And take the love that you deserve

di eliseCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - overture ***
Capitolo 2: *** 1. Magical lasso ***
Capitolo 3: *** 2. Stranger than you dremt it ***
Capitolo 4: *** 3. Look with your heart ***
Capitolo 5: *** 4. Wandering child ***
Capitolo 6: *** 5. I remember ***
Capitolo 7: *** 6. Masquerade ***
Capitolo 8: *** 7. Down once more ***
Capitolo 9: *** 8. Ignore what you hear... ***
Capitolo 10: *** 9. Poor fool ***
Capitolo 11: *** 10. To find the man behind the monster ***
Capitolo 12: *** 11. ...look with your heart, it always sees clear ***
Capitolo 13: *** 12. Seething shadows breathing lies ***
Capitolo 14: *** 13. Angel of music you deceived me ***
Capitolo 15: *** 14. Love me... ***
Capitolo 16: *** 15. Music of the night ***
Capitolo 17: *** 16. Stay by my side (angel) ***
Capitolo 18: *** 17. ...that's all I ask of you ***
Capitolo 19: *** Epilogue - love lives on ***



Capitolo 1
*** Prologue - overture ***


Un paio di note dell’autrice prima di iniziare, leggete che è importante please!
So che non gioca a mio favore ma ci saranno sicuramente inesattezze e altre cose che di sicuro non stanno né in cielo né in terra ma che mi servono per motivi di trama.
Per esempio possiamo far finta che alcuni dei parcheggi che costeggiano l'opera siano riservati ai dipendenti del teatro, o ancora non credo proprio che all'interno dell'Opéra ci sia una sala prove che viene utilizzata per i corsi di danza per bambini e ragazzi (o magari si?), ma in ogni caso facciamo finta che esista.
Parliamo della scalinata dove c’è la botola... ho provato a cercare foto, piantine, ecc... non sono riuscita a collocarla nel teatro (d’altronde l’Opéra Garnier non l’ho mai visitata quindi) e ho i miei buoni sospetti che non esista manco quella, tanto per cambiare.
Stessa cosa per l'ingresso per il covo sul lago da cui si accede da Rue Scribe (io ho provato con google street a vedere se una porta c’è sul serio, ma c'era sempre qualcosa davanti a ostruire la visuale). Non abitando a Parigi poi i pochissimi riferimenti stradali saranno molto, molto, molto vaghi...
Per non parlare dei fisioterapisti della compagnia di ballo... (questa storia potrebbe rivelarsi un fantasy più di quanto pensassi, e la presenza di Erik sarebbe la cosa meno inverosimile...)
Erik sarà ooc... probabile, anche se vi giuro che ho cercato di mantenerlo il più possibile realistico (e in ogni caso prendetevela con lui, non è mica facile trattare qualcuno che maneggia un punjab con la stessa facilità con cui si va in bicicletta),
Tenendo queste "poche" cose in mente...
Buona lettura
E.






 
Cosa succede de Des si annoia, Amy e Una si impicciano un po’ troppo e Morty si fa prendere la mano?
Succede che un teatro prende fuoco, risponderebbe T. guardando tutti con disapprovazione.
Ma d’altronde, essendo il maggiore, scuotere la testa alle azioni dei suoi fratelli è quello che sa fare meglio.
È per questo che cerca di convincersi che se ancora sta aiutando Des è solo perché vuole evitare di far precipitare gli eventi un’altra volta – decisamente quel lampadario non avrebbe sopportato una seconda caduta.
E se stavolta Des sembra sicuro di quello che sta facendo, Amy è come sempre entusiasta e Morty sembra non interessato, dovrà ricordarsi che a Una non piace essere lasciata in disparte.
 
Perché forse la Musica della Notte non era ancora arrivata alle sue ultime battute e quella Christine era semplicemente quella sbagliata.











 

Prologue
overture
 
 
 
Quel giorno Des era annoiato.
Aveva ben chiaro quali fossero gli ordini – o meglio,
l’ordine – ma non ci poteva fare nulla: se lo si lasciava inattivo per troppo tempo cominciava a diventare insofferente.
Pensava che i suoi fratelli avessero ormai capito che quello non era un bene, ma a quando pareva se ne dimenticavano ugualmente a intervalli abbastanza regolari.
E così la noia lo aveva spinto ad appostarsi all’imbocco di quel vicolo in modo da poter osservare indisturbato la gente che passava per la via principale.
Già si sentiva meglio.

Studiare le persone era qualcosa di naturale per lui, gli sembrava di leggere tanti libri aperti – scritti in stampatello e con le figure, avrebbe potuto aggiungere in certi casi.
Il suo era un talento innato: uno sguardo e riusciva a capire qualcuno senza che quello dovesse aprire bocca.

Sogni, aspirazioni, desideri... se si concentrava abbastanza riusciva persino a indovinare se si sarebbero avverati, se quella persona sarebbe riuscita ad ottenere quello che voleva o se si sarebbe accontentata di quello che aveva già.
Le sue preferite erano le persone ambiziose, coloro che, datagli l’opportunità, avrebbero fatto di tutto per raggiungere l’oggetto delle loro aspirazioni.
Quando era tanto fortunato da incontrarne una si sentiva come un bambino davanti ad un giocattolo nuovo.

Adorava poter essere nella posizione di poter aiutare quelle persone.
Certo, lui non regalava niente a nessuno e nel suo tornaconto personale dovevano sempre rientrare una buona dose di divertimento e distrazione altrimenti non si sarebbe disturbato, ma fino a quel momento non si era mai pentito delle sue scelte in fatto di assistiti, ci aveva sempre visto giusto.
 
Le sue labbra si stesero automaticamente in un sorriso quando i suoi occhi si posarono su una donna, mentre nella sua mente vedeva come in un flash tutto quello che sarebbe potuto essere.
Uscì dall’ombra aggiustandosi giacca e doppiopetto andandole incontro.
«Suvvia, un’espressione così afflitta non si addice ad una donna bella come voi madame».
La giovane donna, quasi ancora una ragazza, era stata palesemente presa alla sprovvista, ma Des sapeva che la sua attenzione si era subito concentrata sul complimento che le era stato fatto.

Alzò lo sguardo, tenuto chino verso terra fino a quel momento, per poter guardare in faccia l’inaspettato interlocutore e nei suoi occhi Des potè leggere quello che stava provando in quel momento.
Il compiacimento per essere stata appellata con l’aggettivo bella nonostante gli stracci che stava indossando; la paura di non riuscire a migliorare la propria condizione e vivere ignorata e in miseria per il resto della sua vita. La rabbia verso quel giovane benestante che l’aveva illusa con le sue maniere gentili, i regali, le premure salvo poi minacciarla di farla arrestare se non fosse sparita quando aveva scoperto di averla messa incinta. Quell’uomo che lei pensava di amare ricambiata ma che alla fine l’aveva rifiutata perché troppo povera, troppo mediocre e non all’altezza delle signorine di buona famiglia tra le quali alla fine sarebbe sicuramente ricaduta la sua scelta.
E adesso quell’uomo l’aveva definita bella... forse...
Des si lasciò scappare un breve risata divertita: «No madame, se sta pensando che io sarò colui che la tirerà via dalla strada e dalla vostra miseria portandovi con me vi sbagliate di grosso... ma non disperate. Sono comunque qui per aiutarvi»
Lo sguardo della donna si era spento e subito riacceso alle sue ultime parole: non si sarebbe fatta scappare nessuna occasione.
L’uomo sorrise furbo: «Ho ragione di credere che voi siate una donna ambiziosa, madame. Qualità che ammiro. E per questo ho deciso di prestarvi la mia
assistenza. Vi posso promettere che la vostra situazione migliorerà in modo incredibile e...»
«Cosa volete in cambio?»
Mmm... quindi la sua disavventura con quel nobile l’aveva almeno resa meno sprovveduta alla fine dei conti.
«Voi cosa sareste disposta a darmi?» ribattè lui.
«Qualsiasi cosa» fu la risposta quasi istantanea.

«Se è veramente così non dovreste essere preoccupata da quello che voglio da voi, non credete madame?»
La donna strinse le labbra.
«Non crucciatevi mia cara. Per ora mi accontento di una stretta di mano e del suo nome» la rassicurò mentre le idee continuavano a invadergli la mente.
Le cose stavano andando di bene in meglio, superando addirittura le sue aspettative.

Se la giovane avesse accettato avrebbe trovato il modo di coinvolgere anche i suoi fratelli. Sapeva che Amy ne sarebbe stata deliziata tanto quanto Una sarebbe stata elettrizzata. Morty non avrebbe avuto nulla da ridire se non l’avesse lasciato in disparte quanto a T. ... poteva forse essere l’unico che avrebbe disapprovato, ma d’altronde lui era quello che
aggiusta sempre tutto, non sarebbe rimasto a guardare.
Avrebbe fatto le cose in grande.


Nel frattempo aveva teso una mano verso di lei. Non dovette aspettare molto prima di sentirsela stingere.
“Il mio nome è Jaqueline...”
“No, no madame. Avete frainteso» la interruppe. «Non volevo sapere il vostro nome, ma il suo» indicò con un cenno il ventre della donna che cominciava a farsi prominente nonostante il tentativo di tenerlo nascosto sotto strati di vestiti.
La donna arrossì ritirando involontariamente la mano, ma Des non lasciò la presa.

«Se dovesse essere un maschio pensavo Erik, altrimenti...»
«Erik...» Des pronunciò lentamente il nome come se lo stesse assaporando, interrompendola di nuovo.
Suonava bene. Dannatamente bene.
Era quello giusto.

La stretta di mano si interruppe mentre Des tornava sui suoi passi lasciandosi la donna alle spalle.
«È stato un piacere... ...Erik...»

 
 
 
♫ ♪ ♫
 
 
 
Dopo ore di dolore lancinante e spinte sfiancanti era tutto finito.
Distesa nel comodo letto della camera padronale della villa, il marito al suo fianco dopo aver ricevuto il permesso di entrare nella stanza, ancora non poteva credere a tutto quello che era successo.
L’uomo di cui si era innamorata e che l’aveva abbandonata era tornato da lei.
Si era scusato con un bacio e una promessa suggellata durante il matrimonio organizzato in tempi brevi prima che il bambino nascesse.
L’affascinante sconosciuto aveva mantenuto la parola di quel pomeriggio di qualche mese prima senza farsi più vivo.
Non aveva la più pallida idea di come avesse fatto e non le importava nemmeno, al momento non poteva essere più felice: finalmente aveva tutto quello che aveva sempre sognato.

 
Fu così che quando la levatrice riportò Erik nella stanza lavato e vestito, pronto per essere presentato ai suoi genitori, Jaqueline Destler urlò a pieni polmoni prima di svenire accasciandosi sui cuscini di piume che le sostenevano la schiena.














Buon pomeriggio!
Come potete ben vedere sono tornata, e di nuovo non con la storia di HP che avrei dovuto aggiornare...
Ho già pubblicato qualcosa nel fandom del Fantasma, ma è stata solo una os: questa storia la tirerà più per le lunghe, ve lo posso assicurare.
Come sempre dai miei "magnifici" prologhi... non si capisce un accidente. Non temete, dal primo capitolo incomincerò a contestualizzare già meglio la storia, che NON si svolge al tempo in cui è ambientato il film (ops, spoiler...) (a questo proposito, secondo voi dovrei mettere l'AU nelle note della storia? Non le so queste cose)
Spero che abbiate letto i miei "avvertimenti" all'inizio del capitolo, così non ci sarà bisogno di ulteriori precisazioni in futuro, spero.
Ora, le cose importanti: gli aggiornamenti.
La storia è più o meno finita, ma non revisionata. Pertando mi prendo due settimane tra un capitolo e l'altro, salvo recensioni. Se mai qualcuno dovesse lasciarmi commenti allora in cambio accorcerò l'attesa ad una settimana sola - aggiornamenti più frequenti non riesco, sorry. Se avete preferenze per il giorno dell'aggiornamento fatemelo sapere, altrimenti lo lascio a sabato.
Credo di aver detto tutto, non mi resta che ringraziare chi si è fermato a leggere e chi magari vorrà iniziare a seguire questa storia.

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 2
*** 1. Magical lasso ***


1
magical lasso
 
 
 
Christine si fece strada dietro i camerini cercando di seguire le indicazioni che la madre le aveva lasciato su quello strano biglietto.
Là dietro era un labirinto in cui lei sapeva destreggiarsi solo fino a un certo punto.
Per quanto fosse ovvio che il tutto fosse stato ristrutturato, anche più volte, nel passare degli anni, era comunque rimasto qualcosa che ricordava il passato, l’antico, il misero...
Poteva solo immaginare cosa volesse dire per ballerine, ètoiles, cantanti e prime donne calcare quel palcoscenico e ritirarsi in quei camerini che, nonostante le necessarie modernizzazioni, erano stati mantenuti il più possibile simili a com’erano originariamente.
Ma d’altronde si stava parlando nientemeno che dell’Opéra Garnier di Parigi: persino lei, che era una semplice ballerina alle prime armi e che frequentava solo la sala prove e lo stanzone adiacente che fungeva da spogliatoio, restava in soggezione ogni volta che ci metteva piede.
 
Christine Rose De Chagny.
Un nome importante, da qualsiasi parte lo si leggesse.
Dal 1895 il suo tris-nonno e la sua famiglia erano stati i patroni del teatro e quel cognome era ancora ben conosciuto visto che suo padre, Claude De Chagny, nonostante fosse un chirurgo, aveva continuato la tradizione di famiglia con regolari e generose donazioni al teatro.
Era stato ad un galà di beneficenza di anni prima, quando ancora gli affari relativi al teatro erano gestiti da suo nonno, che aveva incontrato quella che sarebbe diventata sua moglie.
Elèonore era una giovane fisioterapista fresca di studi di qualche anno più giovane di lui, e all’epoca aveva appena iniziato a lavorare a sua volta per lo studio di famiglia che era in rapporti col teatro già da anni per quanto riguardava l’assistenza del corpo di ballo dell’Opéra.
Inutile dire che alla fine anche i loro figli erano stati introdotti a quel mondo di fondali, costumi, musica e balletto.
Gabriel, il suo fratellino di sette anni più piccolo, aveva cominciato con le lezioni di violino solo quell’anno ma già dimostrava di essere incredibilmente portato per lo strumento.
E poi c’era lei, Christine: tredici anni, il nome della sua tris-nonna e la stessa passione e attitudine per la danza prima che diventasse uno dei soprani più famosi dell’epoca.
Quando si presentava e la gente sentiva il suo nome non era raro vedere più di qualche espressione scettica: pensare che avesse avuto un posto nella Ballet School solo per il suo cognome era quasi automatico.
Almeno poteva dire che quando la vedevano danzare cambiavano tutti opinione all’istante e lei non aveva intenzione di dare ascolto a pettegolezzi e malelingue: se era lì era per il suo talento e l’impegno che metteva ogni giorno nelle prove. Era una delle migliori e più promettenti del suo corso e aveva tutte le intenzioni di mantenere quello standard.
 
Continuò a seguire le indicazioni scritte sul pezzo di carta entrando nell’area che non era stata toccata dalle ultime ristrutturazioni e veniva riservata alle visite scolastiche per far vedere com’era il teatro una volta.
Il corridoio in cui si affacciò però non lo conosceva.
Non che avesse così tanta familiarità con il posto, ma riusciva ad orientarsi abbastanza bene con i camerini dietro le quinte perché spesso si fermava con sua madre prima o dopo le lezioni per osservare e occasionalmente aiutarla mentre faceva il suo lavoro.
Visto che però quella era la parte volta quasi a museo non riusciva proprio a capire per quale motivo sua madre avesse lasciato lì il suo borsone con l’equipaggiamento per le visite.
Aprì quella che, sperava, fosse la porta giusta e fece scattare l’interruttore della luce che si accese con uno sfarfallio.
A suo tempo anche lei aveva fatto la sua visita guidata, ma quel camerino in particolare non se lo ricordava.
Sembrava davvero che l’introduzione della luce elettrica fosse l’unica cosa modificata da quando il teatro era stato aperto, pareva di essere in un’altra epoca.
La moquette per terra, il divanetto e le poltroncine imbottite, gli arazzi ai muri, il guardaroba, il tavolo da toeletta in legno massiccio... ogni singolo elemento d’arredo urlava antico e autentico.
Accanto al tavolo da toeletta ce n’era un altro leggermente più basso sul quale svettava il borsone di sua madre, stonando incredibilmente con il resto della stanza.
Fece per prenderselo e andarsene, prima che qualcuno la trovasse in un posto dove non sarebbe dovuta essere nonostante tutto, ma la sua attenzione venne irrimediabilmente attirata dal quadro appeso al muro esattamente davanti a lei.
 
La ballerina indossava un costume di scena, di quelli con la gonna lunga in tulle bianco e le spalline che scivolavano dalle spalle, il corpetto ricamato con un ricco ed elaborato motivo floreale.
Era raffigurata interamente, le braccia alzate in quarta posizione.
Sorrise studiando la posizione dei suoi piedi: mettendo insieme il tutto sembrava proprio l’intermezzo della sequenza di salti che avevano inaugurato il giorno prima durante il riscaldamento.
Se fosse mancata per altri trenta secondi non se ne sarebbe accorto nessuno...
Si tolse svelta i sandali scalciandoli sotto la scrivania e rimanendo a piedi nudi, raddrizzò testa e spalle arcuando appena la schiena copiando la posizione della ballerina del dipinto.
Chiuse gli occhi immaginando di essere lei a indossare quel magnifico tutù, di esibirsi sul palco che tutti sognavano e cominciò a saltare.
E uno... e due... e tre... e il pavimento si aprì sotto i suoi piedi.
 
Cadde nel vuoto senza neanche gridare visto che la voce sembrava esserle rimasta bloccata in gola.
Un paio di gemiti le sfuggirono quando il suo corpo si scontrò con quelle che sembravano essere corde che però si spezzarono sotto il suo peso. Scendendo diventarono più fitte e intricate e Christine si sentì avvolgere senza che potesse fare nulla per impedirlo. In più il fatto che il punto da cui era caduta di fosse richiuso quasi subito sopra la sua testa lasciandola nell’oscurità più totale non aiutava affatto.
Non riusciva a capire cosa fosse successo: come poteva il pavimento essersi semplicemente dissolto?
Incontrò un groviglio di funi che arrestò finalmente la sua discesa pur legandola in modo tale da impedirle qualsiasi movimento, finchè non incontrò quell’ultima che le si strinse attorno al collo.
Aveva paura persino a respirare, se fosse scivolata un altro po’ la stretta sarebbe aumentata e lei... beh, non c’era un modo carino per dirlo: sarebbe stato come se l’avessero impiccata.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Quel rumore... quella sinfonia di campanelli che suonavano in modo tanto armonioso quanto crudele era la trappola a cui erano collegati.
Riaprì gli occhi ritrovandosi esattamente nella stessa posizione in cui si era messo quando li aveva chiusi.
I campanelli continuavano a suonare, i toni soavi come la voce di... no, non poteva pensare a lei. Aveva fatto la sua scelta, preso le sue decisioni. Pensarla gli avrebbe portato solo altra sofferenza, e lui era stufo di soffrire.
Non aveva forse sopportato abbastanza fin da quando era venuto al mondo?
Lo scampanellio si era finalmente fermato.
Richiuse gli occhi nel giaciglio che si era creato con l’intenzione di rimettersi in attesa che la morte venisse a prenderlo.
Era consapevole che fosse passato troppo poco tempo: non si sentiva ancora neanche fiaccato dall’assenza di cibo e acqua, e aveva sempre avuto un fisico forte nonostante tutto. Ma avrebbe avuto pazienza.
Eppure...
Il silenzio era tornato a regnare in quel cunicolo sotterraneo ma per qualche motivo il suono delle campanelle continuava a riverberare nella sua testa, una scintilla di curiosità riaccesa in lui.
Dopo l’incidente chi mai sarebbe stato così stupido da girare per quella parte del teatro dopo così poco tempo?
Si ritrovò in piedi suo malgrado dopo un attimo di instabilità dovuto al fatto che fossero giorni che non si muoveva da quella posizione. Sbattè appena le mani sui vestiti per togliere la polvere, passandosi poi una mano sulla parte sana del viso ed evitando accuratamente il lato destro.
Se lo sfortunato non era morto nella trappola probabilmente sarebbe deceduto quando avrebbe realizzato chi aveva davanti.
Era da quando aveva impostato la trappola che non tornava lì, essendo quel camerino inutilizzato il più delle volte. In realtà la botola che aveva ideato sarebbe dovuta servire più come una via di fuga per lui in caso di bisogno: c’erano dei punti esatti dove esercitare pressione in un determinato ordine per farla aprire – una persona non ci sarebbe riuscita solo camminandoci sopra – e ricordandosi l’accortezza del tenere la mano all’altezza degli occhi, aspettandosi la caduta, le funi sottostanti non sarebbero state un problema: lui non avrebbe avuto problemi ad arrivare intero e senza un graffio al fondo del pozzo.
La stessa cosa non si sarebbe potuta dire di chiunque altro.
 
Quello che alla fine lo destò definitivamente dal suo torpore fu la vista della sua vittima.
Doveva essere in deshabillé: anche se non aveva la più pallida idea di come fosse potuto succedere doveva essere caduta mentre si stava cambiando.
Studiò scrupolosamente quello che stava indossando. Aveva i piedi nudi, le gambe fasciate da quella che pareva essere una calzamaglia nera e per fortuna coprente a cui era stata tagliata la parte del piede. La canottiera, di fattura a lui sconosciuta, si era alzata durante la caduta lasciando scoperto l’addome snello e stretto tra diverse corde. I capelli raccolti in uno chignon al quale sfuggiva ormai ben più di qualche ciuffo gli fece immaginare fosse una delle ballerine di Madame Giry.
Il suo sguardo passò così al viso, facendogli realizzare con stupore che quella sospesa sopra di lui non era altro che una ragazzina. Si domandò distrattamente se qualcuno si sarebbe mai accorto della sua sparizione se l’avesse semplicemente lasciata lì...
Studiando però più attentamente i suoi lineamenti assottigliando gli occhi nell’oscurità il suo cuore saltò un battito. Non era possibile, quella era...
Che qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere facendolo tornare indietro nel tempo in modo da poter ricominciare tutto da capo con la sua Christine? Perché quella era lei, non avrebbe mai potuto sbagliarsi, l’avrebbe riconosciuta sempre...
Il boccheggiare della ragazza lo riportò alla realtà. Il suo volto stava diventando sempre più paonazzo, e ciò non era dovuto solo alla posizione inclinata leggermente a testa in giù in cui era rimasta intrappolata.
Quella corda, quel cappio che aveva attorno al collo... era un miracolo che non fosse già morta.
Attivò il meccanismo per far calare le funi procedendo con lentezza e attenzione: un movimento sbagliato o troppo brusco e la ragazzina sarebbe rimasta appesa solo per il collo.
Quando finalmente arrivò a prenderla tra le braccia dopo averla liberata da tutte le funi che le si erano attorcigliate attorno al corpo gli sembrò di stringere una piuma tanto era leggera.
Le sue palpebre sfarfallarono appena mentre tornava a respirare normalmente ma non si svegliò.
Lasciandosi alle spalle il salto dell’impiccato portò la ragazzina con sé nelle tenebre.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
No, no e ancora no.
Non poteva essere.
Lui non si sbagliava. Mai.
Doveva essere colpa di quelle due incompetenti impiccione: Una aveva preso fin troppo in simpatia il Visconte De Chagny mentre Amy aveva sempre avuto un debole per gli uomini biondi e aveva solo confuso le cose provocando una catastrofe che era andata al di là della sua immaginazione.
Morty era rimasto deliziato per come si era svolta e conclusa la vicenda, cosa che l’aveva fatto irritare ancora di più di quanto già non fosse e T. ...
«Mi hai mandato a chiamare Des? Se è per il disastro che si è verificato all’Opéra Populaire la settimana scorsa non hai che da biasimare te stesso. Dopotutto anche i più infallibili sbagliano prima o poi»
«Oh, sta zitto. Non ti ho chiamato per sentire i tuoi rimproveri»
Il suo interlocutore si accomodò sul divanetto dello studio ravvivandosi con una mano i capelli bianchi.
 
Di loro cinque T. era sempre stato quello con l’aspetto più peculiare.
Amy era la classica bellezza dai lineamenti dolci, le labbra a cuore, i boccoli biondi e gli occhi azzurri come il cielo.
Morty, nonostante fosse il suo gemello, ne condivideva solo i tratti avendo sia gli occhi che i liscissimi capelli neri come la notte.
Una aveva un profilo più affilato e sfuggente, labbra sottili, verdi occhi furbi che possedevano la vista di un’aquila – anche se a volte pareva fosse cieca, ma Des sospettava lo facesse apposta – e indomabili ricci rossi che le facevano guadagnare numerose occhiate e commenti quando si decideva ad uscire di casa.
Lui era convito di avere un aspetto nella norma: altezza nella media, capelli castano chiaro appena mossi, occhi color miele.
E poi c’era T. Era il maggiore, ma il fatto che fosse albino – pallido, capelli bianchi, occhi chiarissimi con qualche sfumatura rossastra – non avesse un filo di barba e i lineamenti delicati quanto quelli di Amy glielo facevano spesso dimenticare.
 
«Si può sapere cosa speravi di ottenere esattamente?» T. lo richiamò dalle sue elucubrazioni mentali.
Des rispose con un grugnito continuando a camminare su e giù per la stanza: «Lo sai...»
«Evidentemente no. Hai ragione, non ti sei mai sbagliato prima, ma qui non si è trattato di un semplice errore»
«Sistemerò le cose, è stata solo una
svista...»
«Una svista grande quanto quel teatro!» capitava di rado di sentire T. che alzava la voce, e quando succedeva non era mai un buon segno.
«Cosa vorresti che faccia, eh? Non posso tornare indietro nel tempo...»
«Voglio che tu trovi una soluzione al casino che hai combinato»
Des chiuse gli occhi cercando di concentrarsi.
Di soluzioni non ne vedeva e il suo... chiamiamolo
istinto, continuava a dirgli che non aveva fatto nulla di sbagliato.
Non era colpa sua. Era colpa di...
«Christine, quella sciocca ragazza. È tutta colpa sua!» esclamò. «Sua e di quelle due pettegole delle nostre sorelle, non avrei mai dovuto coinvolgerle»
«Lascia in pace Amy e Una, e anche quella povera ragazza. Davvero stai cercando di addossare le tue colpe a lei?»
«Ha rovinato tutto»
«Lei è felice e prossima al matrimonio col Visconte De Chagny. Ed Amy sembra alquanto sicura che tra loro le cose funzioneranno alla grande. Accettalo: non era quella giusta»
«Sì che lo era, dannazione! Christine...» si interruppe bruscamente a metà frase.
Accanto a quel nome che aveva sempre visto appaiato con estrema chiarezza a quello di Erik Destler si era appena fatto chiaro un cognome...

Christine De Chagny
«Non era quella giusta...» sussurrò.
T. annuì soddisfatto: «Vedi, non era così difficile ammetterlo, no?»
«No, non hai capito: non era
quella giusta!» ripetè Des con rinnovato entusiasmo mentre nuove immagini riempivano la sua testa.
Il fratello lo guardò preoccupato: «Des...»
«Ho bisogno del tuo aiuto!»
«Assolutamente no! Per caso stavolta vuoi rischiare di far saltare in aria la città?»
«Non ho
sbagliato... ho solamente calcolato male i tempi»
«Ah beh, questo giustifica tutto allora»
«Non usare quel tono con me. Se non fosse stato il teatro sai che Morty avrebbe comunque trovato il modo di...»
«Non tirare in ballo tuo fratello e dimmi cosa ti serve»
Gli occhi dell’uomo brillarono e si sedette finalmente di fronte a T. mentre cominciava ad esporre la sua idea.













Buonasera a tutti.
Come promesso ecco il tanto atteso primo capitolo di questa storia... e con esso l'introduzione del nuovo personaggio principale (oltre alla nostra primadonna preferita...). Qualche prima opinione su questa "nuova" Christine, così a caldo?
E avete capito di chi era il secondo POV, non c'è bisogno di specificarlo, vero? ;)
Spero che pur non rivelando ancora molto il capitolo sia stato di vostro gradimento e vi lascio alle vostre teorie - che siete benvenuti a condividere se volete...
Chiedo lo stesso anche se sono abbastanza sicura di non ricevere risposta: vi piacerebbe se alla fine del capitolo lasciassi un paio di righe di spoiler dal capitolo successivo?
Appuntamento tra due sabati (salvo recensioni, altrimenti anticipo a sabato prossimo).


I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

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Capitolo 3
*** 2. Stranger than you dremt it ***


 
2
stranger than you dremt it
 
 
 
«Tu sei
assolutamente inutile!»
«Calmati Des, stai esagerando»
«Calmarmi? Calmarmi? Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Io posso compiere errori nel calcolare le tempistiche, ma tu...!»
«Ti ho detto che non avrei potuto continuare a forzare le cose più a lungo di così, sarebbe stato male...»
«Intanto però hai anticipato troppo i tempi! Non era previsto che succedesse prima di
anni... Ho dovuto trovare una soluzione all’ultimo minuto altrimenti sarebbe andato tutto all’aria, di nuovo!»
«Sono sicuro che questo inconveniente non avrà ripercussioni irrimediabili»
«Sarà meglio per te»

«Altrimenti cosa?»
«...»
«Come immaginavo»
«Quanto ti serve prima di poter rimettere in moto le cose?»
T. sospirò. I casini che Des originava quando era annoiato di solito si risolvevano in fretta, quest’ultimo però ci stava impiegando
secoli...
«Lasciami un paio di giorni e potrei essere in grado di fare qualcosa» rispose alla fine.
«Bene»
La porta sbattè e T. rimase solo a pensare se forse non avesse fatto male ad assecondare Des in questo ultimo suo capriccio invece di fermarlo sul nascere.
 

 
 
♫♪♫
 
 
 
Christine riprese lentamente conoscenza.
Sentiva la testa pulsare e non solo, poteva avvertire diversi punti dolenti in tutto il corpo, primo tra tutti il collo.
Spalancò gli occhi trovandosi distesa in un letto a baldacchino dalle lenzuola nere, le tende ordinatamente legate alle colonne del letto.
La camicia da notte e la vestaglia che indossava le erano leggermente larghe ma di fattura eccezionale, e candide com’erano facevano un bel contrasto con le suppellettili del letto.
Realizzò un istante più tardi cosa quello significasse: qualcuno l’aveva cambiata!
Con sollievo constatò di avere ancora il top che ricordava di aver indossato prima di lasciare casa mentre i suoi leggins... erano stati tagliati fino a metà coscia.
Nello scoprirsi le gambe realizzò che le sorprese non erano finite. Adesso capiva perché le sentiva così doloranti: erano costellate di lividi violacei dalla forma allungata in parecchi punti, in quelli più dolorosi le sembrava addirittura di distinguere il segno della tramatura di... una corda?
Se le sue gambe erano ridotte così il resto del corpo non doveva essere messo tanto diversamente visto che sentiva la stessa sensazione su braccia, pancia, petto e...
Saltò sul letto non senza reprimere un gemito di dolore e con più cautela si alzò in piedi guardandosi intorno: non c’era un singolo specchio in quella stanza, non una sola superficie riflettente.
E adesso che guardava meglio, sembrava non esserci neanche una porta.
Cominciò ad esaminare le pareti: parevano essere di roccia ma erano per lo più ricoperte da drappi e arazzi. Scostandone uno trovò finalmente una porta in legno massiccio, pesante da aprire, ma almeno non era chiusa a chiave. Uscì percorrendo un breve corridoio che dopo pochi passi si affacciava su un’altra stanza attraverso un ingresso ad arco.
Al contrario di quella che aveva appena lasciato, di un ordine quasi maniacale, in quella regnava il caos più completo. Sul pavimento c’erano detriti e schegge dei materiali più disparati, i mobili accostati alle pareti sembravano essere stati sfondati da qualcuno dotato come minimo di una mazza da baseball, e l’imponente letto che doveva essere il protagonista della stanza era irriconoscibile.
Il materasso era stato fatto a brandelli, c’erano piume dappertutto, e le fiancate che parevano rappresentare delle ali erano tutte sfregiate. La testiera sembrava una conchiglia e in corrispondenza dei piedi si alzava quella che sembrava essere una colonna appena arcuata, che però era stata mozzata come vengono tagliate le teste.
Di sicuro non avrebbe voluto trovarsi in quella stanza con la persona che l’aveva ridotta a quel modo.
Scacciò in fretta i suoi timori quando però si accorse che sullo specchio a figura intera, accostato alla parete di fondo, era rimasto un frammento abbastanza grande da consentirle di specchiarsi.
Lo raggiunse camminando in punta di piedi e facendo attenzione a dove li metteva e restò a bocca aperta.
A parte il fatto che con i capelli sciolti e quell’abbigliamento sembrava quasi un’altra persona, quello ben visibile attorno al suo collo come se fosse un choker di pessimo gusto era senz’ombra di dubbio il segno lasciato da una corda.
Che qualcuno avesse provato a... improvvisamente ricordò.
 
Era arrivata all’Opéra ben in anticipo per la sua lezione, era con sua madre che l’aveva accompagnata visto che aveva un paio di visite quel pomeriggio.
Si erano salutate quando lei era andata agli spogliatoi per cambiarsi e magari cominciare a fare un po’ di riscaldamento, ed era giusto tornata dal bagno quando aveva trovato il biglietto appoggiato sulla sua borsa.
Non le era sembrato di sentire nessuno entrare, ma la calligrafia era indiscutibilmente quella della madre e non le dava fastidio farle quel favore: aveva ancora tempo e le piaceva un sacco giare per quella zona del teatro che normalmente le sarebbe stata interdetta.
Tutto era poi successo così in fretta: la ballerina del quadro, lei che provava la sequenza di salti, la caduta, le corde, la sensazione di soffocare...
E adesso... dove diavolo si trovava?
 
Tornò a rivolgersi allo specchio chiedendosi come avesse fatto ad arrivare in quel posto e soprattutto chi l’avesse portata quando una voce la fece sobbalzare.
«Vi siete svegliata. Cominciavo a preoccuparmi. Perché avete lasciato l’altra stanza, avreste potuto ferirvi ancora...»
Era abbastanza profonda e sottintendeva una melodiosità che non aveva mai sentito nella voce di un adulto, anche se allo stesso tempo sembrava leggermente rauca come se non fosse stata usata per diverso tempo.
Sentì il suo cuore aumentare i battiti mentre l’uomo le si avvicinava e lei si ritrovava incapace di muovere un muscolo.
Il suo abbigliamento era in linea con quello di lei: stivali in pelle che superavano la metà del polpaccio, pantaloni in tessuto nero tenuti su in vita da una fascia dello stesso colore in cui si inseriva la camicia, bianca con le maniche lunghe ed ampie, leggermente scollata sul davanti.
Non avrebbe saputo dire quanti anni avesse: già di suo era pessima ad attribuire l’età alle persone e la maschera che lo sconosciuto indossava su metà viso non aiutava di certo.
Forse poteva arrivare ai trenta...
Se non altro non sembrava avere cattive intenzioni da quello che esprimeva la parte di viso scoperta, e i suoi occhi nerissimi non sembravano cattivi, ma per lo più preoccupati.
Retrocedette ugualmente di un passo toccando il bordo frastagliato dello specchio con la schiena quando le fu davanti allungando una mano verso di lei.
Girò la testa chiudendo gli occhi, ma li riaprì sorpresa quando sentì un tocco gentile sfiorarle il collo.
L’uomo esaminò attentamente la parte lesa e Christine trattenne il fiato finchè non ebbe terminato.
«Mi dispiace»
La ragazzina lo guardò con tanto d’occhi: «Perché dovrebbe dispiacervi? Non è mica stata colpa vostra. In realtà credo di dovervi ringraziare per avermi salvata...» replicò ingenuamente.
«Quella trappola è opera mia: si chiama salto dell’impiccato» la sua voce non assunse nessuna particolare inflessione mentre confessava senza alcun pudore di aver installato una trappola mortale nel teatro più famoso di Francia.
Christine non sapeva cosa dire. Avrebbe potuto intimidirlo dicendo che lo avrebbe denunciato alle autorità... ma se lo avesse fatto sarebbe mai riuscita a tornare a casa? Non voleva pensare a cosa avrebbe potuto farle l’uomo se si fosse sentito minacciato.
Eppure non le era sembrato cattivo, si era persino scusato.
 
«Perché qualcuno dovrebbe costruire una cosa del genere all’interno del teatro?» decise di domandare alla fine.
L’altro alzò il sopracciglio non coperto dalla maschera scrutandola sospettoso: «Dovete essere nuova... da quanto siete all’Opéra?» domandò, salvo poi scuotere la testa e aggiungere subito dopo «Lasciate perdere, non ha importanza. Forse è anche meglio così»
Christine decise che non era opportuno fargli notare che non aveva risposto alla domanda.
«Posso almeno sapere il vostro nome visto che mi avete salvata?» provò ad azzardare.
Per qualche motivo l’uomo sembrò sorpreso. Aprì bocca ma si bloccò prima che potesse uscirne alcun suono come se ci avesse ripensato.
«Mi chiamo Erik, al vostro servizio» si presentò alla fine. «Posso chiedere anch’io il vostro nome, mademoiselle?»
Per l’ennesima volta la ragazzina si ritrovò a pensare che l’uomo, Erik, aveva maniere d’altri tempi.
Fu il suo turno ad essere titubante: Erik la guardava carico di un’aspettativa che non riusciva a spiegarsi.
«Rose. Mi chiamo Rose. Piacere di fare la vostra conoscenza monsieur» accennò una riverenza e il suo interlocutore sembrò apprezzare il gesto. «E potete darmi del tu... ho solo tredici anni dopotutto» concluse. Lei poteva anche continuare a dare del voi a lui, ma il contrario le sembrava ridicolo.
L’uomo sembrò un attimo confuso dalla concessione ma non commentò.
«Vieni Rose. Ti porto indietro. Si staranno chiedendo che fine hai fatto...»
«Per quanto ho dormito?»
«Non più di tre ore»
 
La risposta passò in secondo piano quando, dopo aver percorso un brevissimo corridoio, Christine si trovò davanti al resto.
Si trovava in un’ampia grotta sotterranea che accoglieva addirittura un lago. Quel posto sarebbe stato di una bellezza e ricchezza incredibile se solo non fosse stato nelle stesse condizioni della camera col letto decapitato.
Specchi e drappeggi una volta deputati a decorare le pareti di roccia nuda erano stati strappati o ridotti in frantumi, elaborati candelabri erano stati rovesciati a terra e solo su pochi erano rimaste superstiti alcune candele che erano state accese. Se non altro il pavimento non era così pieno di detriti come la camera da letto e lei poteva muoversi con maggiore sicurezza. Scavalcando quello che sembrava essere un blocco di marmo la ragazzina si rese conto che in realtà quello era un mezzobusto con ancora una benda a coprire la parte destra del viso... non fu l’unico in cui si imbattè. Un altro per esempio aveva una maschera del tutto simile a quella che l’uomo aveva indosso.
Si chiese come mai portasse metà del viso nascosto e troppo tardi si accorse di averlo pensato a voce alta, quando Erik la guardò a metà tra l’infastidito e l’essere stato colto alla sprovvista.
«Mi scuso per la curiosità, ma non credo di essere la prima a farvi questa domanda o sbaglio?»
«Di solito le persone sanno cosa c’è sotto la maschera e scappano. Vedere è l’ultima cosa che vogliono» rispose pungente. «E fidati che non lo vuoi sapere neanche tu»
«Questo dovrei essere io a dirlo» non ce l’aveva proprio fatta a trattenersi, le sembrava di stare discutendo con suo fratello.
 
Erik doveva ammetterlo, quella risposta non se l’era aspettata, e Rose lo stava ancora guardando apertamente come se sperasse che la maschera sarebbe venuta via da sola se avesse continuato a fissarla.
La prima reazione delle persone quando lo vedevano davvero in faccia era quella di scappare a gambe levate urlando dal disgusto e dalla repulsione. I più coraggiosi erano riusciti a volte ad urlargli un «Mostro!» prima di girare i tacchi il più in fretta possibile. In realtà a pensarci bene qualcuno era addirittura svenuto.
Madame Giry era stata l’unica a non fare mai nessun commento e poi era arrivata Christine. Colei a cui aveva donato tutto se stesso, il suo cuore, la sua musica, e che per un istante gli aveva dato la speranza che, nonostante tutto, in quel mondo crudele ci potesse essere qualcuno in grado di amare un abominio come lui.
Quell’illusione era quasi diventata realtà prima che il vero stato delle cose gli venisse sbattuto in faccia ricordandogli il suo posto.
Lui non aveva diritto a quella felicità, a vivere una vita alla luce del sole. Lui apparteneva all’ombra e alle tenebre, all’oscurità che aveva irrimediabilmente contaminato la sua anima macchiandola con le terribili azioni che aveva commesso durante la sua vita.
E adesso era arrivata quella ragazzina, che aveva scambiato per la sua Christine per il tempo che gli era servito per arrivare alla sua camera da letto e accendere le lampade a petrolio e scoprire che i suoi capelli erano biondi, troppo chiari per essere quelli della sua vecchia protetta. Doveva rassegnarsi al fatto che non avrebbe più rivisto quella Christine e la somiglianza altro non era stata che una fortuna per la giovane visto che se non fosse stato per quella probabilmente non si sarebbe disturbato a farla scendere.
E lei lo aveva pure ringraziato per averla salvata dalla sua stessa trappola con una sincerità disarmante.
Certo, aveva individuato la menzogna quando le aveva chiesto il nome, ma non poteva biasimarla: a parti invertite probabilmente neanche lui avrebbe detto la verità.
 
Intanto Rose lo stava ancora fissando, aspettando una risposta alla sua ultima provocazione.
Decise di giocare un po’ con lei.
Non le avrebbe fatto del male, alla fine l’avrebbe comunque restituita, ma quello lei non l’avrebbe saputo.
 
«Visto che sembri così sicura di voler vedere il mio volto ti propongo... una sfida» cominciò.
Lo sguardo della ragazzina si fece attento.
«Vi do il permesso di togliermi la maschera ma ci sono delle regole. Se riuscirete a sopportare la vista del mio viso avete la mia parola che vi scorterò personalmente indietro al teatro senza che vi accada nulla. In caso contrario potrete scegliere se provare a tornare indietro da sola e finire in un’altra delle mie trappole dalla quale non vi salverò stavolta, o rimanere qui con me...» concluse sedendosi sullo sgabello del suo organo – le uniche cose rimaste integre, come se la folla che aveva distrutto il resto avesse avuto paura a toccare lo strumento - dandogli le spalle per continuare a tenere d’occhio Rose.
Christine era confusa: perché imporre condizioni del genere? Restare con lui o morire nel tentativo di tornare indietro da sola nel caso in cui fosse stata troppo spaventata doveva essere una punizione per aver osato troppo?
«Cosa succederebbe quindi se rinunciassi a vedere sotto la maschera?» domandò dopo aver ponderato le sue scelte.
Erik sorrise, lo sapeva che alla fine non avrebbe corso il rischio, seppur inesistente: «Vi porterei indietro come nel primo caso» rispose tranquillamente.
Stava per alzarsi annunciandole che era proprio quello il momento di andare ma lei lo precedette.
«Voglio vedere»
 
Era la seconda volta che riusciva a sorprenderlo con le sue risposte. Poteva quasi dire che alla fine se lo fosse guadagnato il diritto di vederlo davvero.
«Sei sicura?» domandò un’ultima volta a Rose che ormai era davanti a lui. Lei annuì.
«Vai avanti allora» le diede il permesso con tono quasi rassegnato. Poteva essere che lui non volesse che Rose fosse spaventata da lui? Quella ragazzina era sveglia da cinque minuti e già era riuscita a influenzarlo fino a quel punto?
 
La sua mano minuta si avvicinò timida al suo volto per poi ritirarsi di scatto.
«Erik?» lo richiamò costringendolo ad alzare lo sguardo su di lei. Sentire quella voce così pura pronunciare il suo nome gli diede una strana sensazione. Christine non l’aveva mai chiamato per nome. «Tu... tu sei sicuro?»
A quella domanda sentì una fitta al petto e qualcosa in lui si ruppe. Nessuno gli aveva mai chiesto una cosa del genere: persino Christine le due volte in cui gli aveva tolto la maschera lo aveva fatto a tradimento facendo male ad entrambi.
Sentì qualcosa di umido scivolargli lungo le guance. Era possibile? Lui, il Fantasma dell’Opera, la Morte Rossa, stava piangendo?
«Certo Rose» replicò cercando di tenere un certo contegno. Non doveva darsi false speranze.
Questa volta Christine allungò entrambe le mani, fermandosi un istante ad appoggiarne i palmi sulle guance dell’uomo: una liscia e fredda, l’atra più ruvida e appena tiepida, leggermente umida per la traccia di acqua salata versata poco prima e che lei cancellò strofinando leggermente con il pollice.
 
La maschera doveva essere stata fatta perfettamente su misura perché aderiva al viso senza bisogno di nulla a tenerla in posizione.
Quando infilò la punta delle dita appena sotto il bordo la maschera oppose un minimo di resistenza prima di venire via, quasi fosse riluttante ad abbandonare la sua posizione.
Il silenzio era assoluto quando si ritrovò quel pezzo di viso tra le mani.
L’aveva fatto sul serio, adesso doveva affrontarne le conseguenze: ne sarebbe stata in grado?
«Rose?» la voce di Erik la richiamò dolcemente e la paura la invase.
Non avrebbe dovuto farlo.
Il Fantasma guardava preoccupato la ragazzina che si era improvvisamente bloccata e sembrava sul punto di mettersi a piangere.
«Rose» la chiamò di nuovo appoggiandole una mano sulla spalla. Lei sussultò. «Dimentica quello che ho detto. Ti porterò indietro in ogni caso, hai la mia parola» cercò di tranquillizzarla.
Spostò la mano dalla sua spalla al suo mento accennando il gesto di farle alzare la testa ancora chinata verso i suoi piedi.
«Adesso puoi guardarmi»
 
Forse sarebbe stata l’ennesima persona traumatizzata alla sua vista ma, non se lo sapeva spiegare neanche lui, adesso voleva che lei lo vedesse.
E dopo essersi lasciata andare ad un profondo sospiro Christine alzò finalmente gli occhi puntandoli decisi sul volto dell’uomo davanti a lei.













Beh, che dire... secondo capitolo e già comincio ad accumulare ritardi. Bene ma non benissimo.
Su questo capitolo non ho molto da dire (probabilmente solo perchè sono di fretta e le cose mi verranno in mente dopo), quindi vi lascio con la promessa che il prossimo aggiornamento sarà puntuale sbato prossimo (o quello dopo, ormai sapete come funziona).



I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 4
*** 3. Look with your heart ***


3
look with your heart
 
 
 
Non sapeva nemmeno lei cosa si era aspettata.
Dopo le parole di Erik, tutta la sua reticenza nell’accordarle il permesso di togliergli la maschera...
Restò bloccata, le labbra che si mossero appena a mimare un oh silenzioso.
La parte destra del viso era indiscutibilmente deturpata dalla tempia alla mandibola, percorsa da un intrico di cicatrici che segnavano la pelle che in alcuni punti era talmente tirata da mettere in risalto l’osso sottostante. L’orbita destra era sformata e segnata da profonde occhiaie che rendevano quell’occhio ancora più minaccioso. 
Con non poca difficoltà Christine si costrinse a interrompere la sua minuziosa analisi per guardare il viso nella sua completezza. Per quello che ne poteva capire lei, con quella parte scoperta la bellezza dei lineamenti dell’altro lato del volto risaltava ancora di più rendendo tutto sommato l’insieme abbastanza sopportabile alla vista.
Forse in un paio di occasioni poteva aver visto qualcosa di peggio in tv, ma il pensiero che quello non fosse trucco, non fosse una maschera, la riempiva ugualmente di angoscia.
In uno slancio di superficialità si ritrovò a pensare che però alla fine dei conti non era poi messo così male, e che oggigiorno la chirurgia plastica poteva fare miracoli.
Sì, decise, non avrebbe negato che a primo impatto quella vista le aveva suscitato un certo grado di orrore, ma non era da lei voltare le spalle a qualcosa senza prima averla compresa e in qualche modo accettata.
 
Le persone sanno cosa c’è sotto la maschera e scappano...
Con che razza di persone aveva avuto a che fare Erik fino a quel momento?
 
L’uomo non sapeva cosa pensare. Rose si era incantata di nuovo e guardava fisso il suo viso – la parte destra del suo viso, si corresse mentalmente – senza quasi sbattere le palpebre. Doveva essere in stato di shock, era l’unica spiegazione.
Dopo qualche altro minuto lo sguardo della ragazza tornò presente e lui sospirò preparandosi a sentire le urla. Che non arrivarono mai.
«Mi dispiace»
La guardò sbalordito.
«Io... non so cosa dire, non... posso sapere com’è successo?»
«Niente. Sono nato così...» rispose Erik automaticamente senza neanche provare a fermare le parole che erano uscite da sole.
Rose guardò di nuovo la maschera che ancora teneva in mano e poi di nuovo il suo viso.
Non sembrava disgustata o terrorizzata, quanto più curiosa e triste allo stesso tempo.
«Mi dispiace»
«Smettila di dirlo. Non è stata colpa di nessuno, tantomeno tua, e non puoi fare niente per cambiare le cose» le intimò, forse un po’ troppo bruscamente visto il sussulto di lei.
«Scusa...» sussurrò appena. «La gente è stupida» riprese poi dopo un attimo di silenzio.
«La gente ha paura di quello che è diverso» la corresse lui. «E io temo di non aver esattamente fatto del mio meglio per far vedere la parte di me che forse sarebbe potuta essere accettata...»
«Cosa intendi dire?»
Erik allargò le braccia invitandola a guardarsi intorno: «Tra le altre cose una volta mi vantavo di essere un compositore. Un maestro di canto, amante della musica. Volevo il meglio per questo teatro... ma mi accorgo di aver imposto il mio volere in modo sbagliato. Pensavo che amare una persona mi avrebbe condotto fuori dal mondo di tenebre in cui ho sempre vissuto, ma alla fine mi ci ha solo fatto ricadere ancora più in profondità. Permettimi di dire che tu sei stato un raggio di sole quantomeno inaspettato»
 
Christine non era sicura di capire di cosa stesse parlando – dopotutto negli ultimi anni all’Opéra non era mai successo niente che potesse ricalcare quello che l’uomo aveva raccontato – e arrossì lievemente al complimento finale.
Improvvisamente aveva un sacco di domande: davvero viveva lì sotto? Da dove entrava e usciva? Poteva raccontarle di nuovo cos’era successo, magari più nei dettagli stavolta?
Tuttavia se le rimangiò tutte: non era difficile capire che ad Erik non piaceva parlare di se stesso, e lei era consapevole di avergli già chiesto troppo pretendendo di vederlo senza maschera.
Aveva però notato come il suo sguardo si era parzialmente illuminato quando aveva nominato la musica, perciò provò a domandare dell’unica cosa che, sperava, non lo avrebbe reso triste.
«Hai detto che sei un compositore... suoneresti qualcosa?» l’aspettativa ben udibile nella sua voce.
Erik la osservò di rimando per poi girarsi sullo sgabello e mettere le mani sulla tastiera.
 
E poi cominciò a suonare.
 
Il suono dell’organo si espanse fino a riempire ogni angolo della grotta, scivolando lungo la superficie calma del lago sotterraneo.
Aveva preso un pezzo dal suo Don Giovanni Trionfante riadattandolo al momento per la tastiera, le note che si susseguivano veloci e incalzanti.
Christine al suo fianco era come ipnotizzata: quella musica era bellissima e terribile allo stesso tempo, il suo cuore aveva aumentato i battiti e le era quasi difficile respirare mentre cercava di seguire quel ritmo che l’aveva stregata.
Iniziò a piangere senza neanche rendersene conto: lei era tutt’altro che un’esperta, ma come poteva un genio del genere restare nascosto quando avrebbe meritato che la sua musica fosse ascoltata da tutti?
Erik si accorse della sua reazione e, forse fraintendendola, cominciò a modificare la sua esecuzione.
Il ritmo rallentò, le note si fecero meno secche diventando più dolci e carezzevoli finchè il Don Giovanni non scomparve del tutto lasciando il posto a qualcosa di completamente diverso.
Rose sembrò tranquillizzarsi e lui continuò su quel registro, improvvisando una musica tutta nuova per quella tredicenne che non era scappata da lui.
In realtà era piuttosto sorpreso da se stesso: stava davvero componendo qualcosa di nuovo?
Quando Christine gli aveva voltato le spalle aveva sentito la musica e l’ispirazione andarsene con la fanciulla, la Musica della Notte non avrebbe più risuonato nella sua casa. E invece...
 
Tornando al presente si accorse, grazie a uno specchio appoggiato strategicamente alle canne dell’organo, che la ragazzina non era più ferma accanto a lui ma si era spostata quasi alle sue spalle nel punto più ampio offerto dal piano rialzato su cui era posizionato lo strumento. Si era legata la gonna in modo che non la intralciasse lasciando scoperto quello che rimaneva di quella calzamaglia scura e spessa che lui stesso aveva accorciato per medicare almeno i lividi dei suoi polpacci.
Stava danzando.
La osservò in ogni movimento senza smettere di suonare.
Se non era pronta per calcare il palco dell’Opérà lo sarebbe stata presto.
Aveva un’impostazione e una tecnica su cui non aveva nulla da ridire – finalmente Madame Giry doveva aver trovato qualcuno che l’ascoltava, non come quella pigra di sua figlia – e si poteva percepire la passione e la dedizione che stava mettendo in quei passi seppure contenuti per la mancanza di spazio e improvvisati al momento.
Lei non cantava usando la sua voce, ma muovendo il suo corpo.
La osservò mentre le palpebre si abbassavano lentamente sugli occhi che erano rimasti come persi nel vuoto fino a quel momento.
Tutto si concluse con una piroetta e un accordo che si interruppe in anticipo quando Erik scattò dallo sgabello prendendo al volo Rose che altrimenti sarebbe caduta per terra.
Il Fantasma sorrise come non aveva mai fatto guardando al ragazza che sospirava nel sonno.
Non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma gli era piaciuto parlare con lei, per la prima volta nella sua vita si era sentito capito e non temuto, e doveva ammettere che era rimasto piacevolmente impressionato dalle sue doti da ballerina.
Il loro tempo però era terminato: se fosse rimasta assente più a lungo c’era il rischio che qualcuno pensasse di nuovo a lui – nonostante fosse quasi completamente certo che ormai lo credessero morto – e l’ultima cosa che voleva era che ricominciassero a dargli la caccia.
Se la ragazzina era intelligente avrebbe trovato il modo di nascondere i lividi che le corde avevano lasciato finchè non fossero spariti e non avrebbe raccontato di chi aveva incontrato nei sotterranei del teatro.
La posizionò meglio tra le sue braccia stando attento a non svegliarla per poi incamminarsi sicuro verso la galleria che gli avrebbe consentito di riportarla al camerino da dove era caduta.
 
La sua maschera rimase abbandonata sul pavimento dove era stata appoggiata quando Christine non aveva resistito all’impulso di mettersi a ballare.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
La notizia della scomparsa di Christine De Chagny era rimasta in prima pagina per tutti e quattro i giorni in cui la ragazzina sembrava essere sparita nel nulla.
Quando poi era stata ritrovata il sollievo che tutti avevano provato era stato pari ai dubbi e alla confusione che si erano sollevati.
La donna delle pulizie stava ultimando il suo giro serale nella zona dei camerini vecchi, quelli che non erano neanche stati toccati dalle ultime ristrutturazioni perché ritenuti storici, e le sue urla avevano attirato in fretta chiunque fosse ancora a teatro a quell’ora.
Christine era lì, nell’ultimo camerino del corridoio, vestita in modo assurdo, addormentata sul divanetto imbottito appoggiato alla parete.
Fu subito portata in ospedale visti i lividi che la ricoprivano da capo a piedi e sua madre quasi svenne quando i medici confermarono i segni di un tentato strangolamento.
Dormì per un paio di giorni, riprendendo conoscenza solo a tratti farfugliando qualcosa riguardo a delle corde che la soffocavano, un uomo bello e terrificante che l’aveva salvata e che poi aveva suonato per lei.
Quando si svegliò definitivamente disse di non ricordare nulla se non la melodia di una misteriosa ninnananna.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
«Sei contento adesso?»
Des alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo:
Christine Rose De Chagny ritrovata dopo quattro giorni di sparizione, recitava il titolo di prima pagina.
«Lo sarò se le cose andranno come previsto da adesso in poi» rispose riponendo il giornale e mettendolo da parte. «Per questo contrattempo ha quasi rischiato di rimanere uccisa...»
«Almeno di quello non puoi incolpare me» replicò T.
«Touchè»
I due continuarono a scrutarsi a vicenda come se stessero facendo a gara a chi riusciva a mantenere lo sguardo più a lungo.
«Ho fatto quello che mi hai chiesto, ma adesso vedi di concludere questa faccenda il prima possibile, ok?» riprese alla fine la parola il maggiore.
«Lo farò se non ci saranno altri imprevisti. In effetti questo intermezzo potrebbe non essere stato una completa perdita di tempo... in qualche modo dovevo pur dargli un motivo per uscire dalla sua
grotta» commentò Des.
T. alzò gli occhi al cielo: «Stai solo attento a non provocare una catastrofe come l’ultima volt- »
 
«Des!» una voce squillante annunciò la giovane donna prima che quella irrompesse nello studio. «Non puoi renderti introvabile per
secoli e poi ricomparire così. Mi sei mancato fratello»
«Io o quello che faccio quando mi annoio?» la provocò Des.
«Oh, non essere così crudele con me» cantilenò Amy spostandosi un boccolo dietro la spalla. «Ovvio che mi sei mancato
anche tu» rise.
Des ricambiò solo in parte: «Ti ringrazio. Questa volta però vorrei chiederti di non intrometterti come hai fatto l’ultima volta. Non voglio il teatro di nuovo in fiamme...»
«Ma che cosa dici?» si alterò lei mentre T. se la rideva sotto i baffi. Quando Amy si arrabbiava nessuno riusciva a negarle quello che voleva.
«Dico, li hai visti quei due? Sono fatti l’uno per l’altra. Come puoi chiedermi di starne fuori?»
Des la guardò sospettoso: «Ne sei sicura?»
«Certo!»
«Sono l’unico a ricordarsi che quando si sono incontrati avevano più di una decina d’anni di differenza?»
«Tu stai zitto T. In questi casi il
tempo non conta» lo rimbeccò Amy facendolo sbuffare.
«E posso per caso chiederti di Morty...?» azzardò Des richiamando l’attenzione della sorella.
«Pensavo avessi capito che questa volta non è interessato» ammiccò lei. «Ha detto che ormai sentir parlare di questa storia gli fa venire il voltastomaco... e il diabete: aspetterà il tuo prossimo attacco di noia» risero entrambi sotto lo sguardo contrariato di T.
«Cosa mi dici di Una? Lascerai fuori anche lei come hai cercato di fare con me?»
Des annuì: «Non prenderla male, ma visti i precedenti vorrei davvero cercare di far finire questa cosa il prima possibile. E sapete che di solito apprezzo la presenza di Una e l’originalità dei suoi
interventi, ma reputo di averla tirata per le lunghe già abbastanza»
«Per una volta posso dire di essere d’accordo con te» approvò T. mentre anche Amy annuiva comprensiva.
 
«Allora, qual è la tua prossima mossa?» domandò alla fine la donna dopo un attimo in cui tutti e tre erano rimasti persi nei rispettivi pensieri.
Des sorrise e tornò serio subito dopo. Quasi gli avesse letto nel pensiero anche la sorella si rabbuiò.
«No...»
«Lo so, ma è così che deve andare. Dispiace sul serio anche a me Amy ma... è
destino»













Buon pomeriggio a tutti.
Per prima cosa ringrazio quell'angelo di 
ondallegra che ha recensito non solo lo scorso capitolo, ma pure tutti gli altri dall'inizio della storia. Quindi come promesso ecco a voi il nuovo capitolo dopo (solo) una settimana di attesa. Almeno so che stavolta c'è qualcuno che ne è contento :)
Premessa: ricordo a tutti che io mi sto rifacendo alla versione cinematografica (del musical al massimo) de Il Fantasma dell'Opera, NON del libro (
e infatti la storia stessa è sotto la sezione "film").
Detto questo ho un piccolo appunto riguardo la descrizione del (metà) viso di Erik... ho ben presente la descrizione che viene fatta nel libro, e pure nel musical (e quella la conosco MOLTO bene visto che sono stata a vedere TPOTO a teatro giusto ieri...), e lo so che quelle sarebbero quelle più "vere", ma per motivi di trama, chiamiamoli così, mi serve la versione "meno peggio". Anche perchè, siamo sinceri: quale tredicenne non urlerebbe nel vedere un pezzo di cervello che ti esce dal cranio, su...
E poi un'ultima cosa, riguardo i capelli... facciamo finta che quelli sono a posto e basta, niente parrucche a incasinare la vita (a me che sennò dovrei aggiungere un mucchio di spiegazioni in più).
Chiarita la questione, spero che vi siate goduti l'incontro tra Erik e Christine perchè, se i miei calcoli sono esatti al contrario di quelli di T., la prossima volta che i due si incontreranno sarà più o meno tra tre capitoli...
E poi, ehi, devo ancora introdurvi al Raoul di questa epoca... *inserire risata malefica*
Visto che il sistema pare funzionare lascio come tempo di aggiornamento le due settimane salvo recensioni (chiedo a ondallegra: il sabato te gusta come giorno?).
Come sempre grazie a chi ha letto - comprese queste interminabili note dell'autrice - , alla prossima

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.


 

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Capitolo 5
*** 4. Wandering child ***


4
wandering child
 
 
 
Stridore di freni: la colonna sonora di quella brusca frenata.
Lo schianto: la nota finale del terribile concerto.
Le urla delle persone e le sirene di polizia e ambulanze al posto degli applausi del pubblico.
Trenta secondi: un lasso di tempo insignificante, ma erano stati sufficienti per stravolgere una vita, distruggere un sogno.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Erik non riusciva a darsi pace.
Non riusciva a restare rinchiuso in quella galleria secondaria dove si era segregato ad aspettare la morte dopo l’abbandono di Christine.
Quella ragazzina, Rose, doveva avergli fatto qualcosa.
Da quando l’aveva incontrata si sentiva di nuovo ispirato, la Musica aveva ripreso a scorrere nelle sue vene.
Anche restare confinato nella grotta sotterranea, cercando di ricostruirla come poteva, cominciava ad andargli stretto.
Doveva uscire, doveva rivederla.
Non gli importava se non era una cantante, avrebbe composto musica su cui lei avrebbe potuto ballare.
E in ogni caso adesso che si sentiva di nuovo vivo non poteva lasciarsi morire di fame: dubitava che Madame Giry sarebbe stata disposta a ricominciare a portargli il cibo e le scorte erano ormai quasi finite.
Doveva anche pensare ad un modo per tornare ad avere un introito regolare e poi...
Si bloccò davanti al mezzobusto che indossava la maschera nera che aveva usato durante la messa in scena del Don Giovanni Trionfante: voleva davvero far tornare il Fantasma?
La paura, la caccia all’uomo... no. Seppur per poche ore aveva conosciuto cosa volesse dire essere accettato per quello che era veramente, e se c’era riuscita una tredicenne voleva credere con tutto se stesso che potesse esserci speranza anche per gli altri.
Sarebbe tornato al suo teatro sotto panni diversi: aveva comunque una piccola fortuna da parte, poteva permettersi di pagare chiunque per sostenere la storia che si sarebbe inventato.
Aveva la sensazione che se si fosse presentato come un ricco nobiluomo rimasto sfigurato al volto durante una delle ultime guerre nessuno avrebbe detto di no alle sue donazioni e poi, col tempo, ai suoi suggerimenti riguardo eventuali modifiche da apportare alla direzione, agli spettacoli...
Prese il borsello con le monete, il suo mantello e imboccò il tunnel sicuro che l’avrebbe condotto all’esterno del teatro.
Se anche fosse stato giorno non era un problema, riusciva a trovare le tenebre anche nella luce, lui.
 
Aprì la porta alla fine del passaggio con più fatica rispetto al solito, come se il passaggio fosse rimasto sigillato per più tempo di quanto era effettivamente passato dall’ultima volta che l’aveva utilizzato. Aperto il primo spiraglio appurò che fosse effettivamente notte, fuori sembrava abbastanza silenzioso.
Uscì completamente all’esterno muovendo qualche passo in avanti scendendo dal marciapiede spaesato e subito fu costretto a saltare indietro per evitare di essere investito da uno strano carro di metallo che sparì svelto alla sua vista emettendo un suono che non aveva mai sentito.
Si guardò attorno aggrottando la fronte: la città era diversa.
La strada era cambiata, c’erano nuovi suoni, gli edifici lì attorno... non li riconosceva più. Per non parlare di quelle cose, simili a quella che l’aveva quasi investito, lungo il marciapiede.
Boccheggiò mentre faceva un ulteriore passo indietro, quasi a volersi ritirare nuovamente verso la sicurezza dei sotterranei del teatro.
Che fosse veramente morto alla fine? E Rose era stato un assaggio di come dovevano essere gli angeli del paradiso prima di precipitare nell’inferno al quale apparteneva?
 
«No, non siete morto se è quello che vi state chiedendo»
Un uomo era sbucato praticamente dal nulla cogliendolo suo malgrado di sorpresa: non l’aveva neanche sentito arrivare, che stesse iniziando a perdere colpi?
Stava per rispondere alla provocazione quando lo sconosciuto entrò nel cono di luce del lampione più vicino e le parole gli morirono sulle labbra.
Non aveva mai visto nessuno vestito così, neanche considerando i costumi per gli spettacoli più stravaganti.
Non aveva i termini per descrivere quell’abbigliamento, ma se li avesse avuti avrebbe detto che l’uomo indossava un paio di jeans neri con una camicia bianca e una giacca di pelle che gli fasciava le spalle in modo impeccabile.
«Immagino siate confuso Erik, è normale. Permettetevi di accompagnarvi in un luogo consono per aggiornarvi sugli ultimi avvenimenti...»
«Sono mancato a mala pena due settimane: su cosa mai dovrei essere aggiornato? E come conoscete il mio nome?»
L’uomo ghignò divertito: «Davvero un acuto osservatore come voi non ha notato niente di strano o di diverso?» fece un ampio cenno con la mano per invitarlo ad osservarsi di nuovo attorno. «Gli abiti che indosso non sono forse poco familiari... come quelli che indossava la giovane Rose quando vi ha onorato della sua visita?»
Al nome della ragazzina Erik sussultò e il sorriso dell’altro si allargò.
«Quanto al vostro secondo interrogativo...» proseguì «Vi conosco perché è da diverso tempo che seguo voi e le vostre vicende. Ho conosciuto vostra madre... una bella donna, non c’è che dire. Lei e Francois Destler facevano una bella coppia in tutti i sensi. Si sarebbe aspettato che da due persone come loro nascesse un figlio quantomeno stupendo, e invece...»
«Non c’è bisogno che mi ricordiate la mia condizione, monsieur. Ne sono stato ben consapevole appena sono stato abbastanza grande per capire come mai mia madre voleva che tenessi il viso coperto anche dentro casa, quando c’era il rischio di capitarle sotto gli occhi. E se anche avessi frainteso, direi che quando mi ha venduto a quegli zingari i suoi sentimenti nei miei riguardi erano più che chiari»
«Sì, era una persona ambiziosa ma ahimè superficiale...»
«Superficiale? Mi prendete in giro...?»
«Non oserei mai, monsieur le Phantome. Ma ora basta parlare del passato, torniamo al presente, avremo altre occasioni se proprio vorrà finire quel discorso. Verrà con me quindi?»
«Non finchè non mi direte cosa volete veramente»
«Mio caro Erik, io voglio solo aiutarvi! E fidatevi, se volete davvero provare a ricominciare, a tornare a far parte del teatro non più come fantasma ma come persona in carne ed ossa, avrete bisogno di tutto l’aiuto che io posso darvi»
«Non so come facciate a sapere queste cose, e non capisco come mai siete così sicuro di essermi indispensabile. Avrò passato la maggior parte della mia vita nel teatro, ma ho comunque alcune conoscenze all’esterno che mi permetterebbero di raggiungere ugualmente il mio obiettivo. Voi cosa avete di diverso?»
«Ve l’ho detto: avete bisogno di essere aggiornato, di tornare al passo con i tempi. Venite con me, concedetemi un’ora del vostro tempo. Se entro quei sessanta minuti riterrete ancora di non necessitare della mia assistenza sarete libero di andarvene, non vi tratterrò»
«Se invece dovessi veramente avere bisogno di voi... cosa volete in cambio?»
Lo sconosciuto sembrò bloccarsi un attimo a quelle ultime quattro parole, ma si riprese quasi subito nonostante il suo sguardo fosse rimasto adombrato.
«Non chiedetemi per quale motivo – non vi risponderei, qualsiasi minaccia potreste pensare di usarmi – ma ho un debito da pagare nei vostri confronti. Per questo la risposta alla vostra domanda è nulla»
I due uomini si guardarono per qualche istante senza parlare, il primo ad interrompere lo scambio di sguardi fu lo sconosciuto che gli diede le spalle incamminandosi presumibilmente da dove era venuto.
«Potete venire con me o continuare per la vostra strada, io vi ho fatto la mia offerta e non è mia intenzione cercare di forzarvi in alcun modo»
Erik si permise di rifletterci per un’altra manciata di secondi prima di andargli dietro allungando il passo in modo da camminargli accanto.
«Oltre ad avere strani vestiti e informazioni che a quanto pare ignoro avete anche un nome, monsieur?» domandò.
L’uomo sorrise, gli occhi color miele brillarono nella notte: «Potete chiamarmi Des...»
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
«...ah! Christine, mi hai fatto prendere un colpo! Cosa ci fai già qui?»
«Sai che mi piace venire in anticipo per vedere la fine delle prove»
«Sì, certo... vado a cambiarmi e poi sono tutta tua»
«Cèline...»
«Cosa?»
«L’hai fatto di nuovo, pensi che non ti abbia visto?»
La ragazza chiamata in questione si fermò girandosi a guardarla con aria colpevole.
«Ma...»
«Niente ma, vuoi arrivare alla prima sì o no?»
«Certo che voglio!»
«E allora abbiamo detto niente punte per due settimane»
«Ma Madame...»
«Madame lo sa, gliene ho parlato io stessa e le ho assicurato che al termine di queste due settimane sarai tornata come nuova. Non ti sostituirà, a meno che la tua situazione non peggiori... cosa che potrebbe succedere se non la smetti di fare di testa tua e non ascolti quello che ti dico...»
«Quasi quasi preferivo quando era tua madre a seguirmi...» borbottò la ballerina.
«Davvero? Perché stavo discutendo il tuo caso con lei l’altra sera, e lei suggeriva addirittura un’ intera settimana di riposo assoluto...»
Cèline esibì un’espressione inorridita scuotendo la testa: «No, no, no, no... mi rimangio quello che ho detto Christine: sei tua la mia fisioterapista preferita, e ti prometto che seguirò tutto quello che mi dirai»
Christine rise: «Ok, ok, adesso però muoviti...»
 
Completò la seduta con calma. Salutò Cèline con un sorriso che però scomparve non appena l’amica lasciò lo spogliatoio. Erano passati anni ma la nostalgia e la tristezza si facevano ancora sentire. Scegliere di seguire la stessa strada della madre le era sembrato l’unico modo per continuare a restare in contatto con il mondo che quell’incidente d’auto le aveva precluso.
Si stavano recando ad un gala, era in macchina proprio con Cèline e i suoi genitori, e poi c’era stato lo schianto.
Le macchine che si erano scontrate prima di loro erano esattamente dopo una curva, sarebbe stato impossibile vederle abbastanza in anticipo per poterle evitare. Il tamponamento che ne era seguito aveva coinvolto un considerevole numero di vetture, e proprio una di quelle, cercando di sorpassare ed evitare quella dietro di loro, aveva perso il controllo terminando la sua corsa sulla fiancata sinistra dell’auto in corrispondenza del sedile del passeggero. Proprio dove Christine era seduta.
La sua gamba sinistra era rimasta incastrata tra le lamiere della portiera: si era fratturata il femore e la sua caviglia era stata quasi sbriciolata.
 
Scosse la testa: non voleva ripensare a quello, le veniva ancora la nausea.
Si riprese scoprendo di essersi bloccata in mezzo al corridoio e stava giusto per avviarsi all’uscita quando sentì qualcuno avvicinarsi. Una delle donne delle pulizie più anziane, se la ricordava da quando ancora seguiva le lezioni, stava risalendo nella sua direzione trascinando a fatica un divanetto imbottito in velluto borgogna dall’aria antica, borbottando su quanto fosse scarso il servizio di trasporto e consegna.
Non ci pensò un attimo prima di andare a darle una mano.
«Posso aiutarla?»
La donna si fermò un istante raddrizzando la schiena: «Un diavolo delle elementari in visita l’altro giorno ha avuto la bella idea di rovesciare la sua coca-cola... oh, mademoiselle De Chagny, siete voi!»
«Ehm, sì, ma vi prego, Christine è più che sufficiente... Monique» replicò la ragazza sbirciando il nome che la signora portava esposto su un badge appuntato al grembiule.
Presero ognuna un’estremità del divano e ripresero a muoversi, Monique che faceva strada.
«Mi ricordo di te, sai?» commentò dopo un po’ cogliendo Christine di sorpresa. «Ti ho trovata distesa proprio su questo divano... mi hai fatto prendere un colpo! Se non fosse stato per tutti quei lividi che avevi sareste sembrata proprio un angelo sceso dal cielo...»
Per poco la giovane non mollò la presa: «Come dite?»
«Ma sì, quei quattro giorni in cui siete sparita nel nulla per poi ricomparire vestita come una dama dell’800, quando avevate tredici anni...»
«Ah, sì... ma sa che non sono mai riuscita a ricordare...» balbettò impacciata arrossendo appena.
Era una verità solo parziale: dopo il suo ritrovamento il camerino era stato setacciato da cima a fondo ma non era stato trovato nulla di strano e lei non era davvero sicura di sapere dove fosse effettivamente stata in quei giorni. Ricordava solo un uomo dalla voce d’angelo e le mani capaci di comporre una magnifica ninna-nanna, un uomo con una maschera...
Già all’epoca la leggenda del Fantasma dell’Opera le era ben nota – dopotutto era stata strettamente collegata alla sua famiglia un centinaio di anni prima – ma viste le circostanze lei stessa si era alla fine convinta che fosse stato solo un sogno, e agli adulti aveva detto di non ricordare proprio nulla.
D’altronde quello strano incontro poteva semplicemente essere uno scenario che la sua mente aveva elaborato per proteggerla dalla situazione probabilmente peggiore in cui si era trovata.
 
«Eccoci, siamo arrivate»
Riposizionarono il divano al suo posto, Monique fece per andarsene ma Christine rimase indietro. C’era qualcosa in quella stanza... qualcosa che non riusciva bene ad afferrare.
La donna delle pulizie sembrò capire perché si limitò a riferirle che lei doveva proseguire con il suo giro ma che era sicura che Christine avrebbe saputo ritrovare la strada per tornare indietro.
In tutto quello gli occhi della giovane non si erano mai staccati da un dipinto raffigurante una ballerina in costume di scena.
Una volta rimasta sola, come in trance, si posizionò davanti al ritratto imitandone la posizione.
 
E poi cominciò a saltare.
 
E uno... e due... e...













Mi rendo conto possa essere un po' presto per il buongiorno, ma ho tre turni di notte di fronte a me e come sempre quando devo iniziarli cerco di stare alzata fino a più tardi possibile...
Questo vuol dire che ormai è già sabato (sono le 00:38 per me, ma per voi sono già quasi le due) e il nuovo capitolo è tutto vostro.
Un po' di passaggio, lo ammetto, ma dopotutto è necessario. Erik stesso ha un buco di giusto un
paio d'anni da riempire...
Ringrazio sentitamente 
ondallegra per aver recensito il capitolo precedente (potrei iniziare a lasciarti rose rosse infiocchettate con nastri neri...) e tutte le altre persone che stanno leggendo la storia in silenzio.
Ormai sapete come funziona per gli aggiornamenti, al prossimo sabato!

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 6
*** 5. I remember ***


5
I remember
 
 
 
... tre...
 
All’ultimo, invece di ricadere sul posto come avrebbe previsto la sequenza – eseguita ovviamente presso poco che se l’avesse vista Madame si sarebbe presa un colpo – Christine si era spostata di lato.
Se non lo avesse fatto sarebbe atterrata nel vuoto là dove una botola abbastanza grande da far passare una persona adulta si era appena aperta.
Si coprì la bocca con una mano a voler bloccare il mezzo grido che non era riuscita a trattenere.
O stava – di nuovo – sognando o quello che le era successo anni prima era stato vero.
Cercò di riflettere razionalmente: se anche la caduta poteva non essere stata un sogno, poteva dire lo stesso dell’uomo che aveva incontrato alla fine del salto? Qualcuno l’aveva pur riportata indietro...
Uno scricchiolio seguito da un leggero tonfo la distrasse: la botola si era richiusa.
Ripetè la sequenza di salti spostandosi di nuovo in parte dopo la terza volta che i suoi piedi toccarono il pavimento e la botola si riaprì diligentemente.
Prima che si richiudesse sfilò il telefono dai pantaloni, accese la torcia e provò a illuminare il vuoto sottostante sporgendosi appena.
Più in basso poteva a mala pena vedere alcune corde dall’aspetto vecchio e consumato, la maggior parte spezzate come se qualcuno vi ci fosse caduto sopra... lei...
 
Poteva immaginare come quell’intrico di funi fosse sembrato una ragnatela prima che lei vi cadesse dentro rompendola.
Non riusciva a scorgere il fondo.
Il telefono squillò e per poco non perse la presa rischiando di farlo cadere di sotto, rispose tirandosi su mentre la botola si chiudeva di nuovo ai suoi piedi.
«Pronto?»
«Si può sapere dove sei? Ho chiamato Cèline e mi ha detto che avete finito più di mezz’ora fa... sei caduta dentro una delle botole del palco?» scherzò una voce maschile dall’altro capo della linea.
Christine pensò che non ci era andato poi così lontano.
«No, io... lascia perdere. Cosa vuol dire dove sono finita? Ti ricordo che mi hai chiamato tu dopo pranzo per dirmi che stasera avevi un altro impegno!»
«Perché volevo farti una sorpresa, non pensavo che il teatro ti avrebbe risucchiata di nuovo»
«Disse colui che a teatro praticamente ci abita...»
«Dai che ti sto aspettando fuori...» la esortò prima di riattaccare.
Christine ripose il telefono sospirando e uscì dal camerino quasi di corsa, lasciando il teatro con il sorriso sulle labbra mentre andava incontro al ragazzo che la stava aspettando giusto davanti all’ingresso tenendole cavallerescamente aperta la portiera dell’auto.
 
 
 
Se Cèline era un’amica d’infanzia con cui aveva condiviso praticamente tutto, Andrè l’aveva conosciuto alle lezioni di danza quando per la prima volta avevano iniziato ad unire la classe femminile e quella maschile.
Loro due erano stati messi in coppia insieme e nonostante l’iniziale e naturale imbarazzo alla fine si erano trovati bene.
Per la fine dell’anno erano diventati quasi inseparabili – Cèline li prendeva in giro dicendo che sembravano fidanzatini, beccandosi rispostacce ogni volta – e poi c’era stato l’incidente e le loro strade si erano divise.
Andrè, pur essendo stato a trovarla in ospedale, doveva continuare con la danza e Christine stessa sapeva bene quanto poco fosse il tempo libero per gli amici che erano al di fuori di quel mondo, ammesso di averne.
Lei dal canto suo doveva pensare al suo recupero: gli interventi alla gamba, il lungo ricovero, la riabilitazione... fortuna che sua madre era del mestiere.
Pur non volendo e certamente sentendo la mancanza l’uno dell’altra, si erano allontanati.
Si erano ritrovati quando un imbarazzatissimo Andrè si era presentato alla sua laurea: i capelli biondi e gli occhi azzurri nascosti dietro un mazzo di fiori quasi più grande di lui che l’aveva fatta arrossire non poco.
Nonostante gli anni di distacco la loro complicità non era andata persa, e negli ultimi anni Christine era stata grata di poter ritornare a contare su quello che era sempre stato il suo migliore amico.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Si svegliò di soprassalto, il fiato che le mancava e una mano a tastarsi il collo là dove fino ad un attimo prima aveva chiaramente percepito il tocco di una corda.
Era da quando aveva riscoperto la botola nel camerino che quel sogno aveva cominciato a tormentarla.
E se da un lato la sua curiosità la spingeva a buttarsi – non letteralmente stavolta – per scoprire cosa ci fosse veramente in fondo a quell’intrico di cappi, dall’altro quell’incubo le faceva in qualche modo presagire tutto il pericolo a cui sarebbe potuta andare incontro.
Arrivata però al punto di non poter chiudere gli occhi senza avvertire quella spiacevole sensazione di soffocamento decise che non poteva restare senza fare nulla.
Nonostante fossero le tre di notte sbloccò il telefono mettendosi a cercare il negozio di articoli sportivi che vendeva equipaggiamento da arrampicata più vicino: sarebbe stato il suo primo appuntamento l’indomani mattina.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Quella sera era la sua opportunità.
Se tutto fosse andato come previsto nessuno si sarebbe accorto di niente.
Il pomeriggio durante la sua ultima visita a Cèline, aveva lasciato di proposito il suo borsone nel famoso camerino: all’interno oltre alle solite cose erano stati aggiunti corda e moschettoni, una torcia e del gesso di quello che veniva usato per segnare i sentieri di montagna.
 
Quella sera l’Opèra presentava la sua versione in balletto di Romeo e Giulietta, in cui proprio Andrè e Cèline partecipavano in qualità di protagonisti.
Aveva visto alcuni spezzoni delle prove e doveva ammettere che il lavoro fatto era stato incredibile, ma nonostante tutto durante il primo atto la sua attenzione era stata più concentrata su quello che avrebbe fatto di lì a poco. Oltre al fatto di sentirsi stranamente osservata da occhiate invisibili provenienti dal palco numero cinque, che era esattamente di fronte a quello riservato alla famiglia De Chagny e rigorosamente vuoto.
Pochi minuti dopo l’inizio del secondo atto decise che era il momento di muoversi.
Si scusò sottovoce dicendo di non sentirsi tanto bene; sua madre la guardò preoccupata ma a gesti le fece capire di tornare a godersi lo spettacolo mentre lei lasciava il palco.
Invece di recarsi ai bagni di servizio andò dritta verso la vecchia sala dove faceva lezione quando ancora danzava, passò un paio di corridoi per fortuna deserti e arrivò a destinazione.
Così facendo era riuscita ad evitare tutta la parte dei camerini che in quel momento erano in uso a causa dello spettacolo in corso, arrivando dalla parte opposta.
Chiuse la porta nonostante non si aspettasse che qualcuno venisse a controllare quella zona a quell’ora e tirò fuori il borsone dall’armadio.
 
Preparando l’imbragatura si rese conto di non aver minimamente pensato al vestito. Blu notte in satin con un generoso scollo a V sia davanti che dietro, lungo fino ai piedi e con un ampio spacco a sinistra: non proprio l’ideale per quello che stava per fare.
Sospirò. Se non altro sotto indossava un paio di pantaloncini neri: ringraziò se stessa che da quando era piccola si rifiutava di indossare gonne se sotto non aveva anche quelli.
Assicurò la corda sperando che l’armadio, essendo di legno massiccio, riuscisse a reggere; infilò l’imbragatura mettendo i gessi in uno dei taschini della cintura e la torcia nell’apposito supporto. La pochette abbinata al vestito fu infilata dentro un’altra borsa decisamente più capiente che aveva preventivamente lasciato e che accolse anche i suoi tacchi rapidamente sostituiti con un paio di ballerine. Collegò il moschettone che le avrebbe dovuto assicurare una discesa tranquilla e graduale e reggendo il resto del rotolo di corda in mano fronteggiò la ballerina del quadro.
Prima che potesse ripetersi ancora una volta quanto quel piano facesse pena eseguì la sequenza per aprire la botola.
Si sedette sul bordo accendendo la torcia che faceva decisamente più luce di quella del telefono. Tirò un’ultima volta la corda per saggiarne la resistenza gettando poi tutta la parte in eccesso di sotto.
Controllò che il moschettone fosse messo correttamente e trattenendo il respiro si fece scivolare oltre.
Ricominciò a respirare quando appurò che non stava precipitando: l’armadio reggeva e l’attrezzatura da arrampicata stava facendo il suo dovere.
Usando l’apposita leva cominciò a calarsi cercando di tenere a bada il battito del suo cuore.
Le scappò un urlo quando la botola si richiuse con il suo solito tonfo facendo diminuire la luce.
Continuò la sua discesa. La corda finì prima di toccare il suolo, ma per fortuna non così tanto da non poter risolvere il problema con un salto.
Si tolse l’imbragatura rimettendola in borsa tenendo con sé torcia e gessi trovandosi subito di fronte ad un bivio: come aveva fatto a pensare che avrebbe fatto presto se non sapeva neanche dove andare?
Scelse il corridoio che ad occhio le sembrava più pulito e meno polveroso: che fosse quello più usato e quindi quello giusto?
Dopo interi minuti in cui continuò a scegliere le biforcazioni secondo quel criterio continuando a tracciare col gesso una linea sul muro per sapere da dov’era venuta qualcosa cambiò.
Le ci volle un momento per realizzare che si era accesa la luce.
Spense la torcia non smettendo comunque di avanzare con cautela.
Osservò il soffitto notando che quelli che si erano accessi sembravano essere faretti led: possibile che le ristrutturazioni fossero arrivate fino a lì sotto? E come mai nessuno ne aveva mai fatto parola? Suo padre era il maggior donatore di fondi per i rinnovamenti ed era sempre al corrente dei lavori che venivano fatti: lei però era più che sicura di non avergli mai sentito nominare lavori fatti sotto al teatro.
Ma allora chi mai avrebbe voluto e potuto mettere mano in quei sotterranei?
 
Tirò fuori il cellulare: erano passati venti minuti abbondanti da quando aveva lasciato lo spettacolo e non poteva sapere se qualcuno avesse provato a contattarla perché lì dove si trovava non c’era campo. Sperò che per il momento quei venti minuti non fossero abbastanza per mettere in allarme nessuno.
Vi prego continuate a godervi lo spettacolo e supponete che io sia semplicemente tornata a casa, si augurò col pensiero mentre allungava appena il passo. Non poteva prendersela troppo comoda visto che poi avrebbe dovuto cercare anche l’uscita.
Superò una pesante porta in metallo, sembrava una di quelle tagliafuoco, un drappo di pesante tessuto nero e il suo cuore saltò un battito: era arrivata.
La grotta sul lago sotterraneo si aprì davanti al suo sguardo facendola pervadere da una sensazione di sollievo: esisteva veramente, non si era sognata tutto.
Quello che la fece rimanere senza fiato fu lo stato del posto. Lei se lo ricordava pressochè distrutto, mentre adesso ogni cosa sembrava posizionata con precisione e cura. Girando per l’ambiente si rese conto che però non era solo quello: certo, i drappi che ricoprivano le pareti di pietra potevano sembrare gli stessi, e le candele sui candelabri antichi erano sempre di cera, ma ad un’occhiata più attenta notò che quelle che una volta erano sulla scrivania e intorno alla tastiera dell’organo erano state sostituite da lampadine alimentate da elettricità. Anche il mobilio, per quanto ancora dall’aspetto antico, sembrava fosse stato rimesso completamente a nuovo.
Continuò a curiosare in giro finchè non trovò le due camere che aveva visto quei quindici anni prima: quella in cui si era svegliata non era cambiata affatto, ma l’altra la lasciò a bocca aperta.
Tutto era in perfetto ordine, e il maestoso letto a forma di corvo – adesso poteva finalmente riconoscere la sagoma dell’animale – era semplicemente incredibile.
Un’altra cosa che potè appurare nella sua breve perlustrazione – aveva trovato altre porte che però non si permise di aprire – fu che il posto era deserto.
Al tempo stesso però era tutto fin troppo pulito per essere stato abbandonato. No, di sicuro qualcuno frequentava ancora quel posto.
Che fosse la stessa persona che l’aveva salvata dal salto dell’impiccato?
Che Erik fosse ancora lì...?
 
Riguardò il display del telefono per controllare l’ora e per poco non scoppiò a ridere: quel posto... aveva il wi-fi?
Aprì whatsapp mandando rapidamente un messaggio nel gruppo famiglia e uno ad Andrè e Cèline dicendo che il pesce che aveva mangiato a cena doveva averle fatto qualcosa e che con suo gran dispiacere era dovuta tornare a casa prima della fine dell’opera. Avrebbe richiamato tutti la mattina dopo, e adesso era già a letto: voleva solo stare un po’ tranquilla.
Rimettendo il cellulare nella borsa si rese conto che non si sentiva neanche in colpa per quella bugia. Era comunque meglio non tirare troppo la corda sfidando la fortuna: sapeva la strada, sarebbe potuta tornare quando voleva, adesso doveva trovare una via d’uscita e per quella non sapeva neanche da dove cominciare.
Decise di provare le porte più massicce che si aprivano sulla grotta principale.
Per raggiungere la prima che aveva addocchiato passò di nuovo vicino alla scrivania. Se la prima volta la sua attenzione si era soffermata solo sulla novità della luce elettrica applicata alle lampade questa volta registrò qualcosa di decisamente più degno di nota e che per un attimo le fece dimenticare la sua fretta di lasciare il posto.













Buon pomeriggio a tutti!
Vi ricordate quando all'inizio della storia avevo detto, e quoto, "
questa storia potrebbe rivelarsi un fantasy più di quanto pensassi, e la presenza di Erik sarebbe la cosa meno inverosimile...", ecco, direi che dopo questo capitolo il concetto è stato afferrato.
Insomma, chi mai proverebbe a scendere nelle viscere di un teatro servendosi di attrezzatura da arrampicata non sapendo neanche quello a cui sta andando incontro? (*l'autrice fischietta e distoglie lo sguardo facendo finta di niente*).
Direi che la cosa più verosimile di questo capitolo è Christine che mette i pantaloncini sotto il vestito - la sottoscritta ancora adesso non esce di casa con una gonna se non ha dei pantaloncini sotto...
Comunque... Christine è finalmente riuscita ad arrivare al Lago, ma di Erik ancora nessuna traccia. Si accettano scommesse su quello che ha attirato l'attenzione di Christine sulla scrivania del nostro Fantasma...
I miei più sentiti ringraziamenti a ondallegra che mi sta lasciando un commento ad ogni capitolo (per la fine della storia ti farò una statua, sappilo) e ovviamente grazie anche a chi continua a leggere la storia in silenzio.
Vi siete beccati l'aggiornamento anticipato di un giorno perchè i turni di notte non fanno bene al mio senso di puntualità, quindi meglio un giorno in anticipo che spaventosamente in ritardo. In ognic caso per sabato prossimo non dovrebbero esserci problemi
Intanto

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 7
*** 6. Masquerade ***


6
masquerade
 
 
 
Il ripiano della scrivania era quasi interamente coperto di fogli, la carta spessa e pregiata sulla quale note e pentagrammi erano stati vergati a mano con cura e precisione.
Ma di nuovo non era stato quel particolare lavoro da amanuense a catturare la sua attenzione. Perché da sotto una partitura le cui note erano impresse sul foglio in un sanguigno inchiostro rosso sporgeva il mezzo volto di un ritratto.
Il suo.
Nonostante gli occhi fossero aperti in volto aveva un’espressione abbandonata e allo stesso tempo di assoluta pace che era abbastanza sicura di non aver mai avuto se non forse nel sonno, e i suoi capelli erano stati particolarmente calcati con il carboncino dandole un’idea piuttosto realistica di come sarebbe sembrata se la sua capigliatura fosse stata scura invece che bionda.
Non seppe resistere alla tentazione e allungò la mano per spostare la partitura in modo da poter osservare il disegno nella sua completezza ma nel compiere quel gesto scoprì qualcos’altro: una maschera bianca...
La prese in mano mollandola subito dopo come se si fosse scottata.
Davvero non era stato un sogno. L’uomo con la maschera, quella maschera, che lei stessa aveva insistito per togliere, la musica, la ninna nanna.. era stato tutto vero.
 
Si portò una mano al petto cercando di calmarsi respirando profondamente. Doveva uscire da quel posto.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Lo spettacolo non era stato male, anche se c’erano ancora margini di miglioramento.
Il direttore d’orchestra non aveva forse lo stesso spirito del Maestro Reyer ma sapeva condurre bene e non aveva notato particolari stonature tra gli strumenti dell’orchestra nonostante i musicisti gli fossero sembrati un po’ rigidi. Nulla di nuovo in ogni caso, come allora sembrava che anche adesso fosse difficile trovare qualcuno che sentisse davvero la musica: per quanto fossero tutti estremamente competenti, sotto quel punto di vista se ne salvavano forse un paio.
Almeno l’insegnante di danza e i coreografi sembravano essere degni eredi di Madame Giry, su quello non aveva nulla da ridire visto il risultato complessivo. Alcune ballerine avevano giusto bisogno di essere più decise – non puoi essere debole o sciatta quando fai pirouettes sulle punte – e al contrario Romeo gli era sembrato forse un po’ troppo sicuro di sé.
Ma ci sarebbe stato tempo di sistemare tutto quanto, e poi doveva ancora assistere ad almeno un’opera che coinvolgesse i cantanti e l’attuale Prima Donna.
Peccato che però su quel palco non avrebbe mai visto l’unica persona che avrebbe voluto vedere, e Des aveva provveduto a spiegargli dettagliatamente il perché.
 
Non gli era stato difficile individuare il palco riservato alla famiglia De Chagny, dopotutto era esattamente di fronte al suo, e per un attimo nello scrutare le persone presenti in esso aveva trattenuto il respiro.
Solo dopo si era accorto di aver fatto lo stesso errore della prima volta: in sua difesa c’era da dire che se non fosse stato per i capelli biondi, scuriti dalla scarsa luminosità del palco e la distanza, sarebbero state davvero identiche...
Da quel momento in poi la sua attenzione era stata deviata dal balletto che stava procedendo, almeno finchè la ragazza non si era alzata sussurrando qualcosa all’orecchio di quelli che dovevano essere i genitori e aveva lasciato il palco.
Avrebbe voluto seguirla ma si era trattenuto: doveva fare le cose per bene, doveva ritornare nel mondo dei vivi e una volta trovato il suo posto le si sarebbe avvicinato.
Inoltre non sapeva quello che Rose poteva ricordarsi e se vedendolo di nuovo avrebbe avuto le stesse reazioni del loro primo incontro. Avrebbe osato sperare...?
Le aveva dedicato un ultimo sguardo prima che sparisse dalla sua vista e aveva suo malgrado dovuto convenire che se da tredicenne l’avrebbe definita una bambina graziosa, adesso non poteva fare altro che accettare che fosse diventata una bella giovane donna, e il vestito che indossava... la moda del ventunesimo secolo, soprattutto quella femminile, era una delle cose a cui doveva ancora fare l’abitudine.
 
Strinse i denti a quel pensiero mentre faceva ritorno alla sua dimora sotterranea.
Anche se il suo nuovo amico gli aveva fornito un lussuoso appartamento in uno dei palazzi storici in centro a Parigi che prima o poi si sarebbe dovuto decidere ad usare, soprattutto se voleva procedere con i suoi propositi, ancora non era riuscito ad abbandonare il suo rifugio sul lago – divenuto ancora più confortevole per lui dopo le ultime modifiche apportate sempre.
Doveva ammettere che la tecnologia aveva fatto davvero miracoli, nonostante non si fosse ancora completamente abituato ad essa.
 
Erano passati sei mesi da quando aveva deciso di ritornare a vivere e lo strano uomo che aveva incontrato subito dopo aver rischiato di venire investito – adesso lo sapeva – da un’auto aveva ragione: aveva davvero bisogno di essere aggiornato.
Tutta la sua razionalità aveva vacillato parecchio, ancora non era riuscita a fornirgli una valida spiegazione e di tanto in tanto si chiedeva se non fosse la Morte a prendersi gioco di lui; ma stava di fatto che, a quanto gli aveva raccontato Des, da Christine a Rose erano passati quasi centocinquanta anni, e da Rose alla sua uscita notturna ne erano trascorsi altri quindici sebbene a lui fossero sembrati solo pochi giorni.
Nonostante il suo iniziale scetticismo e la fase di negazione, alla fine non aveva potuto fare altro che accettare la cosa: i fatti parlavano chiaro, e della Parigi che conosceva era rimasto ben poco.
 
Si diresse deciso verso la scrivania: aveva a disposizione un nuovo soggetto, per quanto non avesse poi avuto molto tempo per osservarlo, e voleva essere sicuro di riuscire a immortalarlo finchè i dettagli erano ancora ben impressi nella sua mente.
La strana sensazione che aveva avvertito rientrando nella grotta tornò però a farsi sentire non appena raggiunse lo scrittoio e si rese conto che non era nelle stesse condizioni in cui l’aveva lasciato.
La sua maschera bianca, quella maschera, era in bella vista sul ripiano sopra tutti gli spartiti vicino a quel ritratto in carboncino che aveva fatto a Christine tempo fa e che aveva rinvenuto insieme alle partiture originali del suo Don Giovanni Trionfante.
 
La mano sinistra, quella con cui era solito usare il punjab, si contrasse in uno spasmo quasi involontario.
Qualcuno era stato lì.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Stavano suonando il campanello, piuttosto insistentemente.
Non aveva visite quella mattina quindi se l’era presa comoda e non aveva neanche messo la sveglia. Qualcuno sembrava però avere piani diversi per lei.
Senza preoccuparsi di essere in pigiama Christine raggiunse l’ingresso biascicando un «Arrivo!» che ovviamente non servì a nulla.
Il trillo cessò solo quando fece scattare la serratura della porta.
Andrè quasi la travolse entrando nell’appartamento: «Allora sei viva!»
La ragazza alzò un sopracciglio: la sera prima aveva detto di non sentirsi molto bene, non di essere in punto di morte.
«Posso sapere dov’eri sparita stavolta?»
«Andrè di cosa stai parlando?»
«Ieri sera» sbuffò lui. «Tua madre mi ha detto che ti sei sentita male e sei andata via prima. E ovviamente ho visto il tuo messaggio. Peccato che finito lo spettacolo, tempo di cambiarmi e togliere il trucco, la tua macchina fosse ancora nel parcheggio» l’accusò.
«Non poteva essere quella di qualcun altro?»
«Con quel ridicolo adesivo che hai sul portellone del bagagliaio? Non credo proprio...»
«Probabilmente ero ancora nei bagni della sala prove a vomitare l’anima!» sbottò senza sentirsi minimamente in colpa per quella bugia e allo stesso tempo pregando che il ragazzo non avesse controllato ulteriormente in giro. Vederlo calmarsi all’istante mentre assumeva un’espressione colpevole fu una risposta sufficiente.
«Lo so, avrei dovuto almeno mandare un messaggio quando sono arrivata a casa» riprese lei la parola addolcendo i toni – dopotutto non poteva prendersela con Andrè perché si era preoccupato per lei. «Ma alla fine ero così spossata che sono crollata subito dopo essermi messa in pigiama»
La verità era che quando finalmente aveva trovato l’uscita era sbucata nientemeno che su Rue Scribe: tornare indietro a prendere le cose nel camerino o la macchina, conciata com’era con la borsa, la torcia, i gessi e la gonna tutta stropicciata per averla legata al fianco avrebbe sicuramente attirato l’attenzione di qualcuno. Aveva chiamato un taxi che l’aveva raccolta ad un paio di traverse dal teatro e durante il tragitto fino al suo appartamento aveva fatto tutti gli scongiuri possibili che nessuno andasse nel camerino.
«In ogni caso la mia macchina è rimasta lì: ho preso un taxi, non mi sentivo in grado di guidare» concluse, e con quello sperava di aver riposto a tutte le domande che l’altro avrebbe potuto avere.
Andrè annuì comprensivo: «Scusa, non avrei dovuto.. e ti ho pure svegliata... almeno stai meglio stamattina?»
Christine annuì: «Probabilmente è stata l’ansia di ieri sera: ero più preoccupata io per te e Cèline che voi due. Adesso sto benissimo» confermò lasciandogli un veloce buffetto sulla spalla. «Se aspetti un attimo vado a cambiarmi e andiamo a fare colazione insieme: per farmi perdonare offro io...»
 
Andarono nel loro solito caffè, il loro preferito, che neanche a farlo apposta era dietro all’Opèra Garnier: quando l’avevano scoperto facevano ancora tutti e due lezione lì e per forza di cose avevano dovuto cercare un posto che fosse vicino alla sala prove dove passavano la maggior parte del tempo.
Rientrando avrebbe potuto approfittarne per recuperare l’auto.
«Avresti dovuto esserci alla fine: il direttore ha annunciato che probabilmente per la fine dell’anno l’Opèra avrà un altro patron, con cui sta discutendo gli ultimi dettagli per la collaborazione. In poche parole, se siamo fortunati, come regalo di Natale avremo tutti un bell’aumento di stipendio...»
«Eddai, solo a quello pensi? Conta invece quanto potranno essere più curate le rappresentazioni e i costumi...»
«Oh, lo saranno di sicuro. A quanto pare questo nuovo benefattore ha un curriculum di tutto rispetto e, senza voler offendere tuo padre, di teatro ne capisce molto più che qualcosa»
«Mm-mm» mugugnò lei con la bocca piena. «E quindi com’era?»
«Chi?»
«Il nuovo patron!»
«Boh. A quanto pare era allo spettacolo ma non è voluto salire sul palco. Qualcosa a che fare con il non volersi far vedere finchè la cosa non sarà ufficiale...»
«Capisco... ma parlando d’altro. Stavo pensando...»
 
Finirono la colazione parlando delle cose più disparate e ridendo tra loro, ignari dell’ombra che si era mossa fuori dal bar nonostante la giornata di sole.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Il ballo che si teneva annualmente all’Opèra Garnier per festeggiare la fine dell’anno vecchio e inaugurare quello nuovo era probabilmente l’evento più atteso di tutta Parigi.
Quell’anno in particolare nessuno stava più nella pelle in quanto il culmine della serata sarebbe stato la presentazione del famoso nuovo patron del teatro, di cui tutti avevano sentito parlare ma che nessuno aveva ancora mai visto.
Girava voce che le ultime modifiche al cartellone di quella stagione, che nonostante fosse iniziata da non molto stava andando meglio di qualsiasi aspettativa, fossero merito proprio dell’ultimo arrivato.
Tutto doveva essere perfetto per quella serata, dal primo all’ultimo dettaglio...
 
 
 
Christine stava osservando con sguardo critico l’ingombrante vestito disteso sul letto della sua vecchia camera.
Come da tradizione, fin da quando era andata ad abitare per conto suo, il pomeriggio che precedeva la festa tornava a casa dei genitori per prepararsi per poi raggiungere il teatro insieme.
«Maman! Credo tu abbia lasciato il tuo vestito in camera mia!» urlò dalla stanza senza smettere di fissare con disapprovazione l’abito.
Come previsto dal dress code per quell’anno il modello ricalcava bene la moda di fine 1800: la gonna prometteva di diventare ancora più ampia una volta che anche l’imponente sottoveste, proprio lì accanto, fosse stata indossata, e abbondanti inserti di tulle e stoffa aggiunti sul retro contribuivano a spezzare la monotonia del tessuto che altrimenti sarebbe stato tutto sommato dritto. Il corsetto era rigido, lo si capiva ad occhio, e la fascia in pizzo e merletto lavorato andava a formare una generosa scollatura a V che, a giudicare dall’ampiezza, le avrebbe lasciato anche le spalle scoperte.
Non che alla fine dei conti non fosse un bell’abito, ma non era quello che aveva chiesto lei e che aveva provato dalla sarta l’ultima volta.
«Non dire sciocchezze tesoro, questo è il tuo vestito. Per un attimo mi hai fatto prendere un colpo» Elèonore aveva raggiunto la figlia. «Lo so, non è proprio come te lo aspettavi, ma- »
«È rosa!» esclamò Christine interrompendola. In effetti il colore dominante era un pallido rosa antico, spezzato qua e là solo dal bianco dei pizzi e merletti in aggiunta.
«Doveva essere blu... e poi il modello che avevo scelto non era così ampio. Avevo chiesto un vestito, non un tutù
La donna strinse le labbra: «Vedrai che è per una buona causa. E tranquilla che sarai comunque un incanto: te lo dicevo sempre anche da piccola che non ti lascerei mai uscire con qualcosa che non ti sta bene addosso, no? Adesso vestiti, chiamami se ti serve aiuto con il corsetto...»
Christine dovette rassegnarsi al fatto che a meno di non volersi presentare in tuta si sarebbe dovuta dare una mossa a prepararsi.
 
Quando i suoi genitori l’avevano vista una volta pronta, con tanto di guanti ricamati, trucco e acconciatura impeccabili e mantello abbinato a coprirle le spalle, si erano quasi commossi.
Sua madre in particolare sembrava essere particolarmente su di giri per qualcosa, ma neanche durante il viaggio per raggiungere il teatro non ci fu verso di farle rivelare il perché di tutti quegli strani comportamenti.
Alla fine dovette arrendersi riconoscendo che qualsiasi cosa ci fosse sotto l’avrebbe scoperto a tempo debito, probabilmente alla festa stessa. Come tutti gli anni anche quella sera il suo accompagnatore sarebbe stato Andrè, e Christine era particolarmente curiosa di vedere come sarebbe stato il ragazzo con abiti di un’altra epoca.
 
Il teatro era completamente illuminato, tanto che all’interno sembrava fosse pieno giorno, e già gremito di persone.
Una volta lasciata la mantella al guardaroba non le ci volle molto per trovare Andrè che la stava cercando a sua volta. E quando lo vide le fu impossibile impedirsi di esclamare un «Wow!» sbattendo più volte le palpebre. Il ragazzo indossava un completo nero di taglio quasi militare con della bardature dorate, la giacca infilata solo per metà, sul braccio destro, in modo da lasciare in vista anche la camicia sottostante. Aveva persino fodero e spada – sperava finta – appesi alla cintura. I capelli biondi tirati indietro e un sorriso a trentadue denti mentre le andava in contro.
«Andrè stai benissimo! Sei sicuro che vuoi rimanere appresso a me tutta la sera? Sai quante ti avranno già messo gli occhi addosso?»
Il ragazzo rise - forse un po’ forzatamente ma Christine non ci fece caso: «Ogni promessa è debito, e anche quest’anno ti avevo promesso che ti avrei fatto da cavaliere» rispose porgendole il braccio che la ragazza accettò dopo aver mimato una riverenza.
«Andiamo a prendere qualcosa da bere?» propose poi, e al cenno d'assenso della ragazza i due si mescolarono al resto degli invitati.
 
Passarono la prima parte della serata intrattenendosi con gli altri ospiti, inclusi gli altri membri del balletto e Madame, che erano ovviamente stati tutti invitati, finché Andrè non convinse Christine a dare un taglio alle chiacchiere e unirsi alle danze.
Se dal primo momento che aveva visto André quella sera Christine aveva sospettato ci fosse qualcosa che lo stava turbando adesso, mentre ballavano, ne ebbe la certezza. Conosceva bene il ragazzo, senza contare che erano stati partner di balletto per diverso tempo: non lo aveva mai sentito così rigido e impacciato, nemmeno la prima volta che avevano danzato insieme in assoluto.
Non così inaspettatamente, con l'avvicinarsi della mezzanotte, fu proprio Andrè a invocare una pausa per andare a incipriarsi il naso, lasciando sola Christine quasi senza lasciarle il tempo di rispondergli dopo averle chiesto di andare ad aspettarlo nel ballatoio circolare da dove la scalinata principale del foyer si divideva nelle altre due laterali.
Si stava giusto domandando il perché di quella strana richiesta quando qualcuno la urtò facendole momentaneamente distogliere l'attenzione dal problema.
 
«Oh... Miss De Chagny, mi perdoni» il direttore del teatro aveva evidentemente cercato di passarle accanto evitando anche le altre persone che affollavano il salone finendole comunque addosso.
«Nessun problema Monsieur Poligny, non si preoccupi. Piuttosto, le faccio i miei complimenti per la festa di quest'anno: si è davvero superato e il tema è a dir poco perfetto»
«Mi lusinga mademoiselle, ma devo ammettere però che non è tutta farina del mio sacco. Saprà sicuramente che l'opera avrà presto un nuovo patron... ecco, l'idea del tema è stata sua. E dovrebbe vedere i suggerimenti che ha dato per il cartellone della stagione! Quell'uomo è un genio. Se questa collaborazione andrà in porto potrei quasi pensare di farlo diventare il nuovo direttore artistico del teatro...»
Christine lo guardò con tanto d'occhi, era sicura di non aver mai visto il direttore così su di giri per qualcosa.
«Allora avremo finalmente il piacere di conoscerlo stasera? Mi sembrava di aver capito che ce lo avrebbe presentato durante la festa» domandò poi riferendosi all’uomo di cui Poligny sembrava essere così entusiasta.
«In effetti non l'ho ancora visto ma sì, l'idea era quella di presentarlo al pubblico stasera» confermò lui. «Ma non voglio trattenervi oltre mia cara, avrete sicuramente di meglio da fare che stare a parlare con me delle faccende burocratiche del teatro...» si congedò sorridendole ampiamente. Christine segui l'uomo con lo sguardo finché non lo perse di vista e solo allora cominciò a muoversi verso l'ingresso, realizzando che probabilmente Andrè la stava già aspettando alla scalinata.
 
Seppure fosse una zona prevalentemente di passaggio le scale non erano poi tanto meno affollate del resto. Individuò André, lo sguardo del ragazzo si illuminò palesemente nel vederla arrivare mentre le guance arrossivano appena, e un brutto presentimento cominciò a farsi strada in lei. Deglutì, sperando in cuor suo di stare sbagliando alla grande, raggiungendolo finalmente.
Il ragazzo la guidò al centro, esattamente sopra il disegno ottagonale sul pavimento: «Christine io volevo parlarti...» esordì guardandola speranzoso negli occhi. Quello sguardo bastò alla ragazza per capire e per farle rimpiangere di non essere rimasta a casa quella sera.
Voleva un bene dell'anima ad Andrè, ma doveva scegliere proprio quel momento per tirare fuori l'argomento? Anche se come biasimarlo: se lui la conosceva tanto quando lei conosceva lui aveva sicuramente capito che l'unico modo per affrontare la questione implicava un momento in cui lei non si sarebbe potuta tirare indietro o scappare - evidentemente la soluzione trovata implicava un centinaio di testimoni.
Non era stupida, né tantomeno cieca: si era accorta del modo in cui André aveva cominciato a guardarla da un po’ di tempo a quella parte, peccato che la cosa non fosse reciproca. Sfortunatamente per il ragazzo Christine non lo considerava altro che il suo migliore amico, e probabilmente non si era neanche accorto dei tentativi di allontanamento che lei aveva cercato di mettere in atto nell’ultimo periodo per scoraggiare qualsiasi cosa il ragazzo pensava di provare per lei. Era evidente che non fosse servito a nulla e pareva che purtroppo quella sera Christine si sarebbe ritrovata a dirgli le cose come stavano verosimilmente cogliendolo pure di sorpresa.
André aveva intanto continuato a parlare, mentre le sue parole le arrivavano alle orecchie come ovattate.
Già si immaginava la faccia che avrebbe fatto... si stava detestando da sola.
Forse avrebbe davvero dovuto mettere le cose in chiaro fin dal primo momento, magari sarebbe riuscita ad evitare quella situazione che aveva tutte le premesse giuste per poter sfociare in tragedia.
 
In quel momento l'unica cosa che Christine desiderava era essere inghiottita dal pavimento, avrebbe pagato oro per sparire all'istante ed evitare la discussione che sarebbe sicuramente iniziata di lì a poco.
 
 
 
Il pavimento della scalinata del foyer doveva avere poteri psichici perché un istante dopo che la ragazza ebbe formulato quel pensiero, probabilmente sentendosi chiamato in causa, esaudì ubbidiente il suo desiderio aprendosi sotto i suoi piedi.













Buonasera a tutti! Scusate l'ora un po' tarda, ma dopo un mese di turni di notte il mio ciclo sonno-veglia è completamente invertito e diciamo che mi sono svegliata da poco... L'importante è che è ancora sabato e che il nuovo capitolo è qui!
Capitolo più lungo del solito, ma non fateci l'abitudine visto che in realtà è venuto così perchè capitolo 6 e 7 erano troppo corti da soli e ho quindi deciso di unirli. E poi farvi aspettare ancora un altro capitolo prima che Erik e Christine si incontrassero di nuovo mi sembrava crudele (un'altra cosa per cui dovete ringraziare 
ondallegra - oltre ai miei ringraziamenti per aver recensito la settimana scorsa).
... Masquerade... come avrete letto per i vestiti della festa mi sono attenuta a quelli del film del 2004. Per quanto mi piaccia il costume di scena di Christine nell'opera teatrale reputo quello del film più adatto viste le circostanze.
E niente, grazie come sempre a tutti i lettori, alla prossima settimana!

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 8
*** 7. Down once more ***


Note dell'Autrice molto sbadata... (e stanca dopo tre turni di notte di fila)
I turni di notte devono avermi definitivamente ucciso il cervello, non c'è altra spiegazione.
Andando a revisionare il capitolo 8 mi sono bellamente accorta che mancava la parte finale di questo capitolo (ecco perchè mi sembrava anche più corto del dovuto...)
In ogni caso: ho aggiunto la parte mancante, la trovate dopo le note musicali in rosso, e pubblicherò il capitolo 8 più tardi questa sera così da dare, spero, il tempo a tutti di recuperare il pezzo che sarebbe dovuto essere stato pubblicato due settimane fa.
Davvero scusatemi tanto, buona lettura







7
down once more
 
 
 
Del fumo si era improvvisamente alzato attorno a lei e Christine aveva distintamente percepito il pavimento che cedeva sotto i suoi piedi prima di cominciare a cadere verso il basso. Non ebbe neanche il tempo di urlare, più preoccupata di portare in alto un braccio in modo da tenere la mano di altezza degli occhi in un gesto istintivo.
Non ci fu nessuna corda questa volta.
Anche il salto terminò molto prima di quanto si fosse aspettata facendole piegare le ginocchia più per la sorpresa che per l'effettivo contraccolpo, mentre il vestito e la voluminosa sottoveste contribuirono ad attutire considerevolmente la caduta.
Alzò la testa quasi all'istante ma sopra di lei non vedeva altro che soffitto regolare. La risposta le arrivò dopo un attimo appena.
Una botola: era di nuovo caduta dentro ad una botola.
Questa volta però era certa di non aver fatto assolutamente nulla per attivare un possibile meccanismo d'apertura, quindi com'era potuto succedere?
Si alzò in piedi sistemandosi alla bell'e meglio la gonna, e in quel momento si accorse del rumore di passi che, a giudicare dall'intensità crescente, si stavano avvicinando. Ruotò su se stessa incontrando nient'altro che la sua immagine riflessa molteplici volte negli specchi che ricoprivano le pareti di quella singolare stanza, finché non si udì uno scatto e uno dei pannelli si aprì ruotando su cardini invisibili. Fece un passo indietro improvvisamente timorosa mentre la persona dall' altra parte si faceva avanti.
Era vestita interamente in rosso ma sempre in linea con il tema ottocentesco della serata, le uniche eccezioni erano gli stivali neri e la maschera bianca che gli copriva il viso lasciando scoperti solo labbra e mento.
Era...
 
«Erik?» il nome le usci in una domanda appena sussurrata con tono incredulo.
Erano passati quasi quindici anni dal suo primo incontro con il salto dell'impiccato ma con l’uomo lì in piedi davanti a lei le sembrava fosse passato a mala pena un minuto, non avrebbe mai pensato di potersi ricordare così bene della figura di qualcuno.
«Rose» si cambiò lui il saluto calcando volutamente il nome; senza sapere neanche lei cosa stava facendo si ritrovò ad abbracciarlo con forza affondando il viso nella stoffa del vestito che copriva la sua spalla. Così facendo si perse l'espressione disorientata e alquanto esilarante che aveva assunto l'uomo, evidentemente le cose non erano cambiate dall’ultima volta...
Si separò dopo un po' borbottando uno «Scusa» a mezza voce, notando solo in quel momento che Erik aveva ripreso a guardarla con gli occhi scuri che brillavano e il sorriso di qualcuno che la sa lunga.
La ragazza ci mise un secondo a fare due più due: «Tu. Sei stato tu ad aprire la botola» non era una domanda.
L'uomo ampliò il sorriso: «Sembravi davvero disperata e pronta a qualsiasi cosa per uscire da quella conversazione, ed eri nella posizione perfetta. Mi scuso solo per l'arrivo: pensavo che il meccanismo ci avrebbe messo di più a funzionare e speravo di riuscire a prenderti al volo. Non ti sei fatta male vero?» e la squadrò attentamente da capo a piedi a volersene sincerare di persona.
«No... io sto benissimo» confermò lei «Ma non capisco, com'è possibile? Tu... è stato quindici anni fa e, beh, non voglio sembrare irrispettosa ma...!» Non sembri invecchiato di un giorno era quello che avrebbe voluto dire, visto che quel poco di viso che le era visibile nonostante la maschera non sembrava affatto essere stato toccato dallo scorrere del tempo. «E avevo immaginato che potessi essere ancora in giro quando ho visto che la grotta sul lago era stata rimessa a nuovo, ma cosi...» mi sto solo immaginando tutto? era la conclusione al suo discorso.
Erik sembrò capire il disagio di Christine e le posò una mano sulla spalla come a volerla tranquillizzare che no, era tutto reale, non l’aveva forse dimostrato anche il suo abbraccio di prima? Per un po’ nessuno dei due aggiunse altro, poi lo sguardo di Erik si fece improvvisamente attento come se si fosse appena reso conto di qualcosa.
«E così sei tornata alla mia dimora... mi stavo chiedendo chi potesse essersi spinto a tanto...» la sua voce aveva acquisito una sfumatura inquisitrice.
«Io... sì» ammise lei realizzando quello che si era lasciata scappare. Da quel poco tempo che aveva passato con lui aveva ben intuito come Erik fosse una persona decisamente territoriale e gelosa delle sue cose, avrebbe dovuto pensare prima di parlare e trovare un modo diverso per fargli sapere della sua piccola incursione.
«... e posso sapere da dove sei entrata?» era così persa nei suoi pensieri che quasi si perse la domanda.
Abbassò lo sguardo quasi vergognandosi, ma sentiva lo sguardo di Erik trapassarle il capo e si costrinse a rispondere: «Sono scesa dal Salto dell’Impiccato, e ho trovato l’uscita di Rue Scribe...» ammise, ma non fece quasi in tempo a finire che Erik l’aveva già interrotta.
«Razza di incosciente!» aveva esclamato facendola sobbalzare per il tono di voce che aveva usato.
Alzò lo sguardo riportandolo sull’uomo, ma quello che lesse nei suoi occhi non era la rabbia che si era aspettata. Poteva qualcuno preoccuparsi davvero così tanto per lei?
«Come hai potuto fare una cosa del genere? Hai idea dei pericoli che hai corso? Le trappole in cui saresti potuta cadere se avessi imboccato un corridoio sbagliato...?»
«Ma non è successo...»
«... Hai idea di come mi sarei sentito se ti fosse capitato qualcosa?»
Christine aveva già la bocca aperta per rispondere ma non ne uscì alcun suono: dopo quella esternazione non avrebbe proprio saputo cosa replicare.
Erik inspirò rumorosamente: «Promettimi che non passerai mai più per il Salto» lo disse con un tono così perentorio che la ragazza non si sognò nemmeno di provare a giustificare quello che aveva fatto.
«Io... certo, va bene. Hai la mia parola»
 
«Sarà meglio tornare alla festa prima che si preoccupino troppo, si staranno chiedendo cosa ti è capitato»
 
Erik le offri il braccio tornando all’istante ad essere il perfetto gentiluomo e lei accettò, salvo poi tirarlo indietro prima che lasciassero la stanza.
«Il mio nome non è Rose» confessò imbarazzata. «In realtà è il mio secondo nome, io mi chiamo...» si interruppe quando l'uomo soffocò una risata.
«Ovviamente 1o sai già, potevo anche fare a meno di tirare fuori l'argomento»
«La prudenza con gli sconosciuti non è mai troppa e non ti biasimo per avermi fornito un nome parzialmente falso. Ma sì, so che Rose non è il tuo primo nome di battesimo... Christine» il modo in cui lo pronunciò le fece correre un brivido lungo la schiena.
«Adesso possiamo andare Mademoiselle De Chagny?»
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Intanto sopra le loro teste sembrava fosse arrivata la fine del mondo.
Si erano sentiti degli strani rumori, un tonfo: André si era girato solo un attimo mentre si muoveva avanti e indietro parlando, e quando era tornato a fronteggiare la ragazza Christine sembrava essere sparita nel nulla mentre del fumo usciva dal pavimento sopra il quale c'era lei fino a un secondo prima. Tutte le maschere erano state incaricate di setacciare il teatro: non poteva essere sparita di nuovo, e questa volta persino sotto il naso di persone che però non erano in grado di spiegare cosa esattamente fosse successo.
André sembrava sull'orlo delle lacrime e sulla buona strada per un crollo nervoso - dopo tutta la fatica che aveva fatto per auto convincersi a parlare con Christine dei suoi sentimenti -, Claude borbottava indispettito col direttore Poligny che non aveva idea di cosa stesse succedendo e Elèonore aveva arpionato il figlio minore per un braccio ben decisa a non lasciarlo andare.
Una decina di minuti più tardi, tutti ancora in fermento, fu proprio Gabriel ad accorgersi del ritorno della sorella, che però era accompagnata a braccetto da un uomo che non aveva mai visto prima.
Sorrideva mentre parlavano tra loro e non sembrava affatto scossa per quello che era appena successo.
 
«Christine!» Elèonore fu addosso alla figlia in un battito di ciglia dopo che il fratello gliela aveva indicata. «Stai bene? Cos'è successo?»
«Sto bene mamma, non preoccuparti. Non mi sono fatta neanche un graffio»
«Com'è potuta capitare una cosa simile?» si intromise suo padre rivolgendo la domanda a nessuno in particolare.
«A questo posso rispondere io...» Erik si fece avanti richiamando su di sé l'attenzione dei presenti che fino a quel momento erano rimasti concentrati solo sulla ragazza, mettendo in piedi una scusa riguardo un vecchio passaggio del teatro riaperto per un numero di magia della serata e la sfortunata assenza del mago che alla fine non aveva potuto presenziare. Ad ascoltarlo parlare con quella voce sicura e suadente nessuno avrebbe potuto neanche sospettare che stesse mentendo. «... Mi accerterò io stesso che le cose vengano sistemate. Mademoiselle De Chagny è solamente capitata nel punto sbagliato al momento sbagliato, ma sono stato ben lieto di riaccompagnarla quando l'ho trovata in corridoio proprio fuori dal camerino che mi avete messo a disposizione per prepararmi» concluse rivolgendosi con un cenno il direttore.
«Conoscete quest'uomo?» domandò a quel punto Claude non senza smettere di guardare Erik con sospetto.
Poligny si lisciò la barba schiarendosi la voce: «Signore e signori, non era proprio in questo modo che avrei voluto fare l'annuncio, ma lasciate che vi presenti monsieur Erik Destler, il nuovo patron dell'Opera e, se volesse accettare, vice direttore artistico» esordì a voce alta in modo che tutti potessero sentire.
Erik chinò rispettosamente il capo nel ricevere gli applausi che subito si levarono entusiasti mentre Christine cercava di contenere l'espressione di assoluta sorpresa battendo a sua volta le mani.
 
In quella André riuscì a riavvicinarsi mentre Christine, che se ne accorse subito, si chiese perché non poteva semplicemente lasciar perdere almeno per il resto della serata.
«Ehm... Christine, ti dispiacerebbe se potessimo finire il discorso di prima... ?» le domandò.
La ragazza fece per aprire bocca ma un'altra voce la precedette: «Mi sembrate una persona abbastanza acuta da aver notato il disagio di Mademoiselle De Chagny ancora prima dell'incidente con la botola. Davvero volete...?»
«Erik!» lo fermò Christine una volta superata la sorpresa iniziale, interrompendolo prima che potesse dire qualcosa di irreparabile. Non aveva mai sentito parlare di quella cosa chiamata tatto?
André era arrossito furiosamente, ma aveva comunque trovato il coraggio di ribattere un «La prego di restare fuori da questa faccenda monsieur, è una cosa privata tra me e Christine» tornando poi a guardare la ragazza carico di aspettativa.
«Oh, André...» sospirò alla fine la ragazza con rassegnata tristezza. «Mi dispiace ma io non... sarebbe davvero meglio affrontare questo discorso in un'altra occasione»
A quelle parole il ballerino sembrò finalmente capire e abbassò lo sguardo.
Christine ebbe appena il tempo di sussurrare un altro «Mi dispiace» prima che Erik la accompagnasse via.
«Non avrei mai voluto si arrivasse fino a questo punto» commentò per lo più rivolta a se stessa.
«Se ne farà una ragione. Non si può costringere una persona ad amare qualcuno» commentò Erik.
A quelle parole Christine lo guardò assottigliando gli occhi come a voler capire cosa ci fosse sotto: aveva di nuovo usato quel tono strano che gli aveva sentito prima nella sala degli specchi quando aveva pronunciato il suo nome.
«Suppongo sia così» gli diede ragione alla fine. «Allora sentiamo: quali grandi piani avrebbe il nuovo vice-direttore artistico per il cartellone di fine stagione?»
 
In tutto quello André non aveva potuto fare a meno di osservarli mentre si allontanavano tra la gente, pensando che quei due dimostravano decisamente troppa confidenza per essersi conosciuti solo pochi minuti prima.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Una volta arrivata al suo appartamento Christine non perse tempo. Parcheggiò l'auto e chiamò un taxi che la riportasse all'Opèra ancora prima di essere scesa dalla sua macchina.
Il vestito era rimasto a casa dei suoi, le uniche cose rimaste ad indicare la sua partecipazione alla festa di quella sera erano i capelli ancora acconciati e la pochette abbinata all'abito. Quell’ultimo accessorio in particolare aveva un peso tutto nuovo.
Prima di separarsi Erik le aveva discretamente consegnato una chiave dalla lavorazione elaborata al sussurro di: «Non voglio che usi l'ingresso dal Salto dello Impiccato mai più».
Non le ci era voluto molto per capire che doveva essere la chiave per accedere ai sotterranei passando per la porta in Rue Scribe da cui era uscita la sera della prima di Romeo e Giulietta.
 
Si fece lasciare sul retro dell'Opèra facendo praticamente di corsa l'ultimo pezzetto che la separava dall'ingresso secondario. La chiave girò nella serratura senza incontrare resistenza alcuna, e come entrò nel corridoio le luci si accesero dandole il benvenuto e illuminando la strada che avrebbe dovuto percorrere a ritroso per ritornare al lago sotterraneo.
Un grande sorriso le si formò sulle labbra quando raggiunse la sua destinazione.
L'acqua del lago era piatta e immobile, l'atmosfera quella misteriosa e antica di sempre. Mancava solo...
«Erik?» chiamò cauta, quasi timorosa di disturbare. Forse avrebbe dovuto aspettare invece di tornare subito dopo la festa, forse un altro giorno sarebbe stato meglio. E in ogni caso cosa le garantiva che Erik fosse ancora li?
«Christine?» la voce di lui la richiamò e la ragazza dimenticò all'istante le sue paranoie.
Erik era spuntato fuori da dietro un drappo e non indossava più i vestiti della festa. Certo, in abiti dell' '800 era a dir poco perfetto ma anche con quelli moderni faceva la sua figura. Con forse un pizzico di disappunto notò però che la maschera era ancora al suo posto sul lato destro del viso.
 
«Non mi aspettavo di rivederti cosi presto, dovresti essere a casa a riposare» aveva continuato intanto Erik.
La ragazza si riscosse: «Potrei dire la stessa cosa... a meno che tu non abiti qui...?»
L'uomo rise: «In effetti ho una casa qui vicino, ma questo posto lo è sempre stato più di quanto qualunque altro potrà mai essere» spiegò.
«Allora visto che per il momento nessuno dei due sembra intenzionato a dormire ti dispiace se parliamo un po’? Spero tu possa capire che ho alcune domande da farti»
«Ho dormito anche tropo finora...» assentì lui.
Christine lo guardò incuriosita ma allo stesso tempo seria: «Ecco, è proprio di cose come questa che vorrei parlare, perché ad essere sincera non ne sto capendo molto e ho paura che l’alternativa sia che io sia pazza»
«Non lo sei» ribatté lui velocemente.
«Allora potrai sicuramente spiegarmi come mai non sei invecchiato di un solo giorno da quando ti ho visto l'ultima volta, quindici anni fa»
Il silenzio scese di nuovo nella grotta mentre Erik scrutava pensieroso Christine cercando cosa dire e soprattutto come.
«Forse sarà un po’ lunga da spiegare, sicura di volerlo fare adesso?» La ragazza annui decisa, qualunque traccia di stanchezza sparita all'istante dai viso e gli occhi attenti.
 
«Molto bene» sospirò lui. «Cosa sai della vicenda del Fantasma dell'opera?»
 

 

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Capitolo 9
*** 8. Ignore what you hear... ***


Nota dell'autrice molto sbadata...
I recenti turni di notte mi hanno dato il colpo di grazia e stamattina quando stavo per aggiornare mi sono accorta che dello scorso capitolo mancava l'ultimo pezzo. Ho aggiunto suddetta parte mancante dopo le note musicali in rosso (sto sempre parlando del capitolo 7), quindi prima di procedere con la lettura di questo capitolo cosniglio caldamente di leggere il finale del precedente.
Scusate davvero e buona lettura (spero)







8
ignore what you hear...
 
 
 
A quella domanda Christine aggrotto la fronte: «Questo cosa dovrebbe centrare con...?»
«Rispondi e basta per favore»
«Beh, faccio De Chagny di cognome, so quanto basta. Primo fra tutti che si tratta di una leggenda e che è stato per dare una giustificazione a tutti gli incidenti che capitavano all’epoca, compreso quello del lampadario, e per guadagnare qualcosa anche sopra disgrazie come quella. Ma-»
«Cosa diresti invece se ti dicessi che non è così? Che il Fantasma della Opera è esistito veramente»
«Direi che non capisco due vuoi arrivare»
Erik si mosse inquieto sul posto: «La verità è che non so bene neanche io cosa sia successo. Come sia potuto succedere» fece una pausa tornando a guardare intensamente Christine.
Indicò lo sgabello del suo organo: «Siediti. Vorrei raccontarti una storia, e per quanto inverosimile potrà sembrare vorrei che non mi interrompessi finché non avrò finito. Puoi farlo?»
La ragazza annuì mentre si sedeva come le era stato detto: «Io... certo, ti ascolto»
L'uomo la guardò un'ultima volta come a volersi assicurare che avrebbe davvero mantenuto la parola: sarebbe stata capace di andare oltre le parole e magari, solo magari, guardare col cuore come aveva fatto in passato?
 
«Poniamo che non sia solo una leggenda, che il Fantasma sia esistito veramente.» cominciò. «Che fosse una persona, un uomo, in carne ed ossa. Hai citato il crollo del lampadario: immagina che quello sia stato la conclusione di tutto, immagina quell'uomo a pezzi che ha come unico e ultimo desiderio quello di... beh, farla finita. Adesso immagina il Fantasma rifugiarsi in una di quelle gallerie che per anni ha usato per muoversi inosservato per il teatro e restare lì ad aspettare che la morte venga a portarlo via...»
Christine rabbrividì e gli fece un cenno invitandolo a continuare.
«Immaginalo lasciarsi andare, smettere di mangiare e di bere, restare rintanato in quel tunnel senza avere più alcun interesse di quello che nel frattempo sta succedendo attorno e sopra di lui nel teatro, finché...»
«Finche?» questa volta la pausa era durata molto più a lungo, quasi Erik avesse cambiato idea e deciso di non finire il discorso.
«Finché non è più riuscito ad ignorare il suono dei campanelli che indicava che qualcuno era finito in una delle sue trappole, nel Salto dell'Impiccato» concluse quasi tutto d’un fiato.
 
Christine impallidì, ma di nuovo si limitò a sussurrare un «Vai avanti»
«Immagina la sua sorpresa nel trovare niente più che una ragazzina tra le corde» riprese lui dopo un’ulteriore pausa, la sua voce decisamente più incerta. «Una ragazzina testarda, incredibilmente dotata nella danza e che in qualche modo è riuscita a mostrare al Fantasma più gentilezza in quel poco tempo che sono rimasti insieme di quanto lui ne avesse mai ricevuta in tutta la sua vita. Una ragazzina che non è scappata dopo aver visto sotto la maschera. Sai, avrebbe quasi voluto tenerla con sè, ma l'ha lasciata andare alla fine: salvo poi non riuscire a darsi pace e decidere che doveva rivederla. Doveva uscire da quella maledetta galleria dove era tornato a segregarsi. Pensa la sua sorpresa, una volta uscito, nel non riconoscere più la città intorno a lui, nell'apprendere che in quelli che a lui erano sembrati solo un paio di giorni la ragazzina era cresciuta diventando una giovane donna e-»
«Basta»
Non aveva urlato, aveva usato un tono deciso ma tutto sommato calmo, anche se chiaramente in contrasto con il fatto che stava tremando.
«Quello che stai dicendo non è inverosimile, è impossibile. Non... tu...»
«Christine...»
«No, sono tornata perché volevo delle risposte che è evidente tu non mi vuoi dare. Se devo restare qui solo per essere presa in giro...» si alzò di scatto chiaramente intenzionata ad andarsene ma Erik la fermò prendendola per un braccio.
«Non mi permetterei mai di prenderti in giro» disse con voce seria.
«Lasciami andare per favore»
«Avevi promesso che avresti ascoltato fino alla fine...»
«Perché pensavo che il tuo racconto avrebbe portato a qualcosa, ma è evidente che non è così. Se non vuoi dirmi la verità va bene, ma almeno non inventarti cose che non stanno né in cielo né in terra perché te lo ripeto, non mi piace essere presa in giro. E ora se non ti dispiace credo sia meglio che io vada» concluse, ma Erik ancora non aveva ancora sciolto la presa.
Christine allora ruotò su se stessa e fece l'unica cosa che in quel momento la parve sensata. Allungò la mano ancora libera e, troppo velocemente per Erik per fermarla, tolse la maschera dal suo viso in un unico gesto lanciandola poi via senza neanche badare a dove l'avesse buttata.
Erik la lasciò andare all'istante per coprirsi la parte del viso che era stata improvvisamente esposta. La ragazza guadagnò un paio di passi di distanza ma non proseguì oltre.
Quel Christine che l’uomo aveva sussurrato con tono implorante l’istante prima che lei gli strappasse la maschera dal viso era arrivato forte e chiaro alle sue orecchie avendo l’effetto di fermarla facendola sospirare. Contò fino a dieci prima di voltarsi di nuovo verso Erik.
Intanto l'uomo si era girato in modo da mostrarle il profilo dalla parte buona del viso, ma si stava ancora coprendo con la mano.
Vedendolo così la ragazza si maledisse all'istante per il suo gesto, ma aveva dovuto fare qualcosa per interrompere quella situazione che era diventata oltremodo surreale. Erano troppe cose, troppo strane, da processare tutte insieme.
Aveva previsto quella reazione quando aveva rimosso la maschera, ma sapendo quello che l’oggetto rappresentava per Erik non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto a prescindere. Si guardò intorno ma non riuscì a vedere la maschera, doveva proprio averla lanciata lontano.
 
Si riavvicinò ad Erik e questa volta fu lui a ritrarsi senza neanche guardare verso di lei. Non se lo era aspettata, ma quella reazione le fece male.
«Scusa. Non avrei dovuto»
Lui scosse la testa: «Vai a casa Christine. Non saresti dovuta tornare»
Si era illuso come il più sciocco tra gli stolti: come aveva potuto dimenticarsi che quella che aveva davanti non poteva di certo essere la ragazzina di quindici anni prima?
In tutta risposta lei gli si mise davanti per fronteggiarlo poggiandogli una mano sull'avambraccio destro, lo stesso della mano che le celava la vista del suo viso. Lo senti fremere ma non si spostò. Solo quando risalì fino alla mano un «No» secco lasciò le sue labbra.
«Ho detto che mi dispiace»
«Scuse accettate. Adesso vai» ribatté deciso lui.
Christine scosse la testa facendo presa sulla sua mano finché non sentì che Erik aveva finalmente smesso di fare resistenza e lentamente gliela spostò fino a scoprire la parte destra del suo volto. Non distolse lo sguardo neanche per un attimo, osservando ogni centimetro di quella pelle martoriata: potevano essere passati anni, ma non avrebbe mai potuto dimenticarsela.
«A quanto pare non riesco a farne una giusta. Ripartiamo da capo, ok?» propose facendolo fermare visto che nel frattempo Erik le aveva dato le spalle incamminandosi verso l'organo.
«Non penso sia una buona idea»
«Perché no?»
«Non sarei mai dovuto tornare, non so cosa mi sia passato per la testa» proseguì, più rivolto a se stesso, come se lei non avesse parlato.
A Christine sembrava che la testa stesse per scoppiarle. Ammesso che ci fosse qualche possibilità che quello che Erik aveva detto fosse vero... non sapeva neanche lei cosa pensare. Poteva credere davvero di trovarsi al cospetto nientemeno del Fantasma dell'Opera? Il protagonista di una leggenda vecchia di almeno cento cinquant'anni che in qualche modo aveva ancora l'aspetto di un trentenne? Poteva davvero credere a una cosa del genere?
Dopo un attimo di riflessione fu però costretta ad ammettere che non era veramente quella la domanda a cui avrebbe dovuto rispondere. L'aveva recuperata dalla trappola, si era fidato abbastanza da permetterle di togliergli la maschera, aveva suonato per lei e alla fine l’aveva riportata indietro. E per qualche motivo quando prima le aveva detto che non si sarebbe mai permesso di prenderla in giro sapeva che stava dicendo la verità.
No, la domanda a cui doveva dare una risposta era: aveva davvero importanza? Non si poteva tornare indietro nel tempo, potevano solo andare avanti.
Le tornarono alla mente le parole che le aveva rivolto quando era caduta nella botola del foyer: non sono più la persona di una volta.
Prendendo per vero quello che le aveva appena raccontato assumevano un significato tutto nuovo e che per di più aveva senso.
 
Raggiunse di nuovo Erik costringendolo a fronteggiarla e poi fece una cosa che nella sua ingenuità di bambina avrebbe voluto fare anche quella volta di quindici anni prima quando l’aveva visto così solo e sconsolato, se solo che le fosse mancato il coraggio.
Si sporse verso di lui alzandosi appena sulle punte dei piedi e gli lasciò un bacio sulla guancia. Quella destra.
Erik si pietrificò all'istante: mai nessuno aveva osato tanto.
La mano della ragazza che aveva preso ad accarezzargli sempre quella parte di viso lo riscosse.
Studiò la sua espressione che sembrava essere assolutamente serena: non c'era ombra nè di paura né di disgusto. Il che non poteva essere, perché se neanche lei era mai riuscita a guardarlo così come poteva una persona che conosceva da così poco tempo?
«Dovresti smettere di indossare la maschera, almeno quando non sei in pubblico» Christine ruppe il silenzio parlando quasi sovrappensiero, il fatto che il reale motivo che l'aveva spinta a formulare quell'affermazione derivasse dal fatto che non voleva che lui si nascondesse davanti a lei noto solo a se stessa.
A quelle parole Erik alzò il sopracciglio buono guardandola appena divertito.
«Cosa?» ribatte lei, lieta almeno di non vedergli più quell'espressione cupa in viso. Era sicura di essere arrossita, e avrebbe dovuto trovare il modo di scoprire se tra i talenti del Fantasma dell’Opera fosse annoverata anche la lettura nel pensiero, perché dal modo in cui Erik la stava guardando sembrava che lui avesse capito senza problemi quello che era rimasto taciuto.
«Non la indosso più quando sono qui da solo» confessò dopo un attimo lui sorprendendola.
«Allora perché ce l'avevi quando sono arrivata?» gli fece però notare lei prima che potesse trattenersi dal farlo.
Erik abbassò lo sguardo, sembrava quasi... imbarazzato? Lui?
«L'ho rimessa quando ti ho sentita arrivare» ammise. «Io... non volevo spaventarti»
Christine rimase un attimo interdetta prima di sorridergli dolcemente tornando a lasciare un’altra carezza sulla sua guancia facendogli rialzare la testa.
 
«Hai la mia parola che non scapperò mai più da te»













Beh, che dire, non mi era mai successo di lasciare pezzi di capitoli per strada ma evidentemente c'è una prima volta proprio per tutto.
Detto questo, spero che siate riusciti a recuperare la parte mancante senza problemi - giusto perchè altrimenti vi ritrovavate Christine di nuovo al covo sul lago senza neanche sapere come ci è arrivata.
Ultimamente sto provando a scrivere su un tablet che poi trascrive automaticamente la mia scrittura in testo scritto, credo di aver intercettato tutti gli errori/orrori che derivano dal processo ma se dovessero essercene altri che mi sono sfuggiti non esitate a farmelo notare che provvedo a correggere.
Spero che fino a qui la storia vi stia piacendo, vi lascio l'appuntamento tra uno o due sabati (sapete come funziona, e se voleste lasciarmi un commento mi rendereste una persona davvero molto felice).
Nel frattempo

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 10
*** 9. Poor fool ***


9
poor fool
 
 
 
Andrè non sapeva come sentirsi.
Da quando aveva cominciato a rendersi conto di provare qualcosa di più che semplice amicizia nei confronti di Christine aveva capito che farlo capire alla diretta interessata non sarebbe stato facile. Un rifiuto cosi secco però non se l'era proprio aspettato, e vedere la ragazza passare il resto della serata in compagnia di quell'altro aveva fatto male.
Il nuovo patron, Monsieur Destler, gli aveva fatto storcere il naso dal primo momento che l'aveva visto.
C'era qualcosa che non andava in lui, qualcosa di strano; senza contare tutta quella confidenza che si era preso con la sua Christine come se fossero stati amici di lunga data invece di semplici conoscenti.
Ma avrebbe scoperto cosa c'era sotto, parola sua.
 
Prese l'ennesimo bicchiere di champagne dal vassoio portato in equilibrio su una mano sola di uno dei tanti camerieri che ancora circolavano, ma prima ancora che potesse portarselo alla bocca per scolarselo d'un fiato come aveva fatto con quelli precedenti, qualcuno glielo sfilò di mano. Qualsiasi protesta gli morì sulle labbra quando mise a fuoco chi era stato l'autore di quel gesto.
La donna indossava uno dei vestiti più sfarzosi che avesse visto fino a quel momento, color smeraldo ornato da pietre luccicanti e piume di varie sfumature di verde. La maschera posata sul viso era pure dello stesso colore, ornata da nastri che ricadevano lungo i lati del viso, e lasciava scoperta solo le labbra rosso fuoco e gli occhi dello stesso colore dell'abito. I capelli invece, seppure fossero in qualche modo acconciati, erano della stessa tonalità di rosso delle sue labbra e indiscutibilmente ricci – niente a che vedere con i morbidi boccoli di Christine.
La sconosciuta roteò il bicchiere mescolandone il contenuto prima di assaggiare un mezzo sorso e scostarselo velocemente dalle labbra con una smorfia di disgusto.
«Non ho mai capito come la gente faccia a bere questa roba» commentò parlando tra sè e sé per poi restituire il bicchiere ad un cameriere di passaggio.
In tutto quello Andrè la stava ancora guardando stupefatto, a metà tra l'essere confuso o in collera per il gesto che la donna aveva fatto.
«Non guardatemi in quel modo, monsieur. Come pensavate di poter seguire la vostra fidanzata da ubriaco? Avete già bevuto abbastanza per stasera, suvvia. Ora vi consiglierei di sbrigarvi se non volete perderla...»
Andrè si girò appena in tempo per vedere Monsieur Destler fare un galante baciamano a Christine prima che questa si congedasse e si avviasse verso l'uscita con fratello e genitori. Quando si voltò di nuovo la donna misteriosa era già sparita, e lui si sentiva improvvisamente sobrio e sapeva esattamente cosa fare.
 
Nessuno badò a lui quando lasciò gli ultimi strascichi della festa – che ora che i due patron se n'erano andati sembrava proprio giunta alla conclusione – e recuperò la macchina dal parcheggio. Guidò fino a raggiungere il palazzo dove abitava Christine parcheggiando appena fuori dal cortile e si mise ad aspettare.
Era passata fosse un'ora e mezza quando l'auto della ragazza fece finalmente la sua comparsa, ma lui rimase dov'era. Dalla sua posizione non poteva esattamente vedere cosa stava facendo Christine dentro l'abitacolo dell'auto, ma dopo una decina di minuti un taxi li raggiunse.
Vide la ragazza scendere e chiudere la macchina – doveva essersi cambiata a casa dei suoi perché non indossasse più il vestito e il martello con cui si era presentata alla festa – e poi salire nell'ultima vettura arrivata.
Mise in fretta in moto non appena furono usciti dal parcheggio e si apprestò a seguirla.
Fortuna che Parigi era trafficata anche a quell'ora di notte – dopotutto era il primo dell'anno – e nessuno avrebbe fatto caso a lui mentre seguiva il taxi.
Christine si fece lasciare in corrispondenza del retro del teatro: anche da lì si poteva capire come l'edificio fosse ancora in fermento visto che sicuramente tutto doveva tornare in ordine per la mattina, ma la ragazza non arrivò mai all'ingresso principale.
Stava accostando dall'altro lato della strada in Rue Scribe senza perdere d'occhio Christine che stava risalendo il marciapiede che costeggiava la fiancata del teatro quando uno dei furgoni del catering gli passò davanti facendogli interrompere il contatto visivo per una frazione di secondo: l'attimo dopo la ragazza era sparita.
Mise la freccia lasciando la macchina in seconda fila fiondandosi giù dalla vettura per esaminare in prima persona il punto in cui Christine era appena scomparsa. Non riuscì a trovare nulla di strano, solo quella vecchia porta di servizio che era sempre stata lì e non era mai stata usata da che aveva memoria. La osservò comunque da vicino concludendo che in ogni caso Christine non poteva essere passata da lì: lo sapevano tutti che quelle vecchie porte erano in realtà inagibili e non portavano da nessuna parte. Probabilmente dietro era anche stata murata.
Nonostante l'apparente buco nell'acqua non riusciva a darsi ancora per vinto.
Fu con in testa il volto della sconosciuta con i capelli rossi della festa che si cercò un parcheggio dall'altro lato della strada e si mise ad aspettare.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Quella mattina il risveglio fu diverso dal solito. Tanto per cominciare non c'era la solita luce che filtrava dalle persiane e quello non era sicuramente il suo letto. Tastò il materasso sotto le lenzuola, che al tatto parevano di seta, arrivando alla conclusione che, come i cuscini, dovesse essere fatto di piume, e solo quando una leggera musica da carillon raggiunse le sue orecchie aprì finalmente gli occhi.
La cornice del letto formava una specie di conca, e Christine vi era nel mezzo, circondata da una cortina di pizzo nero che la separava dal resto della stanza.
Scostò il lenzuolo – aveva ancora indosso gli stessi jeans e la maglia con cui era arrivata la sera prima, la giacca doveva essere da qualche parte nella sala principale – e alzò la tenda passandoci sotto per uscire. La musica che aveva sentito proveniva da una specie di scatola musicale con in cima una scimmietta che suonava dei cimbali: rimase incantata a fissarla finché non smise di muoversi e la musica cessò. Solo allora alzò lo sguardo per guardarsi intorno, e dodo un attimo di disorientamento capi.
Quella stanza lei l'aveva già vista, quindici anni prima, quando versava in uno stato di completa distruzione. Adesso invece era stata completamente rimessa a nuovo: poté apprezzare lo stile antico che caratterizzava tutta la dimora sul lago, il collo del letto non era più monco ma aveva le fattezze di un corvo le cui ali racchiudevano il giaciglio nel quale aveva dormito, lo specchio a figura intera nuovamente integro al posto di quell'unico frammento attaccato alla cornice nel quale si era specchiata la prima volta che era stata lì...
 
«Questa stanza è tua, sappi che puoi fermarti tutte le volte che vuoi» la voce di Erik, apparso silenziosamente alle sue spalle, la fece sobbalzare.
«Perdonami» si scusò subito lui a quel sussulto «Le vecchie abitudini sono dure a morire»
Christine lasciò perdere l'arredamento per rivolgersi all'uomo. Notò con piacere che non indossava la maschera e non poté fare a meno di sorridere: «Non scusarti, non hai fatto nulla di male» replicò «Piuttosto dovrei essere io a chiedere scusa: ieri sera, beh, stamattina, temo di essermi addormentata senza neanche rendermene conto»
«È stata una lunga notte ed eri stanca. E la mia storia non è poi così interessante» disse lui scrollando le spalle ricevendo in risposta un sopracciglio alzato.
«Disse colui che dice di essere il Fantasma dell'Opera di centocinquanta anni fa e dimostra... aspetta, quanti anni dovresti avere?» domandò Christine realizzando di non avergli ancora posto quella domanda.
Erik si fece pensieroso: «Trentadue, credo. Dopotutto come hai detto tu non sono invecchiato»
La ragazza annuì, sembrava verosimile.
«E comunque la tua storia è tutto tranne che noiosa» proseguì dopo un istante. «Ma non ho ancora detto che ci credo, a questa cosa del fantasma... potresti raccontarmi di più?»
Erik tentennò a quelle parole: «Potrei... Ma non vorrei farti scappare»
«Non succederà: ho promesso, ricordi?»
«Non puoi comunque saperlo; dopotutto non è una storia con un lieto fine» sospirò lui.
«Non ancora» puntualizzò lei cercando di essere il più positiva possibile. «Comunque... che ore sono? Sto morendo di fame. Magari potresti rivedere il tuo racconto davanti a qualcosa da mangiare?» propose ingenuamente. «Conosco un posto...» si bloccò nel mezzo del discorso rendendosi conto di quello che stava dicendo. Non si aspettava di vedere Erik che le sorrideva divertito.
«Pensi davvero che non esca mai di giorno? Anche Monsieur Poligny mi ha già visto con la maschera e non sto parlando della festa. La indosso come chiunque indosserebbe un cappello, e anche se attira sicuramente molti sguardi nessuno ha mai fatto problemi né domande» spiegò tranquillamente. «Chiarito questo sarò ben lieto di seguirti nel posto di cui stavi parlando, a patto che sia io ad offrire...» le tese una mano che lei non poté fare altro che accettare.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Andrè era stanco, affamato e arrabbiato.
Era stato in quella dannata auto tutta la notte, dormendo solo a tratti per paura di perdersi Christine che lasciava il teatro, e non aveva fatto neanche colazione per paura di mancare il momento.
Ma adesso era quasi ora di pranzo e della ragazza ancora non c'era traccia.
Era stato tutto per niente.
Si stiracchiò, per quanto fosse possibile nello spazio ristretto dell'abitacolo, sbadigliando sonoramente e stropicciandosi gli occhi. Stava giusto ringraziando il fatto che almeno quel giorno non avrebbe avuto prove quando lo sguardo gli cadde di nuovo sul marciapiede dall'altro lato della strada.
Con la luce del giorno non ebbe alcun problema a riconoscere Christine, avvolta nella stessa giacca della sera prima, che sembrava essere spuntata dal nulla nel bel mezzo del camminamento pedonale.
Quel che era peggio, però, era che quello al suo fianco che la stava portando a braccetto, altri non era che quel Monsieur Destler.
Andò molto vicino a scendere dalla vettura per andare a dirgliene quattro, ma suo malgrado si bloccò nel momento in cui lo vide da di fronte quando i due si apprestarono ad attraversare la strada: l'uomo stava ancora indossando una maschera che gli copriva la metà destra del viso come la sera prima alla festa... Certo, sembrava appena più sottile e quindi meno ingombrante ed appariscente, ma era lì. E Christine non sembrava affatto scocciata dalla cosa.
Quando si era detto che il nuovo patron stava nascondendo qualcosa non avrebbe mai pensato che sarebbe stato in modo così letterale. Ma d'altronde quale uomo per bene sarebbe mai andato in giro nascondendo la sua stessa faccia, anche se solo per metà.
Cosa poteva esserci sotto che la chirurgia attuale non avrebbe potuto Risolvere?
 

 
Stupido, ecco come si sentiva: come un povero stupido.













Ehm... so che ormai mi avrete dato per dispersa nel Salto dell'Impiccato, ma a quanto pare sono ancora viva e vegeta.
Mi scuso per tutta l'attesa, che mi rendo conto essere stata tanta (troppa), ma gli incidenti di percorso ci sono stati sul serio (vedi dimenticarsi l'agenda con la storia dentro in un altro Stato) e devo confessare che il fatto che anche prima la storia non stesse ricevendo il feedback che avevo inizialmente sperato non è che mi ha fatto affrettare...
Ma lasciamo stare, va. Adesso sono tornata e sono convinta di riprendere regolarmente gli aggiornamenti come prima di questa interruzione: il prossimo capitolo vi aspetta sabato 5 ottobre (salvo recensioni, in quel caso anticipo al 28 settembre).
Se trovate strafalcioni in giro fatemi sapere, con il nuovo tablet ancora mi scappano virgole e accenti dove (non) dovrebbero esserci.

Nel frattempo

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 11
*** 10. To find the man behind the monster ***


10
to find the man behind the monster
 
 
 
André sbuffò, le braccia conserte e le gambe accavallate, seduto in prima fila della platea mentre gli altri ballerini e ballerine provavano sul palco. Era passato dall'essere il protagonista all'essere un semplice sostituto, e questo perché Madame diceva che negli ultimi tempi non era sufficientemente concentrato.
In realtà sapeva che aveva ragione, e questo lo faceva arrabbiare ancora di più. Ma lui come poteva concentrarsi quando ovunque andasse all’interno del teatro si ritrovava Christine ed Erik che discorrevano amabilmente guardandosi come se non vedessero che loro stessi? Probabilmente neanche se ne rendevano conto, ma era palese che Mademoiselle De Chagny pendesse dalle labbra di Monsieur Destler e viceversa, mentre lui veniva a mala pena degnato di uno sbrigativo buongiorno.
Non aveva reputato saggio presentarsi a casa del direttore Poligny il primo dell'anno, ma appena ne aveva avuto l'occasione non aveva esitato un attimo ad andare a chiedere spiegazioni riguardo la maschera che il nuovo patron indossava in pubblico con così tanta disinvoltura e che tutti sembravano ignorare senza mostrare il minimo interesse. Gli era stata risposto senza tante cerimonie che tale oggetto serviva per coprire una patologia della pelle che affliggeva il povero monsieur Destler dalla nascita, che quello in ogni caso non era affar suo e che avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulle sue lezioni se non voleva perdere il posto all'interno della compagnia.
Inutile dire che quella spiegazione spiccia non lo aveva soddisfatto per nulla: continuava a pensare che ci fosse dell'altro e non si sarebbe fermato finché non avesse scoperto cosa.
 
Quando quel pomeriggio entrò nell'ufficio del direttore trovandosi invece davanti Monsieur Destler decise di accogliere quell'opportunità a braccia aperte.
«Accomodatevi pure, Andrè. Monsieur Poligny mi ha chiesto di parlarvi...» Erik lo invitò a prendere posto su una delle poltrone poste davanti alla scrivania sedendosi a sua volta su quella rimasta vuota invece di quella posizionata dall'altra parte del mobile.
«Non mi perderò in inutili giri di parole, voglio essere diretto con voi: la vostra posizione all'interno del teatro è a rischio. È stato più volte riportato che non siete concentrato né motivato come una volta, e che spesso disertate allenamenti e prove apparentemente per nessun valido motivo...»
«Sono solo un semplice sostituto, e si sa che i sostituti non servono mai» protestò lui. L'ultima cosa che si aspettava era mettersi a parlare del suo lavoro con colui che gli aveva rubato la fidanzata.
«Mi permetto di dissentire» ribatte l'altro sempre garbatamente. «Ma non è questo il punto: non sareste un sostituto se non fosse proprio per questi vostri comportamenti, e potreste tornare alla vostra vecchia posizione se solo dimostraste la dedizione di una volta...»
«Avete detto che non vi sareste perso in gin di parole, monsieur» lo interruppe lui seccato.
«Molto bene. Per arrivare al nocciolo della questione: per come stanno le cose attualmente Monsieur Poligny volevi licenziarvi» tagliò corto Erik.
Andrè sentì la bocca seccarsi. Licenziato? Lui? Non poteva essere. Solo per un attimo sembrò dimenticare l'astio nei confronti dell'altro guardandolo smarrito come se gli avessero tolto la terra da sotto i piedi.
«Avete detto... voleva?» azzardò quando riacquisì il controllo della propria voce.
Erik annuì: «Non scenderò in particolari medici che non mi competono e di cui in sono un esperto, ma a quanto pare Mademoiselle De Chagny si è esposta in vostra difesa citando un infortunio di cui non avete voluto parlare dal quale vi stareste ancora riprendendo» alluse.
Andrè sapeva benissimo che non c'era nessun infortunio, Christine doveva esserselo inventato, ma lo sapevano anche il direttore e il suo vice?
«A questo punto Monsieur Poligny ha lasciato a me il compito di andare a parlare con Mademoiselle, che è la vostra fisioterapista qui, e prendere la decisione finale» proseguì Erik chiarendo qualsiasi dubbio. Lui sapeva della bugia.
Era licenziato, se lo sentiva.
«Ho conferito con Mademoiselle De Chagny che mi ha pregato di lasciarvi ancora qualche settimana per recuperare completamente. Sembrava molto in pensiero e non ha fatto altro che ripetermi quanto la danza sia importante per voi e assicurandomi che ritornerete ad essere addirittura meglio di prima in breve»
 
Il ballerino era a dir poco incredulo: davvero Christine l'aveva difeso a quel modo? Continuò tuttavia a tacere visto che Monsieur Destler sembrava non aver ancora finito.
«Da parte mia ho assistito ad alcune vostre performance di prima, e non posso che riconoscere che, nel momento in cui voi foste in grado di raggiungere nuovamente quei livelli, licenziarvi sarebbe solo una gran perdita per la compagnia» continuò infatti Erik. «Per questo motivo ho appoggiato la proposta di Mademoiselle de Chagny di darvi un ultimo mese di prova, al termine del quale io e monsieur Poligny ci riserveremo di rinnovare o meno il vostro contratto. Mi auguro siate consapevole di quanto siete fortunato per questa seconda occasione e spero altresì che non vogliate sprecarla. Inoltre reputo che dovrebbe come minimo ringraziare Mademoiselle De Chagny per averla coperta: non posso dire di approvare in pieno, ma...»
«Infatti l'avete fatto solo per avere la sua approvazione e riconoscenza, no?» lo interruppe lui quasi dimenticandosi della sua situazione precaria. Monsieur Destler aveva pronunciato le parole Mademoiselle De Chagny una volta di troppo: era colpa di Christine se era in quelle condizioni, se era arrivato fino a quel punto, e adesso doveva pure ringraziarla?
«Come scusi?» replicò Erik cercando di mantenere un tono diplomatico ma già cominciando visibilmente ad alterarsi.
Andrè scrollò le spalle: «Christine vi chiede qualcosa e voi esaudite la sua richiesta solo per avere la sua approvazione» ripetè. «Dopotutto cosa mai altro potrebbe ricevere qualcuno come voi da una ragazza come Christine» insinuò cattivo.
Erik strinse un pugno facendolo scricchiolare appena: «La vostra osservazione è assolutamente fuori luogo, monsieur. Se fossi al vostro posto starei attento alle prossime parole che pronuncerete»
«Sarebbe una minaccia?»
«La ritenete tale? Non sono io quello ad un passo dall'essere licenziato»
«Eppure non farete proprio niente, e sapete perché? Perché ve l'ha chiesto Christine e voi non vorreste proprio deluderla, mi sbaglio?» lo apostrofò. «Davvero non capisco cosa ci trova in voi e nei vostri modi. Per non parlare poi della vostra faccia...»
Il Fantasma si irrigidì ma l'altro sembrò non farci caso, preso com’era nel suo discorso.
«Deve essere davvero messa male se l'unico modo per porvi rimedio è una maschera. Non c'è proprio modo di metterla a posto?» domandò sarcastico.
«Vi consiglio di non continuare su questa strada André...»
Ma l'altro sembrò non sentirlo: «Sapete cosa penso io? Io penso che la vostra faccia non abbia proprio nulla e che voi teniate su quella maschera solo per alimentare tutta quest'aura di mistero che vi circonda e che a voi sembra piacere tanto...»
Erik aveva chiuso gli occhi cercando di calmarsi facendo respiri profondi e di non pensare al cordone che legava le tende dietro la scrivania che si sarebbe potuto svolgere attorno a qualcos'altro. Non si accorse così che André aveva allungato una mano se non quando la maschera venne rimossa dal suo volto senza alcun preavviso.
Quello che ne seguì fu un urlo e il leggero tonfo dell'oggetto che cadeva per terra atterrando sulla morbida superficie del tappeto.
 
«Siete soddisfatto adesso monsieur?» domandò Erik alzando la voce arrabbiato. Se il ballerino era intelligente sarebbe scappato a gambe levate.
Ma André non andò da nessuna parte.
Quando aveva visto era saltato in piedi quasi rovesciando la sua seduta e senza riuscire a trattenere un grido, mettendo svelto tra sè e l'uomo la poltrona su cui era seduto fino all’attimo prima.
«Voi... Voi...» superata la sorpresa – ma non il disgusto – iniziale, non riusciva a distogliere lo sguardo.
«Voi siete un mostro» riuscì a formulare alla fine «Come potete anche solo pensare che Christine... pensate che potrebbe davvero mai trovare bello, voi? Siete patetico, e noi dovreste preoccuparvi di usare una maschera per nascondervi, dovreste direttamente chiudervi da qualche parte e...»
Il suono dello schiaffo risuonò forte e chiaro nell'ufficio.
Nell'impeto del momento nessuno dei due si era accorto che la porta si era aperta, neanche tanto silenziosamente, dopo che qualcuno che si era fermato ad aspettare che il colloquio terminasse aveva sentito le parole che stavano venendo pronunciata nella stanza.
E quel qualcuno altri non era che Christine in persona che non ci aveva pensato due volte prima di schiaffeggiare Andrè con tutte le forze che aveva.
«Vattene. Subito» ordinò inflessibile indicando la porta.
«Ma... Ma l'hai visto? Andiamo, come puoi stare dalla parte di un mo...»
«Non ti permettere André. Dopo quello che hai detto non ti azzardare a chiamare mostro lui... se in questa stanza ce n'è uno direi proprio che sei tu. E adesso vattene, non farmelo ripetere di nuovo» questa volta aveva urlato anche lei, ma d'altronde era sconvolta.
Non riusciva a capire come il suo vecchio migliore amico, una volta così dolce e gentile, potesse essere diventato cosi. Lo spinse fuori dall'ufficio sbattendo poi la porta e chiudendola a chiave.
Si concesse un istante per cercare di calmarsi, ma quando vide in che stato versava Erik cominciò suo malgrado a piangere.
«Mi dispiace. Mi dispiace cosi tanto...» Il suo volto aveva un'espressione assolutamente turbata, il viso rigato da lacrime versate senza emettere un solo suono.
Lo raggiunse abbracciandolo senza nessuna esitazione.
«No, ha ragione lui...» le rispose dopo un attimo a voce bassa. «Io sono un mostro, dovrei restare rinchiuso da qualche parte...» e non si stava riferendo solo alla sua faccia.
«No! No che non ha ragione. E tu non sei un mostro, non voglio più sentirti usare quella parola»
«Guardami Christine!» urlò allora prendendola per le spalle scuotendola appena esortandola a guardargli la parte deformata del volto.
Come poteva dubitare che lui non fosse il vero Fantasma dell’Opera, che fosse colui che in passato aveva commesso tutte quelle atrocità. Sapeva che Christine non gli aveva creduto quando le aveva raccontato la sua storia, ma come poteva non farlo quando aveva davanti agli occhi la schiacciante verità? Come poteva dire che lui non era quello che invece era sempre stato?
 
«Come puoi dire che...»













Buongiorno a tutti, come promesso ecco il capitolo 10!
So che è un po' cortino, ma è venuto così, e sì: questa volta non mi sono dimenticata pezzi, finisce proprio così.
Il seguito vi aspetta sabato 19 ottobre (o sabato 12 in alternativa se qualcuno volesse lasciarmi un parere...)

Nel frattempo

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

 

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Capitolo 12
*** 11. ...look with your heart, it always sees clear ***


11
...look with your heart, it always sees clear
 
 
 
«Guardami Christine! Come puoi dire che...»
 
Come puoi dire che non sono un mostro?
 
Non riuscì mai a finire quell'ultima esclamazione: la ragazza lo aveva zittito in un modo che lo avrebbe lasciato senza parole anche se fosse stato già zitto.
Christine si era semplicemente sposta in avanti socchiudendo gli occhi e aveva appoggiato la bocca sulla sua dischiudendo appena le labbra. Quando si scostò dopo qualche secondo Erik notò che era lievemente arrossita ma che, per qualche strana ragione, i suoi occhi sembravano emanare felicità come non li aveva mai visti fare. E stava sorridendo.
Le mani scivolarono lungo le sue braccia fino a lasciare la presa su di lei mentre la osservava confuso.
 
L'aveva baciato.
Di sua spontanea volontà, senza che lui avesse dovuto supplicarla... ricattarla...
 
Scacciò via quei pensieri: lei non era quella Christine.
 
Si erano sicuramente avvicinati nell'ultimo periodo, la ragazza non mancava mai di passare a salutarlo e quando poteva anche restare per passare del tempo con lui – che fosse dentro al teatro o sotto – e occasionalmente si erano anche visti fuori per un pranzo tra colleghi, come quello del primo dell'anno, o per un aperitivo.
Lui aveva cominciato ad affezionarsi a lei fin da subito: Christine lo ascoltava sempre rapita quando parlava della sua musica o del teatro e non sembrava mai essere stanca di sentirlo suonare. E come se non fosse abbastanza aveva addirittura ricominciato a comporre, l’ispirazione, la sua Musica della Notte si era riaccesa vivida come mai prima di quel momento.
Anche viceversa lui non mancava mai di seguire i discorsi della ragazza sulla riabilitazione di questo o quel ballerino della compagnia e non poteva fare a meno di essere fiero della passione e della competenza che Christine dimostrava nel suo lavoro.
Persino ritrovarsi a fine giornata nella dimora sul lago, lui a organizzare le pratiche per il teatro e lei a revisionare la lista dei pazienti e gli esercizi da fargli fare era un modo per passare del tempo insieme nonostante stesero la maggior parte del tempo in silenzio e concentrati sul proprio lavoro.
Ad un certo punto aveva dovuto ammettere che quell’affetto era irrimediabilmente mutato in qualcos'altro, ma mai aveva osato pensare – figurarsi sperare – che quei sentimenti che lui provava ormai da un po’ potessero essere in qualche modo ricambiati.
Che quello fosse stato un sogno e che la morte fosse finalmente arrivata a prenderlo?
 
Una leggera carezza in corrispondenza della sua guancia destra lo riportò al presente.
Alzò gli occhi per scoprire che Christine lo stava ancora osservando con quello sguardo... poteva davvero dire innamorato?
«Ti sto guardando Erik» prese parola lei. «Ti guardo e sai cosa vedo? Un uomo che nella sua vita deve aver subito ingiustamente orrori e discriminazioni per qualcosa che non dipendeva da lui. Un uomo che, anche se ancora ammetto di non aver del tutto accettato il come, sono onorata di aver incontrato. Un uomo che non meriterebbe niente di brutto...»
Fu Erik a interrompere Christine quella volta, anche se con la stessa modalità.
Sentì le labbra di lei piegarsi in un sorriso a contatto con le sue mentre con entrambe le mani gli accarezzava il viso, e lui non poté fare altro se non attirarla ancora di più a sé e stringerla come se per lui fosse stata la cosa più preziosa al mondo.
E forse lo era veramente.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
André non riusciva a capacitarsi di come fossero andate le cose.
Christine non solo aveva preso le difese di quel... di Monsieur Destler, ma non aveva neanche battuto ciglio quando l'aveva visto in faccia senza la maschera.
Era evidente che non fosse la prima volta, nessuno poteva rimanere impassibile davanti a quello scempio.
E più passavano i giorni, più ci rimuginava sopra, più si rendeva conto che forse una cosa del genere non era del tutto nuova neanche a lui: quando vedi una cosa così, anche solo di sfuggita, è impossibile dimenticarsene.
Finché un pomeriggio si ritrovò ad esultare, lieto che per una volta la fortuna sembrasse essere dalla sua parte.
 
Quasi un anno prima era stato alla residenza dei De Chagny per aiutare Christine a recuperare alcuni dei suoi vecchi costumi di esibizioni di fine anno che sarebbero potuti essere riadattati per le bambine delle prime classi di danza di quel periodo.
Solo che oltre ai vestiti avevano trovato anche una scatola piena di vecchie, vecchissima, fotografie, e Christine aveva voluto portare via anche quella per poi esaminarla in seguito. Non l'aveva più fatto: la scatola sembrava essere completamente uscita dai suoi sentieri e in qualche modo era rimasta a casa da lui.
Era stato proprio da una di quelle fotografie che aveva preso spunto per il costume della festa di capodanno: era una foto che ritraeva il Visconte Da Chagny e l'allora Christine Daaè a braccetto, in bianco e nero, e la scritta sul retro, un fidanzamento ufficiale scritto in corsivo con inchiostro sbiadito, gli aveva fatto pensare che forse quei due costumi gli avrebbero portato fortuna.
Riguardando quella foto potè ancora una volta apprezzare quanto la sua Christine fosse uguale a quella immortalata nella pellicola. L'unica differenza stava nei colori: la Christine del secolo precedente aveva occhi e capelli scuri, mentre la ragazza che conosceva lui sembrava aver ereditato gli occhi chiari – nel suo caso azzurri – e i capelli biondi del visconte. Capelli che però erano ricci allo stesso modo della sua antenata: se si fosse tinta sarebbero sembrate davvero identiche.
Continuò a scorrere le foto di quel ballo in maschera finché non si soffermò su una di un gruppo di persone.
Quello che però aveva attirato la sua attenzione era stato un particolare nell'angolo a sinistra della foto: girato a tre quarti, più indietro e in disparte delle altre persone ritratte, c'era un uomo con indosso un completo rosso e una maschera bianca identici a quelli indossati da monsieur Destler settimane prima. E guardando meglio si rese conto che l'uomo della foto aveva pure lo stesso profilo del nuovo vice direttore artistico del teatro.
Deciso ad andare fino in fondo a quel mistero – che Christine fosse la sosia della sua antenata era un conto, ma quello non sapeva proprio come spiegarselo – continuò ad esaminare le fotografie stupendosi nel constatare in quante di esse la figura fosse presente. Sembrava poi che i veri soggetti delle foto ne fossero completamente ignari, come se l’uomo in rosso fosse un fantasma che nessuno vedeva...
 
Rovistò nella scatola alla ricerca di altre foto trovandovi invece un plico di fogli tenuti insieme da un nastro nero all'interno di un raccoglitore di pelle marrone. Erano tutti scritti a mano e dalle ricorrenti firme capì che erano stati scritti nientemeno che da Christine Daaè in persona.
La riluttanza di mettere il naso in pagine private che non lo riguardavano venne subito vinta da quella che ormai era diventata necessità di sapere cosa stava succedendo. E tutto sommato alla fine non furono quelle parole vergate in corsivo a destare più scalpore in lui quanto i disegni che trovò tra quei fogli, due in particolare.
Il primo sembrava essere in tutto e per tutto un fedele ritratto di Monsieur Destler visto di fronte, con annessa la maschera bianca con cui l'uomo andava sempre in giro. Gli mancò il fiato nel leggere il nome "Erik" scritto a margine e dovette sbattere più volte le palpebre per convincersi che quel 1870 aggiunto in parte fosse autentico.
Il soggetto del secondo ritratto era il medesimo, senza maschera. E forse rassicurato dal fatto che quello che aveva davanti fosse solo un disegno che non avrebbe potuto arrecargli alcun danno, André si prese il suo tempo per esaminarlo in ogni particolare.
Certo, sembrava essere stato fatto più velocemente rispetto all'altro, il tratto era frettoloso e quasi tremante in certi punti, ma nonostante le imprecisioni non c'era comunque dubbio: quella mappa di piaghe e cicatrici, quel mezzo volto dalle fattezze quasi scheletriche, erano gli stessi che aveva visto dal vivo solo poco tempo prima.
Quel "pitiful creature of darkness" scritto a margine gli fece scappare uno sbuffo sarcastico: pure l'altra Christine doveva essere stata deviata in qualche modo... quella cosa non era affatto pietosa.
 
Alla fine della raccolta dei fogli trovò una busta di pergamena, i bordi neri e un sigillo in ceralacca Bordeaux già rotto ma con le fattezze di teschio ancora distinguibili.
 
Puoi giocare ai fidanzati felici quanto vuoi, ma io sono il tuo angelo e tu mi appartieni.
Non dimenticarlo.
 
Il biglietto scritto all'interno in una calligrafia spigolosa non era firmato, ma lui non aveva problemi a immaginarsi chi fosse stato il mittente.
Senza più alcun ripensamento cominciò a leggere le pagine scritte dalla giovane cantante ritrovandosi in pochi minuti completamente risucchiato nel bel mezzo della vicenda del Fantasma dell'Opera raccontata da Christine Daaè in prima persona.
Le lezioni di canto nella cappella del teatro, l’Angelo della Musica. E poi la prima esibizione dopo l'incidente della Carlotta durante le prove, l'incontro con Raul che ancora si ricordava di lei... C'era un salto temporale di un paio di giorni in cui la giovane diceva di essere stata via con il suo Angelo senza però scendere in dettagli; le lettere, la Carlotta che veniva di nuovo scelta come primadonna nonostante le istruzioni diametralmente opposte date dal Fantasma – realizzando che lui e il suo Angelo della Musica altri non erano che la stessa persona. La serata in cui Buquet era caduto impiccato sul palco era descritta in poco più di tre righe, concentrate soprattutto nel riportare la paura che aveva provato e la gratitudine e il sollievo nell'avere il visconte vicino... salvo poi perdersi nello sconforto più profondo per il fatto che l'Angelo non si fosse più fatto vivo per mesi senza neanche quasi curarsi del fatto che allo stesso tempo neanche il Fantasma aveva dato più problemi. Poi era arrivato l'anno nuovo e la festa in maschera con il ritorno del fantasma e della sua ultima opera in cui Christine sarebbe dovuta essere la protagonista.
Quello che era successo durante la serata in cui il Don Giovanni Trionfante fu messo in scena era narrato a posteriori con toni disperati e angosciati. Il Fantasma aveva preso il posto del tenore Piangi durante l'ultima scena e aveva – di nuovo – rapito Christine quando ella gli aveva tolto la maschera davanti a tutti. La giovane piangeva per il tragico crollo del lampadario ma ancora di più per quello che era successo mentre il teatro andava nel panico sopra la sua testa.
Il Fantasma, il suo Angelo, le aveva chiesto di scegliere tra lui o Raul. Il prezzo da pagare: la vita del visconte stesso. Andrè rimase allibito quando Christine scrisse di aver scelto il mostro, salvo poi sospirare sollevato quando alla fine sia lei che Raul erano stati lasciati andare.
Le sue ultime parole, quel voleva solo che io l'amassi ma non ho potuto, lo lasciarono perplesso.
Davvero si stava biasimando per non essere riuscita a ricambiare un sentimento contorto che rasentava l'ossessione e che sicuramente non poteva essere chiamato amore? Quel pazzo aveva terrorizzato, ucciso persone e quasi raso al solo il teatro – senza contare il tentato omicidio del suo vero fidanzato – e lei lo giustificava?
Forse alla fine dei conti nessuno dei due era completamente sano di mente, ma se l'attaccamento di Christine nei confronti del fantasma poteva essere paragonato ad una dipendenza più o meno innocua – più o meno... – il rapporto inverso aveva invece un che di morboso.
Lui, il Fantasma, era pericoloso. Per chiunque avesse a che fare con lui.
 
Andrè ripenso a come fosse cambiata Christine da quando Monsieur Destler era entrato a far parte della vita del teatro: non la riconosceva più, sembrava sotto la stessa influenza che il Fantasma esercitava sulla sua trisavola.
Ripose tutto nella scatola tenendo fuori solo una foto della vecchia Christine, osservando ancora una volta come le due sarebbero potute passare per gemelle. Rabbrividì: se Monsieur Destler era davvero il Fantasma ed era così morbosamente attaccato alla Christine di allora, non ci voleva un genio per capire come mai fosse tanto interessato a quella del presente visto che le due erano due gocce d'acqua.
No, doveva fermare quella cosa prima che fosse troppo tardi.
Non restava che un unico problema: come avrebbe sotto spiegare la presenza di qualcuno che sarebbe dovuto essere morto secoli prima?
 
Ormai si era convinto del fatto che il Fantasma dell'Opera e Monsieur Destler fossero la stessa persona; non aveva la più pallida idea di come fosse possibile ma c'erano semplicemente troppe somiglianze tra i due, a partire dall'aspetto fisico e dal fatto che dentro al teatro Monsieur Destler camminava sempre come se fosse stato lui il padrone del posto, come se fosse stato li da sempre e non da pochi mesi.
Non doveva fare altro che trovare il modo per dirlo a Christine senza che la ragazza lo prendesse per pazzo.















I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

 
 

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Capitolo 13
*** 12. Seething shadows breathing lies ***


12
seething shadows breathing lies
 
 
 
Quell'ultimo periodo sembrò a Christine di essere in una qualche specie di sogno. Il lavoro procedeva senza intoppi, André badava bene di starle alla larga dopo la scenata e, soprattutto, non si era mai sentita così felice.
Persino i suoi genitori si erano accorti che qualcosa era cambiato e alla fine aveva dovuto confessare che se sorrideva così spesso era tutto merito di una persona. Certo, aveva preferito evitare di fare nomi – soprattutto con suo padre – per evitare una improvvisa scomparsa del nuovo patron del teatro, anche se visto il comportamento impeccabile di Erik era sicura che non ci sarebbero stati problemi.
Davvero non avrebbe saputo dire cosa voleva di più, e ammetteva che non si era mai sentita così con nessuno dei suoi, davvero pochi, precedenti fidanzati. Come se il suo cuore non avesse mai battuto così velocemente quando erano insieme, come se non avesse mai sentito cosi tanto la mancanza di qualcuno quando erano separati.
Oltre al primo nello studio erano seguiti altri, molti, baci. Ma nulla di più ed Erik non aveva mai cercato di forzarla in nessun modo. Eppure, nonostante non si stessero frequentando che da poche settimane, forse era lei che cominciava a volere di più. E a quel pensiero non poteva fare a meno di sentirsi quasi atterrita dalla cosa.
Poteva essere davvero che in quel poco tempo si sentisse già così presa da Erik, senza alcun ripensamento di sorta? Per il momento si accontentava di rispondersi che se la faceva stare così bene di sicuro non c'era nulla di male, non poteva essere sbagliato.
 
«Mi scusi? Mademoiselle De Chagny?»
Camminando lungo il corridoio si sentì chiamare da una vocina esitante, rendendosi poi conto che a parlare era stata una bambina che ad occhio e croce non doveva avere più di sette - otto anni. Indossava un body bianco, calze, scaldamuscoli e scarpette rosa. I capelli castani raccolti in uno chignon alto tenuto insieme da una reticella anch'essa rosa e diverse forcine. Sicuramente era una dei topolini che avevano cominciato a frequentare le prime classi di danza.
«Posso aiutarti tesoro?» domandò dolcemente tornando sui suoi passi.
La bambina arrossì vistosamente mentre si tormentava le mani: «Ecco... monsieur... monsieur Destler ha detto che... che vi avrebbe aspettata nel vostro camerino quando avreste terminato con le visite» rispose appena incerta, ma Christine non vi fece più di tanto caso. Sentendo da chi veniva il messaggio poteva capire come mai la bambina sembrasse così agitata. Si meravigliava più che altro che Erik avesse fatto ricorso a lei per recapitare il messaggio quando sapeva bene che i mezzi non gli mancavano affatto: non aveva idea di come facesse ma si ritrovava i suoi biglietti praticamente ovunque quando meno se lo aspettava.
«Ti ringrazio. Farò sapere a monsieur che hai svolto bene il tuo incarico» replicò lasciandole un leggero buffetto sulla testa. «Vai pure. Immagino tu abbia lezione, non voglio farti fare tardi» la congedò poi, e la bambina corse via senza farsele ripetere due volte.
 
Aveva avuto un tempismo perfetto, non aveva più nessuno da vedere per quel pomeriggio e se fosse arrivata un attimo più tardi probabilmente sarebbe già stata fuori dal teatro.
Curiosa di scoprire cosa Erik avesse in serbo per lei quella volta si incamminò rapidamente verso la sua nuova destinazione. E intanto, la sua mente non faceva altro che pensare se magari non fosse il caso, se fosse riuscita finalmente a dire all'uomo quella cosa che già le frullava per la testa da un po’.
La porta del camerino era appena socchiusa e da quello spiraglio poteva vedere che la luce all’interno era accesa.
Sorridendo allungò il passo fino ad arrivare ad aprire completamente l'uscio, quasi con impazienza. Il sorriso le si congelò sul viso all'istante non appena realizzò che quello che la stava aspettando nella stanza non era Erik.
 
«Christine per favore aspetta...» André si affrettò a trattenerla prendendola per un braccio e riportandola verso il centro della stanza mentre chiudeva la porta con una spinta e mettendocisi davanti.
«Voglio solo parlarti, davvero. Ma tu devi ascoltarmi. Prometti che non ti porto via più di dieci minuti»
Vedendo che la ragazza aveva incrociato le braccia e non sembrava intenzionata a cercare di scappare di nuovo ne approfittò per controllare rapidamente il corridoio giusto per assicurarsi che la porta sbattuta non avesse attirato l'attenzione di nessuno.
Di certo non immaginava che nello stesso momento Christine stava valutando se fosse il caso di tentare la fortuna con il Salto dell' Impiccato mentre Andrè era girato dall'altra parte. Probabilmente no, ma solo perché la botola non si sarebbe richiusa abbastanza in fretta.
«Come hai corrotto quella povera bambina per convincerla a mandarmi qui tra l'altro?» domandò giusto per rompere il silenzio.
«Le ho spiegato il trucco per riuscire a fare il fouettè sulle punte...»*
«A quell'età? Non vedrà un paio di punte prima di anni, figuriamoci imparare a fare quel giro...»
«Se è sveglia se lo ricorderà finché non arriverà il momento» fu il suo commento.
«Quindi di cosa volevi parlarmi? Immagino debba essere qualcosa di importante visto come mi hai fatta arrivare qui»
«Saresti venuta se avessi saputo che ero io?»
Lei alzò eloquentemente un sopracciglio in risposta.
«Appunto. Comunque... innanzitutto volevo ringraziarti per... per quando mi hai coperto con... lo sai»
Questa volta Christine lo guardò sorpresa: «Beh, prego?» replicò colta alla sprovvista. «Sarebbe bastato un biglietto per quello»
«E volevo anche scusarmi per come mi sono comportato. Sono stato... inqualificabile»
«Scuse accettate. Ora...»
«Ma non è solo per questo che volevo parlarti» lasciò la guardia della porta confidando che Christine non se ne sarebbe andata arrivati a quel punto, dirigendosi verso la scrivania su cui campeggiava una scatola di legno intagliato indicandogliela. La ragazza la guardò confusa per un attimo ma alla fine la riconobbe.
«Dove...?»
«Era rimasta a casa mia da quella volta. E ti chiedo scusa in anticipo, so che non avrei dovuto ma... ho dovuto»
«André di cosa stai parlando?»
«L'ho aperta e ho letto quello che c'era dentro» disse lui tutto d'un fiato. Almeno Christine non sembrava troppo arrabbiata.
«Saranno solo vecchie lettere della mia trisnonna e vecchie foto. Non serve farne un dramma» commentò lei infatti.
«Non tutte sono lettere. C'è anche una specie di diario... e so che all'epoca erano tutti fissati con la storia del Fantasma dell'Opera, ma da quello che ho letto... ecco... penso che alla fine non sia stata solo un'invenzione. Credo che quel fantasma sia esistito davvero, solo che ovviamente era un uomo in carne ed ossa» aveva parlato guardando la scatola e non aveva notato che a quelle parole Christine era visibilmente impallidita.
«... e sai, quel Fantasma aveva pure un nome: si chiamava Erik, ti ricorda qualcuno?» concluse il ballerino.
Christine si schiarì la voce cercando di darsi un contegno: «Ti rendi conto di quello che stai dicendo André? Non ha alcun senso...»
«Lo so! Lo so... Ma aspetta» aprì la scatola tirando fuori i fogli dei due disegni con e senza maschera che aveva lasciato apposta sopra a tutto il resto brandendoli poi davanti alla ragazza.
«Guarda!» la esortò «Non avrà senso ma non puoi negare che sia quantomeno strano: sono due gocce d'acqua!»
Suo malgrado la ragazza si ritrovò senza parole, incapace di commentare quei due fedeli ritratti. Quello in cui Erik era ritratto senza maschera era brutalmente uguale alla realtà: aveva ormai imparato a riconoscere il tratto di Erik quando disegnava ed era sicura che quello che André stava tenendo sollevato davanti al suo naso fosse senz'altro opera sua. Quanto doveva essergli costato ritrarsi in quel modo?
 
«Sai quanti casi di sosia con persone del passato ci sono?» ribatté lei abbassando il braccio del ragazzo.
Incredibile, lei fino a quel momento non si era ancora decisa se credere fino in fondo a quello che Erik le aveva detto riguardo il venire dal passato – cosa che era cambiata all'istante quando aveva visto i disegni e la data scritta sopra – mentre Andrè non ci aveva pensato due volte prima di presentarsi da lei assolutamente convinto di quello che diceva e che lei aveva impiegato settimane per accettare.
«Fammi capire André: secondo te Eri... ehm... Monsieur Destler sarebbe il terribile Fantasma dell'Opera di quanto? Centocinquanta anni fa? Responsabile dell'incidente del lampadario, che sarebbe poi sopravvissuto fino ai giorni nostri senza invecchiare di un giorno... Oh, ecco, aspetta, credo di essermi persa questa parte della spiegazione» riepilogò Christine cercando di farla passare come una presa in giro. Davvero era meglio che Andrè rimanesse fuori da quella faccenda, e non voleva neanche osare pensare come avrebbe potuto reagire Erik se fosse venuto a conoscenza della discussione che stavano avendo. Meglio cercare di concludere il più in fretta possibile.
A quanto pareva André non era però della stessa opinione.
«Lo so che sembra assurdo, e ovviamente non ho la più pallida idea di come abbia fatto, ma...» posò i disegni per recuperare un'altra foto dalla scatola.
«Guarda questa... è esattamente lo stesso vestito che ha indossato alla festa di Capodanno. Per quanto sono d'accordo che una cosa del genere sia impossibile non puoi negare che ci siano troppe coincidenze» le mostrò la foto in cui il fantasma era stato ripreso giusto nell'angolo, dietro al gruppo di persone che invece erano il soggetto principale.
Christine prese la foto dalle sue mani per osservarla più da vicino aggrottando la fronte.
«Vedi? È proprio...» André si accorse che però la ragazza non stava guardando il fantasma ma qualcuno nella prima fila.
Non aveva fatto caso al fatto che quella foto in particolare era una di quelle in cui Mademoiselle Daaè e il Visconte De Chagny erano stati immortalati.
«Quella...»
 
«È la tua trisnonna Christine»
«Sono io!»
 
Avevano parlato contemporaneamente.
Christine lo guardò come se avesse detto qualcosa di assurdo:
«No, sono io. E non posso crederci che hai cercato di fregarmi con una foto fatta sviluppare in bianco e nero. Ho persino lo stesso vestito che mi hanno fatto indossare al posto di quello che avevo scelto io...»
«Perché avevo già visto questa foto e mi ha fatto venire l'idea. Sono stato io a chiedere a tua madre di cambiare il modello da dare alla sarta» concluse lui passandole la foto in cui c’erano solo Christine e il visconte che aveva ovviamente il costume che aveva copiato per se stesso.
«E infatti se guardi bene anche nella foto di gruppo vicino a quella che dici di essere tu non ci sono di certo io...» le fece notare indicando di nuovo l'altra fotografia.
Ma Christine non lo stava già più ascoltando, troppo presa ad osservare ad occhi letteralmente sbarrati la sua antenata gemella. Lei si che la guardava sconcertata come se avesse visto un fantasma.
E in quei momento Andrè capì.
«Tu... non sapevi di assomigliarle così tanto?» domandò nel modo più delicato possibile, non capendo però come mai la cosa sembrasse sconvolgerla così tanto.
 
La ragazza scosse la testa mentre sentiva una spiacevole sensazione cominciare a farsi strada nel sto petto. Si sentiva delusa. Presa in giro. Usata.
Perché non ci avrebbe creduto neanche per un secondo che Erik si fosse semplicemente dimenticato di dirle della sua somiglianza con l'altra Christine. Non ci credeva che si fosse dimenticato della somiglianza in primo luogo. E nonostante tutto aveva taciuto, non gli era mai passato per la testa che forse lei avrebbe voluto essere messa al corrente di una cosa del genere.
Un ricordo riaffiorò nella sua mente seguito da un lampo di consapevolezza: quei disegni che aveva visto anni prima non erano sbagliati. Perché quella ritratta non era lei con i capelli più scuri, anzi, non era lei affatto. Era l'altra Christine.
 
«No... Non lo sapevo» rispose in ritardo chiudendo un attimo gli occhi sperando che la testa smettesse di girarle. Ogni tanto i suoi genitori e i nonni le dicevano che era proprio come l'altra Christine, ma non andavano oltre a lei aveva sempre creduto si riferissero solo al nome e alla danza. In effetti non avrebbe saputo dire se loro stessi fossero a conoscenza dell’incredibile somiglianza fisica.
«Christine sei sicura di sentirti bene?» non si sottrasse nemmeno al tocco di André che la guidò verso il divano per farla sedere. «Non pensavo che ti avrebbe sconvolto cosi tanto,  mi dispiace...»
«No!» lo interruppe lei con fin troppa enfasi. «No» ripeté tornando ad un tono normale. «In realtà sono contenta di aver visto queste foto, grazie per avermele mostrate. E se non ti dispiace vorrei portarmele a casa»
«Certo, dopotutto sono tue, non mi sognerei mai di tenermele»
«Grazie. Io andrei adesso...» si alzò dal divanetto rimettendo a posto foto e disegni richiudendo la scatola come se fosse un' automa. «E in ogni caso continuo a pensare che questa cosa del Fantasma sia un'assurdità» aggiunse, anche se non sembrava più convinta come prima.
Andrè la guardava confuso: non sapeva neanche lui come la ragazza avrebbe reagito a quello che le aveva voluto dire, ma di certo non si aspettava una cosa del genere. Ancora una volta c'era qualcosa che gli sfuggiva.
«Aspetta... ti accompagno alla macchina» prese lui l'immancabile borsone che Christine portava con sé per le visite a teatro e le aprì addirittura la porta. La scortò fino all'auto come promesso senza mancare di chiederle un altro paio di volte se fosse sicura di poter guidare in quello stato.
Christine aveva sorriso per nulla convinta rassicurandolo che stava bene: aveva solo bisogno di tempo per riflettere su una cosa.
E poi era partita, lasciandolo ad osservare la vettura che spariva nel traffico lungo la via.
 
Non sapeva di non essere l'unico a guardare.














*Non ho la minima conoscenza in fatto di danza classica, sono semplicemente andata su google scrivendo "passo di danza classica più difficile" e questo è stato il risultato







I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

 

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Capitolo 14
*** 13. Angel of music you deceived me ***


13
angel of music you deceived me
 
 
 
Le telecamere di sicurezza erano una nuova aggiunta di quell'epoca che Erik apprezzava sicuramente. Fare in modo di aver accesso a tutte e manomettere quelle che erano in posizioni per lui scomode era stato un gioco da ragazzi, e poter guardare i video comodamente dal suo ufficio gli permetteva di risparmiare tutto il tempo che di solito avrebbe perso seguendo personalmente le persone.
Ciò non toglieva che limitando i suoi giri di perlustrazione in realtà rischiava di perdersi più cose.
Per questo non appena aveva visto Christine, la sua Christine, dirigersi verso l'uscita con André era letteralmente saltato dalla sedia per andare dietro ai due. Non era rimasto turbato tanto dalla presenza del ballerino, che per una volta sembrava si stesse comportando in modo appropriato, quanto dallo stato in cui la ragazza versava: come se qualcuno le avesse appena dato una terribile notizia.
Avrebbe indagato. E quando diceva indagare...
 
Non appena Andrè rientrò e imboccò uno dei corridoi secondari che l'avrebbero portato alla sala prove lo inchiodò al muro con una mano sola senza pensarci due volte.
«Ehi! Cos-?»
«Cos'è successo a Christine? Se vengo a sapere che le hai fatto qualcosa...»
Del tutto inaspettatamente quando Andrè identificò chi aveva davanti scoppiò a ridere lasciando Erik alquanto disorientato.
«Io non ho fatto saprò niente, Monsieur. D'altronde io non farei mai nulla che potrebbe fare del male a Christine, ho imparato la mia lezione. Forse adesso è arrivato il momento che voi impariate la vostra» commentò impertinente mentre scostava la mano dell'uomo che era giusto alla base del suo collo.
«Se state cercando di minacciarmi...»
«No, sarei uno stupido a farlo. Ma vi do un consiglio: è meglio se la lasciate stare per qualche giorno. Ad essere sincero non so neanche io cosa le sia preso, ma sono sicuro che abbia a che fare con voi, su quello ci metterei la mano sul fuoco» rispose incamminandosi. «Forse anche lei ha finalmente capito che non siete davvero chi dite di essere e ha deciso di agire di conseguenza» furono le sue ultime parole prima di svoltare l'angolo.
Erik era rimasto di stucco. Aveva già raccontato tutto a Christine, pensava che il capitolo riguardante il Fantasma dell'Opera fosse concluso.
Non poté impedirsi di tirare fuori il telefono – Christine sembrava apprezzare particolarmente le note che le lasciava regolarmente, ma di certo quello non era né il caso né il momento – e fece partire una chiamata. Alla terza non risposta dovette arrendersi all'evidenza che la ragazza non avrebbe schiacciato quel maledetto tasto verde e le mandò un messaggio.
Questa volta non dovette aspettare se non un paio di minuti.
 
Sto bene, non serve che ti preoccupi, ma se non ti dispiace preferirei che non mi cercassi per i prossimi giorni, ho bisogno di riflettere.
 
Alla sola idea di non poter vedere o parlare con Christine per un numero non precisato di giorni già si sentiva male, ma cos'altro poteva fare? Rispose dicendole che poteva prendersi tutto il tempo che desiderava ricevendo indietro un unico grazie.
E poi cominciò il silenzio.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Christine si era dovuta costringere a leggere quella specie di diario.
Se fosse stato per lei sarebbe volentieri passata per casa dei suoi e avrebbe gettato tutto nel camino della sala da pranzo. Ma doveva sapere, lo doveva a se stessa.
 
Non pensava di aver mai pianto cosi tanto in vita sua.
Aveva pianto per Christine, per Raul e sì, anche per Erik. Ma... c'era un ma in tutta la vicenda.
Era innegabile che la cantante e il Fantasma si amassero. E la sua trisavola poteva scrivere "voleva solo che io l'amassi, ma non ho potuto" quanto voleva, ma nessuno l'avrebbe mai convinta che avesse smesso di amare Erik solo perché aveva scelto Raul.
In quanto ad Erik... non sapeva cosa pensare. I suoi comportamenti nei confronti della cantante rasentavano neanche troppo sottilmente l'ossessione, e adesso veniva fuori che lei era la fotocopia bionda della Christine di allora. A quale conclusione sarebbe mai potuta arrivare? Come poteva essere sicura che Erik non si comportasse in quel modo con lei solo perché era uguale alla sua antenata? Avendo persino lo stesso nome non poteva neanche vedere se gli capitava di confondersi.
 
Scacciò via rabbiosamente gli ultimi rimasugli di lacrime dal viso.
Se solo le avesse detto subito della somiglianza lei in quel momento non sarebbe stata sul divano di casa sua ad abbuffarsi di gelato con le lettere, le foto e i fogli provenienti dalla famigerata scatola tutti sparpagliati attorno a lei. E in tutto quello erano tre giorni che usciva di casa solo il minimo indispensabile e quando si recava a teatro per le visite si muoveva così velocemente e a testa bassa, quasi senza neanche salutare, che pareva fosse diventata lei il nuovo Fantasma dell'Opera.
Ma era consapevole che non poteva andare avanti così. Erik era stato di parola e non l'aveva cercata proprio come gli aveva chiesto lei: doveva decidersi ad andare ad affrontarlo una volta per tutte e sperare che il tutto si concludesse con lei che si dava della stupida per essersi fatta un sacco di paranoie per nulla per poi chiedere perdono ad Erik in ginocchio per essersi comportata come una... tredicenne insicura.
Si lavò la faccia sperando che il rossore degli occhi facesse tempo a sparire prima di raggiungere il teatro. Pescò qualcosa di decente dall’armadio e uscì di casa non prima di aver messo le foto più importanti e i due autoritratti in borsa.
 
Il rifugio sul lago era deserto, d'altronde era verosimile che a quell'ora Erik fosse ancora occupato con gli affari del teatro, ma nonostante tutto decise che non sarebbe andata a cercarlo in ufficio. La conversazione che voleva affrontare con lui era meglio che avvenisse lontano da qualsiasi possibile orecchio indiscreto. André da solo, senza che nessuno gli avesse detto nulla, rischiava di arrivare a conclusioni pericolose – se non l'aveva già fatto. Non era proprio il caso di coinvolgere per sbaglio anche altre persone.
Si mise a camminare su e giù osservandosi attorno giusto per ingannare il tempo, e fu quando la trovo che capì che avrebbe fatto meglio a scegliersi un posto dove restare seduta senza toccare nulla.
Era solo una foto, sempre in bianco e nero, di forma ovale racchiusa dentro una di quelle tipiche cornici dorate e protette da un vetro appena curvato verso l'esterno. Era ovviamente Christine, l'altra, e il fatto di averla trovata tra gli spartiti dell'organo – che pure i muri sapevano essere l'oggetto preferito di Erik in quella dimora – le fece particolarmente male.
No, non avrebbe pianto di nuovo. Non ancora almeno.
 
Quando nel tardo pomeriggio Erik si fece finalmente vivo la trovò seduta rigidamente su uno dei divanetti che erano stati posizionati quasi sulla riva del lago, mentre si teneva la borsa stretta al petto.
I suoi occhi si illuminarono quando la vide ma si rabbuiò subito nel momento in cui, andandole incontro per abbracciarla – quanto gli era mancata! – la ragazza si ritrasse facendo un passo indietro.
«Christine, ti prego, dimmi qualcosa! Ho rispettato la tua richiesta e non ti ho cercata in questi giorni, ma non hai idea di quanto fossi preoccupato. E poi il tuo ballerino, André...» aveva pronunciato quel nome con un tono freddo che di certo non si aspettava di sentire replicato anche da lei.
«Vorrei lasciare André fuori dal discorso se non ti dispiace. Lui non c'entra nulla e vorrei non sentirlo più nominare finché non abbiamo finito» disse ancora senza guardarlo in faccia. E sì che stava ancora indossando la maschera...
«Christine ti giuro che non ho idea di quale sia il problema. Ti supplico, parlami!»
 
La ragazza sospirò. Con tutto il tempo che aveva avuto a disposizione non era comunque riuscita a trovare un modo per introdurre il discorso.
«Ricordi quando mi hai raccontato la tua storia? Il Fantasma dell'opera e tutto il resto?» cominciò alzando finalmente lo sguardo.
Erik si perse nelle sue iridi azzurre come il cielo che per anni si era solo limitato a immaginare. Sarebbe volentieri tornato a vivere tutto il tempo sottoterra se avesse avuto la garanzia di poterle vedere ogni giorno.
Nel frattempo annuì in risposta alla ragazza: non avrebbe mai potuto dimenticarsi di quella notte.
«Mi sono convinta: ti credo» concluse Christine. «Credo alla tua storia e a tutto quello che mi hai raccontato, però...»
Erik trattenne il respiro a quell'ultima parola. Che avesse cambiato idea? Che non lo volesse sin? Era insopportabile persino da pensare.
«... sei sicuro di avermi detto tutto? Sei sicuro di non esserti dimenticato di qualcosa?»
La guardò confuso: avevano parlato pure di Buquet e Piangi, che cosa mai poteva aver tralasciato da sconvolgerla così tanto?
«Sì, sono sicuro» confermò a quel punto «E sai che non ti mentirei mai, te l'ho promesso»
«Stiamo parlando di bugie o di omissioni?» ribatté lei.
«Christine ti prego di parlare chiaro» aveva indurito leggermente il tono. Come potete difendersi dalle accuse che la ragazza gli stava innegabilmente muovendo se non sapeva neanche quali fossero?
Intanto Christine aveva estratto due fogli dalla borsa porgendoglieli.
Erik restò a bocca aperta: «Da dove li hai presi?»
«In soffitta dai miei ci sono tante di quelle cose vecchie... questi li ho trovati dentro una scatola. Li hai fatti tu, vero? Riconosco il tratto»
Lui annuì appena. Se li ricordava quegli autoritratti, dovevano servire da monito a...
«Sei ancora sicuro di non aver tralasciato nulla?»
 
A quel punto no che non ne era sicuro, dannazione!
Ripensò a tutto quello di discutibile e moralmente sbagliato che avesse commesso in quella che ormai considerata la sua vecchia vita, ma non gli veniva in mente nulla che non le avesse già detto.
Christine gli aveva allungato un altro figlio, questa volta fitto di scritte in una grafia che riconobbe all'istante. «Voleva solo che io l'amassi, ma non ho potuto» la sentì ripetere sottovoce mentre prendeva quella pagina in mano.
Gli ci volle meno di un paragrafo per capire che quello doveva essere stata presa da una specie di diario della prima Christine, e che i fatti che stava finendo di raccontare risalivano a dopo l'incidente col lampadario.
Quella Christine doveva essere il problema, ma ancora non capiva come: gli era costato non poco ma alla fine le aveva raccontato di come, per un periodo, l'aveva amata – ovviamente non corrisposto.
Christine aveva tirato fuori un'ultima cosa dalla borsa. Una foto.
 
«Non ti ho mai chiesto cosa ne pensavi del mio vestito per la festa in maschera di capodanno»












Scusate, credo di aver saltato una settimana e non me ne sono neanche resa conto, sono davvero pessima.
Comunque, per compensare la cortezza del capitolo, per chi volesse qui c'è una os sempre ispirata al Fantasma dell'Opera. Se qualcuno volesse farci un pensierino e farmi sapere cosa ne pensa... (sì, mi sto facendo pubblicità da sola, scusate di nuovo).
In attesa del prossimo aggiornamento

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.

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Capitolo 15
*** 14. Love me... ***


14
 love me
 
 
 
In un primo momento, soprattutto per quello che Christine aveva detto nel tirarla fuori, aveva pensato che nella foto ci fosse lei. La pettinatura, il vestito... era ironico, di tutte le volte soprattutto all'inizio, che guardando la ragazza ci vedeva la prima Christine, quella era la prima volta che accadeva il contrario. Ma poi il suo sguardo si era posato sul fastidioso sorriso di Raul de Chagny al fianco della fanciulla e aveva capito il suo errore.
Christine, quella davanti a lui in carne ed ossa, gli aveva chiesto cosa ne pensava del vestito che aveva indossato alla festa. Beh, quegli abiti erano il motivo per cui ci aveva messo tanto ad uscire allo scoperto per unirsi ai festeggiamenti: ogni volta che i suoi occhi si posavano sulla ragazza lui rivedeva la cantante e il visconte che si facevano gli occhi dolci a vicenda pensando ingenui che lui non fosse lì ad assistere.
 
«Visto che a quanto pare eri sicuro di avermi raccontato tutto te lo dico io... Quando pensavi di dirmi che sono uguale alla tua Christine?» la voce della ragazza, dura e spietata come mai l'aveva sentita, lo riportò al presente. La sua espressione era impassibile ma poteva vedere che qualcosa nei suoi occhi si era rotto e stava cercando di trattenere le lacrime.
E lui si senti colto in fallo. Era vero, non si era mai curato di indagare se lei sapesse di assomigliare incredibilmente alla sua trisavola e da parte sua si era ben guardato dal farglielo sapere.
«Io... non pensavo fosse importante»  (N. d. A.)
Non avrebbe saputo cosa dire, per lui quella somiglianza non faceva alcuna differenza... non più. Probabilmente si sarebbe però dovuto sforzare di trovare un modo migliore per esprimere il concetto, perché a quelle perde sembrò quasi avesse colpito Christine con uno schiaffo.
«Sono identica alla ragazza che amavi, per la quale hai composto opere e per la quale hai ucciso delle persone... e mi vieni a dire che non è importante?» aveva iniziato parlando a bassa voce alzando il tono fino a gridare alla fine della frase.
«Chi vedi realmente quando mi guardi? Il primo pensiero che ti passa per la testa quando posi lo sguardo su di me, a chi è rivolto? A me o a lei?»
«A te!»
«Come faccio a crederti? Sii sincero: se anche il mio nome non fosse stato lo stesso quante volte mi avresti chiamata Christine per sbaglio?»
Tante, ma non osò dirlo ad alta voce.
Qualcosa nel suo sguardo doveva nonostante tutto aver fatto capire la risposta alla ragazza, che sembrava improvvisa mente stanca. Poi i suoi occhi ebbero un guizzo, come se le fosse venuto in mente qualcosa.
«Quando mi hai trovata nel salto dell'impiccato, quindici anni fa...»
Non aveva neanche concluso ed Erik già si sentiva la bocca secca.
«... immagino fosse stato tutto immerso nel buio... hai pensato che fossi Christine. Vero? Ti prego di non mentirmi»
Non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi quando pronunciò quel «Sì»
La senti sospirare. «Se non fossi stata così simile a lei, se non mi avessi scambiata per lei... mi avresti salvata?»
In seguito a quella domanda non ci fu altro che silenzio mentre lui riabbassava il capo, colpevole.
L'attimo venne interrotto quando sentì la mano di lei posarsi sulla maschera e rimuoverla, per poi lasciare una leggera carezza sulla guancia piagata.
«Forse è meglio per tutti e due se la chiudiamo qui, almeno per il momento» la senti sussurrare e a quelle parole rialzò la testa di scatto mentre la ragazza ritirò la mano.
Christine stava piangendo, lacrime silenziose le rigavano le guance ma era riuscita a controllarsi riducendo il tutto a solo un tremito nella voce.
«Credo che tutti e due abbiamo bisogno di tempo per pensare e capire cosa vogliamo veramente» concluse.
Erik si riscosse, quasi annichilito da quello che la ragazza aveva appena detto.
«Non ho bisogno di altro tempo!» esclamò con impeto. «So già cosa voglio... È vero, non voglio mentirti, all’inizio il pensiero di... lei mi tornava alla mente ogni volta che li vedevo, ma non ti ho mai scambiata per lei, questo mai. Ed è da un po’ che vedo solo te in ogni caso» fece un passo avanti posandole le mani sulle braccia stringendo appena. «Non andare via di nuovo, questi tre giorni senza poterti vedere o parlare sono stati una tortura» fece una pausa, la sua voce suonando abbassò suonando improvvisamente angosciata «Non lasciarmi anche tu...»
Christine non lo stava più guardando.
«Mi dispiace» fu un sussurro, leggero come quando la brezza soffia e pare di sentirla pronunciare parole, ma allo stesso tempo rimase così sconvolto da quella risposta che neanche si accorse che la ragazza si era liberata dalla sua stretta e se n'era alla fine andata.
Era rimasto da solo, di nuovo.
Amami, nient'altro chiedo più... le parole che non era riuscito a pronunciare la sua unica compagnia mentre si ripetevano all'infinito nella sua testa.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Christine passeggiava assorta seguendo il camminamento che si snodava nel parco calciando occasionalmente qualche sassolino più grande che la finiva tra i piedi.
Quel parco era uno dei suoi posti preferiti da quando era piccola e non distava molto dalla casa dei suoi genitori dove di lì a poco pranzo 1'avrebbero aspettata per pranzo.
L'aria primaverile ancora fresca era piacevole sul suo viso scompigliandole appena i capelli lasciati sciolti, peccato che non stesse servendo a chiarirle le idee come aveva sperato.
Individuò una panchina libera – stranamente nonostante fosse domenica mattina il posto era inaspettatamente tranquillo e silenzioso – e vi prese posto.
Certo, era assolutamente convinta di quello che aveva detto e della decisione che aveva preso, ma questo non voleva dire che non stesse soffrendo anche lei. Sapere che Erik non pensava solo a lei quando erano insieme le era insopportabile e se solo la sua rivale non fosse stata letteralmente uguale a lei forse le cose sarebbero state diverse, forse avrebbe potuto trovare un compromesso. Ma così...
Lei non era quella Christine e non lo sarebbe mai stata. Se Erik le era rimasto accanto tutto quel tempo solo per ricordare com'era stato una volta da quel momento in poi avrebbe dovuto farlo senza di lei.
 
Si doveva essere persa a tal punto nei suoi pensieri che non si era nemmeno accorta dell'arrivo di qualcuno, con il risultato che la giovane donna che si sedette al suo fianco sulla panchina le sembrò praticamente spuntata dal nulla.
«Problemi di cuore, eh?» Al contrario suo che era seduta piuttosto rigidamente l'ultima arrivata si era rilassata appoggiandosi allo schienale in legno della panchina, le gambe accavallate e le mani in grembo.
Era una bella donna, non poteva negarlo. L'incarnato perfetto, gli occhi azzurri, le labbra a cuore e i capelli biondi dolcemente ondulati le ricordavano la perfezione delle bambole di porcellana.
«Come prego?» replicò registrando solo in un secondo momento che la sconosciuta si stava rivolgendo proprio a lei.
«Se le persone si facessero meno problemi a dirsi quelle due parole il mondo sarebbe un posto migliore» continuò però quella senza fare una piega. «Sai quante anime gemelle separate per sempre per un "ti amo" mancato?» concluse voltandosi finalmente verso di lei.
Christine si ritrovò a fissarla sbattendo più volte le palpebre. E quella da dove saltava fuori? Esisteva davvero ancora qualcuno che parlava di anime gemelle?
«Io... io temo di non seguirvi» esalò alla fine giusto per dire qualcosa visto che la donna la stava guardando con aspettativa in evidente attesa di una sua risposta.
«Suvvia, a vedervi così pensierosa e sconsolata in una mattinata cosi bella non è difficile immaginare a cosa sia dovuto il vostro stato, Christine. Persino un cieco ci riuscirebbe» riattaccò l'altra.
«Mi scusi, ma non credo di avervi mai incontrata prima» replicò Christine improvvisamente allarmata per il fatto che una completa sconosciuta avesse tirato fuori il suo nome con tanta noncuranza.
La sua interlocutrice sventolò una mano in aria come se fosse una questione di poco conto «Ti prego, chiamami Amy e dammi del tu, che altrimenti mi fai sentire vecchia...»
Christine la osservò quasi allucinata mentre Amy rideva alle sue stesse parole, salvo poi tornare improvvisamente seria.
«Scherzi a parte» continuò infatti, la voce che aveva perso quella vena scherzosa e quasi superficiale che aveva tenuto fino ad un attimo prima. «Saresti davvero pronta a rinunciare ad un amore come potrebbe essere il vostro solo per una somiglianza taciuta?»
Alla ragazza per poco non cadde la mascella: e questo come faceva a saperlo? Lei non ne aveva parlato con nessuno, le uniche due persone a conoscenza della cosa erano... «Aspetta un attimo... chi ti ha mandato? André? O Erik magari...» la risata dell'altra la interruppe.
«Non capisco come il ragazzo che aveva una cotta per te fino al mese scorso potrebbe essere coinvolto, quanto a Erik... lasciatelo dire: se fosse in fin di vita e l'unico nido per salvarsi fosse chiedere aiuto a qualcuno, piuttosto si lascerebbe morire. Mai visto un orgoglio usato in modo peggiore...» rispose, commentando l'ultima parte più tra sè e sè.
Scosse la testa scuotendo di conseguenza anche i capelli, per poi alzarsi dalla panchina lisciandosi i vestiti.
Senza neanche rendersene conto Christine la imitò. Amy la scrutò un ultima volta, osservando chissà cosa con aria assorta e gli occhi leggermente socchiusi.
«Ricorda mia cara... l'amore non muore mai, e se il fatto che Erik sia ancora in giro non lo dimostra allora non so cosa potrebbe. Non dico che sarà facile, soprattutto con uno come lui, ma tu non arrenderti: ne varrà la pena, fidati – soprattutto se sono io a dirtelo» stava sorridendo mentre parlava ma i suoi occhi erano rimasti seri.
Prima che potesse fare qualcosa so evitarlo l'ex ballerina si ritrovò stretta in un abbraccio stritolante.
«Love lives on» le sussurrò Amy all'orecchio per poi lasciarla andare e allontanarsi superandola.
Christine non era sicura di aver compreso fino in fondo cosa fosse appena successo. Si voltò nella direzione verso cui la donna si era incamminata solo un attimo prima, una domanda già sulle labbra, ma di Amy non c'era più neanche l'ombra. Strano.
Quando il cellulare le squillò dalla tasca dei pantaloni quasi saltò. Era suo fratello.
«Ti sei dimenticata la strada di casa?» domandò Gabriel dall'altro capo del telefono «Stiamo aspettando solo te»
La ragazza controllò velocemente l'ora rendendosi conto che in effetti era in ritardo. «Arrivo» congedò sbrigativamente il fratello cominciando ad avviarsi verso il parcheggio poco distante dove aveva lasciato la macchina. Per qualche motivo era sicura che non fosse stato già così tardi, ma l'orario segnalato dal telefono e dalla radio dell' auto non mentiva.
Qualcosa era appena successo ma non era sicura di averne compreso appieno la portata.
Le conveniva darsi una mossa.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Cercando di coniugare turni e impegni di tutti, almeno una volta al mese i signori De Chagny pretendevano di avere entrambi i figli nella casa di famiglia per pranzo o cena per passare del tempo insieme e sapere le ultime novità. E contrariamente a quanto si potesse pensare a Christine e Gabriel – che nonostante fosse solo ventunenne già si era trovato un appartamento da dividere con altri studenti per essere più vicino alla sede dell'Università – apprezzavano entrambi quell’appuntamento mensile.
Quel giorno però era evidente ci fosse qualcosa di diverso dal solito. Claude ed Elèonore non ricordavano di aver mai visto la loro primogenita così taciturna. E osservandola in viso sembrava ci fosse qualcosa di sbagliato, come se stesse cercando di rimanere impassibile risultando in qualche modo apatica. Non rispondeva nemmeno alle provocazioni del fratello che solitamente originavano amichevoli battibecchi che intrattenevano i due genitori facendoli sorridere in ricordo dei vecchi tempi quando i figli erano ancora piccoli.
Questa volta invece Christine mangiò senza quasi dire una parola se non sporadici monosillabi in risposta a rade domande, e una volta finita la fetta di torta con cui il pranzo si era concluso si era scusata e aveva lasciato la stanza manco la sua sedia avesse improvvisamente preso fuoco.
 
Si rifugiò nella sua vecchia camera, lasciata cosi com’era da quando si era trasferita fuori dalla casa natale per la prima volta.
Prese posto davanti alla scrivania facendo compiere un paio di rotazioni alla sedia girevole che veniva dall'ufficio del padre e che le era stata tramandata quando aveva iniziato le scuole superiori.
Le dispiaceva rovinare il pranzo a tutti con il suo malumore, ma era da due settimane a quella parte che proprio non le riuscita di sorridere.
Sfruttando le rotelle di cui era dotata la sedia si mosse fino a raggiungere il letto dove aveva mollato la borsa ancora al suo arrivo e aprì una delle tasche interne. Dandosi un’altra spinta tornò alla scrivania aprendo il foglio che era stato piegato in quattro lisciandolo sul ripiano. Non avrebbe mai osato rovinare l'originale, infatti quella era solo una fotocopia, ma c'era qualcosa che la costringeva a portarsi appresso quel disegno e guardarlo anche un paio di volte al giorno.
Era il ritratto di Erik, quello senza maschera. Percorse con le dita il profilo imperfetto del lato destro del suo viso, come a voler rievocare la sensazione di quando lo accarezzava per davvero. Come se non bastasse le parole che Amy le aveva rivolto poco tempo prima ancora le rimbombavano in testa. Cosa poteva davvero saperne una perfetta sconosciuta?
Un leggero bussare alla porta la fece riscuotere.
Girò sulla sedia dando le spalle alla scrivania pronunciando un poco convinto «Avanti».
Restò abbastanza sorpresa quando la testa di suo padre fece capolino nella stanza, era sicura sarebbe stata sua madre a venire all'attacco.
Claude entrò richiudendo la porta dietro di lui, si guardò intorno con un sospiro nostalgico per poi abbozzare un sorriso divertito quando vide la figlia raccogliere le ginocchia portandosele al petto in modo da appoggiare i piedi alla seduta della sedia.
«La tua camera è rimasta proprio uguale, ma vedo che anche tu non sei poi cambiata così tanto..»
Christine alzò un sopracciglio facendo ridere il genitore: «Avevi messo il broncio così quando quel ragazzino per cui avevi una cotta alle medie ha portato al cinema la tua compagna di banco invece di te...» spiegò.
«Io non sto mettendo il broncio» ribatte la ragazza seppure doveva ammettere che quella volta era vero che ci era rimasta male.
«Sì, in effetti hai ragione...» aveva intanto continuato Claude.
«Eh?»
«Questa volta è una cosa seria, vero?» le domandò cogliendola impreparata. Alla domanda segui infatti un lungo attimo di silenzio.
«Non voglio forzarti Christine: se non vuoi parlarne va bene, non insisterò. Sappi solo che ci dispiace vederti cosi, persino Gabriel si è preoccupato»
 
«Io... Pensavo di aver trovato la persona giusta, ma parrebbe che la cosa non sia corrisposta» cominciò alla fine a raccontare mentre suo padre si sedeva sul letto per ascoltare.
«Sembrerebbe che questa persona non sia ancora del tutto oltre la sua... ultima fidanzata, ecco. E il mio aspetto non aiuta»
Claude la guardò perplesso: «Cosa vuol dire che il tuo aspetto non aiuta? Sei bellissima e perfetta, e nessuno dovrebbe fare paragoni tra...»
Christine lo interruppe ridacchiando: «È proprio questo il problema: sono praticamente la sua sosia, solo che lei è mora» spiegò lasciando suo padre senza parole.
«Wow...»
«Eh già»
«Mi dispiace però... Non pensavo che monsieur Destler potesse essere così superficiale» commentò poi l'uomo.
La ragazza arrossì all'istante, guardando il genitore con gli occhi sbarrati come un cervo davanti ai fanali di un'auto.
«Chi... chi ha mai detto che stavo barando di Er... Monsieur Destler?»
Fu Claude a ridere quella volta: «Mezzo teatro non parla d'altro, e fidati che è vero se lo sono venuto a sapere persino io che ci metto piede raramente. Ed erano tutti contenti che voi due steste insieme. All’inizio si era notato come potesse essere un po’... diciamo duro con colleghi e sottoposti, ma mai maleducato eh. Hanno notato che di recente si era come ammorbidito. Qualcuno diceva fosse diventato più umano... E due settimane fa è tornato tutto come prima, senza contare che mamma mi ha detto che hai ridotto le tue visite a teatro scambiandole con le sue alla clinica»
«Sì, beh... neanche io lo pensavo» rispose lei riferendosi a Erik e a quanto detto da suo padre poco prima. «Ma non posso stare con una persona sapendo che quando mi guarda vede un'altra. Lo devo se non altro a me stessa»
«Siete davvero così uguali?» domandò l'uomo interessato riferendosi alla fantomatica ex.
«Tanto quanto io assomiglio alla trisnonna Christine...» si lasciò sfuggire lei, affrettandosi poi ad aggiungere che tempo prima aveva trovato vecchie foto in soffitta ma che alla fine non erano nulla di che.
«Beh, non so cosa dirti Christine» proseguì alla fine Claude «Non voglio certo intromettermi nei tuoi affari, dopotutto sei abbastanza grande per cavartela da sola in queste cose, ma se stai ancora così male dopo quanto? Due settimane? Sei ancora convinta di aver fatti la scelta giusta?»
La ragazza si mise le mani nei capelli disordinando i boccoli. «Lo so! Ci ho pensato anche io» esclamò «Ma il punto è che non me l'ha detto lui che assomiglio alla sua... ex. Sono dovuta venirlo a sapere da altre persone...»
«Posso chiederti chi?»
«Andrè. Perché?»
«Non hai pensato che André potesse mentire? O che in ogni caso io abbia fatto apposta per allontanarvi? Dopo quello che è successo a capodanno...»
«Che l’ha fatto apposta è ovvio, ma non ha mentito. Ed Erik in ogni caso ha confermato, quindi...»
«Erik?»
Christine arrossì di nuovo: «Monsieur Destler... dai papà, non rendere le cose più imbarazzanti di quanto già non siano»
«Ok, ok» replicò Claude tirando su le mani in segno di resa. «E lui cosa ha detto quando l'hai... lasciato?»
«Io... ho detto che era meglio se tutti e due ci fossimo presi del tempo per pensare a quello che vogliamo veramente, chi vogliamo più che altro»
«E lui?» la incalzò.
«E lui ha detto che non ne aveva bisogno... perché sapeva già cosa Voleva» «Me» concluse sotto lo sguardo interrogativo del padre, sorvolando però sulla supplica del non lasciarmi anche tu.
Claude sospirò alzandosi in siedi costringendola ad alzarsi a sua volta e tirandola verso di sé per abbracciarla.
«Non so cosa dirti tesoro, se non di fare quello che ti sembra più giusto, sono sicuro che riuscirai a capire quello che...» si interruppe a metà frase scostandosi da lei, sembrava che qualcosa avesse attirato la sua attenzione.
Quel qualcosa era il ritratto di Erik che Christine si era dimenticata di aver lasciato aperto in bella vista sul ripiano della scrivania.
«E questo dove l'hai preso?» domandò palesemente sorpreso.
«... Me l'ha dato lui»
Claude alzò un sopracciglio
«Beh, l'ho visto e ho chiesto se potevo tenerlo, e lui ha detto di sì» rettificò lei, raccontare da dove veniva veramente quel disegno era fuori discussione.
«Quindi anche tu l'hai visto senza maschera» non era una domanda ma più una constatazione, e Christine si rese conto che suo padre non aveva neanche battuto ciglio quando aveva posato gli occhi sul ritratto riconoscendone il soggetto. Senza contare quello che aveva appena detto.
«Anche?» ripeté infatti lei.
L'uomo annuì continuando a fissare assorto il disegno. «Sì... Monsieur Destler si è presentato da me la settimana scorsa»
A quelle parole Christine quasi trattenne il respiro.
«Non sembrava molto in forma a dirla tutta, e adesso posso immaginare il perché dopo quello che mi hai detto. Ma in ogni caso... Mi ha chiesto se poteva rubarmi qualche minuto per avere un parere professionale. E mi ha fatto vedere...» studiò la figlia alla ricerca di reazioni, sembrava stesse aspettando qualcosa.
«E beh, sarò sincero, all'inizio non nego di essere rimasto... colpito. Soprattutto perché non me l'aspettavo. Ma alla fine sono convinto che i miei colleghi tra i maxillo-facciale e la chirurgia plastica potrebbero fare un discreto lavoro...»
«Aspetta... ti ha chiesto di operarlo?» interruppe lei.
«Non in modo così diretti ma sì, è come se mi avesse chiesto se fosse possibile fare qualcosa»
Christine era allibita. Quando aveva provato lei a toccare l'argomento si era solo sentita rispondere male e adesso veniva fuori che Erik era andato nientemeno che da suo padre? Claude però non aveva ancora finito.
«E anche ber questo volevo chiederti... Christine, sei sicura che il motivo per cui vi siete allontanati non sia il suo viso? »
La ragazza lo guardò con tanto d'occhi: «Cosa? Davvero mi credi così superficiale? Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?» esclamò indignata. «Fidati, la sua faccia è l'ultimo dei problemi! Prima di quella dovrebbe preoccuparsi delle sue manie di controllo e del suo pessimo carattere: avrà anche incontrato persone orribili in passato, ma deve capire che non è più così, grazie al cielo i tempi sono cambiati. Noi può dare la colpa al suo viso ogni volta che qualcosa va male, soprattutto quando la sua faccia non c'entra nulla con la situazione. Non sono scappata la prima volta che l'ho visto senza maschera e di certo non è quello il motivo per cui mi sono allontanata adesso. E all'epoca avevo solo...»
«Solo?» suo padre la stava guardando alquanto interessato e lei si interruppe bruscamente accorgendosi di aver quasi rivelato troppo.
«Niente» rispose frettolosamente «Lascia perdere. In ogni caso non capisco perchè l'abbia fatto adesso: non è facendosi sistemare la faccia che le cose tra noi torneranno a posto. Gli ho sempre ripetuto che a me andava già benissimo così com'è, e mi farebbe più male sapere che non mi credeva sincera quando lo dicevo»
«Immaginavo, e infatti è proprio quello che gli ho detto anch'io»
«Ti prego dimmi che non vi siete messi a parlare di me...» gemette lei.
«No, ma mi sono permesso di sottolineare che stavamo parlando di te, e io so bene che mia figlia non darebbe peso a dettagli del genere»
«Come non detto...»
«Lui ha detto che gli sembrava riduttivo parlare del suo viso come un dettaglio, ma visto che poi non è più tornato immagino che forse abbia capito il concetto»
«Non è più tornato...?»
«Gli avevo detto che mi sarei informato e che poteva tornare da me e gli avrei fatto sapere un più nello specifico cosa si sarebbe potuto fare. L'appuntamento era ieri ma non si è presentato»
A quelle parole Christine si bloccò. Non sapeva come mai ma all'improvviso aveva cominciato a provare una spiacevole sensazione. Contrariamente a quello che affermava suo padre secondo lei non era un buon segno che Erik non si fosse fatto più vivo.
Abbracciò il genitore scoccandogli un bacio sulla guancia «Grazie per la chiacchierata, adesso devo proprio andare»
Il tempo di recuperare le sue cose e arruffare i capelli a suo fratello ed era già con un piede fuori dalla porta di casa al grido di «Io esco, grazie per il pranzo!» quasi come ai vecchi tempi quando era ancora una ragazzina.
 
Claude torno in sala da pranzo da moglie e figlio al suono della porta di casa che si chiudeva.
Gabriel lo guardò con tanto d'occhi: «Caspita, la prossima volta che ho problemi con una ragazza verrò a chiedere a te!» esclamò, e tutti risero.
 
 
 
 



N. d. A. per chi ha visto Love Never Dies mi sto riferendo alla magnifica uscita che Erik fa quando cerca di calmare Meg proprio verso la fine del musical tre secondi prima che succeda *quella cosa*.
Per chi non ha mai avuto il dispiacere di rovinarsi TPOTO con LND vi posso assicurare che Erik che parla senza pensare giusto per dare aria alla bocca è assolutamente IC.














Beh, che dire... non mi stupirei se questa storia avesse ormai raccolto più polvere delle foto che Christine ha trovato in soffitta insieme ad Andrè.
Salto tutte le scuse di rito, tanto con tutti i ritardi che questa storia ha accumulato le sapete già tutte, e auguro (in ritardo) buon Natale, capodanno ed epifania a tutti con il capitolo numero 14, che credo sia pure il più lungo di tutta la storia.
Come buon proposito per il 2020 ho messo anche quello di finire di pubblicare questa storia in tempi decenti, quindi ci vediamo sabato prossimo (in caso di attacchi di pigrizia acuta ho dato il permesso ad Erik di rincorrermi con il punjab).
Nel frattempo,

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.



P.S. chi volesse andare a dare un'occhiata a questa os e magari lasciare un commentino come regalo di Natale in ritardo mi farebbe davvero molto contenta :) 

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Capitolo 16
*** 15. Music of the night ***


15
music of the night
 
 
 
Christine se n'era andata.
Aveva detto che le serviva tempo ma lui non voleva illudersi, sapeva che non sarebbe tornata e ne aveva tutte le ragioni.
Magari avrebbe potuto cercare un modo per riconquistarla, non poteva accettare che finisse tutto a quel modo. Un'idea gli balenò per la testa. Forse...
Lasciò la dimora sul lago, nel cuore qualcosa di vagamente simile alla speranza.
 
Non era andata come si era aspettato.
O meglio.
Il Dottor De Chagny era stato fin troppo disponibile a visitarlo nonostante gli fosse piombato in ufficio senza alcun preavviso e a proporgli di tornare la settimana successiva in modo da potersi consultare con qualche collega che lavorava nel campo inerente al suo caso, ma quando erano inevitabilmente finiti a parlare di Christine quello che aveva detto lo aveva lasciato più scosso di quanto sarebbe stato se gli avessero comunicato che per la sua faccia non c'era niente che potessero fare.
 
«Vi siete frequentati per abbastanza tempo da farmi pensare che se mia figlia ha deciso di rimanervi accanto non è per il vostro aspetto ma per qualcosa che ha visto in voi oltre al vostro viso. Allo stesso modo penserei quindi che la vostra condizione non abbia ma a che fare con il vostro... allontanamento. Sono lieto di potervi aiutare, ma se dovreste decidere eventualmente di sottoporvi agli interventi che sicuramente ci saranno da fare fatelo per voi stesso, non per lei. Sono suo padre e reputo di conoscerla abbastanza bene da poter affermare che per lei non farebbe alcuna differenza»
Aveva rimuginato su quelle parole per tutta la strada di ritorno al teatro, e alla fine aveva suo malgrado dovuto dargli ragione. Sapeva già che a Christine non importava lo stato in cui versava la parte destra del suo volto, non lo aveva forse dimostrato in molteplici occasioni? Per esclusione veniva quindi fuori che alla fine il problema era lui come persona, e se la chirurgia poteva risolvere il problema estetico, a quello invece non c'era soluzione.
Non era mai stato voluto da nessuno: non sua madre, non l'altra Christine.
Chi voleva prendere in giro? Non si sarebbe voluto nemmeno lui, perché con quella ragazza sarebbe dovuto essere diverso? Senza contare che non aveva alcun dubbio sul fatto che Christine meritasse sicuramente di meglio, avrebbe davvero avuto il coraggio di farla rimanere incatenata a lui?
 
Non riuscì a trattenersi. Buttò a terra i candelabri che incontrò sulla sua strada mentre col fermacarte preso dalla scrivania mandò in frantumi gli specchi che ricoprivano i muri di roccia tra un drappo e l'altro. I disegni sulla scrivania, una mescolanza di Christine bionde e more, vennero strappati o lanciati via, seguiti dopo poco dal mobile stesso che venne ribaltato.
Perché quello era lui. Un mostro, come tante persone l'avevano giustamente definito. E in quanto tale meritava di stare da solo.
 
«Avresti potuto mostrare un po’ più di riguardo dopo che mi sono dato tanta pena per rinnovare questo posto» una voce gli arrivò alle spalle e fa solo perché l'aveva riconosciuta che non lanciò il fermacarte nella direzione da cui proveniva.
«Cosa volete da me stavolta?» Erik si voltò a fronteggiare Des.
Dopo quella volta quando gli aveva spiegato come funzionavano le cose in quell'epoca, mostrato la sua nuova casa e fornito tutti i documenti di cui avrebbe potuto avere bisogno – inclusi certificati vari e curriculum da presentare per essere assunto all'Opéra – non l'aveva più rivisto dato che a suo parere aveva a tutti i mezzi per proseguire da solo.
«Avevate detto che volevate aiutarmi, beh, fatelo adesso! Ve l'avevo detto già all'inizio che vi stavate imbarcando in un'impresa oltre le vostre capacità...»
L'altro si limiti a scuotere la testa divertito: l'aveva sempre detto che la prima donna del teatro era in realtà lui, altro che la Giudicelli...
«Io ritengo invece che le cose stiano andando anche meglio del previsto... ma ero venuto qui per avvertirvi » bloccò il tentativo di Erik di interromperlo con un imperioso gesto della mano.
«Come siete ben consapevole siete saltato da un'epoca ad un'altra senza che il vostro corpo subisse gli effetti del tempo, ma il processo non è del tutto privo di conseguenze. Quello che vi aspetta – a breve – è un fortunatamente breve periodo di malessere. Nulla che non possiate superare, ma visto il tempo in cui vi trovate e i mezzi che ci sono a disposizione vi consiglierei ugualmente di restare in un posto in cui qualcuno possa prestarvi assistenza in caso di bisogno invece di restartene rintanato qua sotto. Se non altro dovrebbe aiutarvi a superare il tutto più in fretta...»
«Di che tipo di malessere state parlando?» domandò circospetto. Non che fosse estraneo a dolore e torture, ma se poteva saperne di più...
Des diventò pensieroso: «In realtà in questo caso non ne so più di così, ad essere sincero non mi è mai capitata una situazione simile con nessun altro prima d'ora...»
Erik lo guardò incredulo: «Si può sapere chi siete voi davvero? Ancora stento a credere che tutto questo sia reale, e a meno che non si tratti di stregoneria... come fate a fare queste cose? Come avete fatto a...?»
«Sapete che sono domande a cui non avrete mai risposta. Avete il mio supporto ma non vi è dato conoscere i miei mezzi, mettetevi l'anima in pace. Abbiate fiducia e il destino farà il resto» lo mise a tacere. «Ora, come stavo per dire, questo malessere a cui andrete incontro dovrebbe servire a far accettare al vostro corpo il fatto che adesso appartenete a questa epoca in modo definitivo. Dopo non si torna più indietro»
I suoi occhi ebbero un guizzo: «Perché adesso potrei tornare indietro se volessi?»
«Lo vorreste davvero?»
«Avete detto che potrei necessitare di assistenza...» proseguì Erik lasciando cadere il precedente discorso.
«Medica, sì» specificò Des annuendo.
«Esiste la possibilità che io non superi questo processo?» domandò allora.
Des si rabbuiò: «Sì, ma dipende da voi e da quanto volete davvero restare»
«Perché se non volessi tornerei indietro» completò il Fantasma.
«Sì e no» replicò Des. «Arrivato a questo punto tornare indietro significherebbe soltanto che in quest'epoca siete già morto da un pezzo, e di conseguenza di voi non rimarrebbe altro che polvere» concluse duramente. «Questo però non è quello che il destino aveva in serbo per voi e mi trovereste altamente deluso se il secondo scenario dovesse verificarsi dopo tutto quello che ho fato per voi»
 
Erik abbassò il capo per un istante e quando lo rialzò, sulle labbra una nuova domanda pronta ad essere pronunciata, era di nuovo da solo.
Rise amaramente a quello che l'uomo aveva detto: a chi mai avrebbe potuto chiedere l'aiuto di cui Des di casa avrebbe avuto bisogno? All'ospedale? Cercando di spiegare ai medici di un misterioso male che l'avrebbe colto a breve nonostante al momento fosse sano come un pesce? Christine era l'unica che avrebbe potuto capire, ma rivolgersi a lei era fuori discussione.
No, se la sarebbe cavata da solo come aveva sempre fatto.
 
In mezzo alla sua stessa devastazione stava giusto decidendo da che parte cominciare a raccogliere i cocci quando iniziò.
Una vertigine gli fece girare la testa al punto da farlo cadere in ginocchio mentre la vista si faceva sfocata. All’improvviso aveva freddo, sentiva i brividi scuoterlo da capo a piedi, il rumore dei suoi denti che sbattevano tra loro. Un altro giramento lo fece piegare ancora di più su se stesso facendogli chiudere gli occhi mentre le sue orecchie cominciavano a sentire una musica che però stava suonando solo nella sua testa.
Con fatica cominciò a muoversi trascinandosi a gattoni, rigidamente visto che anche i muscoli avevano cominciato a dolergli. Cercare di raggiungere l'uscita era impensabile: il tunnel era troppo lungo, non sarebbe mai riuscito a percorrerlo tutto, per non parlare poi dell'aprire la pesante porta alla fine. Tra un gemito e l'altro riuscì a raggiungere la sua camera da letto mentre la musica aumentava di volume peggiorando le fitte alla testa. Issarsi sul letto fu una fatica immane e ricadde sopra il copriletto intatto a peso morto con indosso ancora gli stessi vestiti con cui era uscito e la maschera sul viso.
Aveva perso i sensi prima ancora che la sua testa toccasse il cuscino.
 
 
 
♫♪♫
 
 
 
Anche nell'incoscienza la musica non gli dava tregua.
E forse non sarebbe stata cosi insopportabile se non fosse stata costantemente accompagnata da una voce. Quella di Christine Daaè.
E ad un certo punto la fanciulla in persona gli comparve davanti agli occhi, indosso il vestito da sposa che era stato fatto apposta per lei, i boccoli castani tirati indietro e il velo posato sul capo.
E cantava. Cantava parole che non riusciva a comprendere, cantava con forza muovendosi davanti a lui agitando le braccia impetuosa come a voler essere sicura di avere tutta la sua attenzione su di sè e nient'altro.
Però effettivamente c'era qualcosa che avrebbe potuto distrarlo dalla soprano. Giusto dietro di lei c’era infatti un'altra ragazza, vestita molto più semplicemente con un paio di jeans e una felpa e i capelli sempre ricci ma biondi, lasciati liberi sulle spalle scendendo lunghi ben oltre la metà schiena.
Era l'altra Christine, la sua Christine, che cercava di raggiungerlo, ma tra di loro c'era la cantante che sembrava impedirglielo.
E improvvisamente le parole che la mora cantava acquistarono un significato e fu in grado di comprenderle. Gli stava chiedendo, no, lo stava supplicando di tornare da lei. Tutte quelle parole che avrebbe tanto voluto sentirla pronunciare gliele stava rivolgendo in quel momento, continuando a ripetere il suo nome mentre tendeva le mani verso di lui.
«Torna da me Erik, torna da me»
Quello che gli aveva detto Des riverberò nella sua mente solo per un attimo.
Non sarebbe stato altro che polvere, perché se fosse tornato indietro nell'epoca in cui si trovava in quel momento sarebbe stato morto da anni.
Ma gli importava? La musica lo chiamava, e con essa le parole cantate da Christine... Sarebbero potuti stare insieme, sarebbero potuti finalmente essere felici...
 
«Erik?»
 
Sì, quella era la scelta giusta. Era come sarebbero dovute andare le cose fin dall'inizio.
 
«Erik»
 
Ormai Christine era così vicina che gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarla. Poteva già immaginare come sarebbe stato abbracciarla di nuovo.
Dietro la cantante la ragazza bionda aveva un'espressione rassegnata mentre lo guardava con gli occhi lucidi. La osservò dagli le spalle e allontanarsi perdendosi nella luce che, lo notava solo in quel momento, stava velocemente aumentando di intensità.
Era meglio cosi. Per tutti, per lei: sarebbe stata libera di trovare qualcuno di veramente degno di stare al suo fianco.
Era così che doveva andare.
Vero?
 
Chiuse gli occhi, la luce era ormai diventata insopportabile, e si sorprese di provare rimpianto perché no, non era vero: voleva essere lui quella persona degna di stare al fianco di colei che non era scappata da lui, mai, neanche la prima volta che l'aveva visto senza maschera. Voleva essere lui quella persona, ma come avrebbe potuto?
 
«Erik, ti prego»
 
Riapri gli occhi a quel richiamo troppo straziante per poter essere ignorato.
La luce era sempre molto forte e rendeva la sua visione sfocata, ma non importava perché non aveva dubbi su chi fosse la persona davanti a lui. Nel momento in cui la riconobbe un senso di pace si impossessò di lui riducendo almeno in parte il dolore fisico che il suo corpo aveva continuato a provare nel frattempo.
Ce l'aveva fatta. Era a casa.
E giurò a se stesso che da quel momento in poi non avrebbe permesso a nessuno di portargli via quella felicità che, lo sapeva, sarebbe finalmente riuscito a raggiungere.
 
Perché la ragazza che lo aveva appena abbracciato e che adesso lo stava guardando con gli occhi pieni di un sentimento che nessuno gli aveva mai rivolto era...
 
 
«... ho trovato l'acqua!» Raul fece la sua comparsa nella stanza rovinando tutto.













Buona sera!
Chi l'avrebbe mai detto che finalmente sarei riuscita ad essere puntuale con l'aggiornamento di questa storia...
Ormai non ha comunque più senso tirarla per le lunghe perchè ho realizzato che mancano letteralmente due capitoli più l'epilogo, quindi tanto vale pubblicarla in tempi decenti.
Visto la mancanza assoluta di recensioni negli ultimi capitoli (in realtà per tutta la storia in generale ma vabbè) ricordo che non mordo se qualcuno volesse lasciarmi un parere o farmi sapere cosa ne pensa (e prometto di tenere a bada Erik in caso di critiche - che sono sempre ben accette se costruttive).
Alla prossima settimana! E nel frattempo

I remain, gentlemen, your obedient servant

E.



P.S. chi volesse andare a dare un'occhiata a questa os e magari lasciare un commentino come regalo di Natale in ritardo mi farebbe davvero molto contenta :)  (e sempre nel fandom di TPOTO eh)

 

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Capitolo 17
*** 16. Stay by my side (angel) ***


16
 stay by my side (angel)
 
 
 
Una era seduta sulla poltrona, le braccia incrociate e l'espressione annoiata mentre gli altri fratelli, in piedi davanti a lei, la guardavano con disapprovazione. Des in particolare sembrava proprio arrabbiato.
«Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Quel poveretto non ne aveva già passate abbastanza? Come faccio a mettere le cose a posto se mi metti i bastoni tra le ruote?» camminava avanti e indietro cambiando direzione ogni tre passi gesticolando animatamente mentre parlava.
«Allora ti saresti potuto ricordare che di sorelle ne hai due, invece di tagliarmi fuori... sono dovuta venirlo a sapere da Morty!» si lamentò la donna dai capelli rossi.
Lo sguardo infuocato di Des a quel punto si abbatté su Amy: «Avevi detto che lui ne sarebbe rimasto fuori!» la accusò
«Infatti non interverrà» Una si affrettò a difendere i gemelli «Era solo incuriosito che io non avessi voluto partecipare visto che la prima volta mi ero divertita tanto, e a quel punto mi sono fatta dire tutto»
Il castano si lasciò cadere sul divano massaggiandosi le tempie con la punta delle dita: «Ed è proprio perché questa volta non si tratta di divertirsi ma di sistemare il guaio che ho combinato che non ti ho messa di mezzo, Una»
A quello la donna non rispose.
«Ma andrà tutto bene, vero?» si azzardò a domandare Amy dopo un istante tormentandosi le mani.
«Immagino che a questo punto non possiamo fare altro che aspettare. Ci siamo intromessi fin troppo. solo col
tempo potremo vedere» le rispose Des.
T sorrise. Una invece esibì un'espressione colpevole tirando fuori una vecchia chiave dalla tasca della giacca che aveva indosso: «Quindi suppongo che non possa andare a restituire questa...»
 
Des arrivò a tanto così dal buttarsi dalla finestra.

 
 
 
♫♪♫
 
 
 
«Dannazione, dove cavolo è finita?»
Il suo appartamento era quasi irriconoscibile dopo che Christine l'aveva rivoltato da cima a fondo, ma della chiave per l'ingresso di Rue Scribe non c'era neanche l'ombra. Non poteva averla persa! Eppure aveva guardato in tutti i posti dove sarebbe potuta finire, anche per sbaglio, dopo che non l'aveva trovata nel primo cassetto del comodino dove la metteva di solito.
Ributtò sul divano uno dei tre grandi cuscini che ne componevano la seduta lasciando andare un grido di frustrazione. Imprecando tra i denti recuperò la borsa e le chiavi dell'auto decisa a raggiungere il teatro il prima possibile.
Il fatto che Erik non avesse risposto alle chiamate e ai messaggi che aveva mandato mentre cercava quella maledetta chiave non aveva fatto altro che accrescere quella sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Nonostante le circostanze era sicura che l'uomo le avrebbe risposto, anche solo per urlarle contro.
 
A mali estremi...
 
Aprì la porta con foga e quasi andò a sbattere contro André.
«Christine! Volevo parlarti...»
«Non adesso Andrè, scusa ma sono di fretta»
«Ti rubo solo un minuto, promesso ma-»
«Non adesso! Erik non risponde e non è da lui, devo andare all'Opéra. Tanto è sempre li che gira a quest'ora, no?» domandò retoricamente senza rivolgersi davvero al ballerino.
«Di solito sì, ma è da una settimana che non lo si vede...» rispose lui ugualmente, e a quel punto Christine si bloccò.
«Cosa?» si girò verso di lui scuotendolo per un braccio. «Cosa vorrebbe dire?»
«Esattamente quello che ho detto. E siccome anche il direttore sta cominciando a preoccuparsi ha mandato me a chiedere a te se sai qualcosa. Apparentemente monsieur Destler non ha avvisato nessuno che sarebbe stato via o qualsiasi cosa stia facendo in questo momento» non aveva neanche finito la frase che Christine già lo stava trascinando via.
 
 
Alla fine André aveva insistito per guidare lui, tanto era venuto con la sua macchina, e parcheggiò a tempo da record mentre Christine scendeva dalla vettura che il motore era ancora acceso.
«Christine per la miseria, aspetta!»
La ragazza entrò quasi correndo senza curarsi minimamente dei turisti che la guardarono curiosi dirigendosi sicura verso l'ala dei vecchi Camerini.
«Dove stai andando? L'ufficio del direttore artistico è dalla parte opposta!» le fece notare Andrè venendo prontamente ignorato.
Arrivata al Camerino non riuscì però a lasciarlo fuori, e il ragazzo la trattenne costringendola a fermarsi.
«Adesso ti fermi un attimo e mi spieghi cosa sta succedendo. E perché siamo qui?»
Christine lo guardò rendendosi conto che probabilmente non l’avrebbe lasciata andare finché non avesse risposto. Senza contare che per come stavano andando le cose di sicuro era arrivato il momento che anche André venisse a conoscenza della botola.
Cercò quindi di calmarsi – non poteva dare di matto sapendo che in pochi istanti avrebbe sicuramente dovuto gestire il ragazzo – e prese un profondo respiro.
«Perché mi hai fatto vedere quelle foto, quelle vecchie che abbiamo trovato in soffitta?» gli domandò alla fine.
«Questo cosa c'entra adesso?» ribatté lui.
«Tu rispondi»
André apri la bocca ma non ne uscì un suono. Cosa avrebbe potuto dire? Che pur di farla lasciare con Monsieur Destler aveva cercato di convincerla che l’uomo fosse il "fantasma" che aveva causato la quasi distruzione del teatro più di un secolo prima? L'avrebbe preso per pazzo se già non lo pensava.
«Rispondo io per te: volevi convincermi che Erik fosse in qualche modo il famigerato Fantasma dell'Opera per spaventarmi e far sì che lo lasciassi, giusto?»
«Christine, questa cosa non ha senso»
«Giusto?» lo incalzò lei alzando appena la voce.
«Sì, ok, quella era l'idea, ma sai bene quanto me che è ma cosa impossibile...» rispose lui nello stesso momento in cui la ragazza diceva: «Mi dispiace dirti che però sei arrivato tardi: lo sapevo già»
 
Ad André ci vollero un paio di secondi per realizzare quello che Christine aveva appena detto.
«Cosa vuol dire che lo sapevi già?» esclamò, in viso un’espressione a metà tra lo scettico e il confuso.
«Non so neanche io come sia successo. Non gliel'ho mai chiesto in realtà, ma è così; lui è quel Fantasma dell'Opera, l'uomo nelle foto e dei ritratti che mi hai mostrato. E la festa di capodanno non era la prima volta che lo incontravo... quella è stata quando sono sparita quei quattro giorni quando avevo tredici anni. Ti ricorderai, no?»
«Christine stai delirando. Ti rendi conto di quello che stai dicendo... e quella a cosa dovrebbe servire adesso?»
Andrè la guardò sempre più preoccupato mentre lei nel frattempo aveva chiuso la porta del camerino e tirato fuori l'attrezzatura d'arrampicata dall'armadio dando a lui l'imbragatura.
«Mi aveva dato una chiave per raggiungere il lago dall’esterno, ma non riesco a trovarla. Questo è l'unico altro modo che conosco per andare giù» spiegò assicurando la corda all'armadio.
«Lago? Christine, secondo me ti sei fatta suggestionare un po’ troppo dal diario di tua nonna»
«No! Senti: c'è qualcosa che non va e devo andare a controllare. Ti ho portato con me perché immaginavo che non mi avresti lasciata andare da sola, ma se devi metterti a contestare ogni cosa che dico allora sei invitato ad andartene. Quando sono ricomparsa, quindici anni fa, mi hanno trovata in questo camerino, ricordi? C'era un motivo, perché è da qui che sono caduta...» e a quel punto si spostò davanti al quadro della ballerina eseguendo la sequenza di salti prima che l’altro avesse tempo di protestare ancora.
 
La botola si aprì e André lasciò cadere l'imbragatura spalancando la bocca e sbattendo più volte le palpebre.
«Come...?»
«Ero piena di lividi perché il pozzo era pieno di corde... Ma le ho tolte praticamente tutte cadendo quella volta, adesso non è più così complicato scendere»
«Corde» ripeté André. Sembrava sotto shock.
«Sì, corde. È stato Erik a liberarmi. Giusto in tempo prima che soffocassi. Adesso metti quell'imbragatura Andrè, abbiamo già perso abbastanza tempo»
Si ritrovarono così a scendere alla luce delle torce dei telefoni con Christine saldamente aggrappata alla schiena del ballerino che per fortuna alla fine sembrava essersi ripreso.
 
 
«Cosa diavolo è successo qui?»
Passato l'iniziale momento di sorpresa in cui André aveva dovuto ammettere che era tutto vero, c'era sul serio una dimora sul lago sotto il teatro, aveva giustamente notato lo stato di devastazione in cui versava il posto.
Christine si sentiva sull'orlo delle lacrime.
Erik le aveva spiegato che la distruzione in cui versava il rifugio la prima volta che ci era stata era principalmente dovuta alla folla inferocita che aveva cercato di stanarlo dopo la terribile notte del Don Giovanni, ma la ragazza sapeva bene che questa volta la folla non c'entrava niente.
Poteva immaginare benissimo Erik che rovesciava i candelabri e mandava a gambe all’aria la scrivania e tutto quello che gli capitava sotto mano in un impeto di rabbia – o disperazione? – dopo che lei lo aveva lasciato.
Era colpa sua.
«Pensi davvero che sia rimasto qui?» la domanda di André la riscosse.
Annuì in risposta tirando su col naso e cercando di ricacciare indietro le lacrime: «Sono passata all'altro appartamento e il portiere mi ha detto che è da quasi un mese che non lo vede. Non che ci andasse spesso, ha sempre preferito stare qui sotto, è stata casa sua per così tanto tempo...» si guardò intorno constatando che anche quella volta gli specchi erano andati distrutti. Forse anche all'epoca quelli non erano stati infranti dalle persone.
«Spero solo che non sia andato ad infilarsi in una delle sue gallerie. Se gli è davvero successo qualcosa rischieremo di non trovarlo più sul serio...» mormorò più a se stessa.
«Vieni: le camere, lo studio e la sala da pranzo sono da questa parte. E attento a dove metti i piedi» richiamò Andrè cominciando ad incamminarsi verso il corridoio principale che sbucava nell’angolo più lontano sulla destra.
Si affacciò brevemente nella sua camera da letto pur sapendo che Erik non avrebbe avuto nessun motivo di trovarsi là dentro, constatando per lo meno che la stanza era intatta. Evidentemente l'impeto distruttivo del Fantasma non si era esteso oltre l'ambiente principale.
La fortuna doveva essere dalla loro parte perché non dovettero cercare oltre la camera da letto personale dell'uomo.
Erik era lì, sul letto, sdraiato ancora completamente vestito sopra il copriletto, la maschera bianca al suo posto a coprirgli metà del viso.
Stava dormendo.
Christine si rese conto in fretta che però c'era qualcosa che non andava quando l'uomo non aprì gli occhi dopo che lei aveva esclamato il suo nome e le luci erano state accese.
 
«Erik? Erik, mi senti?» l’aveva raggiunto salendo sul letto al suo fianco.
Tremava impercettibilmente, la fonte scottava e il respiro era affannoso.
«Vai a cercare dell'acqua» ordinò ad André che saggiamente obbedì senza contestare.
Intanto Christine gli tolse la maschera dal viso, quasi fosse tutta colpa di quel maledetto oggetto, continuando a chiamarlo.
«Erik, ti prego...»
All'ennesimo richiamo gli occhi dell'uomo si mossero finalmente sotto le palpebre che si aprirono leggermente.
Christine sospirò dal sollievo abbracciandolo di getto incastrando la testa tra la sua spalla e il collo mentre inspirava per riprendere fiato e sforzarsi di non scoppiare a piangere. Almeno era tornato cosciente.
Si ritirò su notando che Erik stava muovendo le labbra come se stesse cercando di dire qualcosa... poteva immaginare cosa.
Non sapeva da quarto tempo era in quelle condizioni, ma con le luci accese a quel modo, la febbre alta e lo sguardo allucinato che le stava rivolgendo non ci voleva molta fantasia per intuire chi stesse vedendo in quel momento. Ma non le importava, l'unica cosa che contava davvero era che...
Si irrigidì all'istante al suono del nome che Erik era alla fine riuscito a pronunciare.
Non era Christine, era...
«Rose... la mia Rose...» pronunciò in un soffio riuscendo addirittura ad accennare un sorriso. A quel punto la ragazza non riuscì più a trattenere le lacrime che cominciarono a scendere copiose sulle sue guance.
«Rose...» l'aveva intanto chiamata di nuovo alzando una mano fino a sfiorarle il viso. «Sei davvero qui...»
La ragazza prese quella mano facendo sì di appoggiare il viso sul suo palmo «Sì, sono qui» rispose in un singhiozzo. «Certo che sono qui. Mi hai fatto prendere un colpo. Per un attimo ho pesato...» non concluse la frase, scossa dai singulti.
 
«... ho trovato dell'acqua!» in quella André ricomparve nella stanza brandendo una bottiglietta trovata miracolosamente vicino all'organo. «Ah, si è svegliato» fu il suo unico commento mentre apriva la bottiglia passandola poi a Christine. La ragazza la rifiutò però preoccupata nel vedere che Erik aveva di nuovo chiuso gli occhi.
«No... No! Erik!» lo richiamò scuotendolo.
L'uomo scosse la testa strizzando gli occhi proprio a voler evitare di aprirli di nuovo, e Christine si accorse che aveva cominciato a piangere anche lui.
«Erik per favore, apri gli occhi. sono io, Rose!» lo implorò ignorando l'occhiata di André quando usò il suo secondo nome.
André... era successo tutto quando il ballerino era tornato nella camera!
Senti Erik sussurrare un De Chagny, e in qualche modo sapeva che non si stava riferendo a lei. Che avesse...
«Erik, ti stai sbagliando. Per quanto forse non migliori la situazione questo è André, non Raul!» provò a richiamarlo.
Sembrò funzionare visto che l'uomo riapri gli occhi di scatto cercando poi di mettersi a sedere per potersi guardare meglio attorno.
«Aspetta... André dammi una mano» si fece aiutare a tirare su Erik sistemandogli i cuscini dietro la schiena per aiutarlo a sorreggersi.
«Visto? Sei ancora qui con noi... con me» ribadì dopo che Erik ebbe minuziosamente esaminato la stanza e loro due con gli occhi, sempre in religioso silenzio.
Solo quando lo reputò sicuro la ragazza gli avvicinò finalmente la bottiglietta alle labbra. L'acqua finì in pochi sorsi e seppure non disse nulla era evidente che l'uomo ne voleva ancora.
«Ce la fai ad alzarti? Solo per arrivare fuori e poi chiamiamo una ambulanza... hai bisogno di essere visto da un medico» domandò piano Christine, ma Erik scosse la testa.
«No»
«Ti diamo una mano noi» insistette lei, ringraziando il cielo per la presenza di André: da sola di certo non ce l'avrebbe mai fatta.
«No» ripeté però l'altro. «Niente medici» specificò brevemente.
«Erik, non fare l'ostinato adesso, ti prego. Hai bisogno di...»
«Tempo. sapevo che sarebbe successo, ero stato avvertito. Passerà devo solo aspettare» si vedeva quanto pronunciare tutta quella frase gli fosse costato, aveva di nuovo il respiro affannato.
Christine sospirò sconsolata: non sarebbero riusciti a smuoverlo neanche in due nonostante le sue condizioni se lui non avesse voluto.
«Hai altra acqua qui?» domandò alla fine. Aveva decisamente bisogno di bere ancora, e magari anche mangiare qualcosa.
«La piccola dispensa dopo la sala da pranzo... è piena» rispose genericamente lui richiudendo gli occhi.
«Andrè ti dispiace...? È sempre lungo questo corridoio...» domandò Christine a bassa voce supplicandolo con lo sguardo.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo rassegnato, ma fece un cenno di assenso e li lasciò soli.
Christine sospirò di nuovo chiudendo a sua volta gli occhi dopo essersi appoggiata con la schiena alla testiera del letto: sarebbe stata una lunga serata.

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Capitolo 18
*** 17. ...that's all I ask of you ***


17
...that’s all I ask of you
 
 
 
Per quanto André avesse provato ad insistere alla fine Christine l'aveva avuta vinta ed era riuscita a convincerlo ad andarsene.
Dopo aver abbondantemente bevuto e consumato una zuppa in lattina che il ballerino aveva trovato in dispensa – di sicuro la cosa più veloce da preparare e l'unica che Erik sarebbe riuscito a mandare giù in quel momento – Erik tornò a stendersi sul letto riaddormentandosi quasi all'istante.
Christine non seppe per quanto rimase a guardarlo dormire, se non altro adesso il suo sonno sembrava tranquillo, e solo quando anche i suoi occhi cominciarono a dare segno di volersi chiudere da soli si permise di stendersi al suo fianco e concedersi un po’ di riposo.
Al contrario di lui scivolò però in un sonno inquieto: nella sua testa continuava a rivivere il momento in cui aveva ritrovato l'uomo in quelle condizioni, la consapevolezza che fosse tutta colpa sua...
 
Qualcosa l'aveva svegliata.
Un movimento, uno scricchiolio...
«Non ti permettere! Non pensarci nemmeno ad andartene così lasciandomi qui senza neanche una spiegazione, soprattutto dopo come ti ho trovato» Christine fu veloce a tirarsi su dal letto facendo appena in tempo a richiamare Erik che stava giusto per uscire dalla porta.
«E poi sei ancora debole, si può sapere dove pensavi di andare?» concluse addolcendo appena il tono ma senza smettere di guardarlo con un cipiglio severo.
«Ho recuperato perfettamente le forze» la contraddisse a quel punto Erik, che in effetti sembrava stare in piedi senza fatica, girandosi a fronteggiarla. «Non ti saresti dovuta disturbare, e in ogni caso adesso che è passato puoi anche andartene» continuò impassibile. Si era anche rimesso la maschera che aveva preso dal comodino dove Christine l'aveva appoggiata ore prima rendendo ancora più difficile leggere le sue espressioni.
Alla sua ultima affermazione Christine lo guardò sbalordita: «Posso andarmene?» ripetè incredula. «Stai scherzando vero? Mi hai fatto prendere un colpo... pensavo stessi morendo! Quando André mi ha detto che eri sparito mi sono precipitata qui e ti ho trovato in quello stato...»
«Non mi sembra di averti chiesto di venire»
Quella frase, pronunciata così freddamente, la fece ammutolire. Aprì e chiuse la bocca più volte ma le parole sembravano non voler uscire.
«Perché dici una cosa del genere?» riuscì a formulare alla fine.
«Perché è la verità. Mi hai lasciato, senza neanche esitare un attimo quando ti ho detto quello che provavo per te. Sei corsa via. Forse dovrei essere io a chiedere perché, non trovi?» rispose lui.
«Non era il momento giusto! E neanche il modo. Non ero pronta a sentirmi dire una cosa del genere, non in quelle circostanze, non quando avevo così tanti dubbi. Ma adesso...»
«Fammi indovinare? Adesso non li hai più?»
«No!»
«Molto conveniente, non trovi? E se fossi io o in volerti più?»
Quella domanda la fece boccheggiare. Scosse la testa serrando gli occhi: tutta quella conversazione doveva essere frutto della sua immaginazione, in realtà lei era ancora addormentata e quello era solo un incubo.
Riaprì lentamente gli occhi rimettendo a fuoco la stanza ed Erik ancora davanti a lei.
«Stanno davvero cosi le cose? Nonostante tutto, non mi vuoi più?» domandò ricevendo solo silenzio in risposta.
«Oh» retrocedette fino al letto sedendosi sul bordo reprimendo un singhiozzo. Un fruscio e il leggero tonfo della porta la informarono che Erik aveva lasciato la stanza.
 
 
 
Erik osservò contrariato la distruzione generale che regnava nella sua dimora. Rimise in piedi la scrivania – miracolosamente intatta – poggiandovi sonora i disegni che si erano salvati dalla sua rabbia e cestinando quelli troppo rovinati per poter essere recuperati.
Cominciò poi a dedicarsi a raccogliere i vetri degli specchi che aveva mandato in frantumi, li avrebbe dovuti ricomprare tutti visto che non se n'era salvato neanche uno.
E intanto pensava.
Quando aveva alluso al fatto che forse poteva essere lui a non essere più interessato a Christine – una grandissima bugia, ovviamente – non aveva potuto fare a meno di osservare l'espressione di dolore e sconforto che aveva assunto il suo volto.
Ma cosa gli diceva che non fosse solo per il momento? Come poteva essere sicuro che quella volta Christine sarebbe rimasta per davvero e non avesse magari potuto cambiare idea di nuovo in futuro?
Un verso arrabbiato lasciò le sue labbra. Davvero sarebbe stato capace di lasciarla andare? Perché aveva il chiaro presentimento che se si fossero lasciati così, se Christine avesse camminato fuori dal rifugio dopo le parole che si erano scambiati, non sarebbe più tornata indietro.
E a quel punto non avrebbe proprio potuto fare altro che biasimare se stesso.
 
Qualcuno si schiarì la voce alle sue spalle riportandolo al presente.
Si voltò per scoprire che Christine aveva lasciato la camera da letto, vestita di tutto punto con la borsa in spalla, e lo aveva raggiunto porgendogli qualcosa.
In realtà la ragazza stessa era rimasta più che sorpresa quando, frugando nella borsa per cercare dei fazzoletti, aveva invece trovato la famosa chiave per l'ingresso di Rue Scribe. Era sicura di non averla mai messa li dentro, ma tant'è.
Allungò il braccio nella distanza che li separava tendendogli la chiave in silenzio.
Erik la guardò di rimando, una muta domanda negli occhi.
«È la chiave che mi hai dato: non mi servirà più quindi non ha senso che continui a tenerla» spiegò brevemente muovendo la mano come a volerlo incitare a prenderla.
«Che... che cosa stai dicendo?»
Christine sbuffò cominciando a spazientirsi: «Non mi vuoi più, va bene. Allora capirai anche che non è mia abitudine imporre la mia presenza a coloro che non la gradiscono. Motivo per cui di questa chiave non saprei più che farmene» appoggiò bruscamente l'oggetto sul ripiano più vicino e girò sui tacchi decisa ad andarsene il più velocemente possibile.
Erik decise che non glielo avrebbe lasciato fare.
«No» disse infatti, e per fortuna quell'unica parola fu abbastanza per far bloccare la ragazza e farla tornare sui suoi passi.
«No? Ti prego di parlare chiaro. So che io per prima non mi sono comportata correttamente con te chiedendoti del tempo, ma spero vorrai concedermi che la tua storia non era cosa da poco da accettare, senza contare la mia somiglianza con lei, di cui ti sei ben premurato di non farmi sapere nulla. E adesso che sono tornata per restare sei tu a dirmi che non mi vuoi più? Quindi no cosa, Erik?»
«Non voglio che tu te ne vada» replicò lui, quasi retrocedendo suo malgrado davanti all'impeto della ragazza.
«Quindi hai cambiato idea... e posso sapere a cos'è dovuto questo cambiamento in così poco tempo?»
«Io...»
«Perché io non sono quella Christine, non potrei mai esserlo e neanche ne ho l'intenzione. Quindi se è solo perché...»
«Io non voglio Christine» affermò lui fermandola e ricevendo in risposta uno sguardo interrogativo che lo esortava a spiegarsi.
«Io voglio Rose» proseguì dopo una breve pausa. «E sì, forse ci ho impiegato un po' di tempo a rendermene conto, ma alla fine ho capito. E questo che conta no? Voglio... Vorrei quella ragazzina che quando ha visto sotto la maschera ha detto che le dispiaceva. Quella ragazza che quando mi ha rivisto dopo anni la prima cosa che ha fatto è stata abbracciarmi. Colei che...» la sua voce si ruppe e dovette fare più di qualche respiro profondo per mantenere un minimo di contegno. Sbirciò Christine con la coda dell' occhio notando che aveva gli occhi lucidi.
«Colei che mi ha sempre visto come una persona e mai come un mos-»
«Pensavo di aver detto di non volerti sentir pronunciare quella parola rivolta a te stesso» lo interruppe lei severamente, ma i suoi occhi sembravano già non essere più così tristi.
«Non sei più mostro tu delle persone che ti hanno portato a ritenerti tale» concluse.
 
«Perché mi hai detto quelle cose, prima? Voglio credere che non le pensavi ma... perché? Ha fatto male...» riprese Christine dopo qualche istante in cui nessuno aveva detto nulla.
Erik sospirò: «Capisco che i tempi sono cambiati, l'ho visto io stesso, ma per me è ancora difficile... Come posso costringerti a restare con me sapendo che meriteresti di meglio... sei tornata da me per restare dici, e ti credo, ma cosa ti impedirà di renderti conto prima o poi che tutto questo non è stato altro che uno sbaglio?»
Christine poteva sentire nella sua voce che Erik credeva veramente a quello che aveva appena detto; poteva vederlo nei suoi occhi quanta fosse la paura che lei potesse lasciarlo e la ragazza sapeva di non avere torto nell’ipotizzare che se una cosa del genere fosse successa Erik non avrebbe più mosso un dito per cercare di riprendersela. Lo vedeva nella sua espressione tormentata che ci credeva sul serio che lui non fosse abbastanza, che lei meritasse di meglio. Che lui non meritasse lei.
Forse però c’era un modo per fargli capire che le cose non stavano così, per fargli entrare in quella testa tanto geniale – tranne che in quel campo evidentemente – che tutto si trattava tranne che di uno sbaglio. E visto che c’erano già stati abbastanza malintesi, questa volta si sarebbe assicurata di non lasciare alcuno spazio a fraintendimenti o cose non dette.
 
«Chiedimelo di nuovo» esordì quindi Christine ansiosa di veder andar via quell’ombra di sconforto che ancora oscurava i lineamenti di Erik. Quest’ultimo le restituì un’occhiata confusa a cui lei rispose con un sorriso.
«L’ultima volta, prima che me ne andassi così vigliaccamente, mi avevi diciamo chiesto una cosa» alluse lei.
 
Amami, nient’altro chiedo più
Le parole aleggiarono non dette tra i due.
 
Erik spalancò gli occhi: nella disperazione del momento, con Christine che gli aveva già voltato le spalle, pensava di averle di averle solo pensate. A quanto pareva invece non solo le aveva pronunciate, ma la ragazza le aveva anche sentite.
Mentre la comprensione si dipingeva sul volto dell’uomo, Christine si sarebbe aspettata tutto tranne di sentirlo iniziare a cantare.
E lo stava facendo con una voce così soave, ma allo stesso tempo piegata in un tono così supplichevole e pieno di quello che, non c’erano dubbi, non avrebbe potuto che chiamare amore, che si ritrovò a piangere per la gioia senza quasi rendersene conto.
Replicare con le stesse parole alla fine fu la cosa più giusta e naturale di sempre.
 
Perché lo amava, e si sarebbe premurata di ripeterglielo ogni giorno finchè anche lui non si fosse convinto che fosse vero, e anche a quel punto avrebbe continuato.
 
Perché lo amava e avrebbe trascorso con lui ogni giorno, ogni notte, ogni mattina.
 
Perché lui la amava, e davvero non chiedeva altro.
 
 
 




 
Say you’ll share with me one love, one lifetime
Lead me, save me from my solitude
Say you want me with you here, beside you
Anywhere you go let me go to
That’s all I ask of you
 
Say you’ll share with me one love, one lifetime
Say the word and I will follow you
Share each day with me, each night, each morning
Love me, that’s all I ask of you
 
 
 
 
 
 
 
 





Buon salve a tutti!
Ho riaperto il mio profilo EFP dopo non so quanto tempo e ammetto di essermi vergognata quando ho visto la data dell’ultimo aggiornamento di questa storia...
Non mi dilungherò in spiegazioni o scuse, se non per dire che pensavo che la mia ispirazione fosse andata non in vacanza, ma definitivamente in pensione. Non avete idea di quante volte ho riscritto questo capitolo e ancora forse non ne sono del tutto soddisfatta. In ogni caso ho deciso che era arrivato il momento di finirla, in tutti i sensi, quindi: comunico ufficialmente che il prossimo capitolo sarà l’epilogo (che è già pronto) e che verrà caricato probabilmente o lunedì o martedì – in caso contrario Erik è autorizzato a venirmi a cercare...
Ringrazio chi per caso stesse ancora seguendo questa storia e magari addirittura aspettando la fine
E.

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Capitolo 19
*** Epilogue - love lives on ***


Épilogue
love lives on
 
 
 
Quella giornata di inizio autunno era piacevolmente soleggiata e tiepida. La bambina corse lungo il marciapiede precedendo i genitori che erano scesi dall'auto subito dopo di lei.
«Grace aspetta che attraversiamo tutti insieme» la richiamò la madre facendola correre indietro ad aggrapparsi alla mano che il padre le aveva porto nel frattempo. Attraversarono la strada dirigendosi poi verso l'ingresso dell'Opéra Garnier.
Una volta al sicuro all'interno la bambina si liberò dalla presa dei genitori anticipandoli di nuovo saltellando appena facendo ondeggiare i riccioli scuri sulle spalle. Non era la prima volta che metteva piede in quel posto, sapeva benissimo dove andare. I due genitori non si preoccuparono più di tanto lasciandola andare avanti pur continuando a seguirla.
«Monsieur Destler, Madame, buon pomeriggio» li salutò uno degli addetti alla sicurezza mentre lasciavano la zona del foyer aperta ai turisti per immettersi in quella che portava alla sala prove dove si tenevano le lezioni di danza. Entrambi ricambiarono il saluto accompagnandolo con un sorriso e un cenno del capo. D'altra parte era impossibile che passassero per il teatro senza che nessuno li riconoscesse.
Christine De Chagny, ora Destler, lavorava ancora come fisioterapista per la compagnia di ballo ed Erik era ormai il direttore artistico del teatro da diversi anni - senza contare che occasionalmente si esibiva lui stesso con opere composte da lui o prestando la sua voce per le rappresentazioni che più lo ispiravano.
 
 
 
In quegli undici anni le cose erano sicuramente cambiate.
Tanto per cominciare Erik si era alla fine sottoposto agli interventi necessari affinché non dovesse più indossare la mezza maschera. Così facendo la cerimonia era stata rimandata, ma quando Christine aveva risposto alla sua domanda non aveva voluto sentire ragioni: non si sarebbe mai permesso di rovinare le foto del matrimonio.
Certo, non era stata una passeggiata: con il suo carattere aveva fatto scappare più di qualche infermiera e i medici avevano trovato pane per i loro denti in tema di risposte sagaci, ma alla fine aveva cercato di controllarsi davvero il più possibile. Tenendo in mente che in partenza era stato il padre di Christine a rendere il tutto possibile si era persino scusato – o forse era stato solo perché dopo il secondo intervento il chirurgo plastico aveva minacciato di ritirarsi perché i suoi nervi stavano per saltare...
Sperava di essersi fatto perdonare per tutto quando, una volta che il suo viso era completamente guarito, aveva invitato tutti ad una serata all'Opéra – la prima volta che si era fatto vedere in pubblico senza maschera – per un suo concerto solista al pianoforte dedicato a Christine che aveva lasciato tutti senza fiato e che aveva dato inizio alla sua aggiunta carriera da artista.
 
E poi Christine era rimasta incinta: il suo lato protettivo - possessivo aveva raggiunto nuovi picchi ma allo stesso tempo nessuno l’aveva mai visto comportarsi in modo cosi innamorato.
Quando Louis, il loro primogenito, era alla fine nato c'era stata la vera e propria trasformazione; per non parlare poi di quando era nata Grace quattro anni dopo. Con i figli pareva un uomo completamente diverso: certo, sempre inflessibile per quanto riguardava il rispetto delle regole, ma non perdeva mai occasione per viziarli.
Aveva appoggiato fin da subito il desiderio di Louis di fare danza classica, ancora così piccolo ma così motivato gli aveva ricordato qualcuno... e quando Grace gli aveva chiesto di suo volontà se poteva insegnarle a suonare il pianoforte era quasi scoppiato a piangere.
Christine e quei due bambini erano i suoi miracoli, il segno che alla fine la felicità era possibile anche per lui, che forse dopotutto il destino non ce l'aveva con lui come più volte gli era stato ripetuto in passato.
 
 
 
«Stanno ancora provando... posso restare a guardare?» la voce di Grace li richiamò entrambi.
Effettivamente dalle porte semiaperte della sala prove usciva ancora la musica del pianoforte unita ai richiami dell'insegnante di danza; sporgendosi appena si poteva riuscire a vedere i bambini che si apprestavano ad eseguire gli ultimi esercizi della lezione.
«Va bene, ma mi raccomando di non disturbare» si raccomandò Christine mentre Grace sorrideva contenta sgusciando dentro lo stanzone per sedersi nel suo solito angolino e seguire rapita i movimenti dei ragazzini e di suo fratello in particolare.
La donna diede un'occhiata all'orologio: «Mi sa che ne avranno per più di un paio di minuti. Siamo arrivati davvero in anticipo oggi» commentò rivolta al marito.
Lui si limitò a sorriderle furbo offrendole il braccio, che lei accettò. Le bastarono un paio di svolte lungo il corridoio per capire dove la stava portando.
 
Da quando c'erano i bambini il rifugio sul lago era diventato – con rimpianto di entrambi – disabitato.
Erik si era premurato di sigillare tutti gli ingressi in modo che nessuno avrebbe potuto accedervi neanche per sbaglio, ma non era un segreto che tutti e due fossero dispiaciuti per l'abbandono del posto.
Christine era rimasta molto più che sorpresa quando Erik le aveva comunicato che stava seriamente pensando di rivelare l'esistenza del lago sotterraneo al pubblico. Avrebbero potuto dire che il posto era stato rinvenuto durante le ultime ristrutturazioni dei livelli più inferiori del teatro e delle fondamenta, ed essere quantomeno sfruttato come attrazione turistica. Non che gli andasse così a genio che persone a caso potessero profanare il suo tempio della musica – di sicuro per l'accesso ci sarebbe stato un rigido regolamento scritto personalmente da lui – ma era comunque meglio che lasciare il luogo in balia dello sfacelo del tempo.
Oltre all'ingresso in Rue Scribe e quello attraverso il salto dell’impiccato, Erik aveva mostrato a Christine un'altra delle gallerie d'accesso per raggiungere il lago. Partiva sempre da uno dei vecchi camerini, solo che invece che da una botola si entrava attraversando uno specchio...
 
Incrociarono un'altra coppia lungo il corridoio, si stavano tenendo a braccetto: lui sembrava più giovane di Erik di qualche anno, aveva capelli castani e particolari occhi dorati; lei invece era ancora una giovane donna, sicuramente sotto i trenta, con i capelli biondi, gli occhi azzurri e le labbra a cuore.
Li superarono salvo poi fermarsi di colpo.
Ritornarono sui loro passi, Erik che chiamava uno sbalordito «Des?» mentre Christine pronunciava un «Amy?» quasi sottovoce.
Al che i due si fermarono a loro volta a fronteggiarli sorridendo apertamente alla coppia che li stava guardando incredula.
Erik non aveva più rivisto Des da quella volta che l’altro l'aveva avvertito dell'arrivo del suo malessere, e Christine non aveva incontrato Amy se non in quell'unica occasione al parco. Erano passati anni ma entrambi non erano cambiati di una virgola.
Marito e moglie si guardarono confusi a vicenda nel constatare che entrambi sembravano conoscere quelle persone, ma Amy fu più svelta di loro prendendo la parola per prima: «Sono così felice per voi! Te l'avevo detto che le cose sarebbero andate per il meglio!» esclamò abbracciando Christine di slancio. Des si limitò a scambiare una cauta stretta di mano con un altrettanto guardingo Erik redarguendo poi la sorella con lo sguardo.
«Tutto si è concluso come era destino che fosse» disse semplicemente. «E so che forse non ti piacerà, ma credo che ti troverai d'accordo con me sul fatto che è arrivato il momento di lasciarsi completamente alle spalle il Fantasma dell'Opera e le sue vicende. Adesso hai una famiglia a cui pensare dopotutto» così detto Des ed Amy fecero per allontanarsi, di nuovo a braccetto, ma Christine li segui di qualche passo.
«Ma Amy... Aspetta! com'è possibile? Tu...»
La ragazza sorrise facendole l'occhiolino: «Te l'ho detto quella volta Christine, ricordi? L'Amore non muore mai, e neanche invecchia se proprio vogliamo dirla tutta...»
«Auguro ad entrambi il meglio che il Destino avrà in serbo per voi» si congedò Des. «E... Erik? Non ce l'ho mai avuta con te, voglio che tu lo sappia».
Prima che potessero davvero rendersene conto erano già spariti così come erano apparsi.
 
E alla fine non ci fu nessun rifugio sul lago aperto al pubblico, nessuna galleria o segreto passaggio rivelato al mondo.
E forse la leggenda del Fantasma dell'Opera sarebbe rimasta nient'altro che una storia narrata da una ragazza spaventata nelle pagine del suo diario vecchio di un secolo, ma la Musica della Notte avrebbe continuato a risuonare tra le mura dell'Opéra Garnier di Parigi per lungo tempo ancora.
 
 
 
 
 








RINGRAZIAMENTI SPECIALI
A storia conclusa posso finalmente ringraziare coloro che l'hanno resa possibile, in particolar modo colui grazie al quale ha avuto inizio, più o meno centocinquanta anni fa, per le strade di Parigi, perché si annoiava.
Dedico quindi una menzione speciale a Destino, Amore, Tempo, Fortuna e Morte.
(Des, fammi un fischio la prossima volta che ti annoi, narrare le tue gesta è sempre un piacere)













Come promesso eccomi puntuale con l'aggiornamento, probabilmente per la prima volta da quando ho iniziato a caricare i capitoli di questa storia... Dopo due anni finalmente siamo riusciti a vederne la fine.
Come avevo detto nel capitolo precedente l'epilogo era già pronto da un pezzo, motivo per cui le modifiche che ho apportato rileggendolo prima di pubblicarlo sono state minime e per lo più riguardanti orrori ortografici: il finale è rimasto com'era la prima volta che l'avevo scritto (e per una volta potrei dire di non essere troppo dispiaciuta da come è venuto).
Nonostante so che probabilmente questi ultimi capitoli non saranno considerati praticamente da nessuno, dopo i "ringraziamenti speciali" mi sembra doveroso ringraziare le persone che all'inizio seguivano questa storia, e in particolare 
ondallegra che agli inizi mi spronava ad andare avanti con le sue recensioni.
Di solito quando termino una fic mi piace concludere dicendo "alla prossima storia", ma sarò sincera: non scrivo qualcosa da più di un anno ormai, mi sembrava corretto finire di pubblicare questa storia giusto perchè i due capitoli rimasti erano pronti, ma onestamente non credo ci saranno altri lavori da parte mia in un futuro più o meno immediato.
Di nuovo grazie a tutti per il supporto, mi scuso ancora per i tempi indecenti che vi ho fatto aspettare per il finale...

E.

 

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