Agosto, dicembre, agosto

di mystery_koopa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sabbia e ceneri ***
Capitolo 2: *** La volontà di perdere ***
Capitolo 3: *** Sette estati fa ***



Capitolo 1
*** Sabbia e ceneri ***



PRIMA PARTE – SABBIA E CENERI
 

Mi aveva sempre fatto sorridere come quasi tutti amassero o odiassero le ricorrenze prestabilite, senza alcuna via di mezzo, mentre per me il cenone di Natale con i parenti, i fuochi d’artificio a Capodanno o le feste in maschera di Carnevale erano serate noiose come qualsiasi altra, probabilmente da sempre.
Alex mi aveva sempre rimproverato per l’indifferenza che dimostravo ogni volta di fronte alle sue proposte, ancor di più quando il mio fastidio diveniva evidente anche in pubblico, davanti ai suoi altri “amici”. Già il fatto che chiamasse così persone con cui si era ubriacato una volta costituiva un buon motivo per seguirlo nelle sue uscite. Non che stessi male da solo, ma, per quanto ne risultassi piuttosto seccato ogni volta, mi sembrava quantomeno corretto nei miei e nei suoi confronti rompere la monotonia delle nostre serate, qualche volta.

Il falò di Ferragosto rientrava pienamente nella categoria: ogni anno speravo che il fuoco fosse stato acceso in un’area protetta in modo che l’intervento delle forze dell’ordine per disperdere Alex e la sua allegra compagnia movimentasse la serata, ma queste mie aspettative venivano puntualmente disattese. Non potei fare a meno di ridere da solo mentre un belloccio qualsiasi provava a intonare una canzone di Ed Sheeran alla chitarra.

“So a cosa stai pensando, Cesare. Ti odio quando fai così”.
“Quando l’anno scorso la mia battuta sulla polizia in tenuta antisommossa ti ha aiutato ad avvicinarti a quella bionda che poi ti sei portato a letto non eri della stessa idea, però”.
“Vaffanculo”.
“Sono una brutta persona se ti chiedo di prendermi qualcosa da bere? Faccio volentieri a meno di avvicinarmi al cantante, sai com’è, almeno qui i suoi versi sono un po’ coperti dal rumore delle onde sugli scogli”.
“Sì, lo sei. Alzati e vieni con me, se proprio non vuoi sentire il ragazzo di Alice passeremo dall’altro lato”.
“Ma non si erano lasciati due settimane fa?”
“Ah già. Ma pare che presto ritorneranno insieme”.
La serietà della relazione tra quei due aspiranti bagnini di Malibù aveva finito di sorprendermi. Dopotutto lei era amica di Alex, e in quanto tale il suo comportamento sociale era ampiamente prevedibile.

Pur avendo preso la strada più lunga, in pochissimi minuti arrivammo al tavolo in legno adibito a rinfresco, da cui prendemmo una birra a testa. In quella zona della spiaggia il rumore era talmente elevato che persino Alex preferì allontanarsene velocemente.
Passando vicino al falò non potei fare a meno di notare Alice, evidentemente sbronza, in piedi di fianco a un ragazzo che continuava a parlarle a una velocità impressionante.
“Sicuro che lei e il suo forse-ex torneranno insieme?”
“Sei troppo malizioso, stanno solo parlando!”
“Non mi riferivo necessariamente a quello là. A proposito, sai chi è? Non mi sembra di averlo mai visto prima in una delle nostre divertentissime uscite”.
“Simpatico come al solito. Ma… tutto questo interesse da dove viene, non è che ti piace?”
Lo guardai male. Rivolsi poi lo sguardo in direzione di Alice: in effetti, il suo amico era proprio carino, anche se non l’avrei esattamente definito il mio tipo ideale.
“Ma se l’ho appena visto!”
“Lo sapevo! Comunque si chiama Massimo, l’ho conosciuto sabato scorso al Laser”.
Scoppiai a ridere sotto lo sguardo perplesso del mio amico.
“Tranquillo, chiedevo solo perché mi sembrava strano incontrare qualcuno che parla più di te. Sapere che l’hai incontrato al Laser dice tutto, del resto”.

“Non capisco cos’hai contro quel locale. Dovresti smetterla di criticare i posti in cui ti porto, visto che senza di me saresti già marcito a letto”.
Finii in un sorso la birra e lasciai cadere la conversazione, poi osservai ancora una volta Massimo, se così si chiamava. I lineamenti dolci del suo viso mi ispiravano simpatia, e, considerando che a prima vista avevo sempre detestato qualsiasi altro loquace amico di Alex, già non era male.

Non sapevo con certezza quanto tempo fosse passato, ma la situazione non era cambiata molto. Alice e il chitarrista avevano litigato davanti a tutti lanciandosi dietro un paio di piatti di plastica, ma fortunatamente si erano fermati lì. E, per quanto fossi il primo a trovarlo strano, quella notte non ero infastidito come al solito: forse era merito della presenza del mare, forse del fatto che Alex non aveva bevuto nulla oltre a quella prima birra per poter tenere d’occhio la sua amica in caso le cose fossero precipitate.

“Non si sta così male stasera, non fa nemmeno troppo caldo”.
“A furia di partecipazioni a queste feste ti ci sarai abituato anche tu. Anche se davvero, non so come cazzo fai a non morire di noia… senza aver bevuto nulla il tempo passa il triplo più lentamente. La prossima volta dovrò farti bere, altrimenti ci credo che prendi per il culo i miei amici se l’unica alternativa che hai è girare i pollici!”
Il chitarrista sembrava disperato e non la finiva di piangere e lamentarsi. Lo indicai con supponenza.
“Finché i tuoi grandi amici si comportano in quel modo…” Sapevo che l’avrei infastidito.
“Potrebbero dire la stessa cosa di te”.
“Ognuno la pensa come vuole sugli altri, non è questa la cosa divertente della socialità?”
“Come ti prenderei a schiaffi in questo momento, te lo meriteresti!”
Ridemmo insieme, anche perché aveva ragione.

“Vedo che almeno qui vi state divertendo! Vicino al falò la festa è finita da un pezzo… non che la lagna di prima fosse molto diversa da quella che Stefano sta facendo ora, ma almeno c’era un coro in sottofondo. Tu sei Alex, quello dell’altra sera, vero?”
“Massimo, che piacere ritrovarti! Lui è Cesare, un mio amico”.
“Cesare, piacere di conoscerti. Come mai questo nome altisonante?”
“Sinceramente non ne ho idea. Piacere mio”.
Il tono della mia voce aveva evidentemente espresso tutt’altro messaggio, tanto che il ragazzo cambiò subito argomento.
“Che ne dite di bere qualcosa? Qui pare che la stiano tirando per le lunghe”.
“Volentieri, e anche subito. Ma sai che fine ha fatto Alice? L’abbiamo vista con te prima della scenata”.
“Pare che una sua amica l’abbia riportata a casa in condizioni decisamente poco dignitose”.
Sorrise rivolto a me; io ricambiai, forse arrossendo leggermente.
Per quanto Massimo fosse decisamente invadente per i miei gusti non potevo fare a meno di ammirarne lo spirito critico, cosa di cui tutti gli altri amici di Alex erano completamente sprovvisti. E nonostante mi rifiutassi di darlo a vedere, lo trovavo molto attraente: le sue labbra sottili piegate in un sorriso ironico mi avevano fatto sciogliere, sebbene me ne vergognassi.

Sapendo che la sua amica era ormai lontana Alex si avvicinò agli shots, deglutendone tre in meno di un minuto. Sorrisi ancora in direzione di Massimo, ma probabilmente lui non se ne accorse, essendo troppo impegnato ad osservare le disavventure del nostro amico comune alle prese con l’alcool, e io tirai un sospiro di sollievo, mi stavo sentendo veramente stupido. E poi, se anche lui fosse stato vagamente interessato a un ragazzo, cosa già di per sé poco probabile, dubitavo fortemente che mi avrebbe anche solo degnato di uno sguardo. E di certo le mie risposte acide non stavano migliorando la situazione. Che deficiente che ero, lì fermo in piedi a farsi film mentali come un ragazzino di quattordici anni mentre tutti intorno si stavano divertendo, o almeno fingevano di farlo. Ancora una volta mi sarei preso a schiaffi da solo, possibile che dovessi sempre ridurmi così?

“Tutto a posto?”
Ecco, la situazione stava peggiorando ancora.
“Sì, scusami, mi sono distratto un secondo”.
“Volevo solo dirti di avvisare Alex che me ne sto andando, ormai sono già le tre”.
Non credevo fosse passato così tanto tempo. Alex si avvicinò di corsa, barcollando leggermente.
“Cosa? Ma dai, si sa che bisogna rimanere in spiaggia fino al mattino, quando il falò si spegne!”
“È meglio che vada ora, lo sai che non riesco a dormire di giorno”.
“Ma esattamente, se ci siamo parlati solo un paio di volte, com’è che dovrei saperlo?”
“Ciao, Alex. Scusami se non sono venuto a salutarti prima, ma sai con Alice e tutto il resto… Ciao anche a te, Cesare”.

Ci strinse la mano e si allontanò velocemente verso il lungomare, quasi come se avesse fretta di sparire. Alex tornò a bere, ma per una volta mi rifiutai di seguirlo, sapendo che non sarebbe più stato di nessuna compagnia. Tornai, camminando piuttosto lentamente, sul lato della spiaggia più vicino agli scogli. Il chitarrista aveva finalmente finito di lagnarsi e si era addormentato di fianco al falò, sotto gli occhi falsamente dispiaciuti di due ragazzine.

 
*

Alle prima luci dell’alba quel che rimaneva del fuoco fu spento e i pochi superstiti della serata precedente se ne andarono. Salutai Alex, che dopo un altro drink si era addormentato su una sdraio trovata per caso finché non era stato fatto alzare di peso, ma rimasi alla spiaggia.
Immersi i piedi nudi nella sabbia ormai fredda, appoggiando la schiena a uno scoglio e sospirando al contatto della roccia umida con la mia pelle. Pensai di gettarmi in mare per un bagno improvvisato, ma l’idea di dover tornare a casa per lavarmi mi fece desistere subito dopo: normalmente l’avrei fatto più che volentieri, ma in quel momento l’idea di rincasare quasi mi disgustava, come se il fatto che lo stessero facendo tutti mi causasse un fastidio mai provato prima. Pur essendo stato in piedi tutta la notte non avevo nemmeno sonno, e non avvertivo alcun’esigenza, come se perdere tempo con i piedi sotto la sabbia fosse l’unica cosa meritevole d’attenzione.

Alle sei e mezza del mattino la spiaggia era deserta: oltre a me vedevo soltanto due anziane insonni intente a passeggiare sul bagnasciuga sperando di guarire dai reumatismi e qualche sparuto corridore. Faceva freddo per essere il sedici di agosto, e il cielo era coperto.
Mi alzai faticosamente e mi incamminai verso il bar del lido, ormai chiuso. Percepii le gambe pesanti, e poi, improvvisamente, un freddo interiore, senza capire da dove provenisse. A metà del percorso raggiunsi la postazione in cui era stato allestito il falò, ormai ridotta a un cumulo di braci e ceneri. Ne riempii il pugno, lasciandole poi ricadere fino a mescolarsi con la sabbia. Mi sentivo allo stesso modo: bruciato, ormai inutile. Legato a un elemento a cui non appartenevo.

“Cesare!”
Mi girai lentamente, sorpreso. Un ragazzo in tenuta da runner stava correndo verso di me dal bagnasciuga. Istintivamente gli rivolsi un sorriso, anche se amaro.
“Non pensavo di trovarti ancora qui, vestito come stanotte… perché non sei andato a casa? Anche perché non vedo nessun altro rimasto qui dopo la festa”.
“Mah, non saprei, semplicemente mi andava di restare. E tu invece, Massimo? Sei andato via dal falò poco più di tre ore fa e sei già qui a correre con aria riposata… non mi sembra molto un comportamento da sportivo!”
Rise. “Hai ragione. Sai, è da quanto ho rotto con il mio ex ragazzo, ormai tre mesi fa, che non riesco a concentrarmi durante la giornata se non ho speso delle energie già al mattino. Non è che mi distraggo, ci penso lo stesso, ma forse con meno forza… non so se ci sei mai passato. Non lo so, sono mesi un po’ difficili e non so nemmeno quello che voglio fare”.
Dovetti guardarlo in modo strano perché un secondo dopo l’espressione sul suo volto divenne dispiaciuta, quasi spenta.
“Scusa, non avrei dovuto… è che tendo a raccontare troppo, l’avrai notato, anche se abbiamo parlato pochissimo so benissimo che non sei stupido. Se per te è un problema me ne vado, davvero”.
“Che cosa, scusa?”
“Eh il fatto che ho… cioè, ho avuto un ragazzo, e quindi-”
“Perché dovrebbe esserlo? Tranquillo, non sono quel tipo di persona”.
Mi guardò sollevato, e i lineamenti del suo viso si distesero. Espirò profondamente e poi mi sorrise.
“No è che so che sei amico di Alex e quindi…”
“Spero che da ubriaco non ti abbia detto cose che da sobrio non penserebbe mai. Lo conosco da anni, non lo farebbe mai”.
“L-lasciamo perdere”. Abbassò lo sguardo.

Non ho idea del perché lo feci, ma gli afferrai la mano. Di rimando strinse la mia con forza, riempiendosi l’avambraccio di cenere. Ci guardammo negli occhi per un istante: li avevi castani, molto chiari, anche se la sera prima avrei giurato che fossero quasi neri. Scoppiammo a ridere e distogliemmo lo sguardo dopo un secondo, imbarazzati.
“Scusami, dovrei imparare a starmene zitto”.
“Scusami tu per averti riempito di cenere, non ricordavo di avere le mani sporche. Non hai nulla di cui preoccuparti, se non della tua maglietta bianca”.
Ridemmo nuovamente, stavolta di gusto, e pensai che se l’avesse tolta sarebbe stato molto meglio, ma mi morsi la lingua. Non avevo certo bisogno di un’ennesima persona mi dicesse che facevo schifo o che ero ridicolo. La spiaggia era totalmente vuota, anche i radi passanti che avevo visto in precedenza erano scomparsi in lontananza. Sentii il rumore di una saracinesca alzata.

E poi mi baciò. Fu veloce, tanto che quasi non me ne accorsi. Credo che mi irrigidii, e lui di conseguenza si fermò un secondo. Poi mi guardò negli occhi e si riavvicinò a me.
Sentii la pelle delicata del suo viso sul mio e mi mancò il respiro. Non riuscivo a pensare a nulla, nemmeno a quanto fosse assurdo tutto ciò che stava accadendo. Iniziai a sudare nonostante il freddo.
Le sue labbra toccarono di nuovo le mie e, di riflesso, strinsi le braccia intorno al suo corpo, che sussultò lievemente al mio tocco; d’improvviso avvertii alcune gocce d’acqua sulla testa: in pochi istanti eravamo completamente fradici sotto la pioggia battente, ancora uniti in un bacio degno di un qualsiasi film romantico irrealistico e assurdo, o, ancora peggio, a metà tra un sogno ad occhi aperti e una canzone country degli anni Duemila. Ma per una volta non m’interessava.
“Abito a due minuti da qui. Puoi venire con me, se ti va”. Mi sorrise ancora, e non riuscii nemmeno a rispondergli.

La sua maglietta bianca, sporca e bagnata, era stata gettata a terra, mentre le mie mani percorrevano finalmente il suo corpo nudo. Lo spinsi sul letto e ripresi a baciarlo, scendendo sempre di più: al contatto con il suo collo lo sentii sospirare rumorosamente, ma continuai fino a raggiungere la sua intimità, coperta da un ultimo strato di tessuto che rimossi lentamente, guardandolo negli occhi. Lo vidi arrossire, mi fermai per un secondo. Gli sorrisi e una lacrima mi scese leggera lungo la guancia; lui l’asciugò con la mano, prolungando il più possibile il contatto col mio viso. Lo desideravo, come mai avevo in passato. Lo baciai ancora, passandogli le mani tra i capelli, e delicatamente ripercorsi il suo addome, sentendolo gemere al contatto del suo sesso con la mia barba leggera.

 
*

Appoggiai la testa alla sua spalla e gli passai una mano sul petto, sentendone ogni movimento dovuto al respiro affannoso. Non sapevo se fuori stesse ancora piovendo, ma non ero intenzionato ad andarmene: in quel momento Massimo, da nulla, era diventato la mia unica necessità.
Mi addormentai con lui. E mi riaccesi.







 
[2500 parole]
 
SPAZIO AUTORE:
È passato quasi un anno dall'ultima volta in cui ho pubblicato una vera e proprio oneshot, e sono felice di essere riuscito a farmi questo regalo proprio il giorno di Natale, grazie anche ai bellissimi prompt di Juriaka.
Non pensavo che mi sarebbe mai successo, ma per la prima volta ho fatto molta fatica a rientrare nel limite di parole, se avessi potuto aggiungerne ancora credo che ce ne sarebbero state almeno mille di più, e questa storia le avrebbe meritate e necessitate. Spero di riuscire a pubblicare al più presto anche i due racconti successivi.
Grazie a tutti coloro che apprezzeranno e leggeranno, e buone feste a tutti!
mystery_koopa

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Capitolo 2
*** La volontà di perdere ***



SECONDA PARTE – LA VOLONTÀ DI PERDERE
 

La prima cosa che incontrai aprendo gli occhi furono i suoi: era sereno, nonostante fosse evidente che un residuo velo di sonno gli stesse ancora annebbiando la vista. Sbadigliò lentamente e mi sorrise, mentre io distolsi lo sguardo, godendomi per un ultimo istante il contatto del mio viso con la sua pelle.
“Spero di non averti disturbato anche stanotte…”
“Non preoccuparti, mi basta averti accanto per dormire benissimo”.

Non era la verità, lo sapevamo entrambi. Lo percepivo dal suo tono di voce, dallo sguardo distratto e stanco, e me lo sentivo: era rimasto sveglio per l’ennesima volta, per colpa mia. Mi odiavo. E più mi ripetevo di odiarmi e più volevo gridarlo ad alta voce, e sentendomi lamentarmi sull’odio che provavo per cose di me che anche lui odiava, mi avrebbe odiato ancora di più. E stavo male, e stavo peggio ogni secondo che passava.

Abbassai lo sguardo e sospirai sommessamente, tentando inutilmente di contrastare il tremore che mi stava assalendo dall’interno; strinsi violentemente le palpebre e iniziai a respirare con ritmo sempre più veloce, quasi a fatica.
Deglutii a vuoto e alzai la testa per guardare Massimo, scorgendo un’apparente preoccupazione sul suo viso: ma fu solo un secondo, mi fu impossibile non girarmi d’istinto dall’altro lato. Non capivo cosa stessi facendo, non era successo nulla: potevo dispiacermi o sentirmi in colpa, avrei potuto farmi perdonare in qualsiasi modo, sebbene non ce ne fosse nemmeno bisogno, ma in quel momento tutto ciò che il mio corpo chiedeva era di allontanarsi, sebbene era impossibile che lo desiderasse davvero. E la mia mente era assente, sospesa, come ne nemmeno esistesse.

Mi alzai di scatto, quasi perdendo l’equilibrio nel tentativo di sfuggire alla dolce stretta delle braccia del mio ragazzo. Indossavo solo un pigiama leggero e stavo gelando, nonostante la finestra della stanza fosse chiusa: fuori la neve si accumulava lenta e costante, mentre un vento rigido scuoteva gli alberi e minacciava di sollevarla da un istante all’altro in una tempesta perfetta, avente il mio corpo come ideale occhio.

Uscii dalla stanza, camminando quasi senza accorgermene fino al soggiorno. I miei piedi nudi tremarono ancora più violentemente al contatto col marmo delle piastrelle; mi fermai per un istante.
Di fronte alla porta, nell’angolo opposto della stanza, una maglietta bianca era gettata a terra, sporca di cenere nera.
“Dove sei?”
Non sapevo nemmeno se fossi stato io a dirlo, ripetendo la voce di Massimo all’interno della mia testa.
“Dove sei?”
Allontanarmi era l’unica cosa da non fare. E andai avanti.

Mi sbattei la porta alle spalle, senza nemmeno curarmi di prendere il cappotto contenente le chiavi. Feci qualche passo oltre la soglia e lasciai che il vento mi bagnasse il volto di neve, respirando a fondo l’aria gelida fino a sentire dolore ai polmoni. Scesi le scale esterne velocemente, girai l’angolo e mi trovai di fronte la lastra ghiacciata del mare, la sabbia trasformata in neve, gli scogli in grandine. Guardai in basso e andai avanti, a piedi nudi nell’inverno più selvaggio rincorrendo me stesso, guidato da un’ombra che mi faceva strada in un corridoio di luce.

“Dovei sei?”
Non mi voltai né alzai lo sguardo, ma sapevo perfettamente dove mi trovavo. Nell’unico luogo in cui sarei dovuto essere, compiendo l’unica azione che non avrei mai dovuto fare.

Il fuoco appariva ormai spento, soffocato dal peso del gelo. E se sotto la superficie ci fosse stata ancora una scintilla di vita?
Sarei morto congelato, aspettando di trovare in me la forza per cercarla.
“Dove sei? Cesare, dove sei!?”
Non lo sapevo più nemmeno io, e continuai a domandarmelo finché la mente si spense.

 
***

La prima cosa che incontrai aprendo gli occhi fu la sua metà del letto, vuota ma sfatta, ancora leggermente calda. Sbadigliai lentamente, mentre il viso mi si piegava in un’espressione delusa, stanca nonostante il lungo riposo. Stare da solo poteva essere la cosa più facile e più difficile al tempo stesso, per me. Inspirai profondamente ancora una volta, asciugandomi con un rapido movimento del braccio il velo di sudore che mi ricopriva la fronte.
Mi godetti per un ultimo istante la sensazione di piacevole calore trasmessami dal piumino e infine distolsi lo sguardo dal lenzuolo. Allargando il braccio verso il comodino, controllai l’ora sul cellulare:
10:40 A.M.
16/12
17°
 
Guardai fuori dalla finestra: un pallido sole scaldava i tetti, e nonostante fosse dicembre inoltrato riuscii a percepire un vago senso di calore soltanto vedendolo; solo allora mi accorsi di avere le estremità fredde, probabilmente perché rimaste troppo a lungo al di fuori delle coperte. Mi alzai di scatto, barcollando leggermente al momento di indossare una felpa più pesante al di sopra del pigiama. Poi, strofinandomi gli occhi, mi incamminai verso il soggiorno, dove la luce era già accesa.

“Finalmente sei sveglio. Come stai? Stanotte continuavi ad agitarti, ti sei alzato diverse volte e stamattina non ti sei nemmeno accorto della sveglia, non me la sono sentita di buttarti di peso giù dal letto”.
“E il lavoro? Devo-”
“È domenica, Cesare”.

Mi sorrise dolcemente, e io iniziai a sentirmi in colpa. Espirai profondamente, provando debolmente a ricambiare.
“Spero di non averti disturbato anche stanotte…”
Un’intera sequenza mi scorse davanti agli occhi, e mi ritrovai solo a contemplare la mia morte, circondato dal ghiaccio sulla tomba di un amore ormai distrutto. Deglutii a vuoto e alzai lo sguardo, resistendo a fatica alla tentazione di correre.
“Non preoccuparti, mi basta averti accanto per dormire benissimo”.

Non era la verità, lo sapevamo entrambi. Scoppiai a piangere come un bambino dal nulla, senza nessuna ragione oltre a una memoria che non ricordavo di aver vissuto. Massimo si alzò di scatto dal divano e mi corse incontro, stringendomi tra le sue braccia, senza sapere cosa fosse successo. Inspirai l’odore della sua pelle lasciando che mi stringesse al petto, ma, per la prima volta, sapevo che il suo contatto non sarebbe bastato a calmarmi, com’era sempre successo in precedenza. Era davvero la stessa cosa?
Mi vergognavo di me stesso: non era possibile che mi comportassi così, che mi rendessi ridicolo in questo modo davanti ai suoi occhi. E non avevo mai pensato che far vedere una mia debolezza improvvisa potesse essere sbagliato, ma in un istante mi ritrovai ancora più perso in un pianto a singhiozzi, con la testa sempre più pesante pensando a quanto sarebbe stato umiliante vedermi dall’esterno in quel momento, a quanto fossi stato un deficiente a lasciare tutto in meno di un mese per trasferirmi da chi sentivo di amare pur conoscendolo pochissimo, a dare tutto per scontato pensando che per una volta fosse la mia, di occasione per essere felice. Io non me lo meritavo.

“Non riesco a fare a meno di chiedermelo… se io non fossi abbastanza per te?”
Parlai a fatica, tremando nonostante il calore trasmessomi dal suo corpo.
“Se tu non fossi abbastanza io non sarei vivo”.

Non so se avrei dovuto sentirmi sollevato, avvertii solo le gambe cedermi; i suoi occhi iniziarono a inumidirsi, le lacrime trattenute dalle palpebre appena dischiuse. Mi strinsi ancora di più a lui, allacciando le braccia dietro alla sua schiena come a volerlo tenere con me per più tempo possibile, preso da un’incontrollabile paura di perderlo in un solo secondo.

“Ti prego, dimmi che non hai davvero pensato di…”
“L’ho fatto nel modo superficiale in cui tutti l’hanno fatto, almeno una volta nella vita. L’hai visto, quando ci siamo conosciuti: cercavo continuamente un modo per distrarmi, per dedicare tutte le mie attenzioni a qualcun altro, per esaurire tutte le mie energie. È da pochissimo che l’ho capito, ma davvero mi stavo consumando e…” Inspirò rumorosamente.
“Mi sento male sono a sentirti parlarne. Vivere senza te… sì, ma… non posso nemmeno pensare a un mondo in cui tu non esisti”. Sospirai. “Lo so, sto esagerando… è solo che-”
“E sono stato soltanto fortunato a incontrarti. E forse è solo per egoismo che ho cercato di tenerti con me il più possibile. So di star rovinando tutto dicendotelo, ma io davvero ho capito di amarti, e non potrei mai riuscire ad andare avanti così. E hai tutti i motivi possibili per sentirti inutile o usato o… Perdonami, Cesare, perdonami, ti prego, io-”
“Hey, basta. Tranquillo. Guardami, Massimo”.

Sollevai il volto per guardarlo negli occhi: sorrise leggermente ricambiando lo sguardo e gli strinsi le mani nelle mie. Sciogliemmo il nostro abbraccio lentamente e andammo a sederci l’uno di fianco all’altro, continuando a mantenere un contatto senza dire una parola. Non era più necessario.

 
***
 
Quel pomeriggio uscimmo a camminare sulla spiaggia insieme. Era molto caldo, per essere dicembre: lui era a maniche corte, io indossavo solo una felpa, e il contatto della sabbia fresca con i nostri piedi nudi era quasi un sollievo, come se tutto ciò che era emerso durante la mattinata stesse fluendo al di fuori dei nostri corpi, depositandosi nelle profondità di quella distesa dorata.

“Ho avuto paura di perderti, in questi mesi; non solo stamattina. E forse avrei anche voluto che ti allontanassi, pensavo che sarebbe stata la cosa giusta per te, quell’unico passo che non avevo il coraggio di compiere”.
Mi fermai improvvisamente, trattenendolo per una spalla. “Finiscila”.

“Scusami”. Riuscii a strappargli una risata.

“Già che siamo in vena di confessioni, scusami se ho pensato che il tuo passato non esistesse, o se non ti ho mai chiesto quasi nulla a riguardo. Forse mi ha fatto comodo pensare che non ne volessi parlare. E poi, per quanto riguarda stamattina… non so se hai presente la teoria secondo cui i sentimenti finiscono dopo quattro mesi se sono superficiali… ed ecco, oggi è il 16 dicembre e ieri sera non riuscivo a pensare ad altro. Come se ormai tu avessi avuto tutto il tempo per stancarti di me, capisci?”
“Tu non sei a posto, fatti curare”.
“Non credevo che potessi battermi in sarcasmo”.
“Sono serio, infatti. Ma almeno credo di sapere cosa ti può far bene”.

Mi baciò all’improvviso, con passione, stringendomi a sé nonostante non fossimo soli; e per una volta, sinceramente non me ne importava nulla. Non avevo mai detto “ti amo” a nessuno, nella mia vita, e in quel momento non sapevo nemmeno se l’avrei mai fatto. Ma, quattro mesi o meno, sapevo che per la prima volta era vero. E, per quanto l’avessi potuto desiderare, non sarei mai riuscito a cancellare quella sensazione da me.






 
[1716 parole]
SPAZIO AUTORE:
Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e apprezzato il primo capitolo della raccolta, spero che anche questo sia di vostro gradimento. Il terzo è già quasi pronto e uscirà tra pochissimi giorni, al limite della scadenza del contest!
Questi ultimi capitoli sono dedicati a Juriaka, che è stata costretta ad abbandonare il concorso e che spero possa superare presto il difficile momento che sta vivendo.
A prestissimo,
mystery_koopa


 

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Capitolo 3
*** Sette estati fa ***



TERZA PARTE – SETTE ESTATI FA

 
Il riflesso dello specchio non mentiva. Sulle tempie, i capelli ingrigiti erano ormai molti di più di quelli neri: pensai di non essere ancora arrivato a trent’anni e mi ritrovai indeciso tra il piangere e il ridere. Un pensiero stupido come quello mi fece propendere per la seconda opzione.
Mi sciacquai velocemente il volto, lo asciugai inspirando il profumo di pulito dell’asciugamano e tornai in soggiorno a passo svelto, spegnendo la macchinetta del caffè un istante prima che il cappuccino uscisse dalla tazza. Lo bevetti lentamente, seduto sul balcone, indossando solamente l’intimo che mi aveva coperto durante la notte: non faceva caldissimo in rapporto alle medie stagionali, ma era comunque agosto.
Posai la tazza e sollevai lo sguardo verso la spiaggia, che già alle nove del mattino era completamente affollata, e verso il mare, che quasi brillava sotto la luce solare. Sorrisi, ripensando a come il temporale della sera precedente, oltre a bagnare i panni che avevo dimenticato stesi, avesse portato via l’afa che mi opprimeva da quando ero tornato; l’avevo sempre sofferta, tanto che le estati più fresche, per quanto descrivere in questi termini le stagioni vissute da una cittadina mediterranea sembrasse quasi un ossimoro, erano le uniche in cui potevo davvero definirmi a mio agio. Non a caso amavo l’Europa settentrionale.
Era così strano, pensai, che fossero state proprio le stagioni anomale a cambiarmi la vita: le due estati più fredde e il dicembre più caldo da quando ne avevo memoria. Ed erano passati sette anni.

Rientrai in casa, dando una veloce occhiata alla mensola all’ingresso su cui erano posate le foto scattate in Islanda, già stampate ma ancora senza cornice, e istintivamente mi guardai la pelle, notando l’assenza di un qualsiasi tipo di abbronzatura. Se non avessi passato un mese nei pressi del Polo me ne sarei fortemente preoccupato, ma non credevo comunque fosse il caso di presentarmi in spiaggia con un colorito ai limiti del cadaverico il 3 di agosto. Per fortuna avevo il balcone a disposizione, anche se mi sentii ridicolo al solo pensiero di passare lì l’estate: in caso avrei avuto una mezza scusa per evitarmi il falò di Ferragosto, una delle poche cose che non avevo mai sopportato, nemmeno nei miei anni, per definirli con un eufemismo, incoscienti.

Il telefono squillò all’improvviso, costringendomi a correre verso il bagno dove l’avevo lasciato; leggendo il nome di Alex sul display, tuttavia, avrei preferito che il silenzioso notturno fosse rimasto impostato. Sospirai, scorrendo il dito sulla barra verde della risposta.

“Ma buongiorno, signor Romani! Ti sei svegliato molto presto vedo”.
“Ti odio”.
“Sì, come no. A proposito, quand’è che ci vediamo? Non vedo l’ora di ricevere quel ghiacciolo che sicuramente mi avrai portato come souvenir!”
“Stai tranquillo che non ti ho preso proprio un cazzo, Alex. Comunque-”
“Nervosetto il signor Romani. Il fuso orario deve averti fatto male”.
Sbuffai rumorosamente, resistendo alla tentazione di riattaccare immediatamente la chiamata. Poi, con calma e ponderazione, ripresi il mio discorso interrotto.
“Comunque, stavo dicendo: se vuoi possiamo vederci in qualche chiosco sulla spiaggia oggi pomeriggio, tanto riprenderò a lavorare solo lunedì”.
“Va bene, va bene. Facciamo al lido davanti al Laser alle tre? Da quanto hanno cambiato gestione non ci sei mai stato, merita!”
“Fingerò di fidarmi dei tuoi gusti. Ci vediamo alle quattro e mezza, va bene?”
“Va benissimo. Mi sei mancato, in questo mese, ma ti ho chiamato poche volte, sai com’è, non volevo disturbare il tuo idilliaco soggiorno nel Paese del pesce sotto sale”.
“Mi sei mancato anche tu, scemo. A dopo”.

Sorrisi chiudendo la chiamata, poi mi lasciai cadere sul letto di schiena, allargando le braccia come nella pubblicità di una spa di basso livello. Mi era mancata, casa, per quanto col passare del tempo aveva iniziato a sembrarmi sempre più piccola. Ma immagino sia così per tutti: andare a vivere sotto un diverso tetto rispetto a quello dei genitori è un’esperienza unica, che ti fa cambiare visione sulla dimensione domestica. Poi quei quattro muri diventano abituali, si riempiono e si svuotano di arredi, mobili e persone, e sembra che, anche quando in realtà è cambiato tutto, non sia cambiato assolutamente nulla.
Sì, per fare un discorso del genere stavo davvero diventando vecchio, i capelli grigi erano solo un’avvisaglia del mio imminente ricovero in ospizio. E ancora non avevo compiuto trent’anni. Se Alex mi avesse sentito mi avrebbe sicuramente preso a schiaffi per darmi una svegliata, e non avrei nemmeno potuto dargli torto.

A malincuore mi alzai, rifacendo il letto e svuotando l’ultima valigia rimasta ancora intatta. Mi avrebbe aspettato una divertentissima mattinata da casalingo di ritorno dalla villeggiatura, ma, dopotutto, ne valeva decisamente la pena.

 
***

Il suono della sveglia del cellulare mi fece quasi sobbalzare, non c’ero più abituato: quasi quasi, impostare le campane islandesi come suoneria non sarebbe stata una scelta tanto sbagliata…
Erano le quattro meno cinque: non avrei mai tollerato di arrivare in ritardo, sebbene Alex e l’anticipo non fossero certo elementi compatibili. Mi pettinai distrattamente i capelli, indossai l’unica maglietta e l’unico paio di pantaloncini che si erano salvati dall’acquazzone della sera precedente poiché riparati da una tettoia improvvisata e uscii di casa a passo spedito, godendomi il contatto di una leggera brezza sulla pelle.
Quando arrivai al chiosco indicato dal mio migliore amico erano le quattro e mezza esatte, e con mia sorpresa vidi Alex già intento a sorseggiare un cocktail pericolosamente alcolico, vista l’ora. Eppure, invece di rimproverarlo come al solito, non potei fare a meno di stringerlo in un caloroso abbraccio.

“Mi fa piacere esserti mancato, signor Cesare Romani”.
Risi fragorosamente, fregandomene della ragazza seduta al tavolino attiguo che mi stava squadrando con disprezzo, anche se al suo posto avrei di certo fatto lo stesso.
Parlammo per oltre due ore, senza dirci niente di serio, andando avanti ad aneddoti sul viaggio, sulla ragazza con cui Alex era durato due settimane scarse, su Alice che era stata recuperata in mare aperto dopo essersi addormentata su un materassino gonfiabile, su mia madre che aveva temuto potessi morire assiderato. Purtroppo per lui avevo disatteso le sue aspettative, non portandogli nessun ghiacciolo sotto sale come souvenir, ma soltanto una banale bottiglia di Brennivin che, ahimè, sapevo avrebbe scolato nel giro di due sere.
Prima di separarci ci accordammo per vederci la sera successiva, un sabato: per una volta, rivedere i suoi amici di bevute non mi avrebbe infastidito così tanto. Sebbene in realtà non fosse cambiato nulla, mi sembrava davvero che la mia vita fosse svoltata dopo una semplice frase; e credo che anche Alex pensò la stessa cosa, sentendo la durezza del metallo riscaldato dal sole mentre mi stringeva la mano. Un velo di tristezza gli coprì lo sguardo per un istante, salvo scomparire subito dopo, e non potei fare altro che capirlo, per quanto la mia situazione fosse opposta alla sua sotto ogni aspetto immaginabile. Gli sorrisi, in modo leggermente amaro, e non ci fu bisogno di nessun’altra parola: lo strinsi a me ancora una volta, quasi a volergli trasmettere quel senso di “ce la farai” che così tante volte lui mi aveva infuso nel corso della nostra amicizia più che decennale. Una frase, e la mia vita sembrava per davvero un’altra, e io sembravo davvero una persona nuova, che aveva abbandonato ogni odio, ogni preoccupazione verso di sé, e la socialità, e il tempo.

Mi incamminai verso casa con la testa leggera, osservando distrattamente le instancabili file di ombrelloni che si susseguivano lungo il litorale. A pochi passi da casa vidi un accenno di scogliera, e ripensai a quel falò di sette estati prima, dove tutto era iniziato e sembrava finito una, due volte.

Mettendomi la mano destra in tasca mi accorsi di aver dimenticato le chiavi, così presi il cellulare in mano e guardai l’ora: erano appena passate le sette, per fortuna, non sarei rimasto fuori di casa.
Salii le scale esterne e suonai alla porta, guardando inevitabilmente l’etichetta del citofono appena ristampata:

 
Massimo Romani
Cesare Vignola

 
Nel girò di pochi secondi, mio marito aprì la porta.
 
***

“Stai preparando la cena?”
“Sai com’è, ad aspettare te si faceva notte…”
“Stai zitto, te l’ho scritto che sarei uscito a salutare Alex. Mi avresti potuto chiedere ti passare a prendere qualcosa di pronto, lo so che sei stanco. E lo sarei pure io se fossi stato costretto ad andare a lavorare il giorno dopo un volo di otto ore, senza contare il viaggio in auto. Lasciamo perdere”.
Inspirai profondamente, sentendo un’improvvisa ansia, una paura di dire qualcosa di sbagliato. Ma fu solo un istante: lasciai che l’aria uscisse, svuotandomi completamente, poi sorrisi sinceramente.
“Forse è anche meglio così, avrei rischiato di bruciare qualcosa”.

Mi avvicinai a Massimo e lo abbracciai da dietro, posandogli le mani sui fianchi e appoggiando il viso sulla sua spalla, dove gli lasciai un bacio leggero.
“Cos’è questa improvvisa manifestazione d’affetto, vuoi farti perdonare per aver dormito l’intero pomeriggio prima di uscire o non ti è bastato quello che abbiamo fatto tutti i giorni in hotel?”
“Non ho dormito tutto-”
“Aspetta che ti credo. Comunque, rispondi alla mia domanda!” Rise di gusto, rischiando di tagliarsi un dito col coltello che ancora non aveva posato.
“Mal che vada, l’anello lo puoi portare attaccato a una collana, se almeno la testa riesci a non staccartela di netto”.
Senza smettere di ridere, provò a colpirmi con una gomitata nello stomaco, ma gli bloccai il braccio col mio.
“E va bene, lo ammetto, due giorni senza ricevere alcun tipo di attenzione sono tanti, per me! Devo dire che mi hai abituato bene”.

Si girò di scatto, baciandomi con passione. Lo strinsi a me spingendolo contro il bancone della cucina, incurante del tagliere che rovesciò sul piano tutto ciò che vi era posato sopra. Mantenendo il contatto visivo gli introdussi una mano al di sotto della maglietta, sentendo i suoi muscoli appena accennati contrarsi involontariamente al mio tocco. In un secondo i suoi pochi vestiti erano a terra, ricoperti dai miei, come sette anni prima.
“Non c’è niente che sta cuocendo, vero?” Gli sussurrai all’orecchio, ricordandomi per un secondo che avevo interrotto la preparazione della cena.
“No, avevo appena iniziato… ma non eri tu quello fissato con l’igiene e che a momenti si rifiutava di baciarmi in cucina?”
Avevo iniziato a massaggiare la sua erezione, lentamente. “Se vuoi smetto subito!”
Mi staccai da lui e feci un passo indietro, fingendomi scandalizzato, e il suo sguardo stizzito mi sembrò una delle cose più soddisfacenti al mondo.

Si alzò, uscendo a passo spedito dalla stanza incurante delle finestre spalancate del soggiorno.
“E adesso dove stai andando, a fare l’offeso?”
“In camera da letto, lì almeno non hai scuse”, mi disse ironico.
“Ti amo anche quando ti comporti così, pensa come mi sono ridotto!” Gli risposi quasi gridando, prima di seguirlo.

Quando lo raggiunsi, lo trovai seduto sul bordo del letto, la stanza illuminata soltanto da un raggio filtrante dalle persiane serrate; fuori, in lontananza, si poteva sentire la musica di una festa in spiaggia. Ripresi da dove mi ero interrotto, toccandolo delicatamente, lasciando che la mia mano scorresse con un movimento naturale. Lo guardai per un’ultima volta nella penombra e poi chiusi gli occhi, godendomi l’amplificazione dei sensi che solo il buio poteva darmi: a lungo avevo pensato che non ci fosse niente di più bello al mondo che vedere la persona che amavo provare piacere grazie a me, ma a volte sentivo la necessità di concentrarmi sull’udito, sul tatto, per percepire ogni minima variazione nel rapporto. E Massimo lo sapeva più di chiunque altro: sapevo che quelle persiane le aveva chiuse solo per me.

Sollevai una mano lungo la sua figura, accarezzandogli il petto, poi il volto, sentendo il ritmo del suo respiro variare a ogni tocco, e dolcemente lo spinsi indietro, sdraiandomi a mia volta sul suo corpo come a volerlo guardare negli occhi nonostante la completa oscurità che ci avvolgeva.
Entrai dentro di lui lentamente, avvertendo la sua intimità aprirsi per accogliermi al suo interno. Abbassai la testa vicino al suo collo, baciandolo ripetutamente sulla superficie, aumentando la durata del contatto a ogni movimento unisono dei nostri corpi l’uno verso l’altro, a ogni ansito sfuggito dalle sue labbra; e mi sollevai ancora, sentendo le sue dita stringermi ritmicamente la schiena e il suo battito accelerare mentre le mie spinte si facevano sempre più veloci, lasciandoci quasi senza fiato.
Nel momento in cui il suo respiro si arrestò, producendo come risultato un solo gemito strozzato, affondai in lui un’ultima volta con le gambe tremanti, i muscoli contratti dal propagarsi del piacere, con l’odore familiare della sua pelle che riempiva la stanza. Mi lasciai cadere al suo fianco, mantenendo i nostri corpi in contatto tramite la stretta ancora salda delle nostre mani.

Dopo pochi istanti, col respiro ancora irregolare mi voltai verso di lui, aprendo finalmente gli occhi e scorgendo una lacrima scorrergli lenta lungo la guancia sinistra. Mi avvicinai per accarezzargli il viso.
“Massimo, tutto bene? Scusami, non credevo di averti fatto male, io non-”
“Tranquillo, è tutto a posto. A dire il vero, mi sono solo emozionato”.
“Emozionato?”
“Sì, in pratica stavo pensando che… ecco, è che è la prima volta che facciamo l’amore qui, a casa nostra, da quando ci siamo sposati e-”
“Uniti civilmente, al massimo”.
“Ma vaffanculo!” Mi rise in faccia, con quello sguardo leggermente piccato che tanto amavo. “Cesare, proprio non ce la fai ad essere romantico per più di venti secondi. E pensare che ero anche intenzionato a farti un discorso su quanto poco importi ciò che c’è scritto su un foglio di carta quando siamo insieme… guarda, sarà meglio che vada a lavarmi e finisca di preparare la cena, con te non c’è nulla da fare”.
Lo tirai a me, stringendolo tra le mie braccia e baciandolo nuovamente, e per una volta fui io ad asciugare una delle sue lacrime; tutto era diverso, ma le sensazioni erano le stesse di quel 16 agosto di sette anni prima, quando per la prima volta l’avevo visto e avevo percepito il suo calore. Ero cresciuto ed ero cambiato con lui, per lui, lasciando che una parte di me si depositasse nel passato, che le mie debolezze si evolvessero in punti di partenza e non di arrivo, che la mia incomunicabilità si trasformasse nella nostra complicità.
“Ti amo”. Mi baciò ancora una volta e ci alzammo insieme dal letto, sapendo che ci saremmo ritornati il prima possibile. Accesi la luce e lo guardai negli occhi: sì, la cerimonia nuziale era forse la peggiore delle ricorrenze prestabilite, ma ne era valsa decisamente la pena.


 


 
[2415 parole]
SPAZIO AUTORE:
Un saluto a tutti, vi ringrazio per aver letto questa raccolta fino alla fine! Scrivere questi ultimi due capitoli è stato quasi un parto, sia per l'ispirazione che sono riuscito a trovare solo all'ultimo momento, e in ordine sparso, sia per il tema romantico che è decisamente fuori dalla mia comfort zone come autore (per non parlare della scena erotica, per cui ho speso fin troppo tempo e che spero solo non sia tremenda, ma almeno passabile. Soprattutto, se pensate che il rating vada alzato a rosso avvisatemi e provvederò, sono rimasto indeciso fino all'ultimo). Ringrazio in particolare Juriaka, che con i suoi stupendi pacchetti mi ha dato l'idea per la raccolta, Gaia Bessie, che si è presa l'incarico di portare a termine un contest così impegnativo, e Kim, alla cui challenge "Fammeli shippare!" partecipa questo capitolo conclusivo.
Ogni capitolo della raccolta è stato ispirato da una canzone, ma in modo un po' particolare (sono strano): in pratica, ho preso il significato della canzone e l'ho ribaltato (quindi, un amore estivo che nella canzone finisce male, qui è finito bene) cercando di mantenerne però l'atmosfera generale. I brani sono:
Sabbia e ceneri: August (Taylor Swift);
La volontà di perdere: Evermore (Taylor Swift ft. Bon Iver);
Sette estati fa: 7 Summers (Morgan Wallen).

Nel caso questa storia vi fosse piaciuta così tanto da volerla continuare (se proprio ne siete sicuri... Io non lo farei!), ho in cantiere un'altra idea su Cesare&Massimo, che dovrebbe vedere la luce nel medio periodo, quando la long fantasy che ho appena iniziato sarà a buon punto. Grazie a tutti ancora una volta, alla prossima!
mystery_koopa

 

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