Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato

di musa07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il tea è una questione seria ***
Capitolo 3: *** Bisogna anche ben godersi il paesaggio durante il cammino ***
Capitolo 4: *** Di imprevisti non richiesti ***
Capitolo 5: *** Meglio non sentire un dolore troppo grande ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


E alla fine son ben riuscita a partorire una mini-long.
Dico “mini” ma poi, conoscendomi, chissà quante e quali
diavolerie la mia mente partorirà.
Così come dico che i capitoli saranno brevi
ma vedi su.
L’idea c’è già tutta nella mia testa
(a posto siamo allora!)
però veramente bisogna poi vedere cosa decidono i personaggi.

Avevo bisogno di fluff quindi, stranamente guarda,
mi è venuta fuori una BokuAka.
Così come molto stranamente
sarà presente Kuroo a far da contorno.
Non capisco proprio come mai questo gattaccio *ç*
appaia sempre nelle mie ff in qualche modo...
Sopratutto quelle R72

(Queste note introduttive stanno diventando
più lunghe del prologo ma dettagli)

 

 

Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato


 

Prologo

 

Come si fosse fatto convincere, o meglio: fregare in quel modo barbino da sua sorella maggiore, era e restava un mistero della fede per Koutarou.
Comunque, indipendetemente dal fatto che si fosse fatto fregare o meno, ormai aveva dato la sua parola d’onore, con tanto di pugno solenne sul cuore e croce sul petto a riprova del suo impegno.

- Mi basta un’ora, Kou, massimo una e mezza così riesco ad avere il tempo di allattare Mia. Haruki (la sua socia) si è ammalata però per fortuna tu sei a casa in questi giorni. Ti prego ti prego ti prego! – lo aveva scongiurato lei a mani giunte.

Come avrebbe potuto dire di no a sua sorella? E, indirettamente, alla sua prima nipotina?
Il problema era che quell’oretta al pomeriggio si era tramutata in un bel po' di orette e, soprattutto, non gli risultava proprio che le sette della mattina corrispondessero al momento della giornata subito dopo pranzo.

Era la settimana di sospensione scolastica prima dell’inizio del nuovo anno e in quei sette giorni gli allenamenti dei vari club sportivi si sarebbero tenuti al pomeriggio, non essendoci le lezioni mattutine. Ecco perché quel mercoledì mattina di inizio aprile, caracollando sui suoi stessi piedi, mentre sbadigliava copiosamente roteando le chiavi della porta di ingresso del tea shop sull’indice, Koutarou si stava dirigendo verso il locale che la sorella gestiva con una amica. Era una apertura straordinaria. Solitamente apriva alle dieci della mattina, con quella che sua sorella definiva “la seconda colazione” di tolkeniana memoria, ma lei e la sua socia volevano vedere se aprire anche per la “prima colazione” sarebbe stata una mossa vincente o meno.

Cosa strana in lui, stava percorrendo la distanza che lo separava da casa al locale con tutta calma, senza la solita esagitazione che lo contraddistingueva praticamente sempre. Neanche ci pensava al fatto che a breve avrebbe iniziato il suo secondo anno di liceo. Non in quel momento poi, con tutto il sonno che aveva. Mai avrebbe pensato che la sua vita sarebbe cambiata così tanto dopo quella mattina. Perché un incontro gli avrebbe letteralmente sconvolto la vita...
Si stava assaporando ogni singolo dettaglio, soprattutto quelli verso i quali non si era mai soffermato. Sarà stato lo sbocciare della primavera, chissà, ma se ne stava facendo tutto il tragitto naso all’insù ad ammirare il solito spettacolo che i fiori di ciliegio donava loro ogni anno. Una vera e propria esplosione di nuvole rosa delicato e bianco. Nonostante, fino all'anno prima, con tutta la sua famiglia aveva fatto il tradizionale hanami, non ci aveva mai posto così tanta attenzione. 

Mentre proseguiva nel suo cammino valutò che quell’anno sarebbe stata una cosa carina magari organizzarlo con i ragazzi della squadra. O forse sarebbe stato meglio con il suo Bro del cuore. O forse, ancora meglio parte seconda, andarci con qualcun… nonono, frena frena! Cos’erano queste idee romantich, ehm: bislacche che gli stavano venendo in mente? Di sicuro colpa del fatto di esser cresciuto con tre sorelle più grandi di lui. Lo sapeva, Kou, che alla fine quel momento sarebbe arrivato. Ossia che i semi del romanticismo sospirante dal quale era stato attorniato da tipo sempre si sarebbe vendicato su di lui.
Ma dai! Che idea assurda era? Immaginare di andare a fare hanami con qualcuno di speciale! Scoppiò a ridere di gusto, scrollando vigorosamente le spalle, poco convinto in realtà. Era davvero un’idea così malsana?, si stava chiedendo.
“Beh, sì… forse perché non ho ancora conosciuto nessuna persona speciale… speciale in quel senso...” si rispose.
Ahh, ma cosa gli stava succedendo? Non aveva proprio tempo e voglia di pensare a quelle cose ma fatto sta che si era nuovamente fermato, naso all’aria, nel preciso instante in cui una leggera brezza primaverile si era levata ed ora, oltre a scompigliargli le ciocche di capelli che per quella mattina aveva deciso di non torturare con la solita capigliatura che sfidava la forza di gravità, stava facendo ondeggiare docilmente le fronde degli alberi sopra di lui. Osservò rapito la danza di alcuni petali mentre scendevano soavi, fino a posarsi sul palmo della mano che aveva aperto. Gli tornarono alla mente una delle storie/leggende che aveva più volte sentito dalle sue sorelle. Qualcosa relativo al fatto di dichiararsi alla persona della quale ci si era innamorati… scosse nuovamente la testa, brontolando qualcosa di non meglio precisato e proseguendo a passo deciso, salutando le persone del vicinato che conosceva perfettamente e che ricambiavano allegri il suo buongiorno squillante. Era indubbiamente ben voluto da tutti, sempre prodigo a dare una mano in caso di necessità – che fosse una borsa della spesa troppo pesante o portar fuori il cane di uno dei vicini a fare una passeggiatina.
Fermo davanti al passaggio al livello che lo separava dal locale di sua sorella, ecco che velocemente scrisse un messaggio al suo bestie.

A Bro:

Non sarebbe bello andare a fare hanami con qualcuno di speciale?

La risposta non si fece attendere molto. Kuroo, a dispetto del suo essere gattone, si svegliava presto alla mattina indipendentemente dal fatto ci fossero lezioni, allenamenti o meno. Poi magari se ne stava tutta la mattina a rotolarsi nel letto, ma dettagli. (Marooo! Kuroo ma rotolati nel letto con Tooru, ti prego, fammi una carità, che needo cose porn ehm: cose belle. ndC)

Da Bro:

Sei stato posseduto?

Scoppiò a ridere di gusto per la solita lapiderietà sarcastica del suo Bro.

A Bro:

Sono serio

Da Bro:

Ci stai provando, e neanche in modo così velato né tanto meno romantico, con me?

A Bro:

No, ovviamente

Da Bro:

Così mi spezzi il cuore, lo sai?

A Bro:

Seh, mi immagino…

Ridacchiò tra sé e sé, risvegliandosi allo scampanellio di una bicicletta che gli arrivò alle spalle. Il passaggio a livello si era alzato.
Già da quella distanza poteva vedere la La Tana dei Gufetti. Nome per niente originale ma che sua sorella aveva trovato così carino e di impatto, a modo suo, e lui le aveva dato manforte.
Adorava i gufi, li trovava così teneri, da spupazzare. Da piccolo avrebbe tanto voluto poterne averne uno di suo, aveva implorato con gli occhi i suoi genitori una infinità di volte, cercato di impietosire in qualche modo le sue sorelle perché lo aiutassero a convincerli a fargli tenere nella sua cameretta quella coppia di gufetti che puntualmente ogni sera si andavano a posare sull’enorme abete che si stagliava fiero nel giardino di casa loro.

- Kou, i gufi sono animali che amano stare liberi. - gli aveva detto sua madre una fresca sera d’estate, quando lo aveva trovato fuori in giardino mentre si arrampicava sull’albero tentando di raggiungerli. Rimediando numerose cadute.
- Loro sentiranno il bene che provi nei loro confronti e, vedrai, torneranno qui ogni sera. - aveva continuato suo padre, sedendosi sull’erba al suo fianco dopo che aveva rinunciato alla scalata. E allora il piccolo Koutarou aveva sollevato il naso all’insù, poggiando il peso del corpo sulle mani che aveva posato a terra dietro alla schiena, sentendo come gli steli bagnati dall’umidità della sera gli facessero il solletico tra le dita. Li aveva osservati in silenzio e altrettanto avevano fatto i due rapaci, che se ne stavano sempre l’uno appollaiato a ridosso dell’altro, quasi a scambiarsi quella tacita promessa.
E così era stato. I due gufetti erano ritornati ogni sera e lui si sentiva esplodere dalla felicità quando li vedeva arrivare. Passava le ore con la schiena appoggiata al tronco dell’abete, le ginocchia al petto, a raccontare ai due volatili come era andata la sua giornata, i suoi sogni da bambino. E alla mattina, alle prime luci dell’alba, correva immediatamente fuori per salutarli e quanto gli piaceva quando li vedeva come se ne stavano con la testolina appoggiata l’una sull’altra. Così come adorava i loro colori: uno dal fiero piumaggio grigio striato, l’altro con le piume di un candore assurdo. Dovevano essere così morbidi…
Erano passati tanti anni da allora ma ancora ne conservava preziosamente nel cuore il ricordo.

E chissà perché gli era tornato alla mente proprio in quell’istante, mentre riportava lo sguardo davanti a sé ad osservare nuovamente La Tana.
Il locale si trovava proprio sul crocevia tra due stradine graziose e ben tenute. Incastonato tra due edifici stupendamente colorati di viola e arancione i quali facevano risaltare ancora di più la piccola vetrina dove sua sorella Ayane – che aveva un vero e proprio talento – vi aveva dipinto due gufetti. Aveva fatto un lavoro egregio di sfumature con quelle bombolette spray e i due rapaci, testina contro testina, spiccavano in maniera delicata, attirando inevitabilmente l’attenzione dei passanti.

Si piantò davanti alla vetrina, mani poggiate sui fianchi, pensando che doveva ben decidersi a trovare un nome a quei due volatili stilizzati. E ci stava ancora pensando mentre trafficava con le chiavi per aprire la serratura, forzandola senza nessuna delicatezza, come al suo solito, e nel momento in cui riuscì nell’impresa epica di aprire la porta d’ingresso ecco che immediatamente fu pervaso dal profumo della cannella che ormai permeava quel posto.
Koutarou amava la cannella. Gli ricordava un sacco il Natale e il periodo delle festività natalizie. Nonostante in Giappone non fosse una festa prettamente famigliare, la famiglia Bokuto aveva fatto propria quella tradizione tipicamente occidentale a causa di uno dei viaggi di affari del capofamiglia che l’aveva portato a soggiornare in Europa per tre mesi, che erano coincisi con il periodo natalizio e il Bokuto senior si era letteralmente innamorato di quella tradizione, di quel modo di festeggiare il Natale in famiglia con deliziosi pranzi e cene. E quindi Kou associava il profumo della cannella alle colazioni, alle merende festose con le sue sorelle, alla preparazione di deliziosi manicaretti tutti insieme. Alle tavole imbandite e festose, dove il chiacchiero non si faceva mai sommesso.

Una volta entrato la seconda cosa che lo invase fu il solito senso di tranquillità assurda che lo avvolgeva ogni volta. Era pazzesco come un luogo - con i suoi profumi, i suoi colori, le sue luci – fosse in grado di influire così sull’umore di una persona. Perfino uno come lui, che era un fermento continuo e perpetuo, lì dentro rallentava. E non era una sensazione sola sua. Aveva sentito più di qualche cliente affermare con assoluta certezza quella cosa.
Quando rientrava da scuola passava sempre a salutare sua sorella, fosse solo anche mettere semplicemente la testa dentro e fare “ciao-ciao” con la manina. Molte volte, in quell’anno in cui era aperto, si era fermato anche con Kuroo per fare una pausa rigenerante. O meglio: il suo miglior amico che tentava in qualche modo di ficcargli in testa i concetti basilari di chimica. Rischiando ogni volta l’internamento in qualche clinica psichiatrica, ma poco male: Testurou ne aveva di pazienza.
- Fratellino, posso rapirtelo? - gli chiedeva ogni volta sua sorella, tra il serio e il faceto. Perché sosteneva che le ragazze, passando davanti alla vetrina e vedendo Kuroo seduto al bancone, puntualmente si catapultavano dentro con un triplo carpiato.

Una volta che si richiuse la porta alle spalle attese che gli occhi si abituassero alla leggera penombra e con lo sguardo abbracciò tutto l’ambiente.
Il locale era piccolo, contava solamente sei tavolini da due e il bancone davanti alla vetrina, ma proprio questo suo essere piccolo era uno dei punti forti poiché questo permetteva che non ci fosse mai troppa confusione, che il chiacchiericcio fosse sempre deliziosamente soffuso, quasi una piacevole melodia di fondo. Per questo sua sorella teneva sempre la musica – rigorosamente jazz – a volume molto basso, perché fosse un piacevole sottofondo, non doveva sovrastare la voce delle persone né tanto meno – anzi: soprattutto – i pensieri della gente.
Il posto preferito di Koutarou era quella piccola poltroncina vintage verde acido che si trovava posizionata di fronte al pianoforte a muro, che dava le spalle al resto del locale, un posto di raccoglimento perfetto. E sarebbe stato lì che
lui si sarebbe seduto.

Stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente si diresse verso la parte sul retro, nella piccola cucina dove venivano sfornati quei deliziosi biscotti allo zenzero e cannella, prese uno dei grembiuli il quale, manco a dirlo, aveva disegnato nell’angolo in alto a sinistra gli onnipresenti gufetti, accese la luce soffusa sopra allo scaffale dove erano posizionati tutti i barattoli di latta con i vari tea disponibili dai deliziosi e fantasiosi nomi - Sere di Giugno Fuoco davanti al caminetto Dolci Sogni tanto per citarene alcuni.
Mandò un ultimo messaggio a Kuroo chiedendogli se avrebbe fatto un salto a trovarlo mentre si accucciava per accender la musica quando…

...din-don...

… il dolce tintinnare del campanellino posto sopra alla porta vibrò e la sua delicata melodia aleggiò nell’aria facendolo alzare di scatto, colto impreparato dal fatto che davvero qualcuno fosse lì presente alla sette della mattina.
Dentro di sé prego di non fare troppi danni, altrimenti le avrebbe di sicuro prese da sua sorella, e diresse la propria attenzione al nuovo arrivato cercando di sfoggiare il suo migliore sorriso di benvenuto, cosa che gli veniva così naturale d’altronde.

E fu allora che lo vide.
Per la prima volta.
Non sapendo ancora che sarebbe stato per sempre…
 

Continua…

 

E niente, tale prologo avrebbe dovuto veder la luce ancora la settimana scorsa ma poi le montagne di compiti da correggere mi hanno sommersa.
Io non capisco... molto probabilmente, senza rendermene conto, correggo anche quelli dei miei colleghi, non si spiega altrimenti. La correzione delle verifiche scritte è diventato il mio mood giornaliero della vita.

Spero davvero di essere sufficientemente puntuale con l’aggiornamento dei capitoli ma non faccio nessuna stima. È da parecchio che non scrivo long proprio per questo motivo, perché puntualmente mi colpiva l’ansia da aggiornamento (rido ma non c’è una cippa lippa di niente da ridere).

Ah, già! Io avrei una IwaOi che attende da settimane di esser corretta e sistemata tipo...

 

 

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Capitolo 2
*** Il tea è una questione seria ***


Buondì.
Allora, comincio queste note iniziali ciliciandomi.
Come mi ha giustamente fatto notare Mahlerlucia
- che ringrazio tantissimo -
le sorelle di Kou sono due, non tre.
(che ho, molto fantasiosamente,
battezzato Ayane e Ayase).
Non so davvero perché la mia mente ne abbia memorizzate tre,
chiedo perdono e pietà.

Altra cosa,
a causa di una fan-art di Akaashilove che ho visto tempo fa
e che, ovviamente, non son più riuscita a trovare
e che lo ritraeva intento a tirar con l’arco,
mi son partiti, stranamente, vaneggi totali e assoluti
perché diciamocelo: io Keiji me lo vedrei davvero troppo bene
in una veste simile.
E tali vaneggi son riuscita a riportarli in qualche modo su carta.
Sì, tranquilli: Akaashilove gioca a pallavolo in questa ff.

Ultima cosa, poi giuro che innesco il pulsante di espulsione automatica e sparisco,
lo so che nel manga la prima volta che Akaashilove vede Kou
blablabla ma passatemi la licenza poetica/narrativa.

Bene, mi sembra di avervi tediato abbastanza.
Per il momento.

Enjoy

 

 

Il tea è una questione seria
 

Capitolo 1

Keiji avrebbe tanto voluto continuare con la pallavolo nel suo futuro liceo, se solo avesse trovato un buon motivo per farlo, ma avrebbe anche tanto voluto far contenta sua nonna.
Anche se la donna non gli aveva mai fatto pressione alcuna, Keiji avrebbe tanto voluto che il dojo* che apparteneva alla famiglia Akaashi da generazioni e generazioni non sparisse con la scomparsa della nonna o che finisse nelle mani di estranei. Della sua famiglia era l’unico che aveva imparato e fatta propria quell’arte fin da piccolo. E d’altronde non avrebbe potuto essere altrimenti perché Keiji, nella sua persona, incarnava perfettamente quei principi che erano propri dell’arte del Kyudo* - la via dell’arco – ossia verità, virtù e bellezza. La sua figura slanciata e sinuosa era il perfetto combinarsi con la stupenda forma allungata del tradizionale arco giapponese, lo Yumi.
Così come il suo portamento naturalmente regale e solenne si rifletteva in modo perfetto nel susseguirsi delle azioni – lo Shaho Hassetsu – che accompagnavano la preparazione al tiro; l’attitudine calma e composta che lo accompagnava nello svolgersi ritmico dei movimenti suscitava una profonda ammirazione in chi lo osservava, un vero e proprio spettacolo per gli occhi e per l’anima.

Il dojo e i libri erano da sempre stati il suo rifugio. Da che ne avesse memoria. Ancora quando non sapeva leggere e nella sua testa si costruiva la storia dei personaggi guardando le figure, sgattaiolava nel dojo se ne stava seduto in silenzio mentre la nonna si esercitava e a volte restava incantato a guardarla. Ai suoi occhi di bambino le pareva una eroina di altri tempi. Ed era stato quando la donna si era accorta di come la osservasse, vedendo chiaramente che la sua fantasia vagava in altri mondi, in mondi fantastici e fatati, che gli aveva chiesto se gli andasse di provare. E lui, stringendosi forte al petto l’ennesimo libro che aveva appena finito di fagocitare, aveva annuito vigorosamente con la testa, gli occhioni verdi sgranati.

Anche l’arte del tea l’aveva appresa da sua nonna.
Proprio per questo, da qualche settimana a quella parte, quando era in zona allungava sempre un sacco il giro per poter passare in quel delizioso localino quando gli si presentava l’occasione, perché in quel posto c’era una scelta e una miscela di tea di indubbio gusto e raffinatezza ma soprattutto perché in quel posto Keiji si sentiva bene; in qualche modo coccolato e protetto. Dalle luci soffuse, dai sorrisi mai invadenti e sinceri delle due proprietarie, dal fatto che gli avventori del locale fossero silenziosi, ognuno immerso nel suo mondo. E dai profumi, che sapevano in qualche modo di casa, o meglio: di cucina. Il luogo della casa che Keiji preferiva, perché riteneva che la cucina fosse il cuore pulsante di una casa, della famiglia, del vivere insieme.
Quel posto l’aveva scoperto per puro caso, attratto dalla vetrina. O meglio: dai gufetti in vetrina.
E come sempre, le cose che si scoprono per caso sono quelle che ci portano le cose migliori.
Così come gli incontri guidati dal Caso...

Si trovava in zona perché stava facendo una commissione per conto di sua nonna - a portare uno dei suoi preziosi archi ad uno dei suoi allievi che quel giorno avrebbe avuto una gara - e, al suo solito, era stra in anticipo. Non ci poteva fare niente: adorava vedere la città che si risvegliava. Ovviamente suoi piedi lo stavo portando proprio verso la Tana dei Gufetti e mentre si stava avvicinando al locale si sorprese di vedere le luci accese all’interno. Inizialmente pensò si trattasse di un gioco di riflessi dato dai raggi del sole sulla vetrata. Rallentò leggermente, piegando appena la testa di lato. No, il locale era aperto. Strano, da quanto ne sapeva apriva solitamente alle dieci e mezza della mattina.
Senza rendersene conto i suoi piedi si mossero nell’attraversa la strada, si guardò in giro con fare circospetto, per controllare se arrivasse qualcuno e se sarebbe entrato. Di certo non si poteva mettere a sbirciar dentro alla porta a vetri dell’ingresso, non era assolutamente nel suo carattere.
Tuttavia, quasi ne fosse stato calamitato, appoggiò la mano sulla maniglia. Indeciso. Se le due proprietarie fossero state lì solo per un inventario, che figura barbina avrebbe fatto mentre cercava di scardinare la porta di entrata? A questi pensieri le sue dita lunghe e affusolate scivolarono verso il basso per poi risalire.
Tre… due… uno…
Spinse verso l’interno e…

din don…

Ovviamente Koutarou credeva nell’amore a prima vista – e, sì: lui sosteneva che era sempre per colpa delle sue sorelle. Se già ci credeva di suo, tale convinzione si fece strada ancora di più nel suo cuoricino nel momento in cui i suoi occhi si posarono sul nuovo arrivato. La figura sinuosa, l’inclinazione delle labbra, lo sguardo attento, l’espressione incredibilmente rilassata e pacifica del suo volto, il taglio degli occhi e, oh mio Dio: ma cos’era quel colore meraviglioso?! No, dai: esisteva veramente in natura? Un tripudio di verde screziato di cobalto e grigio che nemmeno la tavolozza di un pittore impressionista sarebbe stato in grado di riprodurre.
Non era un mistero per Koutarou il fatto di preferire i ragazzi alle ragazze, ma si rese conto che quella ottava meraviglia che aveva appena varcato la soglia della Tana sarebbe stata in grado di assassinare la sua eterosessualità, se mai ne avesse avuta una.
Il suo povero cuoricino iniziò a fare le capriole e perse letteralmente un colpo quando i suoi occhi dorati catturarono quelli dell’altro.
Fu come se il tempo si fosse improvvisamente fermato. L’uno con gli occhi posati su quelli dell’altro.
Le sue mani si aggrapparono al bancone – era certo che, in caso contrario, di sicuro sarebbe caduto a terra – e con la gola improvvisamente arsa, Koutarou si schiarì la voce deglutendo a fatica e sperando che l'altro fosse sordo, perché altrimenti avrebbe sicuramente udito il martellare furioso del suo cuore.
- B-benvenuto… - oh Santi Numi, cos’era quella voce stridula che gli era uscita?!

Dal canto suo, Keiji non riusciva ad avanzare oltre. C’erano pochi metri tra l’entrata e il bancone e tra l’entrata e quello che aveva eletto come suo posto preferito in quel delizioso locale – aka la poltroncina verde-acido – ma i suoi piedi proprio non si decidevano di muoversi.
Osservava il ragazzo che gli stava di fronte, il collo della camicia bianca che spuntava dal grembiule con il primo bottone slacciato, gli avambracci che fuoriuscivano dalle maniche arrotolate. Ok, non poteva continuare a fissarlo, sarebbe stato oltremodo scortese, oltre al fatto che l’altro avrebbe di sicuro pensato male.
- Quindi… siete aperti? -
“Che bella domanda intelligente, complimenti Keiji! Se sei entrato ormai...”

Ma Koutaoru non parve rendersene minimamente conto, troppo con la testa tra le nuvole in quel momento. Lo era da quando si era svegliato quel giorno.
“Respira Kou, respira!” tentò di istruirsi con un sorriso in modalità paralisi facciale, non rendendosi conto che l’ottava meravigli-ehm: il nuovo arrivato stava attenendo una risposta e lo stava invitando con un cenno del capo a proseguir di parlare.
- Ah… sì sì, questa mattina apertura straordinaria alla sette, per la prima colazione, non solo per la seconda colazione. -
Keiji, a sentir quella citazione tolkeniana, sgranò gli occhi felice e sorpreso.
E Kou si auto-dichiarò l’ora del decesso.

Il nuovo arrivato fece un lieve inchino e dalla sicurezza con la quale si mosse, Bokuto capì che l’ambiente gli doveva essere in qualche modo famigliare. Avrebbe dovuto indagare con sua sorella, pensò, mentre recuperava il cellulare dalla tasca centrale del grembiule. Doveva assolutamente scrivere al suo bestie. E dirgli che aveva appena trovato il padre dei suoi figli. Sì, Koutarou non aveva mezze misure e si lasciava prendere molto facilmente dall’entusiasmo. Quella giornata era iniziata all’insegna delle idee romantiche, quindi tanto valeva continuare sulla falsa riga.
- Il listino è sul tavolo. - praticamente gli urlò dietro, con il fervore a mille – Quando sei pronto, chiamami. O sei hai qualsiasi domanda da farmi, tipo se vuoi sapere i vari tipi di tea e le loro differenze (dei quali, per inciso, non sapeva una emerita cippa lippa), il mio piatto preferito, il mio hobby prefer-ehm… no. Ignora queste ultime due cose. -
Oddio, mia sorella mi ucciderà fu certo di aver sentito Keiji mentre lo vedeva sparire sotto al bancone, dove Kou si era accucciato per la figura appena rimediata e limitandosi a scrivere un lapidario aiuto a Kuroo.

Dire che Akaashi era stato travolto da quella frizzante allegria e vitalità, sarebbe stato dire poco. Una ventata di allegria assurda che fu come un raggio di sole che spazzò via le nubi perché, in quei giorni, con l’avvicinarsi dell’inizio del nuovo anno, Keiji un po' pensieroso lo era. Non era uno che amava molto i cambiamenti, un certo tipo di routine gli dava tranquillità perché lui non amava cambiare gli ambienti. Non era in sé preoccupato per le nuove persone che avrebbe conosciuto, era uno che stava bene da solo, ovvio se trovava qualcuno la cui presenza lo faceva stare bene non ne disdegnava la compagnia, anzi. Oltretutto era uno che con la tranquillità che emavana, con i suoi modi calmi e pazienti si faceva inevitabilmente volere bene dalle persone. No, non era il dover conoscere nuove persone che lo preoccupava, era dover dir addio in qualche modo ad un ambiente conosciuto, alla strada che faceva alla mattina, a quelle file di alberi così conosciute. In più – suo crucio ormai da settimane - c’era il discorso del dubbio se continuar a giocare a pallavolo nel suo futuro liceo oppure dedicarsi seriamente e con l’impegno dovuto nel dojo di sua nonna.
Emise un piccolo sospiro scacciando quelle nubi dalla sua mente e prendendo il listino anche se ormai lo conosceva a memoria ma semplicemente adorava vedere quei due gufetti disegnati nell’angolo in alto a sinistra, che lo fecero sorridere delicatamente come le altre volte.

Scegliere il tea era un momento di grande intensità. Un momento solenne. E di questo Keiji ne era profondamente consapevole.
Così come era indubbiamente consapevole degli occhi dell’altro puntati sul suo profilo. D’altra parte, si sarebbe dovuto essere ciechi per non accorgersene. Non che si sentisse in pericolo nonostante nel locale ci fossero solo loro due, non gli sembrava un maniaco o un mal intenzionato. Forse…
Di sicuro quel tipo aveva attirato la sua attenzione.
Scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte, Akaashi gli lanciò una piccola occhiata, abbassando di poco il volto per evitare di farsi scorgere in quel movimento ma quando l’altro vide l’attenzione di quelle due gemme preziose posarsi su di lui, si sarebbe potuto affermare con assoluta certezza che Koutarou avesse iniziato a scodinzolare, tutto trepidante, attendendo un solo cenno dell’altro per potersi nuovamente avvicinare a lui.
- Hai bisogno? - gli chiese tutto zelante e speranzoso.
- Beh, sì… - lo vedeva così solerte e con tanta di quella buona volontà che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli che c’era praticamente nato in mezzo alle foglie di tea e tutte le loro varianti e ovviamente non era nelle intenzioni di Keiji metterlo in difficoltà. Gli era chiaro che fosse lì perché le due solite ragazze mancavano, quindi era lì solo ed esclusivamente di supporto.

Koutarou interpreterò quei chiari puntini di sospensione nella frase come una sorta di non conoscenza del prodotto, quindi era tutto felice di potergli essere di aiuto.
- Beh, se vuoi venire qui… no, cioè, non posso usare una parola così imbarazzante. No, aspetta: così ora di sicuro è imbarazzante… -
Keiji assistette a quelle elucubrazioni mentali dapprima leggermente sconcertato ma poi dovette soffocare una piccola risatina fingendo un colpo di tosse. Quel ragazzo era così adorabile in quella sua confusione che mai si sarebbe permesso di essere scortese nei suoi confronti.
- Ti ringrazio. - disse solamente - cercando di tirarlo fuori dall'impasse nel quale si era andato a ficcare da solo – con un lieve inchino del capo e ornando le sue labbra in un piccolo sorriso. Che diede il colpo di grazia al povero Bokuto che sorrise a sua volta. Un sorriso buono ma anche, al contempo, incredibilmente irresistibile e stuzzicante.

Koutarou si massaggiò la nuca, in una specie di auto-coccola, per tentare di riordinare le idee per poi riprendere a parlare.
- Volevo dire che se sei indeciso sui gusti, se vieni qui al bancone ti posso far sentire i profumi dei vari tea. -

E Keiji appoggiò il gomito sul tavolinetto di fronte alla poltroncina, poggiando il volto sul palmo della mano aperta, guardandolo nuovamente con le labbra addolcite in un piccolo sorriso.
- Dai, mi fido di te, fai a tuo gusto. Io amo lo speziato e la cannella. -
Non capiva perché - lui di solito così guardingo, che non dava mai chissà quale confidenza agli estranei - in qualche modo si sentisse a suo agio con quel ragazzo.

Nel frattempo Bokuto, a quelle sue parole, stava andando in iperventilazione.
“La… cannella? Ohh! Questo è un segno!”
- Ok, preparo subito qualcosa. Vedrai, sarà qualcosa di superspeciale! -
E dopo aver lavorato alacremente, ecco che...
- Tadannn! Il signore è servito. - e gli mise davanti un chai tea latte con una spruzzata di cannella. Con la quale, per inciso, aveva tentanto – e con scarso successo – di disegnare il volto di un gufetto.
- Ehm... è Ayane, una delle mie sorelle, l’artista di famiglia. Io ho preso altre doti. - si tentò di giustificare, sentendosi un perfetto idiota.
- Nono, è davvero bellissimo questo… - Keiji sperò di azzeccarlo – ...gufetto. -
Non capiva perché si sentisse in qualche modo di dover proteggere il sorriso dell’altro, il quale, infatti, sorrise ancora di più.
- Beh, ti lascio tranquillo e… oh: c’è un arco lì dentro? - finalmente parve notare la custodia che era stata diligentemente appoggiata alla parete a fianco della poltroncina.
- Ah… sì… - e Keiji ripiombò nei suoi pensieri. E Koutarou si stramaledì perché capì di aver toccato in qualche modo un nervo scoperto.
- Ti lascio tranquillo. - ripeté, voltandosi verso l’entrata perché erano entrate una coppia di ragazze e in qualche modo l’incanto si era rotto. (anche se si sarebbe riservato per il gran finale)

Passarono il resto del tempo così, consci solo del rumore delle pagine del libro che Keiji aveva tirato fuori dal suo zaino mentre nel frattempo Koutarou smanettava con il cellulare, scrivendo a Kuroo di muoversi ad arrivare alla Tana. Il problema era che non portava l’attenzione sui tasti o sulle parole, quindi i mayday che arrivarono a Tetsurou risultarono leggermente incasinati, nonché privi di qualsiasi senso grammaticale, figurarsi se di senso compiuto!
Fortunatamente Kuroo conosceva così perfettamente Bokuto che si sarebbe potuto scommettere l’anima con il diavolo che quelle che dovevano di sicuro essere delle richieste di aiuto non nascondevano nulla di grave, per questo continuò tranquillo per la sua strada, godendosi i raggi di quel sole primaverile che gli accarezzavano dolcemente il volto perfetto.

- Alla buonora! - lo redarguì Bokuto nel momento in cui Kuroo varcò la soglia, mentre stava finendo di asciugare le tazze e i piattini dall’umido della lavastoviglie.
- Sarebbe questo il benvenuto con il quale si accolgono i clienti? - lo punzecchiò divertito e stiracchiandosi leggermente, beccandosi un’occhiataccia in tralice.
- Se fossi stato in punto di morte avrei fatto ora a morire all’incirca un migliaio di volte. -
Tetsurou non si scompose minimamente, com’era sua abitudine (nulla pareva mai scalfirlo o turbarlo) limitandosi ad uscirsene con una delle sue piccole risatine divertite.
- Non mi sembri né in punto di morte né che il locale abbia preso fuoco, nonostante su questo non ci avrei scommesso... - lanciando un’occhiata intorno e vedendo che erano occupati due tavolini. Uno da una studentessa universitaria che aveva visto altre volte, sempre intenta a scriver la sua tesi e che trangugiava litri di tea verde di Kagoshima, l’altro da una coppia di signori in pensione e il loro adorabile shiba inu il quale, ogni volta che vedeva quel gattone in versione umana, iniziava ad agitarsi ma poi la sua indole pigra lo portava ad ignorare Kuroo dopo aver tentanto di tirare verso di lui.
Il quale, dopo aver fatto a Mitchi - così gli pareva di aver sentito che si chiamasse - uno dei suoi sorrisi sornioni e felini che parevano infastidire il cane ancora di più, si avvicinò al bancone, sedendosi nell’alto sgabello che si trovava di fronte alla cassa, mentre i gomiti si poggiavano sul bancone permettendovi di appoggiarvi il volto.
- Allora, che casino hai combinato? -
- Perché pensi io abbia combinato qualche casino? - domandò il diretto interessato perplesso e Tetsurou inarcò con fare divertito il sopracciglio sinistro in modo eloquente, beccandosi il lancio di uno degli strofinacci puliti in pieno volto.
- Mi vuoi ascoltare seriamente sì o no? -
- Vai Bro, sono tutto orecchi. - sporgendosi oltre il bancone, verso di lui e Koutarou prese un grosso inspiro e poi partì a raffica.
- Ho appena visto il ragazzo più meraviglioso dell’intero universo. -
- Sì, mi hai qui davanti. - si divertì a punzecchiarlo bonariamente.
- Ah-ha, infatti mi sto specchiando nei tuoi occhi. No Bro, sul serio, è stato un colpo di fulmine bello e buono. - ed iniziò a raccontargli ogni cosa nel minimo dettaglio, infervorandosi sempre di più.
- Insomma, per farla breve... -
- È tardi. - lo interruppe divertito Tetsurou, e via: altra occhiataccia a suo danno.
- Dicevo, per farla breve: è l’uomo della mia vita. -
- Solo che lui non lo sa ancora. – lo ribeccò divertito Kuroo, per nulla sconcertato dalle solite esagerazioni del suo amico.
- Dettagli!- fu la risposta mentre muoveva la mano come a voler scacciare qualcosa di fastidioso, giusto nel momento in cui Ayase entrò nel negozio e Kou iniziò a sbracciarsi a salutarla ma lei si aprì in un sorriso quando vide Kuroo.
- Ciao Tetsu!- abbassando il volto per potergli schioccare un bacio sulla guancia, con rumore annesso.
- Ciao onee-san. -
Quel ragazzo, ovviamente, con quel suo fare solo apparentemente ruffiano aveva conquistato le due sorelle di Koutarou che non facevano altro che viziarlo e coccolarlo. Kuroo accettò l’affettuoso bacio socchiudendo gli occhi mentre Koutarou si guardava la scena fintamente offeso e geloso, incrociando le braccia al petto e quando la sorella mosse quel passo verso di lui, dietro il bancone, allungò il volto verso di lei, facendo con le labbra il rumore dello schiocco di un bacio, a voler reclamare il gesto affettuoso anche per sé ma beccandosi una palmata di mano in pieno viso.
- Allora fratellino, hai combinato qualcosa di irreparabile? - chiese lei dal retro, mentre si toglieva la leggera giacca primaverile, si infilava il grembiule e poi passò a sistemarsi i capelli dorati in un elegante chignon.
- No, ma voi due: grazie per la fiducia, eh! - ma per nulla offeso, sapeva i casini che era in grado di combinare, strappando da sotto gli occhi di Kuroo il vassoio con i biscottini alla lavanda che la ragazza gli aveva appena depositato davanti, facendogli la linguaccia e beccandosi uno scappellotto giù per la testa da parte di Ayase che riportò la ciotola sotto il naso di Kuroo facendogli un sorriso materno, beccandosi un’occhiataccia in tralice da parte del fratello per quell’ennesimo tradimento.
- Oh sì Bro, dille che cosa è successo. - proferì Kuroo divertito mentre i gomiti le dita nascondevano il suo sorrisetto. Sapeva che Koutarou aveva rivelato da tempo anche alle sue sorelle il fatto di essere gay e il diretto interessato ci scherzava molto con loro su questa cosa.
- Che cosa hai combinato? - ora Ayase era mortalmente seria e le braccia le erano scivolate lungo i fianchi.
- Ho conosciuto il ragazzo più meravigliosamente bello dell’intero universo. È il ragazzo che il destino ha voluto per me. -
- Hah? - domandò lei stranita. Ok, era abituata alle esagerazioni del fratello, al fatto che si facesse cogliere dall'entusiasmo e che si infuoccase come un fuoco di paglia nel giro di mezzo secondo, ma non lo aveva mai sentito esprimersi in quel modo.
- Nee-chan, di sicuro non era la prima volta che veniva qui, tu l’hai mai visto? -
- Kou, non so nemmeno di chi tu stia parlando. -
Koutarou, impaziente come al suo solito, buttò fuori rumorosamente l’aria dal naso e per farsi capire non trovò di meglio che recuperare uno dei tovagliolini di carta e (tentare) di fare una (sotto)specie di ritratto.
- Dunque vediamo… gli occhi così… i capelli così… - iniziò a disegnare mentre gli altri due osservarono l’enorme impegno, con tanto di linguetta che spuntava dal lato del labbro.
- Tadannn! Ecco! -
- No, ma... bello proprio… - proferirono gli altri due, attoniti, perché quel disegno era veramente inguardabile, alche Koutarou – vedendo le facce perplesse degli altri due – voltò il disegno verso di sé, cercando di osservarlo con occhio critico e poi parve illuminarsi.
- Ma certo! - battendo un pugno chiuso sul palmo dell’altra mano – Gli occhi! Nee-chan, ha due occhi di un colore meraviglioso, tipo il verde dei nostri grembiuli. -
- Si chiama ottanio, capra. -
- No: si chiama color occhiragazzodeldestinodikou. - annunciò tutto fiero facendo scoppiare a ridere gli altri ma poi Ayase parve illuminarsi.
- Oh, ma aspetta! Ho capito chi è allora! Due meravigliosi occhi leggermente allungati? -
- SIIIII! - Koutarou si illuminò, prendendole le mani tra le sue.
- Oh sì! Sì! Ho capito. Un ragazzo estremamente cortese, educato e raffinato. -
- Lui, lui, lui! - annuendo vigorosamente mentre Kuroo osservava divertito quel quadretto. Nonostante tra le due sorelle, Ayase fosse quella che fisicamente assomigliava meno a Koutarou, avevano indubbiamente caratteri simili: dei portenti di energia, sempre allegri, a volte incasinati, tremendamente buoni e altruisti.
- Sì, sì, sì – anche la ragazza aveva iniziato ad annuire vigorasemnte – l’ho visto più di qualche volta nell’ultimo mese, un ragazzo estremamente stracarino. Ah Tetsu, non ti sto tradendo, sia ben chiaro eh, io non ho occhi che per te. -
- Nee-chan, guardo che lo dico a tuo marito che lo tradisci con il mio miglior amico. - la piccò divertito il fratello.
- Lo sa già. - disse lei, facendogli una linguaccia che tanto la fece assomigliare ora al fratello.
- Comunque, bando alle ciance: cosa sai di lui? Quanti anni ha, dove abita, che scuola frequenta. - prendendo il taccuino dalla tasca e pronto a prendere nota di ogni cosa che ritenesse utile.
- Ma non lo so Kou, non è mia abitudine importunare i clienti con chiacchiere o domande inutili se non solo loro a parlarmi... – e poi parve illuminarsi – Tu non l’hai infastidito o stordito con le tue chiacchiere, vero? Vero?! - già temendo la riposta, sporgendosi oltre il bancone con il busto verso il fratello.
Anche Kuroo, mento poggiato sul palmo della mano attendeva la risposta, gli occhi leggermente socchiusi che lo facevano davvero sembrare un gatto, quando pare che questi stiano sonnecchiando mentre in realtà sono vigili e attenti, pronti a scattare.
Koutarou scosse energicamente la testa.
- Nonono, sono stato bravissimo, giurin-giurello. - portando le mani dietro alla schiena, tanto da farlo sembrare uno scolaretto di prima elementare che recita la poesia. Ma qualcosa nella sua mimica facciale e nei suoi gesti fece drizzare le antenne negli altri due.
- Kou? -
Ayase incrociò le braccia al petto, inarcando un sopracciglio mentre Tetsurou parve drizzare un orecchio allargando di poco il suo sorriso furbetto e aspettandosi lo strafalcione del secolo.
- Gli ho solo detto che ha due occhi bellissimi mentre stava andando via. - spiattellò alla fine Bokuto, dicendolo loro – tra le varie cose che aveva combinato – quella che gli pareva la meno grave e aspettandosi la strigliata del secolo. Che non arrivò, perché gli altri due si erano portati una mano alla fronte, sospirando sconsolati dopo aver sgranato gli occhi, increduli.
- Non lo rivedremo mai più… - proferì mestamente la ragazza, generando la disperazione più totale nel fratello nel giro di zero-due, che si aggrappò al braccio del suo miglior amico iniziando a strattonare, implorandolo perché lo aiutasse a ritrovare quel ragazzo meraviglioso.

E invece Keiji si sarebbe presentato anche il giorno dopo…


Continua…


 

E niente, mi sorprendo da me medesima per la velocità con la quale ho già sfornato il nuovo capitolo, forse perché non c’è il sole ad infastidirmi. E mi sono anche divertita un sacco a scriverlo.

Grazie a tutti voi che siete arrivati fino alla fine *si inchina * non sapete che gioia mi date. E spero di avervi fatto in qualche modo compagnia e fatto passare un quarto d’ora in allegria.

 

 

*palestra dove si praticano le arti marziali

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Bisogna anche ben godersi il paesaggio durante il cammino ***


Come mi aspettavo,
sono tremendamente in ritardo
con l’aggiornamento del nuovo capitolo.
Chiedo perdono e pietà *si cilicia*

Volevo ringraziare dal profondo
tutti VOI che avete letto e seguito
i primi due capitoli.
Grazie, davvero!
Sapere che c’è qualcuno
a condividere con me questa mia piccola avventura
mi rende davvero gioiosa.

 

 

Bisogna anche ben godersi il paesaggio durante il cammino

 

Capitolo 2

 

Inutile dire che Keiji, a quel ragazzo, aveva pensato parecchio durante la giornata.
E lui davvero non sapeva spiegarsene il motivo.
Come si era detto, non era uno avvezzo nello stare in mezzo agli altri o a ricercarne la compagnia, anzi: avveniva esattamente il contrario. Quindi davvero non sapeva perché il suo pensiero continuasse a ritornarci, cosa lo avesse colpito più di tanto. Sarà stato perché in qualche modo gli ricordava uno degli enormi Tosa-Inu della nonna? Di quelli che lo sentivano arrivare dal fondo della strada e già iniziavano a scodinzolare tutti felici. Di quelli che avrebbero dovuto intimidire chiunque con il loro aspetto massiccio ed imponente ma che non appena lui varcava il cancello dell’abitazione tradizionale giapponese dei nonni si buttavano pancia all’aria per farsi fare i grattini? Sì, forse sì…

Sarà stato per questo che la mattina dopo Keiji si era apprestato a varcare nuovamente la soglia della Tana, con la scusa – soprattutto da raccontare a se stesso – di acquistare per la nonna uno dei tea che il suo occhio attento ed esperto aveva notato.
Ovviamente aveva raccontato alla donna di quel posto e lei non aveva potuto non notare come, il giorno prima, i meravigliosi occhi del nipote – che tanto assomigliavano ai suoi – brillassero di una luce nuova. E la donna aveva intuito ci fosse qualcosa di diverso.

- Keiji-kun, devi aver trovato qualcosa di prezioso lì… - aveva sorriso lieve, mentre grattava la pancia di Shibaru che se ne stava tutto spaparanzato felice mentre loro due si trovavano seduti compostamente nell’engawa.*
- Sì. - aveva risposto lui, ricambiando il lieve sorriso, pensando al posto speciale nel quale si sentiva bene che aveva scoperto per caso, mentre la donna – lungimirante – aveva già capito ciò che il nipote avrebbe compreso più avanti.

Era entrato, quindi, e un po' emozionato anche ma ad accoglierlo ci fu un sorriso indubbiamente identico ma non appartenente a chi sperava.
“Deve essere sua sorella.” aveva pensato, notando sì che i due non si somigliassero per niente – la proprietaria in ogni movimento era delicata ed aggraziata mentre il ragazzo del giorno prima dava l’idea di essere un uragano e un pericolo per ciò che gli stava intorno, perché l’avrebbe di sicuro travolto – ma il sorriso… Ecco, il sorriso e la gioia che riuscivano a far esplodere dentro in chi lo riceveva, erano indubbiamente gli stessi.

La quale Ayase aveva recuperato tipo subito il cellulare per scrivere al fratello un lapidario ma efficace “Kou, muoviti! Lui è qui!”

Ma Koutarou, pur scapicollandosi e letteralmente trascinandosi dietro un recalcitrante Kuroo – che poi si sarebbe dovuto sorbire tutte le successive fasi di Bokuto (dalla depressione, ai piagnucolamenti, all’escogitare poi “geniali” piani per riscovarlo – suggeriti da lui medesimo per tentare di strappare il suo Bro dalla solita fase emo-depressa nella quale piombava con troppa facilità – e successiva esaltazione) - non aveva fatto in tempo.
Avrebbe dovuto aspettare ancora qualche giorno per poterlo rivedere.
E nell’ultimo posto nel quale si sarebbe immaginato…
 

Liceo Fukurodani

Koutarou se ne stava in uno dei terrazzi del Liceo durante la pausa pranzo con gli altri ragazzi del club di pallavolo.
Si erano dati appuntamento lì perché dovevano elaborare una strategia per attirar nuovi iscritti tra le matricole. Ma in quel momento Koutarou era troppo impegnati a scriversi, al solito, con il suo bestie. E l’argomento era sempre lo stesso da una settimana a quella parte.
Quindi eccolo lì, con una mano impegnato a smanettare sul cellulare, l’altra che teneva l'ennesimo panino che stava divorando alacremente.

 

A Bro:
Bro, devi aiutarmi a ritrovarlo!

Da Bro:
Potremmo andare in giro con dei cartelli, no? Magari con il meraviglioso ritratto che hai disegnato tu…

La risposta di Kuroo era stata, ovviamente, ironica ma tale ironia non era, come sempre, arrivata a Koutarou che era già partito per la tangente, balzando in piedi tutto galvanizzato, sotto lo sguardo dei suoi compagni talmente abituati al suo fermento e al fatto che non riuscisse mai a stare fermo che non si scomposero più di tanto.

A Bro:
Ma certo! È una idea geniale!

Da Bro:
Bro, non è una idea geniale proprio per niente!
Lo è se vogliamo finire diretti in un “bel” posto con tante belle sbarre alle finestre

A Bro:
In manicomio?

Da Bro:
Sì, Shutter Island*… Probabile anche questo comunque. Io facevo riferimento alla galera in ogni caso

A Bro:
Non voglio finir in galera...

Da Bro:
Ma io nemmeno guarda… Ma ci finirai di sicuro con una condanna per stalking se te ne vai in giro per la città a chieder informazioni su questo fantomatico ragazzo

A Bro:
Ohy! Perché non stai più usando la prima personale plurale ma quella singolare? Hai forse intenzione di abbandonarmi?

Da Bro:
Tranquillo Bro: ti porterò le arance in galera

A Bro:
KUROOOOOOO!

E se lo immaginava, Koutarou, il solito ghignetto a dir poco adorabile adornare le labbra dell’amico.
Sbuffò sonoramente mentre riportava l’attenzione a quanto stavano dicendo gli altri, gambe incrociate, poggiando una guancia in appoggio alla mano che si puntellava sul ginocchio dopo essersi messo nuovamente seduto.

- … sopratutto abbiamo perso l’alzatore. Questo è davvero un problema! - stava dicendo Akinori, mentre si allentava leggermente il nodo della cravatta.
Aveva ragione, cacchio! Questo era davvero, davvero!, un problema. Chi gli avrebbe fornito delle alzate micidiali che avrebbero fatto risaltare le sue mirabolanti doti di schiacciatore, nonché di ace (autoproclamato, ma dettagli)? Koutarou era perfettamente conscio del fatto che a volte le sue diagonali non erano proprio per niente perfette e che le rendevano tali solo una alzata più che ottima.
Riflettendo ora seriamente lasciò vagare lo sguardo oltre la rete di protezione da dove si poteva vedere il cortile esterno posteriore del liceo, dove c’erano i vari campi esterni. E fu folgorato da una illuminazione.
- Ehy! Mi è venuta un’idea! - attirandosi immediatamente tutta l'attenzione degli altri – E se facessimo la presentazione del nostro club proprio qui, dal tetto, questo pomeriggio durante la cerimonia di apertura delle attività dei vari club? - *
- Ahh, che idea genial… no aspetta, lo è veramente! - la velocità di azione/reazione di Akinori dal passare dal sarcasmo all'essere serio era stata mirabolante - Attireremo di sicuro l’attenzione di tutti. -
- Ma rischiamo di beccarci una nota disciplinare. - gli venne fatto notare.
- Non nei confronti della squadra che anche lo scorso anno scolastico è arrivata ai Nazionali per il sesto anno di fila. - ribatté pronto Akinori, mentre Koutarou assentiva vigorosamente con la testa, felice che la sua idea fosse stata accolta e in qualche modo potesse esser utile alla squadra.
Gli altri pallavolisti si guardarono meditabondi, portando infine – all’unisono – lo sguardo verso il loro capitano.
- Beh, dopo tutto, perché no? - rispose questi, sorridendo con quel sorriso che a Koutarou tanto ricordava il suo miglior amico.
E così avrebbero fatto…

Si erano dati appuntamento nello stesso terrazzo alla fine delle lezioni, il tempo di indossar le loro divise ma ora, gettando uno sguardo verso il basso e notando quante teste iniziavano a far capolino in fila ordinata, ecco che l’idea di Koutarou iniziò a non sembrar più così tanto geniale come era apparso loro alla fine solo qualche ora prima.
- Non possiamo tirarci indietro. - disse il vice-capitano.
- Non abbiamo fatto nessun annuncio però che avremmo fatto questa cosa. - gli fece notare uno dei ragazzi del terzo anno.
- Ma proprio per questo! Sfrutteremo l’effetto sorpresa! - proferì Bokuto con l’entusiasmo a mille, dandogli una energica manata sulla schiena.
C’era da dire che tra il dire e il fare c’era di mezzo un abisso profondo più che il mare in sé. E tale abisso corrispondeva con la vergogna e l’imbarazzo. Un conto era giocare davanti ad un palazzetto gremito, un conto era iniziare ad urlare da una delle terrazze del liceo mentre tutto il liceo stesso si trovava di sotto.
E ovviamente fu Koutarou a partire.

Keiji si trovava sotto, con la sua nuova classe, in paziente attesa. Nonostante ci fossero centinaia di studenti, il chiacchiericcio era lieve e quindi, quando una voce si levò dall’alto, si udì indistintamente.

- Gente! –
Tutti, Keiji compreso, sollevarono la testa in direzione di quel richiamo. Veniva dal tetto della scuola posto al lato est. Un leggero chiacchierio incuriosito si levò, ma la voce che aveva parlato poc’anzi, li fece tacere nuovamente tutti.
- Noi, la squadra di pallavolo, quest’anno parteciperemo nuovamente al campionato nazionale e questo anno lo vinceremo per diventare la squadra più forte del Giappone. –
Akaashi strizzò gli occhi per ripararsi dal sole e riuscire a vedere colui il quale aveva avuto tanto ardire di uscirsene con una sparata del genere. A breve, avrebbe avuto la sua risposta.
- Classe 2 –E, Bokuto Koutarou. –
Intorno a lui il chiacchierio si levò nuovamente. - Ma che sta dicendo? –
Keiji socchiuse la bocca incredulo, mentre altri ragazzi, sempre dall’alto della loro postazione, seguirono l’esempio del loro compagno. Stava ancora cercando di realizzare il fatto se si trattasse o meno di una sorta di candid camera, quando il primo ragazzo che aveva parlato – Bokuto aveva detto di chiamarsi - se ne uscì con un improbabile, quanto ardito: - Se non ce la faremo, ci confesseremo nudi alla persona che ci piace. - che lasciò gli studenti ancora più basiti per poi farli scoppiare a ridere divertiti.

- Bokuto ma che cazzo! -
- Ehh, ma volevo rendere ancora più solenne il nostro impegno! - tentò di giustificarsi mentre due ragazzi lo trascinavano via a forza prima che se ne uscisse con qualche altra sparata colossale.
- Voi, laggiù: fate un salto a conoscere il nostro club. - concluse il tutto Akinori, con un profondo inchino prima di seguire gli altri a ruota.

E quando quei due l’avevano tirato via da lì ecco che si spostò in una zona d’ombra che permise a Keiji di vedere il suo volto.
- Non può essere… - mormorò perplito. Era il ragazzo della tea room. Non sapeva capire le sue reazioni. Una parte era come se avesse sempre saputo che l'avrebbe rivisto presto mentre l'altra, invece, non riusciva a riprendersi dalla sorpresa e stava cercando di calcolare la portata di quella scoperta, soprattutto capire se la cosa lo agitava o meno. E perché. 
Certo che ne hanno avuto di fegato.” si trovò a pensare divertito, dovendo abbassare per un attimo il volto per nascondere il sorriso che gli si era allargato in faccia. “ Davanti a tutti, insegnanti compresi. O son così sicuri di se stessi o son dei pazzi scatenati.” Ridacchiò di nuovo dentro di sé propendendo per la seconda opzione.

- La roba del dichiararci nudi te la potevi anche risparmiare. - lo stava ammonendo il capitano, anche se una piccola parte dentro di sé se la stava ridendo della grossa, mentre avevano iniziato a scendere le scale.
- Dite che l’ho sparata troppo grossa? - domandò sinceramente perplesso.
- Ma vedi un po' te! - lo ammonì Konoha, puntandogli un dito sul petto.
- Ora vediamo di andar immediatamente nell’ufficio del preside a scusarci per questa spacconata prima che siano loro a venire da noi. - proseguì il numero uno che se la stava continuando a ridere sotto ai baffi, così come tutto il resto della squadra. Di sicuro avevano ottenuto l’attenzione di tutto il liceo, non c’era che dire. E in particolar modo di una persona...

Keiji stava procedendo nella direzione opposta a quella del club di pallavolo nel corridoio al piano terra. Ancora non sapeva dire se l’aver ritrovato lì quel ragazzo – nel club di pallavolo per giunta! - lo turbasse o meno. O meglio: lo turbava eccome, anche se lui non era facile al turbamento, ma non sapeva dirsi se in positivo o in negativo. Inizialmente perso in queste sue meditazioni non si accorse subito che quella che stava incrociando in quel momento era la squadra di pallavolo. Con il cuore che iniziò a galoppare senza che lui se ne rendesse conto lo cercò tra quelle teste ma inizialmente non lo vide, poiché Bokuto se ne stava dietro di tutti, ad una decina di passi distante dagli altri, perso a sua volta nei propri pensieri.
Un leggero sorriso ornò le labbra di Akaashi. Rallentò leggermente la sua andatura per poterlo osservare meglio. Il ragazzo stava procedendo verso di lui, mani cacciate nelle tasche dei pantaloni della tuta, perso in chissà quali elucubrazioni. Se solo Keiji avesse saputo di esser lui l’oggetto di tali pensieri!

- Ci si rivede eh, Bokuto Koutarou, classe 2 sezione E. -
Koutarou, con una lentezza da Guinnes dei primati, sollevò gli occhi da terra. Quella voce così soave e meravigliosa dov’è che l’aveva già sentita?
Spalancò gli occhi incredulo, aprendo la bocca per parlare ma non riuscendo a emettere alcun suono, facendo un passo indietro, incerto. La sorpresa per lui era troppo grande. Quello che era certo è che dentro di lui fu colto da un caledoscopio di emozioni che gli fecero girar la testa.
Per un istante Keiji naufragò dentro quelle iridi calde e dorate e Koutarou si perse in quelle lande verdi.

- Tu… I-io… - furono gli intelligentissimi suoni che gli uscirono infine dalle labbra. Non sapeva da che parte iniziare a parlare per trattenerlo lì e che non gli sparisse da davanti agli occhi come un effimero sogno. Forse poteva iniziare da una proposta di matrimonio… Sì, sarebbe stato indubbiamente d’effetto, ma poi realizzò una cosa. – Come fai a sapere come mi chiamo? -
- Beh, penso che dopo la vostra presentazione sul tetto di poco fa, vi conoscano tutti qui dentro. – gli spiegò sorridendo aumentando ancora di più l’imbarazzo dello schiacciatore. E il battito del suo cuore. Nonché la confusione che aveva in testa. Era convinto avessero la stessa età e che quindi frequentasse un liceo differente dal suo e invece ecco che gli era apparso lì davanti.
- Ah, ci avete sentito? – chiese, ornando a sua volta le labbra del suo solito sorriso aperto e sincero. A quella domanda, Keiji sgranò gli occhi verdi per un attimo. Come sospettava, la piazzata non era stata fatta per spacconeria ma per puro, sincero e onesto amore per la squadra e la pallavolo.
- Bisognerebbe esser stati sordi per non sentirvi. – proferì e Koutarou scoppiò a ridere di cuore, massaggiandosi la nuca. E quella risata cristallina cosa non fu per l’animo di Keiji! Una ventata di pura freschezza riparatrice.

- Bokuto, ti muovi? Stiamo aspettando solo te. - di nuovo la voce del capitano si era levata mentre tutta la squadra – già davanti alla porta della dirigenza scolastica – era girata verso di lui ad attenderlo, un po' straniti dal vedere il loro esagitato compagno in uno stato di apparente immobilità, e non il solito moto incessante e perpetuo, e senza parole.
- Và, non voglio trattenerti. - Keiji lo invitò a proseguire con un cenno del capo.
- Sì, ma… io… tu… -
- Bokuto! -
E il povero Koutarou, indice alzato mentre cercava ancora qualcosa di sensato da dire che non fossero solo pronomi personali, osservò lentamente l’ottava meraviglia del mondo passare oltre e allontanarsi da lui.
Fu solo quando un gruppetto di ragazze del club di basket - con il quale a volte dividevano la palestra – gli passò accanto e lo salutarono sghignazzando in merito al fatto che a loro non sarebbe poi dispiaciuto così tanto se la squadra di pallavolo non avesse vinto i Nazionali, in maniera tale da poterlo vedere girovagare per i corridoi della scuola come mamma l’aveva fatto, che Koutarou realizzò la sparata con la quale se ne era uscito per ultima sul tetto. E che Keiji doveva per forza aver sentito.
Al rallentatore rivide la scena da fuori. I suoi neuroni si misero alacremente al lavoro e… 1 più 1
E dentro di lui si risvegliò la versione vivente de L’urlo di Munch.
 

A Bro:
Bro, credo di aver fatto la figura di merda più colossale della mia intera vita

Da Bro:
Dimmi che qualcuno l’ha ripresa, ti prego

A Bro:
E comunque lui è qui!

Da Bro:
EHHHH?!?

 

 

7 anni più tardi…

Keiji stava guardando quella foto all’incirca per la millesima volta quel giorno.
Perché quello non era un giorno qualunque.
Sospirando, se la rimise nella tasca interna del giaccone. Chi stampava foto al giorno d'oggi, ci si poteva chiedere? Giusta osservazione, ma quella non era una foto qualunque.
Velocemente, perché il vento gelido attanagliava senza pietà quel pomeriggio, si tirò su la zip, mentre gli occhi erano ancora velati da una espressione indecrifrabile.
E fu nel momento in cui si stava infilando i guanti per dar riparo alle dita ghiacciate che si sentì chiamare, alle sue spalle.
Si voltò lentamente, non completamente certo di aver udito sul serio il suo nome poiché il vento ululava malignamente.
E invece non si era sbagliato. Qualcuno lo aveva veramente chiamato.
- Ehy, ma sei proprio tu allora, ci avevo visto giusto. Da quanto tempo… -

 

Continua…

 

 

Cioè, ma vogliamo parlare di come ho stoppato questo capitolo? Io boh, veramente. Cioè tipo ieri sera mentre ascoltavo questa canzone (chissà se mi ricordo come si mettono i link diretti su efp… https://www.youtube.com/watch?v=Tv4dsRq44EI Edit: no, a quanto pare...) mi è apparsa la scena davanti agli occhi e dentro di me è partito un dialogo che è andato all’incirca così:
“Oh, wow!”
“Macheccazz! Ma sei seria?! Cosa miseriaccia metti dentro altre cose ad cazzum?!”
“No, ma tranquilla: ne tireremo fuori qualcosa di supersupercarino!”
“Seh! Staremo proprio a vedere…”
Proprio esaltanti i miei monologhi interiori… niente! Ma è ok, va tuuuuutto bene…

 

 

*corridoio esterno alla casa ricoperto da un tetto a spiovente che può essere utilizzato come veranda d'estate e come spazio abitabile d’inverno essendo possibile chiuderlo completamente

*faccio riferimento a quel meraviglioso libro e film che, rispettivamente, portano il titolo “L’Isola della Paura” e “Shutter Island”. Se non l’avete letto/visto rimediate immediatamente, stramerita.

*in chi ha letto/guardato Kuroko no Basket sicuramente è chiaro l’episodio che mi ha ispirato^^

 

 

 

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Capitolo 4
*** Di imprevisti non richiesti ***


Sono semplicemente in ritardo
di più di un mese ma ok…
*tenta di passare inosservata*

Son settimane che son su questo capitolo,
ce la posso fare…

 

 

Di imprevisti non richiesti

 

Capitolo 3

 

Keiji fissò l’uomo che gli stava di fronte. Al solito era praticamente impossibile – in chi gli si trovava davanti – capire quali emozioni gli si agitassero dentro. In pochi ci riuscivano.
- Anche tu qui dalla nonna, eh Keiji? -
- Già… come sempre… - si limitò a rispondere laconico, cercando di capire dove sarebbe andato a parare quel discorso, se mai fosse andato a parare da qualche parte – Mi fa strano vedere qui te, papà. -

 

 

7 ANNI PRIMA

 

Inutile descrivere le mille e più espressioni scioccate di Koutarou quando, quel famoso giorno in cui il club di pallavolo aveva fatto la sua piazzata sul tetto della scuola, si era visto apparire Akaashi nella palestra.
Nella sua infinita megalomania aveva pensato che fosse stato il suo discorso ad invogliarlo ma quando lo aveva visto giocare si era dovuto convincere – come già avevano cercato di fare i suoi compagni di squadra (inutilmente) – che quel ragazzo sapeva alzare. E molto bene anche.
- Pensavo tirassi con l’arco. - lo aveva invaso con la sua parlantina non appena il coach li aveva liberati dagli allenamenti.
- Anche. - gli aveva riposto Keiji con quel suo mezzo sorriso che gli avrebbe tolto il sonno, e per motivi totalmente differenti tra di loro.
- E quindi, come mai hai scelto il club di pallavolo alla fine? - ed incredibilmente si era riuscito a frenare, non si sa per quale strana congiunzione cosmica, dall’uscirsene con un candido “è perché ci sono io, vero?”.
Se solo avesse saputo che era davvero così, dato che Keiji, vedendolo giocare, o meglio: volare, aveva capito che voleva assaporare ancora la sensazione di fare un’alzata a qualcuno che permettesse quella magia.
- Ho trovato il motivo che cercavo. - era stata la sua replica sibillina e aveva chiaramente visto i cricetini nella testa di Bokuto mettersi alacremente al lavoro ma l’aveva lasciato lì impiantato, dopo aver recuperato la sua sacca da una delle panche dello spogliatoio ed essersene uscito.

In quelle tre settimane avevano avuto modo di imparare a conoscersi un po' di più, soprattutto perché Bokuto durante l’intervallo o la pausa pranzo casualmente appariva sempre magicamente nel corridoio delle prime, portandosi dietro un recalcitrante – ma anche divertito – Konoha. Akinori nemmeno le contava più le volte in cui si era ritrovato, suo malgrado, a fare lo stalker davanti alla porta della classe di Akaashi, sbirciando dentro e trovandolo sempre seduto sul suo banco intento a leggere e perfino in una posizione così semplice, traspariva il suo portamento regale. E quando alla fine li vedeva, dopo che Koutarou aveva attirato la sua attenzione, ecco che accennava appena un sorriso lieve, avvicinandosi a loro e rispondendo sempre in modo gentile. Akinori si chiedeva come non potesse esserne infastidito ma Keiji era ancora avvolto nel mistero, in qualche modo; la cosa che adorava di lui – e che lo faceva scompisciare dalle risate e nemmeno in modo velato – era come riportasse ogni volta Koutarou con i piedi per terra quando questi partiva con i suoi voli pindarici sulle sue doti di super ace. Erano momenti a dir poco esilaranti ed eccezionali. E la cosa altrettanto sensazionale era che Bokuto li ascoltava quei consigli, attentamente, e mettendoli in pratica. Indubbiamente tutta la Fukurodani ne aveva guadagnato ad aver acquisito Akaashi come regista di gioco, perché aveva un occhio clinico e capace, nonostante fosse solo al primo anno, che era qualcosa di prodigioso. E, soprattutto, altra cosa della quale tutta la squadra aveva beneficiato, era il fatto che il loro alzatore era in grado, in qualche modo, di frenare le esagitazioni di Koutarou e i suoi sbalzi di umore.

E Akaashi si sentiva davvero bene. Quei ragazzi lo avevano accolto con un entusiasmo assurdo, non facendolo mai sentire l’ultimo arrivato – dato che, alla fine e nonostante la magnifica presentazione sul tetto, lui era risultato l’unico iscritto e aveva preso la titolarità fin dalla loro prima partita – e giocare con Bokuto… Beh, Bokuto indubbiamente faceva casino per cento, parlava per mille ma la cosa, incredibilmente, non gli dava più di tanto fastidio. A volte era mentalmente stancante stargli dietro ma la cosa bella era che averlo intorno ti caricava di energia buona e, in secondo luogo, che quando lo aveva a fianco era un po' come quando uscendo dall’ombra si rimane abbagliati dalla luce del sole, nel momento in cui ti acceca e non riesci a vedere null’altro e sei solamente avvolto da quella luce e per Akaashi era come poter tirare il fiato dopo una lunga apnea, non dover pensare a niente altro.
Dal punto di vista di Koutarou il tutto di guadagnato stava inoltre nel potersi avvicinare un po' di più all’altro, passettino per passettino, giorno per giorno.
Fatto sta, però, che Aprile ormai era passato e con esso la possibilità tanto sospirata da Koutarou di poter invitare Keiji a fare hanami insieme, ma in compenso era arrivato ciò che orde di ragazze sognanti (e tra di esse si poteva contare anche Bokuto) aspettavano con una ansia assurda perché era in questo periodo che si vedevano sbocciare nuove storie d’amore nate da dichiarazioni rubate e al riparo da occhi indiscreti. Aka il famigerato Festival Scolastico. E ovviamente Koutarou ci stava puntando tantissimo. Ancora non gli pareva vero dell’incredibile colpo di fortuna che per quell’anno si era deciso che fossero i club, e non le classi singolarmente, ad organizzare i vari eventi. E questo aveva significato che aveva passato con Akaashi tantissimo tempo insieme, più di quello che avrebbero passato con i soli allenamenti. E, soprattutto, ciò gli aveva permesso di vedere Keiji sotto un’altra veste, che fosse al di fuori della pallavolo. E inutile dire che il suo cuoricino aveva iniziato a palpitare e fare le capriole ancora di più, senza accorgersi degli sguardi dei suoi compagni di squadra quando si erano accorti che il loro ace gironzolava attorno al loro nuovo alzatore praticamente sempre.

- Hai preso in considerazione il fatto che potresti non piacergli o che, forse, non gli interessano i ragazzi? - gli stava facendo notare giustamente Kuroo mentre si trovavano nel locale di Ayase a cercare di elaborare varie strategie, dato che domani sarebbe stato il grande giorno. O meglio: Bokuto si inventava cose improponibili e non meglio precisate e Tetsurou, al solito, lo riportava con i piedi per terra. O almeno ci provava a porre freno a quei voli pindarici.
- Impossibile! - fu la replica, detta con una nonchalance assurda che fece inarcare un sopracciglio divertito all’amico.
- Modesto, eh! - replicò Tetsurou, senza malizia e cattiveria alcuna, portandosi alle labbra un biscottino che Ayase, solerte come sempre, gli aveva presentato non appena si era seduto al tavolo.
- Eh? - chiese Koutarou interdetto, mentre – senza alcuna delicatezza – il biscottino se lo conficcava tutto in bocca in un boccone solo. - Intendevo che se uno si innamora, si innamora, indipendentemente dal sesso, no? - iniziando a sputacchiare briciole ovunque.
- Ah beh, su questo sono perfettamente d’accordo, lo sai. - rispose l’altro, allungando una mano sotto al tavolo per tentare nuovamente di far amicizia con Mitchi che si trovava accucciato sotto la loro postazione. E beccandosi una inevitabile ringhiata.
- Non ti sopporta. - notò Koutarou perplesso. A lui, quel cane, faceva sempre mille feste.
- Già… - mormorò divertito Kuroo, perseverando a tentare di accarezzare il collo dello shiba inu, apposta per infastidirlo – Capita anche ai migliori. - scherzò.
- E poi sarei io quello modesto, eh? -
Qualsiasi tentativo di replica da parte di Tetsurou venne interrotto sul nascere dall’arrivo di Ayase, che si era avvicinata al loro solito tavolo nel momento in cui nel locale c’era un attimo di calma. E non appena Mitchi l’aveva vista avvicinarsi, ecco che si era messo in piedi, già scodinzolando tutto felice. Per un cane che era la quintessenza della pigrizia, tutta quella solerzia attirò inevitabilmente l’attenzione dei due ragazzi, che lo fissarono perplessi. La ragazza si abbassò di poco, prendendogli il volto tra le mani e spupazzandoselo un po', per poi sollevarsi nuovamente e mettersi seduta al tavolo con loro. O meglio: si mise posizionata dando praticamente le spalle al fratello e calamitando tutta la sua persona verso Kuroo.
- Eccomi da voi ragazzi. - ebbe anche il coraggio di dire l’infingarda, pensò Kou - Come stai, Tetsu? È sempre un piacere vederti. Non solo per gli occhi… - concluse sussurrando e beccandosi una occhiata a metà tra il divertito e il critico da parte del fratello che si appoggiò allo schienale della sedia, notando come anche Mitchi osservasse quel quadretto e nuovamente avesse iniziato a ringhiare sommessamente verso Kuroo, fino a quando non fu richiamato all’ordine dal suo proprietario.
- Hum, forse ho capito perché Mitchi non ti sopporta... - constatò Bokuto, quasi tra sé e sé, incrociando le braccia al petto.
- Cosa vi faccio preparare? - chiese la ragazza ma continuando a parlare e rivolgere l’attenzione solo ed esclusivamente verso Tetsurou.
- Hum… non saprei onee-san, tu cosa proponi? - stette in qualche modo al gioco Kuroo, appoggiando entrambi i gomiti al tavolo e poggiando il volto sulle mani a coppa e accennando un piccolo sorrisino.
- No, ma continuate pure ad ignorarmi, eh! - se ne uscì divertito Koutarou, facendoli scoppiare a ridere e allora Ayase si fece seria e meditabonda.
- Dunque, vediamo… un té nero dark chocolate con cocco e cannella. - sentenziò alla fine, asserendo vigorosamente con il capo, convinta della sua scelta.
- Onee-chan, ti sembra che il Bro sia il tipo che ordina una cosa così… diabetosa e stomachevole? - la redarguì Koutarou perplesso.
- Sì, perché è dolce come lui. - fu la replica di Ayase detta con un candore assurdo.
E con queste parole i due fratelli poterono assistere ad un evento più unico che raro. Kuroo Tetsurou, il re delle frecciatine sarcastiche e delle provocazioni, arrossì lievemente.
- Dovrei imparare a flirtare da te. - osservò Bokuto serissimo, rimasto basito da quel rossore nelle guance dell’altro.
- Ehy! Io non sto flirtando, dico solo la verità. Allora, raccontami Tetsu: avrai la fila di ragazze nel tuo liceo. -
- Ohy onee-chan, stavamo parlando delle mie pene d’amore. - proferì Kou, indicandosi con un dito.
- Sì, ma le tue non sono interessanti come le sue e, inoltre, me le sto sorbendo anche troppo. - fingendo di scacciare via con la mano qualcosa di molesto.
- Sì, comunque Bro, anche a me interessa. Non mi racconti mai niente dal punto di vista amoroso. -
E Kuroo sentì la pressione insistente di due paia di occhi dorati fissi su di lui.
- Perché non c’è n-niente da raccontare. -
Oh, caspita se Kuroo non li vide, i due fratelli, come si voltarono a guardarsi l’uno con l’altro ed esclamare all’unisono:
- Si è messo sulla difensiva. - sogghignando per poi riportare l’attenzione su di lui.
- Non mi sono messo sulla difensiva. - rise, mettendo le mani avanti. Il sorriso, la sua risata, la sua pungente ironia sarcastica ma sempre buona senza mai nessun intento malefico erano il suo meccanismo di difesa preferito – E comunque stavamo parlando di te Bro. - puntandogli un indice contro e gli altri due, che gli volevano un bene dell’anima e mai gli avrebbero fatto del male, decisero per magnanimità di non continuare a dargli il tormento. Nonostante anche Kuroo fosse un cuor contento, un compagnone, in merito a quella che era la sua vita privata, le sue eventuali pene e tarli se li custodiva nel profondo del cuore, per non dar ulteriore peso agli altri e questa era un’arte che aveva fatto propria fin da piccolo.
- Ah sì, è vero. Non distraiamoci per favore, che qua il momento è topico. -
- Sai che cosa significa topico? - chiese sinceramente sorpreso Kuroo.
- Ah-ha, sempre simpy, oh. E comunque lo sento usare molto spesso da Keiji. -
- È già diventato Keiji per te? - lo beccò sardonico l’amico, poggiando nuovamente il mento sul palmo della mano.
- Sono ottimista. - fu la replica così schietta e lapidaria che fece scoppiare a ridere di gusto Kuroo.
Koutarou non lo poteva sapere allora, ma quella risata li avrebbe legati per il resto della loro vita.

E alla fine, il mattino del gran giorno del Festival Scolastico era arrivato e Koutarou lo affrontò con gli occhi tutti rossi e gonfi dato che aveva passato tutta la notte sveglio. Troppo emozionato e a ripassar mentalmente tutto ciò che, nel pomeriggio prima, lui, Kuroo e Ayase avevano cercato di pianificare. I due l’avevano pregato in ogni modo e maniera di non andar giù diretto e, sinceramente, neanche lui sapeva bene che cosa aspettarsi da quel giorno. Anche solo l’idea di poter passare tante ore insieme ad Akaashi era una cosa che era in grado di aggrovigliargli le budella. Significa davvero essere innamorati? Vabbé, per il momento non importava rispondere correttamente a quella domanda. Ora la questione impellente era un’altra, ossia perché si trovavano in aula magna a doversi sorbire un noiosissimo discorso di buon festival scolastico e il docente preposto per fare tale discorso non aveva per niente il dono della sintesi? E perché tra tutti i posti che poteva occupare, era proprio quello dietro ad Akaashi? Non riusciva a staccare gli occhi dalla sua nuca, dal candore della pelle in netto contrasto con i capelli neri. Koutarou iniziò a sentir incredibilmente caldo, tanto che dovette iniziare a sbottonarsi il primo bottone della camicia della divisa e allentare un altro po’ il nodo della cravatta per riuscire a respirare. La cosa che non lo aiutava ulteriormente era che si stava chiedendo come potesse essere avere un appuntamento con Keiji. Da quando lo aveva visto per la prima volta, nel locale di sua sorella, si era immaginato un appuntamento tra loro due un’infinità di volte, l’aveva visto e rivisto nella sua mente da una marea di angolature differenti, cambiando ogni volta i contorni esterni. A volte era in piena estate all’ora del tramonto con le cicale che frinivano, altre volte invece era in pieno inverno con lo scivolare lento ed ipnotico della neve che li costringeva entrambi a stringersi sotto allo stesso ombrello.
“Ok, è deciso!” stabilì infine “Per la fine della giornata devo strappargli un pseudo-appuntamento. Fare un salto a mangiare un boccone insieme da qualche parte, tanto ci sarà anche il Bro, quindi non gli apparirà come qualcosa di troppo forzato o come se io l’avessi invitato ad un vero appuntamento.” E questa sua decisione lo rianimò e gli fece allagare sul viso un enorme sorriso compiaciuto.

Purtroppo, nonostante i suoi buoni propositi, la verità era che, nel momento in cui erano finalmente stati lasciati liberi di potersi sistemare nelle aule assegnate, non stava avendo un solo istante per restar da solo con Akaashi. C’era sempre troppa gente in mezzo.
L’idea che il club di pallavolo aveva avuto era stata quella di un cafè ad ambientazione storica e più precisamente i ragazzi si erano vestiti da Samurai. Inutile dire che anche con armature create con carta pesta e cartoni, Keiji faceva la sua porca figura. E Koutarou – addetto a cucinare (non si sa per quale oscuro motivo) se ne stava passando tutto il tempo appoggiato al bancone di fortuna, mento appoggiato sulle mani, sospirando sognante e beccandosi occhiate a metà tra il divertito e lo scazzato da parte di Akinori, perché gli toccava anche la parte del suo lavoro.
- Guarda che così lo consumi! - lo beccò piccato quest’ultimo, mentre gli cacciava in mano la ciotola con le uova da montare perché facesse almeno quello.
- Chi…? Cosa…? - chiese sbattendo un paio di volte gli occhi interdetto. Non che si preoccupasse che Konoha lo avesse sorpreso a fissar il loro alzatore più del dovuto o che pensasse che provava un certo interesse per lui, semplicemente non si aspettava di esser così sgamabile.
Rimase lì, quindi, a fissar interrogativo l’amico, ciotola e frusta in mano in uno precario equilibrio mentre l’altro lo osservava divertito, con un sopracciglio inarcato e una mano appoggiata sul fianco, con uno sguardo sornione che stava chiaramente ad indicare la sua domanda “ma sei serio?”.
Akinori scosse la testa emettendo un lungo sospiro ma l'impasse fu salvata in qualche modo dall’entrata in scena di Kuroo, che – come promesso – si era spinto fino al liceo Fukurodani. Ufficiosamente per esser di supporto a Koutarou, ufficialmente per evitare che facesse danni irreparabili.

Keiji sulla soglia ad accogliere gli avventori, come al solito, aveva preso il suo compito seriamente e con coscienza, non sapendo che tutto il resto della squadra aveva votato a favore in merito al fatto che assolutamente doveva essere lui la persona preposta ad accogliere le persone all’entrata dell’aula; questo perché il club di pallavolo, da sempre in competizione con quello di baseball su tutto, aveva fatto una tacita sfida su chi avrebbe attirato più gente al proprio cafè. E con Akaashi alla porta in versione Samurai i pallavolisti erano certi che le ragazze si sarebbe catapultate dentro con un triplo carpiato anche se invece di un cafè si fosse trattato di una stanza delle torture medievale. A dirla tutta Koutarou, un po' geloso, era rimasto un attimo interdetto nella votazione ma poi il suo spirito di competizione gli aveva fatto acconsentire a sua volta. Sopratutto perché da quella postazione avrebbe avuto la sublime visione di Akaashi sempre davanti ai suoi occhi. E, al contempo, controllare che nessuna gallinella gli ronzasse troppo intorno, in quel caso sarebbe stato pronto ad intervenire.
Keiji si trovava sulla soglia quindi e quel ragazzo alto e dal ghignetto strafottente ma comunque buono non gli passò inosservato, nemmeno la veloce occhiata scrutatrice che gli lanciò, cosa che fece allargare nel nuovo arrivato impercettibilmente ancora di più il sorrisetto. Akaashi notò che non portava la divisa del loro liceo, doveva quindi essere lì per trovare qualcuno. Ma tra tutte le persone chissà perché Keiji non lo associò a Bokuto. Ecco perché si meravigliò non poco quando, alle sue spalle, sentì gli ormai ben noti decibel levarsi. E stavolta la voce del suo schiacciatore non stava tentando di attirare la sua attenzione ma quella del ragazzo al suo fianco che scoppiò a ridere, in una risata fresca e genuina che gli permise ora di capire del perché quei due fossero in qualche modo legati.
- Bro, ma come ti hanno conciato? - gettando un’occhiata nuovamente al suo indirizzo, come a volergli chiedere di spostarsi, dato che gli stava ancora interdendo il passaggio. E gli occhi color ottanio di Akaashi si persero a fissare quelli ambrati del nuovo arrivato come a volerlo silenziosamente studiare. Esame al quale Tetsurou non si sottrasse, piegando leggermente la testa di lato. Il tutto durò nemmeno una frazione di secondo ma fu come se, per entrambi, si fosse trattato di una eternità. Eternità interrotta dall’arrivo di Koutarou che, tutto festante, prese il nuovo arrivato sottobraccio per poi rivolgersi a lui.
- È il mio miglior amico. Il mio fratello d’anima. - disse con una genuinità disarmante e un sorriso candido.
- Ben arrivato. - proferì l’alzatore; due sole parole ma dette con tono così profondo che fece sgranare gli occhi agli altri due.
- Questo gattaccio lo conoscerai bene, ‘kaashi, ce lo troveremo ad affrontare in campo una marea di volte. Lui e i suoi maledetti muri. - mentre gli batteva a cadenza ritmata una mano sulla spalla.
- Mi fa piacere. - rispose Keiji, accennando ad un lieve sorriso educato (che costò le coronarie alle ragazze in fila dietro a Kuroo) e che spiazzò per un istante anche Tetsurou stesso, che però non ebbe il tempo di replicare alcunché perché Bokuto lo trascinò letteralmente verso uno dei pochi tavoli rimasti liberi.
- Ohy Konoha, mi prendo un attimo di pausa! - urlò in direzione del proprio compagno di squadra.
- Come se fino adesso tu avessi fatto qualcosa. - fu la scontata e lapidaria replica che fece levare una risatina sommessa a più presenti. Akaashi compreso.

- Allora, come ti sembra? - chiese Koutarou, tutto emozionato, non riuscendo a star fermo sulla sedia, al solito suo.
- Beh… - iniziò Kuroo pronto a sorbirsi il terzo grado, tentando di girarsi per guardare l’oggetto della loro futura conversazione – e di tutte quelle precedenti ma dettagli – ma venne bloccato da un movimento agitato delle mani dell’altro.
- Nono Bro, altrimenti capisce che stiamo parlando di lui. -
- Bro, tu sei consapevole del fatto che lo stai fissando imperterrito, vero? - domandò retoricamente, abbondandosi allo schienale e incrociando le braccia al petto mentre Koutarou si toglieva la bandana dalla testa e le ciocche di capelli gli ricaddero prepotentemente davanti agli occhi, come raramente capitava di vedere.
- Dici? -
- Dico. - scuotendo la testa sconsolato ma divertito.
- Quindi, come ti sembra? - di nuovo ecco che Bokuto lo incalzò, sporgendosi verso di lui.
- Beh, non è male… - ma non fece in tempo a proferir altra parola alcuna perché ecco che Bokuto si lanciò in una delle sue scene madri di disperazione.
- Ahhh, non portarmelo via! -
Kuroo era consapevole di avere tanta pazienza ma a volte davvero si chiedeva dove l’andasse a pescare di fronte a certe scene madri del suo bestie. Si prese la radice del naso tra indice e pollice ed iniziò a massaggiarla delicatamente.
- Bro, non ti farei mai una cosa del genere, lo sai! E poi, come ti dicevo ieri, prendi in considerazione il fatto che ad Akaashi non potrebbero interessare i ragazzi. - cercò di riportarlo in qualche modo con i piedi per terra. Ovvio che era dalla sua parte e l’avrebbe aiutato in ogni modo e maniera ma, al contempo, voleva anche in qualche modo preservarlo da eventuali delusioni.
- Ma tu, come lui, sareste in grado di ammazzare l’eterosessualità di qualsiasi maschio presente sul pianeta terra. - disse con una serietà e una intensità tale che Kuroo, dapprima sgranò gli occhi meravigliato, per poi scoppiare a ridere di gusto.
- Grazie per la fiducia ma non credo di essere in grado di arrivare a tanto. Suppongo sia una specie di complimento, no? -
- Beh, oddio… sì… credo… ma non voleva essere un complimento. - ci tenne a precisare l’altro, grattandosi la nuca.
- Grazie tante - replicò il felino umano, per nulla risentito ma anzi: divertito – Comunque, al di là di questo, tiriamo le somme dei nostri discorsi di ieri ed elaboriamo una strategia per farti strappare una uscita con lui in qualche modo, giusto per capire quanto e come ti puoi spingere e quali siano il modo e il momento migliore per chiederglielo, senza risultare troppo palesi. -
- Seh... Comunque, io ho un piano. – proferì tutto trionfante Koutarou, battendosi una mano sul petto con fare solenne.
A queste parole Kuroo portò attentamente gli occhi su quelli dell’altro, già attendendosi l’ennesimo strafalcione.
- E di preciso sarebbe? – domandò.
- Nessun piano. – proferì l’altro allegro.
- Eccallà! Siamo in una botte di ferro allora... - neanche sconfortato più di tanto, ormai così abituato ai non-sense del suo bestie.
- Ma sì Bro: mi affiderò alla fortuna! – sentenziò sempre più allegro, come avesse detto un’ovvietà.
- Quale migliore strategia se non quella di affidarsi al caso e alla fortuna? – continuò Bokuto, seriamente convinto, battendogli energicamente una spalla con una manata. Tetsurou sospirò sommessamente, massaggiandosi di nuovo la radice del naso per poi riportare lo sguardo su quello dell’amico.
- Facciamo che per questa volta sarò io la tua fortuna, che ne dici? - sporgendosi di poco verso verso l’altro e notando, con la coda dell’occhio, di come Keiji non si fosse perso quel piccolo movimento.
“Ohh, sta a vedere che lo svampito qui in qualche modo ha attirato l’attenzione del suo bello? Bisogna capire se e come.” pensò, iniziando a parlare a voce bassa in modo tale da costringere anche Koutarou ad avvicinarsi a lui da sopra il tavolo e caspita se non lo notò, Tetsurou, l'assottigliarsi degli occhi verdi del loro argomento di conversazione. Avrebbe voluto osar di più ma non lo fece per non mettere in difficoltà Kou che era e restava un concentrato di meravigliosa ingenuità e candore.
- Al tramonto Venere si vedrà ancora più luminoso del solito e in allineamento con la Luna e Mercurio. - disse, tutto fiero e pomposo, appoggiando la schiena allo schienale e aspettandosi l’effetto della sua rivelazione.
- Eh? - fu invece la reazione dell’altro che si era aspettato la formula magica per strappare ad Akaashi un appuntamento o qualcosa di pseudo tale.
Kuroo emise un piccolo sospiro.
- Il cielo sarà spettacolare. - ci riprovò ma beccandosi un inarcamento di sopracciglio perplesso con annesso incrocio di braccia al petto da parte di Koutarou - Bro, un momento romantico e perfetto per eccellenza. -
E finalmente le sue parole ebbero l'effetto dirompente che si era aspettato nel cuoricino e nella testolina del suo amico che si alzò di scatto dalla sedia, quasi facendola cadere dall’enfasi con la quale si era alzato.
- Oh… Ohhh! Bro, hai ragione! - ovviamente aveva praticamente urlato, attirandosi l’attenzione di tutti e, guardandosi furtivamente in giro, si rimise nuovamente seduto, ma continuando ad agitarsi sulla sedia tutto emozionato. Quanto mancava al tramonto? Troppo ancora, accidenti! Ma, soprattutto, con quale scusa attirare Akaashi nella collinetta dietro ai campi esterni? Ma si sa, la fortuna aiuta gli audaci. E così sarebbe stato per Bokuto.

Le attività del Festival erano giunte alla conclusione. Akaashi si era offerto di riportare le attrezzature che avevano preso in prestito dal club di arte nelle loro aule e Bokuto, veloce come un centrometrista allo scatto dello starter, colse al volo quell’occasione più che perfetta.
Koutarou era rimasto d’accordo con Tetsurou che comunque, con o senza Akaashi, sarebbero andati a strafogarsi di schifezza in uno dei mille fast-food lì vicino (ogni tanto si permettevano quello che chiamavano “il giorno merda”; erano due atleti, attenti alla loro alimentazione ma ogni tanto davano libero sfogo a quel piacere non necessario).
Bokuto aveva proposto all’amico di invitare qualcuno, se gli andava, in modo tale inoltre da fare sentire Akaashi meno in soggezione ma Kuroo aveva obiettato che, da quanto aveva capito, Keiji gli sembrava uno che, al contrario, non amasse molto le compagnie troppo numerose (e rumorose, avrebbe voluto aggiungere ma si era trattenuto per ovvio motivi). E alla faccia perplessa di Bokuto, Tetsurou aveva replicato dicendo che avrebbe provato a sentire qualcuno dei ragazzi della squadra. L’unica alternativa possibile, nella sua testa, per non mettere troppo a disagio Akaashi era indubbiamente Kenma, ma Kuroo era matematicamente certo che non avrebbe schiodato da casa il suo amico neanche se fosse sceso il Padre Eterno in terra. Ma non aveva fatto in tempo ad esprimere queste sue perplessità perché Koutarou era letteralmente volato via prima che Akaashi gli sfuggisse alla vista e l’aveva raggiunto in volata. Ed ora… beh, c’era indubbiamente qualcosa che non tornava. Com’è che era così nervoso? Ma dai, non era da lui, per niente! Neanche alla sua prima partita ufficiale al Liceo, nemmeno quando aveva i test di matematica (la sua Nemesi), ed ora invece, pensando che – se se la fosse giocata bene – sarebbe finalmente stato solo con Akaashi e con uno scenario romantico di sottofondo, si sentiva la saliva azzerata, le mani sudate e il cuore che galoppava in gola. Lanciava occhiate furtive al cielo, vedendo che le prime ombre avevano iniziato a palesarsi. Non c’era più tempo! E per sua fortuna lui era sempre stato uno che agiva velocemente.
- Akaashi? - lo richiamò, con un tono di voce leggero, incredibile in lui. Per un istante si era perso a guardare come Keiji si stesse accarezzando i polsi e le dita come molto spesso l’aveva visto fare.
- Sì? - rispose l’altro mentre richiudeva la porta della stanza del club d’arte, sollevando gli occhi verdi verso di lui. E uccidendolo all’istante ma dettagli.
- Voglio farti vedere una cosa. - accennando appena ad un sorriso. Suonava male quella frase?, si chiese. Non aveva tempo per pensarci, si rispose.
Si erano liberati dai loro costumi di scena ed ora indossavano le ben più comode tute del club di pallavolo. E Keiji era bellissimo anche così.
Il quale Keiji si limitò ad osservarlo in silenzio. Nella sua giovane vita non aveva mai conosciuto nessuno che fosse un libro aperto, disarmantemente vero come Bokuto. Nonostante fosse uno diffidente per natura, si era fidato subito di Bokuto, perché sentiva che da una persona che possedeva una schiettezza simile e un sorriso così genuino non sarebbe mai potuto arrivare nulla di male o che potesse in qualche modo ferirlo.
- Cosa? - chiese quindi, piegando di poco la testa di lato.
- Sorpresa! -
E Akaashi di fronte a quello sguardo che luccicava di aspettative e di gioia non poté resistere.
Per un attimo si persero l’uno negli occhi dell’altro e fu come se non ci fosse più un prima o un dopo ma solo quel preciso istante ed entrambi, per un motivo o per un altro, avrebbero voluto durasse in eterno. Koutarou si avvicinò ulteriormente verso di lui, sollevandogli il bavero della giacca, perché si era alzato un forte vento e Keiji, per tutta risposta, socchiuse per un istante gli occhi, per nulla infastidito. Bokuto l’aveva fatto in maniera così sciolta da non poterci vedere in quel gesto nulla di male.
- Dai ‘kaashi, andiamo, altrimenti non arriveremo mai in tempo. Dobbiamo arrivare prima che sia troppo tardi. - sussurrò alla fine Koutarou, spezzando a fatica quel momento magico e cominciando a inerpicarsi lungo un tragitto impervio, riuscendo a stuzzicare la fantasia di Akaashi in merito a dove lo stesse portando, perché non ne aveva veramente la più pallida idea.
- Troppo tardi? - domandò, ora ancora più incuriosito ma Bokuto si era già mosso. E se questi si era mosso velocemente era perché il suo istinto per un istante era stato quello di prenderlo per mano. Per uno fisico e di impatto come era lui si era trattato di un vero e proprio sforzo non farlo. Già dentro di sé si stava stramaledendo per il fatto di avergli sistemato il bavero della giacca chiedendosi cosa pensasse Akaashi di tanta sfacciataggine.
- Non farti così tante domande. - lo ammonì divertito Koutarou e Akaashi inarcò un sopracciglio: era proprio quello il suo problema! Farsi troppe domande e pensare troppo, considerò dentro di sé mentre stavano salendo lungo una collinetta di qui ignorava l’esistenza, ma sembrava che l’altro si orientasse molto bene in mezzo a tutti quegli arbusti, nonostante i rovi che sbucavano ovunque e, infatti, anche lui, nonostante Bokuto gli facesse egregiamente strada, doveva stare bene attento a dove metteva i piedi. E nonostante questa sua attenzione, nel momento in cui il suo sguardo era puntato sulla schiena dell’altro, ecco che una delle radici di uno degli alberi disseminati lungo quella piccola salita, lo tradì in pieno.
Keiji era certo di non aver emesso alcun suono, né di sorpresa né tanto meno di imprecazione, ma fatto sta che Koutarou si era reso in qualche modo conto di ciò che stava succedendo e, veloce come un fulmine, fu da lui, afferrandolo prima che potesse rovinosamente cadere di faccia. Una mano si era poggiata sul fianco mentre con l’altra l’aveva in qualche modo attirato a sé e quello che Akaashi sentì fu che il suo corpo venne invaso da un calore mai sperimentato prima. Non cercò neanche per un secondo di sottrarsi a quel contatto ma anzi: spostò lo sguardo verso quello dell’altro e lo trovò immediatamente. E gli occhi dorati di Koutarou erano lì, pronto ad accoglierlo.
“Cos’è questo peso che sento nel cuore quando mi sorride?” continuava ad interrogarsi il ragazzo dagli occhi verdi, perché la vicinanza dell'altro era in grado di turbarlo, di emozionarlo e di farlo sentire come gettato su di un’auto da corsa a mille giri al secondo.
- ‘kaashi, tutto ok? – gli chiese Bokuto che subito sentì un diffuso rossore salirgli alle guance perché non si era ancora deciso a mollare la presa e mai l’avrebbe fatto se fosse dipeso unicamente da ciò che desiderava. Sentire sotto le proprie dita quella schiena così flessuosa ma tonica era una sensazione così bella che poteva paragonarla solo alla sensazione di sentire sotto le proprie dita un pallone da pallavolo al momento della schiacciata.
– Sì tutto ok, grazie. sussurrò appena sentendo quella presa forte e decisa su di sé e in qualche modo gli ricordò il modo di giocare dell’altro: energico ed efficiente. Ci fu un lungo etereo attimo di silenzio prima che Bokuto capì che si doveva proprio decidere a lasciare la presa perché continuare, oltre che scortese sarebbe stato indubbiamente poco delicato.
- Dobbiamo… - ma ancora tenendo gli occhi sui suoi, il quale faceva altrettanto, senza abbassarli – muoverci. - disse infine, spostando lo sguardo al cielo sopra di loro. S’incamminò nuovamente, precedendo davanti al suo alzatore, cosa che gli permise di nascondere il rossore che gli era inevitabilmente salito alle guance. Con passo deciso si arrampicò per l’ultimo pezzo e, una volta salito, si girò verso Keiji che fissava quell’ultimo sforzo valutando quale fosse il passo migliore da fare per andare sul sicuro. Era immerso in questi veloci pensieri fino a quando non alzò lo sguardo sull’altro. E Koutarou fece l’unica cosa che andava fatta: gli tese la mano per aiutarlo, sorridendogli leggermente. E quel gesto parlò più di mille parole, perché fu come dire all’altro: “ Io sono qui, sono qui per te. Non lascerei mai andare la tua mano.” E Keiji l’afferrò senza indugio, affidandosi a lui sentendo come la presa di Koutarou, di nuovo, era forte e sicura, proprio com’era lui, come Akaashi aveva imparato a conoscerlo in quelle settimane.
Furono questi i pensieri che attraversarono la mente del giovane alzatore nel momento in cui fece l’ultimo sforzo e travalicò la cima e allora gli si mozzò il fiato in gola… Dall’alto di dove si trovavano, si dominava tutta la veduta della città sotto di loro.
- Appena in tempo… - sentì sussurrare allegro Bokuto e allora si girò quel tanto che bastava per scrutarlo e vedere dove avesse posato lo sguardo. Koutarou si accorse di quell’occhiata e si voltò a guardarlo a sua volta, poi avvicinò la testa alla sua in maniera tale che si sfiorassero e, senza dire una parola, gli indicò semplicemente con l’indice la direzione in cui guardare: il sole infuocato che si stava tuffando in mezzo ai piani più alti dei grattacieli dopo averli tinti di cremisi, iniziando proprio allora la sua discesa. Era uno spettacolo che, seppur nella sua semplicità, mozzava il fiato tanta era la sua magnificenza. Ogni singolo particolare era perfetto e Keiji si portò una mano all’altezza del cuore, facendo tacere a forza il suo intelletto che stava cercando di spiegarsi il perché di quel batticuore e di quella sensazione di emozione estrema. Ogni particolare era semplicemente perfetto: la luce, il vento, i suoni della città in lontananza, il vociare allegro delle persone sotto di loro, l’imbrunire che avanzava nel cielo a mano a mano che il sole completava la sua corsa...
Akaashi si lasciò scompigliare docilmente i capelli dal vento, stringendosi maggiormente alla giacca, continuando a osservare estasiato quello spettacolo fino a quando non sentì la voce di Bokuto mormorare:
- E non è finita. – mentre gli indicava un altro punto nel cielo da osservare e lui, diligentemente, ancora una volta spostò lo sguardo dove l’altro gli indicò e, nuovamente, rimase senza fiato.
– Venere in questi giorni è più luminoso che mai e in… allineamento (pregò fosse la parola giusta) con Mercurio e la Luna. –  bisbigliò, sperando di ricordarsi giuste le veloci nozioni di astronomia che Kuroo gli aveva fornito. E caspita se il suo Bro non gli aveva dato un suggerimento a dir poco perfetto, pensò mentre si riempiva di quella visione a sua volta e Keiji non poté far altro che assentire con il capo, ancora troppo meravigliato da quello spettacolo. Il cielo molto presto s’illuminò completamente della luce tremolante delle stelle ed entrambi rimasero naso all’aria a fissare rapiti lo spettacolo.

Era veramente un momento perfetto. Anzi: più che perfetto e Koutarou valutò che davvero, davvero!, sarebbe stato quello il momento giusto per prenderlo per mano. Poco prima l’aveva fatto per aiutarlo ed era stato meraviglioso, ancora si ricordava di quanto il palmo della mano di Keiji fosse caldo... Abbassò per un attimo lo sguardo a terra, socchiudendo gli occhi.
- Bokuto-san? -
La voce di Akaashi l’aveva risvegliato e sollevò nuovamente gli occhi verso quelli dell’altro che lo fissavano preoccupati.
- Tutto ok? - gli chiese questi.
- Sì, sì: tutto okeissimo. - assentendo vigorosamente con il capo. Sarebbe rimasto lì tipo per sempre ma quando vide Akaashi rabbrividire, capì che era il momento di rientrare e lui, cazzocazzocazzo!, non gli aveva ancora chiesto di uscire.
- Hai freddo. - constatò quando fece tacere questi pensieri, levandosi la propria giacca e, con un rapido gesto, la pose sulle spalle di Keiji che rimase a dir poco meravigliato. Bokuto fece per girarsi su se stesso, per ridiscendere, quando si sentì tirare per la manica della maglia. Si fermò di colpo, inspirando impercettibilmente e sentendo un flebile grazie. Di nuovo, un leggero sorriso gli increspò le labbra e si voltò verso di lui e rimase piacevolmente sorpreso dall’espressione rilassata e distesa che aveva Akaashi in quel momento.
Ok, era il momento! Ora o mai più. Sputò fuori le parole come se fosse stato una mitragliatrice.
- Senti con il Bro ehm… il gattac… ehm… con Kuroo pensavamo di andare a mangiare un boccone qua vicino, tivadiunirtianoi? - veramente quelle ultime parole le sparò fuori alla velocità della luce ed ora lo guardava con due occhioni ricolmi di speranza e aspettative.
Keiji sorrise internamente perché era uno spettacolo davvero buffissimo ma non voleva in nessun modo offenderlo.
- Beh, sì: si può fare. -
- Ah, tranquillo non ti preoccupar… ehy, aspetta: hai detto “sì”? - già aspettandosi un più che comprensibile rifiuto, Kou si era già preparato la frasetta di rito. E invece...
- Sì. - stavolta l’alzatore non poté frenare la piccola risatina – Ho detto di sì. -
- Oh, tipo wow! Bene… Wow... Allora andiamo che il Bro ci aspetta. - tutto galvanizzato, riprendendo a scendere. Si sarebbe dovuto inventare qualcosa con il resto della squadra per sparire magicamente e far sparire magicamente anche Keiji ma per questo contava nell’astuzia di Tetsurou.

Il quale Tetsurou lo stava attendendo, appoggiato ad un muretto nelle vicinanze dell'ingresso del Liceo, una mano nella tasca dei pantaloni della propria divisa scolastica, l’altra intenta a far scrollare lo schermo del cellulare. E Keiji pensò che dovesse essere una chat che gli stava assorbendo tutta la sua attenzione perché era così concentrato che non si stava minimamente accorgendo dei ripetuti tentativi di assalti e delle occhiatine con annessi risolini delle ragazze che gli passavano a fianco.
Bokuto l’aveva definito “gattaccio” e in effetti, a guardarlo bene, Kuroo davvero ricordava un felino. La maniera flessuosa ed aggraziata che accompagnava ogni suo movimento, quello sguardo così penetrante e attento, quell’apparente fare sonnacchioso che in realtà teneva d’occhio sempre tutto.

- Ehy, eccovi! -
Per quanto la conversazione via chat dovesse essere per lui interessante ed impegnativa, era praticamente impossibile non udire il richiamo di Bokuto, capace di risvegliare anche i morti.
Tetsurou scandagliò velocemente la situazione portando lo sguardo sul volto del suo bestie e vedendolo a dir poco raggiante capì che doveva essere andato tutto secondo i piani. Cosa che venne confermata da Koutarou che, alle spalle di Akaashi, sollevò il pollice in segno di vittoria. Ovvio che poi avrebbe voluto ogni singolo dettaglio. In particolar modo voleva tutti i dettagli di come la giacca della tuta del suo Bro fosse finita sulle spalle di Keiji, che ora se la stava togliendo e porgendola al suo legittimo proprietario.

 

Koutarou credeva che la vita non sarebbe finita mai e che dietro l’angolo ci sarebbe sempre stata una novità che avrebbe cambiato tutto. Beh, in quel caso non aveva tutti i torti ma quello che aspettava quei tre non appena avrebbero girato l’angolo era di sicuro una sorpresa ma non una di quelle che, dal suo punto di vista, si sarebbe potuta definire bella.
Come aveva calcolato era stato grazie a Kuroo che erano riusciti a defilarsi con una scusa dal resto della squadra – non avrebbe diviso Keiji più con nessuno quel giorno! - ed ora eccoli lì, tutti e tre, con lui che camminava nel mezzo mentre stava raccontando tutto galvanizzato di come il loro cafè, rispetto a quello dei ragazzi del club di baseball, avesse avuto molto più successo e quindi vittoria era stata conquistata.
Gli altri due si lanciarono una piccola occhiata divertita, pensando all’unisono che di sicuro il merito non era stato suo, dato che il suo apporto durante la giornata era stato pressoché nullo, soprattutto quando si erano ben pensati di metterlo all’ingresso, al posto di Keiji, facendo fuggire chiunque, terrorizzati dal suo approccio troppo energico. Lo sguardo degli incredibili occhi verdi di Akaashi su quelli ambrati di Kuroo non passò inosservato a quelli di Koutarou che si trovava in mezzo a loro.
- Ohy, voi due! - tutto imbronciato e incrociando le braccia al petto.
I due famigerati sgranarono gli occhi interdetti per un istante posandoli su quelli dell’altro, poi Keiji simulò un piccolo colpo di tosse per non scoppiargli a ridere in muso. Cosa che invece fece Tetsurou per tutti e due. E l’eco della risata di Kuroo si stava ancora levando quando sentirono una delicata voce attirare l’attenzione dell’alzatore.

- Keiji-kun? -
I tre si bloccarono all’istante, girandosi all’unisono e al rallentatore verso quella voce che, seppur flebile e timorosa, fu peggio di un tornado tanta fu l’intensità con la quale spazzò via quel momento di letizia.
La ragazza lanciava occhiate furtive alle due pertiche che si trovavano insieme al ragazzo oggetto delle sue attenzioni, spostandosi con dita tremanti una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, cercando in qualche modo supporto e sicurezza in Keiji. Il quale la stava fissando incredulo e basito, trovandosi costretto a deglutire a fatica.
- Azumi-chan?! -
Una cosa che Bokuto (e anche Kuroo) aveva capito subito di Akaashi – ed era certo di non sbagliarsi – era che Keiji, da bravo alzatore, era difficile da cogliere di sorpresa. Ma non fu quello il caso.
Lei continuava a lisciarsi nervosamente le pieghe della gonna della propria divisa impeccabile, riportando timorosamente gli occhi blu in quelli verdi dell’alzatore. Si vedeva che, in qualche modo, si sentiva un pesce fuori d’acqua.
- I-io… Bokuto-san, Kuroo-san, scusatemi, devo andare. - voltandosi verso di loro e proferendosi in un piccolo inchino di scuse. Nuovamente i due amici spostarono all’unisono e lentamente l’attenzione dei loro sguardi. Da quella ragazza che pareva uscita da un quadro di qualche ritratto di famiglia reale, tanta era la grazia del portamento, al volto di Keiji, cercando di capire cosa stesse succedendo.
- ‘kaashi, ma... ma la nostra cena fuori insieme? - proferì flebile Koutarou, demoralizzato a mille ed ecco che le dita lunghe ed affusolate di Tetsurou (come capperi facesse uno schiacciatore ad avere le armoniose dita che di solito appartenevano agli alzatori, era sempre stato un mistero per Koutarou) che gli strinsero delicatamente il braccio gli fecero capire di non dover insistere oltre. Come al solito, Kuroo era avanti anni luce e aveva capito che quel imprevisto stava mettendo Akaashi non poco in difficoltà e non solo perché quella ragazza gli era spuntata lì dal nulla ma perché la situazione doveva essere indubbiamente molto più complessa.

E Keiji, quando avrebbe ripensato allo sguardo deluso di Bokuto e l’avrebbe rivisto al rallentatore una infinità di volte, si sarebbe sentito morire ogni volta di più. Lui, più di tutto, odiava deludere gli altri.
Ciò che invece si sentì in quel momento bruciare sulla nuca, mentre raggiungeva la ragazza all’entrata del cancello, era uno sguardo ambrato penetrante che stava cercando di capire dove fosse l'impasse.

 

Continua...

 

 

Non ho ben capito quale sia stato il preciso momento in cui la mia mente ha deciso di far penare ‘sti poveri due ragazzuoli. Oltretutto non è proprio da me, che son la regina del fluff diabetoso, io non riesco a far del male ai miei adorati; se proprio devo sfogare quella vena angst che comunque in me è praticamente inesistente di solito lo faccio con i personaggi che mi stanno sui maroni *fissa un Miya Atsumu non a caso, ricordandosi che si è immaginata mille e più trame dove soffre e schiatta in mille e più modi e va a rivedersi tali appunti*

Tadan: a grande richiesta (di nessuno) ritorna la rubrica del “cosa stavo ascoltando mentre…”. Ecco, nella parte finale stavo ascoltando la OST di Tsurune, del quale mi è venuta voglia di rifare un rewatch.

E sempre per raccontare cose delle quali potete star benissimo senza, questa mattina in una delle mie classi si è palesata in qualche modo la mia passione per il mondo anime/manga ed una mia studentessa, parlando di HQ, mi fa “una mia amica è in superfissa per Kuroo”. La mia risposta non può che essere stata “la capisco guarda…” con annesso sguardo perso nell’infinito.

Ah, già! Ora, dopo questo parto plurigemellare, ho troppa voglia di scrivere di Kuroo *ç * e di Tooru *ç * ma stavo anche pensando che sarebbe indubbiamente interessante narrare la seconda parte della IwaOi che avevo scritto. Insomma, ho le idee molto chiare… niente!

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Capitolo 5
*** Meglio non sentire un dolore troppo grande ***



Io non ho scusanti, davvero!
Chiedo venia.
*cerca di regalare biscottini*

 

 

MEGLIO NON SENTIRE UN DOLORE TROPPO GRANDE

 

 

Capitolo 4

 

Akaashi, nei giorni successivi, non fece alcuna menzione all’accaduto. Se non scusarsi nuovamente con Koutarou il giorno dopo e comunque dopo averlo fatto anche la sera stessa via messaggio sia a Bokuto che a Kuroo.

Inutile dire che Koutarou si era dato, e continuava a darsi, il tormento per quella misteriosa ragazza. E, ovviamente, lo aveva dato anche a Tetsurou, che si era sorbito – come sempre – ogni suo lamento e disperazione.

- Forse è sua sorella. - aveva provato Tetsurou, poco convinto ovviamente ma sperava in qualche modo di riuscire a calmare e tranquillizzare l’amico, dato che questi – com’era nel suo stile – si era lanciato ad immaginarsi degli scenari uno più apocalittico dell’altro.
- Ma non si somigliano per niente! - aveva ribattuto il diretto interessato – Tu e tua sorella siete identici. -
- Vero. Però tu e Ayase non vi somigliate per niente fisicamente. - e questa volto Kuroo era stato molto più convinto nell’esporre la propria tesi. Infatti Bokuto se n’era uscito con un “mmm” meditabondo.

Nonostante questo tormento, per lui a dir poco struggente, Koutarou cercò di seguire il più possibile il consiglio che gli aveva dato Kuroo, comportarsi nel modo più normale possibile con Akaashi, non facendogli nessuna domanda insinuante su quella fantomatica ragazza. Se era Keiji a voler spiegare, di sicuro lo avrebbe fatto, gli aveva detto Tetsurou. Il quale Tetsurou ben se lo ricordava lo sguardo mortificato e di disagio che l’alzatore aveva avuto nei confronti di Bokuto quando se n’era dovuto andar via in quel modo.
Ma se Koutarou cercò di comportarsi come al solito – anche se tutti i loro compagni si erano resi conto ci fosse qualcosa che non quadrava – ecco che lo stesso non si poté dire di Keiji. Certo, era meraviglioso come al suo solito, calmo, serafico, in campo non ne sbagliava una, ma con Bokuto non era il solito. O meglio si rapportava a lui ma, anche in questo caso, qualcosa strideva. Non lo evitava, certo, ma ad un occhio attento si vedeva che era come se l’alzatore si sentisse in qualche modo a disagio.

- Cosa gli hai fatto? - chiese con tono fintamente distratto Akinori, mentre si tirava su la cerniera della felpa, alla fine degli allenamenti prima di uscire dagli spogliatoi.
- Eh? - Koutarou si girò a guardarlo, con uno sguardo perso e confuso. Soffriva già così tanto per il fatto che qualcosa nel rapporto con Akaashi pareva essersi incrinato.
Non sapeva quanto avrebbe resistito a chiedergli cosa ci fosse che non andava. Ma non voleva farlo via messaggio per telefono, lo trovava oltremodo squallido, sempre meglio essere a quattrocchi, dal vivo. Tipico suo d’altra parte, affrontar le cose di petto. Solo che il giorno dopo lui non sarebbe andato a scuola.

Akaashi, dal canto suo, non voleva evitarlo, solo stava sentendo che per quel ragazzo così esuberante e spumeggiante qualcosa di strano si stava iniziando ad agitare dentro e quindi era meglio evitar complicazioni sul nascere. Non che avesse chissà quanti amici – era uno che si bastava da solo e che preferiva restare da solo, trovava che così il suo (poco) tempo libero non andasse sprecato – con i quali fare un paragone sul tipo di sensazioni che provava quando si trovava con loro o quando pensava a loro ma Keiji era certo che tra tali sensazioni il famosissimo e fantomatico “sfarfallio nello stomaco” non fosse annoverato. Intendiamoci, non era assolutamente un problema per lui se due persone dello stesso sesso si innamoravano, trovava che fosse una cosa naturale, se ci si innamora poco importa il sesso dell’altro. Molto semplicemente non poteva farcela a gestir tutta quella situazione a casa, sarebbe stato portare un peso troppo grande sulle sue spalle. Quindi ecco che, prima che quella cosa che provava divenisse troppo ingestibile, meglio cercare di bloccarla sul nascere. Non sapeva davvero neanche come definirla. Forse era una amicizia più particolare? Ma se, a parte la pallavolo, lui e Koutarou non avevano praticamente niente in comune! Nessun interesse o altro. L’unica cosa che sapeva era che quando Bokuto orbitava intorno al suo asse, Keiji stava bene. Si sentiva bene. Sentiva che con quel ragazzo poteva essere completamente se stesso. Che Bokuto non si sarebbe aspettato niente da lui, che non gli avrebbe mai fatto nessun tipo di pressione o altro. Forse era lui che aveva paura di deluderlo...
Solo con sua nonna poteva dire di sentirsi libero di essere se stesso. E di avere dei sogni.
A volte si chiedeva se non fosse lui stesso a pretendere troppo da sé. A farsi carico di cose che, emotivamente, non gli spettavano.
Quel pomeriggio, su quella collinetta, a scrutar la volta celeste, con Bokuto al suo fianco, si era sentito in perfetta armonia con se stesso, con tutto, con Koutarou… Si era sentito grato per quel momento di perfezione assoluta. E avrebbe voluto che durasse per sempre. Forse, non voleva far soffrire in qualche modo Koutarou. Ecco perché Keiji, come una forma di difesa, pensava che la cosa giusta da fare fosse, al solito, anestetizzarsi da ogni sensazione, emozione, mantenere un profilo neutro.
Ma nonostante questi pensieri, questa sua stoica determinazione – troppo pesante per un ragazzo di soli 15 anni – eccolo in classe ad attendere con crescente trepidazione il suono della campanella della fine delle lezioni mattutine. I suoi occhi verdi scrutarono speranzosi il corridoio ma di Bokuto neppure l’ombra. La stessa ombra che calò nei suoi occhi, non sapendo neppure cosa gli si agitasse dentro. Forse alla fine, aveva veramente deluso Koutarou…
Stava per indirizzare i propri passi verso il piano delle seconde, a cercarlo, ma venne intercettato dal docente responsabile della sua classe che gli chiese il favore di fargli alcune fotocopie per le attività delle lezioni del pomeriggio e quindi addio pausa pranzo. Provò a controllare il cellulare ma nessuna missiva da parte di Bokuto.
Le lezioni del pomeriggio furono un vero e proprio tormento poiché perfino la lancetta dei secondi pareva essersi incollata al quadrante. Lui non era uno impaziente ma davvero quel pomeriggio il tempo che non passava, pareva dargli il tormento.
Ecco perché letteralmente schizzò verso lo spogliatoio non appena la campanella suonò e arrivò senza fiato e i compagni di squadra già presenti si sorpresero non poco quando lo videro arrivare in quel modo tutto trafelato.
Scandagliò la piccola stanza, alla ricerca dell’altro, della sua presenza ma niente neanche in quel caso. Allora, d’istinto, cercò Konoha perché quei due erano sempre appiccicati. E quando non lo vide, sentì un sollievo dentro di sé. Erano sicuramente in ritardo.
Ma ogni sua speranza si ruppe miseramente quando sentì la voce di Akinori alle sue spalle che gli chiedeva se, gentilmente, poteva spostarsi dall’ingresso. Solo la voce di Konoha, nessun ultrasuono assordante insieme a lui. Lentamente si voltò ma nulla. Akinori era da solo. E quest’ultimo gli lanciò un’occhiata pensierosa vedendolo così sperduto.
- Bokuto non c’è. È a casa con l’influenza il casinaro. Come si fa a prendersi la febbre in giugno, io boh… - gli spiegò, quasi avesse capito la causa del suo essere così spaesato.
Konoha continuò a tenerlo silenziosamente d’occhio durante tutti gli allenamenti, meditabondo. Doveva essere indubbiamente successo qualcosa tra quei due, ma non capiva cosa né, soprattutto, l’entità.
- Akaashi? - lo chiamò alla fine degli allenamenti, avvicinandosi a lui.
- Sì? -
- Senti, avrei bisogno di un favore. Non è che potresti fare un salto a casa di Bokuto a portargli le dispense che ci hanno dato oggi in classe e che ci servono per il compito della prossima settimana? Ho promesso a mia madre che alla fine degli allenamenti avrei fatto un salto al konbini vicino casa giusto in tempo per le offerte di fine giornata e non vorrei mai scatenarmi addosso la sua ira funesta se torno a casa senza la confezione maxi di uova dopo aver sfidato le orde di nonnine assatanate. -
Ovviamente non c’era nessuna offerta di confezioni maxi di uova né tanto meno sua madre pronto ad accoglierlo con il mattarello se si fosse presentato a mani vuote, ma non aveva una scusa migliore.
Per sua fortuna, Akaashi non fece alcuna domanda.

Ed ecco perché Keiji ora si trovava sulla strada verso casa di Koutarou, con l’indirizzo segnato da Konoha su di un fogliettino. Il quale Konoha si era affrettato a scrivere all'ammalato un enigmatico Mi devi un favore. Ti sto mandando un angelo. Missiva che Bokuto, nel delirio della febbre attendendo che l’antipiretico facesse effetto, non capì assolutamente cosa stesse a significare, se non che fosse giunta la sua ora e stesse morendo e che l’angelo della morte lo stesse andando a prendere.

Nonostante non fosse il suo quartiere, Keiji conosceva bene quella zona perché la sua tea room del cuore, comprensibilmente, si trovava proprio in quel quartiere. Fu proprio nel momento in cui si stava avvicinando ad essa che pensò che fosse il caso di portare qualcosa all'ammalato, non si poteva di certo presentare a mani vuote. Sì, ma cosa? Con una sorella che viveva in mezzo ai dolci, di certo presentarsi con una torta non era proprio il massimo dell’intelligenza. Qualcosa di salato? Ma stava male, aveva la febbre, non avrebbe gradito di sicuro. Beh, qualche medicinale o energetico ricostituente sarebbe andato più che bene, valutò alla fine, dando prova – al suo solito – di essere estremamente pragmatico e coscienzioso.
Se ne stava quindi uscendo proprio dalla farmacia quando si sentì rivolgere un saluto da una voce femminile.
Si girò perplesso, chi mai poteva conoscerlo in una zona non sua?
- Oh… - rimanendo con la sportina della farmacia, con tanti di quei medicinali dentro che sarebbero bastati per un ospedale intero, a mezz'aria.
- Mi pareva fossi tu. - Ayase gli sorrise e Keiji sentì una fitta al cuore. Pur non assomigliando per niente al fratello, avevano lo stesso modo di sorridere.
Akaashi si girò verso di lei, facendole un rispettoso inchino al quale la ragazza reagì con un gridolino.
- Oh, no no no, ti prego, quanta formalità! Non sono così vecchia. - scoppiò a ridere, portandogli una mano sulla spalla per farlo alzare e solo allora il ragazzo notò che davanti a lei spuntava un marsupio. Che lo stava fissando. Intensamente. Molto intensamente.
- Mia non fissare le persone. Ho capito che è un bel ragazzo, ma è una cosa scortese. - scherzò Ayase, sistemando il cappellino fiorito sulla testolina della propria figlia. E Akaashi arrossì visibilmente, non sapendo come o cosa obiettare. Non si era mai soffermato più di tanto sul suo aspetto fisico, certo le varie richieste di ragazze – anche di quelle del terzo anno – indubbiamente gli avevano fatto comprendere che dovesse piacere alle ragazze ma era una cosa sulla quale non si era mai soffermato più di tanto. Anzi! Per lui era fonte di dispiacere dover in qualche modo creare sofferenza o dispiacere in quelle ragazze, rifiutando le loro proposte.
- Stai andando da Kou? - lo tolse Ayase dall’impasse, fissandolo con la testa leggermente piegata.
- E-eh? A-ahh, sì… un nostro compagno di squadra mi ha chiesto di portargli delle dispense che hanno consegnato oggi in classe. -
- Ne sarà felice. - rispose lei sibillina, con un sorrisetto furbetto ma senza malizia alcuna, per poi proseguire a parlare - C’è anche Tetsu. -
- Chi? -
- Kuroo. -
- Ahh, il Gattaccio. (ohh, Kuroo *ç* ndC) – replicò lui, sovrappensiero. Quei due erano sempre insieme. Dove c’era l’uno, c’era anche l’altro.
E Ayase scoppiò a ridere dopo averlo fissato per un istante interdetta.
- Sì, il Gattaccio. -
- Oh! Non volevo essere scortese. - si affrettò a spiegare lui – Ma Bokuto-san si rivolge a lui molto spesso definendolo in questo modo. -
- Tranquillo, tranquillo. - ancora ridendo – Ti faccio strada, sto facendo anch’io un salto da lui. I miei son fuori per lavoro fino a stasera e anche se la mamma gli ha lasciato tutto il necessario per sopravvivere, sono certa che abbia chiamato disperato Tetsurou perché – a detta sua – gli elettrodomestici sono contro di lui e non sarà riuscito a riscaldarsi la zuppa di miso nel microonde. -
Keiji rimase un attimo interdetto, non si aspettava di certo che Koutarou fosse così impedito nelle faccende quotidiane. O forse sì… forse doveva aspettarselo. E questa nuova novità che aveva appresso sull’altro, lo fece inevitabilmente sorridere. Pur avendo piegato di poco la testa per nascondere quel sorriso, Ayase se ne avvide eccome e sorrise dolcemente a sua volta, portando lo sguardo verso la figlia che ora giaceva felicemente e beatamente addormentata.
- Lo so che mio fratello è un casino totale. - disse queste parole con un tono incredibilmente dolce, sussurrando e Keiji portò nuovamente l’attenzione verso di lei.
- Però è una persona buona, che si dà con tutta l’anima in quello che crede e per poter far felici gli altri, le persone a cui tiene. Si butta a capofitto certo, non pensa prima di agire, figurarsi prima di parlare, è un tornado che ti travolge ma lo fa con tutto il cuore. - concluse, riportando lo sguardo sul ragazzo che camminava al suo fianco. Il quale si fermò per un istante, riflettendo sulle parole che la ragazza gli aveva detto.
- Lo so. L’ho capito fin da subito. È un libro aperto. -
- Già… - sospirò lei, lasciando le parole in sospeso, cercando di capire se continuare o meno. Alla fine decise per il sì – E non farebbe mai del male alle persone alle quali tiene. Le proteggerà sempre. Oh! Siamo arrivati. -
E Akaashi non ebbe il tempo di soppesare quelle parole e il motivo per le quali gliele stava dicendo. Era nervoso? Emozionato? Non sapeva dire se era una emozione positiva o negativa, ma quello che sapeva per certo era che un mestamento interiore lo stava sentendo. Soprattutto quando, dal piano superiore, sentì l’inconfondibile risata di Bokuto.
- Kou, hai visite! - Ayase gli perforò un timpano praticamente, mentre si era sporta appena sulle scale, invitandolo con lo sguardo a salire dopo che si erano tolti le scarpe in ingresso.
- CHI E'? -
- SORPRESA! -
E ok, ora sicuro aveva perso l’uso dell’udito. Tipo per sempre.
In una salita che gli parve infinita, arrivò infine a bussare alla porta socchiusa della camera, annunciandosi in qualche modo e…
- AKAAASHI! -
Bene, ora il colpo di grazia per le sue povere orecchie era indubbiamente arrivato. Ma anche per il suo cuore indubbiamente. Era stato solamente un giorno senza vederlo e poteva ora affermarne con sicurezza che Bokuto gli era mancato.
- Oh, Konoha mi aveva detto che mi stava mandando un angelo. Bro, sto morendo! È stato bello conoscerti. Non ti dimenticare di me. - urlò e con tono solenne e melodrammatico, dopo esser saltato praticamente giù dal letto.
- Bro, perché devi sempre essere così tragico? - sospirò appena Kuroo, portando il peso del corpo sulle mani appoggiate dietro, seduto sul letto dell’amico, cercando di glissare il più possibile sulla gaffe che Bokuto aveva appena fatto di rivelare che Akinori si era riferito ad Akaashi definendolo angelo. E voltando di lato la testa per studiarselo bene quell’angelo, ogni sua singola reazione, per tentar di capire. Perché se aspettava che Bokuto capisse o captasse certi segnali da parte dell’alzatore, aloha!

E Keiji vide l’occhiata che Kuroo gli aveva riservato. Doveva ancora ben capire che rapporto ci fosse, ci fosse stato e, soprattutto, verso che direzione stesse andando tra quei due. Ma se Bokuto, come poco prima aveva detto ad Ayase, era un libro aperto, beh, lo stesso non si poteva dire di Tetsurou. Akaashi aveva perfettamente capito che, pur essendo uno solare e limpido, era uno che certe parti di se stesso le teneva ben trincerate dentro di sé, forse proprio per non pesare sugli altri. Gli dedicò la stessa occhiata, indagatrice, mentre Koutarou praticamente aveva iniziato a scodinzolare tutto felice.
- Beh – esordì Tetsurou, alzandosi dal letto con fare pigro e stiracchiandosi altrettanto pigramente – Vi lascio soli. -
- Te ne vai di già? - il padrone di casa riportò l’attenzione su di lui.
- Ho una video-chiamata che mi attende. Ho visto che sei vivo, ti ho dato da mangiare. - gli rispose facendogli l’occhiolino. - E poi ora sei indubbiamente in buona compagnia. - concluse, battendo una mano sulla spalla di Keiji e lanciandogli un’occhiata indecifrabile.

- Tetsu, secondo te in qualche modo si chiariranno? - gli chiese Ayase non appena Kuroo ebbe fatto il suo ingresso in cucina per salutarla e lei lo aveva praticamente obbligato a sedersi presentandogli davanti un piattino con il suo ultimo esperimento dolciario da provare. Ovviamente la ragazza era stata informata dal fratello su quanto accaduto il giorno del festival scolastico e della misteriosa ragazza.
- Non lo so, onee-san. Fondamentalmente perché non hanno nulla da chiarire. E se Kou è uno che parla anche troppo, Akaashi invece… - infilzando il dolce con il cucchiaino.
- … è uno che parla anche troppo poco. - concluse lei, sedendosi di fronte e portando le mani a coppa poggiandovi il mento, meditabonda, con un ciuffo di capelli biondi che le sfuggì dallo chignon, tenendo d’occhio Mia seduta sul tavolo, che cercava di gattonare verso Kuroo e il piattino con il dolce.
- Humm, Tetsu forse sarebbe stato meglio se tu fossi rimasto di sopra con loro, ad aiutare in qualche modo la conversazione. -
- Scherzi? - rise – Akaashi sarebbe stato in grado di uccidermi. -
- Con lo sguardo? -
- No! Di uccidermi e basta. -
- Macoss… - facendola scoppiare a ridere di gusto.
- Penso di non andargli molto a genio. -
- Impossibile! - dichiarò solenne e sincera, per lei era impossibile non adorare uno come Tetsurou. Poi si illuminò. - Forse è geloso. -
- Allora dovrei un po' forzare la mano, per spingere Akaashi a venire allo scoperto. -
- Sei tremendo. - rise – Tetsu, per favore mi tieni Mia un secondo finché vado un attimo in dispensa a recuperar delle cose che ho lasciato ancora qui? -
- N-no, aspetta! - ma si era trovato la bambina in braccio prima ancora di finir di protestare.
La quale bambina parve gradire molto il passaggio, accoccolandosi per benino sul petto di Kuroo.
- Oddio, sei meraviglioso. Posso farti una foto? - squittì tutta felice Ayase, prima di uscire dalla cucina.
- E-eh? - ed eccole, le guance andate irrimediabilmente a fuoco. Capitava molto spesso ultimamente, non c’era che dire. E giusto nel momento in cui la famosa video-chiamata che tanto attendeva, arrivò.
°° Ehy, mi devi dire qualcosa che non mi hai ancora detto?°° si divertì a punzecchiarlo il ragazzo dall’altro lato dell’etere, vedendolo con Mia in braccio °° Sei carino in versione “papà”.°°
- N-ono. Ahhh! Ma vi siete messi tutti d’accordo per mettermi in imbarazzo? - rise.
°° Oh, forse perché sei adorabile quando ti imbarazzi? °°
- Ancora?! - e facendo scoppiare a ridere di gusto anche l’altro.

Nel frattempo al piano di sopra la conversazione, comprensibilmente, languiva. Passati i convenevoli di rito, ora c’era solo silenzio.
Koutarou, rificcato a forza sotto alle coperte al caldo da Keiji, lo fissava in attesa, con i soli occhi che spuntavano dal lenzuolo. Con i capelli giù, come l’aveva visto la prima volta che si erano incontrati, sembrava indubbiamente un’altra persona.
Akaashi emise un piccolo sospiro, mentre si trovava sul tappetto di fronte al letto, seduto regalmente come al suo solito sui talloni.
- Mi dispiace per l’altro giorno, Bokuto-san. Non esser potuto venire  all'uscita che avevi organizzato. -
- Nahhh, non ti preoccupare. - l’effetto dell'antipiretico stava lentamente svanendo e con esso la lucidità – Ce ne saranno altre di occasioni, di sicuro. Tranquillo ‘kaashi. -
- Sì, sicuro: ce ne saranno altre. - sorrise appena, alzandosi per cambiargli la fascia refrigerante sulla fronte e mettergliene una di fresca, cercandola tra le mille cose che gli aveva preso in farmacia. E Kou emise un piccolo sospiro di apprezzamento a sentire quel sollievo sulla fronte bollente. Aveva gli occhi chiusi ma sentì perfettamente quando Keiji fece per allontanarsi e allora, d’istinto, allungò una mano a prender la sua.
- Resta, ‘kaashi… -
E Akaashi restò… Voleva restare!
Dopo il comprensibile momento di smarrimento iniziale. Cosa stava a significare esattamente quel gesto? Forse solo il delirio della febbre che aveva preso a rialzarsi.
Si mise seduto sul letto, al suo fianco, ancora mano nella mano, guardandole. Che strano effetto gli faceva. Oltre a sua nonna, non aveva memoria che nessun altro gli avesse tenuto la mano. Strinse appena le dita, su quelle dell’altro.
Chiuse gli occhi a sua volta, sospirando appena.
- Bokuto-san? -
- Sì? - Kou non sapeva dirsi se la voce di Akaashi che lo chiamava fosse vera o se si trattasse di qualche specie di allucinazione del sonno senza sogni nel quale lo gettava la febbre.
- La ragazza dell’altro giorno… - e qui vide che Bokuto spalancò nuovamente gli occhi su di lui.
Gli veniva da vomitare. Quasi che qualcosa si fosse impossessato di lui, qualcosa che gli attanagliava la gola. Come sempre accadeva quando qualcosa sfuggiva al suo controllo. Dalla sua routine.
Perché stava tirando fuori quel discorso? Perché glielo doveva, molto semplicemente. O forse perché era un modo per lui di lanciare un disperata richiesta di aiuto. E Koutarou in qualche modo la colse, stringendogli ancora più forte la mano.
- Le nostre famiglie si conoscono da tanto tempo. Da generazioni direi. - proseguì a spiegare, fissando davanti a sé, sulla scrivania di Bokuto, dove tra i libri troneggiava un piccolo peluche a forma di gufetto.
- Sai, ti ho detto che tiro con l’arco ed è perché l’ho imparato da piccolo da mia nonna che possiede un dojo che la mia famiglia si tramanda da parecchie generazioni. Ma i miei genitori non sono intenzionati a prenderlo in mano anche se non intendono perderlo, vorrei occuparmene io ma… ma non ho ancora l’età giusta e non so quanto la nonna vivrà ancora... È un dojo prestigioso e la famiglia di Azumi potrebbe portarlo avanti, dato che anche la loro famiglia possiede un dojo da intere generazioni. E… e a causa di una sorta di accordo fatto tra le nostre famiglie – anche se la nonna si è sempre opposta strenuamente e lo sta facendo tuttora - proprio per questa questione del dojo, perché in qualche modo rimanga comunque alla mia famiglia, beh… io e Azumi dovremmo sposarci un giorno. -

La bomba era stata sganciata…

 

 

7 ANNI PIU’ TARDI
 

Finalmente quella mattina potevano permettersi di preparare la colazione con tutta calma. Niente allenamenti ai quali correre. Niente scadenze da consegnare alla sala stampe.
Era una bella mattinata e il tiepido sole di fine estate faceva capolino dentro alla piccola cucina del loro minuscolo appartamento, inondando i loro volti.
Keiji, al solito, aveva rubato la maglia a Kou, il quale se ne stava tranquillamente a petto nudo e in boxer, avvinghiandolo da dietro mentre l’ex alzatore era intento a preparare l’impasto per i pancake, beccandosi qualche morsettino sulla nuca, in segno di protesta perché – a detta di Bokuto – stava badando più l’impasto che lui, facendo scoppiar a ridere Keiji.
L’idillio fu interrotto dal cellulare di Akaashi che iniziò ad illuminarsi e a vibrare sul tavolo alle loro spalle.
Keiji, girando il volto verso quella fonte molesta, sollevò gli occhi al cielo. Si augurava che non fosse la sua casa editrice che chiamava non si sa bene per quale mistero misterioso pur sapendo benissimo che si era preso due giorni di ferie dopo non si sa quanto tempo.
Quel numero non l’aveva memorizzato in rubrica ma sapeva perfettamente a chi appartenesse. E fu per questo che si rabbuiò.
Anche Koutarou ormai sapeva perfettamente a chi appartenesse quel numero. Strinse ancora più forte Keiji a sé, posandogli ora dolci baci sulla nuca, per tranquillizzarlo. Per nulla al mondo voleva che ci fosse qualcosa che turbasse il suo adorato. Aveva giurato a se stesso di proteggerlo da qualsiasi cosa brutta, da qualsiasi cosa potesse turbarlo e togliergli il sorriso.
- Amore, io ti capisco e non ti sto dicendo di perdonarlo Keiji, so che ti è impossibile, ma almeno di rivedervi, di parlarci con tuo padre. -
- No. - con tono calmo ma perentorio, stringendosi a quelle braccia forti che continuavano a circondarlo protettive – Non dopo quello che ci ha fatto. -

 

Continua…

 

 

Lo so che lo dico ogni volta (strano che io ripeta le stesse identiche cose tremila volte, non mi capita proprio mai guarda…) ma io devo ancora ben capire quando è stato il momento in cui ho deciso di farli penare ‘sti due poveri ragazzuoli, forse per creare un po' di climax, boh. Ma tranquilli comunque eh, io sono la Regina del flufffluffone. Ohhh yep!

Ed ora, per riprendermi dal momento di sconforto, ho bisogno di qualche siparietto comico. Mi serve una spalla. Da chi mai potrei andare? Hum, mumble mumble... *inizia ad importunare vari personaggi, in particolar modo due – non a caso -, cercando di farli mettere in posizione orizzontale*
voce fuori campo °°Ma non si era detto siparietto comico? Perché stai cercando di farlo diventare un R72?°°
Dettagli!

 

 

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