Il Libro della Pace

di Zappa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sogno di una dea ***
Capitolo 2: *** Un mostro e una proposta d'affari ***
Capitolo 3: *** Syracysis ***
Capitolo 4: *** L'ambasciatrice ***
Capitolo 5: *** Un lavoro da donne ***
Capitolo 6: *** Il Pesce Cometa ***
Capitolo 7: *** Ghiaccio e neve ***
Capitolo 8: *** Sulle ali di un'Aquila ***
Capitolo 9: *** Tartaro ***



Capitolo 1
*** Il sogno di una dea ***



Capitolo primo

Il sogno di una dea


Tra le più recondite stelle della galassia, dove anche i grandi avventurieri in caccia di sogni hanno fermato il loro passo e le grandi navi spaziali, ricche di diamanti e cristalli arthurianii, hanno deviato il loro lento incedere, laggiù, in uno dei luoghi più oscuri e silenziosi dell'universo, fluttuava, placido, tra i confini di una galassia e il nascere di una stella, un grande e profondo buco nero.

Scaturito da una lacrima di stella morente e da una fievole speranza di sorgere di un piccolo sole, misterioso quanto la potenza degli dei che avevano dato origine alla vita e all'Etere, inglobava in sé ogni frammento di luce e di astro che si avvicinava alla sua traiettoria, trasportando tutto ciò che lo sfiorava in un mondo di anime scomparse, di ricordi passati, di tesori maledetti e di tempo perduto.

Attraverso le tracce sfocate delle stelle antiche, quando ancora la loro anima era di un brillante blu mare e i loro bagliori catturavano i cuori degli esploratori in cerca di una via tra le stelle, apparve, fra le costellazioni ancora dormienti dell'Emisfero del Nord, una figura fluente e armoniosa che si accomodò su un trono fatiscente. Emerso dalla polvere e dalle guerre di popoli nati per combattere e, nei secoli, distruttisi a vicenda, il suo regno accoglieva gli astri perduti, gli sconfitti delle battaglie, i ricordi lasciati andare e persi nel grande mare dell'Universo.

Era la stella nera, più ricca delle fortune di Creso, e la meta delle anime perse, che se avessero continuato a navigare fino ai confini degli oceani astrali, avrebbero incontrato l'oblio tra le braccia della morte, cadendo nel regno dimenticato del Caos.

Lazuli, la dea del Caos, adagiata sul suo scranno per concessione e per timore da parte degli altri Dei Creatori, ammirava il lento scorrere dei secoli e la caduta delle stelle in scomposti cumuli di nebbie: i simboli di mondi perduti, negli anfratti del tempo, precipitavano verso il suolo, infrangendosi dell'arena del deserto che si scomponeva e riapriva al suono del vento.

La dea fece tintinnare tra le lunghe mani spinose delle monete dorate che, un tempo, appartenevano ad un piccolo pianeta blu, che per via dello stesso oro erano inglobato in una guerra intestina, precipitando in un glorioso caos: allora, richiamata dal desiderio di distruzione che avevano avuto gli abitanti del piccolo pianeta, aveva allungato le sue mani e le sue mire di conquista per rubare lo spirito del pianeta e degli umani caduti, trascinando tutto nel suo mondo del caos.

Allontanò di fretta un'anima che era giunta a lambire le sue vesti per chiedere pietà, nella speranza che qualcuno di ancora vivo facesse risuonare il suo ricordo in una nenia di preghiera, e risvegliò le costellazioni ancora non erano sorte a risplendere.

« Sveglia, bellezze mie! Alzatevi e splendete! È un nuovo giorno e l'Universo dei mortali è in pace... »

Le si avvicinarono meste le costellazioni, piegandosi ai suoi piedi e carezzando le sue membra, per essere cullate dal tocco dolce della loro padrona. La grande costellazione del Serpente strisciò, sinuosa, incastonando le sue numerose stelle tra i fili sinuosi dei capelli della dea, che leggeri come l'aere fluttuavano tutt'intorno: lasciò che il grande Serpente si insinuasse tra le sue dita, in un cerchio infinito di morte e rinascita, finché non si appoggiò svogliatamente al suo trono. Portò lo sguardo verso i suoi diamanti nel cielo, fissando le galassie e i meravigliosi bengala sciolti in astri e comete.ii

Sospirò, sfumando i cerchi di fuoco che la Costellazione del Leone sbuffava verso il cielo, e carezzò la sua lunga criniera.iii

« Ma tu guardali... »

Soffermò il suo sguardo su un piccolo pianeta aranciato che, se non fosse stato per la sicurezza di una traiettoria orbitale un poco distante da una cometa, sarebbe imploso contro l'asteroide.

« Tiro un solo minuscolo filo » sfiorò leggermente la traiettoria dell'asteroide che, dapprima impattò contro l'atmosfera del pianeta e poi si scontrò con questo, congiungendosi ad esso in una pioggia di stelle, « e tutto il loro universo si scioglie nel caos, nel glorioso caos... ».

Rise.

La lunga chioma fluente si scompigliò e i suoi occhi s'incupirono di brama, quando, d’improvviso, scorse all'interno dell'immenso mare dell'Universo due imbarcazioni, una grande e regale, con lo stemma del pianeta Earth24, ed una piccola, che si muoveva nervosa e veloce tra le onde gravitazionali delle stelle, seguendo la scia della nave militare con a bordo lo stemma dei famigerati pirati Saiya.

« Ah! E cosa può esserci di più perfetto di questo? » sogghignò.

« Un nobile guerriero, un tesoro inestimabile che accomuna le Dodici Galassie, e un ladro dall'anima nera... Oh, ci sarà da divertirsi tanto! »

Gli occhi non smettevano di seguire le sue future prede, finché non afferrò un’idea.

« Cethus » chiamò a sé il grande mostro marino che, con i suoi tentacoli e il suo corpo poliforme, nuotò fluttuando accanto al viso di Lazuli.

La dea sorrise: « Tu sai cosa fare… inizino i giochi! » e afferrò l'animale tra le mani, lasciandolo, poi, svanire dentro la bolla di etere da cui guardava il Cosmo.

La grande piovra marina, con innumerevoli tentacoli e spire stritolanti scomparve, trascinando con sé parte delle nuvole che creavano la sua figura, e s'immerse nel mare dell'Universo, mimetizzando le sue stelle tra lo specchio degli astri a Meridione.iv


Nel profondo mare spaziale, nella notte limpida della Costellazione del Cethus, la grande nave militare aleggiava in sinfonia con le onde del mare, facendo avanzare la chiglia tra schegge di luci solari che vibravano al suo passaggio e spiegando le sue vele magnetiche come ali al vento, mentre, tranquilla e sicura, si dirigeva verso il pianeta che presto avrebbe ospitato e accolto i suoi numerosi tesori, tra cui il Libro della Pace.

Un tesoro così inestimabile che neanche i più grandi saggi della Galassia sapevano il quando della sua comparsa nella vita dell'Universo, ma sapevano altresì che era stato inciso dagli Dei, per poter garantire l'equilibrio nell'Universo e per poter combattere il Caos, origine delle guerre e dei mali del mondo. Mali che sorgevano ogni qual volta i popoli si dimenticavano del valore e dell'importanza degli altri popoli fratelli e quando tutto si tramutava in un caos che cancellava, che faceva dimenticare.

Il Libro della Pace garantiva la pace nelle Dodici Galassie e, finalmente, dopo una ricerca da Argonauti durata anni, giungeva, sulle ali della grande nave blu al suo posto al centro della Via Lattea, la piccola galassia di modeste dimensioni, ma che nel tempo era diventata il fulcro di numerose rotte commerciali e astrali, centro magnetico di non poche ricchezze da tutto il Cosmo.

Tra lo scivolare di stelle e di nubi galleggianti rasentanti gli alti alberi della nave, i marinai non si avvidero, però, che poco distante da loro, un'altra piccola imbarcazione, con i colori policromi e le vele coperte di specchi per nascondere le proprie sembianze tra le luci dello spazio, spingeva i suoi motori per raggiungerli: la nave, dall'aspetto rosso sangue per via dello rispecchiarsi delle stelle della costellazione che stavano attraversando, schizzava nervosa verso il suo obiettivo, carica di pirati pronti a depredare.

Lo spirito dei marinai a bordo volò in alto: i marinai entusiasti dall'assalto che sarebbe giunto di lì a poco urlavano il loro entusiasmo verso il cielo di stelle e verso la bandiera che si spiegava al vento, la bandiera nera dei pirati, che si rispecchiava negli occhi avventurosi e spavaldi del loro capitano.

La ciurma, riunita sul ponte, ascoltò con trepidazione le parole del capitano e armata fino ai denti si preparò all'assalto.

« È quello che tutti aspettavamo » iniziò con audacia il comandante, alzando lo sguardo verso il mare e illuminando i suoi occhi di buio nelle luci irradianti delle stelle. Il suo mantello nero e il suo cappello decorato con fili di sangue rosso sussultarono all’avvicinarsi della brezza spaziale e la sua figura si lasciò cospargere dalla fine bellezza dell’oceano e dai fantasmi informi di gas che componevano le nebulose.

« L'oggetto più prezioso dell'Universo è diretto sul piccolo pianeta di Earth24... »

Si voltò verso la ciurma e ghignò famelico, « peccato che non ci arriverà mai! »

La ciurma accolse con un boato le sue parole, pronta a sguainare le spade e le pistole di energia plasmatica per conquistare il bottino. Il capitano si voltò ancora verso le stelle e i suoi occhi scuri come l'Universo sorrisero al mare.

« Dopo oggi, ci ritiriamo alle Stelle Fiji! Il bottino è vostro, ma il Libro della Pace è mio! »

Gli uomini sussultarono e urlarono di gioia ancora una volta, alzando in alto le spade e preparando i fucili laser. Un omone pelato e dall'aspetto massiccio e minaccioso, obbedì prontamente al capitano, quando questi gli gridò, « Nappa! » e, rispondendo con un « Sì, capitano! », diede un colpo ben assestato al timone, azionando gli arpioni taglienti e magnetici, come le Spade dei Monaci del Ludron, che furono pronti ad infiggersi senza pietà contro la murata della nave militare.

Il vascello militare, non più protetto dagli scudi magnetici che filtravano le onde di energia solare e magnetica, fu così arpionato e trascinato accanto al piccolo bastimento dei pirati che, azionati i cannoni dal ponte, fecero breccia tra le pareti tecnologiche e raggiunsero la nave.

I pirati si scagliarono sul ponte della nave e, guidati dal loro capitano, non esitarono a dare battaglia: il comandante si buttò a capofitto su tre guardie, trafiggendole con la sua spada di luce e gettandole a terra, mentre un altro della sua ciurma, con i capelli lunghi e fluenti, acconciati in un'alta coda, si lanciò con la corda contro altri militari, affrettandosi con cazzotti ben assestati a partecipare alla mischia.

Turles, un tipo agile e nato per camminare sulle grandi altezze, trascinò due uomini sulla sommità dell'albero maestro, lasciandoli penzolare nel vuoto, appesi a testa in giù al pennone dell'albero, mentre un alto energumeno della ciurma, dall'aspetto solitamente mansueto e docile e di solito con la testa tra le nuvole, si scatenava brutalmente contro dieci uomini, stracciando le loro armature come se fossero un flebile metallo lunare e buttandoli dal ponte, perché si perdessero nelle profondità dell'oceano spaziale.

Mentre attorno infuriava la rissa, il capitano, improvvisamente circondato da un grumo di soldati, afferrò saldamente le sue spade laser, le conficcò nel legno lucido e residente che creava il ponte, un legno flessibile per resistere ai grandi sbalzi di corrente cosmica ma anche resistente come la dura corazza di un Drogon, e flettendosi sulle braccia calciò dritto in faccia ogni soldato, con il risultato che tutti caddero stramazzati al suolo.

Si voltò poi verso il suo primo ufficiale Nappa e sorrise, nel frattanto che tutt'intorno la sua ciurma aveva fatto per lo più piazza pulita dei militari che, ora, erano doloranti al suolo, illuminati dalla forte di luce rossastra del grande Cethus.

« Allora? » esclamò compiaciuto, lustrandosi la camicia della divisa dalla polvere della battaglia, « Hai visto quest'ultima mossa? Sono un grande, non è vero? »

Il vice lo guardò dubbioso, mollando una cazzottata al soldato che teneva incastrato sotto il braccio.

« Per me hai esagerato... »

L'altro se ne risentì, piccato. « Ah, ho esagerato? Ma come - » non fece in tempo a finire la frase che, sbucò dal nulla un soldato che con una spada di titanio caricò contro Nappa, pronto per attaccarlo. Nappa si voltò di scatto, bloccò la spada afferrandola con i denti e, stringendo saldamente le mascelle, rovesciò la testa verso il parapetto della nave, facendo precipitare fuori dalla chiatta il soldato che irrimediabilmente mollò la presa dalla spada e cadde nello spazio.

Il capitano ammirò il povero soldato farsi polvere spaziale, trascinato verso una nebulosa.

« E io avrei esagerato? »

Nappa ridacchiò, gettando a terra la spada che ancora stringeva tra i denti, quando la loro attenzione fu attirata dal castello della nave spaziale, dove al posto di comando - dove si trova il timone che guida la rotta, - si agitava una rissa tra parte della ciurma e uno dei militari rimasti in piedi, che a giudicare dalla sua abilità combattiva e dalla intelaiatura della sua divisa, doveva essere il comandante della nave, il quale, combattendo con strenua resistenza, dava non poco filo da torcere ai pirati.

Il capitano si fece d'improvviso cupo.

« G-goku? »

Il secondo gli si avvicinò, squadrando con occhi distanti la scena e soffermandosi sul volto corrucciato del suo capitano.

« Oh, la faccenda si fa interessante... quanto è passato? »

« Una vita, più o meno... » rispose sovrappensiero l'altro pirata.


L’ultimo soldato rimasto in piedi, battendosi con forza, aveva già iniziato ad atterrare alcuni degli uomini del capitano Vegeta, afferrando con forza gli avversari e sbattendoli a terra, così come, con altrettanta forza, era rimasto bloccato da due energumeni che, senza remore, lo avevano acchiappato per braccia e gambe e lo avevano schiacciato a terra per fargli rimangiare tutti i pugni ricevuti, finché una voce non li interruppe.

« Combatti ancora come una vecchietta? »

« Vegeta! » esclamò preso alla sprovvista Goku, che riuscitosi finalmente a liberare, era stato nuovamente atterrato dai suoi avversari.

Il capitano rise di gusto quando si ritrovò faccia a faccia con uno sbigottito Goku che si librò da terra con agilità, ma venne subito bloccato dai pirati appena si azzardò di un passo verso il capitano.

« Vegeta! Che ci fai tu qui? »

Chiese, trafelato, aspettandosi di tutto, tranne che venire attaccato dal capitano.

« Sto lavorando! » rise Vegeta, sorridendo sornione alla malcelata ingenuità dell’amico e scatenando l’ilarità del gruppo degli altri pirati che ancora afferrava saldamente il soldato per braccia e spalle. Goku si liberò in fretta della loro presa d’acciaio, lanciando un’occhiata torva al più alto tra i due energumeni che, con gli occhi verdi di furia, lo squadrava pronto a morderlo come un cane rabbioso.

« Cosa ti è successo? Dove sei stato? »

L’altro lo ascoltò con orecchie da mercante, ignorando il suo sguardo stralunato e, afferrata una delle sue due spade laser, la infisse nel tastierino codice che bloccava la spessa porta di metallo che dava accesso alla stiva, facendo saltare i circuiti interni e scattare la serratura. La porta si aprì in un quadro di toppe e incastri metallici che, disconnessi dal meccanismo numerico del codice, si aprirono in un mosaico scomposto, scindendosi elegantemente e silenziosamente, rivelando così l’entrata.

Gli uomini fissarono l’uscio con il fiato sospeso e il capitano rispose finalmente alla domanda.

« Sai, farei volentieri due chiacchiere, ma ho delle cose da fare, posti dove andare, roba da rubare…»

Il capitano tralasciò con un gesto eloquente della mano il resto della conversazione e scese i gradini che conducevano nella stiva della grande nave militare.

I suoi passi scesero lenti sui gradini che conducevano nella pancia della nave. Tutt’intorno scattarono, lentamente, i sistemi d’illuminazione del sistema che si diramarono per i corridoi metallici come una moltitudine di filamenti elettrici di verde energia.

Sentì dietro di sé i passi concitati del comandante finché, dopo una serie di corridoi, i suoi occhi non incrociarono, tra il buio della stiva e i sottili rami d’energia d’alimentazione, il passaggio per una stanza più ampia, illuminata timidamente da delle fiaccole di luce color blu elettrico.

Fu allora che lo vide, il Libro della Pace. Si lasciò sfuggire un sospiro di piacere nell’ammirare il piccolo piedistallo con sopra il suo tesoro.

« Oh, sì... »

L’altro l’aveva raggiunto e lo stava osservando con sguardo preoccupato. « Vegeta, dobbiamo parlare... » si affrettò a bloccarlo, poggiandogli una mano guantata sulla spalla, perché non si avvicinasse al tesoro, ma l’altro lo scostò e continuò, con occhi incantati ad inoltrarsi nella sala.

« Ne hanno parlato, ne hanno scritto a migliaia in tutto l'Universo. Non l'avevo mai visto... »

Al centro della stanza, su un piedistallo che ruotava lentamente su più gradini, stava poggiato il Libro della Pace che apriva le sue pagine verso il soffitto rinforzato della nave e proiettava tutt’intorno le luci informi e accecanti del suo testo. Il piedistallo che lo sorreggeva, alimentato da energia quantica e continua, ruotava talvolta in precise coordinate spazio-temporali, verso Ovest o verso Est, coordinate scaturite dallo scorrere continuo delle mappe spaziali sul libro, in un flusso incessante che segnava lo scorrere del tempo e dello spazio nell’universo, dando o togliendo equilibrio ai pianeti e alle stelle.

Le sue complicate effemeridi, disegnate sui quadranti di cielo, erano state incise e tracciate dagli Dei del Cosmo per poter garantire l'equilibrio nell'Universo e combattere il Caos, origine dei mali e, dopo una lunga ricerca tale tesoro celeste, stava finalmente per giungere nelle mani degli abitanti di Earth24.

Goku osservò il capitano immergersi completamente nei colori celesti del Libro e gli si avvicinò circospetto, diffidente per l’aria bramosa e sinistra che leggeva nei suoi occhi scuri.

« Il mio compito è portarlo al sicuro su Earth24, dove verrà conservato e tenuto al sicuro... »

Gli occhi di Vegeta si tinsero dei sogni e degli anfratti più bui cui il Libro indicava la rotta. Goku vi lesse molta bramosia, ma anche della sincera curiosità, come quando erano bambini.

Si guardarono poi negli occhi: gli occhi castani del comandante di Earth24 non si abbassarono davanti agli occhi del pirata, forse, più temuto del Quadrante Meridionale dell’Universo.

« Davvero? » lo sbeffeggiò Vegeta, con ancora il azzurro del libro intessuto tra le iridi nere.

« Mi dispiace che tu non ce la possa fare... »

« Non dirai sul serio! » sbottò Goku, « Sparisci per dieci anni, ricompari e mi derubi? »

Vegeta alzò gli occhi al cielo, sbuffando e stuzzicando con le dita le pagine aperte del Libro, facendo così storcere il naso all’altro capitano, infastidito dalla trascuratezza che poneva nelle sue azioni.

« Vorrei non si trattasse di te, credimi, ma... »

« Ma si tratta di me! » chiosò caustico Goku, facendo sospirare ancora Vegeta che si perse per un attimo tra i ricordi scuotendo tristemente la testa, fasciata dal suo cappello rossastro.

« Kakaroth... » sussurrò per un instante, cogliendo dalla memoria il vecchio soprannome che un tempo gli aveva affibbiato « avevamo un saluto in codice, parole cifrate, un nascondiglio segreto... era uno spasso, veramente. Ma eravamo... ragazzini? »

« Eravamo amici! » esclamò Goku, corrucciando lo sguardo e fissando l’amico di un tempo.

« Tu questo non lo ruberai! Non a me! E comunque, che cosa te ne faresti? Il Libro della Pace protegge tutti noi delle Dodici galassie... »

« Esatto... immagina quanto i "tutti noi" pagherebbero per riaverlo » rispose sornione Vegeta.

Goku, allora, si frappose tra lui e il Libro, leggendogli ancora negli occhi la fin troppo conosciuta bramosia di ricchezze e di potere tipica di ogni corsaro di mare. Una bramosia che lo destabilizzò temporaneamente: ormai non scorgeva più il compagno di giochi di quando erano cresciuti assieme su Earth24.

« Te lo ripeto un'ultima volta, io e te una volta eravamo amici. Se questo ha significato qualcosa per te in passato, Vegeta, dimostralo adesso... »

L'altro lo fissò negli occhi e poi distolse lo sguardo, ridacchiando, e facendo scorrere gli occhi scuri sulla cabina di pilotaggio su cui erano proiettate numerose rotte spaziali tra le stelle più inesplorate, rotte che, probabilmente, avevano preceduto il ritrovamento del Libro.

« Hai ragione: è stato molto tempo fa... » sussurrò il capitano dei pirati e si avvicinò al Libro posto sul piedistallo, quando Goku intercettò ancora il suo passo, lo prese per il polso e con una mossa veloce lo cacciò all'indietro, rubandogli una spada laser dalla custodia riposta in una cintola lungo il mantello nero.

Il pirata si rialzò velocemente in piedi, afferrando e attivando l'altra spada dalla fodera, facendo brillare i suoi occhi di Universo attraverso la cupa luce verde della sala. Rise.

« Andiamo Kakaroth, non mi diventare eroe... »

L'altro sogghignò, ma non abbassò la guardia.

Si buttò all’istante contro il pirata: una serie di colpi feroci e precisi segnarono la loro danza di spade, spade che scoccarono con impatto e con forza, lasciando nell’aria il suono secco e vibrante di una spada laser.

Goku balzò in aria, sfiorando con la spada il lungo mantello nero del pirata, mentre questo si preparava a rispondere all’affondo dell’amico destreggiando, con abilità, la spada di luce. I loro colpi si incrociarono con perfetta sintonia, come in una danza di leoni, finché non si trovarono entrambi con le spade sfavillanti davanti agli occhi e l’energia dei loro affondi che ronzava tutt'intorno, in attesa di essere nuovamente rilasciata. Goku sorrise a Vegeta e questo rispecchiò in lui la stessa forza e la stessa passione per il combattimento che li aveva accomunati da bambini. Equilibrarono ancora le forze e si contrapposero l’un l’altro con le spade ancora in mano, nessuno dei due disposto a cedere.

« Se vuoi avere il Libro, devi vedertela con me! » sibilò Goku all’avversario, quando, d’improvviso, l’intera nave fu scossa come se stesse attraversando una tempesta magnetica e, con un grosso colpo, i due furono scagliati violentemente contro la parete metallica della cabina. Si guardarono negli occhi, sbalorditi, e furono subito attratti dalle urla di aiuto che salivano dal ponte.

Tornando di corsa sul ponte, furono tramortiti da un’altra potente scossa che fece vacillare l’intera nave, minacciando di far saltare i meccanismi di protezione dal vento spaziale e il sistema di gravità incorporato finché, giunti all’esterno della nave, si trovarono davanti uno spettacolo a cui pochi mortali avevano assistito prima.



Continua…







Note dell’autrice


Ciao a tutti!

Dopo secoli di macchia sono tornata con qualcosa di serio, ossia una piccola – non molto lunga? - long che racconta della trasposizione in racconto di uno dei miei cartoni preferiti, Sinbad la Leggenda dei Sette Mari.

I personaggi potrebbero risultare OOC, pertanto già mi scuso con chi è più integralista o chi tiene di più all’originalità del personaggio.

È una storiellina molto semplice e senza pretese di grande qualità, ma che spero vi possa accompagnare per qualche settimana.

Visto che so quanto si soffre per le long non aggiornate in tempi vivibili, ho deciso di scriverla tutta e poi di pubblicarla, così non avrò nessun morto sulla coscienza.

Sperando di avere incentivato qualcuno alla lettura, vi auguro una buona settimana e al prossimo aggiornamento!

Buon viaggio a tutti!


Zappa



iRiferimento al film "Il Pianeta del Tesoro" della Disney;

iiNell'antichità greca, il serpente era simbolo della medicina e secondo il mito, Asclepio grazie al serpente avrebbe trovato una pianta in grado di resuscitare i morti. Da qui, il serpente simboleggia la rinascita, basti pensare alla muta della sua pelle ogni anno;

iiiIl leone è un segno di fuoco;

ivLa costellazione di Cetus, in italiano della Balena, si estende nell'emisfero australe e si trova a sud dell'Ariete e dei Pesci; come si capisce dal termine, la sua rappresentazione sarebbe quella di una balena, ma io ho rispettato il cartone, scegliendo una piovra;

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Capitolo 2
*** Un mostro e una proposta d'affari ***


Capitolo secondo

Un mostro ed una proposta d’affari



Una creatura gigantesca aveva attraversato lo specchio degli astri rossi di Meridione come se fossero fatti d’acqua, animandosi improvvisamente, e si era rivelata come un’enorme piovra coperta e diamantata di luce stellare. Scaturita dalla brillante ed infinita Costellazione del Cethus, aveva iniziato a muoversi e ad allungare i suoi lunghi tentacoli verso la nave militare, arpionandosi sinuosamente con i bracci e facendo impennare verso il mare infinito la nave, che vide danneggiarsi inaspettatamente i suoi sistemi tecnologici di difesa. Le grandi vele a specchio d’energia si chiusero sugli alberi a bordo e la prua della nave fu completamente arpionata dal mostro, stritolata tra le sue spire.

Vegeta e Goku fissarono inorriditi la grande bestia che stava cominciando a salire attorno all’albero maestro e videro l’intera flotta precipitarsi per combatterla, pur venendo subito spazzata via come foglie al vento dai forti e pericolosi tentacoli.

La grande creatura, quasi proveniente da un altro mondo, scivolò con fare maestoso a bordo della grande imbarcazione e, con i suoi tentacoli brillanti come le stelle più profonde del mare, fece piazza pulita della flotta, non venendo minimamente sfiorata dalle spade ad energia laser e ad energia solare che i soldati brandivano con coraggio.

Vegeta, quando vide che il gigantesco Chetus pareva invincibile anche ai cannoni ad energia protonica concentrata, decise di svignarsela e, dando per scontato che nessuno in quel momento badasse alla custodia del prezioso Libro della Pace, nemmeno di comandante della nave che immobile cercava di organizzare le idee per scacciare la piovra, fece qualche passo all’interno del ponte per raggiungere nuovamente l’entrata della stiva per, poi, con sommo disappunto vedersi sfumare l’idea dalle mani, per un colpo troppo assestato del mostro al castello della nave.

Fece spallucce e rise di gusto quando vide Broly, il più piccolo d’età della ciurma, ma anche uno tra i più alti come stazza e sicuramente una delle creature più strane con cui avesse mai avuto a che fare, appiccicarsi imperterrito ad uno dei tentacoli del mostro, venire sollevato di peso e scagliato verso la piccola nave pirata, volando via come un uccellino.

« Beh, hai da fare, vedo... » si avvicinò al comandante che si voltò di scatto, « perciò… sentiamoci! » gli fece l’occhiolino, pronto per afferrare una cima della nave e ritornare di fretta e furia sulla sua piccola Saiya e sfuggire al mostro, sparendo nello spazio.

Goku lo fissò, incredulo: « Fermo! Aspetta, vuoi scappare? » e Vegeta lo fissò con altrettanta incredulità, supponendo l’ovvio: « Ehm, sì? »

Gli sorrise sinceramente per una volta, e si preparò al salto, nel frattanto che tutta la sua truppa era risalita a bordo del piccolo vascello per prendere il largo tra le stelle più a Meridione, ma un grosso tentacolo dell’enorme piovra di stelle spazzò via la sua imbarcazione, allontanandola violentemente dalla nave militare e spazzando via con lei anche la speranza di Vegeta di svignarsela.

Vide con orrore la sua piccola Saiya venire gravemente danneggiata dal colpo secco del mostro: si spezzò irrimediabilmente uno dei due alberi, quello di prua, e cadde il bompressoi, così come il pennoneii, che strisciò le sue imponenti altezze contro il parapetto della nave, distruggendo parte delle vele coperte di specchi ed alimentate a luce cosmica.

« Vegeta! » urlò il secondo sulla nave, cercando di riprendere il controllo del timone per stabilizzare nuovamente i motori sulle onde di luce, ora molto agitate, che frastagliavano il mare spaziale.

« La mia nave! » s’indignò il capitano, lanciando un’occhiata all’enorme mostro fatto di materia lucente che, con l’energia di un buco nero, stava danneggiando gravemente il galeone, con il rischio che questi esalasse il suo ultimo respiro tra le stelle rosse e violente della Costellazione e non tornasse più a solcare il profondo ed infinito mare.

Goku, non abbandonando i suoi uomini, si era buttato nella lotta contro il mostro, cercando di ferire con la spada laser e con le lance ad attrazione magnetica i suoi lunghi bracci, ma non riuscendo minimamente a scalfirlo: il cetaceo coperto di stelle, infatti, stringendosi ancor più saldamente, gridò orribilmente e azionò la sua lingua squamosa che si conficcò come una freccia nella corazza di uno dei soldati della guarnigione e, veloce com’era scattata, sparì tra le fauci del mostro, trascinandosi con sé il soldato.

« Hey! » sentì inaspettatamente Goku voltandosi e si stupì di trovare il pirata ad un passo da lui. Questi, veloce, dopo aver accatastato alcuni scudi a Forza Solare H, era riuscito a cingerli assieme come una grossa palla di metallo in titanio e, grazie alla vibrazione di una delle sue spade, li aveva sovraccaricati di potenza, facendoli diventare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.

« Hey, bestione, sono qui! » urlò poi a pieni polmoni, attirando così gli occhi vitrei del mostro che, agitando freneticamente il capo, rilasciò la sua lingua per afferrarlo: Vegeta, scattante come una volpe del Deserto Ghiacciato, si mise però al riparo e lasciò che la grossa appendice della piovra si arrotolasse attorno agli scudi in sovraccarico e che li trascinasse nella enorme bocca.

Il comandante del bastimento non fece in tempo a vedere il ghigno soddisfatto di Vegeta, che la piovra, come se avesse mangiato una pietra di fuoco ardente, strillò per l’improvvisa esplosione che scosse il suo corpo e rilasciò sul ponte della nave la carcassa di metalli implosi che aveva ingurgitato e, per ultimo, risputò il povero soldato che poco prima gli era finito nello stomaco.

Il poveretto, sparato sul ponte, si ritrovò a terra grondante di liquido bavoso e rossastro, e non contento afferrò la sua lancia con ancora più fervore di prima e scattò contro il cetaceo a tutta forza.

Il pirata e il comandante si guardarono stupefatti.

« Dagli un aumento a quello… »

La piovra, nel centro del mare spaziale, ancora non mollava la presa e la nave stava ormai inclinandosi pericolosamente oltre la striscia di schegge solari che la teneva a galla, facilitando il lavoro dei motori, e che impediva un’avventata caduta verso l’infinito. Le spire e i tentacoli si facevano via via più letali e veloci, spazzando via i soldati e tutto quello che incrociavano sul loro passaggio.

« Vegeta, dobbiamo andarcene di qui! » gridò Goku, afferrando per una spalla l’amico, temendo il peggio, ma Vegeta lo bloccò facendosi stuzzicare da un’altra idea, l’idea che li avrebbe tratti in salvo.

« Aspetta! » gridò, trattenendolo per la corazza e fischiò in direzione del mostro, per attirare un’altra volta la sua attenzione.

« Hey, seppiolone, vieni qua! »

La bestia non si fece attendere un secondo di più e scagliò ancora la sua lunga lingua squamosa, pronta per mangiarsi finalmente il pirata: appena questa sfiorò il suolo venne, però, subito intercettata dalla spada del pirata che, attraversò inclemente la lingua, bloccando la creatura sulla nave e costringendola a fermarsi in mezzo all’albero maestro e all’albero a prua, dove i due pennoni danneggiati volgevano le sue estremità affilate verso il punto esatto dove si dimenava la testa.

« Ritirata! » impartì il comandante ai suoi uomini e si avvicinò a Vegeta che gli porse il lato di una corda, stretta attorno all’albero maestro. Dopo essersi scambiati un sorriso complice, ritrovandosi ragazzini e amici come un tempo, afferrarono entrambi la corda e si aiutarono a vicenda a salire il grande albero maestro, che, grazie ai rinforzi in fibre di metalli asgardianiiii, rimaneva immobile al centro del ponte, sebbene la forza travolgente del mostro avesse iniziato a far sfavillare i suoi circuiti elettronici.

Arrivati all’estremità della nave, Vegeta lasciò che l’amico s’arrampicasse sulla scala di corde poste di lato all’albero, che arrivasse ad uno dei pennoni e si stringesse alle corde, per reggersi sul vuoto. Gli passò velocemente una delle sue spade e Goku, appena lo vide salire ancora, gli gridò: « Dove stai andando? »

Ma Vegeta salì ancora, fino ad arrivare in cima all’albero maestro e, con una capriola, si issò sopra la fune detta marciapiede, che collegava i due alberi, sovrastando di almeno quindici metri il ponte della nave.

« A pescare! »

Con eleganza e destrezza, il capitano camminò agilmente lungo la corda tesa come un funambolo, ponendo in modo attento un piede davanti l’altro finché non arrivò all’albero di prua, scese lungo il pennone e tagliò una delle funi di drizzaiv che tenevano il palo in posizione orizzontale. Goku fissò Vegeta negli occhi e capì il suo piano: grazie alla loro altezza e alla posizione favorevole del mostro, entrambi avrebbero tagliato contemporaneamente le cime che tenevano issato il pennone e questo, sarebbe caduto dritto in testa alla piovra, trafiggendola.

Si fissarono ancora negli occhi, mettendosi in posizione, con le spade laser azionate.

« Al mio tre! »

« Uno! »

« Due! »

« Tre! » urlarono assieme e tagliarono lesti le funi: i due enormi pali scesero velocemente verso il ponte, come due frecce scattate in contemporanea da un esperto arciere e la bestia non si rese conto di essere in trappola. I pennoni si conficcarono inclementi nelle sue carni, il mostro lanciò l’ultimo grido di dolore e lentamente, iniziò a ritirarsi dalla nave, facendo scorrere i lunghi tentacoli verso il mare spaziale.

Urla di gioia echeggiarono tra la flotta del pirata, che aveva assistito alla lotta contro il mostro potendo ben poco, vista l’inutilità dei cannoni ad energia protonica concentrata che ancora funzionavano a bordo, e tra la flotta del comandante il quale, appeso ad una fune, scese lentamente al suolo, seguito subito dopo da Vegeta. Sorridente, fu sul punto di ringraziarlo per la prima volta da quando aveva messo piede sul suo bastimento con una sonora pacca sulla spalla, quando Vegeta urlò.

« Attento! »

Lo spintonò via, per evitare che uno dei tentacoli del mostro lo trascinasse con sé nel cosmo.

Goku vide con orrore il suo amico di un tempo finire nel grande oceano infinito, stritolato tra le spire forti del mostro. Cercò irrazionalmente di saltare giù dalla nave per correre a salvarlo, ma i suoi soldati furono più lesti di lui a bloccarlo e il nome del pirata si disperse tra le stelle.



A centinaia di metri sotto le navi, dispersi tra le nubi cosmiche e i colori accecanti delle nebulose, il mostro di luce e Vegeta precipitavano a gran velocità del vuoto: il pirata, stordito dal forte sbalzo termico del cosmo, la cui temperatura poteva passare dai folgoranti gradi di ghiaccio delle galassie più nere alle impossibili temperature delle stelle nascenti più giovani, cercò di liberarsi dalle spire del mostro che gli toglievano il respiro e si trovò a trattenere il fiato, quel poco che ancora gli era rimasto in gola, dovuto all’adrenalina della caduta.

Poi, d’improvviso, il mostro iniziò a mutare i propri colori con lo sfondo che li circondava, mischiando il proprio essere con le stelle astanti e Vegeta si vide travolgere da un’improvvisa esplosione, più forte delle deflagrazioni delle stelle azzurre. Un improvviso lampo gamma deflagrò veloce e letale, spargendo la sua energia in un millisecondo e i raggi gamma collassarono tra lorov; infine, come in un sogno, davanti ai suoi occhi resi lucidi dalla luce e dal frastuono, comparve quale fantasma una figura armonica, a tratti sinuosa e a tratti scomposta come una scia di fumo che, presto, assunse le sembianze di una donna dagli occhi di ghiaccio e le labbra del fuoco.

I suoi polmoni bruciarono per l’esplosione che lo inglobò finché non si ritrovò da solo, immerso in una bolla d’aria sospesa magicamente nel vuoto: respirò affannosamente, riprendendo un poco di orientamento dopo la caduta nell’oceano e, sotto i suoi piedi, vide il mostro sparire in una nuvola di fumo, sparsa al vento dell’Eatherium.

Sospeso nello spazio, rimase solo, con attorno a sé il silenzio di migliaia di stelle e il vuoto più profondo.

Poi, parlò una voce.

« La giornata sembrava così promettente… e ora guarda: il mio mostro marino è morto e, ancora, non ho il Libro della Pace »

Vegeta spalancò gli occhi quando, dal buio, emerse una enorme figura femminile che, delicata come il vento, si poggiò sugli avambracci davanti al pirata, scrutandolo con occhi misteriosi.

« Tutto per colpa tua, Vegeta… »

Il pirata acquisì presto la parola, schiarendosi la voce. « Aha… tu sei? »

« Lazuli… la Dea della Discordia » si presentò la donna, muovendosi armonicamente tra i contorni sfuocati della bolla, cambiando il suo aspetto e le sue sembianze di continuo, come il filo leggero di una candela che si spegne.

« Sicuramente avrai visto le mie sembianze sulle mura dei templi più antichi »

Il suo volto gli parve, poi, di riconoscerlo. Vegeta la guardò, incredulo.

La dea dagli occhi di ghiaccio, pur avendo una bellezza eterea e pura, a differenza di altri Dei Cosmici non faceva parte degli Dei dell’Olympus. Tutti gli dei che, da secoli, risiedevano al centro dell’universo nelle Galassie più prosperose, erano consacrati alla ricchezza ed erano prosperi e bendisposti verso gli abitanti dell’Universo. Lei, invece, era stata relegata ad un compito più becero, forse il più crudele: era la custode delle anime dimenticate e, su ogni pianeta sul quale era capitato, il pirata ricordava di aver visto templi maestosi in suo onore, in cui i devoti e i fedeli chiedevano clemenza perché la dea non facesse scivolare il loro destino tra le braccia della morte e dell’oblio.

I templi la raffiguravano sempre con le braccia dispiegate in avanti, pronta per rubare ogni tesoro e ricchezza, braccia che divenivano due ali enormi da Drago Nero, forse il mostro più temuto delle Terre ad Ovest e conosciuto per la mortalità del suo sguardovi.

Aveva sentito sussurrare nei peggiori anfratti delle galassie meno conosciute e nei bordelli più malfamati che la dea succhiava la vita dai pianeti e dagli abitanti, sciogliendo il loro ricordo in una nuvole di polvere che si amalgamava con l’essenza della sua stella morta, Tartaro. Tutto ciò che era dimenticato, nomi, uomini, ricchezze, tesori e pianeti, finivano nel suo regno perduto, il regno del Caos.

Deglutì sommessamente, non volendo mostrarsi nervoso davanti a quella apparizione trascendentale.

« Ah, certamente… sai, quelle immagini non ti rendono giustizia » abbozzò un sorriso, allontanandosi cautamente di qualche passo dalla dea, come alla ricerca di una via di fuga.

« Aha… » sussurrò poco convinta la dea che punzecchiò l’uomo con un dito, « ora, torniamo al mio mostro marino… »

« È vero, è vero… » si mise una mano sul cuore il pirata, « ascolta, mi dispiace tanto, ma immagino che delle scuse accorata non bastino... » ghignò con sarcasmo, cercando di sfuggire all’imbarazzante situazione di dover spiegare il perché delle proprie azioni direttamente ad un essere immortale padrone di metà Cosmo.

La dea, con sua sorpresa, rise di gusto: « Accorate? Proprio tu? Vegeta… tu non ce l’hai un cuore... »

Si tramutò un’altra volta e comparve, come un’illusione, accanto al pirata avvicinandosi suadente e lasciando che i suoi lunghi capelli dorati incorniciassero il suo volto angelico e fluttuassero alla brezza marina dell’Eatherium.

« È questo che mi piace di te… »

Gli accarezzò il volto lentamente e Vegeta sentì il freddo contatto della sua mano, come se fosse una mano di un essere privo di linfa vitale da tempo, e cercò di reprimere un brivido di freddo.

« Perciò, io ti lascerò in vita » continuò l’essere soprannaturale, « ma in cambio dovrai fare per me una cosuccia… prendere il Libro della Pace e portarlo a me »

Vegeta si ritrovò incredulo davanti alle parole della bella dea e lesse sul suo volto e nei suoi diamanti azzurri la stessa bramosia che lo caratterizzava quando si parlava di ricchezze. Ed ovviamente, il Libro della Pace era la ricchezza più grande.

Arricciò soprappensiero un labbro, specchiandosi nelle miriadi di luci che risplendevano fuori dalla bolla e scorrevano, fluenti, nel moto incessante dell’Universo.

« Certo, capisco… be’, vedi, mi crei un problema, perché… » bofonchiò il capitano, portandosi le braccia al petto e iniziando a gironzolare per la bolla, restio al guardare la donna dritta negli occhi « mi ero fatto un progettino mio, sai... riscatto, ricchezza… del sano egoismo! »

Sobbalzò, trovandosi la dea ad un palmo dal naso e quella rise ancora.

« Non pensi abbastanza in grande, Vegeta » comparve nuovamente alle sue spalle e questa volta gli sfilò lesta una delle sue spade laser dalla custodia, facendola vibrare nell’atmosfera: « rubi il Libro per il riscatto e sei ricco a sufficienza per bivaccare da una galassia all’altra… »

Avvicinò la spada al volto del pirata, che si ritrasse indietro, cercando di non staccare i suoi occhi scuri dagli occhi chiari della visione.

« Rubi il Libro per me e puoi comprartela la galassia… e la costellazione… e l’Universo »

Vegeta si trovò a sogghignare: « Hmm… » rifletté un attimo, « mi lasci in vita… mi rendi ricco, mi ritiro in paradiso… niente da obiettare » considerò, finché non assottigliò lo sguardo, serio. « Se… mantieni la parola »

« Vegeta, quando una dea dà la sua parola... » ricomparve nella sua mano la spada lucente del pirata che si attivò in un fascio luminoso « è vincolata per l’eternità... » e tracciò sulla sua spalla sinistra un segno di ics, che rimase luminescente sulla sua pelle candida.

Il principe allora annuì e la dea proseguì.

« Allora » iniziò e, con la spada tracciò un’improvviso squarcio nella bolla, che si aprì come una grande finestra sull’Universo e Vegeta venne inondato dalla luce improvvisa degli astri più fluorescenti.

« Una volta rubato il Libro, prosegui verso Ovest, oltre le Dodici Galassie e oltre la Costellazione della Fornacevii, finché non arriverai alla mia stella morente. Una volta lì, prosegui oltre ciò che tocca la luce… ti ritroverai a Tartaro, il mio regno del Caos... »

« D’accordo » accettò Vegeta.

« È un appuntamento… » mormorò la dea e gli si riavvicinò velocemente, consegnandogli la spada ma, prima che l’uomo potesse afferrarla, facendola scomparire in una nuvola di fumo.

« Dov’eravamo? » soggiunse poi, Lazuli, carezzando lentamente le labbra dell’uomo e incatenando il suo sguardo infinito negli occhi curiosi e avventurosi del pirata, che inarcò un sopracciglio davanti alla bellezza solenne della donna, schiudendo inavvertitamente le labbra, soggiogato al suo tocco.

La dea socchiuse gli occhi e Vegeta si ritrovò a fare lo stesso.

« Ah sì… stavi cadendo... »

In un batter d’occhio, la bolla, così com’era comparsa, si dissolse bruscamente, squagliata come una bolla di sapone e Vegeta si ritrovò ancora tra le braccia della tempesta di fuoco e calore che lo aveva avvolto poco prima: invece di precipitare ancora nel vuoto, però, la forte onda d’energia scagionata lo scaraventò in alto, come una navicella scagliata nell’interspazio, e salì verso l’alto con estrema velocità.

Celata tra le nebulose, la dea sospirò deliziata.

« È così carino… e così credulone » sussurrò alzando gli occhi al cielo, « Chetus... » soggiunse quando le si avvicinò il mostro marino che aveva nuovamente conciliato il suo aspetto con la Costellazione del Chetus a Meridione.

« Ottimo lavoro... »

I suoi occhi blu scomparvero tra le stelle.



La gittata dell’esplosione del lampo gamma lo stava trascinando a velocità supersonica oltre gli enormi schieramenti di stelle che aveva contemplato cadendo e gli sembrò, per un attimo, di stare andando nello spazio alla deriva, come una meteora che presto sarebbe stata catturata dall’orbita gravitazionale di un pianeta o di un buco nero. Fino a che, così velocemente com’era caduto, altrettanto velocemente fu recuperato dal suo piccolo bastimento e si ritrovò tra le braccia solide di Nappa che lo trascinarono a bordo allo stesso modo in cui si afferra un naufrago dal divagare nell’oceano.

La ciurma al vedere la buona pescata schiamazzò esultante e Broly, incapace di contenere l’emozione, abbracciò goffamente il capitano, stritolandolo peggio della piovra interstellare che lo aveva afferrato prima tra le braccia, fino a quando il capitano non si lamentò, indignato.

« Vegeta, sei vivo! » esclamò contento Radish, che sorrise allegro « Meno male! » e lo salutò con una sonora pacca sulla spalla, dandogli il benvenuto. Si girò, poi, verso Toma. « È vivo, sgancia i soldi! », che ancora una volta aveva perso una scommessa con lui.

Una volta aiutato ad alzarsi, Nappa osservò il capitano che cercava di riprendere l’orientamento dopo il volo interspaziale e lo guardò passarsi una mano sugli occhi, come a scrollarsi di dosso una sensazione di vertigine non dovuta solo al salto, ma anche a qualcosa di innaturale e insolito che aveva visto.

Il vice-capitano incrociò le braccia e alzò un sopracciglio.

« Che è successo laggiù? »

« Se te lo dicessi non mi crederesti… » rispose tra un affanno e l’altro Vegeta, cercando di recuperare il fiato dopo il salto adrenalinico nel profondo oceano di stelle. Nappa lo osservò ancora, curioso.

« Provaci... »

« D’accordo. Ecco qua... » iniziò il capitano, levandosi velocemente uno degli stivali a trazione gravitazionale, che era rimasto bruciacchiato e danneggiato dall’esplosione cosmica che l’aveva sparato in maniera inclemente verso l’alto.

« Ho incontrato Lazuli, la dea del Caos. Si è presa una bella cotta per me e mi ha invitato a casa sua »

Il secondo lo contemplò per qualche istante, per poi scoppiare a ridere insieme alla ciurma che aveva sentito le sue parole. Nappa gli diede una pacca sulla spalla, continuando a sbeffeggiarlo, e gli scombussolò in un gesto paterno i folti capelli neri, avviandosi verso i comandi a poppa.

« Questa è buona! La “Dea del Caos”, me la devo segnare... »

Vegeta, innervosito, alzò gli occhi al cielo e ordinò agli uomini di riprendere i propri posti, per continuare la navigazione.

Gli si avvicinò Turles che scivolò sul ponte dolcemente, calandosi da una corda.

« Quindi, si chiude la storia, niente Libro? » gli domandò in uno spiccato accento della Galassia di Mezzo, un accento con uno spiccato tono ivoriano « e ora che facciamo? »viii

Il capitano diede un’occhiata alla nave militare che, nel giro di poco tempo, aveva nuovamente ripreso il suo ordine, con le grandi vele a specchio d’energia che aprivano le loro enormi ali al vento cosmico e con i motori nuovamente riposizionati sulle onde di luce.

« Un po’ di pazienza, Turles, non è che non sappiamo dove sia diretto... »

Fissò assorto la nave avversaria, individuando tra la folla di soldati Goku.

Presto il Libro sarà mio” pensò, incrociando le braccia al busto e poggiandosi sul parapetto della nave, silenzioso.

Dall’altra parte del mare, a bordo della sua nave, il comandante Goku sorrise quando trovò l’amico sano e salvo a bordo del suo vascello e diede ordini alla flotta per fare ritorno al suo pianeta, il pianeta che avrebbe accolto finalmente il Libro della Pace.

« Uomini, spiegate le vele per Earth24! »









Continua...











Angolo dell’autrice

Hello, bentornati con questo secondo capitolo.

Le cose iniziano a farsi interessanti, spero di stando attirando la vostra attenzione.

Come vedete, ho messo alcuni riferimenti a parti delle navi, come le funi, il ponte, eccetera. Questo non significa assolutamente che io sappia come è composta una nave, le ho messe per precisione linguistica, sperando almeno di aver beccato giusto qualche componente. Spero di non aver ucciso alcun Ammiraglio, là fuori.

Ringrazio tutti coloro che leggono e che recensisco lasciando la loro. Ve se ama!

E, se avrete voglia, al prossimo capitolo!

iAlbero posto a prua, davanti alla nave, inclinato diagonalmente;

iiAsta orizzontale nella parte superiore di un albero che sorregge la vela;

iiiCome non mettere Asgard? Tranquilli, qui siamo in un altro universo, niente Thor e Avengers, di casini ce ne sono fin troppi, non mi serve un Thanos e il suo snap;

ivFune usata per ammainare ed issare le vele;

vQueste esplosioni esistono veramente nell’universo, sono degli intensi lampi di raggi gamma che esplodono d’improvviso nell’universo. Se v’interessa, Wikipedia vi saprà dire di più;

viPiccolo e innocente rimando all’autore Teo5Astor con la sua “Mythos”;

viiIn direzione della Costellazione della Fornace, poco tempo fa, è stata scoperta la galassia più distante e antica mai conosciuta, a 13,2 miliardi di anni luce di distanza;

viiiNel cartone, il personaggio che qui ho presentato come Turles, si chiama “Lercio”, per le sue evidenti condizioni igieniche, ehm… scadenti. Questo personaggio ha uno spiccato accento salentino, quindi mi pareva carino fare riferimento.

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Capitolo 3
*** Syracysis ***


Capitolo terzo


Syracysis


Il piccolo pianeta di Earth24 era collocato nella Via Lattea, una galassia di modeste dimensioni che nel tempo era diventata il fulcro di numerose rotte commerciali e astrali, raccogliendo non poche ricchezze da tutto il Cosmo configurandosi come una perla di rara bellezza.

Di media grandezza, in una posizione defilata, ma non troppo rispetto al centro solare che faceva ruotare la galassia, il corpo celeste apriva la sua atmosfera ad una miriade di navi e grandi galeoni commerciali che, dapprima dispersi nell’universo, facevano rifornimento e tappa sul pianeta per smistare le merci e i commerci nelle Dodici Grandi Galassie.

Costruita su fibre di titanio e illuminata dalla danza costante del Sole e di una piccola cometa che vi girava attorno, come il moto circolare di una ballerina su un lento carillon terrestre, la grande capitale Syracysisi stava a guida del pianeta ed era posta alla latitudine Sud-Est del pianeta.

La città, eletta capitale per volontà delle popolazioni eterogenee presenti, raccoglieva in sé le due anime del pianeta: la prima anima, in ricordo dei tempi antichi, si stagliava sui relitti e sulle rovine dei monumenti ed delle opere passate. Grandi torri, ponti e grattacieli ricordavano il tempo di un pianeta ormai morto, sul quale gli abitanti si erano mutati in mostri per il dio denaro e si erano corrotti nel profondo; la seconda anima, più viva e in costante evoluzione, era un omaggio al mondo del trentesimo secolo post Apocalisse ed era costituita da intense strutture in fibra di titanio e diamante, completamente intrecciate alla natura selvatica del pianeta, come se il loro DNA fosse fuso in maniera ossequiosa e onnicomprensiva alla flora e fauna.

Intere città alimentate ad energia solare filtravano l’energia cosmica della Galassia per il loro autosostentamento e per la loro autonomia, e gli abitanti, come avevano sognato da anni, avevano nel tempo imparato a distribuire equamente le risorse e la preziosa acqua a tutti gli inquilini del pianeta; l’oro blu, inestimabile risorsa del passato che era stata selvaggiamente inquinata e che era diventata nel tempo un bene di lusso per pochi, ora era a disposizione di tutti gli abitanti del piccolo Earth24.

Grazie ad un programma mondiale e galattico di rinnovo culturale ed energetico, i governatori di Syracysis avevano intrapreso una costante e fruttifera politica di rispetto per l’ambiente e per la galassia, avviato un’efficace collaborazione interplanetaria con gli abitanti delle altre undici galassie attorno a loro ed una cura del territorio e una valorizzazione delle risorse di ciò che un tempo chiamavano pianeta Terra. Si erano presi cura del terreno, della bonifica da materiali tossici e radioattivi, della pulizia degli oceani, della ricerca di risorse rinnovabili e gratuite fuori dall’atmosfera, della lotta per debellare le malattie e le disuguaglianze nel globo.

Presto, in ricordo della sfera blu che si era autodistrutta secoli prima e che aveva tratto i suoi ultimi respiri nell’istante in cui era sfociata l’Apocalisse di trenta secoli fa, i superstiti del mondo avevano deciso di esplorare nuovi territori esterni al pianeta e al piccolo sistema solare che li conteneva, andando oltre la galassia a spirale e incrociando così, sul proprio cammino, a pochi decine di anni luce, altre costellazioni e galassie altrettanto giovani.

L’ampliamento delle nuove tecnologie e della robotica, l’incontro con nuove civiltà e popoli più evoluti esterni alla Via Lattea, avevano dato inizio ad un’era di esodo verso terre più ospitali ed ancora vive, finché dopo secoli di buio per il vecchio pianeta, popolazioni estranee al suo primordiale habitat avevano di nuovo scommesso sulla preziosità della piccola perla, dandole di nuovo vita e speranza, ripopolandola di umani superstiti e di nuove specie aliene, fondamentali alla sua rinascita.

Dopo secoli, il governatore Bardack, posto a capo della capitale Syracysis per volontà dei membri delle Dodici Grandi Galassie, si era rivelato essere degno del suo titolo poiché, grazie alle sue precedenti abilità di esploratore, aveva portato molte ricchezze al pianeta e all’Alleanza galattica, edificando opere di rinnovamento economico e astronomico ed intessendo nuove rotte commerciali di particolare efficacia. Ma soprattutto, perché aveva cercato in gioventù e per tutto il resto della sua vita il Libro donato dagli Dei del Cosmo.

Bardack, in passato, ancora consigliere del legittimo governatore Tsufii, a capo di una vasta legione di uomini Earthariani e di eserciti provenienti dalle Dodici Grandi Galassie che una dopo l’altra si erano unite all’impresa, aveva infatti attraversato molte Costellazioni conosciute alla ricerca della promessa di pace ed era giunto fino alle Stelle di Ghiaccio della Galassia Nera. In una battaglia epica, in cui vi era stato lo spettacolare scontro tra gli Earthariani, i soldati delle Dodici Galassie e le legioni del demone del Ghiaccio Cold e di suo figlio Freezer, era stato costretto a prendere la corona di comandante dell’esercito, deposta sul suo capo dal morente Tsuf, ferito a morte, e aveva condotto gli uomini alla vittoria.

Gli Dei del Cosmo, allora, vedendo la sua tenacia nella ricerca del Libro, avevano promesso a Bardack che i membri delle Dodici Grandi Galassie avrebbero trovato lo strumento di pace che tanto avevano cercato e che tanto era stato decantato dai poeti e rapsodi.

Finalmente dopo anni di ricerche, suo figlio Goku, che grazie alla grandezza della sua impresa sarebbe diventato a tempo debito il nuovo governatore di Syracysis e di Earth24, giungeva sul pianeta con la promessa che gli Dei avevano mantenuto.

Quel giorno, presso il Palazzo del Consiglio, istioriato delle imprese compiute dai reggenti passati, si teneva una grande festa in onore dell’arrivo del Libro della Pace che tanto si era sognato di avere a Syracysis: accolta da una folla trionfale, da capannelli di gente esultante proveniente da ogni angolo delle Dodici Galassie, la grande nave militare attraccò allo Spazioporto e il Libro, poggiato sul suo piedistallo che rifletteva la rotazione precisa degli astri del cielo come un astrolabio di fine raffinatura, venne portato in cerimonia sulla torre più alta del palazzo.

Da lì, come una stella catturata in uno specchio, illuminò con la sua luce l’intera capitale e fece brillare di composta commozione anche gli occhi del governatore Bardack, che richiamò con un brindisi i reggenti delle altre Dodici grandi Galassie e gli ospiti della sua corte.

« Fin da quando io ho memoria, ho sognato questo momento. Il sacro tesoro che ha protetto l’Universo per migliaia di anni e che, in passato, è stato promesso dagli Sacri Dei, è finalmente a Earth24! »

Accolse raggiante la presenza del figlio accanto a lui e sollevarono assieme il calice, in onore di quel prezioso ed agognato momento. Circondato da ambasciatori provenienti da ogni angolo delle Dodici Grandi Galassie, librò nell’aria il suo inno alla pace.

« Al Libro della Pace! »

« E a voi, governatore Bardack e fiero Goku! » brindarono i commensali, portando al cielo le coppe di vino rosato delle vigne coltivate a goccia nelle terre natie a Sud dell’Equatore del pianeta Sagard, all’estremità Ovest della Galassia di Andromeda.

I commensali in festa stavano per onorare ancora il governatore e il figlio con un altro brindisi, quando si fermarono per un improvviso trambusto.

« Fate largo! » esclamarono le guardie che, come uno sciame d’api, si precipitarono all’ingresso del grande Salone dei Congressi, richiamate all’ordine.


« Lo vedi? Ecco cosa succede quando prendi la porta d’ingresso… » scosse la testa Vegeta, che con Nappa, Turles, Broly e Radish, era improvvisamente comparso all’apertura della cerimonia ed ora era circondato da una schiera di soldati di guardia.

Da lontano, Goku stava raggiungendo a grandi passi l’entrata, per capire il motivo di tanta agitazione e ridacchiò quando notò la ciurma pirata all’ingresso.

« Che ci fa lui qui? » s’irrigidì, invece, il vecchio governatore.

« Almeno non è in giro a derubare! » lo tranquillizzò il figlio, avviandosi sorridente all’entrata, superando il padre, che rimase indietro e allargò le braccia, piccato: « Perché quelli che vale la pena di derubare sono qui! »

Il gruppetto, ancora all’ingresso, intanto, ridacchiava e scherniva le guardie che, integerrime, non lasciavano la loro posizione ed erano in attesa dell’ordine di arrestare i pirati.

Broly, un po’ defilato rispetto al gruppo e nascosto dietro i compagni, notò le grandi tavole imbandite di prelibatezze e pietanze da tutto il Cosmo e si passò sovrappensiero la lingua sulle labbra. Senza farsi notare, silenzioso come sempre, si staccò dal gruppetto e raggiunse una tavola, iniziando a mangiare come un pozzo senza fondo, sotto lo sguardo spaventato degli ospiti.

Ad una certa, Vegeta rise sotto i baffi e fissò con aria di sufficienza il capitano delle guardie.

« Scommetto dieci corone d’argento che state per mettere via le armi... » disse, notando gli occhi fiammeggianti della guardia, che non si tirò indietro alla sfida.

« Accetto la scommessa! » gli rispose caustica, la guardia, desiderosa di strappagli dalla faccia quel fastidioso sorrisetto compiaciuto, ma le parole del figlio del governatore la obbligarono a riprendere il suo posto. « Guardie! Mettete via le spade! »

I soldati tutt’attorno si misero sull’attenti e il giovane Goku sollevò le braccia come in segno di resa, vedendo gli inaspettati ospiti.

« Non ti vedo per dieci anni e ora due volte in un giorno? » si portò una mano al cuore, ridendo « ti prego, così mi asfissi! »

Vegeta ricambiò il saluto, stringendogli la mano e dandogli una pacca sulla spalla. « Ti ho salvato la vita, so che volevi ringraziarmi… di nuovo » ghignò e Goku lo introdusse al banchetto, facendo gli onori di casa. « Ti avranno detto che qui ci sono cibo e vino gratis! »

Il pirata si girò verso la ciurma: « Sentito ragazzi? Cena e bevande offerte dal figlio del governatore! »

Si avviò, poi, con l’amico verso il centro della sala, perché questo, come aveva detto, desiderava fargli incontrare una persona speciale. Vegeta e il figlio del governatore si allontanarono e il pirata strizzò l’occhiolino alla ciurma, che si accomodò di buona lena al banchetto, ma due guardie, prima potessero unirsi alla festa, chiesero subito loro di depositare le armi all’ingresso.

Napa fece il suo peggiore sorriso e senza che le guardie se ne accorgessero, sfoderò veloce i suoi due piccoli pugnali, passandoli sotto il naso delle due guardie, spaventadole. Lui e Turles si allontanarono ridendo di gusto, dopo che anche il mozzo aveva scarrozzato all’ingresso due pistole laser, delle bombe all’idrogeno tascabili e una spada curva di vibranio.

Quando fu il turno di Radish, questo accomodò malamente sul bancone l’artiglieria, iniziando a svuotare le tasche: tirò fuori tre spade a diffusione plasmatica, un rampino per raggiungere le cime delle navi avversarie, un Mjöllnir rubato su un’astronave aliena da un tizio che, sebbene con qualche chilo di troppo, si era definito figlio di Odinoiii, quattro bombe all’idrogeno tascabili e una spararazzi. Iniziò poi a svuotare l’altra tasca e le guardie si guardarono a disagio, chiedendosi quanto universo potessero contenere i pantaloni di quel pirata.


Il grande palazzo si presentava come una conchiglia argentata e perlacea, la cui bellezza esteriore faceva prevedere le rifiniture della sua crisalide interna: alte colonne costellate da capitelli e bassorilievi riportavano le battaglie epiche degli antichi governanti e su, in cima, sotto le ampie volte, brillavano i colori variopinti delle finestre che, come radiosi pavoni, proiettavano sul pavimento i loro intrecci di luce.

Il pirata continuò a camminare dietro a Goku ammirando la grandiosità della sala, percependo distrattamente il suo discorso sulla maestosità della festa e l’importanza del Libro a Syracysis. Cercò di sembrare interessato alle sue chiacchiere e di non farsi notare a curiosare in giro, alla ricerca di qualche piccolo tesoro nascosto dalle lunghe maniche delle signore presenti al ricevimento o incastonato nelle ampie tuniche dei ricchi commercianti, i quali sfoggiavano preziose collane e spille in segno del loro potere sul pianeta.

S’avvicinò ad un’avvenente signora della Galassia del Centauro, frugando con i suoi occhi neri d’universo tra le pieghe del suo vestito, alla ricerca di un diamante argentato o di una collana di perle. La signora, rimasta incantata dagli occhi selvaggi del pirata, rimase a bocca aperta e spalancò i cinque occhi che le coronavano il viso quando questo le fece gentilmente il baciamano; il pirata ne approfittò per rubarle un sorriso, le sfilò dolcemente il calice di vino dalle mani e la salutò con un profondo inchino, infilando nella tasca il piccolo diamante argentato che le aveva sottratto dalla mano destra.

« Le ho detto tutto di te... » sentì che continuava a chiacchierare l’amico, mentre era tornato a camminargli dietro veloce e ad osservare la grande sala del Congresso.

Tracciò con gli occhi le rifiniture delle alte colonne di prezioso iridio proveniente delle Stelle di Capo Verde: sopra la sala, il grande soffitto a cassettoni neoclassici faceva pendere dei lunghi lampadari ad energia leggera che donavano all’intero salone un’aria di raffinata importanza e cura. Sorseggiò il suo vino e cercò qualche anfratto nel soffitto, alla ricerca di una via nascosta verso la torre del Libro, finché non venne richiamato dall’amico.

« Vegeta... »

Lo vide avvicinarsi ad una donna, dapprima di schiena che richiamata si congedò in fretta da un ambasciatore e poggiò lieve la sua mano destra nel palmo di Goku. Gli si mozzò il respiro in gola, quando riconobbe l’azzurro del suo sguardo.

« Ti presento la mia fidanzata, l’ambasciatrice delle regioni del Sud, donna Bulma »

Il dolce nettare del vino si tramutò subito in un amaro intruglio, quando osservò i lineamenti della donna. Subito si rese conto, ancora prima che iniziasse a parlare, di aver già visto quegli occhi di rugiada, quella bocca di rose e quel sorriso così delicato che, come anni prima, gli aveva fatto battere più forte il cuore.

La donna, per nulla avveduta del tremore interiore che aveva colto il pirata, gli rivolse un saluto cordiale, poggiandosi al braccio che il figlio del governatore le aveva posto.

« Così questo è lo scellerato Vegeta… »

Incatenò i suoi occhi azzurri a quelli del pirata ed a Vegeta parve di contemplare le lontane Stelle di Ghiaccio, belle e pure nella loro fresca energia cosmica.

« Ho saputo tutto questa mattina: prima volevate derubare Goku e poi gli avete salvato la vita. Perciò cosa siete, un ladro o un eroe? »

Sorrise e Vegeta volle per un secondo affogare dentro la luce delicata delle sue Stelle ad Ovest.

« Vegeta voleva darmi l’opportunità di ringraziar- » continuò Goku, introducendo l’amico alla conversazione con la fidanzata, ma, tornando a volgersi verso il pirata, si accorsero entrambi che il loro ospite era improvvisamente sparito. Si guardarono intorno per qualche istante, ma di Vegeta nessuna traccia.


Un paio di tavoli più in là, Broly aveva iniziato ad assalire il secondo tavolo di piatti colmi dei commensali, razziando avidamente i vassoi e le portate dei servitori ma, nonostante il gran baccano, Nappa si gustava una buona coppa di vino, cercando di evitare gli sguardi arrabbiati e accusatori degli ospiti che lo imploravano di fermare lo strano compagno.

Il palazzo sfoggiava una magnifica bellezza, doveva ammetterlo. E, poi, tornare al suo pianeta natale Earth24 l’aveva d’improvviso sbalzato indietro nel tempo a quando, circa dieci anni prima, era al comando della piccola Freccia, l’attuale nave Saiya, ed aveva raccolto dallo Spazioporto un ragazzetto di dodici anni con uno sguardo corrucciato e profondo che gli aveva chiesto di unirsi al suo equipaggio. Il ragazzetto, di corporatura gracile ma di grande coraggio, col tempo, l’aveva surclassato in strategia e forza finché, in raccordo con le regole del Mare Spaziale, l’aveva direttamente nominato capitano e, da allora, ne avevano fatto di strada e di razzie tra le scie di luce dell’Universo.

Ridacchiò, scuotendo la testa, e bevve un altro sorso del suo nettare, per poi alzare gli occhi al cielo alle ennesime lamentele che arrivarono dai tavoli a cui Broly si stava abbuffando.

Notò ad una certa il capitano camminare furiosamente verso l’uscita, così, dopo aver poggiato il calice sul tavolo, raggiunse il compagno più piccolo della ciurma, Broly, gli sfilò di bocca il pesce spada che stava trangugiando e lo trascinò via per un orecchio, verso il punto in cui aveva visto Vegeta.

Anche Turles, che fino a quel momento aveva arruffato dai tavoli diverse prelibatezze da portarsi a bordo, per evitare almeno per qualche giorno di mangiare uova di gallina e cetriolini, s’interruppe quando vide tornare rapidamente indietro il capitano, senza accorgersi, però, dell’aria scura che aveva in volto.

« Ah! La cosa è uno scherzetto » sogghignò il mozzo, ammiccando alla posizione del Libro alla torre del Palazzo. « Ci sta solo qualche guardia! »

« Non importa, torniamo alla nave! » fece subito il capitano, facendosi largo tra i suoi uomini.

« All’improvviso? Il Libro è quasi nostro! » chiese dubbioso Nappa, cercando di bloccare il suo passo, ma inutilmente. Si voltarono entrambi da dove era venuto.

« Ohh… » sussurrò poi il più anziano.

« E quella chi è? » chiese invece Turles, osservando curioso la coppia di reali che, al centro del salone, aveva visto allontanarsi di corsa Vegeta senza trovare spiegazione.

« Una vecchia innamorata? » ghignò il mozzo, ammiccando alla bella donna dai riflessi del mare che, accanto a Goku, aveva assistito alla dipartita del capitano.

« Mi sa che non è così semplice… » scosse la testa il secondo in capo, « andiamo » sussurrò.

« Rad, sbaracca... » comandò a Radish, che, ancora all’entrata, aveva appena finito di depositare le armi davanti alle guardie.

« Cosa? Ma ho appena finito! » si lamentò Radish, ma con uno sbuffo dovette raccogliere tutte le armi dal tavolo e seguire i compagni fuori dal palazzo. Le guardie lo videro avviarsi dietro i compagni con una immensa mole di artiglieria tra le braccia.

Lontano, sopra i tetti del palazzo e distante dalla musica della festa, una figura sottile con un’aurea trasparente come il fumo ghignò, vedendo allontanarsi verso lo Spazioporto il gruppo di pirati e, veloce come brezza lunare, s’avvicinò alla torre dove risplendeva il Libro della Pace.


« Vedila così, ora che Vegeta se n’è andato, tuo padre può finalmente rilassarsi e godersi la serata… »

Goku e Bulma si erano allontanati dalla calca per prendersi del tempo da soli e il loro passo li aveva condotti sulla grande terrazza che dava sulla città e sullo Spazioporto, la via più breve e diretta per lo spazio aperto.

« Su questo hai ragione, lui cerca di non dimostrarlo, ma è così orgoglioso di avere il Libro qui a Syracysis… è tutta la vita che pensa a questo giorno » concordò Goku, accompagnando la sua fidanzata fino alla balaustra illuminata, come tutto il palazzo, dalla luce lunare e dalla luce splendente del Libro della Pace, riposto al sicuro nella torre.

« E presto, sarà tua la responsabilità… » gli sorrise Bulma, stringendosi al suo braccio e lasciandosi cullare dalle braccia nerborute del figlio del governatore, che la strinse al petto. « Nostra, la responsabilità... »

La donna abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente e portò gli occhi verso lo Spazioporto ed, inevitabilmente, verso il mare infinito che si apriva alle stelle e alle galassie sopra di loro. Sospirò, incastonando i suoi occhi di luce con le luci lontane e silenziose del Cosmo, sognando, ancora una volta, di essere lassù, libera, tra le stelle.

« È bellissimo… »

« Sì, mio padre ha passato anni a prepararsi per il Libro. Ci sono guardie ad ogni livello e se guardi su- »

Il figlio del governatore s’accorse poi del suo piccolo errore, come vide una piccola smorfia sul volto della donna, e si schiarì la voce, grattandosi impacciato la sua chioma di capelli.

« Ehm… parlavi del mare, vero? »

La ragazza sciolse il suo abbraccio, andando ad appoggiarsi sulla balaustra della terrazza e contemplando con lo sguardo e con il cuore il mare immenso che attendeva le numerose imbarcazioni e navi spaziali pronte a salire verso il cielo.

« Vorrei solo aver visto più cose… una volta immaginavo di andare ben oltre le Dodici Grandi Galassie… a scoprire l’Universo » ridacchiò timidamente, portandosi una ciocca di capelli dietro il nastro argentato che li teneva uniti in una piccola coda. Goku la guardò comprensivo e la invitò ad accomodarsi ad uno dei comodi divani di velluto che costeggiavano l’ampio terrazzo.

« Bulma… il nostro matrimonio è stato combinato anni fa, se l’aspettavano tutti da noi… ma la politica non è un buon motivo per sposarsi e io non voglio che tu lo faccia solo perché è tuo dovere! »

Bulma lo vide abbassare lo sguardo, inginocchiandosi davanti a lei e congiungere assieme le loro mani, in una calda e confortevole unione.

« Bulma... vuoi sposarmi? »

La luce della Luna si rifletté nei loro occhi improvvisamente così uniti e Bulma, incantata dalle sue parole, aprì la bocca per rispondere, quando vennero interrotti entrambi da Bardack.

« Eccovi qui! »

Il vecchio governatore si avvicinò a loro affannosamente, sistemandosi la lunga toga blu scuro che, per la corsa, si era leggermente stropicciata e iniziò a parlare a loro a raffica, come preso dal panico.

« Credo che i delegati delle Manoli vogliano fare un brindisi… non ne sono sicuro, stanno facendo qualcosa con le ginocchia, una specie di ballo, non saprei! Bulma... mi serve un’ambasciatrice! »

I due ragazzi si sorrisero e Bulma, rassicurata dallo sguardo benevolo di Goku, accompagnò il governatore al banchetto.

« Certamente, Governatore… »

Fece ritorno tutti e tre al banchetto, lasciandosi alle spalle la lunga torre con il Libro della Pace e il mare spaziale, dietro, a farle da sfondo.


Nel frattanto, nel silenzio della notte di Earth24, un’ombra scura si arrampicò lungo la torre del palazzo, strisciando lungo i muri ed infiltrandosi tra le fughe, silente come l’aria e sinistra come il manto della morte.

Arrivò alla sala più in alto della torre, al cui centro torreggiava sul suo piedistallo il Libro della Pace e, al riparo dalla luce incantevole del Libro, si nascose tra le tenebre; allungò una mano scheletrica verso una lanterna di luce elettrica e spense il suo calore, soffocandola nella sua presa ghiacciata e facendo calare un anfratto della sala ottagonale nel buio.

Una delle due guardie, richiamata dall’improvviso tacere della fiammella, si avviò a controllare con fare circospetto verso il punto d’improvvisa oscurità che si era dipanata nella stanza, ma, non notando la figura misteriosa infiltrata tra le decorazioni del soffitto, riacquisì presto la sua posizione lungo il perimetro di sorveglianza della torre.

L’altra guardia, allertata dall’atteggiamento inquieto del compagno, s’avvicinò al Libro per rassicurarsi della sua sicurezza: passò la mano sovrappensiero sull’intreccio meccanico del basamento che lo sorreggeva e che continuava a scorrere. Lento come una meridiana, seguiva il moto delle Costellazioni del Cielo e si spostava in una sinfonia costante, una sinfonia in cui si poteva distinguere il tocco soffuso delle mani dei primi Dei del Cosmo, quando, milioni di secoli prima, avevano fatto scaturire l’Universo.

L’ombra del soldato si proiettò lunga e sinuosa sul muro e da quella scaturì, repentina, nuovamente l’ombra. Felina, allungò ancora le lunghe dita verso le lanterne che illuminavano la camera e le spense in un ronzio soffuso. Le due guardie, richiamate dal debole rumore, si misero questa volta sull’attenti, sguainando le spade ed illuminando le loro corazze di titanio con la luce violacea delle spade.

L’ombra, approfittando della loro distrazione, si trasformò in una nuvola d’aria e in una sottile linea di fumo, strisciò lungo la colonna, nascondendosi dalla ricerca dei due soldati. Sollevò e tirò a sé una nube d’aria e questa prese la consistenza di un corpo preciso, con gli occhi scuri di demone: prese le sembianze di un uomo e, brandendo la sua spada di luce, si mise alle spalle dei due soldati che, voltandosi, riconobbero le sembianze del capitano dei pirati, Vegeta.

« Vegeta! » gridò indignata la guardia.

Scansò velocemente la prima delle guardie che, dopo aver attaccato con un affondo, si vide schiantata brutalmente contro la colonna, perdendo conoscenza. Affrontò subito dopo anche l’altro soldato, che, con un urlo di rabbia, brandì la spada contro quella del pirata. Ma l’uomo con gli occhi di demone si liberò presto della spada della guardia e l’atterrò con un pugno ben assestato, facendola stramazzare al suolo.

L’ombra si liberò delle fattezze del pirata e lasciò a terra la spada, che, vibrando, si spense, accanto al corpo accasciato della guardia.

« Adoro diventare un altro... »

Una risata agghiacciante sorse dalla cima della torre e una dea prese il suo posto, si vaporizzò in fumo e comparì subito dopo davanti al Libro che, ancora, tracciava silenzioso le stelle sul soffitto e illuminava di luce bianca la volta della torre.

In un gesto solenne, specchiando i suoi occhi avidi tra le pieghe infinite del Libro, lo sollevò, prendendolo tra le sottili mani.

« Tutti i pezzi cominciano ad incastrarsi! »

E chiuse il Libro in un colpo preciso.

Un forte terremoto, comparso rapido e spettrale, sconquassò Syracysis, mentre la dea sparì ridendo in una nube di fumo nero che si sollevò come la potenza di un vulcano verso l’alto e il Libro sparì con lei.

Le guardie a palazzo vennero richiamate alla torre e Goku, destato anche lui d’impatto dalla festa, corse alla terrazza e tutto quello che poté vedere fu una nuvola cupa e nera che allargò la sua presenza sul palazzo e sulla città, per coprire tutto il pianeta ed allargarsi verso lo spazio.

Quando i soldati tornarono per fare rapporto, tutto quello che recuperarono fu soltanto una spada laser e Goku si rabbuiò, riconoscendo il proprietario dall’elsa della spada.



Continua...







Angolo dell’autrice


Tan tan taaaan!

Chi se lo aspettava che Lazuli tradisse così in fretta Vegeta, eh?

Mah, io no di sicuro.

Ciò che è sicuro, invece, è che Vegeta è nei guai fino al collo.


Grazie a tutti coloro che leggono e lasciano un commento. Mi scuso se non sono solerte nel rispondere alle recensioni, mi impegno per rispondere con più costanza. Spero che la stesura sia piacevole così come il racconto. Fatemi sapere che ne pensate!

Grazie a tutti!


iRifacimento a Siracusa che, nel cartone, è la città che ospita il Libro della Pace e, visto che è ambientato in un simile Magna Grecia, rappresenta una delle città più influenti del IV-III secolo a.C.

iiNell’anime, come tutti sappiamo, gli Tsufuru, abbreviato in Tsuf, erano i legittimi proprietari di Plant, il pianeta che poi una volta preso dai Saiyan sarà battezzato Vegeta, creando una grande confusione per capire a chi ci si riferisca: al Re, al Principe o al pianeta?

Comunque, ho inserito come nome per dare un minimo di continuità alla storia per avere riferimento all’anime.

iiiL’avete riconosciuto? I pirati hanno rubato il martello di Thor; riferimento a Avengers Endgame, (scusate per il piccolo spoiler).

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Capitolo 4
*** L'ambasciatrice ***


Capitolo 4


L’ambasciatrice


Le due guardie che si erano improvvisamente presentate al suo vascello l’avevano trascinato verso il Palazzo senza che i suoi compagni avessero potuto fare niente: una volta ammanettato e portato a forza verso le prigioni, i pirati della ciurma si erano resi conto che qualcosa di grosso pendeva sulla testa del capitano ed erano accorsi alla sala del Consiglio, dove di lì a poco si sarebbero riuniti gli ambasciatori delle Dodici Grandi Galassie.

Lo avevano gettato dentro la cella con forza, chiudendosi sonoramente dietro di sé la porta e Vegeta si chiese ancora una volta perché diamine alla fine aveva deciso di mettere piede sul quel pianeta se il Libro non l’aveva manco sfiorato. Dalla penombra della cella emerse Goku, serio in volto più che mai.

« Vegeta! »

« Goku! Era ora, direi! »

« Ti rendi conto della gravità della cosa? »

Vegeta scosse ampiamente il capo.

« E tu ti rendi conto di quante volte me l’hanno già detto? »

« Hai tradito il nostro pianeta! »

Sbottò, invece, il figlio del governatore, avvicinandosi pericolosamente al pirata e costringendolo a fare un passo indietro nella cella. Si fissarono furiosamente negli occhi.

« Rubare il Libro della Pace, quando sapevi cosa rappresenta per noi! »

Goku afferrò il pirata per il collo del suo ampio mantello nero, incapace di contenere la furia di emozioni che gli stavano attraversando il cuore, ma soprattutto incapace di credere che Vegeta, il suo amico di un tempo, alla fine avesse potuto veramente portare via il Libro e la preziosità che questo rappresentava per la vita delle Dodici Grandi Galassie.

Il capitano non smise un secondo di fissarlo negli occhi.

« Kakaroth, la cosa funziona così: prima commetto veramente un reato e poi mi si accusa di averlo commesso! »

Si staccò frettolosamente da lui, strattonandosi il mantello.

« E come lo spieghi, questo? »

Chiese allora Goku e tirò fuori dalla sua lunga veste argentata la spada laser di Vegeta la cui elsa catturò i pochi raggi di sole che ancora rischiaravano il pianeta.

La sua arma era ben distinguibile nell’oscurità della sera per via delle iniziali incise nell’elsa e dei riflessi violacei del metallo di fattura, riflessi che si aprivano in un continuo intreccio di simboli e richiami alla forza del mare stellare e alla potenza delle sue onde.

Vegeta spalancò gli occhi e fissò incredulo Goku.

La sua spada laser.

La spada laser che aveva creduta persa nella caduta nell’oceano di stelle quando quella piovra soprannaturale l’aveva afferrato e fatto precipitare per centinaia di metri nel vuoto, gettandolo tra le stelle.

Un freddo brivido gli passò lungo la schiena quando ricordò le fredde mani della morte che l’avevano dapprima sfiorato e dopo scaraventato nell’esplosione più nera. Paralizzato, guardò ad occhi sbarrati la sua spada come se fosse insicuro della realtà della situazione, finché realizzò la verità e dove aveva visto la sua spada per l’ultima volta.

« Lazuli… »

Bisbigliò, abbassando lo sguardo e mettendo finalmente assieme tutti i pezzi del racconto come un puzzle che presto si sarebbe intessuto tra le sue mani, ma che ancora era lungi dall’essere completato.

Il figlio del governatore non capì il perché del suo turbamento e storse le labbra.

« Cosa? »

« Lazuli, la dea del Caos! Mi ha incastrato! »

« Ascoltati quando parli, Vegeta… » fece disgustato Goku.

« Kakaroth, fidati: il Libro è a Tartaro, nel suo regno del Caos, sulla sua stella morente! »

Si avvicinò all’amico, vedendo che si stava dirigendo all’uscita della cella non più disposto ad ascoltare un’altra sua bugia, sempre più amareggiato per il suo comportamento.

« Parla con tuo padre, digli che sono- »

« La cosa è ben al di sopra di mio padre! » gli urlò invece Goku, cercando di non dimostrare apertamente il suo turbamento, ma che ormai gli si leggeva in faccia.

« Gli ambasciatori si stanno riunendo per il tuo processo! »

Vegeta non credette alle proprie orecchie: « Cosa? Non sono stato io! Ho lasciato il Libro sulla tua nave ed è l’ultima volta che l’ho visto! »

Goku era sempre più incerto e scuro in volto e Vegeta si aggrappò alla sua ultima speranza.

« Eri lì, Goku. Mi conosci... »

L’altro scosse ancora la testa e strizzò gli occhi in tacita furia.

« Davvero? Conoscevo un ragazzo... una volta… chi sei ora, Vegeta? »

I suoi occhi marroni cercarono, inquieti, una risposta negli occhi neri del pirata, aspettando uno spiraglio di sincerità nel suo sguardo.

« Guardami negli occhi e dimmi la verità… hai rubato tu il Libro della Pace? »

Il pirata non oppose barriere alla ricerca dell’amico di un briciolo di verità, verità che tanto aveva rinnegato e scampato negli anni e sospirò, afflitto.

« No... »

Goku ottenne sua risposta e se ne andò, lasciandolo al freddo della prigione.


Il processo convocato d’urgenza all’interno della grande sala del Consiglio era presidiato da decine di guardie in armi e una grande platea di pubblico e membri della corte erano accorsi per assistere alla seduta straordinaria. Tra le fila degli spettatori, alcuni membri della ciurma del capitano attendevano con aria agitata il verdetto della giuria. Nappa, il secondo in carica, aveva rimandato alla nave quasi tutti i componenti perché fossero pronti per partire, in caso di bisogno. Aggrottò le sopracciglia al pensiero uggioso di abbandonare lì il suo capitano in balia della giustizia di Earth24: aveva fiducia in Vegeta e qualcosa continuava a sussurrargli un cattivo presagio all’orizzonte.

E se la storia di Lazuli fosse stata vera?

Radish, l’artigliere, rimasto a fianco del secondo, si mordeva agitato le unghie e tamburellava le dita sulla grossa panca in mogano su cui erano seduti tutti i presenti. Ora osservava Nappa, sempre più nervoso quanto lui, ora osservava il centro della sala al cui banco degli imputati sostava il capitano, giudicato per direttissima per alto tradimento. Pregò gli Dei di poter tornare presto al largo nel mare di stelle, dove, sebbene fosse il luogo più pericoloso che esistesse, si sentiva al sicuro.

« Ne abbiamo abbastanza delle tue bugie! »

Dopo una lunga serie di domande e di un interrogatorio che si prefigurava senza capo né coda, il governatore Bardack sempre più infervorato nelle richieste era giunto al limite della sua pazienza.

« Vegeta, dacci il Libro! »

Il pirata, seduto al bancone degli imputati, ammanettato e stretto tra le guardie, invece, aveva una sola risposta da dare.

« Quante volte ve lo devo ripetere: io non ce l’ho! »

All’ennesima risposta negativa, il bancone dei giudici vide alzarsi il membro più onorato della giuria, il delegato da Sirio, stella natale dei combattenti di Odor, i guerrieri più forti e saggi delle Dodici Grandi Galassie. Quando si alzò, la sua presenza imponente e seria fece ammutolire la sala, finché i suoi occhi profondi e bianchi di secoli, schiacciati sulla pelle verdastra, non si posarono sul pirata.

« Molto bene… la delegazione delle Dodici Galassie ti giudica colpevole di tradimento. Pertanto, per la gravità dell’atto compiuto e per l’importanza vitale che ricopre il Libro della Pace nella vita delle Dodici Galassie, dobbiamo applicare la massima pena. Sei condannato a morte per decapitazione! »

Un fermento si alzò tra la folla e Vegeta sentì le voci dei propri compagni che s’agitavano per raggiungerlo e per liberarlo dalle mani forti e insidiose delle guardie, mentre urlavano, angosciati, di credere alla sua innocenza.

« Cosa? Siete tutti ciechi? » gridò il pirata, « Non sono stato io! »

Si strattonò dalla presa delle guardie, urlando a pieni polmoni la sua innocenza, quando si fece forte tra tutti la voce del principe ereditario Goku, che entrò nella sala.

« Invoco il diritto di sostituzione! » pronunciò con vigore il figlio del governatore, comparendo davanti al Consiglio e davanti agli spettatori del tribunale che si videro sconcertati davanti alla sua comparsa inaspettata.

« Prendete me, al suo posto! »

Bardack non capì il perché delle parole del figlio e si portò una mano alla testa, sentendosi venir meno le forze così come Bulma, anche lei ambasciatrice riunita in Consiglio, che temendo il peggio, sentì il suo cuore perdere un battito davanti alle parole coraggiose, ma sventurate del suo amato.

Quando tornò il silenzio nella sala carica d’attesa, il principe erede continuò.

« Vegeta dice che Lazuli, la dea del Caos, ha preso il Libro. Io credo alle sue parole! »

Il capitano tirò un sospiro di sollievo, guardando di sottecchi il Consiglio riunito come se sentisse la sua libertà raggiungerlo presto, ma tutto si aspettò tranne che l’erede di Earth24 continuasse il suo discorso.

« Che vada a Tartaro a recuperare il Libro! »

Un’onda di agitazione percorse tutto il Consiglio e subito i delegati si consultarono tra di loro per ragionare e considerare la versione depositata dal figlio erede del governatore.

« Che stai facendo? »

Vegeta si liberò dalla presa delle guardie e strattonò l’amico, incredulo davanti alle sue parole così ingenue e avventate.

« Affermi che Lazuli ha rubato il Libro. Rubalo a lei, è il tuo campo... »

« Apri le orecchie » sibilò in un filo di rabbia, invece, il capitano, « non sarò responsabile della tua vita!»

Goku lo guardò negli occhi e Vegeta rimase interdetto della sincerità e della fiducia che vi lesse.

« Tu faresti lo stesso per me... »

« No, per niente! »

Il silenzio che crebbe tra di loro venne, però, spezzato da Bardack.

« Se Vegeta potrà lasciare il pianeta, non farà più ritorno! Figlio, da’ ascolto alla ragione! »

Intervenne in maniera concitata il vecchio governatore che fece appello alla ragionevolezza dei giudici, ma il figlio gli si avvicinò con volto composto. Si avvicinò poi alla corte che, ora, era chiamata a decidere in modo affrettato sulle sorti di un ladro e di un principe erede.

« No, padre, ascolta tu… »

Al centro della sala, guardò i dodici consiglieri e si schiarì la voce.

« O Vegeta ha rubato il Libro o sta dicendo la verità e il Libro è a Tartaro, la stella morente… in ogni caso è la nostra unica speranza per ritrovarlo! »

Il delegato di Sirio, guerriero forte e saggio delle Dodici Grandi Galassie, portò i suoi occhi bianchi di secoli sul figlio del governatore, riconoscendo in lui la fierezza e il coraggio che a suo tempo erano appartenuti a suo padre, durante la spedizione ai margini dell’Universo. Considerando la proposta, con voce grave, si rivolse al principe.

« Goku, ti rendi conto che se Vegeta non farà ritorno, tu verrai messo a morte al suo posto? »

Le parole sentenziate dal vecchio consigliere si persero tra l’ampio salone come un nero annuncio di morte. La sua eco abbracciò i commensali e strisciò, avida di sangue, fino al cuore del principe che sospirò, cercando di ignorare il presagio funesto che l’avrebbe atteso per sua stessa volontà.

« Certamente… »

« E così sia… Vegeta ha trenta giorni di tempo per riportare il Libro »

Bardack strinse i pugni, ormai rassegnato al verdetto, e ordinò alle guardie di rilasciare il pirata per arrestare suo figlio.

Le guardie obbedirono all’ordine del governatore e si avvicinarono al principe ereditario del pianeta, arrestando il loro comandante e il valoroso eroe che aveva riportato, sebbene per una sola serata, il Libro della Pace al suo pianeta. Lo arrestarono, stringendogli le mani in catene e lo portarono via, sotto lo sguardo ammutolito del re e della ambasciatrice Bulma.

Prima che l’erede di Bardack venisse portato via, gli occhi azzurri della ambasciatrice e quelli neri del capitano pirata s’incrociarono e Vegeta vi lesse il sentimento di odio che sempre scorgeva sul volto di chi aveva truffato e derubato e che, ora, a malincuore, leggeva anche negli occhi cerulei della futura governatrice del pianeta. Mentre veniva scortato dai soldati all’uscita, pensò che probabilmente quel sentimento di odio nei suoi confronti l’avrebbe accompagnato per tutta la vita.


La lieve brezza di Earth24 gonfiò con un suono pacifico e silente le scattanti vele del bastimento pirata, ma la sua aria calda e accogliente venne presto sostituita dall’aria rarefatta e tagliente dello spazio, man mano che si allontanavano dall’atmosfera. I motori si accesero adagio, aumentando man mano l’incedere della imbarcazione; gli uomini aprirono le ali intessute di energia solare e l’Eatherium li trascinò nello spazio aperto, immergendoli nella continua e immensa marea astrale. La nave Saiya si librò nell’aria, lasciando dietro di sé, a terra, la promessa di un ritorno e una lieve speranza di ritrovare il Libro della Pace.

Il capitano si appoggiò al parapetto della nave, mossa dal ritmo costante e sfrecciante del vento solare della stella vicina. Alzò lo sguardo verso i suoi uomini che, agli ordini del secondo in carico, spiegavano le vele sull’albero maestro e sul bompresso, perché si riempissero di vento cosmico. Si attivarono gli scudi di protezione per la gravità e gli scudi per isolarsi dalle esplosioni di radiazioni gamma che le stelle rilasciavano nel loro continuo illimitato bruciare.

Respirò l’aria rarefatta e fredda del cosmo e si isolò involontariamente ascoltando, sotto lo scafo, il dolce crepitio dei cristalli di ghiaccio che stridevano lungo la chiglia per l’impatto della nave con il vento gelido della notte perenne.

Le vele a specchio ad energia solare che scendevano dagli alberi, calandosi sul ponte, rifletterono le luci abbacinanti e tremanti della Costellazione in cui si erano immersi. Il flemmatico bisbiglio della nebulosa che incontrarono dipinse di viola elettrico i contorni spinosi del pirata, stregandolo con le sue fattezze sfumate e ceree.

Vegeta abbassò le palpebre, per lasciarsi trasportare dentro l’anima della stella scomparsa e contemplò l’orizzonte davanti a sé per rincorrere, tra le sue linee sfumate, una traccia della sua fine. Fu rincuorato all’idea che quell’orizzonte, probabilmente, non avrebbe mai avuto una fine e che sebbene si pensasse di essere arrivati al suo termine, la vastità dell’Universo continuava anche dove la luce non toccava.

Prosegui verso Ovest, oltre le Dodici Galassie e oltre la Costellazione della Fornace, finché non arriverai alla mia stella morente. Una volta lì, prosegui oltre ciò che tocca la luce…”

Chiuse gli occhi e, per un istante, gli parve di sentire le lunghe mani gelide di Lazuli afferrargli il cuore per strapparglielo dal petto.

Nappa diede ordine agli uomini di prestarsi a bracciare i pennoni a seconda della direzione dell’Eatherium e di disporsi per nuovi ordini. Aspettò indicazioni dal capitano, posto al parapetto della nave a scrutare con occhi distanti la nebulosa di Orione. La bellissima nebulosa, composta da un ammasso aperto di stelle giovani unite dalla reciproca attrazione gravitazionale, tracciava l’orizzonte davanti a loro, creando, tra le moltitudini di sfumature di colori arcobaleno, una via tra le stelle verso una meta oscura e lontana.

Il capitano si avvicinò al tavolo di comando, mettendosi al fianco di Nappa.

« Allora, hai idea di come arrivare a Tartaro? »

Vegeta si riscosse dal suo torpore alla domanda e lo guardò di sbieco.

« Tartaro? Oh no, no, no… ci sono le anime perdute a Tartaro, le anime dimenticate… »

Nappa sollevò un sopracciglio.

« E dove stiamo andando? »

Vegeta dischiuse velocemente sul tavolo di rotta una vecchia cartina accartocciata, con sopra il disegnino di una improbabile danzatrice a dieci braccia dell’Hula con tanti graziosi fiorellini che le ronzavano attorno come una marea di zanzare in festa.

« Alle Stelle Fiji! »

Esclamò, portando le braccia alla cintola e cercando di sottolineare con espressione ridente l’unicità della propria idea.

Nappa vide come sotto al cappello nero stesse indossando l’espressione più falsa che avesse a disposizione. Con mano stanca, gli raddrizzò in testa la folta coda di piume di Aquila di Ghiaccio, che a suo tempo, era riuscito a rubare da un nido disperso sulla Via Argentata e che ora adornavano in maniera scomposta il suo copricapo.

Lo tornò a guardare negli occhi.

« Alle Stelle Fiji… in questo periodo? »

« Pensa alle spiagge dorate, con quella sabbia dai riflessi rosei e caldi come il sole delle Regioni Azzurre... »

Il secondo si chiese quante bugie si sarebbe inventato il capitano pur di convincerlo della bontà della propria scelta.

« Ci sono le zanzare carnivore giganti, Vegeta... »

« Pensa alla luce della stella che le illumina! »

Scosse la testa.

« L’ultima volta che ho controllato, alle Stelle Fiji una stella si è trasformata in una Nana Bianca irradiando tutt’intorno di energia solare negativa ed emanando radiazioni letali… »

Vegeta alzò le braccia al cielo.

« Ahh, pensa alle donne, allora! »

« Sono tra i peggiori mostri della galassia, Vegeta, e sono... cannibali »

« Esatto! » Sorrise maliziosamente il capitano, facendo però alzare gli occhi al compagno.

« E dai, Nappa… » si lamentò il più piccolo allargando le braccia, e all’omone parve di vederselo davanti ancora quindicenne quando si lagnava di non poter conquistare tutte le stelle azzurre della Costellazione dell’Orsa Minore perché non abbastanza esperto nella navigazione e nell’arte del combattimento.

« È tuo amico... »

Vegeta alzò gli occhi al cielo e portò gli occhi al sole, ormai lontano, della Via Lattea e alla piccola cometa bianca che ancora una volta girava attorno al sole di Earth24 senza mai stancarsi di farlo, senza mai venire meno al proprio compito e ruolo, in quel piccolo ecosistema ai margini dello spazio.

La nave, ormai lontana dal pianeta, aveva sostituito alla notte calma di Earth24 la notte costante ma luminescente dell’oceano spaziale e gli spruzzi di colore delle stelle nascondevano alla perfezione i sentimenti contrastanti che passavano sul volto del giovane pirata.

« Ma sentiti, sembri mia madre… Goku se la caverà! »

A Nappa non sfuggì il suo tono scocciato e gli parve di intravedere una nota di rammarico nelle sue parole, come un tocco di malinconia e di quello che, forse, poteva chiamarsi timore.

« Tutt’e due sappiamo bene che Bardack non farà mai giustiziare il suo unico figlio ed erede... »

« Perciò scappiamo? » lo punzecchiò l’altro.

Vegeta iniziò a spazientirsi e chiuse velocemente la conversazione con il suo secondo che, alle volte, diveniva un po’ troppo il suo fidato consigliere, quasi fosse il padre che non aveva mai avuto.

« Ci ritiriamo, non ci serve un altro colpo! Ricchezze ne abbiamo abbastanza… »

Il suo ordine fu piuttosto acido e sanzionatorio al vedere Nappa alzare ancora una volta gli occhi al cielo, per niente contento della presa di coscienza del capitano verso tutta quella storia.

« Fai rotta verso le Fiji, subito! »

La ciurma fu più che felice di obbedire agli ordini del capomastro e subito si mise all’opera per sistemare vele e pennoni verso il paradiso dei pirati. Si issarono più salde le vele e si legarono le cime del bompresso ai piedi dell’albero di prua, per spianare al vento la grande tela argentea che dava la rotta e assorbiva il vento solare più feroce.

La chiglia della nave sfiorò, ancora una volta, il mare di cristalli sotto di loro e i motori diedero propulsione, muovendo la nave come in una lenta ninnananna verso Est. La luce delle stelle venne assorbita dalle tele a specchio, nascondendo la piccola imbarcazione tra i colori cangianti e variopinti dello sfondo e la Costellazione di Orione venne lasciata alle spalle.


Vegeta scese velocemente nel boccaporto e si affrettò a raggiungere la sua cabina, stufo e stanco di sentirsi dire quello che doveva fare. Era sempre stato uno spirito libero, senza vincoli: proprio per questo aveva abbandonato Earth24, per sfuggire alla pressione di un mondo con troppe regole, che dopo un po’ l’avevano soffocato. La sua sua amicizia con Goku ne era stato un chiaro esempio: finché erano stati entrambi piccoli e giovani avevano potuto divertirsi, fuggire dal palazzo e ripararsi all’ombra del loro nascondino segreto per poi mostrare l’un l’altro i tesori che anche quel giorno avevano collezionato.

L’elmo di un soldato, il medaglione di un ricco mercante di Azergh, l’osso curvo di una antica creatura sepolta dal tempo… oppure la spada del governatore Bardack.

Ridacchiò a ricordare quanto avessero litigato quella volta, Goku insistendo che bisognasse assolutamente restituirla al padre, mentre lui, ladruncolo di strada, avrebbe preferito venderla per un bel sacco di cristalli arthuriani.

Quando erano cresciuti, però, erano stati messi davanti alle loro responsabilità: Goku in primis, in quanto figlio del governatore del pianeta ed erede del ruolo di responsabile per la pace e la prosperità di Earth24.

Vegeta si era fatto man mano in disparte nella vita di Goku, fino al giorno in cui aveva deciso di scappare e di volare lontano nello spazio, quando la nave con a bordo il futuro di Goku era giunta allo Spazioporto di Syracysis. Scacciò con un gesto stizzito quel pensiero.

« Nappa… Goku… il Libro… dannazione! »

Si chiese perché i suoi problemi non avessero mai fine e soprattutto perché in questi problemi avesse dovuto improvvisamente comparire pure la Dea del Caos. Che cosa questa volesse veramente da lui era un mistero.

Adesso che il Libro l’aveva preso lei, non era più vincolato dalla promessa.

O no? Perché allora incastrarlo?

Sfiorò con la mano il lettore digitale che riconosceva le sue impronte, fece per aprire la porta della cabina, ma all’ultimo la richiuse con uno scatto che si augurò fosse il più silenzioso possibile.

Si appoggiò alla porta di metallo, bianco come un lenzuolo.

Nella stanza, ignara di essere stata appena scoperta, c’era una donna che, indisturbata, si aggirava per la cabina commentando i piccoli trofei e la mercanzia che, nel tempo, tra una ruberia e l’altra, aveva recuperato in giro per il Cosmo.

Si affacciò ad osservarla, mentre questa si avvicinava al vecchio scheletro ormai calcificato di un mostro di terra recuperato nelle lontane Stelle a Settentrione: l’orrenda creatura a dieci braccia l’aveva attaccato quando, sceso dalla nave, stava facendo ricognizione nelle sabbie steppose e acide del pianeta su cui erano capitati. Quel mostro con denti aguzzi e dall’aspetto di un polpo gli si era appioppiato alla gamba destra ed ancora portava la cicatrice del suo morso.

« Guarda quanta roba! Non ci posso credere… »

La sentì sussurrare meravigliata.

« Ah, ma questo deve essere falso... sarebbe troppo delicato se fosse - »

Tic! Un piccolo artiglio dallo scheletro del mostro rimbalzò debole a terra.

« Ops… »

Vegeta pensò veloce come fare, improvvisamente intimorito dalla presenza della donna. Dannazione, tutto si aspettava tranne che questo impiccio! Come diamine aveva fatto ad entrare nella nave, a manomettere il suo sistema di riconoscimento digitale e ad entrare indisturbata in cabina? L’inaspettata genialità della donna non gli piacque per niente.

E poi, tra tutti, proprio lei, tra tutte le donne, doveva ritrovarsi a gironzolare nella sua cabina personale?

Proprio Bulma?

La donna aveva cambiato il suo sontuoso abito in un abbigliamento più leggero e decisamente più idoneo alla navigazione in mare. Un paio di semplici calzoni la sorreggevano mentre ancora si guardava attorno nella cabina e Vegeta notò che in realtà portava i capelli corti, accorciati sulla nuca da un taglio regolare, tranne per qualche ciuffo sulla fronte che le ricadeva sul viso. Senza tutti i fronzoli e i pendenti con cui l’aveva vista al Palazzo stava meglio, sembrava più… viva.

Si sentì stupido a fare queste considerazioni e prendendo un respiro, si stampò sulla faccia la migliore espressione rilassata che potesse fare.

« Ah, ora sì che ci siamo… rubato a Venice, sulla stella Nord-Orientale di Europe… a Neo-Astrid… »

Bulma afferrò, infine, un sontuoso ed esotico reggiseno dalle forme abbondanti, che era appeso come trofeo di guerra sopra uno degli oblò.

« … in un bordello di Syracysis! »

« Indovinato! »

L’ambasciatrice si girò di scatto e si ritrovò alle spalle il pirata, che l’aveva sorpresa con le mani nel sacco e con poca voglia di darle il benvenuto.

« Cosa sei venuta a fare? »

Nonostante lo spavento, non si fece trovare impreparata e gli rispose con altrettanta stizza.

« Ad assicurarmi che tu recuperi il Libro della Pace… o a riportare il tuo cadavere, se fallisci »
Vegeta sorrise malignamente, squadrando la piccola principessa i cui occhi azzurri, adesso, non gli ricordavano più la pace eterna delle Stelle di Ghiaccio, ma le steppe nevose e desolate delle Terre Estreme del Nord-Orientale del Cosmo, tra le zone più fredde dell’universo.

« Davvero? »

Le girò attorno lento, come un leone terrestre fa con una piccola antilope ferita, prima di azzannare i denti nella sua morbida e gustosa carne setosa.

« E come pensi di sbrogliartela? »

« Con ogni mezzo necessario! » puntò i piedi l’ambasciatrice delle Regioni del Sud, portando le mani ai fianchi e gonfiando orgogliosa il petto, mossa che non sfuggì all’occhio veloce e vigile del capitano che s’impose d’ignorare ciò che aveva appena visto.

Riportò gli occhi sul suo sguardo azzurro vivo. La faccenda si stava facendo interessante.

« Hai un equipaggio? »

« Io… no »

« Sai arrivare a Tartaro? »

« Ehm… no »

« Sai navigare da sola? »

« Sì! » esclamò trionfalmente Bulma, sorridendo vittoriosamente al pirata.

« Benissimo! Allora scaricherò le tue chiappe su una barca e potrai fare una bella remata fino a Syracysis, perché noi andiamo... alle Stelle Fiji! »

Rise di gusto il capitano, avvicinandosi al suo comodo letto e buttandocisi sopra con poca grazia, per poi stiracchiarsi.

Si abbassò la visiera del cappello sugli occhi, intenzionato ad iniziare la sua vacanza in quel preciso istante e di godersi il viaggio nell’oceano sonnecchiando, fino al paradiso dei pirati.

« Alle Stelle Fiji? »

Vegeta annuì sonoramente alla domanda della donna, che terse le labbra in un sorriso amaro.

« È come pensavo… non sei poi un tipo tanto complicato, sai? »

L’uomo scrutò la donna da sotto il suo cappello e rimase ad osservare il suo volto contrito in una maschera di rabbia e delusione.

« Uno deve solo immaginare qual è l’azione più vigliacca ed egoista e tu sceglierai quella! »

« Hey, non è un problema mio: io non ho rubato il Libro! » le rispose piccato Vegeta e si assicurò di scandire per bene le sue parole.

« E non intendi perdere il sonno per questo, vero? »

Vegeta si girò, arrabbiato, dall’altro lato del letto, dando le spalle alla donna, che ancora insisteva a parlargli. Bulma lo guardò con disgusto. « Io invece non troverei pace nel letto, sapendo di essere viva... perché ho lasciato morire il mio amico! »

Si allontanò insofferente dal letto e Vegeta, colto nel segno, la seguì, sbracciando.

« Argh! Questo pasticcio non è colpa mia! Non ho chiesto io a Goku di rischiare la pelle per me! » Subito Bulma lo interruppe, puntandogli un dito al petto.

« È chiaro che non posso appellarmi al tuo onore… ma ho altri modi... per convincerti »

Il capitano rimase un attimo inebetito davanti alle sue parole.

Gettò un’occhiata al corpo di Bulma un secondo di troppo e la donna decise di sfruttare la situazione a suo vantaggio.

« E... come pensi di riuscirci? »

La vide avvicinarsi a lui un po’, un po’ troppo, per i suoi gusti, e senza accorgersi deglutì sonoramente, rimanendo abbacinato dai grandi occhi azzurri della donna. Ad un palmo dal suo naso, l’ambasciatrice sorrise maliziosa e si portò ad un soffio dalle sue labbra.

« Parlando la tua lingua! »

Quando Vegeta, ormai, iniziava a pensare a delle cose non propriamente opportune per il ruolo che ricopriva la donna e per il suo ruolo di capitano nella Saiya, gli passò sotto il naso una brillante gemma arthuriana.

La donna notò come gli si illuminarono gli occhi e come afferrò al volo il cristallo. Il capitano considerò qualche istante il cristallo nella mano e valutò il suo peso. Gli occhi neri del pirata guizzarono d’interesse.

« Esprimiti… » Le soggiunse con curiosa avidità.

La donna gli afferrò la mano e riversò su di essa un sacchetto di piccoli cristalli azzurri, che riverberarono nella cabina colorando il soffitto di un incantevole mosaico brillantino. Il capitano soppesò la proposta dell’ambasciatrice e a Bulma parve soddisfatto della piccola trattativa appena firmata.

« Sì, mi hai convinto… » le rispose Vegeta, appoggiando i preziosi sulla sua scrivania.

« ma... non per la prima classe! »

Questa volta fu Bulma ad impallidire.


I pirati a bordo della nave vennero riscossi dalle loro mansioni da un grido isterico che provenne dalla cabina del capitano.

Poco dopo, assistettero a bocca aperta alla scena del capitano che, con tutta la forza che aveva in corpo, era risalito dalla stiva con sulle spalle, a mo’ di sacco di patate, una donna che stava facendo di tutto per liberarsi dalla sua presa. Disperata, agitava gambe e braccia, cacciando calci e pugni nell’aria, dimenandosi come un’anguilla.

Turles rimase appeso a testa in giù sulle cime che pendevano dall’albero maestro e chiese spiegazioni a Nappa che fece spallucce, all’oscuro della situazione quanto lui.

« Come puoi vedere, siamo equipaggiati per soddisfare i gusti regali più esigenti… »

« Mettimi giù, bruto! »

Gridò Bulma e Vegeta afferrò al volo un calcio che, se non avesse mosso la testa, gli sarebbe finito diretto sulla mascella.

Radish, che sul ponte stava preparandosi per grattare via il ghiaccio dalla murata della nave, non seppe se ridere o piangere: la prima volta che una donna metteva piede sulla Saiya e il capitano la trattava così?

« Abbiamo una magnifica vista sul mare cosmico... »

Bulma riuscì finalmente ad afferrargli la faccia. Vegeta cacciò un urlo, sentendosi strattonare dalla bocca. Fu costretto a mollare la presa, per poi risistemarsi la gentile principessa tra le braccia, afferrandola per le caviglie e lasciandola penzolare a testa in giù.

La donna urlò tutta la sua rabbia al Cosmo, cercando ancora di colpire il pirata con un calcio o con un pugno, ma inutilmente, visto che all’ultimo venne rovesciata con poca grazia dentro il magazzino che stava poco distante dalla prua della nave.

Si ritrovò a terra, circondata da una fila di alti scaffali ripieni di munizioni, cibo e altre chincaglierie che avevano il suo perché all’interno della stiva della nave.

Vegeta allargò le braccia, presentandogli quella che di lì in avanti sarebbe stata la sua cabina, ossia il deposito munizioni che dava direttamente sulla stiva, il posto più scomodo ed interno della nave e, di sicuro, non adatto al transito di persone.

Fece il suo peggior sorriso e pensò che mai avrebbe visto espressione più acida di quella che gli stava rivolgendo Bulma in quel momento.

« E alloggi lussuosissimi! Con tre pasti raffinati al giorno, cetriolini, uova e… cetriolini! »

Non si accorsero di Broly che, silenzioso e mesto come sempre, si era avvicinato ad orecchie basse al capitano fermandosi a guardarlo, curioso.

« Oh, Broly, sei qui! »

Vegeta lo vide accanto a sé e lo strinse in un abbraccio, spazzolandogli la testa con la mano, presentandolo a Bulma.

« Ti presento Broly, il tuo compagno di cuccetta! »

Al ragazzone s’illuminarono gli occhi quando scorse la figura afflosciata e bloccata di Bulma tra le ceste di cibo ed, entusiasta, si fece avanti andando ad abbracciarla tra le sue enormi braccia muscolose. Bulma si sentì soffocare nella stretta vigorosa che il ragazzone le stava riservando, ma l’omone non sembrava farci caso, compiaciuto della nuova compagnia.

« Veramente sei tu la sua compagna di cuccetta, la cuccia è sua... Sai, lui come tutti noi avrebbe il suo posto in stiva, ma a lui piace dormire qui la maggior parte delle notti, vai a capire il bambinone! »

Il capitano fece spallucce, ridendo.

« Ti auguriamo un piacevole soggiorno a bordo della Saiya… ah, se ti si avvinghia alla gamba e vuole poggiare la testa sulla tua spalla, vuol dire che gli piaci! »

Indicò il ragazzone che era la stava abbracciando per la vita e cercava di guardarla negli occhi, curioso di fare la sua conoscenza.

Le strizzò l’occhiolino, Bulma non ci vide più dalla rabbia e fece per scagliarsi contro il capitano, ma questo fu più svelto. Richiuse l’entrata del magazzino ed inserì il codice numerico per bloccarla, così da tenere la loro cara ospite al sicuro per un po’.

Un ultimo grido della donna lo fece sogghignare, divertito.

Vegeta risalì, dopo, i gradini del magazzino per tornare al ponte.

« Come c’è salita sulla nave? » sussurrò tra sé e sé, contemplando la lucentezza del cristallo che aveva tra le mani, quando, senza volerlo, s’accorse che tutti sul ponte, avevano tra le mani dei cristalli arthuriani. Quando i membri la ciurma s’avvidero che il capitano li aveva colti in fragranza, nascosero immediati le gemme dove meglio capitava, tornado alle loro mansioni.

Questo non fece altro che infastidire maggiormente il capitano che si avviò a grandi falcate al ponte di comando.

« Signori miei, la rotta è cambiata. Ci dirigiamo a Tartaro! »

Radish, che aveva ficcato la gemma in bocca nella foga di nasconderla, protestò. « Che ne è delle Stelle Fiji? »

Toma si lamentò con lui, portandosi una mano al cuore. « Addio belle spiagge… »

Vegeta berciò loro di tornare immediatamente ai loro posti e di smetterla di lamentarsi. Una volta al ponte trovò Nappa che lo stava aspettando, le braccia appoggiate mollemente al timone e un’espressione sorniona in viso di chi aveva già previsto tutta la scena.

« Lo faccio solo per i soldi… »

Nappa si sforzò di non ridere.

« Allora... come ci arriviamo? »

Prosegui verso Ovest, oltre le Dodici Galassie e oltre la Costellazione della Fornace, finché non arriverai alla mia stella morente. Una volta lì, prosegui oltre ciò che tocca la luce…”

« Verso Ovest, dobbiamo superare le Dodici Galassie… »

Indicò la strada in avanti, verso l’Universo più oscuro. Si avviarono i motori al massimo e il forte vento dell’Eatherium spinse la piccola Saiya verso le stelle.


Lazuli si specchiò in una goccia d’acqua, che cadde al suolo in un suono sfumato e dolce, bruciata dal contatto la superficie cocente, e lesse ciò che stava succedendo lontano, ma non poi così tanto, nel Cosmo.

« Però… il nostro ladruncolo ha deciso di non scappare… »

Arricciò infastidita il naso, giocando con la lacrima d’acqua che era sfuggita al suo calice, bagnandole le dita. La distese nell’aere senza sole, facendo fluttuare la minuscola goccia tra le stelle. Contemporaneamente due astri, a milioni di chilometri di distanza, colpiti dalla piccola pioggia, si spensero, sbuffando in una nuvola in lontananza.

« Crede di venirci a fare una visitina… »

Le creature mistiche intorno a lei sibilarono, infastidite. Lo Scorpione mosse le sue chele luminescenti e vibrò, con una lieve scossa di terremoto, la stella rossa Antares nel cuore della costellazione.

Lazuli gli sorrise.

« Offriamogli della musica, allora... »

La dea giocò ancora con il calice, dipingendo tra le pieghe del liquido delle righe sfumate, che presero vita e s’immersero dentro la coppa, finché l’acqua non si chetò, placida.



Continua…





Angolo dell’autrice


Spero che questa storiellina vi stia sempre più piacendo.

Adesso anche Bulma ha fatto il suo colossale ingresso sulla Saiya e Lazuli è già sul piede di guerra.

Ringrazio tutti coloro che hanno deciso di leggere questa storiellina.

Fatemi sapere che ne pensate, mi farebbe immensamente piacere.

Al prossimo capitolo!




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Capitolo 5
*** Un lavoro da donne ***


Capitolo 5

Un lavoro da donne


Aveva ragionato più volte nella mente il suo piano ed era tempo di metterlo all’opera. In fondo, era stufa di stare rinchiusa dentro il magazzino del cibo e iniziava a stargli stretta la piccola stanzina sopra la stiva. Fuori dalla porta, sentiva i marinai affaccendarsi per la tenuta della nave: nessuno avrebbe fatto caso al rumore di una porta che si apre, per di più nella stiva del vascello.

In pochi istanti si udì il suono stridente di un ingranaggio che si apriva e scattò la serratura della porta: il dispositivo, in sovraccarico per via dell’eccesso di elettricità che la donna aveva aumentato modificando le impostazioni sul pannello di controllo, cadde al suolo e poté finalmente raggiungere la porta e le scalette per salire sul ponte.

Sentì dietro di sé i passi leggeri di Broly che, per sua sorpresa, non l’aveva lasciata sola in magazzino ed era rimasto a farle compagnia tutta la notte. Lo chiamò, incoraggiandolo ad uscire con lei.

« Oh, andiamo, stai benissimo! »

Broly si affacciò dalla piccola cabina del magazzino, uscendo dal suo posticino tra gli scaffali e guardò la donna con occhi incerti, soprattutto per il fatto che Bulma, nel frattempo che meditava come sarebbe uscita dalla pancia della nave, aveva preso ad accarezzargli i capelli folti neri che si trovava in testa ed aveva avuto l’idea di acconciargli un ciuffo con un nastrino sopra la fronte.

Gli occhioni tra il supplicante e l’arrabbiato del suo piccolo ed improbabile compagno di cuccetta la fecero ridere.

Finalmente aveva capito la natura di quel ragazzone silenzioso che a mala pena spiaccicava una parola e che per tutto il tempo era rimasto accovacciato accanto a lei ed aveva preteso, a modo suo, di ricevere attenzioni.

Era mezzo Earthariano e mezzo demone: ecco che diamine erano quelle sfumature di verde accecante che alle volte striavano i suoi capelli, ed ecco perché, quando si arrabbiava, il nero dei suoi occhi diveniva di un verde spiccante, che tendeva ad accendersi man mano che la sua rabbia e la sua agitazione aumentavano. Per non parlare, poi, della appendice pelosa di colore altrettanto verdastro che alle volte gli vedeva scodinzolare dietro la schiena.

Le ricordò vagamente i cani terrestri, quelli che aveva studiato da giovane nei manuali telematizzati, per imparare di più su ciò che era esistito in quel lato del Cosmo, dentro la Via Lattea. Ed anche, certamente, per impressionare il suo promesso sposo Goku che, guarda caso, proveniva proprio dal pianeta Earth24, per la composizione, molto simile alla Terra del passato.

Sorrise, raccogliendo da terra il meccanismo della porta che era riuscita a far saltare: se non fosse stato per i suoi studi giovanili su ogni tipo di materia, non si sarebbe mai riuscita a liberare dal magazzino di stiva in cui l’aveva rinchiusa quel maledetto pirata.

Gettò il dispositivo e fece le scale in quattro e quattr’otto per uscire sul ponte. Broly le corse dietro, ma non prima di essersi liberato del fastidioso fiocco che aveva in fronte.

La brezza fresca, quasi fredda, del Cosmo l’accolse una volta che mise piede sul ponte sul quale si stavano affaccendando i pirati agli ordini del capomastro. La navigazione continuava sostenuta ed avevano abbandonato il mare aperto, arrivando verso delle nuove Costellazioni poste più a ovest di quelle che aveva mai attraversato nella sua vita.

« Forza, svegliatevi! Toma, prendi le aste! »

Berciò sbrigativo Nappa, che si aggirava per il ponte controllando con premura la robustezza dei nodi di babordo e tribordo e verificando i dati provenienti dagli scudi protettivi che avvolgevano come un mantello invisibile la nave. Notò che li leggeva da un piccolo dispositivo remoto collegato al tavolo di navigazione, che fungeva sia da solcometro e mostrarombii. Il vento dell’Eatherium si fece lievemente più forte e la sua spinta, combinata alla propulsione dei motori, aumentò la navigazione della nave Saiya a 300.000 km/h.ii

« Toma, porta qui le aste! »

« Toma, portale anche qui! »

Gli uomini si sbrigarono ad ammainare ed alzare le vele, in perfetto coordinamento con le virate del capitano che manteneva la tenuta della nave costante e precisa ad ogni chilometro percorso.

D’improvviso la donna si accorse di una forte luce blu si rifletteva nei suoi occhi e davanti a lei si mostrarono le leggendarie Stelle Pleiadiiii.

L’ammasso infinito delle stelle Pleiadi era nato nell’universo da circa 115 milioni di anni prima, quando, dopo le nozze del titano Atlante e della oceanina Pleione, dea delle acque e dei mari, questa aveva dato alla luce nove figlie. La leggenda narrava che le sette sorelle, circondate da una nebulosa interstellare che rifletteva costantemente la luce blu della loro giovane età, erano state trasformate in stelle lucenti dal padre degli Dei, Zeno, per acconsentire al loro desiderio di sfuggire all’amore opprimente di Orione.

Le stelle gemelle, legate tra di loro da un alone di forza magnetica, si presentavano ai marinai del Cosmo come uno spettacolo da brividi: la loro luce accecante di un soffuso blu oceano assumeva forti toni di profondità per via della misteriosa nube che le contornava, nube che, come all’ingresso di una cupa caverna, si espandeva creando dei forti pilastriiv di materiale cosmico e fuoco primordiale ai suoi lati.

I meravigliosi, ma altrettanto pericolosi Pilastri della Creazione si stagliavano contro le navi che osavano navigarci in mezzo come uno spettacolo sublime: delle lunghe, scomposte e colorate stalagmiti di gas solido sbarravano l’ingresso alle navi più intrepide, ergendosi come i denti di un mostro. Era come entrare nella bocca di un drago e dover schivare i suoi denti aguzzi e velenosi.

Bulma sentì un tonfo leggero accanto a sé e si ritrovò vicino Turles che, sceso dalle funi, la fissava, pensieroso.

« Spero che sappia cosa sono quelli là, signorina… perché solo un capitano uscito pazzo oserebbe navigarci in mezzo! » sibilò il marinaio che, con i suoi capelli, le ricordava la figura il principe ereditario di Syracysis. Dalle sue parole intuì che sperava che il capitano sentisse la sua lamentela urlata a pieni polmoni. Il capitano, dal canto suo, lo richiamò subito all’ordine non facendosi mancare un accenno di rabbia nella voce.

« Turles, ripiega la vela di trinchetto!v »

Turles si riscosse, beccato ad aver temporeggiato ad applicare gli ordini e ripiegò subito per tornare in cima all’albero di prua.

« Mi scusi, signorina... » ridacchiò imbarazzato e lo vide scomparire tra le funi della nave.

Poco sopra, Vegeta stava ai comandi, manovrando con attenzione il timore e urlando ordini ai sottoposti, per riuscire ad avere la migliore conoscenza della natura delle virate che sarebbe dovuto andare a fare. Scrutava con attenzione i Pilastri della Creazione davanti a lui, ipnotizzanti nella forma e nei colori, ma insidiosi più che mai per le loro sagome frastagliate e appuntite che celavano scogli nascosti.

Gli si avvicinò Bulma: « Sei sicuro di sapere- »

« Sì, abbiamo già fatto queste cose.. »

« Senti- »

« No, non c’è altro modo... »

« Ma io- »

« E sì, hai il mio permesso di stare lì zitta, a prendere lezioni gratis di vela… » le sorrise affettato, in un sorriso tirato.

« Sai- »

« E poi… una nave non è posto... per una donna... »

Il pirata scandì lentamente l’ultima frase, tenendo a sottolineare la linea irremovibile del proprio pensiero.

L’ambasciatrice si sforzò di non saltargli alla gola e si sforzò di calmarsi prendendo un forte respiro, ma il capitano aveva già saltato a piedi pari la conversazione per ordinare a Cabba di fare attenzione a montare la randavi.

Cautamente, ma con velocità sostenuta per evitare, da un lato, di essere trascinati dal campo magnetico delle Pleiadi e, dall’altro, per riuscire a conservare il proprio campo magnetico, la piccola nave pirata si accinse ad attraversare i primi pilastri di gas che erano schierati all’ingresso della nube spaziale.

In lontananza si aprì l’orizzonte delle sette Stelle.

Merope, risplendente nelle sue pulsazioni fotosferiche, accecò momentaneamente i pirati: i suoi raggi ghermirono le pareti protettive della nave, dando più forza alle vele fotoassorbenti, e Bulma si accorse di come Alcione, la sorella più luminosa, specchiasse la sua immensa essenza sulla vela di bompresso facendola vibrare leggermente per l’eccesso di energia.

L’attenzione del capitano e dei pirati non si staccò un secondo dal mare astrale disteso davanti a loro.

« Mantenete le posizioni… »

Un silenzio spettrale calò, poi, sulla nave: tutti i marinai si guardarono attorno circospetti, attenti a sondare la posizione degli scogli di materiale plasmatico che li circondavano.

« Scogli, a prua di tribordo! » avvisò Turles dalla coffa, in cima all’albero maestro. Vegeta virò dolcemente verso destra e l’apice della nave, dove s’intrecciavano le cime attorno all’albero di poppa, sfiorò docile l’ammasso gassoso di uno dei denti velenosi. Caddero dei pezzi di plasma nel mare, che l’inghiottì facendoli precipitare nel vuoto.

La dolce nenia del vento li accompagnò sempre più all’interno alla nube, che si aprì loro come una crisalide perlacea: si iniziarono a distinguere nettamente le file acuminate degli scogli di energia e, lentamente, si scorsero tutt’intorno i relitti di vecchie navi spaziali che avevano trovato la loro fine tra i denti della nebulosa.

Il cimitero di navi ne custodiva a decine: imbarcazioni sventrate brutalmente e incastrate tra gli scogli, con le gomene abbandonate a se stesse, a proteggere le loro navi perse nel vuoto. I loro occhi vacui erano contornati dalla luce bluastra delle stelle che conferiva loro un aspetto ancor più spettrale, come fossero state tramutate in fantasmi incatenati nell’eterno.

Bulma non poté fare a meno di chiedersi come mai ci fossero delle navi completamente sventrate ed incastrate anche tra gli scogli più alti, come se qualcuno di sovrannaturale le avesse afferrate e gettate brutalmente tra i denti del drago. E i marinai, che fine avevano fatto?

Una lunga fila di teschi di tutte le razze dell’universo, attaccati lungo delle vecchie cime delle navi ormai penzolanti nel vuoto, rispose per lei alla domanda.

Rabbrividì, sentendo nell’aria qualcosa di insolito, e percepì una lenta e delicata armonia.

La melodia, infatti, echeggiò lugubre e delicata tra le pareti della grande nebulosa interstellare. Distinse le note di una voce femminile, dolce, ma con un qualcosa di illusorio.

« Cos’è questo suono? »

« Shh… »

La zittì Vegeta, con un gesto flemmatico della mano. Si voltò verso di lui e si meravigliò quando lo vide vacillare sui piedi, non riuscendo più a stare composto al timone. Anche la ciurma aveva iniziato a guardarsi attorno spaesata, e, dopo aver abbandonato le posizioni sul ponte, si sporgeva sulla murata della nave, per capire da dove venisse la musica, come se fosse in balia di un incantesimo.

Presto intuì da dove arrivasse quel suono così melodioso: le sette Stelle sorelle, guidate dalla stella più grande Elettra, avevano iniziato a pulsare più forte e a muoversi, dapprima in una lenta danza, poi intrecciandosi tra di loro e formando dei cerchi di energia.

I loro movimenti ipnotici presero forma: le vide tuffarsi nel mare di stelle, scorrere sull’acqua, sfiorare la chiglia della nave e tuffarsi tra i cristalli creati dal vento. Emersero come creature marine, che si arrampicarono sui relitti abbandonati e sugli scogli spinosi.

Broly, non sottoposto all’incantesimo delle creature per via della sua natura metà umana e metà animale, si affacciò lungo il parapetto del castello e ringhiò. Bulma non riuscì a crederci.

« Sono sirene! »

Le Pleiadi blu, trasformate in sirene, sghignazzarono con uno sguardo demoniaco verso la donna e circondarono la nave, che presto avrebbe perso il controllo. Con la loro magia travolgente, la trascinarono verso il centro della nebulosa e la fecero scendere tra le scogliere e le spire degli scogli: il mare si fece d’improvviso più agitato, la chiglia della nave affondò maggiormente nell’oceano e i cristalli si spezzarono con forza, per via del ritmo della forte corrente che d’un tratto aveva iniziato a correre sotto di loro.

Bulma realizzò che stavano procedendo alla deriva e provò a riscuotere il capitano.

« Vegeta! » urlò angosciata, ma il capitano aveva gli occhi sognanti, come addormentato, e a malapena si reggeva in piedi, costringendosi a stare afflosciato sul timone comandi.

Lo sentì farfugliare qualcosa riguardo le sue capacità a letto e si domandò come gli uomini potessero essere così arrendevoli al canto di una donna.

« Radish! »

« Toma! »

« Nappa! »

Tutti i marinai, però, erano in balia della melodia delle stelle e, ammaliati, si sporgevano dagli argini della nave per raggiungere e sfiorare le veloci sirene che sguazzavano attorno a loro, quali sinuose creature magiche vestite dei colori della nebulosa di fumo.

La nave, sobbalzante sulle onde sempre più trascinanti del mare, puntò d’improvviso verso degli scogli più sporgenti, sui quali, belle e luminose, sedevano Taigete e Celeno, due stelle originarie dallo stesso punto astrale e geografico, che attendevano i marinai a braccia apertevii.

Bulma, allora, temendo il peggio, trascinò Vegeta lontano dal timone, lasciandolo stramazzare a terra, e virò brutalmente la nave verso sinistra.

La forte virata, però, per via del flusso dell’acqua, fece sbandare ancora la nave e Bulma vide con orrore un’onda di oceano salire improvvisamente e spaccarsi sul ponte, portando con sé alcune sirene che si precipitarono per andare a braccare i marinai dispersi sul ponte.

Broly guardò preoccupato la donna ed entrambi portarono gli occhi su Vegeta che, steso a terra, ancora camminava sul filo dell’incoscienza e della coscienza. Porse lesta a Broly una cima dell’imbarcazione che era caduta nel trambusto della discesa.

« Presto, fermali! »

Ordinò al demone che, scese di corsa sul ponte e, veloce come una freccia, intercettò il passo dei marinai, li circondò con la corda e li costrinse a retrocedere al centro del ponte. Li legò attorno all’albero maestro che, per fortuna, resisteva ancora ai colpi del mare in tempesta.

Le sirene, però, si insidiarono ancora tra la nube elettromagnetica ed assunsero un’evanescenza più accecante. Attirarono ancora a sé la nave e cavalcarono le onde in fermento: la piccola Saiya sbatté nuovamente contro gli scogli di plasma, disperdendo nello spazio l’energia degli scudi protettivi. Vibrarono le vele e si tagliarono le cime, rovinando al suolo.

« Turles! »

Gridò Bulma all’improvviso, non accortasi della presenza del mozzo che, scendendo dalle corde, era scivolato lungo il ponte e dal parapetto a prua ascoltava meravigliato la voce di Maia. La stella lo avvicinò e lo strinse a sé, cingendolo tra le braccia esili, poi si tuffò con lui nel mare spaziale sparendo tra i diamanti di ghiaccio.

La donna non si fece trovare impreparata: trascinò Vegeta al posto comandi perché col suo peso morto potesse bilanciare il timone della nave e afferrò una corda. Con una forza che non pensava di possedere, lanciò la corda verso la sommità dell’albero di poppa lasciando scorrere a gran velocità la bittaviii. Si lanciò nel vuoto: la cima la portò fuori dalla nave, facendola esporre al vento gelido dello spazio e facendola volare nel vuoto, mantenendo ben salda la presa sull’albero maestro.

Dentro il mare astrale, Turles e la stella stavano scendendo dolcemente a picco: la sirena aveva intrecciato le mani setose sul viso del pirata e lo stava portando con sé in un bacio trascinante. Presto, però, il marinaio si accorse di faticare a respirare e poco dopo l’aria gli mancò del tutto dai polmoni, succhiata dal bacio mortale della stella. Fu il tempo di qualche secondo e si sentì velocemente trascinato fuori dall’acqua: la cima fissata da Bulma gli circondò la vita, portandolo con sé verso gli alberi della nave. La donna appoggiò nuovamente i piedi sul ponte, assicurando la cima alla base dell’albero e lasciando penzolare il pirata nell’aria mentre questo perdeva coscienza.

Nemmeno il tempo di un respiro, che la bella Asterope, cinta nella sua corona di guerra,ix si avvicinò a Vegeta, trascinandolo via del timone e lasciando la nave in balia delle onde.

« Broly, fermalo! »

Dopo aver stretto forte la corda attorno all’albero maestro, il demone corse verso il capitano che si stava avvicinando pericolosamente alla murata della nave, ma non sapendo come afferrarlo per via delle mani occupate a cingere la corda, optò per la soluzione più semplice.

Il capitano urlò dal dolore quando sentì le fauci affilate del demone solcargli le natiche e si sentì trascinato verso il centro del ponte, lontano dalle mani snelle della stella.

La sirena non desistette dal cacciare nuovamente la preda e si tuffò subito nel mare, per poi risalire sul ponte a prua, intercettando il passo incerto del capitano che fu sommerso dalla luce calda della stella e dai suoi baci seduttori.

La nave, senza il controllo del timone, precipitò giù dalle rapide: gli scogli si fecero più letali e si spezzarono lungo le murate della nave; gli squarci nello scafo divennero più profondi e i danni più pesanti. La donna fu scaraventata in avanti, precipitò dolorosamente giù dalle scalette che conducevano al castello e venne scagliata in avanti, finendo tra le braccia del pirata, facendo svanire in una nuvola di polvere stellare la stella.

Si accorse con orrore che il capitano, in balia della musica, aveva poggiato vergognosamente la faccia sul suo seno, affondandola tra le curve e stringendosi a lei come se fosse la sirena, ormai svanita. Le mollò un cazzotto sul viso, indignata, pensando che gliele avrebbe fatte pagare tutte, questa compresa.

Ma un blu più persistente le fece stringere gli occhi, quasi accecandola: davanti a loro, una massa informe e piena di scogli taglienti li attendeva alla fine della rapida e Bulma si accorse di come la nave, che solcava la corrente controllata dalle Stelle Pleiadi, si stesse dirigendo a tutta velocità contro la montagna di scogli sulla quale si sarebbe orribilmente spezzata e distrutta.

Corse veloce ai comandi della nave, cercò di afferrare al meglio il timone scosso dai colpi alla nave e si guardò attorno, trafelata.

Per via della forte corrente che attraversava le onde del mare astrale, facendole increspare in chiare spume di ghiaccio, i relitti di altre navi venivano anche loro trascinati dalla corrente e si distruggevano appena arrivavano a contatto con gli scogli di energia. Con il cuore in gola, si sentì perduta e pensò che non ce l’avrebbero fatta a salvarsi.

Poi, a lato della forma sagomata degli scogli, dietro lo scheletro accatastato di una nave sulla quale giacevano le graziose sirene, scorse il mare aperto dello spazio ed, irrimediabilmente, l’unica via di uscita sulla quale avrebbe potuto scommettere.

La nave, intanto, si stava avvicinando sempre più alle rocce e le dita lunghe e fredde dita della morte si stavano ormai incombendo su di loro.

« Broly, attiva i rostri! »

Urlò a pieni polmoni al mezzodemone. Broly scattante come prima, corse verso la prua della nave e, digitando un codice sul pannello dei secondi comandi, attivò ai lati della nave, lungo le murate, gli arpioni taglienti e magnetici i quali, grazie allo loro lame affilate, così come erano in grado di tagliare i campi protettivi delle navi più grandi e permettere l’arrembaggio, erano altrettanto in grado di fare breccia contro il relitto della nave che oscurava loro il passaggio verso la salvezza. Almeno così sperava Bulma.

La donna, così, diede una forte virata a destra e la nave, sospinta dalla forza letale del mare, avanzò in direzione del relitto, pronta per trafiggerlo con i suoi forti rostri: il relitto venne completamente sventrato grazie alla forza e alla velocità che la corrente aveva dato alla piccola Saiya che, a sua volta, si stava danneggiando sempre più, ma Bulma non si perse d’animo.

Finché, così com’era iniziata d’improvviso la corrente astrale, trascinando i pirati tra le braccia delle sirene, altrettanto celermente svanì e la nave ripiombò tra le onde pacifiche dell’oceano, infrangendo la consistenza dei cristalli di ghiaccio sulla superficie ed assestandosi di nuovo sulla corrente calma dell’Universo.

Bulma si guardò indietro e tirò un sospiro di sollievo, realizzando di aver finalmente abbandonato il terreno insidioso della nebulosa interstellare che cingeva le Stelle Pleiadi. Delle sirene, travolte brutalmente dalla nave, non sentì più la voce né vide la loro forma di fiamma.

La luce blu si spense con loro. Erano salvi.


Il mare calmo accolse i pirati, ridestandoli dall’ipnosi estraniante che li aveva avvolti. La ciurma si riscosse e si guardò attorno, come risvegliata da un profondo sonno.

Si accorsero di essere usciti dalla grande nebulosa e il complesso delle Pleiadi ormai lasciate alle spalle rappresentava un vago ricordo. O quasi.

La ciurma si alzò in piedi e il capitano fece altrettanto, cercando di ritrovare l’equilibrio per via dell’incredibile sensazione di nausea che l’aveva colto.

Vide davanti a sé la profondità e la calma del mare aperto e portò gli occhi al timone, trovandoci sorprendentemente Bulma che reggeva la tenuta della nave. Incatenò il suo sguardo al colore curiosamente rassicurante del suo azzurro, ma si degnò di scostare subito lo sguardo. Se lei era lassù, al comando della nave, significava solo una cosa e la sensazione non gli piacque per niente.

« Ci ha salvati Vegeta? » interruppe il silenzio Toma, elettrizzato dalla possibile vincita alla scommessa fatta con Radish ed esplicitando la domanda che tutti i marinai si stavano ponendo in quel momento.

« No… » fece sornione Turles, dondolando dalle corde « Buuulma! »

« Ci ha salvati Bulma! » fecero eco i marinai, guardando la donna con occhi adoranti. Toma fu costretto a cedere il suo obolo a Radish, che ridacchiò apertamente, pensando che avrebbe completamente spennato l’amico, prima o poi.

Vegeta, ancora intontito per quello che era successo, per poco non fu buttato a terra da Broly, che fece il ponte e salì le scale per il castello a tutta birra, per mettersi accanto a Bulma vicino al timone. Il sorriso della donna lo entusiasmò a tal punto che fu ben felice di farsi fare le carezze dietro le orecchie e ringraziò la donna leccandole docilmente la mano, mentre questa lo riempiva di complimenti su quanto fosse stato bravo e coraggioso.

Nappa ordinò agli uomini di riprendersi e di tornare subito al lavoro: c’era una nave da prendere in mano e non avevano tempo da perdere, soprattutto ora che si riprendeva la navigazione nel mare stellare profondo.

Il capitano raggiunse con sguardo assente il tavolo di comando e si schiarì la voce. Osservò la moine di Broly verso la donna. “Dannato mezzodemone”, pensò corrucciato.

« Dicevi che una nave non è posto per una donna? »

Parlò Bulma, tenendo ancora ben stretto tra le mani il timone come se le fosse appartenuto da una vita. Il capitano se ne accorse e il suo volto tramutò in una smorfia di rabbia.

« Assolutamente! »

Berciò, facendo spalancare gli occhi alla donna. Fece a grandi falcate il castello della nave ed indicò con insistenza verso le scale che conducevano al ponte che erano state, inevitabilmente, distrutte dalla traversata nelle Pleiadi.

« Guarda qui: la balaustra era in titanio intagliato a mano! E queste modanature sono arrivate da Sirio! Dico, hai idea di cosa ho passato per rubarle? »

Bulma lo fissò con una faccia sconvolta, incapace di spiegarsi la sua ingratitudine. Poi Vegeta sbuffò e batté, sprezzante, una mano contro il parapetto.

« È per questo che le donne non dovrebbero guidare… »

La donna boccheggiò come un pesce fuori d’acqua. « Sei impazzito? Ti ho appena salvato la vita! »

« Oh, me la sarei cavata… come sempre » fece sprezzante il pirata ed andò ad allontanarla dal piano comandi, riafferrando in mano, come se fosse geloso, il timone della nave.

Bulma retrocedette di due passi e lo guardò in cagnesco.

« Certo… »

Sibilò tetra e si precipitò giù per le scalette, barbugliando maledizioni contro l’inarrestabile arroganza e il comportamento da stoccafisso dell’uomo al quale aveva appena salvato la pelle.

Vegeta si sporse a destra nel vederla scendere nella stiva e strabuzzò gli occhi quando vide il metallo della murata completamente divelto e i circuiti del sistema di protezione dal vento solare rovinati e sfavillanti per l’impatto con gli scogli. Fece un gesto indispettito con la mano, incredulo.

« E hai distrutto la murata! Proprio qui, guarda! Questo non è un graffietto! »

Bulma spalancò la porta del magazzino, lanciando uno sguardo di fulmine al capitano, e richiuse l’uscio dietro di sé, sbattendolo sonoramente contro i cardini in un urlo di sdegno. Due collegamenti elettronici, finemente saldati tra la porta e il muro, sfavillarono un istante e si spensero con un accenno di fumo.

Fu solo allora, quando tornò il silenzio, che il capitano si accorse di avere addosso gli occhi accusatori di tutta la ciurma che ancora al centro del ponte aveva assistito alla disputa tra lui e la donna.

Sentì il mugolio scontento di Broly che, accanto a lui, lo guardava corrucciato e con le orecchie basse.

Si sforzò di rilassarsi, stringendo i cardini del timone tra le mani e facendolo scorrere tra le dita, come una placida onda di vento.

All’ennesimo mugolio di disapprovazione del mezzodemone, Vegeta sentì la pressione arteriosa alle stelle.

« Grr… il demone… la ciurma…. e quella donna! »

Suo malgrado, si ritrovò a bussare a gran colpi contro il metallo dell’ingresso al magazzino. Si voltò irritato verso la ciurma, che gli fece di rimando uno sguardo altrettanto arrabbiato. Si disse di essere gentile e finalmente, all’ennesimo bussare, la donna spalancò la porta.

« Cosa c’è? »

Chiese la donna, sull’orlo di una crisi isterica.

« Grazie. »

Pronunciò fuori dai denti Vegeta, stringendosi le braccia al petto. La donna non ci vide più.

« Non c’è di che! »

« Ma figurati! »

« Non ti preoccupare! »

« Stai tranquilla! »

« Bene! »

« Addio! »

« Addio a te! »

La porta nuovamente sbattuta in faccia fu la conclusione della loro discussione.

La ciurma, soddisfatta, tornò al suo posto per riprendere il controllo della nave e Vegeta posò gli occhi, per qualche secondo, sulla porta chiusa facendosi sfuggire una leggera risata, che soffocò immediatamente passandosi una mano sul viso.

Broly, accanto a lui, gli fece un sorriso a trentasei denti, da cui ne sbucarono quattro, canini, particolarmente affilati per la sua natura mezzademone. Lo vide agitare contento la coda verdastra che si trascinava dietro e lo guardò con aria di sufficienza.

« Sei contento adesso? »

All’ennesimo sorriso canino del demone, Vegeta sbuffò e alzò i tacchi per tornare ai comandi. Non s’avvide di Broly che, imbarazzato, si nascose la testa tra le spalle: chissà quando avrebbe scoperto di avere mezzo sedere al vento e una bella impronta di un paio di denti sulla natica destra.


Nel buio del Palazzo, il governatore procedeva a passo sostenuto verso la prigione del figlio. Dopo cinque giorni di agonia e di pesanti riflessioni sulla sorte non solo del figlio, ma dell’intero pianeta di Earth24, Bardack era giunto ad una sola conclusione che si sarebbe attuata quella stessa notte, con il favore delle tenebre.

Non si era meravigliato, quando i suoi consiglieri, lo avevano informato degli improvvisi tumulti che la scomparsa del Libro aveva suscitato tra le popolazioni del pianeta e di quelle di metà della Galassia. La vita delle Dodici Grandi Galassie era nuovamente in pericolo e non per la spada affilata di uno spietato pirata, ma per mano di una Dea sovrannaturale che con uno schiocco di dita poteva manovrare a suo piacere le stelle più lontane e i mondi più inesplorati.

I tumulti e le richieste dei cittadini per ora avevano trovato conforto nelle parole artefatte ed aleatorie dei prefetti delle diverse regioni, ma presto le richieste si sarebbero trasformate in proteste per chiedere verità e sicurezza, mettendo a rischio la stabilità della democrazia. Sarebbero sorti uomini che si sarebbero appellati al popolo, promettendo loro azioni risolutive per riportare l’ordine e la disciplina con mosse semplici ma inefficaci. Il controllo del pianeta sarebbe stato in mano a chi, tra i forti, si faceva forte con gli ultimi per il proprio guadagno personale e la pace, che tanto faticosamente avevano ricercato e intessuto nel tempo, sarebbe sfumata veloce, così com’era sfumato il Libro della Pace dalla torre del suo palazzo.

Lo scatto metallico della serratura e il trapestio fuori la cella, strapparono il figlio del governatore dai suoi pensieri e si stupì di vedere il padre rivelarsi dalle tenebre.

« Goku! Presto vieni! »

« Cosa? »

« Una nave attende nel porto, i miei più fidati ufficiali ti porteranno lontano da Earth24 »

Goku non capì: « Le guardie degli ambasciatori? »

« Sono addormentate o ben corrotte… ma dobbiamo andare subito! »

Goku però si tirò indietro.

« Andare dove? A vivere il resto della mia vita in esilio? »

« A vivere, figliolo! Non ti farò giustiziare per un reato di Vegeta! »

« Neanche Vegeta lo farà »

Bardack, scosse il capo e si avvicinò al figlio, portandogli le mani alle spalle, in un gesto paterno e accorato, come per infondergli del senno in testa.

« Goku, non essere sciocco! Vegeta non ha intenzione di andare a Tartaro! Il Vegeta che conoscevi da bambino- »

« È ancora in lui ora che è uomo! Io l’ho visto! »

La sicurezza del figlio fece vacillare il governatore. « Goku… » arrancò, affranto il padre. Questa volta fu Goku ad abbracciare il padre, stringendolo forte al petto.

« Va’, padre… so quello che faccio »

Mentre il figlio tornava verso la finestra ad osservare l’orizzonte, il vecchio governatore si sentì ancora più in là con gli anni di quanto non lo fosse al momento. Il figlio era cocciuto quando lui, ma sapeva che sarebbe stato inutile insistere. Gli occhi gli si fecero lucidi, quando pensò che la vita gli aveva già portato via sua moglie ed ora, forse, avrebbe perso anche il figlio.

Prima di lasciare la cella, parlò ancora.

« Lo spero, Goku… Earth24 non ti può perdere… io non ti posso perdere... »

Chiuse la pesante porta di metallo, lasciando l’oscurità al suo posto.

Lasciato solo alle sue riflessioni, Goku cercò di convincersi ancora una volta di ciò che aveva visto in Vegeta: non l’avrebbe abbandonato, lo sapeva.

Lo sperava.

Si sedette sui freddi gradini di pietra della prigione, stringendosi la testa tra le mani e lasciando che fosse il sibilo del vento a fargli compagnia.



Continua...

iStrumenti per la navigazione: il primo calcola la velocità di navigazione e il secondo indica la velocità e la direzione della tenuta (ossia le condizioni generali) della nave;

iiHo fatto un veloce giro internet su quali fossero i veicoli spaziali più veloci mai costruiti: il più veloce è stato Helios2, un veicolo che ha raggiunto i 252.000 km/h su rotta eliocentrica. Ora, visto che si lavora di fantasia, ho puramente inventato il conteggio dei chilometri, come tutto il contesto cosmico, del resto.

iiiL’ammasso stellare delle Pleiadi risiede nella Costellazione del Toro e sono un gruppo di stelle molto vicine di un brillante colore blu; da noi dista circa 443 anni luce. In astronomia sono il complesso CED 19 e la nebulosa che le circonda è la Nube d’Idrogeno Molecolare del Toro.

ivI Pilastri della Creazione, che fanno parte della Nebulosa dell’Aquila, la nebulosa M16, sono probabilmente, tra le foto più riconosciute dell’universo; i due fenomeni celesti, le Pleiadi e la Nebulosa dell’Aquila, in realtà sono a milioni di chilometri di anni luce.

vGli alberi della nave hanno nomi diversi a seconda della posizione che occupano da prua a poppa. Se prua è davanti e poppa è dietro, nell’ordine abbiamo: albero di trinchetto, albero di maestra o maestro, albero di mezzana; poi c’è l’albero bompresso, che sporge quasi orizzontale verso la prua.

viLa randa è una vela sull’albero principale nelle imbarcazioni a vela con un unico albero; nelle navi, è una delle vele dell’albero maestro e a seconda del tipo di vele, può essere quadrata o a trapezio (specie delle vele auriche, ossia le vele a forma di trapezio).

viiÈ inesatto: è la stella Taigete in realtà ad essere individuabile come un ammasso di più stelle, circa 3, Taigete A, B e C che condividono la stessa area geografica e la stessa orbita gravitazionale. Celeno è più distante.

viiiSupporto metallico al quale vengono fissate le cime;

ixAsterope è una raccolta di poesie di Gabriele D’Annunzio, che contiene componimenti dedicati alla celebrazione della Grande Guerra; nel 1933 fu ripubblicata col titolo “Canti della Guerra Latina”.

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Capitolo 6
*** Il Pesce Cometa ***


Capitolo 6


Il Pesce Cometa


Bulma osservava fuori l’oblò del piccolo magazzino, respirando tra i secondi di un lento silenzio.

Tutti i giorni di navigazione parevano dall’oblò del magazzino, mentre si scivolava sulle onde cosmiche, dopo un po’ troppo uguali ai precedenti. Lo sfondo delle stelle che si districavano attorno sfumava di continuo, come una cascata di diamanti che luccicavano e trasmettevano la stessa musica, incantevole come il suono armonioso di un violino o il suono di una continua orchestra.

I pirati spaziali, però, avevano continuato la loro rotta, caparbi nel proseguire verso Ovest e nell’attraversare, astro dopo astro, le regioni infinite dello spazio. Al quindicesimo giorno di navigazione, quando si erano lasciati alle spalle buona parte del settore Est della Via Lattea e di Andromeda, comprese le terribili Stelle Pleiadi e buona parte del mare navigato, il capitano si rifiutava ancora di parlarle.

Bulma si domandava per quanto ancora avrebbe tenuto la bocca cucita con lei, quasi stretta in un filo di xilos verde, un intreccio resistente al vento solare che creava le cime della piccola scheggia su cui navigavano.

La nave, vero, era rovinata e solo in parte i motori a propulsione sonica potevano coprire la distanza che avrebbe percorso alla potenza massima delle sue vele ad assorbimento d’energia solare. Senza contare il fatto che, essendo danneggiati gli scudi di protezione che mettevano al riparo la nave pirata entro sua bolla di aria e di equilibrio, era rischioso proseguire in mare aperto, figurarsi farlo ad alta velocità.

Ma Bulma aveva visto i sorrisi e i gesti di ringraziamento che la ciurma aveva elargito nei suoi confronti nei piccoli momenti di quotidiano, quando il capitano era troppo occupato a guidare la nave e a segnare i nodi del vento per calcolare sull’astrolabio a che punto fossero del percorso.

Turles, in più di una occasione, le aveva elargito metà del suo pranzo, invitandola fuori dalla cuccetta di Broly perché mangiasse con la ciurma. Radish, da bravo cascamorto qual era, le aveva offerto dei comodi cuscini e le aveva sistemato la cuccetta nel magazzino. Le aveva poi detto che se ancora faceva fatica ad addormentarsi, le avrebbe fatto volentieri compagnia: la risposta che si era sentita di dargli, oltre ad un sorriso tirato, era stata la porta del magazzino sbattutagli sonoramente in faccia.

Il problema, comunque, rimaneva il capitano.

Per quanto fosse buzzurro e avesse il cervello piccolo come un atomo e per quanto Bulma avesse deciso di curarsene fino ad un certo punto e poi basta, rimbrottava comunque il suo dissenso in parole leggere che scoppiavano contro il vetro come bolle di sapone. Quando una leggiadra nebulosa, filamentosa come aira, s’intrecciò alle linee immaginarie che le sue dita abbozzavano nel vuoto, decise di destarsi dal suo torpore e si avviò sul ponte.

Appena fuori, fu investita dalla brezza fredda del vento che spinge ad Occidente. Si unì alla ciurma, seguendo gli ordini del secondo e ammaestrò il controllo della nave.

La nave ballonzolava ancora pigramente, si conformò alla rotta tenuta dal capitano e sciò sulle nubi. Il mare calmo e costante, poi, perse d’improvviso il suo moto infinito, nel mentre che la nave raggiunse una lunga scia di asteroidi che si frappose, dal nulla, sul suo cammino.

La navigazione si fece più vigile e pacata e l’attenzione di tutti i pirati fu rivolta alle strisce gravitazionali che permeavano gli asteroidi, quali campi di forza magnetici e di forza collisa che s’intessevano fra i grandi e piccoli corpi celesti della fascia e che permettevano a questi di non disperdersi nel Cosmo.

Vegeta ordinò che i motori fossero stabilizzati al minimo, per permettere alle correnti gravitazionali di trascinare il vascello con sé lungo le coste degli asteroidi galleggianti. Voltò lo sguardo verso il cuore del sistema, verso il protosole di dimensioni nane che piano piano stava nascendo al centro del piccolo sistema solare che stavano attraversando, scrutati dagli occhi delle luci più antiche.

Il disco planetario, che pullulava di vita attorno alla stella in crescita, aveva terminato la sua fase iniziale di genesi scomposta e, dopo aver lasciato parola ad un brulicare di polveri, gas e meteore, si era ripulito nella sua parte più interna mediante il forte vento solare. Nei migliaia di anni cui erano state testimoni le stelle attorno, si erano formati i piccoli protopianeti, che a loro volta avevano ripulito le loro orbite dalla polvere interstellare, ricacciata verso il mare aperto. Ora, solo la fascia di asteroidi che li stava trascinando con sé in una lenta danza cosmica era rimasta a rimembrare le origini antiche.i

Le dimensioni degli asteroidi che navigavano con loro erano delle più svariate grandezze: alcune di centinaia di metri, altre invece viaggiavano su chilometri di distanza, arrivando a coprire la grandezza di pianeti nani. Guardò ancora i motori dell’astronave e misurò i nodi del vento che li sussultava in avanti, nel campo di forza. Era giunto il momento di sbarcare su uno degli asteroidi per fare rifornimento e per provvedere alle riparazioni.

Un grosso asteroide li fece avvicinare alla sua costa: i motori scesero, lenti, a contatto con il dorso frastagliato e solido del corpo, poggiarono la nave e cessarono la loro costante luce blu neon, per sopirsi nel silenzio dello spazio.


« Statemi a sentire: restiamo dieci minuti. Se vi perdere, poi non partite! »

Berciò Nappa, affrettandosi a dare gli ordini ai sottoposti.

Al lato della nave, il capitano lambiva, con le dita scaldate dai guanti, i lunghi parapetti in vibranio a resistenza 3 Kii e, per gli innumerevoli danni evidenti anche ad un occhio più inesperto, si lamentava, sconsolato. Tracciò la traversa del boccaporto con un polpastrello e si stizzì quando l’ennesimo filo di alluminio irrobustito gli rimase intrecciato alle dita.

« Com’è possibile che una donna sola possa fare così tanti danni? »

Sibilò, portando le mani al cielo e volendo urlare il suo disappunto verso il Cosmo. Quella giornata era appena iniziata e lui era già nervoso. Ah, ma lui lo era sempre, ultimamente.

« E va bene… avremmo bisogni di un bel po’ di rodio e di vibranio per assemblare le intelaiature della nave, una montagna di vibranio per riparare i circuiti e la murata… per non parlare delle vele… »

« Avete sentito il capitano: cercate tracce di vibranio e rodio, e in fretta pure! » gli fece eco il secondo in carica.

Vegeta tornò a guardare criticamente i danni della nave e aggrottò le sopracciglia quando ormai l’ennesimo piccolo pezzo della murata finì perso nell’oceano di stelle che li osservava da sotto.

Bulma fece una smorfia infastidita a vedere come il capitano, appena la notava avvicinarsi, si chinava verso il parapetto della nave ed iniziava ad accarezzare melodrammaticamente la murata, come se dalle sue carezze fosse scaturito tutto l’amore del mondo per la piccola nave, danneggiata ingiustamente, a suo parere, da una donna che non sapeva guidare.

« Oh, per l’amor del cielo, basterà un po’ di nekoniii liquido e tornerà come nuovo! »

Sputò, esasperata, ma Vegeta sospirò.

« Quando vorrò il tuo consiglio, te lo chieder- Hey! Hey, hey! Dove credi di andare? »

Ma la donna non si era voltata indietro e, camminando imperterrita lungo la passerella della nave che era stata disposta a lato per poter scendere sul corpo celeste, era scesa sull’asteroide a seguito della ciurma. Il capitano, incredulo, boccheggiò come un pesce qualche istante.

« Be’, vai! Ma almeno portati qualcun- »

Neanche il tempo di finire di parlare che, scattanti, Turles, Cabba, Toma e Radish le si erano fatti accanto e si erano offerti subito di accompagnarla a raccogliere i minerali che avevano necessità di cercare.

« Ah, grazie! È una gioia vedere degli uomini che hanno ancora un pizzico di normale cortesia... » cinguettò Bulma, piacevolmente sorpresa dalla gentilezza della ciurma che si era offerta prontamente di scortarla sull’asteroide. Gongolò soddisfatta, soprattutto per il fatto che sperava nella faccia furente del capitano al vedere i suoi uomini che si agghindavano di un’impropria galanteria cavalleresca.

Il capitano trattenne una smorfia di fastidio.

« Normale cortesia… » Le fece il verso, arricciando le labbra secche ed imitando la sua voce femminile.

Notò, poi, con la coda dell’occhio Napa che, secchio in mano, s’avviava anche lui alla passerella.

« Non ti affannare... »

Il secondo lo guardò: « Ma lo sai che ha ragione, il nekon sarebbe perfetto per- »

« Basta! Resta sulla nave... »

Napa non poté fare a meno di allargare le braccia in segno di resa e guardare il capitano che, con un balzo, saltò sull’asteroide e a passo pesante seguì la ciurma che si era addentrata tra le rocce.

Sorrise, scuotendo il capo.


La situazione aveva dell’incredibile. Tre quarti della sua ciurma camminava allegramente dietro a Bulma, mentre solo Napa, Toteppo e Pampukin erano rimasti sulla nave per tenerla stazionata nell’insenatura che avevano trovato a lato dell’asteroide.

Ah, ma se non avesse fermato il suo secondo, sicuro sarebbero tutti scesi a prendere il nekon liquido e il vibranio per sistemare la nave: tutti allegramente dietro alla donna che guidava l’improbabile comitiva.

Scosse il capo a vedere come Radish e Toma, in particolare Radish, le stessero alle calcagna, più appiccicosi di Broly che, ovviamente, ovunque andasse Bulma, andava lui.

Come se fosse lei il capitano, poi!

Non sapeva se essere invidioso delle attenzioni che la ciurma offriva alla donna o se esserne disgustato. Optò per la seconda opzione.

« Ho già detto “grazie”! Si tratta di questo, non è vero? »

Si sgolò e Bulma si volse nel sentirlo, sorridendogli nella maniera più affettata possibile. Aveva poggiato il secchio sull’avambraccio e più che essere in cerca del metallo, pareva voler andare a cogliere margheritine di campo. Vegeta evitò di inalberarsi ancor di più e decise di vedere come sarebbe andata a finire quella giornata iniziata nel peggiore dei modi.

« Si tratta di riparare la nave…. Se rompo una cosa l’aggiusto! »

Portò lo sguardo sulla donna, sollevando un sopracciglio.

Tutt’intorno l’aria aveva smesso di sfrecciare aggressiva come in mare aperto e il lento scorrere della striscia di asteroidi rendeva l’atmosfera più fiacca e riflessiva, come se si fossero sospesi nel tempo e si ballonzolasse tra un secondo e l’altro, dentro ad un ticchettio costante. Il protosole bruciava, lontano, al centro del sistema solare su cui erano capitati e dietro di loro, a migliaia di chilometri, alcuni piccoli pianeti in formazione continuavano a galleggiare, circondati dai loro gas neofiti, mostrandosi al sole con le loro superfici iridescenti. L’asteroide, composto da un miscuglio di ghiaccio e di vari materiali, continuava a scivolare sotto i loro piedi.

La donna, ad una certa, si mostrò incerta e si fermò, scrutando seriamente il terreno.

Tra i sassi trovò una piccola insenatura, si chinò a terra e tastò il terreno, scoprendo una piccola bacinella di nekon fuso. Si rivolse, raggiante, alla ciurma.

« Ehm, coltello, prego… » chiese cortesemente, porgendo la mano verso il capitano.

Vegeta portò le braccia al petto, sarcastico.

« Oh, certo, adesso ti do anche un’arma... »

Quattro coltelli le furono immediatamente offerti dalla ciurma, sotto gli occhi strabuzzati del capitano, e Bulma, raccolse graziosamente tra le mani il coltello posto da Radish.

« Grazie, Radish… »

Quello gongolò, impettito, e il resto della ciurma aggrottò le sopracciglia a vedere l’aspetto compiaciuto dell’artigliere che raggiunse il capitano, sempre più indignato, dietro di loro.

« Sai, dovresti essere un tantinello più cortese... » sogghignò il pirata, dando una spallata al capitano che osservava l’ambasciatrice aprire di più la fessura nel terreno e raccogliere delicatamente il nekon dalla piccola cisterna. Il capitano non si premurò di rispondere al suo sottoposto, ma gli mollò un pugno ben assestato sul muso.

« Bene, ci mancava una lezione di etichetta da uno tra i peggiori frequentatori di bordello della Galassia... »

Sospirò, massaggiandosi la base del naso.

« Ma lei ha salvato la nave, capitano! » lo fermò subito Cabba, sorridendo speranzoso all’indirizzo del capitano per il quale aveva sempre avuto una particolare ammirazione.

« Grazie Cabba! » cinguettò Bulma, colpita dalla sincerità del pirata, nel frattanto che continuava a riempire il secchio di nekon, con Turles accanto che le reggeva il contenitore per riempirlo.

« E ora aiuta ad aggiustarla! » soggiunse, raggiante Turles.

« È molto in gamba, direi »

« E coraggiosa! »

Anche Toma e Radish si erano fatti coinvolgere nel momento dei complimenti reciproci, mentre Broly sorrideva entusiasta per l’allegria contagiosa di tutti.

Vegeta, all’ennesimo commento, non ce la fece più: se i suoi uomini avrebbero continuato ad esaltare quella donna insulsa ed ficcanaso l’avrebbero mandato fuori di testa.

« Questa donna... non saprebbe aggiustare un’unghia spezzata! »

Sibilò con astio, facendo un gesto sprezzante con la mano. La donna si gelò al tono arrogante del capitano. Si tirò in piedi in un lampo, assumendo una posa battagliera.

« Francamente, sei l’uomo più volgare ed ottuso che io abbia mai conosciuto... »

Il capitano la squadrò da capo a piedi con la sua aria di superiorità.

« Senti, bella… ho visto i bei bamboccioni con cui te ne vai in giro… » gli scappò una risata e ci tenne a sottolineare il concetto, portandosi un dito al petto. « Io sono il solo uomo che tu abbia mai conosciuto! »

Non notò gli occhi furenti della donna, la quale boccheggiò cercando freneticamente i peggio insulti che le potevano venire in mente. Il capitano si avviò, invece, impettito verso la nave, ma Bulma non perse l’occasione per fargli rimangiare le sue parole.

In un istante, rubò dalle mani di Turles il secchio pieno di nekon e lo lanciò a tutta forza in direzione del capitano. Due secondi dopo, Vegeta, cappello compreso, si ritrovò grondante di nekon verdastro e attaccaticcio dalla testa ai piedi. La ciurma rimase a bocca aperta e calò un silenzio maggiore di quello che li circondava perennemente nello spazio aperto.

Si girò lentamente, il cappello calato sugli occhi e le belle piume di Aquila di Ghiaccio, che dapprima spiccavano sul copricapo, afflosciate verso il basso, zuppe di nekon.

L’ambasciatrice lo osservò di rimando, sorridendogli stuccosa e portandosi le mani ai fianchi. Lui le sorrise di rimando, melenso. Si chinò verso le rocce e iniziò a raccogliere da terra del pastrocchio di acqua e polvere interstellare, formando tra le mani coperte da guanti bianchi una poltiglia fangosa.

Bulma sollevò un dito, minacciosa.

« Oh, no… no, no, noooo- »

Ma la palla di fango le finì ugualmente dritta in faccia, rovesciandola a terra. Calò definitivamente il gelo tra il gruppetto e tutti i membri della ciurma si guardarono ancora, increduli.

« Cinque su Bulma... » sussurrò Radish a Toma, scommettendo su chi dei due avrebbe fatto la pelle all’altro.

Bulma si alzò da terra e si levò immediata la fanghiglia dal viso, avanzando lentamente verso il capitano, con gli occhi fuori dalle orbite. Vegeta la degnò di uno sguardo di sufficienza, levandosi il capello e tergendo via il nekon, pulendo le piume con aria schifata.

La donna sbuffò di rabbia.

« Sei... prepotente! »

Vegeta non si fece trovare impreparato, si sistemò il cappello in testa e le rispose per le rime.

« E tu sei viziata »

Bulma gli lanciò il primo frammento di roccia che le capitò sottomano e continuò con tutti quelli che trovò vicino.

« Maleducato, presuntuoso! »

« Illusa! »

Vegeta fu costretto a schivare due sassi che, per un soffio, non gli arrivarono dritti in faccia.

« Pomposo! Egocentrico! »

« Piena di arie! »

Arrivò, finalmente, un sasso in testa al capitano, che sbatté sonoramente contro la sua zucca; la donna non si fermò e continuò a lanciargli addosso tutto ciò che trovava sull’asteroide, nella speranza di rompergliela quella brutta testa che si ritrovava.

« Malfidato, ingrato, impossibile, insopportabile! »

Sempre più pietre raggiungevano il pirata che, ormai, era costretto a schivare i colpi come se fossero proiettili di cannone laser. Broly ne contò ventidue.

« Almeno non sono represso! »

Si sgolò infine Vegeta, mettendosi ad un palmo dal suo naso, furente per il sasso ricevuto in fronte. Bulma lo guardò con occhi spiritati e le si mozzò l’insulto in gola, indignata.

« Io sarei– te la faccio vedere io, la repressa! »

Con una forza che il pirata si stupì avesse in corpo, vista la gracilità della sua figura, la donna afferrò una roccia più grande e piatta, grande quanto uno scudo Earthariano, e fu pronta per scagliarla in testa all’uomo davanti a lei, quando l’asteroide sotto di loro vibrò di una cupa eco.

Sotto i loro piedi si vennero a creare delle fughe di colore verde acqua che, come le zampe veloci di un ragno, si diffusero in striature sempre più complicate lungo il terreno, trasformandolo in una rete complessa di collegamenti che vibrarono di energia cosmica. Vegeta e Bulma, che erano sul punto di sbranarsi a vicenda, si sentirono sul filo del rasoio.

« Posalo a terra… »

Le sussurrò il pirata e la donna lasciò scivolare a terra il grande masso, trattenendo una risatina d’agitazione. Il groviglio intessuto sotto i loro piedi brillò di una luce più intensa, che accecò momentaneamente i pirati, e l’asteroide aumentò il suo tremore. Bulma si appoggiò spaventata a Vegeta, che la sorresse per evitare che cadesse al suolo.

Come nel più strano dei sogni, il terreno ai loro piedi si mosse, poi, di scatto e si aprì in una fessura, che divenne sempre più ampia, come le pareti di un canyon che si aprono per un terremoto, rivelandosi in un enorme occhio di perla dai contorni violacei e vitrei, che presto si posò a guardare la ciurma.

« È un Pesce Cometaiv! » esclamarono con orrore.

L’occhio si mosse velocemente e si richiuse di scatto, come per scacciare gli ospiti indesiderati, e dalla punta dell’asteroide, a qualche centinaio di metri dal gruppetto, iniziarono a formarsi dei cristalli di ghiaccio, sempre più grandi e diretti verso di loro: il pesce stava iniziando, infatti, a muoversi e aveva intenzione di inabissarsi nel mare cosmico per nuotare via.

« Via! »

Tuonò a pieni polmoni il capitano, trascinandosi dietro Bulma che per poco non incespicò nei suoi passi. Tutti si mossero in una corsa nervosa per avere salva la vita.

« Nappa! »

Percepì il secondo dalla nave, riscuotendosi dalle sue misurazioni astronomiche sui campi di raggi gamma che la nave aveva attraversato e sul numero di conseguenti modifiche e ricalibrature delle vele che si sarebbero dovute fare. Ma prima che si accorgesse del perché della fuga nervosa ed improvvisata dei suoi compagni, fu trascinato a terra dal colpo di pinna che il pesce cosmico diede alla nave, ancorata proprio nell’insenatura che la pinna creava tra lei e il corpo massiccio della creatura.

La nave, in balia delle forti onde create dal movimento maestoso del pesce, fu per un attimo allontanata dal punto di ancoraggio e balzò sulle onde del mare. Nappa corse al timone per riprenderne il controllo.

I pirati si precipitarono all’impazzata lungo la cresta del Pesce Cometa, ogni passo significava una possibilità in più di salvarsi, mentre i fili elettrici del pesce si facevano sempre più veloci e nervosi come il tracciato di un fulmine che scende dal cielo.

« Nappa! » gridò ancora il capitano, sbracciandosi per fargli individuare la loro posizione, tra le urla collettive di terrore.

Il tremore sotto di loro si fece più nervoso e il capitano, che ancora non aveva mollato la presa dalla mano di Bulma, si accorse di essere appena capitati sopra le branchie del grande Pesce Cometa.

Queste, presto, si sarebbero aperte emettendo un forte flusso di vento, con il rischio che l’aria li scaraventasse in avanti e li facesse sfracellare sul suolo brullo e sassoso dell’asteroide elettrico o, peggio, li spedisse diretti nello spazio aperto.

Si fermò bruscamente, proprio mentre la prima branchia si apriva. Lui e Bulma si trovarono abbracciati, entrambi sull’orlo del precipizio e con il fiatone.

Il capitano si specchiò negli occhi pieni di timore, ma anche brillanti, della donna e per un secondo pensò di non aver mai visto un blu così avvolgente ed ammaliante. I suoi pensieri svanirono in una nuvola, però, quando le urla della ciurma fecero sparire l’improvviso ed inaspettato torpore che aveva sopito i suoi riflessi.

Il grosso Pesce Cometa aveva iniziato, infatti, ad inalberarsi verso l’alto, pronto a spiccare un balzo elegante nell’oceano e la ciurma stava venendo trascinata a tutta velocità verso di loro, scivolando sulle scaglie del pesce. L’impatto tra di loro fu veloce e forte, tanto che li sbalzò tutti quanti verso l’alto, oltre l’atmosfera dell’asteroide. Percepirono nel giro di un secondo l’aria fredda dell’Eatherium, così favorevole alla navigazione quando le acque del mare astrale si facevano calme, ma anche così letale quando soffiava imperiosa e fredda su ogni essere che incrociava. Si sentirono squarciare da mille sensazioni nel giro di un secondo, tagliuzzati dal vento gelido dell’immobile infinito, finché non precipitarono veloci fuori dalla traiettoria del Pesce Cometa.

Bulma chiuse forte gli occhi, facendosi stretta al petto del capitano e non mollò la presa, almeno fino a che non percepì più le braccia calde dell’uomo, che non la sorreggeva più. Fu allora che aprì gli occhi, trovandosi davanti per un secondo, lungo dei secoli, lo sguardo di stelle del capitano che, prima di lasciarla al sicuro sul ponte della nave e di dirigersi al timone comandi, la scrutava assicurandosi che stesse bene.

Lesse, durante l’eterno istante, l’emozione di timore, ma di anche di tracotante voglia di avventura che stava iniziando a balenare negli occhi neri del capitano. Non arrivò a cogliere in pieno il mare in tempesta che dominava fuori e dentro Vegeta, che questo già era balzato, scattante, verso il ponte comandi.

« Sta andando verso Ovest! » parlò il capomastro Nappa, cercando di reggere a fatica il timone nella nave, in balia delle onde scatenate e sempre più forti dal Pesce Cometa.

« Dove dobbiamo andare noi! »

Realizzò colto alla sprovvista, il capitano.

Pensò in fretta: vide una gomena afflosciata accanto all’albero di prua, una di quelle cime superiori che, come spessore e forza di traino, potevano da sole sollevare un bompresso della navev. La raccolse mentre correva verso la prua del vascello dove, un occhio attento alla struttura del bastimento, avrebbe potuto notare il lancia funi arpionato che, neanche si ricordava quando, avevano celermente sottratto all’esercito di un pianetuncolo sassoso del Sud Estremo. Un gingillo di ingegneria, di gittata formidabile e di precisione millimetrica.

Si fece presso il marchingegno, lo attivò, vi intrecciò la forte fune, afferrò il controller e calibrò i parametri per il lancio.

« Nappa, mantieni la rotta! Turles, allaccia la fune! »

Gridò, assicurandosi che il secondo mantenesse saldo il timone e che il mozzo annodasse la gomena all’albero maestro, circondandolo con doppio giro e nodo, perché non sfuggisse via lungo il lancio.

E poi premette il grilletto: sparò il colpo con tutta la precisione che gli anni di caccia e furto in mare gli avevano donato. La fune volò lesta e immediata verso la superficie sassosa del pesce, scivolò lungo i sassi elettrici di cui vibrava la Cometa, per poi arpionarsi in un aggancio naturale tra due insenature e si fissò, tendendosi.

Il capitano non ebbe neanche il tempo di voltarsi glorioso verso i compagni, che esultarono per lo splendido lancio, che la nave balzò in avanti.

La nave seguì la corsa del Pesce Cometa e venne così trainata al centro di una scia di bianco e azzurro, a gran velocità.

Il suono delle stelle divenne, travolgente, acuto, come il grido dell'Aquila di Ghiaccio quando si getta nel frost della Costellazione della Fornace, il grido di libertà che si disperde attraverso il suono del vento. Le ali della nave si fecero gonfie e attirarono a sé il vento alla sua massima portata, facendo scivolare la nave sulle onde di ghiaccio nate dal Pesce, che scagliò il vascello in avanti, sempre più lesto.

Si fece giorno e si fece notte, l’una seguì l’altra come in un cerchio costante.

Le stelle che, solitamente, scorrevano come lanterne al loro fianco, divennero una sfumatura di colore sulla tavolozza degli dei: non si distinse più la luce dalle tenebre, perché tutto si sciolse nella coda argentata e celeste della Cometa che fluiva, come un fiume che trabocca dal suo sentiero e scorre, a piccoli e grandi balzi, lungo le rocce fino al grande oceano.


Bulma si staccò dalla salda presa che l’aveva ancorata al parapetto della nave e si portò ad centro del ponte, un po’ barcollante, per il movimento concitato della nave e un po’ per l’emozione. Si sentì investire d'energia e i suoi occhi s'illuminarono a vedere come, d'improvviso, la fascia di asteroidi aveva seguito, in una rincorsa veloce, l'enorme pesce davanti a loro.

Gli astri attorno a loro, infatti, si erano resi più luminosi e al posto della fredda e dura roccia interstellare, erano scaturite scie di energia che confluivano nella scia del Pesce, ed innumerevoli ed infinite creature di mare avevano seguito la sua rotta.

Decine e decine di balene e cetacei di ogni grandezza avevano preso vita dall’essenza di asteroidi e ora risplendevano come mille soli: nuotavano con grazia e con infinita armonia attorno a loro, assorbendo la luce delle stelle, per poi espanderla fuori di loro, in caleidoscopi di colori sempre diversi, ma sempre vicini alle tonalità delicate del cielo quando scende la notte.

Nonostante la folle velocità del Pesce Cometa cui erano appigliati, le creature attorno si muovevano lente e in un incedere calmo, con ritmo costante ed equilibrato.

La giovane ambasciatrice ammirò gli intensi colori attorno a lei, che sembrano chiamarla ed invitarla a viaggiare con loro tra le Costellazioni. Le lunghe pinne delle balene e la spruzzante energia dei delfini di mare che sfioravano le onde la fecero innamorare ancor di più dell'oceano astrale.

Il meraviglioso salto di una delle balenottere fece schizzare cristalli di ghiaccio lungo la barriera protettiva che copriva tutta la nave e i brillanti di freddo sfavillarono tra le vele gonfie di vento, sciogliendosi in fiumi di spuma bianca.

Credette di sognare, mentre osservava le stelle incastonarsi tra le squame argentee dei pesci, mosse dal vento ed incastonate come i diamanti di terra.

Vegeta, che aveva lanciato con forza l'arpione verso la coda del pesce, permettendo alla nave di seguire la sua scia, era rimasto a prua, sopra la gomena.

La folle velocità del vento lo investiva con un getto di vita e lì, mentre la sua nave seguiva il flusso della Cometa, lì, mentre si ricopriva di cristalli di ghiaccio e di un'abbondante luce blu azzurra, credette di possedere il cielo e l’Universo, tutti raccolti nel suo pugno.

A braccia aperte, si impadronì del vento dell'Eatherium, che lo ampliò della sua essenza, lasciò che questo gli parlasse di meravigliose scoperte, di terre ancora non toccate dalla sua curiosità e dalla sua voglia di conoscere cose più di qualunque altro essere nel Cosmo.

Si sentì re e si sentì principe: i cristalli di luce e la scia scomposta della Cometa che gli scompigliavano le vesti. Lanciò il suo cappello di piume di ghiaccio lontano, forse raccolto da uno della sua ciurma o forse perso nell’aria avvolgente.

Rise come un pazzo a sentire la schiuma di luce scorrergli sotto le dita: s’immaginò di avere tra le mani un frammento di una stella incandescente, più forte e brillante del sorriso di una Dea, più calda e viva che mai, e di berne le sua luce.

Un pezzo di vita che poteva afferrare, mutare, sciogliere e far scorrere nell’aria, forgiandolo a suo piacimento: questo voleva fare dell’Universo, renderlo leggibile ai suoi occhi affamati di conoscere. Afferrarlo, stringere a sé il suo potere, manipolarlo e costruire tutte le stelle che voleva.

Il potere, quello vero, che solo gli Dei avevano, presto o tardi lo avrebbe avuto tutto per sé.

Allargò ancora le braccia e chiuse gli occhi, come se fosse pronto a buttarsi tra la scia argentea e celeste che li inglobava.

I suoi occhi ora traslucidi come quelli di una divinità affogarono in colori più sgargianti, voluttuosi di vedere di più, di scoprire di più. Poi si sciolsero nello sguardo incantato della ambasciatrice che sostava, a bocca aperta, accanto a lui. Un pezzo alla volta il suo sogno di potere si assopì, rimanendo inascoltato in un angolo della sua mente, come se si richiudesse dentro un lato oscuro dello spirito.

Vegeta e Bulma si guardarono ancora, in mezzo al suono assordante del Cosmo che si scioglieva nella scia di luce della Cometa.

Bulma non si rese conto della potenza del suo sguardo, fino a quando le onde dei suoi occhi non bagnarono i resti della coscienza di Vegeta e lo convinsero che, forse, un altro sogno poteva inondare il suo cuore di pirata. Un sogno non più di potere, ma di amore. Un sogno mai esplorato fino a quel momento.



Continua…





Nota dell’autrice


Eccomi qui con un altro capitolo d’avventura e un poco agitato, ma non troppo. Spero che vi sia piaciuta questa descrizione piuttosto fantasiosa del Pesce Cometa. Io mi sono divertita assai a creare questo mondo di colori ed emozioni.

E, a proposito di colori, che i due protagonisti non si stiano innamorando? Chi lo sa. Io lo so, ma non ve lo dico.

Voi lo scoprirete continuando a leggere!

Alla prossima puntata!

Grazie a tutti e scusate il ritardo nella pubblicazione <3

iDescrizione narrativa ma con basi scientifiche di come è nato il nostro sistema solare. Per la descrizione della fascia di asteroidi, ho preso ispirazione dalla fascia di asteroidi tra Marte e Giove e dalla striscia di asteroidi dopo Plutone, la fascia di Kuiper.

iiTemperatura dello spazio, 3 K (-270° C) ma questa varia da zona a zona; in prossimità dello spazio può raggiungere anche i 500° C.

iiiMateriale assolutamente inventato. Tutto quello che sto scrivendo, a parte il film al quale mi sono ispirata, è assolutamente inventato e va contro le leggi della fisica. Ma io non ho mai studiato fisica, quindi la fisica a me non si applica.

ivIspirato alla natura di Cerere e di una cometa; ho voluto unire i due oggetti celesti per comodità narrativa, ma in realtà i due astri celesti sono ben diversi tra loro: Cerere è classificabile come un pianeta nano o un asteroide, come Plutone, e si trova nella Fascia Principale di asteroidi del nostro sistema Solare, ossia tra Marte e Giove. La superficie è composta da un miscuglio di ghiaccio d’acqua e vari minerali, come carbonati e argille idrate; il nucleo è roccioso e mantello di materiali ghiacciati, potrebbe avere un oceano di acqua liquida sotto la superficie.

Il pesce viene chiamato pittorescamente “Pesce Cometa” per il fatto che si muova, gli asteroidi per via della gravità esercitata tra loro e dalla stella vicina, infatti, non si muovono; una cometa è un corpo celeste piccolo, simile all’asteroide ma composto per di più da ghiaccio, roccia e metalli e sono oggetti che si muovono nello spazio secondo delle orbite ellittiche e, quindi, periodicamente sono attirate da una stella. La chioma di una cometa è l’atmosfera temporanea che si forma in vicinanza del passaggio vicino alla stella, per effetto dell’azione della radiazione solare, che crea sublimazione delle sostanze volatili presenti sulla superficie del nucleo cometario.

Se ne volete sapere di più, domandate a Piero Angela o a Wikipedia.

vLa gomena è una delle cime intrecciate assieme a formare una cima spessa più di 20 centimetri. Nella mia ignoranza, la cima ideale per la situazione. Perdonate la mia ignoranza sul tema, cari marinai di Capitan Findus.

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Capitolo 7
*** Ghiaccio e neve ***


Capitolo 7


Ghiaccio e neve


Le cime alte nella nave avevano iniziato a confondersi con le nebbie stellari che, pigramente, tangevano gli alberi e la bandiera pirata, sempre distesa verso il vento e verso l’oceano, bagnata delle sue gocce di luce. Gli scudi di energia ora, completamente alzati per via della navigazione di nuovo in mare aperto, si erano rianimati e ricaricati della luce accecante del Pesce Cometa, che aveva condotto il veliero avanti nella sua traversata.

Accovacciato sul cassero della nave, il capitano aveva abbandonato il timone nelle mani del suo fedele secondo e, attraverso lo mostrarombii, si accertava della direzione verso Ovest e scrutava dal binocolo ad energia compatta, con lenti rafforzate per vedere fino a dieci parsecii di distanza, lo spazio circostante. Le vele spiegate al flusso dell’Eatherium sbattevano ritmicamente contro le scotteiii che tendevano fisse le tele agli alberi della nave.

Si concesse un momento per rilassarsi, tirando un sospiro di sollievo: la navigazione ora procedeva a 300.000 km/h, il tempo scorreva agile sotto le sue dita, mentre si avvicinavano sempre più verso Tartaro, la stella di Lazuli.

Il Pesce Cometa aveva fatto al caso loro, accelerando di molto il moto costante della traversata verso la meta, anche se dopo un po’, sarà stata la velocità sostenuta o le stelle accecanti che formavano un manto psichedelico agli occhi di chi le guardava, i marinai avevano risentito della folle velocità, soprattutto i loro stomaci, costretti a rimettere qualche pasto sul ponte.

Non che si fossero persi grandi manicaretti, eh, il massimo che la cucina marinaresca aveva da offrire erano uova e cetriolini.

Sebbene Broly, con sorpresa di tutti, avesse vomitato pure delle carote, trovate chissà dove nella stiva.

Così, quella mattina presto, aveva tagliato la corda che li aveva visti aggrappati alla grande creatura d’oceano, abbandonando il moto lesto e costante della Cometa, per il benestare anche del suo, di stomaco che, per fortuna, ancora conservava i cetriolini mangiati. Scostò lo sguardo dal binocolo, ricercando il focus nella vista e nei passi a scendere lentamente dal cassero, un focus ancora difficile da trovare per via del leggero stordimento che non lo aveva abbandonato del tutto.

La ciurma aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva deciso di tagliare letteralmente la corda dalla coda del Pesce e i più erano crollati, sfiniti, lungo il ponte o direttamente in cabina.

Si appoggiò stancamente alla balaustra ancora rovinata dall’incontro con le Stelle Pleiadi, ma tenuta assieme, in qualche modo, da un’immane quantità di fili di vibranio recuperati di corsa sul Pesce.

All’ennesima ondata di nausea orgogliosamente ricacciata giù dall’esofago, dovette ammettere che, forse, non era stata una così brillante idea rubare un passaggio alla Cometa.

La cosa più matura da fare era, quindi, dare la colpa a qualcun altro.

« Chi è che ha avuto questa brillante idea? »

Sibilò contro il vento, passandosi una mano sugli occhi.

« Non lo so... »

Non si era accorto della presenza dell’ambasciatrice che l’aveva raggiunto con passo incerto, andandosi a sedere su una corda arrotolata ai piedi della balaustra. Lei lo guardò con sguardo complice e con una punta d’ilarità negli occhi azzurri.

« Ma mi deve un pranzo… »

Si specchiarono per qualche secondo l’uno nell’anima dell’altra, sorridendo. Il Capitano fu sul punto di controbattere, ma la visione davanti a loro lo bloccò.

A centinaia di chilometri da loro, infatti, si aprì lo spettacolo della Costellazione dell’Aquilaiv.

Nell’ammasso di circa un centinaio di stelle dai colori sgargianti, spiccava per intensità e trascendenza la stella Altair, sorella posta in opposizione alle sorelle Alshain e Tarazed, congiunte in un asterismov perfetto, emanando equilibrio ed armonia, come se queste costituissero le ali spiegate della creatura di aria. I più antichi marinai sapevano che, in quelle regioni estreme, risuonava il suono della voce di Zeno, il padre degli Dei che, all’inizio dei tempi, aveva amato Ganimede o in altre leggende Antinoo, un bellissimo fanciullo: questo venne rapito dall’Aquila e portato sul monte Olympus, al Centro del Cosmo.

Vegeta urlò subito ai marinai di potenziare le vele a specchio d’energia e di mantenere costante la navigazione, per non farsi travolgere dal vento spaziale che, in quella regione, aveva iniziato a sorgere con più potenza. Si sentì il fischio dei motori che stabilizzarono la nave e la chiglia sbattere contro i cristalli di ghiaccio delle onde. Il capomastro calibrò la curvatura del timone e finalmente il capitano ebbe una visione più precisa del contesto astronomico che li circondava.

Pianeti nani e piccoli asteroidi strisciavano attorno alle stelle, in particolar modo attorno ad Alshain, come se questa fosse il motore di un lento carillon. I nanopianeti erano di grandezza e di strutturavi diversa, ma, dopo un attento colpo d’occhio attraverso la vista acuta dal cannocchiale, le aurore boreali che si dipanavano sulla loro superficie indicavano che i pianeti, almeno alcuni, avevano iniziato il processo di stabilizzazione e l’atmosfera non era più tossica e rarefatta per via dei gas neofiti. Inoltre, dal colore rosso rame che emanavano, la superficie doveva essere rocciosa, calda terra compatta come il deserto e, almeno sperava, doveva avere delle traccie di vibrano per la Saiya.

Quei pianeti avrebbero fatto al caso loro. Bulma continuò ad osservare, con il naso all’insù, la Grande Aquila tracciata nel cielo, srotolando con accuratezza i ricordi degli astrolabi che aveva osservato ed amato da bambina. La Costellazione dell’Aquila era uno dei segni del cielo che più l’aveva affascinata da bimba.

Vegeta ridacchiò sotto i baffi.

« La Costellazione dell’Aquila… non pensavi che vi avrei portato fin qua, eh? »

« No, è vero… »

Lei arricciò le labbra in un piccolo sorriso e s’intrecciò le mani dietro la schiena, avvicinandosi leggera al capitano.

« Ma Goku sì, per qualche motivo hai la sua fiducia... »

Un fischio di vento dell’Eatherium risuonò tra di loro e le piume argentee e ghiacciate sul cappello del pirata si mossero piano.

« Come... vi siete conosciuti voi due? »

I pianeti iniziarono a distinguersi in lontananza con più chiarezza e Nappa puntò a terzo pianeta nano parallelo alla stella. Le aurore rosse e rosee del pianeta l’unico segno di movimento nella calma dello spazio.

Vegeta ci pensò su un attimo, poi gli scappò un ghigno strafottente.

« Scappavo per salvarmi, come al solito »

Rise e si avvicinò alla cima di mezzo, che sfilata dal carico della carrucola, penzolava accanto a loro. L’afferrò con forza e saltò agilmente sulla balaustra della nave, come per scivolare sulle schegge di luce fuori la barriera protettiva.

Si trovò a mimare animosamente il trambusto della battaglia: « Un paio di guardie mi avevano accerchiato fuori le mura del palazzo. Ero in trappola! Una spada alla gola, una sul petto e una sul - »

« Centriolini e uova! »

Nel rumore del ponte, risuonò l’urlo di Radish, uscito da sottocoperta. In sua risposta, si levarono gli insulti della ciurma contro lo sfortunato mozzo. Ancora quegli schifosi cetriolini e uova.

Bulma e Vegeta li fissarono, temporaneamente distratti dalla conversazione. Quando Turles iniziò a minacciare Radish di ficcargli i cetriolini dove sapeva ben lui, il capitano attirò di nuovo l’attenzione della donna. Si schiarì la voce e distolse Bulma dallo spiacevole battibecco poco dignitoso.

« E poi, ad un tratto, c’è stata la quarta lama, vibrante come non mai! »

Il sorriso gli contagiò gli occhi e si lasciò trascinare dal racconto.

« Era Goku! Aveva visto tutto dalla sua stanza nel palazzo, era scivolato lungo le mura del castello per combattere al mio fianco! »

Lasciò la cima a camminò sul filo del parapetto, il mare schiumava di folta eco sotto il passo della nave.

« Caspita se abbiamo combattuto, come se fossimo nati per fare solo quello! Due anime unite e due combattenti pronti ad affrontare il Cosmo! Da quel giorno siamo stati unitissimi! »

I suoi passi si distesero poi in un sospeso silenzio, favorito dallo sciabordio del mare. Bulma rilasciò i suoi pensieri in un sorriso meraviglioso, che brillò come quello di un angelo.

« Poi cosa vi è successo? »

Il capitano abbassò il capo, scrutando tra le fughe nel legno del ponte, resistente agli sbalzi di corrente cosmica, poi riportò gli occhi d’improvviso più scuri sulla donna.

Lei sorrise. « Cosa c’è? »

Vide il capitano scendere dal parapetto, mentre ancora la scrutava, non abbandonando i colori perlacei delle sue iridi. Le parve che volesse dirle molto altro, ma si limitò a poche parole che chiusero la conversazione così veloce com’era iniziata.

« Abbiamo preso strade diverse… » sussurrò l’uomo, avviandosi verso il timone.

Lo vide scendere sottocoperta e non poté fare a meno di domandarsi perché, ancora una volta, avesse chiuso i suoi sentimenti e il suo passato a lei. Le Costellazioni attorno attutirono i suoi pensieri e la consolarono nei colori sgargianti di acuto silenzio.


Le bolle continuavano a scoppiare e sdoppiarsi nel bagno immenso, la soffice schiuma sfumava verso il bordo, cadendo in nuvole di acqua eterea. Sebbene un poco piccina, la galassia che aveva usato e che ospitava il suo corpo divino si era rivelata una comoda fonte d’acqua per lei e le sue creature di cielo. Scostò noncurante un piccolo pianetino che le passò sotto il naso, solleticandole i sensi e districò lentamente dei nodi nei capelli di oro che filano sciolti nella piscina. La bolla di vetro le presentò il volto contrito ma composto dell’ambasciatrice e Lazuli non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo a quel gesto di sincero dispiacere che lesse sul viso della mortale.

Stupidi uomini, così noiosi e scontati.

« Basta con le chiacchiere… » lamentò nel vuoto del cielo di Tartaro, pasticciando le nuvole di schiuma verso il basso, perché spegnessero qualche stella inutile. Le Costellazioni sibilarono di acuto disprezzo e lo Scorpione fece vibrare la sua coda velenosa.

Lazuli lo fissò con gli occhi di stelle e arricciò le graziose labbra in un sorriso, raccogliendo lo Scorpione nella sua mano.

« Sentiamo qualche bell’urlo! »

Raccolse la bolla di vetro nelle lunghe mani affusolate e ci soffiò sopra, gelandola di fredda morte. La bolla si crepò e soffiò un vento di neve.


La nave scese dolce, ma precisa sul pianetino individuato e l’aria calda dell’atmosfera impattò contro i visi ora accaldati della ciurma. Broly che, notò il capitano, non aveva perso la brutta abitudine di andare ad accucciarsi accanto a Bulma ogni due per tre perché sua ufficiale compagna di cuccetta, si affacciò a prua e curiosò, mettendo il viso fuori dalla nave, il pianeta sottostante. Quando una folata di sabbia lo investì appieno, rovesciò sul ponte tutta la sabbia che gli era finita inevitabilmente in bocca e il capitano, mentre la ciurma non trattenne l’ilarità, scosse la testa sconsolato.

Appena attraccarono, rimasero a lievitare ad un paio di metri da terra. Buttarono l’ancora in quello che si caratterizzò in tutto e per tutto come un deserto di sabbia fluorescente, calda e vivida, che soffiava non troppo pacata in tutte le direzioni. Sotto la sabbia, però, c’era la roccia a tratti sporgente dalla pianura dorata che sicuramente aveva tracce di vibranio. A centinaia di metri da loro, invece, un’enorme torre di roccia solida, formata e levigata dal vento che sorge dal deserto, s’ergeva imponente, come una roccaforte solida e antica di secoli passati, un castello che mai nessuno avrebbe trovato.

Era il momento di scendere al suolo per ricavare il vibranio e magari del nekon, se Zeno gli avesse concesso la grazia.

Fece per aprir bocca, quando una folata di quello che riconobbe come vento freddo, lo bloccò. Guardò verso il cielo.

Aria fredda? In un pianeta di deserto?

Quella che li travolse in pieno, incatenando la nave a delle spesse lastre di ghiaccio, pur essendo ancora sospesa in aria – e Vegeta ringraziò la sorte per non essere sceso completamente al suolo, altrimenti il danno sarebbe stato molto maggiore – fu proprio una gelata fredda, che si tramutò, nel giro di un soffio, in forti e potenti urli di neve. Sotto i loro occhi, tutta la sabbia si trasformò in neve: il deserto di arena divenne un deserto di neve e il gigante di roccia davanti a loro assunse le sembianze di una vecchia torre fantasma bianca, in cui s’infilavano gli ululati del vento.

« Miseriaccia ladra, ma com’è possibile? »

Sbottò il capitano, pestando furioso la neve che era caduta sul ponte per via degli scudi di protezione ora abbassati.

Nappa cercò di fare rapporto, avvicinandosi alle sue spalle. Vegeta si volse di soprassalto e a momenti si spiattellò contro il petto dell’omone, che, ovviamente, stava sempre a petto nudo.

« Infilati una camicia, potresti cavare un occhio a qualcuno! »

Sbraitò, preso alla sprovvista e Nappa fu sinceramente sul punto di cavarglielo l’occhio, se il capitano non avesse preso qualche bel respiro per calmarsi.

« Forza ragazzi, andate a rompere il ghiaccio, dobbiamo andarcene! » urlò, al contrario di quelle che erano le sue aspettative. Si passò una mano sugli occhi e Bulma gli lanciò uno sguardo di comprensione, sorridendogli debolmente. Al capitano non rimase che armarsi di piccone e incominciare anche lui a spaccare il ghiaccio.

Non si domandò il perché della magica ed inspiegabile comparsa del ghiaccio in un mondo di sabbia e deliberatamente ignorò la voce di avvertimento che sussurrava sempre più forte alla sua anima. Quello che importava, ora, era andarsene: il vibranio e il nekon erano irrecuperabili sotto il manto di neve ghiacciata, ma la loro pelle era più preziosa.


« Rubiamo il Libro della Pace… ci ritiriamo alle Stelle Fiji! »

Berciò insolentemente Turles, stringendosi, inutilmente, nel piccolo giacchino che era rimasto in stiva per proteggersi dal freddo di un improvviso inverno. Il piccone a lama laser gli tremava nella presa tra le mani, mentre cercava di rompere le lastre di ghiaccio che stavano intrappolando il loro vascello al suolo congelato del pianetino.

Essendo un pirata navigato per l’interno Universo conosciuto, come un qualsiasi buon altro marinaio, dopo un po’, avrebbe dovuto sviluppare una corazza di imperturbabile accoglienza verso le vicissitudini che offriva il mare cosmico e l’immancabile vento dell’Eatherium. Ma lui, sebbene avesse vissuto più anni in mare di quanti ne aveva vissuti in casa, attaccato alle sottane di sua madre, il freddo lo odiava, lo disprezzava e lo schifava.

Ora, non solo il suo beneamato capitano stava conducendo la Saiya verso il luogo più oscuro e freddo dell’Universo, la stella morente di Tartaro, ma adesso pretendeva che lui, povero mozzo delle Regioni più a Meridione del Cosmo – si sa, le più calde ed accoglienti – stesse su un fottutissimo piccolo pianeta inutile a spaccare lastre e lastre di ghiaccio, congelandosi mani, piedi e cuore.

Digrignò ancora i denti dal freddo e se non fosse stato per il fatto che non era l’unico a congelarsi le chiappe al vento nevoso – a pochi metri da lui c’era Radish che, non avendo trovato una sciarpa, usava i suoi capelloni come riparo – avrebbe volentieri tirato il piccone in testa al capitano, rischiando l’ammutinamento.

Si concentrò per spezzare un altro blocco freddo, quando sentì Broly iniziare a guaire e ringhiare sul ponte di comando. Broly, il cucciolone ibrido con i sensi molto più sviluppati di quello di un umano, con sorpresa della ciurma, aveva iniziato, infatti, a ringhiare più forte e, se avesse potuto, avrebbe abbaiato con vigore verso la torre, che, inevitabilmente, attirò l’attenzione di tutti.

Tutti si fermano definitivamente a guardare la torre, quando nel silenzio si percepì un fischio, dapprima leggero, poi sempre più forte, come di Aquila che mentre vola si avvicina veloce alla preda.

Vegeta cercò di aguzzare la vista, ascoltando il brutto presentimento che gli sussurrava alle orecchie di un grosso pericolo in arrivo, e fissò il vuoto in lontananza oltre la torre fantasma.

La forma sfumata di un animale si palesò nel cielo, oscurata da nuvole di neve, per scomparire subito dopo tra la nebbia.

I marinai al nuovo fischio sinistro lasciarono perdere le lastre di ghiaccio e si guardarono attorno guardinghi. Il silenzio si fece carico dei loro respiri affannati, mentre il fischio si avvicinava sempre più.

Bulma si portò accanto a Broly che, a prua, ringhiava feroce a quel qualcosa oltre la torre. Il grido scomparve per qualche istante e il mezzo demone, spaventato, corse via, andando a nascondersi sottocoperta.

Il capitano e l’ambasciatrice si fissarono, incerti, poi un rumore sordo di rocce frantumate spezzò il loro silenzio.

Tra le urla collettive, un’enorme Aquila di Ghiaccio gigante comparve piombando sulla nave, spezzando la monotonia del paesaggio ricoperto di morte bianca. La creatura sorvolò la pianura desertica, le sue ali di piume di ghiaccio sbatterono violentemente contro le cime e le vele della nave, che tremò con forza, pronta a spezzarsi contro il peso della creatura mastodontica che li aveva presi di mira.

« Tornate sulla nave! » urlò a pieni polmoni Vegeta.

I marinai si affrettarono a salire a più non posso verso la nave: quelli che si erano arrampicati ed erano rimasti più in alto sui pilastri di ghiaccio arrivarono più in fretta sul ponte, tratti in salvo dai compagni.

L’enorme rapace sorvolò ancora minacciosamente la valle, strisciando le penne esterne lungo le dune di ghiaccio, finché i suoi occhi vuoti non si fissarono su Tarble che, rispetto ai compagni era rimasto più in basso nel spaccare il ghiaccio e, a pochi metri dal suolo, ancora stava salendo.

Con un grido acuto, l’Aquila fece per planare sul marinaio e questo non poté fare altro che lasciare la presa, scivolando però nel crepaccio profondo che separava la forma aguzza di ghiaccio che aveva intrappolato la nave dal resto della pianura di ghiaccio.

Strinse con forza la presa su un gracile appiglio che trovò nascosto nella parete, ma la sua presa era incerta, per via della scivolosità del ghiaccio che lo circondava.

« Tarble! » gridò Bulma.

La donna, che aveva notato il compagno in difficoltà, cercò svelta una cima e la lanciò a Tarble con tutta la forza che aveva in corpo. Appena vide il marinaio afferrarla ed iniziare a issarsi, lo aiutò facendo scivolare veloce la cima lungo il parapetto della nave, per poi issarla alla punta del cassero a prua per avere una presa migliore.

La creatura di neve, che portava con sé i più venti freddi del Cosmo, però ad un certo punto deviò direzione e si gettò sulla nuova preda.

Vegeta, che aveva appena teso la mano a Radish per aiutarlo a salire a bordo, s’avvide con orrore dell’intenzione della creatura ed urlò il nome della donna.

Bulma si girò malauguratamente a sentire il suo nome e il capitano non fu abbastanza svelto nel raggiungerla: l’enorme artiglio dell’Aquila dalle piume di ghiaccio si strinse attorno al corpo della donna e con un balzo si issò in aria.

La mano del capitano afferrò per qualche istante la mano tesa di Bulma, cercando di trascinarla via dalla presa ferrea dell’animale sovrannaturale. Il pirata venne trascinato verso poppa, ma la presa delle loro mani si sciolse quando il rapace spiccò con forza il volo verso il cielo, e il capitano scivolò a terra, troppo lontano ormai per salvarla.

L’urlo della donna si disperse nell’aria e la ciurma osservò con orrore l’Aquila volare sempre più in alto fino a scomparire sulla cima della torre fatiscente, dapprima di roccia ed ora di ghiaccio, a centinaia di metri da loro.


Bulma si ritrovò sbattuta con forza a terra, il viso affondato nella neve, mentre l’Aquila scendeva a terra, per poi girarsi pronta a mangiare la sua preda.

La donna vide il suo riflesso negli occhi acerbi di vita della creatura e si alzò di scatto, per iniziare a correre verso un riparo. L’artiglio del rapace la precedette e la bloccò sotto il suo passo e il becco aguzzo del mostro si abbatté su di lei, pronto per inghiottirla.

L’Aquila, però, assaggiò solo il pelo consistente ma vuoto della pelliccia che fino a quel momento aveva protetto l’ambasciatrice dal freddo. Questa, dopo aver abbandonato la presa del mostro, era riuscita a fuggire sotto un’incavatura nel terreno poco più in là. Vide la creatura tastare con curiosità il sapore insipido della pelliccia, sbatacchiandola come si fa con le prede, per poi inghiottire il nulla. Scocciata, il suo grido attraversò l’aria e Bulma cercò di farsi piccola piccola contro la protezione di ghiaccio che aveva fortunatamente trovato a poche decine di metri dal rapace gigante.

La creatura tastò il terreno candido attorno, scavando nel ghiaccio con le zampe e cercando ancora la sua preda, mentre Bulma conformava il suo respiro alla lentezza della neve.


« Turles, non far congelare i paranchivii! »

« Signorsì! »

Rispose solerte il marinaio, mentre il capitano finiva di allacciarsi le cima della fune attorno allo stivale nero, per tenere fisse le lame di vibranio che aveva fatto recuperare in fretta e furia dai magazzini sottocoperta. Sperando che funzionassero e s’incastrassero al meglio nel ghiaccio.

« Nappa! »

« Sì, signore! »

Fece altrettanto solerte il secondo.

« Abbracciami! »

Il secondo, questa volta, fu meno solerte nel rispondere e si trovò costretto in un abbraccio che apparve alla ciurma assolutamente fuori luogo. Quando però, vide la faccia del capitano, capì il perché di un gesto che, normalmente, il capitano non si sarebbe sognato di fare neanche sotto tortura.

Dopo aver sfilato altri due pugnali dalle tasche di Nappa, il capitano si portò presso il lancia funi arpionato e, inseriti i parametri di lancio con il controller, si fece scaraventare dalla macchina ad alta ingegneria verso la cima della montagna, attaccato alla penna dell’arpione che, nel frattanto, saliva sempre più su, sempre più veloce, verso i massi che creavano la torre pericolante di neve a centinaia di metri di distanza.

La nave si fece sempre più piccola dietro di lui e l’impatto con la neve della torre non fu uno dei più comodi che ricordasse, ma almeno ringraziò Zeno di non essere finito spiattellato come una zanzara bianca contro il ghiaccio della parete, altrimenti oltre al pesante scudo di Forza Solare H che portava sulle spalle, avrebbe dovuto averne uno pure sul davanti.

La neve che gli si spiattellò in faccia assorbì parte degli insulti che inevitabilmente gli scapparono dalle labbra a causa del brivido di freddo provocato ad avere la neve che gli colava giù per il collo.

Così, attaccato alla parete grazie ai pugnali che gli fungevano da appigli sia per i piedi sia stretti tra le mani, iniziò a salire, lentamente.

« Non si era accorta del pennuto? »

La sua arrampicata non tentennò.

« Tutti gli altri l’hanno visto... »

Un passo per volta.

« Era più grosso di un galeone... »

Sputacchiò della neve e si passò la lingua sulle labbra, spaccate dal freddo.

« E Bulma? »

Lentamente, continuò a salire verso la cima della torre.

« Bulma guardava dall’altra parte… »

Lentamente…





Continua...






Angolo dell’autrice


Riuscirà il nostro eroe a salvare la nostra amata Bulma?

Certo che sì, vi pare?

Ma andrà malissimo e soprattutto non secondo i suoi piani. Eh, altrimenti che autrice sarei, se tutto andasse liscio?


Scusate per il ritardo, ho avuto cose da fare, ma non potevo non aggiornare.

Ringrazio come sempre tutte le persone che leggono, commentano, seguono e fanno cose con questa storia.

Siete bellissimi, vi regalerei una piuma di Aquila di Ghiaccio, ne avessi un paio da parte.

Al prossimo capitolo e grazie a tutti. Se avete voglia, fatemi sapere che ne pensate!


Zappa









iStrumento per indicare velocità e direzione tenute; è uno strumento antico, che usavano anche gli antichi. Visto che l’ho già citato, faceva figo citarlo un’altra volta;

iiGli astrofisici presenti mi odieranno adesso per osare ed azzardare così tanto tra scienza e fantascienza: un parsec è un’unità di lunghezza astronomica corrispondente a circa 3,26 anni luce;

iiiCime fissate agli angoli inferiori delle vele; non ne ho idea della loro attuale funzione;

ivHo fatto riferimento alla Costellazione dell’Aquila: vogliano scusarmi astronomi e appassionati di spazio, visto che ho mischiato un bel po’ le carte e visto che non ne so una mazza di astronomia.

Precedentemente avevamo parlato della Nebulosa dell’Aquila, ma questi due sono due fenomeni astronomici completamente diversi. Lo spazio è un posto grande, guys. Ma, ripeto, questa è una storia, quindi… * fa spallucce, innocentemente *

Questa costellazione è una delle 48 costellazioni elencate da Tolomeo (astronomo vissuto dell’epoca ellenistica) e si trova a cavallo dell’equatore celeste ed è ben visibile nei mesi dell’estate boreale. La sua stella principale è Altair e tutte le sue compagne si chiamano Aquilae (probabilmente il caro Tolomeo aveva finito i nomi). Domandate a Wikipedia, se ne volete sapere di più;

vIn astronomia, è un qualunque gruppo di stelle visibile nel cielo notturno, riconoscibile dal resto per la sua particolare configurazione geometrica;

viLe aurore boreali, come sapete, sono causate da collisioni tra particelle cariche elettricamente provenienti dal Sole che entrano nell’atmosfera. Quindi, nella mia testolina ho ragionato che se “entrano nell’atmosfera”, il pianeta deve essere alla fine della sua nascita, quindi deve essere un minimo stabile. No? Va be’. Mi faccio un baffo della scienza;

viiPer chi di noi ha un’anima più marinaresca, sono quelle specie di carrucole che modulano e allungano le lunghezze delle corde e delle cime nelle navi;

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Capitolo 8
*** Sulle ali di un'Aquila ***


Capitolo 8

Sulle ali di un’Aquila



Il passo pesante dell’Aquila non dava tregua ai cristalli di neve che continuavano a depositarsi in cima alla lunga torre. La bestia raschiava con vigore il terreno, spruzzava la neve con gli artigli, staccando le rocce, una volta bollenti del deserto, e gettandole lontano con le fauci, alla ricerca compulsiva della sua preda.

La coda di eleganti piume si muoveva compulsivamente dietro il corpo massiccio e gli occhi vitrei e affilati non lasciavano scampo a chi si nascondeva nel paesaggio attorno.

Bulma sbucò guardinga dal suo rifugio sotto il piccolo cunicolo che il ghiaccio aveva formato. Cercò di assottigliare la vista per capire quando e come spostarsi, ma una mano la colse di sorpresa, bloccandole il respiro e la possibilità di urlare.

« Ssst! »

La zittì con poco calore una voce, assicurandosi che non facesse rumore e che non attirasse l’udito sensibile dell’Aquila. Bulma si ritrovò improvvisamente a fissare gli occhi scuri del capitano che, sotto il pesante berretto nero e la sciarpa zuppa di neve, bruciavano come due stelle ardenti.

« Sei venuto a salvarmi? »

Sussurrò, aspettandosi di tutto, tranne che la presenza di Vegeta. Il capitano sorrise, facendo spallucce. « Sì… se è così che vuoi metterla... »

Bulma, malgrado la situazione di pericolo e le urla del rapace che superavano la forza del vento, trovò la forza per corrispondere il sorriso.

« Ma questo ti costerà un altro diamante, non era previsto nel pacchetto turistico... »

Fece caustico Vegeta, mentre si abbassavano velocemente sulla neve per evitare di farsi scorgere dall’Aquila che, inconsapevole, guardava ora nella loro direzione. Strisciarono guardinghi verso il lato più spesso di neve e ghiaccio che occludeva la vista dell’Aquila nella loro direzione.

Bulma si voltò ancora ad osservare i movimenti dell’animale. Un’enorme zampata schiacciò, inclemente, il piccolo cunicolo che li aveva ospitati pochi secondi prima. Cercò di reprimere il brivido di paura che la percorse.

« Allora… » si affannò Bulma nel chiedere, « come facciamo a scendere? »

« Ecco io… »

L’Aquila di Ghiaccio aveva ripreso a cercare un po’ più in là e Vegeta non si accorse di aver trattenuto il respiro.

« Non lo so… »

« Cosa?! » urlò a bruciapelo Bulma.

« Non lo so ancora! » si affrettò a correggersi l’altro, « Ci sto pensando, va bene? »

Bulma si scaldò in fretta: « Scali una torre di ghiaccio di trecento metri e non sai come scendere?! »

Il capitano si trattenne dall’imprecare.

« Di tutte le ingrate, tu sei proprio – senti! Se vuoi affrontare i rischi da sola, si può organizzare – »

« Ssst! » si affrettò a zittirlo Bulma, portandogli le mani sulla bocca ed ascoltando il passo pesante dell’Aquila che ancora scavava nella direzione sbagliata, fortunatamente per loro. Ogni secondo che sprecavano a litigare era una possibilità in meno di salvarsi, così cercò di porsi nel modo più collaborativo.

« D’accordo, d’accordo! »

L’Aquila cambiò direzione e i due si appiattirono silenziosi contro la parete che ancora, grazie agli Dei, reggeva.

« Che cosa possiamo usare? » iniziò Bulma con spirito collaborativo. « Corde? » sussurrò, speranzosa.

« Ehm… » il capitano non fu convinto. « No »

« Rampini? »

« Ehm… no »

La donna sospirò, cercando di calmare il suo panico crescente.

« Le tue spade? »

Supplicò, infine, chiedendo a Zeno la grazia di poter sopravvivere un altro giorno.

« Ehi! Ho questo! »

Brillò la voce del capitano, quando si portò una mano dietro la schiena, tirando fuori, da sotto lo scudo a Forza Solare H uno dei pugnali che aveva usato ad arrampicarsi lungo la parete.

« Fantastico! Ci si pulisce i denti quando finisce di mangiarci! »

Vegeta scosse la testa all’espressione poco fiduciosa della donna.

« Sì... vedi, nelle mani di un esperto, un buon coltello ha mille e uno usi... »

Iniziò a dire, con fare mellifluo ed ironico, e mosse velocemente il coltello tra le dita, facendolo roteare con grazia e osservando Bulma con sguardo compiaciuto, fino a che… « Ops… »

Bulma non riuscì a trattenere un gemito di puro terrore, mentre la piccola calotta di ghiaccio che li aveva protetti fino a quel momento, si spezzò, perché solleticata dalla punta affilata del coltello che, guarda caso, ci era finito incastrato.

Il ghiaccio si staccò e scivolò a terra come i petali di un fiore e la bestia si girò nella loro direzione.

L’ambasciatrice, che aveva iniziato a gelarsi dal forte vento attorno, fulminò il capitano con lo sguardo e Vegeta si lasciò scappare un risolino di nervoso.

L’Aquila cacciò allora un grido acuto, abbassandosi in fretta per finalmente afferrare le sue prede.


Il capitano si mosse più in fretta del vento.

« Scappa! »

Urlò, afferrando Bulma per il braccio e iniziando a correre verso la direzione opposta dove stava la bestia, trascinando e spronando la donna a non inciampare nelle lastre di ghiaccio attorno.

Il rapace li inseguì immediato, aggredendo ogni metro di terreno con le sue lunghe zampe e artigli, pronto per afferrare e smembrare la carne. Ogni secondo divenne più veloce del precedente, mentre correvano per salvarsi la vita.

« Più svelta! » Incitò ancora il capitano, correndo più veloce, quando Bulma si rese conto verso cosa stavano correndo: un burrone profondo più di cinquanta metri che terminava in una lunga discesa scoscesa verso per il basso, sempre più ripida e sempre più in pendenza.

« Aspetta, no! »

Si strangolò tra gli affanni, tentando di fermarlo, ma Vegeta prendendo un balzo più disperato che coraggioso la trascinò giù nel burrone ed insieme si lasciarono cadere nel vuoto, le loro grida confuse con quelle dell’enorme animale che li inseguiva.

La potenza e il fischio del vento si insinuarono nelle loro divise da pirata e la sciarpa del capitano perse tutta la neve, mentre si trovava sbatacchiata al rimo del vento che urlava forte nella bufera di neve.

Il terreno intanto si faceva sempre più vicino sotto di loro, ogni istante che passava.

Vegeta, sforzando di tenere aperti gli occhi contro i mostri che la neve creava nell’aria, afferrò la donna stringendola a sé e, quando vide la discesa farsi meno in pendenza, perché addolcita dal cadere della neve, afferrò lo scudo sulla schiena, sedendovisi impacciatamente sopra, perché entrambi potessero scivolare via sedutici sopra, veloci come delle perle lanciate nei sentieri di sabbia in riva al mare.

Due balzi più tardi, seduti l’una in braccio all’altro, ancora scivolavano ancora inaspettatamente vivi lungo la discesa della torre di ghiaccio, schivando al meglio i massi appuntiti che si ergevano dal terreno e ruzzolando verso il basso, come una scheggia fuori controllo.

Vegeta maledì ancora una volta la sua fortuna e il maledetto uccellaccio che li seguiva maestosamente dall’alto dei suoi dieci metri di apertura alare.

L’indomani non avrebbe sentito il fondoschiena per un bel po’. Anche se, al momento, la questione era arrivarci, all’indomani.

Bulma si stringeva sempre più ad ogni balzo al collo del capitano che, cercando di non soffocare nella presa della donna, si guardava attorno alla ricerca del rapace, che fino a poco fa volava scattante sopra di loro.

« Sembra che l’abbiamo seminato! » urlò per farsi sentire contro la forza del vento che pareva sospingere ancora di più la loro corsa verso il basso e mangiarsi le sue parole.

Un altro masso che sbucava dal terreno e che lo colpì nella discesa lo fece urlare di dolore e Bulma sbarrò gli occhi.

« Sembra di no! »

La grossa bestia, infatti, era improvvisamente sbucata dal nulla davanti a loro e, frapponendosi tra loro e la via di fuga, si chinò famelica per fare del pasto un sol boccone.

La donna urlò, ma Vegeta non si fece trovare impreparato: afferrò lo scudo da sotto e lo frappose tra i loro corpi e il becco affilato che incombeva su di loro. La bestia venne stordita dall’energia proveniente dallo scudo sollecitato dalle sue fauci e mollò la presa. I due le sfuggirono ancora una volta, scivolando via veloci.

Tra il crollo delle rovine della torre che si sgretolava attorno a loro, proseguirono miracolosamente la loro discesa, trovandosi a fare lo slalom tra le alte forme dei massi che uno dopo l’altro, come l’effetto di un letale domino, avevano iniziato a crollare sulla discesa.

Si strinsero ed urlarono quando l’ultimo pezzo di roccia crollò appena sopra di loro e li sfiorò per un pelo. Così sfiancati e inzuppati di neve si ritrovarono ancora l’una nelle braccia dell’altro, sollevati per aver scampato da morte certa. Il loro sorriso, però, durò solo per qualche istante perché stavano raggiungendo a tutta velocità un sassolino che, sfortunatamente, era sul loro tragitto.


Volarono in aria, leggeri come piume, volarono sopra le ali dell’Aquila, finché questa, ancora, non gli si piazzò davanti a fauci spalancate.

Le iridi dell’aquila si confusero con il soffio della neve, il giallo innaturale degli occhi che rompeva il silenzio del bianco, come una stella enorme pronta ad inghiottirli: Vegeta però, prima di venire inglobato dalla famelica ed enorme stella, notò una frattura nella roccia, un’increspatura di qualche metro, ma sufficiente per scivolarci dentro e sfuggire ancora alla morte.

Lasciò scivolare Bulma di lato, tenendola salda per la mano: lo scudo virò veloce a destra, sollecitato dall’equilibrio sbilanciato, e come la bestia aveva rapidamente aperto la bocca per mangiarli, così rapidamente scivolarono nell’increspatura, sparendo dentro la grotta di ghiaccio.

Schegge di ghiaccio e lunghe stalagmiti scendevano lungo i bordi della caverna e la superficie liscia permetteva allo scudo di slittare verso l’uscita, ovunque questa fosse.

Non poterono fermarsi un secondo per orientarsi nel paesaggio blu che l’Aquila, dietro di loro, ruppe la parete vitrea e sprofondò con loro nella grotta.

Vegeta accelerò ancora sullo scudo perché questo acquisisse più velocità, ma la creatura li stava raggiungendo, sempre più lesta e sempre più letale, facendosi spazio tra le vie anguste della caverna, spaccando le pareti e i sentieri di acqua con le lunghe ali celesti.

Le file di stalattiti e stalagmiti scorrevano tutt’intorno e ostruivano il passaggio, costringendoli a pattinare lungo il flebile sentiero gelato che scorreva dentro la torre, come un sentiero verso morte certa, quando ad un certo punto si scorse una luce di lato, in lontananza. La luce verso l’uscita.

Il capitano non perse tempo e agì più scattante della volpe del Deserto: piantò il pugnale che aveva usato nell’arrampicata nel suolo di ghiaccio e, usandolo da perno, lo usò per voltare la loro fuga nella direzione della luce.

Lo scudo vibrò pericolosamente, ma prese la via per l’uscita, l’Aquila ancora che avanzava ogni metro di più verso di loro.

Tutto durò meno di respiro.

Bulma vide l’Aquila farsi sempre più piccola e la luce sempre più intensa, finché non si trovarono ancora a volare in aria tra le ali della bufera, mentre la grande Aquila venne bloccata, schiacciata sotto le rovine della torre che per via del movimento delle sue grandi ali stava crollando, intrappolandola nella sua morsa fatale.

Precipitarono verso il basso, verso la nave, tentando di afferrare l’uno le mani dell’altra, sbracciandosi nell’aria fredda e graffiante di neve.


« Sì, signore, eccoli qua... »

Le urla nel cielo fecero alzare la testa al secondo sulla nave che si rimise in testa il berretto, pronto per riaccogliere i due venturieri. Radish si fece, invece, consegnare l’ennesimo soldo da parte di Toma, ormai destinato a perdere qualsiasi tipo di scommessa contro il mozzo, ma questa volta fu ben felice di provvedere alla riscossione del debito.

Le urla del capitano e dell’ambasciatrice impattarono contro le vele dell’albero maestro, che si allentarono contro il loro peso, attutendo la caduta e poggiandoli delicatamente sul suolo del ponte.

Vegeta abbracciò Bulma, per evitare sbattesse contro il ponte e lei si strinse forte contro di lui, con ancora in corpo l’adrenalina della caduta. La vela attorcigliata attorno, come il bozzolo protettivo di una crisalide, li accompagnò dolcemente sul ponte, custodendoli in un caldo abbraccio.

Da sotto la pesante carezza della vela, il capitano si tirò su il cappello che gli era scivolato sugli occhi e guardò l’ambasciatrice.

« Fatto! Come avevo... » si specchiò un istante di troppo negli occhi azzurri della donna, più gentili rispetto a quelli dell’Aquila e più caldi, nel guardarlo. « ...previsto »

Bulma si sciolse in un sorriso di stanchezza, ma anche di gratitudine e strecciò le mani dal collo del capitano, lasciandole scivolare dolcemente lungo le sue spalle, come in una lenta carezza.

Il capitano stava per leggere qualcosa di più negli occhi dell’ambasciatrice, quando la vela che li avvolgeva venne tolta dalle braccia nerborute, ma nervose della ciurma.

Quando li videro, gli uomini spalancarono gli occhi.

« Bulma! »

Subito, la accolsero a braccia aperte, aiutandola ad alzarsi ed assicurandosi che stesse bene, stringendosi attorno a lei come dei cari amici che non vedevano da tempo un compagno di avventure tanto amato.

Vegeta ovviamente rimase lasciato a terra, non scorto e soccorso da nessuno.

« Ti facevamo bella che morta per sempre! » si commosse Turles, precipitandosi ad abbracciare la donna, nel frattanto che la ciurma si mostrava emozionata nell’averla nuovamente a bordo. Broly le si accostò subito, stringendola tra le braccia in un abbraccio di traboccante affetto. Gli altri non furono da meno: tra preoccupazioni e raccomandazioni sussurrate con affetto, si premurarono di assicurarsi che non avesse un capello fuori posto.

Il capitano tiratosi su alla bell’e meglio, si stiracchiò, invece, la schiena.

« Oh, » iniziò, « io... sto bene, sul serio… »

La ciurma continuò ad ignorarlo, prestando attenzione a come Bulma respirasse o a come camminasse, nel caso sfortunato si fosse slogata una caviglia, o peggio!

« Mi commuove, vedervi preoccupati... »

Un osso della schiena gli scrocchiò in modo sinistro, ma nessuno parvene curarsi.

In fin dei conti Bulma era troppo stanca ed infreddolita, poverina! E se non avesse avuto appetito? Chissà quanto l’aveva spaventata quella bestiaccia!

Il capitano fu sul punto di lanciare qualche ordine piccato, affinché scendessero a riprendere a spaccare le lastre di ghiaccio che ancora bloccavano la sua Saiya, quando il rompo di un tuono lo fece voltare verso la grande torre di ghiaccio.

Gli uomini videro questa scivolare verso il basso e le enormi lastre di pietra cadere come i fiocchi di neve verso il basso, che ora si erano via via affievoliti. Il pianeta tremò sotto di loro e le pietre ruppero le lastre che avevano ricoperto il pacifico deserto di sabbia, liberando così la nave dalle spire feroci che l’avevano incastrata al suolo.

La ciurma esplose in un boato di gioia e Vegeta non poté fare a meno di sorridere, dopo aver cercato, ancora una volta, lo sguardo luminoso dell’ambasciatrice.

Ora potevano finalmente ripartire verso lo spazio, verso la Costellazione della Fornacei.


La bonaccia che fischia sui mari di terra, quelli ricoperti di schiuma salata e di acqua profonda, si ricordava probabilmente ancora dei primi tentativi dell'uomo di navigare sulle acque, quando questi si erano avventurati su una piccola nave, con il loro bagaglio di sogni e speranze a bordo.

Il pacifico mare dello spazio, secoli prima, aveva visto confluire migliaia di piccole navi dentro il suo bacino: queste, come un cucciolo di falco che non sa se volare, ma è attirato dall’aria perché scritto nel suo destino, avevano poi spiccato il volo. Le grandi navi e i velieri avevano così continuato a far sbocciare le loro vele man mano sempre più forti e tecnologiche, all'aria dell'Eatherium. Poi l'Universo non aveva avuto più confini se non, forse, il desiderio dell'uomo a fare da spinta o da freno alla bramosia di conoscere.

Ogni stella del Cosmo che sgorgava di silenziosa magia aveva rappresentato un appiglio, una speranza o un'anima che i marinai volevano ricordare e verso cui, nei momenti di malinconia, confluivano la mente, trasmettendole i loro ricordi.

Nello specchio profondo dello spazio, piatto come la superficie di un lago, ma movimentato nei giorni di pioggia, i navigatori esprimevano i loro desideri e, partendo dal cuore, lasciavano scivolare il desiderio verso il mare. Questo s'agitava debolmente tra le onde per poi alzarsi lento verso l'alto e, come una lanterna di carta, salire verso le lanterne dell'Infinito. Il loro desiderio s’incastonava, poi, nell'intreccio delle sorelle luminose. Le stelle, custodi dei ricordi e delle preghiere, non erano venute mai meno ad un voto e anche nei momenti più bui avevano accompagnato i marinai verso la via di casa.

Le lanterne di carta ora illuminavano a migliaia, grandi e piccole, blu e rosse, il loro viaggio; facevano risuonare la loro luce nello scivolare lento e costante della nave Saiya nello spazio e nel tempo. Campane di luce risuonavano al vento, investendo di piena potenza le ali della nave ed incoraggiando il moto dei motori a propulsione.


La nave sfrecciava così veloce sulle scie di ghiaccio e lasciava disegni di polvere al suo passaggio. Bulma si lasciò cullare ancora una volta dal moto costante del vento tra le corde attorno all’albero maestro e ai contorni della bolla di energia che avvolgeva come un panno la nave: l’atmosfera nello spazio aperto variava ad ogni parsec attraversato, variando di grandezza e profondità come una bolla di sapone.

Le risate della ciurma in sottocoperta si sentivano ovattate dai passi sul ponte, gli schiamazzi dei marinai che di solito saturavano la nave avevano lasciato lo spazio al fischio silenzioso, ma potente dell’Eatherium.

Il capitano reggeva tra mani sicure il timore e s’inondava di polvere solare, le dita di luce a tingergli le vesti e i capelli.

Gli si avvicinò a passo lento, quasi timidamente, mentre questo pareva intento a godersi il soffuso silenzio non interrotto dai continui chiacchiericci della ciurma.

Dopo l’ennesimo shot di rum era uscito, un po’ barcollante, un po’ stanco, da sottocoperta e aveva dato il cambio a Nappa, che si era quasi tuffato in stiva per bere con i compagni. L’ambasciatrice dopo essersi resa conto di aver bevuto anche lei qualche bicchiere di troppo si era mossa in punta di piedi per andare a lavarsi all’aria astrale del Cosmo.

Seguì anche lei lo sguardo di Vegeta e trascorse con lui qualche istante di eternità nel mezzo delle costellazioni attorno. Qualche lontana creatura celeste faceva capolino all’orizzonte, per poi rituffarsi sotto la superficie e spruzzare nel cielo i cristalli di luce: svanivano e comparivano nel tramonto delle stelle, svanendo tra le nuvole di specchio.

La donna sorrise, dopo aver preso un respiro di pacifica tranquillità.

« Vegeta… »

Il capitano la scrutò con la coda dell’occhio e con un sorrisetto anticipatore sul volto.

« Grazie... per avermi salvata »

L’altro ridacchiò, sfoderando un sorrisetto ancora più famelico, ma si soffermò davanti all'infinito della sua anima.

« Non c’è di che… » sussurrò quasi mesto, lasciandola avvicinare alla posizione di comando, accanto al timone. Trascorse qualche goccia di silenzio, finché lei non parlò ancora.

« Questa vita è giusta per te... »

L’altro rise di un sorriso sincero questa volta, che gli colorò leggermente le guance e pronunciò le sue fossette ai lati del volto liscio e giovane.

« Già… non sono fatto per la terra ferma. E tu? Sei fatta per la terra o per il mare? »

Bulma sospirò come se la domanda risvegliasse una dolce sinfonia celata, che se fatta risuonare avrebbe portato alla mente memorie velate e malinconiche.

« Ho sempre amato il mare. Ho anche sognato di passarci la vita, ma non era nel mio destino »

E nei suoi occhi si spense la sinfonia che si era improvvisamente creata.

« Ho delle responsabilità a Syracysis, su Earth24 e nelle Regioni del Sud… »

Il capitano trattenne quasi il respiro a vedere la sua luce farsi improvvisamente soffusa e non riuscì a trattenersi. Scosse la testa: « Devi proprio lasciar perdere? »

« Sì... »

Bulma sospirò e fece per allontanarsi dal timone, probabilmente per andare ad ammirare le stelle a prua, accanto alla polena riempita di acqua e cristalli. Vegeta però, fu più lesto e le afferrò la mano, invitandola a restare. Posò poi la sua mano sul timone, lasciando che fosse lei per qualche istante e per qualche momento del loro sogno a guidare la Saiya.

La donna lo guardò stupita e l’uomo rispose al suo sguardo con un pizzico di quella che si rivelò essere fiducia. Una fiducia appena sgorgata tra di loro, che condusse la donna a stringere con più determinazione i comandi della nave e a guardare verso la Fornace con aria sicura.

Il silenzio riprese lo spazio tra di loro, interrotto solo dal fruscio dei raggi di stelle, che facevano vibrare le vele in un basso ronzio. Lo specchio dei mille soli a scaldare le loro vesti di un caldo e forte colore di stelle.

« Ho girato tante galassie. Ho visto cose che nessun altro ha visto… ma nulla, nulla è paragonabile allo spazio aperto… »

Leggere onde di schiuma ghiacciata sfumarono e volarono via lungo la murata e Bulma virò leggera verso destra, mantenendo costante la via in direzione della stella che li guidava.

« Ed è questo quello che hai sempre voluto? »

Vegeta sorrise ancora di un pacifico e calmo sorriso.

« Non proprio… qualche anno fa io e Goku parlavamo di arruolarci nella Marina Reale e servire Earth24 fianco a fianco. Ma diventando più grandi, la nostra vita ha iniziato a cambiare… lui è il principe. E io… »

« Sei diventato il principe dei pirati... »

Le stelle dei suoi occhi zaffiro rispecchiarono quelle del cielo e i due ridacchiarono per quell’attimo di complicità.

« Però non sono mai stato invidioso di lui, ho sempre desiderato il mare. Finché una mattina non è arrivata in porto una nave… »

Le pieghe del mare del Cosmo parvero assumere una piega più lunga, quasi misurata alle parole del capitano, che abbandonò l’aria di certezza e sicurezza del suo titolo e gli occhi tinti del nero più profondo si rabbuiarono.

« A bordo della nave c’era il futuro di Goku... »

La donna lo vide alzare lo sguardo verso le Costellazioni attorno, per poi riabbassarsi al suolo, quasi colto da timidezza.

« Era la cosa più bella che avessi mai visto... »

Le vennero i brividi per il tono reverenziale con cui pronunciò le parole e un sussurro si spense sulle sue labbra: « Cosa c’era su quella nave, Vegeta? »

Le milioni di stelle che li circondavano in quel momento si condensarono tutte nei suoi occhi e Bulma sentì il fuoco dell’anima del capitano iniziare, lentamente, a bruciare la sua. « C’eri tu… »

« Lui ti ha aspettato sulla banchina, con una delegazione di benvenuto. Presto ci sarebbe stata la festa per il vostro fidanzamento ufficiale... »

Un velo di dolore e malinconia colorò i suoi occhi, mentre raccontava.

« Io sono partito sulla prima nave senza mai voltarmi indietro »

Si voltò poi a guardarla, intrecciò il respiro nel suo e le sue dita tra quelle delicate dell’ambasciatrice, tracciandone con i polpastrelli i lineamenti delicati, come a contemplare nei suoi tratti la bellezza delle stelle.

« Fino ad ora... »

Per un istante Bulma chiuse gli occhi e si abbandonò al dolce suono delle onde, mentre le labbra del capitano si avvicinavano piano e delicate alle sue, sfiorandole dolcemente, come si sfiora un fiore, ma all’ultimo l’ambasciatrice posò una mano tra di loro e l’aria attorno a loro si fece d’improvviso più fredda.

I suoi occhi gli raccontarono la tristezza di non poter compiere quel gesto per via delle responsabilità che solcavano le sue spalle e per via dell’amore, sebbene fraterno e amichevole, con Goku. Vegeta vi lesse anche il dolore per una vita che tanto aveva bramato da piccola, ma anche aveva dovuto tralasciare come un sogno infranto e a cui nessuno, nemmeno lei, aveva più creduto.

Il capitano le afferrò piano le mani cercando il suo sguardo, che si era annebbiato di lievi lacrime, e cercò ancora un contatto minimo, un poco più prolungato con la sua anima, per ammirarla anche solo per un ultimo istante e poi lasciarla andare per sempre.

Poi il cielo scoppiò sopra di loro.


Una bomba di luce li travolse improvvisamente e si dovettero reggere forti al timone e alla balaustra, per evitare di essere trascinati a terra. La Saiya vibrò di violenta energia e i marinai salirono di corsa sul ponte, scossi dall’esplosione attorno a loro.

Le stelle iniziano a diradarsi sempre più, come trascinate indietro e nella direzione opposta al loro cammino: queste, come mille meteore, infatti, tracciarono lo spazio e cancellarono le Costellazioni, portando lontano con sé la scia di mille pianeti e delle migliaia creature di mare.

L’universo divenne più nero, spento dalla mancanza delle mille luci, finché tutte le stelle attorno non tornarono poi indietro: schizzarono in avanti, come attratte da una molla che dapprima allunga e poi rilascia, incastrandosi e perdendosi in quello che si rivelò la stella della Fornace, la stella di Tartaro, il regno di Lazuli.

Erano arrivati alla meta.




Continua….


Tan tan taaaaan!

Siamo finalmente arrivati, il prossimo capitolo sarà il momento clue, il momento in cui capiremo il perché di tutta questa bella storia.

Devo scusarmi per il ritardo, ma queste settimane si stanno rivelando un attimo più cariche di robe da fare del previsto.

Ringrazio tutti voi che avete recensito, passerò presto a rispondere e grazie a tutti coloro che leggono!


Vi state rabbuiando pensando al mancato bacio tra i due?

Eh, che ve devo dì…


Al prossimo capitolo, non vi garantisco sia questo weekend, nel caso il prossimo!

Intanto, non mi resta che augurarvi buon Natale <3

Passatelo serenamente e assieme alla vostra famiglia!

Un abbraccio megagigante da Zappa


iIn direzione della Costellazione della Fornace, poco tempo fa, è stata scoperta la galassia più distante e antica mai conosciuta, a 13,2 miliardi di anni luce di distanza;

si trova a sud di Orione e si tratta di un’autentica “finestra” verso l’universo extra-galattico: è costituito degli ammassi galattici tra i più grandi nel raggio di 100 milioni di anni luce dal nostro piccolo buco di Terra. È stata osservata da Hubble e in mezzo a tutte queste galassie, in particolare dentro la super-galassia NGC 1316, c’è un buco nero centrale super-massiccio da cui prendo ispirazione per la stella morta di Tartaro.

Adoro ‘ste cose. Ovviamente Wikipedia docet.

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Capitolo 9
*** Tartaro ***


Capitolo nono

Tartaro


« Una volta rubato il Libro, prosegui verso Ovest, oltre le Dodici Galassie e oltre la Costellazione della Fornace, finché non arriverai alla mia stella morente. Una volta lì, prosegui oltre ciò che tocca la luce… ti ritroverai a Tartaro, il mio regno del Caos »



Mentre il vento sfrecciava attorno alla bolla di energia che conteneva la piccola nave Saiya, queste parole risuonarono nella testa del capitano.

Scrutò con attenzione l’orizzonte e i suoi occhi brillarono di nero fumo: erano finalmente arrivati alla stella nera e ora solo la morte poteva fermarli.

Le stelle accanto, come attirate da un circolo di energia sempre più furioso e veloce, avevano iniziato ad essere attirate in un vortice che si schiudeva nell’immensa luce della Stella della Fornace.

Al centro, un enorme Buco Nero governava imponente la scena, ruotando su se stesso: la luce divina in parte brillava ed emetteva energia, in parte si ritirava in sé stessa, ammaliando le Costellazioni e trascinandole nel silenzio assordante del vuoto.

Onde gravitazionali trascinavano materiale cosmico nella sua direzione, Vegeta si sentì afferrare anche l’anima e si sentì chiamato sempre di più verso il nero.

La ciurma, una volta salita sul ponte, osservò sbalordita lo spettacolo trascendente che gli si poneva davanti e in pochi tra loro realizzarono la portata di ciò che nessun marinaio prima di loro aveva mai visto.

Le onde dell’Oceano di stelle si congelarono ed evaporarono in pochi istanti, il vento si disperse come uno spirito in fuga: i cristalli di ghiaccio, che solitamente baciavano calmi lo scafo della nave, divennero acqua, gas, e poi vennero risucchiati dentro il profondo buco che si estendeva davanti a loro e che non lasciava vedere null’altro, se non se stesso. Nessuna stella, nessuna meteora, nessuna creatura di mare si poteva scorgere oltre la porta oscura, solo e soltanto nero, che pareva scuotere con rabbia l’Universo.

« Turles! Dammi la situazione! » urlò il capitano al mozzo sul ponte, che abile come un ragno s’arrampicò in cima all’Albero Maestro, ponendosi sulla coffa della nave per osservare oltre.

Quello che vide, però, fu solo l’orizzonte dello spazio che era giunto, ormai, al suo termine.

Al di là della nave, ad una manciata di parsec di distanza, l’Universo, con tutti i suoi mondi variopinti, le sue mille sfumature di vita e i suoi colori finiva nella bocca del nulla, nella bocca del Regno di Lazuli. Turles sbiancò e biascicò al capitano che erano arrivati alla meta.

« Lì non c’è niente! Lì finisce il mondo! »

Gli uomini si guardarono intimoriti tra di loro.

« Sgancia, l’Universo ha una fine… » sussurrò Radish a Toma, con meno entusiasmo del solito.

I venti urlarono sempre più forte, soffiando verso il grande Buco Nero. E loro stavano per finirci contro.


La natura del Buco Nero che galleggiava davanti a loro era sublime, come la natura della Dea che l’abitava sin dai tempi antichi.

Nato da una quantità straordinaria di materia concentrata in uno spazio minuscolo e con un centro gravitazionale quasi infinitamente forte da chiamare a sé qualsiasi essere vivente riducendolo in particelle elementari, governava da migliaia di anni sul fondo del mare astralei.

Si narrava che Lazuli, non voluta sull'opuscolo dagli altri Dei Cosmici, avesse creato questo luogo di morte e di nulla per smascherare l’illusione che gli Dei spacciavano come “vita”: dentro al profondo nulla si erano raccolte, nei centinaia e centinaia di secoli, tutte le anime morte, i mondi perduti e i tesori persi dagli uomini e dagli abitanti delle Costellazioni. Anche un ricordo trascurato, così come l’anima della persona legata a quel ricordo, veniva trascinato nel nero e per sempre lasciato lì, a galleggiare in un mondo senza spazio ne pensiero.

La Dea aveva costruito saggiamente la sua casa, rinchiudendola dentro una visione cosmica di spettacolare bellezza: il Buco Nero, così come la sua anima, era in grado di risucchiare e ridurre ad atomi tutti uguali qualsiasi vita lo sfiorasse ed osasse avvicinarsi alla sua traiettoria.

Colma di rancore e di odio, infatti, Lazuli aveva col tempo iniziato a derubare la vita dai pianeti e dagli abitanti che si erano consegnati al suo Caos. Ne scioglieva il ricordo in nuvole di polvere e lasciava che queste si amalgamassero all’essenza della sua stella morta.

La stella morente era così forte da spezzare anche la luce eterna che dominava l’Universo, assorbendone le particelle e sciogliendo la sua speranza in oblio.


Bulma si sentì piccola davanti alla visione sublime e il suo cuore iniziò a battere a ritmo delle onde d’energia che fluivano verso il mostro. Si chiese quanta morte e quanta vita potesse trasportare l’immenso buco di energia e percepì i suoi sensi e pensieri farsi leggeri, volatili, quasi strappati via dalla forza del vento.

Le ali magnetiche della nave, mosse della luce dei soli e del vento solare, vibrarono più intensamente e il capitano, che ancora reggeva saldo il timone tra le mani, si rese conto che il campo magnetico del Buco Nero non lasciava loro altra via, se non quella di essere trascinati all’interno del margine esterno. Era il momento di agire in fretta, di trovare una soluzione che permettesse loro di sostare lungo e non oltre il bordo esterno del raggio energetico, cosicché non venissero trascinati dentro l’Orizzonte degli Eventi, che non avrebbe lasciato loro via di fugaii.

Il tempo ticchettò più in fretta e il capitano percepì sfuggire preziosi secondi dalle dita.

« Prosegui oltre ciò che tocca la luce… ciò che tocca la luce »

Sussurrò come una nenia labile.

Cercò un filo logico e frugò nella mente e nei ricordi, tra parole invisibili, alla ricerca di una traccia, un punto fermo a cui attraccare i pensieri, come una nave attracca al suo porto.

Bulma lo vide soppesare i pensieri, alla ricerca di una via, finché non gli si illuminarono gli occhi con determinazione. Il sorriso che fece le fece venire i brividi.

« … Vegeta? »

« Uomini! » gridò il capitano, precipitandosi giù dalle scalette verso il centro della nave, « tutti ai vostri posti! Liberate le vele e aspettate il mio ordine! »

L’equipaggio lo guardò come se il vento gli avesse risucchiato il cervello, ma Vegeta non si fece trovare impreparato davanti alla loro incertezza.

« Subito! Correre, correre, correre! »

Gli uomini, allora, scattarono ai suoi ordini con brio pur non capendo l’idea del loro comandante. Nappa gli si fece davanti, con il cuore in gola.

« Vegeta, come ne usciamo vivi? »

« Fidati di me! Turles, fissa il pennone alla vela di tricchetto! »

Turles lo osservò stralunato. Mai il capitano aveva dati degli ordini tanto controversi.

« Ma così ci fermiamo proprio! » si lagnò.

« Eseguì! »

Il mozzo non poté fare altro che eseguire: si alzò velocemente fino alla coffa, attraversò con equilibrio e delicatezza il pennone dell’albero fino a giungere alla corda che teneva fissa la tela di tricchetto. Levò il nodo e con questa penzolò nel vuoto fino all’albero posizionato a prua.

I cristalli di ghiaccio si facevano sempre più radi attorno a loro e la barriera protettiva strideva per la forza del vento magnetico.

« Mollare le vele! Tagliate tutte le trozze, scattare, scattare, scattare! »

La ciurma volava veloce lungo il ponte, eseguendo alla perfezione ogni comando, nonostante la paura che strozzava il respiro.

« Pennone di poppa verso poppa! »

« Ma è- »

« Da pazzi, lo so! »

Dettò gli ordini come il capitano di una nave pronto all’assalto di un veliero avversario, come il comandante di un equipaggio pronto a scattare verso la morte in mezzo alle stelle e gli uomini lo seguirono con trepidante fiducia, eseguendo con attenzione ogni suo ordine.

« Vela di tricchetto a babordo, mollare a poppa, issare le vele di prua! »

« Tirate! »


Quella si creò, grazie alle mani esperte e veloci dei pirati, fu una nave con le vele poste ai lati, quasi a ricordare una caverna che si apre al mare per far entrare, tra i suoi anfratti, i flutti d’acqua: le lunghe e forti ali, infatti, erano state poste lungo il lato lungo della nave e, invece che attraversarla lateralmente così com’è consono alla navigazione, l’attraversavano longitudinalmente, gonfiandosi ora deboli, ora forti ai lati, ricreando le ali di un aquilone che s’innalza con l’aria che gli scorre accanto e tutt’intorno.

La nave, cosparsa di energia e con le vele pronte a far defluire l’aria dal basso verso l’alto, si avvicinò sempre più veloce al Buco Nero e di lì a poco, avrebbe navigato lungo il suo bordo esterno, senza tangere il suo Orizzonte degli Eventi. Almeno, questo era il piano.

Il vascello si avvicinò, così, alla stella, finché non giunse al suo bordo. Le stelle attorno strisciarono con loro e il capitano comandò tutti gli uomini al centro della nave.

Ogni uomo si assicurò attorno alla vita la sicura che, come una corda di sicurezza, li legava all’Albero Maestro e garantiva loro di non scivolare loro fuori dalla nave, nel caso in cui le cose fossero andate per il verso sbagliato. Bulma si legò anche lei e cercò il capitano, che ancora si assicurava la tenuta delle corde e la potenza del vento sulle ali. Le passò accanto, svelto, le tese la mano e la condusse con sé nei suoi passi verso la cuna della nave e verso l’eternità che li stava accogliendo.

« Fissare tutte le vele, tutti al centro della nave! »

Si portò a prua, sopra il canto della gomena e si specchiò nel vuoto sotto di lui. Bulma gli si strinse accanto e insieme guardarono il Buco Nero.

« E preghiamo gli dei… forse tra poco li incontriamo »


Il vento si fece più rabbioso, la piccola bolla di energia che aveva conservato l’ossigeno e la temperatura di sopravvivenza bruciò la sua energia contro l’aria bollente che via via veniva risucchiata dal mostro. I secondi si fecero più lunghi, il tempo si dilatò e le vite dei pirati furono appese ad un filo, pronto per essere tagliato.

Lazuli giocò con la loro vita, pizzicando le corde delle loro anime come i suoni che nascono da una lira, finché l’Eatherium si chetò: la nave attraversò le nuvole di polvere che galleggiavano attorno al nucleo, superò il vuoto e, sul bordo dell’Orizzonte, iniziò a precipitare.

I pirati si aggrapparono alle corde, Bulma afferrò la balaustra per reggersi e Vegeta si sentì l’aria risucchiare dai polmoni.

La nave precipitò nel vuoto, le corde tese e le ali chiuse, pesanti, come le ali di un uccello bagnate dalla rugiada che non ce la fanno ad aprirsi.

Le vele sventolarono nel nulla, finché l’aria accumulata nella caduta non le riempì: le cime si rizzarono, le ali si dilatarono colme di vento e il vascello brillò come una crisalide. Le ali si schiusero come i petali di un fiore raro e, piano piano, il battello prese quota.

L’Universo attorno a loro, così come tutto il materiale cosmico che veniva risucchiato nel vortice della stella, brillava ancora sulla scia dell’Orizzonte degli Eventi, superandoli e cadendo lentamente dal bordo esterno come le foglie di un fiume quando fluiscono in un vortice d’acqua, svanendo dalla superficie. Tutte le stelle caddero nel vortice, ma la nave rimase al suo posto.

Fluttuò snella sulle onde di vento, oscillando a ridosso del limen che li separava dalla stella, fino a quando calmò il suo incedere, armonizzandosi alla corrente esterna.


Gli abitanti della nave si raddrizzarono in piedi e, increduli, osservarono la perla Saiya che, sebbene fosse irriconoscibile con le vele poste come le ali di una farfalla, li manteneva galleggianti nel vuoto, il Buco Nero sotto di loro, fischiante di luce.

Il capitano si rizzò in piedi.

« Ha funzionato… » sussurrò, boccheggiante. Gli tremarono leggermente le gambe e si dovette appoggiare alla balaustra accanto alla prua, Bulma sempre al suo fianco, frastornata e avvolta di adrenalina, boccheggiò.

« Ha funzionato? » domandò ancora e Nappa e gli altri cacciarono un urlo di gioia, troppo ebbri di vitalità e colmi di vita, sebbene davanti al burrone diretto per l’eternità.

« Ce l’hai fatta, Vegeta! » lo riscossero i suoi uomini e mirarono ancora davanti a loro, non osando porre la mente più in là del confine su cui solcavano, non oltre la linea dell’Orizzonte che separava la loro vita dalla morte. La soglia per il regno di Lazuli sostava davanti a loro, in attesa che fosse solcata.

Poi, però, si spezzò un gancio, cadde una corda e parte della vela di mezzana rovinò a terra e degli uomini dovettero correre per evitare che facesse altri danni o che anche le altri ali perdessero quota. La piccola e coraggiosa Saiya non avrebbe resistito a lungo sulle onde magnetiche create dal Buco Nero e la sua potenza gravitazionale presto l’avrebbe trascinata a sé.

Vegeta contemplò le vele e, pensieroso, scrutò il nero sotto di loro. Prese la sua decisione.

« Cabba, tutta a sinistra! »

« Tutta a sinistra! » gli fece eco il pirata e la nave virò, posizionandosi sull’aere nebuloso lungo il lato destro, costeggiando il nucleo con la murata di babordo. La scheggia nera scivolò sulla corrente e si posizionò lungo l’argine. Vegeta strinse attorno alla vita la corda salvavita, afferrò un’altra corda e la legò con un nodo saldo alla corda di sicurezza.

« Nappa! »

« Capitano! » scattò agli ordini il secondo, avvicinandosi pronto al suo comando.

Lo considerò con espressione seria, arrotolando la seconda corda lungo il fianco, appena sotto il cappotto nero e la spada di luce.

« Se non dovessi farcela, la nave è tua »

Il cuore del secondo si strinse in una morsa a quelle parole e, dopo qualche secondo, cercò di afferrare il capitano prima che gli sfuggisse definitivamente. Nappa lo tirò a sé.

« La nave aspetterà il suo capitano »

Il giovane comandante si sentì investire dall’abbraccio di Nappa e dalla potenza della sua anima, che per un attimo lo destabilizzò peggio del cupo vibrare magnetico sotto i suoi piedi.

Si ritirò all’ultimo, come le onde dell’oceano dopo aver toccato la spiaggia piena di sabbia che brilla di emozioni colorate. Annuì serio, affidando i suoi pensieri alle Lanterne di stelle e si posizionò al centro del ponte, gli uomini tutt’attorno che lo osservavano. Li guardò ad uno ad uno.

« Signori! È stato un privilegio rubare con voi! »

Si voltò e Bulma gli brillò negli occhi ad un soffio dal naso, « Io vengo con te! » asserì con tenacia e determinazione, « E non mi dire che il Regno del Caos non è posto per una donna! »

Il capitano sogghignò e aprì il nodo della corda per stringerlo attorno alla vita della donna, attirandola a sé.

« Questo non lo direi mai… » sussurrò, per venire subito interrotto da Broly che, svelto, si era anche lui arrotolato la corda attorno alla vita, pronto a saltare con loro, guizzante di coraggio.

Il capitano, però, gli tolse delicato la corda dai fianchi e davanti ai suoi occhi verdi ricolmi di avventura, gli rivolse il suo sorriso più sincero.

« Hey, scusa, cucciolone, ‘sta volta no... »

Il mezzodemone abbassò le orecchie e Vegeta gli carezzò piano i capelli di alghe verdi e vive.

Il suo sorriso poi si posò su quello di Bulma e gli tese la mano, sfiorandole le nocche leggermente con le labbra.

Un passo dietro l’altro corsero verso tribordo, prendendo la rincorsa: si lanciarono poi dalla nave, lasciandosi cadere tra le onde oscure. La corda che li teneva legati dopo poco si spezzò e quello che gli uomini videro dal ponte furono le figure dei due che scomparvero nel tempo di un respiro, amalgamate al nero occhio che dominava l’Universo.


L’aria era rarefatta, fatta di diamanti, di scaglie di luce colorata che svanivano con un tocco. Le stelle, il Cosmo, la luce, tutto era unito e scomposto.

Cadendo dentro il pozzo profondo del Buco Nero, si sentirono amalgamati e spezzettati, come se tutti gli atomi che li componevano fossero tremati e poi si fossero sciolti come neve al sole.

Ogni particella del corpo tornò alla sua forma principale, al suo nucleo di neutroni e protoni. Le componenti dei loro sogni e della loro mente si scomposero e ricomposero in mille e più atomi.

Ogni attimo di vita, ogni palpito di cuore, ogni pensiero si annullò divenendo polvere, poi vento, poi stella. Si sentirono sciogliersi, riunirsi, abbracciarsi, scindersi cellula per cellula e diventare luce, pianeta, asteroide, stella e lacrima di cielo.

Videro il resto dell’Universo farsi più veloce, come se qualcuno avesse premuto sull’acceleratore del tempo, colsero traccia del futuro, del presente e del passato, tutti collassati nella pagina di un libro.

La gravità strappò loro il cuore e l’ultima cosa che percepì furono gli occhi blu di Bulma mentre urlava il suo nome, poi il nulla.


Riacquistò i sensi e si meravigliò di essere ancora viva.

La sabbia strideva e graffiava sotto le sue ginocchia, l’eco pesante dei suoi respiri infastidiva ogni tentativo di pensiero razionale. Bulma prese un forte respiro e aprì gli occhi, tirandosi a sedere.

Si ritrovò immersa in un deserto di sabbia dorata che pareva infinito come il tempo. Un paesaggio surreale attirò la sua attenzione in lontananza, sopra di lei, verso un cielo notturno ed aperto di stelle e di fili leggeri delle Costellazioni, che roteavano armoniche.

Un mondo di galassie, nebulose e Costellazioni catturò il suo respiro e per qualche secondo si sentì soffocare dal temibile silenzio che riverberava tutt’attorno.

Si guardò attorno e non vide altro che immenso e freddo deserto dorato, calato nella notte silente delle stelle. Nel riflesso di nubi pigre e violacee all’orizzonte, le parve di scorgere una figura che si muoveva sinuosa, che però sparì in una nube di polvere biancastra.

Nel silenzio del vento, un corpo celeste scoppiò lontano sullo sfondo, fili argento caddero a terra come stelle filanti che si spensero centinaia di metri più in là, soffocando il loro impatto nell’arena, attutendo la pioggia di comete e asteroidi scaturita dall’esplosione.

Nelle pianure morte di Tartaro tutto era congelato nel tempo, come se si stesse osservando millenni e millenni di storia dell’Universo attraverso la lente opaca di un cannocchiale che vede lontano, ma che confonde la linea del tramonto a quella dell’alba e non distingue bene l’orizzonte.

Una nube di nera quiete le sfiorò la caviglia e Bulma cacciò un urlo, riconoscendo il lieve tocco di una mano fredda di secoli. Si tirò indietro, incespicando sulla sabbia e andando a sbattere contro un corpo abbandonato nella sabbia.

« Vegeta! » gridò, facendoglisi accanto e cercando di risvegliarlo. Lo girò di peso sulla schiena e, sotto le sue mani tremanti, man mano il capitano acquisì coscienza, emettendo con un gemito di dolore.

« Bulma… » sussurrò e subito il fiato gli si spezzò in gola quando il suo sguardo si perse nell’immenso atrio di stelle.

Lo aiutò ad alzarsi ed insieme si affrettarono verso un masso che emergeva più in là tra le dune, quando la sabbia sotto di loro iniziò a smuoversi, smossa dai loro passi. Man mano che camminavano la sabbia iniziò a scivolare più veloce, impedendo loro di camminare dritti, ma confluendo nelle onde dorate.

Raggiunsero a malapena il masso, che le dune si fecero d’improvviso più ampie, frenetiche, scivolose, iniziando a muoversi come le pagine di un libro o come le onde del mare quando soffia la bufera. Rotolarono nella sabbia, come dei piccoli sassolini spazzati dal vento, il viso affondato nella rena.

« Bulma! » urlò Vegeta, cercando di raggiungere la mano dell’ambasciatrice che come lui, veniva trascinata via dalle onde di sabbia, incapace di lottare.

La rena soffocò le loro grida, finché non smise di muoversi e dei passi pesanti tracciarono le loro impronte sul terreno, congelandosi nel terreno: Vegeta alzò allora gli occhi per andare a fissarli in quelli intensi e bianchi della Costellazione del Leone che lo fissavano bramosi, la bocca di denti affilati che faceva sfavillare le stelle con i suoi ruggiti.

Le Costellazioni del cielo li avevano circondati, attirate dalla loro carne viva e pronte ad eliminare gli intrusi dal Regno dei dimenticati. Pronte letteralmente ad inghiottire le loro anime, così da non lasciare spiriti vivi a solcare le pianure morte di Tartaro.

La donna venne trascinata subito in alto dalla coda affilata dello Scorpione che le sfiorò le carni, le chele le si strinsero ai fianchi, stritolandole il respiro. Il capitano senza indugio mise mano alla spada laser e si precipitò contro il gigante, per venire, però, bloccato dal corpo imponente della Costellazione del Toro che gli si parò davanti, sbuffando dalle narici aride nuvole di polvere cosmica.

Il capitano strisciò sulla sabbia e tentò di tenere lontano i due mostri che lo stavano circondando: vibrò la sua lama contro l’attacco del Leone, affondando la luce del cristallo contro le sue zanne, facendolo indietreggiare in un guaito animalesco. Bulma, nel frattempo, era riuscita a liberarsi dalle chele dello Scorpione, sebbene l’imponente Costellazione del Centauro la stesse braccando e cercasse di schiacciarla sotto i suoi imponenti zoccoli. Vegeta si trovò ancora ad indietreggiare e a schivare i colpi assestati del Toro che non si decideva a dargli tregua, finché la lama non impattò contro uno dei suoi corni, scintillando di energia.

Ansimante, si gettò contro lo Scorpione e cercò con gli occhi Bulma, fino a quando non incrociò lo sguardo di Orione che stava armando il suo arco di una freccia di luce, pronto a scoccarla contro di lui.

Successe tutto in un secondo.

Orione fece scattare la sua freccia e questa tagliò il fine etere, come la striscia di una stella cometa. Il dardo dilatò e restrinse il tempo e, sempre più vicino alla carne viva del capitano, fece tremare la sua anima di puro terrore.


Poi una voce parlò e tutto si congelò nel tempo: la spada di energia che tagliava la chela dello Scorpione, le fauci del Leone ad un passo dal suo corpo teso, la freccia di luce pronta a trafiggergli il cuore.

« Fermi, bimbi miei! È questo il modo di trattare un ospite? »

Una nube di sabbia li avvolse, strappando via loro le armi e costringendoli a coprirsi gli occhi per via della forte corrente. Dalla sabbia emersero delle rovine fatiscenti e si ritrovarono al centro di una sala del trono di una antica reggia che riecheggiava di tempi perduti e rigogliosi. Davanti a loro un trono diroccato e un cadavere che urlava al nulla il suo ultimo respiro. Le stelle attorno ripresero il loro moto in silenzio.

Tirarono entrambi un respiro di sollievo e, barcollanti, si guardarono attorno. Bulma gli si strinse accanto, afferrandolo per l’avambraccio.

« Confesso… ora sì, che mi sono venuti i brividi… » le bisbigliò Vegeta, ma la voce lo interruppe. Da dietro il trono, comparsa dal nulla, apparve, infatti, Lazuli.

« Bravo… nessun mortale aveva raggiunto Tartaro prima d’ora... » ridacchiò « Vivo, intendo… »

Si accomodò sul trono, facendo svanire il vecchio re in una nube di polvere.

« Mettiti comodo! »

Le lunghe dita lambirono la superficie dello scranno e i capelli dorati si confusero con la sabbia del deserto, facendo comparire ancora più inquietanti i due occhi di ghiaccio che li stavano scrutando.

Sentì la presa di Bulma farsi più stretta e tremante sul suo braccio e per qualche istante gli si congelò il sangue nelle vene. Ridacchiò in un risolino forzato.

« Bel posticino questo… »

« Ti piace? Sto pensando di fare tutto l’Universo così... »

La dea avvitò le dita, muovendo un paio di stelle all’Orizzonte, che precipitarono lontane tra le dune della pianura.

« Bella idea! Be’, sei molto occupata, perciò, se non ti dispiace, prendiamo il Libro della Pace e ci togliamo dai piedi! » sorrise forzatamente il capitano, approcciandosi alla Dea con tono rilassato, sebbene il paesaggio attorno gli stesse pizzicando i sensi di acuto terrore.

« Ah, cosa ti fa pensare che l’abbia io? » domandò, leggiadra, la Dea, accomodandosi meglio sul trono di pietra, la veste eterea che fluttuava pigra ai suoi piedi.

Bulma sbarrò gli occhi, incredula.

« Ehm, mi hai incastrato con il furto, così avrebbero giustiziato me! » rispose piccato Vegeta, assottigliando lo sguardo, in un moto di lenta furia.

« Te? » domandò, invece, soave la Dea.

« Già... »

Ma la Dea lo guardò ancora, alzando un sopracciglio, scettica.

Il tempo si fermò e gli sorse un dubbio, a cui la sua mente non seppe rispondere prontamente come sempre faceva. Si fermò a soppesare lo sguardo della Dea a cui, lentamente, stava sorgendo un sorriso sulle labbra.

No...

I secondi gli parvero nuotare ancora più lentamente nel vuoto e il cuore gli prese a battere più veloce.

Ma allora...

Si girò verso Bulma che lo guardava apprensiva, gli occhi brillanti di premura e terrore.

Lazuli, invece, si alzò dal trono e scese lenta e maestosa i gradini che la separarono dai suoi ospiti.

« No… avrebbero giustiziato Goku… » continuò il capitano, voltandosi ancora a guardare la Dea nei suoi occhi di ghiaccio, freddi e inumani come li ricordava la prima volta che l’aveva vista avvolta dalla bolla d’aria. « Tu sapevi che avrebbe preso il mio posto! » sussurrò con incredulità.

La Dea ridacchiò, tracciando con le lunghe dita un solco sulla colonna posta al basamento del tempio, facendola sgretolare ineluttabilmente sotto il suo tocco.

« Tu contavi sulla mia fuga… quindi Goku sarebbe morto e Syracysis sarebbe - »

« Rimasta senza un legittimo erede al trono, facendo precipitare tutte le Dodici Galassie in un glorioso Caos! »

Concluse la Dea per lui, ghignando famelica.

La reggia attorno precipitò nella sabbia, portando con sé il segreto appena rivelato. Il silenzio e lo stupore li bloccarono e Bulma e Vegeta si guardarono increduli. La Dea sospirò, deliziata e un poco scocciata.

« Voi umani siete così prevedibili! Goku non poteva fare a meno di essere nobile e tu non potevi fare a meno di tradirlo... »

I suoi capelli sinuosi le incorniciarono il viso che parve ancora più insaziabile di sangue.

« Ma io non ho tradito Goku! Non sono scappato, sono qui e porterò indietro il Libro! » pronunciò, invece, Vegeta che si affrettò a cercare degli appigli per uscire dal buco nero in cui sentiva lentamente precipitare il suo destino.

« Oh, invece l’hai tradito… gli hai rubato il suo unico amore… » sussurrò la Dea, che si portò alle spalle dell’ambasciatrice, passandole una mano fredda tra i capelli di rugiada. A Bulma si mozzò il respiro in gola e le sue iridi si bagnarono di lucente paura, mentre cercò silenzioso aiuto tra le onde nere degli occhi del capitano.

Lazuli, infatti, la spinse in avanti, facendola inevitabilmente finire nelle braccia aperte di Vegeta, che la sorresse dal cadere.

« Guardala, Vegeta! Lui non è ancora nella tomba e tu ti fai sotto con la sua donna! »

L’uomo si sentì sempre più immobile, avvolto dalle spire della logica di Lazuli.

« Ammettilo, la tua anima è nera quanto la mia… »

Vegeta percepì il buco nero dell’essere immortale davanti a lui iniziare a risucchiargli l’anima, nel mentre che freddi fili di tenebra gli sembrarono salire lungo il torace a soffocargli il respiro. L’ambasciatrice fu la prima a rianimarsi e a sfidare lo sguardo malevolo della Dea.

« Ti sbagli su di lui! Non sai che cos’ha nel cuore! »

Esclamò Bulma, con rabbia, mettendosi tra la dea e Vegeta, pronta a proteggerlo.

« Oh, sì che lo so… e, quel che più conta, lo sa lui… » s

Si avvicinò ancora a Vegeta, superando malamente la donna, e lo avvolse in un gelido abbraccio, tracciandogli una linea di fredda luce fino al cuore « in cuor tuo, tu sai che Goku morirà, perché ha visto qualcosa in te, che semplicemente, non esiste! »

« No! »

Ringhiò il capitano, scacciando la fredda paura dalle sue membra, ma la Dea rise.

« Vuoi scommettere? Facciamo un gioco e se vincerai ti darò il Libro della Pace! »


La dea alzò solennemente una mano e tutto attorno tremò, le rovine svanirono da sotto i loro piedi, il cielo dipinto di stelle si eclissò e vennero nuovamente avvolti dalla nube di sabbia che li lasciò sospesi nel vuoto, finché non poggiarono i piedi su uno stretto corridoio di pietra sospeso sul nulla, la dea di lato a galleggiare sinuosa nell’aere e davanti a loro, finalmente, pronto ad attenderli, il Libro della Pace avvolto nel suo alone di calma serenità.

Il Libro chiuso rilasciava debolmente il suo bagliore, ma, sebbene le pagine fossero serrate e le Costellazioni ancora attendessero il ritorno al loro moto incessante ed armonico, la sua aura si percepiva con forza e irradiava di armonia persino la piccola bolla in cui erano sospesi.

Vegeta si aprì in un sorriso spontaneo e fece ingenuamente un passo in avanti, richiamato dal candore e dalla calma delle pagine sacre, quando parte della lastra su cui camminava si staccò e precipitò nel vuoto, rischiando anche lui di cadere inevitabilmente nel nulla.

« Come corri… » sussurrò la Dea « il mio gioco ha delle regole, Vegeta »

Il vento sibilò attorno a loro, intrappolandoli in una nube di sabbia dorata, che non permetteva di scorgere oltre il manto di stelle.

Lazuli riprese a parlare.

« Ti farò una domanda… una semplice domanda. Se rispondi sinceramente, il Libro è tuo »

Il capitano fece una smorfia. « Dammi la tua parola »

Lazuli sollevò le sopracciglia, quasi offesa. « Ancora non ti fidi di me? »

Vegeta la squadrò con occhi taglienti e la dea sbuffò, arricciando le labbra e portandosi una mano alla tempia, con fare plateale. « Viviamo in un’era così piena di scetticismo, peccato… »

« E va bene… hai la mia parola di dea... » e si tracciò sulla spalla destra con l’unghia affilata della mano una “ics”, il senso intangibile della sua parola data, come quando aveva fatto la sua prima promessa dentro la bolla. Un genere di promessa a cui anche gli Dei sono vincolati per l’eternità, e che, sapeva Vegeta, era l’unica garanzia della sua parola data, sebbene l’essere immortale fosse maestra di inganni e di raggiri.

« Ti basta? »

Vegeta annuì, cupo e prese un respiro: « Fa’ la tua domanda »

Lazuli sorrise a fior di labbra.

« Perfetto. Tutti sappiamo che cosa accadrà se avrai il Libro della Pace »

Ne accarezzò il bordo con mani lascive, lasciando che la sua luce di armonia tangesse, seppur inutilmente, le sue membra fredde ed immortali, « lo restituirai alle Dodici Galassie e salverai Goku… »

« Ma se non avrai il Libro, dovrai fare una scelta »

Si avvicinò al capitano, nuvole di stelle che si dissipavano ad ogni suo passo, Vegeta che la seguiva, attento ad ogni sillaba, in completo silenzio.

« Veleggiare verso il paradiso con la donna dei tuoi sogni o tornare a Syracysis per morire… »

« Essere quindi un ladro o un eroe? »

Bulma pochi passi addietro trattenne il fiato. Il capitano non staccò lo sguardo dalla dea.

« Perciò ecco la mia domanda, Vegeta... se non avrai il Libro, tornerai là per morire? »

E scomparve, lasciandoli soli sulla passerella, nel vuoto e l’eco del silenzio a riempire i loro respiri.

Passarono istanti di infinito oblio, il capitano disperso nei suoi pensieri e Bulma che affidava incessantemente le sue preghiere alle Lanterne, che li attendevano entrambi, al di là del Buco Nero.

Vegeta alzò lo sguardo e la luce della pace bagnò placida i suoi lineamenti.

« Sì, tornerò! »

E prese a camminare, dapprima tentennando, poi, una volta percepita la stabilità della passerella, con passo più sicuro. L’ambasciatrice ringraziò le stelle e tirò un sospiro di sollievo, sorridendo.

Il capitano sfiorò finalmente il Libro, ma non riuscì ad afferrarlo.

Lazuli comparve alle sue spalle.

« Stai mentendo… »

La pietra si sgretolò sotto i loro piedi, Vegeta cercò di raggiungere, disperato, il Libro, ma la gravità li attirò a sé con rabbia.

Le loro urla si confusero con il vento e con la risata sguaiata della Dea, finché la luce non li avvolse.





Continua...






Angolo dell’autrice

Buonsalve, se c’è ancora qualcuno che si ricorda di me.

Perdonate il ritardo.

Spero che la lunghezza di questo capitolo possa farmi perdonare. Altrimenti, pazienza, liberi di odiarmi. <3

E insomma manco questa volta si riesce a pigliare il Libro.

Che cosa succederà ai nostri amici?

Chi creperà per primo?

Lo scoprirete nel prossimo ed ultimo – finalmente – capitolo!


Ma soprattutto… chi di voi vuole farsi un giretto con me nel Buco Nero?

Deve essere un posticino accogliente e niente male, a parte, va be’... i cadaveri, i mostri, i morti e… i cadaveri, immagino.

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo: grazie a tutti coloro che leggono, che recensiscono, che mi odiano perché sono sparita dal fandom, che mi amano per qualche assurdo motivo – non vi conviene, raga.

Al prossimo capitolo!

Ve se ama,


Zappa



iCome sapete bene, i buchi neri si formano quando una stella, dopo aver bruciato tutto il suo idrogeno in elio, collassa su se stessa, perché l’energia emessa (le radiazioni) non è più in grado di contrastare l’energia gravitazionale: l’energia emessa in radiazioni, infatti, quando il nucleo diventa ferro, non viene più prodotta e l’energia gravitazionale ha la meglio. Quindi, per farla breve, la stella – very big, molto più big del sole - implode nel nucleo, accumulando sempre più massa al suo interno: la stellina esplode in una supernova e si trasforma o in una stella a neutroni o in un buco nero. Per tutte queste bellissime informazioni su cosa siano i Buchi neri, vi consiglio – fatelo, è una figata – i video su YouTube di Kuzgesagt, in a Nutshell. Tutte le informazioni, trasformate in maniera fantasiosa in una storiellina che se la leggesse Einstein mi ucciderebbe in tedesco, inserite sono prese da lì, perché io a parte il fatto che sono buchi e che sono neri, so ben poco su di loro;


iiL’Orizzonte degli Eventi è una specie di barriera che separa il buco nero dal resto dell’Universo e se attraversata ti fa finire nel nero più nero: per essere onesti, se si dovesse attraversare e si dovesse uscire dall’Orizzonte degli Eventi bisognerebbe essere più veloci della luce. E niente, visto che nessuno ci riuscirebbe, nessuno riuscirebbe a superarlo per uscirci e scappare via. Informazioni su Kuzgesagt, in a Nutshell, YouTube; direi che più scientificamente di così non posso parlare, vi prego, non prendetemi per Wikipedia;

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