Sentieri

di Frida Rush
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note dell’autrice: questa storia l’ho scritta intorno al 2015/2016 e ne sono molto affezionata.
Solo ora trovo il coraggio di renderla finalmente pubblica. Avviso da subito che ho pronti molto, molti capitoli, ma che non è completa, tuttavia sto cercando di trovare la giusta motivazione a continuarla poiché, come ho già detto, ha un significato affettivo molto profondo per me.
La dedico a Kuri, che mi ha spinta a scriverla a quel tempo.
Un ringraziamento speciale a Bri, Lilium, Giuseppina, Milena e Marica, che hanno mostrato interesse a leggere questo scritto e grazie alle quali ho trovato la forza di pubblicare.
Grazie a tutti e buona lettura.
 
 
CAPITOLO 1
 
Riconoscere un ragazzo timido e fin troppo buono come Armin era una cosa semplice. Bastava guardare l'andatura insicura, il viso delicato, lo sguardo basso, il comportamento schivo, l'abbigliamento tipico dei 'secchioni' e i capelli biondi sempre ordinati ma che ricadevano sulla faccia, quasi fossero una specie di barriera protettiva. Sapeva di non essere una persona dal carattere forte e forse era proprio questa consapevolezza a renderlo così insicuro.
Quel pomeriggio Armin stava camminando nel corridoio semideserto della sua università, solitario come sempre, con la borsa sulla spalla e un quaderno stretto tra le braccia. Frequentava il primo anno di scienze politiche e nonostante non si fosse inserito molto bene nella società universitaria gli piacevano davvero tanto i corsi che seguiva, specialmente filosofia politica e storia contemporanea. Era proprio per quest’ultimo corso che si trovava in università in quel momento, anzi, per un progetto molto più interessante: alcuni studenti del terzo anno avevano sparso la voce riguardo un corso facoltativo tenuto dai rappresentanti della facoltà a cui avrebbero potuto partecipare tutti quanti, nessuno escluso, anche studenti più piccoli o non iscritti a scienze politiche, in cui si discuteva dei vari personaggi storici e delle loro strategie politiche. Essendo un grande appassionato di storia, Armin non aveva atteso molto prima di lasciare il proprio nominativo e la confermata presenza al primo incontro. Era eccitato e desideroso di seguire quel corso, perciò si affrettò finendo di percorrere il corridoio per cercare l’aula 3, ma appena svoltò l’angolo un gruppo di ragazzi, probabilmente del terzo anno di medicina o legge visto il loro atteggiamento altezzoso e snob, i vestiti firmati e l’ordine generale e fin troppo minuzioso del loro aspetto, gli andò addosso facendolo finire di ginocchia sul pavimento, la borsa si rovesciò liberando la maggior parte dei libri contenuti al suo interno. Ad Armin non piaceva generalizzare, ma quando gli studenti che frequentavano quelle facoltà erano quelli che più lo infastidivano era arrivato alla conclusione che la maggior parte fossero solo degli idioti.
-Ehi!- gemette il biondo voltandosi a guardare i suoi aguzzini che, per tutta risposta, lo guardarono dall’alto in basso come fosse una nullità, poi gli mostrarono un ghigno sadico e se ne andarono, sparendo così com’erano comparsi.
Ora, quella era la normalità per Arlert, fin dal primo momento in cui aveva messo piede in quell’edificio. Certo gli episodi di bullismo non raggiungevano il numero di quelli che aveva dovuto subire alle scuole superiori e alle medie, e nemmeno la violenza era uguale, però erano comunque consistenti. Era così da quando era nato, un ragazzo debole e gentile che veniva preso di mira dai più forti, schiacciato e sottomesso.
Essendo ormai abituato a quegli episodi non si scompose quando vide che i ragazzi si erano allontanati e nemmeno si soffermò a pensare che nessuno lo stava aiutando a rialzarsi e a raccattare le sue cose, fino a quando non vide una grossa mano afferrare il suo quaderno personale. Il terrore che quella mano potesse appartenere ad un altro malintenzionato si fece strada nella sua mente, ma non ebbe il tempo di formarsi pienamente perché una voce profonda e grave gli giunse alle orecchie.
-Che imbecilli. E pensare che il mondo ne è pieno mi riempie di tristezza-
A parlare era stato un ragazzo decisamente più grande di lui, dalla corporatura ben piazzata, muscoloso e alto, i corti capelli biondi rasati ai lati della testa e sulla nuca che si allungavano per formare un ciuffo ordinatamente pettinato sulla fronte, gli occhi di un azzurro intenso che catturavano l’attenzione del più piccolo. Fu sorpreso di vedere che un ragazzo così grande e dall’aspetto che poteva apparire minaccioso potesse essere tanto gentile.
-Non preoccuparti… ci sono abituato ormai- rispose con una punta di delusione nella voce, guadagnandosi un’occhiata da parte del più grande, il quale si era inginocchiato di fronte a lui per aiutarlo a sistemare la borsa.
-Non farti mettere i piedi in testa dagli altri ragazzi- disse semplicemente –Non devono iniziare a pensare che possono fare di te ciò che vogliono- il sorriso dolce che animò il volto di quello sconosciuto fece deglutire Armin che lo ricambiò con una lieve curva delle labbra.
Fu il maggiore a rialzarsi per primo, prendendo la borsa dell’altro e aspettando che quello facesse lo stesso per porgergliela. Mentre Armin l’afferrava con le mani tremanti e sudate quello sorrise, indicando l’oggetto con la sinistra.
-Comunque, bei libri. Interessanti, direi!- sorrise e la matricola comprese che si stava riferendo ai numerosi trattati di storia che erano rimasti sparpagliati sul pavimento, biografie, per lo più, di personaggi storici importanti come generali, re o imperatori.
-Grazie- disse timidamente accennando un sorriso e guardando poi il suo orologio da polso, alzando la manica del magliocino –Scusami tanto ma farò tardi se non mi sbrigo! Grazie dell’aiuto…- e con la borsa sulla spalla e il suo quaderno stretto al petto scappò letteralmente via, senza lasciare al ragazzo il tempo di dire niente.
 
-Accidenti, dove diamine è quest’aula?-
Armin si rese conto di non sapere dove fosse situata l’aula in cui si teneva il corso poiché l’edificio era enorme ed ospitava diverse facoltà, inoltre c’erano un sacco di stanze denominate con il cartellino con su scritto ‘3’, ma nessuno si era premunito di contraddistinguerle con un foglio che indicasse l’attività svolta al loro interno, così dovette arrangiarsi e andare alla cieca. Scoprì, infine, che si trattava dell’aula 3 del secondo piano e sbuffò internamente quando vide che era già molto affollata e che difficilmente sarebbe riuscito a trovare un posto libero. Si aggirò tra i colleghi, dal momento che la discussione sarebbe iniziata solo entro un quarto d’ora e si guardò intorno per trovare una sedia libera quando si sentì battere delicatamente sulla spalla.
-Il mondo è proprio piccolo, eh?- lo stesso biondo di poco prima gli era alle spalle e Armin notò che si era tolto la giacca e che indossava solo una semplice camicia, bianca come la sua pelle. Sorrise di rimando.
-Già. Scusami per prima, non volevo piantarti in asso!- disse il piccolo guadagnandosi una risata da parte del compagno, cristallina e sincera, nonostante la voce molto mascolina e potente.
-Ma figurati, lo capisco, eri di fretta-
-Anche se il fatto che sia scappato via in quel modo non è servito a molto visto che non c’è un buco libero- continuò frustrato Armin e l’altro si guardò intorno.
-A quanto pare siamo sulla stessa barca. Non pensavo che così tante persone fossero interessate a questo genere di dibattito-
-E’ vero, di solito si preferisce qualcosa di più leggero e meno impegnativo da frequentare in modo facoltativo-
Per un ragazzo timido ed introverso come lui non era affatto semplice sostenere una conversazione senza sudare, torcersi le mani, guardarsi intorno, arrossire o ciondolare come un idiota, ma Armin sfogava tutto sulle sue povere dita che venivano torturate con le stesse unghie ripetutamente, tanto che la pelle attorno alle unghie era rovinata e strappata. I suoi amici lo riprendevano spesso per questo suo difetto e lui aveva provato tante volte a smettere di farsi del male in quel modo rischiando anche di prendere un’infezione, ma senza successo.
-Visto che la lezione inizia tra poco e non sappiamo entrambi dove sbattere la testa ti propongo una soluzione estrema: sediamoci per terra, sulle scale- la voce profonda della sua nuova conoscenza lo riportò alla realtà e portò lo sguardo sul suo viso. Il maggiore aveva un piccolo sorriso ad incurvargli le labbra e fissava un punto in basso poco distante da dov’erano loro, sulle larghe scalinate in pendenza. Era decisamente un’ottima idea.
-Andiamo!- esordì il più alto avviandosi verso i gradini seguito da Armin.
Lo sconosciuto si sedette sul primo scalino in alto, appena a destra della porta d’entrata e fece segno al ragazzo di sedersi davanti a lui due gradini più giù, essendo più basso di lui.
-Ti darò le spalle…- mormorò il giovane.
-Ti preoccupi tanto per così poco. Non c’è bisogno che ti scusi, hai tanto l’aria di un ragazzo educato- il tono rassicurante e il volto rilassato diedero ad Armin la conferma che quel giovane uomo fosse una persona a posto.
-Sono io quello che deve scusarsi, credo. Sono un idiota, non mi sono presentato- gli porse la mano grande e dalle dita affusolate –Mi chiamo Erwin, Erwin Smith-
Armin ricambiò la stretta forte e sicura del compagno con una decisamente meno ferrea e gli mostrò un dolce sorriso.
-Io sono Armin Arlert. Erwin, come Erwin Rommel-
-Ah, un grand’uomo e sono fiero di portare il suo nome. Mi fa piacere aver trovato qualcuno con cui parlare di queste cose con serietà-
-A me fa piacere aver trovato qualcuno con cui parlare…- mormorò Armin, rendendosi conto troppo tardi di aver espresso a voce alta quella riflessione, tanto che il suo nuovo compagno lo guardò stranito.
-Che vuoi dire?-
-Ah… io… niente è solo…-
Il giovane biondino ringraziò il fatto che proprio in quel momento tre studenti attirarono l’attenzione di tutti facendo fischiare il microfono e iniziando a presentarsi. Il corso sarebbe durato diverse settimane, solitamente le lezioni si sarebbero svolte in quell’aula ogni venerdì pomeriggio per agevolare gli studenti dal momento che i corsi obbligatori raramente occupavano quel giorno. Durante quella prima lezione si sarebbe discusso di uno dei personaggi principali della storia della Francia: Luigi XIV.
Fu interessante vedere come gli studenti più seri discutevano animatamente riguardo la vita e le mosse politiche del sovrano e Armin vide che Erwin era uno che preferiva ascoltare e che parlava solo e soltanto quando aveva qualcosa da dire, mai a vanvera o giusto per farsi notare. D’altra parte, Erwin si rese conto che la giovane matricola era molto più timida e insicura di quanto avesse immaginato. Armin infatti si limitava a prendere appunti furiosamente ma ordinatamente e a tacere, ascoltando con la più estrema attenzione, senza mai intervenire. Erano due caratteri molto diversi, ma avevano interessi particolari in comune e se ne rallegrò.
Una volta finita la conferenza Erwin attese che l’altro recuperasse la borsa e gli appunti, poi lo tirò per la manica con una certa fretta, facendolo quasi cadere, mentre i ragazzi che occupavano i posti accanto a loro iniziavano ad accalcarsi.
-Ehi!- esclamò Armin, mentre veniva trascinato via dal ragazzo.
-Scusami, ma se attendiamo ancora un po’ tra poco non si riuscirà più ad uscire da questa stanza-
Infatti poco dopo la soglia della porta venne invasa da tutti gli studenti che si prendevano a spintoni per cercare di uscire, intralciando il passaggio ed innervosendo Erwin che, per sua fortuna, si era già inoltrato nel corridoio con il suo nuovo accompagnatore.
-Servirebbe un po’ più disciplina a certa gente…- si limitò a commentare tra sé e sè e poi raggiunse Armin che si era poggiato sul davanzale di una finestra per riordinare i suoi quaderni ed il più alto si soffermò nell’osservare la cura minuziosa con la quale sistemava i fogli nei quadernoni e tutto il materiale nella borsa, le penne, le matite e gli evidenziatori erano riposti in ordine cromatico, di dimensione e di frequenza d’uso. Ne rimase decisamente affascinato.
-Sei un tipo piuttosto organizzato…-
L’altro sembrò risvegliarsi da una specie di trance e sorrise dolcemente.
-Mi piace avere le cose sotto controllo-
-Anche a me. Sono fissato con l’organizzazione e l’ordine- rispose Erwin.
-Ah beh, se è così penso che dovresti vedere la mia camera. Non per vantarmi ma non c’è niente fuori posto e non perché sia fissato con la pulizia o sia un maniaco dell’ordine, semplicemente preferisco che ogni cosa abbia una sua collocazione. Anche i libri, per farti un esempio, sono sempre divisi per categoria, autore e anno. Ne vado molto fiero- gli occhi di Armin si illuminavano mentre parlava di quelle cose e ciò non sfuggì all’occhio acuto del più grande. Il più minuto, dal canto suo, nemmeno si era reso conto di aver parlato così tanto e in maniera così spigliata.
-Oh lo credo bene! Sarebbe una gioia per gli occhi, io ho un salotto che mi fa da biblioteca e ho conservato tutti i libri di scuola dalle elementari fino ad adesso, sistemati per periodo. Li ho tenuti perché possono sempre servire, ma c’è anche uno spazio dedicato ai libri di lettura di tutti i tipi, anche quelli classificati per autore e addirittura gradimento. È il mio tesoro- il sorriso enorme che mostrò Erwin fece capire ad Armin che anche lui aveva una grande passione per i libri e che era fiero della sua collezione. Prima che potesse dire qualcosa quello parlò.
-A proposito di pulizie…- tirò fuori il telefono e digitò velocemente un messaggio, per poi riporlo nella tasca della giacca.
-Scusa, il mio migliore amico è fissato con l’igiene. Dovrebbe venire a prendermi qui fuori tra poco e parlare di pulizia me l’ha fatto venire in mente- spiegò brevemente.
-Oh non preoccuparti- lo tranquillizzò Armin, indossando la giacca e mettendosi la borsa sulla spalla.
-Mi accompagni fuori?- domandò poi, molto timidamente.
Armin non seppe dire dove trovò il coraggio di chiedere una cosa del genere al ragazzo che aveva di fronte, ma fu ben lieto di ricevere un sì come risposta. Si conoscevano da poco più di due ore e già poteva dire di starci bene assieme. Era una sensazione molto gradevole e che non era abituato a provare, le uniche persone con cui si sentiva a suo agio in quel modo erano i suoi amici d’infanzia Eren e Mikasa, ma era una sensazione completamente diversa.
Scesero nel cortile dell’università in completo silenzio e si misero seduti sul muretto che stava accanto all’edificio, guardando gli studenti che uscivano da esso per dirigersi alle loro macchine o per raggiungere l’autobus che li avrebbe portati via.
-Allora… devi andare via?- il tono del ragazzino con i capelli più lunghi sembrava quasi triste, anche se avrebbe tanto voluto non far trasparire nulla di ciò che stava provando in quel momento. Sì, Armin avrebbe voluto trascorrere più tempo in compagnia di quel giovane così carismatico e, a suo dire, interessante, ma da quel che aveva potuto sentire poco prima quest’ultimo aveva già un impegno. Magari avrebbero potuto sentirsi in seguito, avrebbe potuto chiedere la sua e-mail o il suo numero di cellulare… ma se facendolo l’avesse infastidito? Se avesse ricevuto una risposta negativa? Certo, non sembrava proprio il tipo ma la probabilità c’era, anche se minima. Si sentì in confusione e, come al solito, i dubbi iniziarono ad assillare la sua mente.
-Non saprei. Levi non si è ancora fatto sentire, quindi…-
Non riuscì a terminare la frase che il suo telefono squillò e lui rise appena, mostrandogli lo schermo luminoso su cui risaltava il nome ‘Levi’.
-Parli del diavolo- e accettò la chiamata –Ehi, Levi-
Armin riuscì a sentire quello che l’altro stava dicendo grazie al volume del telefono che era piuttosto alto.
-Erwin, sono in stazione ed è appena stato annunciato un ritardo di due fottute ore del mio cazzo di treno. Non ce la faccio proprio a venire a prenderti-
-Non preoccuparti, ci vediamo direttamente stasera con gli altri- lo tranquillizzò il biondo –Anche perché io sono appena uscito dall’università-
Ci fu un momento di pausa.
-Rimedierò in un’altra occasione… Hanji!- urlò all’improvviso quel Levi, facendo staccare il telefono dall’orecchio ad Erwin –Stupida quattrocchi, che cazzo stai facendo? Hai deciso di morire?!-
Si sentirono delle voci in lontananza e Levi che sbraitava contro una persona che chiamava Hanji, poi tornò di nuovo a parlare con il biondo.
-Comunque, ci vediamo stasera, ora vado o rischio di perdere di vista quella cogliona e non ho proprio voglia di passare i guai-
-Cerca di non ammazzarla, Levi- rise Erwin.
-Ah, è più facile a dirsi che a farsi. A dopo-
Il ragazzo chiuse la chiamata e sospirò divertito.
-Sì, è una persona piuttosto particolare, come Hanji del resto- mise in tasca il telefono –Allora, sembra che i miei piani siano saltati, Armin-
-Direi proprio di sì- ridacchiò quest’ultimo, stringendosi di più il suo quaderno al petto e sentendosi osservato dall’altro.
-Tu hai da fare adesso?- domandò dopo qualche secondo di silenzio, cogliendolo completamente di sorpresa.
-No, in realtà torno sempre a casa subito dopo le lezioni. Non sono una persona molto impegnata-
-In questo caso… Conosco un cafè che serve bevande ottime a soli due isolati da qui. Ti va di imboscarci lì e scambiare due parole?-
Armin non riuscì a trattenere un timido sorriso a trentadue denti.
-Certo!- esclamò poco dopo e le labbra di Erwin si incurvarono all’insù.
 
“Sembra parecchio entusiasta della mia proposta”
 
Insieme si avviarono fuori dal cancello dell’università.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Erwin addentò l'ennesimo biscotto, gustando la dolcezza della glassa. Il locale dove si erano appartati era piccolo e accogliente, arredato con tavolini e separati da assi di legno, i quadri appesi rappresentavano paesaggi più svariati, dal mare alla montagna e qualche scena di caccia. Il più grande aveva fatto accomodare il compagno ad un tavolo quadrato sistemato in un angolo, in modo da non essere disturbati o infastiditi dalle chiacchiere degli altri studenti e delle persone che erano sedute lì vicino. 
Tra vassoi di biscotti, tazze di caffè e bevande calde avevano portato avanti per qualche ora degli interessanti discorsi sulla vita dei loro personaggi storici preferiti. Avevano parlato a lungo di Hitler e si erano scambiati pareri sulle sue strategie di guerra, più che altro del suo errore nel voler conquistare il territorio russo, non tenendo conto dell'inverno imminente ed entrambi si erano lasciati andare alle più svariate ipotesi riguardanti le alternative che aveva avuto ma che non aveva saputo cogliere e sfruttare.
- È anche vero che la storia non si fa con i se e con i ma, tuttavia è interessante poter fare supposizioni e ipotesi - diceva Erwin. 
Si erano anche soffermati sulla figura di Mussolini, anche se era passata in secondo piano, e ne avevano discusso ampiamente. Legandosi al discorso della Russia erano passati a Napoleone Bonaparte, dal momento che sia Hitler che quest'ultimo avevano commesso lo stesso identico errore.
- Gli esseri umani non imparano mai - disse Armin ad un certo punto, finendo di bere il suo tè caldo. 
- Che vuoi dire? - 
- Pensaci, Napoleone ha tentato di conquistare la Russia in un momento in cui essa era impossibile da penetrare, ma pur sapendo di non avere i mezzi necessari per sopravvivere a tutto quel freddo ha ugualmente deciso di attaccare. Poco tempo dopo Hitler fa la stessa cosa. Eppure le situazioni sono completamente identiche, avrebbe potuto imparare dalle mosse di un stratega antecedente, invece non lo ha fatto. Con questo discorso sto solo riflettendo sulle sue abilità guerrigliere, non sto dicendo che avrei voluto che vincesse la guerra o altro... -
- Non preoccuparti, è di questo che stiamo parlando, no? - sorrise Erwin, affabilmente. 
- Comunque sì, se la metti così hai pienamente ragione. Avrebbe potuto agire in modo completamente diverso - 
- Tipo evitare del tutto di andare contro la Russia - 
- O, al massimo, non mandare quella grande quantità di uomini a fare quella spedizione, ma personalmente avrei scartato anche questa manovra - 
Il più alto si grattò la testa, scoraggiato. 
- Sai, il problema fondamentale dell'uomo è la sua mania di grandezza e di potere. Tutti i grandi uomini hanno commesso errori, a volte anche stupidi, ma grandi errori, a causa della loro sete di potere e della loro vanità. Nella vita, ma soprattutto in guerra, serve sempre essere umili perché l'umiltà aiuta a non montarsi la testa. Se hai raggiunto un certo livello di potere e autorità devi avere il buon senso ma soprattutto la capacità di non farti accecare dal desiderio di averne sempre di più - 
- Un po' come Luigi XIV - sorrise Armin, ricambiato da Erwin che incrociò le braccia sul petto e si sporse in avanti per poggiarle sul tavolo. Lo guardò intensamente per due secondi. 
- Armin ma dov'eri nascosto? - gli disse scherzosamente, facendolo ridacchiare. 
- Diciamo che... Sono uno che non si nota - 
- Oh, io penso che sia tu a non volerti far notare. Non dovresti nasconderti così, hai grandi potenzialità e un intuito non indifferenti, fidati - 
La verità era che Armin era convinto di non valere molto. La sua insicurezza e timidezza lo avevano sempre spinto a sottovalutarsi e nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. Adesso un ragazzo che era un perfetto sconosciuto gli diceva di credere in se stesso, il che era una situazione quasi assurda. Senza considerare il fatto che quando si erano seduti al tavolo si era sentito spaesato e quasi a disagio, senza sapere cosa dire, eppure man mano che andavano avanti a parlare si era sentito sempre più coinvolto e compreso, si era sciolto e sentito a proprio agio. Aveva iniziato ad aprirsi e a esprimere le sue opinioni senza preoccuparsi di nulla, senza farsi problemi inutili, senza preoccuparsi di essere giudicato ed era una sensazione meravigliosa, liberatoria, come se dopo una lunga apnea avesse ripreso a respirare d’improvviso. 
Trascorsero ancora qualche minuto seduti nella saletta fino a quando Erwin non annunciò di dover andare via, così si alzarono e, dopo aver pagato, si diressero verso l'uscita del locale. Una volta fuori, Erwin gli si mise davanti e accennò un sorriso. 
- Allora... ci vediamo alla prossima lezione!- 
Armin annuì e deglutì a fatica. C'era una cosa che gli ronzava in testa da un quarto d'ora e che non aveva il coraggio di chiedergli. E se non avesse accettato? O se avesse balbettato come al suo solito facendo la figura dell’idiota? 
Non si era quasi accorto che Erwin si stava allontanando, finché non si diede un bello scossone. 

“Fanculo!”

Pensò, e fece due passi verso di lui, tendendo una mano in avanti. 
- Aspetta! - urlò e l'altro si voltò, con aria interrogativa. 
- Ah... È che... Stavo pensando che, visto che ancora non si sa quando si terrà il prossimo incontro... Magari ti va di scambiarci i numeri del cellulare? Potremmo tenerci in contatto…- 
Ecco, aveva balbettato e anche gesticolato, di nuovo. Avrebbe sicuramente pensato che era un idiota. Poi gli sembrò di vedere un luccichio negli occhi cerulei del compagno, che stava tornando indietro. 
In realtà, Erwin non avrebbe desiderato altro che sentire quella frase, in quel momento.
 
 
 
Tre settimane dopo
 
Erwin sbarrò gli occhi sentendosi ferito nell'orgoglio quando vide il suo re accerchiato dalle pedine avversarie e il ragazzo davanti a sé esclamare un sonoro 'scacco matto'. Armin afferrò la pedina e la dondolò davanti al naso aquilino del giovane, con un sorriso strafottente stampato sul volto. Erwin si lasciò andare contro lo schienale della sedia e si passò le mani nei capelli, poi guardò il suo giovane avversario diritto negli occhi.
- Sono shockato, è la prima volta che qualcuno mi straccia in questo modo! - 
- C'è una prima volta per tutto. Non me l'aspettavo nemmeno io, in realtà. Considerando che non gioco da secoli, penso che sia un buon risultato - 
Erwin lo guardò come se avesse appena detto la più grande eresia del mondo. 
- È stata una delle partite più emozionanti che io abbia mai giocato! Facciamolo di nuovo, un'altra volta - 
Erano diversi giorni che frequentavano insieme quel club di giochi, giochi particolari che molta gente non sapeva apprezzare perché considerati noiosi e/o da secchioni, giochi come gli scacchi, il Risiko, Inkognito e molti altri. Quando Erwin, la prima volta che l'aveva portato lì, si era sentito rispondere che non giocava spesso a scacchi, lo aveva trascinato ad una scacchiera libera, gli aveva fatto una rispolverata delle regole e aveva attivato il timer. Armin non ci aveva impiegato molto a prenderci la mano, la prima partita era stata piuttosto breve, essendo tra l'altro la prima dopo tanto tempo, aveva perso ma era riuscito a tenere testa al compagno e a difendere il suo re. Poi si erano uniti ad altri due ragazzi per giocare ad Inkognito, che era un gioco di società in cui ognuno aveva un'identità e un travestimento segreti e una carta missione da completare con quella del loro compagno, compagno che dovevano scoprire. Armin ed Erwin erano casualmente finiti in squadra insieme e, ovviamente, avevano vinto, ma entrambi speravano in una seconda occasione in cui sarebbero stati avversari, spinti da un sano desiderio di competizione.
Armin sorrise timidamente e si morse un labbro. 
- Mi piacerebbe molto continuare a giocare qui! - 
- Nessuno ci impedisce di farlo - rispose Erwin. 
- Sì, nessuno tranne i capitoli da studiare. È tardi e io non ho ancora combinato niente... voglio dire… gli esami non sono così imminenti ma trovarmi sopraffatto dal lavoro mi agita troppo e mi metto a studiare praticamente di pari passo alle lezioni-
Sul viso del grande si dipinse un'espressione di delusione e tristezza, che però durò solo un secondo. Poi tornò normale e afferrò la sua borsa. 
- Studiamo insieme? - 
La proposta arrivò talmente inaspettata che Armin non seppe cosa rispondere, sul momento. Decise di non accettare ma nemmeno rifiutare. 
- Io... Non lo so, non ho mai studiato con nessuno, fino ad ora, l'ho sempre fatto da solo - 
- Posso immaginare... - 
Armin si bloccò, sentendo quelle parole uscire dalla bocca del suo amico, che lo guardò quasi mortificato, rendendosi conto solo in quel momento che ciò che aveva detto era facilmente fraintendibile. In effetti era facile immaginare che un tipo come Armin non avesse mai avuto una vita sociale molto ampia, ma l'ultima cosa che Erwin avrebbe voluto era ferire i suoi sentimenti o farlo sentire isolato o inadeguato. Aveva capito tempo addietro, se non addirittura la prima volta che l'aveva conosciuto, che era una persona molto sensibile, in gamba e intelligente sì, ma molto sensibile, così si avvicinò a lui. 
- Armin, scusami, non volevo offenderti, dico davvero! - si scusò il ragazzo e la matricola sorrise dolcemente. 
- Figurati, non hai detto niente di male, anzi, è la verità - 
- Ma avrei potuto essere più delicato - rispose amaramente Erwin. 
- Sul serio, non preoccuparti! Piuttosto, mi sembra una buona idea studiare insieme, non l'abbiamo mai fatto e finora ci siamo dedicati a discorsi informali sulla storia e agli scacchi - 
Il più alto si sentì leggermente sollevato nel vedere che il suo amico non si era offeso, ma si sarebbe preso volentieri a schiaffi lo stesso. Fu molto felice, invece, di ricevere una risposta affermativa da parte sua e lo guardò mentre si metteva la giacca e prendeva la borsa. 
- Andiamo in biblioteca? - domandò Armin e l'altro si grattò la nuca. 
- Beh, pensavo di andare a casa mia. Lì è tranquillo e non c'è gente che gironzola come nelle biblioteche. A te sta bene? - 
- Se va bene a te va bene anche a me. Te l'ho detto, non ho mai studiato in compagnia, perciò lascio a te la decisione - 
- Vada per casa mia, allora - 
Erwin girò i tacchi, seguito a ruota da Armin. 
La casa di Erwin era verso il centro della città e per raggiungerla dal punto dove si trovavano dovevano per forza prendere un autobus il quale arrivò alla fermata appena un attimo dopo che i ragazzi vi arrivassero. 
Si sedettero su due sedili vicini ed Erwin si mise ad osservare il panorama fuori dal finestrino, perdendosi nei suoi pensieri com’era solito fare quando prendeva i mezzi pubblici o viaggiava su una macchina come passeggero. 
Armin, nel frattempo, teneva stretta la sua borsa al petto, come era sua abitudine, ma non riuscì a fare a meno di tenere gli occhi fissi sul profilo mascolino e austero del suo amico. Si conoscevano da poco meno di un mese eppure si sentiva così diverso da quando Erwin era entrato nella sua vita. Se prima non parlava molto spesso a causa della paura di essere giudicato, adesso con lui accanto, si sentiva più sicuro, come se Erwin Smith fosse diventato il suo maestro, un'ancora a cui aggrapparsi quando ne aveva bisogno. Era un giovane sicuro di sé e decisamente forte, sia nel fisico, sia nella personalità. Armin aveva iniziato a socializzare di più, anche solo con i ragazzi del club che frequentavano, tanto che conversava più facilmente degli argomenti più disparati. Lui ed Erwin parlavano tanto insieme, gli aveva insegnato a non vergognarsi, gli aveva fatto capire che era importante esprimere la propria opinione ed Armin gli aveva confidato che, quelle poche volte in cui parlava a scuola veniva ignorato, o di quando i bulli che lo prendevano di mira lo invitavano a reagire. Rispondeva sempre che se avesse usato anche lui la violenza per difendersi si sarebbe abbassato al loro livello, con l'unico risultato di essere deriso e picchiato più forte. Tutto questo era leggermente diminuito da quando aveva incontrato Eren e Mikasa, i suoi unici e più cari amici, che lo aiutavano a difendersi. 
-Ti sei autoconvinto di essere debole - gli aveva detto Erwin un pomeriggio - Fidati di me, tu non sei debole, hai dalla tua parte il cervello e non è cosa da poco. I tuoi amici ti hanno sempre protetto e forse è stato proprio questo il loro sbaglio, anche se sono pronto a scommettere che non lo hanno fatto con cattiveria. Avrebbero solo dovuto spronarti a cavartela da solo - 
Armin amava la sincerità di Erwin, gli piaceva il suo modo di dirgli le cose in faccia senza però farlo star male. Era chiaro e diretto ma mai brutale. Quando gli raccontava della sua infanzia passata a subire violenze dai compagni si sentiva sempre a disagio perché l'ultima cosa che voleva era fare la vittima, ma sapeva che Erwin non la prendeva così. Quel biondo alto due metri gli ispirava fiducia e gli piaceva. Certo, non avendo mai avuto una fidanzata non si era mai domandato seriamente se gli piacessero gli uomini o le donne, dunque non era sicuro del perché gli battesse così forte il cuore quando stava con Erwin, aveva anche paura di prendersi una cotta per la prima persona che si fosse interessata a lui. Poi però ci ragionò su e comprese che se così fosse, avrebbe dovuto provare qualcosa di più dell'amicizia anche per Eren o Mikasa e non era successo. Decise che non si sarebbe più posto problemi di questo genere e che si sarebbe goduto il rapporto con Erwin, vedendo in seguito come si sarebbe sviluppato.
L'autobus si fermò all'improvviso ed entrambi vennero riportati alla realtà. Erwin diede un'occhiata fuori. 
- Poco mancava che perdessimo la fermata. Vieni! - 
Scesero dal mezzo ed entrarono in un palazzo moderno con degli ampi balconi, prendendo l'ascensore. 
- Non ti ho mai chiesto con chi vivi - disse Armin, mentre raggiungevano il quarto piano. 
- Oh, vivo con mio padre. In teoria - fu la risposta e quello alzò un sopracciglio. 
- In teoria? - 
- Sì. È un professore universitario molto stimato e richiesto anche fuori città per congressi e progetti di vario genere. In pratica vivo da solo perché non ci vediamo spesso, stiamo insieme solo nel fine settimana. Siamo molto uniti, ma mi piacerebbe passare un po' più di tempo insieme - 
- Ti capisco... - 
- Tu, invece? - 
- Io vivo con mio nonno - 
Erwin notò un velo di tristezza negli occhi cerulei del ragazzo e ringraziò di essere arrivati al piano scelto, in modo da usare la cosa come scusa per troncare la discussione. Non se la sentiva di chiedergli altro, perciò si affrettò ad aprire la porta dell'ascensore per raggiungere quella del suo appartamento. 

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