Il Libro della Pace di Zappa (/viewuser.php?uid=168901)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sogno di una dea ***
Capitolo 2: *** Un mostro e una proposta d'affari ***
Capitolo 3: *** Syracysis ***
Capitolo 4: *** L'ambasciatrice ***
Capitolo 5: *** Un lavoro da donne ***
Capitolo 6: *** Il Pesce Cometa ***
Capitolo 7: *** Ghiaccio e neve ***
Capitolo 8: *** Sulle ali di un'Aquila ***
Capitolo 9: *** Tartaro ***
Capitolo 1 *** Il sogno di una dea ***
Capitolo
primo
Il
sogno di una dea
Tra
le più recondite stelle della galassia, dove anche i grandi
avventurieri in caccia di sogni hanno fermato il loro passo e le
grandi navi spaziali, ricche di diamanti e cristalli arthurianii,
hanno deviato il loro lento incedere, laggiù, in uno dei
luoghi più
oscuri e silenziosi dell'universo, fluttuava, placido, tra i confini
di una galassia e il nascere di una stella, un grande e profondo buco
nero.
Scaturito
da una lacrima di stella morente e da una fievole speranza di sorgere
di un piccolo sole, misterioso quanto la potenza degli dei che
avevano dato origine alla vita e all'Etere, inglobava in sé
ogni
frammento di luce e di astro che si avvicinava alla sua traiettoria,
trasportando tutto ciò che lo sfiorava in un mondo di anime
scomparse, di ricordi passati, di tesori maledetti e di tempo
perduto.
Attraverso
le tracce sfocate delle stelle antiche, quando ancora la loro anima
era di un brillante blu mare e i loro bagliori catturavano i cuori
degli esploratori in cerca di una via tra le stelle, apparve, fra le
costellazioni ancora dormienti dell'Emisfero del Nord, una figura
fluente e armoniosa che si accomodò su un trono fatiscente.
Emerso
dalla polvere e dalle guerre di popoli nati per combattere e, nei
secoli, distruttisi a vicenda, il suo regno accoglieva gli astri
perduti, gli sconfitti delle battaglie, i ricordi lasciati andare e
persi nel grande mare dell'Universo.
Era
la stella nera, più ricca delle fortune di Creso, e la meta
delle
anime perse, che se avessero continuato a navigare fino ai confini
degli oceani astrali, avrebbero incontrato l'oblio tra le braccia
della morte, cadendo nel regno dimenticato del Caos.
Lazuli,
la dea del Caos, adagiata sul suo scranno per concessione e per
timore da parte degli altri Dei Creatori, ammirava il lento scorrere
dei secoli e la caduta delle stelle in scomposti cumuli di nebbie: i
simboli di mondi perduti, negli anfratti del tempo, precipitavano
verso il suolo, infrangendosi dell'arena del deserto che si
scomponeva e riapriva al suono del vento.
La
dea fece tintinnare tra le lunghe mani spinose delle monete dorate
che, un tempo, appartenevano ad un piccolo pianeta blu, che per via
dello stesso oro erano inglobato in una guerra intestina,
precipitando in un glorioso caos: allora, richiamata dal desiderio di
distruzione che avevano avuto gli abitanti del piccolo pianeta, aveva
allungato le sue mani e le sue mire di conquista per rubare lo
spirito del pianeta e degli umani caduti, trascinando tutto nel suo
mondo del caos.
Allontanò
di fretta un'anima che era giunta a lambire le sue vesti per chiedere
pietà, nella speranza che qualcuno di ancora vivo facesse
risuonare
il suo ricordo in una nenia di preghiera, e risvegliò le
costellazioni ancora non erano sorte a risplendere.
«
Sveglia, bellezze mie! Alzatevi e splendete! È un nuovo
giorno e
l'Universo dei mortali è in pace... »
Le
si avvicinarono meste le costellazioni, piegandosi ai suoi piedi e
carezzando le sue membra, per essere cullate dal tocco dolce della
loro padrona. La grande costellazione del Serpente strisciò,
sinuosa, incastonando le sue numerose stelle tra i fili sinuosi dei
capelli della dea, che leggeri come l'aere fluttuavano tutt'intorno:
lasciò che il grande Serpente si insinuasse tra le sue dita,
in un
cerchio infinito di morte e rinascita, finché non si
appoggiò
svogliatamente al suo trono. Portò lo sguardo verso i suoi
diamanti
nel cielo, fissando le galassie e i meravigliosi bengala sciolti in
astri e comete.ii
Sospirò,
sfumando i cerchi di fuoco che la Costellazione del Leone sbuffava
verso il cielo, e carezzò la sua lunga criniera.iii
«
Ma tu guardali... »
Soffermò
il suo sguardo su un piccolo pianeta aranciato che, se non fosse
stato per la sicurezza di una traiettoria orbitale un poco distante
da una cometa, sarebbe imploso contro l'asteroide.
«
Tiro un solo minuscolo filo » sfiorò leggermente
la traiettoria
dell'asteroide che, dapprima impattò contro l'atmosfera del
pianeta
e poi si scontrò con questo, congiungendosi ad esso in una
pioggia
di stelle, « e tutto il loro universo si scioglie nel caos,
nel
glorioso caos... ».
Rise.
La
lunga chioma fluente si scompigliò e i suoi occhi
s'incupirono di
brama, quando, d’improvviso, scorse all'interno dell'immenso
mare
dell'Universo due imbarcazioni, una grande e regale, con lo stemma
del pianeta Earth24, ed una piccola, che si muoveva nervosa e veloce
tra le onde gravitazionali delle stelle, seguendo la scia della nave
militare con a bordo lo stemma dei famigerati pirati Saiya.
«
Ah! E cosa può esserci di più perfetto di questo?
» sogghignò.
«
Un nobile guerriero, un tesoro inestimabile che accomuna le Dodici
Galassie, e un ladro dall'anima nera... Oh, ci sarà da
divertirsi
tanto! »
Gli
occhi non smettevano di seguire le sue future prede, finché
non
afferrò un’idea.
«
Cethus » chiamò a sé il grande mostro
marino che, con i suoi
tentacoli e il suo corpo poliforme, nuotò fluttuando accanto
al viso
di Lazuli.
La
dea sorrise: « Tu sai cosa fare… inizino i giochi!
» e afferrò
l'animale tra le mani, lasciandolo, poi, svanire dentro la bolla di
etere da cui guardava il Cosmo.
La
grande piovra marina, con innumerevoli tentacoli e spire stritolanti
scomparve, trascinando con sé parte delle nuvole che
creavano la sua
figura, e s'immerse nel mare dell'Universo, mimetizzando le sue
stelle tra lo specchio degli astri a Meridione.iv
Nel
profondo mare spaziale, nella notte limpida della Costellazione del
Cethus, la grande nave militare aleggiava in sinfonia con le onde del
mare, facendo avanzare la chiglia tra schegge di luci solari che
vibravano al suo passaggio e spiegando le sue vele magnetiche come
ali al vento, mentre, tranquilla e sicura, si dirigeva verso il
pianeta che presto avrebbe ospitato e accolto i suoi numerosi tesori,
tra cui il Libro della Pace.
Un
tesoro così inestimabile che neanche i più grandi
saggi della
Galassia sapevano il quando della sua comparsa nella vita
dell'Universo, ma sapevano altresì che era stato inciso
dagli Dei,
per poter garantire l'equilibrio nell'Universo e per poter combattere
il Caos, origine delle guerre e dei mali del mondo. Mali che
sorgevano ogni qual volta i popoli si dimenticavano del valore e
dell'importanza degli altri popoli fratelli e quando tutto si
tramutava in un caos che cancellava, che faceva dimenticare.
Il
Libro della Pace garantiva la pace nelle Dodici
Galassie e,
finalmente, dopo
una ricerca da Argonauti
durata anni, giungeva,
sulle ali della
grande nave blu al suo posto al centro della Via Lattea, la
piccola galassia di modeste dimensioni, ma che nel tempo era
diventata il fulcro di numerose rotte commerciali e astrali, centro
magnetico di non
poche ricchezze da tutto il Cosmo.
Tra
lo scivolare di stelle e di nubi galleggianti rasentanti gli alti
alberi della nave, i marinai non si avvidero, però, che poco
distante da loro, un'altra piccola imbarcazione, con i colori
policromi e le vele coperte di specchi per nascondere le proprie
sembianze tra le luci dello spazio, spingeva i suoi motori per
raggiungerli: la nave, dall'aspetto rosso sangue per via dello
rispecchiarsi delle stelle della costellazione che stavano
attraversando, schizzava nervosa verso il suo obiettivo, carica di
pirati pronti a depredare.
Lo
spirito dei marinai a bordo volò in alto: i marinai
entusiasti
dall'assalto che sarebbe giunto di lì a poco urlavano il
loro
entusiasmo verso il cielo di stelle e verso la bandiera che si
spiegava al vento, la bandiera nera dei pirati, che si rispecchiava
negli occhi avventurosi e spavaldi del loro capitano.
La
ciurma, riunita sul ponte, ascoltò con trepidazione le
parole del
capitano e armata fino ai denti si preparò all'assalto.
«
È
quello che tutti
aspettavamo » iniziò con audacia il comandante,
alzando lo sguardo
verso il mare e illuminando i suoi occhi di buio nelle luci
irradianti delle stelle. Il suo mantello nero e il suo cappello
decorato con fili di sangue rosso sussultarono
all’avvicinarsi
della brezza spaziale e la sua figura si lasciò cospargere
dalla
fine bellezza dell’oceano e dai fantasmi informi di gas che
componevano le nebulose.
«
L'oggetto più prezioso dell'Universo è diretto
sul piccolo pianeta
di Earth24... »
Si
voltò verso la ciurma e ghignò famelico,
« peccato che non
ci arriverà mai! »
La
ciurma accolse con un boato le sue parole, pronta a sguainare le
spade e le pistole di energia plasmatica per conquistare il bottino.
Il capitano si voltò ancora verso le stelle e i suoi occhi
scuri
come l'Universo sorrisero al mare.
«
Dopo oggi, ci ritiriamo alle Stelle Fiji! Il bottino è
vostro, ma il
Libro della Pace è mio! »
Gli
uomini sussultarono e urlarono di gioia ancora una volta, alzando in
alto le spade e preparando i fucili laser. Un omone pelato e
dall'aspetto massiccio e minaccioso, obbedì prontamente al
capitano,
quando questi gli gridò, « Nappa! » e,
rispondendo con un « Sì,
capitano! », diede un colpo ben assestato al timone,
azionando gli
arpioni taglienti e magnetici, come le Spade dei Monaci del Ludron,
che furono pronti ad infiggersi senza pietà contro la murata
della
nave militare.
Il
vascello militare, non più protetto dagli scudi magnetici
che
filtravano le onde di energia solare e magnetica, fu così
arpionato
e trascinato accanto al piccolo bastimento dei pirati che, azionati i
cannoni dal ponte, fecero breccia tra le pareti tecnologiche e
raggiunsero la nave.
I
pirati si scagliarono sul ponte della nave e, guidati dal loro
capitano, non esitarono a dare battaglia: il comandante si
buttò a
capofitto su tre guardie, trafiggendole con la sua spada di luce e
gettandole a terra, mentre un altro della sua ciurma, con i capelli
lunghi e fluenti, acconciati in un'alta coda, si lanciò con
la corda
contro altri militari, affrettandosi con cazzotti ben assestati a
partecipare alla mischia.
Turles,
un tipo agile e nato per camminare sulle grandi altezze,
trascinò
due uomini sulla sommità dell'albero maestro, lasciandoli
penzolare
nel vuoto, appesi a testa in giù al pennone dell'albero,
mentre un
alto energumeno della ciurma, dall'aspetto solitamente mansueto e
docile e di solito con la testa tra le nuvole, si scatenava
brutalmente contro dieci uomini, stracciando le loro armature come se
fossero un flebile metallo lunare e buttandoli dal ponte,
perché si
perdessero nelle profondità dell'oceano spaziale.
Mentre
attorno infuriava la rissa, il capitano, improvvisamente circondato
da un grumo di soldati, afferrò saldamente le sue spade
laser, le
conficcò nel legno lucido e residente che creava il ponte,
un legno
flessibile per resistere ai grandi sbalzi di corrente cosmica ma
anche resistente come la dura corazza di un Drogon, e flettendosi
sulle braccia calciò dritto in faccia ogni soldato, con il
risultato
che tutti caddero stramazzati al suolo.
Si
voltò poi verso il suo primo ufficiale Nappa e sorrise, nel
frattanto che tutt'intorno la sua ciurma aveva fatto per lo
più
piazza pulita dei militari che, ora, erano doloranti al suolo,
illuminati dalla forte di luce rossastra del grande Cethus.
«
Allora? » esclamò compiaciuto, lustrandosi la
camicia della divisa
dalla polvere della battaglia, « Hai visto quest'ultima
mossa? Sono
un grande, non è vero? »
Il
vice lo guardò dubbioso, mollando una cazzottata al soldato
che
teneva incastrato sotto il braccio.
«
Per me hai esagerato... »
L'altro
se ne risentì, piccato. « Ah, ho esagerato? Ma
come - » non fece
in tempo a finire la frase che, sbucò dal nulla un soldato
che con
una spada di titanio caricò contro Nappa, pronto per
attaccarlo.
Nappa si voltò di scatto, bloccò la spada
afferrandola con i denti
e, stringendo saldamente le mascelle, rovesciò la testa
verso il
parapetto della nave, facendo precipitare fuori dalla chiatta il
soldato che irrimediabilmente mollò la presa dalla spada e
cadde
nello spazio.
Il
capitano ammirò il povero soldato farsi polvere spaziale,
trascinato
verso una nebulosa.
«
E io avrei esagerato? »
Nappa
ridacchiò, gettando a terra la spada che ancora stringeva
tra i
denti, quando la loro attenzione fu attirata dal castello della nave
spaziale, dove al posto di comando - dove si trova il timone che
guida la rotta, - si agitava una rissa tra parte della ciurma e uno
dei militari rimasti in piedi, che a giudicare dalla sua
abilità
combattiva e dalla intelaiatura della sua divisa, doveva essere il
comandante della nave, il quale, combattendo con strenua resistenza,
dava non poco filo da torcere ai pirati.
Il
capitano si fece d'improvviso cupo.
«
G-goku? »
Il
secondo gli si avvicinò, squadrando con occhi distanti la
scena e
soffermandosi sul volto corrucciato del suo capitano.
«
Oh, la faccenda si fa interessante... quanto è passato?
»
«
Una vita, più o meno... » rispose sovrappensiero
l'altro pirata.
L’ultimo
soldato rimasto in piedi, battendosi con forza, aveva già
iniziato
ad atterrare alcuni degli uomini del capitano Vegeta, afferrando con
forza gli avversari e sbattendoli a terra, così come, con
altrettanta forza, era rimasto bloccato da due energumeni che, senza
remore, lo avevano acchiappato per braccia e gambe e lo avevano
schiacciato a terra per fargli rimangiare tutti i pugni ricevuti,
finché una voce non li interruppe.
«
Combatti ancora come una vecchietta? »
«
Vegeta! » esclamò preso alla sprovvista Goku, che
riuscitosi
finalmente a liberare, era stato nuovamente atterrato dai suoi
avversari.
Il
capitano rise di gusto quando si ritrovò faccia a faccia con
uno
sbigottito Goku che si librò da terra con
agilità, ma venne subito
bloccato dai pirati appena si azzardò di un passo verso il
capitano.
«
Vegeta! Che ci fai tu qui? »
Chiese,
trafelato, aspettandosi di tutto, tranne che venire attaccato dal
capitano.
«
Sto lavorando! » rise Vegeta, sorridendo sornione alla
malcelata
ingenuità dell’amico e scatenando
l’ilarità del gruppo degli
altri pirati che ancora afferrava saldamente il soldato per braccia e
spalle. Goku si liberò in fretta della loro presa
d’acciaio,
lanciando un’occhiata torva al più alto tra i due
energumeni che,
con gli occhi verdi di furia, lo
squadrava
pronto a
morderlo come un cane
rabbioso.
«
Cosa ti è successo? Dove sei stato? »
L’altro
lo ascoltò con orecchie da mercante, ignorando il suo
sguardo
stralunato e, afferrata una delle sue due spade laser, la infisse nel
tastierino codice che bloccava la spessa porta di metallo che dava
accesso alla stiva, facendo saltare i circuiti interni e scattare la
serratura. La porta si aprì in un quadro di toppe e incastri
metallici che, disconnessi dal meccanismo numerico del codice, si
aprirono in un mosaico scomposto, scindendosi elegantemente e
silenziosamente, rivelando così l’entrata.
Gli
uomini fissarono l’uscio con il fiato sospeso e il capitano
rispose
finalmente alla domanda.
«
Sai, farei volentieri due chiacchiere, ma ho delle cose da fare,
posti dove andare, roba da rubare…»
Il
capitano tralasciò con un gesto eloquente della mano il
resto della
conversazione e scese i gradini che conducevano nella stiva della
grande nave militare.
I
suoi passi scesero lenti sui gradini che conducevano nella pancia
della nave. Tutt’intorno scattarono, lentamente, i sistemi
d’illuminazione del sistema che si diramarono per i corridoi
metallici come una moltitudine di filamenti elettrici di verde
energia.
Sentì
dietro di sé i passi concitati del
comandante
finché, dopo
una serie di corridoi,
i suoi occhi non
incrociarono,
tra il buio della stiva e i sottili rami d’energia d’alimentazione,
il passaggio per una stanza più ampia, illuminata
timidamente da
delle fiaccole di luce
color
blu elettrico.
Fu
allora che lo vide, il Libro della Pace. Si lasciò sfuggire
un
sospiro di piacere nell’ammirare il piccolo piedistallo con
sopra
il suo tesoro.
«
Oh, sì... »
L’altro
l’aveva raggiunto e lo stava osservando con sguardo
preoccupato. «
Vegeta, dobbiamo parlare... » si affrettò a
bloccarlo, poggiandogli
una mano guantata sulla spalla, perché non si avvicinasse al
tesoro,
ma l’altro lo scostò e continuò, con
occhi incantati ad
inoltrarsi nella sala.
«
Ne hanno parlato, ne hanno scritto a migliaia in tutto l'Universo.
Non l'avevo mai visto... »
Al
centro della stanza, su un piedistallo che ruotava lentamente su
più
gradini, stava poggiato il Libro della Pace che apriva le sue pagine
verso il soffitto rinforzato della nave e proiettava
tutt’intorno
le luci informi e accecanti del suo testo. Il piedistallo che lo
sorreggeva, alimentato da energia quantica e continua, ruotava
talvolta in precise coordinate spazio-temporali, verso Ovest o verso
Est, coordinate scaturite dallo scorrere continuo delle mappe
spaziali sul libro, in un flusso incessante che segnava lo scorrere
del tempo e dello spazio nell’universo, dando o togliendo
equilibrio ai pianeti e alle stelle.
Le
sue complicate effemeridi, disegnate sui quadranti di cielo, erano
state incise e tracciate dagli Dei del Cosmo per poter garantire
l'equilibrio nell'Universo e combattere il Caos, origine dei mali e,
dopo una lunga ricerca tale tesoro celeste, stava finalmente per
giungere nelle mani degli abitanti di Earth24.
Goku
osservò il capitano immergersi completamente nei colori
celesti del
Libro e gli si avvicinò circospetto, diffidente per
l’aria bramosa
e sinistra che leggeva nei suoi occhi scuri.
«
Il mio compito è portarlo al sicuro su Earth24, dove
verrà
conservato e tenuto al sicuro... »
Gli
occhi di Vegeta si tinsero dei sogni e degli anfratti più
bui cui il
Libro indicava la rotta. Goku vi lesse molta bramosia, ma anche della
sincera curiosità, come quando erano bambini.
Si
guardarono poi negli occhi: gli occhi castani del comandante di
Earth24 non si abbassarono davanti agli occhi del pirata, forse,
più
temuto del Quadrante Meridionale dell’Universo.
«
Davvero? » lo sbeffeggiò Vegeta, con ancora il
azzurro del libro
intessuto tra le iridi nere.
«
Mi dispiace che tu non ce la possa fare... »
«
Non dirai sul serio! » sbottò Goku, «
Sparisci per dieci anni,
ricompari e mi derubi? »
Vegeta
alzò gli occhi al cielo, sbuffando e stuzzicando con le dita
le
pagine aperte del Libro, facendo così storcere il naso
all’altro
capitano, infastidito dalla trascuratezza che poneva nelle sue
azioni.
«
Vorrei non si trattasse di te, credimi, ma... »
«
Ma si tratta di me! » chiosò caustico Goku,
facendo sospirare
ancora Vegeta che si perse per un attimo tra i ricordi scuotendo
tristemente la testa, fasciata dal suo cappello rossastro.
«
Kakaroth... » sussurrò per un instante, cogliendo
dalla memoria il
vecchio soprannome che un tempo gli aveva affibbiato «
avevamo un
saluto in codice, parole cifrate, un nascondiglio segreto... era uno
spasso, veramente. Ma eravamo... ragazzini? »
«
Eravamo amici! » esclamò Goku, corrucciando lo
sguardo e fissando
l’amico di un tempo.
«
Tu questo non lo ruberai! Non a me! E comunque, che cosa te ne
faresti? Il Libro della Pace protegge tutti noi delle Dodici
galassie... »
«
Esatto... immagina quanto i "tutti noi" pagherebbero per
riaverlo » rispose sornione Vegeta.
Goku,
allora, si frappose tra lui e il Libro, leggendogli ancora negli
occhi la fin troppo conosciuta bramosia di ricchezze e di potere
tipica di ogni corsaro di mare. Una bramosia che lo
destabilizzò
temporaneamente: ormai non scorgeva più il compagno di
giochi di
quando erano cresciuti assieme su Earth24.
«
Te lo ripeto un'ultima volta, io e te una volta eravamo amici. Se
questo ha significato qualcosa per te in passato, Vegeta, dimostralo
adesso... »
L'altro
lo fissò negli occhi e poi distolse lo sguardo,
ridacchiando, e
facendo scorrere gli occhi scuri sulla cabina di pilotaggio su cui
erano proiettate numerose rotte spaziali tra le stelle più
inesplorate, rotte che, probabilmente, avevano preceduto il
ritrovamento del Libro.
«
Hai ragione: è stato molto tempo fa... »
sussurrò il capitano dei
pirati e si avvicinò al Libro posto sul piedistallo, quando
Goku
intercettò ancora il suo passo, lo prese per il polso e con
una
mossa veloce lo cacciò all'indietro, rubandogli una spada
laser
dalla custodia riposta in una cintola lungo il mantello nero.
Il
pirata si rialzò velocemente in piedi, afferrando e
attivando
l'altra spada dalla fodera, facendo brillare i suoi occhi di Universo
attraverso la cupa luce verde della sala. Rise.
«
Andiamo Kakaroth, non mi diventare eroe... »
L'altro
sogghignò, ma non abbassò la guardia.
Si
buttò all’istante contro il pirata: una serie di
colpi feroci e
precisi segnarono la loro danza di spade, spade che scoccarono con
impatto e con forza, lasciando nell’aria il suono secco e
vibrante
di una spada laser.
Goku
balzò in aria, sfiorando con la spada il lungo mantello nero
del
pirata, mentre questo si preparava a rispondere all’affondo
dell’amico destreggiando, con abilità, la spada di
luce. I loro
colpi si incrociarono con perfetta sintonia, come in una danza di
leoni, finché non si trovarono entrambi con le spade
sfavillanti
davanti agli occhi e l’energia dei loro affondi che ronzava
tutt'intorno, in attesa di essere nuovamente rilasciata. Goku sorrise
a Vegeta e questo rispecchiò in lui la stessa forza e la
stessa
passione per il combattimento che li aveva accomunati da bambini.
Equilibrarono ancora le forze e si contrapposero l’un
l’altro con
le spade ancora in mano, nessuno dei due disposto a cedere.
«
Se vuoi avere il Libro, devi vedertela con me! »
sibilò Goku
all’avversario, quando, d’improvviso,
l’intera nave fu scossa
come se stesse attraversando una tempesta magnetica e, con un grosso
colpo, i due furono scagliati violentemente contro la parete
metallica della cabina. Si guardarono negli occhi, sbalorditi, e
furono subito attratti dalle urla di aiuto che salivano dal ponte.
Tornando
di corsa sul ponte, furono tramortiti da un’altra potente
scossa
che fece vacillare l’intera nave, minacciando di far saltare
i
meccanismi di protezione dal vento spaziale e il sistema di
gravità
incorporato finché, giunti all’esterno della nave,
si trovarono
davanti uno spettacolo a cui pochi mortali avevano assistito prima.
Continua…
Note
dell’autrice
Ciao
a tutti!
Dopo
secoli di macchia sono tornata con qualcosa di serio, ossia una
piccola – non molto lunga? - long che racconta della
trasposizione
in racconto di uno dei miei cartoni preferiti, Sinbad la Leggenda dei
Sette Mari.
I
personaggi potrebbero risultare OOC, pertanto già mi scuso
con chi è
più integralista o chi tiene di più
all’originalità del
personaggio.
È
una storiellina molto semplice e senza pretese di grande
qualità, ma
che spero vi possa accompagnare per qualche settimana.
Visto
che so quanto si soffre per le long non aggiornate in tempi vivibili,
ho deciso di scriverla tutta e poi di pubblicarla, così non
avrò
nessun morto sulla coscienza.
Sperando
di avere incentivato qualcuno alla lettura, vi auguro una buona
settimana e al prossimo aggiornamento!
Buon
viaggio a tutti!
Zappa
iRiferimento
al film "Il Pianeta del Tesoro" della Disney;
iiNell'antichità
greca, il serpente era simbolo della medicina e secondo il mito,
Asclepio grazie al serpente avrebbe trovato una pianta in grado di
resuscitare i morti. Da qui, il serpente simboleggia la rinascita,
basti pensare alla muta della sua pelle ogni anno;
iiiIl leone è un segno di fuoco;
ivLa
costellazione di Cetus, in italiano della Balena, si estende
nell'emisfero australe e si trova a sud dell'Ariete e dei Pesci; come
si capisce dal termine, la sua rappresentazione sarebbe quella di una
balena, ma io ho rispettato il cartone, scegliendo una piovra;
|
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Capitolo 2 *** Un mostro e una proposta d'affari ***
Capitolo
secondo
Un
mostro ed una proposta d’affari
Una
creatura gigantesca aveva attraversato lo specchio degli astri rossi
di Meridione come se fossero fatti d’acqua, animandosi
improvvisamente, e si era rivelata come un’enorme piovra
coperta e
diamantata di luce stellare. Scaturita dalla brillante ed infinita
Costellazione del Cethus, aveva iniziato a muoversi e ad allungare i
suoi lunghi tentacoli verso la nave militare, arpionandosi
sinuosamente con i bracci e facendo impennare verso il mare infinito
la nave, che vide danneggiarsi inaspettatamente i suoi sistemi
tecnologici di difesa. Le grandi vele a specchio d’energia si
chiusero sugli alberi a bordo e la prua della nave fu completamente
arpionata dal mostro, stritolata tra le sue spire.
Vegeta
e Goku fissarono inorriditi la grande bestia che stava cominciando a
salire attorno all’albero maestro e videro l’intera
flotta
precipitarsi per combatterla, pur venendo subito spazzata via come
foglie al vento dai forti e pericolosi tentacoli.
La
grande creatura, quasi proveniente da un altro mondo,
scivolò con
fare maestoso a bordo della grande imbarcazione e, con i suoi
tentacoli brillanti come le stelle più profonde del mare,
fece
piazza pulita della flotta, non venendo minimamente sfiorata dalle
spade ad energia laser e ad energia solare che i soldati brandivano
con coraggio.
Vegeta,
quando vide che il gigantesco Chetus pareva invincibile anche ai
cannoni ad energia protonica concentrata, decise di svignarsela e,
dando per scontato che nessuno in quel momento badasse alla custodia
del prezioso Libro della Pace, nemmeno di comandante della nave che
immobile cercava di organizzare le idee per scacciare la piovra, fece
qualche passo all’interno del ponte per raggiungere
nuovamente
l’entrata della stiva per, poi, con sommo disappunto vedersi
sfumare l’idea dalle mani, per un colpo troppo assestato del
mostro
al castello della nave.
Fece
spallucce e rise di gusto quando vide Broly, il più piccolo
d’età
della ciurma, ma anche uno tra i più alti come stazza e
sicuramente
una delle creature più strane con cui avesse mai avuto a che
fare,
appiccicarsi imperterrito ad uno dei tentacoli del mostro, venire
sollevato di peso e scagliato verso la piccola nave pirata, volando
via come un uccellino.
«
Beh, hai da fare, vedo... »
si avvicinò al comandante che si voltò di scatto,
«
perciò… sentiamoci! » gli fece
l’occhiolino, pronto per afferrare una
cima della nave e ritornare di fretta e furia sulla sua piccola Saiya
e sfuggire al mostro, sparendo nello spazio.
Goku
lo fissò, incredulo: « Fermo! Aspetta, vuoi
scappare? » e Vegeta
lo fissò con altrettanta incredulità, supponendo
l’ovvio: « Ehm,
sì? »
Gli
sorrise sinceramente per una volta, e si preparò al salto,
nel
frattanto che tutta la sua truppa era risalita a bordo del piccolo
vascello per prendere il largo tra le stelle più a
Meridione, ma un
grosso tentacolo dell’enorme piovra di stelle
spazzò via la sua
imbarcazione, allontanandola violentemente dalla nave militare e
spazzando via con lei anche la speranza di Vegeta di svignarsela.
Vide
con orrore la sua piccola Saiya venire gravemente danneggiata dal
colpo secco del mostro: si spezzò irrimediabilmente uno dei
due
alberi, quello di prua, e cadde il bompressoi,
così come il pennoneii,
che strisciò le sue imponenti altezze contro il parapetto
della
nave, distruggendo parte delle vele coperte di specchi ed alimentate a luce
cosmica.
«
Vegeta! » urlò il secondo sulla nave, cercando di
riprendere il
controllo del timone per stabilizzare nuovamente i motori sulle onde
di luce, ora molto agitate, che frastagliavano il mare spaziale.
«
La mia nave! » s’indignò il capitano,
lanciando un’occhiata
all’enorme mostro fatto di materia lucente che, con
l’energia di
un buco nero, stava danneggiando gravemente il galeone, con il
rischio che questi esalasse il suo ultimo respiro tra le stelle rosse
e violente della Costellazione e non tornasse
più a
solcare il profondo ed infinito mare.
Goku,
non abbandonando i suoi uomini, si era buttato nella lotta contro il
mostro, cercando di ferire con la spada laser e con le lance ad
attrazione magnetica i suoi lunghi bracci, ma non riuscendo
minimamente a scalfirlo: il cetaceo coperto di stelle, infatti,
stringendosi ancor più saldamente, gridò
orribilmente e azionò la
sua lingua squamosa che si conficcò come una freccia nella
corazza
di uno dei soldati della guarnigione e, veloce com’era
scattata,
sparì tra le fauci del mostro, trascinandosi con
sé il soldato.
«
Hey! » sentì inaspettatamente Goku voltandosi e si
stupì di
trovare il pirata ad un passo da lui. Questi, veloce, dopo aver
accatastato alcuni scudi a Forza Solare H, era riuscito a cingerli
assieme come una grossa palla di metallo in titanio e, grazie alla
vibrazione di una delle sue spade, li aveva sovraccaricati di
potenza, facendoli diventare una bomba ad orologeria pronta ad
esplodere.
«
Hey, bestione, sono qui! » urlò poi a pieni
polmoni, attirando così
gli occhi vitrei del mostro che, agitando freneticamente il capo,
rilasciò la sua lingua per afferrarlo: Vegeta, scattante
come una
volpe del Deserto Ghiacciato, si mise però al riparo e
lasciò che
la grossa appendice della piovra si arrotolasse attorno agli scudi in
sovraccarico e che li trascinasse nella enorme bocca.
Il
comandante del bastimento non fece in tempo a vedere il ghigno
soddisfatto di Vegeta, che la piovra, come se avesse mangiato una
pietra di fuoco ardente, strillò per l’improvvisa
esplosione che
scosse il suo corpo e rilasciò sul ponte della nave la
carcassa di
metalli implosi che aveva ingurgitato e, per ultimo, risputò
il
povero soldato che poco prima gli era finito nello stomaco.
Il
poveretto, sparato sul ponte, si ritrovò a terra grondante di
liquido bavoso e
rossastro, e non contento afferrò la sua lancia con ancora
più
fervore di prima e scattò contro il cetaceo a tutta forza.
Il
pirata e il comandante si guardarono stupefatti.
«
Dagli un aumento a quello… »
La
piovra, nel centro del mare spaziale, ancora non mollava la presa
e la nave stava ormai inclinandosi pericolosamente oltre la striscia
di schegge solari che la teneva a galla, facilitando il lavoro dei
motori, e che impediva un’avventata caduta verso
l’infinito. Le
spire e i tentacoli si facevano via via più letali e veloci,
spazzando via i soldati e tutto quello che incrociavano sul loro
passaggio.
«
Vegeta, dobbiamo andarcene di qui! » gridò Goku,
afferrando per una
spalla l’amico, temendo il peggio, ma Vegeta lo
bloccò facendosi
stuzzicare da un’altra idea, l’idea che li avrebbe
tratti in
salvo.
«
Aspetta! » gridò, trattenendolo per la corazza e
fischiò in
direzione del mostro, per attirare un’altra volta la sua
attenzione.
«
Hey, seppiolone, vieni qua! »
La
bestia non si fece attendere un secondo di più e
scagliò ancora la
sua lunga lingua squamosa, pronta per mangiarsi finalmente il pirata:
appena questa sfiorò il suolo venne, però, subito
intercettata
dalla spada del pirata che, attraversò inclemente la lingua, bloccando la creatura sulla nave e costringendola a fermarsi
in mezzo all’albero maestro e all’albero a prua,
dove i due
pennoni danneggiati volgevano le sue estremità affilate
verso il
punto esatto dove si dimenava la testa.
«
Ritirata! » impartì il comandante ai suoi uomini e
si avvicinò a
Vegeta che gli porse il lato di una corda, stretta attorno
all’albero
maestro. Dopo essersi scambiati un sorriso complice, ritrovandosi
ragazzini e amici come un tempo, afferrarono entrambi la corda e si
aiutarono a vicenda a salire il grande albero maestro, che, grazie ai
rinforzi in fibre di metalli asgardianiiii,
rimaneva immobile al centro del ponte, sebbene la forza travolgente
del mostro avesse iniziato a far sfavillare i suoi circuiti
elettronici.
Arrivati
all’estremità della nave, Vegeta lasciò
che l’amico
s’arrampicasse sulla scala di corde poste di lato
all’albero, che
arrivasse ad uno dei pennoni e si stringesse alle corde, per reggersi
sul vuoto. Gli passò velocemente una delle sue spade e Goku,
appena
lo vide salire ancora, gli gridò: « Dove stai
andando? »
Ma
Vegeta salì ancora, fino ad arrivare in cima
all’albero maestro e,
con una capriola, si issò sopra la fune detta marciapiede,
che
collegava i due alberi, sovrastando di almeno quindici metri il ponte
della nave.
«
A pescare! »
Con
eleganza e destrezza, il capitano camminò agilmente lungo la
corda
tesa come un funambolo, ponendo in modo attento un piede davanti
l’altro finché non arrivò
all’albero di prua, scese lungo il
pennone e tagliò una delle funi di drizzaiv
che tenevano il palo in posizione orizzontale. Goku fissò
Vegeta
negli occhi e capì il suo piano: grazie alla loro altezza e
alla
posizione favorevole del mostro, entrambi avrebbero tagliato
contemporaneamente le cime che tenevano issato il pennone e questo,
sarebbe caduto dritto in testa alla piovra, trafiggendola.
Si
fissarono ancora negli occhi, mettendosi in posizione, con le spade
laser azionate.
«
Al mio tre! »
«
Uno! »
«
Due! »
«
Tre! » urlarono assieme e tagliarono lesti le funi: i due
enormi
pali scesero velocemente verso il ponte, come due frecce scattate in
contemporanea da un esperto arciere e la bestia non si rese conto di
essere in trappola. I pennoni si conficcarono inclementi nelle sue
carni, il mostro lanciò l’ultimo grido di dolore e
lentamente,
iniziò a ritirarsi dalla nave, facendo scorrere i lunghi
tentacoli
verso il mare spaziale.
Urla
di gioia echeggiarono tra la flotta del pirata, che aveva assistito
alla lotta contro il mostro potendo ben poco, vista
l’inutilità
dei cannoni ad energia protonica concentrata che ancora funzionavano
a bordo, e tra la flotta del comandante il quale, appeso ad una fune,
scese lentamente al suolo, seguito subito dopo da Vegeta. Sorridente,
fu sul punto di ringraziarlo per la prima volta da quando aveva messo
piede sul suo bastimento con una sonora pacca sulla spalla, quando
Vegeta urlò.
«
Attento! »
Lo
spintonò via, per evitare che uno dei tentacoli del mostro
lo
trascinasse con sé nel cosmo.
Goku
vide con orrore il suo amico di un tempo finire nel grande oceano
infinito, stritolato tra le spire forti del mostro. Cercò irrazionalmente di
saltare
giù dalla nave per correre a salvarlo, ma i suoi soldati
furono più
lesti di lui a bloccarlo e il nome del pirata si disperse tra le
stelle.
A
centinaia di metri sotto le navi, dispersi tra le nubi cosmiche e i
colori accecanti delle nebulose, il mostro di luce e Vegeta
precipitavano a gran velocità del vuoto: il pirata, stordito
dal
forte sbalzo termico del cosmo, la cui temperatura poteva passare dai
folgoranti gradi di ghiaccio delle galassie più nere alle
impossibili temperature delle stelle nascenti più giovani,
cercò di
liberarsi dalle spire del mostro che gli toglievano il respiro e si
trovò a trattenere il fiato, quel poco che ancora gli era
rimasto in
gola, dovuto all’adrenalina della caduta.
Poi,
d’improvviso, il mostro iniziò a mutare i propri
colori con lo
sfondo che li circondava, mischiando il proprio essere con le stelle
astanti e Vegeta si vide travolgere da un’improvvisa
esplosione,
più forte delle deflagrazioni delle stelle azzurre. Un
improvviso
lampo gamma deflagrò veloce e letale, spargendo la sua
energia in un
millisecondo e i raggi gamma collassarono tra lorov;
infine, come in un sogno, davanti ai suoi occhi resi lucidi dalla
luce e dal frastuono, comparve quale fantasma una figura armonica, a
tratti sinuosa e a tratti scomposta come una scia di fumo che,
presto, assunse le sembianze di una donna dagli occhi di ghiaccio e
le labbra del fuoco.
I
suoi polmoni bruciarono per l’esplosione che lo
inglobò finché
non si ritrovò da solo, immerso in una bolla
d’aria sospesa
magicamente nel vuoto: respirò affannosamente, riprendendo
un poco
di orientamento dopo la caduta nell’oceano e, sotto i suoi
piedi,
vide il mostro sparire in una nuvola di fumo, sparsa al vento
dell’Eatherium.
Sospeso
nello spazio, rimase solo, con attorno a sé il silenzio di migliaia di
stelle e il
vuoto più profondo.
Poi,
parlò una voce.
«
La giornata sembrava così promettente… e ora
guarda: il mio mostro
marino è morto e, ancora, non ho il Libro della Pace
»
Vegeta
spalancò gli occhi quando, dal buio, emerse una enorme
figura
femminile che, delicata come il vento, si poggiò sugli
avambracci
davanti al pirata, scrutandolo con occhi misteriosi.
«
Tutto per colpa tua, Vegeta… »
Il
pirata acquisì presto la parola, schiarendosi la voce.
« Aha…
tu sei? »
«
Lazuli… la Dea della Discordia » si
presentò la donna, muovendosi
armonicamente tra i contorni sfuocati della bolla, cambiando il suo
aspetto e le sue sembianze di continuo, come il filo leggero di una
candela che si spegne.
«
Sicuramente avrai visto le mie sembianze sulle mura dei templi
più
antichi »
Il
suo volto gli parve, poi, di riconoscerlo. Vegeta la guardò,
incredulo.
La
dea dagli occhi di ghiaccio, pur avendo una bellezza eterea e pura, a
differenza di altri Dei Cosmici non faceva parte degli Dei
dell’Olympus. Tutti gli dei che, da secoli, risiedevano al
centro
dell’universo nelle Galassie più prosperose, erano
consacrati alla
ricchezza ed erano prosperi e bendisposti verso gli abitanti
dell’Universo. Lei, invece, era stata relegata ad un compito
più
becero, forse il più crudele: era la custode delle anime
dimenticate
e, su ogni pianeta sul quale era capitato, il pirata ricordava di
aver visto templi maestosi in suo onore, in cui i devoti e i fedeli
chiedevano clemenza perché la dea non facesse scivolare il
loro
destino tra le braccia della morte e dell’oblio.
I
templi la raffiguravano sempre con le braccia dispiegate in avanti,
pronta per rubare ogni tesoro e ricchezza, braccia che divenivano due
ali enormi da Drago Nero, forse il mostro più temuto delle
Terre ad
Ovest e conosciuto per la mortalità del suo sguardovi.
Aveva
sentito sussurrare nei peggiori anfratti delle galassie meno
conosciute e nei bordelli più malfamati che la dea succhiava
la vita
dai pianeti e dagli abitanti, sciogliendo il loro ricordo in una
nuvole di polvere che si amalgamava con l’essenza della sua
stella
morta, Tartaro. Tutto ciò che era dimenticato, nomi, uomini,
ricchezze, tesori e pianeti, finivano nel suo regno perduto, il regno
del Caos.
Deglutì
sommessamente, non volendo mostrarsi nervoso davanti a quella
apparizione trascendentale.
«
Ah, certamente… sai, quelle immagini non ti rendono
giustizia »
abbozzò un sorriso, allontanandosi cautamente di
qualche
passo dalla dea, come alla ricerca di una via di fuga.
«
Aha… » sussurrò poco
convinta la dea che punzecchiò
l’uomo con un dito, « ora, torniamo al mio mostro
marino… »
« È
vero, è vero… » si
mise una mano sul cuore il pirata, « ascolta, mi dispiace
tanto, ma
immagino che delle scuse accorata non bastino... »
ghignò con sarcasmo, cercando
di sfuggire all’imbarazzante situazione di dover spiegare il
perché
delle proprie azioni direttamente ad un essere immortale padrone di
metà Cosmo.
La
dea, con sua sorpresa, rise di gusto: « Accorate? Proprio tu?
Vegeta… tu non ce l’hai un cuore... »
Si
tramutò un’altra volta e comparve, come
un’illusione, accanto al
pirata avvicinandosi suadente e lasciando che i suoi lunghi capelli
dorati incorniciassero il suo volto angelico e fluttuassero alla
brezza marina dell’Eatherium.
«
È
questo che mi piace di
te… »
Gli
accarezzò il volto lentamente e Vegeta sentì il
freddo contatto
della sua mano, come se fosse una mano di un essere privo di linfa
vitale da tempo, e cercò di reprimere un brivido di freddo.
«
Perciò, io ti lascerò in vita »
continuò l’essere
soprannaturale, « ma in cambio dovrai fare per me una
cosuccia…
prendere il Libro della Pace e portarlo a me »
Vegeta
si ritrovò incredulo davanti alle parole della bella dea e
lesse sul
suo volto e nei suoi diamanti azzurri la stessa bramosia che lo
caratterizzava quando si parlava di ricchezze. Ed ovviamente, il
Libro della Pace era la ricchezza più grande.
Arricciò
soprappensiero un labbro, specchiandosi nelle miriadi di luci che
risplendevano fuori dalla bolla e scorrevano, fluenti, nel moto
incessante dell’Universo.
«
Certo, capisco… be’, vedi, mi crei un problema,
perché… »
bofonchiò il capitano, portandosi le braccia al petto e
iniziando a
gironzolare per la bolla, restio al guardare la donna dritta negli
occhi « mi ero fatto un progettino mio, sai... riscatto,
ricchezza…
del sano egoismo! »
Sobbalzò,
trovandosi la dea ad un palmo dal naso e quella rise ancora.
«
Non pensi abbastanza in grande, Vegeta » comparve nuovamente
alle
sue spalle e questa volta gli sfilò lesta una delle sue
spade laser
dalla custodia, facendola vibrare nell’atmosfera: «
rubi il Libro
per il riscatto e sei ricco a sufficienza per bivaccare da una
galassia all’altra… »
Avvicinò
la spada al volto del pirata, che si ritrasse
indietro, cercando di non staccare i suoi occhi scuri dagli occhi
chiari della visione.
«
Rubi il Libro per me e puoi comprartela la galassia… e la
costellazione… e l’Universo »
Vegeta
si trovò a sogghignare: « Hmm…
» rifletté un attimo, « mi
lasci in vita… mi rendi ricco, mi ritiro in
paradiso… niente da
obiettare » considerò, finché non
assottigliò lo sguardo, serio.
« Se… mantieni la parola »
«
Vegeta, quando una dea dà la sua parola... »
ricomparve nella sua
mano la spada lucente del pirata che si attivò in un fascio
luminoso
« è vincolata per
l’eternità... » e tracciò
sulla sua spalla
sinistra un segno di ics, che rimase luminescente sulla sua pelle
candida.
Il
principe allora annuì e la dea proseguì.
«
Allora » iniziò e, con la spada tracciò
un’improvviso squarcio
nella bolla, che si aprì come una grande finestra
sull’Universo e
Vegeta venne inondato dalla luce improvvisa degli astri più
fluorescenti.
«
Una volta rubato il Libro, prosegui verso Ovest, oltre le Dodici
Galassie e oltre la Costellazione della Fornacevii,
finché non arriverai alla mia stella morente. Una volta
lì,
prosegui oltre ciò che tocca la luce… ti
ritroverai a Tartaro, il
mio regno del Caos... »
«
D’accordo » accettò Vegeta.
«
È
un appuntamento… »
mormorò la dea e gli si riavvicinò velocemente,
consegnandogli la
spada ma, prima che l’uomo potesse afferrarla, facendola
scomparire in una nuvola di fumo.
«
Dov’eravamo? » soggiunse poi, Lazuli, carezzando
lentamente le
labbra dell’uomo e incatenando il suo sguardo infinito negli
occhi
curiosi e avventurosi del pirata, che inarcò un sopracciglio
davanti
alla bellezza solenne della donna, schiudendo inavvertitamente le
labbra, soggiogato al suo tocco.
La
dea socchiuse gli occhi e Vegeta si ritrovò a fare lo
stesso.
«
Ah sì… stavi cadendo... »
In
un batter d’occhio, la bolla, così
com’era comparsa, si dissolse
bruscamente, squagliata come una bolla di sapone e Vegeta si
ritrovò
ancora tra le braccia della tempesta di fuoco e calore che lo aveva
avvolto poco prima: invece di precipitare ancora nel vuoto,
però, la
forte onda d’energia scagionata lo scaraventò in
alto, come una
navicella scagliata nell’interspazio, e salì verso
l’alto con
estrema velocità.
Celata
tra le nebulose, la dea sospirò deliziata.
«
È
così carino… e così
credulone » sussurrò alzando gli occhi al cielo,
« Chetus... »
soggiunse quando le si avvicinò il mostro marino che aveva
nuovamente conciliato il suo aspetto con la Costellazione del Chetus
a Meridione.
«
Ottimo lavoro... »
I
suoi occhi blu scomparvero tra le stelle.
La
gittata dell’esplosione del lampo gamma lo stava trascinando
a
velocità supersonica oltre gli enormi schieramenti di stelle
che
aveva contemplato cadendo e gli sembrò, per un attimo, di
stare
andando nello spazio alla deriva, come una meteora che presto sarebbe
stata catturata dall’orbita gravitazionale di un pianeta o di
un
buco nero. Fino a che, così velocemente com’era
caduto,
altrettanto velocemente fu recuperato dal suo piccolo bastimento e
si ritrovò tra le braccia solide di Nappa che lo
trascinarono a
bordo allo stesso modo in cui si afferra un naufrago dal divagare nell’oceano.
La
ciurma al vedere la buona pescata schiamazzò esultante e
Broly,
incapace di contenere l’emozione, abbracciò
goffamente il
capitano, stritolandolo peggio della piovra interstellare che lo
aveva afferrato prima tra le braccia, fino a quando il capitano non
si lamentò, indignato.
«
Vegeta, sei vivo! » esclamò contento Radish, che
sorrise allegro «
Meno male! » e lo salutò con una sonora pacca
sulla spalla,
dandogli il benvenuto. Si girò, poi, verso Toma. «
È
vivo, sgancia i soldi! »,
che
ancora una volta aveva
perso una scommessa con lui.
Una
volta aiutato ad alzarsi, Nappa osservò il capitano che cercava
di riprendere l’orientamento dopo il volo interspaziale e
lo
guardò passarsi una
mano sugli occhi, come a scrollarsi di dosso una
sensazione di vertigine non dovuta solo al salto, ma anche a qualcosa
di innaturale e insolito che aveva visto.
Il
vice-capitano incrociò
le
braccia e alzò un sopracciglio.
«
Che è successo laggiù? »
«
Se te lo dicessi non mi crederesti… » rispose
tra un affanno e l’altro Vegeta, cercando di recuperare il
fiato
dopo il salto adrenalinico nel
profondo oceano di stelle. Nappa lo osservò ancora, curioso.
«
Provaci... »
«
D’accordo. Ecco qua... »
iniziò il
capitano,
levandosi velocemente uno degli
stivali
a
trazione gravitazionale,
che era rimasto
bruciacchiato e
danneggiato dall’esplosione
cosmica che l’aveva sparato in maniera inclemente verso
l’alto.
«
Ho
incontrato Lazuli, la
dea del Caos. Si
è presa una bella cotta per me e mi ha invitato a casa sua
»
Il
secondo lo contemplò
per qualche
istante, per poi scoppiare a ridere insieme alla ciurma che aveva
sentito
le sue parole.
Nappa gli
diede
una pacca sulla spalla, continuando a sbeffeggiarlo,
e gli scombussolò
in
un gesto paterno i
folti
capelli neri, avviandosi verso i comandi a poppa.
«
Questa è buona! La “Dea del Caos”, me la
devo segnare... »
Vegeta,
innervosito, alzò gli occhi al cielo e ordinò
agli uomini di
riprendere i propri posti, per continuare la navigazione.
Gli
si avvicinò Turles che scivolò sul ponte
dolcemente, calandosi da
una corda.
«
Quindi, si chiude la storia, niente Libro? » gli
domandò in uno
spiccato accento della Galassia di Mezzo, un accento con uno spiccato
tono ivoriano « e ora che facciamo? »viii
Il
capitano diede un’occhiata alla nave militare che, nel giro
di poco
tempo, aveva nuovamente ripreso il suo ordine, con le grandi vele a
specchio d’energia che aprivano le loro enormi ali al vento
cosmico
e con i motori nuovamente riposizionati sulle onde di luce.
«
Un po’ di pazienza, Turles, non è che non sappiamo
dove sia
diretto... »
Fissò
assorto la nave avversaria, individuando tra la folla di soldati
Goku.
“Presto
il Libro sarà mio” pensò, incrociando
le braccia al busto e
poggiandosi sul parapetto della nave, silenzioso.
Dall’altra
parte del mare, a bordo della sua nave, il comandante Goku sorrise
quando trovò l’amico sano e salvo a bordo del suo
vascello e diede
ordini alla flotta per fare ritorno al suo pianeta, il pianeta che
avrebbe accolto finalmente il Libro della Pace.
«
Uomini, spiegate le vele per Earth24! »
Continua...
Angolo
dell’autrice
Hello,
bentornati con questo secondo capitolo.
Le
cose iniziano a farsi interessanti, spero di stando attirando la
vostra attenzione.
Come
vedete, ho messo alcuni riferimenti a parti delle navi, come le funi,
il ponte, eccetera. Questo non significa assolutamente che io sappia
come è composta una nave, le ho messe per precisione
linguistica,
sperando almeno di aver beccato giusto qualche componente. Spero di
non aver ucciso alcun Ammiraglio, là fuori.
Ringrazio
tutti coloro che leggono e che recensisco lasciando la loro. Ve se
ama!
E,
se avrete voglia, al prossimo capitolo!
iAlbero
posto a prua, davanti alla nave, inclinato diagonalmente;
iiAsta
orizzontale nella parte superiore di un albero che sorregge la vela;
iiiCome
non mettere Asgard? Tranquilli, qui siamo in un altro universo, niente
Thor e Avengers, di casini ce ne sono fin troppi, non mi serve un
Thanos e il suo snap;
ivFune
usata per ammainare ed issare le vele;
vQueste
esplosioni esistono veramente nell’universo, sono degli
intensi lampi di raggi gamma che esplodono d’improvviso
nell’universo. Se v’interessa, Wikipedia vi
saprà dire di più;
viPiccolo
e innocente rimando all’autore Teo5Astor con la sua
“Mythos”;
viiIn
direzione della Costellazione della Fornace, poco tempo fa,
è stata scoperta la galassia più distante e
antica mai conosciuta, a 13,2 miliardi di anni luce di distanza;
viiiNel
cartone, il personaggio che qui ho presentato come Turles, si chiama
“Lercio”, per le sue evidenti condizioni igieniche,
ehm… scadenti. Questo personaggio ha uno spiccato accento
salentino, quindi mi pareva carino fare riferimento.
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Capitolo 3 *** Syracysis ***
Capitolo
terzo
Syracysis
Il
piccolo pianeta di Earth24 era collocato nella Via Lattea, una galassia
di modeste dimensioni che nel tempo era diventata il fulcro di
numerose rotte commerciali e astrali, raccogliendo non poche
ricchezze da tutto il Cosmo configurandosi come una perla di rara
bellezza.
Di
media grandezza, in una posizione defilata, ma non troppo rispetto al
centro solare che faceva ruotare la galassia, il corpo celeste apriva
la sua atmosfera ad una miriade di navi e grandi galeoni commerciali
che, dapprima dispersi nell’universo, facevano rifornimento e
tappa
sul pianeta per smistare le merci e i commerci nelle Dodici Grandi
Galassie.
Costruita
su fibre di titanio e illuminata dalla danza costante del Sole e di
una piccola cometa che vi girava attorno, come il moto circolare di
una ballerina su un lento carillon terrestre, la grande capitale
Syracysisi
stava a guida del pianeta ed era posta alla latitudine Sud-Est del pianeta.
La
città, eletta capitale per volontà
delle popolazioni
eterogenee presenti, raccoglieva in sé le due anime del
pianeta: la
prima anima, in ricordo dei tempi antichi, si stagliava sui relitti e sulle rovine dei monumenti ed delle
opere passate. Grandi torri, ponti e grattacieli ricordavano il tempo di un pianeta ormai morto, sul quale gli abitanti si erano
mutati in mostri
per il dio denaro e si erano corrotti nel profondo; la seconda anima, più viva e in costante
evoluzione, era un omaggio al mondo del trentesimo secolo post
Apocalisse ed era costituita da intense strutture in fibra di titanio
e diamante, completamente intrecciate alla natura selvatica del
pianeta, come se il loro DNA fosse fuso in maniera ossequiosa e onnicomprensiva
alla flora e fauna.
Intere
città alimentate ad energia solare filtravano
l’energia cosmica
della Galassia per il loro autosostentamento e per la loro autonomia,
e gli abitanti, come avevano sognato da anni, avevano nel tempo
imparato a distribuire equamente le risorse e la preziosa acqua a
tutti gli inquilini del pianeta; l’oro blu, inestimabile
risorsa
del passato che era stata selvaggiamente inquinata e che era
diventata nel tempo un bene di lusso per pochi, ora era a
disposizione di tutti gli abitanti del piccolo Earth24.
Grazie
ad un programma mondiale e galattico di rinnovo culturale ed
energetico, i governatori di Syracysis avevano intrapreso una
costante e fruttifera politica di rispetto per l’ambiente e
per la
galassia, avviato un’efficace collaborazione interplanetaria
con
gli abitanti delle altre undici galassie attorno a loro ed una
cura del territorio e una valorizzazione delle risorse di
ciò che un
tempo chiamavano pianeta Terra. Si erano presi cura del terreno, della
bonifica da materiali tossici e radioattivi, della pulizia degli
oceani, della ricerca di risorse rinnovabili e gratuite fuori
dall’atmosfera, della lotta per debellare le malattie e le
disuguaglianze nel globo.
Presto,
in ricordo della sfera blu che si era autodistrutta secoli prima
e che aveva tratto i suoi ultimi respiri nell’istante in cui
era
sfociata l’Apocalisse di trenta secoli fa, i superstiti
del
mondo avevano deciso di esplorare nuovi territori esterni al pianeta
e al piccolo sistema solare che li conteneva, andando oltre la
galassia a spirale e incrociando così, sul proprio cammino,
a pochi
decine di anni luce, altre costellazioni e galassie altrettanto
giovani.
L’ampliamento
delle nuove tecnologie e della robotica, l’incontro con nuove
civiltà e popoli più evoluti esterni alla Via
Lattea, avevano dato
inizio ad un’era di esodo verso terre più ospitali
ed ancora vive,
finché dopo secoli di buio per il vecchio pianeta,
popolazioni
estranee al suo primordiale habitat avevano di nuovo scommesso sulla
preziosità della piccola perla, dandole di nuovo vita e
speranza,
ripopolandola di umani superstiti e di nuove specie aliene,
fondamentali alla sua rinascita.
Dopo
secoli, il governatore Bardack, posto a capo della capitale Syracysis
per volontà dei membri delle Dodici Grandi Galassie, si era
rivelato
essere degno del suo titolo poiché, grazie alle sue
precedenti
abilità di esploratore, aveva portato molte ricchezze al
pianeta e
all’Alleanza galattica, edificando opere di rinnovamento
economico
e astronomico ed intessendo nuove rotte commerciali di particolare
efficacia. Ma soprattutto, perché aveva cercato in
gioventù e per
tutto il resto della sua vita il Libro donato dagli Dei del Cosmo.
Bardack,
in passato, ancora consigliere del legittimo governatore Tsufii,
a capo di una vasta legione di uomini Earthariani e di eserciti
provenienti dalle Dodici Grandi Galassie che una dopo
l’altra si
erano unite all’impresa, aveva infatti attraversato molte
Costellazioni conosciute alla ricerca della promessa di pace ed era
giunto fino alle Stelle di Ghiaccio della Galassia Nera. In una battaglia
epica, in cui vi era stato lo spettacolare scontro tra gli
Earthariani, i soldati delle Dodici Galassie e le legioni del demone
del Ghiaccio Cold e di suo figlio Freezer, era stato costretto a
prendere la corona di comandante dell’esercito, deposta sul
suo
capo dal morente Tsuf, ferito a morte, e aveva condotto gli
uomini alla vittoria.
Gli
Dei del Cosmo, allora, vedendo la sua tenacia nella ricerca del
Libro, avevano promesso a Bardack che i membri delle Dodici Grandi
Galassie avrebbero trovato lo strumento di pace che tanto avevano
cercato e che tanto era stato decantato dai poeti e rapsodi.
Finalmente
dopo anni di ricerche, suo figlio Goku, che grazie alla grandezza
della sua impresa sarebbe diventato a tempo debito il nuovo
governatore di Syracysis e di Earth24, giungeva sul pianeta con la
promessa che gli Dei avevano mantenuto.
Quel
giorno, presso il Palazzo del Consiglio, istioriato delle imprese
compiute dai reggenti passati, si teneva una grande festa
in onore dell’arrivo del Libro della Pace che
tanto si
era sognato di avere a Syracysis: accolta da una folla trionfale, da
capannelli di gente esultante proveniente da ogni angolo delle Dodici
Galassie, la grande nave militare attraccò allo Spazioporto
e il
Libro, poggiato sul suo piedistallo che rifletteva la rotazione
precisa degli astri del cielo come un astrolabio
di
fine raffinatura,
venne
portato in
cerimonia sulla
torre
più alta del palazzo.
Da
lì, come una stella catturata in uno specchio,
illuminò con la sua
luce l’intera capitale e
fece brillare di composta commozione anche gli occhi del governatore
Bardack, che richiamò con un brindisi i reggenti delle altre
Dodici
grandi
Galassie e gli
ospiti
della
sua
corte.
«
Fin da quando io ho memoria, ho
sognato questo momento. Il sacro tesoro che ha protetto
l’Universo
per migliaia di anni e che, in passato, è
stato promesso dagli
Sacri Dei, è finalmente a Earth24! »
Accolse
raggiante la
presenza
del
figlio accanto
a lui
e
sollevarono
assieme
il calice,
in onore di
quel prezioso ed agognato momento. Circondato da ambasciatori
provenienti da ogni angolo delle Dodici Grandi
Galassie, librò nell’aria il suo inno alla pace.
«
Al Libro della Pace! »
«
E a voi, governatore Bardack e fiero Goku! » brindarono i
commensali, portando al cielo le coppe di vino rosato delle vigne
coltivate a goccia nelle terre natie a Sud dell’Equatore del
pianeta Sagard, all’estremità Ovest della Galassia
di Andromeda.
I
commensali in festa stavano per onorare ancora il governatore e il
figlio con un altro brindisi, quando si fermarono per un improvviso
trambusto.
«
Fate largo! » esclamarono le guardie che, come uno sciame
d’api,
si precipitarono all’ingresso del grande Salone dei
Congressi,
richiamate all’ordine.
«
Lo vedi? Ecco cosa succede quando prendi la porta
d’ingresso… »
scosse la testa Vegeta, che con Nappa, Turles, Broly e Radish, era
improvvisamente comparso all’apertura della cerimonia ed ora
era
circondato da una schiera di soldati di guardia.
Da
lontano, Goku stava raggiungendo a grandi passi l’entrata,
per
capire il motivo di tanta agitazione e ridacchiò quando
notò la
ciurma pirata all’ingresso.
«
Che ci fa lui qui? » s’irrigidì, invece,
il vecchio governatore.
«
Almeno non è in giro a derubare! » lo
tranquillizzò il figlio,
avviandosi sorridente all’entrata, superando il padre, che
rimase
indietro e allargò le braccia, piccato: «
Perché quelli che vale
la pena di derubare sono qui! »
Il
gruppetto, ancora all’ingresso, intanto, ridacchiava e
scherniva le
guardie che, integerrime, non lasciavano la loro posizione ed erano
in attesa dell’ordine di arrestare i pirati.
Broly,
un po’ defilato rispetto al gruppo e nascosto dietro i
compagni,
notò le grandi tavole imbandite di prelibatezze e pietanze
da tutto
il Cosmo
e si passò sovrappensiero la lingua sulle labbra. Senza
farsi
notare, silenzioso come sempre, si staccò dal
gruppetto e raggiunse una tavola, iniziando a
mangiare come un pozzo senza fondo, sotto
lo sguardo spaventato
degli ospiti.
Ad
una certa, Vegeta rise sotto i baffi e fissò con aria di
sufficienza
il capitano delle guardie.
«
Scommetto dieci corone d’argento che state per mettere via le
armi... » disse, notando gli occhi fiammeggianti della
guardia, che
non si tirò indietro alla sfida.
«
Accetto la scommessa! » gli rispose caustica, la guardia,
desiderosa
di strappagli dalla faccia quel fastidioso sorrisetto compiaciuto, ma
le parole del figlio del governatore la obbligarono a riprendere il
suo posto. « Guardie! Mettete via le spade! »
I
soldati tutt’attorno si misero sull’attenti e il
giovane Goku
sollevò le braccia come in segno di resa, vedendo gli
inaspettati
ospiti.
«
Non ti vedo per dieci anni e ora due volte in un giorno? » si
portò
una mano al cuore, ridendo « ti prego, così mi
asfissi! »
Vegeta
ricambiò il saluto, stringendogli la mano e dandogli una
pacca sulla
spalla. « Ti ho salvato la vita, so che volevi
ringraziarmi… di
nuovo » ghignò e Goku lo introdusse al banchetto,
facendo gli onori
di casa. « Ti avranno detto che qui ci sono cibo e vino
gratis! »
Il
pirata si girò verso la ciurma: « Sentito ragazzi?
Cena e bevande
offerte dal figlio del governatore! »
Si
avviò, poi, con l’amico verso il centro della
sala, perché
questo, come aveva detto, desiderava fargli incontrare una persona
speciale. Vegeta e il figlio del governatore si allontanarono e il
pirata strizzò l’occhiolino alla ciurma, che si
accomodò di buona
lena al banchetto, ma due guardie, prima potessero unirsi alla festa,
chiesero subito loro di depositare le armi all’ingresso.
Napa
fece il suo peggiore sorriso e senza che le guardie se ne
accorgessero, sfoderò veloce i suoi due piccoli pugnali,
passandoli
sotto il naso delle due guardie, spaventadole. Lui e Turles si
allontanarono ridendo di gusto, dopo che anche il mozzo aveva
scarrozzato all’ingresso due pistole laser, delle bombe
all’idrogeno tascabili e una spada curva di vibranio.
Quando
fu il turno di Radish, questo accomodò malamente sul bancone
l’artiglieria, iniziando a svuotare le tasche:
tirò fuori tre
spade a diffusione plasmatica, un rampino per raggiungere le cime
delle navi avversarie, un Mjöllnir
rubato su un’astronave aliena da un tizio che, sebbene con
qualche
chilo di troppo, si era definito figlio di Odinoiii,
quattro bombe all’idrogeno tascabili e una spararazzi.
Iniziò poi
a svuotare l’altra tasca e le guardie si guardarono a
disagio,
chiedendosi quanto universo potessero contenere i pantaloni di quel
pirata.
Il
grande palazzo si presentava come una conchiglia argentata e
perlacea, la cui bellezza esteriore faceva prevedere le rifiniture
della sua crisalide interna: alte colonne costellate da capitelli e
bassorilievi riportavano le battaglie epiche degli antichi governanti
e su, in cima, sotto le ampie volte, brillavano i colori variopinti
delle finestre che, come radiosi pavoni, proiettavano sul pavimento i
loro intrecci di luce.
Il
pirata continuò a camminare dietro a Goku ammirando la
grandiosità
della sala, percependo distrattamente il suo discorso sulla
maestosità della festa e l’importanza del Libro a
Syracysis. Cercò
di sembrare interessato alle sue chiacchiere e di non farsi notare a
curiosare in giro, alla ricerca di qualche piccolo tesoro nascosto
dalle lunghe maniche delle signore presenti al ricevimento o
incastonato nelle ampie tuniche dei ricchi commercianti, i quali
sfoggiavano preziose collane e spille in segno del loro potere sul
pianeta.
S’avvicinò
ad un’avvenente signora della Galassia del Centauro, frugando
con i
suoi occhi neri d’universo tra le pieghe del suo vestito,
alla
ricerca di un diamante argentato o di una collana di perle. La
signora, rimasta incantata dagli occhi selvaggi del pirata, rimase a
bocca aperta e spalancò i cinque occhi che le coronavano il
viso
quando questo le fece gentilmente il baciamano; il pirata ne
approfittò per rubarle un sorriso, le sfilò
dolcemente il calice di
vino dalle mani e la salutò con un profondo inchino,
infilando nella
tasca il piccolo diamante argentato che le aveva sottratto dalla
mano destra.
«
Le ho detto tutto di te... » sentì che continuava
a chiacchierare
l’amico, mentre era tornato a camminargli dietro veloce e ad
osservare la grande sala del Congresso.
Tracciò
con gli occhi le rifiniture delle alte colonne di prezioso iridio
proveniente delle Stelle di Capo Verde: sopra la sala, il grande
soffitto a cassettoni neoclassici faceva pendere dei lunghi lampadari
ad energia leggera che donavano all’intero salone
un’aria di
raffinata importanza e cura. Sorseggiò il suo vino e
cercò qualche
anfratto nel soffitto, alla ricerca di una via nascosta verso la
torre del Libro, finché non venne richiamato
dall’amico.
«
Vegeta... »
Lo
vide avvicinarsi ad una donna, dapprima di schiena che richiamata si
congedò in fretta da un ambasciatore e poggiò
lieve la sua mano
destra nel palmo di Goku. Gli si mozzò il respiro in gola,
quando riconobbe l’azzurro del suo sguardo.
«
Ti presento la mia fidanzata, l’ambasciatrice delle regioni
del
Sud, donna Bulma »
Il
dolce nettare del vino si tramutò subito in un amaro
intruglio,
quando osservò i lineamenti della donna. Subito si rese
conto,
ancora prima che iniziasse a parlare, di aver già visto
quegli occhi
di rugiada, quella bocca di rose e quel sorriso così
delicato che,
come anni prima, gli aveva fatto battere più forte il cuore.
La
donna, per nulla avveduta del tremore interiore che aveva colto il
pirata, gli rivolse un saluto cordiale, poggiandosi al braccio che il
figlio del governatore le aveva posto.
«
Così questo è lo scellerato Vegeta…
»
Incatenò
i suoi occhi azzurri a quelli del pirata ed a Vegeta parve di
contemplare le lontane Stelle di Ghiaccio, belle e pure nella loro
fresca energia cosmica.
«
Ho saputo tutto questa mattina: prima volevate derubare Goku e poi
gli avete salvato la vita. Perciò cosa siete, un ladro o un
eroe? »
Sorrise
e Vegeta volle per un secondo affogare dentro la luce delicata delle
sue Stelle ad Ovest.
«
Vegeta voleva darmi l’opportunità di ringraziar-
» continuò
Goku, introducendo l’amico alla conversazione con la
fidanzata, ma,
tornando a volgersi verso il pirata, si accorsero entrambi che il
loro ospite era improvvisamente sparito. Si guardarono intorno per
qualche istante, ma di Vegeta nessuna traccia.
Un
paio di tavoli più in là, Broly aveva iniziato ad
assalire il
secondo tavolo di piatti colmi dei commensali, razziando avidamente i
vassoi e le portate dei servitori ma, nonostante il gran baccano,
Nappa si gustava una buona coppa di vino, cercando di evitare gli
sguardi arrabbiati e accusatori degli ospiti che lo imploravano di
fermare lo strano compagno.
Il
palazzo sfoggiava una magnifica bellezza, doveva ammetterlo. E, poi,
tornare al suo pianeta natale Earth24 l’aveva
d’improvviso
sbalzato indietro nel tempo a quando, circa dieci anni prima, era al
comando della piccola Freccia, l’attuale nave Saiya, ed aveva
raccolto dallo Spazioporto un ragazzetto di dodici anni con uno
sguardo corrucciato e profondo che gli aveva chiesto di unirsi al suo
equipaggio. Il ragazzetto, di corporatura gracile ma di grande
coraggio, col tempo, l’aveva surclassato in strategia e forza
finché, in raccordo con le regole del Mare Spaziale,
l’aveva
direttamente nominato capitano e, da allora, ne avevano fatto di
strada e di razzie tra le scie di luce dell’Universo.
Ridacchiò,
scuotendo la testa, e bevve un altro sorso del suo nettare, per poi
alzare gli occhi al cielo alle ennesime lamentele che arrivarono dai
tavoli a cui Broly si stava abbuffando.
Notò
ad una certa il capitano camminare furiosamente verso
l’uscita,
così, dopo aver poggiato il calice sul tavolo, raggiunse il
compagno
più piccolo della ciurma, Broly, gli sfilò di
bocca il pesce spada
che stava trangugiando e lo trascinò via per un orecchio,
verso il
punto in cui aveva visto Vegeta.
Anche
Turles, che fino a quel momento aveva arruffato dai tavoli diverse
prelibatezze da portarsi a bordo, per evitare almeno per qualche
giorno di mangiare uova di gallina e cetriolini, s’interruppe
quando vide tornare rapidamente indietro il capitano, senza
accorgersi, però, dell’aria scura che aveva in
volto.
«
Ah! La cosa è uno scherzetto »
sogghignò il mozzo, ammiccando alla
posizione del Libro alla torre del Palazzo. « Ci sta solo
qualche
guardia! »
«
Non importa, torniamo alla nave! » fece subito il capitano,
facendosi largo tra i suoi uomini.
«
All’improvviso? Il Libro è quasi nostro!
» chiese dubbioso Nappa,
cercando di bloccare il suo passo, ma inutilmente. Si voltarono
entrambi da dove era venuto.
«
Ohh… » sussurrò poi il più
anziano.
«
E quella chi è? » chiese invece Turles, osservando
curioso la
coppia di reali che, al centro del salone, aveva visto allontanarsi
di corsa Vegeta senza trovare spiegazione.
«
Una vecchia
innamorata? » ghignò
il mozzo, ammiccando alla bella donna dai riflessi del mare che,
accanto a Goku, aveva assistito alla dipartita del capitano.
«
Mi sa che non è così semplice…
» scosse la testa il secondo in
capo, « andiamo » sussurrò.
«
Rad, sbaracca... » comandò a Radish, che, ancora
all’entrata,
aveva appena finito di depositare le armi davanti alle guardie.
«
Cosa? Ma ho appena finito! » si lamentò Radish, ma
con uno sbuffo
dovette raccogliere tutte le armi dal tavolo e seguire i compagni
fuori dal palazzo. Le guardie lo videro avviarsi dietro i compagni
con una immensa mole di artiglieria tra le braccia.
Lontano,
sopra i tetti del palazzo e distante dalla musica della festa, una
figura sottile con un’aurea trasparente come il fumo
ghignò,
vedendo allontanarsi verso lo Spazioporto il gruppo di pirati e,
veloce come brezza lunare, s’avvicinò alla torre
dove risplendeva
il Libro della Pace.
«
Vedila così, ora che Vegeta se n’è
andato, tuo padre può
finalmente rilassarsi e godersi la serata… »
Goku
e Bulma si erano allontanati dalla calca per prendersi del tempo da
soli e il loro passo li aveva condotti sulla grande terrazza che dava
sulla città e sullo Spazioporto, la via più breve
e diretta per lo
spazio aperto.
«
Su questo hai ragione, lui cerca di non dimostrarlo, ma è
così
orgoglioso di avere il Libro qui a Syracysis… è
tutta la vita che
pensa a questo giorno » concordò Goku,
accompagnando la sua
fidanzata fino alla balaustra illuminata, come tutto il palazzo,
dalla luce lunare e dalla luce splendente del Libro della Pace,
riposto al sicuro nella torre.
«
E presto, sarà tua la responsabilità…
» gli sorrise Bulma,
stringendosi al suo braccio e lasciandosi cullare dalle braccia
nerborute del figlio del governatore, che la strinse al petto.
«
Nostra, la responsabilità... »
La
donna abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente e
portò gli occhi
verso lo Spazioporto ed, inevitabilmente, verso il mare infinito che
si apriva alle stelle e alle galassie sopra di loro.
Sospirò,
incastonando i suoi occhi di luce con le luci lontane e silenziose
del Cosmo, sognando, ancora una volta, di essere lassù,
libera, tra
le stelle.
«
È
bellissimo… »
«
Sì, mio padre ha passato anni a prepararsi per il Libro. Ci
sono
guardie ad ogni livello e se guardi su- »
Il
figlio del governatore s’accorse poi del suo piccolo errore,
come
vide una piccola smorfia sul volto della donna, e si schiarì
la
voce, grattandosi impacciato la sua chioma di capelli.
«
Ehm… parlavi del mare, vero? »
La
ragazza sciolse il suo abbraccio, andando ad appoggiarsi sulla
balaustra della terrazza e contemplando con lo sguardo e con il cuore
il mare immenso che attendeva le numerose imbarcazioni e navi
spaziali pronte a salire verso il cielo.
«
Vorrei solo aver visto più cose… una volta
immaginavo di andare
ben oltre le Dodici Grandi Galassie… a scoprire
l’Universo »
ridacchiò timidamente, portandosi una ciocca di capelli
dietro il
nastro argentato che li teneva uniti in una piccola coda. Goku la
guardò comprensivo e la invitò ad accomodarsi ad
uno dei comodi
divani di velluto che costeggiavano l’ampio terrazzo.
«
Bulma… il nostro matrimonio è stato combinato
anni fa, se
l’aspettavano tutti da noi… ma la politica non
è un buon motivo
per sposarsi e io non voglio che tu lo faccia solo perché
è tuo
dovere! »
Bulma
lo vide abbassare lo sguardo, inginocchiandosi davanti a lei e
congiungere assieme le loro mani, in una calda e confortevole unione.
«
Bulma... vuoi sposarmi? »
La
luce della Luna si rifletté nei loro occhi improvvisamente
così
uniti e Bulma, incantata dalle sue parole, aprì la bocca per
rispondere, quando vennero interrotti entrambi da Bardack.
«
Eccovi qui! »
Il
vecchio governatore si avvicinò a loro affannosamente,
sistemandosi
la lunga toga blu scuro che, per la corsa, si era leggermente
stropicciata e iniziò a parlare a loro a raffica, come preso
dal
panico.
«
Credo che i delegati delle Manoli vogliano fare un brindisi…
non ne
sono sicuro, stanno facendo qualcosa con le ginocchia, una specie di
ballo, non saprei! Bulma... mi serve un’ambasciatrice!
»
I
due ragazzi si sorrisero e Bulma, rassicurata dallo sguardo benevolo
di Goku, accompagnò il governatore al banchetto.
«
Certamente, Governatore… »
Fece
ritorno tutti e tre al banchetto, lasciandosi alle spalle la lunga
torre con il Libro della Pace e il mare spaziale, dietro, a farle da
sfondo.
Nel
frattanto, nel silenzio della notte di Earth24, un’ombra
scura si
arrampicò lungo la torre del palazzo, strisciando lungo i
muri ed
infiltrandosi tra le fughe, silente come l’aria e sinistra
come il
manto della morte.
Arrivò
alla sala più in alto della torre, al cui centro torreggiava
sul suo
piedistallo il Libro della Pace e, al riparo dalla luce incantevole
del Libro, si nascose tra le tenebre; allungò una mano
scheletrica
verso una lanterna di luce elettrica e spense il suo calore,
soffocandola nella sua presa ghiacciata e facendo calare un anfratto
della sala ottagonale nel buio.
Una
delle due guardie, richiamata dall’improvviso tacere della
fiammella, si avviò a controllare con fare circospetto verso
il
punto d’improvvisa oscurità che si era dipanata
nella stanza, ma,
non notando la figura misteriosa infiltrata tra le decorazioni del
soffitto, riacquisì presto la sua posizione lungo il
perimetro di
sorveglianza della torre.
L’altra
guardia, allertata dall’atteggiamento inquieto del compagno,
s’avvicinò al Libro per rassicurarsi della sua
sicurezza: passò
la mano sovrappensiero sull’intreccio meccanico del basamento
che
lo sorreggeva e che continuava a scorrere. Lento come una meridiana,
seguiva il moto delle Costellazioni del Cielo e si spostava in una
sinfonia costante, una sinfonia in cui si poteva distinguere il tocco
soffuso delle mani dei primi Dei del Cosmo, quando, milioni di secoli
prima, avevano fatto scaturire l’Universo.
L’ombra
del soldato si proiettò lunga e sinuosa sul muro e da quella
scaturì, repentina, nuovamente l’ombra. Felina,
allungò ancora le
lunghe dita verso le lanterne che illuminavano la camera e le spense
in un ronzio soffuso. Le due guardie, richiamate dal debole rumore,
si misero questa volta sull’attenti, sguainando le spade ed
illuminando le loro corazze di titanio con la luce violacea delle
spade.
L’ombra,
approfittando della loro distrazione, si trasformò in una
nuvola
d’aria e in una sottile linea di fumo, strisciò
lungo la colonna,
nascondendosi dalla ricerca dei due soldati. Sollevò e
tirò a sé
una nube d’aria e questa prese la consistenza di un corpo
preciso,
con gli occhi scuri di demone: prese le sembianze di un uomo e,
brandendo la sua spada di luce, si mise alle spalle dei due soldati
che, voltandosi, riconobbero le sembianze del capitano dei pirati,
Vegeta.
«
Vegeta! »
gridò
indignata la guardia.
Scansò
velocemente la prima delle guardie che, dopo aver attaccato con un
affondo, si vide schiantata brutalmente contro la colonna, perdendo
conoscenza. Affrontò subito dopo anche l’altro
soldato, che, con
un urlo di rabbia, brandì la spada contro quella del pirata.
Ma
l’uomo con gli occhi di demone si liberò presto
della spada della
guardia e l’atterrò con un pugno ben assestato,
facendola
stramazzare al suolo.
L’ombra
si liberò delle fattezze del pirata e lasciò a
terra la spada, che, vibrando, si spense, accanto al corpo
accasciato della guardia.
«
Adoro diventare un altro... »
Una
risata agghiacciante sorse dalla cima della torre e una dea prese il
suo posto, si vaporizzò in fumo e comparì subito
dopo davanti al
Libro che, ancora, tracciava silenzioso le stelle sul soffitto e
illuminava di luce bianca la volta della torre.
In
un gesto solenne, specchiando i suoi occhi avidi tra le pieghe
infinite del Libro, lo sollevò, prendendolo tra le sottili
mani.
«
Tutti i pezzi cominciano ad incastrarsi! »
E
chiuse il Libro in un colpo preciso.
Un
forte terremoto, comparso rapido e spettrale, sconquassò
Syracysis,
mentre la dea sparì ridendo in una nube di fumo nero che si
sollevò
come la potenza di un vulcano verso l’alto e il Libro
sparì con
lei.
Le
guardie a palazzo vennero richiamate alla torre e Goku, destato anche
lui d’impatto dalla festa, corse alla terrazza e tutto quello
che
poté vedere fu una nuvola cupa e nera che allargò
la sua presenza
sul palazzo e sulla città, per coprire tutto il pianeta ed
allargarsi verso lo spazio.
Quando
i soldati tornarono per fare rapporto, tutto quello che recuperarono
fu soltanto una spada laser e Goku si rabbuiò, riconoscendo
il
proprietario dall’elsa della spada.
Continua...
Angolo
dell’autrice
Tan
tan taaaan!
Chi
se lo aspettava che Lazuli tradisse così in fretta Vegeta,
eh?
Mah,
io no di sicuro.
Ciò
che è sicuro, invece, è che Vegeta è
nei guai fino al collo.
Grazie
a tutti coloro che leggono e lasciano un commento. Mi scuso se non
sono solerte nel rispondere alle recensioni, mi impegno per
rispondere con più costanza. Spero che la stesura sia
piacevole così
come il racconto. Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie
a tutti!
iRifacimento a Siracusa che,
nel cartone, è la città che ospita il Libro della
Pace e, visto che è ambientato in un simile Magna Grecia,
rappresenta una delle città più influenti del
IV-III secolo a.C.
iiNell’anime, come
tutti sappiamo, gli Tsufuru, abbreviato in Tsuf, erano i legittimi
proprietari di Plant, il pianeta che poi una volta preso dai Saiyan
sarà battezzato Vegeta, creando una grande confusione per
capire a chi ci si riferisca: al Re, al Principe o al pianeta?
Comunque, ho
inserito come nome per dare un minimo di continuità alla
storia per avere riferimento all’anime.
iiiL’avete
riconosciuto? I pirati hanno rubato il martello di Thor; riferimento a
Avengers Endgame, (scusate per il piccolo spoiler).
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Capitolo 4 *** L'ambasciatrice ***
Capitolo 4
L’ambasciatrice
Le due guardie che si
erano
improvvisamente presentate al suo vascello l’avevano
trascinato
verso il Palazzo senza che i suoi compagni avessero potuto fare
niente: una volta ammanettato e portato a forza verso le prigioni, i
pirati della ciurma si erano resi conto che qualcosa di grosso
pendeva sulla testa del capitano ed erano accorsi alla sala del
Consiglio, dove di lì a poco si sarebbero riuniti gli
ambasciatori
delle Dodici Grandi Galassie.
Lo avevano gettato
dentro la
cella con forza, chiudendosi sonoramente dietro di sé la
porta e
Vegeta si chiese ancora una volta perché diamine alla fine
aveva
deciso di mettere piede sul quel pianeta se il Libro non
l’aveva
manco sfiorato. Dalla penombra della cella emerse Goku, serio in
volto più che mai.
« Vegeta!
»
« Goku! Era
ora, direi! »
« Ti rendi
conto della gravità
della cosa? »
Vegeta scosse
ampiamente il capo.
« E tu ti
rendi conto di quante
volte me l’hanno già detto? »
« Hai
tradito il nostro pianeta!
»
Sbottò,
invece, il figlio del
governatore, avvicinandosi pericolosamente al pirata e costringendolo
a fare un passo indietro nella cella. Si fissarono furiosamente negli
occhi.
« Rubare il
Libro della Pace,
quando sapevi cosa rappresenta per noi! »
Goku
afferrò il pirata per il
collo del suo ampio mantello nero, incapace di contenere la furia di
emozioni che gli stavano attraversando il cuore, ma soprattutto
incapace di credere che Vegeta, il suo amico di un tempo, alla fine
avesse potuto veramente portare via il Libro e la preziosità
che
questo rappresentava per la vita delle Dodici Grandi Galassie.
Il capitano non smise
un secondo
di fissarlo negli occhi.
« Kakaroth,
la cosa funziona
così: prima commetto veramente un reato e poi mi si accusa
di averlo
commesso! »
Si staccò
frettolosamente da
lui, strattonandosi il mantello.
« E come lo
spieghi, questo? »
Chiese allora Goku e
tirò fuori
dalla sua lunga veste argentata la spada laser di Vegeta la cui elsa
catturò i pochi raggi di sole che ancora rischiaravano il
pianeta.
La sua arma era ben
distinguibile
nell’oscurità della sera per via delle iniziali
incise nell’elsa
e dei riflessi violacei del metallo di fattura, riflessi che si
aprivano in un continuo intreccio di simboli e richiami alla forza
del mare stellare e alla potenza delle sue onde.
Vegeta
spalancò gli occhi e
fissò incredulo Goku.
La sua spada
laser.
La spada laser che
aveva creduta
persa nella caduta nell’oceano di stelle quando quella piovra
soprannaturale l’aveva afferrato e fatto precipitare per
centinaia
di metri nel vuoto, gettandolo tra le stelle.
Un freddo brivido gli
passò
lungo la schiena quando ricordò le fredde mani della morte
che
l’avevano dapprima sfiorato e dopo scaraventato
nell’esplosione
più nera. Paralizzato, guardò ad occhi sbarrati
la sua spada come
se fosse insicuro della realtà della situazione,
finché realizzò
la verità e dove aveva visto la sua spada per
l’ultima volta.
«
Lazuli… »
Bisbigliò,
abbassando lo sguardo
e mettendo finalmente assieme tutti i pezzi del racconto come un
puzzle che presto si sarebbe intessuto tra le sue mani, ma che ancora
era lungi dall’essere completato.
Il figlio del
governatore non
capì il perché del suo turbamento e storse le
labbra.
« Cosa?
»
« Lazuli, la
dea del Caos! Mi ha
incastrato! »
« Ascoltati
quando parli,
Vegeta… » fece disgustato Goku.
« Kakaroth,
fidati: il Libro è
a Tartaro, nel suo regno del Caos, sulla sua stella morente!
»
Si avvicinò
all’amico, vedendo
che si stava dirigendo all’uscita della cella non
più disposto ad
ascoltare un’altra sua bugia, sempre più
amareggiato per il suo
comportamento.
« Parla con
tuo padre, digli che
sono- »
« La cosa
è ben al di sopra di
mio padre! » gli urlò invece Goku, cercando di non
dimostrare
apertamente il suo turbamento, ma che ormai gli si leggeva in faccia.
« Gli
ambasciatori si stanno
riunendo per il tuo processo! »
Vegeta non credette
alle proprie
orecchie: « Cosa? Non sono stato io! Ho lasciato il Libro
sulla tua
nave ed è l’ultima volta che l’ho visto!
»
Goku era sempre
più incerto e
scuro in volto e Vegeta si aggrappò alla sua ultima
speranza.
« Eri
lì, Goku. Mi conosci... »
L’altro
scosse ancora la testa
e strizzò gli occhi in tacita furia.
« Davvero?
Conoscevo un
ragazzo... una volta… chi sei ora, Vegeta? »
I suoi occhi marroni
cercarono,
inquieti, una risposta negli occhi neri del pirata, aspettando uno
spiraglio di sincerità nel suo sguardo.
« Guardami
negli occhi e dimmi
la verità… hai rubato tu il Libro della Pace?
»
Il pirata non oppose
barriere
alla ricerca dell’amico di un briciolo di verità,
verità che
tanto aveva rinnegato e scampato negli anni e sospirò,
afflitto.
« No...
»
Goku ottenne sua
risposta e se ne
andò, lasciandolo al freddo della prigione.
Il processo convocato
d’urgenza
all’interno della grande sala del Consiglio era presidiato da
decine di guardie in armi e una grande platea di pubblico e membri
della corte erano accorsi per assistere alla seduta straordinaria.
Tra le fila degli spettatori, alcuni membri della ciurma del capitano
attendevano con aria agitata il verdetto della giuria. Nappa, il
secondo in carica, aveva rimandato alla nave quasi tutti i componenti
perché fossero pronti per partire, in caso di bisogno.
Aggrottò le
sopracciglia al pensiero uggioso di abbandonare lì il suo
capitano
in balia della giustizia di Earth24: aveva fiducia in Vegeta e
qualcosa continuava a sussurrargli un cattivo presagio
all’orizzonte.
E se la storia di
Lazuli fosse
stata vera?
Radish,
l’artigliere, rimasto a
fianco del secondo, si mordeva agitato le unghie e tamburellava le
dita sulla grossa panca in mogano su cui erano seduti tutti i
presenti. Ora osservava Nappa, sempre più nervoso quanto
lui, ora
osservava il centro della sala al cui banco degli imputati sostava il
capitano, giudicato per direttissima per alto tradimento.
Pregò gli
Dei di poter tornare presto al largo nel mare di stelle, dove,
sebbene fosse il luogo più pericoloso che esistesse, si
sentiva al
sicuro.
« Ne abbiamo
abbastanza delle
tue bugie! »
Dopo una lunga serie
di domande e
di un interrogatorio che si prefigurava senza capo né coda,
il
governatore Bardack sempre più infervorato nelle richieste
era
giunto al limite della sua pazienza.
« Vegeta,
dacci il Libro! »
Il pirata, seduto al
bancone
degli imputati, ammanettato e stretto tra le guardie, invece, aveva
una sola risposta da dare.
« Quante
volte ve lo devo
ripetere: io non ce l’ho! »
All’ennesima
risposta negativa,
il bancone dei giudici vide alzarsi il membro più onorato
della
giuria, il delegato da Sirio, stella natale dei combattenti di Odor,
i guerrieri più forti e saggi delle Dodici Grandi Galassie.
Quando
si alzò, la sua presenza imponente e seria fece ammutolire
la sala,
finché i suoi occhi profondi e bianchi di secoli,
schiacciati sulla
pelle verdastra, non si posarono sul pirata.
« Molto
bene… la delegazione
delle Dodici Galassie ti giudica colpevole di tradimento. Pertanto,
per la gravità dell’atto compiuto e per
l’importanza vitale che
ricopre il Libro della Pace nella vita delle Dodici Galassie,
dobbiamo applicare la massima pena. Sei condannato a morte per
decapitazione! »
Un fermento si
alzò tra la folla
e Vegeta sentì le voci dei propri compagni che
s’agitavano per
raggiungerlo e per liberarlo dalle mani forti e insidiose delle
guardie, mentre urlavano, angosciati, di credere alla sua innocenza.
« Cosa?
Siete tutti ciechi? »
gridò il pirata, « Non sono stato io! »
Si
strattonò dalla presa delle
guardie, urlando a pieni polmoni la sua innocenza, quando si fece
forte tra tutti la voce del principe ereditario Goku, che
entrò
nella sala.
« Invoco il
diritto di
sostituzione! » pronunciò con vigore il figlio del
governatore,
comparendo davanti al Consiglio e davanti agli spettatori del
tribunale che si videro sconcertati davanti alla sua comparsa
inaspettata.
« Prendete
me, al suo posto! »
Bardack non
capì il perché
delle parole del figlio e si portò una mano alla testa,
sentendosi
venir meno le forze così come Bulma, anche lei ambasciatrice
riunita
in Consiglio, che temendo il peggio, sentì il suo cuore
perdere un
battito davanti alle parole coraggiose, ma sventurate del suo amato.
Quando
tornò il silenzio nella
sala carica d’attesa, il principe erede continuò.
« Vegeta
dice che Lazuli, la dea
del Caos, ha preso il Libro. Io credo alle sue parole! »
Il capitano
tirò un sospiro di
sollievo, guardando di sottecchi il Consiglio riunito come se
sentisse la sua libertà raggiungerlo presto, ma tutto si
aspettò
tranne che l’erede di Earth24 continuasse il suo discorso.
« Che vada a
Tartaro a
recuperare il Libro! »
Un’onda di
agitazione percorse
tutto il Consiglio e subito i delegati si consultarono tra di loro
per ragionare e considerare la versione depositata dal figlio erede
del governatore.
« Che stai
facendo? »
Vegeta si
liberò dalla presa
delle guardie e strattonò l’amico, incredulo
davanti alle sue
parole così ingenue e avventate.
« Affermi
che Lazuli ha rubato
il Libro. Rubalo a lei, è il tuo campo... »
« Apri le
orecchie » sibilò in
un filo di rabbia, invece, il capitano, « non sarò
responsabile
della tua vita!»
Goku lo
guardò negli occhi e
Vegeta rimase interdetto della sincerità e della fiducia che
vi
lesse.
« Tu faresti
lo stesso per me...
»
« No, per
niente! »
Il silenzio che crebbe
tra di
loro venne, però, spezzato da Bardack.
« Se Vegeta
potrà lasciare il
pianeta, non farà più ritorno! Figlio,
da’ ascolto alla ragione!
»
Intervenne in maniera
concitata
il vecchio governatore che fece appello alla ragionevolezza dei
giudici, ma il figlio gli si avvicinò con volto composto. Si
avvicinò poi alla corte che, ora, era chiamata a decidere in
modo
affrettato sulle sorti di un ladro e di un principe erede.
« No, padre,
ascolta tu… »
Al centro della sala,
guardò i
dodici consiglieri e si schiarì la voce.
« O Vegeta
ha rubato il Libro o
sta dicendo la verità e il Libro è a Tartaro, la
stella morente…
in ogni caso è la nostra unica speranza per ritrovarlo!
»
Il delegato di Sirio,
guerriero
forte e saggio delle Dodici Grandi Galassie, portò i suoi
occhi
bianchi di secoli sul figlio del governatore, riconoscendo in lui la
fierezza e il coraggio che a suo tempo erano appartenuti a suo padre,
durante la spedizione ai margini dell’Universo. Considerando
la
proposta, con voce grave, si rivolse al principe.
« Goku, ti
rendi conto che se
Vegeta non farà ritorno, tu verrai messo
a morte al suo
posto? »
Le parole sentenziate
dal vecchio
consigliere si persero tra l’ampio salone come un nero
annuncio di
morte. La sua eco abbracciò i commensali e
strisciò, avida di
sangue, fino al cuore del principe che sospirò, cercando di
ignorare
il presagio funesto che l’avrebbe atteso per sua stessa
volontà.
«
Certamente… »
« E
così sia… Vegeta ha
trenta giorni di tempo per riportare il Libro »
Bardack strinse i
pugni, ormai
rassegnato al verdetto, e ordinò alle guardie di rilasciare
il
pirata per arrestare suo figlio.
Le guardie obbedirono
all’ordine
del governatore e si avvicinarono al principe ereditario del pianeta,
arrestando il loro comandante e il valoroso eroe che aveva riportato,
sebbene per una sola serata, il Libro della Pace al suo pianeta. Lo
arrestarono, stringendogli le mani in catene e lo portarono via,
sotto lo sguardo ammutolito del re e della ambasciatrice Bulma.
Prima che
l’erede di Bardack
venisse portato via, gli occhi azzurri della ambasciatrice e quelli
neri del capitano pirata s’incrociarono e Vegeta vi lesse il
sentimento di odio che sempre scorgeva sul volto di chi aveva
truffato e derubato e che, ora, a malincuore, leggeva anche negli
occhi cerulei della futura governatrice del pianeta. Mentre veniva
scortato dai soldati all’uscita, pensò che
probabilmente quel
sentimento di odio nei suoi confronti l’avrebbe accompagnato
per
tutta la vita.
La lieve brezza di
Earth24
gonfiò con un suono pacifico e silente le scattanti vele del
bastimento pirata, ma la sua aria calda e accogliente venne presto
sostituita dall’aria rarefatta e tagliente dello spazio, man
mano
che si allontanavano dall’atmosfera. I motori si accesero
adagio,
aumentando man mano l’incedere della imbarcazione; gli uomini
aprirono le ali intessute di energia solare e l’Eatherium li
trascinò nello spazio aperto, immergendoli nella continua e
immensa
marea astrale. La nave Saiya si librò nell’aria,
lasciando dietro
di sé, a terra, la promessa di un ritorno e una lieve
speranza di
ritrovare il Libro della Pace.
Il capitano si
appoggiò al
parapetto della nave, mossa dal ritmo costante e sfrecciante del
vento solare della stella vicina. Alzò lo sguardo verso i
suoi
uomini che, agli ordini del secondo in carico, spiegavano le vele
sull’albero maestro e sul bompresso, perché si
riempissero di
vento cosmico. Si attivarono gli scudi di protezione per la
gravità
e gli scudi per isolarsi dalle esplosioni di radiazioni gamma che le
stelle rilasciavano nel loro continuo illimitato bruciare.
Respirò
l’aria rarefatta e
fredda del cosmo e si isolò involontariamente ascoltando,
sotto lo
scafo, il dolce crepitio dei cristalli di ghiaccio che stridevano
lungo la chiglia per l’impatto della nave con il vento gelido
della
notte perenne.
Le vele a specchio ad
energia
solare che scendevano dagli alberi, calandosi sul ponte, rifletterono
le luci abbacinanti e tremanti della Costellazione in cui si erano
immersi. Il flemmatico bisbiglio della nebulosa che incontrarono
dipinse di viola elettrico i contorni spinosi del pirata, stregandolo
con le sue fattezze sfumate e ceree.
Vegeta
abbassò le palpebre, per
lasciarsi trasportare dentro l’anima della stella scomparsa e
contemplò l’orizzonte davanti a sé per
rincorrere, tra le sue
linee sfumate, una traccia della sua fine. Fu rincuorato
all’idea
che quell’orizzonte, probabilmente, non avrebbe mai avuto una
fine
e che sebbene si pensasse di essere arrivati al suo termine, la
vastità dell’Universo continuava anche dove la
luce non toccava.
“Prosegui
verso Ovest, oltre le Dodici Galassie e oltre la Costellazione della
Fornace, finché non arriverai alla mia stella morente. Una
volta lì,
prosegui oltre ciò che tocca la luce…”
Chiuse
gli occhi e, per un istante, gli parve di sentire le lunghe mani
gelide di Lazuli afferrargli il cuore per strapparglielo dal petto.
Nappa
diede ordine agli uomini di prestarsi a bracciare i pennoni a seconda
della direzione dell’Eatherium e di disporsi per nuovi
ordini.
Aspettò indicazioni dal capitano, posto al parapetto della
nave a
scrutare con occhi distanti la nebulosa di Orione. La bellissima
nebulosa, composta da un ammasso aperto di stelle giovani unite dalla
reciproca attrazione gravitazionale, tracciava l’orizzonte
davanti
a loro, creando, tra le moltitudini di sfumature di colori
arcobaleno, una via tra le stelle verso una meta oscura e lontana.
Il
capitano si avvicinò al tavolo di comando, mettendosi al
fianco di
Nappa.
« Allora,
hai idea di come
arrivare a Tartaro? »
Vegeta si riscosse dal
suo
torpore alla domanda e lo guardò di sbieco.
« Tartaro? Oh
no, no, no…
ci sono le anime perdute a Tartaro, le anime dimenticate…
»
Nappa
sollevò un sopracciglio.
« E dove
stiamo andando? »
Vegeta dischiuse
velocemente sul
tavolo di rotta una vecchia cartina accartocciata, con sopra il
disegnino di una improbabile danzatrice a dieci braccia
dell’Hula
con tanti graziosi fiorellini che le ronzavano attorno come una marea
di zanzare in festa.
« Alle
Stelle Fiji! »
Esclamò,
portando le braccia
alla cintola e cercando di sottolineare con espressione ridente
l’unicità della propria idea.
Nappa vide come sotto
al cappello
nero stesse indossando l’espressione più falsa che
avesse a
disposizione. Con mano stanca, gli raddrizzò in testa la
folta coda
di piume di Aquila di Ghiaccio, che a suo tempo, era riuscito a
rubare da un nido disperso sulla Via Argentata e che ora adornavano
in maniera scomposta il suo copricapo.
Lo tornò a
guardare negli occhi.
« Alle
Stelle Fiji… in questo
periodo? »
« Pensa alle
spiagge dorate, con
quella sabbia dai riflessi rosei e caldi come il sole delle Regioni
Azzurre... »
Il secondo si chiese
quante bugie
si sarebbe inventato il capitano pur di convincerlo della
bontà
della propria scelta.
« Ci sono le
zanzare carnivore
giganti, Vegeta... »
« Pensa alla
luce della stella
che le illumina! »
Scosse la testa.
«
L’ultima volta che ho
controllato, alle Stelle Fiji una stella si è trasformata in
una
Nana Bianca irradiando tutt’intorno di energia solare
negativa ed
emanando radiazioni letali… »
Vegeta alzò
le braccia al cielo.
« Ahh,
pensa alle donne,
allora! »
« Sono tra i
peggiori mostri
della galassia, Vegeta, e sono... cannibali »
« Esatto!
» Sorrise
maliziosamente il capitano, facendo però alzare gli occhi al
compagno.
« E dai,
Nappa… » si lamentò
il più piccolo allargando le braccia, e all’omone
parve di
vederselo davanti ancora quindicenne quando si lagnava di non poter
conquistare tutte le stelle azzurre della Costellazione
dell’Orsa
Minore perché non abbastanza esperto nella navigazione e
nell’arte
del combattimento.
« È
tuo amico... »
Vegeta alzò
gli occhi al cielo e
portò gli occhi al sole, ormai lontano, della Via Lattea e
alla
piccola cometa bianca che ancora una volta girava attorno al sole di
Earth24 senza mai stancarsi di farlo, senza mai venire meno al
proprio compito e ruolo, in quel piccolo ecosistema ai margini dello
spazio.
La nave, ormai lontana
dal
pianeta, aveva sostituito alla notte calma di Earth24 la notte
costante ma luminescente dell’oceano spaziale e gli spruzzi
di
colore delle stelle nascondevano alla perfezione i sentimenti
contrastanti che passavano sul volto del giovane pirata.
« Ma
sentiti, sembri mia madre…
Goku se la caverà! »
A Nappa non
sfuggì il suo tono
scocciato e gli parve di intravedere una nota di rammarico nelle sue
parole, come un tocco di malinconia e di quello che, forse, poteva
chiamarsi timore.
«
Tutt’e due sappiamo bene che
Bardack non farà mai giustiziare il suo unico figlio ed
erede... »
«
Perciò scappiamo? » lo
punzecchiò l’altro.
Vegeta
iniziò a spazientirsi e
chiuse velocemente la conversazione con il suo secondo che, alle
volte, diveniva un po’ troppo il suo
fidato consigliere,
quasi fosse il padre che non aveva mai avuto.
« Ci
ritiriamo, non ci serve un
altro colpo! Ricchezze ne abbiamo abbastanza… »
Il suo ordine fu
piuttosto acido
e sanzionatorio al vedere Nappa alzare ancora una volta gli occhi al
cielo, per niente contento della presa di coscienza del capitano
verso tutta quella storia.
« Fai rotta
verso le Fiji,
subito! »
La ciurma fu
più che felice di
obbedire agli ordini del capomastro e subito si mise
all’opera per
sistemare vele e pennoni verso il paradiso dei pirati. Si issarono
più salde le vele e si legarono le cime del bompresso ai
piedi
dell’albero di prua, per spianare al vento la grande tela
argentea
che dava la rotta e assorbiva il vento solare più feroce.
La chiglia della nave
sfiorò,
ancora una volta, il mare di cristalli sotto di loro e i motori
diedero propulsione, muovendo la nave come in una lenta ninnananna
verso Est. La luce delle stelle venne assorbita dalle tele a
specchio, nascondendo la piccola imbarcazione tra i colori cangianti
e variopinti dello sfondo e la Costellazione di Orione venne lasciata
alle spalle.
Vegeta scese
velocemente nel
boccaporto e si affrettò a raggiungere la sua cabina, stufo
e stanco
di sentirsi dire quello che doveva fare. Era sempre stato uno spirito
libero, senza vincoli: proprio per questo aveva abbandonato Earth24,
per sfuggire alla pressione di un mondo con troppe regole, che dopo
un po’ l’avevano soffocato. La sua sua amicizia con
Goku ne era
stato un chiaro esempio: finché erano stati entrambi piccoli
e
giovani avevano potuto divertirsi, fuggire dal palazzo e ripararsi
all’ombra del loro nascondino segreto per poi mostrare
l’un
l’altro i tesori che anche quel giorno avevano collezionato.
L’elmo di un
soldato, il
medaglione di un ricco mercante di Azergh, l’osso curvo di
una
antica creatura sepolta dal tempo… oppure la spada del
governatore
Bardack.
Ridacchiò a
ricordare quanto
avessero litigato quella volta, Goku insistendo che bisognasse
assolutamente restituirla al padre, mentre lui, ladruncolo di strada,
avrebbe preferito venderla per un bel sacco di cristalli arthuriani.
Quando erano
cresciuti, però,
erano stati messi davanti alle loro responsabilità: Goku in
primis,
in quanto figlio del governatore del pianeta ed erede del ruolo di
responsabile per la pace e la prosperità di Earth24.
Vegeta si era fatto
man mano in
disparte nella vita di Goku, fino al giorno in cui aveva deciso di
scappare e di volare lontano nello spazio, quando la nave con a bordo
il futuro di Goku era giunta allo Spazioporto di Syracysis.
Scacciò
con un gesto stizzito quel pensiero.
«
Nappa… Goku… il Libro…
dannazione! »
Si chiese
perché i suoi problemi
non avessero mai fine e soprattutto perché in questi
problemi avesse
dovuto improvvisamente comparire pure la Dea del Caos. Che cosa
questa volesse veramente da lui era un mistero.
Adesso che il Libro
l’aveva
preso lei, non era più vincolato dalla promessa.
O no?
Perché allora incastrarlo?
Sfiorò con
la mano il lettore
digitale che riconosceva le sue impronte, fece per aprire la porta
della cabina, ma all’ultimo la richiuse con uno scatto che si
augurò fosse il più silenzioso possibile.
Si appoggiò
alla porta di
metallo, bianco come un lenzuolo.
Nella stanza, ignara
di essere
stata appena scoperta, c’era una donna che, indisturbata, si
aggirava per la cabina commentando i piccoli trofei e la mercanzia
che, nel tempo, tra una ruberia e l’altra, aveva recuperato
in giro
per il Cosmo.
Si affacciò
ad osservarla,
mentre questa si avvicinava al vecchio scheletro ormai calcificato di
un mostro di terra recuperato nelle lontane Stelle a Settentrione:
l’orrenda creatura a dieci braccia l’aveva
attaccato quando,
sceso dalla nave, stava facendo ricognizione nelle sabbie steppose e
acide del pianeta su cui erano capitati. Quel mostro con denti aguzzi
e dall’aspetto di un polpo gli si era appioppiato alla gamba
destra
ed ancora portava la cicatrice del suo morso.
« Guarda
quanta roba! Non ci
posso credere… »
La sentì
sussurrare
meravigliata.
« Ah, ma
questo deve essere
falso... sarebbe troppo delicato se fosse - »
Tic! Un
piccolo artiglio dallo scheletro del mostro
rimbalzò debole
a
terra.
«
Ops… »
Vegeta
pensò veloce come fare,
improvvisamente intimorito dalla presenza della donna. Dannazione,
tutto si aspettava tranne che questo impiccio! Come diamine aveva
fatto ad entrare nella nave, a manomettere il suo sistema di
riconoscimento digitale e ad entrare indisturbata in cabina?
L’inaspettata genialità della donna non gli
piacque per niente.
E poi, tra tutti,
proprio lei,
tra tutte le donne, doveva ritrovarsi a gironzolare nella sua cabina
personale?
Proprio Bulma?
La donna aveva
cambiato il suo
sontuoso abito in un abbigliamento più leggero e decisamente
più
idoneo alla navigazione in mare. Un paio di semplici calzoni la
sorreggevano mentre ancora si guardava attorno nella cabina e Vegeta
notò che in realtà portava i capelli corti,
accorciati sulla nuca
da un taglio regolare, tranne per qualche ciuffo sulla fronte che le
ricadeva sul viso. Senza tutti i fronzoli e i pendenti con cui
l’aveva vista al Palazzo stava meglio, sembrava
più… viva.
Si sentì
stupido a fare queste
considerazioni e prendendo un respiro, si stampò sulla
faccia la
migliore espressione rilassata che potesse fare.
« Ah, ora
sì che ci siamo…
rubato a Venice, sulla stella Nord-Orientale di Europe… a
Neo-Astrid… »
Bulma
afferrò, infine, un
sontuoso ed esotico reggiseno dalle forme abbondanti, che era appeso
come trofeo di guerra sopra uno degli oblò.
«
… in un bordello di
Syracysis! »
«
Indovinato! »
L’ambasciatrice
si girò di
scatto e si ritrovò alle spalle il pirata, che
l’aveva sorpresa
con le mani nel sacco e con poca voglia di darle il benvenuto.
« Cosa sei
venuta a fare? »
Nonostante lo
spavento, non si
fece trovare impreparata e gli rispose con altrettanta stizza.
« Ad
assicurarmi che tu recuperi
il Libro della Pace… o a riportare il tuo cadavere, se
fallisci
»
Vegeta sorrise malignamente, squadrando la piccola
principessa i cui occhi azzurri, adesso, non gli ricordavano
più la
pace eterna delle Stelle di Ghiaccio, ma le steppe nevose e desolate
delle Terre Estreme del Nord-Orientale del Cosmo, tra le zone
più
fredde dell’universo.
« Davvero?
»
Le girò
attorno lento, come un
leone terrestre fa con una piccola antilope ferita, prima di
azzannare i denti nella sua morbida e gustosa carne setosa.
« E come
pensi di sbrogliartela?
»
« Con ogni
mezzo necessario! »
puntò i piedi l’ambasciatrice delle Regioni del
Sud, portando le
mani ai fianchi e gonfiando orgogliosa il petto, mossa che non
sfuggì
all’occhio veloce e vigile del capitano che
s’impose d’ignorare
ciò che aveva appena visto.
Riportò gli
occhi sul suo
sguardo azzurro vivo. La faccenda si stava facendo interessante.
« Hai un
equipaggio? »
«
Io… no »
« Sai
arrivare a Tartaro? »
«
Ehm… no »
« Sai
navigare da sola? »
«
Sì! » esclamò trionfalmente
Bulma, sorridendo vittoriosamente al pirata.
« Benissimo!
Allora scaricherò
le tue chiappe su una barca e potrai fare una bella remata fino a
Syracysis, perché noi andiamo... alle Stelle Fiji!
»
Rise di gusto il
capitano,
avvicinandosi al suo comodo letto e buttandocisi sopra con poca
grazia, per poi stiracchiarsi.
Si abbassò
la visiera del
cappello sugli occhi, intenzionato ad iniziare la sua vacanza in quel
preciso istante e di godersi il viaggio nell’oceano
sonnecchiando,
fino al paradiso dei pirati.
« Alle
Stelle Fiji? »
Vegeta
annuì sonoramente alla
domanda della donna, che terse le labbra in un sorriso amaro.
« È
come pensavo… non sei poi un tipo tanto complicato, sai?
»
L’uomo
scrutò la donna da
sotto il suo cappello e rimase ad osservare il suo volto contrito in
una maschera di rabbia e delusione.
« Uno deve
solo immaginare qual
è l’azione più vigliacca ed egoista e
tu sceglierai quella! »
« Hey,
non è un problema
mio: io non ho rubato il Libro! » le rispose piccato Vegeta e
si
assicurò di scandire per bene le sue parole.
« E non
intendi perdere il sonno
per questo, vero? »
Vegeta si
girò, arrabbiato,
dall’altro lato del letto, dando le spalle alla donna, che
ancora
insisteva a parlargli. Bulma lo guardò con disgusto.
« Io invece
non troverei pace nel letto, sapendo di essere viva...
perché ho
lasciato morire il mio amico! »
Si
allontanò insofferente dal
letto e Vegeta, colto nel segno, la seguì, sbracciando.
« Argh!
Questo pasticcio
non è colpa mia! Non ho chiesto io a Goku di rischiare la
pelle per
me! » Subito Bulma lo interruppe, puntandogli un dito al
petto.
« È
chiaro che non posso appellarmi al tuo onore… ma ho altri
modi...
per convincerti »
Il capitano rimase un
attimo
inebetito davanti alle sue parole.
Gettò
un’occhiata al corpo di
Bulma un secondo di troppo e la donna decise di sfruttare la
situazione a suo vantaggio.
« E... come
pensi di riuscirci?
»
La vide avvicinarsi a
lui un po’,
un po’ troppo, per i
suoi gusti, e senza accorgersi
deglutì sonoramente, rimanendo abbacinato dai grandi occhi
azzurri
della donna. Ad un palmo dal suo naso, l’ambasciatrice
sorrise
maliziosa e si portò ad un soffio dalle sue labbra.
« Parlando
la tua lingua! »
Quando Vegeta, ormai,
iniziava a
pensare a delle cose non propriamente opportune per il ruolo che
ricopriva la donna e per il suo ruolo di capitano nella Saiya, gli
passò sotto il naso una brillante gemma arthuriana.
La donna
notò come gli si
illuminarono gli occhi e come afferrò al volo il cristallo.
Il
capitano considerò qualche istante il cristallo nella mano e
valutò
il suo peso. Gli occhi neri del pirata guizzarono
d’interesse.
«
Esprimiti… » Le soggiunse
con curiosa avidità.
La donna gli
afferrò la mano e
riversò su di essa un sacchetto di piccoli cristalli
azzurri, che
riverberarono nella cabina colorando il soffitto di un incantevole
mosaico brillantino. Il capitano soppesò la proposta
dell’ambasciatrice e a Bulma parve soddisfatto della piccola
trattativa appena firmata.
«
Sì, mi hai convinto… » le
rispose Vegeta, appoggiando i preziosi sulla sua scrivania.
« ma... non
per la prima classe!
»
Questa volta fu Bulma
ad
impallidire.
I pirati a bordo
della nave
vennero riscossi dalle loro mansioni da un grido isterico che
provenne dalla cabina del capitano.
Poco dopo,
assistettero a bocca
aperta alla scena del capitano che, con tutta la forza che aveva in
corpo, era risalito dalla stiva con sulle spalle, a mo’ di
sacco di
patate, una donna che stava facendo di tutto per liberarsi dalla sua
presa. Disperata, agitava gambe e braccia, cacciando calci e pugni
nell’aria, dimenandosi come un’anguilla.
Turles rimase appeso a
testa in
giù sulle cime che pendevano dall’albero maestro e
chiese
spiegazioni a Nappa che fece spallucce, all’oscuro della
situazione
quanto lui.
« Come puoi
vedere, siamo
equipaggiati per soddisfare i gusti regali più
esigenti… »
« Mettimi
giù, bruto! »
Gridò Bulma
e Vegeta afferrò al
volo un calcio che, se non avesse mosso la testa, gli sarebbe finito
diretto sulla mascella.
Radish, che sul ponte
stava
preparandosi per grattare via il ghiaccio dalla murata della nave,
non seppe se ridere o piangere: la prima volta che una donna metteva
piede sulla Saiya e il capitano la trattava così?
« Abbiamo
una magnifica vista
sul mare cosmico... »
Bulma
riuscì finalmente ad
afferrargli la faccia. Vegeta cacciò un urlo, sentendosi
strattonare
dalla bocca. Fu costretto a mollare la presa, per poi risistemarsi la
gentile principessa tra le braccia, afferrandola per le caviglie e
lasciandola penzolare a testa in giù.
La donna
urlò tutta la sua
rabbia al Cosmo, cercando ancora di colpire il pirata con un calcio o
con un pugno, ma inutilmente, visto che all’ultimo venne
rovesciata
con poca grazia dentro il magazzino che stava poco distante dalla
prua della nave.
Si ritrovò
a terra, circondata
da una fila di alti scaffali ripieni di munizioni, cibo e altre
chincaglierie che avevano il suo perché
all’interno della stiva
della nave.
Vegeta
allargò le braccia,
presentandogli quella che di lì in avanti sarebbe stata la
sua
cabina, ossia il deposito munizioni che dava direttamente sulla
stiva, il posto più scomodo ed interno della nave e, di
sicuro, non
adatto al transito di persone.
Fece il suo peggior
sorriso e
pensò che mai avrebbe visto espressione più acida
di quella che gli
stava rivolgendo Bulma in quel momento.
« E alloggi
lussuosissimi! Con
tre pasti raffinati al giorno, cetriolini, uova e…
cetriolini! »
Non si accorsero di
Broly che,
silenzioso e mesto come sempre, si era avvicinato ad orecchie basse
al capitano fermandosi a guardarlo, curioso.
« Oh, Broly,
sei qui! »
Vegeta lo vide accanto
a sé e lo
strinse in un abbraccio, spazzolandogli la testa con la mano,
presentandolo a Bulma.
« Ti
presento Broly, il tuo
compagno di cuccetta! »
Al ragazzone
s’illuminarono gli
occhi quando scorse la figura afflosciata e bloccata di Bulma tra le
ceste di cibo ed, entusiasta, si fece avanti andando ad abbracciarla
tra le sue enormi braccia muscolose. Bulma si sentì
soffocare nella
stretta vigorosa che il ragazzone le stava riservando, ma
l’omone
non sembrava farci caso, compiaciuto della nuova compagnia.
« Veramente
sei tu la sua
compagna di cuccetta, la cuccia è sua... Sai, lui come tutti
noi
avrebbe il suo posto in stiva, ma a lui piace dormire qui la maggior
parte delle notti, vai a capire il bambinone! »
Il capitano fece
spallucce,
ridendo.
« Ti
auguriamo un piacevole
soggiorno a bordo della Saiya… ah, se ti si avvinghia alla
gamba e
vuole poggiare la testa sulla tua spalla, vuol dire che gli piaci!
»
Indicò il
ragazzone che era la
stava abbracciando per la vita e cercava di guardarla negli occhi,
curioso di fare la sua conoscenza.
Le strizzò
l’occhiolino, Bulma
non ci vide più dalla rabbia e fece per scagliarsi contro il
capitano, ma questo fu più svelto. Richiuse
l’entrata del
magazzino ed inserì il codice numerico per bloccarla,
così da
tenere la loro cara ospite al sicuro per un po’.
Un ultimo grido della
donna lo
fece sogghignare, divertito.
Vegeta
risalì, dopo, i gradini
del magazzino per tornare al ponte.
« Come
c’è salita sulla nave?
» sussurrò tra sé e sé,
contemplando la lucentezza del cristallo
che aveva tra le mani, quando, senza volerlo, s’accorse che
tutti
sul ponte, avevano tra le mani dei cristalli arthuriani. Quando i
membri la ciurma s’avvidero che il capitano li aveva colti in
fragranza, nascosero immediati le gemme dove meglio capitava, tornado
alle loro mansioni.
Questo non fece altro
che
infastidire maggiormente il capitano che si avviò a grandi
falcate
al ponte di comando.
« Signori
miei, la rotta è
cambiata. Ci dirigiamo a Tartaro! »
Radish, che aveva
ficcato la
gemma in bocca nella foga di nasconderla, protestò.
« Che ne è
delle Stelle Fiji? »
Toma si
lamentò con lui,
portandosi una mano al cuore. « Addio belle
spiagge… »
Vegeta
berciò loro di tornare
immediatamente ai loro posti e di smetterla di lamentarsi. Una volta
al ponte trovò Nappa che lo stava aspettando, le braccia
appoggiate
mollemente al timone e un’espressione sorniona in viso di chi
aveva
già previsto tutta la scena.
« Lo faccio
solo per i soldi…
»
Nappa si
sforzò di non ridere.
« Allora...
come ci arriviamo? »
“Prosegui
verso Ovest, oltre le Dodici
Galassie e oltre la Costellazione della Fornace, finché non
arriverai alla mia stella morente. Una volta lì, prosegui
oltre ciò
che tocca la luce…”
« Verso
Ovest, dobbiamo superare
le Dodici Galassie… »
Indicò la
strada in avanti,
verso l’Universo più oscuro. Si avviarono i motori
al massimo e il
forte vento dell’Eatherium spinse la piccola Saiya verso le
stelle.
Lazuli si
specchiò in una goccia
d’acqua, che cadde al suolo in un suono sfumato e dolce,
bruciata
dal contatto la superficie cocente, e lesse ciò che stava
succedendo
lontano, ma non poi così tanto, nel Cosmo.
«
Però… il nostro ladruncolo
ha deciso di non scappare… »
Arricciò
infastidita il naso,
giocando con la lacrima d’acqua che era sfuggita al suo
calice, bagnandole le dita. La distese nell’aere senza sole,
facendo
fluttuare la minuscola goccia tra le stelle. Contemporaneamente due
astri, a milioni di chilometri di distanza, colpiti dalla piccola
pioggia, si spensero, sbuffando in una nuvola in lontananza.
« Crede di
venirci a fare una
visitina… »
Le creature mistiche
intorno a
lei sibilarono, infastidite. Lo Scorpione mosse le sue chele
luminescenti e vibrò, con una lieve scossa di terremoto, la
stella
rossa Antares nel cuore della costellazione.
Lazuli gli sorrise.
«
Offriamogli della musica,
allora... »
La dea
giocò ancora con il
calice, dipingendo tra le pieghe del liquido delle righe sfumate, che
presero vita e s’immersero dentro la coppa, finché
l’acqua non
si chetò, placida.
Continua…
Angolo
dell’autrice
Spero che questa
storiellina vi
stia sempre più piacendo.
Adesso anche Bulma ha
fatto il
suo colossale ingresso sulla Saiya e Lazuli è già
sul piede di
guerra.
Ringrazio tutti coloro
che hanno
deciso di leggere questa storiellina.
Fatemi sapere che ne
pensate, mi
farebbe immensamente piacere.
Al prossimo capitolo!
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Capitolo 5 *** Un lavoro da donne ***
Capitolo 5
Un lavoro da
donne
Aveva ragionato
più volte nella
mente il suo piano ed era tempo di metterlo all’opera. In
fondo,
era stufa di stare rinchiusa dentro il magazzino del cibo e iniziava
a stargli stretta la piccola stanzina sopra la stiva. Fuori dalla
porta, sentiva i marinai affaccendarsi per la tenuta della nave:
nessuno avrebbe fatto caso al rumore di una porta che si apre, per di
più nella stiva del vascello.
In pochi istanti si
udì il suono
stridente di un ingranaggio che si apriva e scattò la
serratura
della porta: il dispositivo, in sovraccarico per via
dell’eccesso
di elettricità che la donna aveva aumentato modificando le
impostazioni sul pannello di controllo, cadde al suolo e
poté
finalmente raggiungere la porta e le scalette per salire sul ponte.
Sentì
dietro di sé i passi leggeri di Broly che, per sua sorpresa,
non
l’aveva lasciata sola in magazzino ed era rimasto a farle
compagnia
tutta la notte. Lo chiamò, incoraggiandolo ad
uscire con lei.
« Oh,
andiamo, stai benissimo! »
Broly si
affacciò dalla piccola
cabina del magazzino, uscendo dal suo posticino tra gli scaffali e
guardò la donna con occhi incerti, soprattutto per il fatto
che
Bulma, nel frattempo che meditava come sarebbe uscita dalla pancia
della nave, aveva preso ad accarezzargli i capelli folti neri che si
trovava in testa ed aveva avuto l’idea di acconciargli un
ciuffo
con un nastrino sopra la fronte.
Gli occhioni tra il
supplicante e
l’arrabbiato del suo piccolo ed improbabile compagno di
cuccetta la
fecero ridere.
Finalmente aveva
capito la natura
di quel ragazzone silenzioso che a mala pena spiaccicava una parola e
che per tutto il tempo era rimasto accovacciato accanto a lei ed
aveva preteso, a modo suo, di ricevere attenzioni.
Era mezzo Earthariano
e mezzo
demone: ecco che diamine erano quelle sfumature di verde accecante
che alle volte striavano i suoi capelli, ed ecco perché,
quando si
arrabbiava, il nero dei suoi occhi diveniva di un verde spiccante,
che tendeva ad accendersi man mano che la sua rabbia e la sua
agitazione aumentavano. Per non parlare, poi, della appendice pelosa
di colore altrettanto verdastro che alle volte gli vedeva
scodinzolare dietro la schiena.
Le ricordò
vagamente i cani
terrestri, quelli che aveva studiato da giovane nei manuali
telematizzati, per imparare di più su ciò che era
esistito in quel
lato del Cosmo, dentro la Via Lattea. Ed anche, certamente, per
impressionare il suo promesso sposo Goku che, guarda caso, proveniva
proprio dal pianeta Earth24, per la composizione, molto simile alla
Terra del passato.
Sorrise, raccogliendo
da terra il
meccanismo della porta che era riuscita a far saltare: se non fosse
stato per i suoi studi giovanili su ogni tipo di materia, non si
sarebbe mai riuscita a liberare dal magazzino di stiva in cui
l’aveva
rinchiusa quel maledetto pirata.
Gettò il
dispositivo e fece le
scale in quattro e quattr’otto per uscire sul ponte. Broly le
corse
dietro, ma non prima di essersi liberato del fastidioso fiocco che
aveva in fronte.
La brezza fresca,
quasi fredda,
del Cosmo l’accolse una volta che mise piede sul ponte sul
quale si
stavano affaccendando i pirati agli ordini del capomastro. La
navigazione continuava sostenuta ed avevano abbandonato il mare
aperto, arrivando verso delle nuove Costellazioni poste più
a ovest
di quelle che aveva mai attraversato nella sua vita.
« Forza,
svegliatevi! Toma,
prendi le aste! »
Berciò
sbrigativo Nappa, che si
aggirava per il ponte controllando con premura la robustezza dei nodi
di babordo e tribordo e verificando i dati provenienti dagli scudi
protettivi che avvolgevano come un mantello invisibile la nave.
Notò
che li leggeva da un piccolo dispositivo remoto collegato al tavolo
di navigazione, che fungeva sia da solcometro e mostrarombii.
Il vento dell’Eatherium si fece lievemente più
forte e la sua
spinta, combinata alla propulsione dei motori, aumentò la
navigazione della nave Saiya a 300.000 km/h.ii
« Toma,
porta qui le aste! »
« Toma,
portale anche qui! »
Gli uomini si
sbrigarono ad
ammainare ed alzare le vele, in perfetto coordinamento con le virate
del capitano che manteneva la tenuta della nave costante e precisa ad
ogni chilometro percorso.
D’improvviso
la donna si
accorse di una forte luce blu si rifletteva nei suoi occhi e davanti
a lei si mostrarono le leggendarie Stelle Pleiadiiii.
L’ammasso
infinito delle stelle
Pleiadi era nato nell’universo da circa 115 milioni di anni
prima,
quando, dopo le nozze del titano Atlante e della oceanina Pleione,
dea delle acque e dei mari, questa aveva dato alla luce nove figlie.
La leggenda narrava che le sette sorelle, circondate da una nebulosa
interstellare che rifletteva costantemente la luce blu della loro
giovane età, erano state trasformate in stelle lucenti dal
padre
degli Dei, Zeno, per acconsentire al loro desiderio di sfuggire
all’amore opprimente di Orione.
Le stelle gemelle,
legate tra di
loro da un alone di forza magnetica, si presentavano ai marinai del
Cosmo come uno spettacolo da brividi: la loro luce accecante di un
soffuso blu oceano assumeva forti toni di profondità per via
della
misteriosa nube che le contornava, nube che, come
all’ingresso di
una cupa caverna, si espandeva creando dei forti pilastriiv
di materiale cosmico e fuoco primordiale ai suoi lati.
I
meravigliosi, ma altrettanto pericolosi Pilastri della
Creazione si stagliavano contro le navi che osavano navigarci in
mezzo come uno spettacolo sublime: delle lunghe, scomposte e colorate
stalagmiti di gas solido sbarravano l’ingresso alle navi
più
intrepide, ergendosi come i denti di un mostro. Era come entrare
nella bocca di un drago e dover schivare i suoi denti aguzzi e
velenosi.
Bulma sentì
un tonfo leggero
accanto a sé e si ritrovò vicino Turles che,
sceso dalle funi, la
fissava, pensieroso.
« Spero che
sappia cosa sono
quelli là, signorina… perché solo un
capitano uscito pazzo
oserebbe navigarci in mezzo! » sibilò il marinaio
che, con i suoi
capelli, le ricordava la figura il principe ereditario di Syracysis.
Dalle sue parole intuì che sperava che il capitano sentisse
la sua
lamentela urlata a pieni polmoni. Il capitano, dal canto suo, lo
richiamò subito all’ordine non facendosi mancare
un accenno di
rabbia nella voce.
« Turles,
ripiega la vela di
trinchetto!v
»
Turles si riscosse,
beccato ad
aver temporeggiato ad applicare gli ordini e ripiegò subito
per
tornare in cima all’albero di prua.
« Mi scusi,
signorina... »
ridacchiò imbarazzato e lo vide scomparire tra le funi della
nave.
Poco sopra, Vegeta
stava ai
comandi, manovrando con attenzione il timore e urlando ordini ai
sottoposti, per riuscire ad avere la migliore conoscenza della natura
delle virate che sarebbe dovuto andare a fare. Scrutava con
attenzione i Pilastri della Creazione davanti a lui, ipnotizzanti
nella forma e nei colori, ma insidiosi più che mai per le
loro
sagome frastagliate e appuntite che celavano scogli nascosti.
Gli si
avvicinò Bulma: « Sei
sicuro di sapere- »
«
Sì, abbiamo già fatto queste
cose.. »
« Senti-
»
« No, non
c’è altro modo... »
« Ma io-
»
« E
sì, hai il mio permesso di
stare lì zitta, a prendere lezioni gratis di
vela… » le sorrise
affettato, in un sorriso tirato.
« Sai-
»
« E
poi… una nave non è
posto... per una donna... »
Il pirata
scandì lentamente
l’ultima frase, tenendo a sottolineare la linea irremovibile
del
proprio pensiero.
L’ambasciatrice
si sforzò di
non saltargli alla gola e si sforzò di calmarsi prendendo un
forte
respiro, ma il capitano aveva già saltato a piedi pari la
conversazione per ordinare a Cabba di fare attenzione a montare la
randavi.
Cautamente, ma con
velocità
sostenuta per evitare, da un lato, di essere trascinati dal campo
magnetico delle Pleiadi e, dall’altro, per riuscire a
conservare il
proprio campo magnetico, la piccola nave pirata si accinse ad
attraversare i primi pilastri di gas che erano schierati
all’ingresso
della nube spaziale.
In lontananza si
aprì
l’orizzonte delle sette Stelle.
Merope, risplendente
nelle sue
pulsazioni fotosferiche, accecò momentaneamente i pirati: i
suoi
raggi ghermirono le pareti protettive della nave, dando più
forza
alle vele fotoassorbenti, e Bulma si accorse di come Alcione, la
sorella più luminosa, specchiasse la sua immensa essenza
sulla vela
di bompresso facendola vibrare leggermente per l’eccesso di
energia.
L’attenzione
del capitano e dei
pirati non si staccò un secondo dal mare astrale disteso
davanti a
loro.
« Mantenete
le posizioni… »
Un silenzio spettrale
calò, poi,
sulla nave: tutti i marinai si guardarono attorno circospetti,
attenti a sondare la posizione degli scogli di materiale plasmatico
che li circondavano.
« Scogli, a
prua di tribordo! »
avvisò Turles dalla coffa, in cima all’albero
maestro. Vegeta virò
dolcemente verso destra e l’apice della nave, dove
s’intrecciavano
le cime attorno all’albero di poppa, sfiorò docile
l’ammasso
gassoso di uno dei denti velenosi. Caddero dei pezzi di plasma nel
mare, che l’inghiottì facendoli precipitare nel
vuoto.
La dolce nenia del
vento li
accompagnò sempre più all’interno alla
nube, che si aprì loro
come una crisalide perlacea: si iniziarono a distinguere nettamente
le file acuminate degli scogli di energia e, lentamente, si scorsero
tutt’intorno i relitti di vecchie navi spaziali che avevano
trovato
la loro fine tra i denti della nebulosa.
Il cimitero di navi ne
custodiva
a decine: imbarcazioni sventrate brutalmente e incastrate tra gli
scogli, con le gomene abbandonate a se stesse, a proteggere le loro
navi perse nel vuoto. I loro occhi vacui erano contornati dalla luce
bluastra delle stelle che conferiva loro un aspetto ancor
più
spettrale, come fossero state tramutate in fantasmi incatenati
nell’eterno.
Bulma non
poté fare a meno di
chiedersi come mai ci fossero delle navi completamente sventrate ed
incastrate anche tra gli scogli più alti, come se qualcuno
di
sovrannaturale le avesse afferrate e gettate brutalmente tra i denti
del drago. E i marinai, che fine avevano fatto?
Una lunga fila di
teschi di tutte
le razze dell’universo, attaccati lungo delle vecchie cime
delle
navi ormai penzolanti nel vuoto, rispose per lei alla domanda.
Rabbrividì,
sentendo nell’aria
qualcosa di insolito, e percepì una lenta e delicata
armonia.
La melodia, infatti,
echeggiò
lugubre e delicata tra le pareti della grande nebulosa interstellare.
Distinse le note di una voce femminile, dolce, ma con un qualcosa di
illusorio.
«
Cos’è questo suono? »
«
Shh… »
La zittì
Vegeta, con un gesto
flemmatico della mano. Si voltò verso di lui e si
meravigliò quando
lo vide vacillare sui piedi, non riuscendo più a stare
composto al
timone. Anche la ciurma aveva iniziato a guardarsi attorno spaesata,
e, dopo aver abbandonato le posizioni sul ponte, si sporgeva sulla
murata della nave, per capire da dove venisse la musica, come se
fosse in balia di un incantesimo.
Presto
intuì da dove arrivasse
quel suono così melodioso: le sette Stelle sorelle, guidate
dalla
stella più grande Elettra, avevano iniziato a pulsare
più forte e a
muoversi, dapprima in una lenta danza, poi intrecciandosi tra di loro
e formando dei cerchi di energia.
I loro movimenti
ipnotici presero
forma: le vide tuffarsi nel mare di stelle, scorrere
sull’acqua,
sfiorare la chiglia della nave e tuffarsi tra i cristalli creati dal
vento. Emersero come creature marine, che si arrampicarono sui
relitti abbandonati e sugli scogli spinosi.
Broly, non sottoposto
all’incantesimo delle creature per via della sua natura
metà umana
e metà animale, si affacciò lungo il parapetto
del castello e
ringhiò. Bulma non riuscì a crederci.
« Sono
sirene! »
Le Pleiadi blu,
trasformate in
sirene, sghignazzarono con uno sguardo demoniaco verso la donna e
circondarono la nave, che presto avrebbe perso il controllo. Con la
loro magia travolgente, la trascinarono verso il centro della
nebulosa e la fecero scendere tra le scogliere e le spire degli
scogli: il mare si fece d’improvviso più agitato,
la chiglia della
nave affondò maggiormente nell’oceano e i
cristalli si spezzarono
con forza, per via del ritmo della forte corrente che d’un
tratto
aveva iniziato a correre sotto di loro.
Bulma
realizzò che stavano
procedendo alla deriva e provò a riscuotere il capitano.
« Vegeta!
» urlò angosciata,
ma il capitano aveva gli occhi sognanti, come addormentato, e a
malapena si reggeva in piedi, costringendosi a stare afflosciato sul
timone comandi.
Lo sentì
farfugliare qualcosa
riguardo le sue capacità a letto e si domandò
come gli uomini
potessero essere così arrendevoli al canto di una donna.
« Radish!
»
« Toma!
»
« Nappa!
»
Tutti i marinai,
però, erano in
balia della melodia delle stelle e, ammaliati, si sporgevano dagli
argini della nave per raggiungere e sfiorare le veloci sirene che
sguazzavano attorno a loro, quali sinuose creature magiche vestite
dei colori della nebulosa di fumo.
La nave, sobbalzante
sulle onde
sempre più trascinanti del mare, puntò
d’improvviso verso degli
scogli più sporgenti, sui quali, belle e luminose, sedevano
Taigete
e Celeno, due stelle originarie dallo stesso punto astrale e
geografico, che attendevano i marinai a braccia apertevii.
Bulma, allora, temendo
il peggio,
trascinò Vegeta lontano dal timone, lasciandolo stramazzare
a terra,
e virò brutalmente la nave verso sinistra.
La forte virata,
però, per via
del flusso dell’acqua, fece sbandare ancora la nave e Bulma
vide
con orrore un’onda di oceano salire improvvisamente e
spaccarsi sul
ponte, portando con sé alcune sirene che si precipitarono
per andare
a braccare i marinai dispersi sul ponte.
Broly
guardò preoccupato la
donna ed entrambi portarono gli occhi su Vegeta che, steso a terra,
ancora camminava sul filo dell’incoscienza e della coscienza.
Porse
lesta a Broly una cima dell’imbarcazione che era caduta nel
trambusto della discesa.
« Presto,
fermali! »
Ordinò al
demone che, scese di
corsa sul ponte e, veloce come una freccia, intercettò il
passo dei
marinai, li circondò con la corda e li costrinse a
retrocedere al
centro del ponte. Li legò attorno all’albero
maestro che, per
fortuna, resisteva ancora ai colpi del mare in tempesta.
Le sirene,
però, si insidiarono
ancora tra la nube elettromagnetica ed assunsero
un’evanescenza più
accecante. Attirarono ancora a sé la nave e cavalcarono le
onde in
fermento: la piccola Saiya sbatté nuovamente contro gli
scogli di
plasma, disperdendo nello spazio l’energia degli scudi
protettivi.
Vibrarono le vele e si tagliarono le cime, rovinando al suolo.
« Turles!
»
Gridò Bulma
all’improvviso,
non accortasi della presenza del mozzo che, scendendo dalle corde,
era scivolato lungo il ponte e dal parapetto a prua ascoltava
meravigliato la voce di Maia. La stella lo avvicinò e lo
strinse a
sé, cingendolo tra le braccia esili, poi si tuffò
con lui nel mare
spaziale sparendo tra i diamanti di ghiaccio.
La donna non si fece
trovare
impreparata: trascinò Vegeta al posto comandi
perché col suo peso
morto potesse bilanciare il timone della nave e afferrò una
corda.
Con una forza che non pensava di possedere, lanciò la corda
verso la
sommità dell’albero di poppa lasciando scorrere a
gran velocità
la bittaviii.
Si lanciò nel vuoto: la cima la portò fuori dalla
nave, facendola
esporre al vento gelido dello spazio e facendola volare nel vuoto,
mantenendo ben salda la presa sull’albero maestro.
Dentro il mare
astrale, Turles e
la stella stavano scendendo dolcemente a picco: la sirena aveva
intrecciato le mani setose sul viso del pirata e lo stava portando
con sé in un bacio trascinante. Presto, però, il
marinaio si
accorse di faticare a respirare e poco dopo l’aria gli
mancò del
tutto dai polmoni, succhiata dal bacio mortale della stella. Fu il
tempo di qualche secondo e si sentì velocemente trascinato
fuori
dall’acqua: la cima fissata da Bulma gli circondò
la vita,
portandolo con sé verso gli alberi della nave. La donna
appoggiò
nuovamente i piedi sul ponte, assicurando la cima alla base
dell’albero e lasciando penzolare il pirata
nell’aria mentre
questo perdeva coscienza.
Nemmeno il tempo di un
respiro,
che la bella Asterope, cinta nella sua corona di guerra,ix
si avvicinò a Vegeta, trascinandolo via del timone e
lasciando la
nave in balia delle onde.
« Broly,
fermalo! »
Dopo aver stretto
forte la corda
attorno all’albero maestro, il demone corse verso il capitano
che
si stava avvicinando pericolosamente alla murata della nave, ma non
sapendo come afferrarlo per via delle mani occupate a cingere la
corda, optò per la soluzione più semplice.
Il capitano
urlò dal dolore
quando sentì le fauci affilate del demone solcargli le
natiche e si
sentì trascinato verso il centro del ponte, lontano dalle
mani
snelle della stella.
La sirena non
desistette dal
cacciare nuovamente la preda e si tuffò subito nel mare, per
poi
risalire sul ponte a prua, intercettando il passo incerto del
capitano che fu sommerso dalla luce calda della stella e dai suoi
baci seduttori.
La nave, senza il
controllo del
timone, precipitò giù dalle rapide: gli scogli si
fecero più
letali e si spezzarono lungo le murate della nave; gli squarci nello
scafo divennero più profondi e i danni più
pesanti. La donna fu
scaraventata in avanti, precipitò dolorosamente
giù dalle scalette
che conducevano al castello e venne scagliata in avanti, finendo tra
le braccia del pirata, facendo svanire in una nuvola di polvere
stellare la stella.
Si accorse con orrore
che il
capitano, in balia della musica, aveva poggiato vergognosamente la
faccia sul suo seno, affondandola tra le curve e stringendosi a lei
come se fosse la sirena, ormai svanita. Le mollò un cazzotto
sul
viso, indignata, pensando che gliele avrebbe fatte pagare tutte,
questa compresa.
Ma un blu
più persistente le
fece stringere gli occhi, quasi accecandola: davanti a loro, una
massa informe e piena di scogli taglienti li attendeva alla fine
della rapida e Bulma si accorse di come la nave, che solcava la
corrente controllata dalle Stelle Pleiadi, si stesse dirigendo a
tutta velocità contro la montagna di scogli sulla quale si
sarebbe
orribilmente spezzata e distrutta.
Corse veloce ai
comandi della
nave, cercò di afferrare al meglio il timone scosso dai
colpi alla
nave e si guardò attorno, trafelata.
Per via della forte
corrente che
attraversava le onde del mare astrale, facendole increspare in chiare
spume di ghiaccio, i relitti di altre navi venivano anche loro
trascinati dalla corrente e si distruggevano appena arrivavano a
contatto con gli scogli di energia. Con il cuore in gola, si
sentì
perduta e pensò che non ce l’avrebbero fatta a
salvarsi.
Poi, a lato della
forma sagomata
degli scogli, dietro lo scheletro accatastato di una nave sulla quale
giacevano le graziose sirene, scorse il mare aperto dello spazio ed,
irrimediabilmente, l’unica via di uscita sulla quale avrebbe
potuto
scommettere.
La nave, intanto, si
stava
avvicinando sempre più alle rocce e le dita lunghe e fredde
dita
della morte si stavano ormai incombendo su di loro.
« Broly,
attiva i rostri! »
Urlò a
pieni polmoni al
mezzodemone. Broly scattante come prima, corse verso la prua della
nave e, digitando un codice sul pannello dei secondi comandi,
attivò
ai lati della nave, lungo le murate, gli arpioni taglienti e
magnetici i quali, grazie allo loro lame affilate, così come
erano
in grado di tagliare i campi protettivi delle navi più
grandi e
permettere l’arrembaggio, erano altrettanto in grado di fare
breccia contro il relitto della nave che oscurava loro il passaggio
verso la salvezza. Almeno così sperava Bulma.
La donna,
così, diede una forte
virata a destra e la nave, sospinta dalla forza letale del mare,
avanzò in direzione del relitto, pronta per trafiggerlo con
i suoi
forti rostri: il relitto venne completamente sventrato grazie alla
forza e alla velocità che la corrente aveva dato alla
piccola Saiya
che, a sua volta, si stava danneggiando sempre più, ma Bulma
non si
perse d’animo.
Finché,
così com’era iniziata
d’improvviso la corrente astrale, trascinando i pirati tra le
braccia delle sirene, altrettanto celermente svanì e la nave
ripiombò tra le onde pacifiche dell’oceano,
infrangendo la
consistenza dei cristalli di ghiaccio sulla superficie ed
assestandosi di nuovo sulla corrente calma dell’Universo.
Bulma si
guardò indietro e tirò
un sospiro di sollievo, realizzando di aver finalmente abbandonato il
terreno insidioso della nebulosa interstellare che cingeva le Stelle
Pleiadi. Delle sirene, travolte brutalmente dalla nave, non
sentì
più la voce né vide la loro forma di fiamma.
La luce blu si spense
con loro.
Erano salvi.
Il mare calmo accolse
i pirati,
ridestandoli dall’ipnosi estraniante che li aveva avvolti. La
ciurma si riscosse e si guardò attorno, come risvegliata da
un
profondo sonno.
Si accorsero di essere
usciti
dalla grande nebulosa e il complesso delle Pleiadi ormai lasciate
alle spalle rappresentava un vago ricordo. O quasi.
La ciurma si
alzò in piedi e il
capitano fece altrettanto, cercando di ritrovare l’equilibrio
per
via dell’incredibile sensazione di nausea che
l’aveva colto.
Vide davanti a
sé la profondità
e la calma del mare aperto e portò gli occhi al timone,
trovandoci
sorprendentemente Bulma che reggeva la tenuta della nave.
Incatenò
il suo sguardo al colore curiosamente rassicurante del suo azzurro,
ma si degnò di scostare subito lo sguardo. Se lei era
lassù, al
comando della nave, significava solo una cosa e la sensazione non gli
piacque per niente.
« Ci ha
salvati Vegeta? »
interruppe il silenzio Toma, elettrizzato dalla possibile vincita
alla scommessa fatta con Radish ed esplicitando la domanda che tutti
i marinai si stavano ponendo in quel momento.
«
No… » fece sornione Turles,
dondolando dalle corde « Buuulma!
»
« Ci ha
salvati Bulma! » fecero
eco i marinai, guardando la donna con occhi adoranti. Toma fu
costretto a cedere il suo obolo a Radish, che ridacchiò
apertamente,
pensando che avrebbe completamente spennato l’amico, prima o
poi.
Vegeta, ancora
intontito per
quello che era successo, per poco non fu buttato a terra da Broly,
che fece il ponte e salì le scale per il castello a tutta
birra, per
mettersi accanto a Bulma vicino al timone. Il sorriso della donna lo
entusiasmò a tal punto che fu ben felice di farsi fare le
carezze
dietro le orecchie e ringraziò la donna leccandole
docilmente la
mano, mentre questa lo riempiva di complimenti su quanto fosse stato
bravo e coraggioso.
Nappa
ordinò agli uomini di
riprendersi e di tornare subito al lavoro: c’era una nave da
prendere in mano e non avevano tempo da perdere, soprattutto ora che
si riprendeva la navigazione nel mare stellare profondo.
Il capitano raggiunse
con sguardo
assente il tavolo di comando e si schiarì la voce.
Osservò la moine
di Broly verso la donna. “Dannato mezzodemone”,
pensò
corrucciato.
« Dicevi che
una nave non è
posto per una donna? »
Parlò
Bulma, tenendo ancora ben
stretto tra le mani il timone come se le fosse appartenuto da una
vita. Il capitano se ne accorse e il suo volto tramutò in
una
smorfia di rabbia.
«
Assolutamente! »
Berciò,
facendo spalancare gli
occhi alla donna. Fece a grandi falcate il castello della nave ed
indicò con insistenza verso le scale che conducevano al
ponte che
erano state, inevitabilmente, distrutte dalla traversata nelle
Pleiadi.
« Guarda
qui: la balaustra era
in titanio intagliato a mano! E queste modanature sono arrivate da
Sirio! Dico, hai idea di cosa ho passato per rubarle? »
Bulma lo
fissò con una faccia
sconvolta, incapace di spiegarsi la sua ingratitudine. Poi Vegeta
sbuffò e batté, sprezzante, una mano contro il
parapetto.
« È
per questo che le donne non dovrebbero guidare… »
La donna
boccheggiò come un
pesce fuori d’acqua. « Sei impazzito? Ti ho appena
salvato la
vita! »
« Oh, me la
sarei cavata… come
sempre » fece sprezzante il pirata ed andò ad
allontanarla dal
piano comandi, riafferrando in mano, come se fosse geloso, il timone
della nave.
Bulma retrocedette di
due passi e
lo guardò in cagnesco.
«
Certo… »
Sibilò
tetra e si precipitò giù
per le scalette, barbugliando maledizioni contro
l’inarrestabile
arroganza e il comportamento da stoccafisso dell’uomo al
quale
aveva appena salvato la pelle.
Vegeta si sporse a
destra nel
vederla scendere nella stiva e strabuzzò gli occhi quando
vide il
metallo della murata completamente divelto e i circuiti del sistema
di protezione dal vento solare rovinati e sfavillanti per
l’impatto
con gli scogli. Fece un gesto indispettito con la mano, incredulo.
« E hai
distrutto la murata!
Proprio qui, guarda! Questo non è un graffietto! »
Bulma
spalancò la porta del
magazzino, lanciando uno sguardo di fulmine al capitano, e richiuse
l’uscio dietro di sé, sbattendolo sonoramente
contro i cardini in
un urlo di sdegno. Due collegamenti elettronici, finemente saldati
tra la porta e il muro, sfavillarono un istante e si spensero con un
accenno di fumo.
Fu solo allora, quando
tornò il
silenzio, che il capitano si accorse di avere addosso gli occhi
accusatori di tutta la ciurma che ancora al centro del ponte aveva
assistito alla disputa tra lui e la donna.
Sentì il
mugolio scontento di
Broly che, accanto a lui, lo guardava corrucciato e con le orecchie
basse.
Si sforzò
di rilassarsi,
stringendo i cardini del timone tra le mani e facendolo scorrere tra
le dita, come una placida onda di vento.
All’ennesimo
mugolio di
disapprovazione del mezzodemone, Vegeta sentì la pressione
arteriosa
alle stelle.
« Grr…
il demone… la
ciurma…. e quella donna! »
Suo malgrado, si
ritrovò a
bussare a gran colpi contro il metallo dell’ingresso al
magazzino.
Si voltò irritato verso la ciurma, che gli fece di rimando
uno
sguardo altrettanto arrabbiato. Si disse di essere gentile e
finalmente, all’ennesimo bussare, la donna
spalancò la porta.
« Cosa
c’è? »
Chiese la donna,
sull’orlo di
una crisi isterica.
« Grazie.
»
Pronunciò
fuori dai denti
Vegeta, stringendosi le braccia al petto. La donna non ci vide
più.
«
Non
c’è
di che! »
« Ma
figurati! »
« Non ti
preoccupare! »
« Stai
tranquilla! »
« Bene!
»
« Addio!
»
« Addio a
te! »
La porta nuovamente
sbattuta in
faccia fu la conclusione della loro discussione.
La ciurma,
soddisfatta, tornò al
suo posto per riprendere il controllo della nave e Vegeta
posò gli
occhi, per qualche secondo, sulla porta chiusa facendosi sfuggire una
leggera risata, che soffocò immediatamente passandosi una
mano sul
viso.
Broly, accanto a lui,
gli fece un
sorriso a trentasei denti, da cui ne sbucarono quattro, canini,
particolarmente affilati per la sua natura mezzademone. Lo vide
agitare contento la coda verdastra che si trascinava dietro e lo
guardò con aria di sufficienza.
« Sei
contento adesso? »
All’ennesimo
sorriso canino del
demone, Vegeta sbuffò e alzò i tacchi per tornare
ai comandi. Non
s’avvide di Broly che, imbarazzato, si nascose la testa tra
le
spalle: chissà quando avrebbe scoperto di avere mezzo sedere
al
vento e una bella impronta di un paio di denti sulla natica destra.
Nel buio del Palazzo,
il
governatore procedeva a passo sostenuto verso la prigione del figlio.
Dopo cinque giorni di agonia e di pesanti riflessioni sulla sorte non
solo del figlio, ma dell’intero pianeta di Earth24, Bardack
era
giunto ad una sola conclusione che si sarebbe attuata quella stessa
notte, con il favore delle tenebre.
Non si era
meravigliato, quando i
suoi consiglieri, lo avevano informato degli improvvisi tumulti che
la scomparsa del Libro aveva suscitato tra le popolazioni del pianeta
e di quelle di metà della Galassia. La vita delle Dodici
Grandi
Galassie era nuovamente in pericolo e non per la spada affilata di
uno spietato pirata, ma per mano di una Dea sovrannaturale che con
uno schiocco di dita poteva manovrare a suo piacere le stelle
più
lontane e i mondi più inesplorati.
I tumulti e le
richieste dei
cittadini per ora avevano trovato conforto nelle parole artefatte ed
aleatorie dei prefetti delle diverse regioni, ma presto le richieste
si sarebbero trasformate in proteste per chiedere verità e
sicurezza, mettendo a rischio la stabilità della democrazia.
Sarebbero sorti uomini che si sarebbero appellati al popolo,
promettendo loro azioni risolutive per riportare l’ordine e
la
disciplina con mosse semplici ma inefficaci. Il controllo del pianeta
sarebbe stato in mano a chi, tra i forti, si faceva forte con gli
ultimi per il proprio guadagno personale e la pace, che tanto
faticosamente avevano ricercato e intessuto nel tempo, sarebbe
sfumata veloce, così com’era sfumato il Libro
della Pace dalla
torre del suo palazzo.
Lo scatto metallico
della
serratura e il trapestio fuori la cella, strapparono il figlio del
governatore dai suoi pensieri e si stupì di vedere il padre
rivelarsi dalle tenebre.
« Goku!
Presto vieni! »
« Cosa?
»
« Una nave
attende nel porto, i
miei più fidati ufficiali ti porteranno lontano da Earth24
»
Goku non
capì: « Le guardie
degli ambasciatori? »
« Sono
addormentate o ben
corrotte… ma dobbiamo andare subito! »
Goku però
si tirò indietro.
« Andare
dove? A vivere il resto
della mia vita in esilio? »
« A vivere,
figliolo! Non ti
farò giustiziare per un reato di Vegeta! »
« Neanche
Vegeta lo farà »
Bardack, scosse il
capo e si
avvicinò al figlio, portandogli le mani alle spalle, in un
gesto
paterno e accorato, come per infondergli del senno in testa.
« Goku, non
essere sciocco!
Vegeta non ha intenzione di andare a Tartaro! Il Vegeta che conoscevi
da bambino- »
« È
ancora in lui ora che è uomo! Io l’ho visto!
»
La
sicurezza del figlio fece vacillare il governatore. «
Goku… » arrancò, affranto il padre. Questa
volta fu Goku ad
abbracciare il padre, stringendolo forte al petto.
«
Va’, padre… so quello che
faccio »
Mentre
il figlio tornava verso la finestra ad osservare l’orizzonte,
il
vecchio governatore
si
sentì ancora più in là con gli anni di
quanto non lo fosse al
momento. Il
figlio era
cocciuto quando lui, ma sapeva che sarebbe stato inutile insistere.
Gli occhi
gli si fecero
lucidi, quando pensò che la
vita gli aveva già portato via sua moglie ed
ora, forse,
avrebbe perso anche il figlio.
Prima
di lasciare la cella, parlò ancora.
« Lo spero,
Goku… Earth24 non
ti può perdere… io non ti posso perdere...
»
Chiuse
la
pesante porta di
metallo, lasciando l’oscurità al suo posto.
Lasciato solo alle sue
riflessioni, Goku cercò di convincersi ancora una volta di
ciò che
aveva visto in Vegeta: non l’avrebbe abbandonato, lo sapeva.
Lo sperava.
Si
sedette sui freddi gradini di pietra della prigione, stringendosi la
testa tra le mani e lasciando che fosse il sibilo del vento a fargli
compagnia.
Continua...
iStrumenti per la
navigazione: il primo calcola la velocità di navigazione e
il secondo indica la velocità e la direzione della tenuta
(ossia le condizioni generali) della nave;
iiHo fatto un veloce giro
internet su quali fossero i veicoli spaziali più veloci mai
costruiti: il più veloce è stato Helios2, un
veicolo che ha raggiunto i 252.000 km/h su rotta eliocentrica. Ora,
visto che si lavora di fantasia, ho puramente inventato il conteggio
dei chilometri, come tutto il contesto cosmico, del resto.
iiiL’ammasso
stellare delle Pleiadi risiede nella Costellazione del Toro e sono un
gruppo di stelle molto vicine di un brillante colore blu; da noi dista
circa 443 anni luce. In
astronomia sono il complesso CED 19 e la nebulosa che le circonda
è la Nube d’Idrogeno
Molecolare del Toro.
ivI Pilastri della
Creazione, che fanno parte della Nebulosa dell’Aquila, la
nebulosa M16, sono probabilmente, tra le foto più
riconosciute dell’universo; i due fenomeni celesti, le
Pleiadi e la Nebulosa dell’Aquila, in realtà sono
a milioni di chilometri di anni luce.
vGli alberi della nave hanno
nomi diversi a seconda della posizione che occupano da prua a poppa. Se
prua è davanti e poppa è dietro,
nell’ordine abbiamo: albero di trinchetto, albero di maestra
o maestro, albero di mezzana; poi c’è
l’albero bompresso, che sporge quasi orizzontale verso la
prua.
viLa randa è una
vela sull’albero principale nelle imbarcazioni a vela con un
unico albero; nelle navi, è una delle vele
dell’albero maestro e a seconda del tipo di vele,
può essere quadrata o a trapezio (specie delle vele auriche,
ossia le vele a forma di trapezio).
viiÈ inesatto:
è la stella Taigete in realtà ad essere individuabile come un ammasso di
più stelle, circa 3, Taigete A, B e C che condividono la
stessa area geografica e la stessa orbita gravitazionale. Celeno
è più distante.
viiiSupporto metallico al
quale vengono fissate le cime;
ixAsterope è una
raccolta di poesie di Gabriele D’Annunzio, che contiene
componimenti dedicati alla celebrazione della Grande Guerra; nel 1933
fu ripubblicata col titolo “Canti della Guerra
Latina”.
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Capitolo 6 *** Il Pesce Cometa ***
Capitolo
6
Il Pesce
Cometa
Bulma osservava fuori
l’oblò
del piccolo magazzino, respirando tra i secondi di un lento silenzio.
Tutti i giorni di
navigazione
parevano dall’oblò del magazzino, mentre si
scivolava sulle onde
cosmiche, dopo un po’ troppo uguali ai precedenti. Lo sfondo
delle
stelle che si districavano attorno sfumava di continuo, come una
cascata di diamanti che luccicavano e trasmettevano la stessa musica,
incantevole come il suono armonioso di un violino o il suono di una
continua orchestra.
I pirati spaziali,
però, avevano
continuato la loro rotta, caparbi nel proseguire verso Ovest e
nell’attraversare, astro dopo astro, le regioni infinite
dello
spazio. Al quindicesimo giorno di navigazione, quando si erano
lasciati alle spalle buona parte del settore Est della Via Lattea e
di Andromeda, comprese le terribili Stelle Pleiadi e buona parte del
mare navigato, il capitano si rifiutava ancora di parlarle.
Bulma si domandava per
quanto
ancora avrebbe tenuto la bocca cucita con lei, quasi stretta in un
filo di xilos verde, un intreccio resistente al vento solare che
creava le cime della piccola scheggia su cui navigavano.
La nave, vero, era
rovinata e
solo in parte i motori a propulsione sonica potevano coprire la
distanza che avrebbe percorso alla potenza massima delle sue vele ad
assorbimento d’energia solare. Senza contare il fatto che,
essendo
danneggiati gli scudi di protezione che mettevano al riparo la nave
pirata entro sua bolla di aria e di equilibrio, era rischioso
proseguire in mare aperto, figurarsi farlo ad alta velocità.
Ma Bulma aveva visto i
sorrisi e
i gesti di ringraziamento che la ciurma aveva elargito nei suoi
confronti nei piccoli momenti di quotidiano, quando il capitano era
troppo occupato a guidare la nave e a segnare i nodi del vento per
calcolare sull’astrolabio a che punto fossero del percorso.
Turles, in
più di una occasione,
le aveva elargito metà del suo pranzo, invitandola fuori
dalla
cuccetta di Broly perché mangiasse con la ciurma. Radish, da
bravo
cascamorto qual era, le aveva offerto dei comodi cuscini e le aveva
sistemato la cuccetta nel magazzino. Le aveva poi detto che se ancora
faceva fatica ad addormentarsi, le avrebbe fatto volentieri
compagnia: la risposta che si era sentita di dargli, oltre ad un
sorriso tirato, era stata la porta del magazzino sbattutagli
sonoramente in faccia.
Il problema, comunque,
rimaneva
il capitano.
Per quanto fosse
buzzurro e
avesse il cervello piccolo come un atomo e per quanto Bulma avesse
deciso di curarsene fino ad un certo punto e poi basta, rimbrottava
comunque il suo dissenso in parole leggere che scoppiavano contro il
vetro come bolle di sapone. Quando una leggiadra nebulosa,
filamentosa come aira, s’intrecciò alle linee
immaginarie che le
sue dita abbozzavano nel vuoto, decise di destarsi dal suo torpore e
si avviò sul ponte.
Appena fuori, fu
investita dalla
brezza fredda del vento che spinge ad Occidente. Si unì alla
ciurma,
seguendo gli ordini del secondo e ammaestrò il controllo
della nave.
La nave ballonzolava
ancora
pigramente, si conformò alla rotta tenuta dal capitano e
sciò sulle
nubi. Il mare calmo e costante, poi, perse d’improvviso il
suo moto
infinito, nel mentre che la nave raggiunse una lunga scia di
asteroidi che si frappose, dal nulla, sul suo cammino.
La navigazione si fece
più
vigile e pacata e l’attenzione di tutti i pirati fu rivolta
alle
strisce gravitazionali che permeavano gli asteroidi, quali campi di
forza magnetici e di forza collisa che s’intessevano fra i
grandi e
piccoli corpi celesti della fascia e che permettevano a questi di non
disperdersi nel Cosmo.
Vegeta
ordinò che i motori
fossero stabilizzati al minimo, per permettere alle correnti
gravitazionali di trascinare il vascello con sé lungo le
coste degli
asteroidi galleggianti. Voltò lo sguardo verso il cuore del
sistema,
verso il protosole di dimensioni nane che piano piano stava nascendo
al centro del piccolo sistema solare che stavano attraversando,
scrutati dagli occhi delle luci più antiche.
Il
disco planetario, che pullulava di vita attorno alla stella in
crescita, aveva terminato la sua fase iniziale di genesi scomposta e,
dopo aver lasciato parola ad un brulicare di polveri, gas e meteore,
si era ripulito nella sua parte più interna mediante il
forte vento
solare. Nei migliaia di anni cui erano state testimoni le stelle
attorno,
si erano formati i piccoli protopianeti, che a loro volta avevano
ripulito le loro orbite dalla polvere interstellare, ricacciata verso
il mare aperto. Ora, solo la fascia di asteroidi che li stava
trascinando con sé in una lenta danza cosmica era rimasta a
rimembrare le origini antiche.i
Le dimensioni degli
asteroidi che
navigavano con loro erano delle più svariate grandezze:
alcune di
centinaia di metri, altre invece viaggiavano su chilometri di
distanza, arrivando a coprire la grandezza di pianeti nani.
Guardò
ancora i motori dell’astronave e misurò i nodi del
vento che li
sussultava in avanti, nel campo di forza. Era giunto il momento di
sbarcare su uno degli asteroidi per fare rifornimento e per
provvedere alle riparazioni.
Un grosso asteroide li
fece
avvicinare alla sua costa: i motori scesero, lenti, a contatto con il
dorso frastagliato e solido del corpo, poggiarono la nave e cessarono
la loro costante luce blu neon, per sopirsi nel silenzio dello
spazio.
« Statemi a
sentire: restiamo
dieci minuti. Se vi perdere, poi non partite! »
Berciò
Nappa, affrettandosi a
dare gli ordini ai sottoposti.
Al
lato della nave, il capitano lambiva, con le dita scaldate dai
guanti, i lunghi parapetti in vibranio a resistenza 3 Kii
e, per
gli innumerevoli danni evidenti anche
ad un occhio più inesperto,
si
lamentava,
sconsolato. Tracciò la traversa del boccaporto con un
polpastrello e
si stizzì quando l’ennesimo filo di alluminio
irrobustito gli
rimase intrecciato alle
dita.
«
Com’è possibile che una
donna sola possa fare così tanti danni? »
Sibilò,
portando le mani al
cielo e volendo urlare il suo disappunto verso il Cosmo. Quella
giornata era appena iniziata e lui era già nervoso. Ah, ma
lui lo
era sempre, ultimamente.
« E va
bene… avremmo bisogni
di un bel po’ di rodio e di vibranio per assemblare le
intelaiature
della nave, una montagna di vibranio per riparare i circuiti e la
murata… per non parlare delle vele… »
« Avete
sentito il capitano:
cercate tracce di vibranio e rodio, e in fretta pure! » gli
fece eco
il secondo in carica.
Vegeta
tornò a guardare
criticamente i danni della nave e aggrottò le sopracciglia
quando
ormai l’ennesimo piccolo pezzo della murata finì
perso nell’oceano
di stelle che li osservava da sotto.
Bulma fece una smorfia
infastidita a vedere come il capitano, appena la notava avvicinarsi,
si chinava verso il parapetto della nave ed iniziava ad accarezzare
melodrammaticamente la murata, come se dalle sue carezze fosse
scaturito tutto l’amore del mondo per la piccola nave,
danneggiata
ingiustamente, a suo parere, da una donna che non sapeva guidare.
«
Oh, per l’amor del cielo, basterà un po’
di nekoniii
liquido e tornerà
come nuovo! »
Sputò,
esasperata, ma Vegeta
sospirò.
«
Quando
vorrò il tuo consiglio, te lo chieder- Hey!
Hey, hey!
Dove credi di andare? »
Ma la donna non si era
voltata
indietro e, camminando imperterrita lungo la passerella della nave
che era stata disposta a lato per poter scendere sul corpo celeste,
era scesa sull’asteroide a seguito della ciurma. Il capitano,
incredulo, boccheggiò come un pesce qualche istante.
«
Be’, vai! Ma almeno portati
qualcun- »
Neanche il tempo di
finire di
parlare che, scattanti, Turles, Cabba, Toma e Radish le si erano
fatti accanto e si erano offerti subito di accompagnarla a
raccogliere i minerali che avevano necessità di cercare.
«
Ah, grazie!
È
una gioia vedere degli uomini che hanno ancora un pizzico di normale
cortesia... » cinguettò Bulma, piacevolmente
sorpresa dalla
gentilezza della ciurma che si era offerta prontamente di scortarla
sull’asteroide. Gongolò soddisfatta, soprattutto
per il fatto che
sperava nella faccia furente del capitano al vedere i suoi uomini che
si agghindavano di un’impropria galanteria cavalleresca.
Il capitano trattenne
una smorfia
di fastidio.
«
Normale
cortesia…
» Le fece il verso, arricciando le labbra secche ed imitando
la sua
voce femminile.
Notò, poi,
con la coda
dell’occhio Napa che, secchio in mano, s’avviava
anche lui alla
passerella.
« Non ti
affannare... »
Il secondo lo
guardò: « Ma lo
sai che ha ragione, il nekon sarebbe perfetto per- »
« Basta!
Resta sulla nave... »
Napa non
poté fare a meno di
allargare le braccia in segno di resa e guardare il capitano che, con
un balzo, saltò sull’asteroide e a passo pesante
seguì la ciurma
che si era addentrata tra le rocce.
Sorrise, scuotendo il
capo.
La situazione aveva
dell’incredibile. Tre quarti della sua ciurma camminava
allegramente dietro a Bulma, mentre solo Napa, Toteppo e Pampukin
erano rimasti sulla nave per tenerla stazionata
nell’insenatura che
avevano trovato a lato dell’asteroide.
Ah, ma se non avesse
fermato il
suo secondo, sicuro sarebbero tutti scesi a prendere il nekon liquido
e il vibranio per sistemare la nave: tutti allegramente dietro alla
donna che guidava l’improbabile comitiva.
Scosse il capo a
vedere come
Radish e Toma, in particolare Radish, le stessero alle calcagna,
più
appiccicosi di Broly che, ovviamente, ovunque andasse Bulma, andava
lui.
Come
se fosse
lei
il capitano, poi!
Non sapeva se essere
invidioso
delle attenzioni che la ciurma offriva alla donna o se esserne
disgustato. Optò per la seconda opzione.
«
Ho già
detto “grazie”!
Si tratta di questo, non è vero? »
Si sgolò e
Bulma si volse nel
sentirlo, sorridendogli nella maniera più affettata
possibile. Aveva
poggiato il secchio sull’avambraccio e più che
essere in cerca del
metallo, pareva voler andare a cogliere margheritine di campo. Vegeta
evitò di inalberarsi ancor di più e decise di
vedere come sarebbe
andata a finire quella giornata iniziata nel peggiore dei modi.
« Si tratta
di riparare la
nave…. Se rompo una cosa l’aggiusto! »
Portò lo
sguardo sulla donna,
sollevando un sopracciglio.
Tutt’intorno
l’aria aveva
smesso di sfrecciare aggressiva come in mare aperto e il lento
scorrere della striscia di asteroidi rendeva l’atmosfera
più
fiacca e riflessiva, come se si fossero sospesi nel tempo e si
ballonzolasse tra un secondo e l’altro, dentro ad un
ticchettio
costante. Il protosole bruciava, lontano, al centro del sistema
solare su cui erano capitati e dietro di loro, a migliaia di
chilometri, alcuni piccoli pianeti in formazione continuavano a
galleggiare, circondati dai loro gas neofiti, mostrandosi al sole con
le loro superfici iridescenti. L’asteroide, composto da un
miscuglio di ghiaccio e di vari materiali, continuava a scivolare
sotto i loro piedi.
La donna, ad una
certa, si mostrò
incerta e si fermò, scrutando seriamente il terreno.
Tra i sassi
trovò una piccola
insenatura, si chinò a terra e tastò il terreno,
scoprendo una
piccola bacinella di nekon fuso. Si rivolse, raggiante, alla ciurma.
« Ehm,
coltello, prego… »
chiese cortesemente, porgendo la mano verso il capitano.
Vegeta
portò le braccia al
petto, sarcastico.
« Oh, certo,
adesso ti do anche
un’arma... »
Quattro coltelli le
furono
immediatamente offerti dalla ciurma, sotto gli occhi strabuzzati del
capitano, e Bulma, raccolse graziosamente tra le mani il coltello
posto da Radish.
« Grazie,
Radish… »
Quello
gongolò, impettito, e il
resto della ciurma aggrottò le sopracciglia a vedere
l’aspetto
compiaciuto dell’artigliere che raggiunse il capitano, sempre
più
indignato, dietro di loro.
«
Sai,
dovresti essere un tantinello
più cortese... » sogghignò il pirata,
dando una spallata al
capitano che osservava l’ambasciatrice aprire di
più la fessura
nel terreno e raccogliere delicatamente il nekon dalla piccola
cisterna. Il capitano non si premurò di rispondere al suo
sottoposto, ma gli mollò un pugno ben assestato sul muso.
« Bene, ci
mancava una lezione
di etichetta da uno tra i peggiori frequentatori di bordello della
Galassia... »
Sospirò,
massaggiandosi la base
del naso.
« Ma lei ha
salvato la nave,
capitano! » lo fermò subito Cabba, sorridendo
speranzoso
all’indirizzo del capitano per il quale aveva sempre avuto
una
particolare ammirazione.
« Grazie
Cabba! » cinguettò
Bulma, colpita dalla sincerità del pirata, nel frattanto che
continuava a riempire il secchio di nekon, con Turles accanto che le
reggeva il contenitore per riempirlo.
« E ora
aiuta ad aggiustarla! »
soggiunse, raggiante Turles.
«
È
molto in gamba, direi »
« E
coraggiosa! »
Anche Toma e Radish si
erano
fatti coinvolgere nel momento dei complimenti reciproci, mentre Broly
sorrideva entusiasta per l’allegria contagiosa di tutti.
Vegeta,
all’ennesimo commento,
non ce la fece più: se i suoi uomini avrebbero continuato ad
esaltare quella donna insulsa ed ficcanaso l’avrebbero
mandato
fuori di testa.
« Questa
donna... non saprebbe
aggiustare un’unghia spezzata! »
Sibilò con
astio, facendo un
gesto sprezzante con la mano. La donna si gelò al tono
arrogante del
capitano. Si tirò in piedi in un lampo, assumendo una posa
battagliera.
«
Francamente, sei l’uomo più
volgare ed ottuso che io abbia mai conosciuto... »
Il capitano la
squadrò da capo a
piedi con la sua aria di superiorità.
«
Senti,
bella…
ho visto i bei bamboccioni con cui te ne vai in giro…
» gli scappò
una risata e ci tenne a sottolineare il concetto, portandosi un dito
al petto. « Io sono il solo
uomo che tu abbia mai conosciuto! »
Non notò
gli occhi furenti della
donna, la quale boccheggiò cercando freneticamente i peggio
insulti
che le potevano venire in mente. Il capitano si avviò,
invece,
impettito verso la nave, ma Bulma non perse l’occasione per
fargli
rimangiare le sue parole.
In un istante,
rubò dalle mani
di Turles il secchio pieno di nekon e lo lanciò a tutta
forza in
direzione del capitano. Due secondi dopo, Vegeta, cappello compreso,
si ritrovò grondante di nekon verdastro e attaccaticcio
dalla testa
ai piedi. La ciurma rimase a bocca aperta e calò un silenzio
maggiore di quello che li circondava perennemente nello spazio
aperto.
Si girò
lentamente, il cappello
calato sugli occhi e le belle piume di Aquila di Ghiaccio, che
dapprima spiccavano sul copricapo, afflosciate verso il basso, zuppe
di nekon.
L’ambasciatrice
lo osservò di
rimando, sorridendogli stuccosa e portandosi le mani ai fianchi. Lui
le sorrise di rimando, melenso. Si chinò verso le rocce e
iniziò a
raccogliere da terra del pastrocchio di acqua e polvere
interstellare, formando tra le mani coperte da guanti bianchi una
poltiglia fangosa.
Bulma
sollevò un dito,
minacciosa.
«
Oh, no…
no, no, noooo-
»
Ma la palla di fango
le finì
ugualmente dritta in faccia, rovesciandola a terra. Calò
definitivamente il gelo tra il gruppetto e tutti i membri della
ciurma si guardarono ancora, increduli.
« Cinque su
Bulma... » sussurrò
Radish a Toma, scommettendo su chi dei due avrebbe fatto la pelle
all’altro.
Bulma si
alzò da terra e si levò
immediata la fanghiglia dal viso, avanzando lentamente verso il
capitano, con gli occhi fuori dalle orbite. Vegeta la degnò
di uno
sguardo di sufficienza, levandosi il capello e tergendo via il nekon,
pulendo le piume con aria schifata.
La donna
sbuffò di rabbia.
« Sei...
prepotente! »
Vegeta non si fece
trovare
impreparato, si sistemò il cappello in testa e le rispose
per le
rime.
« E tu sei
viziata »
Bulma gli
lanciò il primo
frammento di roccia che le capitò sottomano e
continuò con tutti
quelli che trovò vicino.
«
Maleducato, presuntuoso! »
« Illusa!
»
Vegeta fu costretto a
schivare
due sassi che, per un soffio, non gli arrivarono dritti in faccia.
« Pomposo!
Egocentrico! »
« Piena di
arie! »
Arrivò,
finalmente, un sasso in
testa al capitano, che sbatté sonoramente contro la sua
zucca; la
donna non si fermò e continuò a lanciargli
addosso tutto ciò che
trovava sull’asteroide, nella speranza di rompergliela quella
brutta testa che si ritrovava.
« Malfidato,
ingrato,
impossibile, insopportabile! »
Sempre più
pietre raggiungevano
il pirata che, ormai, era costretto a schivare i colpi come se
fossero proiettili di cannone laser. Broly ne contò
ventidue.
« Almeno non
sono represso! »
Si sgolò
infine Vegeta,
mettendosi ad un palmo dal suo naso, furente per il sasso ricevuto in
fronte. Bulma lo guardò con occhi spiritati e le si
mozzò l’insulto
in gola, indignata.
«
Io
sarei–
te la faccio vedere io, la repressa! »
Con una forza che il
pirata si
stupì avesse in corpo, vista la gracilità della
sua figura, la
donna afferrò una roccia più grande e piatta,
grande quanto uno
scudo Earthariano, e fu pronta per scagliarla in testa
all’uomo
davanti a lei, quando l’asteroide sotto di loro
vibrò di una cupa
eco.
Sotto i loro piedi si
vennero a
creare delle fughe di colore verde acqua che, come le zampe veloci di
un ragno, si diffusero in striature sempre più complicate
lungo il
terreno, trasformandolo in una rete complessa di collegamenti che
vibrarono di energia cosmica. Vegeta e Bulma, che erano sul punto di
sbranarsi a vicenda, si sentirono sul filo del rasoio.
« Posalo a
terra… »
Le sussurrò
il pirata e la donna
lasciò scivolare a terra il grande masso, trattenendo una
risatina
d’agitazione. Il groviglio intessuto sotto i loro piedi
brillò di
una luce più intensa, che accecò momentaneamente
i pirati, e
l’asteroide aumentò il suo tremore. Bulma si
appoggiò spaventata
a Vegeta, che la sorresse per evitare che cadesse al suolo.
Come nel
più strano dei sogni,
il terreno ai loro piedi si mosse, poi, di scatto e si aprì
in una
fessura, che divenne sempre più ampia, come le pareti di un
canyon
che si aprono per un terremoto, rivelandosi in un enorme occhio di
perla dai contorni violacei e vitrei, che presto si posò a
guardare
la ciurma.
«
È
un Pesce Cometaiv!
» esclamarono con orrore.
L’occhio si
mosse velocemente e
si richiuse di scatto, come per scacciare gli ospiti indesiderati, e
dalla punta dell’asteroide, a qualche centinaio di metri dal
gruppetto, iniziarono a formarsi dei cristalli di ghiaccio, sempre
più grandi e diretti verso di loro: il pesce stava
iniziando,
infatti, a muoversi e aveva intenzione di inabissarsi nel mare
cosmico per nuotare via.
« Via!
»
Tuonò a
pieni polmoni il
capitano, trascinandosi dietro Bulma che per poco non
incespicò nei
suoi passi. Tutti si mossero in una corsa nervosa per avere salva la
vita.
« Nappa!
»
Percepì il
secondo dalla nave,
riscuotendosi dalle sue misurazioni astronomiche sui campi di raggi
gamma che la nave aveva attraversato e sul numero di conseguenti
modifiche e ricalibrature delle vele che si sarebbero dovute fare. Ma
prima che si accorgesse del perché della fuga nervosa ed
improvvisata dei suoi compagni, fu trascinato a terra dal colpo di
pinna che il pesce cosmico diede alla nave, ancorata proprio
nell’insenatura che la pinna creava tra lei e il corpo
massiccio
della creatura.
La nave, in balia
delle forti
onde create dal movimento maestoso del pesce, fu per un attimo
allontanata dal punto di ancoraggio e balzò sulle onde del
mare.
Nappa corse al timone per riprenderne il controllo.
I pirati si
precipitarono
all’impazzata lungo la cresta del Pesce Cometa, ogni passo
significava una possibilità in più di salvarsi,
mentre i fili
elettrici del pesce si facevano sempre più veloci e nervosi
come il
tracciato di un fulmine che scende dal cielo.
« Nappa!
» gridò ancora il
capitano, sbracciandosi per fargli individuare la loro posizione, tra
le urla collettive di terrore.
Il tremore sotto di
loro si fece
più nervoso e il capitano, che ancora non aveva mollato la
presa
dalla mano di Bulma, si accorse di essere appena capitati sopra le
branchie del grande Pesce Cometa.
Queste, presto, si
sarebbero
aperte emettendo un forte flusso di vento, con il rischio che
l’aria
li scaraventasse in avanti e li facesse sfracellare sul suolo brullo
e sassoso dell’asteroide elettrico o, peggio, li spedisse
diretti
nello spazio aperto.
Si fermò
bruscamente, proprio
mentre la prima branchia si apriva. Lui e Bulma si trovarono
abbracciati, entrambi sull’orlo del precipizio e con il
fiatone.
Il capitano si
specchiò negli
occhi pieni di timore, ma anche brillanti, della donna e per un
secondo pensò di non aver mai visto un blu così
avvolgente ed
ammaliante. I suoi pensieri svanirono in una nuvola, però,
quando le
urla della ciurma fecero sparire l’improvviso ed inaspettato
torpore che aveva sopito i suoi riflessi.
Il grosso Pesce Cometa
aveva
iniziato, infatti, ad inalberarsi verso l’alto, pronto a
spiccare
un balzo elegante nell’oceano e la ciurma stava venendo
trascinata
a tutta velocità verso di loro, scivolando sulle scaglie del
pesce.
L’impatto tra di loro fu veloce e forte, tanto che li
sbalzò tutti
quanti verso l’alto, oltre l’atmosfera
dell’asteroide.
Percepirono nel giro di un secondo l’aria fredda
dell’Eatherium,
così favorevole alla navigazione quando le acque del mare
astrale si
facevano calme, ma anche così letale quando soffiava
imperiosa e
fredda su ogni essere che incrociava. Si sentirono squarciare da
mille sensazioni nel giro di un secondo, tagliuzzati dal vento gelido
dell’immobile infinito, finché non precipitarono
veloci fuori
dalla traiettoria del Pesce Cometa.
Bulma chiuse forte gli
occhi,
facendosi stretta al petto del capitano e non mollò la
presa, almeno
fino a che non percepì più le braccia calde
dell’uomo, che non la
sorreggeva più. Fu allora che aprì gli occhi,
trovandosi davanti
per un secondo, lungo dei secoli, lo sguardo di stelle del capitano
che, prima di lasciarla al sicuro sul ponte della nave e di dirigersi
al timone comandi, la scrutava assicurandosi che stesse bene.
Lesse, durante
l’eterno
istante, l’emozione di timore, ma di anche di tracotante
voglia di
avventura che stava iniziando a balenare negli occhi neri del
capitano. Non arrivò a cogliere in pieno il mare in tempesta
che
dominava fuori e dentro Vegeta, che questo già era balzato,
scattante, verso il ponte comandi.
« Sta
andando verso Ovest! »
parlò il capomastro Nappa, cercando di reggere a fatica il
timone
nella nave, in balia delle onde scatenate e sempre più forti
dal
Pesce Cometa.
« Dove
dobbiamo andare noi! »
Realizzò
colto alla sprovvista,
il capitano.
Pensò
in
fretta: vide una gomena afflosciata accanto all’albero di
prua, una
di quelle cime superiori che, come spessore e forza di traino,
potevano da sole sollevare un bompresso della navev.
La raccolse mentre correva verso la prua del vascello dove, un occhio
attento alla struttura del bastimento, avrebbe potuto notare il
lancia funi arpionato che, neanche si ricordava quando, avevano
celermente sottratto all’esercito di un pianetuncolo sassoso
del
Sud Estremo. Un gingillo di ingegneria, di gittata formidabile e di
precisione millimetrica.
Si fece presso il
marchingegno,
lo attivò, vi intrecciò la forte fune,
afferrò il controller e
calibrò i parametri per il lancio.
«
Nappa,
mantieni la rotta! Turles, allaccia la fune! »
Gridò,
assicurandosi che il
secondo mantenesse saldo il timone e che il mozzo annodasse la gomena
all’albero maestro, circondandolo con doppio giro e nodo,
perché
non sfuggisse via lungo il lancio.
E poi premette il
grilletto:
sparò il colpo con tutta la precisione che gli anni di
caccia e
furto in mare gli avevano donato. La fune volò lesta e
immediata
verso la superficie sassosa del pesce, scivolò lungo i sassi
elettrici di cui vibrava la Cometa, per poi arpionarsi in un aggancio
naturale tra due insenature e si fissò, tendendosi.
Il capitano non ebbe
neanche il
tempo di voltarsi glorioso verso i compagni, che esultarono per lo
splendido lancio, che la nave balzò in avanti.
La nave
seguì la corsa del Pesce
Cometa e venne così trainata al centro di una scia di bianco
e
azzurro, a gran velocità.
Il
suono delle
stelle divenne, travolgente, acuto, come il grido dell'Aquila di
Ghiaccio quando si getta nel frost
della Costellazione della Fornace, il grido di libertà che
si
disperde attraverso il suono del vento. Le ali della nave si fecero
gonfie e attirarono a sé il vento alla sua massima portata,
facendo
scivolare la nave sulle onde di ghiaccio nate dal Pesce, che
scagliò
il vascello in avanti, sempre più lesto.
Si fece giorno e si
fece notte,
l’una seguì l’altra come in un cerchio
costante.
Le stelle che,
solitamente,
scorrevano come lanterne al loro fianco, divennero una sfumatura di
colore sulla tavolozza degli dei: non si distinse più la
luce dalle
tenebre, perché tutto si sciolse nella coda argentata e
celeste
della Cometa che fluiva, come un fiume che trabocca dal suo sentiero
e scorre, a piccoli e grandi balzi, lungo le rocce fino al grande
oceano.
Bulma si staccò dalla
salda presa che l’aveva ancorata al parapetto della nave e si
portò
ad centro del ponte, un po’ barcollante, per il movimento
concitato
della nave e un po’ per l’emozione. Si
sentì investire d'energia
e i suoi occhi s'illuminarono a vedere come, d'improvviso, la fascia
di asteroidi aveva seguito, in una rincorsa veloce, l'enorme pesce
davanti a loro.
Gli astri attorno a
loro,
infatti, si erano resi più luminosi e al posto della fredda
e dura
roccia interstellare, erano scaturite scie di energia che confluivano
nella scia del Pesce, ed innumerevoli ed infinite creature di mare
avevano seguito la sua rotta.
Decine e decine di
balene e
cetacei di ogni grandezza avevano preso vita dall’essenza di
asteroidi e ora risplendevano come mille soli: nuotavano con grazia e
con infinita armonia attorno a loro, assorbendo la luce delle stelle,
per poi espanderla fuori di loro, in caleidoscopi di colori sempre
diversi, ma sempre vicini alle tonalità delicate del cielo
quando
scende la notte.
Nonostante la folle
velocità del
Pesce Cometa cui erano appigliati, le creature attorno si muovevano
lente e in un incedere calmo, con ritmo costante ed equilibrato.
La giovane
ambasciatrice ammirò
gli intensi colori attorno a lei, che sembrano chiamarla ed invitarla
a viaggiare con loro tra le Costellazioni. Le lunghe pinne delle
balene e la spruzzante energia dei delfini di mare che sfioravano le
onde la fecero innamorare ancor di più dell'oceano astrale.
Il meraviglioso salto
di una
delle balenottere fece schizzare cristalli di ghiaccio lungo la
barriera protettiva che copriva tutta la nave e i brillanti di freddo
sfavillarono tra le vele gonfie di vento, sciogliendosi in fiumi di
spuma bianca.
Credette di sognare,
mentre
osservava le stelle incastonarsi tra le squame argentee dei pesci,
mosse dal vento ed incastonate come i diamanti di terra.
Vegeta, che aveva
lanciato con
forza l'arpione verso la coda del pesce, permettendo alla nave di
seguire la sua scia, era rimasto a prua, sopra la gomena.
La folle
velocità del vento lo
investiva con un getto di vita e lì, mentre la sua nave
seguiva il
flusso della Cometa, lì, mentre si ricopriva di cristalli di
ghiaccio e di un'abbondante luce blu azzurra, credette di possedere
il cielo e l’Universo, tutti raccolti nel suo pugno.
A braccia aperte, si
impadronì
del vento dell'Eatherium, che lo ampliò della sua essenza,
lasciò
che questo gli parlasse di meravigliose scoperte, di terre ancora non
toccate dalla sua curiosità e dalla sua voglia di conoscere
cose più
di qualunque altro essere nel Cosmo.
Si sentì re
e si sentì
principe: i cristalli di luce e la scia scomposta della Cometa che
gli scompigliavano le vesti. Lanciò il suo cappello di piume
di
ghiaccio lontano, forse raccolto da uno della sua ciurma o forse
perso nell’aria avvolgente.
Rise come un pazzo a
sentire la
schiuma di luce scorrergli sotto le dita:
s’immaginò di avere tra
le mani un frammento di una stella incandescente, più forte
e
brillante del sorriso di una Dea, più calda e viva che mai,
e di
berne le sua luce.
Un pezzo di vita che
poteva
afferrare, mutare, sciogliere e far scorrere nell’aria,
forgiandolo
a suo piacimento: questo voleva fare dell’Universo, renderlo
leggibile ai suoi occhi affamati di conoscere. Afferrarlo, stringere
a sé il suo potere, manipolarlo e costruire tutte le stelle
che
voleva.
Il potere, quello
vero, che solo
gli Dei avevano, presto o tardi lo avrebbe avuto tutto per
sé.
Allargò
ancora le braccia e
chiuse gli occhi, come se fosse pronto a buttarsi tra la scia
argentea e celeste che li inglobava.
I suoi occhi ora
traslucidi come
quelli di una divinità affogarono in colori più
sgargianti,
voluttuosi di vedere di più, di scoprire di più.
Poi si sciolsero
nello sguardo incantato della ambasciatrice che sostava, a bocca
aperta, accanto a lui. Un pezzo alla volta il suo sogno di potere si
assopì, rimanendo inascoltato in un angolo della sua mente,
come se
si richiudesse dentro un lato oscuro dello spirito.
Vegeta e Bulma si
guardarono
ancora, in mezzo al suono assordante del Cosmo che si scioglieva
nella scia di luce della Cometa.
Bulma non si rese
conto della
potenza del suo sguardo, fino a quando le onde dei suoi occhi non
bagnarono i resti della coscienza di Vegeta e lo convinsero che,
forse, un altro sogno poteva inondare il suo cuore di pirata. Un
sogno non più di potere, ma di amore. Un sogno mai esplorato
fino a
quel momento.
Continua…
Nota
dell’autrice
Eccomi qui con un
altro capitolo
d’avventura e un poco agitato, ma non troppo. Spero che vi
sia
piaciuta questa descrizione piuttosto fantasiosa del Pesce Cometa. Io
mi sono divertita assai a creare questo mondo di colori ed emozioni.
E, a proposito di
colori, che i
due protagonisti non si stiano innamorando? Chi lo sa. Io lo so, ma
non ve lo dico.
Voi lo scoprirete
continuando a
leggere!
Alla prossima puntata!
Grazie a tutti e
scusate il
ritardo nella pubblicazione <3
iDescrizione narrativa ma
con basi scientifiche di come è nato il nostro sistema
solare. Per la descrizione della fascia di asteroidi, ho preso
ispirazione dalla fascia di asteroidi tra Marte e Giove e dalla
striscia di asteroidi dopo Plutone, la fascia di Kuiper.
iiTemperatura dello spazio,
3 K (-270° C) ma questa varia da zona a zona; in
prossimità dello spazio può raggiungere anche i
500° C.
iiiMateriale
assolutamente inventato. Tutto quello che sto scrivendo, a parte il
film al quale mi sono ispirata, è assolutamente inventato e
va contro le leggi della fisica. Ma io non ho mai studiato fisica,
quindi la fisica a me non si applica.
ivIspirato
alla natura di Cerere e di una cometa; ho voluto unire i due oggetti
celesti per comodità narrativa, ma in realtà i due
astri celesti sono ben diversi tra loro: Cerere è
classificabile come un pianeta nano o un asteroide, come Plutone, e si
trova nella Fascia Principale di asteroidi del nostro sistema Solare,
ossia tra Marte e Giove. La superficie è composta da un
miscuglio di ghiaccio d’acqua e vari minerali, come carbonati
e argille idrate; il nucleo è roccioso e mantello di
materiali ghiacciati, potrebbe avere un oceano di acqua liquida sotto
la superficie.
Il pesce viene chiamato pittorescamente “Pesce
Cometa” per il fatto che si muova, gli asteroidi per via
della gravità esercitata tra loro e dalla stella vicina,
infatti, non si muovono; una cometa è un corpo celeste
piccolo, simile all’asteroide ma composto per di
più da ghiaccio, roccia e metalli e sono oggetti che si
muovono nello spazio secondo delle orbite ellittiche e, quindi,
periodicamente sono attirate da una stella. La chioma di una cometa
è l’atmosfera temporanea che si forma in vicinanza
del passaggio vicino alla stella, per effetto dell’azione
della radiazione solare, che crea sublimazione delle sostanze volatili
presenti sulla superficie del nucleo cometario.
Se ne volete sapere di più, domandate a Piero Angela o a
Wikipedia.
vLa gomena è una
delle cime intrecciate assieme a formare una cima spessa più
di 20 centimetri. Nella mia ignoranza, la cima ideale per la
situazione. Perdonate la mia ignoranza sul tema, cari marinai di
Capitan Findus.
|
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Capitolo 7 *** Ghiaccio e neve ***
Capitolo
7
Ghiaccio
e neve
Le
cime alte nella nave avevano iniziato a confondersi con le nebbie
stellari che, pigramente, tangevano gli alberi e la bandiera pirata,
sempre distesa verso il vento e verso l’oceano, bagnata delle
sue
gocce di luce. Gli scudi di energia ora, completamente alzati per via
della navigazione di nuovo in mare aperto, si erano rianimati e
ricaricati della luce accecante del Pesce Cometa, che aveva condotto
il veliero avanti nella sua traversata.
Accovacciato
sul cassero della nave, il capitano aveva abbandonato il timone nelle
mani del suo fedele secondo e, attraverso lo mostrarombii,
si accertava della direzione verso Ovest e scrutava dal binocolo ad
energia compatta, con lenti rafforzate per vedere fino a dieci
parsecii
di distanza, lo spazio circostante. Le vele spiegate al flusso
dell’Eatherium sbattevano ritmicamente contro le scotteiii
che tendevano fisse le tele agli alberi della nave.
Si
concesse un momento per rilassarsi, tirando un sospiro di sollievo:
la navigazione ora procedeva a 300.000 km/h, il tempo scorreva agile
sotto le sue dita, mentre si avvicinavano sempre più verso
Tartaro,
la stella di Lazuli.
Il
Pesce Cometa aveva fatto al caso loro, accelerando di molto il moto
costante della traversata verso la meta, anche se dopo un
po’, sarà
stata la velocità sostenuta o le stelle accecanti che
formavano un
manto psichedelico agli occhi di chi le guardava, i marinai avevano
risentito della folle velocità, soprattutto i loro stomaci,
costretti a rimettere qualche pasto sul ponte.
Non
che si fossero persi grandi manicaretti, eh, il
massimo che la
cucina marinaresca aveva da offrire erano uova e cetriolini.
Sebbene
Broly, con sorpresa di tutti, avesse vomitato pure delle carote,
trovate chissà dove nella stiva.
Così,
quella mattina presto, aveva tagliato la corda che li aveva visti
aggrappati alla grande creatura d’oceano, abbandonando il
moto
lesto e costante della Cometa, per il benestare anche del suo, di
stomaco che, per fortuna, ancora conservava i cetriolini mangiati.
Scostò lo sguardo dal binocolo, ricercando il focus nella
vista e
nei passi a scendere lentamente dal cassero, un focus ancora
difficile da trovare per via del leggero stordimento che non lo aveva
abbandonato del tutto.
La
ciurma aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva deciso di
tagliare letteralmente la corda dalla coda del Pesce e i più
erano
crollati, sfiniti, lungo il ponte o direttamente in cabina.
Si
appoggiò stancamente alla balaustra ancora rovinata
dall’incontro
con le Stelle Pleiadi, ma tenuta assieme, in qualche modo, da
un’immane quantità di fili di vibranio recuperati
di corsa sul
Pesce.
All’ennesima
ondata di nausea orgogliosamente ricacciata giù
dall’esofago,
dovette ammettere che, forse, non era stata una così
brillante idea
rubare un passaggio alla Cometa.
La
cosa più matura da fare era, quindi, dare la colpa a qualcun
altro.
«
Chi è che ha avuto questa brillante idea? »
Sibilò
contro il vento, passandosi una mano sugli occhi.
«
Non lo so... »
Non
si era accorto della presenza dell’ambasciatrice che
l’aveva
raggiunto con passo incerto, andandosi a sedere su una corda
arrotolata ai piedi della balaustra. Lei lo guardò con
sguardo
complice e con una punta d’ilarità negli occhi
azzurri.
«
Ma mi deve un pranzo… »
Si
specchiarono per qualche secondo l’uno nell’anima
dell’altra,
sorridendo. Il Capitano fu sul punto di controbattere, ma la visione
davanti a loro lo bloccò.
A
centinaia di chilometri da loro, infatti, si aprì lo
spettacolo
della Costellazione dell’Aquilaiv.
Nell’ammasso
di circa un centinaio di stelle dai colori sgargianti, spiccava per
intensità e trascendenza la stella Altair,
sorella posta in
opposizione alle sorelle Alshain e Tarazed,
congiunte
in un asterismov
perfetto, emanando equilibrio ed armonia, come se queste
costituissero le ali spiegate della creatura di aria. I più
antichi
marinai sapevano che, in quelle regioni estreme, risuonava il suono
della voce di Zeno, il padre degli Dei che, all’inizio dei
tempi,
aveva amato Ganimede o in altre leggende Antinoo, un bellissimo
fanciullo: questo venne rapito dall’Aquila e portato sul
monte
Olympus, al Centro del Cosmo.
Vegeta
urlò subito ai marinai di potenziare le vele a specchio
d’energia
e di mantenere costante la navigazione, per non farsi travolgere dal
vento spaziale che, in quella regione, aveva iniziato a sorgere con
più potenza. Si sentì il fischio dei motori che
stabilizzarono la
nave e la chiglia sbattere contro i cristalli di ghiaccio delle onde.
Il capomastro
calibrò la curvatura
del timone e finalmente il capitano ebbe una visione più
precisa del
contesto astronomico che li circondava.
Pianeti
nani e piccoli asteroidi strisciavano attorno alle stelle, in
particolar modo attorno ad Alshain, come se questa
fosse il
motore di un lento carillon. I nanopianeti erano di grandezza e di
strutturavi
diversa, ma, dopo un attento colpo d’occhio attraverso la
vista
acuta dal cannocchiale, le aurore boreali che si dipanavano sulla
loro superficie indicavano che i pianeti, almeno alcuni, avevano
iniziato il processo di stabilizzazione e l’atmosfera non era
più
tossica e rarefatta per via dei gas neofiti. Inoltre, dal colore
rosso rame che emanavano, la superficie doveva essere rocciosa, calda
terra compatta come il deserto e, almeno sperava, doveva avere delle
traccie di vibrano per la Saiya.
Quei
pianeti avrebbero fatto al caso loro. Bulma continuò ad
osservare,
con il naso all’insù, la Grande Aquila tracciata
nel cielo,
srotolando con accuratezza i ricordi degli astrolabi che aveva
osservato ed amato da bambina. La Costellazione dell’Aquila
era uno
dei segni del cielo che più l’aveva affascinata da
bimba.
Vegeta
ridacchiò sotto i baffi.
«
La Costellazione dell’Aquila… non pensavi che vi
avrei portato
fin qua, eh? »
«
No, è vero… »
Lei
arricciò le labbra in un piccolo sorriso e
s’intrecciò le mani
dietro la schiena, avvicinandosi leggera al capitano.
«
Ma Goku sì, per qualche motivo hai la sua fiducia...
»
Un
fischio di vento dell’Eatherium risuonò tra di
loro e le piume
argentee e ghiacciate sul cappello del pirata si mossero piano.
«
Come... vi siete conosciuti voi due? »
I
pianeti iniziarono a distinguersi in lontananza con più
chiarezza e
Nappa puntò a terzo pianeta nano parallelo alla stella. Le
aurore
rosse e rosee del pianeta l’unico segno di movimento nella
calma
dello spazio.
Vegeta
ci pensò su un attimo, poi gli scappò un ghigno
strafottente.
«
Scappavo per salvarmi, come al solito »
Rise
e si avvicinò alla cima di mezzo, che sfilata dal carico
della
carrucola, penzolava accanto a loro. L’afferrò con
forza e saltò
agilmente sulla balaustra della nave, come per scivolare sulle
schegge di luce fuori la barriera protettiva.
Si
trovò a mimare animosamente il trambusto della battaglia:
« Un paio
di guardie mi avevano accerchiato fuori le mura del palazzo. Ero in
trappola! Una spada alla gola, una sul petto e una sul - »
«
Centriolini e uova! »
Nel
rumore del ponte, risuonò l’urlo di Radish, uscito
da
sottocoperta. In sua risposta, si levarono gli insulti della ciurma
contro lo sfortunato mozzo.
Ancora
quegli schifosi cetriolini e uova.
Bulma
e Vegeta li fissarono, temporaneamente distratti dalla conversazione.
Quando Turles iniziò a minacciare Radish di ficcargli i
cetriolini
dove sapeva ben lui, il capitano attirò di nuovo
l’attenzione
della donna. Si schiarì la voce e distolse Bulma dallo
spiacevole
battibecco poco dignitoso.
«
E poi, ad un tratto, c’è stata la quarta lama,
vibrante come non
mai! »
Il
sorriso gli contagiò gli occhi e si lasciò
trascinare dal racconto.
«
Era Goku! Aveva visto tutto dalla sua stanza nel palazzo, era
scivolato lungo le mura del castello per combattere al mio fianco!
»
Lasciò
la cima a camminò sul filo del parapetto, il mare schiumava
di folta
eco sotto il passo della nave.
«
Caspita se abbiamo combattuto, come se fossimo nati per fare solo
quello! Due anime unite e due combattenti pronti ad affrontare il
Cosmo! Da quel giorno siamo stati unitissimi! »
I
suoi passi si distesero poi in un sospeso silenzio, favorito dallo
sciabordio
del
mare. Bulma
rilasciò i suoi pensieri in un sorriso meraviglioso, che
brillò
come quello di un angelo.
«
Poi cosa vi è successo? »
Il
capitano abbassò il capo, scrutando tra le fughe nel legno
del
ponte, resistente agli sbalzi di corrente cosmica, poi
riportò gli
occhi d’improvviso più scuri sulla donna.
Lei
sorrise. « Cosa c’è? »
Vide
il capitano scendere dal parapetto, mentre ancora la scrutava, non
abbandonando i colori perlacei delle sue iridi. Le parve che volesse
dirle molto altro, ma si limitò a poche parole che chiusero
la
conversazione così veloce com’era iniziata.
«
Abbiamo preso strade diverse… »
sussurrò l’uomo, avviandosi
verso il timone.
Lo
vide scendere sottocoperta e non poté fare a meno di
domandarsi
perché, ancora una volta, avesse chiuso i suoi sentimenti e
il suo
passato a lei. Le Costellazioni attorno attutirono i suoi pensieri e
la consolarono nei colori sgargianti di acuto silenzio.
Le
bolle continuavano a scoppiare e sdoppiarsi nel bagno immenso, la
soffice schiuma sfumava verso il bordo, cadendo in nuvole di acqua
eterea. Sebbene un poco piccina, la galassia che aveva usato e che
ospitava il suo corpo divino si era rivelata una comoda fonte
d’acqua
per lei e le sue creature di cielo. Scostò noncurante un
piccolo
pianetino che le passò sotto il naso, solleticandole i sensi
e
districò lentamente dei nodi nei capelli di oro che filano
sciolti
nella piscina. La bolla di vetro le presentò il volto
contrito ma
composto dell’ambasciatrice e Lazuli non poté fare
a meno di
alzare gli occhi al cielo a quel gesto di sincero dispiacere che
lesse sul viso della mortale.
Stupidi
uomini, così noiosi e scontati.
«
Basta con le chiacchiere… » lamentò nel
vuoto del cielo di
Tartaro, pasticciando le nuvole di schiuma verso il basso,
perché
spegnessero qualche stella inutile. Le Costellazioni sibilarono di
acuto disprezzo e lo Scorpione fece vibrare la sua coda velenosa.
Lazuli
lo fissò con gli occhi di stelle e arricciò le
graziose labbra in
un sorriso, raccogliendo lo Scorpione nella sua mano.
«
Sentiamo qualche bell’urlo! »
Raccolse
la bolla di vetro nelle lunghe mani affusolate e ci soffiò
sopra,
gelandola di fredda morte. La bolla si crepò e
soffiò un vento di
neve.
La
nave scese dolce, ma precisa sul pianetino individuato e
l’aria
calda dell’atmosfera impattò contro i visi ora
accaldati della
ciurma. Broly che, notò il capitano, non aveva perso la
brutta
abitudine di andare ad accucciarsi accanto a Bulma ogni due per tre
perché sua ufficiale compagna di cuccetta, si
affacciò a prua e
curiosò, mettendo il viso fuori dalla nave, il pianeta
sottostante.
Quando una folata di sabbia lo investì appieno,
rovesciò sul ponte
tutta la sabbia che gli era finita inevitabilmente in bocca e il
capitano, mentre la ciurma non trattenne
l’ilarità, scosse la
testa sconsolato.
Appena
attraccarono, rimasero a lievitare ad un paio di metri da terra.
Buttarono l’ancora in quello che si caratterizzò
in tutto e per
tutto come un deserto di sabbia fluorescente, calda e vivida, che
soffiava non troppo pacata in tutte le direzioni. Sotto la sabbia,
però, c’era la roccia a tratti sporgente dalla
pianura dorata che
sicuramente aveva tracce di vibranio. A centinaia di metri da loro,
invece, un’enorme torre di roccia solida, formata e levigata
dal
vento che sorge dal deserto, s’ergeva imponente, come una
roccaforte solida e antica di secoli passati, un castello che mai
nessuno avrebbe trovato.
Era
il momento di scendere al suolo per ricavare il vibranio e magari del
nekon, se Zeno gli avesse concesso la grazia.
Fece
per aprir bocca, quando una folata di quello che riconobbe come vento
freddo, lo bloccò. Guardò verso il cielo.
Aria
fredda? In un pianeta di deserto?
Quella
che li travolse in pieno, incatenando la nave a delle spesse lastre
di ghiaccio, pur essendo ancora sospesa in aria – e Vegeta
ringraziò la sorte per non essere sceso completamente al
suolo,
altrimenti il danno sarebbe stato molto maggiore – fu proprio
una
gelata fredda, che si tramutò, nel giro di un soffio, in
forti e
potenti urli di neve. Sotto i loro occhi, tutta la sabbia si
trasformò in neve: il deserto di arena divenne un deserto di
neve e
il gigante di roccia davanti a loro assunse le sembianze di una
vecchia torre fantasma bianca, in cui s’infilavano gli
ululati del
vento.
«
Miseriaccia ladra, ma com’è possibile? »
Sbottò
il capitano, pestando furioso la neve che era caduta sul ponte per
via degli scudi di protezione ora abbassati.
Nappa
cercò di fare rapporto, avvicinandosi alle sue spalle.
Vegeta si
volse di soprassalto e a momenti si spiattellò contro il
petto
dell’omone, che, ovviamente, stava sempre a petto nudo.
«
Infilati una camicia, potresti cavare un occhio a qualcuno! »
Sbraitò,
preso alla sprovvista e Nappa fu sinceramente sul punto di
cavarglielo l’occhio, se il capitano non avesse preso qualche
bel
respiro per calmarsi.
«
Forza ragazzi, andate a rompere il ghiaccio, dobbiamo andarcene!
»
urlò, al contrario di quelle che erano le sue aspettative. Si
passò una mano sugli occhi e Bulma gli lanciò uno
sguardo di
comprensione,
sorridendogli
debolmente. Al capitano non rimase che armarsi di piccone e
incominciare anche lui a spaccare il ghiaccio.
Non
si domandò il perché della magica ed inspiegabile
comparsa del
ghiaccio in un mondo di sabbia e deliberatamente ignorò la
voce di
avvertimento che sussurrava sempre più forte alla sua anima.
Quello
che importava, ora, era andarsene: il vibranio e il nekon erano
irrecuperabili sotto il manto di neve ghiacciata, ma la loro pelle
era più preziosa.
«
Rubiamo il Libro della Pace… ci ritiriamo alle Stelle Fiji!
»
Berciò
insolentemente Turles, stringendosi, inutilmente, nel piccolo
giacchino che era rimasto in stiva per proteggersi dal freddo di un
improvviso inverno. Il piccone a lama laser gli tremava nella presa
tra le mani, mentre cercava di rompere le lastre di ghiaccio che
stavano intrappolando il loro vascello al suolo congelato del
pianetino.
Essendo
un pirata navigato per l’interno Universo conosciuto, come un
qualsiasi buon altro marinaio, dopo un po’, avrebbe dovuto
sviluppare una corazza di imperturbabile accoglienza verso le
vicissitudini che offriva il mare cosmico e l’immancabile
vento
dell’Eatherium. Ma lui, sebbene avesse vissuto più
anni in mare di
quanti ne aveva vissuti in casa, attaccato alle sottane di sua madre,
il freddo lo odiava, lo disprezzava e lo schifava.
Ora,
non solo il suo beneamato capitano stava conducendo la Saiya verso il
luogo più oscuro e freddo dell’Universo, la stella
morente di
Tartaro, ma adesso pretendeva che lui, povero mozzo delle Regioni
più
a Meridione del Cosmo – si sa, le più calde ed
accoglienti –
stesse su un fottutissimo piccolo pianeta inutile a spaccare lastre e
lastre di ghiaccio, congelandosi mani, piedi e cuore.
Digrignò
ancora i denti dal freddo e se non fosse stato per il fatto che non
era l’unico a congelarsi le chiappe al vento nevoso
– a pochi
metri da lui c’era Radish che, non avendo trovato una
sciarpa,
usava i suoi capelloni come riparo – avrebbe volentieri
tirato il
piccone in testa al capitano, rischiando l’ammutinamento.
Si
concentrò per spezzare un altro blocco freddo, quando
sentì Broly
iniziare a guaire e ringhiare sul ponte di comando. Broly, il
cucciolone ibrido con i sensi molto più sviluppati di quello
di un
umano, con sorpresa della ciurma, aveva iniziato, infatti, a
ringhiare più forte e, se avesse potuto, avrebbe abbaiato
con vigore
verso la torre, che, inevitabilmente, attirò
l’attenzione di
tutti.
Tutti
si fermano definitivamente a guardare la torre, quando nel silenzio
si percepì un fischio, dapprima leggero, poi sempre
più forte, come
di Aquila che mentre vola si avvicina veloce alla preda.
Vegeta
cercò di aguzzare la vista, ascoltando il brutto
presentimento che
gli sussurrava alle orecchie di un grosso pericolo in arrivo, e
fissò
il vuoto in lontananza oltre la torre fantasma.
La
forma sfumata di un animale si palesò nel cielo, oscurata da
nuvole
di neve, per scomparire subito dopo tra la nebbia.
I
marinai al nuovo fischio sinistro lasciarono perdere le lastre di
ghiaccio e si guardarono attorno guardinghi. Il silenzio si fece
carico dei loro respiri affannati, mentre il fischio si avvicinava
sempre più.
Bulma
si portò accanto a Broly che, a prua, ringhiava feroce a
quel
qualcosa oltre la torre. Il grido scomparve per qualche istante e il
mezzo demone, spaventato, corse via, andando a nascondersi
sottocoperta.
Il
capitano e l’ambasciatrice si fissarono, incerti, poi un
rumore
sordo di rocce frantumate spezzò il loro silenzio.
Tra
le urla collettive, un’enorme Aquila di Ghiaccio gigante
comparve
piombando sulla nave, spezzando la monotonia del paesaggio ricoperto
di morte bianca. La creatura sorvolò la pianura desertica,
le sue
ali di piume di ghiaccio sbatterono violentemente contro le cime e le
vele della nave, che tremò con forza, pronta a spezzarsi
contro il
peso della creatura mastodontica che li aveva presi di mira.
«
Tornate sulla nave! » urlò a pieni polmoni Vegeta.
I
marinai si affrettarono a salire a più non posso verso la
nave:
quelli che si erano arrampicati ed erano rimasti più in alto
sui
pilastri di ghiaccio arrivarono più in fretta sul ponte,
tratti in
salvo dai compagni.
L’enorme
rapace sorvolò ancora minacciosamente la valle, strisciando
le penne
esterne lungo le dune di ghiaccio, finché i suoi occhi vuoti
non si
fissarono su Tarble che, rispetto ai compagni era rimasto
più in
basso nel spaccare il ghiaccio e, a pochi metri dal suolo, ancora
stava salendo.
Con
un grido acuto, l’Aquila fece per planare sul marinaio e
questo non
poté fare altro che lasciare la presa, scivolando
però nel
crepaccio profondo che separava la forma aguzza di ghiaccio che aveva
intrappolato la nave dal resto della pianura di ghiaccio.
Strinse
con forza la presa su un gracile appiglio che trovò nascosto
nella
parete, ma la sua presa era incerta, per via della
scivolosità del
ghiaccio che lo circondava.
«
Tarble! » gridò Bulma.
La
donna, che aveva notato il compagno in difficoltà,
cercò svelta una
cima e la lanciò a Tarble con tutta la forza che aveva in
corpo.
Appena vide il marinaio afferrarla ed iniziare a issarsi, lo
aiutò
facendo scivolare veloce la cima lungo il parapetto della nave, per
poi issarla alla punta del cassero a prua per avere una presa
migliore.
La
creatura di neve, che portava con sé i più venti
freddi del Cosmo,
però ad un certo punto deviò direzione e si
gettò sulla nuova
preda.
Vegeta,
che aveva appena teso la mano a Radish per aiutarlo a salire a bordo,
s’avvide con orrore dell’intenzione della creatura
ed urlò il
nome della donna.
Bulma
si girò malauguratamente a sentire il suo nome e il capitano
non fu
abbastanza svelto nel raggiungerla: l’enorme artiglio
dell’Aquila
dalle piume di ghiaccio si strinse attorno al corpo della donna e con
un balzo si issò in aria.
La
mano del capitano afferrò per qualche istante la mano tesa
di Bulma,
cercando di trascinarla via dalla presa ferrea dell’animale
sovrannaturale. Il pirata venne trascinato verso poppa, ma la presa
delle loro mani si sciolse quando il rapace spiccò con forza
il volo
verso il cielo, e il capitano scivolò a terra, troppo
lontano ormai
per salvarla.
L’urlo
della donna si disperse nell’aria e la ciurma
osservò con orrore
l’Aquila volare sempre più in alto fino a
scomparire sulla cima
della torre fatiscente, dapprima di roccia ed ora di ghiaccio, a
centinaia di metri da loro.
Bulma
si ritrovò sbattuta con forza a terra, il viso affondato
nella neve,
mentre l’Aquila scendeva a terra, per poi girarsi pronta a
mangiare
la sua preda.
La
donna vide il suo riflesso negli occhi acerbi di vita della creatura
e si alzò di scatto, per iniziare a correre verso un riparo.
L’artiglio del rapace la precedette e la bloccò
sotto il suo passo
e il becco aguzzo del mostro si abbatté su di lei, pronto
per
inghiottirla.
L’Aquila,
però, assaggiò solo il pelo consistente ma vuoto
della pelliccia
che fino a quel momento aveva protetto l’ambasciatrice dal
freddo.
Questa, dopo aver abbandonato la presa del mostro, era riuscita a
fuggire sotto un’incavatura nel terreno poco più
in là. Vide la
creatura tastare con curiosità il sapore insipido della
pelliccia,
sbatacchiandola come si fa con le prede, per poi inghiottire il
nulla. Scocciata, il suo grido attraversò l’aria e
Bulma cercò di
farsi piccola piccola contro la protezione di ghiaccio che aveva
fortunatamente trovato a poche decine di metri dal rapace gigante.
La
creatura tastò il terreno candido attorno, scavando nel
ghiaccio con
le zampe e cercando ancora la sua preda, mentre Bulma conformava il
suo respiro alla lentezza della neve.
«
Turles, non far congelare i paranchivii!
»
«
Signorsì! »
Rispose
solerte il marinaio, mentre il capitano finiva di allacciarsi le cima
della fune attorno allo stivale nero, per tenere fisse le lame di
vibranio che aveva fatto recuperare in fretta e furia dai magazzini
sottocoperta. Sperando che funzionassero e s’incastrassero al
meglio nel ghiaccio.
«
Nappa! »
«
Sì, signore! »
Fece
altrettanto solerte il secondo.
«
Abbracciami! »
Il
secondo, questa volta, fu meno solerte nel rispondere e si
trovò
costretto in un abbraccio che apparve alla ciurma assolutamente fuori
luogo. Quando però, vide la faccia del capitano,
capì il perché di
un gesto che, normalmente, il capitano non si sarebbe sognato di fare
neanche sotto tortura.
Dopo
aver sfilato altri due pugnali dalle tasche di Nappa, il capitano si
portò presso il lancia funi arpionato e, inseriti i
parametri di
lancio con il controller, si fece scaraventare dalla macchina ad alta
ingegneria verso la cima della montagna, attaccato alla penna
dell’arpione che, nel frattanto, saliva sempre più
su, sempre più
veloce, verso i massi che creavano la torre pericolante di neve a
centinaia di metri di distanza.
La
nave si fece sempre più piccola dietro di lui e
l’impatto con la
neve della torre non fu uno dei più comodi che ricordasse,
ma almeno
ringraziò Zeno di non essere finito spiattellato come una
zanzara
bianca contro il ghiaccio della parete, altrimenti oltre al pesante
scudo di Forza Solare H che portava sulle spalle, avrebbe dovuto
averne uno pure sul davanti.
La
neve che gli si spiattellò in faccia assorbì
parte degli insulti
che inevitabilmente gli scapparono dalle labbra a causa del brivido
di freddo provocato ad avere la neve che gli colava giù per
il
collo.
Così,
attaccato alla parete grazie ai pugnali che gli fungevano da appigli
sia per i piedi sia stretti tra le mani, iniziò a salire,
lentamente.
«
Non si era accorta del pennuto? »
La
sua arrampicata non tentennò.
«
Tutti gli altri l’hanno visto... »
Un
passo per volta.
«
Era più grosso di un galeone... »
Sputacchiò
della neve e si passò la lingua sulle labbra, spaccate dal
freddo.
«
E Bulma? »
Lentamente,
continuò a salire verso la cima della torre.
«
Bulma guardava dall’altra parte… »
Lentamente…
Continua...
Angolo
dell’autrice
Riuscirà
il nostro eroe a salvare la nostra amata Bulma?
Certo
che sì, vi pare?
Ma
andrà malissimo e soprattutto non secondo i suoi piani. Eh,
altrimenti che autrice sarei, se tutto andasse liscio?
Scusate
per il ritardo, ho avuto cose da fare, ma non potevo non aggiornare.
Ringrazio
come sempre tutte le persone che leggono, commentano, seguono e fanno
cose con questa storia.
Siete
bellissimi, vi regalerei una piuma di Aquila di Ghiaccio, ne avessi
un paio da parte.
Al
prossimo capitolo e grazie a tutti. Se avete voglia, fatemi sapere
che ne pensate!
Zappa
iStrumento per indicare
velocità e direzione tenute; è uno strumento
antico, che usavano anche gli antichi. Visto che l’ho
già citato, faceva figo citarlo un’altra volta;
iiGli astrofisici presenti
mi odieranno adesso per osare ed azzardare così tanto tra
scienza e fantascienza: un parsec è
un’unità di lunghezza astronomica corrispondente a
circa 3,26 anni luce;
iiiCime fissate agli angoli
inferiori delle vele; non ne ho idea della loro attuale funzione;
ivHo fatto riferimento alla
Costellazione dell’Aquila: vogliano scusarmi astronomi e
appassionati di spazio, visto che ho mischiato un bel po’ le
carte e visto che non ne so una mazza di astronomia.
Precedentemente avevamo parlato della Nebulosa dell’Aquila,
ma questi due sono due fenomeni astronomici completamente diversi. Lo
spazio è un posto grande, guys. Ma, ripeto, questa
è una storia, quindi… * fa spallucce, innocentemente *
Questa costellazione è una delle 48 costellazioni elencate da Tolomeo (astronomo
vissuto dell’epoca ellenistica) e si trova a cavallo
dell’equatore celeste ed è ben visibile nei mesi
dell’estate boreale. La sua stella principale
è Altair e tutte le sue compagne si chiamano Aquilae
(probabilmente il caro Tolomeo aveva finito i nomi). Domandate a
Wikipedia, se ne volete sapere di più;
vIn astronomia, è
un qualunque gruppo di stelle visibile nel cielo notturno,
riconoscibile dal resto per la sua particolare configurazione
geometrica;
viLe aurore boreali, come
sapete, sono causate da collisioni tra particelle cariche
elettricamente provenienti dal Sole che entrano
nell’atmosfera. Quindi, nella mia testolina ho ragionato che
se “entrano nell’atmosfera”, il pianeta
deve essere alla fine della sua nascita, quindi deve essere un minimo
stabile. No? Va be’. Mi faccio un baffo della scienza;
viiPer chi di noi ha
un’anima più marinaresca, sono quelle specie di
carrucole che modulano e allungano le lunghezze delle corde e delle
cime nelle navi;
|
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Capitolo 8 *** Sulle ali di un'Aquila ***
Capitolo 8
Sulle ali di
un’Aquila
Il passo pesante
dell’Aquila
non dava tregua ai cristalli di neve che continuavano a depositarsi
in cima alla lunga torre. La bestia raschiava con vigore il terreno,
spruzzava la neve con gli artigli, staccando le rocce, una volta
bollenti del deserto, e gettandole lontano con le fauci, alla ricerca
compulsiva della sua preda.
La coda di eleganti
piume si
muoveva compulsivamente dietro il corpo massiccio e gli occhi vitrei
e affilati non lasciavano scampo a chi si nascondeva nel paesaggio
attorno.
Bulma sbucò
guardinga dal suo
rifugio sotto il piccolo cunicolo che il ghiaccio aveva formato.
Cercò di assottigliare la vista per capire quando e come
spostarsi,
ma una mano la colse di sorpresa, bloccandole il respiro e la
possibilità di urlare.
« Ssst!
»
La
zittì con poco calore una
voce,
assicurandosi
che non facesse rumore e che non attirasse l’udito sensibile
dell’Aquila. Bulma si ritrovò improvvisamente
a
fissare gli occhi scuri del capitano che, sotto il pesante berretto
nero e la sciarpa zuppa di neve, bruciavano come due stelle ardenti.
« Sei venuto
a salvarmi? »
Sussurrò,
aspettandosi di tutto,
tranne che la presenza di Vegeta. Il capitano sorrise, facendo
spallucce. « Sì… se è
così che vuoi metterla... »
Bulma, malgrado la
situazione di
pericolo e le urla del rapace che superavano la forza del vento,
trovò la forza per corrispondere il sorriso.
« Ma questo
ti costerà un altro
diamante, non era previsto nel pacchetto turistico... »
Fece caustico Vegeta,
mentre si
abbassavano velocemente sulla neve per evitare di farsi scorgere
dall’Aquila che, inconsapevole, guardava ora nella loro
direzione.
Strisciarono guardinghi verso il lato più spesso di neve e
ghiaccio
che occludeva la vista dell’Aquila nella loro direzione.
Bulma si
voltò ancora ad
osservare i movimenti dell’animale. Un’enorme
zampata schiacciò,
inclemente, il piccolo cunicolo che li aveva ospitati pochi secondi
prima. Cercò di reprimere il brivido di paura che la
percorse.
«
Allora… » si affannò Bulma
nel chiedere, « come facciamo a scendere? »
« Ecco
io… »
L’Aquila di
Ghiaccio aveva
ripreso a cercare un po’ più in là e
Vegeta non si accorse di
aver trattenuto il respiro.
« Non lo
so… »
« Cosa?!
» urlò a bruciapelo
Bulma.
« Non lo so
ancora! » si
affrettò a correggersi l’altro, « Ci sto
pensando, va bene?
»
Bulma si
scaldò in fretta: «
Scali una torre di ghiaccio di trecento metri e non sai come
scendere?! »
Il capitano si
trattenne
dall’imprecare.
« Di tutte
le ingrate, tu sei
proprio – senti! Se vuoi affrontare i rischi da sola, si
può
organizzare – »
« Ssst!
» si affrettò a
zittirlo Bulma, portandogli le mani sulla bocca ed ascoltando il
passo pesante dell’Aquila che ancora scavava nella direzione
sbagliata, fortunatamente per loro. Ogni secondo che sprecavano a
litigare era una possibilità in meno di salvarsi,
così cercò di
porsi nel modo più collaborativo.
«
D’accordo, d’accordo! »
L’Aquila
cambiò direzione e i
due si appiattirono silenziosi contro la parete che ancora, grazie
agli Dei, reggeva.
«
Che cosa
possiamo usare? » iniziò Bulma con spirito
collaborativo. « Corde?
» sussurrò,
speranzosa.
«
Ehm… » il capitano non fu
convinto. « No »
« Rampini?
»
«
Ehm… no »
La donna
sospirò, cercando di
calmare il suo panico crescente.
« Le tue
spade? »
Supplicò,
infine, chiedendo a
Zeno la grazia di poter sopravvivere un altro giorno.
« Ehi! Ho
questo! »
Brillò la
voce del capitano,
quando si portò una mano dietro la schiena, tirando fuori,
da sotto
lo scudo a Forza
Solare H uno
dei pugnali che aveva usato ad arrampicarsi lungo la parete.
«
Fantastico! Ci si pulisce i
denti quando finisce di mangiarci! »
Vegeta scosse la testa
all’espressione poco fiduciosa della donna.
«
Sì... vedi, nelle mani di un
esperto, un buon coltello ha mille e uno usi... »
Iniziò a
dire, con fare
mellifluo ed ironico, e mosse velocemente il coltello tra le dita,
facendolo roteare con grazia e osservando Bulma con sguardo
compiaciuto, fino a che… « Ops…
»
Bulma
non riuscì a trattenere un gemito
di puro terrore, mentre la piccola calotta di ghiaccio che li aveva
protetti fino a quel momento, si spezzò, perché
solleticata dalla punta affilata del coltello che, guarda caso, ci
era finito incastrato.
Il ghiaccio si
staccò e scivolò
a terra come i petali di un fiore e la bestia si girò nella
loro
direzione.
L’ambasciatrice,
che aveva iniziato a gelarsi dal forte vento attorno, fulminò
il
capitano con
lo
sguardo e Vegeta si lasciò scappare un risolino di nervoso.
L’Aquila
cacciò allora un
grido acuto, abbassandosi in fretta per finalmente afferrare le sue
prede.
Il capitano si mosse
più in
fretta del vento.
« Scappa!
»
Urlò,
afferrando Bulma per il braccio e iniziando a correre verso la
direzione opposta dove stava la bestia, trascinando
e spronando la donna a non inciampare nelle lastre di ghiaccio
attorno.
Il
rapace li inseguì immediato, aggredendo
ogni metro di terreno con le sue lunghe zampe e artigli, pronto
per afferrare e smembrare la carne. Ogni
secondo divenne più veloce del precedente, mentre correvano
per
salvarsi la vita.
«
Più svelta! » Incitò
ancora
il
capitano,
correndo
più veloce,
quando Bulma si rese conto verso cosa stavano correndo: un burrone
profondo più
di
cinquanta
metri che terminava in una lunga discesa scoscesa verso
per
il basso, sempre più ripida
e sempre più in pendenza.
«
Aspetta,
no! »
Si
strangolò
tra
gli affanni,
tentando
di fermarlo,
ma Vegeta prendendo
un balzo più disperato che coraggioso la trascinò
giù
nel
burrone ed insieme si lasciarono cadere nel vuoto, le
loro grida confuse con quelle dell’enorme animale
che li inseguiva.
La potenza e il
fischio del vento
si insinuarono nelle loro divise da pirata e la sciarpa del capitano
perse tutta la neve, mentre si trovava sbatacchiata al rimo del vento
che urlava forte nella bufera di neve.
Il terreno intanto si
faceva
sempre più vicino sotto di loro, ogni istante che passava.
Vegeta, sforzando di
tenere
aperti gli occhi contro i mostri che la neve creava
nell’aria,
afferrò la donna stringendola a sé e, quando vide
la discesa farsi
meno in pendenza, perché addolcita dal cadere della neve,
afferrò
lo scudo sulla schiena, sedendovisi impacciatamente sopra,
perché
entrambi potessero scivolare via sedutici sopra, veloci come delle
perle lanciate nei sentieri di sabbia in riva al mare.
Due balzi
più tardi, seduti
l’una in braccio all’altro, ancora scivolavano
ancora
inaspettatamente vivi lungo la discesa della torre di ghiaccio,
schivando al meglio i massi appuntiti che si ergevano dal terreno e
ruzzolando verso il basso, come una scheggia fuori controllo.
Vegeta
maledì ancora una volta
la sua fortuna e il maledetto uccellaccio che li seguiva
maestosamente dall’alto dei suoi dieci metri di apertura
alare.
L’indomani
non avrebbe sentito
il fondoschiena per un bel po’. Anche se, al momento, la
questione
era arrivarci, all’indomani.
Bulma si stringeva
sempre più ad
ogni balzo al collo del capitano che, cercando di non soffocare nella
presa della donna, si guardava attorno alla ricerca del rapace, che
fino a poco fa volava scattante sopra di loro.
« Sembra che
l’abbiamo
seminato! » urlò per farsi sentire contro la forza
del vento che
pareva sospingere ancora di più la loro corsa verso il basso
e
mangiarsi le sue parole.
Un altro masso che
sbucava dal
terreno e che lo colpì nella discesa lo fece urlare di
dolore e
Bulma sbarrò gli occhi.
« Sembra di
no! »
La grossa bestia,
infatti, era
improvvisamente sbucata dal nulla davanti a loro e, frapponendosi tra
loro e la via di fuga, si chinò famelica per fare del pasto
un sol
boccone.
La donna
urlò, ma Vegeta non si
fece trovare impreparato: afferrò lo scudo da sotto e lo
frappose
tra i loro corpi e il becco affilato che incombeva su di loro. La
bestia venne stordita dall’energia proveniente dallo scudo
sollecitato dalle sue fauci e mollò la presa. I due le
sfuggirono
ancora una volta, scivolando via veloci.
Tra il crollo delle
rovine della
torre che si sgretolava attorno a loro, proseguirono miracolosamente
la loro discesa, trovandosi a fare lo slalom tra le alte forme dei
massi che uno dopo l’altro, come l’effetto di un
letale domino,
avevano iniziato a crollare sulla discesa.
Si strinsero ed
urlarono quando
l’ultimo pezzo di roccia crollò appena sopra di
loro e li sfiorò
per un pelo. Così sfiancati e inzuppati di neve si
ritrovarono
ancora l’una nelle braccia dell’altro, sollevati
per aver
scampato da morte certa. Il loro sorriso, però,
durò solo per
qualche istante perché stavano raggiungendo a tutta
velocità un
sassolino che, sfortunatamente, era sul loro tragitto.
Volarono in aria,
leggeri come
piume, volarono sopra le ali dell’Aquila, finché
questa, ancora,
non gli si piazzò davanti a fauci spalancate.
Le iridi
dell’aquila si
confusero con il soffio della neve, il giallo innaturale degli occhi
che rompeva il silenzio del bianco, come una stella enorme pronta ad
inghiottirli: Vegeta però, prima di venire inglobato dalla
famelica
ed enorme stella, notò una frattura nella roccia,
un’increspatura
di qualche metro, ma sufficiente per scivolarci dentro e sfuggire
ancora alla morte.
Lasciò
scivolare Bulma di lato,
tenendola salda per la mano: lo scudo virò veloce a destra,
sollecitato dall’equilibrio sbilanciato, e come la bestia
aveva
rapidamente aperto la bocca per mangiarli, così rapidamente
scivolarono nell’increspatura, sparendo dentro la grotta di
ghiaccio.
Schegge di ghiaccio e
lunghe
stalagmiti scendevano lungo i bordi della caverna e la superficie
liscia permetteva allo scudo di slittare verso l’uscita,
ovunque
questa fosse.
Non poterono fermarsi
un secondo
per orientarsi nel paesaggio blu che l’Aquila, dietro di
loro,
ruppe la parete vitrea e sprofondò con loro nella grotta.
Vegeta
accelerò ancora sullo
scudo perché questo acquisisse più
velocità, ma la creatura li
stava raggiungendo, sempre più lesta e sempre più
letale, facendosi
spazio tra le vie anguste della caverna, spaccando le pareti e i
sentieri di acqua con le lunghe ali celesti.
Le file di stalattiti
e
stalagmiti scorrevano tutt’intorno e ostruivano il passaggio,
costringendoli a pattinare lungo il flebile sentiero gelato che
scorreva dentro la torre, come un sentiero verso morte certa, quando
ad un certo punto si scorse una luce di lato, in lontananza. La luce
verso l’uscita.
Il capitano non perse
tempo e agì
più scattante della volpe del Deserto: piantò il
pugnale che aveva
usato nell’arrampicata nel suolo di ghiaccio e, usandolo da
perno,
lo usò per voltare la loro fuga nella direzione della luce.
Lo scudo
vibrò pericolosamente,
ma prese la via per l’uscita, l’Aquila ancora che
avanzava ogni
metro di più verso di loro.
Tutto durò
meno di respiro.
Bulma vide
l’Aquila farsi
sempre più piccola e la luce sempre più intensa,
finché non si
trovarono ancora a volare in aria tra le ali della bufera, mentre la
grande Aquila venne bloccata, schiacciata sotto le rovine della torre
che per via del movimento delle sue grandi ali stava crollando,
intrappolandola nella sua morsa fatale.
Precipitarono verso il
basso,
verso la nave, tentando di afferrare l’uno le mani
dell’altra,
sbracciandosi nell’aria fredda e graffiante di neve.
«
Sì, signore, eccoli qua... »
Le urla nel cielo
fecero alzare
la testa al secondo sulla nave che si rimise in testa il berretto,
pronto per riaccogliere i due venturieri. Radish si fece, invece,
consegnare l’ennesimo soldo da parte di Toma, ormai destinato
a
perdere qualsiasi tipo di scommessa contro il mozzo, ma questa volta
fu ben felice di provvedere alla riscossione del debito.
Le urla del capitano e
dell’ambasciatrice impattarono contro le vele
dell’albero
maestro, che si allentarono contro il loro peso, attutendo la caduta
e poggiandoli delicatamente sul suolo del ponte.
Vegeta
abbracciò Bulma, per
evitare sbattesse contro il ponte e lei si strinse forte contro di
lui, con ancora in corpo l’adrenalina della caduta. La vela
attorcigliata attorno, come il bozzolo protettivo di una crisalide,
li accompagnò dolcemente sul ponte, custodendoli in un caldo
abbraccio.
Da sotto la pesante
carezza della
vela, il capitano si tirò su il cappello che gli era
scivolato sugli
occhi e guardò l’ambasciatrice.
« Fatto!
Come avevo... » si
specchiò un istante di troppo negli occhi azzurri della
donna, più
gentili rispetto a quelli dell’Aquila e più caldi,
nel guardarlo.
« ...previsto »
Bulma si sciolse in un
sorriso di
stanchezza, ma anche di gratitudine e strecciò le mani dal
collo del
capitano, lasciandole scivolare dolcemente lungo le sue spalle, come
in una lenta carezza.
Il capitano stava per
leggere
qualcosa di più negli occhi dell’ambasciatrice,
quando la vela che
li avvolgeva venne tolta dalle braccia nerborute, ma nervose della
ciurma.
Quando li videro, gli
uomini
spalancarono gli occhi.
« Bulma!
»
Subito, la accolsero a
braccia
aperte, aiutandola ad alzarsi ed assicurandosi che stesse bene,
stringendosi attorno a lei come dei cari amici che non vedevano da
tempo un compagno di avventure tanto amato.
Vegeta ovviamente
rimase lasciato
a terra, non scorto e soccorso da nessuno.
« Ti
facevamo bella che morta
per sempre! » si commosse Turles, precipitandosi ad
abbracciare la
donna, nel frattanto che la ciurma si mostrava emozionata
nell’averla
nuovamente a bordo. Broly le si accostò subito, stringendola
tra le
braccia in un abbraccio di traboccante affetto. Gli altri non furono
da meno: tra preoccupazioni e raccomandazioni sussurrate con affetto,
si premurarono di assicurarsi che non avesse un capello fuori posto.
Il capitano tiratosi
su alla
bell’e meglio, si stiracchiò, invece, la schiena.
« Oh,
» iniziò, « io... sto
bene, sul serio… »
La ciurma
continuò ad ignorarlo,
prestando attenzione a come Bulma respirasse o a come camminasse, nel
caso sfortunato si fosse slogata una caviglia, o peggio!
« Mi
commuove, vedervi
preoccupati... »
Un osso della schiena
gli
scrocchiò in modo sinistro, ma nessuno parvene curarsi.
In fin dei conti Bulma
era troppo
stanca ed infreddolita, poverina! E se non avesse avuto appetito?
Chissà quanto l’aveva spaventata quella bestiaccia!
Il capitano fu sul
punto di
lanciare qualche ordine piccato, affinché scendessero a
riprendere a
spaccare le lastre di ghiaccio che ancora bloccavano la sua Saiya,
quando il rompo di un tuono lo fece voltare verso la grande torre di
ghiaccio.
Gli uomini videro
questa
scivolare verso il basso e le enormi lastre di pietra cadere come i
fiocchi di neve verso il basso, che ora si erano via via affievoliti.
Il pianeta tremò sotto di loro e le pietre ruppero le lastre
che
avevano ricoperto il pacifico deserto di sabbia, liberando
così la
nave dalle spire feroci che l’avevano incastrata al suolo.
La ciurma esplose in
un boato di
gioia e Vegeta non poté fare a meno di sorridere, dopo aver
cercato,
ancora una volta, lo sguardo luminoso dell’ambasciatrice.
Ora potevano
finalmente ripartire
verso lo spazio, verso la Costellazione della Fornacei.
La bonaccia che
fischia sui mari
di terra, quelli ricoperti di schiuma salata e di acqua profonda, si
ricordava probabilmente ancora dei primi tentativi dell'uomo di
navigare sulle acque, quando questi si erano avventurati su una
piccola nave, con il loro bagaglio di sogni e speranze a bordo.
Il pacifico mare dello
spazio,
secoli prima, aveva visto confluire migliaia di piccole navi dentro
il suo bacino: queste, come un cucciolo di falco che non sa se
volare, ma è attirato dall’aria perché
scritto nel suo destino,
avevano poi spiccato il volo. Le grandi navi e i velieri avevano
così
continuato a far sbocciare le loro vele man mano sempre più
forti e
tecnologiche, all'aria dell'Eatherium. Poi l'Universo non aveva avuto
più confini se non, forse, il desiderio dell'uomo a fare da
spinta o
da freno alla bramosia di conoscere.
Ogni stella del Cosmo
che
sgorgava di silenziosa magia aveva rappresentato un appiglio, una
speranza o un'anima che i marinai volevano ricordare e verso cui, nei
momenti di malinconia, confluivano la mente, trasmettendole i loro
ricordi.
Nello specchio
profondo dello
spazio, piatto come la superficie di un lago, ma movimentato nei
giorni di pioggia, i navigatori esprimevano i loro desideri e,
partendo dal cuore, lasciavano scivolare il desiderio verso il mare.
Questo s'agitava debolmente tra le onde per poi alzarsi lento verso
l'alto e, come una lanterna di carta, salire verso le lanterne
dell'Infinito. Il loro desiderio s’incastonava, poi,
nell'intreccio
delle sorelle luminose. Le stelle, custodi dei ricordi e delle
preghiere, non erano venute mai meno ad un voto e anche nei momenti
più bui avevano accompagnato i marinai verso la via di casa.
Le lanterne di carta
ora
illuminavano a migliaia, grandi e piccole, blu e rosse, il loro
viaggio; facevano risuonare la loro luce nello scivolare lento e
costante della nave Saiya nello spazio e nel tempo. Campane di luce
risuonavano al vento, investendo di piena potenza le ali della nave
ed incoraggiando il moto dei motori a propulsione.
La nave sfrecciava
così veloce
sulle scie di ghiaccio e lasciava disegni di polvere al suo
passaggio. Bulma si lasciò cullare ancora una volta dal moto
costante del vento tra le corde attorno all’albero maestro e
ai
contorni della bolla di energia che avvolgeva come un panno la nave:
l’atmosfera nello spazio aperto variava ad ogni parsec
attraversato, variando di grandezza e profondità come una
bolla di
sapone.
Le risate della ciurma
in
sottocoperta si sentivano ovattate dai passi sul ponte, gli
schiamazzi dei marinai che di solito saturavano la nave avevano
lasciato lo spazio al fischio silenzioso, ma potente
dell’Eatherium.
Il capitano reggeva
tra mani
sicure il timore e s’inondava di polvere solare, le dita di
luce a
tingergli le vesti e i capelli.
Gli
si
avvicinò a passo lento, quasi
timidamente, mentre questo pareva intento a godersi il
soffuso silenzio non interrotto dai continui chiacchiericci della
ciurma.
Dopo
l’ennesimo shot di rum era
uscito, un po’ barcollante, un po’ stanco, da
sottocoperta e
aveva dato il cambio a Nappa, che si era quasi tuffato in stiva per
bere con i compagni. L’ambasciatrice dopo essersi resa conto
di
aver bevuto anche lei qualche bicchiere di troppo si era mossa in
punta di piedi per andare a lavarsi all’aria astrale del
Cosmo.
Seguì
anche lei lo sguardo di Vegeta e trascorse con lui qualche istante di
eternità nel mezzo delle costellazioni attorno. Qualche
lontana
creatura celeste faceva capolino all’orizzonte, per poi
rituffarsi
sotto la superficie e spruzzare nel cielo i cristalli di luce:
svanivano e comparivano nel tramonto delle stelle, svanendo tra le
nuvole di
specchio.
La donna sorrise, dopo
aver preso
un respiro di pacifica tranquillità.
«
Vegeta… »
Il capitano la
scrutò con la
coda dell’occhio e con un sorrisetto anticipatore sul volto.
« Grazie...
per avermi salvata »
L’altro
ridacchiò, sfoderando
un sorrisetto ancora più famelico, ma si soffermò
davanti
all'infinito della sua anima.
« Non
c’è di che… »
sussurrò quasi mesto, lasciandola avvicinare alla posizione
di
comando, accanto al timone. Trascorse qualche goccia di silenzio,
finché lei non parlò ancora.
« Questa
vita è giusta per
te... »
L’altro rise
di un sorriso
sincero questa volta, che gli colorò leggermente le guance e
pronunciò le sue fossette ai lati del volto liscio e
giovane.
«
Già… non sono fatto per la
terra ferma. E tu? Sei fatta per la terra o per il mare? »
Bulma
sospirò come se la domanda risvegliasse una dolce sinfonia
celata,
che se fatta risuonare avrebbe
portato alla
mente memorie velate
e malinconiche.
« Ho sempre
amato il mare. Ho
anche sognato di passarci la vita, ma non era nel mio destino
»
E nei suoi occhi si
spense la
sinfonia che si era improvvisamente creata.
« Ho delle
responsabilità a
Syracysis, su Earth24 e nelle Regioni del Sud… »
Il capitano trattenne
quasi il
respiro a vedere la sua luce farsi improvvisamente soffusa e non
riuscì a trattenersi. Scosse la testa: « Devi
proprio lasciar
perdere? »
«
Sì... »
Bulma
sospirò e fece per
allontanarsi dal timone, probabilmente per andare ad ammirare le
stelle a prua, accanto alla polena riempita di acqua e cristalli.
Vegeta però, fu più lesto e le afferrò
la mano, invitandola a
restare. Posò poi la sua mano sul timone, lasciando che
fosse lei
per qualche istante e per qualche momento del loro sogno a guidare la
Saiya.
La donna lo
guardò stupita e
l’uomo rispose al suo sguardo con un pizzico di quella che si
rivelò essere fiducia. Una fiducia appena sgorgata tra di
loro, che
condusse la donna a stringere con più determinazione i
comandi della
nave e a guardare verso la Fornace con aria sicura.
Il silenzio riprese lo
spazio tra
di loro, interrotto solo dal fruscio dei raggi di stelle, che
facevano vibrare le vele in un basso ronzio. Lo specchio dei mille
soli a scaldare le loro vesti di un caldo e forte colore di stelle.
« Ho girato
tante galassie. Ho
visto cose che nessun altro ha visto… ma nulla, nulla
è
paragonabile allo spazio aperto… »
Leggere onde di
schiuma
ghiacciata sfumarono e volarono via lungo la murata e Bulma
virò
leggera verso destra, mantenendo costante la via in direzione della
stella che li guidava.
« Ed
è questo quello che hai
sempre voluto? »
Vegeta sorrise ancora
di un
pacifico e calmo sorriso.
« Non
proprio… qualche anno fa
io e Goku parlavamo di arruolarci nella Marina Reale e servire
Earth24 fianco a fianco. Ma diventando più grandi, la nostra
vita ha
iniziato a cambiare… lui è il principe. E
io… »
« Sei
diventato il principe dei
pirati... »
Le stelle dei suoi
occhi zaffiro
rispecchiarono quelle del cielo e i due ridacchiarono per
quell’attimo di complicità.
«
Però non sono mai stato
invidioso di lui, ho sempre desiderato il mare. Finché una
mattina
non è arrivata in porto una nave… »
Le pieghe del mare del
Cosmo
parvero assumere una piega più lunga, quasi misurata alle
parole del
capitano, che abbandonò l’aria di certezza e
sicurezza del suo
titolo e gli occhi tinti del nero più profondo si
rabbuiarono.
« A bordo
della nave c’era il
futuro di Goku... »
La donna lo vide
alzare lo
sguardo verso le Costellazioni attorno, per poi riabbassarsi al
suolo, quasi colto da timidezza.
« Era la
cosa più bella che
avessi mai visto... »
Le vennero i brividi
per il tono
reverenziale con cui pronunciò le parole e un sussurro si
spense
sulle sue labbra: « Cosa c’era su quella nave,
Vegeta? »
Le milioni di stelle
che li
circondavano in quel momento si condensarono tutte nei suoi occhi e
Bulma sentì il fuoco dell’anima del capitano
iniziare, lentamente,
a bruciare la sua. « C’eri tu…
»
« Lui ti ha
aspettato sulla
banchina, con una delegazione di benvenuto. Presto ci sarebbe stata
la festa per il vostro fidanzamento ufficiale... »
Un velo di dolore e
malinconia
colorò i suoi occhi, mentre raccontava.
« Io sono
partito sulla prima
nave senza mai voltarmi indietro »
Si voltò
poi a guardarla,
intrecciò il respiro nel suo e le sue dita tra quelle
delicate
dell’ambasciatrice, tracciandone con i polpastrelli i
lineamenti
delicati, come a contemplare nei suoi tratti la bellezza delle
stelle.
« Fino ad
ora... »
Per
un istante Bulma chiuse gli occhi e si abbandonò al dolce
suono
delle onde, mentre le labbra del capitano si avvicinavano piano e
delicate
alle sue, sfiorandole
dolcemente, come si sfiora un fiore, ma all’ultimo
l’ambasciatrice
posò una mano tra di loro e l’aria attorno a loro
si fece
d’improvviso più fredda.
I suoi occhi gli
raccontarono la
tristezza di non poter compiere quel gesto per via delle
responsabilità che solcavano le sue spalle e per via
dell’amore,
sebbene fraterno e amichevole, con Goku. Vegeta vi lesse anche il
dolore per una vita che tanto aveva bramato da piccola, ma anche
aveva dovuto tralasciare come un sogno infranto e a cui nessuno,
nemmeno lei, aveva più creduto.
Il capitano le
afferrò piano le
mani cercando il suo sguardo, che si era annebbiato di lievi lacrime,
e cercò ancora un contatto minimo, un poco più
prolungato con la
sua anima, per ammirarla anche solo per un ultimo istante e poi
lasciarla andare per sempre.
Poi il cielo
scoppiò sopra di
loro.
Una bomba di luce li
travolse
improvvisamente e si dovettero reggere forti al timone e alla
balaustra, per evitare di essere trascinati a terra. La Saiya
vibrò
di violenta energia e i marinai salirono di corsa sul ponte, scossi
dall’esplosione attorno a loro.
Le stelle iniziano a
diradarsi
sempre più, come trascinate indietro e nella direzione
opposta al
loro cammino: queste, come mille meteore, infatti, tracciarono lo
spazio e cancellarono le Costellazioni, portando lontano con
sé la
scia di mille pianeti e delle migliaia creature di mare.
L’universo
divenne più nero,
spento dalla mancanza delle mille luci, finché tutte le
stelle
attorno non tornarono poi indietro: schizzarono in avanti, come
attratte da una molla che dapprima allunga e poi rilascia,
incastrandosi e perdendosi in quello che si rivelò la stella
della
Fornace, la stella di Tartaro, il regno di Lazuli.
Erano arrivati alla
meta.
Continua….
Tan tan
taaaaan!
Siamo finalmente
arrivati, il
prossimo capitolo sarà il momento clue, il momento in cui
capiremo
il perché di tutta questa bella storia.
Devo scusarmi per il
ritardo, ma
queste settimane si stanno rivelando un attimo più cariche
di robe
da fare del previsto.
Ringrazio tutti voi
che avete
recensito, passerò presto a rispondere e grazie a tutti
coloro che
leggono!
Vi state rabbuiando
pensando al
mancato bacio tra i due?
Eh, che ve devo
dì…
Al prossimo capitolo,
non vi
garantisco sia questo weekend, nel caso il prossimo!
Intanto, non mi resta
che
augurarvi buon Natale <3
Passatelo serenamente
e assieme
alla vostra famiglia!
Un abbraccio
megagigante da Zappa
iIn direzione della
Costellazione della Fornace, poco tempo fa, è stata scoperta
la galassia più distante e antica mai conosciuta, a 13,2
miliardi di anni luce di distanza;
si trova a sud di Orione e si tratta di un’autentica
“finestra” verso l’universo
extra-galattico: è costituito degli ammassi galattici tra i
più grandi nel raggio di 100 milioni di anni luce dal nostro
piccolo buco di Terra. È stata osservata da Hubble e in
mezzo a tutte queste galassie, in particolare dentro la super-galassia
NGC 1316, c’è un buco nero centrale
super-massiccio da cui prendo ispirazione per la stella morta di
Tartaro.
Adoro ‘ste cose. Ovviamente Wikipedia docet.
|
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Capitolo 9 *** Tartaro ***
Capitolo
nono
Tartaro
«
Una volta rubato il Libro, prosegui verso Ovest, oltre le Dodici
Galassie e oltre la Costellazione della Fornace, finché non
arriverai alla mia stella morente. Una volta lì, prosegui
oltre ciò
che tocca la luce… ti ritroverai a Tartaro, il mio regno del
Caos »
Mentre
il vento sfrecciava attorno alla bolla di energia che conteneva la
piccola nave Saiya, queste parole risuonarono nella testa del
capitano.
Scrutò
con attenzione l’orizzonte e i suoi occhi brillarono di nero
fumo:
erano finalmente arrivati alla stella nera e ora solo la morte poteva
fermarli.
Le
stelle accanto, come attirate da un circolo di energia sempre
più
furioso e veloce, avevano iniziato ad essere attirate in un vortice
che si schiudeva nell’immensa luce della Stella della
Fornace.
Al
centro, un enorme Buco Nero governava imponente la scena, ruotando su
se stesso: la luce divina in parte brillava ed emetteva energia, in
parte si ritirava in sé stessa, ammaliando le Costellazioni
e
trascinandole nel silenzio assordante del vuoto.
Onde
gravitazionali trascinavano materiale
cosmico
nella sua direzione, Vegeta si sentì afferrare anche
l’anima e si
sentì
chiamato
sempre
di
più
verso
il nero.
La
ciurma, una volta salita sul ponte, osservò sbalordita lo
spettacolo
trascendente
che
gli si poneva davanti e in pochi tra loro realizzarono la
portata di ciò
che
nessun
marinaio prima
di loro
aveva mai visto.
Le
onde dell’Oceano
di stelle si congelarono
ed
evaporarono in pochi
istanti,
il vento si
disperse
come uno spirito in fuga:
i
cristalli
di ghiaccio, che
solitamente baciavano calmi lo scafo della nave,
divennero acqua,
gas,
e
poi vennero
risucchiati
dentro il profondo buco che si estendeva davanti a
loro e che
non lasciava vedere null’altro,
se non se stesso. Nessuna stella, nessuna meteora, nessuna creatura
di mare si poteva scorgere oltre
la porta oscura, solo e
soltanto nero,
che pareva
scuotere
con
rabbia
l’Universo.
«
Turles! Dammi la situazione! » urlò il capitano al
mozzo sul ponte,
che abile come un ragno s’arrampicò in cima
all’Albero Maestro,
ponendosi sulla coffa della nave per osservare oltre.
Quello
che vide, però, fu solo l’orizzonte dello spazio
che era giunto,
ormai, al suo termine.
Al
di là della nave, ad una manciata di parsec di distanza,
l’Universo,
con tutti i suoi mondi variopinti, le sue mille sfumature di vita e i
suoi colori finiva nella bocca del nulla, nella bocca del Regno di
Lazuli. Turles sbiancò e biascicò al capitano che
erano arrivati
alla meta.
«
Lì non c’è niente! Lì
finisce il mondo! »
Gli
uomini si guardarono intimoriti tra di loro.
«
Sgancia, l’Universo ha una fine… »
sussurrò Radish a Toma, con
meno entusiasmo del solito.
I
venti urlarono sempre più forte, soffiando verso il grande
Buco
Nero. E loro stavano per finirci contro.
La
natura del
Buco Nero che
galleggiava davanti a loro
era sublime,
come la natura della Dea che l’abitava sin
dai
tempi antichi.
Nato
da una quantità straordinaria di materia concentrata in uno
spazio
minuscolo e con un centro
gravitazionale
quasi infinitamente forte da chiamare a sé qualsiasi essere
vivente
riducendolo in particelle elementari, governava da migliaia di anni
sul fondo del mare astralei.
Si
narrava che Lazuli, non
voluta sull'opuscolo
dagli altri Dei
Cosmici,
avesse
creato questo
luogo di morte e
di
nulla per smascherare
l’illusione che gli Dei spacciavano come
“vita”: dentro al
profondo nulla
si erano raccolte, nei centinaia e centinaia di secoli, tutte le
anime morte, i mondi perduti e i tesori persi dagli
uomini e dagli
abitanti delle Costellazioni.
Anche un ricordo trascurato, così
come
l’anima della persona
legata a quel ricordo, veniva trascinato
nel nero e per sempre lasciato
lì, a galleggiare in un
mondo senza
spazio ne
pensiero.
La
Dea aveva costruito saggiamente la sua casa, rinchiudendola dentro
una visione cosmica di spettacolare bellezza: il Buco Nero,
così
come la sua anima, era in grado di risucchiare e ridurre ad atomi
tutti uguali qualsiasi vita lo sfiorasse ed osasse avvicinarsi alla
sua traiettoria.
Colma
di rancore e di odio, infatti,
Lazuli
aveva col tempo iniziato a derubare
la vita dai pianeti e dagli
abitanti che
si erano
consegnati al suo Caos.
Ne
scioglieva
il ricordo
in nuvole
di polvere e
lasciava
che queste
si amalgamassero
all’essenza
della sua stella morta.
La
stella morente
era
così forte da spezzare anche la luce eterna
che dominava l’Universo,
assorbendone le particelle e sciogliendo
la sua
speranza in oblio.
Bulma
si sentì piccola davanti alla visione sublime e il suo cuore
iniziò
a battere a ritmo
delle
onde d’energia che fluivano verso il mostro. Si chiese quanta
morte
e quanta
vita potesse trasportare
l’immenso buco di energia e
percepì i suoi sensi e pensieri farsi leggeri, volatili,
quasi
strappati via dalla forza del vento.
Le
ali magnetiche della nave, mosse della luce dei soli e del vento
solare, vibrarono più intensamente e il capitano, che ancora
reggeva
saldo il timone tra le mani, si rese conto che il campo magnetico del
Buco Nero non lasciava loro altra via, se non quella di essere
trascinati all’interno del margine esterno. Era il momento di
agire
in fretta, di trovare una soluzione che permettesse loro di sostare
lungo e non oltre il bordo esterno del raggio energetico,
cosicché
non venissero trascinati dentro l’Orizzonte degli Eventi, che
non
avrebbe lasciato loro via di fugaii.
Il
tempo ticchettò
più in fretta e il capitano percepì
sfuggire preziosi
secondi
dalle dita.
«
Prosegui oltre ciò che tocca la luce… ciò
che tocca la luce
»
Sussurrò
come una nenia labile.
Cercò
un filo logico
e frugò
nella
mente e nei ricordi,
tra
parole invisibili, alla
ricerca di
una
traccia, un punto fermo
a
cui attraccare
i pensieri, come
una nave attracca
al
suo porto.
Bulma
lo vide
soppesare i pensieri,
alla
ricerca di una via, finché
non gli si illuminarono gli occhi con determinazione.
Il sorriso che fece le fece venire i brividi.
«
… Vegeta? »
«
Uomini! » gridò il capitano, precipitandosi
giù dalle scalette
verso il centro della nave, « tutti ai vostri posti! Liberate
le
vele e aspettate il mio ordine! »
L’equipaggio
lo guardò come se il vento gli avesse risucchiato il
cervello, ma
Vegeta non si fece trovare impreparato davanti alla loro incertezza.
«
Subito! Correre, correre, correre! »
Gli
uomini, allora, scattarono ai suoi ordini con brio pur non capendo
l’idea del loro comandante. Nappa gli si fece davanti, con il
cuore
in gola.
«
Vegeta, come ne usciamo vivi? »
«
Fidati di me! Turles, fissa il pennone alla vela di tricchetto!
»
Turles
lo osservò stralunato. Mai il capitano aveva dati degli
ordini tanto
controversi.
«
Ma così ci fermiamo proprio! » si
lagnò.
«
Eseguì! »
Il
mozzo non
poté fare altro che eseguire: si
alzò velocemente fino alla coffa, attraversò con
equilibrio e
delicatezza il pennone dell’albero fino a giungere alla corda
che
teneva fissa la tela di tricchetto. Levò il nodo e con
questa
penzolò nel vuoto fino all’albero posizionato a
prua.
I
cristalli di ghiaccio si facevano sempre più radi attorno a
loro e
la barriera protettiva strideva per la forza del vento magnetico.
«
Mollare le vele! Tagliate tutte le trozze, scattare, scattare,
scattare! »
La
ciurma volava veloce lungo il ponte, eseguendo alla perfezione ogni
comando, nonostante la paura che strozzava
il respiro.
«
Pennone di poppa verso poppa! »
«
Ma è- »
«
Da pazzi, lo so! »
Dettò
gli ordini come il capitano di una nave pronto all’assalto di
un
veliero avversario, come il comandante di un equipaggio pronto a
scattare verso la morte in mezzo alle stelle e gli uomini lo
seguirono con trepidante fiducia, eseguendo con attenzione ogni suo
ordine.
«
Vela di tricchetto a babordo, mollare a poppa, issare le vele di
prua! »
«
Tirate! »
Quella
si creò, grazie alle mani esperte e veloci dei pirati, fu
una nave
con le vele poste ai lati, quasi a ricordare una caverna che si apre
al mare per far entrare, tra i suoi anfratti, i flutti
d’acqua: le
lunghe e forti ali, infatti, erano state poste lungo il lato lungo
della nave e, invece che attraversarla lateralmente così
com’è
consono alla navigazione, l’attraversavano longitudinalmente,
gonfiandosi ora deboli, ora forti ai lati, ricreando le ali di un
aquilone che s’innalza con l’aria che gli scorre
accanto e
tutt’intorno.
La
nave, cosparsa di energia e con le vele pronte a far defluire
l’aria
dal basso verso l’alto, si avvicinò sempre
più veloce al Buco
Nero e di lì a poco, avrebbe navigato lungo il suo bordo
esterno,
senza tangere il suo Orizzonte degli Eventi. Almeno, questo era il
piano.
Il
vascello si avvicinò, così, alla stella,
finché non giunse al suo
bordo. Le stelle attorno strisciarono con loro e il capitano
comandò
tutti gli uomini al centro della nave.
Ogni
uomo si assicurò attorno alla vita la sicura che, come una
corda di
sicurezza, li legava all’Albero Maestro e garantiva loro di
non
scivolare loro fuori dalla nave, nel caso in cui le cose fossero
andate per il verso sbagliato. Bulma si legò anche lei e
cercò il
capitano, che ancora si assicurava la tenuta delle corde e la potenza
del vento sulle ali. Le passò accanto, svelto, le tese la
mano e la
condusse con sé nei suoi passi verso la cuna della nave e
verso
l’eternità che li stava accogliendo.
«
Fissare tutte le vele, tutti al centro della nave! »
Si
portò a prua, sopra il canto della gomena e si
specchiò nel vuoto sotto di lui. Bulma
gli si strinse accanto e insieme guardarono il Buco
Nero.
«
E preghiamo gli dei… forse tra poco li incontriamo
»
Il
vento
si fece più
rabbioso,
la piccola bolla di energia che aveva conservato l’ossigeno e
la
temperatura di sopravvivenza bruciò
la sua energia contro l’aria bollente che
via via veniva risucchiata
dal mostro. I
secondi si fecero più lunghi, il tempo si dilatò
e le vite dei
pirati furono
appese ad un filo, pronto per essere tagliato.
Lazuli
giocò con la loro vita, pizzicando le corde delle loro anime
come i
suoni che nascono da una lira, finché l’Eatherium
si chetò: la
nave attraversò le nuvole di polvere che galleggiavano
attorno al
nucleo, superò il vuoto e, sul bordo
dell’Orizzonte, iniziò a
precipitare.
I
pirati si aggrapparono alle corde, Bulma afferrò la
balaustra per
reggersi e Vegeta si sentì l’aria risucchiare dai
polmoni.
La
nave precipitò nel vuoto, le corde tese e le ali chiuse,
pesanti,
come le ali di un uccello bagnate dalla rugiada che non ce la fanno
ad aprirsi.
Le
vele sventolarono
nel nulla, finché l’aria accumulata
nella caduta
non le riempì: le cime si rizzarono,
le
ali si dilatarono colme
di
vento
e
il
vascello brillò come
una crisalide.
Le
ali
si
schiusero
come i
petali
di un fiore raro e,
piano piano, il
battello
prese quota.
L’Universo
attorno a loro, così come tutto
il materiale cosmico
che veniva risucchiato
nel vortice della stella, brillava
ancora
sulla
scia dell’Orizzonte degli Eventi, superandoli
e
cadendo lentamente
dal
bordo esterno come le foglie di un fiume quando fluiscono
in un vortice
d’acqua, svanendo
dalla superficie. Tutte
le
stelle caddero nel
vortice,
ma la nave rimase al suo posto.
Fluttuò
snella
sulle
onde di
vento, oscillando a ridosso del limen che li separava dalla stella,
fino
a quando
calmò il suo incedere, armonizzandosi
alla corrente esterna.
Gli
abitanti della nave si raddrizzarono in piedi e, increduli,
osservarono la perla Saiya che, sebbene fosse irriconoscibile con le
vele poste come le ali di una farfalla, li manteneva galleggianti nel
vuoto, il Buco Nero sotto di loro, fischiante di luce.
Il
capitano si rizzò in piedi.
«
Ha funzionato… » sussurrò,
boccheggiante. Gli tremarono
leggermente le gambe e si dovette appoggiare alla balaustra accanto
alla prua, Bulma sempre al suo fianco, frastornata e avvolta di
adrenalina, boccheggiò.
«
Ha funzionato? » domandò ancora e Nappa e gli
altri cacciarono un
urlo di gioia, troppo ebbri di vitalità e colmi di vita, sebbene
davanti
al burrone diretto
per
l’eternità.
«
Ce
l’hai fatta, Vegeta! » lo riscossero i suoi uomini
e mirarono
ancora davanti a loro, non osando porre la mente più in
là del
confine su cui solcavano,
non oltre la linea dell’Orizzonte che separava la loro
vita
dalla morte. La
soglia per il regno di Lazuli sostava davanti a loro, in attesa che
fosse solcata.
Poi,
però, si spezzò un gancio, cadde
una corda
e parte della vela di mezzana rovinò a terra e degli uomini
dovettero correre per
evitare che facesse altri danni o che
anche
le altri ali perdessero quota. La
piccola
e coraggiosa
Saiya non avrebbe resistito a lungo sulle
onde magnetiche create dal Buco Nero e la sua potenza gravitazionale
presto l’avrebbe
trascinata
a sé.
Vegeta
contemplò
le vele e, pensieroso, scrutò
il nero sotto di loro. Prese
la sua decisione.
«
Cabba, tutta a sinistra! »
«
Tutta a sinistra! » gli fece eco il pirata e la nave
virò,
posizionandosi sull’aere nebuloso lungo il lato destro,
costeggiando il nucleo con la murata di babordo. La scheggia nera
scivolò sulla corrente e si posizionò lungo
l’argine. Vegeta
strinse attorno alla vita la corda salvavita, afferrò
un’altra
corda e la legò con un nodo saldo alla corda di sicurezza.
«
Nappa!
»
«
Capitano! » scattò agli ordini il secondo,
avvicinandosi pronto al
suo comando.
Lo
considerò
con espressione seria, arrotolando la seconda corda lungo il fianco,
appena sotto il cappotto nero e la spada di luce.
«
Se non dovessi farcela, la nave è tua »
Il
cuore del secondo si strinse in una morsa a quelle parole e, dopo
qualche secondo, cercò di afferrare il capitano prima che
gli
sfuggisse definitivamente. Nappa lo tirò a sé.
«
La nave aspetterà il suo capitano »
Il
giovane comandante
si sentì investire dall’abbraccio di Nappa e dalla
potenza della
sua anima, che per un attimo lo
destabilizzò peggio del cupo
vibrare
magnetico
sotto
i suoi piedi.
Si
ritirò all’ultimo, come le onde
dell’oceano dopo aver toccato la
spiaggia piena di sabbia che brilla di emozioni colorate.
Annuì
serio, affidando i suoi pensieri alle Lanterne di stelle e si
posizionò al centro del ponte, gli uomini
tutt’attorno che lo
osservavano. Li guardò ad uno ad uno.
«
Signori! È stato un privilegio rubare con voi! »
Si
voltò e Bulma gli brillò negli occhi ad un soffio
dal naso, «
Io
vengo con te! » asserì
con tenacia e determinazione, « E non mi dire che il
Regno del Caos
non è posto per una donna! »
Il
capitano sogghignò e aprì il nodo della corda per
stringerlo
attorno alla vita della donna, attirandola a sé.
«
Questo non lo direi mai… » sussurrò,
per venire subito interrotto
da Broly che, svelto, si era anche lui arrotolato la corda attorno
alla vita, pronto a saltare con loro, guizzante di coraggio.
Il
capitano, però, gli tolse delicato la corda dai fianchi e
davanti ai
suoi occhi verdi ricolmi di avventura, gli rivolse il suo sorriso
più
sincero.
«
Hey, scusa, cucciolone, ‘sta volta no... »
Il
mezzodemone abbassò le orecchie e Vegeta gli
carezzò piano i
capelli di alghe verdi e vive.
Il
suo sorriso poi si posò su quello di Bulma e gli tese la
mano,
sfiorandole le nocche leggermente con le labbra.
Un
passo dietro l’altro corsero
verso tribordo, prendendo la rincorsa: si
lanciarono poi
dalla nave, lasciandosi
cadere
tra
le
onde oscure. La
corda che
li teneva legati
dopo
poco si
spezzò e quello che gli uomini videro dal ponte furono le
figure dei
due che scomparvero nel tempo di un respiro, amalgamate al
nero occhio che dominava l’Universo.
L’aria
era rarefatta, fatta di diamanti, di scaglie di luce colorata
che svanivano con un
tocco.
Le stelle, il Cosmo, la luce, tutto era unito e scomposto.
Cadendo
dentro il pozzo profondo del
Buco Nero, si
sentirono
amalgamati e spezzettati,
come se tutti gli atomi che li componevano fossero tremati
e poi si
fossero
sciolti
come
neve al sole.
Ogni
particella del corpo tornò alla sua forma principale, al suo
nucleo
di neutroni e protoni. Le componenti dei loro sogni e della loro
mente si scomposero e ricomposero in mille e più atomi.
Ogni
attimo di vita, ogni palpito di
cuore, ogni pensiero si annullò divenendo polvere,
poi vento, poi stella. Si sentirono
sciogliersi,
riunirsi, abbracciarsi,
scindersi cellula per cellula e diventare luce, pianeta, asteroide,
stella e lacrima di
cielo.
Videro
il resto dell’Universo farsi più veloce, come
se qualcuno avesse premuto
sull’acceleratore
del
tempo,
colsero
traccia del
futuro,
del
presente e
del
passato, tutti
collassati
nella pagina
di un libro.
La
gravità strappò
loro il cuore e l’ultima cosa che percepì furono
gli occhi blu di
Bulma mentre urlava il suo nome, poi il nulla.
Riacquistò
i sensi e si meravigliò di essere ancora viva.
La
sabbia strideva e graffiava sotto le sue ginocchia, l’eco
pesante
dei suoi respiri infastidiva
ogni tentativo di pensiero razionale. Bulma
prese
un forte respiro e aprì gli occhi, tirandosi
a sedere.
Si
ritrovò
immersa in
un deserto di sabbia dorata che pareva infinito come il
tempo. Un
paesaggio surreale attirò
la sua attenzione in lontananza,
sopra di lei,
verso
un
cielo notturno
ed
aperto
di stelle e di
fili leggeri delle Costellazioni,
che roteavano
armoniche.
Un
mondo di galassie, nebulose e Costellazioni catturò il suo
respiro e
per qualche secondo si sentì soffocare dal temibile silenzio
che riverberava
tutt’attorno.
Si
guardò attorno
e non
vide altro che immenso e freddo deserto dorato, calato nella notte
silente delle stelle. Nel
riflesso di nubi pigre e violacee all’orizzonte,
le parve
di
scorgere una figura che si muoveva sinuosa, che
però sparì in una nube di polvere biancastra.
Nel
silenzio del vento, un
corpo celeste scoppiò lontano sullo
sfondo,
fili argento
caddero a terra come stelle filanti che
si spensero centinaia
di metri più in là, soffocando il loro
impatto nell’arena, attutendo
la
pioggia di comete e asteroidi scaturita
dall’esplosione.
Nelle
pianure morte di Tartaro
tutto era congelato nel tempo, come se si
stesse
osservando millenni e millenni di storia dell’Universo
attraverso
la lente opaca
di un cannocchiale che vede lontano, ma che confonde la linea del
tramonto a
quella dell’alba e
non distingue bene l’orizzonte.
Una
nube di nera quiete le sfiorò la caviglia e Bulma
cacciò un urlo,
riconoscendo il lieve tocco di una mano fredda di
secoli. Si tirò indietro, incespicando
sulla sabbia e andando
a sbattere contro un
corpo abbandonato nella sabbia.
«
Vegeta! » gridò, facendoglisi
accanto e cercando di risvegliarlo. Lo girò di peso sulla
schiena e,
sotto le sue mani tremanti, man mano il capitano acquisì
coscienza,
emettendo
con
un gemito di dolore.
«
Bulma… » sussurrò e subito il fiato gli
si spezzò in gola quando
il suo sguardo si perse nell’immenso atrio di stelle.
Lo
aiutò ad alzarsi ed insieme
si
affrettarono verso un masso che emergeva più in
là tra le dune,
quando la sabbia sotto di loro iniziò
a smuoversi, smossa
dai loro passi. Man
mano che camminavano la sabbia iniziò
a scivolare più veloce, impedendo loro di camminare dritti,
ma
confluendo nelle onde dorate.
Raggiunsero
a malapena il masso, che le
dune si fecero d’improvviso
più ampie, frenetiche,
scivolose, iniziando
a muoversi come le pagine di un libro o come le onde del
mare quando soffia la bufera. Rotolarono nella sabbia, come dei
piccoli sassolini spazzati
dal vento, il
viso affondato nella
rena.
«
Bulma!
» urlò Vegeta, cercando di raggiungere la mano
dell’ambasciatrice
che come
lui, veniva trascinata via dalle onde di sabbia, incapace di lottare.
La
rena soffocò
le loro grida, finché
non smise di muoversi e dei passi pesanti tracciarono le
loro
impronte sul
terreno,
congelandosi
nel terreno:
Vegeta alzò allora
gli
occhi per
andare a fissarli
in
quelli
intensi e
bianchi della
Costellazione del Leone che
lo fissavano
bramosi, la
bocca di denti
affilati che
faceva
sfavillare
le stelle con i
suoi
ruggiti.
Le
Costellazioni del cielo li avevano circondati, attirate
dalla
loro
carne
viva e
pronte
ad eliminare
gli intrusi dal Regno
dei
dimenticati.
Pronte
letteralmente
ad
inghiottire le loro anime, così da non lasciare spiriti
vivi
a solcare le pianure morte di Tartaro.
La
donna
venne trascinata subito
in alto dalla
coda affilata dello Scorpione che
le
sfiorò le carni,
le chele le si strinsero
ai fianchi, stritolandole
il
respiro. Il
capitano senza
indugio
mise mano alla
spada
laser e si
precipitò contro il
gigante,
per venire, però, bloccato dal corpo imponente della
Costellazione del Toro che gli
si parò davanti,
sbuffando dalle narici aride nuvole di polvere cosmica.
Il
capitano strisciò sulla sabbia e tentò di tenere
lontano i due
mostri che lo
stavano circondando: vibrò la sua lama contro
l’attacco del Leone,
affondando la luce del cristallo contro le sue zanne, facendolo
indietreggiare in un guaito animalesco. Bulma, nel frattempo, era
riuscita a liberarsi dalle chele dello Scorpione, sebbene
l’imponente
Costellazione del Centauro la stesse braccando e cercasse di
schiacciarla sotto i suoi imponenti zoccoli. Vegeta
si trovò ancora
ad indietreggiare e a
schivare
i colpi assestati del Toro che non si
decideva a dargli tregua, finché la lama non
impattò contro uno dei
suoi corni, scintillando di energia.
Ansimante,
si
gettò contro lo Scorpione e
cercò con gli occhi Bulma, fino a quando non
incrociò lo
sguardo
di Orione che stava armando il suo arco di una freccia di luce,
pronto a scoccarla contro di lui.
Successe
tutto in un secondo.
Orione
fece scattare la sua
freccia
e questa tagliò
il fine etere, come la striscia di una stella cometa.
Il dardo dilatò
e restrinse il tempo e, sempre più vicino
alla carne viva del capitano, fece tremare la sua anima di puro
terrore.
Poi
una voce parlò e tutto si congelò nel tempo: la
spada di energia
che tagliava la chela dello Scorpione, le fauci del Leone ad un passo
dal suo corpo teso, la freccia di luce pronta a trafiggergli il
cuore.
«
Fermi,
bimbi miei! È
questo il modo di trattare un ospite? »
Una
nube di sabbia li avvolse, strappando
via
loro le armi e costringendoli a coprirsi gli occhi per via della
forte corrente. Dalla sabbia emersero delle rovine fatiscenti e si
ritrovarono al centro di una sala del trono di una antica reggia che
riecheggiava di tempi perduti e rigogliosi. Davanti
a loro un trono diroccato e un cadavere che urlava al nulla il
suo ultimo respiro. Le
stelle attorno ripresero il loro moto in silenzio.
Tirarono
entrambi un respiro di
sollievo
e, barcollanti, si guardarono attorno. Bulma
gli si strinse accanto, afferrandolo per l’avambraccio.
«
Confesso…
ora sì, che mi sono venuti i brividi… »
le
bisbigliò
Vegeta, ma la voce lo interruppe. Da dietro il trono, comparsa
dal nulla,
apparve, infatti,
Lazuli.
«
Bravo…
nessun mortale aveva raggiunto Tartaro prima d’ora...
» ridacchiò
«
Vivo, intendo… »
Si
accomodò sul trono, facendo svanire il vecchio re in una
nube di
polvere.
«
Mettiti comodo! »
Le
lunghe dita lambirono la superficie dello scranno e i capelli dorati
si confusero con la sabbia del deserto, facendo comparire ancora
più
inquietanti i
due
occhi di ghiaccio che li stavano scrutando.
Sentì
la presa di Bulma farsi più stretta e tremante sul suo
braccio e per
qualche istante gli si congelò il sangue nelle vene.
Ridacchiò in
un risolino forzato.
«
Bel posticino questo… »
«
Ti piace? Sto pensando di fare tutto l’Universo
così... »
La
dea avvitò
le dita, muovendo un paio di stelle all’Orizzonte, che
precipitarono lontane tra le dune
della pianura.
«
Bella
idea!
Be’, sei molto occupata, perciò, se
non ti dispiace,
prendiamo il Libro della Pace e ci togliamo dai piedi! »
sorrise
forzatamente il capitano, approcciandosi
alla Dea con tono rilassato, sebbene il paesaggio attorno gli stesse
pizzicando i sensi di
acuto terrore.
«
Ah,
cosa ti fa pensare che l’abbia io? »
domandò, leggiadra, la Dea,
accomodandosi meglio sul trono di
pietra, la
veste eterea che fluttuava pigra ai suoi piedi.
Bulma
sbarrò gli occhi, incredula.
«
Ehm, mi hai incastrato con il furto, così
avrebbero giustiziato
me! » rispose piccato Vegeta, assottigliando lo sguardo, in
un moto
di lenta furia.
«
Te? » domandò, invece,
soave la Dea.
«
Già... »
Ma
la
Dea lo guardò ancora, alzando un sopracciglio, scettica.
Il
tempo si fermò e
gli sorse un dubbio,
a
cui
la sua mente non seppe rispondere prontamente come sempre faceva. Si
fermò a soppesare
lo sguardo
della
Dea a cui, lentamente, stava sorgendo un sorriso sulle labbra.
No...
I
secondi gli parvero nuotare ancora più lentamente nel vuoto e
il cuore gli prese a battere più veloce.
Ma
allora...
Si
girò
verso Bulma che lo guardava
apprensiva, gli occhi brillanti di premura e terrore.
Lazuli,
invece,
si alzò dal trono e scese lenta e maestosa i gradini che
la separarono dai
suoi ospiti.
«
No… avrebbero
giustiziato Goku… »
continuò
il capitano, voltandosi
ancora
a guardare la Dea
nei suoi occhi di ghiaccio, freddi e inumani come li ricordava la
prima volta che l’aveva vista avvolta dalla bolla
d’aria.
« Tu
sapevi che avrebbe preso il mio posto! » sussurrò
con incredulità.
La
Dea ridacchiò, tracciando con le lunghe dita un solco sulla
colonna
posta al
basamento del tempio, facendola
sgretolare
ineluttabilmente
sotto il suo tocco.
«
Tu
contavi
sulla mia fuga… quindi
Goku sarebbe morto e Syracysis sarebbe - »
«
Rimasta senza un legittimo erede al trono, facendo precipitare tutte
le Dodici Galassie in un glorioso Caos! »
Concluse
la
Dea
per lui, ghignando famelica.
La
reggia
attorno precipitò nella sabbia, portando con sé
il segreto appena
rivelato. Il
silenzio e lo stupore li bloccarono e Bulma
e Vegeta si
guardarono
increduli.
La
Dea sospirò, deliziata e
un poco scocciata.
«
Voi umani siete così prevedibili! Goku non poteva fare a
meno di
essere nobile e tu non potevi fare a meno di tradirlo... »
I
suoi capelli sinuosi le incorniciarono il viso che parve ancora
più
insaziabile di sangue.
«
Ma io non ho tradito Goku! Non sono scappato, sono
qui e
porterò indietro il Libro!
» pronunciò,
invece, Vegeta che
si
affrettò a
cercare
degli appigli per uscire dal buco nero in cui sentiva
lentamente
precipitare il suo destino.
«
Oh, invece l’hai tradito… gli hai rubato il suo
unico amore… »
sussurrò
la Dea,
che si portò alle spalle dell’ambasciatrice,
passandole una mano
fredda tra i capelli di rugiada. A Bulma si mozzò il respiro
in gola
e le
sue iridi si
bagnarono
di lucente paura, mentre cercò
silenzioso
aiuto tra le onde nere degli occhi del capitano.
Lazuli,
infatti,
la
spinse
in
avanti,
facendola inevitabilmente finire nelle braccia aperte di Vegeta, che
la sorresse dal cadere.
«
Guardala, Vegeta! Lui non è ancora nella tomba e tu ti fai
sotto con
la sua donna! »
L’uomo
si sentì sempre più immobile, avvolto
dalle spire della logica di Lazuli.
«
Ammettilo, la
tua anima è nera quanto la mia…
»
Vegeta
percepì
il buco nero dell’essere immortale davanti a lui iniziare
a
risucchiargli l’anima, nel
mentre che
freddi
fili di tenebra gli
sembrarono
salire lungo il torace a soffocargli il respiro.
L’ambasciatrice
fu la prima a rianimarsi
e a sfidare lo sguardo malevolo della Dea.
«
Ti sbagli su di lui! Non
sai che cos’ha nel cuore!
»
Esclamò
Bulma,
con rabbia, mettendosi
tra la dea e Vegeta, pronta a proteggerlo.
«
Oh, sì che lo so… e, quel che più
conta, lo sa lui… » s
Si
avvicinò ancora
a Vegeta, superando
malamente la donna,
e lo avvolse in un gelido abbraccio, tracciandogli una linea di
fredda luce
fino al cuore «
in
cuor tuo, tu sai che Goku morirà, perché ha visto
qualcosa in
te, che
semplicemente, non
esiste!
»
«
No!
»
Ringhiò
il capitano,
scacciando
la fredda
paura
dalle
sue membra,
ma la
Dea rise.
«
Vuoi scommettere? Facciamo un gioco e
se vincerai ti darò il Libro della Pace! »
La
dea alzò solennemente
una mano e tutto attorno tremò, le rovine svanirono
da
sotto i
loro piedi, il cielo dipinto di stelle si
eclissò
e vennero nuovamente avvolti dalla nube di sabbia che li
lasciò
sospesi nel vuoto, finché non poggiarono i piedi su uno
stretto corridoio di pietra sospeso
sul nulla,
la dea di lato a galleggiare sinuosa
nell’aere
e davanti a loro, finalmente, pronto ad attenderli, il Libro della
Pace avvolto
nel suo alone di calma serenità.
Il
Libro chiuso rilasciava
debolmente il suo bagliore, ma, sebbene le pagine fossero serrate e
le Costellazioni ancora attendessero il
ritorno al
loro
moto incessante ed
armonico, la
sua aura si percepiva con forza e irradiava di armonia persino
la piccola
bolla in cui erano sospesi.
Vegeta
si aprì in un sorriso spontaneo e
fece ingenuamente un passo in avanti, richiamato dal candore e dalla
calma delle pagine sacre, quando parte della lastra su cui camminava
si staccò e precipitò nel vuoto,
rischiando anche lui di cadere inevitabilmente nel nulla.
«
Come
corri… » sussurrò
la Dea « il
mio gioco ha delle regole, Vegeta »
Il
vento sibilò
attorno a loro, intrappolandoli in una nube di sabbia dorata, che non
permetteva di scorgere oltre il manto di stelle.
Lazuli
riprese a parlare.
«
Ti farò una domanda… una semplice domanda. Se
rispondi
sinceramente, il Libro è tuo »
Il
capitano fece una smorfia. «
Dammi la tua parola »
Lazuli
sollevò le sopracciglia, quasi offesa. «
Ancora non ti fidi di me? »
Vegeta
la squadrò
con occhi taglienti e la dea sbuffò, arricciando
le labbra e
portandosi una mano alla tempia, con fare plateale.
«
Viviamo in un’era così piena di scetticismo,
peccato… »
«
E
va bene… hai la mia parola di dea... » e si
tracciò sulla spalla
destra con l’unghia affilata della mano una
“ics”, il
senso intangibile della sua parola data, come quando aveva fatto la
sua prima
promessa dentro la bolla. Un
genere
di
promessa a cui anche gli Dei
sono vincolati per l’eternità, e
che, sapeva Vegeta, era l’unica garanzia della
sua parola data,
sebbene l’essere immortale fosse maestra di inganni e
di raggiri.
«
Ti basta? »
Vegeta
annuì, cupo e
prese
un respiro:
«
Fa’ la tua domanda »
Lazuli
sorrise
a fior di labbra.
«
Perfetto. Tutti
sappiamo che cosa accadrà se avrai il Libro della Pace
»
Ne
accarezzò il bordo con mani lascive, lasciando che la sua
luce di
armonia tangesse, seppur inutilmente, le sue membra fredde ed
immortali, « lo restituirai alle Dodici Galassie e salverai
Goku…
»
«
Ma se non avrai il Libro, dovrai fare una scelta »
Si
avvicinò al capitano, nuvole di stelle che si dissipavano
ad ogni suo passo, Vegeta
che
la seguiva,
attento ad ogni sillaba, in completo silenzio.
«
Veleggiare verso il paradiso con la donna dei tuoi sogni o tornare a
Syracysis per morire… »
«
Essere quindi un ladro o un eroe? »
Bulma
pochi
passi addietro
trattenne il fiato. Il
capitano non
staccò lo sguardo dalla
dea.
«
Perciò ecco la mia domanda, Vegeta... se non avrai il Libro,
tornerai là per morire? »
E
scomparve, lasciandoli soli sulla passerella, nel vuoto e
l’eco del silenzio a riempire i loro respiri.
Passarono
istanti di infinito oblio, il capitano disperso nei suoi pensieri e
Bulma che affidava incessantemente le sue preghiere alle Lanterne,
che li attendevano entrambi, al di là del Buco Nero.
Vegeta
alzò lo sguardo e la luce della pace bagnò
placida i suoi
lineamenti.
«
Sì, tornerò! »
E
prese a camminare, dapprima tentennando, poi, una volta percepita la
stabilità della passerella, con passo più sicuro.
L’ambasciatrice
ringraziò le stelle e tirò un sospiro di
sollievo, sorridendo.
Il
capitano sfiorò finalmente il Libro, ma non riuscì
ad afferrarlo.
Lazuli
comparve alle sue spalle.
«
Stai mentendo… »
La
pietra si sgretolò sotto i loro piedi, Vegeta
cercò di raggiungere,
disperato, il Libro, ma la gravità li attirò
a
sé con
rabbia.
Le
loro urla si confusero con il vento e
con la risata sguaiata della Dea, finché la
luce non
li avvolse.
Continua...
Angolo
dell’autrice
Buonsalve,
se c’è ancora qualcuno che si ricorda di me.
Perdonate
il ritardo.
Spero
che la lunghezza di questo capitolo possa farmi perdonare.
Altrimenti, pazienza, liberi di odiarmi. <3
E
insomma manco questa volta si riesce a pigliare il Libro.
Che
cosa succederà ai nostri amici?
Chi
creperà per primo?
Lo
scoprirete nel prossimo ed ultimo – finalmente –
capitolo!
Ma
soprattutto… chi di voi vuole farsi un giretto con me nel
Buco
Nero?
Deve
essere un posticino accogliente e niente male, a parte, va
be’... i
cadaveri, i mostri, i morti e… i cadaveri, immagino.
Fatemi
sapere cosa ne pensate del capitolo: grazie a tutti coloro che
leggono, che recensiscono, che mi odiano perché sono sparita
dal
fandom, che mi amano per qualche assurdo motivo – non vi
conviene,
raga.
Al
prossimo capitolo!
Ve
se ama,
Zappa
iCome sapete bene, i buchi
neri si formano quando una stella, dopo aver bruciato tutto il suo
idrogeno in elio, collassa su se stessa, perché
l’energia emessa (le radiazioni) non è
più in grado di contrastare l’energia
gravitazionale: l’energia emessa in radiazioni, infatti,
quando il nucleo diventa ferro, non viene più prodotta e
l’energia gravitazionale ha la meglio. Quindi, per farla
breve, la stella – very big, molto più big del
sole - implode nel nucleo, accumulando sempre più massa al
suo interno: la stellina esplode in una supernova e si trasforma o in
una stella a neutroni o in un buco nero. Per tutte queste bellissime
informazioni su cosa siano i Buchi neri, vi consiglio –
fatelo, è una figata – i video su YouTube di Kuzgesagt,
in a Nutshell. Tutte le informazioni,
trasformate in maniera fantasiosa in una storiellina che se la leggesse
Einstein mi ucciderebbe in tedesco, inserite sono prese da
lì, perché io a parte il fatto che sono buchi e
che sono neri, so ben poco su di loro;
iiL’Orizzonte
degli Eventi è una specie di barriera che separa il buco
nero dal resto dell’Universo e se attraversata ti fa finire
nel nero più nero: per essere onesti, se si dovesse
attraversare e si dovesse uscire dall’Orizzonte degli Eventi
bisognerebbe essere più veloci della luce. E niente, visto
che nessuno ci riuscirebbe, nessuno riuscirebbe a superarlo per uscirci
e scappare via. Informazioni su Kuzgesagt, in
a Nutshell, YouTube;
direi che
più scientificamente di così non posso parlare,
vi prego, non prendetemi per Wikipedia;
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