per non farti mancare niente e questo varrà anche per lui” le diede un bacio sulla fronte “Non ti abbandonerò”

Evelyn era grata di questo, soprattutto perché non la stava ripudiando come avrebbero fatto tanti altri e come lui stesso aveva diritto.

“Ora devo andare” disse Luke, con tono evidentemente dispiaciuto “Ma resterò in zona e se mai avrai bisogno, io sarò lì”

Evelyn annuì, si diedero un altro bacio e poi il cowboy salì in sella.

“Questo bambino sarà speciale, vedrai” disse poi Luke, ammiccando e facendo sorridere Evelyn che gli strinse la mano ancora una volta.

“Arrivederci, Jolly” disse poi lei, dedicandosi anche al fedele equino “E fai il bravo”

-Il concetto di bravo è sempre relativo, io sono un destriero e come tale mi comporto- pensò il cavallo, nitrendo in segno di saluto.

“Ci vediamo, piccola” disse Luke, volgendo poi lo sguardo verso la signorina Betty “La affido alle sue cure”

La donna si riprese dalla commozione...più o meno “Ci penso io, signor Luke” salutò la donna, vedendolo poi partire e scomparire all’orizzonte.

“Oh, l’amore, che cosa meravigliosa” cinguettò la signorina Betty, aiutando Evelyn ad entrare in quanto si era fissata e non voleva più muoversi.

Una volta dentro venne accolta con un saluto dalle guardie e da parte di qualche detenuto.

Poco dopo venne accolta dai fratelli, che la obbligarono a ridestarsi dalla sua catalessi.

Jack, William ed Averell la strinsero forte, il più alto era in un mare di lacrime “Sorellina, credevo che non saresti più tornata”

“A-Averell, mi stai soffocando” questo obbligò il fratello a metterla giù.

“Dove sei stata?” fu la domanda bruciapelo di Joe, che attendeva con le braccia conserte, il broncio e con il piede destro che batteva freneticamente sul terreno.

“Da quando fai domande in stile Averell?” ribatté Evelyn, facendolo infuriare “Ero dalla mamma e poi sono stata in città per alcune faccende che mi ha affidato”

“Allora come è possibile che la signorina Betty sia entrata per prima e tu, invece, ci hai fatto aspettare?”

“Sembri la mamma” si lamentò lei

“Sono tuo fratello, sono il maggiore e, in particolare, sono un uomo, quindi mi devi dire cosa stavi facendo di così importante per non esserti presentata per tempo”

Evelyn avrebbe voluto dirglielo, ma non era il caso...non in quel momento.

Preferì optare per qualcosa che lo avrebbe allontanato di corsa.

Si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa.

Da prima divenne rosso peperone, poi sgranò gli occhi ed infine si voltò “Ok, basta così, sbrigatevi voi altri, ho un’evasione da progettare” e se ne andò, seguito dagli sguardi curiosi degli altri tre e passandosi una mano davanti agli occhi come se stesse cercando di togliere un’immagine poco gradita.

“Ma...che gli hai detto?” chiese la signorina Betty, che era rimasta ad osservare la scena con curiosità.

Evelyn si mise le mani sui fianchi e assunse uno sguardo soddisfatto “Che mi sono attardata a causa del corsetto slacciato che mostrava le mie grazie”

Immaginandosi la scena, la signorina Betty non poté fare altro che ridere.

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Capitolo 7
*** Le statue ***


“Luke!” Amy lo seguì fino a fuori, riuscendo a fermarlo poco prima che salisse in macchina “Luke, aspetta, ma che succede?”

Luke non la guardò e mise in moto “Non sarà mio figlio a pagare per lui”

“Luke, ci saranno altre donne in attesa a Storybrooke” disse Amy “perché dovrebbe essere proprio Evelyn e tuo figlio la chiave per sbloccare il confine?”

“Stanne fuori, Amy” e partì in sgommata, lasciando Amy in mezzo alla strada.

Sherlock, dietro di lei, era rimasto in silenzio, ma aveva già un piano “Seguimi” ordinò e rientrarono in centrale.

Sherlock prese le chiavi di scorta nel cassetto, il tutto sotto lo sguardo sbigottito di Amy e di Jareth.

Si avvicinò alla cella e la aprì “Muoviti”

“Non ti servirò a nulla” disse, allungando le mani e mostrando a Sherlock due braccialetti in cuoio intrecciati “Non posso levarli...nemmeno con quelle” aggiunse rivolto ad Amy, che aveva preso le forbici e voleva provare.

Le rimise giù.

“Muoviti, ho detto” e, senza troppi giri di parole, uscirono tutti e tra dalla centrale e si diressero verso l’abitazione dei fratelli Dalton.

“Sherlock, è già andato Luke non dobbiamo intrometterci”

“Evelyn non si trova a casa” sentenziò e, appena giunti alla porta, iniziò a bussare con foga.

Sì udì un brontolio provenire dall’interno ed infine la porta si spalancò e Joe Dalton era lì che li guardava torvo “Si può sapere che diavolo volete?” poi si accorse di Jareth “E lui che ci fa qui?” si alzò le maniche, pronto a farlo fuori.

Amy si parò davanti a Jareth “Siamo qui per tua sorella, Joe, devi aiutarci”

Joe avrebbe voluto far fuori Jareth e con lui anche Amy, ma tutti sapevano quanto ci tenesse alla sorella e al bambino non ancora nato.

Cercò di placare i bollenti spiriti e si dedicò a Sherlock “Che è successo?”

“E’ probabile che Evelyn tenterà di lasciare la città” disse il detective “E l’unico modo per evitarlo è trovare un nuovo abitante per la città”

Joe non capì assolutamente nulla di quanto detto da Sherlock e, purtroppo, nemmeno Amy.

Questa lanciò uno sguardo a Jareth e si stupì nel vederlo con lo sguardo basso.

Aveva tutta l’aria di essere a conoscenza di quanto stesse dicendo Sherlock e persino a chi stesse facendo riferimento.

Ad ogni modo, Joe non volle discutere e sembrò accettare qualunque cosa per amore di Evelyn “Prendiamo la macchina”

 

*****

 

“Luke, basta!” esclamò Evelyn, che aveva tentato più volte di fermarlo, ma con insuccesso.

Luke l’aveva presa e l’aveva portata a casa sua, mettendosi poi a fare la valigia per lei con gli abiti che Evelyn teneva dal cowboy in caso si fermasse lì.

“Luke, smettila!”

“Non c’è tempo da perdere” disse Luke, senza fermarsi e senza neanche guardarla, correndo in bagno e prendendo gli effetti personali della ragazza “Non sarai tu e nemmeno nostro figlio a pagare”

“Ma ci saranno altre donne nel mio stesso stato” tentò di dire lei, ma anche lì nulla.

Luke sapeva bene che stava mentendo.

Nessun’altra donna della città era in stato interessante così avanzato come lei e, di conseguenza, a meno che non ci fossero prematuri, il prossimo abitante che la città avrebbe registrato era il suo bambino.

“Ok...ok, Luke, adesso fermati” si avvicinò all’uomo e lo obbligò a fermarsi e guardarla dritta negli occhi.

Luke era evidentemente preoccupato e persino spaventato.

Lucky Luke, il famoso cowboy più veloce della sua ombra, era famoso per la sua flemma ed il suo sangue freddo.

Nessuno mai avrebbe pensato di vederlo in quello stato.

Così diverso, così spaventato.

Evelyn gli prese il volto fra le mani “Una volta una persona mi ha detto...che questo bambino sarebbe stato speciale” disse, rivolgendo al suo amato un dolce sorriso “Quella persona, forse, aveva ragione” sentenziò

“E se…” posò le sue mani su quelle di lei “E se gli succedesse qualcosa?” domandò “Evelyn, essere più veloci della propria ombra non significa essere infallibili” specificò “Ho già perso Jolly e pare che non sia nemmeno in città...non voglio perdere anche nostro figlio” spostò una mano sul ventre ben pronunciato di Evelyn “E se per sbloccare il confine serve in realtà...che so...un sacrificio o roba simile?”

“Lo hai detto tu stesso, Luke” gli fece memoria Evelyn “Serve l’arrivo di un nuovo abitante”

“E’ il suo utilizzo che mi spaventa” precisò Luke e poi le diede un dolce bacio sulla fronte “Perdonami, Evelyn, ma ce ne andremo ugualmente, che sia un altro bambino la chiave di questo mistero” e riprese a fare le valige facendo scoprire ad Evelyn...che aveva già acquistato qualche tutina per neonato, dai colori neutri visto che ancora non sapeva se fosse maschio o femmina.

Luke stava facendo sul serio, non si sarebbe fermato e lei non poteva restare con le mani in mano a guardare.

“Evelyn, per favore, passami quella pila di vestiti” indicò verso una sedia con su dei vestiti maschili.

Ma nessuno glieli passò.

“Evelyn?” si voltò, ma lei era sparita.

Si affacciò alla finestra e la vide svoltare l’angolo “EVELYN!”

 

*****

 

Amy e gli altri aveva raggiunto la casa di Jareth.

Joe aveva avvisato anche gli altri tre fratelli e questi li stavano aspettando davanti all’ingresso.

“Ehi, Joe, che succede?” domandò Jack

“Ehi, ma Evelyn non era a casa con te?” chiese William.

Fu Amy ad intervenire “Evelyn sta per partire” disse “Stiamo cercando un modo per fermarla”

Jack e William si allarmarono, ma non si misero a fare scenate, al contrario di Averell che iniziò a piagnucolare.

“La mia sorellina vuole lasciarmi”

Joe non resistette e gli diede un sonoro ceffone “Muoviti, imbecille!”

Jareth sorrise “Adoro il piccoletto” mormorò rivolto ad Amy, che cercò di non ridere e lasciò che Jareth si avvicinasse alla porta di casa “Prima che io apra” disse guardando Sherlock “Assicurami che nulla di diverso verrà toccato”

“Hai la mia parola” acconsentì Sherlock e attese che Jareth li facesse entrare.

Amy si avvicinò al detective e lui le fece cenno che sarebbe andato tutto bene e le strinse la mano.

Una volta dentro, Jareth li condusse nel giardino sul retro che aveva tutta l’aria di essere un cimitero e, purtroppo, non ci andava tanto lontano.

Il giardino era ricoperto di statue in pietra.

Amy si aspettava dei semplici gnomi oppure statuette raffigurante putti o simili.

Invece erano statue di creature con pose strane...terrorizzate.

Amy si portò una mano alla bocca, soffocando un grido di terrore e anche Jack e William fecero lo stesso.

C’erano quattro statue vicine, il terrore era palese nei loro occhi di pietra fredda.

Una raffigurava una specie di gnomo dalla pelle rugosa e con le mani sporte in avanti, così come le altre tre.

Una era un bestione enorme, sembrava uno yeti, poi c’era un cane ed infine uno strano esserino che brandiva una piccola spada.

Amy era sicura di averli già visti da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove.

Tutto ciò che sapeva e che vedeva erano i loro volti coperti dallo spavento.

Erano così reali.

Nel voltare lo sguardo verso i fratelli Dalton, Amy ebbe una risposta più chiara.

Averell era in piena crisi, Jack e William erano immobili e Joe sembrava sul punto di fare una scenata assurda.

Erano accanto ad un’altra statua che raffigurava una donna.

Era anziana, teneva le mani parate davanti a sé e...assomigliava in un modo straordinario ai quattro fratelli.

Adesso sì che capiva il perché erano lì.

“Oh mio Dio” mormorò “Sherlock…”

“C’è sempre un modo, Amy” disse “Se liberiamo la donna, Evelyn non sarà più costretta ad andarsene”

Amy annuì, notando che accanto alla statua della madre dei Dalton vi era persino la statua di un cane.

La ragazza lo riconobbe subito come Rantanplan, il cane del penitenziario da cui provenivano i Dalton ed Evelyn.

Amy avvertì una morsa allo stomaco e tornò a dedicarsi alla statua della madre.

“Puoi fare qualcosa?” domandò Amy rivolta a Jareth, attirando l’attenzione di Joe e dei fratelli.

Jareth scosse la testa “La mia magia non è reversibile, non in questi casi” aggiunse, facendo capire che tutte le creature presenti nel suo giardino erano state ridotte in pietra da lui stesso.

“Però sai che esiste un modo” disse Sherlock “E sai anche a chi chiedere”

“E se non funzionasse?” domandò Jareth “Ci avete mai pensato?”

Joe, furioso, lo prese all’improvviso per il colletto e lo attirò a sé.

Amy era pronta ad intervenire, ma Sherlock la bloccò e lasciò che Joe desse sfogo della sua rabbia.

Jareth non si difese, non poteva.

“Senti, damerino, tu ci hai mai pensato alle conseguenze delle tue azioni?” domandò Joe, quasi ringhiando e con i tre fratelli che lo sostenevano lanciando sguardi di fuoco a Jareth “Tu ora sfrutti tutto quello che sai e che possiedi per riportare nostra madre indietro o ti giuro sulla testa di quello stupido di Rantanplan che ti farò passare il quarto d’ora più brutto della tua esistenza e non credo che lo supererai tanto facilmente”

Jareth sorrise, in segno di sfida “Hanno già provveduto, per ben tredici ore” rispose “Non puoi farmi nulla di peggio”

Joe fece per tirargli un pugno, ma Jack e William lo bloccarono “Lascia stare, Joe” intimò Jack

“Se lo uccidi non salveremo nostra sorella” gli ricordò William, obbligandolo a calmarsi.

Dopo aver sbuffato molto sonoramente, Joe fu costretto a lasciarlo andare.

Sherlock non si scompose “Dove possiamo trovare quello che ci occorre?”

Jareth sospirò “Il problema non è trovare quanto ci occorre, ma trovare qualcuno che sappia mettere tutto insieme” precisò “La mia conoscenza è limitata, sono uno stregone ma non sono esperto in pozioni e simili”

Quello era un problema.

Se non trovavano qualcuno in grado di mescolare ingredienti simili, allora non c’erano speranze.

“Ehi, Amy, che ti prende?” domandò Averell, vedendo che Amy aveva cambiato espressione e sembrava aver avuto un’illuminazione.

Il libro possedeva le storie di tutti, ma Amy si era limitata a leggere e controllare solo quelle riguardanti le persone che conosceva.

Non le aveva lette tutte, ma ricordava chiaramente di aver visto un’immagine relativa a qualcuno che, probabilmente, sapeva utilizzare ingredienti particolari.

Sperò solo che la sua memoria non la stesse tradendo.

Il problema era che il libro non sapeva dove fosse.

“Ci serve il libro” disse, guardando Jareth “Sai dove si trova?”

Jareth annuì “Seguitemi”

Lasciarono lì la statua della madre dei Dalton, anche perché pesava troppo per poterla trasportare, dirigendosi verso l’uscita dell’abitazione.

“Amy!” una voce, non tanto distante, attirò la sua attenzione.
Evelyn stava andando verso di lei, il respiro affannato.

“Evy!” Amy subito accorse in suo aiuto, seguita dai fratelli di lei.

Joe le fu subito accanto “Pulce, che hai?” domandò “Che ti succede?”

“L-Luke” disse con un filo di voce la bionda “Vuole portarmi via, vuole andarsene”

Amy si scambiò uno sguardo con Sherlock che, a sua volta, guardò Jareth ed insieme si allontanarono.

“Joe...Joe, ti prego non voglio andarmene”

“Non accadrà” Joe la strinse “E Lucky Luke pagherà per questo”

“Joe…” Joe guardò la sorella “L-Luke...A-aiutami” ma non riuscì a finire la frase che i suoi occhi si chiusero e perse i sensi.

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Capitolo 8
*** Divisioni e ritrovi ***


Gente, questo è l’ultimo capitolo dell’anno.

Fino al 2022 non pubblico più niente relativamente a questa storia.

Vi auguro un buon Natale ed un felice anno nuovo a tutti quanti e vi ringrazio per il sostegno che mi avete dato quest’anno.

Buona lettura

 

Per Evelyn80: Come ti avevo già detto, è probabile che mi odierai (leggendo lo vedrai tu stessa) ma ho cercato subito dopo di rimediare...tvb dear

 

 

 

Quando Evelyn riprese conoscenza era già notte fonda e lo capì non solo perché intorno a lei era tutto scuro, ma dal silenzio tombale che c’era.

Si accorse di essere in una stanza di ospedale e che l’unico suono udibile, ma a cui Evelyn non prestava attenzione, era il bip della macchinetta segna battiti.

Il suo primo pensiero andò al bambino. Non lo sentiva.

Andò nel panico, tanto che i suoi battiti aumentarono e la macchinetta si adeguò di conseguenza facendo intervenire subito un’infermiera.

“Il mio bambino...non lo sento”

“Ok, calmati cara, rilassati e respira” disse la donna, cercando di farla calmare “Il bambino sta bene, tranquilla” la voce dell’infermiera era calma e rassicurante, tanto che Evelyn cercò in tutti i modi di darle retta e tranquillizzarsi.

Dopo vari respiri profondi, la macchinetta tornò a segnare il battito regolare ed Evelyn si calmò definitivamente.

Il bambino era stato il suo primo pensiero, ma ora un’altra cosa la tormentava.

Come ci era finita lì?

“Che mi è successo?” domandò.

L’infermiera, mentre le controllava la pressione, rispose “Hai fatto uno sforzo maggiore rispetto al normale, questo ha fatto aumentare la tua pressione e quando ti sei fermata essa si è abbassata di colpo e hai perso i sensi” poi le rivolse un sorriso “Per fortuna è tutto regolare e non hai avuto conseguenze, ma devi stare più attenta”

Evelyn annuì.

Era stata una sciocca a scappare via in quel modo dalla casa di Luke, ma voleva allontanarsi il più velocemente possibile e raggiungere i suoi fratelli.

I suoi fratelli! Dove erano?

Era tutti lì?

Devono essersi presi un bello spavento vedendola crollare a terra in quel modo.

“I...i miei fratelli?” domandò.

L’infermiera le sorrise di nuovo “A parte aver portato caos per tutto il pronto soccorso?” domandò, lasciando ad Evelyn libera interpretazione di cosa poteva essere accaduto mentre lei era incosciente “Stanno tutti bene, qui è rimasto il signor Joe e lo sceriffo Luke” rispose “C’era anche la signorina Knight, ma è stata riportata a casa dal padre qualche ora fa”

Evelyn venne percorsa da un brivido.

Era lieta di sapere che la sua famiglia e la sua migliore amica erano stati lì, era davvero grata a loro per tutto.

Ma c’era anche Luke e lei non aveva intenzione di vederlo, non per niente era scappata da casa sua in quel modo.

Luke voleva portarla via, voleva portarla fuori città senza darle libertà di scelta.

Lei desiderava che il bambino fosse al sicuro, ma scappare senza una meta vera e propria non era la soluzione che sperava per lui.

Se Luke non cambiava idea, lei non voleva assecondarlo.

Anzi, in quel momento tutto voleva tranne che lui.

“S-signora, p-per favore...posso vedere mio fratello?”

L’infermiera sospirò “Non è orario di visite” disse “Gli abbiamo permesso di restare nella sala d’attesa, ma non può entrare”

Evelyn deglutì “P-per favore, solo cinque minuti”

La donna sospirò nuovamente e sorrise ad Evelyn, alla fine non riusciva a dire di no a chi le parlava con molta gentilezza.

Conosceva Evelyn perché la stava seguendo per via della gravidanza e sapeva che sia lei che sua famiglia, nonostante fossero un po’ eccentrici, erano persone a posto.

Sapeva anche che Joe Dalton non avrebbe fatto alcun rumore pur di non nuocere alla salute della ragazza.

“E va bene, vado a chiamarlo” disse e fece per uscire “Approposito, mi sembra corretto dirti che per controllare lo stato del bambino abbiamo fatto un ecografia, finalmente posso dirti cosa sarà”

Ad Evelyn brillarono gli occhi.

Era da tempo che desiderava saperlo e, anche se non era nella circostanza che sperava, non poté fare altro che annuire.

Aveva più volte immaginato quel momento, Luke accanto a lei che le teneva la mano e l’infermiera del momento che comunicava loro il sesso del nascituro.

Ma ora, dopo le ultime movimentazioni, non voleva più vedere Luke e nemmeno fargli scoprire il sesso del bambino.

Lo avrebbe tenuto per sé e lo avrebbe detto ai fratelli, ma nulla di più.

L’infermiera colse lo stato d’animo della paziente e poté sia immaginare che capire cosa stesse provando.

Ad ogni modo era felice di dare questa notizia “E’ un maschio”

Evelyn sentì il suo cuore colmo di gioia e non vide l’ora di dare a Joe la notizia.

Un maschio, il suo bambino.

Aveva già fantasticato sui nomi da dargli e, a parte un elenco lungo un miglio di nomi per lo più femminili, non aveva molte idee su nomi per maschi.

In un primo momento aveva pensato di chiamarlo come il padre, ma sarebbe stato troppo strano e scontato.

In più non voleva vivere col rimorso di avergli dato un nome che tutti avrebbero abbinato con junior.

Decisamente non era il caso di dare ad un bambino un peso del genere.

Era così emozionata che non riuscì nemmeno a ricordarsi quali nomi aveva immaginato tempo addietro.

Ma non le importò più di tanto, era sicura che il nome le sarebbe venuto spontaneo non appena lo avrebbe visto.

Doveva solo attendere ancora pochi mesi.

Nel frattempo l’infermiera era uscita e lei era rimasta sola, in attesa che il fratello entrasse.

Quando lo video gli sorrise “Joe…”

“Pulce” Joe si avvicinò e strinse Evelyn “Come ti senti?”

“Bene” rispose lei, passandogli una mano sul volto “Sei rimasto qui tutto questo tempo?” domandò notando il suo sguardo assonnato.

“Dove sarei dovuto andare?” chiese lui di rimando “Di certo non lascio quei tre imbecilli a fare la guardia e, soprattutto, non lascio quel cowboy da strapazzo solo con te”

Evelyn sorrise appena, poi si strinse di nuovo a lui “Joe, aiutami” lo implorò “Non voglio più vederlo”

Joe fu grato di quella sua affermazione e per questo sorrise, felice di poter finalmente fare qualcosa di utile per la sorella ed il suo futuro nipote al quale si era affezionato già da tempo.

Non gli importava chi fosse il padre del bambino, qui si parlava di sua sorella e di un futuro neonato in cui scorreva sangue Dalton...ovviamente...per modo di dire, visto che Evelyn era sua sorella adottiva.

“Si, pulce, farò qualunque cosa”

Evelyn restò stretta a Joe più a lungo che poté. Aveva bisogno di sentirlo, di averlo vicino.

Anche se aveva un carattere burbero e totalmente fuori controllo, Joe era sempre stato al suo fianco ed era colui che aveva fatto fuoco e fiamme per diventare tutore legale in assenza della madre.

Madre che ora si trovava pietrificata nel giardino di Jareth.

Joe evitò di dirle questa scoperta, altrimenti rischiava di compromettere la sua salute e non voleva che ciò accadesse.

Si limitò a tenerla stretta a sé, facendole capire che non se ne sarebbe andato.

“E’ un maschio, Joe” mormorò Evelyn, facendo sgranare gli occhi a Joe.

“U-un maschio?” domandò incredulo ed Evelyn annuì “E’...è meraviglioso!” si sfregò le mani “Un altro membro a cui insegnare come rapinare le banche”

Evelyn rise “Joe, sei incorreggibile”

“Intanto ho già un piano per lui” ghignò

“I tuoi piani falliscono sempre” gli ricordò Evelyn “E se a causa dei tuoi insegnamenti mi diventa un piccolo putto come te?”

Joe divenne rosso paonazzo dalla rabbia, ma cercò di non fare scenate.

Per due motivi, il primo era che non si trovava in un luogo adatto per dare in escandescenza, secondo, era felice della notizia appena ricevuta e quindi decise di sorvolare su quella presa in giro.

“Io...ti odio...pulce maledetta”

Evelyn rise e poi sospirò “Non è meglio se vai a casa?” domandò “Hai bisogno di riposo”

Joe scosse la testa, emettendo nel contempo uno sbadiglio “Resterò qui con te”

“Joe, non vado da nessuna parte” lo rassicurò lei “Vai a casa”

Joe sbuffò, ma non perché doveva eseguire un ordine dettato da una pulce come Evelyn, ma perché stava cedendo alla stanchezza.

La stessa stanchezza che gli stava impedendo di restare con lei.

Fece per uscire

“Joe”

“Sì?”

Evelyn sospirò “Ti voglio bene, fratellone”

Joe arrossì e sorrise appena, uscendo fuori e andando via.

Rimasta sola, Evelyn si mise a contemplare il soffitto in attesa che il sonno la avvolgesse, nel frattempo una notifica del suo cellulare le fece capire che era giunto un messaggio.

Sapeva già chi era, sapeva che si trattava di lui e, di fatti, il nome “Luke” era apparso sullo schermo.

 

Sono nella sala d’attesa, desidero vederti.

Ti prego, permettimi di entrare.

 

Evelyn aveva lo stomaco chiuso ed era combattuta.

Se lo faceva entrare avrebbe di nuovo tentato di convincerla a partire, se invece lo lasciava fuori e smetteva di parlarci, poteva tentare di entrare con la forza oppure tormentarla fino a che non cedeva.

In qualunque dei due casi, il suo stato d’animo non sarebbe variato.

Ma tutta quella situazione era troppo per lei.

Non voleva perdere il suo bambino e nemmeno dare modo a Luke di portarla lontano dalla sua famiglia.

Era anche sicura che Jareth non avrebbe mai fatto del male al suo bambino, altrimenti perché Joe e tutti gli altri lo stavano difendendo?

Non voleva che Luke e la sua paura rovinassero la sua vita o quella del bambino.

Era egoista? Era protettiva? O, semplicemente, era solo stupida?

Non le importava, non voleva saperne nulla di Luke...non così, non in quel momento.

C’era solo una risposta che le venne in mente.

 

Stai alla larga da me

 

Premette invio e rimise giù il telefono iniziando a piangere silenziosamente.

 

QUALCHE ORA PRIMA

 

Dopo aver lasciato Amy insieme ai Dalton ed Evelyn, Sherlock seguì Jareth fino al luogo dove era tenuto nascosto il libro.

Raggiunsero la miniera, dove stavano effettuando i lavori di ripristino ufficiale dell’ingresso.

Dovevano essere tutti in pausa, perché non c’era nessuno a controllare il cantiere.

“Qui dentro?” domandò Sherlock “Ok, questo non me lo aspettavo”

“Dove avrei dovuto nasconderlo?” chiese Jareth di rimando “In un baule, magari sotto terra?”

Sherlock annuì “Esattamente” rispose “Era questo che mi aspettavo da parte tua”

“Infatti è così” confermò Jareth “Ma è qui dentro e al momento non mi è permesso entrarci”

La risposta fu più che chiara, se Jareth fosse entrato Logan lo avrebbe saputo e, molto probabilmente, avrebbe raso al suolo l’intera Storybrooke pur di farlo fuori con i suoi stessi artigli.

Sherlock si sentì lieto di non aver perso il suo fiuto ed intuito da detective e acconsentì ad entrare lui a scavare e cercare.

“Non c’è problema, vado io” Sherlock fece per entrare, ma Jareth lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla.

“Non merito la fiducia di nessuno e nemmeno la pretendo” disse “Voglio aiutarvi, ma è meglio che qualcuno lo sappia” guardò Sherlock dritto negli occhi “Non era mia intenzione fare del male alle persone di questa città e non avrei mai fatto del male a quel bambino”

Sherlock sorrise e ammiccò, segno che aveva capito e gli credeva.

Jareth lo lasciò andare e lo vide scomparire all’interno della miniera, mentre lui rimase fuori ad aspettare.

Emise un sospiro “Hai intenzione di restare lì tutto il tempo?” domandò incrociando le braccia, mentre dietro di lui dei passi si facevano via via più vicini.

Jareth fece un respiro profondo, facendo penetrare nelle narici il profumo di terra bagnata e delle foglie che lo circondavano, nonché il fragranza alla vaniglia che proveniva da chi stava alle sue spalle.

“Davvero non gli avresti fatto del male?” fu la domanda che gli venne posta, al che gli venne quasi da ridere.

“Dopo i nostri trascorsi, ancora pensi che io voglia fare del male ad un bambino?” si voltò, puntando i suoi occhi in quelli di Sarah, che non riuscì a sostenere lo sguardo “Non ho mai voluto fare del male a tuo fratello e non intendo farne a questo bambino non ancora nato”

Sarah voleva ribattere, voleva assumere uno sguardo di sfida e fare qualcosa, ma non fu in grado di fare niente.

“Non ho mai voluto farti del male, Sarah” disse lui “Né a te, né a tutta questa gente”

“Allora perché?” domandò lei “Perché lo hai fatto?”

“Perché…” per tutti gli Dei, quanto era difficile ammettere la verità “Perché sarei stato mortale” rispose “E il dolore sarebbe durato poco”

“Q-quale dolore?” chiese Sarah.

Jareth si avvicinò a lei “Il dolore di non averti” rispose “Sarah, io non ti ho mai dimenticata e tutto quello che mi riguardava era ed è vero”

Sarah non sapeva cosa rispondere e dentro di lei era combattuta.

Avrebbe voluto sfidarlo di nuovo, combatterlo e vederlo sparire dalla faccia della terra o di qualunque altro mondo.

Dall’altra sentiva che quella situazione era anche colpa sua.

Nulla sarebbe mai successo se Sarah non avesse dato retta al suo istinto di adolescente e alle sue crisi isteriche.

Aveva sbagliato e si assunse la sua parte di colpa.

Jareth aveva provato, mentalmente, ad incolparla di tutto, ma non era riuscito.

Sarah non poteva sapere cosa si celasse nella mente e nel cuore di Jareth, ma poco le ci volle per capire cosa stesse provando in quel momento.

“Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che ti dico e...” mormorò Sarah, bloccandosi.

“E sarò il tuo schiavo” concluse per lei Jareth.

Sarah annuì “Ti ho temuto e...ho fatto ciò che mi hai detto” deglutì “Rimane solo una cosa”

“Amarmi” disse Jareth e Sarah annuì.

“Amarti” ripeté, abbassando lo sguardo “Jareth, è sbagliato” e questa affermazione bastò a Jareth per comprendere che Sarah aveva raggiunto anche quel livello.

Sarah lo amava, ma non era ancora in grado di esternalo come avrebbe voluto.

Jareth allungò una mano e posò il dito indice sotto al mento di lei, alzandole un poco il volto “Io sono il tuo schiavo” mormorò Jareth e le posò un veloce e dolce bacio sulle labbra.

Quando si divisero, lei era arrossita e Jareth emise un ghigno divertito.

Sarah non disse altro, si portò le mani al volto e decise che era meglio andarsene da lì, o avrebbe combinato un disastro dicendo qualcosa di sbagliato.

Jareth rimase ad osservarla finché non fosse scomparsa alla sua vita.

All’inizio sorrise, immaginando cosa stesse passando nella mente e nel cuore della sua amata Sarah e quante maledizione gli stesse lanciando.

Dall’altra si sentiva ancora peggio di quanto si credesse.

Sarah, la sua Sarah, si stava finalmente aprendo, ma lui non aveva la forza di aspettare che lei si aprisse del tutto.

Ci era riuscita, aveva preso pieno controllo di lui

“Tu hai potere su di me”

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Capitolo 9
*** Le prime soluzioni ***


Salve!

Nuovo capitolo di questa long e spero vi piaccia...o che almeno non sia una vera e propria schifezza.

 

ATTENZIONE: questo capitolo contiene una scena hot (essendo rating arancione mi sono moooooolto limitata...anzi, non si descrive granché, proprio per evitare problemi)

Se questa cosa urta la sensibilità di qualcuno, vi prego, ditemelo.

Non voglio creare problemi a nessuno.

 

Buona lettura

 

 

 

“Ok, un momento, vediamo se ho capito bene” Loki si portò l’indice ed il pollice della mano sinistra alla base del naso “Mi state dicendo che per aiutare la biondina e per sbloccare il confine, dobbiamo andare a prendere un pozionista, fargli fare qualche intruglio e far tornare normali...delle statue di pietra?”

Lo sguardo del Dio era decisamente scandalizzato e al limite della sopportazione.

“Hai dimenticato che non si trova qui a Storybrooke” aggiunse Amy, che già stava elaborando un piano differente, ma nulla le veniva in mente.

Il libro, recuperato da Sherlock, parlava chiaro.

Se volevano riportare indietro persone o creature pietrificate, dovevano trovare un pozionista che avrebbe utilizzato le piante di mandragora per creare un infuso adatto a togliere quel tipo di maledizione.

Il problema sorgeva perché questo pozionista non si trovava a Storybrooke e nessuno di loro aveva modo di uscire da lì.

Era un contro senso e tutti si stavano per rassegnare che dovevano attendere la nascita del bambino di Evelyn.

“Non esiste un altro metodo?” domandò Michael che, insieme a Bonnie e Devon, aveva raggiunto Amy alla tavola calda per vedere il punto della situazione.

Evelyn non c’era ed era meglio così, stessa cosa Luke.

Se avessero sentito la conversazione, a lei sarebbe venuto un infarto e lui avrebbe di nuovo tentato di portarla via.

“Vi avrei proposto questa soluzione, se ne avessi un’altra di riserva?” domandò Jareth sbuffando “Avete una bella considerazione”

“Vuoi davvero sapere che considerazione ho di te?” disse Loki, in segno di sfida, facendo alzare in piedi Jareth, pronto all’attacco.

“Signori, per cortesia” intervenne Devon, con la sua famigerata flemma “Non mi pare il caso di mettersi a discutere in questo modo e in un luogo pubblico” guardò Loki “Signor Loki, credo che il signor Jareth abbia già valutato tutte le alternative e questa è la migliore che ha trovato, mentre lei…” guardò Jareth “Quanto ci vorrà per ottenere un risultato, se riusciamo a contattare questo pozionista?”

Jareth si schiarì la voce “Circa quattro mesi”

“Cosa!?” fu il coro di Amy, Bonnie e Loki

“Io non sono donna, ma so quanto occorre per una gestazione e la biondina fra circa quattro mesi avrà un marmocchio in giro per casa!” precisò Loki “Ti pare che abbiamo quattro stra fottuti mesi!?”

In effetti si sentivano tutti presi in giro, ma Jareth non aveva altre soluzioni in mente...almeno così sembrava.

Mentre si limitava a mantenere lo sguardo impassibile, non sfuggì ad Amy un piccolo movimento delle dita del Fae.

Con le braccia incrociate, picchiettava i polpastrelli sul fianco con fare nervoso.

Amy aveva lo strano sentore che nascondesse qualcosa e, probabilmente, non era nemmeno l’unica a pensarlo.

Quel gesto non era sfuggito neanche a Sherlock, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

Dopo aver dato ad Amy uno sguardo di intesa, prese finalmente la parola.

“Sentite, restare qui ad accusare e criticare non serve a nulla” disse “C’è sempre una seconda possibilità”

“E quale sarebbe, genio?” domandò Loki

“Nulla che ti riguarda, se non ti dai una calmata” intervenne Michael che, oltre ad aver capito che c’era qualcosa sotto, era stufo di sentire Loki lamentarsi.

“E chi saresti, tu, per darmi ordini?” ribatté “Nessuno può darmi ordini!”

Michael scattò in piedi e sembrò sul punto di colpirlo, ma Bonni e Devon intervennero.

“Michael, calmati” disse lei, tenendolo per un braccio e sentendo il corpo dell’uomo contrarsi per respingere gli impulsi omicidi nei confronti del Dio.

Micahel cercò di respirare profondamente “Andiamo via” guardò anche Amy “subito”

“Papà, io…”

“Ho detto subito, Amy” il tono era risoluto, non ammetteva un no come risposta.

Amy obbedì ed uscì, sentendo il suo cellulare vibrare.

Salutò con un cenno tutti quanti e seguì i genitori fuori dal locale.

Una volta fuori, prese il telefono e lesse al volo il messaggio ricevuto, era da parte di Sherlock.

 

-Lascia fare a me-

 

*****

Dopo aver placato Loki e dopo aver abbandonato il locale, Jareth era rientrato in possesso di casa sua.

Seduto sull’enorme letto a baldacchino della sua stanza, sentiva dentro di sé sensazioni mai sentite prima.

I sensi di colpa.

Aveva imparato cosa fosse la paura, di qualunque genere, aveva persino imparato cosa fosse il rimpianto.

Ma i sensi di colpa non li aveva mai provati ed era la sensazione più spiacevole che ci fosse.

Erano simili alla paura di farsi scoprire mentre si fa qualcosa di brutto, solo più accentuati e con una morsa allo stomaco in aggiunta.

E tutto per aver detto che non esisteva altra soluzione al problema che era sorto.

Esisteva, invece, una soluzione ma non voleva applicarla per due semplici motivi: primo, applicarla adesso avrebbe allungato le tempistiche previste, secondo...non avrebbe avuto più una via di fuga per se stesso.

La risposta ad ogni problema era un fagiolo magico che, se posato a terra, avrebbe creato un portale che lo avrebbe ricondotto in qualunque luogo egli avesse voluto.

Anche nell’Underground.

Aveva resistito parecchio alla tentazione di coltivarlo ed utilizzarlo, solo lui aveva il potere di crearlo e, per questo, lo aveva gelosamente sigillato e nascosto.

Con la maledizione, sapeva che il luogo di ritrovo sarebbe stato il banco dei pegni di quello squinternato re Ghiaccio e quella vampira adolescente.

Con quale faccia si poteva presentare lì e farne richiesta?

Avrebbe potuto rubarlo, ma che senso aveva?

Era o non era, ancora, il sindaco della città?

Il motivo per cui voleva coltivarlo e utilizzarlo era misto tra la sua fuga e la soluzione al problema di Evelyn Dalton.

Sarebbe stato difficile, ma non sapeva che altro fare.

Decise di muoversi e, dopo aver fatto un cambio abito utilizzando una semplice sfera creata dal nulla, uscì di casa.

Ma si bloccò sulla veranda, quando vide davanti a sé Sara e Sherlock che lo fissavano.

“Che ci fate qua?”

“Posso aiutare con quello che serve” rispose Sherlock, con uno strano sorriso stampato in volto.

“E cosa ne sai di quello che serve?” chiese di nuovo Jareth “E perché hai portato anche lei”

“Perché voglio vedere fino a che punto vuoi arrivare” fu la risposta di Sarah “E’ vero che non vuoi aiutare Evelyn?”

Jareth cambiò espressione e, preso dalla rabbia, creò una sfera e fece per lanciarla contro Sherlock il quale, per un soffio, riuscì a scansarsi.

“Che cosa le hai detto!?” sbottò il Fae, con l’intenzione di colpire il detective.

“Basta!” esclamò Sarah, posando le mani sul petto di Jareth “Smettila, subito”

Jareth tentò di calmarsi, ma gli era difficile.

“Le ho detto la verità” rispose Sherlock con una calma innaturale “Penso di aver capito cosa serve e sarò io stesso a recuperarlo”

“Perché mai dovrei fidarmi di te?”

“Perché non sono l’unico ad aver capito che menti” spiegò “Ed anche perché il luogo dove vuoi recarti è sotto sorveglianza”

Jareth non sapeva cosa rispondere.

In quel mondo lui poteva essere sindaco o persino presidente, ma il potere lo aveva chiunque e non solo lui.

Non era il re, non era a capo di un intero regno dove le persone e le creature erano suoi sudditi ed obbedivano ad ogni suo ordine.

Non fece in tempo a ribattere che Sherlock era già partito.

Non sapeva se fidarsi o meno di quello strano tipo, ma che altra scelta aveva?

“Jareth…” Sarah richiamò l’attenzione del Fae su di sé “Sherlock ha detto che esiste una soluzione alternativa per sbloccare il confine...senza bisogno di mettere in mezzo Evelyn” fece un profondo respiro “Perché hai mentito?”

“Perché quella soluzione non avrebbe comunque aiutato” spiegò “Non solo volevo tenerla per me, ma quando ho realizzato che potevo usarlo, ho fatto i conti e siamo punto e a capo”

Sarah annuì, capendo il punto di vista di Jareth e percependo la verità nelle parole udite.

Strano come il Fae riuscisse ad aprirsi con lei.

Sarah non aveva bisogno di magia per farlo cadere ai suoi piedi.

Lei lo ama, lo teme, fa ciò che gli dice e lui è completamente suo schiavo.

Sei lei parla, lui parla, se lei chiede lui risponde.

“Forse...c’è un’altra soluzione” disse Jareth “Ma ti avverto, Sarah, non è convenzionale e non so quanto possa essere di aiuto”

“Qualunque cosa” Sarah era tutta orecchie.

Jareth la fece entrare in casa, stare sotto la veranda non era per nulla conveniente.

“Premetto che attendere la nascita del figlio della bionda non avrebbe danneggiato nessuno e mai avrei detto o fatto qualcosa contro questo bambino” Sarah annuì e lo lasciò proseguire “Non potendo dimostrare questa mia intenzione all’interessata e al suo damerino, potrei...mandare lei direttamente dove desidera, senza bisogno di toccare il confine e senza mettere a rischio la sua incolumità”

“Che intendi dire?” Sarah non capì “Se puoi mandare Evelyn altrove...perchè non lo fai anche con noi?”

“Perché posso mandarla solo in un luogo da lei scelto e...non credo che tu desidera andare in un posto che non è casa tua”

Adesso era chiaro, Jareth voleva davvero aiutare Evelyn.

Ma c’erano sempre dei rischi e Jareth non era sicuro di volerli correre.

“Qualcosa si farà” sorrise appena Sarah “Per ora mi basta sapere che tu ci tieni all’incolumità delle persone”

“Tu dici?” domandò Jareth “Io sono ancora intenzionato a far fuori il damerino che ti ha portata qui”

Sarah alzò gli occhi al cielo e, istintivamente, si avvicinò a Jareth e affondò il viso contro il suo petto.

In un primo momento, il re rimase talmente stupito da non saper reagire.

Poi si sciolse e cinse la vita della sua preziosa...avvertendo sensazioni nel basso ventre.

Sarah se ne accorse e alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi in quelli di lui.

“Lo sai che è sbagliato” mormorò Jareth

“Nel tuo mondo no, in quello di Evelyn nemmeno” ribatté Sarah “Perchè dovrebbe essere sbagliato qui?”

“Perché…” ma Jareth non riuscì a finire la frase.

Sarah si alzò in punta di piedi e posò un dolce bacio sulle labbra di lui.

Un bacio che Jareth agognava da molto tempo.

Era vero, perché a Storybrooke doveva essere per forza sbagliato?

La maledizione aveva colpito ovunque e c’erano molte persone che giungevano da luoghi dove sedici anni erano l’età giusta per sposarsi, fare figli ed eventualmente dare la propria figlia in sposa ad un uomo più adulto di lei.

Erano leggi che molti possedevano e come esempio vi erano proprio Lucky Luke ed Evelyn Dalton.

Forse Jareth aveva ancora la mente annebbiata dalla maledizione e dalle leggi del mondo in cui erano finiti, ma non aveva scordato le sue...quelle del suo mondo.

Provò ad aggrapparsi a quelle regole e ricambiò quel bacio con trasporto, prendendo Sarah fra le sue braccia e portandola fino al divano e adagiandola su esso.

Amare era difficile, così come era difficile per lui mostrare la sua vera natura al mondo.

Era strano poterla mostrare a Sarah, ma giurò a se stesso che lei sarebbe stata l’unica a vederlo così...vulnerabile.

E pensare che in quel momento si stava facendo guidare da istinti mai provati...o meglio, mai provati per amore.

Nel giro di poco divennero uno solo elemento, sospeso nel tempo e nello spazio, in un luogo dove nessuno poteva entrare.

Un luogo dove Jareth era libero di amare.

 

*****

 

Amy se ne stava sdraiata sul letto, con lo sguardo rivolto verso il soffitto.

Suo padre si era parecchio infuriato quel giorno e non solo per Loki e la sua boria.

La situazione era pesante e, nonostante comprendesse tutti gli abitanti di quella città, chi davvero si stava muovendo erano sempre i soliti.

Persino il Dottore, Logan e John Watson si stavano prodigando a loro modo per aiutare, ma erano sempre presi con il lavoro e il Dottore riparare la macchina del tempo per renderla adatta a sopportare la magia.

KITT avrebbe voluto aiutare e scoprire di più sul confine e come passarlo, ma non essendo più un auto non potevano fidarsi a chiedergli di superarlo e vedere se gli faceva lo stesso effetto di Loki il quale, volente o no, sarebbe stato ancora utilizzato come cavia con grande piacere di Logan.

I fratelli Dalton stavano tenendo quasi segregata Evelyn la quale, non volendo rischiare di vedere Luke nemmeno per sbaglio, accettava quella reclusione e si limitava a parlare tramite messaggi con Amy.

Povera Evelyn, giovane e con mille responsabilità, per non parlare del suo bambino.

Ancora non era nato e già aveva su di sé il peso di un’intera città.

Era anche normale che Evelyn accettasse di restare chiusa in casa.

Era persino arrivata a confessare che se mai fosse nato non lo avrebbe detto a nessuno, salvo poi fare i conti con la magia.

Lo avrebbero saputo tutto che era nato, poco ma sicuro.

Amy si chiese quali altre soluzioni ci fossero e perché Jareth era così nervoso quando glielo si chiedeva.

Sicuramente vi erano altre soluzioni e voleva saperle tutte.

Ma suo padre l’aveva portata via prima che potesse parlare e doveva attendere Sherlock.

Le aveva scritto Lascia fare a me ma non lo aveva più sentito da quella mattina.

Non osava chiamarlo perché temeva di disturbarlo.

Sbuffò.

Il loro rapporto era strano.

Lei si sentiva parecchio infatuata e sentiva di amarlo, ma la sua giovane età non giocava a suo favore.

Che ne sapeva lei dell’amore? Come faceva a capire se si trattava di qualcosa di serio o di semplice cotta adolescenziale?

E perché Sherlock non dimostrava segni tipici dell’amore?

A mala pena erano riusciti a baciarsi.

Lo faceva per darle un contentino, oppure la amava davvero ma aveva paura?

“Perché è così difficile?” mormorò

“L’amore non è mai semplice” fu la risposta che ottenne e che la fece sobbalzare.

Volse lo sguardo verso la finestra.

“S-Sherlock!” fece dei profondi respiri per calmarsi “Sei impazzito? Come hai fatto a…”

“Me lo stai chiedendo davvero?” sorrise appena lui, tornando quasi subito serio “Stai bene?”

“Fino a un minuto fa sì” rispose sarcastica, alzandosi e avvicinandosi all’uomo.

Lo strinse e si lasciò stringere.

Rimasero così per lunghi secondi.

Secondi dove Amy si accorse che la stretta di Sherlock era salda, come se non volesse lasciarla.

Lo sentiva fremere e...sentiva anche altro.

“Abbiamo trovato una soluzione” disse Sherlock, staccandosi da Amy e guardandola negli occhi “Anche se non accadrà nulla né ad Evelyn e nemmeno al suo bambino, so che i fratelli e Luke non saranno disposti a correre questo rischio” precisò “Quindi la soluzione è mandare Evelyn nel luogo dove si trova il pozionista e farla restare lì fino alla fino a che l’infuso, per riportare le persone pietrificate al loro stato originale, non è pronto”

Amy scosse la testa, sentendo di essersi persa qualche passaggio.

“Ma...come fa a…?”

“Ad andare in quel mondo?” Sherlock sorrise furbo “Nulla di più semplice, entro un mese avremo in mano il modo per muoverci e sapremo anche come usarlo al meglio”

Amy continuava a non essere in grado di seguirlo, ma non aveva il coraggio di fare altre domande.

Si appuntò mentalmente che entro un mese avrebbero trovato un modo per andare in un altro mondo e da lì in poi buio totale.

Volendo vedere era meglio di niente.

“Mi prometti che ad Evelyn non accadrà nulla?”

“Te lo prometto”

Amy abbozzò un sorriso, mentre Sherlock le accarezzava dolcemente il volto.

Lei gli prese la mano e lui iniziò a tremare e non certo per paura o freddo.

“Sherlock…” lui indietreggiò “Sherlock, perché?”

“Lo sai perché” mormorò lui, avvicinandosi alla finestra e mettendosi a cavalcioni su di essa.

“A-aspetta” Amy si avvicinò “I-io…”

Senza aspettare la fine della frase, Sherlock la attirò a sé e posò le sue labbra su quelle di lei, chiudendole in un dolce bacio.

Questo lasciò Amy così sorpresa e così presa che, quando Sherlcol si staccò da lei, non si accorse che era già sparito.

Mentalmente avrebbe voluto maledirlo, ma non fu in grado di farlo.

Il suo volto divenne rosso come un peperone e andò a nascondere il volto sotto al cuscino.

Adesso aveva la risposta al suo quesito.

Era davvero amore.

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