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Quello
sarebbe stato un pomeriggio spensierato, se solo ChloèBourgeois, non
avesse deciso, per invidia, di rovinarlo con uno dei suoi soliti capricci,
mettendo in punizione l’intera classe.
I suoi compagni, per il
pomeriggio, avevano deciso di vedersi tutti insieme, sarebbero andati al parco,
dove i Kitty Section, avevano organizzato un
piccolo concerto di primavera, tra le presentazioni delle canzoni del loro
primo album e il divertimento.
E ora non solo non
avrebbero assistito allo spettacolo, ma all’ultimo minuto avevano dovuto
annullare l’evento, in quanto tutti i membri della band, escluso Luka, dovevano
rimanere a scuola.
Si erano ritrovati
tutti, tranne ovviamente Chloè, che grazie al
tempestivo intervento del padre, ha convinto il Preside ad esonerarla da
qualsiasi attività pomeridiana, nel teatro all’interno della scuola, a lavorare
all’allestimento della rappresentazione di fine anno, anche se mancava ancora un
bel po'.
La signorina Bustier, aveva assegnato ad ognuno un compito preciso,
c’era chi doveva dipingere le sagome di cartone di fiori, alberi ed erba, chi
doveva pensare all’arrangiamento musicale, e chi come Marinette,
doveva attaccare i tendaggi ed imbastirli.
Tutti accettarono il
loro ruolo, borbottando ovviamente e notando che Chloè
non era presente, facendosi odiare ancora di più dall’intera classe, tutti
tranne Sabrina, che accettò di buon grado di fare anche il suo di lavoro.
Marinette non perse tempo, prese gli scampoli
di varie cromie, ed iniziò a cucirli alla meno peggio, nessuno avrebbe notato
una sbavatura o fili che pendevano.
Posizionò la scala, e la
sistemò nel pavimento di legno, in modo che non traballasse, in quanto, il
basamento, non era nelle migliori condizioni, avrebbe avuto bisogno di un
restauro al più presto.
Si fece un appunto per
il prossimo consiglio d’istituto, dove erano stati invitati i rappresentati di
ogni classe, e quello sarebbe stata un’argomentazione, di cui parlare.
“Vuoi una mano?” Le
chiese Adrien avvicinandosi a lei, allargando le braccia sporche di pittura
rossa.
Gli diede le tende ed
iniziò a salire i pioli, dopo aver preso un lembo di stoffa, trascinandolo fino
in alto, stando attenta a non inciampare.
“Va bene così, grazie,
adesso faccio da sola”.
Adrien riprese il suo
lavoro di pittura, senza toglierle gli occhi di dosso, sapeva quanto era goffa,
ed il fatto che fosse così in alto, lo preoccupava di parecchio, doveva tenersi
pronto a proteggerla in caso le cose, si fossero messe male, anche senza i suoi
super poteri.
“Io
lo metterei più a destra” Le fece notare Adrien, mentre continuava a dipingere
di rosso la corolla del fiore di legno.
“L’ho
messo più a destra” Gli urlò perché lo sentisse, mentre si sporgeva un altro
po'.
“Di
più”. Insistette.
La
corvina obbedì.
“Non
lì, è troppo in alto e fa la pancia, appunta uno spillo, così il
risultato è migliore”.
Quel
suo fare da modello e l’avere uno stilista come padre, lo stava influenzando, e
parecchio.
Marinette si stava
spazientendo, già Chloè li aveva praticamente obbligati
a rimanere a scuola, e per cosa poi? Perché era invidiosa del fatto che non
aveva amici e che l’intera classe si sarebbe divertita quel pomeriggio.
La
corvina si ritrovò a pensare che, se solo fosse più gentile con tutti, avrebbe
sicuramente più persone che la amano.
Adesso
anche Adrien ci stava mettendo lo zampino “Visto che sei così bravo, vieni tu a
metterlo”.
Adrien
poggiò i pennelli dentro la scatola di legno, si alzò ed iniziò la scalata.
“Attenti
ragazzi, la scala non può reggere due persone”. Li rimproverò la signorina Bustier, che si stava assicurando che tutto stesse
procedendo nel migliore dei modi, preservando l’incolumità dei suoi studenti.
“Stia
tranquilla professoressa, sarò leggero come un gatto”.
Intanto
a Marinette iniziò a mancare l’aria, lo osservava
attentamente, mentre con leggiadria ed estrema eleganza, la stava raggiungendo
in cima.
Le
sembrava un principe, che si apprestava a salvare la sua principessa dalle
grinfie di chissà quale drago cattivo.
La
scala iniziò a traballare, quando Adrien salì il penultimo scalino, e Marinette si attaccò come meglio poteva.
“Uh!
Ci è mancato poco” Si passò una mano sulla fronte.
“Cos’è…hai
paura dell’altezza?” Lo schernì, anche se in realtà, era lei che, senza
maschera, ne aveva il terrore, non aveva nessun yo-yo magico in vita che
l’avrebbe salvata in caso di caduta, oppure, lì non c’era Chat Noir con il suo
magico bastone ad aiutarla in caso di bisogno.
“No,
ma non voglio che ti fai male per colpa mia, io so cadere in piedi” Ammiccò,
facendola arrossire vistosamente.
Adrien
Agreste, aveva questo potere, di farti innamorare con un solo sguardo o con un
solo gesto..
“Senti,
ce la faccio benissimo anche da sola”.
“Non
mi pare, stai attaccando tutto al contrario”.
“Non
dirmi come fare il mio lavoro”.
“Ti
sto solo dando dei consigli, lascia che ti aiuti”.
“Non
ne ho bisogno.”
“Non
conoscevo questo lato orgoglioso di te” Sorrise sghembo, facendole
mancare un battito e ammutolirla.
Il
battibecco andò avanti per qualche minuto, ed Alya, accorgendosi della
situazione, diede una gomitata a Nino che stava cercando tra i vinili, le
musiche più adatte.
“Guarda
là i due piccioncini”. Gli fece segno con il mento la direzione da guardare.
“Che
cosa aspettino quei due a mettersi insieme, questo rimarrà un mistero”
Sentenziò Nino rassegnato.
La
castana, che non era capace di farsi gli affari propri, si avvicinò alla scala
“Ehi innamorati, se non la smettete di litigare, rischierete di cadere”.
Marinette e Adrien si
guardarono negli occhi imbarazzati.
“Noi
due non siamo innamorati” Le confidò la corvina che intrecciò le braccia al
petto.
“Però
ha ragione” Disse Adrien “…sembriamo una di quelle coppie” Rise sotto i baffi,
non gli dispiaceva affatto essere paragonato a uno di loro.
“G-già”
Balbettò portandosi in piedi, cercando di sistemare il telo.
“Spostati
a sinistra”. Ordinò a Marinette “…ancora un po'”.
“Così
va bene?” Si era allungata e senza che se ne accorgesse, la sua maglietta uscì
dai pantaloni, mettendo in evidenza l’addome piatto e sensuale, e dalla
prospettiva di Adrien, poteva anche scorgerle il seno, coperto dalla lingerie.
Arrossì
all’improvviso abbassando lo sguardo.
“Ehm...si si va benissimo”.
“Meno
male, sarò cresciuta di dieci centimetri a suon di allungarmi così”.
“Ok
allora posso scendere” Biascicò Adrien, iniziando la discesa dalla scala.
Marinette fece lo stesso,
ma quando incrociò per sbaglio lo sguardo con quello del biondo, il piede
destro mancò lo scalino, facendole perdere l’equilibrio e cadere, trascinandosi
la scala a cui si era aggrappata e di conseguenza anche il ragazzo.
*
“Oh
mio dio” Urlò la professoressa, che si precipitò subito a constatare le
condizioni di salute dei due ragazzi.
Adrien
lamentava dolore alla gamba destra, schiacciata dalla scala, bloccata dal corpo
di Marinette, che giaceva svenuta.
“Marinette? Marinette?” La chiamò
la professoressa, attorniata dagli studenti in apprensione “…chiamate
un’ambulanza, presto” Ordinò al personale Ata accorso, dopo aver udito il
trambusto.
Poi
si concentrò su Adrien “Tu come stai?”.
“Non
pensate a me, ma a lei” Strizzò gli occhi, quando si toccò la gamba, cercando
di contenere il dolore.
*
Marinette rimase al pronto
soccorso un paio d’ore, prima di essere trasferita su in reparto.
La
tac e le radiografie, non aveva evidenziato nulla di grave, nessun ematoma
visibile nella zona dell’encefalo.
Ma
il fatto era, che non aveva ancora ripreso conoscenza, anche se tutti i valori
erano favorevoli.
“Bisogna
aspettare” Disse il medico che l’aveva in cura ai genitori, che si erano
precipitati in ospedale, appena furono avvertiti dalla scuola.
“Grazie
dottore” Si limitò a dire Sabine, accarezzandole i capelli.
Ormai
era sera, e sia Sabine che Tom, si trovavano ancora al suo capezzale, in un
silenzio che faceva male, contornato dal bip continuo del monitoraggio, a cui
era stata attaccata.
“Come
sta?” Adrien fece il suo ingresso nella stanza dell’amica, con le stampelle e
una fasciatura da tempia a tempia.
“Gli
esami sono tutti apposto, non ha nulla”.
“E
non capiscono perché non riesce a svegliarsi” Aggiunse Tom, passandosi una mano
sul volto.
“Che
cosa è successo? La signorina Bustier, è stata molto
vaga”.
“Eravamo
sulla scala, e stavamo scendendo, e poi mi sono ritrovato per terra” Disse
rammaricato “…mi spiace non essere più chiaro”.
“Non
ti preoccupare caro, è stato un’incidente.”
“E
speriamo che Marinette non ne paghi le conseguenze”
Si morse il labbro inferiore, dando la colpa di tutto a Chloè,
se solo quella mattina se ne fosse stata zitta, ora, Marinette
non si sarebbe ritrovata in quella situazione.
“E’ forte la mia Marinette, si rimetterà presto” Dichiarò Tom orgoglioso.
“Questo
è vero” Annuì Adrien, seguito dal brusio dello stomaco che reclamava cibo “…scusate”.
“Non
hai mangiato niente, caro?” Chiese apprensiva la donna.
“Non
riesco a mettere in buttar giù niente”.
“Sei
pelle e ossa figliolo, dovresti sforzarti” Tom, non potè
fare altro che notare la fisicità del ragazzo, troppo magra per i suoi gusti.
“Siete
preoccupati più voi, che mio padre”. Disse con tono rassegnato, abbassando lo
sguardo.
“Non
è ancora arrivato?”
“E’
a New York per lavoro, ha mandato Nathalie prima, ma dopo essersi assicurata
che stavo bene, è andata via”.
“Stai
tranquillo, se hai bisogno, chiamami pure”. Le faceva tenerezza quel ragazzo,
doveva essere sempre solo.
“Andate
a riposare, starò io qui”
“Devi
riposare anche tu, hai fatto una brutta caduta” Gli disse amorevolmente Sabine.
“Sto
bene, e poi non riuscirei a chiudere occhio, sapendo Marinette
in queste condizioni.” Si avvicinò e si sedette sulla poltrona vicino al suo
letto, appoggiando le stampelle sul bracciolo. “Vi avviso se si sveglia”
Aggiunse poi.
Sabine
annuì con il capo guardando suo marito, non avrebbero fatto molto lì, e
sicuramente l’infermiere di turno, gli avrebbe intimato di andarsene.
“Grazie,
Adrien”.
“Domani
ti porto dei croissant caldi”.
“La
ringrazio signor Dupain, ma non è necessario”.
“Insisto.”
“Allora
li preferisco con la cioccolata” Gli sorrise.
“Oh,
oh, la mia cioccolata è la migliore di Parigi”. Si vantò Tom battendosi il
petto.
“Lo
so” Adrien sorrise.
*
Sabine,
prima di lasciare la stanza, provò a chiamarla di nuovo, accarezzandole la
testa.
“Marinette, svegliati”.
La
ragazza aprì gli occhi d’improvviso.
“Finalmente,
sono dieci minuti che provo a svegliarti. Forza, è tardi, dobbiamo andare a
Villa Agreste”. La mamma si portò il canovaccio sulla spalla e sparì dentro la
botola.
Marinette si trovava in
camera sua e pensò che quello che era appena successo, fosse stato solo un
brutto sogno.
Si
passò una mano sul viso e diede un’occhiata veloce in giro, sentendosi strana.
La
bacheca che di solito teneva sulla parete, era appuntata di foto e bigliettini
di Luka, e non di Adrien come ricordava.
“Tikki, Tikki” Chiamò la kwami, ma non trovò risposta.
Si vestì
e scese in cucina.
“Era
ora, siamo in ritardo” Sbuffò sua madre.
“Prima
hai detto che dovevamo andare a Villa Agreste, per fare cosa?”.
“Ma
come? Te lo sei già scordato?”
Marinette fece spallucce,
di cosa stesse parlando Sabine, non rimase per molto tempo un mistero.
“Dobbiamo
servire al catering del fidanzamento ufficiale di Adrien Agreste e KagamiTsurugi”. Spiegò con
calma, come se quella fosse la cosa più naturale del mondo.
Capitolo 2 *** Questo fidanzamento, non sa da far ***
REALTA’ PARALLELA
*
Capitolo
2 – Questo fidanzamento, non sa da far
*
Marinette, Tom e Sabine,
caricarono con cura sul furgone tutto quello che era stato preparato per il
buffet.
Circa
una cinquantina di cassette di plastica, confezionate con cura, erano state
adagiate nella cabina, adibita per il trasporto del cibo.
La
famiglia Agreste, non aveva badato a spese, aveva ordinato alla pasticceria più
rinomata di tutta la capitale, vassoi di macarons, salatini, dolcetti, ed
infine la torta, una composizione di dimensione gigantesche, stratificata con
pan di spagna, crema chantilly, con inserto di gocce di cioccolata e frutto
della passione, come richiesto dai due festeggiati, che si erano presentati di
persona in pasticceria, per concordare il tutto.
Tom
e suo padre, avevano lavorato duramente nell’ultimo paio di giorni, perché
tutto fosse perfetto, sarebbe stata un’ottima pubblicità per il negozio.
Ospiti
illustri provenienti da tutto il mondo, sarebbero stati presenti all’evento.
“Come
sei silenziosa, cara”.
Marinette strinse tra le
mani la gonna nera del vestito, non poteva credere che sarebbe andata a Villa
Agreste per servire agli invitati del fidanzamento di Adrien e Kagami.
“Sono
sconvolta, mamma, non credevo che Adrien e Kagami
fossero fidanzati”. Lo disse trattenendo le lacrime.
“Come
no? Ma se non fai che parlare di altro da quando lo hai saputo. Hai per caso
battuto la testa tesoro? Sei strana oggi” Appurò Sabine.
“Forse…non
lo so…non mi ricordo” Balbettò sospirando.
Non
ci stava capendo niente, forse una volta arrivata lì, avrebbe avuto le idee più
chiare.
*
“Marinette” Una voce familiare la chiamò e la costrinse a
voltarsi nella sua direzione.
“Alya!”
Esclamò abbracciandola, era l’unica persona che voleva incontrare, sicuramente
l’avrebbe aiutata a capirci qualcosa.
“Finalmente
sei arrivata, non ce la faccio più, mi sto soffocando”.
“Ti
accompagno fuori” Le disse prendendola per un braccio e voltandosi di scatto,
urtò il petto di qualcuno.
Una
visione celestiale “A-Adrien”.
Il
biondo le sorrise “Ehm..ciao.
Ci conosciamo?”.
“M-ma
si, s-siamo nella stessa classe, non ti ricordi?” Balbettò facendo unirei suoi
indici.
“Classe?
Ma se non vado nemmeno a scuola, ho sempre studiato da casa. Dai, dammi una
penna, ti faccio un autografo”. Le sorrise scambiandola per una fan, imbucata
alla festa.
“Non
sono una tua fan, o meglio, lo sono, ma…”
“Scusala,
la mia amica deve avere battuto la testa! Ci vediamo Adrien, e congratulazioni
ancora”.
“Ah!
Alya, ho letto il tuo articolo sul blog, mi è piaciuto molto, se hai bisogno di
altro, fammelo sapere.”
“Figurati,
appena scriverò l’articolo di oggi, te lo giro, così potrai mandarmi delle foto
da pubblicare.” Alya lo salutò e trascinò via la sua amica, da quella
situazione imbarazzante, con l’intento di farsi spiegare il motivo del suo
comportamento.
Si
appartarono dietro una colonna di marmo grigia e nera, lontano da sguardi e
orecchie indiscrete.
“Si
può sapere che ti è preso?”
“E’
tutto sbagliato, Alya. Io non dovrei essere qui”.
“Si,
lo so, volevi andare in tour con il tuo ragazzo Luka, ma i tuoi te lo hanno
impedito”.
“Cosa??
Luka il mio fidanzato?? Ma che vai farneticando!”
“Pronto?
Luka Couffaine, il gemello della nostra amica Juleka, ovvero i figli di Jagget
Stone”.
Questo
si che era uno scoop.
Marinette strabuzzò gli
occhi. “Ne sei sicura?” Le chiese.
“Ma
che ti prende? Non mi sembra nemmeno di parlare con la mia migliore amica”
Almeno questo non era cambiato.
“Alya,
questo non è il mio mondo”.
“Che
vuoi dire?” Le chiese la castana sistemandosi gli occhiali da vista sul naso.
Marinette iniziò a
camminare in cerchio, gesticolando con le mani, cercando di trovare le parole
giuste per non sembrare una pazza.
“Dalla
realtà da cui provengo, io non sono fidanzata con Luka, ma sono follemente
innamorata di Adrien Agreste, nostro compagno di classe, e non si è mai
fidanzato con Kagami. Il mio sogno è quello di
diventare una stilista, e non di ereditare la pasticceria dei miei.”
“Uhm…interessante”.
“No,
non lo è, io voglio ritornare nella mia realtà”.
“Senti,
è chiaro che non stai bene, forse hai battuto la testa e nemmeno te ne sei
accorta. Avverto i tuoi che ti portino all’ospedale”.
“No!”
La bloccò prima di commettere un errore “…è tutto vero Alya, non sono pazza.”
La
castana sapeva che la sua migliore amica non era una bugiarda, e lo poteva
vedere dai suoi occhi, non le restò che crederle, anche se non sapeva come
fosse possibile una cosa del genere.
“Raccontami
l’ultima cosa che ricordi”.
“Ricordo
che stavamo tutti insieme al teatro della scuola, a lavorare sull’allestimento
della recita, io ero sopra una scala, insieme ad Adrien, e poi siamo caduti, io
mi sono risvegliata qua.”
“Ti
ho detto che hai battuto la testa.”
“Si,
ma perché sono finita qua?” Si chiese tra le lacrime “E come faccio a tornare
indietro?”.
“Beh!
L’esperto di portali o spaccature del tempo, è Max, potremo chiedere a lui”.
Ipotizzò.
“Poi
un’altra cosa, tu gestisci un blog che parla essenzialmente delle avventure di LadyBug e Chat Noir, e non uno che parla di Adrien Agreste”
“Lady
bug e Chat Noir? E chi diavolo sarebbero?”.
“Dei
super eroi di Parigi, lei ha un vestito rosso a pois, lui, è un ragazzo
irritante, vestito di nero…c’è Papillon che akumizza
la gente…”.
Alya
scosse il capo “We, we, we, frena, frena.Non
so niente di questi tre tipi qui. Forza, andiamo da Max”. La prese per un
braccio, ma lei la strattonò via.
“No,
so io chi mi può aiutare”.
Si
voltò per andarsene, quando una ragazza le si parò davanti.
Bionda,
bella ed elegante.
“Finalmente
vi ho trovate” Sospirò con animo gentile.
“Chloè!” Esclamarono all’unisono.
“Vi
ho cercato dappertutto, è tutto pronto per il piano?”
“Piano?
Quale piano?” Chiese distrattamente Marinette, volgendo
lo sguardo verso Alya.
“Come
quale piano?” Cinguettò.
“Ehmmm…lascia stare Chloè, Marinette è distratta oggi”. Le chiuse la bocca con una mano,
per evitare alla mora di fare altri danni.
“Lo
vedo. Dobbiamo impedire a quella scopa di mettere le mani su Adrien, più di
quanto abbia già fatto”.
Su
questo sia la bionda che la mora, concordavano.
“Ti
aiuteremo, Chloè” Annuì Alya.
“Bene,
le migliori amiche si aiutano a vicenda” Ammiccò prima di sparire tra la folla.
“Forse
questo mondo inizia a piacermi, io, te e Chloè
migliori amiche? Chloè gentile? Devo aver battuto la
testa molto forte allora”.
“Certo
che siamo amiche, è la ragazza più dolce che conosciamo, sempre pronta ad
aiutare gli altri, come noi, del resto.”
A Marinette stava venendo un forte mal di testa, che la
costrinse a tenerla con le mani.
“Ehi,
stai bene?” Chiese preoccupata.
“Si
è già passata. Piuttosto, raccontami il piano, sono d’accordo col fatto che
bisogna impedire questa farsa.”
*
Alya
raccontò del piano ingegnoso, ideato proprio da Marinette,
per impedire che Adrien ufficializzi la cosa con Kagami.
Ma
non perché, le tre erano innamorate di lui, ma più per il fatto che il terzetto
concordava con il fatto, che la nipponica, non era la ragazza adatta.
“Siamo
sicure che stiamo facendo la cosa giusta? Cioè, voglio dire, se Adrien l’ha scelta,
significa che…”
“Significa
che è un fidanzamento di comodo, solo per il fatto che sono stati costretti dai
genitori” Continuò Alya.
“Davvero?”
Marinette inarcò un sopracciglio.
“Allora…questo
fidanzamento non sa da far…ma prima devo andare in un posto. Torno appena
posso, Alya” La salutò alzando la mano, e come al solito non guardando dove
stava andando.
Sbattè per la seconda
volta nel giro di un’ora, la faccia addosso ad un altro petto.
“Ti
sei fatta male, cara?”
Alzò
lo sguardo, strofinandosi il naso con il palmo della mano, rimanendo estasiata
dalla bellezza e dall’eleganza della signora bionda.
La
mamma di Adrien.
“S-si,
tutto bene. M-mi perdoni signora Agreste, non accadrà mai più” Si scusò inchinandosi.
“Chiamami
Emilie, non amo i convenevoli” Le sorrise.
Era
proprio come gliela aveva descritta Adrien, qualche tempo fa.
“Stai
bene, mamma?”.
“Massì, stavo facendo la conoscenza di…” Si interruppe perché
non conosceva il suo nome.
“Marinette” Continuò la ragazza.
“Marinette, conosci mio figlio Adrien?”
“Ehmm…ci siamo scontrati prima. Ora scusatemi, devo andare
in un posto”.
“E’ carina” Emilie
disse incontro a suo figlio.
“Si”
Annuì guardandola allontanarsi.
“Lo
sai che sei ancora in tempo ad annullare tutto.”
“L’ho
promesso a papà, non voglio deluderlo, e poi cosa facciamo, mandiamo via tutti
gli ospiti?”.
“Voglio
vederti felice, e non con questa faccia da funerale”. Gli alzò con due dita il
volto triste.
“Lo
sono, Kagami è la ragazza giusta per me.”
“Pensaci…io
ti appoggerò in ogni caso”. Sgattaiolò poi tra gli ospiti, assicurandosi che
tutti si stessero divertendo.
*
Marinette era quasi
arrivata all’uscita, quando sua madre la fermò.
“Dove
stai andando?”
“A
prendere una boccata d’aria” Inventò.
“Quando
hai finito puoi prendere dal furgone le cannucce e gli ombrellini da cocktail?”
“Certo,
mamma”. Le disse, anche se non aveva la minima idea di quanto ci avrebbe messo.
Si
trovava in una assurda situazione.
Tikki non era con lei a
consigliarla, doveva fare secondo la sua coscienza, la cosa migliore da fare,
era quella di andare dal Maestro Fu, la sua saggezza l’avrebbe aiutata a
capirci un po' di più.
*
Un’infermiera
entrò nella stanza di Marinette con in mano un
sacchetto di plastica, con all’interno gli effetti personali.
“Dovresti
riposare anche tu, hai fatto una brutta caduta, ragazzo” Gli disse notando che
Adrien teneva la testa appoggiata sul materasso della ragazza.
“Non
riesco a chiudere occhio, sa è la mia migliore amica”.
“Avrei
detto il contrario, vedendo come le tieni la mano, e del come ti preoccupi per
lei”.
Il
biondo arrossì vistosamente.
“Non
preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me.” Ammiccò complice, per poi
porgergli il sacchettino “…durante la tac, abbiamo dovuto levarle di dosso gli
oggetti di metallo, daglieli tu quando si sveglia”.
“Certo!”
La salutò con un cenno del capo.
Adrien
strabuzzò gli occhi, non per la collana che teneva sempre al collo con quello
strano simbolo, ma più per gli orecchini rossi a pois neri.
Adrien,
a fatica si alzò dalla poltrona, la gamba gli faceva parecchio male, e si aiutò
con le stampelle fornite dall’ospedale, per raggiungere la porta, che chiuse
subito dopo con una mandata.
“Plagg, puoi uscire” Gli disse abbassando sia la tapparella
della vetrata che dava sul corridoio del reparto, sia la luce.
Il
piccolo kwami nero, si materializzò davanti i suoi
occhi, uscendo dal suo nascondiglio.
“Che
c’è? Andiamo a casa?”
“Ancora
no, Plagg. Tieni, mangia” Gli allungò una fetta di
buon camembert.
“Povera
ragazza. Come sta?”. Chiese osservando tristemente il suo corpo inerme.
Adrien
sospirò “Non lo so, i medici dicono che non c’è niente che non vada, si deve
solo svegliare.”
“Svegliala
allora”.
Il
biondo scoppiò a ridere “Fosse così facile, lo avrei già fatto”.
“Baciala,
non è così che funziona?”
“Nelle
favole, forse. Ma non nella vita reale”. Sospirò, poi mostrò a Plagg gli orecchini di Marinette,
e quasi gli venne un infarto.
“Ti
ricordano qualcosa?” Gli chiese notando che il kwami
si irrigidì immediatamente.
“No”
Mentì spostando la testa di lato.
“Dimmi
la verità: sono gli orecchini di Lady Bug?”
“Ci
assomigliano, ma questo non vuol dire niente, sai che a Marinette
piace creare cose, magari è una sua fan, e ha realizzato degli orecchini nel
suo stile”.
Adrien
ascoltò la spiegazione del suo amichetto con attenzione, balbettava ed iniziava
a sudare, l’unico modo per scoprire se gli stava dicendo la verità, era quello
di indossarli.
“Che
stai facendo?” Gli chiese vedendo che li stava togliendo dalla farfallina per metterseli
addosso.
“Non
si vede? Voglio scoprire se mi stai mentendo”.
“Non
metterli! Non puoi avere il miraculous del gatto e
della coccinella, potresti scatenare il caos”.
“Ah-ah.
Avevo ragione. Marinette è Lady Bug…la mia Lady Bug”.
Gettò uno sguardo innamorato verso quella che per tutto questo tempo credeva
solo un’amica.
Plagg sospirò per
l’ennesima volta “Sai cosa succede adesso? Dovrai restituire l’anello, e niente
meno che a lei, visto che ne è la guardiana”.
“Sentivo
che era più di un’amica per me” Le accarezzò la testa, non curandosi delle
parole del kwami della distruzione.
“Ehi,
ma mi stai a sentire!” Piagnucolò Plagg, tirandogli
il colletto del camice bianco per attirare la sua attenzione su di se.
“L’importante
è che non rinunci a lei”. Fece spallucce.
*
Marinette correva a per di
fiato per le strade di Parigi, la casa del Maestro Fu, era lontana, e doveva
sbrigarsi, non aveva molto tempo a disposizione, prima che qualcuno notasse la
sua assenza dalla festa.
Tutto
era più difficile senza il costume da Lady Bug, con quello addosso, sarebbe
arrivata a destinazione in un batter d’occhio, invece così, ci mise dieci
minuti buoni.
Si
fermò per prendere fiato, ansimava vistosamente e il diaframma si alzava e
abbassava a seconda delle intensità dei suoi respiri.
Si
passò anche il dorso della mano sulla fronte madida di sudore, la frangetta si
bagnò leggermente.
Arrivò
in un vicolo stretto e vi si addentrò.
Era
freddo e umido, per terra c’erano alcuni viottoli d’acqua, che scorrevano fino
ad arrivare alla strada principale, dove avrebbero finito la loro corsa in un
tombino.
Arrivò
ad una porta marrone, con ai lati dei bidoni di metallo.
Ne
urtò uno, facendolo cadere.
Un
gatto rosso a pelo corto, che si trovava per caso a passeggiare di lì, le
soffiò per lo spavento che gli aveva fatto appena prendere, inarcando la
schiena e rizzando il pelo.
“Quante
storie per un po' di rumore” Sbuffò tirando su la pattumiera, che per sua
fortuna, era stata appena svuotata dai netturbini di turno.
Sospirò
sollevata quando lesse il nome sul campanello, fortunatamente il Maestro Fu
abitava ancora lì, e non se n’era andato come ricordava, lasciandola con la
responsabilità della Miracle Box.
Suonò
all’unico campanello presente.
“Chi
è?” Chiese una voce disturbata.
“Ehm…ehm…Maestro
Fu, è lei?” Chiese balbettando.
“Tu
chi sei?” Domandò di nuovo.
“Macaron”
Rispose di getto la parola in codice, che era solita usare quando gli faceva
visita.
Sentì
il rumore dello sblocco della porta, la spinse con forza, in quanto l’umidità
di quel posto, aveva gonfiato la porta di legno, rendendo faticosa l’apertura,
ed entrò.
Era
buio, ma un piacevolissimo odore di the verde, le investì le narici, lo seguì
cautamente, cercando di non sbattere il naso contro qualcosa.
Potè notare da sotto
una porta, una luce fioca.
Bussò.
“E’ aperto”.
Marinette tirò giù la
maniglia e spalancò l’uscio.
Si
ritrovò in una stanza dal mobilio in stile orientale, adornata da ideogrammi,
dallo sconosciuto significato.
“Ti
stavo aspettando, Marinette, o dovrei dire Lady
Bug?”. Il vecchietto baffuto, sorseggiò del the da una tazzina di finissima
porcellana cinese, mentre osservava la sua espressione stupita.
Ne
versò una tazza anche alla sua ospite e la invitò a sedersi accanto a lui,
attorno al tavolino basso, scortata dal kwami della
tartaruga.
“Marinette? Lady Bug? Ma come ha fatto…” Chiese incredula
spalancando la bocca.
“Conosco
molte cose mia cara, sapevo che saresti venuta da me.” Rispose con voce pacata.
“Pensavo
che in questo universo non ci fosse Lady Bug.”
“Universo?”
Fece di rimando mentre le porgeva la tazzina.
“Questo
non è il mio mondo, è tutto sbagliato, e comunque non posso trasformarmi in
Lady Bug, non ho Tikki con me, credo di averla persa”.
Scosse la testa sorseggiando il liquido caldo.
“Mmm…spiegati meglio cara, e comunque se avessi perso il tuo
kwami sarebbe un vero disastro”.
Marinette appoggiò al
tavolino la stoviglia mezza piena, ed iniziò a raccontare al vecchietto che
lei, in qualche strano modo, è stata portata a quella realtà, che non ha nulla
a che vedere con quello che ricorda lei.
“Raccontami
le ultime cose di cui hai memoria, se possibile, dettagliatamente”. Disse
accarezzandosi il pizzetto.
La
corvina si alzò e si diresse verso la finestra.
“Ricordo
che eravamo nel teatro della scuola a sistemare l’allestimento per la recita di
fine anno, quando per qualche strana ragione il mio compagno di classe, Adrien,
è salito con me sulla scala, e poi siamo caduti entrambi”.
“Ti
ricordi altro? Basta solo un particolare”.
Marinette ci pensò un
attimo “Potrebbe essere che gli sono andata addosso mentre cadevamo, ma è un
po' annebbiata quella parte”.
“E
questo Adrien, lo hai visto adesso?”.
“Si,
l’ho incontrato a casa sua, ma non è come me, cioè, è diverso, no è l’Adrien
che conosco.”
Il
Maestro Fu, non sapeva che pesci pigliare “Mi sembra tutto molto assurdo”.
“Che
vuole dire, maestro? Che sarò costretta a rimanere in questo incubo? Perché è
quello di cui si tratta. Non va bene per niente. Sarò costretta a vivere con
Adrien che sposerà un giorno Kagami, e magari io gli
farò da damigella insieme a Chloè, che a quanto pare
sia una delle mie migliori amiche! No, no, non può andare a finire così” Gli
occhi della ragazza iniziarono a pizzicare e a far sgorgare alcune lacrime
“…rivoglio la mia vita!”.
“Calmati,
Marinette, a tutto c’è una soluzione”.
“Maestro,
secondo lei, potrebbe essere che…” Azzardò Wayzz
un’ipotesi, intuita subito dal suo possessore.
“Potrebbe…”
La
corvina si soffiò il naso con un fazzoletto di carta recuperato da dentro la
sua borsetta, dove di solito lasciava Tikki, e cacciò
via le lacrime.
“Senti,
Marinette…per caso Tikki,
ti ha dato un kawatama?”
“Intende
questo?” Si toccò il collo e constatò di non avere più la collanina, il regalo
della sua amichetta rossa. “Oh no, non ce l’ho più, mi dev’essere caduto a
teatro”.
“Può
darsi che il kawatama tuo, e quello di Chat Noir,
abbia aperto le porte per questo mondo.”
“Chat
Noir? Ma lui non era con me, e comunque non sono sicura che Plagg,
glielo abbia dato.”
“Conoscendo
Plagg, sarebbe stato in grado anche non averlo
fatto…ma il punto è che l’unica spiegazione, potrebbe essere questa: il tuo kawatama e quello di Chat Noir, si sono uniti e ha
risucchiato il tuo spirito in questa realtà, quando hai perso i sensi.”
“Non
è materialmente possibile, le ripeto, Chat Noir, non c’era, ne sono certa, è
stato Adrien, a cadermi add…” Non finì la frase che
alla ragazza mancò un battito.
“Non
può essere…”
“Che
cosa, Marinette?” Chiese curioso.
“Milady”
Si sentì chiamare da una voce soave, famigliare che sembrava lontana.
Si
voltò di scatto, in cerca di qualcuno.
“Che
cosa c’è, figliola?”
“La
sente anche lei?”
“Milady,
svegliati” Alla mora mancò un battito.
“Chat
Noir? Sei tu?”
“Chat
Noir?” Fece di rimando il maestro. “Qui non esistono, come ti ho detto Lady Bug
e Chat Noir”
“Shhh…” Lo zittì Wayzz “Forse ha
stabilito un contatto”
Si
portò il pollice e l’indice sul mento, ed iniziò a pensare. “Forse Chat Noir è
assieme al tuo corpo, e ha trovato un modo per stabilire una connessione con il
tuo spirito”.
“Marinette…sono qui con te. Ti prego, apri gli
occhi”.
“Adrien?
Ma che sta succedendo?” Rabbrividì, ripensando alle parole appena dette da Fu.
“Marinette, va tutto bene?”
“Non
lo so…ho sentito nella mia testa chiaramente che Chat Noir mi chiamava, e
subito dopo Adrien” La ragazza cadde sulle ginocchia tenendosi la testa, il
vecchietto accorse subito per aiutarla.
“Marinette…Marinette…se riesci,
prova a rispondere a quella voce che sentivi”
“Fa
male maestro…la testa…mi sta scoppiando…”.
“Aspetta,
vado a prenderti qualcosa” Sparì dietro un paravento beige, e ritornò subito
dopo con una tazza calda.
“Ecco,
bevi figliola”.
Obbedì,
trangugiando il liquido amaro, tutto d’un sorso.
“Meglio?”
Chiese vedendola più rilassata.
“Si,
grazie” Ansimò ancora qualche secondo “…che cosa mi succede Maestro?”.
“Tu
e questo Adrien, avete stabilito una connessione. Analizziamo la situazione,
così forse ci sarà più facile ragionare e trovare una soluzione”.
“Si”
Annuì mettendosi seduta, mentre osservava il vecchio saggio portarsi le mani
dietro la schiena.
“Allora,
il kawatama tuo e quello di Chat Noir, hanno aperto
il portale, e tu sei arrivata qui, in quanto sei svenuta a teatro. Nel tuo
mondo invece, sei stata portata in ospedale, presumo, dove ti staranno facendo
degli esami specifici, e quindi con alta probabilità ti hanno spogliato dei
tuoi gioielli, per questo non hai ne
il kawatama e ne gli orecchini di Lady Bug”.
“Quindi
se Adrien, è in realtà Chat Noir, il nostro scontro, ha attivato questo
portale, lui non è qui, in quanto sta bene…grazie al cielo”.
“Probabilmente
è assieme a te, e ha stabilito involontariamente una connessione, basta anche
ti abbia solo toccato”.
Marinette arrossì,
chiedendosi il motivo perché lo abbia fatto.
Con
alta probabilità, Adrien, aveva anche scoperto la sua vera identità, ed ecco
svelato il motivo del suo richiamo in milady.
“Impossibile,
sono stata cieca per tutto questo tempo, certo che Adrien è Chat Noir”.
Ogni
tessera del puzzle stava trovando il giusto posto, unica pecca era che, se come
sospettava, le loro identità erano state svelate, avrebbero dovuto rinunciare
ai miraculous, ma a chi li avrebbero consegnati?
Attualmente era lei la guardiana, lei era la responsabile.
“Maestro”
Si fece seria porgendogli quella domanda.
“Se
le vostre identità sono state compromesse, dovreste consegnare i vostri miraculous.”
“Sono
io la guardiana nella mia realtà”.
Fu,
inarcò un sopracciglio sorpreso “Mmm…non avrei potuto
fare scelta migliore, se ho scelto te come Lady Bug, era logico che come mio
successore, scegliessi te. Questo cambia tutto, tu e Adrien, non dovrete
rinunciare ai vostri kwami, l’importante è che le
vostre identità non vengano svelate a nessun altro”.
“Quindi,
se lei ci consegna i nostri miraculous, quest’ultimi,
ci doneranno i kawatama, li uniremo e apriremo il
portale, così potrò tornare a casa, facile, no?”
“No”.
Il
suo entusiasmo venne spento da quella negazione.
“Il
portale dev’essere aperto nel tuo tempo per riportarti lì”.
“Ma
come faccio?” Piagnucolò portandosi entrambe le mani sugli occhi.
Il
maestro Fu, le mise una mano sulla spalla “Sei riuscita a sentire Adrien, poco
fa, dovresti farlo di nuovo, devi stabilire un contatto con lui”.
“Dovrei
starmene qui buona ad aspettare che mi sfiori ancora?”
“No,
perché c’è un’altra cosa. Per tornare alla tua realtà, bisognerebbe
ripristinare l’ordine naturale delle cose, ricreare la situazione che ti ha
portata qui, solo così il kawatama, potrà attivarsi e
farti tornare al tempo giusto”.
Marinette strabuzzò gli
occhi, anche se per qualche strana ragione, fosse riuscita a mettere tutto
apposto, cioè come sono le cose nella sua realtà, se fosse riuscita a ricreare
la stessa situazione che l’aveva portata fino a lì, come avrebbe fatto per
attivare il portale?
Più
facile a dirsi che a farsi, quella constatazione la fece sprofondare nello
sconforto più totale.
“Possiamo
iniziare con i miraculos, no?” Propose, odiava non
avere la sua amichetta rossa attorno a consigliarla, in quel momento.
Un’
alleata preziosa, quando le cose si mettevano male.
“Non
ce né motivo” Scosse il capo il vecchio saggio. “Sai perché vi ho consegnato
gli orecchini e l’anello nel tuo tempo?”
“A
causa di Papillon, è lui che terrorizza l’intera Parigi”.
“Papillon?”
Fece di rimando “…tempo fa persi due miraculous, ma
non ho ancora sentito che qualcuno li abbia usati, probabilmente non ne ha
avuto ancora l’occasione”.
La
corvina sbuffò, era al punto di partenza.
Niente
Papillon, niente miraculous.
Nel
frattempo, il cellulare di Marinette iniziò a
trillare, era Luka che la stava chiamando.
“Pronto?”
Rispose nervosamente, non prima di aver raccolto l’aggeggio che le era appena
scivolato dalle mani.
Ripensò
alle parole della sua amica Alya, Luka era il suo fidanzato, ma non aveva approfondito il
discorso.
“Ciao
tesoro, scusami se ti disturbo, ma volevo sentire la tua voce”.
“Ehm…ma
ciao, amore” Pronunciò quell’ultima parola lentamente.
“Amore?
Stai bene Marinette? Non mi chiami mai così” Ecco la
prima gaff, chissà se si sarebbe accorto che in
realtà stava parlando con la persona sbagliata.
Certo,
lui si accorge di tutto, la conosce molto bene.
“Ma
si si…ma tu come stai? Come sta andando il tour?” Si
ricordò anche che lui era partito con il padre, per una tournee mondiale.
Il
padre? Quella notizia fu più sconvolgente dell’apprendere che Adrien si stava
fidanzando ufficialmente con Kagami.
“Siamo
arrivati dieci minuti fa in albergo, New York è davvero magica, un giorno ci
verremo io e te da soli”.
“Ma
certo, non vedo l’ora”.
“Ti
sento strana, sei sicura di stare bene?”
“Certo,
devo lasciarti ora, devo lavorare”. Chiuse quella chiamata imbarazzante, senza
salutare e dare il tempo il tempo a lui di fare lo stesso.
Marinette pensò che la
prima cosa che avrebbe potuto fare, era quella di troncare la loro relazione,
sarebbe stata una cosa in meno sulla lista che stava stilando a mente: punto uno:
rompere con Luka; punto due: far lasciare Adrien e Kagami;
punto tre: instaurare un’amicizia sincera con il ragazzo; punto quattro:
litigare con Chloè; punto cinque: far in modo che il
maestro Fu fosse costretto a dare a loro i miraculos
della coccinella e del gatto nero; punto sei: non riuscì ad appuntare niente,
le sembrava non mancasse niente, eppure, qualcosa le stava sfuggendo, un
particolare, forse insignificante per la riuscita di quel piano.
Emilie
Agreste.
Lei
era ancora viva.
*
Il
sole era sorto a Parigi, e i primi raggi stavano entrando debolmente nella
stanza di Marinette, illuminandone il volto calmo e
rilassato, ad una prima occhiata sembrava stesse solo riposando.
Adrien
era rimasto tutta la notte, a vegliare la sua amica, a guardarla mentre il suo
petto si muoveva su e giù, e fu quel movimento quasi ipnotico, che lo aveva
costretto a chiudere gli occhi, ed abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, dopo
aver appoggiato la testa sul materasso, che si era fatta pesante.
I
suoi genitori aprirono la porta e svegliarono il giovane scuotendogli leggermente
la schiena.
“Adrien…”
Aprì prima un occhio e poi l’altro, sbadigliò e si stiracchiò, la schiena gli
faceva male, a causa della posizione non proprio comoda.
“Buongiorno”
Li salutò passandosi una mano sulla faccia e sbadigliando di nuovo “…scusate,
mi sono addormentato”.
“Non
ti devi scusare” Gli disse in tono materno, Sabine.
“Mi
spiace, non si è ancora svegliata” Guardò Marinette
che dormiva beatamente.
“Lo
farà!” Esclamò Tom “…e noi staremo qui finché non accadrà”.
“Adrien…Adrien”
Si sentì chiamare da una voce famigliare che proveniva dal corridoio.
“E’ tornato” Disse
contento cercando di alzarsi, ma venne bloccato da Sabine che gli disse di non
muoversi, che sarebbe andata lei a dirgli dove si trovava.
Lo
vide che camminava nervosamente su e giù per il corridoio, setacciando ogni
stanza in cerca di suo figlio.
“Signor
Agreste!” Lo fermò la donna toccandogli la schiena“…è
in stanza con mia figlia, venga” Lo intimò di seguirlo girando i tacchi.
“Papà,
sei arrivato, come è andato il viaggio?”
“Non
volevano far partire il volo per colpa di un temporale che si stava abbattendo
sulla città” Lo abbracciò “…ma cos’è successo?”
“Io
e Marinette siamo caduti da una scala”.
“Sono
pericolose la scale, quante volte te lo devo dire? E che cosa ci facevate là
sopra”.
“E’ successo nel
teatro della scuola” Sospirò tornando con la mente al giorno prima.
“Parlerò
personalmente con il preside e gli darò una bella lavata di testa, l’incolumità
degli studenti viene prima di tutto” Prese il cellulare dalla sua tasca e fece
per comporre il numero, ma venne bloccato dal figlio.
“Lascia
stare, papà”.
“Per
ora, ma quando sarà finita questa vicenda, mi sentiranno.” Contrariato, Gabriel
ripose il telefono nel taschino della giacca, poi si rivolse ai signori Dupain “…come sta Marinette?”.
Sabine
deglutì “I medici dicono che non ha niente, ma non capiscono perché non si
sveglia”.
“Capisco…mi
spiace per quanto successo, spero che si rimetta presto”.
“Lo
speriamo vivamente anche noi”.
Non
potendo, purtroppo fare molto, Gabriel invitò il figlio a lasciare la stanza e
a lasciare i signori Dupain, da soli con la figlia,
lui avrebbe parlato con i medici per far trasferire Adrien, a casa e continuare
le cure lì, in totale tranquillità.
“No,
papà, io voglio restare qui”. Piagnucolò, non voleva separarsi dalla sua lady,
soprattutto ora che l’aveva trovata.
“Non
discutere, non ti lascerò qui da solo un giorno di più. A casa verrai seguito
dai migliori esperti, così ti rimetteranno in piedi presto e potrai
ricominciare a sfilare e a fare servizi fotografici”.
Adrien
abbassò lo sguardo, sembrava gli importasse di più del lavoro, che della sua
salute.
“Fammi
almeno salutare la mia amica” Gli disse mentre si vestiva.
Gabriel
annuì.
*
Adrien
si presentò timidamente nella stanza di Marinette,
dove Sabine si era accomodata vicina a lei e le tendeva la mano, accarezzandole
la testa e sussurrandole parole di amore.
Bussò,
e Sabine si asciugò con la mano le poche lacrime che le erano uscite dagli
occhi.
“Entra,
Adrien…scusami”.
“Non
deve scusarsi…sono venuto a salutarvi, mio padre vuole riportarmi a casa” Fece
spallucce.
L’asiatica
si alzò e gli mise una mano sulla spalla “Vi lascio da soli” Biascicò uscendo
dalla camera.
Il
biondo aspettò che chiudesse la porta e poi le prese la mano.
Marinette sentì la sua mano
sinistra scaldarsi di colpo, e un brivido le percorse la schiena.
“Marinette…svegliati, per favore”
“Adrien?”
Il contatto, stavano avendo un contatto, era la sua occasione per cercare di
spiegargli la situazione.
Il
maestro Fu, la invitò a parlare, prima che fosse troppo tardi.
“Adrien!
Mi senti?”
“Milady?
Marinette?”
“Si,
sono io”
“Svegliati”
Gli sembrava di sognare, sentiva davvero la sua voce? Le stava realmente
parlando, oppure era solo frutto della sua immaginazione?
“Non
posso, ho bisogno del tuo aiuto, dell’aiuto di Chat Noir”.
Adrien
mancò un battito, com’era possibile che avesse scoperto la sua identità
segreta?
“Come
posso aiutarti?”
“Non
c’è tempo per spiegarti i dettagli. I nostri kawatama,
hanno attivato un portale, che mi ha catapultato in un’altra dimensione,
l’unico modo per farmi ritornare è…”.
La
porta della stanza si aprì e Gabriel invitò il figlio a lasciare la stanza, per
tornare a casa.
“Puoi
aspettare?”.
“No,
la macchina è qui”.
Adrien
annuì a malincuore, poi si abbassò fino ad arrivare alla fronte dell’amica e le
stampò un tenero bacio “Torno presto, milady, scusami”.
“No,
no, no, no, aspetta…” D’improvviso la mano incominciò a raffreddarsi, e Marinette piombò nello sconforto più totale.
Era
riuscita a parlare con Adrien, e spiegargli poco o niente, chiedendosi se
potesse aver capito la situazione, ma purtroppo sentiva molto in lontananza la
voce di Gabriel, che intimava il figlio di sbrigarsi, probabilmente lo aveva
portato via dall’ospedale, era ovvio che accadesse, il signor Agreste, non
avrebbe mai permesso al figlio di rimanere lì.
Sperava
che, grazie a quel contatto, sarebbe riuscito a sfuggire a lui, nelle vesti di
Chat Noir, e che in qualche modo, la potesse raggiungerla, ma non conosceva le
sue condizioni di salute, e se per colpa di quella caduta si fosse rotto la
schiena e costretto alla sedia a rotelle? Scacciò via quel pensiero di troppo.
*
Il
cellulare di Marinette trillò ancora, questa volta
era sua madre.
“Pronto,
mamma?”
“Ma
dove diamine ti sei cacciata?” Allontanò il telefono perché Sabine stava
urlando e credeva le potesse perforare un timpano.
“Sto-sto
arrivando, mamma” Rispose balbettando guardandosi attorno, sperando di trovare
l’ispirazione per inventare una scusa plausibile.
“Sbrigati,
stiamo aspettando te”. Chiuse la telefonata.
“Devo
andare maestro, grazie veramente per i suoi consigli”. Lo abbracciò “…spero ci
rivedremo presto”.
“Io
invece spero, che riuscirai a sistemare tutto e tornare da dove sei venuta, LadyBug”.
Capitolo 5 *** Missione: ripristinare l'ordine naturale delle cose ***
REALTA’ PARALLELA
*
Capitolo
5 – Missione: ripristinare l’ordine naturale delle cose
*
Le
immagini dei palazzi e negozi scorrevano veloci, e Adrien li osservava dal
finestrino abbassato della berlina grigia.
Stava
tornando a casa, avrebbe fatto la riabilitazione lontano da lei, da quella aver
realizzato solo la sera prima, essere la ragazza di cui era follemente
innamorato.
Da
sempre.
Non
era Kagami la ragazza dei suoi sogni, come credeva,
infatti, la loro breve storia d’amore, era terminata qualche mese prima, perché
la ragazza lo trovava insicuro e si era accorta che non si lasciava andare come
doveva.
Complice
il fatto, che si vedevano solo alle lezioni di scherma e se i genitori si
dovevano incontrare per fare affari.
“Come
mai sei così taciturno?” Chiese in tono accigliato Gabriel, rivolgendosi al
figlio che gli sedeva accanto.
“Sono
preoccupato per le condizioni di Marinette”. Rispose
non degnandolo di uno sguardo.
“Starà
bene, vedrai”.
“La
fai sembrare una cosa da niente”.
Lo
stilista non poteva sapere cosa le stava accadendo, e che l’unico modo per
aiutarla a farla uscire dal coma, era lui, e la sua chiave che portava al
collo.
“Gli
esami sono apposto, no? Deve solo svegliarsi”.
Adrien
sospirò. “E ti sembra una cosa da poco? Avrei preferito starle accanto”.
Lo
stilista rivide quello sguardo, quello che compare ogni volta sulla sua faccia,
quando va a fare visita alla teca di Emilie, e si riflette sul vetro.
“Preferisco
averti sotto il mio tetto, piuttosto di lasciarti in ospedale da solo”.
“Tanto
sono solo comunque” Lo disse sottovoce, facendolo sembrare quasi un sibilo.
La
berlina grigia varcò l’imponente cancello di Villa Agreste, ed il gorilla
premurosamente, aiutò Adrien ad uscire dall’auto, lo avrebbe portato in braccio
su dalla scalinata, se il biondo non lo avesse liquidato con un “ce la faccio
benissimo da solo”, sotto gli occhi contrariati del padre.
“Starò
in ufficio tutto il giorno a lavorare, questo contrattempo, mi ha lasciato
molto lavoro arretrato”.
“Mi
spiace papà, non volevo esserti un peso” Gli rinfacciò andandosi a chiudere
dentro la sua camera, senza aspettare una sua risposta e sbattendo la porta,
facendola tremare.
*
“Ohhh…finalmente a casa, e con il mio amato camembert” Plagg oltrepassò l’anta del comodino, dove Adrien, teneva
il suo cibo preferito “…quella ricotta che hanno servito in ospedale, era acida
come un limone. Per non parlare poi il tanfo di medicine che aleggiava nell’aria”.
Il kwami ebbe quasi un conato di vomito, represso,
quando Adrien, gli mise sotto il naso, la sua formaggio
puzzolente preferito.
“Plagg…cos’è questa storia del kawatama”.
Chiese accomodandosi sul divano.
“Quale
storia?” Chiese addentando quella leccornia.
“Marinette mi ha detto che il mio kawatama
e il suo, hanno attivato un portale, che ha intrappolato il suo spirito, in
un’altra dimensione”.
Il
kwami della distruzione volteggiò davanti il suo
volto “Beh! Non se so molto, Tikki è molto più
preparata di me su queste cose”.
Adrien
sospirò, pensando che non avrebbe cavato un ragno da un buco.
“…so
solo che il kawatama di Chat Noir e quello di Lady
Bug, se uniti, possono aprire dei portali, ma dirti di preciso dove possono
portare, quello non lo sa nessuno, essendo fatti con i capelli di tutti i
portatori passati, potrebbe condurvi da loro, o nel futuro, chi lo sa…”.
“Quindi
non sappiamo nemmeno dove sia Marinette di preciso,
in quale epoca”.
“Per
quanto ne sappiamo, potrebbe essere stato il suo inconscio a portarla lì”.
Adrien
inarcò un sopracciglio e Plagg, capì subito di doversi
spiegarsi meglio.
“…mettiamo
caso, che Marinette in cuor suo, è convinta che a te
piace una ragazza che non sia lei, questo, la potrebbe a vivere una situazione,
dove, che ne so, nemmeno ti conosce, o addirittura tu stai insieme ad un’altra
persona”.
Il
biondo scosse la testa “Continuo a non capire”.
Plagg sbuffò, sapeva
che il moccioso non era molto portato nelle intuizioni, e la verità bisognava
schiaffargliela in faccia, senza tanti giri di parole.
“Questo
significa che Marinette, potrebbe essere stata
catapultata in una realtà parallela, dove tutti i suoi maggiori incubi, si
stanno avverando”.
“Quindi
per riportarla qui, cosa dovrei fare?”.
“La
domanda giusta è cosa dovreste fare” Sottolineò la parola dovreste.
Adrien
sospirò, se anche lui doveva avere una parte in tutto ciò, non sapeva come
poterla aiutare, era bloccato in casa con una gamba dolorante, e nemmeno i
poteri di Chat Noir, lo avrebbero aiutato.
“Ok,
e quindi, cosa facciamo?”.
“Se
il mio ragionamento è giusto, Marinette, dovrebbe ripristinare
l’ordine naturale delle cose, cioè, portare tutti gli avvenimenti, come sono
qui, nel nostro presente, in nella realtà che sta vivendo adesso”.
“Ce
la farà…la mia Ladybug, è un portento, può tutto”.
Plagg assottigliò gli
occhi “Non mi sembri così sconvolto, di aver appreso che Marinette
è in realtà Ladybug”.
Adrien
sorrise e volse lo sguardo verso la parete finestrata “Forse, l’ho sempre saputo”.
*
Adrien
si stava godendo la festa dell’alto della scalinata, appollaiato alla
ringhiera, quando gli si avvicinò suo padre e si accomodò vicino a lui.
“Ti
stai godendo la tua festa?”
“Non
è poi così diversa da come quelle a cui siamo abituati a partecipare” Disse
spicciolo.
“E’
in tuo onore, dovresti sembrare più contento”. Incalzò con il solito cipiglio.
“Non
vedo che fretta c’era…”
“Ti
sei già pentito della tua decisione? Tu e Kagami
formate una bella coppia, e state bene assieme. Questo gioverà anche agli
affari di famiglia”.
Il
biondo inarcò un sopracciglio “Quindi si tratta solo di affari, di quello che
provo io, non interessa niente a nessuno. Forse solo alla mamma”. Si rabbuiò.
Era
chiaro come il sole, che a suo padre importasse di più il denaro, che la
felicità di suo figlio.
“Non
è vero…e questo lo sai. Abbiamo fatto pressioni per questo avvenimento, solo perché
non sappiamo per quanto tempo tua madre, resterà con noi.” La osservava mentre
parlava con Audrey “Le sue condizioni si sono aggravate dall’ultima visita”.
“Si,
lo so” Disse con tono rassegnato abbassando lo sguardo e gesticolando con le
mani. “Cosa dovremo fare?”.
“Starle
accanto per il tempo che le rimane” Rispose scendendo gli scalini per
raggiungerla.
*
Marinette tornò di corsa a
Villa Agreste, il suo cellulare avrà suonato come minimo altre dieci volte, da
quando ha lasciato l’appartamento del Maestro Fu.
Sul
display dello smartphone, apparvero le notifiche di quattro chiamate perse da
parte di Alya, più un messaggio in segreteria; e altre sei volte sua madre.
Stremata,
sudata e quasi priva di fiato, si sedette nel vano del furgone, adibito al
trasporto di cibo.
Sbloccò
il telefono ed iniziò a cancellare le finestre temporanee, rivelando sotto di
esse una foto che la ritraeva con il bel chitarrista.
Marinette la contemplò per
qualche secondo, sorridendo.
“E’
il tuo ragazzo?” I suoi pensieri vennero interrotti da quella domanda.
La
corvina ruotò il capo verso destra, in direzione di quella voce.
Adrien,
era lì davanti a lei.
Il
suo cuore mancò un battito.
“S-si,
credo di si”. Balbettò spegnendo il display con il
pulsante posto a lato.
“Come
sarebbe a dire credi?”. Chiese con un cipiglio sorpreso.
Marinette non poteva dirgli
la verità, e si guardò attorno, in cerca di una scusa plausibile “Ecco, vedi,
io…”.
“Ah
ho capito! Vi siete presi una pausa.”
“Si,
bravo. Hai indovinato”.
“Mi
spiace” Si rabbuiò per lei.
“Non
devi dispiacerti per me, capita…” Fece spallucce.
“Stai
bene?” Le chiese il figlio del padrone di casa, mettendole una mano sulla
spalla amichevolmente.
“S-si,
c-certo” Balbettò.
“Posso
sedermi?” Adrien fece segno con la mano, chiedendo il permesso di accomodarsi.
“Se
ci tieni, io però devo tornare dentro, mi stanno già cercando da un po'”.
“Anch’io,
mi stavo soffocando, avevo bisogno di una boccata d’aria fresca”.
Marinette si guardò
attorno, si aspettava che Kagami sbucasse da qualche
parte e lo portasse via, come era solita fare quando stavano insieme.
“Non
sei con la tua fidanzata?” Quell’ ultima parole uscì dalla sua bocca
accompagnata da una smorfia di disgusto.
“In
effetti…sono fuggito da lei”. Disse in tono rassegnato.
“Sembrate
molto uniti…vi state anche fidanzando ufficialmente”.
Adrien
sbuffò “Si, ma…”
“Ma”
Lo invitò a continuare.
“Non
lo so…e se stessi facendo un errore?” Le chiese guardandola negli occhi.
“E
lo vieni a chiedere a me? Mi hai conosciuto solo ora”.
“Hai
ragione, ma non so perché, ma sento che con te potrei parlare di qualsiasi
cosa”.
Marinette accennò ad un
sorriso, se solo sapesse la verità “Se ti serve una spalla su cui piangere, ti
ascolto”.
“Sono
un tipo che soffre in silenzio”. Adrien iniziò a muovere le mani nervosamente e
a passarsi le mani nel casco biondo, spettinandoli.
“Non
dovresti tenerti tutto dentro”.
“Di
solito la mia confidente è mia madre, ma ultimamente passa molto tempo in
ospedale, sai è molto malata. E mio padre passa il tempo tra trovarle una cura
e lavoro”.
“Non
lo sapevo, mi spiace” Gli mise una mano sopra la sua, e quel contatto, li fece
sussultare entrambi.
“Non
è colpa tua, figurati”.
“Se
posso fare qualcosa…non esitare a chiedere”. Ammiccò Marinette.
“Grazie,
sei molto gentile”. Le sorrise, in un’espressione che scaldò il cuore della
ragazza e le fece imporporare le guance “Strano che ci siamo incontrati solo
oggi, mi sembra di conoscerti da sempre”.
“Davvero?”
“Spero
diventeremo ottimi amici”.
“Lo
spero anch’io”. Gli sorrise, ma loro erano già ottimi amici, e Marinette voleva solo ritornare a casa, nel suo presente.
Non
era un sogno quello che stava vivendo, se lo fosse stato, le immagini sarebbero
sfocate, e non riuscirebbe bene a muoversi, qui invece riesce a fare tutto in
modo fluido.
“Ah!
Sei qui, ti stavo cercando dappertutto” Kagami si
materializzò davanti a loro, con il solito tono freddo e distaccato.
Marinette pensò che cosa
Adrien, ci trovasse in lei.
*
Kagami lo trascinò via
sottobraccio, fino ad arrivare all’ingresso della villa.
“Sei
sparito” Gli disse non facendo trasparire nessuna emozione, a volte Adrien, non
riusciva a capire se era felice, triste o altro.
Era
sempre stato convinto che tutte le ragazze fossero così, in realtà non ne aveva
conosciute molte, aveva come modello di riferimento lei, e sua madre.
Sua
madre, al contrario di Kagami, era una persona molto
solare e disponibile con tutti.
Sperava
che tra qualche anno, quando sarebbero stati una famiglia, lei sarebbe
cambiata, in meglio.
Si,
poi aveva conosciuto Alya, per lavoro, in quanto gestiva ilo suo blog, ma le
loro conversazioni si erano limitate a qualche foto ed articolo; Chloè, l’aveva vista a qualche evento, ma non si era mai
soffermato a parlare, a lei piaceva intrattenersi, insieme alla madre, con
ospiti illustri e nomi noti nel campo della moda.
E
poi c’era lei, apparsa dal nulla come un raggio di sole, dopo una tempesta: Marinette.
Dolce,
disponibile, amichevole.
“Sono
uscito per una boccata d’aria” Si limitò a dire fermandosi ai piedi della
scalinata.
“E
per caso ti sei fermato a parlare con la cameriera”. Disse in tono
dispregiativo.
“Marinette, si chiama Marinette.”
Ribadì.
“Ah
giusto, hanno anche un nome.”
“Ma perché
ti comporti così…” La bloccò per un polso, mentre si apprestava a salire lo
scalino.
Furono
interrotti dai presenti che urlarono e alcuni che si prodigavano per chiamare
un’ambulanza.
Gabriel
Agreste, si fece largo tra la folla “Permesso, scusate, spostatevi”
continuava a ripetere e scansare le persone che gli ostruivano la visuale.
Non
aveva capito molto bene cosa fosse successo, aveva sentito delle urla e sua
moglie accasciata al suolo, inerme.
Per
quanto la stesse strattonando, invocando il suo nome, questa, non si svegliava.
Il
suo respiro era molto debole.
“Spostatevi,
lasciatela respirare” Ripeteva ai curiosi che li avevano accerchiati “…chiamate
un’ambulanza” Disse infine.
Tutti
erano increduli a ciò che stava accadendo, non poteva essere che una festa si
potesse tramutare in una tragedia.
Molti
dei presenti, soprattutto gli amici più stretti e i famigliari, erano a
conoscenza dei problemi di salute della donna, ma solo il marito e il figlio
Adrien, sapevano che ultimamente si era aggravata e che non le restava ancora
molto tempo da vivere.
L’unico
modo per salvarla, era un trapianto di cuore, ma i donatori non si comprano
dietro l’angolo, e la ricerca per trovarne uno di compatibile con il suo gruppo
sanguigno raro, si faceva sempre più estenuante.
Era
da un po' in lista d’attesa con priorità assoluta.
“Che
succede?” Chiese Adrien raggiungendo i suoi genitori al centro del salone, sbiancò
vedendo il corpo della madre esanime e suo padre che tratteneva a stento le
lacrime, non ottenne risposta.
“Andate
via tutti…subito!” Cacciò via i suoi ospiti, senza dare troppe spiegazioni, e
loro capendo la situazione, non se lo fecero ripetere due volte, anche perché
l’ambulanza era già arrivata alla villa, e dopo aver prestato le prime cure
alla donna, i sanitari caricarono sulla barella la donna, e partirono a sirene
spiegate verso l’ospedale più vicino, seguiti dalla berlina degli Agreste.
*
Passarono
ore interminabili nella sala d’attesa di quel pronto soccorso, ormai deserto.
Era
mezzanotte passata e le porte automatiche si erano chiuse, si sarebbero aperte,
solo per le emergenze, o al massimo per l’indomani alle sei.
Gabriel
si accomodò in una poltroncina di legno chiaro, scomoda, forse le avevano fatte
apposta così, perché la gente ci passasse il minor tempo possibile o fosse
restia a recarsi lì per delle cose frivole e di poco conto.
Si
tolse gli occhiali che appoggiò sulle ginocchia, mentre si massaggiava gli
occhi stanchi.
Adrien
si accomodò vicino a lui, stanco, provato e quasi in lacrime.
Non
era pronto a perdere la madre, non così giovane, chi si sarebbe preso cura di
lui? Chi lo avrebbe confortato, se ne avesse avuto bisogno?
Il
suo cellulare vibrò, un messaggio di Kagami che gli
chiedeva se aveva novità.
Da
quando era partito dietro l’ambulanza, si era completamente dimenticato di lei,
di avvisarla se ci fossero state notizie.
“Siamo
ancora in pronto soccorso” Si limitò a scrivere
“Se
hai bisogno chiama, o se hai novità, ti amo” Gli rispose al messaggio, ma
lui dopo averlo letto, spense il telefono, non voleva più sentire nessuno, solo
il medico che sarebbe uscito dalla sala emergenze.
“Era
Kagami?” Gli chiese suo padre, rivolgendogli
finalmente la parola.
Per
tutto il tempo, da quando erano arrivati, se ne era stato sempre alzato a
contemplare le porte dell’ingresso della sala rianimazione, attendendo l’arrivo
di qualche medico.
“Si”
Rispose portandosi le mani dentro il casco biondo, puntellando con i gomiti, le
ginocchia.
“Chiamo
la guardia del corpo che ti porti a casa, è stata una giornata stancante”
Gabriel prese il cellulare e fece per comporre il numero, quando venne fermato
dalla mano di Adrien “Voglio restare qui, accanto la mamma. Non riuscirei a
dormire non conoscendo le sue condizioni”.
Lo
stilista, anche se contrariato, ripose il telefono dentro la giacca, era pieno
di notifiche, alle quali non aveva ancora risposto.
Tutti
gli chiedevano se aveva notizie circa le condizioni della moglie, soprattutto i
giornalisti, che appena appreso lo scoop, si erano anche appostati al di fuori
dell’ospedale.
Sciacalli,
pensò Gabriel, non veniva lasciato in pace nemmeno in quei momenti lì.
Con
enorme sorpresa, le porte che portavano alla sala emergenza, si aprirono,
facendo uscire il primario.
La
sua espressione non preannunciava nulla di buono.
Gabriel
ed Adrien gli andarono incontro.
Un
silenzio quasi spettrale aleggiava in quella stanza, che venne spezzato dallo
stri dolio delle loro scarpe eleganti, che strusciavano contro il linoleum
azzurro.
“Come
sta, dottore?” Deglutì il marito seriamente preoccupato.
Lo
specialista incurvò le labbra e sospirò “Conoscete le condizioni di Emilie, per
il momento l’abbiamo stabilizzata, ma è ancora molto grave. Ha bisogno con
urgenza di un cuore nuovo”.
“E
allora dateglielo, per la miseria” Imprecò urlando, facendoli sobbalzare
entrambi.
“Papà”
Lo richiamò Adrien, facendogli notare che forse aveva un tantino esagerato.
“Mi
scusi” Si ricompose togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il seno
paranasale.
“Sua
moglie è in lista d’attesa, ma sapete anche voi che ha un gruppo sanguigno raro
e trovare un donatore…”.
“Posso
darglielo io” Lo interruppe Adrien “…io ho lo stesso sangue di mia madre, non
sarà un problema per voi fare l’operazione”.
“Non
facciamo queste cose, in questa clinica” Lo rimbeccò il medico.
“Non
dire assurdità, figliolo” Gabriel gli diede man forte al dottore.
“E
quindi, cosa facciamo? Dovremo guardarla mentre muore? Io non ci sto, mi
dispiace” Adrien lasciò quella stanza, con una malsana idea.
“Lo
scusi, è molto stanco, e le precarie condizioni della madre, non aiutano”.
“Non
si preoccupi signor Agreste, non è facile accettare queste cose. Abbiamo un
ottimo team di psicologi in questa struttura, senza impegno possiamo farvi
parlare con loro, per cercare di superare la cosa”.
“Grazie,
ma prima vorrei parlarne con mio figlio, se non le dispiace”.
“Si
figuri, mi sono sentito in dovere di aiutarvi, per quanto mi sia possibile”.
Gabriel
gli sorrise forzato “Possiamo vederla?” Chiese.
“Ma
certo, mi segua” Gli indicò la strada.
“Un
attimo che vado a chiamare Adrien”.
Lo
stilista lasciò la stanza, credendo di trovare suo figlio a piagnucolare nel
corridoio, si sorprese del contrario.
Adrien
era sparito e sul volto dello stilista, si materializzò un’espressione
sconvolta, suo figlio aveva detto una frase prima, a cui aveva dato poca
importanza, ma che ora assumeva un altro contorno.
*
Aveva
percorso corridoi vuoti e bui, annusando nell’aria l’odore di medicinali.
Storse
il naso per quanto gli davano il voltastomaco, in quanto nell’ultimo periodo si
recava spesso in quella struttura per fare visita alla madre ricoverata.
Le
scale d’emergenza, erano deserte, ed avrebbe agito indisturbato, senza dare
nell’occhio, usò la pila del suo smartphone per fare luce e non rischiare di
cadere o sbattere contro qualcosa.
Arrivò
in cima le scale, all’ultimo piano senza fatica, pensò che gli allenamenti di
scherma di quegli anni, fossero serviti a qualcosa.
Tirò
la maniglia nera di quella porta arrugginita alle estremità, e ne fu sorpreso
di trovarla accessibile, probabilmente qualche inserviente l’aveva erroneamente
lasciata priva di sicurezza.
Avanzò
con passo lento verso il cornicione che non aveva nessun tipo di barriera.
Il
luogo perfetto per mettere in atto il suo piano, voleva salvare la madre, e per
farlo, avrebbe dovuto perdere lui stesso la vita.
Deglutì,
e prendendo coraggio, scalò quell’ostacolo, restando in piedi ad osservare per
l’ultima volta il suo orizzonte.
La
Tour Eiffel era bellissima, il suo contorno delineato da una miriade di luci,
spiccava in quella notte stellata, ed una bellissima luna piena si era
posizionata perfettamente sulla sua cima.
In
lontananza il rombo del motore della auto, sovrastava quello di un aereo che
gli stava passando sopra la sua testa.
“Che
vuoi fare?” Gli chiese una voce femminile conosciuta, alle sue spalle,
costringendolo a voltarsi.
“Marinette?” Chiese inarcando un sopracciglio sorpreso.
“Non
ho sentito la tua risposa”
“Tu
che ci fai qui?” Domandò mentre anche lei si apprestava a salire su quel
cornicione accanto a lui.
“Salti
tu, salto io” Fece spallucce.
“No,
non ti permetterò di seguirmi. Io devo salvare mia madre, e tu che scusa hai?”
“Salvo
te”.
“Vattene!”
Le disse riluttante.
“Non
funziona così”. Gli disse sorridendo “Troppo facile”.
“Lasciami
stare” Adrien si sporse un po' di più, poteva vedere la fine di quel baratro,
un prato dal terreno puntellato da luci a led, dietro l’edificio, dove i degenti,
quelli che riuscivano, potevano tranquillamente passeggiare.
Notò
un po' più distante un pioppo con una panchina che apparve ai suoi occhi,
scura, la stessa panchina dove di solito lui e sua madre rimanevano ore a
parlare.
“Non
dovresti farlo” Le disse Marinette.
“E’
l’unico modo che ho per salvarla”. Spiegò stringendo i pugni lungo i fianchi.
“Non
spetta a te questa cosa, lascia fare ai medici”.
Adrien
si voltò verso di lei con sguardo terrificante e gonfiò la voce “Non possono
fare più niente per lei, sono degli incapaci”.
Marinette gli mise una mano
sulla spalla, e si accorse che grosse lacrime gli stavano rigando il volto.
“Non
è colpa tua, se non riescono a salvarla, e non sta a te farlo”.
“Non
posso lasciare che muoia”.
“Non
puoi morire tu, per lei.”
“Si
che posso” Insistette avanzando di un altro passo.
“Ok,
mettiamo caso che tu riesca nel tuo intento. Secondo te, come si potrebbe
sentire tua madre sapendo che è viva grazie ad un gesto così sconsiderato”.
Adrien
rinsavì per un breve attimo, aveva ragione, Marinette.
Emilie
sarebbe vissuta sapendo che suo figlio, è morto per dare la vita a colei che
gliel’ha donata.
“Cosa
dovrei fare?” La guardò dritta negli occhi.
Marinette scese dal
cornicione e gli tese la mano “Per prima cosa, venire qua” Adrien toccò con le
dita affusolate il palmo della sua mano e obbedì a quella richiesta.
“Seconda
cosa: stai vicino a tua madre”.
“Grazie,
Marinette” Le sorrise, poi sentì dei rumori provenire
in direzione della porta da cui era entrato, si voltò per vedere cosa stesse
succedendo.
*
Adrien
era appena sceso dal cornicione, quando suo padre ansimante, seguito dal
dottore, spalancarono la porta di ferro, ritrovandosi in quel terrazzo,
composto principalmente da condotti d’aerazione, ed antenne televisive.
“Grazie
al cielo, ti abbiamo cercato dappertutto” Disse tenendosi il petto.
“Ero
uscito per prendere una boccata d’aria” Rispose spicciolo facendo spallucce
guardandosi attorno.
Marinette era sparita.
Lo
stilista si avvicinò con fare amorevole al figlio e gli mise le mani sulle sue
spalle “Ho temuto il peggio, mi hanno fatto paura le tue parole di prima”.
Adrien
gli sorrise, avrebbe voluto tanto dirgli che aveva ragione, che aveva pensato a
buttarsi di sotto per salvare una persona che amava, un gesto che probabilmente
sua madre non gli avrebbe mai perdonato, come gli aveva appena detto Marinette, oppure era stata la sua coscienza a parlare?
“Non
vado da nessuna parte, papà…e poi chi baderebbe a te?” Gli domandò scherzando.
“Forza,
rientriamo, andiamo da tua madre”.
Adrien
si guardò ancora attorno, in cerca nell’oscurità della figura di Marinette, che non trovò.
Adrien
percorse quel corridoio semibuio, accanto a suo padre, seguendo lo specialista,
che li stava conducendo alla stanza dedicata ad Emilie, si era svegliata e
aveva chiesto di loro.
Nessuno
dei due, era in grado di proferire parola, nemmeno quando il medico si congedò
da loro, erano riusciti a ringraziare o a dire altro, si erano limitati ad
annuire con il capo e a sorridere forzatamente.
“Su,
entriamo” Ordinò lo stilista al figlio, vedendolo esitare mentre osservava con
aria malinconica il corpo della madre attaccato ad un fascio di fili, che
fuoriuscivano dai macchinari accanto al suo letto.
Non
dove essere facile per un ragazzo di sedici anni, accettare la malattia della
propria madre, e vederla spegnersi giorno dopo giorno, ormai da qualche anno.
Non
era facile nemmeno per lui, un uomo adulto, accettare di lasciarla andare.
Ma
uno spiraglio c’era, si ricordò di quel viaggio in Tibet, di quelle due spille
e di quel libro antico, trovato sotto la neve, nel promontorio dove si erano
recati da quel misterioso guaritore.
Adrien
varcò la porta, dopo aver indossato il camice sterile, sotto la supervisione
dell’infermiera, seguì poi suo Gabriel.
Emilie,
appena avvertì la presenza della sua famiglia, aprì gli occhi stanchi, e si
levò la maschera dell’ossigeno.
“Siete
qui”. Disse annaspando.
“Tienila,
mamma” Adrien l’aiutò a mettere quel salvavita, che lei rifiutò, doveva parlargli.
“Siate
forti, mi raccomando” Tossì convulsivamente.
“Mamma
non sforzarti”.
“Emili
devi riposare”.
Ma
di ascoltarli, non se ne parlava, erano mesi che faceva quello che gli altri
volevano, rimanere chiusa in casa, lontano da tutti per la troppa paura di
contrarre virus, innocui per gli altri, ma che per lei si potevano rivelare
letali, per questo girava per casa o al di fuori con la mascherina.
“Gabriel,
dovrai prenderti cura di nostro figlio, so che ce la farai” Poi si rivolve ad
Adrien “tu, figlio mio, non fare scelte di cui potresti pentirtene, scava
affondo al tuo cuore e prendi la decisione giusta”. Il biondo capì subito che
il suo riferimento era dovuto a Kagami.
Qualche
settimana prima, avevano discusso tutto il pomeriggio sulla sua relazione con
la ragazza, un dibattito nato quasi per caso, da quella domanda innocente “come
va con Kagami?” .
E
subito Adrien si era rabbuiato, spiegando alla madre, che le cose si, stavano
andando bene, ma che stava avendo dei ripensamenti, a volte la ragazza era
troppo rigida per certi aspetti, e gli sembrava che si chiudesse in se stessa, piuttosto di esternare i suoi sentimenti, oppure confidandosi
con lui se c’era qualche problema, come se non avesse abbastanza fiducia in
lui.
Un
altro colpo di tosse, questa volta più forte, ad Emilie, sembrava gli si
lacerasse il petto.
Tossì
del sangue, che inaspettatamente andò ad imbrattare il camice di Adrien, che in
quel momento le stava sorreggendo la mano, divenne fredda, e il tracciato del
monitor, segnava solo una lunga riga rossa, accompagnato da un bip
lungo.
*
Marinette ed Alya, si
accomodarono in classe, dopo che la campanella aveva scandito i tre rintocchi,
che annunciavano l’inizio delle lezioni.
Erano
sedute sulla prima fila, e al posto di essere banconi da due posti, lo erano da
tre.
La
mora ipotizzò subito, che la sedia vuota appartenesse a Chloè.
Fece
una faccia di disgusto, pensando che lei, Alya e quella biondina, fossero un
trio di amiche perfette.
Chloè entrò in classe,
era decisamente in ritardo, ma fortunatamente riuscì a sedersi, prima che
l’insegnante varcasse la porta d’ingresso e si mettesse dietro la scrivania di
mogano.
“Ehi
che hai?” Le chiese Alya, notando la sua faccia triste.
“Stanotte…è
venuta a mancare la mamma di Adrien” Disse d’un fiato scoppiando a piangere.
La
conosceva bene Emilie, si poteva dire che fosse una seconda mamma per lei.
Passava
molto tempo a Villa Agreste fin da quando ne aveva memoria, le loro madri erano
migliori amiche e si incontravano spesso, facendo così passare del tempo
insieme ai loro figli, che erano diventati come fratelli.
La
professoressa Bustier, si era avvicinata a lei,
chiedendole il motivo del suo sfogo, lei le comunicò della sua perdita.
“Se
hai bisogno di rimanere un po' fuori dall’aula, fai pure, Chloè.
Prenditi il tempo necessario”.
“No,
grazie. Adesso mi passa” Singhiozzò soffiandosi poi il naso in un fazzoletto di
carta.
A Marinette mancò un battito, le sembrava anche lei di aver
perso una persona cara, amata.
Non
le era mai capitata di vederla di persona, solo in alcune foto che le aveva
mostrato Adrien, e un frame di un film che erano andati insieme a vedere, prima
di essere chiamati a proteggere Parigi.
Aveva
avuto l’occasione di parlare con lei, durante i festeggiamenti, in onore del
figlio e della futura nuora, e quei pochi minuti, le erano bastati per farle
capire, quanto era straordinaria, proprio come le aveva descritto il suo amico.
Scese
anche a lei una lacrima, che venne catturata dalle sue labbra.
Alzò
la mano, e chiese all’insegnate se poteva uscire dall’aula, un permesso che le
venne accordato.
*
“Che
ti è preso poco fa?” Le aveva domandato Alya durante l’intervallo.
“Scusami,
è che…sapere che Adrien ha perso la mamma, mi ha messo tristezza”.
“E’ comprensibile, ma
nemmeno lo conosci”.
“Certo
che lo conosco, è uno dei miei migliori amici”. Disse senza ricordare dove si
trovasse, che da qualche giorno era bloccata in quella dimensione, se vogliamo
definirla così.
Alya
strabuzzò gli occhi “Ma cosa stai farneticando?”.
Marinette raccontò tutto
alla sua migliore amica, tralasciando il fatto che lei era Lady Bug, anche se
glielo avesse rivelato, probabilmente non avrebbe capito di cosa stesse
parlando, in quanto in quella realtà, la super eroina che combatte le akuma, accanto a Chat Noir, non esiste, al momento.
Alya
in un primo momento pensò, che la sua amica con i codini, fosse pazza, non
poteva certamente credere, che provenisse da un altro mondo, uguale identico al
suo, ma con alcune varianti, e che per ritornare nel suo presente, aveva
bisogno di ripristinare l’ordine naturali delle cose.
Che
cosa significasse, per la ragazza dalla pelle olivastra, rimase un mistero, lei
conosceva solo quello che stava vivendo, non poteva immaginare che, da dove
provenisse quella Marinette, lei era follemente
innamorata di Nino, e che erano pure fidanzati.
Lui,
quel ragazzo imbranato e bullizzato da mezza scuola.
Quel
dettaglio, lo aveva omesso, le aveva solo raccontato che si era innamorata di
un ragazzo e che stavano insieme da molto tempo.
Forse
il primo passo era quello, farli innamorare, e perché il suo piano riuscisse,
doveva ricreare la stessa situazione della volta prima.
Ma
ora non aveva tempo per questo, Chloè, aveva
informato le amiche (ancora non ci credeva di essere una delle sue migliori
amiche, e che si comportasse in modo gentile e garbato con tutti), che
l’indomani si sarebbero tenuti i funerali della mamma di Adrien, e lei era
intenzionata a parteciparvi.
*
Adrien
rimase seduto a fissare il feretro della madre, per tutta la durata della
cerimonia, non si era scomposto di un millimetro e mai alzato dalla sua panca, per
onorare i soliti riti.
Kagami, seduto accanto a
lui e a suo padre, gli teneva la mano, con la sua aria impostata e seria,
nemmeno lei, stava versando lacrime, per la suocera prematuramente scomparsa.
Lo
sguardo di Gabriel, era nascosto da degli occhiali da sole neri, che ogni tanto
spostava, per passarsi sugli occhi un fazzoletto candido.
Ci
stava pensando Marinette, a piangere per tutti e tre.
Alya,
seduta accanto a lei nell’ultima fila della cattedrale, le posò gentilmente la
sua mano, sopra la sua, non era andata al funerale per scriverci un articolo,
come stava facendo un ristretto numero di persone, presenti più per curiosità
che per compassione verso una famiglia, che aveva appena perso un suo caro.
“Non
fare così, Marinette”.
La
mora tirò su col naso, poi soffiò via il muco accumulato “E’ più forte di me…”.
“Nemmeno
la conoscevi”.
“Ma
conosco Adrien, e sono triste per lui, vorrei fare di più”. Sussurrò.
“C’è
la sua ragazza lì con lui, ci penserà lei”.
“Si,
la regina di ghiaccio” Il suo sguardo si posò su di lei, ancora impassibile,
mentre Adrien, sembrava sul punto di scoppiare e mandare tutti al diavolo.
“Vieni
anche tu a Villa Agreste dopo il funerale?”
“Si,
mamma e papà stanno allestendo il buffet”.
Il
vescovo pronunciò una preghiera, che anche i presenti pronunciarono all’unisono,
mentre l’organo suonava quella melodia, che echeggiò per tutta la cattedrale.
Prese
infine dell’acqua santificata e dell’incenso, che sparse nei quattro lati del
feretro, consacrando il corpo, augurando alla sua anima un buon viaggio nell’aldilà.
Dopo
la benedizione ai fedeli, la bara, poté proseguire il suo cammino verso il
cimitero vicino, seguita per prima cosa dai famigliari.
*
Dopo
il funerale, seguì il ringraziamento agli amici e parenti, che hanno potuto
presenziare al rito, a Villa Agreste, dove era stato allestito nel salone
principale, un generoso buffet.
Marinette si guardò
attorno, indossava un vestito nero con una gonna lunga fin sopra il ginocchio, un
piccolo grembiulino bianco ed aveva acconciato i capelli in uno chignon alto.
“Non
vedo Adrien” Disse rivolgendosi a sua madre.
Sabine
iniziò a fare un po' d’ordine sopra il tavolo, alcuni degli invitati avevano
lasciato alcuni piatti sporchi e bicchieri.
“Se
ne sarà andato via, del resto ha appena seppellito sua madre, è normale che se
ne voglia stare un po' da solo”.
“Vado
a cercarlo” Disse togliendosi il grembiule per lasciarlo in mano alla madre.
“Aspetta…dove
stai andando?” Ma a quella domanda, non arrivò nessuna risposta, la vide
sparire due persone più lontane.
Marinette non era mai stata
a Villa Agreste, o meglio, non aveva mai vagato per quei corridoi, quindi non
sapeva di preciso dove potesse essere la camera di Adrien.
Aveva
ipotizzato fosse lì.
Da
una porta, vide uscire Kagami e si nascose dietro una
colonna, sperando non l’avesse vista.
La
passò accanto, senza accorgersi della sua presenza, con la solita aria
accigliata e priva di sentimento, cosa ci trovasse in lei, Adrien, era un
mistero.
Aspettò
qualche secondo che il battito del suo cuore, si regolarizzasse, poi prese
coraggio ed avanzò lungo il pavimento a scacchi.
Bussò
alla porta da cui era uscita la giapponese ed aspettò risposta “Non voglio
vedere nessuno”.
“Adrien”
Lo chiamò, ma non entrò, dopo qualche secondo la porta si aprì.
“Marinette, giusto?”
La
ragazza increspò le labbra e annuì con il capo timidamente.
“Vieni”
Le fece segno con il capo di entrare, lei si guardò attorno estasiata, camera
sua non era cambiata così tanto, tranne per un paio di foto che lo ritraeva con
Kagami e qualche trofeo in più di scherma.
“Volevi
dirmi qualcosa?” Quella domanda la colse un po' impreparata.
Lo guardò
negli occhi, aveva un aspetto semplicemente stravolto, le borse sotto gli
occhi, le fecero capire che non aveva mai dormito la notte, aveva gettato la
cravatta e giacca nera sulla poltrona della scrivania e slacciato i primi due
bottoni della camicia, i capelli erano arruffati, gli occhi rossi.
La
cosa più banale che le passava nella testa, era quello di dirgli che le
dispiaceva per sua madre, ma chissà in quanti glielo avevano già detto.
Ma
lui non era banale, era speciale, e per un amico speciale, ci vuole un gesto
semplice, ma speciale.
Lo
abbracciò senza dire nulla, stringendolo forte a se.
Adrien
ricambiò, e uno strano tepore lo avvolse, come non lo faceva da tempo.
Venne
investito da un profumo di vaniglia e cocco, quando lei appoggiò la sua testa
sull’incavo del suo collo.
Sapeva
di casa e di una sensazione mai provata prima.
*
Dopo
aver congedato tutti i presenti, Gabriel entrò nel suo studio, chiuse la porta
dietro di sé e sospirò.
Aprì
l’imponente quadro attaccato alla parete alla sinistra della porta, digitò la
combinazione della cassaforte celata dietro, e prese una spilla a forma di
farfalla.
L’attaccò
alla camicia, facendo comparire un piccolo esserino viola al suo cospetto.
“Buongiorno
padrone. Ho saputo della sua perdita, mi dispiace molto”.
“Nooro, non abbiamo tempo per queste cose, abbiamo una
missione ora, riportare indietro Emilie”.
Il
cardiologo aprì la nervosamente la porta color mogano dello studio, fece un bel
respiro prima di entrare, perché si, certe notizie era abituato a darle, ma non
si è mai pronti alle reazioni che possono avere i pazienti.
La
prima reazione, quella più ovvia, è piangere, disperarsi, la più scontata, se
vogliamo dire così.
Poi
altre persone ti guardano come se avessi parlato in aramaico o in una lingua antica
non conosciuta, chiedendosi se hanno capito bene.
Altre,
una minoranza, ti prendono per la collottola del camice dicendoti che devi fare
il possibile per salvarle, ma tu sai già che hai fatto tutto quello che potevi,
e altre strade da intraprendere, non c’erano.
Devi solo aspettare che qualcuno muoia
al posto tuo, perché ti possa donare quello che a lui o lei non serve più.
Ad Emilie
bastava un cuore nuovo, il suo era ormai guasto e non più riparabile.
Si era sottoposta già a tre interventi
da quando, cinque anni prima, aveva scoperto che un male incurabile, la stava
divorando lentamente, e che presto l’avrebbe strappata all’amore della sua
famiglia.
Gabriel si sistemò meglio gli occhiali,
che stavano scivolando a causa della posa che aveva assunto il suo viso “Quindi
mi sta dicendo, dottore, che dovrò vedere mia moglie morire”. Le prese la mano
in segno di conforto.
In effetti si, gli stava dicendo quello
“Sua moglie ha un gruppo sanguigno raro, non sarà facile per lei trovare un
donatore”.
“Si, me lo sta confermando”.
“Mi dispiace signori Agreste, avrei
voluto fare di più”.
“Sappiamo il suo impegno dottore, e la
ringraziamo per tutto quello che ha fatto per noi”. Disse Emilie
in tono rassegnato.
Non fu facile per lei accettare la
malattia ed iniziare un calvario che alla fine non aveva portato a niente, se
non a sofferenze e il passare meno tempo con Adrien.
Già, Adrien,
quanto avrebbe voluto dargli una sorellina o un fratellino, ma le sue precarie
condizioni di salute, glielo avevano impedito, era già tanto se era riuscita ad
avere lui; la malattia aveva iniziato a manifestasi già dai primi mesi di
gravidanza, per questo era stata costretta a letto molti mesi.
“Non abbattetevi” Disse lo specialista “…e se ne avrete bisogno, abbiamo un team di psicolo...”
“Non abbiamo necessità di queste
stupidaggini. Grazie e arrivederci” Gabriel interruppe il medico, prese sua
moglie sottobraccio e insieme si diressero verso l’uscita con garbo.
Ne aveva sentite abbastanza per oggi, e
di certo appurare che gli serviva vedere uno psicologo, non era il massimo.
*
“Sei stato un po’ sgarbato con il
dottore, voleva solo aiutarci” Emilie seduta sul
sedile posteriore, dietro al guidatore, stava osservando fuori finestrino, il
viale alberato che contornava quella strada.
“C’è una speranza per te” Gli disse
mentre cambiava marcia “…però dovremo andare in
Tibet”.
“Tibet?” Fece di rimando.
Lo stilista annuì con il capo “Ho già
predisposto il nostro volo. Partiremo oggi stesso”.
“E Adrien?”
“Non sa nulla, resterà qui con Nathalie,
non può perdere le sue lezioni private, poi ha scherma, le lezioni di piano, di
cinese, …” Elencò una serie di infinite attività a cui partecipava il figlio,
cosa che ad Emilie non era mai andata giù, era un
motivo frequente di litigio con il marito, troppo impegnato per condurre una
vita normale come quella dei suoi coetanei.
“Secondo me, è troppo impegnato nostro
figlio”
“Ne abbiamo già discusso abbondantemente
di questo, in più volevo avvicinarlo al mondo della moda, sarebbe perfetto in
passerella a sfilare con i miei abiti, diventerà ben presto l’idolo delle
ragazzine”.
Emilie sospirò “Non
pensi a lui? Così facendo non avrebbe tempo di vedere Kagami,
il che è anche un bene”.
“Non ti piace Kagami?”
“Non so se piace a lui”.
“Che intendi? E’ perfetta per nostro
figlio: proviene da una famiglia rispettabile e la sua relazione può solo che
giovare ai nostri affari”.
“Appunto…sei
stato tu a lanciarlo tra le sue braccia,e sai che nostro figlio farebbe
qualsiasi cosa per noi, anche essere infelice. E io non posso lasciare questo
mondo, sapendo che non sta bene, che non starete bene”.
“Emilie, tu
non lascerai questo mondo, lo impedirò a qualunque costo”.
“Perché andiamo in Tibet?”
Gabriel deglutì “Ho sentito parlare di
medicina alternativa…”.
“Non mi sottoporrò a cure di quel
genere, ne abbiamo già parlato. Se la medicina tradizionale non mi ha
migliorato, che cosa ti fa pensare che intrugli misti di erba, un po’ di fumo,
mi facciano guarire?” Incrociò le braccia sotto il seno.
“Un tentativo lo voglio fare. Non mi piacerebbe
svegliarmi un giorno e scoprire che potevo fare di più. Mi ucciderebbe questo
pensiero. Ti amo Emilie” Volse lo sguardo allo
specchietto retrovisore e la vide sorridere malinconicamente, pensò che nemmeno
per lei fosse facile quella situazione e che in un certo senso si era arresa al
pensiero di dover lasciare per sempre quella vita, ma non lui, non lui.
*
Arrivarono alla villa e trovò ad
aspettarli, Adrien, impaziente di sapere che cosa
aveva detto il medico.
“Non dovevi esercitarti al piano?” Chiese
Gabriel in tono serio.
“Gabriel” Lo richiamò sua moglie. “Papà
è stanco, perdonalo” Abbracciò suo figlio.
“Com’è andata?” Aveva timore di fare
quella domanda, aveva già capito tutto dal modo gli aveva risposto suo padre,
che andò a ritirarsi nel suo studio, buttandosi a capofitto sul lavoro, o
almeno così credevano tutti.
“Nessuna novità al momento” Gli sorrise.
“Sono stabile”.
“Continuerai con le cure?” Le prese la
mano ed insieme varcarono la porta di casa.
“Andremo in Tibet” Tuonò suo padre
dall’alto della scalinata.
“Tibet?”
“Consulteremo un luminare del posto”
Spiegò lo stilista.
“Tutto, se servirà per tenerti qui con
noi” Adrien le sorrise e l’abbracciò ancora più
stretta, l’aveva convinta a partire senza rendersene conto.
*
Tibet
*
Il viaggio in aereo fu un po’
turbolento, a causa delle condizioni metereologi che non erano delle migliori,
poi il scelto, non era tra i più consigliati, era inverno e le bufere di neve
erano abbastanza frequenti, principale causa dei disastri aerei che di verificavano
in quel periodo.
“Alloggeremo in un albergo del centro,
poi incontreremo la nostra guida, che ci condurrà al tempio”.
Emilie non era
convinta di quel viaggio, e non era nemmeno convinta delle cure che avrebbe
ricevuto, si stava solo pentendo di non essere lì accanto a suo figlio, di non
passare gli ultimi istanti di vita con lui.
“Va bene” Si limitò a dire mentre
scendevano dall’aereo privato della famiglia e raggiungevano il taxi che li
stava aspettando.
Arrivarono dopo dieci minuti, in un
albergo di lusso, appartenete alla famiglia Bourgeois.
L’ingresso era illuminato a giorno da un
enorme lampadario di cristallo, le luci risaltavano di più, in quanto fuori era
buio.
Le pareti erano dipinte nei colori oro,
blu e argento, dove erano stati apposti dei quadri che ricordavano la bellezza
del luogo, le statue di marmo, raffiguravano dei guerrieri appartenuti al
passato.
Nel pavimento della hall, c’erano dei
tappeti dallo stile persiano, che mettevano in risalto il pavimento in cotto.
Si diressero verso la receptionist, che
li accolse parlando la lingua del posto.
Gabriel rispose con garbo e
raffinatezza, ringraziò infine con un merci,
prese le chiavi e si diresse verso gli ascensori.
Il garzone con le valigiearrivò qualche minuto dopo, bussò alla
porta ed attese che gli venisse aperto.
*
I due coniugi, indossarono un
abbigliamento molto pesante, faceva freddo e la tormenta di neve che per
versava anche nella capitale, non aiutava per niente.
“Non saremo dovuti venire” Piagnucolò Emilie, che iniziava a sentire la fatica di quell’impresa, e
il freddo pungente non aiutava per niente.
La guida li avrebbe attesi nella hall
dell’hotel, per condurli nella struttura richiesta.
Il direttore dell’albergo, si avvicinò a
loro con fare circospetto, sussurrò qualcosa all’orecchio di Gabriel, che costrinse
lui e la moglie a seguirlo nella caffetteria, nella sala vicino.
Lì c’era un uomo dall’aspetto poco
raccomandabile, seduto da solo al tavolino, che sorseggiava del whiskey.
Indossava un cappello di lana a strisce
blu e verde scuro, da cui ai lati, uscivano dei ciuffi di capelli neri e
dritti, pelle mulatta e barba incolta, occhi neri e profondi.
Il giubbotto bianco, era il tipico
indumento montano, con una marca conosciuta impressa sulla manica sopra le
spalle, era macchiato in più punti.
“I signori Agreste” Li presentò il
direttore che si dileguò poco dopo.
Emilie e Gabriel si
guardarono con riluttanza, dopo che quell’individuo buttò giù tutto d’un fiato
quello che rimaneva del liquore.
“Buongiorno, prego, accomodatevi, non
vorrete rimanere in piedi” Indicò con la mano le due sedie vuote attorno al tavolo.
In tutta la sala c’erano solo loro tre e
il barista, intento a tirare a lucido i bicchieri appena usciti dalla
lavastoviglie fumante.
“Ci dev’essere
stato un errore” Prese la parola lo stilista “…dovremo
raggiungere una strutt…”.
“Lo so” L’interruppe quell’uomo dal fare
misterioso “…ma prima di intraprendere qualunque
altra strada, che risulterebbe lunga, tortuosa e dolorosa, dovete sapere che c’è
un’altra soluzione al problema di vostra moglie”.
Emilie spazientita, si
alzò, non aveva voglia di stare a sentirlo, e in più il suo alito alcolico, gli
stava dando il voltastomaco.
“Siediti, Emilie”
Le ordinò il marito battendo un pugno sul tavolo, facendo rimbalzare il
bicchiere di vetro.
Obbedì senza fiatare.
“Dicci di più”.
“Non so se avete mai sentito parlare dei
Miraculos”.
“Miraculous?”
Fece di rimando Gabriel.
“I Miraculous
sono dei gioielli magici, che danno poteri alle persone, trasformandoli in ciò
che più li rappresenta”.
“E tutto questo come potrebbe aiutare
mia moglie e la sua battaglia contro la malattia?”
“Vede, Gabriel, ce ne sono due in
particolare, gli orecchini della coccinella e l’anello del gatto nero…” Parlò a bassa voce e in tono mellifluo “…che se usati insieme, hanno il potere di alterare la
realtà ed esaudire qualsiasi desiderio”.
“Tutte scemenze” Disse riluttante Emilie, che non credeva una sola parola di quell’essere
dall’aspetto ambiguo.
“E dove si trovano, questi gioielli?”
Chiese lo stilista non badando alle parole della moglie.
“E’ questo il problema, sono andati
perduti”.
“Lo sapevo che c’era la fregatura, io me
ne torno in camera”.
Gabriel non fermò sua moglie, ma rimase
seduto a sentire cosa aveva da dire.
“Però, se lei è interessato, posso condurvi
nel luogo, dove sono stati visti l’ultima volta”.
“Tutto pur di salvarla”.
“Ci sarà un prezzo da pagare”.
“I soldi non mi mancano”.
“Non intendevo questo”.
*
Continua
*
Angolo autrice: Buongiorno a tutti, e grazie come sempre per
essere arrivati fino a qui, anche se è raro che lasci delle note a fine
capitolo, infatti nell’altra long, mi sono scordata, volevo farvi i miei personali
auguri di un
felice e sereno Natale, che possiate passarlo, per quanto
possibile, con le persone a voi più care.
Capitolo 9 *** Il viaggio della speranza (parte 2) ***
REALTA’ PARALLELA
*
Capitolo 9 – Il viaggio della speranza (parte 2°)
*
Tibet
*
“E così questi miraculos,
hanno il potere di esaudire qualsiasi desiderio”. Esordì Gabriel che a fatica
riusciva a seguire la guida nella tormenta.
Si erano imbarcati al porto, in una nave
rompighiaccio, per arrivare fino alle pendici del monte, dove imperversava una
tormenta.
Lo stilista si chiuse di più la giacca
ed alzò la sciarpa fino sopra il naso, indossò anche gli occhiali che gli
avevano consigliato.
“Solo l’utilizzo di due” Ululò nel
vento, mentre giravano l’angolo.
Si riposarono in un anfratto della
montagna, attendendo che il tempo migliorasse, se conosceva bene quel luogo e
il comportamento del clima, sarebbe bastato un’oretta.
La guida prese dallo zaino un po’ di
legnetti che si era portato dietro, li adagiò attorno al cerchio di sassi che
aveva formato e accese il fuoco, per scaldarsi.
Nell’attesa, aveva anche tirato fuori il
thermos con il tè caldo, ne porse bicchiere allo stilista.
Il calore emanato dalla bevanda, gli
fece appannare gli occhiali da vista.
“Sei sicuro che troveremo qualche
indizio su dove si trovano gli orecchini della coccinella e l’anello del gatto
nero?”.
“Lo spero…come
ti dicevo, il tempio è andato distrutto molto tempo fa e si è scavato a lungo
nelle macerie in cerca di qualche reliquia”. Fece mellifluo.
“Hanno auree malvagie questi kwami di cui mi parlavi in albergo?”.
Scosse il capo “Non sono ne buoni e ne
cattivi, dipende solo come deciderai di utilizzarli”
“Capisco…”
Bevve un altro sorso della bevanda calda “…il prezzo
da pagare di cui accennavi?”.
La guida si sfrego le mani nel vano
tentativo di scaldarsele, dopo averle lasciate qualche secondo accanto al fuoco
“Anche lì dipende dal desiderio espresso. Ad esempio se lo userai, come ho
capito, per aiutare tua moglie a guarire dalla malattia, può darsi che sarai tu
stesso ad ammalarti dello stesso male. Occhio per occhio, è questa la regola”.
“Non mi importa di pagare con la mia
stessa vita, mi importa che Adrien ed Emilie non soffrano più” Scosse il capo.
Era disposto a tutto pur di salvarla,
anche aperdere la sua vita se ne fosse
stato necessario.
L’aveva vista stare male troppe volte,
era arrivato il momento di finirla.
A Nathalie, rimasta a vegliare sul
figlio a Parigi, aveva ordinato di far costruire nella cripta sotterranea,
sistemata di recente, senza che ne sua moglie e ne suo figlio, ne fossero a
conoscenza, una teca, in grado di conservare qualsiasi forma di vita, non
facendoli deteriorare.
Sarebbe divenuta utile nel peggiore dei
casi, se con quel viaggio non fosse riuscito a salvarle la vita, e se Emilie fosse spirata prima di riuscire a trovare una
soluzione al suo problema.
*
La tormenta aveva terminato di soffiare,
come preventivato dalla guida, dopo circa un’ora.
Spensero il fuoco con un cumulo di neve
formatasi all’ingresso del riparo, e ripresero il cammino.
La guida si mise davanti a lui con un
enorme bastone, sondando sempre il terreno.
Di neve ne era caduta abbastanza, e
poteva benissimo mascherare crepacci in quel percorso lungo il dorso della
montagna.
Arrivarono dopo circa mezz’ora, sul
luogo, dove una volta sorgeva il tempio dei Guardiani dei Miraculous.
C’erano macerie ricoperte di neve
fresca.
“E’ questo il luogo?” Chiese lo
stilista.
“Si” Affermò la guida.
“Hai speranza di trovare qualcosa?”
“La neve sa celare bene i misteri”.
“Hai detto che questo posto era già
stato rivoltato come un calzino a suo tempo, cosa ti fa credere che troveremo
tracce di qualcosa appartenuto ai Guardiani?”.
“Chi cerca, trova” Rispose cominciando a
sondare il terreno con il bastone e a spostare i cumuli di neve.
Anche Gabriel, iniziò ad imitare i suoi
movimenti, anche se si stava chiedendo se quell’individuo non gli stesse
mentendo e se era tanto disperato di provare quell’impresa.
Spostò della neve con entrambe le mani,
e pensò di aver trovato dei mattoni, invece, si rivelò essere un libro molto
antico, fatto da una copertina di pelle marrone, usurata, ma conservata bene.
Ci scavò attorno, liberandolo da quella
trappola, e lo tirò su, scrollandogli di dosso il ghiaccio che lo teneva
imprigionato.
Iniziò a sfogliarlo, ma era scritto in
una lingua a lui incomprensibile, c’erano raffigurati dei simboli e dei
guerrieri stilizzati, in una pagina, una donna mascherata di rosso, con in mano
uno yo-yo e il simbolo della coccinella.
“Visto? Che ti avevo detto…chi
cerca trova” La guida si materializzò dietro di lui, ma non si volto quando
sentì il rumore di un grilletto e il freddo del ferro sul collo.
“Non serve arrivare a tanto” Alzò le
mani dopo aver posato il libro a terra “…te lo
restituirò appena lo avrò tradotto”.
“Non funziona così, ora mi dai il libro
e ti leverai dalle palle”.
“Non credo” Più veloce di un felino,
Gabriel estrasse la sua di pistola e colpì la guida, che sanguinante, barcollò
all’indietro, fino a che non affondò i piedi in un cumulo di neve, che si
sgretolò, portandoselo via con se.
Lo stilista rimase qualche minuto
impietrito a guardarsi le mani, non aveva mai fatto una cosa del genere, e
quell’arma, l’aveva acquistata in caso si fosse ritrovato in una situazione del
genere, ma mai avrebbe pensato che un giorno, l’avrebbe usata per fare del
male.
Occhio
per occhio.
Si ripetè nella mente.
*
Il sole, si era fatto strada tra le
nuvole, che si stavano diradando, costringendo Gabriel ad indossare degli
occhiali con le lenti scure, per non venire accecato.
Il libro perduto era stato ritrovato e
il sole annunciava l’arrivo del bel tempo, ma sapeva che in montagna il tempo
cambia repentinamente, pensò che era meglio non sfidare la buona sorte, edi incamminarsi verso l’albergo, recuperare Emilie e tornarsene a Parigi.
Volse un ultimo sguardo verso il
precipizio, dove la sua guida, era appena caduta, tra la neve, vide qualcosa
luccicare.
In un primo momento, pensò si trattasse
di un effetto ottico dovuto all’irraggiamento solare, poi si avvicinò perché
attratto da quella luce, come una falena.
Increspò un labbro, quando tirò una
spilla a forma di farfalla e una a forma di pavone.
Che si trattasse dei Miraculos
perduti?
Sfogliò il libro e in una delle ultime
pagine, erano raffigurate quelle spille, un ghigno soddisfatto si materializzò
sul suo volto.
“Ti salverò, Emilie”
Sussurrò stringendo in petto il Grimorio.
*
Parigi, ai giorni nostri
*
Nathalie entrò nella stanza accessibile
solo da un ascensore, che aveva fatto costruire apposita.
Una decina di farfalle bianche, stavano
fluttuando all’interno.
“Mi ha chiamata, signore?” Chiese
timidamente.
“Emilie è al
sicuro, vero?”
“Si, il corpo è all’interno della teca,
in attesa di essere risvegliato”.
“Bene, vedo anche che le farfalle sono
cresciute”.
“Le ho raccolto e portate personalmente
qui” Disse con voce impostata e servizievole.
“Sei un’ottima alleata, Nathalie, verrai
ricompensata a dovere per i tuoi servigi”.
“Non mi interessa il denaro, signore,
voglio solo che lei riesca nel suo intento”.
*
Era passato una settimana dall’incidente in teatro e
le condizioni di Marinette, non accennavano a migliorare. Era stabile, e questo
era un bene.
Adrien
chiedeva ogni giorno a sua madre Sabine, come stava, anche se conosceva fin
troppo bene la risposta, le avrebbe voluto dire che appena gli fosse stato
possibile, l’avrebbe riportata tra di loro, che era per colpa sua se si trovava
in quella situazione e che solo lui poteva rimediare.
Ma le sue condizioni, non gli permettevano di fare
niente, anche se la gamba era in via di guarigione, il fisioterapista, che lo
seguiva, gli aveva detto che tra una seattimana,
sarebbe stato anche in grado di correre.
Bene, avrebbe usato i poteri dell’anello per recarsi
di nascosto in ospedale e cercare di parlare con lei, per sentire come poterla
riportare alla realtà, alla loro realtà per l’esattezza.
“Papà posso andare a trovare Marinette
oggi?” Gli chiese mentre pranzavano.
Conosceva già la risposta, finchè
non sarebbe guarito, non gli era permesso andare a scuola, per fortuna ci
pensavano Nino ed Alya a passargli gli appunti delle
lezioni giornalmente, gli era permesso di vederli giusto il tempo della
consegna del quaderno, e sotto la supervisione di Nathalie, o come l’aveva
soprannominata Nino, il mastino.
“Ne abbiamo già parlato, la risposta è no”. Disse
con fare severo.
Adrien
abbassò lo sguardo avvilito “E’ una mia amica, e volevo starle vicino”.
Sussurrò.
“Ho detto di no”.
Adrien
si alzò e battè i pugni sulla tavola di legno, si
dovette trattenere perché senza stampelle, gli era difficile mantenere quella
posizione a lungo “Non puoi tenermi rinchiuso in casa per sempre, facendo
ricadere su di me la tua frustrazione. Da quando la mamma è morta, ti sei reso
conto che non sei più uscito di casa?Quanto tempo è passato? Due anni, sono due
anni papà che mi sento in prigione, che esco solo quando vuoi te, che non mi
permetti di vivere la mia vita, di comportarmi come un ragazzo di sedici anni.
Hai una donna fantastica al tuo fianco, che ti segue
in tutto per tutto, se le dicessi di buttarsi dall’ultimo piano di un palazzo
per salvarti lo farebbe.
Comincia a guardarti attorno, papà…iniziaresti
a vivere di nuovo” Gli vomitò addosso tutta la sua rabbia, la frustrazione che
si porta dietro da anni, da quando sua madre Emilie
li aveva lasciati da soli.
“Non parlarmi in quel modo, Adrien”
Alzò anche lui il tono della voce, facendo valere la sua autorità.
“Posso e lo faccio”Era giunto il momento di
affrontarlo, di dirgli tutto quello che teneva dentro, Gabriel doveva capire
che stava sbagliando qualcosa, se suo figlio si sentiva in diritto di dirgli
quelle cose.
“Da quando hai tutta questa spavalderia?”
“Da ora, sono stufo papà di dovermi sempre
comportare come un bravo ragazzo solo per compiacerti, per renderti fiero di
me. Cosa mi ha portato? A niente, a niente papà” La voce del biondo era rotta
dal pianto, gli dispiaceva dirgli quelle cose, ma si sentiva in dovere di
fargli aprire gli occhi, su una situazione, che sicuramente non ne era a
conoscenza “…sembra che tu mi odi”.
“Cerco di proteggerti”
“Non mi proteggi così. Tenendomi sotto una campana
di vetro, mi soffochi, mi stai distruggendo,lo capisci o no?”
Gabriel abbassò lo sguardo, suo figlio aveva
ragione, inutile anche controbattere.
“Perché non me le hai dette prima queste cose?”
“Non me ne hai dato la possibilità, e come faccio
poi in cinque minuti che mi dedichi alla settimana?”
Ancora una volta aveva ragione, come poteva
pretendere che Adrien gli dicesse quello che provava
se non gli dava il tempo? Tra lavoro e il fatto di impossessarsi dei miraculos di Lady Bug e Chat Noir, gli stanno facendo
perdere la cosa più importante: suo figlio.
Se solo sapesse perché lo sta trascurando, se solo
sapesse perché lo sta facendo, se solo sapesse che si comporta così solo per
ridargli la famiglia che erano prima.
Adrien andò a
rinchiudersi in camera sua, con un enorme groppo e vuoto al cuore.
Non
era solito comportarsi così con suo padre, ma non poteva più tenere dentro,
quello che sentiva, quello che provava, e soprattutto, ora che aveva scoperto
che Marinette e Lady Bug, erano la stessa persona,
non poteva permettersi di stargli lontano, anche perché lui era l’unico che
poteva riportare indietro il suo spirito.
Quanto
avrebbe voluto dire a suo padre queste cose, che lui in realtà non era solo Adrien Agreste, ma anche Chat Noir, il super eroe che salva
in continuazione Parigi, dagli attacchi di Papillon, voleva fosse fiero di lui.
Ma
dopo quella sfuriata, sentiva di averlo allontanato ancora di più da lui,
rinfacciare al proprio genitore il fatto di non prendersi cura di lui nella
maniera migliore, lo deve aver ferito e non poco.
Gabriel
si era ritirato nel suo studio e dopo un’ora passato da solo a piangersi
addosso, si diresse verso la camera del figlio, dove lo trovò mentre giocava ai
video games, uno dei tanti presenti nella sua
infinita collezione.
“Adrien” Lo chiamò aprendo la porta, senza aver bisogno di
bussare, senza bisogno di farsi annunciare dalla sua segretaria, quella era
casa sua, e aveva tutto il diritto di entrare.
Il
biondo continuò a giocare senza dargli bada, si limitò a dirgli di bussare la
prossima volta.
Lo
stilista si sedette accanto a lui, affondando sul divano di pelle bianca.
“Mi
dispiace”.
A
quelle parole, spense, non solo il gioco, ma anche la televisione, sentirgli
chiedere scusa era un evento più unico che raro, e non poteva perdersi una
simile cosa.
“Per
cosa?” Gli chiese.
Gabriel
allargò le braccia “Per tutto. So che non sono un buon padre, ma da quando è
morta tua madre, mi sento così solo che sto cercando di occupare il tempo e la
mente lavorando sodo, per non farti mancare niente, Adrien”.
“Papà,
non sei solo. Hai me, ed io ho bisogno di mio padre, non mi interessano le cose
materiali, a me interessa te”.
Lo
stilista non seppe cosa dire, era incredibile come quel ragazzo di sedici anni,
ragionasse meglio di lui, che di anni ne aveva poco più di quaranta.
“Ti
voglio bene figliolo”. Lo abbracciò amorevolmente.
“Te
ne voglio anch’io”.
*
Papillon
se ne stava nella sua cripta, una stanza posta in cima alla casa, raggiungibile
esclusivamente da un ascensore che lo stilista, dopo aver scoperto della
malattia della moglie, e i poteri celate da quelle spille trovate in Tibet,
aveva commissionato alla fidata Nathalie, se ne sarebbe servito, per trovare i miraculous più potenti in circolazione, quelli di Lady Bug
e Chat Noir.
Era
attorniato da delle farfalle bianche.
Aprì
il rosone e una piccola finestrella, da dove avrebbe fatto passare una
farfalla, pronta ad infettare il malcapitato ti turno, un cuore infranto o
arrabbiato, per lui non avrebbe fatto la differenza, l’importante era avere un
alleato che agisse per suo conto, che facesse uscire allo scoperto Lady Bug e
Chat Noir.
Chiuse
gli occhi, e con i poteri del suo miraculous, iniziò
a sondare il territorio parigino.
Sentiva
tanta tristezza, qualcuno aveva appena perso una persona a lui cara.
Adrien.
No,
non poteva approfittarsi di lui.
Continuò
imperterrito la sua ricerca, ma veniva sempre riportato lì, a casa sua, quel
sentimento di disperazione era fortissimo, un richiamo, per la sua akuma.
Scosse
il capo, forse sarebbe stato meglio riprovare un’altra volta, non poteva
rischiare di far del male al proprio figlio.
Non
aveva ancora testato il suo potere, e non era consigliabile che Adrien gli facesse da cavia.
*
Mise piede in
quell’ospedale dopo una settimana, e grazie ai suoi fisioterapisti privati, era
riuscito a liberarsi dalle stampelle.
Camminava ancora
a fatica, ma grazie ai maniglioni di sicurezza posti sul corridoio e agli
ascensori facilmente raggiungibili, fu un gioco da ragazzi, arrivare alla
camera di Marinette.
Bussò, anche se
la porta era aperta e Sabine era al suo capezzale, intenta a spazzolarle i
capelli corvini, che per praticità, erano stati lasciati liberi da quei soliti
codini.
Era bellissima,
nonostante si trovasse in un letto di ospedale.
“Adrien, entra”. Gli disse la donna. “Come stai, caro?”.
“Mi sto
riprendendo” Porse alla donna un mazzo di rose rosse.
“Sono
bellissime, Marinette adora le rose”.
Avrebbe detto il
contrario, visto che le rifiutava quasi sempre da Chat Noir.
“Pensa che in camera
ha un quadretto con delle rose essiccate”.
Adrien ne fu sorpreso “Sul serio?”.
“Saranno di
qualche ammiratore segreto” Rise. “Tom crede siano di Chat Noir”.
“Chat Noir?”
Fece di rimando.
“Penso ce l’abbia
ancora con lui, per aver spezzato il cuore di Marinette,
e pensa che tutto questo sia colpa sua. Non lo ha ancora perdonato”.
Adrien deglutì perché gli si seccò di colpo la gola, in un
certo senso c’aveva preso “Ah, si, Marinette mi aveva
accennato alla cosa, ma poi si era risolta”.
“Si lo so, ma Tom,
è fatto così” Sospirò. “Guai a chi tocca la sua bambina”.
“Di solito i
padri sono più protettivi con le figlie, tranne il mio, che chissà per quale
strano motivo, mi ha permesso di essere qui”.
“Sei il suo
unico figlio, Adrien, è normale che voglia
proteggerti. Ma sono sicura che ti vuole bene, e non farebbe mai qualcosa che
possa ferirti. Se posso darti un consiglio, parla con lui di qualsiasi
problema, deve capire che hai fiducia in lui, e questo servirà a te, perché non
possa mai dubitare di te”.
Marinette era fortunata ad avere una mamma come Sabine,
riusciva a capire le situazioni al volo, e a trovare sempre la parola giusta
per ogni cosa.
Di questo, ne
aveva avuto prova, quando, travestito da Chat Noir, aveva presenziato al
brunch, quella famosa domenica, quando aveva confessato di non provare amore
nei confronti di Marinette, e lei si era dimostrata
molto comprensiva.
“Grazie Sabine”
Le sorrise.
Un medico entrò
nella stanza, voleva parlare con la donna “Signora, possiamo parlare in
privato?”.
“Esco subito” Adrien fece per alzarsi, ma fu interrotto dallo specialista,
che intimò il ragazzo di rimanere, e che Sabine, lo avrebbe potuto raggiungere
nel suo studio.
*
Marinette stava
camminando su e giù per la cameretta, osservando le foto appese alla parete,
nella sua realtà, era abituata ad altre figure che spiccavano in quella
bacheca.
Ne
prese una, quella di lei e Luka abbracciati su una
panchina, sorridenti, con l’inseparabile chitarra.
La
ragazza si stava chiedendo se le avesse appena dedicata una canzone.
Era
strano passeggiare senza l’amichetta svolazzante sempre al suo fianco, sempre
pronta a darle consigli, sempre pronta a farle fare la cosa giusta.
Guardò
la casetta delle bambole che custodiva gelosamente sopra la solita mensola, e
trovarla vuota, le metteva un senso di disagio.
Accanto
la scatola con il suo diario segreto, l’aprì con la chiave trovata dentro la
borsetta.
Sgranò
gli occhi quando, sfogliando le pagine, le trovò piene di foto di Adrien, abbellita da cuori, stelline, glitter
e quant’altro.
Una
foto autografata niente che di meno da lui che profumava della sua essenza, le
fece scendere una lacrima “Chaton”, sussurrò a mezze labbra, poi lesse la postilla a
lato “Oggi è stata una giornata magnifica, perché finalmente sono riuscita a
farmi autografare una foto da Adrien in persona, è un
mito, lo adoro, ma meglio non dirlo ad Alya, ho paura
mi possa prendere in giro e spifferare tutto a Luka,
geloso cronico, credo che prima o poi lo lascerò”.
Sabine
bussò alla porta di camera “Marinette, hai visite”.
Poi se ne andò subito, doveva ritornare in pasticceria ed aiutare Tom, con la
decorazione della torta da consegnare.
Luka entrò “Ciao,
baby. Ti sono mancato?” L’abbracciò e baciò.
Marinette, fu più rigida
di un manico di scopa, non si aspettava un Luka che
esternava in quel modo i suoi sentimenti, però doveva ammettere che baciava
bene.
“Luka, che sorpresa!”.
“Come
che sorpresa! Sapevi che sarei ritornato oggi. Lo hai forse dimenticato?” Si
lasciò cadere sulla chaise long ed iniziò ad intonare
una melodia con la chitarra.
La
corvina prese posto accanto a lui, meglio recitare un po’ la parte della
fidanzata, finchè non ci avrebbe capito qualcosa di
più.
“Ma
no…è che sono successe molte cose in questi giorni”.
“Lo
so, è morta quella riccona…come si chiama…” Disse con disprezzo.
“Emilie Agreste” Rispose “…ti
pregherei di avere un po’ di rispetto”.
“Rispetto?
Sei stata tu a definirli così, e poi cos’è che hai detto di suo figlio?” Si
portò due dita sul mento “…ah si, viziato, cafone e
figlio di papà”.
Era
impossibile che avesse detto quelle cose, anche se non lo conosceva
personalmente, non era solita a giudicare la gente in quella maniera, la Marinette di quel mondo, doveva essere proprio strana, doveva
assolutamente trovare un modo di ritornare indietro.
“Dici
sul serio?”
“Ma
che ti prende baby, sei strana oggi…forse hai sentito
troppo la mia mancanza. Meglio rimediare” Iniziò a togliersi la giacca e la
maglietta, Marinette doveva proprio ammettere che
aveva un fisico niente male, e quel tatuaggio sul fianco, gli donava un certo
fascino.
Luka si avvicinò a
lei “Sei tesa” Gli sussurrò all’orecchio mentre lo leccava “…adesso
ti faccio sciogliere un po’” Le tolse la giacca e lei non lo fermò, doveva
recitare la parte, o almeno provarci, ma non era facile.
I
suoi baci e le sue carezze, le davano brividi di piacere, nessuno aveva mai
avuto il privilegio di farla sentire così.
Sentì
d’un tratto la mano e il braccio destro andare a fuoco, e dei brividi attraversarle
la schiena.
“Milady” Sentì una voce ovattata nella
sua testa, mentre si lasciava andare.
“Chaton” Sussurrò,
spalancando gli occhi, sperando che Luka non l’avesse
sentita.
“Si, milady, mi senti?”
“Si, Adrien” Non si
rese conto di aver detto il suo nome ad alta voce, Luka
si scostò velocemente da lei.
“Adrien? Che storia è?” Chiese furibondo.
“Nessuna
storia, Luka”.
“Luka? Che ci fai con lui?”
“E’
una lunga storia” Rispose ad Adrien.
“Allora
è nessuna storia o lunga storia?” Luka incrociò le
braccia sotto il petto, in attesa che la sua ragazza si spiegasse.
“Senti, non abbiamo molto tempo, caccialo e
ascoltami” Era geloso, anche se non sapeva cosa ci facessero insieme, e lo
si poteva capire dal suo tono di voce.
“Marinette, stai bene?” Gli chiese notando il suo sguardo confuso.
“S-si” Balbettò.
“Bene, senti, adesso provo ad unire i kawatama”
“Aspetta, Adrien”
“Guardami,
sono Luka il tuo fidanzato, ricordi? Non sono Adrien!” Luka le mise le mani
sulle spalle, costringendolo a guardarlo.
“Luka, devi andartene ok? Ti spiegherò tutto” Raccolse per
lui gli abiti in fretta e furia che si era appena tolto e lo cacciò via dalla
stanza, non dandogli modo di rivestirsi.
“Eccomi,
Adrien”.
“Finalmente, ma cos’è quella storia che sei
insieme a Luka” Disse con una punta di gelosia.
“Lascia
perdere non lo so nemmeno io”.
Nel
frattempo il chitarrista, era rimasto ad origliare dietro la porta, la sua
ragazza aveva un comportamento strano, anche quando l’aveva chiamata l’ultima
volta in effetti era strana, doveva andare a fondo a quella faccenda.
“Ascoltami, sono qui con Tikki
e il kawatama che ti ha dato, adesso provo ad unirli,
ok?”
“Non
so se funzionerà così”
“Perché no?”
“Il
maestro Fu, mi ha detto che bisogna ripristinare prima l’ordine naturale delle
cose, e poi bisognerebbe ricreare una situazione simile, a quella che mi ha
portato qui”.
“Bene, allora per prima cosa, liberati di
quel musicista da strapazzo”.
“Non
ti facevo geloso, chaton,
sai che il mio cuore appartiene a te”.
“Lo so insettina.
Ne riparleremo quando tornerai qui, ok?”
“Certo!”
“Ascolta, che altre cose sono diverse?”
“Oh!
Non indovinerai mai. Sono la migliore amica di Chloè.
E non abbiamo i nostri miraculos, qui non esistono
Lady Bug e Chat Noir”.
“Che orrore! Credi riuscirai a sistemare tutto?”
“Non
lo so…non lo so”.
“Unirò i miraculous
se è necessario, un desiderio lo posso esprimere no?”.
“Non
farlo, è pericoloso”.
“Non posso non averti qui, con me”.
Luka non pote’ più rimanere ad ascoltare Marinette
che vaneggiava.
“Che
sta succedendo?”.
“Vattene,
Luka”.
“No,
finchè non mi spieghi”.
*
continua
*
Angolo Autrice: Ciao a tutti,
sinceramente non pensavo di pubblicare oggi, ma visto che mi è venuta
l’ispirazione per completarlo e scriverlo come volevo, eccomi qua.
Ho voluto incentrarlo sulla realtà
attuale, e non su quella parallela, giusto per capire cosa sta succedendo anche
lì.
Dal prossimo, ci saranno meno interventi
di questo tipo, e si inizierà ad entrare nel vivo della storia.
Spero vi sia piaciuto, e se vorrete,
potete lasciarmi le vostre impressioni, mi fa sempre molto piacere sapere cosa
ne pensate.
Il
rumore del gong, echeggiò nella stanza, facendo aprire un occhio al Maestro Fu,
che si trovava nella posizione di meditazione: seduto su un cuscino di velluto
rosso, con gambe incrociate, braccia aperte e i pollici e gli indici di
entrambe le mani, uniti a formare la lettera O.
Fu
colpito da una strana sensazione, e vibrazione, sufficiente per fargli andare
in subbuglio lo stomaco.
Il
piccolo kwami dalle sembianze di una tartaruga,
volteggiava accanto a lui, ed avvertì lo stesso disagio.
“Maestro”
Richiamò la sua attenzione.
“Si Wayzz, l’ho percepito anch’io, qualcuno deve aver evocato Nooro”
“Questo
significa che Papillon, è qui a Parigi”. Disse rammaricato il kwami della tartaruga volteggiando davanti il volto del suo
mentore.
“Si,
a dire il vero lo sospettavo già da un po’”. Il vecchio saggio, si alzò a
fatica, raddrizzò la schiena e prese due scatoline nere, con incise sulla
superficie degli ideogrammi rossi.
“E’
il momento di consegnare questi due miraculous”.
“A
chi le darà maestro? Ha già qualcuno in mente?”
“Certo!”
Annuì con il capo “Ti ricordi la ragazza con i codini, che è venuta la scorsa
volta?”
Anche
il kwami asserì.
“Nell’altra
dimensione l’ho dato a lei, mentre l’altro lo porterò direttamente ad Adrien Agreste”.
“Ne
è sicuro maestro? Non conosce né uno e né l’altro”. Tentò di farlo ragionare la
tartaruga.
Il
vecchio saggio si accarezzò con una mano il pizzetto “Se non saranno all’altezza,
me li farò restituire”.
*
“Marinette, mi vuoi spiegare che cosa sta succedendo?” Luka
visibilmente indispettito, le chiese chiarimenti su quella situazione bizzarra,
e del perché continuava ad invocare il nome di Adrien.
La
ragazza non sapeva da dove cominciare, ma una cosa era certa, doveva essere del
tutto sincera con lui, lo meritava.
“Ecco
vedi…io non sono la Marinette che conosci. Provengo
da un’altra dimensione e non so come sia finita qui. Dalla realtà da cui
arrivo, ho avuto un’incidente, ed eccomi qui. Adrien mi sta solo aiutando a
ritornare a casa”. Spiegò il più conciso possibile, in modo di dargli la
possibilità di capire quella strana situazione.
Luka
inarcò un sopracciglio e si portò una mano sul volto “Tu pensi che creda a
questa assurda storia? Non esistono altre dimensioni, Marinette”.
“Devi
credermi Luka, io non ti mentirei mai”.
“Lo
hai appena fatto” Disse con il solito tono calmo che lo caratterizzava.
“E’
una situazione assurda anche per me. Sto vivendo in un contesto che non è il
mio, e non è facile farci i conti.”
“Senti,
Marinette.” Le mise le mani sulle spalle “…se vuoi
lasciarmi, basta che me lo dici, non serve inventare cose strane o fare giri di
parole inutili”.
“Come
posso lasciarti, se non stiamo nemmeno insieme!”
“Cosa?”
“Nella
mia realtà non siamo fidanzati, tu non sei un musicista famoso, io non voglio
diventare una pasticcera, e non sono nemmeno la migliore amica di Chloè”. Quest’ultima frase la urlò arrabbiata, le dava
sicuramente più fastidio quest’ultima cosa, che il non conoscere affatto Adrien
Agreste.
“Oh,
è tutto più chiaro” Sospirò “…sei ancora arrabbiata perché sono andato a letto
con Chloè, ma te l’ho detto, è successo una volta
sola, ed è stato uno sbaglio”.
“Eh?????”
Marinette si sentì mancare la terra sotto i piedi ed
ebbe quasi un mancamento, poi iniziò a ridere, a ridere istericamente.
“Ahahahah…cioè tu e….Chloè…ahahah…siete…stati a letto
insieme???” Si trattenne la pancia perché gli addominali iniziarono ad
intorpidirsi.
“Perché
ridi? Ti eri disperata quando ci hai scoperto” Aprì le braccia in segno di
resa.
“Oddio…sento
che sto per vomitare! Vi avrei anche trovati che facevate cose…spero non nel
mio letto”.
“No,
quello no.” Scosse il capo “…ma che ti succede Marinette,
sembra ti sia stata resettata la memoria”.
“Ovvio
che sembra così, non ho mai vissuto nessuna situazione che mi stai descrivendo”
Poi si portò due dita sul mento “…e sinceramente spero di dimenticare questa
cosa, perché quando tornerò nel mio tempo, non potrò nemmeno guardarti negli
occhi, senza scoppiare a ridere”.
“Basta,
io me ne vado” Luka era visibilmente scosso ed infastidito, prese la sua giacca
e la sua chitarra, e se ne andò.
Marinette lo seguì, gli
doveva chiedere scusa, non era stato giusto il modo in cui lo aveva trattato,
doveva convincerlo che non stava mentendo, e che stava dicendo la verità.
“Aspetta,
Luka” Lo raggiunse a pochi metri dalla pasticceria, riuscì a fermarlo
prendendolo per un braccio, mentre stava togliendo la catena alla bici.
“Che
vuoi ancora?” Chiese acido.
“Scusa
se ti ho ferito, non era mia intenzione. Ma sto dicendo la verità.”
“Quindi
significa che mi stai lasciando?”
“Io
non sono la Marinette che conosci”.
“Questo
è poco, ma sicuro” Si infilò il casco giallo in testa.
“Fammi
finire” Lo bloccò di nuovo “…la Marinette che ti sta
lasciando, non è la tuaMarinette, quella di questo mondo”.
“E’
tutto così assurdo”.
“Si,
lo è” Gli diede un tenero bacio sulla guancia.
“Spero
riuscirai a tornare da dove provieni” Le augurò prima di salire in sella alla
sua bici, ferito e amareggiato.
*
Papillon
nel suo covo, stava quasi per cedere per riprovarci l’indomani, quando avvertì
l’aura di una persona delusa e abbattuta.
“Che
cos’è questa sensazione? Rabbia, frustrazione, delusione…non è Adrien…perfetto!
Il mio primo seguace” Aprì il palmo della mano guantata di nero, richiamando
una candida farfalla, che al suo contatto, divenne nera “Vola da lui, mia
piccola akuma ed oscura il suo cuore spezzato”.
L’insetto si librò in aria, ed uscì dalla finestra, alla ricerca della vittima designata.
Lo
trovò lì, a disperarsi per una delusione d’amore.
Luka
non aveva creduto ad una sola parola di Marinette, ma
doveva ammettere che quella scusa per mollarlo, era stata una trovata geniale,
proprio degna di lei.
Era
ovvio che la sua scappatella con Chloè, non gliela
avrebbe fatta passare liscia, ora gli restava capire dove avesse potuto
incontrare Adrien Agreste, il rampollo che odia così tanto, da definirlo ricco
figlio di papà.
Alzò
per caso lo sguardo al cielo azzurro, quando vide una farfalla nera, dai
riflessi violacei, svolazzargli accanto.
D’istinto
le allungò un dito, ma questa andò a posarsi sul casco giallo che teneva in
testa, scomparendo ed infettandolo.
“Bikers,
io sono Papillon. Ti darò la possibilità di vendicarti della ragazza che ti ha
spezzato il cuore, ma prima mi dovrai portare i miraculous
di Lady Bug e Chat Noir, sono rispettivamente degli orecchini e un anello.
Posso contare su di te?” Disse in tono mellifluo.
Luka
increspò un labbro “Che dovrei fare?” Chiese curioso.
“Giusto,
giusto. Devi seminare il panico tra le vie di Parigi, e i due supereroi
compariranno, quando percepiranno la tua minaccia”.
“Ai
tuoi ordini, Papillon” Accettò, e una strana nuvola nera, lo avvolse,
trasformandolo nel mostro chiamato Bikers.
*
Marinette iniziò a parlare
da sola, in questi casi qua, avrebbe avuto la sua fidata kwamiTikki a consigliarla, ma questa volta non c’era e
doveva cavarsela da sola.
Si
rese conto, che quell’esserino le mancava tanto e che in certe situazioni, i
suoi consigli erano più che preziosi.
Si
ripromise, una volta terminata questa assurda faccenda, che l’avrebbe trattata
ancora meglio.
Gettò
un sassolino sul fiume, ed osservava le increspature che si erano formate,
quando sentì delle urla provenire dalla strada vicina.
D’istinto,
volle andare a vedere che cosa stava succedendo, e con circospezione tentò
anche di nascondersi.
Arrivata
a destinazione, vide le persone che camminavano in maniera claudicante e lenta,
con un’ espressione triste dipinta sul volto,
continuavano a ripetere sussurrando appunto, la parole triste.
“Ma
che sta succedendo…che sia…” Marinette spalancò la
bocca, conosceva quel modus operandi, ma era anche convinta che Papillon, non
appartenesse a quella realtà, stando alle parole del maestro Fu.
Doveva
assolutamente vederci chiaro ed andare da lui.
Svoltando
vicoli e stradine semi nascoste, cercando di non destare sospetti, Marinette cercò di raggiungere l’appartamento del vecchio saggio.
“Psss, psss” Si sentì chiamare
dall’oscurità, si voltò in quella direzione e ne riconobbe la sagoma, era lui,
il saggio.
“Maestro,
stavo giusto venendo da lei, credo che Papillon abbia akumizzato
qualcuno, e spero tanto non sia la persona che credo”.
“Chi?”
“Adrien
Agreste, lui era triste per la perdita di sua madre…”
“Non
è stato akumizzato, stai tranquilla” La interruppe.
“E
come lo sa?”
“Gli
ho appena consegnato il miraculous del gatto nero,
tieni, questa appartiene a te” Gli porse la scatolina, che non vedeva l’ora di
aprire.
Da
un bagliore rosso ne uscì Tikki “Ciao, io sono…”
“Tikki!!” Urlò, e per quanto riusciva, cercò di abbracciarla
“…mi sei mancata tanto”.
Il kwami inarcò un sopracciglio “Ci conosciamo?”.
“Marinette ti spiegherà tutto più tardi, ora ha bisogno del
tuo aiuto” Intervenne Fu “…una cosa, non rivelare a Chat Noir chi sei”. Successivamente
sparì nell’ombra.
“Quindi
non serve che ti spieghi niente”.
“Esatto”
Marinette si infilò velocemente gli orecchini, le
tremavano le mani dall’emozione e dalla felicità, con lei al suo fianco, nulla
sarebbe stato impossibile.
“Tikki, trasformami” La sensazione del potere che cresceva
in lei, quel travestimento che l’avvolgeva come un guanto e la consapevolezza
che tra un po’ avrebbe rivisto Chat Noir, non pensava che quelle cose le
sarebbero mancate tanto, eppure nella sua realtà, era sul punto di mollare un
sacco di volte, non credendosi all’altezza della situazione.
Prese
lo yo-yo dal suo fianco e lo lancio in aria, aggrappandosi al primo comignolo.
*
Adrien
entrò in camera sua, era appena ritornato da una lezione di scherma.
Sul
comodino accanto al letto, notò una scatolina nera, non c’era nessun biglietto
ad accompagnarla.
“Chissà
di chi sarà” La guardò con non curanza e la gettò sul letto, così, senza
nemmeno aprirla.
“Ehi,
ehi, giovanotto. Bada a come mi tratti sai?”
Si
voltò di scatto non appena udì quelle parole, impossibile che un oggetto
inanimato potesse parlare, o stava diventando pazzo, oppure quella scatola
nascondeva qualcosa.
L’aprì
e dal bagliore verde brillante, che accecò momentaneamente il giovane, che lo
costrinse a schermarsi gli occhi con un braccio, uscì una piccola creatura nera,
simile ad un gatto, con occhi verdi e grandi.
Sbadigliò.
“E
tu chi sei?”
“Chi
sei tu!” Fece di rimando il kwami.
“Sono
Adrien!” Si presentò sorridendo e non temendo quell’esserino.
“Plagg, e sarò il tuo kwami.
Grazie ai miei poteri, ti trasformerai nel super eroe chiamato Chat Noir. Ti
basterà dire Plagg, trasformami”.
“Plagg, trasformami” Disse dopo aver indossato l’anello e non
aspettando la fine della spiegazione.
Librarsi
nell’aria come un uccello, il vento che ti scompiglia i capelli, quella
sensazione di libertà, erano emozioni che Adrien, o
meglio Chat Noir, sperimentava per la prima volta.
Stava
facendo scivolare via quella sensazione di tristezza e dell’essere chiuso in
una prigione dorata, che lo opprimevano.
Anche
la vita del fidanzato dolce e gentile gli cominciava ad andare stretta, per di
più le uscite con la sua ragazza, Kagami, si
limitavano solo a quella mezz’ora al giorno di scherma e ad incontri imposti da
eventi, dove entrambi i genitori dovevano presenziare.
Sembrava
più per convenienza che per amore, almeno, questo era quello che provava lui.
Per
colpa della signora Tsurugi, che era rimasta ancora
all’età della pietra e legate alle tradizioni del suo popolo, lui sarebbe stato
costretto alla castità forzata fino al matrimonio, difficile però contenere
certi istinti, che divennero più forti, una volta conosciuta la ragazza con i
codini.
Sapeva
solo, che durante il rinfresco dopo il funerale, quando era entrata nella sua
stanza, avrebbe voluto tanto prenderla e sbatterla sul letto, e non limitarsi
ad un tenero abbraccio, forse il migliore ricevuto da una ragazza fino ad ora.
Non
capiva perché, ma ultimamente con Kagami, le sue
dimostrazioni d’affetto, sapevano di un qualcosa di sterile, freddo,
impersonale, ed era stata proprio Emilie, prima di
spirare a fargli notare queste cose.
*
Si
fermò su di un tetto, quando i suoi sensi di gatto, avevano iniziato a farsi
sentire.
Un
fruscio d’aria, proveniva da destra, come anche strane grida.
Vide
una tromba d’aria abbattersi sulla città, una strana tromba d’aria.
Era
azzurra.
Di
solito i tornado assumono il colori delle nuvole, o meglio questo era quello
che ricordava dai documentari o dai film catastrofici che aveva guardato.
Una
persona al suo interno urlava, prima di venire catapultata in aria per
kilometri.
Corse
più veloce che poteva per provare a salvare il malcapitato, e rimase stupito
nel vedere che sul posto, c’era già una ragazza vestita con una tuta rossa a
pois neri, che grazie al suo fidato yo-yo, riuscì ad agganciarlo in vita e
tirarlo a se.
“Grazie”
Disse cercando di non vomitarle sulle scarpe, tutto quel vorticare in aria, gli
aveva fatto venire un gran cerchio alla testa.
“Vai,
corri più veloce che puoi e nasconditi”.
Annuì
e sparì dalla sua vista.
Lady
Bug, aveva avvertito dietro di se uno spostamento d’aria, e il suo cuore mancò
un battito e la gola si seccò di colpo.
Da
quando non lo vedeva?
Da
troppo tempo ormai, era intrappolata in quella realtà da molto, non ricordava
di preciso quanti giorni fossero passati, le sembravano un’eternità.
Si
voltò piano cercando di non piangere, sapeva che non era lui, cioè il Chat Noir
del suo tempo, ma era pur sempre il suo chaton.
Chat
Noir, del canto suo, gli sembrò di aver avuto la visione di una dea o di una
sirena, che con la sua angelica voce, lo attirava a se.
Quegli
occhi azzurri…dove li aveva già visti?
Lady
Bug, invece, si rese per la prima volta, di quanto in tutti quei mesi fosse
stata così stupida, da non notare la somiglianza tra lui e Adrien.
Era
palese la cosa.
“Salve,
madamoseille”
Si inchinò per farle un baciamano degno di un signore e lei per la prima volta
sentì il cuore andare al massimo e il sangue defluire dal cervello, facendole
perdere ogni inibizione.
Quante
volte lo aveva rifiutato, troppe.
Si
sarebbe presa a schiaffi da sola, ma poi avrebbe dovuto spiegargli il perché,
ma non era ne il tempo e ne il luogo adatto, avevano una missione da compiere.
“Lady
Bug, il mio nome è Lady Bug”.
“E
quello vero?” Chiese sornione.
“Il
tuo kwami non ti ha spiegato niente?”
Chat
Noir fece spallucce “Doveva?” Poi fece una breve pausa “…ma
forse non gli ho dato il tempo”. Disse grattandosi una guancia con un’unghia
appuntita.
Era
proprio lui: intraprendente, istintivo, dinamico, naturale, e perché no,
affascinante, semplicemente Chat Noir, o per meglio dire, la personalità
repressa di Adrien.
Lei
sorrise divertita, forse per la prima volta ad una sua battuta.
“Abbiamo
del lavoro da fare qui, non possiamo perderci in inutili chiacchiere”.
“Facciamo, forse intendevi” Sottolineò la
prima parola, erano una squadra e come tale, il piano da attuare, doveva essere
di entrambi, e non di una persona sola.
“Beh!
E’ chiaro che tu sei più esperta di me”.
Si
era vero, ma questo non glielo poteva dire.
“Se
tu avessi aspettato le istruzioni del tuo kwami, ora
non dovresti chiedere cosa dobbiamo fare”.
Non
era cambiato niente, i soliti battibecchi non si fecero attendere molto.
“Uffa…quante storie” Chat Noir roteò gli occhi.
“Comunque,
seguimi, andiamo a stanare questo akumizzato”.
“Akumi-che?” Chiese prima di allungare il bastone e
raggiungerla sul tetto senza attendere la spiegazione.
*
Arrivarono
ai piedi della Tour Eiffel, e dell’akumizzato non vi
era traccia, ma nemmeno della gente di Parigi se era per questo.
Era
ora di punta, e le strada dovevano pullulare di gente, macchine, motorini e
biciclette, invece niente, il vuoto più totale.
Un
silenzio quasi spettarle aleggiava in quella città.
Lady
Bug si guardò attorno, in cerca di qualche segno utile a stanare il seguace di
Papillon.
Chat
Noir, mosse le sue orecchie di gatto e grazie al suo udito super sviluppato,
riuscì a salvare la sua compagna con un balzo, prima che un vortice, la portasse
via.
“Grazie,
Chat Noir”.
“Dovere,
milady”
“Non
sarà facile fermarlo, è troppo veloce”.
“Non
può cercare di legarlo con quel tuo yo-yo? Come hai fatto prima con la persona
dentro il vortice?” Indicò l’oggetto posto al suo fianco.
“Bisogna
cercare di farlo cadere dalla bici, è quella la sua arma, e dobbiamo
neutralizzarla, così da poter capire dove si trova la sua akuma”.
“Ancora
questa akuma! Ma che cos’è?” Chiese curioso.
“In
pratica è sotto l’influenza di Papillon, e lo controlla grazie ad una farfalla
infettata, l’akuma, appunto. Lo scopo di Papillon è
quello di impossessarsi dei nostri miraculous.”
“E
che ci vuole fare?”
“Non
lo so” Fece spallucce “…non lo abbiamo ancora
scoperto”.
“Come?
Abbiamo avuto i miraculous solo oggi”.
Si
era appena tradita, e doveva trovare una soluzione alla svelta, sapeva che il
suo compagno, ovvero Adrien, non era stupido e le
cose le avrebbe capite subito, tranne che lei e Marinette
fossero la stessa persona, ma questa è un’altra storia.
“In
realtà…io provengo dal futuro”.
“Wow”
Sembrava averci creduto. “Questo spiega perché sai tante cose”.
“Da
un futuro dove io e te siamo una squadra fantastica” Aggiunse.
“Tipo
io e te contro il mondo?”
Lady
Bug annuì e per poco non le scese una lacrima “Esattamente”.
Il
momento magico tra i due, venne interrotto da Biker, che attraversò a gran
velocità la strada, causando il tornado, e facendo alzare in volo Lady Bug, che
prontamente venne bloccata per le mani da Chat Noir, che intanto, aveva legato
la cintura che portava in vita, ad un palo.
“Bravo,
Biker, aumenta l’intensità, presto Lady Bug e Chat Noir entreranno nel vortice
e i loro miraculous verranno risucchiati”. Papillon
entrò nella mente del suo discepolo e lo incitò a continuare la sua opera per
raggiungere il suo losco scopo.
“Agli
ordini, Papillon” Biker fece una smorfia sadica e pedalò più velocemente.
Chat
Noir non avrebbe resistito molto in quella posizione e la cintura di stava
slegando.
“Fatti
venire un’idea milady, altrimenti
verremo catapultati nello spazio”.
In
effetti, dovevano ancora invocare i loro poteri speciali.
“Non
lasciarmi, andare, devo invocare il mio potere speciale, e per farlo, mi
servirà il mio yo-yo”.
“Ah,
ok! Per caso sai qual è il mio?” Chiese in evidente imbarazzo.
“Il
cataclisma, puoi distruggere le cose, ma non invocarlo adesso, altrimenti mi
ucciderai”.
*
“Lucky Charm!”
Lady
Bug prese al volo l’oggetto chiamato “Un bastone? E che dovrei farci?”.
“Forse
mettergli il bastone tra le ruote?” Rise alla sua stessa battuta.
La
coccinella si guardò attorno e quella le sembrava l’unica soluzione sensata.
“Ti
dirò io quando evocare il tuo potere”.
Non
appena Biker si avvicinò, Lady Bug puntò alla ruota davanti, e lanciò il
bastone, interrompendo la sua irrefrenabile corsa.
Biker
venne catapultato sulla strada e Chat Noir, potè invocare
il cataclisma e usare il suo potere sul casco, liberando la farfalla nera, che
osservò svolazzare in alto.
“Niente
più malefatte piccola akuma. Lady Bug sconfigge il
male” Aprì lo yo-yo e lo lanciò verso l’insetto infetto, catturandolo “Presa!”
ed infine liberandola purificata “Ciao, ciao farfallina”.
E
per portare tutto alla normalità, lanciò in aria il bastone “Miraculos Lady Bug”.
“Wow,
è stato fantastico, tu sei stata fantastica” Chat Noir le si avvicinò con gli
occhi che gli brillavano, mentre l’anello iniziò a lampeggiare “E’ meglio che
vai gattino, o altrimenti scoprirò la tua vera identità” Glielo disse come se
già non lo sapesse.
“E’
stato un piacere, Lady Bug” La sua voce echeggiò alta nel cielo e Marinette sorrise, pensando che fosse la più bella del
mondo.
*
Luka si tenne la
testa, non ricordava quello che era appena successo e del perché si trovava
seduto per terra, con quella strana ragazza mascherata davanti a se.
“Sei
stato akumizzato” Le disse.
“Akumizzato?” Fece di rimando mentre lo aiutava ad alzarsi.
“Vuol
dire che Papillon ha usato la tua rabbia o la tristezza, per raggiungere il suo
scopo, sei stato un facile bersaglio”.
Luka scosse la testa
“Non ho capito una parola di quello che hai detto”.
“In
poche parole, non essere triste o arrabbiato, e vedrai che non ti capiterà più
niente”
“In
effetti, lo ero, la mia ragazza mi aveva appena mollato…”
Spiegò portandosi due dita sul mento.
“Avrà
avuto le sue ragioni” Disse acida.
“Si…ma era strana, boh!” Fece spallucce.
“Forse
non eravate destinati a stare insieme”.
“Mmm…forse” Ripeté a mezze labbra.
Lady
Bug stava per parlare, quando d’improvviso gli orecchini iniziarono a suonare e
i pois neri a lampeggiare, scappò via salutandolo.
Adrien si lasciò
cadere con la schiena sul materasso e si portò le mani sugli occhi.
Mormorava
qualcosa al suo kwami, che sembrava non stesse
ascoltando una parola di quello che stava dicendo, compariva e scompariva da un
cassetto all’altro, a volte tirando fuori biancheria intima o vestiti, che
lasciava puntualmente penzolare o addirittura sul pavimento.
“Senti
ragazzo, io ho fame, non hai mica qualcosa da mangiare?”
Il
biondo guardò l’orologio, erano le quattro e trenta del pomeriggio.
“Non
è ora di cena” Rispose spicciolo.
“Si,
ma quando uso il mio potere speciale, mi devo ricaricare, e l’unico modo per
farlo è mangiare qualcosa” Spiegò cadendo leggero come una piuma davanti la sua
fronte.
“Va
bene, guardo se c’è del pane. Ti piace non è vero?”.
“Preferisco
il formaggio, grazie”.
“Mmm…dovrei avere del camembert in frigo, vado e torno”.
Quando
Adrien gli mise sotto il naso un pezzetto di quel
formaggio puzzolente, Plagg s’innamorò, non aveva mai
mangiato qualcosa di così delizioso in tutta la sua millenaria vita.
“Ma
è…è…paradisiaco”.
Adrien storse il naso
“Se lo dici te” Per lui, quella era la cosa più nauseabonda che conoscesse,
gliela aveva data solo per fargli un dispetto.
“Senti,
chi è questa ragazza?” Gli chiese indicando una foto di Kagami
sopra la mensola.
“La
mia fidanzata”. Sospirò con un tono non proprio allegro o con l’entusiasmo con
cui si presenta una ragazza di cui si è follemente innamorati.
“Ahia!
Non sembri molto contento”.
“Lo
ero, solo che…un paio di settimane fa ho conosciuto
Marinette e oggi Lady Bug. Sono confuso”.
“Beh!
Non conosco questa Marinette…ma devo dire che Lady
Bug è sempre stata un gran bel pezzo di ragazza…poiTikki…lei è così così”
“Qualcuno
qui si è innamorato?”.
“Chi
di zuccherino? Ma fammi il piacere”
“Chi
è zuccherino?” Chiese curioso.
“Nessuno…senti tu piuttosto, è carina questa ragazza, quando
me la fari conoscere?” Parlando di Kagami.
Adrien sbuffò “No, non
credo nell’immediato, Lady Bug, ha detto che non dobbiamo rivelare a nessuno le
nostre identità”.
“Ah
si già, è vero…per prudenza”.
“E
poi…sto avendo un ripensamento” Ci fu un attimo di
silenzio, dove Plagg lo guardò interrogativo “…no riguardo a te, sia chiaro, ma riguardo a io e Kagami”.
“Da
quanto tempo state assieme”.
“Da
due anni…ma vedi Plagg…mi
sembra più la mia migliore amica che la mia ragazza. Si insomma…”
Il biondo divenne rosso come un peperone, gli sarebbe piaciuto che il loro
rapporto non si limitasse solo a passeggiate, bacetti innocenti o lezioni di
scherma, ma che ci fosse dell’altro, è difficile controllare certi istinti.
“Allora
non è amore” Disse spicciolo.
“E
tu che ne sai?”
“Credo
di essere abbastanza vecchio e di aver conosciuto diversi tipi di amore, da
poter riconoscere quello vero. E tu moccioso, non mi sembri affatto attratto da
lei”.
“Quanti
anni hai?”
“Più
di mille, milioni, anzi miliardi…ho conosciuto i
dinosauri sai?”
“Quanto
sei spiritoso”.
“No,
è vero! Credo di essere stato io la principale causa della loro estinzione”.
“Allora
visto che sei così saggio e potente…che dovrei fare
con Kagami?”.
Qualcuno
bussò alla porta della sua camera, e in quel momento potevano essere solo due
persone: Nathalie o Kagami.
“Avanti!”
“Ciao,
Adrien” Lo abbracciò la fidanzata.
Ed
intanto Plagg, da buon scrutatore qual era, osservava
la scena, o meglio il comportamento dei due.
Il
suo protetto aveva chiesto un consiglio e lui, doveva in qualche modo aiutarlo.
“Ciao,
Kagami”.
“Ti
aspettavo a scherma oggi” Gli disse mentre si accomodava sul divano bianco di
pelle.
Il
biondo si grattò la testa “Ehi, si. Ho avuto da fare”. Non poteva di certo dire
che era impegnato a salvare Parigi.
“Cosa?”
Chiese non facendo trasparire nessuna emozione come al solito, si stava
chiedendo che cosa ci avesse trovato in quella ragazza.
“Dovevo
aiutare papà con delle scartoffie, mamma aveva lasciato delle cose in sospeso…”
“Ho
capito, tranquillo”. Abbozzò un sorriso prendendo a sfogliare la prima rivista
di moda che le capitò a tiro, non che fosse un’esperta del campo, anche se il suo
ragazzo era un modello famoso e il suocero uno dei volti più noti del fashion
style.
*
Marinette si lasciò
cadere sul materasso, e iniziò a conversare con Tikki
come era solita a fare.
“Sei
stata bravissima oggi, sembravi già esperta in materia” Si complimentò il kwami della creazione mentre addentava un pezzo di biscotto
per ricaricare le batterie.
“Si,
lo so. Io non sono di questa dimensione. Vengo da un altro mondo”.
“Che
vuoi dire? Spiegati meglio” La invitò Tikki ad andare
avanti con la sua storia.
“Vedi,
Tikki…io provengo da una realtà parallela a questa, e
sinceramente non so bene come ci sono finita qua, ma so cosa devo fare per
ritornarmene al mio mondo.”
“Il
kawatama?” Domandò conoscendo già la risposta.
“E’
stata l’unione accidentale tra il mio e quello di Chat Noir. Si è aperto un
portale e sono finita solo io qua”.
“Che
brutta storia, e immagino che per tornare indietro dovrai ricreare la stessa
situazione”.
Marinette annuì con il
capo ed aggiunse che doveva anche sistemare le cose in questa realtà, mettere
tutto al suo posto, com’era nel suo mondo.
Ma
non sarebbe stato semplice, una si però, ed era quella di farsi odiare da Chloè, le sarebbe bastata una sfuriata, magari riprendendo
la storia che lei e Luka avevano avuto una tresca,
quando stava ancora con lei.
La
più difficile però sarebbe stato quello di far lasciare Adrien
con Kagami, non poteva andare da lui e dirgli che lo
doveva fare.
Da
quanto aveva appreso, lui l’amava, infatti stavano insieme da molto tempo,
anche se non sapeva se l’entrata in scena di Lady Bug avesse in qualche modo
cambiato le cose, del resto Adrien o Chat Noir, nel
suo mondo, era perdutamente innamorata di lei.
O
almeno queste erano le ultime notizie, magari con la scoperta di chi
effettivamente si nascondeva sotto la maschera rossa a pois neri, Adrien era stato talmente deluso, da non provare più niente
per la super eroina.
Sbattè la testa contro
il muro di proposito.
Come
poteva essere stata così cieca per tutto questo tempo, e non accorgersi che
sotto la maschera di Chat Noir si nascondesse Adrien?
Forse perché quando indossava le vesti nere, lui cambiava totalmente, del resto
come lei.
Si
era anche meravigliata che durante la battaglia non pensasse minimamente che
stesse combattendo assieme ad Adrien, il ragazzo di
cui era follemente innamorata.
“E
poi come farai a ricreare la stessa situazione e unire i due kawatama nel momento esatto? Non hai contatti con l’altro
mondo”.
“Si
invece, ho scoperto che se Adrien mi tocca, riusciamo
a parlare”.
“Adrien?” Fece di rimando la kwami
rossa.
“Adrien è in realtà Chat Noir” Confessò.
“Ma
avete scoperto le vostre identità, è pericoloso, solo il guardiano può sapere
chi siete”. Tikki sbiancò.
“Allora
non c’è pericolo” Le sorrise “…nel mio mondo, sono io
la guardiana”.
“Ma
allora Fu?”.
“Il
grande maestro ha conferito a me l’incarico, si è ritirato”. Spiegò spicciola,
ora non aveva tempo per spiegarle cose frivole, ma doveva trovare il modo per
tornare nel mondo che le apparteneva “E poi, quando me ne sarò andata, la Marinette che prenderà il mio posto, non saprà nulla di
questa storia, e Adrien non verrà mai a sapere chi si
nasconde sotto la maschera di Lady Bug” Ammiccò.
“Ne
sei sicura?”
“Si,
quando mi sono svegliata i ricordi erano i miei, e non della Marinette di questo tempo”.
“Allora
hai ragione, non c’è pericolo, tu stai solo attenta a non rivelarti ad Adrien”.
*
“Che
hai?” Gli chiese la nipponica accarezzando il volto del suo ragazzo, che da
quando ha fatto capolino in camera sua, era piuttosto taciturno e turbato.
Adrien sbuffò,
rendendosi conto che in quel momento non era la compagnia di Kagami quello di cui aveva bisogno in quel momento.
“Niente,
è solo che…”
“Ti
manca, non è così?” Gli finì la frase credendo stesse parlando della prematura
scomparsa di Emilie.
“S-si” Balbettò, ed in effetti era vero, nel suo cuore in
quel momento c’era una voragine, che lei in quel momento non era in grado di
riempire, non è stato come quell’abbraccio avuto con Marinette
qualche giorno fa, quello gli aveva fatto dimenticare il perché si era
rintanato in camera sua senza prendersi la briga di avvisare qualcuno.
Oppure
come ieri, quando ha dovuto affrontare quell’akumizzato
con Lady Bug, lei ha saputo fargli dimenticare persino il suo nome vero, e gli
sembrava di essere stato catapultato in un’altra dimensione, dove il male non
esisteva, ma esistevano solo loro due.
“Ma
non è questo, Kagami” Il suo tono si fece più cupo e
serio e la ragazza mora capì.
“E
allora cosa?” Chiese spazientita, odiava quel suo lato del carattere, a volte
per fargli dire qualcosa, bisognava cavargli le parole di bocca.
“Forse
è meglio se ci prendiamo una pausa” Disse d’un fiato non degnandola nemmeno di
uno sguardo, si vergognava come fosse un ladro, ma non poteva dirgli che era
per via di un’altra ragazza che nemmeno conosceva, che era per colpa sua se il
suo amore per lei era stato messo in discussione, o meglio, gli aveva fatto
capire che Kagami forse non era la ragazza giusta per
lui.
Si,
andavano d’amore d’accordo, stessi gusti, stessi pensieri, ma questo rendeva
tutto molto monotono, non erano due persone che si completavano a vicenda.
Adrien non ricordava
nemmeno l’ultima volta che avevano litigato, e ora che ci pensava meglio, forse
non era mai accaduto.
“Ho
fatto qualcosa che non va?” Kagami chiese delle
spiegazioni, le esigeva, e non se ne sarebbe andata da li finchè
non le avrebbe ottenute.
“Sei
una ragazza fantastica Kagami, tu non hai fatto
niente che non va, sono io che al momento sono confuso”. Farfugliò gesticolando
con le mani.
“C’è
un’altra?”
“N-no, che dici!”
“Guarda
che ti ho visto come vi guardavate te e quella cameriera”.
“Marinette? No, no ma che hai capito. Non c’è nessun altra,
è solo che, è un periodo…strano…ho voglia di stare
solo, Kagami, per essere poi il fidanzato che vuoi”.
Nemmeno lui credeva a quelle parole, figuriamoci se la nipponica avrebbe
accettato una cosa del genere.
“La
tua indecisione mi ferisce, Adrien.” Si alzò dal
divanetto seccata e amareggiata “…quando ti sentirai
pronto, vienimi a cercare, ma non è detto che mi troverai”. Schietta, sincera e
diretta.
Se
ne andò dalla sua stanza, e la voglia di sbattere la porta era molto grande, ma
sua madre le aveva sempre detto che farlo, sarebbe stato segno di
maleducazione, e lei non lo era.
Si
limitò a percorrere il corridoio con la vista annebbiata dalle lacrime.
La
brezza primaverile investì il suo viso facendole socchiuderle gli occhi per
bearsi di quella pace, anche i suoi capelli legati nella solita coda, venivano
mossi a ritmo.
Nonostante
fosse il mese di maggio, il sole splendeva alto in cielo, così Chloè ne approfittò per una prima tintarella, ovviamente
usando la protezione cinquanta, non poteva rischiare di ustionare quella pelle
nivea.
Si
accomodò in costume da bagno giallo a righe nere, nel lettino a bordo piscina,
dove era già stato precedentemente sistemato un asciugamano bianco dal suo
valletto, aspettando le sue ospiti.
“Jean
Tod, avvisami quando arrivano le mie amiche”
Incredibile come in tutti quegli anni di servizio, la viziata figlia del
sindaco non aveva ancora imparato il suo nome, e si meravigliava nonostante il
suo carattere da signorina so tutto io,
avesse delle amiche che le volevano bene.
Forse
doveva avere qualche qualità che lui ignorava.
“Certo,
madamoseille”
Si congedò con un inchino, e con la solita riverenza che era solito a
riservarle, ma dentro invece urlava e avrebbe tanto voluto mandarla a quel
paese.
Abbassò
le spalline in modo da non doversi ritrovare con delle antiestetiche righe
bianche sulle spalle, se mai la melanina si fosse attivata sotto tutta quella
coltre di crema.
Anche
Alya era stata invitata a quello che aveva intitolato
come tintarella party, e presto
sarebbe arrivata anche Marinette, erano loro le
amiche di cui attendeva la visita.
La
corvina si era sfregata le mani, quella sarebbe stata l’occasione perfetta per
rivangare vecchi discorsi, che a quanto pare il suo alter ego, le aveva fatto
passare liscio.
Amica
di ChloèBourgeois? Anzi
migliore amica? Ne in questo e ne nell’altro mondo, non poteva esistere
amicizia tra quelle due, anzi secondo Marinette non
poteva essere amica di nessuno quella ragazza se continuava a tenere quel
carattere da snob saccente.
Per
ripristinare l’ordine naturale delle cose ed avere una chance per tornare nel
suo mondo, avrebbe dovuto mettere fine a quell’amicizia?
Ben
venga e aveva sicuramente un motivo per farlo.
Bussò
alla porta della sua camera, attendendo che il cameriere le venisse ad aprire.
“Bonjour, madamoseilleDupain-Cheng. La signorina Bourgeois
l’attende in piscina”. Le fece un inchino e segno con il braccio di entrare.
“Grazie
mille Jean”. Per fortuna qualcuno ricordava ancora come si chiamava.
Marinette raggiunse la
bionda a bordo piscina.
“Ciao
Chloè” La salutò accomodandosi si un lettino.
L’amica
aprì un occhio per accertarsi di aver captato la voce esatta “Marinette, ciao, benvenuta”.
“Ciao,
Chloè” Le si parò davanti facendo schermo con il suo
corpo e togliendole tutto il sole.
“Marinette, tesoro, ti puoi spostare? Altrimenti non
riuscirò ad abbronzarmi”.
“E
allora? Tanto sei sempre dello stesso colore.” Fece acida.
La
bionda aprì gli occhi, e la guardò stranita, non era da lei rivolgersi in
quella maniera, di solito era molto pacata e servizievole.
“Sei
sicura di stare bene?”
“Mai
stata meglio, Chloè…”
“Ho
saputo che ti sei lasciata con Luka, se vuoi
parlarmene, lo sai che ti ascolto.” Cercò di capire che cose le stesse
succedendo, e magari era proprio a causa della rottura con il chitarrista a
farla agire in quella maniera.
“Vedo
che lo hai saputo…cos’è? Si è infilato già nel tuo
letto?” Le alitò nel volto.
“Non
ci hai ancora perdonato…”
“No,
direi di no” Lo disse, ma in lei non albergava nessun ricordo di quel
tradimento, stava solo immaginando a come potesse sentirsi se una delle sue
migliori amiche e il suo ragazzo fossero andati a letto insieme alle sue
spalle.
Era
furiosa.
E
avrebbe riversato quella rabbia su quel bel faccino perfetto che si ritrovava.
“Senti,
Marinette, ti ho già detto che mi dispiace. Eravamo
ubriachi e lui pensava che fossi te” Cercò di giustificarsi.
“E
tu non lo hai rifiutato”.
La
bionda aveva scosso la testa “Non mi ricordo molto di quella serata.” Poi
abbassò lo sguardo, si vedeva che le dispiaceva, ma sapeva anche che ChloèBourgeois avrebbe fatto di
tutto per tirare l’acqua al suo mulino.
Le
piaceva Luka, le era sempre piaciuto, e quella
maledetta volta, aveva solo colto l’occasione per entrare nel suo letto.
Nonlo avrebbe saputo nessuno, se non fosse stato
per Marinette che era entrata in casa sua per una colazione romantica.
“Io…”
“Chloè, non meriti la mia amicizia, anzi, non meriti quella
di nessuno. Sei una persona viscida e meschina, tra le più cattive che abbia
mai incontrato. Da oggi in poi non saremo più amiche.” Le aveva vomitato
addosso tutta la frustrazione di anni e anni, come se davanti a se aveva la Chloè della sua realtà.
Aveva
girato i tacchi e se ne era andata, lasciando Alya
interdetta che era riuscita ad ascoltare tutto quanto.
“Marinette…” Aveva provato a fermarla.
“Lasciami
sola, Alya”.
*
Papillon
era alla ricerca della sua vittima perfetta.
Akumizzando la signorina Bourgeois, avrebbe fatto venire allo scoperto Lady Bug e
Chat Noir, per loro il richiamo della giustizia sarebbe stato forte e
impossibile da ignorare.
“Vola
da lei mia piccola akuma, ed oscura il suo cuore” Il
malvagio Papillon aveva liberato una sua farfalla avvelenata, per insinuarsi
dentro gli occhiali sa sole di Chloè.
“Ciao,
Chloè, o dovrei dire Ereser,
io sono Papillon. Ti dono il potere di cancellare nei cuori delle persone
l’amore, e di poterti vendicare di chi ti ha spezzato il cuore, in cambio
dovrai portarmi i miraculous di Lady Bug e Chat
Noir”.
Alya era sconvolta,
vedeva la sua amica in uno stato di tranche, con un ghigno sadico dipinto sul
volto, cercava di smuoverla e di scuoterla leggermente per le spalle, sperando
riprendesse conoscenza.
“Al
tuo servizio, Papillon” Poi venne avvolta da una nuvola viola e nera e
trasformata nel super cattivo chiamato Eraser.
I
suoi capelli divennero bianchi e della consistenza della gomma da cancellare,
bastava allungarli e toccare le persone per eliminare in loro l’amore che
provavano per qualcuno.
E
a fermare quell’ammasso informe in testa, i suoi fedeli occhiali da sole che
nascondevano la malvagia akuma.
Il
suo costume da bagno, si era trasformato in un paio di jeans neri e maglietta a
righe bianche e nere.
Saltò
dall’ultimo piano, atterrando all’ingresso dell’Hotel Le GrandParis intatta.
“Chloèèè!” Urlò Alya tentando di
prenderla, ma senza riuscirci, poi prese di corsa il telefono e chiamò Marinette, perché, mentre si lanciava nel vuoto, aveva
gridato il suo nome, ed era nella direzione di casa sua che stava per andare.
“Che
c’è Alya?” Chiese scocciata, sicuramente l’aveva
chiamata per cercare di farla ragionare.
“Chloè…è posseduta, si è trasformata in qualcosa, è caduta
dal palazzo…sta venendo da te” Biascicò una serie di
frasi sconnesse e alle orecchie di meno esperti, sarebbero risultati senza
alcun senso logico, ma non per lei, non per lei che combatteva Papillon da
tempo immemore.
“Va
a casa Alya, io saprò cavarmela” E senza darle tempo
di replicare, riattaccò il telefono, era quasi arrivata alla pasticceria, e si
fiondò in un vicolo vicino e buio.
“Tikki, trasformami”.
*
In
un batter d’occhio, era diventata Lady Bug, e tra un guizzo e l’altro sopra i
tetti di Parigi, era quasi arrivata a raggiungere Chloè.
Seguì
la serie di persone immobili e trasparenti che si ergevano come statue di
ghiaccio sui marciapiedi delle vie principali.
Si
avvicinò ad una per vedere meglio chi fosse, le sembrava di conoscerla.
“Sai
chi è?” Chiese una voce sensuale alle sue spalle.
“C-chat Noir! Tu uno di questi giorni mi farai fare un
infarto”.
“Oh
no Milady, non potrei mai rovinarti quel bel cuoricino che ti ritrovi. Posso
solo fartelo battere più velocemente se me lo permetterai” Tentò un bacia mano
a vuoto.
“Esatto,
e l’infarto è uno dei motivi” Incrociò le braccia, cercando di fare l’offesa,
anche se in realtà quel gattone le stava facendo si battere forte il cuore, ma
per altri motivi.
Cercò
si scacciare via l’immagine di Adrien e di pensare di
avere solo Chat Noir davanti, di non conoscere la sua identità, ma non era di
certo semplice.
“Vedrai
che un giorno cambierai idea”.
Eccome
se aveva ragione, ma non poteva dirgli che sapeva benissimo chi si nascondeva
dietro la sua maschera, o chi era lei in realtà, non si conoscevano nemmeno
molto bene, si erano ritrovati a parlare una volta sola e l’altra era rimasta
solo abbracciata a lui, non dicendo niente, solo il suo gesto aveva parlato per
lei.
“Mmm lo vedremo” Le piaceva giocare in quel modo con lui, e
ora che sapeva con chi in realtà aveva a che fare, la cosa era ancora più
intrigante e le sue battutine, stavano prendendo una piega diversa, proprio
come si stava facendo in strada in lei, il timore che si facesse male
seriamente.
Non
che prima non provasse questo sentimento nei suoi confronti, ma sapere che c’era
Adrien dietro la maschera di Chat Noir, era tutto
così strano, le sembrava persino inverosimile.
“Attenta!”
Il gattone riuscì con un balzo a proteggere la sua partner roteando il bastone
e respingendo un suo attacco, evitando che l’amore dentro il suo cuore, venisse
cancellato ed evitando che si trasformasse in una statua trasparente.
“G-grazie, Chat Noir” Balbettò sentendosi immediatamente una
stupida per essersi fatta sorprendere così.
“Di
niente. Avresti fatto lo stesso per me” Ammiccò aiutandola ad alzarsi, per poi
correre a nascondersi dietro una macchina rossa parcheggiata.
“Non
dubitarne mai” Gli sorrise, e quel gesto lo fece avvampare e battere il cuore
ancora più velocemente.
“Ecco
una persona innamorata!” Urlò Eraser captando l’amore
di Chat Noir, che l’attirava come una falena dritta verso una fiamma.
Lady
Bug inveì contro di lui, alterata perché si erano fatti scoprire, e senza prima
mettere in atto un piano “Puoi tenere a bada i tuoi sentimenti per cinque
minuti?”.
Balzarono
in un altro nascondiglio, un vicolo stretto, e andarono a nascondersi dietro
dei cassonetti.
“Colpa
tua, milady”.
Non
aveva il coraggio di replicare Lady Bug, lui lo guardava con quegli occhi colmi
d’affetto.
“Non
è il momento di litigare” Disse riacquistando un attimo di lucidità e calma. “Piuttosto,
come la sconfiggiamo?”.
Chat
Noir si mise a pensare, non era molto esperto in queste cose. “Forse usando un po’
di fortuna?”
“Giusto.
Lucky Charm” Tirò in aria uno yo-yo e ne uscì fuori
una penna e un foglio di carta. “Mi prende in giro? E che dovrei farci, la
lista della spesa?”.
“Io
la userei per scriverti una lettera d’amore, milady”.
Lady
Bug ebbe un lampo di genio “Bene, allora inizia a scrivere” Gli passò gli
oggetti.
“Scherzavo!”
“Ereser cancella i sentimenti d’amore, quindi lei dovrebbe
esserne priva, se le scriviamo qualcosa che poi leggerà, il suo cuore dovrebbe
riempirsi d’amore e indebolirla. Credo che la sua akuma
si trovi negli occhiali da sole”.
“Ottima
intuizione, come sempre” Chat Noir prese il foglio e la penna ed iniziò a
scrivere, Lady Bug cercò di sbirciare, ma lui balzò poco distante, celando
quelle parole.
Appallottolò
poi la carta e la lanciò in mezzo alla strada.
“Ora
dovremo attirarla nella nostra trappola”.
“E
come pensi di fare?”
“Stai
al gioco” Ammiccò prendendolo per mano ed uscendo dal vicolo.
“Che
vuoi dire stai al gio…” Non finì la frase che Lady
Bug gli stampò un tenero e dolce bacio sulle labbra.
L’intuizione
di Lady Bug era giusta, Eraser sarebbe uscita allo
scoperto e dritta nella loro trappola appena avrebbe captato il loro amore, e
quel bacio era il solo modo possibile per attirarla verso di loro e verso la
poesia composta pochi attimi prima da Chat Noir.
Rimasero
incollati, così in quella posizione e a Lady Bug le sembrò di morire.
Il
suo cuore e la sua mente erano un misto di emozioni e sensazioni nuove, sapeva
che stava baciando Adrien, anche se non era quello
che apparteneva alla sua realtà, poco importava.
Chat
Noir, del canto suo, era ancora sconvolto, mai avrebbe immaginato che la
coccinella, fosse così intraprendente da poter arrivare persino a baciarlo.
Per
quanto ne sapeva, si erano visti una volta sola, e quella volta, era bastato a
lui per innamorarsi perdutamente di lei, del suo coraggio, della sua forza, di
quell’essere sicura di se.
Ereser, ovveròChloè in versione akumizzata, non si fece attendere troppo, e appena il
gattone, grazie al suo super udito, l’aveva captata, abbracciò ancora più forte
Lady Bug, e saltò lontano, andandosi a nascondere in un vicolo poco distante.
Fu
lei la prima a staccarsi da quel lungo bacio appassionato.
“E
questo era per…”
“Ti
ho detto che dovevi stare al gioco” Rispose spicciola senza dare ulteriori
spiegazioni, mentre si portava a spalle al muro e faceva sbucare la testa fuori
per controllare la situazione.
“Ma…”
“Niente
ma, zitto e aspettiamo che cada nella
trappola”.
Eraser prese la palla
di carta lasciata in bella vista, la srotolò ed iniziò a leggere nella sua
mente.
Le
ginocchia cedettero e lei cadde a terra piangendo, era la cosa più bella e
romantica che qualcuno avesse mai scritto.
Lady
Bug inarcò un sopracciglio, lei avrebbe creduto che si sarebbe indebolita un
po’, dando il tempo a loro di mettere in atto il loro piano, ed invece,
sembrava non aspettasse altro che essere liberata da quel supplizio.
“Chat
Noir, ora”.
Il
suo partner non se lo fece ripetere due volte ed invocò il potere del
cataclisma, che usò subito dopo sugli occhiali da sole di Chloè.
Lady
Bug utilizzò il suo yo-yo magico per catturare e purificare quella farfalla
viola, facendo ritornare la sua ex amica normale.
Una
volta che anche le coccinelle magiche ebbero sistemato tutto il casino che
aveva combinato l’akumizzata, e portate le persone al
loro stato normale, Lady Bug e Chat Noir, terminarono la battaglia con il
classico pugno e “Benfatto”.
“Che-che è successo?” Chiese Chloè
guardando interrogativa i due super eroi, aveva le lacrime agli occhi e non
sapeva nemmeno perchè.
Chat
Noir prese il foglietto dalle sue mani “Questo me lo riprendo, grazie. E
comunque Chloè sei stata akumizzata”.
Spiegò.
“Che
significa?”
“Significa
che le tue emozioni negative non dovranno avere più la meglio su di te, se non
vuoi tornare ad essere una vittima di Papillon.” Disse Lady Bug.
Chloè distolse lo
sguardo e digrignò i denti “Tutta colpa di Marinette,
è stata lei a deludermi”.
“Hai
mai pensato che sei stata tu a deludere lei?”.
“E
allora perché non è stata lei akumizzata, signora
coccinella, del tutto fuori moda?” Cinguettò con la sua aria spocchiosa di chi
credeva di conoscere tutto sulla moda sulle tendenze in voga in quel
determinato periodo.
Lady
Bug stava per ribattere qualcosa, quando il suo orecchino emise il classico bip, che l’avvertiva che le rimanevano due minuti.
“Devo
andare, comportati meglio la prossima volta Chloè.
Ciao gattin…”.
Venne
bloccata per un polso.
“Aspetta,
possiamo parlare?”
Come
dire di no a quegli occhi verdi e supplichevoli?
“Tra
dieci minuti al parco, ti aspetto sulla panchina sulla riva del fiume”. Lanciò
lo yo-yo di fretta, giusto in tempo per la de trasformazione dietro un
comignolo.
*
Chat
Noir avanzò con passo spedito tra i ciottoli del sentiero del parco, il suo kwamiPlagg, ci aveva messo più
del previsto a ricaricarsi, e sperava che lei non se ne fosse andata.
Si
fermò di colpo quando la vide e il suo cuore iniziò a battere all’impazzata,
era sicuro di averlo visto uscire dal suo petto.
Aveva
una rosa rossa in mano, la guardò e pensò a quanto fosse stupido in quel
momento, regalare una rosa ad una ragazza appena conosciuta e rossa per giunta.
Quel
colore simboleggiava l’amore vero, la passione, chissà se lei lo avrebbe
capito.
Deglutì
il nulla mentre avanzava in modo più lento e insicuro, iniziando a tremare.
Lei
era appollaiata alla ringhiera di legno chiaro che delimitava il passaggio,
oltre a quell’ostacolo, il corso d’acqua scorreva inesorabile, la corrente era
più forte perché la marea stava cambiando.
Il
riflesso dei raggi solari sulla superficie dell’acqua, illuminavano il suo
volto roseo e perfetto, assieme ai suoi zaffiri che sembravano più chiari del
solito.
Quanto
avrebbe voluto toglierle quella maschera per godersi appieno quel viso
perfetto, e rivelare chi c’era dietro di essa.
Chat
Noir si avvicinò e la saluto timidamente “Scusa il ritardo insettina,
ma Plagg è lento a mangiare”.
“Lo
so, lo conosco bene.”
Il
gattone si meravigliò di quell’affermazione “Come lo conosci bene?” Fece di
rimando.
Dirgli
o non dirgli la verità, questo era il vero dilemma, però un giorno lei se ne
sarebbe andata, e avrebbe lasciato il posto ad un’altra Marinette,
che non sapeva nulla di quello che le era successo, si sarebbe fatto poi un
sacco di domande a cui non sarebbe riuscito a dare una risposta sensata.
Lady
Bug sospirò “Meglio se ci sediamo, la storia è lunga” Indicò con la mano guantata la panchina dietro di loro.
Per
fortuna in quella determinata ora del pomeriggio, non c’era molta gente e la
loro presenza sarebbe passata quasi inosservata, ma tra poco meno di mezz’ora,
quell’area si sarebbe riempita di mamme e bambini chiassosi, pronti a sfogare
il proprio nervosismo dopo una lunga giornata di scuola.
Chat
Noir le allungò la rosa “Ti ho portato questa”.
Lady
Bug l’accettò di buon grado e l’annusò, pensando a quanto le mancava quel gesto
da parte del suo partner e maledicendosi mentalmente per averne rifiutate
tante.
“Sei
molto gentile”.
“Ho
pensato al rosso perché si abbina al tuo costume” Cercò di inventare la prima
scusa plausibile che gli passasse per la mente, ignorando che quella frase
gliela aveva già detta la prima volta che si era dichiarato apertamente a lei.
“Solo
per questo?” Si sentì un po’ in colpa per quella domanda, sapeva benissimo cosa
significasse per lui regalarle un fiore di quel colore, ma ormai era troppo
tardi per tornare indietro e mordersi la lingua, la bomba era stata sganciata.
Lo
vide abbassare lo sguardo ed increspare un labbro “No.”
Bene,
e ora che cosa avrebbe detto o fatto?
Come
se ne sarebbe tirata fuori da quella situazione?
Non
poteva più ragionare solo se avesse davanti Chat Noir, lei sapeva benissimo che
dietro quella maschera c’era l’amore della sua vita, Adrien
Agreste.
Ma
non il suoAdrien.
“Prima
che tu dica o faccia qualcosa, lasciami parlare, è giusto che tu lo sappia”
Lady Bug gli prese la mano e lo guardò negli occhi.
Dio
quanto era bello anche con quel costume, ora che lo aveva vicino e lo poteva
osservare bene, le era difficile non balbettare o sentirsi in imbarazzo.
“Ti
ascolto, milady”.
Lady
Bug si alzò, pensando che un po’ di distanza tra loro, poteva abbassare la
temperatura del suo corpo, che sentiva andare letteralmente a fuoco.
Andò
ad appoggiarsi con la schiena rivolta alla balaustra di legno.
“Non
è facile per me dirti queste cose senza sembrare una pazza o una persona che
abbia perso il senno. E devo dirti che se qualche tempo fa, avessi ascoltato
una storia del genere, non ci avrei messo due minuti a pensarlo.”
Chat
Noir la invitò a continuare e di non farsi nessun tipo di problema, con lui
poteva parlare liberamente anche della cosa più stupida e insensata, non
l’avrebbe giudicata.
*
Dopo
più di dieci minuti di racconto e spiegazioni varie, che riguardavano la realtà
da dove proveniva, Lady Bug, prese di nuovo il coraggio di sedersi accanto a
lui, sperando che questo non comportasse qualche gesto strano da parte sua, del
tipo andarsene, ma anche se fosse successo, non lo avrebbe di certo biasimato.
“Quindi
tu mi stai dicendo che provieni da un’altra realtà”. Non sembrava però esserne
convinto, del resto lui era appena approdato in quel mondo magico e non ne
conosceva tutte le sfumature.
“Lo
so che ti sembrerà assurdo…”
“Si,
infatti. Solo l’altro giorno ero un ragazzo normale, e ora mi ritrovo con un kwami come amico che mi trasforma in un super eroe e mangia
tutto il formaggio che ho in casa nascondendolo dappertutto, e per giunta tu,
la mia partner mi sta raccontando di kawatama,
portali e roba simile”. Chat Noir era un misto tra lo sorpreso e l’infuriato,
non aveva di certo chiesto lui quella vita, e sinceramente non sa nemmeno come
era stato catapultato in quel vortice e con quale tipo di criterio il guardiano
di miraculous abbia scelto proprio lui per vestire i
panni di Chat Noir.
“Mi
dispiace, ma è la verità. Non mi sto prendendo gioco ti te. Te lo sto dicendo
solo perché, non so quando, io potrei sparire da un momento all’altro e tu ti
ritroverai a dire tutto alla Lady Bug che arriverà al posto mio”.
“Io…io…non ci capisco più niente”.
“Sapessi
io..” Sospirò affranta.
Non
aveva chiesto lei di diventare Lady Bug.
Non
aveva chiesto lei questa responsabilità.
Non
aveva chiesto lei di intraprendere quello strano viaggio.
Ma
ormai non si poteva più tornare indietro, tranne se avesse sistemato tutto,
allora lo avrebbe potuto fare, ma quante possibilità c’erano che si verificasse
la stessa situazione che l’aveva portata lì?
Lady
Bug pensò di essere condannata a quella vita e che non sarebbe più tornata a
casa.
“Ma
non m’importa. Sono sicuro che prima o poi tutto mi sarà chiaro…”
Le sorrise “…l’unica cosa che so per certo è che…” Fece una breve pausa per trovare le parole più adatte
“…non so perché, ma quando sono con te…ecco…vedi…”
La
mascella della coccinella sembrò staccarsi dal suo viso, per la seconda volta,
si stava dichiarando a lei, e anche quella volta, gli avrebbe spezzato il
cuore.
“…tu mi piaci, e vorrei conoscerti meglio” Le disse infine d’un
fiato.
Non
c’erano parole più adatte di quelle che gli uscirono fuori, e un po’ si
vergognò perché avrebbe preferito usare altre parole per dichiararsi.
Lady
Bug chiuse gli occhi per trattenere le lacrime, sapeva che lo avrebbe ferito
ancora.
La
prima volta che lo aveva fatto, c’era stata si male, ma non conoscendo chi era
veramente, la cosa non la toccò più di tanto, ora si trattava di ferire Adrien.
“Io…io…non posso”
“Perché?
Per le nostre identità?”
“No.
Ti ho già spiegato che non sono io…si sono io, ma…”
“Non
m’importa, io voglio stare con te”.
Lady
Bug doveva andarsene subito di lì per non peggiorare la situazione.
“Mi
dispiace, Adrien”. Si alzò e corse via con le lacrime
che le rigavano il volto.
Chat
Noir strabuzzò gli occhi, chiedendosi come faceva a conoscere la sua vera identità,
durante la sua storia aveva sempre detto che non conosceva chi si nascondeva
dietro la sua maschera, quella ragazza nascondeva altro.
Ma
gli unici odori che percepì, furono quelli pungenti e acri di medicinali e
disinfettanti che aleggiavano nell’aria.
Era
in ospedale, non c’era alcun dubbio.
L’ultima
cosa che ricordava era che stava correndo via da Chat Noir e i fari di una macchina nera che frenò bruscamente mentre lei
stava attraversando la strada.
Un
clacson.
Poi
più niente.
Aveva
avuto un incidente, questo era chiaro, e l’avevano trasportata d’urgenza in
ospedale, era l’unica spiegazione possibile.
Non
sapeva bene quanto tempo fosse passato, forse un’ora o forse dei giorni interi.
Fatto
sta, che si sentiva tutto sommato bene, per una che era stata investita, poteva
avvertire solo un leggero cerchio alla testa, del tutto normale se ci si alza a
quella velocità.
Si
guardò attorno, la stanza era bianca ed illuminata, vicino a lei una macchina
che teneva conto dei suoi valori vitali, emetteva il classico bip.
Si
toccò più volte con la mano libera, per essere sicura di non essere morta, e
quindi uno spettro e di conseguenza di trovarsi in un limbo, questa volta.
La
testa iniziò a vorticare e sentì come se stesse di dare di stomaco, per non
farlo, ritornò alla posizione iniziale ed iniziò a respirare più lentamente
buttando fuori l’aria dalla bocca.
L’altra
mano era inspiegabilmente calda e la teneva ben salda al letto, il suo sguardo
si posò sopra.
Quell’anello.
Adrien.
Chat Noir.
“Milady” La chiamò una dolce calda e
soave ancora le stringeva la mano con all’interno i due kawatama,
uno nero e uno rosso.
“C-chaton?”
Balbettò.
Adrien annuì e
l’abbracciò.
“Sono
morta?” Chiese.
“No,
sei ritornata tra noi”. Il biondo trattenne a stento delle lacrime di gioia.
“C-che cos’è successo?” Balbettò trattenendosi la testa e
facendo una leggera smorfia di dolore… “L’ultima cosa
che ricordo è la macchina che mi veniva addosso”. Spiegò confusa.
“Macchina?”
Fece di rimando “…Marinette, siamo caduti dalla
scala. Ricordi?” Spiegò.
Caduti. Scala.
La
corvina sbattè le palpebre per qualche secondo, e constatò
che doveva essere tornata alla sua realtà.
Marinette tirò un sospiro
di sollievo.
C’era
riuscita. C’erano riusciti insieme. Come sempre del resto, infondo erano una
squadra.
“Grazie,
per avermi riportata qui”.
Adrien sorrise e le
accarezzò una guancia “Non potevo non farlo, insettina”.
“Non
chiamarmi insettina”
Sbuffò spazientita, facendo la finta offesa, cosa che ad Adrien
piaceva un sacco.
“Marinette!” Urlarono Plagg e Tikki all’unisono andandola ad abbracciare.
“Siamo
stati così in pena per te!” Si strusciò contro la sua guancia la kwami rossa.
“Amica
mia”.
Marinette poi guardò Adrien.
“Mi
spiace però che tu l’abbia scoperto così”.
Lui
fece spallucce “Prima o poi lo avremo fatto, forse non c’era un momento giusto,
oppure una rivelazione migliore. Ma sono felice che sia tua. Forse l’ho sempre
saputo”. Le prese una mano sorridendole ancora.
“Ci
racconti Marinette che cosa ti è successo?” Chiese
curiosa Tikki.
“Ho
vissuto un’ incubo, ero senza i miei poteri. Non conoscevo Adrien.
Ed ero la migliore amica di Chloè. Chloè! Ma vi rendete conto??” Fece una faccia schifata.
“E
Luka?”
“Sei
per caso geloso?” Assottigliò gli occhi e lui di risposta incrociò le braccia
sotto il petto.
“Chi
io? Geloso? Pff…figurati”.
“Comunque
eravamo fidanzati, ma a quanto pare mi ha tradito con Chloè,
e io l’ho perdonato. Però l’ho mollato quando, si insomma…il
giorno che abbiamo avuto quel contatto io e te”.
“Quindi
è stata colpa mia? La divina provvidenza ci pensa sempre”. Scherzò.
“Beh!
Per non parlare di te! I tuoi ti avevano costretto a sposare Kagami”.
“I
tuoi?” Fece di rimando, non essendo per niente sconvolto nel sapere che in una
realtà parallela, lui a Kagami stavano insieme.
“Si,
Adrien. Ho conosciuto tua madre”. Spiegò con tono
pacato.
Quanto
la invidiava in quel momento, avrebbe voluto essere stato lui al suo posto,
solo per poter vedere ancora quel sorriso e quella pace che era solita
trasmettere.
“Ma…” Non sapeva come dirglielo “…purtroppo…”.
“Ho
capito” L’interruppe con tono malinconico.
“Mi
dispiace”.
“Sono
felice che tu l’abbia conosciuta, anche se apparteneva ad un altro mondo”.
“E’
stato un onore per me. Ti amava tanto”.
“Senti,
ma, come hai fatto a ritornare qui?” Cambiò argomento prima di rattristarsi
ancora di più.
“In
effetti…stavo parlando con te su una panchina, poi ti
ho detto che non potevamo stare assieme e me ne sono andata, ho sentito un
clacson. E poi mi sono ritrovata qui” L’ultimo ricordo era abbastanza confuso.
“Avrai
avuto un’ incidente. Di solito per uscire da una realtà parallela, bisogna
ricreare la stessa situazione che ti ha portata lì, non avrebbe funzionato se
ad esempio ti fossi gettata di tua spontanea volontà da una scala” Spiegò Plagg.
“Beh!
Speriamo che la me stessa di quel mondo stia bene” Sorrise.
“Vedrai
che sarà così”. Poi Adrien fece per dire qualcosa, ma
in quel momento entrarono i suoi genitori e tutta la classe al completo, che la
circondarono ed abbracciarono, sincerandosi delle sue condizioni.
La
prima a piangere e a stringerla forte fu la sua migliore amica “Oh Marinette! Guai a te se ci fai stare ancora così in pena”.
“Da
oggi dovrai stare lontana dalle scale” Continuò Alix.
“Non
dovrai nemmeno guardarle” Riprese Rose con la sua solita faccia felice.
Tutti
risero e quella felicità si propagò per l’intero corridoio.
Marinette avrebbe
iniziando un nuovo capitolo della sua vita.
*
FINE
(oppure no?)
*
Angolo
dell’autrice: Ciao a tutti e
grazie mille per essere arrivati fino a qui.
Vedo che siete
in tanti a leggere questa mia long, e se vi è piaciuta, lasciatemi un
commentino se vi fa piacere.
Ringrazio anche
chi ha messo la storia tra le PREFERITE, SEGUITE e RICORDATE.
Ah! Credete
forse che mi sia dimenticata della Marinette della
realtà parallela? No, no, anche se sono stata incerta sul suo destino fino alla
fine, e se volete sapere, leggete le poche righe dopo i ringraziamenti.
Vi mando un
forte abbraccio.
*
*
*
*
*
“Marinette! Marinette” Adrien, ritrasformatosi appena qualche secondo prima, scosse
più volte la ragazza divenuta normale anche lei davanti a quelle persone, cercando
di farle riacquistare i sensi.
Gli occhi erano
chiusi e da un lato della bocca usciva un rivolo di sangue.
“E’ sbucata
all’improvviso, non l’avevo vista” L’autista della macchina rossa che aveva
appena investito la ragazza, era in stato di shock, tremolante aveva avvertito
i soccorsi, che stavano arrivando, in lontananza si potevano udire le sirene
dell’ambulanza.
“Non respira”
Urlò Adrien che cercò di praticarle un massaggio
cardiaco in preda allo sconforto e alle lacrime.
“Fate largo!” I
paramedici erano arrivati sul posto, e cercarono di farsi strada tra la folla
di curiosi accorsi.
Presero il
defibrillatore, non appena appurarono che la ragazza fosse in arresto cardiaco.
Una prima
scarica, e il corpo esanime fece un balzo.
“Carica a
trecento. Libera”.
Una seconda
scarica.
Ne seguì una
terza e una quarta.
Niente.
Il corpo di Marinette venne coperto da un telo bianco, Adrien lo osservò come rapito per qualche minuto, poi aprì
la mano destra dove qualche minuto prima era riuscito a toglierle gli
orecchini.