You're not Ten anymore (?)

di MusicAddicted
(/viewuser.php?uid=14249)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: Not sweet at all ***
Capitolo 2: *** II: Through his eyes ***
Capitolo 3: *** III: Which of the two ***



Capitolo 1
*** I: Not sweet at all ***


Disclaimer: Nulla di tutto ciò mi appartiene, solo le idee folli che partorisce la mia mente insana ^^'

La fanfic parte dall’episodio 1x8 di ‘Jessica Jones’ ‘AKA WWJD?’ … in effetti era un po’ strano che non mi fossi ancora approcciata al mio episodio preferito e poi degenera, degenera senza alcun ritegno e, conoscendomi, no, questo non è affatto strano XD

yrnta-cover

 

I: Not sweet at all
 

Quel ‘Ti Amo’ le rimbombava ancora nella testa con la forza di un’esplosione.

Tutti quei mesi a pensare che lui la odiasse per averlo abbandonato, che volesse soltanto ucciderla e poi…

Ricordava ogni sua parola, quello che le aveva detto, il modo in cui glielo aveva detto.

Ricordava la sua dolcezza.

Un momento. Killgrave dolce? Era forse impazzita? Doveva aver assunto troppo alcool o forse troppo poco.
Killgrave... dolce!

La camera da letto del suo appartamento puzzava ancora di morte… la morte di un innocente, al quale Killgrave aveva ordinato di uccidersi e per cosa poi? Perché lo aveva disturbato mentre nascondeva il suo regalo.


Quanto le aveva fatto male ascoltare Robyn mentre le spiegava che suo fratello Ruben era molto sensibile sul collo, quello stesso collo che senza alcun rimorso Killgrave gli aveva fatto tagliare, godendosi lo spettacolo mentre mangiava il dolce che Ruben aveva preparato per far colpo su di lei.
Lei si era sentita morire, così come quando l'inquilina del piano di sopra aveva rifiutato il suo tentativo di conforto.

‘Questa è tutta colpa tua. Stavamo bene prima che arrivassi tu.’

Parole al vetriolo che facevano male più di un proiettile, perché erano vere.

 

Erano questi i pensieri di Jessica,  su quel taxi che la stava portando là, per ‘cominciare dall’inizio’, come recitava il post-it azzurro che Killgrave le aveva lasciato sul diario, il suo di quando era ragazzina, quello che non era riuscita a recuperare prima che Dorothy la portasse a casa Walker, solo perché non ricordava l’asse del pavimento sotto il quale lo aveva nascosto.
Lui quell’asse doveva averlo trovato.

E non si era fermato davanti a nulla per raggiungere il suo scopo.


No. Killgrave non era affatto dolce.
Non c’era nulla di lontanamente umano nella sua crudeltà sconfinata.
Forse passare del tempo con lui l’avrebbe aiutata a trovare un qualche suo punto debole per colpirlo, oppure capire se c’era un modo per resettarlo, formattarlo, come si fa coi computer quando hanno un virus.
Del resto lui un virus lo aveva, eccome.

Erano questi i propositi coi quali, una volta a destinazione, Jessica si era addentrata nella tana del lupo.
Un lupo piuttosto sorridente, vestito in modo così insolitamente casual, con quel maglione nero con lo scollo a V che gli toglieva tutta quella sua solita pomposità e lo faceva sembrare più alla mano .

 

Un lupo piuttosto mansueto che le stava pazientemente mostrando ogni angolo di quella che era stata la sua casa d’infanzia, perfettamente ricreata in ogni dettaglio.
 

Un lavoro non indifferente, che farebbe qualcuno mosso da un sentimento potente.

Jessica aveva finto disinteresse, ma la verità era che era rimasta colpita quando lui le aveva dimostrato che ricordasse di averle chiesto dove fossero i suoi ricordi più felici, ma soprattutto che si ricordasse la risposta.
Pensava che quella, ai tempi, fosse stata giusto una carineria per portarsela a letto, non che Killgrave avesse bisogno di quei mezzucci, a letto con lui lei ci andava a comando.
Tuttavia, che si fosse ricordato di quel posto voleva dire che l’aveva davvero ascoltata, era una cosa do…

 

No, Killgrave non poteva essere affatto dolce, era fuori discussione.

Non era stato dolce mentre le aveva dimostrato che stavolta la guardia del corpo e lo staff di cui si era dotato erano pagati e le aveva impartito una lezione su quanto fosse importante dare una seconda possibilità.

 

Jessica a lui una seconda possibilità non l’avrebbe mai data.
 

Non era stato dolce quando alla fine non aveva aperto la camera di Phillip quando lei si era opposta, perché era una cosa che le avrebbe fatto troppo male.


“Non sei così dura, Jessica Jones.” le aveva detto.

 

Oh, se solo lui avesse saputo che gli occhiali da sole scuri che lei aveva indossato sul taxi nel tragitto per quella casa le avevano concesso il lusso di lasciarsi andare a un breve e silenzioso pianto liberatorio, niente che un po’ di trucco e correttore ben applicato non avessero nascosto, prima di scendere dalla macchina.

 

Jessica Jones non era affatto così dura come voleva far credere.

 

Quel lupo era furbo e l’aveva intuito, ma lei non si fidava di tutte quelle moine.
Sapeva che lui non vedeva l’ora di sbranarla.

-----------------------------------------

 

“Mi importa di te. Gli altri muoiano pure.”

Niente affatto dolce.

Questo le aveva detto Killgrave quando lei gli aveva rivelato che c’era una bomba in cantina.
Un piano ‘geniale’ di quell’idiota di Simpson che stava per rovinare tutto.

No, questo Jessica a Killgrave non lo aveva detto, ma lui lo aveva già intuito.

Quel lupo era furbo.

In qualche modo anche generoso, quando, intenti in quella che sembrava la parodia scimmiottata di una colazione fra novelli sposi, lui aveva dato il benservito a quella spaccona menzognera della vecchia vicina di Jessica, umiliandola nel profondo, vendicando le offese che lei aveva inferto alla famiglia della sua amata.

Era bastato mostrargli anche solo l’ombra di una parvenza di riconoscenza perché quel lupo si prendesse più libertà, con una zampa... cioè una mano sulla sua.

Lei era stata ben chiara a riguardo: non avrebbe dovuto toccarla. Mai più.

Ne era  scaturita una lite dai toni piuttosto accesi, finché lui, come aveva già fatto durante la colazione, si era messo a parlare dei suoi genitori, fino a prendere una decisione e insieme a quella la sua chiavetta.

Quella stessa chiavetta che le aveva fatto recuperare, a costo di spaccarsi le dita a scavare nell’asfalto.

Quella chiavetta che le era costata la morte di Reva.

E Jessica era rimasta sconvolta quando aveva visto il contenuto di quella chiavetta, gli esperimenti a cui Killgrave, no, Kevin, ai tempi di quando era successo, era stato sottoposto, in tenera, tenerissima età.

Kevin. Un nome così poco adatto a un lupo.

Ed era in quel momento che Jessica aveva optato per il piano B, quello di formattarlo.

Poteva ancora esserci qualcosa di Kevin dentro Killgrave?

“Quindi nessuno sa che esisti, a parte i tuoi. Se sono ancora vivi.” era astutamente tornata sull’argomento lei, mentre lui, con fare un po’ annoiato, si era abbandonato sul divano, accendendo la tv.

No. Annoiato non era la parola giusta.

Killgrave si era offeso.

Offeso che dopo averle confessato quella verità che aveva sepolto per anni, proprio come era stata sepolta quella chiavetta che la conteneva, lei non lo avesse capito.

Lei, che in fondo non aveva avuto un destino così dissimile dal suo.

Convivere con dei poteri speciali perché ti sono stati imposti con la forza.

La differenza è che Kevin li aveva accolti come un dono, una liberazione, mentre per Jessica erano una maledizione, una condanna.

Forse era proprio  questo che le impediva di capirlo come si aspettava lui.

“Forse. Erano giovani. Hanno rinunciato a una bella carriera. E al figlio di dieci anni.” aveva sospirato lui, senza nemmeno guardarla in faccia, fingendo di prestare attenzione allo schermo.

Abbandonato dai suoi stessi genitori, a soli dieci anni? Costretto ad arrangiarsi da solo, contando solo sul suo potere, senza nessuno che lo aiutasse a capire cosa fosse giusto e cosa no?

Questo gli era successo? Questo lo aveva portato a diventare Killgrave?

Jessica era così sconvolta da quella notizia da incespicare sulle parole.

“Non sei più dieci.. voglio dire, non hai più dieci anni.”

Killgrave si era girato di scatto a guardarla.

“Cosa… cosa hai detto?” le aveva chiesto, con gli occhi sgranati, se possibile, ancora più grandi del solito.

“Che non hai più dieci anni.” aveva ribadito Jessica, confusa.

Killgrave si era alzato di scatto dal divano, correndo verso di lei.

“No, quello che hai detto prima, ripetilo,” le aveva chiesto, no, l’aveva più che altro implorata, con un’ansia e una disperazione che non gli appartenevano.

“‘Ho detto che non sei più dieci, ma è perchè ho sbagliato a parlare,” aveva puntualizzato lei, questo prima di giungere a una conclusione non indifferente.

“Hey un momento, te l’ho ripetuto perché volevo io, non perchè mi sentissi obbligata… eppure tu mi hai dato un ordine... perché?”

Killgrave però ormai aveva altri problemi, mentre  la testa aveva cominciato a fargli un male tremendo.

“Oh, per favore, non ti posso più controllare dal giorno dell’incidente con il bus,” le aveva risposto frettolosamente, senza dar importanza alla cosa, mentre si stringeva le tempie, “Ma non è questo il punt..ooohhhh!”

Non era chiaro se lui si fosse messo a urlare per il dolore o per la strana e inquietante  luce dorata che gli stava fuoriuscendo dal petto.

“Che significa che non mi puoi più controllare? E che messinscena stai allestendo adesso? Ti hanno aiutato Alva e Laurent vero? O qualche tecnico delle luci che hai schiavizzato come il tuo solito?” lo aveva assalito di domande Jessica.

Era una detective, Cristo Santo! Lei aveva bisogno di capire.

“Nooo… la schiavitù è la peggior condizione in cui un essere umano dovrebbe vivere e libererò anche Alva e Laurent, se prima mi fanno una torta al cioccolato, noooo meglio ancora, alla banana, non c’è niente di meglio di una banana, dovresti sempre girare con appresso una banana! Beneficiare di tutta quella goduria con un apporto di sole ottantanove calorie, un’inezia se pensi che il fabbisogno di un uomo medio si aggira intorno alle duemila-duemilacento, perché sono ancora un po’ arrugginito, altrimenti ti farei al volo un calcolo percentuale.” aveva sproloquiato Killgrave, mentre la sua mente cominciava a lavorare in modo vorticoso, in concomitanza con la luce che aveva smesso di uscirgli dal petto.

Aveva cominciato a camminare instancabilmente per il salotto, lui che solitamente era così calmo, quasi flemmatico nei suoi movimenti.
E, cosa non meno allarmante, aveva anche cambiato modo di parlare e Jessica non aveva mancato di notarlo.

“Il tuo accento… come cazzo parli adesso? E perché così veloce? Cristo, sembra che tu abbia bevuto una caraffa di caffè. E che cosa stai blaterando? Fottuto bastardo! Se è un altro dei tuoi cazzo di trucchi ti giuro che io…”

Con un altro dei suoi inconsueti movimenti rapidi, Killgrave era saltellato verso di lei, guardandola come se la vedesse per la prima volta.

“Woah! Linguaggio, Signorina, se avessi il mio cacciavite sonico te lo caccerei in bocca per cercare di moderartelo!”

“Cosa cazzo vuoi cacciare in bocca a chi, lurido maiale?” aveva sfuriato lei, allontanandosi, nell’oblio più totale riguardo a cosa stesse succedendo.

“Oh sì.. mi servirebbe davvero, peccato non averlo…” aveva borbottato lui tra sé e sé, frugando fra le tasche del panciotto, come se magicamente ne potesse trovare uno. “Ooooh, indosso un panciotto, mi piacciono i panciotti, mai come gli impermeabili lunghi però…”

“Killgrave! Smettila!” aveva sbraitato Jessica, ora dietro il divano.

Per tutta risposta, lui si era precipitato verso di lei.

“Ooohh, donna meravigliosa! Tu mi hai salvato, grazie!”  

L’aveva abbracciata, ritrovandosi due secondi più tardi, catapultato sopra il divano, con il polso che non gli si era rotto per miracolo.

“Ti ho già detto che non mi devi toccare!” aveva ruggito quella fiera leonessa.

“Ma io sono il Dottore.. o almeno una parte di lui… io abbraccio sempre umani brillanti come voi.” si era giustificato lui, alzandosi dal divano con un agile scatto di reni.

“Dottore? Che Dottore?” si era accigliata lei.

“Più Dottore Chi!” aveva ridacchiato lui, mentre lei se ne chiedeva il motivo.

Che il Sufentanil che gli aveva sparato giorni addietro avesse come effetti causati ritardati la pazzia?

“Smettila! Smettila di essere questo lunatico, insopportabilmente allegro, strambo individuo! Io preferivo il mio lunatico psico-sociopatico individuo.”

A Jessica tutto sommato mancava quel lupo.

Killgrave aveva sorriso a quelle parole.

“Sono ben lieto di sapere che ti manco già, Jessie.”

Le aveva parlato col suo solito accento fortemente Inglese, in modo più lento e anche il suo modo di guardarla era tornato quello che lo caratterizzava.

“Ma allora… era tutta una recita!” aveva borbottato confusa lei.

In qualche modo era inconsapevolmente sollevata che lui fosse tornato… chiunque fosse stato l’altro.

“Oh no, mia cara, nessuna finzione,” l’aveva rassicurata Killgrave con uno dei suoi sorrisi così tipici.  “Posso anche essermi ricordato chi sono davvero , ma questo non annulla chi sono stato per questi anni … e quello che provo per te.” aveva mormorato, tentato di accarezzare il suo volto, se non fosse per quel divieto che aveva così gelidamente imposto lei.

“Porca puttana! Che significa che hai ricordato chi sei? Chi cazzo sei?”

“Con questo linguaggio non otterrai certo delle risposte,” l’aveva messa in guardia lui, la lingua contro i denti con un atteggiamento dispettoso e divertito, il tono di nuovo allegro, l’accento British di nuovo sparito.

“Okay, riproviamo. Gentilmente… tizio con l’aspetto di Killgrave e a quanto pare anche i suoi ricordi… me lo vuoi dire chi sei in realtà, qual è la tua storia?” lo aveva esortato lei, con una gentilezza che non rientrava certo nei suoi canoni.

A quanto pare però aveva convinto chiunque le stesse davanti.

“Oh sì, ora va molto meglio.” le aveva sfoderato un sorrisone, correndo a sedersi sul divano e invitandola a fare altrettanto.

Jessica con una certa diffidenza, aveva accettato, pur mantenendo le dovute distanze.

“E se ti dicessi che i video che ti ho mostrato prima non sono mai esistiti? Che io bambino non lo sono mai stato? Semmai sono stato un po’ più giovane di così,” le aveva rivelato lui, indicandosi. “Ma mai in tenera età.  È stata tutta una menzogna, un’infanzia che non ho mai vissuto e tu me lo hai ricordato nell’esatto momento in cui hai pronunciato quella frase.”

“Non sei più Dieci?” aveva ripetuto lei, sempre più confusa a riguardo.

“Non sono più Dieci, è vero, ma sono parte di lui, lo sarò sempre. Sono la sua Metacrisi e questa è la mia incredibile storia. Ce l’hai qualche minuto o qualche ora o qualche giorno per ascoltarla? Il tempo è sempre così imprevedibile e…”

“Tu comincia a raccontare e basta!” lo aveva spronato lei.

TBC
 

Su coraggio, prendete bene la mira e lanciatemi tutti i frutti e le verdure andate a male che volete.

Però a questa cosa folle e malata dovevo proprio far prendere vita XD

Nel prossimo capitolo ci sarà tutto un flashback sul passato di Metacrisi… e capirete che cos’è effettivamente successo, qualche idea? ;P

A presto e buon anno!! <3 

Io volevo cominciarlo in modo decisamente non convenzionale, LOL

Buonanotte, è tardino certe abitudini degli anni precedenti me le porto appresso ahah

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II: Through his eyes ***




yrnta-cover



 

II: Through his eyes




“Per affrontare quanto sto per dirti devi avere una mente molto aperta…”

“Senti, Killgrave con l’upgrade o chiunque tu sia, di aperto ci sarà solo la testa che ti spaccherò, se non ti decidi a darmi più informazioni a riguardo!” lo aveva minacciato Jessica, agitando un pugno vicino al suo viso, in maniera più che eloquente.

“Tsk, tsk, Jess, tutta questa rabbia che covi dentro non ti fa certo bene,” l'aveva guardata lui con fare preoccupato, scuotendo la testa.

Jessica non avrebbe saputo affermare con certezza con quale delle sue personalità si stesse interfacciando.

“Credi all’esistenza degli alieni?” le aveva domandato lui.

“Qualche anno fa degli alieni hanno fottutamente invaso New York, devastando metà città… è uno di quei motivi per cui, sì, finisci per crederci!”

“Uh, davvero? Alcuni dovrebbero imparare le buone maniere…” si era grattato la testa lui, con un atteggiamento pensieroso. “Ti ricordi di che razza fossero?”

Lei si era messa le mani sui fianchi, con un’espressione inequivocabile.

“Ha davvero così tanta importanza?” gli aveva fatto notare, senza bisogno di aggiungere altro.

“No, immagino di no!” aveva fatto spallucce lui. “ll punto è, credi negli alieni, molto bene, è già un ottimo punto di partenza. Ora, non pensare che esistano solo quelli cattivi coi laser distruttori e le manie di conquista; ce ne sono anche di buoni, molto buoni e giusti, c’è anche chi cerca di salvare quanti più pianeti possibili, viaggiando attraverso lo spazio e il tempo con un’astronave decisamente non convenzionale: è il Dottore, nonché Signore del Tempo.”

“Quindi sei un Signore del Tempo?” aveva intuito la detective.

“Ni. Lo sono per metà, sono un ibrido, nato da un’umana come te… senza poteri speciali, ma con un caratterino che può fare concorrenza al tuo,” aveva ridacchiato lui, un po’ nostalgico. “E da un Signore del Tempo… ma aspetta, non pensare a un accoppiamento di quelli classici… nemmeno si sono sfiorati… quanto al Signore del Tempo, è bastata solo la sua mano amputata.” si era affrettato a chiarire.

“Una mano? Sei nato da una cazzo di mano amputata?” lo aveva interrotto lei, sbigottita.

“Sì, è stato prima che gliene ricrescesse un’altra, quella da combattimento!” aveva sfoderato un ghigno soddisfatto la Metacrisi. “Il Dottore non voleva rigenerarsi e allora ha riversato tutta quell’energia rigeneratrice su quella mano che conservava ancora in una teca...” aveva spiegato lui, questo prima che si accorgesse di come lo stava guardando Jessica.

“E come te lo spiego cos’è la rigenerazione?”si era pizzicato il mento più volte, in cerca della similitudine giusta. “Segui il calcio? Ma sì, certo, quando stavamo insieme, oltre le partite di rugby ti ho fatto seguire anche qualche partita di calcio…” aveva risposto lui, più che altro a se stesso. “Beh, hai presente quando il Mister chiama il cambio? Cambia il giocatore, ma continui a giocare per la stessa squadra, è chiaro? Quella è la rigenerazione… beh, il Decimo Dottore ha detto no al Mister e ha rigettato tutta l’energia rigeneratrice verso la sua vecchia mano. La sua Companion, che ha più il connotato di assistente, prima che pensi male,  ha toccato quella mano e boom, un attimo dopo ero lì nudo e vivo come non mai.”

“Il dettaglio del nudo te lo potevi anche risparmiare… e non serve affatto che tu mi dia spiegazioni su chi siano o non siano le Companions che viaggiano con lui!” aveva borbottato Jessica. “Credi che.. il tuo Decimo Dottore abbia continuato a dire no al Mister?” aveva usato la sua stessa metafora.

“Uh no, no davvero, credo sia qualcosa che puoi far una volta soltanto e non era nemmeno così scontato che gli riuscisse… ora siamo nel 2015.. beh non mi sorprenderebbe se nel frattempo fossimo già arrivati alla Dodicesima o Tredicesima rigenerazione, dipende da come le conti.”

“Okay e questo spiega, in un modo che definire assurdo è un cazzo di eufemismo, come tu sia nato.” aveva riassunto la detective. “Che mi dici sul perché hai perso la memoria di chi eri e sei diventato principalmente la rovina della mia vita?”

“Devo fare delle premesse…” aveva messo le mani avanti la Metacrisi.

“Sono ore che fai delle fottute premesse!” aveva alzato gli occhi lei, con una sbuffata.

“Esagerata, al massimo sarà un quarto d’ora che abbiamo intavolato questa discussione!”

“Precisino del cazzo, quasi ti preferivo quando giocavi a tetris con la mente della gente!” aveva protestato lei, suscitando in lui solo un sorriso compiaciuto.

Quel modo di sorridere lei lo conosceva fin troppo bene.

“Mia cara, non dimenticare che sono sempre presente, solo con nuove consapevolezze in più,” le aveva schiacciato l’occhio Killgrave. “E questa è  già la seconda volta che ammetti di preferire me, uno potrebbe farsi delle idee a riguardo.” aveva battuto la lingua contro i denti, con fare provocatorio.

“Non dovevi fare delle premesse, schizofrenico dell’accidenti?” aveva prudentemente cambiato argomento lei.

“Hai ragione. Ti ho accennato delle Companions, giusto? Beh una di loro, la prima che il Decimo Dottore, quindi anche io, abbiamo avuto, nonché quella che ha avuto anche la Nona Rigenerazione, beh… lei è stata più di un’assistente, più di una preziosa collaboratrice, più di una buona amica…”

“Okay. Avete avuto una storia…”

“Sì. No. Sì. Okay, è un po’ complesso da spiegare… però devo fare un’altra premessa.” aveva incespicato sulle parole lui.

Jessica si era abbandonata a peso morto sul divano, con l’aria esausta.

“Cristo santo, sembri un disco rotto!” si era lamentata, ma lui aveva deciso di ignorarla.

 

“Probabilmente il Dottore mi avrebbe tenuto con sé, forse avrei potuto fargli compagnia anche nelle sue successive Rigenerazioni… ma lui ha cambiato radicalmente idea dopo che io ho fatto una cosa molto brutta…”

Jessica si era risollevata dal divano, accesa d’interesse.

“Brutta quanto?” gli aveva domandato.

“Sai, posso anche essere stato creato da lui, ma non ho la sua stessa integrità morale e se vedo un grosso bottone rosso con su scritto ‘distruzione totale’, beh, io lo premo!” aveva fatto spallucce lui, come se fosse una questione di poco conto.

In quel momento le aveva ricordato un sacco il lupo menefreghista che conosceva.

“Ma questa cosa il Dottore non me l’ha voluta perdonare, diceva che io ero troppo pericoloso per il suo Universo e che avrebbe fatto qualcosa a riguardo: eliminarmi sarebbe stata la cosa più immediata e semplice, ma il Dottore è troppo magnanimo e mi ha concesso una seconda chance, con la prima delle nostre Companion, nell’Universo parallelo in cui era finita lei. Ha lasciato alla ragazza che credo abbia amato un pezzo di sé.” aveva concluso la sua ennesima premessa.

“Una storia a lieto fine, direi, no?”

“Vorrei poterti dire di sì, Jessica, ma…” si era incupito lui.

“Ma?”

La metacrisi l’aveva guardata, prima di prendere una decisione.

“Per metà sono pur sempre un Signore del Tempo e unito all’enorme potere mentale che ho ora, sì, io credo di poterci riuscire…” aveva borbottato.

“Riuscire a fare cosa?” si era accigliata lei.

“A farti vedere ogni cosa, anziché raccontartelo.”

“E come?”

“So che non ami essere toccata da me, Jessica, ma questa volta è necessario.”

Glielo aveva detto con la voce calma di Killgrave, con il suo accento Inglese così marcato, anche il modo di guardarla era lo stesso che aveva lui, eppure c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi, qualcosa che le diceva che stavolta lei si poteva fidare.


Jessica aveva annuito, senza sapere bene che cosa aspettarsi.

Killgrave, Metacrisi, o chiunque fosse in quel momento, era scivolato più vicino a lei, appoggiandole le mani alle guance ed esercitando una leggera pressione.
L’aveva guardata intensamente negli occhi, prima di chiuderli e concentrarsi.

 

E il viaggio di Jessica era cominciato, senza che lei si muovesse da quel divano.
Aveva attraversato i confini spazio-temporali fino a ritrovarsi in una baia, bellissima, ma col mare un po’ inquieto, come chi lo stava osservando.

Jessica si era accorta che non era lei realmente lì, ma stava vedendo tutto attraverso i suoi occhi.
Gli occhi di Metacrisi, quando era ancora solo lui, quando era un po’ più giovane, ma nemmeno di molto.

Lo aveva visto tornare alla sua casa, poco distante dalla spiaggia.

Una casa piccola, ma confortevole.

Non era solo in quella casa, una giovane donna, molto bella, bionda, dai grandi occhi marroni espressivi stava sfogliando svogliatamente una rivista, appoggiata al bancone della cucina a penisola.

La Companion di cui le aveva parlato, probabilmente, aveva dedotto la detective, spettatrice silenziosa e invisibile di quella scena.

“Il mare non è nei suoi giorni migliori, ma possiamo sempre uscire a fare una passeggiata, se ti va.” aveva esordito lui, senza però ricevere una risposta.

“Oppure possiamo finire di montare quel mobile che abbiamo lasciato in sospeso,” aveva proposto lui.

Di nuovo silenzio, se si esclude il rumore che era stata fatto per voltare la pagina.


“Possiamo fare tutto quello che vuoi tu, purché non si tratti di un altro pranzo dai tuoi!” aveva fatto un altro tentativo lui, più scherzoso, ma lei aveva sbuffato.

A quel punto, anche la pazienza del mezzo Signore del Tempo, mezzo umano, era venuta meno.

“Si può sapere che ti prende, Rose? E non intendo solo adesso, da parecchi giorni sei così, dovrei forse dire da mesi?” aveva inasprito un po’ il tono lui.

Almeno lei aveva smesso di leggere, o meglio, di  fare finta, guardandolo.

“Mi prende che sono stanca di questa solita routine, John. Da quanto stiamo insieme? Un anno, due, tre? È tutto così banale, così scontato che io nemmeno ci faccio più caso.” aveva sbottato lei.

E così la bionda si chiamava Rose, ma perché lui era stato chiamato John?

Jessica avrebbe soddisfatto quella curiosità più tardi, ora era troppo intenta a guardare interagire quella coppia che sembrava essere arrivata a un punto morto.

“Mi manca quando il tempo non scorreva lineare, ma era imprevedibile e tutto era una continua avventura. Che ne è di quella avventura?” aveva borbottato Rose.

“Perché non me lo dici chiaro e tondo chi è che davvero ti manca? E chi non lo sto usando a caso!” l’aveva sfidata lui.


“John, non…”

“Ho il suo stesso aspetto, ho i suoi ricordi, ho addirittura la sua stessa personalità, la Decima,ma a te non basta, vero?” aveva continuato la sua filippica lui, passeggiando per la cucina nel modo frenetico che tanto aveva caratterizzato il Dottore nella sua TARDIS.


“Lo avevi detto fin da subito, quel giorno alla baia, quando lui mi ha lasciato con te: io non sono lui, sono solo la sua versione di serie B.” aveva detto lui, con la voce spezzata e gli occhi lucidi.

Jessica si era sentita stringere il cuore.

“Non dire così!” aveva urlato Rose.

 

“Ah, non dovrei? Quando sei tu che continui a dirmelo ogni singolo istante, con ogni tuo gesto, ogni tuo sguardo.  Come credi che mi senta?” l’aveva affrontata lui.


“Non è facile neanche per me…” aveva mormorato lei. “Speravo che le cose andassero diversamente…”
 

“Tu tutto questo non lo puoi sopportare più, ma soprattutto non lo sopporto io!” aveva dichiarato lui, per tutti e due.
 

Tuttavia, non era ancora sufficiente. John stava per pungerla sul vivo, perché ne aveva bisogno lui, con il suo orgoglio di uomo ferito e perché se lo meritava lei.


“Sai, Rose, a volte penso che in realtà tu non abbia mai amato nemmeno il Dottore, Nono o Decimo che sia stato, quanto piuttosto la TARDIS!”

Ecco, glielo aveva detto, con quanto veleno più possibile in quella voce che sapeva anche diventare tagliente.

E lo schiaffo di Rose, che era scattata verso di lui, era arrivato puntuale sulla sua guancia.

“Questo non devi mai, MAI permetterti di dirlo!” aveva ringhiato lei, con le lacrime agli occhi.

Per tutta risposta, Metacrisi, John, clone del Decimo Dottore  o comunque lo si volesse chiamare, era scoppiato a ridere, una risata amara.

“Sai che c’è Rose? Che quel giorno alla baia tu non te ne sei accorta, ma prima di salutarci il Dottore mi ha preso in disparte e mi ha consegnato un pezzo di TARDIS, un solo frammento, ma io sono pur sempre un Signore del Tempo, almeno per metà e so come coltivarla.”

Rose aveva cambiato completamente umore, mentre Jessica non aveva la più pallida idea di che cosa stessero parlando.

“Davvero? John, ma è meraviglioso!” gli aveva sorriso lei, buttandosi fra le sue braccia. “Mostrami dov’è, portami di nuovo a viaggiare…”

Era pure in procinto di baciarlo, ma lui si era tirato indietro, guardandola con la più profonda delusione nel suo sguardo.

“Perché credi che non te l'abbia detto subito? Volevo capire se mi amavi, me e basta, per quello che sono e soprattutto quello che non sono, volevo capire se potevi essere felice anche solo così. Solo allora te lo avrei rivelato, ma  adesso è troppo tardi.” le aveva detto lui, duro, sia con la voce che con l’espressione dei suoi occhi.

“John, no, aspetta…” lo aveva chiamato lei, notando come si stesse avvicinando sempre più alla porta d’ingresso.

“Adesso capisco come si debba essere sentito Mickey e qualche volta anche tua madre, messi sempre al secondo posto.” aveva proseguito lui, sia il discorso, sia il tragitto che gli avrebbe fatto abbandonare quella casa.

Si era voltato, per guardarla un’ultima volta, incurante che lei fosse in lacrime.

“Se un giorno magari ritroverai il tuo prezioso Dottore, buon per te, ma con me hai chiuso!” aveva sbattuto la porta, senza più guardare indietro.

Jessica lo aveva osservato camminare per ore, lungo la baia, questo prima che qualcosa di inaspettato avvenisse.

Due creature davvero bizzarre, più simili a dei grossi bidoni della spazzatura semoventi e con quella che sembrava la frusta di un frullatore al posto del braccio avevano sorpreso la Metacrisi alle spalle.

Lui qualcosa lo aveva avvertito, ma quando si era voltato era troppo tardi.

 

Era già stato colpito.

“Tra-mor-ti-re! Tra-mor-ti-re!” avevano esultato le due creature, mentre la visuale della detective si faceva buia.

Il tempo era passato di nuovo e ora Jessica non capiva dove fosse, sembrava l’interno di un’astronave.

Se lei era di nuovo in grado di vedere, significa che la Metacrisi aveva ripreso i sensi.

“Perché non sono morto? E soprattutto perché accidenti voi siete ancora vivi? Io vi avevo sterminato tutti, voi Dalek. Ster-mi-na-re, sì, proprio quella parola che vi piace tanto!” li aveva sbeffeggiati lui, riprendendo i sensi e accorgendosi che era legato.

Dalek, ecco come si chiamavano quelle strane e inquietanti creature.
Jessica stava acquisendo sempre più nozioni.

“Non tutti.” aveva risposto uno dei Dalek, in tutto erano tre.

“Cosa?”

“Noi non abbiamo preso parte a quella battaglia.” aveva spiegato il secondo Dalek.

“I Dalek sono prudenti. I Dalek si garantiscono sopravvivenza. Sempre.” aveva spiegato il terzo, con la sua voce metallica.

“Il che ci riporta alla prima domanda: perché non sono morto? E, dài, dovreste avercela un bel po’ con me; vi ho combinato proprio un bel casino!”

Jessica aveva sorriso. C’era qualcosa in quel suo dare fastidio volutamente in cui lei stessa un po’ si rivedeva.

“Tu sei la nostra vendetta.” aveva esclamato forse il Dalek che fra i tre si proclamava il capo.

Il mezzo umano, mezzo Signore del Tempo aveva perso la voglia di fare lo spiritoso.

“Cosa?” si era incupito.

“Non sei il Dottore, ma sei parte del Dottore. Ė stato facile avvertire la tua energia e trovarti.” aveva spiegato uno dei sottoposti.

“Dovevamo solo aspettare che rimanessi solo. Ma i Dalek possono essere pazienti.” aveva aggiunto il secondo.

“Sarai la nostra macchina da guerra perfetta!” aveva esultato il capo. “Sterminare un intero pianeta attirerebbe subito il Dottore contro di noi… ma colpire pochi abitanti alla volta … non si accorgerà!” 

“Dimenticate un piccolo dettaglio: io non vi aiuterò mai!” aveva ringhiato la Metacrisi.

“Lo stai già facendo…” aveva ridacchiato il capo mentre i suoi sottoposti avanzavano reggendo uno strano casco.

“Cosa… cosa fate?” aveva provato a ribellarsi lui, ma quelle corde, fatte di chissà quale materiale spaziale, glielo impedivano.

Il casco era già stato posizionato sulla sua testa e sentiva delle onde cerebrali friggergli il cervello.

Pure Jessica poteva sentire parte di quel dolore e il modo in cui gridava, era lo stesso che aveva visto fare a Killgrave quando lei aveva pronunciato quella frase chiave.

“Sarai un Dalek umano. Privo di emozioni Colmo d’odio… porterai caos e distruzione. Ti daremo il potere per farlo. Controllerai le menti, tutti eseguiranno il tuo volere. E il tuo volere in realtà sarà il nostro. Sterminare!”

“N.. noo, non accadrà mai!” si era opposto con le sue forze, ma si sentiva sempre più in balia del loro lavaggio del cervello.

“Ti daremo nuovi ricordi, un’infanzia orribile, una vita di solitudine, penserai solo a te stesso e causerai solo sofferenze a chi ti circonda.” avevano deciso i Dalek e ormai non c’era più niente da fare.

La loro vittima sentiva la mente annebbiarsi, i ricordi scomparire gradualmente, la sua volontà farsi sempre più debole.

Il trattamento era finito, i Dalek lo avevano lasciato andare, certi che sarebbe stato il loro messaggero di devastazione.

Barcollando, Metacrisi era tornato alla baia, ma in un’altro punto, dove non si avventurava mai.

Jessica lo aveva visto andare verso quella che sembrava una cabina telefonica blu, un po’ sgangherata, nascosta agli occhi di tutti.

C’era stato un altro flash e stavolta poteva vedere il mezzo Signore del Tempo dentro un’altra astronave, ma più bella, più dorata, più accogliente, anche se con meno stanze, poco più di una una sala dei comandi.
Era lì che lui stava impostando qualcosa.

 

Cercando fra i vari scomparti aveva trovato qualcosa.. sembrava un bastoncino metallico argentato che emetteva una luce blu.

“La mia volontà mi sta abbandonando, i Dalek stanno prendendo il sopravvento nella mia mente, ma sono ancora in tempo per fare qualcosa…” aveva per lo più pensato a voce alta, mentre impostava le coordinate di quel nuovo TARDIS.

Quello di cui nemmeno quei tre Dalek erano a conoscenza.

“Non danneggerò questo universo, non posso fare questo a Rose, ha già subito delle perdite, qui può avere una nuova vita, non gliela distruggerò. Che non ci amiamo più non significa che io la odi.”

I motori si erano accesi, se qualcuno avesse guardato la cabina blu dall’esterno l’avrebbe vista sbiadire.

 

Se da una parte lui era soddisfatto di aver abbandonato quell’universo in tempo, non era ancora abbastanza.

“Ci deve essere un modo per annullare questa manipolazione! Un espediente perché io recuperi i miei ricordi…”

Non si dava pace, alla ricerca di qualcosa di cui quel TARDIS non era provvisto.

“Quando il Dottore si era nascosto dalla Famiglia, aveva quell’orologio che gli avrebbe ricordato chi era… com’è successo anche con il Maestro… ma qui non ho niente del genere... “ si era disperato, prima di avere un’illuminazione. “Non sarà un oggetto, sarà una frase a sbloccarmi!” aveva cominciato la creazione  di quel trigger, digitando forsennatamente sulla consolle, qualcosa che poi avrebbe scansionato nella sua corteccia cerebrale.

“Una frase, una frase facile, che direbbe chiunque, che so ‘Che bella giornata di sole!’ o ‘Adoro i biscotti!’ …”

Per quanti sforzi facesse anche puntando contro lo schermo il cacciavite sonico, ogni frase proposta era bocciata e sullo schermo continuava a comparire la frase ‘Non sei più Dieci’.

“Oh no, andiamo! Mi prendi in giro? Non ha nemmeno senso quella frase… cioè un senso ce lo può anche avere ma chi mai mi dirà una frase simile? Le possibilità sono pressoché nulle…” si era arreso al proprio destino, mentre un mal di testa più forte dei precedenti annullava quel che rimaneva della sua coscienza e il TARDIS con i suoi classici scossoni atterrava sul pianeta Terra di un altro Universo.

Metacrisi, o meglio il suo aspetto fisico, la sola cosa che restava di lui, era uscito da quella strana cabina senza ricordare nemmeno perché ci fosse entrato.

Aveva l’aria spaesata di chi non aveva idea di dove fosse e uno dei passanti per la strada, un signore sui settant’anni, dall’aspetto gentile e bonario, gli si era avvicinato.

“Signore, si sente bene?” gli aveva domandato esitante.

“Dimmi dove ci troviamo. Luogo e anno.” gli aveva imposto l’inquietante interlocutore.

L’anziano non si era nemmeno azzardato a fargli notare quanto bizzarra fosse la sua domanda, no, lui voleva solo rispondere, desiderava ardentemente obbedirgli.

Jessica ormai aveva capito.

“New York. 18 Marzo 2013.”

Circa un anno più tardi lui l’avrebbe incontrata.

“Bene.” aveva risposto il più giovane, prima di sentire un impulso irrefrenabile di dargli un altro comando, solo per il gusto di poterlo fare.

“Va’ a gettarti sotto una macchina.” 

E sotto i suoi impassibili occhi e a quelli sconvolti di Jessica, il povero malcapitato aveva eseguito, suscitando l’orrore della folla circostante, che aveva provato a soccorrerlo, inutilmente.

Sterminare.
Però poco alla volta.

“Mi sento bene. Mi sento benissimo.” aveva sogghignato il persuasore, che ormai aveva ben chiaro chi fosse: lui era Killgrave.


Killgrave aveva tolto le mani dal volto di Jessica e quel suo insolito flashback interattivo era terminato.

“Mi credi, Jess?” le aveva domandato con quei grandi occhi scuri che cercavano di leggerle fin dentro l’anima.

“Neanche se mi scolassi tutto il whisky di questo fottuto mondo potrei avere un trip simile. Cazzo, sì che ti credo!” aveva annuito lei, ancora un po’ scossa. “Ecco come è successo tutto!”

“Ma soprattutto ecco come tu sei riuscita a porvi fine!” le aveva sorriso dolcemente lui. “Mi vorresti credere ancora di più?”

“E come?”

“Se ti mostrassi quella strana cabina che hai visto nei miei ricordi?” le aveva proposto.

“E perché mai una cabina sgangherata dovrebbe cambiare le cose?” l’aveva guardato scettica lei.

Lui aveva sfoderato uno di quei sorrisetti da lupo machiavellico.

“Perché ancora non ci sei entrata.”

TBC

Tecnicamente, il prossimo sarà l’ultimo capitolo, anche se c’è già qualcuno che ha richiesto un sequel … e con me quella parola è pericolosa XD

Vi dirò, inizialmente pensavo che questo capitolo sarebbe stato solo il flashback di John/Metacrisi/clone del Decimo Dottore… ma poi non mi convinceva, avrebbe appesantito troppo il ritmo… mi piaceva questa cosa di far vedere a Jessica i suoi ricordi, insomma, la trovo una cosa molto da Signore del Tempo ;)

Se qualche fan di Rose nonostante gli avvertimenti è incappata qui, me ne scuso, ma questa è esattamente la visione che ho di lei… potete vederlo come bashing, anche se avrei potuto far molto, molto peggio XD

Io adoro i Dalek ma ancora non li avevo mai ‘mossi’, spero di aver reso loro un minimo di giustizia, è un piano abbastanza malefico da essere nelle loro corde.. oops nei loro filamenti organici che hanno all’interno dei bidoni XD

Mi preparo a un’altra potenziale valangata di ortaggi o sassate, nei casi peggiori XD
 

Buonanotte
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III: Which of the two ***



yrnta-cover



III: Which of the two



“Aspettami qui.” le aveva detto Killgrave, alzandosi.

Per Jessica sentire di non dover più fare quel che le diceva era una sensazione meravigliosa.

“No, dove stai andando?” si era opposta.

“Ci metto un secondo.” aveva ribadito lui, già sulle scale

“Vengo con te.” si era impuntata lei.

“Jessica, ci tieni davvero così tanto a seguirmi nella mia camera da letto?” l’aveva messa in difficoltà lui, con un sorriso furbetto, l’aria divertita e le sopracciglia alzate, a enfatizzare il tutto.

“Uhm, okay, facciamo che ti aspetto qui.” era tornata a sedersi sul divano lei.

Una volta raggiunta la sua camera da letto, Killgrave era andato a colpo sicuro, aprendo il cassetto del comodino.

Una piccola chiave dorata scintillava in tutto il suo splendore.

Si era ritrovato quella chiave legata attorno al collo quando, spaesato come pochi, era uscito da quella cabina.

Non aveva mai capito perché ma aveva deciso di conservarla.

E ora era grato a se stesso per quella scelta più che giusta.

L’aveva presa, mettendola nel taschino della camicia, con un ampio sorriso.

“Cos’è quell’aria allegra?” lo aveva interrogato Jessica, sospettosa, appena era tornato in salotto.

“Ricordare è una cosa meravigliosa, ogni tassello va al suo posto e compone un puzzle di consapevolezza inattaccabile, ogni ingranaggio nella mia mente ricomincia a girare nel modo giusto, ogni…”

“Dacci un cazzo di taglio, ho capito, sei di nuovo quell’altro!” aveva alzato gli occhi la detective.

“Non è corretto, mia cara. Io sono entrambi e lo devo soltanto a te.” le si era avvicinato sorridente lui, in procinto di abbracciarla di nuovo.

Lei era scattata in piedi, correndo verso le scale.

“Fermo lì, me ne hai mostrata fin troppa di gratitudine!”

“I Signori del Tempo sono tipi affettuosi,” aveva borbottato lui.

“Può anche darsi, ma se compro il fottuto pacchetto 2x1 mi ritrovo ad abbracciare anche il sociopatico maniaco del controllo che mi ha rovinato l’esistenza e ne ha rovinate molte altre, quindi, no, non mi va.” lo aveva messo al suo posto Jessica. “A proposito, come ti dovrei chiamare ora? KillCrisi? MetaGrave?”

L’interpellato aveva scosso la testa con una smorfia di disgusto così tipica dello snob a cui si era abituata lei.

“Rose mi chiamava John, perché John Smith è il nome di copertura che usa il Dottore…”

Ecco la risposta a quella domanda che si era fatta lei, quando aveva vissuto i suoi ricordi.

“Non ti chiamerò mai John!” gli aveva restituito la stessa espressione schifata, prima di essere colta da un'illuminazione. “Kevin. Nel filmino che mi hai mostrato ti chiamavano così. Non importa se non erano veri ricordi, mi piace quel nome. Kevin. Ti chiamerò così.”

Le piaceva il suono. Le piaceva come usciva pronunciato dalla sua bocca. Le piaceva come lui la guardava quando lo faceva.

Quello era il nome perfetto per un lupo addomesticato.

“Jessica, tu puoi chiamarmi come vuoi,” aveva risposto lui, con il tono di voce e l’espressione da Killgrave. “Ti rendo le cose più facili, perchè non mi chiami ‘amore’?”

Lei gli aveva rivolto il suo migliore sguardo alla ‘Bitch, please!’.

“‘Stronzo’ mi viene più naturale!”

“Beh, ci ho provato.” aveva ridacchiato lui. “Va bene ‘Kevin’.”

“Lo so.”

“Bene, ora che hai un nome con cui chiamarmi, vatti a vestire, tra poco usciamo.” l’aveva avvisata lui, prima di recuperare la sua giacca color blu oceano.

“Io sono già vestita!” aveva protestato lei, offesa.

Lui le aveva fatto una rapida scansione dei suoi blue jeans strappati e T-shirt nera.

Di nuovo quell’aria snob così da Killgrave.

“Non ce l’hai qualcosa di più adatto? Beh, se non avessi distrutto l’abito che ti avevo regalato io ce l’avresti,” aveva borbottato lui, facendole alzare gli occhi. “Stiamo andando in un museo. La cultura si merita un po’ di eleganza.”

Jessica era rimasta ferma a guardarlo, i suoi grandi occhi ridotti a due fessure, le esili braccia incrociate al petto.

“Che c’è?” si era accigliato Kevin.

“Mi sto chiedendo se l’ultima cosa possa averla detta tu, Killgrave, oppure tu, Metacrisi.” aveva borbottato la detective.

A Kevin era sfuggita una risatina.

 

“Te l’ho detto, mia cara, perdi il tuo tempo a cercare di dividerci.”

“E comunque i musei a quest’ora sono chiusi.” gli aveva fatto notare Jessica.

Tra le loro chiacchiere e il lungo viaggio nei ricordi, ormai fuori era notte inoltrata.

 

“Non per me.” le aveva sorriso furbetto lui. “Per tua informazione, sappi che anche nel caso non avessi il mio potere, il Dottore è solito girare con una carta psichica, che altro non è che un pezzo di carta bianca, dove però la gente può leggerci dentro tutto ciò che il Dottore desidera!” le aveva rivelato, con un’espressione fiera.

“Comincio a pensare che anche il Dottore sia un grandissimo stronzo!” aveva berciato lei.

“Ci sono giorni in cui non è dei più amabili,” aveva fatto spallucce Kevin. “Il punto è, vedi? Il pallino del controllo l’ho sempre un po’ avuto. Peccato che non ho una carta psichica anche io, altrimenti te lo farei vedere, dovremmo ricorrere al vecchio metodo.”

“Come se la cosa ti dispiacesse!” aveva sbuffato lei. “E appunto perché la cosa non ti dispiace, dirai a tutti di non badare a come sono vestita io. La mia giacchetta e la sciarpa andranno benissimo!”

“Vado a chiamare Hank,” le aveva detto lui, mentre lei si vestiva. “Lo avrei anche lasciato andare ma sai… qualche volta ho guidato con Rose, ma sono parecchio fuori esercizio,” si era giustificato. “È un’altra la cosa che so guidare istintivamente.”

 

“E cosa? La cabina telefonica?” lo aveva punzecchiato Jessica, convinta di fare la più divertente delle battute.

Kevin aveva preferito non dirle nulla.

“Piuttosto, per essere qualcuno che ti ha spezzato il cuore, mi sembra che questa Rose tu la stia nominando parecchio!”

E quella frase da dove le era uscita?
Con quel tono poi da… fidanzata gelosa? Non era certo la sua fidanzata, ma men che meno poteva essere gelosa… e di quale dei due poi?
Metacrisi? Quello era il passato, non aveva alcun senso.
Killgrave? Era contro ogni logica e razionalità.
Eppure…

 

“Oh, mio dio, Jessica, davvero sei convinta che io pensi ancora a Rose?” l’aveva interrogata lui, aspettando che lei alzasse lo sguardo per incrociarlo con il suo.

“Metti caso che ci fosse il modo di incontrarla, col potere di Killgrave la potresti avere e…” aveva mugugnato lei.

“E cosa? Le voglio bene da amico, le auguro una vita il più felice possibile, ma non la vorrei incontrare di nuovo, tantomeno la vorrei riconquistare.” aveva ammesso lui, in tutta sincerità. “Jessica, è soltanto te che voglio. Ma ci pensi? I Dalek mi avevano reso un essere terribile, incapace di provare sentimenti e nonostante questo, tu, meravigliosa Jessica Jones, mi hai fatto provare qualcosa, mi ha fatto interessare a qualcun’altro che non fossi io. E quando mi hai lasciato solo, lì ho proprio capito di amarti, io che meno di tutti era previsto potessi amare di nuovo. Hai fatto un vero e proprio miracolo, come lo hai fatto stamattina quando hai pronunciato quella frase che c’era una probabilità su un fantastiliardo che venisse mai detta. Tu sei un miracolo, Jessica Jones.”

Ancora una volta, Jessica non sapeva bene quale dei due le avesse parlato, ma chiunque fosse, la cosa non l’aveva lasciata indifferente.

Aveva preferito non rispondere e anche durante tutto il tragitto in macchina erano stati in silenzio, questo prima di raggiungere il New York City Police Museum.

“Kevin, come mai hai scelto proprio questo museo?” aveva rotto il silenzio Jessica.

“Perché, se conosco la mia TARDIS, e la conosco, avrà fatto in modo di non dare nell’occhio.” le aveva fatto l'occhiolino lui.

Il suo intento era schiarirle le idee,  ma Jessica si ritrovava ancora più confusa di prima.

All’entrata c’erano due guardie, ma per Killgrave non sarebbe stato certo un problema.

“Signori, mi dispiace, il museo è chiuso a quest’ora.” aveva esordito uno dei due, mostrando il fisico imponente.

“Ci farete entrare senza fare storie e disattiverete qualsiasi tipo di allarme,” li aveva anticipati il persuasore. “E non badate a com’è vestita sciatta lei.” aveva aggiunto, guadagnandosi un terzo dito mostrato dalla sciatta ragazza in questione.

Ovviamente, le due guardie avevano obbedito.

Jessica aveva adocchiato con più interesse di quanto non volesse mostrare un poster con l'evoluzione dei mezzi di trasporto delle forze dell'ordine nel tempo, qualche vettura dell’epoca, le divise esposte nel corso degli anni, finché in fondo a un corridoio, accanto all’esposizione dei vari distintivi gradualmente mutati, Kevin aveva trovato quello che stava cercando.

“Ma quella… sembra la cabina che ho visto nei tuoi ricordi!” aveva notato Jessica, additandola.

“Non è che ti sembra, è.” aveva precisato lui con un sorrisetto.

Con nonchalance aveva scavalcato la sbarra che lo divideva da quella cabina telefonica per chiamare la polizia, così vintage, che insieme agli altri reperti non destava il benché minimo sospetto.

Aveva sfilato la chiave dal taschino della camicia, ma invece di usarla, prima aveva voluto fare un esperimento.

“Apriti.”

Dopo qualche secondo non era successo nulla.

“Ci avrei scommesso, a te non piace farti comandare,” aveva sorriso lui, fra sé e sé.

Era stato anche tentato di provare a schioccare le dita, ma poi alla fine aveva optato per il metodo più tradizionale per aprila, infilando la chiave.

“E tu come fai ad avere la chiave? L’hai rubata alle guardie? Ma non ti ho visto… “ aveva borbottato la detective.

“Niente affatto mia cara, questa cabina è mia, lo è sempre stata. Vogliamo entrare?” le aveva proposto.

“A malapena lì ci entra una persona. Brutto porco, se pensi di appartarci lì per pomiciare, giuro che ti…”

Le parole le erano morte in gola, non appena lui aveva aperto le porte di quella cabina.

Era piena di stanze, molte di più dell’ultima volta che Metacrisi ci era entrato. Col tempo quella TARDIS aveva apportato le varie modifiche, anche quelle che sapeva avrebbero incontrato il gusto del suo proprietario.

Le pareti, da dorate che erano, ora erano cambiate in ametista.
E aprendo uno degli sportelli Kevin vi aveva trovato il suo vecchio cacciavite sonico, con un upgrade: era un po’ più grande del precedente, ma soprattutto ora emetteva una luce viola.

“Tu però così mi vizi,” aveva detto alla sua astronave con un sorriso di approvazione, mentre Jessica era ancora intenta a guardarsi intorno.

 

“Ma che cazzo? È più grande all’interno!” aveva esclamato la ragazza, per poi uscire, fare il giro all’esterno e poi rientrare. Questo almeno tre volte.
 

“Ma com’è fottutamente possibile?” aveva aggiunto prima di un quarto giro.

“Quanto mi mancava vedervi fare così quando entrate la prima volta!” aveva ridacchiato lui, vedendola rientrare, per poi chiudere le porte, prima che uscisse un’altra volta. “Ecco, magari con un linguaggio un po’ meno colorito.”

“Ma è una figata assurda, come puoi pretendere che me ne resti composta?” aveva detto Jessica in sua difesa.

“Non lo pretendo, infatti. Ti dirò, ha più stanze dell’ultima volta che l’ho vista io e se tanto mi dà tanto…” aveva detto lui, cominciando a incamminarsi. “Ah-ah! Lo sapevo, ora ha pure un guardaroba. Non ci metterò molto, tu vai pure dove vuoi, cara, ma non toccare i comandi.” si era raccomandato, urlando da quella stanza, certo che lei lo avrebbe sentito.

Jessica si era limitata a fare un giro generale, affascinata da quante cose contenesse quella cabina magica o qualsiasi cosa fosse. Aveva anche visto un paio di stanze da letto, una palestra, una piscina e un acquario con pesci che non credeva nemmeno potessero esistere.

 

Kevin era stato di ritorno da lei nel giro di un quarto d’ora abbondante, ma lei era rimasta basita quando lo aveva visto.

Si era cambiato d’abito, ora indossava un completo gessato blu e delle scarpe da ginnastica bianche, ma non era questa la parte più scioccante.
Si era rasato la barba, cosa che lo svecchiava di parecchio e i suoi capelli erano tutti spettinati, con un ciuffo che andava nelle più disparate direzioni.
la sua riga da parte impeccabile sembrava un lontano ricordo.

“Sei… diverso.” aveva borbottato lei.

“Sono solo più me.” aveva replicato lui “Forse dovrei verniciare la cabina fuori di viola e…”

 

Il tempo di dirlo e uno scossone li aveva spinti a terra.

“Cos’è? Un terremoto?” si era spaventata Jessica.

 

“Tranquilla, è solo la mia astronave molto permalosa.” l’aveva rassicurata lui, mentre si rialzavano. “Eh sì, hai ragione tu, sei già stata molto gentile a riarredarti all’interno, me lo farò bastare.” aveva trovato un compromesso con la TARDIS.

“Ovviamente, mia cara, non siamo venuti qui solo per i vestiti.”

“Ah, no?”

“Jessica, so quello che ti ho fatto e ti chiedo scusa… so che non serve dire che non ero davvero in me… tu hai conosciuto solo ‘quel’ me … però quel me unito al me ritrovato può sistemare le cose, non tutte, ma una delle più importanti.”

Mentre le parlava, Kevin aveva cominciato a impostare quei comandi coi quali aveva una gran familiarità.

Jessica aveva continuato a osservarlo, senza capire.

“Dopo quello che sto per fare, per te bere tornerà a essere solo un piacevole intrattenimento, non un modo per annegare i tuoi sensi di colpa.”

Questo era stato più di un indizio per lei, che finalmente aveva compreso il suo piano.

 

“Oh, mio dio, Kevin, davvero hai intenzione di…?”

Lui non le aveva nemmeno risposto, aveva impostato le coordinate e quella cabina aveva iniziato a emettere uno strano suono.

“Tra qualche minuto saremo a destinazione, hai già capito dove, no? Bene, ora però accetta un consiglio: aggrappati a qualcosa, ma non metterci tutta la tua superforza, ti sarei grato se non mi sfasciassi la mia TARDIS!” l’aveva fatta ridere lui.

L’atterraggio non era stato dei più docili, quindi aggrapparsi era servito.

Erano arrivati a destinazione.

Prima di uscire, Kevin le aveva fatto strada al guardaroba, lì c’erano anche felpe scure col cappuccio che potevano fare al caso suo.

“Jessica, prima che apra queste porte, lascia che ti dica una cosa: stiamo per fare qualcosa di molto folle, pericoloso e soprattutto vietato, che potrebbe avere conseguenze spiacevoli, ma dovrei essere preparato ad affrontarle.”

“Dovresti?” aveva sottolineato lei, che non si sentiva molto rassicurata a riguardo.

“Lo spero,” era stata la sua traballante risposta. “Mancano pochi minuti a quel momento che ben conosci. Sta per accadere là fuori. Sai già quello che devi fare, ti chiedo solo di non toccare in alcun modo la te del passato. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un paradosso nel paradosso!” si era raccomandato lui.

Finalmente le porte erano state aperte, Kevin era rimasto nascosto nei paraggi, mentre Jessica si era avvicinata furtiva al trio di suo interesse.

La Jessica del passato, vestita con un lunga giacca di renna rivestita di soffice pelo bianco, molto elegante, e degli stivali griffati, aveva appena finito di scavare nell’asfalto, a costo di farsi sanguinare le dita, recuperando la cassetta di metallo che conteneva la preziosa chiavetta.

Il Killgrave del passato, protetto dal freddo di quella notte da un cappotto scuro di cachemire abbottonato fino al mento,  aveva sorriso soddisfatto, mentre Reva, la guardia lì di turno quella notte, li stava guardando confusa, incapace di proferire una sola parola.
Aveva come la sensazione che stava per succederle qualcosa di orribile, che non avrebbe più fatto ritorno a casa, che non avrebbe nemmeno potuto dire addio al suo amato marito.

“Occupati di lei.” aveva ordinato Killgrave a Jessica.

Il momento che la Jessica del presente e in qualche modo anche del futuro stava aspettando.

Fulminea come un ghepardo si era avventata su Reva, prendendola fra le sue braccia e saltando via con lei, prima che l’altra Jessica la colpisse col suo pugno fatale.

 

Kevin era rientrato nella sua cabina, facendola svanire con sé, per poi ricomparire sopra il terrazzo dove era atterrata anche Jessica, con una Reva svenuta per l’emozione.

“Vieni, che ti perdi lo spettacolo.” le aveva fatto un cenno Kevin, appoggiato alla ringhiera, dove dalla strada potevano osservare le loro versioni del passato. “Prima di parcheggiare qui ho lasciato nascosto un microfono, la TARDIS ci farà da altoparlante.”

“Sei un genio, Kevin.” gli aveva sorriso lei.

“Sì, sono piuttosto brillante,” aveva risposto senza false modestie lui.

La Jessica elegante e Killgrave si stavano guardando stupiti.
Entrambi avevano visto quella misteriosa figura nera, opportunamente incappucciata, saltare in alto, troppo in alto per un normale essere umano.

“Dici che c’è qualcun’altra come te?” aveva azzardato Killgrave.

“Bene, allora perchè non vai a corteggiare lei e lasci in pace me?” aveva brontolato lei, in procinto per andarsene.

“Non mi importa nulla se c’è qualcun altro come te. Non è te. Ed è solo te che voglio.” l’aveva fermata, prendendola gentilmente per un braccio lui.

“Oh, come sono fortunata!” aveva palesemente finto di rallegrarsi lei.

“L’importante è che ho ottenuto quello che volevo… e quella Reva l’abbiamo spaventata a dovere, non parlerà.” si era accontentato del risultato lui.

Tu l’hai spaventata!” aveva precisato lei.

“E chi mi ha dato un aiuto considerevole nel farlo?”

“Perché tu mi hai costretta!” aveva protestato lei. “E c’è di più… io avrei potuto ucciderla. Tu volevi che lo facessi!”

Quella consapevolezza aveva fatto scattare qualcosa in lei e aveva cominciato a indietreggiare.

“No, ti ho solo chiesto di occuparti di lei, è diverso.” aveva chiarito lui, che aveva notato quel suo atteggiamento.

Lei ormai non lo stava più ascoltando.

“Avresti fatto di me un’assassina…” l’aveva guardato con disprezzo, prima di attraversare la strada.

“Lasciami spiegare. Andiamo.” aveva cominciato ad attraversare la strada anche lui. “Torna subito qui, Jessica!” aveva alzato la voce, ma non sembrava aver cambiato alcunché.

Lei non rispondeva più ai suoi comandi.

“ADESSO, JESSICA!” aveva gridato, prima di sentire il clacson di un pullman, troppo tardi perché potesse evitare di venire investito.

Lei aveva guardato la scena, sgranando gli occhi, ma poi se ne era andata, riassaporando la ritrovata libertà.



La Jessica del presente e Kevin avevano visto e sentito tutto.

“Ouch, fa male vedere la propria morte!” si era lamentato lui.

“Il solito esagerato. Qualche mese , due reni ed ecco che tornerai come nuovo!” aveva sdrammatizzato lei, facendo spallucce.

“Tanto che c’eravamo avremmo potuto anche evitare l’impatto col pullman, no?”

“No, non era necessario evitarlo. Anzi, ben ti sta, si può riportare il tempo indietro di trenta secondi e rivederlo?”

“Certo che sei proprio perfida!” aveva rimbrottato lui, offeso.

Questo prima che lei lo prendesse per il bavero della giacca, tirandolo a sé per un bacio piuttosto prolungato, quasi come se aspettasse una sua reazione.

Kevin non aveva esitato più di qualche secondo a rendersi partecipe, portando quel bacio a un livello più profondo e appassionato.

“Era perfido anche questo?” si era separata da lui, con un sorriso impertinente.

“Uh? N..no, niente affatto…”

Kevin era ancora un po’ stordito, prima che sentisse qualcuno lamentarsi.

Reva si stava svegliando.

“Ora che facciamo?” si era agitata Jessica.

“Mi occupo io di lei… in senso buono!” si era affrettato a chiarire lui.

Non appena la guardia di sicurezza aveva aperto gli occhi, Kevin le aveva posato le mani sulla faccia, stavolta con un intento diverso da quello che aveva avuto con Jessica.

“Questa è stata una notte come le altre, non è accaduto nulla di diverso, quando ti accorgerai che non c’è più quella cassetta penserai a un banale furto. Sei salita quassù perché volevi prendere una boccata d’aria. Ora va' a casa, appena uscirai da quest’edificio dimenticherai il nostro incontro.”

Jessica stava  osservando il suo operato, pur non sapendo bene di quale dei due fosse, quello del potente persuasore o dell’imprevedibile mezzo Signore del Tempo.

Ne era comunque affascinata.

 

Reva si era alzata, non sembrava nemmeno essersi accorta di loro e aveva lasciato il terrazzo come se nulla fosse.

Jessica era in procinto di dire qualcosa a Kevin, quando le era sembrato quasi di vedere un piccolo squarcio aprirsi in quel cielo scuro, dal quale era fuoriuscita una creatura mostruosa, un incrocio da un pterodattilo e un gargoyle.

“Quello che cazzo è?” aveva chiesto a Kevin, preparandosi a combattere.

“Sapevo che sarebbe successo, è il prezzo da pagare quando pasticci un po’ troppo con il tempo,” aveva borbottato lui, mentre una seconda orribile creatura volatile si aggiungeva alla prima.

I due inquietanti volatili giganti gracchiavano il loro disappunto, in procinto di attaccare.

“Sono delle specie di batteri che si sono infilati dentro questa ferita nel tempo che abbiamo causato, non si fermeranno finché non l’avranno sterilizzata.” le aveva spiegato lui.

“Temo di aver capito cosa significa e non mi piace per niente!” aveva ribattuto lei, sollevando un grande vaso di cemento per lanciarlo contro la prima creatura, ripetendo il procedimento con la seconda.

Li aveva storditi ma solo per pochi secondi.

“Lasciami tentare una cosa… col potere mentale rafforzato  che ho ora unito a quello da Signore nel Tempo e la TARDIS che può tradurre in qualsiasi lingua… sì, ci posso riuscire!” aveva preso coraggio Kevin, rivolto ai due mostri che stavano per attaccarli.

“Andate via, non c’è alcuna ferita nel tempo, vi siete sbagliati, niente è stato alterato, il vostro intervento è inutile.” li aveva guardati impavido, scandendo bene le parole.

Dopo qualche secondo di tensione le due creature avevano riaperto lo squarcio nel cielo, svanendo al suo interno.

Tutto era tornato alla normalità.

 

“Non ci credo, ci sei riuscito, Kevin!” lo aveva abbracciato Jessica.

“Non ci credo nemmeno io, ma ha funzionato!” le aveva sorriso lui.

“Possiamo sistemare un sacco di cose, possiamo impedire che tu faccia suicidare Ruben o che Hope ammazzi i suoi genitori o…”

Kevin l’aveva guardata tristemente, mentre rientravano nella TARDIS.

“Non è qualcosa che posso rifare, quelle creature orribili non riuscirò a ingannarle una seconda volta, mi è andata bene adesso, se non ci fossi riuscito le avresti viste banchettare con chiunque, finché non avessero trovato Reva.” le aveva spiegato. “Potevo scegliere di impedire una sola morte.”

“E hai scelto quella che mi angosciava di più. Grazie, non lo dimenticherò.” lo aveva guardato seria Jessica. “Mi sento così leggera, mi spiace solo che per Hope non possa essere altrettanto.”

“Spiace anche a me, ma magari mi invento qualcosa per farla uscire di prigione, eh?” gli aveva proposto, guadagnandosi un altro bacetto, stavolta più rapido e casto, ma non meno significativo.

 

“Hai detto che quello che hai fatto è opera di un lavaggio del cervello da parte di questi tuoi strani nemici… mi hai liberato dal mio senso di colpa, ma tu come puoi fare i conti con il tuo?” gli aveva chiesto, mentre lui impostava le coordinate per fare ritorno.

“Ho sterminato un’intera specie, annientati uno a uno … guardandoli impassibile mentre succedeva.”

Jessica lo stava ascoltando sconvolta.

“Hai capito bene, l’ho fatto per una giusta causa, ma il Dottore non mi ha perdonato per questo, diceva che ero pericoloso, che avevo un’oscurità latente e andavo confinato, ecco perchè mi ha lasciato nell’universo di Rose. Ma, come hai visto, i Dalek mi hanno trovato lì e hanno fatto leva su questa oscurità… tu invece, Jess, la stai estinguendo, da quando i miei occhi si sono posati sui tuoi.”

Jessica aveva accennato un sorriso, ma poi si era ravveduta.

“Estinguendo un cazzo! E la scia di sangue e dolore che ti sei lasciato dietro le tue spalle?” aveva sbottato lei “E non provare a dire che è stato a causa mia, non sono io la responsabile di quelle morti!”

“Te l’ho detto, ero sotto l’influsso dei Dalek, mi hanno fatto credere di essere la spietata creatura che sono stata, mi hanno fatto credere di poter avere il mondo ai miei piedi e ho fatto quello che ho fatto. Ma, come ti ho detto, io ho annientato un’intera razza, quella dei Dalek, che vuoi che siano in confronto le morti dei pochi appartenenti alla vostra specie? Che ormai è anche la mia, dato che stavolta ho un cuore solo.”

“Un cuore solo? Da come parli non sembri nemmeno averne uno!” lo aveva accusato lei, sprezzante.

“Il Signore del Tempo che mi ha generato ha due cuori, come ti ho spiegato, lui è parte di me e io sono parte di lui, la differenza è che a me resta un solo cuore e un solo corpo che non si rigenererà, ma invecchierà regolarmente.” l’aveva informata,  ammirandosi nelle pareti viola riflettenti. “Però, che corpo, eh?”aveva aggiunto con  un sorrisetto sfrontato che le aveva fatto alzare gli occhi.

Nel frattempo erano tornati nella vecchia casa di Jessica, in quel salotto dov’era cominciato tutto.

“Jessica Jones. Jones. Ho conosciuto un’altra Jones brillante, ma era solo un’amica, una buonissima amica, lei forse la pensava diversamente.” aveva commentato lui, rimanendo appoggiato contro la cabina.

“Se stai cercando di farmi ingelosire anche con le mie omonime non attacca!”

 

“Vorresti viaggiare con me?” le aveva chiesto a lui, a bruciapelo.

“Come, scusa?”

“Che ne dici? Io e te, una cabina che viaggia nello spazio e nel tempo, possiamo andare ovunque tu voglia. E quando torniamo qui, posso aiutarti con le tue indagini, sono bravo, sai… una volta ho aiutato anche Agatha Christie!”

Lei lo aveva guardato corrucciata, ma poi era scoppiata a ridere.

“Mi sa che tu sei addirittura più spaccone di Killgrave!”

“Ti ho già detto che siamo la stessa persona, non dovresti continuare a scinderci.”

“Avrò modo di smettere di farlo, fra un viaggio e l’altro, che dici?” aveva ammiccato lei.

Lui si era acceso di entusiasmo.
Jessica non avrebbe saputo dire quale dei due. Probabilmente entrambi.

“Stai dicendo che accetti?”

 

“Accetterò, Kevin, ma a due condizioni: la prima è che non sarò la tua Companion in senso romantico,” si era affrettata a chiarire lei.

“Nemmeno un bacetto per ogni pianeta nuovo che ti mostro?”

“Vedremo…”

Kevin l’aveva guardata con uno sguardo fin troppo speranzoso, forse perchè sapeva quale carte giocarsi.

“E qual è la seconda condizione?”

Jessica era corsa alla consolle, con l’entusiasmo di una bambina.

“Insegnami a pilotare la TARDIS!”

 

--
FINE



Vi lascio a immaginare questi due a combinare casini fra un pianeta e l’altro… fra un bacetto e l’altro, perchè sono confidente quanto Kevin su ciò ;)

Un po’ di note:

Ne caso non vi fosse chiaro dopo centordici storie che scrivo su di loro, Jessica che chiama Killgrave ’Kevin’ è un mio grandissimo kink, fatevene una ragione ^^’

Chi conosce ‘Doctor Who’ avrà sicuramente colto i riferimenti all’episodio ‘Il padre di Rose’ (il mio preferito di tutta la season con Nine) … forse ho facilitato un po’ le cose, però insomma.. Killgrave aveva il limite di poter esercitare il suo controllo solo sugli esseri umani , la TARDIS può farlo comprendere in qualsiasi lingua… per me ci poteva stare ^^’

Mentre chi conosce ‘Jessica Jones’ di sicuro avrà riconosciuto quel flashback così iconico che compare in ben più di un episodio ;)

Un mini richiamo a Martha Jones, la mia Companion preferita del Decimo Dottore, ci stava tutto <3


Spero che vi sia piaciuta e vi abbia divertito o stupito a seconda dei momenti, liberi di dirmi quello che vi pare ;)

Appuntamento con ‘Best Intentions, Wrong Ways!’ , spero presto, e poi potrebbe arrivare qualcosa di nuovo e molto molto MOLTO folle.

 

Un giorno la smetterò… forse.

‘Notte che è tardino.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3955449