Nel buio della notte

di shila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Incontro nella notte ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


1.
 
Dieci anni. Sono passati dieci lunghi, interminabili anni dal nostro ultimo incontro.
Nulla di granché, se non consideriamo che l’ultima volta che ti ho guardato negli occhi è stato per tentare di intrappolarti in un’illusione con il mio Sharingan. Anche quella volta non ci sono riuscita, sei sempre stato troppo forte.
Troppo forte anche per me. Soprattutto per me.
Ed ora eccomi qui, in questo locale di merda a farti la posta. Proprio una bella missione.
Mi hanno incaricata di trovare il più pericoloso ricercato al mondo, nonché terrorista e ragazzo per cui avevo una cotta. Avevo? Che bugiarda.
Altro che cotta.
Ragazzo? Guardandoti posso dire di non riconoscerti quasi; non è rimasto più nulla del Boruto sciocco e combinaguai, e neanche del Boruto serio e triste che presto aveva preso il posto del suo gemello allegro.
Presto quel dolore che celavi a tutti è esploso e ti ha trasformato in quello che sei oggi, in quello che eri destinato a diventare. Io lo sapevo, nonostante lo nascondessi a tutti, nonostante agli occhi del mondo recitassi la parte del figlio combinaguai dell’Hokage, io lo sapevo.
Tu dentro soffrivi. Dentro di te eri lacerato da un dolore che solo io potevo riconoscere, perché quel dolore ero lo stesso che nascondevo anch’io. Entrambi avevamo una forte mancanza, entrambi non avevamo un padre.
Il tuo, il generoso e nobile Hokage, troppo impegnato a vegliare su Konoha per essere presente nella vita della sua famiglia. Un’ombra nella vostra casa.
E il mio, il grande e valoroso Sasuke Uchiha. Il salvatore di Konoha. L’uomo perennemente in fuga dalla vita. Il mio caro genitore, che appena saputo da mia madre di stare per diventare padre è sparito dalla circolazione col pretesto di dover salvaguardare la sicurezza di Konoha dall’esterno, fuori dalle sue mura.
Io Boruto ti capivo, per questo fin da quel primo giorno in accademia feci di tutto per diventare tua amica. Io di indole solitaria, ero disposta a tutto pur di starti vicino, di condividere il nostro dolore.
Ma tu sei sempre stato così evasivo, inafferrabile. Per quanti sforzi facessi sentivo di non riuscire a superare le tue barriere. Tuttavia riuscii a diventare tua amica.
Passammo tanti pomeriggi insieme ad allenarci; volevi riuscire a battere la mia abilità oculare. Non significava nulla per te, anzi eri determinato a dimostrare che il dono degli Uchiha non mi rendeva un ninja migliore di te. La vera forza era ben altro.
Già allora eri determinato a dimostrare al mondo chi eri; volevi diventare un grande guerriero, migliore di tuo padre e del mio.
Poi tutto era precipitato. Quei ninja stranieri, malvagi. E quella tua strana abilità oculare. Quel tuo occhio così azzurro, ancora più freddo di quelli che hai sempre posseduto. Quell’occhio ti ha cambiato per sempre.
Così loro ti portarono via. No, non posso mentire a me stessa. Sei stato tu a tradirci, tu te ne sei voluto andare.
Hai quasi ucciso tuo padre quel giorno. Dieci anni fa. E poi ancora cinque anni dopo, un nuovo attacco; io però quella volta non ti vidi, ero impegnata altrove. Ancora adesso sento nel cuore il peso di quell’incontro mancato. Quel giorno mettesti al tappeto Naruto, uno dei ninja può forti del mondo; a quel punto fu chiaro che non c’era possibilità di vittoria per noi.
Tu ora sei un ninja formidabile.
Ma quando te ne sei andato avevi quindici anni, e ora ne hai venticinque. Sei un uomo e io sono una donna, e come una donna ti sto guardando ora. Ti sto valutando.
Sei bello, ma del resto lo sei sempre stato. Il quindicenne che eri era bello, l’uomo che sei ora si potrebbe definire strabiliante.
Lo sono i tuoi lineamenti, lo è il tuo fisico. Quanto sei alto ora? Sicuramente più di tuo padre. In questo non gli somigli affatto.
Nei capelli sì; sono biondi come i suoi. Di un biondo dorato che sembra risplendere come oro sotto queste luci fastidiose.
Le spalle sono larghe, la tua vita è stretta. Posso intuirlo da come la maglia si tende in quella zona per poi assottigliarsi sotto il torace. Le tue gambe lunghe sono infilate in pantaloni di pelle scuri. Le braccia sono muscolose, così come le gambe. Una si muove nervosa, il piede picchietta il pavimento. Sei teso, forse ti sei accorto di me.
Spero di no. Sono due mesi che ti spio di nascosto.
Da ragazzo non sei mai stato di corporatura massiccia, al contrario eri un bambino magro, quasi ossuto. In questi lunghi anni devi aver allenato molto il tuo corpo.
Chissà se hai una donna.
Non sono riuscita a scoprirlo. Sei molto discreto, lo devo ammettere. Né io, né le altre spie di Konoha che negli anni ti hanno pedinato sono riusciti a raccogliere molte informazioni sul tuo conto. In fondo però è normale, sei pur sempre un ninja altamente pericoloso, e come tale dobbiamo osservarti da lontano senza attirare troppo l’attenzione.
Per stasera può bastare. Sono già due ore che ti osservo e non stai facendo nulla se non scolarti una vodka dietro l’altra. Non credevo reggessi così bene l’alcol.
Non è la prima volta che ti spio a quest’ora della sera, e sei spesso solito frequentare questi locali, ma non hai mai bevuto tanto come oggi. Perché? Giornata storta? Non posso saperlo.
Per quanto siano due mesi che ti sto dietro, che uso le mie abilità per cercare di captare il tuo chakra, ciò che fai durante il giorno rimane un mistero. È come se alla luce del sole tu non esistessi, il tuo chakra non esiste. Non riesco mai a rintracciarti.
È solo di notte che ti palesi a me, al mondo. E ogni volta ti devo seguire in questi localetti di second’ordine.
Ore passate a fissarti mentre bevi, a volte mangi, altre rimorchi qualche ragazza con cui passare la notte. A quel punto mi ritiro, non voglio vedere.
Posso però dirmi fortunata; tanti agenti anbu non sono riusciti nemmeno a rintracciarti. Per questo hanno mandato me. Ti conosco meglio degli altri, ti percepisco meglio degli altri.
L’ho detto ai superiori, anche a Shikadai per il vero, questi mesi sono stati inutili. Di te ho scoperto soltanto che la sera ti piace bere, che mangi sano, niente schifezze, solo cibo salutare. Ah, dimenticavo, preferisci portarti a letto le bionde. Quest’ultima è una deduzione a cui sono giunta dopo un’accurata osservazione.
Ma ai piani alti non interessa, sono riuscita ad adescarti, almeno di notte, e questo è già un passo aventi. Prima o poi commetterai un passo falso.
Non importa se poi come ogni sera, riuscirai a depistarmi quando più ti fa comodo. Mi chiedo spesso se sai che ti sto osservando, se sai che sono io.
Per stasera basta. Niente informazioni rilevanti; sarà per domani.
Così me ne vado, pochi passi e sono già in strada, fra il fetore e le urla della notte. Mi faccio largo fra la calca di balordi festanti e ubriachi.
Fa caldo in questa dannata Suna. Da quando il nuovo capo villaggio ha sostituito Gaara la città ha cambiato decisamente aspetto. Anche qui è arrivata la modernità, e con essa locali e baldoria fino a tardi.
Questo cazzo di maglione che indosso certo non aiuta, me lo sento pesante addosso.
Non pensavo fossi tipo da quartieri notturni. Pazienza, c’è sempre di peggio che pedinare l’uomo di cui sei innamorata.
Chocho ne è una maestra, e non lo fa di certo durante l’orario lavorativo. Mi viene da ridere se ci penso.
Che cosa starà facendo? Di certo a quest’ora della notte starà importunando qualcuno, forse Inojin o il maestro Konohamaru. Sfacciata.
Sto sudando, fa caldo, e tutta questa calca non aiuta. I vestiti mi si stanno incollando addosso, così come i lunghi capelli neri. Una volta li avevo cortissimi. Mi riconosceresti vedendomi?
Ancora pochi isolati ed ecco il mio alloggio.
Una locanda sgangherata, l’intonaco della facciata scrostato. Dentro ci sono macchie di umidità. Quanto di più anonimo ci fosse sulla piazza.
Pochi passi e sono dento, supero la grassoccia anziana alla reception che non mi degna di uno sguardo, le chiavi della stanza le ho in tasca.
Cominciò a salire le scale verso la mia stanza.
È una di quelle squallide locande in cui soggiornano viaggiatori e mercanti che non cercano nulla di pretenzioso. Forse le prostitute ci portano i clienti.
Uomini che portano in queste stanze lerce qualche ragazza per una rapida scopata. Non vogliono dare nell’occhio, qualche acrobazia, un rapido passaggio di soldi e poi di nuovo fuori nella notte, inghiottiti dall’anonimato, magari diretti in una casa dove hanno mogli e figli ad aspettarli.
Ancora pochi istanti e sono nella mia stanza. Le scale sono di un legno rinsecchito, i gradini scricchiolano sotto i miei passi.
La mia è la stanza in fondo al corridoio, al buio. Non ci sono finestre.
Cerco le chiavi nella tasca, le tiro fuori e con un gesto deciso le infilo nella serratura. Un giro e questa scatta, la porta si apre.
La stanza è al buio, ma la finestra è stranamente aperta. L’avevo lasciata chiusa.
Da essa la luce inonda la stanza, luce artificiale proveniente dai locali di fronte, più in basso, dove le masse stanno ancora bevendo e divertendosi.
E così illuminato dalla luce proveniente dai neon delle insegne, viola e rosse, ti vedo. Non sono sola nella stanza, ci sei anche tu.
Mi guardi dal davanzale, una gamba piegata e appoggiata su di esso, l’altra che scende verso il pavimento, la pianta ancorata saldamente a terra.
- Serata calda, mi sono permesso di aprire la finestra. Non ti dispiace, vero, Sarada?-.
È a quel punto che ti vedo in volto, per la prima volta dopo anni, siamo da soli.
- Buona sera, Sarada-.
Il tuo Jougan brilla argenteo nell’oscurità.
 
Eccomi qui con questo primo capitolo!
Come ho spiegato nell’introduzione della storia si tratta di un esperimento (è la prima storia che pubblico, sia su questo sito che altrove), perciò mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, sia in positivo che in negativo.
È da parecchio tempo che mi rimuginava in mente l’idea di scrivere sulla coppia Sarada/Boruto, e spero di riuscire a caratterizzare come si deve questi due personaggi.
Per quanto riguarda gli altri personaggi del manga che spunteranno più in là nella storia, come nel caso di Kawaki che comparirà nel secondo capitolo, non seguirò i caratteri originali (in fondo la mia storia si distacca dalla trama del manga).
Detto questo, spero di avere la vostra opinione quanto prima ^.^.
Buona lettura!
 

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Capitolo 2
*** Incontro nella notte ***


2.
 
- Buona sera, Sarada-.
Ed eccoti qui. Come dovevo immaginare ti sei accorto di me, di essere spiato, e anche stavolta mi hai battuto sul tempo, anche stavolta sei stato tu a prendere in mano la situazione, sei stato tu il migliore.
Sei sempre stato bravo a capovolgere le situazioni a tuo vantaggio. Uno stratega nato? No, tu segui il tuo istinto. Sei nato per dominare; la materia di cui sei fatto ti impedisce di essere un pigro fantoccio in balia degli eventi, delle azioni altrui. Tu sei come l’acqua, ti modelli a seconda delle necessità, e non hai paura di usare la tua forza per rompere gli argini, importi sugli altri, sul fuoco, anche su di me.
Cosa dovrei fare? Risponderti? Combattere? Dovrei forse attivare il mio Sharingan e sfidarti? Forse sì. È il simbolo della foglia che nascondo sotto il maglione a ricordarmelo, lo sento bruciare lì sotto.
Tu sei un traditore, un nemico. Dannazione sono io che dovrei spiarti, non tu. Non dovresti essere tu a cogliermi di sorpresa, a lasciarmi con le spalle al muro. Anzi al corridoio.
Perché sono ancora lì, sull’uscio della mia camera.
E così faccio quello che un membro degli Anbu come me non dovrebbe mai fare. Mi chiudo la porta alle spalle e con la punta delle dita cerco l’interruttore della luce. Eccolo, un click e ti posso vedere chiaramente.
- Ciao Boruto- e che altro ti potrei dire? È passato tanto di quel tempo. Solo ora che ti ho di fronte mi rendo conto di avere la gola secca, non so cosa dirti. Chi sei in fondo ora? Uno sconosciuto.
E come devo sembrarti diversa io. O forse no? Forse sei deluso, forse mi trovi identica alla ragazzina scema che ha tentato di fermarti quella notte. Io che ho sempre guardato mia madre con biasimo, che l’ho sempre giudicata per non essersi fatta valere con mio padre, per averlo sempre supplicato di darle qualcosa che il suo cuore arido non poteva neanche concepire.
In fine mi ero rivelata quanto più somigliante a lei non potessi essere. Come mi aveva ribadito anche lei, nei giorni seguenti, “siamo uguali io e te, ora puoi anche smetterla di guardarmi con quell’aria di superiorità”.
Si certo, uguali io e lei.
È stato allora che sono scappata, mi sono rifugiata negli Anbu. Ho abbandonato tutti, anche lei.
- Bella serata per incontrare vecchi amici…non trovi?- soffi quasi fuori da quella massa di capelli biondi che ti ricadono sulla fronte, così dannatamente disordinati. E non lo riesco a vedere bene, ma lo sento il ghigno che ti contorce le labbra. Mi prendi in giro, ironico come sempre. Stronzo.
- Siamo vecchi amici?- ti prendo in giro anche io. E perché no? Perché non dimostrarti che sono cresciuta, che ora anche io sono in grado di tenerti testa sullo stesso terreno; sia esso di battaglia o una schermaglia verbale.
- I vecchi amici si introducono nella tua stanza di nascosto e ti aspettano al buio? Cos’è un agguato? C’è qualche tuo compagno nascosto qui intorno che aspetta il segnale?- ti rispondo con una bella risata, un po’ stridente a dire il vero.
Chissà se ti sei accorto che ho la gola secca. Lancio le chiavi della camera sul letto e avanzo verso il tavolo di legno al centro della stanza. Fa schifo quanto il resto dell’arredamento: il legno è consunto e scheggiato. Chissà quante altre persone si sono sedute a quel misero tavolo. Mi siedo anche io.
C’è ancora la brocca d’acqua che mi hanno portato la mattina. Allungo la mano verso il bicchiere opaco e ci verso dentro l’acqua. Bevo, tu intanto mi guardi.
Che strana scena. Un traditore, un ricercato che se ne sta appoggiato alla finestra, e io, un anbu della foglia che me nesto qui, incastrata in questo legno lercio a bere quest’acqua torbida. Sembra un interrogatorio.
Peccato che non dovrei essere io quella incalzata. Sei tu che dovresti startene qui a bere nervosamente, mentre io torreggio su di te e ti costringo a rivelarmi tutto. Il tuo passato, il tuo presente e forse il futuro.
Chi sei adesso? Quali sono i tuoi piani?
Invece sono io quella nervosa dei due. Tu, al contrario, continui a guardarmi con quella calma studiata che mi ha sempre fatto innervosire, sentire giudicata.
- No- mi rispondi sorridendo - Nessun segnale. È già qui-.
E scoppi a ridere quando mi vedi sgranare gli occhi. - Scherzo, non c’è nessuno…oltre a noi due- e ti avvicini, ora sei di fronte a me, ti siedi anche tu.
Allunghi la mano e mi rubbi il bicchiere, ma non bevi, non subito. Ti rigiri quel pezzo di vetro nella mano, osservi pigramente come la luce del lampadario di ferro, di un triste marrone arrugginito, illumina la superficie d’acqua.
- Due vecchi amici- mi sorridi, e solo ora, dopo aver alzato verso di me il bicchiere, come un simbolico brindisi, solo allora con un movimento deciso ed elegante te ne porti il bordo alle labbra e bevi. Dannazione.
- Che cosa vuoi?-
Fine dei giochi. Non sono mai stata tagliata per le schermaglie verbali e tutti questi anni negli Anbu a eseguire ordini in silenzio, ai margini del mondo, non hanno certo giovato alle mie capacità relazionali.
- Io? Che cosa vuoi tu- posi il bicchiere, con troppa veemenza direi, e mi guardi negli occhi. - Sei tu che mi sta alle calcagna da due mesi. Cos’è? Si tratta di una qualche stupida missione da anbu? Ti hanno incaricata di scoprire il mio covo? O i miei piani? Vuoi sapere se ho intenzione di radere al suolo il vostro patetico villaggio?- e sorridi aggiungendo: - Piuttosto come sta il vecchio?-
- Fanculo, lo sai che adesso ci guida Shikadai. Tuo padre non è più quello di una volta- mi fai arrabbiare e lo sai. Non posso accettare di sentire sulla tua bocca queste parole di disprezzo, non verso quello che una volta era anche il tuo villaggio.
- Lo so bene. Se non ricordo male l’ultima volta che ci siamo visti non era granché in forma, che brutta giornata quella per l’Hokage- ridacchi, poi assottigli quei dannati occhi da gatto e mi guardi come un felino che ha fiutato la sua cena. - Non ti ho vista quel giorno…dov’eri? Ti sei nascosta insieme alle donne e ai bambini?- mi provochi; ti è sempre piaciuto, da ragazzo dispettoso quale eri, cercare di innervosirmi, provocarmi fino a farmi esplodere. Ti rendeva orgoglioso pensare di essere l’unico ad innervosire l’Uchiha, la ragazza solitaria, silenziosa, fredda.
- Difendevo il villaggio dall’interno, insieme agli altri anbu. Non potevo sapere di te e l’Hokage, altrimenti puoi star certo che non mi sarei tirata indietro- non te la voglio ancora dare questa soddisfazione, ricordo quanto ti piaceva provocarmi.
- Certo…ovvio. Fedeli all’Hokage sempre e per sempre. Stupidi idioti- ti guardi attorno, poi mi fissi con insistenza. - Bella stanza…lurida al punto giusto, perfetta per una copertura. Di sicuro ben poca gente ti verrebbe a cercare qui. Anche se a dire il vero sei tu che cerchi me…cosa vuoi? Dimmelo. Vuoi combattere…- e ti avvicini di più, le braccia che si distendono sulla superficie del tavolo - O vuoi sedurmi? Sei una di quelle adorabili kunoichi della Foglia che salvano il villaggio dalla rovina scopando con i nemici?- ed ecco che attacchi a ridacchiare. Idiota.
Languido come una pantera torni composto sulla sedia. Ora gli occhi che mi scrutano sono duri, taglienti.
- No, non credo. Anche perché vestita così la vedo dura, se mi consenti l’eufemismo. Infagottata in questo maglione, col caldo che fa. Allora? Parla. Sto esaurendo tempo e pazienza ti avverto-.
- Cos’è una minaccia? Non eravamo vecchi amici?- ti rispondo fingendo una spavalderia e una sicurezza che ad ora non possiedo.
- Dipende- mi rispondi guardandomi con quei tuoi occhi eccezionali, l’uno di un blu scuro, l’altro di un grigio elettrico venato appena di qualche punta di azzurro. Quello, l’occhio nuovo.
- Da cosa?-
- Da cosa stai cercando a Suna-.
- E tu? Tu cosa stai cercando a Suna?- questa volta sono io a sporgermi verso di te. Ti voglio provocare dannazione! Sembro solo io quella sconvolta. Sono solo io ad essere turbata da questo incontro?
- Cerca di non esagerare. Lascia stare Sarada, è un gioco a cui non puoi battermi. Non sono più quello che conoscevi, anzi sei fortunata del tempo che ti sto dedicando. Potrei ucciderti qui, direttamente e risolvere il problema. Domani ti troverebbero a terra in una pozza di sangue, quei tuoi graziosi apelli neri a incorniciarti il volto sporco di sangue- ridacchi ancora. - Così inquietante cazzo-.
- Sei davvero così convinto di riuscire ad avere la meglio in uno scontro con me? Neanche io sono più la stessa di prima- dentro di me sento la rabbia ribollire, tuttavia scelgo di mentirti, dissimulando una calma che davvero in questo momento non provo. - Magari sono davvero qui per sedurti- ti provoco. - Magari ero in quel locale per attirare la tua attenzione-
- E come? Fissandomi per tutta la serata vestita come un uomo?- replichi guardandomi con derisione.
- Mi hai notata- pronuncio solo questa frase, stavolta ho vinto io. Ti sei tradito da solo, e in fondo il fatto stesso che tu ora sia qui, seduto al mio stesso tavolo, nella stanza che ho preso in affitto in questa squallida locanda è un segno inequivocabile del fatto che tu mi hai notata.
Mi sembra di vedere il mio ghigno soddisfatto, il labbro superiore impercettibilmente increspato. - Altrimenti non saresti qui- questo è il mio colpo di grazia per te.
E il colpo va a segno. Ti vedo tentennare.
Nessun’altro se ne sarebbe accorto, almeno nessun’altro delle persone che come me conoscevano il vecchio Boruto. Difatti rimani composto, come sempre, ma nei tuoi occhi leggo un istante di esitazione, come se non sapessi bene come rispondere. Solo io me ne potrei accorgere; ho passato anni a studiare quegli occhi, a cercare di instillarvi dentro una qualunque emozione o segno di apprezzamento nei miei confronti.
- Cazzate- mi rispondi. - Non vuol dire nulla. Sono un ninja, è così che mi guardo le spalle. Osservo chi mi osserva.-
- Messa così ha un senso- mi viene la pelle d’oca. Da quanto sai che ti spio?-
- Allora? Vuoi confessare con le buone, oppure no? Tra tutti voi della Foglia tu sei una dei pochi a cui non vorrei fare del male.-
- Davvero?- mi fai quasi ridere. - Scusami se lo trovo poco plausibile. Cinque anni fa ci hai attaccato e non in pochi sono morti quel giorno.-
- Tu sei viva però- mi guardi con uno strano sguardo. Cosa vuoi dirmi? Cosa provi? Sei sincero quando dici che non vorresti farmi del male? Ti sembrerò sciocca ma ho un disperato bisogno di credere che in te ci sia ancora qualcosa del ragazzo di una volta, del Boruto burlone che amava provocarmi.
Ho sempre sperato che sotto quegli scherzi e quelle provocazioni ci fosse almeno una briciola di affetto. Ma la realtà forse è un’altra, ora sei un uomo e non posso certo affermare di conoscerti ancora, di sapere che tipo di persona sei effettivamente diventato.
Cosa dovrei pensare di te? Sei veramente lo spietato traditore che cinque anni fa ha messo a ferro e fuoco il villaggio? O i motivi che ti muovono non sono così oscuri come credo? Davvero la sofferenza che ti ha causato tuo padre ti ha trasformato in una bestia?
- Perché ti sono rimasta lontana. Sono viva solo perché combattevamo su fronti opposti, altrimenti chi lo può sapere- e stavolta non ho timore a fissarti negli occhi. - Magari se ci fossimo trovati faccia a faccia ti avrei ucciso.-
- Lo trovo poco probabile- mi rispondi sistemandoti in una posa di incurante indifferenza; le braccia incrociate, un fastidioso ghigno di scherno in faccia.
Fuori faceva caldo, com’era tipico di Suna, ma dentro quella stanza le sembrava di stare sui carboni ardenti e nulla poteva fare la finestra spalancata. Ho la sensazione che la tua sola presenza possa annullare ogni filo d’aria presente, e ciò non fa altro che acuire il mio disagio.
- Allora…possiamo concordare sul fatto che non eri lì per sedurmi. Quindi…- ma ti interrompo prima che tu possa terminare la frase.
- Non l’ho detto- mi affretto a ribattere. - Cosa?- mi guardi di rimando, leggermente accigliato.
- Non ho detto che non volevo sedurti- sogghigno assottigliando gli occhi. In risposta scuoti la testa ridacchiando. - In ogni caso credi davvero che ci sarei cascato? Che strategia è mai questa? Konoha cerca di catturarmi usando il fascino di una vecchia amica?- fai finta di mettere su un broncio da finto offeso. - Credevo che dopo le mie prodigiose prove di astuzia Shikadai avesse una maggiore considerazione delle mie facoltà intellettuali.-
- Siamo pienamente consapevoli delle tue doti- ti rispondo in finto tono gaio.
- Allora possiamo concordare una volta per tutte che non eri lì per sedurmi- adesso sei tu che mi interrompi. Come al solito tuo non puoi accettare che io prenda il comando della conversazione, è questa la tua strategia di potere, eserciti la tua autorità su di me conducendo le redini della conversazione. Sei tu quello che deve avere il controllo.
Sedurti? Già, non era quello il mio scopo. Peccato, in quel caso se ci fossi riuscita forse il mio cuore avrebbe trovato pace. È un pensiero inopportuno, per parecchie ragioni, lo so, eppure non posso farci nulla, anche a distanza di anni sono tentata di scalare questo maledetto tavolo e gettarti le braccia al collo.
Maledetto tavolo…ma soprattutto maledetta me!
Tento così di soffermarmi sul pensiero fastidioso di essere una cazzo di anbu, cercando di ignorare quello ancora più fastidioso che mi spingeva a fissare le labbra di Boruto.
Tutti quegli anni dediti alla disciplina e ancora non era in grado di dominare le sue emozioni. Quel vortice di pensieri, senza volerlo, le attivò lo Sharingan.
- Dovrei esserne intimidito?- s’informa l’oggetto e l’artefice del suo tormento.
- Non so…qualcuno lo è- scuoto il capo e batto due colpetti sulla superficie del tavolo. Adesso basta. - Non sono qui per venire a letto con te-.
Mi sorridi sornione, di nuovo, ruotando il capo in direzione della zona notte: - Peccato, qui c’è un letto-.
- Stronzo- questa volta non posso trattenermi.
In risposta emetti un suono che posso classificare come qualcosa di quanto più vicino a un risolino soffocato. Poi ti alzi e circumnavigando il perimetro del tavolo, mi giungi alle spalle. È impossibile per me trattenere un debole gemito quando ti sento circondarmi il collo con le mani.
- Se ancora non l’hai capito non sono qui per una semplice rimpatriata- mi soffi a quel punto dietro la nuca. - Così come tu non mi spii da due mesi solo per un caso. Te lo ripeto un’ultima volta: perché?-
Sento la pressione delle tue mani aumentare la stretta sul mio collo. Dovrei provare paura? Immagino di sì; tuttavia tutto quello a cui riesco a pensare è a quando siamo stati così vicini per l’ultima volta. Non lo ricordo; forse la risposa è mai.
- Non posso dirtelo, sono un anbu- ti rispondo con la pura e semplice verità.
Sento il tuo sorriso dietro il collo. - Lo so che sei un anbu. Sarai soddisfatta di te stessa, hai sempre desiderato diventare una ninja potete…anzi se la memoria non mi inganna una volta volevi addirittura diventare Hokage.-
- Se la mia di memoria invece non mi inganna, tu una volta hai giurato di guardarmi le spalle quando lo fossi diventata- non posso fare a meno di rinfacciarti.
Mi rispondi, un sussurro nel mio orecchio. - L’ho detto davvero? Sono passati molti anni...-
Lasci la presa sul collo e le tue mani mi afferrano saldamente le spalle. - Non so perché abbiano mandato te a spiarmi, Sarada, ma puoi star certa che non ricaverai nessuna informazione dal nostro incontro. E del resto non ce ne saranno altri.-
- Cosa vuol dire?- mi sorprendo a balbettare.
- Voglio dire con questo che oggi mi sento generoso, e potrai tornare al tuo bel villaggio sulle tue belle gambe. E ci tornerai oggi stesso…non costringermi a farti del male.-
È a quel punto che mi forzo ad alzare il volto, il mento fiero, e ti vedo. Anzi, ci vedo riflessi entrambi nello specchio appeso alla parete di fronte a noi. Il mio Sharingan vigile si specchia in quel tuo Jougan maledetto. Fuoco e argento.
Sto per reagire, vorrei attaccarti, ma questi maledetti occhi pulsano. Vi sento mille fiamme dentro, il dolore esplode.
Succede tutto in un attimo. Serro gli occhi dal dolore, e nello stesso momento la pressione delle tue mani sulle mie spalle svanisce. Dietro di me, dove prima c’eri tu, il vuoto.
È nel vuoto che mi specchio quando riprendo il controllo dei miei occhi. Tu te ne sei andato.
La finestra è chiusa, qui si muore caldo. In quel momento, da sola in una stanza lurida nel paese più caldo del mondo, scoppio a piangere.
 
 
Kawaki aspettava il biondo alla fine della buia stradina. Come ogni volta doveva attendere che questo sbrigasse i suoi comodi, che in quel caso consistevano nel togliere di mezzo una tizia della Foglia che gli batteva i pezzi da due mesi.
- Eccoti qui, cazzo! Sono ore che ti aspetto Boruto.-
- Non esagerare. È inutile che mi guardi con quello sguardo truce Kawaki, non mi spaventi. Ti conosco da troppo tempo, e poi saranno al massimo due, tre ore- biondo del cazzo, aveva anche il coraggio di ridere.
Tre ore in quel cavolo di vicolo bollente. Suna faceva schifo.
È questo che pensava Kawaki mentre si asciugava la fronte madida di sudore; per fortuna tra poco sarebbero partiti per il Vortice, e a quel punto sì che sarebbero stati a casa. Al fresco.
Già gli sembrava di vedere Maho aspettarlo fuori le mura, con le sue lunghe trecce rosse e gli occhioni azzurri. E dopo, in camera da soli…sì quella era la loro casa. Al fresco. Non quel paese di merda dove si moriva di caldo e il tempo sembrava fluisse al contrario. Ma quanto lo aveva aspettato in quel cesso di vicolo?
- Allora? Hai sistemato la signorina anbu?- che rabbia quando mi guardi con quel tuo solito ghigno da stronzo. - Sono due mesi che giocate al gatto e al topo…non capisco perché non hai risolto prima questa questione.-
- Te l’ho detto, bisogna studiare il nemico- mi rispondi sempre con queste frasi fatte. Mai che mi spiegassi cosa ti passa per la testa.
Ma va bene, fai come meglio credi, non mi importa granché in fondo.
L’importante è levare le tende il prima possibile da questo posto infernale. Aveva ragione Mitsuki, questo è il buco del culo del mondo. Per quanto fosse migliorato dalla morte di Gaara, questo maledetto paese continuava ad essere una fornace a cielo aperto, e tutta la modernità del mondo non l’avrebbe mai cambiato. E se lo diceva un tipo come Mitsuki, sempre così diplomatico e serio, ci si poteva credere.
- Senti non ho voglia di darti spiegazioni. Non stasera- cos’è quest’aria nervosa socio? L’incontro è stato più complicato del previsto?
Me ne guardo bene da rivolgerti simili domande. Sei nervoso lo vedo.
Dopotutto ti conosco bene, siamo diventati uomini insieme; a volte potrei pensare di conoscerti meglio di quanto tu conosca te stesso. E stasera sei stranamente incazzato, lo sento.
E sia, rimugina pure nei tuoi pensieri. Ci sarà tempo domani per gli interrogatori, per ora l’importante è muoversi.
- Ora andiamocene. Per domani dobbiamo essere nel Vortice.-
Lo so bene amico mio. È per questo che ti seguo senza fare domande tra i vicoli della città, e poi ancora più in là, al di fuori delle mura. Nella notte solitaria, dietro di noi ci lasciamo le luci della città.
Sento il caldo appiccicato addosso, ma va bene così. Presto saremo a casa e potrò fare un bagno, questa città di merda sarà solo un ricordo.
La missione è compiuta, gli accordi presi. E tu? Sei davvero riuscito a sistemare la ragazza?
Domani forse me lo dirai.
 
Ecco pubblicato (anzi pubblicato di nuovo) il secondo capitolo.
Come già scritto nell’introduzione alla storia, si tratta di una fiction già pubblicata nei giorni scorsi e cancellata per errore (maledetta me!).
Che altro dire, assistiamo qui al primo vero incontro fra Sarada e Boruto dopo anni, e ormai adulti. Spero di essere riuscita a rendere, nelle battute, i forti e controversi sentimenti che legano la ragazza al vecchio “amico” d’infanzia.
Come già anticipato, in questo secondo capitolo compare per la prima volta il personaggio di Kawaki; un Kawaki profondamente diverso da quello tratteggiato da Kishimoto e per alcuni versi più vicino, caratterialmente, al Boruto “canonico”, che al contrario ho immaginato con una personalità più fredda e per alcuni tratti cinica rispetto all’originale.
Per quanto riguarda Sarada, per lei ho sempre avuto in mente una donna forte, ma allo stesso tempo dilaniata dentro per un amore che vive come impossibile.
Comunque vedremo insieme nel tempo come si evolveranno i personaggi (per adesso trattandosi di un esperimento ho le idee poco chiare anche io).
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e in tal caso vi invito a recensire (almeno per avere un feedback esterno alla storia).
Ancora grazie e alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
 
 
 
 
 
Sarada rimase senza fiato, ancora una volta, quando sentì di nuovo gli occhi pulsare. Era la seconda volta quella mattina. Si portò le mani al viso, la luce che entrava dal solaio come una ferita. Maledizione.
Stava così da una settimana ormai, da quando era tornata dalla sua missione a Suna.
Missione inutile. Aveva faticato a trovare le parole per spiegare ai superiori, a Shikadai per primo, il perché nonostante si fosse avvicinata così tanto all’obiettivo fosse riuscita a non cavarne nulla di buono. Dell’incontro con Boruto non ne aveva fatto parola. Cosa poteva dire loro? Che si era trovata ad un soffio da lui e non aveva fatto assolutamente nulla?
Non aveva neanche tentato di catturarlo, di combattere, di reagire in qualunque modo. Al contrario, se ne era rimasta lì, imbambolata di fronte a lui, a subire il suo interrogatorio. Imbecille, donna imbecille.
Come si sarebbe potuta giustificare con Shikadai? Tempo fa gli aveva giurato cieca fedeltà su tutti i fronti. Come anbu e come amica.
Quella fedeltà includeva anche una certa determinazione nel portare a termine l’obiettivo della sua missione, una determinazione che in quell’incontro di Suna era completamente venuta meno, tanto si era lasciata trasportare dai suoi sentimenti.
La verità era che in quello strano tête-à-tête, si era completamente dimenticata del suo ruolo; per un attimo si era come sentita esonerata dalle sue responsabilità. Era solo una donna che rincontra, dopo anni e anni, il ragazzo di cui è ancora innamorata.
Era stata quindi travolta da una serie di emozioni, per la maggior parte scomode e spiacevoli. La realtà, però, era molto semplice: lo amava ancora, con un’intensità tanto forte e travolgente da renderla incapace di superare i suoi sentimenti quando si trovava insieme a lui. Da pensare ad altro se non a lui.
Questa realtà era semplice, ma pericolosa; era la prova che quando si trattava di Boruto, lei era la persona meno indicata a cui affidare una missione. Questa volta era sola e Boruto non sembrava davvero intenzionato a farle del male, ma cosa sarebbe potuto accadere in un’altra situazione? Se si fosse trovata in pericolo insieme ai suoi amici? O in caso di uno scontro diretto? Sarebbe davvero stata in grado di attaccarlo?
Per tutte queste ragioni aveva faticato, nell’ufficio dell’Hokage, a guardare Shikadai negli occhi e rifilargli una cazzata dietro l’altra. Non avrebbe mai potuto raccontargli come si era in realtà svolto l’incontro, non davanti a Naruto, al vecchio Hatake e agli altri.
Avrebbero capito subito che non si era trattato di un caso isolato dettato dalla sorpresa, ma della sua incapacità nell’affrontare e silenziare i suoi sentimenti quando si trattava di Boruto.
Era diventata brava, con il tempo, nell’inventare storie ed era riuscita ad omettere la parte finale della sua missione, ossia quando Boruto si era introdotto nel suo alloggio.
- Una volta lasciato il locale mi sono diretta al mio alloggio. Il giorno dopo era sparito, non c’era più traccia del suo chakra…da nessuna parte-
Se l’era cavata così, o almeno lo sperava.
Shikadai non aveva battuto ciglio, si era limitato a fissarla da dietro il muro di scartoffie impilate perfettamente sulla sua scrivania. Faldoni e fogli a formare colonne ordinate.
Ogni foglio perfettamente sovrapposto al precedente, come al successivo. Così ordinato, da far venire l’orticaria.
Naruto non lo era stato mai. Il suo ufficio le era sempre sembrata un’enorme polveriera in attesa di esplode. Fogli ovunque, la sua segretaria sempre in cerca di qualche cartella mancante all’appello. A volte sua madre stessa correva in soccorso del vecchio amico, la immaginava spesso piegata su quella scrivania a compilare fogli. Tempo sprecato fuori casa, tempo ritagliato faticosamente tra un intervento e l’altro all’ospedale.
Tanto loro si sarebbero viste la sera, la cena preparata da Sarada già fredda.
Si era spesso chiesta il perché sua madre fosse stata tanto determinata ad averla, se poi sembrava cercare ogni scusa possibile per abbandonarla in qualche angolo come un calzino sporco.
Dentro di sé sentiva di conoscere la verità, tuttavia preferiva non pensarci. Dentro di sé sapeva che la madre aveva fatto di tutto per rimanere incinta non per desiderio materno, quanto per il desiderio più grande di intrappolare suo padre. Come se un uomo del genere si potesse incatenare a sé con un marmocchio piagnucoloso.
E infatti presto le sue aspettative si erano infrante. A nulla era servito seguirlo nei suoi spostamenti, incinta. A nulla era servito partorire sua figlia in un covo abbandonato, al freddo e con il solo aiuto di Karin.
Cazzo lei era Sakura Haruno! Insieme a Naruto e a Sasuke aveva salvato il villaggio, il mondo! Avrebbe dovuto partorire nell’ospedale che dirigeva, in una stanza bianca, sterile. Sterili dottoresse avrebbero poi afferrato quel corpicino esterno e strappato via dal suo corpo.
Poi una volta che tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stata lei, Sakura, lavata e profumata nel suo vestito bianco di madre, a mostrare a Sasuke il frutto delle sue sofferenze, del suo sacrificio, ma anche del loro amore. Che grande eroina.
Forse, nella testa di sua madre, lui non avrebbe potuto far altro che accettare con commozione il suo dono, il frutto del di lei sacrificio. Avrebbe preso Sarada in braccio, attento a posizionarsela nel modo giusto fra le braccia, e avrebbe stretto a sé, con tenerezza, quel fragile corpicino profumato.
Quel pezzo di carne, venuto al mondo nel dolore e nel sangue, che racchiudeva una parte di lui.
Invece nulla era andato secondo i suoi piani; al contrario, si era ritrovata a partorire in quel covo lercio, le gambe spalancate nel freddo del sottosuolo, le mani di Karin lorde di sangue che scivolando cercavano qualcosa, dentro di lei. In quel frugare aveva poi trovato quello che cercava, una testa minuscola.
Afferrata la bambina, era stata Karin a strappare quel piccolo essere via dal suo corpo; in testa si vedeva già una fitta peluria ebano, striata del suo sangue. Il viso congestionato.
Sua madre, le aveva raccontato Karin, se ne era stata immobile, come se fatta di gesso, gli occhi socchiusi e il volto rovesciato nell’affanno.
Era stata Karin a farla piangere, era stata sempre lei a prendersi cura della bimba nei suoi primi giorni, finché Sakura non si fu rimessa in forze.
Suo padre non c’era, partito per chissà dove. Solo un mese dopo, tornato finalmente, puntò i suoi occhi scuri sulla figlia, ma come al suo solito, non disse una parola al riguardo, nemmeno alla moglie.
Sarada credeva di sapere cosa avesse dovuto pensare in quel momento: era fatta, alla fine quella donna era riuscito a legarlo a lei tramite quell’esile corpicino di carne. Sua figlia.
Successivamente si era impegnato con tutto sé stesso nel tentativo di dimostrare a quella donna petulante il contrario; anche con una mocciosa al seguito non l’avrebbe incatenato, non avrebbe minacciato la sua libertà. Era semplicemente sparito, da un giorno all’altro.
Il tempo di riportare Sakura e la bambina a Konoha, per affidarle alla tutela dell’amico Hokage, e tanti saluti.
Tuttavia, non poteva negare che qualcosa di buono le fosse venuto da sua madre: grazie agli occhiali, progettati da Karin, che sua madre le aveva imposto fin da piccola, non aveva mai avuto grossi problemi con i suoi occhi. Quegli occhiali che lei aveva sempre percepito come una gabbia di plastica fin dall’infanzia, le avevano in definitiva potenziato gli occhi più di qualsiasi altra tecnica medica. Ciò le aveva permesso, verso i quindici anni, di sviluppare uno Sharingan Ipnotico talmente forte da non avere bisogno di un trapianto ottico. I suoi muscoli oculari non erano deboli come quelli degli altri Uchiha.
Di questo non poteva non esserle grata. Grazie a lei era sfuggita alla maledizione di sangue degli Uchiha, e i suoi occhi così dannatamente rossi costituivano una minaccia solo per i suoi nemici. O per lei.
Ma le continuavano a pulsare, dannazione. Da una settimana a quella parte non le lasciavano un momento di riposo.
Dannata Suna. Dannata missione.
Si alzò da quel letto sfatto per la prima volta da giorni, se si esclude le volte che vi si era allontanata per l’espletamento delle necessità fisiologiche.
Il campanello suonava, e non per la prima volta, ma come sempre più spesso accadeva lo ignorò.
Si mise la prima cosa a portata di mano e si diresse in cucina. Dov’era finito il caffè? Eccolo.
Da qualche parte della casa le giunse l’eco di un miagolio, e dopo pochi secondi percepii la calda testa tonda di Tora strusciarsi contro la sua caviglia. Piccolo tigrotto.
- Buongiono anche a te. Hai fame?-
Comunque, per un attimo, per una sola frazione di secondo, aveva colto una strana luce negli occhi di Shikadai, come se avesse capito o almeno sospettato che in quella dannata Suna fosse successo di più di ciò che aveva raccontato loro. O se l’aspettasse.
Per un attimo aveva temuto di scorgere un bagliore di comprensione negli occhi del vecchio amico.
Si chiese ancora una volta se fosse così, e sperò nel profondo del proprio cuore che, se veramente così fosse, l’amicizia che li legava potesse sopportare anche il peso di quella piccola omissione.
Così se ne stava da una settimana reclusa nel suo monolocale, cercando in tutti i modi di non incrociare nessuno. Non voleva vedere nessuno.
Si rifiutava persino di rispondere al citofono che suonava ad ogni ora del giorno. Sicuramente era Chocho la fonte di quel suono fastidioso; ormai evitava anche lei.
Che donna molesta! Faceva di tutto per ignorare i suoi segnali; voleva essere lasciata in pace, era così difficile capirlo?
Per fortuna il giorno prima si era buttata addosso il primo cappotto che aveva trovato e, in condizioni non molto decorose al dire il vero, si era trascinata fino alla bottega alla fine dell’isolato, quella aperta anche di notte, ed aveva fatto rifornimento di cibo quanto bastava per i prossimi tre giorni. Beata provvidenza, non doveva neanche correre il rischio di mettere la testa fuori da quel buco e farsi vedere in giro in quello stato.
Pessimo stato, lo sapeva. Nel profondo però voleva proprio questo, voleva distruggere i propri sensi e sprofondare dentro di sé, in un mondo ovattato senza suoni e pensieri. Almeno per i prossimi due giorni ancora.
Non era la prima volta che si concedeva quel dolce oblio, che si prendeva una pausa da sé stessa. Succedeva periodicamente, ossia nei ritagli di tempo che si incanalavano fra una missione e l’altra. Negli spazi bianchi della sua vita.
Per uno strano tempismo, mentre la sua mente era impegnata in una serie di pensieri poco edificanti sulla sua amica, ancora il citofono riprese a suonare. Per l’ennesima volta lo ignorò, anzi si piegò con tutta calma verso la madia posizionata di fianco al frigo, e dopo avervi frugato dentro ne estrasse con cautela una bottiglia di rum. Mai come in quel periodo sentiva il bisogno di riposarsi nel caldo torpore che solo l’alcol le poteva offrire.
Intanto Tora si era dileguato chissà dove.
Era una sorta di alcolizzata occasionale; beveva solo nei ritagli di tempo della sua vita, in quei momenti dolorosi in cui le veniva meno il coraggio. Quegli attimi di vita che non aveva la forza di fronteggiare da sobria, ma che solo il lieve stordimento donatole dall’alcol le rendeva meno amari. Tuttavia non beveva mai in missione, al contrario, quando si trattava della sua vita da ninja era una macchina perfetta.
Svitò il tappo della bottiglia, versandone un po’ del contenuto nel bicchiere e ne tracannò un gran sorso, animandosi un poco quando sentì quel liquido ambrato riscaldarle la gola.
Cominciava già a sentirsi meglio, più distaccata dalla realtà. Quello era il giorno giusto per ubriacarsi. Continuò a ingollare sorsi anche quando sentì armeggiare con la serratura della porta principale, la serratura scattare e la voluminosa capigliatura di Chocho, fresca di cotonatura, fare capolino dalla porta, seguita dal resto della figura dell’amica.
Che stupida a darle una copia delle chiavi.
Come spesso accadeva, fu Chocho a prendere per prima la parola: - Ci diamo all’alcol di prima mattina? Devi essere proprio di brutto umore per cominciare così presto.-
- Che ore sono?- le domandò Sarada. Da qualunque luogo giunse la sua voce, quella che emise fu un’articolazione piuttosto roca, a tratti impastata. Tipica di chi ha trascorso ore senza fiatare.
- Troppo presto per bere…anche per te.- le rispose Chocho.
La mora le rispose con un’alzata di spalle. Presto? Era un concetto relativo per lei; in fondo non erano giorni, o forse mesi, che viveva secondo una sua personale concezione del tempo? Un tempo puntiforme, in cui le parole chiave che le permettevano di orientarsi erano tutte del tipo: “missione”, “obiettivo”, “alcol”, “sonno”. Deprimente.
- Hai lasciato il caffè sul fuoco, sta uscendo tutto…-
- Cazzo!- Si lanciò immediatamente verso il fornello, spegnendo il gas. Dietro di sé percepiva Chocho riempire il suo bicchiere di rum, e bere a sua volta. Voltò appena il viso, tanto quanto bastava a guardarla.
La ragazza, a differenza di lei, aveva un ottimo aspetto. I capelli sicuramente freschi di parrucchiere. Tutta la sua figura esprimeva il vigore e la salute tipiche di una donna nel fiore degli anni; dai capelli serici, passando per il volto rotondo ma delicato, fino alla figura florida e armoniosa. Tutto in lei era sintomo di equilibrio e salute.
Sarada pensò ai propri di capelli; sicuramente andavano lavati. Si guardò le mani che erano ancora ferme sull’interruttore del gas, mani bianche e sottili, ne vedeva il reticolo azzurrognolo delle vene. Mani di una morta, se non fosse per il tremore che le agitava.
- E’ forte questa roba.-
Sobbalzò leggermente e puntò lo sguardo sull’altra donna, che ora se ne stava appoggiata con il sedere sul tavolo, in una posa rilassata, mentre continuava a sorseggiare dal bicchiere. Il suo bicchiere. Gli occhi dal taglio obliquo, felino, assottigliati la scrutavano.
Ora più che mai, si sentiva giudicata da quegli occhi.
- Non era troppo presto per bere?- Sarada non poté evitare di calcare di risentimento le sue parole. Non le piaceva essere giudicata o controllata, e non lo riteneva corretto nemmeno se a farlo era la sua “migliore” amica.
Nessuno sapeva l’inferno che le devastava la mente in quei giorni vuoti, in cui nulla le sembrava particolarmente sensato nella sua vita.
- Dal momento che hai aperto le danze, non resta che adeguarmi. Come pensi di procedere poi? Te ne starai tutto il giorno rintanata in questo buco ad ubriacarti fino a stordirti?- con un ultimo sorso finale vuotò il bicchiere, abbandonandolo, con un po’ troppa veemenza, di fianco a lei, sul tavolo. – Non è neanche di buona qualità…mi aspettavo di meglio da te.-
- Che cosa ti serve? Non mi sembra di averti invitata ad entrare.-
- Se vogliamo essere precise, non hai nemmeno risposto al citofono.- le rispose Chocho; un sopracciglio alzato, la squadrava dalla testa ai piedi come valutando qualcosa - ripetutamente, per giorni.-
- Allora, se fossi stata una donna intelligente, avresti capito che voglio stare sola ed avresti evitato di suonare ripetutamente.-
- E’ così che ripaghi il mio sincero affetto per te? Sono preoccupata. Non mi piace saperti rintanata qui da sola, soprattutto conoscendo il modo con cui passi il tuo tempo.- questa volta fece cenno, con la testa, alla bottiglia semivuota sul tavolo. - Allora? Com’è andata a Suna?-
- Lo sai com’è andata a Suna, scommetto che Shikadai ti ha spifferato tutto già diversi giorni fa.- rispose la mora, versandosi una tazza di caffè.
- Certo che l’ha fatto signorina! Ma io intendevo: cos’è successo realmente a Suna?- la incalzò Chocho, sollevando gli occhi al cielo. – Shikadai mi ha raccontato che non è successo nulla di che…ti sei limitata a spiarlo finché non si è dileguato. Veramente è successo solo questo?-
- L’ho visto.- le confidò Sarada, all’improvviso.
- So che l’hai visto, ma io…- ma Sarada fu veloce e l’interruppe prima che l’amica potesse terminare la frase: - Intendo che l’ho visto da una vicinanza molto ristretta.-
-Quanto ristretta?- mentre Chocho diceva ciò, forse inconsapevolmente, non poté impedirsi di sporsi verso l’amica.
- Molto più ristretta di quella che ci separa ora.- le confidò Sarada alzando le sopracciglia come per ammiccare, e non poté impedirsi di arrossire, ricordando quanto vicino le si fosse avvicinato l’uomo ad un certo punto del loro colloquio.
- Oh!- si lasciò sfuggire dalle labbra la riccia.
- Già…oh!- le fece il verso Sarada, continuando a sorseggiare il suo caffè. -Ci ho anche parlato.-
- Bene…questo Shikadai non me l’ha detto.-
- Perché non lo sa. Non gliel’ho detto.- ammise Sarada, non senza provare vergogna.
- Sarada!-
- Lo so, lo so!- si affrettò a precisare la mora, tentando di arginare il fiume di rimproveri che immaginava stesse per straripare dalle labbra dell’amica. - Comunque non ci siamo detti nulla di interessante ai fini della missione.-
- E credi di cavartela così?- l’ha inchiodò Chocho con sguardo duro.
- Immagino di sì…o no?- provò a buttarla lì Sarada.
- Non scherzare! Cazzo, ora mi racconti tutto!- quasi l’assalì l’amica, gli occhi spalancati. – Sono anni che non speri altro che ritrovartelo davanti! Anni passati a struggerti nelle tue pene d’amore…ad alcolizzarti!-
- Scusa?- Sarada alzò le sopracciglia, risentita.
- Beh non è proprio normale bere rum alle dieci del mattino.- le fece presente Chocho, incrociando le braccia sul petto florido.
- Ma se hai bevuto anche tu!- obiettò Sarada.
- Perché, mia cara, io sono una vera amica! La più fidata sulla piazza-
- Che stronza!-
Nelle due ore a seguire, Sarada dovette lanciarsi in un accurato racconto dell’incontro con Boruto, a cui seguì un’altrettanta accurata analisi da parte di Chocho, che con la sua tipica capacità di ricamare sul niente, si diede al suo sport preferito: trovare significati nascosti (quasi sempre di tipo amoroso) nei dettagli insignificanti. In fondo se l’aveva seguita voleva pur dire qualcosa, magari anche lui bruciava di passione per lei.
Per Sarada la realtà era molto più semplice, anche se ben poco edificante: il biondo si era accorto che lo pedinava da giorni e voleva intimidirla affinché la piantasse.
Boruto non l’aveva attaccata fisicamente soltanto in virtù di quel piccolo residuo dell’amicizia che una volta li legava, e che forse lui non aveva del tutto dimenticato. Nel suo caso, invece era rimasta troppo instupidita dall’evento in sé per poter pensare a qualcosa di concreto.
L’unica cosa di cui era certa, dopo giorni passati a rivivere nella sua mente quell’incontro ed a mettere sul “lettino” i suoi sentimenti, era che l’amava ancora. Anzi, dopo quell’incontro, se possibile l’amava ancora di più.
Dopo anni passati a soffrire le pene dell’inferno cercando di soffocare l’amore per quell’uomo orami lontano, quell’incontro non aveva fatto altro che alimentare le sue emozioni. Ora Boruto per lei non era più soltanto un ricordo, ora era tornato ad essere un uomo reale.
Quell’incontro sembrava come aver dato nuova linfa ai suoi sentimenti, per questo gli occhi avevano ripreso a pulsare e per questo i suoi sogni, sempre più spesso, venivano disturbati dalla proiezione di immagini che lei stessa creava e che non le davano tregua. Anche per questo aveva bisogno dell’alcol.
- Comunque, non credo che Shikadai ti affiderà di nuovo una missione del genere. Non è stupido Sarada…l’ha capito anche lui. Sei una kunoichi eccezionale, cazzo! Delle volte mi sento fortunata a trovarmi nel tuo stesso villaggio e ad essere tua amica…non sarei mai in grado di tenerti testa in battaglia.-
- E allora dov’è il problema?- le domandò Sarada, inspirando a fondo.
- Cara, il problema è che quando si tratta di Boruto ti trasformi in un essere privo di qualsivoglia facoltà di raziocinio. Ed adesso vestiti, usciamo. A forza di startene chiusa qui dentro stai diventando più grigia di queste pareti.- e continuò, prima ancora che la mora potesse obiettare: - Non accetto no, cara. Andiamo! La tua amica Chocho ti porta in cerca di qualche bel fusto.-
 
 
Boruto se ne stava in piedi, di fronte alla vetrata, il candido telo di lino stretto in vita in un nodo saldo.
Se ne stava lì ad osservare come il Vortice si stagliava rigoroso di fronte a lui, lì dal punto più alto del villaggio. Dalla sua abitazione, l’abitazione del Kage.
Quel villaggio di case rocciose, ruvide quasi, che si stagliavano in contrasto sulla vegetazione rigogliosa, delle più fulgide tonalità di verde. Quel luogo custodito fra colline fertili e corsi d’acqua rigogliosa. Era quanto di più vivo potesse immaginare. Tuttavia c’era ancora molto da fare, molto da costruire.
Aveva passato le sue intere giornate, da quando lui e Kawaki avevano fatto ritorno da Suna, dividendosi fra i suoi compiti burocratici e il controllo diretto del villaggio.
Lui e Mitsuki avevano trascorso ore e ore, nel pomeriggio, controllando l’andamento dei lavori, dando loro stessi una mano. Immersi nella polvere e nel sudore, sotto il sole caldo, essi stessi avevano lavorato al fianco di quella che era diventata la loro gente. Solo sul tardi, sporchi e stanchi, i muscoli dolenti, si ritiravano.
Era stato via a lungo, in missione segreta prima nella Roccia e poi a Suna. Per il bene del villaggio doveva assolutamente stringere alleanze con i rispettivi Kage, al fine di potenziare le relazioni politiche del villaggio.
Un paese senza alleati era un paese debole.
Finalmente si poteva concedere qualche ora di pausa. Una doccia, del cibo, forse anche qualcos’altro.
Se ne stava così, in piedi di fronte a quello spettacolo: il suo villaggio, la sua vera e unica casa. Percepì un chakra avvicinarsi, sempre più vicino, dietro di sé un rumore di passi. Era Kawaki.
- Ecco il grande Kage! Ehi amico è tutto il giorno che ti cerco!- Il moro lo salutò gioviale, evidentemente di buono umore.
Boruto gli fece un cenno di saluto, squadrandolo. Dalle occhiaie che gli segnavano gli occhi e l’aspetto trasandato, come di uno che si è rivestito di tutta fretta dopo aver passato intere giornate a letto, credette di indovinare l’origine del suo buon umore.
- Ho avuto da fare con Mitsuki. Siamo stati a controllare i lavori.- Borutò si girò, dirigendosi verso l’armadio poco distante, nel mentre allentandosi l’asciugamano stretto in vita. Si spogliò velocemente, dando le spalle all’amico e indossò, con pochi e agili movimenti, un paio di pantaloni comodi.
- Come ogni giorno. A volte vorrei che dimenticassi per qualche ora di essere il capovillaggio. La vita è una e va vissuta.-
- Come fai tu?- borbottò il biondo.
- Già, come faccio io- gli rispose prontamente Kawaki, ignorando volutamente la provocazione.
- Siamo stati via parecchio tempo…dovevo fare il punto della situazione.- sbuffò Boruto.
- E l’hai fatto?-
- Mitsuki si è mostrato all’altezza del compito.- si limitò a rispondere, prima di aggiungere: -Come sempre-.
- Se non fosse uno dei miei migliori amici lo troverei irritante, tanto è perfetto.- aggiunse Kawaki con un sorriso divertito ed insolente.
- Vedo che come al solito ti diverti a sparlare alle mie spalle.-
Kawaki inarcò le sopracciglia, gettando un’occhiata alla porta dietro di lui, dov’era appena apparso Mitsuki.
- Salve, mio grande amico!- lo salutò bonariamente Kawaki, strizzando appena gli occhi in un gesto amichevole che era solito rivolgere loro.
- Idiota.- Gli rispose l’altro, trattenendo appena una risata. – Allora, che si fa stasera?-
- Ma come? Non mi dire che hai intenzione d’unirti a noi? Pensavo passassi le tue serate chino sulla scrivania a studiare non so cosa.-
- Per tua informazione, quello che faccio alla mia scrivania si chiama lavorare. Sai, è quello che fa di norma un consigliere, dovresti provare ogni tanto.- Mitsuki si rivolse al moro con calma studiata, utilizzando un tono conciliante che di solito riservava ai bambini.
- E perché dovrei? Sono o non sono il generale supremo del Vortice? Le mie competenze si esprimono sul campo, non legato ai piedi della scrivania.- gli rispose Kawaki, scimmiottandolo e gonfiando il petto.
- Beh, ultimamente le tue competenze si sono “espresse” soltanto in un certo tipo di campo. Poco fa ho incontrato Maho, era piuttosto scarmigliata.- Boruto esplose in un’improvvisa risata, osservando il volto dell’amico farsi di fuoco per l’imbarazzo.
Come al solito, Mitsuki sapeva andare a segno con poche parole. Diretto ed efficace.
- E dai, amico, dammi tregua! Siamo tornati da pochi giorni da quella dannata, infernale Suna! Mi sento ancora quei fastidiosissimi granelli di sabbia addosso! Per non parlare della Roccia…e dire che siamo noi ad avere la nomina di essere gente rozza. Quel posto avrebbe bisogno di una svecchiata.- se ne uscì Kawaki che, come era solito fare, si era appropriato del suo divano. Se ne stava lì a gambe incrociate, un ghigno insolente sulla faccia.
- Dacci un taglio, Kawaki, non si è trattato di certo di un viaggio di piacere. L’importante è che alla fine siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo.- tagliò corto Boruto.
- Sì, lo so. Ci serve l’appoggio della Roccia e della Sabbia per poterci porre in una posizione forte nei confronti degli altri villaggi, in particolare verso la Foglia.- gli rispose, scimmiottando il suo tono autoritario.
All’improvviso una scintilla maliziosa gli illuminò gli occhi e il ragazzo si produsse in un ghigno derisorio, che Boruto conosceva bene. - A proposito di Konoha…non gliel’hai detto?-
- Cosa?- domandò Mitsuki, guardando entrambi i suoi amici con aria perplessa.
Dall’espressione di Mitsuki, Kawaki capì che Boruto non l’aveva ancora messo al corrente della sua parentesi con Sarada; ciò non fece altro che aumentare il suo divertimento nello stuzzicare il biondo.
- No, non lo sa…se ti riferisci a Sarada.- rispose Boruto, alquanto seccato.
La discussione si stava addentrando in un terreno pericoloso; il fatto stesso che non avesse ancora vuotato il sacco con Mitsuki lo metteva in una situazione imbarazzante.
- Cosa non saprei?- ritentò quest’ultimo, ora la sua voce assunse un’intonazione quasi spazientita.
- Dovresti dirglielo, infondo era anche sua amica.- rincarò petulante, Kawaki, con tono compiaciuto.
- A Suna ho visto Sarada.- Boruto fece una piccola pausa e si schiarì la gola, prima di continuare. -E’ stato un incontro breve, non è successo nulla di rilevante.-
Ecco, finalmente gliel’aveva detto.
- Davvero?- quasi inconsapevolmente Mitsuki mosse un passo verso di lui, sporgendosi lievemente nella sua direzione. Brutto segno, voleva dire che era incuriosito.
- L’ha seguita.- si intromise ridacchiando Kawaki. Oh sì, si stava divertendo un mondo! Boruto avrebbe trovato il modo di fargliela pagare. Quanto avrebbe voluto cancellargli quel sorrisetto dalla faccia. Magari a suon di pugni.
- Non l’ho seguita. O almeno l’ho seguita dopo che lei, per giorni, ha fatto lo stesso con me.- si affretto a precisare. Precisazione che, a dire la verità, sembrava più una giustificazione.
Era nervoso e sicuramente Mitsuki l’avrebbe notato. Era sempre così attento ai dettagli.
- Ma se sei stato tu a permetterle di percepire il tuo chakra. Ti sei fatto tracciare apposta.- continuò Kawaki, non notando, o ignorando volutamente, gli sguardi di fuoco che il biondo gli indirizzava. Arrivò anche al punto di intimargli il silenzio con una boccaccia, ma evidentemente Kawaki non colse il gesto, poiché si limitò a fissarlo con un sorriso luminoso in volto.
- Ho fatto solo quello che era necessario, dovevo capire cosa volesse.-
- E ci sei riuscito? Hai capito cosa voleva?- s’intromise Mitsuki.
- Informazioni.- tagliò corto Boruto.
- Che genere di informazioni?- evidentemente Mitsuki voleva tutti i dettagli.
- Forse Konoha ha capito che ci stiamo muovendo e vuole sapere che intenzioni abbiamo. Forse vogliono conoscere l’ubicazione del villaggio.-
- Come ti è sembrata?- Domandò l’amico, gli occhi illuminati da un sentimento caldo. Affetto, forse? Nostalgia?
- Sarada?- Boruto tentò ancora la via della dissimulazione.
- Ovvio.- precisò Mitsuki.
- Cresciuta…trasandata.- il suo tono suonava falso persino a lui, troppo intriso di menzogna.
- Beh, da quello che ho intravisto sembra in forma. Bel culo!- si intromise Kawaki, ridacchiando e muovendo le mani come a mimare due globi sodi.
- Questa la devo proprio raccontare a Maho.- gli intimò Mitsuki.
Il suo sguardo pensieroso era però tutto per Boruto, come se stesse valutando i dati appena acquisiti e le loro implicazioni. Boruto si grattò il petto nudo, si sentiva analizzato. Non gli piaceva quella sensazione di disagio.
- Che palle Mitsuki! Con te non si può mai scherzare!- Boruto dovette trattenere un ghigno notando il modo in cui Kawaki irrigidì le spalle e allungò il collo, in un gesto nervoso. - Guarda che dico sul serio! Se provi a fiatare te le suono! Quella è pazza, non hai idea di quello che potrebbe farmi!- ci riprovò ancora il moro, con uno sguardo smarrito che Boruto gli aveva visto solo di fronte alla collera di Maho.
- Oh, sì che ne ho idea! Se fossi in te starei in guardia.- replicò con calma Mitsuki, prima di alzare i tacchi e lasciare improvvisamente la stanza dileguandosi.
- Ma dove te ne vai ora? Aspetta! Scherzavo cazzo!- gli urlò contro Kawaki, prima di lasciare anche lui la stanza, alle calcagna dell’amico.
- Che idioti!-
Boruto si lasciò scappare un’imprecazione. Se non altro l’avevano lasciato finalmente in pace.
Forse uscire non era una buona idea, meglio riposare.
Si stava bene la sera, nel Vortice. Il clima, leggermente caldo di giorno, era piacevolmente fresco la notte. Uscì fuori, nella balconata; quell’appartamento era un privilegio, più alto degli altri, permetteva a Boruto di ammirare lo splendore del villaggio, della notte, di ogni cosa.
Un grande open space, l’aveva voluto così, luminoso e con una visuale mozzafiato da cui potesse tenere d’occhio il villaggio.
Il cielo fuori era già così scuro, eppure luminoso. Sentì la pelle d’oca sulle braccia e il petto muscoloso, la brezza gli scompigliava i capelli chiari.
Sedette fuori al buio, immerso nei suoi pensieri. Con la mente ritornò alla calda sera di pochi giorni fa, così diversa da quella.
Di tutti i posti in cui pensava di rivedere Sarada, la parte notturna di Suna era la più improbabile.
Gli scappò un sorriso al pensiero di quanto le dovesse essere pesata quella missione, lei da sempre schiva e silenziosa, costretta per giorni a seguirlo da un locale notturno all’altro. In quel caldo infernale.
Chiuse gli occhi, e riuscì a visualizzarla nella sua mente, a vederla per come gli era apparsa la sera del loro colloquio.
Era trasandata, era vero. L’aveva pensato quando l’aveva vista seduta nell’angolo più buio del locale, incastrata in strati di vestiti fuori luogo in quel posto caldo. Ma era anche alta, non quanto lui comunque, e il fisico era proporzionato, in forma.
Aveva ragione Kawaki, aveva un bel culo.
Il suo volto era sempre bello. Anzi era ancora più bella di come la ricordava; bella in una maniera differente, era una donna fatta ora.
Anche gli occhi, in apparenza neri come l’ebano, erano diversi: il viso, negli anni, si era fatto più affilato, così adesso gli occhi sembravano più grandi. Le ciglia scure e folte.
Lui lo sapeva bene che quegli occhi, in apparenza così neri, in realtà illuminati da una luce più chiara erano di un grigio profondo, misterioso.
Tutto di lei: il volto dai tratti regolari, ma marcati, le sopracciglia folte e nere come i capelli, la bocca sensuale, l’aveva attirato, attratto. Così, nonostante in un primo momento, accortosi di essere seguito, si era ripromesso solo di studiarla, ad un certo punto la tentazione di inseguirla, braccarla, averla più vicina era stata troppo forte.
Si chiese se fosse cambiata anche nel carattere, o se fosse rimasta la ragazza timida e risoluta con cui una volta condivideva gli allenamenti. La ragazza che lo seguiva per le strade di Konoha, che smaniava per ottenere la sua amicizia.
Per un attimo, mentre la osservava in quel locale, aveva quasi perso di vista chi fosse. Per un attimo, aveva nutrito per lei lo stesso interesse di un uomo che nota una bella donna per strada, e quando più tardi, nella sua stanza, le si era avvicinato alle spalle, l’odore dei suoi capelli aveva per un attimo fottuto i suoi sensi.
Se non avesse lasciato quella stanza, se la sarebbe fatta, ne era certo.
Si chiese se nel profondo non fosse questo il vero motivo che l’aveva spinto a farsi dare la caccia prima, e in seguito a inseguirla lui stesso. Era stato quell’interesse improvviso a muoverlo?
Doveva darci un taglio con quella storia, tanto sicuramente l’indomani Mitsuki l’avrebbe assediato con le sue domande. Ora doveva riposare.
Se ne tornò dentro, nella luce di casa sua. Alle sue spalle la notte si stagliava nera, rilassante, cupa.
 
 
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Ho impiegato un po’ di tempo ad aggiornare…ma sono tempi difficili un po’ per tutti.
Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e vi invito a recensire (anche solo per delle critiche)!
A presto!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                    
 

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